Pourquoi est-ce qu'on se déguise?

di Dorabella27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Une femme très puissante ***
Capitolo 2: *** 2- Solitude ***
Capitolo 3: *** 3 - Che fare? ***
Capitolo 4: *** 4 - Il posto più buio è sempre sotto la lampada... ***
Capitolo 5: *** 5 - Lire fortifie notre esprit ***
Capitolo 6: *** 6 - Troubles passés, troubles présents ***
Capitolo 7: *** 7 - Faites vos jeux ... ***
Capitolo 8: *** 8 - ... rien ne va plus ***
Capitolo 9: *** 9- Di rientri e incontri ***
Capitolo 10: *** 10 - Aequo Marte ***
Capitolo 11: *** 11 - O giorni, o mesi, che andate sempre via ... ***
Capitolo 12: *** 12 - Facesti come quei che va di notte ... ***



Capitolo 1
*** 1 - Une femme très puissante ***


I – Une femme très puissante
 
 
VERSAILLES
Girodelle
 La carrozza passò a tutta velocità, sfiorando il cavallo di Madamigella Oscar per poi superare di slancio il cancello della reggia; dal finestrino dardeggiò un profilo di donna, bionda e dall’espressione sicura di sé sino all’insolenza. Per un attimo temetti per l'incolumità del mio Comandante; ma Madamigella Oscar, tirando le briglie fulminea, si ritrasse, piena di sdegno "È da pazzi spingere una carrozza così! Ma chi è?"
"È la contessa di Polignac. È una donna molto potente a corte, la nuova favorita della nostra Regina: in poco tempo ha saputo diventare indispensabile alla sovrana. E questo è uno dei suoi modi per farsi notare. Voi non la conoscete, Madamigella Oscar?"

"No, Girodelle, non l'ho mai incontrata".
Mi mordo la lingua; certo, è ovvio: Madamigella Oscar non ha mai incontrato la contessa, perché la sua ascesa a corte è stata velocissima, proprio nel mese in cui il mio Comandante è stata lontana dalla Reggia, quando è stata sospesa dal servizio.  Non vorrei ricordarle un così doloroso fallo; in verità non vorrei contrariare in nulla Madamigella Oscar: ah, se solo sapesse quanto mi è mancato in quei trenta giorni l'oro dei suoi capelli e il cielo primaverile dei suoi occhi, quanto le sono devoto e quanto vorrei esserle vicino in ogni ora del giorno e della notte.., anche a costo di essere un suo servitore, o un suo valletto.
"Girodelle, radunate i soldati per l'esercitazione. Ritornerò a breve. Devo firmare dei documenti in ufficio".
"Sì, Comandante". La guardo allontanarsi lentamente, e a stento trattengo un sospiro. Arriverà mai il momento in cui potrò palesarle la fiamma che arde nel mio petto da quel nostro primo, stupefacente incontro, quando incrociammo le lame sotto quella quercia in quel maggio luminoso?
 
PALAZZO JARJAYES
Oscar
"Pare che la Regina abbia una nuova favorita".
"Davvero, André?". Alzo per un attimo gli occhi dal mio Virgilio e mi chiedo come possa André essere sempre tanto sorprendentemente bene informato di tutte le novità di Corte. Perché sembra sempre sapere tutto di tutti? E perché mai io, al contrario, che a Versailles passo le mie giornate e di fatto vivo, non so mai niente di niente?
"Sì, Oscar: si tratta della contessa Yolande de Polignac, una donna molto chiacchierata... e molto invidiata. Pare che in poche settimane sia riuscita a conquistare il cuore della Regina".
"La nostra Regina è troppo schietta e troppo limpida: non riesce a dissimulare a lungo il suo favore o le sue simpatie", affermo diplomaticamente, mentre socchiudo gli occhi, sorbendo il caffé di Nanny.
Ed è anche molto, troppo sola, la nostra Regina, penso fra me e me. Nonostante tutto il turbinio di cameriere, dame e governanti, a corte è trattata ancora come poco meno che una estranea, anzi, come una straniera mal tollerata, e questo perché non ha ancora dato un erede al Re. Mi alzo e mi affaccio all’ampia balconata del palazzo, i gomiti appoggiati alla balaustra.  Sento lo sguardo di André addosso, trafifggermi la schiena.
Povera Regina! Tutti i cortigiani incolpano Maria Antonietta, se non è ancora nato un Delfino, quando tutti, persino io - il che è tutto dire -, sanno che il matrimonio con re Luigi non è stato ancora consumato. Deve essere triste sentire i mesi e gli anni passare senza potere uscire da una situazione di blocco, di stallo, sentire il tempo che ti scivola addosso senza mai portare alcuna speranza di mutamento nella tua condizione...i  miei pensieri hanno preso una china pericolosa; scuoto la testa, cercando di distogliermene.
Andrè rompe il mio silenzio.
"Oscar, perché sei così pensierosa? Non vorresti fare una lunga cavalcata? Il pomeriggio è così limpido!". André riesce sempre a interrompere il filo di quei pensieri che stavano facendosi tristi. Caro André!

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Capitolo 2
*** 2- Solitude ***


Solitude
VERSAILLES
Oscar
Arrivo a corte, nel consueto brusio e bisbiglio di capannelli di dame.
 
Sotto il suo splendore, Versailles è un campo di battaglia; soltanto, si combatte non con spade e pistole, ma con il pettegolezzo, con la maldicenza, persino con la calunnia, a volte.
 
Intercetto la voce della baronessa di La Mole: "Sì, e pare che abbia ottenuto da re il permesso di giocare per altre tre sere..."
 
"Scandaloso!", risponde una vecchia marchesa che le sta accanto. "E poi", rincara la dose, "ci lamentavamo tanto della Du Barry: LEI, almeno, non ha mai contravvenuto a un ordine reale".
"Sì, è vero! La contessa era molto rispettosa del volere del re!"
 
Quello che sento non mi piace; dai frammenti di conversazione che colgo, mi pare di capire che la nostra Regina abbia strappato al re una deroga al divieto di gioco d'azzardo a corte.
"Il re ha bandito la roulette, ma la Regina vuole dimostrare di essere al di sopra delle leggi".
"Sì, ma ora ha perso cifre da capogiro. Come potrà giustificars?"
« Sicuramente sua madre, l’Imperatrice Maria Teresa, non sarebbe stata così indulgente con questi capricci ! »
« Ma certo ! Ho sentito dire che l’appannaggio delle arciduchesse viennesi era infinitamente inferiore a quello di cui la Regina ha goduto a Versailles grazie alla magnanimità del nostro Re » 

"Io scommetto che la regina chiederà una deroga dal divieto di gioco d’azzardo sino a quando non avrà recuperato tutto quel che ha perso", dice una dama con l'aria di saperla lunga, mascherando un sorriso certo malevolo dietro il ventaglio piumato.
"Oh, ma vedrete", aggiunge la baronessa di La Mole, " questa situazione non potrà durare a lungo. Ho il sentore che se entro quest'anno non nascerà un Delfino, la nostra Regina potrebbe passare un guaio".
"Purtroppo il nostro Re è troppo buono e generoso", dice una terza dama.
« Ho sentito dire che in Oriente, se entro tre anni da un matrimonio reale non nasce un erede al trono, si può ripudiare la moglie, mentre la Regina è in Francia da sette anni ormai ! »
« Re Enrico IV riuscì a ottenere l'annullamento del matrimonio con Margherita di Navarra, perché la regina era sterile »
« È vero! E così poté nascere Re Luigi XIII, padre del re Sole!"
« Oh, anche il nostro Re avrebbe meritato un’altra moglie »
« Con tutte le nobili fanciulle francesi a disposizione, proprio a una principessa austriaca è stato necessario ricorrere ! »
« La regina Maria, nonna del nostro re, aveva sette anni più di re Luigi XV, eppure gli diede sei figli in sette anni! E dieci in tutto il corso della loro unione »
 
         Passo con volto impassibile fra i cortigiani ; ma, dentro, mi sento ribollire di sdegno : che covo di serpi ! E sono gli stessi cortigiani che, alle udienze generali, si profondono in inchini sin quasi a toccare con la fronte i grandini del trono, pur di ottenere le cariche e le prebende cui ambiscono.
         Quando arrivo all'appartamento della Regina, ho appena il tempo di inginocchiarmi davanti a lei, e, prima di chinare il volto, vedo i suoi splendidi, grandi occhi azzurri velarsi di lacrime.
 
         "Contessa di Noailles, vi prego, lasciateci sole".  La voce è appena incrinata, ma Madame l'Étiquette deve avere capito che la nostra Regina si trova in un momento critico e si accommiata velocemente, con un sussurro rispettoso.
 
         Appena siamo sole, la Regina perde quel residuo di contegno che aveva assunto con tanta fatica.
"Oh, Madamigella Oscar, grazie per essere venuta non appena vi ho convocata. Io...io...". Gli occhi le si riempiono di lacrime e si copre il volto con le mani. «Mi dispiace molto avervi distolto dai vostri pesanti compiti», continua, «ma avevo tanto bisogno di un viso amico ! Oscar, sono così sola ! Mi sento così disperata!».
 
« Maestà, qualunque cosa vi angusti, io sono al vostro servizio, e a tutto possiamo porre rimedio ».
 
« Purtroppo, nemmeno voi potete fare nulla per me in questo momento, Madamigella. Nessuno può fare nulla ». Il pianto dirotto della Regina Maria Antonietta mi fa stringere il cuore.
 
« La Corte mormora contro di me perché non ho ancora dato un erede alla Francia. Voi sapete che è proprio impossibile », continua. Arrossisce lievemente. «Mi dispiace molto turbarvi con queste tristezze. Oh, voi siete così fortunata, Madamigella Oscar ! ». Mi prende la mani, e mi fa levare in piedi: per tutta la durata di questo sfogo sono infatti rimasta ancora inchinata, un ginocchio piegato, e uno a terra. « Vi invidio tanto, perché voi non dovete conoscere queste miserie. Mia madre... » 
Scoppia nuovamente a piangere, e mi indica con un cenno un foglio posato su un basso tavolino accanto a lei. Lo prendo : è una lettera di sua madre, l'Imperatrice Maria Teresa.
         Non ho mai letto la lettera di una Imperatrice, ma il mio tedesco è ottimo. Un poco imbarazzata, sollevo con riguardo il foglio e scorro velocemente le righe: è evidente che l'imperatrice ritiene Maria Antonietta la sola colpevole del malanimo che la circonda a Corte:
 
"Vi esorto, figlia mia, a porre un rimedio a questa deplorevole situazione ....in ogni matrimonio tutto è da sempre nelle mani della donna:. ....se la moglie è dolce e arrendevole, l'unione andrà per il meglio .... prendete esempio da Vostra sorella Carolina... la sua dolcezza e bellezza hanno subito conquistato il consorte Ferdinando e in due anni ha già partorito due femmine forti e sane e ora aspetta il terzo figlio che tutti auspicano essere un maschio...
Mi sento le tempie in fiamme.
"Madamigella Oscar, solo voi mi potete comprendere! Perché anche voi sapete come si può vivere senza...."... la Regina alza gli occhi, me li pianta in viso, così, pieni di lacrime, e non conclude quella frase, che aprirebbe le porte a un discorso così intimo da essere imbarazzante per me, e anche per lei.
 
Senza che cosa si può vivere?
 In che cosa la mia esistenza è uguale a quella della mia Regina?
Senza amore? Senza un compagno nel letto e un figlio nella culla?
 Oppure senza un confidente, una fedele testimone della propria vita e dei propri affanni?
Resto in attesa. In attesa di una parola, di una chiarezza che non arriverà mai.
 
"Vi avrei chiamata anche per un'altra questione. Come sapete, Sua Maestà il Re mi ha concesso di poter giocare alla roulette", e, mentre pronuncia queste parole, arrossisce lievemente. Poi, ritrova coraggio e continua: "Madamigella Oscar, mi costa fatica confidarvi questo dubbio, e vorrei davvero sbagliarmi, ma.... io temo che la contessa di Polignac stia abusando del favore che le ho dimostrato in questi ultimi tempi". Ancora uno scoppio di lacrime, con la regina che si tiene il volto fra le mani, disperata.
 
 

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Capitolo 3
*** 3 - Che fare? ***


 
III – CHE FARE ?
 
Oscar
Quando esco dagli appartamenti reali, mi sento addolorata, infuriata, e soprattutto in colpa : tremendamente  in colpa.
 
Se solo fossi stata più vicina alla mia Regina, non si sarebbe sentita tanto sola da doversi legare, così strettamente e in un tempo così breve, alla contessa di Polignac. E questa è tutta colpa mia, in fondo: il mese di sospensione dal servizio che mi è stato inflitto come punizione non avrebbe avuto ragione di essere, se solo avessi dominato la mia impulsività e non avessi provocato il duca di Germaine sino a venire sfidata a duello .. .E una volta che ciò è accaduto, era impossibile non accettare la sfida. Avrei dovuto contenermi, trattenere le parole.
 
Ma era possibile, davvero, lasciare impunito un essere tanto spregevole?
 
Il mio compito, però, è da sempre stato quello di difendere la mia Regina, di non lasciarla mai, di non abbandonarla: avrei dovuto ingoiare le offese del duca, forse, pur di non mettere la mia Regina nella situazione di sperimentare il vuoto attorno a sé?
 
Avevo dunque fallito, venendo meno, per orgoglio, al mio giuramento di fedeltà.
 
Rientro nel mio ufficio di comandante, mi siedo alla mia scrivania di legno di rosa intarsiato, e convoco André, insieme con Girodelle. Anche lui conviene che le perdite della regina alla roulette si ripetono con una disarmante regolarità; e che sarebbe opportuno indagare sul croupier che presiede sempre le partite alla roulette della Regina: un italiano, un certo Alfonso, che si può ritrovare spesso al Casinò di Parigi, ma che presta la sua opera anche in partite disputate in certi circoli privati, frequentati da nobili e ricchi borghesi in cerca di emozioni forti.
 
Alzo gli occhi su Girodelle, senza dire nulla, ma credo che il mio sguardo sia molto eloquente : ne sa davvero parecchio, di quel che accade al Casinò, e non solo.
 
Girodelle deve avere colto la portata del mio sguardo : per un attimo mi fissa con i suoi occhi chiari, tanto perspicaci da sembrare spesso vacui ; poi, sceglie di non dire nulla, ma, continuando a elaborare la linea d’azione cui attenerci, propone di andare direttamente al Casinò di Parigi, per capire che genere di personaggi ruoti intorno alla contessa di Polignac, e per cercare di strappare un invito in uno dei circoli privati.
 
"Ottima idea, Girodelle".
 
"Ma...", obietta il mio secondo.
 
"Ma che cosa?", lo incalzo, seccata da quella contrarietà che sembra profilarsi all'orizzonte.
 
"Madamigella Oscar, inizia a spiegare Girodelle, con la sua voce pacata e suadente, "non credo che a corte vedrebbero di buon occhio il Comandante delle Guardie Reali, se mettesse piede al Casinò, e sarebbe ancora peggio se veniste vista in uno dei circoli privati dove il gioco, e le perdite, possono diventare veramente ... imponenti ». Girodelle si interrompe (per prendere fiato ? Oppure per sondare le mie reazioni ?). Certo parla come se conoscesse con precisione ciò di cui sta parlando.
 
Che sia un frequentatore abituale delle case da gioco?
 
I nostri occhi si incrociano per un attimo, poi Girodelle abbassa lo sguardo, e continua: "La carica di Comandante implica un certo ... distacco, una certa superiorità rispetto alle passioni che dilaniano la massa dei nobili, Madamigella Oscar, e credo che anche la vostra proverbiale sobrietà, così nota a Corte, contribuirebbe a creare un clima di sospetto attorno alla vostra presenza al Casinò. Mentre invece, il vostro sottoposto potrebbe avere maggiore libertà di movimento".
 
Fisso Girodelle, ormai apertamente stupita, e nemmeno André riesce a evitare di sgranare gli occhi. "Voi?!", chiedo.
 
"Sì, io, Madamigella Oscar", risponde, imperturbabile, Girodelle. "Ho frequentato anche in altre occasioni il Casinò di Parigi, in altri tempi" (quest'ultima precisazione sembra una aggiunta speciosa, appiccicata in extremis a mo' di giustificazione, annoto mentalmente); "e non desterei alcun sospetto: è in fondo normale che il sottoposto di un ufficiale di grande rigore cerchi a volte distensione lontano in luoghi in cui il suo superiore non metterebbe mai piede", afferma con un sorriso.
 
"E così", aggiunge, "potrei rendermi conto di che pasta sia questo Alfonso, che pare diventato il braccio destro della Polignac nelle sue partite notturne a Versailles".

"Ma anch'io voglio rendermi conto di che cosa accade al Casino e di quali mire animino la contessa di Polignac!", obietto. E non aggiungo che non intendo mai più abdicare dal mio compito di essere direttamente coinvolta in tutto quello che riguarda la sicurezza e il buon nome della Regina.
 
"Madamigella, temo che questo sia proprio impossibile. Riflettete : se vi vedessero, tutti i giocatori, i croupier e il personale, come reagirebbero, sapendo di dover giocare d'azzardo - e forse anche barare - sotto gli occhi del più severo ufficiale fedele alla Corona?

Girodelle è persuasivo e il suo ragionamento fila perfettamente, ma non posso accettare di venire messa da parte, solo perché sono notoriamente una persona corretta e rispettosa delle norme e delle leggi volute dal nostro Re.
 
"Allora verrò anche io, rendendomi irriconoscibile!", mi esce d'impulso di bocca.
 
"E come, Oscar?!", interviene scettico André, fulminato da uno sguardo affillato di Girodelle, certo incredulo che un attendente, il mio attendente, si permetta certe libertà. "Sei una delle figure più popolari e note a Versailles, non dimenticarlo".
 
"Non se mi vestirò con abiti femminili!", mi sfugge. E subito dopo mi mordo la lingua: mio Dio, che enormità ho detto?! Anni fa, quando Maria Antonietta, ancora Delfina, era prossima a giungere in Francia, rifiutai sdegnosamente di indossare, per meglio proteggerla dalla congiura che si stava ordendo contro di lei, un orripilante abito da donna, tutto trine, pizzi e nastri, la quintessenza della leziosità, che mio padre mi voleva imporre.
E ora, ora lo propongo io stessa?
 
"Ma che stai dicendo, Oscar? Tu, vestita da donna?", chiede, incredulo, André, con una mezza risata che trovo sottilmente, e inesplicabilmente irritante.
 
"Che ottima idea!", esclama in contemporanea Girodelle, scoccandomi una strana occhiata in tralice, da sotto le lunghe ciglia : se le farà piegare tutte le mattine dal suo barbiere, per ottenere quell’effetto straordinariamente ricurvo ? mi chiedo, all’improvviso, osservandogli gli occhi per la prima volta, e trovandoli stranamente simili a quelli delle bambole di mia sorella Hortense.
 
Ma devo ora tornare al nostro discorso, e alla proposta, veramente pazza, che ho appena pronunciato : ora che quella enormità mi è sfuggita dalla chiostra dei denti, vorrei richiamarla indietro. Io con un abito femminile? Mi sento tremare e mancare al solo pensiero. Ma non posso rimangiarmi quanto ho appena proposto. E non posso certo lasciare che sia solo Girodelle a indagare sulla contessa di Polignac.
 
Perfeziono il mio piano con Girodelle e André, anzi, solo con Girodelle, perché André è stato colto da un insolito mutismo e resta appoggiato al muro, vicino alla porta, le braccia conserte, come estraniatosi da tutti i discorsi successivi fra me e Girodelle.
 
Se non conoscessi André meglio di me stessa, direi che sembra quasi offeso, e tale resta, corrucciato e silenzioso, per tutto il percorso verso casa.
Ma che gli succede?
 
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Ed ecco qui un titolo che farebbe piacere al signor Vladimir. Per il resto,  ve l’ho detto, no?-, che trattasi, almeno all’inizio, di feuilleton. E allora, lasciamoci un poco andare alle convenzioni del genere letterario (azione, emozioni forti, salvataggi in extremis, travestimenti), e facciamo anticipare a Oscar, ma per ben altri motivi (senso di colpa ? Senso del dovere ? Orgogliosa volontà di non dipendere da Girodelle in questa indagine ?) una decisione per lei epocale. Faites-moi confiance, so dove voglio andare a parare. A presto !

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Capitolo 4
*** 4 - Il posto più buio è sempre sotto la lampada... ***


IV- Il posto più buio è sempre sotto la lampada....
 
André
« No, andrai soltanto tu da Madame Bertin, André».
 
Oscar è perentoria, ma io non riesco a capacitarmi di quell'ordine.
 
