Alive Again

di Aagainst
(/viewuser.php?uid=339473)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Flames ***
Capitolo 2: *** 1.Melancholy Kaleidoscope ***
Capitolo 3: *** 2.Hard ***
Capitolo 4: *** 3.Lost ***
Capitolo 5: *** 4.A Place ***
Capitolo 6: *** 5.The Loved Ones ***
Capitolo 7: *** 6.Torn Apart ***
Capitolo 8: *** 7.So Tired ***
Capitolo 9: *** 8.Paralyzed ***
Capitolo 10: *** 9.Somehow ***
Capitolo 11: *** 10.Better With You ***
Capitolo 12: *** 11.The Things I Didn’t Say ***
Capitolo 13: *** 12.Upside Down ***
Capitolo 14: *** 13.What I Want ***
Capitolo 15: *** 14.Lonely ***
Capitolo 16: *** 15.I Can’t Not Love You ***
Capitolo 17: *** 16.Ache ***
Capitolo 18: *** 17.Better ***
Capitolo 19: *** 18.Weight Of The World ***
Capitolo 20: *** 19.Box Of Regrets ***
Capitolo 21: *** 20.Dare To Love Me ***
Capitolo 22: *** 21.I Don’t Need You ***
Capitolo 23: *** 22.More Than Life ***
Capitolo 24: *** 23.Let Me Let You Go ***
Capitolo 25: *** 24.Make Me Stay ***
Capitolo 26: *** 25.Time ***
Capitolo 27: *** 26.Broken ***
Capitolo 28: *** 27.Save Me ***
Capitolo 29: *** Epilogo-Alive Again ***



Capitolo 1
*** Prologo-Flames ***


Prologo-Flames

 

I'm left with nothing more than ashes
Falling to the ground like snowflakes
almost wish we never happened 
(Mod Sun feat. Avril Lavigne-Flames)

 

 


Clarke aprì gli occhi piano, non del tutto convinta di volersi svegliare. Allungò la mano, ma la ritrasse subito. Il materasso era così freddo. Soffocò un urlo e schiacciò il volto contro il cuscino. Da quanti giorni stava così? Ormai aveva perso il conto. Chiuse nuovamente gli occhi, cercando conforto nei suoi ricordi. Frammenti di memorie, frammenti di istanti si susseguirono nella sua mente. Era tutto ciò a cui poteva appigliarsi ora. Tutto ciò che le era rimasto. 

 

“Ehi, tu devi essere quella nuova. Clarke Griffin, piacere.”. La ragazza di fronte a lei allungò il braccio e le strinse timidamente la mano, un gesto che le colmò il cuore di tenerezza. 

“Lexa Woods, il piacere è tutto mio. È un onore poter lavorare al tuo fianco.”. Clarke la scrutò, soffermandosi sui suoi occhi. Erano incredibilmente verdi e profondi, un angolo di un mondo, di un universo che avrebbe voluto conoscere fino in fondo. 

“Wallace mi ha fatto vedere i tuoi casting, lasciami dire che è il contrario. Sono io a dovermi sentire onorata, sei incredibile.”. Lexa fece spallucce, visibilmente in imbarazzo per quel complimento. “Ti troverai bene qua, il cast di Arkadia è speciale.”

 

Già, speciale. Lexa era speciale, questa era la verità. Clarke si rigirò nel letto e si accartocciò nelle coperte. Avrebbe voluto piangere, ma ormai non aveva più lacrime da versare. Il dolore era troppo. Il vuoto che provava era troppo. Tutto era troppo. 

 

“E stooop. Perfetto ragazze, avete una chimica eccezionale.”

“Grazie signor Wallace.” rispose Lexa, con un sorriso. Cage Wallace, il produttore della serie, era famoso per non scomporsi mai più di tanto e un complimento da parte sua era più unico che raro. Clarke si voltò a guardare Lexa. Era più giovane di lei e, nonostante nella serie interpretasse un personaggio molto forte e determinato, nella vita reale era decisamente molto più schiva e timida. 

“Bel lavoro oggi.” le disse, più per attaccare bottone che per altro. Lexa era sempre così schiva, così chiusa. Clarke voleva solo conoscerla meglio. Ne aveva bisogno. 

“Sì, sono molto contenta. Questa stagione sta venendo bene.” rispose la più giovane. Clarke le sorrise, lasciando che i loro occhi si incontrassero. D’istinto, Lexa chinò lo sguardo, ma la bionda l’obbligò a rialzarlo.

“Stasera io e gli altri usciamo, ti va di unirti a noi?” Clarke propose, anche se Lexa ebbe il sospetto che volesse dirle ben altro. 

“Io… Beh, ecco…”

“Dai, non esci mai con noi. Insomma, può essere un’occasione per legare di più, anche in ottica lavorativa può tornare utile.”. Non era stata Clarke a parlare. Le due attrici si voltarono. Di fronte a loro una ragazza dai capelli scuri e di chiara origine latina le fissava, le mani poggiate ai fianchi. 

“Rae, non metterle pressione.” Clarke rimproverò la sua collega e amica, lanciandole un’occhiataccia. Raven alzò gli occhi al cielo e scosse il capo.

“Oh, andiamo Woods.” insistette. Lexa sospirò, voltandosi prima verso Clarke e poi verso Raven. 

“Vorrei, ma non posso. Ho già un impegno.” disse, infine.

“Un impegno? E con chi? Con il tuo fidanzato?”. A quelle parole Lexa si irrigidì. Si massaggiò il collo, palesemente a disagio.

“Ehi, tranquilla. Raven stava solo scherzando.” Clarke provò a rassicurarla, preoccupata da quella reazione. 

“No è che… Ecco io…”

“Lexa, non ci devi spiegazioni, davvero.” le sussurrò Clarke, posandole una mano sulla spalla. Si maledisse subito di quel gesto tanto impulsivo. Aveva i brividi e non per le basse temperature che caratterizzavano quelle giornate. C’era qualcosa in Lexa, qualcosa che l’attraeva e la destabilizzava al tempo stesso. Qualcosa a cui non sapeva dare un nome, ma di cui, al tempo stesso, sentiva di non poteva fare più a meno.

“Sentite, mi dispiace. Il fatto è che ho una telefonata importante da fare stasera. Non con il mio fidanzato, ma con la mia ragazza.” Lexa confessò, distogliendola dai suoi pensieri.

“Oh.” fu tutto quello che riuscì a dire. 

“Già. Quindi scusatemi, ma ora devo proprio andare. Ci vediamo domani, ragazze. Grazie comunque per l’invito.”. Clarke restò impassibile mentre la osservava scomparire nella sua roulotte. Quella notte non seppe capire se la morsa allo stomaco era frutto della gelosia verso la misteriosa ragazza di Lexa o della sorpresa di scoprire che a quest’ultima interessavano le ragazze. L’unica cosa di cui era certa era che era fregata. Sì, perché era cotta, cotta di Lexa Woods. E non avrebbe dovuto. 

 

No, non avrebbe dovuto. Ma come avrebbe potuto evitarlo? Avrebbe fatto di tutto per quella ragazza dagli incredibili occhi verdi. L’avrebbe protetta, l’avrebbe venerata, adorata, servita. Avrebbe scalato le montagne per lei. L’avrebbe amata, semplicemente. Eppure, Lexa non gliel’aveva permesso. Clarke si era solo illusa, nient’altro. Strinse le lenzuola e si coprì il volto. Si sentiva così vuota, così derubata di qualsiasi prospettiva. Prese un respiro profondo e allungò la mano verso il comodino, fino a prendere il cellulare. Sbloccò lo schermo e cominciò a scorrere la rubrica, cercando qualcuno da chiamare. Avrebbe voluto telefonare ad Octavia e a Raven e chiedere loro di passare la giornata assieme, ma si bloccò poco prima di cliccare sullo schermo. Il suo sguardo si posò sul suo nome, il nome di Lexa. Scosse il capo. I ricordi, avrebbe voluto fermare il fluire dei ricordi. Ma non era possibile e lei lo sapeva. 

 

“Aspetta O, mi sta squillando il telefono.” Clarke disse, frugando nella borsa. Era il loro giorno libero e avevano deciso di passarlo assieme, facendo shopping e uscendo poi la sera con gli altri membri del cast.

“Chi è?” chiese Octavia, curiosa.

“Lexa.” rispose Clarke, incredula. L’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata era una sua telefonata. 

“Beh rispondi, no?” la esortò Octavia. Clarke annuì e sbloccò il telefono, portandoselo poi all’orecchio. 

“Lex, è tutto a posto?” chiese, preoccupata. 

“Io… Io non sapevo chi chiamare. Non… Ho bisogno…” farfugliò la più giovane. Era completamente preda del panico e Clarke non poté nascondere un certo turbamento. La rassicurò, promettendole che sarebbe arrivata da lei in poco tempo e, salutata Octavia, salì sul primo taxi e tornò indietro sul set. Giunse alla roulotte di Lexa e bussò alla porta, non ottenendo però risposta alcuna. Provò ad aprire e, con sommo stupore, notò che non si era chiusa dentro.

“Lexa?” mormorò, entrando. Le tende erano tutte tirate e le luci spente. Clarke aveva il cuore in gola. Che le fosse successo qualcosa? Che qualcuno l’avesse aggredita? Si addentrò per la roulotte, cercando Lexa in ogni dove. 

“Lexa!” esclamò, non appena la vide. Era seduta per terra nella sua stanza, addossata alla parete. Aveva la testa china fra le gambe e singhiozzava disperatamente.

“Lexa, ehi. Che succede?” Clarke chiese preoccupata, sedendosi accanto a lei. Le circondò il volto con le mani, costringendola a girarsi verso di lei. Non appena i suoi occhi azzurri si scontrarono con quelli verdi smeraldini della più giovane, Clarke sentì il cuore battere all’impazzata. Cercò il più possibile di ignorare i suoi sentimenti, non era né il luogo, né il momento.

“Lexa, parlami.” insistette. Per tutta risposta, la più giovane le si accoccolò al petto, in lacrime. Clarke non sapeva bene cosa fare, completamente colta alla sprovvista. La strinse a sé è la cullò con dolcezza, aspettando che si calmasse. 

“Co-Costia.” mormorò Lexa all’improvviso. Clarke inarcò un sopracciglio, confusa.

“La mia ragazza. Lei è… Lei mi ha… Dio.”. Non riuscì a terminare la frase. Allungò a Clarke il telefono, mostrandole una foto che ritraeva due ragazze baciarsi. La bionda sentì una morsa al cuore. Lexa non meritava un simile trattamento.

“Magari è solo un fotomontaggio.” provò ad indorare la pillola, inutilmente. Quella foto era reale, lo sapeva benissimo anche lei. 

“Lei mi ha tradita. Dio, perché? Cos’ho che non va?”

“Nulla, Lex. Semmai, è lei che deve porsi questa domanda.” rispose Clarke, carezzandole i capelli con tenerezza. Lexa alzò lo sguardo, con aria interrogativa. Clarke le sorrise, cercando di trasmetterle tutto l’affetto possibile.

“Se fossi Costia e avessi il privilegio di stare con t-… Con una ragazza come te, beh non farei mai una cosa del genere. Farei di tutto per farti… Cioè, per farla felice. Non me la lascerei scappare così, non mi passerebbe mai per la testa di poterla ferire in un modo simile.”. Lexa aveva smesso di piangere e guardava Clarke a bocca aperta, incredula a quelle parole. Rimasero così, senza parlare, per nemmeno loro seppero quanto. 

“Davvero?” chiese poi Lexa, in un sussurro. 

“Davvero.” confermò Clarke, con un sorriso. Restarono così, una di fronte all’altra, per un tempo non quantificabile. Nessuna delle due osava aprire bocca, per paura di rovinare il momento con parole completamente fuori posto. 

“Io… È meglio che io vada.” disse infine Clarke, alzandosi in piedi. “È tardi e magari vuoi riposare.” Lexa annuì, anche se era chiaro dalla sua faccia che avrebbe voluto invitare la bionda a restare con lei. Entrambe, però, sapevano che non sarebbe stata una buona idea.

“Buonanotte Lexa.” la salutò Clarke, schioccandole un bacio sulla guancia. Scappò via, per evitare di cambiare idea. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter restare, per poter stare con lei. Ma non poteva, ne era consapevole.

 

No, non poteva. Non avrebbe potuto. Non avrebbe dovuto. Eppure, non aveva resisto. Clarke si coprì gli occhi con le mani. Si sentiva come se le avessero strappato il cuore dal petto e, in un certo senso, era così.

“Basta.” mormorò. “Basta.”. Non voleva più ricordare. Non voleva più soffrire. Eppure, la sua mente non le dava tregua. E, in fin dei conti, come è possibile cancellare dalla propria anima momenti, frammenti di istanti di tale portata? 

 

“Domani dovrò andarmene, Clarke.”

“Lo so.” sospirò la bionda. Erano entrambe stese sul tetto della roulotte della più giovane, una birra in mano. 

“Mi mancherà tutto questo.” dichiarò Lexa, con una punta di amarezza nella voce. 

“Mi… Ci mancherai anche tu.” Clarke sussurrò. Scosse il capo e si mise a sedere, per poi invitare Lexa a fare altrettanto. La pallida luce lunare le illuminava il viso e le faceva risaltare i meravigliosi occhi verdi, rendendoli più brillanti del solito. Clarke deglutì, incapace di articolare un pensiero di senso compiuto.

“Mi mancherai tantissimo.” confessò Lexa, con quell’aria timida di cui la bionda si era completamente innamorata. Sì, perché Clarke era perdutamente innamorata di Lexa, ormai ne era sicura. Posò la bottiglia di birra ormai vuota sul tetto e scese dalla roulotte, aiutando la mora a fare lo stesso.

“Ci sarò sempre, Lex. Per qualsiasi cosa.” la rassicurò.

“Lo so.” la mora asserì. “È che è raro trovare persone come te nel nostro lavoro. Insomma, da quando ho cominciato a lavorare come attrice mi sono sempre accontentata di rapporti frivoli, superficiali. La stessa relazione con Costia non è stata altro che un tentativo di sopravvivere alla routine e alla banalità, l’ho capito solo da poco.”. 

“Beh, probabilmente la vita non dovrebbe essere soltanto sopravvivenza. Non credi che meritiamo di meglio?”. Lexa si morse il labbro. Chinò il capo, per poi rialzarlo poco dopo. 

“Probabilmente sì.” disse poi, sporgendosi in avanti. L’ultima cosa che Clarke si sarebbe mai aspettata era ritrovarsi le labbra di Lexa sulle sue. Sussultò a quel contatto, ma dopo pochi istanti si perse completamente in quel bacio così inatteso, così insperato. Si ritrovano all’interno della roulotte, nemmeno loro seppero come. 

“Lex…” mormorò Clarke, col fiatone.

“Shh.” la zittì la più giovane. Clarke sentì le lacrime bagnarle le guance. Lexa era dentro di lei, un tutt’uno con lei, con le sue membra, un tutt’uno con la sua anima. E, per la prima volta in vita sua, Clarke si sentì finalmente completa.

 

La bionda scosse il capo. Non era nient’altro che un relitto in frantumi. Lexa se n’era andata senza nemmeno salutarla. L’aveva sedotta per poi abbandonarla, gettarla via come una scarpa vecchia. Le aveva preso tutto, il suo cuore, la sua anima, il suo amore e l’aveva resa un guscio vuoto, incapace di sentire qualsiasi cosa all’infuori di un insopportabile dolore. E, nella penombra della sua stanza, Clarke giunse alla più beffarda delle conclusioni. Non avrebbe mai smesso di amare Lexa Woods. Non ne sarebbe stata capace. Mai.






Angolo dell'autrice

E rieccomi con una storia in italiano. Questo è solo il prologo, ma spero vi sia piaciuto.
Due cose: la prima è che potrebbe sembrare una classica storia in cui Clarke e Lexa si riavvicinano, ma non sarà così. Come vedete, tra i personaggi ho inserito Madi e non sarà solo una comparsa. Non dico di più, ovviamente.
La seconda cosa è che, purtroppo, i miei aggiornamenti non saranno costanti e puntuali. Tra studio e vita ho poco tempo per scrivere, ma cercherò comunque di pubblicare il più velocemente possibile.
Detto questo, spero di non avervi annoiato. Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1.Melancholy Kaleidoscope ***


1.

 

Melancholy kaleidoscope, it's high time
You shake things up and get the picture in your head right
(All Time Low-Melancholy Kaleidoscope)

 

 

“Lexa muoviti, siamo in ritardo!”

“Arrivo, Anya!” rispose Lexa, con aria infastidita. Si rigirò nel letto e sbuffò, seccata da quella situazione. Non aveva per niente voglia di andare a cena fuori. Accanto a lei, Costia la osservava sorridendo, in silenzio. 

“Saluta la tua ragazza e sbrigati, ti aspetto in macchina!” la esortò Anya, senza osare salire le scale ed entrare in camera. L’ultima cosa che avrebbe voluto era trovarsi davanti la sua migliore amica e la sua fidanzata a letto, aveva già avuto fin troppe esperienze traumatiche nella sua vita. Anya Green era un’attrice abbastanza celebre, conosciuta per lo più per aver interpretato la protagonista in una serie tv sportiva sulla pallavolo. Le due si erano conosciute poco dopo l’arrivo di Lexa a Los Angeles da Boston, ad un evento organizzato dalla Disney. In breve tempo erano diventate grandi amiche e la bionda era ormai un punto di riferimento fisso nella vita della giovane attrice del Massachusetts. 

“Lexa, sono seria! Ci stanno aspettando!” Anya chiamò nuovamente l’amica. Lexa alzò gli occhi al cielo e si mise a sedere sul letto. 

“Dai, lasciala perdere e passa la serata con me.” le propose Costia. Lexa scosse il capo.

“Vorrei, ma non posso.” rispose. “Roan e Luna ci tengono tantissimo a questa cena, è da due settimane che mi pregano di andare e di non inventarmi scuse.” spiegò, mentre si rivestiva. Costia sbuffò, ma decise di non insistere. Lexa si voltò e la guardò con tenerezza. 

“Cercherò di tornare presto. Mi dispiace che tu non venga, ma…”

“Non ti preoccupare, so benissimo che Luna in particolare non mi può soffrire. Non le do torto, in fin dei conti quello che ti ho fatto tre anni fa è stato disgustoso. Già non so come Anya mi tolleri.”

“Le ho spiegato che sei cambiata, Cos. E, comunque, sono io a decidere chi frequentare e chiunque abbia qualcosa in contrario alla nostra relazione, beh, o se la mette via o è libero di uscire dalla mia vita per sempre.” disse Lexa. Costia si sporse in avanti e la baciò, lentamente. 

“Però, un aut-aut. Non sarai un po’ esagerata?” chiese retoricamente, sorridendo sulle labbra della sua ragazza.

“In Arkadia non mi chiamavano Heda a caso, Cos.” le rispose Lexa, baciandola. Fece per approfondire quel contatto, quando il suono del clacson della macchina di Anya la costrinse a desistere dal suo intento.

“Mi dispiace.” si scusò, ma Costia le fece segno di non preoccuparsi.

“Ci vediamo dopo, io ti aspetto.” la rassicurò. Lexa si affrettò a radunare le sue cose e si precipitò fuori dalla stanza. 

“Ti amo!” esclamò, scendendo le scale di corsa, noncurante del rischio di finire con l’osso del collo in frantumi. Arrivata alla porta l’aprì e uscì, ritrovandosi di fronte un’Anya piuttosto spazientita. 

“Scusami, non riuscivo a decidere quale vestito ind-…”

“Risparmiati queste scuse patetiche, ti prego.” la bloccò subito l’amica. “Lo sanno tutti che il vero problema era semmai la tua voglia di restare senza vestiti.” 

“Anya!” 

“Che c’è? Ho forse affermato il falso?”. Lexa non rispose. Alzò gli occhi al cielo e si sedette in macchina, aspettando che l’amica mettesse in moto.

“Senti, so che che Costia non è tra le tue persone preferite, ma devi per forza fare così ogni volta?” esordì infine, infastidita.

“Beh, diciamo che non capisco proprio come tu possa aver deciso di ritornare insieme a lei, ma in fin dei conti la vita è tua.” rispose Anya, senza distogliere gli occhi dalla strada. Lexa sbuffò, decisamente irritata. Decise di non replicare e accese la radio. Le note di un non meglio specificato pezzo jazz riempirono l’abitacolo, rendendo il clima tra le due più disteso. Arrivarono a destinazione in una trentina di minuti scarsi, nonostante il traffico. Non fecero in tempo a scendere dall’auto che una bambina dai folti capelli rossi corse loro incontro, seguita da un ragazzino biondo sui tredici anni. 

“Zia Lexa!” esclamò la bambina, entusiasta. L’attrice la prese in braccio e le schioccò un tenero bacio in fronte. 

“Ah, è così? Zia Lexa?” Anya si finse offesa. 

“Perdonala zia Anya, sai come è fatta Adria. Purtroppo sottovaluta le persone veramente importanti.”

“Aden, tu non fare il ruffiano.” ribatté la donna, scompigliandogli tutti i capelli biondi. 

“Aden, Adria! Andiamo, fatele almeno entrare in casa!” li rimproverò una donna dai capelli ricci, anch’essi rossi. Tra le sue braccia teneva un bambino di pochi mesi, biondissimo e dai grandi occhi color nocciola. Anya e Lexa la raggiunsero e la salutarono calorosamente, per poi passare a riempire di attenzioni il bimbo. 

“Non spupazzate troppo Ethan che me lo consumate.”. Lexa si voltò. A parlare era stato un uomo alto, dai lunghi capelli neri. Osservava quello strano capannello appoggiato alla porta, con aria serena. 

“Roan.” lo salutò Lexa, avanzando verso di lui. 

“Lexa.” ricambiò lui, stringendole la mano. “Sono felice di vederti.” disse, sorridendole. 

“Anche io.” dichiarò Lexa. 

“Bene ragazzi, la cena si fredda. Tutti a tavola!”.

 

________________

 

“Dici sul serio? Mi vuoi seriamente far credere che Finn Collins ha deciso di mollare la tua casa discografica? Ma è un pazzo.” 

“Si tratta di affari, Anya. Purtroppo il mondo funziona così.” spiegò Roan. “Non che ci abbia poi perso così tanto. Sì, è molto famoso, ma è completamente ingestibile, una vera testa calda.”. Roan Winter era uno dei più influenti discografici del Paese. Nato a Los Angeles, era cresciuto nei pressi di Compton, non vivendo esattamente quella che si può definire una vita agiata. La sua famiglia era invischiata in giri non poco raccomandabili e così a diciassette anni aveva deciso di andarsene di casa e tentare la fortuna con la musica. Tramite la sua casa discografica, l’Azgeda Records, aveva lanciato artisti come Jasper, Hope Diyoza e, appunto, Finn Collins. A differenza di Roan, invece, Luna proveniva da una ricca famiglia di Beverly Hills. Suo padre era stato un importante cineasta, mentre sua madre aveva lavorato per anni nel settore della moda. Erano morti entrambi ormai da qualche anno, a seguito di un brutto incidente stradale. Roan e Luna avevano conosciuto Anya e Lexa diversi anni prima, quando quest’ultima era stata scritturata per recitare nel videoclip di uno dei gruppi sotto contratto con l’Azgeda Records. In poco tempo i due coniugi avevano preso le due attrici sotto la loro ala, in particolare la più giovane. Sia Roan, che Luna erano molto affezionati a Lexa e, pur non condividendo molte delle scelte prese da lei negli ultimi tempi, in particolare la decisione di ricominciare una relazione con Costia, non avevano mai smesso di starle accanto e di volerle bene.

“Tra l’altro, Finn Collins non doveva sposarsi?” 

“Sì, con Clarke Griff-…” rispose Anya, rendendosi conto fin troppo tardi di quali parole si era lasciata sfuggire. Accanto a lei Lexa fece finta di ignorare il tutto, mordendosi forte il labbro.

“Beh, comunque poco importa, è stato mollato all’altare.” cercò di chiudere il discorso Roan, ottenendo però l’effetto opposto.

“All’altare?” domandò Anya, incredula. 

“Sì, di punto in bianco. Assurdo, vero?”. Lexa non resistette oltre. Si sentiva soffocare.

“Scusate, devo andare in bagno.” si alzò, con una scusa. Si precipitò fuori dalla sala da pranzo, ritrovandosi in un lungo corridoio. Lo percorse tutto, per poi salire una rampa di scale in legno. Il piano di sopra presentava un’enorme vetrata che dava sull’ampio giardino sottostante e da cui era possibile ammirare l’oceano che si stagliava all’orizzonte. Lexa amava passare il tempo lì, perdersi nel guardare fuori. La rilassava, l’aiutava a spegnere il cervello. Improvvisamente, un vagito attirò la sua attenzione. Lexa continuò la perlustrazione del piano, fino a ritrovarsi in camera di Ethan. Il bambino si era svegliato e stava piagnucolando, probabilmente in cerca della mamma. Lexa lo prese in braccio e si sedette sulla poltrona accanto alla culla, per poi cominciare a cullarlo dolcemente. 

“Shh, tranquillo. Ci sono qui io.” sussurrò, per rassicurarlo. In poco tempo il bambino parve tranquillizzarsi e il pianto lasciò ben presto spazio a degli incomprensibili gorgoglii e a bolle di saliva. 

“Così, bravo.” Lexa disse, carezzandogli con tenerezza le guance e il naso.

“Però, ci sai fare.”. L’attrice si voltò. Luna era sulla soglia che la guardava, il sorriso dipinto sul viso. 

“Ne dubito, è lui che è un bravo bambino.” ribatté Lexa, continuando a cullare il piccolo. Ethan allungò la manina e si avvinghiò al colletto della sua maglia, per poi mettersi a fissarla con i suoi occhioni scuri. Luna non poté trattenersi dal ridacchiare, intenerita da quella scena. Prese una sedia e si sedette di fronte all’amica, per poi posare una mano sulla sua gamba.

“Mi dispiace se sono scappata così, è che…”

“Lexa, non devi darci spiegazioni. Non volevamo riportare alla tua mente ricordi dolorosi.”. Lexa scosse il capo e alzò lo sguardo. I suoi occhi si scontrarono con quelli dell’amica, carichi di affetto. Sospirò, continuando a cullare Ethan. 

“È che… Non posso tornare indietro, Luna.” disse.

“Lo so.”

“A volte mi chiedo come sarebbe stato se… Vorrei solo dimenticare, capisci?”. Luna annuì e invitò l’attrice a posare la testa sulla sua spalla. Ethan emise un gorgoglio divertito e il suo sorriso privo di denti intenerì ulteriormente Lexa. Gli carezzò il naso e poi il pancino. 

“Lo invidio un po’.” dichiarò. 

“Anche io, ti dirò.” confessò Luna. “Insomma, il signorino è servito e riverito in tutto. Mangia, dorme e si fa i fatti suoi, una vita perfetta.”

“Ma?” chiese Lexa, intuendo che Luna volesse dirle altro.

“Ma noi abbiamo l’esperienza. Non temere la tua memoria, Lexa. Non è un nemico, ma un prezioso alleato. Ci aiuta più di quel che pensi.”. Lexa sospirò. Depose docilmente il bambino nella sua culla e lo guardò, mentre gli massaggiava la pancia.  Si voltò verso Luna. 

“So che Costia non piace né a te, né a Roan. So che come Anya sperate entrambi che torni da lei, ma io ho fatto la mia scelta e lo sai. Io amo Costia, è la mia ragazza e sono felice con lei.”

“Ti ha tradita, Lexa. E nel peggiore dei modi. Vogliamo solo che tu non stia male di nuovo.”

“Le persone cambiano, Lu.” replicò l’attrice. Desiderava solo che quella conversazione finisse al più presto, si sentiva enormemente a disagio.

“Spero sia vero anche per Costia.” Luna mormorò, alzandosi in piedi. Porse la mano a Lexa e l’aiutò a fare lo stesso. La strinse a sé, con affetto sincero. 

“Vali tantissimo, Lex. Molto più di quanto immagini.” le sussurrò. Si scostò e le carezzò la guancia, asciugandole le lacrime che la giovane attrice non era riuscita a trattenere. 

“Grazie.” mormorò Lexa. “Ti devo tutto, davvero.”

“Beh, a proposito, un modo per sdebitarti ci sarebbe.”. Lexa inarcò il sopracciglio, sorpresa da quella dichiarazione. 

“Cioè?” domandò, in allarme. Luna le fece segno di rilassarsi, rassicurandola sul fatto che non si trattava di nulla di grave.

“Roan deve partire per Miami fra due giorni e mi ha proposto di andare con lui. Deve visionare un nuovo artista e mi ha chiesto di aiutarlo a capire se scritturarlo ha senso oppure no. So che Ethan è molto piccolo e sarebbe meglio non lasciarlo, ma è davvero importante per noi e per questo ragazzo.”

“Luna, cosa stai cercando di chiedermi?”. La donna si morse il labbro, in lieve imbarazzo.

“Si tratta solo di un paio di giorni. Aden e Adria si trovano bene con te e con Ethan ci sai fare. Mi scoccerebbe doverli affidare per l’ennesima volta a una tata, non… Non è lo stesso e preferirei che stessero con una persona che vuole loro bene e che ama stare con loro.”. Lexa era paralizzata. Una richiesta del genere era l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata. 

“I-io…” balbettò, senza sapere cosa effettivamente dire. 

“Sentiti libera, Lexa. Forse ho pensato ad una sciocchezza.” mormorò Luna, avviandosi verso la porta.

“No, aspetta!” la fermò l’attrice. Luna si voltò. Lexa la fissava con i suoi occhi verdi, lo sguardo deciso. 

“Va bene.” asserì. Luna l’abbracciò, le lacrime agli occhi.

“Grazie.” sussurrò. “Non sai quanto significhi per me.”. Lexa si sciolse in quell’abbraccio. Ne aveva bisogno, nemmeno lei sapeva il perché. Si scostò appena, abbastanza per poter guardare l’amica negli occhi. 

“Solo, non so cambiare i pannolini.”.




Angolo dell'autrice

Eccomi qua con il primo vero capitolo, anche se ancora molto introduttivo. Il prossimo sarà dedicato a Clarke e vedremo come in questi tre anni ha vissuto l'abbandono di Lexa.
Spero vi piaccia, grazie per leggere!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2.Hard ***


2.

 

Looking back at the past, and why we couldn't make it last
And why you ever had to go
Hard to shake it now
(Fuel-Hard)

 

Clarke stava dormendo di gusto, quando il cellulare cominciò a vibrare, segno che era giunta l’ora di alzarsi. Provò ad ignorare la sveglia e si rigirò nel letto, seppellendo la testa sotto al cuscino. Alla fine, però, non poté fare altro che arrendersi. Allungò la mano verso il comodino e prese il telefono. Spense la sveglia e si stiracchiò per bene, tra uno sbadiglio e l’altro. Scese dal letto e, dopo essersi recata in bagno, entrò in cucina. Aprì la credenza e prese una tazza, poi riempì il bollitore con dell’acqua e attese. Dopo pochi minuti, l’acqua bollì e Clarke la versò nella tazza, per poi aggiungere del tè. Presi dei biscotti dalla dispensa, si sedette a tavola e si mise a fare colazione. Come al solito, non guardò né il telefono, né la televisione.  Amava fare colazione in silenzio, senza social network o notiziari. Viveva una vita già abbastanza caotica e, almeno la colazione, voleva godersela senza avere troppi pensieri. Sospirò. Controllò l’ora e finì di bere il tè. Si alzò, pulì piatto e tazza e finì di prepararsi. Le si prospettava una giornata decisamente molto intensa davanti e, pur se di malavoglia, si trovò costretta ad uscire di casa. Si infilò in macchina e partì, diretta alla sede della Wallace Movies. Arkadia era stata appena rinnovata per un’ulteriore stagione e Clarke doveva valutare per bene i termini del contratto e discutere con produttore e sceneggiatori riguardo al destino di Eliza, il suo personaggio. Finalmente arrivata, scese dall’auto e si incamminò di gran lena verso la sua meta. Dante Wallace era uno dei produttori più ricchi e potenti di tutta Hollywood e il Wallace Sky, il grattacielo che aveva fatto costruire proprio al centro di Los Angeles, di conseguenza era uno degli edifici più alti della città. Clarke entrò nel palazzo e si diresse verso gli ascensori. Nell’attesa, si guardò intorno. C’era qualcosa di strano nell’aria, ma non riusciva proprio a capire cosa. Si sentiva osservata più del solito, come se la gente che passava di lì sapesse qualcosa che a lei sfuggiva e che, però, la riguardava. Di fronte a lei, due segretarie si erano fermate a fissarla per poi cominciare a parlottare fra loro e Clarke cominciava ad essere alquanto infastidita. Finalmente, l’ascensore arrivò. Clarke non ci pensò due volte e si infilò dentro. Quando le porte si richiusero, tirò un sospiro di sollievo. Le note di una sinfonia jazz non meglio identificata si diffusero ben presto nella cabina, mentre l’ascensore saliva di piano in piano. Clarke pregò che nessuno lo chiamasse, invano. Ben presto le porte si aprirono e svariate persone si susseguirono, sia nel salire che nello scendere. Ogni volta che qualcuno entrava in ascensore, si ripeteva la stessa scena. Fissava Clarke e, se in compagnia di qualcun altro, lanciava occhiatine o, peggio, si metteva a bisbigliare qualcosa. L’attrice era al culmine della disperazione. Non aveva mai trovato così lungo un viaggio in ascensore. Quando finalmente arrivò a destinazione, salutò con gioia quella cabina d’acciaio e si fiondò verso l’ufficio di Wallace. 

“Clarke!” la chiamò Octavia, frapponendosi fra lei e la porta. 

“O, che ci fai qui?” le chiese la bionda, sorpresa di trovarsela davanti. “Pensavo Dante volesse vedere solo me. Insomma, da quel che so tu hai già rinnovato e…”

“È così, infatti. Non sono qui per il contratto. Non il mio, almeno.”. Clarke assunse un’aria confusa.

“E per quello di chi? Bell? No, non avrebbe senso, lui ha deciso di chiamarsi fuori già due anni fa. A proposito, come sta? Non lo sento da un po’ e forse dovrei…”

“Clarke, stop. Mi stai facendo venire il mal di testa.” la zittì Octavia. Clarke si morse il labbro e sospirò. 

“Scusa.” mormorò. “È che non capisc-…”. Non fece in tempo a finire la frase, che la porta dell’ufficio di Wallace si spalancò. Ne uscì una ragazza di origine latina, dai capelli castani e gli occhi nocciola. Clarke si irrigidì. Raven. Non la vedeva da quando avevano finito le riprese. Si voltò verso Octavia, con sguardo feroce. Si sentiva presa in giro.

“Clarke, io…” esordì la latina, ma la bionda la interruppe subito.

“Pensavo avessi deciso di mollare la recitazione.” asserì, senza nemmeno guardarla in faccia. 

“O mi ha convinta a continuare. Per questo sono qui.” risposte Raven. “Ascolta, quello che è successo tra noi non…”

“No, Rae. Lascia perdere.” disse Clarke, per poi aprire la porta ed entrare nell’ufficio di Wallace, lasciando Raven e Octavia da sole in corridoio.

“È colpa mia.” mormorò la latina. Octavia le sorrise e le posò una mano sulla spalla.

“A volte le cose accadono e basta Rae. Le passerà.”

________________

 

Quando Clarke uscì, trovò Octavia ad aspettarla. Sospirò e si passò una mano fra i capelli. 

“Pensavo te ne fossi andata con lei.”

“Clarke…” provò a ribattere Octavia, in vano.

“O, lascia stare. Non sono così infantile, non ti vieterei mai di frequentarla. Sono io che ho litigato con lei, non tu.”. Octavia si massaggiò il collo e chinò il capo. Clarke la costrinse a rialzarlo e a guardarla negli occhi. Le sorrise e le fece segno di seguirla. Entrate in ascensore, Clarke pregò con tutto il cuore che non si ripetesse la situazione dell’andata, inutilmente. Pochi piani più sotto una coppia, un ragazzo e una ragazza, entrarono nella cabina e cominciarono immediatamente a bisbigliare qualcosa fra di loro. L’attrice non ne poteva più. 

“Adesso basta. Se volete un autografo o una foto basta chiedere.” sbottò irritata, per poi uscire dall’ascensore. 

“Clarke, mancano ancore sei piani!” la richiamò Octavia.

“Li faccio a piedi.” rispose Clarke, incamminandosi per le scale. Octavia alzò gli occhi al cielo e la rincorse, imprecando fra sé e sé. Clarke era praticamente già arrivata all’uscita quando riuscì a raggiungerla.

“Ma che ti è preso?” le chiese. 

“È da tutta la mattina che chiunque mi veda mi fissa o comincia a parlottare con chi ha vicino. Sono davvero stufa, non ne posso più.” rispose. Alzò lo sguardo e notò Octavia mordersi il labbro con fare nervoso. 

“O, va tutto bene?” domandò, preoccupata per quella reazione. “O?”. Octavia strizzò gli occhi e si appoggiò al muro. Si grattò il capo, in cerca delle parole giuste. 

“Da quanto non apri un social o, più semplicemente, non leggi qualche notizia su internet?” esordì.

“Da ieri sera, perché?”. Octavia decise di non girarci intorno. Prese dalla tasca della giacca il suo cellulare e lo passò all’amica. 

“Non capisco, cosa dovrei ved-…”. Clarke era paralizzata. Non poteva credere ai suoi occhi. Tutti i social erano invasi da una serie di fotografie che ritraevano Lexa e Costia davanti alla casa di quest’ultima mentre stavano avendo quella che sembrava essere a tutti gli effetti un’accesa discussione. E, tuttavia, non era quello ad aver quasi causato un infarto in Clarke. No, era il bambino che Lexa teneva in braccio ad averla pietrificata. 

“Cosa significa?” chiese, indicando lo schermo. 

“Clarke, non lo so. Nessuno sa niente se non che Lexa ha un bambino e…” disse Octavia, senza però riuscire a terminare la frase. Clarke si muoveva sconvolta verso l’uscita, barcollante. Octavia provò ad approcciare l’amica, ma quest’ultima si ritrasse. 

“Clarke, mi dispiace, io…”. Clarke non la lasciò parlare. Strinse i pugni e uscì all’aria aperta, in un disperato tentativo di soffocare le lacrime. Erano passati tre anni, non avrebbe dovuto provare tutto quel dolore. Eppure vedere una foto di Lexa e Costia insieme, con la prima che teneva in braccio un bambino, le stava facendo malissimo. Dopo quella notte di tre anni prima, dopo quel risveglio così traumatico in cui la più giovane non si era nemmeno degnata di salutarla, non poteva di certo aspettarsi che tornasse da lei a braccia aperte, chiedendole una seconda possibilità. Anche se Clarke doveva essere onesta, gliel’avrebbe concessa senza nemmeno pensarci. E, in fin dei conti, doveva ammettere che un po’ ci aveva sperato in un suo ritorno. Sì, per tre anni Clarke aveva atteso invano che Lexa tornasse da lei e che le spiegasse cosa l’avesse portata a fuggire così. E, invece, era stata costretta ad assistere al ritorno di Costia. Non era mai riuscita a spiegarsi cosa avesse portato Lexa a fidarsi nuovamente della stessa persona che le aveva spezzato il cuore tre anni prima. Col tempo, si era risposta che forse una spiegazione razionale non c’era e che lei e Costia erano semplicemente anime gemelle. Aveva provato ad andare avanti, ma non ci era riuscita. L’unica soluzione rimasta era stato anestetizzarsi, fingere che andasse tutto bene. E ora, vedere quel bambino stava facendo crollare l’intero castello di carte. Era la prova definitiva che lei non era stata nient’altro che una parentesi nella vita di Lexa, la mera avventura di una notte e nient’altro. 

“Clarke…” la richiamò Octavia. “So che è difficile, ma…”

“Non ce la faccio più, O.” confessò Clarke. “Ho bisogno di capire.”. Octavia sospirò e strinse l’amica a sé. 

“Cosa vuoi fare?” le chiese. 

“Voglio andare a parlarle. Voglio la verità. Ne ho bisogno, O. Me lo deve.”. Octavia non rispose. Si limitò ad annuire, consapevole del fatto che, in fondo, Clarke avesse ragione. Lexa si era comportata in modo insensato e profondamente egoista. Clarke non era stata più la stessa dopo quella notte e le voci riguardo a una relazione tra lei e Lexa diffuse in seguito dai tabloid avevano solo peggiorato le cose. Octavia era stufa di vederla soffrire così tanto. Era stufa di assistere a quella lenta e inesorabile autodistruzione. Baciò il capo dell’amica e le sorrise. 

“Io sono qui, capito? Per qualsiasi cosa.” le promise.

“Lo so.” asserì Clarke. “Non so cosa farei senza di te, O. Grazie.”. Per tutta risposta, Octavia la strinse a sé ancora più forte.  

“Andrà tutto bene, vedrai.” le sussurrò all’orecchio, cullandola con dolcezza. Clarke avrebbe tanto voluto credere alle sue parole, con tutto il cuore. Eppure, in quel momento le era impossibile. Prese un respiro profondo e si accoccolò al petto dell’amica consapevole che la verità, qualunque essa fosse, non le avrebbe alleviato il dolore che stava provando da ormai tre anni. Si asciugò le lacrime e si abbandonò fra le braccia di Octavia, che non smettevano di cullarla. Sì, la verità le avrebbe fatto male, lo sapeva. Ma, allo stesso tempo, aveva bisogno di mettere un punto a quella storia.

 

________________

 

Il cuore le martellava nel petto all’impazzata. Si stava pentendo di quella decisione. Forse non voleva più conoscere la verità. Forse voleva solo scappare. Clarke scosse il capo. No, doveva sapere. Ne aveva il diritto. Inspirò ed espirò a lungo. Poi allungò la mano e suonò il campanello. Nessuna risposta. Eppure, sentiva dei rumori provenire dall’interno. Suonò di nuovo, nemmeno lei seppe con quale forza. Si sentiva svenire. Ancora nessuna risposta. Stava per andarsene, quando sentì qualcuno armeggiare con la serratura dall’interno. Si accorse solo in quel momento di stare trattenendo il respiro. La porta si aprì piano, con una lentezza che Clarke trovò insopportabile. Non era pronta a rivedere Lexa. Non era pronta a scontrarsi nuovamente con i suoi occhi verdi e con quello sguardo così profondo e al contempo distaccato. Avrebbe voluto scappare, ma non poteva. Finalmente, la porta si aprì del tutto. Clarke sobbalzò. Quello che aveva davanti era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di vedere, decisamente.

“E tu che vuoi?”.



Angolo dell'autrice 

Rieccomi qui, con un capitolo un pochino più corto. Allora, Lexa ha un figlio? E con Costia? E chi sarà mai la persona che ha aperto la porta a Clarke? Lexa? O qualcun altro? Ovviamente lo scoprirete nel prossimo capitolo hehe. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie mille a chi legge e a chi ha lasciato una recensione.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3.Lost ***


3.

 

I think my heart got lost
So tell me if you find it
(Loote-Lost)

 

 

 

Clarke se ne stava immobile, in silenzio. Di fronte a lei, una ragazzina sui sedici anni dai capelli scuri e dagli occhi azzurri la fissava in cagnesco, visibilmente irritata. 

“E tu che vuoi?” le chiese, in malo modo. 

“I-io…” Clarke balbettò, senza riuscire però a dire nulla di concreto.

“Madi, chi è?” domandò una voce dall’interno. Clarke sobbalzò. Quella voce, l’avrebbe riconosciuta in qualunque luogo e tempo. 

“Madi, puoi risponder-… Oh.”. Per poco Clarke non svenne. Due occhi verdi, i più intensi che lei avesse mai visto, la stavano scrutando, increduli. Clarke aveva aspettato quel momento per così tanto tempo, che non le pareva reale. Lexa era lì, davanti a lei, sorpresa da quella visita inattesa. Teneva fra le braccia un bambino biondo, lo stesso della foto. Dietro di lei, Clarke intravide una bambina dai capelli rossi, timidamente aggrappata alla sua felpa. 

“Clarke, cosa ci fai qui?” chiese Lexa, cercando di mascherare il più possibile il turbinio di emozioni che la stava attraversando. Clarke aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì a proferire parola. 

“Beh, carino il gioco del silenzio.” commentò la ragazzina più grande, quella dai capelli scuri. “Io devo andare.” disse poi, afferrando uno skateboard e incamminandosi verso la strada. 

“Madi, ricorda di tornare prima delle…”

“Sì, come vuoi.” tagliò corto la ragazzina, per poi sparire a bordo dello skateboard, sotto lo sguardo spaesato di Clarke. Lexa scosse il capo, sospirando. Improvvisamente, il bimbo che aveva in braccio scoppiò a piangere.

“Shh, non ora Ethan, ti prego.” provò a tranquillizzarlo Lexa, invano. 

“Lexa, hai visto il mio libro di matematica? Lunedì ho il compito!”. Lexa alzò gli occhi al cielo, trattenendosi dall’imprecare davanti ai bambini. Clarke si sporse, per capire chi avesse parlato. Si trattava di un ragazzino biondo sui tredici anni che l’attrice immaginò essere il fratello del bambino che Lexa teneva in braccio. 

“Lexa, ti prego! Devo studiare.” insistette, con fare disperato. 

“Aden, non ho idea di dove sia finito.” rispose l’attrice, esasperata. Nel frattempo, il bambino piangeva sempre più forte. 

“Devo trovarlo, ne ho bisogno!”

“Aden, non so cosa dirti. Prova a cercare meglio.” replicò Lexa. Il bambino che teneva in braccio non la smetteva di piangere, mentre la bambina dai capelli rossi se ne stava addossata alla porta, chiaramente a disagio. Clarke non esitò oltre. Allungò le braccia e fece segno a Lexa di darle il bambino. 

“Lo tengo io.” disse. Lexa avrebbe voluto rifiutare, intimarle di andare via. Eppure, sarebbe stata una sciocca se l’avesse fatto. La situazione era fuori controllo e lei aveva un disperato bisogno di una mano. 

“Lexa, lasciati aiutare.” insistette Clarke e Lexa non poté far altro che cedere. Depose Ethan fra le braccia della bionda e si precipitò da Aden. La bambina dai capelli rossi, invece, restò ferma addossata al muro, gli occhi fissi su Clarke. L’attrice le sorrise e prese a cullare Ethan, che aveva ripreso a piangere.

“Shh, ora Lexa torna.” gli sussurrò, mentre gli carezzava la schiena. A poco a poco, il bimbo si calmò e Clarke tirò un sospiro di sollievo. 

“Tu chi sei?” chiese dal nulla la bambina, con fare timido. 

“Mi chiamo Clarke.“ l’attrice rispose, con un sorriso. “Tu? Come ti chiami?”. La bambina si schiacciò ancora di più alla parete e chinò lo sguardo.

“Adria.” mormorò, la voce così bassa che Clarke dovette sforzarsi per sentire cosa stesse dicendo. 

“È un bel nome.” asserì e la bambina finalmente lasciò intravedere un leggero sorriso. 

“Lui è Ethan.” affermò poi, indicando il bambino che Clarke teneva in braccio. L’attrice fece per rispondere, quando Lexa si ripresentò alla porta. 

“Grazie mille.” disse, riprendendo Ethan in braccio. 

“Di nulla. Avete ritrovato il libro?” domandò Clarke, senza osare varcare la soglia.

“Più o meno. È da Anya, Aden deve averlo dimenticato da lei.” spiegò Lexa. 

“Te l’ho detto mille volte, è Anya che l’ha preso.” protestò Aden, per poi risalire le scale che conducevano, presumibilmente, alla sua camera. Lexa alzò gli occhi al cielo e scosse il capo. Sospirò. Clarke la guardò. Sembrava davvero stanca. Un irreale silenzio calò fra le due, interrotto solo dai gorgoglii di Ethan. Il bambino allungò la manina e si aggrappò alla maglia di Clarke. 

“Gli piaci.” asserì Lexa, alzando lo sguardo. I suoi occhi verdi incontrarono quelli blu della bionda, che si abbandonò a un profondo sospiro. 

“Clarke…” la chiamò. “Perché sei qui?” le chiese. Clarke avrebbe voluto sparire. Si morse il labbro e chinò il capo. Deglutì, in cerca delle parole giuste.

“Clarke…” insistette Lexa. La bionda si passò una mano fra i capelli e si massaggiò il collo.

“Lex, io… Dio, non… Costia è in casa?”. Lexa inarcò un sopracciglio, confusa da quella domanda. 

“Costia in casa? Ma per favore!”. Clarke si voltò. A parlare era stata una ragazza dai capelli biondi e gli occhi scuri appena scesa da una vistosa decappottabile rossa. Doveva essere più grande di lei di qualche anno e aveva un’aria simpatica e molto determinata al tempo stesso. Clarke conosceva Anya solo di vista. Nonostante facessero lo stesso lavoro, non avevano mai avuto occasione di legare in qualche modo.

“Tu devi essere Clarke.” Anya esordì, stringendole la mano. Clarke sorrise nervosa e ricambiò la stretta, annuendo. 

“Anya, piacere. È un onore incontrarti, dico davvero. Arkadia è una delle serie più belle che abbia mai visto e tu come attrice sei incredibile.”. Clarke arrossì, un po’ imbarazzata da tutti quei complimenti. “Vieni, entra pure.” la invitò poi Anya.

“Ma veramente io…” provò a protestare Clarke, invano.

“Dai, su.” insistette Anya, sotto lo sguardo esterrefatto di Lexa. Clarke non poté che cedere e varcò la soglia, ritrovandosi scaraventata in quella casa in cui non avrebbe mai pensato di poter mettere piede. Era una villetta non troppo grande, più che adatta per una persona. Discorso diverso se si contemplavano anche un neonato, una bambina e due ragazzini. Clarke non aveva ancora capito perché fossero con Lexa.  

“Non fare complimenti, siediti pure sul divano.” Anya la riportò alla realtà, indicandole un largo divano bianco. Clarke annuì e si sedette, un po’ a disagio. Lexa si  sistemò sulla poltrona di fronte a lei, Ethan fra le braccia e un biberon in mano. 

“Ora della pappa.” dichiarò, mentre il bambino beveva voracemente il latte. Nel frattempo, Anya aveva allungato dei fogli e dei pennarelli ad Adria, che si era messa a disegnare per terra, in un angolo.

“Dunque, posso portarvi qualcosa?”. Lexa scosse il capo.

“No Anya, grazie.” rispose. “Clarke, va tutto bene?“ chiese poi, pentendosi immediatamente di quella domanda. Stava parlando con Clarke Griffin, la donna che aveva abbandonato e che si era presentata alla sua porta probabilmente per un motivo che doveva essere serio, come voleva che stesse? 

“Lex, io… Io ho visto le foto e…”

“Le foto? Quali foto?” domandò la mora, confusa.

“Lex, ci sono foto di te con Ethan in braccio che litighi con Costia e ecco, io…”. Clarke si morse la lingua. Voleva capire. Ne aveva un estremo bisogno. Eppure, ora che la situazione le appariva diversa da come l’aveva immaginata, tutto il coraggio che l’aveva spinta a recarsi lì era svanito. 

“Tu?”. Clarke sospirò. 

“Io volevo capire come stavi.”. Bugia. Certo, Clarke aveva a cuore Lexa e sì, in un certo senso voleva appurare che stesse bene, ma non era lì per quello. Non solo, almeno. Lexa scosse il capo. Alzò lo sguardo, fino a quel momento chino su Ethan. Di nuovo, il suo verde si specchiò nel blu intenso degli occhi di Clarke, lasciandola senza fiato. Non aveva senso mentire. Non in quello stato.

“Vorrei risponderti che me la sto passando alla grande, ma la verità è un’altra purtroppo.” disse. Qualche colpo di tosse da parte di Ethan le impedì di aggiungere altro. “Sì, lo so. Ora passa.” gli sussurrò. Lo sollevò di poco e lo aiutò a calmare la tosse. Il biberon era ormai vuoto e il bambino decisamente soddisfatto del suo pasto. 

“Lexa, cosa sta succedendo? Chi sono questi bambini?” Clarke trovò la forza di chiedere, riportando la mora alla realtà. Lexa si voltò verso Adria. La bambina era persa nel suo mondo, intenta a pasticciare con i pennarelli. L’attrice sorrise, pensando alla fatica che avrebbe dovuto fare per lavarle le mani dall’inchiostro. Guardò Anya, indecisa sul da farsi. L’amica le carezzò la gamba e la invitò ad aprirsi. Sapeva che ne aveva bisogno. Lexa inspirò profondamente. Anya aveva ragione. Doveva parlare. Doveva confidarsi con qualcuno. E chi, se non Clarke? Certo, poteva suonare paradossale dopo ciò che aveva fatto tre anni prima, ma fra tutti la bionda era l’unica a cui avrebbe affidato la sua stessa vita. Anche se, con ogni probabilità, Clarke non era più dello stesso avviso. E come darle torto, in fin dei conti.

“Clarke, tu… Insomma, di sicuro avrai sentito cos’è successo a Miami un mese fa.” esordì. La bionda si picchiettò il naso, pensierosa. Erano successe molte cose. Sapeva per certo che Halsey aveva fatto un concerto di successo che Wallace, da bravo produttore, voleva trasformare in documentario. Gli Heat avevano battuto i New York Knicks in modo schiacciante e anche abbastanza clamoroso, Il MoCA aveva presentato una nuova mostra di arte contemporanea e un noto politico locale era stato pizzicato in un giro di riciclaggio di denaro. No, non le veniva in mente nient’altro. 

“Lexa, io non…”

“Roan Winter ti dice niente?” insistette la mora. Clarke sentì un nodo in gola. Aveva una brutta sensazione. 

“Il produttore? Sì, lo conosco di vista. Finn lavorava per lui, ma non eravamo in stretti rapporti. So che è rimasto vittima di un brutto incidente aereo, ma…”. Non riuscì a finire di parlare. Lexa stava tremando. Anya prese Ethan in braccio e, alzatasi in piedi, cominciò a cullarlo.

“Lexa?” chiese Clarke, ormai preoccupatissima. Fece per avvicinarsi alla mora, ma lei le fece segno di restare ferma. Chiuse gli occhi per qualche secondo, cercando invano di fermare le lacrime.

“Lex, se vuoi le spiego io.” propose Anya.

“No, devo farlo io.” rispose Lexa. “Clarke… Loro sono… Loro sono i suoi figli.” Clarke sobbalzò, sconvolta. 

“I suoi… I suoi figli?”. Lexa annuì.

“Roan e Luna erano per me come dei fratelli maggiori. La loro famiglia è sempre stata un po’ anche la mia. Sarebbero dovuti restare a Miami solo per un paio di giorni, invece non sono più tornati. Mi avevano chiesto di badare ai ragazzi mentre erano via, volevano che stessero con qualcuno che conoscevano bene.”. Lexa strinse i pugni. Le veniva da vomitare.

“Dopo il funerale ho scoperto che nel loro testamento mi nominavano tutrice legale dei ragazzi.“. Clarke assunse un’espressione confusa. “Luna è orfana, mentre Roan ha una famiglia messa piuttosto male. Sua madre non è per niente a posto, anzi.” si apprestò a spiegare Lexa. “Non ho avuto scelta, Clarke. Li conosco da quando sono nati, non potevo abbandonarli al loro destino.”. Clarke le sorrise, con tenerezza.

“Lex, non so cosa dire.“ mormorò. “Mi dispiace davvero per quello che è successo. So che probabilmente sono l’ultima persona che avresti voluto vedere oggi, ma voglio che tu sappia che io ci sono, per qualsiasi cosa.”

“Lo apprezzo Clarke, davvero.” rispose Lexa. 

“Allora non sono tutte come Costia.” asserì Anya, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’amica. “Che c’è? Oh, andiamo…” 

“Anya smettila.” le intimò Lexa, nervosa. L’amica scosse il capo, sotto lo sguardo curioso di Clarke.

“Va tutto bene?” domandò. “Insomma, da quella foto sembra che ci fossero un po’ di problemi e ora lei sta dicendo questo e…”

“Tra me e Costia va tutto benissimo, Clarke.” 

“Già, è per questo che lei è a Parigi in questo momento.” commentò Anya.

“È a Parigi per lavoro, An! Fa la modella, ha una sfilata importante!” ribatté Lexa. Stava cominciando ad arrabbiarsi. 

“Come vuoi tu.” tagliò corto Anya. 

“Ci sono semplicemente state delle incomprensioni fra lei e Madi, tutto qui.”

“Madi?” chiese Clarke.

“La più grande dei figli di Roan. Bel peperino, una vera e propria peste.”. Clarke aggrottò la fronte. Qualcosa non le tornava. 

“La ragazza di prima?” domandò. 

“Già.” confermò Lexa. 

“Ora che ci penso, Roan e Luna non avevano tre figli? Da quel che sapevo io, almeno.”

“È così, infatti.” disse Lexa. “Roan ha avuto Madi da una relazione precedente a quella con Luna.“

“Oh. Non ne sapevo nulla.”

“Non sei l’unica.” dichiarò la mora, alzandosi dalla poltrona. “A quanto pare, Roan ha tenuto la cosa nascosta anche a Luna, almeno fino a pochi mesi fa. I legali mi hanno spiegato che Madi si limitava ad andare da loro dal venerdì alla domenica di tanto in tanto, nulla di più. Il resto dei giorni sta da sua madre.”. Clarke non fece ulteriori domande. Era chiaro che Lexa avesse molto altro da dire, ma che non ne fosse in grado. 

“Beh, mi ha fatto piacere rivederti dopo tutto questo tempo. Ora scusami, ma devo sistemare un po’ di cose. Ci vediamo.”. Clarke annuì. Si abbottonò per bene la giacca e si diresse verso la porta, scortata da Lexa. 

“È stato un piacere conoscerti!” la salutò Anya dal soggiorno. 

“Anche per me!” ribatté Clarke. Si voltò poi verso Lexa, guardandola con dolcezza. La più giovane chinò il capo, conscia di non avere la forza di far incontrare i loro occhi ancora una volta. 

“Lex, ero seria prima. Per qualunque cosa ci sono. Non esitare a chiamarmi, va bene?”. Lexa si morse il labbro, senza osare alzare lo sguardo. 

“Grazie.” si limitò a mormorare. 

“Ci sono sempre per te, Lex. È una promessa.” dichiarò Clarke. “Ora vado, non ti disturbo oltre. Ci sentiamo.”

“Ci sentiamo.” rispose Lexa, la voce così bassa che lei stessa fece fatica a sentirla. E mentre Clarke si allontanava sempre più,   un po’ si pentì di non averle chiesto di restare.



Angolo dell'Autrice

Ed eccomi tornata, non mi ero dimenticata.
Dunque, abbiamo già delle risposte, ma anche delle domande che continuano ad arrovellare sia noi che Clarke, legate soprattutto al motivo che ha spinto Lexa a fuggire tre anni prima. Un po' di pazienza e tutto tornerà, promesso. Per ora, Clarke deve mettere da parte la curiosità, anche perché Lexa non se la sta decisamente passando bene. Nei prossimi capitoli conosceremo meglio il personaggio di Madi ed emergerà un po' il suo rapporto con Lexa.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Grazie mille per le recensioni e per leggere, fatemi sapere cosa ne pensate se vi va.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4.A Place ***


4.

