WONDERWALL

di kamony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Vita nuova su Gorianus ***
Capitolo 3: *** Una scelta azzardata ***
Capitolo 4: *** Capitan Harlock ***
Capitolo 5: *** A bordo dell'Arcadia ***
Capitolo 6: *** La scoperta ***
Capitolo 7: *** Filos ***
Capitolo 8: *** Dinamiche di bordo ***
Capitolo 9: *** Tormenti, docce e altro ***
Capitolo 10: *** L'assalto ***
Capitolo 11: *** Prigioniera ***
Capitolo 12: *** Danni Collaterali ***
Capitolo 13: *** L'allieva ***
Capitolo 14: *** Una lezione pericolosa ***
Capitolo 15: *** Carte in tavola ***
Capitolo 16: *** Il silenzio e il rumore dei pensieri ***
Capitolo 17: *** Cicatrici ***
Capitolo 18: *** Vento di bonaccia ***
Capitolo 19: *** Sorprese ***
Capitolo 20: *** Il coraggio è impastato di paura ***
Capitolo 21: *** Tempo di agire ***
Capitolo 22: *** Regole, codici e tracce ***
Capitolo 23: *** Come in una bolla di cristallo ***
Capitolo 24: *** Questa cosa tra di noi ***
Capitolo 25: *** L'amore, come la morte, cambia tutto ***
Capitolo 26: *** Fraintendimenti e importanti chiarimenti ***
Capitolo 27: *** Piccoli passi nel giardino segreto ***
Capitolo 28: *** Limbo ***
Capitolo 29: *** Inquietudini ***
Capitolo 30: *** L'incontro ***
Capitolo 31: *** Echi Lontani ***
Capitolo 32: *** Destini incrociati ***
Capitolo 33: *** Un vero amore non sa parlare ***
Capitolo 34: *** La verità rende liberi ***
Capitolo 35: *** Nel vero amore è l'anima che abbraccia il corpo ***
Capitolo 36: *** Una giornata particolare ***
Capitolo 37: *** L'imprevisto ***
Capitolo 38: *** La diagnosi ***
Capitolo 39: *** Il gioco del caso ***
Capitolo 40: *** Il confronto ***
Capitolo 41: *** La scelta ***
Capitolo 42: *** Conto alla rovescia ***
Capitolo 43: *** Le parole che non posso dirti ***
Capitolo 44: *** Rivelazioni ***
Capitolo 45: *** Né con te né senza di te ***
Capitolo 46: *** Continuità ***
Capitolo 47: *** Una nuova realtà ***
Capitolo 48: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa FF fu pubblicata la prima volta in questo sito nel 2014, esattamente il 9 febbraio, poco dopo l’uscita del film Space Pirate Capitan Harlock, ben 8 anni fa… (ammazza come vola il tempo! O.O)
Fu poi tolta da me medesima per motivi strettamente personali.
Sia chiaro, non ho mai inteso rinnegare questa storiella a cui sono molto legata per tanti motivi.
Devo dire però che fin da subito alcuni di voi lettori si sono dispiaciuti tanto per questa mia scelta così drastica e ancora dopo 4 anni c’è chi ogni tanto mi chiede perché abbia tolto la storia e come fare a rileggerla, allora ci ho riflettuto su e ho deciso di revisionarla e ripubblicarla di nuovo, anche perché come dicevo sono molto affezionata a questo viaggio mentale.
Quello che andrete a leggere è il frutto della mia immensa (e forse anche un po’ malata) fantasia, e fu il risultato dei miei rimuginamenti della visione post film. Nacque come l’idea di provare a spiegare alcune scelte un po’ stiracchiate ma soprattutto a descrivere come sarebbe stato vedere il Capitano innamorato. Già perché a parte quell’accenno nell’Arcadia della mia giovinezza non è che ne sappiamo molto della sua vita sentimentale e questa fic è anche il mio personale punto di vista sulla faccenda “Harlock innamorato”…

Quindi bando alle ciancie ed rieeccomi qua, perché a volte ritornano!

NB non sono uno scienziato, né un fisico. Non ho mai inteso scrivere un trattato tecnico, né supportare le mie strampalate e fantasiose tesi espresse in questa storia, come vere o presumibili tali, trattasi di finzione e fantasia senza nessun fondamento o coerenza scientifica, né alcuna pretesa di esserlo. Prendete questa fic per quello che è, ovvero puro cazzeggio! ;)

PS saranno pubblicati due capitoli alla settimana, tra venerdì e domenica all’incirca ;)
Buona lettura e grazie a chi leggerà!

 



 

PROLOGO

 

Questa storia si svolge in un lontano futuro, o semplicemente in un presente parallelo… 
In questo universo, il futuro è già passato e quello che accade è in qualche modo già accaduto…
Nulla finisce definitivamente e tutto si ritrova nell’eternità…

La giovane biologa anglo nipponica Joy Takuro, figlia del professor Teinosuke Takuro, noto scienziato ormai in pensione, si trovava in Patagonia, sulle Ande, con una spedizione di ricercatori per raccogliere fossili e qualsiasi altro materiale utile per approfondire gli studi sull’evoluzione, e soprattutto per reperire un enzima da cui s’ipotizzava potesse essere nata la vita sulla terra sotto forma di spore, che poi avrebbero dato vita all’intera fauna e flora terrestre.
Alla base di questa spedizione, finanziata in segreto dal padre stesso della ragazza, che aveva delle mire precise, c’era un progetto ben più ambizioso di quello che era dichiarato. C’erano infatti delle ragioni occulte e ancora inconfessabili per cui l’uomo non poteva dire nulla alla ragazza circa le sue reali intenzioni.
Si era ripromesso di fargliene parola ma riteneva che non fosse ancora pronta per scoprire una così sconcertante verità. Al momento si limitava ad appoggiarla in maniera discreta e, non volendo però far passare il tutto come una classica raccomandazione padre figlia, aveva fatto in modo e maniera che la cospicua donazione necessaria a rendere possibile la spedizione fosse fatta in modo anonimo da un sedicente filantropo, che preferiva rimanere sconosciuto.
Così da un mese circa, quindici persone tra ricercatori di varie branche della biologia, sherpa e tecnici vari si erano accampati sulle Ande a raccogliere prezioso materiale. Di giorno partivano all’alba alla ricerca, poi, prima che il sole calasse, tornavano all’accampamento e si affrettavano a catalogare tutto ciò che era stato trovato, mentre parte della raccolta veniva direttamente analizzata in loco.
“Trovato nulla d’interessante oggi Joy?” chiese Steve, il giovane bio informatico.
“Tutti i giorni mi fai la solita domanda” rispose lei sorridendo, mentre scupolosamente catalogava i campioni raccolti “E tutti i giorni, io che cosa ti rispondo?” gli chiese alzando un attimo gli occhi dal suo vetrino.
Spero di sì, ma purtroppo ancora credo di no” le fece eco lui divertito e poi aggiunse “A volte non hai come la sensazione che stiamo perdendo tempo?” non che lo pensasse realmente, ma voleva attaccare bottone e quella provocazione gli sembrò l’ideale per scuoterla. Lei, che era nuovamente immersa nel suo lavoro, scosse la testa in senso di diniego e continuò a lavorare senza distrarsi. Era stanca e voleva finire presto, quella conversazione seppure in qualche modo piacevole, l’avrebbe rallentata e lei non voleva perdere tempo inutile. Il ragazzo le stava simpatico, lo trovava anche carino, ma non aveva la testa libera per flirtare, o cose del genere. Era troppo presa dalle sue ricerche per dedicare le sue energie ad altro.
Steve si fermò a osservarla. I capelli scuri erano raccolti in una coda bassa e indossava un paio di occhiali che servivano a correggere un lieve difetto di astigmatismo che aveva e che le stancava la vista quando doveva fare lavori tipo quello che svolgeva al momento. I suoi occhi ambrati ed intensi erano molto espressivi, grandi, ma sempre rivolti altrove. Sembrava che per lei, lui fosse trasparente. Quella ragazza gli piaceva parecchio, era stato così felice di fare questa esperienza insieme a lei in quella missione, ma Joy era così votata alla ricerca, che a volte aveva dubbi che le interessasse nient’altro che non fosse il suo lavoro. Era una vera e propria stacanovista, sempre gentile e sorridente, non dava però mai troppa confidenza. A dire il vero non era neppure una musona, piuttosto era una tipa molto riservata, anche se sapeva essere risoluta quando occorreva. Lui attribuiva questo alla sua doppia nazionalità: madre inglese, padre giapponese, il non plus ultra della riservatezza in fatto di etnie. Tra lei e il mondo c’era come un confine invisibile ma invalicabile, tutti si fermavano prima di quella linea immaginaria e a nessuno, almeno tra loro colleghi, era mai stato permesso di passare oltre.
Si sapeva solo che la madre era morta dandola alla luce e che il padre, era stato con lei un genitore molto esigente, seppure molto presente. Fin da bambina l’aveva seguita e spronata allo studio, per lei aveva fortemente voluto e programmato una carriera in campo scientifico ed era esattamente quello che poi era accaduto. A ventiquattro anni si era laureata e da due faceva la ricercatrice, con ottimi risultati accademici. Dalle chiacchierate frammentarie che avevano fatto, soprattutto in aereo, dove sottrarsi alla compagnia altrui era più difficile, aveva scoperto che non aveva grandi amicizie, né una vita relazionale molto attiva. I suoi passatempi erano leggere e fare innesti. Il suo pallino era riuscire a creare, tramite appunto vari innesti, modificati geneticamente, la pianta perfetta come la chiamava lei. Una forma di vita vegetale capace di attecchire anche nelle condizioni ambientali più estreme e con il minimo di sostentamento organico e di ossigeno, una pianta così forte, da vivere dove era attualmente impossibile farlo. Questo perché nella sua natura di giovane ricercatrice, vedendo come poco si rispettasse la natura e l’ambiente, sentiva il bisogno di creare un qualcosa che potesse resistere all’inquinamento, o a qualche disastro nucleare, o peggio ancora chimico, che l’uomo avrebbe potuto compiere da un momento all’altro, visto la sconsideratezza con cui avvelenava da anni la terra. Un tipo di vegetale che potesse in un certo senso riportare la vita, là dove essa stesse per spegnersi, o fosse in grave pericolo, determinato da agenti esterni non naturali.
Il ragazzo, vedendo che Joy era presa dal suo lavoro e che ormai lui era come diventato trasparente, si rassegnò, le augurò la buona notte e si avviò verso la propria tenda.
Poco più di un’ora dopo, anche la ragazza, una volta terminato il suo lavoro, entrò nella sua tenda, che divideva con la collega Elise, che stava salutando l’ologramma del fidanzato riprodotto dal suo portatile. 
“Mark mi sta dicendo che c’è una forte allerta meteo” le comunicò un po’ preoccupata, non appena la vide entrare.
L’ologramma subito annuì a conferma.
“Nessuno mi ha detto niente” rispose calma Joy.
“Neanche a me, ma il capo spedizione, subito dopo cena, era agitato dato che non funzionavano le onde radio” rispose la ragazza.
“Sì, ma la rete funziona mi pare, no?” ribatté Joy, facendo un cenno verso il portatile di Elise.
“Sì…”.
“Beh io vado, buonanotte amore!” disse l’ologramma di Mark alla fidanzata e il ragazzo dall’altra parte del continente si disattivò. Aveva capito che era meglio sparire piuttosto che creare problemi con Joy che era apparsa un po’ insofferente alla sua presenza virtuale nella tenda.
In realtà la giovane biologa era solo molto stanca. “Stai tranquilla e dormiamo, abbiamo solo sei ore di sonno da fare e io vorrei sfruttarle tutte” tagliò corto Joy, sollevata dalla dipartita di Mark. L’unica cosa che desiderava era farsi un bel sonno rigeneratore.
Si misero subito a riposare, in effetti erano entrambe esauste e provate dalla giornata appena trascorsa.
Quello che però, improvvisamente accadde di lì a poco fu terribile. Una specie di potente tempesta di dimensioni apocalittiche si abbatté sul campo, spazzandolo letteralmente via come fosse un mucchietto di foglie al vento. Onde elettromagnetiche cominciarono a scagliarsi in ogni dove, creando fortissime scosse elettrice.
Purtroppo, quello che nessuno poteva immaginare era che un infiltrato nella spedizione, stava conducendo in segreto un esperimento di condizionamento climatico, una diavoleria messa a punto da una società privata di ricerche scientifiche chiamata Pianeta Gaia, che aveva come scopo quello di assoggettare le leggi della natura al volere dell’uomo. Una volta ottenuto quel genere di potere, avrebbero potuto ritenersi i più potenti della terra, e quindi dominarla, soggiogarla, o fare qualsiasi altra cosa avessero voluto.
Nessuno avrebbe potuto contrastarli.
Le motivazioni che avevano spinto i finanziatori di Pianeta Gaia a far tentare quell’esperimento, in seno a quella missione nelle Ande, erano molteplici. Principalmente perché si trattava di un evento privato e poco pubblicizzato. In secondo luogo, perché pensavano che qualsiasi danno collaterale fosse potuto accadere, avrebbero avuto tutto il tempo necessario per occultare la faccenda e dare una spiegazione scientifica valida e naturale all’accaduto.

Purtroppo i danni collaterali ci furono e furono terribili.

Un boato disumano riecheggiò sopra le teste degli ignari ricercatori che si trovavano nelle loro tende, svegliandoli di soprassalto. Non ebbero neanche il tempo di domandarsi che stesse succedendo, perché nel giro di pochi secondi si scatenò l’inferno. Un vortice di potenza inaudita travolse l’accampamento e un marasma di forze metereologiche incontrollabili tra loro, alimentarono un’energia  pazzesca dalla forza devastante.
Potenti scariche elettriche, inframezzate da piccole porzioni di raggi radioattivi, formarono come un’enorme vortice in cui acqua, neve, gelo, ma anche fuoco e una sorta di magma, cominciarono a ribollire come in una specie di mostruoso calderone.
In questo finimondo, Joy improvvisamente si sentì bruciare sulla parte destra del corpo, provando un dolore lancinante che le fece perdere i sensi, poi fu sollevata di peso, come  fosse un fuscello e fu risucchiata da una fortissima corrente esterna al vortice, fu quindi scaraventata lontano, dalla potenza furiosa della corrente d’aria generata un reattore che era stato attivato per condurre l’esperimento. Il suo corpo finì diversi chilometri lontano dall’accampamento, che fu letteralmente spazzato via dalla furia incontrollata del vortice. Più che un esperimento per controllare le condizioni metereologiche, pareva una vera e propria arma di distruzione di massa. E infatti di quella spedizione non rimase nulla, se non, lontano da lì, il corpo martoriato di una Joy priva di sensi, unica fortunosa superstite.

 

NOTE: Il titolo WONDERWALL fu da me preso in prestito da una canzone degli Oasis, il cui testo specialmente in alcuni passaggi, era stato ritenuto indicato per questa storia. Soprattutto perché la traduzione libera della parola wonderwall si potrebbe identificare con il nostro modo di dire: Ancora di salvezza e mi sembrava molto appropriato.

Disclaimer: Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Tutti i personaggi di Capitan Harlock sono © di Leiji Matsumoto. I personaggi e la trama inerenti al film sono © Shinji Aramaki e Harutoshi Fukui. 
Invece qualsiasi altra cosa partorita dalla fantasia della sottoscritta è proprietà intellettuale della medesima.

 

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Capitolo 2
*** Vita nuova su Gorianus ***


.1.

 

VITA NUOVA SU GORIANUS

Da quasi un anno, Joy si trovava sul pianeta Gorianus nel porto spaziale di Sotiria, in attesa che vi attraccasse l’Arcadia.

Era passato molto tempo dal suo infausto incidente, di cui conservava un pallido ricordo molto sfuocato, pur portandone sul corpo i segni. Attualmente si trovava in questa situazione grottesca al limite dell’assurdo, dato che aveva grossi problemi mnemonici che le impedivano di collegare alcuni ricordi tra loro. Era coinvolta in una missione praticamente impossibile e sicuramente suicida, catapultata in un mondo non suo, in un universo non suo, in una era non sua, con una nuova identità e soprattutto sotto mentite spoglie. Con il solo aiuto di alcune nozioni che le erano stare trasmesse al cervello con impulsi elettronici.
Il diabolico regista di questo incubo non era altro che suo padre, o meglio quello che lei aveva sempre creduto fosse suo padre: il professor Teinosuke Takuro un uomo finito per sbaglio sulla Terra, attraverso una porta temporale apertasi in modo errato, durante un esperimento di viaggio nel tempo mal riuscito. Tutto ciò era accaduto in un altro universo e in un altro pianeta, guarda caso, ancora per colpa di quella che altro non era che l’evoluzione, o il parallelo temporale, di Pianeta Gaia: la Gaia Sanction, presente anche nello spazio e nel tempo in cui era finita Joy, praticamente l’organo governativo che comandava in quel mondo. 
Tutta la sua vita era stata una menzogna. Quell’uomo l’aveva adottata appena nata, selezionandola accuratamente tra tanti altri bimbi orfani e aveva dedicato tutta la sua vita ed il suo tempo ad istruirla, plasmarla ed a farle studiare quello che gli serviva per poi poterla preparare a questa missione, in cui non erano contemplata l’opzione fallimento.
L’incidente accorso sulle Ande aveva forzosamente accelerato i tempi, creando una situazione propizia per il professore. La ragazza era stata per tanto tempo in coma, facendo temere per la sua ripresa, ma per fortuna la sua corteccia celebrale non aveva subito danni ed il suo cervello era rimasto integro, nonostante il fortissimo trauma cranico subito. Aveva riportato anche delle orrende ustioni sulla parte destra del corpo, tutto il braccio e una porzione del fianco erano state ridotte piuttosto male, le attività motorie però non erano state compromesse, le erano invece rimaste delle orripilanti cicatrici.
L’obiettivo era troppo importante e, in coma o meno, andava preparata per la missione che aveva la priorità su tutto.
Joy, pronta o no, doveva entrare in contatto con un pirata spaziale di nome Harlock ed il suo universo, per poter salvare la Terra da un destino atroce.
Il Dr.Teinosuke nell’anno 2977 era stato uno scienziato fisico nucleare, studioso delle porte e dei nodi temporali, appannaggio dell’ultima civiltà aliena: i Nibelunghi che aveva studiato per molti anni. 

Grazie al suo lavoro e alle sue conoscenze aveva cominciato ad avere dei sospetti sulla vera natura della Gaia Sanction, un consiglio governativo costituitosi molti e molti anni prima, che alla fine di una guerra chiamata Came Home, aveva posto una pace forzata con precise condizioni indiscutibili ed inviolabili per tutti gli esseri umani. 
Il comportamento dei potenti della Gaia Sanction non era mai stato cristallino e così, il Dr. Teinosuke aveva cominciato a fare delle indagini per scoprire la vera natura di questa famigerata organizzazione governativa, apparentemente molto naturalista e filantropica, ma che in realtà nascondeva bena altri scopi da quelli pubblicamente dichiarati nel corso degli anni.
Sua figlia Nami, che era sposata da pochi mesi con il giovane comandante Ezra, una delle punte di diamante della flotta della Gaia Sanction, chiamata Gaia Fleet, era stata lieta di aiutarlo nell’intento, perché anche lei aveva dei sospetti, nonostante le continue rassicurazioni del marito, il quale a sua volta era stato inconsapevolmente un ponte ideale, per scoprire quello che il dottore sospettava. Così era emerso che il reale intento della Gaia Sanction era sempre e soltanto stato quello di dominare ed usare la Terra per i loro scopi e solo a beneficio di pochi eletti. Da quel momento Teinosuke aveva cominciato a simpatizzare per Capitan Harlock, un pirata spaziale che si opponeva con tutti i mezzi a questa situazione e con cui, in un secondo tempo, aveva tentato disperatamente di mettersi in contatto, di fatto non riuscendoci mai.
Così aveva frettolosamente e rischiosamente deciso di mettere a punto alcuni esperimenti per riuscire ad aprire delle porte temporali. Pensava che se avesse potuto andare indietro nel passato avrebbe potuto prevenire, o smascherare i piani della Gaia Sanction. Qualcosa però era andato storto, forse la fretta gli aveva giocato un brutto tiro. Accadde, infatti, che durante la prova di apertura di una porta temporale, si ritrovò inaspettatamente catapultato in un passato troppo remoto e forse anche in una realtà parallela alla sua. Fatto sta, che per quanto si fosse dannato l’anima non era riuscito a tornare indietro. Le aveva provate tutte, ma alla fine si era rassegnato. Sembrava quasi che, come in una sorta di maledizione, i salti temporali si potessero fare una volta sola, e se si attraversava la porta, il tempo e la dimensione in cui si arrivava diventavano permanenti e definitivi, senza alcuna chance di tornare indietro.
Il professore aveva rischiato grosso, ma i suoi motivi erano molto validi. All’epoca dei fatti della guerra di Came Home, la neonata Gaia Sanction dichiarò la Terra luogo sacro e inviolabile, rinominandola Gaia e rendendola inaccessibile per tutti, per la mancanza di risorse. 
Harlock a quel tempo era uno dei militari che doveva far rispettare tale divieto, ma quando si accorse che questa interdizione non valeva per i potenti capi della Coalizione, decise di ribellarsi, per far tornare la Terra patrimonio di tutti. Nel conflitto che ne scaturì, il giovane, da ufficiale della Gaia Fleet abbandonò per sempre i suoi gradi, s’impossessò di una nave, che rinominò Arcadia, e si dichiarò Pirata, diventando così il famoso e famigerato Capitan Harlock.
Dichiarato terrorista e nemico giurato della Gaia Sanction, Harlock era diventato il criminale più ricercato della Galassia, portando dietro di sé una leggenda che lo dichiarava, non si sapeva bene né come, né perché, immortale, o qualcosa del genere. Fatto sta, che si raccontava che da più di cento anni la sua nave infestasse lo spazio, creando moltissimi problemi alla Coalizione, la quale aveva messo sulla sua testa una taglia enorme. Secondo il professore, era l’unico uomo che potesse tenere testa a quel governo usurpatore dei diritti degli esseri umani. Per questo si era dannato affinché la figlia adottiva lo potesse incontrare.

Joy, che per compiere la missione era stata costretta a fingersi un ragazzo, aveva veramente poche informazioni e una gran confusione in testa. Quello che sapeva, era che doveva venire in contatto con questo Capitan Harlock, anzi il leggendario Capitan Harlock, il quale si diceva solcasse lo spazio con la sua nave pirata da sempre. Una leggenda immortale di cui tutti parlavano, ma che in realtà nessuno, o quasi, aveva davvero mai visto di persona.
Le era stato descritto come carismatico, cupo, imponente, guercio e con una cicatrice che gli deturpava il viso. Difficile da contattare e quasi impossibile da avvicinare.
Praticamente una passeggiata.
Le informazioni primarie gliele aveva date suo padre, quando una volta uscita dal coma e dopo averle impiantato un microchip alla base della nuca, nascosto tra i capelli, le aveva costruito e cancellato dei ricordi prima, e raccontato una storia fasulla dopo. L’aveva trasformata in una specie di cyborg, ma senza alterare la sua volontà e il suo libero arbitrio. Le aveva manipolato solo i ricordi che lo riguardavano ed impiantato alcune sue conoscenze, per poterla far muovere meglio dove l’avrebbe spedita. In poche parole, lei si era convinta di essere una sorta di prescelta che doveva aiutare Harlock a salvare il destino della Terra, ma che questo il Capitano non lo sapeva e probabilmente non ne avrebbe neppure voluto sapere, né tantomeno sentirne parlare, a causa della sua attività piratesca. Non era decisamente un uomo facile né da trovare, né con cui poter argomentare. Il suo compito sarebbe stato quello di convincerlo attraverso ciò che lei era ed aveva scoperto, doveva fargli assolutamente sapere che c’era una speranza per la Terra e per gli uomini.
Teinosuke aveva fatto in modo che per lei tutto questo fosse come noto da sempre e tutto ciò che non ricordava, o non le era chiaro, fosse solo colpa dell’incidente e del coma.
Il suo asso nella manica, o meglio il suo lascia passare per avere un incontro con il pirata, erano un sacchetto di semi geneticamente modificati, frutto delle sue ricerche prima del viaggio nelle Ande, di cui però lei non ricordava assolutamente niente. Il piano era semplice nella sua follia: quelli avrebbero attirato l’attenzione di Harlock, lei conseguentemente avrebbe dovuto conquistare la sua fiducia, rivelargli la sua vera identità, metterlo al corrente della possibilità che gli poteva offrire e convincerlo a percorrere quella strada.
Il problema più grande era che ormai da sei lunghi mesi Joy si arrabattava a Sotiria, in attesa che la nave di Harlock attraccasse per fare rifornimento di viveri. La ragazza cominciava a dubitare che l’avrebbe mai fatto, d’altra parte era cosa risaputa in tutta la galassia che l’Arcadia fosse una nave spettro alimentata da dark matter aliena. L’unica cosa certa, era che l’equipaggio, quasi interamente composto da umani, doveva pur mangiare e che quindi di tanto in tanto si dovessero fermare in qualche porto, ad approvvigionarsi di cibo. E lei su quello contava per salire a bordo.
Era difficile spiegare il suo stato d’animo. Molte cose erano state cancellate dalla sua memoria, non per pura cattiveria, ma anche per permetterle di agire meglio, senza il peso di troppi ricordi. Sebbene molto fosse stato rimosso, in qualche modo nella sua testa c’erano delle tracce sfuocate e incomprensibili di brandelli del suo passato, che comunque le procuravano confusione e turbamento. Era spaesata, a volte anche impaurita, ma la sua capacità di adattamento era stata potenziata tramite il microchip, così come il suo istinto e la sua capacità di reazione. Di più non era stato fatto, anche perché le tecnologie in mano a Teinosuke erano limitate e con quello che aveva a disposizione, già così aveva fatto dei miracoli.
La ragazza aveva ben compreso l’importanza della sua missione ed era motivata nel portarla a termine, sebbene non ricordasse né la sua preparazione, né tempi, né i luoghi.
Sapeva di venire da un altro arco temporale, rispetto a quello in cui si trovava, sapeva anche che veniva dalla Terra, rammentava alcuni dei suoi trascorsi antecedenti le Ande, ma non molto altro, o giù di lì. Il resto era confuso e nebuloso, a parte le sue nozioni accademiche che erano chiarissime e qualche altro ricordo scolastico, che le era stato lasciato perché ritenuto le potesse essere utile. Sapeva di aver avuto un brutto incidente, di essere stata moltissimo tempo in coma e di essersi risvegliata senza quasi più memoria.
Le era stato detto che era tutta la vita che si stava preparando a compiere quella missione, che il momento di entrare in azione era giunto, che doveva attraversare una porta temporale, ridare vita e risorse alla Terra e quindi tornare indietro.
Per facilitare il suo compito era stato deciso che si sarebbe fatta passare per ragazzo, in caso contrario non avrebbe mai avuto speranza di essere presa in considerazione per poter salire sull’Arcadia, che contava a bordo solo tre donne, di cui una era un’aliena. Avrebbe dovuto avere delle caratteristiche troppo specifiche per poter eventualmente far parte dell’equipaggio, farsi passare per maschio avrebbe in qualche modo semplificato le cose, o almeno così credeva suo padre adottivo.

                                                                             
Quella mattina come sempre Joy si diresse al porto, al mercato nero. Aveva sentito dire con insistenza che l’Arcadia era in zona e che ci fossero ottime possibilità di vederla comparire. Nonostante suo padre si fosse raccomandato di non parlare a nessuno dei suoi semi geneticamente modificati, lei aveva voluto fare di testa sua. Aveva capito che attirare l’attenzione di Harlock era davvero un’impresa impossibile, non aveva né il carisma, né le capacità fisiche, né tantomeno quelle militari per fingersi interessata a far parte dell’equipaggio, neppure come semplice mozzo, sempre ammesso che sull’Arcadia ce ne fosse bisogno, così aveva pensato di giocare d’astuzia e aveva gettato una bella esca.
Aveva fatto vedere uno dei suoi preziosissimi semi ad un tipo losco chiamato Hyena, che aveva un sacco di agganci, il quale era quasi impazzito nel sapere che cosa quel ragazzino smilzo avesse per le mani e così aveva sguinzagliato una sorta di asta tra possibili acquirenti interessati al preziosissimo seme. Naturalmente era stata accorta e gli aveva fatto credere di averlo in un posto al sicuro, quando in realtà il sacchettino con i semi lo portava sempre addosso con sé.
Stava camminando quando si sentì strattonare per un braccio.
“Ma che diav..” disse  prima di essere interrotta e trascinata in un vicolo al riparo da occhi indiscreti.
“Zitto ragazzo!” gli intimò Hyena e poi ghignò soddisfatto “Abbiamo fatto bingo io e te, quella robina che mi hai mostrato ha fatto impazzire l’asticella dell’asta del mercato nero! Lo vogliono tutti e sono disposti a pagarlo cifre inaudite, pensa che c’è un compratore che verrà direttamente dall’Arcadia, probabilmente vista la rarità della merce, potrebbe essere il Capitano in persona. Abbiamo svoltato!”.
Joy, non capendo minimamente che razza di pasticcio avesse in realtà combinato, annuì soddisfatta, certa di aver ottenuto ciò che voleva “Sì abbiamo proprio svoltato” disse fiera di sé.
E ora che il pesce aveva abboccato non le restava che attendere i compratori, Capitan Harlock compreso.

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Capitolo 3
*** Una scelta azzardata ***


Eccoci qua al primo appuntamento settimanale di bi/ri-postaggio :P
Infatti ogni fine settimana tra venerdì e domenica, posterò sempre insieme due nuovi capitoli.

Sto sfrondando ‘sta storia e naturalmente correggendola di nuovo, qua e là, e mamma mia,  come sono stata prolissa O.O anche un po’ arzigogolata (parlo di scrittura dei periodi). Quindi tutto sommato sono felice di sfrondarla e revisionarla, comunque quando ci saranno cambiamenti degni di nota e penso proprio che ci saranno, vi avviserò.

Buona lettura e grazie a chi leggerà!

 

  .2.
 

 

 

UNA SCELTA AZZARDATA

“Devo andare a Sotiria e fidarmi di quel viscido di Hyena…” disse di malumore Yattaran a Kei. I due ufficiali dell’Arcadia stavano commentando la decisione presa dal Capitano, in base alla notizia dei fagioli magici, come li aveva soprannominati il corpulento pirata, che era molto scettico circa tutta quella faccenda. La cosa gli puzzava di trappola, gli sembrava un’esca troppo ghiotta per essere vera ma Harlock aveva deciso, voleva quelle sementa e lui non poteva che obbedire. Si stava preparando e battibeccava con una delle tre donne che erano a bordo della nave, ma in realtà voleva solo sfogarsi ed infastidire Kei, che durante una seduta di allenamento gli aveva fatto un bel ricamino su una guancia. Niente di che, poco più di un graffio, ma il suo orgoglio era rimasto più ferito della carne. Quella ragazza era diventata troppo veloce e troppo letale per i suoi gusti. Sia chiaro l’adorava, e sarebbe morto per lei, ma il suo ego mal sopportava le sconfitte e il fatto che da qualche tempo riuscisse troppo bene a tenergli testa.
“Smettila di piagnucolare Yattaran, io sarò sulla capsula e ti coprirò le spalle e poi ci sarà anche una squadra di supporto con noi. Mi spieghi che problemi hai?” lo rimbeccò lei.
“Questa faccenda mi puzza” ribatté l’uomo.
“Tu puzzi! Dovresti farti una doccia” lo canzonò la giovane di rimando.
Yattaran si annusò le ascelle e ne convenne che forse tutti i torti non li aveva.
“È che in quelle diavolerie antigravitazionali io mi sento a disagio” confessò il pirata un po’ imbarazzato “Devo chiedere al Capitano di potermi procurare una vasca come la sua. Io proprio non riesco a lavarmi volteggiando per aria. E comunque tornando a parlare di cose serie, tu pensala come vuoi, ma stai in guardia, non ho buoni presentimenti”.
“Il Capitano ha deciso e noi non possiamo che obbedire e comunque io credo ciecamente in lui. Atteniamoci al piano, recuperiamo i semi e torniamo sulla nave. Vedrai, sarà semplice come bere un bicchier d’acqua” sentenziò Kei. Lei a volte era fin troppo ottimista e sicura dei loro mezzi. Non era una sciocca, né avventata, ma aveva una fiducia incrollabile e questo la portava a vedere sempre il lato positivo delle cose.
Intanto dall’altra parte della nave, nella sala motori, si svolgeva una delle consuete chiacchierate monologo tra la bellissima ed eterea aliena Meeme e Capitan Harlock, dove come sempre lei parlava e lui, principalmente ascoltava, mugugnava due tre volte e forse diceva, sì e no, tre parole. Lui era così: ermetico, silenzioso, taciturno e un po’ scontroso. Non era mai stato un gran chiacchierone a dire il vero, ma ultimamente era come rinchiuso in un guscio granitico e impenetrabile, la sua scarsa loquacità ne aveva ulteriormente risentito.
“Credi davvero che ciò che dice quel mercante da due soldi sia vero?”.
Harlock non le rispose.
“Hai mai considerato il fatto che potrebbe essere una trappola per incastrarti?” continuò l’aliena con voce suadente.
Harlock ancora una volta tacque.
“Questa cosa ti ha così profondamente turbato, che temo stia minando la tua capacità di giudizio”.
“Non è così” le rispose finalmente “Probabilmente hai ragione su tutto ciò che affermi, ma se c’è anche una sola possibilità su un milione che quei semi esistano, io li avrò” e terminata la frase girò i tacchi. Camminando fece muovere elegantemente il suo lungo mantello, quindi con lunghe falcate, mentre il suo fido avvoltoio alieno Tori gli atterrava su una spalla, lasciò la sala motori per dirigersi nella sala del computer centrale.
Meeme sospirò e lo seguì da lontano, sebbene avesse espresso dei dubbi, in cuor suo, non sapendo neppure lei il perché, non aveva dei cattivi presentimenti. Forse tutti loro, dopo tanto peregrinare tra dolore e angoscia, avevano bisogno di un barlume di speranza ed era facile attaccarsi a qualunque cosa.

Hyena aveva organizzato l’asta in uno scantinato di una vecchia costruzione abbandonata, alla periferia del porto, in un posto piuttosto isolato, al riparo da confusione e inutili curiosi. Aveva insistito per avere i semi in mano, ma Joy non ne aveva voluto sapere, alla fine erano arrivati ad un compromesso e lei aveva promesso che ne avrebbe portato uno da far vedere ai compratori. Quelli che aveva erano semi geneticamente modificati da lei stessa, che necessitavano però di una cura particolare per germogliare, in poche parole non tutti sarebbero stati in grado di coltivarli, non senza fare delle accurate ricerche, per poterne capire i delicati passaggi a cui andavano sottoposti. Si sentiva perciò abbastanza tranquilla del fatto che, mostrarne uno, ed eventualmente perderlo, non avrebbe potuto recare chissà quali danni. E poi a Hyena aveva detto di averne solo tre e non un sacchetto pieno. In questo era stata furba, o credeva di esserlo stata.
Quando però la ragazza giunse nel luogo predestinato all’asta, cominciò a rendersi conto che forse la sua idea non era stata così geniale come le era parsa. La stanza, un buco nel seminterrato di un edificio abbandonato e fatiscente, era buia, umida e maleodorante, stipata di ogni ordine e razza di brutti ceffi. La sua esca era stata fin troppo ghiotta per molta, troppa, gente accorsa da varie parti della galassia, grazie ad un rapido passaparola di Hyena che era un commerciante furbo e molto conosciuto.  La ragazza non poteva saperlo, ma tra di loro c’era anche un emissario della Gaia Sanction, in incognito, e ovviamente Yattaran, che era il più defilato, in fondo alla stanza in un punto morto; per non dare troppo nell’occhio e non esporsi ad inutili rischi.
Joy cominciò a sentire l’ansia salire. Ma che diavolo le era venuto in mente? Che ne sapeva lei di aste, di pirati, mercanti, alieni e di quel mondo che di fatto non era neppure il suo? Come si sarebbe difesa se qualcosa fosse andato storto? E se avessero scoperto che era una donna e che aveva con sé tutte le sementa? Perché non aveva dato retta a ciò che le aveva raccomandato suo padre? Perché si trovava in quella situazione così pericolosa e così distante da lei? 
E poi chi le diceva che Capitan Harlock avesse abboccato? 
Non aveva mai visto né una sua foto, né un suo ritratto, rimaneva quella vaga descrizione: imponente, cicatrice, guercio. Come cercare un ago in un pagliaio, in quel buco buio e stipato! Cominciò a sudare freddo.
L’ansia diventò paura e la paura terrore cieco. Avrebbe solo voluto fuggire via, oppure meglio ancora, svegliarsi e rendersi conto che quello era solo un incubo terribile.
Hyena intanto era fuori di sé dalla gioia, non gli era mai capitato un colpo di fortuna così enorme, i semi e forse Harlock stesso da vendere o catturare. Con entrambi avrebbe potuto fare più soldi di quanti mai avesse sognato nelle sue più rosee fantasie. Era così contento che involontariamente finì per rassicurare Joy “Sei pronto ragazzo?” le disse andandole incontro “Abbiamo anche ospiti illustri direttamente dalla mitica Arcadia. I furbastri probabilmente stanno in disparte, ma io so che ci sono, le voci corrono. Ho venduto l’informazione a quelli della Gaia. Potremo prendere due piccioni con una fava”.
Lei fu felice di sapere che il piano avesse funzionato, ma allo stesso tempo si rese conto di aver fatto una cosa enormemente stupida, che avrebbe potuto compromettere l’intera operazione. Se avessero catturato Capitan Harlock sarebbe stata una vera e propria tragedia. Perché non aveva avuto pazienza e non aveva riflettuto?
“Perché diavolo hai fatto una cosa simile?” si rivoltò contro il mercante piena di rabbia.
“Per i soldi è ovvio!” rispose quello, facendo spallucce per nulla impressionato.
La ragazza ebbe un lampo di genio, capì che quell’uomo era avido fino al midollo e che non avrebbe cavato un ragno dal buco nel tentare di dissuaderlo. Doveva ingannarlo.
“Hai fatto bene e male” disse cercando di correggere il tiro ed addolcendo un po’ il tono della voce “Ma tu hai la matematica certezza che Harlock sia qui? Perché se lui non c’è, non credo che sarà tanto fesso da farsi acchiappare”.
“In effetti non ho certezze in merito. Ma ci sarà qualcuno del suo equipaggio” ammise Hyena grattandosi il mento.
“Che sarà certamente disposto a morire piuttosto che tradirlo. E allora senza certezze otterremo solo metà dei profitti” improvvisò lei.
“Sì. È vero, ma tu come intendi risolverla intelligentone. Mica vorrai fare l’appello per vedere se è presente!” sbottò il mercante infastidito. Il ragazzino purtroppo aveva colto nel segno, se quel pirata non era lì non lo avrebbero acchiappato e addio taglia. Quindi nelle sue tasche sarebbe finito solo metà profitto. Nonostante gli dolesse ammetterlo, convenne che Joy aveva ragione.
“Prendiamo tempo, faccio un giro per la sala per riuscire a capire se Capitan Harlock è presente. Se non c’è, potremmo rimandare con qualche scusa e tendergli una trappola migliore” propose lei, in maniera un po’ avventata, ma quale altra soluzione poteva avere se non improvvisare e sperare in un colpo di fortuna?
Quell’altro fece una smorfia “Non credere che sia cosi facile capire se è qui, ma perché non tentare? Ti do dieci minuti ragazzo e poi do il via all’asta, non si può scherzare con questa gente, potrebbe scoppiare il finimondo, e allora meglio metà profitti che una pallottola in mezzo agli occhi”.
Joy annuì e cominciò subito la sua disperata ricerca.
Dieci minuti.
Pirata, guercio, cicatrice, imponente.
Pirati… pirati… 
I pensieri nella sua mente si rincorrevano veloci e confusi, mentre la tensione saliva e lei girava come meglio poteva facendosi largo a spintoni in mezzo a quella marmaglia, cercando di capire ed individuare ciò che disperatamente stava cercando.
Pirati…pirati… teschio! 
Le si accese una lampadina in testa di chissà quale ricordo rimasto, miracolosamente riaffiorato, che all’improvviso la illuminò sul particolare tratto distintivo dei pirati: il teschio con le ossa incrociate. Prese coraggio e speranzosa si fece più svelta e più attenta. Alla fine, in fondo alla sala, un po’ in disparte, finì col vedere ciò che forse cercava.
Strizzò gli occhi, e mentre si avvicinava lo esaminò. La descrizione pareva calzante, o quasi.
Un uomo imponente, oddio, forse più corpulento che imponente. Guercio… a dire il vero pareva più miope che guercio, visto che inforcava un paio di super tecnologici occhialini tondi. Aveva una cicatrice su una guancia, che però assomigliava più ad un graffio profondo, e indossava una bandana di pelle con al centro un teschio bianco con le ossa incrociate. Armato fino ai denti e defilato. Sì non c’erano dubbi, quello non poteva che essere Capitan Harlock pensò Joy, non senza un po’ di stupore. Ne convenne che forse lo avevano descritto un po’ troppo romanticamente, chissà mai chi si sarebbe aspettata di trovarsi davanti, e invece questo temibile e carismatico Capitano, che affascinava e trascinava le folle, era un omaccione anche un po’ tarchiato, per non dire cicciottello, sicuramente minaccioso e combattivo, di certo non pareva particolarmente fascinoso, ma queste considerazioni erano mera futilità, doveva agire ed essere veloce e convincente. Si avvicinò al pirata e disse “È una trappola, sei in pericolo, vogliono catturarti e intascare la taglia. Io ho i semi e ho organizzato la cosa per incontrarti, ma non sapevo che ne avrebbero approfittato. Muoviamoci prima che sia troppo tardi, fuggiamo e portami sull’Arcadia, lì ti spiegherò tutto!”.
Era chiaro che la ragazza del tutto ingenuamente aveva scambiato Yattaran per Harlock.
Ora, Yattaran era famoso per essere piuttosto impulsivo, ma non era uno stupido.
“Pretendi che ti creda sulla parola ragazzino?” le chiese ghignando e domandandosi chi fosse quel giovinetto rachitico dai grandi occhi spaesati che gli si era avvicinato.
Intanto Joy, che era così sicura di avere davanti l’oggetto della sua missione, estrasse ancora una volta molto ingenuamente il sacchetto con le sementa e lo aprì per poi mostrarglielo e fargli capire che non mentiva. Non c’era tempo da perdere, potevano trovarsi nei guai di lì a pochi secondi e le parve la cosa più logica da fare. 
C’è da dire che lei non era una pirata, né una combattente, né tanto meno una furba stratega, era solo una studiosa, una persona che nella sua vita mai e poi mai avrebbe lontanamente immaginato di trovarsi in una situazione del genere. Era sprovveduta e molto confusa, per via dei postumi del coma e del chip che aveva alla base della nuca, agiva d’impulso, in maniera del tutto avventata, avrebbe dovuto cambiare questo suo atteggiamento, o si sarebbe davvero trovata in situazioni molto pericolose. Anche questa volta, stava peccando nuovamente d’ingenuità, tanta era la sua voglia di fare quel che doveva, per poi tornarsene a casa.
Yattaran vide il sacchetto pieno di fagioli magici, come li chiamava lui, e trasalì. Allora era tutto vero, il Capitano ci aveva azzeccato un’altra volta. Quello sciocchino doveva essere uno dei tirapiedi di Hyena e lui colse l’occasione al volo.
“Vieni ragazzo” disse afferrandola per un braccio “Dobbiamo uscire da qui senza dare nell’occhio e darcela subito a gambe. Quelli dalli a me” disse strappandole i semi di mano e facendo cenno al membro dell’equipaggio dall’altra parte della sala di seguirli, mentre strisciavano furtivi e veloci via dallo scantinato cercando di non dare nell’occhio.
Joy avrebbe voluto replicare ma non ce ne fu il tempo, lui l’aveva già trascinata fuori. La corsa in strada fu breve, nelle vicinanze c’era in attesa la capsula con Kei che si abbassò quel tanto da consentire a Yattaran di arrampicarsi sulla scaletta, subito dopo aver fatto passare l’altro pirata. Joy gli fu subito dietro pronta a salire, ma lui fulmineo, con una gran calcione la spedì lontano, facendola franare rovinosamente sul selciato della strada, quel tanto che bastò perché potessero darsela a gambe e lasciarla a terra dolorante.
“Allora? Tutto a posto?” gli chiese Kei non appena il pirata fu a bordo.
“Tu che ne dici bionda?”  disse Yattaran soddisfatto mostrando il sacchetto pieno di sementi.
“Che ti avevo detto caprone? Facile come bere un bicchier d’acqua. Il Capitano sa il fatto suo!” gongolò la ragazza.
Intanto, di sotto, Joy realizzò che ora sì che era davvero nei guai, ma in guai serissimi, anche perché intanto la marmaglia che era all’asta si stava furiosamente riversando urlando sulla strada.
“Maledetto bastardo!” urlò frustrata contro la capsula che scompariva velocemente per fare rientro all’Arcadia, lasciandola a terra sola e in pericolo di morte.

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Capitolo 4
*** Capitan Harlock ***


.3.
 
   

 

CAPITAN HARLOCK

Era passato circa un mese dagli avvenimenti accaduti durante l’asta in cui Joy aveva perso i suoi semi, tranne quell’uno che doveva dare a Hyena e che aveva conservato in un’altra tasca, salvandolo così molto fortunosamente dalle grinfie di Yattaran.
Ovviamente era dovuta fuggire in tutta fretta da Sotiria e si era rifugiata in una parte più desolata e meno frequentata di Gorianus. Era ancora furibonda con se stessa e con quel dannato pirata che l’aveva raggirata, rubandole quella linfa preziosa, frutto di anni di ricerca. Certo la colpa era più sua e della sua incauta inclinazione a fidarsi troppo degli altri, ma anche lui, era stato un gran marrano a comportarsi così. Se le fosse capitato sotto tiro nuovamente quel disgraziato di Harlock, benché lei fosse una persona mite, lo avrebbe preso a male parole. Oh se l’avrebbe fatto, non aspettava altro. Chissà perché era così stimato e perché suo padre era convinto che potesse salvare la Terra, a lei pareva solo un ladro e della peggior specie. Era stata questa gran rabbia che l’aveva fatta reagire e sostenuta nel riprovare a trovare un’altra occasione per poter potare a termine quella dannata missione. Era scampata alla morte e uscita da un coma, avrebbe venduto cara la pelle prima di arrendersi.
Fortunatamente una seconda chance le si sarebbe presentata a breve. Venne infatti a sapere per vie traverse che l’Arcadia stava selezionando personale per la cucina, dato che la vecchia cuoca di bordo Masu era oberata di lavoro, e che vista la sua età, non ce la faceva più da sola a sfamare tutta la ciurma, aveva necessità di manovalanza giovane e robusta.
Per Joy un’occasione unica, non che ne sapesse molto in materia, ma di sicuro, quella era l’unica branca in cui avrebbe potuto candidarsi per un lavoro su quella dannata nave pirata, questo treno non lo poteva assolutamente perdere. Decise che presentarsi come sguattero e mantenere la sua identità femminile celata, potesse essere la scelta migliore. E poi ormai si era abituata a farsi passare per un ragazzo mingherlino e gentile, inoltre credeva che da donna, su una nave del genere, avrebbe incontrato troppi problemi, quindi meglio attenersi al piano originale, già una volta aveva cambiato strategia ed era andata malissimo. In questa occasione avrebbe seguito il consiglio di suo padre.

