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Il cielo era sereno, velato dall’afa
leggera che avviluppava quella mattina di inizio agosto.
Il Castello di Cristallo era però
stranamente silenzioso, avvolto da un’atmosfera tetra e immobile.
Sotto alla grande arcata cristallina
era stato installato un altare, e svariate corone floreali diffondevano
nell’aria profumi dolciastri tipici dei funerali.
Cadance era morta.
Princess Mi Amore Cadenza, ex
foalsitter di Twilight Sparkle, adorata sovrana, moglie amatissima e madre
amabile.
Quando Princess Twilight lo aveva
saputo, era scoppiata in lacrime disperate, e una depressione nera le aveva
stretto il cuore.
Era passato appena un anno dalla sua
incoronazione come sovrana di Equestria, ma nulla all’epoca lasciava presagire
la fine di Cadance. Un incidente di volo. Una caduta spaventosa. La fine di
tutto.
Quel giorno, l’alicorno si era
svegliata alle sei, ed il primo pensiero che aveva avuto era stato il funerale
di lì a quattro ore.
Di nuovo, una violenta crisi di
pianto l’aveva sconvolta e aveva dovuto scendere nelle cucine e richiedere alle
domestiche una tisana rilassante per potersi calmare.
“Maestà, come vi sentite?” le
avevano domandato, sollecite.
“Un po’ meglio, grazie. Spike è già
sveglio?” aveva quindi domandato, con la voce ancora tremolante.
“Il vostro consigliere è sveglio, ma
è ancora chiuso nella sua stanza…”
“Bene. Andrò
a parlarci.”
Spike era seduto sopra uno sgabello
di velluto rosso, posto dinnanzi alla finestrona che dava sulla piazza
principale della Capitale di Cristallo.
Lui e la sorella avevano dormito nel
Castello di Cristallo, ospiti di Shining Armor, ridotto ad uno zombie e alle
prese con una figlia di quattro anni irrequieta ed ingestibile.
“Dov’è la mamma? Voglio la mamma!”
era stato lo straziante ritornello della piccola alicorno per tutti i tre
giorni nei quali Twilight aveva vegliato con Shining Armor.
Spiegarle cos’era successo a Cadance
non sarebbe stato semplice, così i suoi cari prendevano tempo e si preparavano
a dire addio per sempre alla loro
congiunta.
Il giorno prima del funerale erano
arrivati pure Night Light e Twilight Velvet, e avevano aiutato il figlio a
sostenere l’andirivieni di creature davanti alla bara di sua moglie, chi con
parole sussurrate di condoglianze, chi con mazzi di fiori, chi con piccole
sculture di cristallo a contenere candeline tremule.
L’unicorno bianco si sentiva ad un
passo dal tracollo, e se non ci fossero stati i fratelli ed i genitori
probabilmente sarebbe crollato definitivamente.
Flurry avvertiva la forte tensione
che permeava l’ambiente, talmente tanto da non riuscire a stare ferma un
attimo; correva da una stanza all’altra, invece di parlare gridava e aveva
scatti d’ira incontrollata, soprattutto perché nessuno le dava spiegazioni
convincenti sul perché la mamma non andasse a coccolarla.
Quanto a Spike, se ne stava ad
ammirare l’alba che piano piano veniva a svegliare la popolazione, ancora
incredulo per quanto era accaduto alla cognata.
“Spike…” lo aveva chiamato la
sorella, ed i due si erano abbracciati, come due naufraghi alla ricerca di zattere.
“Come sta Shining Armor?” era stata
la domanda del drago.
“Dorme ancora. Non ho il coraggio di
andare a svegliarlo, ha dormito pochissimo in questi giorni.”
“Che ore sono?”
Gli occhi dei due fratelli
guizzarono verso il ricco orologio a foglie d’oro che troneggiava sopra il
tavolo di fine cristallo azzurro. Segnava le sei e quaranta.
Entrambi temevano il momento in cui
le lancette avrebbero toccato le dieci, ma nessuno dei due osava dirlo ad alta
voce.
“Vieni a fare colazione?”
Il drago
annuì e lasciò mestamente la camera da letto per gli ospiti che gli era stata
assegnata.
Verso le otto arrivarono anche le
amiche di Twilight e Spike.
Vedendo i loro amici così provati,
decisero di dividersi alcuni compiti: Applejack spostò le corone di fiori dalla
camera ardente al piazzale esterno dove si sarebbe svolta la cerimonia funebre;
Rarity aveva portato per Twilight, Spike e Shining Armor alcuni abiti adatti al
triste evento; Fluttershy si offrì di cantare nel coro della funzione; Pinkie
prese in custodia Flurry Heart e Rainbow Dash ricevette gli intervenuti al
funerale, per poi accompagnarli in piazza.
Nonostante
il completo nero con cravatta vinaccia di Rarity, Shining Armor era ridotto in
uno stato pietoso, con spesse occhiaie e occhi ormai arrossati dal pianto
incessante, e uno stato di coscienza ottuso da una nuvola di ovatta. Forse era
meglio così, pensava Twilight, se poteva aiutarlo a sfuggire a quel dolore
opprimente.
Le dieci di mattina arrivarono in un
lampo.
Twilight aveva un lungo abito con
strascico, simile a quello con il quale era stata incoronata, solo nei toni del
nero, del bianco e del grigio.
Davanti al capo aveva una veletta
sostenuta dalla corona e una piccola rosa rossa.
Con gli zoccoli più pesanti del
piombo, Twilight si mosse verso il pubblico e attese che il coro scemasse per
iniziare a parlare:
“Grazie a voi tutti di essere qui quest’oggi.
Non è un giorno facile, Princess Mi Amore Cadenza ci ha lasciati, ed ha
lasciato un vuoto incolmabile nei nostri cuori. Ora, anche se è difficile,
vorrei che provassimo a ricordarci di lei quand’era viva e felice, e del fatto
che lei amava questo Impero e tutti i suoi abitanti.”
Mentre parlava, la mente di Twilight
galoppò lontana, sciolta nell’etere in maniera fluida, come se stesse guardando
se stessa da una prospettiva esterna. Era tutto vero? Cadance era davvero
deceduta o quello era solo un brutto sogno?
La cerimonia, com’era iniziata, così
terminò, velocemente, lasciando Twilight senza fiato. Erano intervenute pure le
principesse emerite e le loro voci commosse avevano aggiunto ulteriore dolore
al lutto dell’alicorno lilla.
Cadance sarebbe stata sepolta nella
cripta del Castello, così, quando il pubblico se ne andò e Twilight poté
finalmente rimanere da sola con i suoi pensieri, si piazzò davanti al loculo
dell’amata cognata e cominciò a piangere disperatamente, con gli zoccoli posti
come ad abbracciarla.
Shining
Armor e Spike non erano lì. Ognuno era perso nel suo dolore.
“Dov’è Twilight?” aveva chiesto
Applejack, la quale stava aiutando Rarity a pulire la stanza adibita a camera
ardente.
“Nella cripta. Vuole essere lasciata
sola.” aveva mormorato il principe dell’Impero.
Pinkie aveva in braccio sua figlia,
che piangeva disperata. Anche se a quattro anni non sapeva esattamente cosa
fosse la morte, aveva intuito che la mamma non sarebbe più tornata.
La pony rosa gliela passò e Shining
la cullò senza risultati.
Le Cutie Mark Crusaders erano sedute
vicino a Spike e Sweetie Belle gli teneva la zampa per dargli conforto.
“E’ ora di andare.” disse
semplicemente Rainbow Dash.
“Torneremo la settimana prossima.”
le fece eco Applejack.
Poco dopo,
Shining Armor si ritrovò solo nell’immenso Castello, solo con la sua famiglia
sconvolta dal lutto. La giornata era passata tra funerale, un pranzo veloce,
visite alla cripta e il calare inesorabile della sera.
Mentre le ragazze tornavano a casa
in treno, Rainbow Dash decise di aprire la conversazione con qualcosa che aveva
notato durante la cerimonia:
“C’era Lightning Dust. L’avete vista?”
Le amiche annuirono.
“Non era sola, se non sbaglio. Con
lei c’era una puledrina…” disse Rarity, con fare interrogativo, “… Ha una figlia?!”
“Per quanto Lightning Dust mamma
possa farmi rabbrividire, non me la sento di escludere quest’opzione.” le
rispose Rainbow.
“Non aveva un bell’aspetto…”
considerò Fluttershy.
“No, è vero anche questo… Io mi sono
avvicinata per parlarle e lei mi ha zittita dicendo che non era quello il
momento…”
Rainbow Dash covava un’intensa
rivalità per la sua ex compagna di corso Wonderbolt, ma non per questo
desiderava il suo male, anche se lei in passato si era comportata in maniera
assai poco etica.
“Credete che sia malata?” domandò
Applejack.
“Può essere… Una come lei però non
credo sia capace di ammettere una simile debolezza…” rispose ancora la
Wonderbolt, pensierosa.
Le ragazze discussero ancora a lungo
su Lightning Dust e sua figlia, mentre Pinkie semplicemente guardava fuori dal
finestrino e non partecipava. Aveva altro a cui pensare.
Il treno giunse quindi alla stazione
di Ponyville e ciascuna se ne tornò a casa propria.
Era stata una giornata pesante, e
tutti avevano solo voglia di chiudere gli occhi e non badare più a niente.
Due giorni dopo, finiti gli
allenamenti, Rainbow Dash si precipitò a Manehattan, dove sapeva viveva la sua
rivale.
Ci mise le consuete cinque ore ad
arrivare con il treno, e durante quel tempo infinito si mise a leggiucchiare il
nuovo libro di Daring Do, ma non riusciva a concentrarsi come di consueto, così
dopo qualche pagina decise di riporlo nella sua borsa e restare incollata al
finestrino, mentre gli alberi e le montagne di Ponyville lasciavano il posto ad
alte costruzioni moderne, grattacieli e l’indimenticabile Statua dell’Amicizia.
Una volta giunta alla Maneway
Station, Rainbow si ritrovò immersa in una bolgia immensa, tra pony con
l’inseparabile ventiquattrore, modelle alle prese con una fitta agenda e
colt-scout in gita estiva.
Stando alle sue conoscenze,
Lightning Dust viveva vicino a Bridleway, all’ultimissimo piano di un
grattacielo di ultima generazione. Tipico, da parte di chi aveva il volo nel
DNA.
La pony azzurra schiacciò il
pulsante accanto alla scritta “Dust” e dopo qualche incerto minuto una voce
gracchiante le rispose:
“Chi è?”
“Sono Rainbow Dash!”
Ci fu ancora una piccola pausa;
Lightning Dust stava probabilmente pensando se fare entrare o no la sua rivale
più agguerrita.
Nonostante tutto, la Wonderbolt udì
il *click* della porta d’ingresso che si sbloccava, così si fece coraggio e
volò fino al trentesimo piano, dove vide la pegaso dai capelli dorati già ad
attenderla sull’uscio del suo appartamento.
“Non ti arrendi facilmente, eh?” la
salutò quest’ultima, con un sorriso sarcastico che però parve a Rainbow Dash
come venato di… gratitudine?
La ragazza dai crini arcobaleno
entrò nel luminoso e ben arredato appartamento di Lightning Dust, guardandosi
attorno come a voler cercare indizi della condizione della sua proprietaria.
“Sei preoccupata per me, cara la mia
pony-spalla? Nonostante io sia tua
nemica?”
Rainbow Dash sospirò; era
maledettamente difficile far comprendere un concetto sfumato a Lightning Dust,
lei ragionava per estremi. Tuttavia, ci provò:
“Lightning Dust, io non ti considero
una nemica. Sei soltanto la mia più acerrima rivale, ma questo non significa
che ti lascerei sola nel momento del bisogno.”
L’altra alzò un sopracciglio con
fare indagatore:
“L’hai capito al funerale che ho
bisogno di aiuto?”
“Non solo io, anche le mie amiche.”
Lightning si lasciò scappare una
risatina amara, dopodiché si andò a sedere sul divano.
“Non vi sfugge niente… Ma devi
sapere che io non sono malata, né in pericolo di vita. Se così fosse stato non
mi avresti visto in quello stato pietoso, avrei accettato la mia sorte come
qualunque altra sfida. Ma questo… quello che mi è capitato… va al di là di ogni
mia immaginazione…”
Rainbow Dash, che era rimasta in
piedi, le fece cenno di continuare.
“… Sono una pessima padrona di casa.
Mettiti comoda, e prenditi pure una bibita dal frigorifero. C’è molto da
raccontare se avrai voglia di ascoltarmi…”
Rainbow era sempre più catturata da
quella situazione, non aveva mai visto Lightning Dust così sottotono, lei che
aveva sempre avuto la più grossa faccia tosta della terra, superiore
addirittura a quella di Discord per quanto la riguardava.
Così, per stemperare un po’ il
racconto, le due ragazze si versarono della spuma rossa nei bicchieri e la
Scartata cominciò a raccontare quanto aveva scoperto il giorno stesso della
morte di Cadance.
“La notizia della morte di Princess
Cadance è arrivata rapidamente in tutta Equestria. Io l’ho scoperto la sera
stessa, pare abbia avuto un crampo alle ali e non abbia fatto in tempo a
teletrasportarsi prima di schiantarsi. Un incidente subdolo, assurdo. Una morte
stupida.
Il giorno dopo mi ha suonato il
campanello l’ultimo pony che avrei voluto vedere: mio padre.
Non si fa mai vedere, non scrive mai,
non gliene importa nulla neppure di sua nipote, però ieri è salito fino a
questo pianerottolo, ha messo il sedere su questi cuscini e con tutta
tranquillità mi ha detto:
-Ieri è morta tua sorella.-”
Gli occhi dorati di Lightning Dust
si posarono seri su quelli attoniti di Rainbow Dash, dopodiché la pony prese un
altro sorso di bibita.
“Devi sapere che mio padre è sempre
stato un tipo inaffidabile, ha seminato in giro delle figlie di cui non si è
mai curato. Ne ha due più piccole, una che non ho più visto e un’altra peggio
del demonio. Quattro giorni fa ho scoperto di avere una sorella più grande di me, di
non averla mai conosciuta e che questa non era nient’altro che la sovrana
dell’Impero di Cristallo!”
Per poco la spuma non andò di
traverso a Rainbow.
“Ma come?! Da quello che ho capito
Cadance era un’orfana adottata dalle principesse!”
“E invece no, è figlia di mio padre
e di una poveretta che ha ingannato e lasciato. Questa tizia deve averla abbandonata o dev’essere morta anche lei, visto come sono andate le cose!”
“Ma io non riesco a capire… Perché
tuo padre non si è più fatto vivo con Cadance? Voglio dire, per quel poco che
ho potuto vedere lei non ha mai menzionato i suoi genitori. Era una
principessa, avrebbe potuto sfruttare la sua posizione di potere!”
Lightning la guardò trucemente.
“Oh, credi che non ci abbia pensato?
