Il Mago Vikingo - L'alleanza dei 4 Regni -

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. (Prima Parte) ***
Capitolo 5: *** IV. (Seconda Parte) ***
Capitolo 6: *** V. ***
Capitolo 7: *** VI. (Prima Parte) ***
Capitolo 8: *** VI. (Seconda Parte) ***
Capitolo 9: *** VII. ***



Capitolo 1
*** I. ***



L'idea di partenza per questa epopea fantasy non è stata frutto della mia immaginazione.
Come avrete letto nell'intro, questa storia partecipa a un contest indetto sul forum di EFP dal giudice Spettro94,
perciò - si capisce - che lo spunto iniziale è il suo.
Per onor di cronaca, riporto di sana pianta il suo incipit,
ringraziandolo per l'opportunità di scrivere e fantasticare su questa avventura.
Mi sono divertita un sacco, amico! 


 







 

“Un sussurro, una voce scarlatta che si sparge in un soffio di brezza.

Dama del vento, la chiamano in ogni corte e feudo,

ma la brava gente del volgo si rivolge a lei con un altro e più fosco epiteto:

la Signora della penitenza, la Morte bianco vestita.

Nelle notti in cui la brezza soffia costante e l’oscurità regna incontrastata,

il suono della sua lama che sfrega il selciato risuona come una dolce litania.

Presagio di morte e dei pallidi sudari che avvolgono le sue forme sconosciute,

sospinti dal vento come braccia ansiose di afferrare un’anima innocente e strapparla alla vita.

È una maledizione che infesta ogni reame del continente ma nessuno, neanche tu, è stato in grado di comprenderne l’origine.

Sei il prediletto allievo dell’Arcimago Volkàn, rettore dell’Accademia sita nella capitale del regno di Osihria.

La regina Deme, colei che sussurra all’orecchio del re, ha convocato un potente mago dell’accademia affinché epuri questa minaccia una volta per tutte,

assieme a una guarnigione scelta di guerrieri provenienti da ogni angolo del mondo.

Volkàn ha scelto te per questo incarico...”

 




 
 

IL MAGO VIKINGO
– L’alleanza dei 4 Regni –


 
 
Prologo
 
Osihria, la capitale del Regno Magico, si espandeva in larghezza al centro del Continente Abitato. Non era certo la città più antica dell’intero mondo conosciuto, ma di sicuro quella che era stata in grado di svilupparsi più in fretta e meglio. All’inizio era stata solo un modesto villaggio, abitato perlopiù da rozzi contadini, eppure in pochissimo tempo si era trasformata in una meta ambita da tutti coloro che cercavano fortuna e una maggiore aspirazione per l’avvenire.
Gli abitanti degli altri regni dicevano che era stato facile per il piccolo villaggio diventare tanto grande e potente: l’Accademia della Magia aveva dato loro una bella spinta. Infatti, già quando si stava giungendo alle mura di Osihria, era possibile notare le torri di cristallo troneggiare sull’intero regno, più alte e imponenti anche del castello, dimora del re e della regina.
Le torri secolari erano state il fulcro intorno alle quali si erano erette le prime casupole, fatte di paglia e legno, diventate sempre più prospere nel corso dei secoli, fino a convincere l’Arcimago del tempo che fosse arrivato il momento di eleggere un monarca, affinché portasse ordine tra i cittadini anarchici. Ben presto, ai piedi delle imponenti torri di cristallo, fu eretto il castello reale e venne incoronato re Taliesin, un giovane contadino di soli 16 anni, il quale aveva superato la prova messa in atto dai maghi dell’Accademia per eleggere il primo sovrano di Osihria.
Da quel giorno nacque la lunga dinastia taliesina, mai messa in discussione o minacciata da alcuno. D’altronde, con la schiera di maghi dalla propria, simile a un caldo e rassicurante mantello sulle spalle, a chi sarebbe venuto in mente di attaccare il Regno di Osihria?
Ciò nonostante, una maledizione incombeva da circa un secolo sul Reame Magico e non solo. Tutto il mondo conosciuto, l’intero Continente Abitato, ne era afflitto.
La Dama del Vento, una minaccia velata e impalpabile che ogni notte reclamava giovani e innocenti vite. Qualcuno raccontava di averla vista in viso: era un’anziana donna dalla pelle raggrinzita e le mani tremolanti; altri la descrivevano simile a una dea, con un lungo abito bianco dalle eccessive trasparenze; nel Regno di Metallo invece si diceva che fosse una brutale guerriera che si aggirava di notte con l’elmo calato sulla testa, la spada trascinata sul terreno polveroso che produceva un leggero frusciare da brividi, e la corazza insanguinata di colore chiaro, come il mithril.
Quale fosse il suo vero aspetto nessuno lo sapeva, né tantomeno si conosceva ciò che la spingeva a togliere la vita ai più piccoli, bambine per lo più, non ancora in età da sviluppo, ritrovate la mattina con uno stiletto infilzato nel petto, gli occhi chiusi e un’ombra di sorriso sul volto, come se fossero state contente di seguire la Dama in un mondo nuovo, ignoto, ma evidentemente migliore del presente.
Le grida disperate delle mamme si alzavano al cielo, inorridendo dinnanzi allo spettacolo raccapricciante delle loro figliolette trafitte da una fredda lama d’acciaio, eppure non vi era alcuna goccia di sangue a sporcare le lenzuola o la pelle candida delle piccole vittime. Qualcuno ipotizzava che ne inspirasse l’anima direttamente dal corpo.
Ogni notte, in ogni angolo di regno, gli uomini facevano la guardia alle proprie dimore, si organizzavano in squadre per setacciare l’area circostante, armati di spade e coraggio, invano. L’aria tremava, il vento soffiava lieve, gelido e silenzioso come il sussurro di un amante, la pelle si accapponava, i capelli sulla nuca si rizzavano, mentre un’altra innocente anima seguiva la crudele Dama del Vento, la cosiddetta Morte di Bianco Vestita, colei che non aveva nome e non aveva volto.

 

 

I.

 
 
Osihria, Capitale del Regno Magico ₰
 
La regina Deme si guardò allo specchio, avvicinandosi sempre più, poi batté un piede sul pavimento di cotto. Eccone un’altra, maledette, sbucavano come niente dalla sera alla mattina, quelle rughe le avrebbero tolto il sonno. Lei non voleva diventare come sua madre, vecchia già a quarant’anni. Doveva fare qualcosa adesso che ne aveva ancora le forze e soprattutto la bellezza per convincere gli uomini ad assecondarla. Con un gesto spazientito indicò il solco al lato destro della bocca e prontamente l’ancella alle sue spalle la tamponò con abbondante cipria.
Già convincere l’Arcimago Volkàn non era stato facile, ma la regina Deme non aveva dato troppo peso al suo iniziale rifiuto. Era un uomo vecchio, senza famiglia, che aveva votato la sua intera vita alla magia e alla reggenza dell’Accademia. Non aveva mai avuto un grande ascendente su di lui a essere sinceri. Volkàn l’aveva sempre trattata con superiorità e anche un pizzico di superbia, quasi che non le spettasse di diritto la corona che reggeva sul capo. Ciò nonostante, Deme sapeva benissimo che avrebbe potuto rifiutare una sua richiesta, ma non un ordine del re: Taliesin l’Ammalato.
Osservò ancora una volta la sua immagine riflessa, qualcuno nella stanza disse che era bellissima, non c’era bisogno di alcun ritocco. Deme sorrise compiaciuta. Lo sapeva di essere bella, perciò stava facendo di tutto per restarlo il più a lungo possibile.
Per sempre, se fosse stato possibile.
Bussarono alla porta e un omino tutto compito annunciò a sua maestà che i primi ospiti erano giunti nella capitale.
«Di chi si tratta?» Chiese lei, scrutando il messaggero attraverso il riflesso dello specchio, un luccichio appena percettibile le attraversò lo sguardo fiero e altezzoso.
«Il principe del Regno del Vento, mia maestà».
Lo brillio si spense, assunse un’aria infastidita e lo licenziò con un cenno della mano. L’omino si chinò in avanti e uscì.
Non era propriamente la guarnigione che stava attendendo, ma qualcuno era davvero giunto a Osihria, ciò significava che il suo piano si era appena messo in moto. Provò un senso di ebbrezza, come se fosse ubriaca, perciò decise che avrebbe accolto il nuovo arrivato sebbene ne aspettasse altri. Molti altri.
Con l’abito ingombrante (degno di una regina!) si mosse per i lunghi e freddi corridoi del castello. A tutti e a nessuno ordinò che il re, suo marito, venisse accompagnato nella sala del trono.
«Sarà fatto, sua altezza». Una donnona al suo canto si prostrò e imboccò la prima curva sulla destra.
La regina sorrise, già pregustava il momento. Era lei l’artefice di tutto, lei aveva smosso mari e monti affinché i migliori guerrieri dell’intero Continente Abitato fossero convocati alla sua corte per porre fine una volta per tutte a quella minaccia di morte e sofferenza.
La Dama del Vento… erano centinaia le leggende che si narravano intorno alla sua figura, centinaia le sembianze che le erano state affibbiate, ma una sola contava per la grande reggente di Osihria, il resto era solo una sceneggiata, una messinscena per convincere l’Arcimago Volkàn a sostenere il suo piano. E per rendere il tutto ancora più credibile, lo aveva invitato personalmente a presenziare al concilio che si sarebbe tenuto quel pomeriggio.
Adesso stava attraversando l’ultimo tratto di corridoio che l’avrebbe condotta direttamente alla sala del trono; attraverso le ampie finestre vide il paese espandersi dentro le mura del castello. Popolani, gente umile e ignorante che non avrebbe mai potuto comprendere i pensieri di una regina, così fessacchiotti e ingenui da essere emozionati di ricevere personalità importanti e stranieri: principi discendenti dalla razza elfica; re imponenti che maneggiavano spadoni di ferro e acciaio; guerriere a cavallo, belle e selvagge. E infine lui, il mago più potente che Volkàn in persona aveva scelto per quella missione, un uomo capace di manipolare i quattro elementi a proprio piacimento, come si fa con un cane fedele.
Al suo cospetto le guardie magiche, all’ingresso della grande sala reale, spalancarono il portone e Deme vi entrò, la testa alta, la schiena dritta, sforzandosi di tenere lo sguardo puntato davanti a sé, nonostante la curiosità di voltarsi per osservare i presenti fosse molto forte. Sentiva un leggero brusio, voci maschili, qualcuno ridacchiò, ma lei tenne gli occhi castani fissi sul re, già accomodato nel trono. La regina si chinò dinnanzi a Taliesin che parve non accorgersi della sua presenza, né tantomeno del perché fosse lì e chi fossero quelle persone nella camera.
Deme finalmente poté sedersi e scoprire chi, dei guerrieri chiamati, fosse già lì.
«Mia regina…» la voce calda e profonda del monarca del Regno di Metallo parve rimbombare contro le pareti di cemento crudo e tornare indietro. Deme si mosse a disagio sul suo trono, alzò il mento per evitare che la guardasse dritto negli occhi.
«… mio re. Il Regno di Metallo ha risposto alla vostra chiamata, sempre devoti al patto che i nostri avi siglarono per il bene di entrambi i regni…», quindi si voltò a guardare l’arciere con le spalle contro una delle colonne che reggevano la sala, «… e del mondo conosciuto».
L’arciere non si mosse.
«Grazie per essere qui, re Namor» parlò la regina Deme. Sentiva le gote in fiamme, a stento riusciva a tenere ferma la voce. «Purtroppo, il sovrano Taliesin è ancora molto malato, oggi in particolare è una brutta giornata per lui, la notte non gli ha portato vigore, ma farò io le sue veci».
Il sovrano Namor fece un leggere inchino di approvazione e indietreggiò di qualche passo, mettendosi fra i tre guerrieri che aveva portato con sé, pronto a presentarli uno per uno, quando il portone principale della sala del trono si spalancò.
 
Una donna dalla corporatura importante, alta quanto un uomo – difatti non fu costretta ad alzare lo sguardo per fissare Namor negli occhi quando gli passò accanto – muscolosa e dai lunghi capelli biondi, si fermò a pochi metri dalle altezze reali di Osihria. Indossava un lungo mantello intarsiato di pietre preziose, che lasciava scoperta la parte anteriore e teneva al posto del collo una alta e rigida gorgiera. Sollevò un piede e lo posò sul primo dei cinque scalini che portavano ai troni, scoprendo la gamba per intero. I denti perfetti e bianchi si aprirono in un sorriso sornione, di sfida; dietro di lei una scia di giovani donne.
«Charlotte.»
«Deme.»
«Sarei la regina Deme.»
«E io la regina amazzone Charlotte.»
La donna bionda lanciò un’occhiata al re Namor che si era lasciato alle spalle e quindi ai suoi accompagnatori: un uomo dai pettorali scolpiti che indossava una specie di gonna di pelle e gambieri di metallo, con lunghi capelli scuri e una folta barba che gli copriva il viso dai lineamenti marcati, ma non spiacevoli. Alla destra del re invece c’erano due ragazzi, decisamente più giovani, molto simili nell’aspetto: poco muscolosi, di carnagione olivastra e capelli neri, ricci, fino alla nuca. Si muovevano in continuazione, come se stessero ballando, forse erano solo impazienti di fare qualcosa, tipo picchiare.
Charlotte fissò infine l’arciere con le spalle contro la colonna in fondo alla sala, se ne stava con le braccia conserte e gli occhi chiusi. Era alto, la pelle olivastra, in tenuta da caccia, i capelli rasati ai lati e lunghi fino alle spalle lasciavano scoperte le orecchie a punta, segno evidente del suo sangue elfico.
Infine strizzò l’occhio alle sue guerriere, prima di tornare a guardare Deme:
«Perché siamo qui?»
«Il mio messaggero non te l’ha spiegato?»
«Sì, l’ha fatto, ma sai…» tirò via il piede dallo scalino, «proprio non riesco a capire perché noi siamo qui».
«Sei un po’ ritardata, mia regina?!» la schernì Deme, stuzzicando il riso del grande guerriero alla sinistra di Namor.
D’improvviso, una delle ragazze di Charlotte afferrò un pugnale che teneva nascosto negli stivali e lo puntò alla gola dell’uomo, il quale prontamente mostrò i palmi senza tuttavia smettere il suo sorrisetto divertito.
«Ehi, ehi! Siamo un tantino nervose, eh?!» scherzò.
«Le armi non sono ammesse nella sala del trono!» La regina Deme balzò dal seggio, indispettita per quella mancanza di rispetto.
«Queste ragazze sono tremende, hai ragione» intervenne Charlotte, facendo poi cenno all’amazzone di lasciare andare il guerriero. «Va tutto bene, Shayna, si è tra amici… suppongo».
La ragazza di nome Shayna mollò la presa, soffiando simile a una fiera verso la sua preda. Il guerriero poté notare che non aveva affatto un bel viso, né forme femminili, solo un paio di seni appena accennati al di sotto della tenuta di pelle scura. I corti capelli castani erano raccolti in un codino e le gambe erano muscolose, simili a quelle di un uomo. Fu così che l’ideale secondo il quale le amazzoni erano tutte bellissime e sensuali decadde, come può decadere un principio morale e religioso dinnanzi alla verità.
Uno dei maghi di guardia all’ingresso della sala si avvicinò a Shayna per prelevare il coltello con il quale aveva minacciato il guerriero pocanzi.
«Perché lui può tenere l’arco?» Chiese.
«Non ha frecce» fu la risposta repentina del mago e solo quando la regina Charlotte le fece cenno che poteva darglielo, lei lo fece, seppur contrariata.
«Dunque, dunque, dunque…» riprese Charlotte rivolgendosi a Deme, «perché noi siamo qui?» Si mosse per la sala, il mantello svolazzante, la gorgiera rigida, i colori scintillanti e la postura imponente le donavano un’aria da unica e indiscussa sovrana.
«Lo sai perché, altrimenti non saresti qui», continuò Deme. «La Dama del Vento va fermata prima che il mondo conosciuto rischi di estinguersi. Troppe, infatti, sono le bambine che vengono ammazzate senza pietà, e se un domani non ci saranno più femmine, chi popolerà il mondo?».
Charlotte finalmente si fermò, fissò a lungo Deme negli occhi.
«La Dama del Vento non ha mai neanche ferito una di noi, né donna, né bambina. Perché, dunque, dovremmo combatterla al vostro fianco?».
«Hai ragione, regina del Regno di Scizia» intervenne Namor, la solita voce pacata e profonda si sposava bene con il suo bell’aspetto: le spalle larghe; i muscoli delle cosce che aderivano al pantalone di tessuto scuro; i capelli nerissimi raccolti dietro al capo e infine la barba ispida di qualche giorno che gli nascondeva il mento e il collo. Sembrava impossibile che non avesse una sposa al suo canto, né tantomeno una prole che un giorno prendesse il suo posto sul trono. «La Dama del Vento attacca i nostri regni, ma lascia in pace il tuo, eppure indirettamente vi colpisce».
«Vi ascolto, Namor, proseguite», disse Charlotte senza abbassare mai lo sguardo.
«Se non ci saranno più bambine a questo mondo, anche il vostro regno è destinato a finire. Chi, infatti, verrà da voi per diventare una guerriera se non ce ne saranno più?»
«La Dama del Vento non può ammazzarle tutte, dai!».
A parlare era stata un’altra delle ragazze amazzoni, anche lei alta quanto un uomo e dal fisico possente, muscoloso, con corti capelli biondi e diversi cerchi d’oro all’orecchio destro. La pelle del viso era molto giovane, ma il trucco marcato la invecchiavano di diversi anni.
«Non hai capito!». Intervenne questa volta il guerriero che Shayna aveva minacciato. «Le poche bambine sopravvissute potrebbero avere l’ingrato compito di evitare l’estinzione della specie umana, perciò andranno protette e obbligate a riprodursi, e voi…» le indicò con una mano grossa quanto il raggio di una ruota da carro. «… voi di fare figli non se ne parla neanche».
«Bada a come parli, guerriero di latta!». Ringhiò l’amazzone, poi la regina di Scizia le posò una mano sulla spalla.
«Rhia…» la riprese con fermezza, ma non c’era rimprovero nella sua voce. «Ho capito» aggiunse poi guardando Deme, «avrete il nostro appoggio». Indicò le sue donne guerriere e con orgoglio le presentò:
«I miei generali di armata, le mie fidatissime consigliere, i miei occhi, le mie gambe e le mie braccia: Becky e Rhonda».
Entrambe avanzarono di un passo. La prima era la più mingherlina del gruppo di amazzoni, poco muscolosa rispetto alle altre, la folta chioma ramata le copriva l’intera schiena, quattro trecce ad ambo i lati del viso erano tirate indietro, lasciando scoperti lineamenti dolci e uno sguardo fiero.
Rhonda invece superava la compagna in statura e peso, sebbene non vi fosse neanche un filo di grasso sul suo corpo statuario e allenato. I capelli biondi erano legati in una semplice coda che scendeva morbida oltre il seno poco abbondante; due linee nere tatuate le attraversavano le gote pallide; le labbra sottili erano strette in una specie di ghigno e gli occhi scaltri non si chinarono neanche dinnanzi al cospetto della regina del Regno Magico.
«Rhia, Shayna e Beanka sono le mie tre migliori amazzoni. Potenza, violenza, scaltrezza…», la regina Charlotte le guardò come si farebbe con delle figlie di cui si è particolarmente fiere, poi tornò con l’attenzione su Deme. «Deciderò più avanti chi di loro sposerà questa causa e chi no».
«E sia…» la sovrana di Osihria lanciò uno sguardo a suo marito, quest’ultimo sedeva scomposto sul trono alla sua destra, le palpebre semichiuse sotto folte ciglia bianche, un rivolo di bava schiumosa gli si era incollato agli angoli della bocca. Deme sperò che da lontano non si notasse, almeno quello…
«Reggente Namor», proseguì rivolgendo l’attenzione sull’affascinate sovrano del Regno di Metallo. «Vuole presentarci i suoi guerrieri?».
«Con piacere, mia regina.» Namor indietreggiò appena per concentrare l’attenzione sui cavalieri che lo accompagnavano. «Avete già avuto modo di fare la conoscenza di Drew, il corazziere gentiluomo.»
Drew era l’omone attaccato da Shayna con un pugnale, sentendosi nominare si gettò i capelli all’indietro, lisciandoli in tutta la loro lunghezza.
«Loro invece sono i gemelli Jay e Joy, scaltri e abili nel combattimento corpo a corpo, nonché figli di mia sorella.»
Jay e Joy erano i due giovani che scalpitavano e scalciavano come puledri al pascolo, i loro occhi scuri parevano urlare al mondo che nulla li spaventava, neanche la Morte di Bianco Vestita.
«Sono il meglio che il mio regno ha da offrire. Confido nelle loro capacità» concluse Namor.
«Sicuramente adempiranno al volere del loro sovrano». Deme e Namor si osservarono per un attimo, un secondo che a Charlotte dovette sembrare comunque eterno, poiché roteò gli occhi al cielo, annoiata, suscitando alcuni risolini da parte delle sue fedelissime. Poi spostò di nuovo l’attenzione sulla figura silenziosa confinata alle loro spalle. Avanzò nella sua direzione:
«E tu, arciere d’infamia, chi sei?»
L’uomo sollevò le palpebre, tenute abbassate per la maggior parte del tempo, fissando la regina del Regno di Scizia.
Arciere d’infamia.
Era da tanto che qualcuno non si rivolgeva a lui con l’epiteto che le amazzoni erano solite affibbiare a quelli della sua stirpe. Non correva buon sangue tra le due razze, anzi, non si davano battaglia solamente perché i confini dei rispettivi reami erano lontani e al centro vi era il regno di Namor, che nei millenni aveva fatto un po’ da spartiacque.
Arciere d’infamia.
Chissà perché gli piaceva quel soprannome, vi si rispecchiava in un certo senso.
«Io sono Da’miàn di Delundel, figlio di Delundel III, re del Regno del Vento, dodicesimo di dodici figli, protettore delle sacre Montagne Ululanti e…».
«Per Scizia, che noia!» esclamò Charlotte, questa volta generando un’ilarità tra tutti i presenti. «Rilassati, sei un così bel ragazzo…» gli carezzò il viso glabro mandandogli un bacio a labbra unite. Da’miàn non si mosse di una virgola, né chinò il capo, né arrossì. Lui era pur sempre un erede al trono del Regno del Vento, certo, il dodicesimo, ma pur sempre un principe, e un principe non china mai il capo, neanche dinnanzi a una regina. O almeno questo gli aveva detto una volta suo padre, quando si era offerto di aiutare sua madre in una faccenda che neanche ricordava più.
«Regina Deme», riprese Charlotte allontanandosi dall’arciere per tornare al centro della sala. «Abbiamo un esponente del Regno del Vento, ben tre guerrieri di metallo, amazzoni pronte alla grande guerra, ma non vedo alcun rappresentante del vostro regno fatato.»
«Magico, non fatato!», sottolineò la sovrana. Charlotte aveva il potere di farla irritare anche senza intenzione. «Io e re Taliesin abbiamo chiesto all’Arcimago Volkàn di supportarci in questa avventura con il suo migliore allievo. Colui che sa adoperare le arti magiche nella maniera più assoluta e completa, che sia di aiuto alla squadra, una guida, non un peso. Ebbene, Volkàn mi ha assicurato che metterà a disposizione della missione il suo prediletto, un mago che negli anni si è distinto per intelligenza e disciplina, conosciuto nei regni noti con il nome di Mago Vikingo.»
«Molto interessante», disse Charlotte mostrando i palmi all’insù, «e dov’è?».
Proprio in quel preciso istante, le porte si spalancarono e una lunga risata accompagnò l’ingresso del famigerato Mago Vikingo, temuto e rispettato nell’intero Continente Abitato, come se fosse tutto preparato, come se la persona citata pocanzi fosse nascosta dietro alla grande porta, in attesa che arrivasse il suo momento di entrare in scena.
 
L’uomo che entrò non aveva le fattezze tipiche di un mago, né di un vikingo bellicoso a dire il vero. Indossava scarpe di pelle chiara, mentre il vestito consisteva in un abito dal taglio elegante, con fondo arancio e ghirigori neri. I capelli scuri erano lucidi, bagnati, lunghi e ondulati fino alla spalla; anche la barba era scura e ne ricopriva le guance e il mento. I denti bianchi spiccavano dalla bocca aperta che continuava a emettere quell’assurda risata. Avanzava a piccoli passi alternati, due a destra e due a sinistra, sembrava ballasse un ritmo che sentiva solo lui.
Nella sala i presenti si guardarono con fare interrogativo, intanto che l’ultimo arrivato giungeva ai piedi del trono dove anche il re Taliesin l’Ammalato parve ridestarsi appena dal suo torpore perenne.
«TA_DAAN!» Urlò l’uomo spalancando le braccia.
«Chi siete? Presentatevi!» Aggiunse Deme con tono imperativo.
«Come chi sono? Il vostro grande mago! Seth!» Poi si voltò indietro, verso le amazzoni, l’arciere e i guerrieri scelti. «Il mago più forte e potente che la storia dell’Accademia abbia mai conosciuto», mentre parlava teneva le braccia spalancate e fissava il soffitto ad arco del castello. «Immenso, imbattibile, incorruttibile, ineguagliabile, insuperabile, ins…».
«Abbiamo capito! Sei un buffone! Dov’è il vero mago?». La regina delle amazzoni arrestò il fiume in piena di parole insensate e lui parve dispiacersi per quella domanda, ma lei rincarò la dose, parlando piano per scandire al meglio le sillabe: «Dov’è – il – vero – mago?».

 

 
Continente Abitato ₪
In un villaggio tra il Regno del Vento e il Regno di Metallo

 
Le porte di legno della taverna si aprirono con un tonfo, l’uomo le tenne spalancate con tutto il peso del corpo schiacciato contro una delle ante. I pochi presenti si voltarono a guardarlo, i boccali di birra fermi a mezz’aria e i sensi vigili.
Gli stranieri non erano graditi in quel piccolo villaggio abitato da contadini e allevatori di vacche, la maledizione della Dama del Vento aveva reso tutti più scettici e poco inclini alla solidarietà. Solo la sera precedente, infatti, la figlia del capo villaggio era stata uccisa durante il sonno: lo stiletto di ghiaccio nel petto, senza sangue, con un sorriso dolce sulle labbra. Aveva solo sette anni.
Lo straniero fece un passo in avanti, poi un altro. Si trascinava le gambe e riusciva a stare in piedi a stento, se non fosse stato per i tavoli e le sedie contro i quali si reggeva, sarebbe caduto con le ginocchia sul sudicio pavimento della locanda.
A fatica raggiunse il bancone in fondo alla sala e si accomodò issandosi sopra uno degli sgabelli traballanti. La donna dall’altra parte del bancone si pulì le mani sul grembiule macchiato di chissà cosa e gli chiese cosa preferisse.
«Da bere» rispose l’uomo senza alzare lo sguardo. «Qualcosa di forte».
La donna lo osservò per un po’. Nonostante fosse vestito di stracci, avesse i capelli spettinati e una barba disordinata, si poteva notare la sua giovane età dalla pelle del viso e dal fisico asciutto, forse addirittura allenato al di sotto della camicia di lino stropicciata e impolverata. La cameriera fece per afferrare una delle bottiglie alle sue spalle, ma lo straniero la fermò prima che potesse anche solo sfiorarle:
«Uno buono, donna.»
«Puoi pagare, straniero?»
Lui lasciò cadere una moneta d’oro sulla superficie di legno del bancone, attese che la donna la scrutasse per bene alla luce della lampada a olio, poi la vide chinarsi per prelevare una bottiglia nascosta alla bell’e meglio nei mobili ai suoi piedi. Gli versò un liquido dal colore del fuoco.
«Ratafià» disse lei.
Lui lo odorò a lungo, poi tenne la tazza di legno grezzo tra i palmi, socchiudendo gli occhi, mentre un vapore gelato avvolgeva il liquore di ciliegia. Nella locanda calò il silenzio, qualcuno andò via in fretta e furia, altri continuarono a fissare lo straniero con rabbia.
«Un mago» disse la donna, sporgendosi verso di lui, osservandolo bere il Ratafià. «Qual è il tuo nome, stregone?».
«Gareth Edgemas Anders».
«Sembri ridotto male. Hai litigato con un demone, per caso?»
L’uomo alzò lo sguardo su di lei. Probabilmente, un tempo doveva essere stata una bella ragazza, ma la vita era stata alquanto infame nei suoi confronti. Una lunga e vistosa cicatrice le attraversava la parte destra del viso, partendo dalla fronte, oltrepassando l’occhio ormai cieco, e scemando oltre la curva del collo. Eppure, c’era qualcosa di dannatamente affascinante in lei, qualcosa che sembrava attirarlo simile a un orso in cerca di miele.
«Devo raggiungere Osihria prima possibile, puoi aiutarmi?»
«Se mi dici quello che ti è capitato, potrei anche trovare il modo…», lui non rispose, si limitò a osservarla direttamente nell’unico occhio buono e lei ridacchiò, tornando con la schiena diritta mentre gli versava altro liquore e gli offriva due pezzi di carne essiccata. «Tranquillo, Gareth Edgemas Anders, per questa moneta d’oro che mi hai dato avresti diritto a un trattamento completo» gli fece l’occhiolino e lui semplicemente rispose:
«Chiamami Edgemas», bevve. «Allora, puoi aiutarmi?»
«Alle prime luci dell’alba di domani, una carovana sarà in partenza per la capitale del Regno Magico. Immagino che tu sia diretto all’Accademia.»
«Domani mattina» meditò, «… troppo tempo.»
«Potresti impegnarlo con me», la cameriera si sporse nuovamente in avanti e questa volta il mago fu certo che doveva essere stata proprio una bella ragazza, prima di allora. Decise che sì, di lei si sarebbe potuto fidare.
 
Gareth Edgemas Anders era un uomo solitario. Non amava muoversi in grandi gruppi di persone, né in due se è per questo. Preferiva la solitudine, quella assoluta, perciò aveva scelto di lasciare l’Accademia poco tempo dopo il suo percorso di Elementalista. Ricordava ancora la disperazione dell’Arcimago Volkàn quando gli aveva annunciato che sarebbe andato via, che avrebbe lasciato Osihria per non farvi più ritorno.
«Di cosa vivrai, Edgemas?» gli aveva chiesto disperato. «Qui hai tutte le comodità che ti servono per condurre una vita di agi.»
«Non me ne faccio niente. Vivrò di natura» era stata la risposta del mago, mentre gli dava le spalle e si incamminava verso le porte di cristallo, nella Grande Sala dei Magi, dove i maggiori maestri si riunivano per prendere le più importanti decisioni.
Improvvisamente il portone si era chiuso, sigillato da lucchetti magici grandi quanto un elefante. Edgemas aveva sospirato, non era così che voleva andarsene.
«Ti ho cresciuto come un figlio! Ti ho tenuto sotto la mia ala, insegnato le arti magiche personalmente, confidato i segreti più oscuri mirati a destreggiare al meglio i quattro elementi. Sei destinato a sedere qui un giorno, dove siedo io, a reggere l’Accademia e l’armonia del mondo conosciuto. Non ti permetterò di gettare al vento anni della mia vita e del mio tempo.»
«Hai Seth, non ti servo io».
L’Arcimago aveva stretto i pugni, battendo il bastone magico sul pavimento di cristallo, scintille erano spruzzate dalla pietra bianca incastonata sulla sommità dell’arma: Diamante.
«Seth non è all’altezza. La sua superbia lo porterà alla distruzione di sé e dell’intero Continente Abitato.»
«Non è un mio problema» aveva concluso Edgemas, mentre con un movimento lento del palmo destro aveva aperto i lucchetti magici che sigillavano il portone.
«Va dunque, mago guerriero, ma ricordati che mi sei debitore, la tua esistenza è legata alla mia, devi ubbidienza all’Accademia», queste furono le ultime parole divinatorie dell’Arcimago, poi il suo prediletto era sparito oltre le immense porte di cristallo.
Edgemas aveva viaggiato per i regni del mondo noto, vivendo di piccole missioni: ammazzare un demone volpe che distruggeva i campi di uva di un povero contadino; combattere la siccità estiva che ardeva la terra; liberarsi di una colonia di goblin che da anni attentava alla vita dei pastori sedentari.
Non gli importava del suo aspetto trasandato, nonostante fosse poco più che trentenne, portava i capelli chiari e spettinati oltre la spalla, solo di rado si radeva il volto, ma sempre senza cura. Indossava un lungo mantello logoro, sporco di polvere e incrostato di fango, con un cappuccio che era solito calare sulla testa. I pantaloni erano ormai larghi sulle cosce, così come la camicia senza collo. A causa del suo aspetto, gli abitanti dei piccoli villaggi lo chiamavano con l’appellativo di Mago Vikingo, in onore di un antico e leggendario popolo guerriero che si diceva abitasse un mondo lontano, alieno.
Edgemas era entrato in Accademia a sedici anni. Alcuni maghi lo avevano portato al cospetto di Volkàn dopo una missione nei pressi del Regno di Scizia. Lo avevano trovato a vagare ai confini del reame amazzone e sarebbe morto di sicuro per mano delle donne guerriere, le quali lo avevano già circondato con le loro lance, se non fossero intervenuti.
Le amazzoni di Scizia mal tolleravano gli uomini, qualsiasi età essi avessero, né questi potevano avvicinarsi ai propri territori. Cosa ci facesse Edgemas lì, non era stato in grado di raccontarlo, o non aveva voluto. I maghi lo avevano allora portato con loro, presentandolo all’Arcimago come un ottimo inserviente: avrebbe potuto pulire le stalle o riassettare le camere dell’Accademia. Volkàn gli aveva lanciato a malapena uno sguardo, annuendo distrattamente: era troppo impegnato a insegnare al suo allievo preferito Seth i rudimenti della magia.
Nel frattempo, Edgemas era diventato invisibile. Si aggirava nelle stanze dell’Accademia come un fantasma, addirittura spesso prendeva parte alle lezioni magiche senza che nessuno degli apprendisti o degli insegnanti si accorgesse di lui. Poi un giorno, era uscito allo scoperto, proprio contro il prediletto dell’Arcimago Volkàn. Tra i due era scaturito un litigio dopo l’ennesima prepotenza di Seth nei confronti del galoppino, il quale inaspettatamente si era difeso in uno scontro magico, avendo addirittura la meglio sullo studente. L’Arcimago era intervenuto di persona, mettendo la parola fine tra i due, poi aveva afferrato Edgemas per un braccio trascinandolo nelle prigioni sotterranee. Qui gli aveva ordinato di mostrargli la sua arte magica, chiedendogli dove avesse imparato a maneggiare gli Elementi, chi gli avesse insegnato.
«Nessuno» aveva risposto il garzone.
«Parla, ragazzo!» aveva poi tuonato il grande mago.
«Ho imparato da solo».
Volkàn aveva deciso di credergli, non c’era menzogna nei suoi occhi, né paura né furbizia. Edgemas sembrava l’uomo che aveva sempre sperato di incontrare un giorno: sicuro di sé ma non superbo, era come se la magia gli scorresse in modo naturale nel sangue, una belva allo stato brado da disciplinare. Da allora era sempre stato al suo fianco, causando la reazione avversa di Seth che, mosso da invidia, era entrato in competizione con l’ormai ex inserviente dell’Accademia magica.
Tuttavia, il prediletto di Volkàn un giorno aveva deciso di andare via, lui era sempre stato un animale libero e questo l’Arcimago lo sapeva, eppure aveva sperato di smussare quella sua voglia di libertà offrendogli tutto ciò che un uomo può desiderare.
Quando, però, la regina Deme aveva convocato a palazzo Volkàn per mostrargli il suo piano di eliminare una volta per tutte la maledizione della Dama del Vento, chiedendogli – imponendogli per conto di Taliesin l’Ammalato – di inviare in missione il più potente dei suoi maghi, l’Arcimago non aveva avuto dubbi. Inoltre, auspicava che Edgemas facesse così ritorno all’Accademia, per prendere un giorno la reggenza del palazzo di cristallo. Aveva allora chiamato Seth, comandandogli di cercare Edgemas per annunciargli che l’Arcimago Volkàn chiedeva di lui. Aveva un compito da affidargli: uccidere la Dama del Vento.
Seth si era indispettito:
«Sono io il mago più potente di tutti! Dovreste mandare me in missione!» Aveva urlato, ma l’anziano mago non si era lasciato intimidire dalle sue minacce, ribadendo di attenersi al compito datogli.
 
Seth era partito alla volta dei regni, in cerca dell’ex rivale. Dopo diversi giorni lo aveva scovato, intento a portare a termine l’ennesima noiosa missione che un contadino gli aveva commissionato: estirpare la colonia di demoni talpa che ogni notte gli distruggevano il raccolto.
Seth aveva atteso che Edgemas terminasse l’incarico, poi l’aveva informato che l’Arcimago chiedeva di lui.
«Il vecchio ha una missione per te.»
«Che tipo di missione?» aveva domandato.
«Uccidere la Morte di Bianco Vestita.»
«La Dama del Vento…» aveva sussurrato Edgemas, quasi incredulo. «Come pensa di riuscirci?».
Seth gli aveva spiegato che l’intera missione prevedeva l’intervento anche degli altri tre regni del Continente Abitato. Si temeva che presto il mondo si fosse estinto senza più donne adulte. Edgemas conosceva bene l’afflizione che portava la maledizione. Più di una volta gli era capitato di vedere i cadaveri di quelle povere bambine, la disperazione delle madri e la paura folle negli occhi dei padri. Il popolo ignorante si chiedeva come fosse possibile che le vittime non perdessero neanche una goccia di sangue, nonostante il pugnale di ghiaccio infilzato nel petto. Ci avevano costruito decine di leggende intorno, ma lui sapeva benissimo che lo stiletto, penetrando nel cuore, congelava il sangue delle giovani impedendone la fuoriuscita.
Aveva udito le urla strazianti delle madri, le aveva viste abbracciare il corpo esamine e cereo delle figlie, intere famiglie distrutte dal dolore.
«Verrò con te» era stata la sua risposta.
Avevano viaggiato per un giorno intero, poi si erano fermati nel piccolo villaggio nei pressi del Regno di Metallo di Namor, ma al suo risveglio Edgemas si era reso conto che Seth gli aveva teso una trappola. Quando aveva riaperto gli occhi era già mattino inoltrato, il sole alto nel cielo e il suo corpo impossibilitato nel muoversi.
Seth, l’occultista, gli aveva lanciato addosso un incantesimo di immobilità a scoppio. Il Mago Vikingo giaceva al centro di linee magiche che unendosi formavano un’antica runa, se si fosse mosso anche solo di un millimetro sarebbe saltato in aria.
«Dannato Seth!» aveva detto a denti stretti, chiamandolo più volte, sperando che non fosse lontano, ma ovviamente non aveva ottenuto alcun risultato. Aveva meditato a lungo, non poteva restare lì incatenato per sempre. Aveva chiuso gli occhi, borbottato una formula, schermendo il suo corpo con una barriera di ghiaccio spessa e dura, lasciando libero solo un mignolo che mosse appena per innescare la trappola. Ci fu un forte boato, il corpo di Edgemas venne sbalzato diversi metri più in là, per fortuna la corazza di ghiaccio aveva attutito almeno in parte l’impatto. Alcuni contadini erano accorsi allo scoppio della trappola, ma nessuno di loro si propose per aiutare il mago a rimettersi in piedi. Così, lo straniero era giunto a fatica alla taverna del paesello, dove ora sedeva su uno sgabello sgarrupato, di fronte alla donna sfregiata che lo aveva ascoltato senza batter ciglia.
«E adesso dov’è questo Seth?» chiese alla fine.
«Credo voglia prendere il mio posto nella squadra», Edgemas bevve l’ultimo sorso di Ratafià. «Si farà ammazzare e manderà all’aria l’intera missione.»
«Uccidere la Dama del Vento… come pensate di riuscirci?»
«Non ne ho idea» fu la confidenza onesta del mago, poi la guardò, in particolare si soffermò sulla cicatrice che le attraversava il volto. «Qual è il tuo segreto, invece?»
«Hai bisogno di un bagno caldo, straniero, e di riposare prima di rimetterti in viaggio». Fu invece la risposta della donna, indicando il tramonto che ormai aveva sfumato di arancio le vecchie casupole del villaggio pastorizio.
La taverna era quasi vuota, fatta eccezione per un paio di tavoli occupati da uomini ubriachi, mezzo addormentati, con il capo riverso sulla superficie ruvida del legno grezzo.
Lei lo precedette oltre la piccola porta alle sue spalle, nascosta da tende di tessuto stinto. Edgemas la seguì, attirato come una mosca sulla carne marcia, salì la rampa di scale scricchiolanti ed entrò nell’unica stanza sita al piano superiore. La camera, austera, era immersa nella penombra, non vi erano mobili, solo uno scadente letto a baldacchino, un comò sopra al quale la donna stava adagiando una candela accesa, e una vasca datata colma d’acqua. La cameriera gli si accostò e senza parlare lo liberò del mantello prima, della camicia poi. Il mago non obiettò, neanche quando lei si chinò per slacciare la cinta che gli teneva su i pantaloni, quindi si rialzò adagiandogli entrambi i palmi sull’addome. Aveva un fisico scolpito per essere un mago. Con lentezza estrema lo spinse fino alla vasca, nella quale Edgemas si immerse. L’acqua era tiepida e sentì i muscoli sciogliersi, chiuse gli occhi lasciando che lei gli strofinasse la schiena con una vecchia spugna ingiallita.
«Rilassati, mago» gli bisbigliò all’orecchio, un brivido lo percorse tutto. Poi la donna prese a discendere lungo il torso, su e giù, in un moto perenne ed estremamente lento, fin quando lo straniero l’afferrò per il polso e la tirò nella vasca con sé, baciandole la bocca con tale ardore che ne poté sentire il sapore ferroso del sangue.
L’aveva ferita, non era sua intenzione farle del male, ma lei non replicò, forse era abituata a essere presa con veemenza. Pensò di scusarsi, se non fosse stato per il piacere che le mani di lei gli stavano donando, muovendosi sull’intero suo corpo rinvigorito. Edgemas chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro, sistemandosi al meglio nell’angusto spazio della vasca, troppo piccola per la sua stazza, sebbene la donna sembrasse muoversi con grande agilità, anche grazie alla sua statura minuta. La lasciò fare con le dita e con la lingua ciò che volesse, permettendole di lambire quello che preferiva, soprattutto le disse di continuare quando si concentrò sul suo membro eretto. Infine, la sollevò di peso e, ancora entrambi bagnati, si sdraiò sopra di lei sul letto, possedendola fino al calar delle tenebre.
 
