La nostra forza

di MaryFangirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il migliore del Giappone ***
Capitolo 2: *** 2. Prodigio ***
Capitolo 3: *** 3. Gli insegnamenti dello Shohoku ***
Capitolo 4: *** 4. Vincitori ***
Capitolo 5: *** 5. Mio ***
Capitolo 6: *** 6. Donne, uomini e scimmie rosse ***
Capitolo 7: *** 7. Diavoli azzurri ***
Capitolo 8: *** 8. Primo bacio ***
Capitolo 9: *** 9. La volpe e la scimmia ***



Capitolo 1
*** 1. Il migliore del Giappone ***


Fanfiction tradotta dallo spagnolo, potete trovare i dettagli dell’originale qui sotto.
Titolo originale: Somos fuertes
Link storia originale:
https://www.amor-yaoi.com/fanfic/viewstory.php?sid=116963
Link autore: https://www.amor-yaoi.com/fanfic/viewuser.php?uid=59438
  
Ciao a tutti ^^ sulla scia della mia fissa periodica per Hanamichi e Kaede mi sono imbattuta in un sito in lingua spagnola a contenuto esclusivo yaoi e ho trovato un’autrice che ha scritto davvero delle belle fanfiction su questa coppia, chiedendole di conseguenza il permesso di tradurle...quindi rieccomi :D
 
Spero che la storia in questione vi piaccia, io l’ho adorata ^^ ero indecisa se lasciarla a rating arancione, come in originale, o se mettere il rating rosso, perché a un certo punto diventa davvero bollente...alla fine ho deciso di impostare il rating arancione, ma attenzione perché è un arancione davvero molto molto acceso, tendente al rosso!! In questo modo anche chi non è iscritto al sito ha la possibilità di leggere...
 
Se vorrete leggere e lasciare una vostra opinione, ne sarò contenta ^^ Penso che aggiornerò ogni lunedì, anche perché ogni capitolo è abbastanza corposo. Buona lettura.
 

 
Con l’orologio che ticchettava i due minuti restanti dalla fine della partita, gli spettatori iniziavano a trattenere il respiro. Gli animatori e i seguaci dei vincitori saltavano sui sedili e applaudivano con grida o preghiere silenziose per i propri preferiti. Gli allenatori fissavano come falchi i giocatori che correvano in campo. Misurando, analizzando, muggendo istruzioni, indicando posizioni. In tutti gli sport ogni secondo è prezioso, ma nel basket sembra che ognuno duri un’eternità: il palleggio esasperante, un layup impeccabile, una difesa schiacciante, una tripla dalla parabola perfetta, una schiacciata vigorosa. Un secondo può cambiare tutto.
 
Diventa il giocatore numero uno nelle scuole superiori giapponesi.
 
Capelli neri e setosi gli ricadevano sugli occhi come un mantello trasparente. Ad ogni occhio curioso che lo vedesse, il ragazzo seduto mezzo accucciato sulla panchina della squadra del North Carolina sembrava osservare assorto la partita/battaglia con un’aria arresa. Ma la realtà era tutt’altra.
I suoi occhi blu guardavano ma non mettevano a fuoco. Con un asciugamano intorno al collo e alle spalle, il ragazzo teneva le mani giunte come a imitare una preghiera. I fan che pensavano che pregasse per i Tar Heels*, sarebbero rimasti delusi.
 
Diventa il giocatore numero uno nelle scuole superiori giapponesi.
 
Quella frase continuava a ripetersi nella sua testa. Come un mantra, una canzone orecchiabile, un cd per imparare l’inglese (di quelli che tanto aveva ascoltato prima di imbarcarsi in quell’avventura). Risuonava e si ripeteva nella sua mente più e più volte. Più e più volte.
All’inizio lo aveva motivato e incoraggiato ad andare avanti: lo aveva aiutato a migliorarsi nella squadra giovanile degli All Japan; lo aveva temprato per sopportare il suo assurdo compagno di squadra durante i suoi anni allo Shohoku; gli aveva permesso di guardare sempre avanti, continuare a lottare e lavorare per essere il migliore. Anche se durante il secondo anno avevano perso in finale e il migliore giocatore dei nazionali era stato un ragazzo di un altro distretto.
 
Se l’era ripetuta quando il professor Anzai e Miyagi avevano nominato Sakuragi come capitano della squadra al terzo anno, per cercare di controllare la rabbia e la gelosia. E aveva continuato a ripetersela finché non erano finalmente riusciti ad alzare la coppa del campionato nazionale; fino a quando non era stato nominato e premiato come migliore giocatore; finché il professor Anzai non gli aveva dato la sua benedizione.
 
Ma ora quella frase lo seguiva, lo perseguitava e lo tormentava.
 
Sono il migliore. Sono il migliore del Giappone.
 
“Time out!”
 
I suoi occhi di zaffiro si voltarono quando udì la voce dell’allenatore, Roy Williams**.
Lo trovò a parlare al tavolo principale, avvicinandosi poi alla panchina e facendo cenno a tutta la squadra di radunarsi. Tutti i ragazzi, alcuni sudati e ansimanti, si formarono in cerchio accanto all’uomo che cominciò a parlare con tono deciso. L’allenatore li guardava negli occhi, commentando e parlando dei pochi secondi che restavano, della minima differenza che li affliggeva. Dialogo sulla vittoria, la gloria e l’onore. I giovani annuirono e sorrisero quando ciò era giustificato, ma più di ogni altra cosa cominciarono a raccogliere la loro determinazione per vincere.
 
“Paige, rimarrai in panchina...”
 
Il ragazzo sospirò mentre l’allenatore, con gli occhiali abbassati, guardò ciascuno dei giocatori ancora in panchina. Kaede trattenne involontariamente il respiro. I suoi muscoli si tesero e i suoi occhi brillarono. I piccoli occhi dell’uomo sembravano trapassargli l’anima mentre si concentravano su di lui; qualcosa dentro il ragazzo parve muoversi, quasi disperato, ma rimase calmo, del tutto controllato. Quel millesimo di secondo in cui i loro sguardi si incontrarono, nuovi mondi nacquero, vissero e si distrussero, ma il desiderio che corrodeva il suo controllo non raggiunse o non volle essere letto dall’uomo.
 
“McAdoo***, prendi il posto di Paige...ok, ragazzi! Vinciamola!” gridò l’uomo, al contempo applaudendo e spingendo gli atleti.
 
“Sì!” i cinque giocatori corsero al centro del campo, dove gli avversari li aspettavano con ansia, sapendo che per il momento erano i vincitori.
 
Diventa il giocatore numero uno nelle scuole superiori giapponesi.
 
Non era sufficiente? Non era abbastanza? I suoi pugni si strinsero con rabbia e frustrazione. Ma il suo viso rimase immutabile, sereno e calmo, serio e inaccessibile. Le sue vene ribollivano, ma la sua pelle pallida continuava a fingere di essere fatta di ghiaccio. Sbatté le palpebre un paio di volte prima di concentrare gli occhi sul gioco di fronte a lui.
Alcuni suoi compagni erano in piedi accanto a lui in attesa. Altri urlavano al suo fianco.
 
Guardò il tabellone. Erano sotto di due punti.
 
“Corri, corri, corri!”
 
Uno dei suoi compagni in campo – Kaede non ricordava il nome – dribblò e ingannò la difesa avversaria, penetrandola e raggiungendo una posizione perfetta per segnare. Il ragazzo piegò le ginocchia e alzò le braccia.
 
“La mano sinistra serve solo a tenere la palla...” mormorò, attirando l’attenzione di un compagno che lo guardò confuso. Ma Kaede continuava a osservare il ragazzo che giocava in campo. L’ultimo secondo in cui la palla fluttuò in aria sembrò durare un’eternità. Pareva che nessuno osasse respirare per non deviare la direzione della palla. Nessuno si muoveva né pensava. Ma non era abbastanza. La palla rimbalzò e quando i giocatori, sia del North Carolina che dei Duke, corsero incontro ad essa, il tempo finì.
 
Le urla ruppero l’istante di silenzio che era caduto nello stadio. Il mutismo e la delusione impregnarono i tifosi dei Tar Heels, che lasciarono bruscamente e con urgenza i loro posti verso l’uscita.
Kaede, guardandosi intorno, chiuse gli occhi e respirò profondamente. Sentendosi le spalle e le gambe un po’ meno tese, si concesse di andare nello spogliatoio, dove ormai molti suoi compagni erano diretti.
Il suo allenatore e alcuni ragazzi della squadra rimasero a parlare con la stampa o a firmare autografi.
 
Nessuno chiamò né urlò il nome di Kaede Rukawa.
 
^ ^ ^ ^
 
I suoi occhi lottavano per restare aperti. Solo finché non finisci di mangiare, si disse, trascinandosi un altro boccone alle labbra. Non aveva dormito per tutto il giorno. Non con l’allenamento mattutino, poi il discorso dell’allenatore, nel pomeriggio la breve e ansiosa passeggiata verso lo stadio, e infine la partita serale.
Ora che era finalmente a casa, il ragazzo pensava di poter chiudere gli occhi e abbandonarsi ai sogni.
 
“La tua squadra ha giocato molto bene, Kaede”.
 
Kaede si limitò ad annuire alla voce di sua madre. Guardò quanto poco cibo era rimasto nel suo piatto e decise di aumentare un po’ il ritmo.
 
“Quel ragazzo...Paige, si chiama? È molto bravo”
 
Alzando lo sguardo, incontrò occhi identici ai suoi. Non vide traccia di malizia, scherno né disgusto in essi. Non c’era nessuna cattiva intenzione dietro il commento. Solo un modo di fare conversazione.
Sua madre, nonostante vivesse con lui da diciannove anni, sembrava non voler rinunciare al suo obiettivo di farlo parlare.
 
Eppure ormai dovrebbe saperlo, si disse Kaede, d’altronde si era sposata con suo padre, dal quale lui aveva ereditato quella personalità silenziosa e introversa.
 
“Oggi...non ti sentivi bene?”, sapeva perché lo stava chiedendo, era anche sicuro che lei conoscesse la rispost alla domanda, ma non si sentiva abbastanza sicura da pronunciare le parole ad alta voce.
Kaede bevve un po’ di succo per far partire la digestione più velocemente.
 
È imbarazzante, gemette un po’ senza guardare direttamente sua madre negli occhi.
 
“Io...scommetto che il coach Williams ti farà giocare presto. Vuole solo assicurarsi che tu sia in forma”, Kaede sentì l’eccitazione e la speranza nella voce di sua madre; una parte di lui non poteva fare a meno di volerla guardare e annuire, credendo nelle sue parole. Tuttavia, l’altra – quella in superficie e la più forte – la censurava e distruggeva quello che diceva.
 
Cosa ne sa lei.
 
“Ho finito” rispose invece, alzandosi con calma, “vado a dormire. Ho le lezioni domani mattina”
 
Lezioni a cui probabilmente sarebbe arrivato tardi per essersi addormentato, come solitamente accadeva. Sfortunatamente le vecchie abitudini (o hobby, come alcuni le chiamavano) erano dure a morire; motivo per cui Kaede continuava ad addormentarsi ovunque, in qualsiasi momento e in ogni minuto. Ma, proprio come aveva promesso al professor Anzai e al suo manager, avrebbe cercato di fare del suo meglio negli studi.
 
“Certo, certo. Buonanotte...aspetterò che arrivi tuo padre”
 
Kaede annuì e andò nella sua stanza al secondo piano. Alcune volte – come in quel caso – si pentiva di non aver fatto domanda per accedere ai dormitori che offriva l’università; in quel modo avrebbe risparmiato almeno quel tipo di conversazione.
Ma ormai era lì. I suoi genitori erano andati negli Stati Uniti con lui e pertanto nessuno di loro vedeva la ragione per cui non vivere insieme durante i primi anni.
Non che Kaede volesse andare all’università per socializzare – a malapena parlava con alcuni suoi compagni di squadra.
 
Chiudendo la porta della stanza, non esitò a gettarsi sul letto con entrambe le braccia dietro la testa – si era già lavato e cambiato.
 
Diventa il giocatore numero uno nelle scuole superiori giapponesi.
 
Quelle parole echeggiarono di nuovo con forza nella sua mente. Respirò profondamente cercando di schiarire e cancellare tutti i pensieri indesiderati, ma il compito non andò a buon fine. Solo a ricordare la partita di poche ore prima, un accumulo di sensazioni per lui estranee sorgeva al suo interno, facendolo addirittura tremare di rabbia.
 
Avrei potuto fare meglio, pensò, ricordando alcune delle giocate dei suoi compagni.
 
Avrei potuto ricevere meglio il passaggio, concluse pensando ai suoi giorni allo Shohoku, quando al secondo e al terzo anno molte delle matricole – e poi degli studenti del secondo anno – praticamente organizzavano il gioco per lui, dandogli quasi sempre la palla, fornendogli l’opportunità di perfezionale la sua tecnica di posizione e ricezione.
 
Avrei potuto superare meglio la difesa.
 
Non per nulla nella sua squadra c’era quella rumorosa scimmia dai capelli rossi, il cui unico obiettivo negli allenamenti era quello di fermarlo – cosa che gli era riuscita molte volte, per la frustrazione e la sorpresa di Kaede.
 
E avrei anche fatto canestro, concluse, ricordando uno dei tanti faccia a faccia che aveva condiviso con Sakuragi, che fosse nella palestra della scuola o in campetti pubblici; con il corpo e la forza mostruosa di quello scemo, Kaede aveva potuto e dovuto imparare a tirare in diversi modi.
 
Diventa il giocatore numero uno nelle scuole superiori giapponesi.
 
Lo sono. Sono il migliore del Giappone.
 
Ma non era abbastanza in quel posto. Quella era la vita vera. Era l’America. La NCAAB. Basket di livello accademico. Dove gli occhi dell’NBA e della stampa straniera puntavano per gli acquisti futuri. E, per sua irritazione e frustrazione, lui non stava facendo una buona impressione.
Il suo nome aveva risuonato solo in principio. Quando era arrivato allo stabilimento universitario all’inizio dell’anno precedente, poco dopo aver terminato gli studi allo Shohoku, migliaia di giornalisti si erano avvicinati a lui per incontrare la novità, la stella giapponese. Ma si era trattato solo di quello: una novità.
 
Strinse forte i pugni. Si sollevò, rimanendo seduto sul copriletto. Inspirò ed espirò un paio di volte.
Non era affatto comune per lui andare fuori di testa in quel modo.
L’unica cosa che suscitava in lui una reazione era la pallacanestro. Sempre desiderando di essere il migliore, allenandosi duramente, superando gli avversari. E beh, perché mentire, anche quell’idiota dai capelli rossi, di cui il professor Anzai parlava e da cui si aspettava tanto.
 
Kaede era sempre andato fuori di testa e si era sorpreso che un ragazzo violento e teppista come lui, che all’inizio non aveva idea di come si giocasse a basket, in pochi mesi era diventato un pezzo chiave della squadra, poi ne era stato il cuore, e alla fine, un giocatore indispensabile.
 
Mpf, quello stupido...
 
Tornando a letto, decise di infilarsi sotto le lenzuola. Era tardi, e non mentiva quando diceva che avrebbe davvero cercato di dare il suo meglio negli studi. Chiuse gli occhi e come per magia il sonno lo invase, non senza prima pensare che il giorno dopo si sarebbe allenato più duramente.
Avrebbe dato tutto di sé in campo. Avrebbe dimostrato ad allenatore e compagni chi era Kaede Rukawa e perché era stato incoronato miglior giocatore del Giappone.
 
^ ^ ^ ^
 
Una settimana dopo quella promessa, Kaede sentiva il sudore colargli dalla tempia fino al mento. Se era certo di qualcosa, era che entrambe le magliette che indossava per l’allenamento, ora erano fradicie. Appoggiò entrambi gli avambracci sulle ginocchia, cercando di controllare la respirazione. Calmandosi un po’, alzò lo sguardo. Immediatamente si imbatté in molti dei suoi compagni che giacevano sul pavimento, altri bevevano acqua come disperati, altri si strofinavano il viso con un asciugamano come se si stessero punendo. Non poté fare a meno di sentirsi un po’ meglio quando notò che era in una forma fisica molto migliore di parecchi di loro. Tuttavia il buon umore svanì rapidamente.
 
Se sto così bene, allora perché non gioco.
 
Risentì la voce dell’allenatore, come da dietro le quinte. Aveva parlato loro delle successive partite, che gli allenamenti ora sarebbero diventati più rigorosi e pesanti. Aveva anche fatto una piccola ramanzina sull’ultima prestazione contro i Duke, ma si era anche congratulato per il grande impegno che stavano dimostrando negli ultimi giorni, e alla fine li aveva congedati.
 
In pochi giorni ci sarebbe stata un’altra amichevole o, come amavano chiamarla, una partita dimostrativa. In quel periodo le squadre si dedicavano a sfoggiare i nuovi acquisti o nuovi trucchi, nuove manovre o stili di gioco. Erano impegni che tifosi e stampa aspettavano per catalogare e pronosticare come sarebbe stata la stagione seguente.
Kaede, come si era ripromesso, aveva iniziato ad allenarsi il doppio, anche il triplo. Era sicuro che stava lasciando l’anima in ogni allenamento. Non per niente, appena finito con la squadra, il suo corpo e la sua mente arrivavano a casa vivi per miracolo.
In classe ultimamente si addormentava appena si sedeva. Gli studi ovviamente stavano peggiorando. Ma non poteva farci niente. Lo aveva già detto una volta: il basket era l’unica cosa che contava per lui.
 
Bevve un po’ d’acqua dalla bottiglia che aveva lasciato sul pavimento insieme alle sue cose. Con la coda dell’occhio vide alcuni suoi compagni che scherzavano, altri si dirigevano negli spogliatoi, altri semplicemente aiutavano a raccogliere le palle e quanto usato dalla squadra. Kaede rifletté sull’idea di fare una veloce doccia e andare a casa, ma notando che nessun muscolo gli faceva male più del solito, decise di dirigersi a un campetto pubblico trovato poche settimane prima vicino al suo quartiere.
Uno dei chiari vantaggi degli Stati Uniti era che quei campetti erano molto più comuni e facili da trovare rispetto al Giappone. Lì doveva percorrere una buona quantità di chilometri in bicicletta per trovarne uno, mentre in America ce n’era uno in ogni quartiere.
 
Decso, prese il resto delle sue cose e andò all’uscita. Non prestò attenzione alle persone che gli si avvicinavano. Anche quello era diverso dal Giappone, l’attenzione che riceveva. Forse all’inizio era stato sulla bocca di tutti perché era giapponese, ma non appena la scintilla della curiosità era morta, aveva finito con l’essere uno tra le migliaia di studenti. Nemmeno con la sua statura si distingueva. Con i suoi 188 cm – sì, era cresciuto di un centimetro durante gli ultimi due anni allo Shohoku – era uguale se non più basso rispetto a molti suoi compagni di squadra o di ragazzi di altri sport all’interno dell’università.
 
“Ehi, Rukawa!”
 
Con il suo fedele lettore cd agganciato ai pantaloni, il ragazzo ignorò il resto del mondo che gli passava accanto. Per prima cosa si sarebbe diretto dov’era parcheggiata la sua bici. Cercando nella borsa la chiave della catena con cui aveva legato il suo mezzo di trasporto, sentì una mano forte e scusa afferrargli un braccio.
Si voltò bruscamente verso l’impertinente.
“Amico, tu sì che cammini veloce” uno dei suoi compagni di squadra, un po’ più basso di lui, con i capelli neri come la notte e gli occhi marroni, gli sorrideva.
“Ah, devo andare” chinandosi tolse la catena alla bicicletta. Montandovi sopra distrattamente, notò che il suo compagno – pensava si chiamasse Tom – era ancora in piedi accanto a lui.
 
E adesso cosa vuole, si chiese guardandolo con insistenza.
 
“Allora...vieni alla festa di Brian?”
 
“Brian?” chiese più per cortesia che per reale interesse. Quel ragazzo, Tom, da quando lui era arrivato in università e nella squadra di basket, era sempre stato abbastanza amichevole con lui. Apparentemente era la sua personalità, perché lo vedeva sempre parlare e scherzare con tutti i ragazzi della squadra. A Kaede ricordava un po’ la ‘riserva’ della squadra dello Shoyo, fuori dal campo era un ragazzo semplice e calmo, amichevole con tutti, ma quando giocava si trasformava in un demone e in un avversario temibile°.
 
“Ehi! Uno dei nostri compagni di squadra...sai, quello con i capelli castani”, Kaede si limitò a guardarlo, “un tizio bianco e molto alto...”, Kaede continuò a fissarlo, “porta gli occhiali”, ora Kaede annuì. Sì, pensò di conoscere quel tipo, ma solo perché Brian, con gli occhiali, gli ricordava Kogure senpai.
 
“Sì, vieni? O sì, lo conosci?”
 
“Sono impegnato” rispose. Si sistemò sulla bici sperando che il ragazzo capisse che doveva davvero andarsene, ma non funzionò. Tom alzò le sopracciglia in modo strano e gli diede una gomitata un paio di volte con un grande sorriso piantato in faccia.
 
“Una ragazza sexy?”
 
Kaede sospirò interiormente. Ci sono idioti in tutto il mondo, pensò scuotendo la testa per rispondere.
 
“Mi ha chiamato il mio manager. Ho appuntamento con lui”
 
Ogni traccia di divertimento scomparve dal viso di Tom. Era l’unico in squadra – e probabilmente nel paese, insieme ovviamente ai suoi genitori – che sapeva della difficile situazione che Kaede stava passando. L’americano non sapeva molto bene cosa dire per animare il ragazzo, perché lui, di due anni più grandi, non aveva mai dovuto passare per quell’esperienza – quella di essere ignorato.
 
“Ah...beh...è molto più importante di una stupida festa, no?”, grattandosi il collo, abbassò lo sguardo con disagio verso il suolo senza sapere che altro dire. Kaede, conscio del suo nervosismo, annuì e se ne andò. Il compagno alzò la mano, un po’ sollevato nel vedere la figura del giovane scomparire tra la folla.
 
In realtà non doveva incontrare il suo manager in quel momento. Quando lo aveva chiamato al mattino, l’uomo gli aveva chiesto di vedersi in serata per parlare. Forse proprio per quelle parole era così nervoso e ansioso. Aveva una brutta sensazione. Beh, non brutta. Ma sentiva che stava per succedere qualcosa. E lo stava mangiando dentro. E se avessero voluto escluderlo dalla squadra? Non aveva ancora dato il meglio di sé. Ancora non aveva dimostrato il suo valore, il suo talento, che era capace di essere migliore.
Il suo rappresentante, Dan, sarebbe arrivato a casa più tardi. Normalmente si aspettava che i suoi genitori fossero presenti, ma Kaede prendeva sempre le sue decisioni per conto proprio. I suoi genitori lo sostenevano in tutto, quindi non c’erano ulteriori problemi.
 
Con la musica che gli rimbombava nelle orecchie, non si sorprese nel non addormentarsi durante il tragitto. Da un lato la sua testa era troppo occupata a rimuginare sull’argomento della notizia che Dan avrebbe portato, e dall’altro, aveva appreso che il traffico negli Stati Uniti era molto più abbondante e aggressivo rispetto alle strade pacifiche di Kanagawa. Quindi sì, meglio restare con entrambi gli occhi spalancati.
 
Quando arrivò al campetto, fu contento di vedere che non era occupato – cosa abbastanza strana, a dire il vero – ma non ci pensò molto. Parcheggiò la sua bici, si tolse i vari pesi di dosso e si preparò per riprendere l’allenamento.
 
Come sempre succedeva, dribblando, palleggiando e tirando, qualsiasi problema, cattivo pensiero e strani presentimenti magicamente scomparvero dalla sua mente. L’unica cosa che contava in quel momento erano lui e la palla. Tenendola saldamente tra le mani, corse avanti e indietro per il campetto consumato. Immaginando vari giocatori sul suo cammino, cercò di passare e affrontare gli avversari a cui pensava.
Immaginava di giocare contro Sendo, Maki, Sawakita – che un anno prima si era trasferito nel basket spagnolo. Ma soprattutto contro Sakuragi. Per quanto lo infastidisse ammetterlo, quella stupida scimmia era un giocatore abbastanza completo, in grado di realizzare giocate perfette sia in difesa che in attacco, soprattutto durante il terzo anno, dove Kaede per un momento aveva temuto di non ricevere il riconoscimento come miglior giocatore del campionato.
 
Cercò di proiettare alcuni dei suoi compagni di squadra o di altri team nella lega NCCAB, ma doveva ammettere che non aveva prestato troppa attenzione alle capacità di ciascuno per confrontarsi con loro nella sua mente.
 
Dopo una giocata estenuante, appoggiò entrambe le mani sulle ginocchia, ansimando per alcuni istanti.
Raddrizzandosi lentamente, si diresse verso la vecchia panchina dove aveva appoggiato le sue cose. Quando si pulì con un asciugamano, si sorprese della quantità di sudore che lo inzuppò.
Bene. Ciò significava che si stava allenando duramente.
 
Si guardò intorno senza prestare molta attenzione. Si mise i pantaloni lunghi della tuta insieme alla giacchetta e si diresse verso la bicicletta per tornare a casa. Era desideroso di appoggiarsi sul morbido e sempre accogliente materasso del suo letto; prima, però, doveva mangiare qualcosa, si ricordò. Non avrebbe reso molto nell’allenamento il giorno dopo se non avesse avuto energie.
Appena entrato in casa, desiderò colpirsi da solo. Non lo fece ovviamente, ma lo desiderò.
 
Aveva completamente dimenticato che Dan si sarebbe presentato a casa sua. Bravo, Kaede.
Sia sua madre che il suo manager erano comodamente seduti in soggiorno con qualche spuntino sul tavolino da caffè. Fortunatamente nessuno dei due sembrava sconvolto o altro; non che avesse importanza, ma era meglio che l’atmosfera fosse calma.
 
“Finalmente sei arrivato, Kaede” gli sorrise sua madre con apparente tranquillità – perché Kaede rilevò il rimproverò nel luccichio dei suoi occhi.
 
“Buonasera, Kaede. Ho immaginato che avessi dimenticato che sarei arrivato, quindi sono venuto un po’ più tardi”
 
Kaede si accigliò appena. Da quando si erano incontrati la prima volta, Dan aveva preso l’abitudine di chiamarlo per nome e di trattarlo come un vecchio amico. La cosa lo irritava un po’, ma capiva anche, proprio come l’uomo gli aveva spiegato fin dall’inizio, che se il rapporto di lavoro tra loro due fosse andato bene, si sarebbero visti per molto, molto tempo, quindi era meglio cominciare a trattarsi con familiarità, saltando il primo stadio di fredda cortesia. Lui aveva accettato tutto principalmente perché Dan era un caro vecchio amico del professor Anzai – che li aveva messi in contatto – e perché era riuscito a legarlo alla leggendaria squadra del North Carolina, in cui aveva giocato Michael Jordan.
 
“Kaede, ti porto qualcosa da mangiare mentre parli con Dan-san” disse sua madre prima di andarsene.
 
Kaede, con passo pigro, si avvicinò a una poltrona e quasi vi si gettò sopra. Voglio dormire, pensò, lasciando la borsa lì vicino. Intenzionato a controllare le proprie palpebre, fissò l’uomo di fronte a lui, insistendo con lo sguardo affinché si muovesse a parlare.
 
“Sembri più pallido del solito, Kaede, stai mangiando bene?”
 
Che significava? Sembrava malato per caso? Per quello non lo consideravano per giocare? Ma l’unica ragione per cui era più stanco del normale era perché stava sudando fino all’osso per esaltare ogni suo aspetto nel gioco!
 
A malapena dormiva. Lui, Kaede Rukawa, stava rinunciando a preziose ore di sonno per continuare ad allenarsi. Kaede avrebbe voluto urlare per la frustrazione. Avrebbe voluto insultare il mondo. Avrebbe voluto assomigliare un po’ di più al suo scandaloso compagno di squadra dello Shohoku, che era così capace di liberarsi di ogni suo fardello.
Perché lo tenevano allora? A quei bastardi piaceva tenerlo sulle spine?
Dannati, pensò stringendo i pugni.
 
“Cos’ha detto l’allenatore?” chiese forse un po’ troppo repentinamente. L’uomo sbatté le palpebre più volte prima di rispondere.
 
“Il coach Williams?”
 
Kaede quasi ringhiò per la domanda stupida. Chi altri, si disse mentre annuiva.
 
“Eh...Roy non mi ha detto niente, Kaede”
 
Kaede si accigliò. Allora perché diavolo è qui?, si chiese ora disinteressato. Se non si trattava della squadra, non gli importava. Molto probabilmente, come per l’anno precedente, il suo manager voleva che si occupasse di interviste e altre frivolezze. Idiozie, si disse guardando verso la porta che dava in cucina, chiamando mentalmente sua madre – o meglio, la cena.
 
“Beh, immagino che tu sia stanco, quindi arriverò al punto...”
 
Kaede appoggiò la nuca allo schienale della poltrona, ascoltando poco l’uomo che raccontava chissà che cosa sul fatto che avesse viaggiato e bla bla bla. Si raddrizzò solo quando sua mamma gli mise davanti un vassoio pieno di cibo fumante e dall’aspetto delizioso.
 
“...e quando sono tornato a casa una settimana fa, Anzai aveva riempito la mia segreteria telefonica di messaggi...”
 
La pasta scivolosa e succosa che passava dalle sue labbra si bloccò a metà. Il Professor Anzai?
 
“Come potrai immaginare, l’ho richiamato subito. E non preoccuparti, sta bene...abbiamo parlato per ore. Mi ha chiesto di te...”
 
Kaede, posando il piatto sul vassoio, sentì di nuovo quella strana sensazione al petto, quello strattone bizzarro.
 
“E mi ha parlato di Sakuragi e delle offerte che gli stanno piovendo addosso. A quanto pare il ragazzo è un po’ titubante...”
 
Sakuragi, offerte, titubanza? Cosa?
 
“E...Anzai mi ha chiesto un favore. Un favore che coinvolge te, Kaede”
 
Kaede lo osservò in silenzio. Gli ingranaggi del suo cervello ancora non riuscivano ad elaborare le informazioni. Il suo corpo era teso. Le mani serrate.
 
“Quale favore, Dan-san?”
 
Se Kaede Rukawa non fosse stato Kaede Rukawa, avrebbe baciato sua madre per quell’intervento.
 
Quale favore?
 
“Anzai mi ha detto che tu e Sakuragi non siete esattamente grandi amici, che bisticciavate molto durante i primi tempi di liceo. Ma ti assicuro che sarebbe per poco tempo. Tre o quattro settimane al massimo...”
 
“Cos’ha chiesto il professor Anzai?” domandò Kaede con la sua durezza e freddezza tipiche. Dan fece una smorfia prima di guardarlo negli occhi in modo supplichevole.
 
“Una delle opportunità per Sakuragi è qui, nel North Carolina, quindi Anzai mi ha chiesto se potevo tenere il ragazzo per qualche settimana e fargli da cicerone...ma...non sei l’unico che rappresento, Kaede...non posso rimanere un mese in un posto...quindi, volevo chiederti se-”
 
“No”, ospitare quella scimmia rossa in casa sua, nella sua università, nella sua squadra di basket? Che un fulmine lo ammazzasse, prima. Quel cretino avrebbe portato solo guai. Per quanto era rumoroso, avrebbe solo attirato l’attenzione. Ah, santo cielo. Già se lo immaginava in palestra. A ridere in quel modo sgradevole, con quei commenti compiaciuti.
 
Sempre a vantarsi...
 
“Kaede. Non fare così. Era un tuo compagno di squadra...un tuo amico...” sua madre gli prese una mano guardandolo con lieve rimprovero.
Kaede avrebbe potuto argomentare e correggere la sua affermazione. Ma in realtà, dopo tre anni di liceo, l’unica persona che aveva portato a casa era stato Sakuragi, quindi era normale che sua madre pensasse che fossero qualcosa come amici intimi. Forse al terzo anno non erano più nemici, ma Kaede dubitava che Sakuragi lo avesse mai considerato un amico.
 
Kaede poteva ammettere – sotto tortura – che Sakuragi non era così odioso come aveva creduto una volta, ma ciò non significava che l’idiota lo irritasse di meno. Anzi, più si erano avvicinati, più quella scimmia si era presa delle libertà.
 
Come andare a casa mia.
 
Guardandosi le mani, chiuse gli occhi per qualche secondo.
 
Aah, che differenza fa..., molto probabilmente si sarebbe pentito della sua decisione non appena quello stolto avesse messo piede sul territorio americano, ma che male poteva fare quello stupido – a parte essere nato.
 
“Va bene; ma per un mese al massimo” decise guardando attentamente Dan, che sorrise.
 
“Ti assicuro che non ci vorrà più tempo”, alzandosi, l’uomo salutò la madre soddisfatta con un abbraccio affettuoso – niente di strano visto che l’uomo era così con tutti – e con una forte stretta di mano con Kaede. Dirigendosi all’uscita, Dan afferrò la maniglia della porta, non senza prima rivolgersi al ragazzo. “Arriverà qui tra due giorni” disse frettolosamente, aprendo la porta e uscendo subito, non volendo aspettare la risposta del re dei ghiacci.
 
Kaede, essendo Kaede, non poté urlare né sussultare di sorpresa, ma fissò la porta in uno stato di semi shock. Sua madre, invece, rise un po’ prima di andare al secondo piano.
 
“Penso che inizierò a preparare la stanza per gli ospiti”.
 
 
 
 
*nome della squadra di basket intercollegiale dell’università del North Carolina.
 
**Roy Williams esiste davvero.
 
***James Michael Ray McAdoo esiste davvero.
 
°forse non serve chiarirlo ma il riferimento è a Kenji Fujima, definito riserva da Sakuragi.

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Capitolo 2
*** 2. Prodigio ***


“Avrai bisogno di questo?” chiese un ragazzo con i capelli neri. Nelle mani aveva un costume da bagno rosso vivo – avrebbe potuto accecare chiunque – mentre osservava il suo amico, che infilava i vestiti in una piccola valigia nera e in una grossa borsa blu.
 
“Ahahah! Non essere sciocco, Yohei. Questo genio non va in vacanza...il vecchietto mi ha detto di fare visita alle squadre per vedere come sono. Anche se...argh...se in una di loro c’è quel maledetto Rukawa, dubito che siano granché...ah! Mi pregheranno di restare quando vedranno le mie incredibili doti accanto a un giocatore di così basso livello come quel dormiglione, ahahah!” rispose con la sua peculiare voce mentre immaginava giocatori senza volto dell’università dove avrebbe preso a calci un Rukawa con orecchie e coda di volpe.
 
Yohei si limitò a ridere alle sue battute.
 
“Sono sicuro che rimarranno abbagliati dal tuo genio, amico” diede un colpo sulla schiena di Hanamichi – non aveva importanza che fosse forte o meno, quella scimmia non sentiva – poi guardò distrattamente la piccola stanza del ragazzo.
Yohei a volte aveva difficoltà a digerire tutto quello che stava succedendo. Che il suo caro amico d’infanzia, con cui aveva condiviso momenti indimenticabili, con cui aveva vinto centinaia di risse, per il quale si era rotto la schiena, lavorando insieme agli altri ragazzi per andarlo a vedere ai nazionali, ora stava andando in America. Sapeva che ora si trattava solo di conoscere le università, su richiesta del professor Anzai, ma Yohei era sicuro – così come sapeva che il colore dei capelli di Hanamichi era finto – che Hanamichi era destinato a diventare grande.
 
Se solo si fosse sforzato un po’ di più negli studi durante gli ultimi due anni di liceo, probabilmente avrebbe fatto quel viaggio insieme a Rukawa l’anno prima. Tuttavia, la sua pigrizia e comodità lo avevano tenuto a Kanagawa ancora per un po’. E anche se suonava egoista, Yohei e l’Armata lo avevano apprezzato, perché aveva permesso loro di stare con il loro amico un po’ di più.
Hanamichi aveva regalato loro, involontariamente, il lusso di poter condividere insieme il primo anno di università, le loro prime avventure e sventure come studenti universitari.
 
“Ohi, Yohei, mi aiuti o no? Anche quel ciccione di Takamiya sarebbe più utile di te” lo interruppe Hanamichi infastidito nel notare di non riuscire a chiudere la maledetta valigia. Ci si sedette gravando tutto il suo peso, ma la testarda non si muoveva di un pollice. “Argh! Maledetta valigia economica. Dove avete comprato questa merda?”
 
“Hanamichi” disse Yohei con un sospiro. Si avvicinò al suo amico, prese la valigia e la spalancò. “La stai riempiendo di sciocchezze. Perché porti giacche e cappotti se lì è estate? E ancora ti mancano le scarpe da tennis, i prodotti per lavarti, la biancheria intima, gli asciugamani...”
 
“È colpa tua, Yohei! Come può questo genio sapere cosa portare se non ha mai viaggiato fuori dal paese? Tsk...ti chiamo perché mi aiuti...”
 
“Altrimenti detto, perché ti faccia la valigia”
 
“Wow, che premuroso, amico! Sarò di sotto a mangiare qualcosa, il talentuoso sottoscritto deve nutrirsi come si deve per continuare ad essere una star...” lo interruppe ridendo e al tempo stesso quasi correva fuori dalla stanza.
 
“Oh! Hanamichi! Ah, fa sempre così” sbuffò Yohei sconfitto, guardando i vestiti buttati e disordinati in tutta la stanza.
 
Sarà una faccenda lunga, pensò prima di abbassarsi e iniziare a raccogliere i capi sia nella valigia che nei cassetti.
 
^ ^ ^ ^
 
“Hai tutto? Sei sicuro?” una donna sui 40 anni stringeva un braccio muscoloso e potente del suo unico figlio. I suoi capelli castani erano raccolti in una crocchia elegante mentre i suoi occhi marroni guardavano con apprensione il suo piccolo – beh, non tanto piccolo.
 
“Sì, sì. Te l’avevo detto che questo talentuoso atleta era capace di sistemare tutto. Non è vero, amico?” Hanamichi guardò sorridendo Yohei, passando davanti alla folla di persone accorse per salutare il rumoroso ragazzo. Yohei scosse il capo ridendo.
 
“Esatto, Sakuragi-san. Hanamichi ha preparato tutto il necessario. Compresi gli slip con palline di Natale che gli ha regalato lo scorso Natale”
 
Tutti i presenti scoppiarono a ridere, compresa la madre, che cercò di controllarsi per non infastidire ulteriormente suo figlio. Hanamichi, invece, prima di esplodere diventò rosso come i suoi capelli. Si voltò verso l’amico e lo afferrò strettamente per la camicia.
 
“Che ti prende, Yohei?! Che bell’amico! Come ti viene in mente di sbandierare la mia privacy?! Per caso questo genio non può avere biancheria intima sportiva!” gridò forte, richiamando l’attenzione degli altri passanti in aeroporto. La sua filippica scandalosa vide fine solo quando colpì Yohei con una testata mortale.
 
Mentre Yohei si riprendeva dal decesso di molti suoi neuroni, il resto dell’Armata, Hanamichi, sua madre e Haruko continuarono ad avanzare verso la porta designata da Hanamichi. Quella stessa mattina aveva salutato il professor Anzai, e il vecchietto ne aveva approfittato per spiegargli tutto sul volo: dove sarebbe dovuto andare, quanto tempo avrebbe impiegato, cosa fare una volta arrivato all’aeroporto negli Stati Uniti; inoltre, gli aveva dato una serie di istruzioni su cosa osservare in ciascuna delle squadre da visitare per prendere la migliore decisione – Hanamichi aveva pensato che la sua memoria talentuosa avrebbe ricordato tutto, mentre di lato Yohei aveva segnato tutto in un taccuino che aveva poi lasciato a disposizione del proclamato genio.
 
“Dai, mamma! Che esagerata, non me ne vado per sempre” affermò Hanamichi sentendo lo stretto abbraccio di sua madre in vita.
Anche se Hanamichi avesse desiderato piangere in quel momento, sapeva che i suoi stupidi amici non lo avrebbero lasciato vivere se fosse entrato in modalità mammone, quindi, come meglio poté, ingoiò il groppone e si voltò verso sua madre.
 
“Questo genio tornerà presto, vedrai. Ti porterò centinaia di regali e quei piccoli souvenir che fanno vedere in tv”
 
La donna rise alle sciocchezze che uscivano da quella bocca larga che i suoi geni gli avevano dato. Dopo un’ultima strizzata, gli diede un colpetto allo stomaco e diede spazio al resto dei ragazzi e ad Haruko che stavano aspettando rispettosamente rimanendo in disparte.
 
“Ti auguriamo il meglio, amico” disse Noma nella sua posa abituale, mezzo piegato e con entrambe le mani nelle tasche, ma con un sorriso nostalgico che faceva capolino sotto i suoi baffi prominenti.
 
“Fai vedere agli americani chi è Hanamichi Sakuragi”, aggiunse Ookusu con un pugno stretto alzato.
 
“E non dimenticare di andare in quegli strani posti dove mangiano che mostrano in tv” disse Takamiya strofinandosi lo stomaco, che come previsto, rimbombò in segno di protesta per mancanza di cibo, facendo ridere il resto dei presenti.
 
“Scrivici o chiamaci appena arrivi. Con i ragazzi abbiamo racimolato soldi a sufficienza” Yohei, con un grosso bernoccolo rosso in fronte, si fermò davanti al suo amico con un sorriso.
 
“Ragazzi...” Hanamichi, con enormi lacrime a rigargli le guance, si lanciò sulla banda di inutili. Tutti si lamentarono del suo peso, soprattutto Noma che finì sotto Takamiya. “Mammina!” gridò poi alzandosi dal cumulo di corpi e carne per gettarsi verso sua madre e sollevarla – già che aveva le lacrime, meglio approfittarne.
 
“Guarda qui, Hanamichi”, quando il ragazzo si voltò, vide Takamiya con la videocamera in mano e il resto dei giovani con le mani davanti alla bocca per cercare di trattenere le risate.
 
“Ah! Idioti! Che amici tremendi, come potete rovinare il momento speciale di questo genio!”
 
Dopo quattro testate letali, Hanamichi si voltò verso Haruko, che attese pazientemente il suo turno vicino alla porta. Sua madre stava piagnucolando un po’ più distante, comprendendo che suo figlio aveva bisogno di quel distacco.
 
“Ho sempre saputo che questo giorno sarebbe arrivato, Hanamichi-kun”
 
Il viso di lui si colorò per via della lusinga e del dolce sorriso sul volto di lei. Forse negli ultimi tempi le cose non erano andate alla grande tra di loro – lui si era dichiarato e lei lo aveva rifiutato – ma Hanamichi sentiva ancora quella torsione nel cuore ogni volta che la guardava o ascoltava. Voleva ancora vederla ridere, stare al suo fianco, che lei incoraggiasse lui, e solo lui. Haruko, dopotutto, era la grandiosa persona che lo aveva motivato durante il liceo per il basket. Con il suo animo e i suoi buoni consigli era cresciuto e aveva desiderato migliorarsi. Se era arrivato a quel punto, in gran parte lo doveva ad Haruko Akagi.
 
“Ah, Haruko-san, che stai dicendo, questo genio ha fatto il minimo, ahahah”, con il viso arrossato e una mano a grattarsi il collo, Hanamichi si inclinò per guardarla meglio, “è grazie a te che sono qui, Haruko-san”, forse si stava scavando la propria tomba a dire quelle parole sdolcinate, ma non cessavano di essere vero.
Doveva qualcosa di molto grande alla ragazza che ora stava piangendo e si mordeva il labbro per trattenere probabilmente un gridolino.
 
“Hanamichi...” sussurrò Haruko prima di abbracciare con forza il ragazzo paralizzato che aveva davanti.
È un sogno?, si chiese lui, sentendo le piccole mani calde sulla sua spalla. Quasi per inerzia ricambiò il gesto. Se avesse riflettuto, probabilmente ora si sarebbe ritrovato steso e svenuto per lo shock.
“Mi dispiace” mormorò Haruko, facendo in modo che solo lui l’ascoltasse. Forse se qualche curioso l’avesse sentita, avrebbe pensato che la giovane si stesse scusando per avergli rovinato la camicia, ma Hanamichi aveva capito; in molti potevano dargli dell’ottuso, lento e persino dello stupido, ma conosceva il significato dietro quelle parole.
 
No, Haruko-san, non scusarti perché non provi la stessa cosa, avrebbe voluto dirle, ma c’erano troppi testimoni.
 
“Ti auguro il meglio; il meglio per tutto...” con ciò, la piccola Akagi si allontanò dal rigido corpo dell’amico, ma non prima di avergli rivolto il più grande sorriso mai visto sul suo volto – e non scemò nemmeno malgrado le enormi lacrime che cadevano sulle sue guance arrossate.
 
Dopo aver ripetuto la solfa un’ultima volta – abbracci, pianti e testate mortali – Hanamichi finalmente attraversò la porta. Da quel momento, era solo fino al suo arrivo negli Stati Uniti.
Avrebbe mentito se avesse detto che non era nervoso, ma sarebbe anche stato blasfemo immaginare un Hanamichi rannicchiato in un angolo a piagnucolare spaventato. Si parlava di Hanamichi Sakuragi, dopotutto.
 
Un Hanamichi che entrò in aereo con disinvoltura, facendo rumore e insultando coloro che bloccavano il corridoio, guadagnandosi immediatamente l’odio e il disprezzo del personale. Molti di loro gli chiesero innumerevoli volte di abbassare la voce, ma lui rispose con più forza.
 
“Stare zitto?! Chi ti credi di essere per zittire questo talentuoso atleta? Non sai chi sono? Sono il miglior giocatore del Giappone! Vedrai, impiegato di quarta categoria! Mi vedrai in televisione e riconoscerai questo genio del basket...!”, fu necessario perfino far intervenire il capitano per tranquillizzare quel violento e rumoroso ragazzo.
 
Gli portarono succhi di frutta, cibo e riviste mentre lui brillava di felicità come un bambino.
 
Ah, che buon servizio! Sanno come trattare un genio come me...ah? Cos’è questo?, si chiese sfogliando alcune riviste che le hostess gli avevano regalato; una di esse proiettava un noto giocatore dell’NBA in copertina, Hanamichi lo aveva visto in alcune partite in tv. Un po’ annoiato e incuriosito, decise di dare un’occhiata all’interno. Lesse alcuni articoli, ma la sua attenzione non venne catturata finché non giunse alla sezione speciale dedicata all’associazione nazionale delle università sportive, la NCAA, e nello specifico nella parte che parlava di basket. Sebbene Hanamichi si proclamasse ora un ferreo amante di quello sport, per via della sua personalità estroversa e attiva, non si soffermava tanto a guardare le partite dell’NBA o a leggere troppo a riguardo; ovviamente ogni tanto viaggiando con qualcuno della sua Armata o di altre scuole, guardava le partite e gli incontri dei distretti limitrofi – la cosa gli provocava sempre un piacevole formicolio – ma non era il tipo di persona che passava ore e ore davanti alla televisione – un’altra questione era il pachinko e altri videogiochi.
 
Uno degli articoli parlava delle università che probabilmente avrebbero partecipato a una successiva conferenza. Si parlava anche di nuovi giocatori, di cambi di allenatori o dirigenti e alcune statistiche di gioco. Hanamichi non poté fare a meno di rabbrividire quando si accorse che tutte le università che gli avevano offerto una borsa di studio erano tra le migliori classificate.
 
Beh, certo...sono un genio, ahahah..., ma la sua sempre chiara sicurezza e spavalderia non permeava i suoi pensieri. Ora era un po’ turbato.
La sua risata nervosa – che stava spaventando le persone vicine a lui – terminò bruscamente quando lesse dei Tar Heels del North Carolina.
 
Ah! Quella maledetta volpe...insegnerò a quel presuntuoso chi è il migliore...l’università ha chiamato lui solo perché questo genio stava attraversando un declino nel suo eccellente percorso accademico...ecco! Se fossi andato bene, non lo avrebbero nemmeno considerato...
 
Fece finta di trattenere le risate con una mano sulle labbra quando lesse che la rinomata squadra aveva perso poco più di una settimana prima contro i suoi più grandi rivali, i Duke. Ma non si fermò dal ridere quando, nel leggere il riassunto dei giocatori in campo, non intravide Rukawa da nessuna parte.
 
Ahahah! È così pessimo che non lo mettono nemmeno come riserva! Ahahahah!
 
Ovviamente le risate non rimasero solo nella sua mente e molti passeggeri – se non tutti – lo guardavano disgustati.
 
“Che scandaloso”

“Che ragazzo tremendo”

“Ehi! Di che state parlando! Questo genio vi farà vedere...”
 
Il resto del volo non cambiò molto e tutti i passeggeri viaggiarono sapendo con sicurezza che, se non si fossero trovati su un aereo, avrebbero lanciato fuori da ore quel tizio rumoroso.
 
^ ^ ^ ^
 
Hanamichi Sakuragi guardò il piccolo taccuino con confusione (benedetto Yohei Mito) provando a ubicarsi tra i passaggi che erano stati trascritti. Secondo quanto segnalato, dopo essere sceso dall’aereo doveva andare a recuperare la sua valigia.
 
Ma dove?, si chiese grattandosi la testa. Dal nulla, sembrò accendersi una lampadina nella sua mente.
Assumendo un atteggiamento normale, fece la cosa più ovvia del mondo: seguire la massa. Si congratulò con se stesso quando raggiunse l’area dove un grande macchinario esponeva le valigie. Trovò presto la sua piccola valigia nera e il borsone blu. Li prese senza problemi e continuò a seguire la folla. Dopo aver attraversato una grande porta scorrevole, trovò un sacco di persone che guardavano con aria mezza disperata, desiderosa, estatica e nervosa verso di lui – non che guardassero lui, ma le porte.
 
Sfogliando ancora una volta il taccuino, trovò che avrebbe dovuto cercare tale Dan. Per pura fortuna aveva visto una fotografia quasi recente dell’uomo; della stessa età di Anzai, era però più in forma, tranne che per gli inevitabili capelli grigi e le rughe sul viso.
Attraversò il gruppo di persone senza vedere alcuna traccia del tipo. Il suo metro e novanta gli permetteva di avere una migliore visibilità, ma il tizio non era ancora arrivato.
 
Ah! Si è dimenticato di questo grande genio? Dannato vecchio! Quando lo vedrò, farò in modo che non si dimentichi più di questo talentuoso giocatore...
 
“Ah! E ora che faccio?” mormorò guardando da un lato all’altro. Nel taccuino i passaggi della sezione ‘aeroporto’ terminavano con Dan, quindi non aveva idea di cosa fare dato che non vedeva il tizio da nessuna parte.
 
Dovrei chiamare il vecchietto? O magari prendere un taxi e andare in un hotel? Ma con quali soldi pago...ho portato solo quanto basta per qualche souvenir, per mangiare un paio di volte fuori e poco altro, NON per sopravvivere da solo per un mese.
 
“Ah! Stupido vecchio...” si lamentò prima di ricominciare la sua ricerca. Forse era fuori e lo stava cercando a sua volta. I minuti che passarono parvero ore mentre saliva e scendeva dai vari piani e corridoi dell’aeroporto. Entrò in piccoli negozi, sbirciò nei bagni pubblici, uscì anche per vedere se aveva parcheggiato e lo stava aspettando, ma niente. Il tipo non c’era.
Con un po’ di disperazione si rimise in marcia, pensando che forse il suo volo era atterrato troppo presto e che ora il vecchio doveva trovarsi nella zona degli arrivi.
 
“Quando lo vedo lo uccido...” ringhiò con un’aria cupa – facendo allontanare la gente e fuggire che gli era vicino. Ma come aveva intuito, niente. Nessun segno del tipo. Guardò in entrambe le direzioni, scoprendo con la coda dell’occhio un distributore automatico di bevande. Beh, almeno non sarebbe morto di sete. Dirigendosi pigramente al distributore, cominciò a rovistare nella borsa per cercare delle monete o banconote – Anzai gli aveva suggerito di andare all’ufficio per il cambo di valuta. Inserì una banconota e scelse da bere.
 
Al primo sorso, si accorse della panchina accanto alla macchinetta. C’era un ragazzo, a giudicare dalla statura e dai vestiti, che dormiva profondamente.
Hanamichi desiderò per un momento di poter fare lo stesso. Nonostante fosse stato in aereo per diverse ore, non era stato in grado di chiudere gli occhi in nessun momento – era troppo nervoso, ma Hanamichi non l’avrebbe ammesso nemmeno morto. Non era mai stato particolarmente dormiglione, aveva un sacco di energia nelle vene. Non come il suo ex compagno di squadra.
 
Tsk, quella volpe...si addormentava anche in piedi..., pensò osservando distrattamente i capelli neri dell’individuo seduto e adormentato. Le sue mani pallide erano incrociate sulle braccia e le sue labbra carnose erano contratte. Sembrava piuttosto alto...e in forma...
 
Hanamichi si accigliò. Quel ragazzo era fin troppo familiare. Ma...perché...senza poter trattenere la curiosità, cominciò ad avvicinarsi al fagotto raggomitolato sulla panca. Si abbassò e rialzò la testa cercando di capirci qualcosa, finché...
 
“Tu! Maledetto Rukawa! Che diamine pensi di fare qui?!”
 
Il ragazzo si svegliò di soprassalto per via dell’urlo. In circostanze normali Kaede avrebbe colpito chiunque avesse osato tale impertinenza, ma dopo aver sentito la voce stridula e quelle parole, si astenne da qualsiasi azione.
 
Litigare con questo idiota è inutile, pensò alzandosi. Hanamichi continuava a indicarlo e ad accusarlo, gridando, di ‘spionaggio’. Kaede si limitò a scrollare le spalle e iniziò ad avviarsi all’uscita. Conosceva la scimmia abbastanza bene da sapere che quello sciocco l’avrebbe seguito solo per continuare a urlargli addosso.
 
“Rukawa! Come osi ignorare il genio! Ti ho chiesto cosa ci fai qui...la tua squadra ti ha mandato a spiarmi? Ah, questo talentuoso giocatore non si lascerà inganna-”
 
“Taci, scemo”
 
Uff...com’era strano ripetere quelle parole dopo quasi un anno. Kaede non poté impedirsi di volgere leggermente lo sguardo verso il suo ex compagno di squadra. Hanamichi Sakuragi era ancora, in sostanza, lo stesso mostro dai capelli rossi del liceo. I suoi capelli, a differenza del secondo e terzo anno, erano rasati. Kaede si chiese distrattamente se l’idiota avesse perso un’altra partita. Notò anche che era leggermente più alto, ma forse si trattava di una sua percezione perché non lo vedeva da molto tempo. la sua pelle era ancora abbronzata e la sua bocca grande come l’oceano.
 
“Ehi, stupido! Dov’è il vecchio Dan? E tu dove stai andando?” Hanamichi, correndo, raggiunse il suo ex compagno, che con le mani in tasca camminava solo Dio sapeva dove. Hanamichi rifletté brevemente che forse doveva tornare in aeroporto a cercare il vecchio, ma l’idea di continuare a urlare alla volpe era troppo attraente.
“Non viene; andiamo a casa mia”, Kaede si stupì dell’evidente confusione e disorientamento dell’altro.
 
Forse non gliel’hanno detto?
 
“Cosa?!”
 
No, non l’avevano fatto.
 
“Come sarebbe, a casa tua?! Sei pazzo?! Non vado da nessuna parte con te. Preferisco morire che-”
 
“Il professor Anzai l’ha chiesto a Dan. Non lo faccio per divertimento, idiota”, la verità era che non aveva idea se il professore aveva effettivamente richiesto che lui, Kaede, ospitasse Sakuragi, ma immaginò che farlo credere alla scimmia l’avrebbe tranquillizzato un po’.
“Ora sbrigati, mia madre sta aspettando”, da ore, in realtà...dato che si era addormentato aspettando che arrivasse il volo di quel cretino.
 
“Stai mentendo, volpe puzzolente! Il vecchietto non ti ha neanche menzionato...scommetto che si è già dimenticato di te, ahahah! Ma certo, come potrebbe ricordarsi di un giocatore di basso livello come il tuo...”
 
Kaede non si turbò affatto per le scemenze che uscivano da quella bocca. Che strano, nonostante non le sentisse da mesi, gli sembrava che fosse passato solo un giorno da quando litigavano nella palestra della scuola per la palla.
 
“Sta’ zitto, deficiente”
 
Gli insulti tra loro volavano naturalmente. I colpi e la violenza fisica avevano cominciato a sparire gradualmente fino a quando durante il terzo anno gli unici casi in cui si toccavano era quando correvano troppo vicini in campo o quando si ritrovavano affiancati durante una giocata. Cosa che segretamente Kaede ringraziava, perché nonostante la sua enorme forza, nessuno poteva negare che Hanamichi prendeva a calci chiunque quando si trattava di risse – non per niente era stato l’unico in grado di affrontare Tetsuo.
 
Dopo aver camminato per alcuni minuti – durante i quali Hanamichi continuò a inveire contro il ragazzo – udirono un clacson vicino. Kaede riconobbe subito l’auto di sua madre e si diresse verso di lei. Hanamichi, nonostante le accuse e gli insulti, lo seguì. Una piccola auto blu aveva trovato parcheggio in mezzo a un mare di altri veicoli; Kaede salì davanti senza dire una parola, mentre Hanamichi si sistemò dietro.
 
“Mamma Rukawa!”, Kaede rabbrividì involontariamente al sentire quell’epiteto che la scimmia aveva scelto per sua madre. Non si era affatto divertito a sentirlo la prima volta da quella bocca rumorosa, ragione per la quale Kaede aveva richiesto – con colpo annesso – che la smettesse di farlo, ma Hanamichi, essendo Hanamichi, aveva ignorato le minacce continuando con quello stupido nomignolo.
 
Sua madre, d’altro canto, contentissima di vedere apparire un amico di suo figlio, non aveva mai detto nulla in proposito. Proprio in quel momento, per esempio, si limitò a ridere e si voltò verso il turbolento ragazzo.
 
“Sakuragi-kun, quanto tempo...ma guardati! Come sei bello...”

Mamma, non dargli corda, pensò Kaede sospirando.
 
Hanamichi, arrossendo fino alle orecchie per il complimento, cominciò a ridere nel suo modo oltraggioso e, come sempre, a vantarsi e a fanfaronare sulle sue presunte abilità come genio. Per il martirio di Kaede, sua madre sembrava incoraggiare il ragazzo a parlare e a procedere con il suo vomito di parole, quindi il tragitto per tornare a casa non fu nulla di piacevole.
 
^ ^ ^ ^
 
“Dannato Rukawa! Stai più attento!” abbaiò Hanamichi ricevendo improvvisamente delle coperte in faccia. Dopo la cena trascorsa in famiglia, compreso il padre di Kaede – che era miracolosamente arrivato presto – i ragazzi decisero di andare a riposare. Era tardi e nessuno dei due aveva dormito molto.
Kaede, prima di andare in aeroporto con sua madre, aveva avuto lezioni e l’allenamento, quindi il suo corpo protestava per riposare. Hanamichi stava subendo ora le conseguenze dello stress e del nervosismo accumulato nei giorni precedenti. Sapeva che avrebbe dovuto chiamare sua madre e i ragazzi per avvisarli del suo arrivo sano e salvo, ma anche il suo corpo piangeva per potersi spegnere qualche istante.
 
Per quelle ragioni, Hanamichi stava ora curiosando nella stanza degli ospiti preparata per lui, e dove Kaede era passato per dargli – lanciandogli con violenza, in realtà – le coperte del letto.
 
“Idiota” mormorò Kaede prima di andare nella sua stanza. Il giorno dopo sarebbe stato pesante. Era sabato, quindi non avrebbe avuto lezioni, ma ci sarebbe stato l’allenamento pomeridiano in preparazione della partita del seguente mercoledì, e la mattina lui andava a giocare e ad allenarsi nel campetto pubblico vicino casa. Avrebbe dovuto portarsi dietro quel grandissimo idiota dappertutto, ma non era il babysitter di nessuno, quindi se Sakuragi voleva vedere o imparare qualcosa...
 
Beh, che si arrangi.
 
Con quell’ultimo pensiero, la volpe andò lentamente in camera sua, un po’ disperato dal desiderio di tornare a dormire.
Hanamichi, invece, rimase sulle coperte del letto, aspettando il sonno. Cercò di assimilare l’idea che finalmente si trovava in America, la casa dorata del basket. Era lì, dopo quasi tre anni di sogni e desiderio; dopo allenamenti quotidiani che duravano ore, dopo essersi spaccato la schiena all’università pubblica di Kanagawa per ottenere un trasferimento.
 
Beh, è logico...dopotutto sono un genio..., rise forte prima di tacere per via di un ricordo particolare che gli venne in mente, rispetto a uno dei tanti pomeriggi che aveva passato con il vecchietto per allenarsi.
Il professor Anzai, pur continuando la sua professione come allenatore della squadra di basket allo Shohoku, si era dedicato ad Hanamichi e alle sue crescenti capacità. Ogni tanto si incontravano così che l’insegnante allenasse soprattutto lui, dettaglio che Hanamichi non era riuscito ad apprezzare fino a poco tempo prima, quando si era reso conto che il vecchio professore non aveva alcun obbligo verso di lui, ma nonostante ciò quello che una volta veniva chiamato Demone dai capelli bianchi trascorreva molte sue ore ogni settimana per continuare ad allenarlo.
 
Durante uno degli allenamenti Hanamichi, con la più pura confusione dipinta in viso, aveva chiesto:
 
“Perché mi alleni, vecchietto? Se vuoi giocare con questo genio talentuoso devi solo chiedere, ahahah...”
 
Il professore aveva riso insieme a lui, poi lo aveva osservato con un sorriso dolce e quasi tenero sul suo viso rugoso. Hanamichi lo aveva guardato a bocca aperta e i lineamenti sconcertati.
 
Perché mi guarda così...
 
“Ti ho mai parlato di Yazawa, Sakuragi?”
 
Hanamichi aveva grugnito e risposto di sì.
 
A dire il vero il professore gli aveva raccontato la storia di quel talentuoso giocatore universitario che, se fosse stato un po’ più paziente, sarebbe sicuramente diventato il miglior giocatore di basket del Giappone. Hanamichi, un po’ accecato dall’invidia, non aveva prestato molta attenzione, mentre in quel momento, un po’ più maturo, un po’ meno esplosivo e molto più tollerante, si era permesso di risentire il racconto e non aveva potuto evitare di desiderare di tornare indietro nel tempo per poterlo incontrare; per poter vedere quel grande giocatore che aveva lasciato a bocca aperta persino Anzai.
 
“Tu hai molto di lui come giocatore, Sakuragi”
 
Hanamichi l’aveva guardato sorpreso a quell’affermazione. Un silenzio di attesa li aveva avvolti, ma Hanamichi non era stato in grado di riempirlo con i suoi soliti compiaciuti e per niente gradevoli commenti; il suo cervello era rimasto paralizzato.
 
“Siete entrambi prodigi”
 
Prodigio...in realtà, in quel momento non era riuscito a dire nulla, principalmente perché non era del tutto sicuro di cosa significasse quella parola; tuttavia, quando l’aveva cercata tornando a casa, era arrossito dal collo fino alle orecchie.
 
Una persona generosa...una persona straordinaria...
 
Molti avrebbero potuto supporre, a causa della sua scandalosa e vana personalità, che da quel momento lui avesse cominciato a gridarlo ai quattro venti o a pubblicarlo in televisione e sui giornali, ma la realtà era diversa.
Quella parola – quella parola meravigliosa – era rimasta tra lui e Anzai. Gli allenamenti tra i due erano proseguiti, ovviamente, e Hanamichi aveva iniziato a nutrire dentro di sé un affetto speciale, uno strano calore totalmente dedicato al vecchietto – non per niente avevano condiviso compleanni e feste, cosa che Hanamichi sbandierava sempre in faccia a Mitsui quando poteva. Il vecchietto era, dopotutto, la cosa più vicina a un padre che aveva avuto negli ultimi anni.
 
Vedrai, vecchietto: questo giocatore di talento ti mostrerà che sono anche meglio di Yazawa..., ridendo assurdamente, si accorse che non c’era nessuno lì vicino per colpirlo sulla nuca – cosa che sua madre faceva sempre quando era rumoroso di notte – né per ridere insieme a lui – come i ragazzi della sua Armata.
 
Certo, sono a casa della volpe puzzolente...chi l’avrebbe mai detto che, tra tutti i posti in America, il primo sarebbe stato la casa di quel presuntuoso.
 
Hanamichi si mise a ringhiare, ma si fermò immediatamente.
 
Ah, non lascerò che quel dannato egoista mi rovini il viaggio...il genio è venuto a vedere le università ed è quello che farò...se proverò che sono mooolto miglore di lui e lo butteranno fuori dalla squadra...beh, sarà colpa sua per non essere al livello delle mie incredibili abilità...hahahah! Sì...stupida volpe...sono io il prodigio, dopotutto...

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Capitolo 3
*** 3. Gli insegnamenti dello Shohoku ***


Totalmente impantanato nel mondo dei sogni, fu la semplice inerzia che controllava il suo braccio destro a schiacciare la rumorosa sveglia sul suo comò.
Voltandosi per riprendere il sonno, un altro suono acuto ruppe la calma dal comodino al suo fianco. Aprendo lentamente un occhio, colpì con una forte manata la seconda dannata sveglia. Sistemandosi di nuovo tra le calde coperte, riuscì ad appoggiare la testa sul cuscino accogliente, ma un terzo suono interruppe la tranquillità della stanza. A differenza delle precedenti, questo proveniva dal fondo della stanza, da un mobile accanto alla porta.
 
Accidenti al giorno in cui ho pensato di fissare tre maledette sveglie, ringhiò prima di coprirsi tutta la faccia con un cuscino. Gemette ancora un po’, grugnì e mosse le mani, ma alla fine si alzò, disorientato, fino alla sveglia; la spense un po’ più delicatamente di quanto avesse fatto con le precedenti, ma con uguale odio. Si stropicciò gli occhi e uscì dalla stanza andando in bagno per lavarsi i denti e buttarsi una buona quantità d’acqua in faccia – ultima risorsa per svegliarsi – prima di indossare la tuta sportiva – non aveva l’abitudine di lavarsi fino a dopo l’allenamento.
 
Terminata la toletta, scese con calma in cucina – non senza, ovviamente, aver afferrato il borsone e la palla. Aprì gli occhi un po’ più del normale quando udì una sgradevole risata provenire proprio dalla cucina.
 
Che diavolo...?, si chiese, sbirciando dalla porta. Là, al tavolino bianco, erano comodamente sistemati sua madre e l’idiota. Entrambi ridevano e mangiavano quella che sembrava una gustosa colazione.
 
Maledizione, avevo dimenticato che questo pazzo era qui...
 
“Ahahahah, volpe! Ti si sono incollate addosso le lenzuola o cosa?! Ahahahah!” con una mano sulla pancia mentre con l’altro lo indicava, Hanamichi si dimenò comicamente. Mamma Rukawa sorrise prima di rivolgersi a suo figlio.
 
“Vuoi che ti serva qualcosa prima che tu esca?” chiese la donna. Kaede negò con un cenno del capo.
 
Non ho più fame, pensò guardando il suo ex compagno di squadra.
 
“Uscire? Hai lezioni il sabato? Ahahahah, per caso hai lezioni di recupero, scemo? Avrei dovuto indovinarlo! Scommetto che i tuoi neuroni pensano solo al basket...e non vai bene neanche in quello!” con un sorriso maligno, Hanamichi fissò i suoi occhi marroni nel ragazzo che rimaneva inespressivo e si limitò a lanciargli un’occhiata velenosa.
 
“Vado ad allenarmi, stupido” Kaede sospirò per essersi abbassato al punto da rispondergli.
 
Che pensi quello che gli pare, concluse avvicinandosi al frigorifero per bere del succo e almeno mangiare un frutto prima di andare – con quel deficiente lì presente, non si sarebbe seduto neanche se fosse stato pagato.
 
“Vengo anch’io!” gridò Hanamichi, sorprendendo la povera donna, che si mise una mano sul cuore che era accelerato per quella reazione. Questo ragazzo sì che ha i polmoni, pensò divertita. Kaede sussultò leggermente all’urlo, ma non gli diede ulteriore importanza – Sakuragi era sempre stato una bocca larga.
 
“No” rispose subito senza nemmeno disturbarsi a guardarlo. Hanamichi ringhiò mentre il ragazzo beveva il succo direttamente dal contenitore.
 
“E chi sei tu per impedirmelo? O forse hai paura di affrontare questo talentuoso giocatore?” si avvicinò bruscamente a un impassibile Kaede. Con entrambe le mani sui fianchi, Hanamichi ghignò. “Non mi stupirei se avessi dimenticato tutto...dato che persino la tua squadra ti respinge...”
 
Kaede, come meglio poté, controllò il fuoco desideroso che lo spingeva a dare un bel pugno in quella faccia sorridente. Stringendo violentemente i denti – senza temere futuri problemi – serrò i pugni e distolse lo sguardo.
 
“Giochiamo, idiota”, una parte di lui sapeva che stava cadendo proprio dove quel cretino si era proposto di portarlo, ma che l’inferno si congelasse prima che lui rimanesse senza fare nulla davanti alle cose stupide che uscivano da quella bocca.
 
Hanamichi rise gettando indietro la testa.
 
“Ti dimostrerò chi è il migliore, volpe. Rimarrai senza parole e umiliato davanti alle magnifiche e talentuose capacità di questa stella del basket, ahahah!”, scintille elettriche e mortali parevano emergere dalla battaglia visiva che entrambi tennero all’ingresso della cucina. Mamma Rukawa si sentiva un po’ fuori posto nella diatriba tra i due.
 
“Eh?” si sentì dalla soglia. I ragazzi, senza prestare attenzione, proseguirono nel loro combattimento visivo. Mamma Rukawa, invece, sollevata, si volse e incontrò suo marito, che confuso guardò i giovani. Papà Rukawa guardò la moglie interrogativamente. Lei si limitò ad alzare le spalle.
 
^ ^ ^ ^
 
Nel campetto pubblico, entrambi lasciarono le loro cose sulle panchine più vicine. Hanamichi indossava una maglietta azzurra con le maniche arrotolate sulle spalle, mostrando braccia che parlavano di duro allenamento e dedizione.
Kaede tuttavia non si lasciò impressionare, già conosceva le capacità e abilità di Sakuragi. Sapeva che era bravo – molto bravo -...ma lui era il migliore.
Inoltre, pensò Kaede, era impossibile che in un solo anno fosse riuscito a superarlo, soprattutto considerato che lui era stato in una delle migliori università americane, confrontandosi con giocatori eccezionalmente più bravi e con esperienza.
 
“Sei pronto a subire la peggiore delle umiliazioni, volpe?” lo provocò Hanamichi mettendosi proprio al centro del campo. Kaede, avvicinandosi lentamente, gli si piazzò di fronte.
 
“Continua a sognare, deficiente”
 
Dopo una battaglia sul campo di gioco risolta con sasso, carta, forbici, Hanamichi vinse la possibilità di cominciare per primo. Rimbalzando la palla, ghignò mentre Kaede fissava i suoi movimenti. Meno di un secondo dopo, Hanamichi si fece leggermente indietro.
 
Sempre a mettersi in mostra, pensò Kaede, intuendo che il ragazzo avrebbe finto di segnare saltando. Senza pensarci due volte, Kaede si sollevò per schiantargli la palla in faccia.
Ma si sbagliò.
Hanamichi, eseguì un pump fake* approfittando di Kaede che si era alzato in aria. Appena Kaede si staccò dal suolo, Hanamichi gli passò accanto come un fulmine. Kaede atterrò solo quando il ragazzo stava già facendo canestro.
 
“Ahahaha, ecco il primo di mille altri, volpe” rise Hanamichi con entrambe le mani sulla vita e la testa gettata indietro. Kaede si accigliò, fissando lo scemo.
 
“Miracolo”, che un fulmine lo colpisse prima di ammettere che quella giocata era stata del tutto incredibile. Non l’aveva affatto prevista.
 
Pura fortuna, pensò, tornando in posizione.
 
In seguito, gli animi si accesero come l’interno di un vulcano. Il metereologo la sera prima aveva riferito che quella giornata ci sarebbero stati tranquilli e squisiti 19 gradi – ottimi per una giornata rilassante e divertente in spiaggia, aveva detto il tizio sorridendo. Ma non era riuscito a prevedere i gradi Celsius in quel campo da basket, dove l’inferno si stava scatenando.
 
I due giovani erano inzuppati dalla testa ai piedi. Entrambi ansimanti, erano fissi e assorti nelle mosse dell’avversario. La differenza di punti era minima, ma Kaede non avrebbe accettato facilmente la sconfitta.
 
Non perderò contro questo idiota, si ripeté, bloccando una giocata violenta dell’altro. Hanamichi, notando che non avrebbe superato tranquillamente la difesa di Kaede, decise di realizzare un’ultima giocata vincente, una che richiedeva il cento per cento del suo fisico, una che non gli avrebbe permesso di fare molto altro in seguito.
 
Ma tutto vale per vincere.
 
Palleggiando cautamente e con fermezza, Hanamichi iniziò a retrocedere. Sul punto di calpestare la linea mediana, si piegò rapidamente e lanciò la palla verso il tabellone. Kaede si distrasse, ma non ci pensò molto prima di correre verso la palla che stava cadendo vicino, ma non direttamente nel canestro, quando però un vento rosso lo superò.
Hanamichi, come un’apparizione, ricevette la palla e la inchiodò, rimanendo sospeso per qualche istante.
All’atterraggio, sia lui che Kaede si alzarono respirando a fatica.
 
Cos’era questo...
 
Hanamichi, voltandogli le spalle, approfittò del momento per fare una smorfia addolorata guardandosi le gambe. Ecco perché non gli piaceva fare giocate come quelle: richiedevano molto dal suo fisico, e anche se all’inizio della sua esperienza come giocatore da basket era il suo unico vantaggio, ora insieme ad Anzai aveva imparato le tecniche, le tattiche e le abilità. C’erano altre forme di gioco che rendevano incredibile un giocatore, e inoltre non rovinavano troppo il fisico.
 
Kaede non poté fare a meno di fissare il suo avversario.
 
Come..., si chiese senza battere ciglio. Dov’era l’Hanamichi Sakuragi che lui stesso aveva sconfitto in maniera imbarazzante durante il primo anno di liceo? Dov’era il giocatore tonto che si allenava solo per attirare l’attenzione? Quel Sakuragi, quel ragazzo di fronte a lui, era un giocatore di basket a tutti gli effetti.
Kaede scosse distrattamente il capo. Aveva sbagliato a sottovalutarlo, perché durante gli ultimi due anni di liceo aveva visto la crescita fantastica di Hanamichi; passando dall’essere un semplice principiante a uno dei più temuti del distretto, il  cui nome veniva sussurrato e ammirato. Uno di quelli che gli alunni del primo anno sognavano di essere. Uno di quelli su cui bisognava contare nelle gare.
Non per niente era stato capitano per un anno.
 
Sakuragi vedeva cose che per molti passavano inosservate. Apprendeva velocemente e non dimenticava. E, soprattutto, ovunque andasse, diventava sempre l’anima e il cuore della squadra.
 
Per questo le offerte dei college gli stanno piovendo addosso, pensò Kaede prima di guardarlo. Oh, no...eccolo che arriva, Kaede volle quasi coprirsi le orecchie al grido imminente di quel deficiente.
 
“Ahahahahah...non è stato incredibile?!”
 
Kaede sollevò un sopracciglio alla silenziosa – secondo i parametri di Sakuragi – replica dell’autoproclamato genio.
 
“Ora sai chi è il migliore, bastardo!” urlò prima di ridere scandalosamente. Mosse le spalle in un movimento circolare, poi si diresse verso le sue cose sulla panchina. Per un momento Kaede desiderò fermarlo per continuare a giocare – perché in nessun momento avevano stabilito un limite di tempo o di punti – ma controllando rapidamente, si sorprese di sentire dolore in posti che non ricordava nemmeno di avere – e sì che nel pomeriggio avrebbe avuto l’allenamento con la squadra.
 
Tsk, maledizione!, si disse raggiungendo Hanamichi che si stava cambiando.
 
Il tragitto del ritorno fu silenzioso. Da parte di Kaede perché era troppo affamato e assonnato per poter fare più che camminare. Lo stupore della vittoria di Sakuragi non pesava più di tanto, visto che aveva avuto già i suoi momenti di gloria durante il liceo – la prima volta a metà del secondo anno – quindi perché rimanere bloccato su quello, era ovvio che durante l’ultimo anno lo scemo avesse continuato ad allenarsi e ad imparare.
 
Hanamichi, d’altra parte, brillava di felicità, controllando a malapena il battito accelerato del suo cuore.
Ahahahah, ho battuto il maledetto Rukawa. Alla faccia tua! Nessuno può sconfiggere questo grande giocatore di talento. Un genio come me è destinato a cose grandi. Aaah! Non vedo l’ora di dirlo al vecchietto e agli altri inutili, canticchiando e sorridendo, arrivò a un bivio insieme alla volpe silenziosa.
 
Verso un lato si segnalava il centro della città, l’altro indicava di proseguire dritto per arrivare a casa Rukawa.
 
“Ehi, perdente! Non mi mostri la città? Sono qui per questo” disse Hanamichi dando una brusca gomitata al ragazzo mezzo addormentato.
 
“Guardala da solo” rispose subito. Sapevo che il deficiente non sarebbe stato tanto tranquillo, pensò Kaede mentre la sua mente ripeteva amaramente la parola ‘perdente’. Era probabile che quell’idiota avrebbe colto ogni occasione per sbattergliela in faccia.
 
“Argh! Che pessimo perdente sei, volpe! Era ovvio che questo genio avrebbe spazzato via le tue abilità mediocri, ahahahah!”
 
Quando il semaforo segnalò il verde, Kaede avanzò verso casa sua. Hanamichi, brontolando per qualche secondo, si rassegnò a seguirlo. Non aveva voglia di esplorare una città sconosciuta, in un paese sconosciuto, e per di più senza soldi.
 
^ ^ ^ ^
 
Appena arrivati a casa, i ragazzi si prepararono qualcosa da mangiare dopo essersi fatti la doccia. Mamma e papà Rukawa si stupirono dalla quantità di cibo che Hanamichi divorò disperatamente – temettero quasi di andare in fallimento per il mese in cui sarebbe rimasto.
Kaede, nonostante avesse ingerito solo un po’ di frutta al mattino, mangiò solo quanto sua madre gli servì. Hanamichi, che invece aveva fatto un’abbondante colazione, sembrava un pozzo senza fondo, chiedendo e richiedendo un’altra porzione.
 
Non appena terminò, Kaede si congedò per andare a dormire – era sua routine e abitudine prima dell’allenamento pomeridiano. Hanamichi, che non aveva altro da fare, chiese il portatile per poter chiamare la sua famiglia e i suoi amici.
 
Sua madre pianse per tutta la conversazione – circa mezz’ora di videochiamata – in cui Hanamichi cercò di rassicurarla raccontando per filo e per segno la sua grandiosa vittoria sul maledetto Rukawa. Sua madre, che non conosceva personalmente il ragazzo, sapeva il ruolo che egli aveva nella vita di suo figlio: era il suo più grande rivale. Così rise e si congratulò.
 