Mi ha raccontato di aver voluto provare a riallacciare i rapporti con lei
quando era ragazzina, ma non aveva voluto turbare il suo equilibrio. Balle,
dico io. Lui la voleva manipolare a suo favore, essendo lei la protetta di Princess Celestia, ma quest'ultima era molto attenta a mia sorella e non la
lasciava spesso da sola, così lui non ha nemmeno provato ad incontrarla,
perché ha capito che non avrebbe cavato un paraspirito dal buco, anzi, si
sarebbe pure messo in cattiva luce con la sovrana.”
“Whoa…” riuscì solo a dire Rainbow,
finendo la sua bevanda.
“Poco male, Wind Rider non ha avuto
bisogno di incontrare sua figlia primogenita per cadere in disgrazia…”
Il bicchiere scappò di ala a
Rainbow, che lo riacchiappò per un soffio, pochi centesimi di secondo prima che
ci fossero frammenti di vetro per il pavimento della sala.
“Co-come? Wind Rider?!”
“Sì… Se ho deciso di iscrivermi
all’Accademia Wonderbolt non è stato solamente per il mio spirito competitivo,
ma anche per attirare l’attenzione di mio padre, che era stato per l’appunto
una gloria di quell’istituzione. Lui e mia madre sono stati sposati per
diciassette anni, e si sono lasciati perché lui aspettava una figlia da
un’altra. Anche quando viveva ancora in famiglia era distratto, troppo preso da
se stesso per regalare qualcosa a qualcuno. A quanto pare, io sono veramente figlia sua… Egoista, incapace
di provare empatia, innamorata della mia spavalderia… Mia madre ci ha provato a
far andare avanti la baracca, ma anche lei doveva lavorare e il suo lavoro di
organizzatrice dei Giochi di Equestria le portava via molto tempo. Io mio padre
lo adoravo. Volevo essere come lui da grande, una gloria dei Wonderbolt. L’ho
fatto per lui, per dimostrargli il mio valore. Quando mi hanno buttata fuori
dall’Accademia ha scrollato le spalle e mi ha detto semplicemente che avrei
trovato la mia strada. Capisci? Avrei preferito che mi gridasse dietro, che
avesse una reazione di orgoglio ferito, che gli importasse qualcosa, insomma. Invece niente. E’ rimasto sereno non perché avesse fiducia in me e nel mio
futuro, ma perché non gliene fregava niente. Aveva i suoi viaggi, i suoi
autografi, le sue adorabili figliolette che avevano appena iniziato la scuola,
non c’era più posto nei suoi pensieri per una scarpa vecchia come me. Con il
passare degli anni e il disfacimento pure di quella nuova famiglia, mi sono arresa. Avrei potuto diventare l’imperatrice
di tutto il mondo, ma per Wind Rider non sarebbe cambiato niente. Lui è l'unico
idolo della sua vita, non persegue altro.”
Aveva parlato a fiume, Lightning
Dust e la bocca di Rainbow Dash si era un poco spalancata dall’incredulità:
aveva toccato con tutti e quattro gli zoccoli il carattere complicato della sua
ex compagna di corso, ma non immaginava che fosse figlia di Wind Rider,
nonostante le palesi somiglianze.
Tante, troppe domande le si
affastellavano nella mente, così chiese un bicchiere d’acqua e le pose quella
che riteneva più urgente:
“Chi sono le tue sorelle più
piccole?”
“La più grande si chiama Spur,
adesso ha quattordici anni. Vive con gli zii materni e suo cugino Biscuit.
Sua sorella minore ha tredici anni
ed è una statua di pietra. Si chiama Cozy
Glow.”
Questa volta il bicchiere andò
veramente in frantumi sul pavimento. Ma che razza di famiglia aveva Lightning Dust?
Se era solo per quello, anche la stessa Princess Cadance!
“Scusami per il bicchiere, ma quello
che mi stai dicendo ha dell’incredibile!”
“Lo so, è un vero schifo…”
“Ma perché Cozy si è staccata dalla
famiglia ed è andata in giro a fare disastri? Non poteva starsene con sua
sorella?”
L’ultima domanda Rainbow se l’era
posta più a se stessa che a Lightning Dust. Non poteva dimenticare ciò che
aveva combinato quel demone di puledra.
“Che vuoi che ti dica, Rainbow, la
seconda moglie di mio padre è una svitata ricoverata nell’Ospedale di
Ponyville. Molto probabilmente la figlia ha preso da lei.”
“Cosa?”
“Mio padre l’ha incontrata alla sua
cerimonia di ritiro dai Wonderbolt. Screwy, questo era il suo nome. Una sua fan
sfegatata. Una maestra nel fingersi ciò che non era, nel ricacciare indietro la
sua follia con pasticche e chissà quale altra diavoleria. Quando l’ho vista per
la prima volta sembrava una pony come tante altre, non immaginavo che
nascondesse delle turbe mentali. Mio padre mi ha detto che aveva delle crisi
spaventose, dove si comportava come un animale selvatico, prendeva a morsi le
tende e i cuscini e sbavava, era diventata progressivamente incapace di
prendersi cura di se stessa e delle bambine. Credo che sia nata da questo la
sua volontà di separarsi e portare le mie sorelle dal fratello di Screwy e da
sua moglie.”
“E poi?”
“Ancora non lo hai compreso il
ritornello? Le ha parcheggiate lì e chi si è visto si è visto, in questo caso
poi si stava parlando delle figlie di una malata di mente, e mio padre temeva
che potessero aver ereditato qualche tara, quindi figurati se aveva voglia di
tirarsi addosso quell’impiccio.”
Rainbow Dash abbassò la testa. Era
tutto così diverso dalla sua infanzia dorata, circondata dall’affetto dei suoi
genitori, a volte fin troppo presenti ma sempre solleciti e protettivi. La vita
di Lightning Dust era invece sempre stata caratterizzata dal contrasto con un
padre assente e disinteressato, un’ombra ingombrante. Ciò non la giustificava,
avrebbe potuto comportarsi diversamente, ma sicuramente gettava una luce
diversa sui suoi errori.
“Mamma…”
La porta che conduceva alle camere
da letto si spalancò e da essa comparve la stessa figuretta che le ragazze
avevano notato al funerale. La figlia di Lightning Dust.
Era una piccola pony di terra dal
piacevole manto color fiordaliso. I corti capelli lisci sfumavano dal biondo
oro scuro all’arancio al biondo paglierino.
Gli occhi, dolci e miti, erano color
sabbia.
“Thunderquake, tesoro, ti sei
svegliata?”
Rainbow Dash rimase colpita dalla
dolcezza con la quale si rivolgeva alla bambina.
“Quakey, ti voglio presentare
Rainbow Dash, una mia vecchia amica.”
La
Wonderbolt non ribatté all’affermazione errata di Lightning, anche perché le
sembrava di essersi avvicinata parecchio all’altra pegaso dopo tutte quelle
confessioni.
Mentre la piccola faceva colazione,
la Scartata si decise di raccontarle la sua storia:
“Siamo solo io e lei. Il padre di
Thunderquake è un mio fan, ma non gli ho detto niente di lei, né ho intenzione
di coinvolgerlo nella nostra vita.”
Lightning si fermò ad osservare il
volto di Dash.
“So a cosa stai pensando, ti si
legge in faccia. Penserai che sono uguale a mio padre e in questo ti posso pure
dare ragione, ma io non mi sognerei mai di staccarmi da mia figlia, la amo
troppo, è la parte buona di me.”
La pegaso azzurra guardò la piccola
mangiare con appetito. Sua madre continuò a parlare:
“Sai, Rainbow… Mi piacerebbe portare
Thunderquake dai suoi parenti… Vorrei che conoscesse suo zio e sua cugina.
Potresti avvisare Princess Twilight per me? La mia piccola ha quattro anni e
non vorrei che ripetesse la mia infanzia senza punti fissi e senza radici.
D’altronde, anche con mia madre i rapporti non sono buoni, tanto che sul
campanello tu hai letto Dust e non Harshwhinny. E’ un cognome che mi sono
inventata io quando sono andata a cambiarlo, per simboleggiare la mia volontà
di ridurre in polvere il passato.”
Ora Lightning appariva raggiante,
con un sorriso di sfida sulle labbra.
Rainbow Dash si strofinò il mento,
indecisa sul da farsi, ma poi promise.
Durante il tragitto a casa si sentì
come immersa in una bolla di sapone, i rumori del traffico le giungevano
ovattati e l’albero genealogico di Lightning Dust, più intricato delle radici
di una palma, le procurò un mal di testa martellante per tutto il viaggio in
treno.
Una foglia d’alloro dorata era
graziosamente posata sopra l’orecchio di Rainbow Dash.
I suoi capelli, solitamente
pettinati senza una forma precisa, erano stati acconciati in una morbida
trecciona, in grado di donare alla Wonderbolt un aspetto femminile e antico,
grazie anche al peplo di lino bianco che Rarity aveva cucito per lei, decorato
sul davanti con una spilla a forma del suo Cutie Mark, fermato sulla schiena da
un’altra foglia d’alloro e striato, sullo strascico, da tenui colori
arcobaleno.
La coda della pony era stata
pettinata a morbide onde e legata da due lunghe treccine.
Sulla testa della pegaso era posto
un velo delicato, ed agli zoccoli calzava sandali simili a quelli del dio
alato, Ermes.
Era fantastico quel look classico
sull’impulsiva Rainbow Dash, e Rarity poté dirsi incredibilmente soddisfatta
del risultato.
“Sei un incanto, lo sai?” le disse,
quasi commossa.
“Sì, mi piace. Questa volta ti sei
superata.”
Rarity le sorrise maliziosamente, ma
poi sospirò, mentre rimetteva a posto gli spilli nella sua scatolina da sarta.
“Uff… Chissà se mi sposerò anch’io…”
“Beh, quando troverai chi ti farà
battere il cuore, Rare!”
“Ma io l’ho già trovato!”
Gli occhi zaffirini di Rarity
guardavano quelli magenta di Dashie con aria innocente, come se ciò che aveva
appena detto fosse ovvio, scontato.
“Uhm… Scusami, Rare… Ma chi sarebbe
il fortunato?”
Era proprio quello il problema.
Rarity si mise a giocherellare con il puntaspilli.
“Qualcuno che non mi vuole,
purtroppo.”
“Ah, non è Spike…”
Ancora una volta, la sarta guardò la
futura sposa.
“Io e Spike ci siamo chiariti. Gli
ho detto che lo vedo come un fratello.”
“E lui?”
“Ci è rimasto male, ma che potevo
fare? Gli ho fatto perdere fin troppo tempo…”
Il discorso morì lì. Rarity uscì
dallo spogliatoio dei Wonderbolt dove Rainbow Dash era stata vestita e truccata
per il suo matrimonio con Spitfire e andò a sedersi sugli spalti assieme agli
altri. Non le aveva rivelato il nome del suo amato, e a lei non veniva in mente
nessuno. Rarity aveva avuto una passione forte e passeggera per Trenderhoof, il
famoso giornalista di viaggio, ma a parte quello e il suo appuntamento
disastroso con Blueblood ormai nove anni prima, non aveva mai dato segni di
vero innamoramento, quindi la Wonderbolt non aveva alcun indizio in merito.
Da lì a pochi minuti sarebbe uscita
da quello spogliatoio per raggiungere Spitfire accompagnata da suo padre nel
grande piazzale delle esibizioni.
Continuava a pensare a Lightning
Dust ed alla promessa che le aveva fatto, accettata da Twilight e da suo fratello.
Il suo cervello era rapidamente
passato da quello al percorso a ritroso fino al momento in cui aveva conosciuto
Spitfire, proprio durante il primo Gala a cui aveva partecipato. Le due
venivano entrambe da Cloudsdale e da piccole avevano gareggiato insieme, ma non
avevano iniziato a frequentarsi se non da adulte.
Mai avrebbe immaginato Rainbow di
innamorarsi proprio del suo capitano, men che meno di essere da lei ricambiata.
Inizialmente lei aveva una cotta per Soarin, ma questa era pian piano svaporata
per lasciar spazio ad un sentimento nuovo, diretto alla pony dalla chioma
fiammeggiante.
Lei e Spitfire si erano scoperte
complici e lo sguardo avvolgente della leader la faceva sentire a casa.
E ora era
lì, pronta a sposarla. Le cose si erano fatte incredibilmente serie tra di
loro.
Spitfire era nel piazzale ad
attenderla; era vestita con un abito a strati leggermente plissettati dai
colori caldi, simili a lingue di fuoco che si propagavano nell’ambiente
circostante, e allo stesso modo la gonna catturava gli sguardi dei presenti.
A Rainbow bastò vedere il sorriso
della sua futura sposa per tranquillizzarsi e venire investita da una carica
incredibile di energia.
La cerimonia venne celebrata dal
sindaco di Cloudsdale, e non appena fu terminata, ci fu la consegna dei regali.
Erano presenti anche Celestia e
Luna, le quali portarono alle due neo mogli un uovo posato sopra un panno
caldo.
L’uovo era arancio scuro, sembrava
quasi una pietra preziosa, con i suoi riflessi ambrati e la luce solare che si
specchiava sul guscio con il suo bagliore di topazio.
Rainbow rimase ad ammirarlo con la
bocca spalancata; Celestia le sorrise, contenta che il suo regalo le avesse
fatto quest’effetto:
“Io e mia sorella abbiamo sempre
viaggiato per Equestria e visitato gli orfanotrofi. Qualche volta abbiamo
portato anche Cadance con noi. E’ così che ho trovato l’uovo di Spike anni
addietro, ed è così che abbiamo trovato quest’uovo. Io e Luna siamo certe che
crescerete questo vostro figlio con tutta l’attenzione del mondo.”
Gli occhi di Rainbow brillavano. Un
figlio… Qualcuno che avrebbero cresciuto secondo i loro ideali, facendogli
amare la libertà e rendendolo la creatura più determinata e coraggiosa del
mondo.
Anche
Spitfire era toccata dal meraviglioso pensiero e attirò vicino la sua sposa.
La giornata proseguì tra fotografie
e banchetti, tra balli con i familiari e pignatte per i piccoli ospiti. Rainbow
Dash si sentiva felicissima, ed il suo sguardo seguitava a correre all’uovo che
le principesse le avevano donato e che era stato posto in una teca protettiva.
Era ormai pieno pomeriggio e la
pegaso azzurra stava sorseggiando una bibita dal banchetto ormai spolpato; era
un momento calmo della festa, dove gli ospiti ballavano a piccoli gruppi oppure
chiacchieravano comodamente seduti sulle seggiole.
Il suo sguardo era sempre rapito
dall’uovo, che oltre ad essere protetto dagli urti era stato anche incantato da
una magia riscaldante.
“E’ meraviglioso, vero?”
Spitfire le si era avvicinata,
guardando l’uovo con occhi amorevoli.
“Già… E dire che io non mi vedevo
proprio un tipo materno, invece non vedo l’ora che si schiuda…” le disse
Rainbow, con occhi sognanti.
“Scherzi? Io con i bambini sono
negata, e mi sa che questo piccoletto mi darà parecchio filo da torcere…” le
fece eco Spitfire.
