Semper fidelis

di Valerie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


A Laura,
che condivide con me la passione
per l’affascinante Gibbs.
Grazie
 
 
 
 
 
Semper fidelis
 
 
 
Erano passati venti giorni dal loro arrivo a Washington e i membri della squadra Bravo della SSI non si erano ancora abituati alla manciata di gradi sotto zero che gelava loro le ossa, né tantomeno alla neve che ricopriva l’intera città da più di due settimane e che rendeva tutto così pallido e candido.
Quando invece avevano lasciato la capitale italiana, da cui provenivo, la loro città era avvolta da ventate umide e calde di scirocco; evento particolare in quel periodo dell’anno, anche per il clima mite che caratterizza i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo.
-Fa davvero troppo freddo- esordì Riccardo mentre saliva sulla macchina che l’NCIS gli aveva fornito per gli spostamenti – E, come se non bastasse, le indagini sono ferme da due settimane- sbuffò sonoramente, mentre sfregava le mani per trovare un po’ di sollievo dal freddo pungente che avvertiva.
Olivia non rispose, ma il suo umore poteva dirsi interamente in sintonia con quello del suo collega.
Erano partiti da Roma sulle tracce di un narcotrafficante cui davano la caccia da almeno due anni, Leone Ventura. La loro strada si era quindi intrecciata con quella della squadra investigativa che si occupa dei crimini contro la Marina americana e il corpo dei Marines. Da più di una decina di giorni, però, lo scenario generale che erano riusciti a costruire dal loro arrivo a Washington sembrava essersi cristallizzato, così come il ghiaccio incrostato sui vetri dell’auto che in quel momento gli impediva di avere una buona visibilità e che ostinato non voleva saperne di cedere ai colpi delle spazzole del tergicristalli.
Era stato proprio all’inizio di quell’incarico che lei e Riccardo si erano conosciuti.
Lei veniva da qualche anno di lavoro in ufficio in cui si occupava prevalentemente di archivi e scartoffie, lui era da poco rientrato da una missione come infiltrato in un racket di prostituzione e droga.
Vista l’esperienza di Riccardo e la necessità di affiancargli un partner, Olivia era stata selezionata come la candidata perfetta.
Era stata entusiasta all’idea di prendere parte ad una vera e propria missione, d’altronde stare dietro ad una scrivania o in mezzo a degli scaffali impolverati non era il massimo della realizzazione.
Riccardo, che oltre ad avere qualche anno in più di esperienza, aveva anche qualche anno in più sulla carta d’identità, si era rivelato un ottimo compagno di lavoro. Tutto quello che lei aveva imparato, lo aveva fatto grazie a lui.
Certo, prima di addentrarsi in un’indagine così importante, Olivia era stata messa a dura prova con una lunga gavetta. Riccardo la portava sovente con sé durante sopralluoghi e interrogatori di minore spessore per farla assistere e farle prendere confidenza con il lavoro sul campo.
“Hai un buon intuito” le disse un giorno, dopo che lei ebbe notato un lieve cambiamento di versione in un interrogatorio da parte di uno degli uomini coinvolti nel racket. Si era chiusa un giorno intero in archivio per trovare il vecchio fascicolo che lo riguardava e lì aveva trovato qualcosa che non andava.
Da allora, ne era convinta, aveva fatto sicuramente molta strada, i casi erano diventati più complessi e, per alcuni aspetti, anche pericolosi. Aveva dovuto lasciarsi alle spalle la sua vecchia casa e i suoi familiari per una questione di sicurezza, si era quindi trasferita al centro di Roma e non si era dedicata molto alla vita sociale.
“Non sarà sempre così dura” le disse Riccardo una sera, dopo averla invitata a cena da lui, vista l’occupazione abusiva che gli scatoloni avevano operato nella piccola cucina di casa sua “O ci farai l’abitudine, o deciderai di cambiare settore”.
-Sei pensierosa- notò d’un tratto lui, riportandola al presente.
-Un po’…- rispose sincera lei voltandosi a guardarlo.
-E cosa ti impensierisce?- le chiese guardandola a sua volta, ma di sfuggita, per non perdere il controllo dell’auto.
-Questa situazione di stallo- rispose – Che collide totalmente col mio desiderio di chiudere il caso e tornare a casa-
-Solo questo?- incalzò ancora l’uomo -Non c’è altro che vuoi buttare fuori? Per dire, che ne so, la voglia di cambiare settore all’interno della SSI?-
Olivia sospirò ma non rispose, spostando lo sguardo verso il finestrino.
-Olly…-
-Ric, so cosa vuoi dirmi, dici sempre la stessa frase, ogni singola volta che prendiamo l’argomento. Motivo per cui non ne voglio parlare- tagliò corto.
Riccardo rallentò l’andamento dell’auto fino a fermarla.
-Senti…- prese fiato prima di parlare, mentre guardava la strada imbiancata davanti a sé -…so di essere di parte, di sentirmi a mio agio nei panni dell’agente sotto copertura. Sono consapevole anche che a me non pesi più di tanto, a differenza tua, e non te ne faccio una colpa, speravo solo che cambiassi idea- ammise sospirando e voltandosi finalmente a guardarla -Vorrei dirti che sarò felice per te, qualsiasi scelta tu faccia, ma sarei un bugiardo. Mi dispiacerà quando te ne andrai, però, se è quello che vuoi davvero…-
Olivia sapeva che non avrebbe dovuto parlare, sapeva che quello rimaneva per loro un tasto più che dolente.
Avevano passato così tanto tempo insieme negli ultimi due anni, che non ricordava quasi più come fosse la sua vita pima di incontrare Riccardo e di riempirla di tutte quelle abitudini che lo coinvolgevano.
Amava lavorare con lui, avevano sviluppato una complicità tale da farli sentire a casa ovunque ci fosse l’altro.
Lei non voleva rinunciare a Riccardo, voleva solamente riappropriarsi di tutta quella parte di vita che aveva dovuto mettere in standby per quel genere di lavoro.
Voleva dedicarsi all’investigazione, certo, ma voleva prendersi una pausa da tutto quello che riguardava l’infiltrazione e le missioni sotto copertura.
-Cerchiamo di sbrigarci- disse semplicemente lei evitando maldestramente l’argomento. Non voleva arrivare in ritardo all’appuntamento con Gibbs e il direttore Vance.
Gibbs, che uomo enigmatico, si ritrovò a pensare, mentre cercava di scacciare quel senso di disagio che aveva sempre quando contrariava o feriva qualcuno e mentre ignorava di proposito il sospiro spazientito del compagno che riprendeva il cammino con l’auto.
Il capo della quadra dell’NCIS era un tipo di poche parole, ma dagli occhi sempre vigili e scrutatori, aveva concluso.
Non avrebbe mai dimenticato il loro primo incontro, erano atterrati a Washington solo da qualche ora, la pista che stavano seguendo sul caso Ventura li aveva portati in un capanno dismesso poco fuori città, si erano separati per perlustrare la zona e, dopo un po’ di tempo, nel silenzio più totale, aveva avvertito un fruscio alle proprie spalle, ma non prima di aver annusato nell’aria un leggero odore che era sicura di aver già sentito, un profumo, che solo dopo, avrebbe ricondotto al pino silvestre. Non fece in tempo a voltarsi che si ritrovò con una pistola puntata alla tempia e un paio di occhi di ghiaccio che la fissavano. L’espressione dell’uomo era imperscrutabile, aveva un’aria austera, fredda, ferma.
Alla fine, aveva messo lei e Riccardo su due macchine diverse e durante tutto il tragitto non aveva fatto altro che scrutarla, quasi volesse leggerle dentro.
Era rimasto distaccato per tutto il tempo, fino a che, una volta alla base dell’NCIS, non si era sincerato della loro identità.
In quei giorni aveva potuto vederlo all’opera con la sua squadra e, pur rimanendo un tipo di poche parole, era palpabile la sintonia che lo legava ai suoi agenti.
Non poteva essere diversamente, in quel lavoro devi poterti fidare delle persone con cui lavori. Fedeltà e lealtà sono il collante di una squadra operativa di qualità e Gibbs doveva saperlo molto bene.
‘Fossi stato un criminale, saresti potuta essere morta’ le aveva detto una volta appuratosi che fosse realmente un’agente della SSI ‘Farai bene ad essere più cauta, la prossima volta’ aveva concluso in un sussurro avvicinandosi al suo orecchio.
Non poté fare a meno di rabbrividire in quell’occasione. Forse perché un po’ aveva ragione, forse perché un po’ si era fatto troppo vicino.
-Trovo un parcheggio per la macchina e ti raggiungo- le disse Riccardo una volta arrivati a destinazione.  Allora scese dall’auto e si infilò nell’ascensore.
Stava per uscire, una volta arrivata al piano, quando, aperte le porte, si ritrovò davanti Gibbs che le sbarrava la strada.
-Cercavo proprio te- esordì entrando a sua volta nell’ascensore.
-Siamo in ritardo?- fece lei scattando sull’attenti. L’ultima cosa che voleva fare era infastidire quell’uomo o farsi riprendere da lui.
-Dov’è Riccardo?- chiese lui di rimando, ignorando la domanda che Olivia gli aveva appena porto.
-A cercare un parcheggio- rispose lei.
-Abbiamo una probabile localizzazione di Ventura, lo avviseremo strada facendo- le spiegò brevemente.
La donna ebbe un capogiro per la botta di adrenalina improvvisa. Finalmente avevano una nuova pista.
-Quel maledetto ha usato un cellulare usa e getta. Tenevamo sotto controllo alcuni dei suoi scagnozzi e, poco fa, uno di loro ha effettuato una strana chiamata ad uno di questi numeri con valenza temporanea. McGee e Abby hanno cercato di decodificare il linguaggio in codice. Pensiamo abbia un appuntamento al porto con un compratore fra circa venti minuti- le spiegò lui una volta saliti in macchina.
-Ziva e Di Nozzo?- chiese lei notando l’assenza dei due agenti.
-Sono impegnati in un’indagine per omicidio. Chiama Riccardo- tagliò corto Gibbs.
-Ci sto provando, ma non risponde- disse Olivia, che nel frattempo aveva già digitato il numero del suo collega.
-Continua a provare- aggiunse lui -Una volta lì infileremo i giubbotti anti proiettili e tu farai esattamente come ti dico- concluse poi in modo perentorio.
-Seguo questo criminale da due anni. So come gestire un’operazione- fece risentita lei.
-Ma questo è il mio territorio ed è la mia indagine. Quindi ti atterrai ai miei ordini- concluse bruscamente, sottolineando tutti quei possessivi.
Doveva rimanere calma e concentrata. Non controbatté nulla, ma aveva il sangue che le ribolliva nelle vene.
Per quanto cercasse di dirsi che non fosse una questione di orgoglio, in realtà era proprio quello il punto.
Leroy Jethro Gibbs le aveva puntato una pistola alla tempia, per poi canzonarla sonoramente per l’accaduto. La verità era che la cosa le bruciava da morire, si era fatta cogliere in flagrante in modo così sciocco che adesso lui non mancava di sottolineare quanto fosse poco affidabile il suo modus operandi.
Si sentiva oltremodo nervosa e, come se non bastasse, quell’idiota di Riccardo aveva il telefono staccato.
Dove diavolo si era andato a cacciare? Lo avrebbe ucciso lei con le sue stesse mani se solo fosse stato nei paraggi.
 