L’appuntamento con gli altri pretendenti al posto in cucina sull’Arcadia, era in posto completamente isolato, molto fuori città. Una volta giunta sul luogo, notò che tutti si guardavano tra loro sottecchi, studiandosi senza dire una parola. Era chiaro che quel posto premeva ad ognuno di loro e che sarebbe stata dura ottenerlo. Notò che non c’era neanche una donna e si convinse ancor di più, di aver fatto bene a decidere di continuare a fingersi un ragazzo.
All’improvviso la terra cominciò a tremare ed il cielo si oscurò.
Apparvero nubi di gas nerastro che oscurarono il sole, e dalla più grande di tutte emerse una nave enorme, avvolta da questa specie di vapore nero, dall’aspetto terribile ed apocalittico. Solcava il cielo come se fosse un oceano e avanzava minacciosa. Era come emersa dal nulla, mostrando la prua: un enorme teschio dagli occhi che parevano infuocati, un’illusione ottica, ma dire che la vista fosse agghiacciante era poco. Sembrava un gigantesco e terrificante spettro che appariva dal più ancestrale e temibile dei luoghi, la ragazza ne rimase letteralmente inorridita. 
“L’Arcadia!” urlò qualcuno, correndo incontro all’ombra sinistra di quella che senza dubbio era la nave spaziale di Harlock.
Ecco, se lui in persona non le aveva fatto un gran effetto, quella compensava ogni cosa, come impatto, imponenza e timore che riusciva ad incutere. Joy trasalì al solo pensiero di dover entrare lì dentro. Le corsero dei brividi giù per la schiena e si domandò se non fosse il caso di scappare via a gambe levate da quella specie di mostro volante. Ma le sue considerazioni furono inutili, perché la nave era già a bassa quota e aveva appena calato le scalette. Si fece coraggio e ne imboccò una. Così fecero anche gli altri. Arrivati in cima furono accolti da una donnina piuttosto bassa, sdentata, con una gran crocchia al centro della testa e un grembiule bianco legato in vita. Sembrava buffa, ma dimostrò subito un bel caratterino. Doveva essere per forza la cuoca.
“No, no! Non ne va bene uno” squittì acidula, dopo una rapida occhiata ai nuovi arrivati “Chi di voi saprebbe cucinare?” chiese, e alla domanda, in risposta alzarono tutti la mano tranne Joy.
“Beh? E tu?” le chiese la vecchia puntandosi le mani sui fianchi, guardandola malissimo.
“Io ambirei a fare lo sguattero” rispose la ragazza, cercando di darsi un tono. 
Ci fu subito un coro di risate sguaiate, che proveniva dall’interno della nave, che dal punto di osservazione di Joy appariva molto buio e sinistro. Le risate furono però interrotte dall’arrivo di un uomo enorme, nascosto da una specie di scafandro metallico, che ricordava quello di un moderno palombaro, di cui non si vedeva il volto, celato da una specie di casco, ornato di varie luci verdognole, che ad ogni passo faceva un pesante rumore di ferraglia: era Yattaran e l’aveva riconosciuta subito.
“Tu!” disse indicandola, mentre la luce centrale sul casco si muoveva come se fosse una specie di punto d’osservazione dall’interno “Vieni subito qua!” intimò.
Joy un po’ intimorita si avvicinò a quell’ammasso di ferro, che sospettò dalla voce potesse essere quello che lei credeva Harlock.
“Ti riconosco, tu sei il ragazzino dei semi!” esclamò e l’afferrò per un braccio, trascinandola con sé direttamente dentro la nave. Joy non ebbe più dubbi su chi fosse, e avrebbe voluto protestare e dirgliene quattro come si era ripromessa, ma non ne ebbe il tempo. Una volta dentro, si ritrovò in luogo con poca luce e fu circondata da una parte della ciurma. Tra di loro spiccava una giovane ragazza bionda con un corpo mozzafiato, inguainata in una tuta rossa, che sorridendo andò loro incontro dicendo “Allora Yattaran che ci hai portato? Un nuovo cuoco o cosa?”. 
L’uomo si liberò con sorprendente facilità della pesante armatura, mostrando le sue fattezze e disse “È il ragazzo dei fagioli magici”.
Joy lo guardò con aria interrogativa “Come sarebbe a dire? Yattaran!? Non è Harlock costui?” chiese davvero perplessa, osservando l’omaccione accanto a lei.
Se prima gli altri avevano riso, adesso si sganasciarono tutti letteralmente, compresa la bionda.
“Che avete da ridere?” s’indignò lei, divincolandosi e liberandosi dalla stretta del pirata.
“Credo che il Capitano, seppure non la faccia mai, se sentisse questa scemenza potrebbe farsi una risata anche lui!” commentò uno di quelli ancora sghignazzando.
“Mi spiegate che succede?” chiese ancora una volta Joy frustrata.
“No, spiegaci tu come hai fatto a scambiare Yattaran per Capitan Harlock!” le chiese Kei incrociando le braccia al petto “O sei tutto scemo, o vieni da un altro mondo!” disse a battuta, benché il suo tono fosse serio. Non sapeva che non volendo aveva proprio centrato il punto. Poi si avvicinò al compagno e disse: “Ultimamente sei parecchio fortunato, il Capitano non ti ha buttato fuori dalla nave proprio perché ti vuole bene, ma l’avevi combinata proprio grossa a lasciare a terra questo qui!”.
“Questo è scemo, non ci servirà a niente, non lo capite?” aggiunse lui “Comunque ora lo porto da Harlock” concluse, riafferrando Joy per un braccio.
“No, ce lo porto io, tu rimetti l’armatura e vai a vedere che combina Masu, prima che tagli a fettine tutti quei poveri malcapitati che hanno avuto la brillante idea di candidarsi come aiuto cuoco. Deciderà il Capitano che farne” disse Kei “E tu ragazzo seguimi, lui sarà contento di vederti, i tuoi dannati semi ci hanno fatto ammattire”.
Joy avrebbe voluto ribattere, ma per una volta decise di essere saggia e tacere. Dunque aveva preso clamorosamente fischi per fiaschi, quel corpulento pirata non era affatto Harlock, ma ora era davvero nella sua nave e stava andando ad incontrarlo. Bene, per lo meno aveva fatto un bel passo in avanti, forse la fortuna stava girando. Forse.
Intanto, mentre seguiva Kei, si guardava intorno di sottecchi perché era anche un po’ curiosa. L’Arcadia era enorme, abbastanza silenziosa e molto buia. All’interno l’equipaggio si muoveva veloce e senza fare troppo chiasso. Anche le attrezzature erano poco rumorose. Era una nave supertecnologica, con varie sale e scomparti, ma aveva anche un tocco decisamente retrò, che gli conferiva carattere e gli donava una nota d’originalità. Nonostante sembrasse a tratti di trovarsi dentro un vecchio vascello, alla fine, per via della semi oscurità che vi regnava, risultava piuttosto lugubre. Sembrava un luogo permeato da una fitta cortina di angoscia. Inoltre, a tratti, pareva quasi un posto animato di vita propria, non una semplice nave; pareva di essere nella sua pancia, piuttosto che semplicemente al suo interno. Joy era piuttosto ansiosa, e a dire il vero anche impaurita, per niente tranquilla. Si sentiva un’intrusa, un pesce fuor d’acqua ed era preoccupata per ciò che l’attendeva e per il compito che doveva portare a termine, cominciava a credere di non esserne né all’altezza, né capace. Continuava a ripetersi di stare calma e di cercare di non combinare altri pasticci. Seguì la ragazza, in quella che capì dovesse essere la plancia di comando. Di fronte, notò che c’era una visuale assai ampia che si apriva come un enorme finestra, direttamente sullo spazio. Poco più avanti c’era un timone, proprio come quelli di una vecchia nave pirata e subito dietro due postazioni computerizzate. In fondo, molto più indietro, si ergeva un'enorme poltrona, simile ad un trono, di foggia antica con la tappezzeria di colore rosso vermiglio e rifiniture decorate con teschi argentati, su cui, completamente in ombra, stava elegantemente seduto, immobile, un uomo. Non si vedeva bene, perché era avvolto dall’oscurità, ma notò che era vestito come un moderno pirata. Indossava una tuta di pelle, sul cui petto era stampato un teschio bianco e la tuta era completata da una armatura metallica leggera, con le finiture color oro. In vita, notò che aveva due cinturoni, ai quali erano appese da una parte una pistola e dall’altra una specie di sciabola-fucile, due armi tecnologiche ma di foggia antica. Sulle spalle aveva un lungo mantello nero, foderato di rosso, dall’ampio bavero, anch’esso di color vermiglio. I capelli abbastanza lunghi e mossi, gli mettevano completamente in ombra il volto. La mani, guantate, erano appoggiate sui braccioli e i piedi ben piantati a terra. La testa era leggermente reclinata in avanti, come se fosse immerso in chissà quali pensieri. Era davvero immobile e sembrava più un’ombra che un uomo in carne ossa.
“Capitano, Yattaran ha avuto l’enorme fortuna di ripescare il ragazzo a cui aveva rubato i semi” disse Kei “Eccolo qui” aggiunse poi, indicando Joy che, piuttosto frastornata ma, a questo punto anche incuriosita, strizzava sempre più gli occhi per vedere meglio chi avesse davanti. Una cosa le fu subito chiara, anche se Harlock si intravedeva soltanto, da quello che poteva intuire, era decisamente molto attinente alla descrizione che le avevano fatto. E di colpo capì il perché delle risate sguaiate della ciurma.
“Bene” rispose lui con voce pacata e suadente, senza lasciar trapelare nessun tipo d’emozione. “Lasciaci soli” aggiunse poi con tono fermo.
Kei ubbidì e se ne andò, loro due rimasero così, leggermente distanti, uno difronte all’altra a guardarsi.
La ragazza era veramente a disagio. Harlock mosse appena la testa di lato e poi lentamente si alzò, una volta in piedi Joy notò che aveva una presenza davvero notevole. Era molto alto, con un fisico estremamente asciutto, ma proporzionato. Si muoveva con una certa eleganza e colmò la distanza tra loro con passo deciso. Man mano che le si avvicinava, riuscì a vedere meglio il suo viso. Nonostante una grossa e profonda cicatrice facesse bella mostra di sé, partendo dalla benda nera che gli copriva l’occhio destro fino ad arrivare alla guancia della parte opposta, aveva dei lineamenti molto gentili. A guardarlo meglio l’espressione era dura, come se avesse una sorta di maschera di impenetrabilità, che gli conferiva un’aura misteriosa piuttosto che minacciosa, come invece si sarebbe aspettata. Quando finalmente lo poté vedere quasi in piena luce, a poca distanza da lei, rimase decisamente sorpresa. Era molto più giovane di quello che si era immaginata ed era di una bellezza sconvolgente. Non solo per una questione puramente estetica, anche perché era oggettivamente bello, ma piuttosto emanava un fascino e un carisma che toglievano letteralmente il fiato. L’unico occhio che si intravedeva tra i ciuffi di una capigliatura un po’ ribelle, la fissava intensamente e molto attentamente. Si era parato davanti a lei a braccia incrociate e con le gambe leggermente divaricate, la osservava fissandola direttamente negli occhi, senza dire una parola e le sembrò improvvisamente come di essere completamente nuda. Si sentiva tremendamente a disagio. Pareva che potesse leggerle dentro, come se fosse un libro aperto, per questo si sentiva vulnerabile e spaesata.
“Come ti chiami ragazzo?” le chiese infine, facendola leggermente sussultare.
Lei si schiarì la voce per darsi un tono, ma anche per riordinare appena le idee.
“Mi chiamo Joy… signor Harlock” asserì farfugliando.
“Capitano” la corresse lui.
“Signor Capitano” si corresse a sua volta lei, facendo un cenno di assenso con il capo.
“Capitan Harlock sarebbe ancora meglio” la corresse nuovamente lui con pacatezza. Aveva notato che era in confusione e stava giocando con lei un po’ come il gatto fa con il topo, questo lo faceva per farle abbassare le difese, per poi trovarla scoperta quando avesse sferrato il suo attacco, sebbene solo di attacco verbale si trattasse.
“Sì. Capitan Harlock” ripeté lei, mettendo le mani dietro la schiena e raddrizzandosi come se fosse un bravo soldatino agli ordini. 
“Da dove vieni” le domandò a bruciapelo.
“Da Gorianus” rispose lei pronta e soddisfatta di non essersi fatta prendere alla sprovvista.
“Ah capisco” fece lui, girando la testa verso lo spazio che si scorgeva dall’ampia visuale che offriva la nave.
“Che sciocco, io credevo di averti imbarcato su Giove” commentò, poi si girò nuovamente verso di lei “Quindi, mio caro Joy di Gorianus, chi sei tu? Un mago con dei semi magici?” le chiese ironicamente.
“Certo che no Sign.. cioè Capitan Harlock!” rispose in modalità brava scolaretta, come se le avesse chiesto una sciocchezza, agitandosi non poco, non capiva quel cambio di registro.
A questo punto lui le sibilò in maniera calma, ma temibile “Smettiamola con questi giochetti. O mi dici subito dove hai trovato quei semi e di chi sono, o ti garantisco ti spedico fuori dalla nave con le mie mani!”.
Lei trasalì “Non.. sto… non sto facendo nessun giochetto” balbettò. “I semi sono miei e sono frutto della mia ricerca” affermò con più decisione.
Accidenti non stava andando per niente bene, in più era troppo agitata e lui di certo non l’aiutava, anzi la metteva sempre più in confusione.
“Credi che voglia farmi prendere in giro da te ragazzino? Frutto della tua ricerca?” le chiese questa volta davvero con tono minaccioso “Credi che non abbia il coraggio di buttarti là fuori?” disse indicando il cielo stellato.
A questo punto in lei scattò qualcosa “Io non credo proprio niente!” rispose frustrata, probabilmente la disperazione prese il sopravvento “Giuro che i semi sono miei e sono davvero il frutto della mie ricerche. Se devo dire altro, posso giurare che ero a Gorianus, ma di quello che è successo prima, mi dispiace, io non ricordo più nulla. Sono stato in coma per moltissimo tempo e quando mi sono risvegliato ero solo, senza nessuno e senza quasi più ricordi. So che devo aver avuto un incidente terribile. Ma non ho memoria di altro. I semi sono i miei e so esattamente come li ho ottenuti e come coltivarli, se però mi chiedi il perché…” nella foga aveva preso a dargli anche incautamente del tu ”...io non lo so, perché non me lo ricordo, non perché sono qui a prenderti in giro!” concluse, allargando le braccia frustrata. Poi aggiunse “E siccome capisco che tu possa essere scettico e che io possa apparirti solo come uno stupido mentecatto che non vuole morire, guarda” gli disse, sfilandosi il guanto che gli copriva la mano bruciata, per poi tirarsi su la manica e mostrare il resto. Non contenta, si scoprì anche appena il fianco per mostrare le bruciature e fargli capire che l’incidente e il coma non erano una balla “Sono i segni dell’incidente e per quanto riguarda i semi, beh potresti provare a vedere se riesco davvero a coltivarli e renderti conto che non mento. Sennò fai come ti pare e facciamola finita, sono stanco e non ce la faccio più, magari volare di sotto potrebbe finalmente darmi pace!” concluse esausta.
Aveva parlato  tutto d’un fiato a ruota libera, quasi come uno sfogo, ma pur omettendo delle verità importanti, era stata estremamente sincera e questo lui lo aveva avvertito, perciò non l’aveva interrotta e l’aveva lasciata finire.
“Sei venuto qui per il lavoro, o per i tuoi semi?” le chiese di rimando lui.
“Sono venuto per i semi e per incontrare te, sono convinto fermamente che ci siano delle ottime speranze per rendere la Terra nuovamente piena di risorse e in grado di soddisfare il bisogno del genere umano”.
Lui non aggiunse altro, si girò allontanandosi per tornare a sedere. “Ti darò una possibilità. Starà a te sfruttarla al meglio. Ma se fallirai te ne andrai da questa nave prima che tu possa rendertene conto” concluse.

 

NOTE
Masu o Masu San è una delle “piccole contaminazioni” del multiverse in cui accenno nell’intro della FF
Sotiria nome greco che significa “Salvezza”.

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Capitolo 5
*** A bordo dell'Arcadia ***


Buongiorno e buon week end a chi sta leggendo, oggi aggiornamento di sabato. Come ogni fine settimana tra venerdì e domenica, anche oggi RI-posterò sempre uno di seguito all’altro due nuovi capitoli, rivisti e corretti.

Buona lettura e grazie di essere passati.

 

  .4.

 

A BORDO DELL’ARCADIA

Meeme osservava il suo Capitano seduto al tavolo dove solitamente consumavano i pasti. O meglio lei beveva, e lui mangiava. Si nutriva solo di alcool, anche questo faceva parte della sua natura aliena. Erano soli, nell’ampia cabina di Harlock, il quale stava sorseggiando con estrema calma il suo vino, mentre spiluzzicava di malavoglia l’arrosto che Masu gli aveva preparato con tanta dedizione. Sembrava decisamente assente, perso in chissà quali congetture.
“Harlock che c’è?” gli chiese dolcemente Meeme. Lo conosceva troppo bene e capiva che era più assorto e tormentato del solito. Ne intuiva forse il perché, ma voleva che sputasse quel maledetto rospo, anche se farlo aprire era una vera impresa. Lei forse era l’unica a cui lo permetteva.
“Sei molto pensieroso da quando quel ragazzo è salito a bordo e ha cominciato a trafficare in laboratorio” commentò pungolandolo.
Harlock fece un cenno di assenso con la testa.
“Si dà un gran da fare, e sembra anche che sappia il fatto suo, ma…”-mugugnò infine, bevendo una generosa sorsata di vino - “…non so… c’è qualcosa in lui che mi lascia interdetto, che non mi convince” ammise, girando lo sguardo verso l’ampia vetrata, che occupava gran parte della parete laterale della stanza e che apriva una magnifica visuale su lo spazio trapunto di stelle.
“Hai dei sospetti? Credi possa essere una spia?”.
Harlock non rispose subito, rimase a fissare gli astri e poi bevve di nuovo.
“Potrebbe” ammise “Ma non è questo che mi lascia perplesso”.
“E allora che cosa è?” doveva proprio tirargli fuori le parole di bocca con le tenaglie.
“Ne ho visti molti di giovani uomini della sua età. Ne ho arruolati parecchi nel corso degli anni, ma questo è insolito, non somiglia a nessuno. Sembra davvero troppo più giovane dell’età che dichiara, è troppo mingherlino, troppo garbato nei modi di fare, eccessivamente glabro, schivo e soprattutto, stranamente immune alla presenza di Kei. Non l’ha guardata neanche una volta, e questo per un ragazzo della sua età è molto strano. Sembra costruito.” commentò il pirata, che era sempre stato un attento osservatore.
“È uno studioso Harlock, per loro esiste solo la ricerca, la scienza. Non è qui per spirito d’avventura, ma per il suo lavoro e le sue speranze. Probabilmente è innamorato di ciò che fa e per lui non conta niente altro. Un po’ come per te sono i tuoi ideali. Chi ti osservasse da fuori non ti troverebbe sicuramente un uomo ordinario, e poi mi pare che pure tu abbia resistito molto bene al fascino di Kei Yuki” commentò saggiamente l’aliena.
“Può darsi tu abbia ragione” aggiunse meditabondo.
Il fatto era che quel ragazzo l’aveva colpito. E aveva anche percepito che era sincero sulla causa che perorava, oltre che sul dolore per via di quello che gli era capitato. Gli ci erano voluti solo pochi giorni per testare la sua competenza e anche se c’era qualche problema con la coltivazione, era chiaro che sapesse il fatto suo. Ma qualcosa ancora gli sfuggiva.
“Dovresti essere contento che ci sia una speranza, seppure flebile, e che lui  abbia scelto te per realizzarla” azzardò Meeme riprendendo il discorso.
“Contento? Per ora stiamo solo parlando di remote possibilità” rispose crucciato.
“Sarebbe anche ora che tu cominciassi a perdonarti Harlock, non ha senso questa tua autoflagellazione infinita. Gli errori fanno parte della vita, bisogna andare avanti. Sei troppo duro con te stesso”.
Il pirata non rispose, e l’aliena sapeva che le sue erano parole gettate al vento. Era lacerato dai sensi di colpa, forse solo un miracolo avrebbe potuto farlo tornare quello che era un tempo, ormai era solo una fosca ombra di se stesso.


I primi giorni sull’Arcadia per Joy erano stati a dir poco caotici. Innanzi tutto aveva avuto l’amara sorpresa di dover condividere la cabina con il nuovo aiuto cuoco scelto da Masu. Fu costretta a dormire vestita e cercare di lavarsi lontano da occhi indiscreti per non farsi scoprire. Una vera impresa, dato che il suo compagno di stanza l’aveva tempestata di domande. Lei si era inventata che la sua abitudine a dormire vestito era per essere pronto per affrontare eventuali attacchi improvvisi, e che si vergognava a far vedere le sue cicatrici sotto la doccia, passando così per uno pauroso, ansioso e un po’ sclerotico. Le sue bugie però diventavano sempre più ingestibili e fantasiose, così cominciò a farsi la fama di strambo. Tutto questo le procurava un grande stress, ma poi quando era in laboratorio, tutto passava in secondo piano, eppure neanche lì mancavano i problemi, sebbene di tutt’altra natura.
I semi rimastele all’inizio, erano meno di metà. Il resto erano stati danneggiati dall’equipaggio che aveva tentato di piantarli. Li avevano fatti seccare non sapendo che erano geneticamente modificati e che per questo necessitavano di vera terra e non di quella sintetica, di cui disponevano loro. In quel momento si stava assicurando che i restanti non fossero danneggiati, ma gli mancavano un sacco di cose, tra cui concime e humus proveniente direttamente dalla Terra. Sull’Arcadia non c’era niente di tutto ciò e questo poteva rappresentare un bel problema, perché la terra sintetica a disposizione, seppure di ottima fattura, contrariamente alle sue aspettative, non sarebbe andata bene in alcun modo. Aveva provato anche lei ad usarla, con il solo risultato di perdere ancora materiale. Occorreva quindi essere cauti e agire ragionando, per non mandare tutto in fumo. I semi quelli erano, ed altri non ce n’erano, a meno che non avesse potuto trovare il sistema di clonarli, ma le mancava tutta l’attrezzatura. Quella era una nave pirata e il piccolo laboratorio che era a bordo non aveva niente che potesse esserle utile, era già un miracolo che ce ne fosse uno.
Doveva parlarne con Harlock, si disse, mentre cominciava ad accarezzare questa folle idea della clonazione. 
Non lo vedeva quasi mai a dire il vero, a volte lui si palesava in laboratorio, la osservava cinque minuti senza dire una parola e poi come era venuto se ne andava via. Joy si agitava molto ogni volta che era nei paraggi. Il suo sguardo la imbarazzava a morte e non capiva neanche bene il perché, o forse sì, si sentiva in colpa per le bugie che suo malgrado gli stava dicendo. Intuiva che fosse un uomo a suo modo corretto, e si chiedeva come avrebbe potuto guadagnare la sua fiducia, essendo partita mentendogli sulla sua reale identità. Ma non c’era tempo da perdere e bisognava agire in fretta.
Dato che sull’Arcadia c’era una certa libertà di movimento, soprattutto quando non c’erano particolari motivi di allerta, si ritrovava spesso a gironzolare anche per prendere confidenza con il luogo dove si trovava e dovuto avrebbe vivere per un po’. Aveva imparato che il Capitano, quando non era in sala motori, o davanti all’enorme computer centrale, girellava silenziosamente per la nave, altrimenti stava quasi sempre in plancia di comando, seduto su quello scranno in cui l’aveva incontrato per la prima volta, qualche giorno prima. Quello era il suo modo di governare la nave, mentre l’equipaggio e tutto resto era come se gravitasse intorno a lui, era una sorta di polo d’attrazione, che seppur immobile e non molto loquace, aveva il pieno controllo su tutto. 
Quindi si diresse con sicurezza dove sapeva l’avrebbe trovato.
Harlock vide arrivare Joy, come sempre notò che camminava senza fretta, con le spalle leggermente incurvate, come se quel ragazzo fosse ripiegato su stesso. Si vedeva che ancora non si era ambientato e procedeva incerto. Notò che indossava come sempre abiti troppo larghi, probabilmente non suoi, soprattutto il giacchetto sembrava fosse di una taglia enorme. I capelli corti e spettinati sembravano dargli un’aria sbarazzina, ma appariva sempre un po’ troppo distratto, assorto in chissà quali pensieri. Le mani invece erano sempre celate da guanti di pelle, eccetto quando lavorava in laboratorio. Aveva capito che era per via dell’orribile bruciatura che aveva, preferiva nasconderla che mostrarla. I calzoni erano anch’essi di pelle, non troppo aderenti, infilati in un paio di scarponcini alti, un po’ consunti, che completavano il tutto. Era chiaro che non se la dovesse passare bene su Gorianus, ma da dove veniva? E dove aveva studiato, o appreso ciò che sapeva? Aveva occhi troppo grandi e labbra troppo piene per apparire virile, se si fossero trovati in battaglia e l’avessero trovato da solo l’avrebbero ammazzato prima che avesse avuto il tempo di accorgersene, rifletteva mentre arrivava verso di lui.
“Capitano vi devo parlare” esordì seria la ragazza.
Nonostante fosse determinata, aveva le palpitazioni per l’agitazione. Parlare con lui era davvero problematico. Evitava accuratamente il suo sguardo, perché pur avendo un solo occhio era capace scrutarti, come se penetrasse nei tuoi pensieri, non guardava semplicemente, ma era come se ti leggesse dentro. Joy non osava pensare che cosa potesse essere stato il suo sguardo con tutti e due gli occhi a disposizione. Aveva un modo di fare affabile, a tratti era anche cortese seppur distaccato. Non si capiva mai che cosa potesse pensare, né come potesse reagire. Quindi era difficile relazionarsi con lui. E poi, onestamente, era davvero magnetico e questo aggiungeva confusione alla confusione.
“Dimmi” rispose lui con la sua voce profonda e calma risvegliandola dalle sue paturnie.
“Il fatto è che non posso procedere con la coltivazione, la terra sintetica non va bene, mi servirebbe terra vera, humus, concime, me ne basterebbe anche poco...” - sospirò appena, perché sapeva di spararla davvero grossa - “insomma potrei provare a clonarla e poi naturalmente clonerei anche i semi” cominciò a spiegargli con grande slancio. Era un’idea che le era nata sul momento. Se poteva clonare i semi perché non anche il resto. “Se avessi il materiale a disposizione potremmo anche allestire una serra e coltivarli e poi provare addirittura a fare un innesto direttamente sulla Terra!” concluse trionfante.
Si accorse che lui la stava guardando in maniera davvero strana ed indecifrabile. Era cupo, non capiva se fosse tremendamente triste, o molto infastidito dalle sue parole.
“Stai dicendo un sacco di sciocchezze” sentenziò freddamente, accigliandosi.
“No, non sono affatto sciocchezze!” ribatté lei con veemenza “Si può fare, so che la Terra versa in condizioni piuttosto brutte, ma io sono sicuro che…”
“Tu non sai assolutamente niente della Terra!” tuonò lui.
Sembrava davvero furioso, ma poi inaspettatamente aggiunse: “Forse potrei procurarti l’attrezzatura per clonare, ma niente altro”.
“Ma senza humus a che servirebbe?” protestò debolmente.
“Ingegnati. Trova soluzioni alternative, sei tu lo scienziato” la freddò lui.
“Sono un ricercatore non un mago!” si risentì frustrata. 
Era proprio un osso duro. “Ma che senso avrebbe clonare i semi se poi non posso piantarli?” commentò avvilita a voce alta.
“Quasi sicuramente a niente” rispose lui rassegnato. Avrebbe dovuto capirlo fin da subito che era solo una sciocca chimera. 
Quindi laconico aggiunse “Tutto sommato non credo che il nostro incontro sia stato un affare fruttuoso, né per te, né per me. Sarebbe meglio che sbarcassi sul prossimo porto che incontreremo”.  In fondo, era sollevato dall’idea di farlo scendere dalla nave. Considerava quel suo progetto impossibile da realizzare, anche perché lui sapeva ciò che Joy non poteva sapere. E poi c’era anche il fatto che lo distraeva. Quel ragazzo ogni tanto gli entrava in testa e se ne stava lì anche delle ore. Questo accadeva perché c’era quel maledetto qualcosa che gli sfuggiva. Pensava, analizzava, frugava, per capire dove fosse l’inghippo perdendo tempo prezioso. Quindi non averlo più d’intorno sarebbe stato molto meglio per lui e per tutti.
“Ma come?” sbottò Joy contrariata, interrompendo il flusso dei suoi pensieri “Allora perché non gettarmi direttamente giù di sotto già che ci siamo?” continuò un po’ troppo enfaticamente, indicando la vetrata di plancia, da dove s’intravedeva l’infinito.
“Che mi hai preso a bordo a fare? Già lo sapevi che quella dannata terra non funzionava! O credevi davvero che io fossi in grado di fare miracoli? Eppure mi dicono che sei rinomato in tutta la galassia per la tua passione e l’amore per la Terra! Hai fatto della sua difesa il tuo baluardo e ora sembra che tu ti voglia arrendere al primo ostacolo. Sei un pirata o no? E allora fai il tuo mestiere e assalta qualche nave, o qualche base, o quello che ti pare e procurami ciò di cui ho bisogno. Ci sarà pure tra qui e l’infinito qualcuno che avrà un po’ di humus terrestre da qualche parte? Troviamolo! Perché arrendersi? Io so che posso farcela, ma anche tu diamine, dammi una mano, invece di stare lì a pensare tutto il giorno!” concluse, allargando le braccia concitata. Tutto quel disfattismo non le apparteneva e non lo capiva.
Era stata molto avventata, ma a volte l’impulso le prendeva la mano e andava a ruota libera, passando anche improvvisamente dal voi al tu.
La reazione di Harlock fu del tutto sorprendente, la fece finire e poi accennò un abbozzo di sorriso, piegando appena la bocca di lato. Era inaspettatamente e sinceramente divertito dall’enfasi con cui Joy aveva parlato, gesticolando vistosamente. Quello strano ragazzo era un po’ troppo melodrammatico, però non aveva tutti i torti, anche se ancora non era del tutto propenso ad ammetterlo, ma aveva toccato forse il tasto giusto: l’orgoglio del Capitano.
Quella reazione improvvisa mise Joy in totale confusione. Che Harlock fosse affascinante era insindacabile, ma appena la sua maschera impenetrabile era stata lievemente illuminata da quella specie di sorriso, a lei era preso quasi un colpo. I suoi lineamenti si erano come distesi ed era apparso ancora più attraente del solito. Non le era mai capitato di provare una cosa così spiazzante per un ragazzo, quasi come un pugno allo stomaco, figuriamoci per un uomo come quello. Era confusa perché era sempre stata molto padrona di sé e delle sue emozioni e per questo si sentì molto stupida, si chiese che le passasse per la testa, dato che c’erano problemi ben più gravi di quel pirata tenebroso, che tra l’altro la credeva anche un maschio! 
“Mettiamola così” disse Harlock alzandosi “Per ora ti dovrai accontentare dell’attrezzatura per la clonazione. Sempre se riusciremo a recuperarla. Poi vedremo, non è così facile come credi trovare dell’humus” disse inaspettatamente. Neanche lui si rese conto del perché fosse finito per assecondarlo, o forse sì. Era per via della passione che aveva notato in lui e che lo stava a poco, a poco conquistando.
In modo seppur del tutto diverso, Joy gli ricordava il suo vecchio amico Tochiro. Certo non era un genio paragonabile a lui, ma ammirava la sua voglia di creare, il suo entusiasmo e la volontà di fare qualcosa per l’umanità.
“In cambio dovrai mettere da parte un po’ i tuoi vetrini e imparare a difenderti. Questa è pur sempre una nave pirata e durante battaglie e abbordaggi, non posso affidarti a nessun baby sitter che debba proteggerti. Dovrai imparare a farlo da solo. Ti allenerai con Kei, è a lei che di solito affidiamo i novellini, non sottovalutarla è una grande guerriera”.
Joy s’irrigidì “Non penso che sia una buona idea. Non sono un violento. Mi rinchiuderò in cabina ogni qualvolta ci sarà uno scontro. Lo prometto”.
“No. Devi imparare a difenderti, non è un’opzione” replicò asciutto Harlock, girandogli intorno. Non finiva mai di studiarlo.
“Ma io non voglio!” protestò appena lei, leggermente agitata dal fatto che le facesse quella specie di ronda, si sentiva come un topo alle prese con un gatto.
“Che c’è, hai paura di Kei?” lo punzecchiò lui “Mi sembri un po’ poco esperto di donne” commentò sornione. Stava proprio giocando al gatto con il topo.
“Tutto il contrario” rispose Joy spiazzandolo “Le donne le conosco fin troppo bene e non ho paura di Kei, piuttosto non mi piace la violenza”.
Questa volta, nascosto dal bavero del mantello e dal suo lungo ciuffo di capelli, Harlock ridacchiò proprio, ma lei non lo notò. “Quindi abbiamo un intenditore di donne. Ne deduco che devi averne avute molte” domandò da dietro le spalle della ragazza, che si rese conto di essersi cacciata in un bel pasticcio.
“Qualcuna” ammise, schiarendosi la voce come per darsi un tono.
“E dimmi Kei ti piace?” domandò lui a bruciapelo. 
“È una bella ragazza…” balbettò Joy, ma che razza di domande si era messo a farle, mica erano compagni di bevute, o in chissà quale confidenza.
“E?” chiese lui, presupponendo ci fosse un seguito.
“E niente” rispose Joy un po’ infastidita, poi le si accese una lampadina in mente. Probabilmente era la sua donna, o piaceva a lui e voleva accertarsi di non avere rivali “Sappiate comunque…” - si affrettò a spiegare - “che non mi permetterei mai di avanzare pretese su ciò che è vostro”.
Harlock era proprio divertito e non gli succedeva da tempo immemore. Era chiaro che quel ragazzino non sapeva di che stesse parlando. “Lei è libera e può stare con chi le pare, quindi anche tu sei libero di corteggiarla. Ti invito a farlo se ti piace”.
A Joy prese un colpo. “Lo terrò a mente, ma limitiamoci caso mai all’allenamento per ora, non è che sono qui per trovare la fidanzata” ribatté impacciatissima, cercando di levarsi da quella situazione e chiudere una volta per tutte quell’argomento ingrato.
“Come vuoi. E a proposito, ti concedo la licenza di darmi del tu, ti confondi troppo tra il voi e il tu e io non sono così fiscale. Mi piace lasciare le persone libere di esprimersi come più gli aggrada” aggiunse. Gli sembrava di istruire una sorta di fratellino minore e imbranato.
“Chiedo scusa” disse lei mortificata. Era vero che quando si concitava perdeva il filo e lui questa volta l’aveva fatta confondere davvero tanto, ed era già troppo che non si fosse mai riferita a se stessa come donna, piuttosto che uomo.
“Non fa niente. Va bene così. Comincerai questa sera prima di cena. Ora vai pure, avvertirò io Kei Yuki” concluse congedandola.
Le ci mancava solo questa, pensò sospirando mentre usciva dalla plancia di comando, seguita dallo sguardo curioso e anche un po’ divertito di Harlock che era rimasto in piedi a fissarla, mentre scompariva dietro la paratia e imboccava il corridoio.

 

NOTE: Non ho mai studiato biologia in vita, ma mi sono un po’ documentata su internet ovviamente. Quello che scrivo a riguardo in questa fic oscilla tra il plausibile e il teoricamente plausibile/fantasioso: Ovviamente si tratta di una fic di fantascienza, partorita da una mente troppo immaginosa, quindi va presa per quello che è senza stare a sottilizzare troppo. Passatemi dunque qualche svarione, ma serve ai fini della trama, difficilmente piazzo qualcosa a caso. Ogni cosa ha (o meglio dovrebbe) alla fine avere il suo perché ;)
Terra maiuscolo indica il pianeta, terra minuscolo indica il terreno, humus, eccetera, così si differenziano.

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Capitolo 6
*** La scoperta ***


.5.

 

LA SCOPERTA

Le sedute di allenamento con Kei erano state un vero strazio. L’aveva suonata come un tamburo e Joy era piena di lividi. Era goffa, impacciata e non aveva la forza fisica per far fronte agli attacchi della bionda, che era proprio un osso duro. Menomale che comunque Yuki era anche molto carina, cercava di metterla a suo agio, credendola un ragazzino imbranato. Alla fine, almeno a menar un po’ le mani, glielo aveva insegnato. Con il tiro a segno invece era stata una tragedia. Non era riuscita neanche ad inquadrare il bersaglio e i colpi erano andati tutti a vuoto.
Kei, puntualmente, faceva rapporto ad Harlock sugli scarsi miglioramenti di Joy e il Capitano in qualche modo si sentiva sempre più protettivo, verso quel ragazzo che considerava maldestro e poco adatto alla vita da avventuriero.
Da qualche giorno c’era anche un nuovo arrivato, un altro ragazzo decisamente più intraprendente e dotato di Joy, un certo Yama, che era stato imbarcato come nuovo membro effettivo dell’equipaggio.
Quel giorno si sarebbe unito a loro per la seduta di allenamento. Joy notò subito che era molto atletico e combattivo, sebbene non avesse affatto l’aspetto del pirata, o di uno che ambisce ad esserlo. Sembrava più un ragazzo di buona famiglia, capitato lì forse più per ribellione che per vera convinzione, ma al contempo non sembrava neanche uno sprovveduto. Era decisamente un bel ragazzo, dai capelli castani e gli occhi anch’essi marroni, alto e slanciato, sembrava un tipo piuttosto aperto e gioviale, anche molto curioso, faceva a tutti un sacco di domande e sembrava volersi mettere in mostra per farsi prendere in considerazione. Così per una volta, l’allenamento andò bene per Joy, Yama voleva fare colpo su Kei e lei sembrava trovare più soddisfazione a battersi con lui piuttosto che con lei. Notò che Kei sembrava quasi fare un po’ la civetta con quel ragazzo, ma non in senso malizioso, piuttosto usava tutte le sue arti a disposizione per stendere l’avversario, compreso sfoderare quelle tipicamente femminili, a cui Yama dava l’impressione apparente di essere immune. In realtà non era proprio così, perché Joy vide un paio di occhiate furtive che il giovane aveva lanciato alla sinuosa siluette della bionda pirata, soffermandosi appena sul posteriore inguainato nell’aderente tuta. Dato che i due erano molto impegnati in questa sorta di schermaglia combattiva, a lei era andata bene, l’avevano un po’ snobbata e così non le aveva prese come suo solito.
Finiti gli allenamenti, si ritrovò davanti Meeme. Quell’aliena era tanto dolce e gentile, quanto misteriosa e particolare. Capitava di vedersela comparire davanti all’improvviso, senza neanche capire da dove fosse sbucata.
“Il Capitano vuole vederti” le disse, con la solita voce melodiosa, e le sorrise invitandola a seguirla.
“Joy tu mi piaci” aggiunse inaspettatamente, mentre camminavano “Qualunque cosa accada io starò dalla tua parte, perché le tue intenzioni sono buone e sincere. Io lo sento.” concluse suadente. 
Joy, all’udire quelle parole s’irrigidì e non rispose, si limitò a fare un mezzo sorriso in segno d’assenso. Ma che intendeva dire Meeme? Forse sapeva, o aveva capito qualcosa? Ma soprattutto, che voleva ora Harlock da lei? L’aveva scoperta anche lui?
Il panico cominciò ad attanagliarle la gola e, durante la strada che la separava dall’incontrarlo, si fece mille domande sul perché di quella inaspettata convocazione. Il motivo lo scoprì subito, una volta in plancia.
“Credo di aver trovato qualcosa. Su Filos, un piccolo pianeta artificiale, in cui vivono molti terrestri, dovrebbe esserci qualcosa che potrebbe esserti utile: macchinari per clonazione. Non sono sicuro dell’informazione ricevuta quindi, domani mattina, vorrei andare a fare una ricognizione e tu verrai con me. Nessuno meglio di te può capire se la roba che intendiamo prendere va bene o meno” le spiegò subito, senza perdersi in convenevoli.
La ragazza annuì. Non che fosse entusiasta di lasciare l’Arcadia per andare con lui in una navetta in ricognizione, ma non poteva neppure rifiutare. E comunque aveva tirato un sospiro di sollievo, nessuno l’aveva scoperta.
“Come vanno gli allenamenti?” domandò poi Harlock.
“Bene e male”  rispose sincera, con una smorfia di disappunto.
Lui aggrottò la fronte con aria interrogativa, incrociando le braccia al petto e fissandola.
La ragazza fece spallucce “Io te l’avevo detto che non sono adatto. Mi spiego. Va male, perché ho lividi ovunque e Kei me le suona sempre. Bene, perché forse tutto sommato un paio di pugni sarei anche in grado di menarli, ma per il resto è una tragedia e non credo di avere chance come pirata, tano meno come pistolero” si lamentò.
“In effetti Kei dice che sei un imbranato e che a sparare non sei proprio capace”.
Joy fece un’altra smorfia e annuì “È vero, Kei ha ragione” ammise contrita.
“Domani, quando torneremo dalla ricognizione, mi occuperò io stesso di darti qualche lezione di corpo a corpo e di tiro a segno: magari con me come maestro, sarai più stimolato e ti applicherai di più” sentenziò deciso Harlock.
“No! Non è proprio necessario” si affrettò a rispondere lei, preoccupatissima. 
Corpo a corpo? Con lui? Neanche a parlarne, non si poteva proprio fare. Era una cosa che la faceva dar di matto al solo pensiero. Doveva impedirlo ad ogni costo.
“Sì che lo è. Devi imparare. Poi naturalmente testerò anche Yama, se decidiamo che le attrezzature vanno bene e dobbiamo assaltare la base scientifica su Filos, non voglio dovermi preoccupare né di te, né di lui. Posso chiudervi in cabina, ma non è detto che questo vi ripari da eventuali scontri. Dovrete essere autosufficienti ”.
A quel punto capì che non si sarebbe dissuaso e il panico la investì nuovamente, come un’ondata che la travolse.
“Io il corpo a corpo con te non lo faccio neanche morta!” le scappò dalla bocca come se avesse sputato un boccone andatole a traverso. Era così angosciata tanto da perdere completamente la lucidità e parlare di se stessa al femminile. Il solo pensiero di dover interagire con lui, mettersi le mani addosso, rotolarsi per terra e chissà che cos’altro, l’avevano fatta andare completamente fuori di testa. Era certa che l’avrebbe scoperta subito, così invece, stava per farsi scoprire in un altro modo.
“Morta?” chiese lui, girandosi di scatto e fissandola malissimo, come se la stesse incenerendo.
Volevo dire morto, Capitano” si affrettò immediatamente a correggersi, diventando paonazza. Era finita. Si era fatta prendere dalla confusione e si era scoperta. Ne era consapevole e le sembrò che la terra le franasse sotto i piedi. Ora sarebbe scoppiato il finimondo.
Intanto le sinapsi di Harlock, avevano già fatto il classico due più due. Eccola lì la quadratura del cerchio. Si sentì un perfetto idiota. Come aveva fatto a non accorgersene? Era una donna, altro che ragazzo imberbe e rachitico! Era una bugiarda della malora, che lo stava prendendo in giro e ci era pure riuscita alla grande!
“Togliti il giacchetto” le disse con una fredda calma che le fece gelare il sangue nelle vene.
Rassegnata, si sfilò la giubba senza fiatare, rimanendo con la leggera maglia di cotone che indossava sotto, a rivelare chiaramente le sue forme femminee. Rimasero in silenzio per qualche istante che parve eterno.
Harlock, che era stato decisamente colto alla sprovvista, era molto arrabbiato, soprattutto con se stesso perché si era fatto imbrogliare proprio come uno sciocco. Pure la ragazza provava rabbia con se stessa, perché rischiava di aver rovinato tutto e ancora una volta si trovava punto e a capo.
“Mi dispiace…” disse Joy debolmente, abbassando lo sguardo. Si sentiva davvero amareggiata, soprattutto perché era sincera, non avrebbe voluto ingannarlo così.
Lui non rispose, girò sui tacchi e si allontanò dalla plancia, lasciandola lì come una scema. La ragzza raccolse il suo indumento e decisamente confusa, decise di andare a rifugiarsi nella sua cabina ad aspettare gli eventi. Intuiva che Harlock fosse furioso, ma non capiva la sua reazione, era per lei davvero incomprensibile. Quell’uomo sembrava fatto di granito, ma non era possibile che restasse così calmo e quindi temeva in uno scoppio d’ira ritardato e in chissà quale altra reazione.
Il Capitano, a dire il vero, non era un uomo iracondo, anzi difficilmente si arrabbiava, o dava in escandescenza, e questo accadeva quasi esclusivamente solo in battaglia. Era un uomo molto intelligente e pacato, anche molto sensibile per certi versi, ma tremendamente chiuso ed introverso. La sola volta che si era fatto dominare dalla rabbia, aveva finito con il commettere l’errore più grave della sua vita. Difficilmente si apriva e il suo carattere restava, per la maggior parte della ciurma, un enigma, sebbene ognuno di loro ne conoscesse qualità come generosità, lealtà e anche comprensione. Ma tutti sapevano che Harlock era uno che difficilmente lasciava trasparire i suoi sentimenti. Era in verità anche molto orgoglioso, talvolta puntiglioso e testardo, sapeva essere spietato, ma quasi esclusivamente con i nemici ingloriosi in battaglia.

Meeme lo trovò in camera, che beveva seduto alla sua scrivania, con la testa appoggiata su una mano.
“Che c’è ora di nuovo? Come mai sei qui a quest’ora?” gli chiese, versandosi da bere a sua volta.
“Davvero non lo sai?” gli chiese lui leggermente sarcastico. Conoscendo la sua sensibilità particolare, credeva che potesse sapere già tutto, o averlo capito prima di lui.
“No, perché dovrei sapere qualcosa?” rispose tranquilla l’aliena.
Harlock non le rispose.
Lei gli sedette vicino “Forse una cosa la so” cominciò con cautela. Se voleva parlagli doveva sempre prendere il discorso alla larga, così da portarlo a ragionare “Quel ragazzo ti ha colpito, c’è qualcosa in lui che ti piace e tutte le volte che ci hai a che fare, poi sei strano. Con il suo nobile obiettivo e la sua passione ha risvegliato in te la speranza. E sebbene tu non voglia ammetterlo, forse, sta risvegliando anche la tua umanità”.
Lui aveva continuato a bere “Non è un ragazzo, è una donna e non ha risvegliato proprio niente. O meglio, qualcosa sì lo ha svegliato, qualcosa che non avevo mai provato prima: ho voglia di strozzare una donna!” disse, tornado a bere.
Meeme s’illuminò tutta. Era il suo modo tutto alieno di manifestare sentimenti e forti sensazioni di ogni natura, in questo caso era molto contenta e molto divertita. Il suo Capitano si stava come ridestando da un lungo e letargico torpore. D’accordo era arrabbiato, ma pure la rabbia può essere un sentimento positivo, talvolta.
“Quindi ne deduco che sia un grave problema” continuò Meeme, sorseggiando il suo vino.
Lui girò la testa e la guardò a metà tra l’interrogativo e l’infastidito “Non è un grave problema. Ma non mi piace essere preso in giro e a questo punto mi domando chi sia e che cosa realmente voglia su questa nave, ma soprattutto, quali altre bugie ci stia propinando”.
“Chiediglielo” rispose serafica.
Lui non rispose.
“Harlock, cos’è che ti dà veramente fastidio di lei. Che sia una donna, che ti abbia mentito, o cos’altro? Tu non sei uno stupido e sai sempre perfettamente capire chi hai davanti. Sai che non mente su quei semi. Ha solo mentito sulla sua identità”.
“Appunto. Ha mentito e non ho altro da aggiungere” la corresse lui, alzandosi in piedi e andando verso l’ampia vetrata che si affacciava sullo spazio. Ora ci si metteva anche Meeme? Ma che voleva da lui? Voleva sapere che cosa gli avesse dato fastidio? Sentirsi un idiota, ecco cosa gli dava fastidio. Aveva passato le giornate a pensare a quella lì, e si era anche un po’ preoccupato del fatto di ritrovarsi a pensare così spesso a colui che credeva essere un ragazzo. Già, un ragazzo troppo magro, con un collo incredibilmente lungo, una bocca eccessivamente carnosa. Maledizione! Voleva sapere che cosa gli aveva dato fastidio? Non glielo avrebbe detto neppure sotto tortura.
In realtà, non riusciva nemmeno ad ammettere con se stesso che in qualche modo era stato colpito da Joy. Lui e le donne erano una faccenda molto delicata. Un argomento abbastanza ostico. Per varie e personali ragioni, lui stava alla larga dalle donne, soprattutto sull’Arcadia, ma questa volta la sua testa lo aveva fregato. Non aveva voluto riconoscere una donna in Joy, perché forse gli era stato più comodo nascondersi e non capire.
“Non è ignorando il problema che lo risolverai. Sai anche che, prima o poi, sarebbe potuto accadere” disse tranquilla Meeme.
“Non capisco che vuoi dire” rispose lui, incrociando le braccia al petto. Faceva sempre così quando si metteva sulla difensiva, o voleva darsi un tono e l’aliena lo sapeva bene.
“Oh sì che lo sai Harlock, solo che ancora non riesci ad ammetterlo” sorrise “Sai perfettamente che nonostante tutto sei ancora umano, che hai anche tu le tue debolezze e che non puoi sempre nasconderti dietro i tuoi silenzi. Stai soffrendo molto ed il tuo cuore è chiuso a tutto e a tutti, da fin troppo tempo ormai. Ora hai una possibilità, una causa da perseguire e allora devi decidere: vuoi restare nell'oblio, o vuoi provare a tornare a combattere? Non tutte le battaglie sono uguali, ma non per questo sono meno importanti. Possiamo forse fare una cosa grandiosa e dimmi, tu, sei disposto a mandare tutto all’aria per via di una donna?”.
Lui rimase in silenzio, fissando un punto indefinito. Meeme si alzò e gli andò vicino, gli poggiò una mano su una spalla, con gentilezza e poi aggiunse “Harlock sei il nostro Capitano, ti sosterremo sempre, ma più volentieri di ogni altra cosa, ti seguiremo fino alla morte se tu ritroverai quella tua verve e soprattutto quella forza, che hai rinchiuso in chissà quale profondità della tua anima. Ti prego, non farti sopraffare dal tuo orgoglio, dal tuo dolore e dal senso di colpa. Reagisci”.
Il pirata rimase immobile, come pietrificato, poi si spostò appena.
Non era pronto a parlare e scelse, come sempre, la via del silenzio.
“Vorrei stare un po’ da solo” rispose infine, congedandola e lei lo assecondò. 
In realtà, appena Meeme fu uscita dalla stanza, convocò Yattaran e Kei. Rivelò loro la vera identità di Joy e si compiacque nell’apprendere che ci erano cascati in pieno anche loro. Dopo di che, fece loro qualche domanda e li congedò.
Nel frattempo Meeme si era incaricata di spostare Joy in un’altra cabina, cosa che sorprese molto l’aiuto cuoco, che non si era affatto reso conto, di aver dormito per diverse notti con a fianco una donna.
“Stai tranquilla cara, Harlock non ti farà del male, non è nel suo stile. Certo è un po’ adirato, ma credo che gli passerà presto” disse l’aliena alla ragazza, aprendole la porta della sua nuova collocazione, lasciandola sola. Joy notò che il suo nuovo singolo alloggio era molto piccolo ed essenziale, ma non le importava, anche perché aveva un grande oblò da dove si potevano ammirare le stelle e magari avvistare anche qualche pianeta. E infatti, rapita da quella vista, si appoggiò con la fronte al vetro e si mise ad osservare il panorama, cercando di sgombrare la mente e rilassarsi, ipnotizzata dal bellissimo scenario che le danzava lentamente davanti agli occhi, come un placido e perpetuo divenire di piccole luci scintillanti. Proprio quando stava per lasciarsi completamente andare, la porta della cabina si spalancò di colpo, facendola trasalire. Chi era entrato senza bussare era Harlock, il quale dopo averla spaventata a morte, le lanciò una tuta e un casco sul letto in malo modo.
“Domani mattina andremo a fare quell’ispezione. Indossala e sii puntuale” le sibilò glaciale, fulminandola con un’occhiataccia.
“Va bene” rispose remissiva “Senti io..” provò ad aggiungere, ma lui la interruppe subito, stroncando sul nascere ogni possibilità di spiegazioni o scuse. “Non una parola!” la zittì.
Joy a quel punto ci rimase male e reagì “Però la prossima volta almeno per educazione bussa! È pur sempre camera mia” sbottò. In effetti per quel che ne poteva sapere lui, poteva anche essere svestita, o in bagno, era chiaro che l’avesse fatto a posta per metterla a disagio.
“A parte il fatto che questa è la mia nave, per l’esattezza una nave pirata, e non una nave da crociera stellare, se non vuoi che qualcuno entri, chiudi la porta a chiave!” e così dicendo, come suo solito, girò i tacchi e, senza dire altro, se ne andò. Si sentiva meglio avendole fatto perdere le staffe.
Joy roteò gli occhi, poi si lasciò cadere a sedere sul letto e, mentre guardava quella tuta spaziale supertecnologica, pensò che Meeme aveva ragione, il Capitano era davvero molto contrariato… giusto per usare un eufemismo.


NOTE: Nel film non c’è nessun accenno a Meeme che s’illumina. Ho usato questa caratteristica che deriva dalla serie classica del 1978 perché mi piaceva molto e la trovo molto significativa, a mio personale avviso, dell’empatia dell’Aliena :)
Sempre nel film Kei si chiama solo così, ma io preferisco riferirmi a lei come Kei Yuki, come nella serie classica.