« Io ? Ma Madame Rose Bertin mi ha visto a corte, Oscar: mi riconoscerebbe immediatamente ! »

« Non credo proprio, André ! In fondo, nessuno si sofferma a guardare con troppa attenzione un servitore ».
Oscar parla con leggerezza, sorridendo e reggendo il bicchiere con il cognac, ma in corrispondenza dell’ultima parola la voce si incrina, si oscura impercettibilmente « Sono più che certa che passerai completamente inosservato ! », taglia corto. Poi, leva il bicchiere con una sottile risata e si avvia verso il violino.
Un servitore. Oscar : questo sono per te ? Un servitore e nulla di più ? Se solo sapessi, Oscar, che io darei tutto per te, anche la vita.
Adesso Oscar ha lasciato il bicchiere sul tavolo e ha recuperato il suo violino; l'archetto, percorre veloce le corde, fra salti di ottava feroci e trilli scatenati, mentre Oscar, gli occhi socchiusi, è appartentemente impassibile, né un solo muscolo si muove nel suo viso da sfinge bionda ; e io, come tante altre volte, come in innumerevoli occasioni, in questa tantalica teoria di giornate che è sempre stata la mia vita in questa bella e ricca casa, mi abbandono sulla poltrona, per un attimo, le braccia sotto la nuca, il viso alzato verso gli affreschi del soffitto di Palazzo Jarjays.
Avevo sei anni quando tu mi indicasti per la prima volta il soggetto di quegli affreschi. Eravamo stesi su questo tappeto su cui ora poggiano i miei piedi, le teste vicine quasi a sfiorarci, i miei capelli neri accanto ai tuoi, biondissimi e arruffati, e tu, bella come un cherubino, ancora accaldata e ansante per la corsa su per lo scalone d’onore, avevi alzato la tua piccola mano bianca e con l’indice mi mostravi il soggetto delle decorazioni : « Ecco lassù, Psiche alla ricerca del suo sposo. Psiche ha le fattezze di mia nonna, figlia del grande Georges de la Tour. E Venere ha il volto di Madame Palatina, la moglie di Monsieur, la cognata del Re, per intercessione della quale il mio bisnonno, primo della famiglia Jarjayes, ebbe la nomina a conte, dopo quella di comandante delle Guardie Reali dal grande Luigi XIV. E un giorno, dopo il mio bisnonno, mio nonno e mio padre, anche io rivestirò quell’uniforme rossa ». La tua sicurezza, la tua serietà mentre pronunciavi quelle parole, il tuo visetto intento .. .mi avevano conquistato. Tu, che a cinque anni conoscevi i nomi dei membri del tuo casato sino all’ottava generazione che ti aveva preceduta, e io, che a stento ricordavo il nome di mio padre e di mia madre, e che avevo soltanto mia nonna, al mondo.
Quando però avevi, improvvisamente, volto la testa e  mi avevi rivolto uno sguardo con i tuoi splendidi occhi azzurri velati già da quelle ciglia lunghissime che mi confondevano quando mi soffermavo a guardarle, mi avevi detto : «Però serviranno molti anni ancora, prima che diventi colonnello e poi generale. Fino ad allora potrai restare con me, e giocheremo sempre insieme, se tu lo vuoi».  Mi avevi preso la mano, e ti eri rialzata di scatto, trascinandomi nuovamente in giardino.
Da quel momento sono stato tuo, tutto tuo, solo tuo, per sempre tuo.
Perché nei tuoi occhi avevo letto anche la paura della solitudine ....e io non voglio che tu sia sola, Oscar, io voglio che tu sappia sempre di avermi accanto. Anche se a un servo nessuno bada e nessuno lo nota.
Che cosa darei per poter stare ancora una volta steso su questo tappeto con te, dimenticando tutti gli impegni, tutti i doveri, tutte le preoccupazioni, e restare per un intero pomeriggio così, accanto a te, le teste vicine, le ciocche dei nostri capelli mescolati, sentire il calore del tuo respiro, ridere con te mentre vedo il tuo petto, che indovino niveo e liscio, sotto la stoffa della camicia di seta, che si alza e si abbassa a un pollice dal mio viso, vedere le vene pulsare nella fontanella della gola e sognare, oh, solo sognare, di posare le mie labbra sulle tue.
 
Oscar
André dovrebbe essere ormai pronto per la missione nell’Atelier di Madame Bertin.
Missione!
Che parola sciocca, esagerata e fuori luogo in questo frangente!
 La sua "missione", se così possiamo dire, consiste nel farmi confezionare nel segreto più assoluto un abito da sera, adeguato perché io possa presentarmi al Casinò di Parigi venerdì notte in compagnia di Girodelle.
Naturalmente, non posso certo presentarmi di persona e farmi prendere le misure.
Già è un azzardo supporre che nessuno mi riconosca in abiti femminili, ma Girodelle, con quella sua aria sempre impassibile, anche quando si lascia andare a osservazioni acute,  - senza mai gloriarsaene, come se avesse imparato insieme la signorilità e la modestia - ,  mi ha fatto notare che molto poche sono le persone che si soffermano davvero a osservare i lineamenti dei loro interlocutori: un abbigliamento completamente diverso, una acconciatura differente, un ventaglio adeguatamente mosso per ombreggiare il viso, e nessuno, fra le decine, centinaia di persone che ogni giorno, da anni, mi incontrano in divisa per i corridoi e i giardini della Reggia, penserebbe mai di avere di fronte il Comandante delle Guadie Reali.
E per lo stesso motivo, anche André, che ha già incontrato Madame Bertin negli appartamenti della Regina, suggerendole anche il nome del "color pulce" (ma si può battezzare con quel nome una sfumatura di colore?) andrà all'atelier opportunamente vestito, non certo con il consueto, seppur decorosamente elegante,  giustacuore da attendente.
« Oscar, che ne pensi ? Potrei passare per un ricco cavaliere di passaggio a Parigi ? »
André mi aspetta alla soglia della mia camera da letto. Come sempre, decorosamente, con pieno rispetto delle forme e delle convenienze, da quando ho compiuto i dodici anni non ha più varcato quella porta senza una mia esplicita richiesta.
Mi alzo dal morbido materasso di piume su cui stavo distesa, le braccia conserte sotto la testa, mentre ripassavo il piano (piano !) per la serata che presto mi attende.
« Fammi dare un’occhiata »
In quell'attimo, André improvvisa un inchino, mi afferra la mano, con il suo tocco lieve, e mi fa un baciamano, ponendo le labbra leggere fra polso e dorso della mano: "Ai vostri ordini, mia soave Madamigella".
Poi rialza il capo e mi fissa con uno sguardo morbido e ironico.
« Che c’è, Oscar ? Qualcosa ti contraria ? »
« No, André. Sei perfetto. Assolutamente perfetto. Per un attimo, non ti avevo riconosciuto nemmeno io ».
Mio Dio, che cosa è stato ? Che cos’è stato quel calore improvviso alle tempie e quel leggero rimescolamento nello stomaco che ho avvertito al contatto con le sue labbra ?
 André, oggettivamente, è splendido nell’abito nero a ricami argentati. Certo, ho sempre saputo che ha un corpo ben allenato e un portamento nobile : non per nulla, abbiamo avuto lo stesso maestro di danza e abbiamo seguito le stesse lezioni, di scherma, di sciabola, di portamento, ma adesso è come ... come se lo vedessi per la prima volta.
La marsina nera attillata in vita sottolinea l’ampiezza delle spalle e sotto la parrucca e il tricorno che André solleva con un gesto aggraziato brilla un sorriso aperto e gentile (gentile ? Ma che dico ! È il suo consueto sorriso, quello che mi rivolge sempre, ogni mattina che Dio manda in terra), illuminato dal  verde degli occhi, il verde più straordinario che abbia mai visto, un verde che sa di prati roridi al mattino, di lunghe cavalcate nel vento, di sole e di libertà.
André ha gli occhi verdi ? Strano !
Non ci avevo mai fatto caso. Io stessa stento a riconoscere in lui il mio attendente, il bambino e poi il ragazzo che mio padre mi ha messo accanto da quando avevo cinque anni, come compagno di giochi prima e custode della mia persona poi.
Noto che in corridoio l'andirivieni del personale di servizio si è interrotto, e due cameriere sostano poco lontano dalla porta, fissando André. Odo distintamente un sospiro, e dei sussurri: "E pensare che la sua porta è sempre chiusa". "È sempre così, mia cara...chi ha il pane non ha i denti".
"Bene, direi che va benissimo", dico in tono asciutto, cercando di dominare la mia irrequietezza (la mia voce avrà tradito un tremito ?). Gli giro le spalle, perché non voglio che si renda conto del mio respiro stranamente affrettato,
Per fortuna, a togliermi dall’imbarazzo arriva, provvidenziale, Rosalie. 
« Madamigella Oscar, vi ho portato la biancheria pulita ... oh ! André ! Ma siete splendido ! Questo abito vi dona immensamente ! Maddamiggggella Oscar, non trovate che André sembri un cavaliere delle favole?".
Mi volgo bruscamente. Rosalie è certamente stupita dai miei modi sbrigativi e da come io faccia in fretta a liquidare l'argomento : « Bene, io vi lascio ai vostri convenevoli . Mi raccomando, André, accertati con Madame Bertin che le sue lavoranti riportino correttamente le mie misure », e gli lascio in mano il foglio con le cifre e numeri, frutto degli sforzi di nanny con il metro da sarta, bene attenta a non sfiorare le sue dita con le mie, dato che detesto essere toccata (perché poi?).
Restata sola, osservo dalla finestra la carrozza, molto opportunamente quella di servizio, senza il leone a due code in campo blu che regge una spada  -  da cinque secoli stemma nobiliare dei Jarjayes - , che porta André a Parigi, e, quando sparisce dalla mia vista, impugno il violino. Cerco di riprendere la melodia di Tartini con cui, dopo tanti anni da quando l’avevo imparata da bambina, mi cimento ormai ogni sera da quasi un mese, ma sono particolarmente distratta : oggi, non riesco a trovare la concentrazione necessaria per dominare i difficili trilli. Prenderei a ceffoni chiunque me lo facesse notare, ma la verità è che non riesco a non pensare alle spalle di André, al suo sorriso aperto, alle sue labbra carnose, ai suoi occhi verdi ...come ci si deve sentire osservandoli da sotto in su, magari tenendo la testa appoggiata a quel petto così ampio...così ... basta. Chi sa quante cuoche e cameriere hanno appoggiato la testa su quel petto, Oscar!, mi dico. E il suo baciamano? Era un baciamano....scherzoso, Oscar, mi ripeto, solo scherzoso...anche se ... le sue...mani.... Che pensieri sono questi? Ricacciarli indietro, subito (Chi sa quante cuoche e cameriere hanno appoggiato la testa su quel petto, Oscar, mi ripeto, come una litania, e l’immagine si inchioda in testa, al punto che non vedo più nemmeno le note sullo spartito, ma mi sembra che il mio pensiero abbia preso forma sulla carta).. Basta! Concentiamoci su Tartini (e mentre tu passi le tue serate al violino, che cosa fa André? Lo sai? A chi sorridono quegli occhi mentre tu ti eserciti sugli spartiti di Tartini e di Bach? Pensi davvero che un giovane uomo, sano, in forze e desiderabile come André, passi le sue nottate a letto, da solo, leggendo un libro di poesie o il vecchio Cicerone su cui vi eravate esercitati tanto quando avevate tredici anni?). No, no. BASTA. (Questa vocina petulante nella mia testa, da dove viene? Che cosa vuole farmi ammettere?).
 
Si ringrazia per la fan art, Galla88, che qui ci dà una versione con tricorno del « villano ripulito » (V. De Girodelle dixit)
 
....E sì, mi direte : ma perché mai c’è bisogno di tutta questa complicazione, con un André che va en déguisé all’atelier della più famosa sarta parigina ? Non ci potrebbe andare qualche altro servitore di casa Jarjayes ? Beh, insomma : un feuilleton è un feuilleton, e ci sta anche una piccola quota di inverosimiglianza. E poi, volete mettere l’occasione per Oscar di vedere un André « messo giù da gara », come si dice qui ?
 
 

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Capitolo 5
*** 5 - Lire fortifie notre esprit ***


 
V - Lire fortifie notre esprit
 
Avevamo lasciato Oscar a provare e riprovare il suo amatissimo Tartini, giusto? Ed ecco qui il prosieguo....
 
Provo e riprovo, ma Il trillo del Diavolo questa sera è proprio impossibile a eseguirsi. Strano, perché è da quando ho dieci anni che lo conosco - un tempo, anzi, lo eseguivo perfettamente -, e concentrarmi sull’esecuzione di un brano impegnativo, di solito, è un ottimo modo per deporre la tensione alla fine di una lunga giornata alla guida del mio reggimento.
Depongo violino e archetto e vado in biblioteca.
 
 Nell'ampia sala tappezzata di libri, con le loro rilegature in marocchino rosso e verde che spandono un buon odore di cuoio, mi sono sempre sentita a mio agio, e così mi propongo di passare un paio d'ore tranquille, in compagnia dei miei silenziosi amici, per placare il tumulto che sento nascermi dentro.
Sono irrequieta, ma non sono una signorina preda dei suoi umori: non lo sono mai stata, non è così che sono stata educata.
 
Mi siedo nella vasta poltrona dietro la scrivania ; sul ripiano ci sono dei libri: ne sollevo uno: Tibullo.
Chi legge Tibullo?
Mio padre? Non credo proprio.
        Mi viene da ridere: ce lo vedo davvero, mio padre, l'austero Generale Jarjayes, glaciale e severissimo, dopo una giornata chino sulle carte topografiche e militari, intento a ristorare il suo spirito con distici flessuosi che parlano d'amore!
 
         Il sottile segnalibro di raso segna un punto in una delle primissime pagine: Quam iuvat immites ventos audire cubantem/ et dominam tenero continuisse sinu... « Come è bello ascoltare sdraiato nel letto la furia dei venti, /e tenere la propria signora stretta al morbido petto » Lo ricordo bene, questo passo ...[1], ma stasera non sono dell'umore giusto per apprezzarlo.
 
Proprio la lettura  che ci vuole, adesso!, mi dico.
 
Chiudo il libro, spazientita, e afferro l'altro volume che gli sta vicino. Non c'è autore né titolo.
Lo apro, incuriosita, e subito dopo lo richiudo di scatto.
Non è un libro a stampa: i fogli sono ricoperti di una grafia regolare ed elegante che conosco molto bene... È un diario! È ... è ... il diario di André.
 
Mi sento avvampare.
 
André tiene un diario? E da quando? Sfoglio a ritroso le pagine e guardo la data della prima annotazione: 11 maggio 1764, più di dodici anni fa.
La grafia è ancora infantile, tondeggiante, con qualche macchia d'inchiostro. Chi sa se ... scorro le pagine, poi mi fermo. No, non posso. Decisamente, non posso. André deve avere sicuramente dimenticato il suo diario sulla scrivania e non sarebbe felice di sapere che ho curiosato.
 
Non è ... corretto.
 
E poi, io non sono stata educata a nutrire queste curiosità femminili.
 
Ah no, io no, io no.
Non io!
 
Mi alzo.
Mi siedo ancora.
Mi ritorna alla mente l'immagine di André in marsina nera, con il tricorno, il suo scherzoso baciamano prima di lasciare la stanza ...
 
Non posso, non devo ... ma, in fondo: chi potrà mai venirlo a sapere?
 
        Giro la testa, per accertarmi che la porta della biblioteca sia chiusa (chiuderla a chiave, non posso: se qualcuno per disgrazia volesse entrare, a quest’ora poi !, e trovasse la porta chiusa, penserebbe che sto facendo qualcosa di sconveniente... "e avrebbe ragione"; mi dice la vocina nella mia testa, questa volta pericolosamente simile alla voce di André), e poi sfoglio con il fiato sospeso le pagine: da annotazioni estemporanee e molto brevi, ma quasi quotidiane, nei primi anni dell'infanzia, le sue riflessioni si fanno più sporadiche, ma molto più ampie, come se  non sempre André trovasse il tempo di aggiornare il diario, ma quando come se, ogni volta che poteva farlo, volesse arricchire il semplice racconto dei fatti con lunghe analisi.
 
Scorro le pagine con curiosità e trepidazione: chi sa se André ha aggiornato il diario quella sera ... Ed eccola qui, c'è: 26 giugno 1768.
 
RICORDI DA UNA LETTURA  CLANDESTINA
 
        Lo ricorda molto bene lei, quel 26 giugno.
         Era cominciata come una qualsiasi giornata d'estate. La sveglia all'alba, la lezione di scherma con il padre, prima lei, poi André, poi lei e André sotto gli occhi del generale; la lezione di latino, quella di musica per lei mentre André aiutava Jacques a ferrare i cavalli.... una qualsiasi, luminosa, calda giornata di giugno.
        Dopo pranzo, come sempre, si erano eclissati.
Una corsa nel parco, sino a grondare sudore, una breve sosta  sotto la grande quercia per riprendere fiato prima del bagno.
        Si erano anche azzuffati, quel pomeriggio, strattonati e presi a pugni sull'erba, anche più accanitamente del solito, perché Oscar voleva far ammettere ad André che era arrivata lei per prima alla quercia, lei che era stata più veloce e più agile, «perché nella corsa sono insuperabile », gli diceva sempre (Caro André ! Aveva annotato anche questo suo ritornello infantile !).
 
        Ricordava anche che lei, presa dalla stizza perché André non voleva ammettere la sua vittoria, l’aveva strattonato, con una violenza tale che gli aveva strappato una piccola ciocca di capelli: era rimasta di sasso, pensando a che dolore dovesse avergli provocato, ma André l'aveva rassicurata con sorriso: "Via, Oscar! Non mi hai fatto poi così male".
E siccome lei continuava a sentirsi in colpa, lui le aveva detto: "Allora, facciamo così: sono in credito di uno strattone ai tuoi bei capelli biondi, d'accordo? Quando meno te lo aspetterai, ti strattonerò e ti staccherò una ciocca. Va meglio così?". "Molto meglio", aveva detto lei, e l’incidente era stato superato.
 
Poi, una risata e si erano come sempre spogliati per fare il bagno nel lago della tenuta fra scherzi e spruzzi, giocando ad acchiapparsi e a cacciare l'uno all'altra la testa sotto il pelo dell'acqua. Quando ne erano usciti, mentre camminavano sull'erba calda di sole, spintonandosi fra le risate, -e lui cercava di dissimulare il suo sguardo calamitato dall'oro liquido dei capelli di lei - Oscar aveva visto quel sottile rivolo di sangue lungo la coscia.
 
"Oh, no! André, guarda, le sanguisughe!", aveva esclamato, spaventatissima. "Nel lago ci sono le sanguisughe! Chi sa dove si sono attaccate !". Era già successo l’anno prima, che, bagnandosi in uno stagno, fosse riemersa con un poco simpatico animaletto attaccato alla coscia.        Anche se era stata educata a non avere ribrezzo di nulla, quella volta non era riuscita a ostentare indifferenza, ed era stato André a doverle staccare la sanguisuga dalla pelle, dove era rimasto un segno che, a distanza di anni, spiccava ancora sul biancore della coscia.
 
        "Ma no, che dici, Oscar, le sanguisughe vivono solo nell'acqua stagnante", aveva risposto lui, con il suo solito tono calmo e tranquillo; poi aveva abbassato lo sguardo sulla sua coscia, ed era arrossito violentemente. "Non credo che siano le sanguisughe. Oscar, è meglio se ti rivesti ... se ci rivestiamo. Vieni, torniamo a casa".
 
"Ma perché? Ma che cosa è successo?"

"È meglio se ne parli..." e qui André si era interrotto. Con chi doveva parlarne esattamente Oscar? Con la madre, per volontà del Generale, Oscar non aveva nessuna confidenza, non più di un qualsiasi figlio maschio; e poi, la contessa Marguerite era perennemente a Versailles come dama di compagnia di una delle figlie del re; le sorelle erano chi già sposata, chi in convento per educazione in vista del matrimonio, e lui non non arvrebbe avuto certo cuore di abbandonare la sua Oscar a una qualsiasi delle cameriere che magari l’avrebbe trattata con sufficienza, o peggio, derisa sguaiatamente per quella incredibile ignoranza. Ecco: il dottor Lassonne! Certo! Chi meglio di lui? Ma come poteva André farlo chiamare? Sulla base di quale autorità ? Avrebbe dovuto andare dal Generale e dirgli ... dirgli ... che cosa? "Signor Generale, dovreste chiamare il dottor Lassonne perché Oscar...insomma, le deve spiegare...e io come l'ho saputo? Perché nei pomeriggi d’estate con vostra figlia facciamo il bagno insieme nel lago della tenuta".
        No no, meglio morire.
        Anzi, l’imbarazzo era un deterrente persino superiore al timore della punizione del Generale. Accidenti, adesso sta' a vedere che anche queste cose avrebbe dovuto spiegargliele lui! Poi, l'illuminazione: la nonna, ecco! Sì, chi meglio di lei? Come non aveva potuto pensarci prima?
"Forse è meglio se ne parli con Nanny, Oscar. Vieni".
 