“Chissà che cosa contiene e dopo
quanto si schiuderà…”
“Come lo chiameremo?”
“Fire
Rainbow?”
Le due spose si guardarono e si
misero a ridere dopo qualche secondo di silenzio.
Pensare al suo futuro figlioletto
aveva scatenato in Rainbow Dash un’altra immagine, concernente la piccola
Thunderquake. Di nuovo si fece malinconica, e le sue pupille si mossero per
tutto il campo visivo della festa, individuando tutti gli amici: Applejack
stava chiacchierando con Stormy Flare e Rarity; Fluttershy aveva fatto amicizia
con Thunderlane; Pinkie Pie sparava qualche colpo con i suoi cannoni a
coriandolo e Twilight la osservava divertita.
“Uhm… Rainbow?”
“Huh?”
“Tutto a posto?”
“Oh… Sì… Scusami…”
“Stai ancora ripensando a Lightning
Dust?”
Spitfire era molto acuta, e
conosceva sua moglie molto bene.
“Sì… Fra un paio di settimane lei e
sua figlia andranno nell’Impero di Cristallo a conoscere Shining Armor e Flurry
Heart… Ti confesso che sono un po’ nervosa…”
“E perché?”
“Beh… Ecco…”
“Non ti fidi di lei, vero? Posso
capirti, all’Accademia si è comportata piuttosto male, ma è stato tanto tempo
fa, ora è mamma e da quanto mi hai raccontato sembra pentita.”
Rainbow sospirò e le sorrise.
La giornata
così terminò e tutti andarono a letto felici dopo quella bellissima festa.
Quindici giorni più tardi, in una
soleggiata mattina di metà settembre, Lightning Dust e sua figlia arrivarono
nell’Impero di Cristallo, dove sarebbero state accolte da Shining Armor per un
paio di giorni nel Castello.
Il principe stava un pochino meglio
rispetto al mese prima, ma il suo volto era comunque scavato, aveva ancora un
po’ di occhiaie e la sua bella criniera era pettinata in modo irregolare.
La puledrina si guardava attorno con
i suoi occhioni color sabbia, divertendosi a vedere la sua immagine riflessa
nella miriade di cristalli presenti.
“Benvenute!” le accolse Shining,
scendendo dal trono, “Grazie di essere qui.”
“Il piacere è nostro!” gli rispose
la Washout, inchinandosi.
L’unicorno si avvicinò a
Thunderquake e questa si ritrasse, un poco intimidita. Così, Shining Armor si
abbassò al suo livello e le porse lo zoccolo.
“Ciao, Thunder. Sono lo zio.”
Davanti al sorriso rassicurante del
pony, la piccola si distese e posò il suo zoccolo su quello dello zio.
C’era una figuretta che li osservava
con occhi interrogatori dall’alto del trono.
“Flurry, vieni qui a conoscere la
zia e la tua cuginetta.” le propose il padre.
Anche la principessina era
guardinga, e anziché volare dal gruppetto preferì scendere i gradini uno ad
uno.
Quando fu di fronte alla cuginetta,
Flurry la studiò per un po’, fino a che la coetanea non la salutò.
Presa alla sprovvista, la piccola
alicorno sorrise e le rispose con calore.
Il ghiaccio era rotto, e le due
puledre si misero a correre per il grande salone principale, sotto lo sguardo
vigile dei genitori.
“Mi dispiace per tutto quello che è
successo.” disse Lightning, quando le bambine furono sufficientemente lontane.
Shining Armor s’incupì.
“Spiace anche a me che tu abbia
dovuto scoprire la verità in questo modo.”
I due pony erano stati colpiti
duramente dal dolore, ma ora avrebbero potuto condividerlo.
“Sono felice che siate qui.” disse
quindi il principe, scuotendosi di dosso la tristezza.
“Sì…” gli fece eco Lightning, “…
Anche noi.”
Ed era la
verità.
Nel frattempo, a Canterlot, le
ragazze si erano riunite nel Castello di Twilight.
“Secondo voi come sta procedendo
l’incontro?” domandò Applejack.
“Ho preferito non interferire, è
giusto che si conoscano senza pressioni.” disse la principessa.
Rainbow Dash era la più nervosa; si
sarebbe sentita responsabile se le cose fossero andate a rotoli.
“Credete che finiranno per innamorarsi?” irruppe quindi Pinkie.
Tutti si voltarono verso di lei.
“Ma sì, ragazzi, pensateci… lei è
una mamma sola e lui un padre solo. Hanno in comune lo stesso lutto.”
“Pinkie… E’ passato solo un mese
dalla morte di Cadance…” le disse Twilight, chiaramente a disagio.
“Io non credo che tu debba
preoccuparti di questo…” tentò di rassicurarla Spike.
“Perché questa cosa ti preoccupa?”
s’incuriosì Fluttershy.
La pony rosa guardò l’amica cercando
di imitare una poker face, e la pegaso gialla non seppe come interpretare
l’improvviso irrigidimento della pasticcera.
“Ad ogni modo, la cosa importante
ora è che si conoscano e facciano amicizia. Non saltiamo a conclusioni
balzane.”
Rarity toccò leggermente la spalla
di Pinkie per rinfrancarla, ma la pony di terra continuava a sentirsi inquieta.
C’era un segreto che si agitava
dentro di lei, ma non l’avrebbe rivelato neppure sotto tortura.
Lightning Dust, per conciliare il suo lavoro
come organizzatrice dei Washout e la sua famiglia ritrovata, decise di andare
in visita di Shining Armor e Flurry Heart ogni due settimane, e di approfittare
di quei momenti anche per incontrarsi con Rainbow Dash e le altre.
La diffidenza che la pegaso azzurra provava per
lei era andata via via dissolvendosi, lasciando spazio alla sorpresa di una
Lightning Dust completamente nuova, senza più la boria dannosa che l’aveva
caratterizzata anni prima.
La sua presenza aveva aiutato Shining Armor a
risollevarsi un minimo. Ormai erano giunti a dicembre ed i segni del lutto
erano ancora ben visibili, ma ora il principe si ricordava di pettinarsi, di
farsi la barba e di alimentarsi correttamente, cosa che nelle settimane
successive alla sepoltura di Cadance spesso e volentieri si scordava di fare, e
non gliene importava nemmeno troppo.
Anche Flurry amava stare in compagnia della zia;
Lightning la aiutava a perfezionare il volo e mentre le due svolazzavano nelle
ampie sale del Castello di Cristallo, Thunderquake le seguiva correndo a più
non posso.
Twilight e Spike erano contenti di vedere il
fratello così rinfrancato, e ciò aveva giovato anche a loro, provati com’erano
da quell’immenso dolore.
Il resto dei familiari e degli amici avevano
accolto con grazia la famiglia allargata di Cadance, e commentavano
positivamente sul suo ascendente benefico, ma c’era chi era scontento.
Pinkamena Diane Pie era rimasta fedele
all’impressione che aveva avuto tre mesi prima, e cioè che Lightning Dust fosse
un pericolo per lei.
Lei, la prima a fare amicizia, a regalare gioia
e festa.
Pinkie non aveva più pensato alle azioni
sconsiderate dell’ex compare di Dashie, non erano quelle a turbare la sua
quiete; lei aveva paura delle… conseguenze.
Lightning era un’intrusa, qualcosa venuto a
squilibrare la bilancia.
Pinkie non voleva dare un nome a quello che
sentiva, non era giusto nei confronti di Twilight, di Flurry. Di Cadance.
Aveva raddoppiato il suo carico di lavoro,
cucinava torte e pasticcini a ritmo di fabbrica e più volte dovette far
aggiustare il forno o comprare utensili nuovi perché i suoi stavano diventando
logori a furia di utilizzi smodati.
Mrs. Cake era preoccupata per la sua
collaboratrice, non la vedeva alzare gli occhi dall’impasto e sorrideva
raramente, cosa atrocemente inusuale per l’Elemento della Risata in pony. Alle
sue domande la giumenta rosa rispondeva con rassicurazioni fittizie che non
valevano molto.
Un pomeriggio, mentre era da sola a mescolare
crema pasticcera in negozio, due grosse lacrime erano cadute nella ciotola,
sorprendendo la pony riccia.
Il sentimento che aveva a lungo trattenuto stava
traboccando, come un vaso troppo colmo d’acqua.
Si asciugò gli occhi proprio mentre Mrs. Cake
stava rientrando.
“Tutto ok, cara?” le domandò, con fare materno.
“Oh, sì… Sciogliere i grumi della crema mi sta
facendo sudare!”
La pony azzurra la guardò con aria incredula;
era quasi inverno e non faceva certo abbastanza caldo da giustificare una
sudata.
“Ok… Se hai bisogno sai dove trovarmi…” le disse
Cup Cake, riferendosi non di sicuro alla crema pasticcera, che Pinkie sapeva
fare ad occhi bendati.
Detto ciò, la signora ordinò ai suoi gemelli,
che avevano otto anni ed erano appena tornati da scuola, di salire in camera a
fare i compiti. I due puledrini salutarono Pinkie e salirono al piano superiore
come delle schegge, lasciando la ragazza immersa nei suoi dispiaceri.
Contrariamente alle previsioni catastrofiche di
Pinkie Pie, Lightning Dust non aveva intenzione di distruggere l’equilibrio tra
Shining Armor e sua figlia: quando si trovava a casa di questi ultimi si
sentiva a suo agio, come se fosse stata Cadance a condurla lì, pur non avendola
mai conosciuta. La pegaso vedeva il principe come un fratello acquisito e
adorava Flurry Heart. Le emozioni che provava con la sua famiglia non erano
paragonabili a quelle dell’adrenalina a cui era abituata, e la facevano sentire
viva.
Lightning voleva fare in modo che la sua piccola
crescesse assieme alla cuginetta, ed era felice di constatare che le due
andavano d’amore e d’accordo.
Ogni volta che doveva prepararsi per andare dai
parenti si sentiva rilassata, in pace con se stessa, lei che aveva sempre
sfidato il mondo intero.
La calma di Shining Armor era un balsamo per il
suo cuore irrequieto, e vedere Flurry giocare ad acchiapparella con Thunder era
per lei un piacere irrinunciabile.
La Washout non sapeva ancora che la Festa
dell’Amicizia di quell’anno le avrebbe fatto riflettere su un’altra emozione
che stava prendendo piede nel suo animo, qualcosa che non aveva mai provato per
nessuno.
Il padre di sua figlia Thunderquake era un
signor qualunque, un fan sfegatato dei Washout con il quale si era divertita e
del quale non rammentava neppure il nome. Per lei non era importante, all’epoca
era una pony egoista e piena di sé, e vedeva gli altri come meri strumenti di
gratificazione.
Quell’anno, alla Festa dell’Amicizia organizzata
da Twilight nel suo Castello avrebbero partecipato anche Lightning Dust e sua
figlia, oltre a Shining Armor e Flurry Heart.
La pegaso turchese aveva indossato un lungo
abito di satin celeste, mentre Thunder un grazioso abitino rosso.
Fuori nevicava, così all’ingresso del Castello
erano stati disposti appendiabiti per cappotti e sciarpe, custoditi dal
personale della principessa.
Madre e figlia erano arrivate alla festa attorno
alle nove di sera e il salone era già gremito. In lontananza si vedevano le
amiche di Twilight e Spike intento a parlare con le Cutie Mark Crusaders.
La Principessa dell’Amicizia aveva raccolto i capelli
in un’acconciatura elaborata, ed aveva indossato un abito di velluto viola
incrostato di tanti piccoli diamanti, cortesia di Rarity.
Era semplicemente magnifica, e in quel momento
Lightning Dust capì.
Era accaduto l’impensabile.
Se nell’Impero di Cristallo si sentiva a casa,
nel Castello di Canterlot si sentiva travolta da sensazioni sconosciute.
Non era mai stata innamorata di qualcuno che non
fosse se stessa oppure un trofeo.
E invece Twilight l’aveva accolta, aveva
rispettato i suoi tempi e i suoi spazi, e lei aveva fatto lo stesso, con una
naturalezza che non credeva le appartenesse.
Vedere Princess Twilight così radiosa le aveva
fatto provare un brivido.
Era l’amore,
un sentimento che era cresciuto in quei mesi senza quasi farsi notare, e come
tale doveva rimanere, non poteva certo permettersi di renderlo manifesto alla
sovrana di tutta Equestria.
“Ma perché
stanno sempre appiccicati?”
“Huh? Di chi stai parlando, Pinkie?”
Apple Bloom stava gustando l’ottimo succo di
mela alla cannella portato dalla sorella, e non capiva perché la giumenta
altrimenti festaiola fosse sul punto di sbranare qualcuno.
Gli occhi azzurri della pasticcera erano puntati
su Lightning Dust e Shining Armor, i quali chiacchieravano animatamente e
ridevano, complici.
“Ora ci penso io.”
A grandi passi, Pinkie fece oscillare la sua
grande gonna fucsia, e le Cutie Mark Crusaders rimasero a guardarsi senza
sapere come commentare quel comportamento anomalo.
Si avvicinò a Lightning e Shining, annunciandosi
con una risatina forzata:
“Bella serata, vero?”
“Sì, stupenda…”
A Pinkie parve di avere le traveggole: perché
gli occhi della pegaso brillavano? Aveva forse ragione lei?
“Bell’abito.”
Il complimento veniva dal fratello di Twilight.
Pinkie arrossì di colpo.
“Gra-Grazie.”
I due restarono a guardarla senza più parlare.
La pony rosa si sentiva in imbarazzo, così inventò una scusa e si defilò.
Nascosta dal resto della folla, poté vedere quei
due continuare a ridere e scherzare come se fossero loro due soltanto. Quel
pensiero le fece male.
Trascinando un poco gli zoccoli sul pavimento,
Pinkie chiese a Vinyl se poteva cantare una canzone sul palco, e la dj
acconsentì.
Quando la gente vide la giumenta rosa davanti al
microfono, ci fu un mormorio generale; c’era chi rammentava molto bene il suo
modo scomposto di cantare al Gala di dieci anni prima…
Ad ogni modo, le luci puntarono tutte su di lei
e intorno si fece silenzio. La cassa toracica della ragazza si riempì fino in
fondo:
“Quando il
mondo scintilla
Di felicità
La risata
zampilla
Il tuo sogno
si avvererà”
In quel momento, Pinkie sapeva cosa avrebbe
fatto, come avrebbe cantato.
“Ogni fiocco
di neve è un desiderio
Ogni bimbo
felice è gioia per me
Nessuno deve
restar serio
La tristezza
è demodé!”
La canzone della felicità procedeva a ritmo di
swing e tutti in sala si erano messi a ballare.
“Voglio
ridere con voi
Voglio stare
assieme a voi
Voglio
cantare una canzone che
Sia leggera
e un po’ cliché”
Pinkie alzò il volume al massimo:
“CANTATE
INSIEME A ME
LA CANZONE
DI CHI E’ FELICE
BALLATE
ASSIEME A ME
VEDRETE CHE
E’ FACILE!”
