Purple Rain

di InevitablePurpleRain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I: Who the fuck are you? ***
Capitolo 2: *** II: Kiss me! ***
Capitolo 3: *** III: In small doses ***



Capitolo 1
*** I: Who the fuck are you? ***



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Capitolo I: Who the fuck are you?



“TORNA QUI, JESSICA!”

La sua voce graffiante fendeva l’aria e si imponeva sui rumori continui della città, ma per Jessica era come un’eco lontana, un grido sordo nella sua testa.

 

“ADESSO, JESSICA!” gridò ancora Kilgrave, ma lei questa volta non si voltò nemmeno. I suoi piedi ben calzati marciavano sull’asfalto lurido e fiocamente illuminato dai lampioni, il lungo ed elegante cappotto di renna la riparava dal freddo pungente di quella notte di fine gennaio, mentre di fronte a lei si stagliava il cartello che indicava la via della città : 537 W 38th St.

Jessica lo guardò con occhi vitrei, ma proprio in quel momento tutto il suo corpo venne bruscamente illuminato dai fari di un pullman. Il rumore assordante del clacson si inframmezzò con le urla disperate di Kilgrave, e nel breve istante che intercorse tra lo schianto e la presa di coscienza di stare per morire, lei si voltò verso di lui. Lo guardò negli occhi un’ultima volta prima di venire completamente falciata dalle ruote.

Così impari, bastardo.



 

Era accaduto tutto nel giro di un istante, tutto davanti ai suoi occhi.

Jessica, la sua Jessica, che non rispondeva ai suoi comandi, come se fosse diventata sorda all’improvviso. L’aveva chiamata, aveva gridato il suo nome a squarciagola, più forte, ma lei non si era nemmeno voltata. Aveva continuato a camminare come se fosse stata attratta dalla luce, come se si fosse in qualche modo resa immune dai suoi poteri mentali.

Ma Kilgrave in quel momento aveva ben altro a cui pensare. Jessica che non rispondeva più ai suoi comandi era certamente un problema, ma Jessica che stava per morire era… L’inferno, il puro, nero inferno.  

Ormai aveva le mani, la camicia e i pantaloni sporchi di sangue. Reggeva il corpo inerme di Jessica tra le braccia, mentre l’auto di un ignaro passante procedeva contromano e a tutta velocità verso l’ospedale. Il cuore ormai gli stava per esplodere dal petto, le mani gli tremavano.

“Veloce!” ordinò disperato al conducente, che diede ulteriore gas all’auto “Muoviti!”

La ragazza era pallida, sembrava che non respirasse più...

“Ti prego, resta con me” la supplicò piano, spostandole i capelli madidi dalla fronte “Ti prego, Jessi”.

La macchina arrivò presto in ospedale e parcheggiò nell’area riservata alle ambulanze, proprio di fronte al pronto soccorso.

Kilgrave zittì seccato le proteste dei soccorritori e ordinò loro di aiutarlo. I sanitari gli obbedirono con uno scatto e Jessica venne appoggiata su una barella. Lui corse dietro di loro, non la perse di vista.

Nel pronto soccorso c’era un’insopportabile confusione. Medici che correvano da una parte all’altra, bambini che piangevano, gente ferita, ustionata o comunque piena di pretese che si lamentava ed esigeva attenzioni. No, così non poteva andare. Jessica doveva avere l’assoluta priorità. 

“Voi, fuori!” ordinò graffiante a quattro pazienti, i quali subito si alzarono e andarono verso la porta “Anche voi, fuori!”

Una madre con un bambino piangente, un ragazzo zoppicante e un vecchio con una borsa del ghiaccio sul gomito uscirono malandati verso la porta. Ma quello non era ancora abbastanza.

Dove diavolo è il primario? Chi sono i medici migliori? Perché la mia Jessica non è ancora entrata in sala operatoria?

 

Ormai gli faceva male la gola da quanto aveva gridato. Gli venne quindi un’idea, Kilgrave si fece bruscamente strada nel gabbiotto delle infermiere, strappò loro di mano il microfono dell’ospedale, quello usato per le comunicazioni di servizio, e iniziò a dare ordini.

“TUTTI I MEDICI E TUTTO IL PERSONALE SANITARIO VENGANO SUBITO QUI A CURARE JESSICA JONES!” ordinò forte e chiaro “CHE NESSUNO ESCA DI QUI FINO A CHE JESSICA JONES NON SI SARÀ DEL TUTTO RISTABILITA!”

Dei medici accorsero, sì, ma solo quelli che si trovavano nei paraggi, vuoi per un coffee break alle macchinette, vuoi per semplice casualità. 

 

“Per l’inferno maledetto, stupido potere limitato!” imprecò il persuasore, rendendosi amaramente conto che non sarebbe stato così semplice avere ciò che necessitava.
Stava già valutando di mettersi a cercare il Primario dell’ospedale, quando la Dea Bendata decise di sorridergli.

Un medico sulla sessantina, dall’aspetto austero e rassicurante, si precipitò verso di lui non appena si aprirono le porte automatiche dell’ascensore.
Il potere di Kilgrave poteva anche non avere effetto a grandi distanze, ma ciò non toglieva che tramite il sistema acustico il suo messaggio fosse stato sentito nell’intero ospedale.

 

“Dico, signore, è forse impazzito?” lo aggredì questi, giungendo verso di lui con aria incredula “Ma come si permette di fare comunicazioni del genere, crede che qui stiamo giocando? Io sono il Dr. Tenter, Primario di quest’ospedale, qui c’è gente che ha bisogno di cure e…”


Kilgrave lo interruppe subito, annoiato.

"Tse Tse Tse” lo zittì con un gesto nervoso della mano “Sei tu il Primario, quindi?”

L’uomo anziano annuì subito e sul volto del persuasore si dipinse un ghigno soddisfatto. Per lui fu uno scherzo mettere al microfono il Dr. Tenter e far ripetere a lui il suo stesso annuncio.
Stavolta il risultato fu molto diverso.

 

In meno di cinque minuti, tutti i camici bianchi dell’ospedale si erano riversati a cascata verso di lui, dai radiologi agli ostetrici disponibili. Tutti gli infermieri, i soccorritori, i volontari, tutti erano lì.
Del resto, da che mondo e mondo, gli ordini di un Primario non si mettevano mai in discussione. Se poi a questi si aggiungevano gli ordini inflessibili di Kilgrave, il gioco era fatto.

Il persuasore sorrise, ora sì che si ragionava.

 

8 ore dopo...

 


Kilgrave non faceva che fissare il monitor con le funzioni vitali di Jessica, che dormiva.
Non era una cima in fatto di medicina ma sapeva che, finché sentiva quei beep intermittenti e vedeva quelle linee continuare ad alternare il loro andamento, significava che tutto era sotto controllo.
Aveva assistito a ogni fase della delicata operazione della ragazza e l’ultimo infermiere che aveva cercato di allontanarlo, era ancora impegnato a prendere a testate il muro, ma dopotutto qualcuno lo avrebbe trovato prima o poi… forse.
Il Primario dell’ospedale giunse verso di lui con la cartella clinica in mano. Kilgrave si alzò subito dalla sedia.

“Allora?” domandò, teso, perforandolo con lo sguardo.

“Le condizioni della paziente sono stazionarie, signore. Il suo corpo sta rispondendo bene alla terapia e sta reagendo con una velocità notevole, oserei dire miracolosa,” lo rassicurò “Tuttavia…” borbottò subito dopo.

“Tuttavia?” lo incalzò Kilgrave, agitato “Parla!”

“Tuttavia, l’impatto col suolo è stato molto forte e ha danneggiato in modo superficiale la corteccia cerebrale” spiegò rapidamente il medico “Mi dispiace molto, signore”.

Kilgrave rimase a fissarlo per una manciata di secondi, impallidito. Poi lo afferrò violentemente per il camice e lo sbatté contro il muro.

“Che cosa diavolo significa che ha danneggiato la corteccia cerebrale?” lo aggredì, sconvolto “Che cosa significa!”

“Significa che ha del tutto perso la memoria” replicò l’anziano dottore, prontamente “Non ricorda più niente, ma confidiamo che abbia ancora piena coscienza delle nozioni di base del vivere civile e di tutto quello che le sta intorno. Testeremo nei prossimi giorni la gravità della sua amnesia, ma per quanto riguarda i fatti legati alla sua vita privata, sono spiacente ma temo che ci sia ben poco da fare. Questo è un rarissimo caso di totale e piena amnesia e dopotutto sono veramente poche le persone che sopravvivono a impatti del genere”.

Kilgrave gli lasciò il camice stropicciato e lo spinse via. Cercò di ragionare, doveva ragionare.
 

“Quando dici che non ricorda più niente, intendi…”

“Intendo dal giorno della sua nascita ad oggi, signore.” fu il più eloquente possibile il Primario. “Ora l’abbiamo indotta in coma farmacologico e…”
Quest’ultimo si interruppe, accorgendosi dell’occhiata di fuoco che gli stava riservando quell’inquietante individuo.
“Per il suo bene.” si affrettò a precisare, rabbonendolo subito.
Lui voleva che la sua Jessica stesse bene.

“Quanto resterà in coma?” domandò.
“Per preservare l’organismo e tutte le sue funzioni cerebrali, almeno due giorni.” rispose l’interpellato.

“Due giorni?” ripeté Kilgrave, con una smorfia arrabbiata “Deve restare così due cazzo di giorni?”

Il medico deglutì “Le posso assicurare che abbiamo seguito alla lettera tutte le linee guida dell’OMS, la procedura standard prevede che…”

“Non me ne frega niente dalla procedura standard" lo interruppe bruscamente lui “Se Jessica non si risveglia tra due giorni, tu prendi quel fottuto bisturi e te lo ficchi nel cuore, sono stato chiaro?”

“Sì, signore” esclamò il Primario, senza battere ciglio. 

“Ora fuori” ordinò, con lo stomaco serrato dall’ansia. “Che resti solo il Dottor Ten non so chi per controllare che sia tutto a posto.”

Okay quella situazione assurda lo rendeva confuso e rabbioso, ma la salute della sua amata veniva prima di ogni cosa.

 

I medici assembrati nella camera uscirono rapidamente come dei soldati.

Kilgrave si sedette nella sedia di cortesia di fianco al letto di Jessica e fece un sospiro pesante. In casi come quelli, quando si sentiva così teso e preoccupato, di solito era Jessica che si occupava di allietarlo. Un bacio, un sorriso, una forma più intensa e completa di sollievo… ma ora lei non c’era. Kilgrave si sentiva perso, impaurito come quando, da bambino, veniva legato in una branda e abbandonato alla brutalità degli scienziati.

Voleva la sua Jessica, ne aveva un bisogno dell’anima.

Le strinse la mano, era fredda e perciò gliela portò sotto le coperte.

“Jessi” iniziò, col fiato corto “Jess, vedi cosa succede quando ti allontani da me?” l’accusò tra i denti, con gli occhi lucidi “Tu devi stare con me! Perché te ne stavi andando? Ti avevo chiamato! Se mi avessi ascoltato, a quest’ora eravamo a casa, è colpa tua, Jessica, tua!