        Erano entrati di soppiatto in cucina. La nonna stava per alzare la voce per rimproverarli, vedendoli bagnati fradici, i capelli ancora stillanti acqua, poi, quando i suoi occhi avevano colto lo sguardo imbarazzato di André e gli occhi azzurri sgranati di Oscar, si era zittita subito.
        Per qualche giorno non aveva più rivisto Oscar se non per le lezioni e per le esercitazioni con il fioretto e la sciabola. Durante le lezioni, gli sembrava che evitasse il suo sguardo, imbarazzata e taciturna, concentrata solo sui libri, l’inchiostro e il calamaio.
        Due giorni dopo, passando davanti allo studio del generale, aveva intravisto il dottor Lassonne dare le spalle alla finestra, seduto al posto del suo padrone, e Oscar di schiena, i capelli biondi incendiati dal sole del tramonto.
"E non c'è nessun modo per evitarlo, Dottore?", aveva chiesto, in tono di supplica sconfortata.
Si era appiattito contro il muro, appena a lato della soglia.
"No, Solo in gravidanza, Madamigella".
"Oh. Quindi non potrò più evitarlo. Mai più... E fino a quando....andranno avanti?"
"Non c'è una data precisa, madamigella: in qualche caso sino ai cinquant'anni, e oltre".
 
"Cinquanta??!!!". La voce di Oscar doveva avere un che di sconcertato, anzi, di disperato. "Ma è tutta una vita!":
 
        Oscar ricordava benissimo quelle giornate. Se fino ad allora aveva potuto illudersi di riuscire a vivere come il maschio che aveva creduto di essere sino a quando il confronto con André non l'aveva disillusa in proposito, la sua comprensione di che cosa significasse esattamente appartenere al sesso femminile era stata sempre piuttosto nebulosa, ma quel giorno il tempo e la natura l'avevano messa di prepotenza di fronte alla realtà dei fatti, ineludibile, e così squallida.
 
        Nanny, poi, le aveva solennemente vietato di fare il bagno, da quel momento in poi, con André, e di farlo entrare nella sua stanza. Adesso, però, Oscar scopriva che la cara, affezionata Nanny non era stata meno perentoria con il nipote, che così aveva riportato sul suo diario gli ordini della nonna: "La nonna mi ha severamente vietato di prendere il bagno con te, di spogliarmi in tua presenza, di entrare nella tua stanza. Il Generale, da parte sua, è stato meno esplicito, ma più perentorio e insieme più allusivo e contraddittorio, dicendomi solo: "André, da questo momento in poi ti ordino di avere per mio figlio Oscar lo stesso rispetto e distacco che avresti per una giovane donna che ti fosse stata affidata. Non deludermi ».
 
        Oscar girò pagina: il cuore perse un battito mentre i suoi occhi percorrevano le righe successive:
 
Oh, Oscar, non saprai mai che pena e che tenerezza profonde ho provato per te da quel giorno, tutti i giorni! Già da tutta la primavera, e dall'inverno che l’ha preceduta, ho spiato i tuoi fianchi arrotondarsi impercettibilmente, il tuo seno premere sempre più contro il tessuto delle camicie, le tue gambe farsi più lunghe, le cosce più piene e insieme affusolate; e ho tremato, perché presagivo che non sarebbe stato molto lontano questo giorno, questo giorno che ci ha divisi; perché tu ora sei una donna, e non potrai più avere con me la stessa confidenza di prima, non potrai più raggiungermi sotto le coperte la notte per leggere di nascosto la storia di Sindbad il marinario, non potrai più fare il bagno con me, non potremo più essere solo io e te.
Adesso sei davvero sola, Oscar, sei una donna fra gli uomini, un essere bellissimo che tutti guarderanno con curiosità e forse anche con desiderio e morbosità, una creatura che non potrà avere la confidenza di un'amica o di una madre, e che dovrò tenere a distanza anche io? Oscar, vorrei che tu lo ricordassi, che lo sapessi: per te io ci sarò sempre. Non potrò mai dirtelo con queste parole, ma sarò sempre, comunque, in tutti i modi che potrò, al tuo fianco.
Stanotte ho sostato fuori dalla tua stanza, davanti alla porta: sentivo il tuo pianto, i tuoi singhiozzi soffocati. È stata la prima volta che hai pianto senza che ci fossi io a consolarti con un abbraccio e un bacio sulla guancia. Tenevo la mano aperta sul legno della porta che ci divideva, e pensavo a te, da sola , seduta sul letto, le braccia appoggiate alle ginocchia, la testa fra le mani. Tu non lo sai, Oscar, ma io ero lì, con te.
Tu non sarai mai sola, perché ci sarò io, io che sono stato il tuo compagno di giochi, il tuo servo, il tuo amico devoto, la tua metà perfetta, il solo a conoscerti per quello che davvero sei, mia unica e insostituibile Oscar. Credimi, Oscar: te lo giuro: con me, tu non sarai mai sola.
Leggeva tormentandosi le labbra, e, alle ultime parole, si asciugò una lacrima che scorreva sulla guancia. Caro André: ecco spiegati il suo imbarazzo e la sua titubanza nei giorni successivi.
 
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Ed eccoci qui: dal feuilleton siamo passati a un episodio di taglio più intimista; tema forse non nuovissimo (in particolare, ringrazio per lo spunto Mareggiata); ma, quanto alla sanguisuga, chi ha avuto, come la sottoscritta, il piacere di trovarsene una addosso, di norma non si avventura più per laghi e laghetti: Però, Oscar, lo sappiamo, è differente!
Per il dettaglio della ciocca di capelli... come dimenticare Carlino e la Pisana, la coppia più bella della letteratura italiana, e quella con l'amore più travagliato, dopo Tancredi e Clorinda? Quanto al Casinò.....può aspettare ancora un po'. Ma ci arriveremo, oh se ci arriveremo!
 
[1] Allusione alla mia FF Dopo il lampo arriva il tuono - Parte I.

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Capitolo 6
*** 6 - Troubles passés, troubles présents ***


Dopo la parentesi dedicata al « Ritorno a casa » di Oscar, in seguito alla liberazione di Bernard, torniamo ai nostri déguisements. Avevamo lasciato Oscar in biblioteca, intenta a rievocare, in una lettura poco ortodossa, una giornata fondamentale nella sua vita.... ed ecco il seguito, nei suoi ricordi, e qualche passo avanti che ci conduce alle soglie del Casinò. Per il prossimo aggiornamento, anticipo che ci sarà un regalo di Galla88.... e attenzione a San Valentino ! Data sempre assai perigliosa : Charlie Brown lo sa bene !
E, sempre, grazie a Jun’Ichiro, senza il quale questo non sarebbe stato possibile.
 
VI - Troubles passés, troubles présents.
 
Una settimana dopo, avevano fatto una lunga cavalcata, spingendo César e Alexandre al galoppo sino al lago. Smontati da cavallo, si erano distesi sotto la loro quercia. La calura di inizio luglio non dava tregua e non tirava un alito di vento.
"Bene, io ho troppo caldo: credo che farò un bagno rinfrescante", aveva detto, alzandosi e inziando a spogliarsi.
 
"Ma, Oscar...", aveva balbettato lui. "Nanny...tuo padre, ci hanno vietato di fare il bagno insieme":
 
"André, ma noi non stiamo facendo il bagno insieme"; aveva sorriso lei, sciogliendo il laccio della camicia e togliendosela, restando vestita solo della sottilissima camiciola di batista. "Io voglio prendere un bagno rinfrescante perché sono molto accaldata, e tu non stai facendo altro che seguirmi per tenermi d'occhio come ti è stato comandato di fare, e per controllare che non mi succeda nulla di male, secondo quanto rientra nelle tue mansioni".
Quindi aveva finito di spogliarsi e, ammonticchiati gli abiti, si era avviata verso quell'invitante specchio d'acqua fresca.
E lui, André, aveva raccolto quell'invito che era anche una sfida, aveva fatto lo stersso e l'aveva seguita, e per quel giorno avevano ancora giocato e scherzato come quando erano bambini, perché André aveva capito che, nonostante fosse bella come Diana al bagno, Oscar non aveva agito per provocarlo, o per malizia,  - cosa di cui era completamente priva-: no, con il suo gesto voleva solo ribadire che per lei nulla era cambiato, fra loro due, che era sempre la sua compagna di giochi, di duelli, di nuotate, di cavalcate, di tutta una vita; che nulla doveva cambiare, che lui era il solo punto fermo di un'esistenza che cambiava troppo velocemente, e che anche se presto non sarebbe più stato tempo di correre e saltare, per quanto possibile Oscar non avrebbe mai rinnegato quegli spazi di spensieratezza e confidenza che aveva saputo costruirsi e strappare con André.
 
« Qualcuno ti troverebbe stranamente somigliante alla Diana al bagno degli affreschi del salone da ballo», aveva cercato di scherzare lui, un attimo prima di immergersi nel lago, testimone di tanti loro pomeriggi spensierati.
 
« Vedi di non fare la fine di Atteone, allora », gli aveva risposto Oscar, con una risata,. « E sbrigati a venire in acqua, o faremo tardi », aveva aggiunto.
 
Come Atteone ... quelle parole gli erano evidentemente risuonate a lungo nella testa. Un semplice richiamo mitologico, scontato e naturale: quante volte avevano letto Ovidio e Omero insieme?
 Quante volte avevano ragionato di miti?
"Io mi sento Achille", diceva lei. Achille, biondo e bellissimo come la sua Oscar, pensava André ; però, sicuramente, Oscar non pensava all’aspetto fisico, in quella identificazione : al suo aspetto, lei, non ci pensava mai. "Ma Achille muore giovane, Oscar", obiettava debolmente lui.
 "Però Omero non lo dice, André: ce lo mostra vincitore. E anche clemente, alla fine". "Io invece mi sento Ettore", azzardava André.
 "Ma è Ettore è sconfitto, André!" E invece ... forse Oscar aveva capito, e aveva fatto finta di niente, o forse no.  E se non aveva capito, forse, era meglio così.
 
Oggi mi hai raccomandato di guardarmi di fare la fine di Atteone, Oscar. Oh, Oscar, ma tu lo sai, vero, che io per te  mi farei sbranare da mille e mille cani, sopporterei di tutto, pur di stare con te, pur esserti accanto, pur di vederti, trionfante nella tua bellezza purissima...
E adesso Oscar,  leggendo di nascosto ("a tradimento", si rimproverò, mordendosi il labbro : e non era forse il tradimento un crimine degno della corte marziale, per un soldato ?) quelle parole sul diario di André, si sentiva terribilmente imbarazzata, e capiva, anni dopo, che lui aveva compreso tutto di lei, che le aveva sempre letto dentro come nessun altro aveva mai saputo fare.
 
Ora si sentiva anche in colpa, però, perché per quell’incarico al Casinò di Parigi gli aveva preferito Girodelle.
 "Assurdo"; si riscosse, scuotendo la testa di riccioli biondi, "Assurdo. Perché mai dovrei nutrire dei sensi di colpa? Quella di Girodelle è stata la scelta più ragionevole e corretta. Il casinò è un luogo affollato di nobili, e il visconte di Girodelle non solo sarà una presenza naturalissima, ma non si formalizzerà certo a giocare, e forse a perdere, forti somme":
 
Avrebbe voluto andare avanti nella lettura, ma era ormai chiusa in biblioteca da troppo tempo, e rischiava di essere scoperta. Rimise il diario nella stessa posizione in cui l'aveva trovato, e riguadagnò la sua stanza con il cuore in tumulto, combattuta fra la sorpresa, la tenerezza, il senso di colpa, lo stupore, e un sottile turbamento, un'inquietudine prima sconosciuta, ma non del tutto spiacevole.
 
PALAZZO JARJAYES, venerdì sera.
 
« Oscar, sei sicura di ricordare come si danza da donna ? « 
« André, non essere impertinente ! ». Nanny, con tono piccato, aveva preceduto la sua risposta.
« Non credo che sarà necessario danzare, André. Sto andando al Casinò, non a un ballo a corte. E in ogni caso ci sarà Girodelle, se sarà necessario, a rinfrescarmi la memoria »
Ecco, l’aveva detto. Si sarebbe morsa la lingua, adesso. Guardò André, temendo di incrociare uno sguardo offeso.
 Invece nei suoi occhi brillava una fiammella scoppiettante di sarcasmo.
« Nel caso, potrai sempre chiedergli di essere tu a guidare. In fondo, è pur sempre un tuo sottoposto, no ?!»
« André !Ma si può sapere che cosa ti prende questa sera ?! Come ti permetti di parlare in questo modo a Madamigella Oscar ?! ». La nonna sembrava fuori di sé, forse perché anch’ella sentiva l’emozione connessa all’avvenimento epocale della serata ; ma André con una risata minimizzò il suo sdegno, e si allontanò.
« Va bene, va bene ! Ho capito: ho esagerato ! Mi ritiro in buon ordine ! », disse dandole le spalle e infilando la porta, non prima di avere afferrato una mela rossa da un cesto; e si allontananò così, mentre la lanciava in aria e la riprendeva al volo, ritmicamente.
 
André
Oscar....ma tu credi davvero che io ti abbia lasciata andare a cuor leggero al Casinò ? Con Girodelle ?
 E se fossi in pericolo ?
E se venissi riconosciuta?
E soprattutto, credi che sarei felice di sapere che, se mai danzerai mai in abiti femminili, tu lo farai per la prima volta stretta a Girodelle, e non a me ?
Sono un pazzo, lo so, ma ricordo quando, dopo le prime lezioni di ballo con il maestro Lubin, un giorno, sull’erba, ti avevo proposto di ballare facendoti guidare.
« Ma così ballano solo le femmine, André ! »
« Oscar, ma tu sei una femmina ! »
Mi avevi guardato contrariata, con una luce stranamente fredda nei tuoi occhi color fiordaliso.
« Vedi, potrà sempre sempre accadere che tu debba ballare in abiti da donna", avevo provato a giustificarmi, mortificato, ghiacciato da quella lama azzurra nei tuoi occhi.
 
 Ma tu avevi continuato a guardarmi sdegnata, come se mi fosse uscita di bocca una enormità clamorosa, e allora avevo chinato il capo e lasciato perdere, mi ero arreso, come sempre, e avevo fatto cadere il discorso.
In fondo, non è dovere di un buon attendente darla sempre vinta al suo padrone?
 
         Eppure, Oscar, tu non lo saprai mai, ma io, se solo potessi, ballerei con te di fronte al re in persona,  anche mentre indossi la tua uniforme rossa, soprattutto mentre indossi la tua uniforme rossa, che ti rende così altera e regale, mentre solo io so quanto tu possa essere anche dolce e fragile: perché tu sei questo, Oscar, la mia insostituibile, preziosa, unica Oscar.
 
 
 

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Capitolo 7
*** 7 - Faites vos jeux ... ***


VII – Faites vos jeux  ...
Oscar
La carrozza di Girodelle è arrivata puntuale. Inappuntabile, come sempre, il mio secondo. Questa sera, smessa la divisa, indossa un abito di velluto di seta blu con un pesante gilet dorato ricamato nella stessa tonalità della giacca; lo jabot impeccabilmente inamidato, impreziosito da un calcedonio azzurro con inciso lo stemma di famiglia, fa bella mostra di sé, candido nel blu che mima la morbidezza della notte, e poi, a ricordare il rango e il suolo del visconte de Girodelle, al suo fianco, in luogo dello spadino, batte la spada. Lui, Giordelle, di certo, si sente sempre a suo agio, in duello, come a un ballo, al Casinò come per i viali della Reggia, intento a fare il baciamano a incantevoli dame e a vecchie nobildonne decotte la cui sola bellezza sta nel titolo nobiliare. Non si sente mai fuori posto, e non credo abbia mai l’ombra di un dubbio : gli viene ugualmente naturale comandare, alle Guardie Reali, e obbedire, a me.
Sospiro.
Non oso volgermi a osservare lo sguardo di André ... se pure si è soffermato sulla soglia per assistere alla nostra partenza.
Girodelle mi attende davanti alla carrozza e mi porge la mano per aiutarmi a salire gli scalini della carrozza, visto che non sono abituata al panier e alle sottogonne voluminose.
"Aspettate, comandante Jarjayes: questo abito vi ingombra nei movimenti"
Non c'è che dire: Girodelle è sempre impeccabile. Preciso e  impeccabile; non per nulla molte dame a corte sospirano per lui, secondo quel che mi riferisce André, quando la sera sediamo davanti al camino, un bicchiere di Armagnac a scaldare la serata, e lui si scatena informandomi sugli ultimi pettegolezzi di Corte. E Girodelle, se sfrutta il suo fascino su contessine e baronesse, beh, in fondo non fa nulla di male : anzi, fa benissimo.
Apprezzo la sua delicatezza, il suo astenersi dal commentare il mio aspetto, il suo porgermi la mano chiamandomi non "Madamigella Oscar", come di consueto, ma "Comandante de Jarjayes", quasi intuendo il mio sottile disagio nel vestire questi panni così inediti, e come a ribadire, ma senza dirlo in modo esplicito, che questa è una missione, in cui non c'è spazio per le frivolezze e per i vacui apprezzamenti, e che in questo momento siamo solo il Comandante e il Vicecomandante delle Guardie Reali, intenzionati ad appurare se la nostra Regina sia vittima di trame disoneste.
Tuttavia, mi sorge spontanea alle labbra una domanda, o meglio, più che una domanda, una affermazione: "Girodelle, voi siete sempre molto attento al vostro aspetto".
"Trovo che la cura di sé sia indispensabile per le Guardie Reali, per il rispetto dovuto ai nostri sovrani, e perché un aspetto trascurato andrebbe a detrimento della considerazione di cui devono sempre godere il Re e la Regina".
Annuisco gravemente. Girodelle è sempre così: tanto elegante e levigato nell'aspetto, quanto preciso, conciso, persino secco nella sua capacità di centrare il cuore di ogni questione.
E però, dopo aver udito la sua risposta, mi torna alla memoria la frase sprezzante che sentita in una taverna, in una serata passata con André fra boccali di birra e vino rosso, quando uno degli avventori aveva riconosciuto la mia uniforme: "Le Guardie Reali! Puah! Bambole da esposizione!".
 
Girodelle
Ecco, l'ho vista finalmente in abbigliamento femminile, il mio comandante, Madamigella Oscar.
Per questa serata ha indossato un abito nero, nero come la tenebra di queste ore che trascorreremo insieme, ampio e dai riflessi notturni, dalla profonda scollatura, orlata di merletto nero che ombreggia il suo seno candido creando, con i suoi minuscoli trafori, dei giochi di trasparenze che attirerebbero l'attenzione di un santo. Il lucore della sua pelle di madreperla contrasta in modo persino doloroso con le sete nere e cangianti del vestito. L'oro biondo dei suoi capelli è ingabbiato in una complicata acconciatura che le lascia scoperto in parte quel collo da cigno, vera turris eburnea;  le spalle esili e insieme forti sono semiscoperte, ed esposte alla vista sono le clavicole su cui far passare leggere le dita, per poi soffermarsi alla fossetta alla base del collo....e poi, quei laghi azzurri ombreggiati dalla veletta nera, da sollevare piano per poi posare un bacio leggero sulle palpebre sottili e delicate, che immagino fremere mentre un vago, tremante gemito vi sale dalla gola trepidante...
No, Madamigella Oscar, io in voi non ho mai visto altro che una donna, fin dal primo giorno in cui vi ho conosciuta, fin da quel primo duello nel bosco, in cui eravate così orgogliosa, così proterva, così inesorabile.
 Pure, so benissimo che in questo momento non cercate la facile ammirazione che un uomo può esprimere per una splendida donna; e chi sa mai se la cercherete. E io, fino a quel momento, non ve la esprimerò, la coltiverò silenziosamente nel mio cuore e nel mio spirito. Perché il mio sogno più grande è un giorno chiedere la vostra mano, Madamigella Oscar: ma sino a quando non potrò farlo con la ragionevole sicurezza di sentire dalle vostre labbra quel "sì" tanto agognato, continuerò a starvi accanto silenziosamente, donandovi la mia obbedienza aperta e la mia segreta devozione.
 
Oscar
"Bene, Girodelle, ricapitoliamo il nostro piano: questa sera voi avete condotto al Casinò di Parigi una vostra lontana parente proveniente da Venezia. Io non mi farò scrupolo di giocare con leggerezza, in modo anche piuttosto sconsiderato, per dare a tutti l’impressione di essere incapace di contenere la passione per la roulette. E questo, se davvero quell’Alfonso è un croupier disonesto, dovrebbe invogliarlo ad approfittare della mia ingenuità scriteriata ». Detto così, suona quasi divertente, penso.
« Siamo intesi, Comandante », annuisce Girodelle. E poi aggiunge : « Dal canto mio, mi sono accertato che quell’Alfonso sia davvero di servizio stasera al tavolo della roulette ».
« Bene ». Non oso pensare come abbia fatto Girodelle a sincerarsi di questo ; ma non voglio indagare. Mi si affacciano agli occhi della mente scene che mi vergognerei a descrivere : come è possibile ?
Un semplice vestito, insieme a una pettinatura nuova, può a tal punto cambiare la percezione che una persona ha di se stessa, da indurla a fare pensieri che mai le sarebbero passati per la testa prima?
Che vado a pensare. Girodelle avrà semplicemente allungato qualche moneta di soppiatto a qualche dipendente del Casinò per conoscere i turni alla roulette di questo Alfonso.
Riprendo a concentrarmi sulle parole del mio secondo. "Girodelle, per favore, potreste ripetere quanto stavate dicendo? Perdonatemi, ma credo di essermi un poco distratta".
Noto un lieve sorriso a increspargli il volto; per fortuna, si cancella immediatamente, perché risulta piuttosto irritante. "Vi stavo chiedendo se mai vorrete concedermi l'onore di sopperire, almeno in parte. alle vostre perdite programmate alla roulette". So che gli costa fatica una simile proposta, e lo blocco subito: "Oh, non vi preoccupate, Girodelle: mi sono provveduta di una cifra ampiamente necessaria a coprire le perdite al gioco". A quanto mai potrebbe ammontare una perdita, per quanto rovinosa? Mi sono portata cinquecento livres, e mi sembrano già una enormità.
 