 

Need to find a place where I
F
eel like I'm alive again
(
Eredaze-A Place)

 

 

 

C’è qualcosa di poetico nel gioco del basket. È uno dei pochi sport che tendono verso l’alto. È necessario alzare lo sguardo per tirare verso il canestro. Tenere il capo chino non porta da nessuna parte, mai. È impossibile fare punto se non si guarda in alto. Forse era questo uno dei motivi per cui Madi amava giocare a basket. Questo e il fatto che così poteva stare fuori casa tutto il giorno. 

“Era fallo, Winter!” si lamentò uno dei ragazzini con cui stava giocando, dopo un contrasto particolarmente duro. 

“Non è colpa mia se sei delicato come un fiorellino.” ribatté Madi, con strafottenza.

“Che cazzo hai detto?” si innervosì il ragazzino, spingendola contro il muretto ai lati del campetto.

“Ho detto che non è colpa mia se sei delicato come un fiorellino.” Madi ripeté. Il ragazzino fece per tirarle un pugno, ma lei lo scansò e si apprestò a tirargli un calcio alla gamba. 

“Sei pure lento.” aggiunse, per poi prendere il pallone e allontanarsi di corsa dal campetto. 

“La pagherai, Winter! Non sei nessuno, ricordalo! Sei solo una bastarda!”. Madi non si fermò. Una bastarda. Non era la prima volta che la chiamavano così. E, in fin dei conti, non era nient’altro che quello, la figlia bastarda e mai veramente voluta di un produttore discografico di fama mondiale. Sospirò, mentre si incamminava per le vie del quartiere. Suo padre veniva da Compton, ma lei e sua madre vivevano da sempre a Polis, una delle aree più malmesse di Los Angeles. Il tasso altissimo di criminalità e l’estrema povertà la rendevano una zona incredibilmente disagiata, dove l’imperativo era semplicemente uno: sopravvivere. Madi provava odio e amore per Polis. Sognava di potersene andare, certo, ma allo stesso tempo era legata a quella che era a tutti gli effetti casa sua. Scosse il capo. Era tutto così complicato. Sua madre era una persona allo sbando e nonostante Madi facesse di tutto per nascondere la cosa agli assistenti sociali, stava diventando sempre più difficile negare l’evidenza. Non che fosse completamente colpa sua. Ontari Frost aveva conosciuto Roan ad una festa. La famiglia Winter aveva lasciato da poco Compton, trasferendosi a Polis. Quando Madi era nata, stando ai racconti di Ontari, Roan l’aveva a stento riconosciuta ed era poi scappato via, rifacendosi una vita e lasciando la ragazza e la neonata a loro stesse. Ontari si era trovata costretta a chiedere aiuto a Nia, la madre di Roan. La donna era a capo della Ice Nation, una delle gang peggiori di Los Angeles che, però, a Compton non era riuscita a ritagliarsi uno spazio importante a causa della presenza di Bloods e Crips. A Polis, tuttavia, Nia era riuscita a prendere il controllo dell’area e tra traffico di droga, estorsione e crimini di ogni genere, l’Ice Nation ormai aveva la zona in pugno. Non che ciò avesse portato un qualche tipo di beneficio ad Ontari e Madi. Al contrario, Nia sfruttava la nuora quanto più possibile, ricattandola in ogni modo e passandole un quantitativo di soldi decisamente ridicolo. Madi sospirò. Il perché suo padre avesse deciso di abbandonarle tra le grinfie di quella donna mostruosa rimaneva un mistero. Non lo trovava giusto. I suoi fratelli avevano avuto la possibilità di crescere nel lusso, circondati da tutto l’amore e l’affetto che meritavano. Perché con lei era stato diverso? Perché lei era stata rifiutata, scartata via come se fosse stata spazzatura? Che cosa aveva fatto per meritare un simile trattamento? Non c’erano risposte a quelle domande. Non più, almeno. Roan era morto e, con lui, qualsiasi spiegazione riguardo il suo assurdo comportamento. La prima volta che le avevano spiegato chi fosse quell’uomo da cui avrebbe dovuto passare i fine settimana si era sentita persa. Roan si era presentato come suo padre, ma lei non aveva idea di cosa significasse quella parola. Lei non aveva idea di cosa significasse avere un padre. Luna l’aveva accolta come una figlia, ma non era sua madre. Madi non si era mai sentita a casa in mezzo a loro. Non era una figlia di Hollywood, ma di Polis. Non c’entrava nulla con Beverly Hills. Quella non sarebbe mai stata casa sua, nonostante lo stile di vita apparentemente più sereno. Quella gente non l’avrebbe mai capita. Non avrebbe mai fatto parte di quella famiglia. Non c’era nessuno più diverso da lei dei suoi fratelli. Madi li guardava e non capiva. Cosa avevano più di lei? Aden la trattava con diffidenza e una strana curiosità, come se fosse stata uno strano essere proveniente da un altro mondo ed effettivamente era così. E cosa poteva saperne lui del suo mondo? Cosa poteva saperne lui di Polis, della sofferenza, del sentirsi costantemente rifiutati e abbandonati a sé stessi? No, non avrebbe mai capito. Non era colpa sua. L’unico colpevole era Roan, loro padre. Ma, in fin dei conti, lo era solo per lei. Era lei quella scartata, quella non voluta. Madi si passò una mano fra i capelli. Perché Roan aveva cercato di riavvicinarsi a lei? Perché? Cosa voleva da lei?

“Ehi, attenta! Non puoi passare di qua!”. Madi si voltò. Un poliziotto dall’aspetto tutt’altro che amichevole le stava inveendo contro, urlandole di tornare indietro e girare al largo.

“Ma questa è la strada per casa mia!” rispose la ragazzina, forse un po’ troppo impulsivamente. “Mi faccia passare!”

“Non ti hanno insegnato a non rivolgerti in questo modo alle forze di polizia, mocciosa?” ribatté il poliziotto, afferrandola per un braccio e costringendola a terra. “Ti insegnerò io le buone maniere!” le urlò addosso, circondandole il collo con il braccio.

“Ma che le salta in mente? Si sposti subito!”. Madi non vide chi aveva parlato. Quella voce, però, le era familiare. 

“La lasci immediatamente o la denuncerò ai suoi superiori.” minacciò. Madi sentì la presa del poliziotto allentarsi a poco a poco, fino a lasciarla del tutto libera. Due occhi azzurri la scrutavano, preoccupati. Madi riconobbe la donna di fronte a lei. Era la stessa che si era presentata a casa di Lexa qualche giorno prima. 

“Stai bene?” le chiese, aiutandola ad alzarsi. “Tranquilla, mettiti a sedere.” le sussurrò, facendola accomodare contro un muretto. Le si sedette accanto e le accomodò i capelli, con fare quasi materno.

“Sto bene.” mormorò Madi, schiacciandosi contro il muro e cercando di riprendere fiato. Clarke si voltò verso il poliziotto e lo fulminò con lo sguardo. 

“Signorina Griffin, mi dispiace davvero. Non immaginavo che…”

“Non immaginava cosa, esattamente? Che le avrebbe fatto male? Sparisca immediatamente dalla mia vista, prima che mi rivolga ai suoi superiori.”. L’uomo annuì e si dileguò, lasciando Clarke e Madi da sole. La ragazzina continuava a tossire, probabilmente ancora in debito d’ossigeno. 

“Sto bene.” continuava a ripetere, forse più a sé stessa che a Clarke. 

“Clarke, tutto be-… Oh.”. L’attrice si voltò. Gli occhi confusi di Octavia la scrutavano, in cerca di una spiegazione. 

“O, è tutto a posto. Solo, aiutami ad alzarla e a portarla in macchina.”

“Ma…”

“O, ti prego.”. Octavia si massaggiò il collo e aiutò Madi a rialzarsi, senza protestare oltre. Accompagnò la ragazzina ad un’auto grigia e la fece accomodare dentro. Chiuso lo sportello, si voltò verso l’amica, esigendo una spiegazione.

“Chi è?” chiese. Clarke la ignorò e fece per sedersi in macchina.

“Clarke!” insistette Octavia. “La conosci?”. La bionda sospirò. Si appoggiò all’auto e si passò una mano fra i capelli. Non aveva detto a nessuno ciò che aveva scoperto su Lexa e non sapeva se poteva parlarne con Octavia. Era una situazione troppo delicata. Guardò l’amica e prese un respiro profondo.

“Non potrai parlarne con nessuno.” disse.

“Clarke, non capisc-…”

“Promettimi che non ne parlerai con nessuno, O.”. Octavia era sempre più confusa.

“Clarke…”

“Promettimelo.”. Octavia allargò le braccia in segno di resa. 

“E va bene, Clarke. Hai vinto, lo prometto. Non dirò nulla a nessuno, croce sul cuore.”. Clarke annuì soddisfatta. Diede un’ultima occhiata a Madi per assicurarsi che stesse bene e le sorrise. 

“L’altro giorno sono stata da Lexa.” esordì.

“Lo so. E non mi hai raccontato niente. Però non capisco cosa c’entri con tutto questo.”

“Il nome Roan Winter ti dice niente?” domandò Clarke, non sapendo bene come arrivare al punto.

“Certo che sì. E il modo in cui lui e la moglie sono morti è terribile, ma…”

“Lexa ha ottenuto la custodia legale dei suoi figli.” asserì Clarke. Octavia sgranò gli occhi, completamente sotto shock. 

“Puoi ripetere per favore?”

“A quanto pare aveva un legame molto profondo con la famiglia Winter. Madi è una delle figlie di Roan, la maggiore.”. Octavia fissava l’amica a bocca aperta, tentando in qualche modo di processare la notizia. Lexa. Roan. Figli. Figli di Roan a casa di Lexa. La ragazzina in macchina. Il suo nome. Si chiamava Madi, sì. Madi  era figlia di Roan. Madi da Lexa. Troppe informazioni, le stava per scoppiare la testa. 

“Quindi dobbiamo chiamare Lexa?” chiese, massaggiandosi le tempie. Clarke sospirò. A dire il vero, non ne aveva la più pallida idea. Lexa le aveva detto che Madi andava da lei solo nei fine settimana e questo voleva dire che, in realtà, non aveva la custodia legale della ragazzina. Forse avrebbero potuto accompagnarla dalla madre e parlare con lei, per spiegarle l’accaduto. 

“Credo sia meglio portarla a casa.”

“Ma non hai appena detto che…”

“Non è figlia di Luna. A differenza dei suoi fratelli lei vive con la sua famiglia.”. Octavia decise di non fare ulteriori domande. Aveva già abbastanza mal di testa così. Si misero entrambe in macchina, la mora al posto del guidatore. 

“Stai meglio?” chiese Clarke a Madi, sedendosi accanto a lei. La ragazzina annuì, un po’ diffidente. Non capiva cosa volessero quelle due attrici da lei. Perché nel suo mondo nessuno aiutava nessuno senza secondi fini, nemmeno chi all’apparenza poteva permetterselo. Anzi, erano proprio queste le persone da cui aveva imparato a diffidare di più.

“Possiamo portarti a casa se ti va.“ continuò Clarke, sperando che accettasse.

“Posso tornare tranquillamente a piedi, non abito lontano.” rispose invece Madi. Non voleva avere alcun tipo di debito nei loro confronti. Già Clarke l’aveva aiutata con quel poliziotto, non aveva bisogno di altri favori.

“Madi…”

“È tardi e due persone come voi è meglio che non si facciano trovare da queste parti oltre un certo orario.” tagliò corto. Clarke le rivolse un’occhiata carica di tenerezza. 

“Anzi, due persone come voi non dovrebbero proprio essere qui.” Madi asserì, aprendo lo sportello e uscendo dall’auto. Fece per incamminarsi verso casa, quando Clarke la chiamò.

“Madi aspetta!”. La ragazzina si fermò. Si voltò lentamente. L’attrice la scrutava, immobile. Estrasse un foglietto dalla tasca e ci scrisse sopra qualcosa con una matita. Poi allungò la mano, invitando Madi a prenderlo. 

“È il mio numero. Non esitare a chiamarmi se hai bisogno. Non bazzico queste zone di solito, io e Octavia siamo venute per un progetto benefico organizzato dall’ospedale, ma per qualunque cosa ci sono.”. Madi afferrò il foglietto, titubante. Se lo infilò in tasca e accennò un sorriso forzato. Poi, giratasi, cominciò a camminare fino a sparire tra le vie di Polis. Clarke sospirò. Octavia la raggiunse e le mise una mano sulla spalla. 

“Starà bene.” le disse, notando lo sguardo malinconico e preoccupato dell’amica. 

“Lo spero, O. Lo spero.” Clarke rispose, senza voltarsi. In quel momento, non poté non pensare a quanto sia difficile, spesso, chiedere aiuto. E, si trovò a pregare con tutte le sue forze che non fosse successo anche a Lexa tre anni prima. Perché no, non avrebbe potuto sopportare l’idea che non fosse riuscita a cogliere un qualsiasi segnale, una richiesta di aiuto. Scosse il capo. 

“Dobbiamo andare.” si limitò a mormorare. Octavia la seguì. Accese l’auto e le due partirono, dirette a casa loro, a Beverly Hills. Dirette fuori dall’inferno di Polis. Perché loro potevano uscirne, pensò Madi, nascosta dietro ad un pilone. Già loro potevano uscirne. Loro, ma non lei. Scosse il capo. Il sole era ormai tramontato e le vie di Polis non erano esattamente le più confortevoli e sicure del mondo. Arrivò a casa, ringraziando ogni divinità esistente di non essere incappata in nessuno di pericoloso. Aprì la porta e corse in camera, senza nemmeno preoccuparsi di salutare. Sua madre era sul divano, nel mondo dei sogni, probabilmente fatta di chissà che sostanza. Madi si infilò nel letto. Si accese uno spinello, per calmare i nervi. Ripensò a Clarke. Nessuno l’aveva mai guardata così, con un affetto e una tenerezza senza limiti. Non capiva, in fin dei conti lei e quella donna nemmeno si conoscevano. Perché l’aveva aiutata? Perché non l’aveva trattata come uno scarto? Di nuovo, nessuna risposta. Guardò fuori dalla finestra. La luna illuminava la città, mostrando i confini di Polis. Madi soffocò le lacrime. Avrebbe voluto andarsene. Avrebbe voluto scappare da quel luogo. Eppure, lei lo sapeva, non era possibile. E restò così, immobile, nel buio della sua stanza. Senza risposte. Senza prospettive. Senza speranza.




Angolo dell'autrice 

Rieccomi qui con un nuovo capitolo, stavolta incentrato quasi tutto su Madi e sul suo secondo incontro con Clarke, che ha già intuito che la situazione non deve essere delle migliori. Dall'altra parte ci sono Octavia, che finalmente sa cosa sta succedendo a Lexa ed è molto confusa, e un'area come Polis che sembra più una prigione a cielo aperto che una delle zone di una città importante come Los Angeles. 
Devo dire che sto scrivendo molto di getto. So dove voglio arrivare, ma allo stesso tempo scrivo davvero quello che sento e voglio, senza seguire schemi, e questo mi sta davvero aiutando ad elaborare molte cose. Spero che il risultato vi stia piacendo, io finora sono soddisfatta.

Grazie per leggere e commentare!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5.The Loved Ones ***


5.

 

And I drank
'
Til my heart gave out
(Sanders Bohlke-The Loved Ones)

 

 

Lexa si svegliò di soprassalto. Prese la sveglia dal comodino e guardò l’ora.

“Merda!” imprecò, saltando giù dal letto. Corse in camera di Aden e Adria, spalancando la porta. 

“Lexa, ma cos-…”

“Aden, preparati! È tardissimo!” esclamò l’attrice, mentre prendeva Adria per mano e l’accompagnava in bagno. Lexa stava aiutando la bambina a pulirsi e a vestirsi, quando il pianto disperato di Ethan la fece sobbalzare. 

“Aspettami qui.” raccomandò ad Adria e corse in camera sua. Ethan era nella sua culla che urlava a squarciagola. Lexa lo prese immediatamente in braccio e cominciò a cullarlo, pregando con tutto il cuore che si calmasse.

“Shhh, sono qui. Sono qui. Ti prego, smetti di piangere.” gli sussurrò, senza però ottenere alcun risultato.

“Zia Lexa!” sentì Adria chiamarla dal bagno. 

“Un attimo Adria, arrivo!” rispose, mentre cercava di tranquillizzare Ethan. L’insistenza della bambina la costrinse però ad accorrere in suo soccorso. Quello che si ritrovò davanti la fece sbiancare. Adria doveva aver giocato con il telefono della doccia perché c’era acqua ovunque.

“Ops.” fu tutto ciò che la bambina disse. Lexa avrebbe voluto arrabbiarsi, ma non ne aveva la forza. Tra le sue braccia Ethan continuava a strillare come un pazzo, probabilmente per la fame e per il bisogno di essere cambiato. Proprio in quel momento, il telefono squillò. Lexa avrebbe voluto urlare. 

“Tienilo, ti prego.” supplicò Aden, dandogli in braccio Ethan.

“Ma…” provò a protestare il ragazzino, ma Lexa era già scesa in cucina. Il telefono continuava a squillare senza sosta. 

“Pronto?” rispose l’attrice, resistendo alla tentazione di lanciarlo contro al muro. 

“Lexa! Dove diamine sei finita?”. L’attrice alzò gli occhi al cielo. Titus, il suo agente, ci mancava solo lui.

“Ho avuto un contrattempo e…”

“Non cominciare, Lexa. Ti stiamo aspettando da mezz’ora per il rinnovo del contratto.”. Lexa avrebbe voluto sbattere la testa contro al muro. Si era completamente dimenticata del rinnovo del contratto che la legava alla serie che stava girando. Natblida, la storia di una ragazza dal sangue nero e dotata di poteri soprannaturali, costretta a combattere interi eserciti di zombie. Già, decisamente non un granché come serie. 

“Sì, beh, io…”

“Cerca di sbrigarti!” intimò Titus. “E niente poppanti!”. Lexa non riuscì a replicare. Il suo agente aveva staccato il telefono, rendendo vano ogni tentativo di risposta. L’attrice poteva sentire le lacrime fare capolino, nonostante ogni suo sforzo per ricacciarle indietro. Guardò il calendario. Venerdì 25, Anya quel giorno non era reperibile, Costia era partita per l’ennesimo impegno di lavoro e l’eccessiva vivacità di Adria aveva spinto al licenziamento la quarta tata in otto giorni. Lexa sospirò. Si sentiva in trappola. Non aveva di certo chiesto lei di ritrovarsi tre mocciosi per casa. Scosse il capo. Non li aveva mai chiamati così e anche il solo aver pensato certe cose la stava facendo vergognare profondamente.

“Lexa.”. L’attrice si voltò. Aden la fissava con i suoi occhioni color nocciola, Ethan fra le sue braccia.

“Bisogna cambiarlo, ma non so come si fa.”. Lexa annuì e gli fece cenno di seguirlo. Il bagno era ancora mezzo allagato, ma decise di ignorare la cosa e pulire Ethan. Gli tolse il pannolino e lo lavò, per poi deporlo sul fasciatoio. Il bambino sembrava finalmente felice di vederla. Rideva tra mille vagiti e gorgoglii e Lexa gli sorrise di rimando.

“Ci manderai via?”. Lexa sobbalzò a quella domanda. Aden aveva lo sguardo tristissimo e l’attrice poté sentire un nodo stringerle in gola. Non poteva crollare. Doveva essere forte, per Aden, Adria ed Ethan. Roan e Luna li avevano affidati a lei, si erano fidati di lei. E, per quanto non riuscisse a comprenderlo, un motivo doveva esistere per forza. Avanzò verso Aden e lo strinse a sé, con dolcezza.

“Non vi manderei mai via. Sto solo imparando a prendere le misure e non è facile.” disse.

“Sì, ma…”

“Niente ma. Ce la faremo, è una promessa.”. Aden si accoccolò ancora di più all’attrice. Rimasero così, senza parlare, per un tempo che parve loro interminabile.

“Lexa.” ruppe il silenzio Aden.

“Sì?”

“Ce la faremo anche ad arrivare in tempo a scuola?”.

 

________________

 

L’ultima cosa che Clarke si sarebbe mai aspettata era una telefonata da parte di Lexa. Eppure eccola lì, davanti a casa sua, nell’attesa che la mora aprisse la porta. Non aveva ben capito come mai l’avesse chiamata, ma in fin dei conti non era importante. Lexa aveva bisogno di aiuto e lei non si sarebbe mai tirata indietro. Dio, sei patetica Clarke, pensò la bionda fra sé e sé. Finalmente, la porta si aprì e Lexa apparve, l’aria esausta. 

“Clarke, sei qui!” esclamò, stringendola a sé. La bionda sussultò a quel contatto così inatteso e anche Lexa dovette realizzare cosa aveva fatto, dato che si scostò immediatamente.

“Oh, io… Ehm…” balbettò, imbarazzata. Clarke le sorrise e le fece segno di non preoccuparsi. Lexa parve rilassarsi e la invitò ad entrare. Adria era stesa sul pavimento sommersa dai giocattoli, mentre Ethan era seduto su un seggiolino sul divano. 

“Lexa, perché sembra che sia passato un tornado?” Clarke chiese, cercando di non suonare troppo indiscreta.

“Perché è passata Adria.” Lexa rispose, indicando la bambina che, sentitasi chiamata in causa, scoppiò a ridere. 

“Lo so, sembra timida e tranquilla sulle prime, ma ti assicuro che non lo è.”. Clarke annuì, senza dire niente. Voleva solo capire perché Lexa le avesse telefonato. 

“Ti ho scritto qui tutte le istruzioni, le grammature dei pasti e il numero del pediatra. Ah e…”

“Lex, respira.” la fermò Clarke. “Che succede?”. Lexa si appoggiò al muro. Non si era mai trovata in una situazione del genere e non sapeva da che parte cominciare.

“Lex?” insistette Clarke, con dolcezza. Dio, quanto le era mancata. Lexa ripensò al giorno in cui aveva scoperto del tradimento di Costia. Clarke le era stata accanto senza chiederle nulla in cambio, solo perché voleva aiutarla. E, in cambio, lei l’aveva ferita nel peggiore dei modi.

“Io… Io non so come… Io non ho mai…”

“Lexa, tranquilla. Sono qui.” Clarke le disse, con un sorriso. È proprio questo il problema, pensò Lexa. Eppure, non aveva avuto scelta. Clarke era l’unica persona in grado di aiutarla in quel momento, ne era consapevole.

“Titus mi vuole vedere, devo discutere il rinnovo del contratto per Natblida. Anya è impegnata, Costia, beh, Costia…”. Costia non c’è, quanto facevano male quelle parole. Costia non c’era. Costia non c’era mai stata. Lexa scosse il capo. No, non poteva pensare cose simili della sua ragazza. 

“Costia è a Las Vegas per lavoro.”. Quelle parole suonavano così false in quel momento. Eppure, credervi era così rassicurante. Clarke annuì, intuendo quale fosse il problema.

“Aden è a scuola, ma non sono riuscita ad accompagnare Adria all’asilo e Titus non vuole che porti Ethan con me. Come se non bastasse, non ho più una tata. Sally si è licenziata dopo che Adria ha passato la serata colorando con il pennarello indelebile il muro e ehm… Beh, non solo quello.” spiegò Lexa. “È sempre stata una bambina vivace, ma ultimamente sta esagerando.”

“Lex, va bene.” dichiarò Clarke, dal nulla. Lexa inarcò un sopracciglio. 

“Non ti ho ancora…”

“Lo so, ma credo di aver capito cosa volessi chiedermi. Starò io con Adria ed Ethan oggi, non ti preoccupare.” la rassicurò Clarke. Lexa avrebbe voluto abbracciarla, ma decise di limitarsi ad un semplice grazie. 

“Io vado. Per qualsiasi cosa, chiamami per favore.” si raccomandò, mentre si infilava la giacca.

“Non ti preoccupare.” rispose Clarke. Lexa sospirò e si avviò alla porta. 

“Grazie.” mormorò, per poi uscire. La verità si abbatté su di lei, crudele. A parte Anya e Costia, non aveva nessuno al suo fianco. Nessuno, eccetto Clarke Griffin.

 

________________

 

Madi odiava andare da Lexa. Non tanto per l’attrice, non le faceva né caldo, né freddo, ma per la sgradevole sensazione che l’assaliva ogni volta che scendeva dall’autobus. Perché, andiamo, chi mai prende l’autobus a Beverly Hills? Madi scosse il capo. Allo stesso tempo, quel giorno però era felice di poter allontanarsi da Polis per un po’. Sua madre aveva un nuovo compagno, un certo Malachi Gloomy. Quel tizio si era accampato da loro da ormai tre giorni e non la smetteva di dare ordini, bere birra e fumare. Madi sapeva poco di lui, solo che era un tipaccio uscito da poco di prigione e che era in affari con sua nonna. Le metteva i brividi. Era un uomo viscido e violento e lei era ben felice di poterlo evitare per ben tre giorni. Trish, la sua migliore amica, l’aveva invitata a stare da lei, ma Madi aveva bisogno di una pausa. O meglio, di una tregua. Aveva bisogno di nascondersi, di fingere che la sua realtà quotidiana non fosse così squallida e priva di prospettive. Aveva bisogno di illudersi che anche lei potesse uscire da Polis. Madi sospirò. Aspettò  che l’autobus si fermasse e scese. Non c’era nessuno ad attenderla, avrebbe dovuto camminare per un bel po’ fino a casa di Lexa. Era una bella giornata e il sole splendeva alto nel cielo. Madi camminava di buon passo, nella speranza di arrivare a destinazione il prima possibile. Si sentiva così alienata, come se tutto quello che la circondava fosse solo un falso. Madi non apparteneva a quel luogo. Apparteneva solo a Polis. Si fermò per qualche secondo. Si accese una sigaretta e si appoggiò ad un lampione. Per un istante, valutò se prendere nuovamente l’autobus e tornare indietro. Il pensiero di Malachi le fece immediatamente cambiare idea. Sapeva che andare da Trish non l’avrebbe messa al sicuro da quel pazzo. Non l’aveva detto a sua madre, ma qualche giorno prima l’uomo aveva minacciato di colpirla con la cintura senza alcun motivo apparente. No, non sarebbe tornata indietro, non quel fine settimana. Spense la sigaretta, la gettò via e riprese a camminare. Dopo svariati minuti si ritrovò davanti ad una graziosa villetta gialla. Si fece coraggio e suonò il citofono. Normalmente Lexa le lasciava il cancello aperto, ma quel giorno era stranamente chiuso. Madi decise di non dare peso alla cosa. Magari Costia era in casa e aveva chiuso lei il cancello. Cercò di scacciare il pensiero. Detestava quella donna. Non le piaceva per niente e non capiva cosa Lexa vedesse in lei. Non che le importasse poi un granché dell’attrice. Lexa era per lei una sconosciuta da cui andava a dormire ogni tanto, nulla di più. Anzi, la trovava anche abbastanza irritante. Ma Costia, beh, lei era decisamente peggio. Innanzitutto, la trattava come se non meritasse un briciolo di rispetto e se ad un uomo come Gloomy era costretta a non replicare, da quella modella da due soldi non si sarebbe di certo fatta mettere i piedi in testa. In secondo luogo, odiava il modo in cui trattava Lexa. Era palese che la tradisse durante i suoi viaggi e si chiedeva costantemente se l’attrice facesse finta di non vedere o se, invece, fosse davvero così ingenua da non accorgersene. 

“Ma quanto ci mette?” si lamentò, tirando un calcio al cancello. Era stufa di aspettare. Finalmente, il cancello si aprì e Madì poté incamminarsi alla porta. La ragazzina suonò il campanello. Quando la porta si aprì, Madi si paralizzò. Di fronte a lei non c’era Lexa, ma Clarke. Aveva Ethan in braccio e la guardava con fare confuso. 

“Madi! Tutto bene?” le chiese. La ragazzina non sapeva come rispondere. Era una domanda sincera e la cosa la destabilizzava. 

“Io… Beh, ecco…” balbettò. “Oggi è venerdì e allora ho pensato… Però se è un problema torn-…”

“No, no! Nessun problema.” la fermò Clarke. Madi si morse il labbro. Chinò lo sguardo, indecisa sul da farsi. Clarke le posò una mano sulla spalla e le sorrise, costringendola a rialzare il capo.

“Lexa oggi ha un impegno e mi ha chiesto di badare ad Adria ed Ethan. Sarà qui per cena.” spiegò. Madi annuì, passandosi una mano fra i capelli e varcando la soglia. Clarke la osservò salire le scale che conducevano alla sua stanza. Aveva l’aria così triste. 

“Madi.” la chiamò. La ragazzina si voltò. Clarke avrebbe voluto chiederle come stava e come era stato il ritorno a casa la sera che si erano incontrate a Polis. Sì, avrebbe voluto, ma non lo fece.

“Se vuoi, io sono qui.” si limitò a dire. E, tuttavia, mai parole risuonarono più sincere alle orecchie di Madi.

 

________________

 

“Non puoi continuare così, Lexa. Hai un lavoro, delle responsabilità!”

“Ho solo bisogno di tempo, Titus. Non chiedo altro.” replicò l’attrice. L’uomo scosse il capo. Avevano passato tutta la giornata con la produttrice di Natblida, Becca Franko, cercando di capire se Lexa avrebbe rinnovato o meno. La serie doveva andare avanti e aveva bisogno della sua protagonista, ma allo stesso tempo l’attrice non aveva la minima idea di cosa fare. Recitare era la sua vita, ma avere Ethan, Adria ed Aden a casa poneva irrimediabilmente dei paletti. Alla fine non avevano cavato un ragno dal buco e Titus si era infuriato. 

“Non puoi permettere a quei ragazzini di mettersi tra te e i tuoi obiettivi. Sei a tanto così, Lexa. A tanto così!” 

“Beh, forse per ora i miei obiettivi sono altri, Titus!” ribatté Lexa, senza nemmeno guardarlo in faccia. Prese la borsa e aprì la porta dell’ufficio del suo agente, facendo per uscire.

“Non puoi buttare via tutto quello che hai costruito, Lexa. Non dopo tutto quello che hai sacrificato.”. Lexa strinse i pugni. Già, tutto quello che aveva sacrificato. Scosse la testa e uscì. Ignorò le lacrime che le inumidivano le guance e si precipitò in macchina. Era stremata, sia mentalmente, sia fisicamente. Guidò fino a casa sua. Parcheggiò e si recò alla porta. Si asciugò il viso con il palmo delle mani. Non voleva che Clarke la vedesse in quelle condizioni. Clarke. Si sentiva enormemente in colpa. Si era comportata così male nei suoi confronti, eppure lei era lì, pronta ad aiutarla. Si chiese perché. Non lo meritava, per niente.  Sospirò ed entrò in casa. Clarke era seduta sul divano, un libro fra le mani. Lexa posò le chiavi sul mobiletto all’entrata e la salutò.

“Ehi.” esordì Clarke. “Come è andata? Ti aspettavamo per cena, mi dispiace che ti sia dovuta trattenere.”. Lexa sospirò. 

“Purtroppo non è andata benissimo. Titus vorrebbe che rinnovassi senza pensarci due volte, ma la situazione è quella che è.” spiegò, addossandosi alla parete. “I ragazzi dormono?”

“Come agnellini. Ho appena finito di mettere Ethan a letto, era molto agitato.” rispose Clarke. “C’è solo Madi che…”

“Madi è qui?” si sorprese Lexa.

“Sì, è venuta oggi pomeriggio.” disse Clarke. 

“Oh.” fu il commento di Lexa.

“Lex, tutto bene?” domandò Clarke, preoccupata da quella reazione. 

“Sì, è solo che… Normalmente non viene per due fine settimana di fila e, in ogni caso, il venerdì ed il sabato sera è sempre fuori con i suoi amici.”. Clarke si massaggiò il collo. Aveva un brutto presentimento, ma decise di non parlarne con Lexa. In fin dei conti, conosceva la situazione solo in maniera superficiale. Alzò lo sguardo. Gli occhi smeraldini di Lexa la scrutavano, carichi di una stanchezza che andava ben oltre il mero bisogno di riposo fisico. 

“Beh, grazie per oggi. Io…”

“Non dirlo nemmeno, Lexa. Ci sono, te l’ho promesso.” la rassicurò Clarke. Lexa annuì. Si sentiva così meschina. 

“Oltre ad Anya, Costia, Titus e Becca sei l’unica a sapere dei ragazzi e… Per questo ti ho chiamata. Io… Io non merito alcun aiuto da parte tua.”. Clarke fece un passo verso di lei e le carezzò dolcemente la guancia. 

“Sono passati tre anni Lex. Dobbiamo andare avanti.” disse. Lexa annuì, un debole sorriso dipinto sul volto. 

“Buonanotte.” la salutò la bionda. E quando Lexa sentì due labbra umide posarsi sulla sua guancia, si chiese se Clarke credesse veramente alle sue parole. Perché no, nessuna delle due sarebbe stata davvero in grado di andare avanti. Ne erano consapevoli entrambe.




Angolo dell'autrice 

Scusate per l'attesa!
Allora, capitolo che vede finalmente un riavvicinamento vero tra Lexa e Clarke. Inoltre, incontriamo nuovamente Madi, che se la passa tutt'altro che bene. E, se Clarke ha deciso di mettere da parte i suoi sentimenti per aiutare Lexa, quest'ultima è ben consapevole di non poter seppellire quello che prova realmente per lei. Il perché però Lexa stia con Costia e si sia allontanata dalla persona che amava si scoprirà tra un po'.
Un grazie a chi legge e a chi ha recensito.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6.Torn Apart ***


6.

 

I been bleeding on the inside, I'm torn apart
Can I get a chance to go back to the start?
(Eredaze-Torn Apart)

 

 

 

 

Lexa non aveva la benché minima voglia di girare quel giorno. La sua testa era completamente altrove. Il tradimento di Costia faceva ancora troppo male. Sospirò, mentre si sforzava di mangiare la sua colazione, dei pancake bruciati e un succo di arancia. Invidiava molto Clarke e la sua abilità ai fornelli in quel momento. Clarke, già. Erano passati cinque giorni da quando la bionda l’aveva ritrovata sul pavimento della roulotte e da allora le loro uniche interazioni erano avvenute durante le riprese. Sapeva che Clarke ne stava soffrendo e non poteva di certo darle torto. Si stava comportando davvero male, ma la verità era che l’essersi mostrata così debole e fragile l’aveva spaventata tantissimo. C’era qualcosa di speciale in Clarke, qualcosa che la spingeva verso di lei e, al contempo, la invitava alla prudenza. Era come se riuscisse a leggerle dentro, come se di fronte a lei non potesse nascondersi e la cosa la terrorizzava. Qualcuno bussò alla porta, ridestandola dai suoi pensieri. Andò ad aprire, sbuffando non appena si ritrovò Titus di fronte a sé.

“Ah, sei tu.” constatò bruscamente.

“Anche per me è un piacere vederti.” replicò l’uomo.

“Scusami, io… Ho dormito male.” si scusò l’attrice. “A cosa devo questa visita?”. Titus  varcò la soglia senza troppe cerimonie e le sventolò dei fogli davanti al naso. Lexa li prese e li lesse, confusa.

“Non capisco.” mormorò.

“Mi ha telefonato Becca Franko, la produttrice. Ti vorrebbero per una nuova serie. Finalmente potresti avere un ruolo da protagonista.” spiegò l’uomo.

“Il signor Wallace mi ha detto che vorrebbe dare più rilevanza al mio personaggio nella prossima stagione, non vedo perché dovrei mollare questa serie.”

“Wallace sta valutando la sorte del tuo personaggio. A quanto pare, diversi fan vorrebbero che il tuo e quello di Clarke Griffin si innamorassero.”

“Sarebbe grandioso!” esclamò l’attrice. “Sarebbe un onore per me rappresentare la com-…”

“Non dirlo nemmeno per scherzo.” la zittì Titus. “Un ruolo del genere ammazzerebbe la tua carriera. Oltre al fatto che l’unica che sta spingendo verso questa direzione è la Griffin.”. Lexa sussultò. Davvero Clarke voleva che i loro rispettivi personaggi si mettessero insieme? Perché non gliene aveva mai parlato?

“Lexa, la tua sessualità non è un problema, ma Wallace non ha intenzione di rendere la serie divisiva.”

“Divisiva? E da quando in qua due persone che si amano creerebbero divisione?” replicò Lexa, fuori di sé.

“Lexa, sai benissimo cosa intendo.”. L’attrice scosse il capo.

“No, non lo so.” disse, gettando i fogli a terra. Si precipitò fuori dalla roulotte e cominciò a correre. Le lacrime le appannavano la vista, ma non se ne curò.

“Attenta!” urlò qualcuno. Lexa si ritrovò per terra, dolorante. Alzò lo sguardo. Di fronte a lei Clarke la scrutava preoccupata.

“Lex, ehi.” sussurrò, posandole una mano sulla guancia. Per tutta risposta, Lexa cominciò a piangere a dirotto. Clarke la tirò a sé, facendole appoggiare il capo sul suo grembo. Non le chiese cosa stesse succedendo. Non la pressò affinché le spiegasse cosa la rendeva così triste. Stette semplicemente lì, con lei, fino a quando non si fu calmata.

“Stai meglio?” le chiese dopo svariati minuti. Lexa annuì.

“Sì, ora sì.”” rispose. Alzò lo sguardo. I suoi occhi smeraldini incrociarono quelli così azzurri di Clarke. La bionda le sorrise, carezzandole i capelli. Lexa non si era mai sentita così, al sicuro. No, nemmeno con Costia.

“Ehi, ehi, tranquilla.” le sussurrò Clarke, notando che si stava agitando di nuovo. “Ci sono qui io con te.”. Lexa inspirò profondamente e si mise a sedere. Clarke le sorrise di nuovo e, finalmente, la mora parve rilassarsi. Lexa non aveva mai provato nulla del genere. Avrebbe voluto perdersi in quel sorriso. Si chiese se anche per Clarke fosse lo stesso.

“Ci sei sempre per me.” constatò.

“E ci sarò sempre, Lexa. È una promessa.”.


 

“Una promessa è una promessa.” disse Costia, senza ottenere alcuna risposta. “Amore, tutto bene?”. Lexa si voltò. Erano entrambe sedute sul divano, del vino in mano. La modella era rincasata da poco e abbastanza inaspettatamente.

“Lexa?” insistette.

“Sì, io… Stavo solo pensando, scusa.”

“Pensando? E a cosa?” chiese Costia, avvicinandosi all’attrice.

“A nulla di importante. Tu, piuttosto. Cosa mi stavi dicendo?”

“Semplicemente che una promessa è una promessa. Avevo promesso che sarei tornata presto e infatti eccomi qui.” rispose la modella.

“Già.” mormorò Lexa, lasciando Costia interdetta.

“Sicura di stare bene? Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiese, allarmata.

“No, tu no.” dichiarò Lexa, massaggiandosi il collo. “È che… Senti, devo confessarti una cosa, ma non so come.”. Costia cercò di mascherare la crescente agitazione che stava montando sempre più in lei. Circondò il volto di Lexa con le mani, costringendola a guardarla negli occhi. L’attrice deglutì. Costia era una ragazza bellissima, dai capelli corvini e gli occhi blu. Eppure, quello sguardo era così diverso da quello di Clarke.

“Lexa.”. L’attrice prese un respiro profondo. Doveva parlare. Doveva dirglielo.

“Io… Mentre eri via Clarke è stata qui.”. Costia sgranò gli occhi, incredula.

“Clarke? Quella Clarke?”

“Sì.” confermò Lexa. “Ha visto le foto di noi con Ethan e… Voleva solo sapere come stavo. Ha scoperto dei ragazzi.” raccontò Lexa.

“L’hai vista altre volte?” domandò Costia. La tensione era palpabile ed era palese che la modella non fosse contenta di quella notizia.

“Un paio, sì. Sally si era licenziata, Anya era impegnata e io non sapevo dove sbattere la testa. Lei era l’unica a sapere e… Ascolta, è venuta qui solo un paio di volte, principalmente per tenere Ethan mentre io dovevo uscire.”. Costia strinse i pugni, nervosa.

“Provi qualcosa per lei?” chiese, a bruciapelo.

“Cosa?”

“Non fare la finta tonta, so cosa è successo tre anni fa, me l’hai raccontato tu stessa.”. Lexa si passò una mano fra i capelli.

“Costia, quello che è successo tra me e Clarke non… Io mi sentivo sola.” Era una bugia e ne era pienamente consapevole. “Non provo niente per Clarke.” Un’altra bugia. Quelle parole sapevano di aceto.

“Però?” aggiunse Costia, intuendo che ci fosse dell’altro. Lexa aveva il cuore in gola. Prese le mani di Costia fra le sue, sistemandosi sul divano in modo da averla per bene di fronte a sé.

“Ascoltami, tu sei la ragazza che amo. Clarke è solo un’amica e in questi giorni mi ha aiutata tantissimo. Io… Ho solo bisogno che ti fidi di me.”. Costia sospirò, lo sguardo addolcito.

“Mi stai chiedendo se può continuare a venire qui? Lexa, dici sul se-“. Costia non fece in tempo a finire la frase. Qualcuno suonò il campanello, interrompendola. La modella sbuffò e andò ad aprire.

“Bene, bene. Parli del diavolo e spuntano le corna.” esordì, non appena si ritrovò Clarke davanti.

“Costia, non… Sono qui solo per prendere l’orologio, l’ho dimenticato e…” cercò di spiegare quest’ultima, a fatica.

“Wow, lasci anche le cose qui, ora?”

“Cos, non fare così.” supplicò Lexa. Si sentiva profondamente a disagio. Da un lato non desiderava altro che essere in presenza di Clarke, dall’altro però poteva capire la reazione della sua ragazza.

“Devo essermelo tolta per cambiare il pannolino di Ethan stamattina, Costia. Non ti preoccupare, non sono quel tipo di persona.”. Lexa realizzò di star trattenendo il respiro. Di tutte le cose che poteva dire, Clarke aveva scelto la peggiore. Era evidente il riferimento a quanto successo tre anni prima. Costia si irrigidì per qualche istante e Lexa temette il peggio. Dopo qualche secondo, però, la modella ghignò e invitò Clarke ad entrare. L’attrice varcò la soglia con la stessa circospezione di chi accetta di andare a cena dal proprio futuro assassino.

“Ciao.” salutò Lexa, con un sorriso tirato. L’attrice del Massachusetts ricambiò facendo un cenno con la mano e si addossò alla parete. Si sentiva svenire, letteralmente.

“Credo sia rimasto in bagno, lo prendo e me ne vado.” disse Clarke. Mentre saliva le scale poteva sentire lo sguardo di Costia su di sé. Sperava solo di non aver creato problemi a Lexa. Non se lo sarebbe mai perdonato. Arrivata in bagno, trovò immediatamente quello che stava cercando. Si trattava di un vecchio orologio da polso di ben poco valore, a cui tuttavia Clarke era molto legata. Era tutto ciò che le restava di suo padre, dopotutto. Jake Griffin era morto quando lei aveva solo quindici anni, a causa di un brutto incidente stradale. A nulla erano valsi i disperati tentativi dei medici, lo schianto lo aveva ucciso sul colpo. Clarke scosse il capo, cercando di ricacciare indietro il ricordo di suo padre. Non erano né il luogo, né il momento. Si mise l’orologio al polso e scese le scale. Lexa e Costia stavano discutendo animatamente e Clarke avrebbe voluto sparire.

“Tu non c’eri, Cos! Cosa avrei dovuto fare?”

“Lo sai benissimo, Lexa! E se non fosse stato per Anya, beh, forse ora non saremmo a questo punto!” replicò la modella, urlando.

“Cos, ti prego, sveglierai Ethan.”

“E che si svegli!”. Detto fatto. Clarke sospirò non appena sentì il pianto disperato del bambino. Corse subito in camera sua e lo prese in braccio, cullandolo dolcemente.

“Shh, va tutto bene.” sussurrò, per farlo calmare. A poco a poco, Ethan si tranquillizzò. Clarke lo aiutò a mettere il ciuccio in bocca e gli carezzò con tenerezza i capelli. Quando provò a deporlo nella culla, però, Ethan riprese a dimenarsi.

“Va bene, ho capito. Resta pure con me.” si arrese l’attrice. Restò per un po’ ferma con il bimbo in braccio, poi decise di scendere da Lexa. Voleva solo salutarla e andarsene, per evitare di creare altri problemi. Quando Costia vide lei e Ethan, li accolse con un’occhiataccia.

“Io… Io andrei.” mormorò Clarke.

“Anche io. Devo andare a prendere Adria ed Aden.” asserì Lexa. Era visivamente provata, esausta dopo la discussione con Costia.

“Perché non mandi lei?”. Sia Clarke, sia Lexa si voltarono verso la modella, non proprio sicure di aver sentito bene. “Vuoi renderti utile, Griffin? Perché non vai a prendere i due mocciosi e ti porti via il poppante, così che io e la mia ragazza possiamo passare un pomeriggio insieme in santa pace?”

“Cos…” provò a farla ragionare Lexa, ma Clarke le fece segno di stare tranquilla.

“Mi sembra un’ottima idea.” asserì. Vestì Ethan e lo mise a sedere nel seggiolino, per poi portarlo in macchina.

“Clarke, non devi farlo per forza.” le disse Lexa, che l’aveva seguita fuori.

“Ma voglio, Lex. Te l’ho promesso, ci sono se hai bisogno di una mano. Tu e Costia meritate di passare del tempo assieme.”. Lexa annuì e la osservò salire in macchina. Clarke si mise al volante e partì, senza pensarci due volte. Sì, Costia e Lexa meritavano di passare del tempo assieme. In quel momento, Clarke non poté non provare che un misto tra gelosia e profonda tristezza. Avrebbe solo voluto che Lexa avesse qualcuno che la trattasse alla sua altezza. Qualcuno che la rispettasse. Qualcuno che la amasse davvero. Qualcuno come lei.

 
________________

 

“E così quella strega ha deciso di assumerti come babysitter?” esordì Octavia.

“C’è una strega?” chiese Adria, curiosa.

“O!” Clarke rimproverò l’amica. “No, nessuna strega, piccola.” disse poi, rivolta alla bambina. Octavia fece per ribattere, ma l’arrivo del cameriere la obbligò a rimanere zitta.

“Ecco a voi, quattro coppe di gelato.”

“Grazie.” ringraziò Clarke, passando il gelato ad Octavia ed Adria e sistemando l’ultima coppa al posto di Aden, che era andato in bagno. L’attrice aveva deciso di portare i ragazzi al Niylah’s, uno dei bar più rinomati di Beverly Hills. Oltre a servire il miglior gelato di tutta la West Coast, era un luogo a prova di paparazzi, nonostante fosse frequentato per la maggior parte dai più famosi attori e cantanti del mondo.

“Andiamo, tanto lo sa anche lei che…”

“O!” Clarke zittì l’amica, lanciandole un’occhiataccia.

“Va bene, taccio.” si arrese Octavia, appoggiandosi allo schienale del divanetto su cui era seduta. Tra lei e Clarke, sul seggiolone, Ethan gorgogliava allegro, facendo una bolla di saliva dietro l’altra. Non appena vide Aden avvicinarsi, cominciò ad agitare le manine, felice.

“Bentornato.” lo salutò Clarke. “È arrivato il tuo gelato.”. Il ragazzino ringraziò e cominciò a mangiare, in silenzio. Octavia si voltò verso l’amica. Clarke stava aiutando Adria col suo gelato e lei non poté fare a meno di sorridere a quella scena. Rimasero lì fino a quando non finirono di fare merenda, per poi dirigersi all’auto. a

“Bene, direi che è ora di andare a casa.” dichiarò Clarke dopo aver controllato l’ora. Aden fece una smorfia e le due attrici gli lanciarono un’occhiata confusa.

“Che succede?” chiese Clarke. Aden non rispose e chinò lo sguardo.

“Ehi, parlami.” insistette l’attrice. Il ragazzino guardò prima Clarke e poi Octavia.

“C’è Costia a casa, vero?” chiese, infine. “Per questo sei venuta tu a prenderci.”. Clarke sospirò. Si voltò verso Octavia, in cerca di aiuto. Non sapeva cosa fare, era evidente che nemmeno ai ragazzi Costia andasse a genio.

“Aden, non…” provò a dire, inutilmente. Il ragazzino le fece segno di non preoccuparsi e salì in macchina. Quando arrivarono da Lexa, l’attrice del Massachusetts li accolse con un sorriso carico di sollievo. Non appena notò Octavia, tuttavia, andò nel panico.

“No, ehi.” la rassicurò Clarke

“Ti avevo chiesto di non dirlo a nessuno.” mormorò Lexa.

“Lo so, è che…”. La bionda non sapeva se raccontarle o meno di Madi. La situazione era già abbastanza delicata così.

“È successo, okay? Non lo racconterà a nessuno, è un promessa.”. Lexa si morse il labbro, non del tutto convinta. Dietro di lei, Costia fissava Clarke, con aria di sfida.

“Beh, allora io vado.” disse quest’ultima, carezzando la guancia di Ethan e aiutando Lexa a prenderlo in braccio. Salì in macchina e tirò un sospiro di sollievo. Octavia le posò una mano sulla spalla, con fare affettuoso. Clarke mise in moto senza dire una parola. Stava visibilmente cercando di non scoppiare a piangere. Cosa le era saltato in mente? Come avrebbe mai potuto riavvicinarsi a Lexa? No, non sarebbe mai stato possibile. E, accanto a lei, Octavia non poté fare altro che sperare che Lexa aprisse gli occhi una volta per tutte.

 
________________

 

Madi sentì il suo cellulare vibrare. Lo sbloccò. Aden le aveva mandato un messaggio.
Mi dispiace, Costia è in casa.Forse è meglio se non vieni.
Madi si buttò sul letto. Da camera sua poteva sentire le urla di Gloomy ai danni di sua madre.
Stavano litigando per i soldi, Madi nemmeno sapeva il perché. Infilò la testa sotto al cuscino, pregando che la smettessero. E, in mezzo a tutto quel rumore, un silenzio carico di solitudine fu l’unica risposta che ricevette.




Angolo dell'autrice

Ahia, Costia è tornata e ha dichiarato guerra a Clarke. Nel frattempo, Madi sta sempre peggio. Inoltre, si scopre anche qualcosa legato al periodo in cui Lexa e Clarke recitavano nella stessa serie.
Spero vi sia piaciuto, grazie per leggere.
Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7.So Tired ***


7.

 

'Cause I'm so tired running from the fire
Feeling kinda low 
(Josh A-So Tired)

 

 

 

 

“Ottimo lavoro, Winter. Sono davvero ammirata.” esordì Emori Space, mentre riconsegnava alla ragazzina il suo compito di biologia. 

“Davvero?” chiese Madi, incredula.

“No.”. La ragazzina prese il compito in mano. I segni rossi erano così tanti che Madi non riusciva a leggere le risposte originali. 

“Madi, devi studiare.”

“Ma ho studiato!” ribatté la ragazzina. Emori si massaggiò il collo. Non sapeva bene come agire. Non voleva di certo umiliare Madi di fronte ai suoi compagni, ma era un dato di fatto che l’unica insufficienza della classe fosse quella della ragazzina.

“Al termine dell’ora ne riparliamo, va bene?” propose. Madi annuì, poco convinta. 

“Oh, signorina Space. La lasci stare!”. Emori alzò lo sguardo. A parlare era stato Sam, uno degli studenti più indisciplinati della scuola. Non che gli altri fossero meglio. Polis era un quartiere difficile e la scuola era davvero l’ultimo pensiero per quei ragazzi.

“Andiamo, in fin dei conti ha appena perso suo padre.” aggiunse il ragazzo. Emori vide Madi irrigidirsi tutto d’un tratto. Si stava mettendo male.

“Sam, basta.” intimò.

“Come dice? Ah, già. Nemmeno suo padre la voleva. D’altronde, chi mai vorrebbe una bastard-…”. Il ragazzo non fece in tempo a finire la frase. Si ritrovò per terra, il naso grondante sangue.

“Smettila!” urlò Madi. La mano le faceva malissimo, ma non le importava. Afferrò il suo compagno per il colletto della felpa e fece per colpirlo di nuovo, ma qualcuno la bloccò. 

“Lasciami!” urlò, dimenandosi. Si liberò di quella stretta e spinse via il suo aggressore. Si voltò. Intorno a lei era calato il silenzio. La signorina Space era sul pavimento, lo sguardo terrorizzato.

“I-io…” balbettò Madi. “M-mi dispiace, n-non…”

“Lo so.” disse Emori. Si sentiva così impotente. Era consapevole del fatto che non fosse stata la ragazzina a cominciare, ma non poteva fingere che non fosse accaduto nulla. Cercò di alzarsi e raggiungere Madi, ma la studentessa indietreggiò, fino a schiacciarsi alla parete. E, quando il preside entrò nell’aula, desiderò con tutto il cuore di poter sparire. 

 

________________

 

Il cellulare non voleva saperne di smettere di squillare. Lexa fece per rispondere, ma Costia glielo prese dalle mani e lo rimise sul comodino.

“Lascialo squillare.” le disse, mentre le baciava il collo. “Adesso smetterà.”. Per un attimo, sembrò che Costia avesse ragione. Solo per un attimo, però. 

“Devo rispondere, scusa.” Lexa asserì, mettendosi a sedere. Costia sbuffò. Osservò la sua ragazza rispondere. Via via che i secondi passavano, si faceva sempre più preoccupata. 

“Io non… Va bene, verrò. Arrivederci.”. Lexa posò il telefono sul materasso e scese dal letto. 

“Tesoro, chi era?” chiese Costia.

“Il preside della South Polis High.” rispose l’attrice, mentre si rivestiva.

“Ma Aden frequenta…”

“Non era per Aden.”. Costia scosse il capo. Di nuovo Madi, avrebbe dovuto immaginarlo.

“Una madre ce l’ha, cosa vogliono da te?”

“Parlarmi, presumo. Non ho ben capito cosa sia successo, so solo che è rimasta coinvolta in una rissa o qualcosa del genere.” spiegò Lexa. Finì di vestirsi e si voltò verso la sua ragazza. Sussultò. Costia sembrava così arrabbiata. 

“Cos…”

“No, Lex. Sono qui da tre giorni e non hai fatto altro che andare dietro a quei mocciosi. Ieri Ethan mi ha perfino vomitato addosso!”

“Ha avuto un rigurgito, è normale. Insomma, è un bimbo piccolo e…”

“Per non parlare di Adria! Lei e quei maledetti pennarelli, mi deve una borsa da seimila dollari!”. Costia era fuori di sé.

“Cos, ha solo…”

“Non mi interessa quanti anni ha!” sbraitò la modella. “Aden ne ha quattordici e ha passato tutta la serata a ripetermi formule matematiche mentre stavo guardando il mio programma preferito.

“Ha un compito importante fra un paio di giorni.” cercò di spiegare Lexa. Costia strinse i pugni. L’attrice non l’aveva mai vista così arrabbiata. Faceva quasi paura.

“Almeno con loro hai un legame, Lexa.” disse, la voce più calma. “Ma con quella ragazzina… Porta solo guai.”

“È pur sempre figlia di Roan, Cos.” ribatté Lexa. “Non posso voltarmi dall’altra parte e fare finta di nulla.”

“Nemmeno sapevi della sua esistenza prima della morte di Roan e Luna! Non ha bisogno di te, né tantomeno te di lei!” replicò la modella. 

“Cos…”

“No, Lexa. Mi avevi promesso che oggi avremmo passato una giornata assieme. Dopodomani dovrò partire di nuovo, quando avremo del tempo per noi?”. Lexa sospirò. Si passò una mano fra i capelli, ricacciando indietro le lacrime.

“Mi dispiace, Cos.” mormorò. Poi, uscì dalla stanza e si precipitò giù per le scale. Anya era seduta sul divano con Ethan in braccio.

“Lex, tutto bene? Ho sentito urlare e…”

“Sì, An. Sto benissimo.” minimizzò Lexa. Si infilò la giacca e si voltò verso la sua migliore amica.

“Devo andare.” mormorò. Anya sospirò e le passò le chiavi della macchina. Ethan si muoveva vivace fra le sue braccia.

“Cosa devo farne di Costia?” chiese. Lexa scrollò le spalle, senza rispondere.

“Per qualsiasi cosa…”

“Ti chiamo, lo so.”. Lexa annuì e chiuse la portiera dell’auto. Mise in moto e partì. Forse avrebbe perso Costia o forse no, chissà. Non le importava, non in quel momento. Aveva decisamente ben altro a cui pensare. 

“Cazzo!” imprecò, accostando. La macchina aveva improvvisamente smesso di funzionare. Tirò un pugno al volante e si accasciò sul sedile, in lacrime. Non ce la faceva più. Non ne poteva più. 

“Ehi!”. Lexa si voltò verso il finestrino. Non riusciva a crederci. Se era un sogno, beh, non voleva essere svegliata.

“C-Clarke?” balbettò, aprendo la portiera. Solo in quel momento realizzò di essere dalle parti della casa della bionda. 

“Tutto bene? Stavo facendo una passeggiata nei paraggi e… Cosa ci fai qui?”

“Stavo andando verso Polis.” rispose Lexa. “Si tratta di Madi. Non ho ben capito nemmeno io cosa ha combinato, ma…”

“Ho capito.” la interruppe Clarke. “Aspettami qui.”. Lexa non fece in tempo a chiedere cosa avesse in mente, che la bionda la raggiunge a bordo della sua auto e le fece segno di salire.

“Sei sicura? Io non…”

“Dai, muoviti.”. Lexa scosse il capo. Non aveva poi molta scelta. 

“Bella macchina.” commentò, per mascherare il disagio. 

“Grazie. È una vecchia Ford degli anni 80, mio padre… Beh, l’ha fatta rimettere a posto lui, già.” spiegò Clarke. “Beh, dove dobbiamo andare?“

“Uh, giusto. Ehm, South Polis High.” rispose Lexa. Clarke partì. Accanto a lei, Lexa era estremamente taciturna. I suoi occhi verdi scrutavano il paesaggio fuori dal finestrino, coperti da un velo di tristezza. 

“Tutto bene?”. Lexa sospirò.

“È che… Oggi avrei dovuto passare la giornata con Costia.” spiegò. “Non l’ha presa bene.”

“Mi dispiace, davvero.” disse Clarke. Non aggiunse altro. Avrebbe potuto infierire, far notare che Costia avrebbe potuto accompagnarla, ma non lo fece. Realizzò in quel momento di non provare più né rabbia, né risentimento verso Lexa. E, forse, in realtà non aveva ma provato nulla del genere nei suoi confronti. 

“Eccoci arrivate.” annunciò, parcheggiando. L’edificio che ospitava la South Polis High era decisamente vecchio e fatiscente, un palazzo di cemento armato grigio e brutto. 

“Non sono mai stata da queste parti.” confessò Lexa, quasi con vergogna. Clarke le sorrise.

“Io vengo qua ogni tanto con Octavia. Raccogliamo fondi per l’ospedale.”. Lexa assunse un’aria sorpresa. Non se l’aspettava. Sapeva che Clarke facesse molta beneficenza, ma non pensava che fosse così coinvolta con realtà locali. 

“Mia madre è medico. Per un lungo periodo ha lavorato per il Polis General. Ora è primario a Beverly Hills, ma è rimasta legata a questo posto e io con lei.”

“Avete vissuto qui?” chiese Lexa. 

