Writober 2020

di Giughi10
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Fish ***
Capitolo 2: *** 2. Wisp ***
Capitolo 3: *** 3. Bulky ***
Capitolo 4: *** 4. Radio ***
Capitolo 5: *** 5. Blade ***
Capitolo 6: *** 6. Rodent ***
Capitolo 7: *** 7. Fancy ***
Capitolo 8: *** 8. Teeth ***
Capitolo 9: *** 9. Throw ***
Capitolo 10: *** 10. Hope ***
Capitolo 11: *** 11. Disgusting ***
Capitolo 12: *** 12. Slippery ***
Capitolo 13: *** 13. Dune ***
Capitolo 14: *** 14. Armor ***
Capitolo 15: *** 15. Outpost ***
Capitolo 16: *** 16. Rocket ***
Capitolo 17: *** 17. Storm ***
Capitolo 18: *** 18. Trap ***
Capitolo 19: *** 19. Dizzy ***
Capitolo 20: *** 20. Coral ***
Capitolo 21: *** 21. Sleep ***
Capitolo 22: *** 22. Chef ***
Capitolo 23: *** 24. Dig ***
Capitolo 24: *** 25. Buddy ***



Capitolo 1
*** 1. Fish ***


La maschera le copriva tutto il viso, permettendole di osservare il fondale senza che le lenti si appannassero. Chissà quale strana tecnologia serviva per un simile miracolo. La sabbia bianca si intravedeva attraverso le alghe verde petrolio, tra le quali  si districavano sinuosi piccoli pesci scolpiti nel lapislazzuli. Si rifugiarono tra i coralli quando si immerse. Il boccaglio chiudendosi permise comunque ad un po' d'acqua di penetrare all'interno della maschera, bagnandole le labbra. L'acqua offriva resistenza al movimento lento delle pinne, in un lieve gorgoglio. Aprì le braccia: le sembrava di essere uno squalo dei documentari, un calmo e maestoso sovrano del mare. Riprese aria come un'orca, lasciando che l'acqua accumulata nella maschera scivolasse via. Si risistemò la maschera e tornò sotto il pelo dell'acqua con un elegante arco. Mosse velocemente le gambe e divenne un crudele barracuda lanciato contro una preda. Si lasciò trasportare dalle correnti come un'ignara e placida medusa, gli arti abbandonati divenuti tentacoli. Tornando verso riva si  sentiva strappare dal proprio luogo natio, come una cozza dal suo scoglio. Ma come i salmoni risalgono le cascate per nuotare nell'acqua in cui sono nati, così lei avrebbe sentito nuovamente le onde dissolversi sulla battigia. 

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Capitolo 2
*** 2. Wisp ***


Le onde del lago rendevano tremolante la vaga luce delle stelle, nel fresco tepore di quella notte d'agosto. Il vento friniva leggero tra gli aghi delle conifere. Un lupo emerse dagli alberi, avvicinandosi alla riva. Si accucciò a bere. Piccole gocce incresparono la superficie dell'acqua, con un delicato tintinnio. Il pelo della spalla si strinò con un acre odore di bruciato. Con un balzò ringhiò contro la fiammella che tremolava al suo fianco. La annusò circospetto. in lontananza si sentì il rombo tonante delle campane. L'azzurrina creatura ignea sobbalzò terrorizzata, spargendo minuscole scintille candide. Il lupo aveva volto il muso al cielo, in direzione del lamento. Il corpo seguì il movimento del capo, avviandosi silenzioso come un fantasma. Lo scoppiettio dietro di lui era incerto ma non era mai tanto distante da non poter essere udito. I morbidi cuscinetti incontravano l'umida flora del sottobosco, in un trotto cadenzato e lento. La folla arborea iniziò a sfoltirsi in una piana di terriccio smosso ed erba calpestata. Voci stanche e addolorate si avvicinavano da oltre il campo. Accucciato dietro un cespuglio osservò due uomini scavare una fossa poco profonda e dai contorni irregolari. Vi lasciarono cadere un corpicino pallido e vermiglio, che venne ricoperto in pochi secondi dal terreno smosso. I loro passi pesanti e trascinati scomparvero gradualmente. La bestia si voltò ad osservare il fuoco fatuo, raggomitolato e fioco. Ora distingueva il capo tondo, gli arti morbidamente pieni. Soffiò dolcemente contro i radi capelli ondeggianti e si avvicinò alla tomba.
Le onde del lago riflettevano la bluastra luce ilare di due bambini che giocavano insieme mentre un lupo, accucciato sulla riva, vegliava. 

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Capitolo 3
*** 3. Bulky ***


Quella lunga massa di capelli bagnati le ricadeva lungo la schiena. Pesavano contro la schiena, mentre prendeva la spazzola. Il balsamo li aveva resi scivolosi e i denti passavano lungo la chioma, mentre districavano i nodi. Era sempre un'impresa riuscire a sciogliere ogni singola ciocca ed era avvilente sapere che nel giro di una notte un buon quarto di quei nodi sarebbe riapparsa. Ormai non sapeva più come gestire quella lunga massa riccia che non aveva nemmeno più una piega precisa. Aveva sempre procrastinato il taglio, senza un vero e proprio perché. Certo si era ormai abituata ad avere quel nemico innestato nel proprio cuoio capelluto, quella maledizione che di notte la portava a frustare chiunque le dormisse accanto. Per fortuna aveva avuto ben poche visite nel corso di quei quasi tre anni. 
Il chignon aveva ciocche fuori posto, ma non voleva ricorrere alla spazzola: meglio il disordine al capello crespo. Recuperò delle spille comprate in un supermercato e appiattì le piccole curve ribelli il più possibile. Amava che i capelli tirati indietro esplodessero nella coda, lunga e che ricadeva pesante sul collo. Amava avere quei capelli lunghi, in un certo qual senso anonimi: ricci non troppo definiti e molto confusi legati in una semplice coda o, quando erano più annodati, in un chignon. Era un massiccio impegno che la sfiniva e la frustrava, ma era la sua comfort zone, perché cambiare?
Nemmeno mezz'ora e i suoi capelli si erano accorciati di una dozzina o più di centimetri. Sua zia l'aveva assillata per mesi cercando di convincerla a tagliare quel cespuglio e alla fine aveva ceduto. Mal che fosse andata, una parrucca sarebbe stato il prossimo acquisto Amazon e una valida sostituta mentre ricrescevano. Mentre tornava verso casa però non poteva evitare di sorridere: si sentiva leggera, molto bella. Era come se quel semplice paio di forbici l'avesse trasformata in un'altra persona. Quella sera, quando si stese, non ebbe bisogno di stendere lungo il cuscino quella chilometrica ed ingombrante massa scura. 