Quando il Mago Vikingo riaprì gli occhi il sole non era ancora sorto, ma a nord stava già schiarendo. La candela si era ormai consumata del tutto e l’acqua nella vasca aveva un colore simile alla paglia nelle stalle. Della cameriera neanche l’ombra, ipotizzò che fosse di sotto, nella locanda. Si vestì velocemente, si acconciò i capelli con lei mani e si lisciò la barba. Non aveva brutti lineamenti, anzi, con maggiore cura sarebbe potuto essere considerato anche un bel ragazzo dalle giovani, le quali sembravano spaventate dai suoi modi tutt’altro che garbati e dal suo aspetto dimesso.
Della donna non c’era traccia neanche nella taverna, dove invece trovò un uomo, sulla cinquantina, la pelle cotta dal sole e con addosso un vecchio e sporco grembiule che citava “Il Pellegrino Stanco”.
Si guardarono.
«Cerco una donna» disse Edgemas
«Anche io, bello, anche io».
Il mago uscì senza aggiungere altro e si avviò alla stazione del villaggio, dove sostava una dirigenza in attesa dei passeggeri. Vi salì a bordo, meravigliandosi di trovare nella tasca anteriore della camicia la moneta d’oro che la sera prima aveva lasciato sul bancone della taverna. Se la rigirò fra le dita, sorridendo:
«Non le ho neanche chiesto il nome» notò con una punta di vergogna. Aveva avuto altre donne nella sua vita, tutte avventure di una notte; donne che si erano concesse non potendo pagare in altra maniera i suoi servigi, dopo che aveva portato a termine il facile compito che gli avevano chiesto, o donne come quella della taverna, semplicemente in cerca di compagnia. Eppure, l’eccitazione provata quella notte faceva fatica a dimenticarla, si era sentito come una fiera in calore, un toro nel periodo dell’amore. Forse, era stata colpa di quei due bicchieri di Ratafià, o dell’incantesimo di Seth.
La carrozza partì non appena il sole allungò i suoi raggi sui tetti decadenti delle case, diretta alla capitale del Regno Magico.
 
La donna della taverna attese di vederla sparire all’orizzonte, nascosta in un vicolo cieco tra due stalle, le braccia intrecciate e un sorriso che le increspava le labbra. Lentamente la cicatrice che le correva lungo il viso si attenuò, rivelando un volto dalla pelle candida e dai lineamenti perfetti, gli occhi dello stesso colore delle foglie brillavano divertiti, i corti capelli castani si allungarono fino a sfiorare le ginocchia, diventando incolori, né bianchi né grigi, simili all’avorio. Quindi si incamminò a piccoli passi, poi il suo corpo mutò, si dissolse, divenne uno sbuffo d’aria e s’innalzò verso il cielo azzurro, sospinta da un leggero alito di vento.


 
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Capitolo 2
*** II. ***




II.

 

 

Osihria, Palazzo reale, Sala del trono ₰
 
La sala del trono era stata adornata a festa. Pesanti drappeggi di velluto rosso coprivano le finestre, centinaia di candele ardevano lungo l’intero perimetro della stanza, ma il loro fuoco non bruciava a toccarlo, semplicemente illuminava e teneva lontani i demoni. Tavoli imbanditi di cibi tipici del Regno Magico erano stati adagiati nei quattro angoli della sala, al centro della quale si ergeva il trono reale. Questa volta, però, fu solo la regina Deme a presiedere alla grande cerimonia, organizzata in onore degli ospiti. Entrò scortata da due guardie magiche, scusandosi per l’assenza del re, ma la malattia quel giorno non gli aveva dato tregua.
Taliesin, il re, era nato sano e bello, tuttavia intorno ai quarant’anni aveva sviluppato una malattia ignota, che lo aveva ben presto costretto a un supporto quotidiano, anche solo per svolgere le mansioni più semplici e naturali. Suo padre, il re, era morto giovane, a causa di una caduta accidentale da cavallo durante una battuta di caccia, e il giovane Taliesin era salito al trono all’età di sedici anni. Aveva governato senza sposarsi per ben venti anni, per non spodestare la regina sua madre dal trono. Poi un giorno, una fanciulla dai lunghi e mossi capelli castani lo aveva ammagliato. Si trattava di Deme, la figlia quattordicenne del duca suo amico. Nonostante la differenza di età, il re l’aveva chiesta in sposa e Deme, la quale sentiva di esser nata per ricoprire un ruolo più importante di quello nobiliare che avrebbe ereditato, accettò, sebbene suo padre non fosse d’accordo.
Deme aveva così preso il posto della regina madre sul trono – morta pochi mesi dopo di crepacuore –, sedendo al canto di suo marito. Fin da subito, fu chiaro che lui acconsentisse a ogni suo capriccio, come si farebbe con una figlia viziata che tuttavia si adora. Peccato che la malattia di Taliesin fosse dietro l’angolo e, dopo appena quattro anni di matrimonio, lui divenne per tutti Taliesin l’Ammalato. Sembrava che questo fatto non dispiacesse alla regina, adesso davvero libera di fare tutto quello che voleva. Per il popolo, la malattia del re era stata provocata da Deme stessa, con un veleno magari, o un incantesimo magico. Ciò che la plebe non poteva sapere, invece, era la scarsa simpatia che correva tra la regina e l’Arcimago.
A tal proposito, proprio quest’ultimo era stato invitato a prendere parte alla festa in onore della missione da lei architettata, e quando la guardia la informò che Volkàn non si sarebbe presentato, Deme dovette ingoiare un rospo brutto e amaro. Aveva assicurato alla regina amazzone Charlotte e al reggente del Regno di Metallo Namor la presenza dell’Arcimago, il quale si sarebbe anche preoccupato di illustrare eventuali punti deboli del nemico e il percorso da seguire per far sì che uscisse allo scoperto, e invece adesso le toccava svelare a tutti la sua poca influenza su Volkàn. Senza contare che aveva mandato in missione un idiota di mago, il quale se ne andava in giro vestito come un giullare di corte. Lo studiò da lontano, accomodata sul suo trono, con la schiena dritta e il mento leggermente all’insù, come si addice a una vera regina. Il mago stava addentando una coscia di struzzo, mangiando direttamente sul vassoio, mentre nell’altra mano teneva un’intera bottiglia di sidro d’uva. Era volgare, in tutto. Nei modi di fare, di porsi, nel vestire. Per l’occasione aveva indossato una specie di copri abito azzurro, lungo fino alle caviglie; ai piedi calzava scarpe basse con la punta allungata, dello stesso colore pastello.
La regina di Osihria notò poi la sovrana di Scizia osservarla, mentre sorrideva di sottecchi.
«Charlotte, qualcosa ti diverte particolarmente?». L’apostrofò e il silenzio cadde nell’intera sala.
«A dire il vero sì, Deme.» Charlotte indicò i presenti con superficialità. «Re Taliesin non c’è, l’Arcimago Volkàn neanche. Mi chiedo a chi dovrei affidare le mie guerriere. A te?» Ridacchiò. «Perdonami, ma non sei proprio nota per le tue abilità strategiche. Per altre sì, ma per la guerra…» scosse il capo.
Deme strinse entrambi i braccioli del trono con le mani, mordendosi il labbro inferiore per la rabbia. Se avesse potuto, avrebbe zittito quella vecchia megera con un solo cenno alle sue guardie magiche, ma non poteva. L’accordo firmatario tra i regni glielo impediva, senza contare che aveva bisogno delle sue amazzoni per portare a termine la missione. Erano donne addestrate alla guerra, senza scrupoli né pietà, non si sarebbero fatte intimidire da una maledizione qualunque, inoltre avevano la grande caratteristica di essere leali, sempre. Non avrebbero tradito la causa per cui erano state chiamate a combattere.
«Il re è molto malato. L’Arcimago invece è stato trattenuto da un contrattempo.»
«Oh sì, sì. Lo capisco. Quello che non capisco è chi guiderà questa spedizione?»
«Volkàn ci ha affidato il suo uomo più potente…»
«Quello lì?» Charlotte indicò Seth più indietro. «Ma lo avete visto?»
Seth si pulì la bocca unta, bevve un lungo sorso di sidro e adagiò la bottiglia sul tavolo prima di avanzare, senza smettere mai quel sorriso sornione.
«Lo so, non vi aspettavate un mago affascinante come me, magari avreste preferito un vecchio decrepito con il mantello grigio e la barba bianca, che a stento si reggeva sul bastone», imitò un’andatura claudicante. «Anche io avrei immaginato una squadra diversa, perché a guardavi bene, senza offesa, non sembrate una gran cosa».
Uno dei gemelli del Regno di Metallo fece schioccare le dita, pronto ad accanirsi contro il mago, ma il suo re lo fermò sbarrandogli la strada con un braccio.
«I tre guerrieri lì, tolto quello alto e grosso che sembra tutto muscoli e niente cervello, mi danno l’impressione di due cani pronti a ringhiare contro un micio indifeso, ma cosa farebbero dinnanzi a una bestia?» Seth si voltò poi verso l’arciere, il principe del Regno del Vento.
«Da’miàn – ti chiami così, giusto? – il dodicesimo di dodici figli e bla bla bla... Probabilmente è qui solo per dimostrare a paparino che anche lui vale qualcosa, che potrebbe sedere sul trono senza problemi.» Il mago sollevò le spalle in un cenno di superficialità. «Non te la prendere a male, arciere, ma resti l’ultimo della casata comunque».
Da’miàn di Delundel ingoiò amaro, se solo si fossero trovati in territorio franco lo avrebbe già trapassato con una freccia da parte a parte.
«E voi, mia regina di Scizia…» Seth mimò un leggero inchino rivolgendosi a Charlotte, alta probabilmente più di lui. «Scendete in guerra con uno stuolo di fanciulle allenate alla lotta estrema, pronte a tutto pur di non disonorare voi e il credo delle amazzoni. Forti, possenti…» per un attimo i suoi occhi vispi e castani indugiarono su Becky, il generale amazzone dalla chioma scarlatta, «… bellissime».
«Dove volete arrivare, mago?» gli chiese Charlotte.
«Quanto potranno durare? Quanto potremmo resistere, tutti insieme? Quali sono le motivazioni che vi spingono alla ricerca della Dama del Vento?»
«Liberare il mondo noto da questa maledizione che ci affligge», intervenne la regina Deme, una spiegazione che oramai aveva memorizzato come un mantra.
Seth scoppiò in una risata forzata e lunga, da folle.
«Questa è bella!» esclamò. «Non ci muove lo stesso principio, ma il risultato che vogliamo raggiungere è il medesimo. Basterà a tenerci uniti? Prendete il principino, là, e le amazzoni… due popoli agli antipodi, nessuno accetta l’esistenza dell’altro. Le amazzoni non vogliono uomini nelle proprie terre, e i discendenti degli elfi vietano la presenza di una di loro nei propri confini. Quanto durerà questa tregua dissimulata?».
«Il mio popolo vuole liberarsi della Dama del Vento proprio quanto il Regno di Metallo e il Regno Magico. Ciò che muove le amazzoni non è affar mio» disse Da’miàn.
«Ehi, cosa stai insinuando, arciere d’infamia?» Fu Rhia a parlare e Seth la indicò con un largo sorriso sulle labbra, di soddisfazione.
«Visto? Era proprio di questo che parlavo!» Si lisciò i lunghi capelli mossi oltre la nuca. «Voi conoscete la storia della Dama del Vento?»
«Si è detto tanto sul suo conto» rispose Deme, la conversazione aveva preso una piega che non le piaceva affatto.
«Oh, sicuramente il popolo ignorante e rozzo ne ha inventate di ogni sul suo conto, ma la vera storia qual è?». Non ottenendo alcuna risposta, proseguì nel racconto. «Si dice che fosse la figlia illegittima di un’amazzone e un elfo. Due etnie in lotta dalla nascita del mondo noto, una devota alla ragione, alla conoscenza filosofica; l’altra alla guerra. Eppure, due giovani si innamorarono, non ci è dato sapere se fu la bella amazzone a essere salvata ai piedi delle Montagne Ululanti, oppure fu il giovane elfo a essere portato in salvo dai territori di Scizia. Ciò che è certo è che il loro amore diede alla luce una splendida bambina, dai capelli neri e poteri eccezionali, un essere così potente da essere affidato fin da subito all’Accademia magica. Ci avrebbero pensato i maestri magi a crescerla e a tenere sotto controllo un potere illimitato».
Nella sala del trono era calato il silenzio. Tutti i presenti conoscevano quella storia, ma Seth sapeva narrarla con trasporto e temevano il passo successivo del racconto.
«Si è ipotizzato che i rapporti tra amazzoni e arcieri siano vietati proprio perché nascerebbero esseri troppo potenti», il guerriero gentiluomo Drew fu l’unico a parlare, alleggerendo la tensione.
«Allora non sei solo muscoli, dolcezza» Seth gli strizzò l’occhio e l’omone ricambiò mandandogli un bacetto. Qualcuno sorrise. «La bambina crebbe rinchiusa nelle torri di cristallo, ignara delle sue enormi capacità magiche, trattenute da un’antica runa che i maestri magi le avevano tatuato sulla coscia appena era stata affidata loro. La runa di contenimento funzionò fino a un certo punto…». Il mago si arrestò, l’atmosfera era di nuovo diventata pesante. «La Dama diventò una splendida donna e ben presto lasciò l’accademia per maritarsi con un giovane guerriero conosciuto durante una missione di routine. I due si innamorarono e presto si sposarono, nulla ostacolò il loro matrimonio, non ce n’era motivo. Dopo un anno nacque una meravigliosa bambina, molto somigliante alla madre, con lunghi riccioli scuri e occhi dello stesso colore delle foglie primaverili. Ahimè, – adesso arriva la parte triste – alcuni briganti attaccarono il piccolo villaggio in cui vivevano. A nulla servirono i pochi poteri magici di cui la Dama disponeva, la runa era troppo vigorosa per spezzarla da sola. Dopo saccheggi e razzie la legarono al tronco di un albero e uccisero la sua bambina proprio davanti ai suoi occhi, trapassandola da parte a parte con uno stiletto. Il dolore e l’angoscia furono così grandi, così smisurati, che la Dama urlò con tutte le sue forze, un grido straziante. I lunghi capelli corvini si stinsero, perdendo ogni colore, la runa tatuata sulla coscia letteralmente si frantumò, e un potere immenso si espanse dalla sua persona, simile a un’onda, scaraventando a chilometri di distanza – o almeno questo è ciò che raccontano i libri – i briganti e il villaggio intero. Non si salvò nessuno, neanche un sopravvissuto. La Dama con il suo potere uccise un’intera comunità; marito e famiglia di quest’ultimo; amici e anziani; donne e bambini. Li sterminò tutti!
Ecco perché ogni notte la Dama del Vento soffia sui villaggi e sulle case il proprio alito mortale, portando con sé anime quiete, vendicandosi del dolore che lei stessa ha provato, affinché altre madri capiscano il proprio strazio e altre bambine smettano di vivere, come la sua». Seth finalmente si arrestò dal raccontare, il sorriso era ormai svanito dal volto degli ospiti. «Si dice che possa assumere qualsiasi forma voglia: aria, acqua, belve feroci o docili animali, avvenenti donne o anziani saggi. Infine, chi divorerà il suo cuore si trasformerà nell’essere più potente che sia mai esistito, pari a un dio immortale…» scrutò i suoi potenziali compagni di squadra, poi proseguì. «Quindi approfittate di questa nottata per capire veramente perché siete qui, chiedetevi “cosa mi spinge a intraprendere questo viaggio dall’esito incerto”?».
Per un po’ nessuno osò rispondere e la regina Deme prese la parola.
«Non c’è bisogno di meditare ulteriormente. La Dama va fermata, proprio per tutto quello che hai raccontato, mago. Domattina ci ritroveremo all’alba, nella sala della guerra, decideremo insieme la strada da percorrere e la strategia da adottare». Quindi si alzò, muovendosi a fatica nell’ingombrante abito da regina.
«Domani l’Arcimago ci onorerà della sua presenza?». Le chiese Charlotte prima che Deme potesse sparire oltre il portone a est.
«Forse», rispose solo quest’ultima, lanciando un ultimo sguardo alle sue spalle, sperando di incrociare quello del reggente del Regno di Metallo.
 
 

 

 
Una leggera pioggia aveva iniziato a cadere da quando il sole era tramontato oltre le Montagne Ululanti a nord. Le vie della capitale Osihria si erano svuotate, le bancarelle del mercato rionale avevano chiuso i battenti da diverse ore e i camini fumavano per tenere al caldo le famiglie.
I corridoi del castello erano silenziosi a quell’ora della notte che precede il momento più buio, quando anche la luna è in fase calante. Le fiamme delle torce ai muri disegnavano ombre inquietanti che sembravano allungare le proprie dita per afferrare l’anima rinchiusa nei ritratti che abbellivano le pareti di crudo mattone.
Il reggente di Kratøos scrutava i volti dei re che avevano seduto sul trono del Regno Magico, antenati di Taliesin l’Ammalato. Si chiese se anche lui un giorno fosse finito con il suo bel viso impiantato sopra una tela, con lo sguardo ammiccante e fiero a osservare la gente passare dinnanzi a lui, senza far più parte della vita vera.
Non voleva finire così, come quei vecchi re abbandonati in un quadro impolverato, il suo regno non sarebbe finito… mai.
I gemelli Jey e Joy lo seguivano qualche passo più indietro, muovendosi in simultanea, quasi fossero l’uno il riflesso dell’altro. Sapevano dove li stava conducendo lo zio, il loro re, ma non avevano posto alcuna domanda al riguardo, né fatte successivamente.
Finalmente Namor si fermò davanti una porta di semplice manifattura, la quale sarebbe potuta essere scardinata con due spallate ben assestate. Probabilmente, quella era stata la stanza di una cameriera – e forse lo era ancora – al servizio di sua maestà. Namor rimase qualche secondo a fissare il vuoto, ma non indeciso sul da farsi, piuttosto sembrava ripassare a mente quello che presto sarebbe accaduto, o magari le battute da pronunciare, infine si rivolse ai nipoti:
«Restate di guardia», disse solo e senza attendere oltre aprì la porta ed entrò.
L’interno della stanza era male illuminato, poche candele consumate erano state disposte su un antico mobile di legno massiccio, rovinato dalle tarme; il letto, messo perpendicolare alla parete di sinistra, era scarno, ma con lenzuola pulite e una calda coperta piegata e sistemata all’angolo più in basso; al lato opposto c’era invece una toiletta in ferro battuto, arrugginita in più punti, con diversi cosmesi adagiati sulla superficie, segno che quella era effettivamente una stanza che veniva ancora ora utilizzata da una donna. Di certo non da colei che gli dava le spalle.
Deme era in piedi davanti alla piccola finestra a due ante che affacciava sul frutteto del castello, da quell’angolo di palazzo si poteva notare anche una porzione di cristallo dell’Accademia. Splendente come sempre, sia che ci fosse il bel tempo, sia che piovesse.
«Tina gode davvero di un bel panorama» disse, continuando a tenere l’attenzione fissa davanti a sé. Tina, evidentemente, era la cameriera che soggiornava in quella stanza.
«Mai quanto il mio». Namor osservò le trasparenze della veste che la regina aveva calzato per l’occasione. Si trattava di una modesta camicia da notte, lunga fino alle caviglie, di un tenue color sabbia, dal tessuto tanto leggero da lasciar intravedere ogni forma celata al di sotto dell’inconsistente seta. I lunghi capelli castani coprivano con le loro onde l’intera schiena, lasciando però scoperto il bacino e le gambe.
Deme finalmente si girò verso di lui, il quale non riuscì più a resistere alla visione della regina, il cui corpo giovane e perfetto sembrava richiamarlo, simile a un corno di guerra. I seni della donna spiccavano sodi al di sotto del tessuto, come pesche appena sbocciate; la rigogliosità tra le gambe era un invito alla sua mascolinità che non tardò a farsi sentire. Con due falcate la raggiunse, prendendo a baciarle il collo, scendendo fino al centro, fra i due seni. Lei gli sciolse i capelli che solitamente portava legati, erano neri e folti e vi si aggrappò con forza quando le sollevò l’orlo dell’abito fino all’inguine.
«Dobbiamo fare in fretta, mio re, non abbiamo molto tempo…» Deme serrò le labbra per non urlare il suo piacere. «La cameriera è nelle cucine a preparare la colazione…».
Namor tornò in piedi, era davvero molto bello, pensò la regina, meravigliandosi che non avesse una moglie, né tantomeno dei figli. Le malelingue dicevano che fosse sterile, perciò nessuna donna lo voleva sposare, i più maliziosi affermavano che gli piacessero gli uomini. Ma Deme avrebbe potuto disdire quest’ultima maldicenza in breve tempo.
La loro storia clandestina era cominciata qualche anno addietro, sebbene l’attrazione si fosse palesata fin da subito.
Quando uno dei sovrani convolava a nozze, erano soliti invitare i reggenti dei regni amici. Il matrimonio fra lei e Taliesin era stata dunque la prima occasione in cui si erano presentati. Deme, nel suo splendido abito azzurro – il colore delle nozze del Regno Magico che richiamava appunto l’Accademia di cristallo –, aveva avvertito una strana sensazione alla bocca dello stomaco quando il principe del Regno di Metallo si era inchinato per baciarle il dorso della mano. Namor aveva accompagnato suo padre, l’allora re di Kratøos, e sarebbe diventato sovrano qualche anno dopo. Era bello già da ragazzo, con la pelle del viso sbarbata e i capelli che gli arrivavano appena appena alla nuca, ma erano gli occhi la parte più affascinante di lui. Occhi neri, profondi, accompagnati da una voce calda e suadente, che sembrava avvolgere chiunque l’ascoltasse.
I due avevano avuto altre occasioni per incontrarsi, e sebbene Deme provasse sempre un certo disagio a stare nella stessa stanza con lui, il re del Regno di Metallo al contrario sembrava non accorgersi affatto di quel suo imbarazzo, né dava l’impressione di interessarsi a lei oltre gli accordi tra i due regni.
Poi Taliesin si era ammalato e qualcosa era cambiato. Durante il matrimonio del terzo figlio del re di Eos, capitale del Regno del Vento, Deme aveva presenziato da sola alla cerimonia, accompagnata da uno stuolo di guardie magiche, il cui compito era quello di scortarla durante il viaggio. Per tutto il tempo della celebrazione, Namor non le aveva tolto un attimo gli occhi di dosso, risultando alquanto irrispettoso nei confronti di una regina. Quest’ultima non aveva tardato a farglielo notare quando si erano ritrovati da soli sul terrazzo del palazzo reale di Eos. Erano lontani i tempi in cui un suo sguardo le procurava le farfalle nello stomaco, facendole risultare difficile anche solo parlare senza balbettare. Era una regina ormai, con delle responsabilità maggiori dal momento che doveva sopperire alla mancanza del re suo marito. Namor non l’aveva neanche ascoltata, interrompendo il suo monologo con un bacio – dopo essersi accertato che nessuno li vedesse. Il giorno della partenza aveva invitato la regina di Osihria e la sua truppa militare a fermarsi per una sosta al castello di Kratøos:
«Il viaggio è lungo ed estenuante, inoltre è raccomandabile non muoversi durante le ore notturne».
Deme aveva accettato, a suo rischio e pericolo, poiché sapeva benissimo a cosa sarebbe andata incontro quella notte.
Una volta, dopo aver fatto l’amore, mentre erano sdraiati sul letto e lei gli teneva la testa sull’addome, aveva osato chiedergli perché non avesse una moglie. Namor aveva semplicemente risposto che non aveva bisogno di una donna per regnare.   
«Neanche di una prole? Chi ti succederà sul trono, quando non ci sarai più?»
«Mangerò il cuore della Dama del Vento» aveva risposto il sovrano serio e Deme era sembrata allertarsi. Aveva alzato il capo per guardarlo negli occhi:
«Davvero?»
«Immagina», aveva continuato lui, «io potrei vivere per sempre, regnare su queste terre, avrei immortalità e potenza dalla mia parte. Tu…» le aveva accarezzato il viso, soffermandosi sulle rughe intorno alla bocca, «… beh, tu potresti essere bella e giovane per l’eternità.»
«Anche io dovrei mangiarne un pezzo?»
«No, ti farei un incantesimo.»
«E sarei la tua regina?»
Namor le aveva dato un bacio sulla fronte e lasciato che lei tornasse ad adagiarsi su di sé. Nessuno dei due aveva più toccato l’argomento, neanche quando Deme lo aveva convocato per esporgli il suo piano di uccidere la Morte di Bianco Vestita.
 
Il monarca di Kratøos la voltò di schiena, sollevandole l’abito da notte fino al bacino, entrandole dentro con movimenti lenti e cadenzati, come sapeva le piacevano. Deme si puntellò sul davanzale della finestra con un gomito, la mano libera aperta contro i vetri bagnati di condensa. Si godé il momento, inebriandosi di piacere, mentre osservava il panorama davanti a sé e pregustando il sapore del cuore della Dama del Vento che l’avrebbe resa bella e giovane per l’eternità.
 
 
 
 
Osihria, Sala della Guerra
 
Un grosso tavolo di legno massiccio occupava il centro della camera, le cui pareti erano adornate da vecchie mappe ritraenti il Continente Abitato. Ognuna di esse riportava un aggiornamento riguardante il mondo conosciuto: nuovi confini; territori ancora inesplorati; piccoli villaggi sorti nel corso dei secoli; rotte commerciali e strade battute.
Un’altra cartina geografica era stata dispiegata lungo il tavolo, così grande che tutti i presenti potevano leggerne i nomi delle città riportate e i confini dei relativi regni.
Il vecchio Arcimago non si era palesato neanche per la riunione strategica, nonostante la regina Deme gli avesse fatto recapitare l’ennesimo invito a partecipare per decidere il piano da adottare in quella missione. Avrebbero avuto bisogno di lui come l’acqua nel deserto: Volkàn conosceva il mondo meglio di chiunque altro in quella sala, perché era il più anziano e soprattutto avrebbe potuto consigliare la migliore strategia per scovare e affrontare la Dama del Vento.
Taliesin l’Ammalato sedeva al canto di sua moglie, la testa ripiegata su se stessa e lo sguardo perso nel vuoto. Ogni tanto aveva un sussulto, Deme allora gli rivolgeva un’occhiata furtiva, per assicurarsi che non soffocasse con la sua stessa bava.
La regina del Regno Magico aveva studiato un piano d’azione con il generale delle guardie magiche imperiali. In realtà, era stata una specie di chiacchierata, quando durante un viaggio gli aveva domandato la strada più veloce e sicura per raggiungere la città di Vanesia, ai confini del Continente Abitato. Adesso la stava illustrando ai presenti, facendolo sembrare il piano di Volkàn. Si alzò, afferrando una sottile asta di legno alle sue spalle, quindi indicò con la punta la capitale Osihria, al centro della cartina geografica.
«Voi siete qui. Raggiungerete la Roccaforte Inespugnabile, porta d’ingresso per il Regno di Metallo, dove sono sicura non avrete problemi di lasciapassare…», la regina lanciò un’occhiata a Namor, seduto alla sinistra di suo marito.
«Assolutamente, i miei uomini saranno debitamente informati del vostro arrivo. Lì troverete buon ristoro per passare la notte e rifocillarvi, in vista del lungo viaggio per le terre aspre del mio regno», promise lo stesso re di Kratøos.
«La vostra prossima meta sarà poi il Regno del Vento…»
«Ehi, le mie ragazze non possono mettere piede lì!». La interruppe Charlotte.
«Lo so, e non lo faranno. Dovranno solo varcare le Montagne Ululanti per raggiungere la città di Vanesia.»
«Vanesia? La città della pioggia perenne?» Chiese Drew.
«Che c’è guerriero? Hai paura che ti si arrugginisca lo spadone?» Seth rise sguaiato, sopra le righe come era suo solito, ma nessuno gli diede peso.
«Esatto: Vanesia! Qui noleggerete una nave per raggiungere la Foresta di Nebbia», continuò Deme.
«Il Regno del Vento dispone di due velieri che occupano una parte del porto, non avremo problemi a imbarcarci» fece sapere Da’miàn.
«Dobbiamo lasciare il Continente Abitato?» Questa volta era stata Becky a interrompere la regina di Osihria. «Il Continente Nebbioso è pericoloso, sapete cosa si dice di quella nebbia? Che sia stregata! Che causi allucinazioni così reali che le persone credono di vivere davvero quello che vedono, nessuno ha mai fatto ritorno da quel bosco fitto e pericoloso!» Poi si voltò verso la sua regina, seduta fra lei e Rhonda, battendo entrambi i palmi sul tavolo. «Charlotte, ne vale davvero la pena combattere questa guerra? Rischiare la vita per una causa che non ci tocca da vicino?»
La regina delle Amazzoni la guardò e rispose con un rigido sì.
Becky tacque, pensierosa.
«Ehi, tesoro, dimentichi che hai dalla tua parte il mago più potente dell’Accademia, il prescelto di Volkàn!» Seth le strizzò l’occhio e Becky storse il muso, infastidita.
«Regina Deme» fu di nuovo l’arciere Dà’miàn a interrompere quella farsa, «perché dovremmo recarci nella Foresta di Nebbia? Pensate che la Dama del Vento possa nascondersi lì?».
Deme tornò a sedersi, cercando con attenzione le parole da usare. L’Arcimago le aveva detto qualcosa circa una donna, imparentata con la Morte di Bianco Vestita, ma adesso non rammentava l’intera faccenda. Ancora una volta, fu il mago Seth a spiegare la situazione:
«Per tutti i maghi dell’Accademia, ma non sapete proprio niente! Che ignoranti! Con chi mi toccherà viaggiare!» Si dondolò sulla sedia, un sorriso beffardo gli arricciava le labbra sottili, fingendo di soppesare l’idea di raccontare la storia della Dama del Vento, infine cominciò:
«La nostra cara Dama fu accudita dalla nonna paterna fin quando nascondere la sua natura era ormai diventato impossibile. Fu la nonna a portarla dai maghi e a chiedere loro che se ne occupassero, o meglio…» Seth sollevò un indice, «che la aiutassero a controllare il suo enorme potere. La Dama, diventata adulta, non dimenticò la cara nonnina e dopo il fattaccio – l’uccisione della figlia e bla bla bla – tornò a prendere la vecchia, l’unica persona che le era rimasta cara, e la portò nella Foresta di Nebbia, facendole un incantesimo di immortalità. Si dice che la nonnina sia ormai centenaria e che la Dama torni a farle visita di tanto in tanto». Il mago guardò la regina Deme direttamente negli occhi: «È per questo che la nostra ultima meta è il Continente Nebbioso: dobbiamo scovare la cara nonnina, minacciarla di morte, in modo che la Dama corri in suo aiuto e a quel punto per lei sarà troppo tardi, sarà finita nella nostra trappola!».
Nessuno dei presenti conosceva il vero potere magico di quel mago strambo e stravagante, ma di sicuro era scaltro. E ben informato.
«Ci sono domande?» Chiese la regina Deme.
«Si…» era stato Drew a parlare, «come la ammazziamo? La Dama del Vento non ha forma, non ha un corpo fisico, lei è aria. Un soffio di vento…»
«Questo sta a voi capirlo.» Deme strinse con forza i braccioli delle sedie, se l’Arcimago fosse stato lì avrebbe saputo rispondere, invece si doveva limitare a restare sul vago. «La partenza è fra pochi minuti, approfittatene per fare le ultime commissioni e risolvere eventuali problemi. Nelle scuderie troverete un carro pronto per voi e destrieri. Se vi serve altro fatemelo sapere e provvederò a esaudire ogni vostra richiesta.»
«Dov’è l’esercito che ci avevi promesso?» Le chiese Charlotte.
«Sono loro l’esercito: i migliori uomini dei quattro regni. Non servono orde di combattenti, bastano i più forti.» Era una menzogna, ma la regina di Osihria sperò di apparire il più convincente possibile. Ancora una volta Volkàn le si era messo di traverso, quando aveva respinto la richiesta di cento soldati magici da inviare in missione. Sebbene le guardie imperiali rispondessero al re di Osihria, restavano maghi al servizio dell’Accademia e senza il consenso dell’Arcimago non erano tenuti a partecipare alle guerre del Regno Magico.
«Bene. Le ragazze che partiranno saranno Rhia, Shayna e il mio generale Becky. Ci vediamo alle scuderie». Charlotte si alzò e lasciò la sala, seguita a ruota dalle sue guerriere amazzoni.
Lungo il corridoio Beanka fiancheggiò la sua regina, contrariata per essere stata esclusa dalla squadra. Charlotte si fermò, la sovrastava in altezza, ma di certo non in fisico.
«Per te ho un’altra missione: resterai qui, a Osihria, e veglierai sulle mosse di quella arpia. Non mi fido di lei. Uccidere la Dama del Vento, che sciocchezza! Sta tramando dell’altro e tu, cara Beanka, scoprirai cosa. Rhonda tornerà a Scizia con me, le altre partiranno con il resto del gruppo. Andate a prepararvi adesso, riposate, mangiate. Ne avrete bisogno».
Le ragazze si mossero all’unisono, come perfetti soldati, ma quando Shayna passò al fianco della sua regina, questa la fermò per un polso, sussurrandole di ricordare il loro patto: qualsiasi cosa fosse accaduta, avrebbe dovuto prendere il cuore della Morte di Bianco Vestita e portarglielo. Shayna annuì, accennò un inchino e si allontanò.
 

 

 
L’imperatore di Kratøos montò sul proprio cavallo, un purosangue corvino come il colore dei suoi capelli, quindi rivolse lo sguardo verso l’alto, in direzione della sala del trono, dove sapeva che la regina Deme era in attesa di vederli partire, al di là dell’ampia finestra del castello, poi con un colpetto al fianco del destriero si posizionò a capo della compagnia, al canto di Charlotte.
Quando ormai avevano lasciato la capitale del Regno Magico, Namor parlò alla regina delle Amazzoni:
«Non vedo una delle tue guerriere, mia signora.»
«Attento come sempre, Namor. Beanka ha dei parenti qui a Osihria, mi ha chiesto di intrattenersi qualche giorno per rendere loro omaggio.»
«Siete più clemente di quello che si dice.»
Charlotte rise, i suoi lunghi capelli biondi emanarono un riverbero di sole.
«Oh, Namor, non crederete a tutto ciò che Deme vi dice, vero? Siete troppo sveglio e perspicace».
Il re del Regno di Metallo tenne fisso lo sguardo davanti a sé, sapeva che Charlotte si stava riferendo alla sua storia clandestina con la regina del Regno Magio, moglie di Taliesin l’Ammalato. In realtà, sembrava lo sapessero tutti, anche gli abitanti di villaggi lontani, evidentemente così clandestina, come loro la credevano, non doveva esserlo.
Proseguirono ad andatura costante per tutto il giorno. Nessuno si lamentò, in fondo erano guerrieri, abituati alla lotta e alle guerre, una lunga cavalcata nelle verdeggianti pianure del Regno Magico non poteva sfiancarli.
Raggiunsero i confini dell’impero quando mancavano poche ore al tramonto. In lontananza si poteva già notare il bivio che avrebbe condotto Charlotte e Rhonda al proprio regno.
«Scorterò la compagnia fino alle mura di Kratøos» la informò Namor, senza che la regina di Scizia glielo avesse chiesto. «Buon rientro, mia signora.»
«Bene. Vi auguro buon viaggio» Charlotte si voltò indietro, lanciando un ultimo sguardo d’intesa a Shayna, poi spronò il proprio cavallo a macchie bianche e nere, galoppando con il suo generale Rhonda in direzione del Regno di Scizia.


 

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Capitolo 3
*** III. ***


 
III.

 
 
Osihria, Capitale del Regno Magico
 
Quando la dirigenza partita da quello sperduto villaggio tra il Regno del Vento e il Regno di Metallo giunse a Osihria, erano trascorsi tre giorni.
Edgemas cominciava a credere che non sarebbero più arrivati. Certo, durante il viaggio erano stati attaccati un paio di volte dai lupi e avevano avuto problemi con una ruota del carro che si era affossata nel fango, inoltre il cocchiere temeva la notte come la peste, diceva che esseri pericolosi abitavano le strade, perciò era meglio non viaggiare per non rischiare di risvegliare le anime dei morti ammazzati.
Edgemas era stato tentato di proseguire a piedi, ma sapeva che se fosse sceso da quella carrozza, le sue gambe lo avrebbero portato altrove, lontano dalle torri di cristallo di cui aveva scorto il bagliore a chilometri di distanza.
Adesso si ergevano alte e imponenti proprio alle spalle del castello. Sembrava non fosse trascorso neanche un giorno da quando era andato via, eppure di cose ne erano capitate.
Incamminandosi per le strade della capitale si chiese come avesse trovato l’Arcimago, se lo avesse accolto con il sorriso o fosse contrariato. Seth aveva detto che chiedeva di lui, aveva una missione da affidargli: uccidere la Dama del Vento.
Mentre risaliva le viuzze notò come quella città fosse mutata poco da quando era andato via, anni addietro. Le case di mattoni grigi continuavano a provocargli la sensazione di soffocamento, le persone erano fin troppo numerose per quelle stradine e il mercato nella piazza centrale caotico come lo ricordava. Si vendevano animali vivi, altri morti, qualcuno già macinato e pronto all’uso. Stoffe dai colori sgargianti provenienti da ogni angolo di mondo conosciuto; odori speziati permeavano l’aria donando una sensazione di vertigine e nausea.
Edgemas lo attraversò calandosi il cappello del mantello sul capo: tutto ciò era uno dei motivi per cui aveva lasciato Osihria. Camminava con il capo chino e le spalle curve, senza curarsi delle persone che involontariamente urtava. Tra queste si scontrò con una ragazza, la quale non si lagnò della spallata ricevuta né rischiò di inciampare, era ben piazzata, con le spalle muscolose, di certo differente dalle giovani di Osihria.
Edgemas incrociò il suo sguardo, aveva occhi scuri e la pelle color caramello, anche lei con un cappuccio calato sul capo. Si fissarono per qualche secondo, senza indietreggiare, entrambi consapevoli di trovarsi di fronte a un forestiero della capitale. Il mago proseguì per la sua strada, forse il più distratto fra i due, il suo unico pensiero era quello di raggiungere il palazzo di cristallo, sentire ciò che Volkàn aveva da dirgli, e ripartire il più presto possibile.
 