Il suo corpo ormai era diventato un fascio di nervi. Non aveva toccato cibo, bevuto o chiuso occhio da quando erano entrati in ospedale, quasi un giorno prima.

“Ma non ti lascio” le disse più dolcemente, accarezzandole le dita “Resto qui con te perché ti amo, sempre. Tu resta con me, però, d’accordo?” riprese, il solo pensiero che lei potesse morire lo mandava fuori di testa.

Lei era sua, sua e basta, e questo pensiero gli fece tornare alla mente un momento in cui aveva pensato esattamente la stessa cosa.

“Jessi, ti ricordi quando siamo andati a Venezia?” le disse, sempre tenendole la mano “Ti avevo detto che quella era una meta famosa per le richieste di matrimonio, ma che a me sembrava troppo banale perché… Insomma, lo facevano tutti. Beh, in realtà ho mentito” le sorrise, imbarazzato “Avrei voluto chiedertelo anche io, ma per qualche strana ragione non ne ho avuto il coraggio. Il che è sciocco, dopotutto mi avresti detto comunque di sì, giusto?”

Le sorrise, lei sembrava aver aggrottato le sopracciglia nel sonno. 

“Jessica” le disse “Voglio davvero passare la mia vita con te, non ho mai amato nessuno come amo te. Vuoi sposarmi, anche se non…” si interruppe, un’illuminazione lo colse all’improvviso “Anche se non ti ricordi niente?”.

Oh.

Lei non ricordava niente.

A quanto dicevano i medici, non ricordava nemmeno il suo nome, nemmeno quella dannata sorella che soleva invocare così spesso nel sonno, nemmeno quei mesi che avevano trascorso insieme, tra luci e ombre.

Kilgrave si rese conto di avere un’opportunità più unica che rara: poteva costruire non solo il futuro, ma anche il passato. Poteva cambiare il corso della loro storia e ricominciare da zero. Un nuovo inizio, senza le ombre o gli errori del passato. Kilgrave non era amorale, era conscio di aver imposto a Jessica un ritmo un po’ discutibile, se così si può dire. Aveva tirato la corda con lei, lei stessa lo aveva fatto arrabbiare molte volte, ma non le aveva mai fatto del male, questo mai. La pazienza e la premura che aveva dimostrato con Jessica erano state una novità perfino per lui. 

E dopotutto come avrebbe potuto comportarsi diversamente con la donna dei suoi sogni? Come avrebbe potuto resisterle o rinunciarci, se era stato abituato dalla vita ad avere tutto con un semplice cenno della mano? Kilgrave amava giustificarsi in questo modo. Ed era convinto che a furia di viziarla e coccolarla anche lei prima o poi si sarebbe innamorata.  Ma, ecco, se lei fosse stata sua moglie, le cose si sarebbero velocizzate parecchio. Jessica se ne sarebbe fatta una ragione, avrebbe smesso inconsciamente di fuggire e avrebbe finalmente iniziato a guardarlo con altri occhi.

 

E così, un piano iniziò a prendere forma nella mente dell’affascinante persuasore.
Quello che era successo prima del micidiale scontro con quel dannatissimo pullman era stato un campanello d’allarme.
Jessica, a quanto sembrava, non rispondeva più ai suoi comandi. Lui l’aveva chiamata, le aveva ordinato con tutto il fiato che aveva in corpo di tornare indietro, ma la ragazza era riuscita inspiegabilmente a ignorarlo. Lo shock che aveva subito per aver ucciso quella donna era stato evidentemente troppo forte e l’aveva liberata.

Kilgrave non avrebbe mai più potuto controllare Jessica, ma ora Jessica non ricordava nulla.

Tabula rasa.

Un nuovo inizio.

Un inizio insieme.

“Signore…” azzardò il Primario, che era rientrato per i controlli di routine, vedendolo così assorto.

“Chiudi il becco, sto pensando!” berciò lui, tornando alle sue congetture e riducendo il medico a un muto ascoltatore.


Fino ad allora Jessica lo aveva amato perché lui glielo aveva ordinato… ma se lei lo avesse amato perché ne fosse convinta?
Perché lui l’avesse convinta?

Lui e Jessica si meritavano quello che in quei mesi insieme non avevano ancora avuto, ma che era comunque nei progetti futuri di Kilgrave: una vita matrimoniale.

Due coniugi di sicuro non avrebbero potuto vivere in un hotel e men che meno restare lì a New York, era troppo rischioso.

E poi servivano elementi tangibili, prove che confermassero la loro formale e sostanziale unione. Delle fedi nuziali, tanto per cominciare. Una casa famigliare, piena di progetti e di loro fotografie. Un cane, magari? 

Doveva fare delle scelte, aveva solo due giorni.

 

“Puoi tornare a parlare,” si rivolse al Primario. “Consultati con la tua Equipe e tenete sotto costante osservazione Jessica Jones…”


“Ma, Signore, ormai lei è in coma e quattro pazienti sono deceduti mentre l’ospedale intero si occupava di lei…” sottolineò il Primario, ancora sconvolto per quanto successo. Certo, aveva cara la vita di quella giovane donna, ma lui era il primario del Metro General Hospital, non poteva fare preferenze!

Kilgrave infatti lanciò uno sguardo alla porta e vide l’assembramento di medici e infermieri che si era formato di fronte all’uscio, tutti in piedi e con le mani in mano. Alzò un sopracciglio, la sua coscienza selettiva sembrò manifestarsi.

“E va bene, potete occuparvi anche degli altri pazienti, ma riservatevi di controllare sempre la mia Jessica, almeno ogni ora.” terminò, uscendo dalla stanza.

Sapeva che lo avrebbero fatto solo per dodici ore, ma era meglio di niente.


Dodici ore potevano bastare.
Anche e soprattutto per andarsi a cambiare gli abiti.
Non era certo sua abitudine girare con vestiti imbrattati di sangue, men che meno con quello della sua Jessica.


La prima fase, quella degli anelli, fu facile. Gli bastò andare dal miglior orefice della città, per sua fortuna nemmeno così lontano. 

C’erano un numero cospicuo di clienti, ma per lui non sarebbe stato certo un problema.
“Questo negozio non vi interessa più, uscite tutti.” disse e tutti si defilarono senza fare domande.

 

“Ma, Signore, che modi!” borbottò l’orefice, rimasto oramai solo, al bancone.

Si inquietò non poco quando lo vide avvicinarsi con poche falcate.

“Tu vuoi crearmi due anelli in oro bianco e vuoi farli in questo modo...”


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Ottenere l’appuntamento dall’agente immobiliare per visitare la casa quel pomeriggio stesso per Kilgrave fu più facile che rubare le caramelle a un bambino.

 

Aveva deciso che il Queens sarebbe stato il luogo perfetto: appartato, tranquillo e immerso nel verde, ma anche a un tiro di schioppo da New York e dalle sue comodità.
 

Quella villa color biscotto, con il vialetto a forme esagonali e le due aiuole poste ai lati di un prato squisitamente inglese, tanto simile a quelli che abbellivano la sua amata Londra, lo aveva convinto fin dalle prime foto che aveva visto. 

 

L’agente lo aveva portato al suo interno dove aveva apprezzato lo stile rustico, ma con una sua eleganza di fondo.
Per com’era strutturata, la casa lo rimandava a quella dell’infanzia di Jessica, quella di cui lui le aveva chiesto di parlargli a lungo, memorizzando quanti più dettagli possibili.


Sì, quello sarebbe stato il loro nido d’amore perfetto.


“E questo è il soggiorno, ampio e accogliente, luminoso e con un sofisticato angolo bar di fronte alla porta finestra.” decantò l’ennesima stanza il solerte agente, ma il persuasore non aveva bisogno di sentire altro. “Se ora vuole seguirmi nella cucina, già completamente arredata…”

“La compro.” lo interruppe Killgrave.

“Apprezzo il suo interesse, ma ci sono ancora due famiglie interessate a vederla e…”


“Non hai capito. Io la voglio comprare subito. Ora. Vendimela e preparami un contratto, dove per i primi due mesi ti accontenterai di una piccola caparra…” lo istruì lui.


“Sì, signore,” obbedì remissivo l’agente, sfruttando il tavolo della cucina per estrarre dalla sua ventiquattrore il suo laptop e aprire il file dei contratti standard.  “Valore complessivo della villa: 1.750.000 dollari,” enunciò. “750.000 dollari da versare entro i primi due mesi dalla firma del contratto.”


“Andrew,” lo chiamò per nome Killgrave, leggendogli la targhetta sulla giacca rossa da venditore del mese.
Gli piaceva conoscere il nome delle sue vittime, gli dava un senso di maggior potere su di loro.


“S-sì?” balbettò quello, che ormai non era più a suo agio da un pezzo.
 

“Quando ho detto piccola caparra, intendevo davvero piccola,” ridacchiò Kilgrave. “Correggi l’importo da versare: 750… dollari.” precisò, aprendo il suo portafogli e gettandogli le banconote una a una sul tavolo. “Che ti pago subito. E ti dirò di più. In due mesi ti farò avere il saldo. Ecco perché oggi stai facendo un vero affare.”


Kilgrave non mentiva: anche se in maniera poco ortodossa, era determinato a far le cose correttamente.

 

Nel lasso di quel tempo avrebbe trovato più e più ricchi polli da spennare nel corso di serate a poker in cui si sarebbe divertito come un folle ad aggiudicarsi la vittoria con le combinazioni più improbabili, la sua preferita era un due e un sette.

 

Andrew apportò le dovute modifiche e, sfruttando la stampante di cui era dotato lo studio, il contratto fu stampato e firmato da Kilgrave, che poteva dirsi il fiero proprietario di una villa da sogno avendo speso una somma davvero esigua.

Almeno per il momento.

 

A sera inoltrata, Kilgrave aveva fatto ritorno all’ospedale per vegliare il sonno di Jessica e intanto si riposava un po’ anche lui, su una sedia scomoda, lontana anni luce dai materassi in piuma d’oca e ai guanciali di seta a cui era abituato.
Ma lei valeva il prezzo di un risveglio con le ossa incriccate.

 

Ristabilito di nuovo quello stesso comando del giorno prima, il persuasore approfittò dell’ultimo giorno a sua disposizione per recuperare le chiavi della villa, ritirare gli anelli e, visto che il tempo c’era, anche personalizzare un po’ la casa, con qualche foto, e soprattutto occuparsi del guardaroba di Jessica.

Una Principessa deve vestirsi come tale. No. Non una Principessa. Una Regina.


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Il mattino successivo, Kilgrave era molto emozionato per quanto stava per succedere. Emozionato, ma anche preoccupato.

Naturalmente, non aveva chiuso occhio tutta la notte, di nuovo. La sedia scomoda, unita alla paura che qualcosa fosse andato storto, lo aveva tenuto sveglio e in balia di mille rovinosi pensieri. Ma una parte di lui era contenta che quell’incubo volgesse alla fine e che il loro nuovo inizio potesse finalmente concretizzarsi. Se tutto fosse andato secondo i piani, entro ventiquattro ore sarebbero stati insieme in quella nuova casa che stava tuttora finendo di sistemare.
 