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Capitolo 4
*** 4. Radio ***


Il basso chiacchiericcio della trasmissione gli rendeva più semplice scrivere, al contrario di quanti avrebbero potuto affermare che la musica o i vari programmi distraessero. Quello era una pallida imitazione dei suoni che aveva sentito nei suoi viaggi, ma era il modo più basilare per richiamare alla mente quelle sonorità: cercare nel rumore quella melodia particolare e affidarsi ad essa per ricostruire poi la scena. Così due conduttori che rispondevano alle domande da casa potevano diventare la compravendita del suq di Khan el-Khalili al Cairo, con gli aromi delle spezie e del tabacco che trascinavano il corpo nell'esplorazione delle merci variopinte. Un'allegra melodia inglese faceva immergere nell'ambiente caotico di Londra: passeggiare con un cartoccio di fish and chips ad ungere le dita e scaldare lo stomaco mentre attorno migliaia di persone si affrettavano in lungo e in largo, con le loro diverse etnie mescolate nella lingua più diffusa del mondo, raggiungere la Torre e i suoi gioielli, osservare il London Eye e ascoltare il Big Ben suonare l'ora, assumendo il lento scorrere del Tamigi. Un rapper invece evocava New York, il florido e il marcio che si confondevano, le gang di strada che cercavano un orologio da poter rubare e i business men in giacca e cravatta che entravano nei grattacieli che ospitavano i loro uffici. I tormentoni in lingua ispanica non potevano che ricordare Madrid e la sua folla gioiosa, ma anche irrimediabilmente il Messico, con le quesadillas fumanti, la polvere di habanero conservata nei vasetti degli omogeneizzati e le scalinate dei templi costruite con una pendenza tale da vedere a fatica gli scalini quando ci si accingeva a ridiscendere. La sera, quando si stendeva nel letto, nel silenzio, allungava una mano. Trovava solo il freddo di un cuscino abbandonato da tanto, da quando il tumore gliel'aveva strappata via. Amava ascoltare la radio. 

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Capitolo 5
*** 5. Blade ***


La sua redingote blu cobalto faceva risaltare i fiori damascati in oro e il candore della camicia e i suoi bottoni scintillanti. I pantaloni erano realizzati con lo stesso tessuto e gli stivali neri e lucidi avevano fibbie di perle. Si aggirava per la sala con il passo elegante di un gatto, la maschera a coprire solo gli occhi accentuava gli occhi scuri. Erano neri come i suoi capelli, delicatamente mossi e lasciati ondeggiare liberamente sulle spalle. Gli aveva lanciato un'occhiata, le labbra morbide arcuate in un sorriso sornione. Quanto lo detestava. Con un gesto impercettibile del capo, quella lieve torsione laterale che ha un lupo quando fiuta l'aria, era sparito dietro una delle pesanti tende che celavano i balconi. Lo raggiunse e osservò le sue lunghe dita bianche sciogliere il fiocco della maschera, prima che scompigliassero quei ricci. Si scambiarono uno sguardo intenso prima che il corvino lo baciasse. "Perché mangi il cioccolato quando sai che lo odio?" "Perché vedere la tua faccia disgustata e sorpresa è sempre un piacere. Certo non è paragonabile a quando condividi la notte con me, ma in questa vita bisogna approfittare di ogni piacere, non credi?" "Se per te quel cibo amaro può definirsi piacere..." "Perché non lo hai mai degustato con un po' di whisky." "Ecco perché puzzi di alcool a inizio serata." Ridacchiò prima di guardarlo con gli occhi smeraldini: "Siamo gelosi?" "Perché dovrei esserlo?" "Credi che non me ne sia accorto? Il tuo sguardo mi ha seguito dal momento in cui sono entrato e potevo sentire delle stilettate infuocate quando mi fermavo a chiacchierare con qualche dama." Le sue dita stuzzicavano il fazzoletto che aveva inserito nel taschino della propria giacca, disfacendone la piega perfetta. "Come se tu potessi mai essere attratto da una donna." "Oh, lo so bene, sei tu che mi lanciavi occhiatacce, passerotto. Ma io almeno non lascio che nutrano sospetti, come invece sembri voler far te." "Sono sincero con me stesso, al contrario di qualcuno che conosco." "Avvicinandoti ogni giorno alla forca." La mano si era serrata sulla manica della giacca: "Non voglio perderti per una qualche stupidaggine." Prese delicatamente le sue dita, scaldandole tra le proprie.

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Capitolo 6
*** 6. Rodent ***


Il suo piccolo musino spuntò dal buco e osservò silenziosamente il giovane. La sua figura lunga e sottile era ricoperta di vestiti rattoppati, le ciabatte sfasciate: i suoi occhi azzurri cerchiati di nero erano tristi e sospirosi. Aveva fatto cadere un reticolo di fili dorati e ora stava spezzando del pane. Gli si avvicinò guardingo e il ragazzo gli porse una parte del suo pranzo. Stava per addentarne la mollica quando una massa di topi neri lo sbalzò via, assalendo voracemente il boccone. Le dita del prigioniero, fasciate e pallide, gli porsero allora la pagnotta. Ne strappò un pezzettino con le zampine e se lo gustò, prima che un forte squillo di tromba lo facesse fuggire via. Si fermò all'entrata della tana: quello sconosciuto era stato così gentile con lui, non poteva lasciarlo solo in quella cella scura, stretta e solitaria. Zompettò indietro e lo guardò mentre si sporgeva verso la piccola apertura da cui ora proveniva una voce melliflua e un rumore di zoccoli. 