Beanka dal canto suo lo pedinò. Charlotte le aveva chiesto personalmente di indagare sulla regina Deme, di scoprire se avesse un piano B, di aprire gli occhi e fare attenzione a qualsiasi cambiamento o indizio la insospettissero. E l’uomo che aveva appena urtato l’aveva incuriosita abbastanza, soprattutto quando aveva notato la punta di un bastone che fuoriusciva dal lungo mantello grigio che indossava.
Era un mago, dunque? Vestito come un mendicante? Qualcosa non tornava…
La compagnia era partita da un paio di giorni, ormai dovevano aver raggiunto il Regno di Metallo, e sebbene l’amazzone si sforzasse di vedere il lato positivo della sua personale missione, scalpitava dalla voglia di lasciare Osihria, quindi prima avrebbe scoperto qualcosa, prima sarebbe potuta tornare a Scizia a riferirlo alla sua regina.
Beanka vide lo straniero entrare nell’Accademia, le sentinelle all’ingresso del grande portone di vetro gli sbarrarono la strada con i propri bastoni, conversarono un po’ – purtroppo non riuscì a cogliere cosa si stessero dicendo – e infine lo lasciarono passare senza opporre resistenza. Pensò di fare lo stesso, se ci era riuscito lui non vedeva perché con lei avrebbero dovuto fare problemi.
«ALT!» I bastoni delle guardie magiche si unirono a formare una specie di croce, sbarrandole il passaggio. «Solo i maghi o coloro che hanno udienza con l’Arcimago possono entrare nell’Accademia».
«Io… ho udienza con l’Arcimago» mentì l’amazzone.
Una delle due guardie mosse gli occhi per guardarla.
«Parola d’ordine.»
«Che?»
«Sparisci, donna!»
Beanka fu sul punto di protestare, ma l’occhiata delle sentinelle le fece cambiare idea e fare dietrofront. Avrebbe atteso l’uscita dello straniero nascosta tra i cespugli che costeggiavano la strada.
Dopo due ore dell’uomo incappucciato neanche l’ombra, eppure qualcosa si era smosso in quel lasso di tempo infinito: anche la regina Deme aveva varcato la soglia dell’Accademia di Cristallo.
 
 

Osihria, Accademia dei Maghi ₰
 
L’Arcimago Volkàn si muoveva agitato, calpestando ogni centimetro della sala, facendo cozzare con violenza la punta del suo bastone sul pavimento. Quando la guardia gli aveva annunciato l’arrivo a palazzo del mago Gareth Edgemas Anders quasi non aveva creduto alle sue orecchie. Edgemas? A palazzo? Ma non era partito con il resto della compagnia? Seth… cosa aveva combinato?
Ripensò ai numerosi inviti che la regina Deme gli aveva fatto recapitare nelle ultime ore, ai quali lui aveva rinunciato con garbo e fermezza. Quella donna non le piaceva, temeva che uccidere la Dama del Vento fosse solo un modo per avere un tornaconto personale. Ma adesso, trovandosi Edgemas a pochi metri da lui, si pentiva amaramente di non aver accettato di presiedere almeno a uno di quegli inviti.
Quando il giovane mago varcò la soglia della sala, Volkàn si arrestò, osservandolo a lungo. Era cambiato, era più magro e vestito di stracci, i capelli si erano allungati e non avevano un taglio definito, anche la barba era incolta e urgeva una sistemata, ma era lui, il suo caro ragazzo.
«Edge…» lo chiamò.
«Ehi, Volkàn, ti trovo invecchiato!» Scherzò il Mago Vikingo, provando un profondo sollievo nel constatare che sì, gli anni cominciavano a farsi sentire sulle spalle del suo maestro, ma tutto sommato stava bene. Tuttavia, si allarmò vedendolo muoversi nella sua direzione, afferrandolo per le braccia e scuotendolo:
«Ho paura che Seth ne abbia fatta una delle sue! Ho paura che abbia preso il tuo posto nella compagnia.»
«Calmati vecchio, sono qui adesso! Dimmi cosa devo fare!».
L’Arcimago ordinò a una delle sue guardie di convocare immediatamente la regina Deme, poi iniziò a raccontare a Edgemas del piano della sovrana di annientare una volta per tutte la Dama del Vento. Per questo motivo, aveva chiamato a raccolta i tre regni alleati, chiedendo loro di scegliere i migliori guerrieri e a lui di mettere a disposizione della missione il più potente dei maghi. Volkàn si era detto contrario a questa follia, la Morte di Bianco Vestita era un’entità malvagia e potente, pari a un dio, dei semplici uomini non avrebbero potuto annientarla. Ma la donna non aveva voluto sentire obiezioni, affermando che questo era il volere del re Taliesin. A quel punto, l’Arcimago non si era potuto rifiutare, inoltre sconfiggere la Dama del Vento avrebbe significato porre fine alla piaga peggiore del mondo conosciuto. La gente era stanca, viveva nel terrore che le proprie bambine venissero ammazzate nel sonno, si organizzavano ronde notturne e l’angoscia cresceva quando si accorgevano che a nulla erano servite per evitare il peggio.
C’era tuttavia un altro problema: una leggenda che circolava tra i popoli diceva che chiunque avesse mangiato il cuore della Dama ne avrebbe acquisito i poteri. Volkàn sospettava che in realtà la regina di Osihria mirava proprio a quello, magari era il medesimo obiettivo degli altri regnanti. Lui non sapeva se quelle voci fossero vere, ma se lo fossero state l’equilibrio del Continente Abitato, raggiunto non senza sforzi, sarebbe stato messo in discussione. Perciò, alla fine, aveva accettato di mandare il suo migliore uomo in missione, a patto che fosse stato lui il punto di riferimento della compagnia, il resto dei guerrieri sarebbe dovuto essergli di supporto. L’Arcimago non aveva avuto dubbi su chi scegliere: Edgemas, un Elementalista potente, assennato e giudizioso, che avrebbe saputo cosa fare al momento opportuno. Aveva chiesto a Seth di scovarlo e portarglielo, ma qualcosa era andato storto.
Edgemas, dal canto suo, spiegò al maestro come erano andate le cose, Seth l’aveva sì incontrato, peccato che gli avesse teso una trappola e lui non aveva potuto fermarlo.
I due stavano ancora discutendo quando la regina Deme varcò le porte di cristallo dell’Accademia, indispettita come non mai.
«Volkàn! Ho chiesto di voi per giorni e tutti gli inviti mi sono stati negati! Adesso pretendete la mia presenza qui…». La donna avanzò nella sala, muovendosi con agilità nonostante l’ingombrante gonna di crine, quindi osservò l’uomo mal vestito al fianco dell’Arcimago.
«Deme, non è il momento della collera. La compagnia è partita?»
«Sì. Due giorni fa».
Volkàn si sedette sulla sua poltrona di vetro, una sorta di trono, sorreggendosi il capo con la mano.
«C’era anche un mago con loro? Come si chiamava?»
«Seth, un egocentrico narcisista. Spero che tu abbia scelto bene, perché gli ho affidato probabilmente la guerra più importante che il mondo conosciuto avrà mai combattuto!» Tuonò Deme, lanciando di tanto in tanto un’occhiata a Edgemas.
«Mi dispiace, mia regina, non era Seth l’uomo che avevo scelto. Ha ingannato me e ha ingannato voi. Lui è il mago giusto». Volkàn finalmente lo indicò, poi tornò in posizione eretta, sembrava essersi ripreso dal colpo. «Edgemas, prendi il cavallo più veloce e raggiungi la compagnia. Viaggiando da solo dovresti riuscire ad arrivare a Eos, capitale del Regno del Vento, prima che lo facciano loro. Conosci strade secondarie e scorciatoie per evitare demoni e bestie feroci. Avrei voluto avere più tempo per chiacchierare con te come eravamo soliti fare, davanti a un buon vino caldo e cibo, ma non è questo il momento più adatto. So di chiederti molto, sarai stanco e affamato. Prendi tutto quello che ti serve dalle cucine, fai scorta di ogni cosa, ma ti prego, parti subito».
«Sì, maestro!» Il mago Vikingo accennò un leggero inchino nei confronti di Deme, la quale gli disse:
«La compagnia non entrerà a Eos, ci sono delle amazzoni. Valicheranno le Montagne Ululanti passando per la miniera, la loro meta sarà Vanesia. Se non riuscirai a raggiungerli nella Citta della Pioggia non potrai più farlo.»
«Ho capito», il mago fece per lasciare la sala di cristallo, quando Volkàn lo chiamò un’ultima volta:
«Non so come sconfiggere la Dama del Vento, ma semmai doveste riuscirci, ricordati di portarmi il suo cuore: lo distruggerò personalmente per essere certo che nessuno lo sfiori!».
A quelle parole la regina del Regno Magico si irrigidì, ma non proferì parola, mentre Edgemas annuì con il capo e uscì.
 
 
Beanka vide Edgemas passarle davanti, senza accorgersi di lei mimetizzata fra i cespugli. Portava con sé uno splendido esemplare di giumenta, dal manto bianco come la neve. La sella di ottimo materiale era stata appesantita da sacchi di tela e borracce: era facile immaginare che l’uomo fosse pronto a intraprendere un viaggio. Lo seguì, con il cappuccio calato sul capo e la testa china, provando a mischiarsi alla folla del mercato, poi lo vide legare il cavallo a uno dei pali di legno davanti alla taverna. Beanka si stupì, che non fosse in procinto di partire?
Indecisa sul da farsi, alla fine entrò anche lei nel locale. Immediatamente un forte odore di sidro e tabacco le fece storcere il naso, non aveva mai amato gli odori forti, men che meno quelli che ricordavano gli uomini, i più grezzi. Ma non doveva distrarsi, la sua regina le aveva affidato un compito e dopo giorni di inattività sentiva che qualcosa cominciava a muoversi. Notò un pezzo di stoffa del mantello grigio del mago sparire oltre la porta in fondo, non capiva cosa avesse in mente.
L’amazzone si guardò attorno furtivamente, mentre attraversava l’intera sala e raggiungeva la medesima porta. L’aprì, accertandosi che nessuno la seguisse, poi la richiuse con garbo alle sue spalle, ma non ebbe neanche il tempo di comprendere dove si trovasse, poiché si sentì afferrare per il collo e sbattere contro l’anta di legno, umida e ruvida. Qualcuno le tirò via il cappuccio dalla testa, rivelando i suoi ricci e scuri capelli intrecciati, lunghi quasi al ginocchio. Beanka cercò di divincolarsi, senza riuscirci: l’uomo incappucciato le teneva i polsi stretti in una morsa e un gomito spingeva contro la nuca.
«Chi sei? Chi ti manda?» Le chiese.
«Non mi manda nessuno. Lasciami!» Rispose lei, continuando a dimenarsi sperando di alleggerire almeno un po’ la pressione alla base del collo. «Lasciami!».
Edgemas riconobbe l’acconciatura, l’abbigliamento e la forza tipica delle donne di Scizia. Era un’amazzone, nessun’altra femmina avrebbe potuto avere quella potenza e quei muscoli, neanche le donne del Regno di Metallo che si distinguevano per i loro capelli arruffati e la stazza imponente, da matrona vichinga, ma non muscolosa. Perché, dunque, un’amazzone lo stava inseguendo? Ricordò le parole pronunciate pocanzi dalla regina Deme: la compagnia non avrebbe sostato a Eos giacché vi erano delle amazzoni e lì, nella capitale del Regno del Vento, non erano le benvenute.
«Sei un’amazzone?» Le domandò solo per avere conferma, ma lei non rispose, quanto meno sembrava aver smesso di dibattersi. «Ti lascerò andare, ma tu dovrai dirmi perché mi stavi pedinando.» Ancora nessun accenno di consenso. «Ci siamo intesi, donna?». Questa volta la ragazza annuì, tuttavia, appena avvertì la pressione alleggerirsi sul suo corpo, si voltò di scatto e atterrò sul Mago Vikingo, facendolo capitolare con la faccia sul pavimento, con lei cavalcioni sopra schiena. Gli afferrò entrambe le braccia e gliele contorse all’indietro, facendolo urlare di dolore.
Solo allora Beanka si accorse di trovarsi al chiuso e non all’aperto come aveva creduto. Era la dispensa della locanda, formaggi e salumi pendevano dal soffitto, mentre la superficie era occupata da decine e decine di botti. L’umidità e l’odore di cibo creavano un miasma nauseabondo.
«Sei entrato nell’Accademia, poi ne sei uscito con un cavallo e scorte per un anno, perché?»
«Che lungimiranza, complimenti amazzone!»
Beanka gli torse ancora un po' le braccia e lui di nuovo urlò. La sopportazione al dolore fisico non era mai stata il suo forte.
«Credo che siamo qui per lo stesso motivo, donna! Lasciami andare e…»
«No, me lo dirai ora!»
Edgemas socchiuse gli occhi, iniziando a sussurrare parole incomprensibili a fior di labbra. Non sarebbe voluto arrivare a tanto, usare la magia contro una donna violava alcuni dei suoi principi, ma se non avesse fatto qualcosa quella situazione non si sarebbe più risolta.
Le mani del mago cominciarono a diventare un blocco di ghiaccio, il quale si espanse lungo le dita di Beanka, raggiungendo ben presto il polso di quest’ultima che urlò spaventata. Ovviamente, sapeva dell’esistenza dei maghi e della magia, ma non ne aveva mai visto uno in azione, né tantomeno ne era stata vittima. D’istinto si alzò dalla schiena dell’uomo e sentì il ghiaccio cominciare a sciogliersi, quando poté tirò via le mani dai polsi di Edgemas, nascondendole sotto le ascelle per riscaldarle. Le nocche le dolevano come se avesse fatto a pugni con un demone rinoceronte.
Finalmente libero, il mago si mise in piedi e mimò il gesto di togliersi la polvere dal mantello. Adesso che poteva guardarlo bene in volto, Beanka si rese conto di averlo creduto più vecchio di quello che invece doveva essere; così come lui capì di avere a che fare con una ragazzina poco più che ventenne.
Il mago prese il proprio bastone, nascosto sotto al mantello, e ne indirizzò la testa verso l’amazzone. La pietra che vi era incastonata era di un rosso scuro, simile al sangue. Lei indietreggiò, non perché avesse paura di lui, ma temeva il potere magico di cui era padrone.
«Porgimi le mani, le riscaldo.»
L’amazzone scosse il capo, poi chiese:
«Cosa sei?»
Edgemas rise.
«Sono un mago e se un’amazzone è così lontana dai propri confini significa che ha una missione da svolgere. Solo non capisco perché tu non sia partita con gli altri…». Lasciò la frase in sospeso, ma vide l’espressione sul volto di Beanka mutare.
«Tu sei…» cominciò lei, ma il mago la interruppe, stanco di girarci intorno.
«Sono Gareth Edgemas Anders, l’elementalista scelto dall’Arcimago Volkàn per guidare la compagnia che dovrebbe annientare la Dama del Vento.»
«Tu? Quindi quel Seth non è…»
«Sei una tipa sveglia. Scusami, ma sono già in ritardo di due giorni, è ora di partire. Addio!» Edgemas tornò all’interno della taverna, seguito a ruota dall’amazzone.
«Portami con te!» Lo supplicò, accomodandosi sullo sgabello al suo fianco, mentre lo osservava ordinare all’omaccione al di là del bancone il miglior Ratafià che avessero. «Portami con te, potrei esserti di supporto. Sono potente, sai, conosco l’arte del combattimento e ho due pugnali» Beanka gli mostrò le armi affilate che nascondeva nelle custodie a incrocio dietro la schiena.
«Lo so che sei armata, ne ho riconosciuto la forma mentre ti tenevo contro la porta. Hai anche un fisico importante, devo ammetterlo». Edgemas bevve un sorso di sidro di ciliegia e arricciò il muso in una smorfia. Temeva che non avrebbe mai più assaggiato un Ratafià buono come quello che gli aveva offerta quella donna, nel piccolo villaggio sperduto.
«Quindi mi porterai con te?». Beanka si sporse in avanti e lui notò la sua pelle di ebano, liscia e soda. Aveva grandi occhi scuri, con venature color ocra; le labbra carnose e dipinte di rosso quasi tremavano, in attesa di un suo assenso. La lunga traccia pendeva in avanti, a guardarla pareva finta. Anche sotto al mantello che indossava, era facile immaginare i muscoli allenati delle braccia, e le mani affusolate erano ancora arrossate per il ghiaccio di pocanzi.
«No, sei una ragazzina. Se sei stata esclusa dalla compagnia ci sarà un motivo. Inoltre, forza fisica e armi bianche non servono a molto contro la Dama del Vento. Addio!» Si mise in piedi e con un fruscio di mantello uscì dalla taverna, ma di nuovo la ragazza gli fu dietro.
«La squadra che è partita in missione non sa chi tu sia. Pensano che Seth sia il mago scelto dal vecchio Volkàn per sconfiggere la Dama. Sono tanti e tutti potenti, ti attaccherebbero senza lasciarti il tempo di presentarti. Ma conoscono me, ci sono altre amazzoni nella compagnia, mi darebbero retta.»
Edgemas slegò il suo destriero e vi montò in groppa.
«Inoltre conosco la strada che percorreranno, tappa dopo tappa». La ragazza si afferrò alle redini del cavallo bianco, lo sguardo puntato in alto, fissi sul mago. Quest’ultimo chinò il capo per osservarla. Non c’era supplica in quegli occhi, solo determinazione e capì che qualsiasi cosa le avesse detto, lei lo avrebbe seguito, perché essere stata esclusa dalla missione si era rivelata fonte di collera, il suo orgoglio era ferito. E l’orgoglio di una donna poteva essere immenso e la sua vendetta micidiale.
«Come ti chiami, amazzone?»
«Beanka.»
«Quanti anni hai, Beanka?»
«Il valore di un guerriero non si misura in anni, mago.»
Edgemas rise. Già l’adorava.
«Dovrai trovarti un cavallo, io ti aspetterò davanti alle mura della capitale.»
Il volto di Beanka si illuminò in un sorriso.
 


Roccaforte Inespugnabile, Regno di Metallo ₭
 
Da’miàn di Delundel sedeva lungo il parapendio della fortezza, un ginocchio piegato e l’altro penzoloni nel vuoto. Soffiava all’interno di una vecchia armonica, così piccola che riusciva a tenerla nel palmo di una mano. La melodia era dolce e cullante, intonandosi alla perfezione con il cielo stellato che si estendeva a perdita d’occhio, oltre le Montagne Ululanti a nord. Da’miàn sapeva che proprio lì, ai piedi della catena montuosa, la sua gente si stava ritirando nelle case, pronta a trascorrervi la nottata. L’arciere chiuse gli occhi, emettendo le ultime note di quel canto tradizionale che aveva appreso da piccolo, semplicemente ascoltando sua madre mentre lo canticchiava.
Nella propria mente ripensò agli ultimi giorni vissuti lontano da Eos. Aveva già intrapreso altri viaggi lontano dal regno, ma quello era diverso. Conosceva i pericoli e l’equilibrio incerto che la missione comportava, inoltre non si fidava delle persone con cui avrebbe condiviso l’avventura. Non erano i suoi fidati amici, ai quali avrebbe consegnato la propria vita a occhi chiusi, no! Questi erano perfetti estranei, sconosciuti che non gli ispiravano alcuna fiducia: guerrieri del Regno di Metallo, noti per la loro forza bruta e l’egoismo, erano lupi solitari che agivano da soli, non sapevano cosa significasse combattere in squadra. Un mago eccentrico che si credeva la star dell’intera faccenda. Infine, amazzoni: donne votate alla guerra che avevano rinnegato la loro natura femminile.
Si chiese in che modo speravano di richiamare l’attenzione della Dama del Vento, un essere effimero che nessuno aveva mai visto. Si raccontava che avesse una chioma di seta bianca al posto dei capelli, occhi dello stesso colore delle foglie bagnate di rugiada e che potesse assumere qualsiasi forma desiderasse.
L’arciere si accorse di uno spostamento di aria appena percettibile per chiunque altro. Smise di suonare e senza voltarsi indietro chiese all’ultima arrivata se per caso si fosse persa.
Rhia si accomodò al suo fianco, facendo oscillare entrambe le gambe oltre le mura di cinta.
«Ti ho sentito suonare. È una melodia molto bella», disse la ragazza. Lui non rispose, continuò a tenere lo sguardo puntato a nord. La lontananza da casa cominciava a farsi sentire. Si domandò se anche quella donna alla sua sinistra provasse la medesima sensazione.
«Avete anche il veto di non rivolgerci la parola oppure sei tu che sei cocciuto?»
«Scusa, non mi piace molto parlare.»
Rhia lo guardò, annuendo con un sorriso, tuttavia non si mosse di una virgola. La nottata era piacevole e tutti quei puntini luminosi in cielo le ricordavano Scizia.
Trascorsero diversi minuti, durante i quali nessuno dei due parlò, ancora troppo forestieri per confessarsi i rispettivi pensieri. Poi una luce fulminea attraversò il cielo, simile a un lampo, eppure di nuvole non vi era ombra. D’istinto Da’miàn scattò in piedi e l’amazzone lo imitò, più che altro allarmata dal comportamento del compagno di squadra.
«Che hai?» Gli chiese.
«Non ne sono sicuro, ho l’impressione che l’aria si sia come fermata.»
Rhia non riuscì a comprendere cosa intendesse dire: gli elfi avevano un modo personale di esprimersi, parlavano come i vecchi maestri magi. Purtroppo, lo capì a sua spese qualche secondo dopo.
Una seconda luce inondò il cielo tingendolo di rosso, alcuni alberi più in là divamparono in un piccolo incendio, rivelando ai piedi del bastione una donna vestita di bianco, le cui vesti parevano ondeggiare intorno al suo esile corpo, nonostante l’aria fosse immobile. Da’mian la osservò: lunghi capelli immacolati e occhi verdeggianti…
«Corri…» disse, afferrando la ragazza per un avambraccio.
«Come?»
«Corri!» Urlò lui, quando vide la donna sotto di loro spalancare le braccia per lanciare una sfera di fuoco.
Da’miàn coprì Rhia con il proprio corpo e si gettò oltre la parte interna del parapetto, mentre la sfera infuocata si infrangeva contro le mura. Se fossero rimasti anche solo un secondo in più, sarebbero stati colpiti in pieno.
«Ma cosa…?»
«Dobbiamo avvertire gli altri!» Esclamò l’arciere.
«È lei? È la Morte di Bianco Vestita?»
Da’miàn Delundel annuì con un cenno del capo e Rhia sentì l’adrenalina scorrerle in ogni cellula del corpo.
Intanto, un’altra palla di fuoco passò a pochi centimetri dalla loro testa. Dalle quattro torri di guardia accorsero le sentinelle di turno, una lancia nella mano e uno scudo nell’altra. Due di loro trovarono una morte immediata, precipitando oltre il parapetto, dopo essere stati colpiti dal fuoco, simili a torce umane. Le due superstiti si inginocchiarono al fianco dell’arciere e dell’amazzone, sebbene fossero guerrieri abituati alla guerra, quel nemico era troppo spaventoso anche per loro.
D’improvviso una folata di vento si alzò dal basso verso l’alto, una delle due sentinelle si mise in piedi per verificare cosa stesse accadendo, la stessa cosa stava facendo Rhia, ma Da’miàn la fermò trattenendola giù con sé. L’uomo che invece si era alzato si accasciò ai piedi della ragazza, gli occhi strabuzzati e l’osso del collo rotto.
«Corri, vai!»
L’arciere spinse l’amazzone lungo il muro di destra, mentre l’ultima guardia rimasta correva verso sinistra. La Dama, che si era alzata in volo, atterrò con i piedi nudi sul freddo pavimento del bastione, senza curarsi della sentinella che correva alle sue spalle, si dedicò alla coppia. Sorrise e disse:
«Un’amazzone e un arciere insieme. Non li vedevo da tempo», mosse le dita e un colpo di vento atterrò Rhia diversi metri più in là.
Da’miàn si fermò per aiutarla a rimettersi in piedi e quando vide la Dama avanzare levitando a qualche centimetro da terra, incoccò l’arco e le scagliò contro una freccia, con la speranza di rallentarla almeno un po'.
La Dama evitò il dardo facendosi riparo con uno scudo di ghiaccio.
Era potente, l’arciere poteva sentire la sua magia espandersi tutt’intorno.
«E voi sareste la squadra messa su per sconfiggermi?» Rise lei. La voce cristallina simile ad acqua di sorgente, un riso sfrontato ma non sgradevole. Sembrava impossibile che quell’essere divino fosse il mostro che tutti temevano, così malvagio da prendersi la vita di anime innocenti.
«Dobbiamo tornare dentro» sussurrò Da’miàn a Rhia, aiutandola a rimettersi in piedi.
«Stolte creature! Credete forse che quattro mura possano proteggervi?»
La Dama sollevò un braccio e dalla punta delle dita affiorarono cinque grosse stalattiti, come fossero la continuazione naturale delle sue unghie.
«Oh, no! No, no, no!» Urlò Rhia chiudendosi a riccio su se stessa, mentre Da’miàn la copriva con il proprio corpo. Sotto di loro comparve un simbolo luminoso e quando la Morte di Bianco Vestita lanciò le frecce di ghiaccio, una specie di parete rocciosa circondò i due compagni, respingendo le stalattiti magiche.
Una risata folle spezzò il silenzio della notte, intanto che la faccia della Dama si contorceva in una smorfia di dissenso.
«Un occultista… quasi lo avevo dimenticato.»
«Ricorda il mio nome, mia Signora, perché sarò colui che porrà fine al tuo regno. Mi chiamo Seth.»
La Dama sorrise, sì, lo conosceva già. E sapeva anche che non era quello il suo posto, che l’aveva usurpato a un altro mago. Il Vikingo.
Seth impugnò il proprio bastone con entrambe le mani, la pietra viola che vi era incastonata brillò, poi tante piccole rune comparvero lungo il percorso che lo separava dalla Dama, causando scoppi che aumentavano di potenza avanzando. L’ultima runa si formò proprio ai piedi della Morte di Bianco Vestita, alle spalle della quale si levò un urlo di battaglia: il re Namor si elevò con un saltò per poi atterrare a ridosso della Dama, brandendo la sua ascia da guerra.
La runa scoppiò qualche secondo prima che il re di Kratoos toccasse terra, la donna però si era già dissolta in una nube di fumo.
L’aria tornò normale, il silenziò calò nuovamente nella notte stellata, il piccolo incendio ai piedi della Roccaforte Inespugnabile andava morendo.   
 
 
 
Il mattino seguente la compagnia si rimise in viaggio. L’incontro della notte appena trascorsa aveva dato loro un piccolo assaggio di ciò che la missione comportava. Sapevano che la Dama si era solo divertita un po’, come se avesse voluto testare la squadra messa su per combatterla. Si era scaldata quasi, non era venuta per uccidere, eppure per poco non aveva ferito gravemente due dei componenti.
La magia di Seth si era rivelata abbastanza potente da fermare quella della Morte di Bianco Vestita, ma sarebbe bastata per lo scopo finale?
Il re di Kratøos salutò il resto della compagnia al bivio che lo avrebbe condotto alla capitale: un’immensa miniera a cielo aperto dalla quale i cittadini estraevano metalli e gemme preziose. Al centro della città si poteva scorgere il palazzo reale, nulla a che vedere con l’Accademia di Cristallo o con il castello di Osihria, ma era una costruzione imponente fra tante piccole abitazioni modeste.
In groppa al suo cavallo, re Namor si rivolse all’intera compagnia:
«Il nostro nemico è potente» disse, con il suo consueto tono basso e caldo, rassicurante. «Ma voi lo siete di più. Non dimenticate che formate una squadra, combattete per lo stesso motivo, tutti volete la medesima soluzione. Il mondo è nelle vostre mani. Il futuro dipende da voi, dalle scelte che opererete. Se questa missione dovesse fallire, non ce ne saranno altre. È unica. La gente confida nel buon senso, che vi accompagni sempre.» Pronunciando in particolare queste ultime parole, lanciò uno sguardo nei confronti di Seth, il quale sbadigliava a capo del piccolo corteo, completamente disinteressato. Perché il saggio Volkàn avesse scelto proprio lui, per il re del Regno di Metallo, restava un mistero.
Quindi richiamò a sé i propri nipoti, dopo aver fatto un cenno di saluto all’altro suo guerriero Drew. I tre si scostarono appena, in modo che gli altri non potessero sentire ciò che avevano da confidarsi, infine i due gemelli tornarono al trotto e si riunirono alla compagnia, mentre il monarca dava loro le spalle e si allontanava, con un pessimo presagio nel cuore.
 
Seth si accostò a Drew, un sorriso ebete dipinto sulle labbra.
«Strano che il tuo re non abbia voluto parlare anche con te» insinuò.
«Sono i figli di sua sorella, uno dei due probabilmente gli succederà sul trono – se non dovesse avere eredi, ovviamente.»
«Ovviamente» ripeté l’occultista, con tono irrisorio che non piacque al guerriero di Kratøos.
«Ehi, mago! Stai insinuando qualcosa sul mio re?»
«Whoa, whoa, whoa!» Il generale amazzone si intromise fisicamente fra loro, in groppa al proprio cavallo. «Avete sentito quello là?» Con il pollice si indicò alle spalle.
«Quello è il sovrano di Kratøos!» Le fece notare Drew.
«Esatto, sì! Proprio quello là! Dobbiamo essere una squadra e agire da tale, o non servirà a nulla. Quindi, voi uomini, datevi una calmata e smettetela di giocare a chi ce l’ha più lungo!» Becky si voltò indietro, rivolgendosi all’arciere e ai due gemelli. «Questo vale anche per voi!»
Rhia e Shayna risero divertite, mentre Seth si sporse verso l’amazzone dai capelli rossi:
«Vuoi sapere chi di noi sta messo me-».
«No!», Becky diede un leggero colpo ai fianchi del proprio destriero e si allontanò aumentando il galoppo.
 
Avanzando lungo il sentiero battuto, lentamente l’ambiente mutò. Si erano ormai lasciati alle spalle la capitale del Regno di Metallo e i terreni rocciosi dai quali estraevano materiali ferrosi e pietre preziose: zaffiri, rubini, ametiste…
Adesso un verde lussureggiante rendeva l’atmosfera più fresca e leggera, respirabile. Il sole era diventato di un arancione intenso, tra poche ore sarebbe calata la sera, nel cielo limpido si potevano già scorgere piccoli puntini luminosi e lo spicchio delicato della luna.
Rhia lasciò il suo posto alla guida del carro di viveri che condivideva con Shayna e con un salto toccò terra per raggiungere l’arciere di infamia pochi metri più indietro. Da’miàn continuò a tenere lo sguardo puntato davanti a sé, fingendo che l’amazzone non fosse ai piedi del suo destriero. Lei carezzò la criniera castana del cavallo che sembrò approvare quel gesto gentile.
«Arciere, volevo ringraziarti per questa notte.»
«Non capisco». Il principe del Regno del Vento mentiva. Sapeva a cosa si stesse riferendo la ragazza. La osservò dall’alto in basso. Era alta, con un fisico muscoloso e alcuni tatuaggi le correvano lungo le braccia. Teneva i capelli biondi molto corti, lisciati all’indietro e rasati al lato sinistro. Era diversa dalle donne del suo popolo: esili, compite, completamente coperte dalla testa ai piedi con lunghe vesti leggere e dai colori pastello. Sapevano come difendersi, poiché fin da piccole venivano insegnate loro le tecniche basilari dell’autodifesa, ma nulla più. Il loro compito principale restava quello di diventare brave mogli e madri.
«Lascia stare, arciere. Fingi che non ti abbia detto nulla.» Aggiunse l’amazzone, forse pentita dal ringraziamento pronunciato.
Da’miàn comprese di averla offesa, le parole che gli aveva rivolto dovevano esserle costate molto e il suo spiccato orgoglio ne aveva risentito. Ecco un’altra differenza tra le amazzoni e le donne del Regno del Vento: l’orgoglio. Non che le sue concittadine non ne disponessero, ma era un orgoglio diverso, con sfumature molto meno evidenti.
Rhia però rimase lì, non si allontanò, e allora l’arciere pensò di rimediare indicandole con la mano le cascate a est.
«Le Cascate Genitrici» disse e la ragazza alzò lo sguardo per osservare effettivamente quell’ammasso di acqua che si riversava nel vuoto, alzando spruzzi e creando una sorta di coltre vaporosa.
Anche Drew si accostò a piedi ai due compagni di squadra, teneva lo spadone adagiato sopra una spalla, probabilmente quell’arma pesava quanto un essere umano.
«Conosci la loro storia?» Chiese all’amazzone, la quale scosse la testa.
«Un’usanza abominevole» intervenne Da’miàn contrariato. Il guerriero di Kratøos non gli diede peso.
«I ragazzi…»
«I bambini vorrai dire!» Lo interruppe ancora una volta l’arciere, beccandosi questa volta un’occhiataccia da parte di Drew, il quale tuttavia proseguì con il proprio racconto.
«I ragazzi che hanno compiuto dieci anni vengono gettati nelle cascate, solo chi sopravvive è degno di diventare un guerriero del Regno di Metallo. Per questo vengono chiamate Cascate Genitrici, perché generano combattenti forti e degni.»
«Ma è terribile!» esclamò Rhia, quasi scioccata da una pratica simile.
«Ed è il nostro re a lanciare personalmente i ragazzi dal punto più alto». Questa volta era stato Jey a parlare, uno dei due gemelli, con quella soddisfazione tipica di chi sa che un giorno, quel compito, potrebbe spettare a lui.
Rhia pensò alla sua regina, Charlotte, una donna forte e caparbia, che odiava l’insubordinazione, ma che sicuramente non avrebbe mai permesso a nessuno di buttare in pasto al destino ragazzine di appena dieci anni.
«Una pratica orribile, appunto» aggiunse ancora una volta l’arciere.
«Taci tu, principe di Eos. Il vostro popolo non è da meno in fatto di azioni deprecabili!» L’altro nipote di Namor, Joy, gli puntò un indice contro. «Siete stati voi a generare la Dama del Vento e se adesso siamo qui a dover combattere contro un essere del genere lo dobbiamo agli elfi.»
Da’miàn strinse le briglie del suo cavallo con forza. Non amava essere definito elfo, quell’epoca si era conclusa da tempo.
«Ahia, ahia, ahia!» Seth si acconciò meglio in groppa al proprio animale. «Hanno ragione, principino. Hanno proprio ragione i due gemelli.»
«Perché dite che sono stati gli elfi a generare la Dama?» Volle sapere Shayna, voltandosi indietro per osservare il gruppetto che si era formato.
«Perché credi che si chiami Dama del Vento?» Le chiese Becky galoppando accanto al carro che conduceva.
«Beh, credo perché sia effimera come l’aria…»
«Mmm… sì e no». Di nuovo fu il mago a prendere la parola. «La Dama è figlia di un’amazzone e un elfo. Ma è nata a Eos, quindi è una cittadina del Regno del Vento. E non fatevi ingannare dai suoi poteri: la magia che riesce a governare è così potente che ogni elemento della natura – acqua, fuoco, vento – risponde a lei e lei soltanto.»
Intanto gli ultimi raggi del sole erano spariti e il buio del crepuscolo si faceva sempre più intenso. Drew propose di accamparsi per trascorrere la notte, poco più avanti c’era una radura e il fiume a pochi metri, in modo che avrebbero potuto fare rifornimento d’acqua e magari preparare uno stufato caldo. Le temperature sarebbero diminuite di alcuni gradi, quindi sarebbe stato meglio mettere qualcosa di caldo nella pancia. Inoltre, avrebbero fatto dei turni per la guardia, mentre gli altri riposavano e recuperavano le forze. La battaglia con la Morte di Bianco Vestita non aveva dato loro abbastanza ore per riposare, il viaggio era ancora lungo, non conoscevano i pericoli e, soprattutto, la mattina seguente avrebbero dovuto attraversare le Montagne Ululanti.
«A patto che una di noi sia sempre presente durante le guardie», disse Becky con un tono che non ammetteva repliche.
«Come desideri, mia signora». Drew aveva accennato un inchino con la testa, sorridendo. Il “guerriero gentiluomo” lo chiamavano nel suo regno, chissà, forse lo era davvero.


 
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Capitolo 4
*** IV. (Prima Parte) ***




IV.
(prima parte)


 
 
Da qualche parte nel Continente Abitato

Beanka galoppava qualche metro indietro rispetto a Edgemas.
Avevano lasciato la capitale del Regno Magico da un giorno o poco più e si erano fermati davvero solo qualche minuto per far riposare i cavalli. L’amazzone aveva cercato di dormire il più possibile durante quelle brevi soste, ma aveva scoperto che assopendosi non aveva avuto il tempo di mangiare. Adesso sentiva la testa leggera, come vuota, mentre la vista le si appannava man mano. Aveva bisogno di rifocillarsi, mettere qualcosa sotto i denti, magari riposare per almeno due ore di fila, eppure il mago pareva allontanarsi da sé, diventando un puntino nero all’orizzonte. Inoltre, l’aria pesante del sottobosco che stavano attraversando non l’aiutava affatto. Edgemas era stato chiaro: aveva una missione da portare a termine e non voleva intralci. Si sarebbero percorse le strade che diceva lui e non sarebbero stati sentieri ospitali o facili: boschi, foreste, terre desolate. Qualunque cosa pur di evitare intoppi, come demoni da combattere o bestie affamate. Dovevano muoversi nell’ombra, senza destare sospetti o richiamare l’attenzione di chicchessia, dal momento che era raro vedere un’amazzone e un mago muoversi insieme.
Lui era un uomo con un forte temperamento, evidentemente abituato a dormire all’addiaccio e a mangiare il necessario per tenersi attivo, ma Beanka no. Era una ragazza di appena ventuno anni, il suo fisico era addestrato al combattimento e ad allenamenti duri e sfiancanti, è vero, ma dopo prove difficili o lunghe missioni, sapeva che ogni sera avrebbe trovato un pasto caldo e un letto dove riprendere le forze.
L’ultimo pensiero, prima di svenire, fu rivolto alla sua regina: iniziava a comprendere il motivo per cui l’aveva esclusa dalla missione principale. Non era pronta.
 
Sebbene avesse ancora gli occhi chiusi, sentì un bel caldo invaderle il corpo, i muscoli, tesi fino a qualche momento prima, si erano distesi. Un buon odore di carne arrostita le fece dolere lo stomaco vuoto, mentre udiva distintamente lo scoppiettare della legna che ardeva. Sollevò piano le palpebre, inizialmente vide tutto offuscato, poi gli occhi si abituarono alla luce, puntellandosi su un gomito si voltò indietro, la coperta di lana le scivolò dalle spalle. Edgemas era seduto dall’altra parte del piccolo falò che aveva acceso, forse con l’ausilio della magia.
«Così richiamerai le bestie e chissà cos’altro» disse Beanka, la voce tremolante. Non le piaceva essere debole, lo detestava. Sapeva che aveva messo a rischio entrambi e temeva che ora il mago le dicesse che quella missione non faceva per lei, che sarebbe dovuta tornare indietro.
«Forse», rispose lui allungandole un pezzo di carne cotta. «Mangia.»
L’amazzone non se lo fece ripetere due volte. Afferrò la coscia arrostita che le veniva offerta e l’addentò senza troppi complimenti.
Edgemas l’osservò in silenzio, attraverso le fiamme tremule. Sapeva di aver chiesto troppo da quella ragazza. Era un’amazzone, ma ancora giovane e inesperta per pretendere che potesse affrontare un viaggio come quello che lui si era prefissato. Quando aveva udito il tonfo e si era voltato indietro, aveva temuto che una bestia l’avesse attaccata. Tuttavia, rendendosi conto che Beanka era svenuta per la stanchezza e il digiuno prolungato, un po’ si era sentito in colpa. Quelle poche volte che si erano fermati, non si era mai preoccupato di chiederle come stesse, o se avesse bisogno di più riposo, se avesse fame. In realtà, non le aveva mai chiesto nulla. Soppesò l’idea di fare una deviazione e accompagnarla al villaggio più vicino, dirle di tornare a casa, di diventare più forte. Di crescere.
Ma quella ragazza gli stava simpatica, sembrava genuina e desiderosa di mettersi alla prova. Di apprendere. Ciò nonostante, sapeva che l’avrebbe rallentato, che avrebbe dovuto badare anche a lei, oltre che a sé. Si chiese cosa avesse più a cuore: la sua incolumità, la riuscita della missione o la sua vendetta personale nei confronti di Seth? Avrebbe potuto stilare una sorta di classifica delle priorità e il risultato finale lo avrebbe fatto vergognare.
Seth.
La cosa più importante per Edgemas era trovare Seth e fargliela pagare. Il resto, poteva aspettare. Non gli piaceva quella soluzione. Quei pensieri lo infastidivano perché lo facevano sentire una carogna, non da meno di quell’occultista impostore. Poi Beanka parlò e lo riportò con la mente al presente.
«Mi dispiace…»
«Beanka, ascolta…»
«Non mi lasciare!» Esclamò la ragazza con le lacrime agli occhi. Occhi scuri e lucidi, sinceri, nei quali si riflettevano le lingue di fuoco.
«Non ti lascerò, ma devi promettermi che quando sei al limite, quando senti che il tuo corpo e il tuo spirito hanno bisogno di riposo, devi dirmelo. Senza paura né vergogna.»
«Te lo prometto.»
«Dormi adesso, starò io di guardia. Ci muoveremo alle prime luci dell’alba.»
Beanka tornò a stendersi, questa volta con il volto verso il calore rassicurante del fuoco. Pochi minuti dopo era già caduta nel mondo dei sogni.
 