Quando il Primario e la sua numerosissima equipe uscirono dal reparto di terapia intensiva e si appropinquarono verso di lui, Kilgrave si alzò di scatto.
“L’avete svegliata?” domandò al Primario, che annuì.

“Sì, è andato tutto bene” lo rassicurò, facendolo sorridere. “Ma come le ho anticipato, la signora soffre di amnesia e ora si trova in stato confusionale”.

“Posso vederla?” domandò, secco.

“No, signore, sarebbe meglio…”

Voglio vederla”.

Certo, signore”.

 

Kilgrave aprì la porta, col cuore che gli pesava nel petto. Jessica era stesa sul letto che guardava il soffitto, ma spostò subito lo sguardo non appena lo vide.
 

“Oh, Jessi” esclamò lui con tono sollevato, accorrendo verso il suo letto “Jessica, tesoro mio, come stai? Hai bisogno di qualcosa? Se sapessi la paura che ho provato” le sussurrò, abbracciandola con delicatezza “La mia Jessica”.

Costei aggrottò le sopracciglia e indietreggiò col busto per guardarlo negli occhi.

“E tu chi cazzo saresti?” gli chiese, sentendosi ancora più confusa.
 

Kilgrave tacque, preso in contropiede. Poi si voltò verso i medici rimasti alla porta “Non si ricorda nemmeno di me” lamentò, come se la cosa fosse colpa loro.

“Non si ricorda nemmeno di se stessa, signore”.

“Fatela tornare com’era prima!” ringhiò Kilgrave, arrabbiato “Subito!”

Il Primario e gli altri dottori si mossero goffamente, attivati dal potere mentale del persuasore, ma poi quest’ultimo sembrò tornare in sé.

“No, fermi, fermi” li bloccò, con un cenno nervoso della mano. Fece un sospiro e tornò a sedersi di fronte a lei.

Okay, era stato un duro colpo vedere Jessica guardarlo come se lui fosse un perfetto estraneo. Gli era stato spiegato con dovizia di particolari lo stato in cui riversava la sua amata, eppure sperare in una specie di miracolo era stato istintivo.
Ma dopotutto non era quello che voleva?
Una Jessica smemorata era la parte fondamentale del suo piano.

Aveva avuto un momento di debolezza e si era lasciato sopraffare dalle emozioni, cosa insolita per lui, da sempre così freddo e calcolatore.

Ricambiò lo sguardo di Jessica e le sorrise.



 

Jessica si strinse nelle spalle e si guardò intorno. Era in una camera singola, spaziosa, ben arredata, con un enorme schermo al plasma sul muro. Di fronte a lei, c’era una schiera di infermiere e infermieri in piedi  e ai lati del suo letto uno squadrone di dottori. L’unico che in quella camera affollata non aveva il camice bianco, era l’uomo seduto al suo fianco, un tizio molto bello ma dall’aria inspiegabilmente inquietante.

“Dove sono?” domandò a tutta quella gente riunita di fronte a lei. Fu di nuovo quell’uomo a risponderle.

“Sei in un ospedale, cara. Hai avuto un incidente”

Jessica lo guardò male, c’era qualcosa in quel tipo tutto pettinato che la inquietava e irritava terribilmente.

“Grazie al cazzo che sono in ospedale” gli rispose male, le venne naturale “Ma perché, chi siete voi? Cosa mi è successo?”

Probabilmente, nemmeno la regina Elisabetta aveva un’equipe di medici numerosa come quella.

L’uomo di prima parlò di nuovo, sembrava quasi il portavoce della banda.

“Jessi” la chiamò, sfiorandole la mano. Ma quel semplice e delicato contatto la fece trasalire. Senza avvedersene, Jessica indietreggiò e diede un potente strattone contro il letto, così potente da sradicare le grosse sbarre che rovinarono al suolo con un tonfo ferroso. Tutti sobbalzarono e lei le guardò con una smorfia esterefatta.

“Le ho solo sfiorate” protestò, confusa “Ma che diavolo?”

“Jessica” cercò di calmarla Kilgrave.

“Ma che cazzo sta succedendo!?” si animò lei, sempre più agitata “Dove cazzo mi trovo!? Cos’è questa roba?”

Fece per strapparsi i cavi di sanitari di dosso, ma Kilgrave al suo fianco le coprì la mano con la propria.

“Calmati” le ordinò con tono intenso, il cipiglio concentrato “Calmati, va tutto bene”.

Jessica lo soppesò con lo sguardo.

“Va tutto bene” ripeté lui a bassa voce, avvicinandosi con cautela “Va tutto bene, Jessica, ci sono io ora”.

Kilgrave riuscì ad abbracciarla e lei miracolosamente non oppose resistenza. “Presto ti racconterò tutto, sta’ tranquilla”.

Jessica chiuse gli occhi e inspirò forte il suo profumo. Un odore fresco e muschiato che le era decisamente familiare. Si rese conto che lo conosceva.

“Chi sei tu?” gli chiese infine.

Kilgrave sorrise tra sé e sciolse l’abbraccio, una freccia di vittoria gli saettò nello sguardo.

“Sono tuo marito, naturalmente.”




TBC

 


Note delle autrici
Dovete sapere che molto tempo fa (macché, non è nemmeno un mese, siamo state due razzi ahah) , Ecate scrisse a Lu dicendole: ‘sto riguardando un episodio di JJ e mi venuta un’idea: e se il bus investisse Jessica anziché Kevin? E per l’impatto lei perdesse la memoria e lui si fingesse il suo fidanzato?’ Lu rispose col più entusiasta dei ‘waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh!!!’ del suo repertorio e aggiunge ‘Ma se è Killy vorrà fare le cose in grande, perché solo fidanzato… se si fingesse direttamente il marito?’ Ecate rispose con un ‘Ti andrebbe di scriverla insieme?’ Lu esultò con un ‘waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh’ ancora più grande e il resto è storia… quella che stiamo scrivendo!! Sappiate che Lu non ringrazierà mai Ecate abbastanza!
Questa sarà quindi una storia a 4 mani, ci saranno luci e ombre, momenti divertenti e altri più tristi, il tutto cercando di rispettare il carattere dei nostri due inevitabili, Jessica e Kevin!
Con la speranza che la nostra idea vi piaccia, vi salutiamo con affetto!
Lu&Ecate


 

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Capitolo 2
*** II: Kiss me! ***



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Capitolo II: Kiss me!



Jessica guardò Kilgrave con le labbra dischiuse e lui la ricambiò attento, carico di aspettativa.

“Il mio … cosa, cazzo?” reagì lei, con un lieve sussulto. Era già la seconda o terza espressione colorita che usava quella mattina. Era solita parlare così, forse?

Ma più francesismi usava, più lui sembrava divertito e a suo agio.

“Amore, perché non guardi meglio la tua mano sinistra?” le propose quel misterioso e affascinante uomo, con quel tono così calmo, rilassante.


Esitante, Jessica sollevò la mano richiesta.

Al suo anulare c’era un anello. Una fede nuziale, in oro bianco e intarsi d’oro giallo, al cui centro poggiava un'ametista romboidale, che racchiudeva in sé più sfumature.

Kilgrave aveva dato disposizione perché il Primario le infilasse quell’anello prima di svegliarla, ma questo Jessica non lo poteva sapere.

Mentre Jessica osservava incredula quell’anello, Kilgrave fece bella mostra del proprio, identico, se non per un particolare: la sua pietra era un’opale nera, della stessa forma e lucentezza.

Viola e nero.

Questi colori non le sembravano casuali.

Il secondo le dava quasi un senso di familiarità, ma il primo… la inquietava e non sapeva spiegarsi il motivo.
Ora che lo guardava meglio, notò che la pochette nella taschino dell’elegante giacca blu, così come la sua cravatta, erano viola.
Perché mai lei avrebbe dovuto provare un senso di allarme rispetto a quel colore? E rispetto a quell’uomo, soprattutto?


Non ha un cazzo di  senso. Lui è mio marito e prima ancora deve essere stato il mio fidanzato, forse per lungo tempo… e un fidanzato deve pur conoscere i gusti dell’amata. Perché questo bellimbusto mi ama, giusto?


Quel ch'era certo è che, nel bene o nel male, quello era un colore che gli donava davvero tanto.

“Jessica? Jess?” la chiamò Kilgrave, vedendola così persa nei suoi pensieri, tanto da non avere nemmeno ascoltato quello che le stava dicendo.

“Uh?” alzò lo sguardo verso di lui, con occhi vacui.

“Ho così tanto da raccontarti, abbiamo così tanto da recuperare, ma ci sarà tutto il tempo, mogliettina mia.” sorrise lui, baciandole l’anello.

Jessica avvertì un brivido e non sapeva spiegarsi se fosse piacevole o meno

 

 

__________

 

Se c’era una cosa di cui Kilgrave era certo, quella era che non si sarebbe mai sposato. Pur apprezzando molto la compagnia delle belle donne, aveva sempre dato per scontato che non ci fosse nessuna simile a lui per poteri, inclinazione naturale e storia di vita. Ma poi aveva conosciuto Jessica, una ragazza sperduta come lui, rassegnata alla vita, sola ma anche straordinaria. Si rese presto conto che lui e Jessica erano simili, come due binari paralleli e talvolta incidenti. Si scontravano, correvano alla stessa velocità, ma erano anche vicini, inevitabili.

Vivere in amore e armonia quella predestinazione era la scelta senza dubbio più intelligente e ragionevole.

Se le mentiva, lo faceva per lei, per proteggerla, specie da quando si era messa in testa di voler mettere i suoi poteri al servizio del prossimo, con quegli assurdi discorsi sul diventare una detective e cose del genere.

Esporti a un tale pericolo per salvare vite pressoché inutili! Bah, tu dovresti soltanto ringraziarmi, Jessica!

E Kilgrave ne era convinto: Jessica lo avrebbe ringraziato prima o poi, lo avrebbe guardato con quello sguardo dolce e malizioso che lui aveva imparato a conoscere e poi ad adorare.

Il ricordo di quello sguardo gli diede una scossa piacevole al bassoventre. La voglia di tornare a letto con lei era fortissima, però… Però, doveva aspettare, non doveva mandare tutto al diavolo un’altra volta. E poi ricordò spiacevolmente che con lei i suoi poteri sembravano non funzionare più. Era stato talmente impegnato con la questione della perdita di memoria e dell’incidente che si era quasi dimenticato di quel piccolo, clamoroso dettaglio.

Kilgrave finì velocemente il caffè annacquato preso alle macchinette e tornò da Jessica. Aprì la porta e la trovò su un letto nuovo, con un giornale in mano e la gamba sottile e bianca che penzolava con poca eleganza dal materasso.

“Ciao, amore” la salutò, ma in risposta lei alzò gli occhi al cielo e si voltò dall’altra parte.

Kilgrave sospirò. Per qualche strana ragione, Jessica sembrava arrabbiata. Ma possibile che pure sotto amnesia quella donna dovesse farlo impazzire?
 

Beh, ora è mia moglie, che si rassegni.
 

“Come stai?” le chiese, facendo finta di niente.

“Di merda” gli rispose, con gli fissi sul giornale “Mi è rimasto in mano il lavabo del bagno, spero non sia problema.”

“No, figurati” minimizzò, sedendosi di fronte a lei.