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Capitolo 7
*** 7. Fancy ***


Il profumo della pasta di zucchero e della glassa al cioccolato riempiva il laboratorio. Amava lavorare a quei piccoli dolci. Cubetti di pan di spagna farciti di lamponi e cioccolato con copertura azzurro pastello e dettagli bianchi e celeste. Completò una decorazione: la pasta di zucchero era attraversata da sottili righe verticali, il centro coperto da una rosellina bianca. Lo sistemò vicino agli altri e ne poggiò un altro sull'alzata girevole. Lo copri di un velo candido e lo avvolse in un dolce fiocco azzurro. Le sue dita sfruttavano gli strumenti come un orafo avrebbe fatto con i propri gioielli, attento affinché ogni pietra fosse incastonata a dovere e nel punto giusto. Realizzava i decori con la stessa precisione con cui si cesellava l'oro e osservava i dolcetti con la cura maniacale di chi valuta la preziosità di un diamante. I suoi due assistenti gli facevano trovare i dolci pronti per essere decorati e allora lui procedeva a completarli. La sposa aveva richiesto un lavoro raffinato, che giocasse con i contrasti. Perché non pensare allora a dei bocconcini all'apparenza delicati ma che rivelavano un sapore corposo e deciso? Ormai ne mancavano pochi e avrebbe potuto consegnarli alla coppia. Non doveva comunque permettersi che quella mezza dozzina fosse mediocre. Si stiracchiò e riprese il lavoro. 

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Capitolo 8
*** 8. Teeth ***


Prese in braccio il gatto e si sistemò con lui sul divano. Gli carezzò il pelo morbido e folto e ripensò a quando lo aveva portato per la prima volta a casa.
Era una serata fresca di inizio giugno e stava tornando dopo una cena in compagnia. All'improvviso aveva notato delle macchie rossastre e ancora viscide sull'asfalto e una massa scura a bordo della strada. Era sceso dalla macchina e aveva cercato di rassicurare il piccolo micio spaventato e ferito. Gli aveva addentato le mani e aveva soffiato, incapace di fuggire per colpa della zampa rotta. Lo aveva raccolto nella giacca leggera con la maggior delicatezza possibile e a casa aveva preparato per lui un giaciglio in camera, con cibo e acqua a sua disposizione, insieme alla lettiera, anche se temeva che non avrebbe potuto usarla. Al mattino lo aveva portato dal veterinario, che aveva diagnosticato la frattura e ingessato la zampa del micetto. Aveva deciso di adottarlo: da quando Leone lo aveva lasciato si era sentito solo e quel gattino non aveva qualcuno che potesse occuparsi di lui.
Aveva continuato a morderlo per molto tempo, prima con aggressività, lasciandogli sottili cicatrici, poi con affetto. Era incredibile come un atto così bestiale potesse in realtà comunicare un "ti voglio bene". Non più la pressione atta a strappare la carne e lacerare le vene, ma un tenero graffietto per indicarti come preda dell'anima, come cibo fonte di affetto e premure.
Ora quelle zanne avevano incominciato ad indebolirsi, a cadere, il pelo si era iniziato a striare di bianco e gli occhi erano spesso appannati e distanti. Così non capitava più che gli afferrasse il braccio tra le mascelle per gioco, ma piuttosto che leccasse quei piccoli puntini bianchi sulla sua pelle, mentre le dita della mano libera elargivano i grattini sulla schiena che tanto adorava.

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Capitolo 9
*** 9. Throw ***


Vorrei liberarmi
dal roveto.
Stringe, 
Serra,
Tormenta,
Dissangua.
Ma
le mie
Radici
sono
Sue.

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Capitolo 10
*** 10. Hope ***


Nel mio lettino si è creato un caldo bozzolo, vorrei che questo calore non mi abbandonasse quando uscirò ed affronterò il cielo e le insidie della terra. Sento già le radici pronte ad affondare nel terriccio soffice e umido dopo la pioggia, le foglie accogliere il sole. Quando ero ancora appeso al ramo di mia madre sentivo raccontare tante storie su quanto fosse bella la vita. Spero anch'io di essere rifugio per gli insetti e che gli uccelli costruiscano il loro nido. Spero di portare dolci frutti agli animali, di poter narrare a mia volta fiabe mentre il vento fa danzare le foglie. Spero di dormire sonni tranquilli durante l'inverno e che i miei rami siano usati per portare fuoco e calore nelle case degli uomini che percorrono la montagna. Spero che la volpe mi riferisca le sue malefatte e che la civetta mi mostri le costellazioni celesti, che il picchio fori la mia corteccia e che lo scoiattolo la percorra correndo. Spero che i cervi strofinino contro la mia corteccia i loro palchi, che i conigli scavino tane tra le mie solide radici. Spero di resistere ai temporali e che i tuoni evitino le mie chiome. Spero che la brina porti con sé la promessa di rinascita a primavera.

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Capitolo 11
*** 11. Disgusting ***


"Non li trovi anche tu rivoltanti?" "Sei sempre così drammatico. Semplicemente non possono immaginare cosa siano davvero rispetto a noi." "E credi sia una giustificazione sufficiente? Hanno testi sacri che li dipingono sempre come formiche, polvere, insignificanti." "Non vuol dire che non vogliano comunque cercare una loro dignità." "E quale? Prevalere sull'altro così da sentirsi più forti di altri?" "L'amore." "Ti prego, risparmiami certe stronzate." "Sai che non intendo quelle melenserie da telenovela." "Non potrebbe mai essere un sentimento paragonabile a ciò che proviamo noi." "Non per questo ha meno valore." "Lo ha dal momento che sanno principalmente distruggere ciò che prima era loro caro. Guardali! La terra che prima era la loro madre ora è ricolma di veleni, i fiumi sono soffocati dal marciume e dai rifiuti. Hanno portato ad estinzioni di migliaia di animali e piante, hanno massacrato per millenni i loro stessi simili." "I nostri popoli non si distruggono a vicenda da secoli?" "Noi siamo immortali! Qualsiasi cosa ci accada saremo eternamente condannati a riviverla! Loro invece hanno a malapena un singolo secolo di esistenza e lo sprecano uccidendo, rovinando ogni loro legame!" "Non tutti sono così, ci sono persone rispettose." "Cazzate! Ognuno di loro ha ferito qualcun altro o qualcosa nella loro inutile esistenza!" "Non credi sia in parte colpa nostra? Con un esempio del genere non potevano fare altro, no?" "Se fossero così intelligenti capirebbero cosa bisognerebbe fare e cosa no." "Nemmeno noi che, come dici tu, gli siamo superiori, ragioniamo per ogni nostra azione o parola." "E quindi? Rimangono putridi maiali." "Noi siamo diversi solo perché non ci aspetta un macello. Quindi abbiamo sempre tempo per rimediare. Immaginati dover correre dietro al tempo, che fugge senza sosta. Che pressione devono sopportare, sapendo che ogni secondo potrebbe essere l'ultimo?" "Ma perché... Perché allora provocano tutto questo dolore?" "Come riconoscerebbero la felicità se non vi fosse la tristezza?" Sospira in risposta. Le grandi ali dell'altro lo avvolgono: "Non riesci proprio a dire che in realtà sei preoccupato per loro, vero?" "Ti devo spennare adesso o posso aspettare qualche secolo?"