 

 
 
Quando l’amazzone fu ridestata dall’elementalista, non avrebbe saputo dire per quanto tempo avesse dormito, di sicuro si sentiva più riposata e rinvigorita. Il mago stava spegnendo gli ultimi scampoli di tizzoni ardenti con un piede, le disse di prepararsi senza fare troppo rumore, non erano più al sicuro lì, dovevano rimettersi in viaggio e lasciare il sottobosco prima possibile.
Beanka udì in lontananza gli ululati dei lupi, molto probabilmente un branco era stato attirato dal fumo e dall’odore di carne arrostita. Alla svelta si rimise in piedi e fu sollevata di provare di nuovo quella sensazione di stabilità sulle gambe che nelle ultime ore era andata scemando. Imitò Edgemas e si issò sul cavallo che aveva rubato a un mercante di Osihria, il quale aveva urlato richiamando l’attenzione delle guardie, ma l’amazzone era riuscita a fuggire senza essere inseguita. Il mago che l’attendeva fuori dalle mura della capitale le aveva chiesto dove avesse scovato un destriero tanto bello e forte in così poco tempo, si sarebbe aspettato di vederla arrivare su una specie di ronzino vecchio e decrepito, invece l’aveva stupito in maniera positiva. Lei aveva riso, rispondendogli che era meglio non sapere.
Si rimisero in viaggio nel buio più totale, nelle ore fredde e spaventose che precedono l’alba, le peggiori per camminare, ma non avevano scelta.
All’improvviso fauci spalancate si fiondarono contro le gambe del cavallo di Edgemas, il quale perse il controllo dell’animale e capitolò lungo disteso. Alle spalle del lupo ne comparvero altri: cinque o forse sei. Beanka non si preoccupò di contarli, mentre li vedeva azzannare la bella giumenta del mago, il quale afferrò la mano che l’amazzone gli porgeva e si tirò su, accomodandosi alle sue spalle. La ragazza spronò il proprio cavallo a correre più svelto, sperando che le bestie affamate si dedicassero completamente a spolpare l’animale dell’elementalista. Quest’ultimo si voltò indietro, oramai per il suo cavallo non c’era più niente da fare, ma come era prevedibile il branco si precipitò al loro inseguimento. Passò un braccio intorno alla vita della ragazza per tenersi ben saldo, mentre nell’altra mano stringeva il proprio bastone. La pietra rossa sulla sommità si illuminò, lanciando lingue infuocate e creando una lunga striscia di fuoco: i lupi guairono dinnanzi al confine creato dalla magia, ma non osarono oltrepassarlo.
Edgemas si accertò che davvero non li seguissero, poi tornò a guardare la strada davanti a sé, ormai si poteva scorgere l’uscita del bosco, erano salvi. Forse.
«Peccato, era un buon cavallo» disse.
«Già» rispose semplicemente Beanka, rallentando l’andatura del suo destriero per evitare che si stancasse troppo. Adesso avrebbe dovuto trasportare due corpi invece di uno.
Finalmente fuori dal sottobosco, li accolse una pioggerellina fine e insistente, così fredda da insinuarsi fin dentro le ossa, oltre i mantelli calati sul capo. In lontananza si scorgevano luci fioche e tremolanti: Kratøos, la capitale del Regno di Metallo.
Le luci provenivano dai fuochi accesi lungo le quattro torri che univano le mura di cinta della città. Avvicinandosi si scorgevano le sentinelle di guardia, le quali brandivano una lancia e uno scudo, percorrendo a intervalli regolari l’intero perimetro della muraglia. Il ponte levatoio per entrare nella capitale era abbassato, ma il portone di ferro sprangato. A guardia di quest’ultimo quattro guerrieri armati.
«Non possiamo continuare l’intero viaggio con un solo animale» sospirò Edgemas. «Tra l’altro tutti i viveri sono rimasti nel bosco, legati alla sella del mio cavallo.»
«Cosa facciamo allora?»
«Dobbiamo entrare a Kratøos e chiedere udienza al re. Hai detto che anche lui sa della missione».
«Sì, ci sono ben tre guerrieri del Regno di Metallo nella compagnia e il re stesso è stato convocato a Osihria nei giorni precedenti.» Beanka rallentò fin quasi a fermarsi, non sarebbe stato facile entrare in città, la gente era diventata molto più cauta e sospettosa negli ultimi tempi.
Edgemas alle sue spalle tirò le redini del cavallo facendolo arrestare del tutto, le disse di non muoversi, poi con un balzò scese dalla sella e si incamminò in direzione delle sentinelle che immediatamente sguainarono la spada e innalzarono lo scudo.
«Chi sei? Non avanzare oltre!» Gli intimarono.
Il mago sollevò entrambi i palmi.
«Vengo in pace, miei prodi guerrieri. Io sono Edgemas, il Mago Vikingo. Lei invece è una giovane amazzone di nome Beanka. Non abbiamo intenzioni ostili, chiediamo solo di incontrare il vostro venerato re».
Le guardie si lanciarono occhiate interrogative. Avevano sentito parlare del Mago Vikingo, era noto in tutto il Continente Abitato, ma addirittura trovarselo dinnanzi dopo l’attacco della Dama del Vento alla Roccaforte Inespugnabile, chiedendo di vedere Namor, sembrava un insolito scherzo del destino. Inoltre, viaggiava con un’amazzone, una coppia alquanto insolita dal momento che, era risaputo, i due schieramenti – maghi e amazzoni – non andavano proprio d’amore e d’accordo.
«Come facciamo a sapere che non è un agguato il tuo?»
«Ho bisogno di un cavallo e di viveri per proseguire il viaggio. Dobbiamo unirci alla compagnia per uccidere la Morte di Bianco Vestita, ma siamo appena stati attaccati da un branco di lupi. Adesso penso stiano banchettando con il mio destriero e bevendo Ratafià». Ironizzò Edgemas.
«Mi dispiace, dovete allontanarvi. Il re non concede udienza al primo che passa.»
«Ditegli che siamo qui» intervenne Beanka, avvicinandosi in groppa al cavallo.
«Non fare un altro passo, donna!». Una delle guardie le puntò la spada contro, sfiorandole la gola, dalla quale iniziò a sgorgare un rivolo di sangue.
Edgemas gli afferrò il polso e lo tirò indietro.
«La signora, qui con me, è stata molto gentile, non è il modo più consono di reagire questo», gli torse la mano e l’uomo urlò di dolore, allentando la presa sull’impugnatura della spada, la quale cadde sul terreno alzando una piccola nube di polvere. Immediatamente gli altri tre li circondarono, le armi puntate contro di loro.
«Scendi da cavallo, ragazzina!» Ringhiò quello più grosso, afferrando Beanka per una caviglia e tirandola giù di peso. La ragazza ruzzolò con un tonfo sul terreno, rimase ginocchioni per qualche secondo, il tempo di riordinare le idee; mentre il mago al suo fianco mostrava ancora una volta i palmi in segno di resa, lei si scaraventò contro l’omone di pocanzi e con tutto il peso del corpo lo atterrò. A cavalcioni sopra di lui gli assestò un paio di pugni sul naso, rompendoglielo, poi sguainò le due daghe dalla cintola che teneva intorno alla vita e gliele puntò entrambe alla gola. Gli altri due guerrieri di Kratøos fecero per attaccarla, ma lei urlò:
«Indietro o gli taglio la gola!» I due non si mossero e lei ribadì. «Indietro, ho detto!»
Questa volta le guardie indietreggiarono. «Giù le armi! Gettatele a terra». Di nuovo obbedirono. «Bene. E adesso portateci da Namor.»
Le labbra di Edgemas si incresparono in un sorriso tronfio, fece spallucce e disse:
«Donne, sempre imprevedibili».
 

 
Cascate Genitrici, Regno di Metallo ₭

Il Fiume scorreva a pochi metri dall’accampamento che avevano allestito per cenare e trascorrere la notte.
Drew si era premurato di fare da mangiare per tutti, lo stufato di carne e verdura era terminato dopo qualche minuto e gli altri avevano dovuto dargli atto: quel brodo caldo e denso aveva donato loro nuova linfa vitale e conciliato il recupero delle forze.
L’arciere stava discutendo con i gemelli Jey e Joy la prossima strada da intraprendere per oltrepassare le Montagne Ululanti. Non che ci fosse ampia scelta, a dire il vero, infatti le opzioni erano due: o attraversare la galleria scavata nel cuore del massiccio montuoso, oppure scalare il sentiero che si dipanava lungo i fianchi rocciosi e quindi circuire la montagna. Entrambi mostravano pericoli: nel cuore della montagna avrebbero potuto incontrare mostri e demoni di ogni tipo, come colonie di goblin, troll o peggio ancora orchi grossi tre metri. Scalare il sentiero avrebbe voluto dire esporsi a pericoli legati alla natura inospitale delle Montagne Ululanti.
Non riuscendo a trovare una soluzione che mettesse tutti d’accordo, il cavaliere gentiluomo optò per metterla ai voti.
«Chi è d’accordo ad attraversa la galleria alzi la mano» disse e lui fu il primo a portare su il palmo, lo stesso fecero Shayna e Rhia.
«Due goblin non hanno mai fatto paura a nessuno», affermò l’amazzone con i capelli scuri.
«Sì, esatto!» Le fece eco Jey, deridendo poi Da’miàn al suo fianco. «Di cosa hai timore, principino? Puoi sempre farti difendere dalle donne, qui!»
«Ehi, non mi piace il tuo tono quando ti riferisci a noi!» Rhia gli mostrò il pugno duro, ma il nipote del re di Kratøos scosse il capo.
«Non volevo offendere nessuno» sghignazzò con il fratello gemello.
«Voi due cosa preferite?» Drew si rivolse a Seth e Becky, ognuno perso nei propri pensieri. Il primo sdraiato sul sacco a pelo, le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi socchiusi; la seconda intenta ad affilare la lama del proprio stocco. Infine quest’ultima si issò, ammirando il lavoro che aveva appena compiuto rinfoderò l’arma e si ravvivò i lunghi capelli amaranti con le dita. Seth sollevò una sola palpebra per osservarla.
«Per me è uguale. Se dovrò vedermela con un gruppo di orchi li affetterò, se invece dovrò scalare la montagna, la scalerò. In ogni caso, dovrebbe essere il nostro leader a decidere e noi dovremmo semplicemente seguirlo. Senza una guida, nessun esercito è in grado di raggiungere lo scopo prefissato. Qualsiasi cosa decidiate di fare, fatelo in fretta e preparatevi a trascorrere la notte, o domani mattina non avremo forze sufficienti». Poi guardò le due amazzoni e aggiunse: «Il primo turno di guardia lo farò io, voi riposate», quindi si allontanò diretta al fiume.
Seth si mise seduto, per l’occasione indossava un abito dal taglio classico di colore rosa e una camicia rosso fuoco. Afferrò il bastone che teneva al suo fianco e usandolo come leva si mise in piedi.
«Io dico di…», attese qualche secondo, «attraversare la galleria».
Coloro che erano propensi a quell’opzione esultarono, solo l’arciere scosse il capo, arrotolando la mappa geografica che aveva dispiegato in modo da mostrare la strada agli altri.
«Sarà un massacro» disse solo.
«Mmm no, se ci sono io con voi». Seth scoppiò a ridere, una risata sguaiata e forzata, come al solito. «Adesso dormite, da bravi, sto io di guardia». Così dicendo ravvivò il fuoco gettandovi altra legna, attese che tutti fossero pronti per la notte, poi raggiunse l’amazzone in riva al fiume.
Drew lo seguì senza fare rumore, acquattandosi qualche metro più indietro. Il mago continuava a non ispirargli fiducia.
 
Seth la trovò seduta sull’erba umida, le ginocchia raccolte contro il seno e lo sguardo all’insù, rivolto alle Cascate Genitrici. Le si accomodò di fianco, accompagnando ogni gesto con sbuffi plateali, ma Becky non si curò di lui.
«Dovrebbero ragionare tutti come te» le disse. «Sai riconoscere il valore di una persona e rispetti le gerarchie.»
«Sono solo abituata alla vita militare» gli rispose stizzita. «Non sei un gran capo, sei rumoroso e vigliacco. Lasci che siano gli altri a prendere decisioni importanti che sono di tua responsabilità, ma è più facile se lo fanno al posto tuo. Non hai a cuore la salute dei compagni. Se non fosse stato per Drew, a quest’ora staremmo tutti morendo di fame e freddo. E non ho ancora ben capito che razza di mago sei: un occultista, va bene, ma cosa fai esattamente? Come pensi di sconfiggere la più potente maga di tutti i tempi?». Becky tacque fissandolo negli occhi per qualche secondo, un’attesa snervante per entrambi, ma la risposta non giunse mai. «Come immaginavo. Ci porterai alla morte, o forse ti salverai il culo da solo.»
«IO sono stato scelto dall’Arcimago in persona per questa missione!» Si alterò lui.
«Un Arcimago che non si è degnato neanche di presentarsi al palazzo reale, dinnanzi a tutti i re dei Regni Alleati». L’amazzone tornò a guardare le cascate, la potenza dell’acqua che si riversava nel fiume era tale da alzare spruzzi e rimbombare tutt’intorno.
«Sei nervosa da quando abbiamo messo piede nel regno di Namor. Sei seccata e infastidita. Qualcosa ti turba.»
Becky si voltò a guardarlo di nuovo, non si sarebbe aspettata una tale sensibilità da parte di quel mago strambo ed egocentrico, o semplicemente la sua inquietudine era tanto evidente?
Seth notò i suoi occhi lucidi, erano di un castano-verde molto raro, poi la vide tornare a spostare l’attenzione sulle Cascate Genitrici.
«Sono originaria di Kratøos. Avevo un fratello gemello, si chiamava Leo. Eravamo inseparabili. Lui non era portato per la guerra, ero io il maschiaccio fra i due. Leo amava aiutare la mamma a preparare il pane e i dolci, mentre io prendevo lezioni di scherma da mio padre. E non era un problema per la mia famiglia.» Becky arrestò il racconto per cacciare indietro lacrime di rabbia, quindi riprese. «Gli altri bambini lo prendevano in giro e io ero sempre pronta a difenderlo. Poi compimmo dieci anni…».
Seth chinò il capo.
«L’usanza delle cascate. Non è sopravvissuto?»
L’amazzone scosse il capo, stringendo i pugni: dopo tutto quel tempo provava ancora rancore per ciò che gli era accaduto, era evidente.
«Avevo chiesto a mio padre che fossi io a essere lanciata dal dirupo, sarei sopravvissuta. Ma lui fu irremovibile. “Il gioco è bello quando dura poco” mi disse e allora compresi che non aveva davvero accettato il carattere mite di Leo, credeva solo che fosse un momento passeggero, che suo figlio – come tutti gli altri bambini – sarebbe diventato un grande guerriero.»
«Per questo sei entrata nelle Amazzoni?»
«Non c’è posto per le donne nelle fila dei cavalieri di Kratøos. Leo non c’era più e io non avevo alcun motivo per restare a casa, senza nessuno da proteggere».
Trascorsero alcuni minuti, durante i quali nessuno dei due parlò, poi l’amazzone si girò a guardare il mago ancora seduto al suo fianco e, con un sorriso di circostanza, gli chiese quale fosse invece la sua storia triste.
Seth la fissò, scuotendo il capo e arricciando le labbra in un sorrisetto.
«Nessuna storia triste. Nessuna madre morta o sorella torturata. Sono solo un mago, nato e cresciuto a Osihria. In effetti, ho avuto un’infanzia alquanto noio-».
Il volto dell’occultista sfigurò in una smorfia di incredulità, poi di terrore, mentre teneva lo sguardo puntato alle spalle della donna, gli occhi si spalancarono un attimo prima che lei gli chiedesse cosa avesse. Seth d’istinto afferrò il bastone che giaceva al suo fianco e tirandosi su lo batté tre volte sul terreno morbido del lungofiume. Becky lo imitò scattando sull’attenti, quindi si voltò indietro, verso le cascate e… non le trovò.
«Co-cosa diamine?!»
«È opera della Dama, corri più veloce che-»
Le parole di Seth rimasero sospese nell’aria, un’aria che di nuovo – come la notte precedente – pareva essersi fermata, non si udiva un minimo suono, tutto era immobile. La figura esile ed eterea della Morte di Bianco Vestita si stagliava dall’altra parte della riva, muovendo le braccia come se stesse danzando, in maniera lenta, oscillante. Le acque del fiume seguivano i medesimi movimenti e un attimo dopo si ritirarono completamente, rivelando un letto fatto di massi, detriti, pesci agonizzanti e corpi di bambini.
Becky si portò entrambe le mani alla bocca, soffocando un gemito, gli occhi le si riempirono di lacrime e terrore. La Dama tenne un palmo fermo, rivolto in direzione delle Cascate Genitrici, probabilmente per trattenerne l’acqua, ma con quella libera mosse le dita come se stesse manovrando fili invisibili. Pochi secondi dopo, i corpi ammucchiati e sparsi dei piccoli cadaveri si mossero, dannatamente simili a marionette fatte di carne putrescente e bulbi oculari vuoti. Questi esseri attaccarono il mago e l’amazzone ancora fermi lungo la riva del fiume, ma vennero sbalzati lontano dallo scudo magico che Seth aveva eretto appena si era reso conto che qualcosa non andava.
I bambini di Kratøos però non si arresero e continuarono ad avventarsi contro i due, fin quando lo scudo non resse più e si frantumò. Uno di loro saltò addosso a Becky, tentando di azzannarla alla gola e di cavarle gli occhi con dita livide e gonfie. La donna lo tenne lontano mettendo fra sé e il cadavere la propria arma. Seth gli assestò un colpo con la punta del bastone, porgendo una mano all’amazzone per aiutarla a rimettersi in piedi.
«Non posso affrontarli» disse lei, con voce piagnucolosa.
«Dovrai farlo, invece!». Il mago ne colpì altri tre, disegnando nell’aria una runa con l’Ametista incastonata nella propria arma. Trappole esplosive comparvero tutt’intorno, un morto la sfiorò di sfuggita, scoppiando.
Un bambino violaceo, senza più occhi, né un braccio – forse mangiucchiato dai pesci – addentò una caviglia di Becky facendola urlare di spavento e meraviglia, più che di dolore. Seth la sentì, ma anche lui era circondato da quegli esserini abominevoli, non poteva aiutarla. Poi la testa del cadavere ai piedi dell’amazzone venne tagliata di netto: era stato Drew. Imbracciava uno spadone imponente quanto la sua persona.
«La testa, dovete recidergliela!».
Alle sue spalle accorsero i gemelli di Kratøos che ne abbatterono altri due combattendo in sintonia, muovendosi all’unisono, con mosse l’una lo specchio dell’altra. Anche Shayna ne neutralizzò uno, assestandogli prima un colpo allo stomaco e, appena l’esserino si chinò in due, gli tenne la testa sotto il piede, quindi gli saltò sopra spiaccicandola sul terreno fangoso. Alle sue spalle Rhia brandiva la propria arma, un falcione dalla lama affilata e il manico di legno, trapassando da parte a parte uno di loro, ma l’essere tornò all’attacco dopo un momento di smarrimento, beccandosi una freccia in piena fronte. Quindi l’amazzone gli tagliò la testa, voltandosi poi verso l’arciere che aveva scoccato il dardo:
«Sarei riuscita a farlo fuori anche senza il tuo aiuto!»
«Dici? Mi sembravi in difficoltà», la prese in giro Da’miàn abbattendone altri due.
Nel frattempo, Drew raggiunse Seth, combattendo schiena contro schiena per un po'.
«Che razza di magia è questa?» Chiese il guerriero.
«Magia nera. È bandita ai maghi comuni, solo i grandi maestri magi possono apprenderla.»
«E quando ci hanno mandato al macello non si sono chiesti che, forse, anche noi avremmo avuto bisogno di uno che, quanto meno, riuscisse a neutralizzarla?»
«Non si può fermare, solo combattere».
Seth sollevò la punta del bastone verso l’alto, la pietra viola brillò più intensamente.
«Drew, bada a Becky, non è in grado di combattere».
Il corazziere falciò la testa alla base del collo di due cadaveri bambini, quindi cercò il generale amazzone con gli occhi e la trovò rannicchiata ai piedi di un tronco, lo sguardo perso e le dita tra i capelli, in procinto di strapparseli.
«È per il fratello, vero?»
«Conosci la sua storia?» Gli domandò Seth, facendo volteggiare il bastone, senza perdere la concentrazione.
«No, ho solo origliato.» Così dicendo, Drew si allontanò a grandi falcate, senza notare il sorriso ironico di Seth.
Quest’ultimo chiuse gli occhi, pronunciando formule magiche a fior di labbra, quindi fermò il movimento delle braccia, la pietra quasi esplose di luce violetta, intensa, e ai piedi della Dama del Vento si aprì una voragine. La maga ritirò le braccia e balzò all’indietro, senza posare i piedi sul terreno rimase in lievitazione, corrucciata e infastidita per essere stata distratta e costretta a interrompere il suo incantesimo. I bambini cadavere caddero al suolo come sacchi, privi di ogni forma apparente di vita, i bulbi vuoti rivolti al nulla dell’eternità.
La Dama urlò e un forte vento scosse la chioma folta degli alberi, costringendo la compagnia a farsi scudo con le braccia. In lontananza si udiva il boato dell’acqua del fiume che stava tornando, simile a un ciclone. La Morte di Bianco Vestita si elevò oltre le fronde degli alberi, lanciando un colpo secco all’entrata della galleria a pochi metri da tutti loro. Rocce enormi quanto case si staccarono dalla parete delle Montagne Ululanti, ostruendone il passaggio.
«Adesso la montagna sarà la vostra prova e la mia alleata». Disse, poi sparì in un sbuffo di fumo.
Il fragore del fiume si stava avvicinando, simile al ringhio di una bestia enorme e spaventosa. Sapevano che se avessero voluto guadare il fiume, quello sarebbe stato il momento migliore: senza acqua, non avrebbero dovuto fare il giro lungo, recuperando diverse ore di viaggio, evitando di incontrare nemici. Inoltre, restare lì per quella notte non avrebbe avuto senso, considerando il fatto che l’acqua del fiume, tornando a valle, avrebbe potuto causare una specie di tsunami, travolgendoli.
«Presto! Dobbiamo attraversare il fiume!» Urlò Seth, accompagnando l’ordine con un ampio gesto del braccio.
«Attraversare il fiume? Adesso? E i cavalli? Il cibo?» Shayna indicò l’accampamento qualche metro indietro.
«L’acqua li sbaraglierà comunque», rispose Seth, intanto Jey e Joy avevano già raggiunto l’altra riva, invitando il resto della compagnia a fare altrettanto.
Lo scrosciare dell’acqua avanzava inesorabile. Seth vide anche Rhia e Da’miàn muoversi velocemente, seguiti a ruota da Shayna, ancora non convinta di quella scelta.
«Saliamo lungo il sentiero!» Gridò l’arciere dall’altra parte, con le mani ai lati della bocca. L’occultista annuì, poi raggiunse Drew e Becky, quest’ultima ancora scossa.
«C’era mio fratello» bisbigliò. «L’ho visto, era lui…».
«Becky dobbiamo andare» Seth tentò di issarla prendendola per un braccio, ma lei si accasciò contro il tronco dell’albero a cui era poggiata.
«Drew» disse Seth e il guerriero capì. Afferrò l’amazzone per la vita e se la mise sopra una spalla, poi insieme si accinsero a guadare il letto fangoso del fiume.
Quando però giunsero quasi a metà strada, un ammasso d’acqua si affacciò oltre il dirupo e con una forza devastante si riversò giù.
Il mago di nuovo batté il proprio bastone sul terreno melmoso, ordinando a Drew di non fermarsi. Appena prima che l’impeto dell’acqua li travolgesse, un muro di roccia si stagliò a protezione, facendo straripare il fiume oltre l’argine.
Seth corse verso i suoi compagni, ma la potenza dell’acqua era così vigorosa che sgretolò la parete magica e travolse il mago. Quest’ultimo sentì mani che lo afferravano per i polsi, per la collottola del vestito, per una coscia, e lo tiravano su. Rotolò sul terreno bagnato, respirando affannosamente con la pancia verso l’alto. Alla sua destra giaceva Becky, anche lei con il respiro ansante, ma finalmente sembrava essersi ripresa dallo choc; alla sua sinistra c’era invece Drew, seduto con le ginocchia piegate: tra i tre, sembrava quello meno trafelato.
A fatica si misero in piedi, il rombo delle cascate si faceva sempre più incessante, tra qualche minuto l’intera zona sarebbe stata allagata. Corsero verso il sentiero delle Montagne Ululanti, i loro compagni si erano già messi al riparo, sebbene la sfida che li attendeva non sarebbe stata meno pericolosa di quella alla quale erano appena scampati.
 
 

Kratøos, Capitale del Regno di Metallo ₭

Namor venne svegliato da uno dei due cavalieri che stava di guardia alle stanze reali. Il re strinse con energia il manico del coltello che teneva sotto al cuscino. Era un’arma antica, tramandata dai discendenti della corona, donata al primo monarca di Kratøos da un re elfico. La guardia rimase immobile sulla porta, le braccia tese lungo il corpo e il mento rivolto verso l’alto. Si annunciò e aspettò in silenzio che il suo sovrano gli desse il permesso di aprir bocca.
«Altezza, due forestieri chiedono di parlare con voi», annunciò compito.
«A quest’ora della notte? Non possono attendere l’alba?»
«Hanno attaccato i nostri guerrieri di guardia al portone, minacciandoli di tagliare loro la gola se non avessimo concesso loro di incontrarvi. Dicono sia urgente, mio Signore.»
«Tutti quelli che vogliono incontrarmi hanno qualcosa di urgente da espormi.»
«Certo, maestà!».
Namor sbuffò, allentando la presa sul manico intarsiato del coltello. Con una lentezza estrema si mise seduto sul bordo del letto, lanciando uno sguardo fugace alla donna che giaceva nuda e addormentata al suo fianco. Per quella notte ne aveva scelta una a caso dal suo harem, senza neanche badare chi fosse, non gli interessava, in fondo erano tutte uguali: belle, in salute, giovani, credulone.
Il re di Kratøos si infilò i pantaloni scuri, abbandonati sul pavimento, e si coprì il torso nudo con una tunica chiara, dai bordi ricamati d’oro, che quasi sfiorava il pavimento. Tenne i lunghi e scuri capelli sciolti, ravviandoseli con le mani, quindi seguì la sua guardia fino alla sala del re.
«Chi sono queste persone?» Domandò, più per non farsi trovare impreparato che per mera curiosità.
«Un mago e un’amazzone», rispose il guerriero.
Improvvisamente però, tutta l’attenzione di Namor si concentrò su quell’incontro, lo stordimento dovuto al sonno si dileguò. Quando entrò nella sala non si sedette sul proprio trono, ma con tutta calma raggiunse i suoi ospiti, riconoscendo la ragazza che la regina Charlotte aveva escluso dalla missione.
«Svegliare un re nel cuore della notte può significare solo due cose: o l’argomento è terribilmente importante, o è così grave da non esserci soluzione alcuna.»
«Re Namor, vi ringraziamo per averci dato udienza. In realtà non è così grave, non per voi o il vostro fiero popolo, ma lo è per noi. Beanka…» Edgemas indicò l’amazzone al suo fianco, «mi ha garantito che avete sposato la causa della Dama del Vento e quindi sicuramente ci sareste venuti incontro.»
«Beanka…» ripeté il re guerriero, «mi ricordo di te», aggiunse guardando la ragazza dall’alto in basso. Lei chinò lo sguardo, Namor era un bell’uomo, la sua voce calda e paziente pareva cullare chiunque l’ascoltasse, inoltre la vestaglia bianca gli lasciava scoperto il petto muscoloso e attraversato da alcune cicatrici. Lei era solo una giovane che, fin da quando aveva memoria, era sempre vissuta nel Regno di Scizia, fra una moltitudine di donne, dove la presenza degli uomini era bandita.
«Non abbassare lo sguardo, giovane donna, non sono quel genere di imperatore» continuò lui, alzandole il capo con un dito posato sotto al mento. «La tua regina ti aveva escluso dalla missione, adesso perché sei qui, in compagnia di un mago?».
Beanka gli raccontò ogni cosa, compreso l’incarico che le aveva affidato Charlotte. Edgemas si limitò ad annuire quando il re volgeva lo sguardo dentro il suo, per avere conferma forse, o semplicemente per tenerlo d’occhio. Aveva sentito parlare del Mago Vikingo, era una specie di idolo nei territori sotto il suo dominio, poiché era solito aiutare i piccoli villaggi sparsi intorno alla capitale. Lo osservò con un senso di curiosità: i capelli color miele erano lunghi e scompigliati fin oltre la nuca, unendosi come fossero un tutt’uno con la barba incolta. Indossava un vecchio mantello grigio, sotto il quale non avrebbe saputo dire cosa ci fosse. La punta del bastone, con una pietra rossa incastonatavi, spuntava oltre la spalla sinistra. Riconobbe quella pietra, giacché il suo regno ne era il primo e unico esportatore.
«Quello è un Rubino» disse, interrompendo il racconto di Beanka, il quale era giunto al momento in cui erano stati attaccati dai lupi.
«Sì», rispose Edgemas.
«Racchiude in sé la potenza del Sole, del fuoco che arde. Simbolo di forza vitale, di passione e di prosperità. Porta con sé il calore in ogni sua forma e concezione.» Namor tornò a guardare l’amazzone, sorridendole. «Fin quando resterai al suo fianco, non avrai nulla da temere.» Cominciava a comprendere la scelta di Volkàn di affidare a quel mago la guida della missione, adesso però era realmente preoccupato per i suoi nipoti, la cui vita sembrava nelle mani di un pagliaccio che si era spacciato per il mago più potente di tutti i tempi: Seth.
Diede le spalle a entrambi, invitandoli a seguirlo. Per quella notte sarebbero stati suoi ospiti, ma Edgemas rifiutò con garbo e fermezza. Accennò un inchino con la testa, affermando che avrebbero preferito partire subito. La squadra era lontana giorni di viaggio e, a causa di quel contrattempo, la distanza era aumentata ulteriormente.
Il re di Kratøos annuì, comprendeva, poi si rivolse a Beanka, chiedendole se fosse anche il suo volere.
«Sì», rispose la ragazza con tono fiero. «Lo è!». Si sentiva finalmente parte di quell’avventura, di qualcosa di enorme, alla pari di un mago potente e un re importante.
«Bene. Vi fornirò tutto ciò di cui avete bisogno», concluse il sovrano Namor, l’ultimo della sua stirpe.
 
 
Montagne Ululanti, Regno del Vento

Il vento gelido sferzava i loro volti, con un braccio cercavano di farsi da scudo, l’altra mano invece tastava la parete rocciosa della montagna. Erano quasi giunti nel punto di svolta ormai, oltrepassato quello la discesa lungo il versante opposto sarebbe stata più semplice. Il sentiero che si inerpicava ai loro piedi era dissestato, ogni tanto qualche sassolino cadeva dall’alto, rimbalzava e poi proseguiva lungo il burrone, di cui non si scorgeva la fine. Non c’erano animali lì intorno, solo qualche aquila osava volare nelle vicinanze del proprio nido. Sopra le loro teste andavano addensandosi nuvole scure, portatrici di tempesta.
«Dobbiamo accelerare», gridò Da’miàn per farsi udire oltre il sibilo del vento. «O rischiamo di finire nel pieno della bufera».
Nessuno gli rispose, forse quelli in fondo alla fila non riuscirono neanche a sentirlo.
Rhia improvvisamente si accasciò sulle ginocchia, una mano premuta contro l’addome. Becky era dietro di lei, si chinò per chiederle cosa avesse e l’espressione sul suo viso non le piacque. La giovane amazzone, infatti, aveva un colorito cereo, gocce di sudore le imperlavano la fronte, le labbra iniziavano a diventare esangui. Il generale amazzone le scostò il palmo con il quale si teneva la pancia ed entrambe videro le dita macchiate di sangue.
Rhia abbozzò un sorriso tirato:
«Uno di quegli esserini mi ha morso», i suoi respiri erano rantoli, «ha continuato a farlo come una sanguisuga. Mi dispiace…». Calò le palpebre, la mano scivolò via, inerme lungo il corpo.
Becky urlò il suo nome, richiamando l’attenzione anche di chi le era davanti. L’arciere accorse, ancor prima di Shayna, tastando il polso dell’amazzone ferita:
«Non è morta, solo svenuta. Deve aver perso molto sangue. Dobbiamo tornare a valle prima possibile, in queste condizioni non saremo in grado di aiutarla». Si rimise in piedi e cercò Drew con lo sguardo. «Pensi di riuscire a trasportarla?».
Il cavaliere gentiluomo era sicuramente il guerriero con il fisico più possente, in condizioni normali non avrebbe avuto problemi a caricarsi addosso Rhia, ma l’arciere si rendeva conto che non erano affatto in una situazione semplice. Ciò nonostante, il combattente di Kratøos non si tirò indietro e con l’aiuto di Da’miàn si caricò l’amazzone sulla schiena, proseguendo lentamente lungo il sentiero in salita. Di conseguenza l’andamento rallentò, e Seth non perse tempo a farlo notare.
«Cosa proponi allora, mago? Di lasciare Rhia a morire?» Tuonò Shayna, avvicinandosi con aria minacciosa all’occultista alle sue spalle.
«Smettetela voi due!» Intervenne Da’miàn dall’alto della fila, seguito a ruota da Drew con addosso Rhia, i gemelli Jey e Joy e Becky. «Nessuno abbandona nessuno!».
Shayna tornò a guardare davanti a sé, ma non si rese conto che una parte di sentiero era crollato, quindi il suo piede trovò il vuoto, facendole perdere l’equilibrio. Scivolò lungo la parete di un paio di metri, d’istinto Becky si allungò e l’afferrò per il polso, incitandola a non mollare. Anche i gemelli del Regno di Metallo tentarono di calarsi per tirare su l’amazzone, questa si diede una leggera spinta, cercando un appiglio dove poter incastrare i piedi, ma la parete della montagna risultò liscia come la pelle di un bambino. Agitandosi peggiorò ulteriormente la situazione, cedendo qualche altro centimetro. Inoltre, la furia del vento sembrava incalzare maggiormente, Da’miàn guardò il cielo sopra le loro teste, ormai completamente grigio. Le nuvole si erano mosse troppo velocemente, iniziava a sospettare che ci fosse lo zampino della Morte di Bianco Vestita.
«Shayna, non mollare la presa, hai capito? Ti tengo io…» Becky aveva il volto rigato di lacrime e non se ne era accorta, il braccio con il quale teneva la sua compagna cominciava a dolerle, ma non importava. «Non abbiamo una corda? Non abbiamo NIENTE?».
Tutti tacquero, ogni supporto era andato perduto nello scontro di poco prima.
«E tu, mago da strapazzo, non puoi fare niente? Una magia, un incantesimo… SEI TOTALMENTE INUTILE!»
Il generale amazzone sentì la presa intorno al polso dell’amica allentarsi sempre di più, non sarebbe resistita ancora per molto e non aveva la forza di issarla. I due fratelli avevano tentato di afferrarla per il bacino e tirarle insieme, ma la stretta era troppo debole e avrebbero rischiato comunque di farla precipitare.
«Shayna ci sono io, stai tranquilla, non ti lascio, hai capito?»
«Il cuore» biascicò Shayna, «Il cuore, portalo alla regina.»
«Il cuore? Quale cuore, Shayna?» Le chiese il generale amazzone, poi il polso letteralmente le sfilò da mano, provò a riacciuffarlo, ma trovò solo aria. L’espressione sul volto di Shayna era quello di un cucciolo abbandonato, colmo di orrore, i suoi occhi sgranati e terrorizzati furono l’ultima cosa che Becky vide di lei – e anche l’ultima cosa che avrebbe ricordato per sempre, senza mai più dimenticarlo –, mentre cadeva nel vuoto delle Montagne Ululanti, inghiottita dall’oscurità. Non urlò Shayna intanto che precipitava, non si dimenò, semplicemente cadde, accettando il suo destino da guerriera amazzone qual era. 
Becky si sporse maggiormente in avanti, il terreno sdruccioloso cedette, Jey fu scaltro ad afferrarla prima che potesse seguire il destino della compagna. La tirò indietro per la vita ed entrambi caddero con le spalle contro il muro, intanto che l’eco delle grida di dispiacere dell’amazzone riecheggiavano nel silenzio profondo delle Montagne Ululanti.
 
 

 
 
Proprio come aveva previsto Da’miàn di Delundel, la discesa lungo il versante opposto della montagna fu meno difficoltosa. Il vento era ormai alle spalle e le nuvole scure che continuavano ad addensarsi, nascondendo le cime innevate, non erano più un pericolo. Iniziava a notarsi il fondo valle e più in là le luci gialle e tremolanti della capitale del Regno del Vento: Eos. L’arciere sostò per qualche secondo a rimirarle, in particolare soffermò il suo sguardo sulla torre bianca del palazzo reale: una struttura dai lineamenti tondeggianti, di marmo bianco e candido. Pensò ai suo fratelli ancora addormentati; a suo padre magari impegnato a risolvere i problemi del regno; a sua madre, che forse fingeva di dormire al canto di suo marito.
Drew lo invitò a proseguire, Rhia aveva bisogno di riposo.
Discesero velocemente gli ultimi tratti del sentiero, poi silenziosi come pantere raggiunsero la pianura e si fermarono sotto i rami di un salice piangente. Il guerriero di Kratøos adagiò l’amazzone ferita con le spalle contro il tronco dell’albero sempreverde, aiutato dai gemelli. Rhia aveva ormai perso i sensi, i suoi respiri erano sempre meno frequenti e talvolta le fuoriuscivano simili a rantoli rochi. Becky si chinò al suo fianco, anche quest’ultima non aveva una bella cera, gli avvenimenti di quella notte l’avevano scossa visibilmente.
«Abbiamo bisogno di una medicea» disse, poi sollevò lo sguardo su Da’miàn. «Nella tua città potremmo trovare…»
«No» rispose secco lui.
«No?» Becky scattò in piedi, fronteggiandolo faccia a faccia, era più bassa di lui di almeno venti centimetri. «No? Sta morendo e io non permetterò che accada. Ho già perso una compagna, non ne perderò una seconda.»
«Becky, calmati, nessuno permetterà che Rhia muoia.» Drew la tirò indietro con un braccio, delicato ma fermo. «Da’miàn, guardala, è Rhia! Ha bisogno di cure che noi non possiamo darle, e abbiamo bisogno di una pausa, tutti quanti. La strada per Vanesia è ancora lunga e non sappiamo cosa ci aspetta. Abbiamo perso tutti i viveri, in queste condizioni non andremo lontani».
L’arciere distolse lo sguardo da quello di Drew, evitando di fissarlo sulla ragazza ai piedi del salice. È Rhia, aveva detto il corazziere, perché sapeva che in quei giorni i due avevano stretto un bel rapporto, come Da’miàn non era riuscito a fare con nessun altro all’interno della squadra. Rhia, che a volte sembrava la versione femminile di sé; Rhia, che quando i loro sguardi si incrociavano gli faceva una linguaccia, strappando un sorriso al suo volto sempre così serioso, corrucciato.
«Ehi, arciere, non abbiamo tutto il tempo del mondo, che vuoi fare?» Seth irruppe con la sua voce, infastidito da quell’attesa.
«A est della torre bianca ci sono i campi dei contadini, lì c’è una casupola abbandonata. Raggiungetela, è l’unica casa nei paraggi, non potete sbagliarvi».
Jey a Joy aiutarono Drew a caricarsi nuovamente l’amazzone sulle spalle, mentre Da’miàn s’incamminò svelto, diretto alla città di Eos.
«Dove stai andando, arciere d’infamia?» Lo richiamò Becky.
«A chiamare una medicea».