Con i ragazzi dell’Armata comunicò via Skype – i quattro erano corsi in un Internet point dopo aver ricevuto la brusca chiamata di Hanamichi. Questi a malapena li salutò prima di gridare che aveva incredibilmente vinto contro la volpe dormigliona. Takamiya, Ookusu e Noma risero e gli chiesero che tipo di allucinogeno avesse consumato per immaginarlo. Dopo tre testate virtuali – e indicibili insulti – continuaro a litigare e a ridere tra di loro.
 
Al resto dei suoi amici – Micchi, Ryo-chin, Gori e Megane-kun – si limitò a mandare delle email, dal momento che i quattro, essendo al college – con Ryota e Takenori che appartenevano alle squadre di basket delle rispettive facoltà – non potevano garantire di rispondere o di essere disponibili a parlare. Nei quattro messaggi ripeté, in lettere giganti e colorate, che aveva battuto Rukawa.
Per qualche istante rifletté sull’idea di inviare qualcosa anche alla scimmia selvaggia – per vantarsi e ricordargli che lui non era mai stato capace di battere Rukawa – e al porcospino – che, nonostante la sua personalità presuntuosa, non lo aveva mai trattato male, anzi – ma quando decise di farlo, si rese conto che non aveva l’indirizzo email di nessuno dei due.
 
Poco dopo, terminando la videochiamata con Anzai – che si congratulò ridendo per la sua vittoria – vide la figura mezza addormentata della volpe scendere dalle scale. Finita la chiamata, si alzò e lo seguì in cucina.
 
“Ehi! Che devi fare ora?”

Kaede stava tirando fuori dal frigo una bottiglia d’acqua, da cui bevve un po’ per poi riempirla dal rubinetto. Quando i secondi passarono e nessuna risposta colmò il silenzio, Hanamichi si allungò e gli strappò la bottiglia di mano.
 
“Ehi, non ignorarmi, stupida volpe!”
 
“Vado all’allenamento, idiota” replicò Kaede aggressivamente, riprendendosi la bottiglia. Gli passò accanto spingendogli la spalla con forza.
 
Accanto alla sedia principale aveva lasciato la borsa e la palla dall’allenamento mattutino – la palla in realtà non sarebbe servita, ma la portava comunque sempre con sé. All’ingresso lasciò le sue pantofole – nonostante vivessero negli Stati Uniti, i Rukawa continuavano con alcune usanze giapponesi – e uscì tranquillamente di casa. Hanamichi fissò la porta per mezzo secondo senza pensare a nulla.
 
“Argh, dannato!” urlò prima di correre nella sua stanza e recuperare la sua giacca, dei soldi e il benedetto taccuino.
 
Gli ci vollero alcuni minuti, ma le sue forti e veloci gambe raggiunsero la traballante bicicletta di Kaede. Un sorriso malizioso apparve sul suo volto quando trovò un altro modo per infastidire il presuntuoso – e nel frattempo per non stancarsi troppo. Aumentando la velocità, si posizionò direttamente dietro la bici. A solo pochi centimetri di distanza, guardò avanti e di lato per assicurarsi che non sarebbero morti con quel tentativo; controllando che tutti gli angoli fossero liberi, concentrò la potenza nelle gambe e saltò dietro la schiena della volpe.
 
“Che cosa...?” Kaede, sentendo un fardello per niente leggero dietro di sé, non poté evitare di perdere del tutto il controllo della bicicletta. Si voltò e incontrò il tronfio ghigno del deficiente. Sul punto di scuotersi per toglierselo di dosso, Hanamichi gli gridò direttamente nell’orecchio e lo tirò a sé, passando entrambe le braccia sopra le sue spalle.
 
“Ah! Guarda dove vai, stupida volpe! Stavamo per colpire un palo!” affermò Hanamichi senza togliere le mani dal manubrio, e quindi le braccia dalle spalle del ragazzo, portando i loro visi a essere separati da pochi centimetri.
 
“Togliti, imbecille!” esclamò Kaede sentendosi stranamente turbato. Hanamichi, al contrario, premette ancora di più il petto contro la sua schiena.
Kaede, senza pensarci, si mise a pedalare dopo pochi minuti di lotta.
Stranamente era Hanamichi a guidare, anche se non aveva idea di dove fosse l’università, dato che le sue mani, sopra quelle del suo ex compagno, esercitavano più forza e pressione di quelle di Kaede.
 
“Dove andiamo?” chiese Hanamichi dopo alcuni minuti di silenzio in cui vagavano per il quartiere.
Kaede, sentendo le sue labbra contro l’orecchio, tolse le mani dalla gabbia in cui erano rimaste intrappolate, per poi metterle ai lati del manubrio e quindi controllare la bici.
 
Dannato stupido, pensò ascoltando l’idiota che cominciava a canticchiare qualche inutile canzone.
 
Il tragitto verso la palestra dell’università fu comodo e rilassante per Hanamichi, che non dovette fare altro che accasciarsi sulla schiena del suo teso compagno.
Per Kaede, invece, fu una tortura. Il deficiente lo usò praticamente come letto per tutto il tempo. E per di più, era lui che pedalava, sostenendo quindi il peso di entrambi. Era così stanco e irritato che quando si accostò al parcheggio, non avvisò l’imbecille e frenò di botto, strappando violentemente le mani abbronzate dal manubrio.
 
Hanamichi, proprio come Kaede si aspettava, cadde di lato sul suolo con un rumore forte e sgradevole. Kaede prese la borsa dopo aver incatenato la bici. Con calma camminò, grattandosi distrattamente il collo – ancora caldo a causa del calore emanato da Hanamichi – ignorando le urla folli e gli insulti provenienti dal cretino. Avanzò lentamente verso la palestra, perché malgrado l’idiota, era in orario.
 
“Ehi! Maledetta volpe! Come osi scaricare così questo genio! Non ignorarmi, stupido! Lo vedrai! Ti darò quello che meriti, perdente!”
 
Kaede fece orecchie da mercante alle esclamazioni provenienti da vicino. Andando verso gli spogliatoi, vide l’allenatore Williams con uno degli assistenti, di cui non ricordava il nome. Anche Hanamichi l’aveva visto – e miracolosamente l’aveva riconosciuto – perché tacque subito.
Ma Hanamichi Sakuragi rimaneva Hanamichi Sakuragi.
L’ultima cosa che Kaede vide prima di entrare negli spogliatoi per cambiarsi fu lo scemo che si avvicinava ai due uomini per presentarsi con la sua peculiare e assurda voce – in un inglese sorprendentemente buono. I due sembrarono confusi all’inizio e lo guardarono accigliati, specie quando Hanamichi partì con la solfa che lui era il genio venuto a salvare i Tar Heels dalla disgrazia e dalla vergogna.
 
Idiota, pensò scuotendo la testa prima di chiudere la porta. Sedendosi di fronte al suo armadietto, sentì la rumorosa e sgradevole risata del ragazzo in corridoio. Osservò distrattamente alcuni suoi compagni voltarsi verso la porta con aria confusa, curiosa o infastidita. Scosse di nuovo il capo prima di cambiarsi. Mise via la borsa e uscì. In corridoio non c’erano più né l’allenatore né l’idiota.
 
Forse l’hanno buttato fuori, pensò Kaede un po’ divertito.
 
Divertimento che decadde quando arrivò in palestra, dove vide i tre precedenti personaggi chiacchierare amichevolmente – o il più amichevolmente possibile da parte di uno come Sakuragi. Questi rise e l’allenatore gli diede un colpetto alla spalla, sorridendo a sua volta.
 
Ma che cazzo...?
 
Molti dei giocatori guardavano incuriositi lo scambio, dal momento che non avevano mai visto quel rumoroso ragazzo lì intorno. La sua altezza e muscolatura suggerivano che fosse un giocatore di basket, ma nessuno aveva mai sentito di un giapponese con i capelli rossi nella lega del basket universitario.
 
Altri diedero una rapida occhiata all’unico giapponese della squadra, che – come sempre – sembrava astratto dal resto del mondo.
 
“Ragazzi, avvicinatevi!” urlò l’allenatore dopo pochi minuti. Anche gli assistenti si unirono al gruppo. “Prima di iniziare l’allenamento, voglio presentarvi Hanamichi Sakuragi, un...talentuoso...”, lui e Hanamichi risero, “giocatore dal Giappone. Sta pensando di entrare a far parte della nostra squadra per la prossima stagione, quindi voglio che lo facciate sentire il benvenuto e che gli mostriate perché non esiste una squadra migliore dei Tar Heels”
 
Alcuni si avvicinarono subito a stringere la mano per salutare e Hanamichi rispose sorridendo – Kaede si sorprese delle sue buone maniere.
Non molto dopo, l’allenatore li chiamò per cominciare. Hanamichi, senza fare storie né commenti, si mise da parte, prendendo dalla tasca un piccolo taccuino, per far iniziare l’allenamento.
Kaede, prendendo la palla, fece subito del suo meglio per dimenticare la presenza dell’idiota – cosa un po’ difficile data la sua inconfondibile voce e risata – ma non si sarebbe arreso.
 
Correndo avanti e indietro sul campo, Kaede riceveva passaggi e cercava con tutti i mezzi di segnare. Quando falliva, si concentrava di più sul recuperare la palla per eseguire di nuovo la mossa precedente.
Un compagno, non era sicuro di chi fosse, era particolarmente difficile da superare. Per lunghi minuti ci fu un intenso uno contro uno che sembrava non finire mai, arrivando al termine dei secondi regolamentari.
 
Il sudore gli inzuppava i vestiti quando riuscì a ingannarlo fingendo di saltare a canestro, quando il ragazzo si sollevò, Kaede corse di fianco e mise la palla nel canestro – si rifiutava di ammettere che aveva rubato il trucco all’idiota. Atterrando con forza, si voltò guardandosi intorno. Molti dei suoi compagni gli rivolgevano le spalle. I pochi che lo guardavano erano accigliati. Senza sapere perché, cercò lo sguardo dello scemo; lo trovò impegnato in una seria – a giudicare dalle espressioni – conversazione con un ragazzo della squadra, Kaede non conosceva neanche il suo nome.
 
Così passò il resto del pomeriggio. L’allenamento, come l’allenatore aveva avvertito qualche giorno prima, fu più pesante e faticoso dei precedenti, e una volta terminato, molti ragazzi uscirono muti e sudati dalla palestra. Altri, invece, si avvicinarono ad Hanamichi che era rimasto vicino all’allenatore e agli assistenti.
Kaede, che non era mai stato bravo a socializzare – e nemmeno vedeva la necessità di farlo – se ne andò per cambiarsi.
 
Raramente succedeva, ma oggi decise di farsi la doccia nello spogliatoio. Era più stanco del solito, cosa che attribuiva alla partita contro Sakuragi del mattino, e ancora più sporco. Non era la persona più igienica del mondo, ma nemmeno voleva lasciare dietro di sé una scia verde.
 
Pertanto, cambiarsi richiese più tempo del normale, e quando uscì dagli spogliatoi, dove rimasero solo due ragazzi, si imbatté in una solitaria e quasi oscura palestra. Raggiungendo la bici, fu sorpreso di intravedere i capelli rossi dell’idiota appoggiato al cancello.
Kaede, rifiutandosi di portarlo di nuovo sulla bici, si abbassò per togliere la catena, ma invece di montarci sopra, si mise a camminare portandola a mano. Hanamichi lo seguì subito.
 
Camminarono a lungo in silenzio – cosa strana per l’idiota. Kaede avrebbe potuto ringraziarlo e apprezzare, ma si stava parlando della scandalosa scimmia al suo fianco. Il suo silenzio non era mai una buona notizia. Si accigliò rendendosi conto che si stava preoccupando per quell’idiota.
 
A chi importa cosa gli prende?, si disse stringendo più forte il manubrio della bici.
 
Sentendo il caldo vento estivo colpire i loro visi, arrivarono nella via di casa Rukawa senza scambiarsi né una parola né un insulto. Tuttavia, quasi a casa, Hanamichi si fermò. Inizialmente Kaede non se ne accorse, ma quando notò che non c’era nulla di rosso nel suo campo visivo, si trovò e trovò lo sguardo fisso dell’autoproclamato genio.
 
“Che stai facendo, idiota?” chiese Kaede con riluttanza. Era stanco, affamato e assonnato e a quello scemo veniva in mente proprio ora di diventare strano.
 
Altro che re dei rimbalzi...re degli idioti, semmai...
 
“No. Che stai facendo tu, maledetto stupido?”

Kaede riuscì a malapena a nascondere lo stupore nell’udire il feroce tono usato da Sakuragi. Liti e insulti erano normali tra di loro, ma quello era qualcosa di totalmente diverso. Hanamichi sembrava davvero arrabbiato. Kaede si accigliò e aprì la bocca per restituire il disprezzo, ma l’altro lo batté.
 
“Non hai imparato niente allo Shohoku?”
 
Cosa? Di che diavolo sta parlando questo imbecille?
 
Hanamichi si avvicinò rapidamente a lui e lo afferrò saldamente per la giacca.
 
“Se il vecchio ti vedesse ora, sono sicuro che gli verrebbe un infarto”
 
“Lasciami andare, deficiente” replicò Kaede con uguale freddezza e rudezza. Se quello scemo non voleva spiegarsi, allora problema suo. Kaede non era dell’umore per litigi senza senso. Per la prima volta nella sua vita, Hanamichi fece ciò che Kaede aveva richiesto. Lo lasciò, ma con forza sufficiente da farlo cadere a terra. Kaede crollò pesantemente sul cemento con un suono sordo e sporco.
 
Miserabile..., pensò Kaede alzandosi. Hanamichi era ancora lì: con quell’aura mostruosa e la forza che irradiava da ogni poro della sua pelle.
 
Non me ne frega un cazzo se ha sistemato Tetsuo da solo, adesso-
 
“Non ti ho mai visto giocare così male”
 
Qualsiasi pensiero si congelò nella mente di Kaede. Non era in grado di replicare, ragionare, rimase lì a guardarlo accigliato.
 
“Sei lo stesso egoista e individualista dell’inizio del primo anno. Adesso capisco perché il vecchio Roy non ti fa giocare in nessuna partita. Giochi solo per te stesso. Non conosci nemmeno i tuoi compagni di squadra. Sei un perdente, Rukawa”
 
Ogni parola fu pronunciata con forza, con tono fermo, con rimprovero...quasi con pietà...
 
“Sei proprio un dannato-” Hanamichi non riuscì a finire di parlare, un pugno potente si impresse nella sua della sua bocca e del naso.
 
La forza del colpo fu tale da farlo rimbalzare contro il muro più vicino, sporcandolo di sangue.
Hanamichi impiegò qualche secondo per riprendersi e quando riuscì ad aprire gli occhi e mettere a fuoco, si ritrovò da solo. Si toccò il naso e la bocca e vide la mano macchiata di sangue. La parte che era stata colpita brontolò – non era un dolore a lui sconosciuto – ma fu comunque sorpreso dalla potenza del pugno. Lo aveva davvero infastidito.
 
Bene, è così che impari.
 
Non appena l’allenamento era iniziato, Hanamichi aveva tirato fuori il taccuino che Yohei gli aveva lasciato per leggere le note di Anzai. Aveva letto tutti gli appunti per sapere da dove iniziare, poi il suo sguardo si era concentrato inconsciamente sul suo ex compagno di squadra. Per un momento Hanamichi si era aspettato di sentire la violenta gelosia – e segreta ammirazione – che lo invadeva ogni volta che lo vedeva giocare, però...dopo solo due minuti, qualcosa di violento si era formato in effetti nel suo petto, ma non si trattava di gelosia o invidia...era rabbia, furia.
 
Cosa diavolo pensa di fare quella dannata volpe?
 
Rukawa correva da una parte all’altra cercando la palla e quando finalmente l’aveva, ignorava completamente i suoi compagni, anche se erano in una posizione migliore per segnare. Quando sbagliava, invece di rimediare dando la palla a qualcun altro, correva a recuperarla come un dannato, continuando a giocare per conto suo.
Per Hanamichi il peggio era stato vederlo affrontare James – pensava si chiamasse così – nel bel mezzo della partita. Erano rimasti minuti a lottare al centro del campo, guadagnandosi sguardi disgustati e infastiditi dagli altri. E per un buon motivo. Si poteva dire che la colpa fosse sia di Rukawa che di James, ma quando il tempo ripartiva da zero – al termine dei secondi trascorsi ad affrontarsi – era sempre Rukawa che cercava l’altro per proseguire con lo scontro.
 
Allora Hanamichi aveva deciso di chiedere ai ragazzi cosa ne pensavano di Rukawa e come si era integrato nel gruppo. La maggior parte aveva risposto nello stesso modo, tranne miracolosamente uno, Tom. Quasi tutti avevano commentato che Rukawa era piuttosto scontroso e pretenzioso, che non condivideva mai nulla con la squadra e praticamente non parlava con nessuno. Nessuno metteva in dubbio le sue ovvie capacità, ma erano dubbiosi sul suo riuscire a giocare in squadra. Tom aveva invece detto che Rukawa era un ottimo giocatore, un ragazzo molto serio ma calmo, introverso ma laborioso, e non conosceva nessuno che si allenasse più duramente di lui. Non era stato però sufficiente per rassicurare Hanamichi, che era esploso di rabbia.
 
Aveva sentito la fronte bruciare dal desiderio di assestare una testata mortale.
 
Ora, stringendo la giacca in mano, si pulì le tracce di sangue dal viso mentre si dirigeva verso l’ingresso di casa Rukawa. Non avendo le chiavi dovette bussare, non desiderando spaventare la dolce signora con la sua faccia ammaccata.
Per fortuna aprì il padre della volpe. Gli occhi blu dell’uomo per qualche istante si allargarono, poi si riempirono di comprensione.
Ecco perché Kaede era così agitato, pensò, lasciando passare il giovane.
 
Hanamichi rimase un po’ stupito quando l’uomo, invece di urlargli contro o sgridarlo per essere arrivato in quelle condizioni, gli diede alcune pacche sulla spalla e se ne andò in cucina senza dire una parola.
 
Hanamichi decise di non pensare troppo a quella reazione; andò invece subito in bagno a pulirsi e si mise dei pezzi di carta nelle narici insanguinate. In camera sua, recuperò la borsa blu e ne tirò fuori una crema speciale per quel tipo di situazione (dato che era ovvio che entro un mese avrebbe litigato con qualcuno). Più tardi, quando sarebbe stato sicuro di non incontrare nessuno, sarebbe sceso per trovare il ghiaccio e posizionarlo sul viso per evitare qualsiasi gonfiore.
 
Infilatosi il pigiama, si gettò sul letto e cominciò a pensare a come far giocare di nuovo quell'egoista, idiota, dormiglione, irresponsabile, stupido, puzzolente, maleducato, orgoglioso, iceberg di Rukawa come aveva fatto allo Shohoku durante l’ultimo anno...
Hanamichi, ovviamente, ignorò la cosa più ovvia di tutta la situazione: perché voleva aiutarlo?
Non erano più compagni di squadra. Non erano mai stati amici. Non vivevano nemmeno più nello stesso paese. Tuttavia...Kaede non poteva fare a meno di pensare ad Anzai e alle speranze ed entusiasmo che nutriva per la dannata volpe.
 
Non riusciva nemmeno a scrollarsi di dosso il ricordo del volto sorridente e speranzoso di Haruko quando parlava di come Rukawa aveva realizzato il suo sogno. Hanamichi, senza mettere in discussione o approfondire le proprie ragioni, si disse che aveva un obbligo nei confronti di Rukawa. Per fare in modo che quell’idiota dispiegasse il suo vero potenziale; quello che aveva cominciato a manifestarsi nella partita contro Sannoh nelle finali del primo anno.
 
Quando finalmente la volpe ha riconosciuto le incredibili abilità di questo genio e gli ha passato la palla...
 
Proprio così. Rukawa, l’egoista e individualista, aveva passato la palla al compagno di squadra che più odiava.
 
Ecco! Ora comincia l’operazione Vecchietto, decise sorridendo e stringendo le mani.
 
^ ^ ^ ^
 
Mancavano solo un paio di minuti prima che le tre tremende e maledette sveglie suonassero, quindi sembrava inutile continuare a dormire. Ciò poteva sembrare del tutto normale, se non fosse per il fatto che si era svegliato poco più di un'ora prima, incapace di riprendere il sonno in seguito.
 
Tutto per colpa di quell’imbecille, disse appoggiando la testa sul cuscino.
 
Non ho imparato niente allo Shohoku? Non ho mai giocato così male? Chi se ne frega della sua opinione. Neanche fosse il top del basket.
 
Grugnì, impotente. Strinse i pugni e si mosse.
 
Quello stupido non sa niente. Kaede sapeva che il deficiente non aveva idea di cosa stesse parlando. Hanamichi veniva dalle gare estenuanti ma gentili di Kanagawa. Non aveva la fottuta idea del significato vero e crudele della competitività...dell’ambizione, della sfida e della rivalità a livelli professionali. Tutti i ragazzi della squadra, o la gran parte di essi, volevano raggiungere il basket professionistico; e se per quello dovevano accoltellare un compagno lungo il tragitto, andava bene così.
 
Se era troppo per Sakuragi, non sarebbe mai dovuto andare lì.
 
Questa è la vita reale, si ripeté Kaede. Non negava gli antichi insegnamenti né intendeva tornare ad essere il giocatore egocentrico del primo anno di superiori. Stava solo sopravvivendo. Faceva del suo meglio per essere notato. Forse ad ora il suo piano non stava funzionando, ma era sicuro che prima o poi l’avrebbe fatto – o per lo meno ci sperava.
 
Irritato, si alzò e disattivò i tre dispositivi. Dopo essersi lavato e aver preso la borsa per l’allenamento, scese lentamente in cucina per la colazione.
Lo scemo avrebbe fatto meglio a non venire, pensò Kaede, avanzando verso le voci provenienti dalla stanza.
Era determinato a colpire di nuovo – e con più forza – lo scimmione se si fosse avvicinato di nuovo a lui. In cucina, però, c’erano solo i suoi genitori che chiacchieravano – o meglio, solo sua madre. Kaede osservò con cautela ogni angolo della stanza per verificare.
 
“Non c’è. È uscito presto”
 
Madre e figlio rimasero un po’ sorpresi dall’intervento dell’uomo. Papà Rukawa non era mai stato di molte parole – la mela non cade lontano dall’albero – quindi guardarono un po’ perplessi l’uomo che guardava con un sorrisetto il suo unico figlio.
 
Kaede si accigliò prima di sedersi per mangiare qualcosa.
 
E a me cosa importa.
 
Il tragitto al campetto fu calmo e silenzioso – quasi troppo. Lasciò le sue cose sulla vecchia panchina e iniziò ad allenarsi. Con la palla in mano, Kaede si concesse finalmente di rilasciare la tensione e la furia del giorno prima. Ogni essere umano deve poter avere un rifugio, un luogo di fuga. Per Kaede Rukawa, era il basket.
Il suo umore lo portò a fare più schiacciate che semplici canestri. Con la forza che irradiava tutto il suo corpo, si scaricava contro l’innocente tabellone.
 
Adesso capisco perché il vecchio Roy non ti fa giocare in nessuna partita.
 
All’improvviso, quelle parole echeggiarono nella sua mente.
 
Giochi solo per te stesso. Non conosci nemmeno i tuoi compagni di squadra.
 
Furia e fuoco scorrevano nelle sue vene. Dribblando velocemente, corse con tutte le sue forze fino al canestro. A pochi metri di distanza, si piegò e saltò per raggiungerla, facendo un giro di 360 gradi per aria.
 
Sei un perdente, Rukawa...
 
La inchiodò con tutto lo slancio delle sue braccia. Passeri e bambini lì intorno fuggirono terrorizzati. Ma lui rimase lì. Sospeso. Assorto, perso.
 
Sudato e ansimante, prese le sue cose e se ne andò senza nemmeno cambiarsi. Quando tornò a casa, fece una doccia veloce e andò a pranzo. A tavola c’erano solo i suoi genitori – di nuovo. Si accigliò e si sedette a mangiare, morendo di fame.
 
“Uhm...ne vuoi ancora?” sua madre lo guardava in modo strano. Kaede non vi prestò attenzione e annuì.
Con lo stomaco soddisfatto, andò al piano di sopra e si gettò sul letto per dormire fino agli allenamenti, non senza prima programmare due sveglie. Aveva bisogno di schiarirsi la mente, dimenticare e rilassarsi. Ma qualcosa si agitava nel suo stomaco. Qualcosa gli rimbombò nella mente senza lasciarlo in pace. Spremendosi violentemente il cuscino sulla faccia, chiuse le palpebre e si addormentò.
 
Due ore dopo, le sveglie squillarono. Il ragazzo le spense e si diresse in palestra in silenzio, la sua mente ancora turbata mentre i suoi muscoli si tendevano.
 
(Hanamichi non era ancora tornato a casa).
 
Dopo essersi cambiati e aver messo le sue cose nell’armadietto dello spogliatoio, entrò in palestra, dove purtroppo trovò e sentì il suo ex compagno. Solo con un piede all’interno della palestra, lo notò vicino alla panchina principale con un sacco di ragazzi intorno che parlavano e ridevano. Alcuni guardavano Hanamichi con rabbia o fastidio. Gli altri invece ridevano con lui o gli facevano domande.
 
Hanamichi non si voltò verso di lui in nessun momento.
 
Stupido, pensò, prendendo una palla per iniziare l’allenamento. Poco dopo, apparvero l’allenatore e alcuni assistenti. Proclamò il discorso del giorno e le possibili manovre e giocate che avrebbero testato. Li divise in gruppi e sezioni per allenare sia la parte fisica che le abilità. E anche per praticare i movimenti difensivi come quelli offensivi. Dopodiché, mentre Kaede avanzava nel punto che gli corrispondeva, di lato vide l’idiota che parlava con l’allenatore.
 
Maledetto idiota...chissà che scemenze sta dicendo.
 
Con quell’ultimo pensiero, Kaede decise di ignorarlo. Dopotutto, quell’imbecille non valeva il suo tempo né la sua energia. Dopo un paio d’ore, Kaede stava camminando verso la bici, con il corpo tutto rigido e in fiamme. Tolse la catena e montò per tornare ansiosamente a casa.
 
Quella sera cenarono da soli lui e sua madre – suo padre aveva ricevuto una chiamata di lavoro fuori programma – e la donna decise saggiamente di non informarsi sul componente mancante. Soddisfatto e pulito, Kaede si buttò sul letto, assonnato ed esausto, ma non abbastanza per dormire.
Il soffitto bianco della stanza affascinò la sua mente per un buon lasso di tempo. Si sistemò sul materasso alla ricerca di conforto, ma non era ciò che serviva al suo corpo per dormire. Sospirò allungando la mano per spegnere la lampada.
 
Forse il buio mi aiuterà a-, il pensiero si bloccò nella sua mente quando una testa rossa apparve dalla porta della sua camera.
 
“Vattene” esclamò sedendosi sul letto mentre l’altro gli lanciava una scatola nera; grazie ai riflessi pronti, non necessitò di un avvertimento per prenderla al volo. Senza sapere per quale motivo, guardò l’oggetto, notando che era una videocassetta. Si accigliò e alzò lo sguardo, pronto a gettarla in testa all’idiota, ma ancora una volta la scimmia lo precedette.
 
“Con il vecchietto ho imparato...” iniziò con sguardo serio, entrando nella stanza senza permesso. Hanamichi osservò e toccò varie cose con curiosità, sistemandosi, “...che il modo migliore per imparare è guardando se stessi giocare”, continuò, concentrando i suoi occhi marroni su quelli blu dell’altro.
Solo allora Kaede notò il lieve gonfiore e il colore sul mento di quel bruto.
 
Ha una pelle d’acciaio, pensò distrattamente, senza prestare attenzione alle sue parole.
 
“Ehi! Mi ascolti, volpe puzzolente? Il genio sta sprecando minuti preziosi della sua vita, quindi è meglio che mi ascolti!” urlò in piedi accanto a Kaede, che non si lasciò affatto intimidire dalla sua altezza, e gli lanciò la cassetta in faccia.
 
“Ah! Maledetto Rukawa, mi hai quasi fatto saltare un occhio, stupido!” gridò, chiudendo con forza le palpebre. Quando li riaprì, si sporse verso Kaede, afferrandolo per il pigiama. Kaede si aspettava un colpo, una testata, un urla, tutto tranne vedere il ragazzo raddrizzarsi e tirarsi le guance con forza. Solo quando il suo viso fu dello stesso colore dei suoi capelli, smise di tormentarsi la pelle e lo guardò furiosamente.
 
“Ascoltami bene, imbecille. O guardi la cassetta, o ti prendo a calci in culo fino alla Cina”
 
“Mi piacerebbe vederti provare” rispose freddamente, colpendo con violenza il dito che gli puntava contro.
 
“Ah! Basta!” urlò Hanamichi prima di dargli una testata. Approfittando del semi svenimento di quello stupido, Hanamichi andò a cercare la videocamera nella sua stanza per collegarla poi al televisore di Kaede; mise la videocassetta e la fece partire. Si rivolse al ragazzo che cominciava a riprendersi.
 
“Dai un’occhiata, deficiente” disse prima di premere Play.
 
Kaede stava per alzarsi e prendere a calci la scimmia per spingerla fuori dalla sua stanza, quando le immagini proiettate dal televisore lo fermarono.
Sono io, pensò, riconoscendosi nell’allenamento di quel pomeriggio. Avvicinandosi allo schermo, sbatté contro Hanamichi che era seduto sul pavimento a gambe incrociate. Senza dargli attenzione, si sedette sul bordo del letto e guardò se stesso correre da una parte all’altra del campo. Fece un’espressione compiaciuta quando apparve una giocata particolarmente riuscita.
 
“Tsk! Volpe presuntuosa. Sempre a metterti in mostra”
 
Senti chi parla, avrebbe voluto rispondere Kaede, ma si fermò vedendo un canestro fallito. Hanamichi rise forte. Rimasero lì per diversi minuti, ripetendo la stessa frequenza: Hanamichi lo insultava quando faceva qualcosa di buono e rideva sgradevolmente ai suoi errori.
 
“E...? Ti sei reso conto di cosa sbagli, stupida volpe?”

Kaede lo guardò torvo. Certo che si era reso conto.
 
“Sbaglio di più a sinistra. Domani mi dedicherò a-”
 
“Cosa! No, stupida volpe! Ugh! A quanto pare deve fare tutto il genio...” Hanamichi lo interruppe, prendendo il telecomando e riavvolgendo il nastro. Kaede si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. Che idiozia gli avrebbe mostrato quella scimmia.
 
“Vedi lì?” fece Hanamichi raggiungendo la sequenza che cercava e indicando lo schermo. Kaede annuì con riluttanza. Sì, certo che vedeva. Era lì, a palleggiare vicino al centro del campo, con due giocatori che lo bloccavano.
 
“Questo dimostra che sei un pessimo giocatore, perdente! Tom, il nano, è lì sotto il canestro, senza ostacoli, del tutto libero. E quest’altro, mi sembra si chiami Davis, ti stava quasi ballando davanti per farsi notare e ricevere la palla da te...ma tu cos’hai fatto?” chiese durante la riproduzione del video; Kaede riusciva a superare entrambi i ragazzi, ma uno di loro allungò il braccio togliendogli la palla, che arrivò nelle mani di un giocatore che non faceva parte della sua squadra, che corse ed eseguì un ottimo canestro.
 
“E non finisce qui” continuò Hanamichi, mandando avanti e indietro il video, fermandosi in tutte le parti in cui quel tipo di gioco si ripeteva. Kaede fissò lo schermo, impassibile e muto.
 
“Devi sistemare questo, stupido” concluse Hanamichi, sbadigliando con la sua enorme bocca. Allungò le braccia, spense la videocamera, prese la cassetta e uscì.
 
Kaede rimase lì fermo.
 
^ ^ ^ ^
 
Spegnendo con violenza le tre sveglie, Kaede sbadigliò e andò in bagno. Odio i lunedì, pensò mentre si lavava e puliva. In cucina si servì da mangiare e si sedette tranquillamente per godersi dei nutrienti cereali. Chiudendo forte gli occhi, strinse i pugni per controllare la botta di sonno, ma non era colpa sua.
 
Tutto per quello scemo...
 
Dopo che Hanamichi era uscito dalla sua stanza la sera prima, Kaede aveva visualizzato più e più volte le giocate proiettate dallo schermo.
 
Egoista e individualista. Era così che stava giocando, e non perché lo dicesse la stupida scimmia, ma perché lo aveva visto lui stesso. Aveva osservato come pareva che stesse deliberatamente ignorando il resto dei suoi compagni, giocando come se fosse lui contro il mondo.
Forse era così che Kaede la pensava all’inizio del liceo, ma con lo Shohoku tutto era cambiato...aveva imparato che bisognava giocare in squadra e che, proprio come gli aveva detto una volta quell’idiota di Sendo, c’erano molte tattiche e giocate offensive.
 
L’uno contro uno era tra di esse, ma c’era anche quella in cui in cinque si giocava contro altri cinque, fidandosi e dipendendo dagli altri. Come aveva fatto lui negli ultimi anni, fidandosi e dipendendo da Sakuragi affinché prendesse i rimbalzi; fidandosi della leadership di Miyagi durante il secondo anno; ammirando la tenacia e la determinazione di Mitsui.
 
Ora non so nemmeno i nomi dei miei compagni, pensò con cipiglio. Sapeva che non si trattava di imparare a memoria nomi e cognomi, ma piuttosto di conoscerli come giocatori, come la sua squadra di basket.
Kaede strinse il cucchiaio tra le dita, sentendo qualcosa che da mesi non riusciva a percepire dentro di sé.
Determinazione.
Quel giorno sarebbe stato diverso.
 
Oggi mostrerò tutto ciò che ho imparato allo Shohoku.
 
Sorseggiando velocemente il latte avanzato dai suoi cereali, andò alla porta dove, in procinto di mettersi le scarpe, pensò che non sarebbe stato male vedere un altro paio di volte la videocassetta. Lasciando la borsa all’ingresso, salì a due a due i gradini, entrando nella stanza dell’idiota.
Senza sapere perché, i suoi piedi rimasero bloccati, insieme alla sua mano immobilizzata sulla maniglia.
 
Sicuramente il deficiente sta dormendo, non si accorgerà nemmeno di me..., si disse prima di entrare silenziosamente e lentamente. Proprio come pensava, il ragazzo era sdraiato a pancia in giù con addosso solo dei pantaloni, esponendo così la pelle abbronzata della schiena ai sottili raggi di sole che entravano dalle tende chiuse malamente.
 
Kaede rimase qualche secondo ai piedi del letto, gli occhi puntati sull’idiota ancora addormentato.
Un rumore dalle scale lo distrasse. Cercò subito la videocassetta, intravedendola sul pavimento accanto al cassettone principale; stringendola forte tra le mani, gettò un ultimo sguardo alla scimmia prima di andarsene.
 
“Kaede, stai bene? Sembri un po’...agitato?” chiese sua madre, ancora in pigiama, mentre lui si metteva rapidamente le scarpe all’entrata.
 
“Sì” rispose lui senza guardarla. Si sollevò, uscì di casa prendendo la bicicletta e dirigendosi all’università. La donna, ancora in piedi davanti alla porta, si accigliò chiedendosi se suo figlio avesse la febbre. Non era normale che Kaede fosse così rosso in faccia, pensò camminando verso la cucina – ci voleva un po’ per preparare la colazione di Sakuragi.
 
^ ^ ^ ^
 
Dribblando in uno dei cortili dell’università, Kaede ricordava le immagini in video che aveva osservato più e più volte durante le lezioni durante la mattina, su un pc portatile preso in prestito. Mancava poco all’allenamento e solo pochi minuti prima si era svegliato dal suo pisolino sotto uno degli alberi più grandi e confortevoli che aveva avuto il piacere di incontrare nella sua giovane vita.
 
Voglio cominciare. Kaede sembrava vibrare con l’energia che si irradiava dal suo corpo. Iniziò a palleggiare con più forza, chiamando l’attenzione degli studenti di passaggio. Ad un tratto si fermò e guardò l’orologio al polso. Mancavano 20 minuti all’allenamento.
 
Mettendo la palla nella borsa, decise di arrivare prima. Magari mi alleno un po’ da solo.
 
Si cambiò negli spogliatoi ed entrò in palestra da dove sentiva mormorii e palle che rimbalzavano. Si accigliò un po’. Gli bastarono pochi passi per sentire l’eco della risata forte di Sakuragi attraverso i corridoi vuoti. Quell’idiota, pensò muovendosi più velocemente. Si accorse però che il ragazzo non era solo, al contrario, altri cinque ragazzi della squadra di basket – a Kaede parve – lo circondavano.
 
“Dai, non siate timidi! Prometto che questo genio non vi umilierà...troppo! Ahahahah!” urlò la scimmia in inglese, palleggiando e sorridendo sornionamente ai presenti.
Uno dei ragazzi (James?) ricambiò il sorriso e si piazzò davanti alla scimmia con una posa di sfida. Per circa due minuti i due parvero prepararsi per una guerra. La forza di Hanamichi era evidente, ma l’abilità e la tecnica dell’altro erano note. Rimasero tutti a bocca aperta quando James improvvisamente colpì la palla nelle mani di Sakuragi, per lanciarla di lato. Tutti, come era ovvio, si aspettavano che l’americano recuperasse la palla. Ma Kaede la pensava diversamente...perché loro non conoscevano Hanamichi.
 
Proprio come aveva predetto, Sakuragi corse e si distese per prendere la palla; senza aspettare, retrocedette e saltò, realizzando una tripla impeccabile e perfetta, lasciando tutti – tranne Kaede, ovviamente – a bocca aperta.
 
“Così gioca un genio come me! Ahahahaha...visto, visto?” chiedeva Hanamichi a un altro ragazzo a proposito della sua magnifica esibizione. James si avvicinò, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. Gli altri si mostrarono entusiasti di fronte a quel pazzesco tizio coi capelli rossi. “Ahahahahah...tutti vogliono giocare contro questo genio! Siate pazienti, principianti, il genio può farcela contro tutti voi”

Kaede scosse il capo, ritirandosi in angolo per scaldarsi un po’.
 
Idiota...
 
Due ragazzi riuscirono a perforare e sconfiggere il muro di Hanamichi, lasciandolo brontolare scontrosamente sul fatto che l’aria di quel paese gli stesse facendo male e altre scemenze simili. Per fortuna, le sue chiacchiere infinite si conclusero con l’arrivo dell’allenatore.
Kaede, appena l’uomo entrò, raddrizzò le spalle e fece un respiro profondo.
L’allenatore, come sempre, aprì con un discorso, ma più vigoroso del solito. Parlò della squadra che avrebbero affrontato il seguente mercoledì. Fece commenti sulle stelle del gruppo – mentre gli assistenti mostravano foto e statistiche – e le possibili tecniche che avrebbero usato. Mostrò infine lo schema di gioco da poter utilizzare. Divise la squadra in vari gruppi per poter emulare il gioco.
 
Kaede alzò lo sguardo cercando quello di Sakuragi. Questi guardava e scriveva forsennatamente sul suo taccuino; sentendosi osservato, alzò gli occhi e si fissò sulla volpe. Non più di due secondi dopo, sollevò il pollice. Kaede si accigliò.
 
Stupido, pensò prima di mettersi in posizione. Con l’ambiente interrotto dal suono del fischio, la partita iniziò. Kaede, come se gli fosse stata tolta una benda dagli occhi, riuscì a osservare tutto in modo migliore, e si rese conto di quanto i suoi compagni fossero restii a passargli il pallone; non ci rimase male, perché anche lui avrebbe fatto lo stesso al loro posto – non avrebbe passato la palla a un compagno avido.
 
Se avesse giocato come il giorno prima, in quel momento fatto pressione ai compagni per passargli la palla, ma ora sapeva cosa doveva davvero fare. Con diversi schemi si mosse per proteggere e difendere chiunque dei suoi compagni fosse in possesso della palla. Provò anche a recuperare i rimbalzi – impresa non molto facile, confessò interiormente.
La prima opportunità di dimostrare il suo cambiamento avvenne dopo pochi minuti, quando un passaggio gli arrivò poco più in là della metà del campo. Dribblando riuscì a superare un ragazzo arrivando sotto il canestro; tuttavia, ricordando il video, Kaede rammentò che il ragazzo che aveva di fronte era bravo nei salti, quindi tirare avrebbe comportato il rischio di perdere la palla.
 
In altre circostanze avrebbe tentato solo per mettere alla prova le sue abilità, ma ora...con la coda dell’occhio vide un ragazzo della sua squadra vicino alla zona da tre punti; la sua statura e i suoi capelli ricci lo facevano risaltare rispetto agli altri. Kaede ricordava anche la facilità con cui quel tipo tirava da quella distanza. Senza pensarci oltre, gli lanciò la palla con forza.
 
Per qualche istante la palestra rimase in silenzio. Molti sguardi caddero su Kaede – compreso quello dell’allenatore – ma la partita non era ancora finita, quindi senza indugio il bruno si sporse e saltò per segnare. Atterrando, si voltò e camminò sorridendo verso Kaede, con il quale scambiò il cinque. Il palmo gli fece male, ma lo confortò.
Il resto del match si sviluppò in quel modo: o lui si dedicava ad assistere, o segnava sapendo di non mettere a rischio il possesso della palla. Alla fine la sua squadra vinse e al centro del campo si scambiarono tutti il cinque. Spostandosi per passare ad altro, alzò gli occhi, cercando i capelli rossi sgargianti dell’idiota, ma non lo vide.
 
Deficiente, prese posto e cercò l’acqua che aveva lasciato presso i sedili. I ragazzi della sua squadra si avvicinarono e si sedettero accanto a lui. Kaede fu sorpreso, ma non commentò né li cacciò. Normalmente in quegli istante si sarebbe riposato, soffermandosi sulla sua delusione per non essere un titolare. Ma non oggi. Oggi si focalizzò sugli altri due gruppi, ammirando i suoi compagni.
 
Cercò di imparare e assorbire le loro abilità e tecniche.
 
Senza dubbio...i Tar Heels sono i migliori..., pensò alla fine dell’allenamento.
 
^ ^ ^ ^
 
Kaede si cambiò e andò a recuperare la sua bici parcheggiata, non senza prima aver ricevuto i saluti e i sorrisi di alcuni compagni. Che strano.
 
Non aveva visto la fastidiosa scimmia per tutto il pomeriggio, quindi rimase sorpreso – ma non lo dimostrò – quando, arrivato a casa, sua madre lo informò che Sakuragi non era ancora rientrato. Essendo papà Rukawa tornato ai suoi soliti orari di lavoro, cenarono solo Kaede e sua madre quella sera dopo la doccia del ragazzo. Come la sera prima, però, buttandosi sul letto non riuscì ad addormentarsi.
 
Sentì, dal nulla, uno strattone all’altezza del petto, facendogli pensare di avere un attacco di cuore o qualcosa di simile.
 
Ma il braccio sinistro dovrebbe farmi male prima...o è il destro? Non dovrei boccheggiare? Mi sento...strano...
 
Mentre pensava agli strani sintomi di un possibile attacco cardiaco o d’ansia, giunse Sakuragi che entrò bruscamente. Questa volta non perse tempo in spiegazioni, ma si avvicinò subito alla tv e accese la videocamera. Preparò tutto il sistema, sedendosi a gambe incrociate sul pavimento.
 
Kaede lo osservò durante tutta la procedura, poi avanzò e si sedette sul bordo del letto – curiosamente, quel qualcosa al petto scomparve.
 
A giudicare dalle immagini, dedusse che l’idiota aveva filmato dall’alto, dalle tribune superiori.
Ecco perché non l’ho visto.
 
“Tremendo, volpe! Lì potevi saltare! Ma non ti biasimo, dopotutto non hai il talento del sottoscritto. Se avessi saltato, probabilmente la tua faccia brutta pallida si sarebbe beccata il pallone ahahahahah!” sogghignò Hanamichi, riferendosi alla prima giocata in cui Kaede aveva eseguito il passaggio.
 
“E tu avresti commesso fallo, imbecille” ribatté ricordando i primi tempi di gioco di Sakuragi, quando a malapena poteva muoversi senza colpire qualcuno e fare fallo.
 
“Ah! Come osi, maledetto Rukawa! Non ti ho mostrato chi è il migliore! Nessuno può sconfiggere questo genio...nemmeno tu!”
 
Kaede inarcò un sopracciglio. È una mia impressione o questo idiota mi ha fatto un complimento?
 
‘Nemmeno tu’, aveva detto...
 
“Ma è normale che giocatori del tuo livello vogliano imitarmi”
 
“Zitto, stupido”, No, era solo una mia impressione. Sullo schermo, una giocata particolare di Kaede gli aveva fatto guadagnare applausi e grida dai suoi compagni. Sakuragi quindi mise il broncio e lo insultò, ma a Kaede non importò.
 
Era passata da un mezzo la mezzanotte quando Sakuragi tornò nella sua stanza sbadigliando e stiracchiandosi grossolanamente. Kaede, dopo averlo visto uscire, non ebbe problemi a stendersi sotto le coperte e a dormire serenamente.
 
 
 
*tecnica di attacco in cui un giocatore sta per lanciare ma in realtà non lo fa, portando l’avversario a saltare e a perdere la posizione difensiva.

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Capitolo 4
*** 4. Vincitori ***


“Kaede, stai più attento” la voce di rimprovero di sua madre fece uscire dal suo stato un Kaede semi addormentato. Il suo viso stava per crollare sulla ciotola di cereali sotto il suo mento, così la donna era stata costretta a disturbare il suo pisolino. Kaede si ripulì con noncuranza il rivolo di bava che gli colava sul mento, riprendendo la colazione. Diede un’occhiata all’orologio sul polso, notando che era già in ritardo per la prima lezione. Per fortuna iniziava più tardi oggi, dato che lui e Sakuragi erano rimasti fino a notte fonda ad analizzare i video – con ‘analisi’ si intendeva Hanamichi che insultava Kaede, il quale ribatteva con altrettanto disprezzo – ma appena era sceso e si era seduto al tavolo in cucina, sua madre l’aveva informato che Hanamichi era uscito presto.
 
Cos’è, una macchina, aveva pensato. Lui riusciva a malapena a stare in piedi. Finito di mangiare, prese la sua borsa e salutò per riprendere un altro giorno di routine.
Routine che il giorno dopo sarebbe stata interrotta dall’imminente match contro gli State Wolfpack del North Carolina. Kaede era euforico, senza darlo a vedere, avendo la possibilità di giocare dopo mesi passati a riscaldare la panchina; tuttavia sapeva che prima doveva continuare a fare prestazioni impeccabili, come all’allenamento del giorno prima, mostrando all’allenatore e a tutta la squadra che era lì e voleva restarci.
 
^ ^ ^ ^

“Hanamichi, sei ingrassato...vero che è più grasso?” chiese il ragazzo biondo e magro dell’Armata agli altri che si erano accalcati davanti alla webcam.
 
“Mmh, sì. Ti vedo più pienotto” rispose Noma socchiudendo gli occhi e avvicinandosi il più possibile alla videocamera con un solo occhio. Gli altri lo spinsero subito.
 
“Cosa c’è, Hanamichi? Ora che non sei in una squadra, hai deciso di crescere sui fianchi?” Takamiya, come un pagliaccio, lo infastidì indicando il suo stomaco con aria derisoria.
 
I giovani risero a crepapelle, facendosi praticamente sentire da tutta la popolazione virtuale del Giappone.
 
“Zitti, inutili! Che ne sapete voi barboni?! Scommetto che non avete mai fatto uno sport in vita vostra! E questo atleta di talento non sta ingrassando, il problema è questa videocamera da due soldi!” urlò Hanamichi irritato, cercando di sistemarsi in modo che si vedesse solo la sua faccia.
 
Hanamichi, dopo aver vagato per la città gran parte della mattina, aveva deciso di comunicare con i suoi amici e parenti, non avendo parlato con loro dal precedente sabato, e approfittando del fatto di avere un po’ di soldi, era andato in un Internet shop del centro. Ne era segretamente grato, perché non voleva essere in debito con i Rukawa più di quanto non fosse già.
 
Onestamente, parte di ciò che Takamiya aveva detto era vero. Durante quei mesi in cui non aveva fatto parte di nessun club sportivo, non si era allenato in maniera costante. Ecco perché aveva deciso di correre al mattino e di chiedere al vecchio Williams se poteva occupare la palestra per esercitarsi. Per fortuna l’uomo non aveva avuto alcun problema, consegnandogli anche le chiavi per entrare quando fosse stato necessario. Il giorno prima era andato ed erano apparsi alcuni ragazzi della squadra che lo avevano sfidato.
 
Lui, ovviamente, da genio e talentuoso atleta che era, aveva preso a calci tutti – con due di loro aveva avuto qualche problema. Aveva quindi potuto sfogare l’energia che gli era rimasta addosso, non facendo nulla per ore. Nel pomeriggio, invece, aveva registrato la volpe e preso tutti gli appunti possibili sulla squadra, seguendo le ordinate istruzioni del benedetto taccuino. Ecco perché in quei due giorni era rimasto fino a tardi presso le strutture della squadra, avendo chiesto a Baby face – uno dei tanti assistenti – di avere in prestito la tabella delle statistiche, che non era affatto piccola.
 
“E cosa ne pensi della squadra, Hana?” chiese Yohei quando le urla e le risate cessarono. Hanamichi si mise una mano sul mento in una posizione di profonda concentrazione. Gli amici dall’altra parte sospirarono sapendo che la cosa sarebbe andata per le lunghe. Tuttavia, il ragazzo tornò in sé dopo poco.
 
“Sono qui solo da quattro giorni. Non è abbastanza per dire se mi piace o no”, rispose grattandosi una guancia. L’Armata, ormai abituata agli sfoghi maturi di Hanamichi, annuì. “Ma il fatto che quel dannato Rukawa sia qui è un netto punto a sfavore...se restassi, dovrei quotidianamente avere a che fare con quel presuntuoso e con le sue giocate” continuò rompendo la serietà. Subito gli amici cominciarono a deridere la sua presunta superiorità.
 
“Non avevi detto nella tua email che lo stavi aiutando?” intervenne Noma con evidente confusione.
 
“Uuh sì! Ora Rukawa e Hana sono BFF!” disse Takamiya provocando le risate di tutti. Hanamichi, con un chiaro rossore sulle guance, li sgridò per la loro stupidità. Non lo stava aiutando, stava solo...indicando la strada giusta?
Beh, di fatto era che la volpe stava giocando meglio. E ciò teneva alto il nome del Giappone, dello Shohoku e del vecchietto.
 
Dopo qualche ultima battuta, Hanamichi terminò la chiamata promettendo di farsi sentire presto. Pagò il conto e trotterellò verso casa Rukawa, dove avrebbe fatto colazione e avrebbe ricaricato le energie per l’allenamento nella palestra dell’università.
 
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Mettendo la borsa nell’armadietto, si fermò per qualche momento per indossare le due magliette e la fidata fascia nera sull’avambraccio prima di entrare in palestra. Aveva deciso di arrivare un po’ prima del solito, dopo aver visto Sakuragi e alcuni compagni prima che iniziasse l’allenamento, non pensando ci sarebbero stati inconvenienti se si fosse esercitato un po’ fino alla vera pratica.
 
Camminò con calma lungo il corrioio semi illuminato e sentì il forte palleggio e l’inconfondibile suono acuto della suola delle scarpe contro il pavbimento. Credendo che fosse di nuovo la scimmia che stava sfidando un altro compagno, si fermò all’ingresso a osservare. Ma lì, correndo e facendo canestro, c’era solo Sakuragi. Stava sudando ed era affannato, ma la forza, la velocità e l’efficacia delle sue giocate non diminuivano.
 
Con un palleggio esasperante e complicato, Sakuragi accelerò in mezzo al campo, per poi lanciarla con tutte le sue forze verso il tabellone. Prima ancora che la palla rimbalzasse, velocemente il ragazzo stava già correndo. Sembrava che volasse in aria durante quei secondi di elevazione, afferrando la palla e inchiodandola con potenza. Tabellone, canestro e Hanamichi tremarono per qualche istante.
 
Kaede non si era nemmeno reso conto che lo stava guardando con la bocca leggermente aperta. Hanamichi atterrò e si asciugò il sudore dalla fronte con l’avambraccio. Sospirando tornò al pallone. Kaede non seppe per quanto tempo rimase lì, ammirando e osservando le giocate quasi impossibili di quel folle. Alla fine il trambusto dei suoi compagni lo distrasse e lo riportò alla realtà. Come fingendo di essere appena arrivato, entrò e si diresse in un angolo per riscaldarsi da solo.
 
Hanamichi lo notò e, sul punto di sfidarlo, gli altri ragazzi entrarono insieme all’allenatore e agli assistenti. Allora si ritirò nello spogliatoio per cambiarsi e prendere la videocamera. Sto finendo le cassette, pensò, contando le poche che aveva in borsa. Facendo un conto, probabilmente con la partita del giorno dopo avrebbe usato l’ultimo.
 
Ma per domani alla volpe sarà tutto chiaro, concluse passandosi addosso un asciugamano e bevendo acqua.
 
Salì quindi sulle gradinate più alte per installare la videocamera; tirò fuori anche il taccuino nero dal borsello e iniziò ad annotare tutto ciò che vide di interessante sui giocatori che avevano attirato di più la sua attenzione negli ultimi giorni. Hanamichi era sicuro che nessuno dei presenti si avvicinasse alle sue straordinarie abilità, ma doveva ammettere che molti di loro gli ispiravano rispetto ed euforia all’idea di affrontarli.
In quei giorni si era sentito come durante i nazionali, guardando e affrontando giocatori di un’altra categoria, che avevano superato il livello scolastico. Non vedeva l’ora di entrare in una squadra di quel livello, di quella categoria eccellente.
 
Oltre a quell’università, in breve tempo avrebbe dovuto conoscere la squadra dei Duke e i Kentucky e a malapena poteva contenere il suo entusiasmo. Chissà quali giocatori avrebbe incontrato.
Verso la fine dell’allenamento, Hanamichi vide l’allenatore riunire i ragazzi per le ultime istruzioni e commenti. Il discorso durò più a lungo del solito, ma era comprensibile, la partita sarebbe stata il seguente giorno, mercoledì.
 
Quando Hanamichi raccolse le sue cose per andarsene, sentì dall’ingresso molte persone che entravano. Abbassò lo sguardo e notò che erano giornalisti – lo suppose dato che uno di loro aveva una macchina fotografica. Ringhiò e si diresse nello spogliatoio per recuperare la sua roba. Non c’era ancora nessuno, quindi non impiegò molto a cambiarsi. Visto che era ancora presto, e notando che le cose della volpe erano ancora al suo corrispondente armadietto, decise di aspettarlo accanto alla bicicletta per tornare a casa insieme.
 
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Rukawa...ottimo lavoro.
 
Le ferme parole dell’allenatore Williams echeggiarono di nuovo nella mente di Kaede mentre raggiungeva la sua bicicletta. Come durante l’allenamento precedente, oggi aveva dimostrato tutto quello che aveva imparato negli anni del liceo e in quell’ultimo anno universitario. Molti dei suoi compagni l’avevano guardato con stupore, altri non si erano neanche voltati. Tuttavia quello che davvero gli importava era l’allenatore. E infatti l’uomo, dopo aver lasciato una breve intervista alla stampa locale e nazionale sulla partita prevista per il giorno successivo, si era avvicinato a lui e, con una mano sulla sua spalla, si era congratulato.
 
Rukawa...ottimo lavoro.
 
Il cuore di Kaede batté all’impazzata finché non uscì dagli spogliatoi. Ora, con il vento che gli sfiorava il viso, finalmente sentiva che si stava calmando.
 
“Finalmente ti fai vedere, volpe! Stavo gelando!”
 
Sentire l’urlo del suo ex compagno di squadra lo sorprese, visto che lo aveva visto uscire molto prima, avrebbe giurato che fosse tornato a casa.
 
Quindi è rimasto ancora sulle gradinate, pensò, sentendo il suo cuore che si stringeva nel petto...
Uh, a quanto pare le parole dell’allenatore mi hanno colpito più di quanto pensassi.
 
“Siamo in piena estate, idiota, l’aria è calda”
 
Come se il vento volesse confermarlo, una calda zaffata corse tra loro, scompigliando loro i capelli. Kaede riprese a camminare – non si era neanche accorto di essersi fermato nel vederlo.
 
“Sei tutto sudato, perdente” rispose Hanamichi aspettando che togliesse la catena dalla bici; subito dopo Hanamichi montò sul sedile, dando a intendere che voleva pedalare. Kaede gli sparò un’immediata occhiataccia fredda e dura, che non lo intimidì affatto.
 
“Neanche morto mi appoggerò alla tua schiena umidiccia, stupido. Scommetto che puzzi! Ahahahah!”
 
Kaede si limitò a sospirare prima di montare dietro il suo ex compagno; si sistemò la borsa sulla schiena e passò entrambe le braccia intorno alla vita dell’idiota. Sakuragi si tese per qualche momento, ma attribuì subito la bizzarra azione alla stanchezza e allo sfinimento causato dalla volpe pigra.
Cominciò a pedalare lentamente e con calma verso casa. Kaede mantenne il viso sull’ampia schiena di Sakuragi e chiuse gli occhi, godendosi la tranquillità del tragitto.
Per tutto il tempo si ripeté che si sentiva esausto.
 
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Dopo che entrambi si furono lavati ed ebbero cenato con la mamma di Kaede, i ragazzi, saltando la tappa del giorno prima, si diressero dritti in camera di Kaede, dove si sedettero sul letto e sistemarono la videocamera e la televisione.
Kaede, notando la maggiore empatia e sintonia mentre giocava con i suoi compagni, non poteva fare a meno di muovere le labbra in un tentativo di sorriso. Hanamichi, però, troppo concentrato a criticare ogni mossa e a inveire per ogni canestro o giocata fantastica, non notò nemmeno l’umore rilassato dell’altro occupante della stanza.
 
“Uh, che brutta giocata, volpe! Tutto il tempo passato in panchina ti ha arrugginito i muscoli! Ahahahah!”
Nonostante il commento cattivo, Kaede non provava nulla di negativo, né rabbia, furia, irritazione o frustrazione; tuttavia, sapendo che la sua mancanza di risposta avrebbe attirato l’attenzione della scimmia, decise di replicare in modalità Gori, schiantandogli un forte pugno in testa. L’altro si lamentò e piagnucolò subito.
 
“Come osi colpire questo genio, volpe puzzolente! Vedrai! Non appena finirai con gli allenamenti, ti sfiderò e ti farò piangere per l’umiliazione...ahah! Sì, stupida volpe...vedrai!”
 
Kaede capì che Hanamichi non stava parlando troppo sul serio, altrimenti non se la sarebbe cavata senza un’adeguata risposta. Dopo quell’innocuo scambio, terminarono di guardare il video, poi invece di dormire iniziarono a commentare, tra insulti e altri colpi – mansueti -  sulle prestazioni della squadra e come sarebbe stata la partita del giorno dopo.
 
Meno male che non ho lezioni domani, pensò Kaede quando vide una delle sveglie presenti, che segnava le 3.17. Sakuragi aveva lasciato la sua stanza solo un paio di minuti prima, affermando che un talentuoso giocatore come lui aveva bisogno di almeno sei ore di sonno.
 
A me ne servono 12...pensò senza troppa coerenza, addormentandosi.
 
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Quando aprì i suoi occhi blu, la prima cosa che lo salutò fu il soffitto bianco della sua stanza. Sbatté le palpebre un paio di volte prima di rivolgersi alle sveglie. Segnavano tutte le 10.42 del mattino. Grugnì e si trascinò tra le lenzuola. Le aveva impostate per le 12. Dato che non aveva lezioni, non aveva bisogno di alzarsi presto. Inoltre, l’allenatore aveva ordinato di riunirsi solo alle 14, fuori dalla palestra, quindi...
 
Maledizione.
 
La sua mente aveva sonno, ma il suo corpo sembrava troppo sveglio per abbandonarsi. Con un sospiro rassegnato decise di scendere a mangiare qualcosa per poi vedere di riuscire a dormire ancora un po’ prima di uscire. Andò in bagno a lavarsi il viso e i denti. Nel tragitto, passò dalla stanza riservata alla scimmia. La porta era spalancata, quindi Kaede non pensò che stesse spiando quando sbirciò dentro, trovandola completamente pulita e vuota. Credendo che fosse impegnato a divorare tutto quello che c’era nel frigo, si diresse in cucina.
 
Anche quella stanza era deserta.
 
Dov’è quell’idiota?, si chiese, servendosi i suoi nutrienti e deliziosi cereali.
 
“Buongiorno figliolo” salutò all’improvviso sua madre, entrando in cucina carica di sacchetti della spesa; svuotandoli e sistemando tutto negli scaffali, si rivolse al ragazzo mezzo addormentato seduto al tavolo. “Che fai sveglio così presto? Pensavo dovessi uscire per l’una” continuò, sistemando alcune barrette di cioccolato in un cassetto nascosto – intendeva preparare una torta. Kaede alzò le spalle, continuando a mangiare. Mamma Rukawa non chiese altro, sapendo che non avrebbe ricevuto alcuna risposta.
 
Appena finito, salì al piano di sopra per farsi un bagno. Una volta vestito e pulito, si buttò sul suo morbido e comodo materasso – il letto era ancora sfatto – in attesa di addormentarsi; nonostante ciò, le immagini dell’imminente partita di quella sera gli riempirono la mente.
 
Giocherò questa volta? Non starò più in panchina? Voglio giocare...ho bisogno di giocare...
 
Grugnì prima di mettersi a sedere e guardare la palla vicino a un mobile.
 
Sto facendo bene. Sto giocando meglio.
 
Guardare quei video l’aveva davvero aiutato a notare ciascuno dei suoi errori. Kaede ricordava vagamente che l’idiota aveva detto di aver appreso quella tecnica dal professor Anzai.
 
Quindi era così che gli insegnava.
 
Certo, un idiota come la scimmia aveva bisogno di aiuto extra, come guardarsi mille volte prima di notare il dannato motivo per cui falliva. Ributtandosi sulle coperte, ripensò all’allenamento solitario del ragazzo il pomeriggio prima.
 
È questo che fa nel pomeriggio, concluse; magari forse si stava allenando fin da quel mattino?
 
Non mi sorprenderebbe, si disse sospirando. Guardò uno degli orologi e vide che erano le 11.28. Senza più sonno e con l’energia che correva dentro di lui, decise di affare la palla e andare a giocare un po’ nel campetto vicino, abbastanza per ammazzare il tempo e non esaurirsi inutilmente. Soddisfatto dell’idea, scese di sotto.
Mentre si metteva le scarpe, incontrò sua madre.
 
“Oh Kaede, che bello, sei sveglio. Mi fai un favore?” la donna non aspettò nemmeno che aprisse bocca e continuò, “puoi andare a comprarmi queste cose?” chiese/ordinò, allungandò un foglietto piegato verso il ragazzo che si rassegnò. Kaede annuì con riluttanza prima di lasciare la palla su una poltrona.
Con la bici il tragitto fu rapido, ma non meno noioso – specialmente visto che il dannato supermercato era pieno. Prese tutto ciò che sua madre aveva richiesto e tornò a casa. Appena varcata la soglia, sua madre lo assalì prendendogli tutto dalle mani sostenendo di voler preparare un pranzo veloce per lui e Sakuragi prima di uscire, o per dopo – tutto dipendeva dall’ora.
 
L’idiota è tornato, si chiese guardando verso le scale.
 
“È arrivato qualche minuto fa, sta facendo la doccia” disse sua madre dirigendosi in cucina.
 
Ho parlato ad alta voce?, pensò prima di salire i gradini fino alla sua stanza. Passando fuori dal bagno, sentì l’acqua correre insieme alla voce stonata dell’idiota.
Canti da schifo, stupido, si disse scuotendo il capo.
 
L’orologio ora segnava le 12.03. Respirando profondamente, si rigettò sul letto a faccia in giù senza sapere cosa fare, perché il suo corpo apparentemente era troppo ansioso di dormire, ma aveva poco tempo per poter andare al campetto.
 
“Posso prendere in prestito il tuo laptop, volpe?”
 
Frettolosamente Kaede si voltò, incontrando Sakuragi sulla soglia. Si stava abbottonando i pantaloni con una mano, mentre con l’altra aveva un asciugamano che si stava strofinando sul collo bagnato.
Idiota, pensò sedendosi sulle coperte.
 
“Non ce l’hai, tonto?” fece accigliandosi.
 
“Ah, volpe egoista! Sapevo già che non potevo contare su di te!” gridò Hanamichi voltandosi.
 
“Prendilo, idiota” lo interruppe con riluttanza. Si rilanciò senza delicatezza sul letto, osservando Sakuragi che alla scrivania accendeva il computer.
 
“Password? Hahaha, fammi indovinare...basket? Pallacanestro?” si chiese, scrivendo e tenendo la lingua tra le labbra e i denti. Kaede si limitò a guardarlo, non disposto a dargliela ancora.
 
È concentrato...
 
“Ah! Ahahahahh sono un genio! Come sei prevedibile, stupida volpe! Michael Jordan! Non potresti mai nascondere una password a questo talentuoso atleta, ahahahah!”
 
Kaede sembrò svegliarsi da un sogno quando vide il sistema operativa lasciare il posto all’avvio e al desktop, riempito da una fotografia della sua squadra preferita.
 
Davvero sono prevedibile...oppure...mi conosci molto bene?
 
Maledetto idiota, pensò fissando torvo il soffitto.
 
Guardò Hanamichi entrare in Internet e aprire la sua posta elettronica.
 
“Uhm, la casella di posta è piena. Beh, sono super popolare! Ahahahah...mmh...vediamo”, la scimmia davanti a Kaede sembrava incapace di zittire i pensieri che gli attraversavano la mente.
 
Non ha filtri, concluse Kaede ascoltandolo leggere ad alta voce le email che aveva ricevuto. Kaede non era sorpreso che la scimmia continuasse ad essere in contatto praticamente con tutta la squadra originale dello Shohoku; con la sua personalità era facile creare e mantenere amicizie. E non lo sorprese che ognuno di loro avesse commentato sulla sua vittoria il sabato scorso.
 
Tu sì che sei prevedibile, avrebbe voluto dirgli, ma non era il caso, dal momento che Hanamichi sembrava troppo assorbito dal monitor.
 
“Dove eri stamattina?”
 
Cosa?
 
L’intero corpo, compresi muscoli, nervi e cellule della sagoma di Kaede Rukawa, si immobilizzò. Rimase teso nel letto, senza sapere dove guardare.
 
Che cazzo era...? Perché ho aperto bocca...?
 
“Questo talentuoso atleta è uscito a correre. Un genio come me non può restare inattivo, volpe. Cosa che tu non puoi capire viste le tue mediocri forze, ahahahah” rispose Hanamichi senza guardarlo e senza accorgersi della guerra interna che si stava scatenando nel ragazzo. Stava invece dibattendosi se parlare della volpe puzzolente nella email che stava scrivendo ad Haruko o meno. Una parte di lui, quella immatura e gelosa, si rifiutava con veemenza; ma quella attuale, matura – un pochino – e tollerante vinse la battaglia. Indipendentemente dal fatto che ad Haruko-san piacesse ancora quell’imbecille, lo ammirava e...sarebbe stata felice di sapere di lui, si disse mentre scriveva come stava Rukawa – a modo suo, perché ovviamente sottolineò che ‘la maledetta volpe era la stessa egoista e indifferente a tutto’ e che lui, ‘il genio Sakuragi lo aveva preso a calci ed era accorso in aiuto di quel mediocre’.
 
Correre...è solo andato a correre, si ripeté stupidamente Kaede. Con il corpo rilassato, si voltò verso un orologio. 13.08. Kaede guardò Sakuragi e di nuovo l’orologio. Doveva andare se voleva andare in palestra a piedi, ma Hanamichi non aveva ancora finito qualunque cosa stesse facendo, quindi...
 
“Kaede” sua madre lo chiamò dalla porta, mentre impacchettava due bento. Kaede si mise a sedere e la guardò interrogativamente. “Ricordati che stasera io e tuo padre verremo con la macchina, quindi non prendere la bici” disse entrando e lanciando un’occhiata strana alla scimmia ancora alla scrivania. “Fai del tuo meglio, figliolo” concluse con un leggero bacio sulla sua fronte pallida. Kaede si voltò velocemente verso Sakuragi che ancora guardava lo schermo.
Sospirando, sentì la discreta risata di sua madre.
 
“Cosa c’è?” chiese irritato.
 
“Niente, solo...stai crescendo” rispose con un piccolo sorriso prima di consegnare il pranzo che aveva preparato per poi uscire. “A più tardi, Sakuragi-kun”
Hanamichi si girò subito con uno sguardo perplesso.
“Cosa? Perché se ne va, mamma Rukawa?” quasi urlò.
“Devo andare in palestra, idiota” rispose Kaede al posto di sua madre. La donna lo guardò di nuovo allegramente, ma il ragazzo aveva già distolto la sua attenzione.
 
“Ah, giusto? E allora? Che stai aspettando, volpe? Alza il tuo culo pigro!” ordinò dimenticando l’email che stava scrivendo. Kaede obbedì svogliatamente, provocando ulteriori urla della scimmia, che finì per spingere Kaede fuori dalla stanza. Proprio come aveva pensato e sua madre aveva consigliato, la volpe decise di andare a piedi – per sua fortuna non era lontana – insieme a Sakuragi.
 
“La partita sarà in palestra?” chiese mentre camminavano a ritmo regolare.
 
“No. Giocano in casa” rispose sbadigliando.
 
Ah, certo, adesso mi viene sonno. Grandioso. Era la cosa peggiore, prima di una partita era sempre pieno di ansia, e non gli faceva chiudere occhio. Almeno mangerò, si consolò guardando i bento che sua madre aveva preparato per lui e la scimmia.
 
“Peccato che la tua squadra non abbia questo genio tra i suoi ranghi, volpe! Altrimenti avreste la vittoria garantita, ahahahah!” Hanamichi rise in modo oltraggioso, attirando gli sguardi di diversi passanti.
 
“Scemo” disse. Non ne hai idea, pensò guardando il ragazzo sorridente. In realtà Kaede voleva che Sakuragi vedesse la partita; non per mettersi in mostra davanti all’idiota, ma perché si rendesse conto di quanto fosse diverso questo basket da quello a cui era abituato.
 
Rimarrà muto, rise tra sé, ricordando che era stato così anche per lui la prima volta che aveva partecipato a una partita dal vivo. L’atmosfera, le palestre, le persone e gli stili di gioco erano dimensionalmente diverse, sembrava un altro pianeta.
 
Se davvero gli piace il basket...dopo aver visto una partita, non vorrà più andarsene dall’America...
 
Con le vane e fragorose urla di Hanamichi, arrivarono alla struttura unversitaria poco dopo, alle 13.49. Approfittarono del tempo rimanente per mangiare quello che mamma Rukawa aveva preparato – Hanamichi inghiottì tutto in pochi istanti.
Alle 14.10 arrivò l’allenatore con il suo seguito. Tutti i ragazzi erano fuori ad aspettare. L’allenatore fece un discorso prima di partire e anche prima della partita. Hanamichi, ascoltando le parole del vecchio Roy, ne approfittò per curiosare nel grande autobus parcheggiato accanto. Si avvicinò poi all’uomo per chiedere – o meglio, esigere, sorridendo – che portassero anche lui; l’allenatore non ebbe problemi.
 
Segretamente, l’esperto allenatore sperava che il giovane giapponese scegliesse di stare con i Tar Heels, perché da quello che aveva sentito dagli assistenti e dai giocatori, il ragazzo era una macchina sul campo – ecco il perché di tante concessioni. Salendo, Hanamichi si sedette subito vicino a Kaede.
Per Kaede in quel momento normalmente avrebbe tirato fuori il lettore cd per scollegarsi dal mondo grazie alla musica. Ora, però, con Hanamichi che parlava, prendeva in giro e scherzava con tutti, era impossibile concentrarsi su qualcosa di diverso da lui.
 
“Ma che dice Megane-kun 2? Viso pallido ha avuto la meglio sul genio solo perché il clima non mi è favorevole. Questo talentuoso giocatore non avrebbe mai permesso quel canestro altrimenti”

“Mi chiamo Brian” si lamentò il ragazzo accigliandosi ad Hanamichi, che sorrideva, dall’altro lato del corridoio.
 
“Ehi! A chi hai dato del viso pallido, rosso?” urlò un giovane che si riconobbe nel racconto commentato dal suo compagno, Brian, e dal nuovo giapponese.
 
“Quest’idiota dà sempre soprannomi a tutti” intervenne Kaede guardando fuori dal finestrino. I suoi compagni lo guardarono parzialmente sorpresi – quel tipo non parlava mai – mentre Hanamichi si voltò con la faccia corrugata.
 
“A chi hai dato dell’idiota, bastardo? Sta’ attento a quello che dici se non vuoi che ti renda indisponibile per la partita”
 
Megane-kun 2 e Viso pallido rimasero stupiti dell’aggressività del giovane. Entusiasti rimasero a guardare, aspettandosi una scazzottata o almeno una reazione dal ragazzo di ghiaccio.
 
“A te, idiota. E taci, voglio dormire” Kaede, sorprendentemente e senza rendersene conto, si addormentò poco dopo. Hanamichi si irritò un po’ per essere ignorato, ma dimenticò rapidamente l’affronto e tornò a rivolgersi agli altri due. Lo stavano osservando a bocca aperta.
 
Cosa...?
 
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Ripose con cura la sua borsa nell’armadietto dopo aver indossato la divisa celeste. Si sistemò la fascetta sull’avambraccio prima di coprirsi con la casacca e i pantaloni lunghi, poi lasciò lo spogliatoio insieme ai suoi compagni. L’allenatore aveva parlato con loro per qualche minuto, quindi arrivarono in tempo per l’urlo di presentazione di entrambe le squadre.
Chiamate, urla, telecamere, luci e festeggiamenti riempivano la palestra degli State Wolfpack, che con le loro uniformi rosse stavano praticando alcune giocate su un lato del campo.
 
Il coach Williams si alzò proclamando i titolari – tra cui Kaede non figurava – dando le ultime istruzioni. Kaded, intanto, si guardò intorno alla ricerca di una chioma rossiccia tra il pubblico, ma non la trovò da nessuna parte.
 
Dov’è quell’idiota. Lo aveva visto per l’ultima volta quando erano scesi dall’autobus – lui si era svegliato sbavando sulla spalla di Sakuragi, che gli aveva urlato di mollarlo.
 
Non può mancare alla partita; deve stare qui..., pensava correndo ed eseguendo manovre insieme ai suoi compagni. Deve...deve vedere la squadra...non è per questo che è venuto qui? Idiota..., concluse proprio mentre gli arbitri si presentavano, indicando chi sarebbe stato il direttore di gara principale e chi si sarebbe sistemato sui lati.
Dopo il fischio, la partita finalmente iniziò.
 
I primi venti minuti trascorsero in un soffio per tutto lo stadio. Entrambe le squadre bruciavano il campo. I Tar Heels, che normalmente si pavoneggiavano e spazzavano via gli avversari, ora si ritrovavano in grave difficoltà di fronte a una potente difesa; penetrarla era come aspettare che Sakuragi tacesse per più di dieci minuti – impossibile.
L’allenatore, quindi, si vide obbligato a chiamare più volte il time out, per concedere una pausa ai giocatori esausti. Desiderava però chiudere la faccenda, volendo dimostrare la netta supremazia della sua squadra. Fece modifiche e muggì istruzioni, ma i risultati non si riflettevano nel tabellone.
 
“Rukawa” lo chiamò, tra le urla e la musica di sottofondo. Il cuore di Kaede batteva aggressivamente.
 
“...tocca a te...”
 
Giocherò...
 
Giocherò...
 
GIOCHERÒ!
 
Si disse alzandosi e liberandosi di giacca e pantaloni. Tom, al suo fianco, ricevette gli indumenti e gli sorrise: Kaede fece un cenno col capo.
 
Solo camminando verso il campo e guardando le facce eccitate ma sudate dei suoi compagni tornò alla realtà.
 
Vinceremo...stasera vinceremo...
 
La sua determinazione, come era successo agli inizi, accese gli animi della squadra. Con i suoi ottimi assist e canestri, il pubblico sconsolato dei Tar Heels riprese a cantare per la gloria e la vittoria dei suoi giocatori. La diffesa degli avversari fallì davanti ai passaggi precisi e alle incursioni sfuggenti e veloci della volpe. La gente urlava di euforia.
A pochi secondi dalla fine della partita, Kaede ricevette un passaggio da Tom, che era entraro qualche minuto dopo lui. Dribblò per alcuni secondi vicino al centro del campo, quando un ricordo gli venne in mente.
 
Guarda qua, idiota. Notando che i suoi compagni stavano raggiungendo con successo le loro posizioni, Kaede lanciò con forza moderata la palla verso il tabellone, e dopo appena tre secondi, la raggiunse e la schiacciò nel canestro con impeto.
Il fischio che segnava la fine della partita risuonò e lo stadio scoppiò di urla. I suoi compagni gli corsero incontro e gli diedero il cinque. Kaede rispose ai gesti per inerzia.
 
Alzò lo sguardo cercando qualcosa tra il pubblico, non era sicuro di cosa. Migliaia di persone lo guardavano e salutavano con grandi sorrisi. I suoi genitori lo osservavano, strizzandogli l’occhio – sua madre fece anche un cuore con le dita. Ma qualunque cosa stesse cercando, non riuscì a trovarla.
 
Presso la panchina, il coach gli diede una pacca sulle spalle, così come quasi tutti gli altri. La stampa addirittura si avvicinò e lo infastidì fino a che non gli strappò qualche parola – Dan insisteva sul fatto che dovesse imparare a comunicare con i media.
 
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“Zitto, rosso: scommetto la mia vita che non avresti mai segnato quel canestro” affermò lo specialista delle triple davanti al bruto che rideva di fronte a lui; in circostanze normali, sarebbe stato irritate dalle stupidità che diceva quel giapponese, ma era troppo euforico ed entusiasta per rispondere con cattiveria.
 
“Aahahahah, ehi, Riccio! Dici così perché non conosci le vere e segrete capacità di questo talento! Voglio vederti quando assisterai al genio in azione!” rispose Hanamichi gettando la testa indietro per la forza della sua risata. I ragazzi intorno a lui risero scuotendo il capo. Hanamichi poteva ancora sentire il suo cuore battere forte nella sua cassa toracica.
 
È stato...incredibile..., continuava a ripetersi, ricordando la partita appena osservata. Il luogo, lo stadio, i giocatori, le mosse. Tutto era stato eccezionale. Grandioso. Perfetto. E Hanamichi non vedeva l’ora di entrare in una squadra di quel calibro. Il suo corpo e la sua mente vibravano per l’attesa e l’entusiasmo. Tutto ciò era troppo. E la volpe...
 