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Capitolo 12
*** 12. Slippery ***


Il sole attraversava le larghe chiome degli alberi in minuscole chiazze candide che facevano rilucere l'umido sottobosco. L'aria odorava di terriccio smosso e di erba bagnata. In una radura notò un ampio cerchio delle fate, le rosse teste dei funghi a punti chiari che spiccavano nel verde scuro del muschio. Al suo interno erano cresciuti rigogliose varie specie di fiori, che inondati di luce parevano scolpiti dalle gemme più preziose. Notò un movimento tra gli alberi e una lunga chioma rossa svanire dietro il tronco di un ampio pioppo. "C'è qualcuno? Non volevo disturbare." Fece finta di allontanarsi e osservò da lontano una dolce fanciulla avanzare lentamente dal suo nascondiglio. Vestita solo di fiori e con i lunghi boccoli di fiamma che le ricadevano lungo la pelle candida, avanzava in punta di piedi, leggiadra e silenziosa come una cerbiatta. E dell'animale aveva il dolce sguardo innocente, riflesso però nelle calme acque di un lago. Un brivido di piacere percorse la schiena dell'uomo, che si lasciò sfuggire un roco sospiro. La fanciulla sussultò e iniziò a correre, fluida nei movimenti come un ruscello di montagna, agile come una lepre. La inseguì, pesante e ansimante come un cane da caccia, ululandole di fermarsi. Imbracciò la balestra e una freccia sibilò nell'aria, graffiandole il fianco. La fanciulla arrancò fino ad un nuovo cerchio di funghi, di colore scuro. Al loro interno l'erba era secca e il terreno duro e crepato. Il suo aggressore le afferrò la caviglia e la fece cadere prima che potesse superare la linea tra il bosco vivo e quel piccolo rifugio nato dalla morte. La presa di lui scivolò, come se la carne soffice di lei non fosse stata altro che la morbida coda della volpe. L'uomo rimase al di fuori, senza coraggio di oltrepassare quella fragile ed inquietante barriera. Si fissarono per lungo tempo, il coniglio che si è rifugiato nella sua tana, il lupo che lo aspetta all'entrata, pronto a ghermirlo. L'odore del sangue inebriava l'uomo, che osservava il colore scuro e vivido imbrattare la pelle di lei, mentre la sua pelle diventava sempre più pallida. Il sole tinse d'oro la scena, prima di eclissarsi oltre l'orizzonte. La luna li trovò ancora fermi, impotenti l'uno sull'altra. Li ritrovò così anche la sera dopo, e quella dopo ancora. Lei sempre più bianca, lui sempre più nero. I suoi abiti erano sporchi di terra e avevano ormai perso la profonda tonalità verde che hanno gli aghi dei pini. La quarta sera trovò una massa dilaniata all'interno del cerchio e orme insanguinate e spaventate che si allontanavano il più in fretta possibile per trovare nuova innocenza in qualche fonte montana, al fianco di orme ferali. I lupi le cantarono di come l'uomo avesse infranto la sacra legge e avesse attraversato il cerchio. Le cantarono di come si erano mossi come un unico corpo per distruggere il profanatore e di come il più giovane e bello di loro avesse accompagnato la ninfa ad una sorgente sicura. 
Qualche sera dopo il canto dei guardiani del bosco venne interrotto da sibili sottili come la  saettante lingua di un serpente. 

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Capitolo 13
*** 13. Dune ***


La sabbia veniva sollevata in fruste aguzze dal vento e le gambe ne venivano colpite in violente sferzate. Le caviglie affondavano nel calore cocente delle dune e i bagagli pesavano sulle spalle. Il vento muoveva i capelli davanti al viso, mentre il sudore glieli appiccicava alla fronte. Non riusciva più a salire, la sabbia scivolava sotto i suoi piedi e la faceva affondare e cadere. Scese e aggirò la duna lisciata dal vento. Ne trovò un'altra e iniziò la salita sul bordo della duna, procedendo lentamente. La sabbia bruciava e cedeva sotto i suoi piedi, senza un possibile ristoro ombroso che stemperasse il bollore. Ansimava leggermente mentre procedeva ormai a tentoni. La sabbia crollò sotto il suo peso, facendola sbilanciare e cadere avanti. Si sollevò, liberando il viso dagli appiccicosi granelli, e riprese la marcia. Arrivata in cima all'ultima duna vide il cobalto del mare, con la spuma leggera e candida. La forte brezza oceanica sosteneva i gabbiani nelle loro giravolte. L'acqua cristallina permetteva di vedere il fondo chiaro e i pesci che nuotavano guizzanti tra formazioni rocciose e alghe sinuose.

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Capitolo 14
*** 14. Armor ***


Volava leggero e silenzioso nell'aria, la criniera mossa in onde dal vento. Il corpo sinuoso si dipanava come un inconsistente nastro di seta, in eleganti giravolte. Le vele candide di un veliero erano gonfiate dalle correnti, mentre l'oceano scintillava al sole dorato del pomeriggio primaverile. Scese in picchiata, tuffandosi poco lontano dalla nave. Le sue spire lucenti spansero bagliori iridescenti quando riemerse al fianco della barca. Le grandi vibrisse captarono stupore e meraviglia, mentre in un ampio e lento arco incorniciava la nave, immergendosi nuovamente nelle onde dell'oceano. Intrattenne i marinai in una serie di evoluzioni armoniose, come una danzatrice dalla lunga gonna di stoffa sinuosa. Tra di loro notò un giovane mozzo, dagli occhi neri come le perle più preziose, vigili come quelli di un gabbiano. Si immerse nei flutti. 