D’improvviso, la pony smise di ballare e
sorridere, ed abbassò il capo:
“Cantate
voi, che potete
Abbracciare
coloro che amate
Ballate voi,
che avete
Speranze
appassionate”
Il repentino cambio di tono non passò
inosservato neppure a Twilight, che cercò con lo sguardo le altre amiche.
Pinkie, nel frattempo, si era lanciata di peso
in un’accorata confessione amorosa:
“Ha i crini
blu come il mare
Il manto
chiaro come la neve
E’ un amore
che dovrò abbandonare
Come un
macigno è lieve
E io so,
ormai so
Che lui
un’altra sempre amò
Angelo
perduto nella vita sua
E mi
racconterò l’ennesima bugia.”
La musica scemò e tutti, Vinyl Scratch compresa,
guardarono Pinkie senza muovere un muscolo, o dire una parola.
Quella canzone, iniziata allegra e virata in una
cocente tristezza, non era di certo la scelta migliore per la serata.
La giumenta rosa scese dal palco e si diresse
verso l’ingresso del Castello, incurante della voce di Rainbow Dash che la
chiamava insistentemente. Sperava che non la fermasse nessuno, e per fortuna
così fu.
Pinkie non se n’era accorta, ma la sua canzone
aveva smosso gli animi dei suoi amici: Applejack era impalata in mezzo alla
sala; Rarity appariva accigliata; Fluttershy aveva ballato tutto il tempo con
Thunderlane e Spike era sparito in bagno.
Durante la pausa musicale per il rinfresco,
Rainbow Dash e Spitfire si avvicinarono al gruppo di amiche.
“Uhm… Qualcuno mi sa dire perché Pinkie Pie è
scappata via come una ladra?” domandò Rainbow.
“Non lo so, avrà detto due parole in tutta la
serata…” le rispose Scootaloo.
“Peccato, avrei voluto mostrarle la foto di
Blaze…”
Con orgoglio, la pegaso fece vedere a tutte
l’immagine del cucciolo di grifone che era nato dall’uovo di Celestia e Luna.
Aveva un mese, era un maschietto dal piumaggio blu scuro leggermente sfumato di
viola, con qualche pennetta sulla testa che virava al viola e al rosso.
Il becco e le zampe anteriori erano rosso
intenso, e il ventre turchese chiaro. Le ali e il ciuffo leonino della coda
erano verde chiaro. Possedeva colori vivacissimi, poco comuni per un grifone.
Gli occhi erano a metà strada fra l’arancio e il
castano, una tinta molto simile a quella di Spitfire.
“E’ un amore!” esclamò Rarity.
“Sembra quasi vostro figlio biologico con quei
colori e quegli occhi…” constatò Apple Bloom.
Dopo aver parlato un po’ di Blaze, rimasto a
casa con la madre di Spitfire, Rarity si mise a setacciare la folla, voltando
la testa a destra e sinistra.
“Ragazze, scusatemi, sapete dov’è mia sorella?”
“E’ andata in bagno a vedere se Spike ha
bisogno, è via da mezz’ora ormai.” rispose Scootaloo.
Spike era chiuso nel bagno dei maschi.
Non aveva alcuna voglia di uscire, ciò che aveva
visto durante la canzone di Pinkie lo aveva fatto stare troppo male.
E dire che era stato avvertito, ma lui aveva
voluto continuare a sperare come uno sciocco.
Rarity aveva baciato
Applejack.
Cosa poteva esserci di peggio del sapere di non
avere speranze con la pony dei propri sogni? Vederla baciare qualcun altro,
bonus se quest’altro era qualcuno di conosciuto.
Uno zoccolo battuto ripetutamente sulla porta lo
ridestò dai suoi cupi pensieri.
“Spike? Tutto bene?”
Era la voce di Sweetie Belle.
“Cosa fai nel bagno dei maschi?”
“Sono venuta a vedere come stavi, non tornavi
più…”
“E non torno neanche adesso, se è per questo.”
“Spike, cosa succede?”
Ci mancava solo di avere la pietà della sorella
di Rarity. L’amor proprio di Spike ebbe un rigurgito rabbioso.
“Niente,
Sweetie Belle. Torna di là a divertirti con le altre.”
Lo aveva detto con un tono indisponente, come se
considerasse il gruppo un’accozzaglia di ochette buone solo a far festa.
L’unica cosa che udì fu quattro zoccoli che si allontanavano e una porta
sbattuta. Il drago sospirò, sollevato. Era di nuovo solo.
Le cose non stavano proprio come Spike aveva
pronosticato. Applejack non bruciava di amore per Rarity, anzi, era parecchio
confusa.
Cos’era capitato alla sua amica durante quella
festa? Aveva bevuto troppo? Si era lasciata trasportare dalla canzone di
Pinkie?
Le sue labbra si erano posate su quelle della
pony di terra e quest’ultima non aveva fatto neppure in tempo a domandarsi se
voleva rispondere oppure no, perché la sarta si era staccata subito.
Rarity aveva captato le incertezze dell’amica
d’infanzia e si era allontanata un po’ delusa, ma speranzosa di aver lasciato
il segno.
Aveva raggiunto Shining Armor e Lightning Dust,
ed aveva scoperto negli occhi cerulei del principe un’espressione simile alla
sua.
Forse anche lui si stava chiedendo cosa stesse
passando Pinkie Pie, e perché non fosse felice la sera della Festa
dell’Amicizia.
Per fortuna i bambini giocavano spensierati, e
anche quando scoccò la mezzanotte la stanchezza non li aveva ancora ghermiti. I
gemelli Cake organizzavano piccole gare assieme a Thunderquake e Flurry Heart,
e le due amichette del cuore lanciavano gridolini di gioia.
Rarity sorrise guardandole: quanto era bella la
loro età!
Capitolo 5 *** Insidie e soddisfazioni nella giornata dell'amore ***
Per la Festa dei Cuori e degli
Zoccoli, Rainbow Dash e Spitfire si erano fatte un meraviglioso regalo: un
altro uovo, reperito in un orfanotrofio a Hill Top, un angolo sperduto ai
confini di Equestria.
La loro famiglia si stava
allargando, e la loro felicità matrimoniale suscitava ammirazione e invidia, in
alcuni casi piuttosto negativa.
Spike, ad esempio, era ancora
amareggiato per il fatto di aver atteso anni inutilmente; Rarity non lo voleva,
era presa da Applejack e dopo undici lune il drago aveva gettato la spugna. Non sarebbe accaduto, era da pazzi
continuare a sperare nel miracolo.
Il 14 febbraio Spike lo stava
passando nel Castello di Cristallo, assieme a suo fratello Shining Armor, a sua
nipote Flurry, a Fluttershy e Thunderlane, i quali, tra la festa di Capodanno e
quella degli innamorati, si erano fidanzati, sorprendendo tutti.
Spike era contento di avere tante
persone a lui care attorno, ma il suo umore era comunque funereo. Tuttavia, si
sforzava di sorridere, anche perché Shining Armor era quello che soffriva più
di tutti in quell’occasione, che gli ricordava dolorosamente di essere un
vedovo.
Mentre gli amici mangiavano i
cioccolatini a forma di cuore che aveva preparato e spedito Pinkie Pie,
l’unicorno bianco si accostò a suo fratello, che giocherellava con le briciole
di cioccolata con un'espressione torva in viso.
“Spike, non dirmi che stai pensando
di nuovo a Rarity!” esclamò, facendolo sussultare.
Il drago viola smise di schiacciare
con gli artigli i pezzi di cioccolato e lo guardò intensamente.
“Capisco che tu stia soffrendo, ma
sono passati undici anni…” gli disse Shining, con tono dolce.
Vedere negli altri, anche i più
cari, la pietà riflessa negli sguardi e nei gesti gli faceva salire il sangue
al cervello.
“Non posso farci niente. Lei
continua a piacermi.”
“Lei è interessata ad Applejack.”
“Sì, ma ad Applejack non importa.”
“Ad ogni modo, è meglio se ti guardi
intorno. Hai appena ventun anni, mica sei un vecchietto!”
Shining aveva concluso quel discorso
con una risata per stemperare gli umori, ma Spike era nero. Come si permetteva
di fargli la predica?
Ma suo fratello non aveva mica
finito. Stava semplicemente per dargli la stoccata finale.
“Non hai visto Sweetie Belle come ti
guarda? Ti mangia letteralmente con gli occhi.” aggiunse infatti.
Quelle parole irritarono il drago.
“E
allora?”
Gli occhi cerulei del principe
rimasero sbalorditi.
“Come sarebbe? E’ una tua amica,
no?” gli rispose quindi, colpito dalla freddezza del fratello minore.
“Appunto, un’amica. Non c’è
nient’altro per me, e non ho intenzione di fare chiodo scaccia chiodo con lei
per dimenticarmi della sorella. Non sarebbe giusto.”
“Perché sei così cinico? Nessuno ti
obbliga a stare con Sweetie Belle, stavo solo dicendo che c’è chi apprezza la
tua compagnia, e per questo non c’è bisogno che tu vada dietro a chi non ti vede!”
Gli animi si stavano scaldando.
Fluttershy e Thunderlane preferirono non intervenire tra i due fratelli, non
subito, quantomeno.
“Si dà il caso, Shining Armor, che
non si possa fingere un sentimento! Io con Sweetie Belle non saprei neppure di
cosa parlare.”
“Perché con Rarity sì, invece!”
“Io e lei condividiamo la passione
per le gemme.”
“Mh-mh. Interessante. E poi? Parlate
solo di gemme? Oppure il resto del tempo lo trascorrete per negozi con lei che
spende e spande e tu che le porti i pacchetti a mo’ di carrello?”
“Ma di cosa t’impicci, si può
sapere? Non te n’è mai importato nulla della mia storia con Rarity, perché mi
fai tutte queste domande?”
“Non ti ho mai detto nulla perché
non amo farmi gli affari degli altri, ma adesso basta. Sono tuo fratello e mi
preoccupo. Anche Twilight è preoccupata. La tua è un’ossessione, non sei veramente innamorato di lei, altrimenti
la lasceresti andare.”
“Oh, vedo che tu e Twilight avete
fatto comunella contro di me! Mi avete sempre deriso per questo sentimento!”
“Spike, finché avevi dodici anni la
tua cotta per Rarity ci sembrava adorabile, e con l’arrivo dell’adolescenza
abbiamo aspettato che ti passasse, ma ormai sei adulto, non puoi continuare
così. Sei rimasto fermo a un decennio fa!”
“Forse io sono in grado di amare per
tempi molto lunghi.”
Shining Armor era esasperato:
“Spike, il vero amore necessita di
due parti con gli stessi sentimenti e la stessa intensità. Nel tuo caso è a
senso unico, fortemente sbilanciato dalla tua parte. E’ come voler fare una
torta senza la farina, o senza il forno; non verrà mai completa. Prima lo
capisci e meglio è.”
Sentendo quell’appiglio alla
pasticceria, il drago contrattaccò con malizia:
“Mi parli di dolci ora? Curioso, mi
viene in mente la canzone di Pinkie Pie a Capodanno. Sicuro di non essere tu il
pony bianco con i crini color del mare?”
Shining Armor incassò il colpo, ma
non si scompose.
“Se anche fosse, io non le ho dato
alcuna speranza.”
“E poi sarei io il cinico!”
Spike aveva picchiato il pugno sulla
tavola, e a quel punto Fluttershy si alzò dal suo posto e si avvicinò ai due
litiganti, seguita da Thunderlane.
“Basta, tutti e due. Questa è una
giornata dedicata all’amore, in tutti i sensi. Anche tra fratelli.”
Le parole della pegaso gialla fecero
ammutolire entrambi.
“Questi cioccolatini li ha preparati
Pinkie Pie. Cosa rappresentano per voi?” domandò Thunderlane con garbo al
principe.
Il fratello di Spike e Twilight
guardò i simpatici cuoricini di puro cioccolato al latte, tutti con ripieni
differenti, da quelli semplici a quelli aromatizzati allo zucchero rosa, per
poi passare a quelli arricchiti con miele.
Shining Armor poteva sentire l’amore
che Pinkie Pie nutriva per tutte le creature fluire attraverso quei dolcetti,
poteva annusarlo, gustarlo, toccarlo, vederlo.
Tuttavia… Se davvero la canzone di
Capodanno riguardava lui, allora anche lei era senza speranza come suo
fratello. Nel suo cuore ci sarebbe stato posto unicamente per Cadance, e il
pensiero di non averla più lì, a festeggiare con lui e la figlia di quasi
cinque anni, lo faceva stare malissimo.
Con una scusa, si alzò da tavola e
andò nella stanza di Flurry. Era pomeriggio e la piccola si era addormentata
dopo pranzo.
Non aveva
risposto alla domanda di Thunderlane.
Dopo qualche minuto, la piccola
Flurry Heart fece capolino dal grande portone che dava sui corridoi privati del
Castello; era riposata e pronta a giocare.
Si era seduta tra Fluttershy e
Thunderlane.
“Vi sposerete presto?” domandò loro,
addentando un cioccolatino.
La faccia di Fluttershy si fece
rossa come un pomodoro, mentre Thunderlane prese a sudare.
“Beh… Un giorno, sì.” le rispose il
ragazzo, con un sorriso imbarazzato.
“Signorina!
Non far scappare i nostri ospiti!” disse Shining Armor, prendendola in braccio
con fare scherzoso. La piccola rise ed anche il padre parve rinfrancato dalla
scenata di mezz’ora prima.
“Sei sicura di quello che fai,
Lightning Dust?” domandò Rarity.
La sarta aveva scoperto, suo
malgrado, che i Washout avevano aperto una escape room a Manehattan, un locale
che andava molto e che la pegaso turchese aveva consigliato di visitare il
giorno degli innamorati, assieme “ad una certa cowgirl bionda”.
Lightning Dust, infatti, aveva
raccolto le confidenze di Rarity in quei mesi, e sapeva del suo amore confuso e
tormentato per Applejack, così aveva deciso di chiuderle insieme in una stanza
a cooperare.
“Avete già visitato una escape room
in passato, no?” aveva domandato la Washout.
“Sì, ma…”
“Perfetto. Però attente, le nostre
sono… particolari.”
Lightning aveva ridacchiato e a
Rarity era tornata in mente l’aspirante Wonderbolt che l’aveva quasi fatta
schiantare al suolo.
La sarta aveva riso nervosamente; ne
sarebbe valsa la pena?
A giudicare dall’andamento della
fuga, no.
Applejack si stava innervosendo con
una sorta di sezione platform, la quale andava saltata via, tra ingranaggi
rotanti e suoni di orologi a cucù. Rarity, che aveva rischiato di strapparsi i
riccioli acconciati con ancora più cura per l’occasione, si stava pentendo
profondamente di quell’idea balzana, e le stava venendo da piangere.
“Allora, Rarity? Quanto tempo ti ci
vuole ancora? E’ da più di venti minuti che siamo ferme qui, e non siamo
neppure a un terzo del percorso!”
Più che una escape room, avrebbero
scoperto le ragazze, era un vero e proprio dungeon da percorrere.
