The Great War - {Marauders Era}

di erydia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prequel ***
Capitolo 2: *** PREFAZIONE ***
Capitolo 3: *** Chapter One ***
Capitolo 4: *** Chapter Two ***
Capitolo 5: *** Chapter Three ***
Capitolo 6: *** Chapter Four ***
Capitolo 7: *** Chapter Five ***
Capitolo 8: *** Chapter Six ***



Capitolo 1
*** Prequel ***


ONCE UPON A TIME
“Avete mai vissuto una guerra dalla parte dei cattivi?
Avete mai bramato il potere così tanto da condannare voi stessi per l’eternità?
Noi lo abbiamo fatto”
 
L’ORDINE DI AURELIUS
Ci fu un tempo, quando la Terra era ancora divisa in Pangea e Panthalassa, in cui non vi era alcuna distinzione fra bene e male, in cui le sorti di ogni uomo erano riposte nelle decisioni di un unico consiglio di eletti: i Titani. Essi governarono il pianeta secondo i loro capricci finché, circa 3000 anni or sono, gli Anziani, custodi del mondo angelico, concessero ad alcuni maghi scelti un potere talmente immenso da riuscire a sconfiggere le antiche divinità per imprigionarle - infine - nel ghiaccio. Tuttavia, quegli stessi maghi furono a loro volta soggiogati da quello smisurato potere che li portò ad autoproclamarsi Divinità, costringendo il Mondo a piegarsi al loro volere. A quella congrega di maghi venne dato il nome di Ordine di Aurelius, al cui comando c'era una Divinità (in pieno possesso di tutti i poteri dell'Antica Religione) che non aveva un volto, non aveva un nome, ed era a tutti conosciuto e temuto come il Maestro.
"Era senza volto e senza nome.
Ma pur non avendo identità,
 la sua presenza rimbombava
nei meandri di ogni dove."
 
Sotto la sua guida, l'Ordine di Aurelius decideva vita e morte di ogni essere umano, se creare apocalissi o porvi fine, decideva se distruggere, se creare, se lasciar decidere della propria vita ai diretti interessati.
 
"Sangue al sangue, vi chiamo con la voce.
Sangue al sangue, accorrete qui veloce."
 
Dell’Ordine si entrava a far parte per diritto di nascita, infatti non vi era mai stato ammesso nessuno che non possedesse per linea di sangue, il pieno diritto di sedersi a quel tavolo. Nessun discendente ne conosceva l'esistenza, fino a quando il simbolo del loro potere non appariva dinanzi ai loro occhi, guidandoli verso il proprio destino.
"Erano ossessionati dal desiderio di grandezza,
 che solo il potere di decidere le sorti
dell'umanità riusciva a placare."
 
Una volta che le regole del mondo straordinario del Maestro furono stabilite, una volta che l'intero Ordine si proclamò divinità, tutto fu distrutto senza che i mortali se ne rendessero conto. Uomini e donne correvano pericoli spaventosi e da quei pericoli venivano irrimediabilmente divorati. Malefici di ogni genere pronti a far perdere il controllo e a far commettere atti che avrebbero macchiato per sempre la coscienza di ogni individuo.
L'Ordine aveva portato il mondo ad un punto di non ritorno.
Fra i suoi vari membri si distinsero quattro maghi in particolare che, stanchi di sottostare agli ordini del Maestro, decisero di ritirarsi in un luogo dove col tempo sarebbero riusciti a trovare il potere necessario per distruggerlo e proclamarsi – dunque - divinità senza eguali.
Si rifugiarono al centro di un anello di montagne, nascosto da una coltre di nubi, dove fondarono una Scuola di Magia e Stregoneria che non solo li avrebbe protetti e tenuti al sicuro, ma avrebbe permesso loro di formare nuove generazioni di maghi in grado di aiutarli nel loro intento.
Questi maghi erano Salazar Serpeverde, Priscilla Corvonero, Godric Grifondoro e Tosca Tassorosso.

1 L'Antica Religione è la magia primordiale, che abbracciava tutti gli elementi della natura: fuoco, terra, aria, acqua, energia. Colui che possedeva questo dono poteva fare incantesimi senza l'uso della bacchetta magica ed era in grado di aizzare contro il nemico tutta l'oscurità che si celava dietro gli elementi della natura.
In più il Maestro aveva anche il potere della preveggenza e della proiezione astrale da un'epoca all'altra. Fu grazie a questi due ultimi poteri che, nonostante tutto ciò che accadde, riuscì ad assicurarsi l’immortalità. Ma questa è un'altra storia.

 
993 D.C – LA RITIRATA, LA NASCITA E LA CADUTA
"Non importa come vi presentate: se guerrieri, seduttrici o dee della terra. Siete troppo deboli per sconfiggere l'ordine di Aurelius."
La Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts fu eretta al centro di un pentagono magico e fatta coincidere verso quattro distinti punti, che a loro volta convergevano verso energie mistiche, date dalla forza magica che gli elementi della natura esercitavano in quel luogo. Fu grazie alla sua posizione e ad un concentrato di incantesimi di protezione che i quattro fondatori riuscirono a tenere l'Ordine lontano il tempo necessario per mettere in atto il loro folle piano.


Correva!
Correva velocemente, eppure era come essere sempre al punto di partenza. Tutto intorno a lui era buio e i suoi occhi erano ciechi, rendendolo quasi isterico. L’isteria è legata da un filo invisibile alla pazzia; sarebbe diventato pazzo anche lui?
Continuava a correre perché sapeva che se si fosse fermato quella cosa l’avrebbe preso e lui non poteva permetterlo. I suoi occhi scrutavano ancora il buio che si estendeva a perdita d'occhio, mentre le sue orecchie si alternavano nel percepire i suoni. Nient’altro che i suoi passi veloci e scaltri, fin quando non li sentì… Sospiri, l’ansimare di due corpi che si avvicinavano. Poteva immaginare il gioco di sguardi, l'avanzare verso di lui con velocità e senza il minimo sforzo.
Correva!
Perché se si fosse permesso un secondo di pausa l’avrebbe preso e lui non voleva che accadesse. Più correva e più quelle voci aumentavano. No, non poteva permettere di fermarsi a osservare il volto di chi lo inseguiva. Se lo avesse fatto l’avrebbero catturato e probabilmente ucciso e lui non voleva. Doveva rimanere in vita!
I secondi diventarono minuti, i minuti si tramutarono probabilmente in ore, fino a quando non raggiunse stremato il punto stabilito dai maghi.
« Ce l'ho! » urlò, gettandosi con le ginocchia e le mani per terra. Troppo stanco per fare anche il più minimo movimento. « Ho il Triskelion ».
Salazar guardò quel giovane ai loro piedi. Un secondo. Poi alzò la bacchetta puntandola contro quel corpo esausto e pronunciò un anatema che nessuno aveva mai usato, un anatema di cui fino a quel momento neanche si conosceva l'esistenza. Fu in quel preciso istante che nacque l'Avada Kedavra.
Di quel corpo non si seppe più nulla.


Il Triskelion era un medaglione d'argento con incise tre spirali intrecciate. Per chi non ne conosceva le origini non era che un semplice ornamento di basso valore. Nessuno poteva sapere che quel medaglione fosse tanto prezioso. Nessuno al di fuori del Maestro e dei quattro disertori. Il Triskelion conteneva infatti una profezia che, se caduta nelle mani sbagliate, avrebbe distrutto per sempre il mondo invisibile.
Fu questo il motivo che spinse Salazar Serpeverde a creare la Camera dei Segreti: doveva nascondere la profezia, in modo da evitarne l'avverarsi. La Camera fu nascosta al resto del mondo e venne sigillata con incantesimi di protezione tanto proibiti quanto efficaci. Al suo interno, il medaglione era custodito in una botola segreta, a guardia della quale venne posto il Basilisco, l’enorme serpente dalle zanne velenosissime in grado di uccidere con lo sguardo, che solo l'erede di Serpeverde sarebbe stato in grado di controllare.
Semmai ci fosse stato un erede.

Una folata di vento girò intorno ai cinque, che si guardavano negli occhi con freddezza. Il Maestro indossava un falso sorriso serpentino e viscido che a molti avrebbe fatto venire la pelle d'oca, ma che non intimidì i quattro maghi, eretti e con il volto alto e fiero. Cominciò a girar loro intorno. La lunga veste frusciava sul terreno, ma nessuno di loro distolse lo sguardo. Seguivano con attenzione ogni suo minimo movimento.
Fu un istante, sospeso nel tempo: in un disperato tentativo i quattro maghi riuscirono a canalizzare tutta la loro essenza magica in quell'unico e potente anatema che uccideva. L’Avada Kedavra rimbombò contemporaneamente per quattro volte, ricoprendo quel vuoto che li aveva avvolti fino ad un istante prima. Quattro scintille colorate di rosso, di blu, di giallo e di verde si schiantarono contro il Maestro, creando una forte esplosione silenziosa.
Pochi istanti dopo, quando il cielo ritornò nitido e l’esplosione cessò, dei cinque maghi non era rimasto più nulla. Il Maestro era scomparso e insieme a lui erano spariti anche i quattro fondatori di Hogwarts, che nella ricerca della gloria avevano trovato il nulla ad attenderli.


Fu una gelida notte di gennaio a segnare per sempre il Mondo. La visione che il Maestro aveva avuto era chiara. Se avesse combattuto contro i fondatori di Hogwarts sarebbe morto insieme a loro, sarebbe stato spazzato via e risucchiato dal nulla. Non c’era tempo per fuggire, perché nulla avrebbe cambiato le sorti di quella visione. Per questo, pochi istanti prima di essere accerchiato, compì la sua ultima e straordinaria magia: quella magia che lo avrebbe reso immortale per sempre.

Il fuoco illuminava il suo viso pallido e privo di sembianze umane, ma compiaciuto. Il piano era stato finalmente portato a termine - ne era certo - e presto ne avrebbe avuto la conferma. Starsene nel buio ad aspettare in silenzio era una strana sensazione. Solitamente era lui stesso ad occuparsi delle questioni importanti, ma in quella occasione aveva deciso di testare la fedeltà di uno dei suoi seguaci.
« Vieni avanti, Rufus. »
Il ragazzo sembrava pietrificato dalla paura, tanto da non riuscire nemmeno a parlare. Riunendo tutto il coraggio rimastogli cercò di rispondere. « Ho ciò che mi avevate chiesto, Maestro. » Tremando depositò un grande libro tra le sue mani, senza avere la benché minima idea di quello sarebbe accaduto di lì a poco.
« Be’, Rufus » sospirò tamburellando con le unghie affilate su quell'oggetto che giaceva tra le mani. « Sono davvero rammaricato per quello che sto per fare. » Un sorriso serpentino e viscido apparse sul suo “non volto”. « Ma converrai con me che è la cosa giusta da fare. Per un potere superiore. »
« Maestro, ma cosa…? »
Non ebbe il tempo di continuare quella frase che il suo corpo già giaceva disteso accanto al Maestro, con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa. Lo sguardo del Maestro si posò per un attimo sul ragazzo, poi si spostò su una terza figura che era rimasta nell'ombra per tutto quel tempo. « Non preoccuparti. Tra poco il suo sacrificio non sarà stato vano » mormorò porgendogli un pugnale sacrificale, impregnato del sangue di tutte le vittime che l’Ordine aveva collezionato. « E adesso, sai quello che devi fare! »
« Certo, Maestro! » L’uomo strinse tra le mani quell'arma all'apparenza insulsa e la conficcò nel cuore del suo capo. Senza esitare, senza chiedere il permesso. Lui sapeva bene cosa fare. Era un privilegio essere stato scelto fra tanti e non avrebbe mai deluso il suo Maestro.
Dal corpo fuoriuscì l’anima del Maestro. Nera come il cielo di quella notte, portò nell'aria un senso di morte che fece rabbrividire l’uomo. Quell'alone oscuro volò nella stanza per qualche secondo, prima di immergersi di colpo nel libro che pochi istanti prima il Maestro aveva tenuto fra le mani.
Ebbe a malapena il tempo di prendere il volume e scappare, prima che i quattro maghi facessero il loro ingresso per adempiere al loro compito.

Intanto, il più lontano possibile, una volta accertatosi di essere al sicuro, l’uomo aprì il libro. Comparve una scritta:
Ottimo lavoro, Grindelwald!

 
 
998 D.C – LA RESISTENZA
Ogni guerra, seppur vissuta da un solo punto di vista, ha bisogno di una fazione cattiva e di una buona. Helena Corvonero, figlia di Priscilla Corvonero, fu una fra i primi studenti di Hogwarts. Aveva diciotto anni quando, una sera, sua madre la chiamò in disparte per mostrarle quello che sarebbe stato il suo destino. Priscilla, a differenza degli altri, non era sicura di voler sconfiggere l’Ordine solo per prenderne il comando. Bensì, avrebbe voluto che quel posto meraviglioso che era il mondo potesse essere un giorno privo di costrizioni e pieno di pace. Quella sera – prima che il destino dei quattro si compisse – Priscilla ed Helena si trovavano sulla torre più alta nell'ala ovest del castello di Hogwarts.

« Cosa vi turba, madre? » mormorò Helena, guardando Priscilla negli occhi. Era sempre stata in grado di captare ogni tipo di emozione che sua madre provasse. Come se, essendo sangue del suo stesso sangue, riuscisse ad avere un legame empatico con lei.
« E’ la guerra, figlia mia » deglutì Priscilla, guardando il paesaggio estendersi davanti ai suoi occhi. « E’ quella che mi turba. »
Nonostante le incessanti proteste di Salazar Serpeverde, la Corvonero aveva raccontato tutto a sua figlia. Era la sua unica discendente e probabilmente – se qualcosa fosse andato storto – l’unica in grado di assicurare la sopravvivenza di Hogwarts. Tuttavia in gioco c’era qualcosa di molto più grande, qualcosa che andava oltre l’istruzione magica o la famiglia, qualcosa che avrebbe risollevato le sorti di quel mondo ormai alla deriva.
« Helena, figlia mia, ascolta… »


Helena arrivò sul luogo dello scontro qualche ora dopo, pregando e sperando di non incontrare nessuno. Non avrebbe potuto combattere in quel momento, non avrebbe potuto vincere in quel momento. Quando aprì gli occhi dopo il pop della materializzazione davanti a lei c’era solo un luogo vuoto. Quel silenzio faceva - allo stesso tempo - un chiasso stordente, quasi a volerle far rimbombare nella testa gli ultimi schiamazzi della guerra. In un angolo, quasi del tutto nascosto, c’era il diadema di sua madre. Il Diadema di Corvonero.

« Arriverà il momento in cui io non ci sarò più. E voglio che tu sia preparata a questa eventualità… » Gli occhi della Preside arsero di quella fiamma viva che rappresentava il coraggio e la forza di andare, quando necessario, anche contro i propri principi. « …come ben sai, la guerra non è mai facile per nessuno. In questo caso, » sospirò abbassando lo sguardo e alleggerendo il tono di voce. « Non lo è per noi.»
« Non capisco cosa cercate di dirmi. » La confusione negli occhi di Helena era palpabile, ma Priscilla decise di ignorarla e continuare il discorso.
« Voglio che tu domani notte faccia una cosa per me. »


Nell’esatto istante in cui il Diadema venne a contatto con la mano candida della giovane, qualcosa esplose al suo interno. Era una luce bianca, quasi evanescente e allo stesso tempo così brillante da creare fastidio agli occhi, che trovò riparo dentro di lei. Helena si guardò attorno terrorizzata, quasi temesse occhi indiscreti. Osservò il diadema una volta ancora, poi il suo sguardo si soffermò su quel luogo deserto, mentre il suo pensiero vagò alla madre e alle sue ultime parole.

« Quando ci troveremo tutti e quattro faccia a faccia con il Maestro, io non punterò a lui ma alla sua anima. » Perché Priscilla sapeva tutto del piano del Maestro, ma a sua volta ne aveva ideato uno tutto suo da nascondere anche ai suoi fidati compagni. « Incastonerò un pezzo della sua anima e quindi dei suoi poteri dentro il Diadema. » Sfiorò quella tiara che mai si era tolta in vita sua. « Tu dovrai essere la prima a toccarlo per poter ricevere i suoi stessi poteri. »
« Cosa comporterà a voi, madre? » chiese Helena mentre il suo cuore, per un istante, cessò di battere.
« Io ci sacrificherò tutti. » Un sorriso amaro si formò sul viso pallido e stanco di Corvonero. La sua mano si posò sulla guancia di sua figlia, altrettanto pallida. « Tranquilla, figlia mia. Io sarò sempre qui… » le mormorò materna, forse più di quanto non fosse mai stata in vita sua. « Sarò nell'aria. Tu mi sentirai sempre accanto a te e quando vorrai avermi accanto, mettiti in disparte e pensami. Noi parleremo, ma non con il linguaggio delle parole… » sussurrò. « …nel silenzio! »


Fu grazie ad Helena Corvonero e al sacrificio di sua madre che dalle ceneri di quella strage, la Resistenza vide nascere il suo condottiero.
Helena, investita da quella magia di luce bianca, acquisì tutti i poteri che un tempo possedeva il Maestro. Poteri che anche lui tutt'ora aveva ma che avrebbe praticato solo attraverso il libro in cui aveva riposto la sua essenza.
Più tardi nel corso degli anni, alla resistenza si sarebbero aggiunti molti valorosi guerrieri, tra cui Ignotus Peverell.
 
1100 D.C – LA MORTE DI HELENA E LA CREAZIONE DELL’ANELLO E DEL CIONDOLO
Il Barone Sanguinario e Priscilla Corvonero si incontrarono tre volte nel corso della loro vita ed ogni volta fu come la prima e come l'ultima.
Il loro primo incontro avvenne in una fredda giornata d'inverno, mentre la neve creava uno scenario suggestivo tutt'intorno. Quando i loro sguardi si incrociarono fu come se il tempo si fosse fermato e l'anima del mondo stesse sorgendo con tutta la sua forza davanti a loro. Quando il Barone guardò gli occhi di lei - un paio di occhi neri - e vide le sue labbra indecise fra un sorriso e il silenzio, egli comprese la parte più importante e più saggia del linguaggio che parlava il mondo e che chiunque, sulla terra, era in grado di capire con il proprio cuore. E si chiamava amore, una cosa più antica degli uomini e persino del deserto, che tuttavia risorgeva sempre con la stessa forza dovunque due sguardi si incrociavano come si incrociarono i loro davanti ad un pozzo.
Le labbra della donna, infine, decisero di accennare un sorriso: era un segnale. Il segnale che l'uomo aveva atteso per tanto tempo nel corso della vita, che aveva ricercato nelle parole e nei libri, nei cristalli e nel silenzio del deserto. Era là, il linguaggio puro del mondo, senza alcuna spiegazione, perché l'universo non aveva bisogno di spiegazioni per proseguire il proprio cammino nello spazio senza fine. Tutto ciò che l'uomo capiva in quel momento era che si trovava di fronte alla donna della sua vita e anche lei, senza alcun bisogno di parole, doveva esserne consapevole.
Quando quei due esseri si incontrarono e i loro sguardi si incrociarono, tutto il passato e tutto il futuro non ebbero più alcuna importanza. Esisteva solo quel momento e quella straordinaria certezza che tutte le cose sotto il sole erano state scritte dalla stessa mano: la mano che risvegliava l'amore. Perché, se tutto ciò non esisteva, i sogni dell’umanità non avrebbero più avuto alcun senso.
Il Barone e Priscilla si incontrarono tre volte ed ogni volta fu come la prima... finché di Priscilla non si seppe più niente.

Quello che accadde dopo è piuttosto triste. La notizia della morte dei quattro fondatori di Hogwarts giunse fino ai meandri più nascosti del mondo magico. Tutti seppero della loro scomparsa misteriosa, eppure nessuno ne conosceva i dettagli precisi. Quando la notizia arrivò anche al Barone Sanguinario, egli - che era sempre stato un uomo violento - impazzì di rabbia e di dolore e cominciò il suo declino verso la rovina.
Contemporaneamente alla voce della morte dei quattro maghi, un'altra voce - più maligna - seguì quella tristezza che aveva inondato il mondo. Helena Corvonero, figlia di Priscilla Corvonero, era stata la causa della scomparsa di sua madre e dei suoi colleghi. Cos'altro avrebbero potuto dire? Cos'altro avrebbero potuto pensare? E così, mentre Helena organizzava la Resistenza accerchiandosi di persone fidate, un altro gruppo la cercava per metterla al rogo come solo una strega del suo calibro meritava di finire.
Fu così che il Barone Sanguinario cominciò la sua personale crociata per vendicare la donna che amava. Non sappiamo bene quanto tempo impiegò: giorni, mesi, anni, ma la trovò. Non fu difficile, perché il Barone sapeva bene che il richiamo del sangue era troppo forte e che prima o poi Helena sarebbe andata a cercare la tomba di sua madre. Un passo falso che le costò la vita.
L'uomo, che per non sporcarsi le mani l’avrebbe portata volentieri al rogo, tentò di convincerla a tornare a casa. Tuttavia Helena - priva in quel momento del diadema - si rifiutò e in preda ad un attacco di collera il Barone la pugnalò e la uccise.
Helena guardò con gli occhi morenti la figura davanti a lui e con le ultime forze che aveva a disposizione sussurrò « Non ho ucciso io mia madre », poi spirò. Mosso dal risentimento e colpito dalla verità di quelle parole, il Barone si suicidò.
Nello stesso istante, nel covo della Resistenza il Diadema di Corvonero, non avendo più alcun motivo di esistere, si frantumò in mille pezzi che si sparpagliarono negli angoli più remoti del Mondo Magico.
Negli anni a venire, la Resistenza e L'Ordine andarono alla ricerca di quei pezzi sacri che diventarono un ciondolo, posseduto dalla Resistenza, e un anello, per l’Ordine.
Helena Corvonero non riuscì a portare a termine la sua missione, ma al suo posto c'erano altri valorosi guerrieri che avrebbero fatto di tutto per riportare la luce dove l'Ordine seminava solo oscurità. Uno di questi era Henry Fleamont Potter
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Questa storia, l’ho creata 5 anni fa per un GDR a tema Harry Potter. Ho pensato molto se continuarla come fanfiction oppure no. Poi alla fine, mi sono decisa ed eccomi qui. Questo primo capitolo è più un prequel. Seguirà un Prologo e poi i capitoli veri e propri. E’ da un po' che non scrivo quindi mi scuso per eventuali errori. Non c’è molto da aggiungere. Quindi un grazie va a chi leggerà questa storia.
Saluti
erÿdia

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Capitolo 2
*** PREFAZIONE ***


"E ci sarà un momento in cui l'equilibrio delle dimensioni vacillerà ed in questo tempo verrà il Consacrato, il grande guerriero del Maestro.
I cinque moriranno e dalle loro delle ceneri sorgerà il Consacrato.
L'Ordine di Aurelius gli verrà incontro e gli annuncerà il suo destino immortale.
La Resistenza non lo riconoscerà, non lo arresterà e lui la condurrà all'inferno."

Merope Gaunt sedusse Tom Riddle Sr. con un filtro d'amore, rimanendo in seguito incinta. Tuttavia, poiché provava per Tom un amore sincero, in parte sentendosi in colpa per lo stratagemma utilizzato ed in parte illudendosi che il marito potesse amarla anche senza magia, scelse di smettere di somministrargli il filtro. Questi, sentendosi offeso per l'inganno subito, l'abbandonò. La donna, in un grave stato di depressione, rinunciò alla vita e morì poche ore dopo il parto. Visse però abbastanza da chiamare il figlio "Tom", come il marito, e "Orvoloson", come il padre.
Tom Orvoloson Riddle visse in un orfanotrofio a Londra per undici anni fino a quando Albus Silente lo invitò a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, nella quale lui insegnava. Ma questa storia la conosciamo tutti...

Quello che nessuno sa è ciò che accadde realmente. Merope sedusse Riddle, sì, ma fu l'Ordine di Aurelius a fare in modo che l'uomo l'abbandonasse, venuti a conoscenza della profezia che riguardava il bambino che la donna portava in grembo. Se ce ne fosse stato bisogno avrebbero poi architettato un piano per eliminare anche la donna, ma ella si condannò da sola. Il piccolo Tom fu allevato in un luogo che aveva tutto l'aspetto di un orfanotrofio, ma allo stesso tempo non aveva nulla. In quel luogo Tom immaginò tante cose: bambini che come lui giocavano in disparte, la brezza del vento sul viso quando si affacciava alla finestra, l'odore aspro del cibo che era costretto a mangiare. Immaginò tante cose, che lui credeva reali e che in realtà esistevano solamente nella sua mente. In quel luogo Tom era solo e solo sarebbe rimasto per dieci lunghi anni. Quando giunse per lui il momento di andare ad Hogwarts, l'Ordine gli modificò la memoria e lo inserì in un vero e proprio orfanotrofio. Lì, successivamente, avrebbe incontrato Albus Silente.

Di questi anni all'orfanotrofio si sa solamente che il giovane Tom amava ferire con la magia - anche se ancora non sapeva di possederla - i bambini che vivevano con lui nell'istituto, terrorizzandoli. Questo bastò ai seguaci dell'Ordine, per capire la perfezione del plagio e dell'addestramento che il bambino aveva subito.
1975 – ANNO ZERO
Il mondo sta cambiando, questo ormai lo sanno tutti. Mentre Silente fra le mura di Hogwarts cerca aiuto dai più probabili e improbabili alleati, nel mondo visibile Voldemort acquisisce sempre più potere distruggendo tutto quello che tocca, grazie all'aiuto dell'Ordine di Aurelius. L'Ordine si serve infatti della sua furia distruttiva per camuffare la sua guerra sotterranea contro la Resistenza; usandolo, quindi, come capro espiatorio.
Nel mondo invisibile, invece, la Resistenza cerca di neutralizzare con scarsi risultati la minaccia di Voldemort, senza farsi scoprire e senza capire di avere, in realtà, a che fare con il Consacrato.
Due guerre stanno per scoppiare ed entrambe porteranno distruzione e caos. Chi sarà in grado di fermare tutto ciò?
La guerra è cominciata e non sarà facile dominarla.
Chi si salverà?


 

↳ SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:

«Quello che ti sta preoccupando, puoi fermarlo.» Era come se, nonostante il buio, i loro sguardi riuscissero a comunicare senza bisogno di parole. «Come lo sai che sono preoccupata? Non ti sei neanche voltato.» 
«Pensi che abbia bisogno di vederti per sapere cosa ti stia accadendo?» 
Lì nell’oscurità, il suono della pioggia esterna si confondeva con il temporale che era scoppiato dentro lo stomaco di Lily.
«Tranquillo Potter, sono a prova di colpi…» cercò di tagliare corto la ragazza «Non ho niente che mi preoccupa.» mentì, cercando di moderare il tono della sua voce. Loro due non erano amici, e il fatto che in quel momento si trovassero nello stesso posto, nello stesso momento senza litigare non avrebbe cambiato da un giorno all’altro il loro
rapporto. Loro si odiavano, per Morgana. Cercò di guardare, per quanto la luce fioca del fuoco le permetteva, il volto del ragazzo che tanto la irritava, farsi più cupo. Si accigliò aspettando una risposta che non tardò ad arrivare. Poi, d’un tratto, un ghigno si formò sul volto del Malandrino «Sei fatta di titanio!» Sussurrò guardandola.
E Lily in quel momento riuscì a sentire il suo cuore sussultare per venire poi represso da un comando partito dal suo cervello.




ANGOLO AUTRICE:
Eccomi con la prefazione di questa storia. Parto dicendo che il titolo non mi emoziona molto, quindi sto valutando di modificarlo anche se sono ancora indecisa a riguardo. Per           quanto riguarda la trama, dal prossimo capitolo comincia la vera storia di questa fanfiction. Verranno introdotti i primi personaggi che, come avrete capito dallo Spoiler, saranno Lily e i Malandrini. Ho deciso di postare la prefazione ad un giorno di distanza dalla pubblicazione della storia perché in realtà era già pronta e non riuscivo proprio ad aspettare. Il primo capitolo è quasi completo e quindi spero, in un paio di giorni, di poterlo pubblicare.
Detto questo ringrazio chi ha cominciato a leggere la mia storia, chi la recensirà (spero che qualcuno lo faccia), e anche chi ci entrerà per caso.
Un saluto.
Erydia.
 

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Capitolo 3
*** Chapter One ***


Il suono incessante della pioggia non riusciva a farla dormire. Ci provava, rigirandosi nelle coperte di quello che era stato il suo letto per 6 lunghi anni ad Hogwarts. Si girava a destra, poi ritornava con lo sguardo rivolto al soffitto, poi a sinistra e poi di nuovo a guardare il soffitto. Decise, con un sbuffo, di alzarsi. Non avrebbe avuto senso continuare quella tortura. Tanto valeva fare qualcosa di proficuo. Si guardò attorno guardando le sue compagne di stanza dormire. Accanto al suo letto c’era Marlene Mckinnon, la migliore amica che avesse al mondo. Pura, bellissima, dal cuore più grande e gentile che Lily avesse mai visto. Si erano conosciute il primo giorno sull’espresso per Hogwarts e da quel momento non si erano mai più lasciate. Erano diverse eppure così simili che si leggevano nel pensiero. Lei pensava una cosa e Marlene aveva già la risposta e viceversa. Un’amicizia così, pensò Lily, era rara e andava custodita. Alice Prewett, bionda, romantica e cazzuta. La migliore Battitrice che Grifondoro avesse mai avuto l’onore di ospitare nella sua squadra. Era innamorata di Frank Paciock da … beh … da quando i suoi occhi incrociarono quelli del ragazzo un giorno a Diagon Alley. Dopo 4 anni di continui “Frank di qua e Frank di la”, per sommo piacere delle sue compagne di stanza, era riuscita ad ottenere un appuntamento con il ragazzo. Da allora, stavano aspettando solo l’invito alle loro nozze. Mary McDonald, non aveva particolarmente legato con la rossa. Le voleva bene, certo, ma Lily difficilmente riusciva a legare con qualcuno. Era la migliore amica di Marlene certo, ma era stata una questione di imprinting e con Alice invece era impossibile non legare. Quando si metteva in testa che dovevi diventarle amica allora non potevi far altro che esserle amica. Ma nonostante tutto, la rispettava come compagna di casa e di dormitorio.
Sbuffò guardando fuori dalla finestra. La luna era alta nel cielo e l’orologio segnava le 3:00 del mattino. Come avrebbe fatto a resistere all’intensa giornata scolastica del giorno dopo senza dormire proprio non riusciva a saperlo. Decise che, visto che non riusciva a dormire, tanto valeva scendere in sala comune e preparare il tema di Pozioni che Lumacorno le aveva assegnato per il lunedì successivo. Era un Prefetto non per la simpatia ma per la sua voglia smisurata di rispettare e far rispettare le regole e per la sua passione innaturale per lo studio. Ognuno aveva i propri difetti, anche se per Lily quelli non erano difetti.
Andò silenziosamente in bagno preparandosi per il giorno dopo. Tanto era chiaro che non avrebbe più dormito. Scese con una candela in mano facendo attenzione a non svegliare i quadri e arrivò nella sala comune che stranamente non trovò vuota.
Restò immobile cercando di decidere il da farsi. Andare via e tornare a torturarsi nel letto, oppure avvicinarsi a quella figura che lei conosceva molto bene?
Fisico possente, occhi color cioccolato, con quei capelli che parevano aver vita propria e sparati da tutte le parte. Era seduto per terra, con la schiena appoggiata ad uno dei divani posizionati dinanzi al fuoco. Lily lo scrutò ancora per un secondo. Era bello, non poteva dire il contrario e in realtà non lo aveva mai detto, ma ciò che la urtava particolarmente tanto era quella sua faccia da schiaffi.
<< Hai intenzione di restare immobile per sempre?>>
Lily sussultò per la sorpresa. La sua voce assunse un tono dolce, quasi impercettibile. Era velluto e miele.
<< Come hai fatto a…?>>
Mormorò la rossa, ma lui la interruppe subito.
<< Hai lo stesso profumo di sempre. Ho riconosciuto il tuo profumo! >>
<< Ah … >>
Fu l’unica cosa che Lily riuscì a dire. Con passi incerti, si avvicinò ad una poltrona posizionata lì vicino e si sedette con ancora in mano il libro di Pozioni.
Passarono svariati minuti di silenzio, che a Lily parvero un’eternità. La cosa che più la metteva a disagio quando si trattava di James Potter, oltre alle continue dimostrazioni plateali che le riservava, era quando la osservava in silenzio. Lo aveva sorpreso tante volte a fissarla, senza parlare, spesso incatenando i suoi occhi nocciola al verde smeraldo degli occhi di Lily. Quel silenzio, in quel momento, con loro due da soli in sala comune, la mise in agitazione. Un’agitazione differente dalle altre, alla bocca dello stomaco, eccessiva e incontrollata. Guardò fuori dalla finestra sperando che quella sensazione che provava fosse passeggera, magari dovuta al sonno. Si sicuramente, era dovuta al sonno.
Poi ad un tratto, come se il suo istinto la portasse alla realtà, notò che non era strano vedere James Potter sveglio a tarda notte, ma di solito era sempre accompagnato dai suoi fidi compari. Sirius Black, rampollo di un’antichissima dinastia di Purosangue. Un Grifondoro allevato in un covo di serpi. Peter Minus, abbastanza insignificante e Remus Lupin, l’unico che secondo Lily era degno di nota. Prefetto come lei, dolce, intelligente e di cuore. L’unica pecca? Era un Malandrino. 
Quella sera però Potter era lì, solo, con una lettera tra le mani e gli occhi fissi nelle fiamme del fuoco che ardevano nel camino.
<< Ci sono problemi? >>
Le uscì di getto, maledicendosi subito dopo. Cosa le importava a lei di quello che stava passando la causa di tutti i suoi problemi? Eppure, pensò Lily, non sembrava neanche lui.
Il ragazzo scrollò le spalle, pensando a quella lettera che un gufo gli aveva recapitato un paio d’ore prima.
 
Ciao Jamie,
questa sera tuo padre era di ronda a Diagon Alley. I Mangiamorte hanno attaccato, lui è ferito. Ora è ricoverato al San Mungo e i medici non mi lasciano vederlo. Dicono che potrebbe non farcela volerci un po' prima che si risvegli. Cercherò di tenerti informata quanto più è possibile. Cerca di non preoccuparti figliolo, tuo padre è forte e se la caverà ma non potevo non dirtelo. Ti abbraccio forte, e fai il bravo.
Mamma

<< Nulla che ti debba dare preoccupazioni, mia dolce Evans! >>
James era un duro, era un Potter. L’idea che qualcuno potesse vederlo debole gli faceva ribollire il sangue. L’idea che lei lo vedesse debole lo faceva sentire non all’altezza di poterla conquistare. E così, aveva letto la lettera rispondendo a sua madre, aveva finto un mal di testa e si era messo a letto con le tende chiuse. Non voleva che i suoi amici lo vedessero debole. Proprio non ci riusciva! Ma poi i minuti erano diventate ore e lui non riusciva a fare altro che pensare a quella lettera. Suo padre, il suo eroe, era stato ferito da un branco di psicopatici e lui non poteva vederlo. Sua madre non poteva vederlo. Così, una volta che i Malandrini erano crollati nelle braccia di Morfeo aveva deciso di scendere in sala comune per stare ancora più solo con i suoi pensieri. Sospirò e questo non sfuggì alla rossa che aveva deciso – data l’ora – di non rispondergli a tono e rischiare di svegliare l’intero dormitorio di Grifondoro. James d’altro canto, continuava a tenere gli occhi fissi sulle fiamme del fuoco che riuscivano a calmare la sua ira. Tempo fa, fece un sogno. Sognò che ai suoi genitori sarebbe accaduto qualcosa. Gli fece pensare alla sua vita senza di loro e lui non poteva…non riusciva. La forza di un Potter è nell’amore di una famiglia unita e suo padre non poteva morire. Lui non poteva vivere quella vita, proprio non ci riusciva.
Lily lo guardò come se volesse chiedergli qualcosa, ma non osasse farlo.
«Quello che ti sta preoccupando, puoi fermarlo.» Era come se, nonostante il buio, i loro sguardi riuscissero a comunicare senza bisogno di parole. «Come lo sai che sono preoccupata? Non ti sei neanche voltato.» 
«Pensi che abbia bisogno di vederti per sapere cosa ti stia accadendo?» 
Lì nell’oscurità, il suono della pioggia esterna si confondeva con il temporale che era scoppiato dentro lo stomaco di Lily.
«Tranquillo Potter, sono a prova di colpi…» cercò di tagliare corto la ragazza «Non ho niente che mi preoccupa.» mentì, cercando di moderare il tono della sua voce. Loro due non erano amici, e il fatto che in quel momento si trovassero nello stesso posto, nello stesso momento senza litigare non avrebbe cambiato da un giorno all’altro il loro
rapporto. Loro si odiavano, per Morgana. Cercò di guardare, per quanto la luce fioca del fuoco le permetteva, il volto del ragazzo che tanto la irritava, farsi più cupo. Si accigliò aspettando una risposta che non tardò ad arrivare. Poi, d’un tratto, un ghigno si formò sul volto del Malandrino «Sei fatta di titanio!» Sussurrò guardandola.
E Lily in quel momento riuscì a sentire il suo cuore sussultare per venire poi represso da un altro comando, questa volta partito dal suo cervello.
 
