I nemici amati

di Marilu2003lulu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amicizie ineluttabili ***
Capitolo 2: *** Amore fraterno ***
Capitolo 3: *** Confidenze ***
Capitolo 4: *** Fiducia ***
Capitolo 5: *** Promesse ***
Capitolo 6: *** Solidarietà ***
Capitolo 7: *** Vicinanza ***
Capitolo 8: *** Errori ***
Capitolo 9: *** Incontri ***
Capitolo 10: *** riflessioni ***
Capitolo 11: *** Coraggio ***



Capitolo 1
*** Amicizie ineluttabili ***


Il vento era particolarmente vorace quella notte. Le fronde degli alberi sbatacchiavano i rami contro la finestra della camerata, e uno spiffero di vento gelido penetrava da una piccola fessura del sottosuolo. Avvolto in una coperta di lana grezza, un giovane pilota dell'aviazione militare britannica, Edward Jones, fissava nostalgico un punto indefinito all'orizzonte del campo, laggiù, dove si intravedeva la foresta. Il suo migliore amico, Albert Smith, russava ignaro del prodigioso cambiamento climatico avvenuto quella sera, e la mano pesante, tenuta all'esterno del giaciglio, gli pendeva da un capo del letto. Edward la toccò con delicatezza e notò, spazientito ma allo stesso tempo divertito, che era tutta sudata. Quel gigantone ingenuo si era addormentato senza neanche spogliarsi e, a causa dell'imbottitura dell'uniforme progettata proprio per resistere a temperature fortemente rigide, ora stava bollendo sotto quella matassa di lenzuoli e trapunte manco fosse stato un pollo allo spiedo. 

''Questo zuccone l'ha fatto di nuovo.'' pensò ironicamente, e subito scendette la scaletta che separava il suo materasso da quello del compagno, con l'intenzione di scostargli almeno il copriletto per lasciare che il corpo si raffreddasse. Smith aveva un'espressione beata sul viso, forse stava sognando la sua fidanzata, quella ragazza dai boccoli d'oro che Edward aveva conosciuto qualche mese prima che i due si arruolassero, o, meglio, prima che fossero, letteralmente, costretti ad arruolarsi. 

Una smorfia di risentimento gli attraversò il volto. Dopotutto, se non ci fosse stato l'obbligo di leva, nessuno dei due avrebbe mai preso una decisione del genere. Edward a quell'epoca aveva appena vent'anni, si era diplomato da pochissimo, desiderava frequentare un'accademia d'arte, trovarsi una ragazza, un buon lavoro e successivamente costruirsi una famiglia. Insomma, tutto gli ronzava nella mente fuorché scegliere di condurre quella vita, all'insegna di combattimenti aerei, plotoni, camerate, fucilazioni, uccisioni, uniformi militari ed una rigidità nel complesso quasi spasmodica. Quando l'Inghilterra aveva annunciato l'entrata in guerra, doveva ammetterlo, non si era preoccupato particolarmente. Dopotutto, era giovanissimo, inesperto ai massimi livelli di qualunque genere di cosa riguardasse il mondo bellico, con dei parenti benestanti che mai e poi mai gli avrebbero concesso di sprecare gli anni migliori della propria esistenza in quel modo. Lui ed Albert ne discutevano molto spesso durante le loro passeggiate in campagna, facevano congetture, analizzavano la situazione nel complesso e, fondamentalmente, non si erano mai sentiti eccessivamente in pericolo. Fin quando non era giunta una sonora imposizione di reclutamento per tutti i maschi bianchi al di sopra dei diciotto anni, senza se e senza ma. Edward non seppe ricordare qual genere di sensazioni avesse provato in quei frangenti. Ricordò di essersi sentito stordito, senza parole. Si era rinchiuso nella sua stanza senza dire una parola e non ne era uscito per le sei ore successive. La madre e la sorella erano terribilmente preoccupate, fin quando, verso l'ora di cena, Edward aveva semplicemente aperto la porta, dichiarando che se quello era il suo destino, l'avrebbe affrontato senza timori né rimpianti. Difficile asserire che per il suo amico fosse stata la stessa cosa. Albert era infatti dotato di un carattere molto passionale, e quando aveva appreso che era destinato a trascorrere un numero imprecisato di mesi all'interno di un campo militare, combattendo per la patria o, almeno, per una patria astrattamente intesa, aveva ceduto alla disperazione, urlando a perdifiato la sua volontà di non partire assolutamente, qualunque cosa fosse accaduta. C'era da comprenderlo, poverino. Più grande di Edward di cinque anni, era prossimo al matrimonio, con una fidanzata incinta ed un nucleo familiare già pienamente assestato. I due si erano incontrati quella sera stessa, intorno alle dieci. Faceva molto freddo ed entrambi avevano poche cose da dirsi. Quantomeno, nonostante la quantità di cose che ci fossero da dire, nessuno dei due era in grado di proferire parola. Alla fine, si erano semplicemente abbracciati, promettendosi di proteggersi sempre a vicenda e di non lasciare mai che il loro rapporto fosse turbato da un qualsiasi agente esterno. Lui ed Albert erano legati da un indissolubile sentimento di amicizia, si sostenevano, si volevano bene, si aiutavano a vicenda. Molte volte Edward aveva riflettuto sul fatto che senza Albert la sua permanenza in quel posto sarebbe stata radicalmente diversa e certamente più penosa. Quando era ormai risaputo e accertato che i due sarebbero partiti per il fronte, erano giunte delle missive alle loro abitazioni dove si chiedeva, esplicitamente, in quale corpo desiderassero essere smistati. Quella era una cosa che generalmente i poteri forti lasciavano decidere direttamente agli interessati. Divenire soldati di terra era certamente la mansione peggiore. Si era costretti a fare turni estenuanti, vi era il pericolo delle bombe e, soprattutto, c'era il rischio di essere reclutati fra coloro ai quali era destinata la trincea. Tuttavia, neanche la prospettiva di arruolarsi nella marina gli gioviava particolarmente. Edward soffriva da sempre il mal di mare, il solo fluire delle onde gli procurava forte nausea e giramenti di testa, e l'idea di combattere addirittura sull'acqua era quanto di meno si potesse accettare. Rimaneva un'unica alternativa, che, a dispetto delle precedenti, non suscitava ancora completamente la sua approvazione. L'aviazione fondamentalmente non era male. Ma l'impellente necessità di imparare a guidare una macchina da guerra quale poteva essere un aereo militare, lo sconvolgeva. Non si sentiva in grado, non riteneva di avere le capacità adatte per tentare un'impresa del genere. Durante i loro mesi di addestramento, Albert era ugualmente avvilito. Terminate le numerose ore di esercitazione, i due piombavano nei loro letti, sfiniti, senza dirsi una sola parola, addormentandosi quasi all'istante. Era stata un'esperienza dura e quanto mai spiacevole. Ma, nonostante le prime settimane fossero state tutto tranne che gradevoli, col passare del tempo i due erano gradualmente riusciti ad abituarsi. Avevano stretto numerose amicizie con gli altri apprendisti piloti, tutti ragazzi inglesi semplici e alla mano, che avevano deciso di intraprendere quella carriera o a causa dell'emanazione dell'obbligo che non aveva lasciato altra scelta, o per pura decisione personale, molti infatti intendevano servire la nazione nella spasmodica lotta contro coloro che ritenevano fanatici nazisti, e per giunta, a dispetto di quel che avevano lasciato dietro di loro, erano ben felici di ritrovarsi in quel luogo. Trascorsero un lungo periodo all'interno della base, dove procedettero all'affinamento delle varie tecniche, e, quando furono giudicati sufficientemente pronti, partirono definitivamente. Ora alloggiavano in uno stretto circuito di una trentina di caserme ai margini di un'immensa foresta, dove, ogni mattina, partivano con i propri aerei con l'obiettivo di abbattere i numerosi caccia tedeschi che si aggiravano intorno la costa francese. Era un'impresa ardua e terribile. I piloti tedeschi erano notevolemnte superiori a quelli inglesi, molto più preparati e intrapredenti, l'industria che produceva i loro aerei faceva progressi da gigante, e lo stesso spirito tedesco che animava quegli uomini, per natura violento e iracondo, contribuiva ad incrementare la loro spietatezza. Cosa pensassero Albert ed Edward dei tedeschi, era sconosciuto persino a loro; il primo aveva il dente avvelenato in quanto li riteneva diretti responsabili del suo allontanamento forzato, il secondo li giudicava dei semplici fanatici, degli invasati macchiatisi di crimini contro l'umanità, che meritavano di perire nel modo più astruso. Questo era ciò che pensava Edward, quella notte, mentre sistemava con garbo le coperte del suo amico. 

''Edward? Che stai facendo?''

Edward credette che gli si fermasse il cuore nel petto al suono della voce del suo compagno, svegliatosi d'improvviso per mezzo del rumore provocato. 

ll giovane lo fissò con ironia. 

''Ti sei riaddormentato per l'ennesima volta con l'uniforme, idiota. Volevo scostarti le coperte per impedire che morissi asfissiato.''

Albert si tirò su con finta grazia. 

''Sono le quattro del mattino, Edward. Che combini ancora sveglio? Domani ne dobbiamo abbattere degli altri, non possiamo fermaci per nessun motivo al mondo. Dovremmo riposare.''

''Io..stavo pensando a quando arrivammo qui per la prima volta. Alle sensazioni che provammo, al primo aereo abbattuto, alla riuscita del nostro primo volo.''

''Non è passato neanche un anno. Sembra ieri che partimmo.''

''Albert, io..io vorrei tornare, sai?''

''Pensi di essere l'unico? Ne ho abbastanza di questa situazione. Non nego che estirpare da questo mondo miserevoli erbacce tedesche mi riempia il cuore di gioia, ma a volte mi lascio prendere dal desiderio di rivedere la mia cara Margaret, e il nostro bambino..dovrebbe avere due anni, oramai. Mi chiedo quando quel maledetto Terzo Reich affonderà sotto il peso delle sue stesse macerie, e tutti noi potremmo tornarcene finalmente a casa, dai nostri cari.''

''I tedeschi sono ossi duri, Albert.''

''Sono solo dei fanatici maledetti, e meritano di soffrire nel modo più terribile per tutto il dolore arrecato. Se me ne ritrovassi qui uno davanti, gli torcerei il collo fino alla morte.''

''Capisco i tuoi sentimenti.''

''Credo che faremmo meglio a tornare ai nostri caldi giacigli. Domani ci aspetta un'altra giornata di fatiche. Andiamo a dormire.''

Edward gli poggiò una mano sulla spalla. I due si guardarono un momento e, successivamente, ritornarono nei loro letti, desiderosi di assopirsi nuovamente il prima possibile. 

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Capitolo 2
*** Amore fraterno ***


Friedrich aprì gli occhi. Un fiotto di luce solare penetrava dalla finestra illuminandogli il volto pallido, mentre il russare impellente di Stefan, suo fratello, lo faceva gradualmente tornare al mondo reale, ricordandogli che no, non era estate, non si trovavano nella loro magione di campagna, e, no, quella non sarebbe stata una magnifica giornata, all'insegna di cavalcate nei boschi e passeggiate all'aperto.
Scostò velocemente le coperte, toccandosi la fronte imperlata di sudore e provando, allo stesso tempo, un fortissimo desiderio di tornarsene a dormire. Era, infatti, decisamente stanco. Quella notte non aveva riposato adeguatamente, era rimasto sveglio sino a notte fonda a riflettere su una quantità eccezionale di cose, e quando finalmente era riuscito ad assopirsi pochi minuti, il maledetto trillo del campo aveva iniziato a risuonare, facendolo sussultare incredibilmente.
Stefan, come al solito, non si era accorto di nulla, e ciò lo provava il fatto che continuava a persistere in quel meraviglioso stato di incoscienza. Friedrich voltò leggermente lo sguardo nella sua direzione, e notò un ragazzo dalla carnagione notevolmente chiara, con dei lineamenti angelici, i capelli chiarissimi e l'espressione serena e priva di turbamenti. Stefan aveva tre anni in meno rispetto a lui, e non gli era propriamente fratello ma semplice fratellastro, figlio del padre, avuto con un'altra donna. Friedrich, negli anni dell'adolescenza, non era mai arrivato a provare una sincera antipatia nei suoi confronti, ma era consapevole del fatto che non gli andasse a genio. Quando il padre, occasionalmente, andava a trovarlo e portava anche il figlio, Friedrich faceva di tutto per evitarlo e non dargli confidenza. Stefan, infatti, con i suoi modi spontanei ed entusiastici, lo irritava non poco.
Friedrich, contrariamente al ragazzo, era invece introverso, portato più alla riflessione che all'espressione benevola dei propri sentimenti, pacato e a modo, interessato a tutto e a niente in particolare. Trascorreva le sue giornate leggendo e facendo lunghe perlustrazioni in giro per il villaggio. Nulla lo turbava più del dovuto, essendo un attentissimo osservatore preferiva ascoltare che parlare, e la vita, finora, non gli aveva riservato né particolari gioie, né particolari dolori.
Stefan era l'esatto opposto. Lui era un individuo gioioso, solare, estroverso, che parlava in continuazione e mai una volta riusciva a stare zitto, sempre in movimento, con una straordinaria voglia di vivere ed un'incredibile allegria. E, contrariamente a Friedrich, adorava il fratello maggiore. Ogni volta che lo raggiungeva in campagna assieme al genitore era sempre felicissimo di rivederlo, apriva con lui mille argomenti, tentava di intavolare discorsi in ogni momento libero, e, oltre ad ammirarlo e ad aver provato nei suoi confronti un'istintiva simpatia, desiderava anche condividere più momenti assieme a lui. Dunque, quando il padre si era trovato impossibilitato ad andare a trovare il figlio a causa di ingenti problematiche lavorative, Stefan aveva preso l'abitudine di recarvisi ugualmente, da solo. Friedrich all'inizio si era mostrato irritato da quelle continue visite, non sapeva davvero come toglierselo di torno, infatti, nonostante l'indifferenza e la malcelata antipatia, quello sembrava proprio intenzionato ad instaurare un solido legame fraterno. Ed alla fine Friedrich aveva ceduto. Aveva ceduto perché fondamentalmente apprezzava il suo comportamento, quel suo dimostrarsi sempre gentile nei suoi confronti, aveva ceduto perché aveva incominciato a provare tenerezza verso di lui, fino ad essersi reso conto, successivamente, di volergli apertamente bene. I due quindi avevano cominciato a frequentarsi assiduamente, ed erano lentamente diventati inseparabili. C'erano, però, alcuni aspetti della personalità di Stefan che Friedrich proprio non riusciva a farsi andare giù. Detestava l'impulsività del ragazzo, il non pensare alle conseguenze di determinate azioni, ed aveva maturato, a poco a poco dentro di sé, la volontà di proteggerlo. Proteggerlo perché non era assolutamente cattivo, proteggerlo perché, nonostante commettesse errori dettati dalla giovane età e dall'inesperienza, subito dopo era in grado di riflettervi sopra, e comprendere dove avesse sbagliato. Friedrich non si sarebbe mai perdonato di aver permesso che quest'ultimo partisse per il fronte assieme a lui. Né glielo avrebbe mai perdonato il genitore che, alla notizia raccontatagli da Stefan di voler arruolarsi per non lasciare che Friedrich se ne andasse da solo, non gli aveva più parlato per le due settimane successive.
Quando Friedrich aveva scelto di arruolarsi nell'aviazione Stefan si era subito mostrato desideroso di apprendere, casomai avesse dovuto offrirgli manforte nella lotta agli inglesi, ma aveva solo ed esclusivamente ricevuto un secco "no" come risposta. Friedrich infatti non avrebbe mai permesso che quest'ultimo rischiasse la propria vita in circostanze tanto estreme e fondamentalmente sconosciute. Così che Stefan aveva finito per alloggiare nel campo senza rivestire una posizione precisa, schernito dalla maggioranza dei loro commilitoni che non riuscivano a comprendere cosa ci facesse effettivamente lì, visto che non combatteva, non prendeva parte agli assalti, non svolgeva neanche funzioni affidate ad esterni, non faceva assolutamente nulla. Questo faceva soffrire terribilmente Stefan, costretto a perdurare in uno stato in cui non avrebbe voluto minimamente trovarsi, ma l'ostinazione di Friedrich era insormontabile. I due avevano finito per scontrarsi molteplici volte, il primo ostinato a voler volare insieme al fratello per portargli occasionalmente assistenza e allo stesso tempo, anche desideroso di apprendere qualcosa di nuovo, e riteneva che nulla ci fosse di più meraviglioso che librarsi nell'infinità del cielo, non riuscendo completamente a comprendere cosa ci fosse realmente in quella volta celeste, e il secondo caparbiamente deciso a non permettere assolutamente che quello sprovveduto facesse una cosa del genere. D'altronde, Stefan non aveva ricevuto il suo stesso addestramento, raramente aveva guidato per più di una decina di minuti, non conosceva tutti i meccanismi dell'aeromobile, e Friedrich temeva orribilmente che, non appena avesse decretato che il fratello fosse stato pronto per tentare una manovra aerea da solo, avrebbe finito per lasciarci le penne.
Friedrich tirò un profondo sospiro. Era certo che fossero almeno le cinque del mattino, non valeva la pena riprendere a dormire, la sveglia avrebbe suonato fra meno di un'ora. Si sollevò sgraziatamente ed iniziò a stropicciarsi gli occhi per eliminare gli ultimi residui di stanchezza. Quella era un'abitudine rimastagli sin da bambino, ed egli riflettè con un sorriso che non l'aveva mai effettivamente persa del tutto. Nel mentre che afferrava, svogliatamente, la propria uniforme sistemata sul comodino, sentì un brusco movimento provenire dal letto accanto al suo. Stefan si era voltato ed aveva aperto gli occhi. Lo fissava con un'espressione sconsolata, che a Friedrich fece venire la pelle d'oca.
"Buongiorno. Oggi ne inizia un'altra, di giornata, eh?" la tensione di quelle parole era percepibile persino ad un orecchio che non conosceva la situazione che stava intercorrendo fra loro due, e Friedrich sperò con tutto sé stesso che il fratello non iniziasse, come nei giorni precedenti, ad assillarlo con la sua pretesa di volerlo seguire in combattimento.
Stefan continuava ad osservarlo accigliato.
"Sì, hai proprio ragione, un'altra giornata all'insegna della noia e della frustrazione. Per quanto ancora pensi di poter andare avanti così, Friedrich?" il tono del fratello era ostile e con una leggera punta di tristezza, tanto che Friedrich sentì il proprio cuore stringersi nel petto al suono di quelle parole.
Quest'ultimo, in un impeto di rabbia, gettò la canottiera in un angolo della camerata. Gli si avvicinò furente, e, scrutandolo con indignazione, non osò consentirgli di pronunciare un'altra frase.
"Smettila, Stefan. Sono tre mesi che mi stai tormentando con questa storia. Sai perfettamente come la penso. Sei inesperto, non saresti assolutamente in grado di pilotare l'aeromobile come faccio io, non credere che dubiti delle tue capacità, ma non posso lasciartelo fare, per favore. Non stressarmi ulteriormente. Mi rammarico già infinitamente di aver concesso che tu venissi qui, in questo maledetto posto."
Stefan continuò, imperturbabile, ad adocchiarlo con sguardo astioso.
"In effetti, è decisamente meglio stare qui a non fare nulla. Che sciocco che sono. Ed io che mi interstardisco e continuo a persistere nel folle proposito di seguire mio fratello in guerra. Chiunque loderebbe la terra e il mare per trovarsi nella mia attuale condizione, ed io cosa combino? Che idiota. Che stupido idiota sono."
Friedrich abbozzò un sorrisetto malinconico.
"Non lo stai dicendo sul serio, non è così?"
Stefan riprese lo sguardo torvo di qualche attimo prima.
"È naturale che non lo stia intendendo davvero, Friedrich! Credi veramente che io aneli a trascorrere l'intero periodo di guerra in questa dannatissima situazione di stallo? Senza poter fare niente? Senza poter prestare soccorso? Senza poter aiutare, se non te quantomeno i nostri commilitoni, senza potermi rendere utile? Perché diamine mi tieni rinchiuso in questa specie di gabbia dorata? Non sono un ragazzino! Sono un uomo! Decido io cosa è giusto per me. Gli altri mi scherniscono, Friedrich. Forse non te ne sei reso conto in quanto sei eccessivamente concentrato su te stesso, ma io lo noto, lo noto eccome, anche a dispetto del fatto che tali offese non mi vengano rivolte esplicitamente. Come credi che mi senta? Siamo in guerra, Friedrich, in guerra la gente muore, non esistono innocenti, te ne rendi conto? Se non gradisci il mio intervento nei tuoi affari, almeno concedimi l'opportunità di interessarmi a quelli altrui. Te ne prego. Fallo per me".
Friedrich gettò sconsolato il capo all'indietro. Trasse un profondo respiro con l'intenzione di calmarsi, e, soprattutto, di non farsi prendere da una miriade di sensazioni diverse che in quel momento gli invadevano il cuore. Stefan era alquanto restio a credere che, per merito di quel suo sproloquio, il fratello avrebbe cambiato opinione, cosicché si era rifilato testardamente sotto le coperte, senza nemmeno aspettare che Friedrich rispondesse alla sua richiesta. Quest'ultimo gli si avvicinò cautamente e si sedette sulla sponda del suo letto. Tentò di guardare negli occhi Stefan, ma egli aveva riposto la testa sotto il lenzuolo, non avendo più voglia di cercare di portarlo dalla sua parte. Friedrich ponderò attentamente le varie frasi che si accingeva, frattanto, a pronunciare.
"Stefan, per favore, ascoltami. La mia intenzione non è quella di mortificare né le tue capacità, né il tuo implacabile desiderio di servire la nostra nazione nella spaventosa lotta contro quei maledetti inglesi. Non capisci? Lo faccio solo ed esclusivamente per proteggerti. Tengo troppo a te, stupido, come fai a non rendertene conto? Il solo pensiero che ti possa succedere qualcosa mentre stai in volo mi terrorizza, oltre a farmi venire la pelle d'oca. Cosa credi? Immagini che sia bello stare lassù abbattendo aerei nemici? Presumi io mi senta felice e appagato quando vedo gli aerei dei nostri compagni cadere e stramazzare al suolo lasciando che quei poveretti brucino vivi? Pensi questo, sciocco?" il volto del fratello andava accendendosi in un'espressione furente, e, per la prima volta, Stefan ebbe paura, guardandolo. Ma Friedrich continuava, implacabile, accecato da uno sdegno e da un'indignazione che non riusciva più a reprimere dentro di sé. Detestava i momenti di immaturità che lo pervadevano, e riteneva fosse suo pieno diritto tentare di smorzarli il più possibile.
"Allora? Rispondimi! Pensi queste cose? Le pensi davvero? Hai idea di quanto possano essere spietati quegli sciagurati degli inglesi? Ti farebbero fuori in un batter d'occhio! Sono dei vili! Degli esseri ignobili! Degli abietti! Non posso permettere che tu faccia una simile fine. Sai che l'ho promesso. Dovresti sapere che porto sempre a termine le mie promesse. E ti assicuro, Stefan, che, fin quando mi chiamerò Friedrich Janssen e avrò un posto di livello in questo dannatissimo plotone, non oserai pilotare un aereo fin quando non lo avrò ritenuto strettamente necessario. È chiaro?"
Negli occhi di Stefan baluginarono profonda collera e risentimento; ma, nel mentre che suo fratello completava la vestizione, non osò pronunciare ulteriormente parola. Solo quando quest'ultimo uscì, sbattendo la porta, poté dare sfogo alla sua rabbia, colpendo ripetutamente il cuscino.

 
 

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Capitolo 3
*** Confidenze ***


La sala dove si consumavano i pasti era gremita di soldati, la cui maggioranza perennemente assonnata e di pessimo umore. Circolavano, infatti, voci allarmanti e angosciose che turbavano il riposo dei commilitoni e generavano al contempo, nell'aria, profonda preoccupazione e numerosissimi tormenti.
Friedrich camminava lentamente tra i banchi. Conosceva quelle panche quasi come gli anfratti più profondi della sua persona. Vi aveva trascorso tante serate allegre in compagnia di Hans, il suo migliore amico. Un ragazzo nato da una relazione extraconiugale del padre con una donna inglese e, di conseguenza, assolutamente non ben visto. Molti lo definivano una spia, un bastardo, un traditore della patria che serviva, uno scellerato, per la sola colpa di essere nato da una madre nelle cui vene scorreva sangue britannico. Naturalmente, allo scoppio della guerra, la posizione del giovane, non fosse stata già particolarmente intricata, si era complicata ulteriormente, e con conseguenze disastrose. I litigi in famiglia erano aumentati, le urla si udivano in continuazione nel vicinato, e l'umore dei membri stessi era tenebroso e incessantemente arrabbiato. Da un lato la fedeltà alla nazione nella quale era sempre vissuto e intendeva rimanervi, dall'altro la volontà di non schierarsi apertamente contro un paese dove era contenuto una parte del suo cuore, della sua vita, della sua storia. Ma alla fine, si era ritrovato costretto a scegliere. Scegliere da quale versante schierarsi. Ed il povero Hans, già stressato eccessivamente dalle occhiatacce furibonde che gli rivolgeva, occasionalmente, suo padre, come se avesse voluto ammonirlo a non tentare assolutamente di tradire tutto ciò che egli stesso rappresentava, aveva infine anteposto gli interessi della Germania a quelli dell'Inghilterra, decidendo di arruolarsi nell'aviazione militare tedesca, e mettendo, definitivamente, un punto di svolta all'intera faccenda. Difficile asserire che la sua povera mamma non avesse interpretato quel gesto come un vile tradimento perpetrato da colui al quale voleva più bene, ovvero il suo caro figliolo. E quando l'ostilità e il rancore erano divenuti sentimenti troppo forti per tentare di smorzarli o, quantomeno, sanarli, vista la mortificazione subita la donna non aveva retto all'umiliazione e al desiderio di vendetta, ed aveva, di conseguenza, concluso la questione abbandonando la propria famiglia, fuggendo via, in Inghilterra, la sua amata patria, con un altro uomo.
Hans e suo padre erano quindi rimasti soli. Il ragazzo non si era mai realmente sentito esageratamente in colpa per avere causato l'allontanamento volontario di sua madre, ritenendo, giustamente, che un genitore, il quale non sappia rispettare un proposito del proprio figlio per puro egoismo e acredine personale, non fosse meritevole dell'appellativo datogli fino a quel momento. Ma nonostante quelle riflessioni apertamente consolatorie, qualche volta, non sapeva nemmeno lui perché ciò fosse accaduto, si era ritrovato sull'altalena della loro vecchia casa, in campagna, da solo mentre osservava il cielo stallato e i bagliori di una notte fredda e uggiosa, a piangere disperato. Non perché avvertisse la mancanza di quella signora, oramai non aveva più il coraggio di chiamarla mamma, non perché volesse rivederla o, peggio ancora, aspirasse a ritornare a stare con lei; la motivazione, a dire il vero, non gli era del tutto chiara. Sentiva esclusivamente un vuoto, un'assenza che non riusciva a colmare. Durante il periodo di addestramento che aveva preceduto la sua spedizione diretta in quella località quale pilota di secondo grado, esperto in manovre aeree e struttura stessa degli aeromobili, il giovane era entrato in contatto con Friedrich e suo fratello, Stefan. I due si trovavano in quel luogo da non moltissimo tempo e, prima di scoprire che fossero fratelli, Hans era convinto di essersi trovato dinnanzi due migliori amici. Apprezzava particolarmente il loro rapporto, lo trovava genuino e innegabilmente autentico, spontaneo, oltre ad essere naturale e vivace. Si era subito reso conto delle notevoli differenze che caratterizzavano ciascuno di loro. Friedrich era, infatti, il più delle volte, taciturno e riflessivo, non parlava spropositatamente come Stefan, era eccessivamente giudizioso e meditava in continuazione. Spesso Hans si ers trovato palesemente in difficoltà nel modo in cui riteneva fosse preferibile rapportarglisi. Dopo gli allenamenti avrebbe voluto dialogare e scoprire la causa di quel suo incessabile stato di inquietudine, perché Hans di questo credeva si trattasse, apprensione, turbamento, desiderio e voglia irrefrenabile di fuggire, di voltare le spalle a tutto e a tutti, di non perdurare più in quello stato, assolutamente non confacente alla sua natura. Ma, ogni qual volta rivolgeva lo sguardo nella sua direzione, fosse stata la mensa o la camerata condivisa, trovava il ragazzo seduto al proprio posto, accigliato e intensamente concentrato in ponderazine delle quali era, naturalmente, a conoscenza solamente lui. E quel suo stato produceva, nel giovane, un tale timore reverenziale da indurlo a desistere dal proposito di interromperlo per mettersi a chiaccherare. In quei frangenti gli pareva che i cicaleggi di cui avrebbe voluto condividere la natura stessa con Friderich fossero delle attività totalmente inutili, addirittura frivole. Dunque si metteva l'anima in pace, sorrideva scorgendolo impegnato in quegli impenetrabili pensieri, e riattaccava a fare ciò che lo stava tenendo occupato precedentemente.
Un pomeriggio, si ricordava perfettamente di quel giorno, aveva azzardato a domandare a Stefan il perché suo fratello fosse così dannatamente silenzioso e di poche parole, ottenendo, come risultato, una soave risata da parte sua. Stefan aveva atteggiato le labbra in modo che sul suo viso si potesse scorgere un'espressione compassionevole e, poggiandogli con delicatezza una mano sulla spalla, gli aveva detto, esplicitamente, di smetterla di provare ad invogliare Friedrich a parlare, che l'indole di suo fratello era sempre stata la stessa, fin da che aveva memoria, che quello era un periodo drasticamente particolare per tutti loro, oltre che per la nazione, e che ognuno cercava, per quanto poteva, di abituarsi lentamente a quella nuova situazione. Gli aveva fatto comprendere, sostanzialmente, che la cosa migliore da fare fosse lasciarlo semplicemente in pace. Lo stesso Stefan aveva confessato quanto fosse complicato, ultimamente, cavargli qualche parola dalla bocca. Ma la cosa sembrava non preoccuparlo più del dovuto, asseriva che si sarebbe ripreso nel giro di qualche altro mese, quando avrebbe finalmente capito che non esisteva modo di ritornare indietro.
Ma ad Hans quelle spiegazioni, per quanto ragionevoli e in larga parte veritiere, non erano state sufficienti. Lui non credeva affatto che quello fosse soltanto un male passeggero, dovuto alle circostanze assai complesse nelle quali si erano ritrovati a vivere tutti loro. Lui era convinto ci fosse di più, molto di più. Un qualcosa che gli corrodeva l'anima stessa, che lo faceva sentire colpevole, maledettamente responsabile. Ed oltre alla curiosità, nel cuore di Hans balenava anche la speranza di poter prestare soccorso, se ce ne fosse stato bisogno. Dunque, una sera, mentre tutti i loro compagni si godevano la meritata cena e discorrevano, piacevolmente, delle novità che aveva apportato quella giornata, Hans, notando la presenza di Friedrich qualche tavolo più in là rispetto al suo, gli si era avvicinato cautamente e, avendo avuto la certezza che il giovane fosse solo, gli si era seduto senza tante cerimonie di fronte. Aveva avuto la sensazione che, con quel ragazzo, fosse di gran lunga più opportuno agire istintivamente, senza dargli il tempo di comprendere cosa stesse effettivamente per accadere. Friedrich, non appena si era accorto della sua presenza, gli aveva rivolto uno sguardo talmente freddo e ostile, da indurre qualunque altra persona ad allontanarsi il più in fretta possibile. Ma Hans, prevedendo una reazione del genere, avevo finto di essere concentrato a studiare il contenuto del proprio piatto, non degnandolo di uno sguardo. Friedrich, non aspettandosi di essere ignorato, gli chiese, distrattamente e quasi come se non gli importasse, come mai si fosse seduto lì.
Hans, eccitato da quelle prime locuzioni rivoltegli direttamente, rispose che la sua tavolata, con tutta quella birra che scorreva a fiumi, gli aveva fatto venire il mal di testa, e l'idea di rintanarsi in quel cantuccio solitario gli era parsa decisamente più buona. Ma, per quanto si stesse sforzando di apparire gentile ed affabile, Friedrich continuava, inspiegabilmente, ad essere di cattivo umore, manifestando inimicizia e malanimo. Ecco, quello era un comportamento che Hans non aveva, minimamente, preso in considerazione fino a quel preciso istante. Era convinto che sarebbe bastato fare da sé la prima mossa, dato che la timidezza del giovane non glielo consentiva, ma non immaginava affatto che, nonostante i suoi tentativi, gli sforzi finora prodotti non avrebbero dato i risultati richiesti. Si sentiva tremendamente confuso, turbato. Alla fine, dopo una mezz'oretta di conversazione infruttuosa nella quale era stato fortunato se, ogni decina di minuti, Friedrich si era degnato di pronunciare una qualche sillaba, Hans ritornò alla propria camerata, gettandosi sul letto sconsolato e poggiandosi le mani in testa. Si sarebbe arreso. La barriera che Friedrich aveva posto di fronte a sé era invalicabile, e quel povero ragazzo proprio non sapeva più come comportarsi, oltre a non avere altre idee su come agire. Inoltre, una componente fondamentale la rivestiva l'orgoglio. Lui la disponibilità nei suoi confronti l'aveva ampiamente manifestata. Se non era stato accolto adeguatamente, pazienza, ma non avrebbe assolutamente continuato a mostrarglisi amico. Non dopo essere stato trattato in quella maniera. Dopotutto, fin dall'inizio avrebbe dovuto dare retta ai consigli elargitigli da Stefan. Chi meglio del fratello avrebbe potuto gettare luce su quella situazione? Invece era stato testardo, aveva voluto fare di testa sua, ottenendo quei pessimi risultati. Si era addormentato con la testa che quasi gli scoppiava per la quantità di cose che erano passate in quei frangenti, risvegliandosi, il mattino seguente, con un dolore terribile al centro della fronte. L'addestramento quel giorno era stato un autentico disastro, oltre ad essere stato rimproverato più volte di ciascun altro suo commilitone, aveva sbagliato le corrette manovre, rischiando di far fracassare al suolo, a parte sé stesso, il suo meraviglioso aereo.
La sera sedeva avvilito, da solo, in disparte, il cucchaio che gli tremava nel palmo della mano per l'umiliazione subita, e il cervello in fumo per non essere stato in grado di farsi vedere al meglio, come aveva fatto, disperatamente, in tutti i giorni precedenti. E poi era accaduto l'impensabile. Mentre si trovava lì, sprofondato nella sua scomoda seggiola, sconfortato e demoralizzato per essersi permesso di occuparsi di questioni sterili e non di sua competenza, tralasciando le incombenze e gli oneri che lo trattenevano in quella caserma, aveva scorto, con la coda dell'occhio, la sagoma di Friedrich che, furtivamente, gli si avvicinava. Una rabbia cieca lo aveva pervaso ferocemente. Come osava, adesso, dopo averlo offeso in quella maniera e, per di più, dopo essere stato la ragione della sua mancata partecipazione alle esercitazioni di quel giorno, avvicinarglisi e sedersi accanto a lui?
Friedrich lo aveva scrutato con fare indagatorio, mentre poggiava il vassoio contenente la zuppa sulla tovaglia.
<< Ciao. Senti, andrò dritto al sodo perché sono un tipo a cui non piace tergiversare. Sono desolato per ieri sera. Ero molto nervoso e non avevo voglia di fare conversazione. Mi rammarica fortemente averti trattato in quel modo. So che avevi le migliori intenzioni, e ti assicuro che le avevo anch'io. Ma hai cercato di interloquire nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono qui per porgerti le mie scuse e, se ne hai ancora voglia, per fare quattro chiacchiere. >>
Hans lo fissò con sbalordimento. Di tutto si era aspettato, tranne quella confessione, elargita poi in maniera assolutamente sincera e confortante. Lentamente, dimenticò l'astio e il rancore provati sino a qualche minuto prima, e abbozzò, con sollecitudine, un sorriso leggermente imbarazzato.
<< Figurati. Non è necessario scusarsi. Sai, ieri credo di essermi comportato con eccessiva avventatezza, non tenendo conto della tua indole caratteriale, di poche parole. E' stato un mio errore. E' da un po' che vi osservo, te e tuo fratello Stefan, intendo, e desideravo molto scambiare qualche parola con voi. >>
Friedrich, se fino a qualche istante prima aveva cercato di mostrarsi, nei limiti delle sue possibilità, educato e cordiale, non appena udì pronunciare il nome di suo fratello, riprese quell'aria torva che aveva caratterizzato il suo sguardo la sera precedente e, con una punta di tristezza nella voce, esordì chiedendogli il suo parere relativamente una questione importante. Hans aggrottò le sopracciglia, contemplando l'espressione incerta e titubante di Friedrich.
<< Non capisco. Cosa intendi? >>
<< Vorrei sapere la tua opinione circa un avvenimento verificatosi pochi mesi fa ad una persona di mia conoscenza. Questa persona era legata intensamente ad un'altra persona di cui non ti rivelerò il sesso, perché non è un elemento importante inerente al nostro racconto. Vedi, queste due persone facevano tutto insieme, vivevano praticamente in simbiosi, erano inseparabili ed avevano giurato di proteggersi sempre a vicenda, qualunque cosa fosse accaduta. Un giorno, una di queste due persone ricevette una notizia spiacevole. Gli venne comunicato di dover partire urgentemente per una questione della massima importanza alla quale non poteva assolutamente rinunciare. Questa persona decise di andare immediatamente, aveva addiritura già preparato le valigie, e si apprestava a varcare la soglia della propria abitazione quando il suo compagno, con il viso rigato di lacrime e correndo disperato, non gli si oppose dinnanzi, impedendogli di proseguire a meno che non lo avesse portato con sé. Questa persona rimane ferma, interdetta e con il cuore in subbuglio. E' perfettamente consapevole che il luogo nel quale si appresta a recarsi è intriso di pericoli, di rischi e di minacce. Quindi rifiuta. Non può azzardarsi a fare una cosa del genere. E' conscio del fatto che, se dovesse succedere qualcosa a quella persona immensamente amata, non se lo perdonerebbe mai per il resto della vita. E ad avvalorare questa sua
tesi, contribuisce anche l'intervento di una ulteriore persona, che prega incessantemente di evitare che si verifichi una situazione simile. E quella persona, dunque, si convince ancora di più che sia il caso che nessuno lo segua. Ma viene pregato. Scongiurato. Supplicato allo sfinimento. E la necessità di rifiutare, improvvisamente, gli viene meno. Non è più in grado di negare nulla. Alla fine, sfortunatamente, decide di permettere che quella persona lo accompagni. Ma, qualche settimana dopo, capisce di aver commesso l'errore peggiore della propria vita. Viene immancabilmente deluso. Quella determinata persona è vittima di impulsività e irrequietezza. Viene quasi ammazzata durante una rissa. E allora, che cosa inevitabilmente sopraggiunge, secondo te? Il rimorso. Nient'altro che il puro e semplice rimorso. >>
Hans era rimasto visibilmente interdetto da quel discorso, non aveva la più pallida idea di cosa affermare, gli era parso di sentire risuonare del risentimento nella voce di Friedrich, fin quando non gli balenò alla mente un'idea, e, dopo averci riflettuto un certo tempo, si sentì un autentico stupido per non avervi pensato prima.
<< E, dimmi un po', non è che queste due persone..siete proprio tu e Stefan? >>
Friedrich fece un sorriso triste e annuì malinconicamente.
<< Non capisco. Perché lo hai portato con te pur conoscendo tutte le diverse implicazioni? Perché hai permesso che ti seguisse se già precedentemente eri restio a lasciare che si verificasse una cosa del genere? Ma, soprattutto, cosa mai ha potuto combinare per farti pentire a tal punto? Perché immagino tu sia pentito, profondamente, no? >>
<< Scusami, ma non me la sento di rievocare quell'episodio. Mi ha scioccato a tal punto che, ecco, io..preferisco non ricordare. Voglio solo accantonare, lasciare scivolare queste rievocazioni spiacevoli. Ancora oggi mi chiedo cosa mi abbia spinto a portarlo con me, a partire insieme. Sono stato uno sciocco. E' un ragazzino, dannatamente infantile, impulsivo, irruente, focoso oltre ogni limite. Non ne combinerebbe una buona se non ci fosse qualcuno a bacchettarlo una continuazione. Mi accusa di precluderlo alla guerra e all'onore, vede solo quello che vuole vedere, e non si rende minimamente conto che in mano agli inglesi finirebbe sotto la forca in un batter d'occhio. Quelli non risparmiano nemmeno le loro madri, pensi che agirebbero con benevolenza nei confronti di un baldanzoso giovinetto? >>
<< Ne dubito fortemente, a dire il vero. >>
In quel momento una sirena cominciò a squillare incredibilmente. Hans roteò gli occhi in direzione del plotone, che meccanicamente si stava alzando dai tavoli per riunirsi in fila indiana e, successivamente, giungere ai tanto sospirati giacigli.
<< E' finita la giornata. Dobbiamo andare a dormire. >>
Friedrich lo guardò incuriosito, si sistemò le maniche della camicia che aveva alzato per riuscire a mangiare, e gli si avvicinò lentamente.
<< Ti ringrazio per aver accolto le mie lamentele e, soprattutto, per non essere svenuto dalla noia. Se domani sera saremo ancora vivi, ti andrebbe di riprendere la conversazione? Potremmo incontrarci a questo stesso tavolo. Che ne dici? >>
Hans sorrise, vergognandosi un po' delle fossette che sentì comparirsi sulle guance. Ma Friedrich, fortunatamente, non se ne accorse, dunque si limitò ad annuire e a stringere la mano dell'altro con sollecitudine. Sarebbero stati buoni amici, ne era convinto.