 
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Capitolo 5
*** IV. (Seconda Parte) ***




IV.
(seconda parte)
 
 

Da qualche parte nel Continente Abitato ₪

Edgemas e Beanka avevano lasciato la capitale Kratøos da qualche ora al groppo di splendidi esemplari equini che gentilmente il sovrano Namor aveva offerto loro. Nelle bisacce annodate alle selle c’erano viveri per un’intera settimana e cibo in abbondanza per i due cavalli.
L’alba aveva rischiarato il cielo, sebbene a nord, oltre le Montagne Ululanti, il Mago Vikingo aveva scorto un addensamento di nuvole scure che non avevano l’aria di essere naturali. C’era qualcosa di magico in loro, e di sinistro. Immaginò che la compagnia fosse giunta in prossimità della cima e che la Dama del Vento stesse cercando di rallentarli. Se così fosse stato, si chiese perché i guerrieri scelti non avessero intrapreso la via della galleria, invece di esporsi non solo ai pericoli della montagna, ma anche alla furia della Morte di Bianco Vestita.
Cavalcarono diretti all’entrata della galleria, lui non avrebbe mai rischiato si inerpicarsi lungo il sentiero dissestato che avvolgeva la catena montuosa. Eppure, avvicinandosi alla radura ai piedi della montagna, Edgemas arrestò il cavallo tirando le redini. Beanka, qualche metro più indietro, si accostò a lui, chiedendo spiegazioni su quella frenata improvvisa. Il mago si guardò attorno, scrutando l’ambiente muto, fermo. Ai loro piedi, l’acqua arrivava alle caviglie dei cavalli, i quali non sembravano tranquilli.
«Non lo so ancora», ammise, «perciò avanziamo con prudenza».
Così fecero. Proseguirono uno di fianco all’altro, silenziosi, con i sensi attivi. La cascata veniva giù come sempre, eppure c’era qualcosa di diverso. Il suo corso era cambiato, il letto del fiume sembrava essersi ingrandito, l’acqua pareva essere esondata per poi ritirarsi, lasciando devastazione e morte sul terreno, dove giacevano inanimati i cadaveri dei bambini di Kratøos. I cavalli nitrirono e si alzarono sulle gambe posteriori, Beanka carezzò la testa del suo sussurrandogli di stare buono, senza smettere di guardare con occhi terrorizzati i corpi inanimati e le loro membra (testa, braccia, gambe) sparpagliate tutt’intorno.
«Co-cosa sono?»
«Bambini».
L’amazzone scese da cavallo con un salto e vomitò aggrappata al tronco più vicino, uno dei pochi alberi sopravvissuti all’impatto con lo tsunami che la Dama aveva causato. Poi tornò in groppa al suo destriero.
«È stata lei?» chiese, mentre avanzavano a passo d’uomo.
«Il Regno di Metallo ha l’usanza di gettare nelle Cascate Genitrici i bambini che hanno compiuto il decimo anno d’età. Chi sopravvive sarà degno di diventare un guerriero, gli altri…»
«È terribile».
«Una pratica abominevole, sono d’accordo. Ma questa è magia nera, i morti non resuscitano.» Il mago osservò i cadaveri tagliuzzati in più punti. «Hanno combattuto contro di loro. Hanno già incontrato la Dama…».
Beanka tacque, pregando in cuor suo che le sue compagne stessero bene.
Guadarono il fiume nel punto più basso e si soffermarono dinnanzi all’entrata bloccata della galleria. Massi enormi ne negavano l’accesso, allora Edgemas comprese il motivo per cui la squadra aveva intrapreso la via più ardua, probabilmente si erano anche dovuti mettere in salvo dal fiume esondato.
Il mago afferrò il proprio bastone dalle spalle, il Rubino sulla sommità si illuminò, Beanka lo fissò di soppiatto, la magia la metteva sempre un po’ a disagio; lui abbassò le palpebre e la ragazza quasi urlò quando una folata di vento improvvisa l’avvolse prima di sollevare le rocce che ostruivano il passaggio, adagiandole poi con garbo sul terreno fangoso. Edgemas riaprì gli occhi e il vento cessò, la pietra incastonata nel bastone si spense, quindi le rivolse un sorriso divertito, riuscendo a stemperare il nervosismo.
«L’hai fatto di proposito!» Si lamentò la ragazza, sorridendo poi a sua volta.
Insieme s’inoltrarono nel buio della galleria, lungo le pareti c’erano torce spente che prontamente il mago accese con un semplice movimento della sua arma. Dinnanzi a loro si srotolò un percorso angusto, dalle cui profondità saliva un’aria gelida e permeata di un miasma, un misto di putrescenza ed escrementi non umani.
Il mago scese dalla sella e Beanka lo imitò, avrebbero dovuto proseguire in fila indiana, tenendo ben salde le redini dei cavalli che non sembravano particolarmente contenti di intraprendere quel cammino.
«Potremmo incontrare dei nemici», disse lui avanzando. «Tieniti pronta e occhi aperti».
L’amazzone annuì, il cuore le pulsava fin nelle tempie, ma non era paura quella che provava, piuttosto eccitazione.
 
Le fiamme delle fiaccole disseminante lungo le pareti di roccia viva tremolarono ma non si spensero, creando spesso giochi d’ombra inquietanti e allucinazioni. Di tanto in tanto si udivano rumori sordi, bassi, in lontananza. L’amazzone si guardava in giro, talvolta scattava voltando il collo indietro, sicura che un essere stesse per colpirla alle spalle.
«Sei nervosa, ragazza?» Le chiese Edgemas sorridendo di soppiatto.
«Non mi piacciono i luoghi chiusi e bui, tutto qui.»
«Non piacciono a nessuno, credimi.»
«Sarà, ma tu sembri più rilassato di me».
Il mago non rispose, e lei continuò con le domande, parlare la distraeva dai meandri angusti di quel posto macabro.
«Sei già stato qui?»
«Sì, una volta» ammise lui. «Alcuni mercanti di Eos erano disperati, la galleria si era trasformata nel nido di una famiglia di goblin che rendeva quasi impossibile il passaggio. Eos e Kratøos sono in buoni rapporti commerciali da secoli e la situazione era diventata insostenibile.»
«Cosa commerciano?»
«Pietre preziose. I minatori di Kratøos le estraggono dalle miniere, gli artigiani di Eos le lavorano allo stato grezzo, fino a trasformarle in gioielli veri e propri, poi le vendono agli armaioli del Regno di Metallo, i quali ne ricavano armi come queste, comprate dall’Accademia dei Maghi.» Edgemas mostrò il suo bastone, il Rubino incastonato non brillava.
«Un bel giro di compravendita. Gli abitanti di Kratøos non farebbero prima a lavorare le pietre per conto proprio? Che senso ha venderle agli artigiani elfici e poi ricomprarle?»
«La tua risposta è nella domanda: artigiani elfici, gli unici in grado di donare potenza magica a una pietra bella quanto inutile.»
«Già, gli unici esseri che nascono magici. C’è un arciere nella compagnia, anche lui sa usare la magia?»
«Non tutti i discendenti degli Elfi hanno poteri magici, le razze si sono mischiate, oggi è raro trovare un abitante di Eos con sangue puro, per questo non tutti hanno poteri magici».
Beanka annuì, restando pensierosa, poi il mago davanti a lei allungò un braccio per farle segno di fermarsi. Il sentiero che stavano percorrendo si apriva in un arco, oltre il quale c’era il vuoto e ombre di fiamme altissime, danzanti sui muri della galleria. Qualcuno parlava, ridacchiava, ma era una lingua incomprensibile. Troll.
Edgemas si chinò sulle ginocchia e avanzò di qualche passo, affacciandosi oltre lo strapiombo. Non erano molti, forse cinque o sei, ma erano grossi quanto un elefante e armati di mazza chiodata. Un paio si stavano già azzuffando tra loro. La strada che avevano percorso fino a quel momento proseguiva a vortice, portando dritto nella tana di quelle bestie mostruose, ma conducendo anche l’uscita della galleria, da cui si poteva scorgere la luce del giorno.
Per tutti i maghi, pensò, che voglia di respirare aria fresca e pulita.
Tornò indietro e si accostò all’amazzone, anche lei piegata sulle ginocchia. Le sussurrò che avrebbero dovuto abbandonare lì i cavalli, se fossero stati esseri intelligenti avrebbero sicuramente trovato la strada di casa; aggiunse che molto probabilmente avrebbero dovuto combattere, le chiese se fosse pronta e se avesse mai avuto un incontro ravvicinato con un troll.
«No» rispose lei.
«Bene, sono esseri enormi, con una forza fisica smisurata, ma completamente stupidi. L’importante è non farsi colpire dalla loro mazza chiodata».
Beanka gli lanciò uno sguardo di rimprovero, se la sua intenzione fosse stata quella di incoraggiarla, non ci era riuscito; quindi liberò i cavalli e salutò il suo adagiandovi contro la fronte. Intanto Edgemas afferrò una sella e la lanciò nel vuoto, richiamando l’attenzione dei troll.
«Ehi, bambinoni, vi va di giocare un po' con zio Edge?»
Beanka spalancò gli occhi, quello era tutto matto!
I troll grugnirono simili a cinghiali, qualcuno batté l’enorme testa contro la parete rocciosa, ferendosi, i due che si stavano picchiando, dopo un momento di interesse comune, continuarono nella lotta personale; altri due si mossero in direzione del mago, scalando la strada in salita.
Il Rubino sul bastone di Edgemas si illuminò, lui socchiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì un enorme masso rotolò lungo il sentiero, facendo perdere l’equilibrio al primo troll, il quale travolse anche quello dietro. Entrambi capitolarono giù, rotolando sul pentolone di acqua bollente, dove probabilmente stavano preparando il proprio pasto. Rimasero tramortiti a lungo.
L’amazzone tirò fuori le due daghe, tenendole ben salde nelle mani, poi con un urlo si lanciò nel vuoto, infilzando il cranio del troll che si era ferito con una testata contro la parete. Il troll era alto quasi tre metri, zoppicò, girò su se stesso, mentre Beanka gli era ancora incollata sulla testa, infine cadde con un tonfo tremendo, e Edgemas vide la ragazza volteggiare nell’aria prima di toccare terra con entrambi i piedi, simile a un gatto selvatico. L’amazzone ricambiò lo sguardo, fiera, con le mani sui fianchi, dimentica però degli altri due troll che adesso avevano smesso di litigare fra loro, caricando contro la ragazza, la quale riuscì a evitare il primo colpo con un balzo laterale, ma venne scaraventata contro il muro da una seconda manata violenta.
«Beanka!» Urlò il mago, battendo il bastone un paio di volte sul pavimento e appena prima che il secondo troll potesse afferrare la ragazza nella sua enorme mano, un muro di fuoco si eresse a difesa di quest’ultima. La bestia ringhiò infastidita in direzione del mago, poi si mosse verso di questo, risalendo la stradina che improvvisamente si trasformò in una lastra ghiacciata. Il troll scivolò, andando a sbattere contro il muro della montagna e trascinando con sé anche l’altro essere. Ritrovandosi uno addosso all’altro, i due ripresero a combattere.
Edgemas raggiunse Beanka, aiutandola a rimettersi in piedi, per fortuna la ragazza non aveva nulla di rotto, e insieme lasciarono la galleria delle Montagne Ululanti.
Fuori i raggi del sole erano ancora timidi, le alte cime della catena montuosa tardavano sempre il loro arrivo da quella parte di mondo conosciuto, ma non importava: l’aria era fresca e pulita e il loro obiettivo si faceva sempre più vicino.
 

 
Eos – capitale del Regno del Vento

Quando la medicea era giunta nella casetta che Da’miàn aveva indicato loro, era calato il silenzio più assoluto e reverenziale.
La somiglianza con l’arciere era palese: stessa pelle olivastra, stessi capelli scuri, stesse orecchie a punta, stessa espressione seria e imperscrutabile. Indossava una lunga veste di un verde brillante con ricami dorati, tra i capelli teneva un diadema intarsiato di pietre preziose e diversi disegni astratti le correvano lungo le braccia sottili e nude: era la regina.
Drew fu l’unico a chinarsi su un ginocchio al suo cospetto, gli altri la fissarono senza batter ciglio.
«Noto che la garbatezza è una virtù di pochi» disse lei, raggiungendo la persona da curare.
Rhia era distesa sopra un letto di emergenza, fatto di vecchie casse capovolte, paglia e una coperta logora, probabilmente utilizzata per coprire il bestiame. Becky, che fino a quel momento era stata accanto alla compagna, si mise in piedi e quasi ordinò alla donna di aiutarla.
«Amazzoni» sospirò quest’ultima rivolta a Da’miàn. «Amazzoni?» ripeté. «Qui, nella capitale? Se non fossi mio figlio ti avrei già denunciato alla guardia reale e fatto decapitare in pubblica piazza».
Gli occhi dei presenti si spostarono sull’arciere, il quale era rimasto sulla porta, senza entrare né spiccicare parola alcuna.
«Puoi salvarla?» Il generale di Scizia aveva le lacrime agli occhi, la sua voce era una preghiera disperata.
«Tu, mago, accendi un fuoco» ordinò la regina rivolta a Seth, il quale si mosse verso il vecchio camino controvoglia, non amava essere comandato, ma eseguì senza ribattere. «Voi, spostate la ferita vicino al calore, ne avrà bisogno» continuò la donna, questa volta indicando i due gemelli Jey e Joy. Anche loro eseguirono l’ordine in silenzio. La regina studiò la ferita di Rhia, ormai in coma da diverso tempo, quindi sospirò. «Intraprendere un viaggio senza una medicea, vi hanno mandato al macello, poveri sciocchi.» Nessuno replicò. «Uscite e rimaneteci fin quando non vi richiamo».
Infine la sovrana guardò Becky dritto negli occhi: «Anche tu, adesso devi lasciarci sole».
 
La natura circostante era ancora addormentata, le foglie dei prati brillavano di rugiada che si era posata durante la notte. L’amazzone si issò a sedere sopra lo steccato che circondava la zona, oltre si estendeva uno spiazzo verde a perdita d’occhio, suddiviso per colture.
Drew le si accostò.
«Stai bene? Dovresti riposare un po’.»
«Sto bene.»
Becky ripensò a Shayna, il suo sguardo terrorizzato non lo avrebbe dimenticato tanto facilmente, sapeva sarebbe tornato a farle visita ogni notte, abbassando le palpebre. La frase che le aveva sussurrato prima di cadere nel vuoto – il cuore, portalo alla regina – non aveva alcun significato per lei.
Il cuore?
Quale cuore?
E quale regina?
Charlotte?
Probabile.
Seth sbadigliò rumorosamente, il suo abito rosa si era strappato in più punti, rendendolo ancora più ridicolo allo sguardo altrui, semmai fosse stato possibile.
«E così hai chiamato direttamente mammina» affermò, rivolgendosi a Da’miàn, il quale se ne stava a occhi socchiusi con le spalle contro la porticina di legno della casupola. «Che mossa stupida. Portare due amazzoni nel regno e chiedere aiuto alla regina in persona.»
«Rhia aveva bisogno di cure.»
«Lo sai vero che un elfo e un’amazzone non possono stare insieme?»
Da’miàn di Delundel sollevò le palpebre e fulminò il mago con un’occhiata truce.
«Rhia è una compagna di viaggio, potevo aiutarla e l’ho fatto, tutto qui.»
«Tutto qui» gli fece eco l’occultista, scoppiando nella sua risata infima e da presa in giro.
Drew diede le spalle a entrambi, puntellandosi contro lo steccato e osservando la pianura che si estendeva davanti a sé. Vanesia era ormai vicina, a solo un giorno di cammino; se il sovrano di Eos avesse dato loro dei cavalli, ci sarebbero potuti arrivare in poche ore, ma dubitava che Da’miàn avesse intenzione di fargli sapere della loro presenza lì.
«Se quel mago non fosse tanto indispensabile per la missione, l’avrei già sgozzato nel sonno» disse Becky. Drew sorrise, aveva ragione.
«Non è cattivo, gli piace solo mettersi in mostra» rispose il corazziere. «Rhia ce la farà. La regina di Eos è forse la medicea più potente attualmente in vita.»
«Ci denuncerà al re?»
«No, non lo farà. Vuole bene a suo figlio e il suo compito è guarire, non uccidere».
Becky osservò Drew di nascosto, mentre quest’ultimo teneva gli occhi puntati davanti a sé. Era un bell’uomo, con le fattezze tipiche degli abitanti del Regno di Metallo: capelli lunghi e scuri, barba, fisico imponente, sicuro di sé e un abile guerriero. Ma non c’era solo forza fisica in lui, più di una volta aveva dimostrato uno spiccato acume, un’intelligenza pratica e meticolosità per i dettagli. Il sovrano di Kratøos lo aveva presentato come il “cavaliere gentiluomo” e, in più di un’occasione, aveva dato dimostrazione di quel nomignolo. Anche pocanzi, quando si era chinato al cospetto della regina.
Lui spostò le pupille nella direzione dell’amazzone, la quale prontamente abbassò lo sguardo.
«Io mi ricordo di te» disse all’improvviso e Becky scosse il capo, non capiva. «Mi ricordo di una bambina dai capelli rossi, a cui piaceva fare a botte con i maschi sebbene fossero più grossi di lei. Aveva coraggio, quella bambina, così tanto coraggio che un giorno sparì.»
L’amazzone rimase di stucco.
«Gli adulti la cercarono per settimane, alla fine si arresero, convinti che la Dama avesse mietuto un’altra vittima. I suoi genitori morirono di crepacuore: avevano perso un figlio e dopo poco anche la loro unica figlia. Il dolore fu troppo grande, li uccise».
Una lacrima scivolò lungo la guancia di Becky, dopo esser scappata non aveva saputo più nulla dei suoi genitori, li immaginava vecchi e soli davanti al camino, ma mai avrebbe detto che fossero morti di solitudine.
«Mi piaceva quella bambina, sai? Era diversa dalle altre, era una tosta, che non si arrendeva mai, ma sapeva riconoscere il valore di un avversario e gli portava rispetto. Pensavo che sarebbe diventata una guerriera fortissima e non mi sono sbagliato.» Drew finalmente si voltò verso di lei, notando il viso bagnato dalle lacrime, ma non vi diede peso. Anche piangere serviva a esorcizzare le paure e il dolore.
«Ti ho riconosciuto subito nella sala del trono a Osihria, mi sono stupito di vederti in vita, ma non della combattente che sei diventata.»
«Dopo la morte di Leo non avevo motivo di restare, il mio sogno era quello di combattere e dovevo trovare il modo per realizzarlo. Se fossi rimasta a Kratøos il mio destino sarebbe stato scontato. Matrimonio, figli, vecchiaia davanti a un focolare… Mio padre aveva già deciso a quale famiglia sarei appartenuta. Mi rifiutai di accettare, poi una sera lo sentii mentre raccontava a mia madre del rapimento che stava architettando con il padre dell’uomo a cui sarei andata in sposa. Se non avessi accettato attraverso le pratiche consensuali, sarebbero passati al rapimento».
Drew non disse nulla. Conosceva benissimo gli usi matrimoniali del suo regno, dove una donna poteva andare in sposa attraverso due metodi: il contratto legale firmato da entrambe le famiglie e gli sposi; oppure il rapimento della sposa, la quale sarebbe stata costretta a giacere con il futuro marito in modo che sarebbe diventata di sua proprietà.
«Sono fuggita quella notte stessa. Ho vagato per villaggi e campagne per un tempo indefinito, un anno forse, o solo un mese. Poi incrociai per caso delle amazzoni che cavalcavano di ritorno da una missione. Mi presero con loro, senza fare troppe domande.»
«Se fossi io il re del Regno di Metallo, permetterei anche alle donne di entrare a far parte dell’esercito, consentendo loro di sposare chi vorrebbero.»
«E le getteresti dal dirupo a dieci anni?»
Di nuovo si fissarono, senza dire nulla, il tono dell’amazzone si era indurito, incattivito quasi.
«Becky, io…». Lui aprì bocca, pronto a pronunciare chissà quali parole, poi la regina di Eos comparve sulla soglia della casetta, chiamando l’attenzione proprio del generale amazzone, la quale toccò terra con un balzo, correndo incontro alla sovrana. Questa richiuse la porta alle loro spalle.
Seth si mosse in direzione di Drew, un sorriso ebete e canzonatorio gli attraversava il volto, gli puntò l’indice contro, muovendolo su e giù.
«Ah, l’amore! Una forza che metterebbe in ginocchio persino un corazziere grande e grosso come il nostro Drew!»
All’improvviso una palla infuocata attraversò la zona antistante la casa, diretta verso l’occultista, il quale con prontezza di riflessi si difese invocando uno scudo, tuttavia troppo debole, che si frantumò in mille pezzi.
Immediatamente gli altri si destarono, impugnando le armi. Verso di loro avanzava un uomo dal lungo mantello grigio e logoro, con il cappuccio calato sul capo, seguito da una giovane donna con una lunga treccia che quasi sfiorava il terreno. Edgemas tirò via il cappuccio, rivelando la sua identità a Seth, il quale sgranò gli occhi.
«Finalmente ci incontriamo, cane!» Esclamò il Mago Vikingo, lanciando contro l’occultista un’altra sfera di fuoco. Ancora una volta Seth si difese bene, senza che il suo scudo andasse in frantumi.  
«Edge, che fai? Sono loro la…» Beanka tentò di parlare con il mago, mentre Seth disegnava nell’aria un cerchio e puntellava il suo interno con decine di punti, poi batté il bastone sul terreno e l’Ametista brillò. I puntini si trasformarono in chiodi che saettarono in direzione dei nuovi arrivati.
Edgemas si posizionò davanti alla ragazza, issando un muro di ghiaccio per proteggere entrambi.
«Che fate lì impalati, idioti! Attaccateli, no?» L’occultista afferrò Jey per una spalla e lo spinse in avanti. Il nipote di Namor sfoderò la scure e si lanciò contro i nemici con poca convinzione, seguito a ruota dal fratello. Anche Da’miàn si posizionò al meglio, pronto a scagliare la sua prima freccia.
Solo Drew era rimasto al canto di Seth, sebbene con lo spadone sguainato.
«Chi sono, Seth?»
«Nemici, non lo vedi?»
«Ma quella è l’amazzone esclusa dalla sua regina…»
«Perciò vuole ucciderci, è invidiosa. Ammazzala!»
I gemelli saltarono con le asce sopra le teste, avventandosi contro Edgemas e Beanka, ancora rannicchiata dietro di lui. Il Rubino brillò intensamente, due braccia di pietra sbucarono dal terreno e afferrarono alla gola entrambi i fratelli, trattenendoli per qualche secondo a mezz’aria, prima si scagliarli lontano. Jey e Joy rotolarono per qualche metro, perdendo le loro armi nell’impatto.
«Non attaccateci, non vogliamo combattere!» Urlò Beanka, alzandosi e mettendosi a braccia aperte davanti al mago, ma fu tutto inutile. Seth intanto aveva creato una nuova runa direttamente sulla terra, lo stesso identico disegno apparve ai piedi di Edgemas e della ragazza, illuminandosi di un rosso aranciato. Edgemas imprecò, poi afferrò l’amazzone per la vita e insieme ruzzolarono sul terreno, mentre la runa esplodeva, espandendo nell’aria un fumo denso e nero. Beanka tossì, sforzandosi di ripetere di non attaccarli, non erano nemici.
Il Mago Vikingo impugnò meglio il proprio bastone per rimettersi in piedi, lo roteò nell’aria spazzando via la nube scura, appena in tempo per parare il colpo di spada di Drew. Lo scudo di ghiaccio che aveva creato però si ruppe e i due si trovarono faccia a faccia, solo le armi – una contro l’altra – li divideva.
«Chi sei? Che cosa vuoi? Ti manda la Dama?»
«No, siamo venuti per voi, non ti ricordi di me? Dov’è il generale Becky? E Rhia? E Shayna?» Beanka letteralmente si aggrappò al bicipite del guerriero di Kratøos, il quale la ascoltò cominciando ad allentare la presa, poi una freccia scagliata da Da’miàn separò tutti e tre.
Seth batté per tre volte la punta del bastone e spuntoni di roccia alti due metri spuntarono dal terreno, pronti a infilzare chicchessia. Edgemas lanciò in tutta risposta tre palle infuocate nella sua direzione, l’occultista riuscì a ripararsi dietro un muro di roccia, ma il Mago Vikingo era già pronto a lanciare frecce di ghiaccio.
La porta della casa si spalancò e la regina si mostrò a gran falcate, issando un muro di cristallo fra i due contendenti.
«C’è una persona ferita che ha bisogno di riposo! Sembrate bambini senza educazione!». Poi si soffermò in particolare sugli ultimi due arrivati. «Voi siete nuovi, non mi ricordo di avervi visto prima», squadrò Beanka da capo a piedi, un’amazzone – pensò – e chiamò a sé Becky. Quando le due ragazze si videro, si corsero incontro, abbracciandosi. Il generale la portò dentro con sé, tenendole un braccio intorno alle spalle.
Seth si accostò al muro invocato dalla regina, sfiorandolo con il bastone. La donna ritirò l’incantesimo, invitando tutti ad entrare, Rhia era fuori pericolo.
 
 
 
L’amazzone bionda dormiva sul giaciglio di paglia accanto al fuoco. Adesso il suo respiro era regolare, l’espressione del volto rilassato. Beanka era al suo canto, le ginocchia piegate, mentre una mano carezzava i capelli dell’amica, le guance erano rigate di lacrime e il labbro inferiore tremava ancora visibilmente. Edgemas avrebbe voluto avvicinarsi, posarle una mano sulla spalla per darle conforto, ma ora aveva un impegno più urgente da finire: strangolare Seth.
L’occultista si nascondeva dietro lo scudo umano costituito dalle spalle di Drew. Quando Edgemas provò ad afferrarlo per il collo, il guerriero di Kratøos infatti lo tenne fermo, dicendogli di calmarsi e di presentarsi.
«Sono Gareth Edgemas Anders, il mago scelto da Volkàn per guidarvi in questa missione», prese una pausa. «Quello vero
«È un bugiardo! Un impostore!» Seth gli punto il bastone contro, l’Ametista si illuminò.
«Sei tu l’impostore!» Beanka si mise in piedi e parlò senza fretta, senza alcuna urgenza, tenendo gli occhi scuri puntati in quelli di Seth. «Hai messo in pericolo tutti loro, la riuscita della missione stessa. Shayna potrebbe essere morta per colpa tua!» La voce si alzò ad ogni espressione, diventando quasi stridula sul finire, le lacrime avevano ripreso a scendere.
«Tu sei l’inutile amazzone che la regina Charlotte ha tenuto fuori da questa storia. Quanti anni hai? 15? Non dovresti neanche essere qui, quindi per piacere taci!»
Beanka sfilò le daghe dai foderi che teneva dietro la schiena, pronta a colpire il mago, il quale a sua volta le punto contro il bastone, l’Ametista scintillò.
Becky si posizionò tra la pietra violacea e le armi della sua compagna, con il viso minaccioso rivolto verso l’occultista:
«Prova anche solo a smuoverle i capelli con una folata di vento e – giuro – neanche tua madre ti riconoscerà più!».
Lo sguardo di Seth si indurì, il colore della pietra magica s’intensificò, poi Drew lo sovrastò con la sua stazza schermendo le ragazze. Edgemas colpì il mago all’addome con un pugno, il quale si chinò in due, tossì, l’Ametista si spense e i gemelli lo afferrarono per le spalle, costringendolo a sedersi sul pavimento. Lo tennero così per tutto il tempo della chiacchierata.
Seth ammise di aver preso il posto di Edgemas ritenendosi il mago più potente, l’unico in grado di poter affrontare e fermare la Dama del Vento. Non aveva nessuna intenzione di metterli in pericolo, né di far fallire la missione.
Becky gli mollò un pugno sul naso, facendoglielo sanguinare. Seth ululò dal dolore, dibattendosi come un animale in gabbia, fin quando Jey e Joy lo liberarono dalla presa e lui poté tamponarsi.
«Mi hai rotto il naso, strega! Mi hai rotto il naso!»
La regina di Eos, la quale era rimasta ad assistere alla scena, si chinò davanti al mago ferito, tenendo il proprio bastone di avorio con entrambe le mani. La pietra azzurrina si illuminò di una fievole luce, pronunciò un paio di frasi sommesse, poi il sangue smise di fuoriuscire dal naso di Seth e il livido bluastro, che si andava già espandendo sugli zigomi e sotto agli occhi, rientrò, fino a scomparire del tutto. La donna tornò in posizione eretta, attese qualche secondo prima di parlare:
«Avete bisogno di ogni aiuto possibile per affrontare la Dama. Vincerla? Non credo ci riuscirete… Nessun mago vivente, per quanto potente, ha speranza contro di lei. Ma voi siete in tanti, forti, e uniti». La regina li guardò uno a uno. «Ci sono legami intensi tra alcuni di voi, e saranno questi a salvarvi. Forse.» Poi si rivolse a suo figlio, con le braccia conserte a fissare il fuoco vivo del camino, Rhia alle sue spalle cominciava a svegliarsi. «Sei partito dalla sera alla mattina. Non eri tu il prescelto di tuo padre per questa missione, ma hai voluto disobbedirgli andando contro i suoi ordini e – come se non bastasse – hai violato la legge del Regno portando qui, a Eos, delle amazzoni. Dovete andarvene prima che qualcuno vi scopra. Andate a ovest, Vanesia dista solo un giorno di viaggio. Con dei cavalli sareste arrivati in mezza giornata, ma non posso aiutarvi, sebbene io sia la regina non posso mettermi contro il volere del re. E il re, tuo padre, è molto adirato con te».
Da’miàn non disse una parola, si limitò a guardare sua madre andare via, dandogli le spalle. Becky la raggiunse fuori, socchiudendo la porta alle sue spalle.
«Mia regina» la chiamò e questa si voltò annuendo, sebbene l’amazzone non riuscisse a ringraziarla a dovere. Donne orgogliose, queste guerriere.
«Ti chiami Becky, giusto?» Le domandò la donna. «Pondera bene le tue scelte, ne dipenderà il futuro del Regno.»
«Quale Regno?»
«Il tuo».
 
  
 
 
Quando si rimisero in viaggio era mattino inoltrato. I contadini avevano ormai cominciato a lavorare la terra, qualcuno li salutò alzando un palmo. Edgemas si raccomandò di non corrispondere, in particolare consigliò al principe di Eos di nascondere il viso, non avrebbero dovuto riconoscerlo.
Le terre coltivate erano ormai alle spalle, la pianura verdeggiante si espandeva intorno a loro, alcune querce secolari proiettavano ombra sul terreno. Avrebbero potuto accamparsi sotto una di quelle per trascorrere la notte, soprattutto avrebbero dovuto cacciare selvaggina per mangiare qualcosa. A Vanesia non avrebbero avuto problemi, era una città di confine, un porto franco che non faceva capo alle leggi di un regno a cui sottostare, c’era l’imbarazzo della scelta per taverne e locande in cui rifocillarsi e riposare, prima dell’ultima tappa. La più difficile, probabilmente.
Ognuno era immerso nei propri pensieri, si udivano solo le risate argentine di Rhia e Beanka che di tanto in tanto smuovevano il silenzio, quando un contingente di guardie di Eos li circondò. Erano circa una ventina, forse qualcuno in più. Tenevano gli archi tesi e la punta delle frecce pronte a scoccare. Il loro capitano si fece avanti: il cavallo biancò nitrì, lui lo tenne fermo per le redini. Indossava un’armatura candida e scintillante, il simbolo della casata veleggiava al centro dello stendardo. L’uomo tirò via l’elmo, aveva un viso comune, non più giovane.
«Principe Da’miàn» tuonò guardando l’arciere dall’alto in basso. «Suo padre, il re, ha chiesto di lei e… dei suo amici. Le amazzoni…» il comandante osservò le donne, un’espressione di disprezzo gli attraversò il volto, come se avesse dinnanzi delle bestie immonde. «Sono condannate a morte. Con effetto immediato».
Le frecce degli arcieri si mossero all’unisono, rivolte alle tre ragazze, poi a un cenno del loro capitano scoccarono. Edgemas impugnò il bastone, lo batté sul terreno una sola volta e uno scudo di ghiaccio si innalzò a protezione delle amazzoni. Quando tornò con l’attenzione sul capitano del reggimento, notò che Da’miàn lo teneva già sotto scacco, con una freccia puntata dritta contro la testa.
«Di’ a mio padre che non abbiamo tempo per fargli visita, ringrazialo per la cortese ospitalità, ma urge una missione da portare a termine. Digli anche che se le mie amiche non sono le benvenute nel suo Regno, allora non lo sarò neanche io. Mai più. Hai capito?» L’uomo non rispose e l’arciere puntò la freccia alla sua gola, sulla carotide. «Hai capito?» Ripeté.
«Sì.»
«Bene, e adesso scendi da cavallo e ordina ai tuoi uomini di fare altrettanto».
Il comandante eseguì, imitato dalle altre guardie, ma una volta a terra queste sguainarono le spade e le lance, attaccando la compagnia. Da’miàn fu allontanato con uno spintone, mentre il capitano dell’esercito urlava ai suoi uomini di ammazzarli tutti, risparmiando solo il principe.
Jey afferrò la sua ascia e anche quella che il fratello gli offriva, le piazzò entrambe nel cranio di un elmo nemico, poi le lanciò al gemello Joy, il quale aveva appena atterrato con un calcione in pieno volto un guerriero di Eos. Questo ruzzolò sul terreno fatto di erba fresca, fece per rimettersi in piedi, ma un colpo d’ascia ben assestato lo lasciò morente e sanguinante.
Rhia corse verso Da’miàn porgendogli la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi, poi parò in tempo il fendente del capitano che calava su di lei, accompagnato da vari insulti. L’arciere combatteva alle sue spalle, scoccando frecce che andavano a colpire il resto dei nemici, ora nelle gambe, ora nelle cosce, aiutando chi in quel momento li stava fronteggiando. Uno di loro era pronto a colpire Becky alle spalle, intenta a sua volta a estrarre la punta dello stocco dall’addome di un altro combattente di Eos, quando la freccia di Da’miàn lo azzoppò, fermando il colpo a mezz’aria. Beanka calò dall’alto con le daghe, sgozzandolo.
Seth toccò il suolo con la punta della sua arma, l’Ametista s’illuminò e spuntoni di ghiaccio sbucarono dal terreno, ferendo le guardie, le quali furono raggiunte ben presto da sfere infuocate. I cavalieri di Eos si trasformarono in torce viventi che urlavano e si dimenavano come impazzite, trapassate infine dello spadone di Drew.
Il principe afferrò il comandante per il collo e lo tirò via da Rhia, ormai quasi sopraffatta dal peso dell’armatura bianca. L’amazzone vide gli altri salire in groppa ai pochi cavalli rimasti, molti erano scappati spaventanti.
Vide i gemelli e Seth correre ciascuno sul proprio destriero bianco, richiamando gli altri a fare altrettanto. Drew aveva appena teso la mano a Becky e senza neanche attendere che la donna si fosse sistemata al meglio, era già partito al galoppo, con lei aggrappata alla sua schiena. Beanka stava cavalcando verso Edgemas, ancora impegnato a tenere a bada un paio di guardie, se ne liberò velocemente poi afferrò la mano dell’amazzone e si issò alle sue spalle. Rhia allora balzò sul cavallo del comandante, afferrò Da’miàn per un braccio e lo tirò su. Lo sentì muoversi per sistemarsi con il viso rivolto alla capitale, mentre prendeva la mira e scoccava una freccia:
«Questa è per mio padre! Digli che ti ho mancato di proposito e digli anche di non aspettarmi!»
«Sei sicuro?» Gli chiese l’amazzone cavalcando per raggiungere gli altri.
«Sicurissimo».


 
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Capitolo 6
*** V. ***


 

V.

 
 

Vanesia

Giunsero nella Città della Pioggia a notte inoltrata.
Un leggero piovasco li accolse già qualche chilometro prima, aumentando d’intensità a mano a mano che si avvicinavano al centro.
Vanesia era l’ultimo baluardo del Continente Abitato, l’ultimo porto del mondo conosciuto, oltre il Mare Muto c’era solo il Continente Nebbioso: un’isola selvaggia e ignota, avvolta da una densa nebbia bianca, da cui nessuno aveva mai fatto ritorno. Quella era la loro meta: la donna protetta dalla Dama viveva nascosta nella foresta. 
Vanesia era quindi una città portuale, dove una pioggerella veniva giù dal cielo praticamente sempre. Le case erano di mattoni grigi e umidi, le strade battute da carrozze e topi grossi quanto gatti. Il puzzo di pesce permeava l’aria, tuttavia dopo un po’ anche l’olfatto si abituava.
Attraversarono le vie desolate che costeggiavano il mare calmo, si udiva solo l’infrangersi dell’acqua contro le pareti del porto, dove oramai il muschio si arrampicava forte e vischioso.
Edgemas era a capo della fila. Da quando erano entrati in città era disceso da cavallo e adesso lo tirava per le redini, mentre la sua compagna di viaggio, Beanka, dormiva abbracciata al collo dell’animale. Becky e Drew erano subito dietro di lui, seguiti a ruota da Seth, i gemelli e Rhia, la quale chiudeva la fila con Da’miàn.
«Beanka non ha mai avuto una grande resistenza al sacrificio fisico» disse Becky osservando la ragazza. Si teneva all’addome del corazziere sebbene ormai l’andamento del cavallo fosse rallentato e non ce ne fosse bisogno.
«L’ho imparato a mie spese» scherzò Edgemas, ricordando la disavventura nel bosco.
«Grazie per esserti preso cura di lei». Gli disse il generale amazzone e il mago la guardò, non aspettandosi quelle parole. Semplicemente annuì con il capo, senza aggiungere nulla. Forse, se fossero stati da soli, le avrebbe risposto che non c’era nulla per cui ringraziarlo. Beanka si era rivelata un’abile combattente e un’ottima compagna di avventure. Era scaltra e forte e sapeva benissimo badare a sé. Ma in quel caso preferì tacere: lo sguardo indagatore di Seth lo turbava già abbastanza.
Si fermarono davanti all’ingresso di una locanda, sembrava l’unica abbastanza grande da avere un alto numero di stanze per ospitarli e una piccola stalla per i cavalli. L’indomani non avrebbero portato gli equini in viaggio verso la foresta, ma al ritorno avrebbero comunque avuto bisogno di un mezzo con cui tornare indietro. Semmai fossero riusciti a tornare, ovvio.
Il locale era vuoto, le sedie erano già state alzate sopra i tavoli e una donnona grossa quanto un tavolo stava lavando il pavimento. Quando sentì la porta aprirsi urlò che erano chiusi e di tornare al mattino, ma nessuno della compagnia si mosse.
«Questa topaia si permette pure il lusso di chiudere» rise Seth, scatenando l’ira della donna.
«Cosa siete? Trapezisti? Pagliacci? Gestite un circo?» Chiese quest’ultima soffermandosi sull’abito dell’occultista, il quale fece per replicare ma venne anticipato da Edgemas.
«Mia signora, abbiamo bisogno di cibo caldo e un posto in cui dormire. Siamo viandanti in cerca di ristoro.»
«Siete strani» ribatté la donna, osservandoli uno alla volta. «Maghi. Guerrieri. Amazzoni. Cosa ci fate tutti insieme? Io vi riconosco, sapete. Vivo in questo schifo di città da quando sono nata, ho imparato a distinguervi. Tutti quanti. E i peggiori sono proprio i maghetti da strapazzo come te!» Continuò la donna puntando contro Seth il manico di scopa. «Vi credete migliori di altri solo perché sapete usare due trucchetti magici.»
«Trucchetti magici? Donna, se voglio posso trasformati in un rospo per sempre. E saresti più aggraziata comunque!»
«Come ti permetti?»
«Chiedo perdono, mia signora, per la lingua biforcuta di mio fratello. Sa, da piccolo ha battuto la testa.» Era stato di nuovo a Edgemas a parlare. «Davvero, vi chiedo ospitalità. Ha ragione, siamo una compagnia alquanto curiosa. Ma… non so se posso fidarmi di voi, madama…».
La donna fiutò odore di mistero e si incuriosì.
«Certo che puoi, figliolo.»
«Vede, stiamo difendendo una vita…»
«Una vita?»
Anche gli altri adesso sembravano curiosi di sapere dove sarebbe andato a parare il Mago Vikingo.
«Lei è Becky, una giovane amazzone fuggita da Scizia prima che la uccidessero, poiché è…»
«Oh, per tutti i maghi! Uccidere, e perché mai?»
«Perché aspetta un bambino!»
«Un bambino? Un’amazzone? Ma non può, è vietato!» La donna si portò entrambe le mani sulla bocca, la scopa cadde lunga distesa sul pavimento.
«Esatto, perciò la stiamo proteggendo.»
«Ehy, non è-» Becky tentò di replicare, ma il mago la tenne per le spalle.
«E chi è il padre?»
I presenti fissarono la donna, poi Edgemas in attesa che rispondesse. Il mago posò una mano sul bicipite di Drew, colpendolo un paio di volte.
«Il loro amore è divampato così potente e improvviso che non sono riusciti a placarlo.»
Beanka e Rhia sghignazzarono, beccandosi un’occhiataccia da parte del loro generale. Anche i gemelli risero di sottecchi, notando il rossore che si andava espandendo sul volto del loro compagno d’armi. Solo Becky sembrava infastidita e a disagio per quella farsa. Lei e Seth, stanco e affamato.
«Certo che capisco. Povera piccola. Anche io mi innamorai di un uomo grande e grosso, ma il mattino dopo scomparve, lasciandomi da sola a crescere il nostro bambino. Mi ricapitò con un marinaio di passaggio. Non ho saputo più niente neanche da lui e ho allevato un figlio, completamente da sola, per la seconda volta. La terza volta nacque una bambina, orfana di padre anche lei. Era un guerriero di Kratøos, santi maghi, passai tutta la notte a-».
«Bene, mia signora, ci aiuterai?» La interruppe Edgemaas, tenendo ancora una mano sulla spalla di Becky e l’altra sul braccio di Drew.
La donna li aiutò.
 