Hanamichi grugnì un po’ tra sé, ma doveva ammettere che il ragazzo era stato incredibile. Ogni assist, ogni canestro e giocata erano stati realizzati magistralmente. Guardandolo giocare, si era sentito come un bambino, un principiante – non l’avrebbe affermato a voce alta neanche se gli avessero offerto l’amore eterno di Haruko.
 
Appena sceso dall’autobus, aveva tirato fuori la videocamera e fatto il giro dello stadio alla ricerca del luogo che offrisse la migliore angolazione. Le gallerie, già piene, lo avevano avvertito che braccia e interi corpi avrebbero ostacolato l’obbiettivo, quindi si era spostato. L’unico posto rimasto era stato proprio l’ingresso al campo, dove era riuscito ad arrivare proprio sul primo fischio.
 
Alla fine dell’incontro, si era recato nel corridoio presso gli spogliatoi per aspettare la volpe, ma non apparve, e incontrò invece i vivaci e allegri membri della squadra, con i quali aveva cominciato a commentare la partita.
 
“Idiota” arrivò una voce da dietro. Hanamichi si voltò immediatamente.
 
“Finalmente ti fai vedere, volpe! Pensavo che mi avrebbero mummificato prima che riapparissi, ahahahah!”
 
Tutti i ragazzi intorno risero alla battuta.
 
Quindi era qui, pensò Kaede vedendolo tutto amichevole con i suoi compagni.
 
“Ehi, venite con noi a festeggiare? Domani non abbiamo lezioni né allenamento” chiese un ragazzo con aria felice.
 
“Io me ne vado” rispose Kaede, colpendo bruscamente con la borsa la spalla di Sakuragi mentre usciva. Hanamichi, strofinando il punto urtato, rifiutò l’invito e corse dietro al ragazzo.
 
“Ehi, volpe! Aspetta!” lo chiamò, raggiungendolo mentre l’altro camminava rapidamente.
 
“Non vai con loro?” fece Kaede senza guardarlo. Hanamichi infilò le mani nelle tasche mentre alzava le spalle.
 
“Perché dovrei, se non faccio nemmeno parte di questa squadra?”
 
E cosa dovresti festeggiare, dato che nemmeno hai visto la partita, volle replicare Kaede, ma si fermò in tempo. Quel dannato idiota gli rovinava l’umore. Andava tutto bene, era tutto perfetto finché non era arrivato quello...stupido...idiota...tonto. Non gli era bastato mostrargli le videocassette, ora doveva seccarlo? Perché gli faceva sprecare cibo, elettricità e acqua se nemmeno faceva quello per cui era lì: vedere le dannate partite?
 
È un inetto, lo insultò di nuovo, aumentando la velocità dei passi.
 
Oggi ho giocato. Ho giocato, maledizione...e questo idiota, questo scemo non...
 
“Quanto sei noioso, volpe! Hai vinto! Dovresti festeggiare. Anche se hai fatto tutto quanto grazie a questo genio, ahahahah!”
 
Arrivando al parcheggio del complesso, trovarono i genitori di Kaede accanto a un’auto.
 
“Kaede! Sei stato magnifco” sua madre, orgogliosa e sul punto di piangere, affondò con le unghie nelle proprie mani per non correre verso la sua prole e soffocarla tra le braccia. Sapeva che avrebbe messo suo figlio a disagio, soprattutto con Sakuragi presente. Kaede la guardò e annuì con aria tenera e riconoscente.
 
Lei ha sempre creduto in me.
 
“Sei stato perfetto” aggiunse suo padre con un piccolo sorriso. Hanamichi, sentendosi di troppo in quell’intimo scambio famigliare, decise di sistemarsi in macchina. Kaede annuì prima di aprire la portiera, ma prima di salire suo padre gli afferrò il braccio.
 
“Siamo orgogliosi”
 
Il ragazzo si voltò verso di lui con la bocca leggermente aperta, l’uomo gli sorrise ancora una volta prima di montare in macchina.
 
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Dopo essersi pulito e aver cenato insieme alla sua famiglia – e allo stupido – Kaede salì finalmente in camera sua per dormire. Lasciando la borsa e la palla vicino al letto, si cambiò i vestiti e si gettò sulle coperte. Il suo piano avrebbe funzionato se non avesse notato una luce tremolante proveniente dal suo laptop. La guardò accigliato finché si ricordò che l’idiota aveva usato il computer prima di uscire. Senza pensarci, si alzò e attivò lo schermo. Vide la casella di posta di Hanamichi aperta, su una pagina che stava usando per scrivere una mail.
 
Cara Haruko-san, si leggeva all’inizio. E chi diavolo è Haruko?, si chiese, sedendosi alla scrivania.
 
Il genio sta bene, grazie per averlo chiesto :D spero anche tu. Ricordo che prima che partissi avevi molti esami da fare. Ma so che andrai bene! Non conosco una persona più intelligente di te. Solo Gori e Megane-kun si avvicinano, ahahahah...a proposito del Gori, gli ho già scritto, quindi non preoccuparti.
 
In questo giorni ho osservato la squadra, che senza questo giocatore di talento ha ancora molta strada da fare ;) e sto scrivendo tutto quello che il vecchietto mi ha detto. Non ho ancora avuto la possibilità di conoscere la città, tranne le strade che ho imparato andando a correre. E no, non sono in albergo, ma a casa di Rukawa...sì. Quel maledetto Rukawa. I suoi genitori sono stati molto gentili con il genio, ma sai quanto sa essere presuntuoso: è sempre la stessa volpe egoista e indifferente a tutto. Ma ora sa chi è il migliore perché io, il genio Sakuragi, l’ho stracciato l’altro giorno. Ahahah, dovevi vedere, Haruko-san! È stato incredibile. La volpe è stata umiliata-
 
Umiliata tua nonna, pensò Kaede, arrivando alla fine. Dopo aver letto l’email, pensò di ricordare la ragazza in questione: era la sorella minore dell’ex capitano, la ragazza che aveva fatto da manager della squadra nei due ultimi anni.
 
Quella che Sakuragi seguiva come un cagnolino, pensò guardando lo schermo accigliato.
 
“Ehi, volpe!”
 
Kaede chiuse immediatamente il portatile e si voltò: Hanamichi, con tutta la libertà del mondo, entrò e collegò la videocamera alla tv, sedendosi tranquillamente sul pavimento.
 
“Non voglio vedere di nuovo le cassette” disse mettendosi in piedi.
 
Io sarei presuntuoso? Egoista? Indifferente?
 
“Di nuovo? Ma sono quelle della partita di oggi” affermò Hanamichi, guardando torvo il ragazzo, che lo osservò per lunghi secondi. Senza ricevere risposta, Hanamichi si alzò e cominciò a raggruppare le sue cose. “Tsk! E io che ti faccio il favore di registrare-”
 
“Ho cambiato idea” lo interruppe Kaede strappandogli di mano la videocamera per installarla lui stesso. Una volta fatto, la volpe spinse Hanamichi, facendolo cadere sul letto.
 
“Stai più attento, deficiente! Potresti rompere qualcosa a questo genio” urlò lui rimbalzando sul materasso. Kaede si sedette accanto a lui senza prestargli attenzione.
 
“Stai qui o mi sporcherai il pavimento con la tua stupidità”
 
Prima che la scimmia potesse iniziare a urlare la sua serie di insulti, Kaede premette play e si dedicò a guardare la partita. Per fortuna l’intensità del gioco bastò a catturare completamente l’attenzione del bellicoso ragazzo. Kaede, che già conosceva a memoria la prima parte, in cui non aveva giocato, pensò a indovinare da dove aveva registrato il video. Dall’angolazione, non era stato filmato dall’alto, ma dallo stesso livello del campo. Inoltre, sembrava che fosse da un’estremità del campo, non nei posti più vicini.
 
Sembra l’entrata, concluse, lanciando un’occhiata alla scimmia che guardava la televisione a bocca aperta. Allora l’ha guardata, solo che è rimasto all’ingresso.
 
“Tsk! Non so perché il vecchio Roy ti abbia fatto entrare” sbuffò puntanto lo schermo che mostrava Kaede che sostituiva un compagno. “Avrebbero potuto vincere senza di te, volpe”
 
Kaede non rispose, guardando il video. Può insultarmi quanto gli pare, ma la videocamera segue solo me..., pensò, notando che, infatti, in alcuni momenti gli altri giocatori erano stati ignorati per concentrarsi su di lui. Beh, il video è fatto apposta per me, continuò arricciando le labbra. Hanamichi si sdraiò sul letto, alzando un po’ la testa per continuare a vedere la tv. Kaede seguì l’esempio, allungandosi accanto al ragazzo.
 
“Ah! Mi hai copiato la giocata, perdente! Ahahah...non potevi vincere senza imitare malamente le incredibili capacità del genio, ahahahah!” rise Hanamichi vedendo l’ultima mossa di Kaede, con la quale la partita era terminata. Quando l’aveva vista in campo, la prima reazione era stata di rabbia a quel copione, ma poi aveva ammirato e si era complimentato – mentalmente – dato che non aveva mai visto Rukawa praticarla, e non era una giocata che si poteva inventare dal nulla. Lo schermo tornò nero.
 
“Era l’ultima cassetta” commentò, senza voglia di alzarsi.
 
“Non ne ho più bisogno” disse Kaede guardando Hanamichi chiudere gli occhi e sbadigliare con poca grazia.
 
“Bene, perché non pensavo di comprarne altre per te”, fece aprendo un occhio e incontrando lo sguardo del ragazzo su di sé. Gli occhi blu del giovane sembravano...in pace. Per Hanamichi fu strano, perché era abituato a espressioni di disprezzo o assenti: ora, invece, sembrava-
 
“Ho fame”, in realtà non così tanta, ma le parole gli scivolarono fuori dalle labbra.
 
“Anch’io”, in realtà Kaede non aveva voglia di mangiare, ma l’idea di dormire non era molto allettante al momento. Stare lì, invece, godendosi il silenzio e ascoltare qualunque stupidaggine uscisse dalla bocca della scimmia, sembrava l’unica cosa che avesse senso e che apparisse realmente...accettabile.
 
“E...non porti da mangiare al genio?” chiese Hanamichi con aria puramente confusa. Kaede alzò un sopracciglio.
 
“Perché dovrei farlo?”
 
Pensa che sia la sua domestica?
 
Hanamichi si alzò appoggiandosi sui gomiti, a pochi centimetri dal viso dell’ex compagno.
 
“Sei il padrone di casa, volpe” si lamentò come un bambino. Kaede trovò molto divertente che a quell’età si comportasse in modo così immaturo.
 
“E sei tu quello che vuole mangiare. Io posso arrangiarmi” rispose buttandosi sul materasso e chiudendo gli occhi con aria rilassata.
 
“Ah! Non so come tu possa essere imparentato con mamma Rukawa! Non sai neanche come trattare le persone che inviti-”
 
“Non ti ho invitato, sono stato costretto, idiota” lo interruppe, sentendo un braccio che cercava di spingerlo dal letto.
 
Sembra davvero un bambino, pensò, focalizzando i suoi occhi di zaffiro in quelli stanchi e castani dell’altro. Kaede pensò che sembrassero fatti di cioccolato fuso quando era così calmo.
Immaginando che Sakuragi non avrebbe resistito a quel pacato scambio di parole ancora per molto, fece per alzarsi.
 
“Beh, è lo stesso, volpe puzzolente. Io potrei morire di fame e tu-”
 
“Andiamo” disse sedendosi. Sbattendo le palpebre per eliminare la sonnolenza, si alzò e si recò verso la soglia.
 
“Cosa?”, Kaede non poteva vederlo, ma immaginava la sua faccia sconcertata.
 
“Andiamo in cucina a mangiare qualcosa” ripeté uscendo verso le scale. Il corridoio era buio quindi immaginò che i suoi genitori stavano probabilmente dormendo, o ci stavano provando.
 
“Tsk! Guarda un po’. Chi crede di essere quello scemo? Nessuno tratta il genio in questo modo” borbottò Hanamichi, raddrizzandosi sul letto.
 
“Ti sento, deficiente. Sbrigati”.
 
^ ^ ^ ^
 
Un forte urto al fianco lo costrinse ad aprire gli occhi. Quasi istintivamente alzò il pugno per colpire chiunque lo avesse disturbato, ma la sua mano non toccò nulla. Voltò appena lo sguardo e mise a fuoco, imbattendosi nel viso addormentato di Sakuragi accanto a lui. Il volto del ragazzo era del tutto rilassato, dalla fronte al mento. Le sue ciglia nere accarezzavano parte della sua pelle abbronzata, mentre le sue labbra erano un po’ arricciate, come si aspettasse di ricevere un bacio. Era strano da vedere in quel modo...così tranquillo, calmo.
 
Senza che mi insulti...aggiunse, procedendo a guardare il suo corpo. Era sdraiato sulla schiena con entrambe le mani sullo stomaco, mentre le gambe erano aperte.
Per fortuna il letto è grande...
 
La sera prima, dopo aver mangiato quasi tutta la torta al cioccolato che aveva preparato mamma Rukawa, erano rimasti svegli fino a tardi a parlare – Sakuragi che si vantava, lui che attaccava, Sakuragi che si alterava, lui che rispondeva – finché alla fine si erano addormentati. Indossavano gli stessi vestiti del giorno prima e i loro corpi erano più vicini, quasi incollati, possibilmente in cerca di calore – anche se la notte passata era stata una delle più calde del mese.
 
Kaede non seppe per quanto tempo rimase lì a guardarlo. La sua distrazione durò finché non udì dei rumori dalla cucina; solo in quel momento fu consapevole che il sole splendeva dalle tende. Grugnì nel sentire una piccola vibrazione proveniente dallo stomaco che gli segnalava di dover mangiare qualcosa. Lentamente si alzò per recuperare dei vestiti dall’armadio. Guardandoli tra le mani, trovò più attraente l’idea di vestirsi in camera piuttosto che in bagno, quindi li lasciò sul letto, accanto ad Hanamichi ancora addormentato.
 
Con l’asciugamano in mano entrò in bagno, si spogliò e si infilò sotto la doccia. I suoi capelli, più corti rispetto a quando era al liceo, furono subito colpiti dall’acqua. Si godette il calore dell’acqua che gli cadeva sul collo e sul petto, ma quella sensazione gli riportò alla mente il viso rilassato di Sakuragi. Come il suo corpo abbandonato in quel preciso momento fosse disteso sul suo letto. Immaginò il corpo abbronzato, la clavicola e i muscoli che spuntavano dalla felpa aperta. Lo ricordava anche in palestra qualche giorno prima, mentre si allenava duramente. Con la pelle che luccicava di sudore, ma il suo corpo continuava a lavorare. Si ricordò anche il sorriso furbo che gli rivolgeva ogni volta che parlava di quella sua vittoria nel campetto.
 
“Quell’idiota” sussurrò, afferrando il sapone per passarselo addosso. Quando raggiunse gli addominali, notò quanto fosse sensibile la sua parte inferiore. Un calore, un fuoco vibrava lì, richiedendo attenzione. Kaede guardò in basso notando subito il suo membro eretto. Si accigliò, continuando ad abbassare la mano.
 
Non era la prima volta che succedeva, ovviamente. A prescindere da quello che dicevano gli altri, aveva ascoltato il professore di biologia al liceo – a volte – e sapeva che era una situazione del tutto normale per un ragazzo sano della sua età. A scuola era successo innumerevoli volte dopo un sogno che non ricordava o anche dopo l’allenamento. Solo una volta era accaduto negli spogliatoi dello Shohoku. Lo ricordava perché quel giorno aveva affrontato un uno contro uno particolarmente estenuante contro Sakuragi. Kaede, come aveva potuto, si era sistemato i vestiti ed era scappato da lì come se avesse avuto il diavolo alle calcagna.
 
(Fino ad ora l’aveva classificato come il momento più vergognoso della sua vita).
 
Ecco perché non lo disturbò insaponarsi le mani e abbassarle sul suo amico bisognoso. Con delicate pressioni iniziali, il suo corpo cominciò a godere delle correnti e delle contrazioni che si diffondevano dal basso. Si morse il labbro senza pensare a niente di speciale, come sempre, aumentando gradualmente la velocità e la forza esercitata. Normalmente lo avrebbe fatto rapidamente, come fosse un lavoro d’ufficio. Ma stranamente ora voleva approfittarne. Voleva prolungare le fitte di piacere che lo facevano gemere e tremare; si accontentò di sussultare e appoggiare la fronte sulla parete umida della doccia.
 
Masturbandosi con particolare durezza, portò una mano alla bocca. Le sue labbra si incresparono inconsciamente come in attesa di un bacio: grugnì. Aumentando considerevolmente il ritmo, non si limitò ad ansimare, permettendo a rauchi gemiti di sfuggirgli dalla gola.
 
“Idiota...” sussurrò prima di venire intensamente. Il suo seme si sparse sulla parete bianca, che si ripulì subito grazie all’acqua che ancora cadeva. Kaede si accigliò pensando alla parola giunta dalle sue labbra.
Non significa niente..., si tranquillizzò, alzando la mano per raggiungere il doccino e finire di lavarsi.
 
Con un asciugamano allacciato in vita, tornò in camera sua, sperando di trovare Hanamichi ancora addormentato sulle lenzuola in disordine; ma il letto, completamente disfatto, ora era vuoto. Kaede corrugò la fronte e strinse i pugni: si sedette un po’ bruscamente sul bordo e si vestì. Con i pantaloni della tuta e una maglietta della sua squadra preferita, si diresse in cucina, trovando Hanamichi che mangiava disperatamente tutto ciò che sua madre aveva disposto in tavola.
 
“Affogherai, idiota” disse sedendosi accanto a lui. Sua madre, che stava pensando a cosa preparare per pranzo guardando tra le dispense, si voltò subito verso il silenzioso figlio.
 
“Buongiorno, Kaede”, lui annuì in risposta senza distogliere lo sguardo dal mangione che dovette battersi la mano sul petto alcune volte prima di parlare.
 
“Silenzio, volpe! Non puoi capire il metabolismo di un atleta di talento come me. Una giocatore del mio livello deve mangiare bene. Non come te, sembri uno spaghetto bianco, ahahah”, rise Hanamichi prima di ingoiare un altro grosso pezzo di pancake. Kaede lo guardò torvo.
 
Non sono così magro, pensò, guardandosi con discrezione le braccia; ovviamente accanto a quella bestia appariva più esile, ma non era colpa sua.
 
“Vai ad allenarti, tesoro?” chiese sua madre che notò poi il figlio lanciarle un’occhiata velenosa.
 
Ops, colpa mia. ‘Tesoro’ ora è una parola vietata..., per sua fortuna, Hanamichi non stava prestando attenzione, impegnato a tossire esageratamente per un pezzo particolarmente grande che gli bloccò la gola per qualche istante.
 
“Te l’avevo detto, deficiente” rispose Kaede con disinvoltura mentre rubava alla scimmia da mangiare – ne aveva abbastanza per sfamare un reggimento.
 
“Taci, volpe puzzolente! E se intendi allenarti, vengo anch’io. Non vedo l’ora di umiliarti di nuovo, ahahahah!”
 
^ ^ ^ ^
 
“Ah! Maledetto Rukawa! Hai barato!” urlò Sakuragi dopo due ore di partita, vinta onestamente e nettamente da Kaede. Erano entrambi ugualmente sudati e stanchi, ma non l’avrebbero mostrato all’avversario. Kaede lo ignorò, bevendo dalla sua bottiglia in cui l’acqua era ancora fresca.
 
“Non ignorare il genio, dannato! Vedrai, la prossima volta ti sconfiggerò e ti costringerò ad ammettere la mia superiorità”
 
“Preferisco morire” mormorò mettendosi i pantaloni lunghi e la casacca della tuta. Hanamichi lo sentì e continuò con il suo chiacchiericcio.
 
Durante il tragitto, Hanamichi si dedicò a scandire tutti i momenti della partita appena condivisa, in cui era sicuro che la volpe avesse imbrogliato. Kaede dovette controllarsi più volte per non roteare gli occhi.
 
Questo idiota è insopportabile, pensò scuotendo impercettibilmente il capo.
 
“Ehi volpe!”
 
Kaede, credendo che volesse rivolgergli un gesto osceno o continuare con le sue scemenze, si rifiutò di rispondere, ma la scimmia, da bestia che era, la prese come un’affermazione, e con violenza lo afferrò per il braccio. “Mentre correvo l’altro giorno ho visto un ristorante che sembra a buon mercato...dai, accompagnami!”
 
Kaede, in circostanze normali, lo avrebbe ignorato, colpito o detto direttamente di no: d’altra parte, sul punto di scegliere la terza opzione, rimase catturato dall’abbagliante, infantile ed entusiasta sorriso di Sakuragi. Si ricordò dell’email che aveva letto la sera prima.
 
Non ho ancora avuto la possibilità di conoscere la città, tranne le strade che ho imparato andando a correre.
 
Era in America da quasi una settimana e ancora non conosceva nulla, tranne l’università e il quartiere dove Kaede viveva.
 
Me ne pentirò, ne sono sicuro, pensò prima di annuire e lasciarsi trasportare dalla scimmia.
 
Non c’è da stupirsi che sembri a buon mercato, si disse Kaede quando vide la facciata del ristorante in cui Sakuragi lo aveva portato. Entrando, la sua opinione e la diffidenza non cambiarono, anzi, si confermarono: sembrava tutto in condizioni terribili. Le sedie parevano vecchie, così come i tavoli, le pareti e persino le persone presenti. Se fosse stato per lui, si sarebbero subito girati per andarsene, ma vedendo il volto rilassato e sorridente di Sakuragi, decise di fare un tentativo.
 
Tentativo che probabilmente ci ucciderà per avvelenamento, pensò sedendosi. Sakuragi, in piedi di fronte a lui, prese il menu per decidere cosa prendere e Kaede lo imitò.
 
Optarono entrambi per hamburger e frappè.
 
“Uh...” fece Hanamichi toccandosi la giacca, i pantaloni e controllando frettolosamente la borsa.
 
“Cosa c’è?” chiese Kaede alzando un sopracciglio.
 
“Ho dimenticato il portafogli, quindi dovrai pagare tu, volpe” rispose sorridendo nervosamente e grattandosi la nuca. Kaede scosse la testa con un sospiro.
 
“Scemo” lo chiamò, ringraziando internamente di aver preso un po’ di denaro prima di uscire. A quanto pare quello che diceva sua madre sui risparmi di emergenza lo aveva colpito più del previsto.
 
“A chi dai dello scemo, volpe puzzolente?! È stato un errore innocente! Come se volessi che mi invitassi a mangiare fuori!”
 
Per tutto il tempo di attesa Hanamichi sbuffò dicendo che non aveva dimenticato i soldi di proposito, dandogli la sua parola di genio che la volta successiva avrebbe pagato ovunque fossero andati – purché non fosse troppo caro.
 
Quando arrivarono i loro ordini, però, qualsiasi litigio terminò. Gli hamburger giganti e succosi, nonostante l’aspetto di quel posto, erano deliziosi. Kaede dovette trattenersi dal prendere a grossi e rapidi morsi il suo panino, e addirittura dal gemere per il suo sapore; Hanamichi, invece, non si privò affatto. Kaede ogni tanto rimaneva a osservare quanto Sakuragi fosse sporco, con la salsa sulle labbra e resti di cibo sul mento e la felpa.
 
È così, questa scimmia è un bambino, pensò ridendo.
 
“Cosa ridi, volpe?!” gridò Hanamichi alterato senza rendersi conto che Kaede Rukawa, il proclamato re di ghiaccio, era lì, di fronte a lui, a ridere con le labbra leggermente dischiuse, la punta della lingua che spuntava tra esse, profonde e perfette fossette sulle guance e un bagliore splendende nei suoi occhi blu.
 
“Di te, scemo” rispose lui ridendo; ignorando a sua volta che proprio lui, Kaede Rukawa, noto come re dei ghiacci, stava ridacchiando in pubblico, davanti a nient’altro e niente meno che Hanamichi Sakuragi.
 
“Come osi? Vedrai...”
 
Nessuno dei due se ne accorse.

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Capitolo 5
*** 5. Mio ***


Odio i lunedì, pensò Kaede mentre colpiva con una certa violenza la sveglia sul comò – aveva deciso di impostarne solo una. Si stropicciò gli occhi bruscamente, sbadigliando e sedendosi sulle coperte calde.
 
“Che ore sono?” chiese una voce rauca di lato. Hanamichi Sakuragi, autoproclamato genio e talentuoso atleta, giaceva a faccia in giù sul comodo e grande letto della volpe, guardandolo con una faccia assonnata e un occhietto castano aperto e interrogativo.
 
“7.30” rispose con voce altrettanto rauca dal sonno, osservando il viso arrossato e sonnolento del ragazzo accanto. L’altro grugnì subito, tirandosi le coperte sui capelli. Kaede scosse il capo a quella reazione infantile, decidendo di raccogliere le forze necessarie per alzarsi dal materasso invitante. Mise i piedi a terra con cautela, non volendo colpire vassoi, tazze e le console dei videogiochi sparsi sul pavimento, arrivando all’armadio per tirarne fuori i vestiti e un asciugamano.
 
Con tutto il necessario andò in bagno, dove si godette – come nei tre giorni precedenti – una piacevole, squisita e breve sessione con se stesso. Ormai quella sotto la doccia era diventata una routine, quindi non lo disturbava trovare il suo amico che richiedeva attenzioni. Ripetendo quanto aveva fatto negli ultimi giorni, tornò poi in stanza con un asciugamano in vita, sistemandosi sul bordo del letto per vestirsi lentamente.
 
“Ti arrostirai con quella canotta, volpe” sentì da dietro. Voltandosi, trovò lo sguardo annebbiato e mezzo assonnato di Sakuragi su di sé. Non vi prestò attenzione e continuò, mettendosi una felpa azzurra a maniche lunghe, anche se pensava che forse la giornata sarebbe stata troppo calda per indossare indumenti così coprenti; orgoglioso e testardo, non volle cambiarsi dopo l’osservazione della scimmia.
 
“Ci vediamo all’allenamento” disse con riluttanza per congedarsi dal ragazzo che era ripiombato sul materasso, ma grugnendogli contro. “E metti in ordine” continuò deciso mentre lanciava un’occhiata veloce alla stanza, che sembrava una discarica, prima di andare in cucina a mangiare qualcosa per poi andare a lezione. Più tardi, con il borsone appoggiato contro la schiena mentre riceveva il vento mattutino pedalando velocemente in bicicletta, Kaede cercò in tutti i modi di non addormentarsi per strada, ma...accidenti, era difficile.
La sera prima, proprio come i giorni precedenti, lui e Sakuragi erano rimasti innumerevoli ore a battagliare con la Play 3 e la Xbox.
 
Kaede, onestamente, non aveva mai apprezzato quegli affari quando i suoi genitori glieli avevano regalati, ma giovedì sera, dopo la sua pseudo uscita con Sakuragi, questi era entrato nella sua stanza praticamente esigendo una modalità d’intrattenimento. Quando la volpe aveva proposto di andare ad allenarsi, Sakuragi aveva affermato di essere stanco e che era troppo tardi. Kaede aveva esaurito rapidamente le idee: ma Hanamichi, come un bambino il giorno di Natale, aveva cominciato a fissare le scatole dei giochi quasi polverose in un angolo della stanza.
 
“Ti sfido, volpe” aveva detto prima di saltare sul letto e iniziare a collegare tutte le apparecchiature.
 
Kaede avrebbe mentito se avesse detto che non si era divertito: specialmente quando, nonostante fosse un principiante in tutti i giochi, aveva battuto l’autoproclamato re dei videogiochi per tre volte di seguito. Il fine settimana era stato praticamente quello. Allenamento insieme al mattino, pranzo al ristorante squallido, Kaede che dormiva nel suo letto mentre Sakuragi prendeva in prestito il computer per comunicare con la famiglia e gli amici, allenamento in palestra nel pomeriggio (tranne domenica) e videogiochi per il resto della serata. Mamma Rukawa aveva cominciato a lasciare loro dei panini in cucina per quando uno dei due – dopo un feroce scambio di sasso, carta e forbici – scendeva a cercare qualcosa da mangiare.
 
Kaede, incatenando la bici e dirigendosi verso l’aula, si permise di ammettere – mentalmente, in quanto non l’avrebbe affermato neanche sotto tortura – che l’arrivo della scimmia non era così male come aveva pensato.
 
^ ^ ^ ^
 
Due occhi marroni si aprirono di scatto quando ricevette un raggio di sole sul viso. Ancora un po’ addormentato, si voltò appoggiandosi sulla parte opposta del letto. La sua faccia, piazzata sul cuscino, respirò l’essenza della volpe ancora impregnata nel lenzuolo. Senza controllare quello che stava facendo, affondò il naso nel cuscino e lo abbracciò. Con il profumo che lo avvolgeva, quasi pensò che Rukawa fosse ancora nella stanza, sdraiato al suo fianco, con il viso pallido, liscio e totalmente rilassato abbandonato al mondo dei sogni, proprio come lo aveva osservato mentre dormiva all’alba, prima di arrendersi alla stanchezza che gli appesantiva gli occhi.
 
Ma...era già andato a lezione, ricordò alzando la testa per controllare l’ora; quasi cadde sulla schiena, leggendo che erano le 10.12.
 
Nooo, mi sono addormentato...
 
Beh...non aveva esattamente orari fissi e rigidi, ma non voleva pensare o prendere quell’esperienza come una vacanza o qualcosa di simile: aveva deciso solennemente di alzarsi presto (tra le 9 e le 10) per andare correre; poi nel pomeriggio, si sarebbe dedicato a imparare tutto sulla squadra per cui era lì. Qualcosa, tuttavia, era stato aggiunto al suo ordinato calendario – cosa strana per uno spontaneo come lui -, dato che ora passava le notti a divertirsi con l’ex super matricola dello Shohoku.
 
Improvvisamente scostò le coperte e si alzò, riuscendo solo a urlare quando calpestò alcuni vassoi, urtò delle tazze e scivolò su un pezzo di pizza per poi rimanere impigliato nei cavi.
 
“Stupida volpe, la sua stanza è una discarica” ringhiò scontroso dirigendosi in bagno per lavarsi i denti e la faccia. Mettendosi addosso dei vestiti sportivi, quando scese si imbatté in mamma Rukawa vicino all’ingresso.
 
“Buongiorno, Sakuragi-kun, ero sorpresa che non ti fossi ancora alzato” lo salutò portando un cesto pieno di vestiti verso lo stendibiancheria.
 
“Il genio è andato a letto molto stanco la scorsa notte, mamma Rukawa. Un talento come me ha bisogno di riposare, ahahah” si scusò, gettando la testa all’indietro ridendo. Ma le sue parole non erano false, per via di Rukawa, che aveva osato prendere in giro le sue magnifiche abilità nei videogiochi, era rimasto a giocare fino alle ore piccole, portandolo a dormire durante la mattina.
 
“Vai a correre?” gli chiese la donna.
 
“Sì. Mangerò qualcosa al ritorno” rispose andando all’ingresso e mettendosi le scarpe. Alzò una mano come cenno di saluto mentre lei gli sorrideva, non potendo sollevare la mano con cui reggeva il cesto.
 
Fece lo stesso percorso delle altre mattine, fermandosi ogni tanto per ammirare il paesaggio.
La città di Chapel Hill, vicino a Raleigh e Durham, anche se non era grande come molte note località degli Stati Uniti, aveva sicuramente il suo fascino, soprattutto per un ragazzo che per tutta la vita aveva vissuto solo nella piccola comunità di Kanagawa.
 
Casa..., pensò Hanamichi, riprendendo a trottare con una certa lentezza. Con il sole che gli colpiva la schiena e gli occhi incollati davanti senza concentrazione, pensava e ricordava che solo il giorno prima aveva parlato a lungo con sua madre in videochiamata – lei finalmente era riuscita a controllare le lacrime – e gli aveva detto scherzando che ora il cibo a casa Sakuragi si stava abituando a non essere consumato. Lui però aveva capito cosa sua madre aveva voluto dire – si sentiva sola: usciva e rientrava in un luogo dove non c’era suo figlio che urlava e rideva con gli amici fino a tardi o correva giù al mattino quando si accorgeva che era in ritardo. L’aveva salutata con un sospiro.
 
Con i ragazzi dell’Armata parlò tramite Skype, ma nella stanza della volpe: gli amici lo avevano preso in giro chiedendogli di mostrare la camera, e lui aveva obbedito, notando che Rukawa stava sbavando sul letto.
Aveva risposto alle email degli altri suoi amici, molti gli avevano ricordato le brutte conseguenze della sua bugia – ricordando della vittoria su Rukawa di cui Hanamichi aveva parlato; irritato, aveva risposto a tutti con una testata mortale – cioè una sua foto con sguardo omicida.
 
Aveva dovuto riscrivere l’email ad Haruko dato che la prima si era cancellata (strano); poiché la volpe era dietro di lui mentre la scriveva, Sakuragi aveva dovuto trattenersi su molti commenti.
 
Maledetto Rukawa...non concede un minuto di pace a questo genio..., si era detto mentre raccontava alla giovane del ragazzo in questione.
 
Sabato pomeriggio, inoltre, aveva finalmente conosciuto Dan. Era arrivato improvvisamente a casa Rukawa mentee i ragazzi si stavano allenando, e i due l’avevano trovato comodamente seduto mentre chiacchierava e mangiava con i genitori di Kaede in soggiorno.
 
“Quindi tu sei il vecchio Dan” aveva detto con fermezza toccandogli più volte la spalla con il dito. L’uomo aveva risposto alzando un sopracciglio e con un sorriso sbilenco.
 
“E tu sei il problematico Sakuragi”, e nessuno aveva potuto fermare gli ululati e le grida della scimmia contro l’uomo che aveva riso alle battute del giovane.
 
È proprio come Mitsuyoshi lo ha descritto, aveva pensato l’uomo guardando con un sorriso il ragazzo alterato. Dan, ovviamente, si era scusato con Hanamichi per non averlo informato del cambio di programma e per il fatto che fosse successo tutto troppo in fretta e, dato che lui e Rukawa erano stati compagni di squadra solo un anno prima, non aveva trovato sconveniente metterli sotto lo stesso tetto. Entrambi i ragazzi avevano sbuffato.
 
Dopo cena, Dan era rimasto ancora un po’ per dire due parole al suo assistito. Hanamichi aveva voluto spiare, ma si era fermato: non era affare suo.
 
Hanamichi stava ora respirando rapidamente mentre attraversava il cancello di casa Rukawa. Non incontrando nessuno all’ingresso, decise di salire subito per fare la doccia e poi mangiare – il suo stomaco ruggiva dalla fame. Dopo aveva pensato di navigare un po’ in Internet o magari giocare con la Play poco prima di andare in palestra all’università. Oggi ci sarebbero stati nuovamente quegli allenamenti duri e faticosi come il lunedì e il martedì passati, dato che il venerdì in arrivo si sarebbe tenuta l’ultima partita amichevole della stagione.
 
Hanamichi, sfregandosi la schiena sotto la doccia, ricordò che Dan gli aveva raccomandato di far visita all’università di Duke e del Kentucky non più tardi della settimana seguente.
 
Lui, nonostante l’emozione che lo riempiva all’idea di conoscere altre squadre, aveva la sensazione di tradire i Tar Heels: era stupido, ovviamente, visto che non apparteneva alla squadra, e all’inizio, quando Anzai l’aveva accennato, non voleva nemmeno prendere in considerazione di essere ospitato dal presuntuoso numero uno (la volpe, ovviamente). Adesso però non poteva negare, vivendo con i genitori di Rukawa, con Rukawa stesso e con i ragazzi della squadra, di aver sviluppato un attaccamento, un sentimento di familiarità, affetto, protezione e sostegno. Una parte di lui pensava che forse avrebbe potuto continuare a stare dai Rukawa quando si fosse recato a Duke, dato che l’università era molto vicina, ma rinunciò subito. Aveva già importunato quella famiglia a sufficienza per due settimane, utilizzando tempo, cibo, elettricità e acqua per poter chiedere di restare un’altra settimana, alla fine sarebbe apparso come un approfittatore.
 
Ma...
 
Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso quel bisogno...quello strattone al petto, quella contrazione, quel vuoto allo stomaco.
 
Solo a pensare di dovermene andare...e...lasciarli...
 
...Ma è ancora presto per prendere una decisione, si disse con fermezza ma con lieve titubanza mentre pensava ai Tar Heels con tanto affetto. Conoscere e imparare di più dalle squadra e dalle scuole, era per quello che era atterrato nel continente americano.
 
Sakuragi, dopo la sua lunga doccia, si ritrovò nella stanza della volpe, solo con un asciugamano legato in vita. Guardò assorto i poster che adornavano le pareti. Osservò l’arredamento austero. Guardò, quasi con affetto, i videogiochi e il letto. Serrò le mani con forza, respirando con la bocca aperta. Deciso, si avvicinò al muro e vi sbatté la fronte.
Il bruciore lo risvegliò dalla malinconia, da emozioni bizzarre e da indicibili pensieri.
 
Solo allora si mosse per vestirsi e uscire. Non poteva sopportare di rimanere lì ancora.
 
^ ^ ^ ^
 
Kaede, nel pomeriggio, avanzava con passo costante lungo i corridoi affollati dell’università. Aveva appena finito l’ultima lezione della giornata, che opportunamente si era conclusa all’ora di pranzo. La sua idea era stata di andare alla caffetteria sempre piena per prendersi un hamburger – non buono come quelli di George – o qualcosa di simile, ma uscendo dall’ultima aula, ricevette un messaggio sul cellulare da parte di Sakuragi – in realtà il cellulare era di sua madre, visto che il telefono dell’idiota non funzionava negli Stati Uniti – avvisandolo che era arrivato al campus e lo stava aspettando all’ingresso vicino a dei fiori (molto belli, aveva aggiunto).
 
Con il borsone sportivo sulla schiena, il ragazzo uscì dal college e si imbatté in Sakuragi che era in piedi e fischiettava disinvolto sotto uno degli alberi del cortile.
 
“Canti malissimo, scemo” lo salutò senza preoccuparsi di togliere le mani dalle tasche né di raddrizzarsi.
 
“Come osi, bastardo?! Questo genio ha un sacco di abilità!” si lamentò guardandolo torvo.
 
Kaede lo fissò impassibile. “Ho fame” decise di dire dopo la silenzosa battaglia visiva che, conoscendo come erano fatti entrambi, non avrebbe avuto fine.
 
“Meno male, volpe! Anche il genio è affamato” rispose con un enorme sorriso. Kaede si accigliò perché aveva sentito qualcosa di strano nel petto; rivolse lo sguardo all’ingresso dell’università. Senza fretta si avviarono verso un piccolo locale sulla stessa strada della scuola. Era abbastanza economico e probabilmente non così affollato come la mensa.
 
“Questa volta paghi tu...me lo devi” disse Kaede mentre uscivano dall’area del college, facendo riferimento a quando Sakuragi aveva dimenticato il portafogli quella volta da George. Le altre volte in cui erano andati nello stesso ristorante, ognuno aveva pagato la propria parte, quindi Sakuragi non aveva avuto modo di ricambiare.
 
“Cosa?! Perché io...?! Oh, giusto! Argh...allora non ordinare qualcosa di troppo costoso, bastardo!” gridò Hanamichi pensando discretamente a quanti soldi aveva portato e se sarebbero stati sufficienti; non voleva sembrare un poveraccio davanti a Rukawa. A quest’ultimo la faccia nervosa della scimmia risultò troppo divertente e fu incapace di fermare un sorrisetto sul suo viso pallido, avanzando in modo che l’altro non se ne accorgesse.
 
“Suppongo che tu abbia riordinato la mia stanza” lo provocò Kaede, volendo sentire la voce del ragazzo un po’ troppo assente da dietro.
 
“Tsk! Perché avrei dovuto farlo? È la tua stanza, pezzente. Questo genio ha troppo da fare per ordinare quella discarica...nemmeno tua madre osa entrare, ahahah!” fece lanciando la testa all’indietro.
 
“È colpa tua se è così” lo accusò senza vero rimprovero, come se avesse asserito un dato di fatto inconfutabile.
 
“Come! Come osi insultare un genio di questo calibro? Non è colpa mia se non hai senso dell’ordine” si difese subito, anche se interiormente poteva ammettere che un po’ di ragione (ma poca, pochissima) ce l’aveva la volpe, perché era lui, Sakuragi, che di notte mangiava come un sacco senza fondo, e quando si addormentava lasciava tutto in giro. Ma anche la volpe è da biasimare, dopotutto è la sua stanza!, si giustificò mentre arrivavano verso il locale presumibilmente meno affollato.
 
“Come ti pare, scemo” rispose Kaede svoltando un angolo. Il suo passo, lento e calmo, si fermò subito quando vide la lunghissima fila di persone in attesa.
 
Ottimo, adesso che facciamo..., si chiese Kaede trattenendo un sospiro. Hanamichi, che arrivava subito dopo, sbatté contro la sua schiena dato che si era fermato di colpo; entrambi inciamparono, ma si aggrapparono a vicenda per riuscire a stare in equilibrio. Sempre tenendosi a vicenda – Kaede al braccio muscoloso di Hanamichi e Hanamichi alla spalla di Kaede – si osservarono per qualche istante.
 
“Aspettiamo?” chiese Kaede dopo aver deglutito discretamente un nodo in gola. Hanamichi parve confuso per qualche secondo, ma dopo aver osservato la massa umana che si separava in due file fuori dal locale, tornò a guardare il suo ex compagno.
 
“Ormai siamo qui, volpe, e il genio ha fame” rispose con un sorriso sghembo. Separandosi, continuarono a camminare, ma Hanamichi si fermò vicino a una ragazza che era in una delle file.
 
“Ehi, scusa. Potresti dirmi perché ci sono due file?” chiese con un inglese spiccio, col volto leggermente arrossato.
 
“Certo. Questa...” iniziò la ragazza sorridendo, facendo riferimento alla fila in cui era lei, “è per chi aspetta di sedersi. Quella è per chi deve ritirare gli ordini”
 
“Grazie” disse Hanamichi con un leggero inchino alla ragazza che risultò deliziata. Kaede, rimasto indietro ad ascoltare e aspettare che finisse, si piazzò subito davanti a lui, coprendo la ragazza.
 
“Ordiniamo per portare via” intervenne senza tatto. Hanamichi, ancora un po’ rosso in voltò, annuì e seguì il ragazzo verso la fila che era più in avanti rispetto alla ragazza. Rimasero in silenzio per alcuni istanti, durante i quali Kaede vide con la coda dell’occhio come la sconosciuta osservava – per niente discretamente – Sakuragi, il quale canticchiava una canzone che suonava alla radio attraverso le casse. Kaede si accigliò avvertendo l’impulsivo – e chiaramente stupido – desiderio di avvicinarsi alla ragazza e metterle una mano sugli occhi in modo che la smettesse di dare fastidio; ovviamente controllò qualsiasi sciocco istinto stringendo in pugni, concentrandosi sulla fila che sembrava bloccata.
 
Sakuragi, dal nulla, cominciò a muovere la testa e le braccia al ritmo della canzone. Sembrava che non gliene fregasse un accidenti di cosa potevano pensare le persone intorno, osando addirittura scuotere i fianchi e il resto del corpo. Alcuni giovani lo guardarono, voltandosi subito senza dargli troppa importanza, altri invece lo fissavano sorridendo o ridendo. Tra questi ultimi c’era la stessa ragazza di poco prima, che teneva una mano sulle labbra e aveva gli occhi luminosi.
 
“Ehi, scemo” lo chiamò Kaede d’impulso, senza pensare davvero a cosa dire dopo o al perché lo aveva fatto. Sakuragi, concentrato e rilassato, non reagì all’insulto, ma lo guardò interrogativamente. Kaede rimase fermo, finché non vide di nuovo la ragazza che li osservava sorridendo. “Mentre venivamo qui ho visto una pizzeria...” esordì, avvicinandosi al ragazzo; senza che questi potesse protestare o dire qualcosa, Kaede si sporse verso l’orecchio del giovane.
 
Così capisce..., pensò, senza comprendere se stesso.
 
“...andiamo lì, imbranato” finì, sfiorando la sua pelle con le labbra. Quando si allontanò, vide il viso rosso di Hanamichi.
 
“Tsk! Non dovevi avvicinarti così tanto al genio, volpe puzzolente!” affermò grattandosi piano l’orecchio che era stato appena accarezzato.
 
“Era per via della musica” si giustificò Kaede; come se il mondo girasse a suo favore, il volume della canzone aumentò fino a diventare stridente. “Andiamo?”, richiese/ordinò incamminandosi, non prima di aver lanciato un’occhiata alla ragazza che lo ricambiò un po’ imbarazzata.
 
“Ehi, imbecille, aspetta!” urlò Hanamchi, dimenticando quanto appena successo, pensando solo che stava morendo di fame.
Forse per l’ora o per loro desiderio, ma convenientemente la pizzeria era relativamente poco affollata. Entrarono senza problemi, ordinarono e furono serviti nel giusto tempo per poi riposare e dirigersi in palestra un po’ prima dell’allenamento ufficiale. Hanamichi fischiettava allegramente per essere riuscito a saldare il suo debito, pagando due ordini molto economici.
 
^ ^ ^ ^
 
“È stato grandioso!” si congratulò Tom – o il Nano, come lo chiamava Sakuragi – dopo una giocata particolarmente stupefacente di Kaede. Gli altri compagni si avvicinarono per dargli il cinque. Kaede rispose ai gesti, sospirando profondamente. Si sentiva davvero esausto, ma non l’avrebbe mai dimostrato, non con l’idiota lì a guardare, gli avrebbe dato l’occasione perfetta per prendere in giro le sue presunte capacità mediocri e la scarsa resistenza fisica.
 
Proseguirono subito con la partitella in cui sia Tom che Kaede mostrarono la crescita che stavano effettuando grazie al duro lavoro e alle loro abilità. La partita, com’era da aspettarsi, fu vinta dalla squadra della volpe, poi i giovani si spostarono dal campo per lasciare spazio agli altri gruppi. Il coach applaudì e li intrattenne per la buona prestazione e lo spettacolo offerto, mentre i ragazzi si sedevano con volti e corpi madidi di sudore.
Kaede non voleva disperarsi né illudersi con false speranze, ma sperava davvero che l’allenatore l’avrebbe scelto come titolare per la partita di venerdì.
 
Sono migliorato, si disse, ricordando gli ultimi allenamenti. Stava dando tutto se stesso in campo. Bastava vedere le statistiche per controllare come i suoi punti e i suoi assist erano aumentati considerevolmente – non da arrivare a un record, ma sufficienti per suscitare ammirazione e rispetto.
 
Kaede osservò la partita dei suoi compagni, sentendo dentro di sé il familiare sentimento di passione per il gioco, di emozione per ciascuna giocata; il suo cuore batteva senza controllo e le sue mani tremavano dal desiderio di tenere la palla. Ora che aveva imparato a divertirsi e a osservare i suoi compagni mentre si allenavano, poteva dire con assoluta onestà che riteneva molti di loro atleti incredibili; non sarebbe stata una sorpresa se fossero entrati nel basket professionistico, né nelle future fila dell’NBA.
 
Come spero di fare io..., sapeva che era un po’ ambizioso pensarci durante quella tappa – soprattutto perché era in squadra da solo un anno – ma sapeva anche che giocatori molto più giovani di lui erano arrivati in NBA, quindi non si censurava dal sognare.
 
Sbatté le palpebre ritrovandosi a guardare i capelli rossicci del suo ex compagno, notandolo accanto a uno degli assistenti che stava esaminando alcune tabelle e documenti. Kaede trovò un po’ strano vedere il viso concentrato e serio del ragazzo, ma...c’era qualcosa in lui che non gli permetteva di staccargli gli occhi di dosso. Non riusciva a distogliere lo sguardo, ammirando le sopracciglia corrugate sul viso abbronzato, o le labbra rosee arricciate, o come sbatteva le palpebre innocentemente verso l’uomo quando diceva qualcosa.
 
Solo il suono ansimante dei suoi compagni lo riportò alla realtà. Senza pensare guardò verso il campo dove il Riccio – altro stupido soprannome di Sakuragi – lanciava una tripla molto alta; ma Viso pallido, della squadra avversaria, saltò come un folle per fermare la palla e lanciarla con forza e un’assurda precisione. Uno dei suoi compagni, veloce come un filmine, corse prendendo la palla al volo prima che uscisse dal campo. In un paio di secondi scattò al tabellone opposto e assistette un compagno per insaccare la palla. Tutta la palestra, Kaede compreso, si fermarono per lodarli.
 
Kaede si voltò poi verso Sakuragi, che stava annotando come un matto su un piccolo taccuino. Spesso si chiedeva il perché di quell’affare, di cui Sakuragi non era mai sprovvisto, ma lasciava subito correre.
Con quell’ultimo allenamento, l’allenatore li riunì per congratularsi con loro per il duro lavoro, avvertendoli sui giorni successivi, e soprattutto sulla partita del venerdì. Li congedò e permise loro di andare negli spogliatoi.
 
Kaede corse immediatamente, decidendo di fare una doccia veloce perché la sua pelle era troppo appiccicosa, pensando inoltre che non fosse salutare uscire subito così sudato. Quando uscì dalle cabine della doccia piene di calore umano, essenza odorosa di uomo e vapore acqueo, Kaede non si stupì di trovare Sakuragi circondato da altri ragazzi, soprattutto quelli con cui aveva stretto amicizia negli ultimi giorni.
 
“Ma se ti ha piantato lì come uno scemo, Riccio!” rise Hanamichi in inglese, indicando senza decoro il ragazzo offeso che gli colpì con forza il dito.
 
“Certo che no, rosso! Solo che il mio tiro non aveva troppa forza” rispose con lo stesso tono.
 
“Stai dicendo che la mia intercettazione è stata per pura fortuna?” chiese Viso pallido. Riccio rimase muto per qualche secondo, poi aprì la bocca senza emettere alcun suono. Gli altri ragazzi ridevano per la sua imitazione di un pesce, e la risata di Hanamichi era quella che spiccava più tra tutte.
 
“Ehi volpe! Potevi avvertirmi che ci avresti messo tanto” si lamentò Hanamichi senza impeto quando lo intravide. Gli altri si voltarono verso Kaede, un po’ intimiditi, non perché si sentissero minacciati o intimoriti, ma era inevitabile perdere un po’ di umorismo quando appariva quel ragazzo silenzioso e serio.
 
“Sei stato grande oggi, Rukawa” gli disse il Ballerino, come lo chiamava Sakuragi (in realtà era Davis), con un sorriso.
 
“Grazie” rispose lui in un sussurro.
 
“No, Ballerino! Non dirgli queste cose! Diventerà ancora più presuntuoso e pretenzioso di quanto non sia già!” piagnucolò Hanamichi esageratamente, schiaffeggiando il ragazzo sulla spalla, che si strofinò discretamente l’area colpita.
 
“Più di te, idiota? Impossibile” ribatté subito la volpe con uno sguardo beffardo, facendo ridere tutti i presenti, tranne Sakuragi.
 
“Come osi, bastardo?! Questo genio non è presuntuoso, non fa che dimostrare le sue talentuose abilità. Qualcosa che tu non hai, ahahahah!”
 
Se i ragazzi avessero visto quel bisticcio ai tempi dello Shohoku, ora si sarebbero aspettati una scazzottata, ma ignari delle brute azioni passate dei due, si limitarono a ridere di quello scambio.
 
“Ehi, perché non andiamo alla pizzeria qui vicino...muoio di fame” chiese Tom guardando tutti i presenti che annuirono subito, con l’ovvia eccezione della volpe.
 
“Io va-” Kaede tacque quando un’enorme mano della scimmia si piazzò sulla sua bocca.
 
“Tu niente, imbecille...veniamo anche noi” disse Hanamichi che sentì subito una fila di denti sulla pelle. Urlò, più indignato per la sorpresa che per il dolore – il morso non era stato così forte – facendosi prendere in giro dagli altri per il suo strillo da ragazzina.
Così i sei si diressero nella stessa pizzeria in cui Hanamichi e Kaede erano andati quel pomeriggio. Tom e Kaede stavano dietro agli altri, che ridevano e chiacchieravano a voce alta. Quando entrarono, dovettero unire tre tavoli per potersi sistemare. I gestori si guardarono un po’ preoccupati, ma poi sospirarono tranquilli notando che erano solo ragazzi affamati e non in cerca di guai.
 
Il Nano – Tom – nonostante la sua costante simpatia e buon umore, non aveva problemi con i silenzi e i momenti calmi, quindi non si lamentò quando rimase seduto accanto al serio giapponese. Tuttavia, mentre addentava un grosso pezzo di pizza – era davvero affamato – notò lo sguardo fisso di Rukawa sul rosso. Tom, credendo che volesse e sperasse di unirsi alla conversazione degli altri ma non sapesse come fare per via della timidezza, cercò di intavolare una conversazione, ma ricevette solo semplici cenni del capo o risposte brevi.
 
“Non mangiare così tanto, stupido, o dopo non cenerai”
 
I ragazzi, che già sapevano che i due giapponesi vivevano sotto lo stesso tetto, annuirono a sostegno di Kaede. Tom rimase un po’ stupito da quell’intervento, ma l’attribuì subito alla lunga conoscenza dei due e quindi alla loro maggiore confidenza.
 
“Ahahahah...non sottovalutare il metabolismo di questo genio, volpe. Posso perfettamente mangiare ora e poi godermi i deliziosi piatti di mamma Rukawa”, per dimostrarlo, Sakuragi divorò un pezzo particolarmente enorme che quasi lo soffocò. Si colpì il petto più volte per poi tossire.
 
“Sì, certo” con parole piene di sarcasmo, Kaede allungò una mano e colpì gentilmente il ragazzo.
 
“Mi stai sfidando, bastardo?” riuscì ad articolare. Kaede alzò un sopracciglio. Gli americani (e un russo) sorrisero prima di conversare tra di loro, lasciando i due ai loro bisticci. Hanamichi, notando che gli altri erano nel loro mondo e parlavano di cose che non conosceva, avvicinò la sedia a quella di Kaede, che non sussultò per quella prossimità.
 
“Ehi, non mangi?” chiese Hanamichi in inglese; anche se erano solo loro due a parlare, pensava fosse di cattivo gusto parlare nella lingua che solo due dei presenti conoscevano.
 
“Dobbiamo cenare più tardi, scemo” gli ricordò Kaede, appoggiandosi al tavolo per avvicinarsi. Sakuragi, invece, continuò a mangiare come se il mondo dovesse finire il giorno dopo. Poiché si stava allenando duramente e costantemente, aveva una fame vorace, e dato che in quei giorni stava correndo e si allenava nel pomeriggio, il suo stomaco chiedeva rinforzi.
 
“Uhm...perché la tua pizza sembra migliore della mia, dannato?” chiese Sakuragi guardando con sospetto la fetta intatta sul piatto davanti a Kaede. I sei ragazzi avevano ordinato tre pizze grandi uguali, quindi il formaggio su quel pezzo non avrebbe dovuto essere più giallo e ben sciolto, né la pasta più morbida o...
 
“Perché lo è” rispose Kaede guardando la sua fetta senza notare, in realtà, nulla di speciale, ma rispose quasi per inerzia, intento a provocare Hanamichi, che si accigliò e continuò a mangiare. Una volta finita la sua fetta, lo guardò per qualche secondo. Alla fine ringhiò e di colpo rubò il suo pezzo e se lo cacciò in bocca; Kaede sbuffò e scosse la testa per quel comportamento sciocco. Ma dentro non poteva negare di aver trovato il gesto divertente e quasi tenero.
 
“...avete comprato gli smoking per mercoledì?” si sentì dai discorsi dei giovani. Sakuragi, curioso di sapere di cosa stessero parlando, si voltò pronto a unirsi alla conversazione.
 
“La tua guancia è tutta sporca, idiota...più che una scimmia, sembri un maiale” parlò immediatamente Kaede, notando che l’attenzione di Hanamichi si stava deviando, sicuro di riattirarla.
 
“Come mi hai chiamato, bastardo?! Maledetto Rukawa! Non osare parlare di nuovo così al genio!” esplose Hanamichi dimenticando tutto il resto. Kaede lo fissò senza farsi intimidire dal grido né dalla minaccia, al contrario era abbastanza divertito; se non ci fossero state tante persone, probabilmente avrebbe riso.
 
“Maiale” disse di nuovo scandendo ogni lettera per provocare ulteriore furia. Sakuragi, ribollendo, sentì il suo viso diventare rosso per l’irritazione.
 
“Vedrai, stupido! Stasera ti farò a pezzi in Mario Kart!” urlò ricordando che erano pari tra vittorie e sconfitte.
 
“Sogna, cretino. Il tuo Donkey Kong non potrà nulla contro il mio Toad” sbuffò Kaede, concedendosi finalmente di assaggiare un po’ di pizza.
 
La serata continuò in quel modo. Ordinarono altro da mangiare, ma questa volta sia Hanamichi che Kaede si rifiutarono di consumare di più. Nessuno dei due voleva rifiutare la scrupolosa e deliziosa cena che mamma Rukawa stava sicuramente preparando. I due erano immersi nel loro mondo di attacchi e contrattacchi con commenti casuali e insulti. Quando era ovvio che non fossero presenti né interessati alle conversazioni degli altri, decisero di andarsene, ovviamente pagando la loro parte.
 
Quella sera nessuno dei due riuscì a mangiare molto e frettolosamente chiesero il permesso di salire. Ma, sul punto di cominciare le scale, sentirono la porta aprirsi, rivelando il vecchio Dan; questi chiese a Kaede di rimanere per parlare con lui. Il ragazzo, un po’ più in avanti rispetto ad Hanamichi, gli fece cenno di seguirlo. Hanamichi, che non si negò l’opportunità di ascoltare, gli andò subito dietro.
 
“Immagino che ricordi la conversazione di sabato, Kaede” disse al ragazzo, che rispose con un cenno. “E...? Hai preso un completo? Ti porteranno i tuoi genitori o prenoto un’auto? Vuoi portare qualcuno?” continuò l’uomo, senza ricevere alcuna risposta.
 
Hanamichi li guardò con sincera confusione, non avendo idea di cosa stessero parlando: ma, pensandoci meglio, lo collegò a quello che avevano accennato i ragazzi in pizzeria. Dan sospirò prima di continuare: “Te l’ho detto l’altro giorno, figliolo. Mercoledì ci sarà tutta la stampa sportiva: è importante che ti vedano a questi eventi, che ti riconoscano, che il tuo nome risuoni, Kaede”
 
Kaede voleva rispondere che non gli importava nulla di tutto ciò, ma sapeva anche che l’uomo aveva ragione. Più fosse stato conosciuto, più attenzione avrebbe ricevuto (attenzione di tipo positivo), la quale si sarebbe potuta tradurre negli sguardi di grandi e potenti campionati su di lui. Grugnì appena prima di scuotere il capo.
 
“Non ho comprato niente, mi accompagnerà mia madre e non porterò nessuno” rispose freddamente. Il vecchio Dan annuì guardando di sbieco Sakuragi; occhiata che la volpe notò. Tutti gli ingranaggi del suo cervello si mossero, cominciando a far fiorire idee.
 
Hanamichi stava per chiedere di che diamine stessero parlando, quando sentì l’intenso sguardo di Kaede su di sé. Non poté fare a meno di ingoiare un nodo che gli si era formato in gola.
 
“Domani andiamo a fare shopping” affermò Kaede per poi tornare sul suo manager con uno strano luccichio negli occhi.
 
“Eh?” articolò Hanamichi.
 
“Sakuragi-kun...tu andrai mercoledì?” chiese l’uomo, indovinando le intenzioni del suo assistito. Kaede si voltò verso il ragazzo, sentendosi stranamente ansioso.
 
“Non...non so cosa succede mercoledì” ammise, non senza un certo nervosismo per via degli sguardi insistenti che stava ricevendo dai due.
 
“Dopodomani si terrà l’evento che annualmente viene organizzato dal North Carolina Tar Heels per tutti i suoi atleti, di football, basket, lacrosse, hockey e altro ancora. È abbastanza esteso e importante. L’anno scorso Kaede non ci è andato perché era appena arrivato, ma ora...beh, direi che è quasi suo dovere partecipare”
 
Kaede avrebbe replicato con un’occhiata velenosa, ma era impegnato a guardare Hanamichi, il quale si stava pentendo di essere rimasto.
 
“Ma...io non faccio parte della squadra” Hanamichi, stranamente, risultava intimidito e turbato dalle loro occhiate, ma la verità era che non voleva andare dove non era desiderato. Non doveva partecipare a quella roba se era solo un visitatore: conosceva già quasi tutto il campus, non pensava di doverne sapere di più o di essere più coinvolto.
 
“Ma potresti entrarci e a questi eventi partecipano anche i manager” intervenne Kaede, con un tono che lasciava a intendere che ovviamente doveva partecipare. Dan, nel frattempo, si morse l’interno della guancia nel vedere quei due. Come persona e amico della famiglia Rukawa – almeno gli piaceva pensare di essere un amico – lo divertiva vedere quella nuova faccia di Kaede; ma come manager era frustrante e allarmante che la mostrasse proprio con quel caotico ragazzo, temendo inoltre che l’attenzione che Kaede gli rivolgeva non fosse per semplice amicizia.
 
“Kaede ha ragione, ragazzo. Lì conoscerai proprio tutti” aggiunse Dan notando che il suo lato di manager urlava in protesta, ma quello umano sapeva che apparentemente l’unico modo per convincere Kaede a partecipare sarebbe stato accettare anche il turbolento ragazzo.
 
“Se insistete tanto per avere questo genio, allora verrò! Non sarebbe una festa altrimenti, ahahahah!” rispose recuperando il suo solito umore e la sua personalità.
 
“Allora ci vedremo domani per andare a prendere i vostri completi...verrò a prendervi per le 10. Buonanotte, ragazzi” salutò entrambi con una stretta di mano. Approfittando della distrazione di Hanamichi, l’uomo fissò l’altro ragazzo.
Spero che tu sappia cosa stai facendo..., pensò dirigendosi verso la porta.
 
Kaede rimase a osservare l’uomo che si allontanava senza comprendere del tutto l’intensità di quello sguardo; ma dopo aver sentito Sakuragi che lo chiamava, dimenticò il resto del mondo.
 
^ ^ ^ ^
 
La mattina dopo, un mezzo addormentato Kaede era sulle sue coperte. L’orologio segnava le 9.21 e non c’era traccia di Hanamichi né nella stanza né in casa. Kaede gemette, nascondendo la faccia nel cuscino.
 
Solo cinque minuti..., pensò, voltandosi e rannicchiandosi tra le coperte calde. Forse era stata una cattiva idea rimanere in piedi fino a tardi – di nuovo – per giocare alla Play, ma la guerra di Mario Kart era diventata infinita, tanto che alla fine avevano scelto la modalità di gioco in squadra – loro due contro il computer – per porre fine a qualsiasi litigio. Hanamichi, nonostante qualche sottile suggerimento di Kaede, alla fine era andato in camera sua a dormire, quindi ora non sapeva dove fosse finito quello stup-
 
“Stai ancora dormendo, stupida volpe?! Il vecchio Dan arriverà tra mezz’ora, cretino”
 
È qui...?, si chiese scioccamente, guardando Sakuragi sudato e in abiti sportivi.
 
Ah...stava correndo..., pensò incoerentemente, osservando una goccia di sudore particolarmente grossa che scorreva dalla mascella forte e marcata del giovane, passando lentamente dal suo collo e finalmente raggiungendo la clavicola.
 
“Non ignorarmi, dannazione!” gridò avvicinandosi e scuotendolo con una forte manata. Kaede sentì l’umidità del palmo attraverso il pigiama leggero.
 
“Ah! Idiota. Vado a farmi la doccia, tu vai a fare colazione” ordinò Sakuragi con cipiglio, pensando che la volpe dormisse ad occhi aperti.
 
“Mh...” rispose Kaede, vedendo Hanamichi lasciare la sua stanza con quei pantaloncini e maglietta attillati, esponendo tranquillamente le braccia e le gambe toniche. Sbatté le palpebre più volte prima di alzarsi e procedere con quanto la scimmia aveva comandato.
 
Al piano di sotto sua madre aveva preparato tutto, quindi non dovette fare altro che sedersi e godersi i suoi sempre deliziosi e nutrienti cereali. Hanamichi scese quando stava finendo, così inconsciamente rallentò. Quando finalmente terminò, salì a fare la doccia e, ovviamente, richiese un bel po’ per le attenzioni che dedicò alle sensazioni del suo corpo, che quella mattina erano più disperate e infuocate che mai – Kaede non sapeva spiegarsi il perché.
 
Quarantacinque minuti dopo, Dan arrivò a prenderli. Dopo aver lasciato l’auto, passeggiarono per la città per diversi minuti alla ricerca di un negozio appropriato dove acquistare dei completi. Hanamichi non poteva fare a meno di osservare tutto con stupore, perché era la prima volta che visitava quella parte della città; Kaede, fingendo di non averne voglia, indicò nomi e curiosità delle zone più turistiche.
 
Dopo due lunghe e noiose ore di prova di pantaloni eleganti, camicie di tutti i colori, giacche e classici e tradizionali smoking, i tre giunsero ad un negozio dall’aspetto esclusivo ed elegante, ma con abbastanza varietà e stili da attirare la loro attenzione.
Hanamichi, osservando e toccando tutti i capi, si immaginò perfettamente con addosso il completo più elegante su un tappeto rosso, mentre veniva applaudito e chiamato da fan euforici e ossessionati, oltre a migliaia di telecamere e giornalisti che richiedevano a gran voce la sua attenzione.
 
Hahaha...tutti vorranno un pezzo di questo genio...
 
Ma si bloccò subito quando vide i prezzi stratosferici: anche una piccola e insignificante cravatta costava un occhio.
 
Hanamichi deglutì rumorosamente pensando a come uscire senza risultare troppo ovvio. Kaede, tuttavia, che lo stava osservando, beccò l’esatto momento in cui il ragazzo notava il cartellino del prezzo e diventava nervoso. Kaede maledisse Dan.
 
“Ehi, scemo. Scegli quello che vuoi. Paga Dan”, o meglio, se ne sarebbe assicurato. Era obbligato ad andare a quel fastidioso evento e in alcun modo avrebbe speso del denaro per un abito che avrebbe indossato un paio di volte all’anno.
 
“Davvero? Ma è molto costoso” chiese Hanamichi guardando Dan che si stava provando una camicia. Kaede annuì e indicò un completo.
 
Fortunatamente questa volta rimasero lì solo una mezz’ora, dato che scelsero in fretta i loro abiti – ed effettivamente Dan pagò, dopo aver scambiato due parole con la volpe.
L’uomo li invitò poi a pranzo, che gli fu sufficiente per convincersi dell’attaccamento di Kaede al ragazzo. Il manager non sapeva se Kaede fosse consapevole di come cambiasse intorno a Sakuragi, di come sembrava che il resto del mondo scomparisse, mentre si concentrava solo su Hanamichi. Guardava solo lui, parlava solo con lui.
Per un momento Dan si chiese se avrebbe dovuto fare qualcosa per quella situazione, magari avrebbe potuto mandare Sakuragi lontano, o assicurarsi che le tre borse di studio offerte venissero ritirate, pensò persino di chiamare il suo vecchio amico Anzai.
 
Ma...a cosa servirebbe?, si chiese osservando Kaede che prendeva del cibo dal piatto di Sakuragi, il quale gli disse immediatamente di limitarsi a stare nel suo spazio, ma Kaede lo provocava rubando ancora dal suo piatto.
 
Sono solo adolescenti, ragazzini...ed è la prima volta che vedo Kaede comportarsi così...come un ragazzo normale...
 
Non come il giocatore avido e disperato pronto ad assaltare uno stadio NBA credendo che così lo avrebbero accettato.
 
Ora, davanti a lui, c’era un ragazzo immaturo, ma rilassato, calmo, equilibrato; un giovane che capiva che il basket era il suo sogno, ma che sapeva anche – o almeno, lo percepiva – che c’erano altre cose nella vita.
 
Anche se...non posso negare che avrei preferito che se ne accorgesse con una bella attrice o una modella, pensò pulendosi le labbra con il tovagliolo. Dan sospirò tra sé, decidendo, contro il proprio giudizio di uomo di affari, che avrebbe fatto di tutto per aiutare quei due a essere felici, insieme o separati.
 
Ora che sapeva che li avrebbe sostenuti, si chiese curiosamente se fosse già successo qualcosa tra loro.
 
Forse lo tengono segreto, si disse ragionevolmente pensando alle ore che i due trascorrevano insieme e alla maniera intima con cui si comportavano. O forse non se ne sono accorti, sussurrò una voce dentro di lui.
 
Nah, non può essere...nessuno può essere così ottuso. È ovvio...
 
Sì...sicuramente lo tengono nascosto...
 
^ ^ ^ ^
 
“Ah! Maledetta cravatta!” si lamentò Hanamichi, combattendo la sua guerra con il morbido panno da legarsi intorno al collo. Dannazione, continuava a ripetersi, guardando la sua immagine nello specchio sopra il lavandino.
A soli trenta minuti dall’inizio dell’evento, i due ragazzi si stavano ancora preparando in casa Rukawa, anche se in realtà solo Hanamichi lo stava facendo, Kaede stava già aspettando in soggiorno, elegante e bellissimo. Hanamichi invece aveva lottato con ogni capo d’abbigliamento che si era messo addosso. L’unica altra volta in cui si era vestito così era stato per il diploma e sua madre lo aveva aiutato anche per sistemare i capelli – cosa di cui ora non aveva bisogno dato che li aveva rasati prima del viaggio.
 
“Ti serve aiuto?” la dolce voce di mamma Rukawa lo distrasse. Si voltò immediatamente verso la donna, con quello che si poteva classificare come un broncio. La madre di Kaede aveva già scattato migliaia di fotografie al suo splendido bambino al piano di sotto – approfittandone dell’assenza di Hanamichi per non metterlo in imbarazzo, ma notando che l’altro ragazzo stava impiegando troppo tempo, aveva deciso di salire, incontrando la scena che il figlio gli aveva descritto. Sorrise, si avvicinò e gli tolse la cravatta dalle mani per sistemarla. In pochi secondi la donna terminò quello che la scimmia stava tentando di fare da 15 minuti.
 
“Ecco fatto” disse, “sei bellissimo, Sakuragi-kun”, forse non era come il suo Kaede, ma avrebbe fatto strage di cuori quella sera.
 
“Ah, ma che dice! Questo genio è sempre bello, ahahah!” rispose guardandosi allo specchio.
 
Hanamichi ammise dentro di sé che stava particolarmente bene vestito così – e ovviamente il suo lato vanitoso gridò di gioia – ma il suo lato normale, quello abituato a semplici jeans e felpe larghe, non poteva fare a meno di sentirsi un po’ a disagio.
Come se stesse soffocando, Hanamichi si tirò il colletto della camicia bianca. Mamma Rukawa gli spiegò che aveva quella sensazione solo perché non era abituato a quei vestiti e gli consigliò di slacciare il primo bottone, ma di stringere la cravatta per non farlo notare.
 
“Più tardi durante la serata potrai toglierla. Vedrai che lo faranno anche gli altri ragazzi” concluse con una piccola pacca su un braccio. “Ora scendiamo, si sta facendo tardi”
 
Al primo piano intanto la volpe era in attesa e quasi addormentata a causa di sua madre e dell’idiota. Non riusciva a capire quanto dovesse impiegarci il tonto a infilare un paio di cose, si trattava solo di un paio di pantaloni, una camicia, una giacca e una cravatta – ovviamente lui si era già vestito così diverse volte; tuttavia, si parlava della stupida scimmia, era naturale che non gli risultasse così semplice. Con quel pensiero scosse il capo e guardò distrattamente verso le scale.
 
Come se lo avesse chiamato col pensiero, Sakuragi stava scendendo, vestito impeccabilmente.
 
È...
 
È...
 
Kaede non fu in grado di finire o dare coerenza al corso dei suoi pensieri, ammirando il completo classico nero che indossava Hanamichi; non mente guardava i pantaloni scuri che si adattavano alle sue forti e toniche gambe; non osservando la giacca che si chiudeva su di lui in una perfetta V; non vedendo la camicia elegante che evidenziava il colore abbronzato della sua pelle mentre i suoi capelli, seppur corti, erano umidi e pettinati, e piccole gocce aderivano alla sua pelle.
 
Fu incredibilmente strana la sensazione che lo spinse ad alzarsi in piedi (cosa che fece subito); una forza ardente lo invitava e insisteva perché si avvicinasse a Sakuragi (fece anche quello). La sua mano tremava dall’impulso di toccarlo, sfiorando il tessuto e la pelle al di sotto (ovviamente, non lo fece).
 
Non voglio andare, pensò di colpo. Kaede, accigliandosi e serrando le mani, perse qualsiasi senso del dovere o dell’interesse a partecipare a quello stupido evento. Perché non potevano restare a casa? Perché non potevano semplicemente sdraiarsi sul letto, mangiare porcherie e giocare a Mario Kart?
Ora, invece, dovevano andare a mangiare e parlare con estranei, fingendo un’affabilità che non provavano.
Sakuragi avrebbe dovuto andare in giro con quel completo; con quei vestiti che gli facevano voglia di saltargli addosso e...
 
E cosa, Kaede?, e...e...spingerlo; ferirlo.
 
Stupido. Maledetto idiota. Perché aveva dovuto scegliere quell’abito? Voleva mettersi in mostra? Attirare l’attenzione?
 
Mpf, non ne sarei sorpreso. Quel cretino era uno specialista in materia. Con quell’aspetto, con quella luminosità, così allettante in quelle vesti...
 
“...ma sembra ancora un idiota” disse a voce alta, un po’ troppo.
 
“Cos’hai detto, bastardo?! Maledetto Rukawa! Ti ho per caso detto qualcosa?! Tu sembri uno spaghetto vestito, volpe puzzolente!” impazzì Hanamichi guardandolo. Si stava sistemando nervosamente i capelli guardandosi allo specchio dell’ingresso quando aveva sentito la voce di quello stupido; lui non aveva fatto nulla (per una volta) eppure quel cretino si impegnava per rovinargli la serata.
 
“Calmatevi, ragazzi. È meglio andare, siamo in ritardo” li tranquillizzò la madre, spingendoli entrambi. I tre arrivarono in silenzio all’auto, immersi nei propri pensieri. Mamma Rukawa era sicuramente perplessa, perché scendendo dietro a Sakuragi dalle scale, aveva notato in prima fila lo sguardo predatore che suo figlio aveva lanciato al loro ospite. Si era sentita a disagio, sconvolta, felice, turbata e sollevata; il problema era che non sapeva quale di quelle sensazioni fosse positiva o meno. L’unica cosa che aveva pensato era che gli occhi anneriti di suo figlio sarebbero rimasti incisi nella sua retina.
 
Hanamichi invece, scontroso e curvo, seguiva i due. Ora che finalmente si sentiva soddisfatto e attraente in quei vestiti alieni, lanciò un’occhiata alla dannata volpe.
 
Perché? Perché non sono così bello?, si lamentò guardando di sbieco il ragazzo che sembrava mezzo addormentato vicino a lui. Anche Kaede aveva un completo nero, con camicia azzurra, che faceva risaltare più del normale i suoi occhi blu, e la sua pelle bianca sembrava perlacea ed eterea. Hanamichi si sentì subito insignificante e ordinario.
 
Il volpino è così...bello..., pensò arrossendo dal collo all’attaccatura dei capelli, guardandolo ancora una volta, poteva ammettere a malincuore che le ragazze del liceo non avevano torto a urlare impazzite quando lo vedevano.
 
Ma il genio lo prende a calci nel basket! Non c’è un giocatore con più talento di me! Ahahah...sì...questo scemo non mi arriva alla caviglia..., terminò, girandosi di nuovo verso di lui.
 
I tre salirono in macchina, la mamma al volante e i ragazzi dietro.
 
Il grande evento si teneva in un club esclusivo in una delle zone migliori della città. Mamma Rukawa raggiunse il parcheggio, chiedendo ai ragazzi a che ora sarebbe dovuta tornare a prenderli. Prima che Kaede potesse rispondere qualcosa come ‘Tra cinque minuti’, scattò Hanamichi dicendole che l’avrebbero chiamata loro.
I due poi si recarono all’ingresso dove Dan li aspettava, vestito per l’occasione; prese in prestito Kaede per presentarlo agli ansiosi e affamati della stampa e ammiratori. Hanamichi grugnì quando si accorse dell’attenzione che la volpe riceveva e non aspettò, entrando subito nel locale. Alla reception gli chiesero il suo nome e lui rispose esitando, credendo che forse il vecchio non aveva avvertito per tempo e sarebbe stato scortato all’uscita. Ma i suoi timori erano infondati perché l’addetto, facendo una spunta vicino al suo nome, annuì e lo lasciò passare.
 
Per entrare nella grande sala che l’enorme addetto aveva indicato, doveva prima salire una maestosa e alta scalinata che si separava in due rampe a metà, portando in ogni caso al grande evento. Hanamichi avanzò con un po’ di nervosismo e ansia.
Quando arrivò, la prima cosa che notò furono le soffuse luci gialle che creavano un’atmosfera antica e senza tempo. cosiddetti lampadari a ragno dorati adornavano il soffitto impeccabilmente bianco. L’immensa sala era già piena di gente, ma nessuno aveva cominciato a cenare ai tavoli disposti a U che circondavano un piccolo palcoscenico e, Hanamichi immaginò, una potenziale pista da ballo. La porcellana sui tavoli sembrava fine e perfettamente posizionata, Hanamichi temeva di poter rompere qualcosa.
 
Inconsciamente proseguì e osservò i presenti, la stragrande maggioranza erano emeriti sconosciuti. Hanamichi immaginò che fossero atleti in altri campi. Fortunatamente vide un dj in un angolo che ordinava e apparentemente preparava la sua esibizione, per il momento un gruppo sul palco stava suonando musica strumentale.
Guardandosi intorno, Hanamichi intravide ad un tavolo alcuni ragazzi della squadra di basket; quando stava per raggiungerli, sentì una forte mano sulla spalla. Si voltò e trovò Kaede, che gli fece un cenno col capo. Entrambi si diressero altrove, in una zona un po’ lontana dai ragazzi che Hanamichi aveva visto.
 
“Ehi volpe! Ma i tuoi compagni sono dall’altra parte...” si lamentò, notando la distanza.

“Non hai visto la distribuzione dei tavoli all’ingresso?” chiese Kaede, pur conoscendo già la risposta all’espressione dell’altro. Arrivando al tavolo che Kaede indicò, Sakuragi vide in effetti il suo nome scritto graziosamente su un cartoncino. Con tranquillità presero posto e si guardarono intorno con curiosità – quest’ultima solo da parte di Hanamichi.
 
Come se stessero attendendo il loro arrivo, tutti si accomodarono nei rispettivi posti. Hanamichi vide allegramente che nello stesso tavolo c’erano il Riccio e il Nano, insieme a un paio di sconosciuti. Si salutarono e si presentarono rispettivamente, poi in silenzio attesero l’ascesa sul palco del rettore dell’università.
 