Il porto presentava una lunga via di pub dove si serviva birra dorata e spumosa. Tra i marinai che giocavano a dadi con la dea Fortuna molti artisti intrattenevano con i loro spettacoli sia gli animi nobili che quelli più maliziosi. "Cosa succede laggiù?" "Sarà un'altra prostituta che agita il culo in attesa di un cliente, cosa potrebbe mai essere? Ragazzo, sei troppo ingenuo, certe volte!" Si avvicinarono comunque al cerchio di uomini. Il ritmo incalzante tamburi  guidava i passi di un giovane uomo. Gli occhi erano affilati come zaffiri intagliati, della stessa sfumatura brillante, i lunghi capelli erano lucenti e scuri come l'olio nero che si usava per accendere le lampade. I suoi movimenti aggressivi richiamavano la violenza impietosa di una tempesta, in contrasto con le vesti di seta, gonfie e tinte meravigliosamente con i colori dell'oceano. Nelle mani stringeva due ventagli con raffigurati due dragoni, rossi e dorati. Sulla sua fronte brillava una perla, incastonata in una tiara d'argento. Finita la danza, i loro sguardi si incontrarono.

Le sue labbra sapevano di sale e i capelli avevano il profumo del vento. Gli carezzò la guancia, candida e liscia. I suoi occhi alla fioca luce del mattino erano del colore intenso del lapislazzuli. Sorrise dolcemente e spinse il viso contro la sua guancia. "Se ci scoprissero potrebbero ucciderci." "Ti proteggerei." "Sei così esile." "Ho un'armatura che non può essere penetrata." "Davvero? Eppure non la avevi addosso." Rise piano, enigmatico, e si strinse a lui, abbracciandolo: "Ho i miei segreti." Sentì le sue dita carezzargli la schiena, prima che il braccio si tendesse oltre. Sentì il leggero rumore di una lama sguainata e fece per alzarsi. Venne tenuto fermo dal giovane mozzo. "Ti prego, non farlo." "La tua armatura serve a noi." "Non farmi questo, ti prego. Potrei aiutarvi, senza che..." "Non l'ho deciso io." "Ma..." "Mi dispiace." Pianse e le sue lacrime appena lasciarono la sua pelle divennero candide perle. La lama penetrò la pelle calda e morbida prima che ridiventasse una cotta di scaglie dure come il diamante. Il mozzo si liberò dal peso del drago, che agonizzava sul loro letto, vomitando sangue sulle lenzuola. I loro occhi si incontrarono ancora.

 

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Capitolo 15
*** 15. Outpost ***


L'avamposto era stato costruito attorno al tronco di un grande albero, in un'ampia ma rozza piattaforma. L'avevano costruita in fretta, ma solidamente: i tronchi erano massicci e non c'era modo di farla venire giù. Erano in sei sulla piattaforma, due a fare la ronda. Potevano aver scelto astutamente di elevarsi dal terreno, ma non di scegliere un bosco come loro rifugio. Si accoccolò tra i rami di un albero poco lontano ad osservare i giri di ronda: si avevano continuamente in vista tranne che per un ontano, che impediva per qualche istante la visuale. Scese e si avvicinò guardingo, compiendo un ampio giro per portarsi vicino all'ontano senza essere notato. La lama affilata baluginò alla luce della luna, prima di scomparire nelle arterie fragili del collo. Il pugnale impedì al sangue di sgorgare copiosamente e trascinò velocemente il corpo il più lontano possibile, appena in tempo. "Carl è sparito." "Sarà andato a pisciare, tornerà tra un attimo, vedrai." Estrasse l'arma e si avvicinò quatto al secondo uomo di ronda. Appena gli diede le spalle, nel punto più lontano, trovò ugualmente la morte. Saggiò silenziosamente la corda dell'arco e iniziò ad arrampicarsi sull'albero più vicino alla postazione. Era questione di minuti prima che notassero l'assenza dei due. Raggiunta la cima, rimase acquattato tra le fronde. Uno di loro era proprio davanti a lui, con un'occhiata più attenta avrebbe potuto notarlo, nonostante gli abiti scuri. Incoccò la freccia e la puntò contro la sua fronte. Scoccò e ascoltò il suono glaciale del cranio spaccato e delle cervella trafitte, mentre un altro sibilo annunciava la fine anche del compagno sistemato poco lontano da lui. Scese dall'albero e fece furtivamente il giro dell'accampamento. Una freccia lacerò le corde che tenevano il ponte levatoio assicurato ai rami del antico albero, facendolo crollare a terra. Li sentì imprecare e cambiò nuovamente postazione, accoccolandosi tra le radici di un albero poco distante. Preparò quattro frecce e le scoccò una dopo l'altra. Il silenzio venne rotto dall'accasciarsi sordo dei loro corpi sul terreno. Esaminò l'accampamento. Avevano posato un baule contro il tronco. Lo aprì e prese dolcemente tra le dita una gabbietta per insetti. Al suo interno brillava una piccola creaturina. "E-Era tutto così buio! Ho avuto così tanta paura!" Pigolò la fata, mentre le apriva. L'esserino volò tra le pieghe della sua giacca, fino a nascondersi nella tasca. "Torniamo a casa?" "Sì, torniamo a casa."

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Capitolo 16
*** 16. Rocket ***


Con un razzo avrebbe potuto fuggire molto lontano. Avrebbe potuto magari rivedere sua madre. "È andata in cielo" le avevano detto, perché allora non andare a trovarla? L'aereo non permetteva mica di arrivare fino alla luna! Eh sì, sua madre aveva scelto la luna come nuova casa, per forza. Le piaceva da impazzire, o non l'avrebbe chiamata Selene per niente! Così aveva iniziato a costruire il proprio razzo, mettendo insieme i frammenti di vecchie scatole di cartone. 

"Ma è vero che non hai più la mamma?" "No, non è così! Mia mamma è solo andata a trovare una nuova casa sulla luna!" "Scema, ma mica si può andare sulla luna!" "Però hanno detto che è andata in cielo! Dove doveva andare se non è sulla luna?" "È morta, cretina!" "No! La mia mamma non è morta! È sulla luna e ve lo dimostrerò!" "E come?" "Ci andrò anch'io e ci faremo una foto insieme!" Avevano riso e lei era corsa via piangendo dal parco giochi.