Mangiarono pollo e carne essiccata, bevvero anche di più.
Discussero sul viaggio che avrebbero intrapreso il giorno successivo. Sulla nebbia che avrebbero dovuto attraversare e contro la quale sembrava non ci fossero difese. Era una nebbia magica, invocata dalla Dama in persona per celare la cara nonnina, o chiunque stesse proteggendo. Si diceva risvegliasse gli incubi più intimi di una persona, facendogli confondere la realtà con il sogno. Nessuno era mai riuscito a oltrepassarla, ammesso che qualcuno ci avesse provato. Solo le menti più forti, quelle con una volontà di ferro, in grado di riconoscere il vero dalla menzogna, erano capaci di fronteggiarla e issare un muro di difesa nella propria testa. Gli altri, perivano.
Da’miàn di Delundel disse che il suo regno aveva un’area del porto riservata, lì avrebbero trovato almeno un paio di navi pronte per trasportarli dall’altra parte della riva. Questi erano stati i patti che suo padre il re aveva preso con i Regni alleati. Quindi, per quanto riguardava la traversata, non avevano di che preoccuparsi.
«Come sconfiggeremo la Dama?» Chiese Rhia, strappando un pezzo di carne dall’osso con le dita.
«Lo capiremo quando ce la troveremo dinnanzi» rispose Edgemas.
«È una maga potente» intervenne Seth, incredibilmente serio. «Usa la magia nera» concluse, fissando il Mago Vikingo.
Quest’ultimo lo guardò a sua volta. Sapeva cosa voleva significare, era ciò che esisteva più vicino a un dio. Aveva visto con i suoi occhi i corpicini martoriati dei bambini lungo le rive delle Cascate Genitrici, quando nell’aria aleggiava ancora la potenza di quella magia maligna, oscura e spaventosa.
«Ho paura» disse Beanka, adagiando il capo sulla spalla di Edgemas. «Non della Dama, ho paura della nebbia, di ciò che potrei vedere».
Il mago le passò un braccio intorno alle spalle.
«Io non ho paura di niente» aggiunse Jey, bevendo un lungo sorso di birra, poi ruttò urtando con il gomito il fratello. Risero entrambi, Becky arricciò il naso in una smorfia di disgusto. Odiava gli uomini così, rozzi e cafoni, e nel regno in cui era nata ce ne erano tanti.
«Non temi le tue ansie? Il tuo inconscio?» Era stato Edgemas a chiedere.
«E perché dovrei?» Jey era molto sicuro di sé.
«E tu, Joy? Hai paura?»
«Ovviamente no! Siamo i nipoti del sovrano di Kratøos, siamo sopravvissuti alle Cascate Genitrici, destinati al trono del Regno di Metallo. Di cosa dovremmo avere paura?»
«Di voi stessi» rispose Becky sottovoce, se i gemelli la sentirono fecero finta di nulla. Drew invece la guardò da sopra il bicchiere da cui stava bevendo.
«Io penso che tutti noi abbiamo una paura recondita in fondo al cuore, spero solo che la nebbia non scavi troppo a fondo nelle coscienze». Concluse Da’miàn, il quale fu il primo ad alzarsi dal tavolo, aggiungendo che lui preferiva andare a riposare. La notte era lunga, ma il giorno seguente lo sarebbe stato di più.
Beanka intanto si era appisolata sulla spalla di Edgemas, quest’ultimo la prese in braccio e si avviò su per le scale, seguito da Becky e da Rhia. Adagiò la giovane sul letto nella stanza che le amazzoni avrebbero condiviso e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Seth era sull’uscio della sua camera, le braccia incrociate e un sorriso di scherno dipinto sul volto, i gemelli erano già mezzo addormentati alle sue spalle. Sapere di non dover dormire con l’occultista donò un senso di sollievo al Mago Vikingo.
«Questa vena paterna potrebbe portarti alla rovina, Edge.»
«Sei preoccupato per me, Seth?»
«No, mi divertirò quando sarà il momento.»
Edgemas lo fissò a lungo, poi Drew lo oltrepassò posandogli una manona sulla spalla.
«Lascialo perdere, non sprecare energie».
 
 

 
 
Da’miàn si portò l’armonica alle labbra e iniziò a intonare quella dolce melodia. Sempre la stessa, l’unica in realtà che sapesse suonare. Gliel’aveva insegnata sua madre, era la ninna nanna che gli canticchiava prima di addormentarlo, quando gli ululati del vento lo spaventavano a morte e non riusciva a prendere sonno. La regina era solita dirgli che un animo sensibile come il suo si sarebbe bruciato presto, consumato come il ceppo di un tronco in fiamme. Ne sarebbe rimasto solo lo scheletro, poche ceneri grigie e inodore. E così era stato. L’indole di Da’miàn aveva dovuto adattarsi a un mondo senza amici, dove prevaleva il più forte sul più debole, privo di amore per il prossimo, in cui contava solo la propria sopravvivenza.
Rhia si sedette al suo fianco, sul tetto scosceso della locanda. Aveva dormito poco, poi la musica aveva attirato la sua attenzione, quasi come se l’avesse richiamata. L’arciere continuò a suonare, finché le ultime note furono portate via dalla brezza marina.
«Dovresti riposare, sei stata ferita.»
«Sto bene. Ho dormito quasi per ventiquattro ore.» Rhia tirò indietro i capelli chiari, corti sopra la nuca. «Non sapevo che tua madre fosse una medicea. È molto potente.»
«Mia madre è una medicea molto potente», ripeté il principe. «Adesso lo sai.»
Risero appena.
«Tuo padre sarà arrabbiato con te.»
«Mio padre è sempre arrabbiato con qualcuno, mai con se stesso».
Rhia notò come il tono di voce di Da’miàn si inasprisse quando parlava del re di Eos.
«Hai portato delle amazzoni nel regno, sarai punito per questo? Se dovessi avere bisogno di una mano, fammi un fischio e correrò in tuo aiuto.»
«Non ce ne sarà bisogno, non tornerò più a Eos. E non ho portato delle amazzoni qualunque nel regno. Una mia amica era in pericolo, ho solo agito di conseguenza».
Rhia lo guardò. L’aveva definita amica. Pensò alle ragazze di Scizia, le quali potevano essere considerate compagne – come Beanka – ma non aveva mai pensato a loro come a delle amiche. Un amico poi… non aveva mai neanche preso in considerazione la possibilità di averne uno.
Un amico… gli piaceva.
«Shayna è…»
«Sì», rispose il principe di Eos, socchiudendo gli occhi e riprendendo a suonare la nenia di prima.
Rhia adagiò il mento sulle ginocchia tirate al petto. Davanti a lei si estendeva a perdita d’occhio una massa incolore e informe: il Mare Muto. L’orizzonte non riusciva a distinguersi, il cielo era scuro, attraversato da nuvole dense. La pioggia aveva smesso di venire giù, ma l’aria era pesante e umida.
Sentì la porta della locanda aprirsi, si affacciò leggermente in avanti e notò Drew uscire nella notte, lo spadone rinfoderato lungo la schiena, si muoveva con circospezione. Si volse a destra prima di incamminarsi lungo il margine sinistro, tenendosi sotto le mura delle case.
Da’miàn aveva smesso di suonare, anche lui attirato dal cavaliere gentiluomo. Si lanciarono un’occhiata interrogativa, lei scosse il capo come a dire “non chiedere a me”, poi la porta della taverna si aprì di nuovo e Becky ne fece capolino. Aveva indossato il mantello di Beanka e, tiratosi su il cappuccio, pedinò il combattente di Kratøos. I suoi piedi di muovevano come zampe feline, svelte e silenziose.
«Quei due…» cominciò Da’miàn.
«Si metteranno nei guai» concluse Rhia, passandosi una mano sul viso.
 
 

 
 
Drew, il cavaliere gentiluomo, camminava a grandi falcate. Non aveva fretta, sapeva di essere in perfetto orario perché era quella l’ora in cui i pescatori uscivano di casa per iniziare a tirare gli armeggi, sistemare le reti e bere un cicchetto di sidro caldo prima di mettersi in mare.
Lo sapeva, perché lo aveva fatto per anni.
Fin da subito, si era anche accorto dell’amazzone che lo pedinava. Lei non poteva saperlo, ma lui teneva un sorrisino divertito stampato sulle labbra. Stava solo cercando il momento ideale per farle prendere un colpo e – perché no – mettere alla prova il tanto famigerato coraggio guerriero delle amazzoni di Scizia.
Contò i passi, fra meno di duecento metri ci sarebbe stata una svolta sulla sinistra e subito dopo una sulla destra, se invece avesse continuato dritto sarebbe arrivato al porto, ma non c’era fretta. Aveva ancora un po’ di tempo prima che lui si mettesse in mare sulla sua vecchia bagnarola.
Svoltò a sinistra, proseguendo si sarebbe inoltrato nel centro cittadino, quindi virò nel vicolo cieco a destra. L’oscurità lo avvolse completamente, sarebbe stato difficile da notare anche per occhi felini.
Becky lo vide da lontano girare a sinistra e ne rimase stranita. Ovviamente, non conosceva la città e non sapeva dove l’avesse condotta quella stradina. Restare sul percorso principale sarebbe stato l’ideale, era una via larga, e avrebbe anche saputo come tornare indietro. I vicoli stretti invece non le erano mai piaciuti. Tastò la spada che teneva contro il fianco, sentendosi meglio.
Era sveglia quando aveva udito la porta della camera di Drew aprirsi e d’istinto si era affacciata alla finestra, per vedere chi fosse uscito. Anche Rhia era andata via poco prima, ma sapeva che stava semplicemente raggiungendo Da’miàn sul tetto. Ne aveva riconosciuto la melodia, la stessa che aveva sentito alla Fortezza Inespugnabile, quando avevano incontrato la Dama per la prima volta.
Temeva che fra quei due potesse nascere qualcosa? No, la loro era solo amicizia, lo aveva capito dai gesti e dagli sguardi che si scambiavano, come quelli di due complici che stanno per effettuare un furto insieme. Inoltre, girava voce che a Rhia piacessero le donne…
Affacciatasi alla finestra, aveva intravisto Drew incamminarsi lungo il fianco sinistro del porto. Senza pensarci due volte, aveva afferrato al volo il mantello di Beanka – profondamente addormentata – ed era uscita. Fin da quando avevano iniziato quella missione, aveva sempre temuto che ci potesse essere una spia nella squadra. Le parole di Shayna poi – il cuore, portalo alla regina – avevano aumentato quel timore. Non pensava che fosse Drew, ma aveva imparato a sue spese che non poteva fidarsi di nessuno nella vita, che l’apparenza inganna.
Così si era tenuta a qualche metro da lui, con il cappuccio calato sul capo, sperando di nascondere invano i suoi capelli scarlatti. Poi, il corazziere era scomparso oltre il muro di sinistra.
L’amazzone rimase qualche minuto interdetta, immobile all’incrocio. La strada che l’uomo aveva intrapreso era poco illuminata e angusta, non c’erano case lì, solo pareti grigie e umide da entrambi i lati che sembravano condurre nel cuore della notte più buia. Becky sfilò lo stocco e lo tenne vicino a sé, muovendosi piano, un piede davanti all’altro, non notò neanche la rientranza sulla destra tanto era scuro. 
Drew l’afferrò per il collo e la minacciò di tagliarle la gola con un coltello più piccolo che teneva sempre nascosto sotto la cinta, mentre le torceva il polso della mano, con cui lei teneva la spada, dietro la schiena.
«Da una guerriera come te mi sarei aspettato molto di più» disse, lasciandola andare.
Becky sentì il cuore salirle in gola, le pulsavano le tempie e il fiato era troppo corto per pensare. Drew le posò una manona sulla schiena, mentre lei era china in avanti, sforzandosi di respirare.
«Ehi, non volevo spaventarti in questo modo» cercò di tranquillizzarla, ma l’amazzone si avventò contro di lui che finì con le spalle contro il muro. Il piccolo coltello gli scivolò via mentre gli passava la propria spada a fior di guancia.
«Da un guerriero di Kratøos mi sarei aspettata molto di più».
I loro volti erano vicini, quasi si sfioravano. Drew alzò le dita per posargliele sui capelli, carezzandole la testa, la sua espressione si addolcì, quella di Becky invece parve spaurirsi ancor più di prima. Si allontanò con un salto all’indietro, togliendosi la mano dai capelli con un gesto di stizza.
Cosa gli era saltato in mente?
«Vieni» le disse, tornando sulla strada del porto.
«Dove?»
«Immagino tu mi abbia seguito perché eri curiosa di sapere dove stessi andando. Allora vieni».
Becky rinfoderò lo stocco e lo seguì, tenendosi a debita distanza da lui. Provava una sorta di paura a guardarlo, adesso, un timore diverso, non come quello che a volte sentiva prima di una battaglia, o il terrore di trovarsi dinnanzi alla Dama del Vento. Era un altro tipo di paura, la preoccupava che lui potesse rifare quello che aveva fatto pocanzi, nel vicolo, e anche di più.
Quasi… lo sperava.
E se non lo avesse fermato, fin dove si sarebbe spinto?
Lei era un’amazzone, accidenti, aveva giurato fedeltà alla dea Scizia, la sua esistenza era stata promessa alla guerra e alla lotta. Era scappata da Kratøos per sfuggire alla vita del Regno di Metallo, e ora? Drew? Davvero?
Il guerriero alzò entrambe le braccia e richiamò l’attenzione di un uomo che stava smanettando con alcune reti. Quest’ultimo aveva la barba lunga e bianca, i capelli erano folti e senza colore. Sembrava vecchio, ma osservandolo meglio si notava che la pelle non era raggrinzita per via dell’età, ma per mezzo della salsedine. Drew lo abbracciò trovandoselo davanti, erano quasi alti uguali, forse il guerriero lo superava di una spanna o poco più.
«Papà, lei è Becky. Becky, lui è mio padre».
L’amazzone rimase a bocca aperta. Suo padre. Drew era uscito in piena notte per andare a salutare suo padre? Si chiese il motivo per cui un abitante di Kratøos si trovasse lì, su un peschereccio, così lontano da casa.
L’uomo, di nome Rey, li invitò a seguirlo nella taverna a pochi passi. Non aveva molto tempo, fra poco sarebbe dovuto uscire in mare per la pesca, o gli altri bastardi avrebbero preso per sé il meglio.
«Scusami cara», disse poi rivolgendosi a Becky. «Questo luogo non è adatto a una donna e io non so più come ci si rivolge a una signora. È passato troppo tempo…» concluse con occhi lucidi. Drew gli batté un palmo sulla schiena:
«Non ti preoccupare papà, Becky non è tipo da scandalizzarsi facilmente. Dico bene?».
«Benissimo, sì» rispose l’amazzone.
Si accomodarono a un tavolo rotondo per quattro persone, sedendo su vecchie botti. Gli altri pochi tavoli disponibili era occupati a loro volta da pescatori e donne di cattivi costumi, le quali indossavano lunghi abiti di stoffa con una profonda scollatura sul seno straripante.
«Sapevo che il mio Drew non avrebbe scelto una di quelle donnine fragili e impressionabili».
Né l’amazzone, né il corazziere spiegarono a Rey che in realtà non erano una coppia, semplicemente glielo lasciarono credere. Quest’ultimo ordinò due bicchieri di sidro alcolico, Becky rifiutò con gentilezza, chiudendosi in un rigoroso silenzio per lasciare che padre e figlio si parlassero, aggiornandosi sulle ultime novità del mondo conosciuto. Insieme lo riaccompagnarono alla barca e lo videro mettersi in mare, salutandolo con un braccio alzato fin quando l’oscurità lo consentì.
Poi ripresero la strada del ritorno, uno di fianco all’altro, passeggiando senza alcuna fretta di rientrare. La pioggia aveva ripreso a scendere, fitta fitta, leggera come uno sbuffo. Si ripararono sotto i balconi bassi delle case, proseguendo in fila indiana, lui davanti e lei subito dietro.
«Chiedi pure, se vuoi» cominciò Drew.
«Tuo padre è un pescatore.»
«Sì.»
«Ma è anche originario di Kratøos.»
«Sì.»
«Ha lasciato la capitale?»
«È stato esiliato», Drew si arrestò voltandosi indietro per guardarla, lei alzò gli occhi su di lui, pronta ad ascoltare ciò che aveva da dire. «Si rifiutò di farmi gettare giù, nelle cascate, così lui, mia madre e io venimmo esiliati».
Becky sgranò gli occhi, ecco, quella era la stessa decisione che avrebbe dovuto prendere suo padre ai tempi che furono. Distolse lo sguardo.
«Allora esiste qualcuno di buon senso». Tornò a guardarlo. «Tu come hai fatto a diventare guerriero di Kratøos?»
«Io sono un mercenario, vado dove mi pagano bene. Il sovrano Namor mi ha ingaggiato per questa missione, mi ha offerto un compenso e ho accettato.»
«Un mercenario?»
«Becky», lui fece per sfiorarle le mani, ma lei indietreggiò d’istinto.
«Quindi non ti interessa nulla della riuscita della missione, chi vive, chi muore…»
«Mi interessa di te», di nuovo tentò di afferrarla per le mani, e di nuovo lei fu lesta a svignarsela. Uscì dal riparo, i capelli bagnati dalla pioggia le si incollarono subito al viso.
«Forse tuo padre avrebbe fatto meglio a lasciarti cadere dalle cascate, forse saresti morto o quanto meno ne saresti uscito un uomo migliore». L’amazzone non attese la riposta del guerriero, si mosse velocemente, diretta alla locanda in cui alloggiavano.


 
Vanesia, Porto

Due navi battenti bandiera di Eos attendevano la compagnia nell’ala ovest del porto. Da lì era possibile scorgere la cima degli alberi che popolavano l’isola, celata alla vista dalla nebbia che la Dama del Vento aveva invocato.
Da’miàn fu il primo a salire lungo il ponte che conduceva a una delle due imbarcazioni, lo videro parlare con il capitano, poi con un cenno invitò i suoi compagni a raggiungerlo.
«E così finisce il nostro viaggio» sospirò Rhia, studiando l’imponenza del veliero che si innalzava davanti ai suoi occhi. Anche a Scizia c’era il mare, ma le imbarcazioni che le amazzoni utilizzavano erano perlopiù piccole barche che servivano per sposarsi di pochi metri. Osservò le vele quadre, il simbolo del Regno del Vento svettava orgoglioso, ricordava una specie di goccia aperta sul lato superiore. L’arciere, suo amico, continuava a dare ordini ai marinai, i quali sembravano indaffarati come non mai. Qualcuno le adagiò una mano sulla spalla, l’amazzone alzò gli occhi e sorrise di rimando a Drew:
«Non è la fine» disse.
«Ma neanche l’inizio» sghignazzò Seth. «Oh, andiamo! Che sono queste facce da funerale! Annienteremo la Morte di Bianco Vestita, diventeremo ricchi e famosi! Saremo venerati come divinità!» Si prese una pausa. «O almeno io lo sarò…». Rise sguaiato risalendo il pontile della nave.
Qualche metro più in là la voce di Beanka arrivò chiara e forte. Stava urlando conto Edgemas, il quale teneva il capo chino, i capelli lunghi e castani sembravano più scuri a causa della pioggia. La ragazza era alle lacrime, Becky li raggiunse.
«Qual è il problema?» chiese.
«Edgemas non vuole che venga con voi». Spiegò la giovane amazzone.
«Mi serve che resti qui a badare ai cavalli», cercò di giustificarsi il mago, alzando finalmente lo sguardo.
«Io non resterò a fare da balia ai cavalli! Sono un’amazzone, una guerriera, decido io per me!».
Edgemas spostò l’attenzione su Becky, i due si fissarono per qualche minuto e quando neanche il generale parlò in difesa della compagna, questa comprese che davvero sarebbe rimasta sulla terraferma. Ancora una volta, gli altri le davano dimostrazione di quanto fosse inutile e inetta.
«Morite tutti!» Esclamò alla fine, allontanandosi.
Becky la chiamò, era dispiaciuta, ma il Mago Vikingo la invitò a salire a bordo, avevano già perso troppo tempo.
Drew aspettò l’amazzone rossa, provò a sussurrarle parole di conforto, ma lei lo scansò platealmente, come se la sola vicinanza potesse nuocerle.
«Questo è proprio l’atteggiamento giusto per affrontare la battaglia del secolo. Tutti uniti, mi piace!» Seth mosse il proprio bastone a mezz’aria, l’Ametista si illuminò e fuochi d’artificio irruppero nel silenzio del porto di Vanesia. I pescatori applaudirono, qualcuno fischiò, Beanka era già scomparsa.
 
Il veliero salpò, muovendosi lentamente.
Il mare era calmo, ma l’acqua così torbida che era impossibile vedere chi o cosa abitasse i fondali. Secondo una leggenda, quella era la dimora di una piovra grossa quanto una montagna, con tentacoli lunghi come una prateria. Per anni era stata il tormento dei pescatori che uscivano in mare, poi era arrivata la Dama del Vento e le priorità erano cambiate.
Da’miàn di Delundel stava spiegando ai suoi compagni di squadra che la nave non avrebbe attraccato alla riva opposta, ma si sarebbe tenuta a debita distanza dalla nebbia.
«E noi come ci arriviamo? A nuoto?» Chiese Seth, sarcastico.
«Con quelle». L’arciere indicò le barche a remi appese ai due fianchi del veliero di Eos. Disse loro di mettersi comodi, ci sarebbe voluta qualche ora per giungere a destinazione, quella era una nave mercantile, non era stata costruita per coprire lunghe distanze in breve tempo. Era lenta. Quindi raggiunse Rhia, la quale si era ricavata un piccolo spazio per allenarsi con la sua arma, il falcione. Non smise, neanche quando Da’miàn le si accostò, accomodandosi in un angolo per acconciare al meglio il suo arco.
«Sbaglio o non vedo Beanka.»
«Edgemas ha ritenuto opportuno che restasse giù… a badare ai cavalli» menò un fendente nell’aria, incanalando quanta più rabbia teneva in corpo.
«Edgemas non è uno sprovveduto, avrà fatto la scelta che riteneva più opportuna per la tua amica.»
«Siamo addestrate a combattere fin da piccole, non temiamo la morte, il dolore. Queste battaglie sono il nostro sogno nascosto, il nostro desiderio più grande.»
«Quindi pensi sia giusto lasciarci la vita?».
I due si guardarono, fermi, Rhia non rispose, rinfoderò l’armi e si allontanò.
 
Seth si accostò cauto a Edgemas, quest’ultimo se ne stava con le mani incrociate dietro la schiena, a fissare l’immensità del Mare Muto che si espandeva tutt’intorno. All’orizzonte cominciava a notarsi la nebbia bianca, densa come nuvole.
L’occultista gli si posizionò al canto, per un po’ nessuno dei due parlò, infine Seth prese la parola.
«Hai un piano?»
«Strano che me lo chieda», lo punzecchiò il Mago Vikingo. «Credevo avessi già pensato a tutto tu.»
«No, seriamente, hai un piano?»
«No, Seth, non ho un piano per sconfiggere la Dama. Non so neppure come sia fatta. Fin quando non ce la troveremo dinnanzi, non saprei come fare per…»
«A volte assume forme umane», lo interruppe l’occultista.
La nebbia si faceva sempre più vicina, era come se avanzasse nella loro direzione, pronta a inghiottirli con l’intera imbarcazione.
«Edge, ho come l’impressione che-»
«La nebbia!» esclamò l’elementalista. Entrambi si voltarono verso l’equipaggio, Edgemas balzò giù dalla prua con un salto e corse verso le scialuppe, Seth urlò agli altri di prepararsi a sbarcare, la nebbia li stava inghiottendo.
Jey e Joy furono i primi a sganciare la piccola imbarcazione a remi, poi vi saltarono a bordo gettandosi direttamente dal ponte. Becky li seguì a ruota, finendo in mare e aiutata poi dai due gemelli ad arrampicarsi sulla scialuppa. Toccò a Seth, anche lui tirato letteralmente a bordo dai gemelli. Dall’altra parte Edgemas e Drew avevano sganciato l’imbarcazione di legno, raggiunti ben presto dall’arciere e da Rhia. Remarono all’unisono, la nebbia fitta e bianca si avvicinava sempre più.
«Non respingetela» urlò Edgemas, affinché anche gli altri potessero sentirlo. «Smettete di remare, ci penserà la corrente a trasportarci a riva. Chiudete gli occhi e concentratevi su pensieri positi-».
All’improvviso le imbarcazioni subirono uno scossone, i combattenti si aggrapparono come meglio potevano. Tentacoli grossi come querce sbucarono dall’acqua, abbattendosi sulla superficie del mare e causando onde alte tre metri e più. Entrambe le scialuppe si capovolsero, il Mare Muto li inghiottì.
Ognuno di loro nuotò per tornare a galla, la temperatura dell’acqua era gelida, i muscoli si irrigidirono, il fiato divenne corto. Edgemas si voltò verso la riva, non era lontana, e nella foschia della nebbia – nella quale oramai ci erano finiti in pieno – gli parve di notare una sagoma, con un mantello lungo la schiena e braccia esili: il Mago Vikingo non poteva sapere che ciò che lui aveva scambiato per un manto, in realtà erano capelli veri.
«Nuotate» la voce di Drew giunse come da una catacomba. «Non vi fermate, nuotate».
Così fece l’elementalista. Nuotò, pensando a Beanka al sicuro a Vanesia e ne fu contento. Semmai fosse morto, avrebbe avuto la certezza di saperla sana e salva. Raggiunse la spiaggia dopo diversi minuti, la riva sembrava più vicina, invece il tragitto si era rivelato lungo e stancante. Si sdraiò supino, respirando a pieni polmoni, sapeva che così facendo la nebbia avrebbe ben presto invaso le sue vie respiratorie, inondandogli il cervello di immagini e sensazioni fasulle, ma non poteva fare altrimenti. Mosse la testa a destra e a manca, cercando di individuare gli altri. Intorno a sé c’era solo denso fumo bianco, nulla più. Non udiva niente, se non il dolce rimestio delle onde. Si chiese se fossero vivi, se qualcuno fosse stato sopraffatto dalle acque scure del Mare Muto. Chiuse gli occhi e si addormentò.



 
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Capitolo 7
*** VI. (Prima Parte) ***




VI.
(Prima Parte)
 



Continente Nebbioso, Isola di Nebbia ʮ

A svegliarlo fu lo sfrigolio del fuoco. Il mago sollevò piano le palpebre, le fiamme scoppiettavano allegre davanti agli occhi, oltre di esse vide qualcuno con lunghi capelli scuri distendere una mano per cuocere un pezzo di carne infilato su un ramoscello. Sbatté le palpebre un paio di volte, possibile che quella fosse…
«Ben svegliato. Dormito bene?»
Beanka gli sorrise oltre il fuoco. Non aveva più i capelli intrecciati, ma sciolti e ricciuti, che le facevano da cornice a un viso dall’incarnato color cioccolato, leggermente truccato: ciglia folte e nere si muovevano sensuali, le labbra carnose erano dipinte di rosso.
Era lei, ma non lo era.
Edgemas si mise seduto, la ragazza davanti a sé pareva invecchiata di qualche anno, rendendola ancora più bella, più donna, poi qualcosa attirò la sua attenzione, lo stomaco si capovolse e provò una paura viscerale. Quella davanti a lui era Beanka – e sebbene fosse diversa, era lei, lo sapeva, lo sentiva – ed era incinta. Una pancia enorme tirava il tessuto leggero dell’abito corto che indossava, non aveva maniche, la gonna era sfrangiata, il seno abbondante quasi strabordava dalla scollatura usurata dal tempo e forse dalle mille battaglie che aveva combattuto. La vide sporgersi in avanti per offrirgli la carne che aveva cotto a fuoco vivo.
«Coniglio, vuoi?»
Lui scosse il capo, rifiutando. Lei fece spallucce e addentò il pezzo di carne, dal quale fuoriuscì un fiotto di sangue ancora fresco, sporcandole il mento e le dita. Beanka non parve curarsene, spolpando l’osso quanto più poteva. Infine, gettò il bastoncino di legno nel fuoco e si sfiorò il ventre. Edgemas temeva di chiederle chi fosse il padre. All’improvviso però, vide il volto della ragazza trasformarsi in una smorfia di dolore, mentre sangue scuro e denso prendeva a scorrerle fra le gambe. Il suo volto era un misto di terrore e sofferenza.
«Aiutami, Edge, aiuto».
Il mago le sorresse la testa mentre lei si distendeva sul terreno, non sapeva cosa fare, da dove cominciare. L’amazzone aprì le gambe, dal cui centro sbucavano tentacoli insanguinati, sembrava la stessero divorando da dentro. La ragazza urlava e si dimenava, in preda a un dolore acuto, atroce. Sarebbe morta, dissanguata e squartata viva, aperta in due.
«Uccidimi, Edge» biascicò senza forze e il mago la guardò spaurito. «Uccidimi e poni fine a tutto. Ti prego, ammazzami, non lo sopporto». Beanka si sollevò come meglio poteva sui gomiti, poi allungò una mano e afferrò quella dell’uomo ginocchioni dinnanzi a lei. Se la portò alla gola. «Stringi, stringi più che puoi».
Il Mago Vikingo piangeva e neanche se ne rendeva conto. Il viso era completamente bagnato mentre chiudeva un palmo intorno al collo della ragazza.
«Edgemas! Edge!» una voce pareva giungere da lontano, come da un altro mondo, ma sempre più forte e limpida. «Edge, per favore, apri gli occhi, Edge!»
Edgemas aprì gli occhi. Il volto di Beanka campeggiava sopra il suo, così come lo ricordava. Aveva un’espressione preoccupata, allarmata e parve rilassarsi appena quando si guardarono. Il mago, tuttavia, teneva davvero in pugno il collo della ragazza, la quale cercava di tirarlo via, di liberarsene.
«Edge, sono io, sono Beanka!»
L’elementalista tornò in sé, la mente si rischiarò e allentò la presa. Lei tossì e cadde seduta sulla sabbia fina e scura.
«Beanka» sussurrò il suo nome, come meravigliandosi di trovarla lì, la treccia lunga oltre la spalla e la curva morbida dei seni, il ventre piatto. Il ventre piatto… le posò una mano proprio lì, lei lo guardò accigliata. «Non sei… stai bene…».
«Certo che sto bene».
Il mago ricordò tutto. Ricordò la missione, il veliero dal quale erano saltati, le scialuppe capovolte, la nebbia. Il sogno spaventoso.
«Ti avevo ordinato di restare a Vanesia» il suo tono s’irrigidì.
«E io mi sono ricordata delle parole del sovrano di Kratøos: solo restandoti vicina sarei stata al sicuro».
Edgemas l’abbracciò, in fondo sollevato di ritrovarla sana e salva.
«Dove sono gli altri?» chiese poi.
Lei scosse il capo: non lo sapeva.
 

 
ʮ
 
L’arciere di Eos era di fronte a suo padre. Era tornato un adolescente, i peli della barba avevano appena iniziato a spuntare sulla pelle glabra del volto. L’uomo, alto e imponente nella sua tenuta da imperatore, comodamente seduto nel suo trono, con alle spalle la numerosa prole, lo guardava con diffidenza e superficialità. Lo disgustava quel figlio delicato che amava la dolce musica delle nenie anziché i corni di guerra. Incolpava sua moglie per quello, diceva che non avendo avuto figlie femmine, aveva trasformato l’ultimo erede della casata di Delundel in una mammoletta.
A uno a uno stava tessendo le lodi degli altri undici figli, ma per lui non aveva mai avuto parole d’affetto o di ammirazione.
Per questo aveva deciso di sottoporlo a una sorta di rito d’iniziazione, per testare il suo valore e capire se fosse degno di portare il suo nome. Avrebbe dovuto affrontare in battaglia i suoi fratelli, tutti insieme, e ucciderli prima che fossero stati loro a farlo.
Sua madre, che sedeva accanto al re, era una maschera di cera. Il suo volto non esprimeva alcuna emozione, neanche quando Da’miàn la guardò per chiederle supporto.
Nel frattempo, i suoi fratelli si erano mossi in contemporanea, circondandolo. Presero le proprie armi – lance, spade, daghe, archi – e gliele puntarono contro. Da’miàn era magro, mingherlino rispetto ai primi fratelli che quasi si avvicinavano alla trentina, il suo fisico si sarebbe sviluppato negli anni. Tuttavia, il primo a farsi avanti fu il fratello poco più grande di lui, di appena un paio di primavere. Lo attaccò con il suo pugnale, Da’miàn però fu scaltro a spostarsi di lato, afferrò il fratello da dietro e con la sua stessa arma gli tagliò la gola. Lo vide accasciarsi al suolo, il viso rivolto verso di lui, gli occhi inermi spalancati per la sorpresa, ormai vuoti. L’arciere di Eos provò una scossa di adrenalina, un piacere sfolgorante lo attraversò da capo a piedi. Afferrò l’arco e una freccia dalla faretra che teneva sulla schiena e la scoccò. La punta andò a piazzarsi dritto in fronte a un altro dei suoi fratelli, il quale crollò all’indietro, il corpo fu scosso da un paio di convulsioni, poi più nulla.
Da’miàn si voltò verso il re, lo vide beatamente sprofondato nel trono, adesso reggeva un calice di vino rosso. Sorrideva.
«È questo che vuoi, padre?» Urlò, il viso trasfigurato in una maschera assassina. «Vuoi la fine dei tuoi figli?»
L’uomo ampliò il sorriso, sembrava soddisfatto. La regina ancora impassibile.
Un terzo fratello si avventò alle spalle di Da’miàn e con un grido di guerra calò la sua spada. L’arciere roteò su se stesso, nel mentre afferrò una freccia e la scoccò cogliendo l’altro nella coscia, quindi sguainò la lancia dal fodero dell’ultimo fratello ammazzato e la conficcò nel petto di quello che aveva appena ferito. Con un piede calciò indietro quest’ultimo e impugnò meglio l’arma affilata e adesso insanguinata. Ne restavano altri otto. Poteva farcela, poi sarebbe stato il solo e unico erede della casata del Regno del Vento.
Improvvisamente il re si alzò, brandendo il suo arco di legno pregiato. Richiamò l’attenzione dell’ultimo figlio e lo mirò con una freccia. Da’miàn fu più svelto di lui, scagliandogli contro la lancia che teneva in mano, ma questa si infranse contro uno scudo di ghiaccio. L’arciere guardò sua madre, convinto che fosse stata lei a intercedere presso suo marito, invece la trovò ancora seduta e impassibile. Non capiva.
Qualcuno lo chiamava a gran voce. La sala del trono e i suoi presenti parevano essersi imbalsamati, compreso suo padre, il quale continuava a tenere l’arco tirato e quel sorriso beffardo dipinto sul volto.
«Da’miàn!»
Il principe di Eos si guardò attorno, tendendo la sua arma con una freccia incoccata.
«Da’miàn è la nebbia, non è reale!».
Sembrava una voce nota, ma non riusciva a collegarla ad alcun volto.
«Da’miàn di Delundel!»
Qualcuno lo colpì in pieno volto con un ceffone. La sala del castello di Eos letteralmente gli crollò addosso, le pareti si staccarono, enormi massi di marmo lavorato gli caddero sulla testa, d’istinto il principe si chinò per ripararsi al meglio. Poi tutto cessò e riaprì gli occhi.
Edgemas era chino davanti a lui:
«Bentornato tra noi» gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi.
Da’miàn si toccò la parte di guancia che gli doleva, quello schiaffo era stato reale.
«Mi hai colpito» disse.
«Sono stata io» intervenne Beanka. «E ho anche rubato un veliero di Eos, spero non ne terrai conto». La ragazza indicò la nave arenata sulla spiaggia.
«Ci servirà per tornare indietro» rispose l’arciere, ammesso che fossero usciti vivi da quella trappola mortale. Studiò l’ambiente circostante, a sud avevano il mare, a nord la Foresta di Nebbia, poi solo sabbia e foschia. «Dove sono gli altri? E Rhia?».
Sia Edgemas sia Beanka scossero il capo.
 

ʮ
 
Trovarono l’amazzone bionda seduta con le gambe incrociate qualche metro più in là. Nella sua mente stava combattendo con una miriade di mostri di ogni genere: coyote dagli occhi infuocati, demoni rinoceronte, arpie di cui aveva solo letto l’esistenza. Era esausta, le doleva ogni centimetro di muscolo. Più in là si alzava una cortina di fumo nero: la capitale del Regno di Scizia era in fiamme. Qualcuno le aveva attaccate, erano state tradite da un regno alleato, sicuramente erano stati gli elfi. Pensò alle sue compagne, impegnate nella battaglia, alla regina Charlotte che stava cercando di salvare il possibile.
Un coyote l’attaccò, addentando un polpaccio. Rhia urlò di dolore, si accasciò su un ginocchio e trapassò l’animale inferocito con la lama della sua arma, eppure altri dieci esemplari le stavano già ringhiando contro, mostrando zanne lunghe e imbevute di saliva vischiosa. Non avrebbe mai potuto eliminarli da sola. Uno di loro balzò, Rhia si coprì la testa con le braccia, ma una freccia si conficcò nell’addome scoperto della bestia che ruzzolò via. La ragazza sollevò lo sguardo, Da’miàn era davanti a lei e ben presto fu raggiunta anche da Beanka. Erano venuti in suo soccorso, non era sola. Li vide combattere contro quegli esseri abominevoli, abbattendoli uno a uno. Si sentì chiamare, era la voce della sua compagna, sebbene questa sembrava indaffarata a lottare senza tregua. Allora chi era?
«Rhia? Rhia?»
L’amazzone aprì gli occhi, ancora seduta nella posizione del Buddha, e li vide, i suoi amici, erano davvero lì per lei. Si guardò attorno con apprensione, scattando in piedi e brandendo le sue armi.
«Dove sono finiti tutti?» chiese.
«Tutti chi?» Beanka le posò i palmi sui pugni per farle abbassare la guardia.
«Scizia bruciava, i demoni ci avevano attaccato…»
«Era un incubo, colpa della nebbia. Va tutto bene.» Da’miàn le parlò piano e lei lo ascoltò, rilassando finalmente i muscoli.
Edgemas si era allontanato di qualche metro, qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Attraverso la foschia nebbiosa, gli era parso di scorgere due figure darsi battaglia, aguzzando la vista notò una delle due accasciarsi al suolo e l’altra afflosciarsi al suo fianco.
«I gemelli» disse solo, prendendo a correre nella loro direzione.
«Edgemas!» Lo richiamò l’arciere, correndogli dietro, seguito a sua volta dalle ragazze.
Quando il Mago Vikingo raggiunse le due sagome si rese conto che aveva visto bene: si trattava dei gemelli di Kratøos, eredi al trono del Regno di Metallo. Ma la scena che gli si parò davanti non gli piacque: Joy giaceva sulla sabbia, i piedi nel mare, mentre sotto di lui andava espandendosi una grossa pozza di sangue, gli occhi vacui erano rivolti al nulla. L’ascia di Jey era conficcata nel suo petto, molto in profondità. Quest’ultimo era in ginocchio davanti al corpo esamine del fratello, piangeva disperato, con il volto alzato verso il cielo annebbiato. Le sue mani erano vuote, sporche di sangue fresco, abbandonate sulle cosce come se non facessero parte di sé, come corpi estranei.
Rhia e Beanka si portarono le mani sulla bocca, trattenendo a stento le lacrime a loro volta. Da’miàn si chinò sul corpo di Joy, ne tastò il collo e scosse la testa. Non c’era più nulla da fare, era morto.
Jey urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, la sua era una disperazione che andava oltre l’assennatezza, aveva perso la ragione, quindi afferrò l’ascia che era stata di suo fratello e si colpì la testa con forza.
Beanka gridò a sua volta.