L’uomo, di carnagione bianca, capelli grigi impeccabilmente pettinati di lato e denti bianchissimi, cominciò con il discorso di inaugurazione. Parlò della storia dell’università, degli anni in cui rappresentava un’istituzione sportiva, commentò vittorie e sconfitte, parlò dell’orgoglio che provava nel trovarsi lì oggi per parlare e approfondire l’area dello sport, chiamando l’esperto preposto, il dirigente e l’amministratore. Anche quest’ultimo parlò degli anni passati, delle gioie e delle difficoltà che avevano vissuto come scuola, evidenziando l’impatto e la connotazione che avevano a livello internazionale in quanto centro sportivo.
 
Infine, diede a tutti il benvenuto e augurò buona fortuna per la stagione imminente.
 
Hanamichi, quando vide che iniziavano a portare i piatti, credette che era finita lì, ma gli altri gli spiegarono che in seguito ci sarebbe stata una specie di premiazione e di riconoscimento agli atleti più importanti della stagione precedente. Hanamichi chiese ovviamente se la volpe fosse tra quelli e rise quando Kaede gli disse di no. Tutti mangiarono ridendo e scherzando tra loro, in generale godendosi la serata.
 
In effetti circa quaranta minuti più tardi iniziò un altro giro di discorsi, per accogliere e congratularsi con i migliori atleti (tra cui Tom, il nano); Hanamichi urlò e applaudì, ricevendo occhiate da parte di molti dei presenti.
Solo in seguito la vera festa parve iniziare, principalmente perché il giovane dj aveva preso possesso e controllo della musica. Alcune persone anziane recuperarono subito i loro effetti personali e uscirono.
 
“Balliamo!” suggerì Tom, lasciando il suo premio sul tavolo senza grande cura.
 
“Sì, andiamo!” insistette Riccio sostenendo il suo compagno e guardando implorante i due giapponesi – gli socnosciuti erano spariti pochi minuti prima.
Kaede, ovviamente, si rifiutò con la sua nota occhiata glaciale, mentre Hanamichi, dopo averci riflettuto qualche secondo, alzò le spalle e si unì ai ragazzi che in pista si riunirono al resto della squadra.
 
Kaede, come un falco, si dedicò a osservare ciascun movimento di Hanamichi. Questi, con il coordinamento e la flessibilità di un rinoceronte, sembrava più nel mezzo di un violento litigio che su una pista di ballo. Kaede rise, non potendolo evitare. Viso pallido, che a sua volta rise spudoratamente dei movimento scattosi dell’idiota, si mise accanto a lui dandogli istruzioni su come fare.
L’americano gli mostrò come rilassarsi e circolare le spalle, poi come muovere il collo e la testa al ritmo della musica. In seguito spiegò come muovere i fianchi e i piedi in sincronia, ma seguendo la canzone. Hanamichi, dopo aver fissato i passi del suo insegnante, decise di metterli in pratica con il suo corpo alto e tonico. Come se fosse nato ballando, spostò e agitò il suo corpo ricevendo applausi e congratulazioni dai giovani che lo circondavano e cominciarono a imitarlo.
 
Kaede si accigliò guardandolo ballare. I ragazzi cominciarono a saltare e a cantare, e Hanamichi continuò a muoversi in quel modo peccaminoso, tentatore e...lussurioso. la canzone si alzò improvvisamente, intrecciandosi con il sistema di luci che accendeva e spegneva lampi di colore come in una discoteca.
Una sconosciuta, Kaede notò, iniziò a ballare sospettosamente vicino a Sakuragi. La ragazza, minuta e ben proporzionata, aveva un bel vestito rosa scuro senza spalline che aderiva bene al suo corpo. Hanamichi, che non l’aveva vista arrivare, arrossì quando sentì la ragazza così vicina. Lei gli disse qualcosa e Hanamichi avvampò, colorandosi come i suoi capelli.
 
Ora basta, pensò Kaede alzandosi e raggiungendoli.
 
“Balli come uno scimmione senza ritmo, stupido” gli gridò sopra la musica. I ragazzi della squadra che lo sentirono si guardarono sorpresi, perché per tutti era ovvio che Sakuragi fosse il migliore tra di loro in pista e anche le ragazze gli si stavano avvicinando.
“Silenzio, volpe! Sei solo geloso perché non sai muoverti come questo genio!” gli urlò senza reale impeto, perché l’euforia e la danza stavano rilassando e rasserenando la sua serata. La ragazza, un po’ confusa, guardò Kaede; con uno sguardo di apprezzamento, aprì la bocca per presentarsi, ma la chiuse non appena notò gli occhi duri e freddi come il ghiaccio del giovane.
 
Uh, se gli sguardi potessero uccidere..., pensò prima di allontanarsi.
 
“Andiamo, ho sete” ordinò Kaede senza aspettare l’ovvia risposta – una supplica o una lamentela, dirigendosi subito all’open bar. Non avrebbe naturalmente bevuto alcool, ma un succo o una bibita, o in realtà qualunque cosa, solo per allontanare Sakuragi dal mare di donne imbizzarrite. Arrivato al bancone, imprecò per la presenza di tanti idioti; era davvero affollato.
 
“Non capisco perché devo venire con te, cretino, se vuoi annoiarti, fallo da solo” piagnucolò Hanamichi guardando con desiderio i ragazzi della squadra che stavano ancora ballando.
 
“Voglio un succo” disse Kaede richiamando la sua attenzione. Si fissarono per qualche secondo.
 
“Cosa mi guardi, scemo, non sono il tuo servo!”
 
“Sei più alto”

“Io...ahahahah! Giusto! Questo genio è più alto di te, volpe nana. Hahahaha per questo mi notavano prima...ok, va bene...ma solo per questa volta! Tsk, guarda come si approfitta delle doti del genio...” brontolò, andando verso il cameriere che prendeva gli ordini.
 
Kaede, soddisfatto, si appoggiò di schiena al bancone, guardando la sala svogliatamente e con indifferenza. La maggior parte dei rimanenti erano atleti che ballavano o ridevano ai tavoli, ma anche qualche appassionato più anziano che cercava di adattarsi alla musica moderna. Kaede sbadigliò e guardò l’orologio. Era già tardi.
 
Posso chiamare la mamma e dire all’idiota che è arrivata senza avvertire, pianificò con entusiasmo, ma cercando nelle tasche, notò con rabbia che aveva dimenticato il cellulare.
E ora come diavolo chiamo? Dovrò aspettarlo...
 
E così fu per quindici minuti.
 
Dov’è quel cretino? È andato a preparare il succo?, si chiese guardando le persone presso l’isola che componeva la zona bar. Non ci mise molto per individuare la sfavillante chioma rossa, ma il ragazzo non era da solo.
 
Ancora? Dannato abito da sera, imprecò Kaede, chiudendo i pugni prima di partire in marcia.
 
“Sei così alto! Sembro un elfo vicino a te” un’altra ragazza stava flirtando spudoratamente mentre toccava per nulla discretamente il braccio di Sakuragi. Questi, un po’ arrossato e nervoso per l’insistenza della ragazza, fece un cenno col capo. Hanamichi guardò altrove cercando una via di fuga, ma non vide nulla; in realtà la tipa non gli piaceva affatto. Gli si era incollata quando era andato a chiedere il succo per la volpe e aveva iniziato a parlare, parlare e parlare.
 
“È il mio succo, scimmia?”, Hanamichi si voltò subito sentendo la voce di Kaede; era davvero felice che forse apparso e non si accorse dell’aura oscura e minacciosa che lo circondava né di come lo aveva chiamato.
 
“Sì, c’era solo al lampone” rispose porgendogli il bicchiere. Kaede lo afferrò e si avvicinò abbastanza da attaccarsi al fianco di Sakuragi.
 
“È tardi, dobbiamo andare a casa” disse dopo aver bevuto un sorso ed essersi leccato lentamente le labbra. Hanamichi, arrossendo senza sapere davvero perché, annuì in fretta, guardando ora i suoi occhi blu, ora le sue umide e rosse labbra.
 
“Ehm...” la ragazza si schiarì la voce, “ciao...non ci siamo presentati, io sono Claire”
 
“Rukawa” rispose lui fissandola. La ragazza arrossì subito per l’intensità dello sguardo.
 
“Uhm...come vi conoscete?” chiese per fare conversazione. Era un po’ a disagio per l’atteggiamento dei due ragazzi, soprattutto di fronte all’espressione di fuoco che inviava il ragazzo dai capelli neri a quello più alto, e quest’ultimo che rimaneva con lo sguardo incollato all’altro.
 
“Stiamo insieme*” rispose Kaede prima che Hanamichi potesse pensarci. I suoi occhi blu balenarono quando vide il dubbio sul viso della ragazza.
 
“Insieme?”, Kaede annuì con calma, come se non capisse a cosa si stesse referendo. “Insomma...insieme, insieme?” richiese per confermare e assicurare che non si stesse sbagliando, soprattutto in una sala piena di atleti che giocavano in squadra.
 
“Sì, vero, mia piccola scimmia?”
 
Se Hanamichi avesse avuto qualcosa da bere, sicuramente avrebbe sputato tutto il contenuto; invece si soffocò con la sua stessa saliva. Kaede gli accarezzò la schiena dolcemente.
 
“Oh...io...mi dispiace, non lo sapevo...scusatemi” disse la giovane prima di andarsene arrossendo, sentendosi iper imbarazzata e umiliata. Kaede sorrise trionfante.
 
“C-come...come mi hai chiamato?!”
 
^ ^ ^ ^
 
La serata, proprio come Kaede aveva predetto da quando aveva visto lo scemo scendere le scale, era stata un disastro. L’unica cosa riscattabile e memorabile era stato il momento in cui Hanamichi aveva quasi avuto un attacco, rischiando di soffocare da solo.
Dopo aver sentito quella frase scappare da Rukawa, era rimasto così impressionato da non poter fare altro che tossire e quasi sputare fuori i polmoni.
 
Una volta placato il cuore e le vie respiratorie, Hanamichi riuscì a raddrizzarsi fissando con assoluto orrore il ragazzo che lo fissava senza battere ciglio. Kaede alzò le spalle.
 
“La ragazza ti stava dando fastidio” disse dopo qualche secondo di battaglia visiva. La scusa gli uscì come se fosse la cosa più normale del mondo, come se volesse chiarire un punto oscuro; come se ‘mia piccola scimmia’ fosse un termine radicato nel suo vocabolario.
Hanamichi, credendo alla spiegazione, annuì un paio di volte e si trascinò all’uscita, dove la volpe provvide a chiamare sua madre dal cellulare di Dan.
Il silenzio li invase da quando uscirono all’arrivo a casa. Hanamichi non disse una parola. Mamma Rukawa naturalmente chiese com’era andata. Kaede, visto che l’idiota era ancora troppo turbato per parlare, si rassegnò a rispondere a tutte le domande – parecchie.
 
Non appena misero piede in casa, i tre si separarono. Hanamichi si chiuse a chiave in camera sua, si spogliò e si gettò sul letto per dormire e non pensare a niente.
Mamma Rukawa andò a dormire insieme al marito già profondamente nel mondo dei sogni.
Kaede lentamente andò in bagno dove si lavò i denti e il viso. Andò in camera dove si tolse svogliatamente i vestiti e li gettò a terra. In mutande, si sdraiò sulla schiena sulle fresche coperte.
 
In realtà non capiva perché l’idiota facesse tanto dramma per quella stupida espressione; era ovvio, dalla sua faccia, che fosse a disagio con quella ragazza. Più che guardarlo in orridito, l’idiota avrebbe dovuto mettersi in ginocchio e ringraziarlo.
 
In ginocchio...
 
Con quel vestito...quei pantaloni intorno alle gambe...quella camicia aperta sul suo collo e le clavicole...e i suoi pettorali...e i suoi muscoli...quegli occhi castani...su di me...
 
I suoi pensieri proiettarono subito l’immagine del ragazzo, in soggiorno, appena sceso dalle scale.
Vestito impeccabilmente. Così virile. Così...così...perfetto. chiuse gli occhi ricordando il modo in cui ballava sulla pista. I suoi fianchi che si muovevano a ritmo di musica. Le sue spalle e le sue braccia che colpivano l’aria, in sincronia con il resto del corpo. Ma era un ballo lento, con lo scuotimento dei fianchi...di quel sedere...l’esposizione del collo...
 
“Mmh...” emisero le sue labbra quando avvertì quello strattone e il calore familiare dentro i boxer. Senza vergogna né altri dubbi, abbassò la mano per stringere bene l’area sopra il tessuto, poi strofinò con forza contro il palmo. Piacevoli scariche attraversarono il suo corpo, sollecitandolo ad abbassare le mutande e a toccarsi direttamente.
 
Non è sufficiente...
 
Con quei vestiti, Sakuragi avrebbe dovuto indossare un cappotto, una sciarpa e un cappello da eschimese. Ogni fessura della sua pelle avrebbe dovuto essere coperta.
Ma la realtà era diversa. La realtà mostrava uno spettacolare ragazzo dai capelli rossi.
 
Divino, pensò, stringendo forte il suo membro e iniziando a masturbarsi a velocità considerevole. Strinse la punta e scese, applicando meno pressione. Voleva allungare il piacere. Voleva che quel momento fosse eterno. Che il fuoco che si diffondeva e ribolliva nel suo stomaco e nel bacino mettesse le radici nella sua pelle. Ma non voleva le proprie mani. Ne voleva altre. Abbronzate, grandi, dure per via dei calli e delle ferite dovute alle risse e al basket. Come quando un paio di giorni prima ne aveva avuta una a tappargl le labbra e aveva avuto il piacere di morderla.
 
L’altra mano si abbassò ad accarezzare i testicoli. Inizialmente fu un po’ strano, era la prima volta che lo faceva così, ma nulla era sufficiente. Aveva bisogno di qualcosa di più. Gemette raucamente quando entrambe le mani si mossero più bruscamente. Era quello che voleva in quel momento. Qualcosa di duro. Di violento. Di caldo. Di umido.
 
...Voleva quello stupido.
 
“S-Sakuragi...” sussurrò prima di venire intensamente sul palmo della mano, girandosi bruscamente sulle coperte.
 
Il silenzio riempì la stanza per alcuni istanti, a parte il suo respiro pesante.
 
L’aria calda che entrava dalla finestra socchiusa cercò di rimuovere l’aroma che invadeva l’ambiente, ma l’unico occupante era paralizzato sulle lenzuola disordinate, cercando di controllare il battito violento del suo cuore e il respiro impetuoso.
 
C-cosa...?
 
Nessun suono turbò il suo stupore.
Dopo qualche minuto, però, si bloccò gradualmente. Si tirò un po’ su i boxer e si sporse verso il comodino per prendere dei fazzoletti. Si pulì con cura e attenzione, si cambiò e indossò un pigiama leggero.
 
Disteso sulla schiena, portò un avambraccio sulla fronte sudata e appiccicosa, mentre l’altro era disteso.
 
Sakuragi?
 
Ho detto...Sakuragi?
 
Lui...Kaede Rukawa, il famoso re del ghiaccio, la super matricola, il rivale numero uno dell’idiota numero uno...si era eccitato...con la scimmia rossa? Si era toccato...pensando al suo corpo? Si era masturbato ed era venuto pensando a lui? Immaginandolo? Vedendolo lì, accovacciato, in ginocchio, e pronto a-
 
Basta!
 
Merda, merda, merda...
 
...però...questo spiegherebbe alcune cose, si disse subito cercando di consolarsi, sentendosi stordito; come per esempio che ultimamente era più eccitato del normale. Come, allenandosi da solo nel campetto pubblico, non gli pareva più interessante se non c’era la scimmia; come cercasse sempre di provocarlo o di litigare con lui; il fatto che giocare alla Play o a qualsiasi scemenza rappresentassero i momenti più rilassati e divertenti della giornata; il desiderare sempre la sua attenzione; il fastidio che provava se una ragazza lo guardava anche solo con amicizia; come...
 
Sì, sì, ho capito...
 
Il suo corpo, teso e paralizzato, si raddrizzò sulle coperte. Fissò quasi con violenza il muro azzurro che aveva davanti.
 
A me...
 
A me piace...
 
...mi piace quel dannato stupido...
 
Merda...merda..., si ripeté gettandosi sul materasso con noncuranza, serrando le palpebre.
 
Sono fottuto.
 
 
 
*in italiano non rende molto, ma in inglese Kaede avrebbe risposto ‘we are partners’, che dà più spazio a un’eventuale ambiguità. L’ho ritenuta una scelta migliore rispetto a un ‘siamo compagni’, che in italiano non si usa molto tra coppie...

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Capitolo 6
*** 6. Donne, uomini e scimmie rosse ***


La scodella di cereali tra le sue mani pallide era, per il momento, la cosa più interessante che avesse osservato in quel tranquillo giovedì mattina. Il suo unico pensiero, ora, era che doveva finire la colazione in fretta per andare a lezione.
 
...e poi all’allenamento..., dove si sarebbe concentrato e fissato solo sulla palla e sui compagni.
 
Niente di più. Nessun altro. Nessuna occhiata verso idioti dai capelli rossi con risate stupidamente rumorose e sgradevoli. Nessuno sguardo teso a cercare il suo.
 
Non mi serve l’approvazione di nessuno, si disse con fermezza bevendo velocemente il latte rimasto. Salutò sua madre prima di dirigersi all’ingresso e prendere il borsone. Per fortuna la scimmia imbecille era uscita, come ogni mattina, per correre, perché altrimenti...
 
Altrimenti cosa, Kaede?, si chiese, mettendosi sulla sella della bicicletta e partendo verso il campus.
 
Basket...basket...essere il migliore...superarmi...vincere...palla e canestro..., si ripeteva pedalando in fretta, sentendo la brezza tiepida che gli colpiva la pelle, muovendo i vestiti e arruffandogli i capelli.
La sera prima, quando era giunto alla conclusione più traumatica e orribile della sua vita, si era rifiutato di tormentarsi a riguardo. Al contrario, si era buttato sul materasso e coperto in attesa di dormire – cosa che era accaduta dopo un po’. Non aveva voluto pensarci. Non voleva ragionarci. Non voleva analizzare. Lo ignorò. Finse di dimenticare, di metterlo da parte, di piazzarlo in un seminterrato o in soffitta e dimenticare finché non fosse divenuto polvere. Perché non poteva essere...
 
Dannazione!, non poteva essere vero.
 
La mattina dopo quella fastidiosa nottata, si era premurato di non incontrarlo in corridoio, in bagno o in cucina. Era entrato sotto la doccia pensando a cose insulse e poco attraenti per evitare spiacevoli reazioni.
 
Devo trovare il tempo per studiare...presto avrò gli esami. Andrò in biblioteca...Dan ha detto che verrà domani dopo la partita...domani, dopo aver di nuovo vinto...
 
Tornò al presente, scese dalla bici con grazia e finse tranquillità, parcheggiò e incatenò il suo mezzo con attenzione. Si sistemò la borsa sulla schiena e si diresse in aula. Salendo le scale, una minuta ragazza bionda gli passò accanto, non senza prima lanciargli una sfacciata sbirciatina e un sorriso civettuolo.
 
Perché non lei...?, si chiese distrattamente, voltandosi per guardarla brevemente scendere. Perché non chiunque altro?, continuò guardando discretamente altre giovani donne di passaggio o ferme.
Quando arrivò alla sua aula, si sedette negli ultimi posti in attesa di dormire, ma non riuscì a chiudere occhio, sentendo un accumulo di sensazioni e pensieri che agitavano e distruggevano tutto sul loro cammino. Sembrava che un’infinità di idee si impilassero, volendo essere sfogate dal suo cervello e dalla sua pelle, ma Kaede si rifiutava di ragionarci o analizzarne qualcuna.
 
Irrequieto, si mosse, decidendo di prestare attenzione alla lezione noiosa che stava ignorando. C’erano solo poche righe sul suo quaderno quando, di nuovo, la bolla di ansia e disperazione si annidò nel suo petto. Grugnendo tra sé, guardò distrattamente la vasta aula. Vide delle ragazze, alcune di loro chiaramente belle e attraenti.
Kaede si accigliò notando una ragazza con i capelli rossi.
 
E se...?
 
Il suo folle pensiero, il suo disperato tentativo non arrivò nemmeno ad acquistare coerenza mentre guardava le ragazze presenti il più sottilmente possibile, non volendo essere scambiato per un pervertito. Senza capire molto bene perché lo stava facendo, si dedicò a osservare le ragazze in aula. Sentendosi improvvisamente stupido, si toccò e si pettinò i capelli dalla fronte.
 
Ma non si fermò.
 
Scosse il capo e continuò a guardare i bianchi o bruni colli di alcune ragazze. Kaede non poté fare a meno di pensare che alla vista fossero molto più sottili e lisci di quelli di un uomo. Osservò le strette e curvate spalle. Un po’ imbarazzato, ma non meno determinato, abbassò gli occhi sui pendii dei seni e sulle gambe.
 
Ma...
 
Per quanto guardasse, il suo corpo non provava...niente. Niente di niente.
 
Non c’era calore né formicolio nelle sue aree sensibili. Non c’era la voglia di avvicinarsi o vedere meglio. Non sentiva il bisogno di attirare l’attenzione di nessuna di loro.
Kaede abbassò gli occhi sul suo quaderno praticamente vuoto e strinse i pugni, con rabbia e frustrazione.
 
Perché?
 
Forse...perché non le conosco?
 
Forse...era troppo educato per eccitarsi con delle sconosciute.
 
Saku- quello stupido è nella mia vita da tipo tre anni, si disse; forse per quello i suoi ormoni, con la familiarità, la vicinanza e (gli costava ammetterlo), l’amicizia, aveva sviluppato uno speciale...attaccamento al ragazzo.
Volgendo lo sguardo verso una finestra, fissò il cielo celeste e senza nuvole di quella giornata.
 
Allora..., si disse con cautela, deve essere una persona che...conosco?, era l’unico modo di provare qualcosa?
 
Ma quale ragazza conosco?, si chiede arricciando le labbra. Sospirò e alzò gli occhi verso la lavagna piena di varie formule e concetti, non prestando attenzione e rovistando tra ricordi e fascicoli classificati nella sua mente...
 
Ayako! Sì!
 
Come dimenticare l’ex manager della squadra? Quella ragazza allegra, dal carattere forte e che non aveva mai smesso di supportarli in ogni partita e incontro al liceo, continuando a farlo anche dopo il diploma. Con quella ragazza aveva raggiunto la cosa più vicina che potesse essere classificata come amicizia.
 
Ok, pensa ad Ayako-senpai.
 
Qualcuno avrebbe potuto affermare, a ragione, che quello che stava facendo non era la cosa più adeguata durante una lezione. Ma in realtà era disperato. No, di più: era agitato, turbato e alterato. Non poteva accettare che lui, Kaede Rukawa, provasse eccitazione e strane sensazioni per l’essere più idiota che conoscesse.
 
Dev’essere un errore, si era ripetuto da quando si era svegliato. Quello scemo è una scimmia senza buone maniere, stupido, non sa quando chiudere la bocca...ma è incredibilmente bell-...Ayako!
 
Pensa ai suoi capelli...
 
Il suo corpo non si accese affatto; i suoi nervi non riconobbero alcun movimento.
 
Pensa al suo...viso. Niente, niente, sempre niente.
 
Pensa al suo...petto...alle te-te...a quelle cose che ha lì...
 
Ma l’unica cosa che lo invase fu un orribile senso di colpa e di vergogna per immaginare in quel modo la sua compagna. Cos’avrebbero detto i ragazzi dello Shohoku se lo avessero saputo? Molto probabilmente Miyagi e Sakuragi lo avrebbero picchiato a morte con dei bastoni. Il primo perché, ovviamente, era perdutamente innamorato della ragazza e avrebbe ucciso chiunque avesse osato mancarle di rispetto in quel modo: e il secondo, beh, perché Miyagi era suo amico, e avrebbe approfittato di qualunque scusa per colpirlo.
 
Senza ulteriori risorse, Kaede scosse il capo, afferrò con forza una matita, alzò il viso e decise di prestare attenzione alla dimenticata lezione, non lontana dalla fine. Era abbastanza in ritardo e sconnesso per perdere tempo in sciocchezze del genere. Sentì però l’insegnante fornire le informazioni sulla materia che sarebbe stata oggetto di esame la settimana seguente.
Kaede aprì gli occhi un po’ più del normale.
 
L’esame è la settimana prossima? Merda..., il suo quaderno sembrava nuovo di zecca per quanto poco l’aveva usato durante il semestre.
 
Ora sì che sono fottuto.
 
^ ^ ^ ^
 
Subito dopo essere entrato in palestra, per prima cosa Kaede si appartò in un angolo per scaldarsi e fare pratica da solo – si era assicurato di arrivare un po’ dopo per non imbattersi in persone indesiderate.
Fortunatamente la scimmia era troppo impegnata a urlare e mostrare le sue abilità agli altri ragazzi per prestare attenzione al muto ragazzo.
Quando apparvero l’allenatore e gli assistenti poco dopo, il cambio di atmosfera fu spontaneo e chiaro, tutti i giovani si radunarono intorno a loro in attesa delle istruzioni, mentre lo scemo dai capelli rossi scomparve e tornò, appartandosi sui gradini con quel dannato taccuino nero.
 
L’allenamento fu duro e faticoso – come tutti, in realtà – quindi Kaede alla fine camminò quasi trascinandosi verso la sua bici, dove un Sakuragi molto allegro stava aspettando, canticchiando una canzone sconosciuta. Kaede tolse la catena e montò in bici, non sorprendendosi quando sentì il peso del ragazzo sulla schiena.
 
Non andava bene.
 
Non andava per niente bene.
 
Non andava bene che ora – proprio ora – dovesse pensarci, sentendo l’ardore e il peso dell’altro su di sé. Se si concentrava, poteva sentire la contrazione dei muscoli di Hanamichi quando le ruote colpivano una buca; o la curvatura del suo bacino e il calore tra le sue gambe...
 
Basket...basket...basket...voglio essere il migliore...ho un esame...non ho studiato niente...non so nulla...basket...basket...
 
Come un mantra, la volpe si ripeteva le stesse parole, ignorando olimpicamente ogni commento che usciva dalle labbra rosee del bruto scimmione alle sue spalle.
 
E così fece durante la cena e il resto della serata; tuttavia ogni legge glaciale che si era autoimposto si ruppe violentemente quando Hanamichi arrivò nella sua stanza con un sorriso smagliante, chiedendo di tornare a giocare in coppia in Mario Kart.
 
Per disgrazia e irritazione dell’ex super matricola, giocarono fino alle tre del mattino...che differenza faceva, dato che il giorno dopo non aveva lezione ma SOLO un’importantissima partita.
 
Al mattino, mentre i ragazzi, dopo che Hanamichi rientrò dalla sua corsa e Kaede si svegliò, vegetavano nella stanza del secondo, Hanamichi ne approfittò per mandare delle email, e Kaede non poté evitare di spiare con un solo occhio aperto; tra le molte email che scrisse, vi fu anche quella che dedicava sempre ad Haruko Akagi. Lì si ricordò che, anche se con quella ragazza e manager non aveva mai raggiunto il rapporto che aveva con Ayako, di sicuro aveva condiviso con lei più che con le altre.
 
Era la manager dello Shohoku...
 
E...come Ayako-senpai...anche lei ci sosteneva...
 
Allora...forse la conosco...
 
Pertanto, l’ala piccola dei Tar Heels deglutì e si sistemò sul materasso, distogliendo lo sguardo dal ragazzo che con entusiasmo leggeva a voce alta tutte le email che aveva ricevuto, e ora stava rispondendo.
Kaede, sentendosi stranamente a disagio e irritato, iniziò con lo stesso rituale svolto in aula. Cominciò, prevedibilmente e attentamente, a pensare ai capelli della giovane: castani e corti, se ricordava bene. Pensò anche ai suoi occhi grandi – non mentì, non ricordava il colore. Proiettò il suo corpicino esile: era bassa e proporzionata. Ricordò anche la sua voce: calma, dolce e paziente. Ricordò il modo in cui li incoraggiava sempre a dare il massimo. Ricordò infine l’espressione strana e il rossore che gli rivolgeva sempre quando erano molto vicini.
 
...Ma niente. Nel suo corpo non successe assolutamente niente, né nel cuore, nella pelle o nel cervello. Il suo cuore era stabile e forte. I suoi nervi e muscoli rilassati e pronti per un delizioso pisolino. E la parte inferiore non poteva essere più immotivata.
Con un po’ di frustrazione, Kaede si mosse piazzandosi di fronte a uno dei suoi poster. Il giocatore dei Chicago Bulls aveva entrambe le braccia tese, con la palla in una delle sue potenti mani.
Fissando intensamente le varie figure e i corpi dei giocatori sui vari poster, Kaede raggiunse una nuova conclusione.
 
Sbatté le palpebre diverse volte prima di ordinare i suoi pensieri confusi e le conclusioni che sembravano piovere torrenzialmente nella sua testa. Con il corpo rigido e le braccia statiche lungo i fianchi, guardò il soffitto bianco quasi terrorizzato.
 
Forse...non era il suo corpo ad essere educato.
Forse il problema non era che avesse bisogno (scioccamente) di conoscere ad un certo livello le ragazze, ma il fatto che fossero proprio quello...
 
Donne...
 
Mmh...
 
Per quanto bizzarro e stupido potesse sembrare, non aveva mai considerato che la sua mancanza di interesse per le ragazze del suo fan club o, onestamente, per qualsiasi tipo di ragazza alle medie, al liceo o all’università fosse perché non era interessato alle...beh...ragazze.
 
Ma allora cosa gli interessava?
 
I ragazzi?
 
Kaede, guardando velocemente Hanamichi, si assicurò che fosse totalmente immerso nelle sue cose prima di tornare sul poster.
 
Si concentrò, sentendosi un po’ idiota, sulle braccia perfettamente toniche, muscolose e scure del giocatore dell’NBA, come si estendevano marcando ogni linea nervosa.
Si soffermò sulla pelle lucida, sul sudore che l’avrebbe inzuppato dopo una stancante partita; su come i muscoli si sarebbero mossi e contratti. Si morse inconsciamente il labbro, studiando le clavicole marcate e i potenti muscoli della schiena che si distinguevano. E quelle mani grandi. Così forti. Così affidabili e calde. Di sicuro avrebbero potuto afferrare con potenza qualsiasi cosa. Immaginò il torso solido e piatto, gli addominali e pettorali perfettamente marcati, attraverso la maglietta.
 
Immaginò di premersi e spingersi contro di lui, la sua schiena, il suo petto duro...
 
Immaginò il suo calore, la sua forza, l’umidità e l’eccitazione...
 
Sì, sì, basta...
 
Era chiaro.
 
Mi piacciono...
 
...i ragazzi...
 
Si disse lentamente. Se lo ripeté ancora e ancora, più volte, fissando il soffitto bianco con gli occhi larghi. Sorprendentemente, non lo infastidiva (non molto), né lo irritava, frustrava o rattristava in maniera eccessiva.
 
Lo stupiva, ovviamente, notandolo così...così...all’improvviso...lo metteva a disagio e lo turbava, in un certo modo, non era qualcosa che veniva visto molto bene nel mondo in cui voleva avanzare. Lo sport, per quanto velocemente il mondo si stesse evolvendo e cambiando, sembrava un pianeta a parte e in ritardo, ed era difficile sradicare lo sguardo sessista e prevenuto.
 
Kaede respirò diverse volte. Sbatté le palpebre ancora di più. Si sistemò sul letto e chiuse gli occhi.
Qualcosa, però, continuava a disturbarlo e irritarlo a livelli stratosferici ed era...beh...Kaede poteva accettare in parte di provare desiderio per i ragazzi. Poteva vivere sapendo che lo eccitava più un corpo maschile che uno femminile, ma...
 
Perché doveva essere proprio quell’idiota a farlo ritardare ogni dannata mattina?! Era perché era lì, in casa a ogni ora? Ma se era così, allora perché nessuno dei suoi compagni di squadra gli aveva mai causato le stesse reazioni, considerato che li vedeva nudi negli spogliatoi?
Perché doveva sempre guardare quello stupido...perché voleva sempre la sua attenzione. Più di quella di chiunque altro. In ogni minuto. Ad ogni ora. Perché l’aveva infastidito tanto l’attenzione che Sakuragi aveva ricevuto a quella festa? Perché si era sentito così sopraffatto, accecato, furioso quando Sakuragi aveva guardato le ragazze con quella faccia stupida che rivolgeva sempre alla seconda manager dello Shohoku?
 
Kaede non capiva. Non capiva il perché. Non capiva cosa diamine fosse tutto ciò. Cosa fossero quei maledetti brividi che avvertiva nello stomaco quando era vicino a lui. Non capiva il formicolio nel suo corpo quando erano quasi attaccati o i battiti impazziti del suo cuore durante le lunghe serate trascorse a giocare.
 
Non capisco...
 
Non capisco...
 
O meglio...non voleva capire.
 
“Ehi, volpe! Dannazione! Non ignorare il genio, idiota?” urlò Sakuragi di colpo, svegliando finalmente il re dei ghiacci distratto.
 
“Cosa c’è?” grugnì senza guardarlo, un po’ turbato da tutte le conclusioni a cui era giunto in così poco tempo.
 
“Non dovremmo andare?” chiese indicando uno degli orologi presenti. Con riluttanza, Kaede si voltò e appurò che l’inutile scimmia aveva ragione. Con calma si alzò e afferrò le sue cose già preparate in precedenza per la partita. Mamma Rukawa al piano di sotto consegnò loro dei bento da mangiare prima – questa volta i Tar Heels fortunatamente giocavano in casa – avvertendoli che alla partita avrebbero assistito sia lei che papà Rukawa e di non andare quindi in bici. Kaede, che apprezzava sempre la presenza dei suoi genitori alle partite, ora maledisse la sua sfortuna, perché avrebbe dovuto camminare per diversi minuti con l’idiota.
 
Pochi minuti dopo, infatti, i giovani atleti erano fuori di casa, immersi in un silenzio teso. Kaede non voleva continuare a pensare, non voleva più arrivare a nessuna conclusione. Non voleva torturarsi ancora in quel modo.
 
Devo concentrarmi!, si disse con fermezza, afferrando con più forza una cinghia della borsa che era appoggiata e rimbalzava piano sulla sua schiena.
 
Hanamichi, che inizialmente aveva cercato di avviare una superficiale conversazione, decise poi di tacere quando non ricevette nulla dall’altro, nemmeno i tipici insulti, soprannomi o contrattacchi. Si accigliò davanti alla maschera immutabile e fredda di Rukawa, ma poi sbuffò con fastidio e rassegnazione. Quella gelida volpe si comportava sempre allo stesso modo.
Inoltre, pensò Hanamichi, era molto probabile che fosse troppo concentrato sulla partita imminente. Infatti lo aveva visto più impegnato nei faticosi allenamenti ultimamente. Strinse le labbra irritato, doveva ammettere che Rukawa stava facendo un ottimo lavoro. La sua crescita e l’evoluzione rispetto al liceo erano ovvie e nemmeno lui poteva negarlo con scuse stupide.
 
Hanamichi, scuotendo distrattamente la testa, vide il ragazzo chiudere le palpebre e le mani, che sembravano tese e pronte a scoppiare. Incapace di spiegarselo o di capirsi da solo, lo colpì piano sulla spalla e parlò lentamente, senza deviare lo sguardo dalla strada.
 
“Il vecchio Roy dovrebbe metterti come titolare, volpe”
 
Kaede, che già si stava allontanando dopo aver sentito quel tocco, rallentò e aprì bocca e occhi più del normale di fronte a quell’affermazione proveniente dalla peggiore boccaccia del mondo. Erano a pochi isolati di distanza quando l’idiota lo sorprese, con quel tono così serio e lo sguardo fisso sul tragitto.
 
“Non perché te lo meriti, dannato! Ma...i tuoi genitori sono molto contenti quando giochi...” chiarì immediatamente senza osare guardarlo, ma aumentando notevolmente il volume della voce.
 
Kaede, che avrebbe potuto rimanere offeso dal primo commento, al contrario avvertì un calore nel petto e un formicolio sulla pelle. Tutta la sgradevole tensione, i pesi e i pensieri che sembravano volergli mangiare la testa e rubare la sua forza, sparirono insieme alla brezza che colpì le loro schiene. Kaede si voltò discretamente, osservando un esiguo ma evidente rossore sul viso dell’altro. Kaede ebbe improvvisamente lo stupido desiderio di avvicinarsi e toccargli teneramente la spalla, o peggio, di sorridergli.
 
Ah...maledetto idiota, pensò e disse rudemente, ottenendo un urlo e un insulto in cambio.
 
“Come osi, volpe puzzolente?! Ritiro quello che ho detto! Spero che marcirai in panchina, perdente!” disse, per poi passare il resto del tragitto a brontolare ‘che pessimo giocatore è quello scemo’ e che un genio come lui non avrebbe dovuto sprecare le sue energie per uno così mediocre. Ma dentro di sé Hanamichi sospirò di sollievo, apparentemente Rukawa si era risvegliato da qualsiasi brutto sogno sembrasse molestarlo.
 
Kaede scosse il capo e lo ignorò, sentendo ancora il cuore martellargli velocemente nel torace.
Arrivati al campus, andarono in palestra, ritrovando gran parte della squadra, compreso l’allenatore e alcuni assistenti. Williams guardò irritato l’orologio, decidendo di non aspettare chi mancava e riunire i presenti. Parlò subito dell’imminente partita, di quanto fosse importante vincere e dimostrare quanto erano cresciuti, quanto si erano allenati e migliorati rispetto alla stagione precedente. Dopo un discorso energico, passò da ciascun ragazzo chiedendo se volessero vincere. Alla fine urlarono un forte ‘Sì’, e l’allenatore li motivò a dare il massimo e a mostrare chi erano i migliori.
 
Diede loro un’ora prima di incontrarsi nello spogliatoio per le ultime disposizioni.
A breve avrebbero aperto la palestra per far entrare il pubblico.
I due giapponesi, insieme agli altri, andarono a mangiare e a rilassarsi prima della partita. Kaede per una volta nella vita ringraziò la presenza di altra gente, potendo così ignorare e non parlare direttamente con Hanamichi.
 
“Vuoi fare una scommessa, rosso?” chiese Riccio quando Hanamichi lo sfidò a segnare più di trenta punti. I ragazzi osservavano divertiti e attenti, non volendo essere coinvolti nelle loro sciocchezze.
“Aahahahah, voglio proprio vedere, Riccio. Nessuno batte i pronostici del genio! Ma sì, principiante, scommettiamo” con un sorriso sornione Hanamichi allungò la mano, aspettando che il ragazzo gliel’afferrasse.
 
“E cosa scommettete?” chiese incuriosito Tom, bevendo del succo.
 
“Oh io so esattamente cosa voglio” disse Riccio con un sorriso malizioso. Hanamichi non si lasciò intimidire. “Se perdi, dovrai andare in mezzo al cortile principale in perizoma, urlando che sei il più grande perdente del mondo”
 
Tutti, incluso Kaede, si guardarono stupiti prima di rivolgersi a una scimmia molto rossa in volto.
 
“Cosa?! Come ti viene in mente una cosa del genere! Non solo mentirei, ma...ah! idiota! Come posso uscire in mutande, pervertito!”
 
“Cosa c’è? Ti vergogni? Pensavo non avessi paura di niente, rosso” lo provocò l’americano, guardandosi le unghie con indifferenza. Hanamichi, che era molto facile da manipolare, urlò subito che accettava.
 
“E tu, Riccio, tu...!” fece, pensando a qualcosa di imbarazzante da dargli fare. Si guardò disperatamente in giro alla ricerca di ispirazione; dal nulla, vide il volto impassibile della volpe che continuava a mangiare. E lì, qualcosa gli balzò in mente. “Ah! Ci sono. Il genio ti sfida a baciare Viso pallido”
 
Entrambi gli interpellati gridarono orripilati.
 
“Come ti viene in mente, deficiente!” fece l’interessato con la faccia stravolta.
 
“Cosa c’è, sei tu che hai paura adesso? Ahahaha, sei un codardo” usando la stessa tecnica, Hanamichi portò le mani dietro la schiena e si godette lo spettacolo.
 
“Non è paura, stupido, ma se non te ne sei reso conto, Chris è un uomo” con le labbra contratte, l’americano lo guardò.
 
“E allora?”, tutti si bloccarono quando Kaede intervenne con tono freddo e deciso, compreso Hanamichi.
 
“Non...non lo dico perché sono omofobo o altro...solo che...” cercò di spiegarsi, voltandosi verso Viso pallido, che lo guardò interrogativamente e teso. “Beh, a te non dispiace?” gli chiese e l’altro, con la faccia più bianca e sudata del normale, guardò i ragazzi e scosse il capo prima di dare un morso al suo panino.
 
“È deciso, Riccio. Faresti meglio a segnare più di trenta punti o sarà il caso che ti porti il rossetto, ahahahahah!”
 
L’atmosfera rimase tesa e silenziosa per qualche minuto, ma per fortuna si alleggerì con battute e conversazioni senza importanza. Finirono tutti di mangiare prima di tornare in palestra per cambiarsi.
Hanamichi, che aveva mangiato più velocemente degli altri, sul finale delle chiacchiere si era dedicato a osservare i giovani e si era imbattuto nel suo silenzioso ex compagno; questi, che a sua volta aveva smesso di mangiare, si limitava a guardare l’erba davanti alle sue gambe incrociate. Hanamichi si era stupito di non trovarlo addormentato o mezzo rannicchiato, ma così...così...
 
Non sapeva dirlo, ma la volpe sembrava diversa dal solito. E lo infastidiva, lo irritava e lo frustrava che in un momento così importante, si lasciasse distrarre da chissà quali scemenze.
Per questo, e perché qualcosa non abbandonava il suo stomaco e la sua gola, accompagnò i giocatori fino all’ingresso della palestra, dove afferrò senza troppa forza il braccio di Kaede.
 
“Ehi, volpe...”
 
Kaede si voltò verso di lui, impassibile e indifferente, ma dentro non riusciva a scrollarsi di dosso né a smettere di concentrarsi sul calore della mano del ragazzo sulla propria pelle attraverso i dannati vestiti.
Hanamichi si morse l’interno della guancia prima di farsi e coraggio e guardare con determinazione i suoi occhi blu. “...dai il massimo”
 
Kaede quasi lasciò cadere la borsa per lo stupore.
 
S-Sakuragi...
 
“Non puoi disonorare il nome del Giappone, idiota! Quindi...gioca bene, ecco...” grattandosi il collo, guardò a terra prima di uscire quasi correndo.
 
Sakuragi...
 
Sakuragi...
 
Sakuragi...
 
Il suo cuore pareva voler uscirgli dal petto per via dei bruschi battiti. Sembrò crescere in grandezza, al punto che Kaede temeva che il suo petto non sarebbe stato sufficiente a contenerlo e mantenerlo lì. Il suo corpo sembrava in fiamme e vibrava. Le ginocchia gli tremavano come gelatina. I palmi sudavano freddo.
 
Sakuragi...
 
Sakuragi...
 
Dannato...
 
Dannata...scimmia dai capelli rossi...
 
^ ^ ^ ^
 
La partita contro i Maryland Terrapins fu la vittoria più travolgente dei Tar Heels. Tutti gli spettatori rimasero colpiti e sconcertati dalle abilità del giapponese Kaede Rukawa e dello statunitense Kevin Sharp, meglio conosciuto come Riccio. Entrambi avevano spazzato via e umiliato – involontariamente – la squadra avversaria, facendo assist, rubando palloni e segnando come se la palla avesse un magnete nascosto che lo attirava al loro tabellone.
I Terrapins non ebbero mai una possibilità concreta. La determinazione e la grinta dei due giocatori furono notevoli fin dall’inizio. Kevin, per poter vincere la scommessa – sorprendentemente, la sua motivazione non era quella di non perdere – e Kaede, beh, perché aveva avuto il miglior discorso motivazionale che qualcuno avrebbe potuto ricevere da parte di una persona speciale.
 
Sì, si disse il ragazzo mentre si faceva la doccia e si cambiava nell’alone presente negli spogliatoi.
 
Al diavolo tutto...
 
Uscì dal campo verso il parcheggio dove la sua famiglia lo aspettava: sua madre, suo padre e l’idiota.
 
Mi piace quello stupido...
 
E ALLORA?
 
Il pensiero, ancora un po’ inquietante e pungente, fu interrotto dai suoi genitori che si avvicinarono, quasi trasudando orgoglio e felicità. Sua madre in particolare sembrava sul punto di esplodere di gioia. Se fossero stati soli, Kaede forse si sarebbe fatto abbracciare. I suoi genitori decisero di portare tutti a festeggiare in un ristorante elegante.
 
Hanamichi, tuttavia, era più silenzioso del normale, facendo solo qualche fiero e altezzoso commento coerente alla sua personalità. Ma Kaede lo guardava ansioso, in attesa. Sapeva che non ne aveva motivo, ma si aspettava una parola, anche solo un insulto o qualcosa di simile.
 
Non vedi, idiota, che l’ho fatto per te. Kaede capiva, da un lato, che lo scimmione accanto fosse geloso e infastidito. Ma d’altra parte, desiderava una risposta...una reazione.
 
Se sei così arrabbiato, scemo, allora accusami, insultami perché mi sono messo in mostra o una cretinata del genere...parlami, deficiente!
 
Hanamichi, invece, nel tragitto e al ristorante, era lontano dal percepire i pensieri disperati della volpe seduta rigidamente al suo fianco.
Era troppo confuso e perso. Era stupido, ma avrebbe voluto provare rabbia e invidia, ma molto poco di quelle sensazioni viaggiavano nelle sue vene. Stranamente, osservando la straordinaria partita di Rukawa, aveva sperimentato, oltre a una sempre presente gelosia, qualcosa di simile a...orgoglio? Ammirazione? Ogni canestro e assist dell’ex numero 11 aveva messo a dura prova il suo autocontrollo affinché non saltasse di gioia o gridasse in approvazione o alzasse il pugno in segno di trionfo.
 
Tsk, stupida volpe...
 
Dopo una serata tranquilla e una deliziosa cena, la famiglia Rukawa tornò a casa. I genitori salirono a riposare, mentre i ragazzi aspettarono il vecchio Dan.
 
“Quando riscuoterai la promessa di Kevin?” chiese Kaede senza reale curiosità, sperando solo che Hanamichi gli dicesse qualcosa sulla partita.
 
“Eh?” Hanamichi, che guardava distrattamente la televisione, si voltò. Ah, giusto, pensò ricordando i 28 punti del Riccio. “Aahahaha, vero! Quello stolto non avrebbe dovuto dubitare dei pronostici del genio, ahahaha! Glielo ricorderò appena lo vedrò!” continuò con un sorriso astuto.
 
“...non ho disonorato il Giappone” mormorò dopo qualche minuto di silenzio alleviato solo dai bisbigli del programma ridicolo in tv. Hanamichi lo guardò un po’ confuso, senza afferrare il riferimento, ma poco dopo gli sorrise.
 
“No, volpe...non l’hai fatto”
 
Forse ora mi sta venendo un infarto, pensò Kaede sentendo il fragoroso battito del suo cuore dalle orecchie. Non arrossire, non arrossire, non arrossire, ripeté senza guardare il ragazzo seduto troppo vicino a lui. “Ma non sei stato così bravo come questo genio! Ahahaha, le tue scarse capacità non si avvicinano affatto a quelle di questo talento!”
 
“Sogna, scemo” rispose più per abitudine che per altro.
 
“Che stai dicendo, volpe puzzolente?! Posso dimostrarti la mia ovvia superiorità in qualsiasi momento, imbecille. Vedrai! Domani andiamo al campetto e ti prendo a calci, dannazione!”
 
Kaede lo guardò e sorrise e Hanamichi ricambiò subito il gesto, ormai abituato a quell’espressione.
 
“Io prenderò a calci te, deficiente”

“Ah! Non ti illudere, perdente. Forse questo genio sarà un po’ indulgente con te domani, in segno di congratulazioni per la partita di oggi, ma nient’altro. Il genio ti batterà anche senza dare il 100%!”
 
Kaede, che aveva già accettato e ammesso a se stesso lo sconvolgente fatto che gli piacesse quello scemo – non senza fastidio e voglia di staccarsi un arto -, apprezzò e si godette tutte le emozioni e le sensazioni che provava quando era accanto a lui; sensazioni che, in realtà, per tutto il tempo aveva confinato nella sua mente e nel suo corpo, ma non aveva osato riconoscere.
 
Ma in realtà...
 
È ovvio...
 
Come aveva fatto a non notare prima che il mondo sembrava muoversi e avere un senso solo con lui? Come non aveva visto le ovvie reazioni che lui stesso aveva insieme a lui? Il modo in cui il suo corpo si inclinava sempre verso quello dell’altro, il voler essere sempre nel suo campo visivo, il voler essere al centro della sua attenzione, il voler essere notato.
 
Sono una patetica ragazzina..., pensò senza reale lamento, ridendo per l’idiota che aveva gettato la testa indietro e aveva urtato contro la lampada che non aveva calcolato.
Kaede, ovviamente, non si aspettava nulla da quel sentimento: lo stava giusto assimilando, quindi...non osò né chiedersi, immaginare o cercare di indovinare i sentimenti dell’altro nei suoi confronti.
 
Ora voleva solo godersi quelle sensazioni per la prima volta. Quel desiderio, quell’emozione quella sciocca e quasi infantile felicità. Era stupido, ma si sentiva più completo sapendo che c’era qualcun altro nella sua mente, a cui dirigere i suoi pensieri. Era piacevole sperimentare quei crampi, quel solletico, quell’ansia.
 
È...strano, ma...
 
È bello...
 
Dopo ore passate a guardare cose mediocri in tv, a parlare e a sfidarsi durante la pubblicità con risate e miti insulti, sentirono finalmente dei colpi alla porta. Kaede, che si stava lentamente addormentando con la nuca appoggiata allo schienale del divano, lasciò che Hanamichi andasse a occuparsi del manager molto in ritardo, che si scusò immediatamente e si sedette di fronte a loro.
 
“Congratulazioni, Kaede...la tua performance stasera ha riscosso successo su tutti i social network. Alcuni addirittura ti stanno nominando come possibile miglior giocatore per la prossima stagione...ne parleremo un altro giorno, dovremo programmare interviste, sessioni fotografiche e presenze a spettacoli...”
 
La volpe grugnì, chinando la testa di nuovo sullo schienale, anche se dentro non poteva fare a meno di sentirsi estremamente soddisfatto della ricompensa al suo grande lavoro e alla sua fatica.
 
“In realtà stasera volevo parlare con te, Sakuragi”
 
I ragazzi fissarono l’uomo con insistenza, e quello rise prima di continuare.
 
“Te l’ho detto l’altro giorno, ragazzo, e te lo ripeto...sei con i Tar Heels da due settimane ormai e te ne mancano solo altre due prima di tornare a casa, giusto?”


Hanamichi annuì.
 
“Beh, i Duke hanno l’ultima partita venerdì prossimo, mentre i Kentucky inizieranno la stagione tra altre due settimane. Potresti stare una settimana in ogni squadra prima di partire...dato che non avrai nessuno lì, ho ritagliato del tempo nella mia agenda per stare con te e presentarti agli allenatori e ai campus...ma devi partire entro e non oltre lunedì...ho parlato con Anzai e mi occuperò io del trasporto e delle spese sia per andare a Kentucky che dai Blue Devils, che non sono molto lontani; tu occupati solo di preparare i bagagli e di essere pronto quella mattina. Sicuramente ti chiamerò prima per confermare e...”
 
Il vecchio Dan continuò a parlare, ma entrambi i giovani erano altrove con i loro pensieri.
 
Certo...devo andarmene..., realizzò Hanamichi, annuendo di tanto in tanto. Hanamichi sapeva e capiva che quello che Dan diceva era del tutto vero; aveva già visto tutto ciò di cui aveva bisogno e ciò che il vecchietto gli aveva suggerito per quanto riguardava i Tar Heels, ma...nonostante ne fosse pienamente consapevole, non riusciva a scrollarsi di dosso il disagio e il fastidio al petto al solo pensiero di doversene andare.
 
In soli 14 giorni si era adattato così bene alla routine della famiglia Rukawa, che non sapeva come ne avrebbe creata una nuova.
 
Non voglio andarmene, pensò all’improvviso. Ma si censurò subito. Se l’era già detto una volta: era un bene che si fosse attaccato alla squadra, ma in gran parte era dovuto al fatto che non ne conoscesse altre.
Inconsciamente si girò verso l’altro ragazzo e sbatté le palpebre. Non ci sarebbero più state partite e allenamenti al mattino; niente pranzi da George, con quei malsani e unti hamburger. Non sarebbero potuti crescere insieme come giocatori, criticandosi e competendo; non avrebbe più potuto batterlo in Mario Kart. Non lo avrebbe più visto tutti i giorni...
 
Non lo vedrò più, punto. E quel pensiero lo faceva sentire peggio.
 
Avrebbe voluto alzarsi e andarsene. Desiderò, infantilmente, creare una barricata nella sua stanza e non uscire più. Alla fine sarebbe arrivato il volpino e avrebbero giocato insieme alla Play, mangiando pizza tutti i giorni. Sarebbero ingrassati come il vecchietto.
 
Ah...non essere stupido...
 
Idiota, si disse prima di concentrarsi di nuovo sul manager.
 
“È tutto pronto, vecchio?” lo interruppe.
 
“No. Non ancora. Volevo prima consultarmi con te. Stavo pensando che, per via della vicinanza, potremmo prima andare a Duke, che dista 20/25 minuti e stare in un hotel, poi in Kentucky...sei d’accordo? A partire lunedì?”
 
Hanamichi annuì con fermezza. Il manager sorrise prima di segnalare gli ultimi dettagli. Quando ebbe finito, si alzò e strinse la mano del ragazzo che lo guardava con determinazione. Quando l’uomo vide Kaede, quasi desiderò non essere entrato in quella casa; il giovane non lo stava uccidendo o torturando con lo sguardo, anzi, i suoi occhi blu erano fissi a terra, socchiusi e lucidi.
 
Mi dispiace, ragazzo, pensò Dan con un sorriso triste e colpevole, perché gli era impossibile non avvertire le onde di dolore che correvano nella stanza. E l’uomo dubitava che appartenessero solo a Kaede.
 
Sapevo che quei due stanno insieme..., pensò andandosene.
 
Se ne va...se ne va...se ne andrà questo lunedì...partirà tra tre giorni, pensò e si ripeté l’ala piccola dei Tar Heels, ignorando la conversazione avvenuta tra i due e l’uscita dell’uomo. Era stupido, ma in tutto quel tempo, in nessun momento aveva considerato e ricordato che, in effetti, Hanamichi non sarebbe rimasto per un ampio lasso di tempo. Il ragazzo era venuto solo a conoscere e vedere le squadre per poi decidere a quale unirsi.
 
Potrebbe anche scegliere il Kentucky..., pensò con gli occhi incollati a una macchia sul tappeto.
 
“Ehi, volpe! Giochiamo con la Xbox!” fu interrotto da molto vicino. Si voltò subito con cipiglio.
 
“Non devi urlare, deficiente” ripose alzandosi e dirigendosi in camera sua. La scimmia rossa lo seguì urlando imprecazioni e tipici insulti – svegliando di sicuro i poveri genitori di Kaede.
Poco dopo, erano sdraiati sul letto a gareggiare a un violento gioco di corse. Grazie all’abbondante cena precedente, nessuno dei due sentì il bisogno di scendere a cercare uno spuntino.
 
“Stai barando, bastardo!” si lamentò quando sentì il freddo braccio di Rukawa sulle costole, facendolo rabbrividire e di conseguenza trascurare la sua console, causando quindi la sua sconfitta.
“Colpa tua per esserti distratto, idiota” rispose Kaede senza guardarlo, troppo concentrato sul calore ardente che permeava il gomito e il resto del braccio. In un certo senso, gli piaceva il contrasto di temperatura dei loro corpi, ma faceva sì che qualsiasi tocco fosse ultra sensibile per entrambi.
 
La seconda gara partì subito: questa volta Sakuragi, che ancora protestava per l’inganno precedente, gettò sfacciatamente la gamba destra sopra quelle di Kaede; questi, perso nel peso e nel calore che si trasferiva direttamente dai vestiti, perse il controllo della console, perdendo in maniera imbarazzante.
 
“Ah! Te lo meriti, dannato! Ora sai chi è il maestro dei videogiochi, ahahah!”
 
Kaede, svegliandosi rapidamente dal suo sogno di pelli sudate e appiccicose, si voltò verso lo schermo vedendo che era arrivato 7° su 8 giocatori.
 
Ah no, questo no; un conto era che gli piacesse quello scemo, ma diverso era lasciarsi vincere così grossolanamente e con disonore.
 
Da lì iniziò una battaglia di corpi durante l’innocente gioco di corse; non perché stessero realizzando alcune basse e sconvenienti fantasie della volpe, ma perché il gioco divenne pieno di inganni e sporco – non in senso sessuale; ogni volta che potevano, Hanamichi e Kaede si colpivano a vicenda o lanciavano arti sull’altro, rendendo difficile la visione dello schermo, soprattutto quando uno di loro era vicino al traguardo.
 
Un colpo particolarmente duro avvenne quando Hanamichi allungò la mano sugli occhi dell’altro, pressando con forza il palmo, facendolo cadere dal letto sul sedere, mentre la scimmia lasciò la console sulle coperte e scoppiò subito a ridere. Kaede, accigliato e con le labbra serrate, fece la prima cosa che gli venne in mente: tirò le coperte con forza. Ovviamente la scimmia cadde a terra sulla schiena con un forte tonfo che rimbombò in camera – e probabilmente in tutta la casa.
 
“Ehi, che problemi hai! Come osi fare male a questo genio! Vedrai, volpe!” gridò Hanamichi prima di afferrare la palla da basket vicino al comò alle loro spalle. Mirando, e con poca forza, lanciò la palla in faccia al ragazzo ancora seduto sul pavimento della stanza, ora un campo di battaglia. Il re dei ghiacci riuscì a malapena a schivare la palla diretta verso il naso, e fu colpito in fronte.
 
“Mi hai fatto male, imbecille” esagerò strofinando il possibile bernoccolo che sarebbe uscito al mattino dopo, ma prima che il sorridente scimmione potesse reagire, Kaede afferrò due cuscini e colpì l’avversario in due punti strategici – faccia e interno coscia. Hanamichi sussultò e ululò vedendo la faccia soddisfatta dell’altro. Con un lieve calore che si diffondeva nel suo petto, prese anche lui un cuscino e si avvicinò pronto a contrattaccare, ma Kaede fu più veloce e rubò la palla dimenticata, lanciandogliela nello stomaco.
 
Uh, dimenticavo che questo scemo è fatto di acciaio, pensò vedendo Hanamichi non lamentarsi al forte impatto, al contrario rise e imitò l’attacco.
Corsero come due bambini stupidi attraverso la stanza per un tempo infinito. A volte Hanamichi finiva mezzo sconfitto e la volpe rideva a crepapelle, altre volte era Kaede a lamentarsi del bruto idiota, alzando lo sguardo mentre ascoltava la fragorosa risata della scimmia.
 
Alla fine, tutti ammaccati, si buttarono sul letto disfatto e chiusero gli occhi, addormentandosi all’istante.
 
Mamma Rukawa, che si era avvicinata alla stanza con rabbia insolita per quei due ragazzini chiassosi, era rimasta mezz’ora dietro la porta ad ascoltare le voci e le risate.
 
Risate...Kaede sta ridendo..., pensò con una mano sulle labbra. Quando si era avvicinata alla porta, pronta per entrare e farli tacere, si era bloccata ascoltando l’inconfondibile voce di suo figlio che scoppiava in una risata così fresca e spensierata che alleggerì il cuore della giovane madre. Hanamichi, che sembrava abituato a quel fatto sorprendente, grugnì e rispose qualcosa – simile a ‘dannata volpe’.
Fu allora che mamma Rukawa fu sicura della sua decisione.
 
Quando la donna si era accorta del modo anomalo in cui si comportava suo figlio con Sakuragi al liceo, inizialmente aveva concluso che si trattasse di semplici litigi infantili, tenendo conto di quanto fosse particolarmente competitivo Kaede. Ma poi aveva cominciato a pensare che ci fosse qualcosa di più di banali bisticci, qualcosa che superava anche le barriere dell’amicizia.
Quei pensieri sconvolgenti tuttavia erano stati dimenticati una volta partiti per gli Stati Uniti.
Ma ora che il giovane Sakuragi era tornato nelle loro vite, Meitatsu lo vedeva più chiaramente che mai.
Si era convinta che fosse solo una tappa, che suo figlio avrebbe presto incontrato una tenera ed educata ragazza che gli avrebbe fatto dimenticare i desideri di gioventù. Ma...non era mai successo.
 
E ora, con mente e anima calma, aveva cominciato a fare pace con ciò che stava accadendo: con ciò che ovviamente suo figlio provava. Se era felice, chi era lei per intervenire? Inoltre non poteva negare che Hanamichi, per quanto oltraggioso e presuntuoso potesse essere, era in grado, furtivamente e dolcemente, di penetrare nei cuori degli altri e scommetteva che era ciò che aveva fatto in quello freddo del suo adorato figlio.
 
E non poteva negare che sentirlo così felice e rilassato fosse un grande punto in più per accettare Sakuragi come genero.
 
^ ^ ^ ^
 
“Non supererai mai questo genio, perdente! Ahahaha!” gridò Hanamichi con entrambe le braccia tese, imponendosi sopra l’altro ragazzo che palleggiava con concentrazione. Kaede dribblò, muovendosi in avanti, colpendo l’altro che sopportò e lo respinse.
 
Non ce la farò usando la forza, pensò astutamente, era un’ovvia conclusione quando si giocava contro Hanamichi Sakuragi. Stavano giocando da diverso tempo dopo il delizioso pranzo di mamma Rukawa. Per tutta la mattina la volpe aveva dormito, riprendendosi dalla stancante partita del giorno prima e dallo sforzo fisico della rissa infantile che aveva condiviso con il suo ex compagno. Hanamichi era andato a correre e quando era tornato era entrato nella stanza di Kaede, scuotendolo per svegliarlo.
 
Dopo si erano diretti al campetto pubblico, vuoto, come sempre. Alcuni bambini ora osservavano affascinati la loro partita/allenamento.
Kaede, girandosi sul suo asse, avanzò rapidamente e passò sotto un braccio muscoloso di Hanamichi. Questi, riprendendosi rapidamente, corse sotto il canestro per respingere qualsiasi tentativo di tiro; Kaede corse e saltò elegantemente, lanciando la palla. Hanamichi, attento e con potenza, non ci pensò neanche prima di balzare ed estendere il braccio, riuscendo a respingere la palla con forza. Entrambi atterrarono, senza fiato e sudati, fissando prima di stupirsi quando sentirono un vociare sconvolto e soffocato dei bambini che non avevano notato seduti sulla panchina.
 
Quando si guardarono di nuovo, Kaede alzò le spalle. Il gioco continuò, a favore di Hanamichi, finché il ragazzo, ridendo, fece cenno ai bambini di avvicnarsi. La volpe lo guardò, confusa, assistendo alla scimmia che, con presunte abilità e genio, mostrava qualche giocata ai bambini che si rivelarono migliori di quanto non sembrassero.
Rimasero lì finché non scomparve il sole. Prima di tornare a casa, però, andarono da George a ordinare quattro hamburger da asporto.
 
In casa Rukawa, tutta la famiglia si godette sorprendemente quella grassa cena.
 
“Vuoi che ti aiuti con i bagagli domani, Sakuragi-kun?” chiese Mei dopo aver dato un morso per nulla femminile al suo gigante hamburger. Kaede si fermò subito, osservando Hanamichi che brillò di felicità, annuendo.
Il giovane aveva informato i padroni di casa che lunedì mattina sarebbe partito per fare visita ai Duke. Mamma Rukawa era rimasta paralizzata per qualche secondo, pensando subito al figlio, ma si era subito consolata dicendosi che probabilmente Sakuragi sarebbe tornato negli Stati Uniti per la stagione seguente; magari non con i Tar Heels, ma i Blue Devils non erano tanto lontani. Le scuole distavano 20 o 25 minuti al massimo.
 
Cosa diversa era per l’università del Kentucky, distante circa sette ore in auto. Ma la decisione spettava a Sakuragi.
“Pensavo che potremmo uscire di domenica. Partiamo al mattino e andiamo in città...potremmo andare a Raleigh e Durham” propose Mei, Hanamichi si batté forte il petto per ingoiare il cibo.
“Idiota, ti succede perché mangi come un folle” disse Kaede accigliandosi e dandogli una pacca sulla schiena. I genitori risero.
“S-silenzio, volpe! Il cibo non c’entra niente! Finalmente potrò visitare la città come si deve! Dannato, non ti sei nemmeno preso la briga di mostrarmi nulla!” parlò Hanamichi quando finalmente fu salvo – di nuovo – dal soffocamento.
 
“Non sono la tua guida turistica, deficiente” riuscì a dire prima di ricevere in faccia un missile fatto di lattuga; sul punto di contrattaccare, sua madre si schiarì la gola e lanciò a suo figlio un’occhiata terribile. Kaede deglutì discretamente e abbassò il suo missile/carota.
 
“Allora? Che ne pensate?”
 
Hanamichi annuì con entusiasmo mentre Kaede alzava le spalle indifferente. Dopo cena, i ragazzi andarono nelle loro stanze. Quando Kaede era su punto di installare la Xbox per continuare con la battaglia interrotta il giorno prima, guardò di sbieco la scimmia che sfogliava i suoi quaderni sulla scrivania e la mensola.
 
“Tu non devi studiare, volpe?” chiese senza impeto, guardando un quaderno in particolare. Kaede, concentrato sul corpo solido ed esposto al suo avido sguardo, in realtà non sentì nulla di ciò che proveniva da quelle labbra rosa e carnose. “Perché l’ultima volta che ho parlato con Megane-kun 2, mi ha detto che la prossima settimana iniziano gli esami” disse, affrontando la volpe che fu beccata mentre lo fissava.
 
“Sì” rispose riprendendo con l’apparato.
 
“Sì, e quindi? Ehi, idiota! Non dovresti prendere così alla leggera i tuoi studi!” lo rimproverò avvicinandosi al letto e sedendosi sul bordo.
 
“Senti chi parla” sogghignò con un sorriso malizioso, che non venne ricambiato.
 
“E tu cosa ne sai?! Come pensi che mi abbiano offerto borse di studio? È perché sono il migliore della classe! Ahahaha...pensavi che fossi solo un atleta di talento? No, sono anche un genio nello studio, ahahaha” sostenne, arricciando le labbra e ridendo. Kaede inarcò un sopracciglio.
 
“Sì, certo, deficiente” sbuffò di nuovo, abbassando lo sguardo verso la poca distanza che li separava. Dormivano praticamente incollati di notte, ma in quei momenti non poteva apprezzarlo, e quando si svegliava, la scimmia non c’era mai; ora invece era a pochi centimetri dalla sua mano, dalla sua coscia.
 
“Bah! Sei uno scemo! Pensi che sia venuto in America solo perché mi sono svegliato al mattino decidendo di saltare le lezioni per un mese intero, nel bel mezzo degli esami?!” continuò Hanamichi, frustrato e irritato. Era ovvio che nessuno credesse alle sue fantastiche capacità accademiche al liceo – dove era stato bocciato in ben 7 materie – ma all’università, accorgendosi che senza impegnarsi negli studi non sarebbe mai arrivato in un’università americana, si era dedicato completamente. Ed era noto che se Hanamichi Sakuragi si impegnava in qualcosa, la realizzava. Gli studi e il basket erano le sue uniche priorità. Anche la sua Armata aveva aumentato il suo impegno accademico, le leggendarie e divertenti serate al pachinko o in sala giochi si erano trasformate in gioiose e folli nottate di studio.
“Ho parlato con tutti i miei insegnanti. E dato che sono un genio, non hanno avuto problemi. Non si può negare nulla alla futura stella del Giappone, ahahahah!”
 
Kaede iniziò a credere allo stupido, Sakuragi poteva essere la persona più vanitosa e presuntuosa del pianeta, ma era fin troppo onesto; non aveva filtri e vomitava le prime parole che gli venivano in mente. Così Kaede finì per credere totalmente alle sue parole, perché era impossibile che inventasse una bugia del genere.
 
“Il primo esame è mercoledì” confessò alzando la testa e guardandolo.
 
“E cosa aspetti a studiare, imbecille? È sabato, volpe, dovresti approfittare del fatto che non hai lezioni né allenamenti” consigliò saggiamente, guardandolo con severità. “Se non rendi negli studi, rovinerai la carriera...e questo significherà smettere con il basket”
 
Kaede rimase paralizzato per la maturità che sembrava proiettare l’idiota che aveva davanti, ma si riprese pensando alla verità delle sue parole. Se falliva negli studi, falliva anche con la squadra: e sinceramente si sarebbe lanciato da un ponte prima che perdere la possibilità di approdare al basket professionistico. Sospirò, scuotendo il capo.
 
“Se...se vuoi...io posso aiutarti...” mormorò Hanamichi, stupendo se stesso e Kaede. “Ma solo per questa volta, dannato! Non pensare di poter approfittare della generosità del genio! Lo faccio solo per i Tar Heels...tsk, idiota” finì, prendendo i quaderni e buttandoli sul letto.
 
Quella sera, dunque, invece di giocare alla Play o alla Xbox, i due si dedicarono al quaderno e alla materia corrispondente. Kaede leggeva e poi Hanamichi lo interrogava. All’alba Kaede aveva finito ma per passare l’esame servivano almeno un paio di altre informazioni. Perciò andarono online entrando nella pagina dell’università per scaricare appunti di insegnanti o di altri studenti.
Si addormentarono intorno alle quattro, circondati di fogli, quaderni e libri. Kaede crollò sul letto a faccia in giù, mentre Hanamichi si addormentò per terra, appoggiato al materasso, la testa sul letto e una mano su quella del suo ex compagno di squadra.
 
^ ^ ^ ^
 
Kaede Rukawa grugnì per quella che doveva essere la centesima volta al giorno. Erano appena le 12 e lui ancora non era riuscito a imparare tutti gli elementi dell’imminente esame. E per peggiorare la situazione, i suoi genitori e Hanamichi erano usciti presto per andare in città...senza di lui! Quando la volpe si era diretta all’ingresso tranquillamente, la stupida scimmia l’aveva fermato, spingendolo in camera sua perché tornasse a studiare. Mamma Rukawa, sentendo di un esame importante che si sarebbe svolto a breve, l’aveva a sua volta esortato a rimanere per ripassare.
Avrebbe voluto urlare per la frustrazione.
 
Nessuno si accorgeva che Hanamichi sarebbe partito il giorno dopo? Che quella era l’ultima occasione per passare la giornata insieme? Ovviamente nemmeno sotto tortura l’avrebbe ammesso, quindi, controllando ogni espressione facciale, aveva insultato la scimmia idiota, andando in camera sua, rimasta disordinata dalla sera prima.
 
Maledetto idiota, pensò cercando qualcosa per pranzo. Non trovando niente di appetitoso in cucina, decise di prendere i soldi che sua madre aveva lasciato in caso di emergenza, e qualcos’altro che aveva risparmiato per andare a comprare qualcosa fuori.
Pedalò, mezzo addormentato, per le strade tranquille; era domenica, all’ora di pranzo, quindi permise ai suoi occhi di chiudersi per qualche istante. Si chiese distrattamente cosa stessero facendo gli altri in quel momento.
 
Poveri mamma e papà, quello scemo li manderà in bancarotta, ovunque vadano a mangiare, pensò ridendo.
 
Quando si ricordò nuovamente di Sakuragi, si chiese tranquillamente se avrebbero continuato a comunicare quando l’idiota avesse lasciato il continente. Beh, se aveva imparato qualcosa dalla scimmia durante quelle due settimane – e se non lo avesse saputo da prima – era che era un amico fedele e sempre presente; un chiaro esempio era come ogni giorno tirava fuori il computer per inviare email alla folla di amici che lo aspettavano in Giappone.
 
Forse potremo farlo..., ma prima, lui doveva aprirsi un account.
Era a quello che stava pensando quando, d’improvviso, una vetrina attirò la sua attenzione. Senza sapere bene cosa stava facendo né perché, fissò ciò che era esposto, dietro il vetro pulito e impeccabile.
 
Quanti soldi ho...?, si chiese prima di parcheggiare la bici ed entrare deciso nel negozio.
 
^ ^ ^ ^
 
Gli altri tre membri della famiglia iniziarono la loro gita visitando alcuni musei di storia e di arte, ma quando mamma Rukawa si voltò per vedere il più giovane, si imbatté nella sua faccia stravolta per la noia; decisero quindi di andare a pranzo da Sparians, ristorante e bowling. Mentre si aspettavano gli ordini o dopo aver finito, si poteva giocare a bowling o guardare la tv e lo sport sui grandi schermi presenti. Papà Rukawa stracciò l’autoproclamato genio, che si lamentò della pista scelta. Nonostante le lamentele, Hanamichi era molto entusiasta di quel posto, e scattò fotografie ad ogni angolo da mostrare poi a chi era rimasto in Giappone.
In seguito, i genitori di Rukawa lo portarono al PNC Arena, uno stadio che in inverno era attrezzato come pista di pattinaggio, ma ora, in estate, ospitava diverse partite di basket, principalmente degli Wolfpack del North Carolina (mamma e papà Rukawa lo avevano portato prima a Raleigh, dato che nella città di Chapel Hill non c’era molto da vedere).
 
Dopo aver fatto foto e passeggiato, si diressero al Carter Finley Stadium, stadio di footbal americano degli Wolfpack, dove poterono entrare a osservare e scattare altre foto. Hanamichi fissò a bocca aperta l’immenso terreno, per nulla abituato a quel tipo di campo, quello sport come il rugby non erano molto popolari in Giappone.
A pomeriggio calato, andarono al Frankie’s Fun Park, dove mangiarono, giocarono a minigolf – e vinse Mei, con sorpresa dei due uomini – e rimasero per un bel po’ nella sala giochi.
 
La giornata vedeva la sua fine quando si diressero a Durham, dove Hanamichi esplorò i negozi alla ricerca di regali per sua madre e gli amici. Tornarono a casa tardi ed esausti, ma felici. La prima cosa che fecero fu salutare Kaede, che era rimasto in camera sua a studiare, con stupore di tutti. Si lavarono e andarono a letto; Hanamichi però si diresse direttamente nella stanza di Kaede per mostrargli tutte le cose che aveva comprato e le fotografie che aveva scattato.
 
Kaede, che all’inizio fu riluttante e infastidito – e ancora irritato per essere stato respinto quel mattino – alla fine si avvicinò al ragazzo per vedere meglio le scemenze e i souvenir che aveva scelto per gli amici e sua mamma.
Conclusero la serata con Hanamichi che prese in mano i quaderni del volpino e lo interrogò, e Kaede rispose correttamente a 7 domande su 10.
 
^ ^ ^ ^
 
Durante l’ultimo lunedì del suo soggiorno lì, Hanamichi Sakuragi non fece la sua corsetta mattutina, decidendo invece di rimanere sotto le coperte ancora un po’. Sospirò godendosi il calore a quell’ora del mattino. Sbirciò l’orologio e scoprì che erano le 9.19. Dan lo aveva chiamato il pomeriggio precedente per informarlo che sarebbe passato verso mezzogiorno.
 
Non ho neanche fatto le valigie, pensò arricciando le labbra e girando il viso; lì, addormentato e ignaro del mondo, trovò Kaede. Rise notando il filo di bava che gli scendeva dal mento fino al cuscino.
 
Rukawa..., pensò, osservando il suo naso dritto, il viso lungo ma elegante, la sua pelle bianca e liscia. Anche se era fisicamente doloroso ammetterlo, la verità era che quell’imbecille gli sarebbe mancato.
 
Tanto...
 
Sospirò di nuovo prima di andare in camera sua per preparare i bagagli e poi mangiare qualcosa prima di partire. Quando entrò, Mei era già lì e stava sistemando le sue cose nella valigia nera e nella borsa blu.
 
“Mamma Rukawa” sussurrò, grato e stupito. La donna lo guardò e sorrise.
 
“Immaginavo non lo avessi fatto ieri sera. Spero non ti dispiaccia”

“No! Certo che no! Il genio è molto grato, mamma Rukawa!” rise, avvicinandosi per aiutarla; la donna però lo esortò a fare un bagno e a mangiare.
Era meglio che risparmiasse tempo, si disse con uno sguardo ‘da mamma’.
Mentre Hanamichi, pulito e pronto, mangiava come un pozzo senza fondo dal tavolo della cucina, apparve un mezzo addormentato Kaede che si stropicciava gli occhi sonnolenti.
 
“Buongiorno, volpe” lo salutò sorridendo prima di tornare al suo pasto. Kaede, che pensava che Hanamichi fosse uscito a correre, fu un po’ sorpreso di trovarlo lì.
 
Certo...Dan arriverà presto, pensò avvicinandosi allo scaffale per recuperare i suoi fedeli e nutrienti cereali.
 
“Non vai a lezione?” chiese improvvisamente Hanamichi, nei due lunedì che aveva trascorso lì, Rukawa era sempre uscito presto per andare all’università.
Kaede si immobilizzò, poi si sistemò con calma accanto al ragazzo.
 
“Devo studiare”
 
Sì...studiare come, con l’idiota che se ne va..., pensò ironicamente, guardandolo.
 
Era giunto il giorno.
 
Il giorno in cui quello scimmione chiassoso, scandaloso, maleducato, presuntuoso, vanitoso e sconvolgente...se ne sarebbe andato.
 
Chi avrebbe mai immaginato che, giunta l’ora, lo stesso Kaede Rukawa non avrebbe voluto che se ne andasse. Una parte di lui si dibatteva e protestava con entusiasmo ardente di pregarlo, supplicarlo di rimanere, di scegliere i Tar Heels subito. Ma Kaede aveva il suo orgoglio, ed era grande quanto lo stesso continente americano, e avrebbe preferito essere colpito da un fulmine prima di abbassarsi a quel modo.
 
Inoltre ho già esagerato comprando quella roba ieri, pensò ricordando la scatoletta nascosta nella sua stanza; gliel’avrebbe consegnata prima che salisse in macchina con Dan.
 
“Oh, Kaede, sei già sveglio” disse mamma Rukawa salutandolo, e lui la guardò, annuendo, “Sakuragi-kun, le tue valigie sono pronte in camera...devi solo portarle giù”
 
“Grazie, mamma Rukawa!” esclamò lui, balzando in piedi e dando un sonoro bacio alla donna sorridente. Kaede si accigliò. “Ehi, idiota, non essere così possessivo con tua madre, quell’espressione rivolgila a qualcun altro!”
 
“Idiota” lo chiamò.
 
Hanamichi andò di sopra a osservare un’ultima volta la stanza, le pareti azzurre, il soffitto liscio, il letto morbido, la grande e pulita finestra, il comodino...voleva registrare tutto nella sua mente. Sorrise e portò i bagagli all’ingresso. Tornò poi di sopra per lavarsi i denti e utilizzare il computer di Rukawa, perché era sicuro che dove si fosse trasferito non ci sarebbero stati né Internet né computer, quindi voleva assicurarsi di informare i suoi cari sul suo cambio di residenza.
 