Jessica finalmente si voltò verso di lui e lo guardò negli occhi, Kilgrave ebbe un brivido.

“Che storia è questa?” gli domandò lei, seria “Come riesco a fare queste cose?”

“Hai un dono” le spiegò lui, non lo dava a vedere ma si sentiva agitato, fremente. “Hai una forza sovrumana che ti rende speciale.”

Jessica fece una smorfia “Ma che merda.”

“No, non dire così,” le disse, prendendole istintivamente la mano. Jessica fremette e abbassò lo sguardo sulle loro mani, ma Kilgrave non la spostò “Sei meravigliosa, la cosa… Scusami, la persona, più stupenda dell’universo.”

Jessica lo guardò con curiosità, il suo sguardo chiuso e aggressivo si sciolse leggermente.

“Perché mi sento così arrabbiata con te?”

Kilgrave finse di pensarci su.
“Oh, non lo so. Sei sempre arrabbiata con me.”

Jessica per la prima volta gli accennò un sorriso divertito, un vero sorriso. Fu come un colpo al cuore, istintivamente si piegò verso di lei per baciarla, ma lei si discostò.

“Baciami” le ordinò allora, non poté farne a meno, fu naturale ma anche invano. Jessica non solo non lo baciò, ma lo spinse via.

“Ma fottiti, non ti conosco” gli rispose infatti, con ancora un mezzo sorriso sulle labbra. Merda, allora era vero: lei non era più plagiabile.

Diavolo, non era abituato. Non sapeva cosa volesse dire desiderare ardentemente qualcosa e non poterla avere subito, nell’immediato. Era una sensazione insopportabile, invivibile. 

“Stai bene?” gli domandò lei, con le sopracciglia alzate.

“Voglio baciarti e non posso farlo” gli rispose subito lui, insofferente “Questo è… È orribile, diavolo, mi distrugge. Come fate a vivere così?”

“Tu non sei normale” gli rispose Jessica “Ho sposato uno che non è normale.”

Kilgrave abbassò lo sguardo, indeciso se raccontarle dei suoi poteri oppure no.
Anche quello era un problema, una lama a doppio taglio. E se lei lo avesse odiato come tutti gli altri? Se quel ricordo le avesse fatto riacquistare la memoria? Non voleva dire addio a quel sorriso.

“Andiamo, Jess” la pregò invece, stringendole la mano “Non ti ho chiesto di scopare in sala mensa davanti a tutti.”

Lei sgranò gli occhi, divertita. “Scusami?” esclamò, incredula “Ma quanto puoi essere idiota?”

“Suvvia, Jessi. La nostra smodata intesa sessuale è uno dei principali motivi per cui mi hai sposato.” scherzò, sorridente.

Lei scoppiò a ridere. Per lui era una visione vederla così.
“Oh beh, di sicuro un motivo dev’essere la simpatia, ma se non altro sei sincero. Idiota, ma sincero.” gli ammiccò, seppur in modo molto trattenuto.

“Non vedo l’ora che tu lo ricorda...” sussurrò con tono intenso, infilando una mano sotto alle coperte “Tutte le scintille che facevamo.”

Le accarezzò una coscia, ma Jessica gli bloccò forte il polso.

“Dimmi, marito, posso anche tranciare i polsi con questa mia forza sovrumana?” lo sfidò con aria innocente, avvicinando il viso al suo. Kilgrave a quel punto allontanò le dita e lei lasciò andare la presa, soddisfatta.

Si guardarono negli occhi per una manciata di istanti e Jessica percepì sulla sua pelle la forte tensione sessuale che lui aveva tanto proclamato. Solo che… c’era sempre un velo di inquietudine a circondarla. Una parte di lei era allarmata e le impediva di cedere alle sue avance. 

Si rese conto che non lo conosceva, era bello e sexy, ma non lo conosceva. E se fosse stato uno di quegli stronzi che malmenano le donne? Che fanno i padroni? Non le dava quella idea, ma a ben vedere non danno mai quell’idea.
 

Che cazzo stavo facendo? Ci stavo davvero flirtando? 


Lui sembrò leggerle nel pensiero, cosa che era già solita capitare, anche prima che lei perdesse la memoria.

“Non preoccuparti, Jessica, lo so che non deve essere facile per te, ma ci sono io al tuo fianco; se serve, ricominceremo tutto da capo. Se non hai più i tuoi ricordi vorrà dire che ce ne costruiremo di migliori.” la consolò lui, facendo uno sforzo su se stesso stavolta, per mantenere le distanze.

Non devo forzare i tempi. Quindi, anche se vorrei farci l’amore su questo lettino, ora, mentre tutta l’equipe medica ci guarda, dovrò aspettare.

Jessica si sporse in avanti, per scrutarlo meglio.

“Sei Inglese, vero?” gli chiese.
Lui sorrise, annuendo.

“Non ci posso credere! Io che vado a immischiarmi con un damerino Inglese, che cazzo mi avrà detto il cervello?” lo provocò lei, alzando gli occhi al soffitto. 

“Taci, eretica Americana.”

"Taci tu, paggetto Inglese!” rilanciò Jessica

“Barbona mangia-hamburger!” 

“Dandy scola-tè!”

Stavano battibeccando come due bambini all’asilo.
Entrambi se ne resero conto e scoppiarono a ridere.

Per Kilgrave vederla ridere così di gusto era una delle cose più gratificanti del mondo, poi però Jessica si fece un po’ più seria.

“Questa cosa… questo tenerci testa a vicenda… è sempre stato così?” gli chiese lei.

“Fin dal nostro primo incontro.” le sorrise lui, dicendole né più né meno che la verità.
La personalità così cazzuta della ragazza e la resistenza che sapeva mostrargli aveva messo in difficoltà il controllo mentale che esercitava su di lei già da quella fatidica sera.

“Beh, allora devi essere proprio speciale… com’è che ti chiami?”

Era la più semplice delle domande, la più basica, eppure aveva messo Kilgrave in non poca difficoltà.

Soppesò la sua decisione.

Era un nome che non avrebbe mai voluto dissotterrare dal proprio passato colmo di sofferenze, ma era per una giusta causa.

Se era determinato a dare a Jessica una vita il più normale possibile, doveva esserlo anche il suo nome.

“Io sono Kevin.” le disse, con naturalezza.

“Che nome tipicamente Inglese!” sbuffò lei, ma poi gli sorrise, tendendogli la mano. “Piacere di conoscerti, Kevin.”

 


Il Primario entrò nella stanza dell’ospedale, dove c’erano già Jessica e Kevin ad attenderlo. Jessica aveva una smorfia infastidita, lui invece sembrava contento.

“Bene” esordì il medico, sedendosi di fronte al letto dove era stesa la ragazza “Prima di dimetterla, dobbiamo preventivamente esaminare il grado di gravità della sua amnesia” le spiegò, cercando di evitare lo sguardo severo e inquietante del persuasore “A tal fine, le mostrerò delle immagini e lei mi deve dire che cosa raffigurano o chi raffigurano, d’accordo?”

Jessica alzò palesamente gli occhi al cielo e guardò Kevin, che le fece un veloce occhiolino.

“Va bene” mormorò lei, annoiata.

“Grazie, signora. Partiamo da una figura semplice” le disse, mostrandole un disegno piuttosto banale.

Jessica lo guardò come se fosse stupido “E’ un albero” disse con ovvietà.

“Giusto. E questo?”

“Una macchina” replicò Jessica con tono piatto.

“Va bene. Più difficile” esclamò il medico, mostrandole la terza figurina.

Jessica alzò platealmente gli occhi al cielo e guardò di nuovo Kevin, che sorrise.

“Quello è uno gnomo… o un folletto, non saprei” rispose subito Jessica “Ho perso la memoria, non sono diventata deficiente”.

“Benissimo, e allora passiamo al livello successivo” disse il medico “Chi è costui? Come si chiama?”

Jessica guardò la figura di un uomo simile a un grosso e muscoloso robot rosso, che fendeva il cielo col pugno chiuso.

“Non può saperlo” si intromise Kevin, a gamba tesa “Se non ricorda chi sono io, come potrà mai sapere chi è…”

“Iron man” lo anticipò invece Jessica, lanciandogli uno sguardo ironico. Lui rimase basito.

“Benissimo” si complimentò il medico “Questo?”

“Capitan America” indovinò di nuovo lei, come se la cosa fosse ovvia.

“Costui?”

“Il gigante verde, Hulk”

Kilgrave scrollò le braccia, stava iniziando a offendersi seriamente.

“Costei?” continuò rapidamente il medico, mostrandole la foto di una donna dai capelli rossi. A Kilgrave sfuggì un fischio.

“Ah, questa lo so io! Lei è la Vedova Nera si intromise con tono dispettoso, non stare al centro dell’attenzione lo spiazzava. “Natasha per gli amici”.

Jessica lo guardò male “Perché, la conosci?”

“È un bel tipino, mi ricorda un po’ te.” sviò furbamente Kilgrave.

“Nel senso che anche lei vuole prenderti a calci nel culo?” rispose candidamente Jessica, facendolo sorridere.
“Bene” li interruppe il medico, imbarazzato “Direi che per oggi abbiamo finito. Signora Kilgrave?” si rivolse a Jessica, che lo guardò con le sopracciglia corrugate “La dimettiamo domani mattina”.

Jessica osservò il medico uscire e poi guardò il suo presunto marito, basita “Kill… Cosa?”

 

______________

 

Finalmente giunse anche la sera di quell’ultimo giorno di degenza in ospedale. Kevin aveva ricevuto parecchie chiamate da parte dell’immobiliarista e dell’azienda che aveva assunto per il trasloco e tutto risultava ultimato. La casa che aveva scelto per lui e Jessica era pronta.

Ora non restava che trascorrere un’ultima notte, una notte e poi finalmente avrebbe dormito in un letto vero e fatto un pasto degno di questo nome. Da quando Jessica aveva fatto quell’incidente, si era nutrito di cibi confezionati, panini delle macchinette, crackers salati e altre porcherie. Stava giusto sbocconcellando una merendina quando sentì distrattamente una voce proveniente dal televisore in fondo al corridoio.
// “Patricia, è un vero onore averti ospite nella nostra trasmissione!// la salutò il conduttore.

Patricia?!
Si accese un campanello d’allarme nella testa del persuasore.
Naah, dev’essere una coincidenza, ne esistono a milioni di Patricia nello showbiz…

//“Il tuo programma radiofonico ‘Trish Talk’ sta andando alla grande e tiene compagnia ogni giorno a milioni di spettatori, e il numero è sempre più in aumento…” // proseguì il presentatore.

Oh cazzo, è proprio lei!

Non era da lui correre, ma la situazione lo richiedeva e quando arrivò a destinazione da quella televisione la biondissima Patricia Walker, la sorella adottiva di Jessica, probabilmente fra gli ospiti di quel talk show, stava per rispondere.


“Cambia canale!” gridò subito alla vecchietta col deambulatore che stava assistendo alla trasmissione. Costei cambiò canale ma ci rimase male.

“A me piaceva quel programma, giovanotto” protestò.

“Oh, stia zitta!” la zittì malamente Kilgrave, per poi tornare in camera di Jessica. Non voleva correre il rischio che Jessica vedesse quella Trish, come soleva chiamarla lei stessa.