Un tuono squarciò in due il cielo nero illuminando, a giorno, la sala comune. In quei pochi secondi di visibilità la luce mostrò il volto di James teso. A Lily parve scolpito e così, senza neanche accorgersene, si ritrovò seduta accanto a lui, con la schiena appoggiata al suo stesso divano. Quella – pensò la rossa – era una notte alquanto strana. Se qualcuno le avesse detto che lei e James, sarebbero stati volutamente nella stessa stanza e così vicini da sfiorarsi, avrebbe riso per ore. E invece quella notte era davvero strana.
Fu James a spezzare il silenzio che si era venuto a creare, con una domanda che non era per niente collegata a quel discorso sconnesso che avevano intrapreso.
«Come mai sei sola?»
«Oh ma non sono da sola, ci sei tu» nel suo tono di voce, lui non ci trovò malizia, così semplicemente decise di lasciar perdere. Nessun commento valeva così tanto, come il tempo che stava trascorrendo con lei. Era come un regalo inaspettato e lui aveva tutta l’intenzione di goderselo. «Non riuscivo a dormire, e in dormitorio avrei rischiato solamente di svegliare le ragazze. Così…» mostrò il libro di Pozioni «…ho pensato di portarmi avanti con i compiti.»
Storse il naso James, semplicemente perché ridere della ragazza che amava, del suo essere Prefetto Perfetto, gli sembrava una cosa troppo scortese. Storse il naso, James, e Lily non poté fare altro che sorridere in modo amaro. Si era illusa che quel ragazzo, lontano dalla platea, fosse un ragazzo maturo. Ed invece …
«Lily posso farti una domanda… » chiese d’un tratto, come a volerle chiedere il permesso. La rossa lo guardò per un secondo annuendo e lui continuò «Sei mai stata innamorata?»
«L’amore è per i sognatori» ammise alzando lo sguardo verso il cielo.
«Tu sembri una sognatrice».
«I sognatori non mi piacciono.»
«Non ti piacciono?»
Il silenzio rimpiombò su entrambe. E in quel momento, entrambi avevano il colore e la durezza di una statua di bronzo.
«Mio padre sta morendo…» sussurrò il moro «…mia madre me lo ha scritto in questa lettera.» agitò il pezzo di carta che aveva tra le mani incerto se buttarlo nel fuoco oppure tatuarselo sulla pelle. «Quando ne ho parlato con Silente, ho visto la sua espressione cambiare e il suo volto, se possibile, diventare ancora più pallido.» sospirò e i suoi occhi saettarono dentro quelli smeraldi della ragazza. Lei intrecciò le loro mani, e James gliene fu grata. Era il suo modo di consolarlo. «Credo non si fidi del Ministero e di conseguenza del San Mungo.»
Cosa si poteva dire ad un ragazzo il cui padre stava morendo?. Nulla!
E così, quando James tornò a fissare il fuoco nel camino, Lily fece l’unica cosa che poteva fare. Appoggiò la sua testa sulla spalla del ragazzo. Le loro mani ancora incrociate, restando lì a bearsi l’uno del silenzio dell’altro.

ANNO 1975 – QUELLA NOTTE – UFFICIO DI ALBUS SILENTE

Il più terribile dei mali dunque, la morte, non è niente per noi, dal momento che quando noi ci siamo la morte non c’è e quando essa sopravviene noi non siamo più. Essa non ha alcun significato né per i viventi né per i morti, perché per gli uni non è niente e quanto agli altri, essi non sono più. Questo Silente lo sapeva bene anche mentre rinchiuso nel suo ufficio, nel suo mondo quasi estraneo ad Hogwarts, pensava a quello che James Potter gli aveva riferito poche ore prima, rigirandosi tra le mani un bastoncino di legno. Una bacchetta per l’esattezza che Fanny dopo anni di ricerca era riuscita a portare al suo padrone. Una bacchetta molto importante che, se caduta nelle mani sbagliate, avrebbe cambiato per sempre non solo la vita di Hogwarts e del mondo Magico, ma anche quella del mondo Babbano.
 

Era diritto e rigido, Albus, contro il muro bianco dell'aula del Tribunale Magico dove Gellert era stato appena condannato. Sembrava un algido re di pietra. Impeccabile nella sua veste da mago, guardava Gellert venire portato via, senza muovere un ciglio. Aveva le mani strette l'una nell'altra, la bocca serrata in un silenzio privo di espressione. Il mondo intorno era un turbinio di voci e colori, persone che commentavano, giornalisti che tentavano di assalirlo di domande, scatti di macchine fotografiche, rumori, frasi spezzate; ma lui era immobile, nel silenzio inumano di chi aveva sacrificato sé stesso per il bene comune. Aspettò che lo portassero abbastanza lontano. Aspettò di raggiungere con falcate veloci ed eleganti la porta, di regalare come ultimo commento una folata di vento gelido che arrivava dall'entrata dritto nell'aula a scombinare i fogli, mantelli e pensieri, poi si smaterializzò senza voltarsi indietro.
 
 
Si girava e rigirava quel bastoncino di legno, indeciso su quello che avrebbe dovuto fare. Il tempo stava scadendo. L’orologio ticchettava i secondi che lo separavano dal sorgere del sole. Lui doveva prendere una decisione. Quella bacchetta gli apparteneva di diritto. Lui aveva disarmato l’unico uomo che era riuscito a far breccia nel suo cuore. Lo aveva disarmato, dopo avergli fatto abbassare la guardia, e poi lo aveva consegnato come carne da macello. Gellert Grindelwald era un impostore. Un Mago Oscuro, colui che avrebbe portato l’Ordine di Aurelius alla vittoria. Eppure si erano amati, si erano amati tanto, ma il loro amore distrusse dapprima l’unica donna che Albus amava e poi loro stessi. Così una notte, quando l’uomo mostrò al miglior preside che Hogwarts avesse mai avuto, la bacchetta di Sambuco, Albus decise che nulla era più importante della sicurezza del mondo, decidendo di rinunciare all’unica fonte di felicità che pensava di meritare.
 
 
« Ti porterò via, Albus. »
Gellert lo guardò negli occhi. Il suo sguardo penetrante fece vibrare l'anima di Silente, un'anima lacerata dal dolore e dal peso che si portava dentro ogni giorno. Quel dolore provocato dalla morte di Ariana. « Ti porterò via da loro. Ce ne andremo, io e te. E con questa, » Sventolò la bacchetta a pochi centimetri dal volto del futuro preside di Hogwarts « Saremo gli invincibili padroni della morte. »

 
 
Nessuno avrebbe mai saputo il reale motivo che spinse Silente a non distruggere la bacchetta. Forse era troppo potente per essere disintegrato, forse, non poteva cancellare l'unico legame che ancora lo legava a Gellert. Fu per questo che Silente, al sorgere del sole, spezzò in due la sua bacchetta. Uno schiocco impercettibile si udì dalla distruzione della sua bacchetta mentre Fanny, stanca, s’incendiò davanti ai suoi occhi per rinascere dalle sue ceneri. Quella sarebbe stata l’alba di una nuova era, fatta di distruzione e morte.
 
ANNO 1975 – ALBA – SALA COMUNE

I raggi del sole filtrarono dalla grande finestra presente in Sala Comune e quando raggiunsero il corpo dell’esile ragazza distesa sul grande divano la fecero svegliare. Ci mise un po', Lily Evans, a capire dove si trovasse e a mettere a fuoco ciò che era successo la sera prima. Si alzò a sedere guardandosi intorno. Di James Potter non c’era traccia. Molto probabilmente il ragazzo l’aveva posizionata sul divano lasciandola lì, da sola. Un moto di rabbia mista a tristezza invasero la rossa. Perché non l’aveva svegliata? Perché se ne era andato? Perché l’aveva lasciata lì da sola?. Si alzò di scatto, ritornando quatta quatta nel suo dormitorio stendendosi sul suo letto per aspettare il suono squillante della sveglia di Alice, intuendo che quel giorno sarebbe stato uno di quei giorni lunghi e intrisi di nervosismo.
Stupido di un Potter!
“Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte
inciampi nei miei più segreti pensieri?”
 
 
 
SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
Guardai per un secondo giù e un brivido di paura mi colpì la schiena. Odiavo le altezze, mi facevano vacillare ed io ero troppo ordinaria per farlo, troppo orgogliosa, troppo Lily Evans per permettermi di perdere il controllo.
«Se solo fossi stato qui, forse avrei potuto prendermela con te anziché deprimermi in un luogo pieno di uccelli.» oddio dovevo essere ammattita, adesso parlavo anche da sola. «Stupido di un James Potter!»

 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Eccomi qui, con il primo capitolo (diviso in due parti) di questa storia. Adesso cominciamo ad entrare nel vivo della storia. Avrei voluto postarlo per intero ma dividerlo a metà era la scelta più giusta da fare. Non so se qualcuno mai leggerà questa mia storia, se mai qualcuno la recensirà. Ma se c’è qualcuno che la legge, il mio ringraziamento va a voi.
Erydia.
 
 

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Capitolo 4
*** Chapter Two ***


 
Stupido Potter!
Era questo ciò che si ripeteva dall’attimo in cui aveva aperto gli occhi. Quella mattina, si era decisamente alzata con il piede sbagliato. Era intrattabile, di malumore, cosa che a quanto pare si sarebbe trascinata per tutto il giorno. Dopo essere ritornata in dormitorio, si era appoggiata sul letto. Brutta, brutta idea. Si, perché aveva finito per crollare tra le braccia di Morfeo, di nuovo. Forse anche per evitare di pensare a mrquantosonofigoPotter. Al suono della sveglia assassina di Alice, si era alzata di scatto provocando alla sua testa un senso di vuoto che sarebbe sfociato, lo sapeva bene, in un grande mal di testa. Ma ovviamente, la sfortuna non veniva sola e in piccole quantità, non con lei almeno. Infatti dopo aver messo un piede per terra, era finita per inciampare nei suoi stessi piedi e cadere.
A quel pensiero si massaggiò la parte dolorante.
1 ora: Trasfigurazione. E lui non c’era.
2 ora: Pozioni. E lui non c’era.
Pausa pranzo. E lui non c’era.
“Non verrà …!” mormorò Marlene dopo che, per la millesima volta, la sua migliore amica scuoteva la testa alla ricerca di qualcosa. “Già…!” sussurrò la rossa pensierosa, ridestandosi l’attimo dopo dai suoi stessi pensieri. “Chi non verrà? Di chi stai parlando Marlene?!”. Ma la ragazza era già sparita dentro l’aula di Antiche Rune, prendendo posto al primo banco.
Dopo quello scambio di battute, non ebbero più modo di parlare. Un po' perché le lezioni erano abbastanza intense e un po' perché parlare al primo banco era come premere il grilletto e suicidarsi. I professori le avrebbero sicuramente richiamate e Lily Evans non poteva essere richiamata. La giornata passò lenta, ma Lily proprio non riusciva a smettere di pensare a quello che era successo la notte prima. A dove potesse essere…a cosa fosse successo. Infondo, James le aveva praticamente detto che suo padre era tra la vita e la morte.
James …
James …
Lo aveva chiamato per nome. Si diede della stupida mentalmente. Lei e Potter non andavano per niente d’accordo, questo lo avevano capito anche i muri di Hogwarts e il fatto che la notte prima lei lo avesse consolato era solo – cercava di ripetersi Lily – spirito di squadra. Certo che però, Potter non era male. Se solo avesse smesso di chiederle di uscire nei modi più plateali possibili, forse avrebbe anche potuto tollerarlo.
Ma era di lei e lui che si parlava, di Potter ed Evans … probabilmente, come non mancava di ricordargli, sarebbe uscita piuttosto con la piovra gigante anziché con lui.
Sospirò mentre il freddo pungente della campagna inglese si faceva sentire, le entrava nelle ossa. Ne sentiva la consistenza sulla pelle ormai fredda eppure, non riusciva ad allontanarsi da quella grande finestra. Il ricordo della notte precedente, che ancora le torturava la mente.
Guardò per un secondo giù, dall’alto della Guferia, e un brivido di paura le colpì la schiena. Odiava le altezze, la facevano vacillare e lei era troppo ordinaria per farlo, troppo orgogliosa, troppo Lily Evans per permettermi di perdere il controllo. “Se solo fossi stato qui, forse avrei potuto prendermela con te anziché deprimermi in un luogo pieno di uccelli.” oddio, doveva essere ammattita, adesso parlava anche da sola. “Stupido di un James Potter!”.
Dal basso di quella torre, il pallido sole inglese splendeva e la temperatura si era alzata di qualche grado, rendendo la passeggiata verso la Guferia molto più piacevole del solito. Era una bella giornata per Marlene. Quella mattina, a differenza della sua migliore amica, si era svegliata di buonumore, riposata come se avesse dormito dodici ore e non sette, come era effettivamente accaduto. Durante il pranzo, ne aveva approfittato per scrivere alla sua famiglia. Dopo aver firmato con uno svolazzo l’aveva attraversata il pensiero che poteva anche andare in Guferia a spedire la busta, ora che l’aveva chiusa. Inaudito. Marlene McKinnon che non rimandava qualcosa. Erano tre settimane che si diceva che doveva scrivere quella lettera e, conoscendosi, aveva pensato che sarebbe passato altrettanto tempo prima che riuscisse effettivamente a spedirla. E invece no. Di tanto in tanto stupida perfino sé stessa. Godendosi il sole che le illuminava il viso imboccò a passo veloce le scale che conducevano alla cima della Guferia, osservando al contempo lo splendido panorama che si osservava da quell’altezza: il castello di Hogwarts, le colline che lo proteggevano, gli alberi, i prati ancora verdi prima dell’inverno. Quell’anno l’autunno non era ancora arrivato del tutto, rendendo l’inizio della scuola un po' più sopportabile del solito. Non c’era niente che Marlene odiasse più che studiare mentre fuori pioveva e tirava vento. Si aspettava di trovare la Guferia vuota, a quell’ora del pomeriggio, dal momento che la maggior parte degli studenti di Hogwarts preferiva riposare il più a lungo possibile. Invece, dall’altra parte del locale, mentre si sporgeva leggermente a guardare in basso, c’era Lily Evans. La sua bella amica dai capelli rossi che non aveva alcun motivo per trovarsi lì, dal momento che aveva sempre sofferto di vertigini. Forse, aveva deciso di sconfiggere la sua paura affrontandola.
Marlene stava per salutarla, quando la sentì parlare. Non distinse bene il senso generale, ma riuscì a udire le parole “James Potte”. Sospirò silenziosamente. Probabile che Lily avesse avuto l’ennesima discussione con James e si stesse sfogando? Strano però, era da tutto il giorno che Potter non si faceva vedere. Cercò di ignorare la vocina che le diceva che Lils ultimamente stava prendendo un po' troppo sul serio la questione Potter, dal momento che adesso parlava anche da sola e si lanciava in monologhi di cui potevano beneficiare solamente i gufi. Da lontano scrutò Aria, la bellissima civetta delle nevi della sua amica, che la fissava curiosa la sua padroncina.
“Ciao, raggio di sole!” la salutò in tono allegro, sperando di non coglierla troppo di sorpresa. Se Lily fosse volata giù dalla Guferia per lo spavento l’avrebbe avuta sulla coscienza per sempre. “Non avrei mai pensato di trovarti qui!” dal momento che ti prende l’ansia anche quando sei in cima ad una rampa di scale. Pensò la ragazza dai capelli biondo fragola.
Per fortuna al suono della voce di Marlene, Lily non fece gesti avventati, come potevano esserlo saltare in avanti o sussultare e perdere l’equilibrio. In ogni caso parve finalmente realizzare le due cose: che soffriva di vertigini e che si trovava sul bordo di una torre alta tanti tanti e tanti metri. A quel punto fece un balzo all’indietro – non in avanti, grazie al cielo – e quasi finì addosso a Marlene, che istintivamente sporse le braccia per evitarle una caduta rovinosa, anche se alla fine non ci fu bisogno del suo aiuto. La ragazza guardò con curiosità la sua migliore amica tornare in equilibrio e fissarla con quella che le sembrò un’espressione piuttosto imbarazzata. Forse si era resa conto dell’assurdità della situazione, ma Marlene, era semplicemente divertita nel vederla in quello stato: la controllatissima Lily Evans che parlava da sola e faceva letteralmente salti dalla paura. Quella giornata era decisamente piena di sorprese.
“Che brutta, bruttissima giornata!”
Le parole di Lily furono intervallate da uno sbuffo, segno chiarissimo che era di pessimo umore. Senza alcun dubbio la causa del suo malumore doveva essere James Potter, dal momento che Marlene non vedeva altro motivo per cui la sua solitamente equilibrata amica dovesse trovarsi in un luogo che le faceva una paura assurda a parlare al cielo (a parlare al cielo di James Potter, fra l’altro). Tanto più che mentre la salutava Lily si era passata una mano fra i capelli, gesto che le ricordò in modo inquietante Potter stesso. Marene maledisse silenziosamente il ragazzo, che aveva la dannosa capacità di rendere la sua amica nervosa ed irritata. Ed anche leggermente folle, a quanto pareva.
Secondo la sua modesta opinione, sarebbe stato molto meglio se Lily avesse accettato l’evidente tensione sessuale che c’era fra lei e James e avesse smesso di dichiarare a mondo intero quanto insopportabile, tedioso e stupido fosse lui. Ormai l’avevano capito quasi tutti che fra quei due c’era qualcosa, sebbene non fosse particolarmente chiaro cosa. Nonostante questo Marlene si sarebbe fatta tagliare un braccio prima di dire alla sua amica che forse era il caso che smettesse di insultare James e si rivolvesse ad uscire con lui. Se lo avesse fatto si sarebbe quasi sicuramente presa una fattura. Magari anche una maledizione, se Lily fosse stata di cattivo umore come quel giorno…
Si stampò sul volto un sorriso particolarmente radioso “Mi sembra che qualcuno si sia svegliato male oggi!” esclamò “Ne vuoi parlare?”
Lily la guardò scettica, inarcando un sopracciglio. Passarono interminabili secondi e dopo essersi stropicciata un occhio con il dorso della mano, parlò. Le raccontò della notte prima, della tristezza visibile negli occhi del Malandrino. Delle loro mani intrecciate e della sua testa poggiata sulla spalla del ragazzo. Le raccontò del suo risveglio, e del fatto che non lo aveva visto per tutto il giorno e sì, era sinceramente preoccupata. Mettici che non aveva visto neanche i Malandrini. La cosa si faceva alquanto strana. Temeva che davvero il padre del ragazzo non ce l’avesse fatta. “Perché quello stupido di un Potter non era a colazione, e neanche a lezione? Cosa è successo?!” prese un respiro profondo. Doveva ricordarsi di respirare quando faceva quei monologhi, o prima o poi ci sarebbe rimasta secca. Si stizzò ancora di più, reprimendo un urlo. “Eppure pensavo mi conoscesse, sapesse come sono fatta. Perché raccontarmi quella cosa e poi sparire. Chissà dove diamine si è cacciato quello stupido, stupido di un Potter!”. Guardò la sua migliore amica di sempre, quella che aveva conosciuto il primo giorno sull’espresso di Hogwarts. Quella che era per lei, la sorella che Petunia Evans non era più o forse non era mai stata, quella che le leggeva mente, cuore ed anima.
Lily sembrava…fuori di sé. Marlene era certissima di non averla mia vista così, anche se in sei anni di scuola aveva dovuto sopportare milioni di sue crisi di cattivo umore (quasi sempre provocate da un essere umano con i capelli neri, gli occhiali e la tendenza a scatenare gli istinti omicidi della sua amica). Marlene attese pazientemente che Lily mettesse in ordine le idee e parlasse, immaginando che il suo sarebbe stato un lunghissimo discorso. Non si sbagliava.
Ascoltò pazientemente tutto ciò che la sua amica avesse da dirle. Quello non faceva altro che confermare tutte le sue ipotesi riguardo alla tensione sessuale fra la sua amica e Potter. Marlene si morse le labbra, mentre la voglia di dirle ciò che pensava si faceva sempre più forte dentro di lei. “Ricapitoliamo … hai preso la mano di Potter, hai poggiato il capo sulla sua spalla, ti sei svegliata nella sala comune da sola, hai rischiato di porre prematuramente fina alla tua vita e sei arrabbiata perché non sai dov’è James Potter?” risposte, ponendo particolare accenno sull’ultimo punto. Cercò di dirlo in tono serio, ma forse non riuscì a nascondere un fondo di ironia. Possibile che Lily non si accorgesse di cosa rivelassero le sue parole e i suoi atteggiamenti a tutte le persone dotate di un minimo di intuito? “Non preoccuparti, se fosse accaduto qualcosa al padre di Potter, lo avremmo sicuramente saputo. Sarà in giro a fare danni con i suoi compari. È la sua attività preferita.”
Prima che Marlene continuasse la frase, Lily le lanciò un’occhiataccia di ammonizione. “E adesso non dirmi nulla di quello che stai pensando. No, io non provo niente per Potter che non sia disgusto o repulsione!”. Sbottò acida incrociando le braccia al petto, con un tempismo tale che Marlene si chiese se non fosse diventata improvvisamene in grado di leggerle nella mente. Molto più probabilmente ciò che pensava si leggeva nella sua espressione a metà fra il divertito, l’esasperato e il disperato. Non vedeva l’ora che quei due la smettessero di irritarsi a vicenda – anche se James non era mai parso infastidito dalla continua acidità di Lily, tutt’altro. “Ne sono certa, anzi certissima.!” Marlene alzò le mani con aria di resa e un sorrisino, unica concessione alla sua voglia di scoppiare a ridere. “D’altronde, perché dovresti provare qualcosa di diverso dalla repulsione e dal disgusto per un ragazzo sexy che vuole uscire con te?”. Nonostante tutte le sue esclamazioni di ribrezzo e le sue critiche, Marlene era certa che perfino Lily si fosse resa conto del fatto che James era … piacevole da guardare. Vero era anche che una che aveva avuto come migliore amico Severus Piton, non doveva avere gusti del tutto normali, ma Marlene confidava nella razionalità della sua amica perché si rendesse conto che si, James era carino, e che poteva anche dargli una possibilità (e smettere di angustiare tutti quelli che conosceva con la storia che lo detestava).
No, categoricamente no. A Lily non piaceva James, era solo l’unica persona con cui poteva prendersela senza una ragione ben precisa. Ma da quando lo chiamava per nome? Oh Merlino, gemette, possibile che anche la sua coscienza adesso fosse in combutta con lei? Non le piaceva Potter, caso chiuso. Stava per dire a Marlene che si sbagliava, che la doveva smettere se non voleva essere affatturata, quando un ricordo un po' nascosto da tanti altri, si fece largo dentro di lei.
 
Le strade notturne della Londra babbana erano animate da ubriaconi, pazzi, filosofi, prostitute e abitanti notturni di ogni genere. Dal suo posto osservava quel miscuglio di gente, restituendo l’affresco di una capitale bella, sfarzosa ed elegante ma allo stesso tempo tenebrosa e disincantata. Ogni notte, attraversava le silenziose strade londinesi mentre tutti dormivano, eccetto qualche pazzo filosofeggiante. La pioggia scendeva sottile, infrangendosi sulle mie spalle. Mi circondava, mi accarezzava lungo tutto il corpo. Cadeva senza rimorsi ma, nonostante tutto, la sua anima era più grigia del cielo di quella sera. Quella sera, pensò, la pioggia cadeva nello stesso modo su di lei e su James, e per nessuno esisteva un perché…
 
Doveva essere un ricordo modificato, o peggio un incubo. Perché era impossibile che lei pensasse a James Potter in quel modo. Non lo amava, non lo voleva in quel senso. C’era solo un modo in cui lei, Lily Evans, voleva James Potter e cioè legato sul fondo del Lago Nero. Cercò di ricordarsi il momento esatto in cui aveva cominciato a pensare a Potter in un modo diverso. Certo che l’aveva pensato in modo diverso, ma era stato un attimo frantumato nel tempo. Prima di tornare ad essere la ragazza di sempre. Erano ad una stupida partita di Quidditch dove Alice aveva insistito che andassero. Nulla di eclatante per lei ovviamente. Grifondoro contro Corvonero. Bella partita, peccato che non ci capiva nulla. Insomma, come sempre a detta di tutti, Grifondoro vinse. Oh certo, era felice che la sua casa avesse vinto ma non da esultare sugli spalti. Decisamente no! Insomma per farla breve, assistette ad una scena che le diede modo di pensare e tanto anche:
 
“E JAMES POTTER PRENDE IL BOCCINO” Tra gli spalti dei Grifondoro si alzò un boato di grida ed applausi mentre la sua squadra esultava felice. “GRANDE JAMES, GRANDE JAMES”.
Si guardò intorno cercando quel volto tra mille. E fu quando la vide che si innalzò con la sua scopa arrivandole di fronte. La folla ammutolì per lo stupore, lui baciò il boccino, lo puntò verso di lei e se lo portò a cuore.
“Grazie!” esclamò sincero sorridendole. Aveva fatto una cosa che nessuno mai si sarebbe sognato di fare e, pensò James, anche con il viso pallido, gli occhi lucidi e le gote arrossare era splendida.
“Ma ti pare” rispose quella ragazza con voce gentile.
E nessuno dei due in quel momento si accorse del silenzio imbarazzante che si era creato intorno a loro e di un cuore che si frantumava in mille pezzi. Quello della rossa!
 
 
Da quel giorno Lily cadde in uno dei suoi soliti patetici periodi di chiusura. Spesso, con gli esseri umani, buoni e cattivi i suoi sensi semplicemente si staccavano, si stancavano: lasciava perdere. Era educata. Annuiva. Fingeva di capire, perché non voleva ferire nessuno. Questa era la debolezza che le aveva procurato più guai. Cercando di essere gentile con gli altri spesso si ritrovava con l’anima a fettucce, ridotta ad una specie di piatto di tagliatelle spirituali. Non importava, il suo cervello si chiudeva. Ascoltava. Rispondeva. Ma erano troppo ottusi per rendersi conto che lei non c’era.
Alle parole di Marlene annuì sconsolata “Si… cioè no!” guardò la sua migliore amica nel panico “Si ho avuto una giornataccia ma no, non sono arrabbiata perché non so dove sia…e Marlene, Potter non è Sexy!” sputò indignata.
 
Marlene conosceva Lily come le sue tasche – metaforicamente parlando, dal momento che non sapeva mia cosa c’era nelle sue tasche. Erano amiche da sei anni, dormivano nella stessa stanza per nove mesi ogni anno, si vedevano e scrivevano durante le vacanze. Marlene sapeva quello che pensava Lily ancora meglio di quello che pensava lei stessa e la capiva anche solo con uno sguardo, come d’altronde Lily faceva con lei. Ma, nonostante questi, non avrebbe mai compreso perché la sua amica si ostinasse a dire a tutti che odiava James Potter. Va bene, razionalmente sapeva che lo faceva in parte perché realmente convinta di detestarlo ed in parte perché era abituata a farlo, dopo tutti gli anni che aveva passato a difendere quello stronzo di Piton da Potter e i suoi amici. Però era così brutto pensare che avrebbe potuto semplicemente deporre l’ascia di guerra, uscire con James ed essere contenta.
Fra l’altro, con tutta quella tensione sessuale repressa per anni, avrebbero fatto scintille.
Marlene sospirò. “Devo aver capito male allora” si arrese, decidendo che non era il caso di insistere. Lily le pareva già abbastanza nervosa senza che lei la stuzzicasse su quello che a tutti gli effetti si poteva considerare il suo punto debole. Doveva già essere abbastanza stressante convivere con i continui tentativi di James di attirare la sua attenzione, senza che lei facesse ironia su quell’argomento. Per quel giorno si impose di essere seria, anche se le sarebbe stato molto difficile. Preferiva affrontare i problemi con una battuta ed una risata, non con una discussione seria e profonda. Ma, per Lily, avrebbe fatto anche questo. Le sorrise con aria comprensiva, simile a quella di una mamma che si trova a ragionare con una bambina confusa. In effetti, quando si trattava del malandrino, Lily diventava proprio come una bambina che si rifiutava di vedere la realtà. “Andiamo Lils, può essere un pallone gonfiato e qualunque altra cosa, ma non puoi dire che è brutto! Oggettivamente parlando, almeno!”.
Marlene giocherellò con la busta che ancora teneva in mano, seguendo il corso dei suoi pensieri. Nonostante quello che Lily si ostinava a sostenere, c'era qualcosa fra lei e Potter, qualcosa che nessuno capiva bene e che chiunque avrebbe chiamato odio-amore. Ma era sempre stato così, fin da quando avevano undici anni. Però quello di fronte a cui si trovava adesso era qualcosa di diverso, come se ci fosse stato un cambiamento impercettibile che Marlene non aveva notato e che non riusciva ad inquadrare. Insomma, a Lily era sempre piaciuto parlare male di James, lamentarsi di James, insultare James - che lui fosse presente o meno - ma mai per così tanto tempo. C'era sempre un momento in cui lasciava perdere e si dedicava ad altro, mentre adesso sembrava che il centro dei suoi pensieri fosse Potter. Anche se perlopiù si trattava di pensieri poco lusinghieri, la cosa dava comunque da pensare.
Dopo la sua battuta, neanche troppo felice a dire il vero, Lily sorrise e le diede un buffetto sulla spalla, rendendo la preoccupazione di Marlene per lei un po' meno acuta.
Effettivamente, stando a quello che diceva sempre a Potter, Lily ormai avrebbe dovuto avere una relazione piuttosto stretta con la piovra gigante. Non passava giornata senza che nei corridoi di Hogwarts risuonasse un "Preferirei uscire con la piovra gigante piuttosto che con te, Potter". Era diventata una sorta di costante, a cui tutti si erano abituati.
“Okay oggettivamente e bada bene solo oggettivamente Potter non è male. Ma non è neanche tutta questa bellezza.”
Marlene fece un ampio sorriso. Farle ammettere questa indiscutibile verità era stato più semplice del previsto. Peccato che non fosse altrettanto facile spingerla a confessare che amava follemente James e che avrebbe voluto scappare con lui alle Hawaii per crescere lì i loro bambini dai capelli rossi. ”Sempre meglio del resto dei ragazzi che popolano Hogwarts. A parte qualche rarissima eccezione...”
Lily aggrottò le spalle e la guardò curiosa, sperando che per un po' i riflettori si spostassero dalla rossa alla sua amica. Non amava molto gli interrogatori, anche se quello non lo era di certo. Marlene non era Alice. Ecco perché era lei la sua migliore amica, quella a cui avrebbe affidato i suoi segreti più intensi, perché era semplicemente Marlene. Una botte di ferro.
“E questa rara eccezione per caso ha il nome di Sirius Black?” ghignò aspettando una sua risposta. In quel momento, erano solo due ragazze spensierate che conversavano sui ragazzi che le piacevano. Okay, però a lei Potter non piaceva!
A Marlene, d’altro canto, sarebbe piaciuto riuscire a distrarre completamente Lily dai suoi pensieri, ma sapeva che neanche lei aveva tale capacità. Solamente Lily stessa poteva liberarsi di tutto ciò che quel giorno la rendeva a tratti ombrosa ed irritata, con qualche sprazzo di allegria. Perlomeno Marlene era contenta di essere lei la causa di quegli sprazzi.
Marlene inarcò un sopracciglio con aria divertita di fronte al ghigno di Lily. Adorava prenderla in giro sui ragazzi, ma, sebbene fosse una verità indiscutibile che Sirius Black era bello, Marlene non aveva alcun interesse particolare verso di lui. ”In verità pensavo più a Peter Minus. Trovo che abbia un grandissimo fascino!”
Se ti piacevano i ragazzi bassi, insicuri e adoranti, ovvio.
“Secondo me è di gran lunga il ragazzo più carino della scuola.” Lo disse in tono mortalmente serio, ma era lampante che stava scherzando.
Che poi a pensarci bene Minus non era neanche il ragazzo più brutto di Hogwarts, di sicuro era mille volte meglio di quel tipo del quinto anno con problemi di acne. Ma semplicemente mancava totalmente di fascino e sicurezza in sé stesso. Non avrebbe mai capito perché Potter, Black e Lupin se lo portassero dietro, forse erano solamente inteneriti dalla sua insicurezza.
Per un istante si pentì dei suoi pensieri: non le piaceva parlare male degli altri, soprattutto se si trattava di compagni di casa, ma con Peter non c'era niente da fare. Non sarebbe mai riuscito a farselo piacere. Di solito preferiva non parlare di lui, così non avrebbe corso il rischio di dire cose di cui poi si sarebbe pentita, però di tanto in tanto il suo lato critico prevaleva.
“Oh sì, senza dubbio” mormorò la rossa con fare teatrale, mettendo le mani sulle spalle dell’amica. “Se ignori l’altezza, l’aspetto fisico, il poco coraggio e la b-b-b-balbuzia” Okay, non aveva nulla contro Peter Minus, ma non era nemmeno una sua grandissima fan. Era amico di Potter e questo bastava per farselo sopportare poco, pochissimo.
“Anche Remus è amico di Potter!”
Le ricordò la sua coscienza che stranamente aveva la voce di Alice. A tal proposito, avrebbe dovuto chiederglielo un giorno o l’altro, perché non era una cosa normale sentire la sua voce anche quando non le andava di sentire nessuno. E con nessuno intendeva proprio Alice Prewett, l’altra sua cara amica, che in quanto a invadenza su una scala da uno a dieci, era undici. E comunque Remus era Remus, quello non si discuteva.
Marlene scoppiò a ridere anche lei, sentendosi un po' troppo Serpeverde per i suoi gusti. ”Cosa c'è che non va nel suo aspetto fisico?” domandò con una smorfia teatrale. ”Io lo trovo molto... prestante!” Scosse la testa, ridendo. ”Però adesso basta prendere in giro Minus, anche se non sembra ho una coscienza.”
E poi ad un tratto, come ad invadere quella bolla che si era venuta a creare tra Lily e Marlene un James Potter fece capolinea all’interno della Guferia, troppo immerso nei suoi pensieri per accorgersi di non essere solo.
“Potter?” esclamò Lily e nel suo tono di voce c’era un misto tra l’irritato ed il sollevato. Marlene, capendo di essere – forse in quel momento – di troppo si dileguò con un “Avevo promesso ad Alice di ripetere con lei gli esercizi di Divinazione…beh ecco…ok ciao!” lasciando la sua migliore amica, in tranche, che scrutava il suo – probabilmente ex – peggior nemico.
La notte appena trascorsa per James fu la più brutta e la più bella della sua vita. Nonostante l’ansia di non poter vedere suo padre, il pensiero di averla tra le braccia lo faceva volare. Gli era sempre piaciuto volare, lo faceva sentire libero, leggero e senza pensieri. Non si era mai sentito così senza la sua scopa e in quel momento, con il respiro di Lily che gli solleticava il collo stava letteralmente toccando il cielo con un dito. E così, restò a guardarla incantato fino a che le prime luci dell’alba non si fecero spazio tra il buio della notte. James – cercando di non svegliarla – la poggiò sul divano e dopo averle regalato un ultimo sguardo risalì in dormitorio. Aveva atteso che i Malandrini si svegliassero, gli aveva spiegato della lettera … aveva cercato di contenere l’ira di Sirius. Anche lui, avrebbe voluto sbatterli ad Azkaban uno ad uno, ma loro erano ancora degli studenti, non avrebbero potuto far altro che incassare i colpi. Remus gli aveva riservato uno sguardo rincuorante. A James bastò per regalargli un sorriso forzato. Remus era sempre stato in grado di rincuorare tutti eppure – pensò il moro – era quella che nella vita soffriva di più. Cercò di darsi una sistemata come più poteva e una volta pronto si diresse verso l’ufficio di Silente. Aveva bisogno di vedere sua madre, con o senza il permesso del preside. Al suo fianco, immancabilmente, i Malandrini. Non lo avrebbero mai lasciato da solo e lo avrebbero seguito, con o senza il permesso del preside.
Silente, che come faceva a sapere sempre le intenzioni di tutti solo Merlino poteva saperlo, accolse i Malandrini serio.
“Voglio vederlo…e voglio vedere mia madre!” non disse nient’altro, gli occhi intensi e decisi. Remus mise una mano sulla spalla di James, come a volerlo calmare. Sapeva che il suo amico non avrebbe mai fatto qualcosa di avventato, ma al suo gesto senti i muscoli di James rilassarsi sotto il suo tocco.
Pochi minuti dopo Albus Silente aveva accompagnato – di persona – i quattro giovani al San Mungo. Quando raggiunsero la stanza in cui Harry giaceva dormiente, trovò sua moglie presente al suo capezzale. Amelia Black in Potter giaceva sulla sedia che occupava da quando, beh suo marito era stato portato in ospedale. Attorno al letto c’erano tanti fiori, alcuni lentamente stavano appassendo. Black, con un cenno della mano tremante, cercò di incantare qualche fiore in modo che restasse sempre del colore in quella stanza. Sapeva quanto ad Harry piacessero le cose colorate. Silente gli andò in soccorso.
James restò immobile, non riusciva a vedere suo padre in quello stato. Suo padre, il suo eroe, colui che gli aveva insegnato tutto. Il Quidditch, a volare, ad amare, a sorridere. L’uomo che aveva accettato un rampollo di una dinastia di Mangiamorte in casa sua come un figlio. Colui che aveva riversato a Remus ancora più amore e dolcezza quando aveva scoperto del suo piccolo problema peloso. L’uomo che aveva sempre un sorriso rassicurante per Peter non mancando di ricordargli che un giorno sarebbe sbocciato e che non doveva avere fretta perché anche lui era speciale.
“Mamma…” James si stupì di sentire la sua voce. Era così roca, non sembrava la sua. Si avvicinò al capezzale del padre mentre gli altri restarono sulla porta ad osservarli. Quando Amelia si voltò verso il figlio, tutti potettero notare che era invecchiata di colpo. Il suo viso, sempre solare, era spento e gli occhi erano gonfi. Chiaro segno che non aveva smesso di piangere. “James…” poi i suoi occhi saettarono verso la porta “Albus, alla fine ti hanno convinto a portarli qui…” sorrise amaro mentre rivolgeva un saluto anche ai tre figli acquisiti sulla porta. “Tesori miei, siete tutti qui!”.
E mentre i Malandrini strinsero Amelia in quell’abbraccio lungo e pieno di amore, Silente notò che in quell’abbraccio che si era venuto a creare, c’era anche un po' di Harry. E che fino a quando ci fosse stato l’amore, tutto si sarebbe risolto per il meglio.
Quella giornata era passata così, con i Malandrini che cercavano di distrarre James mentre lui – da che era arrivato – era rimasto fisso con lo sguardo rivolto verso suo padre. Sua madre e il professor Silente si erano allontanati per svariati minuti, forse ore, ma nessuno riuscì a preoccuparsene più di tanto. Alla fine, pensò James, qualsiasi cosa fosse uscita dalla bocca di sua madre e del preside a loro non era dato saperlo. Erano ancora studenti, non avrebbero avuto voce in capitolo. E questo faceva ribollire il sangue di James. Lui voleva agire, voleva vendicare suo padre, voleva che l’ultima cosa che vedessero quei bastardi fossero i suoi occhi. Intrisi di vendetta, intrisi di giustizia, intrisi di odio verso quella guerra che ormai avanzava a passò sempre più spedito.
Quando James tornò a scuola, non rivolse la parola a nessuno borbottando un “Ho dimenticato una cosa…” ai suoi amici e si diresse verso un punto imprecisato della scuola, in religioso silenzio. Lo stesso silenzio che aveva mantenuto guardando suo padre inerme in quel letto d’ospedale. Lo stesso silenzio che aveva fatto capire a Silente che era ora di riportarli a casa.
“Potter?”
Arrivato nella Guferia, immaginava di trovarla vuota e invece così non era. Lily Evans…la sua Lily Evans era lì e il suo cuore fece una capriola. Una di quelle che amava tanto fare lui sulla scopa. Abbozzò un sorriso e la guardò sghignazzando. Non voleva farsi vedere di nuovo debole come la notte precedente.
“Evans…”
Quella voce, così dannatamente familiare, le fece spuntare un sorriso che nascose dietro una maschera di finta esasperazione. “Ah Merlino…” gemette ghignando “…ma possibile che tu mi debba seguire ovunque?”.
“Rinuncia al tuo potere di attrarmi, Evans, ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti!”.
Per un secondo, inciso nel tempo, entrambi si dimenticarono delle loro preoccupazioni e quel battibecco nascente fu per entrambi un tornare a respirare.
“Non di seguirmi, di stressarmi.” sputò la rossa “Non cambierai mai vero? Beh peccato solo allora avresti avuto la possibilità di umiliarmi visto che è quello che vuoi!”.
Lily non voleva dire quello, lei avrebbe voluto chiedergli come stesse suo padre. Avrebbe voluto dirgli che lei c’era, che da buon prefetto si rendeva disponibile per qualsiasi cosa. Ma lei era lei e lui era James Potter e loro non avrebbero mai potuto collaborare.
“Mi credi così superficiale Evans?” le disse lui avvicinandosi con i capelli spettinati e quell’aria da bello e inarrivabile.
“Si … ti credo così superficiale Potter!” deglutì non staccando gli occhi dal ragazzo.
“Non dovresti giudicarmi!”
“Altrimenti?”
Lui rise fermando il suo sguardo negli occhi della ragazza.
“Altrimenti mi obblighi a cercare di dissuaderti!”
“Non ne saresti capace”
“Tu dici?”
“Ne sono certo” rispose lui sicuro di sé.
“Non ci contare troppo Potter, io non sono facile!”
“È per questo che ti voglio!”
Cercando di recuperare un tono composto e un po' di autocontrollo, la rossa rispose. “Tu non vuoi me, tu vuoi solo vedermi affondare, e se io affondo tu lo farai con me” rispose sicura di sé. Lui le si avvicinò ed era a poco più di una falange dalle labbra di Lily. “Io potrei essere la tua ancora di salvataggio” disse schiudendo le labbra in un sorriso.
Pericolo!
Pericolo!
Pericolo!
Erano troppo vicini. Lily poteva sentire il suo alito profumato mentre il suo viso si faceva sempre più vicino. Non stava accadendo davvero, non era possibile che lei baciasse James. Non poteva sprecare il suo primo bacio per James. Lei non voleva James Potter. Lei non voleva baciare quelle labbra che a quella distanza ravvicinata sembravano così invitanti. Non voleva perdersi in quegli occhi così profondi e caldi da combaciare molto bene con i suoi. Non voleva bearsi del suo profumo. No no no. Fu un’istante, sospeso nel tempo, Lily chiuse gli occhi immaginando come sarebbe stato. Poi, quasi di scatto, Aria svolazzo sulla sua spalla osservandola curiosa. Aria, la sua civetta delle nevi. Lily sorrise con uno sbuffo, dandosi mentalmente della stupida.
“Maledetta civetta…” sbuffò il ragazzo “Salvata in extremis Evans…” sussurrò passandosi una mano tra i capelli, forse per nascondere l’imbarazzo.
“Io…devo andare…” soffiò la rossa raggiungendo a grandi falcate l’uscita della Guferia. Poi, come a ricordarsi della notte prima, si fermò e senza neanche voltarsi esclamò un “Stai bene, Pott…James?” deglutì non potendo notare il luccichio negli occhi del ragazzo che per la prima volta aveva sentito il suo nome pronunciato da quelle labbra che tanto agognava. “Si Lily, adesso si…”.
E senza dire una parola, il corpo della ragazza lasciò la Guferia, mentre la sua anima e il suo cuore restarono ancorati a quel moro che – non poteva più negarlo – le provocava nuove sensazioni. Sensazioni belle, imprevedibili, eccitanti. Forse Marlene aveva ragione. Forse qualcosa stava cambiando.
 