“No, mai. Venivamo qui spesso, però. Mia madre era molto stimata e capitava la invitassero ad eventi della comunità. È così che…”. Non completò la frase. Lexa fece per chiederle quale fosse il problema, ma l’arrivo di una donna, probabilmente un’insegnante, la costrinse a desistere. 

“Signorina Woods, è un vero onore incontrarla. Emori Space, piacere.” esordì la docente, stringendo la mano prima a Lexa e poi a Clarke. “Ma lei è…”

“Clarke Griffin, sì.”. Emori era visibilmente emozionata, ma cercò di controllarsi il più possibile.

“Prego, da questa parte. Madi è qui.” disse, indicando la ragazzina. Era seduta su una poltroncina fuori dall’ufficio del preside, l’aria triste e avvilita. Non appena vide le due attrici chinò il capo, come a volersi nascondere.

“Sua madre è già dentro.”. Lexa era agitata, molto agitata. Aveva conosciuto Ontari solo di recente ed era evidente che la madre di Madi nutrisse un profondo risentimento nei suoi confronti. In fin dei conti, lei e Roan non si erano lasciati nel migliore dei modi e probabilmente vedeva Lexa come un’alleata dell’uomo e, di conseguenza, un suo nemico. Si voltò verso Clarke, che le sorrise e le fece cenno di entrare. 

“Signorina Griffin, viene anche lei?” le chiese Emori. 

“No, non si preoccupi. Aspetto qui.” rispose l’attrice. Lexa la guardò di sottecchi. Per un attimo ponderò se chiederle di seguirla e stare con lei, ma non lo fece. E, per l’ennesima volta, si maledisse per la sua codardia. 

 

_______________

 

Charles Pike era un preside piuttosto autoritario, considerato dai suoi studenti più un despota che un insegnante. Non che alla South Polis High regnasse il terrore, ma di certo finire nel suo ufficio non era piacevole, nemmeno per i genitori. 

“Signorina Woods, prego, si accomodi.” la invitò l’uomo. Lexa si massaggiò il collo e si sedette, senza dire una parola. Accanto a lei, una donna dai capelli scuri e gli occhi azzurri come il ghiaccio la guardava in cagnesco.

“Signorina Frost, signorina Woods, ho convocato entrambe perché, per quanto la professoressa Space minimizzi, ciò che è successo stamattina in classe è di una gravità inaudita.” esordì l’uomo. “Madi ha deliberatamente picchiato un suo compagno, per poi spingere a terra la sua insegnante.”

“Non l’ha fatto apposta.” ribatté Emori, ricevendo un’occhiataccia dal preside. 

“Sarà sospesa per tre settimane.” dichiarò Pike. 

“Sospesa! Quel ragazzino se lo meritava, altroché!” protestò Ontari. “E inoltre non capisco cosa c’entri lei con tutto questo.” aggiunse, indicando Lexa. In quel momento, anche l’attrice se lo chiese.

“Signorina Frost, è stata una mia idea.” spiegò Emori. “Credo che con quanto stia capitando nella vita di Madi, sia opportuno trovare una strategia comune per…”

“Non mi servono lezioni su come fare il genitore!” sbottò Ontari. 

“Signorina Frost, io non…”

“Voglio questa donna fuori di qui!” Ontari urlò, rivolta a Lexa. L’attrice fece per alzarsi, ma Emori la costrinse a restare seduta. E Lexa realizzò la verità. Era in trappola.

 

______________

 

Clarke e Madi erano entrambe sedute fuori dalla presidenza. La ragazzina aveva il capo chino e sembrava sul punto di scoppiare a piangere. 

“Madi.” la chiamò Clarke. La ragazzina si voltò verso di lei, senza dire nulla. Clarke le sorrise con dolcezza. 

“Mia madre sta urlando.” asserì Madi. “Odia Lexa, non c’è nulla da fare.”

“E tu?” chiese Clarke, a bruciapelo. “Come ti trovi con Lexa? Insomma, deve essere…”

“Strano? Sì, lo è.” rispose Madi. “Rimanga fra noi, non sopporto Costia. Con Anya invece mi trovo abbastanza bene. È simpatica.” spiegò. “Tu e Lexa, invece… Insomma, voi… Ti piace?”. Clarke per poco non si strozzò con la saliva. 

“I-io… Siamo solo amiche. Cioè, lo eravamo. Oh, è complicato.”

“Capisco.” disse Madi. “Quindi tu sei qui perché…”

“L’ho solo accompagnata, le si è rotta la macchina ed è rimasta a piedi.”. Madi annuì, poco convinta. “Ehi, è vero!” protestò Clarke, assestandole un leggero colpo al braccio. Quando però Madi si ritrasse, le lacrime agli occhi, l’attrice si allarmò. 

“Ehi, tutto bene?” chiese, preoccupata. “Ho colpito troppo forte?“

“Clarke, non è niente.” minimizzò Madi. Si teneva il braccio ed era palese che stesse soffrendo. 

“Madi, fammi vedere.”. La ragazzina andò nel panico. No, Clarke non doveva vedere. Nessuno doveva vedere. Malachi si sarebbe arrabbiato e chissà cosa avrebbe fatto a lei e a sua madre.

“Madi, ehi.” la chiamò Clarke. “Respira.”. L’attrice si accovacciò davanti alla ragazzina. Le prese le mani e cercò di guidarla nel respiro, per aiutarla a calmarsi. A poco a poco, Madi parve tranquillizzarsi e il panico lasciò spazio alle lacrime. Clarke stava per farle qualche domanda per capire cosa stesse succedendo, quando la porta della presidenza si aprì all’improvviso. Ne uscì una donna dai capelli scuri e lo sguardo glaciale, probabilmente la madre di Madi. Clarke si scostò immediatamente dalla ragazzina, mentre quest’ultima chinò il capo, pronta ad accettare qualsiasi punizione le spettasse. 

“Tre settimane di sospensione. Spero sarai contenta.” esordì la donna. “Mi aiuterai con il lavoro.”. Madi si morse forte il labbro, per trattenersi dallo scoppiare a piangere di nuovo. Salutò Clarke con la mano e raggiunse sua madre. La donna fulminò con lo sguardo prima Emori e poi Lexa. Poi, presa la figlia per il polso, si avviò all’uscita.

“Che mattinata.” sospirò Lexa, esausta. 

“Permette una parola?” chiese Emori. Lexa annuì, anche se avrebbe solo voluto tornare a casa e andare a dormire.

“Sa, mio marito era un ragazzo problematico. Era finito in giri pessimi e si metteva continuamente nei guai.”

“La ringrazio per l’informazione, ma non credo che…”

“Mi lasci finire, la prego.” supplicò Emori. “John era considerato un ragazzo senza speranza. Sua madre lo odiava e lui stesso nutriva un odio smisurato verso di sé. Le cose cambiarono quando uno dei suoi insegnanti lo prese con sé. Lo iscrisse in un’altra scuola e lo aiutò a riscoprire il suo valore.”

“Storia edificante, ma ora devo proprio andare.” tagliò corto Lexa, ma Emori le fece segno di ascoltare. 

“Quello che voglio dire è che a volte basta semplicemente qualcuno che ci aiuti a vedere un’alternativa.“ disse.

“Non sono nessuno per Madi.” obiettò Lexa, capendo dove quel discorso stesse andando a parare. 

“Ma potrebbe diventarlo.” ribatté Emori. “Glielo chiedo col cuore in mano, signorina Woods. La porti via di qui.”. E, detto ciò, sparì per i corridoi, sotto lo guardo esterrefatto di Lexa.

 

_______________

 

“A cosa pensi?” Lexa chiese a Clarke. Erano in macchina e la bionda la stava riaccompagnando a casa.

“Se è per quello che ci siamo dette io e quella insegnante, beh…”

“Credo abbia ragione, Lexa.” dichiarò Clarke. Accostò, approfittando del fatto che fossero praticamente arrivate a destinazione. Lexa la guardò, confusa. Non capiva cosa stesse succedendo. 

“Ero con Madi prima e… Dio, non voglio giungere a conclusioni affrettate, ma c’è qualcosa che non va, Lex.”. Lexa rimase col fiato sospeso, incapace di processare quelle parole. “Le ho toccato il braccio e… Magari è semplicemente caduta dallo skateboard o ha preso un colpo stamattina in classe, ma non sono tranquilla.”. Lexa scosse il capo. Si sentiva stremata. Aprì la portiera e scese dall’auto.

“Non posso, Clarke.” mormorò. “Mi dispiace.”

“Lo capisco. E lo rispetto.” disse Clarke. “Io ci sono, in ogni caso.”. Lexa sorrise debolmente e sospirò. Gli occhi blu della bionda erano così rassicuranti, un porto sicuro per la sua anima ormai stremata. Era stanca, stanca di mentire a sé stessa, stanca di mentire agli altri e, soprattutto, stanca di mentire a Clarke. Avrebbe solo voluto dirle la verità, liberarsi di quel peso che le opprimeva il cuore da tre anni.

“Clarke, io…”

“Lexa!”. Non poteva crederci. Anya. Si voltò. La sua migliore amica stava correndo verso di lei di gran lena, come se dovesse dirle qualcosa di urgente. 

“Beh, ci vediamo.” Clarke la salutò. 

“Aspetta, io…” Lexa provò a dirle di restare, ma la bionda le fece segno di non preoccuparsi. 

“Ne riparliamo. Ora vai.” disse, per poi mettere in moto e ripartire. Lexa strinse i pugni. 

“Grazie mille.” sbottò contro Anya, che le lanciò un’occhiata perplessa.

“Lexa, ma cosa… Volevo solo avvisarti che Costia se ne è andata.”. Lexa sgranò gli occhi. Non poteva credere alle sue orecchie. 

“Che vuoi dire?” trovò il coraggio di chiedere.

“L’avevo lasciata con Ethan per andare a prendere Adria all’asilo. Quando sono tornata Aden era appena arrivato e Ethan era da solo. Le ho telefonato e lei mi ha detto che si era stancata e che era andata a divertirsi. Mi dispiace.”. Lexa le fece cenno di non aggiungere altro. Entrò in casa, senza dire una parola. E, mentre crollava esausta sul divano, non poté fare a meno che chiedersi che cosa ne stava facendo della sua vita.



Angolo dell'autrice

Dunque, direi che la situazione è sempre più al limite. Lexa è sul punto di scoppiare, Costia pensa solo a sé stessa, Madi vorrebbe solo scappare e Clarke è ormai fin troppo coinvolta. Insomma, è un gran casino. Ma prometto che ne verranno a capo prima o poi.
Grazie mille per leggere e commentare!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8.Paralyzed ***


8.

 

I'm paralyzed
Where is the real me?
I'm lost and it kills me
(NF-Paralyzed)

 

“Mamma, non vedo perché devi farne una tragedia.” protestò Clarke. Sua madre si voltò verso Octavia, che era intenta a cospargere di sciroppo d’acero dei pancake. Come spesso capitava la domenica mattina, le tre si erano trovate per fare colazione assieme al Niylah’s, un’abitudine che andava avanti ormai da diversi anni. Un tempo si sarebbe unita a loro anche Raven, ma da quando lei e Clarke avevano litigato, Abby non l’aveva più vista. 

“Octavia, glielo spieghi tu o devo farlo io?”

“Signora Griffin, con tutto il rispetto, preferirei starne fuori.” dichiarò l’attrice, tagliando un pezzo di pancake e portandoselo alla bocca.

“Esatto mamma, ascolta Octavia e stanne fuori anche tu.” disse Clarke. Abby fulminò la figlia e bevve un sorso di succo d’arancia. Clarke si rese conto di aver esagerato e sospirò. Seduta a capotavola, Octavia continuava a mangiare, in silenzio. 

“Scusa, mamma.”. Abby sorride alla figlia, con tenerezza. 

“Non fa niente.” la rassicurò. “È solo che… Clarke, tre anni fa ti ho vista toccare il fondo per colpa di quella ragazza. Non voglio saperti soffrire di nuovo per causa sua.”

“Sì, ma noi non ci stiamo frequentando, mamma. La sto solo aiutando, tutto qui.” ribatté Clarke. 

“Le ha anche detto che il passato è passato, o qualcosa del genere. L’ho trovata molto convincente, un’interpretazione da oscar.” commentò Octavia. Abby guardò la figlia, scuotendo il capo. 

“Tesoro…”

“Mamma, lo penso davvero.” asserì Clarke. “Lei sta con Costia adesso ed è passato tanto tempo, ha dei ragazzi a cui badare ora e anche io sono cambiata molto. Forse ho sempre più voluto delle risposte che un suo ritorno.“ concluse, con una punta di amarezza. Abby e Octavia si guardarono, poco convinte. L’attrice era ben consapevole di quanto, in realtà, in quei tre anni Clarke non avesse smesso di amare Lexa nemmeno per un secondo. La storia stessa con Finn era naufragata proprio per quel motivo. Quello e lo scoprire che il cantante se la spassava con mezza Hollywood. A Octavia Finn non era mai piaciuto e, quando la sera prima del matrimonio, Clarke si era presentata a casa sua piangendo, si era dovuta trattenere dall’andare da lui e prenderlo a pugni. Eppure, in qualche modo, sapeva che scoprire la verità su Finn era stato un motivo di sollievo per l’amica. Clarke non aveva mai amato Finn. Non avrebbe mai potuto, nemmeno se fosse stato l’uomo perfetto. E, di questo, Finn non aveva nessuna colpa. 

“Beh, io devo andare.” dichiarò Abby, riportando Octavia alla realtà. La donna si apprestò a chiedere il conto al cameriere, ma Clarke le fece segno di non preoccuparsi. Abby si alzò e l’abbracciò, noncurante del fatto che si trovassero in un luogo pubblico. 

“Ti voglio bene.” le sussurrò. 

“Anche io, mamma.” rispose Clarke. Salutò  Abby un’ultima volta e la osservò lasciare il locale. Sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia. Octavia la fissava, senza dire nulla. Non era necessario. Clarke prese il portafogli dalla borsa e lo lanciò sul tavolo. Bugie, solo bugie. Bugie a sé stessa, a sua madre, ai suoi amici. Bugie a Lexa. Sì, era vero, aveva desiderato con tutto il cuore delle risposte. Eppure, non le avrebbe mai preferite a un ritorno di Lexa, ne era certa. E, con quella consapevolezza, pagò la colazione e si diresse con Octavia alla macchina.

 

______________

 

Lexa si guardava nervosamente intorno. Il locale in cui si trovava era piccolo, ma piuttosto accogliente. Nonostante i clienti non fossero molti, l’attrice aveva comunque deciso di sedersi ad un tavolo piuttosto defilato, nella speranza che nessuno facesse caso a lei. Tuttavia, il barista al bancone, un tipo dall’aria simpatica, l’aveva palesemente riconosciuta, ma con somma sorpresa di Lexa l’aveva lasciata in pace e si era limitato a portarle un menù. 

“Signorina Woods, scusi il ritardo.”. Lexa alzò lo sguardo e sorrise in modo tirato. Di fronte a lei, Emori le fece segno di aspettare un attimo. L’attrice la osservò andare al bancone e salutare il barista. Cominciava a sentirsi veramente a disagio e, per un momento, la tentazione di alzarsi e andarsene l’assalì.

“Eccomi, mi perdoni l’attesa.” si scusò Emori, raggiungendola. “Che cosa prende?” chiese poi.

“Oh, io… Del caffè, grazie.”

“Perfetto. Le consiglio la torta di mele, La fanno in modo speciale qui.”. Lexa annuì, senza rispondere a voce. Emori si girò verso il bancone e attirò l’attenzione del barista.

“John, puoi portare del caffè e una torta di mele? E per me il solito, grazie.”

“Subito!” rispose il ragazzo. In poco tempo arrivò al loro tavolo con quanto richiesto. Emori lo ringraziò e gli carezzò il braccio. 

“Siete amici?” chiese Lexa, bevendo un sorso di caffè.

“Marito e moglie. Ci siamo sposati da un paio di settimane, motivo per il quale a scuola sono ancora la signorina Space.”spiegò Emori. Lexa si morse il labbro. Assaggiò una forchettata di torta.

“Aveva ragione, è davvero buona.” disse. Sospirò. Non si era mai sentita così fuori posto in vita sua.

“Ascolti, volevo ringraziarla per aver accettato di vedermi, stamattina.” esordì.

“Grazie a lei. Non mi aspettavo una sua chiamata, mi ha fatto piacere.”. Lexa distolse lo sguardo. La voglia di scappare via era fortissima, ma doveva resistere.

“Ho riflettuto molto su quello che mi ha detto l’altro giorno. Sa, non voglio che pensi che di Madi non mi interessi nulla. Al contrario, tengo molto a lei. È solo che non posso… Non saprei come…”. Si alzò di scatto e prese giacca e borsa. “Mi dispiace, le ho solo fatto perdere tempo.” mormorò, correndo poi verso la porta. 

“Signorina Woods.” Emori la chiamò. Lexa arrestò la sua fuga. Si voltò lentamente. Gli occhi scuri dell’insegnante la guardavano in modo indecifrabile. Lexa si passò una mano fra i capelli. Ripensò alle parole di Clarke. L’idea che qualcuno facesse del male a Madi l’aveva tormentata per giorni. Era affezionata a quella ragazzina, anche se la conosceva poco. Allo stesso tempo, però, non poteva aiutarla, ne era consapevole. Non con Ontari che la odiava e con Costia che non avrebbe mai accettato una responsabilità del genere. Già, Costia. Dopo aver lasciato Ethan da solo per andare a divertirsi chissà dove era partita senza nemmeno avvisare. 

“Ci penserò.” mormorò. “Glielo prometto.”.

 

______________

 

“Tris d’assi!” esclamò Aden.

“E io ho una scala reale!” replicò Anya. Il ragazzino sbuffò e si abbandonò allo schienale della sedia. 

“È un piacere fare affari con te.” gongolò Anya, appropriandosi di tutto il bottino sul piatto. 

“Anya, ragazzi, sono a casa!”. Aden e Anya si voltarono verso l’ingresso. Lexa aveva appena chiuso la porta quando Adria le corse incontro. L’attrice la strinse a sé e alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello di Anya. La bionda scosse il capo e si mise a riordinare il mazzo di carte.

“An!” la chiamò Lexa. 

“No, Lex. Non davanti a loro.”. Aden scrollò le spalle e fece segno alla sorella di seguirlo al piano di sopra, per lasciare alle due attrici lo spazio di cui necessitavano. 

“Io…” esordì Lexa, ma Anya la fulminò con lo sguardo. “Ho fatto come mi hai chiesto, sono andata a parlarle, ma…”

“Risparmiami le tue stupidaggini, Lexa. Sono stanca.”. Lexa sgranò gli occhi.

“Come scusa? Tu sei stanca? E cosa dovrei dire io?” ribatté, leggermente offesa. Anya sbatté le carte sul tavolo e si voltò verso Lexa, l’aria furiosa. 

“Sto rinunciando a tutto per aiutarti. Ho sacrificato due produzioni e diverse serate. Per non parlare della mia famiglia, non la vedo praticamente mai. E non lo dico per rinfacciartelo, sia chiaro. Sono ben felice di darti una mano, anche perché tengo tantissimo a questi ragazzi. Solo, non ne posso più di vederti subire tutto così passivamente. Non potrò esserci per sempre, Lex.”. Anya appoggiò le mani sul tavolo e sospirò. Si voltò verso l’amica, lo sguardo colpevole. Lexa deglutì. Aveva un brutto presentimento.

“Mi ha chiamata la produzione, settimana prossima cominciamo a lavorare sulla nuova stagione. Non lascio Los Angeles, ma non avrò più molto tempo libero a disposizione.”. Quelle parole colpirono Lexa come pugni. Si sentiva mancare l’aria. Rimase impassibile, mascherando la sua voglia di scoppiare a piangere. Doveva essere forte. Era tutto quello che le restava. Anya fece un passo verso di lei e le prese le mani. Le sorrise, con tenerezza. 

“Ho provato a cercare una tata in questi giorni.” dichiarò Lexa. “È stato un disastro.”

“Adria? o Ethan?”

“Entrambi. Adria e la sua passione per i pennarelli indelebili mi sta dando diversi grattacapi, ma mai come Ethan e i suoi rigurgiti selettivi.”

“E immagino che alle aspiranti tate non sia andata a genio l’idea di essere suoi bersagli.” concluse Anya, trattenendosi dal ridere. Per quanto la situazione fosse drammatica, l’immagine in sé era piuttosto esilarante. Ethan pareva trattenersi solo in presenza di persone che gli piacevano. Inutile dire che Costia era la sua vittima preferita. 

“Non troverò mai nessuno.” si rassegnò Lexa, lasciandosi cadere sul divano. Anya prese una sedia e le si sedette di fronte. 

“Sai anche tu che una persona ci sarebbe.” asserì. 

“E chi? Titus?”. Anya alzò gli occhi al cielo, facendo finta di non aver sentito. “An, non posso chiederglielo.”

“Perché?” chiese la bionda, spazientita. 

“Forse perché Clarke è un’attrice,  non una tata.” rispose Lexa. “E poi perché non posso riavvicinarla, An. Ho fatto un errore, non posso… Non sarebbe giusto nei confronti di Costia.”. Anya scoppiò a ridere fragorosamente, sotto lo sguardo sconvolto di Lexa. “Parlo sul serio.” la riprese quest’ultima.

“Oh, anche io. Dio, davvero ti preoccupi di come sarebbe corretto comportarsi nei confronti di una persona per cui tu sei l’ultimo dei pensieri?”. Lexa accennò qualche protesta, ma Anya le fece segno di lasciarla continuare. “Meriti di meglio. Devi smetterla di annullarti così. Quello che è successo tre anni fa non lo puoi cambiare, ma devi andare avanti, per la miseria!”

“È esattamente quello che sto cercando di fare!” ribatté Lexa. “E riavvicinarmi a lei non farebbe altro che rendere inutile qualsiasi mio sforzo.”. Anya la guardò con dolcezza. Le carezzò una guancia, teneramente.

“Ma tu non stai andando avanti, Lexa. Tu ti stai semplicemente annullando in nome dei sensi di colpa. Andare avanti non significa fingere che il passato non sia mai avvenuto, ma seguire il proprio cuore. E tu non lo stai facendo.”. Lexa aprì la bocca per ribattere, ma non riuscì ad articolare alcun suono. Anya l’aveva spiazzata completamente. 

“Vali troppo per buttarti via così.” concluse quest’ultima, per poi alzarsi e incamminarsi verso la cucina. “È tardi, vado a preparare il pranzo.”. Lexa annuì. Sospirò, guardando fuori dalla finestra. Si picchiettò il naso, pensierosa. Estrasse il telefono dalla tasca dei jeans. Una telefonata, sarebbe bastata una semplice, piccola telefonata. Eppure, in quel momento, un gesto così banale le sembrò un ostacolo decisamente insormontabile. Doveva solo decidere se provare a superarlo o meno. 

 

______________

 

“Bella idea questa del picnic, complimenti.” Octavia si congratulò con Clarke. 

“Già, pazzesca.” confermò Bellamy, il maggiore dei fratelli Blake. Anch’egli attore, aveva recitato in Arkadia fino alla penultima stagione. Lui e Clarke avevano legato molto sia dentro che fuori dal set, tanto da diventare ottimi amici. 

“Oggi è proprio una bella giornata, sarebbe stato uno spreco passarla al chiuso.” dichiarò quest’ultima, addentando un panino. “Ne vuoi uno?” offrì poi da mangiare a Lincoln, il ragazzo di Octavia. Lui annuì e prese un panino, con aria affamata. Octavia aveva conosciuto Lincoln in palestra qualche mese prima e tra i due era scattata subito una gran sintonia. Il ragazzo lavorava come vice allenatore della squadra di basket femminile della Beverly Sky High, una prestigiosa scuola privata di Beverly Hills, anche se il suo sogno, a quanto diceva, era quello di vincere un campionato NBA con i Los Angeles Clippers. Una missione impossibile, ma a Lincoln piacevano le sfide. 

“Questo è il nostro anno, me lo sento.” disse, con fare sognatore.

“Sì, e io sono Kareem Abdul-Jabbar.” ribatté Clarke. I due erano soliti punzecchiarsi molto quando si parlava di basket, essendo lei una grande tifosa dei Los Angeles Lakers, da brava Griffin. La sua famiglia supportava i gialloviola da generazioni, da quando addirittura la sede della franchigia era a Detroit e i Lakers giocavano con il nome di Detroit Gems. Il fastidioso ronzio della suoneria del telefono riportò Clarke alla realtà. Lo estrasse dalla tasca della giacca e guardò lo schermo. 

“Scusate.” mormorò, allontanandosi sotto lo sguardo confuso dei suoi amici.

“Clarke, tutto bene?” chiese Octavia, preoccupata. La bionda mostrò il pollice per rassicurarla e si portò il telefono all’orecchio. 

“Pronto?”

“Clarke, io… Aiuto.”.








Angolo dell'autrice 

Che dire, stanno mentendo a loro stesse e lo sanno anche loro. Forse (e dico forse), però, qualcosa si sta smuovendo, almeno in Lexa. Certo, bisogna ringraziare Anya, ma il passo è tutto della prima. Ma è davvero Lexa ad aver telefonato a Clarke? Chissà. 
Ah, per chi non lo sapesse, Kareem Abdul-Jabbar è uno dei più forti cestisti mai esistiti. Sì, mi piace il basket.
Grazie mille per leggere e commentare.

Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9.Somehow ***


9.

 

I need you here right now
I need you stay somehow
(Travis Atreo-Somehow)

 

 

 

 

Madi avrebbe voluto sparire. Quando aveva chiamato Clarke, non aveva di certo pensato di poter causare chissà quale guaio. Certo, forse introdursi in una villa di sconosciuti non era stata la decisione più intelligente della sua vita, ma in fin dei conti non aveva fatto nulla di male. Non aveva rubato, né rotto nulla. D’istinto, aveva deciso di chiamare Clarke. Sua madre e Malachi chissà che le avrebbero fatto, mentre Lexa… Beh, a Lexa aveva già creato abbastanza problemi. Non voleva causargliene altri. Non sarebbe stato giusto.

“Clarke mi dispiace, ma devo chiamare la polizia.” 

“Rae, garantisco io per lei!” ribatté la bionda. Stava discutendo animatamente con la padrona di casa, una ragazza dai capelli scuri e di chiare origini latine. Madi l’aveva riconosciuta solo in un secondo momento. Non che avesse visto chissà quanti film e quante serie tv in cui Raven Reyes recitava, ma era comunque un’attrice piuttosto famosa. Tra lei e Clarke non sembrava scorrere buon sangue, per nulla.

“Si è introdotta in casa mia!”

“E ora se ne andrà. Come vedi, nessun problema.” ribatté Clarke. La latina alzò gli occhi al cielo. 

“Le chiedo di chiamare sua madre e mi ritrovo te davanti. Non so come vi conosciate, ma sono sicura che non sia tu ad averla partorita. Mi dispiace, ma non posso non chiamare la polizia.”

“Lo sai cosa adoro di te, Raven? La tua incredibile capacità di leggere sempre le situazioni. Davvero, spiegami come fai.”. Raven sospirò. 

“Clarke, lascia stare quanto successo tre anni fa. Non c’entra niente con tutto questo e lo sai.”

“Già, come volevasi dimostrare. Gli anni passano, ma Raven Reyes non cambia mai.” replicò Clarke. Da lontano, Madi ascoltava quella conversazione, la testa china per la vergogna. Cosa aveva fatto? E per che cosa, poi?

“E va bene, hai vinto.” cedette Raven. “Non chiamerò la polizia.”. Clarke tirò un sospiro di sollievo. 

“Grazie.” disse, per poi raggiungere Madi. “Andiamo.” esortò la ragazzina. Madi non se lo fece ripetere due volti e seguì l’attrice  all’uscita. 

“Clarke.”. La bionda si voltò. Raven la fissava con i suoi occhi color nocciola, tenendosi a debita distanza. Aveva lo sguardo triste, carico di rimpianti. 

“So che è tardi, ma volevo sapessi che mi dispiace. Mi manchi tantissimo.”. Clarke chinò il capo. Lo rialzò dopo poco. Scosse il capo.

“Hai detto bene, Rae. È tardi.”. E, presa Madi per mano, si avviò alla macchina.

 

________________

 

“Ma che diamine ti è saltato in mente? Dio, non posso crederci! E per fortuna si trattava di Raven, almeno è una persona abbastanza ragionevole!”. Madi teneva la testa china, lo sguardo fisso sul sedile della macchina. Clarke aveva tutto il diritto di essere arrabbiata con lei, ne era consapevole. L’aveva combinata grossa, lo sapeva bene. 

“Madi, sto parlando con te. Che ti è preso?” insistette l’attrice, accostando e spegnendo la macchina. “Madi?”. La ragazzina si voltò verso il finestrino. Si sentiva un tale fallimento. 

“Madi?” la richiamò Clarke. Non c’era più traccia di nervosismo nella sua voce, solo molta preoccupazione. Madi si girò lentamente, tenendo lo sguardo sempre chino. Preoccupazione. Quando mai qualcuno si era preoccupato per lei?

“Madi, ehi.”

“Mi dispiace.” mormorò la ragazzina. “Avevamo fatto una scommessa.”

“Una scommessa?” chiese Clarke, confusa. Madi annuì.

“Ero con Trish e altri miei amici. Hanno scommesso che non sarei mai riuscita a scavalcare e allora…”. Clarke era allibita. “Mi dispiace, non succederà più.”

“Lo spero.” commentò l’attrice. “Madi, non fare mai più una cosa simile. Oltretutto, pensavo fossi a Polis.” 

“I miei amici volevano vedere Beverly Hills.” spiegò la ragazzina. 

“E ora dove sono?” chiese Clarke, immaginando già la risposta. Madi scrollò le spalle. 

“Non ne ho idea. Saranno scappati.”. L’attrice si passò una mano fra i capelli, indecisa sul da farsi. Avrebbe dovuto chiamare qualcuno? O avrebbe dovuto lasciar correre? 

“Ti porto a casa.” decise, infine.

“No!”. Clarke non poté nascondere un certo turbamento. Non si aspettava di certo una reazione simile. Si voltò verso Madi. La ragazzina si schiacciò contro lo sportello della macchina, come a voler sparire. Clarke le sorrise, cercando di risultare il più rassicurante possibile. 

“Vuoi che ti porti da Lexa?” propose, sperando con tutto il cuore che accettasse. Madi ponderò l’offerta, ma fece segno di no con la testa. Non poteva pesare su Lexa. Sapeva che lei e Costia avevano litigato a causa sua e non voleva capitasse di nuovo. 

“Scusa.” mormorò. Aprì lo sportello e fece per uscire, ma Clarke la fermò, posandole una mano sulla spalla. Madi si morse il labbro. Non voleva piangere. Non voleva fare pena a nessuno.  

“Madi, guardami.”. La ragazzina scosse il capo. “Madi.” insistette Clarke. Lentamente, la ragazzina obbedì. Sperò solo che l’attrice non fosse troppo arrabbiata con lei. Con sua somma sorpresa, però, non c’era traccia di rabbia negli occhi di Clarke. L’attrice le sorrise, carezzandole la gamba. Poi, acceso il motore, partì. 

 

________________

 

“Grazie per avermi chiamata.”

“Lexa, era il minimo.” rispose Clarke. Alla fine aveva deciso di portare Madi a casa sua, nella speranza che potesse tranquillizzarsi un po’. La ragazzina era in seguito crollata sul divano, stremata. A quel punto, Clarke aveva telefonato a Lexa. Non era stata una scelta facile. Non voleva peggiorare la situazione, né agitare ulteriormente Madi, ma non poteva di certo fingere che quell’ultima ora e mezza non fosse mai esistita. Al di là dell’effrazione ai danni di Raven, che considerava davvero una bravata da niente, era stata la reazione alla sua offerta di accompagnarla a casa ad allarmarla. E Lexa doveva saperlo. 

“Dov’è ora?” 

“Sta dormendo sul divano in soggiorno.” spiegò Clarke. “Posso parlarti un secondo?“. Lexa annuì, confusa. Clarke le fece segno di restare in giardino e si chiuse la porta alle spalle. Le due si sedettero sui gradini antistanti l’ingresso, l’una accanto all’altra. Clarke poteva sentire il cuore batterle all’impazzata ed era sicura che non fosse solo per le cose che stava per dirle. Dal canto suo, anche Lexa sembrava piuttosto tesa. Clarke sospirò. Non era il momento di lasciarsi andare ai propri sentimenti. Anche perché lei non provava nulla per Lexa. O, almeno, non avrebbe dovuto provare nulla. Al diavolo, imprecò fra sé, alzandosi in piedi. Si massaggiò il collo, con fare nervoso.

“Clarke?” Lexa la richiamò. Cominciava ad agitarsi, non capendo cosa stesse succedendo. Clarke prese un respiro profondo. 

“Ho impedito a Raven di chiamare la polizia.” esordì. Lexa corrugò la fronte, sempre più confusa.

“Non… Non capisco.” mormorò.

“Lei e i suoi amici hanno scommesso sulle sue capacità di effrazione. Peccato che si trattasse della villa di Raven. Dio, è stato così imbarazzante.”. Lexa non poteva credere alle sue orecchie. Quella ragazzina porta solo guai, le parole di Costia risuonarono chiare nella sua mente. 

“Chiamo sua madre.” asserì, prendendo il telefono dalla tasca dei jeans. Clarke le fece segno di no con il capo, prendendole la mano fra le sue. Quel contatto inaspettato fece sussultare entrambe. Lexa alzò lo sguardo. Un’onda blu la investì di colpo, mozzandole il respiro. Aprì la bocca per dire qualcosa, me ne uscì solo un suono strozzato. Clarke si morse il labbro. Doveva concentrarsi. Erano lì per Madi, nient’altro. 

“L-Lex…” mormorò. “Ecco, non… Io penso che qualcosa non vada.”. Lexa ritrasse la mano e guardò Clarke. 

“Beh, si è introdotta nella villa di una persona a lei sconosciuta, direi che sì, c’è ben più di qualcosa che non va.” 

“No, Lexa.” ribatté Clarke. “Non intendevo questo. Quando le ho proposto di accompagnarla a casa sua, ha reagito malissimo. Era nel panico, Lex. Non mi piace, per niente.”. Lexa sospirò.

“Clarke, io non posso, te l’ho già detto. Non fraintendermi, tengo a Madi, ma non ho né la capacità, né la possibilità di aiutarla.”. La bionda annuì e si sedette nuovamente accanto a lei. Prese un sassolino da terra e lo lanciò sul prato.

“Questa mattina mi sono vista con la sua insegnante.“ raccontò Lexa. “Lei, tu, Anya, mi state chiedendo di fare qualcosa che va al di là delle mie capacità. Non sono la sua tutrice legale, solo una persona da cui va a dormire ogni tanto. E, anche se Ontari non lo ammetterà mai, so benissimo che è felice che ci sia io a mettere un tetto sulla testa di sua figlia almeno due volte al mese.”

“Pensavo ti odiasse.” osservò Clarke. 

“Mi odia fino a quando non le serve qualcuno a cui lasciare la figlia quando ha da fare. E, tuttavia, non mi lascerebbe mai Madi. Andiamo, è pur sempre sua figlia. Inoltre, non credo di essere in grado di badare ad un’adolescente.”. Clarke le accarezzò il braccio, quasi senza accorgersene. Il suo tocco era così diverso da quello di Costia. Era rassicurante, lenitivo, salvifico. Clarke era un porto sicuro, lo era sempre stato. Lexa chinò lo sguardo. Doveva allontanarla. Doveva respingerla. Non poteva permettersi di rientrare così prepotentemente nella sua vita. Eppure, non riusciva a farne a meno.

“Lexa.”. Alzò lo sguardo. Di nuovo quel blu. 

“Non penso che forzarti a fare qualcosa per cui non ti senti pronta sia la soluzione giusta.”. Lexa si chiese se Clarke stesse parlando solo di Madi. “Ma credo che ti sottovaluti. In ogni caso, pensavo fosse corretto avvisarti.”

“E ti sono grata per questo.” Lexa ringraziò, passandosi una mano fra i capelli. Tra le due calò un silenzio quasi irreale. Entrambe non osavano aprire bocca, terrorizzate dall’idea di dire o fare la cosa sbagliata. All’improvviso la porta si aprì, distruggendo quella bolla creatasi intorno a loro due. Si voltarono. Madi le fissava, impietrita. Lexa si alzò in piedi e avanzò verso la ragazzina che, invece, fece un passo indietro, fino ad addossarsi alla porta. 

“Vieni.” si limitò a dire Lexa. “Andiamo a casa.”

 

________________

 

“Non sei arrabbiata?” Madi chiese dal nulla. Erano arrivate a casa di Lexa da una mezz’ora buona e non avevano ancora parlato di quanto successo. L’attrice sospirò e si sedette accanto alla ragazzina. 

“Sono felice che si sia risolto tutto senza l’intervento della polizia.” dichiarò. “L’importante è che non fai più una sciocchezza simile.”. Madi annuì. Di tutte le risposte possibili, quella era l’ultima che si sarebbe mai aspettata. 

“Sai, io e Clarke abbiamo recitato nella stessa serie tv per un po’. Una sera è riuscita a convincermi ad uscire con lei e Raven e beh, non so ancora come sia stato possibile, ma ci siamo ritrovate nella jacuzzi di un completo sconosciuto. Octavia ha dovuto trattare con la polizia per non farci arrestare.”. Lexa realizzò solo in un secondo momento di avere gli occhi lucidi. Le mancavano quei momenti trascorsi in serenità. 

“Tu e Clarke eravate molto legate?” chiese Madi. Lexa per poco non si strozzò con la saliva. 

“Sì.” rispose, laconica. 

“E poi?”. Già, e poi? E poi l’ho sedotta e abbandonata, pensò fra sé e sé. 

“E poi ho fatto degli errori, Madi. Errori a cui non posso rimediare. Ho rovinato tutto e, in un certo senso, è anche colpa mia se Raven e Clarke non sono più in buoni rapporti.”. Madi avrebbe voluto fare altre domande, ma decise di lasciar perdere, intuendo che doveva essere un argomento delicato. Si alzò dal divano e si avviò alla porta. 

“Dove vai?” domandò Lexa.

“A casa. È tardi e ho già disturbato abbastanza, Anya arriverà a momenti con gli altri e…”

“Resta.”. Madi sgranò gli occhi, incredula. Restare. Nessuno le aveva mai chiesto di restare.

“Ma Costia… E…” balbettò. Lexa la raggiunse e le sistemò con dolcezza una ciocca di capelli dietro all’orecchio. 

“Costia non c’è. E, comunque, con lei me la vedo io.”. Restare. Lexa le aveva chiesto di restare. E Madi non poté fare a meno di cedere, per l’ennesima volta quel giorno. 

 

________________

 

Clarke stava per andare a letto, quando il telefono squillò. Lexa. Non ci pensò su due volte e rispose. 

“Pronto? Tutto bene?” domandò, allarmata. 

“Sì, tutto benissimo.” la rassicurò Lexa. 

“Madi?” chiese Clarke. 

“È rimasta da me, sta dormendo ora. Volevo… Volevo ringraziarti. Per oggi, intendo. Sì, per avermi chiamata.”

“Ho fatto solo ciò che ritenevo giusto, Lexa.” rispose Clarke. Silenzio, di nuovo. Lexa sospirò. 

“Clarke, io… Mi dispiace, per tutto.”. La bionda sussultò. Non si aspettava di certo una simile confessione. 

“Lex…”

“Se potessi tornare indietro io… Ma non posso.”

“Lo so.” disse Clarke. “Ma non importa. Ci sono comunque, Lex. Te l’ho promesso.”. Clarke sentì Lexa singhiozzare. Stava piangendo. Avrebbe voluto correre da lei e stringerla a sé, ma non poteva, lo sapeva bene.

“Perché, Clarke? Perché mi stai aiutando?”. La bionda sentì un nodo in gola. Perché ti amo, avrebbe voluto rispondere. 

“Perché ti voglio bene.” dichiarò. “E perché te l’ho promesso tre anni fa, ci sarò sempre per te.”. Silenzio, di nuovo. “Lexa?”

“Sì, io… Buonanotte, Clarke.”

“Buonanotte.” mormorò la bionda. Sentì il click del telefono, segno che Lexa aveva attaccato. Prese un respiro profondo e si sedette sulla prima sedia che trovò. Sentì le lacrime bagnarle le guance prima e invaderle la bocca poi. Ne aveva abbastanza di tutte quelle bugie. Aveva bisogno di Lexa nella sua vita, quella era la verità. Non poteva più mentire a sé stessa, lei amava Lexa Woods. E la consapevolezza di non essere mai stata più spaventata di così la colpì più forte di un pugno allo stomaco.






Angolo dell'autrice 

Dunque, tanta carne al fuoco. Finalmente incontriamo di nuovo Raven, anche se il suo rapporto con Clarke è sempre più teso. Poi c'è Madi, che avrebbe solo bisogno di qualcuno che la protegga e la aiuti ad andare via da Polis. Infine, ci sono Lexa e Clarke. Se la prima è ancora molto bloccata (anche se sta iniziando a comprendere il ruolo che potrebbe avere nella vita di Madi), la seconda è già arrivata al punto di non ritorno. In fin dei conti, certi sentimenti non è possibile seppellirli per sempre. 
Che dire, spero vi stia piacendo. Se vi va, una recensione mi fa sempre piacere, anche per sapere come sto scrivendo e se la storia vi sta convincendo.
Grazie mille per leggere e a chi commenta. Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10.Better With You ***


10.

 

Have a lot of regrets, but there's still a lot of things I miss
[…]
Can honestly say that I'm better with you
(Ollie feat. Aleesia-Better With You)

 

 

“Aden, come è andata a scuola?” chiese Lexa. Il ragazzino era appena rientrato a casa e aveva l’aria esausta.

“Abbastanza bene, ma è stato stancante.” rispose. “Tu? Tutto bene? Hai parlato di nuovo con Titus?”. Lexa si voltò a guardare Ethan. Il bambino era in braccio a lei e si divertiva a tirarle i capelli e le guance. L’attrice gli sorrise e gli baciò la punta del naso, per poi girarsi verso Aden. 

“No, niente Titus. Ho passato la giornata con Ethan e direi che è andata bene. Adria è di sopra che dorme, non ho idea di cosa facciano all’asilo, ma deve essere stancante.” spiegò Lexa. Aden annuì, lasciandosi sfuggire un sorriso divertito al pensiero di sua sorella. Si tolse le scarpe e, dopo essersi lavato le mani, andò in cucina. Prese una mela dal frigorifero e tornò in soggiorno, addentandola di tanto in tanto. 

“Madi?” domandò.

“Non ne ho idea. Stamattina deve essersi alzata mentre stavo accompagnando Adria all’asilo, quando sono tornata non c’era più. Ho provato a chiamarla, ma non ha risposto.” spiegò Lexa.

“Pensi che sia tornata a casa sua?“. L’attrice scrollò le spalle.

“Mi auguro di sì, non vorrei saperla vagare per Los Angeles.”. Aden chinò lo sguardo, sconsolato. Lui e Madi non avevano un rapporto profondo, si conoscevano troppo poco. Oltretutto, entrambi erano rimasti sconvolti dall’apprendere l’uno l’esistenza dell’altra. Al tempo stesso, però, il ragazzino era un attento osservatore e aveva notato quanto la sorella fosse a disagio ogni volta che doveva tornare a Polis. In cuor suo, sperava che, per una volta, decidesse di restare. Lo squillare del telefono di Lexa lo distolse dai propri pensieri. L’attrice gli chiese con lo sguardo di tenere Ethan e si apprestò a rispondere. Il bambino scrutò il fratello stranito da quel cambio di persona. Aden gli carezzò i capelli e lo cullò con dolcezza, gli occhi fissi su Lexa. 

“Clarke? Non mi aspettavo una tua telefonata.”

“Nemmeno io.” dichiarò Clarke, ridendo. “Ma Octavia ha insistito. Ti va di andare a cena da lei, stasera?”. Per un attimo, Lexa temette di avere un infarto. 

“Clarke, io non… Insomma, io…” balbettò.

“L’idea è stata di Octavia. Mi ha chiesto di chiamarti solo perché ha perso il tuo numero.” spiegò Clarke. “Saremo solo io, te, Octavia e Lincoln, il suo fidanzato. Oh, e i ragazzi, naturalmente.”. Lexa era senza parole. Un simile invito era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di ricevere quel giorno. 

“Beh, io… E Ethan, lui è… Insomma…”

“Non ti preoccupare per lui, una soluzione la troviamo.” la rassicurò Clarke. Lexa si massaggiò il collo, indecisa sul da farsi. Da un lato, la proposta di Clarke la terrorizzava, non voleva farsi vedere da altre persone in quello stato di estrema difficoltà. Dall’altro, però, l’idea di uscire a cena la allettava parecchio. In fin dei conti, era da oltre un mese che non si concedeva una serata tranquilla. 

“Clarke, io… E va bene, dì pure ad Octavia che verremo.” cedette. “Io, Aden, Adria ed Ethan saremo lì per le sette, va bene?”

“Più che bene.” confermò Clarke. Lexa poté notare una nota di delusione nella sua voce. Si chiese se fosse per l’assenza di Madi. 

“Allora, a dopo.”

“A dopo.” mormorò Lexa, chiudendo la chiamata. Si sedette sul divano, sconvolta da quello che era appena accaduto. Aveva davvero accettato un invito a cena.  

“Lexa, tutto bene?” chiese Aden, preoccupato. 

“Sì.” rispose l’attrice, voltandosi verso di lui. “Credo proprio di sì.”.

 

________________

 

“Lexa, che piacere vederti!” la accolse Octavia. “Accomodatevi, prego.”. 

“Clarke!” esclamò Adria non appena vide la bionda. Le corse incontro e le circondò il bacino, sostenendosi sulle punte dei piedi. Lexa si lasciò sfuggire un sorriso a quella scena. Clarke ci sapeva proprio fare con quei ragazzi, sicuramente molto più di lei. Sospirò. La manina di Ethan le tirò i capelli, riportandola alla realtà. 

“Lexa, lui è Lincoln.” Octavia le presentò il suo ragazzo. Lexa gli strinse la mano, pregando che Ethan non si abbandonasse ad uno dei suoi rigurgiti selettivi. Lincoln doveva avere suppergiù la sua età. Era un uomo atletico e aveva l’aria simpatica. 

“È un onore.” ricambiò la stretta lui, un sorriso carico di emozione dipinto in volto. 

“Bene signori, è pronto!” esclamò Octavia. Si sedettero tutti a tavola e Lexa si sentì mancare non appena realizzò che la padrona di casa aveva fatto accomodare Clarke accanto a lei. Fortunatamente, Adria decise di sedersi fra le due attrici, obbligandole a risistemare stoviglie e posate e salvandole dall’imbarazzo. 

“Spero che l’arrosto con le patate possa andare bene a tutti.” asserì Octavia, portando la cena a tavola. Servì i suoi ospiti e li invitò a cominciare a mangiare. 

“Me la tagli?” Adria chiese a Lexa. L’attrice annuì e aiutò la bambina con la sua cena, mentre accanto a lei, seduto su un seggiolone recuperato all’ultimo, Ethan si divertiva a fare bolle di saliva e a produrre versi incomprensibili.

“Dunque Lexa, sei il motivo per cui ultimamente vedermi con Clarke è stato seriamente difficile, lo sai?” esordì Octavia, ridacchiando.

“Oh, io…” balbettò Lexa, con fare colpevole. 

“O!” Clarke rimproverò l’amica.

“Lexa, stavo scherzando.” rassicurò tutti Octavia. “Anzi, sono contenta che ti stia aiutando. Per quel che vale, sappi che puoi contare anche su di me.”

“Grazie O, lo apprezzo.” rispose l’attrice del Massachusetts. “E grazie anche per stasera, non mi aspettavo un invito.”

“Ho pensato che una serata in compagnia potesse farti piacere.”. Lexa sorrise. Guardò di sottecchi Clarke, che era intenta ad aiutare Adria a pulirsi la bocca. Si morse il labbro. Quella bambina sembrava adorare la bionda e, in fin dei conti, come poteva darle torto. Sospirò e si voltò verso Lincoln. Aveva bisogno di pensare ad altro.

“Beh, Octavia e Clarke le conosco, ma di te non so praticamente niente.” esordì. 

“Giusto. Beh, cosa posso dire? Sono una persona normale che non sa nulla di cinema, nonostante la sua ragazza sia un’attrice. Sono il vice allenatore delle Beverly Storms, la squadra di basket femminile della Beverly Sky High. Certo, avrei preferito diventare un giocatore professionista, ma non mi lamento.” spiegò Lincoln. “Infortunio al ginocchio. Ero considerato uno dei prospetti più interessanti dell’NCAA, con più chance di arrivare in NBA. Ma a quanto pare il destino aveva altro in mente. Non ho rimpianti, ho fatto tutto quello che potevo per recuperare e, alla fine, mi sono dovuto arrendere alla realtà. Ho studiato per diventare allenatore e sono felice così.”. Lexa aveva ascoltato in silenzio il racconto di Lincoln. Aveva un nodo in gola. Arrendersi alla realtà, forse avrebbe dovuto farlo anche lei. Scosse il capo. No, non poteva. Si voltò verso Aden. Il ragazzino aveva il cellulare in mano e sembrava completamente alienato dalla cena. 

“Aden.” lo chiamò, senza ottenere risposta alcuna. “Aden!”. Finalmente, il ragazzino distolse lo sguardo dal telefono. “Mettilo via, su.”

“Scusami, è che stavo…”. Non fece in tempo a finire la frase, che qualcuno suonò il campanello. 

“Aspettavi qualcuno?” Clarke chiese a Octavia, che fece segno di no col capo. Si alzò e andò alla porta. Aprì. 

“O, chi è?” domandò Clarke, allarmata. Octavia era impietrita. Lexa si alzò prontamente e la raggiunse. Sgranò gli occhi. 

“Madi?”.

 

________________

 

“Sì, capisco. No, nessun problema. Le parlerò e troveremo una soluzione. Certo, naturalmente. Va bene, allora siamo d’accordo. Buona serata.”. Lexa sbuffò, stremata. Telefonare ad Ontari era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare quella sera, ma non aveva avuto scelta. Madi si era presentata lì dal nulla, sostenendo che la madre fosse partita per lavoro, che non aveva altro posto dove andare e che era stato Aden a mandarle l’indirizzo di Octavia. Il ragazzino aveva confermato e Lexa aveva dovuto far leva su tutto il suo autocontrollo per non rimproverarlo pesantemente davanti a tutti. 

“Tutto bene?” le domandò Clarke, Ethan in braccio. 

“Ontari è effettivamente in giro per lavoro, o così dice, almeno. Quello che non capisco è perché Madi sia venuta proprio da me. Soprattutto, non riesco proprio a comprendere perché stamattina non mi abbia detto nulla.” spiegò Lexa, appoggiandosi al muro. In braccio a Clarke, Ethan non la smetteva di muoversi e agitarsi. La bionda cominciò a cullarlo dolcemente, cercando di calmarlo. 

“Non so cosa fare, Clarke.” ammise Lexa. “Come mi devo comportare? Cosa devo… Cosa devo…”

“Nulla, Lex.”. Lexa alzò lo sguardo, confusa. Si pentì immediatamente di quel gesto. Il suo verde si specchiò nel profondo blu di Clarke, mozzandole il respiro. 

“Nulla che tu non ti senta di fare.” continuò la bionda, che dovette chiamare a raccolta tutte le proprie forze per non cedere a quegli occhi smeraldini che aveva di fronte. “Non credo esista la risposta giusta, Lexa. Sono certa però che quello che è meglio per te, sarà anche il meglio per Madi. E, in ogni caso, ricordati che non sarai sola, qualunque decisione tu prenda.”. Lexa si lasciò sfuggire un timido sorriso. Le parole di Clarke erano così rassicuranti. La presenza di Clarke era così rassicurante. Clarke, lei era così rassicurante. 

“Grazie.” mormorò la mora, con un filo di voce. Si voltò. Octavia e Lincoln stavano intrattenendo Adria ed Aden, mentre Madi era seduta in un angolino del soggiorno, uno zainetto in braccio e la gamba sinistra che faceva su e giù per la tensione. Lexa sospirò. Se Costia fosse stata lì, le avrebbe detto di lasciare perdere e di rispedire la ragazzina a Polis. Ma Costia non era lì. Ripensò alle parole di Clarke. No, non aveva idea di quale fosse il meglio per sé stessa, non del tutto almeno. Ma il bene di Madi, quello sì che sapeva qual era. E che Dio la fulminasse se avesse provato ad ignorarlo. 

 

________________

 

“Ti prego, non puoi fare finta di niente? Non chiamarla!” supplicò Madi. Lexa aveva ceduto e l’aveva portata a casa sua. Clarke era arrivata poco dopo, per poter aiutare la mora a mettere a dormire i ragazzi e a gestire quella situazione che stava diventando sempre più complicata, minuto dopo minuto. Lexa era consapevole di dover telefonare a Diana Sydney, l’assistente sociale di Madi. Per quanto quella donna non le piacesse nemmeno un po’, era conscia di doverla avvisare del fatto che Ontari fosse partita per chissà dove, abbandonando la figlia a sé stessa.

“Madi, non posso.” rispose l’attrice. “Lo sai. Stamattina mi hai detto che saresti andata a casa tua e ora sei qui, che sostieni che a casa tua non puoi starci. Se non telefono, rischiamo grosso entrambe.”

“Mia mamma non ha fatto niente di sbagliato. Sono io che mi sono dimenticata che sarebbe partita. È la verità!” ribatté la ragazzina. 

“Perché sei qui, Madi?” domandò Lexa, improvvisamente. “Perché?“. La ragazzina distolse lo sguardo. 

“Madi.” insistette Lexa, con fermezza. 

“Lex…” Clarke provò ad addolcirla, ma la mora le fece segno di lasciarla fare.

“Sto aspettando. Dubito che io sia la prima persona che ti venga in mente in situazioni del genere.”

“Lexa…” Clarke la richiamò, notando che Madi stava per scoppiare a piangere. La ragazzina teneva il capo chino, gli occhi fissi sul pavimento.

“Clarke, non ora.”

“E va bene.” sbottò Madi. “Sarei dovuta andare da Trish, ma quando sono arrivata a casa sua c’era la polizia che la stava arrestando. Sei contenta, adesso?”. Lexa aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì ad articolare alcuna frase di senso compiuto. “Sai che ti dico? Fa nulla, ora raccolgo le mie cose e tolgo il disturbo. Telefona pure alla Sidney, non mi interessa.”. La ragazzina prese il suo zaino e se lo mise in spalla, per poi avviarsi alla porta.

Clarke, che aveva osservato la scena da spettatrice fino a quel momento, non ci pensò su due volte e la rincorse. Madi era già arrivata al cancello, quando sentì qualcuno fermarla, strattonandola per il braccio. Si voltò. Clarke le circondò il volto con le mani, carezzandoglielo con dolcezza. Madi non riuscì a trattenersi oltre. Scoppiò a piangere e Clarke la strinse a sé, permettendole di sfogarsi. Lexa le osservava dall’ingresso, in silenzio. La bionda le fece segno col capo che andava tutto bene e le sorrise. E Lexa non poté essere più grata di così della presenza di Clarke. 

 

________________

 

“Si è addormentata.” disse Clarke, scendendo per le scale. Lexa annuì. Era seduta sul divano, pensierosa. Clarke le si sedette accanto e si scrocchiò le mani, in modo plateale. 

“Ho telefonato a Diana Sidney.” esordì Lexa, senza guardare la bionda in faccia.

“L’assistente sociale?”

“Già.” confermò la mora. “Le ho detto semplicemente che Ontari è dovuta partire e che Madi si trova qui. Sai, nel caso di controlli.”. Clarke non disse nulla, intuendo che Lexa volesse aggiungere altro. “Lei mi ha assicurato che non ci sono problemi. Solo, mi ha chiesto come mai Madi non ha chiesto al compagno di sua madre e ora me lo sto domandando anche io. E sai, credo di non voler conoscere la risposta.”

“Lexa…”

“No, Clarke!” la mora non la lasciò parlare. “Quando mi ha detto della sua amica io… Dio, non mi ero mai resa conto di come… Ma dov’ero, accidenti?”. Clarke le prese le mani fra le sue, costringendola a guardarla negli occhi. Lexa non avrebbe mai pensato di poter trovare la pace in un semplice sguardo. Eppure, le iridi blu di Clarke erano capaci di spegnere ogni pensiero negativo. 

“Eri qui, come lo sei ora. E lei lo sa, Lex. Ecco perché è venuta da te.”. Lexa si morse forte il labbro. Fece appello a tutte le sue forze per non lasciarsi andare a qualche gesto di cui poi si sarebbe potuta pentire. 

“Grazie.” sussurrò. Clarke le sorrise. Si scostò e si schiarì la voce.

“Beh, allora io vado.” disse poi, alzandosi dal divano.

“Resta.” la implorò Lexa, nemmeno lei seppe perché. O forse sì. 

“Lex, io non…”

“Resta.” insistette Lexa, le lacrime agli occhi. E Clarke non poté fare altro che cedere.




Angolo dell'autrice 

Eccomi di nuovo. Direi che questo capitolo è un bel punto di svolta, sia per Madi, sia per Lexa. Direi soprattutto per quest'ultima. Non solo ha deciso di portare Madi a casa sua, ma ha chiesto a Clarke di restare. Insomma, il loro rapporto sta decisamente evolvendo.
Grazie mille per leggere e recensire, leggere i vostri pareri mi fa sempre piacere.

Alla prossima!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 11.The Things I Didn’t Say ***


11.

 

If I could only turn back time and say the things
I didn’t say
(Adeline Hill-The Things I Didn’t Say)

 

 

 

Lexa aprì gli occhi piano, abituandosi poco a poco alla luce che filtrava dalle finestre. Sentì una pressione sull’addome e abbassò lo sguardo. Sobbalzò. Solo in quel momento realizzò di non essere né nel suo letto, né da sola. Lei e Clarke dovevano essersi addormentate sul divano senza accorgersene. Si voltò a guardarla. Stava ancora dormendo beatamente e sembrava così serena. Lexa sospirò. Ripensò a quell’unica notte che avevano passato assieme, tre anni prima. Non c’era giorno che non  si chiedesse cosa ne sarebbe stato di loro se non fosse fuggita via.

“Non te l’hanno mai detto che fissare è maleducazione, Woods?” biascicò Clarke, che doveva essersi svegliata da pochi secondi.

“Non sto fissando.” negò Lexa.

“Sì invece.”

“E come fai a saperlo, se hai gli occhi ancora chiusi?” provò a difendersi Lexa. Clarke si rigirò sul dorso, stando attenta a non urtare l’attrice del Massachusetts.

“Io so sempre tutto, Woods.” dichiarò, schiudendo gli occhi a poco a poco. Lexa non poté fare altro che lasciarsi travolgere da quelle iridi blu così piene di vita e di intensità. Le sembrò che il tempo si fosse fermato e che il mondo intero fosse svanito nel nulla. C’era solo quel blu, nient’altro.

“Clarke, io…” 

“Ben svegliate, dormiglione!”. Le due attrici sobbalzarono. Per lo spavento, Lexa si ritrovò per terra, sul pavimento. Alzò lo sguardo. Anya la fissava ridendo, divertita da quella scena. 

“Complimenti Lexa, bel volo.“ esordì. “Oh, ciao Clarke.” salutò poi la bionda, che rispose con un cenno della mano carico di disagio. “Dormito bene?”