 
*
 
 
Olivia continuava a fissare lo schermo del macchinario a cui Riccardo era attaccato. La linea del suo elettrocardiogramma le sembrava pulsasse così lentamente che aveva il terrore potesse appiattirsi da un momento all’altro.
-Olivia, vai a casa- una voce che ormai le era diventata familiare le giunse alle orecchie.
Non si girò neppure a guardare la figura di Gibbs che si avvicinava lenta. Era chiusa in quell’ospedale da giorni.
Capì che si era fermato a pochi passi da lei quando il suo caratteristico profumo di legno di pino arrivò a solleticarle il naso.
“Avrà scorte di profumo” le aveva sussurrato Riccardo una volta “Arriva prima il pino silvestre che lui”.
Non poté fare a meno di ridere in quell’occasione, rischiando di farsi andare il caffè di traverso.
Ora però non le veniva più da ridere, anzi, tutt’altro, trovava quell’odore forte e fastidioso.
-Ho fatto tutto ciò che mi hai ordinato- disse d’un tratto, pur continuando a fissare il collega inerme al di là del vetro.
Non faceva che torturarsi: aveva eseguito gli ordini, tutto quello che Gibbs le aveva intimato di fare. Non aveva preso iniziative di alcun genere. Com’era accaduto che Riccardo si ritrovasse con tre pallottole in corpo e un trauma cranico?
Com’era accaduto che a sparargli fosse stata proprio lei?
-Non è stata colpa tua- le disse l’uomo, e a lei scappò una risata fredda e vuota.
-La balistica sosterrebbe il contrario- rispose voltandosi finalmente a guardarlo.
-Sai bene che è stata legittima difesa-
Legittima difesa.
Le veniva da piangere dalla rabbia.
Era così assurdo, tutto incredibilmente surreale.
Erano arrivati al porto in pochissimo tempo quel giorno della soffiata su Ventura e, cosa assai strana, trovarono la macchina guidata da Riccardo già lì.
-Sei riuscita a metterti in contatto con lui? Gli hai mandato un messaggio?- le aveva chiesto Gibbs rabbioso. Ma, no, lei non era riuscita in alcun modo ad avvertirlo, e sapevano di per certo che neanche McGee, dalla base operativa, era riuscito a contattarlo.
Si erano allora vestiti di tutto punto e poi si erano inoltrati nei corridoi fra in container.
Il cuore le martellava così forte nel petto in quell’occasione che avrebbe giurato potesse scapparle dalla gabbia toracica da un momento all’altro.
Si era sentita confusa. Gibbs aveva messo su un’espressione tirata e sospettosa. Non poteva davvero credere che il suo partner centrasse qualcosa. Doveva pur esserci una spiegazione, ma più ci rimuginava sopra, più non riusciva a trovarne una.
Fu lei a trovare per prima Riccardo. Lo vide che dava un’occhiata ad un cellulare che non era il suo, mentre gli si avvicinava alle spalle.
-O…Olivia…- le aveva detto disorientato nel voltarsi e nel vederla. Aveva un’aria circospetta e colpevole.
-Cosa ci fai qui?- gli chiese lei in modo secco, senza troppi convenevoli. Si era sentita tesa in ogni fibra del suo essere, come se fosse stata sul punto di scoprire una verità che le avrebbe sconvolto l’esistenza.
-Io…sono salito in ufficio…e McGee mi ha detto che avevano trovato una nuova pista…-
-Non mentirmi, Ric!- lo aveva ammonito lei con un tono di voce basso e vibrante. Avrebbe ringhiato se ne fosse stata capace -Tu non sei mai arrivato all’NCIS…lo so di per certo- fece una pausa -Perché, se noi riceviamo una soffiata su di un incontro fra Ventura e un compratore, spunti fuori tu?-
Riccardo non rispose.
-Oh mio Dio…sei tu il compratore- spalancò gli occhi per la presa di consapevolezza che la investì come un fiume in piena.
Lui si scurì in volto e fece una smorfia di dispiacere.
-Non doveva andare così, Olly- le disse quasi a mo’ di scusa.
Quel nomignolo le causò un conato di vomito. La sensazione terribile del tradimento le bruciava ogni singola parte del corpo. Non riusciva neanche a respirare a pieni polmoni.
-Come? Perché?- cercò di chiedergli senza formulare una vera e propria domanda.
Tutto quello non aveva senso. Solo poche ore prima erano nella stessa auto a dirsi che l’indagine non procedeva, che lei non vedeva l’ora di concluderla e di tornare a casa…e poi?
Chi era l’uomo che aveva davanti? Lo sconcerto nei suoi occhi doveva essere così evidente che di fronte ad esso anche Riccardo tentennò.
-Non sai cosa vuol dire essere un agente sotto copertura per così tanto tempo- le aveva detto con tono di voce esasperato -Vivere fra quei criminali, respirare, masticare costantemente il loro modo di pensare, di vedere e fare le cose…-
-Cosa stai dicendo?- lo interruppe lei incredula -Noi li arrestiamo i criminali! Non ci uniamo a loro!- lo sconcerto aveva ceduto il posto a disgusto misto a rabbia -Cosa ne è stato di tutte quelle parole sulla lealtà? Sulla capacità di distaccarsi dal contesto in cui si opera la copertura? Che ne è stato dell’uomo che mi ha trasmesso la passione per la legalità, per l’onestà, per la difesa del nostro paese?- ora era lei a sembrare esasperata.
-Dolce Olivia, ragazza dalla veste senza macchia…- disse scuotendo la testa e guardandola con un sorriso triste.
Non riusciva a capire, davvero non riusciva a mettere insieme i pezzi. Cosa lo aveva cambiato? Era per soldi che lo faceva? O forse lo ricattavano?
Fece un passo verso di lui, come se quel gesto potesse portarla ad avvicinarsi di più anche alle sue ragioni e a cercare di comprenderlo.
Probabilmente fu lo shock a rallentarle i riflessi e a farle abbassare la pistola verso terra, ma tanto bastò perché fosse Riccardo a puntarle la sua contro.
Olivia si immobilizzò sul posto. Non poteva essere vero, non poteva. Sentì il cuore spezzarsi nel petto. Non sarebbe stata capace mai di dare voce a quella terribile sensazione che le invadeva il torace, lo stomaco, fino ad irradiarsi per le braccia e le gambe.
L’avrebbe uccisa?
-Metti giù l’arma- La voce di Gibbs ebbe l’effetto come di un vetro andato in frantumi. Stracciò quell’ultimo velo sottile che la separava dalla cruda verità.
Quello che venne dopo fu un susseguirsi di movimenti rapidi e istintivi. Ricordava Riccardo che si voltava spaventato verso l’uomo e apriva il fuoco, lei che alzava l’arma e…
Sapeva bene come fisicamente Riccardo fosse finito in quel letto d’ospedale, ma non riusciva ancora a spiegarsi come fosse riuscito a mentirle tutto quel tempo e, soprattutto, come lei avesse fatto a non accorgersi di niente.
Avevano passato fianco a fianco gli ultimi due anni della loro vita. Erano stati in missione insieme, si erano coperti le spalle a vicenda. Come era potuto succedere?
Avrebbe voluto chiederglielo, sarebbe voluta entrare in quella stanza e scuoterlo per le spalle fino a farlo svegliare. Voleva sapere il perché.
-Mi hai salvato la vita- Gibbs la riportò al presente -Riccardo sapeva a cosa andava incontro-
Olivia lo guardò a lungo senza dire niente, mentre l’uomo sosteneva fermamente il suo sguardo.
-Vorrei davvero che questo mi aiutasse a sentirmi meglio, ma…non mi riesce- disse finalmente con un filo di voce.
Avrebbe voluto piangere, ma per orgoglio non lo fece. Semplicemente si voltò e se ne andò. Non riusciva a farsi guardare da quegli occhi così penetranti. Non voleva le leggesse dentro, come era solito fare grazie a chissà quale dote da mentalista.
Uscita dall’ospedale non seppe esattamente cosa fare. Non voleva, in realtà non poteva, tornare all’appartamento che avevano assegnato a lei e Riccardo. Tutto ciò che vi era all’interno era stato posto sotto sequestro e lei era stata temporaneamente sollevata dall’indagine. La cosa avrebbe dovuto quantomeno ferirla a livello professionale, ma in realtà non poté fare a meno di sentirsi sollevata a riguardo.
Aveva bisogno di tempo per metabolizzare.
-Olivia- di nuovo la voce di Gibbs le giunse alle orecchie e lei non poté fare a meno di sospirare-Ti accompagno a casa- le disse.
-Io non ho una casa- rispose lei.
 
 
*
 
 
Percorsero qualche chilometro in macchina prima di arrivare a destinazione. Durante il tragitto, Gibbs la informò che Ventura era nuovamente fuggito. Probabilmente, una volta arrivato nei pressi del porto, il rumore degli spari lo aveva indotto a scappare.
Non si meravigliò di quell’accaduto, eppure si mostrò insofferente all’argomento.
Rimase con lo sguardo puntato sul finestrino, intenta ad osservare il passaggio veloce di case e palazzi ingrigiti dal riflesso di un pallido sole invernale.
Gibbs la guardò di sfuggita. Aveva i capelli di un castano scuro raccolti in una cipolla disordinata che le lasciava scoperto il collo sottile e una nuvola scura di pensieri che le assediavano la mente.
-Ma questa non è…- non riuscì a chiedere Olivia, scorgendo l’abitazione dell’agente speciale.
La sorpresa evidente di lei fece sorridere l’uomo mentre scendeva dalla macchina.
-Casa sicura- disse lui a mo’ di spiegazione, procedendo verso gli scalini che portavano al portone.
-Sono passata da sospettata a vittima sotto scorta?- gli chiese alzando un sopracciglio.
-No, semplicemente non ti hanno ancora assegnato un nuovo alloggio e Abby mi ha praticamente imposto di ospitarti. La pena sarebbe stata l’ammutinamento-
Olivia non poté fare a meno di sorridere, la prima volta dopo giorni. Non faticava ad immaginare Abby preoccuparsi per lei e costringere il suo capo ad ospitarla.
-Avrei potuto prenotare una camera d’albergo- cercò di replicare.
-Tutta sola in una camera d’hotel a rimuginare sull’accaduto? Non era fattibile. Sai quanto può essere terribile Abby quando si mette in testa una cosa?- le chiese voltandosi a guardarla dopo aver fatto scattare le chiavi nella serratura della porta.
Lei fece cenno di no con la testa.
-Mi auguro tu non faccia mai questa esperienza, ma se mai dovesse succedere, ricordati che il caf-pow è sempre la soluzione a tutto-
-Ne prenderò nota- rispose sorridendo.
Era la prima volta che vedeva Gibbs comportarsi in modo così gioviale con qualcuno che non fosse Abby.
Con lei aveva un rapporto particolare, quasi paterno. In più di qualche occasione li aveva visti lavorare con una sintonia tale da fare invidia.
Ammirava molto Abby, non a caso Gibbs aveva un’alta considerazione di quella ragazza. Era intelligente, perspicace, intuitiva, eccentrica, sensibile. Era praticamente un concentrato di qualità.
-Tu puoi dormire qui- le disse d’un tratto l’uomo mostrandole la camera da letto e interrompendo i suoi pensieri.
Olivia non poté non replicare -Ma è la sua stanza! Io posso dormire sul di…-
-L’ammutinamento…ricordi?- la interruppe lui.
Sorrise di nuovo, in modo sincero. Avrebbe dovuto ringraziare Abby, l’indomani, per tutta quella premura nei suoi confronti.
Gibbs le lasciò del tempo per sé, che lei decise di prendersi per fare una lunga doccia.
Era rimasta tre giorni in ospedale, davanti a quella stanza. I muscoli del suo corpo erano tesi e indolenziti, tanto da sentire dolore al massaggiarli mentre si insaponava.
Si vestì con una vecchia tuta che l’uomo le aveva dato giusto per indossare degli indumenti puliti. Non aveva potuto portare via neanche i vestiti dal suo vecchio appartamento.
Dire che si sentisse totalmente a suo agio, in quella situazione, sarebbe stato decisamente azzardato. In realtà, più scorreva il tempo, più Olivia iniziava ad avvertire una sensazione fastidiosa, come se fosse totalmente fuori luogo e inconveniente che si trovasse lì.
Si guardò allo specchio, la tuta grigia che indossava le stava chiaramente larga e lunga. Cercò di fare un risvolto al pantalone che, altrimenti, avrebbe toccato per terra. Quando si ritirò su, si diede un’ultima occhiata prima di scendere al piano di sotto. Notò allora un piccolo dettaglio a cui prima non aveva fatto molto caso: sulla felpa, a sinistra, all’altezza del petto, proprio dove sarebbe dovuto esserci il cuore (almeno per uno della statura di Gibbs), vi era ricamata una scritta in lettere d’orate che formavano la parola “Navy”.
Non era un caso che fosse stata messa proprio in quel punto.
Sorrise tristemente.
Forse era così che doveva andare, prendere una strada e dedicarle tutto, anima e corpo.
Avrebbe dato non so cosa per avere la stessa determinazione. Lei che, invece, si era ritrovata col mondo sottosopra e l’incapacità di fare qualsiasi scelta.
Toc.Toc.
Un leggero bussare alla porta attirò la sua attenzione.
-Posso?- le chiese Gibbs aprendo leggermente la porta della stanza.
Olivia annuì cercando di sorridere.
-Ho preparato la cena, quando vuoi…- le disse fermandosi sull’uscio, non riuscendo ad evitare di scrutarla dalla testa ai piedi.
Non poté fare a meno di notare quanto quell’abbigliamento, seppur largo, le donasse. Lo stile sportivo, i capelli sciolti sulle spalle, il viso struccato, era come se la vedesse davvero per la prima volta.
-Sì- disse lei scuotendolo dai suoi pensieri -Ci sono…-
 