 
 
 
 
SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
“Sai mio padre mi diceva sempre che se soffi su una scintilla, si accende”
E a quel punto sobbalzò, ma non per le parole … no! Semplicemente perché in quel momento la sua voce, così calda e allo stesso tempo così solare, sembrava essere la sua unica ancora di salvezza in quel mare di atrocità. Sospirò, senza trovare la forza necessaria per voltarsi e incatenare i suoi occhi smeraldini ai suoi color del cioccolato. Sospirò perché semplicemente era l’unica cosa che riusciva a fare.
“se vi sputi sopra, si spegne; eppure ambedue le cose escono dalla tua bocca.”
Aggrottò la fronte per quella sua frase, ma decise di non parlare. E restarono così, a bearsi di quel silenzio disturbato di tanto in tanto dallo scoppiettare del fuoco.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Eccomi, non credo che ci sia bisogno di aggiungere molto a questo angolo autrice. Quindi ringrazio tutti quelli che stanno leggendo la mia storia. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Ho dovuto mettere i dialoghi tra le "" perché risulta più veloce scrivere i dialoghi, senza ricorrere ai simboli. Sono molto fiera di me, sto postando a velocità supersonica anche se mi rendo conto che ci saranno giorni in cui l’ispirazione nargillica non verrà in mio soccorso. Ma per adesso non ci pensiamo. Un saluto.
Erydia.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Chapter Three ***


Ciò che più aggradava gli studenti di Hogwarts, erano i pasti abbondanti che venivano loro offerti. Dalla colazione, alla cena, passando per il pranzo, ogni prelibatezza cucinata dagli elfi domestici era a disposizione dello stomaco degli allievi.
“Lo mangi quello, Lunastorta?!”
“E quello?”
“Ma dai, questo è davvero ottimo come puoi non assaggiarlo!”
Remus sospirò rumorosamente. La luna piena si stava avvicinando e lui ne sentiva ogni fremito. La prima parte della luna – era la più difficile per lui. Si stiracchiò sentendo la sua schiena protestare, si lasciò sfuggire un mugolio di sofferenza mentre i muscoli si rifiutavano di collaborare.
“Come va Remus?” chiese James mentre giocava distrattamente con un pezzo di bacon ancora presente nel piatto. Non era lo stesso James di sempre – pensò Remus – da quando suo padre era stato portato al San Mungo. Era distratto, pensieroso e più incupito. I Malandrini cercavano di farlo sentire a suo agio, di non fargli mancare mai il sostegno ma nessuno di loro avrebbe potuto in qualche modo sopperire all’assenza di suo padre.
“Sopporterò…” sussurrò.
“Scie-fa-fai?” sbiascicò Sirius con – a detta di tutti – troppo cibo in bocca. Prima o poi si sarebbe strozzato. Deglutì rumorosamente, aprendo la bocca per incamerare nuova aria. “Dicevo …” si schiarì la voce “Ce la fai?!”.
“Si, riuscirò ad esserci a lezione almeno stamattina…” sorrise il biondo.
“Dove andiamo stasera?” bisbigliò Peter, stando bene attento a non farsi sentire da qualche compagno di casa.
“Intanto pensiamo ad arrivarci a stasera!” rise il ragazzo alzandosi dal tavolo, e raggiungendo la prima aula della mattina.
Prime tre ore: Pozioni!
James avrebbe volentieri saltato quella lezione, anche perché non aveva svolto il tema che Lumacone aveva assegnato loro. Ma, se da una parte c’era la sua voglia innata di andarsene da quei sotterranei che – a detta di Sirius – puzzavano sempre di purosangue e gente morta. Dall’altra parte, la voglia di vedere la sua rossa preferita, di fissare i suoi meravigliosi capelli rossi ed i suoi favolosi tic quando era pensierosa, era talmente tanta che in poche falcate aveva già preso posto – infondo all’aula – con al suo fianco l’immancabile Sirius Black.
“Ah, non ci capisco nulla!” esclamò esasperato James vicino a Sirius. “E lo dici a me? A me che neanche so quale tra questi è il libro di testo di Pozioni?”
Lily Evans, due banchi più avanti, sbuffò nel sentire quel ronzio nelle sue orecchie. Possibile che quei due dovessero sempre infastidire le lezioni? Si girò giusto in tempo per vedere i suoi compagni di casata nel bel mezzo di una crisi esistenziale. Non c’era niente da fare, pensò, i disastri si accoppiavano. E come volevasi dimostrare, la pozione che stavano mischiando nel loro calderone esplose facendo non solo un pasticcio incredibile, ma anche un rumore assordante.
Lily stava ancora con le orecchie coperte quando il professore si alzò in piedi, rivolgendo ai due un’occhiata poco gentile. “Signor Potter e Signor Black è mai possibile che in sei anni non abbiate imparato proprio nulla di questa materia?”
“Ci dispiace signore…” azzardò James “…ma proprio non ci capiamo nulla!” continuò Black con un tono fintamente mortificato, che chissà perché, ogni volta che veniva utilizzato, faceva sciogliere anche i cuori di ghiaccio. E infatti, il professor Lumacorno sorrise comprensivo.
“E va bene, facciamo così. Oggi vi aiuteranno due compagni che in questa materia se la cavano egregiamente…” ci pensò qualche secondo e poi “Black, tu rifarai la pozione con il Signor Lupin mentre Potter, tu ti farai aiutare da mmm...”
E intanto, in un punto preciso della stanza, Lily Evans pensava solo una cosa: fa che non sia io, fa che non sia io, fa che non sia io. Ti prego, ti prego, ti prego.
“Evans”
Merlino Santo!
In quel momento accaddero diverse cose contemporaneamente. Potter sgranò gli occhi in un modo così intenso che a Peter sembrava stessero per uscire fuori dalle orbite. Sirius, si lasciò andare nella sua solita risata che chissà perché – ogni volta che Lily l’ascoltava – le ricordava il latrato di un cane.
Potter si alzò in piedi raggiante e puntò gli occhi nocciola nei verdi della ragazza. “Ma buongiorno, Evans!”
“Sarà un buongiorno Potter, quando potrò schiantarti senza finire in punizione” sbottò irritata la rossa mentre James usciva fuori dall’aula che ancora rideva.
Stupido Potter!
 
La professoressa McGrannitt non si stupì molto quando Horace Lumacorno la fermò nei corridoi per parlare dei Malandrini. Ormai era una cosa alquanto nota che quei quattro erano la sua spina nel fianco. Scherzi, fughe notturne, malandrinate ad ogni ora del giorno e della notte. Ad ogni angolo del castello. Per quanto la professoressa cercasse di riportarli sulla retta via era consapevole che non avrebbe potuto cambiarli. Eppure, per quanto si impegnasse a dare loro punizioni esemplari non riusciva ad ignorare quella sensazione interiore che faceva dei Malandrini, i suoi studenti preferiti. Erano veri, puri, intelligenti. Incarnavano tutti i valori dei Grifondoro e Minerva non poteva ignorarlo.
Dopo la pausa pranzo, aveva fermato James per l’ennesima ramanzina.
"Se si impegnasse nello studio come si impegna a non studiare, signor Potter, sarebbe il primo della classe." Gli disse facendolo scoppiare a ridere. Aveva alzato gli occhi al cielo e passato una mano tra i capelli cercando di non ridere troppo sguaiatamente.
"Se mi impegnassi nello studio come mi impegno a non studiare, professoressa, Lei perderebbe l'opportunità di passare i pomeriggi a intrattenersi con me. E sappiamo entrambe che è una cosa che adora fare." Aveva risposto, aveva sfidato troppo la sorte perché la donna avrebbe potuto peggiorare la sua situazione ma gli era andata bene, come al solito. E dopo un’occhiataccia esasperata dalla sua professoressa preferita, si dileguò per dirigersi verso i Sotterranei. Aveva una lezione da recuperare e una certa rossa da far arrabbiare.
Tuttavia far saltare per aria la Pozione non era l'ennesimo dei suoi metodi per evitare di rivolgere gli occhi verso Lily Evans. Odiava Pozioni e Sirius non era da meno, il motivo per cui continuassero a fare coppia durante le lezioni era pressoché un mistero tuttavia nessuno si sarebbe aspettato nulla di diverso e quindi loro, semplicemente, continuavano a fare quello che tutti si aspettavano, stranamente, per una volta, Potter e Black sottostavano alle aspettative altrui.
Piacevole cambio di programma. O per lo meno sarebbe stato piacevole se non avessero attentato alla vita di ogni singolo occupante dell'aula di Pozioni. Non l'avevano fatto apposta, quella era forse la vera novità. Certo, solitamente non facevano saltare per aria le aule per diletto ma la maggior parte delle volte i loro scherzi si concludevano con il botto e con qualche ora di punizione. Era divertente come loro due finissero sempre separati e come, sistematicamente, passassero tutto il tempo a chiacchierare l'un l'altro. In realtà quel giorno non gli era andata per niente bene. Avrebbe preferito in realtà che fosse Remus ad aiutare sia lui che Sirius: sapeva come sarebbe finita, avrebbe fatto finta di ascoltare per qualche minuto poi avrebbe chiesto a Remus di fare per lui il compito e sarebbe andato al campo di Quidditch invece, evidentemente, il professore doveva aver fiutato che era quello che accadeva ogni volta che incaricava Remus di dargli delle ripetizioni e gli aveva affibbiato Lily. In realtà James nutriva nei confronti del modo in cui avrebbe dovuto passare quel pomeriggio sentimenti contrastanti: avrebbe fatto qualsiasi cosa per passare del tempo con la Evans ma non di certo dietro ad ingredienti e a calderoni. No, Pozioni non faceva decisamente per lui e non capiva l'utilità di quel pomeriggio in quell'aula.
Sbuffò incamminandosi per il corridoio dei sotterranei e, conscio del fatto che fosse in ritardo, non si preoccupò minimamente di accelerare l'andatura e, se possibile, rallentò ancora di più finché non si decise che l'aveva fatta aspettare abbastanza e che se non se ne era ancora andata significava solo che voleva vederlo e che non gliene fotteva nulla delle ripetizioni. Insomma aveva più di mezz'ora di ritardo, nessuno che non fosse interessato a lui avrebbe atteso così a lungo. Si appoggiò svogliatamente allo stipite della porta semiaperta e la fissò per un attimo, attendendo che lei si rendesse conto del suo sguardo chiaro sulla schiena. Non disse nulla e rimase così a guardarla, desiderando di immergere le sue mani tra i capelli scomposti di lei sollevati sopra alla nuca.
Rimase lì, a fissarla, guardandola e accarezzando con il suo sguardo la schiena di lei, la riga dura della sua colonna vertebrale, le sue spalle, rigide. Era arrabbiata, arrabbiata perché lui era in ritardo. Ridacchiò appena tra sé e sé senza fare rumore, semplicemente continuando a studiare con gli occhi ogni singolo movimento di Lily. Sarebbe potuto rimanere così per sempre. Erano da soli, erano lì, da soli, senza nessuno che li vedesse, senza bisogno di negare, senza bisogno di nascondere quei sentimenti, senza neppure fingere di provarne, erano lì, erano solo loro due e non importava quello che sarebbe accaduto, non importava che alla luce del sole non potessero stare insieme, non importava che cosa dicessero gli altri -come se a James fosse mai importato più di tanto- erano lì, erano loro. E il semplice fatto che lei non se ne fosse andata, significava che non lo avrebbe fatto, finché lui non fosse arrivato.
Per quanto lei lo negasse, per quanto anche lui continuasse a nasconderlo, si amavano, si amavano in un modo che nessuno avrebbe mai potuto comprendere, forse. La amava dal primo momento, aveva sempre pensato che lei sarebbe stata la donna che voleva, nella sua vita, la amava dal primo istante in cui l'aveva conosciuta, sul treno per Hogwarts e quello era il motivo per cui disprezzava tanto Mocciosus. Lui cercava di portargliela via, lui non le permetteva di conoscere i suoi veri sentimenti per James. Lo sapeva, sapeva che cosa diceva Piton su di lui. E quello non faceva altro che far odiare ancora di più a James quel Serpeverde. Quello era il motivo per cui lo torchiava a quel modo, quello era il motivo per cui lo aveva appeso a testa in giù davanti a tutti, in giardino, l'anno precedente, quello era il motivo per cui aveva goduto quando Piton l'aveva chiamata a quel modo, quando Piton aveva pronunciato quell'insulto perché lei lo stava difendendo.
Sapeva che quello sarebbe stato l'unico errore che Lily non gli avrebbe mai perdonato e, nonostante lei fosse stata ferita, aveva goduto dell'errore di Mocciosus: lei non lo avrebbe mai perdonato, lei avrebbe smesso di ascoltarlo e quello gli dava una possibilità in più.
 
 
Lily sentì scagliare nello spazio a quelle parole che aveva appena udito.
“Non ho bisogno dell’aiuto di una schifosa Mezzosangue”
Aveva degnato Severus Piton, ora suo ex migliore amico, di poche fredde parole; e quando Potter aveva urlato al Serpeverde: “Chiedi scusa a Evans, subito!”, lei non ci aveva visto più e, dopo aver detto che lui e Piton erano praticamente uguali, si era messa a elencare i motivi per cui odiava James Potter, concludendo con una frase che fece impallidire il ragazzo:
- Sei così pieno di te stesso che non so come faccia la tua scopa a sorreggerti. Mi dai la nausea!
Dopo quella frase, si era voltata indietro ed era corsa verso il castello, fregandosene sia di Potter che di Piton, fregandosene di lui che la chiamava.
- Evans! EHI, EVANS!
Ma lei non si voltò, non voleva vedere nessuno dei due.

 
 
“Maledizione” la vide sbattere violentemente una mano sul tavolo e una provetta frantumarsi sotto di essa.
Le sue labbra si chinarono leggermente verso l'alto, mentre guardava la boccetta infrangersi e intuì, il dito di lei tagliarsi. Fece un passo in avanti, silenziosamente, in modo che lei non si accorgesse della sua presenza, rapidamente, cercando di farsi scomparire dal volto quel sorrisetto supponente che sapeva che lei odiava. In realtà, su quell'ultima cosa, non si impegnò più di tanto. Lui adorava farsi odiare da lei. Perché non era odio, lo sapeva bene. Era qualcosa di diverso, (era quello che aveva sempre voluto, il modo in cui avrebbe sempre voluto essere guardato da lei) era qualcosa che non sapeva definire ma a cui l'amore andava molto vicino.
Quando lei si voltò, il sorriso non era sparito dalle labbra di Potter; i suoi occhi però, erano passati da fissare la sua schiena e il suo collo candido su cui avrebbe voluto far scivolare le mani e le labbra a fissare il suo volto non per questo meno amabile. Si immobilizzò, come se stessero facendo qualche gioco e se lui si fosse mosso avrebbe perso. Era strano, lui aveva già perso. Per la prima volta nella sua vita, James Potter aveva perso in partenza, e aveva vinto, vinto il premio più grande che avrebbe sempre desiderato.
“Potter, ti sei per caso pietrificato da solo? Questa, non si fa da sola. Muoviti!”
Scosse una sola volta la testa, facendo un passo avanti e abbandonando quella posizione sulla porta lasciando che le braccia cadessero lungo i suoi fianchi. Sorrise ancora, fissando nuovamente i suoi occhi marroni in quelli verdi della ragazza. Quanto era bella, anche in quel momento, mentre arrabbiata lo aspettava? A quel solo pensiero, le labbra gli si chinarono di più verso l'alto e una risposta ironica spinse sulle sue labbra: “Ci ha pensato il tuo volto, Evans.” disse indicando un attimo dopo il dito ferito di lei come se fosse un chiaro segno di quello che aveva detto fino a un attimo prima. Superò la ragazza dopo aver detto quella frase e si sedette con nonchalance su uno degli sgabelli di fronte al tavolo che lei aveva preparato. Poteva quasi sentirla, la sua ira, scaldare la fredda aula nei sotterranei. Aveva perso in partenza, ma lei non lo sapeva, avrebbe continuato a giocare.
“Fortuna che c'è gente che ti reputa bello, Potter. Perché in quanto a simpatia sei penoso” ringhiò la rossa, andandosi a sedere sullo sgabello accanto al suo.
Come se tu non fossi una di quelle persone, Evans. Pensò, sicuro di sé come molti gli
avevano sempre rimproverato, forse anche troppo, perché in fondo anche se era
convinto di aver ragione, anche se era completamente convinto che lei avesse un
debole per lui per il semplice fatto che... Beh era impossibile non avere un debole per lui, probabilmente il fatto di essere così sicuro di sé avrebbe potuto avere effetti negativi sul suo ego nel caso in cui si fosse reso conto che si stava sbagliando. Ma lui non sbagliava mai o, per lo meno, non sbagliava mai per quello che riguardava le ragazze Aveva una sorta di capacità sovrannaturale nel saper riconoscere quando una ragazza aveva un debole per lui anche se, solitamente, non è che queste poi cercassero in qualche modo di essere discrete. Ne ridevano spesso, lui e Sirius, delle ragazze che ridacchiavano nei corridoi al loro passaggio e lui a volte era uscito con qualcuna di queste, non come il
migliore amico che lo faceva per divertirsi ma con un intento diverso, ovvero quello di far ingelosire la Evans. E ci era riuscito, ci riusciva ogni singola volta anche se lei non lo avrebbe mai ammesso. Questa era solo l'ennesima prova che lui le piaceva e che Lily combattesse contro sé stessa per non ammetterlo. Sorrise di sbieco e fece un altro passo in avanti lasciando correre il dorso della mano lungo la guancia di lei così come se fosse un gesto da poco. “Sono conscio di essere bello, Evans. Ma quando si è belli, a cosa serve la simpatia?!” chiese, lasciando ricadere un attimo dopo la mano dalla sua
guancia. Lui credeva che lei fosse bella ma quello non lo avrebbe mai ammesso, non importava che nessuno potesse sentirlo. Dirlo ad alta voce avrebbe significato che era
fottuto sul serio.
La pozione che dovevano preparare non era altro che l’Amortentia. Che patetico scherzo del destino. Lily cominciò a leggere ad alta voce ciò che c’era scritto sul libro di Pozioni. Ovviamente, sapeva già come preparare quella pozione. Era pur sempre Lily Evans. Leggeva perché Potter, uhm … non era certo famoso per spiccare di buona
volontà. Probabilmente non aveva letto niente di quella pozione, ecco perché – alla fine – era esplosa come un Bombarda Maxima. "L'Amortentia è il filtro d'amore più potente del mondo..." cominciò la rossa, scostandosi dal viso una ciocca ribelle che era sfuggita a quella coda disordinata. “Crea una potente infatuazione o ossessione per una persona, ma non il vero amore, che non si può creare artificialmente” guardò Potter sperando che capisse ciò che stava leggendo. Ma, se ci fosse stato Xeno Lovegood, avrebbe
sicuramente asserito che sulla testa di James ci fossero tanti gorgosprizzi che gli stavano entrando nel cervello. Beh, purché stessero lontani da lei, le andava bene qualsiasi cosa. “Mi stai seguendo Potter?”. Non aspettò risposta e riprese la lettura “L’Amortentia ha un odore diverso per ogni persona che lo sente, secondo le fragranze che gli piacciono di più, anche se la persona non si rende conto che la fragranza gli piace”.
 
 
"Ehi, Lils. Tu cosa sentivi?"
"Come?"
"Andiamo non fare la stralunata. Voglio sapere che odore emanava la tua Pozione?"
"Ah. Oh beh. Fammi pensare: Erba tagliata, pergamena nuova e il sapore del vento. Oddio, il sapore del vento?" chiese Lils abbastanza confusa alla sua amica Alice.
"Ah, allora era la fragranza James Potter!"

 
 
James – come volevasi dimostrare – non ascoltò una singola parola di quelle pronunciate da lei, non ascoltò assolutamente nulla di quello che avrebbe potuto interessarlo su quella Pozione come non avrebbe ascoltato alcuna cosa che venisse da un libro ma in quel momento quello che gli interessava sul serio era il fatto che quel filtro d'amore fosse il più potente del mondo. Quante possibilità aveva che lei potesse finalmente ammettere quello che provava nei suoi confronti se l'avesse bevuto? Certo, bisognava fare in modo che non se ne rendesse conto ma in quello James era piuttosto bravo. Sorrise appena allungandosi sopra al corpo di lei e posando le mani più esterne rispetto a quelle di lei
mentre lei si allungava sul tavolo assaporando il suo profumo floreale. Quando lei si
raddrizzò con la schiena, James non si allontanò, restando così, bloccandola tra il tavolo e il suo corpo, un sorriso di sbieco e supponente sulle labbra sapendo che,
probabilmente, lei lo avrebbe preso a schiaffi di lì a poco. La guardò, uno sguardo
interrogativo e luminoso negli occhi, qualcosa che poteva essere definito solo malandrino prima di dirle “Pronto”. Non aveva idea di che cosa avrebbe dovuto fare, non aveva ascoltato una singola parola, ma non gli interessava, la stava provocando. Quella era l’unico motivo per cui si trovava lì quel pomeriggio.  Forse se ne rese conto comunque, forse no, fatto sta che lasciò scorrere gli occhi lungo il suo collo notando nel punto in cui quello si congiungeva con lo sterno di lei notando il suo battito accelerato ma non disse assolutamente nulla. L'aveva fatto apposta per osservare la sua reazione e la sua
reazione era stata esattamente quella che lui si aspettava, non aveva altro da fare.
Sorrise, fino a quando non si allungò sopra al corpo di Lily e anche in quel caso il sorriso non scomparve dalle sue labbra.
“Fa poco lo spiritoso, Potter e toccami un'altra volta con quelle mani messe chissà dove e su chi e giuro che ti schianto”
Non replicò perché la frase di lei gli aveva dato nuovamente, per l'ennesima volta, la
risposta che lui voleva, che aveva sempre voluto. Erano soli e l'unico desiderio di James era quello di baciarla, ardentemente, intrappolarla contro il tavolo, gettare da un lato tutto quello che si era ammassato su quello, pronto per una Pozione che lui non avrebbe mai voluto fare, e baciarla. Non lo fece. Non perché non ne avesse l'opportunità o
perché non fosse convinto del fatto che lei lo volesse. Quello lo sapeva, quello era così lampante. Il motivo per cui non lo fece era un altro. Avrebbe atteso che fosse lei a baciarlo, non avrebbe fatto vedere a Lily che aveva perso, che lei era la vincitrice di quello stupido gioco.
 
 
Sentiva lo sguardo di Lily Evans su di lui, lo guardava attraverso quelle lunghe ciglia con le sue iridi chiari, se lo sentiva addosso mentre con un braccio intorno alle spalle di una ragazza di cui non ricordava il nome si incamminava verso l'uscita di Hogwarts, diretto verso Hogsmeade. Si ricordava di aver voltato la testa indietro per rispondere a una battuta di Remus e aver visto gli occhi di lei distogliersi rapidamente. Aveva deciso di approfittarne e aveva detto ai suoi amici di iniziare ad andare avanti, che lui e quella ragazza li
avrebbero raggiunti dopo e poi aveva fatto voltare lei, immergendo entrambe le mani nelle tasche posteriori dei jeans della ragazza e poi, sicuro che Lily continuasse a fissarla, l'aveva baciata. Così, davanti a tutti, salvo abbandonare quella ragazza qualche istante dopo per passare il pomeriggio con gli amici. Aveva sorriso appena, mentre la baciava, ma lo aveva fatto solo perché aveva visto il mostro verde della gelosia nelle iridi di Lily.
Questo è quello che ti stai perdendo, Evans. aveva pensato, guardandola voltarsi.

 
 
Sorrise appena, quando vide lo sguardo di lei, vagare dal suo volto a sopra di loro, a qualcosa che non riusciva a vedere dalla posizione in cui si trovava ma che se solo avesse
alzato gli occhi avrebbe notato e avrebbe usato come pretesto per fare sue quelle
labbra che lo chiamavano, che lo invitavano.
“Potter, lasciami andare subito!” scandì la rossa “Se non hai voglia di apprendere, allora non farmi perdere tempo!”
Ridacchiò appena, alzando le braccia in segno di scusa. “Non ti sto toccando, Evans.” disse, come se fosse la cosa più normale del mondo da dire in quella situazione ma, in fondo, lei gli aveva detto che non voleva che la toccasse, non che non la costringesse a quel modo. Erano soli, perché semplicemente non parlava con il cuore, quello James non lo sapeva. Sapeva semplicemente, o lo avrebbe saputo dopo, che in quel momento era troppo orgoglioso per dirle quella verità che anni dopo li avrebbe portati a un destino
triste e felice allo stesso tempo. Alzò la schiena senza spostarsi ulteriormente ma
smettendo di stare così addosso alla compagna di Casata.
“Dimmi cosa devo fare, allora!” disse il moro, con il suo solito modo di fare – dai più –
definito arrogante.
C'era qualcosa nell'essere giocatore di Quidditch che lo spingeva a comprendere
perfettamente ogni singolo movimento dei propri interlocutori. Era qualcosa che non aveva mai guardato con attenzione, era un qualcosa talmente naturale per lui che non ci aveva mai fatto caso ma, semplicemente, si rendeva conto del modo in cui i
muscoli si tendevano e i nervi e le ossa si muovevano quando qualcuno stava per fare qualcosa che non voleva fare o quando stava per compiere un movimento che
richiedesse l'uso di muscoli e di nervi. Per cui si rese conto, con sguardo critico, da osservatore, del momento esatto in cui lei decise di spingerlo lontano e si alzò, delicatamente, raddrizzando la schiena per posare poi il sedere sullo sgabello e chinarla con un arco
opposto rispetto a quello che aveva compiuto poco prima sul corpo di lei. Aveva visto la pelle del suo collo arrossarsi quando vi aveva sentito il suo respiro anche se non lo avrebbe potuto dire con certezza. Tanto gli bastava.
Quando si era accorto di amarla? Non lo avrebbe saputo dire, era come se, semplicemente, nell'esatto istante in cui l'aveva vista per la prima volta, avesse deciso che lei era quella giusta. Il tempo aveva semplicemente aumentato la sua idea che quella fosse la persona perfetta per la sua vita. E il fatto che lei lo allontanasse non faceva altro che
aumentare quell'idea. Non amava le vittorie semplici, non lo aveva mai fatto. Gli davano dell'arrogante perché era convinto di vincere le sfide difficili ma nel novanta per cento delle volte, alla fine, gli davano ragione perché le vinceva sempre. Lily non era l'ennesimo trofeo, lei era forse l'unica vittoria che avrebbe mai voluto e averla per sé sarebbe stato il premio più dolce. Allontanandosi da lei, lasciò scorrere la punta delle dita lungo il collo di lei, guardandola e ascoltando le sue parole. Non aveva voglia di fare quella Pozione, non aveva voglia di essere lì, quel pomeriggio, e l'unica cosa che avrebbe mantenuto
invariata, sarebbe stata la presenza della ragazza in quell'aula. Per quanto lo negasse, tutte le persone che lo conoscevano sapevano che cosa provava James Potter per Lily Evans e la maggior parte delle persone, per lo meno degli amici di James, riteneva che quella ragazza avrebbe potuto in qualche modo migliorare il comportamento di James. O per lo meno era quello che gli aveva detto Remus una volta facendolo ridere.
"prima di tutto, smettila di distrarti e stammi a sentire." Finse di non essere stata
– minimamente – toccata dalle parole del ragazzo. Ritornò a guardare il calderone
ancora intatto, mentre cercava invano di fermare i battiti del suo cuore troppo
accelerati. “Prima di cominciare…” continuò “c’è qualcos’altro che ti piacerebbe fare? Così la fai, cominciamo questa stupida pozione per finirla presto, in modo da essere
finalmente libera di tornare a farmi i fatti miei!”
Sostenne lo sguardo di lei per un solo istante e poi si sporse in avanti senza replicare;
avvolse con le mani i polsi di lei e la tirò verso di sé facendo scorrere una delle mani sulla nuca della ragazza carezzandole dolcemente i capelli, prima di avvicinare le sue labbra a quelle della compagna di Casata; nel giro di un battere di ciglia premette le sue labbra contro quelle della Evans avvicinandosi a lei ancora di più, desiderando che anche la Evans si lasciasse perdere in quel bacio. Durò qualche secondo, poi la lasciò andare, un sorriso di sbieco sulle labbra, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoseli
ancora di più; per una volta con un valido motivo per farlo. “Bene, possiamo anche
iniziare, Evans.”
 