"Buonanotte, papà! Buonanotte Lucy!" Ci aveva messo più tempo di quanto avrebbe voluto per realizzare il suo razzo, specie dopo che suo padre aveva scoperto quale terribile sciocchezza stesse facendo perdere tempo a sua figlia. Suo padre non capiva. Suo padre aveva già trovato una nuova ragazza, ma lei non poteva di certo accettare Lucy come mamma. Non che Lucy fosse cattiva, ma la sua vera mamma era sulla luna, doveva solo sistemare il trasloco e sarebbe tornata per portarli con loro! Perché papà doveva essere così egoista e cattivo? Quando sentì che erano andati a dormire, prese il razzo di cartone dipinto che aveva nascosto nell'armadio. Uscì sul balcone e si arrampicò sul tetto. 

"Selene, perché sei qui?" "Volevo venirti a trovare sulla luna, mamma, ma sono caduta e non ricordo nulla!" "Forse un angelo ti ha salvata e portata sulle sue ali fino a qui. Su, vieni qui, piccina mia, voglio abbracciarti..." Si era buttata nell'abbraccio di sua madre, sorridendo felice. 

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Capitolo 17
*** 17. Storm ***


"Ho preso il tuo portatile, non è un problema, vero?" John osservò il computer di Sherlock, appoggiato dall'altro lato della scrivania. "Presumo di no." Posò i sacchetti della spesa sulla sedia, ormai non tentava nemmeno più di liberare il tavolo della cucina dagli strumenti del coinquilino. "Hai davvero intitolato l'ultimo caso La rana assassina? È un titolo ridicolo!" "il killer lasciava statuine di rana, come dovevo chiamarlo?" "L'ossessivo ranocchioMai baciare rospi?" John sollevò gli occhi al cielo, mentre sistemava le uova il più lontano possibile dalle dita che ristagnavano nel frigorifero. Sistemate le provvigioni si sedette sulla poltrona e prese a leggere il giornale. "Sherlock riuscì, con uno sguardo, a riconoscere la marca di acrilico che l'assassino aveva usato per dipingere la creta, il numero di passate ma sbagliò nuovamente il nome di Greg." "Lo hai chiamato Ginny, e ringrazia che non l'ho scritto." "Stavo pensando, non è che mi posso concentrare su ogni essere vivente che gira attorno ad una scena del crimine per evitare di sbagliarne il nome mentre cerco di trovare un killer animalista." John sfogliò il giornale: "Se ti può consolare, il pubblico è affezionato a questi tuoi difetti." "Ora mi rincuori davvero, John Hamish Watson, mentre la mia dignità potrebbe venire distrutta da un momento all'altro." "Ne dubito, la tua dignità e soprattutto il tuo ego sono troppo smisurati per poter essere scalfiti. Non c'è riuscito nemmeno quel cappello da caccia." "Quel ridicolo cappello da caccia." Scese il silenzio, mentre Sherlock abbandonava in un gesto fluido la sedia e il computer e si dirigeva in cucina. John ascoltò pigramente l'armeggiare di Sherlock, leggendo il giornale in cerca di un qualche strano avvenimento, prima che il detective potesse entrare in uno dei suoi stati di noia e insofferenza. "Vado a farmi un bagno." "Ok, così dopo preparo la cena." L'altro sparì nel bagno, da cui uscì solo una mezz'ora più tardi. I ricci, ancora lievemente umidi, andavano definendosi mentre l'aria evaporava. Avvolto in un pigiama pulito e nella morbida e larga vestaglia, si lasciò cadere teatralmente sulla poltrona. Era come un grosso gatto accoccolato nella sua cuccia. John si alzò per preparare la cena mentre Sherlock cercava un programma interessante alla tv, fermandosi sul suo preferito: un finto tribunale dove inscenavano ogni tipo di possibile reato o questione. Sherlock si divertiva particolarmente a osservare il pubblico e raccontare ogni singolo dettaglio delle loro vite, sopra le loro fastidiose e insignificanti opinioni su quale coniuge dovesse tenere o meno in custodia i figli dopo il divorzio o su chi tra la ragazza tradita e il fidanzato fedifrago avesse ragione. John lo ascoltava paziente, ogni tanto chiedendo spiegazioni, tra l'effettiva curiosità che sempre manifestavano le doti di Sherlock e la consapevolezza di quanto quest'ultimo si esaltasse quando poteva spiegare le proprie deduzioni. Assumeva così quella parlata veloce e sicura, gesticolando piano verso lo schermo. John aveva imparato anche a scegliere pasti nutrienti ma moderati nelle dosi per il coinquilino: non che il cibo non gli piacesse, specie se cucinato bene, ma la digestione ne rallentava poi quella magnifica Ferrari che era il suo cervello, e di certo vederlo in quello stato non era un desiderio del dottore. Il pesce, jolly salvavita, era la scelta anche di quella sera. Il forno trillò ed estrasse la teglia, in cui riposava del branzino, bianco e lucente, su un letto di patate, ad aggiungere colore e sapore vi erano alcuni pomodorini tagliati a metà. Aveva già apparecchiato la scrivania, così si avviò verso di essa. Sherlock gli si avvicinò con curiosità: "Avevo immaginato bene allora, che fosse una nuova ricetta." "Già, spero ti piaccia. Ho timore che le patate siano rimaste un po' crude." "Naturale, l'acqua contenuta nel pesce ma soprattutto nei pomodorini deve averle rese più umide del necessario." "Però ti è venuta ugualmente l'acquolina, o avresti aspettato che arrivassi al tavolo, prima di fare il saputello." Il detective non poté fare altro che fissare il dottore tagliare una porzione di quel ben di dio e servirgliela. John sorrise e si sedette con lui. "Perdonami se dimostro apprezzamento per la tua cucina, semplice quanto familiare." John sorrise: era probabilmente l'affermazione più intima che Sherlock si fosse lasciato sfuggire negli ultimi giorni e aveva imparato a custodire quei brevi momenti. "E comunque la signora che ha appena parlato a favore del ragazzo ha tradito il marito almeno dieci volte: guarda quello smalto!"