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Capitolo 7
*** Filos ***


Buona sera e buon week end! Eccoci qua puntuali (oggi di venerdì) come ogni fine settimana per il RI-postaggio sempre uno di seguito all’altro di due nuovi capitoli, rivisti e corretti.

Buona lettura e grazie a chiunque passi di qua!

  .6.

 

FILOS

Entrare in quella tuta era stata un lotta per Joy. Probabilmente perché era troppo aderente, o forse lei era nervosa, fatto sta che per infilarcisi dentro, aveva sudato sette camice. Era paonazza in viso e non capiva come collegare le bombole al casco, poi non riusciva a camminare bene e le stava montando il nervoso, sembrava non essere la taglia giusta, o può darsi che lei fosse solo troppo agitata. Non capiva come facesse Kei ad indossare con tanta nonchalance la sua, che era anche più fasciante e a muoversi agilmente, lei si sentiva proprio a disagio. Ad un certo punto, mentre lottava ancora con quell’aggeggio infernale, si rese conto che Harlock le aveva raccomandato di essere puntuale, ma non le aveva comunicato l’ora di partenza. Ecco, ora sì che era in un bel pasticcio, ma che poteva fare? Niente. Decise di infischiarsene e stare alla sorte, quindi prese il casco sottobraccio e si diresse in cucina a fare colazione. La dimenticanza era del Capitano, si sarebbe dovuto preoccupare lui, non poteva mica essere indovina.
Una volta arrivata in cambusa, fu subito accolta dai mugugni di rimprovero di Masu.
“Eccola qui la bugiardella” le disse, porgendole in malo modo un piatto di uova strapazzate e bacon freddi, che aveva a portata di mano. L’aiuto cuoco aveva spifferato subito tutto.
Le buone notizie volano in fretta pensò, prima di parlare “Mi dispiace.  Chiedo scusa anche a te, ma avevo i miei motivi. So che pare sciocco fingersi qualcun altro, ma le mie intenzioni non erano cattive” tentò di spiegare Joy, annusando le uova che sapevano di bruciato.
“Cosa fiuti?” s’indispettì quella “Mangia e muoviti che il Capitano ha già quasi finito la sua, di colazione, e quello è uno preciso e puntuale nelle sue cose, sappilo”.
“Ah sì?” chiese lei guardandosi intorno, ma dov’era? Si chiese dato che erano sole.
“Che scruti? Lui sta mangiando in camera sua in compagnia di Meeme” le rispose Masu.
“Ah…” commentò un po’ perplessa Joy, quindi il Capitano dormiva con l’aliena? Si chiese un po’ interdetta. Non se lo sarebbe aspettato. Per carità, Meeme era bellissima nella sua particolarità. Elegante, flessuosa con capelli lunghissimi fin sotto il ginocchio e un’aura misteriosa e affascinante, che facevano di lei una creatura davvero splendida ma era pur sempre un’aliena, insomma non ci avrebbe mai pensato a loro due insieme, e la cosa le faceva strano.
“Beh? Che è quella faccia?” chiese la cuoca “Oddio eccone un’altra!” commentò poi, alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.
“Un’altra?” chiese Joy assaggiando le uova e facendo una smorfia di disgusto. 
Erano terribili.
“Sì, siete tutte uguali: terrestri, aliene, umanoidi e compagnia bella, tutte lì a struggersi per Harlock!” sentenziò la donnetta con enfasi teatrale.
Joy arrossì appena, come se fosse stata colta in castagna “Ma veramente io… non mi struggo per nessuno” balbettò come a difendersi.
“Tu sei come tutte le altre mia cara. Siccome lui non guarda nessuna, gli morite tutte dietro! Perché lui è così zittone e tenebroso, con quella chioma fluente al vento e voi ci ricamate sopra, sospirando a destra e manca, come una manica di rincitrullite” continuò Masu “Ah ma io non mi farei fregare! Ehhh se avessi venti anni meno gliela farei vedere io a Capitan ritroso lì! E comunque rilassati bambina mia, che quello non quaglia nemmeno con Meeme. Sebbene anche lei a suo tempo, come pure Kei, fosse cotta a puntino; poi sai com’è, con il tempo si sono dovute rassegnare, tanto non c’era trippa per gatti!” sentenziò la vecchia con aria saccente.
“Stai facendo tutto da sola” rispose la ragazza, bevendo una tazza di latte per ripulirsi la bocca dal saporaccio delle uova “Vorrei precisare che non ho mai detto di essere interessata al vostro Capitano. E se devo essere sincera, non è molto carino che tu parli così delle donne di questa nave”.
“Dico il vero io! E comunque finché starai qui, quello è anche il TUO Capitano, che ti piaccia, o no, sei una sua sottoposta e lasciatelo dire, il fatto di essere donna non ti faciliterà le cose. No, proprio no”.
Questo in realtà lo aveva già capito da sola. Lasciò il resto della colazione e chiese a Masu dove dovesse andare, ma furono interrotte da Yama che entrò proprio in quel momento in cucina. “Lo so io dove” disse il ragazzo che aveva una tuta identica alla sua, solo che lui pareva molto più a suo agio. La guardò e sorrise “Ti preferisco femmina, come maschio eri un compagno d’armi imbarazzante e sono felice di non averti fatto male durante gli allenamenti” aggiunse ridendo.  
“Non sei arrabbiato?” gli chiese Joy di getto.
“Ma no, perché dovrei? Credo tu l’abbia fatto per proteggerti, sbaglio?”.
“No, non sbagli” ammise la ragazza, sollevata dal fatto che almeno lui fosse tranquillo.
“È comprensibile per una ragazza che vuole salire su una nave pirata, prendere delle precauzioni. Non ti preoccupare se Harlock si è adirato, probabilmente è seccato dal fatto di non averlo capito, ma poi gli passerà, come agli altri” aggiunse mentre camminavano, lungo i corridoi dell’Arcadia.
“Oddio sono tutti arrabbiati?” chiese la ragazza sgomenta.
Yama rise di nuovo “Diciamo un po’ contrariati. Si sono sentiti presi in giro” le disse facendole strada, verso la parte finale della nave dove c’era una rampa di lancio, da cui partivano le navette.
“E tu non ti sei sentito preso in giro?” gli chiese.
“No. Probabilmente perché ti conosco da pochissimo rispetto a loro e poi non mi interessa non averlo capito, non sono così permaloso. Solo non capisco perché tu sia voluta salire sull’Arcadia, se eri così preoccupata da doverti fingere un ragazzo”.
In realtà Yama aveva ben altro per la testa che occuparsi di Joy, ma riteneva che avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio questa sua momentanea impopolarità e magari farsela amica.
“Ho i miei motivi, ma è una storia un po’ complicata” rispose lei, rimanendo sul vago. Non lo conosceva quasi per niente e ritenne d’istinto di non dovergli raccontare i fatti propri.
“Certo, ognuno ha le sue motivazioni e anche i suoi segreti, o tormenti come li vogliamo chiamare, anche io ho una mia ragione per essere qui, ma preferisco non parlarne, proprio come te” le spiegò. Anche lui non voleva spingersi troppo oltre, non al primo approccio, con il tempo sarebbero entrati più in confidenza e avrebbe magari capito chi fosse quella ragazza e perché il Capitano si prendesse la briga, nonostante le sue menzogne, di portarsela dietro in ricognizione. Non era certo uno stupido, osservava e traeva le sue conclusioni. Aveva un suo scopo preciso e un suo metodo per portarlo a termine, senza fretta.
“Ma tu verrai con noi?” chiese Joy al ragazzo.
“Sì. Credo che il Capitano voglia entrambi i novellini con sé quest’oggi. Pensa, quando rientreremo mi farà anche dei test attitudinali. Presto parteciperemo al nostro primo vero arrembaggio!” le comunicò eccitato. E lo era davvero, non vedeva l’ora di capire come agisse l’equipaggio della leggendaria Arcadia.
Joy ricordò che in effetti era quello che Harlock  le aveva detto il giorno prima. 
Così con la scusa di testare anche me, mi massacrerà!
Pensò non senza preoccupazione e mentre rifletteva su la sua sorte lui apparve come evocato dai suoi pensieri. Era senza casco, vestito come sempre, unica differenza che lo contraddistingueva era una mascherina sulla bocca, altamente tecnologica, piena di tubicini e rotelline, una sorta di mini respiratore molto diverso dal loro casco che veniva anch’esso collegato a delle bombole. Yama intanto la aiutò proprio ad indossare il casco ed a collegarlo .
Il Capitano li raggiunse e dopo averle lanciato uno sguardo severo, a passo di marcia li invitò entrambi a salire su una navetta-capsula a quattro posti. Harlock si sistemò davanti alla cloche, fece sedere Yama accanto a lui mentre la ragazza fu relegata dietro.
Joy si sentì come un peso morto, un’intrusa, soprattutto quando lui decollò e cominciò a spiegare a Yama come pilotare. Sembrava nemmeno ci fosse in quella dannata capsula e le dava fastidio essere completamente ignorata, magari avrebbe potuto imparare anche lei, le cose che stava insegnando a Yama. Decise di cercare di estraniarsi, per calmarsi un po’ e non pensare, così si mise a guardare fuori. Essere in mezzo allo spazio era una sensazione unica, esaltante, ma anche un po’ inquietante per chi non era abituato, dava la netta percezione di quanto poca cosa fosse un essere umano, se paragonato all’universo infinito. Pensò che a volte tutti gli affanni e le preoccupazioni che la sopraffacevano fossero inutili, davanti alla grandezza del cosmo, e che l’eternità fosse un concetto affascinante e incomprensibile, che ridimensionava molto l’imperfezione della natura umana. All’improvviso cominciò ad intravedere Filos, da lontano sembrava un pianeta come un altro, ma via via che si avvicinavano mostrava le sue caratteristiche. Colori accesi e variegati, innumerevoli crateri alternati da rocce più o meno grandi. La navicella, una volta superata l’atmosfera, atterrò in una specie di campo dai colori sgargianti. La fitta vegetazione curiosa e variopinta, molto diversa da quella della Terra, era assai futuristica, elaborata ed intricata. Joy sapeva che era un pianeta semi sintetico, ma era lo stesso affascinata da come avessero ricreato una natura così esuberante e particolare, sebbene non riuscisse comunque ad eguagliare la bellezza di certi paesaggi terrestri, di cui ancora si ricordava. Si tolsero tutti il respiratore perché su Filos c’era ossigeno sintetico assolutamente respirabile.
“Yama tu resterai qui, ci coprirai le spalle” ordinò Harlock “Tieniti pronto ad intervenire in nostro aiuto se mai ce ne fosse bisogno. Ci terremo in contatto via radio. Tu invece verrai con me e farai esattamente quello che ti dico, senza azzardarti a prendere nessun tipo di iniziativa” li istruì entrambi. Sia lei che Yama annuirono, poi il Capitano scese e Joy lo seguì.
“Procedi dietro di me” disse, passandole un attrezzo che sembrava una sorta di cannocchiale tecnologico “È un rilevatore ultrasonico a schermo piatto virtuale” le spiegò “È in grado di farti vedere attraverso muri e anche attraverso diverse stanze, riproiettandone tridimensionalmente il contenuto, ci servirà per sbirciare da lontano nella base e vedere se ci sono quei macchinari che ti servono per la clonazione. Saremo veloci e il più rapidi possibile, non possiamo farci scoprire. Segui me, fai quello che ti dico sempre e senza discutere. La base è oltre quella collina e dovremo raggiungerla a piedi” le disse, indicandole il luogo davanti a loro in lontananza.
Joy semplicemente annuì; Harlock si compiacque del fatto che lei non parlasse e che facesse quello che gli ordinava senza replicare. Quindi le fece cenno di seguirlo e s’incamminarono, lui davanti e lei dietro. Per raggiungere l’obbiettivo avrebbero dovuto camminare quasi un’ora e il silenzio tra loro divenne davvero pesante, rotto solo ogni tanto dal gracchiare della radio di Yama che li contattava per sapere se era tutto a posto.
Per il resto era come se fossero ognuno per conto suo, ma forse era meglio per entrambi non interagire, dopo quello che era accaduto la sera prima.
Ad un certo punto Joy lo vide fermarsi, guardarsi intorno e senza avere il tempo di rendersene conto, in modo assolutamente fulmineo, le si avvicinò, lei si sentì afferrare per un braccio e trascinare letteralmente via. Si ripararono dietro una roccia e lui gli fece segno di fare silenzio. Erano vicinissimi e la ragazza notò che era concentratissimo, come se avesse tutti i sensi allerta. Sempre in maniera rapida ed inaspettata, la fece accucciare ai piedi della roccia e mettendole un braccio intorno alle spalle, la tirò a sé, facendola riparare accovacciata contro di lui, sotto il mantello. Lei non capiva bene cosa stesse succedendo, ma le era chiaro come il sole che si stavano nascondendo, sebbene non capisse da chi, o da che cosa. Harlock avvicinò la bocca al suo orecchio e le sussurrò pianissimo “Non ti muovere e non fiatare, per nessuna ragione al mondo. Sta' tranquilla e andrà tutto bene”.
Lei rimase letteralmente pietrificata. Fu certamente anche la paura, ma soprattutto fu la situazione di contatto con lui. Non era il momento adatto, né la circostanza giusta, ma quell’essere praticamente come abbracciati e quel sussurro lieve come un soffio che le aveva solleticato il lobo, la mandarono letteralmente nel pallone, facendole avere come un senso di vertigine. In realtà avrebbe voluto allontanarsi subito e ristabilire le distanze, ma non era proprio possibile, così s’irrigidì. Lui se ne accorse e pensò che fosse impaurita “Stai tranquilla, te l’ho detto, non ci accadrà niente” la rassicurò, alitandole nuovamente nell’orecchio, dandole senza saperlo il colpo di grazia. Rimasero così per una manciata di secondi, forse mezzo minuto, fino a quando un rumore assordante passò sopra le loro teste, per poi scomparire velocemente all’orizzonte. Subito il pirata si alzò, mentre lei rimase ancora giù, abbastanza frastornata “Pericolo passato, era una nave sentinella di ricognizione della Gaia Fleet. Questo pianeta è sotto la loro giurisdizione. È una fortuna che me ne sia accorto prima che ci avvistassero” le spiegò brevemente. Poi chiamò Yama per avvertirlo e sentire se era tutto a posto.
Lei si alzò, evitando il suo sguardo. Era molto irritata. Masu aveva ragione, era anche lei una rincitrullita! Con tutti i problemi che c’erano e nella situazione, decisamente tutto fuorché propizia, era proprio necessario provare certe sensazioni? Eppure c’era poco da fare, ogni volta che lo guardava si sentiva le gambe molli e le venivano come delle caldane. Una cosa inconcepibile che la faceva sentire una stupida. Quando poi le era stato così vicino, era stata l’apoteosi del subboglio e aveva capito, che nonostante la cosa la facesse arrabbiare, lui le piaceva.
“Non mi dire che non ti è passata ancora la paura. Forza andiamo, non c’è niente da temere” la incitò, scambiando il suo silenzio e il suo sguardo un po’ vacuo, per fifa.
Avrebbe voluto contraddirlo, ma Joy preferì tacere. Non le andava giù il fatto che fosse arrabbiato con lei, soprattutto perché la ignorava e quindi preferiva non contrariarlo ulteriormente, anche se sembrava molto più tranquillo al momento. In realtà la paura che aveva provato era stata poca ed era quasi subito svanita, al di là di tutto Harlock era un ottimo Capitano, pronto a proteggere i suoi sottoposti, probabilmente anche pronto a morire per loro e con lei era stato molto protettivo. Lo ammirava per questa sua integrità. Era molto diverso da come lo descrivevano su Gorianus. Di certo non le era sembrato, fino ad allora, né un fuori legge, né tanto meno un terrorista.
Il silenzio intanto era di nuovo sceso tra loro e ripresero a camminare verso la base.

Mentre loro due camminavano, dall’altra parte Yama stava confabulando niente meno che con il pilota della navetta nemica avvistata poco prima da Harlock. In realtà, che il pirata fosse su Filos non era un segreto per loro perché erano stati preventivamente avvertiti da Yama, con il quale avevano un appuntamento.
“Allora dimmi, hai scoperto niente sulle bombe? Dove le tiene? Che ne vuole fare? Ezra vuole delle risposte” domandò a raffica l’ufficiale della Gaia Fleet.
“Datemi tempo, sono lì da pochi giorni, devo agire con circospezione. Non posso mettermi a fare troppe domande, o a curiosare eccessivamente, mi scoprirebbero. Dì a mio fratello Ezra che sulla nave c’è una ragazza che credo sia un ricercatore, o qualcosa del genere, e che Harlock la sta sostenendo, non so bene in cosa. Forse potrebbe avere a che fare con le bombe, o chissà con che cos’altro. Me la sto facendo amica, lo scoprirò a breve e vi terrò informati. Ora va’, non sfidiamo la sorte e non facciamoci scoprire. Altrimenti il piano andrà in fumo”.
Quindi Yama era un infiltrato della Gaia Sanction ed era sull’Arcadia solo per portare avanti una missione contro Harlock, che alla fine avrebbe anche dovuto eliminare.
Fratello minore di Ezra, comandante supremo della Gaia Fleet, la flotta ammiraglia della Gaia Sanction, Yama si era ritrovato costretto, dopo aver causato un incidente nel quale Ezra aveva perso l’uso delle gambe, ad intraprendere la carriera militare e a sottostare ai desideri del fratello. La verità era che lui non era portato per quella vita. Era sempre stato un amante della botanica, passione ereditata da sua madre. Questa sua indole mal si sposava con tutto ciò che riguardava la vita militare. Inoltre, sull’Arcadia si era sentito a suo agio fin da subito e non aveva riscontrato tutta la negatività di cui si favoleggiava su quella nave ed il suo Capitano, ma aveva una missione da compiere e non poteva perdersi in un inutili considerazioni. Avrebbe fatto quello che doveva, senza tentennamenti.

Intanto la ricognizione di Joy ed Harlock era andata a meraviglia. La soffiata era giusta, il materiale per la clonazione c’era, ed era perfetto. Il pirata aveva deciso che avrebbe studiato un piano e poi avrebbe agito, per impossessarsi di ciò che serviva.
Sulla via del ritorno, prima di arrivare alla navetta, a sorpresa parlò a Joy.
“Ho deciso quale sarà la tua punizione per averci presi tutti in giro” disse all’improvviso spiazzandola.
Ecco ci siamo… pensò lei preoccupata.
“Lavorerai in cucina. Laverai i piatti e sbuccerai le patate e le cipolle, inoltre sarai l’addetta alla mia colazione, ne converrai con me che le colazioni di Masu e di quello sfaticato che si è scelta come aiuto cuoco, sono terribili”.
“Tutto qui?” le scappò detto di getto.
Lui si fermò e la guardò interdetto “No, se vuoi posso anche farti lucidare il ponte. Anzi sai che c’è? Lustrerai anche quello! E se fossi in te, mi morderei la lingua e non direi altro, altrimenti ti faccio tirare a lucido tutta l’Arcadia!”. 
“Basta che mi rimanga il tempo per fare quello che devo in laboratorio” ribatté lei.
“Altrimenti lo farai di notte! E siccome hai parlato di nuovo, pulirai anche tutte le vetrate” sentenziò. In realtà si stava quasi divertendo.
A quel punto Joy si morse davvero la lingua, e si ripromise di non fiatare più perché a quanto pareva il Capitano era un uomo di parola!

 

 

NOTE: Nella frase  *-quello non quaglia nemmeno con Meeme-* pronunciata dalla mitica Masu l’autrice (cioè io) usa il verbo Quagliare il cui significato, in soldoni è: non quaglia=non concretizza.
Da Tre Cani online: variante regionale (credo Campana) di cagliare, coagularsi (del latte).
In usi figurativi, concretarsi, venire a un risultato positivo: l’affare non quaglia; non mi fare domande.

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Capitolo 8
*** Dinamiche di bordo ***


Buon pomeriggio! In anticipo (venerdì, ma pomeriggio!) come ogni fine settimana ci ritroviamo per il consueto il RI-postaggio di due nuovi capitoli, rivisti e corretti.
Vorrei oggi ringraziare tutte le numerose persone che stanno leggendo, o rileggendo la storia (e francamente non me lo aspettavo che foste così tante), poi quelle che l’hanno nuovamente messa tra seguite, ricordate e preferite. E infine Inniminetuo e Ladyfive, che sì, sono mie amiche anche nella vita reale, che lo sono diventate grazie a questa storia, e che ci sono ancora dopo 8 anni a prescindere dalle fanfics, ma soprattutto per il supporto e le recensioni che di loro sponte hanno avuto tempo e voglia di lasciarmi (e manco questo era
affatto scontato, né dovuto). I Luv You Girls,
♡♡

Buona lettura e grazie a chiunque passi di qua!

 

 

  .8.

DINAMICHE DI BORDO

Yattaran era davvero divertito, da tempo non vedeva Kei così contrariata.
“Non capisco perché metterla in cucina a fargli fare da cuoca personale. Certe volte Harlock è proprio incomprensibile!” stava borbottando la ragazza, mentre lustrava con troppa foga la sua armatura. “Quella lì, con quel faccino innocente, non me la conta giusta”.
“Ehi Kei, non sarai mica gelosa vero? Non ho mai capito i gusti del Capitano in fatto di donne… magari è la volta buona che si accasa” la punzecchiò, prendendola palesemente in giro.
La bionda si girò e lo fulminò con un’occhiataccia “Non credo proprio che ci sia pericolo in tal senso, non è quello che mi preoccupa, quanto chi è questa? Da dove realmente viene? E soprattutto che ci fa qui, quali sono i suoi veri scopi? E lui sembra troppo arrendevole. Questa storia della punizione mi pare una ridicolaggine senza capo né coda, quando mai il Capitano ha fatto una cosa del genere con uno di noi?”.
“Avrà le sue ragioni non credi? E poi, non sei sempre tu che gli accordi incondizionatamente la tua fiducia? Questa volta che cambia? O forse ti urta solo che un’altra donna, a parte Meeme, abbia accesso alla sua cabina?” incalzò Yattaran, rigirando il coltello nella piaga.
A quel punto Kei fece uno scatto e ammollò un bel pugno sul grugno del pirata, facendolo rovinare a terra.
“Oh ma sei matta!?” le chiese massaggiandosi la guancia dolorante. 
“Mi avete stufato con questa storia di me che scodinzolo dietro ad Harlock, mi sembrava di avervi ampliamente dimostrato di essere una vostra pari, la mia devozione è puramente platonica, esattamente come la vostra, o forse tu sei invaghito del Capitano?”.
Yattaran rise al solo pensiero “Eh sì, lo spio sempre quando fa la doccia! Ah, perché se non lo sai, ora si fa anche le docce antigravitazionali!” disse, facendo una mossetta idiota, sghignazzando senza ritegno.
“Sei un idiota Yattaran!” sbottò Yuki. Non era gelosa, o forse sì, ma non perché fosse ancora innamorata di Harlock, anche se lui avrebbe sempre avuto un posto speciale nel suo cuore, ma piuttosto non le andava che Joy potesse interagire con lui come se fosse un membro dell’equipaggio da anni. Tutta la ciurma si era dovuta sudare l’attenzione del loro Capitano, non gli era piovuta così per caso dal cielo grazie a dei semi, che secondo lei era tutto da dimostrare che funzionassero e che fossero frutto delle sue ricerche. 
Yattaran invece non pensava male di Joy perché, come aveva detto al Capitano quando lo aveva interrogato in merito, la ragazza all’asta lo aveva avvertito del pericolo quindi non aveva intenzione di tradirli, o lo avrebbe fatto allora, tanto più che lo aveva scambiato per Harlock. Probabilmente nascondeva ancora qualcosa, ma lui riteneva che non fosse niente di pericoloso per loro. E poi si fidava del giudizio del suo Capitano.
“Se posso dire la mia” s’intrufolò Yama, rimasto nell’ombra ad ascoltare “Secondo me ti arrabbi troppo per niente” disse schietto, approfittando per carezzare furtivamente con lo sguardo la siluette di Kei. 
“Tu parla quando vieni interrogato! E poi che hai da guardare eh?” rispose lei infastidita e, finita la frase, lasciò la stanza.
“Attento a ciò che dici, è una donna e anche molto suscettibile, non dimenticarlo mai” disse Yattaran a Yama.
L’altro fece spallucce “Ho solo detto la verità”.
“Oh sì, ma occhio perché quella mena e anche di brutto!”.

Intanto, in cucina, Joy era seduta davanti ad una montagna di patate e cipolle, da una parte, ed a una di bucce dall’altra. Ovviamente Masu si era scatenata e la stava facendo ammattire. Minestroni, patate fritte, patate arrosto, sformato di patate, frittata di cipolle, cipolle in agrodolce e via di seguito, bastava che lei si facesse venire le galle e i crampi a forza di sbucciare, e tutto andava bene. Senza contare che poi sarebbe anche dovuta andare a lavare il ponte. Aveva sperato che dopo quella mattina il Capitano fosse più clemente e le abbonasse qualcosa, invece la punizione era immutata e avrebbe dovuto scontarla tutta. Era rimasta piuttosto male del fatto che l’avesse congedata senza neanche quasi guardarla, ma ormai aveva capito che Harlock era fatto così, poche parole e cambiamenti d’umore repentini, c’era poco da fare, se non prenderlo per quello che era: un uomo criptico, chiuso e volubile.
“Io non capisco perché tu debba stare qui e perché debba essere TU a cucinargli la colazione, è un abuso e sono offesissima. Farò le mie rimostranze ad Harlock” borbottò, distogliendola così dalle sue considerazioni Masu, mentre affilava coltelli come se dovesse disossare un’intera mandria di buoi, cosa che non rassicurava per niente Joy. Fu in quel momento che Kei irruppe in cucina. “Dobbiamo parlare io e te” disse, andando subito al sodo.
Oddio un’altra partaccia no, ti prego! Pensò scoraggiata la ragazza. “Senti capisco che tu sia arrabbiata, ma credimi se potessi tornare indietro eviterei di mentire” provò a spiegarle.
All’inizio Yuki fu davvero intransigente e la tempestò di domande, ma Joy era una persona schietta, si capiva facilmente che era sincera. Anche a lei raccontò più o meno quello che aveva detto ad Harlock la prima volta che lo aveva incontrato, alla fine la bionda si era un po’ calmata, o meglio, non si fidava ancora del tutto di quella ragazza, ma cominciava forse a capire il motivo per cui il Capitano invece potesse farlo. Lo conosceva da tanto tempo e sapeva che era incline sempre a dare una possibilità, e a volte anche più di una, a chi accettava sull’Arcadia, e che le piacesse o no, era chiaro che anche Joy in qualche modo, era ormai parte dell’equipaggio. Però sarebbe andata da lui a parlargli e a metterlo comunque in guardia su alcuni dubbi che ancora le restavano. 
Joy,da parte sua, pensava che Kei fosse una ragazza davvero in gamba, bellissima e anche tosta, con un gran cuore, oltre ad un'ammirevole dedizione per Harlock. Aveva perfettamente intuito che era preoccupata che lei potesse essere una minaccia per lui e capiva la sua lealtà. Si domandava se tra loro ci fosse niente, o se ci fosse stato. Kei era così bella e anche molto sensuale, femmina e guerriera, forte e dolce, protettiva e appassionata, qualsiasi uomo sarebbe stato attratto da una donna del genere, quindi perché non Harlock? Nel fare queste considerazioni si rese conto che lei, in confronto, era davvero insignificante. Infagottata in abiti ancora maschili, dato che mai e poi mai avrebbe indossato una tuta come la bionda pirata. Con i capelli corti e con quelle orrende cicatrici, quando mai avrebbe potuto risvegliare l’attenzione di un uomo? Tanto meno di un uomo come Harlock. E infatti lui non la guardava neanche in faccia a volte. L’unica cosa sensata, sarebbe stata quella di farsi passare quella specie di ridicola cotta adolescenziale che la stava facendo dare di matto e pensare solo ed esclusivamente allo scopo della sua missione.

Intanto, in plancia di comando, il Capitano stava ricevendo le colorite rimostranze di Masu, che all’arrivo di Kei in cambusa, si era fiondata subito da lui.
“Perché quella sta in cucina? Che forse non ti vado più bene? Ti ho sempre coccolato, ho sempre cucinato tutti i tuoi piatti preferiti e tu che fai? Mi pugnali alle spalle! Non si fa, sono una povera vecchia… il mio cuore è debole, sei quasi come un figlio per me e mi ripaghi così!” e giù strepiti e pianti.
Harlock lo sapeva che Masu avrebbe fatto una tragedia greca quindi la fece sfogare.
“Ci starà per poco. E non è un torto a te, ma una lezione per lei. Prendila come un aiuto in più e poi non ti preoccupare, nessuno cucinerà mai meglio di te le uova strapazzate” mentì spudoratamente.
A quelle parole Masu si ringalluzzì tutta e tornò in cucina più agguerrita di prima.
Il Pirata si era appena rilassato, quando arrivò Yattaran.
“Harlock ti avverto: Kei è sul piede di guerra, non sopporta Joy, o meglio, non capisco se è gelosa che ci sia un‘altra donna a bordo, o semplicemente se non si fida di lei. Però sta avendo delle reazioni un tantino esagerate, per favore fai qualcosa. Spiegale che tanto a te le donne non interessano e neanche le guardi, così magari si calma ed evita anche di menar le mani!” disse un po’ provocatoriamente. Chissà se l’avrebbe fatto sbottonare sull’argomento, tutti erano davvero curiosi di saperne di più, dato che praticamente la vita amorosa del Capitano era una sorta di mistero imperscrutabile, come i buchi neri nelle galassie.
Harlock nascose dietro il bavero un sorrisetto divertito dal maldestro tentativo di Yattaran di farlo parlare. “Non credo di aver bisogno di spiegare nulla a Kei, lei sa benissimo che ho sempre i miei motivi quando agisco o prendo una decisione, quindi rilassati, lasciala perdere e non ti preoccupare. Evitala e lasciala sbollire” rispose calmo ma deciso, ignorando volutamente il resto della frase. E anche Yattaran soddisfatto, sebbene a metà, delle risposte ricevute, lasciò la plancia di comando.
Harlock aveva appena poggiato la schiena sulla poltrona, che arrivò a passo di marcia Kei.
Eccola, stavo in pensiero! Pensò rassegnato. Voleva bene a Kei, ma quando cominciava a fare la gelosa era faticoso per lui restare serio e rabbonirla, però se avesse riso allora sì che sarebbero stati dolori. Kei era la creatura più dolce e solare del mondo, ma quando si contrariava diventava petulante.
“Mi vuoi spiegare perché quella è ancora qui? Ma davvero ci serve a qualcosa? Mettiamo pure che sia sincera, ma da dove viene, chi è? Te lo sei chiesto almeno? Hai indagato?” disse, quasi senza riprendere fiato.
“Ti vorrei ricordare che non ho mai chiesto il certificato di residenza, né il curriculum a nessun membro dell’Arcadia, quindi perché dovrei cambiare metodo per lei?” rispose calmo ma con una punta di ironia.
“Però per lei fai cose che per noi non hai mai fatto!” sbottò Kei.
“Se proprio vuoi essere punita anche tu basta che chiedi, ci metto poco ad accontentarti” la canzonò lui, incrociando le braccia al petto.
“Quando fai così non ti sopporto. Io sono preoccupata e tu fai lo gnorri”.
“Davvero Kei, ti preoccupa quella ragazza che non sa neanche difendersi? Che passa le sue giornate in laboratorio? Ti preoccupa in che misura? In due mosse saresti capace di neutralizzarla”.
“Se proprio lo vuoi sapere, mi preoccupi tu! Tu e come ti rapporti con lei. Ti sei innervosito e tu non ti innervosisci mai” disse finalmente, sottolineando che cosa veramente le aveva dato fastidio.
Lui ignorò volutamente l’acuta osservazione di Yuki “C’è sempre una prima volta per tutto ed essere preso in giro non piace neanche a me, che vuoi, forse sono più umano di quel che si crede” tagliò corto, di certo non voleva affatto approfondire l’argomento.
La ragazza roteò gli occhi e sbuffò, con lui non ce la si poteva mai fare, quindi fece spallucce “Fai come ti pare, ma poi non dire che non eri stato avvertito!” e detto ciò se ne andò anche lei, ovviamente sempre a passo di marcia, sotto lo sguardo molto divertito del Capitano. Kei sculettava troppo e a volte era comica con quella camminata alla femme fatale a tutti i costi, lui decisamente la preferiva quando combatteva come un vero guerriero.
Sparita anche Kei, Harlock si guardò intorno come a sincerarsi che non ci fosse più nessuno, stava quasi per fare un sospiro di sollievo, ma eccoti che si palesò Yama.
“Io sono l’ultimo arrivato e capisco di non avere voce in capitolo” cominciò a dire il ragazzo.
Ecco bravo, allora perché parli? Ma per la miseria che c’è oggi? La giornata nazionale della lamentela! Pensò contrariato. 
“Però, Capitano, la punizione che hai dato a Joy mi sembra un po’ troppo, considerando anche il fatto che a quanto mi dicono non hai mai fatto una cosa del genere prima d’ora”.
“ È tempo di cambiare regole e siccome anche tu mi sembri avere la lingua lunga, sai che c’è? Stasera pulisci il ponte con lei e non fiatare, perché per ogni fiato le pulizie aumentano e ora furi dai piedi, che ho da fare!” gli intimò. Era stanco e aveva davvero impegnato, non poteva star lì tutto il giorno a sentire le lagnanze di tutta la ciurma.
Al contrario dei suoi predecessori Yama se ne andò soddisfatto. Era andato lì cercando un appiglio per entrare un po’ più in confidenza con Joy, per questo perorava la sua causa, ma lui gli aveva servito su un piatto d’argento un’occasione ghiotta, ora avrebbe potuto avere modo di parlarci e cercare di scoprire qualcosa di più sul suo conto e sulla motivazione della sua permanenza a bordo, perché una cosa era certa, non si saliva sull’Arcadia tanto per passare il tempo.
“Punendo quella ragazza hai creato un bel po’ di scompiglio Harlock” disse Meeme, uscendo da dietro lo scranno del Capitano.
Come di regola lui non rispose.
L’aliena sorrise “Scommetto che nonostante tutto ti stai divertendo un sacco. Finalmente comincio a riconoscerti”.
“Posso ammettere che quella ragazza, pur non volendo, ha notevolmente ravvivato la vita di questa nave, ma ora dovrei concentrarmi e studiare come preparare un assalto, invece, oggi mi sembra di essere un giudice di pace” commentò ironico, ma anche più rilassato, non volendo quella piccola processione gli aveva quasi fatto tornare il buonumore.
“Stanotte non hai pensato abbastanza?” gli chiese lei.
“Meeme mi sorprende che tu mi spii” rispose un po’ contrariato. Non voleva mai parlare delle sue notti insonni, men che meno di quella.
“Harlock devi pensare seriamente ad organizzare questo attacco. Devi mettere quella ragazza in condizione di fare ciò che deve, è importante, non devi farti distrarre, non ora. La faccenda è fondamentale per il futuro dell’umanità, capisci che forse c’è una soluzione?” gli disse accorata. Era tempo di darsi una mossa.
Il solo toccare quell’argomento gli faceva male, così male che a volte gli sembrava gli mancasse l’aria per respirare. Era una tortura, non faceva in tempo a distrarsi, che il suo dispiacere, come se fosse un mostro feroce, subito era pronto a ghermirlo per dilaniarlo e a ricacciarlo negli abissi del rimorso. Era bastato l’accenno di Meeme ed era ripiombato nella spirale dei suoi tormenti. Fissava un punto indefinito, con lo sguardo vitreo “Quale soluzione ci può essere all’antimateria, se non piazzare le bombe a vibrazione dimensionale e sciogliere tutti i nodi temporali, sperando in una sorta di nuovo Big Bang che riporti la vita sulla Terra?” gli chiese con tono incolore, stanco. L’oscurità era nuovamente tornata ad avvolgerlo nel suo manto. Ogni volta che pensava alla Terra e a quello che aveva fatto, era come se gli si lacerasse l’anima in mille stracci e non c’era niente e nessuno, che potesse alleviare la sua pena.
“Non essere precipitoso. Già una volta ti sei fatto prendere dall’ira e hai fatto una cosa che poi è risultata sbagliata. Ora, non permettere all’angoscia e al senso di colpa di fartene fare un’altra, ugualmente sbagliata. Fidati di me. Ascoltami Harlock. Tentiamo questa strada, le bombe le abbiamo, possiamo sempre usarle se la ragazza fallisce, ma non perdiamo altro tempo. Smetti di farti tarpare le ali dal rimpianto: devi reagire”. 
Lui si girò e la guardò, poi fece un cenno di assenso con la testa, i capelli gli danzarono gentili sul volto e senza dire una parola si alzò, si diresse verso il timone, lo impugnò ed impostò la rotta. 
Meeme sorrise soddisfatta. Lo guardò mentre conduceva la sua nave con il piglio del vecchio Capitano che conosceva. Sapeva che lui aveva già un piano, aveva solo bisogno di essere spronato, di ritrovare un po’ di fiducia e un pizzico di speranza, ne bastava solo una scintilla, poi il fuoco con il tempo si sarebbe riacceso e avrebbe nuovamente divampato.

 

NOTE: Non lo avevo mai ancora specificato ma Harlock, questa fic, viene chiamato anche capitano (come nella serie e nel film) ma con la lettera C maiuscola perché per me è IL Capitano per antonomasia e non lo si può accomunare ad un capitano qualunque :P (manie da autrice grulla, prendetele così!)

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Capitolo 9
*** Tormenti, docce e altro ***


 

 

  .7.

 

TORMENTI, DOCCE E ALTRO

Harlock era completamente immerso nei suoi pensieri. Più solitario che mai, se ne stava al buio, seduto sul suo scranno a meditare nel silenzio avvolgente della notte, con la sola compagnia delle stelle che danzavano davanti a lui. Facevano capolino dalla vetrata della plancia di comando rischiando appena quella notte astrale. Di tanto in tanto sorseggiava del vino che si era portato dalla cabina e ormai anche Tori, l’avvoltoio alieno, l’aveva abbandonato, rifugiandosi a dormire da qualche parte, tra le gelide braccia dell’Arcadia.
C’era da organizzare un attacco e aveva già sguinzagliato la sua rete d’informatori, aspettava a breve risposte, poi lui e l’equipaggio sarebbero entrati in azione su Filos. Ma non era questo che gli stava togliendo il sonno. Era altro. Intanto c’era Yama, che non lo convinceva. Era quasi certo che fosse lì per una ragione a lui tristemente nota. 
E poi c’era lei. 
Lei, che da quando non era più un lui, gli si era parcheggiata comodamente in testa e non accennava a smuoversi neanche con le cannonate. Sebbene facesse di tutto per concentrarsi su altre questioni, puntualmente la ragazza rientrava sempre con prepotenza a scombinare i suoi pensieri, distraendolo.
Per quanto Harlock sapesse dissimulare qualsiasi emozione in maniera egregia, non era immune a sentimenti, emozioni e turbamenti. Anche lui su Filos aveva avuto qualche problemino, causato dalla forzata e intima vicinanza con Joy. Nonostante quello che potesse pensare il suo equipaggio, che era avvezzo a vederlo sempre così taciturno, misterioso e chiuso in se stesso, quasi immune al fascino femminile, lui di donne ne aveva avute ma si era innamorato solo una volta ed era finita malissimo. Lei era morta ed in un certo senso, anche una parte di lui se n’era andata con lei. Ma era pur sempre un uomo. A suo tempo aveva preso una sorta di sbandata per Raflesia, la regina delle Mazoniane, una razza aliena le cui donne ricordavano le amazzoni. Donne esageratamente belle e combattive, al cui fascino Harlock era stato piuttosto sensibile. Quella sbandata era stata una cosa insana, basata più su una forte un’attrazione fisica e forse, anche sul rispetto per un nemico che aveva in qualche modo delle ragioni per combatterlo, ragioni che non condivideva, ma che poteva capire. Tra loro però non c’era mai stato niente, se non sguardi e mezze parole. Alla fine dell’aspra guerra che li aveva visti l'uno contro l’altra, non l’aveva neanche ammazzata, ma solo umiliata. L’aveva lasciata andare, non ce l’aveva fatta ad eliminarla. C’era poi Kei, di cui conosceva bene il debole che aveva avuto per lui. Era bella, giovane, appassionata ed effettivamente ad un certo punto era stato quasi sul punto di cederle, ma poi aveva desistito. Come avrebbe potuto gestire una relazione a bordo, con un suo ufficiale? Ne sarebbe andata di mezzo la sua credibilità come Capitano, non era proprio cosa da farsi. La verità era che non se ne era innamorato, le voleva bene, la rispettava e la trovava anche piuttosto sexy, ma l’amore era un’altra cosa e non poteva portarsela a letto per poi darle il ben servito, non era da lui comportarsi così, e men che meno con Yuki. 
Meeme invece era l’unica con cui si sentisse veramente a suo agio, con cui si concedeva il lusso di essere se stesso sempre e comunque, con lei non aveva remore a mostrarsi anche debole. Era il suo rifugio ed il suo porto sicuro, lei lo capiva come nessun altro, quasi al pari del suo grande amico Tochiro. Pur trovandola di una bellezza quasi ipnotica, non aveva però mai provato alcun desiderio fisico verso di lei. Tra di loro c’era un legame che andava oltre, empatico, complesso e così particolare che era difficile da spiegare, ma anche in questo caso, l’amore non centrava niente, almeno da parte sua.
In realtà per Harlock innamorarsi era un lusso che non poteva proprio concedersi. La scelta di vita che aveva fatto, escludeva a priori una compagna fissa e ancor più folle sarebbe stato farsi una famiglia. Inoltre avere un legame lo avrebbe indebolito. Lo avrebbe reso vulnerabile e più esposto a pericoli. Quando si ha qualcosa da perdere, si diventa fragili e alla mercé del nemico. Certo non era un monaco e le donne gli piacevano, così era capitato che si fosse concesso delle distrazioni, ma mai a bordo. 
E ora invece c’era Joy. Ecco, lei lo stava mettendo in seria difficoltà. Ne era attratto, ma in maniera diversa dal solito. Più che voglia di portarsela a letto, gli ispirava tenerezza e desiderio di protezione, cose che era certo non avrebbe mai più provato per una donna. Era un sentimento nobile quello che gli suscitava, anche se spesso lo irritava e lo assaliva una voglia matta di metterla a tacere baciando quella bocca che troppo spesso apriva a sproposito. Altra cosa bizzarra, perché lui era poco incline all’irritazione, soprattutto verso le donne. Anzi, era uno molto bravo a controllarsi. E poi c’era il suo profumo. A volte era davvero difficile per lui restare impassibile. Su Filos aveva avuto qualche secondo di stordimento violento, quando si era pericolosamente avvicinato al suo orecchio per bisbigliarle quelle poche parole, lei sapeva così di buono e di pulito... 
Tutto ciò lo disturbava molto. Più che altro si sentiva un completo deficiente a provare certe cose, una novità per lui, sempre così compassato e impassibile. Da che si ricordasse, non gli era mai capitato, dopo la pubertà, di sentirsi così. Si convinse che era tutto dovuto al fatto di non avere una donna da ormai troppo tempo. Si era così tanto crogiolato nella sua amarezza provocata dal rimorso, che aveva finito per vegetare, stazionando in una specie di limbo saturo di apatia. Stava trascinandosi, giorno dopo giorno, in una sorta di espiazione infinita, in cui lui era diventato l’ombra di se stesso, divenendo cupo e distaccato verso tutto. Aveva dimenticato cosa significasse essere vivi e provare qualsiasi tipo di emozione. Adesso invece era come se, all’improvviso, la vita stesse prepotentemente germogliando di nuovo in lui, solleticandogli i sensi, risvegliando antiche sensazioni ormai dimenticate e del tutto sopite.
Ma perché tutto ciò accadeva per via di lei?
Sì, d’accordo era carina: con quel musetto delicato, gli occhi grandi e ambrati, frangiati da lunghe ciglia. Il naso piccolo e armonioso spruzzato da qualche lentiggine e quella stramaledettissima bocca, che sembrava fatta apposta per essere baciata e mordicchiata, pensò mentre, in un moto di frustrazione, si passò le dita tra il ciuffo ribelle, picchiando poi leggermente la testa, nello schienale della sua poltrona, prostrato. 
Eppure non è che fosse esattamente un ragazzino alle prese con le sue prime fregole, ma che diamine gli stava prendendo?
Si alzò di scatto in piedi. Era tutta la notte che se ne stava lì come un cretino, a far finta di organizzare quell’abbordaggio, arrembaggio, o che diamine doveva essere, mentre invece la sua testa andava sempre da un’altra parte. Ora basta! Era quasi l’ora della colazione e l’oggetto dei suoi pensieri di lì a poco sarebbe entrata in camera sua, con delle uova strapazzate, probabilmente non superiori in qualità a quelle di Masu e la tortura sarebbe ricominciata da capo. Lei in camera sua. Ma che gli aveva detto il cervello? Si era raccontato che quella punizione era giusta, che magari, sfruttando il fattore colazione, poteva provare a scoprire qualcosa in più sulle sue vere intenzioni, ma era solo quello il motivo? Evitò di rispondersi. Bisognava che facesse qualcosa, che tornasse padrone di sé, ci voleva una bella doccia, magari anche ghiacciata. Da quanto tempo non faceva una doccia? Anni, forse secoli, preferiva la vasca, quella sua personale, dove indugiava languidamente, ma aveva così tanto sentito favoleggiare di queste dannate docce antigravitazionali che decise che era l’ora di provarle anche lui. Così si diresse in camera, si liberò in fretta degli abiti e preso un asciugamano, se lo legò in vita, quindi uscì dalla stanza per dirigersi alla doccia preferita da Kei. Era lei che ne decantava sempre i pregi con tutti. Nel corridoio però, incrociò un assonnatissimo Yattaran che appena lo vide, nudo come un baco, con solo un asciugamano in vita, pensò di avere le traveggole. Si stropicciò gli occhi per essere certo di non stare ancora sognando. “Capitano?” gli chiese quasi incredulo, aguzzando la vista per metterlo meglio a fuoco.
“Che c’è?” rispose contrariato. Avrebbe preferito non incontrare nessuno. Sapeva quanto curiosi e beceri fossero i suoi sottoposti soprattutto quando si trattava di lui.
“No… niente… vai a farti una doccia?” chiese ancora non del tutto convinto.
“Detto così suona come se non mi lavassi mai! No, vado a fare una passeggiata sul ponte! Che diamine, certo che vado a farmi una doccia. Che c’è di strano?”.
“No, no… niente” avrebbe voluto dire molto altro, ma preferì tacere. Certo che Harlock era davvero stravagante, oltre che una continua fonte di sorprese, pensò. Di notte quindi faceva cose a loro sconosciute, che non dormisse mai? Il mistero che gli aleggiava intorno s’infittiva.
Intanto il Capitano spinse il bottone apriporta della doccia antigravitazionale, quindi fulmineo entrò, si sfilò l’asciugamano e si tolse la benda dall’occhio. Aprì subito il getto dell’acqua fredda che lo investì, facendolo sobbalzare leggermente, poi si abituò a quella sferzata di acqua gelida che sembrò scuoterlo e riportarlo alla realtà. Decisamente era stata una buona idea. Quella doccia si stava rivelando un vero toccasana anche per schiarirsi le idee. Si insaponò e si lavò bene, capelli compresi, poi decise di provare finalmente l’ebbrezza dell’assenza di gravità, quindi spinse il pulsante antigravitazionale e diede un colpo di reni, subito il suo corpo prese a fluttuare dolcemente a mezz’aria. Rimase supino, come se facesse il morto galleggiando in alto, completamente abbandonato e rilassato. Buttò la testa indietro e abbassò la palpebra, lasciando le braccia penzoloni, senza opporre resistenza alcuna, mentre tante gocce d’acqua fluttuanti gli danzavano attorno, alcune delle quali gli picchiettavano delicatamente sul corpo, donandogli una piacevole sensazione come di un rilassante formicolio. Kei aveva ragione, quella doccia era un portento. Evitò di muoversi e rimase completamente immobile. Era come se fosse stato in balia di flutti marini immaginari, facendosi coccolare dal leggero ondeggiare della mancanza di gravità, arreso al lieve picchiettio dell’acqua che gli solleticava delicatamente la pelle. 
Dopo un bel po’ che se ne stava lì, quasi sopito, finalmente con la mente sgombra da ogni pensiero, a malincuore spinse nuovamente il bottone, con un balzo atterrò e chiuse l’acqua. Si frizionò i capelli e rifletté sul fatto che sarebbe rimasto volentieri tutta la mattina lì sotto, ma non era possibile. Alla fine fu molto contento di questa scoperta, perché ora si sentiva bene. Era rigenerato e rilassato. Si diede un’asciugata sommaria e rientrò in camera sua, questa volta per fortuna, senza incontrare nessuno.