 

 ʮ
 
Drew udì entrambi gli strilli, si fermò in attesa di capire cosa stesse succedendo o da dove provenissero. Sentì un brivido percorrergli la schiena, ma non era quello il momento di fermarsi. Era riuscito a scacciare la nebbia dalla sua mente quasi subito, in fondo non c’era nulla che potesse spaventarlo così tanto da mandarlo fuori di senno. Era un solitario lui, un uomo che non aveva valori per cui combattere o da difendere, lottava per sopravvivere e basta. Era sempre cresciuto da solo, cavandosela meglio che poteva con quel poco che aveva. L’unica cosa che davvero possedeva e che nessuno poteva togliergli era la forza, fisica e mentale.
Ma doveva trovare gli altri, sperare che stessero tutti bene, o se ne sarebbe tornato a Vanesia, a nuoto se fosse stato necessario. La riuscita della missione avrebbe avuto un senso solo se gli altri fossero sopravvissuti a quella ennesima prova.
Camminando lungo il bagnasciuga, però, gli parve di notare qualcosa a fior d’acqua, come delle increspature. Si fermò per osservare meglio, poi una mano fece capolino dalla superficie e con lei un ciuffo di capelli color rame.
Becky, pensò.
«Becky! Becky!» Drew si liberò del suo armamentario prima di tuffarsi a torso nudo, solo i pantaloni di tessuto verde oliva gli coprivano la parte inferiore del fisico. Nuotò meglio che poteva, quanto più velocemente gli consentivano le acque del Mare Muto, fredde come ghiaccio e pesanti, impedendone i movimenti in maniera fluida. La raggiunse e cercò di tirarle fuori la testa per consentirle di respirare, ma l’impresa si rivelò più ardua del previsto. La ragazza, infatti, continuava a dibattersi, graffiandogli il volto e gli addominali. Il guerriero la chiamò più volte, dicendole di stare ferma, adesso era al sicuro, c’avrebbe pensato lui. Tuttavia, l’amazzone continuava a sognare il suo peggior incubo.
 
Il sovrano la teneva per i capelli, la mano era ben salda contro la sua testa, le dita ingarbugliate fra i boccoli rossi. Sotto di loro imperversavano le Cascate Genitrici, che tuffandosi nel vuoto creavano sbuffi di acqua e una leggera nebbiolina bianca. Non si riusciva a vedere il fondo.
Becky si dibatteva, suo fratello era appena stato lanciato nel vuoto e adesso toccava a lei. L’uomo alle sue spalle era forte e possente, nonostante lei tentasse in tutti i modi di liberarsi, la sua presa non si era allentata neanche per un momento. Non sapeva chi fosse, non l’aveva visto in volto, sapeva solo che si trattava del monarca del Regno di Metallo. Urlò il nome del fratello, Leo, che non aveva più visto fuoriuscire dalle acque del fiume, lo pregò di lasciarla andare, non voleva morire annegata.
Ma il regnante fece l’esatto opposto, quasi che lei gli avesse chiesto di gettarla nel vuoto la spinse giù.
Becky fece un volo di diversi metri, prima di sentire l’impatto duro con il fiume. La forza della cascata la fece roteare sott’acqua, la corrente era potente e la trascinò via, senza darle un attimo di tregua, senza permetterle di tornare in superficie per respirare. Anche solo un attimo. Sentì le ferite che si aprivano sulla pelle mentre urtava contro i massi taglienti, qualcosa la colpì in testa e temette di perdere i sensi. Forse sarebbe stato meglio, pensò, svenire e lasciarsi andare alla morte, abbandonarsi a quella pace eterna sarebbe stato meno doloroso di continuare a lottare.
Per cosa poi?
Per un attimo riuscì a far emergere la testa, inglobò quanto più ossigeno poteva, ma poi di nuovo venne trascinata sotto. Non era come combattere contro un essere in carne e ossa, l’acqua era subdola, ti entrava dentro e ti riempiva i polmoni, il sangue, la mente. Decise di lasciarsi andare, di concedersi a quella danza malefica e dolorosa, come una sposa durante la prima notte di nozze con un uomo che non ama e non ha scelto.
Per un attimo, un solo attimo, assaporò la dolce sensazione di abbandonarsi, di cedere: tutta la frenesia della sopravvivenza scemò, le membra si rilassarono, i muscoli cedettero alla quiete, la mente andava spegnendosi, non sentiva più alcun dolore, nessun pensiero triste. Tra poco avrebbe giocato di nuovo con Leo, suo fratello, alla guerra. E lui era proprio lì, sulle sponde del fiume, seduto con la schiena contro un albero e le ginocchia tirate al petto. Le sorrideva, la stava aspettando. All’improvviso, le acque si erano placate e Becky si rese conto che toccava, poteva mettersi in piedi, ciò nonostante preferì raggiugere la riva carponi, dove si distese con la testa rivolta al cielo. Un cielo terso, privo di nuvole. Il viso di Leo le fece ombra, continuava a sorridere. Poi l’aria le mancò, iniziò a tossire e a vomitare acqua torbida, mentre il volto del fratello morto si avvicinava e premeva le labbra contro le sue, togliendole quel poco di ossigeno che aveva. Tentò di scrollarselo di dosso, ma era troppo pensante.
 
Drew l’adagiò sulla sabbia, tirarla fuori dal mare non era stato semplice, Becky aveva continuato a dimenarsi in preda a una lotta forsennata. Infine, l’amazzone aveva smesso di dibattersi e il guerriero gentiluomo l’aveva creduta morta, per lo meno era riuscito a portarla a riva. In effetti, la ragazza sembrava non respirare più. La chiamò più volte, dandole un paio di buffetti leggeri sul volto, tentò con le compressioni, adagiando un palmo sul seno, poi sullo sterno. Non era mai stato bravo in quelle manovre, suo padre aveva tentato di insegnargliele quando era un ragazzo, ma lui non si era mai applicato seriamente, e adesso non sapeva neanche dove mettere mano. La chiamò ancora una volta, poi le prese entrambi gli zigomi con le dita per separare le labbra, quindi vi adagiò le sue e iniziò a soffiargli all’interno.
Becky tossì un paio di volte, voltandosi su un lato per sputare fuori l’acqua che aveva ingoiato. Drew si lasciò cadere sulla sabbia con tutto il suo peso, si distese di schiena, i granelli gli si incollarono addosso. Non se ne era reso conto prima, ma aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo, strappandoselo quasi via dai polmoni per trasmetterlo all’amazzone. Fissava la nebbiolina sopra la sua testa, pareva cominciasse a diradarsi, uno squarcio di cielo grigio fece la sua comparsa. L’addome andava su e giù, le braccia erano distese e le gambe divaricate, si sentiva come se avesse combattuto un’ardua battaglia. Becky gli dava le spalle, quest’ultime scosse di tanto in tanto da un colpo di tosse, non la vide quando si voltò nella sua direzione e silenziosa, come un gatto dai movimenti felpati, adagiò la testa sul suo petto, aggrappandovisi letteralmente. Drew le circondò le spalle con un braccio, sincronizzando il proprio respiro a quello di lei. Rimasero così per qualche minuto.
«Dobbiamo trovare gli altri» disse il guerriero, rompendo il silenzio dell’isola.
«Solo un altro po’», Becky si strinse maggiormente al corpo del corazziere. Era rassicurante. «Sono così stanca, Drew. Tanto stanca.» Aprì lentamente gli occhi, chiusi fino a quel momento, e lo vide: Seth avanzava verso di loro, barcollando. Il bastone era diventato una specie di supporto, non più solo un’arma. L’amazzone si costrinse a tirarsi su e il guerriero di Kratøos fece altrettanto.
«Seth!» Esclamò lei, mentre l’altro gli andava incontro per soccorrerlo.
«Cosa ti è successo, Seth?»
L’occultista si fermò, fissando Drew negli occhi e quest’ultimo ne fu spaventato: le pupille erano completamente dilatate, sembrava non avere pensieri, privo di qualsiasi forma di emozione, simile a una marionetta. Il guerriero lo osservò inerme muovere il bastone nella sua direzione, colpendolo con tre scosse elettriche consecutive. Drew si parò con le braccia come meglio poteva, ma la pelle si bruciò. Becky lo raggiunse di corsa, chinandosi al suo canto, mentre Seth batteva la punta della sua arma sulla sabbia, pronunciando parole incomprensibili.
«Non è lui» biascicò il corazziere di Kratøos, le scottature bruciavano.
Una runa dai contorni infuocati circondò i due combattenti, d’istinto Drew spinse l’amazzone lontano da sé e quando la magia esplose lo colpì in pieno.
Becky scattò verso Seth con un urlo, non le importava se fosse in sé stesso oppure no, andava fermato. Con un balzo afferrò il mago per il collo, aggrappandosi alla sua schiena. Questo si dimenò, tentò di colpirla con il bastone, ma invano, mentre Drew le urlava di scappare, di cercare gli altri. Seth si chinò in avanti, afferrando la ragazza per i capelli e togliendosela di dosso, come fosse stata un insetto fastidioso. Becky cadde con la schiena sulla sabbia, poi rotolò di lato appena in tempo, prima che Seth la colpisse con la sua arma, quindi le scagliò contro tre sfere infuocate in rapida successione. Becky le deviò tutte, infine scattò nuovamente in avanti, travolgendo il mago con il suo peso e tirandolo giù con lei. Combatterono corpo a corpo, l’amazzone sembrava avere la meglio, poi Seth la colpì alla tempia con la pietra incastonata nel bastone, stordendola. Il generale di Scizia barcollò all’indietro, prima di accasciarsi sulle ginocchia. Seth disegnò nell’aria un cerchio che comparve intorno alla ragazza, e lo riempì di puntini: chiodi. Becky sarebbe morta infilzata da migliaia di chiodi appuntiti. Drew si mise in piedi con uno sforzo sovrumano, urlando al mago di fermarsi, di tornare in sé, l’avrebbe uccisa, l’avrebbe ammazzata. Chiamò la donna che amava – era inutile nasconderlo! – la pregò di scappare, ma Becky lo guardò come se non comprendesse neanche una parola. Però gli sorrise, dolce, una lacrima le rigò la guancia puntellata di granelli sabbia. Sapeva, capiva. Si era arresa.
Seth aprì gli occhi, simili a un pozzo nero senza fondo, il contorno della runa s’illuminò di viola, i puntini al suo interno fecero altrettanto; il brillio dell’Ametista era intenso. Ai piedi di Becky si formò una lastra di roccia spessa, i chiodi spuntarono dal nulla e la frantumarono, scomparendo poi nel nulla. L’amazzone guardò la sabbia sotto di sé con fare meravigliato, come se non l’avesse mai vista. Una freccia oltrepassò sia Drew sia Becky, conficcandosi ai piedi di Seth, costretto a sospendere il nuovo incantesimo che era già pronto a lanciare. Beanka lo assalì alle spalle e Rhia lo travolse con la sua forza fisica, immobilizzandolo al suolo.
«Tenetelo fermo!» Urlò Edgemas, innalzando il Rubino verso il cielo, le sue labbra si muovevano ma nessuno riuscì a comprendere cosa stessero pronunciando.
Seth sembrava in preda a un attacco demoniaco, le ragazze facevano sempre più fatica a tenerlo giù. Da’miàn corse a dare loro una mano, mentre una stella a cinque punte prendeva corpo intorno a loro. Edgemas pareva ormai in trance, più le sue parole si facevano brevi e svelte, più la runa si accendeva di rosso. Infine, ci fu una specie di lampo purpureo, Seth smise di agitarsi e dalla sua bocca fece capolino uno scarafaggio nero. Beanka urlò di disgusto, balzando indietro, mentre Rhia lo schiacciava sotto la suola degli stivali. L’insetto scosse ancora un po’ le zampette, poi si fermò completamente.
«Che razza di incubo era mai questo?» Chiese l’amazzone dai capelli chiari, nonostante la prontezza nell’ ammazzare la bestiolina, ne era nauseata a sua volta.
«Non era un incubo», rispose Edgemas e tutti lo guardarono. «Era magia nera».
«Magia nera? Significa che…?» Da’miàn non osò dire altro.
«Significa che lei è qui».

 
 
ʮ
 
Accesero un fuoco. Becky, Seth e Drew avevano bisogno di riposare e riprendere le forze. Con loro in quelle condizioni, la Dama del Vento li avrebbe annientati in pochi minuti, ammesso che volesse giocare un po’ con loro e prendersi del tempo, altrimenti si sarebbe risolta in qualche secondo.
Il corazziere non pianse né si espresse sulla triste fine dei gemelli Jey e Joy, in fondo li conosceva appena.
«Il Regno di Metallo non ha eredi al trono» si limitò a constatare.
«Chi prenderà il suo posto quando morirà re Namor?» Domandò Beanka.
«Sarà indetto un torneo tra i generali di brigata. O colui che lo ucciderà» spiegò Drew, scuro in volto.
Il falò era alto e caldo. Sarebbe stata una bella rimpatriata tra vecchi amici, in onore delle avventure vissute e delle vicissitudini adesso trasformate in ricordi spassosi, se non fosse stato che quello era il loro ultimo momento di pace e lo sapevano bene. La Morte di Bianco Vestita era vicina, non si era ancora palesata per chissà quale motivo – si stava solo divertendo –, ma la battaglia finale non era più così lontana. Qualcuno sarebbe potuto morire, tutti magari, o anche nessuno, perché no.
La nebbia era quasi del tutto scomparsa, dalla loro postazione si potevano notare i due tumoli di sabbia che avevano scavato e poi riempito per depositarvi all’interno, uno di fianco all’altro, i corpi dei nipoti di Namor. Beanka non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, provando solo a immaginare la disperazione di Jey quando si era reso conto di aver ammazzato il fratello. Cosa diamine avevano potuto vedere offuscati dalla nebbia per arrivare a scannarsi fra loro. E perché lei non aveva sognato niente? Possibile che la nebbia non le avesse procurato alcuna allucinazione?
«Cosa può averli spinti a combattere?» chiese a nessuno in particolare, ma fu Edgemas a rispondere.
«La loro paura più grande, probabilmente: lottare per il trono.»
«Cosa avete visto? Contro chi avete combattuto?» domandò Rhia, puntellandosi con i gomiti sulla sabbia, le lunghe gambe accavallate. «Io ho sognato che Scizia era stata tradita da un regno alleato e bruciava. Fiamme altissime. Sentivo le urla delle mie compagne, ma non potevo fare nulla per aiutarle, poiché ero circondata da decine di bestie indemoniate.»
«E poi?» Lo sguardo di Beanka brillava di curiosità.
«Poi ho visto voi due», Rhia indicò la sua amica e Da’miàn, accomodato proprio dinnanzi a lei, al di là delle fiamme. «Siete venuti per soccorrermi e mi sono risvegliata.»
Beanka le posò un palmo sul dorso della mano, erano sempre state unite, ma quell’avventura aveva reso il loro rapporto ancora più intenso.
«Più o meno ho sognato la stessa cosa», intervenne il principe di Eos, tenne gli occhi bassi mentre raccontava. «Mio padre voleva che uccidessi i miei fratelli. Ne ho ammazzato uno e ho provato un profondo senso di soddisfazione, di eccitazione. Se ci penso adesso, me ne vergogno.»
«Era la nebbia» intervenne Edgemas, il quale sentiva ancora un brivido lungo la schiena nel rimembrare il suo incubo.
«Lo so, eppure…», Da’miàn sollevò lo sguardo. «Poi siete arrivati voi…»
«Ci hai attaccato, lo sai questo?» Il tono di Beanka voleva essere di rimprovero, ma sorrise.
«Mi dispiace.»
«Lo sappiamo.» L’amazzone guardò Becky, i cui capelli ramati si andavano asciugando al calore del fuoco, brillando degli stessi riflessi delle fiamme. Aveva l’aria triste, di sicuro non era la stessa persona di quando erano partiti. «E tu, generale? Cosa hai visto?»
Drew spostò l’attenzione sulla donna che aveva salvato solo qualche ora prima, l’aveva tirata letteralmente fuori dal Mare Muto, dove sarebbe annegata. Non aveva bisogno di chiederle cosa avesse visto nei suoi sogni, quale paura avesse dovuto affrontare. Lo immaginava già.
«Io niente» intervenne il corazziere, per toglierla dall’imbarazzo.
«Niente?» Ripeté Rhia, incredula. «Niente, niente?»
«Zero!»
«Però… sei uno tosto tu!»
Drew piegò il braccio per mostrare il bicipite muscoloso e strappare qualche sorriso.
«E lui? Cos’era quello scarafaggio?» Era stata Beanka a porre la domanda a Edgemas.
«Magia nera, te l’ho detto. La coscienza dell’essere che ne è vittima non esiste più, viene annullata, completamente soggiogata».
Seth dormiva con la schiena rivolta al falò, non sapevano di quanto tempo avesse avuto bisogno per riprendersi del tutto. Edgemas però sapeva che senza di lui la missione sarebbe fallita. Aveva bisogno della sua magia occulta, perché – checché se ne dicesse – Seth era un mago potente, possedeva un acume fuori dal comune, furbo e scaltro. Volkàn non aveva pensato a supportare la squadra con un mediceo, il che per Edgemas era stata una mancanza importante, ma senza un occultista al suo fianco non avrebbe avuto nessuna possibilità per fermare la Dama. Qualcosa in mente ce l’aveva, ci aveva riflettuto ogni benedetta notte, peccato non ci fosse stato tempo per discuterne con Seth. E adesso lui sembrava fuori gioco.
Il Mago Vikingo scrutò uno a uno i suoi alleati.
Becky, spigliata e tenace, pareva aver perduto la sua verve giorno dopo giorno. Qualcosa in lei era cambiato, una nuova realtà forse, o una vecchia ferita che si era riaperta e mai rimarginata. Aveva perso Shayna, è vero, forse se ne sentiva responsabile e quindi il fardello delle vite di Rhia e Beanka gravava sulle sue spalle, già fortemente provate. Ma c’era dell’altro ed Edgemas sperò che qualsiasi cosa fosse, non avrebbe influenzato la sua forza fisica e mentale nel momento più importante della missione.
Drew, il guerriero gentiluomo, le sedeva accanto. Che tra i due ci fosse qualcosa, era chiaro come il sole. Ma lei era un’amazzone convinta, e lui? Il mago aveva sentito parlare di Drew, un mercenario forte quanto intelligente, fondere insieme queste due virtù significava avere dalla propria il prototipo del cavaliere perfetto. Sarebbe stato un ottimo leader, soppesò Edgemas, un buon comandante, coscienzioso e severo al punto giusto. Adesso però era ferito a entrambe le braccia, le ustioni che le scosse elettriche di Seth gli avevano procurato erano profonde, addirittura avrebbe potuto rischiare la cancrena se non fossero state disinfettate adeguatamente. E un cavaliere senza braccia serviva a ben poco.
Da’miàn di Delundel. Un abile arciere, un uomo con un forte senso della giustizia, continuamente ignorato dal padre, che tuttavia lui sembrava venerare come un dio. Discendente degli Elfi, la cui magia curativa sarebbe potuta tornare utile se non fosse stato uno di quelli che rinnegano le proprie origini. Da’miàn sarebbe stato un ottimo diversivo per la Dama, le sue frecce avrebbero potuto arrestare i suoi tentativi di invocare incantesimi, come aveva fatto prima con Seth. La sua postazione strategica quindi sarebbe dovuta essere da lontano, un’altura sarebbe stata l’ideale, magari anche un po’ nascosta…
Ora restavano le due giovani amazzoni, fortissime nel corpo a corpo, ma cosa avrebbero mai potuto contro una maga potente come quella che si preparavano ad affrontare?
Si era ripromesso di difendere Beanka, qualsiasi cosa fosse successa. Il sovrano di Kratøos le aveva detto che restando al suo fianco sarebbe stata al sicuro, ma le profezie lasciavano il tempo che trovavano. Quindi lei e Rhia sarebbero state di guardia, in caso di un attacco via terra di demoni o bestie feroci che la Dama a volte invocava quando preferiva non combattere personalmente.
La magia nera era un problema.
All’Accademia dei Maghi era bandita, solo i grandi magi potevano venirne a contatto e imparare gli incantesimi per contrastarla, ma i comuni maghi no. Anzi, chiunque se ne avvicinasse veniva allontanato per sempre e la sua memoria cancellata, lasciando il disertore simile a una specie di contenitore vuoto, senza più alcuna nozione di sé o della vita condotta fino a quel momento.
«Edge!» La voce di Beanka irruppe nei suoi pensieri simile a una spada affilata. Vide gli altri scattare in piedi – eccetto Becky, Drew e ovviamente Seth, ancora addormentato –, con le mani pronte sulle proprie armi. Edgemas li imitò.
 
Dall’intrico degli alberi secolari della foresta ne uscì una figura esile, minuta, che avanzava a piccoli passi, tenendosi a un vecchio bastone di legno – quercia forse –, tutto curve, con una pietra priva di colore incastonata alla sommità. La pietra brillava di un’intensa luce bianca, squarciando la nebbia e il buio della sera che andava posandosi sull’isola.
«Chi sei?» Urlò Rhia, ma Edgemas la tirò indietro, muovendosi in avanti di qualche passo. La figura camminò ancora, fermandosi a un paio di metri da lui, il quale poté accorgersi che si trattava di un’anziana dai capelli bianchi, raccolti in una crocchia sul capo, lasciando scoperte le orecchie a punta; indossava un abito lungo e sfrangiato, mentre un poncho le copriva le spalle strette e ossute.
«Sono la donna che siete venuti a prendere» disse senza timore. «Eccomi, quindi, fate quello che volete». Spalancò le braccia, lasciando cadere il suo bastone, la luce si spense e l’oscurità tornò a scendere su di loro come una vecchia coperta.
La nonna della Dama, quindi esisteva davvero un villaggio al centro dell’isola oltre gli alberi della Foresta di Nebbia?
Il Mago Vikingo si chinò a raccogliere il bastone storto della donna per porgerglielo nuovamente. Come aveva sospettato, la pietra incastonata era un Diamante. Conosceva solo un’altra persona al mondo che dominava la magia attraverso quello stesso gioiello, ed era Volkan, l’Arcimago. La invitò a seguirlo intorno al fuoco, non avevano intenzioni ostili, ma solo raccontarle la loro storia.
La vecchia riprese il suo andamento claudicante, aggrappata al proprio supporto, quindi raggiunse il falò, dove gli altri erano ancora in piedi, in attesa. Si studiarono, senza avversità, e trattennero il respiro quando lei si inginocchiò accanto al capo di Seth. La vecchia chiuse gli occhi, il Diamante s’illuminò mentre posava un palmo sul capo dell’occultista. Da’miàn lanciò un’occhiata a Edgemas, il quale gli fece cenno di stare calmo.
Seth aprì gli occhi e scattò a sedere, guardando i suoi compagni prima e l’anziana dopo, incredulo e spaurito.
«Co-cosa è successo?» Chiese.
«Hai dormito come un bambino, ecco cosa è successo!» Esclamò Rhia, alleggerendo l’atmosfera.
Si sedettero intorno al fuoco e la vecchia fece altrettanto. Li guardò, uno per uno.
«Era da tanto che non parlavo con qualcuno» disse. «Ma non abbiamo molto tempo. Mia nipote arriverà presto.»
Quindi era davvero la nonna della Dama…
«Puoi aiutarci a sconfiggerla?» Le chiese Edgemas.
«Non combatterò con voi, questo no. Ma posso indebolirla». Calò nuovamente il silenzio, sebbene le domande che avessero voluto porle erano tante. «Miarìel è mia nipote. Ha incantato la mia vita rendendomi immortale, a meno che qualcuno non mi trapassi il cuore.» La donna si posò una mano sul petto, senza sentire alcun battito. «Sono una specie di burattino. Perciò alla fine di questo racconto, chiederò a uno di voi di colpirmi».
Beanka sussultò, ma la vecchia le mostrò il palmo per zittirla.
«So cosa stai per dire, giovane amazzone, ma tu sei una bambina, hai dalla tua il tempo, il fisico, i ricordi ancora felici. Non biasimarmi». Tutti tacquero e lei riprese. «Miarìel è il frutto di un amore vero, forte e potente tra mio figlio e un’amazzone. Ai miei tempi non c’era inimicizia tra i due popoli, sebbene l’amore per un uomo non sia mai stato visto di buon’occhio tra le guerriere di Scizia…» questa volta gli occhi verdi della donna saettarono verso Becky e Drew, seduti alla sua destra. Il generale amazzone chinò il capo. «E non è vero che tra un discendete degli elfi e un’amazzone nascono esseri con poteri disumani. Mia nipote è stato un caso, il suo potere nefasto è il risultato di una sofferenza smisurata.
Quando i suoi genitori morirono, nella capitale del Regno del Vento la sua forza magica non era ben accetta. Seppi da fonti sicure che il re avrebbe preso in custodia la mia bambina, per trasformarla in un’arma bellicosa. Aveva solo sei anni quando la lasciai all’Accademia, chiedendo all’Arcimago del tempo di prendersene cura. Lei pianse, mi pregò di non abbandonarla. Le mentii, affermando che era per il suo bene. Sbagliai, sbagliai tutto. Sapete quante volte mi sono detta che se l’avessi cresciuta io, se le fossi stata vicina, forse sarei riuscita a lenire il suo dolore?»
Di nuovo la donna si arrestò dal raccontare, prima di proseguire.
«Miarìel crebbe bella e forte, il suo potere magico – effettivamente fuori dal comune – venne ridimensionato da una runa».
«La runa di contenimento» intervenne Seth, il quale si era ripreso del tutto.
«Esatto, occultista, esatto. Divenne una medicea amata e rispettata dal popolo, ma si sa, l’altra faccia della medaglia della magia bianca è quella nera. Durante una missione in un piccolo villaggio, Miarìel si innamorò di un giovane della sua stessa età. I due avevano avuto un passato simile, entrambi orfani di genitori di due razze differenti. Si sposarono, si amarono e dopo un anno nacque la loro bambina. La conobbi, Miarìel veniva spesso a farmi visita a Eos. Ma un giorno, tornando al proprio villaggio, lo trovò in fiamme. I banditi erano ancora lì, a banchettare sui cadaveri degli uomini massacrati e a spassarsela con le donne. Miarìel sarebbe rimasta ad aiutare gli altri, forse suo marito era ancora vivo e la sua magia benefica avrebbe potuto salvargli la vita, ma aveva la bambina a cui badare. Fece per andare via, tuttavia uno di loro la notò e in breve tempo le furono addosso. Con la magia bianca non avrebbe potuto difendere né se stessa né la figlia. Maledisse la runa che le imprigionava il suo vero potere.
 Li supplicò di non far del male alla piccola, di prendere lei e di lasciar andare la figlia. Ma gli uomini sanno essere davvero crudeli, più degli animali. Presero entrambe, o meglio, quando capì che avrebbero violato il candore della propria bambina di appena otto anni – non si poteva neanche definirla una donna – il suo potere magico, fino a quel momento assopito, esplose, prendendo la forma di tanti piccoli stiletti appuntiti che si conficcarono nel petto dei presenti. Tutti, nessuno escluso, neanche della sua bambina.»
«È morta per mano sua…» sussurrò Becky, l’anziana la guardò.
«I lunghi capelli neri divennero bianchi, il bastone mutò forma deformandosi, la pietra azzurra, lo Zaffiro della magia bianca, perse ogni colore». La donna alzò gli occhi sulla pietra del bastone che reggeva. Quindi non era un Diamante quello, ma uno Zaffiro scolorito, e quella era l’arma della Dama.
«Miarìel cominciò a uccidere le bambine della stessa età di sua figlia, con lo stesso metodo: uno stiletto nel cuore. Il dolore per la perdita è ancora vivo e non si placherà fin quando ogni donna, ogni mamma, non proverà il medesimo strazio. Venne a prendermi, dicendo che ero l’unica persona cara che le ero rimasta, non avrebbe permesso alla morte di portarmi via da lei. Mi congelò il cuore e mi relegò qui, costringendomi a una vita che non è vita.»
«Il suo cuore…» bisbigliò Becky, ricordando le parole di Shayna appena prima di cadere nel vuoto.
«So cosa si dice in giro: chiunque lo mangi ne acquisterà i poteri, trasformandosi in un essere immortale e invincibile. Non so se sia vero, ma se anche uno di voi dovesse avere questo ardire, ve lo sconsiglio. L’eternità non è fatta per noi, esseri mortali».
Calò il silenzio, di nuovo. Poi la vecchia si alzò, mantenendosi all’arma che era stata di sua nipote Miarìel, quindi si rivolse a Becky e a Drew, invitandoli a mettersi in piedi. I due lo fecero, senza controbattere, poi la luce chiara della magia li avvolse, guarendo le loro ferite.
«La magia, per quanto potente, non può nulla sui dolori dell’anima», disse, posando una mano tra i seni di Becky. «Solo in noi possiamo trovare la forza e le risposte che cerchiamo. E quelle che già conosciamo ci fanno paura, come tutte le cose importanti». Si prese un’altra pausa. «Tornare indietro non vuol dire per forza aver perso».
L’amazzone fece un passo per allontanarsi dalla medicea.
«Come facciamo a sconfiggerla, vecchia?» Chiese Edgemas richiamando l’attenzione della nonna della Dama.
«Ammazzatemi per richiamarla e poi distruggete la sua arma o ne attingerà potere», spiegò, il suo sguardo si era indurito. Lasciò cadere il bastone che rotolò ai suoi piedi, di nuovo aprì le braccia. «Colpite, dritti al cuore». Nessuno si mosse. «Ponete fine alla mia effimera esistenza, vi prego. Ponete fine alla sofferenza della mia Miarìel, vi scongiuro. È l’ultimo desiderio di una donna morta tempo fa.» Gli altri chinarono il capo, il fuoco divampò. «Ve lo ordino!»
La lama di una spada infiammata la trapassò da parte a parte, qualcuno urlò di meraviglia. L’anziana sorrise:
«Grazie, occultista» furono le sue ultime parole, prima di accasciarsi al suolo. Alle sue spalle Seth era in piedi, l’espressione del volto indecifrabile. L’Ametista brillava, poi si spense.
Il corpo della vecchia diventò polvere in pochi secondi, mischiandosi alla sabbia.
L’aria si fermò, il mare si ritirò di qualche metro, la nebbia si diradò completamente, il falò si spense.
«Arriva!» disse Edgemas mettendosi in piedi, gli altri lo imitarono, ognuno brandendo la propria arma.



 
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Capitolo 8
*** VI. (Seconda Parte) ***




VI.
(Seconda Parte)

 
 
 
La Dama del Vento discese dall’alto, i capelli le incorniciavano il viso magro, gli occhi brillavano di un verde intenso, in contrasto con l’oscurità che la circondava, la carnagione sembrava di ceramica. Portava con sé morte e distruzione, un potere immenso permeava l’ambiente, così potente che avrebbe potuto spazzare via l’intero Continente Abitato.
Edgemas conficcò la punta del proprio bastone nello Zaffiro ai suoi piedi, mandandolo in frantumi. La Morte di Bianco Vestita emanò un grido, uno strillo che fece accapponare la pelle ai combattenti. Toccò finalmente terra con entrambe le piante dei piedi nudi, aprì le braccia e levò il capo al cielo, nel quale si aprì uno squarcio, poi fulmini viola saettarono in tutte le direzioni.
Edgemas e Seth batterono la terra e una cupola di ghiaccio protesse tutti al suo interno. Alcuni alberi alle spalle della maga invece divamparono, mentre la sabbia si smuoveva in più punti, poi mani ossute ne fecero capolino, rivelando ben presto scheletri viventi.
«Ci pensiamo noi a loro» disse Da’miàn rivolto ai due maghi, intanto che tendeva l’arco, pronto a scoccare la prima freccia. «Voi pensate a lei».
Rhia e Beanka si mossero quasi all’unisono, atterrando un paio di morti, le cui ossa si sparpagliarono sul terreno sabbioso.
«Arrivano anche dal mare!» Gridò Becky a sua volta, trapassando uno dei cadaveri con la sua spada, ne colpì un secondo con un calcio facendolo volare di nuovo nell’acqua. Drew ne decapitò altri due.
Dalla foresta si levò un ringhio disumano, alcuni demoni lupo arrivarono di corsa, in branchi composti da cinque o sei componenti. Da’miàn scoccò due frecce che centrarono le bestie in piena fronte.
Seth batté il bastone sul terreno, disegnando una runa che inghiottì un intero gruppo di lupi indemoniati, alle sue spalle Edgemas aveva invocato un’enorme sfera infuocata che lanciò contro la Dama. Questa sparì e ricomparì qualche metro più in là, evitandola, quindi mosse il braccio destro scagliando contro l’elementalista una raffica di vento così impetuosa da coglierlo di sorpresa. Il Mago Vikingo si rimise in piedi, notando Beanka alle prese con due cadaveri, indirizzò verso di loro schegge ghiacciate che li fecero crollare al suolo, poi si difese appena prima che una scossa elettrica potesse ferirlo.
La Dama si era alzata di nuovo in volo, ancora una volta il viso rivolto verso le nubi e gli occhi verdi spalancati, pronta a invocare un incantesimo. Da’miàn la mirò e scoccò la freccia, interrompendo l’invocazione. Lei urlò di rabbia e inviò in direzione dell’arciere una sfera nera come la pece.
«Seth!» Edgemas richiamò l’attenzione dell’occultista, se quella palla oscura avesse raggiunto Da’miàn, questo sarebbe stato inghiottito dall’oscurità e sarebbe scomparso in chissà quale oblio.
L’occultista sollevò il bastone, l’Ametista risplendeva di un viola intenso, pronunciò una formula arcana e la sfera della Dama fu inglobata a sua volta da un’altra dello stesso colore del mare. Seth barcollò sulle gambe, sebbene l’anziana medicea l’avesse guarito, le sue forze non erano tornate del tutto e incantesimi come quello appena invocato richiedevano un alto potenziale di forza magica. La Dama se ne accorse e mirò a lui, scatenando un tornado emanato dalla sua stessa persona.
Edgemas impugnò il bastone con entrambe le mani, il Rubino brillò come non mai e un muro di roccia apparve a difesa dell’alleato. Il tifone sgretolò la pietra, ma perse potenza trasformandosi in un soffio di vento.
Intanto, Rhia aveva abbattuto l’ennesimo lupo, sembrava che dalla foresta continuassero a giungerne un numero sempre maggiore. Così non ce l’avrebbero mai fatta a contenerli tutti. Studiò l’ambiente circostante: Beanka combatteva poco più in là; Da’miàn si era appostato sulla prua della nave di Eos con la quale era giunta l’amica e da lì scoccava frecce a una velocità impressionante. Drew e Becky combattevano fianco a fianco, evitando che l’orda dei cadaveri proveniente dal mare invadesse la spiaggia. Poi accadde qualcosa che non avevano messo in preventivo: i gemelli di Kratøos resuscitarono. Rhia guardò la Dama, li aveva invocati lei, perché adesso osservava nella loro direzione con fare compiaciuto.
Jey, con la testa tagliata da parte a parte, correva con l’ascia insanguinata stretta nella mano destra, balzò in direzione di Becky che evitò il colpo fatale roteando su se stessa e parando l’affondo successivo facendosi scudo con la spada. L’amazzone sgranò gli occhi, poi allontanò Jey con tutta la forza che aveva in corpo, quindi vide Joy arrivare di gran carriera alle spalle di Drew. Jey tentò di colpirla ancora una volta, lei fece una capriola in avanti e scattò in soccorso del guerriero gentiluomo, anticipando la stoccata del gemello con un calcio in pieno volto. Drew la guardò:
«I morti ce l’hanno con te» disse.
«Non gli piaceranno le rosse» rispose lei.
 
Edgemas aiutò Seth a rimettersi in piedi, così non andava.
«Dobbiamo inventarci qualcosa».
«Una favola potrebbe distrarla?» Il tono di Seth era più cinico del solito. Beanka urlò alle loro spalle, Edgemas si voltò di scatto, la preoccupazione dipinta sul viso. La ragazza era circondata da ben cinque demoni. «Vai» disse Seth, «qui ci penso io».
Il Mago Vikingo corse in aiuto della compagna, chiudendola dapprima in una cupola protettiva e quando uno dei lupi le balzò contro, ne restò fulminato; poi allontanò i nemici con sfere di fuoco.
La Dama tornò a scomparire per poi ricomparire proprio dinnanzi a Edgemas, toccò terra come se non avesse peso, gli sorrise mentre lui si disponeva dinnanzi all’amazzone.
«Ci rincontriamo» gli disse.
«Se ci fossimo già conosciuti, me ne sarei ricordato, madame.»
La Morte di Bianco Vestita cambiò forma, prendendo le sembianze della cameriera con cui Edgemas aveva trascorso la notte in quello sperduto villaggio, tra il Regno del Vento e il Regno di Metallo. Non poteva crederci, aveva giaciuto con la Dama. Provò un profondo senso di ribrezzo, che ben presto si trasformò in una forte passione. Desiderò sentirla di nuovo sopra di lui, e sotto, essere dentro di lei e possederla fino a farle male, poi l’urlo di Beanka alle sue spalle lo ridestò da quei pensieri. La ragazza lo oltrepassò velocemente, puntando alla Dama con le daghe sguainate.
«Beanka, no!»
La Dama alzò un braccio e una mano fatta di aria ne imitò i movimenti, simile a un’ombra, afferrando l’amazzone per il collo, trattenendola a diversi metri da terra.
«Insulsa creaturina» disse, prima di scagliarla lontano.
Beanka atterrò sulla sabbia con un tonfo, provò a rialzarsi ma un dolore acuto le attraversò la caviglia sinistra. Sperò di non essersela rotta.
Edgemas urlò di frustrazione, impugnò il bastone con entrambe le mani e lo conficcò nel terreno, chiuse gli occhi e biascicò parole incomprensibili. Due mani di roccia sbucarono dal terreno e afferrarono la Dama, schiacciandola come si farebbe con un moscerino. Miarìel si levò verso il cielo, ridendo.
Una freccia di Da’miàn fece per colpirla, ma lei la fermò con un semplice gesto della mano, poi gli lanciò contro una folata di vento così forte da farlo precipitare dalla punta della nave. L’arciere cadde e fu subito aggredito dai demoni lupo, uno dei quali lo afferrò per un polpaccio affondandone i denti. Il principe urlò, poi Rhia corse in suo aiuto.
Dall’altra parte, sul bagnasciuga, Drew e Becky stavano ancora fronteggiando ciò che ne restava dei gemelli di Kratøos, coloro che avrebbero dovuto prendere il posto di Namor un giorno. Il generale amazzone si stava rialzando a fatica, intanto che Drew le faceva da scudo umano, con lo spadone sguainato e un rivolo di sangue che gli scorreva dalla fronte, lungo il viso.
«Seth!» Urlò Edgemas. «Facciamolo!»
«Ne sei sicuro, elementalista? Dopo, non si torna più indietro.»
«Ne sono sicuro.»
L’occultista annuì.
È vero, la magia nera era bandita ai maghi semplici come lo erano loro, ma era anche pur vero che tutti i maghi ne erano attratti e che, in tanti anni di Accademia, capitava di passare la notte sui libri di magia proibita. Non tutti erano capaci di invocarla, gli incantesimi neri rischiavano di inghiottirti l’anima, di prendere possesso della tua coscienza, non era facile governarla o controllarla. Ma loro erano il miglior occultista e il miglior elementalista che l’Accademia poteva vantare da cinquant’anni a quella parte.
Seth sollevò il bastone, l’Ametista brillò di un viola sempre più scuro, passando dall’indaco al blu, fino a diventare completamente nera, smettendo di brillare. Con uno scatto sprofondò la punta del bastone nella sabbia, lui si chinò piegando un solo ginocchio. Come se fosse in contemplazione davanti la statua di un dio, nello stesso modo pregò la sua arma. La terra tremò, il cielo si oscurò e quando riaprì gli occhi catene grosse quanto un castello sbucarono dall’alto e dal basso, afferrando la Dama per i polsi e le caviglie. Erano catene fatte di corpi umani, cadaveri che si tenevano tra loro, trascinando la vittima nel loro stesso mondo; corpi sanguinolenti, composti di un sangue scuro, tetro, mentre un lamento spaventoso si levava nell’aria.
Miarìel gridò, si mosse in preda all’isteria, scuotendosi in avanti e indietro, il suo viso era una maschera di puro terrore. Dalla bocca spalancata fuoriuscirono cavallette, uno sciame infinito che si abbatté tutt’intorno, ma dovevano resistere. Rhia coprì Da’miàn con il suo stesso corpo; Beanka si chiuse su se stessa; Drew invece riuscì a fare da scudo con il suo fisico imponente all’amazzone Becky.
Edgemas, a sua volta, teneva il bastone con entrambe le mani, il Rubino brillò intensamente, il suo rosso era dello stesso tono di quello del sangue che colava dalle catene invocate da Seth. La voce del Mago Vikingo si alzava sempre più, mentre pronunciava una formula che mai avrebbe creduto di invocare un giorno.
Ricordava ancora quando Seth lo aveva beccato in biblioteca, nella zona proibita ai cadetti, mentre memorizzava quegli incantesimi oscuri e mortali. Credeva che l’occultista l’avesse denunciato all’Arcimago Volkàn per farlo espellere, invece gli aveva detto che nei giorni dispari quel posto sarebbe stato riservato a lui. Il giovane Mago Vikingo non aveva proferito parola, il suo silenzio era valso quanto un patto muto.
La voce di Edgemas arrivò a livelli altissimi, non pareva neanche la sua. Una piccola sfera nera si elevò dal Rubino, volteggiò a mezz’aria raggiungendo la Dama ed entrando in lei direttamente dalla bocca, discese lungo la gola. Miarìel serrò le labbra,
gli insetti smisero di sciamare, lei di dimenarsi, per un attimo ci fu la calma più assoluta, poi la piccola sfera che aveva ingoiato crebbe sempre più, inghiottendola completamente, facendola implodere dall’interno.
Il suo corpo semplicemente si dissolse in uno sbuffo; le catene che la trattenevano si ritirarono alla svelta, così come erano comparse; i demoni lupi tornarono nella foresta con la coda fra le gambe; i cadaveri si accasciarono al suolo, privi di vita; le cavallette volarono via.
Al posto della Dama giaceva un piccolo cuore rosso pulsante.
Era finita, l’avevano sconfitta ed erano tutti vivi.
 