“Anya!”

“Lex, che ho detto di male? Volevo solo sapere se…”

“Mai riposato meglio, grazie Anya.” Clarke andò in soccorso di Lexa, che la ringraziò con lo sguardo. “Ora scusate, andrei in bagno un momento.”

“Nessun problema.” mormorò Lexa. Lei e Anya osservarono Clarke sparire in corridoio, in silenzio. Non appena sentì la porta del bagno chiudersi, Anya si voltò verso l’amica, un ghigno divertito dipinto in volto. 

“Smettila!” sbottò Lexa.

“Hai le orecchie rosse.” constatò Anya, ignorando completamente i tentativi dell’amica di porre fine a quell’imbarazzante momento. 

“An, ti ho detto di finirla.”. Anya alzò gli occhi al cielo, fingendosi offesa. “Eravamo semplicemente stanche ieri sera, tutto qui.”. Anya fissò l’amica, lo sguardo carico di giudizio. “È la verità! Dopo tutto quello che è successo ieri con…”. Lexa non finì la frase. Madi. Fece per schizzare a controllare se fosse ancora in casa, ma Anya la fermò.

“Madi è in cucina che sta facendo colazione, se é quello che vuoi sapere. Aden e Adria sono a scuola e Ethan è con sua sorella, sul seggiolone. Tutto sotto controllo, come puoi vedere.”

“Ma che ore sono?” domandò Lexa, sempre più confusa. 

“Le dieci e mezza. Dovevate essere proprio stanche ieri sera, nemmeno Adria è riuscita a svegliarvi.”. Lexa si passò una mano fra i capelli. Sospirò e si lasciò cadere sul divano. 

“Grazie.” disse poi, rivolta ad Anya. 

“Figurati, quando vuoi.” rispose Anya. “Però adesso voglio davvero sapere come avete dorm-…”

“An!”

 

________________

 

 

Madi si stava decisamente annoiando. Anya era dovuta correre agli studi e i suoi fratelli erano a scuola. In casa erano rimaste solo Clarke, che era però intenta a badare ad Ethan, e Lexa, che stava esaminando un copione inviatole da Titus. Madi sospirò. Prese il suo zainetto e lo aprì, estraendone un pallone da basket. Si mise a giochicchiare con la palla, seduta per terra. Sbadigliò. Ripensò alla serata precedente e a Trish. Non era di certo la prima volta che la pizzicavano in attività illegali. Sentì il cellulare vibrare. Artigas, uno dei suoi amici, le aveva scritto. Lesse il messaggio e imprecò. Trish era ancora dentro e rischiava grosso. 

“Cazzo!” urlò, lanciando il pallone contro una sedia. Clarke e Lexa irruppero tempestivamente in camera, preoccupate.

“Madi, tutto bene?” le chiese la bionda.

“Sì, io… Scusa, non volevo spaventarvi.” le rassicurò la ragazzina, alzandosi in piedi e recuperando il pallone. 

“Madi, non…” provò a dire Lexa, ma Madi la interruppe immediatamente.

“Non si gioca in casa, hai ragione. Vado fuori.” tagliò corto, uscendo dalla stanza con il pallone sottobraccio. Clarke fece per fermarla, ma Lexa l’anticipò, afferrando la ragazzina per il polso. Madi si irrigidì e l’attrice mollò immediatamente la presa. 

“Scusa.” mormorò. “Ma non volevo rimproverarti. Anzi, io… Mi dispiace, okay? Soprattutto per ieri, non mi sono comportata per niente bene nei tuoi confronti.”. Madi ascoltava con diffidenza l’attrice. Non capiva dove Lexa stesse andando a parare. Chinò lo sguardo, ma la donna la costrinse a rialzarlo. 

“Madi, sono felice che tu sia venuta da me ieri sera. La porta è sempre aperta per te, è una promessa.”. La ragazzina si morse forte il labbro e annuì. Lexa le carezzò i capelli, con affetto. Dietro di lei, appoggiata al muro, Clarke osservava quella scena, un sorriso dipinto in volto. Fra le sue braccia, Ethan balbettava versi incomprensibili, che attirarono ben presto l’attenzione di Lexa e Madi. La ragazzina non si era mai sentita così fuori luogo. Si era pentita di essere corsa da Lexa. Le aveva mentito. Ontari non l’aveva mai avvertita di dover partire. Madi non riusciva nemmeno ad immaginare che razza di lavoro stesse svolgendo in quel momento sua madre. Droga, soldi falsi, esseri umani, Ontari poteva essere coinvolta in qualsiasi traffico. Quando era tornata a casa da scuola e aveva trovato Gloomy ad attenderla, Madi aveva immediatamente capito che qualcosa non quadrava. La prospettiva di passare chissà quanti giorni con quel pazzo non le aveva lasciato molta scelta. E l’arresto di Trish l’aveva costretta ad andare da Lexa. Del suo gruppo di amici, era l’unica che la polizia non stesse cercando. Volare basso era l’unico modo per evitare che i servizi sociali la togliessero a sua madre. A volte Madi si chiedeva se ad Ontari importasse davvero qualcosa di lei. Si rispondeva che doveva essere per forza così, in fondo erano madre e figlia. La verità era che non ne aveva assolutamente la certezza. E, forse, non l’avrebbe mai avuta. Guardò Lexa e Clarke giocare con Ethan e un’immane tristezza la pervase. Per quanto l’attrice potesse prometterle che la porta sarebbe stata sempre aperta per lei, Madi era consapevole che la sua vita non sarebbe mai potuta essere quella. Le persone come lei potevano solo fingere di fuggire dal proprio destino. Poteva solo fingere di evadere da Polis, nulla di più. Doveva smettere di illudersi che una possibilità per lei potesse esistere. E avrebbe solo voluto che anche Lexa e Clarke lo capissero in fretta. 

“Io… Io vado fuori.” annunciò. Scese le scale di corsa, il pallone fra le mani. Anya aveva fatto montare un canestro in giardino e Madi aveva bisogno di perdersi nell’abbraccio carico di conforto che solo il basket sapeva donarle. Un tiro. Canestro. Un altro tiro. Un altro canestro. I pensieri che uno alla volta sparivano, spazzati via dal suono così familiare della palla che si insaccava nella retina.

“Passa.”. Madi si voltò. Lexa la guardava, le braccia tese in avanti pronte a ricevere la palla. La ragazzina scrollò le spalle e le passò il pallone. Lexa lo afferrò e tirò, segnando. 

“Wow.” commentò Madi, sorpresa da quel canestro. 

“Vengo da Boston, sono cresciuta al Garden. Mio zio mi portava a vedere i Celtics giocare ogni volta che poteva.” spiegò l’attrice. 

“E poi? Voglio dire, non sembri questa gran tifosa. Clarke è ossessionata dai Lakers, ma tu, beh, non parli mai di sport. A dire il vero, non parli mai di quello che ti piace.”. Madi disse le ultime parole a voce bassissima, temendo una brutta reazione di Lexa. L’attrice sospirò. Fece rimbalzare il pallone un paio di volte e poi tirò. Colpì il ferro e fece una smorfia, stizzita. 

“Beh, poi mio zio è morto.”. 

“Lexa, mi dispiace, io non…”

“È tutto okay, Madi.” la rassicurò l’attrice. “È stato molto tempo fa. È solo che… Vedi, a volte è così spaventoso parlare di quello che ci rende felici. Lo rende reale, troppo reale. La paura che possa sparire è così forte che mozza il respiro.”. Madi non era sicura che Lexa stesse parlando solo della sua passione per il basket, ma non le fece domande. Si sedette per terra, pensierosa. Capiva cosa stava dicendo Lexa. Provava lo stesso. L’attrice si sedette accanto a lei, in silenzio. La guardò, con tenerezza. 

“Vorrei solo non avere più paura.” confessò Madi. 

“Lo so.” rispose Lexa. “Anche io.”.

 

 

________________

 

 

“Clarke, guarda!” esclamò Adria, sventolando un foglio. Clarke lo prese lo osservò con attenzione. 

“È un disegno bellissimo.” si complimentò l’attrice. “Sei molto brava.”. Adria si dondolò sulle punte dei piedi, compiaciuta e felice per quelle parole. L’attrice le carezzò il capo e le schioccò un bacio in fronte.

“Vado a farne un altro.” annunciò la bambina, per poi correre dall’altra parte del soggiorno e rimettersi al lavoro, sotto lo sguardo vigile di Clarke.

“Sei brava con lei.” constatò Aden, che era seduto sul divano. “E anche con Ethan.” aggiunse, indicando il fratellino accanto a lui. Clarke si accomodò una ciocca di capelli dietro all’orecchio e si sistemò vicino al bambino. 

“Non è difficile stare con voi.” dichiarò. Era sincera. Adorava passare il tempo con loro. In quelle poche settimane si era affezionata incredibilmente a quei ragazzi, nemmeno lei sapeva bene perché. Certo, spendere le giornate con loro le forniva una scusa per stare con Lexa, ma non era quello il punto. Aden, Adria, Ethan e anche Madi la facevano sentire viva, utile, con uno scopo. Da quando aveva lasciato Finn, le sue giornate erano state così vuote. Non lo aveva mai realmente amato, di questo era consapevole. Eppure, sapere di non essere stata abbastanza per lui, di non valere niente ai suoi occhi, l’aveva distrutta. Pensò a Lexa, a quella mattina di tre anni prima. In fondo, anche lei l’aveva usata e poi gettata via. Scosse il capo. No, Lexa e Finn non erano uguali, ne era sicura. C’era qualcosa nella mora, nei suoi occhi, una tristezza atavica, un senso di colpa onnipresente e viscerale. Clarke avrebbe tanto voluto sapere cosa la tormentava in quel modo e liberarla di ogni peso di cui si era caricata. Eppure, Lexa non lo avrebbe mai permesso. Era sempre così sfuggente, soprattutto nei suoi confronti, come se la temesse terribilmente. No, Lexa non era come Finn. Clarke ne era certa.

“È vero quello che si dice? Che stavate insieme tu e Lexa?” Aden chiese all’improvviso e Clarke per poco non si strozzò con la saliva. 

“Dove l’hai letto?”. Il ragazzino scrollò le spalle. 

“Beh, su internet è pieno di articoli su voi due.” spiegò. Clarke si picchiettò il naso, in cerca delle parole giuste da usare. In fin dei conti, nemmeno lei conosceva la risposta a quella domanda. Lei e Lexa cosa erano state tre anni prima? Che cosa aveva significato per loro quella notte passata insieme? Che cosa era stato per Lexa quel momento? Clarke non ne aveva la minima idea e il non sapere la stava erodendo.

“No, noi due eravamo solo amiche, Aden.” disse, infine. “Solo amiche.”. Aden non sembrava per niente convinto. 

“A te lei piace, però. Insomma, ho visto come la guardi. Non sono cieco, Clarke.”

“Io… Aden, no. E poi Lexa ha Costia e…”. Già, Costia. Clarke detestava quella donna. Il modo in cui trattava Lexa era animalesco, del tutto privo di cura  e amore nei suoi confronti. Clarke avrebbe voluto avere il coraggio per affrontarla e farla smettere. Lexa meritava di essere felice e di avere al suo fianco una persona che la valorizzasse, che la amasse realmente. Clarke guardò Aden. Il ragazzino fissava il muro, triste.

“Mi mancano.” mormorò. Clarke sentì il cuore stringersi nel suo petto. Aden stava parlando dei suoi genitori, era evidente. Non ci pensò su due volte. Lo abbracciò, cullandolo dolcemente. E quando sentì le lacrime di Aden bagnarle la camicia, realizzò la verità. Avrebbe dato tutto, di nuovo. Semplicemente, non più solo per Lexa.

 

________________

 

“Devo trovare qualcuno che mi aiuti con la casa.” osservò Lexa. I ragazzi erano andati a dormire e lei aveva finito di riordinare la cucina, aiutata da Clarke.

“Ti sei già stufata di avermi intorno?” le chiese quest’ultima, con fare scherzoso. Eppure, Lexa notò una punta di amarezza nella sua voce. Paura. Clarke aveva paura.

“Non voglio disfarmi di te, se è questo che temi.” la rassicurò Lexa. “Ma andiamo, non sei una tata, sei un’attrice. E lo sono anche io. Quando riprenderò a lavorare, questa casa sarà un disastro.”

“Se non altro, quando riprenderai a lavorare i ragazzi non rischieranno più un’intossicazione alimentare.”

“Non cucino così male.” ribatté Lexa. Clarke scoppiò a ridere.

“Lex, stasera ho mangiato il peggior petto di pollo della mia vita.”. La mora alzò gli occhi al cielo. 

“Va bene, lo ammetto, era un po’ bruciato. A mia discolpa, ho cucinato mentre tu e Adria correvate per la cucina. Mi avete distratta.”

“Ah, quindi è colpa mia ora, eh?” ribatté Clarke, con tono giocoso. Lexa scosse il capo. Aprì il frigo e prese due birre. Le stappò e ne passò una a Clarke. Le due si sedettero al tavolo, l’una di fronte all’altra. 

“Mi era mancato tutto questo.” confessò Lexa. 

“Questo cosa?”

“Questo.” rispose Lexa, indicando prima sé stessa e poi Clarke. “Io e te, così.”. La bionda bevve un sorso di birra e si morse il labbro.

“Sono sempre stata qui.” disse. Lexa chinò il capo, con fare colpevole. 

“Clarke, io… Mi dispiace. Dico davvero.”. Clarke si passò una mano in volto. I suoi occhi azzurri scrutarono Lexa da cima a fondo. Avrebbe voluto trovare il coraggio di chiederle che cosa l’aveva spinta ad abbandonarla tre anni prima. Ne avrebbe avuto il diritto. 

“Lo so.” disse, invece. “Dispiace anche a me.”. Le iridi verdi di Lexa erano velate di lacrime. Clarke posò la bottiglia sul tavolo e le circondò le mani con le sue. Le accarezzò i palmi con i pollici, con dolcezza. Le sorrise, lo sguardo carico di affetto. E, di nuovo, lo spazio e il tempo svanirono di fronte a quel blu. Chissà se per Clarke era lo stesso. La osservò alzarsi e avvicinarsi a lei, con una lentezza disarmante. Lexa sentiva il cuore martellarle nel petto. Erano in piedi ora, Clarke di fronte a lei. Sentì due labbra umide posarsi sulla sua guancia e, per un attimo, temette di collassare sul pavimento. 

“Buonanotte.” le sussurrò Clarke. E Lexa non ebbe la forza di fermarla. 

 








Angolo dell'autrice 

Ed eccoci qua con un nuovo capitolo. Sia Lexa, sia Clarke stanno realizzando che la loro non sarà mai solo amicizia, decisamente. Dall'altra parte ci sono Madi, che vorrebbe lasciarsi andare, ma proprio non ci riesce, anche perché la sua situazione familiare è sempre più deleteria e Aden, che invece si lascia andare eccome. In fondo, è solo un ragazzino. E infine c'è Anya, che beh, è un po' tutti noi.
Grazie mille per leggere e a chi recensisce, un commento mi fa sempre piacere.
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 12.Upside Down ***


 

12.

 

Maybe I shouldn't lie anymore
Maybe I should've tried a little more
(Nothing, Nowhere-Upside Down)

 

 

Anya era in ritardo. Si era completamente dimenticata della riunione con i produttori e ora si ritrovava a correre per le scale, pregando di cuore che non fosse ancora arrivato nessuno. Invano, purtroppo. 

“Green, alla buon’ora.” la accolse freddamente Charmaine Diyoza, la creatrice di Spike, la serie tv in cui recitava. 

“Io… Il traffico.” mentì, l’attrice. 

“Certo, come no. Siediti.” le ordinò la produttrice, invitandola a prendere posto di fronte a lei. Solo in quel momento Anya realizzò di non essere sola al cospetto di Diyoza. Seduta alla scrivania c’era una donna che doveva avere suppergiù la sua età, di chiare origini latine. Aveva l’aspettò tremendamente familiare, ma Anya proprio non riusciva a capire dove potesse averla già incontrata.

“Green, lei è Raven Reyes. Interpreterà uno dei personaggi chiave di questa nuova stagione.” spiegò Diyoza. Anya spalancò gli occhi, incredula.

“Piacere.” disse la latina, tendendo la mano. Anya la ignorò. 

“Raven… Raven Reyes?”

“Sì, Green. L’idea era di creare una relazione fra i vostri due personaggi, potrebbe nascere qualcosa di interessante.”. Anya non disse nulla. Non ne era in grado. 

“Green.”. Raven Reyes. Quella Raven Reyes.

“Green.”. Anya alzò lo sguardo. Diyoza e Raven la fissavano, confuse. 

“Tutto bene?” chiese quest’ultima.

“I-io… Sì, benissimo.” rispose Anya. “Idea fantastica.” dichiarò poi, cercando di mantenere la calma. 

“Green, sei sicura di sentirti bene?” domandò Diyoza, preoccupata. “Sei pallida.”. Anya si passò nervosamente una mano fra i capelli. Ossigeno. Aveva bisogno di ossigeno.

“Sì, forse è meglio che vada a prendere una boccata d’aria. Devo aver mangiato qualcosa di strano.” dichiarò. “Torno subito.”. Uscì dall’ufficio e si precipitò giù per le scale. Una volta fuori dall’edificio respirò a pieni polmoni, cercando di tranquillizzarsi il più possibile. Raven Reyes. Non poteva crederci. Come aveva fatto a non riconoscerla?

“Ehi.”. Anya si voltò. Raven era davanti a lei, una tazza di tè in mano.

“Quando non mi sento bene bere qualcosa di caldo mi aiuta.” spiegò, porgendole la tazza. Anya ringraziò. Bevve un sorso di tè e sospirò. Si sedette per terra, la testa fra le mani. 

“Posso fare qualcosa?” le chiese Raven. Anya scosse il capo. Alzò lo sguardo. I suoi occhi incrociarono quelli color nocciola della latina, che si era seduta accanto a lei. Si sentiva così in colpa in quel momento. Probabilmente doveva esserle sembrata una pazza.

“Raven, tu lo sai chi sono?“ esordì. Non aveva senso nascondere la verità. Non se avrebbero dovuto lavorare insieme.

“Sì, lo so.” rispose Raven. “Quando mi hanno offerto il ruolo non avevo idea di chi recitasse in questa serie. Senza offesa, non ho mai visto nemmeno una puntata, ho accettato solo perché il mio agente ha insistito e… Posso rifiutare la parte se…”

“No.” la interruppe Anya. “Ascolta, quello che è successo tra te, Lexa e Clarke non è affar mio. Certo, forse potevi evitare di dire quelle cose, ma…”

“Lo so. E fidati, non c’è giorno che non desideri tornare indietro e cambiare il passato. Purtroppo non è possibile ed è qualcosa con cui dovrò convivere per sempre.”. Anya guardò Raven, lo sguardo addolcito. Le posò una mano sulla gamba e le sorrise. 

“Come sta Lexa?” le chiese la latina. 

“Non è un periodo semplice, ma si va avanti.” rispose Anya. “Beh, direi che è il caso di rientrare, prima che Diyoza ci dia per disperse.” disse poi, aiutando Raven a rialzarsi in piedi. La latina si morse il labbro e si diresse all’ingresso. E, mentre la guardava rientrare nell’edificio, Anya non poté fare a meno di pensare che Raven fosse una delle donne più belle che avesse mai visto. 

 

________________

 

Madi era appena uscita da scuola. Le tre settimane di sospensione erano passate e finalmente era potuta tornare a frequentare le lezioni. Non che la scuola le fosse particolarmente mancata. Per non parlare di Polis, stare da Lexa era stato terapeutico. Sua madre non aveva più dato notizie di sé e Madi era rimasta dall’attrice, ben felice di stare il più lontana possibile dai guai. Estrasse il telefono dalla tasca, per poter controllare l’ora. Rischiava di perdere l’autobus. Si diresse alla fermata, pregando di arrivare in tempo. Fortunatamente, l’autobus sembrava non essere ancora passato. Si appoggiò ad un lampione e attese, le cuffie nelle orecchie e la musica a tutto volume. Una macchina accostò. Madi sobbalzò. Conosceva quell’auto, fin troppo bene. La portiera si aprì. Ne uscì un uomo alto, dall’aria minacciosa. Madi indietreggiò, il cuore in gola.

“Guarda chi si vede.” esordì l’uomo. Madi deglutì.

“Malachi, ciao. Io, ehm… Come stai?”. L’uomo avanzò verso di lei, un ghigno orribile dipinto in volto.

“Tranquilla Madi, non ti farò niente di male. Vieni, facciamo un giro.” le disse, circondandole la vita con il braccio.

“Io… Io farò tardi e…” cercò di liberarsi la ragazzina, inutilmente. Malachi l’afferrò per il polso e la trascinò in un vicolo, per poi schiacciarla contro un muro. Madi era nel panico.

“Farai tardi, eh? E per dove? Per andare da quell’attrice da due soldi?”

“Mi fai male.” si lamentò Madi, ma Malachi non allentò la presa.

“Pensi davvero che alle persone come lei interessi di una come te? Tu appartieni a Polis, Madi. Devi fartene una ragione.”. Madi sentì il sapore salato delle lacrime invaderle la bocca. Non voleva ascoltare quell’uomo. Non voleva credergli.

“Ora sali in macchina. Stasera torna tua madre.”. L’uomo finalmente la lasciò andare e Madi si lasciò scivolare lungo il muro. Guardò Malachi entrare in macchina e farle segno di raggiungerlo. Madi si alzò in piedi. Strinse i pugni e scosse il capo. 

“Muoviti!“ le ordinò l’uomo, ma Madi non si mosse. “Sali in macchina!”. La ragazzina prese un respiro profondo. Fece qualche passo in avanti, giusto per uscire dal vicolo. Poi, senza preavviso, cominciò a correre. 

“Maledizione. Dannata mocciosa, torna qua!” sentì Malachi urlare alle sue spalle. Tutto le urlava di fermarsi, prima che fosse troppo tardi. Malachi aveva ragione. Lei apparteneva a Polis, non poteva sfuggire alla realtà. No, era una bugia. Lexa le aveva detto che la porta di casa sua sarebbe stata sempre aperta. Forse una via di fuga esisteva. E, in ogni caso, avrebbe fatto di tutto per trovarla. 

 

________________

 

“No, non va così!”. Lexa inarcò le sopracciglia. Lei e Adria erano sdraiate sul pavimento, intente a disegnare. La bambina le stava rimproverando la scelta dei colori e sembrava piuttosto innervosita.

“Ci va questo!” le disse, passandole il pennarello arancione. 

“Ma Adria, il mare è azzurro.” replicò Lexa.

“No!” protestò la bambina. “Lo voglio così!”. Lexa cominciava a preoccuparsi. Una reazione simile non era normale. 

“Adria…”

“Voglio questo!”. Adria stava piangendo e lanciando i pennarelli per terra e Lexa non poteva di certo tollerare un tale comportamento. 

“Adria, ehi! Basta!” la rimproverò. Per tutta risposta, la bambina le tirò un pennarello addosso. Lexa l’afferrò per il polso, stando attenta a non farle male. Adria provò a divincolarsi, ma l’attrice non la lasciò andare.

“La mamma me lo colorava con l’arancione.”. A quelle parole, Lexa sentì una morsa al cuore. Strinse Adria a sé e le baciò il capo. 

“Manca tanto anche a me.” le sussurrò. Avrebbe tanto voluto farle uno di quei discorsi che terminavano con frasi come ma lei vivrà per sempre in te, ma la verità era che non ci credeva realmente nemmeno lei. 

“Ehi.”. Lexa si voltò. Clarke le posò una mano sulla spalla e gliela carezzò con tenerezza. Adria alzò lo sguardo e i suoi occhi scuri incrociarono quelli rassicuranti della bionda.

“Aden ha portato del gelato. Ne vuoi un po’?” Clarke chiese alla bambina. Adria annuì e la bionda le schioccò un bacio in fronte. Le tese la mano e la invitò a seguirla in cucina.

“Che gusto preferisci?” le domandò.

“Cioccolato.”

“Ottima scelta.” constatò Clarke. “Cameriere, una coppa di gelato al cioccolato per la nostra ospite.” disse poi, rivolta ad Aden. Il ragazzino scoppiò a ridere e servì la sorella. Lexa osservava la scena dalla porta della cucina, un velo di malinconia negli occhi. Ripensò all’ultimo dialogo che lei e Luna avevano avuto, ormai quasi due mesi prima. Sospirò. Avrebbe voluto così tanto poter seguire il suo cuore. 

“Tutto bene?” le domandò Clarke. Lexa annuì, senza proferire parola.

“Dimmi la verità, Lex. Va davvero tutto bene?” insistette la bionda. 

“Sì, io… Semplicemente è tardi e Madi non è ancora tornata. È strano, non trovi?” la mora cercò di chiudere il discorso.

“Lexa.” la chiamò Clarke. Le prese con dolcezza le mani e la costrinse a guardarla negli occhi. Pessima mossa. Dovette fare appello a tutte le sue forze per non cedere ai propri sentimenti e lasciarsi andare. Prese un respiro profondo e carezzò le guance di Lexa, con una dolcezza che la mora trovò quasi dolorosa. L’attrice del Massachusetts chiuse gli occhi, completamente in balia di quel contatto. Il tocco delle dita di Clarke era delicato, amorevole, pieno di affetto e cura nei suoi confronti. Sentì una lacrima bagnarle il viso e i polpastrelli della bionda asciugarglielo prontamente.

“Clarke…” mormorò. 

“Shhh.” le sussurrò la bionda, stringendola a sé. Lexa riaprì gli occhi. Un oceano blu fu tutto quello che vide. Le iridi di Clarke la travolsero, come onde. Pensò a Costia. La modella non l’aveva mai guardata così. Mai l’avrebbe fatto. Non ne era capace, Lexa lo sapeva. Un’altra carezza, ancora più delicata di quella precedente. Lexa scosse il capo. Non meritava di essere guardata così. Non meritava di essere guardata in quel modo. Non da Clarke, quello era sicuro. Non dopo tutto quello che le aveva fatto. Si staccò da quell’abbraccio e indietreggiò, come se si fosse scottata. Stava scappando di nuovo e ne era consapevole, ma quanto a lungo sarebbe ancora riuscita a seppellire i suoi sentimenti per Clarke? Quanto sarebbe ancora riuscita a fingere di non provare assolutamente nulla per lei? Quanto ancora sarebbe riuscita a raccontare a sé stessa di non desiderare la felicità? Era al limite ormai e ne era pienamente cosciente.

“Clarke…”. La porta si spalancò improvvisamente e le due attrici sobbalzarono. Si voltarono. Madi era sulla soglia, stravolta. Era tutta sudata e aveva dei segni rossi sul collo.

“Madi!” Lexa corse verso la ragazzina. “Che è successo? Chi è stato?”. Madi si morse forte il labbro. Chinò il capo. Pensi davvero che alle persone come lei interessi di una come te?, le parole di Malachi le risuonarono nella mente così ingannevoli, così subdole. La ragazzina alzò lo sguardo. Aden la fissava, seminascosto dietro la porta della cucina. Sorrise mestamente, senza dire una parola.

“Madi?” provò a insistere Lexa. La ragazzina si girò verso di lei. 

“Sto bene. Dovreste vedere quell’altro.”

“Quell’altro? Madi, cosa significa?” Lexa cercò di capirci qualcosa. “Hai di nuovo fatto a botte?”. Madi non rispose e cominciò a correre per le scale. Voleva solo rintanarsi nella sua stanza, nient’altro. 

“Ehi, non abbiamo finito noi due. Che cosa hai combinato? Lo sai che devo avvisare la Sidney.” Lexa alzò la voce, piuttosto arrabbiata. Madi arrestò la sua corsa, ma non si voltò. Non ne aveva il coraggio.

“Chiamala pure, se ti fa stare meglio.” disse, per poi entrare in camera sua e sbattere la porta. Lexa fece per raggiungerla, ma Clarke la bloccò per un braccio. 

“Lasciala sbollire. Sarebbe inutile provare a parlarle ora.”. Lexa annuì. Si sedette sul divano, esausta. Si massaggiò il collo, nella speranza di calmarsi.

“Zia Lexa!” la chiamò Adria, mentre correva verso di lei. 

“Non ora, piccola.” la fermò Clarke. “Vieni, andiamo a finire il gelato.”.

“Clarke!”. La bionda si voltò. Lexa la guardava, gli occhi così stanchi. Per un attimo, temette di vederla scoppiare a piangere. 

“Grazie.” mormorò la mora. “Sono felice che tu sia qui.”

“Te l’ho detto, te l’ho prom-…”

“Lo so.” disse Lexa. “Ma non è scontato. Sarei persa senza di te.”. Clarke deglutì. Una confessione simile era l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata. 

“Non sottovalutarti. Te la caveresti benissimo comunque.”. Ma la verità era tutt’altra e Lexa ne era cosciente. Era così stanca di nasconderla a sé stessa. Era così stanca di fuggire. E, per la prima volta dopo tre anni, si chiede se non meritasse anche lei un briciolo di felicità.









Angolo dell'autrice 

E tanti auguri a me.
È il mio compleanno e vi regalo un nuovo capitolo.
Finalmente Anya e Raven si incontrano, anche se in modo un po' rocambolesco. Madi invece è nuovamente nei guai  e non riesce minimamente ad aprirsi con Clarke e Lexa che, dall'altro lato, ormai sono consapevoli di provare sentimenti fortissimi l'una nei confronti dell'altra. Devono solo capire come fare a dirselo.
Spero vi sia piaciuto. Grazie per leggere e commentare.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 13.What I Want ***


13.

 

You told me to lie, but I won't
It doesn't seem right knowing
I'll
never get what I want if I can't on my own
I took a chance on a feeling
But here I am feeling alone
(The Band Camino-What I Want)

 

 

 

“Lexa, devi prendere una decisione.”

“Titus, io non… Non posso ora.”. L’uomo scosse il capo. Di fianco a lui, Becca Franko fissava l’attrice, spazientita. La produzione della quarta stagione di Natblida sarebbe andata avanti, con o senza la sua protagonista. Lexa si schiacciò contro la parete. Le veniva da vomitare. 

“Tu sei l’attrice di punta di una delle serie tv più viste degli ultimi anni, non la babysitter di un gruppo di mocciosi.” Titus sbottò. L’attrice strinse i pugni. Si spinse in avanti, lo sguardo carico di rabbia.

“Parla di nuovo così dei ragazzi e ti giuro che quelle saranno le tue ultime parole.” replicò. L’uomo indietreggiò, piuttosto turbato da quella reazione. Raramente Lexa le rispondeva a tono e, quando lo faceva, solitamente si scusava subito. C’era qualcosa di diverso in lei, era così evidente. E Titus sapeva benissimo di chi fosse la colpa di tutto ciò. Clarke. Detestava quella ragazza, sin dai tempi di Arkadia. Aveva capito fin da subito che sarebbe stata un pericolo per la carriera di Lexa.

“Che fai, ora mi minacci?” ribatté, un ghigno dipinto in volto. “Non sei nessuno senza di me, lo sai.”

“Okay, basta così!” intervenne Becca, stufa di quel teatrino. “Lexa, cosa vuoi fare? Noi abbiamo bisogno di risposte.”. L’attrice si passò una mano fra i capelli. Cosa voleva fare? Già, bella domanda. Scappare, probabilmente. 

“Becca, tengo tantissimo al mio ruolo e alla serie, ma allo stesso tempo la situazione è complicata. Non riesco a trovare qualcuno che mi tenga i ragazzi e costringerli a lasciare Los Angeles non mi sembra giusto, non dopo tutto quello che hanno passato. Soprattutto Aden, ha bisogno dei suoi amici, della sua vita. Privarlo di tutto questo sarebbe una cattiveria.”. Becca la guardò con inaspettata tenerezza. Le posò una mano sulla spalla. 

“Lexa, non ti ho chiesto che cosa pensi sia giusto o meno fare, ma cosa vuoi tu, per te.” le disse. “Capito quello, si troverà una soluzione.”. Lexa non rispose. Era paralizzata. Era da così tanto tempo che non si poneva una simile domanda. Cosa voleva? Vomitare, correre via, nascondersi. No. Sentirsi libera. Sentirsi viva. Clarke. Sì, avrebbe voluto avere Clarke accanto, lei sicuramente avrebbe saputo suggerirle cosa fosse meglio fare. 

“Io… Ho bisogno di altro tempo.” dichiarò. Becca schioccò la lingua. Si picchiettò il naso, con fare pensieroso. 

“Una settimana, Lexa.” disse. “Ti concedo un’altra settimana, non di più.”. L’attrice annuì.

“Grazie.” mormorò. Becca fece un sorriso tirato. Si sistemò la giacca e si diresse alla porta. 

“Allora siamo tutti d’accordo. Ci risentiamo tra una settimana.” asserì. “Arrivederci.”. Uscì dall’ufficio, lasciando Titus e Lexa da soli. L’uomo scosse il capo e si sedette alla scrivania. 

“Stai gettando tutto al vento, lo sai?” esordì. “E per cosa? Sei giovane, hai una brillante carriera davanti a te. Dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto!”

“Che ho fatto, vorrai dire. Anzi, che mi hai fatto fare.“ ribatté Lexa. “Non riguarda te, Titus.”. L’uomo scoppiò a ridere. 

“Non trattarmi come se il tuo successo non sia merito mio. Ti ho trovato io le produzioni in cui hai lavorato, io ho investito su di te.”

“Beh, mi dispiace se mi sono rivelata una perdita di tempo.” ribatté l’attrice. Radunò le sue cose e fece per andarsene, quando Titus la chiamò. Lexa, che aveva già aperto la porta, si fermò senza voltarsi. 

“Essere persone di successo significa essere soli.” asserì l’uomo. E l’attrice avrebbe solo voluto metterlo a tacere.

 

________________

 

“Come va con Costia?” Titus domandò a Lexa. Erano seduti entrambi accanto ad un albero, durante una pausa dalle riprese.

“Come, scusa?”

“Ti ho chiesto come va con Costia. Insomma, non potrai evitare le sue telefonate per sempre.”

“Posso eccome, invece.” dichiarò Lexa. “Ho chiuso con lei, Titus. Mi sembrava abbastanza chiaro.”. L’uomo sbuffò. Si girò verso Lexa. L’attrice non lo degnò di uno sguardo e Titus ci mise un po’ per capire chi avesse, invece, attirato la sua attenzione. Clarke era di fronte a loro, in compagnia di Raven e Octavia. La bionda salutò con la mano Lexa, che ricambiò timidamente. 

“Sai, girano delle voci.” 

“Che voci?” chiese Lexa, senza distogliere lo sguardo da Clarke.

“Su te e la Griffin. Non va bene, Lexa.”. L’attrice non poteva credere alle sue orecchie.

“Fammi indovinare, rischio di essere divisiva.” disse, alludendo alla discussione che avevano avuto la settimana precedente. Si alzò in piedi di scatto, visibilmente arrabbiata. 

“Ascolta, Wallace e io vogliamo solo…” Titus provò a spiegarle.

“E io?” lo interruppe Lexa. “Ti sei mai chiesto cosa voglio io?”. L’uomo aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. Chinò il capo, incapace di sostenere lo sguardo così duro dell’attrice.

“Come immaginavo.” mormorò Lexa, le lacrime agli occhi. E, mentre scappava via, si chiese se avrebbe mai avuto il diritto di di desiderare qualcosa per sé. 

 

 

“Lex!” la chiamò Clarke, quasi urlando. Lexa era persa nei propri pensieri e ricordi e a malapena si era resa conto di avere la bionda accanto a sé. 

“Clarke, io… Hai detto qualcosa?”. Clarke sospirò e alzò gli occhi al cielo.

“Ti ho solo chiesto se volevi qualcosa da bere o mangiare. Sei tornata dall’incontro con Titus e Becca e non hai toccato né cibo, né acqua.”. Lexa si massaggiò il collo. Sì, in effetti avrebbe voluto bere qualcosa, ma di sicuro non dell’acqua.

“Tutto bene?” domandò Clarke. “È per Madi? Sono preoccupata anche io, ma sua madre era tornata e…”

“No, Madi non c’entra. Ero solo… Stavo pensando.”. Clarke le rivolse un’occhiata carica di curiosità.

“A cosa?”. Lexa si morse il labbro. Chinò il capo, per evitare che i suoi occhi incrociassero quelli di Clarke. 

“Ehi. Lexa, parlami.” la esortò quest’ultima. Le circondò il volto con le mani e la costrinse a voltarsi verso di lei. Lexa aveva un nodo in gola. Tre anni. Erano passati tre anni e Clarke Griffin le faceva sempre lo stesso, dannatissimo effetto. No, non poteva permettersi di provare certe cose, ne era consapevole. Si alzò in piedi, per allontanarsi il più possibile dal tocco di Clarke. La bionda la guardava con preoccupazione, indecisa sul da farsi. Non sapeva se alzarsi anche lei e stringerla a sé per aiutarla a calmarsi o restare sul divano per concederle un po’ di spazio. Alla fine, decise di rimanere seduta ed evitare di agitarla ancora di più. 

“Mi hanno dato un ultimatum, Clarke. Devo decidere entro una settimana se continuare a recitare in Natblida oppure no. Non so come fare. Non posso lasciare i ragazzi soli per mesi, non dopo tutto quello che hanno passato.” spiegò Lexa. 

“E se li portassi con te? Aden potrebbe studiare da privatista e sul set potrebbero darti una mano con Adria ed Ethan.”. La mora scosse il capo. 

“No, è fuori discussione. Adria e Ethan ancora ancora, ma Aden ha bisogno di restare qui. Ha la sua vita, i suoi amici. Non lo dà mai a vedere, ma so quanto sta soffrendo per la morte di Roan e Luna. Non voglio che il mio lavoro lo faccia stare ancora più male.”

“E tu, invece?” chiese Clarke, di getto. “Che cosa vuoi per te?”. Lexa per poco non scoppiò a ridere. Di nuovo quella domanda, non riusciva a crederci. Le sembrava impossibile. Restò immobile, dando le spalle a Clarke. Non osò voltarsi. Aveva paura, tantissima paura. Che cosa voleva? Tante cose. Che Roan e Luna fossero ancora vivi, ad esempio. Che Costia tenesse a lei o che la vita di Madi fosse più semplice. Avrebbe tanto voluto aver ascoltato il proprio cuore tre anni prima, invece che la testa. E ormai era troppo tardi. 

“Io… Io non lo so.” rispose, infine. “Non lo so.”. Clarke non esitò oltre. Si alzò in piedi e la raggiunse. Le posò le mani sulle spalle, costringendola a voltarsi. Gli occhi verdi di Lexa erano così tristi. 

“Ehi.” sussurrò Clarke, carezzandole una guancia. “Andrà tutto bene, vedrai.”

“Come fai a saperlo?” chiese Lexa, con un filo di voce. “Sai, forse ho capito cosa voglio veramente. Desidero solo riuscire a sopravvivere a tutto questo. Giuro, mi sembra di impazzire.”. Clarke rivolse a Lexa uno sguardo carico di tenerezza. I suoi occhi si posarono sulle labbra tremanti della ragazza di fronte a sé e, per un attimo, ebbe paura di non riuscire a controllarsi. Fece appello a tutte le sue forze per non cedere all’istinto e baciarla. Non voleva rovinare tutto. Non dopo averla finalmente ritrovata. 

“Te lo dissi tre anni fa sul tetto di quella roulotte e te lo ripeto oggi, in questa casa. La vita non dovrebbe essere soltanto sopravvivenza. Meriti più di questo.“. Lexa fece per ribattere, ma i vagiti di Ethan risuonarono nel baby monitor, obbligandola a desistere. 

“Deve essersi svegliato.” constatò. Salì le scale, seguita da Clarke. Una volta in camera, si avvicinarono entrambe alla culla. Il bambino era sveglio e si teneva un piede con la mano. 

“Ma ciao.” lo salutò Clarke, carezzandogli la pancia. Ethan le sorrise e le si aggrappò alla maglia. Clarke lo prese in braccio e gli schioccò un bacio in fronte. Ethan si accoccolò a lei e l’attrice lo cullò con dolcezza.

“Ha un debole per te.” osservò Lexa. E anche io, avrebbe voluto aggiungere. 

“Solo perché sa che gli do da mangiare.” dichiarò Clarke, ridendo. “Vero, piccolo profittatore?”. Per tutta risposta, Ethan cominciò a fare bolle di saliva. E, mentre assisteva a quella scena così domestica e priva di ogni ansia e pressione, Lexa realizzò di colpo di desiderare che quel momento non finisse mai.

 

________________

 

Madi era seduta per terra, sui gradini antistanti l’ingresso della casa di Trish. Aveva una bottiglia di birra in mano e la testa piena di pensieri. Era tornata a Polis da quasi una settimana ormai e già non ne poteva più. Sua madre non l’aveva degnata di uno sguardo, a malapena le aveva rivolto la parola. Chissà cosa aveva fatto in quei giorni e quante sostanze aveva provato. Madi non voleva nemmeno pensarci. Avrebbe tanto voluto dare la colpa di tutto a Malachi, ma la verità era ben più dolorosa. Sua madre era irrecuperabile, non ci provava nemmeno. Madi scosse il capo. Bevve un sorso di birra e posò la bottiglia per terra. La sua vita la disgustava così tanto. Di colpo, la paura di diventare come sua madre l’assalì, mozzandole il respiro. Avrebbe tanto voluto alzarsi e scappare via. Eppure, non poteva. Lei era quello, una figlia di Polis. Non sarebbe mai riuscita a sfuggire la sua vera natura.

“Ehi.”. La voce di Trish la riportò alla realtà. La polizia l’aveva rilasciata per mancanza di prove, anche se rimaneva comunque sotto stretta sorveglianza. Madi la osservò sedersi accanto a lei. 

“Tutto bene?” le chiese. 

“Sì, sto… Sto pensando.” rispose Madi. “Sono felice che ti abbiano lasciata andare.”

“Anche io.” dichiarò Trish. “Entri? Dentro stanno chiedendo tutti di te.”. Madi bevette un altro sorso di birra e fece segno di no col capo.

“Io ho… Ho bisogno di schiarirmi le idee, sì. Preferisco restare qui.”. Trish annuì. Le accarezzò la spalla e rientrò in casa. Madi sospirò. Si alzò in piedi e si guardò intorno.  Si aggirò per il cortile, fino ad arrivare sul retro. A lato del garage trovò un vecchio pallone da basket, miracolosamente gonfio. Lo prese in mano e cominciò a palleggiare. Notò un canestro di legno piuttosto malmesso appeso al muro e ne approfittò immediatamente. Palleggio, arresto e tiro. Dentro. Madi recuperò il pallone e respirò a fondo, gli occhi chiusi. Li riaprì poco dopo. Alzò lo sguardo. Era una serata limpida e il cielo era pieno di stelle. A quell’ora, probabilmente, Lexa aveva già messo Ethan e Adria a dormire, mentre Aden stava finendo i compiti.  E chissà, magari c’era anche Clarke con loro. Madi se lo augurò, anche perché Lexa era proprio negata in cucina. Sentì le lacrime rigarle il viso. Le asciugò con la manica della felpa, una dietro l’altra. Tu appartieni a Polis, Madi. Devi fartene una ragione, le parole di Malachi risuonarono così dolorose nella sua mente. E, nella solitudine della sera, si ritrovò a pregare che quell’uomo avesse torto.




Angolo dell'Autrice

Ed eccoci qua con un nuovo capitolo. Abbiamo un nuovo flashback, in cui è evidente quanto Titus vedesse in Clarke una minaccia sin dai tempi delle riprese di Arkadia. In tutto questo, Lexa è completamente bloccata. Sa cosa vuole, ma non sa se può averlo. Anzi, è convinta pienamente del contrario. In questo, lei e Madi sono sempre più simili, anche se per motivi diversi.
Spero che il capitolo ci sia piaciuto, grazie mille per leggere e commentare. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi fa sempre piacere leggere le vostre recensioni. 

Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 14.Lonely ***


14.

 

Is everybody lonely?
[…]
If I looked you in the eye
And showed the broken things inside
Would you run away?
(Nathan Wagner-Lonely)

 

 

 

 

Quella mattina, Madi si svegliò con le urla di sua madre e di Gloomy. Sbuffò. Non ne poteva più. Provò a nascondere la testa sotto al cuscino, ma fu tutto inutile. Si girò su un fianco e afferrò il cellulare sul comodino. Era sabato e quel giorno non doveva andare a scuola, ma era così stanca di quella situazione che si sarebbe sorbita volentieri sei ore di matematica piuttosto che restare a casa. Sbloccò il cellulare e scrollò la rubrica. La tentazione di scrivere a Lexa e chiederle di andarla a prendere era fortissima. Scosse il capo. No, non poteva, ne era consapevole. Appoggiò il telefono sul letto e si rituffò sul cuscino, pregando che quello strazio finisse al più presto. Si infilò le cuffie nelle orecchie e si immerse totalmente nella musica, la sua unica vera compagna di vita insieme al basket. Il volume al massimo le permise di coprire le grida che permeavano quell’assurda discussione fra sua madre e Malachi. Stavano litigando di nuovo per soldi e Madi si chiese cosa spingesse quei due a stare ancora assieme. Era evidente che non erano fatti l’una per l’altra, anzi. Che l’uomo stesse sfruttando Ontari per avvicinarsi a Nia? E che la donna stesse sfruttando lui per avere più lavori, più sostanze e un sostegno economico? Ciò che Madi trovava esilarante era che entrambi in realtà non potevano assicurare l’una all’altro quello di cui avevano bisogno. E, così, l’unica alternativa che rimaneva loro era condurre un’esistenza fatta di miserabile nulla, vuota e senza alcuno scopo. Malachi aprì la porta con violenza, riportando Madi alla realtà. Dallo spavento, per poco la ragazzina non cadde dal letto. Alzò lo sguardo. Malachi la fissava, lo sguardo iniettato di sangue. Varcò la soglia, senza farsi troppi problemi. Madi era paralizzata dalla paura. 

“Sei ancora a letto, eh? Cosa credi, di essere in un albergo?” le urlò contro. 

“I-io non…” balbettò Madi, indietreggiando fino a schiacciarsi contro la parete. L’uomo l’afferrò per un polso e la scaraventò sul pavimento. Madi avrebbe voluto urlare e chiamare sua madre, ma sapeva che sarebbe stato completamente inutile. Probabilmente era seduta sul divano, sotto l’effetto di chissà cosa.

“Dov’eri ieri, eh? A che ora sei tornata?” chiese minaccioso Malachi.

“I-io ero da Trish, ma non sono tornata tardi, lo giuro.”

“Ti insegno io come si sta al mondo!” urlò l’uomo, slacciandosi la cintura. Madi chiuse gli occhi, pronta a ricevere un colpo che, però, non arrivò mai. Il campanello. Qualcuno aveva suonato al campanello.

“Sei fortunata.” sibilò Malachi. Si riallacciò la cintura e uscì, lasciando Madi sola, nel panico. La ragazzina si rialzò in piedi a fatica e si sedette sul letto. Si concentrò sul respiro, cercando di calmarsi il più possibile. Ricacciò indietro le lacrime e decise di provare a vestirsi. Con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita ad andare via di casa. Si preparò lo zaino per uscire, sperando con tutto il cuore di non essere vista da Malachi. Entrò in soggiorno, la testa china per evitare di incrociare lo sguardo di sua madre. Fu allora che la sentì. Quella voce. Non era possibile. Alzò lo sguardo. Lexa era lì, alla porta, in compagnia di Clarke. 

“Madi, ehi.” la salutò, sorridendole. La ragazzina ricambiò, facendo un cenno con la mano. Appoggiato al muro, Malachi fissava le due donne in silenzio, mentre Ontari le guardava con aria sospettosa, quasi infastidita.

“Che volete?” chiese in malo modo, accendendosi una sigaretta.

“Uh, noi… Insomma, abbiamo organizzato una giornata al Runyon Canion Park e ci chiedevamo se, per caso, Madi volesse venire. Oh, ovviamente l’invito è esteso anche a voi du-…”. Lexa non riuscì a finire la frase. Ontari era scoppiata a ridere sguaiatamente, seguita a ruota da Gloomy. Madi avrebbe voluto sparire. Era sull’orlo di una crisi di panico e Clarke parve accorgersene, perché le fece segno di stare tranquilla. Ontari si alzò in piedi e avanzò barcollante verso le due attrici. Il suo sguardo glaciale incontrò quello stoico e impassibile di Lexa, che non si lasciò intimorire dalla donna. 

“Lascia che ti dica una cosa, Woods. Madi è mia figlia.” esordì Ontari, con fare minaccioso.

“Lo so.” disse Lexa. “Non ho intenzione di prendere il tuo posto, la sto solo invitando ad uscire con noi.”

“Madi ha da fare.” dichiarò Gloomy. 

“Davvero? E cosa?” Clarke chiese, nervosa. Non era stupida, era evidente che Madi non avesse programmi per quel giorno, se non uscire di casa. Non ne era sicura, ma sospettava che il motivo fosse proprio l’uomo che si trovava davanti a lei.

“Mi scusi, lei sarebbe?” domandò lui, con fare strafottente. Sapeva benissimo chi fosse Clarke, era evidente. L’attrice strinse i pugni, cercando di mantenere il controllo. 

“Clarke Griffin, attrice.”. Gloomy sogghignò. 

“Beh, come diceva Malachi, Madi ha da fare. Mi deve aiutare a sistemare delle cose per lavoro.” asserì Ontari. Madi si sentì morire. I suoi occhi incrociarono quelli di Clarke prima e di Lexa poi. Quest’ultima scosse il capo. Non l’avrebbe lasciata lì, non in quello stato e con Ontari in quelle condizioni. 

“Madi, a te cosa piacerebbe fare?”. La ragazzina era paralizzata. Tutti la fissavano, in attesa di una risposta. Chinò il capo. Si sentiva soffocare. E se quello che le sarebbe piaciuto fare non fosse stato quello che avrebbe potuto fare? Guardò sua madre. Ontari la fissava con aria di sfida. Madi capì. Se fosse uscita da quella porta l’avrebbe persa per sempre. Si morse il labbro. Ripensò a quella mattina, a tutte le mattine che aveva vissuto da quando Gloomy era entrato nella sua vita. Pensi davvero che alle persone come lei interessi di una come te?, di nuovo le parole di quell’uomo le attraversarono la mente. , rispose fra sé e sé.

“Mi dispiace.” mormorò. Ontari si appoggiò al muro. La guardò con disgusto e, per un attimo, Madi si chiese se la donna davanti a sé fosse davvero sua madre. Ontari sospirò. Stava accettando la sconfitta. 

“Vai.” le disse, infine. 

“Ontari, non credo che…” protestò Gloomy, ma la donna le fece capire che era meglio non intromettersi. L’uomo cedette. Non poteva correre rischi, non di fronte a Clarke e Lexa. 

“Va bene.” disse. “Madi, seguimi. Ti do dei soldi.”

“Non serve, li ho io.” spiegò Lexa.

“Oh, andiamo. Non siamo dei morti di fame, signorina Woods.”. Madi deglutì. Aveva così paura. Lei e Gloomy si recarono in cucina, in silenzio. L’uomo prese il portafogli e le porse una banconota da cinquanta dollari. Quando Madi allungò la mano per prenderla, Gloomy l’afferrò per il polso.

“Lasciami!” protestò la ragazzina, ma l’uomo le fece segno di tacere. Madi realizzò solo in quel momento di stare tremando.

“Prova a parlare a quelle due di quanto successo stamattina e sarò costretto a prendermela con tua madre. Ci siamo capiti?”. Madi non poté fare altro che annuire. 

“S-sissignore.” mormorò. Poi, radunate le sue cose, scappò via, senza nemmeno voltarsi.

 

________________

 

“Ecco fatto, signorina. Ti piace?”. Clarke aveva intrecciato dei fiori fra i capelli di Adria e le stava mostrando il risultato del suo lavoro, aiutandosi con la fotocamera del cellulare. La bambina annuì entusiasta e le si gettò al collo, cogliendola di sorpresa.

“Grazie!” esclamò poi, schioccandole un bacio sulla guancia. Clarke alzò lo sguardo imbarazzata e i suoi occhi incrociarono quelli di Lexa. La mora le sorrise, intenerita da quella scena. Adria corse via e raggiunse Aden e Madi, che stavano chiacchierando seduti sull’erba. In un angolino, Ethan dormiva beato nella sua culla, un lettino portatile che Lexa aveva comprato per l’occasione. Avevano deciso di fare un picnic poco impegnativo e l’idea si era rivelata vincente. Lexa soprattutto aveva proprio bisogno di passare un giorno all’aria aperta, lontana da qualunque preoccupazione. Non era riuscita a chiudere occhio quella notte, angosciata dall’ultimatum datole da Becca Franko. Si voltò verso i ragazzi. Ripensò alle condizioni in cui aveva trovato Madi quella mattina. No, non poteva andarsene, non con la ragazzina in quella situazione. Allo stesso tempo, però, aveva bisogno di lavorare. Sospirò. Non sapeva proprio cosa fare.

“Ehi, tutto bene?” le chiese Clarke, riportandola alla realtà. 

“Uh, io… Sì, stavo solo pensando.” rispose Lexa.

“A cosa?”. Lexa si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Chinò il capo. Accanto a lei, Ethan continuava a dormire, i pugni chiusi a lato del viso. Lexa si morse il labbro, senza parlare. Clarke decise di rischiare e le si avvicinò piano, per poi posarle una mano sulla spalla. 

“Lex, posso solo immaginare quanta pressione tu stia sentendo in questo momento, ma voglio che tu sappia che non sei sola. Qualunque decisione tu prenda, io, Anya e, ne sono convinta, anche Octavia saremo pronte a darti una mano. Per non parlare di Costia, sono sicura che…”

“Non prendiamoci in giro, Clarke.” la interruppe Lexa. “Costia non mi aiuterà mai. E forse è ora che io lo accetti una volta per tutte.”. Clarke non rispose. In cuor suo, il sapere che Lexa stava anche solo rivalutando la sua relazione con Costia la rallegrava e si sentiva un verme per questo. Non voleva vederla soffrire, non di nuovo.

“A volte mi chiedo perché Roan e Luna abbiano scelto me e non Anya.” disse Lexa, senza staccare gli occhi da Ethan. “Insomma, guardami. Sono un totale disastro, non so nemmeno decidere se restare o andarmene, non riesco a trovare qualcuno che…”

“Lexa, stop.” Clarke la fermò. “Questi ragazzini ti amano ed è innegabile.”. E anche io, avrebbe voluto aggiungere, ma non erano né il luogo, né il momento. “E sono pienamente convinta che Roan e Luna sapessero quanto tu ami loro.”. Lexa distolse lo sguardo. 

“E se l’amore fosse solo una debolezza? Se fosse solo una distrazione?”. Clarke sentì un nodo in gola. 

“Te l’ha detto Titus?” domandò. 

“No, beh… Non esplicitamente, però…”

“Lex…” Clarke sospirò, prendendole le mani. “L’amore che provi per quei ragazzini non sarà mai una debolezza. Al contrario, amare ci dà la forza di affrontare ogni giornata. Non siamo fatti per stare da soli, Lexa. Nemmeno tu.”. Lexa chiuse gli occhi. Ricacciò indietro le lacrime. Non voleva mostrarsi debole. Essere persone di successo significa essere soli, le aveva detto Titus. E mai come in quel momento quelle parole le sembrarono così false.

 

________________

 

“Madi, avvisa tua madre che ti accompagniamo a casa tra poco.” disse Lexa. Dopo la giornata trascorsa al Runyon Canion Park, avevano deciso di tornare a casa e ordinare della pizza. Nonostante fosse sabato, Madi aveva rifiutato l’invito di Trish per l’ennesima festa e aveva, invece, scelto di trascorrere la serata a casa di Lexa. Non aveva proprio voglia di tornare a Polis, quella era la verità.

“Madi, mi hai sentita?” insistette l’attrice, notando che la ragazzina non aveva risposto. “Madi?”.

“Sì, non ti preoccupare.”. Lexa non era tranquilla. C’era qualcosa negli occhi di Madi, qualcosa che non la convinceva per niente.

“Stai bene?” chiese Clarke, notando anche lei lo strano atteggiamento della ragazzina. Madi annuì, senza dire niente. Si infilò la giacca e, preso lo zaino, si diresse alla porta. Clarke le accarezzò la schiena e fu allora che il panico si impadronì totalmente delle due attrici. Madi si lasciò sfuggire un gemito di dolore e due grosse lacrime le incorniciarono le guance. 

“Madi, che succede?” domandò Clarke, preoccupata.

“Niente.” rispose la ragazzina, ma era palese che la realtà fosse un’altra.

“Madi, vogliamo solo aiutarti.” cercò di rassicurarla Lexa. “Fammi vedere.” le disse poi, sfilandole la giacca. Quando provò ad alzarle la maglia, però, Madi cominciò ad agitarsi sempre di più. Non voleva che Clarke e Lexa scoprissero la verità. Non voleva mettere in pericolo sua madre. Si accasciò a terra, le gambe strette contro il petto. Affondò il volto fra le ginocchia e scoppiò a piangere, sotto lo sguardo attonito delle due attrici. Lexa si sedette di fronte a lei, mentre Clarke si apprestò ad accompagnare Aden ed Adria in camera. Tornò poco dopo e si sedette accanto a Lexa. Madi singhiozzava disperatamente, tremando come una foglia. La mora la strinse a sé e, questa volta, la ragazzina non ebbe la forza di scostarsi. 

“Posso?” chiese l’attrice, tirando i lembi della maglia. 

“È stato un incidente.” mormorò la ragazzina. Lexa sentiva il cuore martellarle nel petto. Alzò la maglia e sobbalzò. Madi aveva un enorme livido che le copriva la schiena e parte del costato. Lexa sentì la rabbia montarle in corpo. Chiunque fosse stato, meritava il peggio. Clarke le posò una mano sulla spalla, chiedendole con lo sguardo di tranquillizzarsi. Lexa capì. Stava solo spaventando Madi ancora di più. Clarke le sorrise e accarezzò la ragazzina con dolcezza, per poi baciarle il capo. 

“Ti va di dirci chi è stato?” chiese, anche se immaginava già chi fosse l’autore di quei lividi. 

“Io… È stato un incidente.” ripetè Madi, chinando il capo. Lexa le appoggiò due dita sotto al mento, obbligandola a rialzarlo. 

“Madi, siamo qui. Puoi parlarci.” insistette. No, non poteva. Non se voleva proteggere sua madre.

“Ieri sera ero da Trish e sono caduta. È stato un incidente.” mentì. Lexa si alzò in piedi, affidando Madi alle cure di Clarke. 

“Chiamo la Sidney.” disse.

“No!” urlò la ragazzina. “È stato un incidente.”. Lexa e Clarke avrebbero voluto crederci. Eppure, entrambe sapevano che la causa di quei lividi era un essere umano in carne e ossa, non un mero incidente ad una festa. Lexa si voltò lentamente. Madi era fra le braccia di Clarke, in lacrime. 

“È stato Gloomy?” Lexa chiese a bruciapelo. Madi avrebbe voluto urlare la verità. Sì, l’avrebbe voluto così tanto.

“È stato un incidente. Lui non c’entra.”. Lexa si sedette per terra, sconfitta. Guardò Clarke. La verità era così chiara e, allo stesso tempo, così sfuggente. Si avvicinò alla ragazzina e le carezzò una guancia.