DENTRO IL CASINÒ
Oscar
Finalmente, facciamo il nostro ingresso. Il mio abito riesce nel miracolo di essere, al contempo, scomodo, ingombrante e caldissimo, nonostante la serata sia molto fredda. Non riesco a capire se i mormorii che sento levarsi al nostro passaggio siano suscitati da Girodelle o da me: del resto, il vestito cucito da Madame Bertin, mi ha assicurato Nanny, è assolutamente una delle migliori creazioni della celebre modista. E che sguardo aveva André mentre mi guardava scendere la scalinata. André ... ma ora non è tempo di pensare a lui.
Un cavaliere, accanto a una dama con un abito di damasco giallo dorato, mi osserva insistentemente.
« Chi è quel cavaliere, Girodelle ? », chiedo, riparandomi dietro l’ampio ventaglio. Almeno, in questo devo dire che l'abbigliamento femminile è molto comodo: i ventagli sono così monumentali che, riparate dietro a essi, le dame possono fare intere conversazioni senza farsi notare.
« Quell'uomo», risponde il mio secondo, "è il Visconte di Valmont, noto in società per il suo ragguardevole fascino, per il libertinaggio sfrenato che pratica dai sedici anni, e per il fatto che non pronunci mai una sola frase senza avere prima calcolato esattamente il danno che può causare ». Annuisco, gravemente : è capitato che lo incrociassi per i corridoi della Reggia, e mi sono sempre sentita scrutata come un animale raro.
« E accanto a lui », continua Girodelle, « la Marchesa di Merteuil, l’irreprensibile vedova di un buon amico di mio padre ».
Non appena mi allontano dal fianco di Girodelle, immediatamente il Visconte si avvicina profondendosi in un inchino che non sfigurerebbe nella Galleria degli Specchi.
«Visconte di Girodelle, non ho avuto ancora l’occasione di essere presentato alla Vostra accompagnatrice »
« Si tratta di Madamigella Lucrezia Cornaro, figlia di una nostra cugina sposata a Venezia, da poco in visita a Parigi ».
« La Vostra bellezza ha già fatto mormorare parecchie dame, Madame. Volete concedermi l’onore di istruirvi nel gioco della roulette ? »
Rivolgo uno sguardo allarmato a Girodelle ; ma il Visconte fraintende la mia occhiata e chiede a Girodelle : « Vostra cugina parla francese ? »
« Naturalmente : mia cugina Lucrezia intende e parla benissimo il francese, anche se la sua prima lingua è l’italiano »
Avanzo, al braccio del Visconte, e mi avvicino alla roulette.
I giocatori sono tutti in fermento.
Con fare esitante, depongo le mie fiches sul 25 rosso.
« Ecco, Mademoiselle Cornaro, fate così la vostra puntata ». Il Visconte, sebbene non ce ne sia alcun bisogno, mi guida la mano, mettendo le sue dita fredde ed eleganti sul polso, e sfiorandomi le vene con un tocco così delicato e furtivo che non può essere che intenzionale.
Lo guardo allarmata e lo vedo rivolgermi un accenno di sorriso compiaciuto. Davvero le donne che vivono da donne devono tollerare questi contatti indebiti?
« Amo la vostra innocenza, Madamigella », mi sussurra all’orecchio.
Neanche in mille anni avrei immaginato di sentirmi rivolgere un apprezzamento come quello. Rivolgo uno sguardo gelido al Visconte, che capisce di aver trasceso dall’autocontrollo che un gentiluomo si deve doverosamente imporre, e che si allontana allora con un cenno del capo e un « Perdonate » sussurrato a fior di labbra.
« Vingt-six , noir, pair et passe ! », La voce del croupier è indifferente, con una punta di indolenza; stona davvero con l'agitazione che pervade i giocatori, allegri o disperati a seconda dell'esito delle loro puntate.
Mormorii di sconforto, e un paio di imprecazioni soffocate da parte dei giocatori cui la fortuna ha girato le spalle,
Ritento la puntata : ventisette rosso.
La pallina saltella impazzita, sembra fermarsi sul ventisette, poi, con un ultimo sobbalzo, si posa sul venticinque rosso. Ho perso un'altra volta, altre cento livres. Non ho mai provato nessun tipo di passione per il gioco d'azzardo, ma ora credo di capire il genere di ostinazione rabbiosa che monta nell'animo del giocatore dopo ripetute perdite.
"Duecento livres sugli orfanelli", proclamo, spavalda[1].
"Trente-deux, rouge, pair et passe", sillaba il croupier.
"Sto per perdere la calma", sibilo.
"Voi non perdete la calma; la riacquistate. E può essere molto irritante per chi non sa apprezzarvi quanto meritate". Mi giro di scatto, e dietro di me, a pochissima distanza dal mio naso, trovo il viso del Visconte di Valmont. Ancora lui! Dunque ogni donna, giovane o vecchia, deve tollerare di essere osservata come un animale in una fiera, soppesata e valutata, o in una caccia, braccata, seguita, importunata?
In breve, riesco a perdere una fortuna.
 
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Si ringrazia per la fan art Galla88, che, con la maestria e pazienza che ormai le conosciamo, ha dato corpo al mio pensiero e alla mia immaginazione : perché, per una volta che Oscar si presenta in vesti femminili, non la vedo castigata e accollata, ma la immagino seducente e ammaliante oltre ogni dire.
 
[1] Gli "orfanellI" sono i numeri 1, 6, 9, 14, 17, 20, 31, 34.

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Capitolo 8
*** 8 - ... rien ne va plus ***


 
VIII .....rien ne va plus
 
Dentro il Casinò
Oscar
In breve, riesco a perdere una fortuna.
Un po', mi lascio colpevolmente trascinare dall'atmosfera festosa e frivola, un po' devo rendere credibile il mio personaggio di giovane damigella sventata e ingenua; come che sia, mi rendo conto che in poco meno di un'ora e mezza ho perso qualcosa come diecimila livres. Un'enormità! Una cifra, fra l'altro, di cui non dispongo, ora, e per avere la quale dovrei chiedere al mio procuratore di accedere al mio deposito bancario. Ma, adesso, nel cuore della notte, come posso...? Dovrò firmare un impegno a pagare, e, allora, dovrò rivelare la mia identità?
Forse per la prima volta in vita mia, mi sento intrappolata, senza via d'uscita. Ma qualcuno deve avere colto la mia espressione smarrita e allarmata.
"Mademoiselle Cornaro, state bene? Vi vedo sconvolta". La contessa di Polignac mi si è avvicinata, leggera come una farfalla, e mi parla con una espressione attenta e partecipe.
"Siete molto turbata, vero? Venite a bere qualcosa di fresco". Per un momento, capisco anche io come persino la mia Regina abbia potuto soggiacere a quegli occhi così limpidi, a quella voce così melodiosa, a quei modi così dolci.
Mentre camminiamo per la sala, la contessa non smette di parlare. "Vedete, mademoiselle, io non conosco nel dettaglio la vostra condizione, ma so bene come per una donna possa essere molto imbarazzante giustificare di fronte a un padre" - e qui mi sentii farmi di fuoco sotto la pelle, e pregai il cielo di non rendere palesi le fiamme che sentivo salirmi alle guance -" o a un marito", continuò la contessa di Polignac, « una perdita così ingente . Si dà però il caso che  il duca de Guiche sia un mio buon amico, e, avendo degli interessi in comune, potrei chiedergli un favore amicale per risolvere la vostra incresciosa condizione ».
"Degli interessi in comune": queste parole mi rimbombano nelle orecchie, e fremo pensando alla figlia della contessa, la contessina Charlotte, che non ha ancora compiuto dieci anni, e che rischia di trovarsi a breve nel letto di quell'uomo. Vorrei reagire, ma non posso; persino lo stiletto che sta celato nella mia giarrettiera mi sembra lontano mille miglia, impossibile a raggiungersi. Mi sento paralizzata, debole e inerme: è così che si sentono, tutti i giorni, le donne, anche le aristocratiche, anche le marchese e le duchesse vestite di sete sfarzose e coperte di gioielli? Anche la mia Regina si sente spesso una povera pedina in balìa degli eventi?
"Vi vedo interessata", dice sorridendo la contessa di Polignac, mentre copre il suo sorriso mellifluo con il dorso della mano. "Il duca de Guiche è stato molto colpito dalla vostra bellezza e dalla vostra passione nel gioco. Vi osservava interessato, e oserei dire, ammaliato. Non vi nascondo che a un certo punto mi ha anche detto: "Le guance di quella donna si imporporano dimostrando per la roulette lo stesso fervore di una bambina per un nuovo giocattolo. Non voglio che questo suo ingenuo entusiasmo sia guastato da vili preoccupazioni materiali e mi dichiaro disposto a prendere su di me le sue perdite, e a ripianarle". Una grande fortuna, ne convenite, vero, Mademoiselle Cornaro? Certo, voi saprete bene che vi faccio un grande favore, e vi inviterei ad avere con il duca, quando sarete a tu per tu, parole di grande riconoscenza nei miei confronti. Non è un privilegio che tocchi a tutti, questo". Stordita da quel turbine di parole avvolgenti e sinuose come fiocchi di neve, oltre che consapevole di non avere altra scelta, annuisco, senza capire bene per quale motivo il duca de Guiche abbia avanzato questa offerta tanto generosa. Mi guardo intorno, in cerca di Girodelle, ma non lo vedo, e questo aumenta il mio senso di smarrimento, e prima ancora mi indispettisce: dove potrà mai essere? Nel frattempo, la contessa di Polignac si allontana, ondeggiando lieve, con la sua andatura che evoca il volo leggero di una farfalla. Che cosa avrà in mente? Mi sento addosso gli occhi di tutti, e cerco di contenere la mia agitazione , o almeno di dissimularla bevendo una dopo l'altra due coppe di champagne.
Si avvicina un valletto, vestito di trine e raso azzurro, e profumato di essenza di rosa tanto densa da essere stomachevole.
"Madame, il duca de Guiche avrebbe il piacere di sorbire con voi una tazza di cioccolatte nel salottino privato". Faccio cenno di sì, meccanicamente, e seguo il valletto per un lungo corridoio decorato con statue di Diana cacciatrice, Atteone sbranato dai suoi cani, Giunone che si slaccia la cintura della seduzione, Venere al bagno, amorini dormienti, ermafroditi mollemente distesi. Nelle orecchie mi risuona l'ultima raccomandazione della Contessa di Polignac "Ricordate di non guastarmi con il Duca, Madame" Il cuore mi sobbalza nel petto: che cosa richiederà il Duca? E' un uomo molto influente, poco devoto alla Corona e notoriamente buon amico del Duca d'Orléans. Il valletto apre una porta, e mi fa entrare in un salotto dalla tappezzeria nei toni del porpora. Un canapé dalle bordure dorate troneggia in mezzo alla stanza, fra stipi decorati, una statua di Venere al bagno e, in fondo alla stanza, cosa strana per un salotto privato, un letto dai cortinaggi rossi tirati.
Sul canapé, il Duca tiene le mani aperte, le dita accostate. Nonostante i suoi modi affettati,è palesemente incapace di dissimulare soddisfazione e impazienza.
"Madame, quale onore! Avete accettato il mio invito!".
Il valletto, indietreggiando senza volgerci la schiena, chiude silenziosamente la porta alle mie spalle, e si allontana. Sul tavolino davanti al canapé troneggiano due tazze di madreperla dal bordo dorato, decorate con scene bucoliche, in cui fuma una cioccolata dal profumo sopraffino, ma che mi risulta improvvisamente stomachevole. Il duca mi fa cenno di sedere accanto a lui, picchiettandola leggermente sulla seduta del canapé. Un gesto odioso, che si potrebbe riservare a una bambina, forse.
        Mi blocco; allora De Guiche si alza, viene verso di me, mi prende la mano, e io, a piccoli passi, lo seguo e mi siedo dove mi indica, la schiena rigida come una tavola di legno. Il duca De Guiche mi tiene la mano sinistra e non smette di parlare: "Mia dolce, mia diletta, mia colomba. Vi vedo così tesa, così tremante. State tranquilla, madamigella" (al "madamigella", un brivido mi percorre la schiena, perché temo, per un attimo, che all’epiteto faccia seguire il mio nome. Ma no :  nemmeno lui mi ha riconosciuta) Siamo soli qui, completamente soli. Potete rilassarvi, che dico ... dovete rilassarvi, e distendere i vostri fragili, delicati nervi, così scossi dalle emozioni del patetico gioco ». Accosta la mia mano alla sua bocca e la bacia sul dorso, un po’ più in basso, millimetricamente ma distintamente più in basso rispetto al punto in cui il galateo raccomanda di fare il baciamano, dove ho sempre avuto cura di posare le mie labbra quando ho sfiorato, negli anni, la mano della mia Regina, e di tutte le dame della Corte. Poi, il Duca gira la mia mano fra le sue e inizia a percorrermi il palmo con baci leggeri, su e giù, dalle dita sino al polso, e poi risalendo ancora. Il contatto di quelle labbra calde e viscide mi fa montare il disgusto, ma cerco di trattenermi. "Non restate così impalata, Mademoiselle. Venite da Venezia, vero? Ah, Venezia! La città della galanteria e dell'amore. Potrei raccontarvi molti aneddoti dei miei molti viaggi a Venezia, aneddoti piccanti, s’intende», e qui mi lancia un sorriso obliquo, «ma non vorrei farvi arrossire in modo disdicevole ; e poi, se devo dire la verità,  in tutta la città mai ho avuto la fortuna di incontrare una bellezza delicate e perfetta come la vostra».
        Adesso il duca mi prende le dita e le bacia, una per una, con esasperante lentezza, con labbra umide e sempre mormorando quelle che ritiene galanterie. Il mio disgusto per quel vecchio satiro raggiunge l'apice, ma cerco di dissimulare, pensando a cose familiari e piacevoli: l'alba ad Arras, le cavalcate su César, i duelli con André nella brezza del tramonto, io e André bambini intenti a sotterrare i nostri piccoli tesori nel parco di casa ... le braccia di André che mi stringevano per buttarmi in acqua mentre giocavamo in riva al lago, gli occhi di André... . Proprio in quel momento mi viene, ancora, quella idea folle: chi sa come ci si sentirebbe a osservare quegli occhi da sotto in su, magari tenendo la testa appooggiata a quel petto così ampio...così...basta. Che pensieri sono questi? Ricacciarli indietro, subito (Chi sa quante cuoche e cameriere hanno appoggiato la testa su quel petto, Oscar: e tu? Dove eri?). Basta! Inutile pensarci. Non voglio, non devo, non posso pensarci. Non adesso, almeno !
Mi riscuoto dopo quel mio breve estraniarmi, perché il duca mi sta parlando. Sento il suo alito caldo addosso, sul viso e sul collo, e ancora una volta devo controllare il senso di nausea, fortissimo.
        "Quanti anni avete, mademoiselle? Ventuno, ventidue? Oppure, non mi dite, già ventitré? Sarò franco con voi, mademoiselle: normalmente una donna della vostra età sarebbe trop vieille per i miei gusti", - gli rivolgo uno sguardo allarmato, mentre il duca fa seguire a quella dichiarazione d’intenti una risatina- "ma la cara contessa di Polignac, raccomandandovi alle mie cure, mi ha fatto notare la vostra pelle di pesca, come di bambina!". Avvampo, e, mentre pronuncia queste parole, il duca mi sfiora la guancia con l'indice, e mi sento fremere per lo schifo. Ma il duca non ne se avvede, e continua:"E poi, Madamoiselle, i vostri occhi di zaffiro, le vostre labbra fresche e rosee, il vostro collo virginale".., le sue mani mi percorrono il collo e il volto, scendendo sulle spalle, mentre mi sento combattuta: certo, mi sento rabbrividire di disgusto, e vorrei alzarmi, percuotere il duca, anche trafiggerlo con la spada, dato che non ho la spada, con lo stiletto infilato nelle giarrettiera; ma d'altro canto mi sento paralizzata dalla paura. Questo era dunque quello che proponeva la contessa di Polignac? Pagare così il mio debito di gioco? Impossibile! La contessa non può essersi ridotta al rango di prosseneta...di volgare mezzana. Mi sento tremare come una foglia: non posso reagire, scoprendo il mio bluff, ma non posso nemmeno restare così, inerte, incapace di reagire.
"Madamoiselle", si riscuote il duca, "preferite restare dunque su questo alquanto martirizzante sofà o non vorreste piuttosto concludere la nostra conversazione amicale in un luogo più acconcio?". Adesso il Duca è stato quanto mai esplicito. Non ha ancora finito di parlare che già mi ha afferrata per la vita e mi è rovinato addosso; è un uomo corpulento, e io sono impietrita. Se indossassi la mia divisa, non avrei problemi a reagire, e non ho dubbi che, nonostante la sua mole imponente, avrei facilmente ragione di lui. Non riesco a capire come, così vestita, io non riesca a trovare le forze e il coraggio per reagire. Intuisco che non è solo una questione relativa all'ingombro della crinolina o alla limitazione dei movimenti che mi causa il busto. Ma non ho tempo per meditare questi pensieri che mi attraversano velocissimi la testa. "Aiuto! Lasciatemi o chiamo aiuto!", sono le sole parole che mi escono di bocca. Come una donna. Come una donnicciola...
In quel momento la porta si spalanca. De Guiche si blocca, alzando la testa, e anche io, puntellandomi alla spalliera del canapé, alzo gli occhi: e sulla soglia vedo, trafelato, Girodelle.
"Visconte de Girodelle", dico in un soffio.
"Madamigella Cornaro!". Lo sguardo del mio sottoposto è più eloquente di mille parole, e ammiro la padronanza di sé con cui non si è lasciato sfuggire il mio vero nome.
"Ecco a voi le diecimila livres per saldare il vostro debito di gioco", afferma. E lancia il sacchetto con le monete ai piedi del duca.
"Screanzato, villano rifatto!      Come osate, voi, un insignificante visconte, interrompere i piaceri di un duca? Uscite immediatamente da questa stanza!". Il duca è furioso, ma riesco a trovare la prontezza per rialzarmi.
« Dove credete di andare, mademoiselle Cornaro ? »
« Dato che il Visconte Girodelle è stato così generoso da fornire le diecimila livres per ripianare il mio debito, credo che non abbiamo più nulla da dirci. Vi porgo i miei omaggi, duca. Salutatemi la contessa di Polignac»
Dopo un inchino frettoloso, mi allontano seguita da Girodelle. Con la coda dell’occhio seguo oltre la porta rimasta aperta i movimenti del duca, che calpesta in preda all’ira le monete d’oro sparse sul tappeto.
Mentre Girodelle mi conduce verso l'uscita, tenendomi per il polso, per asseverare la finzione della giovane fanciulla salvata dalle grinfie di un nobile vizioso (e non è forse vero?, mi sussurra la vocina in fondo alla mia coscienza), vediamo uno spettacolo interessante: in un angolo del corridoio, in una nicchia, la contessa di Polignac sta parlando con Alfonso, il croupier. Ci fermiamo, acquattandoci dietro una statua.
"Bravissimo, Alfonso! Mi avevano magnificato la tua abilità, ma sono sempre più soddisfatta. Tieni, questi sono per te", e un sacchetto con un suono di monete che cozzano fra loro passa dalle mani di lei a q uelle del croupier"
"Dovere, contessa. Voi siete sempre stata molto generosa con me".
 Venerdì prossimo a Versailles dovrai dare il meglio di te. Il biglietto con i nomi di chi dovrà vincere quando la Regina giocherà come sempre domani sera a mezzanotte nella faretra della Diana in fondo al corridoio".
"Di chi, contessa?Non ho capito bene".