Kaede lo trovò seduto comodamente alla scrivania. Sbuffando, si gettò sul letto sfatto.
 
“Non vai a fare il bagno, volpe puzzolente?” chiese sentendo il rumore del materasso. Lo trovò sdraiato sulla schiena, con le braccia dietro il collo e gli occhi chiusi.
 
“Più tardi” rispose pigramente. Ognuno rimase per conto suo per i successivi minuti, fino a quando Hanamichi si alzò e lo sfidò all’ultima partita sulla Xbox.
Giocarono fin quando mamma Rukawa informò che Dan era arrivato.
Spensero l’apparecchio lentamente. In silenzio, con il caldo che proveniva dalla finestra e il sole che colorava ogni angolo, si guardarono negli occhi per alcuni secondi eterni. Il mare sembrava incontrare la terra...
 
Hanamichi si alzò, pronto a scendere, quando l’altro gli afferrò sottilmente il braccio.
 
“...così potrai chiamare i miei genitori...o i ragazzi della squadra o...me” disse Kaede, porgendogli una scatola con su l’immagine di un cellulare moderno. Hanamichi spalancò esageratamente occhi e bocca, incapace di credere che la volpe, quel bastardo e dannato Rukawa, gli stesse regalando un fottuto cellulare.
 
“Io...n-non ho i soldi...n-non posso...”
 
“È un regalo, stupido”, Kaede fissava il pavimento, rifiutandosi di alzare lo sguardo. Sentiva perfettamente che le sue guance stavano bruciando, quindi doveva sembrare un pomodoro in quel momento. Ma neanche morto avrebbe dimostrato tanta debolezza. Neanche morto avrebbe fornito alcuna prova. Neanche morto.
La voce dolce e tenera di Hanamichi gli fece stringere dolorosamente le mani pallide.
 
“Grazie...grazie, volpe...”
 
Cadde di nuovo il silenzio, ma questa volta sembra pronto per essere rotto e riempito di parole. Entrambi sentivano di dover dire qualcosa, ma allo stesso tempo non avevano idea di cosa.
Hanamichi cercò di incontrare i suo occhi blu, ma lui continuava ad evitare il suo sguardo, dirigendolo in qualsiasi altro punto della stanza.
 
“...Rukawa”, tutti e due rimasero immobili; era la prima volta che diceva il suo nome in quel modo, con tono tanto morbido, delicato e interrogativo. “Fai del tuo meglio! Se torni a essere egoista, il genio verrà personalmente a prenderti a calci, hai capito, idiota!”
 
Kaede alzò finalmente gli occhi, rise e annuì piano.
 
“Bene, ora...questo genio ha un sacco di cose da fare, quindi...” disse, uscendo dalla stanza con passi esitanti.
 
“Sakuragi!” lo chiamò colto da uno stupido impulso. Hanamichi rimase immobile sulla porta, non osando voltarsi. “Anche tu, fai del tuo meglio...idiota”
 
“Certamente! Dopotutto sono un genio, volpe!” gridò prima di uscire dalla silenziosa stanza, lasciando un ragazzo dal cuore agitato e sofferente; lasciando due occhi brillanti, ma non di felicità; lasciando un amico...
 
...che non voleva esattamente un’amicizia.
 

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Capitolo 7
*** 7. Diavoli azzurri ***


“A Wade! Passa la palla a Wade!” instruì Mike Krzyzewski*, chiamato anche coack K, allenatore dei Blue Devils di Duke, dove in quel momento Hanamichi Sakuragi, autoproclamato genio e miglior giocatore del Giappone, stava passando la sua settimana.
Non appena il ragazzo, Andre Wade, segnò uno splendido canestro da tre punti, evitando e superando ampiamente il blocco dei suoi colleghi, l’allenatore chiese a uno degli assistenti di fischiare per radunare tutti i ragazzi in campo. Hanamichi intanto rimaneva in disparte ad ascoltare le istruzioni e le correzioni che l’uomo indicava a ciascun giocatore che si era esibito. Hanamichi scriveva come un matto ogni comando e manovra che udiva dalle labbra di quel maestro sportivo.
 
Il venerdì ci sarebbe stata l’ultima partita amichevole della squadra e oggi, mercoledì, l’aria già era differente; si potevano percepire gli animi che si riscaldavano e la voglia di vincere che invadeva spirito e carne dei giocatori come dello staff tecnico.
L’energia che scorreva lì era molto diversa ma allo stesso tempo simile a quella dei Tar Heels e Hanamichi non sapeva se sentire la loro mancanza o dimenticarli.
 
Quando era arrivato con Dan lunedì intorno a mezzogiorno, l’uomo si era dedicato innanzitutto a mostrargli i dintorni della città e il luogo dove avrebbero soggiornato, compresa l’università, a cui si sarebbero diretti il giorno dopo. Quella giornata era trascorsa molto rapidamente, veloce come un’imprendibile schiacciata. Martedì mattina invece Hanamichi aveva voluto ansiosamente uscire a correre, privo di idee su cos’altro fare per sfogare la sua energia in attesa della presentazione con la squadra.
 
L’albergo era naturalmente confortevole; forse fin troppo elegante per uno come Hanamichi, che non era così sofisticato. Una dipendente gli aveva detto che c’era il wifi, ma lui non aveva un compoter, quindi doveva recarsi alla caffetteria dove c’erano circa 4 o 5 pc abilitati per gli ospiti. C’era anche una piscina, sia al chiuso che all’aperto, ma godersela in solitaria non era molto nello stile di Hanamichi.
Martedì pomeriggio Dan era andato a prenderlo nella sua stanza e lui finalmente aveva cominciato ad entusiasmarsi e a mostrare le sue numerose energie attraverso la pelle, le parole e i gesti. I dieci minuti di distanza dal campus erano parsi eterni.
 
Entrando in palestra non aveva potuto evitare, prima dell’ispezione, di confrontare il posto con la palestra e la gente dei Tar Heels, ma si era fermato immediatamente, irritato. Quante volte doveva ripetersi che aveva già raccolto quello che gli serviva? Era giunta ora di voltare pagina e studiare la seguente opzione. Rimanere nel passato, continuare a ricordare gli altri lo avrebbe solo distratto e reso poco produttivo. Perché era lì, se non per incontrare le tre squadre e le università che gli avevano offerto una borsa di studio.
 
Hanamichi si era rimproverato mentalmente, disegnando un immenso sorriso sui suoi lineamenti che, sebbene non fosse falso, non era nemmeno il più sincero che avesse mai sfoggiato.
Dan, ignorando la battaglia interna del povero atleta, lo aveva presentato all’allenatore, un uomo bianco con il naso lungo, occhi piccoli, carattere deciso, severo, ma giusto e amichevole quando era il caso, e al resto dei ragazzi. Questi, come i Tar, si erano mostrati curiosi di vederlo; altri non gli avevano dedicato alcuna attenzione. Ma Hanamichi Sakuragi, essendo Hanamichi Sakuragi, non aveva problemi a farsi strada e a piazzarsi dove gli veniva detto, che fosse in un’atmosfera fredda o calda.
 
La prima cosa che avevano fatto i giocatori era stata lanciargli un pallone in modo amichevolmente di sfida.
 
“Mostraci che sai fare, giappo”
 
Oh, non sapevano che incendio avevano divampato con quelle parole.
 
“Ahahahahah! Volete che il genio vi mostri qualcosa?! Preparatevi ad assistere a questo giocatore di prima categoria!” aveva urlato prima di correre in campo e dare un assaggio delle sue abilità.
 
Si era messo in luce con il suo incredibile palleggio, con la forza delle sue gambe e braccia e con lo slancio delle sue schiacciate, e più di qualsiasi altra tecnica, con salti anomali che superavano quelli di chiunque altro. Tutti i presenti erano rimasti a bocca aperta e gli occhi fuori dalle orbite quando lo avevano visto volare come Superman verso il canestro, per mettere a segno un potente dunk.
Dan, che aveva osservato lo spettacolo da lontano, aveva scosso il capo ridendo.
 
Sicuramente il ragazzo non è timido...
 
Quella presentazione esagerata aveva fatto guadagnare al ragazzo sia amici che detrattori. I primi si erano avvicinati subito, applaudendo e congratulandosi con lui per il suo stile, invitandolo quella sera stessa a uscire con loro. Hanamichi non si era fatto pregare – d’altronde non aveva null’altro da fare. Era stata una serata divertente, piacevole e rumorosa, che gli aveva subito permesso di legare con la squadra; aveva parlato e partecipato poco ai discorsi – sorprendendo in primis se stesso – perché era più concentrato sui commenti dei ragazzi quando parlavano degli altri giocatori, dei ruoli e delle loro specialità sul campo. Gli avevano anche raccontato degli aneddoti, alcuni estremamente imbarazzanti, spiegando perché i Blue Devils erano la migliore squadra di basket a livello universitario. E Hanamichi, dopo aver visto solo due allenamenti, quasi ci credeva.
 
Il livello dei giocatori, della rosa in generale, era grandioso e travolgente.
 
Questo non significa che non mi manchino gli altri...
 
Quel mercoledì, quindi, dopo essere uscito e aver salutato tutti i presenti, si dedicò a mandare email a tutti quelli che conosceva, tra cui Riccio, il Nano, Viso pallido, Ballerino e Megane-kun 2. Al primo ricordò, con grandi lettere colorate, che ancora doveva pagare la scommessa e chiese una foto dell’evento.
 
Hahahah, avviserò la volpe perché si assicuri che il bacio sia vero...
 
Fu allora che si fermò davanti allo schermo, con il puntatore che picchiettava, fissando con sguardo assente la pagina bianca.
 
Rukawa...
 
Mamma Rukawa...papà Rukawa...
 
Volpe...
 
Hanamichi non avrebbe mai immaginato di affezionarsi così tanto ad alcune persone in così poco tempo. Non avrebbe mai pensato di poter sentire quello che ora si agitava nel suo stomaco ogni volta che li ricordava. Chiuse i pugni, guardando distrattamente lo schermo del computer. Il suo petto era così oppresso che dovette stringere i denti per concentrarsi su un’altra sensazione. Era travolgente. Asfissiante. Soffocante e doloroso. Davvero doloroso. Hanamichi non capiva. Non aveva mai sentito niente del genere. Non aveva mai sperimentato quello strappo. Quella tortura. Quelle intense stoccate di fuoco e acidità.
 
Sebbene si potesse dire che aveva l’incredibile capacità di innamorarsi delle ragazze sbagliate nel giro di un secondo, ora, un po’ più maturo ed esperto (non per averlo vissuto in prima persona, ma per la vita in generale) poteva dire che l’affetto e la premura verso gli altri era qualcosa che richiedeva tempo, e che l’amore, per la famiglia o per gli amici, era qualcosa di solido e immutabile. Per questo si era sorpreso nel ritrovarsi con grosse lacrime agli occhi quando quel lunedì era uscito da casa Rukawa. Per questo quando aveva abbracciato la donna, aveva sentito il cuore spezzarsi. E quando aveva afferrato con forza la mano dell’uomo, aveva sentito il petto sbrindellarsi.
E quando pensava a Rukawa...
 
...non riesco neanche a respirare...
 
Voleva parlare con loro. Disperatamente e alla follia, voleva sentire di nuovo le loro voci, ma se lo avessero già dimenticato? Cosa poteva volere una famiglia come quella da un ragazzo maleducato e rumoroso come lui? Più probabilmente quel lunedì avevano tirato un sospiro di sollievo nel vederlo andare via. Non perché fossero persone crudeli o cattive. Ovviamente no. Ma erano troppo carini e perfetti. E lui non si adattava, non aveva fatto altro che alterare la loro routine e rompere le scatole per due settimane.
L’unica opera di cui era particolarmente orgoglioso era stata quella di aver tirato fuori la volpe dalla sua pozza di egoismo e solitudine. Ora Rukawa poteva giocare in squadra e convidere con i suoi compagni come faceva la gente normale con gli amici.
 
Non ha più bisogno di me..., pensò grattandosi inutilmente la nuca.
 
Devo tagliarmi i capelli, si rese stupidamente conto, toccando alcune ciocche più lunghe.
 
In realtà Hanamichi adorava come nient’altro i suoi capelli più lunghi, ecco perché aveva considerato una vera punizione averli rasati dopo la sconfitta contro il Kainan al liceo, ma ogni volta che ricordava i capelli corti non poteva fare a meno di pensare al suo miglior periodo scolastico, quello che aveva vissuto con la squadra originale dello Shohoku, quello in cui aveva imparato a conoscere impegno, duro lavoro, amore per lo sport, in cui aveva incontrato molti dei suoi attuali amici.
Quindi aveva deciso, la sera prima di partire per l’America, di rasarsi a zero, perché in un certo senso aveva pensato a una ripartenza; resettando la vita e piazzarsi in un nuovo punto per ricominciare, uno in cui avrebbe conosciuto un nuovo paese, nuove persone, nuove squadre. Uno nel quale si sarebbe potuto affermare come giocatore di basket, quello che lui sapeva di poter essere.
 
Scuotendo la testa, terminò e mandò le email che stava completando prima di perdersi in vari pensieri. Con un ultimo sguardo allo schermo, prese le sue cose e andò in camera sua. Era ancora presto, le 21, quindi rifletté e si convinse dell’idea di andare a correre; la grezza idea di sedersi a guardare la tv lo deprimeva. Si decise, dunque, entrando nella sua stanza ordinata e impeccabile. Aprendo la borsa per prendere dei pantaloni e una maglietta sportiva, si fermò vedendo la scatola del cellulare ancora chiuso che gli aveva dato la volpe. Deglutì rumorosamente, allungandosi e afferrandola tra le sue grandi mani abbronzate.
 
E se...?
 
No...sicuramente darei solo fastidio...
 
Dimenticando completamente il motivo per cui aveva aperto la borsa, Hanamichi rimase seduto con la benedetta scatola tra le gambe. La fissò per un tempo infinito.
Rifletté, si fece domande, tirò a indovinare e prese una decisione.
 
Solo una volta...
 
Proverò una volta...se nessuno mi risponde, allora lo conserverò ma non lo userò mai più.
 
Lentamente e con insolita cura aprì la scatola, mettendo da parte un foglietto bianco attaccato a un lato. Aprì con calma e curiosità. Non aveva mai avuto tra le mani un simile dispositivo moderno.
 
Dev’essergli costato un sacco, pensò con rabbia e senso di colpa.
 
Ah! Scommetto che quel bastardo l’ha fatto solo per infastidirmi! Per farmi sentire così...così...piccolo in confronto...
 
I successivi minuti li spese a leggere le complicate istruzioni, cercando di farlo funzionare.
 
“Dannata porcheria! Come si usa questo coso?!” fece ad alta voce.
 
Poco dopo trovò il modo di impostare la tastiera sul cellulare touch.
 
Adesso servono i numeri, Hanamichi si accigliò pensando di dover andare da Dan per chiedere aiuto; allora notò il foglietto bianco che aveva precedentemente messo da parte. Risedendosi, l’afferrò e l’aprì, trovando, in caratteri piccoli e ordinati, i numeri di: casa Rukawa, mamma Rukawa, io (scimmia tonta), con i rispettivi numeri a lato.
 
“Dannato Rukawa! Non è neanche qui e mi dà fastidio” disse con il viso corrugato, cercando di controllare una fresca e allegra risata.
 
Chi chiamo?, guardò l’ora sul comodino, l’orologio segnava le 22.14.
 
Non è taaanto tardi..., si disse, decidendo di comporre il numero di casa Rukawa. Proseguì e aspettò che qualcuno rispondesse. I secondi passavano mentre ascoltava il suono neutro degli squilli a vuoto. Si guardò in giro. Si grattò la guancia.
Ma nessuno rispose.
 
Forse stanno dormendo. Forse sono impegnati. Forse non c’è nessuno.
 
Ma cambiò idea. Era un mercoledì sera, un giorno di metà settimana, dove potevano essere andati così tardi?
Sospirò e continuò a tenere il cellulare premuto contro l’orecchio.
 
Beh...almeno ci ho pro-
 
“Sì?”
 
Nooooo! Perché? Perché dei tre abitanti di quelle casa, doveva rispondermi lui?, pensò colpendo il pavimento con il pugno. Chiuse gli occhi con forza e trattenne il respiro.
 
“Pronto” chiese la volpe con voce impaziente; Hanamichi si stava ancora dibattendo, chiedendosi se fosse il caso di parlare. Potrei chiedere di mamma Rukawa...argh! Perché sono così nervoso? È solo la volpe puzzolente...
 
“Metto giù”
 
“No, aspetta!”
 
Merda, ora che dico...
 
“Idiota?”
 
“A chi dai dell’idiota, bastardo?! Ah, se fossi lì ti prenderei a calci, volpe!” Hanamichi, con naturalezza e spontaneità, ripeté quelle parole. Inavvertitamente, sul suo viso si dipinse un grande sorriso spensierato. Pochi secondi di silenzio però riempirono la linea e Hanamichi pensò che l’altro avesse davvero riattaccato.
 
“Ehi, imbecille, sei ancora lì?”
 
“Sei scandaloso, deficiente” rispose finalmente Kaede. La sua voce, sempre fredda e dura, adesso però era un po’ traballante e irrequieta.
 
“Ehi, hai freddo? Sembri strano”, e gli parve ancora più strano sentire in risposta una risata allegra. Che cos’ha la volpe?
 
“No, idiota. Non ho freddo...fa caldo qui” rispose dopo aver messo a tacere la breve ma genuina risata.
 
“Ah, anche qui. Sto arrostendo! Ma ovviamente la temperatura non influisce sulle mie talentuose doti...ahahahah, ma mi infastidisce” disse, alzandosi da terra per buttarsi senza decoro sopra le morbide e delicate coperte del grande letto.
 
“Ti piace il cellulare?” chiese Kaede dopo qualche momento.
 
“Eh? Perché? Vuoi che te lo restituisca? Tsk, sapevo già che era troppo bello per-”
 
“No, imbecille. Era solo una domanda” lo interruppe, trattenendo un sospiro seccato. Questo idiota pensa sempre al peggio.
 
“Ah...ehm...sì...il genio è riuscito a farlo funzionare non appena lo ha tirato fuori dalla scatola” si vantò, dimenticando che ci aveva messo quasi un’ora per capire come accenderlo.
 
“Sì, come no. Per questo ci hai messo due giorni a chiamare, stupido” lo attaccò Kaede senza poter controllare il rimprovero e la lamentela nella sua voce.
 
“Come sarebbe stupido, bastardo?! Se fossi lì ti sfiderei a un duello in Mario Kart! E tu sai chi vincerebbe!”
 
“Io” rispose, grato che l’incapace scimmia, troppo attenta a quello che stava dicendo, non si fosse soffermata sul suo tono.
 
“Ahahahaha, non farmi ridere, volpe! Le tue mediocri abilità non si avvicinano proprio alle mie. Dedicati solo al basket, è meglio. Lì almeno potrai giocare in squadre minori” rise forte immaginando Rukawa con la coda e le orecchie di volpe in una piccola squadra.
 
“Mi stai confondendo con te, scemo”
 
“Come osi?! Non ti ricordi chi ha vinto l’ultima partita, perdente? Il genio ti ha umiliato con le sue incredibile tecniche!”
 
“Miracolo”
 
“Miracolo tua sorella, bastardo!”
 
Dopodiché un silenzio confortevole invase la linea; una tranquillità che nessuno dei due ebbe necessità o desiderio di riempire di parole inutili.
Hanamichi, sempre sorridendo, si accomodò sul letto e chiuse gli occhi.
Kaede portò il cordless in camera da letto.
 
Aspettava quella chiamata da lunedì pomeriggio, giorno dal quale aveva atteso con ansia ed eccitazione che la curiosità di Sakuragi fosse sufficiente per incitarlo a usare il nuovo cellulare. Ma apparentemente aveva sbagliato nel suo giudizio. Perché lunedì non era successo niente. E anche martedì non era successo niente. E durante tutto il mercoledì pomeriggio, dopo l’esame – che credeva di avere passato – aveva guardato il suo cellulare come una bomba pronta a esplodere.
 
Gli allenamenti nel pomeriggio erano stati l’unica cosa in grado di calmarlo e mantenerlo lucido, altrimenti, l’unica cosa che faceva era pensare alla scimmia. A cosa stava facendo, con chi era, se la squadra di Duke gli piaceva di più dei Tar Heels, se aveva fame, se si stava annoiando.
Francamente, Kaede aveva la sensazione di diventare un po’ pazzo.
Non era normale. Non era normale né salutare passare così tanto tempo a pensare a qualcuno.
Non per lui, almeno.
 
Ironia della sorte, i suoi ‘incontri’ con se stesso erano raddoppiati. Curioso, considerato che Hanamichi non era in casa; dopotutto, l’idiota era il principale protagonista delle sue fantasie.
Gettandosi con noncuranza sul materasso, Kaede ringraziò di aver avuto fame in quel momento, così da essersi ritrovato al piano di sotto nel momento in cui il telefono aveva squillato. Chiuse gli occhi per qualche istante, ricordando le notti trascorse in quel letto, vicinissimi. Si morse il labbro pensando al suo corpo vicino al proprio.
 
D’improvviso, ebbe bisogno di sentire la sua voce.
 
Se non l’ho qui, almeno voglio sentirlo...
 
“Sakuragi...” lo chiamò lentamente.
 
“Mh?” dalla risposta era chiaro che l’altro si stesse addormentando.
 
“E...ti piace la squadra?”, era quella la cosa che voleva sapere con tutte le sue forze, ma che al tempo stesso voleva ignorare. E se si è innamorato di quella squadra? E se non tornasse mai più?
 
Hanamichi, però, troppo stanco e assonnato, non riuscì a registrare bene ciò che usciva dalla sua bocca né che gli passava per la testa.
 
“È molto buona, volpe” rispose con voce impastata. Il cuore di Kaede si serrò dolorosamente. “I ragazzi sono fantastici...e il vecchio K è davvero bravo...” sbadigliò prima di continuare. “Ma...non sono i Tar Heels. Nessuno è Riccio o Viso pallido...o Nano...nessuno di loro è te...”
 
Kaede, con un cipiglio e il cuore che batteva a mille, provò a decifrare cosa significasse. Era un’incoerenza della sua mente addormentata? O sentiva la loro mancanza? O significava che preferiva loro ai Duke?
 
“Quando pensi di andare in Kentucky?” chiese con il solo scopo di tenerlo sveglio più a lungo.
 
“Non lo so, volpe. Il genio deve prima valutare le abilità di questa squadra. Anche se da quello che ho visto in due giorni, quasi non hanno difetti”
 
“Falso, scemo” lo corresse subito, sentendo il proprio sangue ribollire.
 
“Chi li sta guardando, bastardo?! Io! Non mettere in discussione le conclusioni del genio!” rispose ora del tutto sveglio e vigile, strappando un sorriso all’ala dei Tar Heels.
 
“E la mia squadra ha giocato contro di loro tre settimane fa, stupido. Scommetto che le tue talentuose abilità non si sono accorte dell’inclinazione a sinistra di Adams quando salta, o che Petri sbaglia quasi il 70% dei suoi tiri da destra; o anche quel Campbell, non è male, ma ogni volta che riceve la palla, la perde come se fosse un buco nero...nessuna squadra è perfetta, deficiente”
 
Sì, Kaede ammetteva di aver fatto quelle ricerche dopo averci giocato contro, ma aveva bisogno di armi per difendersi da qualsiasi attacco, e non avrebbe potuto dire nulla di tutto ciò se si fosse soffermato con il poco che aveva visto della partita, nel momento in cui era ancora troppo preoccupato per il proprio scarso rendimento e la miseria perché non aveva giocato.
 
Qualche secondo di silenzio seguì il discorso più lungo che Kaede avesse mai pronunciato nella sua giovane vita.
 
“Ahahahaha, naturalmente il genio ha notato tutto! Mi riferivo agli allenamenti, stupida volpe!”
 
“Sì, certo” sbuffò Kaede prima di ridere di gusto, in realtà senza sapere bene per quale motivo. Hanamichi, che all’inizio si arrabbiò a sentirlo ridere, alla fine condivise l’allegria.
Dopodiché la conversazione proseguì come quando restavano in piedi fino a tardi in camera di Kaede, saltando in maniera prepotentemente veloce dagli insulti e le grida a discorsi più seri, per poi ridere per qualunque scemenza; così si ripeté il ciclo finché Kaede non si congedò per via delle inutili lezioni che aveva al mattino, non prima di aver detto che l’avrebbe chiamato il giorno dopo.
 
Hanamichi, che ormai era mezzo addormentato, disse sì a tutto e lo salutò. Non appena mise giù, si addormentò.
Kaede, invece, rimase sulle coperte con una capriola nello stomaco e un buffo formicolio dappertutto. L’unico modo per catturare il sonno era pensare alla scimmia che sembrava ora incollata con l’attaccatutto al suo cervello.
 
^ ^ ^ ^
 
La mattina dopo, come Kaede aveva detto nella conversazione telefonica, aveva lezioni presto, quindi dopo aver colpito bruscamente le sue tre sveglie, si alzò stropicciandosi gli occhi verso il bagno per lavarsi – toccando e gemendo il nome di Sakuragi -, lavarsi i denti e scendere a mangiare qualcosa prima di uscire. Trovò sua madre che lo salutò, già vestita e pettinata (era giorno di compere), mentre annotava quello che mancava su un taccuino.
 
“Sbaglio o ti ho sentito parlare ieri sera?” gli chiese la donna con apparente indifferenza.
 
“Mmh...ha chiamato l’idiota” rispose mettendosi in bocca un cucchiaio particolarmente carico di cereali.
 
“Capisco...e come sta?” chiese di nuovo, deviando lo sguardo verso gli scaffali, morendo però dalla voglia di osservare le espressioni di suo figlio.
 
“Bene” sempre laconico e impassibile, il ragazzo si rifiutò di continuare a rispondere.
La prossima volta, gli passerò la mamma..., pensò annoiato dall’interrogatorio. Ma solo se avanza tempo..., continuò. Bevve il latte rimasto, si fermò a dare un bacio sulla guancia della donna soddisfatta. Afferrò la sua borsa dall’ingresso e partì per l’università sulla sua bici.
 
La sera prima, tra tutte le cose che la scimmia aveva commentato, gli aveva richiesto – con grande entusiasmo – di essere presente al super mega bacio tra Viso pallido e Riccio (parole di Sakuragi), motivo per cui ora il ragazzo, tra i quaderni e l’attrezzatura sportiva, aveva una videocamera. La volpe, però, non aveva idea di come fare per obbligare quei due a baciarsi, perché probabilmente erano amici, ma anche uomini orgogliosi.
 
Kaede scosse il capo e sospirò, entrando al campus. Sbadigliò a lungo prima di incatenare la bici e dirigersi in classe lentamente.
 
Ho sonno..., si disse sconsolato.
 
Ora che Hanamichi non era in casa e quindi le serate non erano riempite da giochi e insulse conversazioni, aveva deciso di occupare le lunghe ore libere notturne per, sorpresa, studiare: era parte del motivo per cui ora il suo più grande desiderio era trovare un materasso comodo, o un surrogato, e dormire fino agli allenamenti (l’altra parte del motivo era semplicemente il suo modo di essere).
 
Doveva ammettere, tuttavia, che ultimamente negli allenamenti, pur non avendo abbassato di intensità e carico di lavoro, l’atmosfera era cambiata, perché si respirava un’aria più serena e mite. La prima partita della stagione si sarebbe tenuta il venerdì successivo, in poco più di una settimana. Il coach Roy ancora non voleva far sapere loro chi avrebbero dovuto affrontare, l’informazione sarebbe stata pubblicata dai media nel fine settimana, perché sosteneva che preferiva si godessero quei giorni per rilassarsi e concentrarsi sugli studi – come se il vecchio non ricordasse che il periodo degli esami sicuramente non era il momento per vomitare felicità.
 
Pochi minuti dopo, già in aula, con quasi tutta la sua forza di volontà rimase sveglio e attento per la prima ora; in gran parte per le parole che gli aveva detto l’idiota, parole che sembravano incise a fuoco sulla sua coscienza. Beh, erano vere, se non rendeva negli studi, non aiutava la squadra, e avrebbe anche potuto essere espulso. Un’altra motivazione per sforzarsi era che il suo lato competitivo soffriva nel sapere che Sakuragi, lo stolto e scandaloso scimmione, era il migliore della sua classe.
 
Com’era possibile? A malapena riusciva a immaginare la scimmia con un quaderno in mano.
L’unica volta che ricordava di averlo visto in quel ruolo era stato quando i senpai li avevano aiutati nelle varie materie in cui erano insufficienti. Tuttavia, poiché lui aveva trascorso la maggior parte del tempo a dormire o a fare i compiti, non poteva dire cos’avesse fatto Sakuragi a parte ovviamente rompere le scatole alla sorella del capitano.
 
Improvvisamente Kaede, fermando la matita sul quaderno, si interrogò con attenzione sulla relazione di quei due.
 
Staranno insieme?
 
Ciò tuttavia non si accordava con quello a cui aveva assistito con Sakuragi nelle due settimane in cui aveva soggiornato a casa sua, durante le quali si sarebbe sicuramente vantato di avere una ragazza e cose simili; inoltre nell’email che aveva letto – per pura coincidenza – non si parlava di amore né altre sciocchezze. Si avvertivano ovviamente amicizia e premura, ma niente di più profondo.
 
Forse sono fidanzati un po’ freddini...o molto cortesi?, si chiese; ma si corresse subito, perché non poteva immaginare un Sakuragi freddo e distante con qualcuno che amava.
 
Quell’idiota sarebbe sicuramente un fidanzato rompipalle, di quelli che non ti mollano mai...ma così infantile e innocente, che non tenterebbe mai di oltrepassare i limiti a meno che i segnali non siano MOLTO chiari...cioè, avere l’altra persona nuda di fronte a lui, pensò sorridendo. Sì, sicuramente Sakuragi sarebbe stato così.
 
Se fossero stati insieme loro due, per esempio, in quel momento la scimmia gli avrebbe riempito il cellulare con migliaia di messaggi inutili; o sarebbe andato in centro città per comprare centinaia di inservibili regali; o si sarebbe fotografato con la faccina triste, scrivendo sotto, ‘Vorrei che fossi qui, volpe’; e avrebbero parlato per ore e ore durante la notte. Forse, chissà, avrebbero anche potuto dedicarsi al sesso telefonico.
 
A quella proiezione, abbassò subito il capo e si concentrò sul quaderno. Che idiota, Kaede, si rimproverò, sentendo il proprio viso rosso. Ovviamente non accadrà mai. Lui e la scimmia? In quale mondo? Era già un disastro naturale che provasse qualcosa per potersi aspettare che l’altro ricambiasse.
 
Ma...se fosse così...sarebbe...
 
Non riuscì a fermare il suo pensiero, notando che gli altri si alzavano e uscivano dall’aula.
 
Fantastico...un’altra lezione persa per quello stupido...
 
Il resto della giornata fu lento e noioso, come tutte le altre del resto. L’unica alternazione della giornata fu il costante e molesto pensiero di Sakuragi come suo ragazzo.
 
Come si sarebbe comportato? Sarebbe stato uguale? Forse un po’ meno aggressivo, ma altrettanto competitivo? Magari romantico, affettuoso? Lo avrebbe chiamato ‘volpe’ o Kaede? Gli avrebbe dato fastidio essere chiamato ‘scimmietta’? Lo avrebbe presentato ai suoi amici come il suo ragazzo o come un semplice amico? Si sarebbe vergognato di stare con un uomo?
 
Fortunatamente il filo di domande fu interrotto quando iniziò l’allenamento: come sempre, il resto del mondo scompariva quando aveva una palla tra le mani. Il Nano, Riccio, Viso pallido, Megane-kun 2 e Ballerino lo seguivano ormai dappertutto, cosa che in verità non lo infastidiva ma neanche lo adorava; lui non era Sakuragi, non era una persona che avviava facilmente conversazioni o commenti divertenti. I ragazzi non lo guardavano mai come se l’aspettassero; non si aspettavano che parlasse di punto in bianco o raccontasse una barzlletta. Si poteva dire che lo conoscevano ed era decisamente piacevole.
 
“Rukawa, qui!” gridò Tom da sotto il canestro, privo di blocchi. Kaede, senza esitare, si mise in posizione e gli lanciò la palla con la forza necessaria. Il ragazzo, appena l’afferrò, saltò e segnò con stile. Si diedero il cinque e tornarono al centro del campo in attesa della palla.
 
Passarono gran parte dell’allenamento a dedicarsi al lavoro fisico più che al gioco, quindi tutti i giovani che avevano corso in palestra ora respiravano pesantemente e profondamente, alcuni sembravano persino sul punto di svenire o vomitare. Il sudore inumidiva i capelli, i vestiti e la pelle, brillando alla luce artificiale dei giganteschi faretti.
Correndo velocemente, Kaede passò con eleganza e destrezza un suo compagno incaricato di fermarlo, il quale rimase con una faccia ebete per la velocità travolgente del giapponese, che continuò verso il tabellone e segnò gli ultimi due punti prima che il fischio suonasse segnalando la fine della partita.
L’allenatore, applaudendo e urlando, li chiamò e si congratulò, dicendo che il giorno dopo avrebbe fornito informazioni sull’avversario che avrebbero affrontato la settimana seguente.
 
All’uscita, Kaede, dopo essersi fatto la doccia e cambiato, era in corridoio e aspettava il resto dei ragazzi. Guardò un momento l’orologio sportivo al polso e si accigliò subito. Non voleva che la questione durasse più del tempo necessario. Non quando aveva concordato di chiamare Sakuragi in serata. Sapeva che mancavano ancora un paio d’ore, ma comunque...grugnì, guardando le porte.
 
“Ehi, Rukawa! Che ci fai ancora qui, amico?” chiese Riccio, uscendo.
 
“Sakuragi” disse. Il ragazzo, inizialmente confuso, impallidì e si innervosì.
 
“Oh no! Il rosso non c’è, la scommessa non vale”
 
Sapevo che sarebbe successo...idioti, pensò Kaede nei confronti di tutti i coinvolti nella stupida scommessa. Che diamine stava passando nella testa di quello scemo quando aveva pensato a una stupidità tale? La volpe, impaziente e con un leggero fastidio, alzò le spalle, alzando la mano per mostrare una videocamera.
 
“Una videocamera! Che problemi hai, sei pazzo?! Vuoi filmare?!” l’americano sembrò iperventilare mentre correva verso il giapponese per cercare di strappargli l’apparecchio, che Kaede protesse con un’occhiata assassina.
 
“Per l’idiota” disse immutabile e freddo. Fortunatamente il duello di sguardi fu interrotto con l’uscita di un gruppo di ragazzi, tra cui Viso pallido.
 
“Ehi, che ci fate qui?” chiese il suddetto con un sorriso amichevole, avvicinandosi insieme a Tom e agli altri; l’espressione felice morì in fretta quando vide i suoi compagni.
 
“Questo dannato giapponese vuole filmarci mentre ci ba...ba...quello! La stronzata che ha scommesso il rosso!”, tutti, a eccezione dei due coinvolti – e di Kaede – risero forte per il chiaro nervosismo del giovane.
 
“Non sapevamo che fossi un vigliacco, Kevin”
 
“Una scommessa è una scommessa, amico”
 
“Ora Sakuragi saprà chi è il migliore, Riccio”
 
I commenti sovrapposti degli amici, insieme allo sguardo insistente di Viso pallido, fecero urlare Kevin per la frustrazione.
 
“Va bene! Ma non qui”
 
Kaede annuì. I ragazzi si diressero verso i cortili deserti dell’università, dove sapevano che nessuno sarebbe apparso dal nulla. I due interessati, con visi seri, fecero promettere a tutti di non ridere durante e dopo, minacciando future percosse se quanto stava per accadere sarebbe diventato motivo di scherno.
 
“Bene...bene, ora...forza...sono pronto, sono pronto...ci siamo” mormorò Riccio, muovendo mani e dita con esagerazione: Chris rimase serio e più bianco del solito, senza guardare nessuno negli occhi. Kaede, pronto con la videocamera, incitò gli idioti a muoversi. Devo chiamare il cretino..., si ripeté torturando con lo sguardo i due che aveva al centro dell’obiettivo.
 
Dopo alcuni secondi che divennero infiniti, Kevin, con apparente sicurezza, afferrò il viso del ragazzo per avvicinarlo al suo. I due si fissarono prima di unire le loro labbra. Chris, che fino a quel momento era rimasto distante, si fece in avanti e premette di più la sua bocca, dando vita a un bacio quasi cinematografico; mosse le labbra per prendere il labbro inferiore dell’altro. Kevin, che iniziò a sentire un calore nell’area dello stomaco, fece un passo indietro per separarsi completamente dal suo compagno paralizzato.
 
“Se il rosso osa dire che non basta, digli che andrò a Duke a prenderlo a calci” ruppe il silenzio Riccio prima di afferrare rapidamente le sue cose e andarsene. Viso pallido, sentendo la sua voce, prese la sua borsa e se ne andò. Gli altri rimasero in silenzio.
 
“Wow! Ho materiale da presa in giro per la vita!” rise Ballerino, facendo ridere anche gli altri. Kaede mise via la videocamera e se ne andò senza parlare. Recuperò la sua bici, vi montò e partì per casa quanto più velocemente potevano le sue gambe. Il vento estivo gli batteva sul viso mentre pedalava con entusiasmo. Il suo unico pensiero per il momento era di varcare la soglia di casa, mangiare e chiamare Sakuragi. Nient’altro. Nessun ricordo o idea stupida.
Niente.
 
Ma quel bacio..., non voleva pensarci. Non voleva ricordare gli sguardi dei due. Non voleva soffermarsi su come avevano avvicinato le labbra, muovendosi alla ricerca di maggiore contatto.
No. Non voleva ricordarlo.
 
Rapidamente arrivò a casa, dove sua madre lo salutò e gli servì la cena. Mangiò come un disperato per poi andare a lavarsi e sistemarsi prima della chiamata.
Chiudendosi in camera, si sdraiò sul letto e finalmente si rilassò, prese il cellulare e prese il numero precedentemente salvato dell’idiota.
 
“Pronto?”
 
Kaede si sentì comprimere il petto sentendo il suono profondo della voce di quello scimmione.
 
Maledetto idiota, pensò prima di decidersi a parlare.
 
“Scemo” lo chiamò con un sorriso, sapendo esattamente cosa l’altro avrebbe risposto.
 
“Che succede, bastardo?! Argh, maledetto Rukawa! Il genio non perderà tempo con te se non sai fare altro che offenderlo!” replicò prevedibilmente Hanamichi senza attendere un secondo.
Tuttavia chiaramente stava mentendo dato che, pur avendo condiviso l’intera giornata insieme ai ragazzi di Duke al campus, aveva aspettato con ansia quella semplice chiamata. Non si era chiesto il perché, era così e basta. E ora che finalmente sentiva la voce svogliata e roca del suo ex compagno di squadra, si sentiva calmo e, stranamente, a casa.
 
“Ho il video” lo interruppe Kaede, notando che Sakuragi stava distogliendo l’attenzione.
 
“Quale video, stupida volpe? Per caso stai dormendo dato che dici scemenze?” chiese Hanamichi realmente confuso, che in realtà non si era aspettato un filmato, gli sarebbe bastata una foto di scarsa qualità, il fulcro era infastidire Riccio.
 
“Il bacio, deficiente” chiarì con un falso sospiro di irritazione.
 
“Il ba-? Aah, il bacio! Ahahaha...l’hai filmato?! Come sei crudele, volpe! Me l’hai mandato? Mandamelo, mandamelo!” urlò Hanamichi come un bambino, sedendosi eccitato sul letto.
 
“Hai un computer con te?” chiese Kaede, alzandosi per prendere il proprio e tornando a letto, accendendolo e piazzandoselo sulle gambe.
 
“Sì, l’ho chiesto al vecchio Dan. Me l’hai mandato?!” domandò di nuovo ansiosamente, con il pc acceso sulla casella di posta.
 
“Aspetta, scemo” affermò aspettando che il leggero video si caricasse – per fortuna aveva una connessione Internet decente.
 
“Ah! Che lentezza, volpe! Ecco perché non riesci a battermi, perdente, ahahah!” rise Hanamichi.
 
“Non c’entra niente, scemo” esclamò subito, guardando lo schermo accigliato; la carica si era bloccata a 40%.
 
“Tutte scuse, cretino. Ti ho già mostrato l’altro giorno chi è il migliore, ahahah” continuò Hanamichi disinvolto, dimenticando momentaneamente il video che pochi secondi prima lo aveva entusiasmato. Ma in verità mettersi in mostra e vantarsi davanti a Rukawa era sempre la cosa più divertente.
 
“Hai interrotto la partita, idiota” gli ricordò la volpe, sospirando di sollievo mentre la carica tornava a velocità normale.
 
“Era per i bambini, volpe egoista! Chissà, magari avevamo davanti un futuro Michael Jordan o Lebron James, ahahaha, te lo immagini?”
 
Certo, lo ricordo, si disse Kaede con un sorriso tenero.
 
Se in quel momento non fosse stato già cosciente dei suoi sentimenti per l’ex compagno, a vederlo saltare, ridere e insegnare ai marmocchi, probabilmente la realtà dei fatti lo avrebbe colpito con forza in faccia, dato che il suo cuore si era bruciato e fuso di fronte a quell’insolita immagine. Quel giorno non aveva voluto fare altro che avvicinarsi a lui e baciarlo sulla guancia.
 
“Scemo” disse ricordando quella dolce giornata.
 
“Ah, bastardo! Con te non si può avere una conversazione!”
 
“Te l’ho inviato” lo interruppe vedendo la carica al 100%.
 
Hanamichi rise e urlò che lo aveva già nella casella di posta. Insieme, al telefono, videro il filmato dei due giocatori che si baciavano. Kaede tuttavia tornò a sentire quella stretta dolorosa e molto chiara dentro di sé. Hanamichi rimase muto per i primi secondi, per poi gridare che Riccio era un uomo di parola.
 
Non...gli ha fatto schifo? Non lo ha disgustato vedere due ragazzi che si baciano...?, si domandò Kaede all’inizio, ma dopo aver sentito le sue parole, capì che no, non gli aveva fatto schifo, e ciò gli fece provare degli spiacevoli crampi allo stomaco, come vermi e bruchi che strisciavano per i suoi organi e nei tessuti interni.
 
Parlarono di nuovo fino a tardi, Hanamichi commentò quello che aveva fatto e visto durante la giornata con la squadra e nel luogo. Kaede intervenne di tanto in tanto per le sue sempre necessarie osservazioni.
Quando si congedarono, la volpe si piazzò sopra le coperte, ma questa volta, il maledetto bacio che aveva visto continuava a disturbarlo. Non perché lo eccitasse o lo disgustasse. Ma perché gli provocava invidia e gelosia.
Avrebbe voluto che fossero lui e Sakuragi invece dei suoi compagni di squadra.
Avrebbe voluto poter abbracciare e baciare Sakuragi quando ne aveva voglia. Avrebbe voluto poter, se lo avesse desiderato, andare a Duke in quel momento, stendersi sul letto accanto a lui e baciarlo fino all’alba. Voleva disperatamente baciare quelle labbra rosa e carnose; voleva assaporarle, leccarle, morderle e aprirle per infilarvi la lingua. Lo voleva, lo desiderava, ne aveva bisogno, con tale entusiasmo e fervore che gli pareva che un buco si aprisse nel suo petto, mentre uno spiacevole nodo gli si bloccava in gola.
 
Perché non potevano essere lui e Sakuragi? Perché non poteva almeno immaginarlo?
 
Perché non gli piaci, si disse velocemente. Tuttavia, non poteva esserne sicuro; beh, anche se era vero che Sakuragi era innamorato da anni di una donna, non significava che fosse incapace di essere attratto da un uomo, no?
Nella vita reale succedevano certe cose, no?
 
Sì! Può succedere, pensò, sedendosi sulle coperte così rapidamente che le pareti e la sua testa sembrarono girare per qualche secondo. Le sue mani tremavano e il suo respiro era agitato.
Lui e Sakuragi non erano molto diversi dopotutto, certo c’erano differenze molto chiare...ma avevano anche cose in comune che non potevano passare inosservate.
Entrambi lottavano per quello che volevano; quando avevano un obiettivo nel mirino, erano capaci di dare fino all’anima per ottenerlo. Kaede era noto per la sua fiera determinazione, ma il piglio e la potenza di Hanamichi gli facevano concorrenza.
 
Entrambi, inoltre, a prescindere da come volessero apparire, erano ancora giovani; erano ragazzini che si godevano la vita e vivevano al meglio le opportunità che si presentavano loro.
Entrambi la pensavano in modo molto simile, solo che Sakuragi aveva la tendenza a verbalizzare tutto quello che gli passava per la testa, mentre Kaede era più tipo che condivideva in privato.
Entrambi ovviamente amavano e rispettavano il basket come nient’altro, e ciò faceva sì che si capissero andando oltre alla semplice amicizia, al semplice essere compagni di squadra.
Quando si guardavano negli occhi, potevano vedere gli stessi sogni e obiettivi, gli stessi desideri.
 
E soprattutto, Sakuragi voleva essere amato con disperazione, con un’aspirazione che lo circondava e lo portava a lasciare il suo cuore a persone che non lo meritavano. E Kaede...beh, lui...voleva stare con Hanamichi. Voleva accettare quella stupida scimmia e fargli capire che qualcuno al mondo, a parte sua madre, vedeva quanto era brillante e perfetto.
 
Quindi...avevano una possibilità di stare insieme? C’era una forza capace di portare due persone orgogliose e violente come loro ad avere il coraggio di unirsi?
Kaede voleva pensare di sì.
 
Ma per quello, perché lui e Sakuragi stessero insieme, perché ci fosse una possibilità, prima era necessario creare l’opportunità. Se non creava l’occasione, il momento, se non rischiava, non avrebbe mai potuto vincere.
 
È così che si dice, no?, si chiese stupidamente, fissando il soffitto bianco della stanza.
 
Cosa doveva fare, allora? Confessare all’idiota quello che provava?
Dichiararsi?
 
Ugh, sembro una ragazzina...
 
Era strano pensare in quel modo, quando solo da una settimana aveva realizzato i propri sentimenti, quando solo una settimana prima si era detto che in realtà non importava cosa sentiva Sakuragi, almeno lui avrebbe potuto godersi e vivere quelle sensazioni emozionanti per la prima volta. Ora, invece, stava seriamente considerando l’idea di piazzarsi di fronte alla stupida scimmia e dire: Mi piaci.
 
Devo dirgli così? M-mi piaci...
 
Tsk, sembra dozzinale!
 
Ma, proprio come aveva pensato qualche secondo prima...
 
Chi non rischia...non vince...
 
^ ^ ^ ^
 
“Affronteremo i Wildcats di Kentucky”
 
Le miracolose e perfette parole pronunciate dal coach Williams risuonavano ancora nella tumultuosa mente dell’ex matricola d’oro dello Shohoku. Il suo viso pallido e impenetrabile era appoggiato sul vetro dell’auto, senza prestare attenzione al paesaggio che si distendeva con grande velocità.
Lui e i suoi genitori erano usciti di casa da appena 20 minuti e già il cuore della volpe martellava dolorosamente nel suo petto, proprio come dal giovedì della settimana passata; quando stupidamente era giunto alla conclusione di dover parlare al cosiddetto genio, l’essere più idiota del pianeta, dei suoi sentimenti.
 
Quando ho pensato a una scemenza simile? Ah sì...quando ho capito che forse lui potrebbe provare qualcosa...
 
Scosse la testa sospirando interiormente, ma rimase impassibile e calmo, tantopiù che sua madre lo guardava continuamente dallo specchietto retrovisore. Kaede, dopo averci pensato per un paio di giorni, pensava che sua madre sapesse tutto quello che stava succedendo. Forse l’aveva trascurato e non se n’era accorto, ma quando era tornato a casa venerdì raccontando dell’avversario da affrontare la settimana successiva, lei aveva subito menzionato Sakuragi.
 
“Davvero?! Che bello, figliolo! Sakuragi-kun sarà lì in quei giorni, giusto? Ho parlato con Dan questa mattina, e ha detto che Sakuragi non intende partire fino a sabato dopo la partita...sai? Chiamerò subito Dan e gli chiedo che ci prenoti due stanze per quei giorni, che ne dici? Così saremo tutti nello stesso hotel”
 
Kaede in quel momento si era accigliato. Il ragazzo forse era indifferente e ignaro a ogni cosa che lo circondava, ma non era stupido. E sua madre aveva parlato come se si fosse esercitata, come se sapesse cosa dire e quando respirare. Quella sera aveva lasciato correre, era già tardi e doveva chiamare la scimmia. Ma il mattino dopo, quando la donna aveva chiesto con fin troppa ansia di Sakuragi, Kaede aveva capito.
 
La mamma lo sa...
 
La donna, tuttavia, non sembrava dispiaciuta o turbata, al contrario, si era comportata come un’organizzatrice di matrimoni di qualche soap opera. Solo uno scemo come Sakuragi non si sarebbe accorto dei suoi ovvi tentativi di farli incontrare.
 
Kaede non aveva potuto evitare di sentire un po’ di vergogna per alcuni giorni, con sua madre. Tuttavia, non ricevendo alcun rimprovero, battuta o commento, era tornato a comportarsi normalmente, specialmente perché dal fine settimana aveva avuto troppe altre cose a cui pensare.
 
Quando il venerdì successivo alla sua grande decisione, alla fine dell’allenamento il vecchio Roy li aveva riuniti e informati dell’imminente primo rivale, Kaede aveva sentito letteralmente la propria anima cadergli ai piedi. Il poveretto sapeva di voler informare la scimmia dei suoi sentimenti...
 
Ma non ora!
 
Magari nel giro di due, tre mesi...anni, o una cosa del genere. Ora invece aveva l’occasione per farlo nel giro di una settimana.
 
Una fottuta settimana!
 
L’unica cosa che riusciva a rassicurarlo, ironia della sorte, era proprio Sakuragi, con cui aveva preso l’abitudine di parlare tutte le sere e passare ore e ore al cellulare – il conto sarebbe stato davvero caro. Lo scemo, con i suoi insulti e stupidi commenti, riusciva sempre a strappargli un sorriso o una risata genuina; riusciva sempre a fargli dimenticare il resto del mondo, proprio come il basket, l’unico amore della sua vita, aveva fatto fino ad allora – il pallone aveva concorrenza.
 
La conversazione di venerdì sera tuttavia era stata speciale, perché non c’erano quasi stati gridi né insulti, solo i tipici epiteti. Insieme avevano visto su Youtube la partita che i Duke avevano sostenuto quello stesso pomeriggio e avevano analizzato ogni mossa, assist e canestro.
 
“Visto?! Il genio avrebbe fatto di meglio! Persino tu avresti saltato più in alto!” aveva detto la scimmia su una giocata particolarmente scarsa della squadra che aveva affrontato i Blue Devils.
 
“Hai notato il tremore del suo ginocchio? Deve aver avuto un infortunio...” aveva commentato la volpe, pensandola però come Sakuragi. In effetti dopo pochi minuti il giocatore aveva chiesto di uscire a causa del dolore al ginocchio destro.
 
“Mancava forza in quel canestro” aveva detto pochi minuti dopo Sakuragi riguardo a un tiro sbagliato.
 
“No, idiota. Doveva girare di più il polso” l’aveva corretto Kaede.
 
“Cosa ho appena detto, volpe! Mancava la forza! Presta attenzione al genio!”
 
Kaede non aveva potuto dimostrarlo fino al giorno successivo quando si era esercitato nel campetto pubblico, ma in effetti Sakuragi aveva avuto ragione; aveva provato lo stesso tiro, correggendo il presunto problema del polso, ma la palla non era entrata lo stesso. Arricciando le labbra e con riluttanza aveva deciso di riprovare con più forza, e la palla era andata perfettamente nel canestro. Sorridendo rassegnato, la volpe aveva preso il cellulare inviando un sms all’idiota, dandogli ragione – a modo suo, ovviamente.
 
Hanamichi aveva risposto subito con una propria foto in cui sorrideva compiaciuto – Kaede aveva passato diversi minuti a contemplare di metterla o meno come sfondo del telefono.
 
Nelle prime ore del mattino si erano salutati con parole sincere e la promessa di parlare il giorno dopo.
Il sabato, Kaede finalmente aveva parlato della partita che si sarebbe tenuta contro Kentucky il venerdì successivo. Hanamichi aveva riso, parlato di coincidenze della vita, e dell’emozione di rivedere nuovamente i suoi genitori, e aveva aggiunto che non vedeva l’ora di rigiocare con lui per verificare chi era veramente il migliore.
La domenica, invece, nonostante il desiderio di entrambi, non avevano potuto parlare, dato che Sakuragi aveva trascorso la giornata in viaggio con Dan verso la destinazione finale, e quando erano arrivati avevano potuto solo stendersi sul letto a dormire.
 
Kaede poteva giurare di sentire la distanza che li separava all’interno del suo corpo, ma lo aveva attribuito allo strano stufato che aveva preparato sua madre.
 
Il lunedì, martedì e mercoledì successivi le conversazioni erano ruotate principalmente intorno ai Wildcats, e della gran differenza che Hanamichi avvertiva rispetto alle altre due squadre; non che non fossero brave persone, aveva detto la scimmia, ma erano scettici e distanti. Kaede, per distrarlo, gli aveva parlato di come si stavano comportando stranamente Riccio e Viso pallido; i due ora sembravano evitarsi come la peste, e gli altri ragazzi non erano di aiuto dato che ridevano quando li vedevano nella stessa stanza. Kaede si sarebbe sentito infastidito in circostanze normali, ma avendo parlato con Tom e gli altri, non ridevano per il bacio tra i due o per ragioni omofobiche, quanto per il comportamento dei due giocatori, specialmente Kevin, che sembrava una donzella disonorata.
Hanamichi, con voce innocente e confusa, aveva detto:
 
“Forse...si piacciono...”
 
Kaede aveva pensato la stessa cosa, ma non aveva osato dirlo ad alta voce per paura di provocare una reazione negative di Sakuragi; ma ora era stato lui a parlarne.
 
“Sono due uomini” aveva detto solo per conferma.
 
“Tsk! Credi che non lo sappia? Non sei stato tu l’altra volta a dire che non aveva importanza, volpe ipocrita?!”
 
“Volevo solo essere sicuro che lo sapessi, deficiente...e sì, anch’io penso che si piacciano”
 
In seguito non avevano detto molto altro al riguardo, era ovvio cosa pensassero. E Kaede, con grande sollievo, aveva scoperto che Hanamichi non riteneva una coppia di uomini come anormale o ripugnante, quindi:
 
Vergognoso rifiuto 0, possibile accettazione 1.
 
Ugh, doveva ricordarsi la dichiarazione...ci pensò mentre chiuse gli occhi per addormentarsi, ma il sonno sembrava riluttante ad accompagnarlo quella mattina di giovedì.
 
Kaede, che soffrì per tutta la settimana di ansia e disperazione all’idea di rivedere la scimmia in pochi giorni, desiderò andare in Kentucky prima del necessario, davvero stupidamente, perché neanche morto avrebbe abbandonato la squadra in un momento così cruciale; tuttavia fu l’allenatore stesso a decidere di partire un giorno prima rispetto alla partita per far adattare i ragazzi all’ambiente e non dover sopportare le ore di viaggio proprio poco prima della partita; la direzione dei Wildcats inoltre si era impegnata a prestare loro la palestra per qualche ora nel pomeriggio, quindi i ragazzi avevano tempo fino a mezzogiorno per raggiungere la città. Tutta la squadra – tranne Kaede e un paio di altri – sarebbe rimasta in un hotel a spese del campus, pagando invece autonomamente acquisti vari di altra natura.
 
Per quello i suoi genitori (papà Rukawa aveva chiesto un giorno libero) lo avevano trascinato a un’ora innominabile e oscena per coprire velocemente le sette ore che li separavano dalla città, e suo padre guidava a una velocità al limite del massimo per guadagnare tempo.
 
Cosa starà facendo l’idiota?
 
...starà correndo, di sicuro...non sa stare fermo neanche due minuti...
 
“Ti va qualcosa, tesoro?” chiese Mei mostrando al figlio un sacchetto pieno di dolcetti (le mamme sono sempre pronte), ma Kaede negò col capo. Non aveva bisogno di dolci in quel momento; il suo corpo era abbastanza in ansia e tremante da solo per iniettare ulteriore energia. La volpe si dedicò ad ascoltare la musica dal suo fedele lettore cd mentre si avvicinavano alla città. Grazie a qualche divinità in cielo, a un certo punto cadde in un pacifico mondo dei sogni.
 
^ ^ ^ ^
 
La facciata austera ma classica dell’hotel in cui entrarono calmò un po’ il nervoso ragazzo che varcò la soglia con un borsone gigante sulle spalle. Nella hall, i suoi genitori si avvicinarono subito al bancone principale per confermare la prenotazione; stavano effettuando la consegna dei documenti per ricevere le chiavi quando una voce catturò l’attenzione dei tre membri della famiglia.
 
“I Rukawa! Yuma, amico, dovevate venire in aereo!” li salutò Dan, abbracciando entrambi i genitori. “Kaede, sono contento di vederti” gli sorrise, dicendo la verità, dato il rapporto che li univano, parlavano praticamente tutti i giorni. Il manager aveva in programma per lui alcune interviste e interventi televisivi insieme ad altri suoi compagni per i giorni successivi.
 
“Dan! Mi sembra di non vederti da mesi”
 
“Che gentile, Mei...mi lusinghi e devo ammettere che mi manca venire nella tua adorabile casa...quegli spuntini...uhm, buoni da morire”
 
Gli adulti risero e dissero sciocchezze mentre Kaede si tratteneva per non alzare gli occhi al cielo, colpendo ripetutamente il pavimento con un piede per l’impazienza.
 
“Ma sono felice di essere qui, mi ha aiutato molto per conoscere il giovane Sakuragi” disse poi, girandosi a guardare Kaede.
 
Quindi tutti sanno cosa provo?, si chiese seccato dalla stupida occhiata che stava ricevendo.
 
“A proposito, dov’è?” chiese la donna guardandosi intorno, quasi credendo che Sakuragi si sarebbe materializzato dal nulla.
 
“A correre. Lo fa tutte le mattine” rispose Dan per poi guardare il suo elegante orologio da polso. “Dovrebbe arrivare fra poco. Nel frattempo perché non saliamo?”, mentre i tre adulti presero le valigie e si diressero alle loro stanze, Kaede rimase nell’atrio senza sapere bene perché, dal momento che, come aveva detto Dan, Sakuragi sarebbe arrivato presto, quindi non c’era motivo perché non salisse a cambiarsi prima di vederlo per la prima volta dopo quasi due settimane.
 
Così lo trovò Hanamichi, a sospirare e scuotere il capo, mentre entrava con una corsetta lenta.
 
“Ehi volpe!” lo chiamò alzando un braccio. Kaede si voltò subito e lo guardò accigliandosi.
 
È così...
 
...così perfetto.
 
I pantaloncini erano scandalosamente corti sopra le sue cosce muscolose, mentre la maglietta decisamente mostrava troppo e più del necessario. Le spalle, il collo e il viso erano arrossati e lucidi di sudore, ma il ragazzo non ansimava né sembrava alterato dallo sforzo fisico.
 
Dopotutto è uno scimmione...cos’altro ci si può aspettare...
 
Quando furono uno di fronte all’altro, separati da pochi metri, qualcosa sembrò cambiare nell’aria della piccola reception. Era come se il tempo si fosse fermato, come se gli orologi avessero arrestato la loro funzione e le persone intorno a lui fossero scomparse dall’ambiente. Gli occhi blu sembravano voler assorbire l’immagine che avevano davanti.
 
Era stupido, ma solo ora Kaede si rendeva conto che gli era mancato; di quanto avesse bisogno di lui al suo fianco, e non solo per fantasticare sul suo grandioso corpo, ma semplicemente per avvertire la sua presenza, sapere che era lì, a portata di mano, ad accompagnarlo e a fargli sentire che tutto era migliore, più bello.
 
Mai in vita sua Kaede si era sentito così sdolcinato e imbarazzato dei propri pensieri, ma non aveva neanche mai sperimentato tali sensazioni: non si era mai sentito così connesso e legato a qualcuno. Quando era con Hanamichi, il mondo finalmente sembrava girare nel modo giusto; l’aria era più limpida e i colori più chiari e vividi.
 
La vita era semplicemente migliore.
 
Pertanto averlo lì, davanti a lui, gli faceva solo venire voglia di allungare la mano e toccarlo; abbracciarlo e stringerlo a sé, non sessualmente, ma nel senso più umano e tenero. Voleva sentire il suo calore e la sua presenza dopo quelle lunghe e terribili settimane.
 
E voglio che anche tu lo voglia, idiota, pensò stringendo le labbra e facendo un passo in avanti.
 
“Sei sempre lo stesso, bastardo! Non sei cambiato per niente!” intervenne Hanamichi, scandaloso come sempre.
 
“Sono passate solo due settimane, deficiente” disse trattenendo una risata.
 
“Beh, non per me, ahahahaha. Sono cresciuto di un centimetro, volpe nana” lo schernì indicandolo e facendo un passo in avanti.
 
“Impossibile, scemo” disse con un movimento di sfida del capo.
 
“Mi stai sfidando, dannato? Andiamo al campetto vicino! Il genio ti dimostrerà cosa sa fare!” reagì immediatamente con fuoco ed entusiasmo. Dio, come gli erano mancate le partite con la volpe!
 
“Sei appena tornato dopo aver corso” sottolineò, indicando la macchia di sudore che aveva sulla maglietta.
 
“E allora? Dubiti delle mie capacità?! Ahahahaha, non mi paragonare a te, volpe. Il genio ha bisogno di molto più che qualche chilometro per crollare, ahahah!”
 
Kaede alzò le spalle e si sollevò all’altezza dell’altro per farsi guidare al campetto che, secondo lui, non era lontano.
Con sua sorpresa, il campetto era effettivamente vicinissimo all’hotel. Entrando, Kaede tirò fuori dal borsone un paio di pantaloni e una maglietta sportiva. Sebbene non fosse esattamente pudico o insicuro riguardo al proprio corpo, ammetteva che era un po’ a disagio a spogliarsi davanti a Sakuragi, quindi evitò il suo sguardo mentre si cambiava.
 
Hanamichi, invece, che non aveva affatto problemi a togliersi la maglietta, si ritrovò con uno strano calore sulle guance e un formicolio estraneo mentre distoglieva lo sguardo per dare un po’ di privacy al suo ex compagno di squadra.
 
“Hai portato la crema solare, volpe? Con questo sole ti ustionerai!” fece innocentemente quando lo vide pronto, ma esponendo la sua pelle bianca più del necessario.
 
“Non importa. Giochiamo” replicò rivolgendosi al ragazzo, facendogli intendere che gli cedeva l’inizio della partita. L’incontro fu leggermente diverso dagli altri perché nonostante le prime intenzioni di entrambi, dopo alcuni lunghi minuti di semplici tocchi e falli, durante la partita i due cominciarono costantemente a spingersi, provando a rubare la palla mentre praticamente si abbracciavano e palleggiando il più vicino possibile all’avversario, fin quasi a far scontrare i torsi e le guance.
 
Chiunque li avesse visti avrebbe potuto concludere che il pallone tra i due era di troppo e che la partita di basket era una chiara scusa per strofinarsi l’uno contro l’altro e toccarsi quando volevano. Hanamichi l’avrebbe negato fino alla morte, ma Kaede non ne era così sicuro; lui era molto contento della piega che aveva preso l’incontro.
 
“Ah! Non ne posso più, volpe puzzolente!” urlò all’improvviso Hanamichi, afferrando la palla tra l’ascella e il fianco quando sentì una mano del ragazzo molto vicina alle sue parti più sensibili.
 
“Cosa? Ti arrendi, idiota?” lo schernì con un sorriso malefico.
 
“No! Il genio non si arrende mai! Ma non riesco più a giocare con le tue mani che praticamente mi sfiorano il...beh...l’inguine...” finì in un sussurro, guardando altrove frettolosamente. Kaede rise senza poterlo evitare, guadagnandosi un’occhiata omicida.
 
“Non ti stavo toccando, stupido. Ed era il tuo petto che era attaccato alla mia schiena, riuscivo a malapena a muovermi, scimmia” ribatté subito per non sembrare un pervertito, visto che chiaramente erano stati un po’ più tattili questa volta. Non solo per colpa sua! L’unica cosa che ammetteva e per la quale si assumeva qualche responsabilità era di essersi lasciato trasportare dal contatto che causava piacevoli sensazioni e scariche sulla sua pelle e sul suo corpo – quella sera avrebbe trascorso sicuramente un lungo momento sotto la doccia.
 
“Quello era un ottimo blocco, perdente! Dubito che un giocatore mediocre come te lo sappia, ovviamente ahahahaha...ma un genio come me usa tutto il suo corpo per fermare l’avversario” si giustificò tenendo entrambe le mani in vita, con la palla ancora salda.
 
“Sì, certo” sbuffò Kaede prima di andare a prendere qualcosa per asciugarsi il sudore.
 
“Ehi! Dove vai, volpe?” chiese Hanamichi un po’ preoccupato che Rukawa se ne andasse. Erano lì solo da un’ora, non poteva andarsene di già.
 
“Se non giochiamo, me ne vado” rispose cambiandosi. In realtà sarebbe rimasto con Hanamichi tutto il giorno, ma non voleva apparire disperato o bisognoso, inoltre sarebbe stato opportuno riposare prima dell’allenamento della serata.
 
“Resterai nel mio albergo?” chiese Hanamichi mentre tornarono insieme.
 
“Sì”
 
“Allora andiamo a mangiare! Sto morendo di fame” propose con un sorriso gigante mentre si toccava il ventre.
 
“Ti pareva”
 
“Cosa dici, bastardo?! Un atleta del mio livello deve nutrirsi spesso. Non che tu possa saperlo, perdente, ahahahaha”
 
“Se la matematica non è un opinione, stavo vincendo io” lo interruppe Kaede con un sorriso altrettanto grande.
 
“Cosa! Certo che no! Non conta! Hai barato! Hai cercato di distrarre il genio con i tuoi...i tuoi...! Quello non è giocare! Esigo la rivincita...” esclamò rapidamente Hanamichi con le guance appena arrossate.
 
Entrambi continuarono a camminare verso l’albergo e le rispettive camere.
Haamichi, dopo una doccia veloce, andò nella camera dei Rukawa, dove poté abbracciare a lungo Mei e sorridere al padre. Chiacchierarono un po’ prima che Kaede puntualizzasse di avere fame.
 
I due condivisero un abbondante pranzo – che la scimmia divorò – durante il quale Kaede non smise di pensare a cosa dover fare riguardo alla benedetta dichiarazione, ma la cosa più importante era come. Nonostante avesse passato tutta la settimana a rimuginarci, non aveva ancora trovato il modo migliore per avvicinarsi a Sakuragi e...beh...fargli sapere alcune cose.
 
Essere diretti è l’unica opzione...altrimenti questo deficiente non capirà, si disse, ricordando la partita del mattino, dove era stato evidente il contatto da una parte e dall’altra e tuttavia la scimmia lo aveva accusato stupidamente di barare e tentare di sabotare le sue giocate.
 
Che idiota...è chiaro che non si accorge di nulla, continuò guardando come si metteva un pezzo di pesce in bocca, alzando gli occhi per sorridergli con occhi luminosi di emozione; Kaede era pronto a giurare che il suo cuore si fermò per qualche secondo.
 
“Volpe, devi provare questo!” disse agitato, infilando un boccone tra le sue labbra. Kaede stava per soffocare, ma perdonò l’imprudenza solo per l’espressione adorabile e sciocca di Sakuragi.
 
“Mmh...è buono” concesse rubando un altro pezzo dal piatto di Hanamichi, che sorrise e continuò a mangiare.
 
Quando furono entrambi soddisfatti, decisero di fare un giro per la città per digerire; la scimmia indicò ogni luogo e negozio turistico e conosciuto; a Kaede francamente non importava una mazza dei resti di chicchessia conservati in tale museo, in quel momento l’unica cosa importante era stare vicino a Sakuragi e ancora di più doveva trovare l’opportunità per compiere la sua missione possibilmente suicida.
 
Mentre Hanamichi parlava e rideva di qualsiasi inutile aneddoto che gli raccontava, Kaede si dedicava a pianifiare.
Per un attimo rifletté sull’idea di dirglielo il giorno dopo prima della partita e dedicargli qualche punto; scartò subito l’idea ritenendola scadente e vomitevole. Un’altra idea era dirglielo subito: prenderlo per un braccio, guardarlo dritto negli occhi e parlare. Scartò anche quell’idea, perché non si sentiva pronto. Pensò di parlargli il giorno dopo in serata, con calma e nel momento in cui avrebbero analizzato la partita, ma in quel modo congedarsi sarebbe stato imbarazzante. Arrivò alla quarta idea, cioè dirglielo prima che se ne andasse, quando sarebbe stato in procinto di salire sull’aereo.
 
Si focalizzò su quella mentre guardava l’orologio.
 
“Devo andare all’allenamento” lo interruppe.
 
“Vengo con te!” rispose subito con entusiasmo Hanamichi. Kaede avrebbe potuto illudersi facilmente, dicendosi che aveva parlato così perché non voleva separarsi da lui, ma era ovvio dedurre che Hanamichi volesse incontrare i ragazzi della squadra.
E infatti quando arrivarono in palestra la prima cosa che Hanamichi fece fu avvicinarsi ai giovani con cui era diventato amico. Riccio, per quanto si comportasse in modo un po’ strano, fu particolarmente felice di vedere la scimmia rossa, proprio come gli altri che corsero per salutarlo e sommergerlo di domande. Kaede si sentì spiazzato per un momento, ma si riprese subito: dopotutto, lo avrebbe avuto per la notte e il giorno dopo, quindi non era il caso di sentirsi troppo possessivo.
 
L’allenamento, come tutti quelli prima di una partita, fu pensato per esercitarsi avendo l’avversario in mente. L’ambiente, come sottolineò Sakuragi, era incredibilmente diverso da quelli che aveva vissuto in North Carolina, ma il motivo era che fino ad allora si era trattato di partite amichevole, e sebbene non fossero poco importanti, non contribuivano a un campionato in caso di vittoria o sconfitta. Ora invece cominciava la vera guerra. Ecco perché il coach Williams pretese abilità e destrezza anche dalle orecchie.
 
Hanamichi osservò tutto con stupore e ammirazione, tremando dalla voglia di entrare e partecipare. Quella sera parlò con la volpe dei Wildcats; non fece commenti per fornire un vantaggio sleale, ma abbastanza per aiutarlo a vedere certe cose più chiaramente nell’imminente partita.
Quella notte dormirono di nuovo attaccati, e non perché giocarono ai videogiochi fino a tardi, ma perché la conversazione li vide alle tre del mattino che ancora ridevano per totali scemenze. Alla fine fu Kaede che richiamò l’attenzione sull’ora.
 
Hanamichi, voltando la faccia e con la voce più indifferente del suo repertorio, chiese se poteva rimanere nella sua camera. Kaede aveva alzato le spalle, annuendo con riluttanza – anche se in realtà voleva gridare di sì e rimuovere le coperte dal letto per invitarlo.
 
Il giorno dopo, Hanamichi rinunciò alla sua corsa per dormire ancora un po’ accanto al calore che l’altro ragazzo emanava. Quando si svegliò del tutto, chiamò il servizio in camera, ordinando praticamente tutto ciò che c’era sul menu; solo quando arrivò da mangiare svegliò Kaede con una brusca manata.
 
Il resto della mattinata trascorse in famiglia (i Rukawa più Hanamichi e Dan) a girare per la città, per poi pranzare in un posto carino e fresco.
Nel pomeriggio, quando arrivarono in albergo, Hanamichi andò in camera sua per preparare la valigia, visto che sarebbe tornato in Giappone il sabato con un volo mattutino e questa volta non ebbe bisogno di alcun aiuto.
Ogni capo, camicia, pantaloni, prodotto per la toletta che metteva nella valigia nera o nella borsa blu, produceva nel suo stomaco una stretta soffocante e sgradevole. Per un momento pensò che quello che aveva mangiato gli avesse fatto male, ma quando entrò precipitosamente in bagno, si guardò il viso pallido e sudato.
 
Aveva voglia di piangere, afferrarsi i capelli e tirarli fino a farsi male. Voleva tornare in camera e disfare le valigie. Buttare via i vestiti. Rompere e lasciare tutto lì.
 
Per sempre...
 
Voglio restare...ma dove? Qui in Kentucky? A Duke? In North Carolina? Semplicemente in America?
 
Non lo so...non lo so...
 
“Non lo so!” gridò alzando lo sguardo. Sospirò e rientrò in camera per finire ciò che aveva iniziato, lentamente e contrariato. I suoi occhi bruciavano. Le mani faticavano ogni volta che afferrava un indumento. Quando la valigia fu pronta, afferrò con forza i lati del bagaglio e fece un profondo respiro.
 
Pensa alla mamma, ai ragazzi...pensa a casa.
 
Tornò in sé, sentendosi più in pace. Il dolore al petto non spariva. Il bruciore negli occhi non diminuiva. Ma...pensare ai suoi cari che lo aspettavano a casa rendeva il fardello più facile da sopportare.
Prima di andarsene, si bagnò il viso e si sorrise allo specchio. Non era il momento di risultare triste e demotivato. Doveva sostenere Riccio, Viso pallido, i Wildacts...e, soprattutto...la volpe.
 
Lui e Kaede, quando Hanamichi si calmò per andare a cercarlo, partirono per la palestra. Hanamichi, per rimanere imparziale, quando vide i ragazzi si allontanò da entrambe le squadre per cercare un posto, ma non prima di avvicinarsi a Kaede, che con aria indifferente stava entrando negli spogliatoi.
 
“Rukawa” lo chiaml prima che passasse oltre le porte scorrevoli. L’ala dei Tar Heels rimase fermo per alcuni secondi prima di voltarsi, impassibile, verso di lui. “Ricorda cosa ti ha detto il genio ieri sera...fai del tuo meglio, volpe...per il bene del Giappone!” terminò, rosso come un pomodoro, andandosene subito e quasi lasciandosi alle spalle una scia di fumo.
 
Kaede lo guardò allontanarsi con un piccolo e vivace sorrisetto.
 
Per il bene del Giappone? Meglio dire per te e per me, scemo..., pensò riprendendo il cammino verso gli spogliatoi, dove si cambiò e ascoltò attentamente il discorso e le parole del coach.
 
La partita cominciò poco dopo, con tutto lo show tipico degli americani per quel tipo di eventi: musica, stampa, video, cheerleaders, commozione, pubblico euforico, più per i Tar Heels che per i locali Wildcats. Hanamichi guardò tutto con stupore ed eccitazione, trattenendo a malapena la voglia di balzare in campo per chiedere una maglietta a una delle due squadre per poter giocare.
 
Rukawa, che era stato messo come titolare, non esitò a dimostrare le sue abilità fin dall’inizio, richiamando l’attenzione e facendo impazzire i tifosi della sua squadra. Entrambi i gruppi sapevano cosa rischiavano e cosa c’era in palio, quindi misero grinta e potenza in ogni rimbalzo e canestro.
 
I primi minuti furono dolorosi per gli ospiti, che rimasero indietro di 18 punti; ma se c’era qualcosa che la volpe aveva in abbondanza, era la determinazione di prendere in mano la sua squadra e vincere. Come mai prima di quel momento, Kaede prese il peso della squadra sulle proprie spalle e li condusse alla battaglia e vicino alla vittoria.
 
Diresse e accompagnò playmaker, pivot e guardia; fece assist e segnò come una macchina. Riccio, che era entrato con lui fin dall’inizio, lo seguì; le sue triple erano vitali per colmare la distanza e superare l’avversario. Tom, che entrò in seguito, fu un centro formidabile, ideando e generando giocate vincenti.
 
All’ultimo tempo, una differenza di 12 punti separava i Tar Heels da Kentucky, con vantaggio dei primi. Quando suonò il fischio finale, tutti corsero verso Rukawa per dargli una pacca sulla spalla o il cinque. Anche la stampa richiese la sua attenzione. I fan urlavano e stendevano quaderni da far firmare. Ma lui guardò solo i volti della sua famiglia; di suo padre, che sorrideva, di sua madre, che alzò entrambe le mani con euforia, e di Hanamichi, che dopo avergli sorriso gli fece la linguaccia.
 
Idiota, pensò dirigendosi verso lo spogliatoio.
 
Il tragitto in hotel fu pieno di commenti, risate e congratulazioni da parte di sua madre; uscirono che era molto tardi, perché il coach li aveva prima riuniti, poi Dan lo aveva fermato e infine i compagni avevano voluto festeggiare con un brindisi.
 
Hanamichi parlò della partita, evidenziando soprattutto quanto sarebbe stata spettacolare se il genio avesse partecipato.
La notte arrivò velocemente.
 
Molto velocemente.
 
Principalmente per i due giovani, consapevoli del volo del giorno dopo. Kaede ebbe difficoltà ad addormentarsi, perché da un lato i nervi per quello che avrebbe dovuto fare gli torcevano lo stomaco, e dall’altro il dolore per la partenza di Hanamichi gli distruggeva ogni arto, organo, nervo e muscolo.
 
Tutto o niente...
 
Domani...domani dovrò dirglielo...
 
Tuttavia non decise come farlo, pensando anche che sia Dan che i suoi genitori sarebbero stati presenti. Un conto era che quei tre sapessero già cosa stava succedendo, ma molto diverso era che fossero presenti durante quel momento intimo.
 
Sospirò, scuotendo il capo.
 
Non ha importanza, non ora..., si disse chiudendo gli occhi e ingoiando il nodo che aveva in gola.
 
Domani...
 
Domani...
 
^ ^ ^ ^
 
Hanamichi Sakuragi, il turbolento e caotico ragazzo dai capelli rossi, in quel momento era in silenzioso viaggio nell’auto della famiglia Rukawa, diretto in aeroporto.
Osservava, senza vedere realmente vedere, il paesaggio che scorreva alla velocità della macchina. Si grattò distrattamente la guancia, guardando di sbieco la volpe che sonnecchiava accanto a lui con il viso appoggiato al vetro.
 
Magari fossi io così tranquillo...
 
Perché si sentiva così? Perché la sventura sembrava annebbiare la sua mente? Non doveva essere emozionato, eccitato e nervoso all’idea di tornare a casa? Di rivedere sua madre e i suoi amici?
 
Lo sono! Lo sono..., si disse guardando le mani. Sono felice di tornare a casa, ma..., pensò alzando lo sguardo e osservando mamma Rukawa. La donna rise mentre commentava qualcosa al marito dall’aria serena; tornò a guardare la volpe, che si stava svegliando sbattendo le palpebre.
 
...MA FA COMUNQUE MALE...
 