Intanto Joy sveglia da più di un’ora era in cambusa alle prese con la preparazione della sua prima colazione per Harlock. Masu si era così impermalita di quella decisione presa dal Capitano, che aveva lasciato la cucina dicendole di arrangiarsi e intanto l’aiuto cuoco, imbestialito, stava imprecando in tutti i dialetti del cosmo, perché gli toccava fare la colazione per più di quaranta persone, da solo. Sebbene la ragazza si fosse offerta di aiutarlo, lui aveva preferito rispettare gli ordini e aveva declinato la proposta, era arrabbiato con lei, intanto, come se non bastasse, di là la ciurma sbottava per il ritardo, ovviamente causato dalla dipartita di Masu. Insomma la giornata non stava cominciando benissimo, soprattutto per Joy che era di colpo diventata la meno amata a bordo.
La biologa guardò il vassoio che aveva appena preparato, sperando di averne almeno azzeccata una. Masu per dispetto non le aveva detto niente sulle preferenze del Capitano e lei era andata a casaccio. Uova strapazzate, pancetta, pane tostato, burro, marmellata, caffè nero, latte, in alternativa del thè, succo d’arancia un po’ di frutta. Quindi si fece forza, prese il vassoio e facendo un bel respiro uscì per andare da Harlock. Una volta arrivata davanti alla porta della sua cabina esitò un secondo e poi bussò. Il cuore le andava a mille, stava per entrare nella sua tana, era strano ed eccitante in egual misura. Era così curiosa ed agitata che temeva le si leggesse in faccia.
“Avanti” fu la risposta.
Quindi, destreggiandosi per non far cadere tutto per terra, aprì la porta ed entrò. Lui era al centro della stanza e si stava allacciando la cintura dei pantaloni. Era senza la giacca di pelle e senza mantello, indossava solo un maglione nero che ne risaltava l’ampiezza delle spalle e la struttura del torace, asciutta e ben delineata. Fisicamente era longilineo, ma non esattamente magro come appariva sotto quel mantello che indossava sempre. Così abbigliato, rivelava un fisico atletico, forgiato dall’allenamento. I pantaloni, anche quelli di pelle lo fasciavano, evidenziando la vita stretta, i fianchi e le gambe muscolose e slanciate. La sua presenza fisica era davvero notevole. Inoltre era senza guanti e con i capelli umidi, che gli ricadevano scomposti sul viso, celandolo quasi completamente, dato che era tutto preso ad armeggiare con la fibbia di una delle sue due cinture.
“Appoggia lì” disse, indicando con una mano la scrivania a lato del grande letto, continuando a brigare con quella fibbia. Lei notò che la sua stanza era molto ampia e arredata in stile antico. Oltre quella scrivania c’erano anche un divano, un lungo tavolo e un’intera parete che era una enorme vetrata da cui si poteva ammirare lo spazio che sembrava quasi entrare dentro la stanza. Quella camera parlava di lui. Essenziale, rigorosa, ma anche romantica nel suo essere così retrò, piena di candelabri e con quel letto che sembrava uscito quasi da un antico castello, notò che stranamente era intatto, come se fosse stato appena rifatto, o addirittura non usato. Sulla scrivania c’era un barattolo di vetro che sembrava contenere della terra (sicuramente sintetica pensò) la cosa la incuriosì non poco, un giornale di bordo e alcuni libri. Accanto, in bella mostra, il modello antico di un planetario. Quello era il luogo più intimo e personale di Harlock, osservandolo si capiva che era un uomo attaccato alle sue radici e alle tradizioni, un pirata spaziale, ma della vecchia scuola. La cosa non la sorprese affatto. Lui intanto si era seduto e osservava il vassoio. Era stracolmo di roba e non sapeva da che parte rifarsi.
Lei invece osservava lui. 
Pensò che così informale era ancora più attraente del solito. Sembrava più giovane e forse in un certo qual modo più raggiungibile, molto più Harlock e molto meno Capitano, quasi addolcito, piuttosto che severo e cupo, come suo solito. In effetti ora che lo conosceva un pochino, le appariva un po’ diverso dalla prima volta che l’aveva visto. Era sempre abbastanza serio, ma i suoi lineamenti apparivano più distesi, nonostante sembrasse anche stanco, come se avesse sempre dormito poco. 
Un po’ rincretinita da quella visione, pensò che era bello anche con la benda nera che aveva sull’occhio destro e quella profonda cicatrice che gli solcava il volto.
“C’è fin troppa roba da mangiare” commentò lui, distogliendola dai suoi voli pindarici.   
“Non sapevo che cosa potesse piacerti. Così ho pensato di fare due colazioni: una all’inglese e una all’europea” gli spiegò un po’ imbambolata, come risvegliatasi da un sogno.
Lui alzò la testa e la guardò in maniera che a lei parve strana “Cioè?” le chiese ermetico.
“Come, cioè? Una è all’inglese e una all’europea, che c’è da spiegare?” fece un po’ stranita.
“Mi domando come una persona di questi tempi possa usare parole e concetti come questi, visto che si parla di definizioni arcaiche di un secolo fa” commentò asciutto. Eccola là, la signorina bugiarda e piena di segreti, pensò subito seccato.
Lei d’istinto si morse il labbro inferiore, facendo una smorfia di disappunto. Doveva stare più attenta a quel che diceva. 
Accidenti a parlare senza pensare, così finirà per capire che vengo dalla Terra… e magari si domanderà come è possibile, dato che è attualmente territorio interdetto a tutti. E io non posso ancora spiegargli che vengo da un arco temporale diverso, perché sono certa che mi sbarcherebbe subito!
Alla vista di lei che si mordeva il labbro fu turbato più di quanto volesse ammettere. Ce la metteva tutta a pensare ad altro e darsi un contegno, ma lei non lo aiutava per niente! Si grattò il collo sotto il risvolto del maglione, scostandolo appena, quindi mosse lievemente la testa di lato e riprese padronanza di sé, assaggiando le uova strapazzate.
“Come sono?” le chiese subito curiosa lei, con una punta di ansia nella voce.
Lui masticò e deglutì “Passabili” disse senza entusiasmo “Ma sempre meglio di quelle di Masu” aggiunse poi, continuando a mangiare a capo basso.
Lei ci rimase un po’ male, ma non disse niente, sapeva di non essere una gran cuoca, però le aveva cucinate con tanta buona volontà.
Seguì qualche interminabile secondo di silenzio totale.
“Allora come va in cucina?” chiese poi lui per fare conversazione e magari portarla a sbottonarsi un po’, infondo era quello il suo scopo. Quello scivolone sulla colazione inglese ed europea lo aveva rimesso in guardia. Lei gli piaceva, ma non era tonto, doveva arrivare a scoprire chi era e da dove realmente venisse. Ci sarebbe arrivato era solo questione di tempo, bastava farla parlare. 
“A parte il fatto che Masu mi vuole fare a fette, e che probabilmente tutta la ciurma mi ritiene un’imbrogliona, e non mi può vedere?” gli chiese un po’ sarcasticamente.
“Non è colpa loro se hai mentito” rispose asciutto, mente continuava a mangiare.
“Senti, vorrei vedere te al posto mio, a dover salire su una famigerata nave di pirati, per convincere l’uomo più ricercato di tutte le galassie ad ascoltarti e a prenderti in considerazione! Ero spaventata a morte, per quello che ne potevo sapere avresti anche potuto uccidermi, o farmi chissà che. Fingendomi uomo mi sono sentita più sicura. La prima volta che ho visto l’Arcadia non ci volevo neanche salire” ammise onestamente.
Lui rimase un attimo in silenzio, come se riflettesse, poi parlò “Adesso che è quasi un mese che sei a bordo, che idea ti sei fatta?” le chiese.
Joy rimase piuttosto sorpresa da quella domanda, ma volle essere completamente sincera nella risposta “Penso che siete un’allegra banda di matti, ma che sapete il fatto vostro. Mi piace come funzionano le cose qui, anche se è un tipo di vita un po’ strana per me. Siete tutti affiatati e uniti e poi molte cose che si dicono di te sono false. Non credo proprio che tu sia un terrorista, né tanto meno un assassino, mi sembri un Capitano giusto, amato, che si prende cura, con grande responsabilità, del suo equipaggio. Sapendo queste cose non ti mentirei più, lo giuro” gli rispose di getto.
L’aveva fatta parlare e poi a tradimento le fece la domanda fatidica “Voglio crederti, e dato che dici che non mi mentiresti più, allora dimmi da dove realmente vieni, perché di certo non sei una goriana”. 
L’aveva proprio incastrata, ma non gli avrebbe mentito. Sapeva che con uno come lui si poteva avere una sola chance. Abbassò lo sguardo e, dondolando nervosamente da una gamba all’altra, disse: “Non te lo posso dire per ora, ma ti prometto che te lo farò. Adesso però per favore non arrabbiarti e fammi fare quel che devo, poi ti garantisco che ti dirò qualsiasi cosa tu voglia sapere. Prima di tutto, è importante la salvezza della Terra. Tanto sono qui, non scappo, come avete potuto vedere tutti, non sono una guerriera. Sono nelle vostre mani, ma la cosa più importante è riportare il nostro Pianeta ad essere vivibile, tutto il resto passa in secondo piano. Comunque una cosa posso dirla, sono umana, ma questo penso si fosse capito. E un’altra cosa…”  - aggiunse con tono davvero accalorato - “per favore cerca di farmi stare più tempo possibile in laboratorio e procurami quelle attrezzature, ti prego è importante, i semi che ho non sono eterni, quindi muoviamoci, o rischiamo di mandare tutto in malora. Ci ho lavorato così tanto…” concluse, sentendosi abbastanza frustrata e anche un po’ idiota. Pretendeva che si fidasse ciecamente di lei, anzi sperava con tutte le sue forze che si fidasse di lei, voleva essere degna della sua considerazione. Lo desiderava più di ogni altra cosa, il suo giudizio era importante, le sarebbe bastato che la stimasse come l’ultimo della sua ciurma e sarebbe stata contenta, ma non gli stava dicendo niente di sé e fino ad allora non aveva fatto che mentirgli. In più avanzava anche delle pretese. 
“Apprezzo l’onestà” rispose. In realtà era rimasto colpito. Quella giovane donna, con troppi segreti, che a prima vista poteva sembrare una creatura fragile ed indifesa, stava invece dimostrando una forza di carattere ed una tenacia apprezzabili. Era determinata, ma nel giusto modo, senza essere aggressiva. Era appassionata e sembrava così convinta di quello che diceva e che voleva fare, tanto da indurlo quasi a sperare che avesse ragione. Non si dava mai per vinta e cercava sempre di portare avanti la sua causa, anche quando tutto era contro di lei. Era molto curioso di scoprire chi fosse e perché lo avesse così tenacemente voluto incontrare. Era chiaro che non fosse un caso, che fosse salita sull’Arcadia. Per questo aveva fatto in modo e maniera di poterla studiare un po’ da vicino, usando la scusa della colazione come punizione, in realtà questo escamotage gli serviva per avere la possibilità ed il tempo di scoprire più cose possibili, su quella ragazza dai grandi occhi e dalle labbra carnose, che gli toglievano ore di sonno. Ma al di là di tutte queste belle considerazioni, c’era la triste realtà che lui conosceva delle cose sulla Terra, di cui lei non era al corrente e sapeva anche, che quelli della biologa probabilmente erano solo sogni ed illusioni. Per questo, essendo conscio delle proprie responsabilità, sentiva il bisogno di mettere della distanza tra loro. Voleva scoraggiarla, perché non voleva ferirla e voleva portarla gradatamente alla verità, che sarebbe stata veramente una scoperta tremenda. Alzò la testa e le regalò uno sguardo indecifrabile, poi con molta calma, dosando le parole, le disse: “Vedi, il fatto è che io sono un uomo molto peggiore di quello che tu pensi, con dei segreti terribili e inconfessabili. Ho fatto molte cose di cui non vado fiero, ma ce ne è una che è la più orrenda di tutte. Mi sono macchiato di una colpa enorme. Sono certo che se la scoprissi, mi disprezzeresti con ogni fibra del tuo essere, ma non te la dirò, non ora. Quando tu mi dirai chi sei e da dove vieni, io ti dirò chi sono e che cosa ho fatto” concluse pacato ma con un tono di voce molto grave.
Lei rimase esterrefatta da questa specie di confidenza dai risvolti così sibillini e amari. Gli aveva visto cambiare espressione e diventare lugubre e triste. Non scherzava, era chiaro come il sole che ci fosse qualcosa che lui aveva fatto che lo dilaniava dentro, portandolo a pensare di essere ignobile, glielo si leggeva in faccia. E vederlo così, nuovamente angosciato, le fece davvero male.
“Qualunque cosa tu abbia fatto, io non cambierò mai idea su di te” le uscì fuori in un soffio dalla bocca, come se le parole vivessero di vita propria e non potessero essere fermate. Lei stessa si sorprese di averlo detto ma sentì subito che era la verità. Ora capiva anche la determinazione di suo padre nel volerlo coinvolgere, tutto era chiaro, Harlock era un uomo fuori dal comune, con una personalità e un carisma straordinari, ma soprattutto era un uomo retto, lo si percepiva a pelle, ed era l’unico di cui ci si potesse fidare. Qualunque cosa avesse fatto, ci doveva essere un motivo, ne era certa. Ora serviva solo che lui credesse in lei e questa forse sarebbe stata l’impresa più ardua da compiere.
Il Capitano rimase qualche secondo in silenzio, molto turbato, sia dai suoi stessi pensieri, sia dalla frase di lei, che non si aspettava e che riteneva di non meritare. Ci sarebbero state tante altre cose che avrebbe voluto chiederle, ma per quella mattina poteva bastare così e la congedò senza dire altro, aveva bisogno di stare solo e che lei gli stesse lontano.

NOTE: Per licenza dell’autrice cioè io, Yattaran in questa fic non dà del voi al capitano, ma del tu. Mi trovo meglio e mi piace di più ^_-

   

Considerazioni inutili dell’autrice
La doccia del Capitano, ebbene sì, dopo otto anni lo confesso: è puro fan service, ed è dedicata, oggi come allora, nel lontano 2014, alla mie care amiche Sara e Silvia (Cowgirlsara e Azumi qui su EFP) D'altronde scrissi questa fic per “colpa” loro, sapevatelo!
Ringrazio di cuore Piemme per avermi sollecitata più di chiunque altro, non so più neanche quante volte per ripostare questa storia. Non ci crederete ma mi sto divertendo un sacco a rieditarla. Non l’ho mai riletta (non rileggo quasi mai ciò che scrivo se non per motivi di betaggio) e rifarlo dopo otto anni mi sta regalando piacevoli sensazioni e un gran divertimento, perciò mia cara: GRAZIE!
GRAZIE tantissimo anche alla mitica Chiara per le sue parole “i numeri non ci definiscono, non ci determinano, non ci rendono più bravi, e non aggiungono più valore a ciò che si fa con amore”

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Capitolo 10
*** L'assalto ***


  .9.

L’ASSALTO

Yama aveva ottenuto le informazioni che cercava. Quella sera aveva parlato molto con Joy, anche perché ci avevano messo più di due ore a lucidare il ponte a regola d’arte. Alla fine era riuscito a farla aprire, lei si era sbottonata e aveva raccontato un po’ di cose. Il ragazzo si era anche sentito un po’ in colpa, quella tipa era già incasinata di suo e gli dispiaceva usarla, ma aveva una missione da compiere, sebbene stesse indugiando più del dovuto nel portarla a termine, sebbene fosse legato da un giuramento fatto ad Ezra.
A dire il vero era un po’ confuso. All’inizio, pensava di fare una gran bella cosa, stanando ed uccidendo Harlock, per poi recuperare tutte le bombe a vibrazione dimensionale, ma da quando era salito sull’Arcadia aveva dei dubbi. Insomma, il Capitano gli era parso tutto, meno che un folle che volesse distruggere parte dell’Universo. Inoltre Joy gli aveva appena spiegato le sue teorie sul cosa potesse fare, con quei semi geneticamente modificati sulla Terra. E se avesse avuto ragione? Lui non era di certo un ricercatore come lei, ma di fitologia un po’ se ne intendeva, anche grazie a sua madre che era una botanica professionista, e ciò che lei gli aveva raccontato, sembrava essere piuttosto plausibile. L’unico dubbio gli restava era che non avesse assolutamente voluto dirgli, né dove avesse studiato queste teorie, né da dove realmente lei venisse. Era combattuto, anche perché sapeva che suo fratello non era incline ad ascoltare pareri discordanti dal proprio. L’indomani ci sarebbe stato il fatidico assalto e lui non sapeva che fare. Si trovava proprio tra due fuochi. Ci sarebbe voluto il consiglio di Nami, ma Ezra aveva fatto in modo e maniera che lui non potesse contattarla. Yama era consapevole di meritarsi l’odio di suo fratello, così, sdraiato nella sua branda, con le braccia incrociate sotto la testa, era preda delle sue incertezze e delle sue domande. Che ci faceva lui lì? Era giusto ciò che doveva compiere? E quella gente, che l’aveva accolto così bene sull’Arcadia, era davvero tutta marmaglia? Era giusto che venissero traditi e giustiziati? Chiuse gli occhi e sospirò. Gli pareva tutto così tremendamente difficile, ma prima che sorgesse il sole avrebbe dovuto prendere una decisione e tradire qualcuno.

Joy era arrivata nella sua cabina esausta, si era fatta una doccia di quasi mezz’ora per togliersi lo sporco di dosso e l’olezzo di cipolla. La fortuna di avere i capelli così corti era che, bastava frizionarli con l’asciugamano che erano già asciutti. Si infilò una sorta di leggings grigi e una canottierina, per stare più comoda e rilassarsi un po’. Era così stanca che non aveva neppure fame, quelle due ore di pulizia del ponte l’avevano sfiancata. Si era appena seduta sul letto, quando sentì bussare alla porta. Svelta, indossò la giacca di pelle, non si sarebbe mai fatta vedere a braccia scoperte per via della bruciatura, ed aprì. Era Meeme. Le sorrise e aggiunse: “Harlock vuole vederti. Ci attende nella sua stanza”. Joy annuì. Si infilò gli anfibi e seguì l’aliena.
“Siamo vicini ad ottenere ciò che vuoi, tu non desistere e ce la farai” le confidò sibillina, poco prima di introdurla nella cabina del Capitano. Lui era seduto alla sua scrivania, immerso nella consultazione di alcune carte nautiche interstellari. Stava prendendo appunti su una vecchia Moleskine, ovviamente nera e con un Jolly Roger bianco stampato sulla copertina. Alzò la testa e la guardò. Per un secondo rimase sorpreso e spiazzato. Era abituato a vederla infagottata in abiti maschili piuttosto ampi, da cui si intuiva veramente poco delle sue fattezze. Ora invece, grazie a quei leggings e alla canottiera che si intravedeva dalla giacca aperta, rivelava un corpo morbido e armonioso. Sebbene la sua figura fosse appena un po’ androgina e meno curvilinea di quella di Kei, Joy era sorprendentemente molto femminile. I capelli erano un po’ più spettinati del solito e le ciocche scomposte le incorniciavano, esaltandoli, i lineamenti delicati del volto, che appariva stanco e segnato da due occhiaie scure. Era chiaramente spossata, ma anche molto bella nella sua semplicità, pensò suo malgrado Harlock. Come diamine aveva fatto a scambiarla per un uomo? Si domandò, ma non era quello il momento di mettersi a rimuginare su certe cose e riprese subito il controllo dei suoi pensieri, schiarendosi la voce e ritornando al motivo della convocazione.
“Domani assalteremo la base su Filos, per prendere ciò che hai richiesto” fece una pausa e la guardò dritta negli occhi, con espressione severa “Ti è tassativamente proibito muoverti dalla cucina, dove starai chiusa con Masu e dalla quale non uscirai per nessun motivo al mondo, chiaro?” aggiunse con un tono calmo e deciso, che non ammetteva repliche.
Joy annuì convinta “Non ti preoccupare. Farò tutto ciò che mi dirai. Non ho nessuna intenzione di fare cose che non mi competono” lo rassicurò. Era la verità, sebbene quelle attrezzature le servissero e lo avesse pregato in ogni modo di procurargliele, non avrebbe di certo voluto partecipare attivamente ad un assalto armato piratesco, neanche per sogno!
Questa era una cosa di lei che ad Harlock piaceva. Aveva capito già dalla trasferta su Filos che non era una che creava problemi. Era consapevole dei suoi limiti, in caso di necessità e pericolo, ubbidiva senza fare tante storie e senza voler fare l’eroina a sproposito, per dimostrare chissà che cosa. In questo modo gli facilitava le cose, non esponendo se stessa e gli altri ad inutili pericoli.
Quindi si alzò e aprì un cassetto della sua scrivania, da cui estrasse una Cosmo Gun e gliela porse “Prendila comunque, non si sa mai, potremmo anche avere problemi e se qualcosa andasse storto per qualsiasi motivo, se sarete completamente disarmate non avrete scampo. Quest’arma potrebbe salvarvi la vita”.
Lei sbiancò. Non aveva neanche minimamente pensato che la faccenda potesse essere così pericolosa e quindi non aveva preso in considerazione la possibilità di una minaccia tale, da indurla a dover prendere una pistola laser.
“Mi dispiace che con tutta la confusione che c’è stata, tu non abbia potuto addestrarti meglio, ti prometto che imparerai a sparare e a colpire i bersagli come si deve, me ne occuperò io stesso” aggiunse serio.
Non era molto contento di darle una pistola, sapendo che praticamente non sapeva usarla, ma era sua abitudine prevenire e pensare ad ogni evenienza. Da distanza ravvicinata anche un incapace, almeno un colpo era in grado di metterlo a segno. Ovviamente era certo che non ce ne sarebbe stato bisogno, ma era meglio non rischiare.
Joy prese quell’arma senza dire una parola. Lui capì che era spaventata a morte “Non c’è ragione di preoccuparsi la mia è solo una precauzione, uno scrupolo, non accadrà niente, è una missione piuttosto ordinaria, oltre tutto ad una base scientifica, dubito che ci saranno guardie armate, quindi va e dormi tranquilla, domani fai quello che ti viene detto e vedrai che tutto filerà liscio come l’olio” le disse, cercando di rincuorarla.
Lei annuì. Si fidava di lui. Si sarebbero rivisti l’indomani mattina all’alba, quando sarebbero stati convocati tutti per concertare le fasi dell’attacco.

“Non hai parlato con Yama. È un novellino anche lui, la prassi sarebbe quella di istruirlo sul da farsi. Così che non crei problemi” commentò Meeme, non appena Joy ebbe lasciato la stanza.
“A che scopo? Tu sai benissimo chi potrebbe essere Yama. Deve prendere una decisione importante e deve riflettere, la mia convocazione potrebbe risultare deleteria. Le cose devono seguire il loro corso naturale” commentò grave Harlock. 
“Starai comunque in guardia vero?” gli chiese Meeme, leggermente preoccupata. 
Lui sorrise appena “Sai che ho un sesto molto acuto, poi accadrà quello che deve, ormai non mi preoccupo più di queste cose. Prima o poi dovrò affrontare il mio destino, qualunque esso sia…”.
L’aliena lo interruppe “Non dirlo Harlock, non dovresti nemmeno pensarlo!”.
“Ma verrà in giorno in cui mi sarà presentato il conto” ribatté laconico.
“Non lo sappiamo con certezza e io non voglio pensarci. Il futuro per quanto incerto, o strano, non lo conosciamo mai Harlock, ogni volta ci stupisce” .
Il pirata sospirò. Era una conversazione inutile. Non aveva voglia di parlare di quell’argomento. Quindi decise di non protrarla oltre, se non altro per non dispiacere Meeme, ma anche per non agitarsi, doveva essere lucido. Per la prima volta, dopo tanto tempo, aveva timore di andare incontro al suo destino e se la cosa, da una parte era un bene, perché significava che la sua umanità stava prepotentemente riemergendo, dall’altra era decisamente un male, perché la paura può essere utile in certi frangenti, ma può anche essere il più infido dei nemici, soprattutto in una battaglia.

La convocazione dell’indomani mattina era stata fissata sotto il ponte della sala macchine, alle cinque antimeridiane. Tutta la ciurma, puntuale come un orologio, era riunita lì sotto, quando in alto, sul ponte, apparve Harlock con il fido Tori sulla spalla.
Ovviamente erano presenti anche Masu, Joy e Yama. Tutti dovevano sentire dal Capitano gli ordini, nessuno escluso. 
“Tra un’ora circa approderemo su Filos” dichiarò Harlock. “Yattaran, Kei, sarà un’operazione di livello allerta uno, cioè standard”.
“Sì Capitano” risposero pronti gli ufficiali di bordo.
“Yattaran tu, dalla tua postazione in plancia, provvederai a mascherare ed a rendere invisibile l’Arcadia, con un ologramma. Ci avvicineremo alla base ed usciremo con una sola navicella a propulsione. Faremo così affidamento sulla velocità, per non essere intercettati. Saremo io, Kei, Yama e Gidayu”.
Yama sobbalzò stupito. Perché tra tutti i membri dell’equipaggio aveva proprio scelto lui? Però non disse niente e annuì. Così come fecero Yuki e l’altro. Non era il caso di creare problemi, né di insospettire nessuno, meglio eseguire gli ordini, pensò il ragazzo relativamente tranquillo.
“Scenderemo con le tute senza armatura, per muoverci veloci e indisturbati. Gidayu resterà sulla navetta. Io, Kei e Yama, entreremo nel laboratorio e da lì gli daremo le coordinate esatte, Gidayu arpionerà la merce più ingombrante con precisione millimetrica, quindi rientreremo. Tempo stimato, tra raggio d’azione e completamento della missione: quarantacinque minuti. Saremo tutti in contatto radio con l’Arcadia, e con Yattaran, che sarà la nostra copertura, ed in caso d'attacco, la nostra difesa. Tutti gli altri resteranno qui, eccetto Masu e Joy, che dovranno stare chiuse in cucina. Meeme ovviamente sarà in plancia di comando, pronta ad impiegare, se mai fosse necessario, la Dark Matter.” Era stato conciso, chiaro ed esaustivo. Del resto era un’operazione davvero a rischio bassissimo, quindi nessuno fece domande e tutti si affrettarono a prendere le loro posizioni.
Joy era stata ubbidiente, ma era agitatissima. Si rendeva conto di essere sciocca, ma il fatto che Harlock andasse in prima persona su Filos, con solo altre tre persone a fare quella specie di assalto, la impensieriva. Le era improvvisamente salita un’ansia tremenda. Aveva come un brutto presentimento, si sentiva quasi senza fiato e con la tachicardia che sembrava farle rimbombare il cuore in petto. Sudava freddo e se avesse potuto tornare indietro, gli avrebbe detto che non importava, che non le interessava più niente, purché non uscisse dall’Arcadia. Adesso però, era quanto meno troppo tardi per simili recriminazioni, quindi non le restò che cercare di dominare la sua ansia.
La nave, con precisione veramente impressionante, arrivò su Filos esattamente nel tempo previsto da Harlock, ed i quattro, come deciso, uscirono subito con la navicella. Masu ascoltava i passaggi via radio. Anche loro erano in contatto, come del resto tutto l’equipaggio, pronte a ricevere ordini in caso di necessità. Joy guardò l’orologio erano le 6.15, alle 7.00 sarebbero dovuti rientrare. Fece un sospirone e si rese conto che quelli, sarebbero stati i quarantacinque minuti più lunghi della sua vita. Ed in effetti lo furono. Le lancette sembravano inchiodate. Ogni volta che consultava l’orologio, sembrava che il tempo non scorresse mai. La radio gracchiava. Harlock non parlava se quando era strettamente necessario, così regnava il silenzio, che alimentava l’ansia. Poi, improvvisamente, addirittura quattro minuti prima del tempo previsto, sentì un vociare di esultanza venire dalla radio ed in eco contemporaneo, dall’Arcadia. Non aspettò neanche il benestare di Masu, uscì di corsa dalla cucina, raggiungendo gli altri che festeggiavano la navetta, con il prezioso carico, appena rientrata sull’Arcadia. Harlock uscì con ancora la maschera sul volto, seguito da Kei, Yama e Gidayu. Fu così che lo vide: imponente, con il vento del motore che gli scompigliava i capelli ed il mantello che svolazzava. Era davvero esaltante vederlo fare ciò per cui probabilmente era nato, il suo carisma era innegabile, e decisamente era coinvolgente; guardandolo così fiero e statuario, non si poteva non restarne ammaliati e capiva anche perché i suoi uomini, lo avrebbero seguito perfino in fondo ad un buco nero. 
Intanto, mentre regnava l’euforia generale, Yattaran smanettava con il computer per chiudere il boccaporto, e mentre i motori della navicella si spensero, quelli dell’Accadia presero a rombare, quando all’improvviso si sentì un urto tremendo che fece scattare le sirene dell’allarme.
“Attenzione: falla a tribordo. Tentativo d’abbordaggio da terra, con copertura di fuoco incrociata da u… no, no! Da due postazione dall’alto!” urlò subito concitato Yattaran, consultando agitatissimo gli schermi del computer.
“TUTTI AI VOSTRI POSTI!” intimò Harlock, strappandosi la maschera e precipitandosi al timone, mentre il resto della ciurma, in maniera sorprendentemente veloce, indossava l’armatura pesante per entrare in assetto da combattimento.
“Siamo sotto il fuoco incrociato di due navi della Gaia Fleet! Sono apparse dal nulla Capitano! Credo che fossero anche loro nascoste da ologrammi, maledizione!” disse Yattaran preoccupato “Dobbiamo rispondere al fuoco e impedire che facciano irruzione nell’Arcadia”.
“Procedere all’avvio dei motori a Dark Matter! Innescare scudo ultrasonico di protezione. Artglieri alle postazioni: rispondete al fuoco!” comandò deciso Harlock.
“Scudo attivato! Non possono più colpirci Capitano! Avvio generazione autoriparante a dark matter in corso” disse soddisfatto Yattaran, continuando a smanettare con il computer.
Nel frattempo, Joy notò subito che Meeme prese ad armeggiare con una specie di sfera verde, fatta di pura energia aliena che spigionava scintille, simili a minuscole particelle luminescenti danzanti, proprio davanti a quell’ingranaggio, formato da una enorme specie di ruota dal moto perpetuo, che si trovava poco più dietro lo scranno sul quale sedeva sempre il comandante dell’Arcadia. Nello stesso istante, da sotto il mantello antigravitazionale di Harlock, si sprigionò un effluvio di gas azzurrastro, che sembrava evaporasse dalla sua tuta, formando un alone di lingue blu che lambivano l’aria.
Joy non ci capiva più niente, le sembrava tutto abbastanza assurdo ed anche surreale.
“Capitano, Capitano, allerta massima: sono riusciti ad entrare dalla falla, prima che iniziasse il processo rigenerativo! Maledizione, ma come hanno fatto?” strillò Yattaran.
“Presto! Non devono arrivare in Plancia. Prepararsi al corpo a corpo! Meeme interrompi fino a nuovo ordine! Artiglieri, continuate a sparare! Non appena li avremo neutralizzati, ripartiremo immediatamente. Tutti pronti, schema di attacco frontale” ordinò il pirata, lasciando il timone, mentre tutti confluirono verso la paratia centrale.
Joy terrorizzata, non sapendo che fare, si nascose da una parte. Nel frattempo tutta la ciurma, protetta da quelle pesanti armature, che li faceva assomigliare a tanti imponenti e minacciosi palombari, con le armi più disparate, dai fucili laser a vere e proprie asce giganti, era disposta a semicerchio, in attesa, in un silenzio surreale.
Improvvisamente in lontananza si cominciò a sentire il rumore metallico prodotto dalla corsa dei soldati della Gaia Fleet che stavano per irrompere, ed infatti, dai corridoi laterali arrivarono in gran numero, con le loro armature di acciaio bianche ed i loro mitragliatori laser. In pochi secondi scoppiò il caos!
Si avventarono gli uni contro gli altri, tra urla e colpi di tutti generi perfino pugni. Pure Kei, che era una donna, appariva incredibilmente forte e fatale per chiunque le capitasse a tiro. Per non parlare di Yattran, che a dispetto della sua stazza, saltellava come un grillo, annientando a colpi d’ascia chiunque gli si avvicinasse.
Joy era basita, alzò lo sguardo e fece appena in tempo a vedere Harlock estrarre il suo Gravity Saber, un’arma tecnologica che sembrava una sciabola, con un balzo felino si avventò sui nemici appena arrivati dentro l’Arcadia. Lo vide sbaragliare in pochi secondi quattro di loro: silenzioso, elegante e letale. Sembrava un angelo della morte, veloce e devastante al tempo stesso. Era esaltante guardarlo combattere. Appariva incredibilmente leggero, come una piuma, come se non facesse nessuna fatica a muoversi. Fluido e accurato nei movimenti, che calibrava alla perfezione. Girando su se stesso, attaccava sia chi aveva davanti, sia chi gli arrivava da dietro. Come in una danza della morte, lasciava dietro di sé cadaveri come se falciasse fili d’erba. Affascinante ed impressionante al tempo stesso, una vera macchina da guerra.
“Che fai qui! Sei matta!” la voce di Masu la scosse da quella visione quasi ipnotica “Presto corriamo in cucina!”.
Non se lo fece dire due volte e seguendo la donna, si mise a correre, facendo attenzione a schivare proiettili. In qualche modo riuscirono ad infilare nel corridoio. Aveva il cuore in gola, ma l’adrenalina le dava la forza di essere lucida e veloce. Finalmente arrivarono in cambusa e lei, una volta chiusasi la porta alle spalle, si lasciò andare, appoggiandosi al tavolo, aveva il fiatone e il cuore sembrava uscirle dal petto, ma erano salve, ce l’avevano fatta.
“Qualcuno ci ha traditi” esordì Masu che si era seduta in terra madida di sudore, nonostante l’età le era stata dietro.
Lei la guardò incredula “E chi? Ma soprattutto come? Siamo sempre stati tutti qui” rispose, turbata da quella affermazione.
La donna la stava guardando in modo strano “Non lo so, magari potresti spiegarmelo tu” disse con voce tagliente.
“Io? Ma che cosa stai dicendo?” chiese Joy che ancora non capiva.
“Senti, falla meno lunga, sei tu la bugiarda, quella che è salita su questa nave fingendosi un uomo e spingendo Harlock a prendere quelle attrezzature, ergo, sei TU la maledetta traditrice!” gracchiò la cuoca indispettita.
Joy stava giusto per risponderle, quando la porta della cucina fu letteralmente buttata giù da due soldati, che fecero irruzione nella stanza con i fucili spianati.
“Obiettivo raggiunto. Procedo scannerizzazione per conferma del soggetto” disse uno, investendo Joy con dei piccoli raggi rossi emessi da una sorta di rilevatore “Bene signore, procediamo!” rispose la guardia che aveva parlato prima, a qualcuno via radio. “Lasciateci in pace, noi siamo solo le cuoche!” strillò Masu, ma quelli le dettero uno spintone, facendole battere la testa sul pavimento. Furbescamente la vecchia si finse svenuta e rimase immobile sull’impiantito.
“Ehi! Ma che fate? È solo una donna!” protestò Joy, aveva capito che ce l’avevano con lei, anche se non comprendeva il perché. Il cuore le batteva ancora più forte e si sentiva in trappola. Perché nessuno veniva da loro in soccorso? Dove erano tutti? Improvvisamente si ricordò della Cosmo Gun che le penzolava dal fianco, velocemente la estrasse e sparò, ma mancò il bersaglio, centrando una suppellettile. Quelli intanto, continuavano ad avanzare mentre lei invece indietreggiava, cercando disperatamente di prendere tempo. Provò a sparare ancora, ma la paura e la concitazione fecero andare a vuoto ogni colpo, tranne uno, che scalfì solamente l’armatura di uno dei due, poi l’arma le cadde di mano. Ormai erano quasi su di lei, quindi presa dalla più cieca disperazione, dato che stavano per agguantarla, afferrò istintivamente una padella e si avventò contro di loro con tutta la forza che aveva in corpo, urlando come per scaricare ancora più potenza sui colpi, ma l’unica cosa che ottenne, furono alcune scintille, provocate dall’attrito sulle poderose armature.
“Rendila innocua!” disse deciso uno dei soldati e l’altro, senza neanche pensarci, la colpì in pieno volto con un pugno. Joy non sentì neppure dolore. Improvvisamente divenne tutto nero e si sentì cadere, dopo di che l’oblio. Era svenuta. Quello se la caricò su una spalla e uscirono dalla cucina. Una volta fuori uno dei due disse: “Obiettivo recuperato. Usciamo ora dall’Arcadia. Tra quindici minuti, evacuazione totale”.
E così accadde.
Improvvisamente, mentre infuriava un tremendo corpo a corpo, i soldati della Gaia Fleet batterono ritirata, lasciando di stucco tutto l’equipaggio, che ovviamente li rincorse, facendone fuori molti altri, ma alla fine, così all’improvviso, come tutto era cominciato, tutto finì.

 

NOTE: Moleskine è una marca di taccuini. Sono caratterizzati da una copertina rigida o morbida, di cartone rivestito di nero, hanno le pagine di carta color avorio, e rilegate a punto refe, angoli arrotondati, nastro segnalibro, elastico di chiusura e tasca interna a soffietto.
Taccuini con le stesse caratteristiche degli attuali taccuini Moleskine erano già diffusi in Europa tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo grazie al lavoro artigianale di una legatoria francese che riforniva le cartolerie di Parigi. Nomi illustri come Ernest Hemingway e Henri Matisse erano soliti usarli per prendere appunti, o farci degli schizzi.(Fonte wikipedia)
Dato che il Capitano è così retrò, ce lo vedevo proprio a prendere appunti nautici sulla sua Moleskine personalizzata con tanto di Jolly Roger :D
Fitologia: Lo studio scientifico delle piante = botanica. (Per non usare sempre la stessa parola, perché io cerco sempre di fare meno ripetizioni possbili!)
Le scene di combattimento che avete letto in questo caso, non hanno niente a che fare con quelle del film e sono inventate da me, che MAI nella vita avrei immaginato di poter scrivere, ma che credo mi siano uscite abbastanza decentemente, almeno così mi è parso rileggendole dopo otto anni dal loro concepimento ;)

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Capitolo 11
*** Prigioniera ***


Buongiorno e buon week end a chi legge! Eccoci qua oggi di sabato, come ogni fine settimana con il consueto appuntamento del RI-postaggio, sempre uno di seguito l’altro, di due nuovi capitoli, rivisti, corretti e sfrondati.

Buona lettura e grazie a chiunque passi di qua!

 

 

 

  .10.

 

PRIGIONIERA

La testa le pulsava in maniera tremenda. 
Sembrava che dentro ci fosse un martello che picchiava persistente, portando il dolore da un livello alto, a un livello insopportabile, come un’onda che andava e veniva, procurandole terribili spasmi. Il viso invece era come anestetizzato, non sentiva niente ma gli occhi li percepiva gonfi, pesanti, congestionati. Non riusciva a respirare dal naso, le sembrava di essere in apnea, doveva farlo a bocca aperta ed era una sensazione brutta, come se annaspasse e inghiottisse aria, le pareva quasi di affogare. Tutto intorno regnava il buio e il silenzio più totale. Era tutto così irreale. Non voleva pensare, non voleva neppure realizzare ciò che realmente le stava accadendo, così chiuse gli occhi e sperò di perdere nuovamente i sensi per ricadere preda dell’oblio.

“Come sarebbe a dire che l’hanno presa?” chiese sbigottito Harlock ad una Masu concitatissima, che gli stava raccontando ciò che era accaduto in cucina.
Erano appena ripartiti in tutta fretta in modalità di navigazione 
in skip, una sorta di balzo che consentiva loro di viaggiare attraverso una vasta porzione dell’universo, a una velocità maggiore di quella della luce. Ed ora erano davvero molto lontani da Filos.
“Io credevo che ci avesse traditi e invece poveraccia, era lei l’obiettivo di quei soldati, l’hanno stordita con un pugno e l’hanno rapita” ripeteva Masu cantilenante.
“Controllate la nave da cima a fondo!” urlò Harlock. Era visibilmente arrabbiato.
Gli si avvicinò Yattaran “Capitano, come facevano a sapere a colpo sicuro che lei era in cambusa? E soprattutto perché avrebbero dovuto rapirla? O è una di loro, e ne dubito, o qualcosa non quadra” commentò pensoso il primo ufficiale massaggiandosi il mento irsuto di barba incolta.
“Credo di avere capito come può essere andata” sibilò Harlock scostandosi con stizza il mantello e dirigendosi a passo di marcia verso la sala del computer centrale. Aveva bisogno di riordinare le idee e non lasciarsi travolgere da nessun tipo d’emozione. La concentrazione era fondamentale, per capire ed elaborare un piano.
“Niente, non si trova da nessuna parte…” commentò Kei avvilita dopo aver fatto lei stessa un ampio giro di ricognizione accompagnata da un taciturno Yama.
Una volta che tutti ebbero fatto rapporto e avuta la certezza matematica che Joy fosse stata davvero rapita dai soldati della Gaia Fleet, Harlock si palesò in plancia “Yama!” – chiamò - “A rapporto nella mia cabina. Immediatamente” gli comandò gelido.
Era chiaro che il Capitano avesse capito tutto, ma si trovava dentro l’Arcadia, non avrebbe avuto senso sottrarsi, quindi il ragazzo lo seguì.
“Dov’è?” gli chiese Harlock, senza perdersi in chiacchiere inutili, appena arrivarono nella stanza.
“Non lo so” gli rispose altrettanto criptico Yama.
“So benissimo chi sei. L’ho sospettato dal primo momento che hai messo piede sull’Arcadia, non cercare di inventare scuse. Ora te lo domando di nuovo: lei, dov’è?” e c’era qualcosa nel suo sguardo e nel tono della sua voce, che fece correre un brivido lungo la schiena di Yama.
“Non lo so, davvero! Suppongo che sia al quartier generale della Gaia Fleet. Non mi hanno specificato che volessero rapirla. Ho accennato della sua presenza, perché credevo che fosse importante, che potesse portare mio fratello a riconsiderare la questione”.
Sembrava sincero e anche costernato.
“Quindi tu pensi che io debba credere che siano stati semplicemente fortunati a trovarla in cucina?” chiese con quella calma fredda che era davvero inquietante.
“Non sono stato io te lo giuro e poi lei al momento dell’assalto non era in cucina, era con tutti noi. Masu ha specificato che ci sono tornate dopo, io ero con Kei, non li ho avvertiti. Devi credermi!”.
Harlock sembrò riflettere un attimo. “Dimmi tutto dal principio, senza omettere neanche una virgola. Renditi conto che una ragazza innocente potrebbe essere in pericolo di vita semplicemente perché tu hai tradito la sua fiducia” rimarcò con tono tagliente. Yama si sentì un verme. Gli spiegò che suo fratello Ezra lo aveva mandato a infiltrarsi sull’Arcadia per scoprire dove fossero le bombe a vibrazione dimensionale, una volta saputolo, avrebbe dovuto ucciderlo. Gli spiegò anche i suoi dubbi, nati dalla permanenza sulla nave. Gli disse che ciò che aveva saputo da Joy era molto simile a quello che tentò di fare sua madre, anni prima su Marte, non riuscendoci. Nel caso di della ragazza però, trattandosi della Terra, secondo lui c’erano ottime possibilità di successo. Ammise di essere rimasto così colpito, che invece che tradire il Capitano e l’Arcadia durante l’assalto, come avrebbe dovuto fare, non avendo ancora trovato le bombe, aveva invece preferito dire al fratello di questa possibilità. Sperava che sua moglie Nami, un tempo collaboratrice della loro madre, avesse potuto aiutarlo a capire che forse c’era una speranza di risanare le risorse terrestri. Che avrebbe dovuto concentrarsi su quello, piuttosto che dare la caccia ad Harlock. Aveva accennato di Joy in modo vago, omettendo di dire a Ezra come si chiamasse, e non si capacitava di come fossero potuti andare così a colpo sicuro, proprio come se qualcuno li avesse imbeccati, perché lui non era stato.
Harlock era sempre più cupo e pensoso. Cercava di fare ordine tra il racconto di Yama, i suoi sospetti e lo svolgersi dei fatti, per capire cosa potesse realmente essere accaduto.
“Forse so chi è stato” dichiarò in fine. 
C’era solo un’altra persona che era da troppo poco sull’Arcadia, della cui lealtà non poteva essere certo al cento per cento: l’aiuto cuoco di Masu.

 

“L’abbiamo sedata. Ha il setto nasale rotto e abbiamo scoperto che ha un microchip dietro la nuca ben nascosto tra i capelli” riferì l’ufficiale medico al comandate Ezra.
“Interessante. Questa sì che è una bella sorpresa. Forse ci sarà ancora più utile” commentò l’uomo “Dovete fargli una tac e analizzare il microchip, magari fatele una eco termo scanner e cercate di vedere di cosa si tratta, se serve a nascondere dati, oppure se è un impianto di controllo su di lei. Insomma indagate. Fate presto, la nostra è una corsa contro il tempo”. 
Sapeva che i pirati si sarebbero mossi velocemente, non avrebbero mai lasciato un loro membro in mano al nemico senza tentare di riprenderselo. Contava su questo per catturare Harlock, perché aveva saputo da Yama che quella ragazza aveva qualcosa di molto caro al capitano dell’Arcadia, e che lui non l’avrebbe mai abbandonata al suo destino. Da quando era venuto a conoscenza dell’esistenza di quei semi, li voleva. Avrebbe proposto ad Harlock uno scambio. Ma lo avrebbe ingannato, così avrebbe finalmente avuto quel pirata tra le mani. Suo fratello aveva fallito su tutti fronti, ora avrebbe fatto a modo suo. Lo avrebbe torturato fino a scoprire dove fossero le bombe, poi l’avrebbe fatto giustiziare.
L’ufficiale medico tornò da Joy che era stesa in infermeria sedata e conciata piuttosto male. Il pugno ricevuto le aveva rotto il naso, per questo non ce la faceva a respirare e la testa le scoppiava. Meno male che il sedativo aveva fatto effetto e ora riposava piuttosto tranquilla.
Dopo due ore l’ufficiale medico tornò nuovamente a rapporto da Ezra “Abbiamo eseguito l’eco termo scanner, il microchip è direttamente collegato al suo cervello. Da quello che ho potuto capire, da una prima analisi, credo che sia un generatore artificiale di ricordi, oppure un dispensatore d’informazioni a rilascio graduale, non saprei dirlo, magari è tutte e due le cose assieme” spiegò “È costruito con materiali un po’ obsoleti, ma è meravigliosamente perfetto, un lavoro da manuale”.
“Estraetelo!” comandò Ezra.
“Ma comandante ci vorrebbe un neurologo che agisse con la micro tecnologia laser, se lo estraiamo qui, con le mie competenze, potremmo causarle danni celebrali permanenti. È un chip con un programmino che andrebbe disinstallato, ma è criptato, non è una cosa così semplice. Servirebbe anche un programmatore” spiegò non senza agitazione il giovane medico.
“Non m’interessa. Potrebbe contenere informazioni importanti. Chissà cosa nasconde,  chi è e chi la manda…” sentenziò il comandante cinicamente, senza battere ciglio.
“Sì, ma se le viene leso il cervello, magari dopo non sarà più in grado di fare niente, non potrete interrogarla, non potrete neanche sapere nulla, né su di lei, né di quei semi, io non so se conviene…” provò a dire il medico.
“Forse hai ragione” ne convenne Ezra “Rimettila in piedi, prima la interrogherò e poi le toglierai quel microchip” tagliò corto azionando la sua sedia a micro propulsione elettronica, che ormai da tempo era la sostituta delle sue gambe.
Nel frattempo qualcuno non visto, da una certa distanza, attraverso un rivelatore ambientale microsonico, stava ascoltando tutto non credendo alle proprie orecchie, soprattutto riguardo alla spietatezza riservata a quella ragazza.

 

Harlock ci aveva messo pochissimo a far capitolare l’aiuto cuoco. Era un altro infiltrato mandato sempre da Ezra all’insaputa di Yama, per controllarlo e portare a termine la missione in caso suo fratello, per qualsiasi motivo avesse fallito. Era stato lui ad informarli ulteriormente su Joy, a fornire delle immagini di lei perché la riconoscessero. Durante l’assalto non l’aveva mai persa di vista comunicando poi, dove si trovasse.
Non era però al corrente di dove l’avessero portata e non era in grado di dare nessuna informazione utile per andare a riprenderla.
Era a tutti chiaro che il Capitano avesse una sola e unica preoccupazione: riportare Joy sull’Arcadia. 
Era furioso con se stesso, prima di tutto perché si riteneva direttamente responsabile di non averla protetta in maniera adeguata, e poi di non aver capito per tempo del secondo infiltrato, ma ovviamente non lo dava a vedere. Esternamente appariva contrariato, cupo, silenzioso ma distaccato e paurosamente calmo, solo Meeme capiva che dentro di lui doveva agitarsi l’inferno. Si sarebbe preoccupato per chiunque in quel modo, a maggior ragione per Joy, per la quale provava dei sentimenti contrastanti. 
Nel frattempo Yama arrivò di corsa trafelato “Capitano, Capitano!” -urlò- “So dov’è!” disse quasi senza fiato una volta davanti ad Harlock.
“Mi ha contattato la moglie di mio fratello. Era agitata, Joy è nell’infermeria di un distaccamento del quartier generale della Gaia Fleet, proprio su Filos. Dobbiamo tornare indietro, vogliono interrogarla e poi vogliono estrarle qualcosa dalla testa, non ho capito bene cosa. Solo che Nami dice che è pericoloso, molto pericoloso” concluse angosciato. Era tutta colpa sua. In realtà non era proprio così, ma lui se la sentiva tutta sulle spalle e ora avrebbe fatto qualsiasi cosa per rimediare. Anche andare in prima persona prendendosi tutti i rischi.
Harlock s’irrigidì e il suo volto si contrasse in uno spasmo di rabbia violenta. Che bravi a prendersela con una donna, pensò nauseato. Neanche per un momento dubitò delle parole di Yama. L’espressione angosciata del ragazzo era decisamente sincera.
“Harlock non vorrai dargli retta vero? Sicuramente è una trappola” gli disse Yattaran preoccupato.
“Non possiamo perderci in congetture, bisogna agire” rispose il Capitano calmo, poi fissò dritto negli occhi Yama e continuò ”Sì, mi fido di lui, sono certo che se anche fosse una trappola, alla fine prenderebbe la decisione più giusta” concluse.
Yama a quelle parole fece un cenno di assenso con la testa, cui Harlock rispose nella stessa identica maniera. Era deciso. Sarebbero andati a riprenderla. Quindi si diresse al timone dette ordini precisi sulla rotta: nuovo
 salto in skip direzione Filos.