Quando entrò, la trovò sdraiata con la testa nel posto dei piedi e i piedi nudi nel posto della testa. Sembrava un’anima in pena.

“Voglio anche io una merendina” brontolò Jessica, appena lo vide. 

“Non finché non starai meglio” replicò lui, divertito. Poi la guardò, le gambe nude e scoperte davano bella mostra di sé e la camicia da notte sembrava quasi un velo pronto per essere strappato. Kilgrave sospirò dal naso e si mise a sedere nella sua solita sedia, incrociò le gambe. Qualcosa dentro di lui gli suggeriva che Jessica non indossava le mutandine.

“E così” riprese lei, del tutto ignara del suo turbamento “Un pullman mi ha messo sotto e io ho perso la memoria?”

“Sì, cara” annuì lui.

“E prima di ciò non avevo un lavoro” lo guardò di sbieco.

“No”

"Né una famiglia.”

“Ahimè.”

“Solo te.”

“Esatto” le sorrise Kevin “Solo me.”

Jessica smise di guardarlo e si issò a sedere, con le gambe incrociate sotto la camicia da notte dell’ospedale. Lui istintivamente staccò la schiena dalla sedia e le rivolse uno sguardo vibrante, eloquente.

“Che cosa ti ha fatto innamorare di me?” gli chiese, ignorando la scarica elettrica che le avevano mandato i suoi occhi “Non mi sento tanto il tipo di donna che potrebbe piacere a uno scola-tè come te.”

Kevin le sorrise “Sei esattamente il tipo di donna che piace a me” la corresse, alzandosi e sedendosi al suo fianco, sopra il materasso. Jessica provò un’emozione intensa, di paura e lussuria unite insieme. Non si ritrasse.

“Ho avuto parecchie ragazze nella mia vita” riprese lui, ed era sincero “Ma nessuna, nessuna è nemmeno lontanamente paragonabile a te, Jessica Jones.”

Senza smettere di guardarla negli occhi, infilò la mano destra sotto la sua veste, in mezzo alle sue cosce calde. 

“Sei tutto ciò che ho sempre desiderato” continuò con voce morbida, pregna di eccitazione “Sei tutto ciò che amo.”

Jessica divaricò leggermente le gambe, piena di piacevole aspettativa, ma come lui si spinse oltre, lei ebbe un sussulto. Un flash infinitesimale del suo passato le era balenato di fronte agli occhi e la lasciò raggelata, spaventata.

“No!” sbottò Jessica in modo inconscio, allontanandosi da lui e spezzando l’incanto. “Scusa, ma non… Non ce la faccio, non so perché.”

“Certo” la rassicurò lui, celando bene l’enorme delusione “Non ti preoccupare.”

Si alzò in piedi, abbacchiato.

“Vado a cercarmi una poltrona più comoda, la mia schiena merita di meglio.”

“Aspetta” lo fermò Jessica “Kevin.”

Lui si voltò di scatto e la guardò con tanto d’occhi. Per l’inferno, nessuno lo chiamava così da… Da secoli. Anche Jessica sembrava stranita da quel nome.

“Dimmi” le rispose subito lui, curioso.

“Questo letto è grande” mormorò lei, arrossendo leggermente “Se vuoi stenderti, ci stiamo.”

“Intendi vicino a te?” le domandò, sempre più stupito. Lei gli sorrise.

“Dovrò cominciare ad abituarmi, prima o poi…”

Kilgrave non poté credere alle proprie orecchie, ma quando la vide fargli posto e scivolare verso il muro, capì che non stava scherzando.

Si tolse le scarpe italiane, appoggiò la giacca firmata sulla sedia e poi si sedette di fianco a lei, sopra al copriletto. Non poteva credere a quello che stava succedendo.

“Sei proprio sicura?”

Jessica si voltò dall’altra parte e gli diede le spalle come una bambina dispettosa.

“Sono in un ospedale, senza memoria e con un marito inglese che non ricordo di avere. Posso essere sicura di qualcosa, secondo te?” gli domandò, ma con il suo adorabile sorriso ironico sulle labbra. Lui la ricambiò e decise di approfittarne. Si sdraiò al suo fianco, la sua schiena indolenzita rese subito grazie, e con il braccio destro le circondò la vita al di sopra della coperta. Si spinse più vicino, fino a ritrovarsi nella medesima posizione in cui era sdraiata lei, come se lui fosse un guscio, un’armatura che la proteggeva.

È così che si sente un vero marito?
Si domandò, mentre guardava i loro anelli, così vicini.


“Buonanotte, Jessi” la baciò velocemente nella guancia.

Lei sorrise tra sè.

“Buonanotte, Kevin.” gli rispose dolcemente, chiudendo gli occhi, inebriandosi del suo profumo.

No, si disse Jessica, lui non era un mostro.

 

L’indomani mattina, Kevin si svegliò presto con ancora la sua amata tra le braccia, col naso ancora sepolto tra i suoi capelli. Il fatto di aver dormito tutto vestito ma senza nemmeno una coperta addosso lo aveva intirizzito dal freddo, ma lui nemmeno ci fece caso. Si sollevò con molta delicatezza e la guardò, incredulo.

Jessica stava ancora dormendo e come di consueto si era appropriata di buona parte del letto. Lui le accarezzò delicatamente i capelli e sorrise.

Non l’aveva toccata, non si erano nemmeno scambiati un bacio, ma quella notte era stata senza dubbio la più bella di tutta la sua vita. Era stata intima nel suo romanticismo, sensuale nel suo affetto. Jessica gli aveva come fornito una prova di fiducia e il passo successivo era ormai alle porte. Sarebbe stato meraviglioso. Kilgrave si rese conto in quel momento della differenza tra il prima e l’adesso. Aveva già dormito tantissime notti con Jessica, ci aveva fatto l’amore un sacco di volte, in tutti i modi possibili e immaginabili ma… Nessun amplesso, nemmeno il primo, era stato all’altezza di quell’abbraccio prolungato. O lui si stava rammollendo, o il fatto che lei glielo avesse chiesto di sua spontanea volontà faceva davvero la differenza.

In ogni caso si alzò, si infilò le scarpe e andò a prendersi sia la giacca che il soprabito, visto il freddo di fine gennaio e di quelle mattine ammantate di brina.

Jessica stava ancora dormendo come un sasso, con le labbra dischiuse sul cuscino in maniera davvero poco elegante. Non era esattamente una lady, ma era comunque bellissima, verace. E poi, notò Kilgrave, appena lui si era alzato lei si era voltata dalla sua parte. O era un caso, oppure il suo bel corpo lo stava cercando…

Sorrise tra sé e uscì dalla stanza.

“Portami un caffè” ordinò all’infermiera con uno schiocco di dita, la quale obbedì senza nemmeno fiatare.

Ora c’era da pensare a un’altra cosa, una cosa bionda, pelosa e con un fiocchetto viola intorno al collo.


___________

 

Jessica venne presto dimessa dall’ospedale. Il suo corpo da supereroina si era rigenerato in fretta, ma lo stesso non poteva dirsi della sua memoria. Continuava a non ricordare nulla, solo pochi e sconclusionati frammenti del suo passato: un locale simile a un bugigattolo, volti senza nome e parole senza voce. E poi c’era l’uomo che le aveva salvato la vita.

Suo marito.

Quando costui le aveva detto che erano sposati, Jessica non aveva avuto particolari reazioni, era rimasta apatica. Si era chiesta sinceramente cosa mai ci aveva trovato in un uomo del genere… A parte l’ovvio, naturalmente. La notte prima era stata a un passo dall’andarci a letto e quando aveva sentito le sue dita sfiorarle le cosce, il suo bassoventre si era come liquefatto. 

Ma c’era qualcosa in lui che non riusciva a spiegarsi. Qualcosa che la teneva lontana, che la rendeva inquieta e che mortificava l’attrazione che pur provava per quell’affascinante e divertente estraneo.

Ma cosa?

Il fatto che non avesse nessun altro al di fuori di lui la rendeva ancor più  scettica e allarmata. Possibile che non avesse un’amica, un parente, nessuno a cui chiedere spiegazioni o confidarsi?  Era come se lui avesse scavato una fossa intorno a lei. Certo, le aveva detto che i suoi genitori erano morti in un incidente d’auto. Le aveva detto che la questione della super forza l’aveva esclusa ed estraniata dal mondo, perché la gente la evitava, dato che i supereroi sono belli solo in televisione, per ripetere le sue esatte parole. Eppure qualcosa in tutto questo non la convinceva, come il fatto di indossare degli stivaletti così inutilmente scomodi e un vestito così eccessivamente viola. Jessica ormai aveva capito che a lui il viola piaceva molto e sembrava che fosse stato lui ad aver scelto i suoi vestiti al posto suo. E se quel era vero… beh, col cazzo che avrebbe potuto rifarlo di nuovo. 

E poi il fatto che avesse un aspetto così belloccio e blasonato non aiutava. Sì, era un figo, per una botta e via era perfetto, ma non era esattamente il tipo d’uomo che avrebbe sposato. Evidentemente Kevin - così si chiamava suo marito - doveva essere una clamorosa eccezione. Non poteva averla conquistata col suo aspetto patinato o con la sua discutibile gentilezza…

 

“Ferma!” aveva gridato alla strada, e subito un suv di grossa cilindrata aveva inchiodato con uno stridio di freni. E poi si era voltato e le aveva fatto un occhiolino da playboy. Stai a guardare, le mimò con le labbra.

“Prestami la macchina, forza” aveva ripreso Kevin come se niente fosse, e subito il proprietario dell’auto, un signore distinto in giacca e cravatta, era sceso e aveva lasciato loro le chiavi.

“Ma che cazzo…?” esclamò Jessica, esterrefatta “Perché ci ha lasciato la macchina?”

Kilgrave fece un sorriso gongolante “Scoprirai, Jessica Jones, che la tua dolce metà possiede un certo ascendente nei confronti delle persone.” le spiegò criptico, salendo in auto “Forza, amore! Sali”

Jessica obbedì e con qualche ritrosia si sedette nel sedile del passeggero.

“Lo conoscevi?” gli domandò, cercando di trovare la quadra.

“Chi, quel tizio?” domandò Kevin, mentre metteva in moto l’auto “No. Ma dannazione, non c’è il cambio automatico! Che razza di Mercedes è questa!?”

Jessica lo fissò con una smorfia, Kilgrave la guardò.

“Ci credi che è dal… 2009 che non mi metto alla guida di un’auto? L’ultima volta mi è successo in Oklahoma, dopo che il mio autista era stato morso da un mocassino acquatico.” le sorrise “Ma credo di ricordare come si fa.”

E detto questo diede una gran sgasata sull’acceleratore e partirono così veloce che Jessica dovette aggrapparsi alla maniglia in alto.

“Cazzo!” imprecò, spaventata “Attento! I pedoni!” strillò.

“Li ho visti!” minimizzò lui, mancandoli per un pelo. Diede ulteriore gas all’acceleratore e Jessica si strinse ancora più forte alla maniglia.