Stringendo i denti, Rarity provò a
farsi levitare e così le due superarono le piattaforme, giungendo alla seconda
stanza.
Dentro di essa, c’erano degli enormi
sarcofaghi, con sopra dipinti gli scheletri delle mummie che contenevano.
“Ugh. Pessimo gusto…” commentò
Applejack, e Rarity annuì vigorosamente.
Mentre camminavano, una delle mummie
animatroniche iniziò a parlare:
“Se
non indovinate, cadrete all’interno del pavimento.”
Lightning Dust aveva avvertito
Rarity di come gli indovinelli venissero modificati in base alla clientela,
motivo per cui andava compilato un modulo segreto da consegnare al momento
dell’iscrizione, che doveva avvenire almeno due settimane prima.
“Uh… Ok.” rispose Applejack,
perplessa.
L’enorme mascella della creatura si
distese e i suoi occhi verdi fissarono le visitatrici.
“Che
cosa prova Sweetie Belle per Spike?”
La domanda prese entrambe alla
sprovvista.
“Err… Amicizia, credo…” provò Applejack.
Una delle piastrelle del pavimento
crollò, ma la giumenta arancione fu sufficientemente rapida da scansarsi e non
cadere di sotto.
“Risposta
sbagliata.”
Rarity fissò la statua,
interrogandosi sulla sua stessa sorellina.
“E’ innamorata.” rispose, sicura.
La statua sorrise.
“Risposta
corretta.”
Applejack si rimise sugli zoccoli, e
le due poterono avanzare. Mancavano ancora due indovinelli.
La seconda statua, dai capelli di
serpente, pose loro il secondo quesito:
“E’
vero che Applejack non è innamorata di nessuno?”
Rarity si stava già deprimendo,
quando la giumenta arancio squillò decisa:
“No, è falso.”
La statua serpentina sorrise.
“Risposta
corretta.”
La sarta era rimasta sorpresa, e nel
suo cuore si fece largo un raggio di sole, un fascio di speranza.
L’ultima statua aveva la faccia
caprina e gli occhi stretti in una fessura.
“Quando
ha incominciato Rarity ad innamorarsi di Applejack?”
Maledizione, Lightning Dust. Aveva
giocato un brutto tiro alla sarta.
La cowgirl la osservava confusa.
Molto confusa. Neppure nel reame di Discord c’era tanta confusione quanto
quella che leggeva negli occhi smeraldini della pony di terra.
Non era bastato il bacio di
Capodanno, Applejack non aveva capito.
Non ci aveva mai pensato,
innamorarsi di un’amica d’infanzia le pareva fuori discussione, e invece…
Nonostante ciò, Applejack fece un
respiro profondo e tentò:
“Un anno fa.”
Niente, dovette scansare nuovamente
una piastrella cadente.
“Due anni fa.”
Cadde un’ulteriore piastrella.
“Acc!”
“Hai
ancora tre tentativi.” la avvertì
la statua.
La giumenta delle mele si voltò ad
osservare Rarity: era bella, aveva gli occhi tristi, in attesa di qualcosa che
avrebbe potuto non avverarsi mai. Per qualche ragione, la assimilò alle pony
che aspettavano invano i marinai sui promontori a picco sul mare.
Sconfitta, Applejack si arrese:
“… Da sempre.”
La statua sorrise.
“Risposta corretta.”
Si aprì la porta che conduceva alla
stanza successiva, dopodiché calò un silenzio imperioso.
Rarity guardava la schiena di
Applejack, la quale restò per qualche secondo seduta, per poi alzarsi e
dirigersi verso l’uscita.
“Aspetta!” urlò Rarity.
Applejack si fermò.
“Non dici niente?”
L’unicorno lottava strenuamente per
contenere le lacrime.
Non aveva niente da dirle Applejack.
Non era di lei che era innamorata, ma di Rainbow
Dash.
Lei e Rarity erano uguali, due
illuse.
Anche Spike lo era, se si voleva
contarlo.
“Andiamo.” disse semplicemente,
senza guardarla in faccia.
Rarity non ci stava.
Con un balzo, l’atterrò.
Le strinse forte il torace con gli
zoccoli anteriori, mentre con la guancia si strusciava contro i capelli lucenti
di Applejack.
“Perché? Che cos’ha lei che io non
ho? E’ pure sposata!” disse,
piangendo.
Rarity aveva notato l’interesse
della cowgirl in Rainbow Dash, come le si illuminavano gli occhi quando la
vedeva librarsi in volo, come cercava di reprimere il fastidio quando c’era
Spitfire con lei. La pegaso azzurra, d’altro canto, non l’aveva mai notata, l’aveva
sempre considerata un’amica e rivale sportiva.
Applejack rimase immobile, con lo
sguardo focalizzato sulla prossima stanza.
Rarity continuava a piangere, così,
lentamente, la ragazza bionda si mise in piedi e proseguì il percorso con una
disperata unicorno sul dorso, che singhiozzava e aspirava il profumo di mele
che i crini di Applejack emanavano, sentendosi sempre più intrappolata da quel
sentimento senza via d’uscita.
Aveva fatto
bene Lightning Dust a suggerirle un escape dungeon, era così che si sentiva.
Quella stessa sera, Lightning Dust
era in visita a Twilight, accompagnata dalla piccola Thunderquake.
Per la Washout era già qualcosa di
mitico stare accanto alla sua amata impossibile, ma quando quest’ultima aprì la
bocca e le fece l’ultima proposta che si sarebbe aspettata, ebbe l’impressione
che le stessero scoppiando i timpani.
“In questi mesi, mi sono molto
affezionata a lei. Sto molto bene anche con te, perciò vorrei chiederti di
ufficializzare la cosa con il matrimonio. So che avresti preferito qualcosa di più
romantico, ma…”
La pony lilla era arrossita
leggermente, e Lightning non resistette più.
Le posò le labbra sulla bocca,
delicatamente, e Twilight ricambiò il bacio.
Da quel momento, iniziò un periodo
molto felice per la famigliola, e Thunderquake fu entusiasta di avere per
seconda mamma la sovrana di tutta Equestria.
Thunderquake incominciò la scuola a
Canterlot e si inserì con facilità e naturalezza, ed all’età di sette anni
poteva già contare su un gruppetto di amici affiatato.
Blakelynn veniva dalla lontana
Klugetown, ed era una mosca. Non se
ne vedevano molte dalle parti di Canterlot, quindi la sua presenza, assieme a
quella dei suoi genitori, traslocati per lavoro, destò parecchia curiosità.
Aveva il corpo grigio, con segmenti
più chiari, sei zampe e due piccole ali trasparenti come il vetro.
Gli occhi erano rossi e vivaci, e
sulla bocca aveva sempre stampato il sorriso. Il volto era incorniciato da
corti capelli color argento. Blake amava vestire di colori sgargianti, quali il
fucsia e il blu elettrico, ed era una bambina timida, che amava ascoltare più
che mettersi in mostra.
Brittany era una pony di terra, ed
era molto bella. Figlia di pony di cristallo, aveva una setosa chioma violetta
e luccicante, che la mamma le pettinava in mille maniere differenti ogni
mattina; aveva due bellissimi occhi fucsia e il manto color rosa scuro. Da
grande sarebbe di certo diventata l’idolo di tutti.
Royal Tile era un unicorno bianco
dai corti crini mossi, i quali viravano dal menta, all’indaco, al turchese.
Proveniva da una famiglia benestante e poteva permettersi molte sciccosate,
quali occhiali da sole d’oro zecchino, portachiavi con pietre preziose e dolci
d’importazione per le sue feste. Aveva gli occhi violetti e benché spesso
brillassero di leggera arroganza, Thunderquake gli voleva bene per quello che
era.
Infine, c’era Gray Crown, un
cerbiatto. La sua famiglia era originaria di Acorn Forest, un ameno angolo di
Equestria, dal quale proveniva squisita frutta secca.
Gray, nonostante il nome, era di un
colore dorato e caldo, con spettinati capelli rosso scuro e macchiette gialle
sui fianchi. La pancia era anch’essa gialla, così come la parte inferiore della
coda, che su quella superiore era tinta invece di un ricco castano. La punta
delle orecchie era nera, proprio come gli zoccoli.
Gli occhi erano due zaffiri,
profondi e riflessivi. Anche Gray, come Blake, non amava parlare a sproposito
ed era senz’altro il più maturo del gruppo.
Quella mattina di inizio settembre,
infatti, fu lui a notare gli occhi persi di Thunderquake, i quali restavano
fissi sul banco a cercare chissà cosa.
“C’è qualcosa che non va?” le aveva
chiesto.
La pony di terra si era riscossa, ed
aveva sorriso all’amico.
“Il mese scorso è nata mia sorella.
Non dorme mai la notte e io sono stanca…”
Per cementare la loro unione,
Lightning Dust e Twilight avevano unito i loro DNA in un incantesimo che
potesse renderle madri, e alla fine la sovrana aveva dato alla luce una piccola
alicorno, a cui era stato imposto il nome di Dusk Glow.
Non aveva le ali grandi di sua
cugina Flurry, ma il corno era ben sviluppato; un ciuffo di crini dai quattro
colori le sbucava da esso, passando da due diverse sfumature di oro a due di
corallo.
Il corpo della puledra era principalmente
azzurro polvere, il quale virava all’indaco chiaro sugli arti posteriori, dando
l’illusione che la piccola indossasse sempre dei collant decorati a pallini.
Gli zoccoli posteriori erano di un
indaco più scuro, mentre quelli anteriori erano lilla. L’interno delle orecchie
era turchese chiaro.
Gli occhi, miti e dolci, erano color
vinaccia.
Dusk Glow, nonostante fosse un
alicorno, era venuta al mondo con una magia debole ed una salute cagionevole.
Si svegliava spesso la notte e difficilmente dormiva più di tre ore filate.
Twilight non aveva latte ed era stata presto costretta ad alimentarla con
surrogati che le facevano venire le coliche.
Dusk strillava con forza, né le
mamme né la servitù riuscivano a calmarla, era un pianto unico.
Soltanto Thunderquake era in grado
di cullarla e farla scivolare in uno stato di precaria dormiveglia, ma era
impegnata con la scuola e non poteva certo portarsi la neonata in classe.
Thunder
amava la sua sorellina, ma era impegnativa e lei non riusciva a starci dietro,
spesso alle sei di mattina era già sveglia e non si riaddormentava più a causa
dei suoi pianti.
Anche la cuginetta acquisita, Flurry
Heart, aveva dei crucci, sebbene di natura diversa.
La dolcissima principessa dell’Impero
di Cristallo aveva pochi ricordi di sua madre, ma erano ben definiti ed erano
da lei descritti come una “luce rosa molto calda”.
Le piaceva ricordarla e custodiva
quei pochi frammenti di luce nel cuore, tuttavia… non poteva negare di sentire
la mancanza di una figura femminile che la guidasse alla scoperta del mondo.
Le piaceva Pinkie. Quella pony rosa portava spesso i suoi dolci al Castello e
poi si fermava volentieri a giocare con lei. Anche se Flurry aveva solo sette
anni, aveva capito benissimo che la pasticcera sarebbe voluta stare con suo
padre, così un pomeriggio aveva affrontato la questione con il genitore.
“Papà, posso farti una domanda?”
“Mh? Certo, tesoro…” le aveva
risposto lui, leggendo un buon libro sul divano, ed approfittando di quel
momento senza impegni regali.
“Non ti sei più innamorato dopo la
mamma?”
Per poco Shining Armor non fece
cadere il libro sul pavimento cristallino.
“Ma Flurry, amore… Perché mi fai
questa domanda?”
La bambina arrossì timidamente.
“Perché Pinkie è innamorata di te!”
Lo aveva detto con il sorriso sulle
labbra e negli occhi, con la gioia tipica fanciullesca di chi ha appena fatto
un’incredibile scoperta.
Lui, però, non poteva partecipare a
quella gioia. Per lui il Sole non brillava, era sempre penombra.
“Flurry… E’ un po’ complicato da
spiegare… Io penso solo alla mamma.”
“Ma la mamma non c’è più!”
A Shining fecero male quelle parole,
soprattutto perché provenivano da colei che avrebbe dovuto avere cura del
ricordo di Cadance con più assiduità di tutti, sua figlia.
Forse era davvero troppo piccola
quando era accaduto, forse non poteva ricordarla abbastanza bene da averne
nostalgia.
“Flurry… Chiudiamo questo discorso,
ti va?”
“IO VORREI PINKIE COME MAMMA!”
“BASTA!”
All’urlo disperato di Flurry si era
sovrapposto quello barbarico di suo padre. Non aveva mai gridato così in vita
sua, il principe di Cristallo. Aveva spalancato le fauci e aveva abbaiato
contro sua figlia, sangue del suo sangue, con la stessa ferocia con la quale i
lupi latrano contro le pecore.
Gli immensi occhi turchesi di Flurry
Heart si riempirono istantaneamente di lacrime; Shining Armor ansimava,
sconvolto.
Cercò di ritrovare il controllo di
se stesso e raddolcì la voce:
“Basta con questi discorsi. Vai in
camera tua a giocare.”
Due lacrime caddero sul pavimento. A
Shining parvero due lacrime di cristallo, oppure di ghiaccio.
Dopo avergli scoccato un’occhiataccia,
la piccola corse in camera sua.
Nel grande salotto tornò la calma,
ed un silenzio irreale scese anche nel cuore del principe. Aveva sbagliato ad
essere così duro? Non lo sapeva.
Quel che era
certo, era che nessuna avrebbe potuto
prendere il posto della sua amata moglie.
Se Pinkie Pie era lontana dal
realizzare il suo sogno d’amore, di certo Rarity non era più vicina.
La sarta aveva tentato in ogni modo
di conquistare la sua adorata cowgirl, dagli appuntamenti a sorpresa alle
confidenze infinite nel cuore della notte, passando per le scenate risolutive.
Nulla aveva fatto breccia nella pony arancione, che pareva provare un piacere masochista
nel continuare ad inseguire Rainbow Dash.
Alla fine, sconfitta, Rarity aveva
issato bandiera bianca ed Applejack aveva tirato un forte sospiro di sollievo.
Rarity aveva diradato gli incontri
con la sua amica d’infanzia, ferita e rabbiosa; non concepiva l’ostinazione
della giumenta bionda di rincorrere un’illusione, così come non sopportava se
stessa per essere così disperatamente innamorata di lei.
E così, il tempo riprese a vorticare
freneticamente…
Nonostante tutti i suoi buoni
propositi, Pinkie Pie non riusciva a dimenticare Shining Armor, e spesso si
metteva a piangere mentre impastava o infornava.
Aveva confessato tutto a Mrs. Cake,
che la trovava sovente con la faccia arrossata e gli occhi lucidi, ed alla sua
confessione era rimasta di sale, turbata; era pur vero che al cuore non si
comanda, ma innamorarsi del Principe di Cristallo aveva indubbiamente più
svantaggi che punti forti.
“Io non so più cosa fare, Cup…
Vorrei dimenticarlo, ma una volta al mese vado nell’Impero di Cristallo e lo
vedo… Questo sentimento non ne vuol sapere di lasciarmi…”
“Ascolta, cara… Lui lo sa?”