Joy era in una stanza, piccola, umida e piuttosto fredda. Era seduta in una sedia con le mani legate dietro la schiena da due fascette di plastica che le segavano la carne dei polsi. La testa continuava a dolerle, sebbene molto meno di prima. Respirava a fatica e la luce che filtrava dalla finestra, le feriva gli occhi, tanto da farli socchiudere. Era molto confusa, assonnata e a malapena si rendeva conto di esser in luogo a lei totalmente sconosciuto, ma pian pianino le sembrava come rinvenirsi, fino a quando tutto fu più chiaro: era stata rapita da quelli della Gaia e ora doveva essere in qualche luogo di loro giurisdizione.
D’improvviso la porta si spalancò e fece il suo ingresso, un uomo giovane, su una specie di sedia a rotelle ultra tecnologica che procedeva navigando appena sospesa dal pavimento. Era vestito come se fosse un militare. Capelli scuri, occhi chiari, cerchiati da un paio di occhiali, resi di ghiaccio da una luce sinistra che ne caratterizzava lo sguardo. Sul viso aveva dipinta una smorfia ghignante. Sembrava essere malignamente soddisfatto.
“Iniettale il siero della verità e cominciamo” disse subito rivolto al giovane medico. Quello, senza neanche dire una parola, prese una specie di siringa e lei sentì un bruciore al braccio. Poi subito una sensazione di caldo e di formicolio in tutto il corpo.
“Ti è appena stato iniettato un composto che inibisce l’impulso celebrale della capacità di mentire. In poche parole sei chimicamente costretta a rispondermi la verità, qualunque domanda io ti faccia”.
Lei alzò la testa e lo guardò. Stranamente non aveva neanche paura, forse era per via di quel liquido? La sua testa era completamente vuota, ma al contempo anche confusa. Una sensazione stranissima. Aveva caldo e poi freddo, sudava, e poi il sudore le si gelava in tutto il corpo scuotendolo con forti brividi. Nonostante ciò era fermamente convinta che sarebbero venuti a prenderla. Era questione di tempo e sarebbero arrivati, lo sentiva.
“Comincia con il dirmi nome, cognome e pianeta di provenienza” le intimò Ezra.
Le parole le fluirono dalla bocca come se fossero dotate di vita propria. “Joy Takuro. Pianeta di provenienza: Terra”.
A quella risposta Ezra impallidì “Che cosa hai detto?” le chiese avvicinandosi minaccioso e colpendola sul viso con uno schiaffo che la fece quasi urlare di dolore.
“Nome, cognome e pianeta di provenienza, non puoi mentire! È impossibile!” le urlò contro rabbioso.
“Joy Takuro. Pianeta di provenienza: Terra” rispose nuovamente e meccanicamente.
Stava per colpirla di nuovo quando il medico si mise tra loro “Non sta mentendo. Cerchi di capire chi diavolo è questa donna, se continuerà a colpirla la farà svenire! E non saprà niente, il liquido ha una durata efficace di pochi minuti, lo sa no?” non gli piaceva quello che stava facendo il comandante era contro ogni legge etica.
“Chi sei? E perché porti il cognome da signorina di mia moglie?” le ringhiò contro.
“Sono la figlia del professor Teinosuke Takuro e non ho la minima idea di chi sia sua moglie” rispose stancamente sempre come se le parole agissero per proprio conto. Non c’era verso di non parlare e di non rispondere a ciò che le chiedeva. Era davvero una cosa frustrante, e anche psicologicamente molto stressante.
“Ma com’è possibile? Il Professore è morto vero?” commentò Ezra sinceramente stupito.
“No. Mio padre è vivo e vegeto, in questo momento si trova a Londra, sulla Terra” disse lei.
“Ma tu stai delirando! Sulla terra non c’è ombra di vita! Parla!” urlò isterico.
“Lui è sulla Terra ma non in questo momento temporale” rispose lei.
Ezra si calmò un attimo e si fermò a pensare, strabiliato da quella rivelazione. Sapeva che suo suocero aveva fatto studi sui nodi temporali e i salti nel tempo, quindi non era morto, era solo passato da una dimensione all’altra?
“Dimmi tutto dal principio e soprattutto come sei arrivata sull’Arcadia” le chiese. E lei malgrado volesse con tutte le sue forze non dirgli niente, gli raccontò tutto senza omettere nulla.
Ezra era sconvolto. “Non dirai una sola parola di tutto ciò a nessuno” poi chiamò in disparte il medico e parlottò con lui senza che lei potesse sentire niente.
Quindi tornò da Joy “Dimmi tutto ciò che sai su Harlock” le intimò. Fortunatamente lei non conosceva granché del Capitano, soprattutto riguardo i suoi piani, i suoi armamenti e le sue strategie.
“Da ciò che mi dici suppongo che tu non sappia neppure chi è, o meglio che cosa è realmente Harlock?” le domandò maligno quando ebbe finito.
“No” rispose lei.
“Non sai che è un mostro, un uomo che si è fatto contaminare da un’energia aliena che lo rende quasi immortale e che ha liberato quella stessa sostanza sulla Terra, rendendola un pianeta praticamente sterile e senza più vita?”.
“No” rispose ancora lei meccanicamente. Le sue capacità di reazione erano bloccate, ma dentro le si stavano agitando un tumulto di emozioni contrastanti. Era tutto così surreale, illogico, non sapeva più che pensare, cosa credere. E poi si domandava perché quelli dell’Arcadia non arrivassero. Possibile che Harlock la lasciasse lì, in balia di quel mostro motorizzato che le stava infiggendo sofferenza fisica e mentale? Che si fosse sbagliata su di lui? Che fosse quello che Ezra descriveva? Era molto confusa, come se fosse stata in uno stato catatonico e la sua coscienza interiore fosse scissa in due parti, una telecomandata e una normale, ma bloccata e inerte.
“Lavorerai per noi. Ti programmeremo e ti comanderemo a distanza e tu farai tutto ciò che noi vogliamo”.
“Neanche morta!” giurò. D'altronde doveva per forza dire la verità, le parole fluivano da sole nel bene, come nel male.
“Ogni tua opposizione è inutile, ti annienteremo la volontà. DOVRAI fare ciò che vogliamo noi. Non potrai opporti”. 
 

 

Davanti alla plancia di comando apparve Filos, dove sorgeva il distaccamento della Gaia Fleet. Erano arrivati.
“Yattaran tu sarai al comando in mia assenza. Ti autorizzo fin da ora a prendere qualsiasi decisione in mia vece” disse il Capitano abbandonando il timone. 
“Andremo solo io e Kei” continuò
“Ma Capitano!” lo interruppe Yama “ Io conosco molto be..”
“So quello che faccio, non preoccuparti. Tu starai qui perché speriamo che la donna che ti ha avvisato si rifaccia viva, potrebbe esserci molto utile un aiuto dall’interno” tagliò corto Harlock. “Ci terremo in contatto via radio. Se qualcosa dovesse andare storto, attaccate questa base e distruggetela. Lo farete anche se fossimo ancora dentro, sono stato chiaro?”.
Yattaran non era molto d’accordo, ma gli ordini del Capitano non si discutevano.
“Kei, te la senti?” chiese poi alla ragazza, non avrebbe voluto coinvolgerla in un’operazione così rischiosa, ma voleva lei per affidabilità, agilità e prontezza nei riflessi. 
“Nessun problema Capitano” rispose la ragazza con un sorriso fiero, non si sarebbe mai tirata indietro.
Detto ciò si avviarono verso il ponte per salire sulla navetta e andare a compiere quella missione, improvvisata e molto pericolosa.
Meeme non aveva proferito parola, ma era molto preoccupata. Anche Yama era piuttosto angosciato, ma per fortuna Nami lo ricontattò. Aveva compreso che volevano usare quella ragazza per qualche scopo, ma aveva perso tutta la parte dell’interrogatorio, perché il rivelatore ambientale microsonico aveva smesso di funzionare per via di alcune interferenze e la voci non arrivavano chiare. 
Yama la mise subito in contatto con Yattaran, che fece in modo che apparisse la sua proiezione sullo schermo dell’Arcadia per comunicare al meglio. La videro atterrita che seguiva in diretta ciò che accadeva e riferì che stavano per operare Joy, alla testa, in maniera piuttosto sconsiderata e arbitraria, che probabilmente per via di ciò, quella povera ragazza avrebbe subito delle gravissime conseguenze e danni celebrali permanenti.
Nami era distrutta, non si capacitava della crudeltà del marito, il quale non si era mai rivelato a lei sotto quella luce sinistra. 
Era sconvolta.
Yattaran avvertì immediatamente Harlock via radio, bisognava facessero presto, anzi prestissimo.

 

NOTE
eco termo scanner e
rivelatore ambientale microsonico sono termini molto fanta e poco scientifici inventati da me su basi di strumenti similari di cui non ricordo dove posso aver letto o sentito dire sempre in ambito fantascientifico :P
Il salto in skip in vece è canon nel film

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Capitolo 12
*** Danni Collaterali ***


Di seguito uno “spiego-riassunto” che vi può essere utile, per meglio comprendere la lettura della ficcina.

NOTE ESPLICATIVE AI FINI DELLA TRAMA
Il Dr.Teinosuke nell’anno 2977 era stato uno scienziato fisico nucleare, studioso delle porte e dei nodi temporali, appannaggio dell’ultima civiltà aliena: i Nibelunghi, con i quali aveva collaborato per qualche anno.
Sua figlia Nami era sposata da pochi mesi con il giovane comandante Ezra, una delle punte di diamante della flotta della Gaia Sanction, chiamata Gaia Fleet.
Aveva adottato Joy appena nata, selezionandola accuratamente tra tanti altri bimbi orfani e aveva dedicato tutta la sua vita ed il suo tempo ad istruirla, plasmarla ed a farle studiare quello che gli serviva per poi poterla preparare a questa dannata missione, in cui non erano contemplati né il rifiuto, né tanto meno l’opzione fallimento.
Le informazioni primarie gliele aveva fornite suo padre, impiantandole un microchip alla base della nuca, nascosto tra i capelli, le aveva costruito e cancellato dei ricordi prima, e raccontato una storia fasulla dopo. L’aveva trasformata in una specie di cyborg, ma senza alterare la sua volontà e il suo libero arbitrio. Le aveva manipolato solo i ricordi che lo riguardavano ed impiantato alcune sue conoscenze, per poterla far muovere meglio dove l’avrebbe spedita.

 

 

  .11.

 

DANNI COLLATERALI

Il dolore che quell’attrezzo infernale le procurava nella testa era insopportabile. Le sembrava le stessero trapanando il cervello.
Joy era stata legata bocconi, sul lettino dell’infermeria e un programmatore stava cercando di decriptare il suo microchip con un laser elettronico, direttamente infilato nel chip, provocandole degli spasimi insopportabili. In realtà ciò che le procurava dolore era causato da forti scariche elettriche che quel marchingegno emetteva, cercando di forzare il codice cifrato di accesso ai dati. Il professore lo aveva protetto bene, non sarebbe stato facile manometterlo. L’idea era quella di riprogrammarlo per poterla poi comandare a distanza. 
Era stato organizzato tutto in fretta e furia, senza neppure prendersi la briga di anestetizzarla, perché Ezra aveva intercettato l’Arcadia e temeva che potessero arrivare da un  momento all’altro. Aveva elaborato quel piano e ora voleva solo riuscire a metterlo in pratica. Per fortuna però, poco dopo, i pirati, avvertiti da Nami, avevano nascosto la nave con un ologramma e proiettato la sua immagine da tutt’altra parte rispetto a dove si trovavano, confondendo i nemici.
Intanto Harlock e Kei erano furtivamente entrati nella base. Si muovevano con circospezione, rapidi e silenziosi come due felini, con le cosmo gun in pugno, pronti a neutralizzare chiunque si fosse palesato sulla loro strada.
Nami, attraverso Yama, li aveva subito indirizzati nell’ala dove si trovava Joy. Era piuttosto deserta perché era la parte dedicata al pronto soccorso e non necessitava di particolare protezione. Nessuno sapeva che la ragazza fosse lì, quindi non temevano certo irruzioni.
Harlock aveva facilmente disinserito l’allarme, sempre su suggerimento di Nami, ed ora era alla ricerca di Joy, supportato da Kei, che lo seguiva coprendogli le spalle. Controllarono varie stanze fino a quando finalmente, richiamati da alcuni lamenti, riuscirono a capire dove fosse esattamente.
Aprirono appena la porta della stanza, facendo così piano che quelli dentro non si accorsero della loro presenza.
a ragazza era distesa in un lettino ed un uomo stava operando con un attrezzo strano, direttamente dentro la sua testa. L’immagine era piuttosto raccapricciante, dato che Joy era legata, mentre di fianco un giovane medico guardava il tutto con apprensione. C’erano solo loro tre. Ezra, che era in sala computer a cercare di capire i movimenti dell’Arcadia, non poteva certo immaginare che sua moglie stesse aiutando quei pirati a violare la base.
Harlock e Yuki si scambiarono un’occhiata d’intesa. Senza parlare si capirono ugualmente, lui sarebbe entrato, lei gli avrebbe fatto da fuoco di copertura.
Il pirata ruppe ogni indugio ed penetrò nella stanzetta, puntando l’arma direttamente alla testa del programmatore.
“Smetti immediatamente” sibilò.
Joy che era legata bocconi non poteva vederlo, ma come sentì la sua voce fu colta da un’ondata di autentica felicità. Non ci sperava quasi più e nonostante in quel momento fosse parecchio dolorante, si preoccupò subito del medico. “No..n  spa..ra..re  al dott..tore” disse a fatica, quell’affare la faceva davvero soffrire “È l’u..ni..co  che ha ten…ta..to di aiu..ta..r..mi”. 
“Stai calma ora. Non parlare” disse Harlock, scostandole delicatamente i capelli e guardandole la testa dove era infilato quel marchingegno, da cui ogni tanto, sfrigolando, lampeggiava una piccola scarica elettrica.
“Levalo!” intimò al programmatore, guardandolo con odio.
“Fai attenzione” disse il medico, poi guardò Harlock e nonostante fosse impaurito disse: “Deve fare piano potrebbe causare dei grossi guai alla ragazza”.
Il Capitano guardò malissimo anche lui. Era fuori di sé, istintivamente li avrebbe ammazzati tutti e due, ma era necessario mantenere la calma, ora più che mai.
Il programmatore eseguì e cercò di fare del suo meglio, di certo non voleva morire per mano dei pirati. Velocemente, sebbene con mano tremante, scollegò il laser elettronico: come lo fece, fu tramortito da Harlock con un colpo alla testa, che subito dopo riservò lo stesso trattamento anche al medico, non poteva correre il rischio che dessero l’allarme. Joy senza quel laser collegato al chip si sentì subito riavere. Il dolore cessò immediatamente. Intanto Harlock insieme a Kei la liberò dai lacci e lei finalmente si poté alzare e girarsi. Come la videro in faccia, rimasero entrambi malissimo. Aveva gli occhi gonfi, pesti e circondati da un livido violaceo, il naso tumefatto. Joy notò le loro facce e si rese conto che doveva essere conciata proprio male. Harlock le si avvicinò e le sfiorò una guancia con la mano guantata “Stai bene? Ce la fai a camminare?” le chiese, con una tenerezza e una premura che la colpirono profondamente. Anche se per qualche attimo aveva dubitato, era certa che sarebbero venuti a prenderla. Non si era sbagliata su di lui. Ne era felice.
“Non sto poi così male, non fate quelle facce, che mi fate preoccupare” disse, alzandosi da quel lettino “Prima mi hanno sedata e sono un po’ stordita, ma ce la posso fare. Grazie di essere venuti” disse infine frastornata, ma abbozzando un mezzo sorriso.
Kei le si avvicinò “Ti insegnerò a difenderti ed a sparare, nessuno si permetterà mai più di farti una cosa del genere, te lo prometto!” e le offrì la spalla per appoggiarsi a lei, mentre Harlock andava avanti ad aprir loro la strada.
Mentre erano nel corridoio che si dirigevano velocemente verso l’uscita, scattò l’allarme.
Dovettero muoversi ancora più in fretta. Fecero appena in tempo a scappare ed a salire sulla navicella, che da sotto cominciarono a sparargli contro. Fu solo grazie all’abilità di pilota di Harlock se ne cavarono le gambe illesi e poterono far ritorno sull’Arcadia sani e salvi.
Non fecero neanche in tempo a salire sulla nave, che Joy fu affidata immediatamente alle cure del dottor Zero, l’ufficiale medico di bordo. 
Tutti volevano sapere e vedere come stava.
Yama, che si sentiva colpevole, quando la vide provò una tale rabbia per suo fratello che se l’avesse avuto per le mani, l’avrebbe strozzato.
Masu, che aveva dubitato di lei accusandola, mentre Joy aveva anche cercato di difenderla.
Yattaran,  che nonostante tutto stava cominciando ad affezionarsi a quella ragazza così diversa dalle altre donne di bordo. 
Meeme, che con la sua sensibilità particolare era la più preoccupata di tutti.
Furono però allontanati dal medico, compreso Harlock a cui promise che lo avrebbe chiamato appena conclusi tutti gli esami.

“Allora signorina. Ora ti farò una punturina, così mentre tu ti farai una bella dormita, io vedrò un po’ come stai e rimetterò a posto quel tuo bel nasino. Tornerai come nuova, non ti preoccupare” le disse l’uomo con un sorriso rassicurante.
Joy si affidò serenamente alle mani del dottor Zero che la tenne sotto osservazione tre giorni, sempre completamente sedata.
Quando si risvegliò, si rese conto che si trovava ancora in infermeria. Era intontita e ancora dolorante, ma si sentiva decisamente molto meglio. Si alzò piano e andò in bagno. Lì poté vedere che aveva ancora il viso un po’ tumefatto. Non era superficiale, o particolarmente vanesia, ma ci rimase comunque male nel vedersi così conciata. Aveva ancora un livido verdognolo, tipo mascherina, sotto gli occhi e il naso era piuttosto gonfio, sebbene fosse perfetto e non storto come avrebbe immaginato. All’improvviso si accorse di qualcosa di anomalo alla testa, si toccò e si rese conto che le avevano rasato la nuca e che le avevano applicato una garza. Se si toccava, sentiva male come se avesse avuto qualcosa infilato nella carne.
Tutto sommato le era andata bene.
Man mano che il tempo passava però, si rese conto che la sua testa stava elaborando un sacco di informazioni che le giungevano come nuove. La investì come un’ondata, una quantità enorme di ricordi ed informazioni che non sapeva di avere e non riusciva a capire che le accadesse.
Londra, la sua casa, la scuola, il laboratorio, le Ande, l’incidente, suo padre, i suoi amici, la sua vita, il suo primo bacio e molto altro ancora. Della sua vita su Gorianus invece buio completo, a parte gli accadimenti più recenti, cioè quelli riguardanti l’immediata antecedenza al suo arrivo sull’Arcadia.
Si spaventò a morte. Che diamine le stava succedendo?
All'improvviso sentì come una scarica alla testa e il dolore che prima era assente la investì di colpo, in maniera violenta. A fatica raggiunse il lettino e fu in quel momento che entrò il dottor Zero e le fece un’iniezione. Piano, piano trovò sollievo.
“Che mi sta accadendo?” chiese sgomenta.
“Niente di grave” la rassicurò il medico “Hanno lesionato il microchip che hai in testa, probabilmente volevano riprogrammarlo, ma non ci sono riusciti. Lo hanno solo guastato, così non funziona più come dovrebbe e hai riacquistato i tuoi reali ricordi. Yattaran dice che ti è stato impiantato per toglierti alcuni ricordi e costruirne altri” le spiegò.
Lei era sbigottita: un microchip nella testa? Neanche sapeva di averlo. No, non era possibile, tutto ciò era assurdo, suo padre le aveva fatto questo? Le aveva condizionato la memoria, modificandola come se fosse una cosa e non una persona? Per mandarla lì?
Fu una scoperta agghiacciante.
Il medico minimizzava “Dovrai tenere a portata di mano qualche antidolorifico. È probabile che questi mal di testa ti diano fastidio a lungo, ma come vedi, sappiamo come tenerli a bada. Ora ti faccio accompagnare in cabina, cerca di riposare e di mangiare, così ti rimetterai in forze. E non ti preoccupare per il tuo nasino, te l’ho rimesso a posto. Tornerà anche meglio di prima, si deve solo assorbire l’ematoma”.
Fu Kei ad accompagnarla alla sua cabina, insolitamente taciturna la ragazza le regalò un caldo sorriso e le raccomandò di riposare. Le disse anche che più tardi avrebbe ricevuto altre visite e da mangiare.

Harlock era in infermeria con Yattaran e il dottore, il quale appariva seriamente preoccupato.
“Non è una bella faccenda” - gli stava spiegando - “Hanno fatto dei danni e a mio parere temo che siano irreversibili”.
“In che senso?” chiese costernato il Capitano.
“Non lo so di preciso. Forse è meglio che la parte tecnica te la spieghi lui” disse girandosi verso il primo ufficiale. 
“Quel chip non può più essere rimosso, credo che si rischierebbe grosso solo a provarci, anche la morte celebrale. Andrebbe portata in un centro specializzato e soprattutto andrebbe rintracciato chi lo ha costruito e impiantato. Noi possiamo solo andare per ipotesi, ma l’impiantatore sa esattamente i collegamenti che ha fatto. Lui solo sa, se si possono interrompere senza causare danni. Insomma è un pasticcio” spiegò Yattaran ad Harlock.
E il dottor Zero aggiunse: “Però non è detto che debba per forza peggiorare. Potrebbe semplicemente rimanere così. L’unica cosa importante è sedare immediatamente gli attacchi, se e quando ci saranno. Dato che si tratta di micro cortocircuiti che vanno ad intaccare anche l’elettricità celebrale, è assolutamente necessario che vengano fermati al loro insorgere, così da evitare danni. Di più davvero non so che dire, né che fare. Mi dispiace” .
Harlock aveva ascoltato tutto senza neanche muovere un muscolo facciale. Era basito. Si rendeva conto che quella ragazza era stata usata da qualcuno in maniera ignobile e non c’erano giustificazioni di sorta che potessero attenuare la colpa dell’autore di quell’impianto. Così facendo l’aveva esposta a gravi percoli, e infatti una volta in mano al nemico ecco che era successo il peggio. Si trattava di una persona, non di una macchina. Era anche per questo genere di cose che aveva intrapreso quello stile di vita, non sopportava queste manipolazioni e queste violenze fisiche e psicologiche.

Quel pomeriggio era stato un via vai costante nella cabina di Joy.
Il primo ad andare a trovarla era stato Yama. Avevano finito col parlare un sacco. Lui le aveva chiesto scusa talmente tante di quelle volte che alla fine, all’ennesima costernazione del giovane, lei era addirittura scoppiata a ridere. Le faceva quasi tenerezza. Ovviamente non gli disse niente riguardo al padre di Nami, che lei credeva essere anche suo padre, poiché non era a conoscenza di essere stata adottata. Non era ancora certa di potersi fidare totalmente di lui, preferì tacere, anche se era molto curiosa di conoscere Nami. Mentre Yama era ancora lì che le parlava, notò che non assomigliava affatto a suo fratello. Ezra era moro e lui era castano chiaro, Erza aveva gli occhi azzurri e lui marroni, persino i lineamenti dei loro visi erano diversi, eppure Yama le ricordava qualcuno, ma chi? La sua testa ora era troppo satura di informazioni, ci avrebbe pensato in seguito. Si domandava se lui fosse completamente dalla loro parte, dopo tutto era una spia, ma il suo sesto senso le diceva di sì e poi se era ancora vivo e sull’Arcadia, significava che doveva essere per forza degno di fiducia.
Subito dopo arrivò Masu, che le portò un vassoio pieno di roba da mangiare. Non fece che piagnucolare disperata e toccò a lei consolarla e rincuorarla. Joy continuava a ripeterle che non era arrabbiata e che tutto era a posto tra loro. Finalmente, dopo un bel po’, la cuoca si calmò. Riuscì addirittura anche a fare una delle sue caustiche battute, segno che la crisi era davvero superata.
Poi fu la volta, a sorpresa, anche di Yattaran. Le offrì anche lui il suo aiuto per insegnarle l’autodifesa, e la fece anche ridere parecchio, mimando alcune mosse di combattimento. Ma non le disse niente riguardo il chip.
Anche Meeme fu tra quelli che andarono a sincerarsi che stesse bene.
Sul tardi passò anche Kei e fu molto carina e comprensiva, quasi come una vecchia amica.
Tutti erano andati a trovarla, meno Harlock. Questa cosa le dispiacque molto. Ogni volta che bussavano a quella porta, lei sperava che fosse lui e invece niente. Per carità, non è che si aspettasse chissà che, ma le sarebbe bastato solo vederlo. Aveva ancora davanti agli occhi la sua espressione di quando l’aveva liberata. Quello sguardo così pieno di dolcezza e preoccupazione le aveva scaldato il cuore, le sarebbe bastato riceverlo ancora una volta, di più non avrebbe preteso. Oltre tutto in questo momento era così frastornata e così fragile, che si sentiva ancora più fuori posto di prima. 

Nel frattempo invece, Harlock era stato per molto tempo nella sala del Computer Centrale. Poi era andato nella sua cabina. 

Joy era seduta sul letto a gambe incrociate. Stava cercando di ricordare tutto ciò che le era ritornato alla mente, dopo la manomissione del chip. Prima con tutto quel via vai di persone si era distratta, ma ora da sola stava facendo i conti con i pensieri, i ricordi e le sensazioni.
Voleva riappropriarsi della sua reale identità, anche se era una cosa dolorosa scoprire tutte quelle cose su suo padre. Soprattutto le sue menzogne, che adesso le apparivano così chiare e tremendamente ingiuste. Come poteva averla ingannata così? Ma soprattutto, come poteva un padre mandare la figlia allo sbaraglio lontana anni luce?
Un lieve bussare alla porta la riportò alla realtà. E ora chi era? “Avanti” disse stancamente. L’aveva atteso tutto il giorno, ma a lui ora, proprio non ci aveva pensato. Così quando lo vide entrare, informale, senza mantello, senza guanti e armi, solo con i pantaloni e il maglione che punrava sempre dalla giacca di pelle, rimase sinceramente stupita.
Lui glielo lesse in faccia “Disturbo?” chiese incerto. 
“No..no!” rispose Joy, toccandosi nervosamente i capelli. Doveva essere un mostro, pensò, e subito dopo averlo pensato si dette mentalmente della cretina, ma perché ogni benedetta volta che aveva a che fare con lui, il suo cervello andava in pappa?
“Come stai?” chiese lui, fissandola non senza un velo di preoccupazione nello sguardo.
Quella cabina era troppo piccola e non sapeva come comportarsi. Lo doveva lasciare lì in piedi a torreggiare su di lei, lo doveva fare accomodare? Sì, ma dove sul letto? Anche no! 
Ci pensò lui che in modo molto naturale, si sedette proprio sul bordo del letto. Joy abbozzò un sorrisetto tirato “Sto bene direi, per quanto si possa stare bene dopo una avventura del genere” ammise sincera.
Non era una di quelle donnette lagnose, altra cosa che colpì in modo positivo Harlock. Le prese delicatamente il mento con una mano, e le girò sempre molto gentilmente il viso da una parte e poi dall’altra, guardando con attenzione il livido e il gonfiore del naso. 
“Sembra che stia migliorando, ti assicuro che facevi spavento” disse levando subito la mano.
Era molto premuroso e naturale nei suoi gesti, ma le pareva comunque distaccato e questo malgrado tutto, le dispiaceva. Nelle sue attenzioni non ci trovava niente di particolare che la potesse indurre a pensare diversamente che ad un nomale interesse, che avrebbe potuto avere per chiunque a bordo. 
Nonostante ciò il contatto della sua mano, sul suo viso, era stato piacevole. Era la prima volta in assoluto che la toccava senza la barriera dei guanti.
“Quindi ero proprio orrenda” sorrise, cercando di fare dello spirito. Non sapeva bene che dire e che fare, con lui seduto sul suo letto, che si comportava come se fosse la cosa più normale del mondo, mentre per lei non lo era affatto.
Il pirata abbozzò un mezzo sorriso “Non era esattamente questo che intendevo dire. E comunque non eri orrenda” precisò.
Ci fu un attimo di silenzio che parve eterno. Poi Harlock parlò di nuovo “Il dottore dice che devi sempre portarti dietro i calmanti che ti ha dato” cominciò a spiegarle cauto “Appena dovessi avere un attacco di forte dolore, non devi indugiare, devi prenderli immediatamente. Capito?”.
“Sì” disse lei, poi lo guardò un po’ più attentamente “C’è qualcosa che dovrei sapere?” chiese preoccupata. Non era poi così sprovveduta, anche se lui dissimulava bene, aveva capito che se si era preso la briga di farle quella raccomandazione anche lui, probabilmente c’era qualche motivo serio.
“Niente di così grave, o preoccupante, ma è giusto che tu sappia che potresti soffrire di questi attacchi e che per il bene della tua salute vanno stroncati sul nascere. Abbiamo la cura, devi solo usarla. Sarebbe un po’ come per i malati di diabete che devono fare l’insulina quando cala quella naturale. In soldoni, il concetto è più o meno lo stesso, ma prima di fasciarci la testa vediamo che reazioni avrai. A proposito hai avuto ancora mal di testa da questa mattina?”.
Lei fece cenno di no. Questa novità non le piaceva per niente.
“Insomma mi stai dicendo che mi hanno rovinata per sempre?” chiese senza mezzi termini.
“No. Sto dicendo che potresti avere questo problema, ma non ne siamo certi. Insomma, considerando che ti hanno manomesso un chip collegato al cervello, direi che ti è andata di lusso” rispose lui tranquillo, per calmarla. Il suo autocontrollo era utilissimo in circostanze come questa, in cui riusciva a dissimulare bene i veri sentimenti che provava. In quel preciso momento era molto preoccupato e frustrato, si sentiva impotente, non poteva far altro che rassicurarla, mentre in realtà avrebbe voluto solo ammazzare chi le aveva fatto quella cosa orrenda. 
Istintivamente lei si toccò dove aveva la fasciatura “Neanche sapevo di averlo questo coso” commentò amaramente. Poi si girò verso l’oblò e guardò fuori “Sarebbe stato meglio se non mi fossi ricordata niente” aggiunse in un soffio. Le era salito un gran malumore tutto insieme.
“Mi dispiace essere stato duro con te in passato” ammise Harlock “Non immaginavo che potessi essere così sincera come dicevi”.
Lei si girò e lo guardò E non sai ancora tutto! Le venne poi anche di pensare alle parole di Ezra: Quindi tu non sai neppure chi è, non sai che è un mostro, un uomo che si è fatto contaminare da una energia aliena che lo rende quasi immortale e che ha liberato quella stessa sostanza sulla Terra, rendendola un pianeta praticamente sterile e senza più vita.
Non aveva più ripensato a quelle parole, ma ora eccole lì, perfide, che le ronzavano in testa. Doveva fidarsi di lui? Anche di suo padre si fidava ciecamente e guarda in che cosa l’aveva cacciata. In un mondo sconosciuto, distante anni luce dal suo, dove probabilmente sarebbe morta sola e senza possibilità di poter mai far ritorno a casa. Se ci pensava rabbrividiva.
Se non si poteva fidare di suo padre, poteva fidarsi di un pirata?
Certo Harlock era affascinate, bello e misterioso, ma lei poteva dire di conoscerlo? Di capirlo? Di sapere realmente chi fosse? Ora era lì seduto sul suo letto e le diceva che aveva un circuito rotto in testa, che avrebbe dovuto farsi quelle micro iniezioni ogni volta che il dolore l’avesse assalita e poi? Sarebbe probabilmente tornata a fare quello per cui era salita su quella nave. Magari sarebbe riuscita anche nel suo intento, perché era brava nel suo lavoro, ma dopo? Sarebbe potuta rientrare sulla Terra, a Londra, a casa sua?
Lui notò che non parlava. Che lo guardava, ma che sembrava essere altrove, immersa in chissà quali pensieri. Era diversa da prima, probabilmente ricordare le aveva provocato un trauma.
“Forse è meglio che io vada” disse Harlock, rompendo il silenzio. Non voleva imporle la sua presenza. Non aveva mai capito che cosa lei provasse per lui. A volte aveva creduto anche di piacerle, altre invece aveva pensato che lo detestasse cordialmente. 
“Scusa stavo pensando” ammise lei “È tutto piuttosto strano, e non ti nascondo anche un po’ angosciante, ora che è tutto chiaro nella mia testa” - spiegò sommariamente - “Non che abbia scoperto di essere qui per motivi diversi da quelli che ti ho sempre detto. Il problema è il modo in cui sono stata usata, che mi sconcerta” ammise a voce alta a lui, ma anche con se stessa.
“Ucciderò chi ti ha fatto questo, te lo prometto, dovessi metterci l’intera eternità: lo farò”. Ed era assolutamente sincero.
Le parole pronunziate con una freddezza determinata e così inaspettate di lui la sorpresero, ma la sua reazione fu quieta e amara al tempo stesso “No non lo farai. Si tratta di mio padre e lui vive in un arco temporale diverso da questo. Anche se in qualche maniera riuscissi a fare un salto temporale, cosa di cui dubito fortemente, io non ti perdonerei mai se tu uccidessi mio padre, nonostante ciò che ha fatto, rimane il mio unico genitore in vita”.
Lui aggrottò la fronte. Ora era davvero scosso. Quindi lei non era di quel mondo. Questa rivelazione lo sconcertò oltre ogni dire. La cosa inoltre, lo portò rapidamente ad una serie di riflessioni sulla teoria dei nodi temporali: pertanto aveva visto giusto, il tempo non era davvero un ostacolo insormontabile, se lo si poteva saltare, era ragionevolmente credibile pensare che lo si potesse anche riavvolgere, o sciogliere.
“Allora ucciderò unicamente quel bastardo che ti ha manomesso il chip” concluse fatale alzandosi.
“Ma non servirà a niente” protestò lei debolmente, non voleva essere la causa della morte di nessuno.
“Lo so. Ma mi darà un’enorme soddisfazione” ribatté Harlock, prima di congedarsi e lasciare la sua camera. Doveva tornare di corsa nella sala del Computer Centrale.
Improvvisamente a Joy quella stanza sembrò più grande. Si lasciò cadere lunga distesa sul letto e chiuse gli occhi. Cercò nel sonno quella pace di cui in quel momento aveva davvero tanto bisogno.

 

NOTE
il Dottor Zero è un’altra delle “piccole contaminazioni” del multiverse in cui accenno nell’intro della FF
Computer Centrale è scritto maiuscolo per un motivo, che potete intuire (che alcuni già sanno) ma che scoprirete più avanti nella storia

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Capitolo 13
*** L'allieva ***


Buonasera a tutti! Eccoci qua come ogni fine settimana con il consueto appuntamento del RI-postaggio, sempre uno di seguito l’altro, di due nuovi capitoli, rivisti, corretti e sfrondati.
Un grazie a chi segue questa storia, a chi l’ha messa tra preferiti e ricordati, a chi la recensisce e anche a chi legge silenziosamente, siete tanti e vi ringrazio di cuore perché davvero è stata per me una piacevole sorpresa!

Buona lettura a chiunque passi di qua!

  .12.

 

L’ALLIEVA

A Joy ci volle qualche giorno per rimettersi completamente. La testa le dava ancora qualche problema, ma per fortuna di nuovi attacchi non ne aveva avuti. Il naso era quasi del tutto sgonfio e anche il livido era in via di completa guarigione. Non ce la faceva più a stare chiusa in cabina a fare la convalescente, quindi quella mattina si vestì e andò direttamente dal dottor Zero.
Gli manifestò la sua smania di tornare alla sua vita normale e lui, dopo averla visitata, non trovò nessun reale impedimento a ciò che gli stava chiedendo. Anzi, era piuttosto contento che non avesse avuto altri mal di testa violenti, forse si era sbagliato, e quei danni causati dalla manomissione del chip erano meno gravi di quello che aveva temuto.
Soddisfatta del responso del medico, Joy si diresse subito in plancia da Harlock. Era stato strano in quei giorni. Era andato a trovarla, ma non molto spesso e sempre di fretta, si mostrava premuroso, a volte anche troppo, ma al contempo era sempre molto distaccato. Era davvero impossibile capire che gli passasse per la testa. Ad ogni modo stava andando da lui per avvisarlo che stava bene e che voleva mettersi al lavoro, avrebbe potuto evitare di dargliene comunicazione, ma riteneva giusto rispettare la sua autorità. Come sempre lo trovò seduto su quella specie di trono, pensieroso e solo. Mentre si avvicinava e lo osservava, rifletté sul fatto che non dovesse essere molto felice. La sua vita era tutta circoscritta a quella nave e lui stava quasi sempre in disparte, in solitudine e spesso nella semi oscurità. Lo aveva visto sorridere pochissime volte e questo le dispiaceva molto. Era ancora giovane, perché se ne stava a fare l’eremita, così, come se fosse quasi inerte e succube della vita? Eppure era certa che non fosse di natura così cupo. Avrebbe voluto parlargli di ciò che le aveva detto Ezra, per scoprire se  fosse vero quello che le aveva raccontato, magari era per quello che era sempre così grave, ma si tratteneva, perché con lui non sapeva mai come comportarsi. A dire il vero non credeva affatto che fosse un mostro alienizzato. Avrebbe davvero voluto avere più confidenza con lui, ma ogni qual volta le sembrava di aver fatto un passetto avanti in quel senso, puntualmente lui si ritirava come un riccio. Era così frustrante.
Il pirata la vide arrivare e si agitò subito: “Come mai non sei nella tua cabina?” le domandò, senza neanche darle il buongiorno. Era ossessionato dal fatto che potesse star male.
“Perché ho intenzione di andare in laboratorio, ma è chiuso” rispose Joy diretta.
“Non se ne parla nemmeno. È meglio se te ne torni a letto”.
“Come scusa?” domandò lei, leggermente infastidita da quel tono quasi autoritario. Aver riacquistato la sua memoria e la sua identità, le aveva restituito gradatamente anche un po’ più di consapevolezza. Che ora la comandasse a bacchetta come se fosse una bambina non le andava a genio.
“Credo di essere stato chiaro” ribadì più calmo “Non è il caso che ti affatichi” provò più morbidamente.
“A parte il fatto che non sta a te decidere. Non mi affaticherò, in laboratorio starò seduta e tanto perché tu ti metta l’animo in pace, ho avuto il benestare del medico”.
“Bene. Andrò anche io a parlare con il dottor Zero e poi vedremo”. 
Sarà stato che erano giorni che era rinchiusa, che lo stress che aveva subito era stato davvero molto forte, e sarà anche stato che lui la faceva dare di matto e che di fatto non si capivano quasi mai, ma la sua frustrazione era ai massimi livelli, e si spazientì davvero tanto.
“Non credo proprio che tu possa impormi le tue idee” gli rispose appena acida “Sono grande abbastanza da decidere per conto mio. Non sei né mio padre, né mio fratello, né tanto meno mio marito, quindi datti pace, perché io ora andrò dritta in laboratorio, con o senza il tuo non richiesto permesso!” sbottò.
Se non fosse stato preoccupato, sull’ultima parte della frase, Harlock avrebbe sorriso divertito. “Non volevo imporre niente a nessuno” le rispose a sorpresa. “Pensavo solo fosse meglio per te stare a riposo. Se è così importante, va bene, vai pure in laboratorio. Te lo concedo” disse benevolo, non voleva farla arrabbiare, era seriamente preoccupato, soprattutto per la sua condizione fisica, perché si riteneva responsabile, e anche perché inconsciamente riaffiorava nel suo inconscio, quanto avesse sofferto all’epoca del suo primo grande amore, a causa della sua salute cagionevole. Anche se però non gli era chiaro il fatto che dicesse di non volere il suo consenso, quando in realtà, secondo lui, era lì a chiederlo.
“Me lo concedi?” chiese lei ancora con una punta polemica nel tono della voce.
“In caso l’avessi dimenticato sono sempre il Capitano di questa nave, e qui non si muove foglia che io non voglia. E comunque la chiave del laboratorio ce l’ho io, quindi…” rispose. Questi scambi di battute con lei, era inutile girarci intorno, gli piacevano, anche se non lo dava mai a vedere. E anche questa volta, malgrado la preoccupazione genuina e sincera per il suo stato fisico, non poté fare a meno di trovarla amabilmente buffa. Era una ragazza particolare, che stuzzicava sempre in qualche modo il suo interesse, non la trovava mai prevedibile. Era rimasto anche molto colpito da come si fosse difesa durante l’attacco. Benché non avesse la minima cognizione di come combattere, si era comportata con coraggio fino alla fine. Aveva preso un pugno in faccia, da quando era tornata non aveva mai fatto neanche una volta la vittima e non aveva nemmeno messo in croce Yama. Certo era appariva più inquieta e anche forse più triste del solito, ma lui era rimasto sinceramente colpito da questo suo comportamento così dignitoso. Averla vista stare così male, gli aveva come rivoltato qualcosa dentro, era come se gli si fosse aperto uno squarcio da cui inevitabilmente fossero fluiti fuori certi sentimenti, sopiti ormai da tempo immemore. Per non parlare del rapimento. Ecco, lì aveva capito che quella ragazza era pericolosa per lui, perché al solo pensiero che potessero farle del male, aveva quasi perso il controllo. Per un attimo, dopo averla liberata, aveva carezzato l’idea di far saltare in aria quella base, facendo morire tutti, anche chi non centrava niente, e questi non erano certo pensieri da lui. Così le stava alla larga, perché doveva fare chiarezza su quello che gli stava capitando, non che potesse ignorarlo in eterno, ma al contempo non voleva neanche affrontarlo, ne era spaventato. Le emozioni erano il suo tallone d’Achille, così pensava, perché la sofferenza che aveva provato quando era morta Maya lo aveva quasi distrutto e lui aveva giurato che mai più sarebbe accaduto e che comunque nessuna, avrebbe mai potuto sostituirla. Fino ad allora, nessuna donna aveva mai potuto neanche sognarsi di competere con lei.


Joy fece una smorfia ma non replicò, forse aveva esagerato, ma a volte lui aveva il dono di farla contrariare.
Poco dopo quello scambio di battute, ottenuta la chiave, si ritrovò da sola nel laboratorio, completo di tutte le attrezzatura che aveva richiesto. Anzi a dire il vero erano tecnologicamente molto più avanzate di quelle che era solita usare lei. Ne fu entusiasta.
Si mise subito a lavoro e il tempo le volò via, come in un soffio.
Aveva proprio bisogno di fare qualcosa a lei congeniale e che la riconciliasse con il suo passato, con cui stava ancora facendo i conti, soffrendo molto. Il suo lavoro era anche la sua più grande passione e comunque aveva intenzione di portare a compimento ciò per cui era stata mandata là. Si impose di pensare solo al presente e di non farsi domande su quello che sarebbe accaduto dopo, così si tranquillizzò.
Per riuscire intanto a clonare i semi, cominciò ad isolare una popolazione di cellule che discendeva da un unico nucleo di uno stesso seme. A quel punto le cellule, che lei sperava aderissero, avrebbero proliferato e formato delle colonie; le quali, attraverso la crioconservazione, mantenendosi a temperature molto basse, in congelatori dove ci sarebbe stato azoto liquido, avrebbero creato una sorta di banca cellulare, che sarebbe stata utile per evitare contaminazioni e per mantenere intatta la sua coltura, con rischi e problematiche poco elevate. Così si sarebbe procurata il materiale da impiantare, una volta trovato il giusto terreno che lo potesse accogliere.
Era un processo lungo e delicato, ma lei sapeva il fatto suo e per fortuna ora aveva tutto il necessario per poterlo fare. Di lì a qualche tempo, almeno di semi ne avrebbe avuti ed in abbondanza.

Nel frattempo Yama era andato a colloquio con Harlock. Era presente anche Kei, stavano discutendo su suo fratello Ezra e del perché non avesse tentato subito un contro attacco all’Arcadia.
“Sicuramente sta tramando qualcosa” stava spiegando Yama “Non è da lui mollare così la presa e da quando avete salvato Joy, sembra sparito. Questo mi fa pensare che abbia qualche piano in mente, magari qualcosa di elaborato e che voglia coglierci di sorpresa. Quello che mi preoccupa invece e molto, è che Nami non si sia fatta più sentire” aggiunse serio, fissandosi la punta delle scarpe. 
“Tu non riesci a contattarla in qualche modo?” gli chiese Kei. Il ragazzo scosse la testa in senso di diniego. Era davvero in ansia per la giovane cognata, sapeva quanto potesse essere aggressivo ed intollerante suo fratello. 
“E se ti mandassimo da lui? Se fingessimo che non hai tradito, che sei ancora dalla sua parte?” propose Kei.
“Non credo che Ezra sia così stupido” commentò Harlock. Anche lui pensava che quella Nami potesse essere stata scoperta. Il fatto che Yama, da quando li aveva aiutati, non l’avesse più sentita, gli faceva pensare che potesse esserle accaduto qualcosa, ma non disse niente. Non voleva angustiare il ragazzo. In qualche modo, prima o poi, lo avrebbero scoperto. Voleva avere uno scontro con Ezra, lo voleva ammazzare, ma questo omise di dirlo, dopo tutto Yama era suo fratello, non poteva dire così a cuor leggero che voleva ucciderlo.
Una volta congedatisi da Harlock, per Yama e Kei fu tempo di chiarirsi.
“Non abbiamo più parlato della faccenda, perché c’erano altre cose più importanti da fare, ma sappi che ti tengo d’occhio” disse la ragazza.
“Nessun problema, ormai non ho più niente da nascondere” ribatté Yama.
“Sarà bene per te carino, perché ci metto due secondi due, a sforacchiarti quella testolina” rispese la bionda, picchiettando l’indice sulla fronte di lui.
“Dì la verità Yuki, non ti pare neanche il vero di starmi alle costole dalla mattina alla sera” disse Yama, con un sorrisetto a metà tra il divertito e il compiaciuto.
“Ti piacerebbe eh ragazzino? E poi che sono queste confidenze? Yuki mi possono chiamare solo il Capitano e Yattaran”.
“Disse la donna vissuta, che aveva solo tre anni più di me” la rimbeccò lui sfottendola.
Era più forte di loro. Resistevano poco senza punzecchiarsi a vicenda.
“Credi che sia tutto un gioco?” disse la pirata più seria “Hai rischiato grosso e soprattutto hai fatto rischiare grosso a tutti noi, per non parlare di quello che ha dovuto passare Joy”.
Lui si rabbuiò. Sapeva di essere in torto e di avere sbagliato, ma era inutile rigirare il coltello nella piaga.
“E tu credi che non me ne renda conto? Ma tu di me che ne sai? Ti dai tante arie da saputella perché per te qui è tutto facile, sai qual è il tuo posto e quale è il tuo ruolo. Ma nella vita, ci sono anche situazioni ambigue, situazioni brutte, per cui devi fare qualcosa per riparare ai tuoi errori e alle tue colpe, qualcosa che non vorresti fare mai, ma che sei costretto” le disse serio e con uno sguardo pieno di angoscia. Erano stati i suoi enormi sensi di colpa ad obbligarlo ad accettare quella missione.
“Per voi sono solo il ragazzino che si è infiltrato, perché ha il fratello a capo della Gaia Fleet e invece non sapete proprio niente, né di me, né dei miei demoni, né tanto meno delle mie colpe!” disse prima di girare i tacchi e andarsene, lasciandola lì con un sacco di interrogativi. E chi se lo aspettava che Yama avesse questo lato così cupo, si trovò a pensare una perplessa Kei.
Il ragazzo intanto si mise a girovagare senza meta, fino a quando si ritrovò davanti al laboratorio, dove intravide Joy che armeggiava con tutte quelle attrezzature. Gli ricordò sua madre.
“Posso entrare?” chiese timidamente.
“Sì, ma non ti aspettare troppa considerazione, sto lavorando e sono concentrata in quello che faccio” gli spiegò la ragazza senza alzare la testa da quello che stava facendo.
“Va bene” disse lui. Del resto voleva solo stare tranquillo, lontano da tutti. Poter stare lì a guardarla, forse poteva essere il posto giusto. 
Alla fine parlarono un sacco. Compreso anche ciò che era successo a Joy, e anche di Ezra e di quello che era successo tra loro fratelli, sebbene Yama omise la parte riguardante Nami ed il luogo dell’accaduto, riferendosi solo in maniera vaga ad un incidente causato da lui. Joy ne rimase molto colpita e anche dispiaciuta. Ora capiva molte cose. Era molto curiosa soprattutto circa Nami che lei credeva essere sua sorella, ma ancora non disse niente al ragazzo circa questa cosa. Dopo tante disavventure, aveva imparato ad essere decisamente più cauta e guardinga, e comunque prima voleva parlarne con Harlock.
Meeme, passando, aveva visto i due ragazzi insieme in laboratorio e ne era stata particolarmente contenta. Era un bene che andassero d’accordo. 
Poco dopo, dal laboratorio passò anche Kei. Voleva parlare con Joy, ma allo stesso tempo voleva anche controllare Yama.
“Senti Joy, quando hai finito se ti va, io e Yattaran avremmo pensato di cominciare a darti qualche lezione di combattimento ed autodifesa. Mi sembra che tu stia meglio, quindi magari sarebbe il caso di cominciare, che ne dici te la senti?”.
Lei fece spallucce “Perché no. Non che ne sia così entusiasta, ma mi rendo conto che è davvero necessario, quindi che avevi in mente?”.
“Prima di cena, al solito posto, dove venivi quando facevi finta di essere un maschio” rispose la bionda, poi lanciò un’occhiata di sfida a Yama “Puoi venire anche tu pivello, magari impari qualcosa”.
“Magari ti insegno qualcosa io, sono un ufficiale ed addestrato, o fai finta di non ricordartelo?” le rispose lui asciutto “L’unica cosa è che mi dispiacerebbe farti male” aggiunse canzonandola.
Kei rise “Ma lo senti Joy? Ma quante arie si dà?”.
Joy sorrise “Io non lo sottovaluterei comunque” rispose.
“Finalmente una donna di buonsenso in questa nave” commentò Yama.
“Vedremo sul campo di che sarai capace, chiacchierone. Vi aspetto tutti, tra due ore, nella sezione allenamenti”.
Una volta uscita fu il turno di Joy di ridacchiare “Secondo me era più interessata ad estendere l’invito a te, più che a me” commentò.
Yama fece lo gnorri “Per quello che mi interessa” disse.
“Che bugiardo!” lo redarguì lei, fintamente oltraggiata.
“Sì va bene è un gran pezzo di fi..”
“YAMA!” lo interruppe lei, fingendosi scandalizzata.
“Di figliola, intendevo dire” ridacchiò anche lui “Ma comunque è odiosa, se la tira un sacco”.
“Ma non è affatto vero!” disse questa volta Joy seria.
“Mi dà sempre contro e mi tratta come se avessi dieci anni. È urticante!”.
“Chi disprezza compra, Yama, chi disprezza compra! Non dimenticarlo mai. E secondo me voi due vi disprezzate parecchio, ma forse, chissà, vi comprereste volentieri!” e rise divertita.
L’argomento poi fu accantonato e Yama si congedò. Si sarebbero rivisti più tardi per allenarsi.
Prima di andare in sala allenamento, Joy fu fermata da Yattaran. “Ho una cosa per te” le disse facendole l’occhiolino. “È da quando sei rientrata che ci lavoro e ora è pronta!”
Joy lo guardò con aria interrogativa e lui, senza aggiungere altro, la portò in una parte dell’astronave in cui lei non era mai stata. “Questo è il nostro laboratorio di sartoria, come piace chiamarlo a me” e la fece entrare in una stanza in cui c’era qualcosa di  enorme molto simile ad un guardaroba, formato da tanti armadietti a parete, mentre nel centro c’era una specie di binario meccanico, a cui era appesa una quantità enorme di indumenti di ogni foggia e genere. 
“Credo sia giunta l’ora che tu abbia la tua divisa personalizzata, come ogni membro dell’Arcadia ed io te l’ho preparata” disse tutto orgoglioso.
Lei rimase a bocca aperta “Ma dai?” le scappò detto, sinceramente stupita “Davvero?”.
“Certo, credo che tu ormai sia un membro a tutti gli effetti. Ne sei fiera no?” gli chiese un po’ titubante, magari lei non ambiva affatto ad essere considerata una della ciurma. Non ci aveva pensato.
“Certo che ne sono orgogliosa” disse sincera “A dire il vero, mi cogli di sorpresa, non credevo di meritarlo, insomma sono una tale tragedia...”.
“Sei stata più che in gamba. Sei stata forte, coraggiosa e anche un po’ impavida. E la cosa più importante, è che sei stata leale e non ci hai venduti alla Gaia Sanction. Puoi considerati promossa a rango di pirata a tutti gli effetti!” le disse.
Lei si commosse quasi - “Grazie!” - gli disse, e spontaneamente l’abbracciò, stampandogli un bacio su una guancia”. Era così importante per lei fare parte di qualcosa, soprattutto in questo momento così confusionale e delicato della sua vita.
Yattaran rimase un po’ come un baccalà e poi fece un sorriso un po’ ebete “E… ma.. prego!” balbettò, prima di azionare quel binario e fare arrivare davanti a loro la sua divisa d’ordinanza, nuova di zecca.
“Ho notato che continui a vestirti da uomo e ho pensato che forse per te una tuta come Kei non fosse adatta, ma che comunque ti ci volesse qualcosa che ti permettesse di muoverti agilmente, e che non fosse proprio maschile” le spiegò, mentre le porgeva una custodia di plastica che conteneva la sua nuova tenuta da pirata. “Provatela e poi vieni in sala di allenamento, ti aspettiamo là!” disse tutto baldanzoso.
Quando la videro arrivare, rimasero tutti piacevolmente colpiti.
Kei pensò subito che Yattaran era davvero un artista e che sapeva benissimo come adattare le divise ai membri dell’equipaggio, in questo era un po’ psicologo.
Joy indossava un paio di pantaloni di pelle nera, abbastanza aderenti e una giacca anch’essa di pelle, ma marrone scuro, tre quarti, smanicata. La giacca era avvitata, con il collo alla coreana e aveva come una specie di bustino in lega metallica leggera, nero, che fungeva da ulteriore protezione, ma che al contempo ne esaltava anche la figura femminile, sottolineando il punto vita.
Sotto la giacca indossava il maglione nero a collo alto, come quasi tutto l’equipaggio, ma la cosa più bella erano i guanti in pelle invecchiata, testa di moro, lunghi fino sopra al gomito, senza dita come quelli degli aviatori. Una finezza, dato che lei era costretta a toglierli e metterli in continuazione per via del laboratorio, in questo modo non sarebbe più stato necessario, inoltre avevano le nocche rinforzate da piccole placche metalliche nere. Ai piedi indossava un paio di anfibi alti, di pelle lucida ed ovviamente, come tutto l’equipaggio, aveva un piccolo Jolly Roger bianco stampato sul lato sinistro della giacca, all’altezza circa del cuore. Inoltre aveva una quantità di fondine, legate alle cosce di cui neppure lei aveva ben capito l’uso, dato che le armi non le erano state consegnate.
“Wow!” esclamò Kei “Sembri davvero una tosta!”.
“È vero, sembri una guerriera!” aggiunse Yama, facendo gongolare Yattaran.
Lei arrossì “Eh sì, tostissima! Come le prendo io le mazzate, qui, non le prende nessuno” commentò ironica.
“E noi che ci stiamo a fare?” disse Yattaran, compiaciuto nel vedere che la sua creazione era perfetta “Non penserai che siamo nati combattenti eh? Come per tutte le cose, ci vuole costanza ed esercizio. Vedrai che imparerai anche tu”.
Lei non era tanto convinta, ma era abbastanza galvanizzata da tutta la situazione. Si sentiva parte di qualcosa e considerata. Sentiva affetto e gentilezza, questo la faceva star bene e poi la sua divisa le piaceva davvero tanto. Era il giusto compromesso tra comodità e femminilità. Né troppo appariscente, né troppo mascolina, proprio quello che ci voleva per lei.