 
*
 
 
Era circa un’ora che non faceva altro che girarsi e rigirarsi nel letto. A cena, lei e Gibbs avevano spiluccato qualcosa da un piatto preparato alla bell’e meglio, in totale silenzio, e poi si erano congedati per andare a dormire.
In realtà era stata schiva. Una volta finito di bere l’ultimo sorso d’acqua presente nel suo bicchiere, era praticamente scappata in camera con la scusa di essere molto stanca.
Stanca lo era davvero, oltre che molto a disagio.
Impiegò pochissimo ad addormentarsi, una volta poggiata la testa sul cuscino. Dopo aver dormito due notti in ospedale su quelle sedie scomodissime della sala d’aspetto, quel materasso le sembrava fatto di soffici batuffoli di piume angeliche. Eppure, nonostante tutto, dopo un paio d’ore di sonno tormentato si era svegliata.   
Decise di alzarsi quando, per la quindicesima volta in tre minuti, si girò nuovamente fra le lenzuola.
Scese piano le scale, intenta ad andare a rubacchiare un bicchiere di latte dal frigo. Era una cosa che faceva da quando era piccola, sua nonna materna le aveva tramandato questa abitudine.
“Quando non riesci a dormire, bevi un bel bicchiere di latte, vedrai che ti aiuterà a prendere sonno” le ripeteva spesso.
Di certo non aveva nulla di fondato quel rimedio, ma l’effetto placebo sembrava garantito.
Passò davanti al divano del salotto e, incuriosita, decise di affacciarsi oltre la spalliera per dare un’occhiata al glaciale Gibbs. Chissà se anche mentre dormiva manteneva quel cipiglio austero.
Fece il più piano possibile, l’ultima cosa che avrebbe voluto era farsi beccare in flagranza di reato. Non sarebbe sopravvissuta alla vergogna.
Allungò il collo quanto bastava per arrivare a scorgere i cuscini su cui l’uomo doveva essere disteso ma, con suo sommo stupore, Gibbs non era affatto lì.
Si girò intorno perplessa, a quanto sembrava non era l’unica a soffrire d’insonnia.
Si diresse verso l’ingresso e notò, solo allora, una porta socchiusa da cui proveniva una flebile luce.
La aprì piano e vi si affacciò incuriosita. Delle scale scendevano verso quello che aveva tutta l’aria di essere un seminterrato.
-Vieni pure- la voce di Gibbs la raggiunse dal basso.
Era incredibile come quell’uomo fosse attento a tutto, rumori, vibrazioni, spostamenti d’aria, a volte era davvero sbalorditivo, o altamente inquietante, Olivia non sapeva decidere.
-Non riuscivo a dormire…- gli disse mentre scendeva le scale, ma si bloccò nel vedere quello a cui l’agente speciale si stava dedicando.
-E’ meravigliosa! – esclamò estasiata alla vista di quella che sembrava essere la struttura di una barca.
-Già, piace anche a me- le rispose lui, fissandola intensamente e mettendola leggermente a disagio.
Olivia abbassò gli occhi imbarazzata. Perché doveva sempre fissarla in quel modo?
-Vuoi qualcosa da bere?- le chiese dirigendosi verso il bancone da lavoro presente nella stanza e rovesciando il contenuto di due bicchieri dal fondo spesso -Ho dell’ottimo Whisky di annata-
Sorrise fra sé e sé, era scesa alla ricerca di un po’ di latte e si ritrovava con del Whisky. Pensò che una piccola rivisitazione alla ricetta della nonna non sarebbe stata poi tanto male. Un super alcolico le avrebbe conciliato decisamente meglio il sonno.
-Sì, grazie- rispose avvicinandosi a sua volta al bancone.
Si guardò un po’ intorno e non poté non notare la grande quantità di materiali sparsi ad ogni angolo della stanza, tra cui lunghe tavole di legno grezzo. Quasi non le scappò una risata quando notò uno scatolone ormai vuoto la cui etichetta recitava ‘legno di pino silvestre’.
-Cos’è che non ti fa dormire?- le chiese lui porgendole il bicchiere con il liquido ambrato.
Olivia si voltò e trattenne il fiato per un secondo, come l’attimo prima di un balzo. Forse avrebbe potuto dare finalmente voce a tutto quello che la tormentava.
Guardò l’uomo che aveva di fronte per qualche secondo, prese il bicchiere dalle sue mani e le loro dita si sfiorarono appena. Bevve un lungo sorso di Whisky e poi si decise a dare finalmente una risposta a quella domanda.
-Credo di aver sbagliato tutto- disse con un sospiro -Forse non sono portata per questo lavoro-
Gibbs non rispose, semplicemente si appoggiò al bancone di ruvido legno mentre la guardava, invitandola tacitamente a continuare.
-Ho lavorato per due anni fianco a fianco di un uomo di cui mi fidavo ciecamente, non ho messo in dubbio mai la sua lealtà, neanche per un attimo. Passo in rassegna i mesi, i giorni, le ore vissute insieme, cercando di trovare un qualche elemento che mi faccia dire ‘Ma certo! Come ho fatto a non accorgermene!’, eppure non riesco a trovarlo. Riccardo era il mio partner, ci siamo sempre coperti le spalle a vicenda. Saremmo morti l’uno per l’altra e…com’è finita? Io ho rischiato di ucciderlo. E non è detto che alla fine non riesca nell’intento- mano a mano che tirava fuori le parole che sembravano essersi congestionate al centro del suo petto, gli angoli degli occhi iniziavano a bruciarle e ad inumidirsi.
-Certe persone sono molto brave a dissimulare, Olivia. Non fartene una colpa-
Avrebbe voluto aggrapparsi a quelle parole con tutta sé stessa. Però c’era qualcosa che disturbava il senso di rassicurazione che avrebbe dovuto avvolgerla.
-La verità è che la responsabilità è tutta mia- disse mentre una lacrima le rigava il volto - Se solo non avessi abbassato la pistola, se solo avessi tenuto Riccardo sotto tiro, forse non sarebbe andata così. Non avrei messo in pericolo la tua vita…- fece una pausa per riprendere fiato -…e non sarei stata costretta a… a sparargli. Mio Dio, mi dispiace così tanto. Non so come scusarmi- concluse portando la mano libera ad asciugarle il viso.
Gibbs rimase sorpreso nel sentirla rivolgersi a lui in modo così colloquiale, non gli aveva mai dato del tu prima di allora.
-Regola sei: non chiedere mai scusa, è segno di debolezza- le disse prendendole il bicchiere dalla mano e riempiendolo ancora un po’.
Le regole di Gibbs, Olivia aveva avuto occasione di conoscerne qualcuna in modo sporadico in quel mese che era stata a lavoro all’NCIS. Di Nozzo le aveva fatto un rapido excursus sulla genesi di quell’elenco e le aveva spiegato quanto tutti loro cercassero di far fede a quelle semplici norme che, avevano appurato nel tempo, rendevano più funzionale il loro lavoro.
Lei però non era totalmente d’accordo.
-Odio dover ostentare qualcosa che non sono-  controbatté sorseggiando lungamente il nuovo Whisky -Io non sono forte e ferma come può esserlo Ziva, o impenetrabile e distaccata come lo sei tu. E sinceramente non mi importa esserlo, non è una colpa essere fragili. Se tu ti dessi l’opportunità di esserlo, una volta ogni tanto, scopriresti che in realtà la debolezza può tramutarsi in risorsa –
Sta volta fu lei a sostenere il suo sguardo. Iniziava a sentirsi accaldata, e tutte le remore che aveva avuto nel parlare in quei lunghi giorni la stavano pian piano abbandonando.
-Non si tratta di non concedersi di essere deboli, ma di non dipendere dal giudizio altrui. Devi saper tenere insieme i pezzi, nonostante gli errori commessi, altrimenti questi ti distruggeranno- le disse lui non scomponendosi minimamente.
-Riccardo può perdere la vita a causa mia. E’ il mio giudizio a distruggermi, non quello degli altri- rispose seccamente lei.
-Forse hai ragione…- fece Gibbs portandosi per la prima volta il bicchiere alle labbra -…forse non sei tagliata per questo lavoro-
Se le avesse dato uno schiaffo probabilmente le avrebbe fatto meno male.
Perché la cosa la feriva così tanto? Era stata lei a pronunciarle per prima, allora perché, se quelle stesse parole uscivano dalla sua bocca, le bruciavano addosso come fuoco vivo?
Si vergognava così tanto adesso. Lei che da quell’uomo desiderava solo ammirazione.
Leroy Jethro Gibbs era la quintessenza dell’efficacia. Era un leader, aveva intuito, sapeva usare egregiamente la logica e la psicologia, era affascinante, e mai come in quel momento lei si sentiva attratta da lui.
Tanto voleva fuggirgli, tanto voleva che lui la vedesse davvero.
Forse la stava solo provocando, forse voleva che reagisse, ma in quel momento faceva fatica anche solo a guardarsi allo specchio.
-Posso avere altro Whisky?- gli chiese porgendogli il bicchiere dopo aver bevuto l’ultimo goccio rimasto, evitando di chiedergli il perché dicesse così.
Gibbs inclinò la testa di lato e alzò un sopracciglio.
-Dopo vado a dormire, promesso-
L’uomo sospirò sonoramente, ma acconsentì a concederle un altro po’ del superalcolico.
-Dopo avrai bisogno di una mano per salire le scale- le disse mentre riempiva per l’ultima volta il suo bicchiere.
-Dovessi rimanere a dormire per terra, non ti darò questa soddisfazione- controbatté in evidente stato di euforia.
L’uomo non poté fare a meno di ridere -Voglio proprio vedere-
Una volta finito di sorseggiare il Whisky, poggiò il bicchiere sul bancone e si voltò verso l’uscita del seminterrato.
Si sarebbe sfilata il cuore dal petto più che ammettere che le girava la testa anche per fare un semplice passo su superficie piana.
Respirò profondamente e cercò di mantenere il più possibile contegno ed equilibrio. Arrivò a fatica alle scale, speranzosa nel fatto che reggersi alla ringhiera le avrebbe conferito un andamento più stabile.
-Vado a prenderti una coperta?- le chiese Gibbs in modo provocatorio.
Lei si girò appena, giusto per fulminarlo con lo sguardo.
Mise il piede sul primo scalino e con una mano si aggrappò più o meno saldamente alla ringhiera, tirandosi su malamente.
Quella scena doveva essere totalmente patetica, ma Olivia non poteva rendersene conto.
Mise il piede sul secondo gradino, almeno era quello che pensava di fare, mentre andava a vuoto rischiando di capitolare elegantemente a faccia avanti.
-Ehi,ehi,ehi…- fece Gibbs afferrandola per la vita ed evitandole di cadere -Mi sembra proprio tu non sia in grado di fare neanche un passo da sola- in quel modo la schiena di Olivia aderiva completamente al suo petto -Puoi sempre accettare che ti dia una mano e lasciare che ti accompagni in camera- aggiunse.
Forse doveva semplicemente darsi per vinta e, forse, non le importava più di tanto farlo. Era brilla e sentiva la testa leggerissima. In realtà il mondo intero sembrava leggero, persino la sua vita. Il dolore e il senso di colpa era totalmente svaniti.
-Leroy Jethro Gibbs- disse in modo solenne, senza neanche voltarsi verso di lui per evitare di avere un capogiro -Mi dichiaro sconfitta, nel corpo e nell’orgoglio. Ammetto di necessitare del tuo aiuto-
Concluse chiudendo gli occhi e sospirando.
Non fece neanche in tempo a finire la frase che si sentì presa sotto le ascelle e sotto le gambe. Istintivamente portò la testa al petto asciutto dell’uomo e si lasciò cullare dai movimenti del suo corpo mentre risaliva le scale del seminterrato.
-Non dirai a nessuno di questa cosa, vero?- lo implorò Olivia trattenendolo per una mano, dopo che lui l’ebbe adagiata con delicatezza sul letto.
Gibbs non poté fare a meno di sorridere, mentre le si avvicinava e si accucciava di fianco a lei.
Aveva gli occhi abbottonati, un po’ per il sonno che finalmente sopraggiungeva e un po’ per l’alcol che ancora le circolava in corpo.
-Non una parola- le sussurrò all’orecchio, e fu proprio mentre il suo respiro le solleticava la pelle che lei ebbe lo slancio di avvicinare le proprie labbra alle sue.
Fu un semplice e fugace sfiorarsi. Così veloce, che l’uomo si chiese se fosse veramente successo.
Rimase a guardarla per qualche secondo, mentre la vedeva riaffondare con la testa sul cuscino.
Finalmente gli occhi erano chiusi, il respiro le si faceva più lento e il viso si andava distendendo in un’espressione più rilassata.
Le tirò su la coperta e, prima di uscire, si abbassò di nuovo su di lei per lasciarle impresso un bacio fra i capelli.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