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Capitolo 4
*** Fiducia ***


Quel pomeriggio Friedrich camminava lentamente per i corridoi poco e male illuminati, tastandosi con delicatezza la fronte per cercare di appianare l'immenso dolore che, scaturendogli dalle tempie, si estendeva fino a coinvolgere l'intera calotta cranica. Non ricordava di aver mai avuto un mal di testa di quella portata, si sentiva esplodere il cervello e desiderava, esclusivamente, mettersi sotto le coperte, addormentarsi e sognare di non svegliarsi mai più. Quella giornata era stata terribile. L'aeromobile che pilotava aveva rischiato di schiantarsi al suolo una decina di volte, ma fortunatamente la sua immensa abilità gli aveva consentito di salvare la pelle e la preziosa macchina. Due piloti inglesi avevano tentato di sbarrargli il passo in molteplici occasioni, bersagliandolo di colpi che avevano ridotto in pezzi parte della fusoliera. Alla fine uno di loro, avendo perso il controllo, era stato accoppato da un suo commilitone, mentre l'altro, comprendendo di trovarsi in inferiorità numerica e in posizione altamente rischiosa, se l'era defilata con il motore quasi parzialmente bruciato. Friedrich era atterrato nel campo con un braccio che gli doleva incredibilmente, il cranio sofferente, e una sequela imbarazzante di problematiche inerenti le prestazioni del suo aeroplano.

Friedrich riflettè sul fatto che, prima che decolasse, non aveva scorto Stefan da nessuna parte, e la cosa gli sembrò alquanto strana, considerando il fatto che lo accompagnava sempre al campo prima che si innalzasse in cielo, guardandolo con aria cupa e sospettosa, quasi sicuramente condita anche di una profonda invidia e desiderio di rivalsa.

Friedrich si sentì in colpa per aver trattato il fratello in quella maniera la mattina precedente, ma tacitò subito i dubbi e i dispiaceri della propria coscienza asserendo sul fatto che non poteva fare altrimenti. Doveva agire come gli era stato impartito e, soprattutto, come egli sentiva di doversi comportare. Stefan era impulsivo ed arrogante, con un temperamento estremamente passionale, iroso, fortemente deciso e irruente, quanto mai irriflessivo e irragionevole. Cosa mai sarebbe potuto accadere se avesse permesso che quest'ultimo lo seguisse, lassù, nell'infinito? Qualcosa di terribile, naturalmente. E lui era assolutamente conscio della necessità che non avvenisse niente del genere.

Friedrich cominciava a provare dolori anche al basso ventre, la tensione dei muscoli lo aveva fatto impazzire prima dell'atterraggio, adesso le fitte aumentavano, intensificandosi sempre più, e provocandogli tormenti lancinanti. Ma non mancava molto, la sua camera da letto, che condivideva col fratello, era a pochi passi. Si intimò di sopportare un ultimo sforzo, poi si sarebbe messo a dormire fino a sera inoltrata, fin quando non li avrebbero chiamati per recarsi al refettorio per la cena, tanto il suo turno era terminato, aveva volato l'intera mattinata e gran parte del pomeriggio era trascorso, potevano fare a meno di lui. Si domamdò se Stefan lo stesse aspettando all'interno, ma considerò subito che, anche se non lo avesse trovato, non sarebbe andato da nessuna parte a cercarlo. La stanchezza era troppa, le afflizioni interminabili, il corpo esigeva riposo e fine dei tormenti. Ma, non appena tentò di aprire la porta della stanza, una grossa mano gli afferrò il braccio e lo costrinse, letteralmente, a voltarsi.

Friedrich si ritrovò dinnanzi il suo migliore amico, Hans, che gli cingeva il polso con talmente tanta forza che avrebbe potuto spezzarlo. Lo fissava con un misto di curiosità e di contentezza malcelata, e il giovane istintivamente si domandò cosa fosse accaduto da provocargli quella voglia e quel desiderio di ridere irrefrenabilmente, che cosa lo spingesse a mostrare un sorriso a trentadue denti e perché lo stesse osservando in quella maniera divertita.

<< Hans, sei impazzito per caso? Mi hai spaventato a morte! E smettila di strattonarmi, mi stai stritolando! >>

<< Scusa, amico. E' solo che, davvero, non riesco assolutamente a credere alla fortuna che hai avuto, piccolo bastardo! >>

Friedrich si sentì cadere dal cielo. Pensò che Hans stesse scherzando, che evidentemente avesse bevuto troppo, che stava forse confondendo i sogni con la realtà, o comunque che in quello specifico momento non stesse ragionando adeguatamente. Quale fortuna? Non ricordava di essere mai stato fortunato nell'intera sua esistenza, come avrebbe potuto esserlo in quei frangenti? Avere fortuna sarebbe stata un'autentica manna dal cielo. Avrebbe significato andarsene da quel posto, allontanare definitivamente suo fratello dai campi di guerra, costruirsi una vita serena e tranquilla, lontana da quelle turbolente vicende che portavano con sé soltanto morte, solitudine e devastazione.

<< Di cosa stai parlando? Quale fortuna? >>

<< Ma come, non ti hanno ancora avvisato? Ne stanno parlando tutti al campo! Non posso credere che l'unico che non sappia ancora niente sia proprio il protagonista di questa fortuita vicenda. Sei stato baciato dalla sorte, amico mio. Soldi, onore e donne, questa è la bella fine e il meraviglioso destino che ti attende! Accidenti, quanto cavolo ti invidio! >>

<< Spiegati meglio e datti una calmata, per favore. >>

<< E' giunto qui, una ventina di minuti fa circa, il comandante del plotone principale dello stabilimento qui presente. Hai capito, Friedrich? Il comandante! Quello sopra chiunque altro, quello più importante! Quello che governa su tutto, sostanzialmente. Schulz, te lo ricordi? Ha detto che sta cercando un pilota abile ed esperto al quale affidare una missione particolarmente rischiosa, e questa è la sua ultima spiaggia. Altrimenti, parole sue, dice di essere costretto a reclutare qualcuno all'esterno, forse uno straniero, cosa che intaccherebbe profondamente il nostro spirito da cocenti nazionalisti, non credi? Il capitano Schmidt è stato così gentile da fare almeno una quindicina di nomi, tra cui il mio, il mio Friedrich, ci credi? Ho rifiutato seduta stante naturalmente, elargendo, contemporaneamente, immense gratificazioni per la strabiliante fiducia riposta nei miei confronti, ed improvvisamente mi si è accesa la lampadina nel cervello. Quindi ho pensato di fare il tuo, di nome. Non appena è stato nominato il famigerato Friedrich Janssen, distruttore di aeromobili e annientatore di malevoli anglosassoni, tutti hanno taciuto, riflettendo che, effettivamente, risultavi essere il migliore candidato in lista. Non è magnifico? Ti ho fatto un favore strabiliante, riconoscilo. Resta solo da ascoltare il piano del maresciallo e portarlo a termine. >>

Friedrich ci pensò qualche secondo. Non era una cattiva idea decidere di assolvere a quella mansione. Naturalmente, non era a conoscenza di cosa avrebbe dovuto fare, sarebbe potuto rivelarsi oltremodo rischioso e, forse, avrebbe potuto rimetterci la sua stessa vita. Ma, ritenendo di essere esporto a pericoli di ogni sorta quotidianamente e, giudicando che a parte suo fratello non vi fosse nient'altro per cui valesse la pena continuare a respirare, non valutò accuratamente tutte le diverse implicazioni e convenne, insieme con Hans, che fosse proprio il caso di accettare una proposta che, per sua stessa natura, era decisamente allettante.

<< E cosa credi riguardi questa missione? >> domandò, tamburellando le dita sul muro, cercando di nascondere la tensione e il fremito che lo permeava incredibilmente.

Hans aggrottò le sopracciglia per qualche istante. Effettivamente, non era certo di potergli fornire una risposta precisa, il comandante non si era sbilanciato più di tanto sulle proprie intenzioni né sulla reale portata e motivazione della missione, dunque tentare di fare pronostici risultava fortemente inconcludente e per niente utile.

<< Ecco, a dire il vero non ne ho proprio idea. Ma è sicuramente qualcosa di importante e di pericoloso. Non che me ne intenda molto, ma credo c'entri lo spionaggio o qualcosa di simile. Forse ti chiederà di infiltrarti nel campo degli inglesi sotto copertura e tenere d'occhio qualcuno. >>

Friedrich lo osservò con fare indagatorio. Avrebbe voluto saperne di più ma comprendeva, allo stesso tempo, perfettamente la posizione del suo amico. Non serviva tartassarlo di domande; tutto ciò di cui era a conoscenza glielo aveva già rivelato.

Hans sembrò riprendersi dallo stato catatonico in cui si era, improvvisamente, ritrovato. Poggiò vigorasamente una mano sulla spalla dell'amico e gli intimò di seguirlo alla svelta. Aveva il compito di scortarlo sino alla vettura che lo avrebbe condotto all'alloggio del comandante. Non c'era tempo da perdere.

L'ufficio del capitano Schulz era un luogo assolutamente angusto ed opprimente. Vi circolava una disgustosa puzza di fumo che impregnava l'aria ininterrotamente, e lo si sarebbe potuto definire qualunque cosa, tranne che un angolo di mondo ordinato. File interminabili di fogli e scartoffie occupavano un lungo tavolo di legno di quercia, vecchio molto più di quanto si potesse immaginare, alla parete erano appese, invece, delle carte geografiche che ritraevano l'Europa e la sua nazione, la Germania, mentre, voltando lo sguardo a sinistra, si intravedeva una piccola finestrella che affacciava sul cortile esterno.

Friedrich ebbe la sgradevole sensazione di dover vomitare nel mentre che si apprestava ad entrare, ma decise di farsi forza e di proseguire ugualmente. Schulz era appoggiato, svogliatamente, ad una sedia ubicata dietro la scrivania, e come suo solito stringeva in bocca un lungo sigaro, non ancora concluso. Quando si rese conto che il ragazzo era entrato, si alzò, fissandolo con un misto di curiosità ed interesse, e si sporse leggermente per porgergli la mano, che Friedrich strinse con sincera contentezza.

<< Caro Janssen, sono enormemente soddisfatto che lei sia qui. Mi perdoni se non l'ho informata personalmente del fatto che necessitassi di lei, ma è avvenuto tutto molto in fretta al campo, e non ho avuto modo di confrontarmi direttamente con lei. E' già a conoscenza della motivazione per la quale l'ho reclutata o desidera che glielo spieghi adesso? >>

Friedrich si sentì un perfetto idiota per essersi presentato in quel posto senza possedere una seppur minima informazione, ma, pensando che oramai era fatta e, considerando che non c'era modo per porvi rimedio, decise di rivelare apertamente che ignorava completamente le ragioni che lo avevano condotto lì. Schulz sorrise in maniera sorniona, e gli indicò una seggiola ubicata in un angolino, facendogli intendere che poteva accomodarsi se lo desiderava. Friedrich rimase in piedi qualche altro secondo, per poi prendere successivamente posto. Rifletté sul fatto che si trovava, invariabilmente, in uno stato di agitazione fortemente insolito, che non sperimentava spesso, e che gli era quanto mai estraneo. Generalmente andava in paranoia solo ed essenzialmente quando accadeva qualcosa al fratello o quando finiva per danneggiarsi il motore dell'aeromobile. Non era mai stato un tipo particolarmente ansioso, e l'aver iniziato a torcersi le mani, facendo tamburellare contemporaneamente la gamba, non era assolutamente un buon segno. Temeva ciò che stava per impartirgli Schulz, e migliaia di domande gli affollavano la testa. E se non fosse stato in grado di adempiere alla missione che gli veniva affidata? Se avesse fallito? Cosa ne sarebbe stato di lui? Sarebbe morto? Forse torturato in qualche cella buia ed umida da quei cagnacci dei soldati inglesi? Perché era oramai certo che, qualunque cosa fosse stato chiamato a fare, dovesse necessariamente avere a che fare con loro. E suo fratello? Cosa sarebbe mai accaduto a Stefan se lui non fosse più ritornato? Oltre all'incredibile dolore che la sua scomparsa gli avrebbe provocato, c'erano, naturalmente, anche alcune questioni tecniche da prendere in considerazione. Stefan non era un aviatore addestrato come lui, non sapeva pilotare adeguatamente i velivoli, e oltre a non possedere alcuna esperienza diretta sul campo, c'era anche da tenere presente che il suo carattere scapestrato ed irruente non forniva supporti confacenti. Non poteva permettersi di lasciarlo solo, non era cosa contemplata.

<< Janssen, la smetta di tormentarsi quelle povere mani e mi stia a sentire. Le sto per affidare una missione molto importante. E' naturalmente a conoscenza dell'immensa stima che nutro nei suoi confronti, è anche per questa ragione che ho permesso che suo fratello non fosse coinvolto nelle consuete operazioni militari, motivo per cui mi ritrovo costretto a rivolgermi esattamente a lei per portare a termine questo incarico. >>

<< Sono a vostra completa disposizione, comandante. >>

<< Vede, negli ultimi mesi le nostre zone d'influenza sono state turbate dalla presenza di un velivolo inglese di eccezionale potenza. I nostri nocchieri sono riusciti ad intercettarlo in un paio di occasioni, e sono stati alquanto fortunati a non rimetterci la pelle. Il pilota che lo comanda è notevolmente bravo, difficile da individuare, eccellente nello schivare i nostri attacchi, e altrettanto furbo nel fare capitolare anche i conducenti più esperti. Non le nascondo che, se si trattasse di un soldato tedesco, fedele ai nostri principi e alla nostra causa, lo avrei già riempito di elogi e meriti. Comunque, il modello contemplato è un Hawker Hurricane, un aereo veloce, semplice e robusto. Le chiedo, Janssen, di rintracciarlo e, possibilmente, di farlo stramazzare al suolo il prima possibile. Quel dannatissimo inglese, chiunque sia, sta creando troppi problemi ultimamente. Pensi che è riuscito ad abbattere cinque dei nostri migliori aviatori in una singola giornata! Non è assolutamente conveniente lasciare che permanga su questa terra. Il morale della truppa è letteralmente a pezzi, ed io, in veste di capitano, ho il dovere di intervenire e fare qualcosa. Mi capisce, vero? >>

<< Alla perfezione, signore. >>

<< Le concedo l'opportunità di cambiare plotone e di trasferirsi, assieme all'altro giovane, in quello principale. La sua presenza è indispensabile in questi frangenti. Ero conscio che non mi sarei potuto rivolgere ad altra persona. >>

<< La ringrazio infinitamente per questa opportunità. >>

<< Lo trovi, Friedrich. Scovi quel maledetto bastardo e faccia ciò che le viene ordinato. Ripongo tutta la mia fiducia in lei, e sono assolutamente convinto che non mi deluderà. >>

 

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Capitolo 5
*** Promesse ***


Stefan percorreva ininterrottamente i pochi metri del loro squallido alloggio da più di un'ora. Era estremamente preoccupato, per non dire quasi terrorizzato, della sorte di suo fratello. Friedrich era letteralmente scomparso dall'ultima volta in cui aveva avuto modo di vederlo, vale a dire quella stessa mattina, quando lo aveva salutato prima che si librasse in volo con l'aeromobile. Dopodiché, non gli erano più giunte sue notizie sino a quel momento. Aveva cercato di non catapultare sé stesso in uno stato di apprensione totale fino al pomeriggio inoltrato, ma oramai era giunta quasi la sera e lui non era ancora rientrato. Stefan temeva orribilmente che potesse essergli accaduto qualcosa di grave, forse l'aereo aveva subito un qualche tipo di guasto costringendolo ad atterrare in un punto imprecisato della campagna, magari aveva perso il senso dell'orientamento e non era più in grado di rintracciare il loro campo; o peggio, e il solo contemplare quella dannatissima ipotesi gli provocava la sgradevole sensazione di dover vomitare e uno stato di inquietudine fortemente accentuato, poteva essere stato addirittura abbattuto, il velivolo ridotto in macerie e il suo corpo disintegratosi. D'altronde, cosa impediva che non si verificasse un'eventualità simile? Rischiavano, o meglio, rischiava la vita ogni giorno, quasi ogni istante, non vi erano certezze in quel luogo, non si poteva mai essere veramente sicuri di nulla.

Stefan si impose di smettere di formulare congetture disastrose ed orripilanti, e, sedendosi comodamente sul suo letto, iniziò a sperimentare un vecchio metodo che adoperava sempre, da bambino, per tentare di tranquillizarsi quando subentrava l'agitazione. Solitamente lo utilizzava quando si svegliava di notte, al buio, dopo aver fatto un brutto sogno che aveva interrotto il suo riposo. Contare i numeri all'infinito lo rilassava enormemente. Gli dava la sensazione che ci fosse sempre del tempo disponibile, che la vita e gli eventi stessi che avvenivano non scorressero di fretta, ma che, anzi, ci si potesse comunque fermare quando lo si fosse desiderato, cristallizzandosi in un attimo eterno, in cui tutto era in grado di modificarsi e cambiare il proprio corso. Friedrich stava bene, questo era assodato. In fin dei conti, era pur sempre suo fratello, una parte di sé, un pezzo del suo cuore, condividevano lo stesso sangue, ed avevano un legame unico, oltre che indissolubile. Se gli fosse veramente capitato qualcosa di brutto, Stefan era assolutamente convinto che l'avrebbe saputo prima di chiunque altro. Che lo avrebbe avvertito, in qualche modo, che ne sarebbe stato consapevole. Nel mentre che continuava ad indugiare in tali considerazioni, la porta della loro stanza si aprì facendo apparire sulla soglia Friedrich, pallido come un fantasma, incredibilmente sudato e con gli occhi che brillavano a causa dell'allergia che la polvere contenuta nei meandri dell'edificio gli provocava.

Stefan ebbe quasi l'impulso di gridare, non sapeva se di rabbia o di contentezza, quando si rese conto che la figura comparsa era proprio il fratello, ma si trattenne. Tirò solo ed essenzialmente un grande sospiro di sollievo, e si alzò dal suo giaciglio, avvicinandoglisi a rapidi passi. Friedrich abbassò rapidamente lo sguardo verso il pavimento, forse si vergognava per aver procurato al fratello attimi di estrema tensione ed ansia, o, molto più probabilmente, desiderava esclusivamente nascondergli la reale motivazione per la quale era sparito un'intera giornata.

<< Dove sei stato? Dove accidenti eri finito? Lo sai che mi stava quasi per venire un infarto? Ho temuto, per l'amor del cielo, che fossi stato addirittura abbattuto! Non ti vedo da stamattina, dannazione. Ho chiesto ad un'infinità di persone, e nessuno sapeva darmi informazioni adeguate, cavolo! Io, veramente, Friedrich.. >>

Friedrich gli si avvicinò cautamente e prese il suo volto fra le mani. Gli sorrise divertito e, a tratti, quasi commosso per quella scenata da bambino; Stefan, infatti, possedeva la capacità di tramutarsi, a volte, in un vero e proprio infante, assumendo atteggiamenti ed espressioni caratteristiche per l'età che aveva, e che spesso non gli facevano fare neppure bella figura.

<< Calmati, adesso. Sono qui, accanto a te. Scusami per non aver provato nemmeno a spedirti un messaggio con delle dovute spiegazioni sulla motivazione del mio ritardo. Mi hanno convocato quelli del plotone principale; mi sono dovuto recare in fretta e furia da loro, che non ho avuto neppure il tempo di avvisarti o portarti con me. >>

Stefan lo fissò con aria incerta e confusa. Non riusciva a comprendere la ragione per la quale il fratello avrebbe dovuto essere richiamato dal comandante Schulz; infatti, a meno che non si verificassero aperte insubordinazioni da parte dei soldati, il cui ardore a volte poteva dare adito a delle ribellioni, la maggioranza delle quali era in grado di sfociare in scontri violenti, che dovevano essere necessariamente sopiti sul nascere per tentare di riportare ordine ed equilibrio nel campo, per mezzo, solitamente, di castighi e rappresaglie, ecco, a meno che non ci fossero eventualità del genere, raramente era richiesta la propria presenza in quel luogo. Inoltre c'era anche da prendere in considerazione il fatto che il comportamento dimostrato da Friedrich, per tutta la loro permanenza e sino a quella specifica occasione, era stato, in ogni caso, ineccepibile ed inoppugnabile; del suo, al contrario, non si poteva dire lo stesso.

<< Non capisco. Schulz ti ha cercato? Perché? Cosa voleva da te? E' per colpa mia, Friedrich? Si è stancato nel vedere che non faccio niente e ha rimproverato te per questo? >>

<< No, tranquillo, non voleva farmi rimostranze relativamente alle mansioni che svolgi. Piuttosto, mi ha affidato un incarico importante e, non ti nascondo, anche abbastanza pericoloso. Ma te ne parlerò quando saremo arrivati nell'unità principale. Mi ha ordinato di trasferirmi lì e ha detto che potevi venire anche tu. Prepara le nostre cose, partiamo tra meno di un'ora. Io devo vedere Hans. Ho delle cose che devo dirgli prima di andarmene. >>

Quella mattina il sole splendeva incandescente, illuminando, con i suoi focosi raggi, qualunque genere di cose o persone stazionassero nell'ambito della sua luce. Hans era seduto sull'erba con le braccia a sorreggergli il busto e il volto rivolto in direzione della campagna, che fissava con aria nostalgica e sognatrice, quasi come se avesse desiderato allontanarsi nei meandri infiniti di quei boschi immensi, lasciando dietro di sé paure, preoccupazioni, oneri, tutto ciò che lo legava a quell'orribile situazione dalla quale, altro non anelava, che ad uscirsene definitivamente. Il suo turno era terminato qualche ora prima, di conseguenza era riuscito ad avere per sé gran parte del pomeriggio, ma, non sapendo cos'altro fare se non semplicemente sdraiarsi sul prato e lasciarsi trasportare dal fluire interminabile dei propri pensieri, infatti non se l'era sentita di cercare compagnia, non perché non apprezzasse gli altri piloti, ma a volte era conscio del fatto che necessitava momenti di solitudine in cui poter riflettere su una quantità eccezionale di cose, ecco, fu esattamente così che lo trovò Friedrich, dopo averlo cercato per più di mezz'ora.

<< Finalmente ti ho trovato, Hans. Ti sto cercando da quando sono tornato e, in totale, saranno passati più di tre quarti d'ora. Ho forse interrotto un qualche tuo momento di profonda meditazione? >>

Hans emise una sonora risata e cominciò a ridere a crepapelle. Friedrich era l'unica persona il cui umorismo era in grado di risollevargli il morale.

<< Non dire idiozie. Siediti, invece, e raccontami un po' di come è andato il colloquio con Schulz. Cosa mai voleva, quel volpone? >>

Friedrich abbassò lo sguardo e non rispose direttamente alla sua domanda, ma si limitò a strappare qualche filo d'erba per poi gettarlo, noncurante, lontano da sé.

<< Che c'è, non me lo vuoi dire? >>

<< No, scusami, amico, non è questo. Stavo solo cercando di ricordare quanto più possibile tutte le cose che mi ha detto. Mi ha tenuto complessivamente due ore nel suo ufficio, riempiendomi così tanto la testa di dati, informazioni ed elementi, che una volta uscito, mi sembrava di aver dimenticato ogni cosa. Ma adesso, ripensandoci, sono in grado di rievocare quasi tutto. >>

<< Quindi? Dai, sono curioso! E' qualcosa relativo allo spionaggio? Dovrai infiltrarti in un campo inglese tenendo sott'occhio qualcuno? In effetti, non avrebbero potuto scegliere nessuno migliore di te. Tu e Stefan parlate l'inglese, no? Non l'avete studiato a scuola? >>

<< Sì, ma solo le cose essenziali e non molto bene, per quanto mi riguarda. >>

<< Almeno sei in grado di intavolare una conversazione basilare con quei barbari ignoranti, vedi il lato positivo. Dunque, si tratta di questo? >>

<< No, Hans, a dire il vero no. >>

<< Allora cosa? Non mi viene in mente altro, sinceramente. >>

<< Ecco, Schulz mi ha chiesto di..di abbattere un aereo. >>

Hans sembrò per un attimo cadere dalle nuvole. Appariva visibilmente disorientato e confuso, non comprendeva, infatti, l'esatta natura della rischiesta che gli pareva assolutamente assurda considerando che quella era una cosa che facevano già quotidianamente senza che qualcuno li convocasse improvvisamente per rimbrottarli circa le modalità attraverso le quali era necessario farlo; d'altronde, chiunque presente nella loro caserma poteva assolvere ad una mansione del genere, quindi perché mai insistere affinché proprio Friedrich venisse scelto?

<< Non capisco, Friedrich. Che razza di pretesa è? Non abbattiamo già aerei nemici ogni singolo giorno? Schulz a furia di starsene relegato in quel suo ufficio intasato di oppio e cartacce ha perduto forse il lume della ragione? Ha scordato il perché noi tutti siamo qui? >>

<< Per niente, amico. E la sua è una rivendicazione legittima. Questa volta non è come le altre. Mi ha parlato di un aereo inglese che da qualche mese circola nei cieli della Manica, a metà strada tra la Francia e l'Inghilterra; dice che il pilota che lo comanda è un asso dell'aviazione britannica, lo ha definito ''eccezionale'' e ha sottolineato più volte che sia un estremo peccato che non faccia parte delle nostre forze militari. Dice che è un pionere dell'aeronautica, lo si può incontrare in orari indefiniti ma generalmente transita la mattina, e alla sera, immancabilmente, mancano sempre non meno di cinque o sei nocchieri tedeschi con i loro velivoli alla base. Mi ha confidato che l'umore della truppa è letteralmente a pezzi e che i soldati hanno lamentato più volte la situazione, arrivando a minacciare di ammutarsi e non volare più. >>

<< Ma si è capito chi è questa canaglia? >>

<< Secondo quello che riferisce Schulz, no. Mi ha detto solo che il modello è un Hawker Hurricane, e che il farabutto che si trova al suo interno non è stato ancora identificato. Ha concluso esprimendo profonda preoccupazione e ha asserito che ripone tutte le sue migliori speranze in me. Ed io ora non so cosa diamine devo fare. >>

Hans si voltò nella sua direzione sconcertato.

<< Non sai cosa devi fare? Ma, Friedrich, come puoi affermare una cosa del genere? Devi naturalmente prendere la questione di petto, abbatterlo e conquistare la gloria eterna! Non dirmi che hai delle titubanze? E perché mai, amico mio? >>

Friedrich, al suono di quelle parole, divenne improvvisamente triste. Hans si sbagliava, e di molto. Non stava, infatti, preoccupandosi se la natura morale della missione fosse giusta o sbagliata, non gli interessava minimamente, a dire il vero. Nella sua testa baluginava solo ed essenzialmente il pensiero di Stefan, suo fratello. Quello che si sarebbe verificato era uno scontro ad armi pari fra due giovani assi dell'aviazione militare britannica e tedesca, e così come Friedrich ne sarebbe potuto uscire tranquillamente vincitore come molti nel plotone avevano vaticinato, la situazione avrebbe potuto anche prendere una piega drasticamente diversa, facendo prevalere l'inglese che avrebbe conquistato non esclusivamente l'onore e la gloria, ma, contemporaneamente, la sua giovane vita, e quello era essenzialmente a scapito di Stefan. Cosa sarebbe mai accaduto a suo fratello se lui non fosse riuscito a sopravvivere? Oramai si trovava in quel luogo, e, a dispetto del fatto che il fratello fosse morto, Friedrich non era per niente convinto che il capitano Schimdt gli avrebbe concesso di ritornare a casa, lontano dal campo di battaglia. Anzi, lo avrebbe investito di tutte le cariche necessarie per permettergli di diventare un pilota a tutti gli effetti, ed allora, tutto ciò che Friedrich aveva fatto sino a quel momento per tenerlo lontano dal pericolo non sarebbe valso a nulla.

<< Hans, penso di essere sul punto di chiederti il favore più grande della mia vita. Sai che ti sono enormemente affezionato, a dispetto del fatto che non siamo legati da vincoli di sangue. Se io..se, quando affronterò quell'inglese, non dovessi uscirne vincitore, insomma, se non dovessi sopravvivere..voglio che ti prenda cura tu di Stefan, come sto facendo io attualmente. Portalo lontano da qui, fallo andare via, per favore..non permettere per nessuna ragione al mondo che Schmidt lo trasformi in un cadetto e gli consenta di andare in guerra. Non potrei mai perdonarmelo, pur essendo morto. E credo che non me lo perdonerebbe, per il resto della vita, nemmeno mio padre. Fallo per me. Promettimelo, te ne prego. >>

Il viso di Hans si intenerì enormemente al suono di quelle parole. Pensò che Stefan fosse molto fortunato ad avere qualcuno che si preoccupasse sino a quel punto per lui, che non esistesse cosa più bella del loro rapporto e, che, in certi momenti gli accadeva di sperimentare uno strano senso di invidia. Lui una persona che lo avesse amato in quel modo non l'aveva mai avuta. D'accordo, i suoi genitori durante l'infanzia gli avevano voluto un gran bene, si erano interesssati affiché non gli potesse mancare nulla, lo avevano accudito e si erano occupati, nei limiti delle loro possibilità, naturalmente, del suo benessere. Ma, stranamente, quando guardava indietro e ripensava al passato, non gli accadeva mai di sentire e percepire quel legame intrinseco e speciale che avrebbe dovuto contraddistinguere la loro unione come famiglia. Sua madre, da bambino, lo coccolava e giocava con lui, ma, non appena le si era presentata un'occasione favorevole per andarsene, legittimata, a suo dire, dal presunto tradimento subito ad opera del figlio, non aveva esitato un solo istante a fare armi e bagagli, lasciandolo solo, tormentato dalla colpa di aver provocato, a causa del suo comportamento irresponsabile, la sua fuga. Il padre, invece, pur essendogli stato sempre ed enormemente affezionato, lo aveva spesso trattato come se lo considerasse uno strumento ai suoi ordini. Anche quando era scoppiata la guerra, Hans aveva tentato di confidargli la sua incertezza e il fatto che non sapesse realmente da quale parte schierarsi. Ma per il genitore tale confessione era risultata inconcepibile e sconvolgente, tanto da averlo costretto, per non ritrovarselo contro, a decidere di combattere al soldo della Germania.

Hans ordinò alla sua coscienza di tacitare quei ricordi; non gli faceva bene rievocarli alla mente. E poi doveva concentrarsi sulla risposta da fornire a Friedrich, non poteva indugiare oltre.