 
“Lily tu sai quanto io voglia bene a James…” lo guardò in silenzio “E so anche che lui è cambiato. Lily lo so io, lo sai tu, lo sa praticamente tutta Hogwarts che quel malandrino è cambiato e ancora non riesco a capire perché tu non gli dia una possibilità”.
“Remus … vorrei poterti credere. Ma non ci riesco. Non quando si tratta di lui!”
 
 
Di una cosa Lily era sicura in quella esistenza che ormai non sembrava più la sua.
Guardando James Potter negli occhi capì che loro due erano destinati. Destinati ad
incontrarsi di nuovo, e cercarsi di nuovo, ad amarsi di nuovo. Erano destinati, perché le persone come loro due, non finivano mai. Quella situazione, l’essere lì con lui, la stava
portando al limite. Stava crollando sotto i suoi sguardi senza avere la forza di riprendersi. Che poi lei rideva, non era una di quelle persone che faceva intravedere la sua tristezza. Lei rideva tanto e anche rumorosamente, parlava ad alta voce, faceva delle facce buffe, scherzava. Non era la classica ragazza che faceva notare la sua tristezza. Quando era in compagnia anche se aveva il cuore distrutto, era delusa dalla vita, da sé stessa,
fingeva e rideva, scherzava, faceva battute stupide, poi con una scusa si chiudeva in
bagno e allora lì crollava come un castello di corta spazzato via dal vento. Quante notti, nel suo letto a fingere di dormire, aveva pensato a lui? Quante notti le sarebbe piaciuto averlo vicino e stringerlo a sé al posto del cuscino? Quante volte le sarebbe piaciuto
respirare il suo profumo che sapeva di pulito, che odorava di buono. Quante notti le
sarebbe piaciuto amarlo intensamente – una notte intera – e forse per sempre. Tutto aveva perso la consistenza in quel momento. Lei guardava lui, lui guardava lei e il tempo era semplicemente scomparso diventando spettatore esterno. Avrebbe dovuto creare una soluzione o meglio una via di fuga, perché quella situazione stava degenerando. L’aria si era fatta pesante, la sua testa si trovava in tranche mentre il suo cuore non
riusciva a darsi pace. Lei doveva andare via! Ma non sapeva come. Non ci riusciva mai. Aveva quel maledetto vizio di restare a farsi consumare dal suo sguardo, e senza fiatare, di lasciarsi abbandonare. Perché lei era così, lui la faceva sentire così. James Potter
arrivava e lei, lei lo voleva più forte.
Avrebbe voluto dire a Marlene, quando le chiese se era interessata Potter, che da un po' di tempo a quella parte, lo vedeva in ogni cosa bella che le colpisse gli occhi. Che era diventato un brivido che la percorreva da mattina a sera. Che era il desiderio di vedere il mondo, solo per poterglielo raccontare. Era bastato un giorno per farli odiare e una vita intera per farli innamorare. Probabilmente accadeva sempre così e lei non lo sapeva, ignara di un destino stupendo e credule che l’aspettava. Il mondo aveva smesso di girare vorticosamente fermandosi di colpo come a volersi godere appieno anche lui la
sofferenza che quella storia avrebbe portato loro. Perché quella storia, non poteva essere reale. Perché era una cosa ripugnante, perché semplicemente quell’amore – o
qualunque cosa fosse – non doveva sbocciare, non tra loro due. Perché James e Lily non sarebbero mai stati in grado di amarsi alla luce del sole! Ma l’amore era qualcosa di
imprevedibile e l’avrebbe portata inevitabilmente alla pazzia. Quel sentimento, quei
sentimenti contrastanti che provava per lui, erano nati proprio tra le mura di quel castello, che li guardava, da spettatore esterno, mentre cresceva diventando sempre più forte. Quel sentimento che difficilmente sarebbe svanito anche dopo che loro strade si
sarebbero divise. E alla fine ogni paura, ogni presentimento, ogni cosa che aveva tanto temuto era accaduta. Uno dei due aveva mollato, non aveva retto quel gioco di sguardi, quei sentimenti. Avrebbe preferito fuggire via, lontano da quello che stava diventando per lei, l’essenza della vita stessa. La loro! Perché lei era così, lui la faceva sentire così.
James Potter arrivava e lei, lei lo amava più forte. Quando avvicinò le sue labbra a quelle della rossa, il corpo di Lily semplicemente si bloccò, non sapeva cosa fare. Voleva
allontanarlo ed avvicinarlo allo stesso tempo. Il suo primo bacio! In pochi secondi, senza darle modo di capire cosa stesse realmente accadendo, premette le sue labbra contro le sue avvicinandosi a lei ancora e ancora. E fu allora che lo sentì. Un ammorbidirsi delle labbra, una risposta tanto lieve che la fece smettere di respirare. Poi James Potter la
baciò, con tanta delicatezza che temette di averlo immaginato. Labbra calde e dolci sfiorarono le sue, le assaporarono. Fu un bacio così bello che quasi le fece dimenticare il suo voler andar via da quell’aula. Poi ad un tratto la magia svanì. Si staccò da lui,
passandosi le mani sul volto, sulla bocca, cercando di cancellare qualcosa che
somigliava tanto ad un amore contraccambiato, quando non era altro che una risposta condizionata. Barcollò verso l’altro lato della stanza e posò le mani contro il muro. Le
serviva spazio per respirare, spazio per pensare, spazio per non crollare. “Perché…” dalla sua voce uscì un sussurro impercettibile “Perché lo hai fatto…!” e non era una domanda. Il capo chino faceva sì che i suoi capelli coprissero il suo volto. Quegli stessi occhi in cui, sapeva bene, era sceso un velo di tristezza. Voleva solo andare via, il più lontano possibile da lui, ma non riusciva a muovere un passo. Era come se fosse stata pietrificata in quella posizione e adesso aspettava un contro-incantesimo che sapeva non sarebbe arrivata senza conseguenze letali, Ma il suo cuore si era già sbriciolato in mille pezzi che si erano sparpagliati per la stanza. Non sarebbe più riuscita a recuperarli, diventando così la ragazza che tutti immaginavano lei fosse: Lily Evans senza cuore.
 
 
“Remus cosa stai cercando di dirmi?”
“Lui ha detto una cosa!”
“Lui chi?” ma lei conosceva già la risposta e Remus parve capirlo perché non si
preoccupò di risponderle.
“Lui mi disse: Remus, quando ti innamori è un po' come volare per la prima volta, non sai cosa ti aspetta, hai paura di cadere ma nonostante tutto vuoi provare a sfidare tutte le tue paure e trovare la felicità che cerchi in volo! E’ così che io mi sento con lei, non
importa il perché, il come e il quando ma io mi sono innamorato di lei e questo non
cambierà. Lei che è la mia isola di salvezza in questo mare di uniformità”.
 
 
Quante volte facciamo qualcosa che sul momento ci sembra giusto, che ci sembra quello che dobbiamo fare e poco dopo ci rendiamo conto che abbiamo solo fatto un casino più grande di quello che stavamo evitando? C’è un’espressione inglese che a
James piaceva un sacco e che rendeva bene l’idea: I messed up! Quello fu il pensiero di James in quel momento. Ho fatto un casino! è la più classica delle traduzioni ma trovava ancora che in inglese rendesse di più, rendeva perfettamente l’idea di qualcosa che
veniva completamente messa in disordine e quello era il modo in cui si sentiva James in quel momento. L'aveva baciata perché era esattamente quello che voleva fare in quel momento, era tutto quello che avrebbe semplicemente voluto fare. Perché lei era così bella, perché lui le vedeva quella tristezza in fondo ai suoi occhi e voleva ancora di più farla sparire. Non si sarebbe mai perdonato, nel sapere che era colpa sua ma non lo avrebbe mai ammesso. La baciò, fintanto che lei glielo concesse, desiderando stringerla tra le sue braccia al di fuori di quelle mura, voleva tenerle la mano, condurla lungo il parco, passare del tempo con lei. La Amava. Si sentiva in un certo modo di appartenere a lei e tutto quello che aveva fatto, l'aveva fatto per arrivare a quel punto. A baciarla, a stringerla tra le braccia. Era qualcosa che aveva sempre fatto: agire di impulso, fare quello che gli passava per la mente senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Lo
faceva sempre. Anche quel caso non fece eccezione anche se la reazione di lei lo
sorprese, costringendolo a voltarsi, fingendo di essere molto più interessato agli ingredienti disposti sul tavolo che non alla ragazza che aveva appena Baciato, alla ragazza che Amava. Le sue spalle diventarono una riga dura, quello era l'unico modo in cui chiunque avrebbe potuto capire che non stava bene, che c'era qualcosa che lei aveva fatto che lo aveva scosso ma solo un bravo osservatore se ne sarebbe reso conto. Dubitava che Lily, scossa com'era, potesse notarlo. Voltò gli occhi verso di lei anche se si era imposto di non guardarla. Per fortuna non incrociò le sue iridi chiare o non avrebbe saputo
risponderle. Voltò nuovamente la testa, guardarla, faceva male. Passò ancora una mano tra i capelli lasciando scorrere gli occhi nuovamente lungo le rocce grigie e fredde del muro dell'aula nei Sotterranei. “Non ci arrivi da sola, Lily?” Pronunciò il suo nome. Era una delle poche volte in cui non la chiamava per cognome, lo disse in un sussurro prima di
rivolgere nuovamente gli occhi verso di lei. Fece un passo in avanti, verso di lei e con due dita le alzò il mento, immergendo gli occhi in quelli verdi della ragazza. Vedere quella
tristezza nelle iridi gli fece male. Si odiava, perché ne era la causa. Durò un istante poi
lasciò cadere il mento di lei, tornando ad indossare la maschera di ragazzo arrogante. 
 
Il tempo era come se si fosse arrestato di colpo, ancora una volta. O forse era lei che non riusciva più a trovare una spiegazione a quell’assurda situazione e semplicemente
annullava i suoi sensi pensando che in realtà fosse il tempo a fermarsi per lei. In realtà, lo sapeva bene, era lei che si stava annullando sotto il suo sguardo. Sotto il suo tocco lieve e caldo. Deciso, potente e carico di quello stesso amore che si stava ritrovando a provare per lui. Dannazione Lily, sei una stupida! Probabilmente lo era. Perché nessun amore avrebbe potuto vivere in eterno eccetto il loro, eppure lei stava mandando all’aria ogni cosa. Ma era difficile fidarsi di lui, difficile credere che tra tante lui volesse proprio lei. Lei che era quel brivido che gli percorreva da mattina a sera. Che era il desiderio di vedere il mondo solo per poterglielo raccontare. Si passò entrambe le mani tra i capelli rosso fuoco, chiudendo gli occhi e assaporando un po' di quiete apparente. Avrebbe voluto annullare entrambi, fidarsi e trovare riparo tra quelle sue forti braccia. Ma tutto le
sembrava una barzelletta mal raccontata. Perché Lily Evans e James Potter insieme erano questo: una barzelletta. Mille emozioni contrastanti in lei ed una sola cosa aleggiava nella mia testa: tutto quello le sembrava un carnevale di fiducia.
Oh Lils!
Quante volte il suo cuore aveva sussurrato il nome del suo salvatore nel momento del
bisogno? Quante volte, pensando a James, aveva assaporato il peccato, ricordandosi il desiderio dell’implicazione, dell’insinuazione della malevolenza? Quante volte, in silenzio, lo aveva amato? E in quel momento – davanti a lui – non poteva più giacere tranquilla in tutto quel caos, prima che il suo cavaliere armato, stringesse d’assedio il suo cuore per ucciderlo.
“Se dobbiamo fare questa cosa, sbrigati. Ho gli allenamenti, dopo.” Sbottò James
interrompendo i pensieri della ragazza. Voleva che si avvicinasse di nuovo, non gli
piaceva quella distanza tra loro. Voleva che nutrisse il suo cuore, perché era assetato dal suo amore mentre la sua Dea interiore danzava sotto i colpi del suo cuore. Si, voleva che
nutrisse il suo amore perché senza il suo amore, il cuore di James non sarebbe stato nulla. Solo un organo privo di vita.
Lily voleva andarsene via. Allontanarsi il più possibile da quella situazione ed evitare ogni contatto con lui. Sarebbe stato un gioco da ragazzi evitare il fallimento nel momento in cui i veri sentimenti si sarebbero svelati. Sarebbe stato tutto in nome di un atteggiamento sbagliato e di cose di cui non avevano bisogno. Perché loro due non avevano bisogno di stare insieme. Non era quello che il destino aveva riservato loro. Lo guardava, il suo cuore batteva, e l’unica cosa che aveva in mente era il desiderio incontrastato di non avere nessun disastro che alla fine li avrebbe toccati entrambi – nel profondo. Avrebbe lacerato le loro anime, i loro cuori, la loro carne. Li avrebbe solo disintegrati. Il suo amore per lui era disintegrazione pura. Non voleva cedere, mai. Perché semplicemente non voleva
rovinare tutto. Lei inevitabilmente rovinava tutto ciò che toccava. Ne erano la prova
lampante, Petunia e Severus. Se entrambi la odiavano, forse il male era lei. Ma aveva un così disperato bisogno di lui che si sarebbe fatta bastare tutto.
All’affermazione del ragazzo lo fulminò con lo sguardo mentre uno schiaffo riempì l’aria gelida circostante. Resasi conto del gesto fatto, si portò la mano rossa e pulsante – chiusa a pugno – alla bocca. Che diavolo aveva fatto?!
“Non ti azzardare mai più a baciarmi, perché ti giuro su Silente potrebbe essere l’ultima cosa che farai!”.
 
James la guardò, così piccola sotto ai suoi occhi e in un certo senso anche indifesa che avrebbe semplicemente voluto stringerla a sé e dirle che andava tutto bene, che avrebbe sistemato tutto, che avrebbe... Già ma che cosa poteva fare? In fondo era colpa sua, era sempre stata colpa sua. Tutto quello che avveniva tra di loro era colpa sua anche se non lo avrebbe mai ammesso. Passò una mano tra i capelli, facendo un passo indietro come se lei, immergendo le mani tra i suoi di capelli, di fronte al gesto di lui e alle sue parole, lo avesse colpito. Lo aveva colpito come se lei gli avesse dato uno schiaffo
facendolo sentire colpevole. E stupido. Ma, in fondo, l'unico modo che aveva sempre per trattare con le ragazze ero quello che usava con lei. Era sbagliato, lo sapeva, trattarla come trattava tutte le altre persone perché lei era diversa da tutte le altre ragazze con le quali avrebbe mai voluto uscire. Lo sapevano tutti, tutte le persone che, per lo meno, per lui contavano.


 
Fissava il fuoco che giocava nel caminetto della sala comune di Grifondoro con quegli occhi persi nel vuoto come se stesse cercando di comprendere qualche segreto che gli sfuggiva ogni volta. In realtà stava cercando semplicemente di seguire con lo sguardo i capelli rossi di Lily che erano appena spariti su dalle scale. Avrebbe semplicemente voluto seguirla, immergere le mani tra i suoi capelli, sotto la sua maglietta, sollevarla e stringerla a sé, baciarla come se non ci fosse un domani e invece avevano appena litigato.
"Che cosa c'è che non va, Romeo?" Non si era neppure reso conto che Sirius era entrato in sala comune e la sua voce lo aveva scosso leggermente spingendolo a scuotere la testa e a passare una mano tra i capelli.
"Niente"
"Non è vero"
"Niente" Passò una mano tra i capelli voltando gli occhi verso quelli del migliore amico.
"Lily" quella di Sirius non era una domanda. "Cosa hai fatto?"
"Perché deve sempre essere colpa mia?"

 

Perché era colpa sua, perché ogni singola volta era colpa sua, perché la amava ma
faceva di tutto per ferirla perché, forse, dicendole la verità si sarebbe ferito a sua volta. Continuò a fissarla attendendo che Lily dicesse o facesse qualcosa ma anche lei rimase immobile e anche se James non lo poteva sapere, rimase ad inseguire dei ricordi come quelli che stavano massacrando e
divorando la sua memoria. E poi un rumore sordo si propagò per la stanza. Fu quello, ciò che sentì prima di ogni altra cosa: non il dolore, non la reazione di lei, non la
consapevolezza che lei gli aveva appena tirato uno schiaffo, no, solo il rumore sordo e pieno della mano di Lily contro la sua pelle e poi arrivarono il dolore -più che altro quello psicologico della consapevolezza che lei non provava per lui la stessa cosa- e le parole dell'altra Grifondoro. Alzò le mani in segno di resa, allontanandosi ancora da lei anche se quello che avrebbe voluto fare era l'esatto opposto. “Va bene, hai ragione. Ora
muoviti.” Concesse. Non ci credeva davvero ma di colpo la presenza di Lily era diventata qualcosa di troppo e quella stanza troppo piccola e vuota per entrambe.
 
Sapete cos'è l'amore vero? Avete mai amato così profondamente, da condannare voi stessi per l'eternità? - Io l'ho fatto!
 
Per tutte le volte che aveva visto Potter in compagnia di ragazza, pensava di essersi
spezzata. Di aver spezzato il suo cuore, la sua mente e la sua anima. Ma solo in quel
momento – con lui davanti – capì che lui non l’aveva spezzata. Stava ancora
combattendo per la pace tra mente e cuore. Tra ragione e sentimento.
“Sai James…” azzardò mentre il suo cuore faceva tante capriole e la sua mente urlava a caratteri cubitali che no, non doveva parlare perché avrebbe finito per fare un casino. lo aveva pure chiamato per nome, era così stupida. Si sentiva una stupida. “Tu puoi farmi tutto quello che vuoi. Tutto quello che ti possa dare modo di vantarti con i tuoi amici, o i tuoi fan o quello che vuoi okay? Puoi fare tutto!” sputò avvicinando a lui così tanto da sentire il suo respiro sulla pelle. Faticò a continuare ma lei era Lily Evans ed era orgoglio puro. “Non mi tocca, non mi toccherà mai. Perché io ho la pelle dura e un cuore elastico. Sono come un elastico fino a quando tiri troppo. Potrei spezzarmi e muovermi veloce ma sappi, che non mi vedrai mai cedere. Non vedrai mai cedere il mio cuore, perché quello è elastico!”
Voleva solo andar via da quell’aula. Andare nel suo dormitorio ed infilarsi a letto anche solo per restare sveglia attraverso quella notte buia. Non avrebbe chiuso occhio.
Guardava James e l’unica cosa che pensava era che poteva sopravvivere anche senza di lui. Camminare attraverso il fuoco pur di salvare la sua vita. Ma voleva James! Lo
voleva così tanto nella sua vita. Stava facendo tutto quello che poteva, perché era difficile perdere qualcuno che in teoria aveva già scelto. Perché lei, James lo aveva scelto. Lo avrebbe sempre scelto. “Vattene Potter, finirò io la tua pozione per Lumacorno!”. Ed era sincera. A quel punto lo voleva solo più lontano possibile da lei e dal suo cuore elastico.
James scosse la testa solo una volta quindi sollevò ancora gli occhi sul volto tanto amato di Lily ammirando le sue labbra carnose e desiderando di baciarla nuovamente con
passione. “No, non posso... C'è una cosa che non posso fare.” rispose, alzandosi e voltandosi, dirigendosi verso la porta. L'unica cosa che avrebbe davvero voluto fare, amarla, non era possibile perché lei non lo amava. Eppure era convinto che fossero fatti per stare insieme, nonostante tutto. “Ci vediamo, Evans” Commentò recuperando la sua tracolla e lasciandola passare intorno al collo. Non voleva davvero andarsene ma che cosa poteva fare, in fondo? Non voleva lasciarla lì sola, voleva restare con lei ma non voleva neppure ferirla e non voleva neppure essere ferito. Andarsene era l'unica opzione ma non per questa era la meno dolorosa.
Fu solo quando James voltandosi uscì dalla stanza che Lily sentì come se lui fosse andato via portandosi con sé il peso dell’abbandono. Alla fine era riuscita nel suo intento,
allontanarsi da lui. Perché allontanarsi da lui, da quel sentimento troppo forte per entrambi era il suo unico scopo in quella – ormai misera – esistenza. Ma quando i suoi occhi non incrociarono più la sua sagoma in quella stanza buia capì che non poteva più perdere tempo. Aveva bisogno di lui ancora più vicino. Non riusciva a spiegarsi ma un giorno senza James al suo fianco stava diventando frustrante come un anno senza pioggia. Quando non c’era le mancava tanto, e quando lui era con lei, aveva bisogno di aiuto per uscire da quel suo sguardo che la incatenava a lui – ancora e ancora. L’unico modo per vivere a stretto contatto con i sentimenti che provava per lui era quello di
allontanarlo, non conosceva altri modi. Quell’amore li avrebbe distrutti, sapeva solo questo. Il suo cuore già sentiva la nostalgia, divenne arido come un oceano secco o come le sue gambe che stavano cedendo. Aveva bisogno che qualcuno la prendesse, la
sorreggesse. E mentre lui si allontanava, lei lottava contro la voglia di raggiungerlo.
C’erano stati giorni, in cui sia James che Lily, si erano voltati indietro malinconici, stanchi di sentire il rumore delle loro stesse lacrime. Nervosi perché i loro migliori anni se ne stavano andando lasciandoli vuoti, terrorizzati senza potersi specchiare l’uno negli occhi dell’altra. E alla fine, cadevano a pezzi, indifesi e arrabbiati. I loro cuori, si erano disintegrati senza che loro potessero fare niente.
 
 
 
 
 
La prima volta che i malandrini furono messi a conoscenza del piccolo problema peloso di Remus cercarono un modo per stargli vicino. Durante una delle primissime lune piene, Remus dovette sforzarsi molto per far sì che quei matti non lo seguissero. Una notte di luna piena, Sirius, James e Peter – sotto il mantello dell’invisibilità di James – si accucciarono
sopra la botola del passaggio segreto per la stamberga strillante, presente nel platano picchiatore. Fu la notte più brutta della loro vita. Fu questo che spinse tre studenti del quinto del secondo anno a diventare Animagi. Il primo a riuscirci fu James, seguito a ruota da Sirius. Peter ci mise un po' più tempo ma adesso ad ogni luna piena, nella foresta
proibita, un lupo – un cervo – un cane e un topo giocano felici. Fu il loro regalo alla
nomina di Prefetto di Remus.
Felpato gli afferrò l’orecchio trascinandolo più in basso. Il lupo ringhiò cercando di
divincolarsi. Il lupo sapeva che era un gioco: il cane lo mordeva delicatamente, lo
lasciava andare, correva un po' per la stanza e lo guardava scodinzolando. Il lupo però non sapeva perché lo facesse. L’umano che lo imprigionava sembrava lasciarlo uscire tranquillamente quando c’era quel cane, e stava lì a guardarlo sorridente. Odioso. Lui
poteva vivere ogni giorno mentre lui usciva una volta al mese. Eppure quando c’erano quegli animali lui stava lì tranquillo, non gli diceva di calmarsi, era seduto in un angolo della sua anima attendendo di tornare in sé stesso, perché il lupo sapeva che aveva poco tempo: una notte, una notte appena e poi sarebbe stato lui quello rinchiuso in un angolo.
Il suo odiato umano… sì, suo eppure odiato: suo perché suo era il corpo che lo lasciava uscire, odiato perché lo rinchiudeva da sempre. Il suo odiato umano doveva conoscere quel cane, perché a volte lo sentiva sussurrare un nome: “Felpato”. Era strano quando c’erano il cane, il cervo e il topo si dimenticava della fame e si sentiva bene. Forse era quello il suo branco? E i lupi che ululavano lì fuori? Forse loro non c’entravano nulla con “Il” branco.
Il lupo ricordava ancora quando aveva cercato di mangiare quel piccolo topo, l’odioso umano, lui l’aveva supplicato. “Codaliscia è qui per farti compagnia, non mangiarlo, è qui per noi, per aiutarci…” era stata la prima volta che l’umano aveva parlato al lupo come se fossero la stessa cosa, ed era cominciato a diventare meno odioso…
Il cane continuava ad istigarlo al gioco, il lupo stava per accettare: si era alzato e si stava sgranchendo le zampe, quando il cervo morse la coda al cane. Se un lupo avesse potuto ridere, lo avrebbe fatto. Il topolino sgusciò da sotto un mobile arrampicandosi sulla testa del cervo, il cane ringhiava arrabbiato ma divertito.
Il lupo sentì l’umano parlargli, la nella sua testa.
“Loro sono nostri amici…”
Era ciò che gli ripeteva ogni notte e il lupo sapeva che quei tre avrebbero giocato con lui, senza paura dei denti, come in un branco.
 
 
 
 
SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
Li aveva osservati Tom, li aveva osservati bene, tanto e senza perdersi nessuna
sfaccettatura di quella gente. Era stato addestrato bene. Era questo ciò che pensava mentre attendeva – camminando avanti e indietro – i suoi nuovi ospiti, in quella che era diventata la sua dimora. Non aveva bisogno di comodità, non aveva bisogno di niente che potesse servirgli. Voleva vendetta, voleva potere. Voleva il mondo magico e non, su un piatto d’argento. Il piano era semplice, aspettare finché non fosse stato annunciato dai grandi esponenti del bene mentre perdevano le loro grazie. Voleva che tutti
conoscessero le sue imprese, che tutti assaggiassero la sete di potere che bramava da anni. Da quando Silente – togliendolo da quell’orfanotrofio – aveva dato vita al suo istinto omicida.
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Chapter Four ***


[Dopo aver letto il capitolo, vi prego di leggere l’Angolo Autrice].
 
Li aveva osservati. Li aveva osservati bene e tanto, senza perdersi nessuna sfaccettatura delle loro anime. Era questo che pensava mentre attendeva – camminando avanti e indietro – i suoi ospiti in quella che da un po' di tempo era diventata la sua dimora. Non aveva bisogno di comodità, non aveva bisogno di niente che potesse servirgli. Voleva vendetta, voleva potere. Voleva il mondo magico e non, su un piatto d’argento. Il piano era semplice, aspettare finché non fosse stato annunciato dai grandi esponenti del bene mentre perdevano le loro grazie. Voleva che tutti conoscessero le sue imprese, che tutti assaggiassero la sete di vendetta che bramava da anni. Da quando Silente lo aveva “salvato” da quell’orfanotrofio, dando vita al suo istinto omicida.
 
 
“Posso spostare gli oggetti senza toccarli, far fare delle cose agli animali senza addestrarli, far capitare brutte cose a quelli cattivi con me, farli soffrire…se voglio. Parlo anche con i serpenti, loro mi trovano, sussurrano cose, è normale? Per uno come me?”
 
 
“Il gioco è iniziato, Nagini!” le sussurrò in serpentese, mentre il serpente lo fissava negli occhi annuendo. “Il branco di Silente rimarrà incatenato guardando la mia grandezza, Nagini!”. E tutti si sarebbero incatenati a lui, incoronandolo il loro padrone supremo. Inchinandosi, perché era l’unica cosa che avrebbe permesso loro di fare.
BALLATE BURATTINI CHE VI VOGLIAMO CONTENTI
Bellarti Black.
Severus Piton
Milo Avery.
Bartemius Crouch.
Erano loro le persone che stava attendendo con impazienza. Erano loro che avrebbero dato inizio al gioco. Quel gioco che aveva ideato per portare caos all’interno delle mura di Hogwarts. Con la loro ingenuità nel sentirsi malvagi, la loro astuzia, la loro passione e la loro voglia di devozione verso le arti oscure. Verso di lui.
E ancora:
Bellatrix Black, la serpeverde discendente dalla famiglia Black. Dal carattere sadico. La sua voglia di incutere terrore lo colpiva così tanto che era stata lei la prima persona che aveva chiesto di vedere. Perché la sete di sangue di Bellatrix Black saziava la sua. Erano un misto di eccitazione sadica, che Tom sapeva bene, prima o poi, avrebbe appagato.
Severus Piton, il mezzosangue serpeverde. Non poteva ricevere bottino migliore. La sua sete di vendetta verso quel lurido babbano di suo padre lo riempiva di gioia. Era uguale allo stesso disgusto che Tom provava verso suo padre. Si rivedeva molto in lui e, per quanto il carattere non fosse adatto ad un Mangiamorte, lo avrebbe tenuto per sé – per le occasioni speciali – o per la carneficina che era sicuro di dover fare per ottenere il potere.
Milo Aver, serpeverde proprio come i precedenti, di lui gli serviva l’aspetto oltre che il carattere. Lui riusciva ad incantare qualsiasi fanciulla, questo portava vantaggio nelle linee nemiche. Sarebbe stato colui che dall’interno avrebbe lavorato per portare dalla sua parte qualunque fanciulla che avrebbe ceduto al suo fascino. Ma Milo, oltre al bel viso, era un concentrato di sfacciataggine mista a cattiveria nascosta, che nemmeno lui sapeva di possedere e che sarebbero venute fuori nel momento in cui l’avrebbe marchiato. In un piano perfetto, lui era un Avada Kedavra pronto ad esplodere.
Bartemius Crouch, quarto ed ultimo serpeverde invitato. Lui era piccolo, nessuno poteva pensare che un pivellino potesse essere al suo cospetto. Avrebbe lavorato dall’interno per portargli quante più notizie possibili. Lui che era figlio di un membro del Ministero. Non sarebbe stato marchiato – non ancora – ma avrebbe stretto con Tom un voto infrangibile.
Non poteva fidarsi di nessuno. Non avrebbe potuto farlo a breve, quando da Tom Marvolo Riddle, si sarebbe fatto conoscere da tutti con il nome di Lord Voldemort.
Tom era come un Re scolpito nel marmo, più persuasivo di una tempesta. E le cicatrici che segnavano il suo corpo erano verdi e d’argento. Il suo sangue era una marea di maledizioni senza perdono che mantenevano le sue vene calde, mentre l’Avada Kedavra trovava riparo dentro di sé. Si muoveva attraverso il mondo magico, veloce e tranquillo, mentre il mondo cominciava a parlare di lui, senza che ancora accadesse nulla. L’ansia di un qualcosa che sarebbe accaduto di lì a poco, portava le persone a vivere nella paura. Nell’aria già c’era odore di paura. E le voci cominciavano a bruciare solamente piccoli tasselli di quella guerra incombente.
“Entrate. È tempo per noi di cominciare i giochi!”. Quello era l’inizio di come tutto quello non sarebbe mai finito. Sentiva gridare il suo nome, in quel momento lo sussurravano. Quello era l’inizio della fine. L’inizio di tutto quello che non sarebbe mai finito. L’inizio della guerra. L’inizio del gioco.
 
 
Bellatrix poteva sentirlo! Poteva sentire quanto quel momento fosse vicino e non intendeva vicino nel tempo ma vicino in una dimensione che era al di là del tempo e dello spazio, era qualcosa che la maggiore delle sorelle Black sapeva, percepiva, sentiva nell'aria e quell'aria la riempiva di piacere, di un'oscura eccitazione, di qualcosa che la spingeva, come un magnete, verso i lidi più oscuri della sua mente. Bellatrix lo sentiva, sentiva il potenziale di quel giovane uomo e lo aveva sentito nel primo momento in cui l'aveva incrociato. Non c'era stato bisogno di dire altro: due anime affini si riconoscono ancora prima di conoscersi.
E per quanto vi potesse essere del perverso in quelle particolari anime affini, Bellatrix non credeva che potesse esserci nulla di meglio. Lei era Bellatrix Black, lei era l'erede della famiglia Black, a differenza di quello che dicessero i suoi parenti, a differenza di quello che Cygnus pensava di lei, a differenza di quelli che dicevano che era suo cugino, Regulus - unico uomo della dinastia Black degno di nota - l'erede della Casata. Erano tutte idiozie, quel ragazzino tronfio non avrebbe mai potuto ereditare o comprendere che cosa significasse essere un Black. Solo Bella lo poteva comprendere davvero ed era sicura che quello fosse il motivo per cui Riddle le avesse dato quell'appuntamento... Riddle, che rappresentava quello che Bellatrix aveva sempre cercato: il potere, quello che le scivolava nelle vene. Era quello, il grande - chiamiamolo così - limite di Bellatrix: era innamorata di quel potere oscuro e avrebbe fatto per quello, qualsiasi cosa. Un sorriso supponente ed assolutamente magnetico si dipinse sulle labbra strette della giovane donna nel momento in cui la voce di lui la raggiunse. “Mio Signore.” Sussurrò, leggermente lasciva ma senza farlo apposta, varcando la soglia passando di fianco all'uomo per assaporare tutto il potere, tutta l'oscurità che lui sembrava tramettere e che le pizzicava la pelle, delicatamente, provocandole un piacere oscuro e perverso. Dietro la ragazza, come un cagnolino impaurito, c’era Severus Piton: “Mio Signore” pronunciò incolore.
 
 
Milo adorava il potere. Il potere portava sopravvivenza, e il suo scopo era quello di sopravvivere. Era lo scopo di tutti gli esseri umani, e chi diceva il contrario era un ipocrita. Come chi diceva che preferiva l'amore alla comodità. Milo amava guardare le cose da un punto di vista macroscopico. Gli esseri femminili erano sempre i più delicati, i più fragili. Non erano inutili solamente perché servivano a portare avanti la razza. Per Milo, però, erano ad un livello decisamente inferiore rispetto agli uomini. Era a loro, che spettava il potere, in quanto più forti e più intelligenti, più consapevoli di loro stessi. Serviva il pugno d'acciaio, per governare. Dare il potere alle donne significava aspettarsi che governassero con un guanto di velluto gli uomini. Dare il potere alle donne significava destinare tutto all'anarchia. Lui non si sarebbe mai piegato, ad una donna, mai nella vita. Nonostante tutti pensassero che non avesse dignità, aveva la decenza di credere che stare sotto ad una donna fosse peggiore che la morte. Secondo lui, tutti avevano un posto, e i maschi stavano in cima.
Una cosa era certa. Il suo Signore era potente o, comunque, ricercava il potere. Stare dalla sua parte, in quel frangente, era di vitale importanza. Milo sentiva la necessità di stare dalla parte dei vincitori. In quel momento, l'unica cosa che gli importava era quella di compiacere il Signore Oscuro. Sapeva bene, che Riddle ricercava il potere per sé, ma era anche sicuro che gli sarebbe servito qualcuno, per raggiungere quel potere. E che forse avrebbe premiato, quel qualcuno.
Milo sapeva benissimo che parte avrebbe dovuto recitare: quella del fido servitore, pronto ad adulare il proprio padrone. L’adulazione gonfiava d'orgoglio le persone, e fino a prova contraria, Riddle era ancora un essere umano. Avery non sapeva, per quanto tempo sarebbe rimasto così, quindi era meglio agire il prima possibile.
“Mio Signore.” disse Avery, gettandosi a terra. Si rialzò, e riconobbe, oltre a quella di Riddle, la figura di Piton e quella della maggiore delle Black. Piton era il suo compagno di stanza, un mezzosangue fin troppo innamorato, per i gusti di Milo, tanto da fargli venire la nausea - soprattutto perché era innamorato della Evans, una ragazza che pur essendo abbastanza piacente, non era altro che una lurida mezzosangue che stava nel gruppetto di Potter. Per quanto riguardava la Black... Era una donna, certo, ma molto spesso Milo si chiedeva se lo spirito maschile del cugino non si fosse trasferito direttamente in lei. Preferiva di certo Bellatrix ad Andromeda, una ragazzina che reputava fin troppo insolente, e anche a Narcissa, che pur avendo un bel faccino, non considerava che una bambinetta buona solo a sposarsi e a stare sotto ad un uomo.
 