-Non è colpa tua, Olivia. Non è colpa tua- l’uomo che la teneva stretta fra le braccia non smetteva di ripeterle quelle parole, quasi fossero un mantra che potesse tenerla ancorata alla realtà.
Faceva difficoltà a respirare, la gabbia toracica non si espandeva a dovere, il cuore le martellava nel petto fino a farle male e i singhiozzi le uscivano dalla gola in modo incessante.
Si aggrappò alle spalle di Gibbs quasi fossero un’ancora di salvezza, mentre lui le portava le mani intorno al viso e la costringeva a rimanere con gli occhi su di sé.
-Qualsiasi pensiero orribile ti stia assalendo, ricaccialo indietro- le disse in modo fermo -Riccardo è morto a causa delle sue azioni-
 Non riusciva a parlare, il dolore che provava era così forte. Fissava gli occhi chiari dell’uomo che aveva di fronte, ma era come se non li vedesse davvero.
Avrebbe voluto urlare, le sembrava semplicemente di impazzire. Si sentiva schiacciata dalla sofferenza, dal terribile senso di colpa. Voleva dimenarsi e liberarsi dalla stretta di quella verità che alla fine l’aveva raggiunta.
Aveva sperato fino all’ultimo che Riccardo si salvasse. La giustizia avrebbe fatto il suo corso su di lui, ma l’importante era che restasse vivo…per lei.
Ancora faceva fatica ad associare all’uomo che aveva condiviso con lei gli ultimi due anni l’uomo che alla fine aveva tradito lei e la sua stessa patria. Immagini di loro gli scorrevano davanti agli occhi.
“Perché hai scelto di fare questo lavoro?” gli aveva chiesto lei una sera a casa sua, durante una delle tante cene improvvisate insieme a fine turno. Riccardo le aveva appena versato del vino bianco nel bicchiere, quello che a lei piaceva tanto, prodotto nella zona dei Castelli Romani.
“Se cerchi una motivazione romantica, beh, non ce l’ho” aveva risposto lui poggiando la forchetta nel piatto ormai vuoto “Mio padre è un magistrato, aveva qualche conoscenza ai Servizi Segreti che mi ha fatto entrare” concluse con tono di chi vuole far capire che non c’è altro da dire.
“Ma ti piace quello che fai, no?” lo aveva incalzato lei, un po’ delusa dalla sua risposta.
“Col tempo ho imparato ad apprezzarlo. Inchiodare delinquenti, toglierli di mezzo e rendere questo paese un po’ più sicuro mi fa sentire appagato”.
Olivia aveva storto il naso a quell’ultima parola. Aveva sempre avuto un’idea di lavoro molto più complessa. Più che la soddisfazione, lei aveva seguito una sorta di richiamo quando aveva iniziato a pensare di inserirsi nel mondo del lavoro. Era stato come avere uno strumento particolare nel cuore che suona
sse un’unica e singolare nota. Quando approdò all’SSI era stato come se un altro strumento, fuori di sé, intonasse lo stesso e identico suono.
Era come aver trovato l’altra metà della mela.
Per lei amare il proprio lavoro si traduceva in atti altruistici, non in autoreferenzialità.
“Strana metafora” aveva commentato Riccardo sorridendo, dopo che ebbe terminato di spiegargli il suo punto di vista “Però hai reso perfettamente l’idea”
Ricordava che quella strana sensazione di delusione l’aveva accompagnata per diverso tempo, era stato come quando aveva scoperto che la sua maestra delle elementari veniva pagata per fare il suo lavoro.
Col passare dei mesi, però, Olivia si era resa conto di quanto Riccardo fosse in realtà molto dedito alla sua professione. Forse gli era accaduto come in quelle rarissime volte in cui, nell’800, in un matrimonio combinato alla fine nasceva l’amore vero.
Chissà poi cos’era cambiato.
Lei e il capo della squadra dell’NCIS erano a tavola per la cena quando il telefono aveva squillato.
Già dal primo trillo, però, qualcosa in Olivia l’aveva messa in allarme, e il suo intuito si rivelò aver ragione.
Gibbs aveva riposto al telefono e dalla sua espressione capì immediatamente che qualcosa non anda
sse.
Aveva attaccato e le si era avvicinato con lentezza inesorabile, prendendo le sue mani fra le proprie.
Non ebbe bisogno di dire nulla.
Si era alzata di scatto, scuotendo veementemente la testa, come se quel gesto potesse allontanare da lei la cruda realtà.
Aveva preso a camminare avanti e indietro sotto gli occhi vigili dell’uomo, per poi poggiarsi al muro e scivolare con la schiena lungo la parete, fino a trovare il freddo del pavimento.
Gibbs le si era subito seduto vicino e l’aveva abbracciata stretta, mentre lei iniziava a piangere in modo silenzioso.
I sospiri si erano fatti mano a mano più intensi, i singhiozzi più frequenti e il dolore più invadente, così come la consapevolezza che ciò che temeva di più era infine accaduto.
 
 
 
 
*
   
   
   
-Vuoi che rimanga con te?- le chiese Gibbs una volta riuscito ad accompagnarla in camera, qualche ora dopo.
Non seppe bene come quelle parole gli uscirono dalla bocca, lui che ponderava bene qualsiasi cosa.
Sapeva solo che voleva essere lì per lei. Era in evidente stato di shock, non poteva lasciarla così.
Eppure, nella sua fragilità, Olivia aveva comunque dimostrato di mantenere sempre una certa dignità. Soffriva, ma cercava di non soccombere. Lottava internamente con i suoi mostri perché questi non prendessero il sopravvento. Almeno era quello che tentava di fare.
Lo aveva capito chiacchierando con lei in quelle veglie notturne che avevano trascorso insieme.
Aveva paura di tante cose, non lo nascondeva né a sé, né agli altri, e credeva che tirando fuori gli orrori che le abitavano il cuore e chiamandoli per nome, questi avrebbero perso di forza.
-Sì, ti prego, resta- gli rispose con slancio, avvicinandosi tanto da sfiorare la sua mano con la propria.
Aveva gli occhi ancora arrossati per il pianto e un colorito così pallido da fare invidia ad un lenzuolo.
Lui annuì semplicemente con il capo, per poi seguirla con lo sguardo mentre si andava sdraiando sul letto.
La seguì subito dopo, rimanendo con la schiena poggiata sulla testiera e riscoprendosi rigido nei movimenti.
Le aveva proposto lui di restare, eppure si sentiva a disagio.
L’aveva tenuta fra le braccia e le aveva asciugato le lacrime per un tempo lunghissimo, ora perché diavolo si sentiva in difficoltà?
Si voltò a guardarla, Olivia gli dava le spalle. Aveva i capelli scuri sparsi come una macchia di colore sul bianco del cuscino, il braccio steso lungo il fianco scoperto si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.
Le coperte erano arrotolate ai suoi piedi, lasciando il suo corpo esposto al freddo.
Si chinò a prendere il piumone e le sfiorò la spalla nel ricoprirla.
Come incoraggiata da quel leggero toccarsi, Olivia si rigirò verso di lui e, tenendo gli occhi chiusi, cercò la sua mano sotto le lenzuola.
La lasciò fare, mentre si sdraiava accanto a lei.
Non smise mai di guardarla, neppure quando aprì gli occhi e li puntò nei suoi.
C’era una burrasca di emozioni in quelle iridi scure. Un’intensità tale che gli catturava lo sguardo e gli impediva di voltarsi altrove.
-Perché sei rimasto?- gli chiese lei in un sussurro.
Già, qual era la reale motivazione che lo aveva spinto a restare?
-Perché hai voluto che rimanessi?- chiese lui di rimando.
Era sempre stato bravo con le parole. Un maestro nell’evitare domande scomode.
Olivia non rispose. L’unica cosa che sapeva era che aveva bisogno di sentirlo vicino.
Nel riaprire gli occhi, poco prima, non fu sorpresa di trovare lo sguardo dell’uomo fisso su di sé, come non fu sorpresa di riscoprirsi desiderosa di essere guardata.
L’unica cosa che la faceva sentire viva, in quel momento, era l’adrenalina che provava nel saperlo sdraiato accanto a sé.
Sarebbe stata una grande falsità affermare di non trovare quell’uomo affascinante. Era rimasta ammaliata da lui fin da subito. Si era riscoperta, nei giorni successivi al suo inserimento nella squadra dell’NCIS, sempre attenta ad ogni suo gesto o spostamento, e a lui questo non era sfuggito.
In realtà anche lui aveva, poco a poco, iniziato a seguirla spesso con lo sguardo.
“Sono semplicemente guardingo” si era detto, cercando una motivazione a quell’improvviso interesse. Quello era il suo territorio e lui stava semplicemente supervisionando.
Olivia fece risalire la propria mano lungo il braccio di Gibbs, sotto il suo sguardo vigile e attento, fino ad arrivare a sfiorargli il mento con la punta delle dita.
Lui non disse nulla, né si mosse sotto quel tocco leggero e delicato.
Era per quello che era rimasto, nonostante la ragione avesse provato in tutti i modi di dissuaderlo.
Non riusciva a focalizzare il momento esatto in cui aveva iniziato a provare quell’interesse pungente per lei, sapeva solo che era successo. Complici forse tutte quelle notti passate in bianco a raccontarsi.
L’aveva vista fragile e forte al tempo stesso. Piena di dubbi ma determinata nel seguire quello che lei chiamava cuore.
L’aveva poi vista desiderabile, in quei suoi vestiti larghi e dai colori spenti.
Aveva deciso di restare perché desiderava quelle dita sulla pelle.
Sapeva che quello non era il momento giusto, anzi, fra tutti era sicuramente il peggiore, ma quando Olivia aveva pronunciato quel “resta”, ogni ragione lo aveva abbandonato.
Le prese la mano e ne baciò il palmo, mentre con il corpo le si faceva più vicino e con l’altro braccio l’attirava verso di sé.
-Mi basta una parola…- le disse sussurrando a pochi centimetri dal suo viso, ma lei lo interruppe premendogli le labbra sulle sue.
Non avrebbe pronunciato nessuna parola per allontanarlo da sé e quel bacio, che sapeva di disperazione e bisogno, ne era la conferma.
Fu lui a rompere le barriere, ad iniziare a sondare quello spazio a sé ancora sconosciuto.
La lingua di lei, a dispetto della determinazione che aveva ostentato solo qualche secondo prima, si rivelò delicata in ogni movimento, pronta ad assecondarlo.
La strinse ancora di più a sé, facendo aderire i loro corpi e tendendosi per quel contatto intensamente desiderato. Le sue mani erano aggrappate ai suoi fianchi, ma piano iniziavano a spostarsi sulla schiena, ai bordi della felpa che le lasciava scoperti alcuni centimetri di pelle.
Dal canto suo, Olivia teneva i pugni chiusi sulla maglia dell’uomo, quasi potesse scivolargli via fra le dita da un momento all’altro.
Il dolce muoversi delle loro labbra diveniva sempre più frenetico, accompagnato dalle pressioni che le mani di entrambi esercitavano sul corpo dell’altro.
Lui aveva quasi un timore reverenziale nel toccarla. L’avrebbe stretta con più passione se solo fosse stata un’occasione diversa. Ma voleva che fosse lei a concedergli di guadagnare terreno.
Solo quando la sentì muoversi con più desiderio contro il proprio corpo, si decise a far passare le mani sotto lo strato di tessuto che ancora la proteggeva.
Sentì chiaramente la pelle di lei rabbrividire a quel tocco che si faceva sempre più audace, fino ad arrivare a sfiorarle il seno, libero da ogni costrizione.
Un gemito sommesso le uscì dalle labbra, mentre reclinava la testa all’indietro, lasciando scoperto il collo sottile e perfetto.
Gibbs ne approfittò per adagiarla supina e sdraiarsi sopra di lei.
Starle così vicino, sentirla respirare contro la propria pelle, erano cose che lo facevano perdere qualsiasi contatto con la realtà.
Olivia si sentì schiacciare dal peso del suo corpo, ma non riusciva a trovare niente che fosse più eccitante e appagante. Voleva solamente che non la lasciasse andare mai più.
Con le labbra umide, lui prese a lasciarle una scia di baci lungo la pelle tesa dell’incavo del collo, mentre lei iniziava a toccargli la schiena e lo faceva tendere contro il proprio corpo per la piacevole sensazione.
Erano eccitati, entrambi, e non potevano non percepirlo. Il movimento dei loro bacini si era fatto più intenso, il desiderio più tangibile oltre la stoffa dei pantaloni.
Si liberarono a vicenda dei vestiti che li avvolgevano, ormai di troppo.
Gibbs troneggiava su di lei, inginocchiato di fianco al suo corpo disteso e nudo.
Era bellissima e sarebbe stato a contemplarla per un tempo infinitamente lungo.
Lei gli prese la mano e la condusse sul suo ventre, per poi lasciarla libera di spaziare ovunque avesse desiderato.
Lui le si accostò di nuovo e mosse piano le dita verso il basso.
Olivia inarcò leggermente la schiena a quella delicata invasione e strinse i pugni intorno alle lenzuola.
Non sapeva come fosse possibile passare dalla totale disperazione a un godimento così intenso. Forse le due cose non si escludevano affatto. Forse era proprio il dolore la miccia che aveva fatto divampare il fuoco.
Un fuoco che le mangiava ogni fibra del corpo mentre lui sondava la sua intimità e le iniziava a baciare e mordere la pelle delicata intorno ai bottoncini scuri del suo seno.
-Jethro!- esclamò in un gemito più alto, premendo il proprio bacino contro la sua mano. Temeva che sarebbe impazzita se lui non avesse fatto di più.
Gibbs guardò rapito il suo corpo frenetico e arrossato, sapeva cosa volesse, perché era quello che desiderava anche lui.
Olivia aveva rapito la totalità dei suoi sensi e inibito ogni capacità di ragionare.
Piano la svuotò della sua presenza, lasciandola interdetta per l’improvvisa mancanza di piacere.
Avvicinò il viso a quello di lei e, mentre scivolava fra le sua cosce ormai bagnate, gemette contro l’angolo destro della sua bocca.
 Sentirsi colmare in modo così pieno la portò ad ansimare più forte.
Si aggrappò alle sue spalle, larghe e forti, guardandolo negli occhi con sguardo perso nel desiderio e nella brama di sentirlo sempre più dentro di sé.
I suoi respiri erano ormai diventati gemiti sempre più frequenti, una sinfonia di sospiri che si miscelava a quelli di lui, ad ogni spinta.
-Olivia…- Gibbs biascicò il suo nome, mentre le baciava le labbra e affondava in lei sempre più velocemente, al limite dell’estasi.
Solo quando si rese conto che i movimenti della ragazza si facevano più esasperati lasciò che il proprio corpo raggiungesse l’apice del piacere e, con un’ultima profonda spinta, accompagnò anche lei verso l’orgasmo.