<< Friedrich, non dovresti nemmeno fare discorsi del genere. Tu uscirai vincitore dallo scontro con quel bastardo inglese. Ci metto la mano, anzi, l'intero corpo sul fuoco. >>

<< Possiamo formulare tutti i migliori pronostici, per carità, ma non è una cosa che dovremmo dare per scontata, Hans. >>

<< E allora sai cosa ti dico? Che anche se è totalmente inutile affermarlo, considerando che quest'eventualità, da te tanto temuta, non avrà nemmeno il modo di verificarsi..ma se dovesse succedere, Friedrich, ti assicuro che farò tutto ciò che è in mio potere per non permettere a Stefan di fare la tua stessa fine. Lo porterò via da qui e lo proteggerò, a costo di sacrificare la mia stessa vita. Te lo prometto. >>

Friedrich gli gettò le braccia al collo, ringraziandolo infinitamente. Hans ricambiò l'abbraccio, stringendolo a sua volta. Non era riuscito a rivelargli i timori che lo avevano pervaso nel mentre che gli assicurava di proteggere Stefan; a dire il vero, non credeva che il ragazzo si sarebbe fatto domare così facilmente, e non sapeva ancora quanto aveva ragione.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Solidarietà ***


Il sole era ancora basso all'orizzonte e fuori l'aria pressoché ghiacciata quando, nel bel mezzo della notte, Edward Jones aprì gli occhi. Provava uno strano senso di inquietudine, era certo di aver fatto un brutto sogno anche se non riusciva a ricordare cosa fosse avvenuto o, quantomeno, la ragione per la quale si era svegliato completamente sudato e con il cuore a mille, quando la sveglia del campo cominciò a risuonare incredibilmente. Una battaglia aerea, ecco cos'aveva elaborato la sua mente, quella notte. Ma non era uno scontro come tutti gli altri. Quella volta si era ritrovato in grande difficoltà ed aveva quasi rischiato di schiantarsi al suolo con il suo velivolo. E nel mentre che stava precipitando, aveva pensato che gli sarebbe piaciuto sapere, quantomeno, il nome della persona che era riuscita a spedirlo all'inferno.

Si alzò vivacemente dal suo giaciglio e buttò uno sguardo in direzione del suo amico. Albert russava come suo solito, completamente ignaro del fatto che fosse quasi l'alba e che avrebbe dovuto essere sveglio quantomeno un quarto d'ora fa. Edward fece un mezzo sorriso alla vista pietosa del suo amico che dormiva con una gamba fuori dal letto e le coperte tutte aggrovigliate, e gli si avvicinò cautamente, posandogli una mano sulla spalla per scuoterlo a dovere.

<< Albert, apri gli occhi, dobbiamo andare a fare colazione. Dai, amico, avremmo dovuto alzarci mezz'ora fa! >>

Albert sollevò svogliatamente una palpebra e subito la richiuse al suono di quelle parole. Quella mattina era decisamente più stanco e sfiancato delle altre volte. Desiderava esclusivamente starsene a letto e non fare nulla l'intero giorno. Ma era conscio che non poteva, naturalmente. Se non ci pensavano loro ad abbattere quei miserabili crucchi, chi altro se ne sarebbe occupato? D'altronde, era giunta da poco la notizia al loro plotone di un'altra strage perpetrata dai soldati nazisti a danno di alcune centinaia di abitanti di un piccolo borgo situato nella zona meridionale del territorio francese. Non avevano risparmiato nessuno, ed era circolata la voce, non si era ancora a conoscenza se fosse veritiera o meno, che fosse stato assassinato, con un colpo di pistola in faccia, anche un bambino di appena tre mesi. E quell'informazione aggiuntiva aveva, letteralmente, sconvolto la mente e il cuore del povero Albert, provocandogli una rabbia ed un rancore tali da averlo fatto urlare a perdifiato per i corridoi che conducevano alla loro camerata. Infatti, se ci fosse stata una persona in grado di comprendere l'immenso dolore che, presumibilmente, aveva dovuto provare la mamma di quel povero infante, quella era Albert. Il povero ragazzo soffriva incredibilmente a causa della lontananza che gli impediva di ricongiungersi alla sua famiglia, alla sua compagna, che considerava oramai alla stregua di una moglie, e a suo figlio, il quale aveva da poco festeggiato il suo secondo compleanno. Albert, sfortunatamente, non era riuscito a farsi concedere una licenza per rientrare in città e trascorrervi, quantomeno, le ore necessarie che avrebbe dovuto e voluto dedicare ai suoi cari, e, non l'avesse già fatto precedentemente, la sera stessa in cui gli era stato impartito di restarsene nel circondario del loro distretto, buono e fermo, senza lamentarsi minimamente, era stato in grado di farsi trovare da Edward in uno stato d'animo assolutamente intrattabile. Il suo compagno aveva però inteso perfettamente i suoi sentimenti, e lo aveva lasciato tranquillo senza tartassarlo di domande, permettendogli di calmarsi e di non farsi accecare dalla tristezza e dal dispiacere.

<< Allora? Ti muovi? >> lo rimbrottò Edward, e gli tirò in faccia, contemporaneamente, la sua canottiera, che era tra l'altro sporca e intrisa di uno sgradevole odore.

Albert continuò a persistere sulla sua branda e non dava idea di volersi sollevare. Allora Edward decise di passare alla persuasione e gli si sedette accanto.

<< E se ti dicessi che, ieri sera, è arrivata una lettera della tua graziosa donzella? >>

Albert, sentendo Edward pronunciare quella frase, per poco non si mise a gridare. Iniziò a strattonare il suo amico quasi con ferocia, chiedendogli per quale motivazione non lo avesse avvisato subito e come mai avesse indugiato sino alla mattina successiva.

<< Smettila di spintonarmi in questo modo, stupido, mi è già venuto il mal di testa. Non te l'ho detto semplicemente perché, quando sono tornato al nostro alloggio, stavi già ronfando sotto il piumone ed eri immobile come un sasso. Ho creduto fosse preferibile lasciarti riposare, sapendo la stanchezza che ti attanagliava. Comunque, ho detto ad Evans di lasciarla nel suo ufficio, che saresti andato a recuperarla non appena ti fossi destato. Ma, considerato il fatto che hai deciso sia più conveniente continuare a poltrire su questo materasso..>>

Ci mancò poco che Albert non lo facesse cadere per la fretta con cui si drizzò in piedi. Correndo al loro cassettone, quello in cui era contenuta la quasi totalità dei loro averi, afferrò rapidamente l'uniforme pulita che indossò il più in fretta possibile, precipitandosi alla porta e aprendola di scatto.

<< Hai dimenticato di metterti le scarpe, idiota! >>

<< Maledizione, quegli orridi scarponi! >> ed immediatamente ritornò indietro per infilarseli. Quando ebbe terminato la vestizione, se la defilò animosamente, chiedendo al suo amico di attenderlo nella stanza, in quanto non ci avrebbe impiegato molto. Edward non ne fu pienamente certo, ma gli fece ugualmente cenno di sbrigarsi, ed Albert se ne andò, sbattendo contro l'uscio.

Edward seguì per qualche secondo la sagoma del suo amico che si inoltrava, correndo, nei corridoi, e successivamente si sedette alla loro scrivania. Aveva intenzione di scrivere anche lui una lettera, ma non destinata all'altra metà del suo cuore, bensì alla sua famiglia. In particolar modo alla madre e alla sorella, non perché non fosse legato o non volesse bene a suo padre, esclusivamente per il rapporto più stretto che intercorreva fra lui e le figure femminili della sua famiglia. Gli era venuto in mente il fatto che non li sentisse da almeno due settimane, infatti non gli erano giunte missive nell'ultimo periodo, né lui si era premurato di spedire alcunché. A dire il vero, non c'era molto da raccontare. La guerra procedeva inesorabilmente e nessuno degli schieramenti avversari sembrava aver assunto, per il momento, una posizione di vantaggio. Per quanto riguardava lui, stava bene, non gli era occorso alcun avvenimento spiacevole, salvo quello di percepire una grossa mancanza di casa, accompagnata da un profondo desiderio di mollare tutto e farvi rientro. Fortunatamente, la presenza di Albert contribuiva a rendere meno dura e gravosa la sua persistenza in quel luogo. Salvo quando si innalzavano in cielo per estirpare dal mondo miserevoli erbacce tedesche, non davano l'idea che il peso del conflitto gravasse particolarmente su di loro, e, quando non erano impegnati nei combattimenti, ridevano e scherzavano insieme, quasi come se si fossero trovati nelle rispettive abitazioni e quelli fossero giorni come tutti gli altri.

Edward era molto contento che Margaret si fosse finalmente fatta sentire. Ultimamente aveva visto Albert molto giù e proprio non sapeva come fare per tirargli su il morale. Il fatto che la persona che amava gli avesse mandato una traccia, un pensiero, parole dolci e affettuose che avrebbero potuto consolarlo e farlo stare meglio, gli riempiva il cuore di gioia. Contrariamente al suo compagno, infatti, lui una persona da amare non l'aveva, e non l'aveva mai avuta. Certo, c'erano state molte frequentazioni negli anni precedenti con ragazze che aveva potuto trovare carine, con alcune di loro aveva avuto anche contatti fisici, e non lo si poteva definire un ragazzo senza alcuna esperienza. Ma, in fin dei conti, non si era mai innamorato realmente di nessuna di loro. L'amore, l'amore vero, era un concetto che gli era assolutamente estraneo. Ed osservando la felicità che aveva sperimentato l'amico all'arrivo di comunicazioni provenienti dalla sua consorte, non aveva potuto che provare gelosia. Anche lui desiderava avere al suo fianco una persona in grado di suscitargli, nell'animo, tali sensazioni. Un qualcuno che gli stimolasse la passione, che lo facesse sentire vivo, che gli sconvolgesse l'intera esistenza positivamente. Ma, fino ad allora, e malgrado i suoi innumerevoli sforzi, non era giunto ancora nessuno.

Edward poggiò distrattamente la penna sul tavolino che aveva affianco, in quanto aveva terminato di scrivere, e si apprestava a chiudere la lettera quando Albert fece capolino all'interno della loro stanza in maniera talmente inaspettata ed improvvisa che l'amico quasi non sobbalzò per via dello spavento.

<< Però, questo è un evento! E' in assoluto la prima volta che mantieni una promessa. Avevi detto che saresti tornato subito, ed effettivamente così hai fatto. Sono molto soddisfatto. >>

Albert lo fissò torvo un istante, per poi scoppiare a ridere ininterrottamente, e gli porse eccitato la busta contenente la missiva di Margaret che stringeva in mano.

<< Belle notizie, dunque? >> chiese Edward.

<< Potrebbe andare meglio ma non mi lamento. Dice che l'eco dei bombardamenti risuona spesso in città, e lo avvertono quasi quotidianamente. Ma la situazione, fondamentalmente, è piuttosto tranquilla, non ci sono state chiusure e non è stato adoperato il coprifuoco. C'è, naturalemente, agitazione, anche se mi racconta che, evitando di leggere i giornali e non ascoltando quello che dice la radio, si può avere, in alcuni momenti, la sensazione che nulla di tutto questo stia avvenendo attualmente. Il bambino sta molto bene, è cresciuto un sacco, ha iniziato perfino a dire le prime frasi, e Margaret gli parla frequentemente di me. Mi descrive come un eroe e ribadisce sempre il fatto che presto tornerò a casa. Dichiara che le manco incredibilmente e che pensa a me di continuo. Spera che il conflitto si esaurisca nel giro di qualche mese, in modo che io possa rientrare. Ha detto che mi aspetterà fino alla fine dei suoi giorni, se sarà necessario. >>

Edward sorrise genuinamente sentendo il suo amico confessargli il contenuto del dispaccio. Ma avvertì, contemporaneamente, anche il bisogno e la necessità di abbassare lo sguardo, in modo tale che Albert non si rendesse conto del profondo dispiacere che lo aveva pervaso riflettendo sulla sua situazione. Non voleva che l'amico dovesse preoccuparsi per i suoi malesseri interiori, come se non avesse avuto già sufficienti cose a cui pensare, d'altronde quelli appartenevano solo ed esclusivamente a lui, e non credeva fosse la cosa più saggia condividerli, esternandoli al mondo intero. Ma ad Albert, a dispetto del volere di Edward, non passò inosservato il suo stato d'animo decisamente inconsueto e singolare, e gli domandò apertamente cosa avesse. 

<< Che hai, amico, non sei felice per me? E' successo qualcosa? Hai ricevuto brutte notizie, per caso? >>

Edward si sentì un autentico imbecille per essere riuscito a palesare, alla perfezione, ogni suo pensiero. Tanto valeva, a quel punto, confessargli la verità.

<< Albert, naturalmente lo sono, l'avevi forse messo in dubbio? Mi fa davvero molto piacere, e sono assolutamente sincero. Stavo solo vagheggiando e, ecco..io, in verità, ragionavo sul fatto che..insomma, mi piacerebbe avere al mio fianco una persona da amare..da amare veramente, con trasporto, passione..ecco quello che vorrei..in sostanza. >>

Albert lo fissò con espressione incredula. Non credeva che Edward avvertisse mancanze e bisogni del genere, naturalmente non riteneva neanche che il suo amico avesse un cuore di pietra, ma quella rivelazione, fatta in quel modo totalmente inaspettato, gli aveva, letteralmente, tolto le parole di bocca. Edward, osservando la reazione del compagno, credette di aver detto una sequela di stupidaggini e di vagheggiamenti imbarazzanti, e si adoperò nel tentativo di trovare un sistema per rinnegare tutto.

<< Scusami, io..a dire la verità, stavo solo fantasticando. Mi chiedo con quale coraggio, considerata la nostra situazione attuale. Figurati se ho tempo, adesso, di trovarmi una ragazza.. >>

<< Un giorno troverai il tempo. >>

Edward alzò i propri occhi e li puntò in quelli del suo migliore amico. Il cuore cominciò ad accelerare, ad intermittenza, e arrivò addirittura a pensare di non aver capito bene.

Albert, di rimando, gli fece l'occhiolino e gli poggiò una mano sulla spalla.

<< Ho detto che un giorno troverai il tempo. Anzi, non avrai più modo di pensare a nient'altro. Incontrerai qualcuno che ti farà desiderare di stringerlo per sempre tra le tue braccia, non lasciandolo andare per nessuna ragione al mondo. Una persona che sarà in grado di tirare fuori il tuo lato migliore e che ti vorrà bene per ciò che sei realmente, non per quello che auspichi a diventare. L'amore non è una cosa che si può insegnare, né, tanto meno, la si può apprendere..è quel meccanismo che ci fa sentire vivi, e riesce a farci apprezzare ogni momento vissuto. E quando questo accadrà, perché succederà anche a te, Edward, la tua anima se ne renderà conto, e lo saprai per primo. >>

Edward sentì la commozione scaturirgli fin dal midollo. Non era mai stato tipo da commuoversi con facilità, piangeva raramente e, in genere, preferiva non esternare direttamente le proprie emozioni. Ma le parole di Albert avevano, in qualche modo, avuto un effetto lenitivo, erano riuscite a tranquillizzarlo e fargli pensare positivo.

<< Grazie, amico, davvero. Non so proprio cosa farei se non ci fossi tu qui, con me. >>

<< E che me lo dici a fare? Rilassati, ne sono già ampiamente a conoscenza. Comunque, dobbiamo sbrigarci, Edward. Per oggi la colazione salta. Ci stanno aspettando all'esterno e, stando a ciò che mi hanno riferito, Collins sta dando di matto. Andiamo. >>

Fu con più di un'ora di ritardo che Edward e Albert riuscirono a presentarsi nel luogo in cui, ogni mattina, decollavano con i propri aerei. Quel giorno il clima era mite, non tirava vento e si avvertiva, nell'aria, una deliziosa brezza che preannunciava l'arrivo della primavera. A dispetto di ciò, le temperature continuavano ad essere basse e il freddo penetrava sin dentro le ossa, ma, contrariamente alle settimane precedenti, si percepiva che qualcosa fosse sul punto di cambiare.

Edward gettò un rapido sguardo nei dintorni nel mentre che si apprestava a raggiungere il suo superiore e, notando che due giovani sul punto di decollare lo stavano salutando dal finestrino del velivolo, sorrise alzando il braccio a sua volta. Collins li attendeva al limitare del campo, ed aveva un braccio appoggiato all'aereo di Albert, un Hawker Typhoon, mentre, in bocca, stringeva un lungo bocchino dal quale fuoriusciva del fumo nero. Appena scorse le loro figure, iniziò ad incamminarsi nella loro direzione, ed Edward pensò, con un misto di timore e deferenza, che la sua espressione non promettesse nulla di buono.

<< Dove diavolo eravate, razza di scalmanati? Dovrei farvi frustare per la vostra inadempienza! Credete forse di essere in vacanza? Nessun problema, perché ho intenzione di redarguirvi a dovere! Ci tengo solo ad informarvi che, nel mentre eravate occupati in non so quali assurde mansioni, tre dei vostri compagni sono stati abbattuti non lontano da qui da un Messerschmitt tedesco non ancora identificato. Avete inteso, ragazzi? Su, datevi una mossa e partite il più in fretta possibile. Jones, affido a lei l'incarico di buttare giù quel dannatissimo crauto. Smith, per quanto riguarda lei, invece, cerchi solo di non essere fatto fuori per quest'oggi. Mi è stato riferito della sbronza occorsa una settimana fa, sa? E mi sono appena ricordato che devo ancora convocarla nel mio ufficio! >>

Detto questo, si allontanò a gran passi lasciando dietro di sé una scia di fumo grigiastro. Albert rimase a fissarlo intontito per qualche secondo, per poi girarsi in direzione del suo amico.

<< Cavolo, come avrà fatto a scoprirlo? Sono sicuro che è stato quel bastardo di Oliver a riferirglielo. Quel piccoletto presto o tardi me la pagherà. >>

<< Hai visto come era ridotto? Stavo sul punto di scoppiare a ridere ma mi sono trattenuto. Non sia mai che decida di farmi fare le ricognizioni di notte, penso che morirei. Se non mi dovesse capitare di morire quest'oggi, naturalmente. A proposito, sai che stasera Josh festeggia il compleanno? Ci ha invitati nella sua stanza, ha detto che ci sarebbero stati tutti. >>

Nella foga del discorso Edward non si era neppure reso conto che Albert non lo stava nemmeno ascoltando, in quanto si era già allontanato di molti metri, e stava dirigendosi in direzione del suo aeroplano.

<< Mi raccomando, non andartene all'altro mondo prima che arrivi la tua ora! Non sopporterei di condividere la camera con quegli imbecilli del Devonshire! >>

Edward rise sonoramente in risposta alla battuta del suo compagno, per poi girarsi ed iniziare a camminare in direzione del suo aereo. Trovò Davies, il meccanico, intento a rifornire il serbatoio di carburante e gli rivolse un cenno di saluto.

<< Tutto apposto, Paul? >>

<< Per ciò che riguarda me, potrebbe andare di gran lunga meglio, ma non ci lamentiamo. L'aereo, invece, sta meravigliosamente. Rifornito e pronto per stroncare anche oggi le vite di quei debosciati nazisti! >>

Edward approvò con il capo. Cominciò a percepire una forte scarica di adrenalina infuriargli nel corpo nel mentre che prendeva posto ed iniziava ad accendere tutti i meccanismi che gli avrebbero poi permesso di innalzarsi in volo. Decollò in perfetta sincronia con l'aereo di Albert. Vide il suo velivolo salire per un paio di metri, per poi scendere bruscamente ed avviarsi verso lo stretto della Manica dove avrebbero incontrato gli aeromobili tedeschi, che, come loro, circolavano frequentemente in quella zona, al fine di evitare che la presenza inglese si intensificasse più del dovuto. Edward mantenne, per il tempo che durò la traversata, una linea piuttosto coordinata, senza bruschi cambiamenti di rotta o manovre azzardate, ma, quando giunse in prossimità della zona contemplata, dovette cambiare velocemente strategia in quanto scorse un caccia tedesco che, puntando visibilmente nella sua direzione, gli stava venendo incontro. L'inglese percepì una scarica di colpi che andarono a colpire parte della sua fusoliera, ma, apparentemente, senza provocare danni eccessivi, e questo gli diede la motivazione per effettuare una manovra che gli permise di abbassarsi notevolmente rispetto al velivolo tedesco, iniziando a contraccambiare il favore emettendo una serie di spari talmente tanto violenti che, avendo preso una parte fondamentale del motore, non impiegarono molto affinché quello, perdendo il controllo, si trovò a cadere in picchiata, schiantandosi al suolo con un tonfo assordante.

Edward tirò un sospiro di sollievo, non aveva dovuto trattarsi di un pilota particolarmente abile ed esperto, solitamente i tedeschi erano in grado di mostrare maggiori capacità. Ma non gli fu concesso di rilassarsi nemmeno un istante perché, nemmeno il tempo di essersi lasciato alle spalle l'aeromobile precedente, notò altri due aeroplani tedeschi che miravano verso di lui.

'' Fatevi sotto, canaglie. ''

 

 

 



 

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Capitolo 7
*** Vicinanza ***


Friedrich, quella sera, nel mentre che percorreva i corridoi del suo alloggio poco e male illuminati, come al solito, d'altronde, era consapevole del fatto che qualcosa non andasse come sarebbe dovuta andare. La tensione era percepibile nell'aria, ed era talmente tanto accentuata che la si sarebbe potuta tagliare con la lama di un coltello. Le voci tendevano a diffondersi molto velocemente in quel plotone, e, a meno che non si volesse volutamente rimanere all'oscuro di determinati accadimenti, non li si poteva ignorare nemmeno se lo si fosse voluto. Ad esempio, era circolata anche fin troppo in fretta la notizia che un asso dell'aviazione militare tedesca, un tale Friedrich Janssen, si fosse trasferito in quella località assieme al fratello più piccolo, allontanandosi dal suo stabilimento principale per motivazioni ancora sconosciute. Nonostante sapesse che le reali ragioni non sarebbero rimaste ignote a lungo, Friedrich preferì non pensare al carico di tensione che avrebbe accumulato quando tutti si sarebbero resi conto che il suo specifico obiettivo, vale a dire ciò che lo aveva realmente condotto in quel luogo, era cercare di eliminare il soldato inglese che ogni singolo giorno tirava giù come minimo cinque o sei velivoli tedeschi, provocando uno scompiglio ed uno spavento tali da aver causato quasi un'ammutinamento generale.

Lui e suo fratello erano arrivati la mattina precedente, e non si poteva asserire che fossero stati accolti calorosamente. I più li avevano scrutati con fare indagatorio e sospettoso, come se non si fidassero e, intimamente, provassero una sensazione di timore, ma non si erano assolutamente azzardati a rivolgere loro la parola. Li avevano palesemente ignorati, continuando però a tenerli sott'occhio. Non che fossero stati poi costantemente in giro, tutt'altro. Non avevano lasciato la camera di frequente e, quando lo avevano fatto, si erano premurati di ritornare il prima possibile. Friedrich aveva sperimentato in quell'occasione più nervosismo ed apprensione di quanto non gli fosse mai accaduto precedentemente. Era stato agitato alla partenza, all'arrivo e quella stessa mattina, in cui si era innalzato in volo con la speranza, mista ad una buona dose di terrore, di incontrare l'aereo di quell'inglese. Ma, non sapeva se per merito di una grande fortuna o, al contrario, per mezzo della malasorte, non era stato in grado di intercettarlo e la giornata si era conclusa senza aver intravisto neanche la più misera e pallida ombra di un Hawker Hurricane. Alla fine era atterrato senza averlo nemmeno scorto in lontananza, magari per sbaglio, e tale evento non sapeva se giudicarlo fortuito o meno. Di certo, si sentiva molto più rilassato al pensiero che non vi fosse stato ancora uno scontro diretto, anche se non sapeva per quanto avrebbe potuto evitarlo ma, contemporaneamente, percepiva la necessità impellente di chiudere rapidamente la questione, facendo fuori l'inglese, e potendo in questo modo ottenere una licenza per lui e per il fratello che gli avrebbe consentito, almeno per qualche tempo, di allontanarsi da quella situazione, portando Stefan al riparo, nell'ipotesi di trovare poi un qualche pretesto fattibile con cui avrebbe potuto dislocarsi dall'impegno di riprendere le armi e non fare più rientro. Ma tale circostanza appariva assolutamente remota e lontana; prima avrebbe dovuto assolvere alla mansione, e Friedrich era perfettamente consapevole che non sarebbe stato semplice. Il giovane rifletté sull'immensa difficoltà che aveva comportato il dover rivelare a Stefan la reale motivazione che li aveva condotti sin lì. All'inizio aveva provato a tergiversare, raccontando diversi dettagli veritieri ma, allo stesso tempo, omettendone altri fondamentali; poi aveva cercato più volte di cambiare versione, in modo che non trapelasse l'effettiva pericolosità che si celava dietro una parvenza di informalità, ma, successivamente, giunto al limite a causa delle insistenti richieste del fratello, che gli aveva intimato di parlare chiaro e smettere di tacere i particolari scomodi, aveva ammesso che, in effetti, la situazione era molto più complessa di quanto non apparisse in realtà. Gli aveva confessato che Schulz era stato costretto a reclutarlo per abbattere un velivolo inglese in quanto l'unico presente all'interno del circondario del campo che possedeva i requisiti necessari per tentare un'impresa simile; non aveva fatto omissioni relativamente alla rischiosità del piano e non aveva neanche taciuto che fosse molto preoccupato. Per lui, per il fratello, non tanto per la sua persona. Non gli importava, o, meglio, gli interessava molto poco ciò che sarebbe capitato a lui rispetto a quel che sarebbe occorso a Stefan, nell'eventualità che la missione fosse fallita. Stefan era rimasto in silenzio per qualche minuto, non sapeva letteralmente cosa dire, aveva il cuore affranto al pensiero di ciò che avrebbe rischiato il fratello e una rabbia cieca gli si stava insediando nella mente, in quanto non sopportava la sua situazione di immobilismo e di staticità, ma comprendeva, allo stesso tempo, perfettamente che, nel caso in cui gli fosse stata concessa l'autorizzazione per poter prestare soccorso, qualora i piloti tedeschi si fossero trovati in pericolo, avrebbe apportato molti più problemi di quanti ne sarebbe stato in grado di risolvere. La sua preparazione era assolutamente carente, non comprendeva tutti i meccanismi dell'aeromobile e non era capace di effettuare manovre aeree particolarmente complesse. Come avrebbe potuto confrontarsi con un asso dell'aviazione? Con una macchina da guerra esperta di tutto ciò che era concernente il volo? Non era incosciente sino a quei livelli; ma non poteva nemmeno permettere che il fratello si sacrificasse in quel modo per lui. Perché Stefan era totalmente conscio del fatto che la colpevolezza fosse da attribuire interamente alla sua persona. Alla fine non aveva potuto ribattere circa la confessione di Friedrich perché i due erano stati interrotti dall'ingresso, nella loro stanza, di un altro commilitone, un ragazzo dalla pelle bianchissima e piena di lentiggini, che aveva chiesto a Friedrich di recarsi con lui nell'ufficio del capitano, in quanto Schulz era desideroso di parlargli.

E nel mentre che percorreva i corridoi e saliva, contemporaneamente, anche un'infinità di scale per rientrare al proprio alloggio, aspirando esclusivamente a buttarsi sul proprio letto, addormentandosi istantaneamente se gli era concesso, Friedrich ripercorreva nella propria mente il colloquio tenutosi con Schulz e ciò che gli aveva rivelato il comandante. Ricordava di essere stato accolto in maniera molto cordiale da un uomo che si trovava all'interno dello studio, il quale gli aveva pregato di attendere all'ingresso, spiegandogli che il capitano sarebbe tornato a momenti. Friedrich si era, di conseguenza, seduto su una sedia ed aveva aspettato pazientemente il suo turno. Schulz si era effettivamente palesato poco tempo dopo, con l'immancabile sigaro stretto tra le labbra, ed un'espressione che celava palese eccitazione. Lo aveva salutato distrattamente, e lo aveva, letteralmente, spinto all'interno della piccola stanza.

Friedrich si domandò a cosa fosse dovuta quella frenesia mista ad una buona dose di esaltazione, ma non aveva ricevuto risposta in quanto Schulz era estremamente concentrato nel compilare alcune carte, mentre ne consultava altre, e non lo degnava di uno sguardo. Friedrich, in evidente imbarazzo, tentò di provocare del leggero rumore per attirare la sua attenzione, ma Schulz continuava, imperterrito, a fissare quei fogli e non sembrava preoccupato del fatto che Friedrich non sapesse la motivazione per la quale fosse stato convocato o cosa dovesse concretamente fare.

<< Mi perdoni, capitano, io..ecco, a dire il vero..potrei sapere la ragione per la quale ha voluto che mi presentassi qui? >>

Schulz fu come folgorato da quelle poche parole. Si colpì la testa più volte con il palmo della mano, per poi rivolgergli un'occhiata sconsolata.

<< Janssen, maledizione, mi perdoni, ero talmente tanto assorto nella consultazione di quelle cartacce che non mi sono nemmeno reso conto del fatto che stesse attendendo..la prego di scusarmi. >>

<< Non si preoccupi. E' successo qualcosa di grave, per caso? Ho forse commesso qualche errore? Forse..mio fratello ha dato problemi? >>

<< Non dica sciocchezze, Friedrich, suo fratello se n'è stato buono l'intera mattinata, a quanto ne so non è nemmeno uscito dalla vostra stanza. No, non è questo il motivo per il quale ho voluto che lei venisse qui. Ho il piacere, o forse la disgrazia, non me ne dolga, di informarla che siamo a conoscenza dell'identità della persona che ogni giorno, transitando per i cieli della Manica, porta via con sé le esistenze di non meno di cinque o sei nocchieri tedeschi. Ecco, dia uno sguardo a questo fascicolo. >>

Schulz gli porse una dispensa di poche pagine che il giovane afferrò prontamente. Iniziò a sfogliarla con garbo, e per poco non sentì esplodergli il cuore nel petto quando si rese conto di ciò che era contenuto in essa. La prima pagina elencava una serie di dati anagrafici, e, sottolineato più volte, campeggiava un nome, Edward Jones. Edward Jones, nato il 13 luglio 1916 nella contea dell'Hampshire, cadetto della Royal Air Force, l'aviazione militare britannica, promosso l'anno precedente tenente colonnello. A fianco era allegata una fotografia che ritraeva il suddetto soldato.

Friedrich avvertì uno strano senso di malessere nel mentre che la osservava. Ritraeva un ragazzo che poteva avere la sua età quando era stata scattata, dai capelli ramati, gli occhi scuri e l'aria sognante. Sorrideva, ed il suo volto era solcato da lentiggini, non particolarmente evidenti, ma pur sempre visibili ad un occhio attento. Aveva le labbra carnose e nessun accenno di barba. Sembrava più piccolo di quanto, effettivamente, non era, e Friedrich sperimentò un'ondata di ripugnanza verso sé stesso quando si rese conto di pensare che quell'inglese fosse piacevole da guardare e, in un certo senso, non poteva negarlo, anche avvenente. I lineamenti erano delicati, oltre che armonici nell'insieme, e l'intera figura presentava una fisionomia talmente bella ed equilibrata che Friedrich dovette distogliere lo sguardo per non arrossire violentemente alla vista di quell'immagine. Sentiva che il proprio battito cardiaco aveva preso ad accelerare brutalmente, cercò di respirare profondamente per calmarsi e, contemporaneamente, pregò con tutto sé stesso che Schulz non si fosse reso conto di nulla. Non avrebbe saputo spiegargli cosa gli era preso, perché non ne era a conoscenza nemmeno lui. Sapeva, però, che l'aspetto del giovane britannico lo aveva turbato eccezionalmente, facendogli imporporare completamente le guance e provocandogli un fremito tale da averlo, letteralmente, costretto ad allontanare quel plico di carta il più in fretta possibile da sé.

<< Friedrich? Che le prende? Si è addormentato, per caso? Sta osservando quell'istantanea da un quarto d'ora, come minimo. >>

Friedrich per poco non si prese a schiaffi da solo. Cosa diavolo gli era preso? Davvero una semplice foto ritraente uno spocchioso inglese aveva avuto la capacità di catturare sino a quei livelli la sua attenzione, facendogli dimenticare di sana pianta ogni cosa che lo circondava in quel momento? Era, per caso, impazzito? Aveva forse dimenticato chi erano coloro che ogni mattina combatteva? A quale nazione appartenevano? Che cosa rappresentavano per la sua patria?

<< Friedrich, mi sente? >>

Friedrich sollevò gli occhi e li puntò in quelli del suo comandante. Si impose di recuperare la solennità e l'imparzialità di qualche attimo prima, e gli restituì velocemente il fascicolo.

<< Presumo sia interessato a sapere come siamo giunti in possesso di determinati accertamenti..beh, i nostri servizi segreti non sono del tutto arrugginiti, a quanto pare, nonostante le mie considerazioni passate, non propriamente favorevoli, lo ammetto, alla strutturazione del sistema operativo. Ci abbiamo impiegato un bel po' di tempo, non lo nego, ed è stato anche parecchio faticoso non farsi scoprire e mantenere l'anonimato..ma ne è valsa la pena, direi, no? >>

Friedrich sentì il proprio stomaco accartocciarsi nel constatare la freddezza con la quale Schulz discorreva, piacevolmente, di quell'argomento, come se gli stesse raccontando cosa avrebbe mangiato la sera a cena e non dell'eventualità di assassinare crudelmente una persona che non gli aveva fatto assolutamente nulla, ma si intimò di trattenersi e di mantenere un apparente contegno.

<< E'..E' lui l'inglese che devo abbattere? >> mormorò con voce strozzata ed infarcita di apprensione.

<< Naturalmente. Altrimenti, per quale altra ragione le avrei mostrato la sua fotografia ed il dossier contenente i dati che lo riguardano? Non che questo possa, a dire il vero, contribuire più di tanto alla buona riuscita dell'impresa, ma ho pensato che, magari, venendo a conoscenza di quante più informazioni possibili..non so, forse si potrebbe venire a creare un'interconnessione reciproca, che le permetterebbe poi, in seguito, di prevalere su di lui. Ha notato la pagina seguente la fotografia? E' un rapporto estremamente dettagliato inerenti le sue prestazioni a livello aeronautico. Ci sono indicazioni relative alle manovre che effettua più di frequente, e tutto ciò che è concernente la sua abilità nel volo. Ho vouto mostrarglielo anche per questa motivazione. Ho ritenuto di fondamentale importanza che entrasse in possesso di taluni dati, per cercare di approntare una strategia vincente e riuscire, in questo modo, a sconfiggerlo. >>

Friedrich percepì il sudore scaturirgli in ogni angolo del corpo. Sentiva la necessità di alzarsi e camminare per tentare di tranquillizzarsi. Gli veniva da vomitare e la puzza concentrata in quello spazio angusto contribuiva esclusivamente a farlo sentire peggio. Non aveva notato i fogli seguenti; in realtà, e lo nauseava ammetterlo, non aveva dato importanza a nulla, se non al volto di quell'inglese.

<< Friedrich? Per l'amor del cielo, si sente bene? Mi sta facendo preoccupare..è impallidito tutto d'un tratto. Cos'ha? >>

<< Io..ecco, suppongo di aver bisogno di riposarmi. Solo quello. La stanchezza mi attanaglia e..devo dormire. >>

Schulz lo fissò torvo e aggrottò gli occhi in un'espressione incerta, come se non fosse del tutto convinto di quella spiegazione. Ma Friedrich non aveva voglia di essere chiaro in quello specifico frangente. Voleva solo allontanarsi da quell'edificio il prima possibile. Non salutò neppure nella maniera consona ad un sottoufficiale; spalancò semplicemente la porta e fuggì via, richiudendola con un tonfo assordante.

Stefan detestava scrivere lettere; specialmente quelle da indirizzare in Germania, alla propria abitazione. Sapeva che sarebbero state lette dal padre e quel dettaglio non poteva che infastidirlo. Avrebbe preferito destinarle esclusivamente alla madre, ma, d'altra parte, era perfettamente consapevole che i due vivevano assieme, motivo per il quale, presto o tardi, il genitore sarebbe venuto a conoscenza del contenuto della missiva. Nonostante fosse da tutti ritenuto una personalità vivace ed entusiasta, a differenza del fratello maggiore, che era, invece, silenzioso e taciturno, sapeva di non essere in grado di esprimere le proprie emozioni in maniera sana. Non riusciva a manifestare il proprio affetto nei confronti di una persona tramite delle parole rivolte essenzialmente alla carta, al contrario, lui aveva bisogno di vedere, sentire, toccare con le proprie mani. Necessitava di un contatto diretto, di poter abbracciare e rivolgere lo sguardo negli occhi di una specifica persona, non sapeva, letteralmente, cosa farsene di un banale plico di fogli, gli mancava l'ispirazione e non aveva assolutamente nulla da raccontare. Trattare della missione che era stata affidata a Friedrich non avrebbe avuto alcun senso; sarebbe bastata la sua semplice menzione per procurare al padre indicibili tormenti, oltre che un infinito rimpianto per non essere stato in grado di proteggere il figlio, impedendogli di partire. Per quanto riguardava lui, non combattendo e non svolgendo nemmeno funzioni che prevedessero, ad esempio, l'approvvigionamento di viveri o la diretta distribuzione di beni necessari al sostentamento basilare di ogni singolo commilitone, non aveva, minimamente, la cognizione di cosa avrebbe dovuto parlare.