Pinkie scosse la testa in senso
negativo.
“Allora devi dirglielo… Devi fargli
sapere come ti senti…”
“Ma lui non mi vuole! Lo so per
certo… Lui vuole solo Cadance…”
Cup Cake non seppe più che dire,
così accarezzò la testa della sua figlioccia e sparì a prepararle una buona
tisana alla margherita, la sua preferita.
La pony rosa rimase ad osservare i
biscotti a cuocere in forno per un tempo che sembrò infinito, ignara che di lì
a poco il destino sarebbe giunto a bussare alla sua porta, in quel radioso
pomeriggio di aprile.
Si udì la campanella all’ingresso,
era arrivato un cliente.
Trascinando gli zoccoli come una
condannata a morte, la ricciolina mormorò un “buon pomeriggio, cosa desidera”
senza neppure alzare gli occhi.
“Pinkie, che ti succede?” le disse
una voce conosciuta.
“Rarity?”
Anche Rarity non pareva passarsela
bene, aveva i crini spettinati e lo sguardo triste.
Gli occhi cerulei di Pinkie
s’incontrarono con quelli zaffirini di Rarity: erano due paia di occhi che
parlavano la stessa lingua, quella del dolore, di un amore mai ricambiato.
Senza poter fare nulla in proposito, alla pasticcera si riempirono di lacrime
nuovamente.
“Pinkie, mi stai facendo
preoccupare… Stai male?”
“Sì, sto MALISSIMO! Non ne posso
più, Rare! Sono innamorata di Shining Armor da anni, ma il mio è un amore
impossibile e non è giusto!”
La sarta l’aveva sospettato, ma
trovarsi la verità buttata così, sul bancone di una pasticceria, tra la cassa e
la vetrina con i bignè, le fece un certo effetto.
“Da quanto tempo, Pinkie?”
“Sniff… Da quando Twilight ce l’ha
presentato…”
“COME?! Da così tanto?!”
Pinkie annuì.
“Mhmm… Quando avrai la prossima
pausa?”
“Già domani.”
“Allora sai
che facciamo? Un bel giretto a Manehattan per rinfrancarci un po’, che ne
dici?”
Traffico, sole che batte sui
grattacieli, rumore incessante di ruote e zoccoli frenetici.
Rarity si trovava a suo agio nelle
grandi città, ma quel giorno non riusciva a trovare le vetrine delle grandi
firme di suo gradimento, anche perché la sua amica appariva veramente depressa
e già durante il viaggio in treno aveva dovuto passarle un intero pacchetto di
fazzoletti.
Rarity la guardava camminare con la
testa china, così si distrasse e urtò contro un altro pony.
“Mi scusi, non l’ho vista…” si scusò
la ragazza.
“Uh-uh-uh… Figliola, la mia sfera di
cristallo vede nubi nere aleggiare sopra la tua testa…”
Rarity diede una veloce occhiata alla
sconosciuta che le aveva parlato: una pony di terra, con il pelo di un forte
colore arancione, una spruzzata di lentiggini in faccia, occhi argentati e
vivaci. I capelli erano morbide onde color del fuoco, così come la coda. Il suo
Cutie Mark era una sfera di cristallo e un tamburello. Non sembrava
giovanissima, ma era piuttosto bella.
“Mi chiamo Dahlia. Sono una zingara
chiaroveggente.”
“I-Io sono Rarity e lei è la mia
amica, Pinkie Pie.”
“Sì, vedo che siete entrambe
desiderose di qualcosa. Nella mia sfera posso vedere un fumo denso e rosa, un
sentimento appassionato che vi toglie il respiro e il sonno. Non è forse così?”
Rarity rimase sorpresa.
“In effetti…”
“Allora potrei aiutarvi…”
Pinkie era inerme, non reagiva,
mentre la pony bianca stava velocemente valutando se dare retta alla
sconosciuta oppure no.
“D’accordo… Discuteremo all’interno
di questo cafè.” propose l’unicorno, indicando il locale lì vicino.
Gli occhi lunari di Dahlia
brillarono sinistramente, ma nessuna delle due amiche parve notarlo.
“Va bene… Ho
giusto qualche moneta per una bella cioccolata…”
Davanti ad una tazza fumante di
cioccolata, lo sguardo indagatore di Dahlia si posò prima sull’una, poi
sull’altra pony, che avevano a grandi linee raccontato i loro problemi
sentimentali.
“Dunque… Una vuole conquistare una
cowgirl bionda e l’altra il Principe di Cristallo. E’ corretto?”
Entrambe annuirono.
“Mhm… La soluzione è molto semplice:
li dovrete far innamorare con la forza.”
“Huh? In che senso?” domandò Rarity,
allarmata.
Un luccichio malevolo illuminò le
iridi argentee di Dahlia.
“Mai sentito parlare del Veleno
d’Amore?”
Sweetie Belle aveva parlato a sua
sorella dell’intruglio malefico che lei e le sue amiche avevano preparato anni
fa, quando volevano cercare un fidanzato per Cheerilee. Ne era rimasta
disgustata, ma ora quell’idea la stuzzicava parecchio.
“Ha effetto soltanto finché le due
parti si guardano negli occhi, giusto?”
“Corretto. Piuttosto irritante,
nevvero? Io però ho studiato alcune modifiche a quella vecchia ricetta, in modo
che i due piccioncini possano tranquillamente andare a dormire senza brutte
sorprese. Lo scotto da pagare è che la pozione va somministrata una volta al
mese, senza sgarrare. Vi può interessare?”
Rarity ci pensò intensamente, ed a
quel punto anche lo sguardo spento di Pinkie riprese colore.
“Sì, certo che ci può interessare!”
intervenne infatti.
“Bene. Questa nuova pozione si
chiama Veleno Eterno, e finché continuerete a versarlo nel cibo o nelle bevande
dei vostri amati questi resteranno legati a voi come un condannato alla sua
sfera di ferro.”
Uno scrupolo colpì la mente di
Rarity: davvero voleva ingannare la sua amica d’infanzia, la pony più
disponibile e onesta che conoscesse? Bell’Elemento della Generosità che era!
Anche Pinkie si depresse: era
ridotta a quel punto? Shining Armor era così incapace di innamorarsi di lei da
dover ricorrere a un artifizio bello e buono? Inconcepibile.
Tuttavia… Ne avevano abbastanza,
entrambe.
Volevano amore, volevano essere amate.
Volevano sposarsi, avere una
famiglia con chi decidevano loro.
Erano state rifiutate, e quella era
la loro vendetta.
Il pensiero che presto si sarebbero
incatenate in relazioni malsane fuggì sempre più lontano, mentre la
fattucchiera apriva la sua bisaccia e tirava fuori alcuni ingredienti:
“Per il Veleno d’Amore ci volevano
sbuffi di nuvola, ma questi rendono ciechi di fronte ai propri impegni, con il
risultato che chi li inghiotte diventa un inutile pupazzo inebetito. Se invece
si aggiunge dell’acqua piovana la mente resta lucida. L’essenza di arcobaleno è
un buon ingrediente, lo trovate in questo vasetto. Permette il sorgere del
sentimento artificiale. E’ una sostanza che va a stimolare il cervello,
ingannandolo e facendogli credere di essere innamorato. E infine… Eccovi la
penna di pegaso per mescolare la mistura. Era del mio amato marito, pace
all’anima sua…”
Con una traccia di paura, Pinkie e
Rarity presero i due vasetti con l’essenza di arcobaleno, vi versarono l’acqua
piovana e mescolarono il tutto con la penna di pegaso. Dalle due pozioni emerse
un miasma fucsia, che prese la forma ibrida di teschio a cuore. Non era un buon
segno, e Dahlia ridacchiò sommessamente.
“Ora, signorina Pinkie, quando il
tuo bel principe ne berrà, dimenticherà perfino la sua defunta moglie! Quanto a
te, signorina Rarity, quella tua amica si pentirà di non averti considerata
prima!”
“Grazie! Grazie di cuore!” disse
Pinkie, a nome di entrambe.
“Non c’è di che! Ricordate di
rabboccare i vostri amori almeno una volta al mese, il giorno preciso della
prima somministrazione, o l’effetto svanirà, e vi ritroverete da sole! Quando
avrete finito le pozioni, tornate da me… Vivo qui a Manehattan, a Hayrald
Square.”
La giumenta diede ad entrambe i suoi
biglietti da visita con l’indirizzo, e poco dopo si congedò da loro.
Mentre le ragazze si allontanavano
risollevate, un pony di terra adolescente si avvicinò a Dahlia; indossava
vistosi orecchini d’oro ed una bandana al collo. Faceva parte della sua
comunità.
“Dahlia… Secondo te non siamo troppo
crudeli a fare queste cose?”
La giumenta di mezza età rise di
gusto.
“Caro Zaeed…
Chi sono io per negare della corda a chi ha tanta voglia d’impiccarsi?”
Pinkie attese il giorno delle sue
consegne mensili all’Impero di Cristallo per avvelenare uno dei pasticcini da
far assaggiare a Shining Armor.
Lo osservò attentamente mentre lo
stallone masticava, e quando inghiottì, il suo cuore perse svariati colpi.
“Come ti senti?” gli domandò. Che
domanda singolare.
“Mi sento… Benissimo. Strano. Mi
gira la testa…”
Il cervello di Shining Armor era
lucido, ma lui sentiva qualcosa di insolito, si sentiva diverso.
“Pinkie… Sei sempre stata così bella?”
Alla pony rosa parve di volare.
Aveva raggiunto il suo scopo. Ora un piacevole rossore colorava le guance del
principe, e lei sapeva che il Veleno stava compiendo il suo dovere. Non
avvertiva i morsi della coscienza, né i sensi di colpa. Lo aveva aspettato per
dodici anni, si meritava un premio.
Lui le chiese di restare per la
notte.
Stava andando tutto a velocità
vorticosa, ma non le importava, era pronta ad amarlo, a lasciarsi toccare, a
farsi accarezzare.
Avrebbe parlato a Twilight, si
sarebbero sposati, tutto sarebbe andato bene.
Lo stesso valeva per Rarity: era
andata a trovare Applejack, si era scusata per essere stata pressante e ruvida
con lei, e per riallacciare il rapporto le aveva portato delle gustose
caramelline alla mela imbevute del potente Veleno.
“Sono stata proprio una sciocca,
Rarity, avevo il vero amore vicino e l’ho rifiutato per tutti questi anni… Perdonami,
perdonami!”
Applejack l’aveva abbracciata, e la
sarta si era sentita una traditrice, qualcuno che Rainbow Dash, simbolo della
Lealtà, avrebbe incenerito e spazzato via con scopa e paletta.
Ciononostante, anche in lei il tarlo
della coscienza era svanito in fretta, sostituito da baci, abbracci e coccole
sul divano, oltre a mille parole, a volte infuocate, a volte dolcissime.
Il futuro appariva luminoso per le
due giumente, e poco importava che fosse soltanto la luce di una lampadina.
Per tre mesi, Pinkie versò
regolarmente il Veleno Eterno nei pasti del suo amato, e visse con lui una
felicità artificiale. Avrebbe potuto ambire a qualcosa di più, essere veramente
felice, ma lei aveva scelto la menzogna pur di rinunciare a chi non la voleva.
E ora era lì, nella sua camera,
mentre Rarity finiva di prepararla: aveva un giglio candido incastrato fra
l’orecchio destro e i capelli, dal quale partiva un velo sottile che le pioveva
davanti agli occhi cerulei. Il vestito era semplice, ma s’intonava con la
personalità allegra e vivace della pony rosa, con le sue maniche corte
leggermente a sbuffo, due margheritine appuntate sul colletto e una piccola
cascata di diamanti subito sotto. La gonna era lunga ma non molto larga, e
nell’insieme donava molto a Pinkie.
Tutto quel bianco avrebbe dovuto
richiamare la purezza, ma non c’era niente di puro in quel matrimonio. Non le
intenzioni, non la sua formazione, e neppure la sarta che le stava togliendo
gli ultimi spilli. Niente di niente.
“Oggi è il primo di agosto, Pinkie.
Ti sei ricordata?” le sussurrò Rarity all’orecchio.
“Yappity-yup!” le rispose Pinkie,
senza neppure ascoltarla.
L’unicorno fashionista era ancora
corrosa dai sensi di colpa; subito dopo aver terminato con la sposa, si sarebbe
seduta in prima fila assieme alla sua compagna, Applejack, anche lei ottenuta
con l’inganno. Non aveva avuto il coraggio di chiederla in moglie, si sentiva
troppo male al pensiero e aveva preferito conviverci e basta.
“Ho finito. Sei bellissima. Ci
vediamo fra poco.” le disse Rarity.
L’atmosfera che si respirava in
quella stanza pareva quella di un funerale, e la stessa sarta era vestita con
colori scuri. Tuttavia, l’amica non se ne avvide e trotterellò allegramente
fino al portone che dava sul balcone principale del Castello di Cristallo, dove
lei e Shining Armor si sarebbero uniti in matrimonio.
Lui, come durante il suo primo
sposalizio, si era vestito con l’uniforme preferita da suo zio materno, e nei
suoi occhi Pinkie vide la gioia fittizia di unirsi a lei. Per un istante, un
singolo istante, la ragazza avvertì una potente fitta al petto, che sparì non
appena si spalancò il portone.
I suoi amici erano tutti schierati
nelle prime file. C’erano Rarity ed Applejack, con la sarta che sembrava sulle
spine e la cowgirl che sorrideva ignara; c’erano Fluttershy e Thunderlane, che
parlottavano immaginandosi le loro nozze; c’era Rainbow Dash intenta a
rincorrere Blaze, il suo primogenito, un vivacissimo grifoncino di quattro
anni. Sua moglie Spitfire teneva fra le braccia Hurricane, il secondogenito,
nato da un raro uovo di fenice tre anni prima. Il pulcino aveva una striscia
sulla testa a metà fra il verde e il blu scuro, e una crestina verde conifera.
Il resto della testa e la punta delle ali erano blu scuro, mentre il collo si
distingueva per la sua tinta di terra bruciata. Il resto del corpo era un ricco
blu-viola, e i suoi occhi erano smeraldi splendenti. Aveva colori inusuali per
essere una fenice, ed era bellissimo.
Incredibilmente, Spike e Sweetie
Belle erano seduti vicini e chiacchieravano fitto fitto, con l’unicorno che
ogni tanto rideva di gusto e il drago che arrossiva lievemente.
Quanto a Lightning Dust, era seduta
vicino a Starlight Glimmer, e le due stavano commentando il bel vestitino di
Thunderquake, e i piccoli progressi di Dusk Glow.
L’umore generale degli invitati
cozzava mostruosamente con quello che Pinkie sentiva dentro di sé; e pensare
che perfino i suoi burberi genitori stavano sorridendo in quel contesto, e addirittura
quella brontolona di Limestone Pie!