 
Barty sapeva benissimo a cosa sarebbe andato incontro proseguendo in quella che, agli occhi di qualsiasi ragazzo nelle sue condizioni, sarebbe stata una folle impresa. Sì, folle. Folle perché abbandonava tutto ciò che lo aveva circondato sin da quando era nato.
Tu sei nato per lottare al mio fianco contro le Arti Oscure, aveva ripetuto fino alla nausea Bartemius Crouch Senior. Fino all'anno precedente non avrebbe mai osato contraddire il padre, né tantomeno andargli contro. Ma la strigliata davanti all'intero corpo scolastico era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Mi vergogno di essere tuo padre! aveva urlato l'ometto con il volto paonazzo in netto contrasto coi capelli ormai grigi. No, Barty si vergognava di essere suo figlio. Si vergognava di vedere sua madre debole e fragile, sempre sola e triste, mentre lui era a lavoro. Lavoro, lavoro, lavoro. Solo quel dannatissimo Ministero della Magia sembrava importargli. Era l'uomo perfetto fuori: stimato, giusto, colui che era candidato a diventare Ministro. Nessuno come il ragazzo, tuttavia, vedeva il marciume del suo cuore.
No, non era una scelta folle. Era l'unica scelta che andava fatta. Chi avrebbe potuto garantirgli la vendetta contro tutto quello che aveva provato dei primi quattordici anni della sua vita se non lui, l’Oscuro Signore? Il solo nome richiamava il potere.
Dal giorno in cui Severus gli aveva comunicato che il Signore Oscuro voleva parlare con loro, Barty non aveva chiuso occhio pensando e ripensando a come potersi rendere utile a quel mago.
Aveva solo quattordici anni in fondo e i capelli tutti disordinati e le lentiggini di certo non lo aiutavano a sembrare più grande. Ma era uno dei migliori a scuola, il ragazzo modello, tranne per quella piccola sbavatura della Trasfigurazione umana che non era andata molto a genio ai professori. Di certo aveva grandi abilità magiche, una grande passione per ciò che lo chiamava in prima persona, il desiderio di non essere noto come il figlio di un grande uomo. Voleva cancellare suo padre. Voleva superarlo. E voleva rimanere coerente con sé stesso: non avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco. Lui avrebbe seguito la sua via senza sbavature. Sarebbe andato fino in fondo.
Sentì una voce quasi sibilante oltre la porta di quella baracca che aveva raggiunto con un leggero ritardo e fu quindi costretto a varcare la porticina scricchiolante quasi di corsa rischiando di finire addosso ad Avery posto a pochi centimetri davanti a lui. Vide Severus e la maggiore delle sorelle Black e senza saper bene cosa fare si pose fra i due ragazzi inchinandosi appena pensando che imitarli era la soluzione migliore.
“Mio Signore...” sussurrò: non lo era ancora. Lui non sarebbe stato marchiato. Era troppo piccolo. Si sarebbe fidato di lui? L'avrebbe ritenuto in grado di seguirlo? O era stato solo un errore e il suo nome non doveva esserci in quella brevissima lista? Con tutti questi dubbi, Barty alzò velocemente il viso con gli occhi che quasi brillavano tra la semplice paura di essere nel posto sbagliato e l'ansia di sapere che no, lui faceva parte di quel gruppo. E sarebbe andato lontano con loro.
 
 
Tom li vide entrare uno ad uno e si sentì compiaciuto. Sapeva perfettamente cosa stesse pensando ognuno di loro. Loro dicevano di non aver fiducia. Loro, io, noi. Ma lui li avrebbe guidati verso un cammino diverso - un cammino oscuro. Dovevano farlo per il loro Signore e per loro stessi, bastava un cenno e sarebbero andati in alto, sempre più in alto. Sarebbe andata in questo modo: Tom avrebbe visto dentro ognuno di loro, come se fossero porte aperte - solo per lui -, arrivando nelle profondità dei loro corpi, dove si sarebbe insediato prendendo il comando. Li avrebbe privati della loro anima, mandando il loro spirito a dormire in qualche luogo freddo fino a che non si sarebbe dissolto, ammassato e dimenticato, come un qualsiasi gingillo comprato per sfizio. Un mangiamorte era una macchina progettata per distruggere, senza alcun ripensamento.
Mio Signore!
Mio Signore!
Mio Signore!
Era questo che stava diventando per loro. Il loro Padrone. Il loro Signore. “Alcuni di voi, sono già stati marchiati…”si passò la lingua sul labbro inferiore continuando a fissare negli occhi coloro che l’avrebbero seguito sul nuovo regno. Quello oscuro, penetrante, freddo, malvagio e puro. “…Altri verranno marchiati in queste notti…” si soffermò a guardare il ragazzo più giovani lasciandogli un’occhiata di intesa. “…e altri ancora pronunceranno con me un voto infrangibile!”
Aveva atteso tanto quel momento. Lo aveva bramato a lungo. Aveva lottato, ucciso, mentito, per ottenere quel risultato. Tamburellò con le dita “Sedetevi!” mentre i suoi ospiti prendevano posto. Osservò Nagini guardare con piacere i suoi – forse futuri – spuntini, ma le intimò di star buona. Aveva per lei qualcosa di diverso. Con uno schiocco di dita, davanti ai suoi quattro ospiti apparirono altre quattro persone. Ghignò, loro erano ospiti per obbligo. “Lasciate che vi presenti gli altri miei ospiti…”
Rise lascivo mentre si avvicinava alle quattro sedie con sopra – incatenati – quei luridi maghi sostenitori di Silente senza possibilità di redenzione. Il primo era un auror di poca importante, che aveva osato sfidare lui alla luce del sole. Aveva detto cose del tipo:
-Se dovessi trovarmi Voi-Sapete-Chi davanti, lo affronterei-
Beh, doveva dire, che non era stato difficile rapirlo. Povero illuso…
“Lui è Arthur Davies, e sarà tuo Bella. Sarà il tuo omicidio!” Le spiegò avvicinandosi a lei e passandole il pollice sul labbro inferiore “…spero tanto che tu non deluda il tuo Signore!”.
Il suo secondo ospite era un insulso mago che aveva osato beffarsi di Tom davanti a Silente. Congiunse le mani in modo tale da intrappolarne all'interno il labbro. Non avrebbe avuto ancora per molto quell'aspetto, tanto valeva gustarne - ancora un po’- tutti i vantaggi annessi e connessi. "Il nostro secondo ospite è per te, Severus. Lui è Axel Patel. Non c'è un motivo preciso perché tu debba ucciderlo..." ghignò ridendo "o forse, visto la sua natura sessuale, potresti torturarlo prima. Giusto per fargli capire che certe cose, non si fanno."
Infine si avvicinò a Milo, scoprendo il volto della loro terza ospite. Una fanciulla affascinante. Bella, bellissima. Rapita da un villaggio babbano, per essere torturata, violentata e uccisa in modo barbaro.
"Mi sono assicurato che fosse vergine.." fissò il ragazzo negli occhi "voglio che venga sparso questo sangue puro, in modo barbaro."
Infine guardò Barty sorridendo e scoprendo il volto di un ragazzetto che doveva avere all'incirca la sua età.
"Voglio che tu lo renda pazzo. Sai come si usa un Cruciatus o vuoi che la nostra Bella ti insegni?".
Guardò i suoi servitori e le loro prede. Erano come Nagini a caccia. Sorrise fiero attendendo le loro mosse mentre si faceva da parte insieme al suo fedele serpente.
"Preparati Nagini, la cena sarà servita tra poco"
 
 
Bellatrix era troppo affascinata dal Lord per dedicare a Severus anche un solo sguardo, per sua fortuna, ma purtuttavia lo fecero altri mangiamorte, compagni di casata che conosceva bene: dalla stessa porta dalla quale era entrato, entrarono prima Milo Avery, e poi Barty Crouch jr. Gli rivolse un sorrisetto, sicuramente ci sarebbe stato utile, anche se era troppo piccolo per dirlo.
Intanto gli occhi di tutti loro si posarono sul signore oscuro che stava parlando, seguendo attentamente le sue parole. Quando parlò la sua voce risuonò all'interno delle quattro mura. Severus si alzò dalla sedia e fece un inchino come se fosse a duello, anche se l’uomo davanti a lui non poteva muoversi. “Sectusempra!” disse e dalla bacchetta partì un raggio rosso che si andò a conficcare giusto al centro del petto di quell’uomo, aprendo diverse ferite che cominciarono a sanguinare. L’uomo sarebbe morto di lì a pochi attimi, ma avrebbe sofferto tantissimo. Ghignò, Severus, riconoscente alla genialità – che pensava – fosse da attribuire a quell’incantesimo. Incantesimo che aveva creato lui stesso.
 
 
Severus fu il primo, da bravo bambino obbediente. Alla vista dell'incantesimo che aveva usato contro l'uomo, le labbra di Milo s'incurvarono verso l'alto, in uno di quei sorrisi che gli regalavano un'aria angelica. Milo sapeva che il sectumsempra fosse un incantesimo inventato da Piton stesso. E, in effetti, non era nemmeno una scelta tanto cattiva. Tuttavia, Milo Avery amava giocare. E il sectumsempra non offriva tante opportunità ludiche. Osservò per un attimo la ragazza che gli era stata affidata. Non sapeva se sentirsi offeso: lottare contro una ragazza... Gli sembrava una cosa troppo facile. Come se Riddle non lo considerasse all'altezza di Piton o della Black. Ma cancellò quel pensiero dalla mente: erano tutte e tre legate, le vittime. Non c'erano problemi.
Rivolse alla ragazza il suo sorriso migliore, mentre lei cominciava a piangere. Erano ridicole, le donne. Piangevano sempre, come se avessero un eccesso di liquido nel sacco lacrimale.
Avery si alzò, un sorriso rassicurante sul volto, per poi accovacciarsi davanti alla sedia della ragazza, la schiena dritta, i talloni alzati da terra e i gomiti appoggiati alle ginocchia. Allungò la mano sinistra verso la guancia della ragazza, asciugando le lacrime.
“Tranquilla.” sussurrò, il sorrisetto ancora sul volto. “Sarebbe un tale peccato, rovinare questo faccino.” 
Continuando ad accarezzare la guancia di velluto, girò il capo verso il compagno di stanza, il suo candido sorriso ancora sulle labbra. “Se vuoi, posso lasciarti la sua parte migliore.” commentò alzandosi in piedi, alzando la spalla destra per poi riabbassarla velocemente. “Almeno avrai la certezza di entrare in una zona inesplorata da Potter.”
Ritornò a guardare la ragazza, che aveva ricominciato a piangere. Con il suo sorrisetto, si avvicinò alle labbra della ragazza per appoggiarci sopra le sue. Gli stava quasi piacendo, quando la ragazza gli morse la lingua. Immediatamente si allontanò dal suo viso, ricompensando il suo bel visetto impertinente con un manrovescio. Con la mano destra trovò la bacchetta nella tasca dei pantaloni e la puntò contro la giovane.
“Crucio!” gridò. Stava ancora giocando, Avery. E si divertiva, lo testimoniava il sorriso imperterrito sulle sue labbra. Le urla della ragazza gli provocavano uno strano brivido sulla schiena, qualcosa di piacevole. "Mors tua, vita mea", dicevano i romani. E la famiglia Avery era ben consapevole della saggezza dei romani, non per nulla la maggior parte dei familiari di Milo aveva un nome di origine latina - Caesar, Lucretia, Claude.
Fermò la maledizione, per lanciarne un'altra poco dopo, una che gli aveva insegnato suo padre. Fece fare alla bacchetta un movimento simile ad una frusta, e dalla bacchetta uscì un fascio infuocato che colpì il petto della giovane. Esternamente, non sarebbe successo nulla, ma ben presto tutti gli organi avrebbero iniziato a trasudare sangue. Avery capì che l'incanto aveva funzionato quando la ragazza svenne e dalle sue narici uscì un rivolo di sangue scuro.
Si allontanò ancora di più da lei, andando al fianco di Piton.
“Credo che ormai sia troppo tardi, Severus.” disse, per poi passarsi l'avambraccio sulla bocca. Deglutì. Non l'avrebbe rovinata, non all'esterno. Pensava davvero, che fosse abbastanza bella da non meritare uno scempio del genere.
“Avada Kedavra!” ormai, quel giocattolo l'aveva stufato.
 
 
Erano tante, le cose che passavano nella mente di Bellatrix mentre ammirava il suo Signore, mentre udiva quelle parole talmente tanto piene di una perversione che accendeva in lei le passioni più sopite e profonde. Vi era, in un certo senso, una sorta di tensione che suscitava in lei un piacere perverso nel rendere quell'uomo fiero, nell'acconsentire ad ogni suo desiderio.
Sorrise, piegando il capo bruno da un lato eppure nel suo sorriso non vi era nulla di confortante, nulla di allegro. Era quello che qualcuno avrebbe potuto definire un sorriso malato, folle. Sorrise, all'indirizzo di Lord Voldemort, nel momento esatto in cui le sue parole la raggiunsero, nell'istante in cui gli ospiti di cui egli aveva appena parlato fecero il loro accesso nella stanza della casa  in cui si trovavano.
Ridacchiò appena, fissando l'intraprendenza di Piton nel prendersi carico del suo compito poi lasciò che Avery si occupasse del suo incarico. Si dice che le donne siano solidali nei confronti delle altre donne. Probabilmente Milo aveva ragione, probabilmente Bellatrix non era una donna, non nel senso comune del termine: non si sentì in alcun modo ferita o colpita, o preoccupata da quel gesto e per un secondo si chiese come avrebbe dovuto sentirsi, nel vedere la stupidità di quella ragazzina che ci credette davvero, alle parole del sedicenne.
Poi non se ne preoccupò comunque oltre: nel momento esatto in cui questa riprese a piangere, scivolò elegante alle spalle del sedicenne e sorrise, sadica, all'indirizzo della giovane che forse l'aveva vista come un'alleata. Povera illusa. Rideva, Bellatrix, con quella risata disumana, nel momento in cui il corpo della ragazza si afflosciava, senza vita, sul pavimento e rideva ancora mentre si avvicinava all'auror. Si incamminò verso di lui con quell'incedere aristocratico che le era stato insegnato nell'infanzia e poi si piegò sulle ginocchia, fissandolo negli occhi; i suoi, di quel colore tra il verde e l'azzurro, fissi come se potesse cogliere ogni segreto di quell'agnello sacrificale e luminosi, di una luce intensa e folle, ancora sulle labbra la sensazione del tocco di lui. “Al nostro amico qui” disse all'uomo che conservava, nonostante tutto, un contenuto silenzio, indicando Milo con il capo scuro “Piace raccontare delle favolette... Io, mi dispiace, non sono così gentile.” Le sue labbra si sollevarono in un sorriso sadico. Sfoderò con grazia la bacchetta e lasciò passare la punta lungo il collo di lui come fosse la lama di un coltello, scendendo poi all'altezza del cuore, dove si fermò. A quel punto distolse gli occhi dal legno e li puntò sulla vittima. “Vorrei poterle dire che non sentirà nulla, ma non mento, quando non è necessario.” Sibilò, profetica, prima di pronunciare: “Crucio.” Avrebbe atteso che implorasse, prima di ucciderlo e le sue urla, le sue sofferenze, l'avrebbero fatta ridere...
Durò forse minuti, forse ore, quando l'uomo la implorò, urlò di ucciderlo e fu solo in quel momento che Bella, con una grazia quasi anacronistica, pronunciò l'Anatema che Uccide dando, forse, all'uomo ciò che desiderava.
 
 
Il voto infrangibile. Barty sapeva benissimo di cosa si trattasse e non sapeva se sentirsi fiero o sminuito: effettivamente era quello messo più a rischio. Non si può venire meno ai patti. Pena: la morte. Ma non sarebbe stato marchiato: forse non lo riteneva all'altezza? Forse lo considerava troppo piccolo e ingenuo? O forse temeva semplicemente che Crouch Senior potesse in qualche modo scoprirlo e sarebbe stato quindi incauto?
Mandò giù quel dubbio preferendo non rispondersi. Avrebbe dimostrato di essere all'altezza di tutti gli altri. Non si sarebbe tirato indietro davanti a nulla. Lo avrebbe sempre seguito fedelmente.
Mentre rimuginava tra sé e sé diede un'occhiata alle varie operazioni in corso: Severus aveva ucciso con un incantesimo da lui ideato un uomo non molto noto nel mondo magico, ma che Barty aveva scorto da qualche parte mentre era col padre; Avery si era limonato una giovane bellissima quanto insolente meritandosi la maledizione della tortura; e infine un Auror, anche lui torturato e poi ucciso dalla più grande delle sorelle Black.
Non aveva battuto ciglio per tutto il tempo, osservando in silenzio e senza muovere un muscolo del viso o dare alcun segno di turbamento. Aveva assistito a molto peggio, sebbene - considerò mentalmente -  i suoi compagni più grandi fossero quasi...animaleschi. I loro occhi brillavano di una luce folle nel momento in cui vedevano quelli delle loro vittime spegnersi per sempre.
Si ridestò accorgendosi di essere osservato: toccava a lui. Un ragazzino tremante dai capelli rossicci e gli occhi color smeraldo gli stava davanti. Aveva gli occhi lucidi e guardava terrorizzato Lord Voldemort e i suoi Mangiamorte, ma non di certo Barty. Probabilmente pensava che un suo coetaneo non sarebbe stato così crudele. Forse sarebbe riuscito a sfuggire. Forse no.
Il biondo sfilò dalla giacca la bacchetta di ebano nera e lucente accarezzandola appena con le dita.
“Dovresti sentirti onorato...” sussurrò a fior di labbra mentre si avvicinava dondolando la testa a destra e a sinistra. “Sei...il primo su cui scaglio uno degli anatemi proibiti.” Alzò gli occhi nocciola e in quelli color dell'erba del ragazzino vide scomparire quel bagliore di speranza. Socchiuse le labbra tremanti e rosse per quanto se le era morse per il timore come per implorarlo, ma era troppo tardi. “Crucio.” La voce ferma, pacata, come se stesse semplicemente trasfigurando un insetto in un bottone. Urla e urla per diversi minuti. Osservò curioso il rosso che si contorceva a terra piangendo. Poi, sempre con la stessa calma e senza battere ciglio, alzò lo sguardo osservando uno per uno i presenti come in attesa di ulteriori istruzioni.
 
 
Tom li odiava. Li odiava tutti. Odiava il loro modo di agire, il loro modo di sentirsi potenti. Odiava soprattutto il loro modo di credersi cattivi, di credere che potessero avere il sangue acido, come se ci avessero iniettato dentro l’odio. Non capivano che in realtà erano tutte pedine di una grande scacchiera a cui stavano giocando L’Ordine e la Resistenza. C’era stato un tempo, in cui Tom provava solo sete di sapere cosa fosse successo ai suoi genitori naturali. Quel tempo durò per tutta la sua infanzia fino al giorno in cui entrò a far parte di Hogwarts, fino al giorno in cui capì di essere speciale. E la sete di sapere si trasformò in rancore e il rancore infine divenne odio. Odio per le persone che erano diverse da lui, odio per le persone di rango inferiore, odio … odio … odio. Un tempo le sue iridi erano azzurre, di quell’azzurro cielo ma l’odio infangava ogni cosa e il suo cuore – ormai di pietra – non era stato più in grado di emanare un solo battito. Il suo cervello lavorava il doppio, ma quella cellula di bontà che ogni essere umano possedeva lui l’aveva bruciata, l’aveva accantonata, l’aveva sconfitta. Li odiava, li odiava tutti. Aspettò che finissero tutti la loro prova di fedeltà. Fu Severus Piton il primo a cominciare e quello che fece lasciò al Signore Oscuro il disgusto su tutto il corpo. Aveva grandi aspettatevi nei suoi confronti, voleva che fosse un suo degno erede se fosse caduto prima del previsto, ma con quella mossa. Con quell’unica mossa stupida, aveva fatto crollare ogni sua piccola idea costruita nei confronti del Serpeverde. La mano cominciò a prudergli, e la bacchetta che impugnava si fece sentire: aveva una tale voglia di lanciargli contro un anatema che uccide. Forse il futuro Lord Voldemort stava perdendo colpi, visto che nell’esatto momento in cui Severus pronunciò quell’insulso incantesimo, un raggio rosso partì dalla bacchetta dell’Oscuro. Tom – situato alle spalle di Severus – sferrò il suo colpo.
“Avada Kedavra” urlò e il lampo di luce verde sfiorò i capelli del moccioso, uccidendo l’uomo che ricadde all’indietro privo di vita. “Non voglio stupidi incantesimi...” ringhiò a pochi centimetri dal volto del serpeverde “…qui, non siamo ad Hogwarts. Qui siamo in guerra. Non ti azzardare mai più a prenderti gioco di me.” Le sue iridi s’infuocarono e la bacchetta impugnata nella sua mano destra cominciò a bruciare “Non osare mai più prenderti gioco dell’Oscuro Signore. Mai più!”.
Poi fu il turno di Avery, lui gli interessava. Aveva tanta voglia di vederlo all’opera, di vedere come avrebbe macchiato di sangue l’anima candida di quella vergine. Lo guardò cercando di capire, decifrare e prevedere ogni sua mossa. Non lo aveva ancora inquadrato ed era per questo che lo voleva nelle sue linee di guerra, perché di lui – nonostante potesse essere un serpeverde – nessuno avrebbe mai sospettato. “Tranquillo…” ghignò “…ci penserà comunque Nagini a deturparle quel bel faccino!”. E quanto gridò il Crucio, Tom si lasciò andare in un ghigno sadico mentre un sorriso si formava sul suo volto. Stava ottenendo quello che voleva. E mentre vedevo quella fanciulla urlare e contorcersi per il doloro, un brivido di eccitazione misto a forza gli invadeva il corpo. L’Oscuro Signore stava sorgendo. “Ottimo lavoro, ma ti avevo chiesto di versare il sangue di questa vergine, in modo diverso da come hai fatto. Provvedi!”
Il male che quelle persone stavano assimilando, che stavano scoprendo – grande a quegli omicidi – li avrebbe portati a scegliere di essergli fedele. Solo ed esclusivamente a lui. Quando fu il turno di Bellatrix Black ne restò affascinato. Era raro trovare una fanciulla così macchiata dall’odio, ma per quanto potesse apparire fantastica ai suoi occhi, appariva anche patetica perché credeva di avere il male dentro di sé. In realtà – non sapeva ancora – a cosa stesse andando realmente incontro. Inclinò la testa di lato, passandosi la lingua sul labbro. Era anche plateale a vederla, ma d’effetto. A Tom piaceva! Sentiva la sua sete di malvagità, la sentivo vicina … la sentivo mangiamorte.
E anche il terzo cadavere fu collezionato. Non le disse nulla, ma la guardò intensamente facendole capire che il nostro incontro sarebbe durato di più ma non potevo prometterle che ne sarebbe uscita viva.
E poi ci fu Barty Crouch Jr. A lui aveva dato il compito di non uccidere quel moccioso, o meglio non ucciderlo fisicamente. Crucio. Crucio. Crucio. La testa del ragazzo stava cedendo. I suoi neuroni stavano impazzendo … i suoi neuroni stavano morendo. “Siii…” esultò guardandoli “…questo è quello che voglio, ragazzi miei. Voglio disperazione, voglio morte.!” Fermò il ragazzo con un gesto della mano e guardò il bimbetto sofferente, che con lo sguardo implorava pietà. La pietà che non avrebbe avuto. Quella stessa pietà che nessuno avrebbe avuto. “Imperio” sussurrò e il ragazzo sembrò bloccarsi di colpo. Tom ghignò. “Adesso ordinagli di essere i tuoi occhi, le tue orecchie, il tuo secondo ad Hogwarts. Farà quello che dirai, dirà quello che vorrai…e quando non ci servirà più. Tu lo ucciderai.” Tornò a guardare Severus e sorrise maligno, per lui aveva altri progetti. Progetti che lo avrebbero rivelato per quello che era. Lui non mi sembrava né buono e né cattivo, ma vivere nel mezzo lo avrebbe solo portato più in fretta alla morte. “Per te, mio caro Severus, ho in serbo una sorpresina che scoprirai a breve” e quella sorpresina, portava il nome di Nicholas Evans. “Ascoltatemi tutti e che non esca fuori una sola parola o morirete di una morta così lenta da riuscire e vedere ogni vostra cellula esplodere e arrivare al cervello” ringhiò sfidandoli con lo sguardo. "Voglio che ognuno di voi uccida un membro delle case di Hogwarts, voglio che tutti sappiano che Lord Voldemort è riuscito a penetrare anche nel castello. Voglio sangue, voglio dolore, voglio che Silente capisca che i giochi sono finiti anzi..." ghignò " i giochi sono appena iniziati!"
Game On, Silente!.
 
 
Potrei dirvi che l'adrenalina iniziò a scorrere nelle vene di Bellatrix ma non sarebbe corretto perché quello che lei sentì, nel momento in cui l'eco del cadavere dell'uomo si spense tra le pareti di quella casa, era qualcosa di molto più antico e razionale dell'adrenalina. Quella, nella maggior parte delle volte, era una risposta assolutamente ingiustificata mentre quello che iniziò a scorrere attraverso le vene della maggiore delle sorelle Black era qualcosa di assolutamente più razionale, qualcosa di talmente cosciente di sé che lei per un solo istante dovette trattenere l'impulso di ridere, perché lo seppe -e non ci fu bisogno che abbassasse gli occhi su di lui per comprenderlo- immediatamente, che Lui era rimasto soddisfatto dal suo gesto volutamente scenico, teatrale.
Non rise, non fece altro che far spostare le iridi chiare sul volto giovane del Signore Oscuro e attendere quelle che sarebbero state le sue parole. Lo studiò attentamente e per un solo istante Bella avrebbe potuto giurare di vedere un sorriso, su quelle labbra. Scosse la testa, prima che qualcosa di simile potesse dipingersi sulle sue. Era l'unica donna in quella stanza e non avrebbe permesso a nessuno di pensare che fossero altri i motivi per cui si trovava lì. Si spostò da un lato, fissando con attenzione Crouch che torturava la sua vittima. Fu nel momento esatto in cui, nuovamente, la voce di Lord Voldemort riempì la stanza, che Bellatrix voltò nuovamente gli occhi sul suo volto, questa volta con un'aria di rispetto, come faceva solitamente quando si trovava di fronte ad una figura di potere.
Annuì una sola volta mentre qualcosa le diceva che no, quelle parole non erano rivolte a lei. Non saprei dirvi come facesse a saperlo ma... Beh ci sono delle cose che si scoprono e Bellatrix era sempre stata brava a comprenderle. Si accomodò su una poltrona mezza distrutta da cui si alzò uno sbuffo di polvere che fece deformare il suo bel volto chiaro in una smorfia di schifo e poi incrociò le lunghe gambe. “Grifondoro.” Si limitò a dire, quel sorriso sadico che si era dipinto quando fissava negli occhi quell'uomo il cui cadavere giaceva ai suoi piedi nuovamente dipinto sul volto splendido, illuminato di una luce insana dagli occhi verde-azzurri. “Io mi prendo Grifondoro.”
 
 
Rimase immobile Severus quando sentì l’Avada Kedavra pronunciata dall’Oscuro contro l’insulso ometto che si contorceva ai suoi piedi ed ancor di più rimase immobile quando lo sgridò facendogli capire che non aveva approvato l’incantesimo che aveva gettato al mago. “Non succederà più, mio signore” borbottò quando lo lasciò andare, capì che era salvo, ed emise un sospiro di sollievo.
 
 

Il sorriso di Milo, si deformò leggermente quando Riddle gli fece notare che gli aveva chiesto di versare del sangue.
“Cosa dovrei fare, per rimediare?” domandò smettendo completamente di sorridere. Aveva come l'impressione che quei sorrisetti candidi che molto spesso rappresentavano il suo lasciapassare non funzionassero, con persone come Tom Riddle.
Quando lord Voldemort disse le sue intenzioni future, Bellatrix manifestò tutto ciò che Milo pensava delle donne: voglia di essere ammirate, entusiasmo eccessivo, pudore pressoché nullo.
Lui si limitò a sedersi al suo posto, incrociando al petto le braccia, per sapere quali sarebbero state le intenzioni del Signore Oscuro. Se fosse stato per lui, avrebbe ucciso anche uno studente per ogni casata, ma avrebbe fatto quello che Riddle gli avrebbe ordinato. Alla fine, una casata valeva l'altra. In ognuna di esse si potevano trovare piccoli gioielli o la feccia più totale, anche fra gli stessi Serpeverde.
 
 
Riddle fermò il suo incantesimo quando ormai il ragazzino era quasi al limite della soglia del dolore sopportabile da un essere umano. Barty si limitò ad osservarlo mentre eseguiva su di lui la maledizione Imperius.  Non aveva mai avuto uno schiavetto personale: sarebbe stato davvero divertente.
Accorgendosi di essere l'unico rimasto in piedi si affrettò a sedersi sull'ultima poltrona libera ignorando il polverone che alzò. Scrollò appena quel grigiore dai capelli e dagli indumenti con una smorfia, prima di prestare totale attenzione al Signore Oscuro. Si era arrabbiato con Severus, ma Barty non ne aveva compreso il reale motivo: l'incantesimo del moro era ingegnoso, soprattutto sapendo che un ragazzo di soli sedici anni lo aveva ideato. Bella invece si era messa al centro dell'attenzione e sembrava non vedere neanche i tre ragazzi: aveva occhi solo per lui, per Riddle. Un mezzo ghignetto si dipinse sul volto del giovane Crouch. Forse la maggiore delle sorelle Black non era il miglior esempio di femminilità e grazia che si poteva trovare sulla crosta terrestre, ma di certo quegli occhi che brillavano e non si staccavano da Voldemort la dicevano lunga.
Infine si voltò a osservare Milo, anche lui con uno strano sorriso adulatore stampato sul viso affascinante che si ritrovava: il quattordicenne più volte si era ritrovato a invidiarlo. Faceva impazzire tutte le ragazze, eppure non ne calcolava mezza.
Si ridestò dai propri pensieri quando sentì il loro nuovo capo affidare loro una missione: dovevano uccidere uno studente di Hogwarts. Uno per casa. Ma...anche uno di noi? pensò tra sé e sé Barty senza osare esprimere quel pensiero a voce alta. Non che avesse a cuore qualcuno in particolare, ma gli sarebbe apparso alquanto insolito uccidere magari un ragazzo con cui aveva condiviso Sala Comune, lezioni, pranzi e cene assieme per almeno quei quattro anni.
Si ridestò di colpo quando vide la giovane Black alzarsi, sempre molto teatralmente, e affermare concitata che lei si sarebbe presa un Grifondoro. Non aveva dubbi, Barty, su ciò. Era ovviamente la nemica giurata della casa di Salazar Serpeverde. Sperò, tuttavia, che non pensasse al cugino. Nonostante il biondo avesse pessimi rapporti familiare, ritenne impossibile pensare solo lontanamente ad uccidere un proprio parente. Era...contro natura? Forse era semplicemente ancora troppo giovane. Panta rei, tutto scorre. Forse le cose sarebbero cambiate di lì a qualche anno... ma sperava comunque che Sirius Black sarebbe stato risparmiato! Almeno per il povero Regulus.
Riddle li aveva minacciati di morte sicura nel caso avessero proferito parola. Non che per Crouch Junior fosse un problema: era un buon Occlumante e sapeva dissimulare benissimo i propri sentimenti. E poi si poteva dire tutto su di lui, ma non che non fosse fedele o non seguisse con passione smisurata ciò in cui credeva. E adesso era in quel giovane uomo che credeva. Vedeva in lui ciò che avrebbe voluto essere. Vendetta. Potere. Capacità di incutere timore e rispetto, nonché una profonda ammirazione.
 
C’era stato un tempo, in cui Tom decide che sarebbe stato immortale. Non fu una decisione sofferta o duratura. Semplicemente capì che il mondo doveva essere scosso sotto una prospettiva un po' diversa, oscura, malvagia. Tom Marvolo Riddle aveva i giorni contati, e dalle ceneri di quel mago mezzosangue, sarebbe rinato lui: Lordo Voldemort. Quelle persone che aveva di fronte – quelle pedine che credevano di essere importanti per uno scopo più grande -, fecero tutti quello che lui ordinava loro di fare. Voleva sangue! Dal sangue delle vittime, sarebbero accresciuti i suoi poteri. Sangue puro, sangue innocente che cominciava con la morte di persone adulte, per finire a quella di neonati. C’erano tante cose da fare prima di dichiarare guerra al mondo. Strofinò le mani osservandoli tutti. La loro sete di potere, la loro voglia di mettersi in mostra, la poteva sentire. Ne sentiva la consistenza sulla pelle ed era una cosa eccitante. Si passò la lingua sui denti ghignando, continuando ad elogiarli, infondere loro coraggio, usarli e poi – quando non gli sarebbero più stati utili – ucciderli.
Guardò la giovane Black che con un sorriso sadico dipinto sul volto fissava gli occhi di quello che fino a pochi minuti prima era un uomo. Ghignò, se possibile, ancora di più – avvicinandosi a lei. Le scostò leggermente i capelli su un lao mentre con una lentezza estenuante posava le sue labbra sul collo della giovane, sulla sua pelle candida. “Bene, Bellatrix” sussurrò facendo salire le labbra fino al suo orecchio destro. La sfiorava con le labbra, con il respiro, con la sua voce glaciale e bollente allo stesso tempo. “…portami la testa del Black rinnegato, su un piatto d’argento”. Voleva che quella feccia – figlio di Orion Black – venisse disintegrato da un membro della sua stessa famiglia. Sangue al sangue. Oh si … voleva del sangue puro sparso sull’asfalto. “E poi toccherà a quel babbanofilo, figlio dei coniugi Potter!”. Come si sarebbe divertito, Tom, a vederli morire insieme. Fieri e indipendenti. Conosceva tutti all’interno di quella scuola. Ogni possibile Mangiamorte e ogni possibile Auror. Non lo spaventavano, anzi, voleva torturarli in un modo così mostruoso che non avrebbero fatto altro che implorare la morte. Eppure, la morte non era il male peggiore. “Ah…sei così sadica mia piccola Bella. Rendimi fiero di te!”.
Fu il turno di Severus di parlare. Quel ragazzo abile in pozioni, dalla sessualità ambigua e dal cuore che pulsava solo per una persona: Lily Evans. E sarebbe stata proprio lei a soccombere sotto quell’amore malsano che quel serpeverde provava per lei. Le avrebbe fatto distruggere tutto. L’avrebbe resa pazza. Prima i suoi cari – sotto i suoi occhi -, poi l’amore della sua vita e infine lei. Voleva che Severus abbandonasse ogni legame affettivo che lo avrebbe spinto verso Silente. “Mi auguro che la prossima volta, sai tu a commettere un omicidio, mio caro Severus”.
Guardò Milo, prendendo quello che restava della fanciulla. “Distruggila Avery. Violentala. Tagliuzzala. Ma rovinala e distruggile. Voglio che di lei non resti che un corpo deturpato”.
E poi si ritrovò di nuovo verso quei quattro ragazzi con un sorriso sulle labbra sadico, perverso, ma eccezionale. “Domattina questi cadaveri, beh li faremo trovare a Silente. Quindi scrivete su ogni cadavere una parola” inspirò il sapore del terrore e questo lo fece fremere di eccitazione “IO – SONO – LORD – VOLDEMORT”
 
 
A Bellatrix non interessavano di certo quali fossero le opinioni o i pensieri di quelli che si trovavano in quella stanza insieme a loro. In realtà, se non avesse sentito i suoni pesanti dei loro respiri, amplificati dal fatto che la quella stanza fosse completamente vuota, non si sarebbe neppure resa conto della presenza di altre persone eccetto la figura di Tom Riddle che volteggiava intorno al suo corpo. Lo sentiva, il potere, l'onnipotenza, quel desiderio che molti avrebbero definito folle e di cui Bellatrix si nutriva: lui avrebbe vinto, qualsiasi guerra fosse stata quella combattuta, Tom Riddle ne sarebbe stato vincitore e nel momento in cui lo aveva conosciuto, Bella aveva deciso che lei avrebbe partecipato a quel trionfo, insieme a Lui.
Altera, elegante, seguì con lo sguardo chiaro, con gli occhi spalancati come se potesse perdere ogni singolo movimento che le avrebbe svelato l'essenza stessa del mondo, cercando di comprendere come avrebbe fatto lei, a divenire quella persona che avrebbe trionfato insieme a Lui. Non aveva dubbi che quello -un trionfo- sarebbe stato ciò che Tom avrebbe fatto: avrebbe trionfato, avrebbe riscritto una storia da cui Bellatrix non voleva essere tagliata fuori. Le mani di lui si posarono sui suoi capelli e le sue labbra sul collo pallido di Bellatrix la quale sentì, chiaramente, ogni singola terminazione nervosa impazzire, vibrare, estasiata da quel Potere e da quella nuova Consapevolezza. Che cosa sarebbe stato un omicidio?! Il corpo di un uomo che lei aveva appena ucciso giaceva ai loro piedi come se si stesse inchinando a Lei, a Lui, a Loro. Le sue labbra, a quel suo stesso pensiero, si chinarono leggermente verso l'alto e fu quello il momento in cui la voce di lui, fredda ed allo stesso tempo affascinante, raggiunse in uno sbuffo le sue orecchie.
Per un attimo solo, gli occhi grigi di Sirius comparvero nella sua mente poi lui pronunciò quelle ultime parole e ogni cosa, ogni sentimento di pietà che potesse anche solo leggermente aver attraversato la testa castana di Bellatrix sparì: l'avrebbe reso fiero di Lei, avrebbe fatto quello che lui le aveva chiesto perché non c'era nulla che lei desiderasse di più di rendere Lord Voldemort fiero di lei. Perché quello, era diventato, in quel momento, il Suo Signore. E per quanto lei avesse sempre protetto la sua famiglia, c'era qualcuno che non ne faceva più parte, da troppo tempo e per Sirius non avrebbe pianto una lacrima. Era ciò che lei voleva fare. Cissy ci sarebbe rimasta male, Meda non l'avrebbe mai perdonata e Regulus... Non sapeva cosa aspettarsi dal più piccolo dei Black ma, si sorprese a pensarlo, non le interessava. Lei avrebbe fatto quello che Lui voleva e lo avrebbe fatto ridendo, con quello stesso sorriso che si dipinse in quel momento sulle sue labbra. “Tutto ciò che desideri, Mio Signore.” Rispose, la voce bassa, quasi un sussurro lascivo, affascinante, totalmente sottomesso.
 