Alla fine, spazientito, aveva gettato la penna per terra, ripiegando la missiva senza porvi particolare attenzione, distrattamente, e si era alzato dirigendosi verso la finestra. All'esterno sembrava tutto relativamente tranquillo, tirava un leggero venticello e si potevano intravedere, scrutando in lontananza, alcuni pallidi raggi di sole che indugiavano sulla superficie della campagna. Stefan chiuse per un secondo gli occhi ed immaginò, per quanto glielo permettesse quella situazione, di essere lontano, di trovarsi in un luogo completamente differente, magari in villeggiatura, in montagna, in un bosco accanto ad un ruscello; di percepire esclusivamente il cinguettio delle rondini e la brezza scompigliargli i capelli, e di non dover fare i conti, ogni nuova mattina, con l'arrivo di notizie inerenti combattimenti e distruzioni di aerei, le morti di giovani piloti ai quali si era, inevitabilmente, legato e a cui aveva voluto bene, con la sofferenza intrisa nelle stesse mura del dover essere costretti a perdurare in quello stato, non potendo fare rientro alle proprie case, dalle famiglie che attendevano, trepidanti, la fine di quel maledetto conflitto, della necessità impellente di non andarsene all'altro mondo prima che tutto fosse terminato, dell'imposizione a rimanere sempre vigili e attenti, non potendosi concedere mai un momento di svago, un giorno di libertà, uguali a quelli che aveva costantemente vissuto prima che arrivasse qualcuno a trascinarli lì. Si chiese se vi fosse un senso in tutto quello che stavano vivendo in quel periodo; se l'ideologia del partito e la promessa di risollevare il paese dalle umiliazioni subite nel corso del precedente conflitto davvero potessero giustificare quegli avvenimenti. Si domandò se ciò che si apprestava a fare Friedrich fosse moralmente corretto, non che fosse in pena o si preoccupasse per la sorte di quell'inglese, intendiamoci, semplicemente percepiva la presenza, intima e nascosta, della sua coscienza, che lo invitava a riflettere adeguatamente su quella questione, non lasciandosi trasportare dall'irruenza di sentimenti azzardati ed esclusivi.

Fissò per qualche altro secondo il proprio riflesso nel vetro trasparente della finestra, per poi girarsi di scatto, spaventato, quando sentì Friedrich aprire violentemente la porta precipitandosi, quasi correndo, nel bel mezzo della stanza. Il fratello lo guardò quasi come se non lo riconoscesse, e Stefan credette che, effettivamente, in quello specifico frangente egli non fosse del tutto in grado di comprendere chi o cosa gli si trovasse di fronte, in quanto la sua vista appariva, in qualche modo, appannata; l'espressione era turbata, forse addirittura sconvolta, respirava a fatica ed aveva il viso incredibilmente pallido e sudato. Sembrava sul punto di svenire da un momento all'altro, e, constatò Stefan osservandolo con maggiore riguardo, non ci mancasse poi molto. Si staccò allora dal davanzale in maniera quasi automatica, e gli corse incontro, afferrandolo per le spalle con l'intenzione di impedirgli di crollare a terra. Friedrich si afflosciò dolcemente fra le sue braccia, aggrappandosi alla sua persona sconsolato ed avvilito. Stefan lo sorresse con tutta la forza di cui disponeva, non credeva fosse talmente pesante, e lo condusse, infine, alla sponda della sua brandina, dove lo fece stendere delicatamente. Friedrich si poggiò una mano sulla fronte, coprendosi qualche istante gli occhi, per poi girarsi stancamente sull'altro versante. 

<< Cosa ti è successo, per l'amor del cielo? Un giorno di questi mi dovranno ricoverare d'urgenza per tutta la quantità di panico che mi procuri! Mi stai ascoltando, dannazione? Cosa ha potuto provocarti un simile sconvolgimento? Non penso di averti mai visto in uno stato del genere, davvero. >>

Friedrich fece, di risposta, un sorriso triste, e non gli rispose.

<< Lasciami in pace, Stefan. Non ho voglia di parlare con nessuno. Nemmeno con te. Per favore, rispetta la mia decisione e non assillarmi ulteriormente. >>

<< Ma io..>>

<< Basta! Ho detto di smetterla! Cos'è che non capisci? >>

Stefan per poco non sentì le lacrime sgorgargli dalle palpebre ed incominciare a scendere sul viso. Assunse un'aria di imparziale contegno, come se non gli importasse effettivamente di quel che stava accadendo, e non stesse morendo dalla voglia di conoscere le motivazioni che avevano indotto suo fratello ad urlargli contro in quel modo, ma, nonostante ciò, si allontanò dal letto in maniera calma e pacata. Si intimò di trattenersi e di non palesare nulla di cosa stesse realmente pensando. Se Friedrich si era comportato con lui in quella maniera, doveva esserci naturalmente una ragione. Forse era venuto a conoscenza di cose spiacevoli. Magari era stato rimproverato in modo inclemente, e forse non l'aveva accettato con remissione. Teoricamente, poteva essere avvenuto di tutto. Il fatto che mostrasse un atteggiamento eccessivamente refrattario e riluttante, non faceva altro che sottolineare la natura intimista della situazione. Probabilmente si sarebbe confidato quando avrebbe ritenuto il momento adeguatamente propizio. Considerò che non fosse opportuno forzarlo, inducendolo necessariamente a parlare. Era preferibile aspettare.

Friedrich si rivoltò un'ulteriore volta su sé stesso e gli chiese, con voce sommessa, di spegnere la luce. Stefan si sdraiò placidamente sul suo letto e lo accontentò, mitigando la fonte di calore ad un semplice bagliore che illuminava, a malapena, metà della loro camera, lasciando Friedrich e tutto ciò che gli ronzava nella mente in un'oscurità perenne. Rivolse un ultimo sguardo in direzione della finestra, per poi chiudere gli occhi e addormentarsi quasi all'istante.

Nel bel mezzo della nottata, mentre l'intero circondario del campo era avvolto in un silenzio perpetuo ed ininterrotto, e fuori il vento ululava mellifluamente, con delle folate dolci e soave, Friedrich continuava a rigirarsi sul letto senza riuscire a trovare una posizione adeguata, che gli consentisse di riposarsi in maniera ristoratrice per l'indomani. Un pensiero assillante gli balenava nella mente, e il tormento che gli procurava bastava a tenerlo in uno stato di agitazione quasi intermittente. Non poteva fare a meno di rincrociare lo sguardo di quel dannato inglese, e, ogni singola volta che chiudeva gli occhi, i suoi lineamenti e quella sua espressione, così impenetrabile e, allo stesso tempo, maledettamente seducente, ripiombava nei suoi pensieri, facendogli accapponare la pelle ed inducendolo a porsi un'infinità di domande che, ne era perfettamente conscio, non potevano avere risposta. Stava, forse, mettendo in dubbio il suo intero operato, svolto con dedizione ed enorme criterio, sino a quel momento? Incominciava a manifestare, per caso, del rimorso? E per cosa? Gli dispiaceva, magari, pensare all'eventualità di riuscire ad abbatterlo? Ma come poteva fare delle congetture di quella portata, se non lo conosceva nemmeno? Se non aveva mai sentito la sua voce? Se non era stato in grado di imbattersi, in nessuna occasione, nel suo sguardo? Se non aveva mai sentito il peso dei suoi occhi scrutarlo? Posarsi su di lui? Osservarlo? Ma, allora, perché percepiva un costante aumento del battito cardiaco quando la sua figura ristagnava, nuovamente, nella sua immaginazione? Per quale ragione sentiva le guance imporporarsi e il respiro accelerare brutalmente? Stava impazzendo? Non c'era da escluderlo. In un ambiente, e, ancor più, in un clima dettato da una disperazione vaga e senza alcuna forma definita, dove accadeva che i soldati scoppiassero a piangere all'improvviso, e non vi era nessuna certezza relativa al domani, lui si metteva a fantasticare su un perfetto sconosciuto, facendo pensieri impuri e assolutamente riprovevoli.

Friedrich ordinò alla sua coscienza di tacitare qualunque forma di gentilezza, fossero essi pensieri, o vere e proprie elucubrazioni mentali, nei confronti di quello sciagurato inglese. Il suo incarico era, semplicemente, abbatterlo. Senza sperimentare rimorso, rincrescimento, senso di colpa. E l'avrebbe portato a termine ad ogni costo.

 

 

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Capitolo 8
*** Errori ***


Edward non aveva mai avuto particolari problemi nell'addormentarsi. Da che aveva memoria era sempre riuscito molto facilmente a conciliare il proprio sonno, d'altronde era, a dispetto di qualunque altra cosa, molto giovane e, fortunatamente, non era ancora giunto il momento, per lui, della somministrazione di pillole o sostanze che contribuissero a favorire un adeguato riposo. Motivo per cui, non era assolutamente in grado di comprendere la ragione per la quale, da oltre due settimane, necessitasse di forti dosi di narcotici e sedativi per assopirsi e potersi catapultare in quel meraviglioso stato di incoscienza, dove gli era concesso abbassare la guardia, in quanto non era costretto a mantenere costantemente alta la concentrazione, ed aveva, dunque, la forza di poter fare i conti con il proprio mondo interiore. Inoltre, a differenza di gran parte dei suoi compagni che, godendo di una sonnolenza eccessivamente leggera e turbolenta, erano capaci di svegliarsi anche per mezzo di semplici rumori, provocati magari inavvertitamente, lui, fin da quando era in grado di ricordare, non credeva affatto esistesse qualcosa che fosse responsabile del suo ridestarsi prima del tempo. L'ultima volta in cui, presumibilmente, era stato particolarmente complesso assopirsi nel corso della nottata risaliva con ogni probabilità alla sua diretta infanzia. La rievocazione di quell'episodio non potè che farlo sorridere; richiamò alla memoria, infatti, la sera di Natale dell'inverno 1924, quando aveva solo otto anni, ed era rimasto avvinghiato al suo cuscino, nel salotto della loro abitazione, sino alla spuntare dell'alba, in attesa che si presentasse il famoso ''signore'' che, stando almeno alle dichiarazioni fornite da sua madre, gli avrebbe portato innumerevoli quantità di regali e dolciumi. Ma alla fine, non essendosi palesato nessuno, con gli occhi che quasi gli bruciavano per la fatica dovuta alla strenua volontà di mantenerli aperti, e nonostante le gambe fossero sul punto di cedergli a causa della stanchezza, considerando che aveva trascorso la quasi totalità di ore notturne complessive in bianco, il piccolo Edward era stato comunque in condizione di tornarsene autonomamente nella sua cameretta, sdraiandosi sul letto e giurando fedelmente a sé stesso che non avrebbe mai più interrotto l'intervallo di tempo concessogli per ristorarsi, a meno che non ci fosse stata una motivazione sufficiente a catturare la sua attenzione. E, nel mentre che cambiava ripetutamente posizione sulla sua povera e scomoda branda, non poteva che percepire, dentro di sé, una sensazione di inquietudine mai sperimentata precedentemente, in nessun ambito della vita. Si chiese più volte se ci fosse una spiegazione razionale dietro quello che gli stava capitando, ma più cercava di sforzare le proprie meningi nel tentativo di comprendere cosa si stesse effettivamente verificando, e meno arrivava alla formulazione di una conclusione logica ed esaustiva. Da dieci giorni, per l'appunto, non faceva altro che sognare la stessa identica cosa. Non aveva nemmeno avuto il coraggio di confidarsi con Albert; era perfettamente conscio del fatto che il suo amico fosse concentrato in tutt'altre questioni e non avesse tempo sufficiente per dedicarsi alle sue fisime mentali, inoltre provava un gran senso di vergogna nel dovergli rivelare il contenuto di ciò che lui era sul punto di definire un vero e proprio incubo, dunque, quando lo scorgeva la sera, dopo che entrambi ritornavano agli alloggi una volta trascorsa l'ennesima ed estenuante giornata di combattimenti, si imponeva di non lasciarsi sfuggire alcun dettaglio relativo a quel tormento onirico che lo stava assillando da, quantomeno, quindici giorni, e riprendeva a comportarsi normalmente, ridendo e scherzando come se nulla di tutto ciò stesse realmente accadendo, e le sue notti trascorressero in maniera placida e tranquilla.

Il giovane avvertì un improvviso spostamento d'aria e si rese conto, scrutando il materasso situato accanto al suo, che Albert si era mosso ed aveva cambiato posizione. Edward si domandò chi o cosa animasse le visioni oniriche del suo compagno, se in quello specifico momento stesse bramando, nella sua mente, l'illusione di poter vedere sé stesso ricongiunto alla propria famiglia. In fin dei conti, quelli erano gli stessi desideri, le medesime aspirazioni, cose che animavano e scombussolavano, incessantemente, anche il suo cuore, dunque per quale assurda giustificazione non figurarseli neppure in dei banali miraggi notturni? Perché, contrariamente alla sua volontà e alle sue aspettative, seguitava, assiduamente, a comparirgli l'immagine di un Messerschmitt tedesco che, puntando nella sua direzione, non gli lasciava scampo ed infine, lo abbatteva senza alcuna pietà? Era, forse, un sogno premonitore? Un avvertimento? Un presagio che gli intimava di rimanere vigile? Era arrivata la sua ora? Doveva morire? Chissà, se così fosse stato, poteva presumere che la sua coscienza ne fosse in qualche modo consapevole, e tentasse pertanto di informarlo? Avrebbe fatto meglio a non presentarsi nei giorni seguenti, fingendo un'indisposizione personale? A dire il vero, non riteneva affatto che Collins gli avrebbe concesso di astenersi dalle sue mansioni per più giorni consecutivi, e non poteva nemmeno fargliene una colpa. Negli ultimi tempi si erano verificati incalcolabili quantità di ammutinamenti volontari, oltre che un crescente e considerevole numero di piloti deceduti nell'arco di appena due mesi. E questi eventi non avevano fatto altro che indurre il loro povero comandante, già stressato eccessivamente dagli incarichi e dalle responsabilità che gli gravitavano addosso, a ripiegare ulteriormente le proprie speranze di riscossione nei due giovani soldati provenienti dall'Hampshire. Per carità, la loro bravura era incommensurabilmente maggiore rispetto alla quasi totalità di nocchieri che circolavano nell'identico plotone, ma l'atteggiamento di Collins, che faceva affidamento solo ed esclusivamente sulle loro persone, non poteva che provocare ai diretti interessati un'indicibile carico di tensione. Spesso aveva, addirittura, trovato il suo migliore amico intento a fissare il vuoto con espressione sconsolata, mentre per quanto riguardava lui, nell'ultimo periodo sentiva di stare cominciando a manifestare sintomatologie compatibili con l'insorgenza dell'insonnia. Dormiva poco e male, tendeva a risvegliarsi in continuazione e, una volta che gli capitava, riprendere sonno era un'autentica impresa.

Ed ora c'era anche quel maledetto sogno a rovinargli nuovamente il riposo. Se qualcuno gli avesse chiesto cosa concretamente accadesse, e perché il solo prospetto di addormentarsi gli facesse quasi accapponare la pelle, non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui. All'inizio rientrava tutto nella norma, fin troppo, a dire il vero, si trovava nel suo aereo e sorvolava, come ogni mattina, il distretto della Manica, quello che separa la Francia dall'Inghilterra; la giornata era sempre limpida e splendente nonostante facesse ancora freddo, ed il mare assolutamente tranquillo. Ma poi succedeva che un terrore fatale cominciasse a scaturirgli nel corpo, i peli improvvisamente gli si drizzavano, il respiro accelerava brutalmente e si trovava, a dispetto della sua volontà, non più in grado di controllare il velivolo. Allora prendeva ad agitarsi con orrore, muovendo il capo infinite volte, a destra e a sinistra, per liberarsi e smorzare la sensazione di paralisi, finché non lo intravedeva all'estremità della rotta che stava seguendo. Un Messerschmitt tedesco che puntando visibilmente nella sua stessa direzione, gli si scagliava addosso con ferocia, bombardandolo con talmente tanti colpi da procurare, per reazione, l'immediata distruzione dell'aeroplano, che successivamente vedeva schiantarsi al suolo provocando un tonfo assordante, trascinandolo inesorabilmente con sé. E poi tutto terminava. Riapriva gli occhi solo per ritrovarsi completamente sudato e con il cuore che batteva a mille. Solitamente rimaneva fermo per parecchi minuti, alla sregua di una sorta di immobilizzato, per poi alzarsi velocemente ed uscire dalla propria stanza, nello sforzo di ritrovare la calma perduta per mezzo dell'aria fresca. E si comportò nella stessa identica maniera quella notte. Aprendo la porta con cautela per assicurarsi di non disturbare il suo amico, sgattaiolò fuori indossando esclusivamente un semplice giubbotto per coprirsi dalle folate gelide che infuriavano a causa del vento. Il silenzio regnava sovrano e, fin dove lo sguardo era capace di estendersi, non si distingueva altro se non una spessa coltre di buio che circondava l'intero edificio nel quale alloggiavano, procurando al giovane un intenso senso di inquietudine che, andandosi a sommare con i suoi già turbolenti pensieri, contribuiva solo ed esclusivamente ad aumentare la tensione, percepibile per mezzo delle frequenti palpitazioni. Edward si girò più volte per sincerarsi che nessuno si fosse reso conto del fatto che se ne stesse andando in giro nel bel mezzo della nottata, e, constatato di trovarsi completamente solo, si incamminò silenziosamente verso il piano di sotto, con l'intenzione di recarsi al limitare del bosco per prendere una boccata d'aria fresca. L'aria era incredibilmente fredda e penetrava, letteralmente, nelle ossa, generando nel corpo dell'avventore una sequela interminabile di brividi e tremori, ma nonostante riuscisse a percepire la forza prorompente del vento infuriare contro i vetri delle finestre, facendoli vibrare a più non posso, oltre agli innumerevoli spifferi che scaturendo da alcune crepe presenti all'interno delle pareti, contribuissero a rendere la temperatura del luogo rigida e inclemente, Edward non giungeva a trovare una spiegazione sul perché fosse stranamente oppresso dal caldo. Si era subito accorto di sudare, e, mentre proseguiva in direzione dell'uscita, iniziò a stendersi addosso un fazzoletto che si era ricordato di avere in tasca, nella speranza di tamponare quanto più possibile il flusso ininterrotto che gli stava inzuppando la camicia da notte. Quasi non si prese a schiaffi da solo quando prese coscienza di non aver rivolto nemmeno la più semplice e distratta occhiata verso l'orologio che i due avavano appeso nella loro stanza, non sapeva, di conseguenza, che ora fosse, potevano mancare pochi minuti allo squillo della sveglia, ed il ragazzo non osò immaginare la reazione di Collins nel momento in cui lo avrebbe trovato sveglio e arzillo in mezzo ai campi, a contemplare il paesaggio all'orizzonte. Ma di fatto il sole non era ancora spuntato, il cielo era plumbeo e si notava la permanenza di leggeri sprazzi lunari che rischiaravano la superficie dei terreni. Seguì distrattamente il sentiero che scorreva parallelo al plotone, aspettando con ansia il momento in cui sarebbe sopraggiunta l'alba e, contemporaneamente, rifletteva su una miriade di questioni. La guerra procedeva oramai da mesi, nessuno dei due schiaramenti avversari sembrava essere in grado di prevalere sull'altro o, quantomeno, di assumere posizioni vantaggiose che fossero particolarmente significative; il complesso in cui tutti loro erano ospitati si era, letteralmente, dimezzato da quando lui ed Albert avevano fatto il loro ingresso per la prima volta, e un flusso ininterrotto di nuove reclute sopraggiungeva quasi quotidianamente, con l'obiettivo di rinsaldare le perdite accumulate nelle settimane precedenti. Poteva asserire con piena certezza che, insieme al suo amico, fosse l'unico presente all'interno del circondario del campo fin dall'inizio del conflitto, quando, dopo l'addestramento condotto in un'altra zona del paese, erano giunti sin lì allo scopo di mettere in pratica tutto ciò che avevano imparato a spese di intensi sacrifici e sofferenze. Ogni singolo giorno era equiparabile ad una sorta di lenta ed inesorabile discesa nei meandri oscuri degli inferi, ultimamente anche i suoi compagni, compreso lo stesso Albert, si svegliavano sempre nervosi e agitati, le giornate scorrevano come al solito, all'insegna di combattimenti in cui l'incertezza e il terrore regnavano sovrani. Non c'erano novità, aspettative, comunicazioni che facessero presagire l'imminente conclusione di quelle battaglie assurde e senza alcun senso.

Formalmente, e di questo tutti erano ampiamente a conoscenza, il loro obiettivo primario era quello di proteggere lo spazio aereo, cittadino e portuale, dell'intero territorio inglese. I tedeschi conoscevano la superiorità britannica sui mari, motivo per cui uno scontro che avesse come sfondo principale l'oceano non era assolutamente auspicabile, ecco la ragione per la quale il dittatore che aveva assunto il potere nella loro nazione, quell'omuncolo razzista ed ignorante pateticamente denominato con l'appellativo di ''Führer'', aveva ritenuto opportuno tentare di conquistare la superiorità a livello aeronautico, praticando un'intensa serie di bombardamenti concentrate essenzialmente sulle regioni che presentavano un'ampia densità territoriale. La contea nella quale Edward ed Albert vivevano prima di essere catapultati in quel luogo era stata, fortunatamente e sino a quel periodo, una tra le meno colpite e danneggiate dalle incursioni degli artiglieri germanici. Come aveva affermato Margaret in numerose sue lettere, l'eco degli spari risuonava in città costantemente, lo avvertivano giornalmente da tempo immemore, ma, nonostante il timore e lo sgomento che provocava l'eventualità di ritrovarsi alle prese con degli ordigni catapultati sulle proprie abitazioni, la situazione non si era mai sbilanciata più di tanto.

Edward si fermò accanto ad un'area boscosa che si estendeva, a macchia d'olio, fin dove lo sguardo non era capace di giungere. Incominciava a provare freddo, e si diede, più volte, dello stupido da solo per non essersi portato qualcosa che potesse proteggerlo meglio dalle folate di brezza ghiacciata. Il bagliore del sole illuminava integralmente la pianura, colorando ogni singolo filo d'erba presente, rendendolo brillante ed incandescente. Il panorama comunicava una sensazione di pace perenne, sembrava, quasi, che non potesse accadere nulla di brutto in quei frangenti, che l'esistenza stessa non contemplasse avvenimenti spiacevoli, che tutto avrebbe potuto risolversi per il meglio, senza ricorrere a scelte drastiche e radicali.

Edward percepì uno spiffero d'aria accarezzargli il collo con trepidazione. Si voltò di scatto, come se avesse avvertito la presenza di qualcuno, ma non vide anima viva all'orizzonte. Ritornò, quindi, a fissare il punto che stava osservando qualche istante prima di essere interrotto. La campagna era vasta e densa di arbusti di ogni genere. Se avesse voluto, eventualmente, scappare e nascondersi per un tempo indefinito, avrebbe potuto farlo. Non sarebbero riusciti a trovarlo. C'erano migliaia di luoghi in cui poteva trovare rifugio, inoltre le incursioni aeree dei nemici non avrebbero consentito ai suoi superiori di rivolgere una particolare attenzione nei confronti della sua evasione; non era difficile, bastava essenzialmente mettersi a correre, percorrere un determinato tratto, tale da permettergli di allontanarsi il più possibile, a ciò che sarebbe accaduto avrebbe pensato successivamente.

Edward fece un sorrisetto malinconico quando si rese conto dell'assurdità di quel pensiero, non avrebbe potuto escogitare piano più insensato e sciocco di quello. Non sarebbe mai stato in grado di perdonarsi l'aver abbandonato Albert al suo destino, d'altronde, a dispetto delle congetture prodotte prima di rendersi conto dell'effettiva inattuabilità di quel piano, cosa avrebbe fatto in seguito, se, realmente, fosse filato tutto liscio? Non riusciva a prendere in considerazione l'idea di rientrare nel proprio villaggio, di ritornare dalla sua famiglia. Gli avrebbero fatto molteplici domande alle quali non avrebbe avuto la forza di rispondere. Il rimorso avrebbe caratterizzato la sua intera esistenza, condizionandolo fino alla fine dei suoi giorni. E, se contrariamente ai suoi desideri più profondi, gli fosse sopraggiunta la notizia della morte del suo migliore amico, sapeva che non se lo sarebbe perdonato sino al termine della propria vita.

Edward venne colto, improvvisamente, da un fremito brusco e repentino. La sveglia del campo, infatti, aveva cominciato a risuonare. Il suo trillo squillante era capace di estendersi fino ai meandri più lontani e distanti di quell'area boscosa e solitaria, ed ebbe lo sgradevole effetto di riportare il giovane alla triste realtà. Dimenticando ogni ipotesi di fuga, prese ad incamminarsi velocemente in direzione dell'edificio grigiastro e malconcio. Presumibilmente Albert, come ogni mattina, d'altronde, non aveva udito il suono della sveglia, motivo per cui c'erano buone possibilità che stesse ancora ronfando sotto le coperte, completamente ignaro del fatto che avrebbe dovuto alzarsi alla svelta; con ogni probabilità sarebbe riuscito a rientrare nel loro alloggio senza che l'amico si rendesse conto che il suo compagno si era allontanato nel cuore della notte, andandosene in giro per ragioni inspiegabili e sconosciute.

Edward sollevò per pochi secondi lo sguardo in direzione della volta celeste, rendendosi subito conto della comparsa di nubi all'orizzonte. Prometteva pioggia assicurata ed un'imminente tempesta, e, osservando con più insistenza quell'ammasso di grigiume, quasi si meravigliò del fatto che non avesse ancora incominciato a tuonare fragorosamente. Quell'improvviso mutamento delle condizioni climatiche non poté che provocare una piacevole sensazione nel suo animo, se si fosse presentata una bufera non sarebbero stati costretti a volare, avrebbero potuto prendersi un giorno di pausa da quell'orrido fardello, e riposarsi adeguatamente in attesa dell'indomani. Sapeva, dentro di sé, di essere soddisfatto per quell'evento anche a causa del sogno insistente che da settimane tormentava la sua mente. Ci pensava di continuo e la sua sola rievocazione era sufficiente per provocargli sbalzi di umore repentini e violenti. Di colpo si diede dello sciocco da solo; quel dannatissimo aereo molto probabilmente non esisteva nemmeno, e lui, da insulso quale era, persisteva nel conferirgli tutta quella importanza.

Era quasi giunto alla porta che aveva attraversato qualche ora prima per uscire all'esterno; non doveva fare altro che riattraversarla quanto più silenziosamente possibile, in modo che nessuno si accorgesse della sua presenza. I suoi commilitoni avrebbero anche potuto notarlo, non gli interessava minimamente, la cosa prioritaria era che non lo scorgesse Albert, o, ipotesi ancor più terribile, il comandante. Si voltò e richiuse delicatamente l'uscio dietro di sé, per poi girarsi e sobbalzare dallo spavento quando si ritrovò la sagoma del suo migliore amico di fronte, che lo fissava accigliato e con un misto di incertezza negli occhi.

<< Edward? Dio mi perdoni, sei fottutamente impazzito? Ti ho cercato per tutto questo stramaledettissimo fabbricato, razza di idiota! Dove diamine eri finito? Lo sai che Collins ha dato l'ordine di perlustrare ogni angolo? Teme che tu sia scappato, santo cielo! >>

Edward, al suono di quelle parole, impallidì di getto. Non poteva essere stato fuori tanto a lungo da aver destato un allarme collettivo. Era uscito quando ancora non si intravedeva l'alba, come aveva fatto a passare tutto quel tempo senza che lui se ne rendesse minimamente conto?

<< Collins..Collins mi sta cercando? >> il panico incrinò la sua voce. Già si prefigurava i castighi plausibili per quella condotta, sicuramente a detta dei suoi superiori, senza ritegno; non avrebbe potuto fare altro se non tentare di convincere Collins e chi di dovere del fatto che non intendesse assolutamente fuggire e far perdere le proprie tracce.

<< Ti stava cercando ancor prima di rendersi conto del fatto che eri sparito, a dire il vero. E' entrato nella nostra camera correndo come un toro in una corrida, dovevi vederlo. Mi sono svegliato di soprassalto, per poco non mi veniva un infarto. Si è guardato intorno dieci volte e, rendendosi conto che il tuo letto era vuoto, mi ha chiesto quasi urlando dove diavolo fossi. Non avevo nemmeno fatto caso che non ci fossi..è stato davvero..strano, ecco. Mi sono baluginati alla mente centinaia di pensieri nel raggio di pochi secondi..ho creduto perfino che te ne fossi andato via. Ultimamente ti comporti in maniera insolita, lo sai, amico? Non è da te. Di solito sono io ad avere attacchi di isteria, molte volte mi atteggio da schizofrenico, lo ammetto, ma tu..sei sempre stato la colonna portante, mi capisci, giusto? E' successo qualcosa, Edward? Sai che puoi dirmi tutto quello che ti passa per il cervello. >>

Edward si intenerì enormemente alla spiegazione del suo compagno. Si colpevolizzò più volte per averlo fatto preoccupare in quella maniera, dandosi dell'imbecille per essersi azzardato ad andarsene in giro spassionatamente nel cuore della notte senza avvertire minimamente nessuno.

<< Sto bene..io..ecco, no, forse non sto propriamente bene, ma di questo parleremo un'altra volta, d'accordo? Magari anche stasera. Adesso vedere Collins, immediatamente. Quel bestione starà dando di matto, me lo sento. Spero solo che non abbia chiamato Pole e tutti gli altri. >>

<< Non credo sia arrivato a tanto. Mi ha ordinato di trovarti il più in fretta possibile, è vero, ma da qui ad interpellare quelli dell'intelligence ce ne vuole. >>

<< Non importa. Devo comunque andare da lui. Anche perché se mi stava cercando alle cinque del mattino, vuol dire che deve necessariamente riferirmi qualcosa di grave. >>

Albert fece un cenno di assenso col capo.

<< Presumo tu abbia ragione. Ti accompagno. Andiamo. >>

L'ufficio del capitano era quanto di più caotico e disordinato si potesse umanamente concepire. L'odore dell'immancabile sigaro era disgustoso e perenne, infiniti plichi di fogli regnavano in ogni dove, e la sensazione che i due amici sperimentarono quando furono intimati, con freddezza, ad entrare, fu quella di essersi ritrovati catapultati in un altro mondo. Collins li fissava entrambi con aria contrariata e indispettita, ed Edward percepì il tremore intrinseco della propria mano, che strinse prontamente, senza pensarci nemmeno, a quella di Albert. L'amico lo scrutò qualche istante con stupore, ma successivamente, con grande sollievo del suo compagno, sorrise, rinsaldando ulteriormente la presa. Collins a stento non si fece uscire il fumo dalle narici.

<< Jones, sono estremamente contento di vederla, sa? Temevo non avrei più scorto il suo bel faccino da queste parti. >>

Edward sentì le guance imporporarsi completamente nell'attimo in cui i suoi occhi incrociarono quelli del suo capitano. Sperò vivamente e con tutto sé stesso di essere in grado di ribattere alle sue provocazioni in maniera educata e composta, senza lasciarsi prendere dall'agitazione o dalla voglia di rispondere in modo maleducato.

<< Voglio sperare che lei sia consapevole della straordinaria fiducia che ho sempre riposto nei suoi confronti, caro ragazzo..>>

<< Lo sono. Le assicuro che io..>>

I due ragazzi si trovarono a sussultare contemporaneamente dal terrore quando videro Collins sbattere violentemente sul tavolo di mogano la penna con la quale era intento a scrivere solo pochi minuti prima. Alzandosi precipitosamente dalla sedia, avvicinò di scatto il proprio viso a quello del suo giovane sottoposto.

<< Lei non è nella posizione di ribattere alcunché, mi ha capito, sottospecie di smidollato? Ero già ampiamente a conoscenza del fatto che in questo dannatissimo plotone si disattendessero anche le più basilari regole di comportamento, ma che un moccioso qualunque si azzardasse a scorrazzare per i campi nel bel mezzo della nottata, questo..questo mi mancava, sa? >>

Edward abbassò rapidamente gli occhi, preso com'era dalla voglia di replicare a tono a quelle assurde insinuazioni; avrebbe voluto riferirgli del sogno che lo opprimeva da settimane eludendo il suo riposo, con la capacità che aveva di catapultarlo in meandri angosciosi ed orripilanti, della spossatezza e dell'avvilimento che caratterizzavano la sua esistenza attuale, come contrassegnavano anche quella della totalità dei suoi compagni, del desiderio di fermarsi, di smetterla con quegli avvenimenti assurdi e senza alcuno scampo, del dolore che provava ogni qual volta si ritrovava a dover prendere coscienza della scomparsa di commilitoni e compagni ai quali aveva voluto un gran bene. Ma il volto del suo comandante esprimeva completa indifferenza ed un solido cinismo, volontà strenua di castigarlo per il suo errore senza il più semplice barlume di condiscendenza.

<< Mi dica una cosa Jones..lei dov'è che transita con il suo velivolo, di solito? >>

Edward apparve visibilmente confuso a quella insolita domanda. Presupponeva che Collins possedesse una mappa con tutte le diverse zone di controllo segnate, ma non immaginava minimamente che il capitano non fosse a conoscenza dell'area di transito che da sempre gli era stata affidata.

<< Io..sorvolo quotidianamente la zona est della Manica. Essendo la sua superficie particolarmente estesa, richiede un costante monitoraggio..>>

Gli occhi di Collins si illuminarono al suono di quelle parole.

<< Ha centrato il punto della questione, caro Jones. Glielo concedo, gentile ragazzo, mi meraviglio enormemente del suo essere straordinariamente arguto. Se solo si applicasse un po' di più..sarebbe sicuramente un asso nel nostro repertorio, un coscritto eccellente. Lei, a quanto pare, ha sempre sorvolato il distretto est della Manica, non essendo mai stato affidato ad altre zone d'influenza..dico bene? >>

Edward fece un cenno di assenso con il capo.

<< Peccato che ciò non le servirà più a niente. Dimentichi prontamente tutto ciò che era inerente alle sue mansioni in quello specifico settore. D'ora in avanti voglio che si sposti a sud. Sostituirà il giovane Jacob, deceduto una settimana fa a causa dell'esplosione subentrata al motore per mezzo del bombardamento di un qualche bastardo nazista. Non le occorrerà trastullarsi più del dovuto relativamente a faccende tecniche, non cambia assolutamente nulla in maniera radicale. Comincerà oggi stesso. Mi aspetto un chiaro adempimento a ciò che le ho ordinato, Jones, serio e rigoroso. E' capace di intendere queste mie parole? >>

Il giovane riuscì a mantenere un apparente contegno asserendo di avere inteso ogni singola cosa, quando, dentro di sé, percepiva i battiti del proprio cuore accelerare, senza un'apparente ragione, ad una velocità smodata.

Collins mosse la mano meccanicamente invitandoli, con finta gentilezza, a togliere le tende. Edward ed Albert lasciarono l'ufficio adoperando il consueto saluto militare, sforzandosi nel non palesare apertamente i propri pensieri, per poi scaraventarsi violentemente all'esterno nell'attimo esatto in cui la porta si richiuse con un fragore assordante dietro di loro.