“Coglione, stai andando ai 180! Vuoi rallentare!?” gli gridò contro, ma Kevin sbuffò e sterzò in modo così brusco che lei finì con la faccia contro il vetro. Un ciclista, per evitare di finire investito, si gettò in mezzo a un’aiuola, basito.

“Kevin, cazzo! Rallenta!” continuò a gridare lei per tutto il viaggio, dopo i vari semafori rossi bruciati, le corse contromano e quelle nelle corsie preferenziali. Malgrado avesse trasgredito a forse tutte le regole del codice della strada, Kilgrave alla fine si dimostrò un bravo autista e portò entrambi a casa nella regione del Queens, sani e salvi.

“Eccoci qui, amore” le disse compiaciuto, mentre una scarmigliata Jessica tirava un sospiro di sollievo “Siamo a casa.”

Jessica si sporse subito dal finestrino e guardò con gli occhi sgranati quella villetta color biscotto, dall’aspetto ampio e accogliente.

“Quella è casa mia?” domandò, perplessa.

“Nostra. Ti piace?” le domandò lui, leggermente preoccupato.

“Sì” rispose.

Credo, pensò.

 




TBC
 


Note delle autrici
Eccoci qui con il secondo capitolo! Come l'avete trovato? ^^
Come vedete la nostra Jessica è molto combattuta, apprezza molto la premura di Kevin ma c'è qualcosa che la frena, qualcosa che la inquieta e che non riesce a distinguere...  Situazione difficile, vero?
Poi c'è stato anche un piccolo ma importante cameo di Trish e degli Avengers i quali, vi ricordo, che in Jessica Jones esistono. Lei stessa nomina Hulk ("the big green guy") durante la prima stagione.
Niente, confidiamo che l'idea continui a piacervi e vi salutiamo con affetto!
Ecate&Lu


 

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Capitolo 3
*** III: In small doses ***


Grazie da entrambe a chiunque stia leggendo, anche se crediamo che al di là degli scambi questa storia non la segua nessuno e un po' ci dispiace... ma grazie di cuore a chi c'è <3


cover-pr



 

Capitolo III: In small doses


Più passi Jessica muoveva all’interno di quel vialetto alberato e meno la cosa le sembrava possibile.

“Okay, Kevin. Lo scherzo è bello quando dura poco.”

“Quale scherzo?” la guardò perplesso lui

 

“Voglio dire, okay, ti sei divertito e ci ho pure creduto per un attimo. Ora usciamo da questa proprietà privata prima che ci veda qualcuno e andiamo nel nostro bilocale, nel condominio o in qualunque posto pulcioso io e te viviamo per davvero.” commentò lei, non capendo perché lui stesse ridacchiando.

“Davvero non vuoi credere che tu … che noi viviamo qui, Jessica?”

 

Jessica esitò prima di rispondergli. Qualcosa dentro di lei, come una sorta di sesto senso, le suggeriva che aveva sempre vissuto in appartamenti modesti e che i soldi non erano mai proprio il suo punto forte. Se aveva questa forte sensazione, doveva pur esserci un motivo, no?

“No!” disse infatti “Quindi, anche a costo di sfidare nuovamente la morte e salire in auto con te, andiamocene da qui.”

“Oh beh, mia cara, se vuoi un altro giro in auto lo possiamo anche fare, ma poi parcheggerei nuovamente qui. Questa è davvero casa nostra, forse quando infilerai la chiave nella serratura della porta blindata te ne renderai conto.” sorrise lui, allungandole il mazzo di chiavi.
Jessica guardò prima le chiavi e poi Kilgrave, sbalordita.

“Quindi non mi stai prendendo per il culo, davvero abitiamo qui?” si esaltò lei, anche se aveva una strana sensazione, che però decise di mettere a tacere. “Ma, cazzo, questa è la villa delle favole, qui ci vivono le Barbie!”

E ancora non l’aveva vista all’interno.

 

Quando entrarono, Jessica passò un buon quarto d’ora a passare di stanza in stanza, andò sul balcone, sul terrazzo grande con la veranda, nella mansarda e poi ancora nella taverna.

Kevin faceva quasi fatica a starle appresso.


“Deduco che ti piaccia.” gongolò lui, mentre tornavano in salotto.


“Non sembra nemmeno casa mia.” rispose lei, ma vide subito la sua espressione avvilirsi. “Ma credo che, vista la mia delicata situazione, avrei detto così a prescindere, in qualsiasi luogo tu mi avessi portato, anche il più squallido dei tuguri!” gli riportò il sorriso.

“Vedrai che ti ambienterai di nuovo in fretta.” disse, prima di battere le mani. “Intanto ti presento.. oh beh, ti ri-presento quelli che da più di due anni sono il nostro cuoco e la nostra cameriera.”


Kilgrave mentiva con una tale naturalezza che a quella vita che aveva creato per loro ci stava forse credendo lui più di tutti.

Jessica vide farsi avanti un cuoco, data la giacca bianca e il tipico cappello, e quella che probabilmente doveva essere una cameriera, entrambi di mezza età.

“Loro sono Pierre e Harriet, non serve certo che vi presenti Jessica, dato che la conoscete già,” commentò il persuasore, strappando loro un sorriso.

Inutile dire che aveva orchestrato bene ogni dettaglio.

Jessica però era sempre più stupita e perplessa.

 

“Abbiamo dei domestici?” domandò, come se la cosa fosse assurda.

“Certo!” liquidò Kilgrave con ovvietà “Chi fa le faccende domestiche, altrimenti? Io?” le sorrise, divertito “Vieni, ti faccio vedere l’angolo bar.”


Congedati i domestici e completato il giro, Jessica si accomodò su uno degli eleganti divani color grigio tortora.
 

“Ricapitoliamo: io non ho né una famiglia, né un lavoro, né evidentemente uno straccio d’amico…”

“Sì, per l’ultimo punto, diciamo che hai un carattere un po’ difficile, mia cara.” rispose lui, scegliendo di accomodarsi sulla poltrona reclinabile in coordinato

“Ma vivo comunque qui, in un castello con dei domestici” continuò lei, ignorando la sua frecciatina.

 

“Sì.”

“Ciò può significare una cosa soltanto: tu sei ricco da far schifo!” espose il suo verdetto, lanciandogli contro un cuscino di pura seta.

Kevin rise e poi annuì.


“Proprio così, e quello che è mio è tuo, amore.” 

 

“Adesso finalmente è tutto chiaro: devo averti sposato per soldi!” lo punzecchiò Jessica.

“Beh, sì, mi sembra l’unica spiegazione possibile.” rispose sarcastico lui, indicando la propria figura prestante con un ampio gesto della mano.

 

“Ma che spaccone!” sbuffò lei, ma era divertita “Piuttosto, dimmi, che lavoro fai?”


Kevin per poco non si ribaltò dalla poltrona.

 

Per l’inferno maledetto! A questo non ci ho proprio pensato...


“Sono un … consulente.” improvvisò, con la prima cosa che gli venne in mente.

 

Jessica si accigliò.  “Ah sì, e di cosa?” lo interrogò, assottigliando gli occhi.
 

Kilgrave si morse l’unghia dell’indice.


Di male in peggio!
 

“Finanziario.” rispose, senza pensarci troppo.

 

“Interessante…” mormorò Jessica, sporgendosi col busto in avanti verso di lui.

Avrebbe voluto starsene a gambe divaricate, in una posizione più tipica degli uomini, ma quel vestito con la gonna ampia le imponeva di stare seduta composta, con le gambe accavallate.


“Ne vuoi sapere di più?” le domandò Kilgrave, mentre rifletteva già su come cavarsi dall’ impiccio.

 

Jessica si alzò bruscamente dal divano e gli andò di fronte. Torreggiò su di lui e poi spinse entrambe le mani contro i braccioli della sua poltrona, come se volesse imprigionarlo.


Giusto un po’ di pressione in più e avrebbe potuto spaccarli come se fossero di polistirolo.

 

“No, è interessante quanto a lungo tu riesca a dirmi cazzate!” sbottò lei, gli occhi verdi ridotti a due fessure, la bocca dritta e tesa, il tono per niente amichevole.

 

“Jessica, ma cosa…?”
 

“Credi che io sia stupida?” non lo fece nemmeno finire di parlare, spingendolo contro la spalliera, per poi prendere le distanze. “Mi ci è voluto un po’, lo ammetto, ma finalmente ho capito tutto.”


Kilgrave cominciò a sudare freddo.

 

Tutto cosa? Non può aver già...

“Sai, in un primo momento ho pensato tu fossi il figlio del Primario, visto il modo in cui ti comportavi all’ospedale, come se tutti ti conoscessero, come se fossero al tuo servizio, come se lì sembrassi di casa… e poi, beh, figlio di un Primario, spiegherebbe questa villa da capogiro!” cominciò la sua analisi Jessica e a Kevin sfuggì un sorrisetto.

 

“Io non sto affatto ridendo.” lo freddò lei.
 

“Scusami… continua.” la spronò lui, anche se non sapeva bene cosa attendersi.

“Ma poi il tizio della macchina, quello che è successo mentre guidavi, le troppe cose strane di questi giorni assurdi…” mise insieme tutti i pezzi, giungendo a una sola conclusione possibile. “Anche tu hai dei poteri. Non come i miei , ma ce li hai, non è così?”


Kilgrave non aveva più alcun motivo di nascondersi. E Jessica aveva appena mostrato un intuito degno di un detective provetto.


“Sei perspicace, mia cara. Ma del resto lo sei sempre stata. Ebbene sì, ho un potere, anche più strabiliante del tuo: possiedo la capacità di controllare le menti delle persone. La gente fa tutto quello che chiedo loro, senza ribellarsi o fare domande; eccoti spiegato il tizio della macchina e, come dire, le varie agevolazioni che abbiamo avuto in ospedale.”

 

Jessica indietreggiò.

 

“Ma è spaventoso!”

“Naaah, lo definirei per lo più molto utile.” fece spallucce lui.

“Quindi…  hai soggiogato anche me coi tuoi poteri” concluse lei, raggelata, e per qualche ragione la spiegazione le sembrava terribilmente plausibile “Ed è così che ci siamo sposati, questo nostro amore di cui blateri non è mai…”

 

“Jessica, sdraiati sul tappeto e rotola.” la interruppe lui, con fredda calma.


“Cosa? Non farò mai una cosa così stupida... ooh.” si rese finalmente conto lei.

 

“Esatto. Il mio potere su di te non ha alcun effetto, probabilmente è il tuo potere a schermarti contro il mio,” si inventò di sana pianta lui, che in realtà non era mai stato più felice di non poterla più controllare.


Questa situazione che si è creata gioca sempre più a mio favore.


“Tuttavia non posso dire lo stesso del tuo, potresti sollevarmi e scaraventarmi dall’altro lato della casa con una facilità imbarazzante, se solo tu lo volessi, Jessica.” la informò lui.

“Beh, no, non lo voglio.” mormorò lei, ancora estremamente confusa.

 

“Il punto è che non ho usato nessun trucchetto. Ti sei innamorata di me in modo del tutto naturale, come io di te.”
 

Dirle quello che avrei voluto che realmente accadesse non è mentirle, giusto?


Si domandò, facendosi un’esame di coscienza. Il problema era che la sua coscienza era molto selettiva, così tanto che per il momento si limitava solo a dargli ragione.
 