 
Severus Piton avrebbe ucciso chiunque Voldemort gli avesse richiesto, allo stesso modo di Bellatrix, soprattutto dopo la delusione che gli aveva arrecato. Forse non si sarebbe spinto fino a uccidere Lily Evans, ma tutti gli altri... Tutti gli altri si. Certo, anche Milo, l'avrebbe fatto, ma non per fare un piacere a Riddle, no, quello mai. Lui lo faceva per il potere e perché la vita della maggior parte degli esseri umani non gli interessava. In troppi, vivevano anche se non ne avrebbero dovuto avere l'onore. Babbani, sangue sporco, mezzosangue... Lo stesso Piton, apparteneva alla Feccia. Milo non si sarebbe mai dimenticato, che il Serpeverde aveva un genitore babbano, mai e poi mai.
Voldemort si rivolse a lui, e Milo sbuffò afferrando il coltello dalla bocca del serpeverde. Violentarla? No, non l'avrebbe fatto. Non ne sarebbe stato nemmeno capace, non era un necrofilo. Rovinare la bellezza di quella ragazza sarebbe stato un terribile peccato, ma non sarebbe riuscito fisicamente, a violentarla.
Si avvicinò al corpo senza vita della ragazza e prese la sua mano, iniziando ad incidere il suo palmo con la punta del coltello. Per un attimo, Milo fu preso da un senso di nausea: odiava, il sangue, non riusciva a sopportarlo. E poi, gli occhi aperti della ragazza continuavano ad osservarlo, facendolo innervosire... Le graffiò il volto col coltello, per renderlo irriconoscibile, per fare in modo che quel cadavere la smettesse di fissarlo, mentre Voldemort continuava a parlare e Piton che continuava a cercare di farsi notare, di entrare nelle sue grazie. Milo continuava a sfregiare la ragazza, stringendo i denti e cercando di non vomitare, mentre il sangue continuava a scorrere, fin troppo, per i gusti dello scozzese.
 
 
Barty storse appena la bocca senza sapere esattamente cosa dire o pensare. Si morse il labbro e si torturò le mani indeciso sul da farsi: aveva visto Riddle infuriato quando Severus aveva preso un'iniziativa non richiesta, scagliando un Sectumsempra al posto dell'anatema che uccide. Ma...in fondo a lui non aveva ancora dato un ordine da quando si erano seduti. E i cadaveri dovevano essere quattro. E andavano uccisi quattro studenti. Tanto valeva provare. “Avada Kedavra” disse calmo puntando la bacchetta di ebano verso il moccioso accanto a lui. Era il suo primo omicidio. Osservò il lampo verde e subito dopo la luce che abbandonava gli occhi dello studentello per sempre. Inclinò la testa di lato osservando il corpo morto. Forse stava davvero diventando pazzo se in quel momento non avvertiva nulla. Aveva...aveva ucciso un innocente. Eppure nulla. “Ehm... si parlava di uccidere uno studente per casa. Beh, tanto valeva iniziare. E...i cadaveri dovevano essere quattro e se non lo uccidevano erano tre”. disse rivolto a Riddle sperando di essersi spiegato quanto meglio. E sperando che questo non si infuriasse. “Cercherò...un altro ad Hogwarts. Userò su qualcun altro la maledizione Imperius.”
 
 
Tom guardò Bellatrix Black rispondergli con la voce bassa, quasi gutturale. Era affascinata, totalmente sottomessa al suo volere. “Esattamente Bella, esattamente!”.
Bellatrix gli infondeva sesso. Quel sesso selvaggio, che avrebbe risucchiato tutto nel suo vortice di distruzione. Non ci voleva un genio per capire che lo desiderava. Ghignò, poggiando le due dita sotto il suo mento alzandoglielo. “So che non mi deluderai” le bisbigliò sulle labbra. Le loro labbra si sfiorarono, si accarezzarono mentre sul volto dell’uomo si apriva un ghigno malefico. Stava per dare inizio alla sua vendetta verso Silente, verso il mondo dei buoni. E nell’aria già respirava quella sensazione di pienezza, potenza ed eccitazione che solo la morte gli procurava.
Guardò Severus sospirando e avvicinandosi a lui per guardarlo bene negli occhi. Voleva fidarsi di Severus ma – ahimè – non gli avrebbe mai permesso di portare a termine quello che in realtà aveva in mente. I suoi piani di conquista, prevedevano qualche uccisione qui, qualche uccisione lì. E soprattutto, voleva quella sporca mezzosangue lontana dal suo prediletto. Lily Evans, ghignò, avrebbe avuto ciò che si meritava. “Ne sono convinto, Severus. Ne sono convinto!”
Scoppiò a ridere quando sentì Barty uccidere quel ragazzo. Oh si, si stava accerchiando di persone che uccidevano a sangue freddo e quella cosa gli piaceva e lo eccitava da morire. “Bravi. State cominciando a capire a chi dovete la vostra lealtà!” ghignl voltandosi poi verso i quattro cadaveri ai suoi piedi. Con un colpo di bacchetta, li spogliò dei loro indumenti. Con un movimento leggero della mano, scrisse le quattro lettere sui quattro corpi nudi.
IO SONO LORD VOLDEMORT
Guardò gli studenti fisso negli occhi "Adesso devo andare e anche voi ... domattina, al vostro risveglio. Sui cancelli di Hogwarts, ci sarà questo tanto caro spettacolo. Silente deve capire che la guerra è aperta..." ghignò malvagio "...e ricordate, voi siete miei. Non osate tradirmi o la vostra fine sarà peggiore!" E la sua sagoma sparì nel buio, proprio come era apparsa mentre i quattro studenti di Hogwarts ritornarono da dove erano arrivati. Da dove – il giorno dopo – sarebbero comparsi i corpi dei loro primi omicidi. Ad Hogwarts!
 
 
 
 
 
 
 
SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
I Malandrini si erano sempre chiesti, da quando avevano ideato la mappa del malandrino, cosa Silente facesse – ogni giorno – nel suo ufficio. Vedevano la sagoma del preside fare su e giù per la stanza. Ora fermo, ora camminava, poi di nuovo fermo. Non avrebbero mai capito che quello era semplicemente il modo (del più grande mago al Mondo) di tenere d’occhio la sua scuola. Era risaputo da tutti che Hogwarts nascondesse così tanti segreti che nessuno studente (malandrini compresi) sarebbe stato in grado nell’impresa di scoprirli tutti.
 



ANGOLO AUTRICE:
Allora parto col dire che questo capitolo è stato un parto. LETTERALMENTE. Ho cominciato a scriverlo cercando (nonostante i capitoli siano scritti in terza persona) di immedesimarmi in tutti i personaggi presenti all’interno. Inutile dire che ad un certo punto non sapevo più chi pensava cosa. Ammetto anche che – a differenza degli altri capitoli scritti – questo mi sono rifiutata di rileggerlo. Ho semplicemente distanziato i pensieri di tutti gli uni dagli altri per cercare di renderlo “leggibile”. Mi sono rifiutata di leggerlo perché mi è risultato difficile non immedesimarmi nelle vittime. È un capitolo cruento e chiedo scusa se urterò la sensibilità di qualcuno. Nonostante questo credo sia il capitolo a cui tengo di più. È facile scrivere di eroi, di amore, di amicizia … difficile è scrivere dalla parte dei cattivi, ma in una storia bisogna anche parlare di loro. Mi auguro che questo capitolo vi piaccia e come al solito ringrazio chi legge, recensisce e leggerà la mia storia.
Erydia.

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Capitolo 7
*** Chapter Five ***


 
I Malandrini si erano sempre chiesti, da quando avevano ideato la mappa del malandrino, cosa Silente facesse – ogni giorno – nel suo ufficio. Vedevano la sagoma del preside fare su e giù per la stanza. Ora fermo, ora camminava, poi di nuovo fermo. Non avrebbero mai capito che quello era semplicemente il modo (del più grande mago al Mondo) di tenere d’occhio la sua scuola. Era risaputo da tutti che Hogwarts nascondesse così tanti segreti che nessuno studente (malandrini compresi) sarebbe stato in grado di riuscire nell’impresa di scoprirli tutti. Uno di questi segreti era la stanza delle Necessità. La stanza delle Necessità era una stanza magica che poteva essere scoperta solo da chi ne aveva davvero bisogno. Una Stanza dove si poteva trovare tutto ciò di cui necessitava. Si trovava al settimo piano, di fronte all’arazzo di “Barnaba il babbeo bastonato dai Troll”. Per farla apparire bisognava passarci per tre volte davanti pensando alla “necessità” molto intensamente. Era protetta da molte magie tra cui quella che la rendeva impossibile da disegnare. Infatti non compariva sulla mappa. 
Nonostante tutti gli sforzi per cercare di rendere Hogwarts un luogo sicuro, Silente sapeva bene che il male era insidiato – anche – tra le mura di quella scuola. Sapeva bene che, nonostante provasse in tutti i modi di far passare un messaggio di pace e di tranquillità, molti dei suoi studenti erano inquieti. Fu per questo motivo che quando quattro dei suoi studenti attraversarono il portale dentro l’armadio svanitore, posto nella stanza delle necessità per uscire fuori dal castello, che lui organizzò d’urgenza una riunione dell’Ordine. E così – dopo neanche un’ora dall’invio del segnale – tutti i membri dell’Ordine della Fenice non in missione erano riuniti nello studio di Albus Silente.
C’era la professoressa McGrannitt, Dorea Potter, Arthur Weasley, Kingsley Shakelbolt, Alastor Moody e Emmeline Vance.
“Miei cari. Amici miei, mi rincresce comunicare che i nostri più cupi sospetti si sono infine rivelati veri…” Albus prese la parola, sentendosi lo sguardo dei suoi alleati puntato negli occhi. Conosceva bene il parere di ognuno di loro sugli studenti di Hogwarts “…conosco bene il pensiero di ognuno di voi sugli studenti di Hogwarts. So bene che avete tenuto d’occhio molti studenti della mia scuola, ma che il pensiero generale è quello di arruolarli dopo i MAGO ma…”
“Ma?” fu Dorea Potter a parlare. Tutti in quella stanza notarono quanto fosse cambiata la donna dopo il ricovero di suo marito al San Mungo. Era dimagrita, gli occhi scavati e l’aria di chi sapeva che il dolore – quello invalidante – sarebbe arrivato di lì a poco. Lei era la mamma di tutti. Cercava di difendere chiunque, indipendentemente dal sangue, lei era protettiva verso tutti gli essere umani.
“Albus … sono solo dei ragazzi, non possiamo chiedergli questo!” intervenne Minerva. Non aveva bisogno di sentire il discorso del preside perché conosceva benissimo le sue intenzioni.
“Con tutto il rispetto Albus, passerebbero più tempo a formarsi che a combattere.” Azzardò Alastor Moody. Lui, insieme ad Harold (Harry) Potter era uno degli Auror più temibili del mondo magico. Fiutava un Mangiamorte dalla cima di una montagna e – come tutti non perdevano tempo di puntualizzare – non aveva problemi ad utilizzare una maledizione senza perdono durante un interrogatorio.
“Questa sera, quattro studenti della casata Serpeverde hanno utilizzato il passaggio dentro l’armadio svanitore per uscire dai cancelli di Hogwarts!” sospirò Silente lasciandosi sedere e passandosi una mano sugli occhi.
“Hogwarts è impenetrabile. Nessuno entra ed esce dai cancelli di Hogwarts”
“Sai benissimo Dorea che non è vero. Tuo figlio James conosce così tanti passaggi segreti. Alcuni dei quali sconosciuti a molti di voi!”.
“Non vorrai arruolarli Albus, sono solo dei ragazzi!” urlò Dorea mentre le mani le prudevano di rabbia. Avrebbe volentieri preso a pugni qualcosa. Al diavolo della compostezza che doveva avere una donna della sua età. Non avrebbe mai permesso che dei ragazzi perdessero la vita. Mai!
“Con tutto il rispetto signora Potter, io ho solo due anni in più a suo figlio!” azzardò Emmeline Vance, cercando – in qualche modo – di placare la donna che aveva di fronte.
“Dorea, non potremmo tenerli a lungo lontano dalla battaglia. E qualche mano in più potrebbe farci comodo” s’intromise Malocchio.
“E allora Alastor, dovremmo dire loro per cosa realmente combattono!”
“In che senso Dorea?”
“Che significa Signora Potter?”
“Tu non sai quello che dici donna!”
Un boato di voci si innalzò nell’ufficio di Silente. Fanny scattò in piedi cercando di adattarsi a quel nuovo cambio d’umore dei suoi ospiti. Fu Silente a mettere fine a quella discussione, prendendo la parola. “SILENZIO” sentenziò alzandosi in piedi, e fissando Dorea che lo sfidava con lo sguardo. “Litigare tra di noi, non ci porterà da nessuna parte!”
“Neanche mentirci…” ringhiò la coniuge Potter. Era chiaro che il suo scopo non era altro che distogliere l’attenzione facendola passare dai ragazzi ad altro. Peccato che avesse scelto un argomento poco consono a quella riunione.
“Cosa significa per cosa realmente combattiamo?” Arthur Weasley era un giovane ragazzo, da poco maritato, che lavorava al Ministero della Magia. Come ogni Weasley prima di lui era stato un degno Grifondoro e un abile alleato. In quel momento – pensò Silente – con una moglie a casa che lo aspettava, era già con un piede fuori la porta. Se l’Ordine perdeva seguaci, la Resistenza avrebbe perso seguaci.
“Dorea hai fatto un gran boato!” sbuffò Alastor mentre si sistemava meglio sulla sedia. Il vecchio Auror cercava di rimediare agli errori della sua cara amica. Ma la verità era che non potevano più tenere nascosto tutta la verità.
“Dovremmo poterci fidare l’un l’altro in questo Ordine”
“Ha ragione Signorina Vance!” sentenziò Silente “Non possiamo più rimandare questo discorso. Vi chiederei però di non divulgarlo in giro. Non ancora. C’è un motivo per cui lo abbiamo tenuto segreto fino ad ora.” Ai presenti, Silente parve tutto d’un tratto invecchiato di dieci anni. Era come se quel segreto che custodivano così minuziosamente non dovesse essere rivelato. Era come se divulgandolo, li avrebbe condotti alla fine.
“Tutto iniziò con l’assenza e il desiderio…” sussurrò Minerva che fino a quel momento era stata in silenzio.
“Tutto iniziò con il sangue e la paura!” continuò Dorea.
“Quando la magia era immensa e infinita come la notte. Quando la magia primordiale non aveva bisogno di bacchette magiche o di pozioni. Quando le specie vivevano in pace gli uni con gli altri.”
E così, per la prima volta – in quella stanza – Silente parlò ai presenti dell’Ordine di Aurelius e della Resistenza. Parlò loro del diadema di Corvonero e delle gemme disperse in ogni angolo remoto del mondo. Parlò dei viaggi che i membri dell’Ordine – a conoscenza della Resistenza – dovevano affrontare per recuperare le gemme preziose.
“Per la barba di Merlino…” mormorò Arthur Weasley con la mascella tesa e fissata al pavimento.
“Quante gemme sono?” chiese Emmeline Vance.
“Sul diadema di Corvonero c’erano dodici gemme preziose. Siamo più che certi che l’Ordine ne abbia cinque in suo possesso e noi altre cinque.” Rispose Kingsley. “Ma ad entrambi, manca la gemma più preziosa tra tutte. Il Rubino!”
“Per fortuna l’unica a conoscerne l’ubicazione è Helena Corvonero, ma si rifiuta di collaborare fino a quando non troverà qualcuno degno di trovarlo.!” Concluse Silente.
“Cosa succederà quando tutte e dodici le gemme si riuniranno?” chiese Arthur.
“Il diadema di Corvonero aveva una tale forza da riuscire a contenerle separatamente, adesso che il Diadema è andato perduto, immagino che quelle gemme si uniranno in qualcosa di spaventoso!” mormorò Emmeline Vance.
“Ecco signorina Vance … “aggiunse Silente “Senza il Diadema, quelle gemme si uniranno in quello che erano un tempo. Ovvero una sfera.”
“La sfera dei quattro spiriti!” concluse Dorea per lui. “E grazie a questa sfera, il Maestro tornerà in vita!”
Nessuno osò proferire parola in quel momento. Fu Minerva a spezzare quel silenzio sceso improvvisamente nella stanza.
“Adesso cosa faremo, Albus? Se Voldemort ha marchiato alcuni studenti, avrà sicuramente chiesto loro di commettere qualche atrocità all’interno delle mura del castello. E noi non possiamo ospitare l’Ordine ad Hogwarts. Daremmo troppo nell’occhio!”
Minerva aveva ragione, ospitare membri dell’Ordine della Fenice – che erano anche Auror – avrebbe attirato troppo l’attenzione e avrebbero potuto utilizzare la loro permanenza come un’incapacità da parte di Silente di dirigere Hogwarts.
“Non preoccuparti Minerva, gli studenti di Hogwarts sono al sicuro. E terremo i Serpeverde sotto stretta sorveglianza. Se qualcuno è stato marchiato, non potrà obbedire agli ordini dell’Oscuro. Non qui. Non finché ci saremo noi.”
E Silente ci credeva, ci credeva davvero.
 
 
"Ehi fratello!" Sirius lo distolse dai suoi pensieri, pensieri che ultimamente lo portavano sempre e solo a pensare ad una rossa dagli occhi verdi. “Guarda un po' chi sta venendo nella nostra direzione!”
James guardò lì dove Felpato gli aveva indicato con un cenno del capo e trovò l’oggetto del suo desiderio. In quel momento James – che aveva bisogno di una distrazione – scattò in piedi insieme a Sirius con lo stesso ghigno fraterno che li accomunava.
“Non lo so James, c’è Lily” azzardò Remus senza alzare la testa dal libro di Pozioni con cui stava cercando di spiegare la lezione svolta del pomeriggio al povero Peter che non ci stava capendo niente.
James fece vagare lo sguardo in giro, trovandola poi vicino alla riva intenta a ridere con le sue amiche. A quella visione, a James si strinse il cuore. Lei non aveva mai riso così con lui, non era mai stata spensierata con lui. E dopo la cazzata del bacio nell’aula di pozioni, ne era certo, non avrebbe neanche potuto sperare di vederla ridere con lui. Solo con lui. Si risvegliò da quei pensieri mentre un moto di rabbia gli saliva nel petto. Mocciosus aveva potuto bearsi di quel sorriso per cinque lunghi anni e a lui niente. Questa cosa lo imbestialiva parecchio.
“Non ci riesco Lunastorta, quando lo vedo io … sento il bisogno di torturarlo!”.  E così con Sirius al seguito si incamminò in direzione del Serpeverde.
"Mocciosus!" disse veloce raggiungendolo.
Severus accelerò il passo, aveva ben altro a cui pensare che stare ad ascoltare quel pallone gonfiato di un James Potter. Arrivò agli scalini d’ingresso e nel momento in cui stava per mettere un piede sul primo scalino un incantesimo non verbale lo fece inciampare.
“Ehi Mocciosus, prima o poi dovrai imparare a salirle quelle scale!” esordì Sirius ridendo, mentre lì attorno si era già formato un gruppetto di curiosi. Dove c’era James Potter c’era il suo fanclub e dove c’erano i Malandrini e Severus Piton c’era sempre qualche rissa divertente a discapito del povero serpeverde.
Ogni volta che Piton cercava di rialzarsi, James – con un incantesimo non verbale – lo faceva traboccare e ricadere per terra. “Levicorpus!” sussurrò James spavaldo “Chi vuole vedere come tolto le mutande a Mocciosus?” esclamò fiero Sirius.
“Potter, te ne farò pentire!” ringhiò poi Piton, fulminandolo con i suoi occhi color pece.
Dall’altra parte del cortile, Lily che aveva visto tutto, cercò di raggiungere il punto dove c’erano quei due stupidi il prima possibile. Da prefetto non tollerava quelle buffonate di Potter. Un tempo avrebbe difeso Severus perché suo amico, ma con lui non si parlava più e quindi in quel momento era puramente un dovere da Prefetto. Anche se Piton – dopo quella frase – meritava davvero di essere smutandato in bella vista.
“Potter” gridò la rossa furiosa piazzandosi davanti a Severus. Fu un attimo – sospeso nel tempo – lei si piazzò davanti a James mentre lui gridava “Evanesco!”.
Silenzio!
Nessuno osava parlare. James Potter aveva appena fatto scomparire la gonna della divisa di Lily Evans. Fu un attimo – che parve infinito – Lily guardò quello che il moro aveva appena fatto e avrebbe voluto ammazzarlo, a mani nude. “Potter!! COSA HAI FATTO???!” Esclamò imbestialita, con gli occhi fiammeggianti e le gote rosse di rabbia. Si avvicinò pericolosamente al ragazzo mentre intorno a loro s’innalzò un boato di voci. C’era chi scommetteva venti galeoni su quale schiantesimo avrebbe usato la ragazza per eliminarlo. Con un gesto esperto puntò la bacchetta alla gola del moro cercando di pensare a quale incantesimo poteva utilizzare per liberarsi una volta e per tutte di quel pallone gonfiato. Andava bene tutto in quel momento, anche la galera!
“Evans non puoi farlo … è illegale!” bisbigliò Sirius mentre si nascondeva dietro la schiena di un Remus che – notando gli amici in difficoltà – si era avvicinato al gruppetto di persone. Sirius sapeva…oh lui lo sapeva che il prossimo sarebbe stato lui.
“Cosa sta succedendo qui? Potter, Evans vi aspetto oggi pomeriggio per una bella punizione!” intervenne la McGrannitt facendo ricomparire – fortunatamente – la gonna della rossa.
"Avanti Evans… non fare quella faccia!!" sbottò James
"E che faccia dovrei fare, Potter, sentiamo?" le chiese allora mentre si bloccava d’improvviso. "Per quale motivo mi odi fino a questo punto?" continuò poi passandosi una mano sul viso come a cancellare la stanchezza che quell'episodio le aveva procurato.
"Io non ti odio Evans" sbottò James sorridendo "e solo che…irritarti è così…divertente!" concluse poi dopo un attimo di imbarazzo.
Quella domanda gli aveva provocato un inspiegabile stretta allo stomaco che era difficile da interpretare, soprattutto se si parlava di James Potter.
"E’ divertente?" sussurrò piano Lily mentre sentiva la rabbia salirle e dipingerle il volto.
"E’ divertente…" ripeté poi come a convincersene mentre vedeva dinanzi a se il ragazzo inarcare il sopracciglio non riuscendo bene a capire ciò che le succedeva.
"Sai cos’altro è divertente, James?" le chiese sarcastica Lily "Il modo in cui ti schianterò la prossima volta che oserai anche solo avvicinarti a me!" esclamò prima di iniziare a correre verso i suoi dormitori, mentre una strana sensazione si faceva largo dentro di sé.
“Ehi Evans...belle gambe comunque!” sorrise il moro passandosi una mano tra i capelli. Improvvisamente quella giornata si stava rivelando più interessante del previsto.


 
In punizione! Non poteva crederci, in sei anni di scuola mai e poi mai le era capitato di finire in punizione. Certo non era una santa e su quello poteva dar ragione alla maggiore parte della popolazione di Hogwarts. Le sue litigate con quel pallone gonfiato di Potter erano a tratti assurde e a tratti spaventose, quindi forse ci sarebbe dovut finire molto tempo fa in punizione. Il problema era che, tutti – professori inclusi – sapevano quanto Potter potesse irritarla e quanto lei non riuscisse a tenere a freno la lingua e – spesso – la bacchetta. Volavano schiantesimi come niente fosse, ma in sua difesa metteva su un sorriso innocente e diceva le cose come stavano: era lui che iniziava quelle discussioni, era lui che la provocava e lei – da valorosa grifondoro – gli teneva testa. Quella volta però le cose erano andate diversamente da come, invece, erano filate lisce per sei lunghi anni.
Si stava avviando verso la Sala Grande dove ad aspettarla non c’era solo la sua punizione ma anche lui: James-facciomacellimasonsemprebello-Potter. Se poteva affrontare una punizione della McGrannitt, non poteva di certo affrontare un’altra serata con lui e magari ripetere la scena dei sotterranei. A quei pensieri il suo cuore perse un battito. Si portò le mani sugli occhi stropicciandoseli: era così stanca, ma di quella stanchezza che divorava le carni, gli organi e l’anima. Per svariati secondi delle sue giornate, molte volte, invocava la pace eterna…perché infondo avrebbe dato pace a tutti. Poi però si ricordava di Marlene e dell’unico vero sentimento che aleggiava nel suo cuore: l’amicizia. E poi si ricordava di Potter e da egoista quale stava diventando, non voleva togliersi la vita perché non voleva vivere un’eternità senza di lui. Alcune volte aveva avuto il forte desiderio di prendere James con sé, fare con lui tutto, ogni cosa per conto loro. Senza avere bisogno di niente o di nessuno. Molte volte si era chiesta tra sé e sé cosa James pensasse di tutta quella elettricità che c’era nell’aria ogni volta che si trovavano contemporaneamente nello stesso posto. Lui sarebbe mai rimasto con lei dimenticando il resto del mondo?
Erano questi i pensieri che la tormentavano e a cui non riusciva a dare una risposta. Non sapeva bene come dire, non sapeva bene come si sentisse. Per quanto il suo cuore le sussurrasse quelle due parole, per lei non erano neanche abbastanza da dire. Avrebbe solo voluto stendersi in un luogo nascosto da tutti e farlo stendere con lei, per dimenticare insieme il resto del mondo.
Alla fine si era sfogata con Marlene, perché la verità era che aveva bisogno della sua grazia per ricordarsi di trovare la propria.
Se mi stendessi qui
Se mi stendessi semplicemente qui
Ti stenderesti con me e ti dimenticheresti del mondo?
 
Tutto ciò che era, tutto ciò che sarebbe stata mai, tutte quelle erano cose che voleva vedere nei suoi occhi perfetti, perché i suoi occhi erano l’unica cosa che lei riuscisse a vedere. Lei e James sarebbero sempre stati lei e James, una sola cosa. Loro – era come – se condividessero lo stesso cuore. Non sapeva dove, era confusa anche sul come, sapeva solo che quelle cose non sarebbero mai cambiate.
Ultimamente cercava di restare da sola il meno possibile, perché quando restava da sola con i suoi pensieri sentiva un fuoco che iniziava a bruciare nel suo cuore – raggiungere un livello febbrile portandola fuori da ogni controllo. Erano quelli i momenti in cui poteva vedere i suoi sentimenti per lui in modo nitido. Il suo cuore continuava a tradire la sua mente e quest’ultima continuava a lasciare il suo cuore alla deriva, ormai era una lotta interna in cui – non sottovalutando comunque il suo cuore – la sua mente se ne andava vittoriosa con pezzi di quel cuore ormai in frantumi. In quel momento – da sola, lì con i suoi pensieri – sentiva quel fuoco bruciare dentro il suo cuore. Stava raggiungendo un livello febbrile e allo stesso tempo la stava portando fuori dal buio. Il suo cuore portava le cicatrici del loro amore, e ogni volta che pulsavano, si ricordava di loro. Le facevano pensare che avevano avuto quasi tutto. La lasciavano senza respiro e disperata perché non poteva salvare i loro sentimenti. Forse era vero, potevano avere tutto. Ruzzolando insieme fino in fondo, ma almeno avrebbe avuto il suo cuore e la sua anima. Ma si era giocata tutto, prendendo le decisioni sbagliate.
“Non hai una storia da raccontare, ma forse ne sentirai una su di lui, Lils!”
E quel pensiero le fece ardere la testa. Pensando a lui nel profondo della sua disperazione, pensò che avevano avuto quasi tutto, che potevano avere tutto ma alla fine non avevano nulla.
“Non è l’amore che fa soffrire, ma la sua assenza.”
I loro cuori, li avevano lacerati e incatenati invano, come se avessero saltato a lungo senza mai chiedersi il perché. Nei sotterranei, si erano baciati, era caduta sotto il suo incantesimo. Quello era un amore che nessuno poteva negare, che allo stesso tempo nessuno avrebbe mai visto. Lo voleva con sé e lo voleva lontano – ma la verità era che Lily lo avrebbe sempre voluto – non poteva più vivere una bugia, fuggendo dalla sua vita.
“Tu lo vorrai sempre!"
Sentì il suo cuore battere forte, non aveva mai colpito così forte per amore. Tutto quello che voleva in quel momento era distruggere i muri di quella sala grande e fuggire via, ma più fuggiva e più finiva per distruggere sé stessa.
“Si, ti sei distrutta!”
Da quel giorno nei sotterranei, la situazione per entrambi era cambiata. James l’aveva lasciata lì a bruciare da sola con sé stessa e in quel momento si ritrovata ad essere cenere sul terreno. Non aveva mai avuto realmente intenzione di iniziare quella guerra, la verità era che voleva solamente che lui la lasciasse uscire dalla sua vita – anche con la forza se necessario. Voleva distruggere quel sentimento, ma aveva finito per distruggere sé stessa.
 
 
"C’erano stati giorni, in cui si erano voltati indietro malinconici, stanchi di sentire il rumore delle loro stesse lacrime. Nervosi perché i loro anni migliori se ne stavano andando lasciandoli vuoti, terrorizzati senza potersi specchiare l’uno negli occhi dell’altra. E alla fine, cadevano a pezzi, indifesi e arrabbiati. Il loro cuori, si erano disintegrati senza che loro potessero fare niente."
 
“Basta Lily!"
Gridò la sua coscienza ad alta voce, ma lei non riusciva a sentire una parola di quello che le diceva. Stava parlando ad alta voce, senza dire granché.
“Nonostante tu sia criticata, tutti quei colpi rimbalzano su di te”
Ma l’avevano anche abbattuta.
“Si ma tu ti rialzi sempre, Lils!”
 
Che James Potter fosse in punizione, beh quella non era esattamente una novità; lui era più o meno un veterano della punizione, qualsiasi cosa facesse o dicesse tanto che aveva iniziato a credere che i professori provassero una perversa gioia nella sua presenza. Oh beh, che la McGranitt fosse divertita da lui era qualcosa che James sapeva con sicurezza e che non mancava mai di ricordare alla responsabile della sua Casata ma che anche gli altri professori adorassero passare i pomeriggi con lui... Beh quella era stata una per così dire piacevole, sorpresa dell’ultimo anno. Fatto sta che, per lo meno quel giorno, c'era una piacevole quanto insospettabile variazione nel tema: non era infatti con Sirius, veterano quasi quanto lui se non di più, della punizione che James avrebbe trascorso quel pomeriggio quanto con una persona con cui, a dirla tutta, avrebbe avuto infinitamente piacere di trascorrere molti più pomeriggi, impiegato però, in tutt'altre faccende.
Lillian -perché era colpa sua se si trovava lì e quindi non era la sua Lily- Evans.
Esatto, lunghi capelli rossi, occhi azzurri e il volto più dolce che James avesse mai visto. Oltre alla capacità innata di metterlo nei guai. O meglio, quello era il modo in cui la vedeva in quel giorno visto che nei guai, generalmente, era capacissimo di infilarcisi da solo. Per lo meno, comunque, il motivo per cui si trovavano lì aveva fatto ridere tutti.
 
 
"Belle gambe, la Evans" commentò svogliatamente Peter, una volta che la McGranitt ebbe lasciato andare entrambe, Lily correndo via dalle sue amiche, probabilmente, e James con il passo tranquillo e cadenzato verso i suoi amici. James scoppiò appena a ridere. "Stai parlando della mia futura moglie, Codaliscia."
"Ma lei almeno lo sa?" Remus, sempre troppo pragmatico, sempre troppo reale.
"Lo saprà." Rispose James, facendo un occhiolino rivolto al vuoto mentre Sirius gli tirava una pacca sulla spalla, raggiungendolo e fingendo di sussurrargli un segreto con un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire anche dagli altri due. "A qualcuno piace violento." James scoppiò a ridere eppure quella notte si trovò davvero a pensare come sarebbe stato, stringerla a sé, poterla chiamare Lily Potter.

 
 
Perlomeno c'era qualcuno che rideva ancora, mentre lui lasciava la sala comune e la sua poltrona di fronte al caminetto. Faceva troppo freddo per gli allentamenti e a metà aveva iniziato a piovere talmente tanto che era stato costretto, suo malgrado a sospenderli per la gioia di Sirius che lo aveva accompagnato come al solito. Ovviamente, alla McGranitt quello non era passato inosservato e non appena aveva posato i piedi sul fango gli aveva strillato dietro che visto che aveva terminato prima gli allenamenti -in realtà non gli avrebbe mai impedito di allenarsi vista l'imminente partita contro i Serpeverde, e James sapeva troppo bene che la professoressa di Trasfigurazione avrebbe riso nel sbattere in faccia al professor Lumacone il trofeo del Quidditch anche quell'anno - avrebbe dovuto raggiungere la Sala Grande dopo essersi cambiato. James l'aveva tirata un po' per le lunghe, aspettando almeno che i suoi capelli si asciugassero e quello era il motivo per cui, più spettinato del solito, si recava verso la Sala Grande con l'aria di chi avrebbe preferito spalare sterco di drago per tutta la giornata che non stare ancora chiuso in una stanza con Lily.
Fu quella l'espressione che aveva dipinta sul volto quando varcò la soglia salutando la Evans con un: “Vedo che hai ritrovato la gonna, e la dignità”. Arrabbiato perché non voleva essere lì eppure non per questo immune a quello strano magnetismo che lei esercitava sempre su di lui.
 
Lily sospirò stancamente passandosi una mano sul volto quando lo sentì entrare in modo molto rumoroso. Tirò un sospiro prendendosi un attimo prima di voltarsi, non era pronta a rivivere un’altra intensa serata con lui. Sentiva le scintille attorno a loro esplodere mentre cercava di mantenere il controllo del suo corpo. Poteva farcela, era a prova di colpi, non aveva nulla da perdere. Era come evitare il fuoco. Si, era come evitare il fuoco. La sua presenza la stava abbattendo ma lei non sarebbe mai caduta perché in quel momento si sentiva invincibile, si sentiva fatta di titanio.
In quell’istante sfidò James con lo sguardo. Stroncami pure! Pensava, ma era lui che aveva altro per cui cadere. In quel momento quel luogo sembrava una città fantasma tormentata da un grande amore. Quelle parole rompevano le sue ossa più di bastoni e pietre, avrebbe voluto alzare la voce ma onestamente non aveva granché da dire. “Sei tu quello che ha perso la dignità, Potter!” sbottò acidamente, deglutendo e sfidandolo con lo sguardo. Era a prova di colpi, perché non aveva nulla da perdere. Stava evitando James come evitava il fuoco vivo. I suoi occhi freddi potevano abbattere il suo cuore ma il suo corpo non sarebbe caduto, quello era fatto di titanio. Lei era fatta di Titanio.
“E tranquillo, Potter. L’odio è reciproco!”
Lui la stava abbattendo ma lei non sarebbe caduta, anche se per non farlo avrebbe messo a tacere per sempre il suo cuore.
 