Friedrich non smetteva di osservare la pioggia scrosciante crollare furiosamente al suolo, ed il frastuono provocato consisteva in un rumore talmente fastidioso da urtare terribilmente i nervi già eccessivamente tesi del ragazzo. Non aveva chiuso occhio neanche per un secondo; le fitte alla testa erano a tal punto dolenti da fargli temere di accasciarsi a terra da un momento all'altro. Un pensiero tormentoso ossessionava la sua mente da giorni, non concedendogli un attimo di tregua. Erano, infatti, passate circa tre settimane da quando Schulz gli aveva affidato l'incarico di abbattere l'aereo del soldato inglese, in tutto quel tempo sarebbe dovuto almeno essere in grado di comprendere le sue strategie di combattimento, le zone che controllava più di frequente, notizie ed informazioni che gli avrebbero permesso, in seguito, di apportare un piano vincente per riuscire a prevalergli. Invece non era stato capace nemmeno di rintracciarlo, in tutto quel tempo non aveva scorto il suo velivolo neppure in lontananza; ed il risultato ottenuto era stato quanto di più spiacevole e seccante Friderich si sarebbe mai prefigurato. Schulz si era indispettito enormemente all'arrivo del rapporto quotidiano in cui il giovane gli aveva tacitamente confidato di non essere ancora riuscito ad identificare l'aeromobile del britannico, lo aveva rimproverato più volte con stizza e indignazione, ed era arrivato addirittura ad impartirgli di rimanere in volo quanto più tempo possibile e di non atterrare fino a che non fosse, perlomeno, arrivato a scorgerlo da qualche parte.

Ma quella mattina qualcosa era diverso. Sentiva che non sarebbe andato tutto a finire come nei giorni precedenti, che vi erano una serie di eventi decisivi in atto, e che quello specifico giorno avrebbero avuto modo di concretizzarsi. E questa volta, per sempre.

<< Oggi il destino scopre le sue carte, bastardo. E la sua benevolenza può essere riservata solo ad uno di noi due. >>

Friedrich ebbe un attimo di esitazione nel momento in cui si accorse della comparsa, nella sua mente, di un paio di grandi occhi scuri che lo fissavano con un misto di profonda dolcezza ed ingenuità; ricordò le sensazioni provate nell'osservare quel volto angelico, talmente era delicato ed armonioso, iniziò ad arrossire violentemente e per poco non gli capitò di inveire ai quattro venti. Per tutto quel tempo si era imposto di non ripensarci più, concentrandosi esclusivamente sulla missione che gli era stata affidata. Era, infatti, perfettamente consapevole dell'effetto che rivestiva su di lui, ed il solo rimuginare sull'ipotetico significato non faceva altro se non scatenare un'infinità di paranoie nel suo animo. Si voltò in direzione della branda di Stefan; suo fratello dormiva completamente avvinghiato nelle coperte, dando l'impressione di stare morendo dal freddo. Si era alzato poche ore prima precipitandosi nel bagno a vomitare, per poi ritornare barcollando al proprio letto. Ci si era sdraiato sopra ed aveva iniziato a tremare violentemente. Friedrich si era terribilmente preoccupato viste le sue condizioni; la paranoia era una caratteristica che lo contraddistingueva da tutta una vita. Aveva scandagliato un edificio intero alla ricerca di un termometro e, quando era riuscito a trovarlo, era ritornato correndo nella loro stanza. Stefan aveva effettivamente la febbre alta, dolori interni ed una grande stanchezza. Gli aveva detto di rimanersene a riposo l'intera giornata e di aspettarlo per la cena. Ed ora, mentre fissava quel volto pallido ed emaciato, nonostante la sofferenza ancora paurosamente bello, con le ciocche dorate che gli ornavano la fronte donandogli un candore ed un'innocenza da bambino, non poté che provare un brivido lungo la schiena al pensiero che non era affatto scontato riuscisse a rientrare quella sera. L'ansia gli stava letteralmente divorando il petto; decise, quindi, di partire il più in fretta possibile. Non aveva senso rimuginare ulteriormente, tutte quelle riflessioni alimentavano costantemente e senza alcun freno l'apprensione covata dentro il proprio cuore. Rivolse un'ultima occhiata al fratello, poi si incamminò velocemente verso la porta, aprendola di scatto e richiudendola con altrettanto furore.

Edward sorvolava il distretto sud della Manica come minimo da un quarto d'ora quando il cielo prese a rannuvolarsi ancor più di quando aveva decollato. Aveva salutato Albert con un cenno del capo che esprimeva completamente tutta la sua frustrazione ed angoscia per quella opprimente situazione. Il fatto che Collins li avesse separati proprio non gli andava giù; dall'inizio del conflitto avevano sempre decollato all'unisono, perlustrando le medesime zone d'interesse e recandosi aiuto vicendevolmente quando gli eventi lo richiedevano. Ora si trovava a dover, invece, controllare un territorio di cui non conosceva nessun punto chiave, estremamente più lontano da quello del suo migliore amico, deserto ed assolutamente sconfinato. Pioveva a dirotto ed il mare aveva preso ad agitarsi incredibilmente, onde altissime solcavano l'intero promontorio e i luoghi circostanti; allora una sensazione di profonda inquietudine lo avvolse interamente, facendolo quasi paralizzare dall'orrore. Aveva abbattuto tre velivoli tedeschi da quando si era innalzato in volo; eppure, adesso, percepiva il proprio battito cardiaco aumentare incessantemente, i peli gli si rizzarono su tutte le braccia ed un fremito spaventoso lo fece quasi sobbalzare dalla paura. Il respiro accelerava, l'ansia prese a divorargli ogni singolo centimetro del corpo, e solo allora si rese conto del fatto che qualcosa di terribile stesse per accadere.
E poi, lo vide.
Un Messerschmitt tedesco, totalmente identico, in tutto e per tutto, a quello che da settimane tormentava i suoi sogni non concedendogli un attimo di riposo; virava con velocità inaudita nella sua direzione, tanto che gli parve di assistere ad un chiaro miraggio di morte imminente. Si presentarono le stesse identiche sensazioni sperimentate così tante volte nella raccapricciante visione delle sue notti. Ruotava il capo verso destra, sinistra, non trovando una via d'uscita. Non c'erano alternative, era in trappola. Il cuore era sul punto di esplodergli, gli veniva da vomitare e per poco non si mise ad urlare a causa del panico. Scese velocemente in picchiata con l'intento di sfuggirgli; una raffica di colpi lancinanti presero a colpire la fusoliera. Contrattaccò a sua volta e riuscì ad intaccare una parte del motore, ma non abbastanza da provocare un abbattimento. L'aereo del tedesco si ritrasse ed aumentò improvvisamente di quota; Edward comprese che quella era la sua occasione, salì rapidamente e cominciò ad inseguirlo per l'intera volta celeste, bersagliandolo di colpi ogni qual volta ce l'aveva sotto tiro. Ma il tedesco era furbo e non si lasciava colpire con facilità; scampava quasi ininterrottamente ad un attacco decisivo, riuscendo a gestire il proprio aeromobile con straordinaria abilità. Edward pensò che doveva trattarsi di un pilota assolutamente eccezionale, presumibilmente era un asso dell'aviazione avversaria, un autentico cadetto. Si sorprese di non aver mai avuto precedentemente l'occasione di misurarsi con lui. Forse non sorvolavano le stesse zone, o magari quella che stava avvenendo era una pura casualità.
Ad un certo punto si ritrovò a strillare di getto. Il tedesco aveva danneggiato irreparabilmente il suo motore. Stava andando in fiamme, riusciva a vedere la coltre di fumo fuoriuscire con stupefacente rapidità. Subito si allontanò dal mare e dal promontorio, decise istantaneamente di ritornare indietro, verso terra, verso il suo campo. Se l'aereo si fosse schiantato nell'oceano non avrebbe avuto nessuna speranza di sopravvivere, doveva, quantomeno, tentare di planare dolcemente sul terreno se voleva avere almeno una probabilità di uscirne vivo. Il crauto era in una posizione di vantaggio, maledizione, doveva necessariamente arrischiarsi a sperimentare una manovra azzardata se voleva capovolgere la sorte! Non sarebbe morto per lasciare in vita un dannatissimo crucco, non dopo aver compreso tutto il male che la loro folle ideologia stava arrecando a delle povere persone innocenti! Animato da una furia prorompente ed imperiosa, cominciò a danneggiare brutalmente entrambe le ali dell'apparecchio, per poi assestare uno sparo letale che fece, letteralmente, disintegrare l'elica del mezzo. La macchina iniziò ad oscillare impetuosamente, e nel momento in cui si contrasse, avviandosi a precipitare con sempre maggiore celerità, seppe con certezza che il bastardo aveva perduto il controllo. Si scoprì attonito nel seguire, con un cupo presentimento nello spirito, la discesa infernale di quella costruzione che, pochi minuti prima, aveva cercato di spedirlo nell'aldilà.

Friedrich lottava assiduamente per mantenersi in volo e non precipitare. Ma i comandi non rispondevano più; sembrava che tutto si fosse completamente arrestato, che nulla potesse intervenire in suo soccorso, e che il suo destino fosse quello di lasciare il mondo da un momento all'altro. Chiuse gli occhi ed una lacrima solitaria solcò il suo viso pallido e corruciato dalla disperazione; inutile dire che il suo ultimo pensiero, prima di schiantarsi al suolo, fu per Stefan.




 

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Capitolo 9
*** Incontri ***


Il sole splendeva alto nel cielo illuminando, con i suoi cocenti raggi, ogni singola cosa rifulgesse sotto il suo cammino. Il trillo assordante della pioggia era cessato ed, in lontananza, si sarebbe addirittura riuscito ad intravedere un arcobaleno se qualcuno avesse aguzzato particolarmente la vista. Friedrich aprì i propri occhi con estrema lentezza, portandosi istintivamente una mano sulla fronte, e quando si rese conto che, ritraendola, quest'ultima era letteralmente cosparsa di un caldo liquido rosso, si riscosse torcendosi spasmodicamente in preda al terrore. Numerose ferite dalle quali strabordavano rivoli impressionanti di sangue gli ornavano l'intero corpo, una gamba era persino incastrata fra le macerie del velivolo; la testa era sul punto di scoppiargli in preda alle convulsioni, il battito cardiaco prese ad accelerare con incredibile rapidità, d'altro canto il sudore si avviò a scendergli lungo le tempie, arrivando ad impregnare copiosamente anche la sua uniforme. Non si arrischiava neppure nel tentare di ricordare cosa fosse effettivamente accaduto. Il capo gli doleva al punto tale da fargli quasi credere che sarebbe nuovamente svenuto da un momento all'altro. Provò a sollevarsi, nei limiti di quanto gli era concesso, e di assumere una posizione eretta. Doveva innanzitutto comprendere dove diamine fosse finito. Non arrivava a capacitarsi dell'essere stato sconfitto ed abbattuto dall'inglese. Sprazzi di immagini cominciarono a baluginargli nella mente a velocità intermittente; rivide sé stesso, nell'aereo, bersagliare di colpi il velivolo del giovane britannico, era giunto perfino ad intaccare in maniera irreparabile la sua fusoliera. E poi? Poi, cos'era accaduto? Non lo sapeva, non era in grado di rammentare alcunché. Era a conoscenza esclusivamente del fatto che, ad un certo punto, si era ritrovato a precipitare nel vuoto incessantemente, con sempre maggiore celerità, sin quando non vi era stato un fragoroso schianto. Aveva lottato ferocemente per mantenersi in volo, per continuare a conservare un controllo, seppur minimo, dei comandi, ma non ne era stato capace. E successivamente? Presupponeva avesse semplicemente perduto i sensi, per via del panico e dell'assoluta incredulità che quella situazione comportava.

Friedrich iniziò gradualmente a scrutarsi attorno, anche se ciò rivestiva una difficoltà specificatamente brutale in quanto la sua vista era completamente annebbiata, e, con uno sforzo immane, provò a mettere a fuoco il territorio circostante, con l'obiettivo fondamentale e primario di rendersi conto della zona in cui si trovava. La prima cosa che seppe con assoluta certezza, fu la circostanza, realmente fortuita, di non essersi schiantato nell'oceano. Attorno a lui, infatti, si estendeva un gigantesco campo, la presenza delle fronde degli alberi era costante, si sarebbe detta una campagna rigogliosa, dove la presenza dei rottami del suo aeromobile non poteva che rivestire un ruolo assolutamente non confacente.
Improvvisamente un timore infernale lo catapultò in uno stato d'animo dettato, unicamente, dall'orrore. Se quello era un suolo appartenente al territorio inglese, doveva necessariamente ipotizzare che dei comandi nemici avessero intercettato il suo tracollo, presumibilmente stavano anche giungendo in quel luogo! Non c'era un attimo da perdere. Doveva liberarsi da quell'intrico di frammenti che a breve, ne era certo, avrebbero preso fuoco, ed allontanarsi il più in fretta possibile. Avrebbe pensato in seguito a come fare per rientrare nei ranghi del proprio plotone. Se davvero si trovava in una regione straniera, era perfettamente consapevole delle complicazioni ulteriori che si sarebbero verificate, ma desiderava, in quel momento, non prestarvi alcun dettaglio. La coscia era finita incastrata sotto il sedile del passeggero, non poteva nemmeno sollevarla, forse, pregò con tutto sé stesso che non fosse così, l'osso era stato danneggiato irreparabilmente.  Si guardò attorno disperato ed affranto, ma le uniche cose che vedeva erano solamente rovine.

E poi, il cuore quasi non gli sobbalzò nel petto. Acuendo l'udito fino agli estremi, ebbe, d'un tratto, la sconvolgente consapevolezza dell'arrivo di qualcuno. Percepiva il parlottare sommesso di alcuni uomini in una lingua che a stento intendeva, di sicuro non era inglese, e quel particolare non poté che rassicurarlo, generandogli una piacevole e tranquillizzante sensazione nell'animo, magari le sue erano unicamente paranoie, forse non era atterrato in Inghilterra, c'era ancora la speranza che potesse trovarsi da qualche parte in Francia!
Si distese verticalmente cercandosi di nascondere, per quanto gli era dato, negli anfratti del suo aereo. Non che temesse un eventuale ritrovamento da parte dei francesi, se davvero essi erano tali, ma avrebbe preferito di gran lunga passare del tutto inosservato. All'istante si diede dello stupido da solo per aver riposto fiducia in quell'assurda fantasia. Davvero si illudeva che i detriti di una macchina di simili dimensioni venissero totalmente ignorati? Piuttosto che stare lì a rimuginare senza sosta, doveva agire. Per un attimo, mentre persisteva nel fissare ostinatamente il paesaggio circostante, nella speranza di scorgere un qualcosa che potesse aiutarlo a liberarsi dagli opprimenti resti della macchina che gli schiacciavano, letteralmente, la gamba, gli attraversò la mente il pensiero di Stefan. Si chiese cosa, e, soprattutto, come avrebbe reagito il fratello nel momento in cui sarebbe giunta, al plotone, la notizia del suo abbattimento e del suo presunto decesso. A quest'ora, di certo, si sarebbero dovuti rendere conto del fatto che qualcosa non andasse come sarebbe dovuta andare. Erano passate più di due ore da quando era decollato con il proprio aereo, ricordava ancora con assoluta precisione le sensazioni paradossali che aveva sperimentato nell'attimo in cui si era seduto ai comandi; agitazione ingiustificata ed un profondo turbamento interiore, uniti alla consapevolezza dell'attuazione, di lì a breve, di un inesorabile e tragico fato. Un senso di ingombrante rabbia lo pervase da capo a piedi; quella maledetta mattina si era talmente tanto avviluppato sui propri oneri e sulla strenua volontà di portarli a compimento fino in fondo, da aver persino dimenticato di salutare in maniera consona il fratello prima di partire. Gli aveva esclusivamente lanciato un'occhiata di sottecchi, come se non sopportasse l'idea di lasciarlo solo quella giornata, angoscia accentuata ulteriormente dal saperlo malato ed estremamente debole, come se avesse preferito non pensare all'eventualità di un suo fallimento. Si era sforzato di credere che tutto sarebbe andato per il meglio, che ce l'avrebbe fatta a sconfiggere l'inglese, che sarebbe atterrato vittorioso e glorificato oltremodo dall'aver portato a termine la sua agghiacciante missione. Ed ora, a dispetto dei suoi desideri più intimi e radicati, si trovava in quella sottospecie di selva ombrosa e fitta, non sapendo neppure in quale paese fosse finito, dolorante dalla testa ai piedi, con gli abiti intrisi di un miscuglio contenente sangue rappreso unito ad un'abbondante quantità di sudore e, come se queste cose non contribuissero già ad alimentare assiduamente la sua pena, con una gamba che era sul punto di spezzarsi per la pressione esercitata da un pezzo di lamiera che le ostruiva il passaggio. In un vano tentativo di calmarsi e di focalizzare attentamente le ultime energie rimastegli per liberarsi, estrasse dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto di stoffa che era solito portarsi sempre appresso; se lo passò delicatamente attorno alle tempie, per poi giungere a tamponarsi con estrema accortezza uno squarcio enorme localizzato in prossimità della guancia, che bruciava a tal punto da fargli quasi male, comparsogli, presumibilmente, per via del tragico impatto occorso quando si era schiantato con il velivolo. Sentiva le forze venirgli progressivamente meno, era certo che sarebbe svenuto da un momento all'altro se non procedeva ad uscire da quell'ammasso di frantumi rapidamente. Con uno sforzo immane, che non tardò a procurargli estrema sofferenza, spinse indietro la coscia nello sforzo colossale di sollevarla quanto più possibile all'esterno, per poi, successivamente, cacciarla fuori interamente. La carne prese a lacerarsi per ciascun movimento azzardato che compiva, mentre numerosi fiotti di sangue cominciarono a scaturirgli da ogni singolo lembo di pelle; infatti, lo strazio che era costretto a sopportare era a tal punto intenso da averlo indotto a gridare più volte in preda ad un dolore lancinante. Ma, in definitiva, ebbe un esito positivo : la gamba riuscì a svincolarsi da un gigantesco pezzo di lastra metallica che la ostruiva per metà, ed inoltre, nonostante fosse dilaniata quasi per intero, Friedrich constatò che non doveva essersi fratturata irrimediabilmente. Appoggiandosi con entrambe le mani a ciò che rimaneva del suo originario sedile, provò ad alzarsi verticalmente e, se la misericordia divina non lo abbandonava in quel preciso frangente, a balzare fuori dal finestrino dell'aeromobile. Il suolo era ancora bagnato a causa della recente pioggia, mentre l'aria si manteneva fredda ed umida, e a tratti vi erano addirittura dei leggeri accenni di nebbia. Friedrich si mosse con circospezione, scrutando attentamente il territorio che lo circondava; frattanto, il rumore dei passi che sembrava stessero dirigendosi nella sua stessa direzione aumentava ininterrottamente, forse appartenevano addirittura a più di una persona. Le voci si andavano lentamente intensificandosi, si distinguevano chiaramente due persone che discutevano con fare concitato. Una sembrava essere, dal tono della voce, più giovane ed immatura, mentre l'altra pareva a momenti un uomo adulto, anche se non particolarmente in là con gli anni. Il borbottio stava, nel frattempo, assumendo un tono sempre più distinguibile ed apertamente riconoscibile, e Friedrich ebbe la disgustosa e ripugnante consapevolezza del rendersi conto che quel mormorio indistinto e, per certi versi, quasi incomprensibile, fosse effettivamente inglese, e questo lo inquietò oltre ogni dire. Anche se non era in grado di comprendere la totalità di cose che si scambiavano quei due, riconosceva molti dei termini adoperati, ricordava di averli studiati lui stesso a scuola non molto tempo prima, e la cadenza con cui terminavano le frasi faceva palesemente riconoscere l’inconfondibile accento britannico.

 ''Dunque, cosa mi stavi dicendo?'' mugugnò il più piccolo in maniera alterata.

L’altro sbuffò sonoramente passandosi una mano sulla fronte sudata.

''Sai, Thomas caro, vorrei che la smettessi di pensare ogni secondo di tempo libero che ti ritrovi a quella poco di buono della tua fidanzata, e ti concentrassi almeno un dannatissimo momento su quello che la gente ti dice!''

''Stai forse insinuando qualcosa, vizioso di un gallese?'' replicò Thomas fissandolo dall’alto in basso.

Quello proruppe in una sonora risata e ricambiò il suo sguardo assumendo un’espressione sarcastica.

 ''L’ho detto semplicemente perché sapevo che in questo modo avrei catturato la tua attenzione, sciocco. Sai perfettamente quanto io apprezzi la graziosa Edith.''

Thomas gli fece un sorriso ambiguo e lo invitò, con un gesto di stizza, ad affrettarsi nello spiegargli per quale assurda motivazione si trovassero in quel luogo.

 ''Te lo ricordi Jones, Edward Jones? Il tipo che viene dall’Hampshire, se non mi sbaglio, quello di cui un tempo ci facevamo beffe dicendo che era invertito per quanto stava appiccicato a quel beota del suo amico? Stamattina, a quanto sembra, deve avere abbattuto un crauto non molto lontano da qui, ma per uno sfavorevole imprevisto il crucco pare essere precipitato a terra, e non in mare. Prima ho stilato assieme ad altri che mi sono sembrati particolarmente interessati una casistica dei luoghi in cui c’erano probabilità evidenti di ritrovare il suo velivolo schiantato, e questa ha tutta l’aria di essere la più promettente. Collins mi ha detto di andare a fare un sopralluogo ed eventualmente, se ne avevo voglia, una ricognizione. Per questo ti ho portato con me, piccolo babbeo, non mi sognavo neanche per tutto l’oro del mondo di andare da solo. Il comandante mi ha anche riferito che, se avevo la fortuna di rinvenire quella sottospecie di barbaro ignorante ancora in vita, glielo dovevo consegnare intatto senza torcergli un solo capello; ipotesi che, non so per quale ragione, mi è assolutamente odiosa, ma non gli ho naturalmente detto nulla.''

All’improvviso si sentì un grido talmente assordante da aver, letteralmente, squarciato il silenzio penetrante che regnava sino ad allora. Il maggiore si voltò in direzione del suo amico e vide Thomas indicare, con gli occhi completamente sgranati e luccicanti, tremante ed allo stesso tempo visibilmente eccitato, un punto indefinito all’orizzonte.

''Eccolo! Ho trovato l’aereo!'' bofonchiò con voce rotta dall’emozione.

Infatti, l’intero paesaggio circostante era, nel vero senso della parola, cosparso di una smisurata accozzaglia in cui confluivano enormi frammenti di rottami e macerie. Alcuni avevano persino preso fuoco, mentre altri erano sul punto di farlo; in lontananza, invece, si distingueva chiaramente una nube di fumo grigiastra che si muoveva indistintamente nella loro direzione.

''Per l’amor del cielo, quel farabutto si sarà come minimo disintegrato..non ho mai visto una cosa del genere, neppure negli incidenti più tragici.'' esordì Thomas con uno sguardo che esprimeva evidente perplessità ed esitazione.

''E se invece fosse sopravvissuto e si aggirasse nei meandri di questa terrificante foresta?'' replicò l’amico assumendo un tono volutamente inquietante.

Thomas gli rivolse un’occhiata infastidita.

''Sei un autentico imbecille, Carl, smettila di cercare di spaventarmi..piuttosto, non avvicinarti troppo a quei detriti, non vorrei che ci lasciassi le penne.''

''Davvero credi che io possa..''

Thomas, dopo aver atteso una buona manciata di secondi, si voltò pigramente in direzione dell’amico, domandandosi internamente per quale ragione non avesse terminato la frase; era sempre stato fondamentalmente molto loquace, e quell’improvviso zittirsi senza alcuna spiegazione plausibile non poté che turbarlo notevolmente. Carl sembrava essersi paralizzato sul posto, assumendo una posizione rigida e controllata; non accennava movimenti evidenti, e non pareva nemmeno sentirlo, e l’amico, guardandolo con maggiore concentrazione, come non aveva mai fatto sino ad allora, si sentì invadere da una profonda sensazione di inquietudine.

''Carl? Che ti prende, amico? Rispondimi, ti prego.''

 ''Thomas, credo..credo di aver sentito un rumore.''

Il compagno lo fissò con il volto deformato dallo sconcerto e per poco non incespicò su sé stesso, nel mentre che si ritraeva terrorizzato. Ne aveva abbastanza di quella situazione paradossale oltre ogni limite; aveva accettato di accompagnarlo in quella perlustrazione solamente perché gli dispiaceva che andasse da solo, ma adesso stava iniziando a spazientirsi. Quell’intrico insormontabile di abeti e betulle gli dava la sgradevole impressione di essere sul punto di soffocare, oltre al fatto che lo angustiava molto più di quanto sarebbe riuscito ad esprimere a parole; sentiva la necessità impellente di allontanarsene all’istante, prima che, ne era certo, accadesse qualcosa di irreparabile.

''Se stai cercando di prenderti gioco di me, Carl, ti assicuro che possiamo anche porre fine alla nostra amicizia in questo preciso..''

''Attento!'' urlò Carl alla vista di Friedrich che balzava addosso al suo amico come una tigre inferocita, colpendolo con violenza alla testa. Thomas cadde a terra, battendo brutalmente il cranio contro una pietra del terreno; Friedrich non aspettò altro, e gli si gettò addosso tutto d’un peso, afferrandogli la gola e usando, contemporaneamente, entrambe le mani, con l’intenzione di strangolarlo. Il più piccolo si divincolò più e più volte, battendo incessantemente le mani e i piedi per tentare disperatamente di liberarsi, ma la stretta dell’aggressore era decisa e non lasciava via di scampo alcuna, essendo che era enormemente più robusto e possente di lui, e Thomas, compreso di non potere sfuggirgli, ad un certo punto gli si arrese placidamente, e non oppose più nessuna resistenza.
E poi, ad un certo punto, si udì un colpo fragoroso. Thomas vide il compagno battere con decisione il calcio della pistola sul capo del crauto, e quello crollargli incosciente sul petto, invadendolo totalmente con la sua sgradita presenza.

Carl lo aiutò a rivoltarlo dall’altro lato, per poterlo scrutare accuratamente in faccia; il risultato ottenuto fu piuttosto penoso. Non si differenziava molto dalla maggioranza dei soldati tedeschi che avevano avuto l’occasione di incontrare sino a quel momento : capelli biondi, carnagione pallida ed occhi, presumibilmente, azzurri.

''Hai aspettato che quasi mi ammazzasse per intervenire..grande amico che sei! Potevi almeno sparargli, accidenti!''

''Ecco la dimostrazione della tua eccelsa capacità di comprendonio. Hai forse dimenticato cosa ti ho detto non meno di dieci minuti fa? Collins mi ha detto di riportarglielo intero se lo ritrovavo vivo. Non avrei potuto ucciderlo neanche se lo avessi voluto.''

Thomas lo squadrò con diffidenza, palesemente a disagio.

''Ma come avrà fatto a sopravvivere ad uno schianto del genere? Mi sembra abbastanza inverosimile come cosa.''

''Non ne ho la più pallida idea. Comunque non è messo bene. Ha ferite gravi..avrebbe bisogno di essere ricoverato, quantomeno, per un mese intero. Ma queste non sono cose che ci riguardano, e non ci devono nemmeno interessare. Aiutami a caricarlo sul furgone; in fretta, potrebbe svegliarsi da un momento all’altro. Una volta arrivati, avremo portato a termine il nostro compito, e potremo goderci lo spettacolo.''

Thomas lo assecondò fiaccamente.

''Carl?''

''Sì? Dimmi."

''Grazie..per prima. Se non ci fossi stato tu, non so come sarebbe andata a finire.''

Il compagno gli fece un grande sorriso sincero e, poggiatagli una mano sulla spalla, lo invitò a dirigersi insieme verso la loro vettura.

Edward stentava a ricordarsi l’ultima volta in cui si fosse sentito talmente male come gli stava capitando in quell’occasione. Aveva rischiato di perdere la vita maggiormente in quella circostanza che in tutto il resto della propria esistenza, e lo scontro inevitabile con il tedesco lo aveva lasciato assolutamente privo di qualunque residuo di energia rimastagli, oltre che con una profonda tristezza e malinconia nell’animo. Aveva lottato assiduamente, si era sforzato di mantenere intatti i comandi del velivolo, di non precipitare e schiantarsi, conseguentemente, al suolo, di non andarsene all’altro mondo prima che fosse arrivata realmente la sua ora. Aveva sperimentato una miriade di sensazioni diverse in quei maledetti frangenti, che erano state in grado di lasciarlo senza fiato, sconvolto, totalmente paralizzato. Dall’ammirazione smodata per quel pilota dalle capacità eccezionali senza volto e senza nome, al risentimento provato nei confronti della nazionalità cui apparteneva, al timore intrinseco ed infernale dell’eventualità che riuscisse effettivamente ad abbatterlo. Il terrore, la disperazione e l’angoscia percepite alla sua vista gli avevano invaso ogni singolo centimetro di corpo, penetrando con sfrontatezza ovunque potessero. L’ansia gli aveva letteralmente divorato il petto, il cuore era improvvisamente saltato in gola, i peli gli si erano rizzati su entrambe le braccia, ed infine non era più stato capace di usufruire di alcuna facoltà motoria. La rappresentazione materiale dell’incubo che lo assillava e tormentava da settimane intere era stata quanto di più raccapricciante e spaventevole si potesse umanamente concepire ed immaginare. Non avrebbe neppure saputo palesarsi nella mente la maniera in cui era riuscito a prevalergli. C’era stato un momento in cui aveva seriamente temuto di poterci lasciare le penne. Era stato quando il crauto lo aveva bersagliato di colpi intaccando irreparabilmente la sua fusoliera, e lui si era messo a strillare come un forsennato in preda ad una crisi isterica, scendendo in picchiata con l’intenzione di sfuggirgli. E poi? Poi, cosa diamine era accaduto? Come diavolo aveva fatto a ribaltare diametralmente le sorti? Rammentava esclusivamente di aver avvertito una rabbia profonda instillarsi nel suo animo, una collera micidiale gli aveva pervaso ferocemente l’organismo, ed allora aveva preso a contrattaccare con tutta la forza e la costernazione di cui gli era rimasta traccia. Ed alla fine aveva prevalso. Il tedesco aveva perduto il controllo dell’aeromobile ed era stramazzato, generando un tonfo assordante e fragoroso, sul terreno che circondava il plotone del proprio reggimento. E lui si era scoperto, con un cupo presentimento nello spirito, completamente sorpreso ed attonito nel seguire la lenta ed inesorabile discesa di quella diabolica macchina.

Un pensiero fulmineo gli attraversò di scatto il cervello, andandosi a fissare rapidamente nei suoi pensieri. Cos’era accaduto al crucco che aveva affrontato quella mattina? Era morto per le ferite riportate? O, contrariamente alle aspettative di tutti, si era miracolosamente salvato? E dove si trovava adesso? Ancora nel suo aereo? E se si fosse disintegrato a causa dell’impatto verificatosi?

Rimembrava che, quando era rientrato tra i ranghi del suo distaccamento, atterrando nelle file del drappello, aveva trovato Collins ad attenderlo sull’uscio dell’edificio grigiastro da cui, ogni giorno, si innalzava e partiva, trafelato e con le guance imporporate da cima a fondo per aver corso come un forsennato sin lì. Aveva scorto di sfuggita il ragazzo mentre si apprestava a varcare la soglia dello stabile, notando il pallore e la stanchezza sul suo viso. Lo aveva scrutato con un misto di incertezza ed apprensione nello sguardo, avvicinandoglisi con impazienza e trepidazione, per poi domandargli, con una gentilezza che contribuì a stupire il giovane enormemente, visto quel che era accaduto solo poche ore prima, se si sentisse bene e fosse tutto nella norma, o se avesse la necessità di recarsi in infermeria per farsi dare qualche punto di sutura.

''Mi dispiace, Jones. Mi dispiace terribilmente. Sono estremamente affranto per il trattamento riprovevole che le ho riservato questa mattina, io..la prego di perdonarmi. Le responsabilità che mi gravitano addosso quotidianamente, i reparti che assillano da ogni dove, ed ora anche quel benedetto servizio di intelligence..purtroppo esistono miriadi di questioni che non può neanche immaginare. Sono davvero molto stressato in quest’ultimo periodo..le chiedo nuovamente di scusarmi il mio comportamento. Ero talmente in ansia per lei, caro ragazzo..abbiamo intercettato il suo velivolo per mezzo dei radar. Se l’è vista davvero brutta questa volta, maledizione. Ci siamo resi conto troppo tardi del fatto che quel bastardo nazista fosse quasi sul punto di farla capitolare, stavo già dando disposizioni per inviarle prontamente dei rinforzi, e l’avrei fatto, cavolo se l’avrei fatto, eccome..se la situazione non si fosse risolta per il meglio. Questo non fa altro se non testimoniarmi ulteriormente la sua straordinaria ed assolutamente eccezionale capacità nel volo. Non ha idea di quanto io sia fiero di lei, Edward.''

Ed ora che ci stava riflettendo nuovamente, steso comodamente com’era sul proprio letto, era pienamente sicuro di essere arrossito violentemente al suono di quelle parole sincere, pronunciate schiettamente dal suo comandante. Collins non era mai stato una tipologia di uomo che si lasciasse andare a facili complimenti, non elogiava i suoi sottoposti per nessuna ragione al mondo e stentava a ricordare di fare anche solo dei semplici apprezzamenti quando si ritrovava di fronte soldati che dimostrassero insolite e particolari abilità; ragion per cui, il fatto che avesse mostrato apertamente ammirazione e soddisfacimento in virtù della vittoria riportata da un suo subalterno, doveva necessariamente essere considerato un avvenimento di portata atipica e, quantomeno, fuori dal comune.

''Comandante, io..ecco, a dire il vero, c’è una cosa che devo confessarle. Il crauto..mi scusi, volevo dire, il tedesco..lui..sfortunatamente non ha avuto l’occasione di schiantarsi con l’aeromobile nel distretto della Manica. Per una infelice coincidenza..è precipitato invece sul nostro suolo. C’è stato un momento, durante lo scontro, in cui ho temuto seriamente di essere sul punto di perdere il controllo del velivolo..e, allora, ho cercato di virare direzione e di allontanarmi, tentando di raggiungere il più in fretta possibile la terra..lui mi ha naturalmente seguito, ed alla fine è capitolato. Disgraziatamente non sono a conoscenza dell’esatta località in cui deve essersi sfasciato, ma posso fornire eventualmente delle indicazioni sommarie, nel caso in cui riteneste fosse opportuno andare a fare una perlustrazione..nell’ipotesi di disfarsi, poi, dei resti della macchina e..del corpo di colui che ospitava..''

Il giovane ebbe un leggero fremito e poco ci mancò che non si mettesse a sospirare sconsolato, quando si rese conto di stare alludendo, col suo discorso, al soldato tedesco presumibilmente deceduto solo poche ore prima. Ma per quale assurda ragione perdurava nel pensare, in maniera alquanto accanita ed ostinata, a lui?

Dall’inizio del conflitto si portava sulla coscienza le morti di innumerevoli piloti che appartenevano allo schieramento avversario; ricordava che, per la morte di alcuni di loro, aveva sperimentato addirittura brividi di eccitazione e contentezza. Era stato intimamente felice del fatto che la loro immonda presenza non potesse persistere nel contaminare il suolo europeo, aveva gioito assieme ai suoi compagni brindando come si faceva alle feste di una volta, in cui ci si congratulava reciprocamente per l’avverarsi di un evento ritenuto particolarmente fortuito e propiziatorio. Ed ora? Cosa c’era di diverso quella volta? Perché continuava a figurarsi, nella mente, l’immagine del suo velivolo che, perdendo visibilmente il proprio controllo, e non riuscendo più in alcun modo a stabilizzarsi per riprendere i comandi, precipitava in picchiata portandosi inesorabilmente appresso il suo conducente? Non sapeva nemmeno che volto avesse, quale fosse il colore dei suoi occhi, se avesse i capelli biondi o castani, quale fosse stato il suono della sua voce; aveva avuto un tono melodico e soave, o, al contrario, aspro e disarmonico? E, soprattutto, prima di morire, quali erano state le sue ultime riflessioni? L’idea di non aver avuto neanche l’occasione di poterlo incontrare, e, magari, di complimentarsi apertamente per la sua eccellente abilità nel volo, gli era assolutamente odiosa ed insostenibile.

Collins si disse d’accordo con quanto affermava.