Jessica invece poteva solo limitarsi ad analizzare i fatti: aveva visto l’effetto che i comandi di Kilgrave avevano sulle persone e sapeva che su di lei non funzionava.


Mi sta dicendo la verità.

 

“E così siamo simili, abbiamo dei poteri entrambi. Cos’è? Ci hanno forse operato insieme, è lì che ci siamo conosciuti? In un manicomio? In una prigione? Forse entrambi eravamo prigionieri di uno scienziato pazzo?” azzardò le sue ipotesi la ragazza.

Kilgrave fece una smorfia infastidita. ‘Scienziato’ era una parola che ancora gli faceva male.


“No, Jess, niente di tutto questo.”

 

“Allora raccontamelo tu. Raccontami come ci siamo conosciuti, avanti.”

 

Kevin spostò lo sguardo su di lei e ci pensò su. “Certo” iniziò, ancora un po’ esitante. “Hmm, eravamo in un locale... A New York. Tu eri da sola e hai iniziato a guardare verso di me. Mi hai sorriso, un sorriso davvero molto carino, e poi ti sei avvicinata per chiedermi di ballare”.
 

Jessica alzò un sopracciglio, perplessa. “Sul serio?”
 

“Oh, sì. Io però all’inizio ti ho detto di no,” continuò a mentire, compiaciuto. “D’altronde non posso mica dire di sì a tutte… Ma poi ti ho guardato meglio, mis sono accorto che eri una visione e quindi sono tornato da te. Abbiamo ballato...”

“Per quel poco che ti conosco” lo interruppe brutalmente Jessica “Ti avrei più immaginato a braccetto con una donna, o magari con due, visto che hai l’aria di uno che può permettersi di tutto. Ma poi, dopo che hai visto me, hai dato loro il benservito e ti sei dedicato totalmente alla sottoscritta.” ribatté lei, con malcelato orgoglio.

 

Kevin mantenne il sangue freddo, anche se non gli fu facile.

 

Dannazione, ci ha preso su tutto, com’è possibile? Che stia ricordando qualcosa? Naahh, com’è accaduto con la questione dei miei poteri… è solo molto perspicace.
 

“Non c’è che dire, mia cara, molto interessante anche la tua versione,” fece finta di nulla lui, alzandosi finalmente dalla poltrona e muovendo dei passi verso di lei.

“Ma qualunque cosa sia accaduta, il finale è comunque questo.” disse, accarezzandole il dorso della mano, senza che lei la ritraesse. “Ci siamo baciati e poi abbiamo fatto l’amore intensamente, dolcemente, più di una volta”.

 

Jessica deglutì a vuoto, un brivido di eccitazione le scaldò le cosce “Ma davvero?” chiese, fingendo che la cosa non l’avesse sfiorata. Kevin tuttavia lesse la sua espressione.

 

“Posso baciarti?” ne approfittò subito lui.

Questa fu la differenza. Questa volta non provò a imporle nulla.

“Posso baciare mia moglie?” insistette, facendo un passo verso di lei “Suvvia, dall’ospedale al tragitto in auto mi avrai conosciuto un altro po’.” fece leva sulla sua simpatia.

 

Lei sorrise, dopotutto era solo un bacio, non aveva particolari ragioni per negargli solo un bacio.


Chiuse quindi gli occhi, ma come le loro labbra si toccarono, Jessica ebbe un brivido.

Fu come un lampo fugace, un grido sordo e istantaneo che ebbe tuttavia il potere di riempirla d’angoscia. Jessica si allontanò di scatto e Kevin le sorrise sornione, travisando la sua reazione.

 

“È come se fosse stato il tuo primo bacio, non è vero?” le chiese, malizioso “Non ti ricordi più niente, niente di niente?”

 

“No, queste cose le ricordo. È come se non riconoscessi i volti delle persone” borbottò lei.
 

“Capisco” disse lui, prendendole il viso fra le mani, portandolo all’altezza del suo, a pochi centimetri di distanza, perché lei ne imprimesse bene nella sua memoria ogni dettaglio. “Ti basta ricordare il mio” le sorrise.

 

Era un gesto così dolce e apparentemente innocente che Jessica non seppe resistere, volle riprovare a baciarlo, senza dar ascolto a quell’innata razionalità che sembrava frenarla.

 

Si spinse più contro di lui, le sue labbra morbide e carnose premettero su quelle di Kevin, più sottili, ma non per questo meno piacevoli.


Al contrario di lei, Kevin alla propria razionalità diede totalmente retta e la sua razionalità gli diceva di lasciare che fosse lei a condurre i giochi.
 

Jessica gli afferrò la nuca con una mano, aderendo completamente su di lui, dischiudendo le labbra, in attesa che lui facesse lo stesso, che la invitasse ad entrare.
Kevin non aspettava altro.

 

Lasciò che la lingua della ragazza facesse la sua prima esplorazione, esitante ma al contempo determinata, e solo dopo un po’ si decise a ricambiare il bacio, accarezzando la punta della sua lingua con la sua.

 

Jessica emise un mormorio che per lui fu il più eloquente dei segnali, per approfondire il bacio, ma senza esagerare, senza sopraffarla.

Smanioso, ma comunque tenero e lento.
Forse non l’aveva mai baciata così.
E forse non era mai stato così bello.

“Oh cazzo, mi sa che ti ho sposato anche per come baci!” si separò lei, quasi stordita, passandosi le dita sulle labbra.

Lui sorrise, ma preferì non dire niente.

 

“Forse è proprio così che devo imparare di nuovo a conoscerti, Kevin: a piccole dosi.”

 

Per non far vincere i propri impulsi che, forse a costo di avere polsi e costole fratturate, avrebbero cercato di avere di più da lei, Kevin si affrettò a farle una domanda, stemperando quella tensione sessuale che si poteva respirare nell’aria.

 

“Sul serio guido così male, Jess?” le chiese, inclinando la testa di lato.

Lei sogghignò.

 

“Diciamo solo che se non guidavi più dal 2009 per me c’era un cazzo di motivo e gradirei non finire di nuovo in ospedale nel giro di due giorni!”

Lui si imbronciò un po’ e lei non mancò di notarlo.


“Però, in fondo, è stato anche divertente.” gli fece l’occhiolino.

 

“Nel senso che lo possiamo rifare?” azzardò lui, pieno di aspettativa.

 

“Prima vedi di restituire quella macchina che doveva essere solo un prestito,” lo istruì lei. “Comprane una che sia solo tua e poi… vedremo!"

Monsieur, Madame, se posso permettermi di interrompervi, il  pranzo è pronto in tavola.” li avvisò Pierre, con un inchino e Kevin le fece strada verso la sala da pranzo. C’era profumo di pulito in tutti gli ambienti e Jessica sorrise quando vide un tavolo elegantemente apparecchiato, con la domestica in piedi e sorridente di fronte a lei.

“In effetti stavo morendo di fame,” si accomodò lei, sollevando la cloche argentata, mentre Pierre versava loro un Barbaresco DOC d’ottima annata.

 

“Dici che è commestibile questa roba?” scherzò la ragazza, guardando molto poco convinta quella pasta all’Amatriciana fumante, nel suo piatto.

“È il tuo piatto preferito, Jessica.” le spiegò lui, spudorato, sistemando con cura il tovagliolo sulle ginocchia, mentre lei annusava quella portata, sempre più scettica.

 

Ma la fame era fame: prese una forchetta, arrotolò un po’ di spaghetti impregnati di sugo denso, se li portò alla bocca e… circa trenta secondi dopo fece una smorfia disgustata e altresì molto buffa. 

 

“Cos’è questa roba? Ma sa di aglio!” esclamò contrariata, pulendosi l’intera bocca col tovagliolo, prima di bere un’ampia sorsata di vino rosso.

Kilgrave non sapeva se ridere o disperarsi.
“Dai, Jessi, ti è sempre piaciuta.”

 

Jessica aveva parecchi dubbi a riguardo.
“Mi avranno fottuto il cervello durante l’intervento, che ti devo dire” gli rispose, rude.

 

“Signora, non è che è incinta?” si intromise bonariamente Harriet, la cameriera. Sia Jessica che Kilgrave la guardarono inorriditi.

 

“Cosa!?” strillò lei, guardando subito Kevin con occhi sgranati.

 

“Cosa!?” ripeté lui “No!” esclamò con fervore “No, niente di tutto ciò. Sono sempre stato attentissimo, siamo sempre stati attentissimi. Anzi, a questo proposito, tu di solito prendevi la pillola, Jessie. Quando vorrai ricominciare… Ricordatelo.”

 

Jessica assottigliò lo sguardo e gli sorrise. “Mangia quella pasta e lasciami in pace, Kevin.”

  

Quel piatto, almeno di uno dei due, era il preferito per davvero.

 

“D’accordo” mormorò lui, accennando un sorriso “Tu proprio non la mangi?”

 

“No, non mi va. In compenso però questo è ottimo!” si scolò il calice di vino, riempiendosene subito un altro, che venne svuotato alla velocità della luce.

“Vacci piano, pantera ubriacona!” l’apostrofò lui.

“Cazzo, non mi dirai che prima ero astemia, vero?” lo guardò lei, sconvolta.

 

Nemmeno Kilgrave poteva arrivare a tanto.

“No, Jessica, ti è sempre piaciuto bere.” le confermò. “Ma vedi di non esagerare, sei pur sempre reduce da un’operazione delicata.”

“Bah, mi sa che hai ragione, vedrò di non andare oltre i tre bicchieri.” trovò un compromesso lei. “Mi chiami qui Paul?”

“Intendi Pierre?” la corresse divertito Kevin, accontentandola.

 

“Desidera, Madame?” si mostrò servizievole il cuoco.


“Che mi porti via questo schifo, non perché sia colpa tua, tu cucini bene, sono io che evidentemente devo esser diventata un po’ difficile coi gusti,” si scusò a modo suo, consegnandogli la cloche, coperta. “Potrei avere del pollo ai ferri?”

Mais oui, Madame, non c’è problema,” sorrise l’uomo.

 

“Ottimo, e delle patatine fritte?” azzardò lei, con un sorrisetto “Dai, ragazzi, sono malata! Mi hanno trapanato la testa l’altro giorno!”


Disorientato, Pierre cercò la risposta in Kilgrave, che approvò con un cenno del capo.


“Venti, massimo trenta minuti e arrivo coi suoi piatti, Madame.”

“Puoi prenderti il tuo tempo, purché tu la smetta di chiamarmi con quel pomposo Madame, Jessica va benissimo.” lo informò lei.

 

“Oh, come desidera, Mad… Jessica. E lei, Monsieur? Devo portar via anche il suo piatto?”


“Pierre, ma l’hai visto quant’è magro? Quello ancora un po’ e sparisce se non mangia,” rispose lei per Kevin, senza perdere l’occasione di canzonarlo un po’.
 

Il cuoco si ritirò in cucina.

 

“Ecco cosa succede a chiedere a un cuoco francese di prepararti un piatto italiano. Aglio,” esclamò, mettendolo da parte con la forchetta per evitare di mangiarlo “Aglio dove non ci deve essere. Domani gli dirò di prepararci del fois gras o delle buone galette à la mélasse” disse con un perfetto accento francese “E poi, per punizione, gli faccio ingoiare il mestolo”.