“Ti vogliamo bene.” sussurrò. “Ti vogliamo bene.”.

 

________________

 

Lexa chiuse la porta piano, attenta a non svegliare Madi. La ragazzina si era addormentata, stremata. L’attrice era riuscita a convincere Ontari a lasciarla dormire da lei quella notte. La donna aveva mostrato un’iniziale resistenza, ma dopo poco aveva ceduto. Lexa sospettava che, in realtà, fosse sollevata dal non avere Madi tra i piedi. 

“Cosa facciamo?” chiese, senza staccare gli occhi dalla porta. 

“Non abbiamo prove che sia stato lui.” asserì Clarke. Lexa si voltò di scatto.

“Dici sul serio? Clarke, li hai visti quei lividi?”

“Lex, sono pienamente convinta anche io che sia stato quell’uomo a ridurla così, ma con Madi che nega è la sua parola contro la nostra.”. Lexa sapeva che Clarke aveva ragione e la cosa rendeva il tutto ancora più doloroso. “Se chiamiamo ora la polizia e i servizi sociali, rischiamo solo di peggiorare la situazione. Dobbiamo aspettare e cercare di tenerla al sicuro il più possibile.”. Lexa annuì. Strinse i pugni. 

“La pagherà cara.” disse. Clarke le circondò il volto con le mani. Lexa si perse in quel blu così accogliente, così rassicurante.

“Andrà tutto bene.” sussurrò la bionda. “Non sei sola, Lex. È una promessa.”. Lexa si abbandonò fra le braccia di Clarke. E, mentre quest’ultima la cullava dolcemente, ripensò al dialogo che avevano avuto quel pomeriggio. Non era fatta per stare sola. E, ormai, ne aveva la certezza.






Angolo dell'autrice

Capitolo che non è stato facile scrivere. La situazione di Madi è sempre più complicata e Lexa sta lentamente comprendendo che da sole nessuna delle due può farcela. La buona notizia è che Clarke è lì per entrambe, nonostante tutto. 
Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo. Secondo voi il rating giallo va bene o devo mettere l'arancione? 
Grazie mille a chi legge e per le recensioni.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 15.I Can’t Not Love You ***


15.

 

And I feel like nothing can save me,
It's something I just can't undo,
Cause I can't not love you
(Every Avenue-I Can’t Not Love You)

 

 

 

 

Lexa aprì lentamente gli occhi, cercando a poco a poco di abituarsi alla luce che filtrava dalle tende. Guardò l’ora e sobbalzò. Non si era svegliata in tempo per dare da mangiare ad Ethan. Già, Ethan. Dov’era Ethan? Decise di alzarsi dal letto, sempre più confusa. Uscì dalla stanza e subito un invitante profumo di pancake le solleticò le narici. Quando arrivò in cucina, trovò Clarke intenta a servire la colazione ad Aden e Adria, mentre Ethan si divertiva a battere le mani, seduto sul seggiolone.

“Ben svegliata.“ la bionda la salutò, sorridendole. Lexa si morse il labbro e piegò la testa di lato, senza rispondere. Clarke le allungò un piatto pieno di pancake e la invitò ad accomodarsi, per poi sedersi di fronte a lei. 

“Madi?” chiese la mora, pregando con tutto il cuore che fosse ancora in casa. Clarke le fece segno di guardare fuori dalla finestra. Madi era in giardino, in compagnia di Octavia e Lincoln. 

“Cosa ci fanno loro due qui?” domandò Lexa, confusa. 

“O mi ha scritto chiedendomi se potevano passare.” spiegò Clarke. 

“E tu hai detto di sì?”. La bionda chinò il capo. L’aveva combinata grossa. Quella non era casa sua, lei e Lexa non stavano insieme e lei non aveva di certo il diritto di prendere certe decisioni.

“Io… Scusami, hai ragione. Avrei dovuto chiedertelo, non so nemmeno io perché… È che stavi dormendo e sembravi davvero esausta, non ho avuto il cuore di sv-…”

“Clarke, stop.” Lexa la interruppe. “Non è un problema. Anzi, sono felice che siano qui.”. Clarke realizzò solo in quel momento di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo. Tirò un sospiro di sollievo e si concentrò sui suoi pancake. Accanto a lei, Adria stava disegnando, concentratissima. Aden, invece, stava finendo di mangiare la sua colazione, silenzioso. Sembrava piuttosto turbato e Lexa e Clarke potevano facilmente immaginare perché. Aden non era uno sciocco, aveva capito benissimo cosa fosse successo a Madi. Lexa gli carezzò la mano e gli sorrise. Il ragazzino scrollò le spalle e si alzò da tavola. 

“Aden.” lo chiamò Lexa. “Resta qui.”

“Sto bene, mi sono solo ricordato che devo fare i compiti.”

“Aden.” insistette Lexa. Il ragazzino sbuffò. Si voltò. Clarke gli fece segno col capo di ascoltare Lexa e sedersi nuovamente a tavola. Aden obbedì, suo malgrado. 

“Mi dà solo fastidio che ora farete finta di nulla.” spiegò. “Perché è così, fai sempre finta di nulla. È da settimane che Anya ti chiede di aiutare Madi.”. Lexa guardò il ragazzino, colta alla sprovvista da quel discorso. “Sì, ogni tanto vi ho sentite discutere.”. Lexa si morse l’interno guancia. Guardò Clarke, in cerca di aiuto.

“Aden…” sospirò quest’ultima, carezzandogli il braccio. “Lexa tiene a Madi.”

“Beh, allora lo dimostra male.” asserì il ragazzino, con una durezza che a Lexa parve più dolorosa di un pugno allo stomaco. “Tanto alla fine a nessuno importa qualcosa di lei. Nemmeno a mio padre. Volevo dire, nostro padre.”. la verità colpì Lexa e Clarke come una pugnalata. Roan, ecco qual era il vero problema di Aden. Perché aveva abbandonato Madi? Che cosa lo aveva spinto a fare una cosa del genere? E perché, invece, con lui, Ethan ed Adria era stato diverso? Cosa avevano più di Madi? Lexa non sapeva rispondergli. Probabilmente, non ne sarebbe mai stata in grado. Gli sorrise, con tenerezza. 

“Madi non è sola, Aden. C’è a chi importa di lei.” gli disse, circondandogli le mani con le sue. Il ragazzino annuì, poco convinto. Lexa sospirò. Si voltò. Madi e Lincoln stavano giocando a basket. Chinò il capo, ma Clarke la obbligò a rialzarlo. I suoi occhi azzurri la invitarono a stare tranquilla, in una muta promessa di un futuro carico di bene. Sì, Clarke le voleva bene. Gliene aveva sempre voluto. E forse era giunto il momento per Lexa di smettere di fingere che la cosa non la toccasse minimamente.

 

________________

 

“Ci sai fare, ragazzina.” si complimentò Lincoln. 

“Grazie, anche tu non sei male.” rispose Madi. “Per essere un vecchietto, ovviamente.”. Lincoln si finse offeso e si voltò verso Octavia, che li osservava seduta per terra. 

“Ah, sarei un vecchietto? E dimmi, i vecchietti sanno fare questo?” ribatté poi, rubando improvvisamente il pallone dalle mani di Madi e andando a schiacciare a canestro. La ragazzina applaudì, più per ironia che per complimentarsi effettivamente con lui. 

“Oh, andiamo!” protestò Lincoln. Madi scoppiò a ridere e si sedette accanto ad Octavia, per riprendere fiato.

“A parte gli scherzi, hai potenziale. Per quale scuola giochi?” chiese l’uomo. Madi si massaggiò il collo, imbarazzata. 

“Oh, io… Beh, non gioco per nessuna scuola. Già, in realtà io non… Io non gioco. Mia madre non vuole.” spiegò. 

“Come mai? Se posso chiedere. Insomma, non ne capirò quanto Lincoln, ma mi sembra evidente che tu abbia talento e che ti piaccia giocare.”. La domanda di Octavia aveva senso, ma Madi non ebbe il coraggio di rispondere. Cosa avrebbe potuto dire? Che sua madre non voleva giocasse perché lo considerava una perdita di tempo e che non voleva si illudesse di poter avere una via di uscita da Polis? Come avrebbero mai potuto Octavia e Lincoln capire? Si limitò a scrollare le spalle, per poi mettersi a giochicchiare con l’erba del giardino. 

“Beh, è un peccato. Hai un buon range di tiro e ti muovi in modo perfetto con la palla. Se frequentassi la scuola dove lavoro, farei carte false pur di averti in squadra.” asserì Lincoln.

“Esageri.” replicò la ragazzina. “Piuttosto, mi potete togliere una curiosità? Che cosa c’è fra Lexa e Clarke? Voglio dire, so che hanno lavorato insieme e che alcuni hanno perfino ipotizzato una loro relazione, ma…”. Octavia le fece cenno di non proseguire oltre. Sospirò. Sapeva che prima o poi qualcuno dei ragazzi avrebbe cominciato a fare domande, Clarke le aveva raccontato del dialogo che aveva avuto con Aden ed era naturale che anche Madi avrebbe iniziato a sviluppare qualche curiosità in merito. Octavia aveva avuto modo di conoscere meglio la ragazzina nei giorni in cui Lexa l’aveva ospitata a casa sua durante l’assenza di Ontari ed era consapevole di quanto fosse una buona osservatrice, molto più sveglia e intelligente di quanto volesse apparire. Non che Lexa e Clarke fossero poi molto d’aiuto. Le due attrici erano palesemente cotte l’una dell’altra. Clarke ormai viveva da Lexa, Octavia nemmeno passava più a trovarla a casa sua. Sarebbe stato inutile. Clarke e Lexa si erano riavvicinate in modo completamente spontaneo e, per quanto ci fossero ancora troppi non detti fra loro, soprattutto inerenti al passato, Era evidente come la sola idea di passare una giornata senza vedersi fosse insostenibile per entrambe. A dire la verità, Octavia era un po’ preoccupata da quella situazione. Temeva altamente che le due potessero uscirne nuovamente distrutte, Clarke in particolare. In fondo, Lexa non aveva mai lasciato Costia e voleva evitare che la sua migliore amica si costruisse degli scenari immaginari che non corrispondevano alla realtà. Allo stesso tempo, avrebbe dato qualsiasi cosa per far sì che Lexa aprisse gli occhi. Aveva anche provato a parlarne con Anya, ma i risultati erano stati decisamente scarsi. Per qualche misterioso e assurdo motivo, Lexa non riusciva proprio ad allontanarsi da Costia, quasi come se avesse avuto paura di scoprire di meritare di più. Octavia scosse il capo. Entrambe meritavano di più.

“Sai Madi, a dire il vero non lo so nemmeno io.” disse infine l’attrice, sospirando. “So solo che non voglio si facciano di nuovo del male.”. Madi ascoltava Octavia confusa, con sempre più domande che non osava, però, porre. Pensò alla sera precedente, a come aveva mentito per proteggere sua madre e a come Clarke e Lexa si erano prese cura di lei. Erano diventate così importanti per lei e la cosa la terrorizzava alquanto. Non si era mai fidata di nessuno, ma sentiva che loro per lei ci sarebbero sempre state. O, forse, la sua era solo una semplice speranza, non ne aveva idea. L’unica sua certezza era che con loro si sentiva al sicuro, parte di qualcosa. E, in quel momento, non poté non chiedersi se anche per loro valeva lo stesso.

 

________________

 

“Non ascoltatela ragazzi, non ho mai partecipato a una cosa simile.” protestò Lexa.

“Ma se era stata tua l’idea di fare una guerra di gavettoni.” obiettò Octavia. 

“Sì, ma non pensavo mi avreste presa sul serio!”

“Aspettate, vorreste dirmi che c’è stato un tempo in cui Lexa era simpatica?” 

“Madi, ehi! Io sono simpatica!” protestò l’attrice del Massachusetts. “Non mi piace questa situazione, non sarò una vostra vittima.”

“Troppo tardi.” disse Clarke, scoppiando poi a ridere. Lexa alzò gli occhi al cielo, fingendo di essere offesa. Octavia e Lincoln si erano fermati per cena e ora si trovavano tutti seduti in soggiorno, a chiacchierare. Era da tanto tempo che Lexa non sperimentava una tale serenità. Si voltò. Ethan si era addormentato e Adria stava lentamente cedendo allo stesso destino. 

“Forse è meglio che io metta a letto i bambini.” realizzò. 

“Faccio io.” si offrì Clarke. “Madi, Aden, datemi una mano.”. I due ragazzini annuirono e seguirono la bionda, lasciando Lexa sola con Octavia e Lincoln.

“Clarke ci sa proprio fare con loro.” commentò quest’ultimo.

“Già. Sono fortunata, non è tenuta ad aiutarmi. Non dopo tutto quello che le ho fatto.”. Octavia le posò una mano su una gamba, per tranquillizzarla.

“Lex, lo sai che Clarke farebbe carte false per te. Ti vuole bene.” le disse.

“Lo so. È solo che vorrei fosse andato tutto diversamente.”. Octavia le sorrise, cercando di rassicurarla. 

“Cambiando discorso, hai deciso cosa fare?” chiese Lincoln.

“Rispetto al contratto? No, non ancora. Vorrei rinnovare, ma i ragazzi hanno bisogno di me e non mi sentirei tranquilla a lasciare Madi da sola. Spero solo di fare la scelta giusta.” rispose Lexa.

“Prenditi il tuo tempo. Per qualsiasi cosa, noi siamo qui.” le promise Octavia. Lexa fece per dire altro, ma l’arrivo di Clarke glielo impedì. Lincoln e Octavia decisero di tornare a casa, lasciando le due attrici da sole. Clarke aiutò Lexa a sparecchiare e poi si mise a lavare i piatti e sistemare la cucina.

“Non devi.” 

“Ma voglio aiutarti, Lex.” la rassicurò Clarke. Lexa non poté far altro che cedere ed accettare di essere aiutata, per l’ennesima volta. Scosse il capo. Si voltò a guardare Clarke. Non riusciva a capire cosa la spingesse a stare con lei, ad aiutarla, a non abbandonarla come invece aveva fatto lei tre anni prima. 

“Lex, tutto bene?” le chiese Clarke, riportandola alla realtà.

“Uh io… Ecco…” Lexa balbettò. “Clarke, perché?”. La bionda aggrottò la fronte, confusa. 

“Perché cosa?”

“Perché sei qui? Perché non ti vendichi, Clarke? Perché non te ne vai?”. Clarke deglutì. Posò nel lavabo la spugna che aveva in mano e avanzò verso Lexa, lentamente. La mora aveva le lacrime agli occhi e a Clarke si strinse il cuore. Odiava vederla così. Odiava vederla soffrire.

“Lex…”

“No Clarke. Io… Io non capisco. Tre anni fa io ti ho abbandonata nel modo più terribile possibile. Tu dovresti odiarmi.”

“Non potrei mai farlo!“ la smentì Clarke. “Non potrei mai farlo.” ripeté, questa volta a voce più bassa. Solo in quel momento realizzò quanto fossero vicine. Alzò lo sguardo. I suoi occhi blu si persero in quelli verdi di Lexa, due finestre spalancate su un mondo che Clarke avrebbe voluto conoscere nella sua totalità. Le sue dita ancora umide si posarono con delicatezza sulla guancia della mora. Lexa non aveva mai sperimentato una carezza più dolce di quella. 

“Perché?” trovò la forza di chiedere ancora, con un filo di voce. 

“Lex…”

“Perché?” insistette Lexa, che ormai non riusciva più a controllare le lacrime. Perché ti amo, avrebbe voluto confessare Clarke. Ma non poteva. La verità avrebbe distrutto tutto, ne era sicura. Non voleva perdere Lexa, non di nuovo. Eppure, non ne poteva più di nascondersi. Era al limite, ne era consapevole. Ed era chiaro che anche Lexa provasse lo stesso. Si sentiva così stupida. Probabilmente lo era. Forse Lexa aveva ragione, forse la cosa più logica per lei sarebbe stata vendicarsi e abbandonarla. Clarke si morse il labbro. No, non ne sarebbe mai stata in grado. Sentiva il cuore martellarle il petto. Che senso aveva continuare a nascondere l’evidenza?

“Io…”. Il rumore improvviso della porta che si aprì le fece sobbalzare entrambe. Clarke saltò all’indietro, come se si fosse scottata. Avrebbe voluto urlare. Si voltò verso Lexa. Era pallida, come se avesse appena visto un fantasma. E, in fin dei conti, un po’ era così.

“Costia?”.







Angolo dell'autrice 

Eccoci qua con un nuovo capitolo. Sì, lo so, non è esattamente questo il finale che vi aspettavate, ma prima o poi Costia doveva ritornare. Allo stesso tempo, però, direi che ormai è sempre più palese che sia Clarke, sia Lexa provino qualcosa l'una per l'altra. E, prima o poi, (ma vi prometto che sarà più prima che poi) dovranno accettarlo.
Grazie a chiunque legga e recensisca.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 16.Ache ***


16.

 

You can't choose the life you get
Wish I could be somebody else
[…]
Put me to rest
I'm ready to lose everything
(Youth Fountain-Ache)

 

 

 

 

“Ehi, straniera. Tutto bene?”. Lexa si voltò. Clarke era davanti a lei, che le sorrideva. La bionda si sedette accanto a lei, senza parlare. Erano in riva ad un laghetto non molto distante dal set, circondate solo da un pacifico e rassicurante silenzio. Di tanto in tanto, Lexa lanciava qualche sassolino nell’acqua limpida, sotto gli occhi attenti di Clarke. 

“È una bella giornata.” constatò quest’ultima, osservando il cielo. “Solo un po’ fredda. D’altronde, è inverno.”. Lexa non disse nulla. Teneva lo sguardo chino e continuava a giochicchiare con i sassolini. Clarke inarcò un sopracciglio. Non capiva quale fosse il problema.

“Lexa?” la chiamò, senza ottenere risposta. “Ehi.” insistette. Posò due dita sotto al mento della mora e la costrinse a voltarsi verso di lei. Gli occhi verdi di Lexa erano carichi di una profonda malinconia e Clarke ebbe il sospetto che avesse smesso di piangere da poco. 

“Lexa?” insistette, preoccupata. La mora sospirò e scosse il capo.

“Me ne vado.”. Clarke non era sicura di aver capito bene. 

“Ho capito, preferisci restare sola. Torno alla mia roulotte.” disse, alzandosi in piedi. Fece per incamminarsi verso il set, ma Lexa la fermò, prendendole il polso. Clarke si voltò. Lexa la fissava con i suoi occhi smeraldini. Clarke deglutì. Si risedette per terra, lentamente. Erano una di fronte all’altra ora e, per un momento, Lexa non le sembrò che una ragazzina spaurita. Allungò la mano, fino a posarla sul suo ginocchio sinistro. 

“Clarke, me ne devo andare.”

“E dove?” chiese Clarke, sempre più confusa. In cuor suo, in realtà, cominciava ad intuire cosa stesse cercando di dirle Lexa. Eppure, non riusciva proprio ad accettarlo.

“In Nevada, per una nuova serie.“. Una doccia gelata. Le parole di Lexa furono per Clarke peggio di una doccia gelata. 

“Lex…” mormorò quest’ultima, incredula. 

“Me l’hanno comunicato stamattina. Sarò la protagonista, è una buona opportunità.”

“Lex…”

“Partirò una volta finite le riprese. Wallace mi ha assicurato che il mio personaggio avrà una fine più che dignitosa.”

“Lexa, ma cosa stai dicendo?” urlò Clarke, le lacrime agli occhi. Aveva la nausea. 

“Mi dispiace.” mormorò Lexa. Clarke scosse il capo. Non aveva mai provato una tale disperazione. Si sentiva persa. Non riusciva a capire. 

“Quando avevi intenzione di dirmi che avevi deciso di fare dei provini per un’altra serie?”

“No, Clarke. Non è andata così.” disse Lexa. “Mi hanno chiamata loro. Titus poi…”

“Titus, sempre Titus! Prenditi qualche responsabilità ogni tanto!” ribatté Clarke, rimettendosi in piedi. “Tu non sai quanto io mi sia esposta anche per te, per provare a migliorare non solo il mio, ma anche il tuo personaggio!”. Lexa sorrise amaramente. “Tu non sai… Non importa.”.

“Mi dispiace.” si limitò a mormorare la mora. Clarke scoppiò a ridere.

“Non è vero, ma va benissimo così.” asserì. Poi corse via, senza osare voltarsi indietro. 

 

Clarke si passò una mano sul volto. Erano passati tre giorni dal ritorno di Costia. Di conseguenza, erano passati tre giorni dall’ultima volta che aveva sentito Lexa. Non che fosse poi totalmente colpa sua. Costia le aveva gentilmente fatto capire che fosse meglio per lei andarsene. In fin dei conti, Clarke non era nessuno per Lexa. Non era la sua ragazza, non era nemmeno questa grande amica. Era semplicemente la mera avventura di una notte, nient’altro. Clarke sbatté la tazza sul tavolo. Era stanca, stanca di mentirsi. Era scappata via come una codarda, come la peggiore delle vigliacche. Non aveva avuto nemmeno il coraggio di confessare a Lexa i suoi sentimenti. Sospirò. C’era una sola persona con cui avrebbe potuto chiedere suggerimenti. Riordinò la cucina e andò a vestirsi. Si assicurò di aver chiuso per bene la casa e si recò in garage. Salì in macchina e partì. Stranamente, quella mattina il traffico di Beverly Hills era meno fitto del solito. Arrivata a destinazione, parcheggiò l’auto e si incamminò verso una villetta gialla. Il cancello era aperto e Clarke decise di andare direttamente alla porta, senza prima suonare il citofono. Bussò e attese. Si chiese se avesse avuto una buona idea. Forse avrebbe dovuto prima telefonare. In ogni caso, ormai era lì e non poteva tornare indietro. Finalmente, sentì qualcuno armeggiare con la serratura. La porta si aprì e Clarke sbiancò. Di fronte a lei c’era l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere quella mattina. Clarke strinse i pugni, in un mix di rabbia e tristezza. 

“Raven, che diamine ci fai tu qui?”.

 

________________

 

Lexa si aggirava per il set cercando di evitare chiunque, la testa china. Non aveva voglia di parlare con nessuno. Odiava Wallace, odiava Titus e odiava sé stessa per non essere stata capace di imporsi. Sapeva quanto Clarke si era esposta per lei. Sopratutto, sapeva quanto la bionda tenesse a lei. Tirò una manata alla porta della sua roulotte. Si sentiva così vuota. Colpì nuovamente la porta, noncurante del dolore. Non riusciva a fermarsi. Aveva bisogno di distruggere qualcosa. Aveva bisogno di vedere il mondo a pezzi, ridotto in rovina esattamente come lei. Si sentiva totalmente persa, rotta, senza alcuno scopo. 

“Ehi, Lexa. Lexa, ferma!”. Lexa quasi non si accorse delle braccia che le circondarono la vita e la costrinsero a staccarsi dalla porta della roulotte. Quasi non sentì la voce di Raven che le sussurrava di calmarsi, di appoggiarsi a lei. Si ritrovò per terra, in lacrime. 

“Va tutto bene, sono qui.” cercò di tranquillizzarla Raven. “Sono qui.”. Lexa avrebbe voluto urlare. Come avrebbe potuto spiegare che l’unica persona di cui avrebbe davvero avuto bisogno in quel momento probabilmente la detestava? 

“Lexa, cosa succede?” le chiese Raven. Non l’aveva mai vista così, nemmeno quando Costia l’aveva tradita. 

“Io… Rae ho accettato… Io non volevo, ma ho dovuto…”

“Lex, respira.” le suggerì Raven. “Così, come me.”. A poco a poco, seguendo la latina, Lexa riuscì a calmare il respiro. Le girava la testa e si sentiva senza forze, ma almeno l’attacco di panico era passato. Si voltò verso Raven. La latina le rivolse uno sguardo carico di tenerezza.

“Stai meglio?” le chiese. Lexa annuì e si passò una mano fra i capelli. 

“Ho combinato un casino, Rae. Ho accettato un lavoro e… Non potevo fare altrimenti.” spiegò. “Clarke era così arrabbiata. L’ho persa per sempre.”. 

“Impossibile.” obiettò Raven. “Quella ragazza ti adora, Lexa. Nulla potrà cambiare tutto questo.”. Raven aveva ragione, Lexa lo sapeva. Ed era proprio quello il problema. 

 

Lexa si sforzò di non urlare. La casa era un tale caos. Ethan non la smetteva di piangere, Adria continuava a correre su e giù per le scale inseguita da Madi e Aden era alla disperata ricerca del suo libro di storia.  

“Non lo trovo!” si lamentò il ragazzino, sconsolato.

“Non so che dire. Sei sicuro di non averlo lasciato a casa di qualche tuo compagno?” chiese Lexa, che era intenta ad allattare il piccolo Ethan. 

“No, l’ho usato ieri per studiare.” rispose Aden. 

“Prova a farti aiutare da Costia.” suggerì l’attrice. Il ragazzino le rivolse un’occhiataccia e Lexa avrebbe voluto sotterrarsi con le sue stesse mani. Clarke non le era mai mancata così tanto. Da quando era tornata, Costia si era rivelata più un problema che un aiuto. Anzi, la realtà era che a malapena puliva la sua tazza dopo la colazione. Dovresti assumere una cameriera, aveva detto a Lexa la sera prima, qualcuno che ti aiuti a tenere in ordine questo sfacelo. L’attrice per poco non le era scoppiata a ridere in faccia. 

“Va bene, finisco con tuo fratello e arrivo.” si arrese, infine. Aden annuì e uscì dalla stanza, lasciandola sola con il bambino. Lexa attese pazientemente che Ethan finisse il biberon e scese in cucina. Madi l’accolse con una tazza colma di latte e un pacco di cereali in mano. Inutile dire che finì tutto sul pavimento. 

“Io non… Non l’ho fatto apposta.” la ragazzina si apprestò a scusarsi.

“Lo so, tranquilla.” la rassicurò Lexa. “Prendi Ethan, ci penso io qui.”. Madi annuì e prese il bambino in braccio, mentre Lexa puliva il pavimento. Seduta al tavolo, Adria osservava la scena divertita. 

“Dov’è Costia? Dio, siamo in ritardo.”

“Sono qui, Lex.”. L’attrice si voltò. Non era mai stata così felice di vedere la modella in tutta la sua vita. 

“Cos, meno male. Ho bisogno di una mano.”. Costia si irrigidì. Era chiaro che la sola idea di aiutare con i ragazzi non la facesse impazzire. Non che Lexa facesse poi chissà che affidamento su di lei. Non aveva di certo dimenticato che era stata proprio Costa ad aver lasciato Ethan da solo per andare a divertirsi. 

“Qualcuno deve portare Adria a lavarsi i denti mentre io sistemo questo disastro.” spiegò. 

“Non può farlo Madi?”. La ragazzina strinse i pugni, senza ribattere. Per un attimo, Lexa temette che le lanciasse una sedia addosso. 

“Allora mi aiuti tu con Ethan.”. Costia si irrigidì. In braccio a Madi, il bambino la fissava con i suoi occhioni scuri. La prospettiva di rimanere ancora una volta vittima dei suoi rigurgiti selettivi si rivelò decisamente poco invitante per la modella. 

“Adria, vieni?” disse, facendo segno alla bambina di seguirla. Adria si alzò dalla sedia e la raggiunse, riluttante. Non le piaceva quella donna. Non le ispirava simpatia, per niente. Lexa le osservò incamminarsi al piano superiore, mentre finiva di ripulire la cucina. 

“Lex, ho trovato il libro!” annunciò dal nulla Aden dal soggiorno.

“Fantastico! Dov’era?”

“Da Mark.” rispose il ragazzino. L’attrice scosse il capo. Aden era decisamente la persona più sbadata che avesse mai conosciuto. Sospirò e si mise a controllare la posta. Pubblicità, un invito per la partita dei Lakers (come se a lei, tifosa dei Boston Celtics, potesse interessare) e i pass per la serata di beneficenza a cui avrebbe dovuto presenziare l’indomani. Imprecò. Se n’era completamente dimenticata. Un urlo improvviso la riportò alla realtà. Adria. 

“Vado io.” si offrì Madi. La ragazzina sistemò Ethan sul seggiolone e corse al piano di sopra. Non fece in tempo ad entrare in bagno, che Adria le corse incontro, in lacrime. 

“Ma che è successo?” chiese, confusa.

“Ho solo provato a raccoglierle i capelli, poi lei ha cominciato ad urlare.” spiegò Costia.

“Non lo stava facendo nel modo giusto.” si difese la bambina. “Quando torna Clarke?”. A quella domanda, Madi sentì una stretta al cuore. Strinse la sorella a sé e le carezzò teneramente il capo.

“Clarke non torna, Adria. E comunque non sei autorizzata a comportarti così. Costia voleva solo fare una cosa carina.” la rimproverò. La modella sembrò sorpresa dal gesto di Madi. Non aveva mai preso le sue difese. 

“Scusa.” Adria mormorò, senza guardare Costia in faccia.

“Brava.” si complimentò Madi. “Che ne dici se finiamo di prepararci?”

“L’aiuto io.” propose Costia.

“Oh, okay.” si limitò a rispondere Madi, mentre spingeva la sorellina verso la modella. Adria non sembrava entusiasta dell’idea, ma la ragazzina cercò di ignorare la cosa. Corse a vestirsi e, recuperate le proprie cose, si precipitò giù per le scale. Trovò Lexa e i suoi fratelli pronti, che la aspettavano.

“Bene, andiamo.” esortò l’attrice. Fece per aprire la porta, quando Costia la fermò.

“Ci penso io.” asserì. “Solo, penso di aver dimenticato la borsa in camera di Madi.”

“Vado a prenderla!” esclamò la ragazzina. Una volta arrivata nella sua stanza, si guardò intorno alla ricerca della borsa. La trovò appoggiata sulla scrivania. Quando la prese, però, sentì qualcosa cadere per terra. Posò la borsa sul letto e trasalì. Sul pavimento c’era una bustina piena di pastiglie. La raccolse, nel panico. Non sapeva cosa fare. Avrebbe dovuto parlarne con Lexa? 

“Madi, l’hai trovat-… Oh.”. La ragazzina sobbalzò. Costia si avventò su di lei e le strappò la bustina dalle mani. 

“Piccola ficcanaso, questa me la paghi!” 

“E invece penso proprio che non sarò io quella che la pagherà.” ribatté Madi, riprendendosi la bustina.

“Ridammela!” urlò Costia. Nessuna delle due si accorse dell’arrivo di Lexa. 

“Insomma, che cosa sta succedendo qui?” domandò l’attrice, confusa. Solo in un secondo momento realizzò con orrore che cosa Madi stesse tenendo in mano. 

“Non è come sembra.” si difese la ragazzina. 

“Lexa, mi dispiace. L’ho trovata così.” mentì Costia. Madi sgranò gli occhi. Non poteva credere alle sue orecchie.

“Io non… Io non capisco.” mormorò Lexa. 

“Non è mia!” protestò Madi. Costia sogghignò. “Sto dicendo la verità!”. Lexa guardò prima la ragazzina e poi la modella. Non sapeva cosa fare. Madi scosse il capo. Lanciò la bustina contro Costia e si mise lo zaino sulle spalle. Fece per uscire, ma Lexa le si parò davanti. Madi la spinse via e la guardò, gli occhi carichi di delusione. 

“Non cercarmi più.” sibilò.  L’attrice provò a seguirla e fermarla, ma Costia glielo impedì.

“Ma cosa fai?” 

“L’hai appena trovata con delle pasticche. Pensa ad Adria o Ethan o anche ad Aden. L’ho sempre detto che quella ragazzina non avrebbe portato altro che guai. D’altronde, con una madre così.”. Lexa non rispose. Non riusciva a dire niente. Non era certa di aver ben compreso cosa fosse appena successo. Si limitò a stare lì, ferma, lo sguardo fisso sulle scale che portavano al piano di sotto. E quello fu il momento in cui realizzò di non aver mai desiderato così tanto che Clarke fosse ancora lì, al suo fianco. 

 

________________

 

 

“Sentirete la mancanza di Lexa Woods sul set?” chiese il giornalista. Raven si massaggiò il collo. Accanto a lei, Clarke stava cercando in tutti i modi di mascherare la tristezza che la attanagliava da mesi ormai. Dopo quella notte passata insieme, Lexa era fuggita senza darle nemmeno una spiegazione e la bionda non si era più ripresa. Anzi, era evidente come col passare dei giorni le sue condizioni peggiorassero. Raven sospirò. Lexa l’aveva combinata grossa, ma non aveva avuto scelta. O meglio, si era convinta di non averne una.  

“Dovrebbe chiederlo a Clarke.” rispose, infine. Quest’ultima spalancò gli occhi, nel panico. Una marea di domande la travolse e Clarke si sentì annegare, senza la possibilità di trovare un appiglio che la salvasse. Risposte. Quelle persone volevano risposte che lei non era in grado di dare. E Raven non poté fare altro che maledire sé stessa e la sua dannata lingua. 

 

“Da quanto state insieme?” chiese Clarke, appoggiandosi al muro. Lei ed Anya si erano spostate in cucina, mentre Raven se ne stava seduta in soggiorno, indecisa se andarsene o meno. 

“Ci stiamo solo frequentando, Clarke. L’hanno presa per un ruolo importante nella serie in cui recito e… Senti, se è un problema posso…”

“Non sono così infantile, Anya.” disse Clarke. “Sono solo… Sai, certe ferite non possono rimarginarsi da un giorno all’altro.”

“Lo so.” concordò Anya. “Ma lei ti vuole bene, Clarke. Mi ha raccontato quello che è successo e non voleva farti del male.”. Clarke scosse il capo. 

“Anya, per colpa sua io e Lexa siamo state letteralmente perseguitate dai giornalisti per un anno. Non so quale fosse il suo scopo, fatto sta che quella maledetta uscita non ha fatto altro che peggiorare una situazione già terribile di suo. Tu non sai che inferno ho passato.”

“Ma so che inferno ha passato Lexa.” replicò Anya. 

“Già, come no.” sbottò Clarke. Anya le prese le mani fra le sue e la fece sedere.

“Ascolta, quello che ti ha fatto è stato orribile, lo so. Solo, sappi che non tutto è come sembra. Non posso dirti di più, anche perché non so di più.”. Clarke aprì la bocca per ribattere, ma Anya glielo impedì, facendole segno di lasciarla continuare. “Lexa prova qualcosa di profondo per te, è così palese che anche un cieco lo noterebbe. È che… A volte non si può avere ciò che si vuole, Clarke. O meglio, capita di non riuscire a considerare tutte le eventuali alternative che ci aiuterebbero ad arrivare alla felicità.”. Clarke aveva così tante domande. Fece un respiro profondo e ricacciò indietro le lacrime. 

“Io voglio solo sapere perché.” ammise. 

“Lo so.” disse Anya. “E domani sera glielo chiederai.” aggiunse, porgendole un cartoncino. La serata di beneficenza organizzata da Wallace, Clarke se n’era completamente dimenticata. 

“An, non posso.” protestò.

“Oh, sì che puoi.” insistette Anya. “Ne hai il diritto.”. Clarke non ebbe la forza di obiettare. Anya aveva ragione. Era giunto per lei il momento di scoprire la verità. Era giunto per lei il momento di trovare delle risposte. Era giunto per lei il momento di porre fine a tutto quel dolore. Ne aveva il diritto. Ne aveva bisogno.

 









Angolo dell'autrice


Allora, che dire? Tanta, tantissima carne al fuoco. Iniziamo dalla fine. Vi avevo promesso delle risposte ed eccole qua. Finalmente scopriamo cosa è successo tra Raven e Clarke. Se all'apparenza sembra che non sia accaduto nulla di grave, immaginatevi una già devastata Clarke Griffin perseguitata da giornalisti e paparazzi per mesi per colpa di un'uscita decisamente evitabile. Dall'altro lato, però, si intuisce che Raven sa qualcosa che gli altri non sanno, ovvero il motivo che si nasconde dietro il comportamento di Lexa. Lexa che, nel frattempo, è sempre più persa. Inutile dire che Costia è davvero una pessima persona e quello che succede con Madi ne è la perfetta dimostrazione. I prossimi capitoli saranno decisivi.
Grazie mille per leggere e a chi commenta. 
Alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 17.Better ***


17.

 

This is your last chance to
Say something, follow through
[…]
You know I love you but I don't wanna do this anymore
(You vs Yesterday-Better)

 

 

 

La serata di beneficenza organizzata da Dante Wallace era uno di quegli eventi annuali a cui qualunque celebrità non poteva proprio rifiutarsi di partecipare, Lexa ne era consapevole. Le riprese di Natblida erano riuscite a salvarla l’anno prima, ma questa volta non aveva scuse. Inoltre, Costia era così entusiasta all’idea di andare, che l’attrice non se l’era proprio sentita di dirle di no. Il vero problema era stato trovare qualcuno che si occupasse dei ragazzi. Anche Anya avrebbe partecipato alla serata, così come Octavia e beh, Clarke. Non che Costia le avrebbe permesso di chiamare quest’ultima, in ogni caso. Per qualche istante, Lexa aveva perfino avuto la tentazione di chiedere a Titus, ma fortunatamente aveva realizzato subito quanto l’idea fosse stupida. Alla fine, Lincoln si era offerto volontario, dichiarando di non essere poi così desideroso di entrare a far parte del mondo di Hollywood. Octavia non aveva protestato più di tanto, comprendendo la situazione e intuendo che il suo ragazzo dovesse sinceramente preferire badare ad Aden, Adria ed Ethan, piuttosto che passare la serata con persone più o meno famose di cui non gli interessava nulla. Lexa sospirò. La verità era che aveva tutt’altro per la testa. Era preoccupata per Madi. Aveva passato tutto il giorno prima a cercarla, terrorizzata all’idea che potesse essersi cacciata in guai grossi. Aveva deciso di non chiamare la Sidney, aspettando di capire cosa fosse esattamente successo tra lei e Costia e da dove venissero quelle pasticche. Non che non credesse alla sua ragazza, anzi. Con una madre come Ontari, era molto probabile che certa roba circolasse in casa di Madi. Allo stesso tempo, però, qualcosa non le tornava e aveva bisogno di vederci chiaro. Quando quella mattina aveva finalmente trovato la ragazzina, si era sentita morire. Madi era tornata a Polis e l’aveva pregata di non farsi più viva. Tanto lo so che a quelle come te non interessa realmente delle persone come me, le aveva detto. A nulla erano valsi i tentativi di Lexa di convincerla a seguirla a Beverly Hills, Madi le aveva letteralmente chiuso la porta in faccia. Come biasimarla? Lexa non le aveva nemmeno dato il tempo di spiegarsi. Costia le aveva detto di non preoccuparsi, di provare a capire che era meglio così. Una ragazzina come Madi, invischiata in chissà che cosa, sarebbe stata solo un enorme pericolo per loro. Eppure, Lexa non riusciva a darsi pace. Da un lato, Costia aveva ragione e lei doveva pensare anche al bene di Aden, Adria ed Ethan. Dall’altro, però, sentiva che non insistere non fosse la cosa giusta. Forse stava solo scappando, esattamente come tre anni prima. Probabilmente non era capace di fare altro.

“Ehi.” la salutò Titus, porgendole un bicchiere di vino. Lexa accettò, seppur con ritrosia. Non aveva la minima voglia di parlare con lui. Non ne aveva la forza.

“Allora, hai preso una decisione?”. Ecco, appunto. 

“Titus…”

“Lexa, ti ricordo che dovrai comunicare la tua scelta entro domani.”. Lexa alzò gli occhi al cielo e bevve un sorso di vino. Si guardò intorno, senza rispondere. Costia era dall’altra parte della sala, avvinghiata ad una donna che Lexa non aveva mai visto. L’attrice si sforzò di non scoppiare a ridere. Si sentiva così patetica. 

“Ho preso una decisione, sì.” comunicò infine, senza guardare Titus in faccia. “Ma te la farò sapere domani. Voglio riservarmi qualche altra ora per pensarci su.”. L’uomo annuì, con fare comprensivo. Le assestò una pacca sulla spalla, soddisfatto della risposta. 

“Brava ragazza. Vedrai, andrà tutto per il meglio.”. Lexa lo osservò avviarsi verso il buffet. No, nulla sarebbe andato per il meglio, ne era consapevole. Non poteva essere altrimenti. Si appoggiò al muro e finì di bere il suo vino. Un rumore improvviso attirò la sua attenzione. Si voltò, il respiro mozzato. Clarke era lì, davanti a lei, eterea. Indossava un semplice vestito blu, ma a Lexa in quel momento sembrava la donna più bella del mondo. Era arrivata con Octavia ed era stata raggiunta da Bellamy e sua moglie. Lexa conosceva bene l’attore. Non erano di certo migliori amici, ma aveva dei bei ricordi legati a lui. Era rimasta molto sorpresa quando aveva annunciato il fidanzamento con Echo. Chissà perché, ma in qualche misura aveva sempre creduto che lui e Clarke si sarebbero messi insieme prima o poi. Scosse il capo. Forse l’aveva solo sperato, per pulirsi la coscienza. Sapeva bene quanto la sua fuga avesse ferito Clarke e la verità era che non se lo sarebbe mai perdonato. Allo stesso tempo, però, era conscia di non aver avuto scelta. 

“Lexa.”. Quella voce. Era da tre giorni che non sentiva quella voce. Le era mancata così tanto. 

“Clarke, è un piacere vederti. Stai… Stai benissimo.”. La bionda le sorrise, leggermente in imbarazzo per quel complimento. Lexa aveva lo stomaco in subbuglio. Era così stanca di fingere, di mentire a sé stessa. Sapeva benissimo cosa voleva. E non poterlo avere la stava distruggendo.

“Sei qui da sola?” chiese Clarke, anche se Lexa sospettava conoscesse già la risposta.

“No, sono con Costia. Solo che lei è… Beh, è da qualche parte.”. Gli occhi di Clarke si tinsero di una profonda malinconia. Sembrava addolorata, come se il solo sapere quanto stesse soffrendo facesse stare male anche lei. Quello che davvero colpì Lexa fu l’assenza di pietà nel suo sguardo. E, dovette ammetterlo, la cosa la sollevava alquanto.

“Lexa, io… Perché?” chiese Clarke, all’improvviso. Lexa inarcò un sopracciglio, non capendo del tutto la domanda.

“Perché Costia è in giro e non con me? Beh, è adulta, può fare quello che vuo-…”

“Perché sei tornata da lei?”. Se avesse potuto, Lexa sarebbe diventata un tutt’uno con il muro, fino a sparire. 

“Clarke…”

“No, Lex. Ho bisogno di una risposta. Io… Tre anni fa ti ho dato tutto e poi tu te ne sei andata senza nemmeno salutarmi. Per mesi non ho fatto altro che chiedermi cosa avessi di sbagliato, ma…”

“Nulla, Clarke!” Lexa sì apprestò a rassicurarla. “Non c’è nulla che non va in te. No, non sei tu il problema, Clarke.”

“E allora perché, Lexa? Perché sei scappata via così?”. Lexa aveva un nodo in gola. La verità. Clarke cercava la verità e, in fin dei conti, ne aveva tutto il diritto. 

“Ti prego…” insistette la bionda. Lexa si mise a giochicchiare con il bicchiere che aveva in mano. La verità. C’è chi sostiene renda liberi. In quel caso, però, avrebbe solo causato danni irreparabili.

“Lexa, ho bisogno di sapere.”. La mora si morse il labbro. Si guardò intorno, in cerca di una via di fuga. Il suo sguardo incrociò quello impassibile di Cage Wallace, il figlio di Dante. L’uomo le fece un cenno d’intesa col capo e Lexa sospirò, cercando il più possibile di non far trasparire alcuna emozione. 

“Lex…” la richiamò Clarke. 

“Devo andare.” mormorò la mora.

“No!” la fermò Clarke, prendendola per il polso. “Lexa, io…. È stato lui, vero? È stato Wallace?”. La mora trasalì. Clarke doveva aver notato lo scambio di sguardi fra lei e Cage. 

“Di cosa stai parlando?” decise di fare la finta tonta. Clarke le lasciò andare il polso in malo modo, come a spingerla via. Era chiaramente furiosa. 

“Non posso continuare così.” disse. “Mi dispiace, ti ho promesso che ci sarei sempre stata, ma non ce la faccio. Ho bisogno della verità, ho bisogno di capire perché tre anni fa tu sia fuggita via senza nemmeno dirmi addio, ho bisogno di sapere che cosa abbia Costia più di me, perché te lo giuro, non riesco proprio a comprenderlo. La verità è che ti ho detto che dovevamo andare avanti, ma io non ho mai smesso di provare qualcosa per te. Dio, mi sento così stupida.”. Lexa rimase impassibile, lo sguardo fisso su di lei. “Per un attimo, i giorni scorsi, ho avuto la sensazione che non fossi l’unica fra noi due a provare qualcosa, ma probabilmente mi sbagliavo. Mi dispiace.”. Lexa osservò la bionda avviarsi all’uscita. Era nel panico. Fece per inseguirla, ma qualcuno la bloccò, afferrandola per il braccio. Costia, come al solito.

“Lasciami!” esclamò. 

“Lex, non ne vale la pena.” ribatté la modella.

“Ti ha detto di lasciarla andare.” le urlò Anya, spingendola via. Costia mollò la presa e arretrò, spaventata dallo sguardo infuriato dell’attrice. 

“Sparisci!” ringhiò quest’ultima.

“Ti conviene fare come dice, se vuoi continuare a fare la modella.” le suggerì Raven, che aveva deciso di fermare la sua ragazza prima che potesse rovinarsi la fedina penale. Costia non poté fare altro che cedere e andarsene. Lexa si appoggiò alla parete, visibilmente scossa. Inoltre, avere gli occhi di tutti puntati addosso la stava mettendo molto a disagio. 

“Non c’è niente da vedere, tornate a godervi la vostra festa!” Anya andò in suo soccorso. 

“Grazie.” mormorò Lexa, ormai un tutt’uno con il muro. “Da quanto state assieme voi due?” chiese poi, all’improvviso. 

“Beh, noi… Non sei arrabbiata?”

“E perché dovrei, Rae? Conosco bene i motivi dietro quel tuo gesto di tre anni fa e so che, a modo tuo, stavi cercando di farmi tornare indietro. Mi dispiace solo di non averti dato retta.”. Raven le posò una mano sulla spalla. 

“Puoi ancora tornare indietro, Lex. Puoi ancora tornare da lei.”. Lexa ricacciò indietro le lacrime, sforzandosi in tutti i modi di non piangere. Raven aveva ragione, non era troppo tardi per tornare da Clarke. Eppure, non era sicura di poterlo fare.

 

________________

 

Clarke se ne stava seduta per terra, noncurante del fatto che avrebbe sporcato il vestito di terra ed erba. Dante Wallace aveva organizzato la serata di beneficenza in un prestigioso albergo di Beverly Hills, situato nel bel mezzo di un enorme parco. Clarke sospirò. Forse era stata troppo dura con Lexa. Allo stesso tempo, però, era così stanca di mentire a sé stessa. E poi, quel cenno d’intesa con Cage Wallace non lasciava tranquilla. E se Lexa fosse stata costretta ad allontanarsi da lei? Sentì l’angoscia montarle dentro e soffocarla, come un serpente fa con le sue spire. Non aveva mai nemmeno lontanamente contemplato un’idea simile. Si diede mentalmente dell’ idiota. Tutto avrebbe avuto senso, la fuga, i tre anni di spiegazioni mancate, quello sguardo triste che le leggeva negli occhi ogni giorno. Strinse i pugni. Pregò con tutto il cuore sin non aver intuito la verità. La sola idea che qualcuno l’avesse costretta a fare qualcosa contro la sua volontà le faceva male, troppo male.

“Posso?”. Clarke si voltò. Lexa era lì, davanti a lei, gli occhi verdi arrossati dal pianto. Clarke le fece segno di sedersi pure accanto a lei e lei non se lo fece ripetere due volte. Rimasero così, sull’erba, senza parlare, per chissà quanti minuti. 

“Clarke, io…” Lexa esordì, interrompendo il silenzio. 

“No, Lex.” la interruppe la bionda. “Sono stata ingiusta e mi dispiace. Qualunque cosa sia successa tre anni fa, me la dirai quando e se sarai pronta. Solo, credo davvero di non poter continuare così. Pensavo di poter ignorare i miei sentimenti, ma non ci riesco.”. Lexa si morse forte il labbro. Avrebbe voluto così tanto farle capire che non era l’unica a provare certe cose, ma era consapevole che sarebbe stato solo più doloroso per entrambe. Si passò una mano fra i capelli, indecisa sul da farsi. Da un lato avrebbe voluto scappare, ma dall’altro sentiva di avere bisogno di stare lì, con Clarke. Era così stanca di scappare. Era stremata. 

“Scusa.” mormorò la bionda.

“No, Clarke, non scusarti.” Lexa la rassicurò immediatamente, circondandole le mani con le sue. Gli occhi blu di Clarke la scrutavano, carichi di domande che non aveva il coraggio di porle. Lexa distolse lo sguardo, il cuore in gola. Silenzio, di nuovo.

“Come stanno i ragazzi?” chiese Clarke, dopo svariati minuti in cui nessuna delle due aveva osato aprire bocca.

“Bene, credo. Devo tenere Ethan lontano da Costia ed Adria al largo dalle borse, ma per il resto stanno una meraviglia. È che… Ci manchi. So che sono passati pochi giorni, ma è così.”. Clarke si accomodò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e accennò un sorriso imbarazzato.

“E Madi? Come sta?”. Lexa fece un respiro profondo e chinò il capo, sotto lo sguardo preoccupato della bionda. “Lex?” insistette quest’ultima, che non capiva cosa stesse succedendo. L’attrice del Massachusetts si girò verso di lei, gli occhi ricolmi di tristezza e profondo rimpianto. 

“Madi è… Costia l’ha trovata ieri con una bustina di pasticche in mano.” rispose, infine.

“Pasticche?” chiese Clarke, sempre più confusa.

“Sì, esatto.” 

“E tu c’eri quando è successo tutto questo?”

“Beh, io… Non esattamente. Ero di sotto, poi ho sentito delle urla e sono corsa in camera di Madi. Lei aveva quella bustina in mano e Costia mi ha detto di averla trovata così.” spiegò Lexa. 

“E tu le credi?” domandò Clarke, con tono provocatorio. 

“Clarke…”

“No, Lex. Se c’è una persona che non prenderebbe mai quella roba è Madi!”

“Ontari è una tossicodipendente e lo sai bene.” osservò Lexa.

“Ed è esattamente per questo che Madi non la prenderebbe mai, lo so per esperienza.” asserì la bionda. Lexa aggrottò la fronte, confusa. Che Clarke avesse sperimentato qualcosa di simile?

“No, non in quel senso.” si apprestò a chiarire quest’ultima, come se le avesse letto nella mente. “Riguarda… È successo a una mia amica.” spiegò. “Il punto è che… Senti, non è una legge esatta, ma spesso chi vive situazioni come quelle di Madi tende a non voler avere nulla a che fare con certe cose. Non sto dicendo che Costia abbia mentito, ma potrebbe aver equivocato. Sarebbe comprensibile.”. Lexa avrebbe voluto urlare. Le veniva da vomitare.

“Clarke, io… Ho combinato un disastro.” entrò nel panico. “L’ho lasciata andare. È tornata a casa sua.” confessò, con orrore. 

“Lex…”

“No, Clarke, lei non mi vuole più vedere. Ho rovinato tutto.”. Clarke la guardò con tenerezza. Le carezzò il braccio, dolcemente. Non c’era alcun tentativo di seduzione in quel gesto, solo il desiderio di far capire a Lexa che non era da sola e che, nonostante tutto, almeno per quanto riguardava Madi e i ragazzi poteva sempre contare su di lei. 

“Potrei andare a farle visita domani.” propose. Lexa annuì.

“Grazie.” mormorò. Clarke fece per dirle qualcos’altro, quando il suo cellulare squillò. Lo estrasse dalla pochette che aveva con sé e rispose, facendo segno a Lexa di non andarsene. 

“Mamma, tutto bene?” domandò. Il cuore le martellava nel petto, senza sosta. Sua madre sapeva dove si trovava in quel momento, non l’avrebbe mai chiamata senza un valido motivo. Oltretutto, a quell’ora era di turno in ospedale. 

“Clarke, per caso conosci una certa Madi Winter?”

“Sì, è una delle figlie di Roan. Perché?” chiese, allarmata. C’era qualcosa che non andava, decisamente. 

“Devi venire qui, Clarke. Lei è… Qualcuno l’ha aggredita. La stiamo operando d’urgenza.”.






Angolo dell'autrice 

Sì, è un orario un po' inconsueto per aggiornare, lo so, ma eccovi comunque il capitolo. Dunque, le nostre Clexa finalmente si incontrano di nuovo. Clarke cerca di scoprire cosa sia successo tre anni prima e, forse, la sua intuizione non è poi così lontana dalla verità. E poi, finalmente, l’ha ammesso, ha confessato di provare ancora sentimenti molto forti. Lexa, dall'altro lato, è allo stremo. Sta portando pesi che non dovrebbe portare e la situazione di Madi la sta mettendo parecchio in crisi. Se non altro, ha mostrato finalmente una certa insofferenza verso Costia, che sia l'inizio della fine per il loro rapporto? Ovviamente è quello che ognuno di voi spera, ma non posso promettere nulla. E, infine, c'è la fine del capitolo. Vi autorizzo a tirarmi tanti pomodori in faccia, sì. Ah, menzione speciale ad Anya e Raven, direi fondamentali in questo capitolo.
Grazie a chiunque legge e recensirà. Il vostro feedback è importante e adoro sapere cosa ne pensate di quello che scrivo.
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 18.Weight Of The World ***


18.

 

I used to carry the weight of the world
And now all I want to do is spread my wings and fly
(Chantal Kreviazuk-Weight Of The World)

 

 

 

 

 

Abby Griffin non aveva mai odiato nessuno. Lavorare a Polis le aveva insegnato a mettere da parte qualsiasi pregiudizio e aiutare chiunque ne avesse bisogno. Chiunque la conoscesse, la descriveva come una persona disponibile, sempre gentile con tutti. Eppure, quando si ritrovò Lexa davanti, Abby dovette fare appello a tutte le sue forze per non cacciarla dall’ospedale. Non poteva di certo dimenticare tutto il dolore provato da sua figlia negli ultimi tre anni per colpa sua. 

“Mamma, come sta?” le chiese Clarke, ridestandola dai suoi pensieri. Dietro di lei, Lexa teneva la testa china, probabilmente per la vergogna. In fin dei conti, l’ostilità di Abby nei suoi confronti era più che evidente.

“Sta bene, l’intervento è perfettamente riuscito. Come ho già spiegato all’assistente sociale, aveva dei frammenti di vetro conficcati nel fianco. Siamo riusciti a rimuovere tutto e a pulire le ferite.” spiegò il medico.

“Aspetti, la Sidney è qui?” Lexa la interruppe. Abby la fulminò con lo sguardo. Non poteva crederci, di tutto quello che aveva detto, l’attrice si era soffermata solamente su quell’inutile particolare. Non riusciva proprio a capire cosa Clarke vedesse in lei. 

“Mi perdoni, io… Non volevo interromperla.” si scusò Lexa. Abby inarcò un sopracciglio. Non se l’aspettava. Decise di ignorare il tutto e proseguire con la spiegazione.

“Non ho idea di come sia riuscita ad arrivare a Beverly Hills in quelle condizioni. Oltre a ferite e abrasioni, ha diverse costole incrinate e un brutto taglio in fronte. L’hanno trovata degli agenti di polizia, più o meno all’altezza di Valley Road. Credo stesse venendo da te, Clarke. Quando le ho detto come mi chiamavo, mi ha detto di conoscerti e così ti ho avvertita. Giuro, non ho mai visto nulla di simile, deve aver attraversato mezza città a piedi.”. Clarke e Lexa si guardarono, entrambe con le lacrime agli occhi. La mora si coprì il volto con le mani, cercando disperatamente di non scoppiare a piangere. Clarke la strinse a sé e cominciò a cullarla, con dolcezza. 

“È colpa mia, solo colpa mia.” ripeteva Lexa, fra i singhiozzi.

“No Lex, non è vero.” provò a rassicurarla Clarke. Abby osservava la scena, a disagio. Aveva vissuto situazioni simili centinaia di volte, ma vedere sua figlia coinvolta in prima persona le stava facendo uno strano effetto. E poi, c’era Lexa. Forse si era sbagliata su di lei, sembrava tenere molto a quella ragazzina. Scosse il capo. Magari aveva solo paura delle conseguenze, chissà. 

“Possiamo vederla?” domandò Clarke. Abby annuì.

“Sì, da questa parte.“ rispose, facendo loro segno di seguirla. “Eccoci qui.”. Lexa aveva lo stomaco sottosopra. Clarke le strinse la mano per farle coraggio e la invitò ad entrare. Madi era ancora addormentata e Lexa ebbe un tuffo al cuore nel vederla così. Seduta accanto al letto, Diana Sidney stava leggendo un libro, come se nulla fosse. Lexa ripensò a tutte le volte che Anya l’aveva pregata di prendere Madi con sé. Era stata una codarda, ecco la verità. 

“Woods, è un piacere vederla.” la salutò l’assistente sociale. “Mi dispiace solo incontrarla così.”

“Dov’è sua madre?” chiese Lexa, un nodo in gola. Diana Sidney scrollò le spalle.

“Bella domanda, Woods. Non siamo riusciti a rintracciarla. I suoi vicini di casa ci hanno detto di averla vista partire questa mattina.”. Lexa tirò una manata contro al muro. Quella ragazzina non meritava un trattamento simile, non da sua madre. 

“Per quanto riguarda Gloomy, il compagno di Ontari, anche lui è svanito nel nulla. Speriamo che si faccia vivo, ma…”

“Volete scherzare? Avete davvero tentato di contattare quell’uomo?”. Lexa era fuori di sé. Non poteva credere alle sue orecchie.

“Naturalmente. Qual è il problema?”. L’attrice scoppiò a ridere. La superficialità di quella donna era incredibile.

“Lei non se ne rende conto, vero? È lui che l’ha ridotta così.”

“Oh, andiamo. Lo sa anche lei che Madi è incline ad attaccare rissa con chiunque. Oltre al fatto che ha esplicitamente dichiarato di essere stata aggredita da ignoti.” ribatté Diana Sidney. 

“Già, per questo poi è venuta fin qua da Polis, vero?”. L’assistente sociale si messaggiò il collo, incapace di replicare. Lexa strinse i pugni, sempre più nervosa. 

“Come immaginavo.” disse, per poi lasciare la stanza, sotto gli occhi sconvolti di Clarke ed Abby.

 

________________

 

“Ehi.” esordì Anya, stringendo Lexa a sé. “Scusa se ci ho messo tanto, ma ho dovuto accompagnare Octavia a casa tua. Voleva tornare da Lincoln, per aiutarlo.” spiegò. 

“Non importa, An. Sei qui ora. Te ne sono grata.”. Anya le schioccò un bacio in fronte e le sorrise, con tenerezza.

“C’è anche Raven, ci teneva molto a venire.” disse, indicando la sua ragazza dietro di lei. “Ah, poi sono arrivati anche Costia e Titus. Li faccio entrare?”. Lexa sospirò. Avrebbe così tanto voluto risponderle di no. Si voltò. Clarke era seduta accanto a Madi e le carezzava dolcemente una guancia. La ragazzina si era risvegliata dall’anestesia, ma poi si era riaddormentata subito, stremata. 