''Ha perfettamente ragione, Jones. Manderò immediatamente una pattuglia sul luogo dello schianto. Nonostante si potrebbe asserire con piena certezza che il bastardo non ce l’abbia fatta a sopravvivere all’esplosione, è sempre meglio esserne totalmente sicuri, no? Piuttosto, adesso si concentri solo ed esclusivamente su di lei. E’ talmente pallido che spaventerebbe un fantasma in persona. Si ritiri con immediatezza negli alloggi e vada a riposarsi. Quando si sarà svegliato la manderò a chiamare, e allora discuteremo con maggior riguardo.''

Ed Edward, quel consiglio, l’aveva seguito alla lettera. Dopo essersi congedato adeguatamente dal proprio comandante, aveva provveduto a ritirarsi nei suoi alloggi con una tempestività abbastanza insolita, mai adoperata prima di quel momento, che aveva lasciato di stucco i commilitoni del reparto, che desideravano porgergli le proprie felicitazioni per la straordinaria battaglia aerea ingaggiata quella mattina; la notizia era riuscita a trapelare molto in fretta, si notava dal fatto che ne erano tutti oramai dettagliatamente a conoscenza, e quella sgradevole circostanza non poteva nulla se non incentivare ulteriormente la nervatura che già contribuiva ad attanagliargli la mente. Si era precipitato nella camera assegnatagli al suo arrivo con una smorfia di risentimento sulle labbra, urtato dal fatto che fosse scarsamente illuminata dalla luce solare, detestava il buio e l’umidità sin da quando era un semplice bambino, sdraiandosi sulla misera branda in preda ad un profondo contrasto interiore. Sentiva l’avvilimento e l’inquietudine penetrargli intensamente nell’animo, ed il solo pensiero di non essere in grado di comprendere cosa effettivamente gli provocasse quelle insopportabili e spiacevoli emozioni per poco non lo fece urlare dalla frustrazione. Si portò il cuscino alla testa e lo schiacciò sul capo con tutta la forza di cui era munito, magari in quella maniera sarebbe finalmente stato capace di non congetturare più alcunché, e si sforzò di addormentarsi anche solo per un istante, malgrado ogni tentativo non facendocela.

E fu in quello stato di dormiveglia che il compagno lo ritrovò mezz’ora più tardi. Edward giaceva mortalmente pallido sul miserabile lettino completamente avviluppato nelle coperte, con il lenzuolo poggiato in modo da coprirgli l’intero corpo, nascondendo totalmente il viso del giovane nella coltre biancastra. Albert ebbe un secondo di esitazione nell’osservare quella gracile figura posizionata, com’era, in quella assurda maniera, credette in un primo momento che l’amico non si sentisse bene, fece per avvicinarglisi con l’intento di prestargli soccorso, ma subito confutò l’ipotesi fatta nell’attimo in cui vide l’altro alzarsi dal suo disordinato giaciglio con le gote interamente arrossate, talmente tanto da far presupporre che il giovane si fosse appena riuscito a liberare da una violenta e spasmodica collutazione.

''Edward..'' cominciò piano Albert, tastando il terreno per considerare se fosse il caso di rivelargli quel che aveva da dirgli, per poi zittirsi istantaneamente quando lo vide portarsi l’indice alla labbra, facendo intendere che non anelava ad ascoltare niente di quel che gli si voleva annunciare.

''Ti prego, qualunque cosa tu abbia da dichiarare, di non farlo adesso. Ho un mal di testa di portata assolutamente eccezionale, mi sta scoppiando il cervello..sento che potrei svenire da un momento all’altro.'' Edward lo fissò con angoscia e gli sorrise debolmente; nel mentre si girò lentamente su sé stesso, camminando a rilento come se gli dolessero incredibilmente le gambe, per poi andarsi ad accasciare portandosi una mano alla fronte sulla sedia accanto alla loro scrivania.

''Amico, mi dispiace immensamente per le tue condizioni..non reputare che voglia arrecarti fastidio o altro..sono venuto soltanto ad informarti del fatto che..ecco, il tedesco che hai abbattuto questa mattina è..beh..è vivo, Edward. Già, proprio così. Lo stanno portando qui e..Collins mi ha detto di dirtelo. Vuole che tu lo veda per primo quando..quando giungerà.''

Avvenne in quella specifica occasione, che da allora in poi non ebbe più alcuna possibilità di ripresentarsi nel corso della sua esistenza, che Edward ritenne seriamente gli si fosse fermato il cuore nel petto. E se ciò non era realmente accaduto, era pur sempre certo di aver perso più di un battito. Avvertiva la sua coscienza intimargli di non accettare la veridicità di quell’affermazione, perché, se lo avesse fatto, la realtà effettiva gli si sarebbe parata d’innanzi con prorompenza tale da lasciarlo, se tutto fosse andato nel migliore dei modi, sconcertato e senza parole per esprimere il turbamento interiore che quella dichiarazione gli aveva provocato. Riapparirono con repentinità tutte le incresciose sensazioni sperimentate più e più volte nei giorni e nelle settimane precedenti; tremore incessante, sudorazione, palpitazione ossessiva, aumento della frequenza cardiaca coadiuvato alla convinzione che gli mancasse il respiro e fosse sul punto di morire soffocato. Si voltò con una maschera di puro orrore dipinta sul volto in direzione del compagno; Albert lo osservava ansioso, era sbiancato in viso quando aveva notato le reazioni compulsive manifestate dall’amico, ed ora stava visibilmente riflettendo se fosse opportuno continuare o meno.

''Edward, noi ora dovremmo andare..dovremmo davvero andare. Saranno arrivati e..conosci Collins, dà di matto se le persone arrivano in ritardo. Per favore, prendi la mia mano e..e vieni con me.'' Albert non poté che persistere qualche altro minuto nello scrutarlo attentamente in un silenzio tombale e, constatato con evidente prontezza quanto l’amico fosse concretamente agitato ed incerto, gli porse con dolcezza il braccio, che l’altro strinse saldamente non appena la paralisi dell’istante prima, quella che gli aveva letteralmente ghiacciato le membra intere, si svincolò dai suoi muscoli e dal tessuto corporeo, aggrappandosi risolutamente a quel pezzo di carne come se da esso dipendesse la sua stessa sopravvivenza. Albert rinsaldò ulteriormente la presa e gli disse di stare tranquillo. Uscirono assieme dalla minuscola camera che, come al solito, perdurava in uno stato di oscurità quasi globale, avviandosi a scendere le scale per raggiungere rapidamente l’atrio in cui ci si prefigurava sarebbe apparso il prigioniero tedesco in compagnia dei soldati inglesi che l’avevano celermente catturato. I due, man mano che accorciavano la distanza che li separava dal vestibolo principale, indugiavano nello stringersi con fervore le mani, nonostante le motivazioni fossero diametralmente differenti. Edward non aveva la forza di lasciarla per il dannato timore che, se fosse stato veramente in grado di farlo, sarebbe poi fuggito correndo a perdifiato come un codardo, pur di non incontrare l’occupante del velivolo distrutto all’alba di quella maledetta mattina. Albert, d’altro canto, giudicava di non aver mai realmente inteso, prima che si verificasse quell’evento, le impressioni ed i tormentosi dubbi che animavano con un tale impeto l’amico. Serrargli il palmo era un modo per tenerlo accanto a sé, per comunicargli serenità, pacatezza, tentando disperatamente di smorzare il nervosismo e l’inquietudine che lo attanagliavano; e lo faceva a dispetto del fatto che non riuscisse a comprendere totalmente cosa fosse davvero responsabile dello sgomento del compagno.

Quando arrivarono, e non si può affermare che ci impiegarono poi molto, la sala era letteralmente gremita di soldati, uno più concitato dell’altro. Edward si sorprese immensamente nel rivedere volti di cui a stento rimembrava le fattezze, c’erano suoi vecchi commilitoni che ora erano stati trasferiti in altri dipartimenti, reclute, addetti alla sicurezza, alla mensa, alle mansioni più disparate. Sembravano tutti terribilmente in ansia, e, allo stesso tempo, mostruosamente eccitati nell’ipotesi di incontrare, per alcuni sarebbe stata forse la prima volta, uno di quegli evanescenti fantasmi crauti, affrontati duramente ogni singolo giorno dallo scoppio del conflitto, e, tuttavia, mai realmente scorti o guardati negli occhi.

Albert diede uno spintone ad Edward per attirare la sua attenzione. Aveva notato più volte lo sguardo di Collins posarsi sulle loro sagome, e credeva fosse il caso di informare l’amico del fatto che avrebbero dovuto recarsi da lui.

''Edward, non per farti andare in agitazione, ma Collins ci sta fissando con insistenza e da parecchio, anche. Forse dovremmo andare da lui..magari ha qualcosa da dirci. Te la senti?''

Gli occhi dell’amico guizzarono fulminei da una parte all’altra dell’anticamera.

''Cosa diamine ci fa tutta questa gente qui..non hanno nient’altro da fare?''

''Dai, lasciali perdere, evidentemente sono curiosi quanto noi. Anche se, non me ne volere a male, Edward..a dire il vero, non credo proprio ci sia qualcuno, in questo momento, interessato tanto quanto te a questa sottospecie di bastardo tedesco; già non lo sopporto, vedi? E non lo conosco nemmeno! Guarda che sono tutto tranne che uno stupido, te lo assicuro. Ho notato prima il tremore delle tue mani, il sudore, la pallidezza che ti ha invaso improvvisamente il viso..mi vuoi dire una buona volta cosa c’è che ti tormenta? Sei in queste condizioni da..''

Albert non poté finire la frase in quanto venne interrotto dal timbro squillante ed iracondo del loro comandante che, visibilmente contrariato, stava dirigendosi nella loro direzione.

''Che state combinando, ragazzi? E’ da un quarto d’ora che vi osservo confabulare di nascosto. C’è forse qualcosa che dovrei sapere e della quale non sono evidentemente a conoscenza?''

I due si rivolsero un’occhiata spaesata, non sapendo in che modo rispondere.

''Assolutamente, comadante..si sbaglia. Non stavamo discutendo di nulla in particolare; presumibilmente siamo, come tutti, assai intrigati dell’arrivo del prigioniero abbattuto questa mattina. Non ne arrivavano da un po’, giusto?'' Albert si ritrovò ad inghiottire la saliva in preda al nervosismo quando si rese conto di aver detto una cosa completamente a sproposito. Collins lo esaminò con astio, volgendogli un’espressione sprezzante, per poi dirigere lo sguardo verso il suo compagno.

''Jones, per l’amor del cielo, cosa accidenti le prende in quest’ultimo periodo? L’ho lasciata che era bianco come uno spettro, e la ritrovo in condizioni oserei dire peggiori. E’ sicuro che non desideri riposarsi per qualche tempo? Se la sua aspirazione è ottenere un congedo di un paio di mesi, sono disposto ad accordarglielo, giovanotto..pur di non vederla ridotto in questo stato.''

Edward fece un sorrisetto malinconico a quelle parole.

''Non è necessario, glielo garantisco. Sto..stiamo semplicemente attraversando una serie di eventi complessi. A tutti può capitare, no?''

Collins aggrottò le sopracciglia.

''Beh, sì..non lo metto in dubbio. Ma se ne avesse l’esigenza, non esiti a farmelo sapere. Piuttosto, dove diavolo saranno finiti quei due imbecilli di Phillips e Carter? Sembrano passati secoli da quando li ho spediti ad ispezionare il luogo in cui è avvenuto lo schianto; fortuna che sulla via del ritorno ho ricevuto una loro comunicazione, altrimenti avrei dovuto inviare un’intera squadra a stanare quel maledetto crauto!''

Ma le ore continuavano a passare inesorabilmente senza far palesare neppure l’ombra dei due giovani soldati inglesi; le lancette percorrevano ininterrotte il proprio giro miriadi di volte, mentre il cielo stava lentamente provvedendo a scurirsi sempre più. Edward cominciò a sospirare di impazienza appoggiandosi con le spalle al muro, mentre Albert prese a sbadigliare con fervore e ci mancò poco che non chiudesse gli occhi dalla stanchezza. Collins invece, contrariamente alla maggior parte dei suoi sottoposti, che erano palesemente seccati ed annoiati dal dover aspettare in piedi un lasso di tempo a tal punto prolungato, camminava avanti e indietro per la stanza come un ossesso, verosimilmente turbato da pensieri più grandi di lui. Tutti stavano gradualmente iniziando a spazientirsi e a manifestare apertamente insofferenza ed irrequietezza; alcuni se ne andarono addirittura, lasciando una piccola minoranza corrucciata ed infastidita ammassata contro le pareti.

E poi, ad un tratto, si avvertì l’eco di un rumore. Un tonfo assordante penetrò nei meandri della sala zittitasi completamente per mezzo dell’improvviso spavento; si incominciarono ad udire all’esterno grida concitate ed il rombo di un motore che si spense di getto, come se avesse effettuato una frenata repentina. Edward ed Albert incrociarono gli occhi assumendo espressioni di sbigottimento e perplessità, mentre vedevano contemporaneamente Collins indicare con gesti bruschi della mano ai restanti commilitoni di smetterla di restarsene impalati ai tramezzi e di precipitarsi con quanta più immediatezza fosse possibile fuori. Edward avvertì i battiti accelerare; si impose di calmarsi e di non farsi prendere dal panico. Raggiunse velocemente l’amico ed insieme si diressero concitatamente verso il grande portone dell’edificio grigiastro, varcandolo con alterazione. Inizialmente, non avvistando particolari che non fossero consueti o nella norma, ruotarono il capo a destra e a sinistra insistentemente, alla ricerca della fonte che aveva presumibilmente provocato il fracasso di poco prima; e quando, finalmente, compresero le motivazioni che avevano indotto i loro due compagni ad urlare a squarciagola, non poterono credere a ciò che gli si stagliò di fronte.

A poco meno di qualche metro di distanza, infatti, si stava letteralmente scatenando il finimondo. Edward vide Thomas Carter e Carl Phillips stringere con violenza un giovane soldato dalla pelle con sfumature diafane, che aveva una chioma talmente tanto chiara dal tendere quasi al dorato, in preda allo strillare all’impazzata dimenandosi mortalmente, direzionando, come se avesse voluto e, soprattutto, potuto incenerirli, gli occhi color dell’oceano verso i due inesperti e timorosi uomini che serrandolo con tutta la forza di cui erano muniti tentavano di trattenerlo, riuscendoci a malapena.

''Si è svegliato..dateci una mano a bloccarlo, maledizione! Sbrigatevi!'' urlò Carter tirando brutalmente il braccio del crauto verso di sé per impedirgli di liberarsi. Edward sentì il cuore fermarglisi nel petto ed iniziò a sudare copiosamente, avvertendo il terrore invadergli con prepotenza le ossa. Albert, di rimando, non sapendo dove buttare le mani, provò ad avvicinarsi ai tre di qualche centimetro, solo ed esclusivamente per ritrovarsi poi, in seguito, con una costola fratturata, dovuta ad un rabbioso calcio sferratogli dal tedesco durante un frangente nel quale era stato capace di svincolarsi dalla stretta infernale dei due britannici.

''Ma perché devo fare sempre tutto io, branco di incapaci..per l’amor del cielo, basta!''

Edward vide Collins gettarsi precipitosamente in mezzo alla calca incuriosita che si era formata attorno al tedesco trattenuto a stento, estraendo dirimpetto la rivoltella per puntarla con risolutezza in direzione del soldato, che in quel momento persisteva nel lottare assiduamente con l’intenzione di liberarsi, mentre urlava a perdifiato in una lingua sino ad allora sconosciuta alla maggior parte di loro, ma dall’accento spietatamente marcato ed inconfondibile; le sue guance erano totalmente imporporate a causa della collera e della disperazione, tanto che molti dei commilitoni credettero che dall’angoscia non fosse più nelle forze per ragionare in maniera adeguata e confacente alla situazione.


''Si dia un contegno e la smetta di agitarsi come una gazzella braccata, o le assicuro che non esiterò un solo secondo a sfondarle il cranio con un proiettile della mia pistola.''

Fu allora che il crauto sembrò, almeno all’apparenza, calmarsi. Smettendo di stritolare le braccia di quanti lo trattenevano, trasse un respiro profondo e si afflosciò stancamente al terreno bagnato, forse finalmente consapevole del fatto che si trovasse in trappola e non potesse riuscire a scappare, nemmeno se avesse continuato a strillare all’infinito insulti blasfemi e volgari.

Collins lo fissò con visibile incertezza ma, nonostante gli evidenti timori che nutriva nei confronti di quel nazista sopravvissuto miracolosamente ad uno schianto inimmaginabile, fu comunque in grado di riporre nella custodia, con una certa dimestichezza, l’arma che aveva stretto fra le mani sino a quell’istante, abbassandosi di qualche centimetro per tentare di scrutare con più riguardo il volto biancastro del pilota.

''Bene..ora voglio che mi riferisca le sue credenziali. Nome, cognome ed anno di nascita. Che gradi possiede? E soprattutto, se non le dispiace, desidererei accertarmi del ruolo che ricopre attualmente nello stabilimento da cui proviene. Cos’è, lei? Un tenente, un maresciallo, o magari un colonnello?''

Friedrich strabuzzò le palpebre e per poco non scoppiò a ridere. Che omuncolo sempliciotto e credulone si trovava di fronte. Davvero pensava che l’insulsa minaccia di togliergli la vita potesse indurlo a parlare? A rivelare informazioni preziose e di quella portata? Non aveva la minima idea di chi gli si stagliava d’innanzi. Piuttosto che cedere a quelle insignificanti richieste avrebbe preferito di gran lunga farsi assassinare. Ricordò di sfuggita le prime raccomandazioni impartitegli il giorno in cui era giunto per la prima volta al plotone col fratello, una mattina torrida ed afosa situata in un punto imprecisato del tempo. Resistere, sempre e comunque. Non mostrarsi titubante, incerto, timoroso. Mantenere la testa alta e lo sguardo fisso. Rispondere adducendo provocazioni. Non farsi prendere dal panico. Persistere in uno stato di calma interiore.

Alzò lo sguardo verso il comandante britannico ed i suoi occhi incrociarono quelli dell’uomo in divisa. Erano di un azzurro limpido, scintillanti e cerulei esattamente come i suoi; rugosi e circondati per intero da un’infinità di occhiaie, che lasciavano intravedere alla perfezione quanto effettivamente fosse debilitato ed infiacchito quel povero fisico da vecchio.
Collins aggrottò le sopracciglia visibilmente contrariato, sporgendosi cautamente di qualche altro centimetro per azzerare la distanza che lo divideva dal soldato inginocchiato al suolo.

''Beh? Non mi ha sentito? Il gatto le ha forse mozzato la lingua? O magari si sta divertendo ad ignorarmi volontariamente, sottospecie di nazista bastardo?'' e detto questo strinse ferocemente i pugni, prendendo a muoversi fulmineamente nella sua direzione, accecato dalla collera e dal desiderio di assestargli un colpo violento in pieno viso.

''Un momento! Comandante, non lo faccia!'' urlò Edward dall’altro lato dello strano cerchio formatosi attorno alla preda catturata.

Collins si girò di scatto, scrutandolo con aria contrariata ed infastidita, e fissandolo contemporaneamente come avrebbe fatto con un insetto rinchiuso in un recipiente.

''Che diavolo le prende Jones, è per caso impazzito? Non lo vede che sono impegnato con questo dannato crauto? Vuole forse ricordarmi che a quest’ora solitamente prendo il tè?'' mugugnò seccato il maggiore, facendo ricadere istintivamente la mano lungo i fianchi.

Edward, sentendosi gli occhi di tutti puntati addosso, non poté fare a meno di arrossire violentemente. Si chiese più volte cosa accidenti gli fosse passato per la testa e per quale ragione si fosse dato la briga di intervenire in una faccenda che non lo riguardava minimamente. Collins, dopotutto, non stava commettendo nulla di sbagliato. Era un diritto riconosciuto dalla quasi totalità delle legislazioni militari quello di poter decidere autonomamente del trattamento riservato ad eventuali prigionieri di guerra; ed il suo comandante lo stava semplicemente esercitando, in piena regola e senza contravvenire ad alcuna norma in proposito.

''Io..penso che non capisca la nostra lingua. E ritengo anche che..prima di procedere con la sottoposizione ad un interrogatorio, sia assolutamente necessario condurlo in infermeria. Le condizioni della gamba mi sembrano critiche.'' spiegò nervosamente alla folla, contraddicendosi ripetutamente nel tentativo di non evitare lo sguardo stupefatto del comandante, che lo osservava attonito e sconcertato.

Collins si girò a più riprese per accertarsi di non essere stato l’unico a rimanere sbalordito dalla dichiarazione del suo sottoposto.

''Mi faccia capire..quindi, secondo il suo stimolante ragionamento, dovremmo stare qui a preoccuparci delle condizioni in cui versa un individuo maledetto e deplorevole, che meriterebbe, sempre se fossimo delle dannatissime persone serie, di essere spedito all’inferno in questo esatto momento nel modo più astruso possibile? Ma si può sapere lei da che parte sta? Dalla nostra, non credo affatto.''

Edward rimase silenzioso. Si era cacciato di sua spontanea volontà in un guaio dalle proporzioni gigantesche, che gli sarebbe potuto costare, oltre che una bella ramanzina, l’intera carriera rimastagli da fare nelle forze armate. E tutto perché non era riuscito a starsene zitto, non avendo saputo cedere all’impulso di non intromettersi.
Si rendeva conto di non doverlo fare, ma la tentazione era troppo forte; la curiosità lo stava letteralmente divorando, ed era conscio che se non lo avesse fatto in quel preciso istante, se ne sarebbe poi pentito per tutta la vita. Respingendo la voce della coscienza che gli intimava, quasi urlando, di fermarsi, girò la faccia in direzione del tedesco, andando ad incastrare deliberatamente i suoi occhi con quelli del giovane coscritto accasciato a terra. Non si accorse con immediatezza del madornale errore commesso. Il cuore ricominciò a battergli all’impazzata fintanto che osservava quel viso pallido e imbronciato, dalle guance rosee e leggermente arrossate per via degli sforzi compiuti un attimo prima; aveva l’iride più seducente che avesse mai visto da che aveva memoria, la pienezza tumultuosa dell’oceano contenuta in una minuscola pupilla. Era in assoluto l’essere umano più avvenente dignitoso che gli si fosse parato d’innanzi sino ad allora. E maggiore era la persistenza con la quale indugiava nello studiarlo, più percepiva l’attrazione provata istantaneamente nei suoi confronti aumentare indissolubilmente. Per un barlume di secondo gli era parso addirittura che l’avesse riconosciuto; aveva infatti assunto un’espressione titubante nel mentre che lo scrutava a sua volta, come se intimamente sapesse chi fosse ma non volesse confessarlo per nessuna ragione al mondo.

Fu il timbro marcato e sgradevole di Collins a riportarli alla triste realtà. Avvicinatosi di qualche passo alla giovane recluta, si prese qualche minuto per ispezionarlo a dovere, per poi inclinare bruscamente la testa di lato, ingiungendogli in maniera sgarbata di rispondere alla sua domanda.

Edward non poté fare a meno di tentennare senza avere la più misera idea di come controbattere.

''Io..''

''Le dico una cosa, Edward Jones. E spero vivamente che queste mie parole le rimangano impresse nell’animo fino alla fine dei suoi giorni. Lei deve essere consapevole della sua posizione di soldato qualunque, con delle mansioni qualunque ed una retribuzione mensile qualunque. Non si azzardi minimamente a figurarsi l’ipotesi di valere più degli altri, e non si permetta mai più di obiettare ad una mia iniziativa. L’esistenza di questo manigoldo spregevole è nelle mie mani adesso. Se improvvisamente mi viene voglia di aprirgli la testa in due non mi faccio problemi, e non devo assolutamente chiedere la sua autorizzazione per esercitare una facoltà che mi è dovuta. Pretendo che questo le sia intimamente chiaro. Lo è?''

Edward abbassò il capo con timidezza, segnalando in questo modo la sua completa sottomissione; percepiva indirettamente lo sguardo spaesato del tedesco posarsi ostinatamente su di lui, osservandolo con un’insistenza che lo metteva palesemente a disagio. Avrebbe voluto dirgli di smetterla di fissarlo in quella maniera, che comportandosi a quel modo non faceva altro se non metterlo profondamente a disagio; tentò di consolarsi pensando di aver fatto più del necessario per evitargli una sorte inesorabilmente segnata, che altro non gli era comunque consentito fare, e non perché non volesse, ma per la consapevolezza radicata del sapere perfettamente che da un’ulteriore protesta sarebbe dipesa la sua stessa vita.

''Sbattetelo nella cella peggiore di tutte! Dopotutto, gli ospiti vanno trattati con riguardo. O mi sbaglio?'' fece Collins sornione, e la cadenza stessa della frase ebbe lo sgradevole effetto di far presupporre un sarcasmo di fondo che Edward a stento riuscì a fingere di non aver colto; adocchiò fintanto che ebbe modo le tre figure massicce allontanarsi in direzione dell’edificio adibito alla detenzione dei prigionieri di guerra, e per tutta la durata di quel tragitto ricordò solamente di aver provato un’immensa tristezza.

Era ormai notte fonda quando il giovane tedesco dalla chioma dorata rinvenne dallo stato catatonico nel quale si era inconsapevolmente catapultato. Si era svegliato accasciato sulle piastrelle bianche del pavimento del bagno completamente sudato e con il cuore che gli batteva a mille, mentre di fianco giaceva una pozza maleodorante di vomito rappreso. Si toccò la fronte con delicatezza e constatò, con evidente fastidio, quanto fosse bollente. La febbre non aveva accennato a scendere neanche per un secondo, anzi, in certi momenti gli era parso addirittura che fosse salita oltre i limiti consentiti. Ricordava esclusivamente di essersi assopito profondamente qualche ora prima, per poi ridestarsi in preda ad una sgradevole sensazione di nausea persistente, grazie alla quale non aveva potuto fare a meno di precipitarsi a rigettare ogni singola cosa fosse riuscito ad ingurgitare in quella piovosa giornata.

Si alzò barcollando e tentò, per quanto fosse possibile, di muovere qualche passo in direzione del suo giaciglio. All’esterno non si percepivano rumori; l’edificio era totalmente silenzioso ed una coltre nebulosa di calma regnava apparentemente sovrana. Dove diavolo erano finiti tutti? Era estremamente inverosimile che fosse sera inoltrata, se ne sarebbe reso conto. Non poteva credere di avere dormito talmente a lungo da far trascorrere un’intera giornata.
Solo allora gli attraversò la mente, con la stessa irruenza che avrebbe avuto una scossa elettrica, il pensiero di suo fratello. Friedrich non era rientrato. A dargliene conferma fu il letto perfettamente intatto e nessun accenno della sua presenza in camera. Non dava neppure l’impressione di essere passato, eventualmente per sincerarsi delle sue condizioni e controllare come stesse. Dal momento in cui aveva varcato la soglia della loro porta, quella mattina, non aveva più fatto ritorno. Stefan sentì l’inquietudine penetrargli intensamente fin dentro le ossa, e l’urlo assordante generato da quel silenzio mortuario non ebbe altro effetto se non quello di terrorizzarlo a morte. Doveva necessariamente essere successo qualcosa di orribile, sentiva gradualmente la consapevolezza che lo stava letteralmente divorando dall’interno. Friedrich non lo avrebbe mai lasciato solo, ancor più sapendo lo stato nel quale riversava. Se, pur essendo assolutamente a conoscenza della sua situazione non aveva fatto ugualmente rientro, ciò era dovuto al fatto che gli fosse capitato qualcosa. Qualcosa di terribile.

Improvvisamente l’ingresso si aprì di getto, e Stefan fece appena in tempo a voltarsi, pallido come un fantasma per lo spavento, che si ritrovò la figura di Hans Bauer stagliata di fronte. Per una frazione di secondo sperimentò una profonda gioia nel vederlo, erano passate settimane intere da quando si erano scorti per l’ultima volta, e saperlo in quel momento presente lo confortò enormemente. Questo, fin quando non si accorse del modo in cui lo adocchiava il suo amico.

Hans non sorrideva, e non aveva neppure accennato la più misera
espressione di contentezza nell’attimo in cui i loro sguardi si erano incrociati. Ad essere sinceri, non dava affatto l’impressione di essere felice di trovarsi lì in quell’istante. Non proferiva parola; persisteva anzi nell’osservarlo silenziosamente, con un atteggiamento dai contorni misteriosi e indecifrabili.


''Hans, fratello..Cristo Santo, cosa ci fai qui? Erano mesi che non ci vedevamo!'' esclamò Stefan esultante, dirigendosi nella sua direzione a braccia aperte.

Ma poi Hans fece una cosa che riuscì a turbarlo molto più di quanto gli fosse mai capitato nella sua intera esistenza.

Continuando a studiare con accortezza i suoi movimenti, si lasciò scendere una lacrima lungo la guancia destra. All’inizio si contenne, ma poi, quando il flusso proruppe ininterrotto, decise di lasciarsi andare e scoppiò letteralmente a piangere, arrancando tristemente verso l’amico e buttandoglisi addosso.

''Stefan, mi dispiace..mi dispiace così tanto, dannazione!''

Ma l’amico si staccò con decisione da quel contatto consolatorio, guardandolo esterrefatto in faccia.

''Hans..Hans, per l’amor di Dio, cos’è successo? Dimmelo, ti prego.''

Gli occhi di Hans lo fissarono come mai avevano fatto prima. E, quando le labbra si mossero, ne uscì fuori una frase a tal punto sconvolgente che il ragazzo a stento si trattenne dallo svenire per lo sconcerto.

''Stefan..Stefan, tuo fratello è stato abbattuto.''

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Capitolo 10
*** riflessioni ***


Ciao a tutti! Scrivo questo messaggio con la consapevolezza di provocare stupore o comunque sia sbalordimento.. ho pensato a lungo se continuare effettivamente questa storia o meno. Sarò schietta : avendo cominciato l'università non dispongo più di tempo sufficiente per dedicarmici costantemente e, non avendo ricevuto nemmeno una recensione, positiva o negativa che possa essere, non credo ne valga davvero più la pena. Nel qual caso desideraste che la storia continui fatemelo sapere con un messaggio, mi renderò in questo modo conto se riscontro la vostra benevolenza o, nel caso contrario, se sia arrivato il momento di dedicarsi ad ulteriori e diversi progetti. Se deciderò eventualmente di far proseguire la storia, mi spiace terribilmente informarvi del fatto che sarà aggiornata molto lentamente, con un capitolo massimo ogni due mesi. Ho riflettuto sufficientemente e, ad essere sincera, gradirei enormemente che andasse avanti. Ora mi serve solo sapere la vostra opinione in merito. Un bacio a tutti e, se il destino vorrà, al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 11
*** Coraggio ***