Comunque… Ormai era tardi per gli
scrupoli, quelli erano morti da tempo, così, sudando freddo, Pinkie fece il suo
ingresso sulla balconata, sopra la quale c’era Princess Twilight ad attendere i
due novelli sposi.
A dire il vero, la sovrana di
Equestria aveva non poche perplessità su quel matrimonio, maturato nel giro di
soli quattro mesi dal fidanzamento, anch’esso repentino, del fratello con la
sua amica.
Ciononostante, quella mattina era
lì, pronta a svolgere il suo dovere di principessa.
Si rivolse dunque ai suoi fedeli
sudditi:
“Miei cari, siamo qui riuniti per
unire in matrimonio due figli di Equestria, con la speranza che la loro unione
possa essere prospera e felice. Pinkamena Diane Pie, Elemento della Risata, è
riuscita a scaldare il cuore del Principe di Cristallo, Shining Armor,
conducendolo alle porte di un nuovo amore. Oggi benediremo il loro legame
attraverso lo scambio degli anelli e la recita della formula sacra.”
Twilight non poteva notarlo, ma
Pinkie, a quelle parole, si era sentita letteralmente bruciare dall’interno: ma
quale unione felice? Ma quale scaldare il cuore? Era tutto così dannatamente
fasullo che alla pony riccia stava venendo voglia di balzare davanti all’amica
di vecchia data e urlare a tutti che era una farsa, e di tornarsene a casa.
Eppure, non riusciva a muovere un
passo, ed il sudore le aveva ormai incollato il velo al muso. Che situazione…
“Vuoi tu, Pinkamena Diane Pie,
prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Shining Armor, per amarlo e
onorarlo ora e sempre?”
Dalla bocca di Pinkie uscì a
malapena un sussurro strozzato, mentre i rimorsi la tormentavano senza sosta:
“S-Sì, lo voglio…”
“Wow, che entusiasmo!” pensò
Twilight, quasi spaventata di vedere la più gioiosa delle sue amiche ridotta ad
un fantasma spaurito.
Si rivolse quindi a suo fratello:
“Vuoi tu, Shining Armor, prendere
come tua legittima sposa la qui presente Pinkamena Diane Pie, per amarla e
onorarla ora e sempre?”
Erano tutti lì, ad attendere la
risposta che avrebbe suggellato i voti nuziali. C’era perfino Flurry Heart con
il cuscinetto delle fedi.
E in quel momento, la magia finì.
Pinkie Pie non aveva risposto
correttamente alla domanda di Rarity:
“Oggi
è il primo di agosto, Pinkie. Ti sei ricordata?”
No che non si era ricordata, era
stata troppo presa dai preparativi per il matrimonio. Grave, gravissimo errore.
O forse, una liberazione.
Le stelline e i cuoricini luminosi
che avevano popolato le iridi cerulee di Shining Armor si dissolsero come neve
al sole, lasciando gli occhi sgombri, fermi e consapevoli.
“Urgh… Ho sognato di rivivere il mio
matrimonio con Cadance…”
Eccole, le parole sbagliate al
momento giusto.
Il principe si guardò attorno, si
vide sulla balconata del suo Castello, con una folla immensa ai suoi piedi,
Twilight in veste di celebrante e Pinkie Pie vestita da sposa. Senza contare che anche lui era in uniforme.
“Ma che sta succedendo?”
L’esclamazione, di pura sorpresa,
era stata pronunciata a voce alta ed aveva raggiunto qualche invitato,
provocando subito un moto di mormorii, mentre Rarity teneva gli occhi bassi, un
po’ per la vergogna, un po’ per la preoccupazione.
“Shining Armor… C’è forse qualche
problema?” gli aveva domandato la sorella.
“Sì! Perché sono qui e perché Pinkie
Pie è vestita da sposa?”
Twilight gli si era avvicinata
all’orecchio; ormai era alta quasi quanto lui.
“Se è uno scherzo, sappi che è di
pessimo gusto.”
“Come potrei scherzare su un
argomento simile, dopo essere rimasto vedovo?”
Quella frase colpì parecchio la
sovrana, e la convinse che ci fosse qualcosa di nebuloso in tutta quella
storia.
Non poteva però risolvere tutto
davanti ai sudditi, perciò riprese la parola:
“Vi prego di scusarci, c’è stato un malinteso.”
E senza aggiungere altro, teletrasportò
velocemente i due sposi all’interno del Castello.
“Potreste spiegarmi, per cortesia?”
“Facciamoci spiegare da lei.”
Shining aveva puntato lo zoccolo
contro Pinkie con fare accusatorio.
Attivando il corno, Twilight fece
apparire Starlight al suo fianco, la quale aveva uno sguardo allarmato e
confuso.
“Starlight, qui c’è un grosso
problema, vorrei che tu ispezionassi le camere di Pinkie e Shining e mi
segnalassi la presenza di qualcosa di anomalo.”
“Va bene, Twilight. Ora vado.”
L’unicorno rosa si mise a correre,
per poi teletrasportarsi a sua volta. Twilight rimase con i due neosposi, in
preda ad una rabbia trattenuta a fatica.
“Pinkie, mi dici perché mio fratello
ha cambiato atteggiamento all’improvviso?”
“Non so cos’abbia fatto, ma di
sicuro è colpa sua! Io non l’avrei mai sposata!”
Quelle parole colpirono la povera
pony di terra come pietrate, ma in fondo se lo meritava, eccome.
“Allora, Pinkie? Stiamo aspettando.”
Twilight la incalzava, con un
atteggiamento quasi snob. Le veniva da piangere.
“Io… Io ho incantato Shining Armor.”
“Incantato? In che senso?”
“In questo senso.”
Starlight ci aveva messo pochissimo,
perché Pinkie aveva messo la boccetta del Veleno Eterno nel suo cassetto. Le
cameriere l’avevano sempre vista spolverando, ma l’avevano creduta una boccetta
di un profumo un po’ eccentrico, e non vi avevano fatto caso.
Il Veleno, infatti, era un liquido
che rifletteva i sette colori dell’iride, ed aveva un aroma intenso,
afrodisiaco, che ubriacava.
Twilight lo fece levitare, sentendo
un brivido freddo percorrerle tutto il corpo.
“Che cos’è?”
“Un potente Veleno d’Amore.” mormorò
Pinkie, con la morte nel cuore.
“COSA?!” esclamò Twilight,
“PERCHE’?!”
L’amica iniziò a disegnare cerchi
sul pavimento cristallino.
“Ero stanca di rincorrere un amore
impossibile. Volevo un po’ di felicità.”
Twilight la guardava come se fosse
un’estranea, e in effetti era proprio così. Mai avrebbe immaginato Pinkie
capace di una cosa simile.
“Come hai fatto ad ingannarmi?” le
chiese Shining, con una calma che tradiva un rancore nascente.
“Ogni primo del mese ti ho versato
il Veleno nella colazione. Non se n’è accorto nessuno. L’ho fatto per tre mesi,
e oggi me ne sono dimenticata, per questo l’effetto è svanito.”
Shining Armor si sentiva oltremodo
offeso, oltraggiato. Non aveva provato qualcosa di simile neppure quando
Chrysalis aveva preso il posto di Cadance.
Lo sguardo ferito di Twilight si
focalizzò con orrore su Flurry Heart, la quale aveva sentito tutto.
“Che cos’hai fatto al mio papà?”
La principessina aveva le lacrime
agli occhi.
Pinkie guardava per terra,
amareggiata e incapace di rispondere.
“Io ti volevo come mamma… Mi sono sbagliata…”
Non disse altro, scappò in camera
sua, subito seguita da Starlight.
Vedere la sua nipotina così
sconvolta fece perdere a Twilight le sue ultime remore.
“Non so come tu ti sia procurata
quel Veleno e neppure m’interessa. Mi hai veramente delusa, e ti pregherei di
non presentarti per un po’ al mio cospetto. Ti credevo diversa.”
Anche Twilight, finito il discorso,
raggiunse Flurry in camera sua, cosicché i due quasi sposi rimasero da soli nel
corridoio.
Shining aveva le fiamme nello
sguardo, e il suo intero essere fremeva d’ira.
“Hai detto di essere innamorata di
me?”
La domanda era come un terremoto:
terribile ed inevitabile.
“S-Sì.”
La risposta di Pinkie era come una
candela: flebile e tremula.
“Fesserie. Non c’è una singola
goccia d’amore in te.”
La voce di
Shining era più gelida dello zero assoluto. Le sue pupille, due frecce
acuminate. Le aveva parlato, l’aveva giudicata, le aveva voltato le spalle e se
n’era andato senza girarsi indietro.
A poco a poco, la gente se n’era
andata dalla piazza del ricevimento.
Verso mezzogiorno, tutto era tornato
alla normalità, anche se per Pinkie l’Impero di Cristallo aveva assunto toni spettrali.
I suoi amici erano rimasti tutti lì,
e l’avevano raggiunta nella sua camera. Né Twilight né Shining si erano più
palesati ai suoi occhi, e neppure Flurry.
“Pinkie, ma cos’hai combinato, si
può sapere?” le domandò Rainbow Dash, ottenendo in cambio una tirata di capelli
da parte del piccolo Blaze, che aveva in braccio.
“Non ho ben capito perché il
matrimonio è stato annullato…” disse Fluttershy, dubbiosa.
Spike se ne stava in disparte e non
interveniva, affiancato da Sweetie Belle.
Pinkie, senza rispondere a nessuno,
si voltò verso la sua specchiera e cominciò a piangere, mentre si spazzolava i
lunghi capelli ricci.
“E’ finito tutto… Domani me ne torno
a casa, a Rockville.”
Ci fu un sobbalzo generale, ed a
Rarity saltò il cuore in gola, un po’ perché le dispiaceva di essere rimasta
l’unica a beneficiare di un amore farlocco, un po’ perché si sentiva in colpa
per tutta quella storia. E un po’… per un qualcosa
che non riusciva a decifrare.
“Non ti sembra di essere un po’
troppo precipitosa?” le chiese infatti, con enfasi.
Pinkie si voltò: aveva il mascara
colato, l’ombretto perlato sbavato, il lucidalabbra rosa tutto fuori dalle
labbra.
“Ho peccato e sono stata punita.”
Lo aveva detto guardandola negli
occhi, in un sottotesto che solo loro due potevano comprendere.
Rarity indietreggiò, colpita e
affondata.
Pinkie, con la coda dell’occhio,
osservò Applejack: era ancora falsamente innamorata, lo vedeva chiaramente,
anche perché stava vicino a Rarity con solerzia e affetto, anche se in quel
momento la sarta pareva quasi disinteressata alle sue attenzioni.
In ogni caso, i ragazzi se ne
andarono, e come previsto Rainbow Dash le lanciò occhiate di disapprovazione
pura. Nel mezzo, c’era la sollecita preoccupazione di Fluttershy, la tristezza
di Rarity e l’innaturale dolcezza di Applejack, che ancora resisteva. Lei era sola.
Quando uscì dalla stanza, con ancora
l’abito da sposa indosso, fu avvicinata dalla sua famiglia, che aveva passato
due ore piene a dare spiegazioni a chi voleva saperne di più su quel matrimonio
mancato.
Cloudy Quartz e Igneous Rock erano
due pony vecchia scuola, quindi si erano irritati non poco per quell’avvenimento,
soprattutto perché coinvolgeva un principe.
Fu la madre di Pinkie a parlare per
prima:
“Pinkamena, cos’è successo?”
Fu penoso per Pinkie parlare ai suoi
genitori e alle sue sorelle su quanto accaduto, anche perché sulle loro facce
si dipinsero una serie infinita di emozioni: disgusto, sgomento, turbamento,
delusione…
Quand’ebbe finito di spiegarsi,
senza filtri, suo padre si schiarì la gola e la guardò severa, mentre la madre
le parlò chiaramente:
“A quanto pare l’educazione che ti
abbiamo impartito non è servita a niente, comunque noi restiamo la tua famiglia
e a casa nostra sarai sempre la benvenuta.”
Limestone,
Maud e Marble si strinsero attorno alla sorella, anche se disapprovavano le sue
scelte.
Velocemente, Pinkie riempì le sue
valigie, avendo cura di lasciare nel Castello le cose che le ricordavano il suo
principe. Era durata pochissimo ed era stata una felicità che andava contro al
suo Elemento, che peccava di genuinità. Solo in quel momento, mentre chiudeva
le valigie e ascoltava il silenzio assordante del Castello, si rese conto di
tutto questo.
Pianse di nuovo, un pianto
purificatore che lavò via la sua ossessione per Shining Armor: lo aveva
rincorso per dodici anni, ed erano bastati quattro mesi per sgretolare quella
fantasia in granelli impalpabili.
Salutò il
Castello, dando l’addio alle stanze che non avrebbe rimpianto.
Alle quindici, la famiglia Pie prese
il treno per Rockville.
Pinkie aveva lasciato sul letto
matrimoniale l’abito da sposa, assieme ad un semplice foglio bianco con su
scritto “perdonami”.
Mentre le rotaie venivano macinate
dalle ruote e il cielo di agosto si tingeva di una luce forte e calda, Pinkie
si massaggiò il ventre, che custodiva l’unica cosa buona nata da quella storia:
una nuova vita, generata proprio
quattro mesi prima.
Shining Armor non lo sapeva, non
glielo aveva ancora detto, voleva che fosse una sorpresa per il matrimonio.
D’altronde, il quarto mese era considerato il mese più sicuro tra i pony,
quello in cui le minacce d’aborto potevano dirsi scongiurate.
Non aveva alcuna intenzione di
parlargliene, tantomeno a Twilight. Voleva stare lontana per qualche anno da quegli
ambienti, da quei rapporti che lei stessa aveva rovinato con i suoi zoccoli.
Il puledrino sarebbe cresciuto
circondato dall’amore di nonni e zie, ma sarebbe stato solo suo, come solo suo
era stato ciò che aveva provato per Shining Armor.
Pinkie chiuse gli occhi e sperò che
almeno lo spirito di Cadance potesse perdonarla.
Rarity resistette ancora un paio di
mesi, poi cedette.
Non poteva più continuare a stare
con Applejack, ad ingannarla come se la sua amicizia decennale non fosse mai
valsa nulla per lei.
Era completamente inutile affidarsi
al Veleno Eterno, Applejack non l’avrebbe mai amata per davvero, ed alla minima
dimenticanza avrebbe rischiato di farsi terra bruciata attorno, proprio come
Pinkie.
Così, a metà di ottobre, decise di
parlarle a viso aperto, di lasciarla,
anche se l’effetto della pozione sarebbe svanito solo due settimane più tardi.
Era disperata, ma determinata:
avrebbe chiuso la Carousel Boutique e si sarebbe trasferita a Rockville, vicino
a Pinkie, l’amica che più sentiva vicina per peccati e scelte di vita.
Aspettò che Applejack rientrasse dal
suo solito giro di vendite al mercato di Ponyville, con le luci spente, e lei
china tristemente sopra uno sgabello, a cucire un morbido scialle per la
vecchia Granny Smith. Il suo regalo d’addio.