All’inizio avevano cominciato con semplici esercizi di ginnastica e sollevamento pesi, per irrobustire la sua struttura muscolare, ma dopo qualche giorno Yattaran prese ad insegnarle le tecniche base dell’autodifesa. Joy finiva sempre per essere stremata, ma anche contenta.
Così era andata avanti per tutta la settimana. Laboratorio prima. Allenamenti dopo. E stava anche cominciando a migliorare.
Era così impegnata e presa dalle sue cose, che neanche fece troppo caso, che era per l’appunto un’intera settimana che non incrociava neanche per sbaglio Harlock. Sapeva che era impegnato per via della Gaia Sanction, dalla quale si aspettava un attacco da un momento all’altro, quindi non diede peso alla cosa. Al massimo sarà in plancia da solo a rimuginare come suo solito, pensò quel giorno fra sé e sé, mentre si recava ad allenarsi.
Erano sempre loro quattro: Yama, Kei e Yattaran. Avevano preso a fare combattimenti anche di gruppo, per emulare certe situazioni che si possono creare durante le battaglie.
Fu proprio mentre Yattaran stava aggredendo Joy da dietro, che dal nulla sbucò Harlock e quando vide la ragazza rovinare malamente, atterrata da una mossa del primo ufficiale di bordo, disse perentorio: “Che diavolo state facendo?” e in tre balzi fu sul posto.
Joy era sul tappetino di gomma che si stava rialzando, a dire il vero di solito ridevano di gusto, quando qualcuno cadeva e non capì bene che stesse accadendo, e perché Harlock fosse arrivato all’improvviso e così alterato. Il pirata che era stato via, in ricognizione, appunto per l’intera settimana, non sapeva assolutamente niente di queste sessioni serali e si arrabbiò moltissimo.
“Ma siete diventati tutti matti?” chiese con tono tagliente. “E tu non dovevi stare in laboratorio. Seduta?” domandò a Joy, incenerendola con un’occhiataccia.
“Sì, ma ..” provò a dire lei.
“Che credi di fare eh?” disse, guardandola sempre malissimo “E come ti sei conciata?” commentò a proposito della sua nuova divisa. Era così arrabbiato che vedeva rosso come un toro.
“Capitano gliel’ho fatta io” disse Yattaran, che non capiva bene perché fosse così imbestialito.
“Con te facciamo i conti dopo, ora taci” gli intimò severamente.
“Non c’è bisogno di essere così aggressivo. Santa pazienza, me l’avevate detto voi e c’eri anche tu, che mi avreste insegnato a difendermi” si difese Joy.
“Non sei in grado, non puoi farlo, è troppo pericoloso” replicò lui secco.
“Non sono in grado in che senso? Che intendi dire, che sono mancamentata?” rispose lei, cominciando a spazientirsi. 
Intanto gli altri tre li guardavano un po’ perplessi, soprattutto Kei e Yattaran, perché non avevano mai visto Harlock così arrabbiato, ma neanche qualcuno della ciurma rispondergli così a tono, perciò preferirono tacere, almeno per il momento.
“Intendo dire che non puoi farlo e qui si chiude l’argomento”.
“Oh no, no. Io non chiudo nessun argomento e intendo imparare a difendermi. Il tuo piano di farmi stare in disparte, non è andato benissimo l’ultima volta e io non ho nessuna intenzione di prendermi un altro pugno in faccia!”.
Ecco, se lei l’avesse schiaffeggiato forse gli avrebbe fatto meno male. Soprattutto il suo orgoglio venne ferito, perché già si sentiva colpevole di suo e le parole di lei rincararono veramente la dose.
“Hai ragione. Vuol dire che risolveremo il problema alla radice. Al prossimo spazioporto, tu scenderai da questa nave” e come era suo costume, senza aggiungere altro, si girò. Il mantello volteggiò elegantemente intorno a lui e Joy, nel vederlo andar via così, provò un sensazione così forte di rabbia e delusione mista a frustrazione, che la indusse ad agire molto avventatamente e senza pensare alle conseguenze.
Glielo aveva appena insegnato Yattaran, lo raggiunse e da dietro con la punta dell’anfibio gli dette un colpo secco in scivolata dietro il ginocchio, lui avrebbe dovuto perdere l’equilibrio e forse anche cadere, ma il Capitano era abituato molto bene ad attacchi a sorpresa. Elegantemente si riprese, contemporaneamente si girò rapido in avanti, estraendo a velocità fulminea il suo Gravity Saber, e prima che Joy potesse rendersene conto, lui lo aveva già puntato alla sua gola.
“Morta!” disse con tono incolore e lo rinfoderò. “Come vedi non sei capace a difenderti, non puoi assolutamente restare, ergo lascerai questa nave tra due giorni. Ti riporto su Gorianus”.
Lo disse con calma, senza più rabbia nella voce, con tono neutro, come se non provasse assolutamente niente. 
E questa volta se ne andò davvero, lasciando tutti senza parole.

NOTE: Il materiale che comprende i dettagli sulla clonazione fu al tempo reperito ovviamente su internet, ma avendo salvato il link di riferimento, non ricordo dove, probabilmente su wickipedia. È stato ovviamente riadattato da me in maniera, come sempre molto fanta e poco scientifica per esigenze narrative. Ricordando a tutti che trattasi di fanfiction e non di trattati di biologia, chimica, scienze o quant’altro, quindi prendete per buone le mie fregnacce senza farvi troppe domande :P

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Capitolo 14
*** Una lezione pericolosa ***


Nel ringraziare ancora una volta chi mi dedica del tempo per commentare questa storia, vorrei far sapere, perché ci tengo, che risponderò a tutte le vostre recensioni sempre e comunque e che se sono un po’ in ritardo, dipende dal fatto che in questo periodo sono un bel po’ incasinata, ciò non significa che non apprezzi le vostre parole, anzi, sappiate che le leggo subito, appena le scorgo e mi fanno tanto, tanto felice.

  .13.

 

 

UNA LEZIONE PERICOLOSA

“Mi domando se per caso tu non sia impazzito!” stava dicendo Kei al suo amato Capitano, che questa volta l’aveva fatta davvero arrabbiare.
Harlock era in piedi e le dava le spalle. Da quando lei aveva fatto irruzione nella sua cabina, non le aveva mai risposto ed era rimasto ostinatamente fisso, davanti alla vetrata della sua stanza, muto ad osservare lo spazio, apparentemente sordo alle parole della ragazza.
“Perché hai reagito così? C’era bisogno di umiliarla in quel modo? Mi sorprendi Capitano, non è da te! E poi, sai benissimo che forse persino io, disarmata, non sarei stata capace di tenerti testa, soprattutto se tu avessi estratto un’arma” rimarcò con tono di rimprovero.
Ma lui seguitava a restare impenetrabile e chiuso nel suo silenzio.
Yuki l’aveva raggiunto subito dopo quella specie di scenata, nella sala di allenamento. Era rimasta davvero scossa e soprattutto le dispiaceva per Joy, che non credeva si meritasse un simile trattamento.
“Come tuo solito non hai intenzione di parlare vero? Facile stare zitti e non dover mai spiegare il motivo del proprio comportamento!” sbottò.
“Mi sembrava di aver capito che Joy ti stesse antipatica” buttò lì lui a casaccio, parlando per la prima volta, ma senza voltarsi.
“Se il tuo è un tentativo di depistare l’argomento, sappi che non funziona e già che io sono inversamente proporzionale a te, ti dirò quello che penso fino in fondo. Credo che tu provi qualcosa per quella ragazza e credo che tu ne abbia una paura fottuta, così invece di affrontare la cosa, te la prendi con lei. E ora te ne vieni fuori con questa genialata, di volerla abbandonare su Gorianus? Davvero Harlock, vuoi lasciarla da sola, su un pianeta che non è il suo? Sapendo tutto quello che ha passato e che sta passando? E giusto per chiarire, io e Yattaran non siamo proprio due idioti sprovveduti, che fanno le cose a casaccio. Ovviamente, prima di coinvolgerla negli allenamenti, abbiamo chiesto il benestare del dottor Zero. E ora rimani pure davanti a quella finestra, a sfinirti di pippe mentali, che tanto ultimamente è la sola cosa che ti riesce di fare!”. E detto questo se ne andò via, stizzita. Kei adorava Harlock, si poteva quasi dire che baciasse la terra su cui camminava, ma questa volta era proprio arrabbiata e lui capì di averla fatta veramente grossa, per aver suscitato in lei quella reazione.
Non che non sapesse di aver fatto una cosa deprecabile, solo che c’erano troppe cose che lo frenavano e che lo preoccupavano. Yuki aveva perfettamente ragione, l’unica cosa che era in grado di fare era chiudersi in se stesso e poi di prendersela con chi non centrava nulla. Ovviamente non l’avrebbe mai abbandonata da nessuna parte, ma quando l’aveva vista cadere a terra, si era spaventato a morte. Aveva ancora impressa nelle mente e davanti agli occhi, l’immagine della sua testa violata da quel raggio laser e poi del suo corpo, che per tre giorni era rimasto come inanimato in infermeria. Al solo rievocare quelle immagini, l’angoscia gli attanagliava la bocca dello stomaco, unita al ricordo vivido della sensazione di impotente paura che aveva provato, pensando che potesse morire, proprio come era capitato a Maya, che non era riuscito a proteggere ed a salvare. Tutto questo aveva fatto in modo che perdesse completamente la testa ed avesse una reazione spropositata e anche sciocca, cosa che non era proprio nelle sue corde. Voleva solo dimostrarle che non era in grado di difendersi, che non doveva combattere con nessuno, perché era troppo pericoloso per lei, ma aveva solo finito per umiliarla davanti ai suoi uomini ed ora che poteva fare?

Joy si era rinchiusa nella sua cabina e si era buttata sul letto, nascondendo la faccia sotto il cuscino, scoppiando in un pianto dirotto. Fin dall’inizio di questa strana avventura, non si era mai lasciata andare, era sempre stata forte e reattiva, ma ora non ne poteva più. Quella scenata senza senso di lui, aveva colmato la misura e lei stava dando sfogo a tutta la rabbia, la paura, l’amarezza e anche la delusione che provava, a causa di tutto quello che le stava succedendo in questa strana e complessa nuova vita, che stava affrontando, tutto sommato, da sola.
Perché lui ce l’aveva così tanto con lei? Neppure con Yama, che era un potenziale traditore, era così agguerrito. Che cosa gli aveva fatto di male? E più ci pensava e più le lacrime le rigavano le guance, nonostante tutto, quella specie di strano sentimento che lei cominciava a nutrire per lui, cresceva e la faceva soffrire, perché le pareva chiaro come il sole che Harlock non la potesse sopportare e ora l’avrebbe anche cacciata fuori dalla nave. Era disperata. E se fosse stata onesta con se stessa, avrebbe ammesso che lo era molto di più perché lui la detestava, piuttosto che per il fatto che andasse a monte tutta la missione per cui lei era lì. E questo era molto grave.
All’improvviso, quando si tirò su per soffiarsi il naso, si rese conto che nella stanza c’era anche Meeme. Non l’aveva neppure sentita entrare. Si muoveva leggera come un alito di vento e te la ritrovavi davanti, senza neppure capire da dove fosse arrivata.
“Volevo capire come stavi” disse gentile come sempre, prima di mettersi a sedere accanto a lei.
La sua presenza era piacevole, era come se portasse un po’ di calma, un attimo di tregua, nel turbinio dei suoi pensieri.
La ragazza fece una specie di sorriso forzato, abbastanza amaro “Sto bene” disse.
L’aliena si avvicinò e le posò una mano su una guancia, quindi chiuse gli occhi “Proprio come immaginavo” disse poco dopo, guardandola con sincera simpatia.
Joy non capiva.
“Tu provi qualcosa per lui” gli disse così, senza mezzi termini. E Joy si scostò da lei, come se quelle parole l’avessero punta.
“No!” rispose subito sulla difensiva.
Meeme sorrise “Io credo di sì invece” ribadì compiaciuta.
Il cuore di Joy stava letteralmente scoppiando da quanto batteva forte. Quelle parole così chiare e così nette la stavano sconvolgendo, forse perché ne stava prendendo coscienza anche lei per la prima volta.
“Io.. io non lo so, non mi interessa…” disse alla fine, tirando su con il naso crucciata.
“Lascia che ti spieghi” - cominciò Meeme - “Harlock è un uomo estremamente complicato”.
Ma va? Pensò amaramente Joy.
“Ma a dispetto di quello che sembra, ovvero: freddo, controllato, talvolta anche insensibile e sicuramente chiuso, lui ha una specie di tempesta dentro. In lui si agitano uragani, alimentati da sentimenti inespressi. La sua calma nasconde un mondo di profondità sommerse e sconosciute, proprio come gli oceani. Trattenendosi, non riesce mai a dar libero sfogo a ciò che prova, perché spesso, per ragioni molteplici, tende a soffocare, reprimere e controllare le proprie emozioni, così alla fine, quando in qualche modo non riesce più ad arginarle, quelle vengono fuori da sole, ma nel modo sbagliato”.
Lei la stava ascoltando un po’ perplessa, ma cosa stava cercando di dirle? Sì, forse poteva anche intuirlo alla lontana, ma non ci voleva neanche pensare, o peggio illudersi, così non capiva, o faceva finta di non voler capire.
Meeme continuò “Io credo, anzi sono sicura, che anche lui provi qualcosa”.
E a quelle parole, il cuore di Joy si fermò e le sembrò come di affogare.
“Ma il problema è che lui non è pronto, né capace, in questo momento, di aprirsi e lasciarsi andare. Ci sono cose di lui che non sai, che lo dilaniano dentro. Inoltre è pieno di ferite, profonde, dolorose e ancora sanguinanti”.
Nuovamente, il cuore di Joy aveva ripreso la sua folle galoppata. Era confusa, incredula e non sapeva neanche bene lei cos’altro.
“Devi armarti di santa pazienza. Non devi farti scoraggiare dalle sue uscite poco felici, devi sapere che quello è l’unico modo in cui lui, ora, riesce a manifestare ciò che prova. Solo attraverso la rabbia ed il dolore è capace di esternare le sue sensazioni e le sue emozioni più profonde. Perché da troppo tempo, non conosce altro linguaggio se non quello della angoscia”.
“Io non capisco…” disse molto confusa e anche genuinamente incredula Joy.
“Non c’è molto da capire. Devi avere pazienza. Il resto non posso spiegartelo, né dirtelo io”.
“Ma perché, che gli è successo?” chiese, mentre le parole di Ezra subito le tornarono alla mente, sollecitando una sorta di curiosità.
“Non posso dirti niente, non sta a me rivelarti ciò che lo turba. Devi scoprirlo da sola e deve essere lui a dirtelo”. Quindi si avviò verso la porta “Ricorda solo che devi avere pazienza” ripeté, come una specie di mantra, prima di uscire dalla stanza, lasciandola lì sul letto, abbastanza sconcertata da quella chiacchierata.

Intanto, dall’altra parte della nave, erano circa due ore che Harlock camminava su e giù nella sua cabina. Due ore in cui le aveva pensate di tutte e tutte, poi, le aveva accantonate. Kei aveva ragione, non era da lui comportarsi così. Gli eventi l’avevano così cambiato e così indurito, da essere diventato un uomo senza cuore? Era sempre stato gentile ed accogliente con tutti, perché doveva essere stato così brutale solo con lei? Non era mica colpa sua, se gli faceva quell’effetto?
Alla fine si buttò sul letto. Incrociò le braccia sotto la testa e cominciò a pensare, a rimuginare. Osservava fisso il soffitto della nave, come se vi avesse potuto leggere chissà quali risposte e stette così, un’altra ora buona. Quando ebbe esplorato ogni pertugio sopra la sua testa, si arrese. Era inutile giraci intorno, c’era una sola cosa da fare e l’avrebbe fatta. Si alzò, ed uscì dai suoi alloggi.
Quando arrivò davanti alla porta della cabina di Joy, si fermò e trattene appena il fiato. Perché era così difficile? Avrebbe preferito partire per assaltare il palazzo del governo, era sicuro che sarebbe stato meno agitato. E lui non si agitava MAI.
Alla fine bussò e, senza neanche aspettare il permesso, entrò.
Joy se lo vide irrompere in camera, con un espressione a metà tra il rassegnato ed il contrito dipinta sulla faccia, che non era da lui. 
Rimase sorpresa e molto perplessa. Dopo aver parlato con Meeme, si ritrovava ancora più in difficoltà del solito, in sua presenza. Evitò di guardarlo e non disse una parola. Però, cercò di darsi un contegno, raddrizzando la schiena.
Lui notò che aveva pianto. Aveva gli occhi gonfi e il naso rosso; gli si aggrovigliò lo stomaco, perché sapeva che era colpa sua. E ora tutto diventava anche più difficile.
Stavano in piedi uno di fronte all’altra, in silenzio ed era una cosa un po’ surreale.
“Ecco io, sono costernato, mi dispiace” disse infine il Capitano, facendo una fatica immane per cavarsi di bocca quelle parole e non era un fatto di orgoglio, era proprio bloccato, l’effetto che gli faceva lei lo paralizzava letteralmente.
Devi avere pazienza.
Solitamente non sarebbe stata così condiscendente, ma ora era diverso. E capiva anche che, malgrado tutto, non era cosa da poco che si fosse presentato a scusarsi.
“Se sono delle scuse, le accetto” rispose Joy, sempre evitando di guardarlo in faccia.
“Sì. Lo sono” ammise lui, abbassando la testa. 
Ma era mai possibile che fosse imbarazzato?
“Bene, accettate” lo rassicurò lei. 
“Non so che mi è preso” continuò lui che si stava come un po’ sciogliendo.
“Probabilmente eri solo preoccupato che ci facessimo male”.
“Che ti facessi male” la corresse lui.
Lei smise quasi di respirare. Allora ci teneva davvero a lei?
Harlock nel frattempo la guardava e pensava che, al diavolo tutto, avrebbe dovuto chiederle scusa in tutte le lingue che conosceva, ma ovviamente rimase immobile, quasi ingessato. Si domandò se fosse riuscito a gestire ciò che provava, perché sentiva agitarsi dentro qualcosa, qualcosa che non ricordava neppure più che esistesse, ma scacciò via subito questi pensieri e si concentrò su quello che voleva dirle al momento.
“Ecco, io..” -cominciò nuovamente, con grande fatica- “… pensavo, se a te va bene ovviamente, che magari, potrei insegnarti a sparare come si deve”.
Era dovuto tornare sui suoi passi e lui non lo faceva mai.
Lei non era molto propensa ad imparare cose come sparare alla gente, ma capì che in quella situazione, poteva esserle davvero utile e, per assurdo, quella specie di lezione, avrebbe potuto fare in modo che passassero del tempo insieme e poteva forse, in qualche modo, anche avvicinarli.
“Sai che non mi piace l’uso delle armi, ma credo che sia necessario che io impari, se ritieni opportuno che rimanga su questa nave” si azzardò a dire. Del resto, aveva detto che l’avrebbe sbarcata, la cosa andava quanto meno chiarita.
“Dimentica quello che ho detto. Ero fuori di me. Non abbandonerei mai nessuno, tanto meno una donna sola e indifesa”.
“Non sono esattamente così sprovveduta, sono stata da sola un anno su Gorianus, non devi darti pena per me. Credo e spero, che la mia presenza qui sia importante per il lavoro che sto svolgendo e non perché sono una donzella da salvare”. Non voleva la pietà di nessuno, tanto meno la sua, questo doveva essere chiaro.
Lui fece un cenno di assenso con la testa. Era meglio uscire da questo tipo di conversazioni, erano acque in cui lui si destreggiava veramente male. Voleva essere gentile e finiva sempre per dire qualcosa di sbagliato. Che frustrazione!
“Bene” concluse “Allora cominceremo domani sera”.
“D’accordo” fu la risposta della ragazza.
E ci fu nuovamente qualche secondo di silenzio in cui aleggiò nell’aria la voglia di dire altro, ma per il momento, rimasero solo pensieri inespressi.
Quindi lui la salutò ed uscì.
Non ce la farò mai… pensò Joy. Era tutto meno che una femme fatale, una donna esperta in faccende di cuore, o una seduttrice. Inoltre c’era la questione cicatrice che la bloccava a livello fisico. Riteneva quella parte del suo corpo ripugnante e di certo questo non la aiutava. Meeme aveva preso una cantonata, lei il cuore di Harlock non lo avrebbe aperto neppure se, per assurdo, lo avesse scassinato con un piede di porco. Era meglio non farsi troppe illusioni. E su questi pensieri poco ottimistici, finì in qualche modo per prendere sonno.

Quando l’indomani, all’ora concordata, Joy arrivò al poligono, dove tutti andavano ad allenarsi a sparare, ci trovò Harlock e Yama. Il Capitano stava allenando anche lui, ma Yama era un ottimo tiratore, non aveva granché bisogno di lezioni, quindi lo stava congedando.
Il ragazzo, mentre se ne andava, le passò accanto e le fece l’occhiolino “Fallo nero!” le bisbigliò con un sorriso complice. A Joy scappò un mezzo sorriso Più nero di quello che è già di suo? Avrebbe voluto rispondere, ma non ce ne fu il tempo.
“Eccomi” disse ad Harlock che stava risistemando le sagome. “Allora. Intanto levati i guanti” le disse.
“Ma sono senza dita” protestò debolmente lei, non è che le piacesse mettere in mostra la cicatrice sul dorso della mano.
“Non importa, devi prendere confidenza con la pistola e non devono esserci impedimenti tra te e lei. Devi saperla gestire. La devi sentire. Quindi, levati i guanti, poi quando sarai più pratica, potrai allenarti anche indossandoli. Ora mani libere”.
Lei ubbidì. Il Capitano le fece vedere quale fosse la postura adatta per prendere meglio la mira. Schiena dritta. Gambe leggermente divaricate. Pistola impugnata con entrambe le mani. A Guardare lui e vederlo poi sparare, sembrava una passeggiata centrare il bersaglio. 
Lei ovviamente non ci riuscì. Ogni volta che tentava, finiva con lo sparare ovunque, meno che nel bersaglio. Non si avvicinava neanche al bordo della sagoma. Era veramente infastidita da questa sua incapacità totale. Possibile che fosse così imbranata! E più si innervosiva e più sbagliava. Lui invece era calmissimo e sembrava non perdere mai la pazienza. C’era qualcosa che effettivamente faceva di sbagliato, soprattutto nella postura e sembrava che lui non riuscisse a farglielo capire.
Allora, mentre Joy tentava per l’ennesima volta, lui le si avvicinò, si mise alle sue spalle e, come in una sorta di abbraccio, afferrò le sue mani che a loro volta impugnavano la pistola.
Lei, che non se l’aspettava, fu colta di sorpresa e s’irrigidì di colpo. Ma che stava facendo, era matto? Ora non sarebbe neanche riuscita a tirare il grilletto. Erano appiccicati e la sua guancia era praticante appoggiata su quella di lui. Altro che ginocchia di gelatina, le venne direttamente un colpo al cuore. Sentiva il suo respiro contro la sua guancia.
“Stai ferma” le disse, stringendole più forte le mani “Raddrizzati”. 
Come se fosse stato facile raddrizzandosi, andava praticamente a spalmarsi contro di lui!
“Raddrizzati!” ripeté più deciso ed a Joy non restò che ubbidire, appoggiò la schiena contro di lui, cercando di non pensare all’intimità involontaria di quel gesto. Adesso i suoi capelli le solleticavano il collo e la sua bocca le stava parlando, a pochi centimetri dalla pelle del viso.
Ma nonostante ciò, le sue parole catturarono completamente la sua attenzione:“ Non pensare a niente, sgombra la mente e concentrati. Sei tu, la pistola e il bersaglio. Pensa a quel bastardo che ti faceva del male, concentranti su di lui. Prendi la mira, canalizza la tua rabbia e spara!”.
Bersaglio centrato. 
Non in un punto vitale, ma era riuscita a colpire lateralmente la sagoma.
Lui non si mosse e continuò “Molto bene. Stai sempre dritta e rilassati, ma resta concentrata, pensa a quello che fai. Deve diventare una cosa naturale. Tu e la pistola dovete essere come una parte di un unico corpo. Lei è la tua amica, la tua compagna fidata. Quando hai bisogno non sei mai sola perché lei è con te, e lei è l’unica che ti può salvare. Portale rispetto, dalle fiducia, imprimile la tua mira e spara!”.
Joy si rese conto che era davvero bravo ad insegnare. Inoltre, era anche paziente ed alla fine non aveva potuto che dargli retta. Non pensava più al fatto che fossero in una situazione abbastanza strana ed anche, in un certo senso, molto intima. Così, sorprendentemente, stava cominciando per lo meno a centrare la sagoma ogni volta che sparava.
Non che per Harlock fosse stato esattamente facile dover praticamente avvinghiarsi a lei, per insegnarle la postura, ma come sempre aveva fatto leva sul suo granitico autocontrollo e si era concentrato solo su quello che dovevano fare. Trovava estremamente piacevole quel contatto fisico, anche troppo forse. Così appena la vide più sicura, ritenne utile sciogliere quella sorta di abbraccio ed allontanarsi da lei. Quindi la esortò a provare da sola. All’inizio fu un totale fiasco, ma poi riuscì a colpire ben due volte il bersaglio ed alla terza, incredibilmente, fece addirittura centro. 
Joy fu così felice, che cacciò un gridolino di gioia, si girò di scatto e nella concitazione dell’euforia, senza volerlo, le partì un colpo. Fu tutto talmente veloce che neanche si rese bene conto, finché non vide Harlock portarsi una mano al braccio sinistro. Lasciò immediatamente cadere la pistola a terra e corse da lui “Oddio!” disse scioccata, non riuscendo ad articolare nient’altro. Le si era seccata la gola dallo spavento. I suoi occhi erano sbarrati e pieni di autentico terrore. L’aveva colpito, poteva averlo ammazzato
E lui invece stava ridacchiando. Con la mano appoggiata appena sotto la spalla sinistra. Lei lo guardò come se fosse uscito di senno.
“Ma che ridi? Ti ho colpito! Fammi vedere, chiamo aiuto!” era fuori di sé dalla preoccupazione.
“Non è niente, è un graffio, mi hai preso solo di striscio” la rassicurò lui.
“Mi spieghi che c’è da ridere? Avrei potuto ammazzarti e tu ci ridi su?” disse lei contrariata, mentre guardava il punto dove la pistola lo aveva ferito, per fortuna davvero lievemente. La cosa la risollevò un poco, ma era comunque molto scossa, mentre lo guardava con sincera preoccupazione e senso di colpa. Cercava in qualche modo di pulirgli il sangue, prima che andassero in infermeria affinché si medicasse. E lui continuava a ridere.
“Rido perché sembra una sorta di punizione divina, in fondo me lo sono meritato per come mi sono comportato ieri, però sarebbe opportuno che imparassi a colpire i nemici veri. Spero di riuscire ad insegnartelo prima che tu mi faccia fuori” le spiegò sempre più divertito, cercando di sdrammatizzare, non voleva che lei ora ne facesse una tragedia e che magari non volesse più sparare, anche perché era davvero una ferita superficiale, poco più di un graffio.
Questo episodio fortuito in un certo senso fece magicamente in modo che tutta la tensione accumulata da Harock nelle ultime ore si allentasse di colpo. E che le incomprensioni venissero azzerate, almeno per il momento.

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Capitolo 15
*** Carte in tavola ***


Buonasera a tutti! Eccoci con il consueto appuntamento settimanale del RI-postaggio, di due nuovi capitoli, rivisti, corretti e sfrondati. Oggi di venerdì sera!
Voglio come sempre mostrare la mia sincera gratitudine, ringraziando tutte le persone che leggono (o rileggono) questa storia e quindi GRAZIE e…

Buona lettura a chiunque passi di qua!

  .14.

 

CARTE IN TAVOLA

Joy era in cambusa, ancora abbastanza sconvolta e costernata, per il fatto accaduto poche ore prima al poligono di tiro. Era a cena con alcuni componenti della ciurma. Tutti sapevano dell’incidente e nessuno ne faceva una colpa a lei, erano consapevoli che fossero cose che potevano accadere. Perfino Masu, che era sempre la più caustica, aveva finito per consolarla.
“Ma quando ti ho detto di farlo nero, non era una cosa letterale, non dovevi mica sparagli!” le  disse Yama, che cercava di sdrammatizzare per tirarla su.
Kei lo guardò malissimo “Ma che delicatezza. Complimenti! Hai proprio solo due neuroni che si rincorrono dentro la testa! Non farci caso, non è colpa sua, non ci arriva.” concluse rivolta a Joy.
“Tu non sai che cosa sia l’umorismo, vero? Si dice sia anche sinonimo d’intelligenza! Ma che te lo dico a fare” ribatté il ragazzo. “Mi ero rivolto a Joy, non a te Miss Arcadia!”.
“Miss Arcadia!?” fece Yattaran e poi scoppiò a ridere “Però, è vero potresti essere la nostra modella, in un ipotetico concorso intergalattico, il fisicaccio ce l’hai!”.
“Se non la smettete, vi prendo a calci tutti e due, brutti deficienti!”.
Joy intanto li guardava divertita. Ma quanto si stuzzicavano? Eppure era quasi certa che se avesse potuto chiuderli da soli in una stanza almeno mezz’ora, chissà, magari avrebbe finito per trovarli aggrovigliati.
“Io non sono certo una modella, sono una pirata e vi faccio un mazzo così quando voglio!” li redarguì Yuki.
“Se indossassi qualcosa di leggermente più sobrio, magari tipo Joy, eviteresti di far ribollire questa nave di testosterone. O forse la cosa ti piace?” la provocò Yama.
“Senti, se sei un ragazzino ingrifato, non è colpa mia!” lo freddò lei offesa.
“No, guarda, ti sopravvaluti, non mi ingrifi per niente, caso mai mi diverti, il che è diverso. Sai, non è che di donna abbia visto solo te al mondo, quindi rilassati”.
“Ragazzi, ma perché non la smettete di trattarvi così?” s’intromise a quel punto Joy.
“Sì ha ragione lei. Fatela finita, o dovremo dividervi e io non ho voglia di farvi del male, mi dispiacerebbe” aggiunse Yattaran serafico.
“Avete ragione, non ne vale neanche la pena” rispose Kei che era rimasta male. Insomma non che lei indossasse quella tuta per il motivo che diceva Yama. Le piaceva, era il suo modo di essere, che male c’era? 
“Yama, posso dirti una cosa?” disse a sorpresa Joy.
“Sì certo” fece lui baldanzoso.
“Sai che se io fossi stata al posto di Yuki, ti avrei tirato un pugno sul naso?”.
Lui ci rimase di sasso.
“Avrai visto un sacco di altre ragazze, magari ci sarai stato anche insieme” e alzò un sopracciglio come a sottolineare che lo dubitasse “Ma non è che tu, con le donne, ci sappia esattamente fare”.
“Mal comune in questa nave di maschi repressi!” commentò acidamente ironica Kei.
“Oh non cominciamo, io non sono represso per niente!” sbottò a quel punto piccato Yattarn.
“Sì, va bene, chiudiamola qui la faccenda repressione, che è meglio. Che anche tu, appena hai dieci minuti liberi, ti metti a costruire modellini di ogni cosa possibile e immaginabile! L’ultima volta ne abbiamo dovuti scaricare nello spazio un milione!” ridacchiò Kei.
“Non vi perdonerò MAI per questo, sappilo!” fece Yattran serissimo.
La bionda fece spallucce “Ordini del Capitano, rifattela con lui”.
Yama intanto era rimasto zitto, come uno scolaretto che era stato messo in punizione dietro la lavagna. Diciamo che Joy gli aveva dato una bella strigliata e lui forse si era reso conto di avere esagerato. Ad ogni modo, alla loro maniera, erano riusciti nell’intento di risollevarla un po’. Joy finì la cena e poi si congedò. Voleva andare a vedere come stava Harlock. Continuava a pensare che avrebbe anche potuto ucciderlo e la cosa la faceva rabbrividire.
Quando lo raggiunse nella sua cabina, le sembrò tranquillo e ne fu contenta.
“Volevo sapere come stai” -disse, tormentandosi un risvolto della giacca -“Ti fa male?”.
“Te lo ripeto per l’ennesima volta: sto bene” rispose Harlock “E non voglio ripeterlo più. Domani riprendiamo le lezioni”.
“Non mi pare il caso” disse subito lei.
“Invece dobbiamo proprio farlo. Devi imparare a difenderti, su questo non transigo”.
Decise di cambiare drasticamente argomento, così le chiese come stessero andando le cose al laboratorio. Lei s’illuminò subito, si mise a spiegargli delle colture e di tutti i procedimenti che aveva in corso e lui l’ascoltava con piacere. Era così presa dall’argomento, che notò i suoi occhi illuminati come da una scintilla, che sicuramente nasceva della passione che metteva nel suo lavoro. Si trovò a pensare come sarebbe stato vedere quella stessa passione rivolta verso un uomo, magari proprio verso di lui. Di certo si era reso conto di non esserle indifferente. Però, era dubbioso, sul fatto che potesse essere presa da solo perché affascinata dall’alone di mistero che gli aleggiava intorno, alimentato da storie e leggende. Sapeva che le donne c’andavano a nozze con queste cose ed era consapevole dell’attrazione, che anche involontariamente, esercitava su di loro. Da lei avrebbe voluto altro, sicuramente di più, se mai avesse deciso di volere qualcosa.
“Stavo pensando una cosa” disse lei, interrompendo il flusso dei suoi pensieri e andando con circospezione verso la sua scrivania, Harlock che era seduto al tavolo sul quale aveva cenato, la seguiva con lo sguardo “Potrei usare questa per provare a clonarla?” gli chiese, prendendo in mano quel barattolo di vetro che aveva visto la prima volta che era entrata nella sua cabina.
“Assolutamente no” fu la risposta secca e perentoria del Capitano.
Lei ci rimase molto male. E lo poggiò subito al suo posto, ma non volle demordere.
“Perché no? Questa è terra e di certo non è sintetica; certo la dovrei trattare un po’, magari concimandola con gli scarti di cucina di Masu
(1)” commentò. 
“È il ricordo di una persona a me molto cara e non lo darò a te per farci i tuoi esperimenti” rispose sempre più deciso, sebbene sempre con la calma che lo contraddistingueva. Per lui rappresentava l’unica memoria del suo carissimo amico Thochiro e di un momento della sua vita ancora felice, pieno di speranza, di sogni ed ideali.
Lei invece, chissà perché, pensò subito ad una donna e si sentì doppiamente ferita, da quella risposta così secca e decisa.
“Guarda che io non gioco mica al piccolo chimico, in quel laboratorio” gli rispose piuttosto risentita. “Comunque, non la voglio la tua terra-ricordo. Ma sempre la terra naturale mi serve. Questo lo sai da tempo. Altrimenti è inutile clonare i semi” puntualizzò, posando il barattolo e spostandosi dalla scrivania.
Lui si passò nervosamente una mano tra i capelli “Senti, io non sono poi così certo che tu possa risolvere la questione del ripopolamento della fauna e della flora terrestre”.
“Come mai lo pensi? Anzi, ne sembri sempre quasi sicuro” gli chiese lei, che a questo punto aveva intenzione di andare fino in fondo alla faccenda.
“Perché tu, non conosci le vere condizioni della Terra…”
“E se invece le conoscessi?” face lei spiazzandolo.
Harlock la fissò serissimo, scrutandola “Cosa sai? E chi te lo ha detto?” le chiese allarmato.
“So quello che mi ha detto Ezra. Mi ha raccontato che hai contaminato la Terra con una sostanza aliena e che pure tu ne sei come contaminato”. Ecco, finalmente glielo aveva rivelato, erano giorni che voleva parlare di quella cosa con lui.
Harlock  impallidì ed il suo volto diventò come una maschera di pietra. “Sapevi questa cosa e hai taciuto fino ad ora?” le chiese gelido, come se in qualche modo lo avesse tradito con il suo silenzio.
“Allora è vero?” fece più seria.
“Sì ” le rispose come se non fosse più presente, ma già vagasse con la mente da un’altra parte.
“Io voglio capire perché l’hai fatto” gli chiese Joy.
Harlock fece un mezzo sorrisetto amaro “Perché sono un terrorista”.
“Questa è una bugia e anche sciocca” rispose lei, che non capiva per quale motivo lui volesse quasi autoflagellarsi. Lo leggeva chiaramente in quello sguardo diventato spento e carico d’angoscia, che traspariva dal suo occhio dorato.
“Che cosa vuoi che ti dica, che l’ho fatto per il bene della Terra? Che mi sono sbagliato? Ma che ormai ho distrutto un pianeta e pazienza?” rispose sconfitto e ancora più amareggiato.
“No, io voglio la verità. Una volta mi dicesti che quando avresti saputo chi ero e da dove venivo, tu mi avresti detto chi sei e che cosa avevi fatto” lo incalzò lei.
“Te l’ho detto. Sono un terrorista che ha distrutto la Terra. Vuoi vedere com’è adesso? Vieni che te la faccio vedere così capirai” .
Si alzò di scatto e la prese per un braccio, trascinandola anche piuttosto bruscamente verso la scrivania. Tirò fuori un portatile e azionò uno schermo tridimensionale quindi, con l’aiuto di un programma di decriptamento, prima proiettò le immagini del pianeta come appariva a tutti, grazie ad un sapiente camuffamento operato dagli ingegneri della Gaia Sanction, che mascherava la verità, con un ologramma che proiettava immagini della Terra prima della distruzione, e poi, dopo solo un attimo d’indugio, le mostrò la verità.
La Terra le apparì per ciò che era: un pianeta privo di vita, pieno di enormi e profondissimi crateri di colore rosso fuoco, come e peggio di Marte, con orrende fuori uscite di una materia indescrivibile che sembrava essere devastazione allo stato puro. Era una cosa raccapricciante.
La Terra era morta. 
Joy si portò le mani alla bocca, sconvolta. Di certo non era una cosa che si potesse prendere a cuor leggero e far finta di nulla.
Ora le carte erano tutte in tavola. Harlock si sentì completamente svuotato, era tutto finito. Lo avrebbe odiato per quello che aveva fatto, forse più di quanto lui odiasse se stesso. Joy viveva e lavorava per il bene della Terra e lui l’aveva distrutta. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma non avrebbe mai immaginato quanto gli sarebbe costato, perché ora era certo che non avrebbe avuto più un solo alito di pace nella sua disgraziata esistenza.
Alla biologa ci volle qualche secondo per riprendersi dallo choc, poi si girò, lo guardò e cominciò a capire tante cose. Doveva essere distrutto a livello psicologico, anzi forse aveva reagito anche troppo bene, era già tanto che non fosse uscito di senno. Quello che aveva fatto doveva averlo segnato dentro per sempre, probabilmente il senso di colpa lo stava divorando, giorno dopo giorno, consumandolo come un cancro maligno. Adesso le erano chiare le parole di Meeme e tutti i comportamenti strani di Harlock, la sua instabilità emotiva così marcata. Dentro di lui non c’era semplicemente l’inferno, ma una voragine immensa che lo inghiottiva, simile a quegli orridi crateri, causata da un senso di colpa che probabilmente nessuno sarebbe riuscito a sanare.
Nonostante tutto ciò, neanche per un solo istante, Joy aveva creduto che il suo fosse stato un atto di terrorismo. Non ci credeva, e sapeva che il suo proclamarlo era solo masochismo. Era un modo come un altro per punirsi, infangandosi ancora di più. Non chiedeva perdono e non lo voleva, semplicemente perché riteneva di non meritarlo. Andava scosso e riportato a ragionare, doveva venire fuori da quel vicolo cieco, colmo di depressione, ed espiazione senza fine. Non gli avrebbe permesso di non tentare il tutto per tutto. Se lei era finita lì allora, forse, c’era davvero un motivo, per trovare una strada. Era quanto meno doveroso provarci. Doveva farglielo capire a qualsiasi costo.
“Perché non me l’hai detto prima?” gli chiese dolcemente risoluta “Mi hai fatto perdere un sacco di tempo inutile! Ora dovrò ricominciare tutto da capo. Dovrò potenziare la modificazione genetica e poi devi portarmi sulla Terra, devo vedere in che reali condizioni versa, direttamente sul posto”.
Lui la guardò come se stesse straparlando. Come se fosse una sciocchina che non sapeva quello che diceva. Non voleva sentire, né vedere, né contemplare soluzioni, perché lui aveva già stabilito che non ce ne erano, se non quella di usare le bombe.
“Tu proprio non vuoi capire. Sei davvero testarda. Non c’è più niente da fare!” affermò rabbioso. Ovviamente la rabbia, dettata dall’impotenza e dall’immenso dolore che provava, era tutta contro se stesso. Non poteva sopportare che lei sapesse quello che aveva fatto, che lo vedesse realmente per quello che era. Lui si detestava. Non poteva concepire che non lo insultasse, che non gli rivolgesse parole terribili, che riteneva si sarebbe meritato di ricevere. 
Joy si impose la calma anche se, in quel momento, lo avrebbe preso a schiaffi pur di scuoterlo. Lei non pensava al passato, ma al futuro, quindi non capiva la sua cupa e disfattista rassegnazione e poi sì, era testarda e prima di arrendersi le avrebbe provate tutte. Soprattutto voleva vedere la Terra come era ridotta con i suoi occhi e, perdiana, ci sarebbe andata da sola, se lui, o chi per lui, non ce l’avesse portata! Inoltre era preoccupata per lui, gli sanguinava l’anima nel vederlo così devastato, voleva aiutarlo ad uscire da quella oscurità interminabile in cui si era recluso.
Ma come poteva fare? Era così ostinato e succube delle sue colpe, che si vietava di vedere altro che non fosse il suo misfatto. Se l’avesse aggredito, avrebbero finito per impantanarsi nell’ennesima discussione, che sarebbe sfociata in chissà quale altra incomprensione. Doveva trovare un’altra strada per farlo ragionare.
Gli si avvicinò con circospezione e poi con molta calma cominciò a parlare.
“Per favore ascoltarmi solo per un attimo”.
Lui non rispose.
Non capiva che altro avesse da dirgli e perché non se andasse via disgustata.
“Io non voglio discutere il fatto che tu possa sentirti in colpa, lo capisco. Ma a che serve crogiolarsi all’ infinito? Possiamo invece almeno provare a renderci conto dell’entità dei danni? Cercare di capire come stanno veramente le cose, da un punto di vista biologico, almeno proviamoci!”.
“Non c’è niente da capire. È finita. È tutto inutile, come questa conversazione” rispose lui spazientito.
Ecco, gli stava tagliando le gambe, chiudendo la faccenda, probabilmente ora le avrebbe anche chiesto di andarsene e lei non poteva permetterlo, quindi decise di giocare sporco, non era da lei ricorrere a certi mezzucci, ma lui non le lasciava altra alternativa.
“... mi sento male” disse all’improvviso, toccandosi la testa con una mano e cercando qualcosa per sedersi. Una volta lasciatasi cadere a peso morto su una sedia, continuò a toccarsi la testa, continuando la messa in scena.
“Cosa senti?” le chiese subito con tono allarmato, chinandosi su di lei.
“Mi fa male la.. testa” ripeté flebilmente e nonostante stesse facendo quella cosa a fin di bene, si sentiva proprio a disagio a prenderlo in giro.
“Vado a chiamare il medico”.
Ma Joy lo fermò e lo afferrò per un braccio “No,no, non importa magari ora mi passa”.
“No, vado dal dottor Zero”.
“Perché vuoi farmi ulteriormente agitare?” gli chiese, fingendosi ancora dolorante. Era costernata, già non era facile sostenere quella sceneggiata e lui come al solito, era impossibile da gestire. Era così faticoso interagirci.
“Stai con me, parlami…” gli disse improvvisando e sperando che se la bevesse. Non sapeva più che inventarsi. Era a corto di iniziative al momento.
Harlock la guardò di traverso. Gli stava dicendo che non si sentiva bene, ma non voleva il medico. Lui avrebbe voluto chiamarlo, ma non voleva contrariarla, pensò che forse non stesse poi così male, ma si mise lo stesso seduto accanto a lei, perché una parte di sé, quella più recondita e più nascosta, nonostante tutto, voleva disperatamente arrendersi. Tanto ormai l’arcano era stato svelato, non c’era più niente da nascondere.
Ma il silenzio, come sempre, ebbe la meglio. 
Sempre quel dannato silenzio che sembrava come un muro, peggio, una muraglia altissima e lunghissima, che puntualmente lui metteva tra sé e tutti.
“Parlami di quello che è successo. Voglio capire” insistette Joy, tanto aveva compreso che se non glielo avesse cavato di bocca a forza, lui non l’avrebbe mai fatto di sua iniziativa.
Harlock, che aveva le viscere che gli si contorcevano per la consapevolezza di essere ormai uscito alla luce del sole, stava pericolosamente cominciando a scricchiolare, e forse a cedere. Era così stanco, anche fisicamente, non ce a faceva più a sostenere quella lotta interiore.
“Ho preso un pugno in faccia per via di questa storia e credo di avere il diritto di sapere tutto” aggiunse risoluta. Stava facendo leva sul senso di colpa nei suoi confronti, era una cosa spregevole da un certo punto di vista, ma era pienamente consapevole che diversamente non avrebbe ottenuto niente.
Per Harlock era diventato così faticoso portare quell’enorme fardello da solo, così pesante, soffocante, alienante, che all’improvviso, come un fiume che rompe gli argini si arrese e vomitò fuori tutta la verità. Le raccontò che cosa era realmente successo. Le disse di come si fosse ribellato ai piani della Gaia Saction e di come avesse deciso di cercare di rendere davvero inviolabile la Terra, per proteggerla, preservala e restituirla poi all’umanità, rivestendola di anti materia: la famosa dark matter, che grazie a Meeme era stata fatta fuoriuscire dai motori dell’Arcadia, originariamente una delle quattro navi da guerra classe Death Shadow , punta di diamante della Gaia Fleet. Le spiegò come il piano fosse però miseramente fallito, causando la degradazione totale del pianeta. Lui stesso, aveva finito per rimanere contaminato da quella sostanza che lo aveva sorprendentemente e inaspettatamente reso quasi immortale. Gli anni per lui sembravano non passare mai o quasi, almeno finché fosse rimasto in vicinanza del motore alieno, nella sua nave.
Adesso Joy cominciava a capire perché se ne stesse sempre seduto su quello scranno e come mai, avesse visto tutte quelle cose strane durante l’attacco. 
Le spiegò anche quale piano avesse concepito, per rimediare a quella catastrofe, parlandole per la prima volta delle bombe a vibrazione dimensionale, che l’equipaggio dell’ Arcadia stava posizionando in diversi punti strategici del cosmo. Le spiegò la teoria dei nodi temporali, che fungevano come tappi in punti in cui il continuum spazio-temporale era più labile, e che su di essi vi era concentrato un’enorme quantitativo di energia, che serviva a tenere salda la coerenza dello spazio-tempo. Facendoli saltare con quelle bombe, si sarebbe creata un’enorme reazione a catena, che avrebbe portato ad un paradosso spazio-temporale e l’Universo sarebbe imploso, tornado all’originario nulla. Alla fine sarebbe stato come se niente di tutto ciò che aveva generato la realtà che loro conoscevano, fosse mai successo e tutto sarebbe ripartito da capo, proprio come un nastro riavvolto. Le spiegò serio che nessuno a bordo ne sapeva niente, né delle vere condizioni della Terra, né delle conseguenze reali dell’implosione delle bombe. Solo lui e Meeme ne erano al corrente, ed ora anche lei, ma che doveva assolutamente mantenere il segreto.
Era molto strano e sorprendente, come alla fine fosse riuscito a dirle tutto senza tralasciare niente. Si rese conto che si fidava di lei. Sapeva che era in grado di poter comprendere qualcosa di così estremo come il suo piano e, una volta iniziato a parlarle, nonostante il dolore, e anche la vergogna era come se fosse riuscito a liberarsi di un’oppressione infinita. Fu come se, in un certo qual senso, nel suo inconscio non aspettasse altro. Nonostante ciò rimase fermo, sopraffatto, confuso, completamente svuotato, esausto e non sapeva neanche lui che altro ancora. Il silenzio alla fine tornò ad essere il rifugio a lui più caro e sicuro, vi si nascose, come un bimbo tra le braccia della madre.
Joy, intanto, cercava di analizzare tutte le informazioni ricevute. Una cosa era certa, quello che voleva fare era troppo pericoloso, incerto e anche incauto, non c’era nemmeno l’ombra di una vaga certezza che potesse davvero funzionare; prima di fare quel salto nel buio bisognava battere altre strade e bisognava convincerlo a farlo.
“Non credere che io non capisca che cosa provi. Sono certa che la tua rabbia e il tuo dolore siano enormi, benché per ragioni diverse e molto meno gravi, anche io ho provato tanta rabbia e dolore, ma ora dobbiamo andare oltre e pensare solo a risolvere la cosa”. Si alzò dalla sedia e si mise davanti a lui, rimasto immobile e silenzioso, sempre con la testa tra le mani.
“Harlock devi portarmi sulla Terra”.
Lui non fiatò e rimase immobile.
“Per favore ascoltami”.
Ancora nessun cenno da parte sua. 
Era tutto tremendamente faticoso, pensò Joy, ma non voleva farsi scoraggiare.
“Vuoi farmi sentire di nuovo male?” non voleva continuare con quella squallida commedia, ma non sapeva che altro fare. E quella era l’unica cosa che avesse funzionato.
Lui si girò e alzò appena la testa, quel tanto che bastò per guardarla “Credi che non mi sia reso conto che stavi bleffando? L’ho capito subito, perciò smetti!” le disse, senza colore nel tono della voce. Nonostante tutto lei si sentì sollevata. Era sorpresa, ma anche felice, che non si fosse arrabbiato e che malgrado questo, avesse autonomamente deciso di aprirsi comunque con lei, quindi animata di nuovo coraggio, si sedette davanti a lui e gli prese delicatamente il viso tra le mani e lo obbligò a guardarla negli occhi. Aveva l’espressione sofferente, proprio come se provasse dolore fisico, come se fosse stanco ed insonne da una vita. Faceva davvero male al cuore vederlo così, ma non era tempo di commiserarlo.
“Harlock, devi portarmi sulla Terra. Ti prego, non lasciarti andare ora. A me non importa niente di quello che hai fatto. Non sei infallibile, potrai anche essere immortale, ma sei sempre un uomo: carne e sangue, ed è nella nostra natura corruttibile fallire. Puoi lottare, possiamo rimediare, possiamo provarci tutti insieme, sono certa che anche i tuoi uomini capiranno. Bisogna trovare la forza e il coraggio di andare avanti, per costruire e non distruggere. È questo che faremo. Prima con la scienza , e se non ci riuscirà, allora useremo le bombe, ma ti prego, non mollare, non adesso! Nessuno mai ti perdonerà se non riesci a farlo tu per primo…” concluse, quasi con le lacrime agli occhi per l’intensità con cui aveva gli aveva aperto il cuore. Non conosceva altra strada se non quella, perché potesse percepire la sincerità delle sue parole, perché lei a quello che stava dicendo ci credeva davvero, con tutta se stessa.
Ora toccava a lui.
Harlock le scostò delicatamente le mani da suo viso.
“Ho bisogno di riflettere. Ho bisogno di stare da solo. Ti prego di andare” le chiese, quasi come una supplica. Aveva parlato con fatica, come se fosse stremato anche a livello fisico, come se gli mancasse il fiato. Lei sospirò, ma decise che era meglio non calcare troppo la mano e lascarlo riflettere e assimilare ciò che era appena accaduto. A livello psicologico doveva essere stato devastante. Lo accontentò, anche se lasciarlo solo in quel momento le faceva stringere il cuore e chiudere lo stomaco.