   
 Stettero in silenzio per un po’. Lui le era scivolato accanto e lei teneva ancora gli occhi chiusi.
Si era preoccupato poche volte, di tutte quelle in cui era finito fra le lenzuola con una donna, di capire cosa quella stesse pensando dopo che tutto fosse finito. Con Olivia, era una di quelle.
Gli sembrava di poter passare in rassegna tutti i pensieri che le affollavano la mente e nessuno di quelli era esente dall’influenza del senso di colpa.
La immaginava alle prese con il vuoto lasciato dalla tragica notizia arrivata solo qualche ora prima, ora che l’impeto di quella passione si era consumato.
In parte era vero, Olivia sentiva il vuoto doloroso della perdita, il consumante senso di colpa, ma la cosa che più le premeva, in quel momento, era avere la conferma che lui non reputasse quella parentesi solo un errore.
Avrebbe voluto chiederglielo, ma era consapevole di non poter reggere altre scomode verità per quel giorno, quindi decise semplicemente di aprire gli occhi e di rimanere in silenzio.
Le iridi chiare di Gibbs erano fisse sulle sue.
Chissà cosa ci leggeva.
Per un attimo, a discapito di tutte le volte in cui avrebbe voluto fuggire da quello sguardo indagatore, sperò che potesse leggerle i pensieri, che potesse districarli da sé e restituirle tutto ciò che lei non aveva ancora chiaro.
Che ne sarebbe stato di loro dopo quella notte? Cosa si aspettava lei stessa? Cosa voleva?
Richiuse istintivamente gli occhi e trattenne il sospiro che prepotente premeva per uscire dalla sua bocca.
-Possiamo permetterci di pensare a tutto domani?- sentì la voce di Gibbs chiederle.
Annuì senza guardarlo. Era incredibile come sapesse interpretare anche un suo semplice silenzio.
Le sembrava un’ottima idea, anche se serviva semplicemente a temporeggiare.
-Bene…- lo sentì sussurrare mentre le si avvicinava tanto da soffiarle sulle labbra.
-Bene- ripeté lei tornando a guardarlo e stampandogli un delicato bacio sulla bocca.
L’indomani avrebbe affrontato tutto quello che aveva lasciato al di fuori della porta di quella stanza.
Ora voleva solo godersi quel momento, sulla scia dell’estasi che aveva coinvolto entrambi in modo totalizzante.
Si tennero stretti l’una all’altra. Lui le carezzava la schiena nuda, lei intrecciava le sue gambe alle proprie.
-Voglio riprendere il caso- gli disse d’un tratto con tono deciso, rompendo il silenzio e seguendo la conclusione di quello che doveva essere un pensiero molto più articolato.
Gibbs smise di sfiorarla e tornò guardarla.
-Voglio arrestare quel bastardo di Ventura- aggiunse lei con ancora più fermezza ricambiando lo sguardo.
-Lo farai- le rispose l’uomo -Te lo prometto-

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

Aprì a fatica gli occhi. Aveva dolore in ogni parte del corpo. Cercò di mettere a fuoco l’ambiente circostante, ma si rese conto di vedere tutto leggermente sfocato.

Le spalle erano indolenzite, i polsi immobili, legati fra di loro.

Olivia aveva sempre saputo che quel caso sarebbe stato molto rischioso, ma aveva altrettanto sperato di riuscire a cavarsela, in un modo o nell’altro.

Alla fine aveva perso.

Le avevano riassegnato l’indagine tre giorni dopo la morte di Riccardo, dopo che se ne era andata da casa di Gibbs, e da lì tutto era capitolato.

Gibbs.

Il solo pensarlo le faceva contrarre ogni singolo muscolo del corpo.

Era letteralmente scappata da lui, in preda ad una paura che di illogico non aveva nulla, se solo ci si fermava a ragionarci su. Ma Gibbs non era tipo da lasciarsi liquidare in quel modo.

Quando Vance l’aveva convocata all’ufficio dell’NCIS per riconsegnarle pistola e distintivo, si comportarono come se nulla fosse successo, benché a lui riuscisse decisamente meglio che a lei.

-Hai un minuto?- le aveva chiesto l’agente speciale infilandosi velocemente fra le porte dell’ascensore che si andavano chiudendo.

-Ho un narcotrafficante da arrestare- gli aveva risposto lei con sufficiente imbarazzo.

-Il narcotrafficante può aspettare- disse l’uomo premendo il pulsante di arresto dell’ascensore.

Olivia si morse un labbro.

-Come stai?- le aveva chiesto ancora.

-Bene-

-Ed è perché stai bene che sei andata via da casa mia come una fuggitiva?- fece incalzante, parandosi davanti a lei e non dandole opportunità di voltarsi altrove.

-Cosa avrei dovuto fare?- gli aveva quasi urlato puntando gli occhi nei suoi -Mi sentivo a disagio!- disse giustificandosi.

-Siamo due persone adulte, Olivia. Potevamo parlarne!- esclamò lui risentito.

-Perché? Per sentirmi dire che è stato un errore?- sta volta era stata lei ad essere risentita.

Gibbs la guardò contrariato.

-Non è stato…- cercò di controbattere, ma lei lo interruppe prima che potesse concludere la frase.

-Ti prego, Jethro…- sospirò -…credo di sapere cosa stai pensando. La notizia della morte di Riccardo, però, è  stata solamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Io…- aveva fatto una pausa per prendere fiato -Io volevo, in modo cosciente, lucido, pensato, che quello che c’è stato l’altra notte fra noi accadesse. E vorrei che succedesse ancora…- concluse quasi in un sussurro, abbassando lo sguardo.

-Ed è per questo che mi eviti?- le aveva chiesto lui avvicinandosi di un passo.

Sì, mille volte sì.

Lei non era un tipo fisico e passionale, e sentirsi così coinvolta, per la prima volta nella vita, la spaventava.

Si conosceva bene, e sapeva che ciò che iniziava a desiderare davvero, forse in modo immaturo e ingenuo, non era possibile si realizzasse.

-Io non voglio solo qualche avventura sparsa qua e là- gli aveva risposto fuggendo il suo sguardo e premendo il pulsante di riattivazione dell’ascensore -Ma non voglio neanche innamorarmi di te- 

“Non voglio innamorarmi di te”

Sorrise in modo doloroso al rievocare quelle parole, anche se non sapeva se a fargli male fosse più  il ricordo o i muscoli del viso.

Erano state le ultime parole che si erano scambiati. Lui non aveva risposto nulla e lei era uscita dell’ascensore senza neanche voltarsi.

Leroy Jethro Gibbs era l’uomo più complesso e tormentato che avesse mai conosciuto.

Nel tempo trascorso all’NCIS era stata capace di racimolare informazioni che lo riguardavano ed era quindi venuta a conoscenza della tragica storia che aveva alle spalle, della morte di sua moglie e sua figlia.

I fantasmi del passato lo avrebbero perseguitato per sempre, e forse poteva dirsi anche normale che fosse così, ma lei non voleva essere un semplice ripiego.

Lui aveva tutto il diritto di vivere nel ricordo doloroso di ciò che era stato, ma lei aveva il diritto di essere, se non la primizia, la scelta senza condizioni di qualcuno. E questo, lo sapeva bene, Gibbs non poteva darglielo. Ma forse nulla di tutto quello avrebbe avuto più molta importanza.

Scosse piano la testa. Era curioso come avvicinarsi tanto alla morte potesse relativizzare ogni cosa.

Era tenuta prigioniera da già quattro giorni, o almeno le sembrava che fosse così. Chiusa in quella stanza buia lo scorrere del tempo era indefinito, ma ogni ora che passava la allontanava dalla possibilità di rimanere viva.

Era sicura la stessero cercando, ma temeva che non sarebbero arrivati in tempo.

Leone Ventura le aveva fatto visita personalmente, accertandosi che fosse trattata con tutti i riguardi del caso.

L’aveva minacciata prima di farla pestare a sangue. Ma lei non riusciva a comprendere.

Continuava a chiederle dove fosse Riccardo Tosti e lei non aveva fatto altro che rispondere sempre e solo con la verità: era morto per mano sua.

A quanto pareva, però, la risposta non era quella tanto attesa.

Un rumore metallico attirò la sua attenzione e uno spicchio di luce invase la stanza.

-Ciao bambolina- la voce bassa e viscida di un uomo le giunse alle orecchie. Tirò su la testa, cercando di inquadrare la figura che si avvicinava, di cui vedeva a malapena la sagoma.

-Oh, ancora non riesci a vedere…- biascicò lui arrivando a sfiorarle il viso. Aveva gli occhi così  gonfi che non era difficile rendersi conto della difficoltà che riscontrava nel mettere a fuoco.

Olivia si ritrasse immediatamente, nauseata dal solo udirlo parlare.

-La gattina fa la preziosa- la sbeffeggiò -Hai poco da agitarti, bambolina. Chiusa qui sotto nessuno potrà venirti a salvare- continuò a dirle mentre le sfiorava la mascella con l’indice e poi arrivava a serrarle la mano intorno al collo.

Aveva ragione, forse non c’era più nulla da sperare. Non c’era più via d’uscita. Chiuse gli occhi trattenendo le lacrime. Non aveva paura di morire, se l’alternativa era soffrire per mano di un criminale senza scrupoli.

Sperava solo che la fine sopraggiungesse presto.

-Come ci si sente ad essere stati traditi da coloro che avevano giurato di proteggerti?- le chiese l’uomo liberandola dalla stretta.

Olivia non rispose, non voleva cedere alla provocazione. Riaprì piano gli occhi e guardò in direzione della sagoma scura poco lontana.

-Te l’ha fatta proprio sotto il naso, il tuo caro compagno- le disse sornione -Non hai idea delle volte in cui si è preso gioco di te. “Ma chi, quella?” diceva “Non si accorgerebbe della droga neanche se le passasse sotto gli occhi”-

Ebbe un tuffo al cuore. Il senso di colpa per aver ucciso Riccardo aveva surclassato la sua irreprensibile condotta. Se possibile, pensare al suo tradimento, in quel momento, le risultava ancora più doloroso.

Aveva bisogno di aggrapparsi al ricordo di lui che le portava il caffè la mattina presto in una camera d’albergo, o all’idea che ci fosse ancora del buono e giusto in lui, oltre la corruzione che lo aveva plagiato, ma l’immagine di quel giorno al porto, la pistola puntata contro di lei, premeva prepotente per emergere.

Per chi diavolo stava facendo tutto quello? Se non per vendicare un uomo che, in fin dei conti, non avrebbe esitato a spararle per salvarsi la pelle?

La verità era che lo aveva fatto per sentirsi a posto con la coscienza, e per trovare finalmente un capro espiatorio cui addossare la colpa.

-Il tuo amichetto si è fatto comprare con due spicci- continuò quello, incurante dei suoi silenzi – Lo Stato che tanto vi prodigate di difendere non vi paga abbastanza?- le chiese avvicinando pericolosamente il proprio viso al suo.