James sorrise appena, guardandola, con un sorriso che sulle sue labbra sarebbe apparso tutto fuorché sincero. Era arrabbiato, la considerava responsabile della sua presenza in quella stanza ma, soprattutto, non poteva tollerare che lo avesse fatto per Mocciosus, non sopportava il fatto che loro non riuscissero ad avere il rapporto che lei aveva con Piton, quel rapporto che la portava a perdonarlo, a difenderlo nonostante tutto quello che lui potesse dire. Non si sarebbe mai permesso, James, di chiamarla a quel modo, non avrebbe mai neppure immaginato di poterle rivolgere quell'insulto ma, indipendentemente da questo, lei gli scappava, come l'acqua che scivolava tra le dita senza che lui potesse afferrarla. Era frustrante e lui era arrabbiato.
Dubitava davvero che quel giorno avrebbe potuto dirle qualcosa di gentile, dubitava che sarebbe riuscito ad essere gentile con lei per quel decennio ma odiarla?! Non poteva neppure pensare che lui la odiasse.
Poteva davvero farle quella promessa, poteva davvero dirle, come avrebbe voluto, la verità? Lei lo avrebbe accettato? No, quella era la verità e quello era il motivo per cui cercava di odiarla, quello era il motivo per cui sperava che, prima o poi, guardarla non avrebbe causato nella sua mente tutto quel turbamento che cercava di nascondere perché lui era James Potter e lui non perdeva la testa per le ragazze! Perché lui era James Potter ed era peggio di come Lily Evans lo dipingesse, perché lui era arrogante, egoista e pieno di sé e quello era il James Potter che, quel giorno, voleva essere. Ma non ci riusciva.
Quando la vide, però, non riuscì a pensare ad altro che non fosse a tutto quello che era accaduto nei sotterranei. Il suo corpo contro quello di Lily, il battere del suo cuore contro la sua pelle e il modo in cui le loro labbra si erano incastrate, alla perfezione, il modo in cui si erano baciati e quel fuoco puro che scorreva sotto la sua pelle. La morbidezza dei suoi capelli tra le sue dita. La amava, se quello era Amore, la amava e ne voleva sempre di più! Scosse la testa. No, era peggio di così! Lui era la persona che gli altri si aspettavano che lui fosse e non poteva smetterla di esserlo in quel momento. Non quel giorno.
James la guardò, scuotendo appena la testa non appena quella frase raggiunse le sue orecchie. Credeva davvero che quello fosse odio? Lui odiava Moccioisus perché cercava di allontanarli ma come poteva odiare LEI?! Lei che tra tutte era l'unica in grado di lasciarlo ancora sorpreso come un bambino come in quel momento, l'esatto istante in cui lei così candidamente ed odiosamente lo accusava di un gesto tanto terribile? “Non ci arrivi proprio Evans, eh?” Le chiese. “E pensare che ero convinto che tu e Remus foste amici.” Si strinse appena tra le spalle scoppiando appena in una risata che gli fece chinare la testa all'indietro senza ritegno.
 
Da un po' di tempo a quella parte, aveva sempre l’impressione di restare al punto di partenza. Nonostante lei chiudesse la porta per lasciare i suoi sentimenti per James fuori dal suo cuore ma ogni cosa – tutto – inevitabilmente la riconduceva a lui. Alla fine aveva capito che lui era, in realtà, la ragione per cui Lily viveva.
“E questo è o non è amore?”
Aveva provato a cercare un suo equilibrio. Sapeva che se non lo avesse fatto, l’enormità di quei sentimenti l’avrebbero travolta. Ma la verità era che quell’equilibrio svaniva ogni volta che lei si trovava di fronte a lui. Annuiva. Ascoltava. Rispondeva e si fingeva felice di una vita che non era per niente come la voleva. E così facendo si ritrovava – sempre – con l’anima a fettucce, lasciando che la nostalgia la inondasse per poi placarsi da sola.
In quel momento, con lui di fronte, sperava che il domani arrivasse in fretta – per farla allontanare da lui e per far svanire ogni pensiero che nella sua testa stava prendendo forma, come se stesse avendo un senso. Stare lontani era la loro sola ed unica possibilità di redenzione, perché dovevano solo lasciare che lo scorrere del tempo rendesse tutto un po' più chiaro, perché la loro storia – infondo – non era nient’altro che un eterno attimo tra loro due. Ma tutti gli attimi, seppur eterni, avevano una fine. Eppure la provvidenza, il fato, il destino, il buon vecchio Merlino, non gli davano tregue facendoli incontrare sempre – costantemente – in situazioni assurde. Situazioni che sarebbero sfociate in altre situazioni che non avrebbero fatto altro che alimentare quell’esplosione che sarebbe stata la loro storia. Un BOOM e poi il nulla.
Non lo avrebbe ammesso mai, neanche sotto tortura – neanche a sé stessa – ma il tempo che passava con James Potter, andava a cambiare una piccola parte di sé stessa per sempre. Vedeva i suoi occhi privi di quella scintilla che lo caratterizzavano. Quegli occhi ormai – forse per una sua strana impressione o forse perché in quegli anni aveva imparato a conoscerlo – le sembravano spenti, stanchi di tutto e lei avrebbe voluto dire qualcosa ma in realtà non sapeva neanche cosa dire. Si guardavano e riuscivano a trovare solo motivi per litigare. Erano troppo distanti, distanti tra loro, eppure sentiva sue le paure che il suo corpo emanava. Avrebbe voluto
Stringerlo forte e dirgli che avrebbero superato tutto ma, infondo, le sue erano solo inutili parole.
Alla sua risposta fu un attimo, neanche il tempo di sospenderlo nel tempo, Lily lo prese per il colletto della camicia e con tutta la forza che si ritrovava in corpo (aiutata anche da quella scarica di adrenalina che le pervase il corpo) lo sbattette contro il muro. I suoi capelli danzavano davanti agli occhi e potevano apparire lunghi serpenti fiammeggianti, di quella stessa fiamma che ardeva nei suoi occhi. Quegli stessi occhi che si specchiavano in quelli di James.
“Illuminami allora.”
Ringhiò vicina, troppo vicina al corpo del ragazzo. Poteva sentire il calore che emanava e le sue gote arrossarsi di colpo, ma non avrebbe neanche mosso un passo. L’orgoglio e la determinazione, su di lei, avevano la vittoria in pugno. Voleva capire, voleva selle risposte e le voleva in quel momento. Potter non le sarebbe scappato.


Successe tutto rapidamente ma anche se fosse accaduto in un modo diverso James dubitava che sarebbe riuscito ad opporsi, in un modo o nell'altro, a quella furia rossa che, in realtà, in quel corpicino non sapeva neppure da dove uscisse. La guardò, guardò come reagì alle sue parole e la fissò mentre lei, forse infastidita dalla sua risata, muoveva i suoi rossi capelli fiammeggianti verso di lui prendendolo per il colletto della camicia che appena spuntava al di sotto della veste da mago e lo spingeva contro il muro. “Non riesci proprio a non sbattermi contro qualche parere, eh Evans?” La prese in giro perché la vicinanza era troppa e il desiderio di allungare le mani e prendersi l'unica persona che avesse mai voluto era talmente forte che James non conosceva che quelle battute leggermente sarcastiche per tenerla lontana. O avrebbe fatto un casino, il peggiore dei casini che potesse fare nella sua vita perché lui era James Potter e le persone sapevano che lui era un idiota montato, un Narciso moderno e non poteva essere altrimenti.
Non tanto per le persone perché odiava essere all'aspettativa delle persone, odiava essere quello che loro si aspettavano perché era diverso quanto per lei; per fare in modo che l'odio che lei provava per lui continuasse a bruciare e allo stesso tempo si spegnesse perché se quel fuoco si sarebbe calmato, se fosse arrivato ad ardere dolcemente sarebbero rimaste solo le domande e James non voleva rispondere a nessuna di quelle. Cosa sarebbero stati James Potter e Lily Evans, insieme? Non lo sapeva e la cosa che lo sorprese in quel momento era che non voleva saperlo perché era una stupida illusione, perché dovevano continuare a credere che fosse tale. Perché lui non sarebbe mai riuscito ad averla, Lily e lei avrebbe continuato a correre lontano da lui.
Sostenne lo sguardo di lei, quindi, un istante dopo, lasciò correre i suoi occhi lontani da quelli dell'altra Grifondoro. “Non odio te. Odio il cretino che ti ostini a definire amico.” Svicolò. C'entrava poco, Lunastorta in quella risposta ma era meglio della verità, ogni cosa, quel giorno, era meglio della verità.
 
Lily lo guardò e nei suoi occhi passò un lampo d’ira. Come si permetteva di dirle quelle cose, come osava credere di conoscerla? Lui non la conosceva bene, nessuno in quel luogo la conosceva bene, nemmeno lei si conosceva bene. Eppure, non aveva la presunzione di credere di sapere tutto della sua persona. Quello che sapeva le bastava, le faceva capire e andava bene così. Era sempre attenta a tutto ciò che la circondava. Attenta a non calpestare i fiori, a non schiacciare le chiocciole, a non pestare i piedi a nessuno, a chiedere sempre permesso, a dire sempre grazie. Era attenta a sorridere, a non crollare di fronte a chi non tollerava il dolore, a non dimenticare nessuno, alle parole che usava. Era attenta e le si disintegrava il cuore quando gli altri, distratti, non si accorgevano se cadeva, se arrancava, se moriva – dentro.
“Non quando tu mi offri queste risposte su un piatto d’argento, Potter!”
Sbottò irritata sfidandolo con gli occhi. Poi il silenzio rimpiombò su di loro e fu doloroso. Doloroso perché il silenzio dopo la musica faceva sempre venire voglia di piangere, o di riempire gli spazi vuoti con discorsi inutili. James era la sua musica. Perché semplicemente non si decideva di lasciarlo andare?
Lei non poteva lasciarlo andare, anche se sapeva che quelle reazioni non erano dovute alla mancanza d’amore, ma all’incapacità di amare. E allora perché era ancora lì?
Lei non era adatta alle storie semplici, la verità era quella: lei voleva distruggersi, voleva essere distrutta per poter dimostrare a tutti come era brava a ricomporsi, voleva essere pazza, voleva amare come una pazza, voleva urlare, essere il sogno più dolce e l’incubo più cupo di qualcuno, voleva stravolgere i suoi piani e di essere felice non le interessava per niente: James Potter la faceva sentire viva.
Severus
Severus
Severus
Un tuffo al cuore la destabilizzò facendola allontanare da lui. Prese un respiro profondo prima di ritornare ad essere la Lily Evans piena di quel coraggio che caratterizzava la sua natura da grifondoro. “Non siamo amici, Potter!” disse in modo freddo non distogliendo lo sguardo “Ma non per questo ti permetterò di prenderlo in giro o torturarlo. Intesi?”
Non poteva cancellare dalla sua mente l’immagine di lei vulnerabile, sciatta, stanca, arrabbiata. Non poteva chiedergli di restituirle il piacere che le faceva provare e non poteva attaccarsi al suo ricordo solo perché lo amava tanto. Però poteva provare a lasciarlo indietro. A sentirsi bella anche senza camminargli accanto. Per quanto avesse creduto di potergli bastare, che potesse andargli bene anche così, a metà, con la testa molto spesso altrove, con le mani chissà dove, con gli occhi spenti e per quanto si sentisse vulnerabile in quel momento, percepiva all’altezza del cuore qualcosa che la spingeva da lui. Come una forza che la spingeva a ballare anche senza musica, qualcosa che la spingeva a correre anche se non aveva un luogo da raggiungere, qualcosa che la faceva sentire autorizzata a giocare, a scherzare, a mettere un rossetto acceso, ad attirare un po' l’attenzione. Non era amore quello che vedeva nei suoi occhi, non sempre d’amore si trattava. Quello che sentiva si chiamava forza, ed era dentro entrambi. Non poteva cancellare niente, ma poteva modificare quel quadro e trasformare una natura morta in una ragazza che sorrideva guardando i fiori sul suo comodino prima di uscire dalla stanza. Non poteva togliere niente, ma poteva aggiungere qualcosa. Uno scopo. Una finestra per guardare chi passasse, perché i suoi due occhi erano ancora capaci di interessarsi ad altro e non solo a lui, non solo a lui che in fondo non l’aveva mai capita, che in fondo neanche sapeva le piccole sfumature che assumeva la sua voce quando cantava e in che posizione era solita dormire. Cosa ne sapeva lui della sua lista delle cose da vedere, dei suoi diari nascosti, delle calze autoreggenti che aveva nell’ultimo cassetto perché chissà magari, ne avrebbe avuto bisogno.  Cosa ne sapeva lui del casino che c’era nella sua borsa e dell’odore che il suo corpo aveva appena usciva dalla doccia. Cosa ne sapeva lui di lei? E si era permesso di farla piangere senza chiederle scusa. Cosa ne sapeva di quanto tempo le sarebbe servito per stare meglio? Probabilmente lui avrà già dimenticato il suo nome quando ancora lei si sarebbe voltata a vedere se ci fosse ogni volta che avrebbe sentito pronunciare il suo. Ma lei avrebbe ballato ancora, poteva starne certo.
“Cosa ti infastidisce allora, Potter. Per una volta sii coerente e chiaro!
Infondo lei si era innamorata della sporadica allegria che faceva capolinea sul suo volto solo in certi giorni bui. Si era innamorata perché era convinta di poter risolvere le sue tristezze: ci si innamora sempre di qualcuno che pensiamo di poter guarire e poi, regolarmente, ci ammaliamo.
 
Non tutte le persone che meritavano d’essere amate venivano amate, e viceversa. Altrimenti James, credimi, io non avrei mai amato così tanto te. E qualcuno, in questo momento, mi starebbe dedicando una stella.
 
Lo guardava e l’unica cosa che riusciva a pensare erano tutte le volte che lo ignorava, camminando e fingendo spesso di avere una meta, un obiettivo. Si muoveva velocemente, come se avesse qualcuno ad aspettarla, da qualche parte. Cercare qualcosa nella borsa, spostarsi i capelli, guardarsi intorno e fare tutto nervosamente, come se fosse in ritardo, ma la verità era che – a giornata finita – non sapeva mai dove realmente andare. Chi chiamare. Chi raggiungere. Cosa fare. Camminando a volte pensava se anche solo la metà della gente che incontrava per strada fingesse come lei, allora chissà quante solitudini, quanti vuoti, quante illusioni divenute delusioni, quanti arresi, quanta stanchezza e paura di mostrarsi fragili, soli e per questo infelici, quanta paura di non essere – per l’ennesima volta – compresi. E mentre pensava a tutto questo, con James davanti, la sua mente si affrettava ad aumentare il passo allontanandosi da lui e portando con sé anche il cuore della rossa.
La verità era che James la conosceva. Per quanto lei fingesse che questo non fosse vero, per quanto neppure lui lo avrebbe ammesso perché non ne era consapevole, James la conosceva, la conosceva ancora meglio di quanto non conoscesse sé stesso, la conosceva ancora meglio di quanto lei non si conoscesse. E la conosceva perché ogni singolo respiro che Lily faceva, anche quando era incazzata con lui, anche quando lo costringeva tra quel piccolo corpicino che lui tanto desiderava e un muto troppo grande e freddo alle sue spalle, era un respiro che accarezzava la sua pelle.
Ma questo non lo avrebbe mai ammesso: avrebbe continuato a guardare tutte le ragazze, ad uscire con loro come ripicca nei confronti del fatto che lei non voleva uscire con lui ma non lo avrebbe mai ammesso, non avrebbe mai ammesso che Lei era speciale, che lei era l'unica nel modo in cui lo era e che ogni singolo istante passato con lei valeva tutto il resto. Quella era la verità: perché si Amavano e si Appartenevano e poco importava, del resto. Eppure, Assurdi e Incasinati, l'unica cosa che riuscivano a fare era guardarsi male nei corridoi, insultarsi e spingersi contro le pareti perché, ancora troppo giovani, forse, sapevano che quello che provavano avrebbe portato a conclusioni che avrebbero lasciato entrambe senza fiato.
 
 
“Come ti vedi tra dieci anni?” gli aveva chiesto una volta una ragazza, una Corvonero dai lunghi capelli chiari. James aveva riso e aveva scosso la testa.
“Come ora, solo dieci anni più grande.” Aveva risposto. Evidentemente la risposta non le era piaciuta; era stato quello il momento in cui Lily era passata, uscendo a sua volta dall'aula di Trasfigurazione. James l'aveva seguita con gli occhi, la Corvonero se ne era accorta.
“Intendevo questo.” Aveva risposto.
“La amo.”
“Sai almeno che cos'è, l'amore?”

 
 
Era stata la prima volta che lo aveva ammesso ad alta voce, davanti a qualcuno che non fossero i suoi amici, prima di inseguirla per il corridoio dopo essersene reso conto per fare in modo che lei non dicesse nulla. Evidentemente non lo aveva fatto ma quel momento per lui era stato come quello in cui si rendeva conto della quadratura del cerchio, in cui ogni cosa ritorna, in cui cose che non ci saremmo mai immaginati, venivano svelate. Era in seguito a quella conversazione che aveva iniziato a scoprirsi notare le piccole cose, tutti i piccoli tic di Lily, il modo in cui tagliava gli ingredienti per una Pozione o come prendeva gli appunti con quella scrittura un po' piegata da un lato perché dritta sulla sedia proprio non ci riusciva a stare. Era stato da quel momento che i suoi amici avevano iniziato a chiamarlo Romeo, da quel momento si era reso conto di aver perso completamente la testa per Lily Evans, e si era reso conto che, nonostante tutto, non avrebbe mai potuto dirlo a lei. Scosse la testa, una sola volta, guardandola intensamente, cercando di carpire in quegli occhi chiari tutti i suoi segreti per svelarli e lasciarla nuda non per scoprire tutto di lei ma per condividere tutto, con lei. Si strinse tra le spalle, cercando di allontanare quei pensieri e quindi lasciò correre la punta delle dita sulla sua guancia, con ironica delicatezza, quasi devozione. “Perché?” chiese, con semplicità quasi infantile, lasciando ricadere la mano e aspettando di vedere il rossore pallido farsi largo sullo zigomo di lei. “Perché, se non siete amici?” Chiese, nuovamente. Mille risposte si fecero largo nella sua mente ma quando alzò i suoi occhi, nuovamente, sul volto di lei, le sue labbra si aprirono, riuscendo a pronunciare solo una sillaba. “Tu.” Non era quello che voleva dire, non era quello che voleva intendere, ad infastidirlo erano tutte le persone che si definivano sue amiche, che cercavano di vantare qualche forma di possesso su di lei ma, senza una valida ragione, l'unica risposta di senso compiuto era quella che aveva dato. Si allontanò da lei, scivolando lontano dal muro e dal suo corpo e dandole le spalle, attendendo una reazione qualsiasi che, sapeva, non avrebbe tardato ad arrivare.
James le chiedeva cose a cui non sapeva rispondere. Le formulava domande che ancora aleggiavano nella sua testa, senza via d’uscita, senza darsi la possibilità di pensare ad una risposta decente da dargli. E così ripartiva quel meccanismo che si era creata, da quando aveva scoperto di essere innamorata di lui: Studiare, piangere, studiare, cercare di non piangere. All’inizio se ne vergognava parecchio, ma poi aveva imparato che le lacrime aiutavano a crescere. Che i ricordi – i loro, quei pochi che condivideva con lui – non si sarebbero mai dissolti. Che le parole – quelle pesanti che si urlavano per i corridoi – la ferivano tanto. Ma era l’unico modo per avere un contatto con lui. Seppur inutile e deludente, era pur sempre un contatto. Aveva imparato anche che più si donava e meno riceveva, quella lezione l’aveva imparate a sue spese con Severus. I vuoti che ti lasciano le amicizie finite, gli amori turbolenti, non sempre venivano colmati. Eppure, lui c’era riuscito – a colmarla, tutta – con piccoli e grandi gesti, James Potter le aveva ricucito e colmato quel cuore ormai vuoto-. Ma loro erano come due parallele che continuavano a correre vicine, senza mai avere la possibilità di toccarsi. E si sapeva, due parallele si sarebbe incontrate all’infinito, quando ormai non gliene fregava più niente. Aveva sempre cercato di essere forte, di nascondersi dietro la sua lingua tagliente. Ma ogni parola – come ogni silenzio – avevano conseguenze e non aveva mai realmente capito quanto fosse forte, finché essere forte era l’unica scelta che le restava. Non sapeva perché, ma le venne in mente un periodo. Un periodo in cui lei e James avevano provato a mettere il rancore da parte per diventare amici. Tante promesse, tanti buoni propositi. E ci stava riuscendo, ci stavano riuscendo davvero. Finché…
 
 
Dopo il bacio che James diede a quella ragazza - davanti a Lily - , lei cadde in uno dei suoi patetici periodi di chiusura. Spesso con gli esseri umani, buoni e cattivi, i suoi sensi semplicemente si staccavano, si stancavano: lasciava perdere. Era educata. Annuiva. Fingeva di capire, perché non voleva ferire nessuno. Questa era la debolezza che le aveva procurato più guai. Cercando di essere gentile con gli altri spesso si ritrovava con l'anima a fettucce, ridotta ad una specie di piatto di tagliatelle spirituali. Non importava, il suo cervello si chiudeva. Ascoltava. Rispondeva. Ma erano troppo ottusi per rendersi conto che lei non c'era.
 
 
Forse potevano essere qualcosa. Qualsiasi cosa – tutto – sarebbe stato meglio dei nemici che erano. Avrebbe preferito tutto di lui che non fosse quell’odio che si portavano appresso. Ma James non capì nulla e baciò quella ragazza. E nonostante tutte le promesse che Lily si era fatta, i sorrisi sinceri che gli rivolgeva, nonostante il suo “per sempre”, il sui “non ti abbandono, io resto”, nonostante tutto finì. E finì per davvero. Dopo quel giorno non furono più niente. Avete presente due estranei che si conoscono meglio di chiunque altro? Eccoli li. Loro. E finì per davvero, qualsiasi cosa fosse, finì. E loro ritornarono ad essere i soliti James e Lily. Quelle due parallele che non riuscivano ad incontrarsi. Mai.
Alla domanda di James lei semplicemente sospirò. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Come avrebbe potuto interpretare i suoi pensieri? Lei credeva che nessuno passasse per caso nelle loro vite. Tutti – nel bene o nel male – donavano qualcosa, anche Severus. Ed era per questo che non riusciva a non difenderlo. Chiunque si incontrava nel proprio cammino, nel bene o nel male, avrebbe lasciato un segno nel cuore. Perché era grazie a chi entrava ed usciva dalle loro vite, che si diventava ciò che poi erano destinati ad essere.
“Tu non capiresti, Potter!”
Sbottò passandosi una mano tra i capelli. Lo aveva imparato da lui. Un tic che aveva appreso – involontariamente – per tutte le volte che la sua mente vagava a pensarlo. Quando lo pensava, le piaceva credere che anche lui pensasse a lei. Le piaceva credere di mancargli e che se non era lì con lei era solo perché non poteva. Che gli apparteneva lo stesso desiderio, che il tempo – beffardo – che li divideva a volte si trasformasse in tormento e a volte in nostalgia. Le piaceva credere che magari – di notti – la sognasse, che se non erano insieme era davvero perché le circostanze non li volevano insieme. Ma – più di tutti – le piaceva credere che un giorno, guardandolo negli occhi, avrebbe trovato sé stessa.
TU!
TU!
TU!
“Basta James…” mormorò il suo nome – senza neanche rendersene conto – in modo frustrato. “Questa – la vostra – è una guerra che non mi appartiene. Ma non per questo non difenderò chi è più debole”! lo guardò negli occhi per poi abbassare lo sguardo “Arriva un momento, però, in cui ti stanchi. Ti stanchi di tutto. Di correre dietro alle persone che non ti cercano, di cercare spiegazioni, approvazioni. Di cercare la verità. Ti stanchi di dover credere per forza a qualcuno, di stare male e di doverti giustificare. Ti stanchi di rincorrere quello a cui non arriverai mai” prese un lungo respiro, in preda al fiume di parole che uscì dalla sua bocca senza che avesse l’opportunità di fermarle. “Arriva un giorno in cui ti stanchi e decidi che aspetterai senza cercare più niente. E Potter, davvero, io sono stanca di litigare con te. Sempre. Costantemente … non siamo fatti per andare d’accordo, lo capisco e lo accetto, ma non ce la faccio più!”
 
 
"Lils, vieni qui!"
"Si papà."
"Devo dirti una cosa molto importante. Stammi bene a sentire. Non basta innamorarsi. SE decidi di stare con qualcuno non è così semplice, devi anche prendertene cura. Devi anche renderlo felice. Devi anche imparare a venirgli incontro quando è necessario, quando ne ha bisogno. L'amore non basta, non basta. Ci si deve anche sopportare, spesso e volentieri. Ci si deve tenere stretti. Soprattutto tenere stretti."
"Caro ma cosa le stai raccontando? Ha solo otto anni!".
"Prima impara, prima potrà difendersi dai ragazzi. Dove eravamo rimasti? Ah si. Devi innamorarti, ma non di chiunque, precisiamo. Devi innamorarti di chi ti fa sentire bellissima, in qualsiasi momento. Di chi ti fa sentire bellissima anche appena sveglia, anche quando i tuoi capelli non hanno un senso. Devi innamorarti di chi ha il coraggio di guardarti negli occhi senza mai stancarsi. Di chi non dice una parola quando ti batte forte il cuore. Innamorati di chi ti ama col cuore, e credimi principessa, sarà il per sempre che si sogna ad occhi aperti."
"Ma papà, io amo solo te!"

 
 
Non lo sapeva cosa provava in quel momento, davvero. Non ci capiva niente. Era che lei sentiva di amarlo, di amarlo forte, di aver bisogno di vivere tra le sue braccia per un tempo che oscillava tra il per sempre e l’eternità. E poi, invece, c’erano altri momenti in cui lo odiava, perché aveva così bisogno di lui e lui non c’era, non poteva esserci, e dato che nessuno le sapeva spiegare il perché, allora odiava lui perché amarlo era così facile, e odiava sé stessa, perché doveva imparare a dimenticarlo. Se Marlene le avesse chiesto di dirle cosa provava per lui, beh avrebbe sicuramente preso un foglio di pergamena per scriverci sopra sono innamorata persa, per poi dargli fuoco, per poi – ancora – cercare di spegnere le fiamme, lascarle perdere e pentirsene. Capisci coscienza? Lei no. Lei non sapeva più cosa pensare, perché c’erano dei momenti in cui pregava di poterlo dimenticare all’istante, altri in cui voleva poterlo ricordare per sempre. A volte le capitava di sognarlo e di svegliarsi con le guance umide di lacrime, e l’unica cosa che le veniva da pensare era che non fosse giusto. Non era giusto, perché con lui voleva volare, piangere dal ridere, fare l’amore sulla spiaggia, giocare, scherzare, litigare persino, fare pace, fare pace ancora, amare, essere amata e invece no. Perché lei lo amava e lui non c’era. Non poteva esserci.
“Adesso me ne vado. Domani chiederò alla McGrannitt di poter svolgere la mia punizione da sola. Buonanotte, Potter!”
Di innamorarsi erano capaci tutti, di amare no. Amare era un'altra cosa. Era alzarsi le maniche, lottare e farcela. Era prendersi cura di lui o lei, mettere la sua felicità prima della nostra. Magari era anche avere il coraggio di lasciarli andare perché sapevi che con te era come un uccello in gabbia. E allora aveva deciso di aprirla quella gabbia. Amare era chiedere scusa. Mettere l'orgoglio da parte quando magari non era nemmeno colpa nostra, ma tu chiedi scusa lo stesso perché non vuoi perderlo. Innamorarsi era una capacità che avevano tutti, amare invece no. Quello bisognava impararlo, e lei - e loro - non sapeva se l’avevano già imparato.
 
James scosse la testa, guardandola, desiderando solo, per una volta nella sua vita, essere migliore di quello che era; perché era migliore di quello che tutti lo credevano ma non era perfetto, era un'accozzaglia di casini e di distrazioni, era un casino vivente che camminava per i corridoi di un castello di cui si sentiva padrone ma in cui in realtà non possedeva l'unica cosa che avrebbe desiderato. Era un re senza una regina e non ci se ne fa nulla, di un regno, se non si ha nessuno con cui condividere il potere. Passò una mano tra i capelli, guardandola, pensando ad ogni singola volta in cui l'aveva spiata, cercando di guardare quello che preferiva, cercando di comprendere quale fosse il suo gusto preferito di gelato da Florian Fortebraccio e cercando di capire che cosa le piacesse mangiare la mattina, che cosa amasse invece bere o quale fosse la sua bevanda preferita. Cercava di comprendere ogni cosa di lei, cercava di essere quella persona che Lily voleva ma, in quel momento, l'unica cosa che riusciva ad essere, era quello che lei non voleva. Quegli occhi, dai quali avrebbe voluto avere solo amore, lo fulminavano, lo guardavano di traverso lasciandogli capire che la loro era una guerra che non poteva essere vinta, che nessuno dei due sarebbe uscito vincitore e che, nonostante, tutto, non avrebbero potuto continuarla perché combattevano dalla stessa parte, perché si battevano per la stessa causa e tuttavia continuavano a farsi la guerra l'un l'altro come se non ci fosse altra opportunità se non quella di autodistruggersi vicendevolmente.
La guardò e scosse la testa, trattenendo appena l'istinto di stringerla a sé, di baciarla, di sparire per sempre da quella dannatissima scuola e di portarla via da quella Sala Grande e da quella stupida punizione che non aveva ragione d'essere. Guardò Lily tra le palpebre semichiuse e poi rispose al suo commento, acido, di colpo freddo perché non vi era assolutamente nulla da dire. “Già, io non capirei. Perché io sono James Potter lo stronzo.” disse, incrociando le braccia sotto al petto e mantenendo lo sguardo fisso in quello della ragazza che per lunghissimo tempo aveva amato e che avrebbe continuato ad amare, sempre e comunque.
Così, di spalle rispetto a lei, scosse la testa una sola volta. Non replicò: non c'era nulla da replicare perché c'era una parte di lui che sapeva benissimo che lei aveva ragione, che tutto quello li avrebbe distrutti, logorati, lasciando di loro solo delle briciole, dei deboli e febbrili specchi di ciò che loro erano ma non poteva di certo pensare di lasciare che tutto quello se ne andasse, così, rapidamente, quello che lui voleva costruire, quello che lei rappresentava per lui, il suo Tutto e, allo stesso tempo, il suo Niente. “Sono stufo di combattere per entrambi. È come un gioco, Evans, tu corri e io ti inseguo ma tu sei più veloce e non riesco a raggiungerti.” disse, senza guardarla, lasciando semplicemente che le parole scorressero rapidamente fuori dalle sue labbra così come le stava pensando, come se non vi fosse un vero filo conduttore, completamente privo di un filtro tra il cervello e la sua bocca. Diceva semplicemente quello che gli passava per la mente. “Non è vero che non siamo fatti per andare d'accordo. Semplicemente stiamo combattendo una guerra senza vinti né vincitori. Ti amo, Lily e per questo devo smetterla di pensare a te.” Sbottò e, a quel punto, si voltò, uscendo dalla Sala Grande, lasciandosi Lily alle spalle, senza sentire neppure le sue ultime parole.
 
Lily e James si conoscevano. Lui conosceva lei e sé stesso, perché in verità non s’era mai conosciuto. E lei conosceva lui e sé stessa, perché pur essendosi sempre saputa, mai s’era potuta riconoscere così. Loro due stavano rischiando con quei sentimenti. Era come salpare nella tempesta con le onde che si precipitavano a prenderli. Con quei sentimenti, era come dichiarare guerra agli Dei. Ma James era per lei il faro di salvezza, era per lei la luce delle stelle. Era luce, era notte. Era sia il dolore che la cura. Era l’unica cosa che voleva toccare e non immaginava che avrebbe significato così tanto. A James non importava chi fosse, o quanto sola lei fosse. Lui offriva sé stesso alla sua immaginazione, in modo aspro ed eccitante. Annunciando ancora e ancora, il suo posto nella famiglia delle meraviglie che era il suo cuore. Eppure non riusciva proprio a cedere! Alcune volte – quando i suoi sentimenti per lui erano più forti della sua forza – sentiva il bisogno di andare in qualche regione distante dal mondo, per ricordarsi chi era veramente o chi sarebbe diventata. Spogliata del suo solito ambiente, dei suoi amici, delle abitudini quotidiane, costretta a un’esperienza diretta che, inevitabilmente, l’avrebbe resa consapevole di tante cose. Perché alla fine non tutti quelli che vagavano alla ricerca dell’ignoto, erano persi. Di proposito, prese un respiro profondo, seguito da un altro e un altro ancora, lasciando che il profumo di James, invadesse le sue narici … strappandola via come un lampo. Stava per raggiungerlo quando qualcuno – che molto probabilmente aveva assistito a tutta quella scena – le si parò davanti. Impedendole di fare forse l’unico gesto avventato migliore della sua vita. Dichiararsi a James.
“Signorina Evans, permette una parola?"
"Certo professor Silente"
“Ho assistito alla sua lite con il Signor Potter.."
"Oh io...beh ecco...mi dispiace Professore"
"Non lasciare che il tuo fuoco si spenga. Che si perdano quelle preziose scintille nelle paludi senza speranza dell’indecisione, del dubbio e dell’incertezza. Non permettere che l’eroe che è nella sua anima perisca solitario e frustrato, privo della vita che meritate, ma che non sei mai riusciti a conquistare”
“Oh ehm…grazie Professore”
“Sono rammaricato nel doverle chiedere questo favore, Signorina Evans!”
“Di che favore si tratta, Professore?”
“Io tempo … anzi sono più che sicuro che il Signor Piton abbia fatto la sua scelta!”
“Non … “
“Si è unito all’Oscuro Signore!”
E in quel momento, Lily capì che per l’ennesima volta il bene degli altri sarebbe stato anteposto al suo.
“Cosa vuole che faccia, Professore.!”
 
TO BE CONTINUED___


 
 
SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
Mentre correva verso l'aula di Pozioni, cercava di capire quando avesse smesso di comportarsi come il vecchio Severus iniziando a comportarsi come un Mangiamorte. Certo, l’aveva chiamata Schifosa Mezzosangue, ma non si poteva dare del Mangiamorte a qualcuno solo perché era un'idiota. Eppure, pensò, Severus era sempre stato così vulnerabile e lei lo avevo lasciato solo in balia di quelle serpi. Allora, pensò ancora, chi era il mostro tra loro due?  Arrivò con il fiatone davanti l'aula di Pozioni e quando spalancò la porta lo vide. Era lì che smanettava con le sue solite provette e scriveva sul suo inseparabile libro. Lo scrutò per una frazione di secondo per cercare di scorgere qualcosa che ancora appartenesse al suo ex migliore amico. Rimase delusa nel vedere che in realtà, quella persona, non esisteva più. Perché non esisteva più una Lily Evans bisognosa di Severus Piton ma bensì una Lily Evans bisognosa di James Potter. Non importava, si disse, avrebbe fatto di tutto - ogni cosa in suo potere - per fargli cambiare la strada che si era scelto.
"SEVERUS!"
urlò mentre i suoi capelli rosso fuoco danzavano sul zuo volto. Era arrivata la resa dei conti!.
 
ANGOLO AUTRICE:
Eccoci qui finalmente. Dopo una settimana di STOP. Avevo bisogno di riprendermi dal capitolo precedente. Come potete notare questo capitolo è diviso in due parti perché troppo lungo da lasciarlo su un unico capitolo. Nel capitolo precedente abbiamo fatto la conoscenza dei Mangiamorte, in questo dell’Ordine della Fenice. Sappiamo dunque che il Diadema di Corvonero spezzandosi ha fatto proprio un gran casino. Cosa potrà essere questa sfera dei quattro spiriti? Come potrà far resuscitare il Maestro?.
Ma arriviamo al dunque. La mia eterna indecisa Lily stava per dichiararsi a James e BOOM compare Silente. Cosa le chiederà Silente? Cosa potrà mai fare Lily per fermare Severus dal diventare mangiamorte? Si aprono le toto-scommesse.
 
 
 
 


 

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Capitolo 8
*** Chapter Six ***


Aveva sempre pensato che la situazione in cui si trovava per quanto riguardava James, fosse la sfida più grande che avesse mai dovuto affrontare. Non si era mai sbagliata tanto in vita sua. Quella mattina si era alzata con il morale decisamente a terra, cosa che accadeva spesso da un po' di tempo a quella parte. Non aveva molta fame e neanche la voglia di ingurgitare qualcosa e così, mentre tutti i suoi compagni erano a fare colazione, aveva deciso di andare a fare una passeggiata per schiarirsi un po' le idee. Adorava la quiete che quei corridoi emanavano di prima mattina, quando ancora mezzo castello era addormentato. La facevano sentire come se in qualche modo avesse ancora il controllo su qualcosa. Quello stesso controllo che si era dissolto nei suoi ricordi e che svaniva completamente alla vista di James. Il giorno prima stava per dichiararsi al moro, aveva deciso d’impulso che non avrebbe più taciuto quei sentimenti. Mai più al buio! E invece, Silente aveva distrutto ogni sua certezza di una vita felice insieme a James.
 