“Va bene.” cedette, infine. 

“Non devi per forza.” asserì Anya. 

“Purtroppo sì.” mormorò Lexa, indietreggiando verso Clarke. Anya scosse il capo. Si fece forza e andò a chiamare Costia e Titus. Non li poteva sopportare, entrambi. Avevano incatenato Lexa alla peggiore delle convinzioni, spingendola a credere di non valere nulla, di non avere il diritto di inseguire i propri sogni. Li osservò entrare in camera di Madi, mentre Raven la invitava a mantenere la calma. 

“Vorrei solo che la smettesse di rendersi infelice da sola.” confessò.

“Lo so.” le disse Raven. Il suo sguardo incrociò per qualche secondo quello di Clarke. Stranamente, non vi trovò tracce di rabbia nei suoi confronti, sembrava solo sorpresa della sua presenza.

“Beh, vi aspetto fuori.” disse poi, non volendo creare problemi. Uscì dalla stanza, voltandosi un’ultima volta verso quella che un tempo era la sua migliore amica. Ripensò a quegli ultimi tre anni, a tutto ciò che era successo fra lei e Clarke. Aveva distrutto la loro amiciza per cercare di salvare la felicità di quest’ultima e il suo rapporto con Lexa. E, invece, aveva perso tutto. Si sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Poi, senza rimuginarci oltre, si allontanò definitivamente da quella camera.

 

________________

 

“Dunque, visto che siamo tutti qui e Madi è sveglia, direi che è arrivato il momento di capire cosa fare.” esordì Diana Sidney. Lexa, che era seduta sul letto di Madi, si voltò a guardare la ragazzina. Era tesa, visibilmente impaurita. L’attrice osservò Clarke prenderle la mano e sussurrarle parole di conforto. Ne avrebbe avuto bisogno anche lei in quel momento. 

“Madi, abbiamo provato a contattare Ontari e Malachi, ma non riusciamo a rintracciarli.” continuò l’assistente sociale. “Dobbiamo trovarti una sistemazione, lo sai, vero?”. La ragazzina annuì, senza parlare. Guardò Clarke, poi Lexa. Forse, con un po’ di coraggio, avrebbe potuto chiedere alla prima di ospitarla. Non voleva imporsi su Lexa, non di nuovo. Anche perché, con ogni probabilità, ormai per lei era solo la figlia tossica di una tossica. Costia era stata abile, doveva riconoscerglielo.

“Quali sono le soluzioni?” domandò Lexa, lo sguardo di tutti fisso su di lei. Comprensibile, il suo futuro dipendeva anche da quello di Madi. Sentì la mano di Clarke posarsi sulla sua spalla, così rassicurante. Non era sola in tutto quello ed era bello avere qualcuno che glielo ricordava.

“Dunque, la più immediata è che Madi entri nel sistema.” rispose l’assistente sociale.

“Sistema?” chiese Costia. Lexa non aveva mai realizzato quanto fosse irritante la sua voce.

“Sì. Lo Stato la prenderà in carico, nella speranza di trovarle una famiglia. Vista l’età, però, non le nascondo che sarà molto difficile.” 

“E dove starebbe nel frattempo?” domandò Lexa. 

“Dipende. In una casa famiglia, in un istituto… Dove c’è posto.” spiegò la Sidney. Madi ascoltava in silenzio, la testa china. 

“Potrebbe venire a vivere con me.” propose Clarke. Sia Lexa, sia Madi si girarono verso di lei, gli occhi spalancati. 

“Signorina Griffin, ammiro molto la sua generosità, ma non è così semplice. Per essere nominati genitori affidatari, serve una licenza.” disse l’assistenze sociale. “Ne è in possesso?”

“Lei no.” dichiarò Lexa. “Ma io sì.”

“Lexa!” Titus esclamò, sconvolto. L’attrice lo ignorò.

“Ho già in custodia i suoi fratelli. Nel testamento Roan mi ha chiesto di prendermi cura di tutti i suoi figli, quindi anche di Madi.” asserì. 

“Fermi!” la interruppe Titus. “Lexa, possiamo parlarne un secondo? C’è la tua carriera di mezzo e lo sai bene.”. Lexa strinse i pugni. Si voltò a guardare Madi. La ragazzina non riusciva più a nascondere le lacrime. Non voleva pesare su Lexa. Le avrebbe rovinato la carriera, ne era consapevole.

“Tu non… Non devi farlo.” mormorò. 

“Sentito? Lo dice anche lei.” 

“Titus, stai zitto!” sbottò Anya, che non aveva ancora aperto bocca da quando avevano cominciato a discutere con la Sidney. Lexa la ringraziò con lo sguardo.

“Il suo agente ha ragione, signorina Woods. A tal proposito, una soluzione ci sarebbe. Potremmo renderla tutrice legale e farle poi firmare i documenti per l’emancipazione minorile. In fin dei conti, tra pochi mesi Madi compirà diciotto anni e non avrà più bisogno di nessuno.”. Lexa si passò una mano fra i capelli. Si morse il labbro, pensierosa. Era da tre anni che non si ritrovava a dover prendere una decisione così decisiva per la sua vita. 

“Direi che è la soluzione migliore per tutti.” dichiarò Titus. 

“Sì, concordo.” confermò Costia. “Dai Lex, firma che così ce ne andiamo da questo posto. Voglio tornare a casa.”. Lexa chiuse gli occhi, nel disperato tentativo di isolarsi da tutto e tutti. La mano di Clarke era ancora lì, sulla sua spalla. Non l’aveva lasciata sola, nemmeno per un attimo. Lexa non sapeva come agire. Era terrorizzata. Aveva paura di sbagliare, di fare la scelta errata, di ferire Madi, Clarke, chiunque. Sono certa però che quello che è meglio per te, sarà anche il meglio per Madi, queste erano state le parole che la bionda le aveva detto la sera che la ragazzina si era presentata alla porta di Octavia. Riaprì gli occhi. Ora sapeva cosa doveva fare.

“No, non firmerò.”. 

“Lexa…” la chiamò Titus, ma l’attrice fece finta di non sentirlo. Accanto a lei Madi era immobile, un guscio di ansia e paura. Lexa le carezzò il ginocchio, con dolcezza.

“Non so se Madi ha bisogno di me, non ne ho idea. Posso però dire che nessuno si salva da solo. Sa, forse la verità è che sono io ad avere bisogno di lei. Già, credo sia così.”. Diana Sidney ascoltava in silenzio, sorpresa da una tale presa di posizione. “Per cui, se lei mi riterrà idonea, sarei felice di potermi occupare di Madi a tempo pieno.”. Il tempo sembrava essersi fermato. Un silenzio irreale si era impadronito di quella stanza e nessuno osava anche solo provare a fiatare. Finalmente, dopo svariati secondi, Diana Sidney si schiarì la voce. 

“Le farò avere i moduli nei prossimi giorni. Potrà portare a casa sua Madi non appena la dimetteranno. È stato un piacere.” si congedò, per poi uscire dalla stanza. Lexa alzò lo sguardo. Titus era furioso. 

“Si può sapere che diamine ti prende? E ora cosa farai, eh? Chi lo dirà a Becca che dovrà trovarsi una nuova protagonista?” urlò.

“Ti pago apposta, Titus.” ribatté l’attrice. L’uomo fece per tirare un pugno contro il muro, ma decise di trattenersi. 

“Mi pa-… Lexa, stai lasciando che i tuoi sentimenti per questa ragazzina interferiscano con la tua carriera!”

“I miei sentimenti?” tuonò l’attrice. “Non osare, Titus. Non dopo questi ultimi tre anni.”. Si alzò in piedi e corse alla porta. Aveva bisogno di prendere un po’ d’aria, alla svelta. Una mano le afferrò il braccio, costringendola a voltarsi. 

“Cos, lasciami.” 

“Lexa, ma cosa stai facendo? Non puoi essere seria, non puoi…” 

“Non posso cosa, Cos?” chiese Lexa. “Non posso prendermi cura delle persone che amo?”

“Lexa, non puoi farmi questo.”

“Farti questo? Non ruota tutto attorno a te.” ribatté l’attrice. “Avrei dovuto farlo molto tempo fa, ma ecco, devo proprio dirtelo, penso sia meglio se la finiamo qua. In fin dei conti, non penso che le nostre vite siano in qualche modo compatibili.”. Costia impallidì. 

“È per Clarke, vero? Lo sapevo che non avevi smesso di amarla.”

“È anche per lei, ma non solo. È per ogni tuo singolo tradimento, è per quando hai lasciato Ethan da solo perché volevi andare a divertirti, è per ogni volta che ti sei approfittata di me e delle condizioni in cui ero, trattandomi come un giocattolo.” spiegò Lexa. “È per quando hai finto che la busta piena di pasticche fosse di Madi.”

“Lexa…” supplicò la modella.

“No Cos, non provarci nemmeno. Tieni, questo è l’opuscolo di uno dei migliori centri di recupero della città.” le disse l’attrice. “Ti auguro il meglio. Addio.”. E corse via, sotto lo sguardo devastato di Costia. 

 

________________

 

“Sapevo che ti avrei trovata qui.”. Lexa si voltò. Abby Griffin era davanti a lei, lo sguardo indecifrabile. L’attrice aveva trovato rifugio in una delle ali esterne dell’ospedale, una piccola terrazza che dava sul parcheggio. Aveva bisogno di spazio per pensare. Nel giro di dieci minuti la sua vita era cambiata in modo radicale, definitivamente. Non poteva più tornare indietro, ne era consapevole. 

“Vengo anche io qui quando ho bisogno di prendere un po’ d’aria.” spiegò Abby. Si sedette per terra e fece segno a Lexa di accomodarsi accanto a lei. L’attrice acconsentì, pur se con qualche riserva. Era cosciente che quella donna la detestava, in fin dei conti lei aveva ferito sua figlia. 

“Dottoressa Griffin, io…”

“Chiamami Abby, Lexa. Quello di cui voglio parlare non ha nulla a che fare con la medicina.”. L’attrice annuì, l’ansia che le montava sempre di più nel petto. 

“Sai, quando tre anni fa hai abbandonato mia figlia, ho iniziato ad odiarti. Ho sempre pensato fossi una persona meschina, egoista, che concepisse gli altri solo a suo uso e consumo.”

“I-io…” provò a dire Lexa, ma Abby le fece segno di lasciarla parlare.

“Quando Clarke mi ha detto che aveva ripreso a frequentarti, mi sono preoccupata da morire. È mia figlia, Lexa. Non voglio soffra ancora.”. L’attrice chinò il capo.

“Mi sta chiedendo di allontanarla?” domandò. Abby scosse il capo.

“No.” dichiarò. “No, per niente. È che non capisco. Lexa, lo vedo come la guardi. E una persona che è pronta a sacrificare tutto per una ragazzina non può essere in grado di fare quello che hai fatto tu tre anni fa.”

“In tre anni si cambia.” provò a minimizzare l’attrice, inutilmente. 

“Non credo sia questo il punto. Sono piuttosto convinta, invece, che tu sia stata costretta ad andartene.”

“Costretta? E da chi?”

“Questo me lo devi dire tu.” asserì Abby, lasciando Lexa di stucco. “Cos’è successo tre anni fa?”

“Io… Io non posso…”

“Me lo devi, Lexa.” disse il medico. “Si tratta di mia figlia.”. L’attrice sospirò. Appoggiò la testa contro il muro e alzò lo sguardo. Il cielo era limpido, privo di nuvole e pieno di stelle. Scosse il capo.

“Avevo diciotto anni quando ho firmato con Titus.” cominciò. “Non ho mai avuto un grande rapporto con i miei genitori e quel contratto è stato per me una via di fuga. Ho iniziato con piccoli ruoli, nulla di che. Poi, mi hanno presa per recitare in Arkadia. Clarke è stata tra le prime persone che ho conosciuto. Con il senno di poi, credo di poter dire di essere sempre stata attratta da lei. Non in senso fisico, no. Non è stato amore a prima vista, non penso almeno. È che… C’è qualcosa in Clarke, qualcosa che la eleva, che la rende diversa da tutti gli altri. L’amicizia con lei è stata un’ancora di salvezza in quel periodo. Era la prima volta che prendevo parte ad una produzione così importante, sarei stata persa senza di lei. Poi, Costia mi ha tradita. Ero in lacrime, nella mia roulotte. L’ho chiamata e lei è venuta, senza pensarci nemmeno due volte. Penso sia stato allora che mi sono… Che mi sono innamorata di lei.”. Abby deglutì. Innamorata. Lexa si era innamorata di sua figlia. 

“E cos’è cambiato?” chiese. L’attrice si morse forte il labbro, per ricacciare indietro le lacrime. Non voleva ricordare. Non voleva rivivere tutto quello. Ma doveva, ne era consapevole.

“Clarke voleva che i nostri personaggi avessero una relazione, ma Wallace non era dello stesso avviso. Temeva che la serie diventasse divisiva, un modo carino per dire che aveva paura di perdere investitori e spettatori qualora si fosse anche solo accennato a questioni che potessero suscitare il malcontento in qualche bigotto del cavolo.“

“Ma tu sei…”

“Lesbica? Non ho mai detto che non tollerasse la presenza di attori e attrici non eterosessuali. Anzi, eravamo una splendida vetrina per la sua falsa inclusività da due soldi. Erano i personaggi il problema.” spiegò Lexa. “Clarke però non la smetteva di insistere. Sa quanto può essere testarda.”. Abby scoppiò a ridere. 

“Se si mette in testa qualcosa, è praticamente impossibile fermarla.” confermò.”

“Già.” mormorò Lexa. “Ed ecco perché Wallace decise di eliminare il problema alla radice, uccidendo il mio personaggio. Lui e Titus ne parlarono alle mie spalle, senza dirmi nulla. Poi, una mattina, ho scoperto di essere stata presa come protagonista in una serie per cui non avevo nemmeno fatto il provino. Titus mi aveva fatto assumere a mia insaputa, non ne sapevo niente.”

“Ed è per questo che hai lasciato mia figlia? Cos’era, paura? Vergogna?” domandò Abby. 

“No, nulla di tutto questo.” negò l’attrice. “Io ci provai. Andai da Titus e Wallace e li affrontai. Volevo raccontare tutto a Clarke, dirle la verità. Fu allora che mi minacciarono. Se non fossi stata zitta e non mi fossi allontanata da lei, le avrebbero distrutto la carriera. Non sapevo che fare, ero solo un’attrice agli inizi e non avevo idea di come agire. Quando poi è successo quello che è successo, ho creduto che se me ne fossi andata, lei mi avrebbe odiata e… Lo so, è assurdo, ma l’ho fatto per lei. Non ho mai avuto intenzione di ferirla, volevo solo proteggerla.”. Lexa non riuscì più a trattenere le lacrime. Scoppiò a piangere, sotto lo sguardo carico di compassione di Abby. La donna la strinse a sé, invitandola ad appoggiare il capo sulla sua spalla.

“Mentre scappavo, ho incontrato Raven. Mi ha costretta a dirle la verità e ha provato a farmi cambiare idea. Avrei voluto darle retta.” raccontò l’attrice. “Quanto ha detto durante quell’intervista è stato un maldestro tentativo di farmi tornare indietro. Non solo ho ferito Clarke, ma ho perfino distrutto la sua amicizia con Raven. Sa, forse aveva ragione, sono una pessima persona.”

“Ehi, no.” la rassicurò Abby. In quel momento, Lexa le sembrava solo una ragazzina spaurita, nient’altro. Le accarezzò il capo, con fare materno. 

“Ti sei fatta carico di un peso che non avresti mai dovuto portare. Non da sola, almeno. Devi dirle la verità.”

“Io… Io non posso.” mormorò Lexa.

“Sì che puoi. Lo devi a te stessa.” replicò Abby. 

“Non ce n’è bisogno.”. Le due donne si voltarono. Lexa sussultò, nel panico. Clarke era lì, davanti a lei, gli occhi azzurri ricolmi di lacrime. E, in quel momento, entrambe realizzarono quanto pesante e dolorosa potesse rivelarsi la verità.








Angolo dell'autrice

E dunque eccoci qua. Finalmente, si scopre la verità. E, finalmente, Lexa è riuscita a decidere per sé, non solo con la testa, ma anche con il cuore. Da qui potrà ripartire, una volta per tutte. 
Spero davvero che vi sia piaciuto, ovviamente manca ancora il confronto con Clarke, ma questo capitolo è stato uno dei più emozionanti da scrivere.
Grazie per leggere e commentare, davvero.
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 19.Box Of Regrets ***


19.

 

All the missteps
And mistakes
I've let them linger
[…]
You came along and you held the key
To my
Beautiful box of regrets
(Mega-Box Of Regrets)

 

 

 

 

Lexa era paralizzata. Clarke era davanti a lei, in lacrime. Tre anni, tre anni passati a nascondere la verità, per proteggerla. Tre anni, tre anni andati in fumo in pochi minuti. Lexa si alzò in piedi, aiutata da Abby. Una folata di vento improvvisa le sferzò il viso e le scompigliò i capelli. Chiuse gli occhi, sforzandosi in tutti i modi di non scoppiare a piangere. Per un attimo, si ritrovò a pregare che una voragine si aprisse sotto ai suoi piedi e che la inghiottisse per sempre. No, ormai era troppo tardi. La verità era venuta a galla e non era più possibile tornare indietro. Riaprì gli occhi. Lo sguardo blu di Clarke era sempre fisso su di lei, così confuso e ferito al tempo stesso. Lexa avvertì un tuffo al cuore nel vederla così. Era tutta colpa sua, solamente colpa sua. 

“Clarke…” mormorò, ma la bionda le fece segno di non proseguire oltre. Si portò una mano al volto, ormai rigato dalle lacrime. 

“Vi lascio sole.” disse Abby, avviandosi verso l’ingresso. 

“Mamma, non…”

“Clarke, dovete parlarvi. Penso sia arrivato il momento.” asserì il medico. “Andrà tutto bene, te lo prometto.”. Abby abbracciò la figlia e le baciò il capo. Clarke la osservò sparire al di là della porta. Si voltò verso Lexa, lentamente. La mora era appoggiata al parapetto del balcone e le dava le spalle, lo sguardo perso nel vuoto. Clarke sospirò. Si incamminò verso di lei, un passo dietro l’altro. La affiancò, senza dire una sola parola. Rimasero così, in silenzio, a contemplare l’orizzonte per nemmeno loro seppero quanto. L’infaticabile frenesia di Los Angeles si stagliava di fronte a loro, ignara di tutto il dolore che stavano provando. Clarke si passò una mano fra i capelli. Tre anni. Aveva passato tre anni chiedendosi che cosa avesse di sbagliato, convinta che, alla fine, se Lexa se n’era andata doveva essere per forza colpa sua.  C’erano stati momenti in cui l’aveva odiata, altri in cui aveva odiato sé stessa. Aveva versato lacrime, passato giorni interi senza nemmeno toccare cibo. Si era ridotta ad un guscio vuoto, svuotata di ogni senso e prospettiva. E, alla fine, aveva imparato a convivere con il dolore di non poter essere lei a rendere Lexa felice. Scosse il capo. Le sue certezze erano crollate, una dopo l’altra, in maniera inesorabile. Lexa l’amava. Lexa non aveva mai voluto abbandonarla. Lexa era innamorata di lei. Inspirò ed espirò, più e più volte. No, non poteva farcela. Ci aveva messo così tanto ad accettare che i suoi sentimenti non fossero ricambiati. Si sentiva persa, vuota, derubata di ogni punto di riferimento. Costretta. Lexa era stata costretta ad andarsene. L’avevano minacciata, probabilmente anche manipolata. Clarke avvertì una rabbia feroce montarle nel petto. Le gambe le tremavano, ma lei fece finta di nulla, pregando qualsiasi divinità esistente di riuscire a restare in piedi. Avrebbe voluto urlare, liberarsi di tutta la sofferenza che stava provando. 

“Mi dispiace.” sussurrò Lexa all’improvviso, la voce così bassa che Clarke dovette sforzarsi per sentirla. “Non volevo diventassi così.”. Clarke si morse il labbro. Allungò la mano, fino a toccare quella di Lexa. Si girò verso di lei, costringendola a fare lo stesso. I suoi occhi verdi erano carichi di vergogna e dolore e Clarke non poté fare altro che provare un’immensa tenerezza nei suoi confronti. Le carezzò la guancia, con una delicatezza e un affetto che Lexa trovò insopportabili. Non meritava Clarke. Non l’aveva mai meritata.

“Ti prego, non devi…” provò a fermarla, inutilmente. Clarke fece un ulteriore passo verso di lei e la strinse nell’abbraccio più dolce che Lexa avesse mai sperimentato. E, alla fine, quest’ultima non poté fare altro che cedere. Appoggiò la testa nell’incavo del collo della bionda e si lasciò andare, senza più alcun freno. Clarke sentì le lacrime bagnarle la pelle e la maglia, ma non se ne curò. Cullò Lexa, intonando una canzoncina che suo padre era solito canticchiarle per calmarla quando era una bambina. In quel momento, la mora le sembrava così piccola, così vulnerabile, così fragile. Con la mente, ritornò alla conversazione che avevano avuto qualche giorno prima durante il picnic. Lexa le aveva chiesto se l’amore non era nient’altro che debolezza. Clarke aveva creduto che quella domanda fosse riferita solo ai suoi sentimenti verso i ragazzi, ma ora capiva che la situazione era decisamente diversa. Titus e Wallace erano riusciti a farle credere che non aveva diritto a provare nulla, soprattutto per lei. Anzi, l’avevano convinta che l’amore fra loro due sarebbe stato dannoso, un pericolo per entrambe. A quel pensiero, Clarke si irrigidì. Lexa parve accorgersene, perché prima alzò lo sguardo e, infine, arretrò di un passo. Un’ombra di puro terrore le velò le sue iridi smeraldine e Clarke si sentì morire. Lexa aveva paura, paura che lei tornasse ad odiarla. Ma Clarke non avrebbe mai potuto odiarla, nemmeno se l’avesse voluto. E la verità era che l’aveva voluto così tanto.

“Perché non me l’hai detto?” trovò la forza di chiedere. “Avrei potuto aiutarti. Avrei potuto… Avremmo potuto affrontarlo insieme.”. Lexa prese un respiro profondo, cercando di incamerare quanto più ossigeno possibile. 

“Clarke, io… Non sapevo come comportarmi. Ero spaventata, non volevo rovinarti la vita.”

“Rovinarmi la vita? È questo che ti hanno fatto credere, che mi avresti rovinato la vita?”. Lexa annuì, in modo quasi impercettibile. Clarke non riusciva a crederci. Se avesse avuto Wallace davanti, gli avrebbe cambiato i connotati. 

“Lexa, fare l’attrice è sempre stato il mio sogno.”

“Appunto.” puntualizzò la mora, ma Clarke le fece segno di lasciarla continuare.

“Dicevo, fare l’attrice è sempre stato il mio sogno. Vedi, so che mia madre ha sempre sperato che io seguissi le sue orme e devo ammettere che, per un breve periodo, ho accarezzato l’idea di farlo. Insomma, salvare vite ha il suo fascino.”

“E cosa è cambiato?” domandò Lexa, timidamente. Clarke si morse il labbro.

“Mio padre. Dopo la sua morte ho capito che non avrei mai potuto salvare nessuno, Lexa. Ero così persa, così… Ho realizzato di essere io la persona che aveva bisogno di essere salvata. Sì, avevo bisogno di trovare un punto fermo, un senso, qualcosa che riempisse la mia vita. Fu allora che mi avvicinai alla recitazione. Dare vita a personaggi che con le loro parole e le loro azioni mi provocavano e mi facevano scoprire lati e aspetti del mondo a cui non avevo mai pensato mi ha aiutata tantissimo, Lexa.” spiegò.

“Ma?”. Clarke si lasciò sfuggire un sorriso.

“Ma è stato quando ti ho incontrata che ho capito che anche io potevo avere uno scopo, un senso, non solo i miei personaggi. Mi hai aiutata a riscoprire il mio valore, Lexa. E poi te ne sei andata via e io mi sono sentita di nuovo vuota, uno scarto da gettare via.”. Lexa era immobile, lo sguardo fisso su Clarke. Si sentiva così in colpa. Il peso delle sue azioni la colpì, come un macigno. Che cosa aveva fatto? Che cosa le aveva fatto?

“Per tutti questi anni ho imparato ad accettare che, semplicemente, dovevo aver equivocato e che non eravamo fatte l’una per l’altra. Credo sia stata questa consapevolezza a darmi la forza di andare avanti.”

“Clarke, io non volevo…”

“Lo so.” dichiarò la bionda. “Il punto è che… Lexa, sapere di non essere io la persona che avresti voluto al tuo fianco ha fatto male, ma è qualcosa che, volente o nolente, non potevo combattere. Non dipendeva da me, ma da te. In un certo senso, è stato un sollievo riconoscerlo.“. Lexa alzò lo sguardo. Era a pezzi. Avrebbe solo voluto tornare indietro nel tempo e agire diversamente. Avrebbe voluto dare retta a Raven. 

“Ma questo, questo è totalmente diverso, Lex.” disse Clarke. “Questa cosa avrei potuto combatterla. E vorrei avere avuto la possibilità di farlo.”. Lexa chinò il capo. Non sapeva come rispondere, né se avesse avuto poi senso osare dire qualcosa. 

“Mi dispiace.” mormorò, infine. Clarke avanzò verso di lei. Le circondò il volto con le mani, costringendola a guardarla negli occhi. Lexa sentì il sapore salato delle lacrime invaderle la bocca. Non capiva. Non c’era traccia di odio o rancore in quei due pozzi blu. 

“Non sei… Non sei arrabbiata?” chiese. Clarke le sorrise, facendo segno di no con la testa.

“Con Wallace e Titus? Certo che sì. Ma non con te, no. Non avrebbe senso.”. Lexa realizzò di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo. “Solo, puoi rispondere ad una mia ultima domanda? Perché Costia? Perché tornare da chi ti ha fatto del male? Perché non l’hai lasciata andare? Con Titus lo capisco, hai firmato dei contratti, ma lei…”

“Lei era tutto quello che pensavo di meritare, Clarke.” rispose Lexa. “L’ho incontrata ad una festa, non ricordo nemmeno dove. So solo che la mattina mi sono svegliata nel suo letto. Mi ha detto che le mancavo, che era cambiata.” spiegò.

“E tu le hai creduto?”

“Certo che no. È solo che… Non sei l’unica ad aver perso qualsiasi scopo tre anni fa.”. Clarke avvertì un tuffo al cuore a quella confessione. “Non volevo restare sola, ma allo stesso tempo sentivo di non meritare altro. Costia è stato il perfetto compromesso. E, alla fine, mi sono convinta di amarla. Dio, mi sento una tale idiota.”

“Non lo sei, Lexa.” le sussurrò Clarke. “Al contrario, sei una delle persone più intelligenti che io conosca. E anche una delle più coraggiose. Perché sì, ci vuole coraggio per sopportare tutto quello che hai sopportato tu. Non mi riferisco solo a tre anni fa, ma anche agli ultimi mesi. Hai perso Roan e Luna, hai preso con te Aden, Adria ed Ethan, hai deciso di aiutare anche Madi e hai scelto di prenderla in affidamento. Sei tutto fuorché un’idiota, Lexa. E vorrei che lo vedessi anche tu.”. Lexa si sentiva le gambe molli. Si appoggiò con una mano al parapetto e si sedette lentamente per terra, attenta a non perdere l’equilibrio e scivolare. Tutto le sembrò all’improvviso troppo. Una miriade di sensazioni, emozioni, ricordi e rimpianti la travolse e Lexa si sentì annegare, il respiro sempre più stentato. Clarke le si accucciò di fronte, sorridendole.

“Lexa, segui me. Inspira. Brava, ora espira, così.” Clarke cercò di aiutarla a calmarsi. A poco a poco, Lexa sentì il respiro tornare regolare e la crisi di panico lasciare spazio ad un forte mal di testa. 

“Perdonami, io non…”

“Non scusarti, non per questo.” la rassicurò Clarke, carezzandole la guancia con il dorso della mano. Lexa chiuse gli occhi, beandosi di quel tocco. Quando li riaprì Clarke era ancora lì, di fronte a lei. Non si era mossa di un centimetro e la sua mano si era spostata dalla sua guancia al mento. Lexa poteva percepire le dita di Clarke sfiorarle pericolosamente le sue labbra. 

“Meritavi più di Costia.” dichiarò quest’ultima, improvvisamente. “Lo meriti ancora.”

“Ho solo cercato di sopravvivere, Clarke.” Lexa replicò. “Non avevo altra scelta.”. La bionda scosse il capo, lo sguardo carico di tenerezza. 

“Una scelta l’hai sempre avuta, Lexa.” ribatté. “Una scelta l’hai ancora.”. Lexa sentiva il cuore martellarle ferocemente nel petto. Che cosa vuoi per te?, così le aveva chiesto Clarke qualche giorno prima. Già, che cosa voleva Lexa per sé stessa? Ora lo sapeva, finalmente.

“E poi?” domandò. “Cosa succederà?”

“Non lo so.” rispose Clarke. “Ma non dovrai scoprirlo da sola.”. Lexa annuì, un sorriso carico di sollievo dipinto in volto. La mano di Clarke era ancora sul suo viso, di nuovo sulla sua guancia. Lexa si ritrovò con il fiato mozzato. Sapeva cosa stava per succedere e la cosa la terrorizzava. 

“Clarke, io…” mormorò.

“Shhh.” la interruppe la bionda. Lexa si perse completamente in quei due occhi blu ricolmi di affetto, ricolmi di un amore che non aveva mai sperimentato in vita sua. Le stavano chiedendo di lasciarsi andare e di fidarsi, di credere che anche per lei qualcosa esistesse. E quando le labbra di Clarke furono sulle sue, ogni cosa, Titus, Costia, Wallace, i suoi errori, tutto, tutto svanì, ormai privo della più minima importanza. Restavano solo loro due. Restavano solo lei e Clarke.




​Angolo dell'autrice

Innanzitutto, buon pride month! Poi, eccoci qui, finalmente! Dopo soli diciannove capitoli direi che ce l'hanno fatta. 
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, è stato molto emozionante scriverlo. Finalmente si sono lasciate andare, finalmente Lexa ha ripreso in mano la sua vita e finalmente Clarke ha smesso di fingere totalmente di non provare più nulla per Lexa. 
Grazie mille per leggere e recensire,
al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 20.Dare To Love Me ***


20.

 

I don't wanna give up hope
Damn, why's it gotta be this hard just to open my heart?
[…]
If you dare to love me
(Avril Lavigne-Dare To Love Me)

 

 

 

 

Raven si stava facendo la doccia quando il campanello suonò. Sbuffò. Non capiva chi poteva essere. Anya era da Lexa, Octavia con Lincoln e lei non aveva appuntamenti particolari. Il campanello continuava a suonare con insistenza e Raven non ebbe scelta. Chiuse l’acqua e uscì dalla doccia. Si asciugò per bene e si vestì in fretta e furia, piuttosto infastidita. La doccia mattutina era per lei un momento sacro e sperò che chiunque avesse osato interromperla avesse motivazioni serie. 

“Sì, un attimo!” sbottò, correndo alla porta. Aprì, non sapendo cosa aspettarsi. Quando vide Clarke davanti a sé, per poco non svenne. 

“Ciao Rae.” esordì la bionda, tradendo una certa agitazione. 

“Se cerchi Anya, sappi che è da Lexa.” la informò Raven, convinta che la bionda avesse commesso un errore.

“Rae, non sono qui per Anya. Io… Ho bisogno di parlarti.”. La latina rimase a bocca spalancata, completamente interdetta. “Non voglio litigare, te lo prometto.“. Raven si massaggiò il collo, indecisa sul da farsi. Aveva sognato per tre anni quel momento, ma ora che era giunto si stava lasciando prendere dal panico. Sospirò. Di fronte a lei, Clarke la guardava speranzosa. 

“E va bene, entra pure.” cedette, infine. La bionda annuì e varcò la soglia, le mani strette attorno alla cinghia della borsa che teneva sulla spalla. Sembrava nervosa, quasi intimorita. La verità era che temeva Raven potesse cambiare idea da un momento all’altro. Si guardò intorno, senza dire una parola. Era da tre anni che non metteva piede in quella casa. 

“Pensavo l’avessi buttata.” disse infine, indicando una fotografia incorniciata e appesa al muro. Raven si passò una mano fra i capelli e la staccò dalla parete. Ritraeva le due attrici da ragazzine, in compagnia di Abby e Jake Griffin. 

“Non avrei mai potuto fare una cosa del genere.” spiegò Raven. “Siete la mia unica famiglia, Clarke.”. La bionda chinò il capo, un nodo in gola. Indietreggiò, fino ad addossarsi contro lo schienale del grande divano bianco che troneggiava nel soggiorno. Clarke sorrise amaramente. Quel divano era stato testimone silenzioso di serate memorabili tra lei, Raven e Octavia, passate a guardare film, ripassare copioni o, più semplicemente, chiacchierare fra di loro. La bionda scosse il capo. Realizzare quanto le mancassero quei momenti fu peggio di una pugnalata in pieno petto. Lei e Raven si erano conosciute quando entrambe avevano dodici anni. Abby lavorava ancora a Polis, in pronto soccorso. Quando si era ritrovata di fronte quello scricciolo tutto pelle e ossa e pieno di lividi, non ci aveva pensato due volte e aveva deciso di portare Raven a casa con sé. Sulle prime, Jake si era dimostrato un po’ restio, ma poi aveva finito per cedere. Clarke ricordava perfettamente quel giorno. Con Raven era nata fin da subito una fortissima intesa e le due erano diventate ben presto inseparabili. La morte di Jake aveva contribuito a cementare quella che si era rivelata essere un’incredibile amicizia. Quando erano state prese entrambe per recitare in Arkadia, era sembrato loro un sogno che si era trasformato in realtà. Nel giro di qualche anno, però, era cambiato tutto. Il sogno si era trasformato in incubo e Raven aveva deciso di tagliare i ponti con la famiglia Griffin, per il bene di Clarke. Non che la bionda avesse voluto rivederla. A causa delle parole di Raven, Clarke e Lexa si erano ritrovare ad essere letteralmente perseguitate dai paparazzi e da giornalisti di ogni tipo. Per mesi, speculazioni su una loro presunta relazione occuparono ogni testata, sito internet, programma televisivo e social network. E se Lexa era riuscita a minimizzare e a fingere una totale indifferenza rispetto all’argomento, Clarke non ce l’aveva fatta. Abby e Octavia l’avevano vista soccombere all’ansia e al dolore e, se non fosse stato per loro, chissà come sarebbe andata a finire. 

“Rae, io… Mi dispiace.” mormorò all’improvviso Clarke, rompendo il silenzio che era calato fra loro due. Raven si appoggiò alla parete e prese un respiro profondo. Non era sicura di aver ben capito cosa stesse succedendo. Quella che un tempo era la sua migliore amica e che lei aveva tradito in un modo terribile era lì, di fronte a lei, che si stava scusando.

“Clarke, non sei tu che devi dis-…” provò a dire.

“Invece devo, Rae.” la interruppe Clarke. “Avrei dovuto ascoltare le tue ragioni e provare a comprenderle. Non ti ho mai dato davvero la possibilità di spiegarti e alla fine ti ho costretta a rinunciare anche a mia madre. Sono stata egoista.”

“Non mi hai costretta a fare niente, Clarke. Sono stata io, io ho deciso di nascondere la verità, io ho deciso di dire quelle cose è sempre io ho deciso di allontanarmi anche da Abby. Non l’avrei mai costretta a scegliere tra me e te, non sarebbe stato giusto.”. Clarke si passò una mano in volto. Era così stanca di tutto. Fece un passo in avanti e, per un istante, Raven temette che volesse tirarle uno schiaffo. Quando però la strinse nel più tenero degli abbracci sussultò, incredula. 

“Ho… Ho avuto paura.” confessò, la voce bassissima. “Wallace era passato alle minacce e io… È per quello che non sapevo se rinnovare il contratto, volevo cambiare ambiente il prima possibile.” spiegò. “Sono stata una vigliacca. Mi dispiace.”. Clarke si scostò, quanto bastava per poterla guardare negli occhi. 

“È vero quello che Lexa ha detto a mia madre? Che quella dichiarazione era solo un modo per cercare di convincerla a tornare indietro?” chiese. Raven annuì, senza parlare. Clarke sospirò. Le sorrise, con dolcezza. 

“Sono stanca, Rae.” dichiarò. “Vorrei solo lasciarmi questi ultimi tre anni alle spalle. Forse è arrivato il momento di ripartire, per tutte noi.”. Raven aveva un nodo in gola e le lacrime agli occhi. Si gettò al collo dell’amica e la strinse a sé, senza alcuna intenzione di lasciarla andare. Le due rimasero così per svariati minuti e solo il brontolio della pancia di Clarke le costrinse a separarsi. 

“Scusa, non ho fatto colazione.”. Raven scoppiò a ridere e la invitò a seguirla in cucina. Le preparò del tè e le offrì dei biscotti al cioccolato. Clarke accettò di buon grado, affamata. Raven le servì il tè e si sedette accanto a lei. 

“Con Lexa come va?“ domandò, cogliendo l’amica di sorpresa. 

“Oh, noi… Non ci vediamo da qualche giorno, ormai. Abbiamo deciso di andarci piano.” rispose quest’ultima. “Insomma, lei ha rotto con Costia da poco e io ho appena scoperto la verità sulla sua fuga, abbiamo ancora tante cose da chiarire. E poi c’è Madi, l’hanno dimessa solo tre giorni fa.”

“Hanno trovato sua madre?”. Clarke fece segno di no con il capo. 

“Lei e Gloomy sono svaniti nel nulla. Io e Lexa pensiamo che Ontari sia rimasta invischiata in qualche pasticcio e che Malachi sia scappato per evitare l’arresto dopo quanto ha fatto a Madi. O, forse, anche lui è rimasto coinvolto in chissà cosa.” spiegò, giocherellando con la tazza. 

“E i servizi sociali?”. Clarke scoppiò a ridere.

“La Sidney è fermamente convinta che Gloomy non l’abbia sfiorata e che Madi sia rimasta coinvolta in qualche rissa. Dio, quanto detesto quella donna.”. Raven si picchiettò il naso, pensierosa. 

“Ho visto come la guardavi in ospedale, Clarke. Anzi, come le guardavi.” asserì poi, guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte della bionda. “Avevi gli occhi di chi sa alla perfezione qual è la persona con cui passerà il resto della propria vita.”

“Rae, mi sembra un po’ prematuro.” osservò Clarke.

“Forse.” disse Raven, sgranocchiando un biscotto. “O forse andarci piano non ha poi molto senso. Non dico di sposarvi domani, ma andiamo, avete aspettato tre anni. Meritate un po’ di serenità, voi e quella ragazzina.”. Clarke si morse il labbro e scosse il capo. 

“Mi ricorda te.” confessò. “Credo sia anche per questo che mi sono affezionata a lei sin da subito. Ha la tua stessa forza e determinazione. Non so come fate.”

“Spirito di sopravvivenza, credo.” ipotizzò Raven. “E la voglia inconscia di trovare qualcosa per cui valga la pena vivere.”

“Tu l’hai trovato?” chiese Clarke. Raven le sorrise. Annuì.

“Sì. E mi ha salvato la vita. Mi avete salvato la vita, tu e i tuoi genitori.”. Clarke deglutì. Ricacciò indietro le lacrime, sforzandosi di non scoppiare a piangere.

“Rae, tu hai fatto lo stesso con noi. E dopo gli ultimi tre anni posso affermare che la vita con o senza di te non è la stessa cosa, per niente.” dichiarò. “Ti voglio bene.”

“Anche io, Clarke.” mormorò Raven, abbracciando la bionda. “Anche io.”.

 

________________

 

Madi era in nella sua stanza, a letto. I dolori alle costole erano molto forti e la ragazzina passava le giornate per lo più sdraiata in camera, da sola. Odiava quella situazione. Si sentiva un peso inutile e sapere che, probabilmente, Lexa avrebbe perso il lavoro per colpa sua non migliorava di certo la situazione. Non riusciva a capire perché l’attrice non le avesse firmato i documenti per l’emancipazione minorile. La sua carriera sarebbe stata salva, non avrebbe litigato con Titus, non avrebbe rotto con Costia e non avrebbe dovuto occuparsi di lei, una ragazzina di diciassette anni che non portava altro che problemi. Schiacciò il volto contro il cuscino e soffocò un urlo, ricacciando indietro le lacrime. Nemmeno si accorse che la porta si era aperta e che Lexa si era precipitata in suo soccorso.

“Madi! Ehi.”. La ragazzina alzò lo sguardo. Lexa la guardava con occhi dolci, carichi di premura. Le carezzò il capo, con una tenerezza che Madi non aveva mai sperimentato in vita sua. La ragazzina si abbandonò a quel tocco così materno, così sconosciuto e familiare al tempo stesso. Fu in quel momento che realizzò la più triste delle verità. Ontari l’aveva messa al mondo, ma non era mai stata una madre per lei. Le lacrime cominciarono a rigarle il viso, una dopo l’altra. Madi si sentiva così vuota, persa. Suo padre l’aveva abbandonata e sua madre non l’aveva mai davvero amata. Avrebbe solo voluto capire perché. Che cosa c’era di sbagliato in lei? Cosa spingeva le persone ad allontanarsi? E perché, invece, Lexa era ancora lì, con lei? Per quanto ancora l’avrebbe voluta tra i piedi?

“Ti voglio bene.” le sussurrò l’attrice, riportandola alla realtà. Lexa le voleva bene. A parte lei e Clarke, nessuno gliel’aveva mai detto, nemmeno Ontari.

“Come vanno le costole?” le chiese l’attrice.

“Come due ore fa.” rispose Madi. “Mi fanno male e faccio fatica a respirare.”

“La dottoressa Griffin mi ha spiegato che nel giro di un mese dovresti essere guarita del tutto. Vedrai che starai meglio.”. Madi annuì, non troppo convinta. 

“È la madre di Clarke, giusto?” domandò. “A proposito, che è successo fra voi due? È da quando mi hanno ricoverata che non la vedo. Avete litigato?”. Lexa scosse il capo. Ripensò al bacio che lei e Clarke si erano scambiate in ospedale. No, non avevano litigato, decisamente. 

“Beh, ecco… È impegnata.” mentì. Madi le lanciò un’occhiataccia. 

“Sei una pessima bugiarda.” asserì. “Avanti, dimmi la verità. Che è successo?”. Lexa si passò una mano sul collo. Non sapeva se confessare la verità o meno. 

“Noi abbiamo parlato molto e… Ci siamo baciate.”. Madi si mise a sedere di scatto, sconvolta. Ignorò il dolore alle costole, troppo sorpresa per dargli importanza. 

“Tu… È per questo che hai mollato Costia?”

“No, non l’ho tradita se è questo che intendi. Con Costia non ci sarebbe mai stato alcun futuro. Inoltre, non posso stare con una persona che non tiene a te e ai tuoi fratelli. Non sarebbe giusto.” rispose Lexa. “Voglio solo che tu sappia che né per me, né per Clarke è stato un errore. Semplicemente, abbiamo deciso di andarci piano.”

“Andarci piano?”. Lexa si morse il labbro. Si sentiva a disagio, nemmeno lei sapeva perché.

“Ci sono dei trascorsi tra me e lei e abbiamo entrambe bisogno di un po’ di tempo per chiarire del tutto alcuni aspetti del nostro passato. Anche perché ora non è più solo una questione fra noi due. Dobbiamo pensare anche a voi.”

“Non usateci come scusa.” sbottò Madi. “Ho capito che tra voi due c’era qualcosa il giorno in cui Clarke si è presentata alla porta di casa tua. La verità è che dovete trovare un po’ di coraggio, tutto qui. Soprattutto tu.”. Un discorso del genere era l’ultima cosa che Lexa si sarebbe mai aspettata. Sospirò. Madi aveva ragione, ma allo stesso tempo la situazione non era per nulla semplice. O forse erano loro che la stavano facendo più complicata di quello che era in realtà. Si picchiettò il naso con l’indice e controllò l’ora. 

“Prova a dormire un po’, okay?” disse a Madi, infine. “Se hai bisogno non esitare a chiamarmi.” si raccomandò. “Buonanotte.”

“Buonanotte.” rispose la ragazzina. Lexa le schioccò un bacio in fronte, per poi incamminarsi verso la porta. Madi la osservò uscire, in silenzio. Per la prima volta nella sua vita, sentì di avere qualcuno di cui potersi fidare, qualcuno per cui era importante. E, nel buio della sua stanza, non riuscì a smettere di chiedersi come fosse possibile. 

 

________________

 

Lexa stava leggendo, seduta sul divano. Era stanchissima, ma allo stesso tempo voleva approfittare del fatto che stessero tutti dormendo per farsi gli affari propri. Qualcuno suonò al citofono. Lexa sbuffò. Non riusciva a crederci. Si alzò e andò a vedere chi era il pazzo che aveva deciso di disturbare a quell’ora. Quando lo schermo del citofono rivelò la presenza di Clarke, Lexa sgranò gli occhi, confusa.

“Che ci fai qui a quest’ora?” chiese. 

“Devo parlarti” rispose la bionda, vaga. Lexa si grattò la fronte indecisa sul da farsi. Aprì il cancello e la invitò ad entrare. Il cuore le martellava nel petto e, per un attimo, temette di avere un infarto. Clarke era più bella che mai, nonostante indossasse semplicemente un paio di jeans e una felpa grigia. Lexa alzò lo sguardo. I suoi occhi verdi incrociarono quelli azzurri della bionda e lei non poté fare altro che rimanere senza fiato. Quello sguardo blu era così intenso, da farle girare la testa.

“Clarke…” mormorò, ma la bionda la zittì poggiandole un dito sulle labbra. 

“Lexa, io… È tutto il giorno che ci penso. Mi sei mancata tantissimo in questi giorni. Non penso di poter continuare così. Non penso di voler andarci piano, non dopo tutti questi anni. Ho bisogno di te, Lexa.”

“Ma io… E i ragazzi…” balbettò quest’ultima.

“Voglio provarci. Voglio provare a costruire qualcosa con tutti e cinque, con te, Ethan, Aden, Adria e Madi.” dichiarò Clarke. “Non sono mai stata più sicura di qualcosa nella mia vita.”. Lexa aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì ad articolare alcun suono. Era terrorizzata. Sentì la mano di Clarke sulla sua guancia, con una delicatezza quasi dolorosa. Deglutì. Non sapeva cosa dire, né cosa fare. 

“Non voglio… E se…”

“Shh, andrà tutto bene. Ci proveremo e ci riusciremo. Insieme.” la rassicurò Clarke. La mora annuì, le lacrime agli occhi. Quando le loro labbra si unirono nel più dolce e disperato dei baci, Lexa non poté non pensare al piccolo dialogo che aveva avuto con Madi poco prima. La verità è che dovete trovare un po’ di coraggio, tutto qui. Soprattutto tu, le aveva detto. E Lexa non voleva essere una codarda. Non più.


​Angolo dell'autrice 

Rieccoci! Capitolo un po' di passaggio forse, in cui tutte e tre, sia Clarke, sia Lexa, sia Madi, fanno i conti con la necessità di dover aprire il proprio cuore a qualcuno, nonostante la paura di rimanere feriti di nuovo o, nel caso di Lexa, di ferire di nuovo. Inoltre, finalmente Raven e Clarke si riappacificano, direi che era ora.
Spero vi sia piaciuto, grazie per leggere e commentare, alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 21.I Don’t Need You ***


21.

 

I don't need you to tell me who I am or what I'm meant to be
(Asking Alexandria-I Don’t Need You)

 

 

 

Clarke era in macchina, ferma ad un semaforo. Aveva preso la decisione di andare da Wallace. Aveva bisogno di affrontarlo e di rescindere il suo contratto. Il solo pensiero di aver lavorato per anni per l’uomo responsabile dell’infelicità sua e di Lexa la faceva arrabbiare come non mai. Si sentiva sfruttata, ingannata, trattata come un oggetto privo di ogni valore. Scosse il capo. Come aveva fatto ad essere così cieca? Come aveva fatto a non vedere cosa stava realmente succedendo? Era stata così frettolosa nel dare la colpa a Lexa. Avrebbe dovuto indagare, capire subito la verità. Non che non ci avesse provato. Le aveva telefonato per una settimana, tutti i giorni. Le aveva scritto messaggi, perfino una lettera. Le rare volte che era riuscita a incontrarla a qualche evento aveva cercato in ogni modo di avvicinarla, inutilmente. Lexa era diventata sfuggente, impossibile da raggiungere. Clarke imprecò. Non era stata in grado leggere i segnali nel modo giusto. Ora che ci pensava, era sempre stato chiaro che qualcosa non andasse. Lexa non era mai stata particolarmente espansiva o solare, ma da quando aveva lasciato il set di Arkadia era diventata particolarmente malinconica e il suo sguardo era sempre velato da una perenne nota di tristezza. Come aveva fatto a non capirlo? Come? Il fastidioso suono di un clacson riportò Clarke alla realtà. 

“Sì, ho capito, accidenti!” sbottò, nervosa. Odiava il traffico di Beverly Hills,

lo trovava insostenibile. L’auto dietro di lei, una Porsche Panamera blu, continuava a suonare il clacson, rendendole impossibile la guida. Clarke accostò, ormai al limite della sopportazione. Attese che la Porsche la superasse, i nervi a fior di pelle. 

“Bravo, vai!” urlò, sporgendosi dal finestrino e agitando il medio. Si rimise a sedere e posò entrambe le mani sul volante, chiudendo gli occhi per qualche momento. Inspirò ed espirò, lentamente. Non appena si fu calmata, ripartì. Arrivò a destinazione in meno di un quarto d’ora. Dante Wallace viveva in una villa enorme, situata in mezzo ad uno splendido giardino all’inglese. Oltre ad una piscina olimpionica riscaldata, il produttore aveva fatto costruire anche un campo da tennis, ed uno da calcio, sport preferito del nipote, e aveva provveduto a creare un laghetto artificiale, pieno di pesci. Clarke era stata solo un paio di volte a villa Wallace e il ricordo che ne serbava era positivo. Si era trovata a proprio agio e il produttore l’aveva pure convinta a sfidare il figlio ad una partita di tennis che, a sorpresa, l’attrice aveva vinto. Se solo avesse saputo con chi aveva a che fare realmente. Clarke sospirò. Ormai era inutile piangere sul latte versato. Non era stata in grado di salvare Lexa tre anni prima, ma poteva ancora fare qualcosa. Poteva cambiare il suo presente e il suo futuro. Doveva farlo, per sé stessa e per Lexa. Non avrebbe più lavorato per quell’uomo, anche a costo di non trovare più una singola produzione in cui recitare. Scese dall’auto e si incamminò al grande cancello verde all’ingresso della villa. Prese un respiro profondo, cercando di non lasciarsi prendere dall’agitazione. 

“Si va in scena.”.

 

________________

 

 

“Come dici? Non ho capito.” disse Lexa, rivolta ad un piuttosto vivace Ethan. Il bambino era seduto sulle sue gambe e continuava ad emettere versi, tra una risata e l’altra. Lexa gli parlava divertita e i due avevano intavolato una decisamente assurda conversazione. Ethan allungò la manina e si aggrappò ai capelli dell’attrice, facendola gemere per il dolore. A fatica, Lexa riuscì a convincerlo a mollare la presa, ricevendo un’occhiata piuttosto contrariata da parte del bambino. 

“Un giorno o l’altro te li staccherà.” commentò Anya, spuntando improvvisamente dalla cucina.

“Cavoli, spero di no.” ribatté Lexa, lo sguardo rivolto verso Ethan. Anya scoppiò a ridere e si sedette accanto all’amica, carezzando affettuosamente il capo del bambino. Ethan si girò e le sorrise, evidentemente felice di vederla. Anya gli tirò un buffetto sulla guancia. Alzò lo sguardo, fino ad incrociare quello di Lexa. 

“Hai parlato con Becca Franko?”. La mora sobbalzò, colta del tutto alla sprovvista. 

“An, io…”. Anya allargò le braccia con fare scocciato, stufa di quell’atteggiamento dell’amica. Non poteva nascondere la testa sotto la sabbia ad ogni situazione scomoda.

“No, Lexa. Quando hai intenzione di comunicarle una tua decisione?”. La mora chinò il capo. Ethan si era accoccolato al suo petto e si era portato il pollice in bocca. Lexa lo trovava adorabile.

“Non la sto evitando. È che… Mi ha fatto una proposta, okay? Mi ha detto che mi verrebbero incontro, che potrei tenere la parte e che la maggior parte delle scene le dovrei girare qui.” spiegò.

“Fantastico! Non vedo il problema però.”

“Beh, dovrei comunque stare in Nevada per qualche settimana e con Madi in queste condizioni non credo sia il caso. Solo, non so se posso permettermi di rinunciare a questo ruolo, An.”.

“Pensavo non avessi problemi economici. Insomma, interpreti la protagonista di una delle serie tv più viste al mondo, Lex!”

obiettò Anya.

“Non è un problema di soldi. Per quanto odi ammetterlo, Titus ha ragione. Sono a tanto così dal fare il salto e se mi fermo ora rischio di perdere il treno. Allo stesso tempo però, so di avere una grossa responsabilità nei confronti di Madi. Non ho intenzione di anteporre la mia carriera a lei, ma non voglio nemmeno buttare la mia vita al vento, credo sarebbe controproducente per entrambe.”. Anya sospirò. Il discorso di Lexa aveva un senso, per quanto fosse dura accettarlo. Si passò una mano fra i capelli e si lasciò scivolare lungo lo schienale del divano.

“Come sta?” chiese, alludendo alla ragazzina.

“I dolori alle costole sono molto forti, ma in qualche settimana dovrebbero passare. Sono le ferite a livello emotivo e psicologico che mi spaventano. Madi ha vissuto esperienze che avrebbero spezzato una persona adulta, Anya.” rispose Lexa. Fra le sue braccia, Ethan si era ormai addormentato, il pollice ancora in bocca. L’attrice sorrise, intenerita. Gli baciò teneramente il capo, attenta a non svegliarlo. 

“Non capisco come Roan abbia potuto fare una cosa simile. Se solo lo avessi saputo, io…”. Anya le posò una mano sul braccio, cercando di calmarla.

“Era giovane, forse spaventato dal contesto in cui viveva, chi può dirlo. Credo che, per quanto vorremmo, non scopriremo mai la verità. E, in fin dei conti, non è nemmeno importante, Lexa. Quello che conta è ciò che saremo in grado di dare a Madi oggi, tu, Clarke, io e chiunque le voglia bene.”. Lexa annuì, appoggiando la testa sulla spalla di Anya. Sono certa però che quello che è meglio per te, sarà anche il meglio per Madi, per l’ennesima volta quelle parole di Clarke le risuonarono nella mente. Già, il meglio per lei. Doveva solo capire quale fosse.

 

________________

 

Dante Wallace era seduto a bordo piscina, un bicchiere di Martini in mano, in compagnia di suo figlio Cage e di un uomo sulla quarantina che Clarke non aveva idea di chi fosse. Non appena vide l’attrice, il produttore la salutò con un sorriso, piuttosto stupito di trovarsela davanti. Dall’altro lato, Clarke avrebbe voluto vomitare. 

“Signorina Griffin, è un piacere averla qui.” esordì Wallace. “Le presento Carl Emerson, produrrò il suo primo film.”. Clarke salutò con un cenno della mano, piuttosto a disagio. Per un attimo, si chiese cosa le fosse saltato in mente. In fin dei conti, durante le riprese di Arkadia lei non avrebbe avuto a che fare con Wallace, non direttamente almeno. Strinse i pugni. No, ne andava della sua dignità. Non poteva lavorare per quell’uomo, non dopo che aveva scoperto la verità su Lexa.

“Prego, si accomodi. Le posso far portare qualcosa bere. Cosa preferisce? Le suggerisco del…”

“Niente, grazie.” tagliò corto l’attrice. “Non sono qui per una visita di piacere.”. Wallace aggrottò la fronte, confuso. Cage, che era seduto accanto al padre, alzò lo sguardo, fino a quando i suoi occhi non incontrarono quelli di Clarke. 

“È successo qualcosa, Griffin?” chiese il produttore, a denti stretti. L’uomo non era stupido e l’attrice ebbe la sensazione che avesse già intuito le sue intenzioni.

“A dire il vero, sì. Ed ecco perché mi tiro fuori. Mi licenzio, Wallace. Se vorrete girare Arkadia, dovrete farlo senza di me.”. Un silenzio assordante calò sulla piscina e nessuno dei tre uomini mosse un dito. Poi, dopo svariati secondi, il produttore scoppiò a ridere, seguito a ruota dal figlio. Clarke dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non lasciarsi andare alla rabbia. Wallace posò il bicchiere di Martini per terra e si alzò in piedi. Si passò una mano sul volto, l’aria a a metà fra il divertito e l’innervosito. 

“Vorrà scherzare, spero?”. Clarke fece segno di no con il capo.

“Le sembra la faccia di una persona che sta scherzando, signor Wallace?”. Il produttore si irrigidì, ormai conscio della serietà della situazione.

“È successo qualcosa? Problemi a casa? Sta male, signorina Griffin? No, perché vorrei sapere quale motivo lei abbia per venire qui a disturbare il mio rilassante pomeriggio in piscina comunicandomi una stronzata simile!”

“E lei, signor Wallace? Che motivo aveva lei, invece, per spingere Lexa a lasciare la serie e minacciarla? Sì, so cosa lei e quel verme di Titus le avete fatto. Non mi interessa delle conseguenze, non lavorerò mai più per lei, mi ha capito?”. Wallace era furioso. Avanzò verso Clarke, minaccioso.

“Lei lo sa che le costerà la carriera, vero? Oltre a una penale da due milioni di dollari, ovviamente.”. Clarke deglutì. Non aveva minimamente pensato al lato economico. Cercò di farsi forza. Non poteva più tornare indietro, era troppo tardi ormai.

“Pagherò. Ho già perso molto di più in questi ultimi tre anni.” dichiarò. “Buona giornata.”. Si voltò e si incamminò verso l’uscita, cercando il più possibile di ignorare le urla di Wallace. 

“Griffin, non finisce qui! Hai chiuso con Hollywood, mi hai capito?”. Clarke non lo ascoltò. Si precipitò in macchina, il cuore che batteva all’impazzata e le mani che non la smettevano di tremare. Inspirò ed espirò lentamente, nella speranza di riuscire a calmarsi. E nella solitudine della sua auto, finalmente, si concesse di piangere.

 

________________

 

 

Se qualcuno avesse detto a Lexa qualche mese prima che avrebbe invitato a cena Abby Griffin, probabilmente sarebbe scoppiata a ridere. E invece la dottoressa era lì, di fronte a lei, insieme al suo compagno, Marcus Kane. L’idea era stata di Lexa stessa. Con quello che era successo in ospedale, le era sembrato giusto organizzare una cena per ringraziare la donna di tutto l’aiuto che le aveva offerto, sia con Madi, sia con Clarke. Voleva ricominciare da capo, anche con lei. 

“Grazie per questo invito, sono felice di poterti conoscere meglio.” 

“È un piacere, dottoressa Griffin. Ed è il minimo, dopo tutto quello che ha fatto per me e Madi.” replicò Lexa.