 

Era davvero molto tardi quando Joy, finalmente, fu vinta dal sonno. Aveva pensato a così tante cose, una volta uscita dalla cabina di Harlock, che le era quasi venuto davvero il mal di testa. Tutto ciò che aveva scoperto era sconcertante, pazzesco, al limite dell’irreale, ma almeno ora aveva una base da cui davvero poter ripartire. Sperava solo che lui si fosse convinto, che non si tirasse indietro, che tutta quella fatica non fosse stata inutile e mentre continuava a pensare a queste cose, finalmente si addormentò.
Non era passata neppure un’ora, da quando si era addormentata che fu svegliata da un insistente bussare alla porta. Uscì dal letto, stropicciandosi gli occhi, sbadigliò e senza neanche curarsi del fatto che indossasse solo la canottiera ed i leggins, decisamente insonnolita, andò meccanicamente ad aprire la porta.
Si trovò davanti a sorpresa Harlock, serio e con in mano quel contenitore di terra che aveva in cabina, sulla scrivania.
“Credo di non aver mai conosciuto una persona più testarda di te. Hai vinto. Prendila, clonala e fai germogliare quei semi” le disse con quella sua tipica calma distaccata, ma con uno sguardo strano che lei non seppe decifrare. Lo guardò ancora intontita dal sonno, non capendo bene neanche che stesse accadendo, ma prese subito il vasetto e lo poggiò sul comodino, caso mai avesse cambiato idea, era meglio non farsi sfuggire l’occasione. Era più che contenta di vedere che forse stava ragionando. Poi gli sorrise “Non che anche tu sia esattamente una persona malleabile” -e aggiunse- “Non sai quanto sono felice che tu abbia cambiato idea, ne userò poca e ti prometto che ti renderò il contenitore domani stesso”. Era tutto molto surreale, ma voleva tranquillizzarlo, aveva capito quanto fosse importante per lui quel barattolo. 
Si sentiva così stranamente leggera, felice, le sembrava come di essere sospesa a mezz’aria. Aveva il batticuore, ma era diverso dalle altre volte, era un battito leggero, come le ali di una farfalla. E non era tanto perché lui fosse lì davanti a lei, ma perché l’aveva ascoltata e aveva reagito, decidendo di combattere questa specie di nuova battaglia insieme a lei.
Questo la rese davvero felice.
“Credo che, prima di poter andare sulla Terra, dovremmo fare dei test, per vedere se c’è ancora ossigeno. Ho provato a cercare qualcosa, dovremmo violare il sistema di sicurezza della Gaia Sanction, non sarà facile, ma in qualche modo ce la faremo” le stava spiegando, piuttosto determinato. Doveva essere stato da qualche parte a riflettere, pensare, studiare, o chissà che altro, rifletté lei; oltre che felice, era anche incuriosita da questa visita notturna così inaspettata e così urgente, come se lui non potesse attendere l’indomani per condividere questa decisione così importante. In un certo senso, le stava dando la misura di quanto fosse stata importante quel lunga chiacchierata fatta insieme.
“Ora però sarebbe anche il caso che tu ti riposassi e dormissi un po’, perché ho come l’impressione che tu dorma pochissimo” aggiunse Joy in tono premuroso. Lo pensava davvero. Stranamente quella sera le veniva tutto cosi spontaneo. Poi d’istinto fece una cosa assolutamente non preventivata, né tanto meno ragionata. Fu un gesto che le venne naturale. Si allungò appena verso di lui e in modo gentile gli sfiorò appena le labbra con bacio lieve, quasi un’impalpabile carezza. “Buonanotte” sussurrò con il cuore che le schizzò in gola. Quindi, si girò subito per potersi chiudere in cabina, abbastanza sconcertata da quello che aveva appena fatto; ma non fece in tempo, perché lui l’afferrò per un braccio e con calma la fece avvicinare a sé, facendola girare in modo da poterla guardare direttamente in viso. La osservò per qualche secondo dritta negli occhi, poi, senza nessuna fretta, quello sguardo scivolò lungo il volto e scese sulle sue labbra. Le guardò come se fossero una cosa delicata e preziosa, abbassò lentamente la testa sforandola prima con i lunghi capelli e poi restituendole il bacio ricevuto. In modo sorprendentemente gentile e leggero, come una sorta di carezza, passando con un movimento lento e delicato tra il labbro inferiore e quello superiore, urtando appena la punta del naso di lei con il proprio, trattenendo il respiro.
Joy del tutto impreparata ad una cosa del genere, si sentì come mancare, chiuse gli occhi, mentre dentro le si rimescolavano una serie di sensazioni travolgenti. Lui che aspettava un segnale di resa, lo colse chiaro nel suo chiudere gli occhi e senza indugio passò da quel lento sfiorarsi di labbra ad un vero e proprio bacio. Un bacio da prima quasi riverente, poi decisamente più intimo perché lei non lo rifiutò affatto e schiuse le labbra affinché lui ne approfondisse l’intensità.
Così si ritrovarono improvvisamente immersi in sensazioni, così forti, così inaspettate e così irruente dal trovare entrambi difficoltà nel gestirle. 
Il loro primo bacio. 
Imprevisto, giunto prepotente come una tempesta fragorosa che li trascinò in sentieri molto pericolosi, tanto che lui fece molta fatica a staccarsi da lei.
Ma doveva assolutamente farlo.
“Devo andare…” le disse scuro. 
E così girò i tacchi e se andò, senza neanche voltarsi indietro.


NOTE
(1) L’umido di Masu è stata un’idea suggeritami da mamie, durante la prima pubblicazione di questa storia, subito poco dopo l’inizio del postaggio di questa fic, oggi come allora la ringrazio di cuore

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Capitolo 16
*** Il silenzio e il rumore dei pensieri ***


.15.

 

 

IL SILENZIO E IL RUMORE DEI PENSIERI

 

Quella mattina Kei sarebbe andata con Yama, a piazzare la novantanovesima bomba a vibrazione dimensionale sul pianeta Tokarga. Erano partiti da poco e tutto sembrava procedere nella norma.


Nel frattempo Joy stava andando in laboratorio, tra le mani, stretto al petto, aveva il barattolo di vetro con la terra che gli aveva portato Harlock. Inutile dire che fosse molto pensierosa riguardo agli accadimenti della sera prima, soprattutto era rimasta sconvolta da se stessa e da ciò che il suo comportamento aveva innescato. Naturalmente era scossa anche da lui, che l’aveva baciata in quella maniera e dopo era letteralmente scappato. Probabilmente c’era stato qualcosa che l’aveva disturbato. Doveva essere rimasto disgustato dalle sue cicatrici esposte  a causa della canottiera che indossava. Vedere quella carne offesa, bruciata, quasi come se fosse accartocciata, doveva essere stato ripugnante. 
Era molto turbata.
Il problema era che lei vedeva così le sue bruciature e pensava che anche gli altri non potessero vederle che come lei, compreso lui.


In realtà i motivi della fuga di Harlock erano ben altri e di natura emotiva. Era andato lì, perché dopo essere finalmente riuscito a liberarsi di quel peso enorme che lo schiacciava, voleva assolutamente condividere con Joy il fatto che avesse deciso di ascoltarla, di rialzarsi e di provare a lottare.
Invece lei l’aveva baciato. 
In un modo così inaspettato, così dolce e delicato, che gli aveva fatto incrinare quella corazza potente e spessa, che lui si era così meticolosamente costruito e aveva tracimato come un fiume in piena. Aveva avuto paura, una paura folle di provare quelle sensazioni che lo avrebbero coinvolto emotivamente, e se l’era data a gambe battendo ritirata. 
Non era affatto sicuro di voler avere una relazione con lei, non era certo di essere pronto. 
Non sapeva neppure che provasse realmente quella giovane biologa proveniente da un altro mondo, né cosa ne sarebbe stato del futuro, di quello che sarebbe accaduto a tutti loro, alla Terra, e forse all’Universo intero. Come poteva concedersi il lusso di un coinvolgimento emotivo?
Erano quindi entrambi molto confusi anche se per ragioni completamente diverse. 

Joy, quella mattina era uscita presto, proprio per evitare d’incontrarlo, tremava al solo pensiero, si domandava se ce l’avrebbe mai fatta a guardalo nuovamente in faccia.
Temeva di no.
Fortunatamente però una volta in laboratorio, tutte le paturnie scomparvero e si mise a lavorare sodo. Doveva potenziare la struttura genetica dei semi e in più doveva provare a clonare della terra e non l’aveva mai fatto. Si rese conto fin da subito, che non si prospettava una cosa così facile come aveva sperato e che gli scarti da cucina di Masu, recuperati quella mattina, erano completamente inutili allo scopo.

Nel frattempo, dall’altro lato della nave, si stavano agitando le acque. Qualcosa era andato storto e la capsula con cui Kei e Yama erano in missione, era precipitata rimanendo fortunosamente incastrata in una gola. La concitazione piuttosto chiassosa che ruppe il monotono silenzio che regnava sull’Arcadia, fece distrarre Joy che non capiva bene che stesse accadendo. Incuriosita e anche un po’ preoccupata uscì dal laboratorio andando incontro a quel vociare agitato, che la condusse direttamente in plancia, dove vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere. 
Mentre Yattaran via radio protestava vibratamente, scorse Harlock, con indosso quella mascherina che già gli aveva visto su Filos. Era in piedi sul boccaporto, della nave spaziale, completamente aperto, fiero in tutta la sua imponenza fisica, mentre la forza del vento creato dai reattori dell’Arcadia gli scompigliava i capelli, scoprendogli completamente il volto. Per la prima volta riuscì a vedere chiaramente la benda nera che portava sull’occhio destro, mentre il mantello gli svolazzava alto, dietro la schiena, tanto che si chiese come facesse a mantenere l’equilibro, eppure sembrava piantato al suolo come se fosse un blocco di granito. 
Ma che diavolo stava facendo? Si chiese attonita. Non fece neanche in tempo a pensare altro, perché lui, con un’elegante capriola, si lanciò letteralmente a capo fitto nel vuoto. Le sarebbe anche venuto da urlare per lo spavento, ma l’urlo le si strozzò in gola lasciando spazio ad un rantolo soffocato. Era completamente atterrita temette che si sarebbe sfracellato al suolo. Ebbe quasi un mancamento. 
Kei, che proprio in quel momento era miracolosamente riuscita a rientrare a bordo, si accorse del terrore di Joy. Le andò incontro e le spiegò che cosa fosse accaduto. Lei e Yama erano finiti sulla schiena di un Muldawd, una specie millepiedi alieno molto aggressivo e dalle dimensioni enormi, ed erano precipitati. Yama l’aveva salvata spingendola a forza fuori dalla navicella, facendo in modo che dall’Arcadia potessero recuperarla, ma così facendo, lui era precipitato con la capsula in una specie di vulcano. 
Harlock senza neanche pensarci aveva deciso di andare ad aiutarlo.
Joy la guardò come se fosse una pazza.
“E per aiutarlo si è buttato a capofitto nel vuoto?” le chiese isterica, ansimando.
“Non devi preoccuparti il Capitano sa quello che fa e comunque il suo è un mantello antigravitazionale che grazie alla dark matter gli permette un equipaggiamento molto più leggero e meno invasivo del nostro, ma ti assicuro che è anche molto più efficiente”.
Furono interrotte dalle urla concitate di Yattaran “Capitano dovete fuggire di lì, subito! Sta per esplodere tutto! I movimenti del Muldawd stanno diventando troppo vivaci!”.
La voce di Harlock arrivò leggermente metallica, attraverso la radio della capsula, gracchiando “Devo procedere manualmente al distacco della bomba”.
Silenzio.
Altra gracchiata “Procedo!”.
E a seguire una miriade di suoni strani, che lei non capiva, ma che non lasciavano presagire nulla di buono, poi improvvisamente più nulla.
Silenzio assoluto.
Comunicazioni interrotte.
“Capitano? Capitanooo!” urlò Yattaran
Silenzio.
Kei aveva gli occhi sbarrati. 
Joy non riusciva a parlare era come afona. A dire il vero le mancava l’aria faceva fatica fisica a respirare.
Yattaran stava imprecando sommessamente, perché non capiva per quale motivo Harlock stesse certamente rischiando la vita per salvare Yama, che era l’ultimo arrivato, e che comunque era salito a bordo come spia.
Alla biologa giungevano queste voci che parevano ovattate: Kei che diceva che il Capitano avrebbe fatto questo per chiunque altro. Un altro pirata che si stava disperando per la sua probabile dipartita. Poi improvvisamente tra tutto l’equipaggio calò un silenzio glaciale. Tutti temevano che fosse accaduto il peggio. Lo sconforto generale prese il sopravvento.
Joy ebbe un capogiro, non poteva, né voleva capire, ma all’improvviso, inaspettatamente la investì un’esplosione di urla di gioia.
Harlock e Yama ce l’avevano fatta. 
A lei sembrò di ritornare a respirare, come se fino ad allora fosse stata in apnea, come se qualcuno le avesse tenuto premuta la testa sott’acqua, e ora lei potesse emergere e riprendere fiato, proprio un attimo prima di affogare. Quando vide che Yama e Harlock stavano rientrando dentro l’Arcadia, sentì il bisogno di scappare e tornò di corsa in laboratorio. Entrò dentro, chiuse dietro di sé la porta e si appoggiò alla parete, poi chiuse gli occhi respirando con affanno. Picchiò un forte colpo con il palmo della mano contro il muro, un gesto di liberazione misto a frustrazione. Maledizione! Quel pirata mi farà morire prima di arrivare ai miei trent’anni. Pensò, ed era seria, stava male fisicamente, si era presa uno spavento enorme e si rese conto che Harlock, lì in quell’arco temporale, e in quella vita, era l’unico punto di riferimento certo che avesse. Era in realtà tutto ciò che avesse. Capì che doveva frenare questa cosa che stava germogliando in lei. Era deleteria. Non poteva e non doveva stare così male per un uomo, che comunque era distante da lei anni luce in tutti sensi. Doveva darsi una regolata. C’era una missione da compiere. Una cosa importante, per cui aveva addirittura sfidato le leggi del tempo. Andò in bagno, si sciacquò il viso con acqua fredda, quindi si rimise immediatamente a lavoro. Aveva affrontato sfide ben più impegnative di questa. A costo di imporselo con la forza avrebbe tenuto a bada se stessa e ciò che provava.
Harlock che era appena entrato in plancia, mentre i suoi uomini lo stavano acclamando, per la riuscita del salvataggio, mosse impercettibilmente la testa a destra. Avendo una visione monoculare era costretto a tenere quasi sempre il viso ruotato e inclinato leggermente a destra, per compensare meglio la parte morta dell’occhio guercio. Muoveva veloce l’unico occhio a disposizione, perlustrando tutta la porzione di nave che poteva coprire la sua visuale. La stava cercando ma non la vedeva. C’erano in pratica tutti tranne lei. Nessuno si accorse di niente, a parte Meeme che lo stava osservando.
Lui non fece comunque una piega e come niente fosse riprese le attività di bordo.
Per tutto il giorno dispensò ordini e direttive perché aveva manifestato l’idea di andare sulla Terra. Tutto l’equipaggio sapeva che lì avrebbero dovuto posizionare l’ultima bomba a vibrazione dimensionale, ma nulla più. Certo non poteva dire loro troppo, bisognava andare per gradi. I suoi uomini non sapevano la verità, ma intanto bisognava organizzarsi, poi avrebbe parlato. Era una cosa che alla fine avrebbe comunque dovuto affrontare, anche se era conscio che sarebbe stata dura far accettare una cosa del genere a chi lo venerava e lo riteneva infallibile. 
Di lei per tutto il giorno non ebbe notizie. 
Non chiese niente a nessuno, ma dentro di sé si domandava dove fosse, perché lo evitasse. Perché era chiaro come il sole che lo stesse evitando. Eppure la sera prima non l’aveva respinto. Si era abbandonata a lui, rispondendo con trasporto a quel bacio che comunque era il frutto di una sua iniziativa, ma allora perché ora faceva così? Proprio non capiva. Quando poi gli venne in mente, chissà come, che potesse essere spaventata dalla sua contaminazione con la dark matter. Era possibile che credesse che in lui ci fosse qualcosa di così oscuro, tanto da averne paura? Era  però un ragionamento che non gli pareva avesse molto senso. Allora cosa c’era che non andava?

In realtà oltre ad evitarlo Joy cominciava ad avere dei seri problemi con la clonazione della terra. Non aveva neppure mangiato ed era stata tutto il giorno chiusa in laboratorio, cercando di fare quella maledetta coltura che non le riusciva. Non c’era verso. Per quanto ci provasse, quella non attecchiva. Era testarda e determinata, quindi stava provando e riprovando a ritmo incessante. Con ogni possibile tentativo, sperimentando tutto ciò che era in grado di elaborare. Non poteva credere che proprio ora ci fosse un impedimento così grave.

Quella stessa notte, Harlock, insonne, passò molto tempo nella sala del Computer Centrale. Quando stava male, aveva qualche dubbio, o qualche problema, si rifugiava lì e parlava con la coscienza del suo carissimo e fraterno amico Tochiro. Era stata inglobata da quella macchina al momento della sua morte ed era, di fatto, anche la vera e propria anima dell’Arcadia, che viveva di vita propria, grazie alla presenza impalpabile di Tochiro. Lui era l’ingegnere che l’aveva costruita e personalizzata. Era una sua creatura e attraverso la sua morte, le aveva anche donato se stesso come una sorta di energia vitale. Come se lui pur non essendoci, fosse ugualmente sempre e comunque a fianco di Harlock. Nessuno, nemmeno Meeme sapeva come facessero a comunicare, ma se non avesse avuto l’appoggio di Tochiro, e i suoi preziosi consigli, Harlock probabilmente non sarebbe mai arrivato fin lì, non dopo tutto quello che aveva dovuto sopportare.
Così stette molto tempo in sua compagnia e poi stanco uscì. Camminava lentamente, senza fretta quando fu distratto dallo svolazzare di Tori e non seppe neanche come, né perché, ma si ritrovò in direzione del laboratorio. Era veramente notte fonda e si sentì sciocco, di certo lei non c’era. Sorprendentemente invece si accorse la luce era accesa. 
Lei era ancora lì a quell’ora? 
Sicuramente doveva essersi addormentata pensò. Contrariamente rimase sorpreso nel rendersi conto che stava ancora lavorando. La porta del laboratorio era socchiusa e si poteva vedere all’interno. Si mise di tre quarti in modo da non farsi scorgere. Notò che era molto presa e anche molto agitata, come se qualcosa non le tornasse. Indossava un paio di occhiali che non le aveva mai visto prima, come fattura simili a quelli di Yattaran, probabilmente dovevano servirle per vedere meglio, quando doveva fare cose di precisione. Doveva averglieli costruiti il suo primo ufficiale, nonostante la sua aria truce a volte anche burbera, quell’omaccione era buono come un pezzo di pane e si prodigava sempre per tutti. Era visibilmente stanca, ogni tanto si passava il dorso della mano sulla fronte. Aveva il viso tirato e l’espressione accigliata come se facesse fatica a mantenere viva la concentrazione. A un certo punto si prese la testa fra le mani e rimase a fissare quei vetrini con un’aria totalmente afflitta.
Senza pensarci Harlock entrò.
Joy lo vide subito e come sempre ebbe un tuffo al cuore, anche perché non se l’aspettava, le compariva davanti sempre all’improvviso cogliendola di sorpresa.
“Come mai sei ancora qui?” le chiese Harlock preoccupato.
“Non riesco a clonarla…” rispose stancamente. Sembrava come sconfitta.
“Non è necessario che tu lo faccia in un giorno e una notte”.
“Sì lo so. Ma c’è qualcosa che non va”.
“Forse è meglio se ora vai a riposare” disse il Capitano, quasi convinto che lei avrebbe ribattuto. 
Ma non lo fece.
Stancamente si alzò, ripose tutto a posto senza fretta, quasi svogliatamente. Fece le cose senza dire una sola parola, sotto lo sguardo di lui che la osservava. 
Più la guardava e più si rendeva conto che era davvero strana. Quella giovane biologa non era prevedibile. Non aveva uno schema comportamentale fisso, in lei non c’era niente di ordinario. Era straordinaria senza forse nemmeno saperlo. Tutti loro in quella nave vivevano quella realtà da anni. Avevano scelto quella vita, lei no. Era una outsider, si era trovata lì, probabilmente anche contro la sua volontà ma non si era mai arresa. Si era integrata, era diventata addirittura quasi una di loro. Non pretendeva di essere speciale, era solo se stessa e lui per questo l’ammirava. Trovarla lì, ancora intenta a lavorare, dopo la sera precedente gli face solo capire quanto anche lei tenesse a quella faccenda, e che non si sarebbe risparmiata per cercare di risolverla e di dare il suo contributo.
Una volta che Joy ebbe riordinato e spento le luci uscirono.
Insieme. 
Uno di fianco all’altra. 
In silenzio. 
Attraversarono la nave, camminando lentamente, sempre uno di fianco all’altra, sempre senza dire una sola parola. 
Ognuno dei due perso dietro il fluire dei propri pensieri. Imbrigliato nelle proprie domande e nelle proprie riflessioni.
Joy non capiva il comportamento di Harlock. Perché fosse lì, se la sera prima era scappato. Non aveva senso che a quell’ora fosse andato a vedere se era in laboratorio. Perché ciò che faceva non aveva mai una logica? E come poteva levarselo dalla testa se era sempre a poca distanza da lei, sempre comunque presente, anche quando era assente?
Harlock invece non capiva perché lei ad un tratto non parlasse più. Non bastava lui a non parlare? Perché all’improvviso era così silenziosa? Ora sembrava chiusa in se stessa, sfuggente, ritrosa, quasi come una sorta di sua copia speculare. Ma perché? Era per via che aveva scoperto la verità sulla sua natura invulnerabile, come aveva pensato, o lui aveva fatto qualcosa di sbagliato. Ma cosa? Non capiva…
L’accompagnò fino alla sua cabina, malgrado i sui dubbi e le sue domande restò in silenzio. 
Joy era stanca morta, ma questo non le impedì, quando si trovò davanti alla porta del suo alloggio, di essere invasa da una miriade di sensazioni impetuose e contrastanti. Quella mattina però si era imposta una cosa e doveva almeno provare a portarla avanti.
Quindi aprì per entrare nei suoi alloggi e senza girarsi, dandogli le spalle, non poté però fare a meno di dirgli “Ti prego di non fare mai più una cosa come quella di stamani mattina, perché se ricapita, e non ti ammazzi, poi ti ammazzo io!” e senza aggiungere altro entrò e si chiuse la porta dietro le spalle, senza neppure guardarlo.
Lui rimase abbastanza sconcertato. 
Restò ad osservare quella porta chiusa interdetto. Allora lei c’era quella mattina? Non ci stava capendo più niente. Era fuor di dubbio che quella frase fosse un chiaro riferimento all’accaduto. Probabilmente lei s’era spaventata a morte, ergo provava qualcosa per lui. Sì, ma cosa? Non volle rispondersi a quella domanda. Non voleva proprio pensare più a nulla, in quel momento gli bastò sapere che lei si fosse preoccupata. Decise di andarsene a cercare di dormire almeno qualche ora. Era stata una giornata piena anche per lui. Non era stato affatto facile prendere quella decisione riguardo Yama, ma aveva subito sentito dentro di sé che doveva salvarlo ad ogni costo. Non poteva assolutamente permettere che gli potesse capitare qualcosa di male e non ci aveva neanche riflettuto, e si era gettato letteralmente tra le fiamme per riportarlo sano e salvo sull’Arcadia. 
Perché lui era fatto così, sembrava un uomo distaccato, scostante, chiuso in se stesso, ma in realtà il suo cuore era grande e generoso come le profondità più oscure della Galassia.
Intanto Joy, sola dentro la sua cabina era piuttosto malinconica per non dire avvilita. Improvvisamente era stata travolta da una strana tristezza, velata d’angoscia. Si stava rendendo conto che forse non poteva essere utile. La clonazione sembrava non funzionare, non quella della terra almeno. Si era entusiasmata con troppa facilità e i fatti ora la stavano ridimensionando, lo avrebbe deluso e questo le faceva davvero male. C’era poi la paura di essere vittima di un amore sbagliato, che non sarebbe mai dovuto sbocciare. E c’erano anche tanti altri brutti pensieri. Non sapeva come avrebbe fatto a tornare indietro nel tempo a casa sua, che ora cominciava a mancarle molto. Era lì, ma sarebbe mai potuta tornare indietro? Questo suo padre non glielo aveva mica mai fatto sapere… 
E se fosse dovuta rimanere nello spazio per sempre? Ce l’avrebbe fatta a sopportare una vita così, in completa solitudine. In un mondo che non le apparteneva? 
L’angoscia la stava torturando. 



 *

 

Quella stessa sera, qualche ora prima, Yama aveva chiesto a Kei di poterle parlare in privato. Così si erano appartati nella cabina di lei lontani da orecchie indiscrete. Lui gli aveva salvato la vita a rischio della propria, e per questo ora lei lo rispettava molto di più. Era rimasta molto colpita da quel gesto senz’altro eroico e se non fosse intervenuto Harlock, Yama sarebbe morto. 
“Ti dico che è importante” le stava spiegando piuttosto concitato “Nami ha rischiato tantissimo e in prima persona per mettersi nuovamente in contatto con me. Quando le ho parlato di Joy e del suo progetto, ha detto che deve vederla assolutamente. Deve parlare con lei e che non c’è tempo da perdere. Dobbiamo organizzare la cosa”.
“Ma dobbiamo dirlo a Harlock” rispose Yuki.
“Per me va bene, ma se si opponesse?”.
“Si opporrà di sicuro” fece pensosa. 
“E allora che facciamo?” la incalzò il ragazzo.
“Ma tu non sai che voglia da Joy?” gli chiese.
“Di preciso no, lei mi contatta velocemente quando mio fratello non è nei paraggi. Sembra stia preparando un potente attacco, spesso è assente. Credo potrebbe darci anche informazioni utili anche su questo”.
Kei stava riflettendo “Ma perché dobbiamo proprio andare nel Palazzo del Governo?” gli chiese. Non è che dubitasse di lui, ma la cosa le pareva davvero strana, oltre che estremamente pericolosa.
Lui si rabbuiò “Nami ha un grave impedimento”-disse in soffio-“Non può muoversi. Dobbiamo per forza portare Joy da lei”.
Avrebbe voluto saperne di più, su cosa intendesse per grave impedimento, ma non volle essere invadente era chiaro che fosse molto turbato.
“Bisogna parlarne al Capitano. Non posso fare una cosa del genere alle sue spalle”. Poi le si accese come una lampadina. “Ma quando deve ricontattarti Nami?.
“Non lo so di preciso, perché?”.
“Quando ti contatterà devi fare in modo di organizzare un appuntamento e dobbiamo far essere presente Joy. Facciamole parlare prima a distanza, se poi è proprio indispensabile che si vedano di persona, allora proverò io stessa a parlare con il Capitano. Male che vada, se sarà necessario, proveremo tutti e tre insieme a farlo ragionare”.
E dopo aver deciso che avrebbe fatto così si salutarono ed il ragazzo uscì.

Yama si stava appunto avviando svelto verso la sua cabina quando all’improvviso incrociò Meeme, eterea e piena di misterioso fascino, come sempre. Si fermò e lo fissò dritto negli occhi “Un giorno dovrai scegliere da che parte stare. Un giorno capirai qual è il tuo posto in questa vita, ma soprattutto a quale retaggio darai la tua devozione, se a quello di prima, o a quello di adesso. Ma non ancora...” e se andò via leggera e silenziosa, lasciando dietro di sé solo il leggero rumore dei suoi passi.
Yama rimase molto perplesso, la osservò mentre se andava non capendo assolutamente l’enigma che potesse contenere quella frase. A lui suonava completamente senza senso. 
Pensieroso si ritirò nei suoi alloggi.

NOTE: Clonare la terra probabilmente è impossibile ed è sicuramente una castroneria, non mi è nemmeno venuto in mente di fare delle ricerche in merito, semplicemente perché è stato un puro espediente narrativo utile, nato e morto nel giro di 3 capitoli. Come ebbi già modo di dire qualche capitolo fa non ho mai inteso scrivere un trattato tecnico, né supportare le mie strampalate e fantasiose tesi espresse in questa storia, come vere o presumibili tali, trattasi di finzione e fantasia senza nessun fondamento o coerenza scientifica e senza alcuna pretesa di esserlo. Prendete questa fic(tion) per quello che è, ovvero puro cazzeggio! ;
Invece la disamina sull’inclinamento della testa per ampliare la visione monoculare, la lessi in un forum (o su facebook???) dedicato al film. Devo dire che ho provato, tappandomi un occhio con una mano, ed è assolutamente vero, quindi l’ho usata in questo frangente perché mi piaceva e la trovavo calzante. Purtroppo non ho più il link della fonte.

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Capitolo 17
*** Cicatrici ***


Buongiorno e buon week end! Eccoci qua puntuali, anzi direi un po’ in anticipo (venerdì mattina) come ogni fine settimana per il RI-postaggio sempre di DUE capitoli, uno di seguito all’altro rivisti, sfrondati e corretti.

Buona lettura e grazie a chiunque passi di qua!

  .16.

 

 

CICATRICI

Yama da un paio di giorni era teso come una corda di violino. Se ne stava sempre per conto suo ed era poco socievole. Proprio ora che ne aveva bisogno per organizzare quell’incontro virtuale con Joy, Nami non si faceva sentire.
Lui conosceva troppo bene suo fratello, ed era costantemente in pensiero per lei. Ancora di più dopo quello che Ezra aveva cercato di fare a Joy. Non riusciva quasi più a riconoscerlo e ancora una volta si chiese che cosa avesse potuto trovare in lui Nami.
Era un rapporto complicato quello che aveva con sua cognata. Un tempo ne era stato innamorato. Un amore puro, adolescenziale. Erano cresciuti insieme. Erano coetanei e da piccoli giocavano sempre nel grande giardino di casa sua. Quando poi erano diventati due adolescenti, lui aveva capito che i sentimenti per lei non erano solo fraterni, ma Nami era attratta da Ezra. 
Lui e suo fratello avevano sempre avuto un rapporto contrastante. Erano completamente diversi. E non solo fisicamente.
Yama era aperto e ottimista, amante della natura e solare. Ezra invece era ambizioso, voleva sempre primeggiare. Era anche piuttosto freddo e calcolatore. Non erano mai andati molto d’accordo perché erano sempre stati in perenne competizione. Ezra detestava la predilezione che la loro madre, secondo lui, aveva per Yama. Non poteva tollerarlo e per questo appena aveva potuto si era dedicato alla carriera militare, dove aveva avuto le sue belle soddisfazioni, così la sua frustrazione e la sua invidia si erano un po’ placate.
Yama riprovava Ezra perché lo trattava sempre male e con sufficienza, a volte finiva anche per ferire la loro madre per come sapeva essere freddo e cinico. Nami invece era l’unica che sapesse come prenderlo e l’unica con cui non fosse spiacevole. Alla fine aveva chiaramente capito che la ragazza aveva scelto suo fratello e siccome era appena poco più che adolescente, prima aveva sofferto moltissimo, ma poi se ne era fatta una ragione. Quando Ezra l’aveva sposata, era stato sinceramente contento per lui, magari lei avrebbe potuto mitigarlo, cambiarlo, renderlo migliore.
Ora il suo amore per Nami era davvero solo fraterno e molto protettivo, perché anche se sua cognata non ne parlava mai, Yama aveva capito che da tempo non era più felice con Ezra. 
Da quando c’era stato quel terribile incidente causato da lui, le cose erano drasticamente peggiorate. Era finito con il diventare il pupazzo inanimato di suo fratello che lo manipolava a suo piacimento. 
Salire sull’Arcadia lo aveva invece liberato dal quel vincolo insano e ora si domandava che stesse pensando e soprattutto cosa stesse architettando Ezra. Suo fratello non si era mai minimamente preoccupato di sapere che fine avesse fatto, poiché non si erano più sentiti. Si stava rendendo conto che per lui poteva anche essere morto, che non gli importava niente. Non aveva mai capito il perché di tutto l’odio che aveva da sempre covato dentro, contro di lui. Poteva capirlo ora, dopo l’incidente, ma prima era stata una cosa che lo aveva sempre ferito. Era pur sempre suo fratello maggiore avrebbe dovuto essere il suo mentore, la sua guida e invece…
Dopo la morte della madre anche Yama si era indurito e quando, per rabbia e frustrazione aveva fatto capitare quell’incidente terribile che aveva tolto l’uso delle gambe a Ezra, era come morto dentro per il rimorso. Alla fine la sua natura, dopo tutto ottimistica, aveva placato un po’ il dolore e aveva preso a nascondere i suoi veri sentimenti dietro una maschera da sbruffoncello simpaticone. A volte poteva sembrare un ragazzo superficiale, ma in realtà aveva racchiuso in sé un grande dispiacere e anche lui, come molti membri di quella nave, aveva delle profonde ferite dell’anima.
Quando era salito sull’Arcadia, lo aveva fatto per riscattarsi agli occhi di Ezra, per risarcirlo, anche se in minima parte di ciò che gli aveva fatto. Ma poi aveva conosciuto Harlock e ogni sua certezza aveva vacillato.
Quell’uomo così apparentemente cupo e a tratti severo, lo aveva messo di fronte ad una realtà che non aveva mai considerato: le cose non sono mai quello che sembrano, o che ti raccontano. Vedendo in prima persona come funzionasse quella nave, conoscere l’equipaggio, vivere quella vita, gli aveva fatto capire che quello che gli aveva sempre detto Ezra erano solo menzogne. Gli aveva mentito anche sulle bombe, che era sicuro non servissero affatto per un attacco eco terroristico, altrimenti perché Harlock spalleggiava Joy in quello che faceva? Era certo che al momento opportuno il Capitano avrebbe spiegato tutto a tutti.
Quel Pirata non era che un altro bersaglio contro cui suo fratello scaricava le sue frustrazioni, o proiettava la sua sete d’ambizione.
Inoltre, la cosa che proprio lo aveva conquistato era stata che Harlock, aveva avuto fiducia in lui, proprio quando proprio l’universo intero l’avrebbe condannato. Questa cosa lo aveva colpito nel profondo. Da qual momento aveva giurato a se stesso che gli sarebbe stato fedele fino alla morte ma invece, chi aveva rischiato la vita per salvarlo era stato ancora una volta lui: il Capitano.
Era normale che oramai sentendosi parte della ciurma volesse dare il suo tangibile contributo, e quindi era in trepidazione perché Nami non si faceva sentire, quando invece non c’era tempo da perdere.

*

Nel frattempo in quei giorni le cose non erano cambiate. Joy le aveva provate di tutte, ma ormai aveva capito che non c’era niente da fare, non era in grado da sola, e con il materiale che aveva di clonare la terra. Le colture dei semi invece andavano più che bene, ma questo non poteva confortarla perché senza materia prima, tutto diventava molto più difficile. Era così sicura che ce l’avrebbe fatta, si era fatta prendere dall’entusiasmo e dalla voglia di aiutare Harlock, ma ora bisognava arrendersi all’evidenza e trovare altre soluzioni. Probabilmente aveva peccato di presunzione, non c’era verso di poter portare avanti quel tipo di clonazione.
Le prese una tale rabbia che avrebbe spaccato tutto, ovviamente non lo fece. D’impulso uscì dal laboratorio e andò dritta al poligono di tiro. Era furiosa, si sentiva così impotente, che si doveva sfogare in qualche modo. Tirò in avanti una sagoma. Si concentrò sciogliendo un po’ il collo con un movimento da destra a sinistra, poi prese la mira, facendo come le aveva insegnato Harlock qualche giorno prima e sparò.
Cilecca.
Riprese con più rabbia di prima e sparò una raffica di colpi consecutivi scaricando tutta il suo avvilimento contro quella sagoma inerte.

Mentre Joy era al poligono, Harlock, era andato a cercarla in laboratorio, tanto ultimamente era sempre rinchiusa lì dentro, non c’era verso di farla uscire. Voleva parlarle chiederle come andassero le cose, se c’era qualche novità, ma non la trovò. Pensò che forse finalmente avesse ceduto e fosse andata a riposare, così decise di tornare alle sue occupazioni. Era così strana in quei giorni. Lui aveva capito che era insofferente, soprattutto a causa della clonazione, ma sicuramente anche per loro due, solo che ancora non aveva capito bene cosa potesse essere ciò che la turbava. L’unica cosa che aveva capito, era che avesse bisogno di essere lasciata un po’ in pace. Era chiaro che avesse bisogno di riflettere, come del resto anche lui. Era solo questione di tempo, prima o poi si sarebbero chiariti, bastava non affrettare le cose.

Joy intanto continuava sparare furiosamente contro quelle sagome, quando ad un tratto si accorse che era arrivata anche Kei, aveva estratto la sua pistola e si era messa a sparare accanto a lei.
“Aiuta eh?” confermò la bionda sparando sei colpi concentrici nel mezzo esatto della sagoma.
“Sì!” disse Joy continuando a sparare.
“Sei molto migliorata da quando ti allenavo io” costatò la pirata.
“Come mai sei qui?” gli chiese Joy mentre continuavano entrambe a sparare.
“Avevo bisogno di scaricarmi”.
“Capisco” fece la biologa.
Era davvero strana questa loro chiacchierata tra una fila di colpi e l’altra.
“Sono indiscreta se ti domando per cosa?” le chiese quasi timidamente Joy.
“C’è un solo argomento che porta una donna al poligono di tiro: uomini!” rispose Yuki infilando un’altra serie clamorosa di centri.
Joy pensò che nemmeno di lì a vent’anni avrebbe sparato bene come lei.
“Mi domando come mai mi debba sempre ritrovare tra i piedi quello sbagliato!” continuò Kei più come se parlasse con se stessa che con la biologa “Oddio è anche vero, che qui dentro non è che ci sia questa grande scelta… gira e rigira, questo passa il convento” aggiunse poi ironicamente.
Joy rise di gusto, aveva perfettamente capito che intendesse, ma non voleva essere invadente quindi preferiva ascoltare, piuttosto che farle domande.
“E invece a te, che cosa ha fatto questa volta?” le chiese a sorpresa Kei.
“Chi?” chiese Joy fermandosi un attimo, rinfoderando prudentemente la Cosmo Gun.
Anche Kei rinfoderò la sua “Yattaran!” -la canzonò- “Chi altri?”.
Joy capì al volo “Non mi ha fatto niente” rispose facendo spallucce “È per via della clonazione” aggiunse sviando il discorso “Questa volta Harlock non ha colpe” puntualizzò .
“Se vuoi che me la beva, io me la bevo, non c’è problema, ma se vuoi un consiglio te lo posso dare. Conosco quello sguardo, ci siamo passate tutte” le disse un po’ più con distacco. Poi sospirò appena e parlò di nuovo, sembrava quasi le costasse fare quel discorso, ma non si tirò indietro “Tuttavia se devo essere sincera, non ha mai guardato nessuna di noi come guarda te” e riprese a sparare.
A questo punto la natura molto riservata di Joy uscì fuori in tutta la sua prepotenza “A parte il fatto che non è vero. Non mi guarda in nessun modo, anzi diciamo che non mi guarda proprio. Ma al limite anche fosse, sarà la novità…” rispose e poi aggiunse un po’ irritata “E poi mi spiegate che perché siete tutte fissate? Meeme, che mi fa un panegirico lungo di qua, a là. Tu che te ne esci fuori, con questa frase sibillina. Masu che mi fa la predica, guarda non credo mi si filerebbe nemmeno se rimanessimo da soli nel Cosmo, quindi rilassatevi tutte!”.
Era molto seccata. Tutta questa storia cominciava a darle sui nervi. Già aveva i suoi problemi, con lui e con tutto il resto, senza che ci si mettessero anche loro con tutti quei discorsi allusivi, sembravano tante mamme chiocce!
“Non volevo essere invadente”  -spiegò Kei- “Scusa, ma è piuttosto palese”.
“Cosa?”
“Che sei cotta!”.
Joy allora estrasse di nuovo la pistola e sparò una serie di colpi e questa volta,  la maggior parte arrivarono al centro, o molto vicini.
“Vedi che si ti faccio arrabbiare spari meglio” rise Kei.
A quel punto a Joy si allentò la tensione e finì per ridere anche lei. Annuì. 
“Che ci vuoi fare? Ha ragione Masu, ormai faccio parte della congrega delle rincitrullite!”.
Scoppiarono a ridere insieme e così si rilassarono e dopo aver sprecato una quantità industriale di munizioni, decisero che forse era il caso anche di smettere.
Poco prima di uscire Kei le parlò di nuovo “Non stavo scherzando prima.  È vero che ti guarda in un certo modo. Non è che sia facile capire che gli frulli in quella testa così contorta, ma non è uno che si accontenta, e non è uno che non sa stare senza una donna. In fondo è come se fosse una specie di fottuto samurai”. 
Non le riusciva ancora così bene di accettare che il suo Capitano potesse essere attratto da una donna. E non è perché fosse gelosa. Ormai le era passata, ma le faceva strano vederlo in questa fase. Per lei era la prima volta e non era abituata. Non aveva niente contro Joy, anzi meglio lei che qualsiasi altra, ma avrebbe dovuto digerirla questa cosa e ancora era alla fase della masticazione. Ci voleva tempo. E poi era di malumore anche per via di Yama. Non riusciva a capire come mai fosse così attaccato alle gonne della cognata. Questa cosa la urtava. E il fatto che le urtasse, la faceva ancora più innervosire. A lei di quel ragazzino non importava proprio niente. Doveva solo tenerlo d’occhio. Certo gli era grata per averle salvato la vita, ma nulla più. 
A quel punto Joy si sentì di sfogarsi come avrebbe fatto con una vecchia amica, d’altronde in quella nave erano solo tre donne e un’aliena, dovevano essere solidali tra di loro. D’istinto si sfilò il maglione, restando solo con il reggiseno mostrando alla ragazza le sue cicatrici, era più facile rivelarle che parlarne apertamente. Kei notò che aveva la parte interna del braccio destro deturpata quasi fino alla spalla, da poco sotto il seno fino quasi all’inguine invece faceva bella mostra un’altra striscia di pelle danneggiata, anche se un po’meno di quella del braccio. Per fortuna l’ustione non doveva essere stata proprio delle peggiori, ma la cicatrice era sicuramente importante e la pelle appariva come corrugata in alcuni punti, mentre in altri sembrava come smagliata. 
Onestamente non era proprio un bello spettacolo.
“Capisci ora perché ti dico che non c’è da preoccuparsi?” le disse mesta cominciando a rivestirsi.
“Sono piena di cicatrici anch’io” replicò calma Kei con un tono diverso da prima, cominciava a capire tante cose. Si aprì la tuta e in segno di solidarietà le mostrò le sue, che erano differenti, un po’più piccole, ma davvero tante e di certo non belle. “Se credi che Harlock dia importanza a quelle, allora lascia che ti dica una cosa. Tu di lui non hai capito niente.  È un uomo troppo intelligente e troppo profondo per lasciare che una cicatrice, per quanto grande possa essere lo tenga lontano da te.  È altro che lo tiene a distanza, non quelle” disse decisa rivestendosi. Joy era rimasta piuttosto scioccata nel vedere tutte le cicatrici di Kei e cominciò a capire anche il motivo per cui usasse quella tuta così appariscente. Era una guerriera, e quelle erano ricordi di battaglie, battaglie da uomo. Era giovane e bella, ma costretta ad una vita un po’ castrante per una ragazza della sua età. Stare chiusa in quella nave senza un compagno non doveva essere facile. Era pur sempre una donna ed era come se volesse urlare che la sua femminilità non era morta, che era lì, nonostante tutto. Era il suo modo di affermare al mondo di essere desiderabile e viva. 
Joy restò ammirata dalla sua forza.
“Comunque non ero venuta qui per parlare di questo, ma di altro” le disse distogliendola dalle sue considerazioni. Era ora di cambiare argomento. 
E così mentre uscivano dal poligono le spiegò la faccenda di Nami di cui aveva parlato con Yama. 
Joy si disse disponibile e rimasero d’accordo che appena la ragazza avesse messo in contatto Yama lei glielo avrebbe fatto sapere.