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Capitolo 18
*** 18. Trap ***


"Ma che stai facendo?!" "Non fingere che non ti piaccia, tesoro." La manetta si era chiusa attorno al suo polso ancora prima che potesse appoggiare la borsa. "Come ti sei vestito, a proposito?" "Non ti piace?" Le calze nere scomparivano sotto una gonna sopra al ginocchio, a balze leggere e morbide, che risaliva abbastanza stretta lungo il busto, le maniche aderenti. La stoffa era di un rosso ciliegia, ricco e morbido, come il colore della matita che aveva sulle labbra. Gli occhi castani contornati dalla mina nera rilucevano. "Non voglio sapere cosa ha detto la commessa." Ridacchiò: "Sono andato con mia sorella, mi ha coperto lei." "Che sia fatta santa." "Allora ti piace!" Lo osservò, sorridendo malizioso. "Ovvio che mi piaci." "Lo baciò, mentre con la mano libera esplorava quanto effettivamente fossero lunghe le calze. "Cavolo, pure il tanga. Mi vizi, cucciolo." I baci continuarono, prima che i loro polsi ammanettati li conducessero nella camera da letto. Crollarono l'uno sull'altro. 

"Dovresti andare a fare shopping con tua sorella più spesso." "Concordo..." "Ora potresti anche liberare i nostri polsi, non trovi? Così ti posso abbracciare." "Amore..." "Non dirlo, ti prego. Ti scongiuro." "Ho perso la chiave." 

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Capitolo 19
*** 19. Dizzy ***


La spuma dei marosi raggiungeva il suo volto persino dall'alto della scogliera. Il vento si infilò tra le sue piume e le spalancò con violenza, sollevandolo. Sbatté spaventato le ali e ricadde sul terreno brullo. Tremava. Cosa gli era venuto in mente, imparare a volare con un simile tempaccio! Si massaggiò il gluteo dolorante e osservò il mare. Le onde risuonavano vigorose l'una contro l'altra, un intenso blu-verdognolo merlettato di bianco. Le nuvole grigie e pesanti minacciavano pioggia e venti incostanti, che lo avrebbero sballottato tra il cielo e l'acqua senza pietà. Una corrente lo catturò nel suo abbraccio, portandogli l'odore del sale. Il valzer proseguiva, portandolo sempre più sul bordo della scogliera. Si lasciò guidare da quell'abbraccio, gli occhi chiusi. Seguiva quella danza, sfuggendo i compagni dalle dita gelide che sfioravano la sua pelle. La luce di un lampo gli ferì le palpebre e il rombo imponente del tuono coronò la melodia dell'oceano mentre riapriva gli occhi. Le nuvole sotto i suoi occhi brillavano ancora di elettricità e il mare sopra di sé gli inumidiva i capelli. La testa gli girò per un lungo istante e si sentì cadere, circondato di una morsa gelida. Le ali si accartocciarono come foglie autunnali, prima di accogliere una corrente ascensionale che lo capovolse e lo strappò verso l'alto. Virò cogliendo una seconda brezza tiepida e tornò il più velocemente possibile sulla terra. Atterrò in ginocchio. Si voltò ad osservare la tempesta che si scatenava in mille bagliori sull'oceano, ansimando. Lo sguardo gli si annebbiava mentre l'adrenalina scemava dalle sue vene. Si scoprì a sorridere, prima di stendersi ad accogliere le prime gocce di pioggia. 

 

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Capitolo 20
*** 20. Coral ***


I preparativi per la festa erano proceduti senza intoppi. Le ghirlande di conchiglie e i festoni di alghe venivano fissate sui pennoni e lungo gli alberi del veliero. Le vele erano diventate lunghe strisce di tessuto che danzavano nelle correnti, assicurate lungo lo scafo. Era emozionato e stringeva tra le dita un'ostrica chiusa da un laccio di seta che aveva ritrovato in un vecchio forziere arrugginito. Il ballo di quella sera era l'occasione migliore. La coda si arricciò dolcemente quando scorse la sirena avanzare con le sue compagne come eleganti meduse. I lunghi capelli baluginavano, tinti delle sfumature dei coralli, come la coda scintillante. Le lunghe pinne trasparenti ondeggiavano sinuose ad ogni movimento. Quando si avvicinò poté osservare meglio le candide perle che ne decoravano l'intero corpo e la lunga chioma ondeggiante, in fantasie che richiamavano le morbide curve delle onde quando baciano la battigia. Le altre sirene portavano fiori acquatici tra i capelli e si erano avvolte in lunghi scialli leggeri dell'impalpabile tessuto cangiante che ricavavano dalle alghe. Dal canto loro i tritoni avevano usato l'inchiostro delle piovre per far risaltare i vividi colori delle loro code grazie a fitti ma sottili motivi geometrici. Si avvicinò alla sirena e iniziò a danzare con lei non appena la musica degli strumenti, molle e vibrante, risuonò per l'oceano. Le coreografie riprendevano l'andamento dei cavalloni in tempesta o il quieto procedere delle giornate senza vento, la lenta andatura delle balene o gli scatti fulminei dei pesci corallini. Si fermarono per riposare le pinne stanche e la guardò. Il mare aveva regalato alle sue iridi i propri colori e le stelle si erano viste rubare il loro luccichio. Si sentì tremare mentre le porgeva l'ostrica. Lei osservò stupita il gioiello, un rametto di corallo appeso ad una lunga e resistente catena dorata. Arrossì, raggiungendo la stessa tonalità dei propri capelli e lasciò che il ragazzo gliela allacciasse, sussultando appena quando sentì un timido bacio sulla nuca. 

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Capitolo 21
*** 21. Sleep ***