Olivia poteva sentire chiaramente l’odore di tabacco misto ad alcol che proveniva dalla sua bocca.

Continuò a non rispondere, come se ignorandolo potesse per magia smetterla di essere al centro delle sue attenzioni.

-Sai che succede alle bamboline indisponenti che se ne vanno tutte sole in giro a curiosare?- le soffiò ad un palmo dal naso – Non ti hanno mai messo in guardia dall’uomo nero?- continuò quella tortura posandole una mano sulla clavicola e scendendo verso il basso, portandosi dietro la scollatura della maglia.

Serrò di nuovo gli occhi.

Avvertire il tocco di quell’essere stomachevole addosso le procurava un senso di nausea devastante e, per la prima volta, da quando era chiusa lì dentro, provò profondamente paura.

Deglutì quel poco di saliva che le era rimasta, mentre le labbra prendevano a tremarle dalla tensione.

Quando la mano dell’uomo le si strinse intorno al seno, ormai coperto solamente dal tessuto del suo intimo, non poté evitare di emettere un lamento e cercare di dimenarsi.

-Shh!- le intimò lui tenendola ferma e lasciandole una scia umida sul collo con la punta della lingua -Lo so che in realtà ti piace-

Si poteva desiderare così ardentemente di morire? Cercò di muoversi e allontanarsi il più possibile da lui, per quanto i suoi polsi e le sue caviglie strette in una corda le permettessero, ma l’uomo non si scoraggiò. Le liberò le gambe dai lacci che le costringevano alla sedia e strattonandola la buttò malamente sul pavimento.

Istintivamente Olivia cercò un angolino in cui ripararsi. Stava per fare la fine del topo dato in pasto al boa dentro ad una teca.

Il cuore le batteva all’impazzata e la ragione iniziava a cedere il passo alla dilagante disperazione.

Scalciò come una forsennata quando l’uomo le si scaraventò addosso.

-Vieni qui, bambolina, adesso ti faccio divertire un po’- le disse bloccandole le gambe col suo peso e avvicinandosi a sbottonarle i pantaloni.

I lamenti di lei si tramutarono in suppliche disperate, mentre sentiva il tessuto dei jeans seguito da quello degli slip abbassarsi lungo le cosce.

 

 

*

 

 

Si sentiva come un animale in gabbia. Non ricordava l’ultima volta che aveva provato una frustrazione, un’impotenza e una rabbia così bruciante.

Non riusciva a pensare ad altro. L’immagine del corpo seminudo di Olivia riverso a terra, quell’uomo che la sovrastava e la toccava.

Prese a calci uno dei bidoni della spazzatura che si trovava di fronte.

Avevano iniziato le ricerche di Olivia appena resisi conto che qualcosa non andava. Il suo cellulare squillava a vuoto e, nella stanza che aveva preso in albergo, di lei non v’era traccia.

Dopo aver localizzato e trovato il suo telefono in un vicolo poco battuto avevano capito che era stata rapita.

Durante il secondo sopralluogo in albergo avevano sorpreso uno degli uomini di Ventura a rovistare fra le cose di Olivia. Solo dopo lunghe ore di interrogatorio e un patteggiamento l’uomo si era deciso a collaborare.

La cosa che lo aveva fatto infuriare di più era stato, però, tutto il temporeggiare da parte di Vance.

Non avevano tempo, Olivia non ne aveva. Eppure, il direttore dell’NCIS si era dimostrato restio a scendere a patti con quel criminale. A quanto pareva, salvaguardare un’agente dell’SSI non era una sua priorità.

-Jethro…- la voce di Ducky gli giunse alle orecchie.

 Sospirò profondamente passandosi una mano sul viso.

Il dottor Mallard, che si era proposto di accompagnare la squadra durante l’operazione di liberazione, aveva soccorso Olivia non appena possibile e le era rimasto vicino durante tutto il viaggio in ambulanza.

Gibbs si girò a guardare il vecchio amico, senza avere il coraggio di pronunciare la domanda di cui temeva terribilmente la risposta.

Ducky sembrò capirlo al volo.

-Si riprenderà- gli disse semplicemente -Le ci vorrà del tempo, ma si riprenderà-

-Lo avrei ucciso, Ducky- fece l’agente speciale, come se l’altro non avesse parlato affatto, esalando quella verità come se ammetterla a qualcuno gli potesse dare finalmente l’opportunità di stare meglio  -Avrei sparato in fronte a quell’animale schifoso-

-Lo so, Jethro. Lo so…Ma hai consegnato quell’uomo alla giustizia. Hai fatto la cosa migliore- rispose il vecchio dottore avvicinandosi a lui.

Il coroner non aveva bisogno di fare un grande sforzo per immaginare lo stato emotivo dell’uomo che si trovava di fronte. Conosceva Jethro da moltissimi anni e lo aveva visto perdere il controllo delle sue reazione pochissime volte.

Lo vedeva diverso. In quei giorni aveva potuto notare come l’atteggiamento distaccato che lo contraddistingueva nell’approccio al lavoro avesse ceduto il passo ad uno stato di inquietudine e preoccupazione.

Era cambiato, e che lui lo ammettesse o meno a sé stesso, la relazione con quella donna c’entrava qualcosa.

-E’ sveglia, se vuoi vederla- aggiunse guardandolo benevolmente.

Gibbs lo guardò sofferente. Tutto d’un tratto non aveva il coraggio.

Lui che aveva dimostrato sangue freddo nelle situazioni peggiori, ora aveva paura di sostenere lo sguardo di Olivia. Il pensiero di scorgere dolore profondo in quei suoi occhi scuri, gli opprimeva il petto.

-Va da lei- lo incoraggiò Ducky posandogli una mano sulla spalla.

Gibbs annuì.

Percorse i corridoi che lo separavano dalla stanza di Olivia pensando a cosa dirle.

Una volta scagliato a terra lo scagnozzo di Ventura e dopo che Di Nozzo lo aveva ammanettato, lui si era precipitato accanto a lei, l’aveva coperta con la sua giacca e l’aveva tenuta stretta fino all’arrivo dei medici.

Le aveva chiesto di parlargli, mentre cercava di rassicurarla con la sua presenza, ma ad Olivia non era riuscito altro che singhiozzare.

Gli si era rannicchiata contro il petto e aveva nascosto il viso fra le pieghe della sua camicia.

Dio! Se avesse potuto scendere all’inferno in cambio di quella sua sofferenza, l’avrebbe fatto.

Toc.Toc.

Bussò leggermente alla porta della sua stanza.

-Avanti- la sentì dire debolmente.

Aprì piano la porta ed entrò.

La trovò immersa fra dei cuscini che avevano tutta l’aria di essere morbidi e vaporosi, con tubicini sparsi qua e là che andavano da lei a dei macchinari ai lati del letto. Un regolare suono elettronico scandiva il ritmo del suo cuore.

Le sorrise nel vedere che puntava gli occhi su di sé.

-Ehi…- le disse avvicinandosi, fino ad arrivare alla sedia accanto al letto.

Olivia cercò di sorridergli di rimando, per quanto i lividi e le ferite sul viso le permettessero di farlo.

-Ciao…- gli rispose lei allungando una mano, che lui prese prontamente fra le sue.

-Sei qui per farmi delle domande?- chiese lei a fatica.

-No, niente domande. Il caso è stato chiuso- le rispose carezzandole dolcemente la mano -Ventura finirà al fresco per un bel po’ di tempo. Sono qui solo per te- concluse.

Era la verità. Mentre guidava sfrecciando fra le macchine, solo qualche ora prima, l’arresto di Ventura era l’ultimo dei suoi pensieri. Il suo unico obiettivo era portarla in salvo, il più lontano possibile da qualsiasi pericolo.

Si protrasse leggermente in avanti per sfiorarle il viso in una carezza, ma lei si scostò istintivamente.

-Scusami…- sussurrò -Non volevo…-

Olivia scosse piano la testa -No, non preoccuparti- gli disse tenendo gli occhi chiusi per impedire a delle lacrime di scendere -Il dottor Mallard ha detto che guarirò- continuò annuendo e tornando a guardarlo.

Un velo di pianto le appannava la vista, ma non voleva cedere di nuovo al dolore. Era grata al cielo per essere ancora lì e a lui per averla trovata.

Non avrebbe mai dimenticato il dirompente sollievo nel sentirsi al sicuro fra le se braccia, dopo essere passata per le mani di quel viscido mostro.

-Olivia, io…-

-Jethro…-

Dissero contemporaneamente dopo qualche secondo di silenzio.

-Ti prego, prima tu- le disse lui.

Olivia prese un profondo respiro.

-Ho deciso di tornare in Italia, non appena mi sarà possibile- disse.

Gibbs trattenne il fiato, ma non lo diede a vedere.

-Capisco- disse semplicemente, mettendosi dritto sulla sedia.

-Il caso è stato chiuso, Ventura arrestato, e io ho bisogno di raccogliere i pezzi di me che sono andati in frantumi- fece lei fra una pausa e l’altra -Ho bisogno di ritrovarmi, Jethro- spiegò concludendo.

Annuì, lo capiva benissimo. Trovarsi faccia a faccia con la morte era un’esperienza che cambiava i connotati della vita stessa. Le priorità prendevano tutto un altro assetto. In alcuni casi era necessario ricominciare da capo.

Non era da tutti riconoscerlo. Lui per primo aveva più volte ignorato quell’esigenza, sopravvivendo al tormento dei fantasmi del passato, senza mai essere in grado di dirgli veramente addio.

Più il tempo passa, in certi casi, più il meccanismo si cronicizza, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno. Come capitato a lui. Isolare così tanto il cuore da arrivare a non sentirlo più, vuol dire rischiare che questo si necrotizzi.

Le sorrise. Aveva dimostrato molto più coraggio di quanto lei stessa avesse mai immaginato di possedere.

-Tu volevi dirmi qualcosa?- lo incalzò lei, tornando a poco prima.

-Io…- fece assottigliando gli occhi -…temo di non ricordarlo- le disse alzandosi -Forse è meglio che tu riposi un po’, però-

Olivia si sentì leggermente spaesata nel vederlo allontanarsi. Nonostante la decisione presa, anzi, forse proprio per quella, averlo accanto per più tempo possibile le infondeva sollievo.

-Sì, credo di averne bisogno- si limitò comunque a dire. Non voleva trattenerlo se lui aveva desiderio di andarsene.

Gibbs fece un passo verso la porta, poi si girò di nuovo a guardarla.

-Mi sbagliavo- le disse fissandola con quei suoi occhi azzurri e magnetici -Sei perfetta per questo lavoro, agente Lombardo-

 

 

*

 

 

 

Quando il dottor Mallard spinse la porta di casa di Gibbs non si stupì nel trovarla aperta. Era un’abitudine che l’agente speciale dell’NCIS non perdeva mai, quella di non chiudere a chiave.

Scese direttamente nel seminterrato, certo di trovarlo lì alle prese con la sua barca.

-A cosa devo l’onore?- gli chiese l’uomo senza neppure guardarlo, non appena Ducky ebbe messo il piede sul primo gradino della scala.

-Ciao Jethro…- fece lui raggiungendolo -La domanda giusta, però, è un’altra: perché sei qui?- gli chiese di rimando, arrivando ad un passo da lui e poggiandosi su una vecchia sedia lì accanto.

Gibbs alzò gli occhi dalla tavola di legno che stava lavorando.

-Dove dovrei essere?- chiese alzando un sopracciglio.

-Jethro…sai, vero, che Olivia sta prendendo il volo di ritorno in Italia?- fece il dottore in modo sarcastico. Sapeva bene che Gibbs fosse a conoscenza della cosa, come gli era altrettanto chiaro che avesse candidamente ignorato la questione. Non si era presentato di proposito.

-Ducky, cosa c’è?- gli chiese con cipiglio scocciato, riprendendo a lavorare il legno.

-Non lo so, dimmelo tu. Sei così evasivo solo quando vuoi magistralmente evitare qualcosa a cui non vuoi pensare- rispose il coroner.

-Perché, se sai questa cosa, vieni qui con il chiaro intento di farmi parlare?- ancora un’altra domanda.

-Perché non sarei un vero amico, se lo ignorassi-

Gibbs sospirò chiudendo gli occhi e abbandonando la tavola di legno sul pavimento.

“Io non voglio solo qualche avventura sparsa qua e là, ma non voglio neanche innamorarmi di te”

Le parole di Olivia gli riecheggiarono nella mente.

In quegli ultimi giorni aveva ripercorso i quasi due mesi che avevano passato insieme. Fra tutto, le immagini di quella fatidica notte gli affollavano la mente.

Non era la prima donna che passava fra le sue lenzuola. Aveva avuto quattro mogli e numerose amanti.