Beanka si avvicinò a Edgemas, il passo claudicante a causa della caviglia. Il mago era sdraiato sulla sabbia, le braccia spalancate e un gran sorriso dipinto sul volto. L’amazzone si sedette al suo fianco e cominciò a ridere a sua volta. Seth li raggiunse, puntellandosi sul suo bastone, affiancato ben presto da Rhia e dall’arciere.
«Ehi, occultista, dove hai imparato quell’incantesimo?» Lo prese in giro lei.
«Non vuoi veramente saperlo» fu la risposta divertita di Seth. Raggiunsero Beanka ed Edgemas e si afflosciarono al loro fianco.
Drew lentamente rilassò i muscoli e tornò in piedi, Becky fece lo stesso, guardandosi attorno con aria confusa.
«È finita davvero?» Chiese, a nessuno in particolare. Notarono gli altri ridere e scherzare e capirono: era davvero finita.
«Sì» rispose Drew, «è proprio finita!» Poi passò un braccio intorno alla vita del generale amazzone e la baciò con trasporto, senza darle agio di scostarlo.
Rhia urlò qualcosa di sconcio per prenderli in giro, gli altri applaudirono, mentre Seth mosse appena il bastone con l’Ametista ormai nera e decine di cuori dello stesso colore apparvero sopra la testa dei due amanti. Lo guardarono straniati.
«Avrò bisogno di una pietra nuova».
Edgemas gli allungò il pugno e Seth lo colpì di rimando. Non avrebbe scommesso una moneta di bronzo sulla loro collaborazione, invece erano riusciti a fermare la distruzione fatta persona.
Il Mago Vikingo si avvicinò al cuore pulsante, lo coprì con un sacco che Beanka gli aveva procurato dalla nave e lo sollevò. Era più leggero di quello che pensava. Si spostarono sul veliero, rimettendolo in mare con l’aiuto della magia, la loro prossima destinazione sarebbe stata Osihria, capitale del Regno Magico, dove tutto era cominciato.


 
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Nota dell'autore

Buonsalve a tutti! 
Ci stiamo ormai avviando alla conclusione della storia, la Dama del Vento è stata sconfitta, i nostri eroi hanno vinto, ma adesso li aspetta il ritorno a casa, l'accoglienza a Osihria sarà come la immaginano? 
Non voglio svelarvi altro...

In verità, il piccolo spazio autore serve per ringraziare alcune persone: il giudice Ghostro per aver avuto un'idea geniale come questa e Alex (Alessandroago94) che ha recensito fin dal primo capitolo! 
Grazie ragazzi ^^

Ringrazio anche yonoi (che so arriverà fin qua e oltre!) e Rain84 (mia nuova compagna di EFP, con la quale condivido la passione per FF8 *-* ).
Grazie anche a voi ^^

Nina^^

 
 
 

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Capitolo 9
*** VII. ***



 
VII.
 


 
Osihria, Capitale del Regno Magico, Accademia dei Maghi ₰

Da diversi minuti attendevano ansiosi e annoiati nella sala dell’Accademia. Quando si erano presentati alle porte del palazzo di cristallo, le guardie magiche di turno li avevano condotti lì, dicendo loro di aspettare.
Edgemas teneva ancora nel sacco il cuore della Dama, non se ne era separato un attimo per tutto il viaggio di ritorno, il quale era stato decisamente meno movimentato di quello di andata. Avevano preso scorciatoie, evitando di avvicinarsi in maniera eccessiva alle capitali dei regni attraversati. Volkàn era stato chiaro quando lo aveva incaricato (una vita fa) di portargli personalmente il cuore della Morte di Bianco Vestita.
Finalmente le porte si aprirono e a uno a uno sfilarono i re dei Regni Alleati: Charlotte fu la prima, sempre imponente nel suo abito lungo aperto sul davanti e la gorgiera rigida intorno al collo, con i capelli biondi e ondulati a farle da cornice; seguì Namor tirato a lucido come non mai, vestito completamente di nero, l’ascia luccicava sul fianco sinistro, i capelli lunghi raccolti sulla nuca, la barba curata; toccò poi alla regina Deme, bellissima come di consueto, il vestito lungo e ingombrante tipico di una grande imperatrice, i capelli castani cadevano sciolti lungo la schiena, intrecciati solo sulla sommità della testa, l’unica con un’espressione di curiosità dipinta sul viso. Infine si palesò Volkàn, l’Arcimago, con il solito vestito chiaro, il bastone stretto in una mano gli faceva da supporto, il Diamante incastonato luccicava di un bianco innaturale.
I componenti della squadra che essi avevano scelto per quella missione si chinarono, fatta eccezione per i due maghi e Da’miàn. Fu Edgemas il primo a parlare e a farsi avanti, mostrando il bottino che teneva nel sacco di iuta:
«La Dama è morta.»
Silenzio, poi:
«I miei nipoti, dove sono?» Intervenne il sovrano di Kratøos, quando Drew gli porse le due armi che erano state di Jey e Joy, scuotendo il capo. Namor annuì, senza aggiungere altro, mentre prendeva con sé le asce. «Mi auguro che la loro sia stata una morte degna di un vero guerriero di Kratøos.»
«Assolutamente» concluse il corazziere gentiluomo. Era inutile raccontargli la verità, il finale non sarebbe cambiato comunque.
«Mia regina…» cominciò Becky rivolta a Charlotte, «Shayna è caduta».
La sovrana di Scizia strinse i pugni, annuendo, quindi guardò Beanka, alla fine si era unita alla compagnia, ma su questo non aveva mai avuto dubbi.
Volkàn batté il bastone sul pavimento di cristallo, richiamando l’attenzione dei presenti.
«Avete fatto un buon lavoro, sarete ricompensati e i vostri nomi risuoneranno in ogni angolo del Continente Abitato. Tutti conosceranno le vostre gesta, se ne parlerà per secoli, i libri di storia citeranno i grandi guerrieri, i maghi e le donne di Scizia che hanno fermato la piaga mortale del nostro tempo». Nessuno replicò, quindi continuò:
«Edge, porgimi il cuore della Dama, sarà preservato qui, nell’Accademia.»
Charlotte scoppiò in una risata fragorosa:
«Saggio Volkàn, mi chiedo perché il cuore debba essere conservato proprio qui, dove ci sono decine di maghi che potrebbero… come dire: approfittarne.»
Di nuovo l’Arcimago martellò il proprio bastone sul pavimento, con maggior vigore.
«Cosa stai insinuando, amazzone?»
«Il cuore verrà custodito nelle segrete del mio castello» intervenne Deme, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, completamente rapita da quell’organo pulsante che pareva chiamarla.
I guerrieri che avevano sconfitto la Dama si guardavano perplessi, si sarebbero aspettati urla gioiose e grandi feste, invece i loro signori sembravano sul punto di far scoppiare una guerra mondiale.
«Il cuore va distrutto» la voce di Edgemas campeggiò su tutte le altre. Lo fissarono.
«Sono d’accordo» Becky si fece avanti, dopo la dipartita della Dama aveva ritrovato la sua grinta.
«Anche io», le fece eco Beanka.
«Vale anche per me.» Disse Rhia senza remore.
«E per me.» Drew strizzò l’occhio all’amazzone dai capelli rossi e lei sorrise.
«Il Regno del Vento vorrebbe lo stesso. È troppo pericoloso non disfarsene», argomentò Da’miàn.
«Io non sono d’accordo». Seth fece un passo avanti e guardò il cuore vivo tra le mani di Edgemas. «Perché distruggere un oggetto così potente? Un giorno potremmo aver bisogno del suo potere per sconfiggere un nuovo nemico. Un demone infernale magari, o chissà quale mostro».
I suoi compagni lo fissarono con occhi sgranati, non erano quelli i patti che avevano preso durante il viaggio di ritorno. Avevano combattuto contro la Dama, si erano misurati con la sua forza e il suo odio e quasi ci avevano perso le penne, conoscevano quindi la furia devastatrice di cui era capace, tenere intatto quel cuore era una vera follia!
Deme afferrò il suo abito e discese i pochi scalini che la separavano dal cuore pulsante, quindi si avventò sul Mago Vikingo facendogli scivolare l’oggetto sul pavimento. La regina di Osihria si inginocchiò carponi e afferrò il cuore, gli occhi erano spalancati per la meraviglia di tenerlo fra le mani, le dita si sporcarono di sangue fresco. Aprì la bocca, pronta ad addentarlo, qualcuno urlò di fermarsi immediatamente, poi un pugnale le si conficcò nella schiena. Il grido di dolore della sovrana si strozzò in gola, inarcò le spalle e scivolò tra le braccia del suo assassino. Fissò il sovrano di Kratøos negli occhi, mentre questo le sorrideva di rimando, bello e pericoloso come lo era sempre stato.
«Adesso resterai giovane e meravigliosa per l’eternità» le disse con la sua voce pacata, calda e rassicurante. Deme emise l’ultimo roco respiro, poi rimase immobile, gli occhi aperti su di lui, il quale glieli chiuse sfiorandole le palpebre, infine con garbo l’adagiò sul pavimento e si rimise in piedi.
«E così dunque finisce anche la dinastia dei Taliesin» affermò, mentre una mano correva al manico dell’ascia, l’altra invece pronta ad afferrare il cuore ai suoi piedi. Charlotte corse nella sua direzione e afferrandolo per la vita lo travolse, finendo entrambi distesi sul pavimento.
«Stanno così le cose, alla fine…». Volkàn sollevò appena il bastone, il Diamante si illuminò e le quattro porte d’ingresso della sala vennero blindate da lastre di ghiaccio spesse quanto le pareti di una grotta.
Beanka e Rhia sguainarono le rispettive armi, mettendosi spalla contro spalla.
«Cosa dobbiamo fare, Edge?» Chiese l’amazzone con la lunga treccia, il Mago non rispose, non lo sapeva neanche lui.
Da’miàn indietreggiò di qualche passo mentre tendeva l’arco, pronto a scagliare la prima freccia contro chiunque avesse tentato di impossessarsi del cuore della Dama: la priorità era quella. Gli amici potevano trasformarsi in nemici e viceversa.
Intanto, il sovrano di Kratøos aveva ribaltato la situazione e adesso teneva Charlotte con la schiena contro il pavimento, con lui addosso. Sebbene la regina di Scizia fosse alta e possedeva un fisico allenato, muscoloso, Namor la sovrastava in peso e centimetri. Sollevò il braccio che impugnava la scure, il suo viso era un misto di rabbia e follia, avrebbe calato il colpo e ammazzato Charlotte senza pietà se Becky non fosse intervenuta, trascinandolo sul pavimento con sé. L’ascia volò qualche metro più in là, il regnante schiaffeggiò il generale amazzone e riafferrò la sua arma, quindi la calò sull’amazzone che riuscì a parare il colpo con la propria spada.
Namor, sopra di lei, spingeva la lama affilata sempre più, Becky era distesa sul pavimento di cristallo, tenendo lo stocco con entrambe le mani: le dita di una chiuse intorno all’elsa; le altre invece stringevano la lama che ormai le aveva scavato nella carne. Un rivolo di sangue iniziò a scorrerle lungo il braccio, non avrebbe resistito a lungo, l’uomo era troppo forte e il dolore pulsante.
Udì la voce di Drew giungere da lontano, poi un calcio ben assestato in pieno volto fece volare all’indietro il sovrano di Kratøos che atterrò sulla schiena qualche metro più lontano. Di nuovo il monarca perse l’ascia e questa volta non riuscì a riacciuffarla, poiché il guerriero gentiluomo, colui che aveva ingaggiato personalmente per quella missione, lo tenne giù poggiandogli un piede sul petto.
«Tu sei stato pagato da me!» Urlò il re, aveva il viso imbrattato di sangue che sgorgava dal naso.
«E ho concluso la missione come da contratto. Questa è un’altra storia. Vattene e sarai salvo» gli disse Drew allentando la presa, indietreggiò piano, fino a dargli le spalle. Tuttavia, Namor impugnò entrambe le armi che erano state dei suoi nipoti, non senza fatica si mise in piedi pronto a colpire il corazziere alle spalle.
«Drew!» La voce di Becky gli giunse chiara e argentina. Il guerriero mercenario si voltò con lo spadone sguainato, la lama si conficcò quasi completamente nelle viscere del sovrano di Kratøos, la cui dinastia sarebbe terminata con lui, adesso ne era sicuro.
Namor si accasciò sulle ginocchia, si tirò via la spada urlando dal dolore, infine cadde all’indietro tenendosi una mano sullo squarcio aperto nel ventre, gli occhi spalancati rivolti al cielo azzurro sopra la sua testa. Infine spirò.
«Oh, sante amazzoni di Scizia! Drew è il nuovo sovrano di Kratøos» disse Beanka.
Per un attimo tutti i presenti lo guardarono esterrefatti, mentre lo stesso corazziere gentiluomo continuava a fissare il suo re senza vita, disteso ai propri piedi: cosa diamine aveva fatto?
«Volkàn!» Lo chiamò Charlotte, rimettendosi in piedi. «Sei solo adesso, non vorrai combatterci tutti?»
«Vuoi farmi credere che tu non sei attratta dal potere del cuore?»
«Non ho bisogno di un artefatto per sentirmi potente, mago! Sono regina di un regno, ho schiere di guerriere fedeli al mio fianco, non mi serve altro!»
Rhia e Beanka batterono le mani, orgogliose della propria sovrana.
«Io desidero di più!» Esclamò l’Arcimago, brandendo la sua arma con entrambe le mani, la pietra si illuminò ancora, volse lo sguardo verso l’alto, saette violacee si radunarono intorno alla sua persona.
Da’miàn lo puntò, ma prima che potesse scoccare la freccia, una sfera infuocata colpì il vecchio mago dritto al ventre. Questo vacillò, l’incantesimo si interruppe, meravigliandosi che fosse stato Seth ad attaccarlo per primo e non Edgemas.
L’occultista rise forte, la sua solita risata finta e forzata, di un folle.
«Facciamo così, gente», iniziò. «Poiché non riuscite a trovare un accordo, per ora il cuoricino viene via con il sottoscritto.»
«Seth!» Il richiamo di Edgemas tuonò nella sala.
«Che c’è? Pensa al potere che potremmo ottenere…». Ma quando il Mago Vikingo non rispose, l’occultista si adirò. «Vuoi combattere? Hai sempre e solo voluto questo, vero Edge? Farmi fuori, uccidermi, lottare uno contro uno per misurare la tua forza.»
«Non voglio combattere contro di te» disse Edgemas, eppure, ormai, temeva che il dado fosse tratto.
Nel frattempo, Volkàn si stava rimettendo in piedi. La regina di Scizia richiamò l’attenzione delle sue guerriere, le quali compresero al volo e circondarono l’anziano puntandogli contro le loro armi. L’Arcimago si accasciò con la schiena contro il muro, arrendendosi – almeno in apparenza.
Seth si mosse di lato, allerta, senza distogliere gli occhi da quelli di Edgemas, mentre si avvicinava al cuore, ancora fermo al fianco del cadavere della regina Deme. Con movimenti rallentati al massimo, quasi si trovasse di fronte a una bestia e dovesse fare attenzione a non fare scatti bruschi, si chinò allungando una mano.
«Se solo sfiori quel cuore, giuro che t’ammazzo!» Edgemas impugnò al meglio il suo bastone, il Rubino iniziò a brillare tenue.
Seth ampliò il sorriso, mostrando tutti i denti e la lingua, mentre posava l’intero palmo sul cuore pulsante della Dama del Vento.
Edgemas gli scagliò contro tre sfere infuocate, Seth si alzò di scatto proteggendosi con uno scudo approssimativo che si frantumò subito.
«Smettetela!» Urlò Da’miàn.
«Seth, non fare l’idiota! Edge, anche tu…» Drew fece per avvicinarsi a uno dei due, ma si tirò indietro comprendendo che quelli non si sarebbero arrestati fino a mettere la parola fine. Era una battaglia rimandata da troppo tempo, un’avversità cresciuta negli anni e alimentatasi fino a straripare.
Seth batté il proprio bastone sul pavimento per tre volte, e altrettanti scoppi si verificarono ai piedi dell’elementalista, scaltro a deviare le prime due, ma non l’ultima che lo fece rotolare per un paio di metri. Il suo mantello grigio, già usurato, fumava dai lembi. A fatica si rimise in piedi, puntellandosi sulla propria arma. Seth gli lanciò contro spuntoni di ghiaccio che questa volta il Mago Vikingo fermò innalzando dinnanzi a sé una parete di roccia. La risata di Seth riecheggiò nella stanza, sovrastando anche le voci dei suoi compagni di viaggio che lo supplicavano di smetterla, di fermarsi, poiché quella battaglia non aveva senso di esistere dopo tutto quello che avevano passato.
Edgemas riuscì finalmente a mettersi in piedi, toccò il pavimento di cristallo con il suo bastone e due enormi mani di roccia sbucarono dal nulla, stringendo Seth in una morsa. L’occultista aveva provato a ripararsi in una cupola fatta di ghiaccio, ma la forza magica del Mago Vikingo aveva surclassato la sua, infrangendo lo scudo e afferrando Seth. Le mani pietrose stringevano, sempre più, lo avrebbero stritolato.
«Forza mago, hai vinto! Fallo, Edge, uccidimi!»
«Edge, no!» La voce di Beanka fu una specie di schiaffo in faccia. Edgemas allentò la presa e le braccia di pietra sparirono. Seth cadde con un tonfo, tossì mentre i polmoni tornavano a riempirsi di aria.
«Sei contento, adesso?» Gli urlò contro il Mago Vikingo, il Rubino si era spento.
«Sei un debole, Edgemas, farsi condizionare così da una ragazzina in lacrime. Che delusione». Seth sollevò la pietra nera incastonata nel suo bastone, restando tuttavia in ginocchio. La pietra brillò, lui emanò un grido disumano, mentre una grossa sfera buia prendeva forma sopra la sua testa.
«Ci inghiottirà tutti!» Esclamò Charlotte. 
Poi una freccia lo centrò in pieno petto. La sfera si rimpicciolì fino a sparire. Seth tossì, vomitando un fiotto di sangue scuro. Da’miàn abbassò l’arco: non serviva più.
Edgemas chiuse gli occhi, il Rubino si accese di nuovo, lo tenne fermo dinnanzi al suo volto, infine spuntoni di ghiaccio fuoriuscirono dall’addome di Seth, simili a una stella marina, come petali di fiori.
L’occultista si accasciò in avanti, senza vita.
 
Beanka e Rhia chinarono il capo, un senso di sconfitta le pervase. Non doveva andare a finire così, avevano annientato la Dama, l’unica cosa sensata da fare sarebbe stato festeggiare insieme, i Regni Alleati uniti. Invece…
Volkàn si agitò e cercò a tentoni il suo bastone, ma Becky era vigile e gli premette la punta della propria spada contro la gola.
«Fossi in te non lo farei» gli intimò, quando Charlotte la raggiunse e senza distogliere gli occhi da dosso all’Arcimago si rivolse a Edgemas.
«Ehi, Mago Vikingo – è così che ti chiamano, giusto? – non so come, ma distruggi quel cuore prima che mieta altre vittime altisonanti» sorrise cinica verso Volkàn. Quest’ultimo a sua volta ordinò a Edgemas di non farlo, di aiutarlo e poi avrebbero condiviso quel potere.
L’elementalista neanche lo ascoltò, era stanco. Si avvicinò al cuore della Dama, Seth era proprio lì e si costrinse a non guardarlo, fingendo che non fosse lui. Aveva desiderato così tante volte di vederlo morto, che l’unico momento in cui pareva che il loro rapporto fosse mutato, aveva dovuto ammazzarlo. Che strane trame tesseva il destino. Si chinò su un ginocchio, tenendo il bastone saldo nella mano destra, il Rubino si illuminò, mentre posava il palmo mancino sul cuore. Era caldo, batteva a intervalli regolari. In una parola, era vivo. Chiuse gli occhi e una coltre di ghiaccio calò sull’oggetto magico, congelandolo pian piano.
Quando Edgemas tornò in posizione eretta, l’organo era un pezzo ghiacciato senza alcun segno vitale; Drew gli posò una mano sulla spalla, poi calò il suo spadone sul cuore, frantumandolo in mille pezzi. Charlotte, la quale nel frattempo li aveva raggiunti, ne pestò uno trasformandolo in polvere argentea.
Adesso, era davvero finita.
 
 

 
Epilogo

 
 
Kratøos, Capitale del Regno di Metallo ₭

Beanka legò l’ultima treccia con un nastro bianco e poi la lasciò scivolare in tutta la sua lunghezza sugli altri capelli, sciolti e ondulati fin quasi a sfiorare la fine della schiena. Erano di un rosso particolare, che cambiava a seconda della luce e delle ombre che li investiva. Bellissimi. Poggiò entrambe le mani sulle spalle di Becky, il cui riflesso nello specchio mostrava il viso dagli occhi dipinti di nero, le labbra scarlatte e le guance rosate.
«Sei pronta» le disse la giovane amazzone.
«Non lo so, Beanka.» Becky si alzò, voltandosi verso di lei e Rhia, seduta sulla panca accanto al camino, dal quale pareva particolarmente attratta. «E se stessi sbagliando tutto?»
«Non era una domanda, la mia» le fece notare la ragazza. Becky parve impensierirsi. «Rhia!» Beanka richiamò l’attenzione dell’amica, invitandola a dire qualcosa.
L’amazzone dai corti capelli chiari si alzò in tutto il suo metro e ottantatré centimetri. Indicò il focolare, il fuoco scoppiettante:
«Accidenti, è così grande che potresti arrostirci un cavallo intero».
Becky si mosse nervosamente nella stanza, nel suo abito rosso con i ghirigori bianchi e dorati, le maniche si allargavano dal gomito in giù, lasciando le spalle scoperte. Sembrava uscita da un libro di fiabe, come quelle che la sua mamma le leggeva da bambina e di cui Leo era più attratto di lei.
«Sto sbagliando, lo so, me ne pentirò e sarà troppo tardi, non potrò tornare indietro. Mai più!»
Proprio in quel momento, la porta della stanza si aprì e Charlotte ne fece capolino, per l’occasione aveva indossato un abito vero, chiuso sul davanti, ma sempre tenendo il collo alto e rigido. Avendo sentito le ultime parole della sua compagna, disse:
«Potrai sempre tornare indietro, Scizia non volta mai le spalle alle sue sorelle.»
Le due donne si guardarono dritto negli occhi, poi la rossa annuì: era pronta.
Preceduta dalla regina Charlotte e seguita dalle sue damigelle – almeno per quel giorno – camminò a testa alta lungo il corridoio che l’avrebbe condotta alla sala del trono.
Durante il tragitto ripensò a quello che era accaduto negli ultimi tempi, dal momento in cui Seth era morto e il cuore della Dama mandato in frantumi.
Volkàn era stato arrestato ed esiliato sull’isola del Continente Nebbioso, il cui cadavere era stato rinvenuto dopo solo quindici giorni, appeso a uno degli alberi della Foresta di Nebbia.
Edgemas aveva deciso che l’Accademia non avrebbe avuto più un solo Arcimago al comando, ma un concilio di venti potenti maestri magi, con pari poteri politici e decisionali, eletti tramite voto segreto da tutti i maghi del mondo noto.
Taliesin l’Ammalato, invece, avrebbe ricevuto le cure necessarie al suo stato, ma la reggenza del Regno Magico era stata affidata a un sovrintendente scelto di comune accordo dai sovrani dei regni alleati.
Charlotte aveva chiesto a Edgemas di prendere il posto di Volkàn, tuttavia il Mago Vikingo si era rifiutato con garbo e fermezza. Lui non era nato per sedere su un trono, fra quattro mura di cristallo, il suo era uno spirito libero, indomabile. Sarebbe tornato a fare quello che gli riusciva meglio: scovare e ammazzare piccoli demoni che infastidivano il popolo, poveri contadini o pastori sedentari.
La regina di Scizia gli aveva allungato la mano e lui gliel’aveva stretta, accennando a un baciamano. Era la prima volta che le sue guerriere la vedevano toccare un uomo. E non per scannarlo.
 
Beanka, un passo dietro a Becky, ricordò di essere corsa verso il mago, dopo una settimana in cui tutti erano rimasti a Osihria per sistemare le cose e ridonare un equilibrio perduto. Lo aveva chiamato, mentre lui sellava il suo cavallo, proprio davanti alla locanda dove tutto era cominciato.
«No» le disse, prima ancora che potesse aprire bocca. La ragazza aveva già le lacrime agli occhi.
«Non sai nemmeno cosa voglia dirti.»
«Invece lo so». Edgemas era saltato in sella, accomodandovisi al meglio. «Non saresti felice al mio fianco, io sono un solitario, un uomo che non ha legami e non li vuole.»
«Non ti sarei d’intralcio», Beanka si sforzava di trattenere le lacrime.
La voce irridente di Seth era tornata ad affacciarsi nella mentre di Edgemas, il suo prenderlo in giro per il rapporto che si era creato con quella giovane amazzone, la paura di perderla, di vederla morta senza che lui potesse fare molto per proteggerla, gli avevano offuscato la mente e la ragione nella battaglia più importante. L’occultista aveva avuto ragione: il bene che le voleva lo aveva indebolito e reso vulnerabile. Non poteva permettersi un tale punto debole, sarebbe stato evidente anche ai nemici più ingenui.
La Dama del Vento era diventata cattiva per proteggere la sua bambina, lui avrebbe fatto altrettanto?
«Lo saresti, non per tua scelta, ma mi saresti d’intralcio». Si era calato il cappuccio sul capo e l’aveva salutata con un gesto sbrigativo, poi era partito al galoppo.
Era passato quasi un anno da quel giorno, e adesso stava per rivederlo.
 
Rhia invece era diventata generale del secondo esercito di Scizia. A volte spariva per giorni, ma Charlotte ne conosceva il motivo e non glielo aveva mai fatto pesare. Capitava, infatti, che nelle notti di quiete, quando non infuriavano tempeste e una leggera brezza si levava dal mare, si udisse nell’aria una dolce melodia. Rhia, allora, correva in direzione della riva, dove ad attenderla c’era un veliero senza bandiera, un po’ sgarrupato, eppure forte e tenace, come il capitano che lo governava. Da’mià di Delundel l’attendeva con le gambe penzoloni sulla prua, l’armonica fra le labbra e un sorriso pronto per lei. Si era formato la sua piccola ciurma di ex pescatori caduti in disgrazia, o guerrieri esiliati dal proprio regno. Navigavano nelle acque del Mare Muto, vivendo di pesca e – perché no – futili scorribande.
 
Il portone che conduceva alla sala del trono si innalzava imponente dinnanzi alle quattro donne. Lo osservarono in silenzio: su entrambe le ante, grandi e grosse, erano state inchiodate lastre di metallo, sei su ogni parte, sopra alle quali erano riportate immagini di guerre e battaglie.
Charlotte ricordò quando Rhonda, l’altro suo generale, aveva fatto letteralmente irruzione nella sua stanza da bagno, mentre era immersa nelle calde acque cosparse di petali di rosa. Non si era neanche presa la briga di aprire gli occhi, semplicemente le aveva chiesto cosa stesse succedendo.
«Mia regina, le sentinelle hanno catturato un invasore.»
«Un invasore? È un uomo?»
«Sì.»
«È armato?»
«Sì», Rhonda aveva continuato prima che potesse interromperla ancora. «Dice di essere il re del Regno di Metallo».
Finalmente Charlotte si era voltata a guardarla, poi era uscita dalla vasca, tamponandosi il fisico possente con una vestaglia bianca, scocciata per aver dovuto interrompere il suo momento di relax giornaliero.
«Non ha chiesto di parlare con te, mia regina».
Charlotte si era arrestata, interdetta.
Quando lo aveva raggiunto nella sala dei ricevimenti, Drew era in ginocchio con i polsi legati, mentre due amazzoni gli puntavano lance alla gola. Con un solo gesto della mano, la regina aveva ordinato che venisse liberato immediatamente, quindi si era scusata per l’accoglienza.
«Avrei dovuto inviare un messaggero per annunciare il mio arrivo» aveva detto l’uomo strofinandosi i polsi. «Non so ancora bene come destreggiarmi con i dogmi del regno» aveva aggiunto.
Charlotte aveva fatto spallucce, sprofondando nella poltrona di velluto rosso.
«Sei tu il re adesso, puoi fare ciò che vuoi.»
Drew non aveva risposto e lei aveva proseguito:
«Dunque, ho una vaga idea del motivo della tua visita inaspettata, ma vorrei che fossi tu a dirmelo. Non voglio trarre conclusioni affrettate.»
«Siete una donna intelligente, mia signora, avete ottime guerriere di guardia e sono certo che il vostro generale vi abbia già informato che non siete voi la persona con cui ho necessità di parlare, ma starò al gioco.» Drew aveva preso fiato e coraggio. «Devo vedere Becky.»
«Devo? Mio re…», c’era stata una piccola pausa. «Come saprai, se io non le concederò il permesso di incontrarvi, non ci sarà alcun modo per farlo. Gli uomini non sono i benvenuti qui a Scizia, ho fatto un’eccezione per voi, che siete il nuovo re di Kratøos e per i servigi che avete portato al mondo intero. Ma parlare privatamente con una mia guerriera… non lo so».
La regina aveva soppesato l’idea per più tempo del necessario, sperava che Drew l’avesse almeno supplicata, come avrebbe fatto qualsiasi uomo innamorato di una donna che sa di non poter avere. Invece aveva taciuto, senza abbassare mai lo sguardo. Per essere uno che non sapeva da dove cominciare per fare il re, si stava calando nella parte benissimo.
«Solo se lei lo vorrà» aveva detto infine Charlotte.
 
Becky chinò il capo studiando meglio i dipinti sul portone; in fondo a destra trovò la dinastia del re Namor. Chiuse gli occhi e trattenne il fiato.
Era stata la stessa Beanka a correrle incontro a perdifiato per il campo di allenamento, mentre lei stava addestrando le nuove reclute. Il generale dai capelli rossi aveva temuto un attacco nemico, magari i demoni erano riusciti a penetrare le difese di Scizia. La giovane amazzone era riuscita a biascicare poche parole sconnesse:
«Drew… parlare… tua stanza.»
In effetti, Becky l’aveva trovato in piedi nella sua camera personale, costituita da pochi mobili, quelli essenziali, e un balcone che dava sul mare. All’inizio, era rimasta sulla porta, indecisa se chiuderla o meno. Non aveva mai ricevuto visite che non fossero le sue compagne, figuriamoci un uomo, nella sua stanza poi. Alla fine aveva deciso di chiuderla, dal momento che si stava già formando un capannello di curiose nel corridoio.
«Ehm…» non aveva saputo bene cosa dire, come rivolgersi a lui che adesso sedeva sul trono di Kratøos. Drew si era voltato spaurito nella sua direzione, era così teso che non l’aveva neanche sentita entrare.
«Becky» aveva detto, avanzando di un paio di passi, ma lei lo aveva fermato mostrandogli i palmi.
«Non so cosa tu ci faccia nella mia stanza, ma dimmi velocemente quello che devi e poi vai via». Lui era parso deluso da tutta quella freddezza. «Scusami, adesso sei re, forse ti saresti aspettato maggior rispetto da parte mia, ma non è da me. Le buone maniere non sono mai state il mio forte.»
«Sposami, Becky!»
L’amazzone aveva spalancato gli occhi, una risatina isterica le era salita dal fondo della gola senza che lei potesse trattenerla.
«Che? Stai scherzando?»
«No», il re di Kratøos era avanzato ancora, mani protese in avanti nella speranza di afferrare quelle di lei. «Sposami, diventa la mia regina.»
Becky si era mossa di lato, tenendolo a distanza ed evitando di guardarlo in viso.
«Woah woah woah!» Era salita sul letto per discendere dall’altra parte e mettere altri metri tra lei e Drew. «Vacci piano. Sposarti? Io sono un’amazzone, la mia vita è qui.»
«Non intendo il matrimonio classico con tutti i doveri che comporta essere marito e moglie».
Il viso di Becky era sbiancato, diventando una maschera di puro terrore, come se non avesse mai pensato al rovescio della medaglia. Scosse il capo, spaventata come lo era stata di fronte al suo primo nemico, oltre vent’anni prima.
«Ho solo bisogno di una compagna che mi aiuti a regnare su Kratøos, in modo giusto e con lealtà verso il popolo». Drew le era sembrato sfiancato. «Non voglio che mi risponda subito, prenditi del tempo, una settimana se vuoi.» Poi aveva chinato il capo, senza più parole, affranto. «Solo ti chiedo di farmi avere una risposta, o dovrò provvedere a prendere moglie tra le pretendenti delle casate reali.»
Quindi si era congedato con un inchino ed era andato via senza aggiungere altro.
 
«Becky» la voce di Charlotte la richiamò al presente.
Sollevando le palpebre incontrò lo sguardo della regina di Scizia, annuirono all’unisono con il capo, poi la donna bionda aprì le porte della sala del trono con entrambe le braccia ed entrarono.
Drew l’attendeva davanti ai due troni, dallo schienale alto e sottile, indossava un completo nero, con calzoni larghi sulle cosce e stretti verso il basso; la camicia, sbottonata fino a metà, richiamava gli stessi disegni dorati e bianchi sull’abito della sposa. Quest’ultima raggiunse il re e si voltò verso i presenti, scorgendo tra gli altri Da’miàn, l’arciere, ed Edgemas, il Mago Vikingo, e si sentì un po’ più sicura di quella scelta.
Il Ministro della Fede era lì, davanti a loro, con un libro antico e sfilacciato in mano che neanche si prese la briga di aprire. Recitò i versi a memoria, poi allungò al sovrano una corda dorata, invitandolo a legarla intorno alla vita della sua sposa. Drew eseguì, emozionato, le mani tremanti. Aveva assistito a numerose cerimonie nel suo Regno per sapere che una volta annodata la corda avrebbe dovuto tirarla in avanti con uno strattone, in modo che le labbra della sposa fossero finite su quelle dello sposo. Ma si astenne dal farlo, lasciando gli invitati di stucco e lo stesso Ministro, il quale si affrettò a dichiararli marito e moglie. I presenti applaudirono, i più audaci fischiarono, tuttavia, prima di inaugurare il banchetto e concedere tre giorni di festa all’intero Regno di Metallo, il re richiamò l’attenzione di ognuno di loro.
«Da sovrano di Kratøos, prima che diventi legge, vorrei rendervi partecipi di alcuni cambiamenti che avverranno nei nostri confini». Drew evitava di guardare Becky negli occhi e questa cosa incuriosì in maniera negativa l’amazzone. «Conosco benissimo le usanze del mio popolo, costumi radicati dai secoli dei secoli, ma che personalmente ho sempre ritenuto abominevoli. Sotto il mio regno, le donne potranno far parte dell’esercito…» un brusio di sottofondo si levò nella sala. «E il rito d’iniziazione delle Cascate Genitrici verrà abolito, fino a nuova legge». Silenzio. «Bene, divertitevi».
I primi a urlare di gioia furono i bambini presenti nella sala, seguiti dalle donne e infine anche dagli uomini. Un coro di lunga vita al re riecheggiò tutt’intorno, Drew sembrava imbarazzato, teneva un sorriso di circostanza e ancora non aveva volto lo sguardo su sua moglie che invece lo fissava esterrefatta. Stanca di aspettarlo, gli afferrò il volto alzandosi sulle punte dei piedi e lo baciò a lungo, davanti a tutti, ridendo e piangendo insieme. Forse, alla fine, aveva davvero fatto la scelta giusta.
«Voglio essere tua moglie» gli sussurrò a fior di labbra, «con tutti i doveri e i diritti che ne comporta.»
«Andrei via adesso, per rinchiuderci nella nostra stanza nuziale» rispose Drew, ormai la maggior parte degli invitati era impegnato a mangiare, bere e danzare.
«Sei il re, puoi fare tutto quello che vuoi.» Si sorrisero, poi il nuovo monarca di Kratøos prese in braccio la sua sposa e insieme lasciarono la sala del trono.
 

 
 
Edgemas camminava per le strade della capitale del Regno di Metallo lentamente, tirando il suo bel cavallo per le redini. Le vie erano vuote, come da tradizione ogni cittadino di Kratøos aveva preso parte alla cerimonia nuziale che sarebbe durata per quattro giorni e tre notti. Sapeva che Drew e Becky avrebbero portato pace e prosperità al loro regno, erano le persone giuste per quello. Gli sarebbe piaciuto restare un po’ di più, il tempo di salutare tutti, ma il lavoro chiamava e non gli piaceva essere etichettato come poco professionale.
Restare.
Salutare tutti.
Rivederla.
Era passato quasi un anno dall’ultima volta che si erano parlati, davanti alla taverna di Osihria. Un anno in cui lui era tornato a essere il Mago Vikingo, come prima della Dama. Come se non fosse mai esistita una Dama del Vento.
Rivederla.
Era cresciuta, non di fisico o di altezza, ma la sua espressione era mutata. Si era indurita, resa più matura dall’età forse, o dagli eventi che aveva affrontato. La lunga treccia continuava a scenderle oltre i seni, gli occhi non avevano perso il guizzo curioso e scaltro, allegro. Le labbra serrate pronte a distendersi in un sorriso per chiunque gliene rivolgesse uno. Eppure il suo sguardo era quello di una donna adulta.
«Te ne vai senza salutare. Non è gentile da parte tua.»
Edgemas si fermò e sospirò, prima di voltarsi indietro. Eccola là, Beanka, le mani sui fianchi e lo sguardo pronto ad accusarlo di averla abbandonata.
«Hai ragione, non è gentile da parte mia.»
«I vecchi amici riaprono ferite profonde?»
«No», rispose l’elementalista pensando a Seth. «No, ho solo un lavoro da portare a termine in una fattoria poco distante, ma preferisco arrivare prima che faccia buio.»
«Hai paura dei demoni? Ti ho visto sconfiggere nemici molto più forti.»
Edgemas rimase a fissarla, senza sapere bene cosa dire o come scusarsi per il prossimo abbandono, ma era ciò che stava per fare.
Anche lei lo osservò: i capelli castano chiaro, biondicci, erano più corti e non aveva più quella barba incolta di un anno prima. Era ringiovanito, non gli aveva mai chiesto quanti anni avesse, ma la trentina la superava di certo.
«Adesso sono generale di brigata, sai» continuò Beanka, avanzando di un paio di passi. Era evidente che non voleva lasciarlo andare, stava solo tardando i saluti il più possibile.
«Sì, Da’miàn me l’ha detto. Anche Rhia è…»
«Sì, lo è anche lei. Quella Rhia…», Beanka rise nervosa. «Confida di tutto a Da’miàn. Se non le piacessero le donne, penserei che siano innamorati.»
«Già.» Ancora silenzio.
Due bambini corsero verso il castello fingendo di essere i nuovi sovrani della capitale. Edgemas indicò la strada alle sue spalle, quella che l’avrebbe portato lontano. «Devo andare, prima che-»
«Che faccia buio. Me l’hai detto» lo interruppe l’amazzone. «Beh, allora addio, mago». Poi si voltò, tornando a ritroso verso il castello.
«Arrivederci, Beanka» la salutò Edgemas proseguendo per la propria strada.
L’amazzone sorrise di nascosto.
Un arrivederci non era un addio.
 
 
fine
 
Grazie a chi è giunto fin qui,
Nina^^
 
 
 

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