Il sole all'esterno era sorto da molto poco, mentre fuori l'aria persisteva ancora qualche istante nella sua gradevole freschezza mattutina, quando un ragazzo dalla chioma rossiccia e gli occhi più scuri della pece aprì con irruenza le palpebre, direzionando istantaneamente lo sguardo verso la branda che si trovava affianco alla sua. Il letto che in circostanze normali avrebbe dovuto occupare il suo migliore amico era vuoto e ben fatto, e, pensò Edward con profonda tristezza e malinconia, lo sarebbe stato ancora per un lasso di tempo che non era assolutamente in grado di pronosticare. La colluttazione nella quale era stato coinvolto il giovane qualche pomeriggio prima gli aveva provocato l'inevitabile rottura di una costola, oltre ad uno spaventoso livido, dalle proporzioni straordinariamente gigantesche, comparsogli improvvisamente sullo sterno. Edward ricordò come Albert avesse incominciato ad accusare una sintomatologia che presupponeva costante malessere generalizzato nell'attimo stesso in cui, dopo aver avuto il privilegio di assistere ad eventi dalla portata quanto mai eccezionale, i due erano stati in grado di rientrare nella propria stanza, tastandosi dolorosamente e con entrambe le mani la zona presumibilmente colpita con estrema violenza dal piede del crauto, per poi ritrarle di scatto assumendo delle decise espressioni che lasciavano intendere quanto fosse oppresso dall'angustia e dalla sofferenza. L'amico si era visibilmente preoccupato viste le condizioni nelle quali versava il compagno, ed aveva provveduto tempestivamente a condurlo in infermeria. Albert lo aveva seguito controvoglia e con il viso atteggiato ad una smorfia che esprimeva chiaro disappunto, si vedeva che avrebbe di gran lunga preferito non recarvisi, e le motivazioni erano molteplici. Desiderava ardentemente sia non generare sospetti infondati, che facessero anche solo intendere il fatto che non si sentisse bene, sia evitare di suggestionarsi più di quanto gli fosse lecito fare. Ma alla fine lo strazio era divenuto insostenibile, ed aveva infine stabilito, spinto anche dalle insistenti preghiere dell'amico, di recarcisi a dispetto della sua stessa volontà. Il referto li aveva raggiunti nella sala adibita al consumo dei pasti poche ore dopo, ed aveva avuto lo sgradevole effetto di procurare ad entrambi disorientamento ed una profonda costernazione interiore. Albert aveva due costole rotte ed un braccio il cui osso era stato sul punto di spezzarsi : avrebbe dovuto essere ricoverato provvisoriamente nell'ospedale del campo, e molto probabilmente vi si sarebbe dovuto trattenere quantomeno per le prossime due settimane. E, nonostante Edward lo andasse a trovare ogni singolo giorno e talvolta restasse per un lasso di tempo infinitamente più lungo di quanto gli fosse stato preventivamente concesso, non poteva non avvertire, dentro di sé, la sua eterna mancanza. Era l'unico col quale avesse instaurato, ancor prima dell'inizio di quel maledetto conflitto, un rapporto duraturo ed insostituibile. Conosceva tutto di lui, i suoi pregi, i suoi difetti, le debolezze, le paure, i desideri. Non sarebbe mai riuscito a creare un sodalizio simile con nessuno dei commilitoni presenti attualmente nel circondario del campo, e non perché non volesse o non sentisse la necessità impellente di tentare, ma per la semplice motivazione che riteneva l'amico l'unico in grado di comprenderlo veramente. O, almeno, questo era quello che si sforzava di credere.
Ora che ci rifletteva accuratamente, si rendeva conto di non aver rivelato neanche a colui che pensava il suo confidente più caro e prezioso i tormentosi dubbi che lo perseguitavano dal medesimo attimo in cui aveva posato i propri occhi sulla fisionomia del prigioniero tedesco. Da quel momento il suo sguardo dai contorni misteriosi e seducenti, allo stesso modo di quegli enigmatici occhi vitrei e cerulei, gli si erano letteralmente impressi nella mente, non lasciandolo sfuggire per un solo secondo della sua assillante ed angosciosa giornata. Si alzava all'alba col suo volto onnipresente nella memoria, rivedendo il suo inebriante profilo anche quando si apprestava a svolgere le mansioni quotidiane che la dura mattinata di combattimenti gli imponeva; la sua reminiscenza era una costante fissa, capace, talvolta, di ottenebrargli i pensieri e le congetture prodotte persino in riferimento a tutt'altre questioni. Scorgeva le sue fattezze ovunque guardasse, e non passava momento alcuno senza arrovellarsi il cervello su cosa potesse essergli effettivamente successo una volta condotto nei sotterranei tradizionalmente adibiti a prigioni militari del campo. Pochi giorni prima, una volta uscito dal consultorio dove si recava quasi giornalmente per andare a trovare l'amico ricoverato, aveva tentato di allontanarsi dal distaccamento principale del suo plotone, avvicinandosi il più impercettibilmente possibile alle celle in cui erano detenuti i soldati degli schieramenti avversarsi sequestrati durante i fatidici scontri, almeno quelli che erano stati abbastanza sfortunati da essere rinvenuti ancora vivi, per poi desistere con pronta immediatezza quando aveva udito il timbro squillante ed iracondo del suo comandante dirigersi nella sua stessa direzione. Abbozzò un sorrisetto ironico ed infastidito al ricordo; una volta resosi conto della sua presenza aveva provveduto a rintanarsi celermente dietro il tronco di un albero, allungando di tanto in tanto il capo per scorgere i suoi movimenti. Collins era arrivato su di un furgone guidato da uno dei suoi attendenti, che aveva provveduto a fermarsi esattamente a pochi metri dal luogo in cui si nascondeva. Il comandante ne era sceso accompagnato da altri due ufficiali in divisa, che Edward non ricordava di aver personalmente mai visto, anche se credeva fossero di rango molto elevato considerando la quantità impressionante di stemmi ed emblemi militari che ornavano i loro indumenti. Rimembrava inizialmente di averli visti confabulare a lungo tra di loro, nonostante non fosse stato in grado di cogliere gran parte delle cose che si dicevano, in quanto la distanza che li separava era eccessivamente estesa prendendo in considerazione anche il fatto che si erano, nel frattempo, allontanati di parecchio, dirigendosi visibilmente in direzione dell'ingresso che conduceva alle prigioni. Non davano l'impressione di stare aspettando che si palesasse qualcuno, e questa convinzione gliela dava l'idea che continuassero semplicemente a chiacchierare, come si faceva tra vecchi amici, senza mostrare di starsi spazientendo dall'attesa, o, ancor peggio, palesando chiari segni di inquietudine e fastidio. Ed infatti, poco dopo, Edward scorse il capitano inclinare leggermente la mano verso l'entrata, indicando ai due che sarebbe proprio stato il caso di affrettarsi ad entrare. Si mossero con circospezione in direzione dell'ingresso, e una volta che furono spariti alla sua vista passò un'infinità di tempo prima che si ripresentassero ai suoi occhi. Anche se non riusciva a ricordare con esattezza quanto fosse effettivamente trascorso dall'attimo in cui erano sfuggiti al suo sguardo, presumibilmente dovevano essere state ore. Forse due, se non addirittura tre. Per tutto quel lasso di tempo sapeva di essere rimasto ad aspettare appiattito contro il tronco dell'albero, incerto e tremante, con il cuore che gli batteva incessantemente, senza dare accenno di volerla smettere, e il sudore che premeva per uscirgli dai pori, invadendo ogni singolo centimetro di pelle asciutta che riuscisse a trovare. Una moltitudine di domande tartassavano la sua povera mente, quesiti destinati per il momento a rimanere senza risposta. Cosa stavano facendo quei tre lì dentro? Era naturale che si fossero recati a far visita al nuovo arrivato, d'altronde non poteva essere altrimenti. Recentemente non erano giunti molti nuovi prigionieri alle carceri del campo, e quei pochi sventurati a cui era toccato dover vivere vicissitudini del genere erano o morti per le ferite riportate, naturalmente lasciate a marcire senza che fosse garantita loro qualsiasi forma di intervento ed assistenza, o caduti in un deprimente torpore, il quale non sarebbe stato in grado di essere scalfito nemmeno a suon di manganellate ad intervalli regolari.
Edward si domandò se avessero provato ad interrogarlo; probabilmente avevano tentato, senza tuttavia ottenere risultati soddisfacenti. Aveva compreso sin dal primo secondo in cui gli aveva posato gli occhi addosso la risolutezza e la tenacia di quel soldato. Non si sarebbe fatto uscire parola di bocca neppure se lo avessero minacciato con le frustate. Ammirevole, sicuramente, ma decisamente sciocco in quelle circostanze. La cosa migliore da fare quando avvenivano situazioni di quella portata era sempre cercare di farsi amico il proprio carceriere, e solitamente non si proseguiva nell'adempimento del servizio militare se prima non ci si era bene impressi nella mente alcune fondamentali regole di sopravvivenza : qualunque cosa accadesse, mai provare a scappare senza aver precedentemente sondato il terreno e provveduto a studiare accuratamente un piano. Ma quel dannato crauto aveva tutta l'aria di possedere un cervello duro, con una quasi sicuramente innata e fervente predisposizione alla testardaggine e alla spavalderia, e per certo poco propenso ai compromessi, ed Edward era assolutamente convinto che avrebbe preferito farsi ammazzare piuttosto che rivelare anche solo un miserevole dettaglio sul perché si trovasse in quel luogo, e soprattutto quali fossero le sue generalità complessive.
Ad un certo punto Edward ebbe la chiara percezione di una lunga serie di movimenti circostanziati all'area in cui si trovava, chiaro segno del fatto che qualcuno stesse procedendo in direzione del suo nascondiglio; il cuore prese ad accelerargli come mai era successo prima, mentre la sudorazione del suo corpo aumentava a dismisura, procedendo a scendergli con incredibile velocità lungo le tempie.
"Allora, cosa ne pensate?" sentì biascicare dal suo comandante con trepidante eccitazione, come se l'ometto si aspettasse dalla formulazione di quella domanda una rivelazione incisiva che avrebbe potuto fornirgli una radicale soluzione a quell'increscioso problema, rappresentato naturalmente dalla presenza del soldato tedesco, che si era ritrovato a dover affrontare.
Il più basso degli uomini che proseguivano al suo fianco e che lo accompagnavano, dai capelli biondi e gli occhi piccoli e maliziosi, prese improvvisamente a ridere di getto, come se avesse assistito ad una scena esilarante, e fissò il suo superiore atteggiando i lineamenti in modo da formare un'evidente espressione sarcastica.
"Ad essere sinceri mi è sembrato essere esclusivamente un ragazzetto che quasi se la faceva addosso alle prese con una sottospecie di crisi isterica; direi di appendergli un cappio al collo e di spedirlo all'inferno senza fare tante cerimonie." proruppe quello con voce astiosa ed un pizzico di maldicenza, nel frattempo che ruotava il capo verso il suo collega che gli camminava accanto.
"Parker, tu che dici? Voglio sentire la tua opinione a tal proposito." proruppe il capitano volgendo lo sguardo sui baffi grigi dell'individuo che procedeva lentamente alla sua sinistra.
Parker sollevò le palpebre assumendo un'aria annoiata.
"Non ti so dire James, davvero. Se devo essere franco e schietto, credo di condividere in parte il parere di Robertson.
Presumibilmente, e secondo le numerose ipotesi da noi precedentemente formulate, quella che personalmente ritengo essere più attendibile, è che si tratti di un moccioso nazista da quattro soldi, senza arte né parte, indrottinato a dovere da un regime di pazzi e finito qui per puro caso, senza possedere nemmeno la più fioca idea delle motivazioni che lo spingevano ogni mattina a salire su di uno stupidissimo aereo per accoppare militari britannici. Credo che la cosa migliore da fare sia istruire accuratamente un cecchino affinché gli pianti una bella pallottola nel cervello e ci liberi definitivamente della sua fastidiosa persona; ho l'impressione che tu abbia espresso congetture troppo romantiche giudicando che potesse trattarsi di una spia del regime o roba simile, fidati di me."
Collins abbassò la testa in un impeto di desolazione.
"Eppure, vi dico la verità, c'è qualcosa in quel crucco che non mi convince. Sarà stato il modo in cui mi ha guardato in quella cella buia ed umida, forse, non so..la sensazione di quella faccia da cane che provvedeva a scrutarmi con furia animalesca, con l'unico e palese desiderio di saltarmi alla gola per strozzarmi.." e detto questo Edward vide l'uomo iniziare a contorcersi spasmodicamene in preda all'orrore nel rievocare lo straordinario interrogatorio tenutosi solo mezz'ora prima.
Parker gli gettò un braccio intorno al collo nel tentativo di consolarlo.
"Vedi il lato positivo, abbiamo perlomeno scoperto che farfuglia qualche parolina d'inglese. Non me l'aspettavo, sai? Non sono molti i crauti che lo conoscono."
Edward, all'immediato suono di quelle parole, spalancò le palpebre frastornato e confuso, nella consapevolezza sconcertante di avere scovato un dettaglio
estremamente interessante. Era stato, fino a quel momento, assolutamente convinto che il tedesco non parlasse la loro lingua, e che, anzi, non intendesse neppure la più semplice sillaba. Avrebbe dovuto rendersi conto dei gesti di scherno perpetrati durante l'interrogatorio, nei momenti in cui era verosimilmente intento a cogliere ogni medesimo significato reale delle loro parole e delle loro frasi, a dispetto del fatto che apparentemente avesse finto di non comprendere alcunché; era stato decisamente astuto, ed aveva provveduto a studiare accuratamente la situazione in cui si era ritrovato contro la propria volontà mascherando le riflessioni che faceva sotto un'apparente patina di crisi isterica dovuta al catturamento da parte dei britannici. Edward si chiese interiormente come e, soprattutto, dove avesse imparato la sua lingua, per poi, un attimo dopo, prendere coscienza dell'assurdità di quel pensiero appena formulato. L'inglese al giorno d'oggi aveva connotazioni di carattere internazionale, chiunque avesse anche solo voluto assicurarsi un miserevole posto nell'ambito dell'amministrazione pubblica o privata avrebbe dovuto quantomeno conoscerne le settorialità. Lo avessero appreso in istituti scolastici, o fossero stati coercitivamente obbligati dal loro governo ad acquisirne la conoscenza, non rivestiva la benché minima importanza. Adesso sapeva di avere uno strumento efficace e a sua completa disposizione con il quale sarebbe stato in grado di parlargli e di instaurare una qualche forma di dialogo duraturo. Ma prima di incontrarlo personalmente avrebbe dovuto eludere la sorveglianza dei numerosi cecchini presenti all'esterno dello stabilimento, ed era totalmente consapevole del fatto che non sarebbe stato semplice. Erano uomini scelti e soldati rigidamente selezionati tramite numerosi iter di reclutamento, detentori di addestramenti anomali e d'eccezione, oltre ad essere portatori di requisiti inusitati e fuori dal comune, che avevano il doveroso ed inderogabile compito di proteggere la sicurezza degli ostaggi e di non permettere assolutamente, per qualunque ragione al mondo, che potessero anche solo prendere in considerazione l'idea di sabotare la stretta vigilanza e di darsi alla fuga. Edward ne conosceva solamente uno, un ragazzetto di una ventina d'anni piuttosto grassoccio e dalla pelle olivastra, cui si era accertato, negli anni precedenti, che i parenti provenissero, con un margine di sicurezza indiscutibile, dalle terre orientali, che era stato reclutato per quella spiacevole mansione in virtù delle sue sgradite origini familiari, che avrebbero sicuramente provocato tensioni e scontri nei normali drappelli. Non ricordava nemmeno come si chiamasse, ma serbava perfettamente la memoria del suo carattere irascibile e del tutto privo di freni inibitori. Ci aveva litigato parecchie volte, e talvolta erano giunti addirittura alle mani, ma in fin dei conti tentare non costava nulla e, soprattutto, sarebbe giunto immediatamente alla conclusione di chi fosse conveniente fidarsi, e delle eventuali persone che, invece, dovevano essere tenute drasticamente alla larga dalle sue intenzioni.
Collins e gli ufficiali erano risaliti in macchina ripartendo in fretta, senza nemmeno accorgersi della presenza del giovane, nascosto accuratamente dietro al fortuito pezzo di legno. Accertatosi del loro effettivo dileguamento, prese a muoversi con circospezione, dirigendosi il più velocemente possibile verso la piccola caserma grigia, la cui funzione palese  consisteva nell'essere esclusivamente un luogo di detenzione per combattenti nemici o eventuali avieri britannici che avessero provveduto a scatenare rivolte e a macchiarsi di crimini abietti e immorali. Come nelle sue congetture più profonde il mulatto stava piazzato d'innanzi all'ingresso con il pesante fucile in entrambe le mani, anche se dava visibilmente l'impressione di stare morendo dalla noia e di volersene unicamente ritornare a letto. Di tanto in tanto le palpebre prendevano ad abbassarsi e la testa gli ricadeva bruscamente di lato, anche se immediatamente dopo riprendeva ad ergersi dirimpetto sull'attenti. Edward camminava lentamente e con estrema avvedutezza, sperando intimamente che l'indiano non lo riconoscesse o, quantomeno, che lo scambiasse per un ufficiale di alto rango per via delle sue innumerevoli medaglie al valore, e che di conseguenza gli lasciasse libero l'accesso alla prigione senza fare tante storie. Ma disgraziatamente non ebbe nemmeno il tempo di mettere piede sul selciato che anticipava l'accesso all'edificio, in quanto, resosi conto del rumore dei passi, quello arrancò pigramente nel suo stesso senso.
"Ehi! Parlo con te, stonato! Dove credi di andare? Qui non si entra se prima non si.." ed improvvisamente si bloccò nel bel mezzo della frase. Scrutò accuratamente il volto del giovane ufficiale che provava a mascherare i propri lineamenti fissando corruciato il terreno solo per cominciare, successivamente, a ridere di getto.
"Non posso crederci..no, non è proprio possibile! Jones? Sei tu, Edward? Fottuto stronzo, sei proprio tu? Non riesco minimamente a pensare di essere riuscito a trovarti dopo tanto tempo..hai anche solo la più pallida e fioca idea dell'ammontare dei giorni spesi provando a localizzare la tua posizione negli stabilimenti, cercando l'occasione propizia per rompere questo tuo bel faccino da inglesino candido e pulito.." la voce era secca e graffiante, con delle leggere sfumature rauche e rabbiose. Procedeva trascinando mollemente le gambe nel mentre che gli sorrideva maliziosamente, con la mano tenuta saldamente sulla canna del fucile e l'altra stretta a pugno.
"Era da una vita che desideravo rincontrarti ed ora, finalmente, ce l'ho fatta..sai che abbiamo un conto in sospeso.." proruppe con furia animalesca, rinsaldando ulteriormente la presa sull'arma stretta fra le braccia.
"Ehm, senti, Adjud.." biascicò Edward col sudore che gli colava lungo le tempie e il cuore che fremeva irrimediabilmente nel petto.
"Pezzo di merda, Arjun, non Adjud! Dì un po', ti sei divertito a picchiarmi quella volta, non è vero? Quando ero solo un indifeso moccioso diciottenne appena sbarcato in questo schifo di paese dopo un viaggio durato settimane su di una delle vostre navi da bastardi imperialisti..oh, ma certo che è così..tu e quell'altro avanzo di galera del tuo amico! Maledetti razzisti!" urlò con tutto l'odio che aveva in corpo.
Edward assunse un'espressione di puro orrore. Il meticcio, frattanto, scrutava ogni suo movimento iracondo e drasticamente risentito.
"Ascoltami, io..mi dispiace davvero. All'epoca ci contenevamo poco di fronte ai..ehm..nuovi arrivati. Comunque, non sono qui per portare alla luce vecchi errori passati. Io..devo vedere un prigioniero. Un tedesco che dovrebbe essere stato condotto nelle celle adibite ai militari nemici qualche pomeriggio fa..fammi passare e ti prometto che non farò mai più niente che possa intaccare la tua reputazione. Ci lasceremo tutto alle spalle e riprenderemo da zero..sei d'accordo?" sussurrò sommessamente Edward, pallido in volto e con il palese desiderio di porre una fine a quella incresciosa situazione.
Arjun lo fissò assumendo una chiara espressione stordita e per poco non  incepiscò su sé stesso, nel mentre che indietreggiava fingendo di simulare un evidente collasso per lo stupore e lo sbigottimento. La mano era ancora fermamente aggrappata all'arma che reggeva in pugno, anche se ora dava l'impressione che la stessa presa fosse meno salda, sostenuta, come se fosse venuta improvvisamente a mancare la forza, il coraggio di portare a termine ciò che si era prefissato originariamente.
Edward si era appiattito contro la parete ed osservava sconcertato la canna del fucile risolutamente puntata contro il suo petto, aspettandosi da un momento all'altro di sentirvi partire un colpo che, andandosi a piantare dritto nel suo cuore, avrebbe posto fine ad ogni singola cosa, cancellandolo per sempre dalla faccia dell'umanità. Inspiegabilmente non si sentì particolarmente turbato da quel pensiero, era come se fondamentalmente non gli importasse di morire o, peggio, che qualcuno di proposito ponesse termine alla sua esistenza; non ricordava di avere mai maturato, neanche nei momenti più critici e disperati, evidenti propositi suicidi, ma quella circostanza conduceva lentamente nel suo animo una duratura malinconia, una finale accettazione, un sentimento di muta e perenne approvazione, accoglienza, forse addirittura di gradimento. Lo tormentava esclusivamente il maledetto pensiero che, se fosse stato realmente ucciso quella mattina, non sarebbe stato in grado di poter fare assolutamente nulla per la drastica situazione in cui veniva a trovarsi il tedesco imprigionato a pochi metri di distanza. A lui sarebbe andata tutto sommato bene; si sarebbe congedato dal mondo in cui si trovava a vivere, maciullato dai conflitti e dalle guerre, provando un dolce impulso di abbandono e di distacco..ma cosa sarebbe accaduto al giovane soldato che invano aveva cercato di salvare dalla furia omicida del suo comandante? Era del tutto convinto che non lo avrebbero mai lasciato andare; presumibilmente quel che più concretamente lo attendeva erano solo e solamente torture, interrogatori, macchinazioni psicologiche di ogni sorta per tentare di estrapolargli quante più informazioni possibili. Questo era più che certo sarebbe successo, esclusivamente dolore, sofferenza, terrore, desolazione, solitudine, malinconia, ardente volontà di scampare a quella barbarie perpetrata, forse una vana riuscita..ed alla fine, morte.
Edward sgranò gli occhi frastornato ed in preda all'inquietudine più preoccupante mai sperimentata in precedenza, quelle mere ipotesi formulate lo avevano devastato e traumatizzato oltre ogni dire; anche Arjun se ne accorse ed abbassò impercettibilmente l'armamento, domandandosi interiormente cosa accidenti fosse preso a quel dannato scriteriato.
"Sei fottutamente patetico, Jones. Sparisci immediatamente da questo posto e non farti mai più vedere se ci tieni alla pelle. La prossima volta non sarò altrettanto buono, te lo assicuro. E sappi che senza autorizzazione scritta personalmente dalla mano di Collins, tu qui dentro non ci entri nemmeno tra duecento anni. Mi occuperò personalmente affinché tu non possa intravedere neanche la più pallida ombra di un miserabile ratto presente nei cunicoli di queste celle."
Edward, alzando lentamente lo sguardo, incastrò i suoi occhi direttamente in quelli del suo nemico. Ci vide immenso rancore ed una dose infinita di rabbia malamente repressa. Voltandosi silenziosamente dall'altra parte, si allontanò senza proferire alcuna parola.
 
 
La stanza una volta condivisa col migliore amico era avvolta dalla luce della penombra. Il suo letto aveva un aspetto penoso; era completamente sfatto, con le coperte, i cuscini e le lenzuola buttate violentemente per terra, ad assumere una forma dai vani contorni terrificanti e misteriosi. Edward sedeva solo, con la testa fra le mani, sul materasso sfondato, circondato da un alone di semioscurità il cui unico risultato era far assumere alla sua figura fisionomie dalle accezioni quasi macabre, afflitto, abbattuto, con il cuore che batteva a mille e la gamba che sembrava non avere alcuna intenzione di smettere di tremare. Era totalmente demoralizzato e non aveva la più fioca idea di cosa diavolo fare, e di come avrebbe dovuto continuare. Appena aveva messo di nuovo piede al plotone un ragazzino di neppure vent'anni, che ricordava malamente di aver scorto probabilmente una volta a cena, gli era corso incontro zoppicando all'impazzata, fermandoglisi di getto d'innanzi per chiedergli se per caso conoscesse un tizio che di nome faceva Albert Smith, dicendogli che aveva l'obbligo di trovare immediatamente il suo compagno di stanza per poterlo condurre in infermeria, e che la cosa era molto grave. Al suono di quella domanda, formulata con incertezza ed una vaga dose di preoccupazione malcelata, il giovane aveva preso ad impallidire come riteneva non gli capitasse da decenni, e, afferrate brutalmente le bretelle della camicia di quel moccioso con i capelli rossi e la pelle ricoperta interamente da lentiggini, si era messo a starnazzare furiosamente, dando increscioso spettacolo di sé e conferendo alla moltitudine di gente assiepata nei dintorni quasi l'impressione di stare sperimentando sintomatologie compatibili con l'insorgere di un'evidente crisi isterica, urlando in preda alle lacrime cosa diamine fosse accaduto. Dopo averlo scosso per un bel po', impaziente e furibondo, con il sudore che gli scendeva lungo le membra ed il corpo che sembrava non rispondere più agli stimoli, si era successivamente accorto di come il colore delle guance del giovane soldato piantatogli di fronte fosse mutato a velocità inaudita, trasformando radicalmente le sfumature diafane che caratterizzavano precedentemente la pelle liscia e senza imperfezioni di bambino, in due chiazze rosso mattone, a tal punto imporporate da apparire sanguigne e sul punto di scoppiare; dava l'idea che presto sarebbe caduto a terra stecchito come un sasso, svenendo per l'orrore dell'essere stato così ferocemente importunato. Edward allora, smettendo di strillare come un ossesso, cercò di conferirsi finalmente un contegno, togliendogli le mani dalle spalle tremanti e allontanandosi dalla sua persona. Quello sembrò allora riprendersi leggermente, risistemandosi con cura le cinghie dell'uniforme, per poi prendere a fissarlo come se ritenesse di trovarsi di fronte una qualche sottospecie di grottesco caso psichiatrico.
"Senti, io..insomma, diavolo, sì, lo conosco, sono il suo compagno di stanza, il suo migliore amico..che cosa è successo? Dimmelo, ti prego, non restartene lì impalato."
Il giovane lo scrutò lievemente risentito, distanziandosi palesemente di qualche altro passo.
"Certo, poi, se non mi saltavi addosso in quel modo, come un leone che arraffa una gazzella, avrei potuto dirtelo molto prima..comunque, il tuo amico è peggiorato. Molto, a dire il vero. Ha la febbre alta e sembra non capirci nulla. L'ultima cosa sensata che ha detto è che voleva vederti. Collins ha dato il via libera per trasferirlo in un ospedale militare più grande ed attrezzato ad una quindicina di chilometri da qui..poi mi ha chiesto di andare a cercarti, ma, a dire il vero, non trovandoti nella vostra stanza, ho pensato che.."
Edward gli diede a stento il tempo di finire la frase. Riusciva addirittura a sentire il soldato che parlava ancora, mentre  iniziava a correre fulmineamente in direzione dell'edificio grigiastro adibito ad ospedale per feriti e militari prossimi alla morte. Si sentiva maledettamente in colpa, ed in quel momento tutti i suoi pensieri erano proiettati verso il migliore amico. Erano trascorse tre lunghe giornate dall'ultima volta che era andato a trovarlo, gli aveva promesso come ogni sera che sarebbe ripassato sicuramente il pomeriggio seguente, ma poi Collins lo aveva trattenuto per almeno tre giorni fino a notte inoltrata nel suo ufficio, ripieno come al solito di cartacce ed impregnato di un disgustoso odore di sigaro, mostrandogli alcune mappe con sopra codificate nuove postazioni di attacco e difesa che aveva preparato accuratamente assieme ai suoi attendenti qualche settimana prima per il suo battaglione. Non era di conseguenza riuscito a presentarsi negli orari prestabiliti dal rigido controllo perpetrato dagli infermieri, che stabilivano gerarchicamente quali fossero gli orari disponibili per andare a trovare i loro pazienti; ed ora, scoperto quale fosse il destino del suo compagno, e non sapendo neppure quando sarebbe stata la prossima volta in cui lo avrebbe rivisto nuovamente, si precipitava speditamente, per quanto gli era consentito dalla forza dei suoi muscoli contratti ed affaticati, da lui, pregando con tutto il cuore che avessero preso seriamente la sua ultima volontà prima del trasferimento, e non avessero provveduto a portarlo via prima che gli fosse garantita la possibilità di salutarlo, magari, sperava risolutamente che non fosse così, per l'ultima volta.
Dopo aver scandagliato l'intero palazzo alla ricerca della sua camera, nel frattempo avevano infatti badato a mutarla più volte, Edward vi si fiondò dentro come una belva, rischiando quasi di precipitare a terra per la rapidità con cui procedeva. Notò subito che erano presenti all'interno tre uomini con la divisa a cui era attaccato il cartellino che attestava la loro professione medica, un infermiere dalla corporatura magrissima, con il viso pallido ed emaciato, una donna con una siringa nella mano sinistra che sedeva in un angolo con la faccia rivolta al pavimento, ed infine Collins, piazzato di fronte al letto del suo amico con le mani dietro la schiena ed una espressione di chiara esitazione sul volto. Appena si accorse della sua presenza, gli gettò un'occhiata infastidita, come se fosse incredibilmente risentito del suo ritardo, per poi fargli successivamente spazio e permettergli di avvicinarsi al compagno.
"Io..sono qui..Albert.." mugugnò Edward senza forze, bianco come un fantasma.
Collins assunse un'espressione sarcastica.
"Ben arrivato Jones, ho mandato Moore a cercarla tre quarti d'ora fa più o meno, credevo si sarebbe fatta notte frattanto. Potrebbe fare la gentilezza di spiegarmi dove accidenti si era cacciato nel mentre?"
Edward lo guardò senza sapere cosa dire, o come svincolarsi da quell'evidente interrogatorio. Non poteva, per nessuna ragione al mondo, rivelargli di avere seguito lui e i suoi scagnozzi fino alle prigioni, premurandosi diligentemente di non far scorgere in modo lampante chiari segni della sua presenza, per poi essersi arrischiato niente di meno ad eludere la stretta sorveglianza che vigeva nei pressi delle prigioni, cercando di infiltrarsi di nascosto per vedere un prigioniero, cui non sapeva nemmeno cosa dire se fosse stato realmente in grado di incontrarlo. Lo avrebbero preso di certo per matto. Forse già pensavano che lo fosse, o lo stesse quantomeno diventando.
"Edward.." mugugnò sommessamente l'amico, tendendo le braccia verso la sua figura per supplicarlo di avvicinarglisi.
L'amico non se lo fece ripetere due volte, fiondandosi al suo capezzale con gli occhi lucidi e le labbra che tremavano. Gli sorrise dolcemente accarezzandogli una guancia, per poi stringerlo forte a sé, mantenendoselo vicino con tutto il vigore di cui era dotato.
Collins, alla vista di quella che giudicava intimamente una deprecabile e quanto mai imbarazzante manifestazione di affetto, credette di avere un travaso di bile.
"Per l'amor del cielo, datevi un contegno.."
Edward non diede neanche l'impressione di stare ad ascoltarlo, continuando semplicemente a tenersi stretto al petto il corpo piccolo e, in quel momento critico, dalle connotazioni oseremmo dire addirittura drastiche, bisognoso di tenerezza del suo compagno, per poi staccarsi con decisione, solo per incastonare risolutamente i suoi occhi scuri, neri come la pece, in quelli limpidi e cerulei del migliore amico.
"Però, non ti fai mai mancare nulla, eh? Una bella vacanzetta di qualche settimana..senza la prospettiva di far nulla, se non la corte a qualche giovane crocerossina. Sempre il solito." proruppe con tono ironico, abbozzando una piccola smorfia divertente, pur essendo perfettamente consapevole del lieve sentore malinconico e nostalgico che impregnava ogni medesima sillaba pronunciata.
Albert, contrariamente alle aspettative di Edward, non accolse alla stessa maniera la battuta del commilitone. Non rise e non sembrò neppure risollevato dal modo in cui quest'ultimo pareva l'avesse presa.
"Edward, se io non..insomma, lo sai, se dovessi peggiorare ed eventualmente..non tornare..Margaret.." farfugliò debolmente senza completare quel che aveva in mente di dire, complice una grande stanchezza.
Edward ebbe un momento di esitazione e la sua espressione sembrò per un secondo riprendere l'aria cupa e tenebrosa che aveva assunto nell'attimo stesso in cui, giunto in quel casermone dalle luci soffuse e l'odore costantemente intriso di una maleodorante puzza di candeggina, l'aveva scorto sofferente, straordinariamente pallido, emaciato e deperito, in quella vecchia brandina smunta dall'aspetto totalmente deplorevole. Sapeva di volergli troppo bene per riuscire a figurarsi concretamente nella testa l'ipotesi realistica di non doverlo più rivedere, ed aveva, inoltre, la consapevolezza innata di quanto quel pensiero gli fosse assolutamente insopportabile da sostenere.
"Non dirlo manco per scherzo, idiota. Fidati di me, sono o non sono il tuo confidente più fedele? Tempo quindici giorni e torni come nuovo, ristabilito e in ottima salute, pronto per scrivere nuovamente letterine strappalacrime alla tua cara donzella che io, naturalmente, mi premurerò di consegnarti personalmente, visto che, a quanto mi risulta, la posta non credo sia mai stata una tua priorità." sentenziò amabilmente l'amico, dandogli per scherzo un pizzicotto sul braccio.
Fu allora che Albert parve riprendersi dallo stato di catatonico torpore in cui si era lasciato affogare fino a qualche istante prima. Sollevando lo sguardo spossato verso il compagno, si lasciò sfuggire dalle labbra una risatina allietata, che ebbe come grande risultato quello di rallegrare lo stesso umore di Edward, affranto e addolorato sino a qualche minuto prima.
"Va bene. Giuro solennemente che non mi azzarderò a fare la corte nemmeno alla più pallida di fanciulla con abitino bianco, e cercherò di riprendermi il prima possibile."
Edward sorrise dolcemente e gli strinse la mano il più saldamente possibile, cercando di trasmettergli implicitamente la forza che lo animava in quei frangenti.
Improvvisamente però Albert, fissandolo sbiecamente e con un misto di timore ed incertezza, gli intimò con il braccio di avvicinarglisi maggiormente, e di accostare l'orecchio alle proprie labbra. Aveva qualcosa da dirgli, e non voleva assolutamente che Collins, che tra l'altro li fissava profondamente stizzito da almeno un quarto d'ora, partecipasse alla conversazione.
Edward lo guardò confuso.
"Albert, che c'è? Cosa vuoi dirmi?"
L'amico si sforzò per ricominciare a parlare, la tosse che lo stava letteralmente consumando non contribuiva di certo a rendergli facile il proponimento.
"Edward, per l'amor del cielo, giurami su quello che hai di più caro al mondo di stare lontano da quel tedesco. È un maledetto animale, quando mi ha tirato quel calcio alle costole mi è sembrato di provare un dolore incredibilmente più grande e tremendo, contrariamente a quanto fosse realmente forte il colpo. Te ne prego, ho notato che sei interceduto per la sua causa..non farti accecare da nobili sentimenti. Sono disgustosi invasati che meritano di soffrire e perire nei modi più astrusi per quello che stanno provocando con le loro politiche folli al resto del mondo. Essere gentili e compassionevoli non porta a nulla, rischi solo di lasciarci le penne tu stesso. Non posso, per tutto l'oro di questo mondo, andarmene via e lasciarti da solo se prima non mi prometti solennemente di non avvicinarti alla sua persona neanche ad una distanza giudicata unanimemente sicura. Per favore, tieni fede a questa parola."
Edward si sentì mancare al suono di quelle parole. Ma il volto dell'amico era a tal punto penoso, esprimeva una preoccupazione talmente veritiera che il compagno non se la sentì di contrariarlo o, peggio, di svelargli quali fossero i suoi reali pensieri ed intenti relativamente a quella faccenda.
"Edward.."
"Te lo prometto, amico. Te lo prometto sulla nostra amicizia, la cosa più sacra da quando siamo arrivati in questo luogo infernale."
Albert assunse un'espressione di beatitudine pura. Lo salutò con gioia e sollecitudine, ma Edward, nel mentre che procedeva tristemente verso i propri alloggi, non poté non farsi scendere una lunga lacrima sul viso.