Si era sposato e separato non molto tempo dopo il matrimonio per ben tre volte, dopo la morte di Shannon. Era il ricordo di lei, l’amore che li legava anche dopo la morte, che lo portava a chiudere qualsiasi altra storia.

Col tempo lui aveva imparato ad usare l’arte della seduzione e le donne sembravano non disprezzarlo affatto.

Si concedeva, ma a nessuna di loro aveva mai dato la reale opportunità di entrargli dentro, nel profondo. Quello era un posto riservato solo ai morti, ormai.

Era stato così anche con Jenny, nonostante avessero condiviso letto e lavoro per molti anni.

Lei, però, lo aveva sempre saputo. Per quanto i loro corpi potessero intrecciarsi e i loro respiri mischiarsi, non si sarebbero mai appartenuti davvero. Alla fine di tutto, rimanevano due individualità libere e distinte.

Avevano raggiunto un equilibrio perfetto, i poli delle loro esistenze non avrebbero mai coinciso. Questo li aveva fatti durare nel tempo.

-Olivia merita una vita piena- disse finalmente rompendo il silenzio e tornando a guardare il vecchio amico.

-Oh, questo è chiaro, ma ciò non risponde alla mia domanda- continuò imperterrito il dottor Mallard.

-Maledizione, Ducky!- esclamò esasperato Gibbs portandosi le mani alle tempie -Io non posso…io semplicemente non ci riesco-

Olivia voleva di più, cercava una vita con cui fondere la propria per dar luce ad un’esistenza tutta nuova, una comunione di corpi e di anime, un intrecciarsi di quotidianità fatte di piccoli e semplici gesti, di tenerezze che lui non si sentiva più in grado di prodigare.

Ci aveva provato, e non si poteva dire che non ci avesse messo tutto il suo impegno, ma aveva fallito tre matrimoni, uno dopo l’altro. Erano venuti giù come pezzi di un domino.

-Olivia lo sa, ed è per questo che se n’è andata- disse di nuovo rivolto verso il dottore, emettendo un profondo sospiro -Lei non può e non vuole stare alle condizioni di un uomo ammaccato come me. Io non ho niente da darle, Ducky. Niente -

-Io non sono venuto qui per farti cambiare idea, caro amico- fece il coroner alzandosi dalla sedia su ci era poggiato -Voglio solo farti notare quanto tu sia cambiato in questi ultimi mesi. Sei diverso, Jethro. Sembra ci sia qualcosa che ti punga nel vivo. Non dico che tu debba seguire Olivia, ma ti consiglio solo di riflettere sul perché, per causa sua, tu stia, consapevolmente o no, soppesando alcuni aspetti della tua vita-

-Quali aspetti?- chiese spazientito Gibbs.

-Gli spazi- rispose semplicemente Ducky.

L’uomo lo guardò stralunato, non riusciva a capire, ma, nonostante tutto, non fece ulteriori domande.

-Buonanotte Jehtro- gli disse il dottore d’un tratto, dandogli una pacca sulla spalla -Ci vediamo domani-