“Ciao tesoro, sono a casa!” le disse
la giumenta di terra, appendendo il suo cappello all’appendi cappotti situato
all’ingresso.
Aj era allegra, fischiettava, e
rimase sorpresa nel vedere la sarta rannicchiata cupamente sopra uno sgabello a
cucire.
“Che succede? Stai male?”
“Applejack… C’è una cosa che ti devo
dire…”
La compagna andò a prendere una
sedia in cucina e si sedette di fianco a lei.
“Ti ascolto.”
Rarity boccheggiò; anche se aveva
ben chiare le parole che avrebbe detto, l’inizio era tremendamente complicato.
Stava per distruggere qualcosa di
abusivo, che non sarebbe mai dovuto essere, che partiva da una sua fantasia
degenere.
Ciononostante, avrebbe devastato
anche la genuina amicizia che aveva provato per lei nel corso degli anni…
“Genuina? Se fosse stata veramente
amica tua non l’avresti ingannata in quel modo…” le sussurrò una vocina
malevola nella mente.
Fu quel senso di colpa a farla
scattare:
“… Mi sono innamorata di un mio cliente.”
Una bugia, o meglio, una mezza verità.
In quei mesi di lontananza si era
resa conto di pensare parecchio a Pinkie; non sapeva se per senso di comunione,
rimorso o un sentimento più profondo.
Gli occhi smeraldini di Applejack si
allargarono, facendo stringere il cuore di Rarity per reazione.
“Lo conosco?”
L’unicorno scosse la testa.
Non era vero, ma in fin dei conti
aveva importanza, in quel castello di carte che si era creata da sola, dal nulla?
Applejack era ammutolita, ferita,
disorientata.
A Rarity faceva male vederla così,
anche se dentro di lei stava maturando una consapevolezza nuova, come un raggio
di luce che pian piano si fa strada tra le acque annerite dalla notte: non era più innamorata di Applejack:
dopo lo shock del mancato matrimonio di Pinkie il suo amore per la giumenta
bionda le era parso fioco, opaco, senza contenuto.
“Possiamo darci del tempo per
ripensarci e-”
“No, Applejack, credimi, è meglio
così.”
Se ne andò quella sera stessa, dopo
aver mestamente raccolto le sue cose, ad una ad una, un’ora dopo l’altra. Non
volò una mosca per tutta la fattoria, mentre fuori infuriava il vento
autunnale.
Spingendo i
suoi trolley grazie alla magia, Rarity salutò il Giardino Dolci Mele, dove per
poco era stata felice. Con le lacrime che già iniziavano a scendere, gli mandò
un bacio e se ne andò.
Si trasferì a Rockville, in una
modesta casupola poco distante dalla fattoria dei Pie, e fece in modo di
decorarla a suo gusto.
Comprò delle belle vernici, in tutte
le sfumature dal bianco al viola, si procurò della lavanda per profumare gli
ambienti e distribuì in giro dei volantini per sponsorizzare il suo nuovo
laboratorio di sartoria. Sperava di avere una buona clientela anche lì, essendo
Rockville un posto piuttosto ostile, bruciato dal sole d’estate e tremendamente
freddo d’inverno. Rarity avrebbe avuto una vasta scelta di capi da cucire, dai
maglioni ai graziosi costumini da bagno.
Con il passare delle settimane,
Rarity si ambientò, ed ebbe anche modo di incontrare Pinkie.
Si stupì parecchio, nel trovarla con
una pancia di quasi sette mesi:
“Lui lo sa?” non aveva potuto
esimersi dal chiederle.
Pinkie aveva scosso la testa
tristemente.
“Non hai intenzione di informarlo?”
La pony ricciuta si accarezzò il
ventre.
“No… A cosa servirebbe? Mia figlia
crescerebbe in una famiglia falsa, con un padre scontento e una madre piena di
sensi di colpa.”
“Sai già che è una femmina?”
Pinkie sorrise.
“Me lo sento.”
“Però, Pinkie… Io credo che tu
faccia male a non avvisare Shining… Sarà arrabbiato con te ma non credo
rifiuterebbe sua figlia… Flurry sarebbe contenta di avere una sorellina!”
Gli occhi della pasticcera si
riempirono di lacrime.
“Ti prego… Dillo almeno a Twilight…”
La ragazza si pulì gli occhi.
“No, Rare… E’ troppo tardi…”
Rarity non
seppe cos’altro dire, ma da quel giorno si fece in quattro per Pinkie: la
aiutava nelle faccende domestiche, cucinava anche per i suoi genitori e le sue
sorelle, le faceva compagnia, parlava con la pancia. Sentiva dentro di sé un
calore nuovo, che non aveva mai provato neppure con Applejack, ma non osava
dire niente all’amica. Non voleva rovinare la loro bella amicizia, e in quel
momento la priorità spettava alla nuova vita.
Giunse il mese di aprile dell’anno
2025, e con esso, la data del parto di Pinkie.
Rarity era lì, accanto a lei, mentre
la pony rosa sudava e spingeva, coadiuvata dal dottor Lumpy, il medico che
aveva sempre seguito la famiglia Pie.
La madre di Pinkie aveva sempre
partorito in casa, ed anche la figlia aveva preso quella strada.
Rarity le stringeva lo zoccolo e
sudava anche lei, percependo la sofferenza e la tristezza della sua amata,
colei a cui aveva donato tutto il proprio affetto platonico, ed era stata una
sensazione purissima, scevra di ogni malizia.
Avrebbe dovuto esserci Shining Armor
al suo posto… Ma lui era lontano, forse rabbioso, forse indifferente. Di sicuro
ignaro.
“Il battito si fa debole.”
“Huh? Il battito di Pinkie? O del
piccolo?” chiese Rarity.
Il dottor Lumpy non ebbe modo di
risponderle, perché in quel momento, venne alla luce la figlia di Pinkie.
Aveva avuto ragione, era una
puledrina. Era un unicorno bianco come il padre, con gli occhioni color del
cielo e qualche ciuffo riccio sulla testina. I capelli viravano dal fucsia di
Pinkie alle due tonalità di blu di Shining Armor.
Quando il dottore l’ebbe pulita,
Rarity la prese in braccio e si mise a piangere.
“Pinkie… E’ bellissima. Sei stata
bravissima.”
La pony rosa se l’avvicinò al cuore,
dandole piccoli baci sulla fronte.
“E’ perfetta, ed è così che la chiamerò:
Parfait.”
Pinkie ansimava, aveva il fiato
orrendamente corto, ed il dottore era ancora agitato. Rarity nel mentre aveva
ripreso la piccola e la stava facendo conoscere ai nonni e alle zie.
Dopo qualche minuto, Parfait venne
posta nella culla, e a Pinkie fu chiesto di riposare. Il parto era stato
complicato, aveva perso molto sangue.
“Rarity… Vieni qui…”
La sarta non riusciva a staccarsi
dalla piccola, era come se fosse figlia sua.
“Rarity… Grazie per essermi stata
vicina… Io… Avrei voluto…”
Una fitta al basso ventre la
costrinse a prendere fiato.
“L’emorragia… E’ stata grave… Più
grave del previsto…”
Le sue parole erano sussurri
disperati, sentori di morte, e Rarity vide la sua amata in una bara, sepolta
sotto metri di terra.
Il pensiero le era intollerabile e
dovette lottare per non cedere al panico.
“Pinkie, non dire così! Devi vivere!
Parfait ha bisogno di te!”
Ora, negli occhi della ragazza rosa,
oltre alla paura, c’era anche la speranza.
“Parfait avrà la mamma migliore del
mondo. Promettimi che ti occuperai di lei, Rari, promettimelo. Io non posso più
darti il mio amore, ma posso…”
Si assopì dolcemente, ed il sonno
scivolò in un decesso senza pietà.
Pinkamena
Diane Pie, quantomeno, era sorridente.
All’inizio di maggio, Twilight
Sparkle salì a bordo del dirigibile “Parasprite” per inaugurarlo; al seguito,
la sua famiglia e due amiche: Applejack e Starlight.
La cowgirl, svaniti i fumi della
pozione, si era sentita sospesa, come dopo essere caduta da una bolla di sapone
scoppiata all’improvviso. Aveva iniziato a capire che qualcosa non andava
quando tutti le facevano domande su come si sentisse, o commenti sulla fuga
improvvisa di Rarity. Non aveva mai provato sentimenti romantici per la sarta,
perché tutti le trattavano come se fossero quasi sposate?
La risposta le era giunta un giorno
da Starlight, dopo il termine delle consuete lezioni alla Scuola dell’Amicizia.
La preside della Scuola conosceva i
sintomi di Aj, aveva vissuto in prima persona quella situazione con Pinkie Pie,
perciò provò a teorizzare quello che sospettava, ossia un avvelenamento da
Veleno Eterno.
“Quindi,
Pinkie e Rarity erano in combutta?” le
aveva chiesto Applejack.
“Temo
di sì.” le aveva risposto Starlight.
Neanche a farlo apposta, poco dopo
la pony arancione aveva trovato nella sua borsa un barattolino di brillantini
dimenticato dalla sarta, e con rabbia l’aveva scagliato contro il muro. Questo
si era aperto e i glitter avevano ammantato il pavimento di bagliori argentei.
“Wow,
Aj… Piano con la rabbia…”
La giumenta si era lasciata cadere
per terra, sgonfiata, svuotata.
Starlight le aveva accarezzato la
schiena con fare sollecito.
“Come
ho potuto farmi ingannare così…”
“Ci
siamo cascati tutti, Twilight compresa. Mai avremmo immaginato un comportamento
simile.”
“Adesso
lei dov’è?”
“Nessuno
lo sa.”
“Beh, poco importa. Spero di non incontrarla
più.”
Starlight non poteva biasimare la
sua amica, d’altronde Rarity si era comportata in maniera imperdonabile, anche
se le spiaceva, in fondo anche lei non era stata proprio una santa in passato,
eppure aveva avuto una seconda opportunità.
Sperò quindi che col passare del
tempo le cose potessero migliorare.
Per risollevarla un po’, dunque, la
preside aveva invitato Applejack all’inaugurazione del dirigibile, e quella
festa aerea stava sortendo i risultati sperati.
La giornata, quindi, trascorse
tranquilla, con Twilight ancora ignara della sorte di Pinkie e della nascita di
sua nipote.
Twilight Velvet e Night Light non
parlavano di ciò che era accaduto a loro figlio, addolorati e costernati per
l’inganno che avevano subito, e si sforzavano di sorridere come al loro solito.
Ad un certo punto del pomeriggio,
Applejack uscì fuori dalla cabina principale del dirigibile per andare a
comprare qualche gelato.
Quando la sua coda bionda sparì dalla
visuale, Lightning Dust dette di gomito a Starlight.
“Dì la verità: Applejack ti piace.”
L’unicorno rosa la guardò senza
capire, così la pegaso alzò gli occhi al cielo.
“Oh, andiamo, si vede benissimo che
ci tieni molto a lei. Anch’io ci sono passata con Twilight, ed è stato
difficile ammettere di essere innamorata, ma non me ne sono mai pentita!” le
disse, facendole l’occhiolino alla fine della frase.
Starlight si sedette e si dondolò
sulla sedia.
“Lei mi piace da quando mi ha fatto
fare un tour della sua fattoria, ed anche la sua famiglia è deliziosa. Non le
ho mai detto niente perché non mi sentivo… degna
di lei.”
Lightning Dust l’osservò con
empatia: capiva perfettamente il suo stato d’animo.
“Nemmeno io mi sentivo all’altezza
di Twilight, ma una cosa è certa: i nostri errori li abbiamo affrontati, li
abbiamo pagati. Rarity invece che ha fatto? E’ scappata, senza il coraggio di
affrontare la relazione malata che lei stessa aveva creato. Elemento della
Generosità dei miei zoccoli!”
Starlight si sentì un poco
rincuorata, e sorrise timidamente.
“Secondo te sono una buona amica per
lei?”
“Beh, è grazie a te se si sta
riprendendo dall’abbandono. Continua così!”
“Grazie…”
Il discorso venne interrotto
dall’arrivo di Thunderquake, la quale teneva tra gli zoccoli la piccola Dusk
Glow.
“Mamma… Dusky soffre il mal d’aria…”
disse, mentre la puledrina di due anni si lamentava.
“Ora andiamo un po’ in camera, così
la faccio sdraiare. Ci vediamo più tardi, Starlight.”
Dopo aver preso in braccio la
piccola ed aver parlato con la moglie, Lightning Dust si diresse nella sua
cabina, lasciando Starlight ed Applejack sole a gustarsi il gelato.
Rarity era
sempre più lontana.
Alla fine del mese, dopo aver
radunato gli amici nel suo cottage, Fluttershy dette loro una lieta novella:
aspettava un puledrino, che sarebbe nato alla fine di gennaio 2026.
Lei e Thunderlane erano al settimo
cielo, e si stavano godendo quella piccola festicciola con le creature a loro
più care.
Era buffo vedere Rumble conversare
con Zephyr Breeze, soprattutto perché quest’ultimo cercava di impressionare il
pony più giovane.
I due futuri genitori ridacchiarono,
quando d’improvviso si spalancò la porta di casa, rivelando la figura, ormai
piuttosto alta, di Spike; era accompagnato da Sweetie Belle.
“Siamo in ritardo?” aveva domandato
il drago, prima di allungare il regalo a Fluttershy.
“C’è qualcosa che non va?” chiese
loro la pegaso dai capelli rosa, notando l’espressione tesa di Sweetie Belle e
la faccia buia di Spike.
“Abbiamo visto Rarity.”
Si levò un ‘oh’ generale di
sorpresa.
“Dov’era?” domandò Starlight, vedendo
l’espressione di Applejack farsi glaciale.
“Era vicina alla sua ex boutique. A
quanto pare oggi doveva incontrare il nuovo acquirente.” borbottò Spike, prima
di sedersi.
Silenzio, nessuno osava fiatare.
Tutti sapevano cosa aveva combinato assieme a Pinkie.
“Il solo pensiero di essere stato
innamorato di una come lei, di aver desiderato di passarci la vita insieme…
Ach…”
Si passò la zampa tra i solchi della
cresta, rabbioso e addolorato.
“Non esagerare, Spike! Considera che
Sweetie Belle è sua sorella!” gli consigliò Rainbow Dash, mentre il piccolo
Hurricane le passava una ciotola di patatine.
“Bella sorella! E’ andata via senza
neppure passare a salutare me e i nostri genitori! E’ una vigliacca!”
A quel punto, l’unicorno dai
riccioli pastello si mise a piangere, subito confortata da Spike. Ormai erano
una coppia, e il drago non avvertiva alcun rimpianto per Rarity, al contrario…
Giunti a quel punto, la sarta gli procurava disgusto, e forse anche pena.
Comunque, dopo aver consolato
Sweetie ed aver rasserenato Spike, la festicciola proseguì senza ulteriori
intoppi.
Rarity stava veramente diventando un
fantasma del passato, e lei non aveva detto nulla riguardo alla morte di
Pinkie, né alla nascita di Parfait.
Gli Elementi dell’Armonia si erano
ufficialmente divisi.