Nel refettorio, quella sera, c'era più gente del solito. L'intera sala era gremita da una moltitudine indistinta di militari in uniformi scialbe, ragazzetti dai volti imberbi esultanti per aver abbattuto il primo aereo nemico che, immancabilmente, festeggiavano allegri assieme ai compagni e compatrioti, ed una lunga sfilza di vecchi generali, attempati nei loro costumi dai connotati quasi burleschi, ripieni di medagliette e stelle al valore, che masticavano svogliatamente il contenuto delle loro stoviglie, chiacchierando a bassa voce di faccende strettamente private ed inconoscibili. La luce soffusa garantiva un'atmosfera dai contorni a dir poco inquietanti, ed il giovane aviatore ebbe una sgradevole sensazione di oppressione al petto. Gli sembrava che tutti gli occhi delle persone radunate lì dentro si fossero posati sulla sua fisionomia nell'attimo in cui aveva varcato la soglia del grande stanzone, e che perseguissero nel fissarlo con espressioni a dir poco commiserevoli.
Scrutava perplessità, incertezza, timore, forse addirittura sdegno, disappunto e profondo biasimo per gli atti di cui si era macchiato solo pochi giorni prima. Giudicarli con riprovazione e risentimento gli pareva eccessivo, ma comprendeva gli stati d'animo dei suoi concittadini. I crucchi, dall'inizio del conflitto, e molto probabilmente anche da prima, avevano assunto atteggiamenti e comportamenti che ritenerli abominevoli e sprezzanti suonava quasi come un complimento. Le loro concezioni politiche, così come l'aspirazione perpetrata nei confronti di teorie dai contorni imperialistici ed invasionistici non avrebbero potute essere condivise da alcuna persona sana di mente.
Occorreva che qualcuno contribuisse a fermarli ed anche in fretta, e naturalmente gli inglesi, nella loro visione da popolo la cui missione possedeva inevitabilmente carattere universalistico, oltre che salvifico, avevano giurato sulla salvezza della loro patria di snaturare quella minaccia irruenta e focosa dalla breccia del mondo. Edward non era mai stato un cocente nazionalista, ma allo scoppio della guerra, contrariamente ad Albert che fin dall'inizio si era mostrato inequivocabilmente contrariato al dover abbandonare per un tempo indeterminato e non prevedibile ogni singola cosa a cui teneva di più, come tutti i giovani della sua età, si era visibilmente entusiasmato alla parvenza di importanza che rivestiva, e di cui era imbevuto, il suo ruolo. Si sentiva schierato dalla parte giusta, quella benefica, l'unica che avrebbe potuto restituire diametralmente alle nazioni europee la pace e l'equilibrio imperituri.
Faceva molto caldo e la sensazione di affanno si accentuò esclusivamente.
Ebbe l'impulso improvviso di sbottonarsi la camicia per lasciare trapelare un minimo d'aria, la pressione di quel luogo era insopportabile. Si accasciò quasi al tavolo posandosi il palmo sulla fronte imperlata di sudore, ed abbassò la testa per non dare soddisfazione a nessuno di averlo anche solo guardato, mettendosi entrambe le mani sugli occhi. Era molto stanco, la gamba gli tremava, ed era consapevole di trovarsi in uno stato di grande agitazione, nonostante non ne conoscesse i motivi e non sapesse come fare per calmarsi. Una cameriera dalla chioma bionda e dagli occhi castani gli si avvicinò furtivamente, poggiandogli accanto un vassoio scuro contenente una miscela di zuppa e verdure calde. Edward la ringraziò distrattamente, per poi ripiombare nell'intrico insormontabile dei suoi stessi pensieri. Le richieste di Albert lo avevano turbato e non poco, anche se non riusciva a figurarsene le motivazioni. Dopo tutto, il suo amico non aveva detto niente di strano; aveva semplicemente cercato di avvertirlo e di metterlo in guardia, forse addirittura con la consapevolezza che i suoi consigli non sarebbero stati seguiti dal testardo amico.
Era confuso e non sapeva assolutamente come proseguire. Le giornate filavano incessantemente, succedendosi ognuna uguale alla precedente, senza procurare nient'altro che dolore, false aspettative, incertezze, maledetti timori.
Edward gettò uno sguardo distratto intorno a sé, e si sentì incredibilmente sbalordito quando si rese conto che una figura dai contorni indistinti, pallida e vestita tra l'altro con indumenti vecchi e logori, proseguiva lentamente, e senza ombra di dubbio, nella sua direzione. Aguzzò la vista per tentare di comprendere chi fosse quel soldato visibilmente emaciato e se per caso lo conoscesse, e quando si rese effettivamente conto della sua identità, per poco non finì per andargli di traverso il boccone di carne che stava masticando. Avrebbe desiderato incontrare chiunque in quel momento, forse persino Collins, tranne quel ragazzetto biondo con l'espressione da ebete che, sorridendogli in maniera inquietante, provvedeva a sistemarsi al suo stesso tavolo. Non sapeva molto di lui; rimembrava a stento il nome, gli sembrava di ricordare che si chiamasse Dylan, presumibilmente Dylan Malcolm, britannico a tutti gli effetti, se non per qualche lontana ascendenza danese. Si mormorava, fino a due anni prima, che si fosse arruolato in uno dei tanti reggimenti di terra solamente per sfizio, non provando intrinsecamente nell'animo reali sentimenti di fedeltà nei confronti della patria, e si insinuava, in vari plotoni, perfino che sperasse interiormente vincessero i tedeschi il lungo conflitto che già da parecchi mesi li teneva costantemente impegnati. Albert parlava spesso dei suoi comportamenti apertamente stravaganti, e in un'occasione gli aveva anche confidato che in caserma si nutrivano seri sospetti relativamente alla sua integrità sessuale. Giravano molteplici voci che giuravano solennemente di averlo scorto in atteggiamenti di natura intima con altri compagni della stessa unità.
Uno assicurava di averlo veduto, una mattina, mandare con il palmo della mano un bacio ad una giovane recluta arrivata da poco che, notandolo, si era immediatamente premurata di ricambiare affettuosamente il gesto sussurrando "aspettami questa sera, verrò da te il prima possibile." Altri asserivano di averlo beccato più volte "abbracciare" e stringersi forte al petto, forse con eccessiva vivacità, numerosi compagni d'armi, e quando glielo si era fatto giustamente notare, aveva sempre addotto come scusa l'immenso affetto che li teneva legati a sé.
Ad Edward faceva ribrezzo la sola idea che un invertito di tal fatta, macchiatosi di turpitudini simili, osasse avvicinarglisi senza porsi alcun tipo di problema, ma decise di trattenersi, anche se ci riuscì a stento, dall'urlargli in faccia di andarsene all'istante e di sparire dalla sua vista se non desiderava presentarsi l'indomani mattina all'appello con un occhio nero e qualche costola rotta.
"Ehilà Jones, come ti butta?" proruppe concitatamente il farabutto, poggiandogli dolcemente due dita gelide sulla guancia, gesto che per poco non fece scattare in piedi dalla rabbia e dal disgusto il giovane soldato, nel mentre che gli si sedeva accanto.
"Una chiavica, Malcolm. Lasciami in pace."
Dylan non demorse. Gli chiese cosa fosse successo e se qualcosa lo turbasse, Edward fece inizialmente finta di non sentire, per poi, alle continue insistenze del ragazzo, affermare di essere piuttosto nervoso per cose sue. Dylan gli domandò se le motivazioni del suo nervosismo fossero da attribuire alla guerra e alla loro situazione attuale, ed Edward dichiarò che naturalmente c'entrava anche il conflitto, anche se non ne era la causa principale.
"Adesso ho capito! È sicuramente colpa del tedesco arrivato qualche settimana fa se stai così!"
Edward, quando comprese il significato di quelle parole, fece appena in tempo a non strozzarsi seduta stante con la forchetta che reggeva sbadatamente fra le mani. Si girò furibondo verso il suo interlocutore, fissandolo malevolmente con gli occhi accecati dal risentimento e dal disprezzo.
"Cosa diavolo stai dicendo?" esclamò senza riuscire a contenersi.
"Molto carino, su questo non sussistono dubbi..ci stavo anche io quando l'hanno portato qui. Ho sempre avuto un debole per i biondini dall'aria decisa e risoluta, mi comunicano sensazioni belle..quelle espressioni così ferme e determinate, si vede perfettamente che sono pronti a morire per le cause che difendono e in cui credono ciecamente, senza provare remore né timori. E quel tedesco..beh, seguirà pure una dottrina folle, ma con che ardimento.."
Edward non ce la fece più. Si alzò violentemente dalla tavola e gli gettò un'occhiata esasperata.
"Malcolm, piuttosto che stare in questo stanzone puzzolente ad ascoltare il racconto delle tue schifose infatuazioni, me ne vado a farmi ammazzare da un fottuto crucco in questo preciso istante. Vattene, o parla di cose che meritano di essere sentite."
Dylan aggrottò le sopracciglia stupefatto. Non si aspettava quella reazione ed Edward se ne rese conto istantaneamente, vergognandosi indicibilmente e credendo di aver fatto una pessima figura.
"D'accordo, non ti scaldare..beh, cose che meritano di essere sentite dici? Quelli del plotone principale hanno stabilito la settimana scorsa che sono totalmente inadatto al volo e troppo imbecille per fare qualunque altra cosa degna di nota, quindi mi hanno affidato l'incarico di smistare e catalogare tutta la roba che viene sottratta ai crauti una volta catturati. Per lo più ci capitano tra le mani orologi di scarso valore, a volte qualche monile di pregio, medagliette, decorazioni e distintivi di sufficiente rilievo da destare la nostra attenzione. Si trovano impantanate nelle uniformi anche fotografie sbiadite e letterine strappalacrime. Una volta ho trovato nei pantaloni di un tizio una bottiglia di Jägermeister, si tratta di un amaro a base di erbe. Era molto buono, io ed un mio amico lo abbiamo provato e non era male; ho pure la roba del tedesco arrivato da poco, comunque, se ti interessa ti porto a fare un giro nei magazzini, tanto non ho niente di meglio da fare e non ho proprio voglia di ritornare in camerata a quest'ora. Ci stai?"
Edward ci rifletté sopra. Era una proposta estremamente allettante, ed anche se provava ripugnanza e non sarebbe riuscito ad ammetterlo nemmeno a sé stesso, moriva dalla voglia di scoprire cosa fosse stato sottratto al giovane ufficiale. Si trattava, a dispetto di tutto, sempre e comunque di oggetti e beni personali, e se gli fosse andata bene sarebbe magari stato in grado di entrare in possesso di una qualche lettera o fotografia, che gli avrebbero consentito di sapere qualcosa in più su di lui; se aveva fratelli o sorelle, da quale città della Germania proveniva, se era sposato o in procinto di contrarre matrimonio a breve..
"Jones? Stai dormendo? Allora, me la dai una risposta o no?" sbadigliò svogliatamente Dylan, osservandolo annoiato.
Edward lo guardò a sua volta. Riuscì a percepire chiaramente il proprio battito cardiaco prendere ad aumentare con virulenza senza che ci fosse alcuna spiegazione plausibile, e una forte oppressione al petto, scaturitagli dal nulla, gli impedì di rispondere all'istante. Rimase in silenzio qualche secondo di più del consueto, per poi fargli un leggero sorriso, annuendo, e dicendo con insolita frenesia : "D'accordo. Andiamo, ti seguo."
 
La cantina del magazzino principale era avvolta dalla penombra e scarsamente illuminata. I corridoi davano l'impressione di essere stretti ed infiniti, e si era immancabilmente costretti a camminare a tentoni, cercando di schivare contemporaneamente una moltitudine eccezionale di sacchi e scatole, dalle più svariate dimensioni, riposte alla rinfusa per terra e sugli scaffali. C'era un disordine cronico, fortemente caotico ed estremamente disagevole, che avrebbe mandato in confusione totale anche l'individuo più sciatto e trasandato presente sulla faccia della Terra.
Edward si guardò attorno aguzzando la vista il più possibile, tentando di far abituare i suoi occhi alla scarsa luminosità presente nel luogo, riuscendoci a malapena; innumerevoli cartacce erano poggiate a casaccio su un tavolone di legno di quercia, mentre una quantità spropositata di pacchi, recipienti e contenitori, che racchiudevano le cose più impensabili, tra cui indumenti intimi, uniformi, orologi, portafogli, astucci, bottiglie di liquori, missive, fotografie ed oggetti della più svariata natura, erano gettati malamente in ogni singolo angolo dell'enorme seminterrato. Edward si domandò, non potendo in alcun modo soddisfare la sua curiosità, chi fossero tutti quei soldati ai quali apparteneva quella schiera immensa ed inusitata di beni, come si chiamassero, da dove venissero, cosa stavano facendo in quel momento, se erano stati talmente fortunati da riuscire a rimanere ancora in vita, e a quali condizioni avessero dovuto sottostare. Erano stati torturati? Li avevano picchiati, malmenati, costretti con la forza a fornire informazioni, di cui molto probabilmente non erano neppure a conoscenza, sui piani del loro regime? E il tedesco giunto da poco, a cui non smetteva di pensare nemmeno per un istante, anche lui aveva fatto la stessa fine? Cosa gli era accaduto, e perché accidenti non riusciva a sopportare l'ipotesi, estremamente veritiera in fin dei conti, che i suoi superiori avessero provveduto a maltrattarlo?
"Jones, fa' attenzione a tutta questa robaccia. È un cazzo di immondezzaio sto posto, lo detesto." la voce di Malcolm contribuì a distrarlo dalle sue riflessioni, ed Edward si rese conto del fatto che stava effettivamente calpestando un intero fascicolo di documenti, raccolti insieme da un piccolo elastico.
"Ehm, cavolo.." mugugnò il giovane visibilmente imbarazzato.
"Lo so, è un casino di merda. Sta' tranquillo, penso di aver trovato la roba che appartiene al tuo tedesco. È tutto qui dentro."
Edward ebbe un moto di spaesamento nel sentire pronunciare dal compagno l'avverbio "tuo" in riferimento al soldato nazista, ma diede l'impressione di non avergli prestato particolare attenzione. Si concentrò piuttosto sul contenuto della scatola di cartone che, con mani sudate e la voce infarcita di un misto di entusiasmo ed apprensione, gli cedeva il giovane ufficiale sfiancato dal duro lavoro.
Gli parve quasi uno scherzo, e rimase terribilmente deluso. Non che si aspettasse di trovare album di famiglia o videocassette riassuntive di ogni capitolo della sua vita, intendiamoci, ma la materia presente era drasticamente inutile a costituirsi anche la più fioca e pallida idea di chi dovesse essere stato prima di arruolarsi e partire per la guerra. Conteneva a stento un paio di oggetti, dai connotati e le caratteristiche tremendamente comuni, una classica uniforme indossata dai soldati schierati con le forze militari naziste, qualche distintivo che non sembrava essere particolarmente importante, l'immancabile pistola che ogni pilota era strettamente vincolato a portarsi dietro nell'attimo in cui procedeva a decollare, mezza tavoletta di cioccolato fondente e una sottospecie di portafogli, che sfortunatamente era privo di qualsivoglia attrattiva degna di nota.
"Solo questo? Sicuro che non c'è altro?" domandò sommessamente, sperando fin nelle viscere che Malcolm gli mostrasse quantomeno un altro contenitore, che possedesse finalmente le cose che lui sperava, con tutto il cuore, di trovare.
"Beh Jones, se ce ne stava una sola con le sue generalità..credo proprio che non ci sia altro. Mi spiace."
Edward abbassò la testa e soffocò un'imprecazione.
"Certo..capisco. D'accordo, senti, io..ho molto da fare e devo andarmene, non posso restare. Ti ringrazio ugualmente per la disponibilità. Ci vediamo."
Si voltò tristemente, dirigendosi a passi lenti verso della porta, quando l'urlo inaspettato di Dylan squarciò brutalmente il silenzio venutosi a creare, facendolo voltare di scatto in preda al panico.
"Edward, aspetta! Credo di aver trovato qualcosa di estremamente interessante..vieni qui!" biascicò gioiosamente l'altro.
Il giovane si precipitò accanto al commilitone visibilmente estasiato, che si premurò di porgergli con irruenza nelle mani un pezzo di carta stracciato e dai contorni bucherellati. Edward la rivoltò velocemente, con l'ansia che gli divorava letteralmente il petto, su sé stessa, e per poco non ebbe l'impressione che gli scoppiasse il cuore nel petto alla visione dei due individui fotografati che, sorridenti e smaniosi di cominciare a ridere a crepapelle, indicavano divertiti l'obiettivo che provvedeva a ritrarli. Il giovane riconobbe in uno dei due il "suo" tedesco, quel dannato nazista che da più di due settimane rivestiva il ruolo di protagonista indiscusso dei suoi sogni, oltre che dei suoi pensieri quotidiani; era talmente strano poterlo osservare, anche se per mezzo di una semplice fotografia, in quella maniera, così spensierato, sereno, allegro, perfettamente felice. L'unica volta in cui lo aveva visto le circostanze non potevano essere che drammatiche e miserevoli, mentre in quella piccola diapositiva sembrava essere racchiuso un intero mondo da scoprire, da conoscere, da comprendere. Stringeva tra le braccia un ragazzino che all'epoca poteva avere una quindicina d'anni, che gli somigliava incredibilmente, avendo lo stesso naso e la medesima espressione. Indicavano entrambi con le dita qualcosa che si trovava oltre l'obiettivo, ed era palese che si stessero sforzando di non ridere per evitare di rovinare lo scatto. Qualche centimetro sotto si noteva una piccola scritta fatta con penna stilografica; Edward non era grado di parlare il tedesco, ma comprendeva fondamentalmente qualche parola, e quando si rese conto che il significato della frase allegata era "dicembre 1933, io e il mio fratellino" il cuore gli si strinse nel petto e ci mancò poco che non si frantumasse in mille pezzi. Il sudore prese a scendergli lungo le tempie, gli iniziò a girare la testa, e la foto gli scivolò dalle mani crollando a terra.
Dylan lo fissò sbigottito.
"Edward? Che diavolo ti prende, ti senti bene?" gli chiese preoccupato, avvicinandoglisi di un paio di passi per sincerarsi delle sue condizioni.
"Ehi, sta' calmo, non ti agitare..quel dannatissimo tedesco è una vera e propria botta in fronte, non è così? Dimmi un po', non ti starai mica innamorando di lui, Edward..?" gli sussurrò dolcemente, accarezzandogli con la punta delle dita un lembo di pelle.
Edward, al suono di quelle parole, ebbe un tuffo al cuore. Lo allontanò brutalmente da sé, per poi scaraventarglisi addosso con tutta la forza di cui era munito, mollandogli un ceffone in pieno viso.
"Vaffanculo, non osare mai più, mi hai capito Malcolm, mai più insinuare una cosa del genere! Non sono e non sarò mai un cazzo di invertito ripugnante e degenerato come te, e la prossima volta che ti permetti di fare ipotesi di questo tipo, giuro su quello che ho di più caro al mondo che non mi limiterò ad un semplice schiaffo. Non avvicinarti mai più a me, mi fai ribrezzo!" urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Dylan si sollevò lentamente, poggiandosi una mano sulla guancia arrossata, e lo scrutò con aria risentita.
Edward gli rivolse un'ultima occhiata infuocata, per poi avviarsi in direzione dell'uscita.
"Non scordarti mai, Jones, che chi disprezza vuol comprare!" fu l'ultima cosa che le sue orecchie percepirono, prima che la porta venisse sbattuta violentemente.
 
"Allora, me lo fai questo favore o no?"
Avvolto in un pesante cappotto dalla foggia sufficientemente ricercata, Edward fissava angosciato il giovane interlocutore seduto di fronte a lui. Era un ragazzetto di poco più di vent'anni, con i capelli rosso carota, gli occhi serafici piccoli e azzurri, ed un'espressione fortemente sarcastica costantemente stampata in faccia. Aveva il braccio piegato e il mento appoggiato sul dorso del palmo, segno palese teso a dimostrare le accurate ponderazioni che dovevano stargli ronzando nella mente.
"Beh, Edward..chiedi il mondo ad uno che attualmente ha solo un piccolo, minuscolo appezzamento di terra. Che cosa ci ricavo io in tutto questo? Tra l'altro, se mai dovessero scoprirmi, non oso neppure immaginare la fine che mi farebbero fare.." mormorò fintamente contrito il giovane soldato.
"Tranquillo, ho già pensato accuratamente a quest'eventualità. Se mai dovessero effettivamente beccarmi, mi prenderò io la colpa di tutto. Non sapranno mai che sei stato tu, te lo prometto."
Ma quello non sembrava minimamente dare l'impressione di esserne convinto; continuava piuttosto a borbottare sommessamente fra sé e sé, adducendo inutili grattacapi e rogne su rogne.
"Per favore, sei l'unico che può aiutarmi..nessuno sa riprodurre bene la firma di Collins quanto te. Se fossi stato in grado di farlo io, non avrei assolutamente pensato di includere una terza persona, ma non sono capace, si noterebbe palesemente, tutti conoscono lo stile di scrittura di quel caprone.." lo implorò mestamente Edward, poggiandogli una mano sulla spalla.
Fu abbastanza convincente, perché il ragazzetto, dopo ulteriori congetture che durarono come minimo lo spazio di un'ulteriore abbondante mezz'ora, si alzò vivacemente dal materasso sul quale era accasciato e, stringendogli la mano, promise di prestargli soccorso.
"Va bene, ci sto. Non mi interessano le motivazioni, ma devi farmi un favore."
"Certo, tutto quello che vuoi."
"Ecco..al paese, da un po' di tempo, mi reco frequentemente in una locanda dove fanno festicciole molto carine quasi ogni settimana. Ci sta una ragazza che sarei interessato a vedere, ma se lo chiedo a quel bastardo del capitano non mi farà andare neanche se dovessi prostrarmi ai suoi piedi, cosa che non farei, tra l'altro, nemmeno se fossi in punto di morte. Facciamo così, io ci vado lo stesso, di nascosto si intende, e tu mi copri con una scusa qualsiasi, d'accordo?" mormorò audacemente il giovanotto.
Edward annuì, sorridendogli soddisfatto. Dopo essersi stretti la mano, promisero solennemente di prestarsi aiuto reciproco.
 
Friedrich spalancò gli occhi urlando a dismisura. Era l'ennesima volta che accadeva. L'ennesimo sogno che faceva in cui gli inglesi irrompevano in quello spazio ripugnante e disgustoso per avvolgergli un laccio al collo con l'intenzione di strangolarlo. Un piccolo raggio di luce solare penetrava imperterrito nei meandri di una finestrella posta in alto, inonando la cella buia in cui era riverso, disteso su di una minuscola branda, il giovane soldato tedesco. Si alzò con estrema lentezza, tastandosi delicatamente l'intero corpo in preda a dolori lancinanti, e gettò uno sguardo smarrito alle poche cose che lo circondavano. Era stato letteralmente fatto prigioniero in uno spazio di pochi metri di diametro, uno stanzone ripieno di muffa ed umidità, puzzolente e sporchissimo. Vi erano contenuti esclusivamente un materasso che da tempo immemorabile lottava per non soccombere all'irruenza degli acari, ed un secchio per i bisogni fisiologici dei detenuti; altro non si riusciva a scorgere, ed era di gran lunga meglio così.
Da due maledette settimane la sua intera esistenza si era ridotta ad una routine giornaliera di poche ore assolutamente degradante anche per il più abietto degli uomini; dormiva la maggioranza del tempo, intontito contemporaneamente sia dai sonniferi che provvedevano quei cagnacci dei britannici a somministrargli quotidianamente per farlo rimanere tranquillo e impedire che potesse sviluppare eventuali sentimenti di aperta ribellione, ed anche a causa dei molteplici pestaggi cui era stato oggetto dal momento stesso in cui aveva posto piede in quel luogo infernale. Solitamente si presentavano nel tardo pomeriggio, e venivano sempre accompagnati da più ufficiali. Lo facevano inizialmente percuotere con calci e pugni per una buona mezz'oretta, per poi, successivamente, incatenarlo ad una sedia con la scusa di interrogarlo. Friedrich rimembrava esclusivamente che gli avevano domandato più volte se provenisse dai servizi segreti, e ad ogni sua risposta negativa era partito sempre ed immancabilmente un colpo. Erano certi mentisse e non avevano demorso neppure per una singola giornata; alla fine gli lasciavano poche ore di riposo allo scopo di consentire che si riposasse e non soccombesse prima del tempo dovuto, ossia prima di fornire informazioni estremamente allettanti ed appetibili sui piani del proprio regime. Aveva tentato più volte di dire che lui con quegli apparati di polizia non c'entrava nulla, non gli avevano dato ascolto ed anzi, avevano solamente intensificato le sue sofferenze. Erano oramai passati più di quindici giorni, e Friedrich era consapevole del fatto che non sarebbe stato in grado di resistere a lungo. Incominciava già a cedere e presto lo avrebbe fatto del tutto. E quando tale momento sarebbe arrivato, sarebbe parallelamente sopraggiunta la sua fine.
Una lacrima solitaria prese a scendergli sul volto lurido ed estenuato, ed il giovane non fece nulla per evitare che seguisse il suo cammino. Non si vergognava dei suoi sentimenti, riteneva piuttosto che esprimerli apertamente potesse, seppur secondariamente, alleviare i suoi supplizi.
Più di ogni altra cosa gli mancava suo fratello; per tutto quel tempo si era insistentemente sforzato di non pensare a lui, con esiti drammaticamente sfavorevoli.
Stefan era il suo cruccio continuo, non osava neanche immaginarsi cosa fosse accaduto al campo quando ci si doveva essere resi conti del fatto che non era rientrato per tempo, e figurarsi come lui ed Hans dovevano aver reagito era quanto di più angosciante potesse esserci in quei frangenti.
Friderich abbassò le palpebre sconsolato e si poggiò una mano sulla fronte.
Era colpa sua.
Era colpa di quel dannatissimo inglese se adesso si trovava in quella situazione, se era finito incatenato in quelle celle rivoltanti assieme a tanti altri suoi connazionali.
Era soltanto per merito suo.
Ebbe un attimo di esitazione quando notò, nella sua mente, la comparsa della sua figura. Quel suo sguardo penetrante e indagatore, la fisionomia del volto dai contorni delicati e dolci, l'irruenza e la fermezza della voce quando era stato a tal punto intrepido da intercedere in suo favore, nonostante fosse perfettamente a conoscenza dei rischi che correva.
Friedrich ebbe un moto di profonda incertezza al ricordo. Pensò a come quello spocchioso non avesse esitato un singolo istante per difenderlo, alla velocità con cui si era gettato nella mischia impedendo che gli venisse fatto del male, al modo in cui successivamente i loro occhi si erano incrociati, e alla moltitudine indiscussa di emozioni che tali occhiate avevano comportato. Gli era sembrato quasi che l'inglese fosse stato in grado di riconoscerlo, l'aveva osservato completamente impallidito e con gli occhi intenti a scrutare ogni medesimo dettaglio della sua persona. L'aveva guardato come si guarda qualcuno che non si vede da tanto tempo, e Friedrich sentiva l'umiliazione del dover ammettere alla propria coscienza come tali sbirciate avessero avuto esclusivamente l'effetto di fargli aumentare i battiti a dismisura. Aveva compreso quel che aveva detto; aveva avuto addirittura l'impressione che suono più melodico e soave non potesse uscire da bocca umana. E quando era stato zittito gli era parso a momenti di aver intravisto nelle sue fattezze una profonda tristezza.
Non riusciva a capire assolutamente di che natura fossero i sentimenti che nutriva nei suoi confronti; da un lato sperimentava un incredibile risentimento per colui che credeva essere il solo artefice della sua situazione attuale, mentre, dall'altra parte, era in un certo senso consapevole dell'attrattiva e del fascino che quel soldato rivestiva su di lui, ne aveva apprezzato l'indicibile coraggio ed era anche sicuro del fatto che, in realtà, nonostante non riuscisse ad ammetterlo nemmeno a sé stesso, sotto le apparenze e le semplici convenzioni, ci fosse qualcosa di diametralmente più grande ed importante di quello.
Aveva trascorso tre lunghissime settimane nel tentativo disperato di sopraffarlo in volo ed infine compiere la sua missione uccidendolo; si era illuso di odiarlo, di considerarlo un nemico, un semplice e fastidioso ostacolo alla realizzazione dei suoi piani; ventuno disgraziati giorni costituiti da nulla se non una miriade di incertezze, fallimenti, delusioni e rimpianti.
Aveva fallito il compito affidatogli dal comandante procurando sicuramente ai più un immenso dispiacere, era stato fatto prigioniero, aveva perduto suo fratello e molto probabilmente non l'avrebbe mai più rivisto; che cosa gli rimaneva se non piangere e disperarsi? Non aveva alcun futuro davanti a sé; sarebbe stato torturato fin quando non avrebbe confessato qualcosa di utile, e visto che non disponeva di alcunché di opportuno da ammettere, ci avrebbe sicuramente rimesso la vita.
Improvvisamente Friedrich avvertì uno spostamento d'aria. Spalancò gli occhi tenuti abbassati per la stanchezza fino ad un attimo prima; due scarponi neri, macchiati di fango, occupavano per intero lo spazio di pavimento che era intento a fissare. Alzò molto lentamente lo sguardo, temeva di trovarsi di fronte nuovamente uno di quegli sgherri che gli venivano spediti quotidianamente per obbligarlo a parlare. Ma, quando si rese conto che le due pupille cerchiate di un caldo color nocciola erano quelle che appartenevano al suo nemico, per poco non gli si gelò il sangue nelle vene. Era lui. Era Edward Jones.
 
Edward non credeva di essersi mai sentito male come in quello specifico frangente.
Sentiva il cuore battergli a mille e proprio non sapeva come fare per calmarsi. Il soldato nemico lo stava frattanto fissando sconcertato e impallidito, assolutamente sbigottito e completamente avvinghiato su sé stesso, senza pronunciare nemmeno una parola. Sembrava fosse sul punto di mettersi ad urlare da un momento all'altro, ed Edward sapeva di dover impedire ad ogni costo che una cosa del genere avvenisse se non voleva che lo scoprissero. Venire scovato avrebbe significato una drastica punizione, oltre ad una probabile espulsione dai ranghi per lui, e la quasi sicura condanna a morte immediata per il crauto, alludendo come motivazione potenziale favoreggiamento di terzi.
Cercò di essere il più gentile possibile. Gli si avvicinò pacatamente e tentò di allungargli una mano, ma il tedesco reagì prontamente; si sollevò di scatto e si ritrasse spaventato da quel contatto, relegandosi contro la parete e persistendo nell'osservarlo totalmente frastornato. Dava l'idea di essere incredibilmente perplesso, e quella strana apparizione gli aveva esclusivamente generato un profondo disorientamento.
Edward abbassò lentamente il braccio e gli sorrise debolmente.
"So che comprendi la mia lingua. Ascolta..non so neppure io perché sono qui, in questo posto, e le cose che ho fatto per arrivarvi..sentivo però di doverti incontrare, anche se non ne conosco le ragioni. Pensavo in un primo momento fosse solo per restituirti questa, ma poi..diamine, davvero non ne ho la più pallida idea. Io..mi dispiace immensamente per le cose che ti hanno fatto. È stato uno scontro magistrale, quello che sei stato capace di condurre. Da settimane sognavo un Messerschmitt simile al tuo, mi tormentava ogni singola notte, presto o tardi sarei arrivato ad impazzire.."
Senza rendersene conto, e forse a causa dell'eccessiva tensione emotiva, Edward si fece scivolare via dalla tasca la fotografia appartenente al tedesco. Friedrich se ne accorse istantaneamente, e spalancò le palpebre assolutamente sconcertato. Aveva implorato fin allo stremo, fin quando non gli erano mancate le forze, affinché non gliela portassero via; era l'unica cosa che gli rimaneva del fratello, l'ultimo appiglio di speranza, il solo oggetto che ancora gli ricordasse la sua non appartenenza a quel maledetto luogo infernale. Non era stato ascoltato. Gliel'avevano strappata con brutalità assieme ai restanti suoi effetti personali, senza mostrare anche soltanto un briciolo di pietà.
Il giovane soldato alzò lo sguardo in direzione delll'inglese che aveva di fronte. Gli fissò la faccia, le labbra, gli occhi, e in un momento, senza che fosse in grado di figurarsene in alcun modo la motivazione, dimenticò tutti i pensieri e le congetture prodotte su di lui, e realizzate dalla sua mente solo qualche attimo prima; pensò alla sua diretta implicazione nella vicenda, rimembrò come non avesse avuto scrupoli nell'attaccarlo fino a farlo capitolare per i troppi colpi inferti. Si rese conto di come fosse lui, esclusivamente lui, lo sciagurato responsabile del suo abbattimento, della sua conseguente prigionia, del suo drastico allontanamento dagli affetti più cari, dalla patria di appartenenza, da ogni specifica cosa rivestisse per lui una seppur minima forma di importanza.
Il sangue gli si gelò nelle vene, e contemporaneamente presero ad infervorarsi le membra; in un impeto irrazionale di furia e di rancore incontrollato, gli si scagliò addosso di peso, afferrandogli il collo con le mani gelate, usufruendo di tutta la forza che ancora gli rimaneva. L'inglese indietreggiò sbigottito, non comprendeva cosa stesse accadendo ed, internamente, dava l'impressione di non esserselo aspettato nemmeno.
"È colpa tua se sono finito qui! È solamente colpa tua!" urlò ferocemente Friedrich, trattenendo a stento le lacrime.
Edward non capiva. Non riusciva, a nessun costo, a capacitarsi di come fosse possibile che una cosa del genere si stesse verificando, proprio a lui, in quel frangente. Le mani del crauto gli si erano saldamente strette intorno alla gola, senza che potesse opporre in alcun modo una qualche forma di resistenza. Decise semplicemente di abbandonarglisi tremando a dismisura come una foglia; non aveva la capacità di fronteggiare quell'attacco dettato dalla pura intensità della disperazione, e, a dire la verità, non se la sentiva nemmeno. Sapeva che non era la cosa giusta da fare.

L'ultima cosa che credette di udire fu il grido concitato di qualcuno che si dirigeva nella loro medesima direzione, e si ricordò anche di due grosse e muscolose braccia che gli afferrarono prepotentemente il torace, allontanandolo velocemente da quella stretta diabolica, sospingendolo indietro ad una insignificante, e, nonostante questo, fondamentale distanza di sicurezza.
 
"Stefan, non hai idea di quello che mi stai chiedendo".
Avvolto in un pastrano nero dalla foggia enormemente raffinata, Hans Bauer fissava sconcertato e con gli occhi fuori dalle orbite il giovane soldato tedesco che gli si stagliava di fronte. Stefan non dava l'impressione di starlo a sentire; fissava completamente assorto un punto indefinito all'orizzonte, e tutto si sarebbe potuto pensare, tranne che avesse compreso realmente quel che il suo migliore amico gli stava dicendo.
"Mi stai ascoltando, per Dio? Davvero mi hai svegliato nel cuore della notte, facendomi venire quasi un infarto tra l'altro, per portarmi in un fottuto hangar e dirmi..questo?" L'amico gli si avvicinò rapidamente per poggiargli le mani sulle spalle, cercando di attirare miseramente la sua attenzione.
Stefan parve d'un tratto rinvenire. Gli sorrise gentilmente, e poggiò saldamente le proprie mani sulle sue.
"Comprendo il tuo sconcerto, Hans, ma non posso restarmene qui impalato a contare le mosche aspettando di ricevere notizie inconcludenti quando mio fratello potrebbe essere là fuori, vivo e vegeto, magari fatto prigioniero in uno stramaledettissimo accampamento britannico.." proruppe con tono deciso che non ammetteva repliche.
Hans sembrò sul punto di farsi venire una crisi isterica.
"Stefan, ti rendi conto che ti stai basando su un'ipotesi completamente campata per aria? È vero, non sono stati rinvenuti i resti dell'aereo in mare, ma niente esclude che possa essere stato tranquillamente messo alle strette e abbattuto in territorio inglese..per favore, togliti questo folle proposito dalla testa, Friedrich non avrebbe mai voluto che tu facessi una cosa così stupida e priva di senso! Pensa ai rischi che correresti, maledizione! Tu che a stento hai pilotato un velivolo in tutta la tua esistenza, forse per una decina di minuti, metti a repentaglio la tua stessa vita per seguire una possibilità remotissima in una marea di certezze..hai sentito anche tu cosa ha detto Schulz, diamine! Ti ha addirittura concesso di ritornartene a casa! Lo ha fatto in virtù della grande stima che nutriva nei confronti di tuo fratello..dobbiamo metterci l'anima in pace, amico mio, anche io gli volevo un gran bene, ma adesso lui..lui.."
Stefan lo fissò furente. Spinse via le braccia che lo stringevano caparbiamente alla figura dell'amico, e gli puntò addosso uno sguardo colmo d'ira.
"No! Basta! Stammi a sentire, perché ti assicuro che queste parole le sentirai uscire dalla mia bocca una volta sola..mio fratello è vivo, capito? È vivo! Sono certo che lo sia! Non chiedermi come faccio a saperlo, ma ne sono più che sicuro. Non posso permettere che gli sia fatto del male, devo andare da lui. Devo cercarlo, lo devo riportare qui, da noi. È questo il luogo a cui appartiene."
"Stefan.."
Stefan gli voltò le spalle, e, d'improvviso, prese a camminare lentamente per la vastissima rimessa, osservando rapito i numerosi aeromobili riposti.
"Sai, quando eravamo piccoli, giocavamo molto spesso nelle radure immense che si estendevano tutt'attorno alla nostra magione di campagna. Ricordo che, tra uno dei nostri divertimenti preferiti figurava il nascondino..passavamo ore intere a studiare accuratamente anfratti sconosciuti nei quali avremmo potuto rifugiarci senza farci scoprire da nessuno, e ci divertivamo tantissimo. Un pomeriggio stava piovendo e la nebbia era molto fitta..nostro padre ci sconsigliò di uscire fuori ma noi non gli demmo retta, e andammo lo stesso. E successe purtroppo l'irreparabile. Ci perdemmo ed alla fine io persi lui. Avevo un pessimo senso dell'orientamento, ma, non so ancora come, alla fine riuscii a tornare a casa..con le lacrime che mi scorrevano irrefrenabilmente lungo le guance. Passammo cinque lunghissimi giorni a cercarlo. Mio padre era disperato ed io..come catapultato in una sottospecie di stato catatonico..non facevo altro che girare a vuoto per quei boschi rarefatti urlando il suo nome. Alla fine passò più di una settimana e mio padre rinunciò alle ricerche, scrisse una lettera alla madre di Friedrich in cui le annunciava il terribile avvenimento esortandola a raggiungerci il prima possibile, e si rinchiuse in casa assieme a me, sigillando con la chiave tutte le porte per impedirmi di uscire fuori. Diceva che non voleva mi capitasse quel che malauguratamente era avvenuto a lui. Io fingevo di assecondarlo ma la notte, complice la serratura rotta di una piccola finestrella in camera nostra, mi mettevo a correre all'impazzata per la radura con una torcia in mano, gridando angosciatamente che ero io, Stefan, suo fratello, che non doveva avere paura, che lo avrei riportato a casa sano e salvo. Ed alla fine lo trovai. Lo trovai, Hans. Terrorizzato, lo ammetto, con i vestiti laceri e imbrattati, la pelle sporca e affamato come un cucciolo sottratto ai genitori, ma era lui. Era mio fratello, ed era vivo. Avevo sempre saputo che lo era, ecco perché non avevo mai smesso di cercarlo. Io sento che questa volta è esattamente la stessa cosa. Lui è là fuori, probabilmente pensa di continuo a noi, non sa come tornare ed io..io non posso starmene qui a non fare nulla. Lui mi ha sempre protetto, ora tocca a me fare lo stesso."
Hans lo guardò confuso e a tratti commosso, senza avere la più pallida idea di cosa dire.
"Stefan, io..capisco perfettamente ciò che intendi, ma.."
Stefan non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase.
"Ascoltami bene, Hans. Friedrich ha passato tutta la vita a dirmi cosa potevo o non potevo fare. Per una volta..per una sola volta, voglio poter decidere io cosa è giusto per me."
Detto ciò, si avvicinò furtivamente ad un piccolo aereo posto nell'ombra. Gli carezzò dolcemente la facciata, per poi sussurrare lentamente : "Questo andrà benissimo."
Hans sembrò sul punto di mettersi a piangere.
"Non c'è davvero niente che io possa dire o fare per convincerti a non andare?"
Stefan lo guardò.
"No. Mi spiace."
"E come farai ad orientarti? A sapere quale accampamento è quello giusto? Ce ne saranno a decine lì e, se dovessi sbagliare.."
"Non devi preoccuparti. Ho avuto davvero molto tempo a disposizione per riflettere e stilare dei punti chiave, seguendo le indicazioni del navigatore di bordo prima che si scaricasse."
Bauer non sembrò per niente convinto.
Stefan non gli diede retta; si arrampicò celermente sopra una fiancata del velivolo e prese repentinamente ad aprire, tentando di non far troppo rumore, l'enorme portellone. Una volta posizionatosi ai comandi, gettò un'ultima occhiata verso colui che era stato uno dei suoi più grandi amici in quel maledetto luogo.
"Aspettami, Hans. Aspettami perché ti assicuro che tornerò, e lo farò con Friedrich."
Lo vide partire. Lo vide innalzarsi in volo e sparire all'orizzonte, nella notte buia e ripiena di tenebre. Si sentì quasi mancare; si fece dunque subito il segno della croce, per poi mettersi a pregare augurandosi vivamente che tutto andasse per il meglio.

 

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