Strinse dolcemente il fratellino, che dormiva sereno. Gli carezzò i capelli biondi e sospirò piano. Non gli aveva detto nulla, non aveva detto nulla a nessuno. Vederli piangere e preoccuparsi sarebbe stato un brutto modo di dirsi addio, no? Voleva che fossero felici, che non dovessero temere di perderlo. Certo, non avrebbe potuto festeggiare con loro il diciannovesimo compleanno e andare a fare bungee jumping come promesso, oppure non avrebbe potuto godersi con loro le città che aveva intenzione di visitare nei prossimi anni. Avevano già rinunciato una volta, quando credevano che sarebbe morto a causa del tumore. Quando la chemio gli aveva fatto perdere tutti i capelli e un cappello di lana aveva preso il loro posto. Li aveva sentiti piangere tante volte, aveva visto i loro occhi stanchi e i volti pallidi. Poi aveva iniziato a riprendersi e sembrava che fosse tutto finito, sembrava che si potesse sperare. Doveva solo prendere le medicine, che avrebbero aiutato a tenere sotto controllo gli ultimi strascichi di quel parassita che stava distruggendo il suo corpo fino a qualche settimana prima. Poi il medico lo aveva chiamato per fare un esame e i risultati lo condannavano a morte. Il nemico, che sembrava scacciato per sempre, era tornato alla carica più feroce di prima. La chemio non sarebbe bastata, la radio sarebbe stata troppo invasiva. Aveva avuto ribrezzo quando gli avevano proposto cure ancora in stato sperimentale. Apprezzava il lavoro dei medici e dei ricercatori, ma se avesse voluto contribuire non avrebbe mai voluto farlo da cavia. Aveva chiesto di non comunicare i risultati ai propri genitori. Per fortuna il dottore si era rivelato accondiscendente, forse perché si rendeva conto che non avrebbe più rivisto quel ragazzo, e non perché sarebbe guarito. Affondò il viso nei capelli del fratellino. Il profumo dello shampoo era ancora ben presente e lo rilassava. Non voleva dormire, non voleva abbandonarsi al sonno e magari non vedere più il mattino. Specie se tra le proprie braccia vi era il dolce fratello minore che lo guardava con una tale ammirazione da commuovere. Segretamente la paura gli torturava l'anima e trattenere le lacrime gli era difficile come smettere di respirare. Si alzò e portò lentamente il fratellino nella propria stanza, tenendolo in braccio per non svegliarlo. Lo baciò sulla fronte dopo avergli rimboccato le coperte. "Ti voglio bene." sussurrò, prima di tornare in camera. Si addormentò che ormai era l'alba.

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Capitolo 22
*** 22. Chef ***


Era pronta. Aveva guardato ogni possibile tutorial su Giallo Zafferano che potesse aiutarla. Le parole del compagno della madre le risuonavano nella mente. "Metti l'acqua sul fuoco, dopo aver aggiunto un pugno di sale." Quanto è grande effettivamente un pugno di sale? Nonostante avessero entrambi le mani molto grandi le proprie lo erano di meno! Avrebbe dovuto aggiungere più sale quindi? Ne aggiunse un pochino, nemmeno mezzo pugno (Quanto è grande un mezzo pugno?). Prese le zucchine e lo speck dal frigo. Lavò gli ortaggi e iniziò a tagliarli prima a rondelle e poi in quattro. Aprì lo speck e ne rubò un pezzetto, tanto per sapere se era buono come sempre. Assolutamente. Dallo scaffale dove tenevano la pasta prese le orecchiette e la bilancia. Ne pesò ottanta grammi e rimise via il resto dopo aver controllato che i dieci minuti di cottura fossero effettivamente per quel tipo di pasta e non per i fusilli subito accanto. "Quando bolle butti giù la pasta e metti nella padella le zucchine e lo speck." Aggiunse un po' d'olio: anche se la padella era antiaderente non si poteva mai sapere... Meglio regolare anche la fiamma ad una intensità più bassa della normalità. il grasso dello speck si iniziò leggermente a sciogliersi e le zucchine a cuocersi. L'odore si spandeva per tutta la cucina insieme la timore che comunque si bruciasse tutto. Il timer le annunciò la fine del tempo di cottura. La pasta era rimasta al dente, come le piaceva. Versò le orecchiette nella padella (il bello delle pentole con annesso lo scolapasta) e amalgamò il tutto, prima di depositarlo sul piatto. Si sedette al tavolo e iniziò a mangiare. Era buona, per essere la prima volta che cucinava la pasta. Poteva diventare una brava chef, o almeno sperava nell'eventualità di doversi trasferire come fuorisede universitaria.

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Capitolo 23
*** 24. Dig ***


Le strette pareti di terra gocciolavano di acqua sotterranea, mentre procedevano il più rapidi possibili. Le camicie erano sporche e i pantaloni e le scarpe inzaccherate, ma ogni palata li portava più vicini all'altra parte. Si erano ritrovati e avevano studiato insieme un piano ma metterlo in atto si stava rivelando più difficile del previsto. Non sospettavano ancora nulla eppure la paura li teneva avvinghiati ogni istante. Nessuno avrebbe potuto pensare che sotto quella umile rimessa si stesse progettando e costruendo una via di fuga.

Erano riusciti ad attraversare dall'altra parte? Il condotto non sarebbe sbucato in una strada o, peggio, in mezzo a quella striscia maledetta? Non avrebbero nemmeno avuto il tempo di respirare che si sarebbero trovati catturati e fucilati. I calcoli dovevano essere corretti, o era la fine. Il piccone incontrò la resistenza del parquet di quella che era una piccola cucina. Un'anziana signora osservava quegli uomini sbucare dal pavimento stupita. "Nonna, che bello rivederti! Ce l'abbiamo fatta!" Le disse un giovanotto dagli arruffati capelli biondi appena la sua testa  spuntò dal buco. Si abbracciarono.

La traversata non era facile, la fila di lampadine sfrigolava leggermente e sopra di loro potevano immaginare i passi dei soldati e il fiuto dei cani, le scarpe che iniziavano già a bagnarsi per l'acqua che stava iniziando a penetrare pericolosamente le pareti. Dei mormorii lungo la colonna umana: "Si vede la luce." Non osavano parlare a voce più alta, per timore che potessero sentirli anche con una decina di metri di terra oltre le loro teste. Quando uscirono dall'edificio osservarono il Muro che aveva spezzato il loro orizzonte per lunghi anni, grigio, imponente e insuperabile. Quella sera parenti e amici piansero, risero, mangiarono e condivisero le gioie e i dolori che avevano passato, riuniti.

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Capitolo 24
*** 25. Buddy ***


Gli carezzò il pelo: "Quindi cosa dici che dovrei fare?" Woof! "Ok, gli scrivo!" Prese il telefono e aprì la chat. Lunghi attimi di silenzio, mentre i grandi occhioni scuri del labrador lo osservavano, la lingua penzoloni. "Ma cosa gli scrivo?" Woof woof! "No, non posso mica esordire con un ti amo! Tu sai come trattare con le dolci cagnoline, ma le loro donzelle sono tutt'altra cosa!" La coda folta saettava da un lato all'altro, come un metronomo impazzito. Il cucciolone si mise in posizione di gioco e abbaiò nuovamente. Ridacchiò e gli lasciò un grattino sul mento. "Magari iniziare con un giretto per il parco non sarà male, eh? Così facciamo un giro!" Woof!

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