“Chiamami Abby.” le disse il medico, sorridendole. “A proposito, come stai?” domandò poi a Madi. La ragazzina aveva deciso di sforzarsi e provare a partecipare alla cena, nonostante i dolori. 

“Un pochino meglio, grazie.” rispose. Non era pienamente una bugia, le sue condizioni stavano davvero migliorando, anche se molto lentamente. Lexa le accarezzò il braccio e si voltò verso Clarke. La bionda era stranamente silenziosa e sulle sue.

“Tutto bene?” le chiese. Clarke fece una smorfia e si massaggiò il collo, palesemente a disagio. 

“Clarke?” insistette Marcus, preoccupato.

“Uh, no, io… Sto bene, sì. Sono solo un po’ stanca.” mentì l’attrice. “Sapete cosa? Vado a prendere il dolce.”. Lexa provò a ribattere, ma Clarke le fece segno di stare tranquilla. Si alzò da tavola e, raccolti i piatti, andò in cucina. Aprì il frigo e ne estrasse la torta gelato che sua madre e Marcus avevano portato. Fece per tagliarla a fette, quando un rumore di passi la costrinse a girarsi. Sospirò.

“Marcus, io…”

“No, Clarke. Che cosa succede? Ti conosco da troppo, so che c’è qualcosa che ti preoccupa.”. L’attrice scosse il capo. Marcus Kane e suo padre erano stati grandi amici e, quando Jake era morto, l’uomo era diventato una presenza costante nella vita di Clarke e sua madre. Lui ed Abby avevano cominciato a frequentarsi qualche anno dopo e l’attrice non si era opposta. Anzi, vedere sua madre nuovamente felice le riempiva il cuore di gioia. Stimava molto Marcus, tanto da chiedergli di diventare il suo agente. L’uomo aveva diversi attori e cantanti sotto contratto e, nonostante un’iniziale reticenza, aveva deciso di accettare. Clarke si fidava di lui e lui si fidava di Clarke e quello era l’importante. L’attrice schioccò la lingua. Non poteva dirgli la verità, l’avrebbe linciata. Allo stesso tempo, però, sapeva che sarebbe stata questione di ore. Era già un miracolo che Wallace non lo avesse ancora messo al corrente della rescissione del contratto.

“È per l’inizio delle riprese della nuova stagione? So che dovrai stare lontano da Lexa e dai ragazzi per un po’, ma andrà bene, vedrai.”. Clarke avrebbe voluto scoppiare a ridere. 

“Ecco, a proposito delle riprese… Sai, penso che non se ne farà niente.” disse, infine. Marcus inarcò un sopracciglio, senza capire. 

“In che senso?” chiese. Clarke si passò una mano sul volto. Ora o mai più, pensò fra sé e sé.

“Sono andata da Wallace oggi e gli ho detto che non avrei più lavorato per lui. Io ho… Ho rescisso il contratto.”. Marcus era pallido come un cadavere. Non poteva credere alle sue orecchie. 

“Tu cosa?” 

“Marcus, aspetta, io…” provò a spiegarsi Clarke, invano. L’uomo si era già diretto in soggiorno, tra un’imprecazione e l’altra. 

“Che succede?” chiese Abby, preoccupata.

“Succede che tua figlia ha appena rescisso il suo contratto con Wallace, gettando al vento la sua carriera e perdendo chissà quanti soldi!” rispose Marcus, al limite della disperazione.

“Tu hai fatto cosa?” Lexa e Abby domandarono a Clarke, in contemporanea. 

“Non posso lavorare per lui! Non dopo quello che ho scoperto!”. Se avesse potuto, Marcus avrebbe sbattuto la testa contro il muro. Lexa fece segno ad Aden e Madi di portare Adria ed Ethan in camera. Attese che i ragazzi lasciassero il soggiorno e si voltò a fissare Clarke. La bionda era appoggiata alla parete e si mangiucchiava nervosamente le unghie, con aria colpevole.

“Quanto Clarke? Quanto ti ha chiesto di penale?“ le domandò Marcus. L’attrice chinò il capo, consapevole di averla combinata grossa.

“Due milioni.”. Abby affondò il volto fra le mani, in lacrime. “Ma li ho. Venderò la casa, riuscirò a pagare. Solo, non chiedetemi di tornare a lavorare per lui. Vi prego.”. Lexa si alzò da tavola e la strinse a sé, nel più tenero degli abbracci. Le baciò il capo e la cullò, con dolcezza. Marcus scosse il capo, le mani sui fianchi.

“Clarke, perché non me ne hai parlato? Avremmo potuto trovare una soluzione migliore, insieme.”. L’attrice riusciva a stento a trattenere le lacrime, ormai. 

“Io… Io non lo so, ho agito d’impulso. Ho sbagliato, sei il mio agente e…”

“Non te lo sto dicendo in qualità di agente, Clarke, ma come persona che ti vuole bene.” dichiarò l’uomo. Anche se non di sangue, Clarke era una figlia per lui. Era consapevole che, pur se sbagliando la modalità, aveva solo cercato di fare quello che era meglio per lei. Non poteva non essere fiero di Clarke per questo. E, a giudicare dagli occhi pieni di amore di Lexa, non era l’unico. 

“Troveremo una soluzione.” disse, infine. “Te lo prometto.”. Clarke annuì. Alzò il capo. I suoi occhi si persero nello sguardo smeraldino della sua ragazza, che ormai era per lei un vero e proprio porto sicuro. Non era di Wallace che aveva bisogno, ma di Lexa. E nulla avrebbe potuto toglierle questa certezza.







Angolo dell'autrice


Clarke l'ha combinata grossa, ma come biasimarla? Per colpa di Wallace ha perso Lexa e ha passato tre anni stando malissimo, direi che una reazione del genere era inevitabile. Dall'altro lato c'è Lexa, alle prese con una decisione difficile. Insomma, c'è un po' di confusione in vista, ma le due non saranno sole e questo è l'importante.
Volevo poi dirvi che ho scritto una one shot Clexa in inglese, il titolo è The Truth, è su Wattpad e Ao3.
Grazie mille per leggere e a chi commenta!
Alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 22.More Than Life ***


22.

 

Without you I'd die, and I don't wanna die
Not today, not tomorrow, not tonight, I don't wanna die
I need you, I need you more than life
(Machine Gun Kelly-More Than Life)

 

 

 

Madi si aggirava per il corridoio della scuola, alla disperata ricerca della sua classe. Non si era mai sentita più a disagio di così. Con Lexa e Clarke aveva convenuto che continuare a studiare sarebbe stata la cosa migliore e che, però, era necessario per lei cambiare ambiente. Frequentare la South Polis High sarebbe stato deleterio e pericoloso e Madi aveva bisogno di ricominciare da zero. Lexa aveva infine deciso di iscriverla alla Beverly Sky High, il liceo privato in cui lavorava Lincoln. Sperava che la presenza di un adulto che lei conosceva e di un buon programma di basket potessero essere uno stimolo per la ragazzina, un modo per ampliare le sue prospettive. L’idea di andare in una scuola privata non aveva convinto Madi sin dal principio e in quel momento, in mezzo a quel corridoio, la ragazzina si sentiva un vero e proprio pesce fuor d’acqua. Innanzitutto, il fatto di dover per forza portare una divisa la stava facendo impazzire. Aveva due anni l’ultima volta che aveva indossato una gonna e quella dell’uniforme le pizzicava da morire. In secondo luogo, non riusciva proprio ad entrare in sintonia con i suoi compagni. A causa del background troppo diverso era perennemente sulla difensiva e non aveva ancora conosciuto nessuno. La paura di deludere Lexa e Clarke, però, l’aveva spinta a non rivelare a nessuna delle due come si stesse effettivamente trovando. Il suono della campanella la riportò alla realtà. Controllò l’ora. Era in ritardo. Entrò nella prima aula che vide, pregando che fosse quella giusta. 

“Signorina Winter, alla buon’ora.” l’accolse il professor Shumway, il suo docente di storia. Madi deglutì. In quel momento avrebbe desiderato così tanto aver sbagliato classe. 

“Mi scusi.” mormorò. Il professore le fece segno di andare ad accomodarsi al proprio posto e lei non se lo fece ripetere due volte. Si sedette al banco e, con orrore, realizzò di non avere con sé il libro. 

“Winter, per caso non le è ancora arrivato il materiale?” chiese Shumway. Madi non sapeva cosa fare.

“Beh… Ecco, sì.” mentì. 

“Strano, di solito sono puntuali.” l’uomo rifletté. “Andrò a fare un sollecito in presidenza dopo la lezione.”. Madi dovette fare appello a tutte le sue forze per non entrare nel panico. Doveva assolutamente fermarlo.

“Non si preoccupi, ho già parlato con mia…”. Mamma. Madi stava per dire mamma. Si morse la lingua. Sua madre era chissà dove, probabilmente invischiata in qualche traffico illegale. Si chiese se, ogni tanto, Ontari pensasse a lei. Perché lei, nonostante tutto, non riusciva a smettere di farlo.

“Volevo dire, ne ho già parlato a casa. Se entro oggi i libri non arrivano, telefoneremo.”. A furia di vivere con Lexa, devo aver imparato a recitare, pensò fra sé e sé.

“Perfetto.” disse Shumway. “Per oggi, puoi guardare dal libro di Null. E ora riprendiamo la lezione.”. Madi si voltò verso il suo compagno di banco, Luca Null. Era un ragazzino simpatico, diverso dagli altri. Suo padre era un importante opinionista sportivo, mentre la madre era la proprietaria di una delle principali gallerie d’arte di Beverly Hills. Al contrario dei genitori, molto estroversi e amanti dei riflettori, Luca era un ragazzino piuttosto timido e riservato, per niente contento di stare al centro dell’attenzione. Ecco perché, non appena Shumway aveva pronunciato il suo nome, era diventato rosso come un peperone. Aprì il libro e lo spostò a metà fra il suo banco e quello di Madi, per permetterle di seguire la lezione al meglio. La ragazzina le sorrise, ringraziandolo con lo sguardo. Sospirò. Se l’era vista brutta. Ed erano solo le otto di mattina.

 

________________

 

“Clarke, è vero che hai deciso di lasciare la serie?”. L’attrice accennò un sorriso carico di nervosismo. C’era stata una fuga di notizie e ormai il mondo intero sapeva che non avrebbe preso parte alla nuova stagione di Arkadia. Forse accettare di farsi intervistare in merito alla rescissione del suo contratto da Gabriel Santiago al suo The Morning Show non era stata una grande idea, ma ormai era troppo tardi.

“Sì, è vero.” confermò, infine. 

“Ci puoi dire come mai? Sei sempre stata entusiasta della serie, cosa ti ha spinta a cambiare idea?”. Clarke giocherellava con le mani, ormai preda dell’agitazione. Cosa avrebbe dovuto fare? Dire la verità? Nasconderla? Ne andava della sua carriera e dei suoi soldi, ne era consapevole. Prese un respiro profondo schioccò la lingua. Raccontare cosa l’avesse davvero spinta a rescindere il contratto sarebbe stato folle, lo sapeva bene. Eppure, in quel momento, non le interessava. Non si trattava nemmeno di vendetta, no. Semplicemente, voleva un po’ di giustizia. Voleva che il mondo sapesse cosa lei e Lexa avevano dovuto sopportare solamente perché provavano qualcosa l’una per l’altra. Era stufa, stanca di vivere in un mondo che si mostrava tollerante verso le minoranze. Non perché giustificasse la discriminazione ovviamente, anzi. Era la tolleranza quello che non sopportava più. La trovava dannatamente ipocrita, un modo per silenziarsi la coscienza. Cos’è la tolleranza? Perché qualcuno dovrebbe sentirsi a posto in quanto tollerante? Le persone si accolgono per quello che sono, altri esseri umani. E l’accoglienza è qualcosa di così diverso dalla tolleranza. 

“Io… La verità è che adoro Arkadia. Il cast, la crew, la storia, credo di amare tutto di questa serie.”. L’uomo di fronte a lei aggrottò la fronte, confuso.

“E allora cos’è successo?” domandò. Clarke si picchiettò il naso. Poteva ancora fermarsi. Poteva ancora mentire. Eppure, se ne sarebbe pentita per sempre.

“In questi anni, ho espresso più volte la mia gratitudine nei confronti di Dante Wallace. Gli devo tanto, tutto. Senza di lui, io non sarei qui, è oggettivo. Allo stesso tempo, però, ho scoperto cose che riguardano anche me, decisioni che sono state prese a mia insaputa e che hanno influito sulla mia salute mentale. Ho capito che non sono disposta ad accettare certi compromessi, non più.”. Una bomba. Aveva appena sganciato una vera e propria bomba.

“Clarke, puoi essere più chiara? Si tratta di Lexa Woods?“. L’attrice sorrise e scosse il capo. Non voleva coinvolgere Lexa, non sarebbe stato giusto.

“Riguarda me e basta. Non dirò di più.” si limitò a rispondere, vaga. Quello che aveva appena fatto avrebbe portato a conseguenze disastrose, ne era ben consapevole. Con ogni probabilità , non avrebbe mai più potuto recitare ed era inutile girarci intorno, la consapevolezza di avere un futuro così indefinito di fronte a sé la terrorizzava. Forse era ancora in tempo per inventare una bugia e salvare la sua carriera. Sospirò. No, non avrebbe avuto senso. Non se avrebbe dovuto sacrificare tutto quello che la teneva in vita. Sì, il suo futuro era incerto come non mai. Eppure, un punto fermo c’era e non avrebbe mai potuto cancellarlo, per nulla al mondo.
 

________________

 

“Tu devi essere Madi Winter.”. La ragazzina annuì, lo sguardo fisso sulla donna davanti a lei. Indra Pine allenava la squadra femminile di basket della Beverly Sky High da ormai dieci anni e vantava la conquista di ben sei titoli statali. Tuttavia, con l’arrivo del nuovo preside, le cose si erano fatte un po’ più complesse. Lei e Jaha erano entrati sin da subito in conflitto. L’uomo aveva più volte cercato di  intromettersi nella gestione della squadra, arrivando perfino a mettere in dubbio l’autorità e la competenza dell’allenatrice. Solo l’affetto e il senso di lealtà che provava nei confronti delle sue giocatrici l’avevano convinta a non mollare il posto. 

“Coach Maple mi ha detto che sei in gamba, ma dato che finché io non vedo, non credo, valuterò il tuo accesso o meno in squadra in base all’allenamento di oggi.”. Madi fece segno di aver capito, senza parlare. Aveva lo stomaco in subbuglio. Non aveva mai giocato a basket con tutta quella pressione addosso. Il suo sguardo incrociò quello di Lincoln, che alzò i pollici per farle capire che sarebbe andato tutto bene. 

“Ragazze, in campo.” ordinò Indra. Madi raggiunse lentamente le sue compagne di squadra e si mise in posizione. Ricevette la palla e decise di provare a penetrare e andare a canestro, ma si ritrovò per terra. Si rialzò. Indra la osservava pensierosa, lo sguardo impassibile. Madi ricevette di nuovo il pallone. Cercò di tirare, ma il difensore, una ragazza bionda più o meno della sua età, le rubò la palla. Madi non poté fare altro che guardarla segnare. Indra scosse il capo, delusa da quella prestazione.

“Mi avevi detto che ci sapeva fare.” esordì.

“Penso sia agitata.” ragionò Lincoln. “Ascolta, ti assicuro che è forte. Abbiamo giocato assieme e riusciva a saltarmi come fossi un birillo.”. Indra scrollò le spalle.

“Mi dispiace, ma non mi sembra pronta.” asserì. “Winter, vieni.”. Madi si avviò verso la panchina, sconsolata. Forse sua madre aveva detto la verità, forse non sapeva davvero giocare a basket. 

“Ecco, brava, sparisci. Torna in quel letamaio che è Polis, insieme agli altri straccioni.”. Madi si fermò. Si girò di scatto, i pugni chiusi. Di fronte a lei, la ragazza bionda la guardava, con aria strafottente. Aveva il pallone in mano e continua a farlo roteare sul dito.

“Ripetilo, se hai il coraggio!”

“Cosa? Che Polis è un letamaio? O che devi tornare dagli straccioni? No, perché…”. Madi non le diede il tempo di finire la frase. Le rubò la palla e corse a canestro. 

“Questo si chiama imbrogliare!”. Madi le passò il pallone e le lanciò un’occhiata di sfida. 

“Winter! McCall! Qui, subito!” intimò Indra, temendo che le due potessero arrivare alle mani. 

“Dici che imbroglio? Allora dai, prova a segnare.” Madi provocò la sua avversaria, ignorando completamente l’allenatrice. 

“Ti sei messa contro la persona sbagliata, stracciona.” replicò la ragazzina bionda. Cercò di saltare Madi, ma quest’ultima non mollò di un centimetro. Provò a tirare. Charlotte McCall era considerata uno dei migliori talenti dello stato. Era da anni che nessuno riusciva a stopparle un tiro. Ed ecco perché, quando vide la palla infrangersi contro la mano di Madi, cadde per terra, paralizzata. Si rimise in piedi, più nervosa che mai. Nessuno poteva permettersi di umiliarla in un modo simile, soprattutto una novellina. A bordo campo, Indra aveva smesso di richiamare le due ragazzine. 

“Vuoi che vada a fermarle?” chiese Lincoln, ma la donna fece segno di no con il capo. Quella situazione si stava facendo fin troppo interessante. Non aveva mai visto una cosa simile. Più Charlotte provava ostinatamente ad affrontare Madi, più quest’ultima le rubava la palla e andava a canestro. Lay up, tiro da tre, tiro in sospensione, considerato che Madi non aveva mai giocato seriamente a basket il tutto aveva dell’incredibile. 

“Va bene, basta così. In panchina, su.”. Finalmente le due ragazzine obbedirono, stremate.

“Ottimo lavoro, Winter. Ottimo lavoro.” si complimentò. Madi ringraziò con lo sguardo, senza parlare. Era così stanca, che nemmeno si era accorta che Charlotte le si era seduta accanto. 

“Nessuno mi ha mai umiliata in questo modo.” esordì quest’ultima. Madi non rispose, restando sulla difensiva.

“Ehi, vengo in pace.” la rassicurò Charlotte. “Non sei male per essere una stracciona che viene da Polis.”. Si pentì immediatamente di quell’infelice scelta di parole. “Scusa, io non…” fece per scusarsi, ma Madi alzò la mano, interrompendola. Charlotte chinò il capo, il cuore in gola. Si diede mentalmente dell’idiota. Non sapeva nemmeno lei perché si era comportata così male. Rialzò lo sguardo. Madi la fissava, un sorriso divertito dipinto in volto. Charlotte aggrottò la fronte, confusa. Non capiva. 

“Sai McCall, nemmeno tu sei male per essere una riccona.” disse Madi. Entrambe scoppiarono a ridere, sotto lo sguardo stranito di Indra. E Madi pensò che, forse, quella nuova scuola non era il posto terribile che aveva immaginato. 

 

________________

 

“Sì, va bene. Grazie mille, Becca.”. Lexa riattaccò il telefono e si girò. Clarke era rientrata di soppiatto, probabilmente per evitare una qualsiasi discussione dopo l’intervista di quella mattina. Lexa sospirò e si appoggiò al muro, le mani nelle tasche dei pantaloni. Clarke distolse lo sguardo. Si sentiva come un bambino colto con le mani nella marmellata. 

“Ho già affrontato la questione con Marcus.” esordì. “Lo so, ho sbagliato, ma volevo…”. Lexa non la fece finire di parlare. Avanzò verso di lei e Clarke si irrigidì, temendo una sfuriata che, però, non arrivò mai. La mora la strinse a sé e le baciò il capo, con tenerezza. Rimasero così, senza parlare, l’una fra le braccia dell’altra.

“Mi ha chiamata Becca. Tra cinque giorni dovrei partire.” Lexa annunciò, rompendo il silenzio. 

“Di già?”

“Lo sai, stavano aspettando solo che io decidessi di rinnovare, ma avevano già cominciato la pre produzione della nuova stagione. Becca ha deciso di anticipare le riprese per potermi concedere più tempo libero, ma se è un problema io…”

“Tu vai.” disse Clarke. “Tu devi andare.”

“E tu?”

“Io me la caverò.” affermò la bionda. “Tanto ora non ho più niente da fare.” constatò poi, con amarezza. 

“Oh, Clarke.” mormorò Lexa, prendendola per mano e conducendola sul divano. Le due si sedettero, una accanto all’altra.

“Marcus mi ha chiesto perché ho deciso di sabotarmi da un momento all’altro.” 

“E tu che hai risposto?” chiese Lexa. Clarke si lasciò sfuggire un sorriso intriso di malinconia e, pur paradossalmente, orgoglio.

“Che non mi sto sabotando. Lexa, ho vissuto tre anni di non vita in cui la mia unica certezza è stata il lavoro. Voglio solo ripartire da zero, senza più dovermi nascondere. Senza più dover nascondere quello che provo per te.”. Lexa sentì il cuore saltare un battito. Alzò lo sguardo. Ripensò a quei tre anni che avevano passato l’una lontana dall’altra. E, quando i suoi occhi si persero nelle iridi blu di Clarke, capì che non voleva più tornare indietro. Non avrebbe avuto senso.

“Lexa, io… Io ti amo. Sono consapevole del fatto che è passato solo poco più di un mese da quando abbiamo deciso di riprovarci, ma ci tenevo a dirtelo. Ti amo, Lexa. Ti amo da quando ti ho vista sul set per la prima volta. Non ne posso più di fingere, di negare di continuo i miei sentimenti per te. Non voglio ritornare ad essere un guscio vuoto che passa le giornate sopravvivendo. Io voglio vivere e tu, Lexa, tu mi rendi viva. E nemmeno tutta Hollywood potrebbe darmi quello di cui ho bisogno.”. Lexa era paralizzata. Aprì la bocca per parlare, ma ne uscì solo un suono strozzato. 

“Ti prego, dì qualcosa.” mormorò Clarke, terrorizzata all’idea di aver rovinato tutto. Lexa le sorrise, il labbro che tremava. La baciò, come se quello potesse essere il loro ultimo bacio. La baciò, come se non avessero avuto un futuro. E, invece, un futuro ce l’avevano. Un futuro assieme. Un futuro in cui nulla e nessuno le avrebbe più separate. 

“Ti amo anch’io.” sussurrò, quasi impercettibilmente, tra le lacrime. Sentì la mano di Clarke posarsi sulla sua guancia e asciugargliela delicatamente con il pollice. E quello fu il momento in cui entrambe capirono che non sarebbero potute tornare indietro. Mai più.





Angolo dell'autrice

Allora, un capitolo di consapevolezze, se si può dire così, soprattutto per quanto riguarda Clarke e Lexa. Ero indecisa se aspettare ancora qualche capitolo per questa confessione reciproca, ma non avrebbe avuto senso. Il loro è un sentimento nato ormai tre anni prima ed è giusto che lo abbiano ammesso proprio ora che Lexa deve partire e che Clarke sta vivendo questo periodo particolare. Entrambe hanno bisogno di un punto fisso, di un mattoncino e questa confessione lo è.
Per quanto riguarda Madi, anche lei sta piano piano prendendo consapevolezza di sé, delle sue capacità e del suo valore. Solo qualche capitolo fa, con Charlotte sarebbe finita alle mani, il fatto che abbia deciso di rispondere giocando testimonia i passi enormi che sta facendo. 
Grazie mille per leggere e a chi recensisce. Purtroppo da oggi in poi non so con quanta frequenza potrò aggiornare, ma non vi preoccupate, questa storia avrà una fine.
Al prossimo capitolo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 23.Let Me Let You Go ***


23.

 

Now I got a hand to hold
Don't ever let me, ever let me, ever let you go
(Mega-Let Me Let You Go)

 

 

 

“No, no, fermate tutto!”. Lexa sbuffò. Non ne stava andando una dritta. Non riusciva a concentrarsi, nemmeno lei sapeva perché. E, di conseguenza, la sua recitazione era davvero pessima. 

“Mi dispiace, non so cosa mi sia preso.” si scusò. 

“Beh, cerca di scoprirlo presto. Di questo passo, ci vorrà almeno un mese per finire di girare tutto.” ribatté in malo modo Maya Vie, la regista. Lexa sobbalzò. 

“Un mese?” Ma avevamo detto che…”

“Va bene, basta così, facciamo una pausa!” intervenne Becca, prima che la situazione potesse degenerare ulteriormente. “Lexa, vieni con me.”. L’attrice non replicò e obbedì, la testa china. Era conscia di non star dando il massimo e non era da lei, decisamente. Lei e Becca camminarono per qualche minuto, per poi sedersi a terra, noncuranti della terra che avrebbe sporcato i loro pantaloni. Il clima era gradevole e il cielo era coperto da qualche nuvola. 

“Sono felice che abbiamo deciso di girare questo mese, almeno non fa troppo caldo.” esordì Becca. Lexa annuì, senza parlare. Non era dell’umore giusto, per niente. Prese un sassolino da terra e lo lanciò lontano. Lo osservò ricadere e sparire fra i rami di un arbusto al lato della strada. 

“Lexa, che succede? Se non ti senti pronta per girare, possiamo…”

“No, io… non è quello, anzi. Non vedevo l’ora di ricominciare a lavorare.” disse l’attrice. “È che… Credo di avere la testa un po’ altrove, ultimamente.”. Becca si passò una mano fra i capelli. Guardò Lexa con dolcezza, invitandola ad aprirsi con lei. 

“È per i ragazzi, vero?” provò ad indovinare. Lexa sospirò. Si massaggiò il collo, senza osare guardare la produttrice negli occhi. 

“Da quando vivono con me, non li ho mai lasciati per così tanto tempo.” spiegò. “E poi c’è Clarke. Prima che io partissi noi… Insomma, noi ci siamo confessate cosa proviamo davvero l’una per l’altra.”. Lexa sentì la mano di Becca carezzarle la schiena. 

“Non riesco a smettere di pensare a quello che è successo. Clarke ha perso tutto per colpa mia. Non ha più un lavoro, dovrà vendere la casa per pagare la penale imposta da Wallace, ha…”

“Lexa, basta.” la interruppe Becca. “Non puoi continuare così. Non puoi sentirti in colpa per tutto, non è giusto né nei tuoi confronti, né in quelli di Clarke.”. L’attrice si morse il labbro, non del tutto convinta dalle parole della donna seduta accanto a lei.

“Mi sento questo senso di responsabilità addosso e… Becca, non riesco a smettere di chiedermi cosa sarebbe successo se tre anni fa non fossi scappata e avessi affrontato Titus e Wallace. Clarke non avrebbe sofferto così tanto, la sua carriera non sarebbe allo sfacelo e…”

“E magari voi due non stareste insieme con la consapevolezza che avete ora.”. Lexa deglutì. Becca le strinse le mani e le sorrise. L’attrice inspirò ed espirò lentamente, cercando di calmarsi. 

“Ascoltami, sai che non posso darle una parte. Ne ho parlato anche con il resto della produzione, ma purtroppo è infattibile. Ho delle conoscenze però, posso chiedere a loro.”

“Becca, non…” provò a dire Lexa, ma la produttrice le fece segno di lasciarla finire.

“Quello che devi fare tu, invece, è imparare a lasciarti il passato alle spalle. Quello che è successo ormai è successo, non lo puoi cambiare. Sai, non sono di quelle persone che crede nell’utilità delle cose brutte. Il male che ci capita è semplicemente male e, di per sé, non porta a nulla di buono. Siamo noi Lexa, siamo noi che dobbiamo imparare a capire come sfruttare il dolore e trasformarlo in qualcosa di utile per la nostra vita. Tre anni fa sei scappata, ma ora sei qui. Hai un’altra occasione, non gettarla via vivendo nei rimpianti e nella paura. Non ne vale la pena.”. L’attrice non rispose, consapevole del fatto che Becca avesse ragione. “Bene, è ora di tornare al lavoro.”. La produttrice si alzò in piedi e aiutò Lexa a a fare lo stesso. Le diede una pacca sulle spalle, ridacchiando. Si incamminarono insieme verso il set, in silenzio.

“Possiamo riprendere?” chiese Maya, abbastanza scocciata per quella situazione. Becca si voltò verso Lexa, in attesa di una risposta. L’attrice annuì. Mentre si metteva in posizione, ripensò a quanto Becca le aveva appena detto. Aveva un’altra occasione. E questa volta non l’avrebbe sprecata. 

 

________________

 

“Mi va bene qualsiasi ruolo, anche second-… Pronto? Ehi!”. Clarke si lasciò cadere sul divano e lanciò il telefono contro un cuscino, l’aria sconfitta. Estrasse un foglietto dalla tasca e barrò con una penna l’ultimo dei nomi di un lungo elenco. 

“Sai Ethan, pare proprio che io abbia finito le persone da chiamare.” disse, rivolta al bambino seduto accanto a lei. Per tutta risposta, Ethan gorgogliò qualcosa di incomprensibile.

“Forse dovrei lasciar perdere e accettare che la mia carriera è ormai arrivata al capolinea. D’altronde, me la sono andata a cercare io. Non sarei dovuta andare da Wallace, né dire quelle cose a Santiago durante l’intervista. Chi mai sarebbe così sciocco da sfidare il più importante produttore del mondo?”

“Dah.” dichiarò Ethan, muovendo il dito verso di lei.  

“Esatto, io. Dio, che situazione.”.

“Bah dah.” replicò il bambino. Clarke lo strinse a sé e gli baciò i capelli. Ethan si accoccolò al suo petto, il pollice in bocca. L’attrice sospirò. Si era ficcata proprio in un bel pasticcio. Le speranze di trovare qualcuno che la ingaggiasse anche solo per una piccola parte in un episodio di qualche serie televisiva erano sempre meno. Nessuno voleva inimicarsi Wallace e Clarke poteva capirlo. Guardò Ethan. Il bambino si era addormentato, ignaro di tutto quello che stava capitando all’attrice. Clarke sorrise e gli carezzò il capo. In quel momento, avrebbe voluto essere lui. Come tutti i bambini, non conosceva la cattiveria di cui il mondo era capace. Era puro, immacolato. E l’attrice avrebbe voluto che restasse così per sempre. 

“Siamo a casa!” esclamò Octavia, ridestandola dai suoi pensieri. Clarke non fece in tempo a voltarsi che Adria le fu addosso, un disegno in mano. 

“Piano, attenta.” le sussurrò l’attrice, per evitare che svegliasse il fratello. Appoggiato al muro, Aden le osservava con aria malinconica. Clarke immaginò dovesse star pensando a sua madre e avvertì una stretta al cuore. Gli chiese con lo sguardo di raggiungerla, ma lui fece segno di no con la testa e si avviò alle scale che conducevano al piano di sopra. 

“Scendo più tardi per andare alla partita.” annunciò. Clarke annuì. La partita, come aveva potuto dimenticarsene? Madi era stata convocata per la prima volta e forse sarebbe scesa in campo come titolare.

“Sono un disastro, O.” asserì. Octavia si accomodò accanto a lei e le carezzò la schiena, con dolcezza. 

“È andata male?” chiese.

“Marcus mi aveva dato una lista di persone a cui telefonare che si erano mostrate interessati a lavorare con me. Beh, non ce n’è una che non mi abbia attaccato in faccia.” spiegò. “È finita, O. Ieri ho venduto la casa, ho un mese per traslocare, poi andrò a vivere da mia madre. E, per quanto riguarda il lavoro, Wallace li tiene tutti in pugno. Forse a questo punto dovrei raccontare al mondo la verità, ma non voglio rovinare la carriera anche a te e a Raven.”

“Non rovinerai nulla, Clarke.” la rassicurò Octavia. “Noi saremo qui per te, sempre. Ti sosterremo, qualunque sia la tua decisione.”. Clarke appoggiò il capo sulla spalla dell’amica. Era esausta. 

“Ti manca, vero?” le domandò Octavia, dal nulla. 

“Non posso farne a meno, O. La amo, come mai ho amato nessun altro.” ammise la bionda. “Ma non posso darle altro a cui pensare. Conoscendola, sarà già in apprensione di suo per i ragazzi.”. Octavia si lasciò sfuggire un sorriso. Si voltò verso Clarke e la costrinse a guardarla negli occhi. 

“Lei ti ama e lo sai. Non fare il suo stesso errore, non tagliarla fuori.”. Clarke chinò il capo. Ethan continuava a dormire beato fra le sue braccia. L’attrice sospirò. Octavia aveva ragione. Non poteva tagliare fuori Lexa, non dopo averle promesso di provare a costruire una famiglia insieme. Doveva solo trovare un pizzico di coraggio. 

 

________________

 

Madi si guardava intorno, terrorizzata. Una partita. Non aveva mai giocato una vera partita. Il campo le sembrava enorme, molto più del solito. Si girò verso gli spalti. Aveva provato in tutti i modi a dissuadere Clarke dall’andare a vederla, ma l’attrice aveva insistito così tanto. Accanto a lei, Madi vide i suoi fratelli e Anya, Raven ed Octavia. Deglutì, l’ansia che ormai si era prepotentemente impadronita di lei. Clarke ed Aden le sorrisero, cercando di infonderle quanto più coraggio possibile. Madi si morse il labbro. Si chiese cosa avesse fatto per meritare un fratello come Aden. Il ragazzino avrebbe avuto tutto il diritto di trattarla male, in fin dei conti lei era entrata nella sua vita all’improvviso, prova inconfutabile di una vita che loro padre aveva cercato di tenere nascosta. Invece, Aden se l’era inspiegabilmente presa a cuore e Madi non era mai riuscita a capire perché. Non sentiva di meritarlo, per niente. 

Il fischio dell’arbitro la riportò alla realtà. Si ritrovò la palla in mano, nemmeno lei seppe come. 

“Tira!” esclamò Charlotte. Madi non se lo fece ripetere due volte. La palla toccò il ferro e rimbalzò fuori dal campo. Madi scosse il capo e corse in difesa. Si sentiva le gambe molli. L’avversaria la saltò con facilità e andò a canestro. 

“Winter, che ti prende? Andiamo!” la esortò Indra. Madi inspirò ed espirò profondamente. Le veniva da vomitare. Charlotte le passò nuovamente la palla. Madi penetrò in area e provò ad appoggiare a canestro, ma sbagliò nuovamente. Le veniva da piangere. Era consapevole di saper giocare meglio di così, ma più provava a segnare, più commetteva qualche pasticcio. Indra la richiamò in panchina, per niente contenta di quella prestazione. Alla fine del secondo quarto il risultato era di 25-37 per la squadra avversaria. 

“Mi dispiace, non so perché sto giocando così.” si scusò Madi. La donna scosse il capo. Fece segno a Lincoln di occuparsi lui del resto della squadra e si sedette accanto alla ragazzina. 

“Winter, cosa provi quando giochi a basket?” le chiese. Madi inarcò un sopracciglio, confusa da quella domanda. 

“Oh, insomma, ci sarà un motivo per cui ti piace questo sport.” insistette l’allenatrice. 

“Beh, io… mi fa sentire libera di restare a testa alta.” rispose la ragazzina. Indra capì. Anche lei aveva avuto un’infanzia difficile. 

“Non permettere a nessuno di farti credere di doverla abbassare, mi hai capita? Cerca di liberare la mente.”

“È che… Non voglio… Io non voglio che la squadra perda per colpa mia.” confessò Madi, quasi sottovoce. Indra sospirò. 

“Ascoltami, siamo una squadra. Capitano le giornate no ed è per questo che non giochiamo da soli, Winter. In campo ci si copre le spalle a vicenda, a prescindere dalla quantità di errori che si possano commettere. L’unica cosa che ci è chiesto di fare è giocare, mettercela comunque tutta.” disse. “Sii consapevole delle tue capacità. Noi crediamo in te, ma anche tu devi provare a credere un po’ in te stessa. Lo meriti, Winter. Meriti di sapere che ci sarà sempre qualcuno pronto a prendere un rimbalzo offensivo quando sbaglierai. Cadrai, ma non dovrai rialzarti da sola. Mi hai capita?”. Madi annuì, i suoi occhi azzurri fissi su quelli scuri di Indra. “Perfetto. Torniamo in campo.” disse infine la donna, alzandosi in piedi. La ragazzina fece lo stesso e la seguì, fino ad uscire dagli spogliatoi. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. 

“Vai Madi!” sentì urlare dagli spalti. Sorrise, riconoscendo la voce di Anya. Si ritrovò nuovamente la palla in mano. Fintò un passaggio, per poi correre verso il canestro. Si fermò all’improvviso, disorientando il difensore davanti a lei. Fece un’altra finta e passò a Charlotte, che tirò. Il pallone roteò per aria, per poi colpire il ferro. Madi aveva il fiato sospeso. La palla entrò, quasi insperatamente. E quando vide Charlotte congratularsi con lei con lo sguardo, comprese realmente cosa avesse cercato di dirle Indra. Non stava giocando da sola. Non avrebbe mai più dovuto farlo.

 

________________

 

“E vissero tutti felici e contenti.”. Clarke chiuse il libro di fiabe che teneva in mano e carezzò delicatamente i capelli di Adria, ormai fra le braccia di Morfeo. Dall’altra parte della camera, nel suo letto, anche Aden stava dormendo della grossa. 

“Buona notte.” sussurrò l’attrice, per poi uscire dalla stanza e dirigersi verso la sua. Entrò piano, attenta a non svegliare Ethan. Il bambino era raggomitolato su un lato, i pugni chiusi vicino al viso. Clarke si appoggiò al box culla e sospirò. Sentì il cellulare vibrare, segno che qualcuno la stava chiamando. Lo estrasse dalla tasca dei pantaloni e sorrise. Sbloccò lo schermo e rispose.

“Ehi.” esordì.

“Ehi? Tutto qui?” ribatté Lexa, fingendosi offesa. Clarke si lasciò sfuggire una risatina divertita e si appoggiò al muro, senza staccare gli occhi da Ethan. 

“Come stai? Come sta andando?” chiese poi, a bassa voce.

“Procede. Ho avuto alti e bassi, ma ora va meglio. È che tu e i ragazzi mi mancate così tanto, non vedo l’ora di tornare a casa. A proposito, come è andata la partita di Madi? Mi è dispiaciuto non esserci stata.”

“Ha faticato un po’ all’inizio, ma ha giocato una grande seconda metà di gara.” raccontò Clarke. “Ora è da una sua compagna di squadra. Ha legato molto con Charlotte ultimamente e sono contenta per lei, merita di vivere una vita normale.”

“Tu, invece? Come stai?” le chiese all’improvviso Lexa. “Ti ha risposto qualcuno?”. Clarke avrebbe così tanto voluto mentire. Il pensiero di aggiungere a Lexa altre preoccupazioni e sensi di colpa la terrorizzava. Lei ti ama e lo sai. Non fare il suo stesso errore, non tagliarla fuori, le parole di Octavia le risuonarono nella mente, cosi vivide. No, non poteva tagliarla fuori. Non sarebbe stato giusto.

“No, nessuno.” rispose, sempre sussurrando. “Credo sia finita, Lexa. Ho venduto la casa, tra un mese torno da mia madre.”

“Clarke…”

“No, Lex. Non darti la colpa, ti prego. Sono io che ho sfidato Wallace e, onestamente, non ho rimpianti. Sono felice, Lexa. Sono felice per la prima volta dopo così tanto tempo. Sono felice perché ora posso essere me stessa. E tu, Lexa, tu mi aiuti ad essere me stessa più di qualunque cosa. E io non posso non amarti per questo.”. Clarke prese un respiro profondo, cercando di fermare le lacrime che, ormai, scendevano incontrollate bagnandole le guance. “Non potrei scambiarti con nulla al mondo.”. Il cuore le batteva all’impazzata e aveva le gambe molli. Decise di sedersi sul letto, prima di finire per terra. Non si era mai aperta così tanto con qualcuno prima, nemmeno con Finn. Si sentiva così piccola, così vulnerabile.

“Ti amo anch’io.” replicò Lexa con un tono di voce così dolce, che Clarke non poté fare altro che abbandonarsi definitivamente al pianto. “Ed è per questo che devi continuare a fare l’attrice. Ho un contatto, me l’ha passato Becca. È un regista agli esordi, ma ha idee molto valide. Sta girando un film indipendente e quando Becca gli ha detto di te, sembrava entusiasta all’idea. Potrebbe valerne la pena.”. Clarke non sapeva come rispondere. Si limitò ad annuire, come se Lexa fosse stata lì con lei.

“I-io…” balbettò, totalmente incapace di articolare una frase di senso compiuto.

“Tu meriti di fare quello che ami.” le disse Lexa. “Avrai sempre il mio supporto, Clarke. Sarò sempre con te.”. Clarke pregò che quella fosse la verità. Non sarebbe stata capace di vivere senza Lexa. Non di nuovo.










Angolo dell'autrice 

E rieccomi qui. Scrivere questo capitolo non è stato facile. Rimanere sola, non avere più nessuno è una delle mie paure più grandi. Credo tuttavia che scoprire quotidianamente quanto, invece, siamo circondati da persone che ci vogliono bene sia una delle sensazioni al contempo più spiazzanti è più belle che ci siano. 
Grazie per leggere e commentare e a chi recensisce. 
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 24.Make Me Stay ***


24.

So touch me like it's the very first time
Kiss me, it's gonna be a long night
Hold me like you're afraid I'll walk away
Love me like you're tryin' to make me stay
(Ron Pope-Make Me Stay)

 

 

 

“Zia Lexa!” esclamò Adria, correndo verso l’attrice. 

“Aspetta, ehi!” cercò di fermarla Clarke, invano. La bambina la ignorò e si gettò al collo di Lexa, che si era chinata alla sua altezza. L’attrice la prese in braccio e le baciò la fronte, mentre Adria giocherellava con i bottoni della sua giacca. 

“Ti sono mancata, eh?”. Adria annuì, lo sguardo chino. Di colpo, si incupì. Lexa inarcò un sopracciglio, allarmata. Non capiva cosa stesse succedendo. 

“Tutto bene?” le chiese, preoccupata. Adria scrollò le spalle e si accoccolò al suo petto. 

“Sei tornata.” mormorò, con una punta di sollievo così inusuale per una bambina di soli quattro anni. La gravità di quella constatazione colpì Lexa con una violenza inaudita. La donna si sentì mancare il respiro per qualche istante. Adria era sollevata perché lei era tornata a casa. Già, lei. Lei, ma non Luna. Adria l’aveva appena messa a confronto con sua madre. Lexa sorrise amaramente, gli occhi velati dalle lacrime. 

“Sono tornata, Adria. Tornerò sempre da te.” sussurrò poi alla bambina. “È una promessa.”. Adria alzò lo sguardo. Lexa le baciò il capo e la strinse ancora di più a sé. Sospirò. Clarke era di fronte a lei che osservava quella scena, confusa. Lexa le fece segno che andava tutto bene e avanzò verso di lei. 

“Ciao.” la salutò Clarke, dandole un bacio veloce. Accanto a lei, Ethan si muoveva nel passeggino, palesemente felice di riavere Lexa tutta per sé. 

“Aden e Madi?” chiese quest’ultima. 

“A casa. Volevano prepararti la cena.” spiegò la bionda. “Spero di non trovare i pompieri al nostro ritorno.”. Lexa scoppiò a ridere, per poi seguire Clarke al parcheggio. Caricò le valige nel bagagliaio e aiutò la sua ragazza a sistemare i bambini sui rispettivi seggiolini. Adria era chiaramente emozionata ed euforica per il suo ritorno e Lexa dovette fare appello a tutte le proprie energie per convincerla del fatto che non poteva sedersi con lei davanti. Finalmente partirono, finendo però ben presto imbottigliati nel traffico di Los Angeles. 

“Oh, accidenti!” imprecò Clarke, per niente felice di quella situazione. Lexa nemmeno la sentì, intenta com’era ad ammirare il paesaggio fuori dal finestrino. Oramai era dicembre e il sole stava lentamente sparendo dietro agli edifici. Scosse il capo. Nel corso di quegli ultimi tre anni, aveva imparato ad amare il Nevada, esattamente come aveva adorato il Canada durante le riprese di Arkadia e il Massachusetts durante la sua infanzia. Si rese conto solo in quel momento che non si era mai sentita realmente a casa in nessun posto. Los Angeles in quegli ultimi anni non era stato che un punto d’appoggio tra una produzione e un’altra, nulla di più. Eppure, in quelle settimane non aveva desiderato altro che tornare in California. 

“A che pensi?” le chiese Clarke, ridestandola dai suoi pensieri. Lexa scrollò le spalle e si voltò verso di lei, un sorriso dipinto sulle labbra. Piegò la testa di lato, gli occhi fissi sulla strada davanti a sé. 

“Che sono a casa.” rispose. “E che mi era mancata così tanto.”

 

________________

 

Madi era seduta in giardino, il pallone fra le mani e l’aria pensierosa. La temperatura non era per niente alta e la felpa che indossava non era assolutamente in grado di tenerla al caldo, ma lei sembrava non curarsene. Al contrario, sentire freddo la sollevava. La faceva sentire viva. Alzò lo sguardo. Il cielo era limpido, pieno di stelle. Scosse il capo. Lei ed Aden avevano deciso di preparare la cena per festeggiare il ritorno di Lexa e doveva ammettere che erano stati piuttosto bravi. 

“Ehi.”. Madi si voltò. Clarke era appoggiata alla porta, le braccia conserte per provare a proteggersi dal freddo. 

“Ehi.” rispose la ragazzina, distogliendo lo sguardo. 

“Vieni dentro, rischi di ammalarti.”. Madi la ignorò, gli occhi fissi verso il cielo. Avrebbe voluto urlare, quella era la verità. Se qualche mese prima qualcuno le avesse detto che avrebbe trovato una famiglia e che avrebbe sentito la mancanza di Lexa, sarebbe scoppiata a ridere. Ma in quel momento, l’evidenza era tutt’altra. 

“Ho paura.” confessò infine, con un filo di voce. Clarke sospirò e avanzò verso di lei. Le si sedette accanto e le sorrise.

“Anche io.” dichiarò. “Sono terrorizzata, Madi. Vedi, fino a qualche mese fa avevo delle certezze. Sapevo che avrei recitato in Arkadia, che Raven aveva provato a pugnalarmi alle spalle per puro divertimento e che, probabilmente, avrei passato la mia vita da sola, amando una persona che non sarebbe mai stata in grado di fare lo stesso. Ora è tutto così diverso. Non reciterò mai più in una produzione di Wallace in vita mia, ho scoperto che Raven voleva solo aiutarmi, anche se in modo maldestro e, a quanto pare, Lexa ha solo finto di non provare nulla nei miei confronti per proteggermi. È tutto così incerto, da essere estenuante.” spiegò. “A volte mi chiedo se non sia tutta un’illusione e se, forse, non sarebbe meglio mollare tutto per evitare di stare male di nuovo.”

“E perché non lo fai?” domandò Madi. Clarke si morse il labbro, un leggero sorriso dipinto sul volto. 

“Perché per ora è tutto così vero e non posso fingere che non lo sia.” rispose. Madi chinò il capo. Sentì la mano di Clarke carezzarle la schiena e invitarla a fidarsi di lei, a lasciarsi andare. Madi cedette. L’attrice la strinse in un abbraccio e lei non poté fare altro che abbandonarsi ad esso. 

“Ti voglio bene.” le sussurrò Clarke all’orecchio, per poi schioccarle un bacio sulla nuca. Stretta fra le sue braccia, Madi decise di provare a fidarsi.  Per ora, tutto era così vero. E chissà, magari lo sarebbe stato anche in futuro.

 

________________

 

Lexa era sdraiata sul letto, una fotografia tra le mani e un sorriso malinconico sulle labbra. Ricordava perfettamente quando era stata scattata. Luna e Roan erano andati con Aden ed Adria ad Aspen per una settimana bianca e avevano insistito affinché lei li seguisse. Lexa non aveva mai sciato in vita sua. Roan si era proposto di insegnarle, ma si era ritrovato a doverla alzare da terra per tutta la mattina. Alla fine, Lexa aveva deciso di lasciar perdere e si era offerta di badare ad Adria, che all’epoca aveva un anno, in modo da permettere a Luna di trascorrere un po’ di tempo con il marito e il figlio. Non avrebbe mai potuto immaginare che, tre anni dopo, quella bambina e il fratello sarebbero diventati così importanti per lei. 

“Tutto bene?” le chiese Clarke, ridestandola dai suoi pensieri. 

“Sì, io… Stavo solo riflettendo.” rispose Lexa, vaga. “A volte non realizzo quanto velocemente sia cambiata la mia vita negli ultimi mesi.”. Clarke le sorrise, i suoi occhi blu ricolmi di dolcezza. Era appoggiata al muro, la mano sinistra sul collo. 

“Mi sei mancata tantissimo in queste settimane.” confessò Lexa, quasi sottovoce. 

“Anche tu.” rispose la bionda, con una sincerità quasi disarmante. 

“Dimmi la verità, come è andata con i ragazzi?” le chiese Lexa, all’improvviso. 

“Bene. Raven, Anya, Octavia e Lincoln mi hanno aiutata molto, ma in generale me la sono cavata. Madi si sta finalmente lasciando andare, Ethan è adorabile, Adria deve solo imparare a non disegnare su ogni oggetto che incontra e Aden lo vedo un po’ più sereno. Sta soffrendo tanto per questa situazione, forse anche più di Madi a volte. È così introverso, si tiene tutto dentro e ho paura che, prima o poi, scoppierà.“

“Lui e Adria non credo abbiano preso bene la mia partenza.” realizzò Lexa, ricordando quanto le aveva detto la bambina in aeroporto. Clarke avanzò verso di lei e le si sdraiò accanto. Le prese la mano e le baciò le nocche. 

“Non fartene una colpa, Lexa. Dovevi partire, era lavoro. Ne abbiamo già parlato, non sarebbe stato giusto per te rinunciare.”

“Lo so.” mormorò la mora, chinando lo sguardo. Lo rialzò poco dopo e Clarke rimase senza fiato, completamente rapita dalla profondità di quelle iridi smeraldine. Non aveva mai provato nulla del genere prima, per nessuno. Allungò la mano, fino a sfiorarle le guance con le dita.

“Come è andata con Monty?” le domandò Lexa, senza staccare gli occhi dai suoi. 

“Il provino è andato bene, mi sembrava convinto. Non so ancora nulla di preciso però.” spiegò Clarke. “Quando ho scoperto che il suo cognome era lo stesso di Costia, ammetto che, per un attimo, ho pensato ad uno scherzo di pessimo gusto.” disse poi, lasciandosi sfuggire una risata divertita. Lexa si mise a sedere, sconvolta.

“Stai scherzando?”. Clarke fece segno di no con la testa e la mora si lasciò ricadere sul letto, le mani fra i capelli. “Oh, non è possibile.”. Clarke scoppiò a ridere e si girò, fino a ritrovarsi a cavalcioni su Lexa. I suoi occhi blu si specchiarono in quelli smeraldini della mora, così profondi, così intensi. Nessuno l’aveva mai guardata in quel modo, nemmeno Finn. Anzi, specialmente Finn. Al solo pensiero che solo qualche mese prima stava per sposarsi con quell’uomo, rabbrividì. Non aveva mai provato nulla per lui, ne era consapevole. Finn era stato un disperato tentativo di anestetizzare il suo amore per Lexa, null’altro. Sentì una lacrima bagnarle la guancia e le dita leggere di Lexa asciugargliela. A quel contatto, ebbe l’impressione che il cuore potesse scoppiarle nel petto. 

“Ti amo.” sussurrò, nemmeno lei seppe con quali forze. Lexa non rispose e, per un attimo, Clarke temette che potesse aver cambiato idea e che, magari, non provassero davvero gli stessi sentimenti l’una per l’altra. Il bacio più dolce che avesse mai ricevuto fu sufficiente a fugare qualsiasi dubbio. Lexa la strinse a sé, senza staccare le labbra dalle sue. Solo il bisogno di ossigeno le costrinse a separarsi, seppur di controvoglia. Clarke era paralizzata. Il tempo le pareva essersi fermato e pregò affinché non riprendesse a scorrere. Avrebbe voluto restare così, stretta fra le braccia di Lexa, per sempre. Quest’ultima allungò la mano e le sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, per poi sporgersi e schioccarle un bacio sulla punta del naso.

“Ti amo anch’io.” bisbigliò, infine. Clarke deglutì. Sentì un paio di labbra umide posarsi sul suo collo, delicate.

“Lex…” gemette, mentre le mani della mora le alzavano la maglietta.

“Posso?” le chiese quest’ultima, scostandosi quanto bastava per poterla guardare negli occhi. Clarke annuì e lasciò che Lexa la spogliasse. Lasciò che Lexa la vedesse, di nuovo, come tre anni prima. 

“Ti amo.” le ripetè la mora, baciandola di nuovo. “Ti amo così tanto.”

“Lex…” Clarke gemette di nuovo. Si ritrovò sdraiata sul letto, Lexa sopra di lei, le sue labbra ovunque. Con le mani tremanti cominciò a sbottonarle la camicia, lentamente. Gliela tolse con una delicatezza che la mora trovò quasi dolorosa. Erano nude, una di fronte all’altra e Lexa non resistette oltre. Sentì la paura montarle nel petto, prorompente. Era terrorizzata. Arretrò, fino a schiacciarsi contro la testiera del letto. 

“Lexa…” mormorò Clarke, muovendosi verso di lei. Aveva bisogno di toccarla, di sentirla, di viverla. Eppure, non osò nemmeno sfiorarla. Non poteva, non in quel momento.

“Lexa…” la chiamò nuovamente. Due pozzi verdi profondi come l’universo si scontrarono con le sue iridi blu e Clarke ebbe la sensazione che nulla, se non quegli occhi, avesse significato. Tutto si esauriva in quello sguardo carico di dolore, rimpianto, paura, ma anche amore, fiducia e speranza, tantissima speranza.

“Non voglio farti del male. Non di nuovo.” confessò Lexa, le gote bagnate dalle lacrime. 

“Non me ne farai.” la rassicurò Clarke. “Non te andrai questa volta. Io lo so.”. Lexa chinò il capo, ormai incapace di nascondere i singhiozzi. Clarke le posò due dita sotto il mento e la obbligò a rialzarlo. Le sorrise e la baciò, con dolcezza. 

“Non me ne andrò.” ripeté la mora. Era una promessa, soprattutto verso sé stessa. Sarebbe rimasta, nonostante tutto e tutti. 

“E io non ti lascerò andare.” dichiarò Clarke, carezzandole il costato nudo. “Non questa volta.”. Lexa non si ritrasse. Si abbandonò a quel tocco così delicato, così gentile. Si abbandonò a quella promessa che Clarke le aveva appena fatto. Si abbandonò alla certezza che ci sarebbe stato qualcuno che l’avrebbe aiutata a restare. Si abbandonò all’amore di Clarke.








Angolo dell'autrice 

Rieccomi qui. Scrivere questo capitolo non è stato per niente facile, forse perché così come Lexa avrei solo bisogno di qualcuno che mi promettesse di non lasciarmi andare. Spero vi sia piaciuto, davvero.
Grazie mille per leggere e a chi recensisce.
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 25.Time ***


25.

 

I shouldn't have wasted those days 
And afternoons and mornings 
[…]
I've looked in the mirror
My world's getting clearer
So wait for me this time
(Chantal Kreviazuk-Time)

 

 

 

 

Lexa avrebbe voluto urlare. Era riuscita a mettersi nella peggiore delle situazioni. Tutto quello che avrebbe dovuto fare era scendere dal tetto di quella dannata roulotte, salutare Clarke e dire qualche frase di circostanza, qualcosa come a presto o ci sentiamo. Di sicuro, baciarla e andarci a letto non sarebbe dovuto minimamente succedere. Lexa si coprì il volto con le lenzuola, sforzandosi di non emettere alcun suono. Clarke dormiva beata, ignara della tragedia che si stava consumando accanto a lei. Già, Clarke. Lexa si voltò verso di lei. Pur se nella penombra della notte, era così bella. I lunghi capelli biondi le incorniciavano il viso e le mani strette a pugno accanto al naso la facevano sembrare quasi una bambina. Lexa sentì le lacrime fare capolino e le ricacciò indietro, nemmeno lei seppe come. 

“Mi dispiace.” sussurrò. Si alzò e corse in bagno. Aveva bisogno di sciacquarsi la faccia e ritornare in sé. Non poteva permettersi di lasciarsi andare ai sentimenti, non in quel momento. Alzò lo sguardo. L’immagine riflessa nello specchio la fissava, gli occhi carichi di dolore. Lexa scosse il capo. Chiuse il rubinetto e ritornò in camera. Raccolse i suoi vestiti da terra e si voltò nuovamente verso Clarke. Dormiva ancora e Lexa non riusciva a smettere di pensare a quanto le sarebbe piaciuto ritornare a letto con lei, stringerla a sé, perdersi in lei, nel suo profumo, nei suoi occhi azzurri. No, doveva smetterla. Non ci sarebbe stato alcun futuro per lei e Clarke, mai. Si rivestì in silenzio, ormai succube del pianto. Si asciugò gli occhi con la manica della felpa e si apprestò a radunare le proprie cose. Si avvicinò nuovamente al letto e si sedette, lo sguardo fisso su Clarke, le sue iridi smeraldine intente a fissare nella memoria ogni minimo dettaglio di quella giovane donna che, Lexa ne era più che certa, aveva ormai rapito il suo cuore. Due grosse lacrime caddero sul lenzuolo e, per un istante, l’attrice temette di non riuscirsi a trattenere oltre. Con il dorso della mano carezzò la guancia della bionda, con una cura e una delicatezza che non aveva mai riservato a nessuno. Quando però Clarke si mosse, si ritrasse subito. Il terrore che si svegliasse e la scoprisse in quelle condizioni le mozzò il respiro. Non poteva farsi trovarsi in quello stato. Avrebbe dovuto mentirle ed era consapevole che non ne sarebbe stata in grado. Le accarezzò per un’ultima volta il viso. Non voleva andarsene. Non voleva separarsi da lei. Eppure, non aveva scelta. Si sporse in avanti e le baciò la fronte, lentamente. 

“Ci rincontreremo ancora.” sussurrò. Era una promessa, più a sé stessa che a Clarke. Avrebbe cercato in ogni modo di rivederla, anche solo per un misero ed insignificante istante. Dopo quel giorno, Clarke l’avrebbe odiata, lo sapeva bene. Ed era giusto così. Eppure, Lexa non avrebbe mai finto, non con sé stessa almeno. Non l’avrebbe mai dimenticata, non avrebbe mai potuto. In fondo, era per amore che stava scappando. Era per amore che stava sacrificando tutto. Si diresse alla porta, senza voltarsi più. Sapeva che se l’avesse fatto, non avrebbe più avuto la forza di andarsene. 

“Lex.”. Quella voce. Lexa era paralizzata, il cuore in gola. Sentì Clarke rigirarsi nel letto, segno che stava ancora dormendo. 

“Ti amo.”. E Lexa si sentì morire.

 

“Tutto bene? Perché non torni a letto?”. Lexa scosse il capo. Era in piedi da almeno un’ora ormai, appoggiata al box culla di Ethan. Durante la sua assenza Clarke aveva deciso di sistemare un po’ la casa, in modo da spostare il bambino in un’altra stanza e concedere loro un po’ di privacy. Lexa si era mostrata un po’ titubante all’inizio, agitata all’idea di non riuscire ad intervenire in tempo nel caso di un’emergenza, ma poi aveva ceduto. In fin dei conti, era giusto così. Avevano bisogno dei loro spazi, era giunto il momento. La verità era che aveva usato Ethan come scusa per non affrontare il suo passato e i suoi sentimenti per Clarke, per l’ennesima volta. Ricordare era così spaventoso, così doloroso. Troppo doloroso.