Mei offrì loro dei dolcetti; Hanamichi sorrise e balzò per afferrare il sacchetto quasi con violenza; Kaede lo guardò torvo e si allungò per rubarglielo.
 
“Vattene, volpe puzzolente! Sono miei!” gli urlò ringhiando.
 
“Lascia tu, idiota. Sono di mia madre, quindi miei” rispose tirando il sacchetto con più forza.
 
“Ah! Volpe egoista!” esclamò prima di lasciare di colpo il sacchetto, costringendo Kaede a urtare contro la portiera.
 
“Animale” disse, frugando nella borsa alla ricerca delle sue caramelle preferite. Si voltò e incontrò lo sguardo ansioso e goloso della scimmia, che gli suscitò una risata prima di decidersi a lanciargli il sacchetto.
 
“Ragazzi, siamo arrivati”
 
Il silenzio li seguì dal parcheggio alle porte scorrevoli e in vetro dell’ingresso del grande aeroporto. L’unica cosa che si sentiva era il fragore e la congestione delle altre persone; famiglie complete e gruppi di amici che aspettavano alle porte di varie destinazioni, nazionali e internazionali.
 
Hanamichi si fermò e alzò lo sguardo sul tabellone.
Sospirò e deglutì con forza mentre sentiva lo stomaco che gli cadeva ai piedi.
 
È ora..., pensarono entrambi senza guardarsi.
 
Andarono verso il punto che corrispondeva alla destinazione di Hanamichi, dove incontrarono il vecchio Dan. L’uomo si avvicinò e lo abbracciò, lasciandolo sorpreso per quel gesto familiare. Hanamichi però gli diede subito un’affabile pacca sulla schiena. L’uomo aveva dimostrato di essere rispettabile, gentile e premuroso, una persona onesta e divertente a cui piaceva prenderlo in giro, ma che lo rallegrava immediatamente con un commento o complimento.
 
“Abbi cura di te, ragazzo. E chiamami per qualunque cosa. Specialmente quando prenderai la tua decisione”
 
Hanamichi annuì e sorrise. Più seriamente si avvicinò ai genitori di Kaede, che aspettavano un po’ più indietro.
 
“Io...voglio ringraziarvi per avermi aperto le porte della vostra casa...per avermi accettato...come un membro della famiglia. Io...”, si fermò quando sentì l’abbraccio della donna intorno alla sua vita. Hanamichi sussultò ricordando la propria madre che quattro settimane prima in aeroporto aveva fatto lo stesso gesto. Ricambiò dolcemente l’abbraccio.
 
“Abbi cura di te...e per favore, chiamaci” disse la donna con gli occhi arrossati e una mano sulle labbra.
 
“Non è stato un disturbo, Sakuragi. È stato un piacere” aggiunse Yuma con un sorriso, stringendogli con forza la mano.
 
Le sue forze parvero svanire mentre si voltava verso Kaede. Questi rimase immobile, un po’ lontano dagli altri. I tre adulti, guardandosi, decisero di allontanarsi per dare loro un po’ di privacy.
 
“Alla fine abbiamo pareggiato, volpe. Non sono riuscito a dimostrarti che sono il migliore, ahahahah” iniziò con un sorriso, mentre l’altro ragazzo voltava la faccia. Hanamichi si accigliò, “quando tornerò, a prescindere dalla squadra, avremo la nostra rivincita...te lo garantisco!”
 
“Non hai ancora deciso?” chiese Kaede dopo essersi schiarito la gola.
 
Merda, merda, merda...
 
Ora, Kaede, ora...
 
“Te l’ho appena detto, bastardo! Devo ancora pensarci bene...” rispose, sentendosi nervoso e turbato.
 
“Mmh...” fu l’unica cosa che uscì dalla sua arida gola; provò a ricomporsi, ma non funzionò. Deglutì diverse volte guardò gli occhi castani di Hanamichi. Questi sembrava stranamente svogliato, stanco e demotivato. Nessuna energia sgorgava da lui, nessuna gioia né risata circondava l’anima più allegra che la volpe conoscesse.
 
È perché se ne va? Perché non vuole partire?
 
Ma se è così...resteresti nei Tar Heels?
 
Resteresti...qui...con me?
 
Sakuragi...
 
Sakuragi...
 
Hanamichi...
 
“Beh...devo andare...ci vediamo, volpe puzzolente!” disse Hanamichi sentendo l’annuncio del suo volo. “Non dimenticare che il genio verrà a strapparti il titolo come migliore giocatore del Giappone!” esclamò con falso impeto prima di voltarsi e dirigersi al gate designato.
 
Adesso...Kaede...
 
Chi non rischia...
 
“Hanamichi!” lo chiamò, sorprendendo sia il ragazzo che i tre adulti che osservavano distanti.
 
...non vince.
 
Hanamichi si voltò di fretta, guardando Kaede che avanzava lentamente verso di lui; quando erano separati da pochi centimetri, Kaede si fermò.
 
“Per prendere una decisione migliore...” iniziò in un sussurro; i suoi occhi blu si alternavano tra le iridi di cioccolato che lo guardavano con confusione e le sue labbra rosa e socchiuse, “...devi avere tutte le informazioni”, terminò, deglutendo rumorosamente prima di inclinarsi, alzare leggermente il viso e unire le labbra a quelle secche ma così sognate e desiderate di Hanamichi.
 
È reale?
 
È un sogno?
 
Il corpo e i muscoli di Hanamichi erano pesanti; l’acciaio l’avvolgeva, era legato a mattoni che lo stavano affogando. I suoi occhi, così espressivi e gioiosi, ora erano spalancati. Dire che la sorpresa lo impantanava era un’idiozia, perché era più che stupito. Era confuso, arrabbiato, stanco, eccitato, tremante, anelante, sconvolto...principalmente sconvolto.
 
Le labbra sottili e morbide di Kaede premettero leggermente sulle sue; si allontanarono di millimetri, tornando ad accarezzare il suo labbro superiore. Lo coccolò e lo assaporò come aveva sognato per tutte quelle notti. Sospirò e soffiò mescolando il suo respiro caldo con quello di Hanamichi. Le loro bocche semiaperte si toccarono di nuovo, ma Kaede indietreggiò immediatamente e aprì gli occhi.
 
“C-che?” riuscì a dire Hanamichi prima che la volpe lo guardasse e si girasse per scappare, lasciandosi alle spalle quattro persone stordite. Uno in particolare, che nemmeno riusciva a respirare.
 
Hanamichi iperventilò, senza muoversi.
 
Che...?
 
Che...?
 
“Signore? Se deve imbarcarsi, deve entrare ora” lo svegliò la voce gentile ma forte di una donna. Hanamichi si voltò e annuì rigidamente.
 
Strinse con forza la sua borsa e lentamente attraversò la soglia che lo avrebbe riportato in Giappone.
 
A casa...
 
 
 
 
*sia Andre Wade Dawkins che Mike Krzyzewski esistono davvero.

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Capitolo 8
*** 8. Primo bacio ***


La piccola stanza, perfettamente illuminata dagli intensi e caldi raggi del sole, sembrava un’orribile zona di guerra – una zona di guerra accademica e piena di libri – perché sul futon e sul pavimento c’erano centinaia di quaderni, libri, fogli stampati e fotocopiati, in maniera disorganizzata intorno a un frustrato e stressato ragazzo dai capelli rossi. Il ragazzo leggeva con fervore e appassionata attenzione le pagine di fronte a sé, cercando di imparare la formula o almeno di memorizzare nel poco tempo che aveva per gli imminenti esami.
 
“Agh! Come dovrei imparare tutta questa roba in meno di una settimana?!” urlò al soffitto prima di sbuffare e rotolare sulle morbide e soffici coperte sotto di sé. Sbatté le palpebre più volte senza concentrarsi su nulla in particolare, sbadigliando e muovendo lentamente il collo per rilassare la tensione accumulata. Gli scrocchi del suo corpo echeggiarono e l’esausto ragazzo fece una smorfia.
 
Se solo potessi giocare a basket, pensò.
 
Era passata una settimana da quando il genio era tornato in terra nipponica, imbattendosi nella spiacevole sorpresa dei suoi insegnanti che, sebbene lo avessero incoraggiato a seguire i suoi sogni, concedendogli più tempo del normale per sostenere gli esami, si erano presentati per dirgli che i tempi si erano accorciati, dato che si avvicinava la fine del semestre e il direttore della facoltà non avrebbe permesso esami al di fuori di quel periodo.
 
Ovviamente Hanamichi comprendeva la difficile situazioni dei professori e la politica che l’università seguiva, ma ciò non eliminava il fatto che in appena sette dannati giorni avesse roba da studiare per 4 materie; per fortuna divina i suoi voti durante l’anno avevano mostrato che già sapeva qualcosa, dandogli una media decente. Inoltre, il fatto che la maggior parte dei suoi compagni di lezione avesse sostenuto gli stessi esami significava che potevano guidarlo sul tipo di domande che potevano emergere e alcuni potevano anche prestargli i test che erano già stati restituiti.
 
Hanamichi osservò il vecchio cellulare sulla scrivania, che lo puntava quasi appositamente; il ragazzo era terribilmente tentato di afferrarlo e chiamare Yohei, o chiunque per uscire, ma fu fermato dal ricordo che solo il giorno prima avevano trascorso tutta la giornata insieme, traducendosi in una giornata di dispersione e nessun progresso negli studi.
 
Inoltre si sarebbe potuto divertire una volta finita tutta quella vicenda, come aveva fatto nel giorno in cui era rientrato, quando sua madre e i suoi più cari amici lo avevano sorpreso con una riunione di benvenuto.
 
C’erano stati tutti, l’Armata, gli ex compagni dello Shohoku, ragazzi delle altre squadre, i quali ridendo e dandogli pacche sulle spalle l’avevano salutato allegramente per il suo ritorno, facendogli quasi venire le vertigini con le domande sulla straordinaria terra del basket, sulle squadre, le città, le ragazze.
Haanamichi, con una smorfia imbarazzata e infastidita, aveva ignorato ogni dubbio.
La sua povera mamma, invece, era rimasta praticamente senza cibo né provviste dopo quella folle nottata, ma si era dimostrata felicissima ed euforica per preoccuparsi realmente, perché il suo unico e adorato figlio era tornato a casa dopo un intero mese di assenza.
 
Hanamichi, che aveva viaggiato in aereo con l’espressione più rigida e traumatizzata della sua vita, alla fine era riuscito a rilassarsi e dimenticare tutto a casa con i suoi amici. L’ansia e i nervi che avevano cercato di mangiarlo vivo per tutto il volo erano evaporati come acqua davanti ad alte temperature quando finalmente aveva ripreso a ridere con la sua Armata e gli altri. Si era divertito, tentando di di scordare, tra gli aneddoti del college di Miyagi e Mitsui. O le domande di Akagi e Kogure. I commenti fuori luogo di Noma, Taakamiya e Ookusu. Tuttavia ovviamente la spensieratezza non era durata eternamente, perché molti gli avevano chiesto:
 
“Come sta Rukawa, eh? Loquace come sempre?” aveva chiesto Miyagi senza malizia, provocando le risate dei presenti che l’avevano guardato in attesa di una risposta. Hanamichi era rimasto immobile per alcuni istanti, che per fortuna erano passati inosservati, ma per lui erano parsi infiniti e tortuosi.
Dal nulla, in un secondo tutto gli era tornato in mente: il modo in cui la volpe l’aveva chiamato per nome, con fiducia e determinazione; il modo in cui con passi esitanti si era avvicinato lasciando giusto qualche centimetro di disanza, e infine, quando aveva alzato il viso e l’aveva...baciato...sulle labbra!
 
Quel dannato..., si disse Hanamichi, trascinandosi tra le coperte, ricordando che alla festa di bentornato aveva risposto con un sogghigno e una risata sgradevole.
 
“Quel bastardo è ancora tremendo...non si avvicina minimamente alle fantastiche abilità del genio, ahahahah!” aveva risposto, contrariato e con vergogna repressa, sentendo in realtà il proprio cuore che gli martellava contro le costole e il viso arrossato. Gli altri tuttavia, impegnati col cibo, le chiacchiere e gli amici, non si erano accorti della sua espressione agitata e scomposta, per fortuna.
 
“Dannazione! Perché devo ricordarmi di quel bastardo?!” esclamò ad alta voce, mettendosi seduto sul futon.
 
In quei pochi giorni in cui stava impiegando tutti i suoi sforzi per recuperare il ritardo sulle materia e riprendere ad allenarsi con la sua squadra di basket, era risultato infruttuoso il tentativo di scrollarsi di dosso il ricordo di quella mattina in aeroporto e del gesto sconvolgente di Rukawa.
 
Inizialmente, pensandoci, si era ritrovato tremante, con lo stomaco che pareva cadere ai suoi piedi; era strano, ma era come se il suo corpo fosse ansioso di riprovarlo, di risentire quel calore sulle labbra e la scarica lungo la schiena, e più se lo ricordava, più si chiedeva perché diamine Rukawa l’avesse fatto.
 
Kaede gli aveva detto...Per prendere una migliore decisione, devi avere tutte le informazioni...
 
E cosa cazzo significa?!, pensava ogni volta.
 
La prima conclusione logica era che Rukawa fosse impazzito; dormire troppo gli aveva sciolto alcuni neuroni e cellule cerebrali e di conseguenza aveva agito nel modo più bizzarro e stupido possibile, mentre sfortunatamente c’era lui lungo la strada.
 
La seconda conclusione – scartando la prima perché un problema cerebrale avrebbe richiesto un comportamento costantemente assurdo – serpeggiava nell’ipotesi che forse la volpe provava...insomma...qualcosa per, beh...per lui...ma la respinse subito. Era del tutto impossibile.
 
Rukawa, il re dei ghiaccio, provava qualcosa per lui, il genio?
 
La volpe che provava sentimenti?
 
No, impossibile, la sola idea era esilarante.
 
Era dunque arrivato alla terza, ultima e chiara conclusione, che lo aveva convinto e fatto arrabbiare parecchio. Quel fottuto bastardo l’aveva fatto solo per intrufolarsi nella sua testa, confonderlo e manipolarlo a prendere una decisione che lo favorisse. Ovviamente la volpe si sentiva minacciata dal suo genio e capacità, quindi con quel bacio aveva tentato di allontanarlo. Quel dannato arrogante voleva i Tar Heels tutti per sé e quindi gli si era approcciato con l’intenzione di infastidirlo e alterarlo; cosa che sfortunatamente aveva funzionato, dato che Hanamichi non riusciva a togliersi quella scena dalla testa.
 
Solo pochi giorni prima però si era detto che non avrebbe lasciato che le azioni di un imbecille lo irritassero, influenzandolo a prendere la sua decisione. Se voleva andare con i Tar Heels, ci sarebbe andato! Niente e nessuno si sarebbe messo sulla sua strada per fermarlo; e se alla volpe non piaceva l’idea, che si impiccasse, perché se lui avesse voluto, si sarebbe unito alla squadra.
 
Hanamichi, sospirando, prese uno dei quaderni, vedendo le lettere senza leggerle veramente. C’era qualcosa che non si adattava alla sua brillante e perfetta ipotesi, ed era lo stesso Rukawa.
 
Beh, sapeva che la volpe non era l’essere più amichevole e adorabile del pianeta, c’era un motivo se non erano andati d’accordo ai tempi del liceo; ma...durante le settimane in cui era stato a casa sua, Hanamichi poteva giurare di averlo conosciuto più profondamente e in un altro modo; avevano condiviso ore e ore insieme, parlando, insultandosi, ridendo! Perciò...Hanamichi non capiva.
 
Non capiva assolutamente come Rukawa potesse fare una cosa del genere. Lo odiava tanto? L’astio accumulato era così tanto da non scuotere nemmeno un po’ la sua coscienza all’idea di fare una cosa così meschina come rubare il suo primo bacio solo per spaventarlo, respingerlo e allontanarlo?
 
E faceva male. Faceva male perché Rukawa era...
 
...un amico.
 
Ringhiando come un animale selvaggio, scosse con forza la testa, decidendo he era meglio concentrarsi sulle migliaia di fogli e quaderni che lo circondavano come una muraglia.
 
Dimentica quel bastardo! Ah, maledetto Rukawa!, pensò infine, prima di passare agli studi. Rimase lì, nascosto nella sua stanza, finché sua madre lo chiamò per la cena. Con lo stomaco che reclamava cibo, uscì quasi correndo.
 
^ ^ ^ ^
 
“E? E...? Com’è andata, Hanamichi?” chiese Takamiya con desiderio non represso, che insieme al resto dell’Armata guardavano come agnelli al macello il loro leader.
 
Hanamichi, che pochi secondi prima aveva lasciato l’aula dove aveva sostenuto l’ultimo esame, mantenne testa e faccia in bassa, quindi nessuno dei quattro poteva prevedere l’esito dell’arduo studio a cui il ragazzo si era sottomesso volontariamente.
I secondi continuarono a passare e nessuna risposta interruppe la tensione che aleggiava. I ragazzi batterono le palpebre quando Hanamichi alzò il viso con veemenza.
 
“Beh, cosa credete, scemi?! Il genio ha superato tutto! Ahahahah!” urlò portandosi le mani in vita.
 
“Congratulazioni, Hana!”
 
“Andiamo a festeggiare!”
 
“Sì, ho fame!”
 
“Ma in un posto economico, non ho molti soldi...”
 
L’allegra Armata con il suo capo si godettero finalmente un pomeriggio libero dall’università e preoccupazioni accademiche, dedicandosi invece al riposo e al girovagare, ridendo e infastidendo i passanti che lanciavano loro occhiate assassine. L’ultima destinazione fu il ristorante della famiglia Uozumi, e il ragazzo in quel momento era di turno. Il capo delle scimmie, riconoscendo i ragazzi, si occupò subito di loro, dando ancora più cibo di quello che avevano ordinato.
 
“D’ora in poi questo è il mio posto preferito!”
 
“Zitto, Takamiya! Lo dici solo perché ti hanno dato cibo gratis!”
 
“Non è vero!”
 
“Come, non è vero? L’altro giorno il tuo preferito era Danny, perché continuavano a sbagliare e darti più cibo!”
 
Mentre i tre stolti si imbarcavano in una lotta verbale, Yohei osservava il viso sorridente di Hanamichi, che guardava i ragazzi litigare, ridendo ogni tanto delle sciocchezze menzionate. Yohei, che forse non era il più serio, ma sicuramente era il più attento del gruppo, non poteva non notare il modo strano in cui Hanamichi si comportava da quando era tornato dall’America.
L’atleta ovviamente continuava a ridere, a fare commenti e a mostrare la sua turbolenta personalità, ma qualcosa sembrava fuori dal comune; a volte, quando erano tutti insieme, Hanamichi andava sulla luna e sembrava riluttante a scendere a terra per diversi lunghi istanti.
Yohei voleva attribuirlo alla pressione a cui il suo amico era sottoposto in quel periodo, solo quell giorno il semestre si era concluso, inoltre c’erano le partite da giocare con la sua squadra di basket, e la cosa più pesante di tutte era il dover decidere in quale università andare per la stagione successiva – sempre se ne avesse scelta una.
 
“Uh?” fece Hanamichi, sentendo lo sguardo fisso dell’amico su di sé, “che c’è, Yohei?”
 
“Ah, no, niente...mi chiedevo solo se avessi già parlato con il professor Anzai” chiese con reale curiosità, perché Hanamichi non aveva detto nulla sull’argomento ad eccezione dei commenti per ciascuna squadra: com’erano i giocatori, gli allenatori, le palestre e le città, ma niente sulla sua visione o preferenza.
 
“Con il vecchietto?” ripeté, “sì. Sono andato a causa sua l’altro giorno” rispose senza approfondite, ma in quell’istante tutti i ragazzi prestarono attenzione.
 
“E...?” dissero i quattro contemporaneamente.
 
“E niente! Abbiamo parlato e il vecchio mi ha dato la sua opinione...ma nel modo più imparziale possibile, perché non voleva influenzarmi. Come se qualcuno potesse manipolare il genio!” disse prima di trangugiare un boccone particolarmente grosso che lo zittì per alcuni minuti.
L’Armata lo guardò, sperando in qualcosa di più.
 
“E non hai ancora idea di quale ti piaccia di più?” osò Noma.
 
“Ah, perché tante domande all’improvviso? Non lo so! Sono tutte e tre fantastiche! E questo genio sarebbe utile per chiunque! I Duke sono grandiosi...quando li ho visti sono rimasto senza parole...Kentucky è una squadra rinomata e...i Tar Heels...beh, loro...sono stati i primi che ho visto...” disse, volgendo il viso verso la finestra, sbadigliando e corrugando il viso con indifferenza e noia. Ma i suoi amici lo conoscevano. Non per niente avevano parlato tanto in videochiamata durante il soggiorno con i Tar Heels, ed era chiaro che Hanamichi si fosse divertito con i ragazzi, l’allenatore, l’ambiente...lì Hanamichi si era sentito a casa.
 
Decisero poi di lasciar perdere, dato che se Hanamichi avesse davvero avuto bisogno di loro, li avrebbe cercati – in un certo modo; non c’era ragione di insistere fino a seccarlo – anche se erano dannatamente tentati dal farlo, ma l’incentivo diminuiva pensando alle probabili testate che avrebbero ricevuto se l’avessero disturbato.
 
Solo a tarda serata la scimmia entrò in casa sua , sentendosi esausto e con lo stomaco finalmente soddisfatto.
 
“Hana! Eccoti” lo salutò sua madre, ancora con gli abiti da lavoro, indicando che era appena arrivata. La donna si avvicinò al figlio con il telefono cordless in mano, “è il signor Dan”
 
“Come?” sussurrò impressionato, ma la donna alzò le spalle e se ne andò per cambiarsi.
 
Perché il vecchio lo chiamava? Forse non sapeva che le chiamate internazionali costavano una fortuna? Quel poveretto poteva andare in bancarotta! Forse era successo qualcosa di grave? Qualcosa di così tragico da poter essere raccontato solo via telefono?
 
No...
 
E se fosse successo qualcosa a mamma Rukawa o...alla volpe...
 
“Pronto?” chiese subito con urgenza, incollando inconsciamente la cornetta all’orecchio.
 
“Sakuragi! Che bello sentire la tua voce!” rispose l’uomo con entusiasmo paterno.
 
“Cosa c’è? È successo qualcosa? Stanno tutti bene?” la disperazione era evidente a ogni parola pronunciata, il nervosismo e l’ansia lo facevano sudare e respirare pesantemente.
 
“Eh...sì...solo preoccupati perché non hai chiamato dopo quasi due settimane, ragazzo. Se non avessi parlato con Anzai qualche giorno fa, penserei che sei sparito” rispose con tono di rimprovero, ma ridendo alla fine della frase.
 
Hanamichi si accigliò.
 
“Se stanno tutti bene, perché spendi così tanto per una chiamata, vecchio?” lo accusò salendo in camera sua per sistemarsi sul futon già steso, sicuramente preparato da sua madre.
 
“Beh, cosa credi? Sakuragi, sei più ottuso di quanto pensassi” sospirò Dan, scuotendo il capo.
 
“Cosa?! Come osi insultarmi? Il genio non è affatto ottuso! Capisco tutto alla perfezione!”
 
“Allora perché ti arrabbi tanto se ti chiamo? Voglio solo sapere come stai, ragazzo” l’uomo ovviamente era sincero, ma non stava dando tutte le informazioni.
 
La chiamata ad Hanamichi ci sarebbe stata prima o poi, perché il suo progetto – e ciò che gli aveva chiesto il suo caro amico Anzai – vedeva di rappresentare il ragazzo negli Stati Uniti a un certo punto, e avrebbe dovuto contattarlo per sapere la sua decisione. La comunicazione era stata anticipata, però, per motivi estranei al lavoro; era una chiamata motivata da ragioni strettamente personali. Ragioni motivate dal volto abbattuto di Kaede nelle ultime settimane.
 
“Mmh” grugnì Hanamichi, arricciando le labbra. “Sto bene...ho terminato il semestre...questo talentuoso studente ha passato tutti gli esami con ottimi voti! Ahahaha, e la mia squadra è in finale, giocheremo la prossima settimana. Il genio condurrà tutti alla vittoria, ahahaha!” si vantò ridendo.
 
“Me ne rallegro. E non ho dubbi che vincerete con te lì” fece, placando qualsiasi potenziale attacco. Come previsto, la scimmia rise liberamente e con freschezza.
 
“Ma certo! Ahahaha, è bello che tu riconosca il mio valore!”
 
“Ehi, Sakuragi...se non sei più impegnato, allora perché non hai chiamato i Rukawa? Mei è molto preoccupata e turbata dal fatto che li ignori” decise di andare subito al punto ora che il veemente ragazzo era più tranquillo.
 
“No! Non li ho affatto ignorati! Mamma Rukawa è la migliore! Ma...”
 
Non voglio parlare con quel bastardo...uh! Solo a pensarci mi viene voglia di uccidere qualcosa..., Hanamichi si morse il labbro, provando a inventare una buona scusa per non dirlo; purtroppo aveva già detto che il semestre era finito e che la sua unica partita si sarebbe tenuta la settimana successiva. Cosa gli rimaneva?
 
Non posso, ho gli allenamenti tutti i giorni...sì, ecco!
 
“Non dev’essere una cosa lunga, ragazzo. Una semplice videochiamata basta per far vedere che sei vivo e vegeto” lo interruppe Dan. “Che ne dici, se hai carta e matita con te, posso dettarti l’email di Mei, così puoi scriverle il giorno e l’ora in cui sarai disponibile e lei si organizza; ricorda che il Giappone ha 14 ore in avanti rispetto agli Stati Uniti orientali. Che ne pensi?”
 
Hanamichi, sentendo di poter comunicare solo con mamma Rukawa, acconsentì. Dan gli diede l’email. I due chiacchierarono, giungendo alla domanda fatidica:
 
“Hai già scelto una squadra?”
 
“No...sono tutte e tre fantastiche, ma ci devo ancora pensare”
 
Dopo poco interruppero la conversazione con la promessa di risentirsi presto, con Dan che chiarì ad Hanamichi che non sarebbe stato lui a chiamare.
Hanamichi, guardando per qualche secondo il pezzo di carta tra le mani, andò immediatamente al portatile sulla scrivania e inviò un’email alla donna, chiedendole di parlare in videochiamata due giorni dopo alle 12 della notte, così in North Carolina sarebbe stato ancora mattina. Con un sorriso allegro, si mise il pigiama e si fiondò in una notte con sogni che il giorno dopo non ricordò.
 
^ ^ ^ ^
 
“Passa, passa!”
 
Le urla rimbombavano nella palestra dei Tar Heels del North Carolina nel bel mezzo dell’allenamento pomeridiano. Le squadre provvisorie ora in campo cercavano di dare tutto nonostante fosse solo una partitella. Tutti sapevano quanto fosse importante non perdere il ritmo, la concentrazione e continuare a vincere. La partita successiva si sarebbe tenuta entro pochi giorni e il fuoco della determinazione sembrava più vivo che mai ora che erano imbattuti, con tre partite vinte.
 
Chris – Viso pallido – era sotto il canestro, posizionato e in attesa del rapido arrivo di Kaede, che sudando e respirando pesantemente, palleggiò con precisione e un’eleganza quasi anormale. Guardò rapidamente i compagni di squadra, sperando di scorgere un passaggio per rompere la difesa avversaria, ma il blocco raggiungeva il suo scopo. Sospirò e prese un’altra decisione. Con un piccolo passo indietro, leggermente ma in maniera evidente, unì un poco gambe e braccia, così che il provvisorio avversario saltasse per coprire la presunta tripla; ma Kaede, aspettandosi quel movimento, passò, sorprendendo sia il ragazzo che gli altri che non poterono fare molto contro il rapido volpino che segnò da sotto il canestro.
 
“Eccellente” disse Tom, dandogli il cinque e sorridendo; Kaede annuì.
 
La sua squadra alla fine vinse con una differenza di due punti e le congratulazioni dell’allenatore e dello staff tecnico presente; gli altri compagni ridevano o si sedettero per riposare. Dopo che il coach Williams ebbe parlato istruendoli sul giorno seguente, li congedò con un applauso. Kaede si alzò subito per dirigersi con calma nello spogliatoi, dove si cambiò i vestiti fradici attaccati alla pelle. Fece la doccia e si rivestì il più lentamente possibile. Ultimamente tornare a casa era uno dei momenti più spiacevoli della giornata, quindi quando si puliva cercava di impiegare più tempo umanamente possibile.
 
Seduto sulla panchina, fissò la borsa ai suoi piedi. I gomiti erano pesantemente appoggiati sulle cosce e le mani di tanto in tanto si incontravano o si sistemavano la corta frangia nera.
 
“Resti di nuovo fino a tardi?”, nonostante l’inflessione, le parole riflettevano più un’affermazione da parte del ragazzo più basso in squadra. Tom – il Nano – osservò il suo compagno che si limitò ad annuire senza guardarlo.
 
“Quindi...Sakuragi non ha ancora chiamato?”, quello, proprio come sperato, svegliò il giovane, che con aria un po’ più espressiva sollevò gli occhi e mantenne il silenzio. Tom rinunciò all’idea di lasciar perdere, chiaramente il suo compagno era arrabbiato o turbato per qualcosa; per lui era ovvio l’oscuro cambiamento che il giapponese aveva subito negli ultimi giorni. In campo e nelle partite Kaede Rukawa era ancora il giocatore più brillante e promettente del basket giapponese, una stella nascente e implacabile che spazzava via gli avversari; ma non appena i suoi piedi toccavano terra, qualcosa sembrava abbandonarlo.
 
“È...è comprensibile, sai? Insomma, è stato lontano da casa per un mese...starà recuperando con tutto quanto...la famiglia, gli amici, l’università, la squadra e il resto...deve essere occupato”
 
Sì...occupato a ignorarmi come la peste..., pensò scuotendo il capo.
 
Erano passate già due settimane – due fottute settimane! E la dannata scimmia non aveva dato alcun segno di vita, nemmeno una misera mail che diceva: ‘Ehi, il genio è vivo’. Niente. Niente di niente. E Kaede non avrebbe finto di non saperne il motivo. Era ovvio. Era chiaro e scritto sui volti di sua madre, di suo padre e anche del suo manager. Tutti sapevano. Tutti l’avevano sentito chiaramente, ma nessuno osava dirlo ad alta voce.
 
Kaede Rukawa, il re dei ghiacci, l’ex super matricola, il dannato stupido che aveva baciato un altro stupido, era stato respinto.
 
Brutalmente. In modo violento e straziante.
 
Per alcuni giorni avrebbe potuto giurare di sentire e immaginare Hanamichi allungare crudelmente la mano verso il suo petto, perforando pelle, carne e ossa, solo per strappare il suo cuore e lanciarlo a terra senza pietà. E lo vedeva lì, il suo cuore, rosso, vivo, palpitante e appassionato, mentre veniva calpestato furiosamente; mentre veniva schiacciato e spremuto da qualcuno che non lo amava e che mai lo avrebbe ricambiato.
 
E faceva male...merda, faceva male...perché ora il suo petto era vuoto...nulla sembrava muoversi dentro di lui. Niente pulsava vigorosamente. Niente aveva vita.
 
L’unica cosa che lo teneva sveglio e attento era il basket. Prendere la palla, palleggiare, segnare o soltanto guardarla, in quel caso il mondo tornava a brillare e ad essere migliore. Quando correva e giocava, si sentiva di nuovo potente e invincibile, come se nulla potesse acciuggarlo. Ma appena usciva dal campo, migliaia di frecce trapassavano la sua armatura che coraggiosamente aveva utilizzato, dilaniando vestiti e pelle, lasciandolo debole e sanguinante.
 
Come ora.
 
Se solo mi avesse detto qualcosa...se mi avesse colpito o insultato..., pensò. Ricevere una risposta negativa almeno sarebbe stato qualcosa; ma ora il silenzio era la sua unica risposta.
 
Sicuramente ora sceglierà il Kentucky...o, idiota com’è, nemmeno verrà in America...quel deficiente sarebbe in grado di rinunciare ai suoi sogni solo per...per non vedermi...mai più...
 
“Ehi, Rukawa” sentì accanto a sé; si voltò con calma per vedere di cosa si trattava, ma una nebbia sembrava offuscargli la visione; sbatté le palpebre un paio di volte prima di notare Tom in piedi, profondamente accigliato.
 
“Stai bene?”
 
Kaede annuì, preparandosi a prendere la borsa per andare a casa. Uhm, porterò la bici a mano..., avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare gli sguardi compassionevoli o preoccupati che gli altri ragazzi gli gettavano di recente.
 
“Ehi, Rukawa! Se in qualsiasi momento hai bisogno di qualcuno con cui parlare o...per qualunque cosa...io ci sono” disse Tom prima che Kaede uscisse.
 
La calda brezza notturna gli accarezzava il viso mentre camminava, con il fedele lettore cd agganciato ai pantaloni che lo distraeva con un qualsiasi brano. Ma la musica serviva per qualche istante, perché tornò rapidamente a quello stato di tortura e rimpianti continui. Anche se era una persona che non amava guardare al passato, non poteva smettere di pensare che se non avesse fatto quella scemenza in aeroporto, lui e Sakuragi sarebbero ancora stati amici, di quelli che parlavano ogni tanto per email, e se mai lo scemo fosse tornato in America, si sarebbero anche fatti visita; ma ora era stato tutto rovinato da un’azione così miserabile, e così...disastrosa.
 
Per quanto, baciandolo – con un bacio del tutto improvvisato, perché mai aveva pensato di provare qualcosa del genere – non si era aspettato che l’altro ricambiasse il gesto o l’abbracciasse o gli dicesse qualcosa, nemmeno aveva immaginato una risposta così, con il silenzio. Brutale. Chiaro. Crudele.
 
Quando Kaede, quel giorno all’aeroporto, si era allontanato dal ragazzo, era praticamente scappato, decidendo di aspettare i suoi genitori vicino all’auto e fortunatamente loro erano arrivati poco dopo non commentando nulla su quanto avevano appena visto e Kaede aveva ringraziato internamente, ma la vergogna, la speranza, la gioia lo avevano seguito per ore durante tutta la giornata.
 
Kaede non si era aspettato una chiamata o una email quella sera o quella successiva, perché come Tom aveva sottolineato, era ovvio che Hanamichi avesse delle cose in sospeso da risolvere, ma...dopo 3, 4, 5, 7, 13 giorni senza alcuna risposta, il messaggio era chiaro, perché forse non poteva parlare con lui e respingerlo direttamente, ma con quel ghiaccio che aveva adottato, ignorava anche sua madre, verso la quale si era mostrato riconoscente e affezionato.
 
In conclusione, l’idiota non doveva aver niente contro la sua famiglia nonostante quanto accaduto.
 
Deficiente..., pensò, rendendosi conto di essere davanti a casa.
 
Entrando, non vide nessuno dei suoi genitori, così andò subito in camera a cambiarsi; andrò in bagno e tornò nella sua stanza, controllando se aveva qualcosa da fare per le lezioni del giorno dopo. Non poteva permettere che il suo rendimento si abbassasse adesso, non quando gli esami appena finiti erano andati bene – non in maniera eccezionale, ma decente.
 
“Figliolo?” sentì la voce di sua madre dall’altro lato della porta. Kaede sospirò e le concesse di entrare. “Ehi...non sei passato a salutare” lo rimproverò con una piccola ruga sulla fronte; Kaede alzò le spalle. “Com’è andata la giornata?”
 
“Bene...l’allenamento è stato faticoso...e le lezioni noiosi” commentò per spegnere le sue domande e sua madre lo guardò soddisfatta.
 
“Eh, Kaede, per te è noioso tutto ciò che non è basket” lo accusò senza impeto né malizia, solo con ironia. Kaede la guardò, non sapendo se dover dire altro o se poter continuare a sfogliare le pagine per controllare se aveva qualche compito.
 
“Ehi...stamattina quando sono entrata nella mia email, ho trovato un messaggio di...Sakuragi”
 
Kaede la guardò con apparente sdegno.
 
“Me l’ha mandato ieri, ma non l’avevo notato...mi ha chiesto di parlare domattina...intorno alle 10-11”
 
“Mmh”
 
Almeno quello stupido si è degnato di contattare la mamma, pensò, trovando finalmente il compito che era stato assegnato qualche giorno prima.
 
“Bene, volevo solo darti la buonanotte. A domani” lo salutò con un sorriso per poi chiudere la porta.
 
Kaede riuscì, non senza un certo orgoglio e alta dignità, a ignorare per tutta la sera quello che sua madre aveva detto con presunta leggerezza, concentrandosi invece e stranamente su quaderni e libri; grazie alla noia che questi gli procurarono, si addormentò rapidamente un paio d’ore dopo.
 
La mattina seguente le sue tre sveglie lo catturarono dal suo sonno profondo, che venne dimenticato non appena aprì gli occhi. Li strofinò bruscamente prima di alzarsi sbadigliando e di dirigersi in bagno. Una volta lavato, scese al piano di sotto dove mangiò i suoi immancabili cereali. Mentre si portava una cucchiaiata indecente in bocca, si domandò distrattamente dove fosse sua madre, perché a quell’ora normalmente la donne era in piedi a muoversi qua e là.
 
Senza pensarci oltre, risalì e andò in camera sua per prendere la borsa e dirigersi al campetto pubblico per esercitarsi un po’ – quel pomeriggio non ci sarebbe stato l’allenamento, quindi avrebbe approfittato della mattinata per fare pratica da solo. Quando mise piede sulle scale, decise però prima di cercare sua madre per salutarla o almeno dirle che stava uscendo, così si recò verso la stanza dei suoi genitori.
A pochi passi dalla porta, Kaede sentì il timbro di sua madre, morbido e caldo; stava parlando con qualcuno, di certo non con suo padre, che era uscito al lavoro presto...stava parlando al telefono?
 
Se è così, mi limiterò a farle un cenno con la mano, pensò afferrando la maniglia.
 
Quando la girò e aprì la porta, come un colpo allo stomaco sentì la fragorosa e forte risata di Sakuragi. Questi, con i capelli rasati e la pelle abbronzata, era visibile dallo schermo del laptop dei suoi genitori, mentre rideva per qualche scemenza che sicuramente aveva menzionato lui stesso.
 
“Kaede! Che bello che sei qui...stavo giusto pensando di svegliarti per farti salutare Sakuragi!”
 
Merda, pensò, messo alle strette dallo sguardo insistente della donna. Con passo esitante ma deciso, si sedette accanto a sua madre sul letto, in diagonale rispetto allo schermo, il portatile era appoggiato sul comodino.
 
Hanamichi, che inizialmente non poté fare a meno di aprire esageratamente la bocca per protestare, sembrò controllare eventuali sentimenti negativi, scegliendo invece un’espressione impassibile, che non lasciava denotare odio, repulsione, imbarazzo o accettazione. Nulla. Era come se stesse guardando attraverso un muro. Come se lui non esistesse.
 
È un idiota...ma è così...così...così..., si interruppe deglutendo a fatica ma con discrezione il groppo in gola. Quello spazio vuoto nel suo petto, quel buco che sembrava crescere col passare dei giorno, pareva più freddo e solitario che mai. Kaede era tentato di rannicchiarsi e stringersi fra le braccia, cercando di proteggersi, ripararsi da quel gelo che lo consumava, ma si rassegnò a sperimentare quella sensazione in gola, il nodo allo stomaco, il bruciore agli occhi.
 
“Oh cielo! Mi sono ricordata che ho lasciato qualcosa nel forno. Sakuragi, torno tra poco, aspetta per favore” disse con enfasi la donna, alzandosi con urgenza e dirigendosi verso la porta. Kaede si accigliò immediatamente.
 
Ma sono appena stato in cucina e non c’era niente...ugh, mamma...
 
“No! Mamma Rukawa, aspetta!” gridò invano Hanamichi, ritrovandosi da solo con la volpe davanti allo schermo.
 
Grr...bastardo..., fu l’unica cosa che gli passò per la mente, che ora fissava un punto della sua stanza, ignorando apertamente l’altro.
 
Kaede si controllò per non alzare gli occhi al cielo o sospirare per quel comportamento infantile.
 
Ti faccio così schifo che non riesci nemmeno a guardarmi, idiota?, si chiese, stringendo i pugni e maledicendo Hanamichi per essere così crudele; non si sarebbe mai aspettato un simile atteggiamento da parte sua. Beh, a quanto pare l’ho giudicato male...non è altro che un fottuto omofobo.
 
Sospirò, perché a prescindere da quanti insulti o epiteti gli rivolgesse nella sua mente per rifiutare la sua presenza o personalità, la realtà era che il suo cuore aveva vinto da tempo la battaglia e la guerra dichiarata più di un mese prima, ed era risultato solennemente che quel dannato stupido, rumoroso e presuntuoso si rivelasse una delle persone più importanti della sua vita, tanto che in quel momento aveva la sensazione di essere fatto a pezzi dall’evidente rifiuto.
 
Vedendo come il ragazzo negava lo sguardo o evitava di parlare o di fare commenti stupidi gli rodeva il petto e bruciava la gola. Kaede inspirò discretamente una lunga boccata d’aria. Lui non era così. Non era un ragazzino debole che per un po’ di semplice dolore si sarebbe buttato in un angolo a piagnucolare. No, in alcun modo. Era Kaede Rukawa. Aveva orgoglio, dignità e onore. Beh, ora forse si sentiva di totale merda, ma non l’avrebbe mostrato. Non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione.
 
“Come va in Giappone?” chiese trascinando le parole, fingendo almeno un po’ di cortesia.
 
“Cosa?!” l’altro giovane urlò, quasi assordandolo. Kaede si premurò di non infilarsi un dito nell’orecchio dolorante. “Come osi a parlare al genio dopo quello che hai fatto, dannato bastardo?! Se fossi lì giuro che ti ammazzerei a calci, maledetto! Tsk, e hai la faccia di presentarti qui, mentre parlo con tua madre! Che non c’entra niente con le tue stronzate!” gridò come se fosse al mercato a vendere verdura. Kaede, al vomito di parole, non poté più controllare né gestire le espressioni del suo viso, permettendo ai suoi occhi di aprirsi completamente e alle sue labbra di cadere sul pavimento sotto il colpo dello stupore e del dolore; non poteva crederci, non poteva crederci, non poteva credere a quello che stava sentendo. Quello era il vero Sakuragi? Un essere crudele, una persona vile...
 
Come...come si permette...?, scosse impercettibilmente la testa, sentendo, nutrendo e sperimentando una cruda e travolgente furia che iniziava a ribollirgli nelle vene in maniera angosciante.
 
Va bene che non ricambi; va bene che non gli interessino gli uomini...ma non ha il diritto di parlarmi così!, pensò, lanciando fiamme dai suoi occhi blu.
 
“Quale cazzo è il tuo problema, stupido? Se ti ha dato tanto fastidio, dillo e basta. Non devi insultarmi, maledetto idiota!” esclamò con uguale forza e potenza ma senza alzare troppo la voce. Non sarebbe caduto così in basso, denigrando se stesso in quel modo. Non avrebbe rinunciato alla propria personalità per la massa umana di idiozia che si trovava di fronte a lui. Kaede giurò che non si sarebbe vergognato di chi o di come era, e sicuramente non avrebbe permesso a qualcun altro di farlo sentire inferiore o male rispetto a quello che provava, anche se quel qualcuno era la causa di tutto. Preferiva morire.
 
“Se mi ha dato fastidio?! Se mi ha dato fastidio?! Sei rincoglionito?! Come poteva non darmi fastidio?! È stata una bassezza perfino per te!” continuò a urlare Hanamichi, agitando e muovendo esageratamente le braccia. Era ovvio che stesse per esplodere dalla rabbia.
 
Una bassezza...? Una bassezza...? È così che considera quello che provo? Un...degrado...?, Kaede non poteva fare a meno di respirare velocemente e profondamente mentre si sentiva lacerato; le mani dolevano a causa delle unghie che scavavano nella pelle, la mascella pulsava dalla forza con cui serrava i denti, gli occhi gli bruciavano e avvertiva prurito al naso.
 
“Sei un miserabile...un dannato figlio di puttana” mormorò. Non ne poteva più. Se fosse rimasto ancora qualche minuto davanti a quell’idiota, avrebbe buttato il portatile fuori dalla finestra. E avrebbe urlato. E l’avrebbe insultato. E avrebbe urlato ancora. E avrebbe rotto altre cose. E avrebbe pianto...
 
“Come osi?! Tu lo sei! Sei stato tu a baciarmi solo per farmi fuori dalla squadra! Sei un dannato egoista! Credevo fossimo amici, bastardo! Ma la verità è che tu non vuoi che venga nei Tar Heels! E per questo tu...tu...ma non manipolerai il genio, dannato! Andrò nella squadra che voglio! Hai sentito?!”, Hanamichi, con il viso rosso e il petto che si alzava e abbassava velocemente, fissò con sguardo omicida il ragazzo perso e confuso dall’altro lato. Nemmeno lui poteva più sopportare quella conversazione. Il suo temperamento già per natura alterato era al punto di rottura. Le visibili e pulsanti vene sulla sua fronte erano la prova della sua agitazione.
 
Perché?, si chiese, perché fa così male?
 
Perché i suoi occhi volevano piangere?
 
Rukawa era un amico...o almeno così aveva pensato. Era solo un amico. Un amico. Un amico. Un compagno di squadra. Un compagno. Una persona con cui ridere. Con cui competere. Una persona che ammirava. Che invidiava.
Una persona con cui amava passare i pomeriggi. Una persona che gli piaceva osservare. Una persona di cui si fidava. Una persona che avrebbe voluto vedere per sempre.
 
Hanamichi si zittì e si fermò da quel brivido e scarica lungo la schiena. Aspettò la risposta dell’altro, fingendo di distrarsi. Ma non poté evitare di fissare il suo ex compagno attraverso lo schermo. Rukawa sembrava così composto. Così elegante. Così irraggiungibile. E Hanamichi lo odiava per questo, perché voleva essere come lui. Voleva essere al suo fianco. Camminare al suo ritmo. Condividere e vivere le stesse avventure. Le stesse disgrazie e le stesse gioie.
 
Gli costa così tanto accettarmi?
 
Kaede, d’altra parte, era ben lungi dall’immaginare i pensieri del ragazzo.
Shock. Puro e assurdo shock impregnava la sua mente.
 
Cosa...?
 
Cos’ha appena detto questo scemo...?
 
Lui pensa...?
 
Crede che...?
 
Crede che l’abbia baciato...con l’unico scopo di allontanarlo e non farlo venire in North Carolina...?
 
Per questo è arrabbiato...
 
Per questo non ha chiamato...
 
Perché è un completo e totale idiota...
 
Dal nulla, Kaede si mise a ridere con forza, così tanto da doversi tenere lo stomaco per il dolore.
 
“Cosa ridi, fottuto bastardo?!” esplose Hanamichi, che non trovava nulla di divertente in quella situazione. Il suo precedente intorpidimento evaporò per la strana reazione della volpe. Anche se qualcosa di dolce e soffice svolazzava nel suo stomaco nell’ascoltare la libera e alta risata del giovane, la rabbia gli consumava il cervello. Non avrebbe permesso a quel perdente di continuare a prenderlo in giro.
 
“Di te” rispose Kaede, ancora ridendo. Provò a fermare un po’ le risatine che gli uscivano dalle labbra screpolate.
 
“Dannato! Ti ucciderò! Giurò che verrò lì e-”
 
“Sei ottuso, Hanamichi”, prima che Sakuragi potesse reagire e possibilmente avere un infarto, Kaede proseguì, “pensi davvero che potrei baciarti solo per non farti venire nella squadra? Che farei una cosa così stupida...così imbarazzante...davanti ad altre persone, a Dan...davanti ai miei genitori...solo per impedirti di venire qui?”
 
“...sì?” mormorò Hanamichi che ora, sentendolo dalle labbra della volpe, ammetteva che suonava come una vera idiozia; nessuno sano di mente, tantomeno il re dei ghiacci, avrebbe fatto una cosa così assurda e infantile.
 
Ma...
 
...allora perché l’aveva fatto?
 
Quando entrambi riuscirono a riprendere fiato, a regolare la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca, si guardarono negli occhi. Quelli color cioccolato incontrarono quelli blu. E Hanamichi, in quel leggero e pacifico momento, rilevò qualcosa nello sguardo intenso dell’altro; qualcosa che non aveva mai visto prima, perché il modo in cui lo stava guardando era così diretto, penetrante, così attento e travolgente...Hanamichi non poté controllare una viva e indisciplinata fiamma che si accese nel suo stomaco. Gli si seccò la gola e i nervi si tesero. Le sue larghe spalle si irrigidirono.
 
Forse la volpe...?, si chiese senza osare finire la frase, perché il semplice pensiero era sciocco e ridicolò. Già una volta aveva riflettuto su quell’opzione e...semplicemente, pareva impossibile. Non poteva essere. Di sicuro era frutto della sua mente fantasiosa. Un trucco della sua immaginazione esausta.
 
Però...nah...non può essere...
 
Kaede, d’altra parte, si sentiva, dopo settimane, più leggero. Più libero. Più felice. Era testimone vivente di come il vuoto nel suo petto scomparve, come per magia. Evaporando in una schiuma calda e salutare; di come, invece che da un freddo spaventoso, ora sembravano esserci un calore e un fuoco deliziosi, una fiamma rossastra e viva. Si sentiva così avvolto, così al sicuro. Si sentiva forte, energico, vivo, coraggioso e grintoso. In grado di uscire e sconfiggere qualsiasi avversario. In grado di scalare la montagna più alta. In grado di nuotare nel mare più agitato. Si sentiva il re del mondo, l’essere più potente del pianeta.
 
“Sai perché l’ho fatto?” chiese lentamente, guidato incantevolmente da quella nuova fiamma che lo spingeva e lo colmava. Il suo petto si espandeva ad ogni secondo che passava. Era come se delle bolle gli solleticassero i muscoli, e una spuma svolazzasse dentro di lui. Hanamichi, che lo guardò per qualche secondo con un’espressione ebete, scosse il capo.
 
“Perché...l’ho fatto perché...mi piaci; la decisione è tua idiota, ma...se fosse per me...verresti in North Carolina...con me”
 
Era incredibile quanto si sentisse leggiadro, spensierato; non che una risposta negativa non gli avrebbe fatto male, ma finalmente il fardello che lo stava gravando da settimane era finalmente scomparso.
 
“C-cosa...c-come? A-a te...piacciono...a t-te piacciono gli u-uomini?” Hanamichi, rimasto per qualche secondo con occhi e bocca aperti, disse la prima cosa gli passò per la testa. La domanda non aveva ovviamente senso. Ma non sapeva che altro dire.
 
Hanamichi onestamente non poteva credere alle proprie orecchie; una parte di lui continuava a urlare che si trattava di uno scherzo malato della volpe, e di non credere a una parola uscita da quelle labbra rosate, ma...la parte logica e ragionevole negò con forza. Non c’era motivo per cui Rukawa dovesse mentire su una cosa del genere; ma ciò era di poco aiuto per Hanamichi, che non sapeva dove guardare per l’imbarazzo. Sentiva collo, guance e orecchie in fiamme, e non ne era meravigliato.
 
Non era la prima volta che qualcuno gli si dichiarava, ma mai prima d’ora l’aveva fatto un uomo. E Rukawa, tra tutti!
Hanamichi non poté fare a meno di provare un certo compiacimento e presunzione che qualcuno come Rukawa avesse puntato lui, ma c’era anche smarrimento e confusione.
 
Cosa doveva dire ora? Alle due ragazze che gli si erano dichiarate in precedenza, con cortesia ed imbarazzo, aveva risposto che era già innamorato di qualcuno (all’epoca, Haruko) e che non poteva ricambiare i loro sentimenti.
 
Doveva fare la stessa cosa? Rispondere che era innamorato di Haruko? Il che, pur non essendo del tutto falso, non era nemmeno vero, perché mesi prima aveva confessato alla ragazza i suoi sentimenti e lei lo aveva respinto con dolcezza e tristezza, aiutandolo a distaccarsi e a lasciare andare i sentimenti per lei.
 
...e allora cosa dire?
 
Che non gli piacevano gli uomini?
 
Perché...non gli piacevano, no?
 
“Te l’ho appena detto, scemo: mi piaci tu” rispose Kaede evitando di alzare gli occhi al cielo per la stupida domanda. Il suo stomaco fu invaso da crampi e attesa, ma si rifiutò di soffermarsi su quello.
 
“Ah” esalò Hanamichi abbassando gli occhi sulle proprie mani. Anche se Kaede non poteva vederlo, sapeva che la scimmia stava giocando con le dita come un bambino.
 
Era tutto lì?
 
Così finiva ogni cosa?
 
Quella strana ma perfetta amicizia che era nata per forza e da una costrizione, finiva così?
 
In maniera così imbarazzante, così...distante?
 
Kaede si guardò le mani pallide, torvo. Vide i segni rossi causati dalle unghie sulla forza della disperazione. Si rifiutò. Si rifiutò di accettarlo.
 
Hanamichi era...era stato suo compagno...suo amico...
 
“Non devi dire niente, sciocco, ma...possiamo...parlare per email o per videochiamata?”, Kaede fece quasi una smorfia, odiando il suono della propria voce, così piccola e supplicante mentre cercava di fingere indifferenza.
 
Cosa non faccio per questo stupido...
 
“Eh...s-sì, sì, certo” rispose Hanamichi agitando il capo.
 
“Mia mamma non tornerà e io ho gli allenamenti” mentì, impassibile e annoiato nel tentativo di dimostrare che nulla sarebbe cambiato. Il fatto che gli avesse parlato dei propri sentimenti non significava che avrebbe cominciato a comportarsi come una mocciosa innamorata. Non era il suo stile, grazie tante.
 
“Mmh, allora ci vediamo, volpe”
 
Kaede si congedò con un cenno del capo prima di spegnere la connessione e il pc.
Per alcuni eterni minuti, fissò l’apparato chiuso, meditando e analizzando tutto. Normalmente non era una persona che rifletteva molto su una questione; era più un ragazzo d’azione, che reagiva, che non si soffermava su parole o pensieri profondi. Ora però, pensava che fosse necessario riflettere un po’ su tutto quanto...beh, l’aveva detto. Alla fine aveva confessato i suoi sentimenti; e sebbene non fosse stato brutalmente respinto, non era nemmeno stato accettato (il che, in effetti, era ovvio).
 
Quello che era successo non lo faceva sentire felice né desideroso di urlare e saltare per la gioia (cosa che in ogni caso non avrebbe mai fatto), ma almeno non sperimentava più le depressive sensazioni che lo avevano perseguitato e tormentato per le ultime settimane. Quel piccolo dolore che lo pungeva lì, nel posticino dove tanto gelosamente custodiva il suo cuore, era una bazzeccola in confronto, quindi...beh, non aveva motivo di festeggiare, ma nemmeno di lanciarsi da un ponte molto alto.
 
Sorrise leggermente rimettendo il portatile al suo posto, alzandosi e dirigendosi verso il punto che aveva preventivato, il campetto, ma senza lo scopo di dimenticare o isolarsi dal mondo e dalle emozioni frustranti che lo stavano invadendo o dai genitori preoccupati, ma semplicemente per godersi lo sport che tanto amava. Durante quel periodo gli era servito e l’aveva aiutato molto come necessario rifugio e disperato mezzo di fuga, ma ora poteva tornare a essere ciò che era da sempre: un mondo a parte in cui tutto sembrava ed era migliore.
 
I giorni seguenti, Kaede continuò con la sua routine: dormire finché lo consentivano il suo corpo e gli orari, andare a lezione, allenarsi nel pomeriggio e studiare in seguito; un’ultima attività si era però di recente aggiunta al programma: comunicare con l’idiota.
A volte ci voleva solo una mezz’ora se si trattava di rispondere a una email, ma altre sere passavano lunghe ore in videochiamate che contenevano sia insulti che chiacchiere sulle rispettive squadre e su come andava in generale.
Quelle conversazioni, così pateticamente attese da Kaede, non erano state così facili da costruire, perché inizialmente lo scemo si era limitato a fissarlo per la maggior parte del tempo, dicendo scemenze e cose senza senso, con evidente disagio e nervosismo.
 
Kaede, sorprendentemente, si era sempre controllato per non sospirare irritato, con commenti offensivi, né urlandogli che era un dannato idiota; si era trattenuto per dirgli che non doveva cambiare nulla tra loro: anche se aveva confessato sentimenti insignificanti, non significava che si aspettasse qualcosa o che si sarebbe comportato in modo differente. Quello stupido di Hanamichi ci aveva messo un po’, impiegando quasi due settimane intere per balzare con un forte:
 
“Tu! Bastardo, come ti viene in mente di trattare così il genio? Dannato, non hai diritto! Un giocatore del tuo livello-!” aveva gridato dopo un attacco verbale particolarmente aggressivo della volpe, che aveva sorriso della reazione.
 
Finalmente, aveva pensato con un grugnito.
 
Da quel momento fortunatamente tornarono a parlare come avevano sempre fatto: alcune volte si guardavano e Hanamichi si voltava rapidamente con un vivido rossore sulle guance. Ma Kaede capiva. Era consapevole che l’altro si vergognasse nell’accorgersi che nei suoi occhi blu non c’era traccia dell’antico disprezzo o astio, ma solo accettazione, calore e tenerezza. Lo stesso Kaede era stupito di quanto la propria espressione cambiasse ogni volta che parlava, pensava o guardava Hanamichi.
 
Grazie a tutto ciò, casa sua tornò ad essere un posto sicuro e privo di sguardi e commenti attenti e compassionevoli; sua madre, che in precedenza stava attenta anche solo a menzionare la parola ‘Giappone’, ora chiedeva liberamente come stava Sakuragi, sapendo che suo figlio comunicava costantemente con il giovane.
 
Anche la squadra aveva notato il miglioramento nell’umore del ragazzo, cosa che stupì incredibilmente Kaede, perché aveva ingenuamente pensato che solo Tom si fosse accorto delle sue condizioni; ancora di più quando il coach Williams lo convocò nel suo ufficio un pomeriggio per parlargli in privato ed accennò che era contento che avesse risolto qualsiasi problema, e di non pensarci due volte, in futuro, a parlare con lui, dandogli completa disponibilità per ascoltarlo, e Kaede a malapena controllò la propria mascella, sul punto di crollare sul pavimento per lo shock, limitandosi a rispondere che stava bene, che non aveva problemi e che era grato per l’appoggio.
 
“Allora...hai parlato con il rosso?” gli aveva chiesto Tom un paio di giorni prima mentre uscivano dagli spogliatoi e si dirigevano al parcheggio delle biciclette. Gli altri ragazzi erano usciti un po’ prima, quasi correndo di gioia nell’essere liberati prima del solito. Kaede, pur non essendo la persona più osservatrice e attenta né della squadra né del mondo, avrebbe potuto giurare di aver visto Chris e Kevin uscire insieme, cosa strana dato che fino a qualche giorno prima si evitavano come la peste.
 
Kaede, camminando con il suo compagno, si era vantato internamente per aver totalmente padroneggiato l’arte di prevenire e controllare qualsiasi espressione facciale, voltandosi e annuendo con discrezione. Dentro di sé non aveva potuto evitare di percepire che il ragazzo sapesse che qualcosa stava succedendo tra lui e l’altro giapponese; non era sicuro che l’americano sapesse che si trattava di qualcosa di romantico, ma sicuramente avvertiva che c’era qualcosa di strano che coinvolgeva entrambi. E in realtà era meglio che le cose rimanessero così. Tom poteva essere ciò che si avvicinava di più alla definizione di amico, ma non aveva con lui – né con nessun altro – abbastanza confidenza per avvicinarsi e confessare di provare dei sentimenti per un uomo. In quell’ambiente cose del genere erano molto rischiose.
Era già sufficiente che lo sapesse Dan, e il vecchio era quasi di famiglia (parole sue, non di Kaede).
 
I Tar Heels fortunatamente stavano vivendo una delle migliori stagioni della loro storia, vincendo titoli e spazi quotidiani nei telegiornali e nei programmi sportivi. La striscia vincente che si trascinava fin dall’inizio rimbombava in tutto il paese, anche nelle orecchie degli interessati al basket internazionale. Kaede era orgoglioso e soddisfatto del suo sforzo e lavoro; non dubitava ovviamente di dover fare ancora molto per crescere e imparare da se stesso e dai suoi compagni, ma sapeva che il primo passo era avvenuto con successo, perché accettando l’aiuto o ammettendo i propri errori non si perdeva l’orgoglio né ci si denigrava, ma si dimostrava di volersi superare e maturare.
 
Nonostante tutto ciò, i giorni luminosi che riempivano le sue settimane, le partite emozionanti che vinceva con i suoi compagni, gli esami che riusciva a passare grazie al suo duro studio, c’era qualcosa che stava oscurando quello che avrebbe potuto essere l’anno migliore della sua vita.
 
A prescindere da quante volte parlasse con Hanamichi o dalle centinaia di email che si spedivano in pochi giorni, non lo aveva ancora con sé. Al suo fianco, mentre gli urlava insulti dovuti alla gelosia, sorridendogli per sfidarlo a duello, a basket o ai videogiochi. Non poteva toccargli il braccio. Non poteva strappargli una risata e vedere la pelle intorno ai suoi occhi raggrinzirsi, o deliziarsi nel modo in cui quella bocca si apriva come l’alba davanti ai suoi occhi.
 
A volte desiderava averlo come fidanzato (sì, la sua immaginazione tendeva a viaggiare lontano), consolandosi e pensando che Hanamichi dall’altra parte del mondo sentiva la sua mancanza e lo desiderava a sua volta, forse con la stessa forza e disperazione. Forse con la stessa ansia e angoscia. Lo confortava l’idea di non essere il solo in quella sciocca e sdolcinata faccenda definita amore e, più importante, che Hanamichi, con lo stesso desiderio e sogno di rimanere con lui per sempre, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per stare al suo fianco.
 
Ora invece l’unica cosa che poteva fare era convincersi che alla fine Hanamichi sarebbe venuto in America per la successiva stagione e semestre accademico; si rifiutava di pensare che Sakuragi avrebbe respinto tutte le offerte decidendo, al contrario, di rimanere a studiare e giocare in Giappone. Se si soffermava su quella remota ma esistente possibilità, allora cosa gli rimaneva? Avrebbe avuto qualche sciocca speranza?...quindi no, grazie. Preferiva, per quanto risultasse infantile, aggrapparsi a quei pensieri, concentrandosi sul lato relativamente positivo delle cose.
 
Da un lato, se l’idiota avesse scelto i Wildcats di Kentucky, almeno sarebbero stati nello stesso continente, nello stesso paese, nella stessa lega orientale; sarebbero stati separati da 7 ore di auto, ma comunque si sarebbero potuti vedere con una certa regolarità. Se avesse scelto Duke, avrebbero vissuto vicini, e con la bicicletta non ci sarebbero stati praticamente ostacoli a incontrarsi quasi ogni giorno. Infine, se avesse scelto North Carolina, forse avrebbe avuto anche la possibilità di conquistarlo – sognare non costava nulla.
 
I suoi piani e le sue riflessioni erano abbastanza semplici e stranamente non considerò l’idea più facile di tutte: dimenticare l’idiota.
 
Non gli passò mai per la testa. Era stupido, considerato il trauma subito quando aveva appreso di quei sentimenti per il goffo scimmione. Ma, beh, era ancora giovane...chi poteva rimproverarlo per voler sperimentare sentimenti del genere almeno una volta? Non stava facendo del male a nessuno, perché se qualcosa fosse andato storto, l’unico a rimanerne ferito sarebbe stato lui.
 
Altre volte, mettendo da parte il fantasioso sogno in cui l’idiota accettava di essere più che amici, Kaede sentiva la mancanza del suo calore, della sua presenza, della sua forza e del suo corpo. Gli mancava incollarsi a lui quando si allenavano, o sentire il calore della sua pelle quando dormivano vicini; gli mancava il privilegio di mangiarselo con gli occhi ogni volta che voleva, soprattutto quando l’idiota se ne stava senza maglietta lasciando scoperto il suo torso tonico, abbronzato e sudato alla mercé del suo sguardo avido.
Quei ricordi e quei pensieri portavano a dure e appiciccose conseguenze ogni mattina e ultimamente ogni sera.
 
Come aveva iniziato a fare quando Hanamichi era arrivato a casa sua più di un mese prima, Kaede aveva ripreso l’abitudine di masturbarsi sotto la doccia, solo che ora non era più sufficiente. Quindi aveva cominciato a farlo anche di sera, dolo le lunghe conversazioni con Hanamichi via chat o videochiamata. Era ridicolo, imbarazzante, ma anche incredibilmente piacevole e liberatorio. Tutte le sue fantasie solitamente erano le stesse. Lui e Hanamichi insieme, mentre si baciavano – e non era un male aver già assaggiato le sue labbra -, toccandosi e sfregandosi l’uno contro l’altro, alcune volte masturbandosi a vicenda – quello quando riusciva a resistere fino a quel punto.
 
Ma non era pienamente soddisfacente. Aveva bisogno di più.
Dopo averci pensato e meditato più volte, un venerdì sera decise, mentre i suoi genitori dormivano, e lui era accaldato da morire dopo aver parlato con Sakuragi, di accendere il pc e di aprire il motore di ricerca in Internet.
Per qualche secondo rimase a fissare lo schermo luminoso, ma febbrilmente mosse la mano e scrisse nella barra bianca ‘sesso gay’.
 
La prima cosa che bombardò il ragazzo imbarazzato fu una decina di pagine (ma ce n’erano molte altre) di video porno. Kaede dubitò all’idea di entrare in una di esse, guardare i video o leggere e basta. Per qualche minuto provò l’ultima opzione – per la propria salute mentale – trovando articoli interessanti – ebbene sì – sull’argomento, ma alcune parole, terminologie e fotografie lo eccitarono più di quanto non fosse già (sesso orale, succhiare, sesso anale e masturbazione quasi portarono i suoi ormoni adolescenziali al limite), così cedette ai video. Senza sapere bene cosa scegliere, optò per il primo della pagina.
 
Oh...
 
Come riesce a farlo...?
 
Oh!
 
Wow...
 
Ah...
 
Mmh...
 
Oh merda...
 
Q-quello deve essere figo...
 
Se inizialmente guardò lo schermo con una certa apprensione voltandosi frettolosamente verso la porta della stanza, finì per concentrarsi con attenzione sui due attraenti uomini che si stavano cavalcando con forza.
 
“Mmh” gli uscì dalla gola mentre si toccava con uguale o più intensità dei tizi che si succhiavano e si leccavano nel video. I suoi occhi sembravano non volersi staccare dalle bollenti immagini che gli si presentavano, e non lo fecero finché non venne nella propria mano nascosta da un vecchio pigiama.
 
Ah...è stato fantastico..., pensò osservando annebbiato e perso il soffitto bianco della sua stanza, ignorando la pagina sul pc ancora attiva. Fu però subito assalito da un senso di imbarazzo e timidezza, ma con velocità lo scacciò.
Se l’era già detto una volta, niente e nessuno lo avrebbe portato a vergognarsi di ciò che era o di quello che provava.
Si alzò, si pulì, aprì la finestra per far entrare aria e chiuse il pc. Sdraiandosi ora tranquillamente sulle coperte, non poté impedire alle immagini appena viste di tornargli in mente, ma questa volta non c’erano i tizi protagonisti del video, c’erano invece lui e Hanamichi insieme, con addosso solo succinta e sexy biancheria intima, che si baciavano e si toccavano.
 
Kaede si incendiò all’idea di mettersi in ginocchio per leccare e mordere la parte più sensibile dell’altro; l’avrebbe succhiato con entusiasmo e fervore fino a farlo finire nella propria bocca, poi il ragazzo avrebbe ricambiato il favore con uguale fame e desiderio. Si sarebbero baciati con ulteriore passione e bisogno. Si sarebbero avvinghiati alle reciproche pelli sudati lasciando segni, graffi e succhiotti su ogni parte visibile.
 
Kaede si vide mentre veniva leccato in maniera particolarmente intensa da Hanamichi. Lo immaginò mentre mordeva con una certa violenza il suo collo pallido. Avrebbe ansimato. Certamente sì. Avrebbe ansimato e respirato pesantemente. Avrebbe abbracciato il suo corpo, stringendolo. Si sarebbe goduto il suo calore e la sua potenza. Hanamichi gli avrebbe sorriso. L’avrebbe guardato con i suoi innocenti occhi color cioccolato e l’avrebbe baciato teneramente. Gli avrebbe accarezzato la guancia, quasi con riverenza.
 
Si sarebbero uniti, le fronti bagnate, le guance arrossate, i colli sensibili, mani e gambe impazienti, stendendosi sulle coperte, impazienti e affamati.
 
Kaede onestamente non sapeva quale idea lo eccitasse di più: se dare o ricevere, nel sesso anale. Naturalmente, da uomo orgoglioso qual era, l’immagine di lui che penetrava Hanamichi con forza e velocità era immensamente desiderabile. Era incredibilmente eccitante immaginare il ragazzo con le labbra gonfie e bagnate mentre ansimava di piacere, respirando affannosamente per riprendersi dalle spinte di un volpino disperato. Ma non poteva negare che anche l’idea di ricevere la forza e l’ardore di Hanamichi fosse piacevole. Poteva immaginarlo: Hanamichi su di lui, sudato e arrossato per lo sforzo, le labbra aperte e gli occhi velati di piacere, mentre spingeva in lui con impeto e aggressività, intrappolandolo contro la testiera del letto, incitandolo ad aggrapparsi per sostenersi. L’avrebbe ghermito come un polpo. Si sarebbe attaccato alla sua schiena muscolosa, affondando le dita ed emettendo gemiti e urla di soddisfazione.
 
“A-ah...” gemette, riprendendo a toccarsi.
 
Sì...sarebbe stata sicuramente una notte molto lunga.
 
^ ^ ^ ^
 
Le famose e amate figure di Dragon Ball in un 2D di dubbia qualità combattevano strenuamente sullo schermo della tv; Crilin stava pestando in modo memorabile Goku, che a malapena sembrava difendersi dagli attacchi travolgenti dell’avversario. Per quel motivo, e per la poca vita che aveva quest’ultimo, dopo poco apparve sullo schermo del giocatore un gigantesco e bruciante Game Over.
 
“È la terza volta di fila che ti batto, Hanamichi. Penso che le tue grandi capacità si stiano esaurendo” disse dolcemente il ragazzo bruno, cercando di richiamare l’attenzione del suo amico, che rimase perso a fissare distrattamente lo schermo.
 
“Eh? Che dici, Yohei?! Il genio si è distratto, tutto qui!” urlò prima di sbuffare e strizzare la console per preparare un’altra partita, ma la mano ferma del suo amico fermò qualsiasi movimento. Se l’avesse fatto qualcun altro, Hanamichi non avrebbe esitato a colpire l’impertinente, ma si trattava del suo migliore amico, al quale lui stesso si era rivolto per una conversazione seria.
 
“Hana...perché non mi dici che ti succede?” chiese, lasciando perdere il gioco e concentrandosi sugli occhi castani ultimamente distratti dell’altro.
 
“Tsk! Perché pensi che stia succedendo qualcosa? Ahahaha, il genio non potrebbe stare meglio” rispose con un gesto esagerato, con chiaro riferimento alla recente vittoria che ancora vantava – menzionandola a chiunque – della sua squadra di basket; il trionfo aveva portato la squadra ad essere incoronata come la migliore del torneo nazionale dopo un incontro estenuante ma gratificante di pochi giorni prima.
 
La partita e la vittoria avevano molto a che fare con il motivo per il quale era con il suo incondizionato amico durante quel sereno pomeriggio, dopo aver chiesto con tono alto e indifferente al telefono se potevano parlare senza gli altri a dare fastidio. Yohei aveva acconsenito subito, senza negare di provare un’immensa curiosità per scoprire, finalmente, cosa stava turbando Hanamichi negli ultimi tempi.
 
“Beh, se ricordo bene, stamattina mi hai chiamato perché volevi parlare...”
 
“Lo so, lo so! Non devi ricordarlo allo studente migliore della sua generazione! Io...beh...volevo...”
 
Yohei Mito, inseparabile amico e compagno dell’ex teppista dai capelli rossi, guardò con stupore e sconcerto come Hanamichi si grattava la nuca e si dibatteva per cercare le parole giuste per esprimere qualunque cosa volesse dirgli; Yohei non l’aveva mai visto così, tranne ovviamente quando faceva il filo a una delle ragazze che gli erano piaciute (soprattutto Haruko), ma anche in quel momento era solo un po’ nervoso e imbarazzato. Ora sembrava contrariato e alterato.
 
Hanamichi nel frattempo combatteva una tremenda e sanguinosa battaglia di pensieri e parole dentro di sé.
Come spiegare? Da dove iniziare? Dall’inizio, sembrava logico. Ma qual era l’inizio? La squadra da scegliere? La dichiarazione della volpe? Entrambi? Sì...poteva andare bene.
 
“Beh...sai che devo decidere in quale squadra andare dalla prossima settimana...”
 
Yohei annuì e il ragazzo lo guardò con determinazione.
 
“Delle tre...ne ho già esclusa una...”
 
Yohei si controllò per non sussultare di sorpresa, perché era la prima volta che Hanamichi ne parlava di sua volontò e apertamente. In un certo modo, si sentì lusingato e umile di fronte alla richiesta di aiuto e consiglio dell’amico, credendo onestamente che la faccenda riguardasse solo quello.
 
“Le tre...tutte e tre le squadre sono fantastiche. Questo genio andrebbe alla grande in chiunque. Ma...in Kentucky non mi sono mai sentito...argh! Non so, come...come...” stava cercando il termine giusto, guardando da ogni lato.
 
“Non ti sentivi bene?” fece l’altro tentando di aiutarlo.
 
“No, mi sentivo bene, solo che...nelle altre...sono stato meglio?” finì, non sapendo davvero come spiegare il disagio, la lontananza, la mancanza di compagnia che aveva avvertito nella prestigiosa università del Kentucky.
Yohei, che poteva vantarsi di conoscere Hanamichi come pochi altri, non ebbe bisogno di altre parole o gesti per capire, quindi annuì con un sorriso, spingendolo a continuare.
Hanamichi sospirò prima di farsi coraggio.
 
“Ma tra Duke e North Carolina...non ho idea di quale scegliere...”
 
“Mmh, potresti fare una lista...” propose dopo qualche secondo, pensando che quello fosse l’unico problema.
 
“E poi quel maledetto bastardo non è stato di alcun aiuto! Ha solo peggiorato le cose!” urlò frustrato e irritato, all’improvviso, facendo accigliare Yohei con un’espressione sinceramente confusa.
 
“Maledetto bastardo?” chiese.
 
“Quel volpino puzzolente! Chi altro?” rispose, sbuffando.
 
“Che ha fatto Rukawa questa volta?” domandò, quasi annoiato; Yohei era pronto a scommettere che l’ex super matricola avesse detto qualcosa ad Hanamichi per provocarlo o seccarlo, ecco perché ora era così sconvolto. Una cosa tipica, in realtà, se si tornava un po’ indietro nel tempo. Non era per niente insolito trovare Hanamichi al liceo che quasi esplodeva per ogni minimo commento della volpe. Yohei e i ragazzi erano così abituati che al terzo anno, invece di spingerli ad andare d’accordo, non facevano che infastidire Hanamichi ulteriormente, a volte persino schierandosi con Rukawa. Ma Rukawa aveva sempre avuto quell’effetto su Hanamichi. Era l’unico in grado di accenderlo, in un certo senso. L’unico in grado di tirarlo fuori da qualsiasi buco o mondo in cui Hanamichi fosse sommerso quando non rendeva, riuscendo a fargli dare il meglio di sé.
 
Una cosa strana, pensò Yohei, considerato quanto non andassero d’accordo.
 
“L-lui...il volpino...ah, quel bastardo!”
 
Wow, ha detto qualcosa di così grave?, pensò Yohei con genuina curiosità. Normalmente Hanamichi si sarebbe limitato a inveire contro Rukawa, raccontando i dettagli delle atrocità che aveva commesso per alterarlo tanto, ma ora Hanamichi sembrava non riuscire neanche a parlare.
Hanamichi, affogando nella propria miseria e vergogna, in quel momento desiderò avere di nuovo i capelli lunghi per tirarseli con frustrazione.
 
E adesso come lo dico...!, solo pensarci era imbarazzante.
 
Anche se continuavano a mantenere l’amicizia che avevano sviluppato in America, non significava che ogni tanto Hanamichi non provasse vergogna, soprattutto quando entrambi, attraverso Skype, rimanevano zitti a guardarsi; in quei momenti i loro occhi si scontravano e ogni avvenimento, evento o persona al mondo veniva dimenticato. Hanamichi finiva sempre per tremare e innervosirsi più del solito, soprattutto per quello che esprimevano gli zaffiri del ragazzo.
 
Gli occhi della volpe...sono così...così...luminosi...e profondi...e...blu...
 
Senza poterlo prevenire o prevedere, sentì un gran calore al ricordo del bacio che il ragazzo gli aveva dato in aeroporto.
 
Per Hanamichi era stato facile qualificare quel momento come il più tremendo della sua vita, includendo il giorno in cui Haruko l’aveva rifiutato, e anche ora poteva ricordare l’acidità di quell’istante, la torsione allo stomaco e il bruciore sulle guance; ma dal preciso momento in cui Rukawa si era avvicinato a lui, chiudendo gli occhi e alzando il viso, era stato sopraffatto in modo schiacciante ed esorbitante; sentendo il calore delle sue labbra sulle proprie, la sensazione di ogni punto screpolato premuto contro di lui, la scarica elettrica lungo il suo corpo, l’ardore nello stomaco, la rapidità del sangue che abbandonava il suo cervello e lo lasciava debole, quel giorno Hanamichi Sakuragi aveva sentito bruciare persino le punte dei piedi, e non esattamente per l’imbarazzo.
 
E ora non poteva svegliarsi, allenarsi, andare a lezione e addormentarsi senza pensare o ricordare la stupida volpe.
 
Era orribile! Quel maledetto Rukawa era costantemente nella sua testa!
 
Principalmente era per quello che si trovava lì, oggi. Perché la sua attenzione sempre sviata su quell’idiota gli stava divorando la testa, non permettendogli di pensare in maniera logica e ragionevole.
 
“Il giorno in cui mi hanno accompagnato all’aeroporto...” cominciò, pensando che spiegarlo in altro modo fosse troppo complicato. Yohei, incuriosito, ora era ancora più confuso. Cosa c’entrava una cosa successa più di un mese prima?
 
“Io...ho salutato il vecchio Dan...la mamma e il papà di Rukawa e...anche quel perdente...” raccontò con lo sguardo incollato sul pavimento, “mentre me ne stavo andando, la volpe mi ha chiamato...dicendo il mio nome”
 
Yohei alzò le sopracciglia per lo stupore, cioè gli era chiaro che quei due si fossero lasciati alle spalle le asperità ed ora erano più o meno amici, ma non si aspettava tanta confidenza tra loro, soprattutto in così poco tempo.
 
“Quando mi sono girato, lui si è avvicinato e....b-beh, lui...la volpe...”
 