 

Jessica lo guardò subito, la consueta sensazione d’allarme le tolse il sorriso. “Cosa?”

Lui le sorrise in modo innocente.
“Stavo scherzando, naturalmente.”
Lei si rasserenò.
“Il mestolo è fisicamente impossibile da ingoiare, ma magari un cucchiaino…”


“Kilgrave!” lo rimproverò lei, dando un pugno al tavolo.
Non seppe nemmeno spiegarsi perchè non lo avesse chiamato Kevin, le era venuto così… naturale.

“E comunque quello spicchio d’aglio te lo puoi anche sgranocchiare come se fosse una caramella,” aggiunse Jessica, seria. “Non ho alcuna intenzione di baciarti più tardi.” specificò, in tono di sfida.

 

“Oh, beh… Non si sa mai cosa ci riserva la vita, per sicurezza non lo mangio. E da stasera a cena ti farò avere il menù in anticipo, così che tu possa esporre tutte le tue preziosissime rimostranze, se proprio lo ritieni necessario. Il bello dei pasti è condividerli insieme, nello stesso momento.”
 

“Sì, okay, e così faremo, ma ora non ci provare nemmeno a far freddare la tua pasta per aspettare me… o ti picchio!” lo fece sorridere lei.

 

Mentre attendeva, Jessica si dondolò in modo davvero poco elegante, facendo una panoramica dell’intera sala da pranzo, prima che il suo sguardo le cadesse sull’anello.

Appoggiò la sedia a terra e si sfilò l’anello, facendolo rotolare sul tavolo, per gioco, anche se la pietra incastonata non permetteva il corretto movimento.

“La prossima volta che ci sposiamo, marito, fedi normali in oro giallo, così ci posso giocare meglio.” disse recuperando l’anello.


“Ne terrò conto, mia cara,” rispose lui, divertito, tra un boccone e l’altro.

Jessica intanto si era accorta di qualcosa che prima non poteva notare.

“Hey, ma aspetta! C’ è un'incisione all’interno,” si accorse, leggendola. “‘Queen’? Aspetta, è perchè sono una grande fan di Freddie Mercury?” si esaltò lei.

“Chi? No, non è quello il motivo.”

“Già, anche perché mi sa che io sono più da Nirvana.. o GreenDay, vero?” si alzò lei da tavola, diretta verso il soggiorno, dove era sicura di aver visto un grammofono.

 

Kevin, che ormai aveva finito di mangiare la seguì, vedendole aprire l’armadietto sotto il grammofono: c’erano vari vinili ma anche una pila di CD per l’impianto Hi-Fi di ultima generazione.

 

“Uhmm no, Jess, a te piace più …”


“Musica classica?” lo anticipò lei, scartabellando fra i vinili. “Jazz?” continuò sempre più confusa. “Oh beh, almeno c’è anche qualcosa di Prince.”

“Jessica, ti ho fatto scrivere Queen perché tu sei la mia Regina.” mormorò lui, combattendo l’impulso di stringerla a sé.

Sapeva che era ancora troppo presto.

 

“Ah, per quello!” alzò gli occhi lei, avvicinandoglisi sinuosa. “Dimmi un po’ …” sussurrò, accarezzandogli la mano sinistra. “Tu invece cos’hai scritto dentro?” ridacchiò, sfilandogli l’anello, dispettosa.

 

Quando lo lesse le fu impossibile rimanere seria.

 

“‘KINGrave?’ Sul serio?” scoppiò a ridere lei. “Ti prego, dimmi che non è un’idea mia, non posso essere stata una tale deficiente!” disse lei, fra le risate.

“No, no l’idea è mia, ma tu non la disapprovavi così tanto,” si difese lui, stavolta trovando il coraggio di tirarla a sé. “Del resto, ero il tuo Re.” le sussurrò all’orecchio, le mani scese a cingerle dolcemente i fianchi, i loro respiri così vicini da fondersi.

 

Jessica ebbe quasi un mancamento quando affrontò quei grandi occhi color cioccolato fondente che bruciavano di desiderio.
Avvertì di nuovo un calore al basso ventre. Avrebbe voluto solo annullare quella minima distanza fra i loro corpi, ma scelse di far vincere la sua indole diffidente.

 

“Abbassi la corona, sua Maestà… e non solo quella!” replicò, pungente lei, separandosi, avendo avvertito qualcosa di molto poco fraintendibile in quel loro contatto.

 

Kilgrave si limitò a guardare altrove, forse un po’ imbarazzato.
D’altronde Jessica poteva fargli solo quell’effetto.


“Vogliamo andare a vedere se sono arrivati i tuoi piatti?” sviò argomento lui e lei annuì.

“Kevin Kilgrave. KK. Ho davvero sposato un uomo che posso chiamare KeyKey?” riflettè li mentre tagliava il suo pollo.
“Oh beh, ha parlato JeyJey!” le sorrise, sembrava che niente potesse offenderlo “E poi te l’ho detto: Kevin, se proprio vuoi chiamarmi per nome”.
“E direi!! ci manca solo che ti chiami per cognome!” lo guardò stranita lei, godendosi le sue patatine.

“E poi...Kilgrave? Sei per caso un parente della Famiglia Addams? O di Hannibal the Cannibal?” lo prese in giro, a bocca piena.

Kevin ridacchiò.
“Suvvia, Jess. Hai sempre adorato il mio cognome” ribattè, fregandole una manciata di patatine.

Jessica arricciò il naso per entrambe le cose. “Ne dubito. Jessica Jones Kilgrave? Sul serio?”

“Zitta e mangia, criticona!”

Finito il pasto, Jessica e Kevin si fermarono un po’ nel soggiorno.
Se prima l’attenzione di Jessica era in ambito musicale, stavolta il suo sguardo si posò un po’ su tutte le foto che troneggiavano dalle mensole, sui televisori o incorniciate sui muri.

Fra le molte, ce n’era una di loro due a passeggio lungo il Westminster Bridge, una a Madrid, con Jessica che si copriva il volto per metà con un ventaglio tipico di quelle parti, una di loro due in un ristorante con vista sulla Tour Eiffel e una di quelle grandi, incorniciate, li ritraeva su quella che doveva essere una gondola, a Venezia, entrambi così sorridenti.

“Sei un genio del Photoshop o davvero tu ed io siamo stati in tutti questi posti?” gli chiese indicandole.


“Tra i tuoi poteri e soprattutto i miei, lo immagini da sola che per noi i soldi non sono affatto un problema e quindi, sì, ci siamo potuti permettere una vita molto agiata e potremmo ancora, se lo vorrai.” mormora lui, che le valigie le farebbe anche subito.
 

“Ci sono ancora così tante parti del mondo da visitare insieme, Jessica.”
 

“Prima di fare qualsiasi viaggio, è bene che io ritrovi me stessa.” rispose lei, un po’ malinconica.

A guardare quelle foto sembra che avessimo una vita da sogno… e allora perché sento che non è davvero così? C’è qualcosa che non mi sta dicendo? Eppure sembra così carino e ben disposto verso di me...

 

“Sono un po’ stanca,” gli disse, sbadigliando.

“Oh, è normale, i medici per primi ti hanno raccomandato molto riposo.” si premurò di accompagnarla nella loro stanza lui.

 

Dei due grandi guardaroba all’interno, Jessica ci mise poco a capire quale fosse il suo.

“Per prima cosa mi cambio e…” disse aprendolo, ma ci rimase malissimo guardandolo.


C’erano solo abiti da sera, da cocktail, tailleur sofisticati, tubini, pantaloni eleganti, camice con ricami e volant… e nient’altro.
Per non parlare delle scarpe.
La maggior parte delle cose erano in ogni possibile tonalità di viola.

 

“Ma che cazzo? Possibile che io non abbia niente di comodo?” sbottò lei.

“Beh, mia cara, hai sempre avuto un gusto ricercato in fatto di moda e…”

“Gusto ricercato un corno! Questi sono i vestiti delle Barbie, cazzo! Sono tutte cazzate!” lo interruppe lei, pescando un abito a caso, un tubino viola melanzana, smanicato, cosparso di glitter. “Io non c’entro niente con questa roba!” urlò, squarciandolo in due metà perfette con una facilità estrema.
Le sue due successive vittime furono due decoltè viola orchidea, tacco 12.

“Io non mi riconosco in niente di tutta questa merda!” diede sfogo alla sua frustrazione lei, spaccando il tacco.

“Jessica, Jess, calmati, ti prego!” la cercò di sedare Kevin, chiudendo l’armadio.

“Ti chiedo scusa, lo so che tu non c’entri niente, anzi, ti sembrerò una pazza senza controllo,” replicò lei, il tono più pacato.

Kilgrave avvertì una fitta all’altezza del cuore.
Che fosse un senso di colpa, che si fosse reso conto di aver esagerato?

“Tu non devi scusarti di niente amore, è colpa mia, semmai. I medici mi hanno caldamente consigliato di ridurre ogni tipo di stress.”

“Se è vero che mi vestivo così, ogni tanto lo farò ma ora.. non lo so, ho come la sensazione che mi sentirei più a mio agio in altri tipi di abiti, jeans, felpe, T-shirt poco impegnative.. cose così.” commentò lei. “Voglio dire, mi va bene anche fottutamente viola, purché sia una tuta!” lo fece ridere lei.


“Penseremo a tutto, Jess, per ora tu pensa solo a riposare,” le sorrise lui, aprendo il suo guardaroba. “E se vuoi stare comoda, ti puoi mettere questa. Vedi, non è nemmeno viola?” le strappò un sorriso, allungandole una camicia di seta blu e uscendo dalla stanza perché avesse la giusta privacy per cambiarsi.


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La cena stavolta incontrò i gusti della ragazza, la serata scorse abbastanza tranquilla, ma quando giunse il momento di coricarsi lei fece delle rimostranze.

“Io però non me la sento di dormire già con te, nello stesso letto…” borbottò la ragazza, prendendo la camicia blu di lui che aveva lasciato sul letto.


“E il dormire insieme in ospedale?” protestò lui.

 

“L’ospedale era l’ospedale. Una casa insieme è diverso. Non sto dicendo che io non apprezzi la tua compagnia, solo…”

 

“A piccole dosi.” finì la frase lui per lei, che lo stupì, accarezzandogli il viso con una tenerezza inaudita.


“Ma i miei baci, quelli li apprezzi?” le domandò Kilgrave, prima che Jessica lo tirasse a sé, separandosi, per evitare che le cose si scaldassero troppo fra loro.

“Sì, ma solo a piccole dosi.” ammiccò lei, pronta a dirigersi nella stanza degli ospiti. “Buonanotte, Kevin.”

Kevin tornò verso il letto, in procinto di cambiarsi, posando una mano sul lato dove lei aveva fatto il suo riposino pomeridiano.

“Buonanotte, Jessica.” mormorò sottovoce, prima che un pensiero si facesse strada nella sua mente.

Forse dovrei fare qualcosa...


TBC

ed ecco le loro fedi nel dettaglio ;)
fedine-personalizzate

alla prossima, sperando che continui ad intrigarvi
E&L

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