"Ricorda, Alfonso: Diana è la statua con il cervo, i cani e l'arco. Tu cerca nel contenitore delle frecce".
"Certo, contessa"
"Mi raccomando: a mezzanotte, non un minuto prima, non un minuto dopo".
"Certo, contessa: vedrò di allontanarmi al momento giusto dalla roulette con un pretesto".
"Bravissimo Alfonso".
Li osserviamo allontanarsi, e prendere strade diverse, per rientrare nella sala della roulette senza dare adito a chiacchiere. Girodelle e io ci guardiamo con un cenno di intesa: dunque è vero che la contessa di Polignac sta truffando sistematicamente la Regina al tavolo da gioco. E magari, in quelle serate in cui la depreda di migliaia di livres, ne approfitta per indirizzare le vincite nelle tasche di questa o quella dama di corte, per beneficiare le sue amiche e crearsi una solida rete di conoscenze. Mi sento fremere di sdegno: se solo avessi potuto, avrei preso a colpi di spada, o di stiletto, sia quell'Alfonso che quella miserabile della contessa di Polignac.
Una volta saliti in carrozza, sono talmente adirata che non riesco a dire nulla a Girodelle se non: "Dobbiamo prendere quel biglietto, Girodelle".
"Non prendetevi pensiero per questo, Madamigella. Potrò senza difficoltà impadronirmene una volta tornato al Casinò".
"E voi vorreste entrare dalla porta principale, Girodelle? Dopo quello che è accaduto? Non so quanto sia saggio!".
"Madamigella Oscar, vi devo rivelare che sono un frequentatore piuttosto assiduo del Casinò; credo dunque che, data questa mia consuetudine con il gioco d'azzardo, sarebbe molto più sospetta la mia assenza che non la mia presenza"
"Anche dopo una simile piazzata?", chiedo dubbiosa.
"Soprattutto dopo una simile piazzata!", esclama Girodelle. "E così, domani, poco prima di mezzanotte, mi approprierò del biglietto con le indicazioni della contessa per il croupier".
Annuisco, gravemente.
"Va bene, Girodelle. In questa questione vi lascio piena autonomia d'azione".
Non vorrei mai ammettere, infatti, che anche solo l'idea di tornare al Casinò, in quelle sale e quei corridoi che mi hanno vista così debole e umiliata, come un oggetto di cui si può fare compravendita, mi è odiosa.
 E men che meno potrei pensare di tornarci con André.
No. Non potrei nemmeno immaginarlo.
Girodelle mi sta ancora fissando. Non mi sono mai sentita così a disagio nel viaggiare in carrozza con qualcuno.
"Madamigella Oscar, io vi devo delle scuse", inizia.
"Scuse? E perché mai? Siete anzi stato risolutivo", rispondo.
« No, Madamigella Oscar, voi dovete perdonare il mio ritardo» ; sussurra Girodelle « ma avendo capito a che cosa mirassero la contessa e il duca, mi sono precipitato dal mio amministratore per farmi consegnare tutta la cifra in contanti » 
Annuisco  ancora unan volta, cerco di assumere un contegno tranquillo; ma, insieme, noto che ha ripreso a rivolgersi a me con l'appellativo di "Madamigella".
« Avete fatto bene, Girodelle. Non credo che il duca si sarebbe contentato di una cambiale o di una promessa di pagamento ».
« Per me è stato un stato un piacere, Madamigella, e un onore. Non avrei mai permesso che vi venisse torto anche soltanto un capello ». Mi prende la mano e la bacia, con trasporto, con devozione e delicatezza, sfiorandola appena con le labbra.
Provo un invincibile imbarazzo e ritraggo la mano, cercando però di dimostrarmi asciutta e padrona della situazione.
« Girodelle », gli dico, « nessuno può sentirci, qui : potete far cessare la vostra nobile finzione ».
Girodelle sembra mortificato. Mi lascia la mano e, per tutto il tragitto, restiamo in silenzio, guardando fuori dal finestrino della carrozza lo sfavillio delle ultime stelle, che si spengono una a una cedendo il posto al giorno.
 
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Avevamo lasciato Oscar dentro il Casinò, oggetto di sgradite attenzioni da parte del Visconte di Valmont e combattuta fra il desiderio di reagire, come sempre ha fatto nella sua vita, e la necessità di mantenere la sua copertura, tesa fra la prudenza e la necessità, per il bene della sua missione, di sembrare una dama inesperta del mondo, che gioca e perde con troppa leggerezza. Ebbene, direi che il piano non era senza falle..... per cui ho riesumato l’odiosissimo Duca de Guiche. E. per una volta, ringraziamo Girodelle per il suo pronto intervento.
Ve l’avevo detto che si trattava di un feuilleton, vero ? Ma attenzione : sterzata in vista !  Brusca sterzata, direi. A presto !!

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Capitolo 9
*** 9- Di rientri e incontri ***


IX – Di rientri e incontri
 
IN CARROZZA – Alle prime luci del sabato
Girodelle.
Ah, povera Madamigella Oscar. Quale rossore vi imporpora le guance. Mi spiace esser giunto così tardi: quale disgusto e quale panico dovrete certamente avere trovato fra le viscide mani di quell'uomo sozzo. Come siete bella con il volto acceso da una forte emozione! Ancora più bella ora che vi ho scoperto così fragile e debole. Ma dovete sapere che io darei la vita per voi, non solo il mio denaro e, anzi, tutto il mio patrimonio. E questo da sempre, fin da quel giorno di otto anni fa, quando, prima ancora di incrociare le lame, fui soggiogato dai vostri capelli biondi che rilucevano come l'oro sotto il sole, dal vostro sguardo limpido come l'acqua, dalla vostra figura agile e snella. Quale dolore non potervi dire nulla dei miei sentimenti, perché siete il mio Comandante. Ma un giorno, sappiatelo, vi chiederò in moglie. E non mi direte di no, perché siamo due spiriti simili e profondamente affini,.
 
PALAZZO JARJAYS – Mattina del sabato
 
André
Oscar deve avere qualcosa di strano. Stanotte è rientrata tardissimo, alle prime luci dell'alba. E poco dopo è uscita al galoppo su César, senza dirmi nulla.
        Qualche ora dopo, la raggiungo davanti alla grande vetrata che dà sul balcone. Oscar ha davanti a sè una tazza di caffé, ed è insolitamente silenziosa. C'è qualcosa di pesante nel suo silenzio.
"Oscar, posso fare qualcosa per te?".
"No, André; ma grazie, in ogni caso".
"Qualcosa non va?".
"No, André. Assolutamente niente". I suoi occhi socchiusi sembrano sfuggire il mio sguardo, e osservare intenti il fondo della tazzina.
« Vuoi un po’ di questo caffé ? È appena arrivato dalle Antille, dono della famiglia Tascher : li ricordi ?»".
« Volentieri ; e sì, certo che me li ricordo. La figlia minore, Rose, dovrebbe avere suppergiù la nostra stessa età, o forse qualche anno di meno ». Le mie parole, pronunciate appositamente per riempire quel vuoto che sembra mangiare ogni nostra emozione, cadono nel vuoto.
Sorseggio in silenzio il caffé : è come velluto amaro sulle mie papille.
Resto zitto, perché voglio osservare Oscar. Ma no, ma che turbata : ora sembra tranquilla.
Solo, non ha voglia di parlare : non è certo una novità, in questo periodo.
 Proverò a proporle un duello di allenamento.
"Oscar, vorresti misurarti con la spada con me? Ti ricordi quel colpo di cui parlavamo tempo fa, la « botta di Nevers. » ...
"No, grazie, André, non oggi". E dicendo queste poche, asciutte parole si alza e si allontana verso la sua stanza. Ne esce poco dopo, nella divisa da comandante. "Scusami con mio padre, ma oggi farò tardi".
"Sello subito Alexandre e ti seguo..:"
"No, André, per oggi non sarà necessario. Di' a mio padre e alla nutrice che tornerò molto tardi, e di non aspettarmi per cena. Occupati piuttosto di Rosalie : abbiamo ancora molti volumi degli annuari della nobiltà da consultare, se davvero vogliamo scoprire chi sia la sua vera madre »
Monta a cavallo e la vedo allontanarsi senza una parola né un cenno di saluto.
Oscar, Oscar: ma davvero credi che non abbia colto nulla di strano nel tuo comportamento? Ormai ti conosco troppo bene, leggo dentro di te come nemmeno forse tu stessa sai fare, tutta presa come sei dai tuoi doveri di Comandante della Guardia, e dalla volontà feroce di essere degna del retaggio della tua famiglia.
Qualcosa ti ha sconvolto, ieri sera; qualcosa che non vuoi dirmi, perché te ne vergogni? e' per questo che  non hai voluto che ti seguissi ieri notte?
"Madamigella Oscar, Madamigella Oscar!". 
Le parole di Rosalie, comparsa sulla soglia in camicia bianca, gilet e coulottes color pulce, mi riportano alla realtà. "Oh! André! Ma siete qui da solo? E Madamigella Oscar, dov'è?":
"Oggi è partita per Versailles molto presto, e mi ha chiesto di non seguirla".
"A Versailles?! Ma mi aveva detto che oggi sarebbe rimasta qui a palazzo per proseguire nel mio addestramento con la spada!". Nel tono della piccola Rosalie è palpabile la delusione: possibile che Oscar, sempre così attenta, si sia dimenticata di una promessa fatta alla sua adorata Rosalie?
"Non preoccuparti, Rosalie! Prima di andarsene, Oscar mi ha chiesto di sostituirla nell'allenamento con te. Non sarò il comandante delle guardie reali, ma posso comunque completare la tua istruzione nel duello, anche se il mio stile forse lascia a desiderare! E poi, ricordi, dovremo continuare a sfogliare gli annuari nobiliari : dobbiamo a tutti i costi trovare quella Martine Gabrielle che ti ha abbandonata in fasce !". Lo sguardo di Rosalie si illumina: basta così poco a farla felice! Ma io, mentre mi preparo per la lezione con la spada, non riesco a togliermi dalla mente gli occhi di Oscar questa mattina: bassi, sfuggenti, come mortificati.
 
VERSAILLES
Oscar
Nei giardini di Versailles, all’ora della consueta passeggiata della Regina, tutti i cortigiani cercano di incrociare, come casualmente, i passi della sovrana. Un cenno del suo capo, un sorriso, la concessione di due parole sono un favore molto ambito e possono cambiare la sorte e la posizione di una persona. Del resto, l‘improvvisa ascesa della Polignac è troppo fresca per non alimentare speranze d analoghe fortune-
Ecco incedere Maria Antonietta ; dietro di lei, le due sue fedeli lettrici, e, accanto, immancabile, l’onnipresente contessa di Polignac.
Oscar, a debita distanza, seguita a due passi di distanza da Girodelle, controlla che nulla turbi la quiete della sua Regina.
« Contessa di Polignac, non è meravigliosa questa giornata di sole ? »
« Sì, vostra Maestà, e voi oggi siete più fulgida che mai »
« Contessa, siete sempre così cara. Quando rientreremo nei miei appartamenti vorreste essere tanto gentile da dilettarci con un’aria accompagnata dall’arpa ? ».
« Vostra Maestà », dice con tono umile la Contessa, e china il capo con gli occhi semichiusi e un sorriso dolcissimo, « sarò lieta di dilettare il Vostro pomeriggio con le mie povere capacità musicali. Se permettete, potrei prendere ora congedo per andare a predisporre l’arpa nel vostro salotto privato ? ».
« Certamente, Contessa. E perdonatemi se vi privo della possibilità di godere più a lungo di questo bel sole primaverile e della vista dei roseti in fiore ».
 
Oscar
La Contessa si allontana come fluttuando, con quella sua andatura molle e aggraziata che ormai ho imparato a conoscere bene: ne devo convenire, sembra un bocciolo appena sfiorato dalla brezza ... Chi sa se è anche questo uno degli elementi che costituscono il fascino di una donna...chi lo sa...ma che dico ! Sono nauseata dall’ipocrisia della contessa. Mi sento accenso in petto un fuoco divorante, se solo ripenso all’ignobile incontro che aveva organizzato ieri notte, e alle mani di quell’uomo che deve avere avuto a sua disposizione altre ragazze, più deboli e ingenue, e certo anche più giovani di me. È proprio vero: la contessa sa solo spandere veleno, un veleno dolcissimo, ma non meno letale di quelli amari come il fiele;  quando assisto agli arrivederci notturni fra lei e la mia regina, e la vedo avvicinare il suo volto a quello della Contessa, mi sento a dir poco stomacata.
Credo che Girodelle si sia reso conto del mio silenzio. Spero di non essere arrossita, ripensando alle mani del duca de Guiche su di me. Non mi piace questa ridda di sensazioni nuove e sgradevoli, non mi piace.
Non è per questo che sono nata ed educata.
Mi sembra di attraversare un territorio sconosciuto e pericoloso, dove a ogni passo rischio di mettere un piede in fallo. Che ne è stato della mia sicurezza? Vivono sempre così le donne? Sospese fra mille dubbi, paure, riflessioni attente e calibrate su quel che sarebbe conveniente o sconveniente dire e fare, e questo per ogni gesto, ogni parola?
Guardo Girodelle, che mi fissa in modo strano, con espressione interrogativa e interessata. Certo, aspetta una mia risposta. « Girodelle, penso che andrò a controllare il boschetto di Venere poco distante da qui : la Regina ama molto passeggiare lì dopo il tramonto, fra le querce e i mirti ; continuate Voi a scortare sua Maestà ».
« Sì, Madamigella. Come volete: sempre ai Vostri ordini ».
Appena fuori dalla portata di Girodelle, mi appoggio al tronco di una quercia. Poso il viso sul braccio e piango. Lacrime di rabbia, per come la mia Regina viene ingannata da quella simulatrice.
E io ? Io che ho promesso di consacrare la mia esistenza a proteggere la Regina, dove sono stata mentre quel demonio dagli occhi liquidi e dolci invadeva il suo animo, ne prendeva possesso, carpiva la sua fiducia con le sue parole di miele, facendo leva sulla sua giovinezza, la sua ingenuità, la sua solitudine ? Perché non sono stata capace di essere più vicina alla mia Regina ? Stringo il pugno, con rabbia. « Padre, ho mancato ai miei doveri... », sussurro.
Ma se devo essere sincera, almeno con me stessa, le mie sono anche lacrime di umiliazione: perché ieri notte ero così inerme, spaventata. Certo, sono un soldato, e so come difendermi, ma ... in quella situazione, e obbligata com’ero a non scoprirmi, a nascondermi, a dissimulare, che cosa avrei potuto fare ? È stato così avvilente dover attendere che qualcuno intervenisse in mio aiuto, e se Girodelle non fosse arrivato con le diecimila livres io...io...che cosa sarebbe stato di me?
Vivono così le donne? Perennemente in bilico, in posizione subordinata, precaria, vittime di ricatti vergognosi, considerate poco più che un corpo che può suscitare desideri, da toccare e comprare senza riguardi?
Perché ho avuto bisogno dell’aiuto di qualcuno ? Perché quel qualcuno non era Andrè ? Perché non l’ho voluto con me.. ? Ma che dico ? Sto impazzendo ? André come avrebbe potuto accettare....
Per fortuna, a interrompere il filo di quei pensieri inquieti, mi raggiunge una voce sottile ed eterea:« Ombra mai fu..../ di vegetabile....cara ed amabile, soave più ».
Qualcuno sta intonando un’aria dal Serse; chi può mai essere ? Mi avvicino con circospezione, la mano destra sull’elsa della spada, perché ovunque si può nascondere un tranello, un agguato...ma subito scuoto la testa con un sorriso, e la mano lascia il metallo freddo intarsiato d’argento e d’oro: non c’è nessuno sul prato, solo la contessina Charlotte del Polignac, che, nella radura del boschetto, coglie fiori cantando.
Che meravigliosa visione ! Come la madre, è leggera come una farfalla, piena di garbo e di grazia, ben lontana dall’immagine della bambola pesantemente agghindata che la contessa le impone di rivestire a corte. Qui, con un semplice abito senza panier, e con i capelli morbidamente raccolti, appare come la bambina che è. Mi fermo al limitare della radura, sorridendo di fronte allo spettacolo dei suoi passi leggeri, degli occhi ridenti, dei capelli biondi baciati dai raggi del sole che filtrano dall’intrico dei rami.
Non voglio disturbare questo momento di pace e letizia assoluta. E, allo stesso tempo, mi si stringe il cuore, ricordando la conversazione della contessa con il duca : tanta bellezza e tanta innocenza sono dunque avviate a una sorte così ripugnante ? Ma mi riscuoto all’improvviso, perché Charlotte ora è proprio di fronte a me : alza lo sguardo e sorride felice. « Madamigella Oscar !|  Voi qui ? »
Si alza e corre verso di me. « Che meraviglia, Madamigella !  Vi vedo sempre e solo con la Regina, e non c’è mai un momento in cui possiate essere tutta per me ! ».
«Contessina de Polignac, ma che fate qui tutta da sola ? Non sapete che può essere pericoloso inoltrarsi senza compagnia nel parco della Reggia ?»
«Ma è pieno giorno, Madamigella ! E poi, e poi... », e qui i suoi occhi si abbassano. « La mia signora madre vorrebbe che io frequentassi solo personaggi illustri e potenti, perché dice che è ormai giunto il tempo di pensare al mio futuro e di stringere relazioni importanti, ma io mi annoio tanto in quei momenti, e vorrei solo restare tranquilla fra i roseti... »
Povera bambina ! Mi si stringe il cuore : che pena mi fa. Spero che non abbia colto il mio sguardo allarmato, perché le parole della Contessa a proposito dello « stringere relazioni importanti »  forse sono oscure alla contessina Charlotte, ma ieri notte io ho capito benissimo a che cosa alludano.
Ma, del resto, penso, in un sussulto di obiettività, è così diversa la sorte di Charlotte, vittima delle ambizioni della madre, da quella delle mie sorelle ? Questa idea mi attraversa fulminea la testa : che cosa c’è di tanto differente fra il prossimo matrimonio della contessina di Polignac con il duca de Guiche e la sorte di mia sorella Josephine, di Hortense, di Adélaide, di Clothilde, di Sylvie, tutte spose e madri prima dei sedici anni ? Eppure, mi sono sempre sembrate felici, loro...Forse fra i quindici anni di Joséphine e Clothilde e gli undici di Charlotte c’è questa gran differenza ? Ma Josephine non era stata destinata a un uomo di oltre trent’anni più vecchio ....
Per fortuna la voce di Charlotte mi impedisce di abbandonarmi a questi pensieri.
«Ma voi, illustre Oscar, oggi resterete qui con me ? »
« Oggi, sì,. Contessina »
« Oh! È forse una occasione speciale ? »
« Precisamente. Oggi per l’appunto è una occasione specialissima ». Fra me e me penso che anche la Regina, se sapesse, non mi disapproverebbe per qualche ora trascorsa con la contessina, una volta lasciata a Girodelle la responsabilità del servizio d’ordine nei giardini di Versailles.
« Madamigella Oscar, sono così felice di avervi tutta per me oggi! Voi non sapete grande dono mi avete fatto !»
Charlotte mi cinge con le braccia, si alza sulla punta dei piedi e mi dà un bacio sulla guancia, con il visino radioso. Poi mi prende la mano e mi dice : «Venite, Madamigella, c’è un roseto meraviglioso alla fine di questo sentiero», e così ci incamminiamo. La sua gioia è palpabile : povera piccola !
Arrivati al roseto, si protende verso i fiori.  « Attenta, contessina », la prevengo,  « Potreste pungervi con le spine » ! La precedo e stacco una rosa bianca dal suo stelo.
« Ecco contessina de Polignac », le dico porgendola e appuntandogliela sul petto. « Un fiore per un fiore » ,
« Madamigella ! Che meraviglia ! Grazie ! ». Si guarda la rosa appuntata sul corpetto; poi rialza il viso, con occhi sognanti, e continua : «Quando mi sposerò, voglio che mio marito vi somigli, che sia bello e gentile come Voi», e china gli occhi imbarazzata « Oh, scusatemi, che sciocca sono stata: non volevo essere indelicata ! Se ho detto qualcosa di sbagliato, vi chiedo perdono».
« No, contessina. Non avete detto nulla di sbagliato. Siete anzi molto gentile », rispondo cercando di imprimere alla mia voce la maggior dolcezza possibile.
Per tutto il pomeriggio passeggiamo per i viottoli più segreti : Charlotte, appesa al mio braccio, chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera felice ; sediamo sul bordo di una grande vasca e osserviamo le carpe, lanciamo sassi nello stagno facendo a gara a chi riesce a fare più rimbalzi, e per un attimo mi sento trasportata ai pomeriggi passati con André nel parco di Palazzo Jarjays, quando non avevo per la testa nulla che non fosse correre, giocare e saltare.
Quando il pomeriggio volge al termine, Charlotte si fa seria.
« Vi ringrazio infinitamente, Madamigella Oscar, per il tempo che mi avete regalato. Quando mi sposerò, spero davvero che sarà con una persona gentile e affascinante come voi !", ripete. "Ma.. : » e qui si toglie  la rosa dal petto e me la porge, « è meglio che questa la teniate voi. Sapete.. : » e qui il suo tono si fa esitante, «La mia signora madre non sarebbe felice di sapere che sono stata in vostra compagnia, e la rosa bianca la insospettirebbe di certo».
« Apprezzo la vostra delicatezza, contessina, ma davero non volete conservare un ricordo di questo pomeriggio... ? ». Parlo con un sorriso incerto, cercando di assumere un tono leggero e quasi divertito.
« Madamigella, il mio ricordo è  serbato qui », e incrocia le mani al petto, all’altezza del cuore, « e da qui non può scappare, né appassire ».
Charlotte fa due passi all’indietro, alza la mano sinistra in un saluto infantile, poi mi gira le spalle e si avvia verso la reggia, mentre un senso di tristezza mi pervade.
A un tratto, quando è già avanti lungo il sentiero, si volge indietro e mi dice : « Non dimenticherò mai la vostra gentilezza nei miei confronti. Mai, mai, mai finché vivrò ». Poi, non è che un puntino che si allontana nella luce incerta del tramonto.
Mi sto avviando lungo l'Allée d'Apollon, quando sento una voce dietro le mie spalle:
"Buon pomeriggio, Comandante de Jarjayes". È una voce morbida e un po' ironica, con un che di indolente e modulato. Una voce che ho già sentito, più bassa e insinuante, vicina, nelle mie orecchie.
 