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Respirò profondamente mentre si fermava a rimirare la bellezza maestosa dell’Anfiteatro Flavio.
Era tornata a Roma da più di tre settimane, il suo capo le aveva concesso un lungo periodo di congedo, visti gli avvenimenti che l’avevano coinvolta a Washington, e si era quindi ritrovata con tanto di quel tempo a disposizione da non sapere cosa farne.
Aveva preso l’abitudine di fare lunghe passeggiate lungo le strade lastricate di sampietrini che costeggiavano alcuni tra i siti archeologici più importanti della capitale. Non era un tipo che amava la confusione dei posti affollati, ma negli ultimi tempi sentiva il bisogno di ritrovarsi in mezzo alla gente, che fossero turisti ignari del suo passaggio poco le importava, l’allegro chiacchiericcio dei passanti, o il borbottare di qualcuno meno gioviale, la faceva sentire meno sola.
Quel pomeriggio, però, aveva come meta la sede della SSI. Era stata richiamata urgentemente dal presidente della società per un motivo a lei ancora sconosciuto. Diede un’ultima occhiata al Colosseo e poi riprese a camminare.
Si chiese cosa ci fosse di tanto urgente da farla andare lì così di corsa. Il suo capo era stato sbrigativo ed evasivo per telefono, tanto da risultarle sospetto.
Al suo rientro in Italia era stata accolta in modo molto caloroso. I suoi ex colleghi di ufficio le avevano fatto una sorta di festa a sorpresa, benché da festeggiare ci fosse ben poco. Ma lei aveva apprezzato lo sforzo.
Una delle archiviste con cui lavorava prima di entrare a far parte della squadra Bravo, Laura, propose, con la scusa di aiutarla a sistemare il giorno dopo, di rimanere a dormire da lei, un’evidente operazione architettata per non lasciarla da sola, almeno quella prima notte.
Le fu profondamente grata per quell’accortezza. Non le fu facile riadattarsi a quei luoghi, lei che aveva sempre avuto problemi a riambientarsi dopo un lungo viaggio fuori casa.
Il suo capo e il direttore della SSI avevano ricevuto rapporti dettagliati stilati dall’NCIS su quanto avvenuto in America, ma fu chiesto anche a lei di redigerne uno.
Dopo l’interrogatorio di rito, però, l’avevano lasciata libera. Tutti i documenti erano allineati, nessuna difformità era venuta fuori.
Fece spallucce non riuscendo a trovare una motivazione apparente a quella convocazione. Ma poco importava, da lì a poco avrebbe scoperto il perché.
Il Forte Braschi, sede operativa dell’Agenzia informazione e sicurezza esterna, AISE, e dell’Agenzia informazione e sicurezza interna, AISI, era una vecchia costruzione edificata durante l’ultimo ventennio dell’800, ed era quanto di più diverso potesse esserci da un palazzo dall’architettura moderna come quello della sede dell’NCIS.
Olivia prese la strada per gli uffici della direzione dell’AISE, passando sotto ad un arco che riportava in latino il motto dell’agenzia: “Arcana Intellego”, “Comprendo i segreti”.
Le era sempre piaciuto quel motto. Comprendere, svelare, risolvere, era quello il lavoro di ogni singolo agente dell’SSI. Dietro la comprensione, il ragionamento, c’era la chiave che apriva tutte le porte.
Leggere questa frase non poté non riportarle alla mente  il motto del Corpo dei Marines, “Semper fidelis”, “Sempre fedele”.
Aveva imparato, nel tempo trascorso sul suolo americano, ad apprezzare quelle parole.
In fin dei conti, lei, che proprio nella fedeltà era stata tradita, quel motto lo sentiva anche un po’ suo. Era un ideale che continuava a portarsi nel cuore, nonostante tutto.
-Agente Lombardo- si presentò all’uomo di guardia.
-Prego agente, da questa parte- le fece strada lui, accompagnandola verso l’ufficio del direttore -La stanno aspettando-
Dopo che l’addetto alla sicurezza l’ebbe annunciata, entrò nella stanza.
-Agente Lombardo- la salutò il direttore, tendendole la mano.
-Direttore- fece lei ricambiando la stretta.
-Mi dispiace averla disturbata durante il suo periodo di congedo, ma era necessario- fece lui tornando a sedere sulla sua poltrona di pelle nera.
-E’ successo qualcosa?- chiese lei cercando di non sembrare allarmata.
-Ci sono alcune cose di cui vorrei lei venisse a conoscenza- disse l’uomo -Cose che, in accordo con la sede operativa dell’NCIS, abbiamo definito come non più soggette a stato di segretezza.
Olivia aggrottò la fronte. A cosa diavolo si riferiva?
-L’agente Riccardo Tosti è vivo- disse senza troppi preamboli.
Le parole del direttore le sembrarono lontane e incomprensibili.
-Come…scusi?- chiese, certa di non aver capito.
-So che la notizia può essere di forte impatto per lei, agente Lombardo- fece l’uomo, quasi a mo’ di scusa.
-Le spiego- aggiunse poi -Le condizioni del suo partner si sono stabilizzate qualche giorno dopo il ricovero. Quando abbiamo capito che sarebbe uscito dal coma, abbiamo attivato per lui un’operazione…-
-Protezione testimoni- concluse lei, iniziando a capire.
-Esatto- rispose il direttore in modo compiaciuto -Riccardo è stato poi trasferito in un altro ospedale, facendo credere a tutti che fosse morto. Questo avrebbe agevolato la sua posizione di collaboratore di giustizia. Se Ventura lo avesse saputo morto, lui non avrebbe avuto più nulla da temere-
Olivia scosse leggermente la testa. Non riusciva a credere a nulla di tutto quello. Riccardo era vivo.
Mentre lei si tormentava con sensi di colpa e una terribile sensazione di irrisolto, lui era tenuto sotto protezione dall’NCIS.
-Chi sapeva della messinscena della morte dell’agente Tosti?- chiese in modo spontaneo.
Doveva saperlo. Doveva sapere se, mentre lei si disperava fra le braccia di Gibbs, la notte della telefonata che annunciava la morte di Riccardo, lui fosse a conoscenza di tutto quel piano oppure no.
Cercò di razionalizzare la cosa. Capiva bene che, anche se lui avesse saputo la verità, avrebbe avuto dei validi motivi per nascondergliela.
Rivisse rapidamente gli attimi del rapimento. Se fosse stata a conoscenza del programma di protezione, avrebbe rischiato di spifferare tutto pur di far cessare le torture subite, e Ventura, una volta appresa l’informazione tanto desiderata, l’avrebbe fatta fuori senza troppe remore.
-Il direttore Vance e l’agente speciale Gibbs-
Nonostante fosse consapevole che tutto era stato fatto per proteggerla, il suo cuore perse un battito.
Fissò l’uomo che aveva di fronte per qualche secondo senza dire nulla. L’insicurezza che minava da sempre la sua sfera relazionale e contro cui lei combatteva in modo stoico da che aveva memoria cercò di intaccare i ricordi che aveva di Gibbs.
Non poté evitare di rivisitare la notte che avevano passato insieme sotto quella nuova prospettiva.
All’improvviso si sentì nauseata.
-Se non c’è altro da aggiungere, direttore, io andrei- fece lei alzandosi dal suo posto.
-Solo un secondo, Lombardo- disse lui alzandosi a sua volta -Non vuole sapere dove si trova l’agente Tosti?-
Era così contorta la realtà per lei in quel momento, che l’unica cosa che avrebbe voluto fare era infilare la testa sotto terra, come uno struzzo.
Scosse la testa in segno di diniego.
Era consapevole che prima o poi il momento del confronto con Riccardo sarebbe arrivato, ma non era quello il giorno in cui avrebbe voluto incontrarlo. Aveva bisogno di riordinare alcune cose nella sua testa, prima di azzardare quel passo.
L’uomo annuì comprensivo.
-Attenda un attimo qui, per favore- le disse dirigendosi verso la porta -C’è qualcuno che vuole parlare con lei-
Guardò il direttore dell’SSI uscire dalla stanza e sperò con tutta sé stessa che la persona in questione non fosse il suo ex partner. Non era riuscita ad ucciderlo la prima volta, niente e nessuno le avrebbe evitato di riuscirci la seconda.
Si guardò intorno, nei minuti interminabili di attesa.
Aveva deciso due cose, nel frattempo. La prima: che era troppo emotiva per continuare a lavorare in quel settore dei servizi segreti. La seconda: che avrebbe presto richiesto lo spostamento dal campo agli archivi. I documenti non ti davano tutti quei problemi.
Sospirò passandosi le mani sul viso. Non aveva proprio idea da dove iniziare a mettere ordine in quel groviglio di pensieri che le affollavano la mente. Era tornata in Italia prima del previsto proprio perché sentiva la necessità di rimettere insieme i pezzi di sé. Una volta che aveva finalmente iniziato a sistemare qualche tassello, ecco che era stato buttato di nuovo tutto all’aria.
La cosa che più la frustrava era che in quel caos di verità e bugie l’unico che rimaneva al proprio posto era il pensiero fisso per Gibbs.
-Che andasse al diavolo!- si lasciò scappare a voce alta.
-Ma sono appena arrivato- una voce familiare le giunse alle orecchie, seguita dal rumore della porta che si chiudeva.
Trattenne il fiato per un istante, intimorita dalla possibilità di voltarsi e di trovarsi davanti l’uomo che non faceva altro che occupare lo spazio dei suoi desideri, sogni e ricordi da ormai diverso tempo.
-Ciao, Olivia- la salutò Gibbs parandosi davanti a lei.
Lo guardò qualche altro secondo in silenzio.
Era indecisa se fare finta di niente e fuggire, oppure arrabbiarsi come poche volte le era capitato prima perché, anche a 7212 km di distanza, lui riusciva ad ingombrarle la vita e, non pago, era addirittura venuto fino a Roma per ricordarle della sua esistenza.
-Ciao, Gibbs- rispose prendendo fiato.
-Ti va se facciamo due passi?- le chiese lui avvicinandosi un po’.
Lei annuì appena, ancora incredula.
Camminavano fianco a fianco senza proferire parola. Gibbs nel suo cappotto nero e Olivia nel suo chiodo di pelle imbottito.
-Insomma, a cosa dobbiamo la tua visita?- interruppe lei il silenzio, mentre uscivano nei giardini che circondano il Forte Braschi.
La giornata poteva dirsi ottima. Si avvicinavano i primi giorni di primavera e nel cielo v’era un sole tiepido e piacevole.
-Io e McGee abbiamo scortato Riccardo fin qui- le spiegò infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
A giudicare dal modo disinvolto, almeno in apparenza, con cui lo disse, Gibbs doveva essere a conoscenza del fatto che a lei fosse stata rivelata la verità.
Olivia non riuscì a controbattere nulla. Per lei era ancora tutto molto lontano dall’essere afferrato come concreto.
-Mi serve un po’ di tempo per rendermi realmente conto che l’ultimo mese della mia vita in realtà è stato solo una menzogna- disse finalmente, cercando di dare una spiegazione a quei suoi silenzi prolungati.
-Lo capisco- fece lui.
-Mi dispiace non essere stato totalmente sincero con te- aggiunse poi, rallentando il passo fino a fermarsi e guardandola fissa in viso.
Olivia rimase colpita da quelle parole.
-Hai appena infranto la regola sei, o sbaglio?- gli chiese incredula.
-Ne ho infranta più di qualcuna negli ultimi mesi, in verità- le rispose sorridendo -La otto, la dieci, la dodici…ma la sei credo sia la prima volta-
A scapito del sorriso che aveva messo su, l’espressione sul suo viso rimaneva seria.
-Olivia, io…- riprese a dire -…non credo che sia stato tutto una menzogna- c’era esitazione nella sua voce e lei si rese conto di essere in attesa di udire qualcosa di più.
-A cosa ti riferisci in particolare?- gli chiese, abbandonando qualsiasi imbarazzo o scrupolo.
Potevano tranquillamente dire basta alle verità nascoste, alle parole a malapena sussurrate e alle cose dette a mezza bocca. Se erano di nuovo l’uno di fronte all’altra a parlare di quello che era stato, per l’ultima volta, allora che si potessero dire le cose con chiarezza.
-Ho saputo che Riccardo era vivo solamente il giorno in cui ti è stato riassegnato il caso- disse lui.
Olivia lo guardò intensamente negli occhi. Forse sapeva cosa in realtà stesse cercando di dirle. Non voleva che pensasse che era andato a letto con lei approfittando del suo dolore, sapendo che era tutta una messinscena.
Annuì semplicemente, riprendendo a camminare.
In realtà, in parte si sentì sollevata. La paura più grande che aveva avvertito, mentre il direttore le diceva la verità, era stata proprio quella.
Non sapeva che dire, però. Si sentiva anche molto sciocca. Se ne stava lì, con l’ingenua speranza che le dicesse qualcosa che li riguardasse, ma non sapeva neanche lei esattamente cosa sperare.
A Washington era rimasta in ospedale per quasi due settimane e lui era andato a trovarla ogni singolo giorno. Una volta, non sapeva come avesse fatto a convincere gli infermieri, lo aveva trovato a dormire sulla sedia accanto al suo letto alle tre del mattino.
“Ho i miei metodi” le aveva detto la mattina seguente, mostrando quel suo sorriso malizioso.
Olivia aveva apprezzato quelle visite interminabili. Lo vedeva arrivare e, quando giungeva l’ora di andare a dormire, lui era ancora lì accanto a lei.
Si era beata della sua presenza, consapevole che presto avrebbe dovuto dirgli addio.
Erano state numerose le volte in cui lo aveva sorpreso a fissarla, e in quelle occasioni si rese conto che il suo sguardo era cambiato. C’era qualcosa di diverso in lui, ma non seppe metterlo subito a fuoco.
Era un misto di tristezza e malinconia, di paura e desiderio.
“Jethro” lo aveva chiamato una volta, attirando la sua attenzione su di sé “Che stiamo facendo?” gli aveva chiesto poi con lentezza.
Lui l’aveva guardata a lungo, come era solito fare mentre sceglieva e soppesava le parole da usare.
Avrebbe voluto dirle molte cose, ma il timore di trascinarla in un vortice di tormento l’aveva fermato.
Era diventato viscerale il suo attaccamento per lei. La sentiva dentro, sotto la pelle, nei nervi, e la cosa lo terrorizzava. Non c’era spazio in lui. Come poteva spiegarle quelle cose, magari proporle un compromesso col rischio che accettasse e poi condannarla ad un futuro di privazioni, in cui lui ci sarebbe stato sempre e solo a metà, diviso fra il presente e quello che era stato?
“Una sciocchezza” le aveva risposto allora.
Olivia aveva preso quelle parole e, con tutta la fermezza di cui era capace, gli aveva risposto che aveva ragione.
“Forse dovremmo salutarci oggi” gli aveva detto poi lei, quasi in un sussurro.
Non era l’orgoglio ad aver parlato. Solo che sapeva che ogni giorno in più passato insieme avrebbe contribuito a rendere più difficile il loro distacco.
“Non sono arrabbiata” si era poi affrettata a spiegare “Voglio solo non…”
“Non stare troppo male dopo” aveva concluso lui.
Lei aveva annuito.
Non era più tornato dopo quel giorno.
Le aveva fatto male, ma sapeva fosse necessario per entrambi.
Gibbs la guardò fare qualche passo in avanti e, mentre si allontanava da lui, riportò alla mente una discussione avuta con il dottor Mallard un paio di giorni dopo la sua partenza da Washington.
Era stato lui stesso a riprendere l’argomento Olivia. Quella “questione di spazi”, di cui Ducky gli aveva parlato, non lo lasciava in pace.
“Jethro” aveva pazientemente detto il dottore “Tu desideri che lei faccia parte della tua vita?”
La domanda così diretta lo aveva spiazzato.
“Tu dici che non ci sia spazio per lei, ma la verità è che hai paura” aveva continuato Ducky.
“E non parlo del sacro timore di poterla rendere infelice perché soffri ancora per la perdita di Shannon, oh, no. Tu ti nascondi dietro a questa giustificazione, ma la realtà è che hai paura che lo spazio che le riservi oggi, domani potrebbe essere vuoto anche di lei. Hai il terrore di perdere le persone che ami, Jethro”
-Olivia- la chiamò d’un tratto, rimanendo fermo al proprio posto.
Forse era arrivato il momento di smetterla di far dire l’ultima parola alla paura. Forse era arrivato il momento di essere coraggiosi in un modo diverso rispetto a quello a cui lui era abituato.
Quel tipo di coraggio lo aveva imparato da lei. Lei così insicura su tante cose, ma che con tenacia non voleva mai far vincere i mostri che la tenevano chiusa in un angolo.
Olivia si girò perplessa, tornando sui propri passi.
-Qualcosa non va?- gli chiese.
-Torneresti a Washington con me?-
Per una manciata di secondi il sangue smise di fluirle nelle vene.
-Come, scusa?- chiese, convinta di non aver capito.
-L’NCIS attiva dei gemellaggi, una volta l’anno. L’SSI è già d’accordo, nel caso in cui tu decidessi di aderire al progetto-
Olivia lo guardò come se fosse un alieno appena sceso da un’astronave.
-Sei impazzito- affermò ridendo in modo plateale.
-Potresti tornare a casa un fine settimana al mese- continuò a spiegarle lui, come se nulla fosse.
-Non ha senso…- fece lei scuotendo la testa.
-I viaggi sono pagati- disse ancora lui.
-Jethro!- esclamò esasperata.
Era completamente folle. Continuava a parlare senza prendere in considerazione nessuna della cose che lei stava dicendo.
-Non verrò a Washington- affermò con decisione.
-Perché no?- le chiese lui avanzando di qualche passo.
-La domanda giusta è: perché dovrei?- controbatté lei risentita.
-Perché vuoi stare con me- disse Gibbs avvicinandosi pericolosamente al suo viso, e l’ossigeno sembrò mancarle.
-Non conta quello che voglio io- rispose senza spostarsi di un millimetro e guardandolo fisso negli occhi. Era così vicino da poter sentire il suo respiro sulle labbra.
Ogni muscolo del suo corpo si sarebbe mosso per buttarla fra le braccia di quell’uomo. Ogni nervo fremeva per la sua vicinanza.
-Perché anche io voglio stare con te- le sussurrò ancora lui sostenendo il suo sguardo.
Olivia sbatté le palpebre diverse volte, incapace di continuare in quel modo.
Le sembrava tutta una follia. Eppure era certa che Gibbs non avrebbe mai osato dirle quelle cose se non fosse stato certo di volerle davvero.
-Hai detto che era una sciocchezza- gli disse, iniziando ad avvertire gli angoli degli occhi pungerle.
-Sì, l’ho detto- riconobbe lui, allontanandosi di poco -Perché avevo paura di dirti la verità…di dirmi la verità- si corresse, mentre lei rimaneva in ascolto.
-Io sono un uomo spaventato, Olivia. Sono stato un pessimo marito per tre donne diverse, perché non sono mai riuscito a…- esitò un istante -…a lasciarmi alle spalle Shannon e Kelly-
Era la prima volta che lo sentiva parlare di loro. Sentir pronunciare quei nomi dalla sua bocca ebbe un effetto così tagliente.
-Jethro, io non voglio che tu faccia questo…-
Era sincera mentre gli diceva quelle parole. Riusciva a percepire la sua sofferenza. Se stare con lei avesse voluto dire procurargli un tale dolore, Olivia avrebbe rinunciato a tutto.
-Non voglio saperti stare male mentre ti sforzi di farmi posto nella tua vita- continuò.
-Ma io voglio farlo!- esclamò lui -Mi sono reso conto che, con o senza di te, la loro perdita è una cosa che devo affrontare. Non posso fuggire per sempre-
Olivia aveva il cuore che le batteva prepotentemente nel petto. Avrebbe voluto abbandonarsi alla piacevole sensazione che iniziava a propagarsi dal centro del suo ventre e piano si irradiava tutt’intorno, ma aveva anche timore che potesse scoppiare tutto come in una bolla di sapone.
-E’ che adesso ho un valido motivo per farlo…- disse ancora Gibbs, posandole una mano sul viso.
-Non devi liberare il loro posto per me- fece lei prendendo la sua mano nella propria.
-No, è vero, ma voglio che tu ne abbia uno tuo- era di nuovo così vicino da poterle soffiare sulle labbra.
Tremava Olivia, al pensiero di ciò che tutto quello volesse dire.
Era un grande salto nel vuoto, non c’era garanzia alcuna che le cose potessero andare bene, solo la buona volontà di entrambi.
-Possiamo prenderci del tempo?- gli chiese non muovendosi di un millimetro.
Gibbs chiuse gli occhi e sospirò, poggiando la sua fronte su quella di lei.
Capiva bene quella proposta. Stare del tempo lontani, dare a lui la possibilità di elaborare un lutto che si portava dietro da anni. Era una cosa ragionevole e saggia, ma la verità era che voleva averla vicino al più presto.
-Tutto quello che sarà necessario- era stato così tanto tempo chiuso in un limbo apparentemente senza uscita, doveva sforzarsi di attendere solo un altro po’.
-Però, adesso ho bisogno di darti un bacio, altrimenti non sarò in grado di aspettare neanche un secondo- le disse poi tornando a guardarla dall’alto della sua statura, quasi incapace di contenersi.
Olivia sorrise in modo spontaneo, invitandolo così a saggiarle finalmente le labbra.
Fu un bacio lento, di quelli che si vuole assaporare con lenta tenerezza, con la speranza di poterne avere tanti altri ancora.
Il fatto che fossero nel bel mezzo dei giardini del Forte Braschi, sotto gli occhi di tanti, sembrò non preoccuparli affatto.
 
 
 
 
 
*Angolino di un’autrice provata*
Ciao a tutti!
Eccoci alla conclusione -che di conclusione ha poco- visto che il finale è abbastanza aperto XD
Nelle mie intenzioni c’è di pubblicare delle flash o delle OS che integrino alcuni aspetti mancanti della trama (tipo l’incontro con Riccardo, il post periodo di lontananza), ma per ora preferisco concludere qui la storia di questi due.
Scrivere di Gibbs è stato provante, lasciatemelo dire! Non sa mai quello che vuole, è troppo taciturno e anche troppo tormentato, mi ha fatto spazientire più e più volte XD
Detto questo, volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto e chi, come Laura, ha lasciato un commento.
Spero di avervi appassionato un pochino e di ritrovarvi, quindi, alla prossima lettura!
Vi abbraccio fortissimo,
_Val_
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                   
 
 
 

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