Yohei era tentato di colpirlo per farlo parlare, ma poi si sarebbe ritrovato livido e dolorante, quindi finse pazienza e arricciò le labbra.
 
“S-sai...lui mi ha...quel bastardo mi ha baciato!” terminò, completamente rosso.
 
“Che cosa?!” urlò Yohei – facendosi sentire probabilmente per tutto l’isolato.
 
Oh mio dio, oh mio dio...oh mio dio! Non posso crederci! Quel re dei ghiacci...anche se...beh...
 
In realtà non era così strano che il ragazzo fosse dell’altra sponda, considerato che non degnava di un’occhiata nessuna delle sue compagne o fan – e alcune di loro non erano affatto male. Ma che gli piacesse Hanamichi, dell’intera popolazione maschile del pianeta?!
 
Quel tipo non sta bene! Hana lo odia...a malapena lo sopportava quando è andato in America...ah! Poveretto...mi fa un po’ pena..., pensò mentre elaborava il tutto. Tuttavia, quando alzò gli occhi e vide la faccia taciturna e arrossata di Hanamichi, qualcosa gli scattò in mente.
 
Potrebbe essere che Hana...?
 
“E tu...hai ricambiato?” chiese dopo essersi schiarito la gola.
 
“Cosa?! No, cosa credi?!” rispose subito sentendo il fuoco sulle guance che si diffondeva su tutto il viso e il collo. “Quel...quel bastardo ha usato rubare il primo bacio del genio!” cambiò argomento, ricordando che quello lo faceva arrabbiare e vergognare ancora di più.
 
“Beh...era ora, Hana, ahahahah!” scherzò Yohei, rendendosi conto che nulla di quella conversazione lo disgustava, lo infastidiva o gli risultava repellente. Hanamichi era e sarebbe sempre stato il suo migliore amico, indipendentemente dalla persona alla quale avrebbe deciso di consegnare il suo cuore.
 
“Zitto, scemo! Questo genio lo stava conservando per qualcuno di speciale!” rispose per giustificarsi, ma ora inspiegabilmente si sentiva più leggero e spensierato. Guardò il suo amico ridere e scherzre come sempre, di sicuro si era privato di un peso che non aveva idea di tenere sulle spalle. “Qualcuno...come Haruko...” continuò in un sussurro.
 
Yohei sospirò, cercando di riunire le parole per esprimere quello che voleva dire; in realtà non era molto sicuro di cosa stava succedendo.
 
Beh...chiaramente Rukawa è...gay...e a quanto pare gli piace Hanamichi, ma...ad Hanamichi...piace ancora Haruko? E poi cosa c’entra Rukawa con la faccenda di scegliere la squadra?
 
“E tu...hai provato qualcosa? Per il bacio, intendo?” chiese, cercando di mettere insieme i pezzi del puzzle.
 
“Certo che no! Insomma...ho sentito...sai! Le sue labbra e il suo c-calore...ma fine!” rispose subito, scoprendo che non era ancora pronto per spiegare cos’aveva effettivamente provato quando la volpe l’aveva baciato in maniera così sorprendente ma tenera quella mattina.
 
“Ti ha fatto schifo?”
 
Hanamichi spalancò gli occhi per lo stupore. Non si era aspettato quella domanda, ma non poteva negare che fosse una domanda giusta, perché molte persone si sarebbero sentite violate o disgustate se una persona dello stesso sesso le avesse baciate senza consenso. Hanamichi rivisse rapidamente quel giorno, quel momento e, ironia della sorte, ricordò di aver desiderato che qualunque cosa stesse provando non finisse mai; quel calore, quell’elettricità, quel tepore piacevole, gli aveva dato dipendenza. Per quel motivo, e perché non se la sentiva di negarlo a se stesso, scosse il capo.
 
“Forse...forse ti è piaciuto perché non hai mai baciato nessuno prima...” Yohei, che dall’espressione di Hanamichi intuì cosa stava accadendo, non volle insistere. Proprio com’era successo, quando Hanamichi si fosse sentito pronto, sarebbe andato a parlarne con lui, non prima. Solo per quello concesse una via di fuga.
 
“Mmh” borbottò Hanamichi, guardandosi le scarpe accigliato.
 
“Però, Hana...se il dubbio che hai tra Duke e North Carolina è che vorresti scegliere i Tar Heels ma consideri i Duke solo per allontanarti da Rukawa, ti consiglio di seguire la squadra e non la persona da cui vuoi separarti” disse Yohei seriamente, decidendo di fermarsi con la scusa di andare a cercare da bere, ma in realtà volendo lasciare un po’ di privacy al suo pensieroso amico.
 
Hanamichi, osservando l’amico che si allontanava con occhi smarriti, fece una risatina sarcastica, scuotendo il capo.
 
Cosa diresti, amico mio, se confessassi che i Duke sono sempre stati la mia scelta, finché la volpe non mi ha baciato...?
 
^ ^ ^ ^
 
Forse ti è piaciuto perché non hai mai baciato nessuno prima...
 
Quelle parole, dette con tanta attenzione e presunta leggerezza da parte del suo migliore amico, ora riecheggiavano nella mente di Hanamichi, seduto in attesa e nervoso nella solitaria panchina in un noto parco ora poco frequentato. Hanamichi sospirò e si alzò, non resistendo a rimanere fermo. Si fece più domande su quello che stava per fare, ma se lo confermò con forza e determinazione.
 
È l’unico modo per saperlo, si disse con le mani in tasca e lo sguardo alzato verso il cielo arancione.
 
Lui e Yohei avevano parlato qualche giorno prima e la conversazione lo aveva lasciato ancora più ansioso e in all’erta, perché aveva portato in superficie pensieri e sentimenti che non aveva idea esistessero, immagazzinati e presenti in lui. Aveva cercato di ignorare tutto concentrandosi sugli amici e il basket, ma rimanevano pur sempre le lunghe e solitarie notti; in quelle interminabili ora si girava e rigirava nel suo futon, soprattutto dopo aver parlato con la volpe in videochiamata.
Quelle chiacchierate lo calmavano sempre, lo rassicuravano e lo rendevano perfino felice, ma ugualmente lo irrigidivano, rendendolo accaldato ed energico. Hanamichi non aveva idea di come spegnere qualunque cosa stesse sperimentando.
 
Hanamichi non era sicuro di cosa, esattamente, avesse innescato il motivo per cui si trovava lì oggi, o forse lo sapeva ma non voleva ammetterlo.
La sera prima, parlando con Rukawa delle squadre dell’NBA e delle loro preferenze, Hanamichi aveva detto di non sapere bene cosa scegliere tra gli Oklahoma City Thunder o i Miami Heat. Kaede aveva dato la sua dura opinione su entrambe, dicendo con indifferenza che anche se gli piacevano quelle squadre, avrebbe saputo la verità solo vedendole giocare dal vivo, e avrebbero potuto farlo insieme quando fosse tornato negli Usa. Hanamichi era rimasto in silenzio, mentre Kaede si era immobilizzato – apparentemente rendendosi conto solo dopo di cos’aveva detto. Hanamichi, un po’ nervosamente, si era deciso a confessare che sapeva che non avrebbe scelto Kentucky, ma era ancora indeciso tra i Blue Devils e i Tar Heels. Kaede non aveva detto nulla – e non ne aveva avuto bisogno – perché l’abbagliante e gioioso sorriso che gli aveva aperto le labbra aveva zittito Hanamichi.
 
Hanamichi era turbato e stupito che una piccola azione simile – un semplice sorriso! – fosse stata in grado di smuovere pavimento, pareti e mondo intero. Il suo cuore si era messo a martellare così forte che Hanamichi aveva temuto di essere di fronte a una situazione simile a quella vissuta da suo padre o da Anzai. Il respiro si era fatto pesante e le mani avevano cominciato a tremare per il bisogno di toccare qualcosa, di accarezzare, di afferrare. Tutta la sua pelle e il suo corpo avevano iniziato ad ardere di desiderio.
E ne era stato spaventato.
Perché Kaede Rukawa, la volpe puzzolente, il re dei ghiacci, il suo più grande rivale, aveva provocato tutto ciò.
 
“Sakuragi-kun!”
 
Per quel motivo era lì, oggi.
 
La dolce voce femminile lo riportò alla realtà. Con un ghigno sciocco, il genio si rivolse alla ragazza che arrivava di corsa.
 
“Mi dispiace tanto per il ritardo! Ma mi ha chiamato mio fratello e sai quanto mi manca...” si scusò con il viso arrossato e leggermente sudato, ma sempre grazioso.
 
“È tutto a posto, Haruko-san, non devi scusarti” la confortò rapidamente, grattandosi la nuca e abbassando il capo verso la giovane che lo osservava attentamente, “uhm...perché non ci sediamo?” domandò indicando la panchina. Lei annuì e si accomodò.
 
“Sono stata così contenta di ricevere la tua chiamata, Sakuragi-kun. Non sono riuscita a vederti dalla vittoria del campionato...poi siamo andati a Tokyo per fare visita a mio fratello...”
 
Hanamichi annuì fermamente e sorrise a ogni parola, senza ascoltare realmente nulla di quello che usciva dalle labbra della ragazza. Possibile che il suo cuore si sentisse sempre così con lei? Come se fosse spremuto nel suo petto?
 
“Abbiamo visitato un sacco di posti! La città è bellissima, Sakuragi-kun, dovresti andarci un giorno...mio fratello mi ha portato in una fiera gigante! C’erano tantissime cose! E, beh...io ho...preso una cosa per te!” disse cominciando a frugare nella borsetta viola. Hanamichi la fissò a bocca aperta.
 
H-Haruko-san mi ha comprato qualcosa...?, rimase bloccato quando gli si presentò una figurina davanti agli occhi. Concentrandosi vide che la piccola mano della giovane reggeva un portachiavi nero, che raffigurava il viso sorridente e rosso di una scimmietta. Hanamichi lo fissò per qualche secondo.
 
“N-non intendevo offenderti né altro! Solo che...l’ho visto e ho pensato a te” aggiunse subito Haruko mordendosi il labbro inferiore.
 
“N-no! Mi piace! Ahahah, ora il genio non perderà le chiavi”
 
Entrambi risero e si guardarono. Haruko lo osservava con curiosità, mentre Hanamichi era nervoso.
 
Forza! Chiediglielo e basta, è tua amica!
 
“Haruko...in realtà ti ho chiamato per chiederti una cosa” ammise guardandola.
 
“Cosa?” chiese lei sinceramente intrigata.
 
“Io...in America...beh, io...ho conosciuto una persona...” cominciò arrossendo e deviando lo sguardo. Haruko avvertì una stretta al petto.
 
“Con questa persona, siamo diventati amici...intimi...” deglutì prima di continuare, mentre la ragazza non capiva perché le stesse raccontanto tutto ciò e soprattutto perché la infastidisse.
 
“E quando ero in aeroporto per tornare...mi...mi ha baciato...dicendomi poi che provava dei sentimenti per me...” riassunse, guardando finalmente Haruko negli occhi.
 
“E...lei ti piace?”
 
Hanamichi non vide la necessità di correggerla dicendo che si trattava di un uomo e peggio ancora del suo vecchio (o ancora attuale, non lo sapeva) amore, l’unico e impareggiabile Kaede Rukawa; si limitò ad alzare le spalle ignorando il lieve disagio per l’aperta bugia. Non provava vergogna, ma...non voleva ferire la giovane donna che lo stava guardando con curiosità.
 
“Questo è quello che non so...io...sono stato innamorato di te per così tanto tempo...”
 
La ragazza arrossì all’istante e con violenza, deviando lo sguardo e serrando nervosamente le mani.
 
“...che non so dire se quello che provo per questa persona sia amicizia o...altro”
 
“Allora...cosa ti serve da me?” chiese lei senza capire.
 
“Haruko, io...beh...mi chiedevo se potessi...”, il suo viso, mentre parlava osservandosi le grandi e abbronzate mani che giocavano con i jeans, arrossì in fretta dal collo fino alla fronte, ma il resto del suo corpo e del suo cuore si mantennero saldi e forti sulla panchina del parco durante quel mite pomeriggio. Solo così lo saprò..., si disse guardando la ragazza, ancora imporporata dalla precedente dichiarazione, “...baciarti...?”
 
“C-cosa?”
 
“Solo una volta! Per...per sapere...” terminò in un sussurro implorante.
 
Haruko era sinceramente senza parole, con labbra e occhi aperti. Solo una volta aveva baciato un ragazzo, durante l’ultimo anno del liceo, per provare a dimenticare Rukawa, che solo poche settimane dopo sarebbe andato in America, ma non le era piaciuto; non perché il ragazzo in questione non fosse attraente o simpatico, solo che...non aveva provato nulla, tranne forse l’emozione e il nervosismo di dare il suo primo bacio.
 
Ora invece era Sakuragi, il suo migliore amico e il migliore ragazzo che conoscesse, a chiederle un bacio, uno solo...e lei voleva darglielo...dunque annuì lentamente, senza guardarlo negli occhi.
 
Hanamichi si strozzò con la saliva, ma rimase saldo.
 
Il mio primo bacio...
 
Il mio primo bacio è con Haruko-san!, si disse, decidendo all’istante che il bacio della volpe non contava realmente, perché lui non aveva ricambiato.
 
La ragazza alzò il viso con gli occhi delicatamente chiusi. Hanamichi deglutì a fatica ed iniziò ad avvicinarsi. A pochi millimetri di distanza, chiuse gli occhi a sua volta e finalmente fece unire le loro labbra.
Quelle della ragazza erano piene, morbide e umide per via del rossetto. Hanamichi diminuì la pressione e si abbassò verso il labbro inferiore, strofinando il naso con quello di lei; Haruko sospirò, aggrappandosi al ragazzo. Lui afferrò il suo labbro tra le proprie. Passarono pochi secondi e respiri irregolari, poi si separarono piano.
 
Haruko respirava pesantemente, guardando affascinata la bocca del giovane.
 
“Io...mi dispiace, non avrei dovuto...” disse Hanamichi in fretta non sapendo che fare in quella situazione, era stato lui a istigare la cosa, ma in realtà la ragazza appariva seriamente turbata da quanto appena successo.
 
“Va tutto bene...sono contenta...di averti aiutato...” lo interruppe Haruko, sentendo uno strano bruciore negli occhi. “Io...mi sono ricordata di avere un impegno con i miei genitori per cena...” disse alzandosi un po’ esitante. Hanamichi annuì sorridendo, alzandosi a sua volta per salutarla.
 
“Certo, non preoccuparti. Vai pure” la esortò. Haruko non tardò ad andarsene con insolita velocità, ma Hanamichi la ignorò.
Quando la figura del suo antico amore scomparve tra gli alberi, Hanamichi si appoggiò sulla panchina, alzando gli occhi al cielo quasi scuro.
 
Bene...
 
Si portò una mano alle labbra e abbassò il capo, accarezzandosele quasi teneramente.
 
Era incredibile, ma...non aveva sentito niente.
 
Niente di niente.
 
La sua bocca su quella tanto sognata di Haruko aveva provocato solo la sensazione di labbra morbide sulle sue. C’era stata umidità e calore, ma solo esternamente. Dentro di sé, nel petto, nello stomaco, non aveva sentito nulla. Niente in confronto con quello che aveva sperimentato con quel bastardo. Quel fuoco, quell’elettricità, quelle piacevoli vibrazioni che fluttuavano nel suo stomaco.
 
“Maledetto Rukawa” disse in un sospiro.
 
Beh...questo spiega tante cose..., pensò accigliandosi e con le mani sudate. Si grattò la testa ricordando certi momenti, certe scene che all’epoca non avevano avuto senso, nessuna spiegazione, ma ora era tutto più chiaro, più luminoso e, perché no, migliore...
 
Quel bisogno e quell’ansia che avvertiva nei confronti di Rukawa; quel desiderio che lo sopraffaceva per parlargli, infastidirlo e sfidarlo, provocarlo e ottenere una reazione. Ora era tutto più chiaro. Ricordò, non senza vergogna, gli sguardi che avevano condiviso ultimamente. Sentendosi annegare mentre lo ascoltava parlare con tono roco e profondo. Intimo. Segreto. Quanto si sentiva depresso quando non riusciva a parlargli anche solo per una sera. Ringhiò pensando a qualche giorno prima, quando il ragazzo, ovviamente a modo suo, si era congratulato per un video che Hanamichi gli aveva mandato e raffigurava uno dei suoi ultimi allenamenti.
 
Quella sera Hanamichi aveva avvertito un’esplosione nel petto. Uno sfavillio travolgente nello stomaco. Aveva sentito guance, collo e orecchie in fiamme. Il suo cuore pareva lottare per uscire dal torace. Aveva deglutito esageratamente, insultando poi la volpe con commenti imbarazzanti e inutili. Ma dentro si era sentito così tanto realizzato, così felice.
 
Hanamichi, sperimentando nuovamente quella rivolta in tutto il suo corpo, provò l’impulso irrazionale di parlare e vedere Rukawa. Voleva sentirlo ridere. Osservare le sue fossette. Ascoltare le sue battute patetiche. Insultarlo per qualunque motivo.
 
Avrebbe voluto averlo lì con sé.
 
Il ragazzo, un po’ più lucido, meno confuso e calmo, si alzò, si lisciò i vestiti e si diresse all’uscita del parco.
 
Penso..., rifletté, arricciando le labbra con un po’ di fastidio, penso di sapere cosa fare...Yohei, amico...è in arrivo un’altra delle nostre conversazioni..., si disse sorridendo mentre accelerava un po’ il passo e andava verso casa.

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Capitolo 9
*** 9. La volpe e la scimmia ***


Ci siamo, questo è l’ultimo capitolo, quello per cui tecnicamente avrei dovuto mettere rating rosso...perché si arriva a scene esplicite e molto molto calde :) però so e mi piace che possano leggere anche persone non iscritte al sito, dunque per stavolta chiudo un occhio e lo lascio arancione, dopotutto io stessa a 14 anni leggevo cose vietate ai minori (e non credo di essere l’unica!).
Spero però che nessuno rimanga troppo sconvolto, per cui se descrizioni di rapporti sessuali dettagliati non sono di tuo gradimento, questo capitolo non fa per te!
Mi raccomando :D ne approfitto per salutare e ringraziare chi ha letto e apprezzato questa storia, il fandom di SD ancora non si libererà di me ^^ per chi vorrà, a presto.
 
 
 
Il chiaro e sonante ‘swoosh’ che la palla emetteva quando attraversava la rete del canestro accelerarono facilmente ma al tempo stesso calmarono leggermente le vibrazioni e i nervi che aveva a fior di pelle. Il suo cuore batteva e pulsava per l’eccitazione. Il suo respiro era irregolare per via dello sforzo. La sua pelle bianca brillava a causa delle forti luci e il sudore della fatica.
 
Ma non si sarebbe arreso.
 
Lui e la sua squadra erano determinati e concentrati sulla vittoria; a fare ciò che sapevano fare meglio, a dimostrare il loro valore, il loro talento e abilità; erano disposti a esibirsi in tecniche al limite dell’impossibile e incoerenti a patto di essere infine incoronati come i migliori, come la migliore squadra universitaria del paese.
 
Lo sentiva nei muscoli, lo vedeva sui volti dei suoi compagni – sia quelli in campo che in panchina -, tutti erano esausti e al limite delle forze fisiche e mentali, ma non si sarebbero arresi, non al punto in cui erano arrivati. Non quando in ogni partita precedente avevano lottato fino alla morte, con il sangue, con il sudore e il dolore. Si erano sacrificati, allenati, battuti, allenati ancora di più, lottato con più forza per essere lì, ora.
 
Vincere quella partita li avrebbe portati a un solo passo dal disputare l’attesa e ambita finale del campionato accademico. Non potevano perdere ora. No, in alcun modo. Tutti i ragazzi in campo si guardarono e annuirono con determinazione, entusiasmo, con la potenza dei vincitori.
Se anche fossero morti quella sera dopo quella maledetta battaglia, avrebbero lasciato in campo le loro anime, e gli ultimi momenti sarebbero stati pieni di orgoglio e soddisfazione.
 
Kevin, con la sua statura alta e i capelli ricci ancora più lunghi, corse verso il tabellone con tutta la forza delle sue lunghe e potenti gambe, palleggiando con la mano destra; i suoi compagni si misero in posizione e aspettarono, bloccando gli avversari per non farli interferire, sapendo cosa la giovane stella intendesse fare, e infatti con un semplice balzo e alzando le braccia, segnò una tripla che permise loro un leggero vantaggio.
 
Urla di euforia, disperazione e nervi spezzarono l’atmosfera dell’immensa palestra che li ospitava, ma i fan che avevano viaggiato per sostenerli si facevano sentire con le loro esclamazioni e grida di incoraggiamenti. Il coach Williams indicava e segnalava con le mani di proseguire, di pressare ancora.
 
E lo fecero.
 
Quando finalmente il fischio segnò il termine della partita, tutti i ragazzi di entrambe le squadre si avvicinarono e si congratularono per l’ottimo lavoro, nonostante le scaramucce e i falli commessi pochi minuti prima.
 
I Tar Heels del North Carolina, quasi campioni, si diedero il cinque e gridarono per la vittoria. Molte persone del pubblico scoppiarono a piangere e urlarono freneticamente. La stampa locale e nazionale si accostò per parlare con le stelle della squadra – Riccio, Nano e Rukawa – congratulandosi e chiedendo brevi commenti sulla partita, ponendo domande su cosa si aspettavano per l’imminente finale. Dopo trascorsero lunghi minuti a fare foto con i fan e a firmare magliette o quaderni.
 
In seguito i giocatori esausti si incamminarono felici verso gli spogliatoi, lasciando uno stadio con la squadra locale piena di tristezza e delusione per aver perso a un passo dalla finale.
I Tar Heels invece cantarono con entusiasmo e stonando mentre facevano la doccia, altri risero intanto che si cambiavano. L’atmosfera del luogo era pregna di vittoria e felicità. L’allenatore, gli assistenti e la squadra medica entrarono per salutarli e congratularsi per l’eccellente lavoro svolto.
 
Ci furono lacrime e parole di orgoglio, ma tutti sapevano molto bene che non era ancora finita.
La maggior parte dei giovani propose e acconsentì di andare a festeggiare, altri, tra cui Kaede, rifiutarono l’offerta per via di altri impegni, ma promisero un’ulteriore celebrazione a cui avrebbero tutti partecipato.
L’inalterabile impegno di cui aveva parlato Kaede era incontrare i suoi genitori all’uscita del parcheggio – ormai una tradizione – per poi andare a cenare in un ristorante di lusso, dove mamma Rukawa avrebbe parlato di ogni meravigliosa giocata di suo figlio durante l’altrettanto meravigliosa partita. Kaede naturalmente rimase al margine da tutto ciò, grato ovviamente a sua madre e al suo sostegno incondizionato, ma desiderando essere da un’altra parte, in particolare a casa, alla sua scrivania, davanti al computer...parlando con Sakuragi.
 
Erano passati due mesi dall’ultima volta che aveva visto il turbolento ragazzo dal vivo, ma ogni giorno pareva un anno e ogni videochiamata sembrava durare cinque minuti. Mai nella sua giovane vita aveva creduto che fosse possibile sentire così tanto la mancanza di una persona. Ogni volta che vedeva il suo viso, era colto dalla stupida, ridicola e patetica voglia di baciare lo schermo, di infilarci la mano e raggiungere l’immagine perfetta che proiettava.
 
Era ossessionato? Uhm...forse un po’. Ma non aveva mai previsto che durante quelle settimane di assenza i sentimenti che nutriva sarebbero aumentati in quel modo. Era così idiota che le cose che un tempo a malapena tollerava di Hanamichi, ora le trovava tenere e divertenti; le cose che aveva odiato erano diventate sopportabili e ogni elemento, ogni parte, gesto, tic, risposta, colore, odore e aspetto della sua personalità che gli erano piaciuti, ora credeva di...adorarli.
 
Nessuno più di lui era spaventato, terrorizzato da tutto ciò, ma era anche emozionato e incantato, perché mai aveva immaginato che uno come lui potesse avere sentimenti di quell’intensità.
 
La stessa intensità che lo portava a muovere con impazienza la gamba e le dita. Guardò l’orologio al polso e gemette internamente. L’idiota stava sicuramente correndo in quel momento...con quelle maledette quasi 14 ore a separarli, contattarsi non era così facile, ma facevano quello che potevano.
 
Nelle ultime settimane Kaede aveva avvertito un cambiamento nel ragazzo; lieve ma palpabile per uno che lo conosceva bene – cosa di cui poteva leggermente vantarsi. Sapeva che Hanamichi doveva essere nervoso per il suo imminente e quasi permanente arrivo in America entro poche settimane, ma pensava che non si trattasse solamente di quello.
 
Una cosa che lo infastidiva realmente era che Hanamichi non era tornato sull’argomento dopo aver detto con apparente disinvoltura che non sarebbe andato in Kentucky; era stato tutto ciò che aveva commentato sul suo viaggio e i suoi piani per il futuro, lasciandolo quasi sull’orlo della disperazione e della curiosità. Molte volte aveva dovuto mordersi la lingua per non fare domande impazienti o irritate, perché non voleva creare un’atmosfera di disagio, era già sufficiente che fossero su diversi livelli emotivi – l’uno a offrire amicizia e l’altro a desiderare, non così segretamente, qualcosa di più.
 
“Tesoro, sembri stanco, non devi rimanere con me e papà tutta la sera, perché non vai a casa?” gli chiese sua madre, il viso corrugato dalla preoccupazione.
 
Kaede, che non voleva offenderla, ma che aveva – davvero – voglia di andarsene, la guardò dritto negli occhi; nel blu così simile al proprio di sua madre c’era uno strano bagliore, un messaggio difficile da decifrare. Ed era un’altra cosa che ultimamente l’aveva alterato. Sua madre sembrava più allegra del solito da qualche settimana. Non che gli desse fastidio che sua madre fosse felice, ma trovava strano che fosse successo di punto in bianco. Se i suoi genitori non fossero stati un po’ in là con l’età, Kaede avrebbe persino pensato che forse sarebbe arrivato un fratellino o sorellina, ma aveva scartato l’idea.
 
La domanda persisteva, che stava succedendo? L’unico indizio erano le strane chiamate che la donna aveva fatto e ricevuto nei precedenti giorni. Kaede, dato che stava per arrivare il periodo delle vacanze, aveva pensato che sua madre stesse organizzando un incredibile viaggio in famiglia.
 
Chissà dove ci porterà stavolta, aveva quasi timoroso ricordando l’ultimo viaggio che i tre avevano fatto un anno prima, organizzato da sua madre con insolito entusiasmo: nello specifico...a DisneyWorld.
 
Kaede si era giurato che prima o poi avrebbe cancellato le foto di lui, a 18 anni, con addosso gigantesche orecchie da topo.
 
“Va bene” rispose, cercando di notare un qualsiasi segno di disgusto o rifiuto negli occhi di sua madre, ma lei parve più che felice e soddisfatta. Suo padre, che pareva altrettanto compiaciuto, gli lasciò dei soldi per il taxi. Grazie a chissà quale divinità, la squadra con cui avevano disputato la semifinale era vicina a casa, quindi non avrebbe impiegato ore per rientrare.
Il tragitto verso casa avvenne in fretta e senza problemi, cosa che apprezzò perché altrimenti si sarebbe addormentato.
 
Entrando dall’ingresso, non si preoccupò di chiudere tende, accendere luci o aprire finestre per ventilare, il suo unico obiettivo era la sua stanza e il suo pc. Gettando la borsa in un angolo, Kaede accese il portatile, e mentre si caricava ne approfittò per cambiarsi e darsi una pulita. Quando aprì la chat e l’account di Skype, tuttavia, scoprì che GenioSaku2.0 non era connesso.
 
Si accigliò, scrivendogli poi: ‘Connettiti, stupido’.
 
Mentre aspettava l’idiota, andò di sotto per fare quello che avrebbe dovuto fin dall’inizio – chiudere le tende, aprire le finestre e accendere qualche luce – e in bagno per lavarsi i denti e la faccia. Tornò tranquillamente verso la sua scrivania e guardò il profilo.
 
GenioSaku2.0 – non connesso, diceva il dannato schermo.
 
Kaede grugnì, trascinandosi sulla sedia. Dov’è quell’idiota? Gli avevo detto che ci sarei stato quest’ora...tsk, imbecille...
 
Rimase lì a non fare nulla per circa 30 minuti prima di chiudere furiosamente il pc e scendere a guardare un po’ di tv. Sapeva che se fosse rimasto in camera sua, avrebbe potuto trascorrere ore davanti al portatile aspettando una risposta.
 
Sdraiandosi senza decoro sul divano, guardò la replica di una partita che aveva commentato con Hanamichi qualche giorno prima.
 
Sakuragi..., pensò, ho detto qualcosa...ho fatto qualcosa l’ultima volta?, si chiese, accigliato e fissando distrattamente il televisore, ricordando nel dettaglio l’ultima volta che avevano parlato, solo due sere prima.
 
Tuttavia pensò che se c’era uno tra di loro che si stava comportando in maniera anomala dal solito, ultimamente, era proprio Sakuragi, che da circa due settimane sembrava arrabbiarsi più facilmente o cambiare umore da un secondo all’altro. Inoltre sembrava che lo fissasse più spesso, cosa che lo rendeva un po’ nervoso, poco abituato all’espressione seria e intensa dei suoi occhi castani su di sé: sul proprio viso, il collo, le spalle, in modo così...così...
 
Hanamichi sembrava misurarlo o memorizzarlo. Assorbirlo. Mangiarlo...
 
Cosa che, anche se non era sgradevole, non era neanche un bene per la sua salute mentale, perché gli dava speranze e aumentava le sue fantasie – sessuali.
 
Era già fantasioso permettersi di pensare che, a prescindere da quale squadra Hanamichi avrebbe scelto, Duke o North Carolina, gli avrebbe permesso di soggiornare lì per tutto il tempo e durante la sua crescita. A volte gli piaceva pensare di avere una possibilità, e altre si permetteva di concludere che la presunta reazione di uno come Sakuragi alla dichiarazione di un altro ragazzo sarebbe stato un pugno; ma Hanamichi, al contrario, non aveva reagito negativamente, né aveva risposto con scherno o aggressività. Era rimasto in silenzio, consentendo anzi di continuare con l’amicizia.
 
Doveva significare qualcosa...no?
 
Forse avrebbe potuto provare con un approccio fisico. Sakuragi, dopotutto, era un ragazzo, un uomo, il che significava che si scaldava con tutto ciò che si muoveva. Beh, lui si muoveva, e lo avrebbe fatto ancora meglio se avesse saputo di poter attirare la sua attenzione. Grazie ai vari video che aveva visto nei giorni precedenti su Internet, poteva dire – non senza un certo orgoglio – che aveva imparato molto sul sesso, sulle tecniche di seduzione, su come accendere facilmente e rapidamente un uomo, e sarebbe stato ancora più fattibile con un ragazzo di 19 anni.
Sbuffò, scuotendo il capo e continuando a guardare la partita in tv.
Quella era la cosa brutta di trascorrere molte ore della notte da solo: la sua mente vagava e sviava lungo percorsi così ridicoli e impossibili.
 
Con gli occhi semichiusi, alzò lo sguardo per vedere l’ora. L’orologio digitale sul tavolino diceva 22.52. La sua fronte si corrugò immediatamente.
 
Perché i miei genitori non sono ancora arrivati...?, Kaede doveva ammettere di non essere esattamente il figlio perfetto o prodigio che qualunque genitore avrebbe voluto, ma voleva bene ai suoi e si preoccupava per loro, per cui fu sorpreso di vedere che era tardi e loro ancora non erano a casa, nemmeno quando uscivano per il loro anniversario stavano fuori tanto.
 
Kaede, che pensava già di andare a dormire fino alla successiva era glaciale, andò prima al telefono per chiamarli. Ci furono diversi squilli, che lo preoccuparono ancora di più. Sua madre non ci metteva mai tanto a rispondere. Quindi riprovò.
 
“Kaede, figliolo?” la voce squillante e leggera di sua madre giunse alle sue orecchie. Kaede arricciò le labbra quando si accorse che si era inquietato invano, pensando di risultare un ragazzino che non poteva stare un’ora senza i suoi genitori.
 
“Chiamavo solo per sapere quando tornate” rispose con indifferenza e stanchezza. Sua madre rise.
 
“Ah, Kaede, non preoccuparti per noi. Tu pensa a divertirti...buona serata” disse prima di riagganciare.
 
Kaede guardò male la cornetta prima di rimetterla al suo posto.
 
Ora si che è strana...o alticcia..., si disse, spegnendo il televisore.
 
Sul punto di salire le scale, però, si stranì nel sentire alcuni decisi ma calmi colpi alla porta d’ingresso. Inclinò la testa, dubbioso.
 
Chi può essere così tardi...?, si chiese avanzando con decisione e preparandosi a un assalto dallo sconosciuto dall’altra parte. Quando aprì piano, però, una forte spinta lo fece rinculare, intravedendo solo un assaggio di una luce blu, nera e rossa con la coda dell’occhio.
Riacquistando rapidamente l’equilibrio, si rivolse all’intruso con il più feroce sguardo assassino, pronto a combattere per difendere la sua casa.
Ma lì, in piedi e al centro della sala, con un viso stanco ma sorridente, una valigetta nera appoggiata a terra e una grossa borsa blu sulla spalla, c’era Hanamichi Sakuragi, autoproclamato genio e talentuoso giocatore dello Shohoku e del Giappone.
 
“S-Sakuragi...” mormorò con reale stupore, totale sorpresa, un po’ di irritazione e genuino incanto. Era tutto strapazzato. Il suo stomaco gli cadde ai piedi e il suo cervello si sciolse.
 
Non è possibile.
 
Non...probabilmente mi sono addormentato sul divano...questo è solo un sogno...
 
È solo un sogno...questo idiota non può essere davvero qui...dovrebbe arrivare tra almeno tre settimane...non verrebbe mai prima sprecando l’occasione di stare con la sua famiglia e gli amici...
 
Non è qui...
 
È un sogno, Kaede...un’allucinazione...
 
Se lo ripeté più volte, sentendo il proprio cuore che cominciava a martellare dolorosamente contro le costole. Il suo stomaco era tutto un pasticcio e la gola era annodata come se avesse mangiato un intero buffet.
 
“Tsk! È così che accogli gli ospiti, volpe maleducata?! Non riesco a credere che tu sia imparentato con mamma Rukawa, siete diversissimi!” urlò e rise con voce caratteristica il sogno che sicuramente si stava svolgendo.
 
Ma è...così reale..., si disse, bevendo l’immagine perfetta che aveva di fronte, i jeans scuri che fasciavano meravigliosamente le sue gambe toniche e una maglietta a maniche lunghe bianche visibile sotto una leggera giacca rossa.
 
“Ehi, idiota! Mi aiuti o no?!” urlò di nuovo, indicando il borsone blu.
Kaede sbatté le palpebre e per inerzia ricevette il pesante bagaglio.
 
Entrambi, ciascuno nel proprio mondo, salirono al piano di sopra, con davanti la scimmia che, disinvolto e sicuro, si diresse verso la stanza degli ospiti. Kaede si accigliò profondamente, pensando subito che la stanza doveva essere piena di spazzatura e scemenze che i suoi genitori infilavano lì quando non sapevano dove altro metterle, ma quando si aprì la porta, Kaede si imbatté in una camera pulita e ordinata, con il letto pronto a essere utilizzato.
 
Mamma...?
 
Lei...sapeva...?
 
“Tu...perché sei qui...?” chiese, rendendosi stupidamente conto che Hanamichi era davvero di fronte a lui e stava lasciando le valigie nell’armadio, togliendosi con calma la giacca che l’aveva riparato dal vento autunnale. Hanamichi si voltò e sorrise, indicando la porta.
 
“Meglio se scendiamo” disse in un raro gesto di serietà e calma. Hanamichi, con le mani nelle tasche, fece strada, e Kaede non poté fare a meno di seguirlo, tenendo lo sguardo fisso sulla sua schiena fino al divano, dove entrambi si accomodarono su ciascuna estremità con cautela.
 
Il silenzio era teso e pieno di aspettativa, entrambi avevano così tanto da dire, non sapendo come diamine iniziare o esprimersi.
Hanamichi, esausto per il volo, stava collassando dopo quelle ultime stressanti settimane e, nervoso per essere finalmente vicino a Kaede, si agitò senza sapere dove o come mettere le mani. Kaede, che lo guardava con labbra leggermente socchiuse, non poteva credere che fosse tutto vero. La scimmia, il ragazzo che sognava e su cui fantasticava da tre mesi, era lì davanti a lui, a sfregarsi le mani con nervosismo.
 
Dovrei essere io a comportarmi così, pensò vagamente.
 
“Ho deciso di unirmi ai Tar Heels...” Hanamichi ruppe il silenzio, alzando gli occhi per incontrare direttamente quelli blu e attoniti di Kaede, che non poté aprire bocca perché l’altro continuò: “dopotutto, avete urgente bisogno di un’ala grande talentuosa come il genio! Ahahaha!” scherzò, gettando indietro la testa in un gesto palesemente forzato.
L’aria era troppo tesa e nervosa.
 
“Idiota” fece Kaede con un sorrisetto.
 
Sakuragi rimarrà qui...verrà nel North Carolina...è già qui...
 
Era stupido, sciocco e patetico, ma Kaede ancora non riusciva ad elaborare tutto in modo ragionevole e coerente; stava accadendo tutto troppo velocemente. Non era ancora in grado di processare ogni cosa. Beh, solo pochi minuti prima era su quello stesso divano sul punto di addormentarsi mentre guardava la replica di una partita e ora...Hanamichi era qui e lo stava guardando imbarazzato e agitato.
 
Inoltre poteva essere un errore quello di voler leggere troppo nelle azioni del suo oramai compagno di squadra.
Cosa significava il suo arrivo in North Carolina? Era solo per la squadra? Voleva che fossero amici? Perché con così tanto anticipo?
Tante domande e poche risposte...
 
Cosa importa, Kaede...è qui..., si disse, rimproverandosi e con confusione, incapace di trattenere una piccola risata nervosa.
 
“L’idiota sarai tu quando ti metterò in ombra con le mie abilità, scemo! Nessuno potrà mettersi contro il genio, ahahah!” rispose Hanamichi senza impeto né rabbia, anche se sentiva che i suoi muscoli chiedevano riposo, ma mentalmente era rilassato e calmo, finalmente in pace. Non avrebbe mentito dicendo di non aver sentito una pugnalata dolorosa nel salutare sua madre e i suoi amici ore prima all’aeroporto in Giappone, ma avrebbe potuto fare un’unica eccezione e ignorarla, tutto per poter guardare quel maledetto Rukawa, che l’aveva tormentato tanto, tanto, durante l’ultima settimana.
 
Hanamichi doveva ammettere che senza il bacio ad Haruko o la lunga e sentita conversazione con il suo caro Yohei settimane prima, molto probabilmente sarebbe stato ancora in fase negazione, o in uno stato di assoluto terrore e imbarazzo; ma ora non più.
 
Aveva paura, sì; era nervoso, anche. In ansia, ovviamente. Ma felice e in attesa di sapere la sua risposta.
 
“Siamo ancora pari, stupido, l’ultima partita non conta” gli ricordò Kaede, strappandolo dai suoi pensieri. Kaede, abbassando un po’ la guardia, si concesse di rilassarsi contro i morbidi cuscini del divano. Apparentemente niente sarebbe cambiato tra loro, concluse, non senza una certa dose di soddisfazione e dolore mischiati. Sarebbero continuati i litigi, gli epiteti, gli insulti, le sfide, ma anche le risate.
Forse lui poteva desiderare di più, ma probabilmente non era ancora il momento.
 
E forse non lo sarà mai...
 
“Come sarebbe, non conta?! Questo genio ti ha spazzato via, perdente!” lo accusò con il dito, indicandolo, mentre Kaede si limitò ad alzare il sopracciglio.
 
“Hai già firmato e tutto quanto?” chiese poi con sincera curiosità, dato che l’immagine disordinata ed esausta di Hanamichi dimostrava che era arrivato direttamente dall’aeroporto, e non che avesse firmato documenti o fatto lunghi discorsi.
 
“No, non ancora...il vecchio Dan mi accompagnerà domani” rispose guardandolo con un piccolo sorriso. Kaede ricambiò lo sguardo, ma lo abbassò sulle sue labbra carnose e sensuali.
 
“Tu...non pensare che il genio se ne stia approfittando o altro, dannato! Ho...parlato con i tuoi genitori e mi hanno detto che posso restare per tutto il tempo necessario...ma comunque cercherò un appartamento...non voglio...approfittare...”
 
“Non devi farlo” lo interruppe troppo in fretta, ma tenendo la voce bassa e svogliata. “I miei genitori saranno felici di averti qui...” disse per poi voltarsi verso il televisore spento, “...e anch’io”
 
Entrambi deglutirono rumorosamente. Tutti e due si maledissero perché stavano dicendo e non dicendo ciò che avevano in mente.
 
Kaede ebbe voglia di sbattere la fronte sul pavimento per quanto si stava comportando da idiota.
 
Bel modo di allontanarlo...bravo, Kaede...probabilmente già domani sarà fuori casa..., si disse trattenendo un ringhio rispetto al proprio commento fuori luogo.
 
Hanamichi, invece, era seccato e irritato con se stesso.
 
Com’è che il re dei ghiacci dice cose migliori di me?! Argh, maledetto Rukawa! Ma non batterà il genio! Non in questo!
 
“Te l’ho già detto una volta, sciocco” cercò Kaede di chiarire, senza guardarlo, “il fatto che io...provi qualcosa...non significa che non possiamo essere...amici” l’ultima parola gli lasciò sulla lingua un sapore pesante e agrodolce, perché anche se da una parte lo confortava, faceva male pensare che non sarebbe mai successo niente...ma era disposto a tutto per averlo nella sua vita.
 
“Ah...” Hanamichi rise sarcasticamente e piano, facendo accigliare l’altro.
 
E ora cos’ha questo idiota?
 
“Non solo sei una volpe puzzolente, dannazione, sei anche stupido!”
 
Kaede aprì le labbra per lo stupore. Non di nuovo, si disse ricordando l’ultimo grande litigio che avevano avuto, quella volta in cui Hanamichi aveva frainteso il suo bacio. Chissà che porcheria stava inquinando i pensieri di quello stupido. Kaede si alzò per imporre la sua statura, e l’altro lo imitò per ritrovarsi faccia a faccia. Si guardarono fieramente.
 
“Dovresti essere quello intelligente...” continuò Hanamichi con un tono più basso ma altrettanto fermo.
 
“Di che diavolo stai parlando, stupida scimmia? Che scemenza è entrata nella tua testa?” Kaede cercò di rimanere calmo e paziente, se fosse esploso ci sarebbe stata una battaglia sanguinosa. E di sicuro la mamma mi uccide se rompiamo qualche mobile. Pertanto la cosa migliore era rimanere calmo e scoprire cosa cazzo aveva quell’idiota in mente.
 
“Perché pensi che sia venuto quasi un mese prima, cretino?! Sì, ero entusiasta di vedere la squadra...ma ho una madre, degli amici e una vita in Giappone, stupido! Credi che sia così egoista e insensibile?! Mi sono chiesto più volte se stavo facendo la cosa giusta! Ma Yohei e i ragazzi mi hanno detto che andava bene, che era tutto a posto. Quindi...sono venuto! Un mese prima! Ho lasciato mia madre un mese prima, volpe!” il viso normalmente abbronzato di Hanamichi ora era rosso e un po’ sudato, ma non poteva farci niente. Era arrabbiato, irato, frustrato ed esausto...e stanco, specialmente per via di quel maledetto testardo che non capiva.
 
“Tsk, pensi che legga nel pensiero, idiota? Avrai le tue ragioni...” lo interruppe Kaede, seccato dal discorsetto sentimentale e senza senso.
 
“Sì! Tu, maledetto egoista, pigro, presuntuoso, viziato, bradipo, freddo, orgoglioso, indifferente! Sono venuto prima per te!”
 
Il silenzio cadde su di loro con velocità e forza, come una palla attraverso la rete dopo un glorioso e poderoso slam dunk. Nessuno dei due osò guardarsi negli occhi o indietreggiare o spostarsi.
Rimasero lì fermi a lottare con le loro battaglie interne.
Kaede era troppo stordito per reagire appropriatamente. Sapeva quello che aveva sentito e cosa significava.
 
Hanamichi...è venuto per me...?, poteva significare una sola cosa, perché potevano essere buoni amici, ottimi rivali in campo, ma nessuno abbandonava la famiglia e gli amici per un semplice...amico...
 
Cosa significava tutto ciò? Che la scimmia provava le stesse cose? Lo ricambiava?
 
Ma come...? E perché non mi ha detto niente prima..., ricordò il comportamento bizzarro che l’altro aveva dimostrato ultimamente; i costanti sguardi penetranti, i rossori inattesi, i commenti senza senso, le domande intime, i sorrisi quasi teneri.
 
Forse...lo sapeva già da lì..., per quello oggi era lì? Per dirglielo in faccia?
 
Bene, bene...
 
Messaggio ricevuto, pensò, lasciando che ogni cosa penetrasse nel suo sistema e venisse elaborato a una velocità vertiginosa. Se Hanamichi provava lo stesso, ora poteva avvicinarsi? Entrare nel suo spazio personale? Abbracciarlo? Baciarlo e stringersi a lui? Portarlo nella sua stanza...?
 
Mentre la volpe rimuginava sulle sue fantasie sconce, Hanamichi rimase immobile per la vergogna. Non era, ovviamente, la prima volta che si dichiarava a qualcuno (erano 52 per l’esattezza), ma era la prima che lo faceva sapendo quale sarebbe stata la risposta dall’altra parte. Ed era ancora più nervoso di quello che doveva succedere dopo.
 
Dovevano uscire insieme? Erano automaticamente fidanzati? Uno doveva chiederlo all’altro? Erano entrambi uomini ma non solo, il destinatario dei suoi sentimenti era il dannato Rukawa – in tutto il resto del maledetto pianeta -, cioè, come sarebbe stata una relazione con quella volpe dormigliona ed egoista? Dovevano...tenersi per mano? Andare al cinema? Comprarsi cose?
 
Hanamichi, in una conversazione estremamente imbarazzante e irripetibile con i suoi amici dell’Armata, aveva condiviso moderatamente ciò che era successo con l’ala dei Tar Heels: certamente tralasciando i dettagli più vergognosi, ma ammettendo in termini generali che forse lui e la volpe non erano solo buoni mici. Yohei, che aveva avuto più tempo per elaborare e digerire il tutto, si era comportato in maniera molto aperta, comunicando ed esprimendo apertamente la sua opinione, sostenendo subito incondizionatamente l’amico. Gli altri ragazzi, più silenziosi e cauti, si erano mostrati sorprendentemente ricettivi e avevano persino scherzato su un rifiuto.
 
Hanamichi li aveva piantati con una testata mortale ciascuno.
Ma ora che era qui, avendo passato e sperimentato le settimane più terribili e traumatiche della sua vita, sentiva di doversi spiegare, perché non si trattava solo di dire ‘Sì, mi piaci anche tu, amico’.
Principalmente perché erano passati due mesi da quel bacio all’aeroporto e tante cose erano venute alla luce in quel lasso di tempo per il povero ragazzo, che si raddrizzò e guardò dritto Kaede. Questi sembrava irrequieto e pronto a spostarsi, ma Hanamichi finalmente parlò.
 
“Io...eh...non ero...sicuro di quello che provavo...per te” cominciò con tono deciso ma dolce, esitante; Kaede lo guardò, “finché non ho baciato Haruko”
 
...
 
Cosa?
 
Da una parte Hanamichi non era certo che fosse un bene dirlo così tranquillamente, anche se era stato un punto cruciale per caprire i propri sentimenti verso il ragazzo, ma sapeva in prima persona quanto fosse crudele e doloroso sentire dalla bocca della propria persona speciale quanto desiderasse o socializzasse con un’altra persona. D’altro canto, voleva vedere e percepire la sua reazione: voleva fastidio e gelosia, voleva che fosse irritato per quello che era successo. Onestamente non era sicuro se fosse perché era la prima volta che lui piaceva a qualcuno (almeno, per quello che ne sapeva), se ricavava qualche soddisfazione nel farlo soffrire o se semplicemente gli piaceva che si ingelosisse.
 
L’unica cosa che era chiara era che gli si riscaldò la pelle e lo stomaco nel vedere un pericoloso bagliore oscuro negli occhi blu del ragazzo.
 
Kaede però non era così accaldato, non in senso positivo almeno.
 
Che cazzo di scherzo malato è questo?, ringhiò la sua mente mentre lo guardava. Eccolo lì, a sognare e fantasticare di piacevoli e vibranti weekend a letto, in palestra, sotto la doccia, in cucina (ovunque, in realtà) e quel dannato stupido doveva lanciargli addosso un secchio di ghiaccio per congelare qualsiasi idea osé.
 
Cos’ha fatto con quella tipa? Ha baciato quella...! E allora cos’è stato quello di prima, uno scherzo...?
 
“Mi importa ben poco quello che-” cominciò con durezza e freddezza.
 
“Ma non ho sentito niente!” lo interruppe, notando che era stato frainteso. “Quando l’ho baciata non è successo niente...dentro di me, intendo...non come...come quando mi hai baciato tu...” confessò con le guance rosse e il cuore a mille, ma si rifiutò di abbassare lo sguardo. Non era il momento per cominciare ad essere timido. Le sue parole, dette con vergogna e nervosismo, ma con fermezza e determinazione, riuscirono istantaneamente a spegnere qualsiasi istinto omicida di Kaede, che ascoltò con attenzione i respiri profondi dell’altro.
 
“Tu...anche tu mi piaci...Kaede”
 
Kaede credette di poter avere la possibilità di sentire l’esplosione di milioni di stelle e pianeti a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, perché poteva giurare di aver avvertito un forte e potente boato nel suo cervello nell’udire le parole da quelle labbra carnose che aveva sognato così tante mattine e notti nei suoi momenti di solitudine.
 
Kaede...ha detto ‘Kaede’...
 
Ha detto che gli piaci, idiota...
 
Ma non riusciva a reagire. Non poteva neanche muoversi.
 
Sembrava che i suoi piedi fossero bloccati sulla moquette. Le sue labbra erano dischiuse e secche. Le mani erano statiche lungo i fianchi e sudavano freddo. I suoi occhi blu non riuscivano a mettere a fuoco. Solo per un secondo osò alzare lo sguardo verso il ragazzo e non fu d’aiuto vedere l’espressione sincera sul suo viso e l’onestà nei suoi occhi castani.
 
Hanamichi...
 
Un’intensa scarica elettrica passò attraverso la sua pelle e i muscoli. Kaede lo sentì. Giurò di sentire il cuore trapassargli ossa e carne. Il suo petto poteva aprirsi? E la gola, che si stringeva in maniera così scomoda? Poteva sentire una fiamma viva che cercava di incendiargli la faccia?
 
“Intendi rimanere lì, volpe?! Il genio non ha tutta la notte!” gridò Hanamichi che sentiva di liberarsi da tutta la tensione degli ultimi giorni. Finalmente era in pace, in un tranquillo stato mentale e fisico. Non c’erano dubbi, né domande. C’era solo quel momento. Un momento perfetto in cui Kaede respirò profondamente e sorrise in un’espressione adorabile e sincera, che dedicava solo alle persone speciali, che riservava e custodiva per quel ragazzo disordinato, rumoroso e vanitoso e...così perfetto...
 
Kaede lo guardò con occhi luminosi, con le fossette sulle guance e piccole rughe ai lati delle palpebre, poi si avvicinò lentamente al ragazzo rilassato.
Hanamichi si sentiva imbarazzato o nervoso all’inverosimile, ma la risposta c’era, perché la domanda era stata posta da tempo. Ora spettava a Rukawa fare il passo successivo e Hanamichi sapeva cosa sarebbe accaduto.
 
Solo pochi centimetri separavano i loro corpi, desiderosi di appoggiarsi all’altro. Hanamichi, che mai aveva avuto l’opportunità di avere una relazione o momento amoroso, si armò di coraggio, abbassandosi ed eliminando la distanza tra i loro visi.
 
E fu gloria.
 
Le loro bocche si mossero con ansia e disperazione, inesperte e principianti, alla ricerca di più contatto, più frizione. Si poteva credere che la prima volta ci sarebbe stata solo dolcezza e tenerezza, ma avevano aspettato troppo a lungo. E in realtà non sapevano rallentare dimostrando delicatezza attraverso il tanto agognato contatto di pelle e di calore. Kaede posò una mano su una sua spalla, stringendo forte la maglietta tra le dita, mentre l’altro palmo lo lasciò su un fianco per stringerlo a sé e tenerlo lì, per sempre...
 
Hanamichi, che non sapeva davvero cosa fare con le mani né con il resto delle sue membra, poggiò uno dei pollici sotto la mascella del ragazzo per sollevargli il viso e avvicinarlo alla sua bocca desiderosa; l’altra mano alla fine si piazzò sul suo fianco, e Kaede emise un lieve suono, stringendo ancora di più l’indumento e la sua schiena.
Quando si separarono per prendere aria, nessuno dei due riuscì a respirare un paio di volte prima di riavvicinarsi con uguale urgenza, ma con meno pressione per consentire più movimento.
 
Si mossero con scarsa sincronizzazione per alcuni minuti soffocanti, finché si fermarono per prendere ancora aria, trovando poi la posizione perfetta, che permise a Kaede di aprire un po’ la bocca, dando spazio alla sua avida lingua. Leccò il suo labbro superiore e Hanamichi in risposta socchiuse la bocca seguendo l’istinto, non sapendo ancora bene cosa fare.
I loro cuori battevano a mille. I loro volti erano caldi e arrossati, pieni di vergogna. Ma non si sarebbero fermati.
 
Kaede ovviamente non si fece sfuggire l’occasione e con una certa bruschezza intrufolò la lingua tra le sue umide labbra, tentando e giocando la sua che non tardò a prendere il ritmo, pur con un po’ di titubanza all’inizio.
Hanamichi gemette di piacere per il frenetico bacio, eccitato, sorpreso e deliziato da quel nuovo fuoco che gli invadeva la pelle e tutte le membra. Era la prima volta che provava un desiderio così intenso. Un bisogno così ardente. Aveva la sensazione di essere sulla spiaggia, in un giorno caloroso, ma senza scomode vampate di afa né del bruciore del sole sulla pelle, ma con la freschezza del mare a toccargli tranquillamente i piedi, la brezza marina ad accarezzargli i capelli e il viso. Con una sabbia di diamanti a coprirlo. Con il sole che gli scaldava la pelle squisitamente, dolcemente ma fermamente, sul punto di incendiarlo in qualsiasi momento.
L’unico suono che si sentiva nella stanza era il bagnato e repentino scambio dei due giovani, insieme a continui gemiti, grugniti e lamenti che uscivano dall’uno o dall’altro.
 
Quando si separarono, un sottile rivolo di saliva tracciò la distanza tra le loro bocche, ma non ci badarono, avendo le labbra rosse, umettate e turgide.
Kaede, sospirò sulle sue labbra e si avvicinò ancora di più per appoggiare la fronte su quella di Hanamichi. Rimasero lì per qualche istante, godendosi il calore del corpo dell’altro e pensando scioccamente a quello che era appena successo. Avevano condiviso i respiri e il contatto delle loro sensibili labbra. Hanamichi era incredibilmente rosso in volto per l’imbarazzo e il disagio, ma tutto ciò era schiacciato dalle deliziose sensazioni che sembravano sciogliere i suoi neuroni.
 
Kaede lo guardava con fascino e adorazione. Non riusciva a credere che fosse tutto vero. Che Hanamichi fosse arrivato quella sera, che avesse detto di aver deciso di unirsi alla sua squadra, che ricambiasse i suoi sentimenti, e ancora! Che si fosse lasciato baciare in modo così...appassionato.
 
Se sto dormendo...
 
...non voglio più svegliarmi...
 
“Ehi, volpe” lo interruppe la voce di Hanamichi, che sebbene non forte, non poteva neanche essere considerato un sussurro, “perché non andiamo in camera tua?”
 
Kaede si separò subito da lui, guardandolo per qualche istante e riflettendo sulle sue intenzioni, ma sospirò subito internamente: era troppo ingenuo per voler passare così velocemente alla seconda base.
 
Annuì con riluttanza e salirono. Stendendosi con noncuranza sul morbido materasso, l’uno accanto all’altro, per qualche secondo fissarono il soffitto bianco, finché non si voltarono a guardarsi con occhi pieni di timore. Quelli di Hanamichi sembravano di cioccolato fuso sul suo viso perfetto, e Kaede non si trattenne dall’avvicinarsi per baciarlo di nuovo.
 
L’unione fu ora, forse per via della posizione laterale o per via dello spirito di ciascuno, più docile e delicata, incerta e interrogativa. Si godettero il calore delle loro labbra rigonfie congiunte. Si compiacquero più della vicinanza intima che di quella fisica. Quasi si sciolsero nel tepore che l’altro emanava. Kaede si mosse inconsciamente di più a lui.
Con quella piccola mossa innocente i due ragazzi, che avevano appena scoperto la meraviglia di essere ricambiati e di desiderare con tutte le proprie forze, con ardore e passione misero rapidamente da parte la tenerezza. Fu sorprendente che Hanamichi lo spinse per finire sopra di lui, lasciando Kaede attonito (e molto contento) e con le gambe aperte per riceverlo, appoggiando un braccio intorno al suo collo per avvicinarlo alla propria bocca disperata.
 
Rimasero intrecciati l’uno all’altro a lungo, Hanamichi appoggiò saldamente le mani su ciascun lato della testa di Kaede, mentre questi attirava ancora di più il corpo del ragazzo su di sé per strofinarsi contro il suo calore e la sua prestanza.
I baci non erano sincronizzati, con più lingua e saliva che labbra. Alcune volte addirittura sbatterono i denti per la velocità con cui si muovevano ma, invece di rimanere frustrati o irritati, risero e alleggerirono l’atmosfera.
Kaede, che già da alcuni minuti non tratteneva più l’eccitazione all’altezza dell’inguine, si godette ora la sensazione del proprio sesso duro strofinato contro la coscia di Hanamichi, approfittandone del momento in cui il ragazzo si abbassava sul suo collo per andare con le mani sotto la sua maglia bianca, accarezzando finalmente i muscoli solidi e marcati che si contraevano sotto i suoi palmi e le dita impazienti. Toccò e coccolò ogni linea che sporgeva dalla schiena e dal busto perfetti; avrebbe voluto abbassarsi per leccare gli addominali e i pettorali, ma per il momento si accontentò di usare le mani.
 
Kaede ringhiò forte quando Hanamichi gli morse e leccò la clavicola senza molta cura. Kaede sentì il proprio collo bagnato e umido dai baci e dai succhiotti del ragazzo, e sebbene se li stesse godendo come nient’altro al mondo, gli provocavano a sua volta la voglia di assaggiare la pelle di quel dio greco che si premeva contro di lui.
Sul punto di raccogliere le forze per far girare di schiena Hanamichi, si accigliò quando dal nulla perse il calore, il peso e i baci di Hanamichi, che ora lo guardava, seduto sui suoi fianchi.
Kaede dovette sbattere le palpebre prima di tornare sulla terra.
 
“Cosa c’è?” chiese con foce roca e senza fiato; le sue mani per pura inerzia premettero sui fianchi di Hanamichi, per farlo tornare su di sé e proseguire con quel perfetto e squisito scambio di baci.
 
“C-credo che dovremmo fare qualcos’altro...i tuoi genitori r-rientreranno presto” disse Hanamichi col fiatone, guardando verso la porta della stanza ancora aperta. Kaede guardò una delle sue sveglie, che segnava l’1.23.
 
Wow, riuscì a pensare. Ma non voleva comunque separarsi da Hanamichi, che già si era alzato e si era accomodato accanto a lui con fretta e disagio.
 
“Dammi un momento” rispose, segnalando il rigonfiamento tra le gambe; Hanamichi arrossì totalmente, annuendo automaticamente. Mentre Kaede aspettava che i suoi pensieri ed eventualmente il suo corpo si raffreddassero, non poté fare a meno di infastidirsi notando che solo lui sembrava tanto influenzato dalla loro appassionata sessione di baci.
 
Non riesco a...eccitarlo...?, si chiese deluso e un po’ preoccupato mentre osservava verso i pantaloni di Hanamichi, che pareva del tutto tranquillo e rilassato in quell’area.
Ma qualsiasi pensiero deprimente e domanda seccata fu subito dimenticato perché quando alzò lo sguardo notò con piacere il viso rosso e sudato del suo oramai compagno di squadra; il ragazzo inoltre respirava e soffiava profondamente e pesantemente l’aria che gli entrava nei polmoni, e la cosa più ovvia erano i suoi occhi marroni incollati sul collo bianco e snello della volpe.
 
Aha...quindi non sono l’unico accaldato..., pensò mordendosi le labbra con desiderio, trattenendosi dal saltargli di nuovo addosso.
 
“Argh, quanto tempo ci metti, imbecille?! Mi decomporrò nell’attesa!” affermò Hanamichi vedendo i bianchi denti della volpe che si mordevano con morbidezza ma fermezza il labbro inferiore. Si bloccò con una certa violenza per poi avvicinarsi alla Xbox (tutta impolverata) e collegarla alla tv più per volersi distrarre che divertire.
 
“È colpa tua se sono così eccitato, stupido” lo accusò, irritato e frustrato. Cosa costava a quell’imbecille concedergli solo qualche altro minuto di sfregamento? Con un altro paio di strofinate di sicuro sarebbe venuto nei pantaloni e ora tutto sarebbe stato a posto e migliore, ma no, aveva dovuto rovinare il momento con il ricordo dell’imminente arrivo dei suoi genitori. Tanto valeva lanciargli addosso un secchio d’acqua gelata.
 
Dannato idiota, pensò sedendosi sulle coperte, incontrando lo sguardo omicida della scimmia.
 
“Come osi incolpare il genio?! La colpa è tua, che sei un pervertito!” replicò indicandolo col dito.
 
“Hai cominciato a baciarmi sul collo, scemo! Era ovvio che stessi per venire” sbuffò, sorridendo ironicamente.
 
“Zitto, volpino puzzolente! Non hai controllo!” Hanamichi non sapeva cosa farsene di tutto quell’imbarazzo; normalmente non era affatto timido, ma non era una persona che riusciva a parlare così apertamente del sesso e dei suoi derivati, quindi lo metteva un po’ a disagio che Kaede dicesse cose del genere in quel contesto e con tanta naturalezza.
 
“Io non ho controllo? Mi hai buttato addosso i tuoi 100 chili, idiota”, cosa che Kaede aveva apprezzato immensamente, ma non era quello il punto.
 
“Come sarebbe 100 chili, bastardo?! Questo genio è in splendida forma! Non ho un grammo di grasso-”
 
“Lo so” lo interruppe Kaede, guardandolo dall’alto al basso lentamente, appoggiando le mani sul letto e dietro la schiena. Hanamichi arrossì di colpo, continuando poi a installare l’attrezzatura.
 
“Tsk! Meglio giocare, volpe, mi manca prenderti a calci con Donkey Kong” disse prima di afferrare le due console e sedersi accanto a lui, che accettò con rassegnazione di giocare.
 
Almeno posso appiccicarmi a lui fingendo che è per guidare meglio, si disse trattenendo un sospiro. Proprio come Hanamichi aveva previsto i genitori di Kaede tornarono a casa pochi minuti dopo, trovando i ragazzi impegnati in una sana e violenta gara di Mario Kart; il gioco fu interrotto quando vide i due adulti appoggiati alla porta. Si avvicinò a loro e li salutò con euforia e gioia. Se Kaede non fosse già stato al corrente della cospirazione di sua madre, l’avrebbe capito ora, ascoltando delle diverse chiamate che la donna e Hanamichi avevano condiviso negli ultimi giorni.
 
Grazie mamma..., pensò guardandola con un sorriso, ma lei non si accorse del getto.
La notte proseguì casualmente in seguito. I genitori, dopo aver parlato e chiesto facezie ad un entusiasta Hanamichi, si congedarono fino alla mattina seguente. I due atleti, sebbene fossero terribilmente stanchi, decisero di sfidarsi per un’ultima manche, che alla fine fu vinta dalla volpe. In quel momento fu chiaro che a prescindere dai loro sentimenti, avrebbero sempre continuato a discutere e a competere per tutto, il che era un sollievo per entrambi, perché nessuno dei due sapeva come essere romantico o tenero.
L’unico ovvio cambiamento fu che, prima di sdraiarsi e arrendersi al mondo dei sogni, diedero inizio ad un’altra seppur breve sessione di baci, che sebbene non bastò a spegnere la bruciante e tremenda frustrazione di Kaede, almeno gli diede nuovo materiale per le sue fantasie.
Dopodiché si addormentarono sorridendo.
 
^ ^ ^ ^
 
Il giorno dopo si presentò con una temperatura calda e magnifica per poterlo spendere in casa; il cielo era dipinto di un brillante celeste, il sole si nascondeva ogni tanto dietro alcune soffici nuvole bianche e il vento correva rinfrescando piacevolmente e affascinando i passanti. L’atmosfera era semplicemente perfetta. Così come i due giovani che erano seduti su una solitaria panchina in un parco.
In lontananza si sentivano le urla e le risate dei bambini che scorrazzavano qua e là, ma quel punto era scarso di persone.
 
“Ah! Il vecchio Dan fa sempre così!” si lamentò Hanamichi per la decima volta, tirando fuori il cellulare, quello che da tempo Kaede gli aveva regalato, per vedere le ora. L’orologio digitale segnava le 12.39, mentre lui e il manager avevano deciso di incontrarsi alle 12 per poi dirigersi alla facoltà sportiva del North Carolina per perfezionare gli ultimi dettagli del suo trasferimento e registrazione.
Kaede, che si era aggregato solo per stargli accanto, alzò le spalle, perché non gli importava affatto che il vecchio impiegasse più tempo del necessario, permettendo così loro di trascorrere qualche momento in più da soli e insieme – cosa impossibile in casa con i suoi genitori presenti per tutto il fine settimana.
 
Kaede, seduto con le braccia incrociate e la testa appoggiata allo schienale della panca, vicino alla spalla di Hanamichi, fissò la mano del ragazzo, che si colpiva la coscia con impazienza. Senza pensarci troppo, allungò la propria e la mise sulla sua, facendo così risaltare le diverse tonalità delle loro pelli, una così vivida e abbronzata, l’altra così bianca. Era affascinante e bello da vedere.
 
“Mmh? Che succede, volpe?” chiese Hanamichi che il gesto servisse ad attirare la sua attenzione, ma Kaede continuò in silenzio, prendendogli l’altra mano e facendo intrecciare le loro dita. Strinse con forza prima di alzare lo sguardo sugli occhi castani. I due si guardarono per qualche secondo, finché Hanamichi non si allontanò per alzarsi bruscamente.
 
“Ehi, vecchio! Era ora che arrivassi!” urlò, alzando la mano verso l’uomo che si avvicinava ridendo.
 
Kaede aggrottò la fronte prima di guardarsi la fredda mano con irritazione. Lo infastidì perdere quel tocco caldo, ma era anche seccato di comportarsi in modo così poco decoroso e logico.
Purtroppo lui e Hanamichi non avrebbero mai potuto condividere una relazione normale, di cui poter parlare e da sfoggiare ai media, almeno non nel mondo in cui si muovevano e non se volevano continuare ad essere rispettati in quanto atleti. Kaede si rifiutava di pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui o in quello che provava per l’idiota, ma doveva ammettere che nonostante il progresso della società negli ultimi anni, nel mondo dello sport non era facile aprirsi così dal punto di vista della sessualità. Per quell’unico motivo lui e Hanamichi dovevano essere alquanto discreti e fare in modo che lo sapessero solo i familiari e gli amici intimi.
 
“Scusate, ragazzi. Il traffico è orrendo” li salutò l’uomo, stringendo a entrambi la mano.
 
“Sì, sì, scuse vecchie. Andiamo o no?” chiese Hanamichi con impazienza e nervosismo, indicando la strada. Dan tese la mano, come a segnalargli di proseguire, e la scimmia si avviò volentieri, camminando incollato alla volpe, cosa che non passò inosservata al perspicace manager. Le ore successive trascorsero in conversazioni e accordi con l’amministrazione universitaria e la direzione della squadra, che chiesero al giovane giapponese di presentarsi agli allenamenti del lunedì per le rispettive presentazioni. Hanamichi rise, dicendo che conosceva già tutti e che alcuni erano perfino suoi amici.
 
“E poi se il genio, in rarissimi casi, avesse bisogno di aiuto, mi aiuterà il mio migliore amico, vero volpe?” fece con il tono più leggero e scherzoso che poteva, fissando gli occhi blu.
 
“Sempre” rispose subito Kaede, ricambiando l’intensità dello sguardo. Gli uomini e le donne presente sembrarono felici che il nuovo membro della squadra avesse già un amico per aiutarlo a integrarsi più facilmente, mentre dall’altra parte della stanza Dan starnutì esageratamente per interrompere il contatto visivo pregno di tensione sessuale tra i due idioti carichi di ormoni.
Con tutte le pratiche di trasferimento e registrazione pronte, il manager offrì il pranzo ai ragazzi, chiedendo loro dove preferissero andare. I due risposero senza esitare:
 
“Da George”, e fu lì che andarono.
 
Dan guardò tutto con sospetto, le sedie, il personale, i tavoli, i tovaglioli, i menu e il cibo.
 
“Sicuri che questa roba sia igienica?” chiese osservando scettico la strana salsa che scorreva lungo tutto il pane fino al piatto.
 
“Certo! Non c’è posto migliore di questo!” rispose Hanamichi prima di dare un enorme e indecente morso al suo hamburger. Kaede, che notò e capì lo sguardo del manager, acconsentì a rispondere:
 
“Piace anche ai miei gentitori” disse sapendo che Dan si sarebbe fidato della testimonianza di sua madre e suo padre e non della parola di una bestia come Hanamichi, che forse era abituato a ingerire spazzatura simile con i suoi amici in Giappone.
 
Così i tre condivisero il piacevole pomeriggio al ristorante, poi si avviarono tranquillamente per le strade cittadine semiaffollate, finché il manager non li lasciò davanti alla porta di casa, dove i genitori di Kaede stavano guardando un film in salotto.
Hanamichi, sorridendo, si avvicinò per unirsi alla visione del film, ma la presa salda di Kaede sul suo braccio lo fermò. Quando si voltò, Kaede gli rivolse un cenno verso il piano di sopra. Una volta in camera sua, la volpe chiuse la porta a chiave, girandosi poi verso Hanamichi che lo guardava incuriosito. Hanamichi ebbe appena il tempo di aprire bocca prima che un esagitato Kaede gli saltasse addosso, facendo cadere entrambi sul morbido materasso.
 
“V-volpe...i t-tuoi genitori...” riuscì a pronunciare Hanamichi quando poté respirare.
 
“Non disturberanno” rispose Kaede prima di baciarlo fieramente.
 
Kaede desiderava farlo fin da quel dannato sguardo nell’ufficio dell’università, e guardare Hanamichi che si leccava le labbra e le dita durante il pranzo aveva solo aumentato i suoi bollori. Ringhiò di soddisfazione quando, finalmente, Hanamichi cominciò a partecipare, posando una mano ferma tra i suoi capelli, impigliandosi con le dita nelle sue morbide ciocche nere, afferrandogli più fermamente le labbra; con l’altro palmo sfiorò il fianco e la schiena del ragazzo.
 
I baci, come la sera prima, per quanto inizialmente dovevano rimanere calmi e sensuali, per via dell’inesperienza e dell’eccitazione sfociarono in una battaglia di lingue e denti. Il suono umido dei risucchi li provocava ancora di più. Kaede appoggiò tutto il peso sul suo tonico e solido corpo, cominciando a strofinare all’altezza dell’inguine.
 
“Mmh...” uscì dalle labbra aperte di Hanamichi, e Kaede ne approfittò per intrufolare nuovamente la lingua affamata. Hanamichi, che non aveva idea di cosa stesse facendo, abbassò le mani sul modellato e saldo fondoschiena del giovane, volendo applificare la turbolenta e piacevole frizione dei loro sessi attraverso la molesta quantità di vestiti.
Kaede, ansimando e con occhi velati, gli permise di aumentare la velocità e la forza di attrito tra le loro parti sensibili.
 
Mentre Hanamichi stringeva e accarezzava le sue natiche, Kaede abbassò la bocca sul suo collo per finalmente assaporare il gusto della sua pelle. Si permise di leccare, suggere, succhiare, compiaciuto di vedere una traccia di saliva sulla clavicola che aveva marcato.
Afferrò la maglietta e l’abbassò abbastanza per avere spazio e visuale sul petto prestante del ragazzo; muscoli e linee a cui si dedicò, dapprima accarezzandoli con il naso, poi con le labbra e infine con la lingua vogliosa. Hanamichi, gemendo rocamente, afferrò bruscamente i suoi capelli in un pugno e lo sollevò per unire le loro labbra grossolanamente.
 
Continuarono a baciarsi per diversi minuti. Kaede, che sentiva le erezioni di entrambi sfregarsi a vicenda con una certa disperazione, trovò l’occasione perfetta per mettere in pratica alcuni dei video che aveva visto nelle ultime settimane. Si separò controvoglia dalle labbra perfette del ragazzo, che lo seguì per pura inerzia. Kaede, sedendosi sui suoi fianchi, cominciò lentamente ad aprire il bottone e la cerniera dei pantaloni di Hanamichi.
 
“C-che fai?” sibilò Hanamichi, guardando velocemente verso la porta chiusa. Kaede gli sorrise maliziosamente prima di proseguire. Aprì completamente i pantaloni, li abbassò con un certo sforzo perché la scimmia non stava collaborando molto, lasciando così solo i boxer neri attillati intorno al rigonfiamento che ora sembrava alzarsi ulteriormente per attirare l’attenzione. Kaede si morse e leccò le labbra prima di afferrare i bordi e abbassare anche la biancheria intima, non osando guardare gli occhi castani che di sicuro erano scandalizzati – ma non meno eccitati, ed era evidente.
 
Quando i boxer raggiunsero metà coscia, Kaede rimase a bocca aperta a osservare il membro eretto di Hanamichi. Nella maggior parte dei video porno che aveva visto, c’erano sempre bei giovani ben dotati, ma impallidivano di fronte a tanta perfezione.
Kaede non riuscì a controllare il gemito che gli uscì dalla gola guardando quel sesso duro e venato. Sentì la saliva raccogliersi in bocca mentre scese per lasciarvi un piccolo bacio.
 
“N-no! Volpe, no!” sussultò e grugnì Hanamichi, afferrandolo per i capelli per allontanarlo. Non che non impazzisse all’idea di sentire l’umidità e il calore di quella bocca perfetta intorno al proprio membro disperatamente e ovviamente voglioso; ma non ora, con i genitori di Kaede a un solo piano di distanza. Inoltre, anche se poteva apparire una ragazzina sciocca, non si sentiva ancora pronto. Era molto presto, insomma, solo la sera prima si era presentato a confessare i suoi sentimenti. Era una cosa recente e ancora doveva assimilare tutto. Non significava che non lo desiderasse, ma...gli serviva ancora un po’ di tempo per abituarsi all’idea che lui, Hanamichi, volesse Kaede sessualmente.
 
Kaede, d’altra parte, nonostante il suo allucinante stato di eccitazione, comprese l’obiezione del compagno, quindi, deglutendo, si aprì i pantaloni con cautela e nervosismo. Nemmeno lui era tanto tranquillo, ma lo sognava da troppo tempo per lasciarsi sfuggire l’occasione.
Pochi istanti dopo i ragazzi, stretti l’uno contro l’altro, si baciavano con fame e tormento mentre due mani, una pallida e l’altra abbronzata, afferravano i rispettivi sessi, massaggiando con forza. Miracolosamente resistettero a lungo, variando la velocità o l’intensità o cambiando i movimenti; una volta Hanamichi che lo toccava, poi Kaede che toccava lui, poi entrambe le mani che lavoravano insieme. Kaede si godette in particolare il momento in cui Hanamichi affondava il viso nel suo collo per baciarlo e leccarlo.
Hanamichi si rese conto di avere un evidente debole per il suo collo bianco e sottile: amava toccarlo, baciarlo e moderlo, non vedeva l’ora di vedere i segni su di esso.
 
Quando Kaede avvertì il fuoco nello stomaco, la febbre nel suo corpo, l’imminente avvertimento di urgenza ed euforia, gemette gravemente nella bocca dell’altro mentre veniva.
Hanamichi, vedendo il delizioso viso di Kaede e la sua espressione estatica, non poté trattenere l’esplosione che rilasciò con un ringhio nel collo dell’altro.
Rimasero fermi ad ansimare e respirare affannosamente nella stessa posizione, Kaede con la guancia sulla maglietta umida e stropicciata del compagno.
Dopo pochi minuti si separarono per pulirsi. Kaede, che per i suoi momenti solitari teneva sempre a disposizione delle salviette umidificate, tirò fuori la scatola e ne porse una buona quantità alla scimmia. Kaede ne approfittò per cambiarsi, poi spalancò la finestra e si buttò a letto, assonnato e soddisfatto.
 
Hanamichi, che si stava abbottonando i pantaloni con qualche difficoltà – era ancora un po’ nervoso – si sistemò la maglietta e si sedette sul bordo del letto, ancora rigido e teso.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri o ricordi. Ma la personalità fu più forte del disagio, apparentemente.
 
“E adesso che facciamo? È ancora presto...” commentò Hanamichi guardando una delle sveglie, che segnava le 19.07. Kaede, steso con gli occhi chiusi, alzò le spalle.
 
“Tsk! Volpe pigra! Questo genio non resterà qui tutto il giorno!” gli urlò, scostando una sua gamba con una certa aggressività e la volpe grugnì.
 
“Zitto” rispose Kaede aprendo un occhio. Hanamichi lo polverizò subito con lo sguardo.
 
“Rimani qui, perdente! Il genio va ad allenarsi!” disse accigliato, lasciando rapidamente la stanza.
 
Kaede, sospirando, si alzò e lo seguì. Perché non possiamo semplicemente rimanere sdraiati ancora un po’...?, si chiese con riluttanza e fastidio, indossando le scarpe da ginnastica, afferrando la borsa e salutando i genitori prima di uscire.
Kaede, steso e rilassato sul letto, l’unica cosa che aveva voluto era che l’altro si sdraiasse accanto a lui, che si stringesse al suo corpo e che potessero rimanere così...non sapeva esattamente per quanto tempo...ma a lungo...
 
Aveva voluto mettere un braccio sopra il torso di Hanamichi, o una gamba su quelle muscolose del compagno, o semplicemente appoggiare la guancia sulla sua spalla. Ma no. Quell’animale dalle infinite energie aveva sempre bisogno di fare qualcosa. Non che Kaede non avesse voglia di giocare a basket, ma lo faceva ogni giorno; Hanamichi invece era negli Stati Uniti da meno di due fottuti giorni...era troppo chiedere di averlo solo per sé per qualche momento?
 