Mi volgo, e vedo il visconte di Valmont, incurantemente appoggiato con la schiena a una quercia poco lontana, i piedi leggermente discosti dal tronco e incrociati. È abbigliato con la consueta, ricercatissima, persino eccessiva eleganza, in un completo di damasco celeste dai riflessi cangianti e rosati, con tanto di spadino e parrucca, come se dovesse partecipare a un ricevimento. Con una mano sinistra giocherella negliegentemente con la catena dell'orologio da taschino, ma l'impressione è che mi abbia attesa. Che questo sia un agguato in piena regola. Come diceva quel missionari, quell’ex gesuita tornato dal nuovo mondo, che fu ospite una sera a casa di mio padre ? « Le corti europee sono una giungla al cui confronto la giungla dove abbiamo vissuto è un giardino ben coltivato » . Come aveva ragione. Rivolgo un sorriso al visconte e rispondo al saluto : "Buon pomeriggio a voi", mi esce di bocca, in tono guardingo.
"Permettete?". E così dicendo, con un movimento fluido delle spalle, si stacca dal tronco e viene verso di me. "Vi dispiace se percorro con voi questo tratto dell'Allée?"
"Nessun problema".
"Ma che sciocco: non ci siamo ancora presentati, comandante de Jarjayes". Si profonde in un inchino. "Visconte Jacques Hercule Honoré de Valmont. Per servirvi". C'è qualcosa di profondamente, e volutamente, stonato in queste parole, nel tono di voce con cui sono pronunciate, nell'inchino, che sarebbe adatto alla presentazione a una dama, nello sguardo indagatore di quegli occhi grigi, ambigui anche quando fissano direttamente le mie pupille.
"Perdonerete certo se mi affianco a Voi, comandante de Jarjayes, ma la sera sta calando, e i viali derserti della reggia al crepuscolo possono non essere sicuri per un ... viandante indifeso".  Vedo il compiacimento dipingerglisi sul viso quando la mia bocca viene increspata da un lieve sorriso di fronte alla sua spiritosaggine leziosa. Sembra un gatto soddisfatto di avere convinto il padrone a dedicare del tempo a giocare con lui.
Sto al gioco. "E va bene, visconte. Vi scorterò con piacere lungo il viale".
Il silenzio accompagna i nostri passi. Inutile: cedo per prima.
"Non mi pare di avervi visto spesso a Versailles, Visconte".
"No, è vero, comandante de Jarjayes". Pausa. "Dovete sapere che conduco una vita molto ritirata. I miei amici si stupirebbero di vedermi qui, per come mi conoscono. Discreto, pieno di considerazione: più casto di un prete". Su quelle parole, non riesco a trattenere un piccolo scoppio di risa. Il suo sguardo soddisfatto e la piega delle labbra mi dicono che quello è proprio l'effetto che voleva ottenere. "Beh, con quello che si dice a Parigi dei preti", aggiunge in tono volutamente piatto. Non posso che lanciargli uno sguardo sorridente, mio malgrado. Ma Valmont non lo vede, o forse sì. Parla con il capo leggermente chino, come se fosse molto interessato a dove posano i suoi piedi, calzati in scarpini di seta azzurra dalla fibbia argentata. "Tuttavia, a volte, accade che qualcosa ... mi tocchi".
Lascio decantare queste parole.
Due, cinque, dieci passi.
 Valmont si volge, osserva il percorso fatto e l'Allée d'Apollon che si perde lontana nel verde ormai diventato quasi bruno dopo che il sole è declinato.
 "È molto lungo, questo viale, Comandante de Jarjayes".
"Sì, è uno dei più lunghi di Versailles, visconte de Valmont", convengo.
"E ... non ci sono svolte".
"No. Non ci sono svolte", affermo anch'io. E aggiungo: "Una volta presa una direzione, è necessario seguirla sino alla fine".
"Come immaginavo", risponde tranquillo.
Silenzio. Altri due, cinque, dieci passi. Poi, ancora la sua sottile voce tenorile a rompere il muto crepuscolo: "Sapete, comandante de Jarjays, mi è accaduta poco tempo fa una cosa molto bizzarra".
Pausa.
"Davvero, Visconte?", lo incoraggio a dire, incarcando le sopracciglia e lanciandogli un'occhiata in tralice.
"Sì.  Poche sere fa mi trovavo in un luogo...." un sorriso imbarazzato, o furbo, che gli tende le guance e le labbra. "In un luogo dove forse sarebbe meglio che il comandante delle guardie reali non mettesse piede. Non che sia disdicevole a stretto filo legale, o in senso morale, ma a tutti piacerebbe immaginare un colonnello, freddo, sicuro e padrone di sé, lontano da quello che accalora noi poveri mortali".
"Naturalmente". Un intercalare come tanti, senza rivolgergli un solo sguardo. Tengo gli occhi fissi davanti a me, per non mostrare in modo troppo scoperto che sono curiosa di sapere come continuerà il suo discorso, ma che temo anche di sapere dove miri.
"E, pensate un po', quella sera ho incontrato una donna che vi somiglia moltissimo. Bionda come voi...bella come voi" - gli rivolgo di scatto uno sguardo allarmato - "Una donna che però non nascondeva come voi il suo bellissimo corpo sotto una uniforme, ma lo esibiva in un magnifico abito nero di pizzi e trine. Voi avete dei parenti a Venezia, Madamigella Oscar?"
"No, Visconte de Valmont. Che io sappia, la famiglia Jarjayes non ha né parentele né relazioni a Venezia".
"Capisco ... Mi permettete un'insolenza, Madamigella Oscar?".
Lo fisso, interdetta. Evidentemente, il visconte di Valmont interpreta il mio silenzio come un assenso, e prende nuovamente la parola: "Verrà un giorno, Madamigella, e verrà presto, ve lo assicuro, in cui non potrete più piacere a tutti. Se posso azzardare un consiglio, cercate di far pace con questo pensiero. Credete a me".
 Queste parole, pronunciate da un essere così frivolo e superficiale, dalla nomea tanto malfamata, mi lasciano addosso uno sgradevole presentimento, ma, fortunatamente, siamo agli ultimi passi, e ormai il corpo centrale della reggia è in vista. "Bene, Visconte, siamo arrivati; vi devo congedare. È stato un piacere scortarvi". Batto i tacchi e mi allontano.
André mi aspetta ai piedi della scalinata, mentre il Visconte si allontana, affiancato, dopo pochi passi, da una dama dall'incredibile abito giallo damascato che ci ha osservati con aria fintamente svagata.
"Che ci facevi col Visconte di Valmont?"
"Lo conosci?"
"Naturalmente. Lo conoscono tutti, a corte e non solo. È un libertino. Un uomo che ha deciso sin dalla sua prima gioventù di impegnare tutta la sua notevole intelligenza per perseguitare le vittime più indifese: le donne".
Sento una sfumatura severa nella voce di André, e vedo il suo sguardo fermo seguire Valmont, riconoscibile anche mentre è ormai lontano, nella sua andatura languida e indolente. Se non sapessi che è impossibile, direi che André è stizzito, e cerca di tenere a bada il disappunto....e forse, anche una punta di qualche altro malumore che non riesco a decifrare.
"André, precedimi a casa. Devo sistemare alcuni documenti in ufficio".
"Oscar, tu sai vero verso che cosa stai andando?", mi chiede, apparentemente distratto,
"No, André; e trovo molto piacevole non saperlo".
Un breve silenzio, e poi André parla nuovamente, questa volta per qualcosa di concreto e reale.
"La serata volge al brutto, Oscar. Probabilmente pioverà", protesta debolmente.
"Non sarà un po' di pioggia a mettermi in difficoltà", dico; e senza dagli il tempo di ribattere, allungo il passo e mi avvio, sola, verso il mio ufficio.
 
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Ed ecco dunque svelato chi era il famoso personaggio che Oscar, anche altrove, ricorda : e come avrebbe potuto Valmont, con l’occhio clinico che si ritrova per le bellezze femminili, lasciarsi ingannare da un pur elegantissimo e inusuale abito di pizzo nero ? Quanto ad alcune battute, di Valmont a Oscar, e al dialogo finale di Oscar e André, mi dichiaro debitrice di « Ritratto di signora », libro e film (e nella pellicola, guarda caso, c’è sempre John Malkovich). A prestissimo, e grazie per avermi seguita sino a qui !
PS. Quanto a Rose Josèphe Tascher, bella creola cresciuta nelle Antille francesi, non ho saputo resistere alla tentazione di citarla, almeno di sguincio: a lei una veggente locale profetizzò, quando era poco più che bambina, che sarebbe diventata, da figlia del proprietario un po' spiantato di una piantagione, "più che regina", e ci azzeccò....  
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** 10 - Aequo Marte ***


X – AEQUO MARTE
 
PALAZZO JARJAYES
Oscar
Arrivo a palazzo quando ormai è scesa la sera e la pioggia cade ancora fitta e monotona.
Nanny mi accoglie sulla soglia con un morbido panno, asciutto e caldo.
 
« Santo cielo, Madamigella Oscar ! Siete bagnata fradicia ! Ma che cosa vi è preso ? Vi prenderete un malanno a girare sotto la pioggia senza nemmeno un mantello. Mi stupisco di André : perché non vi è venuto incontro con un mantello per ripararvi almeno sulla via del ritorno ! Ah, lasciate fare a me, e lo punirò come si deve ! »
 
« Ma no, ti prego, Nanny : non fare nulla ! Sono io che ho chiesto ad André di non aspettarmi oggi : risparmiagli i rimproveri, almeno per questa volta! » Ma Nanny non vuole sentire ragioni e continua a brontolare : « Dove andremo a finire, di questo passo, proprio non lo so ! Una povera ragazza costretta a tornare sola, al buio,  e per giunta sotto la pioggia ! Ah, ma quello scioperato di mio nipote mi sentirà, questa volta ».
Entro nell’orangerie, dove mi aspetta André.
« Allora, Oscar, che cosa hai scoperto sulla contessa di Polignac ? ». So benissimo che, come sempre, sarà informatissimo, forse anche più di Girodelle, su tutti i pettegolezzi di Versailles : quali siano le sue fonti, e come faccia a sciogliere le lingue così facilmente, questo proprio non lo so, e qualche volta mi secca il solo pensarlo.
Mentre questi pensieri mi attraversano la mente, noto che sul tavolino intarsiato in ebano e avorio ci sono due bicchieri e una bottiglia di Armagnac.
Mi siedo e André riempie i bicchieri.
« Sai, Oscar », dice André, lo sguardo concentrato sul liquore ambrato, « credo proprio che le partite alla roulette siano truccate, e che il croupier sia in combutta con la contessa, ma non ho ancora prove sufficienti».
Sollevo il bicchiere. Il liquore caldo mi scalda la gola e lo stomaco.
Anche André leva il suoo bicchiere. « Ma dimmi, piuuttosto, Oscar : quando le avrai ottenute, le prove che cerchi, che cosa farai? ».
 Il tono di André non mi piace affatto.
« Che cosa intendi dire ? ». Poso il bicchiere, e stringo i pugni, pronta a reagire con rabbia.
« Calma, calma. Dico solo che anche se riuscirai a mettere la Contessa di fronte alle prove della sua slealtà, sarebbe bene se la notizia non si diffondesse troppo a corte, o la reputazione della Regina cadrebbe ancora più in basso, perché diventerebbe lo zimbello dei maldicenti »
 
E poi, dice dopo una pausa, "Vedi, Oscar, c'è anche un altro motivo per cui non sarebbe troppo saggio dare rilievo alle perdite della regina alla roulette. Per le strade di Parigi la gente muore di fame, se non te ne sei accorta; e se si  sapesse con precisione quanto denaro la regina ha perso giocando d'azzardo, la reputazione della nostra sovrana peggiorerebbe di sicuro".

Vorrei rispondere, non so nemmeno io che cosa, ma ecco che, fortunatamente, appare Rosalie.
 
« Madamigella Oscar, la governante mi prega di dirvi che la vostra camera è pronta e il fuoco è acceso »
 
Mi alzo dalla poltrona e dico con il tono più  piatto che riesco a infondere alle mie parole: «Bene, André : continueremo la nostra conversazione in un’altra occasione », perché non voglio palesare a Rosalie il malumore che le parole di André mi hanno suscitato.
 
VERSAILLES
Oscar
Dopo una notte passata fra sonni disturbati, risvegli ripetuti e una sensazione di disagio strisciante, la Reggia, illuminata dal sole mattutino sembra venirci incontro, solida e imponente, quasi a promettere una giornata piena di incombenze concrete, senza quel susseguirsi di ombre che era stata ormai la cifra di quelle ultime giornate.
Girodelle, poi, la notte prima avrebbe dovuto essere al Casinò; mi dispongo quindi nel mio ufficio ad aspettarlo, non senza avere sinteticamente informato André del piano, e dell'importanza di quel biglietto che Girodelle avrebbe ormai dovuto essere in possesso.
Fingo di ignorare lo sguardo ironico e perplesso con cui André accoglie il racconto, volutamente monco e incompleto, di una avventura in cui, per la prima volta, non era stato coinvolto, ma, anzi, deliberatamente escluso. Fortunatamente, non c’è nemmeno il tempo di analizzare quel lieve senso di imbarazzo mi sento montare alle guance, perché Girodelle entra nell'ufficio del Comandante con la consueta aria impettita e marziale, ma anche con un sorriso venato di soddisfazione.
"Madamigella, André, buongiorno. Come da accordi, ecco quanto ho recuperato ieri notte", e mi tende un foglietto ripiegato.
 
"Grazie, Girodelle. Siete stato davvero un collaboratore prezioso: ma del resto, non dubitavo che ci sareste riuscito. È stato molto difficile?", mi informo, senza riuscire a contenere la mia soddisfazione.
 
"Per nulla, Madamigella. Sono arrivato al Casinò di buon'ora, e dopo una serie di puntate accanite, ho lamentato la sfortuna e un forte mal di testa, per cui mi sono allontanato poco dopo le undici, adducendo come scusa di aver bisogno di respirare un po' d'aria fresca per cercare di tranquillizzarmi. Sapevo che la contessa di Polignac non poteva permettersi di rischiare lasciando troppo a lungo il suo biglietto nella faretra della statua di Diana, ma non poteva nemmeno predisporlo all'ultimo minuto. Sono uscito accertandomi che il croupier con cui era in combutta, Alfonso, fosse ancora stabilmente al suo posto.
 
Mi sono nascosto in una nicchia del corridoio, e, a mezzanotte meno un quarto, la contessa di Polignac è apparsa fugacemente nel corridoio, lasciando un foglietto ripiegato dove aveva concordato. Appena si è allontanata, l'ho recuperato. E sono rimasto appostato, sino a quando Alfonso non è arrivato, trafelato, e ancora più trafelato si è allontanato, non avendo trovato quanto avrebbe dovuto essere nella faretra. Poco dopo l'ho visto ritornare, con la contessa di Polignac, e spiegarle concitato che non aveva trovato il biglietto. I due hanno confabulato un poco e si sono allontanati. Allora, ho riguadagnato la sala della roulette, ho fatto altre due puntate distratte e me ne sono andato".
 
        "Bene, vediamo il contenuto del biglietto".
 
Il foglietto, piegato quattro volte, riporta la data dell'indomani, ed è fitto di annotazioni: nomi seguiti da segni più e meno ripetuti:
 
Principessa di Conti: + + - +
Baronessa di Boulainvillers:  ----
Contessa d'Artois: +  - + -
Principessa di Chartres: + - ++ -
MA:  -  - - - - +
Contessa di Polignac:  +++++ -
 
"Evidentemente", dice Girodelle, si tratta di indicazioni su quante mani debbano vincere, indicate con i più, e quante perdere, indicate con i meno, le partecipanti alla serata alla roulette della regina. La regina Maria Antonietta è sicuramente indicata con la sigla MA. E guardate: lei dovrà perdere almeno per cinque volte di fila e poi concludere la serata con una piccola vincita".
 
"Una specie di contentino", annuisce André, "per avere l'impressione di essersi rifatta, almeno in parte, delle perdite, ed essere invogliata a giocare ancora una volta, nelle sere successive".
 
"Esattamente", conviene Girodelle. "Mentre per la contessa di Polignac è il contrario. E questo farà sì che alla fine della serata l'impressione generale sarà determinata dall'esito dell'ultima puntata: la contessa di Polignac si congederà dalla regina con l'aura della sconfitta, e di certo verrà anche consolata, e forse la nostra sovrana vorrà anche rifonderla della sua perdita, senza pensare a quelle che lei stessa ha riportato".
 
"Un piano perfetto, oserei dire.. " commenta André, e poi, subito dopo, mi sento richiamare, con un tono allertato : "Oscar, ma dove stai andando?!"
Mentre Girodelle sta concludendo l'ultima frase, infatti, mi sono già precipitata fuori dalla porta, con il mio passo più deciso, e con quel foglio in mano. Inutilmente André mi segue per corridoi e scalinate, cercando di ridurmi a più miti consigli, e persino afferrandomi per il braccio, un gesto che aumenta, se possibile, la mia stizza, mentre allontano la sua mano con un movimento brusco.
 "Oscar! Non fare pazzie, ti prego!". Ma le parole di André non mi toccano minimamente, non in questo momento.
Arrivata agli appartamenti della contessa di Polignac, spalanco la porta, di botto. La contessa se ne sta ritta accanto a una grande finestra dai tendaggi verdi, mentre due cameriere reggono davanti a lei due abiti, uno azzurro e l'altro blu notte: certo, per decidere quale indossare alla riunione serale davanti alla roulette con la Regina.
"Comandante de Jarjayes!", esclama sdegnata la contessa. E poi, dopo aver visto la mia espressione, rivolta alle cameriere: "Vi prego di ritirarvi. Io e il comandante de Jarjayes dobbiamo conferire".
"Sì, contessa". "Come desiderate, contessa". Le due donne, ossequiose, dopo quelle brevi frasi sussurrate a fior di labbra, escono a testa bassa e passo svelto.
 
"E ora, mi aspetto che anche voi congediate il vostro servitore, Madamigella Oscar", dice, perfettamente tranquilla, la contessa.
 
"No, contessa. André non è un servitore, è il mio attendente. E sa già il motivo per cui sono qui!". E così dicendo le tendo il foglio piegato. La contessa lo prende, gli dà un'occhiata, senza dar mostra di alcun turbamento, e poi me lo rende, con espressione perplessa.
"E questo che cosa significherebbe, Madamigella Oscar?", chiede, con tono all’apparenza innocente, ma in cui riesco a percepire una sottile sfumatura di sfida, che mi fa montare il sangue alla testa.
"Lo sapete benissimo, contessa ! ", esclamo sdegnata "Questa è la prova che voi state da tempo truccando le partite alla roulette della nostra  Regina!".
"Ah, sì? Mi spiace, Madamigella, ma io vedo solo una serie di nomi seguiti da segni più e meno. E vi dirò che non capisco proprio a che cosa si riferiscano".
"Vuol dire che confronteremo questa sequenza di più e meno con l'esito delle partite alla roulette di questa nottata. O preferite che interroghi direttamente il vostro croupier di fiducia, quell'italiano, quell'Alfonso?".
"Non so a chi voi vi riferiate, Madamigella. Ah, sì, ora ricordo, vagamente ". Certo che la contessa di Polignac avrebbe potuto fare fortuna alla Comédie Française, penso, se non avesse trovato modo di mettere a frutto su ben altro palcoscenico, assai più remunerativo, la sua abilità di attrice. "Ora ricordo", continua, "Vi riferite ad Alfonso, quel simpatico ragazzo italiano che lavorava al Casinò ... qualche volta l'ho anche aiutato, povera anima, procurandogli qualche incarico al di fuori dell'orario di lavoro al Casinò, in qualche riunione privata di appassionati di gioco: sapete, quel ragazzo aveva una madre molto malata e aveva continuamente bisogno di guadagnare. Purtroppo, la madre si è aggravata e, non appena ha ricevuto la sua lettera che gli chiedeva di tornare al suo capezzale, si è precipitato a fare i bagagli e adesso dovrebbe essere su una diligenza diretta verso i valichi alpini, per tornare in Italia".
La contessa mi rivolge uno sguardo non meno fermo di quello che io le ho puntato in faccia.
"Quanto mi dispiace, Madamigella. Con tutta la pena che vi siete data..". C'è nelle parole della contessa una sfumatura di sarcasmo che non posso proprio tollerare. Che abbia capito o no quanto è accaduto nelle sere precedenti al Casinò ?
 Come che sia, non lo posso sopportare, e sguaino la spada, puntandola a poca distanza dal viso di lei.
La contessa, cui non difetta certamente il sangue freddo, scosta la lama. "E ora, che cosa vorreste fare, Madamigella? Che cosa vorreste provare?".
Prende un lungo respiro, e poi parla, con quella sua voce pacata e tranquilla, dalle inflessioni dolci e materne: "Madamigella, capisco che l'empito passionale e il senso di protezione nei confronti della nostra amata regina vi hanno indotto a prendere un severo abbaglio, ma vi perdono, perché capisco come l'amore per la nostra cara sovrana possa far abbandonare ogni cautela". Una breve pausa, dopo la quale la voce della contessa si colora di accenti sottilmente minacciosi: "Ma ricordate: sarebbe la vostra parola contro la mia. E sarebbe increscioso se questo nostro contrasto facesse sì che la Corte, e la Francia tutta, vendendo a conoscenza della nostra piccola disputa, venisse a conoscenza della reale consistenza delle somme bruciate alla roulette nelle nostre piccole riunioni notturne".
Sussulto, senza riuscire a mascherare il mio stupore: le stesse parole di André!
"E poi, Madamigella", continua la contessa, "Davvero vorreste che venisse saputo, e ricordato, come siete venuta a conoscenza della presunta truffa di cui siete venuta così poco urbanamente ad accusarmi?".
Il tono della contessa adesso è diventato insinuante.
"Vediamo, Madamigella: proviamo a definire la questione in questi termini: da questo momento in poi vi prometto che la regina Maria Antonietta non si avvicinerà mai più a una roulette o a un tavolo dove si giochi d'azzardo. Ma voi non solleverete nessuna ridicola accusa nei miei confronti, perché non avreste modo di sostenerla, e finireste per danneggiare soltanto la reputazione della nostra sovrana".
"E va bene, contessa : così sia". Rinfodero la spada e, senza dire altro, giro i tacchi, seguita da André, anch’egli ammutolito. Sconvolta, turbata, con il cuore in tumulto, ma consapevole che non avrei potuto fare altro, né di più.
 