“Dorme così pacificamente.” asserì sottovoce, senza voltarsi. Clarke sospirò, appoggiandosi al muro. 

“Pensi mai a quanto tempo sprechiamo dietro a cose che non ci renderanno mai felici?”. La bionda si morse il labbro, colta alla sprovvista da quella domanda.

“Spesso, sì.” rispose. “Ma poi realizzo che comunque qualcosa che mi rende felice c’è e, a quel punto, ignorarlo sarebbe da folli.”. Lexa annuì, poco convinta. Sentì le mani calde di Clarke circondarle il viso e costringerla a girarsi. Un’onda blu la investì e lei non fece nulla per evitarla. Non avrebbe avuto alcun senso. 

“Quando me ne sono andata, dormivi così serenamente. Non ho avuto nemmeno il coraggio di voltarmi un’ultima volta, sapevo che non sarei riuscita ad andarmene se l’avessi fatto.” spiegò. “Non mi pento di essere fuggita. Sarei pronta a rifarlo mille volte se questo significasse tenerti al sicuro.”

“Non…” provò a dire Clarke, ma Lexa le fece segno di farla continuare.

“Quello che veramente rimpiango è il tempo che ho sprecato cercando di convincermi che andarmene e starti lontana sarebbero stati il meglio anche per me.” confessò, chinando il capo. “Rimpiango il tempo che ho sprecato tentando in ogni modo di convincermi che tornare con Costia sarebbe stato il meglio per me.”. Clarke le carezzò con dolcezza la guancia e le asciugò le lacrime con i pollici. 

“Sai, non credo sia stato tempo sprecato.” dichiarò. Lexa le lanciò un’occhiata piuttosto confusa. 

“Non credi che sia stato tempo sprecato?” domandò, incredula.

“No, per niente. Al contrario, questi ultimi tre anni ci stanno permettendo di vivere la nostra relazione con una consapevolezza che, altrimenti, non avremmo avuto. Ne sono fermamente convinta.”. Lexa era immobile, le labbra tremanti. Clarke le sorrise, teneramente. La baciò, con una dolcezza che Lexa non aveva mai sperimentato in vita sua.

“Ti amo.” le sussurrò, per poi stringerla a sé e cominciare a cullarla teneramente. Nel suo lettino, Ethan continuava a dormire di gusto, ignaro di quanto stava succedendo accanto a lui. E Lexa realizzò di non desiderare altro, se non trascorrere tutto il resto della sua vita così.

 

________________

 

Fino a qualche tempo prima, Clarke non avrebbe mai nemmeno lontanamente immaginato di potersi costruire una famiglia tutta sua con la donna che amava. Anzi, già il semplice frequentare quest’ultima sembrava un miraggio. Eppure, non aveva mai smesso di sperarci. In quegli ultimi tre anni, la maggior parte del suo tempo Clarke l’aveva speso chiedendosi cosa avesse spinto Lexa ad andarsene e pregando che tornasse da lei. Quando aveva conosciuto Finn, si era illusa di poter finalmente ricucire una ferita che, ogni giorno, non faceva altro che sanguinare dolorosamente. Invece, con il passare del tempo, Clarke si era resa conto di quanto la sua fosse solo una mera illusione. Nonostante i suoi sforzi, l’amore che provava per Lexa non sarebbe mai svanito. Scoprire i continui tradimenti di Finn le aveva solamente dato il pretesto di troncare una relazione che lei per prima non aveva vissuto in modo del tutto sincero. Non che ciò minimizzasse quanto avesse subito, lui era ingiustificabile sotto ogni punto di vista. Tuttavia, se voleva essere onesta con sé stessa, doveva ammettere di aver più volte usato il suo rapporto con Finn per smettere di pensare a Lexa. Invano, naturalmente. La prima volta che si erano incontrate, Clarke era rimasta rapita da quello sguardo così profondo. La ricordava così bene quella sensazione. Non si era più sentita la stessa da allora. Lexa l’aveva stravolta, completamente. Era come se attraverso di lei Clarke potesse vedere sé stessa, era come se attraverso quei due occhi verdi lei potesse imparare ad essere sé stessa. Inutile dire che tornare indietro dopo una simile presa di coscienza sarebbe stato impossibile. Come avrebbe mai potuto? Come sarebbe mai riuscita a fingere di non aver mai vissuto qualcosa di così sconvolgente, di così sconquassante? No, non ce l’avrebbe mai fatta, nemmeno con tutto l’impegno del mondo. Quella era la differenza fra Lexa e Finn. Quest’ultimo non l’aveva mai guardata così. Non era colpa sua, no. La verità era che nessuno ne sarebbe stato in grado. Mai. 

“Clarke, guarda!” la chiamò Adria, porgendole un foglio. L’attrice sorrise, ammirando quel piccolo capolavoro. 

“Questa sono io e questa sei tu.” spiegò la bambina, fiera del suo operato. Erano entrambe in giardino, sedute sull’erba. 

“E questa chi è?” chiese Clarke, indicando con il dito una terza figura. 

“È zia Lexa.” rispose Adria. “È in mezzo al fuoco perché ha appena finito di cucinare.”. Clarke si morse il labbro, sforzandosi in tutti i modi possibili di non scoppiare a ridere. 

“Ti piace?” domandò la bambina, gli occhioni scuri fissi su di lei e carichi di speranza. Clarke le carezzò la guancia con tenerezza e annuì.

“Certo.” le disse, baciandole la fronte. Adria finse un’imbarazzo che in realtà non provava assolutamente e scappò via, ritornando ai suoi pennarelli dall’altra parte del giardino. Clarke sospirò. Si ripromise di passare in qualche negozio specializzato e comprare a quella bambina qualche pastello. Quando era una ragazzina, suo padre disegnava sempre con lei e, anche se dalla sua morte  lo faceva più raramente, Clarke non aveva perso la passione. Chissà, magari lei ed Adria potevano creare qualcosa assieme. 

“E così io sarei avvolta dalle fiamme, interessante.”. Clarke si voltò. Lexa era in piedi di fronte a lei, un sorrisetto furbo dipinto sulle labbra.

“Solo perché stai cucinando.” puntualizzò la bionda. Lexa alzò gli occhi al cielo e si sedette dietro di lei, circondandole la vita con le braccia e attirandola al suo petto. Le baciò il collo e poi la nuca, con dolcezza. 

“Ti amo.” sussurrò e Clarke non resistette oltre. La baciò, cercando il più possibile di trattenersi dall’esagerare. D’altronde, Adria era ancora lì in giardino con loro. 

“Anche io.” disse infine, mordicchiandole l’orecchio. Lexa appoggiò il capo sulla sua spalla, l’aria serena. Per la prima volta in tre anni, si sentiva realmente in pace. Adria era sdraiata in mezzo all’erba, intenta a disegnare, mentre Madi stava cercando di insegnare ad Aden a giocare a basket. 

“Stavo pensando a una cosa.” esordì. Clarke la guardò, confusa. 

“A cosa?” chiese. Lexa si spostò, in modo da avere Clarke di fronte a sé. Le circondò le mani con le sue e prese ad accarezzargliele. 

“Vuoi davvero traslocare?”. A quella domanda, la bionda inarcò un sopracciglio. 

“Lex, non si tratta di voglia. Insomma, non ho alternative. Ho già venduto la casa e diversi mobili.” spiegò. Lexa annuì, senza distogliere lo sguardo dagli occhi blu della sua ragazza. 

“Andrai da tua madre?”. Clarke era sempre più confusa. 

“Sì, non saprei dove stare altrimenti. Ovviamente si tratterà di una soluzione temporanea, non appena avrò di nuovo abbastanza soldi provvederò a…”

“Vieni a vivere con noi.”. Clarke spalancò gli occhi. Non era sicura di aver sentito bene. Quando realizzò la serietà di quella proposta, si sentì svenire.

“Lexa…” provò a protestare, invano. 

“Clarke, lo so che è un passo enorme, ma sono convinta che siamo pronte. I ragazzi ti adorano e tu ormai sei sempre qui. E, con tutta la sincerità di questo mondo, ci tengo a dirti che se dipendesse da me non ti lascerei mai andare via.”. Clarke aprì la bocca per replicare, ma non riuscì ad articolare nessuna frase di senso compiuto. “Ho passato tre anni senza di te. Ora vorrei solo trascorrere il resto della mia vita insieme a te, se mai me lo concederai.”. Clarke aveva le lacrime agli occhi e le labbra tremanti. Annuì, non essendo in grado di fare altro. Baciò Lexa, ignorando completamente il fatto di trovarsi in giardino davanti ai ragazzi. 

“Trovatevi una camera!” le prese in giro Madi, lanciando il pallone da basket verso di loro. Lexa fece per prenderlo, ma le sfuggì di mano e non potè fare altro che osservarlo finire fra i cespugli. 

“Corro a prenderlo io.” si offrì Madi. La ragazzina corse verso le siepi che delimitavano la villa e si mise a cercare disperatamente la palla. Finalmente, dopo svariati minuti, la intravide, incastrata fra i rami di un cespuglio. Fece per prenderla, ma si ritrasse subito, il cuore in gola. No, di fronte a lei non c’era solo il pallone. Scosse il capo, il respiro affannato e le mani che tremavano come foglie. 

“Ciao Madi, come stai?”.




Angolo dell'autrice

Rieccomi qui, con questo nuovo capitolo. Scopriamo il punto di vista di Lexa rispetto alla famosa mattina di tre anni prima e, soprattutto, finalmente vivono tutti un po' di pace. Almeno, fino alla fine del capitolo. 
Grazie mille per leggere e recensire, fatemi sapere cosa ne pensate di questa storia se vi va.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 26.Broken ***


26.

 

All these things I hide
Away from you again
All this fear holding me
(Broken-12 Stones)

 

 

“Ciao Madi, come stai?”. Madi era paralizzata. Non era nemmeno sicura di star respirando. Provò ad indietreggiare di qualche passo, ma non ne fu in grado. Di fronte a lei, Malachi sogghignava, divertito nel vederla così in difficoltà. La ragazzina aprì la bocca per urlare, ma l’uomo le intimò di tacere posando un dito sulle sue labbra. Erano in posizione defilata, fuori della vista di Clarke e Lexa.

“Non vorrei che le tue nuove amiche si facessero male, Madi.” sibilò. La ragazzina fece segno di no con il capo, terrorizzata.

“Brava, l’ho sempre pensato che fossi un tipo intelligente.”

“Come sei entrato?” Madi riuscì a chiedere. Malachi scoppiò a ridere.

“Scoprire dove vive Lexa non è stato poi così complicato. Per il resto, segreti del mestiere. Anni e anni di esperienza, piccola.”. Madi aveva il cuore in gola. Avrebbe voluto domandargli se sapeva qualcosa di sua madre, ma non lo fece. 

“C-che cosa… Che cosa v-vuoi?” chiese, balbettando per la paura.

“Cosa voglio? Penso tu lo sappia benissimo, purtroppo.”. 

“Te lo giuro, non ho detto niente!” Madi si apprestò a chiarire. “Non lo sanno quello che è successo. La Sidney crede che io abbia fatto a pugni per strada.”. L’uomo schioccò la lingua. 

“La Sidney, Madi. Sappiamo tutti e due che quelle due attrici sospettano di me.” disse, estraendo un coltello a serramanico dalla tasca della giacca. Madi si ritrovò per terra, nel panico. Malachi avanzò verso di lei e l’afferrò per la felpa.

“Ti prego, farò tutto quello che vuoi.” supplicò la ragazzina. “Ti scongiuro.”. Un orribile ghigno comparve sul volto dell’uomo, che mollò la presa. Madi si voltò, pregando che nessuno la andasse a cercare proprio in quel momento. Non voleva che Lexa, Clarke o, peggio, i suoi fratelli, rimanessero coinvolti in tutto quello. Non lo meritavano, non loro. 

“Farai tutto quello che voglio, eh?”. Madi annuì. Le lacrime ormai le appannavano la vista e si sentiva svenire. La lama fredda e affilata del coltello di Malachi le accarezzava la gola, minacciosa. L’uomo si sporse verso di lei, fino a sfiorarle l’orecchio con le labbra. 

“Perfetto.”.

 

________________

 

“Alla buon’ora, pensavamo ti fossi persa in giardino.” esordì Clarke, non appena vide Madi rientrare. La ragazzina scrollò le spalle e si avviò verso camera sua, sotto lo sguardo curioso dell’attrice.

“Tutto bene? Sei pallida.” le chiese quest’ultima, preoccupata da quello strano cambio di umore. 

“Sì, sono solo un po’ stanca.” rispose Madi, evasiva. Ricominciò a salire le scale, ma Clarke la bloccò, tirandola leggermente per la spalla. Madi si lasciò sfuggire un gemito di dolore e si fermò, senza voltarsi.

“Madi, che succede?” domandò l’attrice, ormai decisamente spaventata. 

“Niente.” Madi mentì, cercando di divincolarsi dalla presa di Clarke. “Devo andare in camera.”. L’attrice non insistette oltre. Sapeva che non avrebbe portato a nulla. La lasciò andare e indietreggiò, pregando si girasse verso di lei. La ragazzina era immobile sulle scale, le lacrime agli occhi. 

“Ci sono per tutto, Madi. Lo sai, vero?”. La ragazzina si limitò ad annuire, per poi riprendere a salire le scale. Clarke era attonita. Si lasciò scivolare lungo il muro e sospirò. C’era qualcosa che non andava, era evidente. 

“Clarke, che succede?“ la soccorse Lexa. La bionda scosse il capo.

“Non lo so nemmeno io.” rispose. Lexa inarcò un sopracciglio, confusa. 

“Clarke, se è per la proposta che ti ho fatto prima, sappi che non è una cosa che devi fare adesso. Non voglio che tu ti senta sotto pressione, se non sei pronta fa lo st-…”

“No Lexa, non… Certo che voglio venire a vivere con voi.” la rassicurò Clarke. “Riguarda Madi. Non capisco che le è preso, sembra così… spaventata.” spiegò.

“Spaventata?”. Clarke annuì.

“È rientrata in casa e ti giuro, sembrava avesse visto un fantasma. Ho provato a capirci di più, ma è corsa in camera sua dicendo che si sentiva stanca.”

“Magari è così.” ipotizzò Lexa. Clarke si morse il labbro e scosse il capo. 

“E se non lo fosse?” chiese. “Se le fosse successo qualcosa? Magari ha avuto notizie da parte della madre. O, peggio, da parte di Gloomy o qualche membro di una gang. A volte dimentichiamo che non ha sempre vissuto a Beverly Hills, Lex.”. La mora si sedette accanto a lei e le prese le mani, circondandole con le sue. 

“Clarke, è stata in giardino. Siamo al sicuro, qui. E anche lei lo è.” provò a rassicurarla. “Ha vissuto delle giornate intense, è normale che si stanchi.”. Clarke non sembrava convinta. Si passò una mano in volto e si sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Avrebbe voluto poter avere le stesse certezze di Lexa in quel momento, ma proprio non ci riusciva. 

“Voglio raccontarti una cosa, ma non deve uscire di qui.” disse. 

“Certo, va bene. Te lo prometto.” assicurò la sua ragazza. Clarke prese un respiro profondo e si spostò, sistemandosi di fronte a lei.  

“Io e Raven non siamo semplici amiche. Lei è… Lei è la mia sorella affidataria. Mia madre lavorava ancora a Polis all’epoca. Se la trovò davanti un giorno al pronto soccorso, in condizioni indicibili. Le salvarono la gamba per miracolo, Lex. Sua madre era come Ontari, una tossicodipendente a cui non interessava nulla della figlia.”. Lexa era piuttosto confusa.

“Perché mi stai raccontando tutto questo?” domandò. Clarke le fece segno di lasciarla continuare.

“Raven non è mai stata un problema per la nostra famiglia. Al contrario, l’ho sempre considerata una sorella. È stata una sua decisione quella di nascondere la cosa al grande pubblico, non voleva diventare famosa per qualcosa del genere.” spiegò. “Accadde tutto così in fretta. Mio padre era ancora vivo e la situazione a casa non poteva essere migliore. Io e Raven frequentavamo lo stesso liceo e lei mi stava aspettando all’uscita. Ricordo che non disse una parola per tutto il viaggio verso casa. Solo quando la mattina dopo ci svegliammo e non la trovammo nel suo letto, capimmo che doveva essere successo qualcosa.”. Lexa carezzò amorevolmente i capelli di Clarke, notando quanto quest’ultima si stesse agitando nel raccontarle tutte quelle cose. “Sua madre l’aveva seguita e fermata all’uscita da scuola. L’aveva convinta che l’avevamo presa con noi solo per un mero tornaconto economico e per 

dimostrare al mondo quanto fossimo una buona famiglia. Come se lei fosse stata una merce da esibire e nient’altro.”. Clarke colpì il pavimento con una manata. “Per fortuna i miei genitori riuscirono ad intervenire tempestivamente, non oso immaginare cosa sarebbe successo altrimenti.”. Lexa la strinse a sé e cominciò a cullarla, dolcemente. 

“Aveva la stessa faccia di Madi, Lex.“

“Andrà tutto bene, Clarke. Madi è al sicuro qui.” provò a tranquillizzarla la mora. “Non è detto che ciò che è capitato a Raven debba succedere anche a lei. Vedrai che è solamente un po’ stanca.”. Clarke si accoccolò al petto della sua ragazza e distolse lo sguardo. Forse Lexa aveva ragione, forse stava solo esagerando. E non poté fare altro che sperarlo con tutto il suo cuore. 

 

________________

 

Madi controllò l’ora. Le quattro di notte. Aveva poco più di un’ora per prepararsi. Si mise a sedere e si strofinò gli occhi. Era ancora in tempo, doveva solo andare da Clarke e Lexa e dire loro la verità, chiedere aiuto. Scosse il capo. No, non poteva. Non se voleva tenerle al sicuro. La verità era che aveva vissuto un’illusione, nient’altro. Aveva creduto fosse possibile per lei una vita diversa, fatta di serenità e di una famiglia che la amava, ma le era ormai chiaro quanto tutto ciò non fosse il suo destino. Si alzò e, preso lo zaino e un borsone, cominciò a radunare le sue cose. Prese il portafogli, un quaderno, il suo astuccio e il pallone da basket. Con la mente, ripensò alla mattina in cui lei e Lexa si erano messe a tirare a canestro. La sera primasi era presentata da Octavia, abbandonata da tutto e tutti, spaventata e con l’idea che, in fondo, non fosse altro che una fonte di problemi. Quando Clarke l’aveva stretto a sé, però, qualcosa era scattato in lei. L’ipotesi che qualcuno che la volesse esisteva si era insinuata in lei, prepotentemente. Clarke e Lexa non avevano mai mollato con lei. Ecco perché non poteva coinvolgerle. Teneva troppo a loro per farlo. Sospirò. Aprì l’armadio e riempì il borsone di vestiti. Decise di concentrarsi sul minimo indispensabile, prediligendo biancheria, jeans, magliette, felpe e qualche pantaloncino. Si voltò a fissare l’armadio ormai semivuoto, la canotta di Rajon Rondo appesa in bella vista sulla destra. Lexa e Clarke gliel’avevano regalata in occasione del suo ingresso nella squadra del liceo. Avevano scelto Rondo dato che aveva vinto due finals NBA, una con i Boston Celtics e una con i Los Angeles Lakers. Era stata un’idea di Lexa, così che Madi potesse avere un regalo significativo da parte di entrambe che non le avesse messe in competizione, anche se proprio la mora non perdeva occasione di ricordare che la prima vittoria era arrivata proprio con la franchigia del Massachusetts. Sorrise amaramente, tra le lacrime. Avrebbe desiderato così tanto portarla con sé, ma decise di lasciare stare. Avrebbe solamente reso il distacco ancora più difficile. Sospirò e richiuse l’armadio. Si vestì e controllò di aver preso tutto. Afferrò una felpa che aveva precedentemente appoggiato alla scrivania e la trascinò a sé. Una fotografia cadde a terra e Madi si chinò a raccoglierla. Cercò in tutti i modi di soffocare le lacrime, invano. Ricordava il giorno che era stata scattata. Lexa aveva deciso di organizzare una gita a Lake Arrowhead, nei pressi di San Bernardino. Madi non riusciva a smettere di piangere. Accarezzò la foto e la inserì nello zaino, attenta a non stropicciarla troppo. Si asciugò il viso con il palmo della mano e si avviò alla porta. Cercando di fare meno rumore possibile, cominciò a scendere le scale. Una volta in soggiorno, si diresse verso il mobile dove Lexa teneva l’argenteria. Aprì il cassetto e ne riversò il contenuto all’interno del suo zaino. Non aveva mai provato così tanto disgusto per sé stessa. Odiava rubare, specialmente a chi teneva a lei. Se non l’avesse fatto, però, avrebbe messo in pericolo sé stessa e gli altri. 

“Che stai facendo?”. Madi sobbalzò. Aden. 

“Niente, torna a dormire.” cercò di tagliare corto. Suo fratello cominciò a scendere le scale, facendole capire che non c’era riuscita. Le si parò di fronte e le prese lo zaino, con aria disgustata.

“Tu stai rubando!” realizzò. 

“Aden, non è come sembra.” replicò Madi. “Ridammi lo zaino, ti prego.”

“Dopo tutto quello che Lexa ha fatto per te! Mi fai schifo!”. Madi accolse quelle parole come pugnalate al petto. Aden non le aveva mai parlato così. Anzi, era stato uno dei pochi a credere in lei sin da subito. 

“Aden…” mormorò, ma il ragazzino non la ascoltò. 

“Perché ci stai facendo questo? Perché te ne stai andando?” chiese, tra le lacrime. Madi aveva un nodo in gola. Non aveva mai provato così tanto odio verso sé stessa. 

“Aden, non puoi capire. Ora ti prego, dammi lo zaino.”. Il ragazzino fece segno di no con il capo. “Aden!”

“Se proprio ci tieni, vieni a prenderlo!”. Madi si avventò sul fratello, ma il ragazzino indietreggiò, schivandola. Madi si ritrovò sul pavimento, dolorante. Si rialzò, ignorando il dolore al ginocchio destro. 

“Aden, ti prego!” supplicò il fratello. “Ho bisogno di quello zaino.”

“Non permetterò che tu te ne vada!” urlò il ragazzino. La verità colpì Madi, pesante come un macigno. Aden stava cercando di mantenere la famiglia unita. Non voleva perdere nessun altro, non dopo l’incidente  che gli aveva portato via entrambi i genitori. 

“Aden…” la ragazzina mormorò, disperata. Suo fratello non poteva capire e non era di certo colpa sua. Un rumore di passi li zittì entrambi. Si voltarono. Clarke e Lexa li raggiunsero, la faccia sconvolta. 

“Che cosa sta succedendo qui?” domandò la seconda, allibita. 

“Madi, perché il tuo borsone è pieno di vestiti? E perché il cassetto dell’argenteria è per terra?”. Clarke scosse il capo, lo sguardo carico di preoccupazione e delusione. Madi chinò lo sguardo, incapace di reggere quello delle due attrici. 

“Mi dispiace.” sussurrò. Poi, senza alcun preavviso, scattò in avanti e strappò lo zaino di mano ad Aden. Corse alla porta e si precipitò in strada, ignorando Clarke e Lexa che la richiamavano a gran voce. Sentì due braccia ossute circondarle la vita e spingerla a terra. Si rotolò su un fianco, un rivolo di sangue che le usciva dal naso. 

“Aden, devi lasciarmi andare!”

“No!” urlò il ragazzino, strattonandola. Erano entrambi riversi sull’asfalto, doloranti. Clarke e Lexa si lanciarono in loro soccorso, senza pensarci due volte. Nessuno di loro si accorse dell’arrivo di una macchina nera. Due colpi di pistola risuonarono nella notte. Clarke si buttò per terra, nel panico. Quando l’auto ripartì, Lexa era accanto a lei, sanguinante. Dei ragazzi, nessuna traccia.






Angolo dell'autrice 

Rieccomi. Dunque, la verità è che non sono molto sicura di questo capitolo, avevo in mente due idee diverse e alla fine ha prevalso questa. Ci tenevo a donare a Madi ed Aden in particolare un po' di profondità e spessore in più. Fatemi sapere che ne pensate, sono curiosa.
La storia sta giungendo al termine, penso che il prossimo sarà l'ultimo capitolo prima dell'epilogo.
Ah, su Ao3 e Wattpad ho messo una one shot Clexa in inglese, dal titolo You Found Me. Spero possa interessarvi e piacervi.
Grazie mille per leggere e recensire.
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 27.Save Me ***


27.

Someone save me
(Skillet-Save Me)

 

 

“Una settimana e mezza? Mi sta dicendo che sapeva del ritorno in città di Gloomy da una settimana e mezza e non ha riferito la cosa né a me, né a Clarke?”. Lexa era fuori di sé. Di fronte a lei, Diana Sidney si guardava intorno, senza la minima idea di come rispondere. 

“Signorina Woods, lei deve capire che…”

“Capire?” la interruppe l’attrice, alzandosi in piedi di scatto. “Cosa dovrei capire? Madi ed Aden sono chissà dove, nelle mani di un un uomo che ho provato più volte a farle capire essere terribilmente pericoloso!”. 

“Lexa, ti si riaprirà la ferita.” provò a calmarla Clarke. Quando l’aveva vista riversa sull’asfalto e ricoperta di sangue, aveva pensato immediatamente al peggio. Per fortuna il proiettile le aveva solo sfiorato la spalla, ferendola in modo non grave. In ogni caso, Abby in ospedale le aveva dovuto mettere diversi punti. L’avevano dimessa poco dopo e ora lei e Clarke erano tornate a casa, in compagnia della madre di quest’ultima. Anya e Raven erano poi passate a prendere Adria ed Ethan, per portarli in un luogo più sicuro, lontani da eventuali paparazzi. 

“Clarke ha ragione, torna a sederti.” si raccomandò la dottoressa Griffin, aiutando Lexa ad accomodarsi su una sedia. L’attrice obbedì docilmente, senza protestare oltre. Non sapeva nemmeno lei quali sentimenti stesse realmente provando. Rabbia, panico, paura si facevano via via largo in lei, prepotenti.

“Mi dispiace.” mormorò Diana Sidney, il capo chino. Lexa scosse il capo, senza rispondere. Abby le mise una mano sulla spalla sana, per farle capire che doveva restare il più tranquilla possibile se voleva evitare che i punti saltassero.

“Se ne vada.” intimò l’attrice, senza nemmeno guardare l’assistente sociale in faccia. La donna annuì e, raccolte le sue cose, si avviò verso la porta. Fece per aprirla, quando qualcuno la chiamò. Si voltò. Clarke era di fronte a lei, lo sguardo duro e carico di preoccupazione al tempo stesso. 

“Le è mai importato?” chiese, all’improvviso. Diana Sidney inarcò un sopracciglio, confusa.

“Come, scusi?”

“Le è mai importato di Madi?“ 

“Beh, naturalmente.” rispose l’assistente sociale. Clarke avanzò verso di lei, impassibile. 

“Mi dica la verità. L’ha mai considerata più di una pratica sulla sua scrivania? L’ha mai vista come una persona? Ha mai creduto in lei, signora Sidney?”. La donna scrollò le spalle.

“È lavoro, signorina Griffin. Sa quanti ne esistono come Madi? Non posso di certo preoccuparmi per tutti allo stesso modo.”rispose. “D’altronde, glielo avevo detto alla signorina Woods che l’emancipazione sarebbe stata la scelta migliore. Non capisco davvero perché si sia voluta accollare quella ragazzina.”. Clarke si lasciò sfuggire una risata carica di nervosismo. Scosse il capo e strinse i pugni, sforzandosi di non fare qualcosa di cui si sarebbe pentita in seguito.  

“La responsabilità di quanto è successo è anche sua. Spero ne sia consapevole.” asserì. “Se ne vada, signora Sidney. Se ne vada e non si faccia rivedere mai più.”. E la donna non poté fare altro che obbedire.

 

________________

 

Madi si guardava intorno, cercando in tutti i modi di capire dove lei ed Aden si trovassero in quel momento. Sembrava una sorta di scantinato, piuttosto dismesso. Erano arrivati lì con un cappuccio sulla testa, dopo che Gloomy li aveva costretti a salire in macchina minacciandoli con una pistola, la stessa che aveva usato per sparare a Lexa. 
Madi non riusciva a togliersi di mente l’immagine dell’attrice per terra, esanime e tutta sporca di sangue. Non voleva nemmeno chiedersi se fosse in condizioni gravi o peggio. Non ce la faceva. Si voltò verso Aden, che era seduto alla sua destra. Erano entrambi per terra, legati a quello che rimaneva di un vecchio termosifone arrugginito. 

“Stai bene?”. Il ragazzino annuì. Madi fece per dire qualcosa, quando la porta si aprì facendo sobbalzare sia lei, sia Aden. Gloomy avanzò verso di loro, sogghignando in modo orribile. Si chinò di fronte alla ragazzina e le accarezzò una guancia, viscido. Madi rabbrividì.

“Lasciala stare!” urlò Aden, agitando le gambe e colpendo l’uomo con un calcio. 

“Come osi, pidocchio?” sbraitò Gloomy, afferrando il ragazzino per il colletto del pigiama. Aden lo fissava in silenzio, cercando il più possibile di celare la sensazione di panico che stava provando.

“Hai fegato, moccioso.” disse infine l’uomo, lasciandolo andare. “Sì, hai decisamente fegato.”

“Che intenzioni hai?” gli domandò Aden, ormai sempre più apparentemente sicuro di sé. Aveva notato quanto Gloomy terrorizzasse Madi e, per quanto anche lui fosse profondamente spaventato dall’uomo, tutto ciò che voleva era infondere alla sorella quanto più coraggio possibile. 

“Che intenzioni ho? Beh moccioso, purtroppo dovrò sbarazzarmi di voi.” rispose Gloomy, quasi con una nota di dispiacere nella voce. Madi ed Aden deglutirono, paralizzati dalla paura. 

“Ti prego, non fargli del male.” supplicò la ragazzina. Gloomy schioccò la lingua, un sorriso divertito dipinto sulle labbra. 

“Dovrò decidere.” disse poi, dirigendosi all’uscita. “Ci vediamo più tardi.”. Madi ed Aden lo osservarono aprire la porta e, infine, lasciare la stanza. La ragazzina chinò il capo e scoppiò a piangere, disperata. 

“Mi dispiace.” mormorò fra i singhiozzi. “Avevi ragione Aden. Faccio schifo. Se non fosse per me, tu ora non saresti in questa situazione. Io… Io volevo solo proteggervi.”dichiarò. “La verità è che io e te non veniamo dallo stesso mondo, Aden. Non importa quanto io finga, Malachi ha ragione. Sono nata a Polis e morirò a Polis. Mi sono illusa di poter aspirare a qualcosa di più, ma ho sbagliato.”. Aden scosse il capo.

“Devi smetterla, Madi.” disse. “Sì, devi smetterla di credere che dovrai affrontare ogni cosa da sola. Va bene, non sarai nata a Beverly Hills, ma non mi interessa. Sei mia sorella, Madi. Sei la mia famiglia e io sono la tua. Non sei più sola.”. Madi annuì, sorpresa da quel discorso. Si chiese da dove Aden prendesse tutta quella forza, perché lei se la stava facendo sotto dalla paura. Sospirò. Suo fratello avevo ragione, ne era consapevole. Si era lasciata convincere da Gloomy di non valere nulla per nessuno, ma non era così. Avrebbe solo voluto realizzarlo prima.

“Ti voglio bene.” sussurrò. 

“Anche io, Mads.” rispose Aden, con dolcezza. “E ora troviamo il modo di uscire da qui.”.

 

________________

 

Lexa era in camera sua, stesa a letto. Poteva udire Clarke discutere con la polizia al piano di sotto. Si sentiva così inutile. Roan e Luna le avevano affidato i suoi figli e lei aveva fallito miseramente. Non era stata in grado di proteggerli, di tenerli lontani dai guai. Si voltò verso il comodino. La foto ritraente lei e Roan e Luna con i ragazzi ad Aspen la fissava, con fare accusatorio. Scosse il capo e si mise a sedere. Accarezzò la cornice, le lacrime agli occhi.

“Mi dispiace.” mormorò. Si alzò e, attenta a non rovinare la medicazione, si vestì. La spalla le faceva malissimo, ma decise di ignorare il dolore e continuare a prepararsi. Afferrò le chiavi della macchina e uscì. Scese le scale lentamente, sperando che Clarke non se ne accorgesse. Invano, ovviamente. 

“Lexa, cosa fai in piedi?” le chiese la bionda, preoccupata. Aveva gli occhi rossi, segno che doveva aver pianto. Lexa chinò il capo e si mise a giocherellare con le chiavi. 

“Io… Dov’è la polizia?” chiese. 

“Sono appena andati via. Il detective che si occupa delle indagini mi ha assicurato che un paio di agenti dovrebbe ritornare tra massimo mezz’ora però.” rispose Clarke. “In giardino è pieno di giornalisti. Tutti i nostri sforzi per tenere i ragazzi lontani dai riflettori sono appena andati in fumo. Per non parlare di Madi ed Aden, loro… Ma li troveranno, Lex. Sì, li troveranno.”. Lexa strinse Clarke a sé e le baciò il capo. La bionda scoppiò a piangere, lasciandosi finalmente andare a tutte le emozioni e paure che la attanagliavano da ormai diverse ore. Rimasero così per svariati minuti, fino a quando la stessa Clarke non si scostò.

“Tu… Scusa, non…” balbettò, giocherellando con i bottoni della giacca di pelle che Lexa indossava. La mora le circondò le mani con le sue e le baciò le dita, con dolcezza. 

“Andrà tutto bene, Clarke. Vedrai.” cercò di tranquillizzarla, anche se in quel momento stava rassicurando più sé stessa che la sua ragazza. 

“È tutta colpa mia. Avrei dovuto insistere con Madi, avrei… Dio.”. Lexa osservò Clarke lasciarsi cadere sul divano. Era distrutta, i sensi di colpa la stavano divorando viva. Le si sedette accanto e la costrinse a guardarla negli occhi.

“So che ti senti responsabile di quanto successo, vale lo stesso anche per me. È da ore che non faccio altro che chiedermi se non avessi potuto agire diversamente. Vorrei solo averla fermata in tempo. Vorrei solo averle dato un motivo per permetterle di aprirsi con noi.”

“Non è colpa vostra.”. Entrambe le attrici si girarono. Abby era appoggiata alla parete e le guardava con estrema tenerezza. Si spostò e si sedette di fronte a loro. 

“Mamma…” mormorò Clarke, ma la donna le fece segno di lasciarla parlare.

“È normale che pensiate di non aver fatto abbastanza e forse è così. È la maledizione di ogni genitore, purtroppo. Non faremo mai abbastanza per proteggere i nostri figli.” disse. “Ma di una cosa sono sicura: sia Madi, sia Aden sanno che volete loro bene. Loro sanno che li amate. L’hanno sempre saputo. Magari ci hanno messo un po’ ad accettarlo, ma la verità la conoscono bene. E credetemi, è quello che ha fatto, fa e farà la differenza.”. Lexa e Clarke annuirono, in lacrime. Abby sorrise loro e le strinse a sé. 

“Si risolverà tutto, vedrete. La polizia prenderà quel verme.” dichiarò. “Quanto a te Woods, a letto.”. Lexa si passò una mano sul volto. Si morse il labbro. Non voleva tornare a letto. No, tutto ciò che desiderava era solo ritrovare Madi ed Aden, nient’altro.

“Io veramente non…”. Qualcuno bussò alla porta, interrompendola. Abby andò ad aprire. Davanti a lei c’era un uomo che doveva avere suppergiù l’età della figlia. 

“Detective Miller, entri pure.” lo invitò ad accomodarsi.  

“Ci sono novità?” Lexa e Clarke chiesero quasi all’unisono. Il poliziotto annuì.

“Un vecchio compagno di cella di Gloomy ha parlato. Li abbiamo trovati.”.

 

________________

 

“Ci sono quasi.” dichiarò Aden, mentre sfregava i polsi contro il termosifone. Era riuscito a staccare una parte molto arrugginita del calorifero, in modo da ricavare da ciò che ne rimaneva una superficie tagliente per provare a liberarsi le mani.

“Aden, stai sanguinando.” constatò Madi, la voce tremante. Il ragazzino scrollò le spalle, senza smettere di sfregare i polsi conto il termosifone.

“Non importa. Devo… Io devo farcela.” insistette Aden. Strinse i denti, cercando il più possibile di ignorare il dolore. Finalmente, sentì le corde allentarsi e cadere per terra. Si massaggiò i polsi e si slegò i piedi, per poi correre a liberare Madi.

“Stai bene?” gli chiese lei, preoccupata. Si sentiva così in colpa per averlo trascinato in quella situazione. Il ragazzino annuì e le sorrise. 

“Come fai ad essere così tranquillo?” gli domandò lei. 

“Non lo sono, in realtà.” confessò Aden. “Ma dopo quanto successo a… Mi sono ripromesso di non voler perdere più nessuno.”. Madi lo strinse a sé, le lacrime agli occhi. 

“Ti voglio bene.” gli sussurrò. “Hai idee su come uscire di qui?”. Aden si grattò la tempia e si avviò alla porta. Provò ad aprirla, ma era chiusa. 

“Le finestre sono troppo in alto, non riusciremo mai a raggiungerle.” osservò. Madi si appoggiò alla parete, sconsolata. 

“Certo che ho combinato proprio un bel casino.” disse. 

“Sono d’accordo, ma continuare a ripeterlo non ci farà uscire di qui.” ribatté il fratello. Madi chinò il capo. Avrebbe voluto tornare indietro al giorno in cui Lexa e Clarke avevano scoperto i lividi sul suo corpo e dire loro la verità. Aveva cercato di proteggere sua madre, con tutte le sue forze. C’era della profonda ironia in tutto ciò. In fondo, sarebbe stata sua madre a dover proteggere lei, non il contrario. Madi realizzò in quell’istante di aver fatto di tutto per una persona che non si era mai curata di lei e che, purtroppo, non le aveva mai realmente voluto bene. Non come, invece, l’avevano amata Lexa e Clarke. Madi sospirò. Si sentiva così stupida. Aveva sprecato tutto quel tempo nascondendosi dalle persone che tenevano a lei. Si morse il labbro. Una folle idea le attraversò la mente, improvvisa. Forse non era ancora giunto il momento di smettere di nascondersi. 

“Madi, va tutto bene?” domandò Aden, confuso. 

“Assolutamente sì.” rispose la ragazzina. “Ora so come uscire da qui.”.

 

________________

 

“Può sbrigarsi, per favore?”

“Sto già superando di gran lunga i limiti di velocità, signorina Woods. Non posso andare più forte di così.” rispose il detective Miller, che era alla guida. “Non vi preoccupate, ho già fatto circondare l’area. Quando arriveremo, i ragazzi saranno sani e salvi e pronti a tornare a casa.”. Clarke, seduta al suo fianco, lo squadrò dall’alto in basso. Doveva avere suppergiù la loro età, ma nonostante ciò sembrava essere un tipo in gamba. Era stato anche molto delicato nel porre le domande necessarie per cominciare le indagini e a Clarke aveva fatto una buona impressione. Il fatto che avessero già trovato i ragazzi confermava le idee che l’attrice si era creata sul suo conto.

“Lei ha figli, Miller?” gli chiese. Il poliziotto scosse il capo. 

“Purtroppo no, signorina Griffin. Io e il mio compagno vorremmo adottare un bambino, ma per ora resta solamente un desiderio che abbiamo.”. Clarke si voltò velocemente verso Lexa. La mora era seduta rigidamente sul sedile posteriore, visibilmente agitata. La sua gamba destra faceva su e giù di continuo, segno dell’ansia che la stava mangiando viva. 

“Si fidi di me, detective Miller.” disse Clarke. “Un giorno capirà perché le stiamo chiedendo di andare ancora più veloce.”. Il poliziotto sospirò. Sentiva il peso dello sguardo dell’attrice su di sé, così asfissiante. 

“La prego.” supplicò Lexa, con un filo di voce. Miller schioccò la lingua. 

“E va bene.” cedette, infine. “Tenetevi forte.”. 

 

________________

 

“Maledetti sbirri!” urlò Gloomy mentre scendeva giù per le scale. Un suo vecchio compagno di cella gli aveva appena mandato un messaggio, avvisandolo di aver dovuto confessare alla polizia quanto sapeva dei suoi piani e che, di lì a poco, casa sua sarebbe stata circondata da agenti di ogni tipo. 

“Maledetto idiota!” continuò ad inveire Gloomy. Spalancò la porta in malo modo, senza smettere di imprecare e bestemmiare nemmeno per un istante. Quando però realizzò che Aden e Madi non erano più dove li aveva lasciati, impallidì. Estrasse dalla tasca dei jeans una pistola e si avvicinò al termosifone.

“Piccoli bastardi.” sibilò, non appena capì come i due ragazzini erano riusciti a liberarsi. Un forte rumore improvviso lo costrinse a girarsi. La porta si era richiusa di colpo, intrappolandolo in cantina. 

“Maledetti! Io vi ammazzo!” sbraitò. Prese la mira e sparò alla serratura, facendola saltare. Risalì le scale in fretta e furia e si mise alla disperata ricerca di Aden e Madi. Doveva eliminare qualsiasi prova a suo carico prima dell’arrivo della polizia, ad ogni costo. E ciò voleva dire che doveva assolutamente sbarazzarsi di quei due ragazzini. 

“Avanti, dove siete finiti? Venite fuori, non vi farò del male.”. Nessuna risposta, ovviamente. Uno scricchiolio attirò la sua attenzione. Sogghignò, compiaciuto. Si fermò, la pistola fra le mani.  Si girò lentamente, prima a destra e poi a sinistra. Infine, sparò. Le urla di terrore di Aden e Madi, nascosti dietro ad una sporgenza del muro, lo riempirono di soddisfazione. Sorrise, diabolico. 

“Cucù!” esclamò, raggiungendo i due ragazzini. Afferrò Madi per un braccio e la schiacciò alla parete, la pistola puntata alla tempia.

“Lasciala!” intimò Aden, aggredendo l’uomo. Gloomy alzò gli occhi al cielo e lo colpì al volto. Il ragazzino cade rovinosamente a terra e sbatté la testa contro il pavimento.

“Aden!“ si disperò Madi. Scoppiò a piangere. Era tutta colpa sua, solo colpa sua. Alzò lo sguardo. Gloomy la fissava con un ghigno spaventosamente divertito dipinto in volto, la mano stretta intorno al suo collo.

“Lo sai, sei proprio come tuo padre. Avete lo stesso sguardo da cucciolo bastonato.”. Madi aggrottò la fronte, confusa. Non capiva. 

“Cosa… Tu…”

“Conoscevo tuo padre? Certo, Madi.” rispose Gloomy, ridacchiando. Si sporse in avanti, fino a sfiorare l’orecchio della ragazzina con le labbra. Madi tremava come una foglia, terrorizzata. 

“Ti confesserò una cosa. Sono stato io a costringerlo a lasciarti qui.”. Madi si sentiva le gambe molli. Se non fosse stato per Gloomy, si sarebbe ritrovata per terra. 

“Che… Che vuol dire?” chiese, sgomenta. Malachi rideva di gusto, felice di avere davanti a sé Madi in quelle condizioni. 

“Vedi, tuo padre aveva deciso di tradirci. A quel punto, tua nonna non ha avuto scelta, capisci? O lui se ne sarebbe andato senza fiatare, o noi avremmo dovuto rifarci su di te.” spiegò.

“Mia mamma non…” provò a replicare la ragazzina, ma si zittì di colpo. Mia mamma non l’avrebbe mai permesso, stava per dire. Eppure, sapeva che non era vero. 

“Tua madre farebbe qualsiasi cosa per una dose.” dichiarò Gloomy. “Anche vendere sua figlia.”. Appoggiò la pistola al mento della ragazzina. “E ora, salutami tuo padre.”. Madi chiuse gli occhi, pronta a ricevere un colpo che, però, non arrivò mai. Sentì la presa attorno al suo collo allentarsi sempre più. Riaprì gli occhi. Gloomy era a terra, esanime. Aden era accanto a lui, esausto e con un’asse di legno in mano, recuperata chissà dove. I due ragazzini si scambiarono un’occhiata carica di terrore e sollievo al tempo stesso.  

“Madi! Aden!”. I due fratelli si voltarono. Lexa e Clarke li strinsero forti fra le loro braccia, mentre la polizia portava via Gloomy. 

“Mi dispiace. Mi dispiace.” mormorò Madi, il capo nascosto nell’incavo del collo di Clarke. “Volevo solo…”. L’attrice le fece segno di non dire altro. 

“Lo so.” le sussurrò. “Lo so.”. Madi scoppiò a piangere, seguita a ruota da Aden, stretto fra le braccia di Lexa. 

“Vi vogliamo bene.” dichiarò quest’ultima. “Non scordatelo mai.”.








Angolo dell'autrice 
Scusatemi immensamente per averci messo così tanto ad aggiornare, sono stati giorni complicati.
Dunque, eccoci arrivati all'ultimo capitolo. Il prossimo sarà l'epilogo.
Io vi ringrazio già da ora per aver letto, commentato, seguito questa storia.
All'epilogo! 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Epilogo-Alive Again ***


Epilogo

 

You make me feel alive again
(Kam Michael feat. Eredaze-Alive Again)

 

 

 

“O, passami i popcorn!” esclamò Raven alzando la mano, lo sguardo fisso sulla tv

“Arrivano!” rispose Octavia, lanciando all’amica una ciotola di plastica piena zeppa di pop-corn che, puntualmente, si rovesciò sul divano. Lincoln si passò una mano sul volto, già pronto per la sfuriata che sarebbe arrivata di lì a poco. Kane, che era seduto per terra accanto a lui, si alzò in piedi e cercò di raccattare quanti più pop-corn possibile, invano.

“Ehi! quello è il mio divano!” sbottò Lexa, le  mani sui fianchi. 

“Oh, andiamo, ciò che è tuo è nostro ormai, lo sai bene.” ribatté Anya. Lexa alzò gli occhi al cielo e colpì l’amica sul braccio.

“Ahia!” si lamentò quest’ultima, fulminandola con lo sguardo.

“Silenzio, tra poco tocca a Clarke!” zittì tutte Abby, sedendosi sul divano. Le quattro attrici si calmarono immediatamente, intimorite dalla donna. In tv, intanto, Daniel Kaluuya vinceva l’Oscar come miglior attore protagonista. 

“Ci siamo!” esclamò Raven, con entusiasmo. Abby si voltò verso Lexa. Le sorrise e le carezzò la mano, con fare quasi materno. 

“Comunque vada, sono fiera di lei.” disse la donna. “Sono fiera di entrambe.”. Lexa distolse lo sguardo, vagamente imbarazzata. Erano successe così tante cose in quell’ultimo anno e, a volte, faticava a realizzare quanto la sua vita fosse cambiata in così poco tempo. Luna e Roan erano morti e lei si era ritrovata con due ragazzini e due bambini a carico. Aveva cercato in ogni modo di nascondere la cosa a tutti, ma poi era successo l’impensabile. Clarke si era presentata alla sua porta e il suo mondo era cambiato di nuovo, per l’ennesima volta. Si erano riavvicinate, poco a poco, nonostante tutto e tutti. La verità sulla fuga di Lexa era emersa, così liberatoria. Avevano imparato insieme a smettere di mentire, soprattutto a sé stesse. Avevano imparato ad amarsi di nuovo, a conoscersi di nuovo. E, sempre insieme, avevano fatto di tutto per dare ai ragazzi ciò di cui avevano bisogno. Quando Malachi aveva rapito Aden e Madi, Lexa si era sentita persa come non mai. Aveva avuto l’impressione che le avessero strappato una parte di sé e la paura che potesse succedere l’indicibile ai due ragazzini le aveva spalancato le porte di un abisso senza fondo. Senza Clarke, sarebbe stata persa. E la verità si era nuovamente imposta, senza alcuna via di scampo. Ormai quei ragazzi erano dei figli, per entrambe. Lexa sospirò. Si passò una mano fra i capelli e si voltò. Scosse il capo, un sorrisetto divertito sulle labbra.

“Andiamo, venite fuori.” disse, sforzandosi di non scoppiare a ridere. Madi, Aden ed Adria sbucarono da dietro la parete che separava il soggiorno dall’ingresso della casa, la testa china a celare un certo imbarazzo per essere stati scoperti. La maggiore aveva Ethan in braccio, che era più addormentato che sveglio. Era cresciuto tanto, ormai aveva quasi un anno e mezzo. 

“Dovreste essere a letto, voi due.” Lexa asserì, rivolta ad Aden ed Adria. “E anche lui.” aggiunse, prendendo Ethan in braccio. “E tu quando sei tornata?” chiese poi a Madi. Grazie all’incredibile talento sfoggiato in ben più di una partita, Madi aveva attirato l’attenzione di diverse università ed era riuscita ad iscriversi al college, qualcosa di così impensabile l’anno prima. Grazie a Clarke e Lexa, aveva cominciato a credere in sé stessa e a riconoscere di avere valore e di meritare di essere felice. Non aveva avuto più notizie di sua madre e, anche se la cosa le faceva ovviamente male, la presenza delle due attrici l’aveva aiutata moltissimo. Aveva una famiglia ormai, una famiglia vera.

“Sono arrivata oggi pomeriggio, ma ho passato la giornata da Luka, quando sono tornata a casa ero stanca e…”

“Va bene, non voglio sapere di più.” Lexa la interruppe, ridacchiando. 

“Volevamo solo guardare.” confessò Aden, con un filo di voce. Lexa sospirò e fece loro segno di sedersi sul divano. Octavia prese Raven per un braccio e la obbligò ad alzarsi, per fare spazio ad Adria. 

“Ehi, ma è il mio posto!” provò a protestare la latina, invano. L’amica le tirò un buffetto sulla spalla, per zittirla. 

“Ragazzi, è il momento!” esclamò Lincoln. Si voltarono tutti verso il televisore. Sul palco del Dolby Theater, Amy Adams aveva appena ricevuto da Natalie Portman il nome da annunciare. 

E l’Oscar per la migliore attrice protagonista va a…”. Lexa si guardò attorno. Avevano tutti il fiato sospeso e perfino Ethan sembrava completamente rapito dalle immagini sullo schermo. 

Clarke Griffin, per Coming Home.

“Lo sapevo!” urlò Raven, seguita a ruota da tutto il resto del gruppo. Lexa strinse Ethan a sé e indicò la tv, cercando di fargli capire il motivo di tutta quella felicità generale. 

“Zitti, sta per dire qualcosa!” Abby esortò al silenzio. Tornarono tutti a fissare lo schermo. Clarke aveva la statuetta in mano ed era visibilmente commossa ed emozionata. 

“Guardatela, è rossa come un peperone.” commentò Raven, guadagnandosi l’ennesimo colpo sulla spalla, questa volta da Anya. 

“Shhh.” Madi fece segno di tacere. Clarke si avvicinò al microfono e, fatto un respiro profondo, si schiarì la voce.

Io… Beh, non so che dire se non grazie.” esordì. “Grazie a Monty, che ha creduto in me quando ormai la mia carriera sembrava finita. Grazie a mia madre, che mi è sempre stata accanto. Grazie a Marcus, che non è solo un agente per me e lo sa bene. Grazie a Octavia, non avrei potuto desiderare un’amica migliore. Grazie a te Raven, so che in questo momento da casa mi stai prendendo in giro perché sono diventata tutta rossa per l’emozione, ma so bene che, in fondo, sei felice per me.”.

“Ma come ha fatto?” si chiese la latina, la faccia sconvolta. Octavia alzò gli occhi al cielo, senza dire nulla.

Volevo poi ringraziare di cuore chiunque abbia partecipato al film, ai miei incredibili colleghi con cui ho condiviso le scene, a tutta la crew, gli sceneggiatori, i tecnici, i costumisti, tutti.” continuò Clarke. Si sistemò una ciocca di capelli, mentre cercava di riprendere fiato. La sua candidatura era stata una sorpresa e, sebbene un po’ sperasse nella vittoria, non si sarebbe mai aspettata di ricevere un Oscar proprio alla sua prima nomination. 

Volevo approfittare di questo poco tempo che ho a disposizione per ringraziare altre cinque persone.”. Lexa sobbalzò. Lei e Clarke non si erano ancora mai esposte in modo ufficiale. Certo, con il rapimento di Madi ed Aden paparazzi e giornalisti si erano scatenati, ma nessuna delle due aveva confermato la loro relazione. Nonostante entrambe non avessero più contatti né con Wallace, né con Titus, volevano mantenere un profilo il più basso possibile, per tutelare loro stesse e i ragazzi. Proprio per questo lei e Clarke avevano deciso di aspettare prima di rivelare la verità su quanto avevano subito. Ed ecco perché, quando quest’ultima le aveva confessato di volere che il mondo sapesse quanto era successo, Lexa non l’aveva presa troppo sul serio. Ne avevano ovviamente discusso per diverso tempo, ma tutte e due non erano realmente sicure di avere il coraggio per farlo. Almeno fino a quel momento.

Madi, Aden, Adria, Ethan, vorrei sapeste che siete il regalo più prezioso che avessi mai potuto ricevere. Vi voglio bene e senza di voi non sarei mai stata in grado di lavorare a questo film. Mi ispirate, ogni giorno. Siete la mia forza.”. Lexa si voltò verso Madi. La ragazzina appoggiò il capo contro la spalla di Aden, mentre Adria le sedeva in braccio. I due fratelli maggiori avevano le lacrime agli occhi. Lexa baciò Ethan in fronte e gli carezzò i capelli, con dolcezza.

Vorrei poi ringraziare la persona che mi accompagna nella vita di tutti i giorni. Senza di lei, sarei persa. Non lo dico tanto per dire, ma perché l’ho sperimentato sulla mia pelle.“ proseguì Clarke. Ora o mai più, pensò. “Poco più di quattro anni fa, fummo costrette a separaci. A mia insaputa, la persona che amo ha dovuto subire minacce orribili, che l’hanno spinta ad allontanarsi da me. Il motivo? Eravamo due ragazze, esporci sarebbe stato divisivo per l’emittente per cui lavoravamo. Come se l’amore potesse dividere.“. Clarke si interruppe. Di fronte a lei tutti erano in silenzio, con il fiato sospeso. Non aveva fatto nomi, non ce n’era bisogno. Chiunque sapeva di chi stava parlando.

Coming Home è la storia di una ragazza che torna a casa, ritrova sé stessa e smette di vivere la vita nascondendosi. Ecco, vorrei che questo premio che oggi ho ricevuto sia un invito per tutti noi, l’augurio di poter, un giorno, smettere di nascondere chi siamo. Nessuno dovrebbe mai essere costretto a farlo, mai.”. Clarke non aveva mai sperimentato una standing ovation in vita sua. Si alzarono tutti, nessuno escluso. Clarke si morse il labbro, cercando in tutti i modi di non scoppiare a piangere. 

“Ti amo, Lexa.” mormorò nel microfono, prima di tornare al suo posto. Intorno a lei, la gente non la smetteva di applaudire. E, da casa sua, Lexa si sentì libera come non mai.

 

________________

 

 

“Sei ancora sveglia.” Clarke constatò, una volta entrata in camera. Era decisamente tardi, l’orologio appeso al muro segnava le quattro del mattino. 

“Non potevo addormentarmi senza di te, non stanotte.” rispose Lexa, con un sorriso. Clarke si sedette sul letto, accanto  a lei. La baciò, lentamente. 

“Ti amo.” sussurrò, per poi baciarla di nuovo. “Nonostante tutto e tutti.”

“Lo so.” rispose Lexa. “E ti amo anch’io.”. Clarke le diede un ultimo bacio e si alzò, per poi andare a prepararsi per la notte. Quando tornò in camera, trovò Lexa accucciata sotto le coperte, lo sguardo malinconico. Clarke le si sdraiò accanto e la abbracciò da dietro, schioccandole un bacio sulla spalla. Lexa si voltò e la scrutò, i suoi occhi verdi incatenati a quelli blu della bionda. 

“Oscar alla migliore attrice protagonista, suona piuttosto bene.” esordì. “Sono fiera di te, Clarke. E non solo per l’Oscar. Io…”. Non riuscì a terminare la frase. Si ritrovò in lacrime, accoccolata contro il petto della sua ragazza. Clarke le baciò il capo e cominciò a cullarla con tutta la dolcezza e l’amore possibili. 

“So che ne stavamo parlando ormai da tanto tempo e che eravamo d’accordo riguardo al mio discorso di stasera, ma ti devo confessare che, per un attimo, ho temuto ti potessi arrabbiare con me. In fondo, da domani chissà cosa ci aspetterà.”. Lexa si asciugò le lacrime con i palmi delle mani e alzò il capo.

“Io non potrei essere più orgogliosa di te, Clarke. Senza di te non sarei altro che un guscio vuoto che non faceva altro che passare le sue giornate sopravvivendo.” disse. “Per tre anni mi sono annullata, non ho fatto altro che compiacere Titus, Wallace, Costia e chiunque volesse usarmi . Poi, un giorno, sei ripiombata nella mia vita ed è come se, a poco a poco, mi fossi risvegliata da un lunghissimo sonno. Mi hai fatto riscoprire il mio valore. E, grazie a te, ho realizzato che meritavo anche io di essere amata.”

“lo meriti.” puntualizzò Clarke. “A prescindere da tutto e tutti, anche da me.”. Lexa si morse il labbro e si mise a sedere, sotto lo sguardo curioso di Clarke. 

“Tutto bene? Ho detto qualcosa che non va?” chiese quest’ultima, preoccupata. Lexa scosse il capo e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 

“Quattro anni fa non ho avuto il coraggio di restare. Quattro anni fa, sono scappata via come una codarda, senza pensare che, insieme, avremmo potuto affrontare qualsiasi cosa. Ho avuto paura, paura di Wallace, paura di Titus, paura dei sentimenti che provavo per te.”

“Lex…” mormorò Clarke, ma Lexa le fece segno di lasciarla proseguire.

“Non voglio più avere paura. Non voglio più scappare, Clarke. Mai più.”

“Lex…”

“Clarke io… Vuoi sposarmi?”. Clarke ringraziò di essere a letto, perché era sicura che, se fosse stata in piedi, le gambe le avrebbero ceduto. “Non ho un anello, non avevo nemmeno pensato di chiedertelo ora e in questo modo, ma…”

“Sì.” sussurrò Clarke, la voce tremante. “Sì.” ripetè. Si avvicinò a Lexa e le circondò il viso con le mani. La baciò, tra le lacrime.

“Ti amo.” disse. 

“Anche io.” rispose Lexa.  E, in quel momento, entrambe capirono che nulla le avrebbe più divise. Erano libere. Erano vive.






Angolo dell'autrice 

E così si chiude un'altra storia. Non ho molto da dire in realtà se non grazie. Grazie a chiunque abbia letto, commentato, seguito questo mio scritto. L'auguro di Clarke è anche il mio. E, aggiungo, rimanete vivi. Sempre.
Ho altre idee, ma non so se le pubblicherò anche su efp, in generale ormai come sito lo vedo un po' "morto.". Fatemi sapere che ne pensate.
Grazie ancora.

May we meet again!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4008420