“Signorina Evans, permette una parola?"
Lily si voltò lentamente e fu stupita di vedere il Professor Silente davanti alla sua persona. Lui non era un tipo che si vedeva spesso in giro, anzi, il più delle volte si rintanava nel suo ufficio e raramente usciva – se non per i pasti – quindi, fu normale la sua reazione di stupore mista a preoccupazione.
"Certo professor Silente"
“Ho assistito alla sua lite con il Signor Potter.."
"Oh io...beh ecco...mi dispiace Professore"
"Non lasciare che il tuo fuoco si spenga. Che si perdano quelle preziose scintille nelle paludi senza speranza dell’indecisione, del dubbio e dell’incertezza. Non permettere che l’eroe che è nella sua anima perisca solitario e frustrato, privo della vita che meritate, ma che non sei mai riusciti a conquistare” mormorò criptico il vecchio Preside e Lily si ritrovò a sollevare le spalle. Che ne poteva sapere lui? Lei che stava rinunciando al suo più grande amore proprio per non distruggere la sua vita. Stava rinunciando a tutto, senza realmente capire per cosa in realtà stesse combattendo. Sospirò e probabilmente Silente parlò ancora ma non lo ascoltò realmente, non aveva la forza di ascoltare le parole che il suo cuore avrebbe sempre e comunque rifiutato e quindi buttate al vento.
“Oh ehm…grazie Professore”
“Sono rammaricato nel doverle chiedere questo favore, Signorina Evans!”
“Di che favore si tratta, Professore?”
“Io tempo … anzi sono più che sicuro che il Signor Piton abbia fatto la sua scelta!” quella frase però, il cervello della rossa la captò. La captò così bene e in così poco tempo che si ritrovò di scatto a guardare il professore, sbattendo furiosamente le palpebre. Che voleva dire quella frase? Lui sapeva come stavano andando le cose tra lei e Severus. Lui sapeva sempre tutto, no?.
“Non … “
“Si è unito all’Oscuro Signore!”
E in quel momento, Lily capì che per l’ennesima volta il bene degli altri sarebbe stato anteposto al suo.
“Cosa vuole che faccia, Professore.!” Sospirò, abbassando lievemente gli occhi. La rottura con Severus, sebbene tra di loro ci fosse solo amicizia, era una ferita ancora aperta e che difficilmente – a parer suo – si sarebbe rimarginata. E così, si ritrovò ad accettare di mettere per l’ennesima volta la sua felicità e quella di James dietro alle necessità di un mondo che molto probabilmente non girava dalla sua parte.
Mentre correva verso l'aula di Pozioni, cercava di capire quando avesse smesso di comportarsi come il vecchio Severus iniziando a comportarsi come un Mangiamorte. Certo, l’aveva chiamata Schifosa Mezzosangue, ma non si poteva dare del Mangiamorte a qualcuno solo perché era un'idiota. Eppure, pensò, Severus era sempre stato così vulnerabile e lei lo avevo lasciato solo in balia di quelle serpi. Allora, pensò ancora, chi era il mostro tra loro due?  Arrivò con il fiatone davanti l'aula di Pozioni e quando spalancò la porta lo vide. Era lì che smanettava con le sue solite provette e scriveva sul suo inseparabile libro. Lo scrutò per una frazione di secondo per cercare di scorgere qualcosa che ancora appartenesse al suo ex migliore amico. Rimase delusa nel vedere che in realtà, quella persona, non esisteva più. Perché non esisteva più una Lily Evans bisognosa di Severus Piton ma bensì una Lily Evans bisognosa di James Potter. Non importava, si disse, avrebbe fatto di tutto - ogni cosa in suo potere - per fargli cambiare la strada che si era scelto.
"SEVERUS!"
urlò mentre i suoi capelli rosso fuoco danzavano sul suo volto. Era arrivata la resa dei conti!
 
Erano ore che Severus se ne stava lì – nell’aula di Pozioni – a giocare con le sue provette da chimico fallito (avrebbe aggiunto Sirius). Non era una cosa rara vedere il Serpeverde in quel luogo. Era strano il motivo. Si, perché quella volta, lui non stava preparando una pozione per diletto. Lui stava adempiendo ad un compito dell’Oscuro Signore, uno di quelli stupidi che non riguardavano l’uccisione di Babbani o di nemici. Severus non sapeva se esserne felice o rammaricato. Sapeva bene che Voldemort lo stava mettendo alla prova, ma non era sicuro di riuscire a sopportare per molto. Voleva che gli imbottigliasse la morte. Quando gliel’aveva detto, l’aveva guardato come se fosse un pazzo: ma poi ci aveva pensato su, ed aveva annuito, rassegnato! C’erano stati altri casi di uomini che volevano imbottigliare la morte, e dopo averne parlato con il professor Lumacorno (in via del tutto scolastica), incominciò a documentarsi in biblioteca. Ovviamente nel reparto proibito. Solo lì potevano esserci casi del genere. Aveva visto diversi casi di maghi, molti dei quali avevano avuto una sorte orribile nel preparare quel tipo di pozione. Si parlava solo di un mago, vissuto nell’ottocento, un certo Lord Orion Vandereck, il quale era riuscito nel suo intento ma non era comunque riuscito a condividere le sue scoperte con altre persone. Severus si studiò bene quel volume, partendo – minuziosamente – da un ingrediente dopo l’altro. Era dunque chino davanti al calderone pronto a versare un ingrediente dopo l’altro leggendo sul suo preziosissimo libro, quando una voce di donna urlò il suo nome. Non si voltò nemmeno, aveva riconosciuto il suo della sua voce: era quello di Lily la sua ex migliore amica, e se la figurò mentalmente, i capelli rosso fuoco e gli occhi verde prato che lo guardavano mentre preparava la pozione più difficile di tutte. Quella che – se fallita – avrebbe potuto uccidere tutti in quella stanza. “Evans, guarda che ci sento forte e chiaro”. Disse sibilino, contando mentalmente il numero di gocce che servivano per l’ingrediente. “Chiudi piano la porta, la pozione non deve prendere freddo.” Le consigliò mentre aumentava un po' il fuoco nel piccolo fornellino portatile. Solo allora si voltò e le lanciò il miglior sguardo d’odio che gli uscì. “Cosa vuoi Evans, perché mi stai disturbando?”. Domandò.
 
Lily allungò un po' il collo – un po' troppo – per scorgere di che pozione si trattasse. Ma a giudicare dall’impegno che Severus ci stava mettendo, si doveva sicuramente trattare di una pozione pericolosa. Una pozione oscura!  A quel pensiero sentì il sangue ribollirle nelle vene e ardere. Ardere così forte che poteva sentire ogni vena del suo corpo andare a fuoco.
“Ricordati di respirare, Lils!”
Veramente doveva anche ricordarsi di non esplodere o sarebbero finiti a giocare a scacchi magici con Merlino e Morgana. Deglutì avvicinandosi a lui con un passo lento ma che non tradiva ciò che in realtà avrebbe voluto fare a quella testa di zucca vuota. Con l’Oscuro Signore, tra tutti quelli a cui doveva porgere fedeltà. Perché proprio a lui?
Cosa voleva? Beh per prima cosa prenderlo a calci alla Babbana e poi forse anche a pugno, e poi forse avrebbe cominciato con i metodi magici. Anni addietro, ne aveva messi a punto qualcuno per Potter, ma usarli su Severus andava bene comunque. “Tra tutti…” cominciò sibilando e guardandolo furente “…tra tutti quelli a cui potevi unirti, ti sei unito a colui che non deve essere nominato?”. Gli strattonò il braccio con rabbia, voleva che lui la guardasse. Voleva guardare fino a dove si spingesse quella sua follia. “Spiegami perché, Severus!”.
“Dimmi che qualcuno ti ha costretto, dimmi che non è stata una tua scelta!”
Ma in realtà sapeva benissimo che la scelta lui l’aveva presa in modo assolutamente autonoma. Aveva scelto di tradire il bene, di tradire Silente. Aveva scelto la via della perdizione, quella del buio. “Il buio Severus, non ti spaventa?” deglutì a fatica quel magone che le si era formato in gola. Non avrebbe pianto, lui lo sapeva bene che non avrebbe pianto, eppure avrebbe così tanto voluto farlo. “Ma cosa te ne farai di una eterna oscurità’?” e a quella domanda voleva davvero una risposta, perché semplicemente non poteva credere che quel ragazzo tanto dolce e spaventato, quel cucciolo in mezzo alle Serpi che un tempo era il suo migliore amico, avesse deciso volontariamente di abbracciare le tenebre. No, lei si rifiuta di crederci!
 
Severus la guardò avvicinarsi e fissare stranite la pozione come se avesse compreso che era una pozione oscura.
“Ma certo Sev, stai parlando con la studentessa più brillante di Hogwarts. Forse anche più di te. Sa sicuramente di che pozione si tratta”
Si disse fra sé, sbuffando scocciato da tutto quell’interessamento. E poi perché doveva risponderle? Lei non si meritava la sua fiducia: lei la sporca mezzosangue che lo aveva tradito. Aveva ragione il Signore Oscuro. Oh si, era stata lei, la sua preferita a mettersi di mezzo quel giorno mentre se la sarebbe cavata egregiamente con Potter. Lui da solo. Non aveva bisogno di nessuno, stava bene da solo. “Perché? Perché voglio unirmi a lui? Lui è il solo che mi porterà dove voglio andare, Evans: verso la vendetta contro mio padre, e successivamente alla grandezza.” Parlava come un fanatico, ripetendo a memoria quello che sussurravano le sue vittime quando venivano incantate da lui. Notò gli occhi della rossa farsi lucidi. Sapeva bene che Lily si lasciava andare difficilmente al pianto – soprattutto davanti agli estranei – e Severus lo sapeva, loro due erano estranei. “Noi siamo l’oscurità Evans, io lo sono sempre stato. Solo il mio Signore, mi ha capito, e mi ha guidato verso la strada”. Disse sibilino e convinto di quello che stava dicendo “Hai solo blaterato sciocchezze, cose che non puoi capire per il tuo essere mezzosangue. Ora dimmi qual è il vero motivo della tua venuta?” le chiese di nuovo, fissandola negli occhi che un tempo – anzi che ancora adesso, anche se non riusciva ad ammetterlo – amava ma che non aveva più il privilegio di guardare.
 
In quel momento Lily aveva Severus davanti a sé ma era come se in realtà non fosse lui. Non era più il suo migliore amico da tempo ormai, ma solo in quel momento – guardandolo negli occhi – si rese conto che in realtà non era neanche più la stessa persona di prima. Quando aveva smesso di comportarsi come un ragazzino timido e insicuro per comportarsi da Mangiamorte? E cosa importante: come aveva fatto lei a non accorgersene? Tempo fa – sicuramente prima di entrare in quell’aula che le trasmetteva solo brividi di terrore – credeva che si poteva provare nostalgia solo per chi (anche solo per cinque minuti) si fosse trovato a camminare al suo fianco. Invece poi, guardando Severus, si rese conto – a sue spese – in quel momento, che a volte poteva mancarci anche chi non si conosceva (come quella nuova versione del serpeverde, suo ex migliore amico), anche chi non ci conosceva (perché anche lei era cambiata, ma ancora non sapeva dire con certezza se fosse in meglio o in peggio). A Lily, in quel momento, mancava quel Severus che non aveva mai realmente conosciuto, solamente perché aveva una remota speranza che potesse cambiarle la vita.
Non puoi occuparti di tutti e dimenticarti di vivere Lils!
“Stai delirando, Severus!” ringhiò continuando a fronteggiarlo. Come avevano fatto a ritrovarsi quasi nemici? Sua madre diceva spesso che qualunque fosse la cosa che ci era più cara, il cuore prima o poi avrebbe sofferto per quella cosa, magari si sarebbe anche spezzato. Vuoi startene al sicuro? le ripeteva, Vuoi una vita tranquilla come tutti gli altri? Vuoi che il tuo cuor rimanga intatto? Non darlo a nessuno! Le diceva. Doveva proteggerlo, avvolgerlo di passatempi e piccoli piaceri. Evitare ogni tipo di coinvolgimento, chiuderlo con mille lucchetti magici, riempirlo di conservanti e metterlo nel freezer: dove di sicuro non si sarebbe mai spezzato, diventando infrangibile e impenetrabile.
Sai come si chiama questo Lils? Inferno!
E l’inferno era in quella stanza, con Severus e lei, dove il cuore – il suo – era totalmente ghiacciato. Sicura ma freddo e privo di battiti. “Non è questa la vita che vuoi realmente, non è così che otterrai vendetta!” cercò di dissuaderlo, ma il Signore Oscuro – lei lo sapeva bene – aveva già preso il sopravvento.
È solo colpa tua, Lilian!
Arrivò anche a pensare questo. Era colpa sua. Sua perché non aveva mai smesso di aspettare James. Non aveva mai smesso di stare con il naso appiccicato alla finestra per vederlo spuntare all’improvviso, non aveva mai smesso di vivere con la speranza di una sua lettera, non aveva mai smesso di evitare di parlare di lui con chiunque avesse mai incontrato nel suo cammino, non aveva mai smesso di passare le notti in bianco pregando che lui non si immischiasse in faccende pericolose con i Serpeverde. La vita di Severus andava avanti, ma lei era rimasta indietro ad aspettare James. Lo aspettava con dignità, con la calma di chi sapeva che, anche se non ci sarebbe stato nulla tra di loro, lo avrebbe aspettato fino alla fine. Era in quel momento, quando era troppo impegnata per pensare a sé stessa, che non si accorse del cambiamento repentino di Sev.
“Ascoltami Sev, lascia perdere tutto. Stammi a sentire, ti prego!” lo implorò avvicinandosi a lui e prendendogli un braccio, cercando di far leva sui suoi sentimenti verso di lei. “Io lo so, lo so che ogni tanto mi pensi ancora. Che le ossessioni non passano mai del tutto, e che noi eravamo un’ossessione in piena regola”
Stai tranquillo, comunque. Non ti passera mai. E’ la condanna di chi trova l’amore e se lo lascia scappare.
E in quel momento, il sorriso sghembo di James Potter fece capolinea nella sua mente.
E poi accadde una cosa che era già accaduta e che lasciò di nuovo Lily senza parole, l’aveva richiamata mezzosangue. Gli mollò uno schiaffo secco e sordo che si disperse nell’aula. “Tu sei esattamente uguale a me, Piton! Sei mezzosangue come me!”
Quel suo apparire forte e in grado di superare tutto, era come se l’avesse marchiata. Era un po' come se avesse scritto in fronte: Passatemi sopra, schiacciatemi a dovere, tanto mi rialzo comunque.
E lei si sarebbe rialzata, ma non voleva che Severus soccombesse sotto i colpi dell’oscurità.
 
A Severus, Lily ricordava molto suo padre, quando gli diceva che Hogwarts non era per lui, che lì non avrebbe ottenuto altro che delusioni e forse aveva ragione, forse da come stavano andando le cose le aveva troppo desiderate. Fissò un punto imprecisato della stanza, tutto pur di non fissare lei, la causa di ogni male. Gli parlò in modo caloroso quasi fossero tornati ad essere quello che erano prima che lui le sputasse addosso la parola impronunciabile. “Hai detto bene, Evans. Eravamo. Noi due eravamo due ossessioni, facevamo un sacco di cose prima che tu scegliessi quel … barbaro di Potter. Perché l’hai fatto? Perché?” urlò incominciando ad agitare le mani quasi come fosse Don Quixote e lei un mulino a vento da sconfiggere inutilmente, perché non esisteva. E sperò che non esistesse. Lei, per farlo rinsavire, probabilmente – dato che stava dando di matto – lo schiaffeggiò sulla guancia. La Evans aveva un bel gancio e James Potter l’aveva sperimentato sicuramente. Gli venne istintivamente da ghignare al pensiero del suo nemico schiaffeggiato da lei. Ma l’urlo che gli fece, successivamente, gli fece perdere tutto il sorriso, ed anche il colorito che aveva in viso. Alla sua ultima frase non seppe replicare, poiché era dannatamente vero. Lui era un mezzosangue. “Vattene Evans ormai ho scelto lui. Anche volendo non potrei tornare indietro.” Disse calmo, in un sussurro impercettibile.
 
Porca Miseria! Imprecò la rossa alla babbana nella sua testa. Come diavolo poteva sopportare sia Potter che Severus? Da un lato, James le urlava contro chiedendole perché avesse preferito Severus a lui – come se ci fosse anche bisogno di una risposta – dall’altra aveva Severus che le urlava contro come avesse potuto preferire Potter a lui. Forse avrebbe dovuto dire loro che la sua scelta era e sarebbe stata – anche in futuro – Marlene, così non l’avrebbero più scocciata con quella storia. Per la barba di Merlino, forse avrebbe dovuto lasciar perdere tutto e dedicarsi solo a Marlene, almeno non avrebbe avuto scocciature – da nessuno.
Come puoi davvero pensare di dedicarti a Marlene, quando tu sai a chi appartiene il tuo cuore?
Sussultò, portandosi una mano sul cuore per poi lasciarla cadere – a peso morto – lungo il corpo. Il ritmo del suo cuore accelerò di poco, per una frazione di secondi, per poi ritornare a battere in modo lento e silenzioso. Il suo cuore aveva dei problemi a battere in modo regolare da un po' di tempo a quella parte, ma la verità era che in realtà il suo unico problema era che la soluzione a tutto era proprio James Potter. Una volta Marlene, con la sua spontanea genuinità le disse una frase che ancora custodiva nella mente. Marlene, sorridendole incoraggiante, le disse: Quello che hai dentro, Lily, lo sai solo tu. Io non posso capire fino in fondo nessuno, come nessuno può capire fino in fondo me, anche se a volte diventa una pretesa perché abbiamo tutti un bisogno disperato di essere capiti.
Mai parole le erano sembrate più vere, specie in quel momento, quando la sua anima era scossa da mille emozioni contrastanti che non riusciva a capire. Aveva Severus davanti, che si era liberamente unito al mago più oscuro di tutti i tempi, ma non riusciva a guardarlo come un nemico. Ma il bello era che, essendo poche le persone per cui nutriva affetto, le amava per davvero, senza ambiguità, senza riserve, non come chi voleva bene a tutto e lo faceva anche male.
“Stai delirando, Severus!”
Lo rimproverò azzardando un solo misero passo verso di lui, non voleva avvicinarsi di più, non voleva cadere in quel baratro casuale di parole e gesti. Credeva che fosse quello a farle paura: la casualità di tutto. Persone che per lei potevano essere importanti, le passavano accanto per poi andar via. Severus lo aveva fatto con lei e lei, inconsapevolmente forse, lo aveva fatto per lui. E per nessuno esisteva un perché!
“Io non ho scelto proprio nessuno, Severus!” lo guardò negli occhi, sostenendo il suo sguardo. E per la prima volta ritrovò quella piccola parte di lei che portava nel solo Severus, solo quel suo amico serpeverde e impaurito a cui lei voleva bene senza una ragione ben precisa. Gli voleva bene perché le veniva naturale farlo. Ma se ci si legava troppo forte a cose o persone, quando quelle sarebbe svanite, non se ne sarebbe andata via anche una parte di noi stesse? Era ciò che, in realtà, era accaduto a loro due. “Sei tu che hai scelto, e lasciatelo dire, ma hai scelto pure male!” ringhiò sfidandolo con lo sguardo. A volte pensava a loro due come a due persone che erano destinate a toccarsi ma non a tenersi, a mancarsi ma non amarsi, a riconoscersi ma senza restare. Erano due persone che dovevano cambiare l’uno la vita dell’altra, senza però appartenervi.
E tu e James, Lily? Cosa siete voi due?
Lei e James non erano esattamente ciò che tutti vedevano. Erano ciò che pochi trovavano. E che pochi, pochissimi, comprendevano. C’erano persone che tiravano fuori il peggio di te, altre tiravano fuori il meglio, e poi c’erano quelli rari – come James – dai quali diventavi dipendenti, che tiravano fuori solo di più. Di tutto. Ti facevano sentire così viva che li avresti seguiti dritto all’inferno, solo per drogarti ancora una volta di loro. James non lo aveva cercato, ma nella vita c’erano cose che ti cercavi e altre che ti venivano a cercare. Non le sceglievi e nemmeno le volevi, ma arrivavano e dopo non eri più uguale. A quel punto le soluzioni erano due: o scappare cercando di lasciartele alle spalle o fermarsi e affrontarle. Qualsiasi soluzione scelta, ti cambiava, e si aveva la possibilità di scegliere se in bene o in male.
E allora, perché non sei da lui?
Sospirò, abbassando lievemente lo sguardo e sentendosi quasi in colpa nei confronti di Severus. A le non si poteva chiedere di vivere le storie d’amore senza pensare. Di vivere e basta. Sarebbe stato come chiedere ad uno zoppo di correre. Era una persona con numerose ferite, e prima di abbracciare se le guardava bene. Voleva che James la scegliesse quando aveva davanti tutte le possibilità. Non voleva che andasse da lei dopo essersi reso conto che era il meglio dopo il peggio che aveva incontrato. Non voleva essere l’unica che gli restava, ma l’unica che avrebbe scelto nonostante tutte le altre. Ma la verità – quella struggente – era che si sentiva invisibile, inadatta, incompresa. Era il destino di tutto quelli che sentivano troppo. Il destino di tutti quelli che amavano troppo. La via obbligata del troppo pensare era vedere svanire, sotto un velo di incomprensibilità, quell’illogico mondo e restare irrimediabilmente soli.
Restò immobile, fissando quello che un tempo era il suo migliore amico. Era come essere sospesa tra il tempo e lo spazio, quasi un limbo di cui non riusciva a trovare l’uscita. Restò in silenzio per alcuni minuti, ma anche se credeva si potesse dire tanto anche restando in silenzio, non riuscì a non frenare la sua lingua e parlare.
“Ricordi tutte le nostre foro, quelle fatte insieme?” azzardò un altro passo verso di lui “pensavo che non avrei perso nessuno se lo avessi fotografato. Non avrei perso te. Le mie foto, quelle che ancora tengo custodite, mi ricordano solo ciò che ho perso. Ed io ho perso te, Severus. E non per colpa mia”
Dopo la lita tra lui e James in cui la chiamò sporca mezzosangue, cercò di passarci sopra e perdonarlo – o almeno provarci -. Ma niente imprimeva una cosa così intensamente nella memoria quanto il desiderio di dimenticarla. E lei non riusciva a passarci sopra, ci stava male, ma non riusciva a passarci sopra. Non sapeva esattamente quando decise che sarebbe stata forte, sapeva solo che un giorno si svegliò con la consapevolezza che se fosse stata debole la vita avrebbe preso il sopravvento. Fu quel giorno che capì di amare James, perché si era ormai liberata da un fardello che le oscurava la vista, impedendole di capir i suoi reali sentimenti per il grifondoro. Ma Severus era lì, e lei doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa.
“I nostri sentimenti…” non erano sentimenti, era solo amicizia, ma lei doveva trovare un modo per impedirgli di seguire l’Oscuro Signore. Impedirgli di trovarsi faccia a faccia con i suoi compagni di scuola e doverli uccidere. O peggio, impedirgli di trovarsi faccia a faccia con lei per uccidersi a vicenda. “…non sono schiavi del tempo e dello spazio e la distanza materiale non ci ha realmente separati. Io sono qui, e provo ancora le stesse identiche cose!”
Ma cosa poteva provare al di fuori dell’amicizia? Non importava, era già un inizio. Il tempo avrebbe creato altri nuovi sentimenti, e distrutto quelli che il suo cuore provava per James. Ma non avrebbe permesso che Voldemort vincesse, non se poteva fare qualcosa per fermarlo.


Il cuore di Lily era un cuore puro, un cuore della luce e quello di Severus era sporco, e non voleva farle del male facendola illudere di poterlo guarire, perché lui non glielo avrebbe permesso: il Signore Oscuro, voleva essere al centro di tutto, com’era di fatto dei suoi pensieri. La speranza di poter essere qualcosa di più che semplici rivali, comunque venne meno, quando continuò il discorso, facendogli capire che aveva scelto male, ma come ribadito, non poteva tornare indietro. Severus guardò la sua migliore amica con malinconia. Gli mancavano i loro momenti insieme: il loro essere uniti, le passeggiate per i corridoi alla ricerca di un’aula in disparte dove ripassare, e le loro foto, quelle di cui lei si ricordava adesso, mentre avanzava verso di lui, facendo un passo in più verso l’oscurità che era diventato per forza di eventi. Non le rispose, un po' per la troppa malinconia che lo dominava e un po' perché non voleva illuderla.
Tutte le sue certezze che aveva espresso, e che teneva ben chiare nella testa, parvero come scomparire di fronte alle parole della Evans. Davvero provava qualcosa per lui? Anche dopo quello che le aveva detto? Anche dopo essersi rivelato per quello che era?
“Provalo.” Disse avvicinandosi a lui “Fai qualcosa che avresti fatto quando eravamo solo Lily Evans e Severus Piton, e ti crederò!” le prese le mani e sentì dei brividi correre sulla sua pelle, mentre la guardava. Era sedotto di nuovo.
 
Fu in quel preciso istante che Lily capì cosa realmente avrebbe dovuto fare. Fu un attimo, sospeso in un tempo che le parve infinito, e lei capì esattamente cosa doveva – realmente – fare. Severus aveva bisogno di un incentivo per ritornare alla luce, un incentivo grande tanto quanto lo era stato quello che gli aveva fatto abbracciare le tenebre. Era così difficile da spiegare a parole, ma nella sua testa no. Li tutto aveva un senso. Severus moriva dalla voglia di starsene in un abbraccio d’amore. Di quegli abbracci dolci, che sussurravano che le cose si sarebbero sistemate. Sarebbero andate bene! Ma la verità era che non esisteva un punto d’arrivo. Ogni momento era quello giusto per ripartire, per redimersi da tutte le colpe. Se intorno al suo – ormai – ex migliore amico tutto era buio, doveva mantenere quella luce accesa. Perché se fosse riuscita ad illuminare tutto, lui non si sarebbe spento cedendo all’oscurità.
Questo ti porterà però lontana da James. Ci hai pensato?
Lei era con lui, con James, in ogni maledetto istante che li voleva dividere e non ci riuscire. Lei era con lui! Ma lei e James erano due lacci troppo corti per farne un nodo, mentre Severus era lì e la guardava, la sfiorava, e lei aveva solo il desiderio di proteggerlo e salvarlo da quel mondo che lo avrebbe solamente distrutto. La gente pensava che la cosa peggiore potesse essere quella di perdere una persona a cui si voleva bene. Si sbagliavano. La cosa peggiore era perdere sé stessi mentre si voleva troppo bene a qualcuno, dimenticandosi che anche loro erano importanti. Severus, aveva perso la sua amicizia e – probabilmente – anche sé stesso. Gli doveva così tanto, doveva almeno provare a salvarlo. Anche se questo l’avrebbe portata lontana da James. Dal suo amore più grande.
La cosa peggiore che ti può accadere è pagare per gli errori che non hai commesso tu!
Cosa voleva dirle la sua coscienza? Non ci badò, doveva trovare un modo per salvare Severus. Glielo doveva. Può darsi che non fosse responsabile per la situazione in cui si trovava, ma lo sarebbe diventata se non avesse fatto nulla per cambiarla. Sarebbe tornato tutto come prima, anche se non sarebbe stata realmente la stessa cosa.
“Abbiamo due vite, Severus…” mormorò stringendo delicatamente le sue mani. Quel gesto le provocò un brivido di dolore in mezzo al petto, mentre il suo pensiero corse a James. Stava finendo. Era finita ormai, anche se in realtà non era mai iniziata. Beh, nel suo cuore, però, era reale. Era tutto troppo reale. “…la seconda comincia quando ci rendiamo conto di averne solo una”.
Si svegliava pensando a lui nel cuore della notte, a James, ma se la notte aveva davvero un cuore, loro – semplicemente – non dovevano svegliarsi in letti diversi. Si guardava negli occhi di Severus, ma quella volta era il suo riflesso a guardare lei. “Se tu mi giuri che mollerai Tu-Sai-Chi, io sarò tua…” strinsi le sue mani più forti, ma in realtà si aggrappava per non soccombere nel baratro della disperazione “…tua. Mente, corpo e anima. Quindi scegli me Severus. Prendi me. Ama me!”.
 
 
Chiedeva spesso al destino dove li stesse portando e lui le rispondeva che due come loro non potevano andare da nessuna parte. Lei e James. Alla fine sorrideva, perché le sembrava comunque il posto più incredibile del mondo. Sarebbe stata con lui, il resto del mondo lo avrebbe dimenticato.


 
Tutto quello che poteva andare storto era andato storto. I babbani avevano dato un nome a quello: la chiamavano “la tempesta perfetta”. Strano, non pensava che potesse capitare a lei. Non seppe il preciso istante in cui ci fu prima l’esplosione e poi il boato, perché non riusciva a ricostruirne la dinamica. Sapeva solo che, nell’attimo in cui lei – a fatica – chiedeva il cuore di Severus, la pozione oscura che lui stava preparando le scoppiò addosso. La testa iniziò a girare velocemente mentre la sua mente proiettava immagini a velocità supersonica. Cosa le stava accadendo tutto ad un tratto? Vedeva lei, poi lui, poi lei ed infine lui. Poi vide un ragazzo dai capelli corvini e dagli occhi verdi. I suoi occhi. La pozione si era riversata per terra formando una pozzanghera ai loro piedi. Ma fu troppo per lei pensarci, la testa ancora pulsava!
Potter Lily … Lily Potter, suonava bene!
 


“James mi baci?”e lui non poteva aspettarsi richiesta migliore. Si aprì in un sorriso timido e allo stesso tempo radioso, un sorriso di chi sapeva che il giorno tanto atteso era finalmente arrivato! Posò le sue labbra su quelle della sua amata e la baciò, in un primo momento poteva sembrare un bacio casto e puro, ma dentro quei due innamorati c’era adrenalina pura. Quando si staccarono quella ragazza dai lunghi capelli rossi e dai grandi e profondi occhi verdi sorrise con le gote arrossate! “grazie” esclamò prima di fuggire via, lontano dal cuore di quel ragazzo che … mi sembrava di conoscere!
 
 
 
Altri pensieri si affollavano nella sua mente confusa, sentiva qualcuno stringerle la mano in una presa ferrea, ma non se ne preoccupò. Era come se, accanto a quella persona lei si sentisse al sicuro. Nonostante il suo cuore battesse per un’altra persona, sentiva di potersi fidare.




“Guarda che cosa abbiamo messo al mondo” Sorrideva la donna mentre guardava quel pargoletto che teneva stretto fra le mani. L’uomo dietro di lei sorrideva nel fare boccacce a suo figlio che se la rideva di gusto! Erano una famiglia felice. Era un amore che andava oltre l’immaginabile, e mi vergognavo di violare quella privacy. “è il bambino più bello del mondo eh? ... e hai anche i capelli del tuo papà” esclamò l’uomo occhialuto e bello mentre posava le mani sui fianchi di sua moglie. Era come se niente oltre quelle mura importasse!
 
 
 
La testa girava, lo stomaco girava, e il ragazzo anche la chiamava. Chi era? Perché voleva che si svegliasse? Lei dormiva così bene. Spalancò le palpebre e vide quegli occhi grigi e freddi che provocarono un sussulto al suo cuore già malato. Stava per dire qualcosa ma fù nuovamente trascinata in quel limbo! Voleva che smettesse …




"Lily, prendi Harry e corri! È lui! Vai!Scappa! Io lo trattengo..."
Trattenerlo, senza una bacchetta in mano!...rise prima di scagliare la maledizione...
"Avada Kedavra!"
La luce verde riempì l'angusto ingresso, illuminò la carrozzina contro la parete, fece scintillare le sbarre della balaustra come parafulmini. James Potter cadde come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili...
La sentì urlare dal piano di sopra, in trappola, ma se non faceva sciocchezze lei, almeno, non aveva nulla da temere...Salì le scale, ascoltando divertito i suoi tentativi di barricarsi dentro...nemmeno lei aveva la bacchetta...quanto erano stupidi, e fiduciosi a riporre la loro salvezza negli amici, ad abbandonare le loro armi anche solo per qualche istante...
Forzò la porta, gettò da un lato la sedia e le scatole frettolosamente accatastate con un pigro gesto della bacchetta...lei era in piedi, il bambino in braccio. Nel vederlo, depose il piccolo nel lettino alle sue spalle e aprì le braccia, come se potesse servire qualcosa, come se nascondendolo sperasse di poter essere scelta al suo posto...
"No! Harry no, ti prego!"
"Spostati, stupida...spostati..."
"Harry no. Prendi me piuttosto, uccidi me, ma non Harry..."
"E' il mio ultimo avvertimento..."
"Non Harry! Ti prego...Per favore...lui no! Harry no! Per favore...farò qualunque cosa..."
"Spostati...spostati, ragazza..."
Avrebbe potuto allontanarla dal lettino con la forza, ma pensò che fosse più prudente finirli tutti...
La luce verde lampeggiò nella stanza e lei cadde come il marito. In tutto questo tempo il bambino non aveva mai pianto: stava in piedi, aggrappato alle sbarre del lettino, e guardava l'intruso in faccia con una sorta di vivo interesse, come se pensasse che sotto il mantello fosse nascosto suo padre, pronto a fare altre lucine divertenti, e che sua madre sarebbe tornata su da un momento all'altro, ridendo...
Puntò la bacchetta attentamente contro il volto del bambino: voleva vederla bene, la distruzione di questo unico, inesplicabile pericolo. Il bambino scoppiò a piangere: si era accorto che non era James. Non gli piaceva che piangesse, non aveva mai sopportato i bambini che frignavano all'orfanotrofio...
"Avada Kedavra!"
E poi esplose: non era più nulla, null'altro che dolore e terrore, e doveva nascondersi ,non li tra le macerie della casa distrutta, dove il bambino era intrappolato e urlava, ma lontano...lontano...




Poi buio e pace!.
 
 
SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
Sulla parte più alta della torre dei Corvonero, tra le rovine dell’ultima torre che si affacciava verso l’Orizzonte, Helena Corvonero se ne stava in attesa di qualcosa. Erano decenni che nessuno vedeva Helena. Decenni che tutti avevano cercato di trovarla. L’Ordine, la Resistenza, Silente. Ma lei era lì, in attesa di quello che stava per arrivare. Lei lo sapeva, che stava per conoscere colei che avrebbe trovato il Rubino.
“Il pulito è sporco già, e lo sporco si pulirà”
Nel frattempo, in una stanza imprecisata del San Mungo, giaceva incosciente Harold Potter, uno dei migliori Auror del Ministero e dell’Ordine della Fenice.
“Troppo bene il male è, ed il male ha il bene in sé”
Dorea Potter lasciava la sua postazione accanto a suo marito solo per strette necessità. Da qualche mese a quella parte era diventata quella stanza bianca e spoglia la sua casa.
“Vivere morire fa, e morir la vita dà.”
 
“Ciao amore mio…” sussurrò Dorea, “Sai Silente mi ha parlato di Lily, quella ragazza di cui ci parla spesso il nostro ragazzo.” Lasciò un bacio delicato sulle labbra del marito. Erano fredde. Non erano mai state fredde. “La ragazza di cui nostro figlio è innamorato” gli carezzò i capelli “Quei due si amano e si odiano come solo dei pazzi possono fare. Albus mi ha detto che non è facile capirli, ma se si riesce a decifrare i loro sguardi e i loro gesti è chiaro.” Una lacrima silenziosa scese a bagnare il suo viso “Sanno che un altro amore così, non potrebbero mai trovarlo!”
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salveee, non ve lo aspettavate vero? Sono stata proprio brava. Ho postato addirittura con un giorno di anticipo. Ma la felicità di questo momento?.
Non c’è molto da dire quindi niente. Spero vi piaccia anche questo capitolo anche se ho scoperto che non mi piace scrivere di Piton ahaha. Detto ciò, vi auguro un buon weekend.
Erydia

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