Mnetre percorro i corridoi infiniti che mi riportano al mio ufficio di comandante, sento gli occhi pizzicare per le lacrime che trattengo a a stento : lacrime di rabbia e di umiliazione, ma soprattutto di rabbia : inutile : è stato tutto inutile. E la cosa più terribile è che André aveva visto giusto, e aveva previsto tutto. André...Per tutta la giornata, non riesco a rivolgergli la parola. Mi sento imbarazzata e mortificata come raramente mi è accaduto in vita mia.
 
Sulla via del ritorno verso casa, André cerca di spostare la conversazione su argomenti neutri, per sollevarmi dalla tetraggine in cui sono caduta. Ma le mie non sono che poche, sparse parole. Non ho voglia di parlare, e anche André si allinea alla mia laconicità grigia.
 
La notte, non riesco a prendere sonno. Tanti, troppi pensieri mi affollano la testa: i miei sforzi per scoprire se davvero la contessa di Polignac organizzasse delle partite alla roulette truccate per rimpolpare le sue finanze a discapito della Regina sono miseramente falliti; o meglio: con gli indizi raccolti, non potrei mai sostenere una accusa in modo convincente contro la contessa; e poi, André aveva proprio ragione: finirei per danneggiare la mia Regina più di quanto non potrei giovarle.
 
Ma, soprattutto, mi tornano alla memoria l'incontro con la contessina Charlotte, le parole del visconte di Valmont, e, naturalmente, il diario di André.
Incredibilmente, persino in questo momento, è sul diario che si concentrano i miei pensieri. Non posso permettermi di non dedicare del tempo a proteggere la reputazione della mia Regina, lo so bene, e non è ammissibile che in questo momento la mia mente sia occupata da altri pensieri. Me lo ripeto, ma, a dispetto di quanto cerco di impormi, ora sento un'urgenza cui non posso resistere.
 
Mi alzo e scivolo in biblioteca.
 
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Ve l’avevo detto, no, che il racconto avrebbe presto preso una via inattesa, e ci sarebbe stata una brusca sterzata ? Ebbene, ecco qui.....aspettatevi di tutto adesso ! Avrei voluto intitolare il capitolo « Match nullo », come un bel romanzo di Luca Canali di qualche anno fa, ma poi ho pensato che questo anglismo sarebbe stato poco adatto al nostro soggetto, e ho pensato a una soluzione più  ... classica.
Grazie per avermi seguita sino a questo punto e a presto !
 

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Capitolo 11
*** 11 - O giorni, o mesi, che andate sempre via ... ***


XI – O giorni, o mesi, che andate sempre via....
 
BIBLIOTECA DI PALAZZO JARJAYES
Nel buio della biblioteca, il lieve bagliore di un doppiere crea un cerchio di luce su pagine fittamente scritte:
"4 settembre 1768.
Oggi Oscar mi ha fatto una domanda cui non ho potuto rispondere...."
Ricordava anche lei quella giornata. Aveva da poco sentito parlare del matrimonio combinato fra il Delfino Luigi e l'Arciduchessa austriaca Antonia Maria, o Marie Antoinette, come la chiamavano già i bene informati in Francia. E suo padre le aveva anticipato che, se il generale Bouillet avesse interceduto, come si immaginava che facesse, forse lei stessa Oscar François, avrebbe avuto l'onore , come capitano delle guardie Reali, di essere incaricata della difesa e protezione della futura Delfina. Il suo futuro, quello per cui era stata allevata, educata, allenata, quel traguardo verso il quale tendevano da quasi tre lustri gli sforzi assidui del Generale, stava marciando a grandi falcate verso di lei. Ma non riusciva a rallegrarsene. Non del tutto.
In quei giorni André era spesso a confabulare con Jacques, lo stalliere.
Quel mattino, mentre sellavano i cavalli per prepararsi alla loro cavalcata quotidiana, Oscar, senza incrociare il suo sguardo, gli aveva chiesto: "André, posso farti una domanda?"
"Certo: dimmi, pure Oscar".
"Sei mai stato con una donna?"
"In che senso?"
"Andiamo, André! Nel solo senso possibile dell'espressione !", aveva sbuffato lei, spazientita.
"Ma, ma... Oscar, ma che ti viene in mente...?"
"Ho capito" Si era morsa impercettibilmente il labbro.. "Se ti imbarazza, o se non vuoi rispondere, non fa niente".
"Perché me lo chiedi?"
"Curiosità". Mentre lo diceva, era montata a cavallo. Sedeva impettita e rigida, guardando davanti a sè. "Sappi che non voglio metterti in imbarazzo, André. Volevo solo chiederti: com'è? Che cosa si sente ?"
"E perché lo vieni a chiedere proprio a me?":
"Te l’ho detto : curiosità". Non muoveva un muscolo : stringeva le briglie, lo sguardo fisso, ostinato (o il suo era solo imbarazzo?). Adesso, più che mai, era la contessina Jarjayes, anzi, Mademoiselle le Comte, (o il suo era solo l’imbarazzo di una ragazza troppo sola ?) splendido ibrido di sole e d'azzurro, bellezza di fiore esotico in un’anima d’acciaio,incarnazione della spocchia e dell’arroganza dei nobili, di tutto lo smisurato orgoglio di un padre a capo della famiglia più fedele e più vicina alla Corona  (o il suo era solo l’imbarazzo di una ragazza troppo sola, travolta da una situazione e da una responsabilità troppo grandi per lei ?)
 "Ti ripeto che non intendo metterti in imbarazzo, André. La mia è solo una domanda. Allora, dimmi: com'è?".
"E io ti ripeto: perché lo chiedi a me?"
"Mi pare evidente: non ho molti altri interlocutori, e non potrò farmene una idea per mia diretta esperienza. Ma se dovrò comandare un reggimento, è bene che mi faccia qualche idea precisa di quali siano i gusti tipicamente maschili, non trovi ? Vedo però che sei diventato improvvisamente molto pudico. O molto reticente ... In ogni caso, non fa nulla". Aveva pronunciato quelle parole con tono antipatico, quasi con rabbia trattenuta, e senza degnarlo di un’occhiata, con lo sguardo abbassato sulle sue mani mentre si infilava i guanti bianchi di pelle di capretto, e poi aveva dato di sprone con tutta la decisione di cui era capace: "Ah! Ah! Forza César, forza! Raggiungimi, se riesci, André!".
Per tutto il pomeriggio si erano comportati come se quella imbarazzante parentesi non fosse mai accaduta. Era stata una bella giornata di fine estate, tersa, serena, con una leggera brezza a spazzare il cielo; una giornata passata a cavalcare, saltare le siepi, riposare, ansanti e accaldati, sotto l'ombra di un vasto platano. Ma per la prima volta la loro sosta al lago non si era conclusa con il consueto bagno. Né ce ne sarebbero più stati, in seguito.
Ritornando a casa, Oscar aveva affidato César ad André, invece di seguirlo come al solito nelle scuderie, e si era dileguata senza salutarlo, riferendosi al bisticcio con un laconico : «André, voglio tu sappia che non ce l’ho con te per ... oggi pomeriggio. E comunque, preferisco dimenticare ».
Però, quella notte, André aveva, evidentemente, rubato parecchie ore al sonno per riempire pagine su pagine del diario. Pagine piene di dolore e di struggimento, che ora Oscar leggeva con il fiato sospeso, così concentrata da dimenticare il timore di essere scoperta.
Oscar, perché quelle parole? Perché mi hai fatto quella domanda? Vuoi davvero sapere quali siano i « gusti tipicamente maschilli » ? Io non lo so, non te lo so dire. Io ti saprei dire soltanto che cosa ha da sempre catturato i miei sguardi ed emozionato me : tu, i tuoi capelli, la tua figura esile ed elegante, la tua voce squillante e decisa, ma che a volte si fa dolce e carezzevole,quando osservi un bambino o un uccellino caduto dal nido, le fossette che baciavo da bambino, il tuo sguardo limpido, la fierezza con cui assolvi a un compito forse troppo gravoso per te....
 Oscar, quanto mi fa male avere dei segreti con te, a dispetto di quanto ci diciamo di voler fare. Spero solo che tu preferisca dimenticarla davvero, quella domanda. Perché mi sentirei bruciare l’anima, se solo tu indovinassi, se solo tu sapessi.
Oscar si sentiva quelle parole marchiate a fuoco nell’anima. La morfificazione saliva come un’onda. Aveva giudicato così superficialmente ! Ricordava perfettamente quella domanda, e il rossore di André, i suoi occhi piantati a terra quel pomeriggio. E ne aveva dedotto che André non avesse voluto raccontarle nulla di quello che aveva fatto la notte prima quando era uscito con Jacques: un altro solco profondo che li stava dividendo.
Invece, scoprire quei pensieri, così delicati, quelle premure così profonde, sapere che quegli occhi l’avevano sempre seguita, indagata, scrutata e capita così a fondo, la esaltava, ma anche la mortificava. E lei ? Lei dove era stata ? Come aveva potuto liquidarlo così ?
In quelle pagine, trovava il nitido, limpido racconto dei fatti, scritto da André mentre lei....che faceva ? Leggeva il suo Virgilio, o il suo Cesare, oppure giocava a scacchi con il Generale, o prendeva lezioni di violino?
 E di tutta quella tempesta di sentimenti, lei non aveva mai saputo nulla! Nulla!
Persa nei suoi sogni di gloria. Sogni inculcati nella sua testa sin dai primi anni.
Persa sognando una uniforme rossa. Persa. Smarrita. Ma con André a tenerle mano.
Girò pagina con un sospiro. Si interruppe per un attimo, alzando il capo allarmata : aveva sentito un fruscio. Forse Rosalie aveva avuto uno dei suoi incubi e adesso, come faceva sovente, stava attraversando il corridoio per venire nella sua stanza a farsi consolare ? E in quel caso, che cosa avrebbe pensato vedendo il suo letto vuoto ?
Ma no, nessuno. Forse era stato solo il vento da una finestra aperta. Chinò la testa, avvicinando la lanterna cieca alle pagine, e continuò la lettura del diario di André. In quelle pagine, fissato per sempre su carta, il ricordo di uno dei giorni forse più penosi del periodo che aveva preceduto il suo incarico nella Guardia Reale.
Ed ecco come André, nel suo diario, ricordava quella giornata.
Era successo il 26 agosto 1768, il giorno del suo quattordicesimo compleanno : come grande concessione era stato ammesso alla tavola  padronale, la nonna gli aveva preparato una torta, la sua rinomata torta di mele, il Generale gli aveva regalato una spada con lama di Toledo, e Oscar a pranzo era stata deliziosa, sorridente e impertinente, con un ricciolo ribelle che continuava a ricaderle sulla fronte e che lei scostava di continuo.
 Tutto sembrava andare per il meglio. Poi, però, quello stesso pomeriggio, nelle scuderie, Jacques, lo stalliere, un marcantonio originario del suo stesso villaggio e che la sapeva lunga, gli aveva detto scherzosamente: "E allora, bello mio, che mi racconti? Che cosa combini con la nostra contessina dai lunghi riccioli biondi e dalle camicie di seta fruscianti?"
"Io?", aveva chiesto, imbarazzato.
"Certo, tu! E non fare quella faccia innocente da angioletto: guarda che vi vedo benissimo sgattaiolare  via ogni pomeriggio; lei corre scatenata come una furia, e tu le trotterelli dietro come il suo fedele cagnolino".
"Attento, piuttosto, che lei non ti infilzi con il fioretto, se allunghi troppo le mani...", aveva aggiunto con una risata Charles, il cocchiere.
"A meno che non l'abbia già infilzata tu"; insinuò maliziosamente Jacques. André aveva sentito il sangue  andargli alla testa, e avrebbe voluto reagire. Ma Jacques, a quel punto, vedendolo stringere i pugni,  aveva cambiato tono: mentre stava per scappare via, lo aveva trattenuto prendendogli il braccio e gli aveva parlato guardandolo negli occhi: "André, la contessina  - (Oscar detestava essere chiamata così, ma sapeva che la servitù la indicava con quel nome) non è per te":
"Come ... come fai a saperlo?". Jacques e Charles erano scoppiati a ridere. "Beh, bisognerebbe essere ciechi per non vedere come la guardi!"
"Dunque, lo sanno tutti a palazzo?".
"Tutti...beh, diciamo : tutti quelli che hanno gli occhi per vedere", aveva risposto con una risata Jacques. Poi si era fatto serio: "Ascoltami, André; ti parlerò come un padre, o un fratello maggiore, perché tu sei solo al mondo e in queste cose non so quanto tua nonna possa esserti utile. Ascolta un consiglio da uomo: lasciala perdere, la contessina Oscar ; non puoi ridurti fra dieci anni a sospirare dietro la porta della sua camera da letto. Un giorno, quando al padrone passeranno le sue strane idee, - perché gli passeranno, stanne pur certo - la farà sposare con qualche suo pari, e tu? Che farai allora? Passerai le notti sotto le sue finestre? Quella è una ragazza da ammirare, non da amare":
André aveva chinato la testa, mortificato.
"Ragazzo mio, per come conosco il mondo, le cose possono andare solo in due modi se tu non te la levi alla svelta dalla testa: puoi passare mesi e anni a consumarti senza costrutto per i suoi begli occhioni azzurri, oppure, il che è anche peggio ... lei potrebbe accorgersi di te. E allora, che il cielo ti assista! A un servitore non viene mai nulla di buono da queste cose. E nemmeno a una ragazza come quella".
André ascoltava, con gli occhi bassi. La franchezza di Jacques era un bagno di realtà, e le sue parole frizzavano sul suo animo con l’effetto di una mano ruvida che passi su una ferita aperta.
"Ma senti, ragazzo mio: perché stasera non vieni con noi a Parigi? Andremo a fare baldoria fra uomini, e poi ci scapperà una capatina in una certa casa dove si dimenticano tutti i pensieri tristi..."
"Sì, vieni con noi!", aveva esclamato Charles.
"Su André, non farti pregare"; aveva aggiunto Grégoire, l'attendente del Generale.
"Ma io..non so...mia nonna.."
"Insomma, André! Vuoi passare la vita attaccato alle gonnelle di tua nonna? Hai già quattordici anni, ed è giusto che ti faccia qualche esperienza da uomo e qualche idea del mondo."
"Va bene", aveva ceduto.
"E sia! Le ragazze di Madame Tellier ci ringrazieranno per aver portato loro un cliente così giovane e bello!".
"Ma...e il Generale? Non se ne avrà a male?", aveva domandato Grégoire.
"Il Generale? Pfui!", aveva risposto Jacques. "Può solo essere contento. Più André gira alla larga da sua figlia e meglio è".
Oscar ricordava benissimo come fosse arrivata alla porta delle scuderie solo quando Jacques aveva nominato la casa di Madame Tellier: non era così ingenua da non sapere che cosa succedesse in quella casa che i suoi compagni della scuola militare nominavano dandosi di gomito in sua presenza e in cui smaniavano di mettere piede non appena avessero avuto quattordici anni: giusto l'età di André.
Per questo, qualche giorno dopo, morta di imbarazzo, dopo molto tergiversare e molte prove davanti allo specchio, si era decisa a fare ad André quella domanda, senza però tutti quei penosi giri di parole che aveva elucubrato invece di dormire, ma piuttosto ponendogliela nel modo più diretto possibile, come per abbreviare la vergogna.
"Oh, André";  mormorò, scorrendo le pagine del diario, dove erano fissate quelle conversazioni di dieci anni prima: parole che dovevano avere marchiato a fuoco l'animo di André.
La pendola aveva suonato due rintocchi forti e tre più leggeri: le due e quarantacinque. Che fare? Continuare a leggere, con il rischio di essere scoperta, o tornare a letto, e rimandare la lettura alla notte successiva, con il rischio però che l'indomani André recuperasse il diario?
Oscar sospirò. Decise di rischiare. Girò un paio di pagine e lesse il racconto di quella nottata.
La serata nella maison di Madame Tellier era iniziata nel migliore dei modi. Jacques, Charles, Grégoire e André, dopo una sosta in una taverna, erano arrivati di buonora, alticci ma non completamente brilli. Le ragazze avevano formato un capannello attorno al nuovo frequentatore della maison. In fondo, Jacques aveva colto nel segno : non capitavano spesso clienti così giovani e aitanti.
Jacques aveva confabulato brevemente con Madame Tellier; poco dopo una ragazza esile e bionda si era avvicinata alla tenutaria che le aveva mormorato qualcosa all'orecchio, quindi era venuta verso di lui, gli aveva preso la mano e l'aveva condotto in una camera al piano di sopra. Mentre la seguiva lungo la scala, gradino dopo gradino, André guardava i riccioli biondi ondeggiarle sulle spalle e sulla schiena a ogni passo, e immaginava, in un misto di eccitazione e di senso di colpa, che, se lei si fosse girata, avrebbe visto sfavillare gli occhi color zaffiro di Oscar.
Arrivati in camera, la ragazza si era presentata ."Io mi chiamo Françoise". A quel nome, André aveva sobbalzato. Era davvero il suo nome o era stata istruita a presentarsi in quel modo ? "E tu?" gli aveva chiesto puntandogli in faccia due occhi di un celeste un po' slavato.
"André", aveva bisbigliato lui.
"Bene André. Madame Tellier mi dice che non sei un grande frequentatore di case come la nostra..". Aveva sorriso, un sorriso franco, aperto, persino fanciullesco. "T'es si sarmant", aveva detto con una pronuncia un po'blesa, da bambina tenera, che lo aveva fatto sorridere.
Poi, tutto era stato molto penoso. Françoise era bella, giovane e gentile, con la pelle candida e profumata di rosa, maniere dolci e delicate, i fianchi tondi e mani piccole e leggere che gli scorrevano sulla pelle con grande abilità, e certo non lo aveva lasciato indifferente trovarsela addosso senza abiti; addirittura, gli aveva sussurrato all'orecchio, con un fare malizioso: "Stanotte puoi anche baciarmi, se vuoi:.. »
 Ma ciononostante, André, dopo aver finito, si era messo a piangere silenziosamente, con il capo fra le mani.

"Che ti prende, André?", gli aveva chiesto sollecita e intenerita Françoise, passandogli una mano fra i capelli che si erano sciolti dal nastro.
Non aveva saputo, o potuto rispondere. Soltanto, due giorni dopo era tornato da lei, e il giorno dopo ancora; e sarebbe tornato altre volte, sempre chiedendole di abbassare il lume, per poter meglio immaginare di stringere fra le braccia Oscar, la sua irraggiungibile Oscar, per poi piangere di delusione, morficazione, frustrazione, immaginando la sua Oscar distesa in solitudine fra le lenzuola fresche e profumate di lavanda e mughetto del suo letto, sotto il bel baldacchino azzurro, un libro di balistica fra le mani e chi sa quali pensieri in testa.
Poi, un giorno, André era tornato, come suo malgrado, come sempre, alla maison di Madame Tellier, e non aveva più trovato Françoise. Madame gli aveva spiegato che aveva cambiato maison. « Ma se vuoi », aveva aggiunto, strizzandogli un occhio, « è arrivata giusto ieri una biondina alta e con gli occhi chiari che potrebbe fare al caso tuo, tanto somiglia alla tua contessina ! »
Quella confidenza così sfacciata, e il fatto che avesse avuto la riprova di quanto sospettava, cioè che Jacques doveva avere vuotato il sacco con la tenutaria, lo aveva imbarazzato e fatto adirare.
Stava per prendere la porta, infuriato, quando aveva sentito una mano decisa prenderlo per il braccio, sopra il gomito. Si era voltato, e aveva visto lo sguardo, insolitamente severo, di Madame Tellier.
 