“Questa volta ti distruggerò, bastardo! Vedrai! Questo genio pulirà il pavimento con te!” si vantò e urlò Hanamichi raggiungendo il famoso campetto, lasciando le borse su una vecchia panchina.
 
“Sognare è gratis, scemo” rispose Kaede indifferente, mettendosi la fidata fascetta all’altezza del gomito.
 
“Ti farò ingoiare le tue parole, dannato!” lo attaccò Hanamichi afferrando la palla e indicandolo, mentre Kaede si voltò con un sorriso malizioso sul suo viso da volpe.
 
“Se con la tua lingua nella mia bocca, non ho problemi” disse ridendo per l’espressione inorridita dell’altro.
 
“Argh! Che dici, pervertito? Taci!” lo interruppe subito Hanamichi guardandosi freneticamente intorno, grato che fortunatamente non ci fosse in giro nessun minore né altro essere umano, “tsk...meglio iniziare” continuò con più calma, piazzandosi in mezzo al campo. Dopo una veloce manche di sasso, carta e forbici, il vincitore (volpino) cominciò.
 
Come molte altre partite, anche quella fu faticosa ed esigente. Entrambi fecero del loro meglio, soprattutto ora che erano abbastanza fiduciosi da non commettere stupidi falli. Non avrebbero neanche mentito dicendo che non colsero ogni opportunità per toccarsi, approfittando e ammirando il corpo dell’altro, ma anche affascinandosi per le reciproche capacità, cosa che fin dall’inizio li aveva attratti reciprocamente.
 
Senza il basket, molto probabilmente non si sarebbero mai parlati né avvicinati; era la palla, il campo, il tabellone, le giocate, in generale quel bellissimo e perfetto sport ad averli uniti, ad aver fatto vedere all’uno la grandezza dell’altro. Perché quando Kaede vedeva Hanamichi giocare, si sentiva parte di un mondo migliore, libero e meraviglioso, e quando giocava insieme a lui, non c’era niente di più adrenalinico o avvincente né euforico; con lui, Kaede era felice.
 
E Hanamichi aveva capito cos’era l’arte solo quando aveva osservato, diversi anni prima, attraverso la serratura della porta, Kaede che si allenava da solo nella palestra dello Shohoku; da quel momento si era sempre sentito sopraffatto e sconcertato dal ragazzo, e ora annegava nella sua presenza, nel suo sguardo, nelle sue labbra e nel suo tocco. Solo con lui riusciva a sentirsi pienamente accettato.
 
Terminata la partita, vinta per poco da Kaede, andarono ad un parco dove trovarono un piccolo chiosco di gelati.
 
“P-pago io” disse Hanamichi tirando fuori il portafogli e consegnando i soldi per i due coni alla ragazza arrossita che li stava servendo. Kaede lo guardò torvo.
 
“Ho i soldi, idiota” affermò dirigendosi verso una panchina per mangiare tranquillamente.
 
“Non darmi dell’idiota, stupida volpe! E non l’ho fatto per quello! Solo che...” tentennò Hanamichi, guardando il proprio gelato ai frutti tropicali che colava lungo i lati e fino alle dita. Kaede lo guardò di sbieco, godendosi il proprio gelato alla menta. “Beh...non dovremmo...non siamo...? Sai! N-non dovremmo offrirci le cose o scemenze del genere?” disse, decidendosi ad assaggiare il suo cono gelato che quasi si sfaldava.
 
“Non sono una ragazza, idiota” gli ricordò sbuffando, ma Kaede capì cosa voleva dire, e gli fece stringere un po’ il cuore, che si mise poi a palpitare selvaggiamente.
 
Sì...sì, lo siamo, Hanamichi..., avrebbe voluto dirgli, ma le parole non gli uscivano.
 
“Argh! Sei davvero uno stronzo! So che non sei una ragazza, dannato! Ma...! Io...io ho sempre immaginato...in futuro...o ad un certo punto...di comprare cose e pagare per la mia persona speciale...e b-beh...ora sei tu quella p-persona speciale...quindi...se voglio comprarti o pagarti qualcosa è un problema mio, stupido!” rispose arrossendo dal collo alla radice dei capelli, ignorando totalmente lo sguardo del ragazzo.
 
Kaede Rukawa, il re dei ghiacci, l’ex super matricola, rimase con le labbra semiaperte e gli occhi stupiti mentre lo guardava. Il suo cuore, che batteva a mille, sembrava voler spezzargli le costole e perforare ogni strato di pelle che lo ricopriva, perché le palpitazioni potenti e violente echeggiarono nelle sue orecchie. La sua cassa toracica non era assolutamente abbastanza grande per ospitare il suo cuore gonfio d’amore.
Le sue mani, tremanti, lasciarono che un po’ di gelato cadesse sui pantaloni impeccabili. Sentì una strana sensazione alle ginocchia e fu grato di essere seduto. E il suo dannato stomaco sembrava un nido di serpenti e di una quantità schiacciante di insetti che svolazzavano e si mischiavano. Quei maledetti bruchi da tanto lo stavano infastidendo e frustrando, e parevano mutarsi e aprirsi in anormali farfalle che sfioravano la sua pelle e gli organi interni.
 
Hanamichi...Hanamichi...Hanamichi..., si ripeté più e più volte nella testa e nel suo pazzo cuore come una preghiera, un mantra, una supplica. Kaede maledisse quel dannato parco e tutte le dannate persone che c’erano intorno, perché non desiderava fare altro che saltare addosso al ragazzo e divorarlo di baci.
Si controllò come poté e si accontentò di incollarsi bene al corpo dell’altro, raggiungendo la sua mano con la propria nella tasca. Le tennero ben strette per tutto il tragitto.
Più tardi, quando rientrarono a casa, Kaede si giurò che quella sera, ad ogni costo, si sarebbe dedicato al sesso orale sul suo ragazzo perfetto.
 
^ ^ ^ ^
 
Una mano bianca era comodamente immersa nel mare di capelli rossi che, sebbene non fossero tanto corti, non erano neanche abbastanza lunghi per tirarli e afferrarli (con tenerezza, ovvio), ma si godette comunque la sensazione mentre la testa di Hanamichi era appoggiata tranquillamente sulla sua spalla, entrambi stesi sul suo morbido letto. Hanamichi stava guardando uno sciocco programma in tv che di tanto in tanto gli strappava risate piccole o fragorose e faceva vibrare il corpo di Kaede, che era in parte sotto il compagno.
 
In quella mattinata non avevano fatto altro che vegetare in camera sua, cosa di cui Kaede era estremamente grato, era ciò che aveva voluto fare da quando Hanamichi era tornato a casa sua poco più di una settimana prima. Quel giorno finalmente ce l’avevano fatta, la finale del campionato universitario si sarebbe tenuta quella sera, e Hanamichi aveva concesso una giornata intera di riposo, perché aveva capito che la volpe aveva bisogno di distrarsi e non soffermarsi né stressarsi per la partita. E quale modo migliore che stare sdraiati a guardare la televisione, a giocare ai videogiochi o a baciarsi con calma sul letto?
 
Ne approfittavano per trascorrere del tempo insieme, ne erano stati un po’ privi negli ultimi giorni, perché la semifinale e la finale del campionato aveva richiesto e preteso dalla comunità di fan una serie di eventi e celebrazioni. Fortunatamente la finale si sarebbe disputata in North Carolina, quindi ogni intervista, servizio fotografico, festival e altre (estenuanti) attività con la comunità si erano tenuti nei pressi di Chapel Hill, Raleigh e Durham. Hanamichi, che sulla carta faceva già parte della squadra, aveva potuto essere presente, ma incapace di partecipare, dovendo rimanere dietro le quinte a osservare le giocate e le abilità della volpe e degli altri compagni.
 
Hanamichi rise con particolare forza quando una caduta nello show che presentava video divertenti quasi lo fece piegare sullo stomaco, ma le mani di Kaede (una tra i capelli e una sul suo petto) lo tennero fermo.
 
“Mmh” lo chiamò Kaede, e lui alzò rapidamente lo sguardo, con la testa sotto il mento del ragazzo. Kaede rimase a osservare i suoi occhi castani, il naso dritto e le labbra baciabili, e non esitò a catturarle con le proprie. Con la mano che teneva tra i capelli, gli tirò più indietro il capo, approfondendo l’agognato bacio. Hanamichi socchiuse la bocca e leccò delicatamente il labbro superiore della volpe, che lo lasciò fare prima di succhiargli la lingua. Continuarono a schiantare labbra e denti per diversi minuti, finché Kaede non iniziò a provare fastidio nella parte posteriore del collo.
 
“Girati” disse senza allontanarsi troppo. Hanamichi obbedì, arrivando con il suo peso e la sua forza sul corpo bisognoso dell’altro.
Hanamichi ringhiò quando la lingua di Kaede eseguì un delizioso movimento nella sua bocca, provocando un piacevole strattone all’altezza del suo inguine. Hanamichi morse maliziosamente il suo labbro inferiore, poi con sensualità scese sul suo nascondiglio preferito: il suo liscio e perfetto collo. Kaede gemette rocamente sentendo la sua lingua umida leccare e succhiare con fame.
Kaede, avvertendo le miti spinte dell’altro contro la coscia, si morse le labbra gonfie prima di calare con le mani sui pantaloni sportivi del compagno. Li abbassò abbastanza da poter entrare e cominciare a strofinare con una certa intensità il voluminoso e duro membro attraverso la biancheria intima. Hanamichi gemette prima di mordere bruscamente il collo esposto alla sua mercé e Kaede rispose stringendolo con uguale veemenza.
 
Il potente ginocchio di Kaede spinse con impazienza l’anca di Hanamichi, invitandolo a voltarsi. Hanamichi baciò ancora un po’ il ragazzo impaziente sotto di lui prima di gettarsi senza delicatezza sulla schiena. Kaede, che si sollevò sulla sua gamba, si mosse un po’, godendosi la frizione delle loro erezioni prima di abbassarsi e posizionarsi sul suo grembo. La sua bocca salivava mentre gli abbassava lentamente le mutande, Hanamichi ansimava e stringeva le coperte tra le dita.
 
Solo una volta Kaede gli aveva fatto una fellatio e sebbene l’atto fosse stato rapido e inesperto, entrambi se l’erano goduto come nient’altro ed erano stati ansiosi di ripeterlo; anche se Kaede doveva ammettere che sperava che Hanamichi si animasse per farlo a lui.
 
Quando il suo duro e turgido membro colpì lo stomaco di Hanamichi, Kaede non perse tempo ad ammirarlo o a soffermarsi sulle fantasie oscene dovute ai video pornografici, baciando e leccandone subito la punta. Hanamichi stava già ansimando, con il viso rosso e sudato. La situazione era caldissima e imbarazzante, nonostante avesse già goduto di quel piacere, aveva timore, e non poteva mentire, era in stato febbrile per il timore di essere scoperti, che aumentava l’eccitazione a mille. La sua pelle formicolava e tremava. I suoi addominali si contraevano con forza e una sensuale scarica elettrica quasi bruciò alcuni neuroni quando Kaede si mise in bocca il suo sesso. Gemette e grugnì alla sensazione della sua lingua che saliva e scendeva per tutta la lunghezza, soprattutto alla forza esercitata dalle sue labbra carnose che, pur non raggiungendo la base, lo incendiarono fino alla punta dei piedi, che si arricciarono.
 
Kaede impostò un ritmo lento, esplorativo, godendosi il peso del membro gonfio sulla lingua, oltre ai sussulti quasi strangolati di Hanamichi.
Kaede immaginava il suo volto, sudato, rosso ed estasiato. Alzò un po’ gli occhi e quasi ringhiò verificando che la sua visione mentale era vera. La vibrazione delle sue labbra fece gemere Hanamichi, che si inarcò quasi con violenza. Kaede gli tenne ferme le cosce, spingendolo a non muoversi. Hanamichi obbedì.
 
Dopo lunghi minuti di suoni umidi, di risucchi e gemiti rochi, Kaede strinse le guance, velocizzandosi, sapendo che il ragazzo ora era quasi follemente bisognoso di raggiungere l’apice. Quando Hanamichi posò una mano sui suoi capelli neri, Kaede abbassò una delle proprie sul suo sesso e iniziò a masturbarsi.
Anche se la prima volta il palmo di Hanamichi che lo spingeva e lo guidava l’aveva infastidito, ora si accorse che gli piaceva enormemente che il ragazzo lo stringesse di più, e la forza della sua presa gli faceva sapere quanto gli piacesse ciò che gli stava facendo. Quindi si toccò più rapidamente quando Hanamichi lo tenne incollato al suo sesso duro e disperato.
 
“Ah...vengo...” riuscì a dire Hanamichi quando la deliziosa sensazione nei suoi testicoli aumentò e inviò un’ardente scarica al suo membro rifugiato nella bocca del suo ragazzo. Erano entrambi sul punto di finire meravigliosamente quando una voce li allertò con violenza.
 
Successe tutto in pochi istanti: mamma Rukawa urlò riguardo l’ora e la partita imminente. Hanamichi scattò come una molla. Kaede si raddrizzò, poi Hanamichi lo calciò dal letto per alzarsi in fretta e abbottonarsi i pantaloni. Kaede, che lo guardò irritato e frustrato, si strofinò discretamente le natiche doloranti per poi alzarsi e sistemarsi i vestiti.
 
“Deficiente” gli disse furioso, aggiustandosi la maglietta e vedendo che l’altro si rivestiva a velocità sovrumana. Era già la seconda volta in una settimana che si fermavano a metà.
 
Che gli costava aspettare qualche secondo? Scimmia egoista..., pensò guardandosi tristemente l’inguine, ma appena sentì la voce di sua madre, l’eccitazione scappò vigliaccamente.
 
Il soldato che arranca sarà utile per un’altra guerra.
 
“Che problemi hai, volpe?! Non hai visto l’ora! Sono le 3! Dobbiamo andare” urlò Hanamichi afferrando la sua borsa e quella di Kaede, per poi sbloccare la porta con una certa urgenza e quasi correre fuori. Kaede sospirò e seguì con meno premura, dopo essersi pulito (e calmato). I suoi genitori, che aspettavano al primo piano, non fecero alcun commento sulla possibile distrazione che li aveva tenuti ben occupati, al punto di non notare che era ora di uscire, né menzionarono che erano rossi in volto, né di quanto Hanamichi apparisse nervoso anche se era Kaede quello che stava andando a giocare una finale.
 
Rimasero silenziosi lungo il tragitto, la testa di Kaede appoggiata comodamente sulla spalla di Hanamichi. Questi, che aveva cominciato a partecipare agli allenamenti solo da due giorni, poté entrare nello spogliatoio mentre i ragazzi arrivavano e si cambiavano (avrebbero giocato in casa), e lì poté ascoltare l’impetuoso e stimolante discorso di uno degli assistenti, quello che era più attaccato ai ragazzi; giunse poi l’allenatore ad esaminare la strategia e i movimenti con titolari e riserve. Hanamichi, anche se sapeva e capiva di non poter giocare (perché non era con la squadra all’inizio del torneo), provò comunque delusione e disagio mentre osservava i ragazzi che indossava le uniforme e compivano i rispettivi rituali prima della partita.
 
Poi toccherà a me...questo genio la farà vedere a tutti...devo solo avere pazienza...devo solo continuare ad allenarmi...il genio brillerà quando giocherà...eheh...metterò in ombra tutti!, pensò sfabillante di felicità mentre osservava i suoi compagni di squadra.
Si fermò però quando raggiunse la figura indifferente ed elegante di Rukawa, che stava finendo di allacciarsi la giacca ufficiale dei Tar Heels.
Hanamichi, pur non provando più ardente gelosia e mortale invidia quando lo vedeva giocare magnificamente, aveva ancora qualche problema ad ammettere apertamente che era un giocatore di lusso, uno che meritava ovazioni e grida (non da parte sua, ovviamente), ma ora, nella serenità e riservatezza dei suoi pensieri, poteva sinceramente confessare di ammirarlo; sia come persona che come giocatore, e a malapena conteneva il desiderio di vederlo giocare di vederlo correre con grazia e forza, di palleggiare con maestria ed eseguire schiacciate con la sua tecnica e abilità senza pari.
 
Hanamichi notò che Kaede era pronto, lo vide sedersi lentamente e con calma al suo posto vicino all’armadietto per mettersi a fissare i lacci delle sue scarpe come fossero la cosa più interessante del mondo. Hanamichi, perplesso, si mise a incoraggiare gli altri ragazzi, in particolare Kevin, il suo più caro amico all’interno del campus. Il ragazzo, dopo essersi allacciato le scarpe con mani tremanti, commentò in tono apparentemente scherzoso che si era ripromesso di non tagliarsi i capelli finché non avessero vinto il campionato universitario, come una sorta di sfida e di incentivo per vincere e dare il meglio di sé in ogni partita.
 
“Vuoi assomigliare a Cugino Itt*?” intervenne Viso pallido, in piedi accanto a loro mentre si sistemava un braccialetto marrone sulla mano sinistra. Kevin lo guardò con espressione ostile, e l’altro sorrise con la lingua di fuori e rimanendogli vicino.
 
“Quello è nuovo?” chiese Hanamichi guardando il braccialetto che non aveva visto su Chris fino ad ora. Aveva attirato la sua attenzione perché normalmente i giocatori erano molto attenti a usi e costumi nei giorni in cui c’erano partite così importanti, credendo di dover fare tutto in maniera identica per mantenere la serie di vittorie. Quindi rischiare di indossare qualcosa di nuovo in una giornata del genere lo incuriosiva e Hanamichi non aveva peli sulla lingua.
 
“Eh-...è...è un regalo” mormorò Chris con volto più pallido del normale. Kevin si guardò intorno con le mani che andarono a scompigliarsi i lunghi capelli quasi freneticamente.
 
“Ehi...perché sei così rosso?” chiese Hanamichi all’amico, il quale si accigliò.
 
“Non sono rosso, rosso! Sono ansioso...vero, Chris?”
 
Il giovane lo fissò prima di scappare dallo spogliatoio. Hanamichi rimase con un grosso punto interrogativo quando Kevin corse di fretta dietro il ragazzo.
 
Senza capirci nulla, Hanamichi continuò a dare supporto agli altri, i quali avevano già cominciato a uscire saltellando, muovendo nervosamente mani e dita, addirittura alcuni ascoltavano musica per, presumibilmente, rilassarsi.
Solo quando la stanza fu vuota Kaede alzò la testa verso il suo ragazzo.
 
“Che mi darai se vinco?” chiese con volto impassibile.
 
“Tsk! Perché dovrei darti qualcosa, bastardo? Vinci e basta!” rispose immediatamente mentre si spostava e si premeva forte contro il corpo dell’altro.
Kaede lo guardò in faccia.
 
A volte Kaede pensava tra sé che non c’era nulla di Hanamichi che non gli piacesse: adorava i suoi corti capelli di fuoco, la sua fronte, le sopracciglia scura, le palpebre, i suoi fieri occhi color cioccolato, le sue guance, le labbra piene, il mento perfetto, la mascella marcata, e tutto il resto incluso nel pacchetto. E ogni volta che lo guardava, qualcosa dentro di lui si gonfiava, togliendogli un po’ d’aria.
 
Sapeva che quel momento, poco prima di una finale, non era adatto per soffermarsi o cercare di decifrare i propri sentimenti, ma...per Kaede c’erano grandi possibilità che si fosse...innamorato.
 
“Fai del tuo meglio, volpino” disse Hanamichi con un sorriso piccolo e dolce. Kaede lo ricambiò prima di avvicinarsi per rubargli un deciso ma breve bacio.
 
“Sempre” sussurrò.
 
Entrambi si avviarono al campo, dove già il pubblico attendeva euforico l’inizio del duello. Il coach Williams esortò Rukawa ad affrettarsi e a sbarazzarsi dei vestiti che lo coprivano, per poi avvicinarsi agli altri titolari che sarebbero stati presentati dall’altoparlante.
 
Le urla e gli strilli di supporto ed eccitazione furono presenti dall’inizio alla fine dell’incontro. Anche se c’erano persone che avevano perso parte del primo tempo, i fan non smisero di tifare neanche un secondo. Anche Hanamichi si mise ad urlare accanto a Williams e ad accusare alcuni arbitri per presunte ingiustizie.
 
Tom, Kevin e Kaede furono le stelle del North Carolina, riuscendo a rompere e rimuovere l’orribile svantaggio che li affliggeva. Tuttavia, anche quando raggiunsero un minimo vantaggio di due punti, i giocatori di Tar Heels non poterono respirare tranquillamente, dato che anche l’altra squadra era disposta a dare tutto per vincere – era una finale, dopotutto. Solo una avrebbe portato il trofeo a casa, ed entrambe speravano di essere la squadra prescelta.
La stampa e i commentatori già parlavano della partita come della più emozionante e difficile della stagione, degna di essere una finale e con merito da parte di ambedue le squadre.
Il primo tempo fu pieno di aspettativa e ansia.
Tutti i ragazzi sudavano ed erano senza fiato, alcuni avevano difficoltà a mettere a fuoco o a rimanere in piedi. L’allenatore gridava e incoraggiava a proseguire per il tempo rimanente. Parlò loro delle manovre da eseguire. Ordinò di abbandonare la difesa d’acciaio del primo tempo per concentrarsi in un attacco duro e travolgente.
 
“Ora o mai più” disse loro con aria seria e determinata. Lo sapevano tutti.
 
Ora...o mai più...
 
Il ritorno in campo fu sofferente e crudele, perché non erano solo i Tar Heels ad avere ricevuto incoraggiamento e grinta dall’allenatore e gli assistenti. L’altra squadra combatté come in una battaglia sanguinosa. Forse non al punto da commettere falli, ma diedero il massimo. La connessione tra Kevin/Chris e Tom/Kaede fu vitale per guadagnare terreno negli ultimi dieci minuti. I quattro ragazzi sembravano leggersi nel pensiero ad ogni giocata e movimento. Ciò permise loro un po’ di libertà e imprevedibilità prima che gli avversari reagissero.
 
Kaede, a due minuti dalla fine, si sentiva al limite delle energie e delle forze, mentre palleggiava cercò tra il pubblico i suoi genitori. Questi, negli istanti in cui li vide, sollevarono braccia e mani (sua madre stava già piangendo) in segno di vittoria e sostegno. Un millisecondo dopo, alzò lo sguardo verso la panchina e Hanamichi, che con il braccio gli indicava di continuare a correre e premere.
Lo fece. Con tutte le sue forze. Lasciando l’anima sul campo. Oltrepassando la difesa, posizionandosi e tirando a canestro per decretare il trionfo dei Tar Heels del North Carolina.
La palestra di Chapel Hill scoppiò in applausi e festeggiamenti.
 
Coriandoli scesero dal soffitto e la musica rimbombò ovunque. I ragazzi si diedero il cinque e stropicciarono l’allenatore emozionato che diede una pacca a ognuno di loro.
Tutti piangevano, urlavano e correvano per il campo. Il pubblico, senza riuscire a essere contenuto dalla sicurezza, corse ad abbracciare i giocatori e il resto della rosa.
La premiazione non tardò a essere effettuata, con al centro del campo i rispttivi podi per i discorsi e la distribuzione dei trofei. Kevin fu premiato come miglior giocatore del torneo, mentre Kaede come uno dei migliori della squadra. Ci furono migliaia di fotografie e una grande coppa dorata venne consegnata agli entusiasti ragazzi, alcuni di loro si misero a ballare mentre altri rilasciarono interviste, mentre altri ancora si rifugiarono tra i fan.
 
Kaede, che dovette sopportare la sua quota obbligatoria di interviste – secondo Dan – andò poi nello spogliatoio a cambiarsi. I pochi presenti continuavano a ridere o ballare per festeggiare. Ovviamente orgoglio, gioia e soddisfazione scorrevano nelle sue vene, ma non era da lui celebrare in quel modo. Con il borsone sulla schiena, se ne andò, schivando di tanto in tanto alcuni fan che volevano saltargli addosso.
Quando aprì la porta, la fresca aria autunnale colpì e gelò il suo viso e il suo corpo troppo euforici per la vittoria appena conseguita.
 
“Ehi, volpe!” gridò Hanamichi da un angolo poco illuminato. Kaede, strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco, si avvicinò a lui senza esitare. Hanamichi gli afferrò saldamente la mano e lo guidò lontano dai curiosi, dalle auto, dalla stampa e dai compagni. Lo allontanò dal resto del mondo, in un cantuccio chiuso in un vicolo dove niente e nessuno avrebbe potuto intralciarli.
 
“Siete stati fantastici...tu sei stato perfetto” disse in fretta e respirando a malapena. Prima che Kaede potesse pensare a una risposta, Hanamichi abbassò il capo per baciarlo con esigenza. Kaede lo ricambiò posando le mani sulle sue guance e stringerlo di più. Gemettero e ansimarono, cercando maggiore contatto.
Era così che Kaede Rukawa festeggiava una vittoria.
 
Hanamichi lo spinse rudemente contro il muro, da cui Kaede fu attutito grazie al borsone che portava sulla schiena; senza aspettare oltre, Hanamichi iniziò a baciare e mordere la sua parte preferita: il collo di Kaede. Leccò e succhiò in particolare il segno rosso che gli aveva lasciato qualche giorno prima, e Kaede gemette rocamente, stringendosi di più al corpo solido del suo compagno.
Kaede abbassò le mani sul sedere sodo e fermo del ragazzo, stringendolo bruscamente. Tuttavia, sentendo l’eccitazione che viaggiava dritta e vertiginosa verso la sua zona sud, tornò nella noiosa terra del buonsenso.
 
“Hanamichi, fermati...” lo chiamò, muovendo il capo e trovando le allettanti labbra del ragazzo. Si incontrarono, si baciarono languidamente per qualche istante, poi Kaede si separò con riluttanza, “...i miei genitori ci stanno aspettando” ricordò, cercando di sbarazzarsi del calore che provava.
Hanamichi, con occhi velati e respiro affannoso, fece un cenno col capo per riprendersi, dando anche qualche colpo contro la parete per concentrarsi sul bernoccolo in fronte invece che sul fuoco che gli scorreva nelle vene. Kaede sospirò rassegnato vedendo quel conosciuto e stupido gesto.
 
Certi idioti non cambiano mai, pensò sorridendo.
 
“Bene! Il genio è pronto!” urlò Hanamichi alzando il pugno.
 
“Dopo aver ucciso i pochi neuroni che ti erano rimasti, scemo” sbuffò Kaede avviandosi verso l’auto dei genitori.
 
“Cosa?! Come osi, bastardo?! Se ricordo bene, sei tu lo scemo che a malapena riusciva a superare gli esami! Non come questo genio, che ha avuto voti eccezionali in ogni materia! Ahahaha!” rise vantandosi delle sue competenze, raggiungendo i genitori della volpe che stavano aspettando.
 
Sia mamma che papà si congratularono col figlio. Mei moriva dalla voglia di abbracciare e stringere il suo bambino (molto più alto di lei), ma sapeva di dover resistere fino a un contesto più privato, dove il suo orgoglioso figliolo non si sarebbe sentito in imbarazzo di fronte al suo...mamma Rukawa esitò, non era sicura che i due stessero insieme o altro, ma per dirla semplicemente, di fronte al ragazzo che gli piaceva.
 
I genitori di Kaede, come dopo ogni partita, li invitarono a cena in un bel ristorante un po’ affollato, dove la famiglia condivise un momento tranquillo.
Giunti a casa, erano così stanchi e assonnati che si abbandonarono al mondo dei sogni non appena poggiarono la testa sul cuscino. Kaede, che aveva pianificato per tutto il tragitto scenari lascivi per lui e Hanamichi, dovette rimandare qualsiasi fantasia per quando sarebbero stati svegli e lucidi.
Ma non se ne dispiacque troppo, perché sapeva che lui e Hanamichi avevano tutto il tempo del mondo.
 
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Piegando con noncuranza la felpa sportiva, la infilò senza cura sul fondo della borsa, indossandola solennemente a ogni allenamento; poi passò ai pantaloni, agli asciugamani e ad altri oggetti e capi di cui avrebbe potuto avere bisogno dopo un allenamento estenuante. Prima di chiuderla, però, diede un’occhiata al sacchetto di plastica bianca che poggiava sul comodino. Si guardò rapidamente intorno per controllare che nessuno lo vedesse, afferrò rapidamente il sacchetto e lo spinse con forza nella borsa nera.
 
Non ci penso proprio a lasciarlo a casa..., pensò chiudendo la zip silenziosamente.
 
Gli articoli all’interno del sacchetto erano stati acquistati in un impulso coraggioso e ansioso. Qualche giorno prima, quando era uscito a comprare alcune cose al supermercato su richiesta di sua madre mentre la scimmia era a correre, si era fermato come uno scemo davanti a una farmacia, la mente vuota e i peli rizzati sulle sue braccia. Senza ragionare né riflettere sulle conseguenze, era entrato e aveva comprato quegli oggetti che ora, ogni volta che usciva, portava con sé, temendo che sua madre o la stessa scimmia potessero vederli – ironico, dato che pensava di usarli con lui.
 
Nonostante avessero iniziato quella...relazione...da più di un mese e mezzo, Hanamichi sembrava davvero credere che quello che avevano fatto finora fosse il massimo a cui potevano aspirare.
E onestamente Kaede stava raggiungendo il limite.
Naturalmente adorava, amava e godeva immensamente nel baciarlo appassionatamente, nel toccarsi attraverso i vestiti, masturbandolo con la mano o la bocca. Tutto ciò lo affascinava e incantava.
Ma...aveva bisogno di qualcosa di più.
Aveva bisogno, disperatamente, quasi al limite della follia, di potersi sbarazzare di tutti i vestiti di Hanamichi, lasciandolo esattamente com’era venuto al mondo sul suo letto, o in qualsiasi altro posto, purché lo avesse nudo. Aveva urgente bisogno che Hanamichi lo toccasse così come lo toccava lui.
 
Merda. Aveva voglia di fare sesso...come attivo o passivo, non aveva importanza.
Ma Hanamichi sembrava indifferente alla questione. Ignaro del suo sconforto e frustrazione. Sembrava così felice e appagato dopo una semplice sessione di baci, o dopo la masturbazione o il sesso orale, e Kaede non sapeva come sollevare l’argomento.
Come dire al proprio stupido e immaturo ragazzo che voleva andare...beh, fino in fondo? Che desiderava di più? Che si sentiva bisognoso e sconvolto all’idea di toccare e baciare più pelle? Che voleva farlo mettere a carponi, o sopra di lui, o sotto, o di lato, per finalmente dedicarsi al sesso più bollente nella storia del sesso gay?
 
No...non posso dire a quella testa di rapa, svampito com’è, una cosa del genere...sicuramente mi tapperà la bocca, diventerà rosso e si metterà a insultarmi...
 
Kaede ricordò vagamente che qualche tempo prima aveva pensato a come sarebbe stato Hanamichi in coppia, concludendo e immaginando che si sarebbe comportato in maniera opprimente, dipendente e chiaramente possessiva. Purtroppo doveva ammettere che tra i due, quello che assomigliava a tale descrizione era lui stesso.
 
Era lui che voleva e, di fatto, stava sempre incollato alla scimmia. Non lo lasciava solo in nessun momento. Le uniche ore che trascorrevano separati erano quelle in cui Hanamichi andava a correre, attività che Kaede aveva provato qualche volta, anche se in realtà erano state solo due, perché le sue ore di sonno erano troppo preziose. Ma altrimenti ogni altro secondo lo passavano insieme. Dormivano insieme, con la scusa di rimanere svegli fino a tardi a giocare – nessuno ci credeva, ma tutti annuivano – si allenavano insieme ogni mattina, andavano in palestra insieme, dove Hanamichi si univa ad altri ragazzi ma la volpe era comunque presente – e stava imparando, gradualmente, a socializzare -, uscivano insieme la sera e sicuramente all’inizio delle lezioni dopo le vacanze, sarebbero stati in classe insieme (pur studiando in facoltà diverse).
 
In quelle quasi sette settimane di relazione, però, nessuno dei due aveva esplicitamente dimostrato molti esempi di romanticismo o sdolcinatezze. Forse c’era un certo sentimentalismo in Hanamichi che di tanto in tanto diceva che avrebbero dovuto uscire di più di casa; andando a passeggiare, conoscere, esplorare; che stavano...beh, insieme...e le coppie facevano quel genere di cose. Tuttavia, era Kaede che al cinema gli prendeva la mano – di nascosto, ovviamente – o stava attento a che Hanamichi non mangiasse solo cibo spazzatura; se uscivano, si accertava che Hanamichi fosse vestito adeguatamente, in modo che non prendesse freddo e non si ammalasse; di notte, dopo essersi baciati fino a rubarsi l’anima, era lui che abbracciava l’altro.
La cosa peggiore era che...era sempre lui a cercare il contatto, di qualsiasi tipo.
Era invalidante, patetico, ridicolo e idiota, ma...non si poteva incolpare un uomo innamorato, no?
 
“Ehi, scemo! Vieni o no?”
 
Sì...gli si poteva rimproverare di essere un cretino innamorato di un animale bruto come Hanamichi Sakuragi, ma saggiamente nessuno apriva bocca a riguardo.
 
Kaede sospirò prima di mettersi la borsa dietro la schiena e scendere all’ingresso, dove Hanamichi lo stava aspettando e si agitava con impazienza. Salutarono la donna che stava stirando e uscirono a piedi verso la palestra. In un muto accordo si erano sbarazzati della bici – non letteralmente – per passare più tempo insieme.
 
Quando giunsero al campo del North Carolina, si concentrarono esclusivamente sul basket. Hanamichi, che aveva già superato le varie prove fisiche e di integrazione, ora si allenava normalmente e regolarmente con gli altri compagni. Alcuni ragazzi avevano ancora difficoltà ad abituarsi a quella chiassosa scimmia rossa, che appena entrava faceva notare la propria presenza; certamente c’erano persone infastidite (come in qualsiasi gruppo sociale), ma lo ignoravano e continuavano con la loro vita. Gli altri giovani, già suoi amici, lo accettarono a braccia aperte, soprattutto Kevin, che aveva un po’ rivestito il ruolo del Yohei americano.
 
Durante l’allenamento, Hanamichi sentì lo strano bisogno di osservare Kaede. Era irritante e frustrante, ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era una cosa stupida, dato che vedeva la volpe ogni giorno e in ogni ora.
 
Ma ora era diverso.
 
Non stava guardando solo un compagno di squadra. Non stava condividendo un momento con un coinquilino, guardando la tv o mangiando. Non era con un amico a giocare sulla Xbox. Non era nemmeno un rivale sul campo. E ancora più strano, non era il suo ragazzo, con cui trascorreva interi pomeriggi tra baci e carezze.
 
La persona che guardava con avidità e bisogno in quel momento...era un uomo.
 
Un uomo bello, sexy e virile. Un atleta che, mentre correva, eseguiva manovre, passava la palla a compagni e segnava, si muoveva contraendo e mettendo in mostra i suoi muscoli forti e tentatori, esponeva la sua pelle bianca e liscia che attraeva con il luccichio del sudore e del suo duro lavoro; era un richiamo...con quel corpo perfetto.
Hanamichi dovette sbattere la fronte contro il muro (attirando l’attenzione di alcune persone che gli chiesero se stesse bene, ricevendo in risposta un ringhio) e ingoiare pesantemente il nodo in gola prima di tornare a giocare con i compagni.
 
Ma il fastidio rimase. Quel richiamo, quel suono, quell’aria e la sua scia continuavano a stordirlo. Travolgendolo. Facendogli provare cose che solo nel letto insieme a Kaede aveva sperimentato.
 
Poteva essere definito ottuso, stupido o troppo freddo, ma non era il tipo di ragazzo che viveva in perenne erezione. Neanche al liceo quando era innamorato pazzamente di Haruko, anzi. Rispettava molto la ragazza (e suo fratello) per pensare a lei in quel modo, e non aveva mai osato farlo neanche con un’altra, perché l’avvertiva come un tradimento e un’offesa verso la giovane. Pertanto, nonostante le sue inesauribili energie, lo sport che praticava costantemente e la sua personalità iperattiva, le sue passioni rimanevano piuttosto occulte.
Anche se ovviamente si svegliava molto spesso con l’alzabandiera, ma quelle reazioni non erano mai causate da qualcosa di particolare. Si trattava solo di ormoni in subbuglio, o sogni caldi e irraggiungibili.
 
Ora che però stava con qualcuno, che aveva una persona da desiderare e che lo desiderava a sua volta, ora che voleva qualcuno apertamente e senza pudore, sembrava che i suoi ormoni stessero provocando una rivoluzione dentro di lui.
Ogni volta che la volpe lo guardava, la sua pelle bruciava in aspettativa. Era esasperante. Fastidioso. Sgradevole. Scomodo.
Ma anche estremamente piacevole. Incredibilmente affascinante. Straordinariamente delizioso. Anormalmente squisito. Amava sentire e sperimentare quel miscuglio pungente all’inguine, quelle fiamme sconvolgenti nel suo corpo o lo strattone al petto.
 
Ogni sensazione provocata da Kaede era benvenuta come un complimento per le sue giocate.
Ma ora...guardandosi intorno, contemplando e ammirando il corpo di Kaede, non voleva più soltanto sentire le sue mani grandi e ferme attraverso i vestiti, nel tentativo di raggiungere la sua pelle; non voleva più che le labbra del ragazzo passassero dal collo direttamente alla sua zona più sensibile...ora...voleva fare lo stesso.
 
Voleva intrappolarlo sotto di sé. Voleva, con bruciante disperazione, prenderlo tra le braccia, stringergli la pelle del petto e delle gambe, sentire ogni curva del suo corpo perfetto. Voleva baciargli le labbra, le guance, il collo glorioso. Toccare e deliziarsi delle sue spalle, il petto, gli addominali...e l’inguine, le cosce, le gambe. Voleva fare la stessa cosa che Kaede aveva fatto a lui.
 
Perché adesso e non prima?, si chiese, rubando la palla a un compagno ancora più distratto di lui.
 
Per imbarazzo..., sussurrò una vocina.
 
Lui, la scimmia dai capelli rossi, non aveva alcuna esperienza; non sapeva di zone erogene od orgasmi, di stimolazione, di niente di tutto ciò. Forse sapeva qualche cosa per via di alcune ricerche, ma non perché l’avesse sperimentato in prima persona. E temeva di sbagliare. Temeva di rendersi ridicolo. Il suo ragazzo, invece, che una sera gli aveva detto che lui era la sua prima volta in tutto, sembrava così sicuro e fiducioso in tutto ciò che faceva. Sapeva esattamente cosa e come toccare e per quanto tempo.
E lui si era semplicemente lasciato andare.
 
Ma ora, godendosi la visuale di una giocata particolarmente laboriosa e grandiosa della volpe, Hanamichi si leccò le labbra secche, deglutì e mosse le spalle per provare ad allontanare quel solletico, quel tremore e la brama che sembravano consumarlo.
 
Voleva toccarlo...doveva toccarlo...prenderlo tutto...
 
E lo farò...
 
“Ehi, rosso! Giochi a basket o cosa?” lo chiamò Kevin che attendeva un passaggio. “Pensavo che fossi...com’era?...un giocatore di talento?” scherzò con un sorriso malizioso.
 
Hanamichi, che avvertì subito la fiamma della sfida, ringraziò Riccio per la distrazione, perché probabilmente più di uno si sarebbe scandalizzato o sconvolto di vedere una sua istantanea erezione.
 
“Il talentuoso genio Sakuragi, Riccio! Imparalo da ora!” rispose sorridendo prima di correre verso il tabellone dove segnò un bellissimo, perfetto canestro. Mentre tornava a terra, l’altro ragazzo si avvicinò ridendo e dandogli una pacca sulla schiena.
 
“Sono contento di vederti tornare con i piedi per terra, Romeo” gli disse con una strizzata d’occhio complice. Hanamichi, che non aveva detto a nessuno negli Stati Uniti di lui e della volpe, si sorprese e confuse per quell’azione, ma non si soffermò e proseguì con l’allenamento.
 
L’allenamento proseguì in un clima di calma e relax, fornendo abbastanza pause ai ragazzi che avevano trascorso qualche settimana di riposo e senza attività fisica.
Hanamichi e Kaede, insieme agli altri, non appena la seduta finì, si diressero allo spogliatoio. Hanamichi, che ancora poteva sentire quell’ansia nello stomaco, decise di lavarsi. Kaede lo guardò prima che entrasse nelle docce sollevando un sopracciglio, poi scrollò le spalle e si sedette davanti al suo armadietto per aspettarlo.
Kaede, mentre gli altri ragazzi si sistemavano, si vestivano e fuggivano, finse di cercare qualcosa nella borsa o si aggiustò le scarpe.
Sospirò e si grattò la nuca, annoiato, accorgendosi che la doccia del suo ragazzo era stranamente lunga.
 
Tra l’ultimo gruppo di giovani rimaneva Kevin, che disse un semplice: “Ehi!” dalla porta.
 
“Mh?” fece Kaede dopo uno sbadiglio.
 
“Non fate troppo casino, eh?” disse sorridendo maliziosamente. Kaede lo guardò, accigliandosi subito, ma l’altro rise e se ne andò, lasciando soli lui e Hanamichi, il quale apparentemente si stava lavando ogni millimetro di pelle dato quanto ci stava mettendo.
 
Che voleva dire quel cretino? E perché quell’idiota ci mette tanto?, stufo e annoiato, si alzò e si diresse alle docce.
 
Si fermò, però, sui suoi passi, pensando che avrebbe visto Hanamichi nudo e bagnato...ma...
 
Ho già visto tutto, pensò, riprendendo a camminare.
 
Tuttavia, avrebbe dovuto prevedere che vederlo lì, in piedi, con aria seria e sotto l’acqua della doccia, sarebbe stata una cosa del tutto differente. Kaede rimase fermo, immobile, con le labbra socchiuse, le pupille dilatate e il corpo in fiamme. Hanamichi sembrava perso nei propri pensieri, con gli occhi fissi sulle piastrelle bianche. La sua figura alta e robusta torreggiava nella lunga fila di docce, tutte spente tranne la sua, che continuava a correre e a gettare una forte pioggia calda sulla sua testa. L’acqua scorreva tra le sue ciocche rosse e cadeva in modo non uniforme lungo la nuca, i lati del viso e la fronte.
Le gocce bagnavano il suo corpo spettacolare che Kaede stava divorando, e sentì l’eccitazione gonfiarsi nei pantaloni. Si leccò le labbra, scendendo con occhi affamati ad ammirare i pettorali perfetti, i muscoli marcati della sua schiena ampia, la vita stretta, la visione seppur scarsa dei suoi addominali eccezionali, e infine il suo fondoschiena fermo e sodo.
 
Kaede grugnì di fronte a quell’immagine.
 
Hanamichi, che si era perso sulla luna, si voltò velocemente verso l’altro unico occupante degli spogliatoi. Al principio, non mettendo a fuoco, si limitò a riconoscere la volpe, ma quando notò il suo stato febbrile nonché il proprio, arrossì completamente.
 
“E-ehi! Scusa! Il genio a quanto pare è più stanco di quello che pensavo...! Esco sub-” ma si fermò di colpo quando Kaede, incurante dell’umidità sul pavimento, entrò completamente vestito sotto la doccia.
Hanamichi chiuse inconsciamente la manopola. Quando Kaede fu di fronte a lui, non ci furono più dubbi, né pensieri logici, nessuna riflessione o analisi, nessun fastidio o frustrazione...l’unica cosa che esisteva ora erano loro due, insieme, soli in quel luogo.
 
Si volevano a vicenda ed erano...
 
...bollenti.
 
Nessuno dei due avrebbe potuto dire chi iniziò, ma le loro bocche si incontrarono in un bacio appassionato e furioso. Si strinsero e si allontanavano; le loro labbra si strofinavano per poi attaccare di nuovo. Kaede infilò dispertamente la lingua nella bocca dell’altro, desideroso e affamato di sentire il suo sapore, il suo calore. Hanamichi gli morse e leccò le labbra con uguale avidità e urgenza. Le mani, che non sapeva mai dove mettere, ora si concentrarono sul denudare il ragazzo, che gemette di piacere sentendo che cominciava ad aprirgli con forza la cerniera della giacca.
 
Kaede, mentre veniva spogliato, continuò a baciarlo, toccando, accarezzando e stringendo tutto ciò che le sue mani trovavano lungo la sua pelle bagnata. Le sue dita lunghe e aggraziate esplorarono le potenti spalle, le clavicole marcate, i bicipiti sagomati,  pettorali, dove stuzzicò i capezzoli sensibili e fece sussultare Hanamichi per la sorpresa e l’eccitazione, non avendo idea che una parte così piccola del corpo potesse scatenare una tale scarica elettrica diretta al suo inguine.
 
Hanamichi, incendiato e focoso, tolse la felpa dal suo ragazzo obnubilato, approfittandone poi per toccare a suo piacimento il suo bianco e tonico corpo. Collo, petto, ventre, cosce. Godette di ogni contrazione dei muscoli e gemito straziato che sfuggiva dalle sue labbra.
Le bocche si avvicinarono di nuovo, con meno impeto e più sensualità.
 
Kaede si avvinghiò alla schiena del suo compagno per stringerlo a sé, ma Hanamichi aveva altri piani. Separandosi da un volpino riluttante, che ringhiò nel sentirsi allontanato, abbassò le labbra sul suo collo snello, leccando e succhiando con piacere. Vi lasciò diversi segni – sperando che fossero visibili il giorno dopo. Kaede si aggrappò alle sue spalle.
 
La sua saliva luccicava sulla pelle del ragazzo e Hanamichi continuò con la sua esplorazione. Con le mani salde e grandi toccava la schiena e il sedere del ragazzo, mentre la bocca si fermava sui suoi capezzoli rosei. Non sapendo in realtà come trattarli, dato che era la prima volta che si trovava a quell’altezza, pensò di provare poco a poco, quindi iniziò a coccolarli con le labbra, cosa che non suscitò molte reazioni dal ragazzo che gli accarezzava i capelli con una mano.
Determinato a dargli piacere, aprì la bocca su uno di essi, lo morse e lo succhiò senza attenzione. Allora sentì la risposta di Kaede, che gli conficcò le unghie nella spalla e gemette rocamente. Ripeté la stessa cosa ancora e ancora su entrambi i capelli, portando Kaede a uno stato di totale affanno e tensione. Alzò gli occhi castani e sorrise furbescamente.
 
“Idiota” disse la volpe con il fiatone. In realtà era così eccitato che faticava a pensare. Aveva bisogno che Hanamichi gli togliesse i pantaloni e le mutande. Erano le stesse intenzioni di Hanamichi, che fece scorrere la lingua e le dita sui suoi addominali, Kaede contrasse inconsciamente i muscoli a quello strano contatto – quasi venne quando il ragazzo delineò le ossa del bacino con la punta della lingua.
 
Mentre Hanamichi si ingonicchiava davanti a lui, Kaede sussultò e fece un profondo respiro cercando di controllarsi. Era la prima volta che Hanamichi era così vicino al suo inguine. Hanamichi, tentando di rilassare i nervi, iniziò a imitare e ripetere tutto ciò che Kaede faceva su di lui con le mani, decise ma ancora un po’ timorose. Accarezzò e premette sul suo membro turgido tramite i vestiti, strappandogli un gemito leggermente acuto; se non fosse stato così preoccupato, Hanamichi forse lo avrebbe preso in giro, ma era troppo concentrato nell’abbassargli i pantaloni e la biancheria intima.
 
Entrambi avevano troppa fretta per aspettare ancora.
 
Il sesso di Kaede colpì il suo stomaco appena fu liberato. Era duro come una pietra. Eretto orgogliosamente e con un po’ di liquido preseminale sulla punta. Hanamichi si morse il labbro e si avvicinò.
Kaede ansimava in modo irregolare, scavando con le unghie e le dita nelle sue spalle larghe e forti.
 
Non resisterò molto, pensò mentre osservava Hanamichi aprire la bocca e tirare fuori la lingua. Quasi timidamente la passò per leccare gli umori presenti. Kaede chiuse gli occhi con forza per controllarsi. Se avesse visto ogni azione, sarebbe venuto ancora prima di sentire le sue labbra su di sé.
 
Hanamichi, che sapeva esattamente qual era la sensazione, guardò il suo compagno, vedendo le sue guance arrossate, i denti che mordevano le labbra e le palpebre serrate, oltre ad avvertire le mani aggrappate a lui con urgenza. Ciò gli diede più fiducia e sicurezza per continuare.
 
Gli piace...alla piccola volpe piace, pensò prima di sorridere e continuare con più disinvoltura. Chiuse il pugno intorno alla base per tenerlo fermo, avvicinando la bocca per leccare e succhiare la cima.
 
“H-Hanamichi...” gemette Kaede con difficoltà, senza aprire gli occhi. Hanamichi, entusiasta di sentire il suo nome pronunciato così, sentì la propria erezione, ma la ignorò. Quel momento era tutto per Kaede.
Con quel pensiero, guidò la mano libera verso una natica soda del ragazzo, aggrappandosi a lui. Kaede sicuramente apprezzò, perché gemette più intensamente. Con un po’ di disperazione e impazienza, Hanamichi lo mise maggiormente in bocca, lentamente, perché si ricordò che una volta Kaede aveva avuto problemi nel farlo con troppa fretta, alternando leccate e succhiando.
 
Dopo qualche minuto, finalmente raggiunse il limite, non riuscendo ad arrivare fino alla base, ma abbastanza per mozzare il fiato al ragazzo ed evitare di avere i conati. Da lì iniziò a procedere velocemente, a scatti. Fece attenzione a non avvicinare troppo i denti – una volta Kaede quasi l’aveva morso e gli aveva fatto un male cane – lasciando invece la lingua ad accarezzarlo.
 
“A-ah! Uh! S-sì...” erano gli unici suoni che provenivano dalle labbra tumide di Kaede, che aprì gli occhi e tenne lo sguardo fisso sul proprio membro che scompariva ancora e ancora nella bocca calda e umida del suo ragazzo.
Se qualcuno avesse mai detto ad Hanamichi Saluragi che un giorno si sarebbe ritrovato in ginocchio davanti a un ragazzo a succhiargli il pene e a goderne, sicuramente sarebbe morto a causa di un brutale e sanguinoso pestaggio con cui lo avrebbe gonfiato.
Eppure eccolo lì, il violento ragazzo stava suggendo con gusto e impeto la sua volpe, eccitandosi nel sentire la sua durezza in bocca e nell’ascoltare i gemiti incoerenti del ragazzo. I suoni che emetteva con la bocca e dei lamenti incomprensibili erano l’unica cosa che si sentiva nello spogliatoio.
 
“Ah! V-vengo...” esclamò Kaede senza fiato mentre esplodeva nella bocca del ragazzo che non ebbe il tempo di elaborare l’informazione né di spostarsi, perché il bianco fiotto di seme lo colpì con una certa violenza in gola, facendolo quasi soffocare.
 
Separandosi dal pene che gradualmente si rilassava, si schiarì la gola prima di alzarsi. Senza che riuscisse a pulirsi la bocca, Kaede lo afferrò per il collo e la mascella attirandolo in un bacio infuocato e umido. Hanamichi, che non apprezzò affatto il sapore di quella sostanza viscida, provò compassione per la povera volpe che la ingoiava ogni volta. Tuttavia si ritrovò a pensare che l’avrebbe rifatto volentieri, se la reazione di Kaede era quella, che si avvinghiò alla sua schiena, alle spalle e al viso con foga e possesso.
 
“È stato incredibile” disse Kaede, sfiorando con le labbra qualunque porzione di pelle trovasse. Hanamichi, arrossato e imbarazzato, rendendosi conto di quello che aveva appena fatto, ma si riprese e scoppiò in una risata instabile che non ingannò nessuno.
 
“Tsk! O-ovvio! Sono un genio, quindi...” disse guardando gli occhi blu e luminosi di Kaede, che gli sorrideva. Kaede gli diede un bacio deciso ma corto, prima di posare la mano aperta sul suo petto, abbassandola sensualmente, accarezzando addominali, fianchi, per infine afferrare il sesso eretto del ragazzo, che sussultò di piacere.
 
“Ma genio junior è ancora eccitato” commentò con finto sarcasmo, sospirando e leccando il lobo del suo orecchio. Kaede era euforico, sovraeccitato e molto entusiasta. Nemmeno nei suoi sogni più perversi succedeva che Hanamichi raggiungesse un’epifania sessuale in mezzo allo spogliatoio, subito dopo un allenamento; non che se ne lamentasse, assolutamente no. Apprezzava e molto...proprio per questo voleva mostrargli quanto gli fosse piaciuto e avesse goduto di quello che gli aveva fatto (...finalmente).
 
Hanamichi nel frattempo era in iperventilazione e cercava di controllare il timore e l’imbarazzo sul suo viso e sul suo corpo. Ancora non riusciva a credere di aver fatto una cosa del genere. Ma era così tremendo? Aveva solo provato in qualche modo di dimostrare al suo ragazzo quello che sentiva lui. Come lo desiderava. Come anelava il suo corpo, in maniera ardente e palpitante. Come aveva bisogno, quasi follemente, di afferrarlo e toccarlo, abbracciarlo e baciarlo. O semplicemente di guardare i suoi luminosi e perfetti occhi blu.
 
Hanamichi accarezzò con riverenza la guancia arrossata del ragazzo, facendogli nascere un timido sorriso, prima di avvertire che il proprio corpo chiedeva sollievo. Grugnì un po’, abbassando lo sguardo sul sesso duro.
 
“Mi...ricambi il favore?” chiese con impazienza, era sul punto di posargli le mani tra i capelli per guidarlo sulla sua erezione.
 
“Farò qualcosa di meglio” rispose Kaede prima di levarsi i pantaloni e le mutande rimasti intorno alle caviglie, poi afferrò la mano di Hanamichi e lo trascinò nello spogliatoio, vicino al suo armadietto.
 
Hanamichi era un po’ confuso, Kaede voleva masturbarlo o no? E se era così, che differenza c’era tra farlo lì e nella doccia? Anzi, si sarebbero potuti nascondere nel caso in cui fosse inaspettatamente entrato qualcuno. Hanamichi rabbrividiva di freddo mentre guardava il ragazzo che cercava qualcosa nel borsone. Quando finalmente si raddrizzò, Kaede aveva un sacchetto di plastica bianco.
 
“Questi li ho...comprati qualche giorno fa”, Kaede tirò fuori un piccolo tubo che a prima vista pareva una crema per la pelle o qualcosa di simile; l’altro articolo era una scatola bianca con strisce e scritte nere e rosse. Hanamichi non aveva idea di cosa si trattasse finché si avvicinò e lesse le rispettive etichette: lubrificante e preservativi.
 
“P-per...adesso?”, Hanamichi non era poi così ottuso. Aveva fatto le sue ricerche circa il sesso gay, ma non aveva osato farne menzione, sapeva benissimo a cosa servivano quegli articoli. Il suo viso rifletteva imbarazzo e apprensione, ma il suo corpo si esprimeva diversamente: la sua pelle bruciava per l’impazienza e il suo sesso sussultò per l’interesse.
 
“Non vuoi?” chiese Kaede accigliandosi. Osservò l’erezione del ragazzo, chiaramente d’accordo con l’idea, ma la sua reazione in generale non era molto incoraggiante. Kaede ignorò il fatto che lui, all’inizio delle sue fantasie, si immaginava sempre sopra, come attivo, ma ora era così eccitato, offuscato, innamorato ed emozionato che si sarebbe anche messo a carponi se Hanamichi l’avesse voluto.
 
“No! Cioè, sì! S-sì, mi va...s-solo che...” Hanamichi sapeva che né lui né la volpe erano i tipici fidanzatini romantici e smielati che dovevano dirsi ogni ora che si amavano o sentivano la mancanza dell’altro, né che si regalavano peluche o cioccolatini; tuttavia era un po’ esitante al pensiero che quella sarebbe stata la sua prima volta: la sua, e quella di Kaede. E in realtà non era esattamente tenero, adorabile e nient’affatto romantico ricordare una prima volta in uno sporco (anche se in realtà era abbastanza immacolato, ma non era quello il punto) e impersonale spogliatoio.
 
Nonostante i suoi scrupoli, qualsiasi dubbio svanì quando Kaede si sollevò sorridendo premendosi contro di lui.
 
“Allora non c’è problema, scimmietta”
 
Ricominciò un acceso giro di baci, ma un po’ più carico di nervosismo e aspettativa, perché finalmente sarebbero andati fino in fondo. Kaede gli leccò le labbra, facendo scorrere le mani esose sul torso e sullo stomaco del suo amante. Hanamichi non rimase a riposo, toccandogli soprattutto la schiena e il sedere. Strinse e palpeggiò le natiche, strappando un grugnito di soddisfazione dalle labbra tumide del ragazzo.
Tornando a baciarsi, indietreggiarono fino alle panche davanti agli armadietti e si separarono per sdraiarsi sulla superficie piana. La sottile panchina a malapena conteneva i loro corpi e Kaede, sotto il peso e il calore del suo compagno, calcolò di non spostarsi troppo di lato se non voleva cadere sul freddo pavimento.
 
Hanamichi, che ora baciava e leccava gli addominali marcati del ragazzo, lasciò vagare le mani sopra le cosce dure e i testicoli sotto il membro semieretto.
Kaede gemette mentre Hanamichi infilava la lingua nell’ombelico e allo stesso tempo lo strinse alla base del pene.
 
“Il lubrificante...” disse Kaede in un sospiro e Hanamichi annuì. La borsa, che era rimasta lì accanto, fu afferrata da Hanamichi, che l’aprì un po’ bruscamente per recuperare il sacchetto. Si sedette sulle cosce del suo amante mentre scartava la plastica e apriva il tubetto, dopodiché se ne versò un po’ nel palmo.
Hanamichi guardò nervosamente il ragazzo, che gli sorrise, sebbene anche lui stesse morendo di paura.
Sollevandogli e alzandogli le gambe, Hanamichi si chinò e appoggiò la mano sulla sua coscia per segnalargli di spostarla un po’; Kaede obbedì, tremando inevitabilmente per l’attesa...il timore...la vergogna...per un momento si sentì vulnerabile ed estremamente esposto. In un istante desiderò alzarsi e andarsene di corsa. Ma si controllò respirando profondamente e chiudendo brevemente gli occhi.
 
Era quello che aveva desiderato con tutto se stesso. Finalmente, finalmente lui e Hanamichi avrebbero fatto l’amore. Beh, nelle condizioni di fretta e di febbre in cui erano, forse non si poteva parlarne in maniera tanto tenera e sdolcinata, ma il punto era lo stesso. Dopo averlo sognato per un mese, avrebbero fatto sesso...
 
La parte inferiore delle sue natiche era esposta a un Hanamichi molto rosso, che trattenne un sospiro e un lamento e portò la mano lubrificata nella sua parte più nascosta. Deglutì pesantemente mentre passava e lasciava un dito a farsi spazio; con la punta, tastò e accarezzò l’anello di muscoli, ottenendo un ringhio e un gemito soffocato dal ragazzo, che non sapeva come reagire a quella scarica che si diffuse nel suo corpo.
 
Animandosi, Hanamichi cominciò a introdurre lentamente il dito. Kaede aprì le labbra, sentendo il cuore pompare come come si trattasse di una corsa di cavalli. Tutta la sua pelle era in fiamme. Tutto bruciava, tremava, formicolava ed era offuscato. L’intera stanza sembrava vorticargli intorno. Il tetto sulla sua testa scomparve e fu sostituito dalla nebbia.
 
“Aah-” esclamò, accigliandosi. Non faceva male, ma era tanto, tanto, tanto strano, non sapeva cosa fare. Premette le mani sulla panchina instabile e si morse le labbra con forza. Non aveva mai sperimentato niente del genere. E maledisse quei dannati video porno, che non l’avevano mai preparato a quel tipo di sensazioni. Sentendo il dito dentro di sé, da un lato voleva spingere via Hanamichi e buttarlo fuori, ma dall’altro desiderava che si muovesse e lo inserisse più a fondo. Più dentro. Con più forza e velocità.
 
“N-non fare così” disse Hanamichi sentendo le sue pareti contrarsi con lieve rudezza; il movimento inviò un incendio al suo sesso pronto, ma si ricordò di un articolo che aveva letto in cui si menzionava che la persona doveva essere rilassata, altrimenti l’eventuale penetrazione avrebbe fatto molto male. Kaede annuì coprendosi gli occhi con l’avambraccio. Quando Hanamichi riuscì completamente a inserire il dito, iniziò a spingere piano, tirando fuori e rientrando con calma. Cercando di stirare la calda carne che gli avvolgeva il dito come seta ardente.
 
“Ah...” si lamentò Kaede e Hanamichi tirò fuori il dito. “C-cosa?” riuscì ad articolare Kaede, volendo piagnucolare per il vuoto che avvertiva, ma qualsiasi accusa fu messa a tacere quando Hanamichi infilò due dita imbevute di lubrificante, sempre con delicatezza. Questa volta gli fece un po’ male e lo fece capire tirandogli un calcio sul petto. Hanamichi lasciò le dita ferme per pochi secondi, per farlo abituare all’invasione, prima di ricominciare a spingere.
 
“Ah!” gemette forte quando sentì di essere colpito in un punto preciso. Gli fece venire voglia di strofinarsi da solo contro le sue dita, e gli inturgidì nuovamente il membro con orgoglio.
Kaede strinse i pugni con forza animalesca. Si morse le labbra temendo per un momento di farle sanguinare. Tutto bruciava, bruciava, bruciava.
 
Ma era davvero fantastico...
 
La prostata...dev’essere la prostata, pensò Hanamichi lievemente emozionato, perché aveva letto che quella ghiandola era una potente zona erogena (qualcosa la sapeva, il ragazzo).
Sorrise quasi come un bambino a Natale, sapendo che era una specie di fortuna divina avendola trovata la prima volta. Con due dita si dedicò a dirigere ogni piccola spinta su quel punto con premura, e presto Kaede divenne un ammasso di sussulti e lamenti.
 
Ma non basta, pensò Hanamichi guardando il proprio pene. Non per vantarsi, essere presuntuoso, pensare di averlo enorme o altro, ma era la prima volta per entrambi e Hanamichi non voleva assolutamente rovinare tutto facendogli male per incapacità a controllarsi, rischiando di procedere quando era ancora così stretto e poco preparato. Per questo si scostò e poco dopo tornò con tre dita ben lubrificate.
A entrambi il sudore scorreva dalle tempie fino ai colli e i torsi; sentivano che, se non avessero raggiunto l’orgasmo presto, sarebbero esplosi in combustione istantanea. Il fuoco, il bisogno, il desiderio e il calore li consumava. Ma Hanamichi cercava di trattenersi, perché voleva riuscire a inserire per bene le tre dita prima di penetrarlo.
 
Kaede non ce la faceva più. I muscoli delle sue cosce erano esausti e in fiamme per la posizione e il suo sesso era umido di liquido preseminale; ciocche nere erano attaccate alla sua fronte e respirava con difficoltà. Era così eccitato da non riuscire né a pensare né a parlare e si limitò ad alzare la testa per osservare, mezzo intontito, il viso arrossato e perfetto del suo ragazzo.
 
“Girati” lo sentì dire, ma il suo corpo sembrava incapace di rispondere.
 
Kaede non si mosse di un centimetro, quindi Hanamichi l’afferròper un fianco e lo costrinse a voltarsi e a rimanere a pancia in giù. Secondo quello che aveva letto era la posizione migliore per la prima volta, avrebbe dovuto rendere l’invasione un po’ meno dolorosa.
 
Quando lo penetrò ancora con tre dita, provò a rendere il ritmo più serrato e veloce e fu ricompensato da gemiti rochi e sussulti del suo amante.
 
“Ah...H-Hana...vai...” riuscì ad articolare Kaede sentendo l’attrito del suo membro contro la panchina. Se Hanamichi non lo avesse penetrato subito, sarebbe venuto solo con la sensazione delle sue dita e del proprio sesso che sfregava sulla base sotto di sé.
Hanamichi, troppo eccitato per rispondere verbalmente, si spalmò del lubrificante su tutta l’erezione e l’avvicinò, strofinò un po’, suscitando un lamento acuto ad entrambi. Con una mano afferrò l’anca del ragazzo, con l’altra il proprio sesso, e iniziò a introdurre la punta lentamente e con estrema attenzione.
 
“Uh...” uscì dalle labbra di Kaede, che pur non sentendo il dolore straziante che per un momento aveva pensato di sperimentare, trovava comunque la sensazione bizzarra e calda come l’inferno; voleva che Hanamichi andasse fino in fondo, voleva provare ancora la squisitezza provocata dalle sue dita, voleva che il suo ragazzo lo prendesse, voleva un orgasmo impetuoso, voleva tutto quanto.
 
Le sue nocche erano bianche mentre stringeva le mani sulla panca, cercando di controllare i propri gemiti.
Hanamichi, stringendo i denti, continuò ad entrare lentamente, dandogli tempo per abituarsi, ma non sapendo per quanto altro tempo si sarebbe trattenuto. Doveva muoversi.
 
Quando arrivò in fondo, entrambi gemettero di soddisfazione.
 
“T-ti fa male?” riuscì a chiedere Hanamichi, appoggiando le labbra alle sue umide ciocche nere.
 
“M-mi piace” rispose Kaede. Per dimostrare le sue parole, contrasse i muscoli dell’ano, ottenendo subito un grido dal compagno. Hanamichi, sostenendosi con i palmi su ciascun lato della testa di Kaede, iniziò lentamente a muoversi: prima con piccole oscillazioni, poi uscendo e rientrando con calma. Voleva controllarsi, renderlo piacevole per entrambi.
 
Il suo respiro era pesante e irregolare, mentre Kaede serrava gli occhi e ansimava. La sensazioni di quelle pareti calde, umide e strette intorno al suo sesso gli fecero vedere le stelle, il suo mondo vorticò, nella bocca dello stomaco e nei testicoli provava fiamme intense e bollenti; era disperato, desideroso di aumentare la velocità e l’impeto, ma continuò a trattenersi. Kaede era invece senza fiato con l’erezione del suo amante dentro di sé; lo sentiva così grosso, così caldo, così stranamente delizioso che sollevò involontariamente il sedere per andargli incontro.
 
Qualunque controllo Hanamichi avesse mantenuto o pensare di mantenere, sparì dopo quel movimento, e le sue mani si posarono sui fianchi stretti del ragazzo, per spostarlo e sollevarlo.
 
Diede così inizio a potenti e rapide spinte, senza sincronizzazione né premura. Si sentiva il suono dei suoi testicoli contro le natiche del ragazzo, l’urto della pelle sudata contro pelle sudata, oltre ai gemiti e i grugniti dei due amanti.
 
“Ah...merda...uh...” uscì dalla vocca di Kaede, che sentiva e vedeva come le assi della panca di muovevano bruscamente sotto di sé mentre il corpo dell’altro colpiva il suo.
 
Era in paradiso.
 
Niente e nessuno esisteva a parte il suo perfetto ragazzo che lo penetrava con colpi poderosi e forti.
In alcuni momenti sentiva un dolore travolgente, ma le stoccate sul suo punto più sensibile cancellavano ogni traccia di malessere per lasciare posto a un piacere peccaminoso e bruciante, strabiliante, intenso. Era come se la sua pelle si sciogliesse, come se la sua testa stesse per scoppiare, e i suoi testicoli erano pronti a esplodere. Gridò con voce roca quando Hanamichi lo penetrò violentemente, e il proprio sesso si sfregò con forza contro la panca.
 
“Vengo, vengo” ripeté Hanamichi prima che il suo corpo si tendesse per poi liberarsi dentro il ragazzo. Gemette dimenando i fianchi, godendosi la sensibilità extra della sua pelle e le ripetute, violente contrazioni del suo ragazzo, che venne quando sentì l’umidità dentro di sé.
 
(Ops...avevano dimenticato il preservativo...).
 
Rimasero lì per qualche minuto, ansimando profondamente, cercando di regolare il battito cardiaco, godendosi il calore reciproco. Hanamichi, abbastanza consapevole del proprio peso, cominciò lentamente ad alzarsi e a tirare fuori il suo membro rilassato dal ragazzo, che grugnì per la sensazione. Si sentiva vuoto e dolorante, bisognoso ed esausto, tutto in una volta.
Hanamichi, notando in che condizioni erano, esortò Kaede ad alzarsi per dirigersi alle docce, dove entrambi si lavarono, con Hanamichi che si occupò in particolar modo delle sue natiche. Entrambi evitarono di guardarsi nel frattempo, pieni di imbarazzo nonostante l’attività intima appena condivisa.
 
“Ti fa male?” chiese Hanamichi con una smorfia, ma Kaede a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti per la sonnolenza e la delizia che riempivano i suoi muscoli. Si sentiva soddisfatto, appagato e realizzato. Quell’urgenza ardente e fastidiosa che lo aveva irritato per settimane solo ora se n’era andata lasciandolo libero. Alzando i suoi occhi blu e incontrando quelli castani, preoccupati e nervosi di Hanamichi, il suo cuore, che ora batteva regolarmente nel suo petto, si sciolse e gli cadde ai piedi.
Era ridicolo e sciocco, ma provando quei sentimenti da soli quattro mesi, e in quella relazione da poco più di un mese, si sentiva così...così innamorato...così attaccato all’altro, che il semplice pensiero di separarsi da lui lo lasciava paralizzato dal dolore.
 
Lo amo...
 
Lo amo così tanto..., pensò scuotendo piano il capo.
 
“Un po’” rispose, grato che l’attività appena svolto avesse lasciato entrambi arrossati e sudati, quindi ogni traccia di imbarazzo rimase nascosta.
Hanamichi lo guardò un po’ contrariato, non sapendo cosa fare per evitare che provasse dolore, ma vedendo che Kaede camminava con calma uscendo dalle docce, sospirò di sollievo e lo seguì velocemente.
Mentre si sistemavano e raccoglievano i vestiti, i due notarono seccati le tracce di sperma sulla panca, e cercarono subito di rimuoverle e pulire prima di uscire. Kaede pensò di capire le parole che Kevin gli aveva rivolto in precedenza, ma lasciò perdere, perché il ragazzo non aveva fatto commenti od osservazioni con tono disgustato o irritato, quindi concluse che non sarebbe stato un problema né un ostacolo.
 
E poi, Riccio non era nella posizione adatta per parlare.
 
Forse Hanamichi era troppo ottuso o stupido per non accorgersene, ma era evidente la corrente intima ed elettrica che correva tra Kevin e Chris. Come si guardavano e toccavano. Come andavano ed uscivano dallo spogliatoio, sempre insieme. Erano così evidenti che per Kaede era difficile pensare che nessun altro se ne fosse accorto. O forse se n’era accorto proprio perché faceva molta attenzione con la propria relazione, oltre al fatto che Riccio passava molto tempo con Hanamichi, e dato che la volpe guardava sempre Hanamichi, ciò lo aveva portato anche ad osservare Kevin.
In un certo senso era contento che quei due stessero insieme. Ovviamente perché lo rendeva felice vedere i suoi amici felici (cosa che Hanamichi gli aveva insegnato), ma anche perché ciò significava avere un supporto, un pilastro a cui appoggiarsi. Non erano soli. Non dovevano temere di essere gli unici.
Kaede ora si aspettava che i due ragazzi li informassero della loro coppia, perché se sapevano di lui e Hanamichi, non avrebbero dovuto avere paura di rivelarsi, no?
 
“S-se viene qualcuno...ti ammazzo, giuro”
 
Kaede e Hanamichi, camminando mano nella mano nel buio e nei presunti corridoi solitari della grande palestra, si fermarono rigidamente dopo aver sentito quel sussurro/grugnito/sibilo proveniente da una voce maschile, da alcuni corridoi a destra.
Innocenti occhi marroni incontrarono astuti occhi blu.
Era chi pensava?
 
“No! Volpe, aspetta...” mormorò allarmato e imbarazzato Hanamichi quando Kaede lo attirò verso i gemiti e i sussulti che cominciavano ad echeggiare ovunque.
 
Lì, abbracciati in modo molto intimo, c’erano proprio Kevin e Chris, intenti a scambiarsi un bacio poco adatto ai minorenni. Hanamichi inciampò per lo stupore, mentre la volpe trattenne una risata sia imbarazzata che ironica.
 
Con sorpresa di Kaede (e di Hanamichi), era Viso pallido che aveva immobilizzato Riccio nella posizione più compromettente e rivelatrice. Kevin aveva la maglietta alzata e arrotolata intorno al collo, mentre i suoi pantaloni avevano la cintura slacciata e la zip aperta. Le mani di Chris, in aggiunta alla situazione già morbosa e imbarazzante, si trovavano clamorosamente dentro la biancheria intima del ragazzo rosso e ansimante, che non si era ancora accorto della presenza dei due giapponesi.
 
“A-ehm” Kaede si schiarì la voce, con totale mortificazione del suo ragazzo, per il quale la cosa migliore da fare sarebbe stata uscire da lì discretamente e silenziosamente per non disturbare. Kaede era davvero rapito dalla scena e sovraeccitato per ciò che lui stesso aveva appena vissuto.
I due americani, immersi nella loro piccola bolla di piacere e passione, non ci misero molto a sobbalzare esageratamente quando li videro. Chris quasi cadde sul fondoschiena mentre saltava indietro, portandosi dietro i boxer di Kevin. Questi urlò, poi con la faccia quasi viola, annaspò e si allacciò i pantaloni a velocità degna di invidia da parte di Flash.
 
“N-non...non è come pensate” parlò con voce roca, vedendo il suo amico troppo traumatizzato per articolare una parola o anche solo per muoversi o battere le palpebre.
Hanamichi rivolse lo sguardo sul pavimento, provando vergogna, perché anche se la situazione un po’ lo faceva ridere, in realtà non poteva evitare di provare empatia per ciò che lui stesso aveva vissuto di recente con il suo ragazzo, pensando e chiedendosi cos’avesse fatto se fosse stato sorpreso qualche minuto prima con Kaede che gemeva e si muoveva contro di lui.
 
Più in là forse avrebbe potuto prenderlo in giro quanto voleva...
 
“Davvero?” fece Kaede alzando un sopracciglio. Per piacere! Davvero se n’era uscito con una frase così cliché davanti alla scena inequivocabile? Anche uno scemo come Hanamichi aveva notato che si stavano baciando disperatamente, e l’uno non stava cercando un oggetto smarrito nella bocca dell’altro.
 
“B-beh! E allora? Come se anche voi non aveste fatto la stessa cosa nello spogliatoio...” li accusò Chris, con sorpresa di tutti, che non l’avevano mai sentito alzare la voce. Kevin lo guardò con un bagliore quasi tenero negli occhi.
 
Kaede aggrottò la fronte. Quella era, per caso...una sfida...una minaccia?
 
Sul punto di rispondere acidamente, Hanamichi gli strinse la mano e lo guardò con un sorriso solare e magnifico. Sono nostri amici, gli disse con lo sguardo e linguaggio non verbale.
 
Sì...vero...
 
“Non abbiamo visto niente” rispose invece con tono solenne. Hanamichi annuì.
 
“E noi non sappiamo chi sia uscito per ultimo dalla palestra...” rispose Kevin con un sorrisetto rassegnato.
 
Come se in quei bui e silenziosi corridoi non fosse successo nulla, i quattro se ne andarono.
Kaede afferrò di nuovo la mano di Hanamichi e si diressero a cas.a
 
Quando uscirono dalla palestra, però, era già tutto scuro e spento, quindi non ebbero problemi a proseguire con le dita intrecciate, avanzando lungo le strade. Solo quando raggiunsero i vialetti più avanti e videro alcuni passanti, si lasciarono, urtandosi a vicenda la spalla.
Giunti a casa Rukawa, mangiarono come pozzi senza fondo ciò che Mei aveva lasciato nel forno, tirando poi dagli scaffali diversi spuntini da portare in stanza di Kaede, continuando a mangiare di sopra mentre commentavano ciò che avevano visto in palestra.
Soprattutto Hanamichi disse a Kaede quanto fosse stato sfacciato e maleducato per aver rovinato il momento passionale della coppia, che lui non sospettava. Kaede rispose scrollando le spalle. Non si sarebbe scusato. La scena lo aveva divertito parecchio.
 
Poi si sdraiarono sul materasso e sulle coperte ancora arruffate e calorose; guardarono un programma inutile alla tv, incollandosi a vicenda. Kaede, che era quello che si aggrappava sempre a lui, non si preoccupò di attaccarsi ai suoi vestiti leggeri, allungando un braccio possessivo sul suo torso e passando una gamba sulle sue cosce; Hanamichi non sembrò affatto infastidito di essere intrappolato da lui, e una sua mano giocò distrattamente con i morbidi capelli neri del ragazzo, di tanto in tanto ridendo per le sciocchezze dalla televisione.
Se qualcuno in passato o dello Shohoku li avesse visti ora, si sarebbe soffocato o sarebbe svenuto per lo shock, per la tranquillità e l’amore che li circondava, palpabili come gli addominali che Kaede delineava sotto il pigiama leggero della sua scimmia.
 
“Facciamo una partita a Mario Kart” suggerì all’improvviso Hanamichi senza alzarsi, ma sollevando un po’ la testa.
 
“Ho sonno, scemo” ribatté Kaede, avvinghiandosi ancora di più al corpo caldo del ragazzo.
 Ho sonno, ripensò, chiuendo gli occhi e sistemandosi ulteriormente contro il materasso e Hanamichi.
 
“Oh, dai! Non essere noioso, volpe...sono appena le 11” brontolò guardando rapidamente una delle sveglie.
 
“No”
 
“Come...? Hai paura di affrontare il genio? Ahahahah...ok, lo capisco, principiante” sogghignò senza impeto, ricevendo un sopracciglio alzato.
 
“Giochiamo”
 
Cosa non faccio per te, idiota..., si disse sospirando internamente. Kaede sperava che Hanamichi non avrebbe mai indovinato di averlo in pugno con un solo sorriso.
 
“Ah! Sei così manipolabile!” rise Hanamichi sollevandosi allegramente e avvicinandosi ai giochi e all’Xbox.
 
“Ma chi vince, la prossima volta sta sopra” disse Kaede sedendosi sul letto e aspettando che Hanamichi sistemasse l’attrezzatura.
 
“Sopra...? Come...? Accetto la sfida, bastardo!” urlò con la faccia rossa, capendo l’allusione.
 
“Scemo” gli disse con un sorriso.
 
“Ah! Aspetta! Prima manderò un messaggio a Riccio...” disse con una risata infantile e una smorfia assurda. Kaede sospirò irritato.
 
Che lento...proprio ora ti viene in mente di rompergli?
 
Mentre Kaede si accomodava e organizzava il gioco, ascoltò la scimmia affermare che il suo cellulare aveva il credito esaurito.
 
“Usa il mio” disse distrattamente mentre preparava la partenza. Mentre sceglieva Toad per il gioco di corse, all’improvviso gli venne in mente la foto che aveva come sfondo.
 
“Hana! Aspe-”
 
“Perché c’è la mia faccia sul tuo cellulare, volpe pervertita?!”
 
Ops...
 
 
 
*personaggio appartenente al mondo della famiglia Adams, rappresentato con capelli lunghi fino a terra.

 

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