 
Si ringrazia per la fan art di André scrivente Galla88, alias la mia Ifigenia, idolo e vittima (taccio il terzo epiteto, e Don Lisander mi perdonerà), dei miei deliri creativi.
Ringrazio anche, per l’ispirazione che mi ha fornito un suo dialogo, anche se poi la mia storia prende un altro giro, Ellephedre, con la sua splendida « Nato Servo » : grazie mille, e grazie per la tua gentilezza e disponibilit-
Infine  - io ve l’avevo detto, no ? che c’era lui dietro a questo racconto – ringrazio il Signor T., così misconosciuto e sottovalutato nel nostro Paese : un autentico classico della letteratura giappnese, che vi consiglio di andare a vedere (e vedrete, in filigrana, il finale... ;) ALLERTA : SPOILER  Nel caso, date un occhio anche al signor K. (e magari ai «Dodici racconti raminghi » di Garcia Márquez).
Quanto al titolo del capitolo, ho usato innumerevoli volte la "Canzone dei dodici mesi" per spiegare le figure retoriche (chiasmo in primis), e le sono affezionata, anche perché cita i miei amatissimi tarocchi come carte da gioco. E se mi sentiste parlare, capireste anche un altro motivo per cui amo Guccini.... Grazie, infine, a voi che mi avete dedicato sinora il vostro tempo, e siete arrivati sino a questo punto.
E come diceva Goldoni (Luca) : con ossequi, ciao !

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Capitolo 12
*** 12 - Facesti come quei che va di notte ... ***


 
 
XII- Facesti come quei che va di notte....
 
Dove eravamo rimasti ...
Come ricorderete, ci eravamo lasciati con André che, tornato nella maison di Madame Tellier, si era risentito per una sua frase....
Vediamo il prosieguo del loro incontro, e non solo quello.
 
"Vieni con me, André".
"No. Devo andare".
"Non è vero. Seguimi un attimo". Lo aveva detto dopo avergli lasciato il braccio, con il tono di chi sa con certezza di essere sempre obbedito. Poi, mentre percorrevano il salotto verso una porta che André non aveva mai varcato, avevano incrociato una faccia nota, cui Madame Tellier aveva detto, con tranquilla autorità e un gesto appena accennato della mano sinistra: "Buonasera, Monsieur l'Inspecteur Marais. La vostra ragazza vi aspetta come sempre nella chambre verte".
 
In un certo senso, André ammirava Madame Tellier, invidiava la pacatezza con cui teneva tutti e tutto sotto controllo, anche i regi ispettori che, come Monsieur Marais, dovevano controllare periodicamente le case di piacere; nonostante Madame avesse forse il triplo o il quadruplo dei suoi anni, e fosse una donna prosperosa e piccoletta, dietro quella morbidezza e quegli occhi castani indovinava la stessa tenacia di ferro della sua Oscar.
 
Entrarono in una vasta camera, ammobiliata con buongusto e persino con una modesta eleganza. André non poté nascondere uno sguardo stupito di fronte alla sobrietà dell'ambiente.
 
"Che c'è André? Pensavi di trovare anche qui sete rosa, pizzi e affreschi con pastorelle discinte e satiri che le insidiano?"
 
André tacque, mortificato, sentendosi scoperto nella sua banalità.
"Questa è la mia stanza privata. Siedi". Gli porse una sedia, poi prese da uno stipo di mogano due bottiglie e quattro bicchieri e li pose sulla tavola davanti ad André
Si sedette.
"Ti vedo turbato, André".
Quello non disse una parola: restava seduto con la testa bassa, con le mani aperte sulle cosce e con gli occhi a terra.
"Beh, almeno non hai avuto paura che volessi portarti a letto io".
 
L'uscita improvvisa gli fece alzare gli occhi, allarmato, e incrociò il sorriso di Madame Tellier.
Sorrise a sua volta.
"Hai visto che almeno sono riuscita a farti sorridere, André?".
 
Si scambiarono ancora uno sguardo ridente e complice.
L'ironia di quella donna era tagliente, quando doveva misurarsi con i clienti propensi a trascendere, mentre con lui diventava ... quasi carezzevole.
 
"Vediamo un po', André, forse stanotte riuscirò a darti una lezione anche più importante di quelle che ti ha impartito Françoise. E non fare quella faccia sdegnata quando te la nomino: non sei sua Maestà il Delfino!"
 
Allineò i quattro bicchieri e versò, con precisione, alternatamente dalle due bottiglie, bordeaux e pastis.
 
"Ecco fatto, pulcino. Ora ti insegno un  rimedio buono per tutti i mali:        non una semplice ubriacatura, ma una sbronza scientifica. Tieni", e gli aveva avvicinato due bicchieri, pastis e bordeaux.
 
"Ora, forza, un bicchiere di bordeaux e uno di pastis: giù tutto".
 
Avevano ingollato all'unisono due bicchieri: l'effetto dei due alcolici così diversi, arrivati a mescolarsi insieme nello stomaco, era dirompente.
 
"Fuoco, eh?", aveva sorriso Madame Tellier. "E ora, via, ancora", e aveva riempito nuovamente i quattro bicchieri, alternativamente, di vino rosso e di pastis.
"Con questa cura, ogni male, per un po', se ne va. O almeno, sembra più sopportabile".
 
Non era stato pronunciato il nome di Oscar, la "contessina" Jarjayes" non era stata nominata, ma ugualmente, era lì, la sua presenza pervadeva la stanza a ogni minuto, senza mai essere evocata in  modo esplicito. Se di giorno Oscar in piena luce e lui era l'ombra che teneva dietro ai suoi passi ora, la notte, Oscar era l'ombra fedele che non lo lasciava mai.
Gli occhi di André andarono a un dipinto, il solo, oltre a una riproduzione di una Madonna di Raffaello, ad adornare le pareti imbiancate a calce della stanza, modesta ma così confortevole, che gli ricordava stranamente quella di sua nonna: il viso dolce di una giovane monaca, con il velo nero tirato orizzontalmente sulla fronte, di diversa, ma non inferiore bianchezza, rispetto alla benda e al soggolo.
"Ti piace la mia Clarette?", gli chiede Madame Tellier in tono cupo.
André non disse nulla.
 
"Ognuno di noi ha atroci dolori da sopportare, André". Per me", continuò, "è un grande dolore poterla vedere solo da dietro la grata di un convento. Ma sarebbe stato un dolore ancora più cocente vederla qui, o saperla in un'altra maison, mezza spogliata ed esibita sotto gli occhi di tutti i clienti."
 
Aveva buttato giù altri due bicchieri, seguita da André. E con questi, erano arrivati a sei a testa. Madame Tellier sembrava più lucida che mai. Lucida e spietata.  "Per sopravvivere, bisogna sempre cercare di scegliere il prima possibile, fra due dolori, il meno lancinante. Quella non è per te, lo so io come lo sai tu, anche se non ti piace sentirtelo dire. Vedi tu che cosa sia meglio fare per te, ma non lasciare che siano gli altri, o il destino, o Dio a scegliere al tuo posto. Ricordatelo.".
 
André annuì, e osservò Madame Tellier che ingollava altri due bicchieri.
 
"Però, se non altro, ho sempre il mio Jacques, che ogni tanto torna a trovarmi".
Jacques? André sgranò gli occhi. "Che occhioni verdi che hai, pulcino", disse Madame Tellier. E intanto, quello, improvvisamente, capì la strana confidenza fra Jacques e madame, e quanto fossero fuori strada i frizzi degli amici che accompagnavano i passi dello stalliere, quando non si portava una ragazza al piano di sopra, ma seguiva la tenutaria nella sua stanza privata. "Oggi ti va la gallina vecchia, eh, Jaques?!"
 
Quanto dolore c'era dappertutto. Ognuno porta la sua croce, diceva Padre Armand, l'elemosiniere di casa Jarjayes, quando preparava lui e Oscar per la Prima Comunione. Non ci aveva mai più pensato, da molto tempo, e ora, poi, che rifiutava quasi tutte le cose della religione, meno che mai. Ma era consolante pensare che il suo dolore potesse essere non colmato, non condiviso, ma almeno compreso, a volte dagli incontri più impensati, più insoliti, magari mentre ci si riempie di alcool. E se Dio è da qualche parte, pensò, non sta né nell'alto dei cieli, né in me, né in te, ma nel piccolo spazio fra me  e te, mentre ti apro il cuore e tu mi ascolti.
 
Non sarebbe tornato più da Madame Tellier. Tuttavia, nelle poche altre visite che aveva fatto nella sua vita in case simili, avrebbe sempre cercato ragazze bionde con gli occhi azzurri, per misurare poi, all’uscita, quanto fosse inestirpabile il suo sentimento per Oscar.
 
Oscar
        La pendola in biblioteca batte quattro rintocchi forti e due leggeri: le quattro e mezza. Ho letto per quasi tre ore. A breve la casa si risveglierà; alle cinque André si alzerà per ferrare i cavalli, e io non posso farmi scoprire in biblioteca. Per fortuna in questa stagione il sole sorge ancora tardi, e palazzo Jarjayes è ancora immerso nel buio. Esco leggera dalla biblioteca e mi avvio verso la mia stanza. Il corridoio è gelido, e la mia camicia di batista è leggera: mi sta per sfuggire uno starnuto, che riesco, forse un poco maldestramente, a soffocare. Il cuore accelera, il respiro si spezza: non mi avrà sentito nessuno? Quel fruscìo che avevo udito ....
 Passo davanti alla porta della camera di André, così vicina alla mia... rallento il passo, guardinga, e... la porta si apre.
 
"Oh! André, sei tu!"(Che cosa sciocca, mio Dio! Che stupidaggine mi è sfuggita! Chi mai dovrebbe esserci nella camera di André, se non André?!)
 
"Oscar, ma che dici?! Chi altri dovrebbe dormire nella mia stanza?". La porta è semiaperta: dallo spacco di luce vedo i suoi occhi verdi barbagliare (è di ironia quello sfavillìo che colgo?) e il suo sorriso gentile. La camicia da notte di batista bianco, quasi uguale alla mia, è tesa dai muscoli e il laccio è aperto sul petto (da quando è diventato così... ampio? E così robuste quelle spalle cui mi sono appoggiata e fatta portare tante volte..?). Ma, soprattutto, i capelli di André sono sciolti: da che lo conosco, da che ha messo piede per la prima volta a palazzo, li ho sempre visti ordinatamente pettinsti prima, e poi raccolti da un nastro, annodato sulla nuca: adesso vedo quest'onda di calda seta nera che gli scende a ciuffi sul viso, che si spande sul petto, che disegna arabeschi sulla camicia bianca, che inframmezza con riccioli corvini il brillìo smeraldino delle iridi. E' solo un attimo, ma avverto ancora quel senso di vuoto nello stomaco, le viscere torcersi, un caldo sottile sotto la pelle e una piccola vertigine giù, più in basso del cuore: che cosa sta succedendo?
"Oscar, va tutto bene?"
"Sì, André, non preoccuparti: ero scesa per un attimo nelle cucine"
"Nelle cucine?"
(Che scusa risibile! In oltre vent'anni non è mai accaduto che la notte, dopo la chiusura delle cucine, mi ci avventurassi! Magari nelle cantine, e André lo sa benissimo, ma non nelle cucine!)
 
"Sì (cerco di restare impassibile) avevo sentito un rumore e mi sono insospettita. Ma è tutto tranquillo"; mi affretto a dire. E aggiungo: "Sarà stato un topo."
(Il rumore di un topo che si sente da un piano all'altro? Ma che sto dicendo?! Sembra quasi che voglia farmi scientiemente scoprire).
 
"Non mi dire, Oscar: il Comandante delle Guardie Reali, l’impavido Colonnello Oscar François de Jarjayes, questa notte è stato spaventato dal rumore di un topo proveniente dalle cucine!". Le labbra rosse si aprono in una risata, mentre gli occhi si chiudono (da quando André ha ciglia così lunghe?) e la mano sinistra si posa, quasi ad accompagnare la risata, sulla fronte, alla radice nel naso, scompigliando una ciocca nera che ondeggia e sussulta al ritmo dell'alzarsi e dell'abbassarsi del petto di André (Ha sempre riso così ? Perché non l’ho mai notato ?)
 
"In effetti, non sarebbe molto onorevole. Oppure dovrebbe trattarsi di un topo mostruosamente grande. Un topo che stacca le teste a morsi!", dico, con tono scherzoso anche io, cercando di trasformare il sorriso in una piccola risata disinvolta, che mi consenta di mantenere un briciolo di dignità in questo assurdo dialogo (che cosa davvero non sarebbe onorevole, Oscar? Che un colonello vada a caccia di topi in cucina? O che abbia letto di nascosto i pensieri privati dell'uomo con cui ha vissuto fin dall'infanzia? E cui si sorprende a pensare nei momenti più impensati?)
"Torna a letto, Oscar: il corridoio è gelido, e tu sei senza vestaglia".
"Hai ragione André. Sei molto caro a preoccuparti per me".
 
"Veramente non sono così virtuoso, e in realtà mi preoccupo anche per me, Oscare: se ti ammalassi, la nonna mi riterrebbe responsabile ; e allora davvero sarebbero guai  seri !".
 
Una breve risata, all'unisono, che per un attimo copre la distanza fra noi. Due passi, più incolmabili di una foresta piena di pericoli e draghi, come nelle avventure dei cavalieri della Tavola Rotonda, la nostra lettura preferita, quindici anni fa.
 
"A più tardi, Oscar":
"A più tardi, André".
 
Muta promessa di rivedersi sotto la confortante luce del mattino, che spoglia ogni cosa dall'ambiguità, che rimette ogni cosa al suo posto di sempre : io, il Colonnello, lui, il mio attendente.
 
La porta si richiude: faccio solo in tempo a intravedere il suo movimento mentre si volge, i capelli che ondeggiano sulle spalle, sciolti sino a metà schiena...
 
Copro meccanicamente la distanza fra la porta della sua stanza e quella  della mia: sono otto passi. Non li ho mai contati. Otto passi.... la maniglia mi sembra gelida, ma mai quanto le lenzuola, diacce.
Nel caminetto il fuoco è spento da ore, e le poche braci ancora vive sotto la cenere andrebbero ravvivate: ma fa troppo freddo per pensare di alzarmi ancora.
Incrocio le braccia sotto la testa e rifletto. So che dovrei pensare allo scacco subito dalla contessa di Polignac, al fatto che dovrò vegliare con ancora maggiore attenzione sulla mia Regina, per proteggerla dagli intrighi di quella donna avida e ipocrita....ma non ci riesco. La memoria torna alle parole che ho letto, e all'immagine di André, in completo nero e tricorno, al suo baciamano gentile, e poi ad André, certamente nudo sotto la camicia da notte leggera, con i capelli sciolti sulle spalle....
 
André
 
L'ho vista, finalmente.
L'ho vista passare, nel buio del corridoio del piano nobile, mentre tornava nella sua camera: eterea nella camicia da notte che disegnava le snelle rotondità del suo corpo di donna, timorosa di farsi scoprire. Io lo so da dove venivi, Oscar: non mentire raccontando di strani rumori dalla cucina; io so dove eri; e tu, Oscar, tu sai benissimo che io so.
 
 Mi è costato esporre il mio segreto alla tua vista, lasciare scientemente, dopo la prima lettura da parte tua, che tu mi vedessi come nudo, senza le difese e le maschere che indosso ormai da anni, per sembrare calmo, padrone di me, tranquillo, sempre un passo indietro, sempre disponibile e sempre imperturbabile. Ma non potevo più aspettare.
 
La missione che ti sei imposta al casinò per smascherare le truffe della Contessa di Polignac, è stata un insuccesso, o, se vogliamo essere più obiettivi, un nulla di fatto, lo so io come lo sai tu, Oscar. La Contessa di Polignac non deprederà più sfacciatamente la regina Maria Antonietta alla roulette, ma temo che, non essendo stata platealmente svergognata, eserciterà ancora a lungo la sua influenza a corte; e la nostra sovrana, cui tu, Oscar, sei tanto devota, ne ricaverà danni incalcolabili.  E non potremo fare nulla per molto, molto tempo.
 
Però, da parte mia, qualcosa di nuovo, in queste secche di un amore impossibile, che mi strappa e so che mi strapperà l'anima, e mi graffia lo spirito a ogni ora, c'è stato: ora so che Oscar ha scoperto il mio diario. E voglio che ancora, e ancora, ancora, la notte, alzandosi dal suo letto vasto e freddo, si avventuri in biblioteca, sfiorando le pagine con le sue dita lunghe e bianche, e leggendo quello che non posso più raccontarle sussurrandole all'orecchio come quando da piccoli ascoltavamo abbracciati nel suo letto i tuoni e la pioggia scrosciante dei temporali estivi.
 
Non posso scrivere direttamente la parola "amore": la colpirebbe come uno schiaffo in pieno viso. Ma, forse, per gradi infinitesimali,  con passi leggeri, calibrati sulla sua paura di qualsiasi incrinatura nei muri innalzati per poter difendere questo sistema di vita, posso azzardarmi a tentare di farle capire che cosa io provi, e a risvegliare i suoi sentimenti. Perché lo intuisco, lo capisco, lo so che la mia Oscar ha visto e vede in me più che un fedele attendente, un servitore affezionato, sempre un passo dietro lei, sempre nell'ombra, mentre lei sfolgora in piena luce come Diana, marziale e inesorabile come il dio della guerra.
 
 
 
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Ebbene, eccoci alla fine. Tutte le carte sono in tavola, ormai scoperte : è chiaro che la partenza, dall’episodio 15, era solo uno dei fili della narrazione, per cui, una volta tanto, mi è piaciuto prendere a prestito i codici e gli artifici di un genere desueto – e insieme di un classico giapponese - per arrivare a questa conclusione ... che non è una conclusione. Non ancora, almeno.
In questo senso, la citazione dantesca del titolo – il Sommo mi perdoni ! – che ci sarà, dopo, qualcosa con un forte debito con quanto avete appena finito di leggere.
Ovviamente, molti di voi, oltre a quelli già dichiarati, avranno colto i miei debiti in questo capitolo: per prima cosa, la teoria della « sbronza scientifica » viene spiegata da Oriana Fallaci in una parte di « Insciallah » in cui la sperimenta Gino, il parà che vorrebbe ritirarsi in un monastero buddhista. Mi perdonerete : il pastis (de Marseille) nasce a fine Ottocento, ma la motivazione di averlo alternato al vino è che ... piace a me. Motivazione molto scientifica, ne convengo.
Naturalmente, il nome di Madame Tellier viene da Maupassant, e poi, scusatemi, ma non ho saputo trattenermi : una bambina dei primi anni Ottanta non poteva non adorare « Ghostbusters » : ed ecco quindi l’accenno al « topo che stacca le teste a morsi » (ricordate uno dei primi interventi, nell’ascensore dell’hotel ?)
Quanto alle « snelle rotondità » del corpo di Oscar che si intravedono sotto la stoffa leggera, questo solo apparente ossimoro viene da una delle lettere di Valmont nel romanzo di Laclos, quando parla della leggera tenuta estiva, di sottile mussola, di Madame de Tourvel, che gli è stata denigrata dalla Marchesa (nel film di Frears dice « scrive peggio di come veste », nel romanzo afferma, sprezzante, che ha « già trent’anni » sic !). Quali parole migliori di quelle di Valmont  (che tornerà, ma non qui) ?
Se davvero le cose fossero andate così, se questo « what if ... » che diventa via via più ingrombrante si fosse davvero verificato, che cosa sarebbe accaduto ? Certo i personaggi avrebbero avuto se non un vissuto, molto probabilmente delle reazioni diverse, ponendosi OOC .....Credo pertanto che ci sarà un seguito, a breve, una piccola OS che prende le mosse proprio da questa premessa.
A tutti coloro che, inaspettatamente, mi hanno scritto, anche in privato, manifestando grande curiosità e sollecitandomi a concludere, e concludere presto, dico  grazie per gli incoraggiamenti e soprattutto per il tempo che mi avete dedicato, vero patrimonio e autentico dono in questi temi sempre frettolosi.
I prossimi lavori, oltre alla OS cui accennavo prima, saranno, in parte, della misura che più mi è consona, quella della OS, oppure articolati in più capitoli, ma comunque più brevi di questo racconto: aspettatevi almeno un paio di cross-over , e forse tre, da qui all’autunno, magari non così ampi e vasti. Quanto all’aver affrontato un lavoro di lunghezza per me inusuale, come diceva sempre un personaggio di Laclos, « Se non posso ottenere il premio ambito/ mi resterà l’onor d’aver ardito » (aggiungendo poi : « Si possono citare anche brutti versi, se sono di un grande poeta »).
Grazie per la pazienza, e ci vediamo presto, anche su altri lidi, virtuali e non solo.
Ciao e a presto!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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