Quella sera, come da tempo, Joy non riusciva a dormire. Sicuramente aveva l’orologio biologico sfasato dalla navigazione spaziale e poi soprattutto aveva avuto troppi pensieri, troppe cose nuove tutte insieme. Un po’ come i suoi ricordi, gli ultimi avvenimenti l’avevano travolta all’improvviso e mai come in quel momento avrebbe avuto bisogno di fare una lunga camminata all’aria aperta per schiarirsi le idee. 
Quando doveva riflettere, si ricordò che sulla Terra, a Londra, era solita andare a Sant James Park, scendeva dalla metro e andava a inoltrarsi in quel verde polmone della città. Per poi camminare, pensare, pensare e camminare, senza meta, a volte anche per ore, ma adesso era su una nave spaziale che vagava nell’Universo, dove mai sarebbe potuta andare?
Il sonno intanto non ne voleva proprio sapere di arrivare, e lei doveva far chiarezza in sé soprattutto dopo la chiacchierata di quel pomeriggio con Kei.
Decise allora che avrebbe fatto la sua passeggiata in giro per l’Arcadia, tanto a quell’ora non c’era mai nessuno, erano tutti rinchiusi nei loro alloggi. Perfino Harlock ultimamente non era molto presente.
Avrà avuto tutti difetti del mondo, ma di certo non era un uomo che non sapesse rispettare gli spazi altrui e da quando aveva capito che c’era qualcosa che non andava, l’aveva lasciata piuttosto libera dalla sua  presenza e lei lo aveva apprezzato.
Camminò a lungo su e giù per quella grande nave. La prima volta che era salita a bordo, le era sembrata così lugubre e tetra. Ora invece le appariva solo misteriosa e affascinate. Forse un po’ troppo malinconica. La silenziosa custode di tutti i segreti della ciurma e del suo Capitano. Un bozzolo protettivo che brulicava di vite e di persone che nonostante tutto erano come una grande famiglia, che solcavano insieme le profondità dello Spazio per restare liberi e fedeli ai loro ideali.
Nel suo vagare senza meta passò vicino alla Plancia di comando. Notò che non c’era nessuno. Salì la scaletta e si ritrovò sul ponte, immersa in un silenzio che paradossalmente pareva quasi assordante. 
La sedia di Harlock era vuota, il timone si muoveva impercettibilmente da solo, cigolando appena, seguendo placidamente la rotta, e davanti si stagliava la grande vetrata con lo Spazio che sembrava come avanzare verso di lei. Immenso, nero, ma costellato da una miriade di piccole stelle luminose e danzanti, che esercitavano su di lei come un richiamo quasi mistico. Come se l’eternità, travestita da sirena, con una sorta di canto invisibile la stesse chiamando a sé. Stregata attraversò lentamente il ponte superando le postazioni di Kei e Yattaran prima, e il timone dopo, fino ad arrivare alla balconata che si affacciava proprio davanti alla vetrata, sentì un tuffo al cuore, le parve quasi come di essere inghiottita da quello spettacolo così meravigliosamente intenso. Si fermò a guardare. Da quella posizione le sembrava quasi di essere sospesa direttamente nello Spazio. Era esaltante. Ma anche tremendamente spaventoso. Nella sua magica bellezza rappresentava anche tutto ciò di cui la natura umana ha paura: l’ignoto.
Fu così che la sorprese Harlock. 
Era arrivato in Plancia per stare da solo e l’aveva scorta lì, rapita davanti a quella veduta. Rimase ad osservarla qualche secondo inclinando appena la testa di lato. Lei era immobile. Chissà a cosa stava pensando, si chiese. Non riusciva mai a comprenderla a pieno e questo, suo malgrado, lo affascinava moltissimo.
Poi con molta calma la raggiunse arrivandole alle spalle.
Lei aveva avvertito la sua presenza perché aveva riconosciuto il tintinnio dei suoi stivali, che ormai le era un suono familiare, ma non si mosse.
“Toglie il fiato vero?” le chiese con quella sua voce così calda e profonda  che le arrivvò come una carezza.
“Sì” rispose lei in un soffio.
Lui notò che non portava i guanti. La cosa lo sorprese.
“Non ci si abitua mai a questo spettacolo. Quasi non ricordo più la prima volta che ho volato. Eppure ancora oggi, quando mi fermo ad osservare la profondità dell’Universo, ne rimango totalmente ammaliato. Non mi stanco mai di esserne attratto”.
“È davvero molto bello. Ma mai come potrebbe essere un’alba, o un tramonto” si sorprese a rispondergli. Ora che i suoi ricordi erano tornati al loro posto, le mancava la luce, erano troppi giorni che vagavano per lo spazio, immersi in una notte senza fine. Le mancava il sole, il profumo dell’erba, le piante, il vento, le mancava la Terra, la vita.
Harlock rimase in silenzio profondamente turbato. Capiva perfettamente ciò che provava. Erano desideri che provava anche lui, da tanto, troppo tempo. La sua amata Terra che non c’era più…
Rimasero fermi, in silenzio. Ormai riusciva bene a tutti e due starsene zitti. Ma forse quel silenzio era una sottile forma di comunicazione tutta loro. 
Significava per entrambi: dammi tempo.
Fu Joy a parlare “Mi dispiace. Ho fallito. A quanto pare non sono capace di clonare la terra. Quindi credo che abbiamo un bel problema da risolvere”-sospirò-“Sembra che tutto sia stato inutile. Essere stata mandata qui, darsi da fare, tutto inutile. Sono una vera delusione!”. Era davvero affranta.
Lui si accigliò “Se non sbaglio, eri tu appena pochi giorni fa che mi parlavi di non arrendersi e di andare sulla Terra. Ora che cosa è cambiato?” le chiese severo. Come poteva essere così arrendevole se fino a poco tempo prima, ne aveva fatte e dette di tutte, per cercare di farlo rimediare al suo errore.
“Probabilmente sono stanca” disse voltandosi, passandogli a fianco e superandolo senza neppure guardarlo. Parte del suo problema era lui, ma c’era anche altro. La frustrazione di avere fallito. La paura di un futuro davvero sospeso. E ovviamente l’angoscia di non sapere più a che mondo davvero appartenesse: Terra, o Spazio? 
“Che cosa c’è che ti turba?” le chiese lui.
Lei si girò e lo guardò.
“Molte cose” rispose stancamente, ma non aveva voglia di parlarne.
Harlock la stava guardando con quello sguardo caldo e luminoso che a lei piaceva così tanto. E sentì il cuore sfondarle il petto. Per quanto potesse lottare contro ciò che sentiva, la sua era una battaglia persa in partenza.
“Questo l’avevo intuito” rispose lui “Ho fatto qualcosa che non dovevo?”.
“No” fu la laconica risposta di lei.
Lui sospirò “Credevo di essere io quello poco loquace, ma a quanto pare mi stai facendo degna concorrenza” commentò appena contrariato. Non era una battuta la sua, ma una riflessione a voce alta. Bisognava comunicassero e bisognava risolvere la faccenda della clonazione. A quel proposito aveva parlato tanto con Tochiro, e quella strada che avevano deciso di intraprendere, andava perseguita, bisognava almeno provarci, non era tempo di lascarsi andare, ma di lottare. Non era accettabile che lei mollasse. Non ora.
“Magari così capisci come possa essere frustrante per gli altri quando lo fai tu” rispose Joy, sorridendogli e distogliendolo dalle sue congetture.
Vederla sorridere lo tranquillizzò un po’. Poi le venne di farle quella domanda, forse perché non sapeva bene che dirle, o forse semplicemente perché gli ci era nuovamente cascato lo sguardo, ed era curioso. “Non porti i guanti stasera come mai?”.
Lei si innervosì appena. “Qualcuno mi ha fatto notare che dovrei cominciare ad accettare le mie cicatrici” disse osservandosi la punta degli anfibi, cercando poi maldestramente di nascondere le mani.
Lui però non le diede il tempo, le prese la mano, dove c’era la bruciatura e la guardò. “Le tue cicatrici fanno parte di te. Tu sei tu, perché hai queste cicatrici, senza, saresti incompleta” disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Lei rimase senza parole.
“E tu cosa pensi della mia cicatrice?” le chiese poi inaspettatamente, riferendosi allo sfregio profondo che gli segnava il viso.
Joy ci mise un attimo a rispondere perché era stata colta di sorpresa da quella domanda, ma fu estremamente sincera: “Ti sembrerà strano…” cominciò a rispondere appena confusa “…ma a me piace. Trovo che per assurdo esalti la bellezza del tuo volto, che forse senza, sarebbe fin troppo perfetto. Non l’ho mai percepita come un difetto, ma come un valore aggiunto”.
“Se mi togliessi la benda e ti facessi vedere il mio occhio offeso, probabilmente proveresti ribrezzo” commentò lui calmo.
“Non credo proprio!” protestò quasi risentita. Lei lo adorava, non avrebbe mai provato disgusto per niente che lo riguardasse.
“E allora dimmi, cosa ti fa pensare che io possa provare ribrezzo davanti alle tue di cicatrici?” le disse diretto fissandola negli occhi.
Lei andò totalmente in confusione, come oramai troppo spesso gli capitava con lui.  Come era arrivato a fare quel discorso?
“Io..non..” disse un po’ interdetta. 
Che cosa era quella una specie di dichiarazione, o cosa? Qualunque cosa fosse non voleva che lui smettesse.
“Credi che ti avrei baciata se non avessi provato attrazione per te?”.
Si sentì improvvisamente stupida. 
“Ma sei andato via…” ribatté.
Ecco ora quello nei pasticci era lui. 
Cosa poteva dirle? 
Niente. 
E dato che come risaputo Harlock non era un uomo di tante parole, ma era un uomo d’azione.
Si avvicinò ancora un po’ le prese il viso tra le mani e la baciò. Questa volta fu un bacio morbido, intenso e prolungato. 
Come risposta, per ora, poteva bastare.

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Capitolo 18
*** Vento di bonaccia ***


 

 

NB
VENTO DI BONACCIA è chiaramente una sorta di ossimoro. Non esiste vento nella condizione marittima della Bonaccia, ma è un titolo che mi garbava per questo capitolo, anche per sottolineare le continue “altalene” tra i protagonisti.

 

  .17.

 

VENTO DI BONACCIA…

Era stato molto faticoso per entrambi, dopo quel bacio, così intenso e prolungato, ricomporsi e andare a letto tranquilli, naturalmente ognuno nel proprio alloggio.
Harlock, era consapevole del fatto che non potesse pretendere nulla da lei, perché la situazione era ingarbugliata e c’erano un sacco di cose da considerare. A parte ciò, la priorità assoluta andava data sicuramente alla questione della Terra. E poi era tutto così complicato per quel microcosmo all’interno dell’Arcadia. Già essersi lasciarsi andare in quel modo, dentro la sua nave, addirittura in Plancia, col rischio di farsi sorprendere da qualcuno, era stato per lui un azzardo inconcepibile. Se c’era una cosa a cui teneva più di ogni altra, era la sua privacy. 
Non si entrava nella sua cabina se non si era convocati. Non si facevano a lui domande di tipo personale. Insomma, guai ad azzardarsi ad entrare nella sua sfera intima senza il suo permesso. Anche perché, era noto a tutti, che era perfettamente inutile chiedere: lui non rispondeva mai. Quindi anche per questo motivo, era molto frenato rispetto a questa situazione. Se questa cosa che stava sbocciando, e neppure sapeva lui dove sarebbe andata a finire, fosse diventata di dominio pubblico, si sarebbe scatenato il caos sulla nave, perché sarebbe stato un evento destabilizzante. Era questo il motivo per cui avere relazioni a bordo era una cosa che aveva evitato come la peste. 

Così, quella sera l’aveva riaccompagnata alla sua cabina, dove da perfetto gentiluomo aveva abbozzato una casta buonanotte e congedatosi, si era avviato per poi ritirarsi. 
Stava camminando nel corridoio che l’avrebbe portato ai suoi alloggi, quando la voce di Meeme richiamò la sua attenzione. Era elegantemente seduta su un condotto dell’aria della nave, in alto, vicino al soffitto e con una gamba dondolava elegantemente come se stesse passando semplicemente il tempo. Sembrava molto tranquilla. Harlock alzò la testa e la vide. Era qualche giorno che l’aliena se ne stava per conto suo, ma Meeme era fatta così, andava e veniva, era come il vento. Ormai non ci faceva più caso. Era insito nella sua natura, lei ormai era parte di quella nave da moltissimi anni ed era sempre dove doveva essere. Per poi palesarsi al momento giusto.
“Harlock, sai quanto sia difficile che due scintille di fulgore si incontrino? È un evento straordinario, ma quando questo accade, insieme danno luce alle tenebre. Verrà un tempo in cui dovrai prendere una decisione e fare una scelta, tra la vita e la morte, solo che non sai cosa comporterà...”.
Lui, che non si era fermato, non le rispose, fece solo un breve cenno di assenso con la testa e sparì nel corridoio della nave, lasciando che il tintinnio dei suoi stivali ne scandisse la camminata.
Non aveva paura della morte. Se non l’aveva voluta ancora incontrare era solo perché sapeva di non meritarla. Doveva prima rimediare al suo errore. Esattamente ciò che stava iniziando a fare. Il resto lo avrebbe affrontato a testa alta, al momento che avrebbe dovuto, era inutile pensarci ora.

 Dopo quell’interludio notturno, tra Joy e Harlock s’era creata questa situazione un po’ strana per cui erano entrambi tranquilli e si comportavano abbastanza normalmente, però di fatto, non c'era stato da parte di nessuno dei due nemmeno un accenno a questa cosa che adesso c’era tra loro. Sembrava che la ignorassero bellamente, come se si fossero messi tacitamente d’accordo.
In realtà c’era da risolvere il ben più grave problema di reperire terra organica naturale e poi, magari, trovare anche un posto dove allestire delle serre abbastanza grandi per tentare, una volta constatate le reali condizioni della Terra, i primi impianti. Così avevano già fatto scalo in tre spazioporti nel giro di una settimana per cercare informazioni, ma ancora non si era mosso niente. Per questo forse tendevano a reprimersi, per non togliere l’attenzione dalla causa di vitale importanza che stavano perseguendo.
Questo però non significava che non ci pensassero. Solo che facevano finta di niente e sembrava funzionare, perché all’apparenza erano tranquilli.

Nel frattempo Yama aveva parlato nuovamente con Nami e aveva capito che bisognava agire in fretta, soprattutto per prevenire ogni mossa di Ezra che li voleva tutti morti; non c’era tempo per organizzare nuovi incontri virtuali, dovevano vedersi di persona al Palazzo del Governo, anche perché c’era una questione che preferiva riferire solo a quattr’occhi e solo a Joy. Il problema era Kei e di rimando Harlock. Se Yama l'avesse coinvolta, come aveva tentato di fare qualche giorno prima, Yuki sarebbe filata dritta ad avvisare il Capitano e probabilmente ciò che lui voleva evitare sarebbe accaduto. C’era anche la possibilità che Harlock potesse addirittura porre il veto assoluto di andare da Nami. 
La moglie di suo fratello gli aveva parlato a grandi linee del fatto che Ezra volesse fare un attacco in grande stile all’Arcadia, usando un’arma micidiale e devastante, stava solo aspettando il benestare del Consiglio degli anziani della Gaia Sanction e poi li avrebbe annientati.
Così, quella sera, Yama prese il coraggio a quattro mani e andò alla cabina di Joy, bussò e poi entrò. Le spiegò tutto per filo e per segno.
“Ora io non mi offenderò, se mi dirai che non verrai neanche morta con me. Io al tuo posto non mi seguirei, sono onesto, ma è una cosa importante, forse addirittura vitale. Io andrò in ogni caso, per prendere informazioni sull’attacco. Tu decidi come vuoi. Partirò dopodomani notte, con una capsula. Facciamo così: ti aspetterò fino alle tre del mattino, poi andrò; con te, o senza di te”.
“Ma perché non possiamo dirlo ad Harlock?” chiese lei frustrata. Voleva con tutte le sue forze vedere Nami e aveva capito che dovesse avere una sorta d’impedimento fisico. Yama era alquanto reticente al riguardo, ma come faceva ora a fare una cosa del genere? Harlock si sarebbe infuriato e se fosse stata onesta, avrebbe anche avuto ragione. Solo che si rendeva anche conto, che se considerava le cose da un altro punto di vista, non avrebbe mai incontrato sua sorella, o quella che credeva essere tale. 
Era così combattuta.
Certo che andare da sola con Yama al Palazzo del Governo, era come per una pecora accomodarsi nelle fauci del lupo. Però stranamente, lei era sicura che il ragazzo dicesse il vero. Anzi, era anche abbastanza contraria al fatto che volesse andare là tutto solo. 
La cosa non le piaceva per niente. Le metteva addosso una certa ansia.
“Senti, io non lo so! Diciamo che mi fido, ma non so proprio che fare. Inoltre non posso proprio pugnalare alle spalle Harlock, questa volta non mi perdonerebbe e avrebbe anche ragione”.
“Va bene, non importa, andrò da solo. Nami sono certo che mi dirà lo stesso quello che deve, io te lo riferirò” fece il ragazzo. Capiva e non voleva obbligarla.
“Sì, ma è il caso che tu vada da solo? Insomma a me non piace l’idea che tu ti metta in pericolo”. Ed era sincera.
“È mio fratello, che mai potrà farmi?” disse lui amaramente.
“Guarda un po’ che ha fatto a me mio padre” ribatté lei stizzita. “Senti Yama, ma perché non parliamo con Harlock? Potremmo farlo insieme, se vuoi”.
Le stesse parole di Kei. 
S’irrigidì subito e cominciò ad obiettare. A Joy ci volle una bel po’ di pazienza per cercare di riportarlo sulla via del ragionamento. Lui non capiva, nella sua irruenza giovanile, perché per forza dovessero avere il permesso di Harlock, ma alla fine si convinse. Purtroppo alla base c’era una cosa molto delicata per Yama e il suo non volere coinvolgere il Capitano. Nella sua testa aveva una logica, tutta sua, ma ce l’aveva. Voleva solo renderlo orgoglioso e voleva celare le cose meno belle e meno nobili della faccenda.
Joy invece, voleva convincere Harlock. Il problema era che non potevano mica presentarsi alla sua porta così, come se niente fosse. Era anche tardi, come avrebbero potuto disturbarlo? Le sarebbe venuto in mente qualcosa, pensò. Così, prima di salutarsi, rimasero d’accordo che l’indomani, prima lei avrebbe tentato di aprire la strada, poi lui sarebbe subentrato, introdotto dalla ragazza.


E ora entrava nella fase più difficile della giornata.
La notte.
Era inutile, per quanto durante il giorno ci fossero motivi seri per cui non ci fosse verso neanche di aver tempo di pensare, la notte traditrice arrivava con il suo silenzio e la sua perversa capacità di evocare immagini e pensieri che arrivavano fulminei, scombussolandola. Così era naturale per lei trovarsi nel letto insonne a rigirarsi, per cercare di non pensare. 
Ma come poteva dimenticare quei baci? 
Le sue labbra. 
Così morbide, così esigenti e allo stesso tempo così gentili.
Perché lui era così: scontroso e garbato, irruento e delicato.  C’era da perderci la ragione.
Se prima aveva avuto dei dubbi, l’ultima volta aveva proprio chiaramente capito di piacergli. Non c’era stato verso di poter equivocare.
Prese il cuscino e se lo tirò letteralmente in testa, rimanendoci nascosta sotto. 
No. No, e NO! 
Non era quello il pensiero su cui doveva focalizzarsi. Bisognava che pensasse a quanto sapesse essere ostinato, testone, intransigente e scostante. Così da avere la mente libera, per elaborare un modo per farlo ragionare. Sì, ma quale? Far ragionare lui era come riuscire a camminare sull’acqua! Sarebbe stato ottimo poter trovare un modo per addolcirlo.
Era una parola: addolcirlo!
Ma sì! Le venne un’idea, forse poteva funzionare.
Forse.

Così la mattina dopo, di buon ora, si era infilata in cucina e aveva cominciato a trafficare, perché voleva preparare un bel cheesecake. Ora il suo piano era questo: portargli questa colazione alternativa a sorpresa, per compiacerlo e poi introdurre l’argomento e far intervenire in un secondo tempo Yama. Una cosa molto ingenua, magari anche un po’ infantile, ma almeno aveva una scusa plausibile per andare da lui a parlare, per poi portarlo a conoscenza della cosa. 
Cosa avrebbe dovuto fare? Certo, chiedere udienza era un opzione, ma lei voleva introdurre la cosa per gradi e come poteva giustificare il fatto di andare di mattina presto nella sua cabina? Si sarebbe insospettito e messo subito sulla difensiva. Proprio quello che lei voleva evitare.
Usare altri armi o metodi non era proprio nel suo stile. Che avrebbe dovuto tentare? Forse entrare a sorpresa in deshabillé e proclamargli qualcosa del tipo Ti darò il mio corpo se mi concederai il tuo permesso per andare con Yama! Le scappò da ridere da sola al pensiero. Se aveva imparato a conoscerlo almeno un pochino, come minimo si sarebbe tolto il mantello, l’avrebbe coperta e le avrebbe detto cordialmente di andare a rivestirsi. Non era certo raggirandolo che voleva ottenere qualcosa. Aveva semplicemente pensato di fare un gesto gentile, che le servisse d'introduzione al discorso. Era chiaro che si rendesse perfettamente conto che con tutta probabilità, sarebbe stato comunque un no secco. Di certo un dolce non avrebbe fatto miracoli, ma in fondo che aveva da perdere?
Purtroppo però niente cheesecake. Era impossibile farlo con gli ingredienti di quella cucina. Sbuffò contrariata, a dire il vero se lo sarebbe mangiato anche lei un bel pezzo di quel dolce, ma mancavano più di metà degli ingredienti.  Non si arrese. Optò per fare una cosa più semplice, ma sperava ugualmente buona. Una specie di torta fredda di frutta, alla crema. La base di pan di spagna liofilizzato, da mettere nel forno ionizzato a micro onde isostatiche, c’era. Quindi occorreva della crema pasticcera da applicare sopra, poi frutta in pezzi, per fare i vari strati. Era fattibile. I dolci erano l’unica cosa che le veniva decentemente.
Masu appena arrivò, la trovò tutta presa in cucina e cominciò subito a borbottare come una pentola di fagioli.
“Che ci fai qui? Sei stata interdetta dalle colazioni!”
“È una cosa temporanea, solo per oggi. Non ti arrabbiare Masu-san, è per una buona causa, poi giuro che non invaderò mai più il tuo campo”.
“È inutile. Stai perdendo tempo. Tanto non l’ho mai visto mangiare dei dolci” rispose la cuoca con aria saccente di chi la sapeva molto lunga.
“Magari questo gli piace e se lo mangia” provò a dire lei, la stava già scoraggiando ed era solo a metà preparazione. A chi non piace la crema, pensò con la sua logica semplice.
“Se pensi di prenderlo per la gola, hai proprio sbagliato tattica, quello è spizzeo
(1) da morire!”.
Joy roteò gli occhi “Non so neanche che vuol dire quella parola che hai appena detto”.
“Vuol dire che per farlo mangiare ci vogliono gli argani! Hai capito ora?”.
“Per favore! Sto cercando di fare una cosa carina” provò a ribattere la ragazza, mentre preparava la crema.
“E io ti dico che stai perdendo tempo. Era meglio se pensavi ad altro. Che so...  spazzargli la cabina per esempio”.
Joy la guardò malissimo “Non è una cosa carina quella!”
“È una cosa utile. Quello...” -disse indicando il dolce- “…è inutile!”
“Vorrà dire che lo mangeremo noi” tagliò corto Joy, continuando la sua preparazione. 
Voleva essere ottimista.
“Poi, come mai vuoi fare una cosa gentile? Che stai tramando?”.
Masu era buona e cara ma quando invadevano il suo campo, diventava una tigre.
Joy decise di fare orecchie da mercante, di non risponderle, tanto era inutile stare lì a battibeccare, anzi doveva darsi una mossa.
Alla fine il dolce era anche decente, certo non era una cosa fantastica ma poteva andare.
La base era soffice e spugnosa, la crema era venuta bene e la frutta liofilizzata che aveva reperito era stata tutta messa negli strati e nella guarnizione finale. Guardò la sua opera soddisfatta: semplice e gustoso. Ora sperava solo che almeno il gesto in sé addolcisse un po’ lui.
Mentre stava uscendo, Masu la guardò e scosse la testa. 
Gioventù testarda! Pensò.

Era prassi, che a parte quella breve parentesi della punizione di Joy, fosse Masu a portare la colazione ad Harlock. Rigorosamente in cabina, perché a lui appena alzato piaceva stare da solo o al massimo, quando era capitato, tollerava solo la presenza di Meeme. Era uno dei pochi momenti della giornata in cui poteva godere del piacere di rilassarsi, prima di affrontare le problematiche e le questioni che inevitabilmente doveva sostenere durante tutta la giornata. Gli serviva anche un po’ da ricarica visto che dormiva così poco. Quindi era tranquillo e abituato che arrivasse la cuoca, a cui lui voleva bene come se fosse una sorta di zia un po’ burbera, ma adorabile, con cui non si faceva grossi problemi. Così quando bussarono, non ci pensò neanche e disse: “Avanti!”.
Fu così che lei lo sorprese, di spalle, con solo i pantaloni di pelle in dosso che gli fasciavano la vita sottile, mentre si stava infilando il suo maglione nero.
Vide quella schiena perfetta, su cui lui sembrava sempre portare il peso dei suoi pensieri e dell’Universo intero, che però sembrava fosse stata cesellata nel marmo da Michelangelo. Era costellata da alcune cicatrici, con le scapole in bella vista, ampia, con la muscolatura guizzante e ben delineata, su cui stava scivolando lentamente quel maglione, fino a che, morbidamente, come una carezza, raggiunse il punto vita.
Fu veramente troppo e…
SPATAPAM!
Le dite diventarono gelatina e il piatto con il dolce le cadde di mano frantumandosi in mille pezzi, dopo essere rovinosamente finto a terra, facendo schizzare la crema in ogni dove.
Ogni guerriero ha come un occhio sulla schiena e Harlock rapido e fulmineo si girò di scatto, prendendo al volo la sua Cosmo Gun, che le puntò dritta in direzione della testa, prima che lei ma anche lui potessero rendersi conto di alcunché.
Quando si accorse che era Joy la mise immediatamente via.
“Ma sei completamente ammattita?” le chiese visibilmente molto arrabbiato “Ma ti rendi conto? Avrei potuto spararti? Che diavolo ci fai rimpiattata nella mia cabina?” concluse ancora più torvo. Si era spaventato perché c’era mancato davvero poco, il suo istinto era più veloce della sua mente a volte. 
Joy intanto si era piegata a cercare di raccattare i cocci, c’era un bel macello per terra.
“Mi è caduto il vassoio di mano va bene?” rispose piuttosto sconvolta, ma anche scocciata. Si sentiva veramente idiota ed era mortificata dalla figuraccia che aveva appena fatto. Lui non sapeva il vero motivo della distrazione, ma lei sì e tanto le bastava per essere contrariata.
“Ma cosa...” chiese lui a braccia conserte, guardando con aria severa quella sbobba giallastra spappolata in terra.
“Un dolce. Era un dolce. Voleva essere una cosa gentile” rispose stizzita. Ma che le era venuto in mente si disse. Era meglio se fosse tornata a pelare le cipolle!
A questo punto lui si calmò un pochino. Certo, gli aveva fatto prendere un colpo e non si scherzava con queste cose. Ma non voleva essere aggressivo “Un dolce? E per fare che? Non era necessario. Tanto a me i dolci non piacciono. Potevi evitarti tanta fatica inutile e non sarebbe accaduto nulla”.  Ora, nella sua testa contorta voleva essere una cosa gentile tipo: No, ma non ti preoccupare apprezzo il gesto, ma tanto neanche vado pazzo per i dolciMi spiace che tu ti sia data tanta pena per niente. Solo che gli era uscita dalla bocca un pelino diversamente. 
Tanto che lei già mortificata di suo, si alzò e lo guardò malissimo “Certo che a volte sei delicato come un Muldawd!” gli disse, incenerendolo con lo sguardo prima di uscire da quella cabina.
Ignorante, cafone, zotico e asociale! borbottava inviperita mentre stava andando a passo di marcia in cucina per reperire il necessario per ripulire il guaio che aveva combinato. 
A dire il vero era più arrabbiata con se stessa, che con lui. A volte le venivano delle idee veramente stupide. In realtà dopo tutte quelle vicende pesanti e a volte contraddittorie che c’erano state, forse, anche lei, aveva solo bisogno di un qualcosa di dolce per l’appunto, ma vai a fare del bene al prossimo!
Arrivata in cucina fulminò anche Masu con un’occhiataccia “Se apri quella boccaccia, questa volta le prendo io le mannaie per farti a fette! Non una parola!” disse imbufalita, acchiappando scopa e straccio.
Rientrò nella cabina e si mise a pulire sotto lo sguardo interdetto di lui, che l’aveva vista andare via nera per ritornare nerissima. Ma che aveva fatto di male?
Si schiarì la voce “Intendevo dire..” cominciò impostato, ma fu subito interrotto.
“Ho capito benissimo che intendevi dire, sei stato cristallino. La colpa è mia Masu me l’aveva anche detto…” sentenziò a macchinetta, pulendo un po’ troppo vigorosamente i resti del dolce. Ormai la vena le si era tappata.
Lui continuava a non capire “Ma…” cominciò con circospezione “… il motivo di fare questa cosa? Perché mi sfugge. Se Masu ti ha detto che non mi piacciono i dolci, perché farlo?”.
“Perché sono una cretina, ecco perché!” gli rispose lei. “E comunque c’era un motivo. E anche serio”.
“E quale sarebbe?” chiese lui curioso.
“Ora non posso dirtelo! Fammi pulire, dammi dieci minuti per fare meditazione zen e poi te lo dirò! Fatti portare la tua colazione tutta particolare, mangiatela…”  -strozzatici- “…e poi parleremo”. E così dicendo finì e uscì di nuovo.
Lui non ci aveva capito nulla, ma pensò che sì, era decisamente meglio fare colazione e far calmare le acque e come se l’avesse evocata con il solo pensiero, arrivò trotterellando Masu che gli imbandì la tavola tutta soddisfatta.

Poco dopo Joy era nuovamente in quella cabina.
Purtroppo tendeva troppo spesso a fare come le montagne russe.  Le emozioni si alternavano forti e molto confuse. Quella cosa del dolce era stata un’idea infelice. Era su una nave spaziale, alle prese con problemi enormi, e lei pensava a preparare dolci per ingraziarsi Harlock? 
Sì, era decisamente una deficiente, pensò amareggiata.
“Mi dispiace per prima” disse sinceramente mortificata “Ho fatto una cosa veramente stupida” continuò a dirgli, evitando di guardarlo in faccia. “Volevo venirti a parlare di una cosa seria, ma siccome non sapevo come fare perché tu a volte mi metti soggezione, allora mi è venuta questa bella pensata. Una cosa proprio fuori luogo, visto i problemi che abbiamo. Io non… ” allargò le braccia “...non so che dire” concluse contrita.
Lui l’aveva ascoltata in silenzio tutto il tempo. Aveva deciso che si era già abbastanza abbattuta da sola. E poi ai suoi occhi, non è che avesse fatto una così così grave. 
“Non importa” disse, cercando di far cadere la cosa senza farla troppo lunga.
Capiva che potesse essere destabilizzata. Solo il fatto che fosse al buio da settimane, era motivo di grosse influenze sugli sbalzi d’umore. I primi tempi di navigazione aveva visto omaccioni ben più temprati di lei, dare di matto per molto meno, poi col tempo si abituavano, ci si sarebbe abituata anche lei. Sempre se fosse rimasta ancora abbastanza a lungo a bordo. Era una cosa questa che cominciava a rodergli come un piccolo tarlo malevolo: quanto sarebbe rimasta? Sarebbe tornata indietro? Il più delle volte cercava di distrarsi da queste domande, ma loro trovavano sempre il verso di ritornare a ronzargli nella testa in un modo, o nell’altro.
“Posso sapere ora la ragione per cui ti saresti data tanta pena?” le chiese infine.
Joy gli spiegò sommariamente la faccenda. Prendendola molto alla larga, ma non ci fu bisogno di parlarne a lungo.
“Assolutamente no” disse Harlock con un tono categorico che non ammetteva repliche.
“Ma io voglio andare! Voglio incontrarla. È mia sorella, una sorella che se non sfrutto questa occasione, probabilmente non potrò vedere mai più” lo implorò.
“Capisco” fece lui serio “Ma la risposta è sempre no”.
“Ma potresti organizzare la cosa tu. Potresti fare in modo che fossimo tutti al sicuro” provò a dire.
“Non metterei mai a repentaglio la vita di nessuno per andare a prendere delle informazioni di persona dentro il Palazzo del Governo”.
“Qualunque cosa io ti dica tanto non cambieresti idea, vero?” gli chiese con un senso di sconfitta nel tono di voce. 
“Non rendiamo le cose più spiacevoli di quello che sono. La decisione è stata presa” concluse Harlock. Non voleva prolungare inutilmente quella discussione.
Joy non è che si aspettasse qualcosa di diverso, ma comunque era rimasta male.
“Allora che farai, manderai quel ragazzo da solo?” chiese mogia.
“No. Digli di venire da me” le disse, poi la congedò.


Cosa si dissero i due, a lei non fu dato di saperlo perché ovviamente non fu presente. L’unica cosa che notò più tardi fu che Yama uscì da quella cabina molto scuro in volto. Quindi se avesse dovuto dare un’interpretazione era probabile che l’indomani notte nessuno sarebbe partito per il Palazzo del Governo. Né lei, né Yama.

NOTE: forno ionizzato a micro onde isostatiche. È stato partorito dalla mia mente insana, sono parole messe a caso che non significano niente, ma mi suonava bene :)
(1)Spizzeo: molto schizzinoso nel mangiare. A volte questo si accompagna a una certa altezzosità, come di persona schifiltosa. Parola dialettale toscana [Oh un c’è verso, a me Harlock a tavola, da proprio l’idea dello spizzeo! :D]

NOTA DELLA SCRIVENTE (cioè me): Spero che vi siate divertiti a leggere questo capitolo, almeno la metà di quello che mi divertii io a scriverlo, è il capitolo di passaggio più grullo che abbia scritto, ma è stato uno dei più divertenti da partorire. Ridevo e ho riso da sola come una vera cretina, quale in fondo io sono, sia quando l’ho scritto che adesso che l’ho rivisto e corretto :D

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Capitolo 19
*** Sorprese ***


Buongiorno buon sabato e buon weekend a tutti!!  
Come
ogni fine settimana per il RI-postaggio sempre di DUE capitoli, uno di seguito all’altro rivisti, sfrondati e corretti.

Buona lettura e grazie a chiunque passi di qua!

  .18.

 

 

SORPRESE

La giornata seguente era cominciata con una decisione inaspettata.
Harlock aveva comunicato ai suoi ufficiali Yattaran e Kei che, con una navetta, avrebbe fatto scalo su T-Klon. Un piccolissimo pianeta artificiale che era stato costruito molti anni prima, una sorta di test.
Quando l’umanità aveva dovuto abbandonare la Terra c’era stato questo progetto ambiziosissimo di farne una replica e T-Klon altro non era che un mini prototipo di quella che avrebbe potuto essere Terra2
Entrambi gli ufficiali rimasero un po’ straniti da quella decisione, perché era come una sorta di piccolo asteroide disabitato da moltissimi anni. 
“Capitano perché perdere tempo su T-Klon?” chiese Kei dalla sua postazione.
“Devo fare un veloce sopralluogo” tagliò corto Harlock. Era un suo atteggiamento tipico di quando gli facevano domande cui non voleva rispondere. Yuki che lo conosceva bene, capì l’antifona e non chiese altro.

Qualche ora dopo lui e Joy erano sulla rampa di lancio per prendere una navetta e andare su quel piccolo prototipo. Anche la ragazza non aveva ben capito cosa dovessero andare a fare là, ma intuendo potesse trattarsi di qualcosa inerente il loro progetto non aveva obiettato quando le aveva chiesto di accompagnarlo. A dire il vero era curiosa e non le pareva vero di uscire dall’Arcadia.
Dato che T-Klon era stato concepito a immagine e somiglianza della Terra, non occorreva nessun tipo di equipaggiamento particolare così salirono a bordo della navetta e partirono.
Joy si mise ad osservare come il Capitano attivasse tutti quei pulsantini in maniera così meticolosa e veloce. Era silenzioso, ma solo perché si stava concentrando sul decollo.
Una volta che furono in quota provò a fargli la domanda che le ronzava in testa: “Cosa stiamo andando a fare su T-Klon?”.  
“Niente di particolare” rispose lui tranquillo mentre pilotava.
Ti pareva che si fosse mai sperticato in qual si voglia tipo di spiegazione.
“Ma tu sei sempre stato così?” le venne da chiedergli spontaneamente.
Harlock si girò e la guardò con aria leggermente interrogativa “Così come?”.
“Ermetico!”.
Non rispose subito.
“Non è che abbia molto da dire. Preferisco il fare al parlare. Le parole, quando non sono strettamente necessarie, a volte creano fraintendimenti, i fatti invece sono inequivocabili, ciò che fai determina ciò che sei” spiegò chiaro e coinciso.
“Non sempre ciò che fai determina ciò che sei. A volte si possono fare delle cose sbagliate, anche involontariamente, questo non significa che si è delle cattive persone”.
“E tu che tipo di persona sei?” le chiese lui prendendola in contropiede.
Lei rimase interdetta, non se l’era mai fatta questa domanda “Non saprei dire…”-rispose sincera-“Ho sempre passato la maggior parte del mio tempo a studiare e a fare ricerca. Avevo uno scopo, pensavo che la mia vita fosse avviata in quella direzione. Ora sono molto confusa, non sono più sicura di niente. Credo comunque di essere una persona quanto meno sincera e onesta”.
Era come se in quella piccola capsula lontano da tutto e da tutti, stessero timidamente cominciando ad avere una sorta di comunicazione, come se volessero finalmente conoscersi, per davvero.
“E tu?” gli chiese appena un po’ impacciata “Che tipo di persona sei?”.
Lui si girò e la guardò di nuovo.
“Ho sempre cercato di rimanere fedele a ciò in cui credo. Questo è quello che posso dire”.
Nel frattempo erano atterrati su T-Klon. 
Appena scesi a Joy rimase incantata e molto sorpresa, le sembrò di essere in vero un parco terrestre a Primavera.
Stupita si girò intorno per osservare e notò che l’erba era alta e rigogliosa, sembrava una sorta di mare verde costellato da un’infinità di fiorellini colorati, e poi c'erano gli alberi frondosi, il cielo limpido e soleggiato. C’era addirittura una leggera brezzolina che carezzava appena la pelle. Non avevano tralasciato niente, si poteva sentire anche il cinguettio festoso degli uccellini. Certo non si sentivano odori, era tutto rigorosamente finto, ma l’impatto emotivo era stupefacente. Sembrava davvero di essere sulla Terra.
La biologa si girò e guardò Harlock entusiasta “Ma è bellissimo sembra vero! Sembra di essere…” a casa, avrebbe voluto dire ma invece disse “…sulla Terra!” e d’istinto fece una corsetta, come a volersi assicurare che non fosse solo un’illusione ottica. 
Il Pirata rimase fermo a braccia conserte a guardarla, vagamente compiaciuto. 
Joy vagabondò un po’, e osservò ancora intorno a sé. Poi si mise a naso all’insù, ad osservare quel cielo finto, che era identico a quello di una luminosa giornata di maggio: terzo, limpido, blu cobalto. Sentì subito un’ondata di sano buon umore invaderla. Quanto tempo era che non provava una sensazione simile? Non se lo ricardava quasi più. La luce ed il sole, seppur finti erano decisamente terapeutici.
Lui continuava a seguirla con lo sguardo, in silenzio. Gli sembrava di immaginarla come se potesse essere a casa sua, sulla Terra. Aveva capito molto bene che cosa la turbasse, quali fossero i suoi dubbi, lei non aveva scelto quella vita, la sua presenza a bordo era frutto di un obbligo e non di una scelta.
“Perché invece di stare lì in piedi nella tua solita posizione legnosa da capitano della nave, non vieni a sederti qui?” gli chiese Joy distraendolo dalle sue congetture. “Stai sempre a braccia conserte, ma lo sai che cosa significa? Che sei sempre sulla difensiva. Non riesci mai a lasciarti andare neppure cinque minuti, nell’arco di una giornata?”.
Lui imperturbabile, molto tranquillamente, senza parlare, la raggiunse e si mise a sedere accanto a lei, all’ombra di quella che doveva essere la replica perfetta di una quercia.
“Il punto è che io sono fatto così” le disse rispondendo in ritardo alla sua domanda.
“Lo so. Non dico che dovresti cambiare, ma a volte anche per te stesso, non sarebbe male se tu ti sciogliessi solo un pochino”.
Harlock fece un cenno di assenso con la testa fissando quella natura finta davanti a sé, in un certo senso, anche lui ne era affascinato, gli ricordava tempi lontanissimi, quelli di un’altra vita che era stata rdensa di momenti felici.
A Joy sembrò un po’ meno serio del solito, forse era leggermente rilassato anche se i problemi che lo affliggevano erano enormi e molteplici.
“Che cosa ti manca più della Terra?” le chiese Harlock.
Era insolitamente ciarliero e curioso di sapere.
Lei sospirò forte “In questo momento, ho nostalgia proprio quello che c’è qui, sebbene sia finto” gli disse confermando la sua idea “Ma mi manca moltissimo anche la pioggia” aggiunse inaspettatamente.
Come spesso accedeva Harlock pensò che lei avesse questa capacità innata di sorprenderlo sempre, alla pioggia non ci avrebbe mai pensato.
“Perché?” chiese davvero interessato.
“Tutti odiano la pioggia. La trovano fastidiosa e uggiosa. Io invece la trovo affascinante. I temporali hanno qualcosa di maestoso e ancestrale che m’incanta. Arrivano impetuosi travolgono la natura e poi lasciano spazio al sole, che riluce ancor più perché lei ha ripulito l’atmosfera dalle impurità. Dopo un temporale gli odori sono più intensi, si sente forte il profumo della terra e dell’erba fondersi insieme e impregnare l’aria. L’acqua è fonte di vita, come si può non amare la pioggia con il suo ticchettio che porta con sé la promessa di una nuova giornata di sole?” gli chiese contenta.
Questa disamina così appassionata toccò profondamente Harlock, ricordandogli in maniera ancora più vivida quando la Terra era intatta, riportandolo di colpo ad emozioni e sensazioni che aveva voluto dimenticare.
“Hai ragione. Non si può non amarla…” rispose in un modo che a Joy diede come l’impressione che non stesse parlando solo della pioggia.
Rimasero qualche minuto in assoluto silenzio, il loro modo di stare insieme preferito, quello che riusciva sempre a rimetterli a loro agio. Poi lui si alzò “Dobbiamo andare” disse “Mi dispiace, ma non possiamo trattenerci a lungo. Dato che nessuno sulla nave sa come siano le reali condizioni della Terra, sto aspettando l’aiuto di un vecchio amico, un hacker che ho conosciuto tempo fa. Sta cercando di decriptare i file dell’archivio della Gaia Sanction per capire se c’è ancora ossigeno, o no. Mi contatterà a breve quindi dobbiamo rientrare”.
“Va bene” disse lei alzandosi. Non era tanto sicura di aver capito che fossero andati a fare lì, o forse un’idea se l’era fatta, ma voleva la conferma, era molto importante per lei saperlo.
“In definitiva che cosa siamo venuti a fare qui? Me lo puoi dire ora?” gli chiese mentre si stavano incamminando verso la navetta.
“Credo che tu avessi bisogno di vedere la luce, il sole e i colori” rispose diretto.
L’aveva intuito, ma sentirglielo dire le scaldò il cuore. 
“Grazie. È una cosa molto carina da parte tua prenderti questo disturbo” rispose un po’ confusa. Non sapeva bene che fare, né che dire, era molto turbata da questo gesto così delicato, sensibile e a suo modo anche incredibilmente dolce, soprattutto in considerazione della situazione in cui si trovavano. 
Era sorpresa e anche un po’ spiazzata, oltre che imbarazzata, avrebbe voluto ringraziarlo più calorosamente, ma si sentiva frenata.
“Tu sei una persona solare e quando sei oppressa dal buio, la tua natura ne viene corrotta in un modo, che ti rende diversa da come sei realmente. La navigazione spaziale è molto dura per i neofiti e tu stavi per cedere ad un pericoloso stato di melanconia che andava fermato”.
Lei lo guardò perplessa “Cioè questa è la ragione?” gli chiese fermandosi e incrociando le braccia al petto esattamente come faceva di solito lui. 
Sembrava una spiegazione scolastica!
“Sì. Volevo farti stare bene, vederti sorridere, che altra ragione avrei dovuto avere?” le chiese un po’ interdetto.
Harlock capì e sorrise con quel suo modo tutto particolare di piegare solo un angolo della bocca che lei adorava.
“Noto con piacere che ti ha fatto molto bene questa breve sosta. Hai subito recuperato la tua verve polemica” le rispose riprendendo a camminare.
“A me non dispiace la navigazione spaziale” gli disse Joy chiarendo subito la faccenda “Una cosa però è vera, nell’Arcadia c’è veramente troppo buio. A volte è affascinante, ma a volte è davvero angosciante…”.
Lui non rispose. Le tenebre erano state un ottimo alleato per nascondersi a sé e agli altri. Nell’oscurità tutto risultava più indefinito, non c’erano contorni netti, era stata la sua fedele compagna per anni, il suo habitat naturale, un nido maligno, in cui aveva potuto vagare avvolto dalle spire di quel serpente terribile che lo aveva soggiogato alla sua colpa, rendendolo un immortale fuori, ma un uomo morto dentro.
Joy notò che forse quello che aveva detto l’aveva fatto diventare serio e se ne dispiacque.
“Capisco che poiché è una nave stellare da guerra, non possa essere certo leggiadra e luminosa. Era solo una considerazione” cercò di dire per aggiustare il tiro.
Harlock fece il suo solito cenno di assenso con la testa e ripartirono, ma non parlò più.


Appena rimisero piede sull’Arcadia Yattaran li osservò, poi si girò verso Kei e disse “Il Capitano è strano… secondo me gli piace quella ragazza. Quando mai se n’è andato a fare passeggiatine di un’ora così all’improvviso e senza un motivo valido” commentò.
Kei lo guardò con aria di rimprovero “E se anche fosse? A te che cosa importa scusa? O preferisci vedere Harlock seduto su quella sedia come se fosse in perenne stato catatonico?”.
“No, che centra” si mise subito sulla difensiva Yattaran “Il fatto è che a me queste fortune non capitano mai. “Oh, fosse salita una SOLA volta una donna, su questa dannata nave, che mi avesse degnato di uno sguardo!”.
Kei roteò gli occhi “A parte il fatto che difficilmente qualcuno qui ha mai avuto compagnia, poi mi spieghi come potrebbe avvicinarti una donna? Stai sempre rinchiuso ad armeggiare con quei dannati modellini, altrimenti smanetti sul computer, come credi che qualcuna possa rimanere affascinata da te?”.
Yattaran fece spallucce “Va bene, ma anche il Capitano non è che faccia chissà cosa, ma gli cascano tutte ai piedi come pere mature! È per via del comando. È questo che piace alle donne. Se fossi io il Capitano, cadrebbero tutte ai MIEI piedi” sentenziò solenne.
“Si certo Yattaran, come no? È proprio così, non c’è dubbio!” concluse la bionda divertita. 
Poi si rimise a pensare alle sue cose. Era tutto il giorno che non vedeva Yama. Quel ragazzo era decisamente lunatico. O le stava troppo tra i piedi, o spariva e non si sapeva dove si cacciasse, anche per giornate intere. La cosa non le piaceva, così si ripromise di capire dove fosse e che cosa facesse.


Intanto Joy stava andando al laboratorio a controllare le colture dei semi. Mentre camminava attraverso i corridoi dell’Arcadia vide che dalla parte opposta stava avanzando verso di lei Meeme, camminava leggiadra e leggera, sembrava quasi che danzasse e che non toccasse quasi terra. Nel momento in cui stavano per incrociarsi, sembrò che il tempo rallentasse appena e le due si guardarono dritte negli occhi. Meeme, i cui lunghissimi capelli, per l’assenza di gravità, sembravano fluttuare intorno a lei come le alghe marine danzano nelle profondità degli oceani, senza neppure muovere le labbra, le disse chiaramente “Verrà il momento in cui dovrai prendere una decisione: tra Terra e Spazio. Da ciò dipenderà la continuazione della vita su questa nave e sulla Terra…” e la oltrepassò, continuando a incedere fino a che sparì.
Joy si girò e la guardò mentre se ne andava via, molto turbata e molto perplessa. Voleva chiederle che volesse dire, ma era già oltre, sparita nei corridoi adiacenti.
Era perfettamente consapevole che probabilmente non sarebbe potuta rimanere lì, in quella nave. Non era quello il luogo e il tempo in cui era nata, ma non ci aveva mai pensato in modo così vivo come in quel momento. 
C’era un motivo molto ovvio che le impediva di fare mente locale sul suo eventuale ritorno sulla Terra: Harlock.
Andarsene da lì significa non rivederlo mai più. E una parte di lei si ribellava in modo quasi viscerale a questa cosa, mentre di contro, la sua parte razionale era tristemente consapevole che alla fine sarebbe proprio quello che avrebbe dovuto fare. 
Meeme con quelle parole così sibilline l’aveva messa ancora più in crisi.
Cercò di rimediare dedicandosi al suo lavoro. Per fortuna grazie a quello riusciva sempre a trovare un modo per staccare dalle cose a cui non voleva pensare.

Quella stessa sera, dopo cena, proprio quando stava per dirigersi verso i suoi alloggi per andare a dormire, la raggiunse Harlock.
Le chiese come andassero le cose al laboratorio e lei gli spiegò che la coltura era perfetta. E così come spesso accadeva, la accompagnò alla porta della cabina.
Questa però, volta la voglia di baciarla prevalse su qualsiasi altro tipo di ragionamento e buon proposito. 
Harlock era sempre più attratto da lei e più cercava di combattere quest’attrazione, più quella diventava prepotente e ingestibile. Così quando lei aprì la porta, lui la seguì. Non le diede neppure il tempo di pensare, le si avvicinò e la baciò. Un altro bacio che sembrava infinito, come se non fosse mai abbastanza, come se non riuscisse a saziarsi. Joy da prima rimase sorpresa, ma poi lo aveva abbracciato stretto come non aveva mai fatto le volte precedenti, in cui forse era stata un po’ più passiva, sebbene avesse sempre risposto con slancio ai suoi baci. Questa volta era diverso. Fece scivolare piano, quasi timorosamente, le mani sotto un lembo del suo maglione. Voleva carezzare la sua pelle, e mentre lui continuava a baciarla, lei con la punta delle dita lo sfiorava sulla pelle. Più si baciavano e più si rendeva conto stavano pericolosamente per deragliare verso qualcosa di molto più intimo e intenso. Era timorosa e ansiosa, incerta e febbricitante, forse era solo troppo presa per essere lucida in quel momento. Non era mai stata così coinvolta con un uomo.
Harlock improvvisamente lasciò scivolare una mano dal viso di lei lungo la schiena, fino ad arrivare alla curva dei fianchi e l’attirò a sé. Del resto lui aveva già ceduto entrando in quella cabina, ora stava per perdere del tutto il controllo.
Quel bacio divenne travolgente fino a quando lui, inaspettatamente, si fermò e s’irrigidì di colpo. Il suo occhio era lucido e il suo respiro era leggermente ansante.
Lei guardò imbambolata.
“Non era questa la mia intenzione” disse subito serio. Ed era vero. Non voleva che accadesse quella sera e non voleva che accadesse in quel modo. 
La rispettava troppo e voleva avere la matematica certezza, che lei fosse sicura almeno quanto lui. Non voleva che la passione del momento potesse portarla a fare qualcosa di cui poi potesse pentirsi. Del resto si conoscevano da non molto tempo e tutta la situazione era surreale.
Joy era paonazza, un po’ per le emozioni violente che l’avevano colta assolutamente di sorpresa, e un po’ anche per l’imbarazzo. Non aveva mai provato nulla del genere prima. Non perché fosse una novellina, o non avesse avuto altre storie, solo non le era mai capitata una cosa così travolgente. Aveva sempre pensato a se stessa come una donna piuttosto tiepida. Ora invece era turbata dal rimescolio prepotente che aveva appena provato. Non sapeva neppure che cosa dire. Da una parte era dispiaciuta che si fosse fermato, ma dall’altra gliene era anche grata. 
La verità era che alla fine Harlock aveva ragione, lei non era ancora del tutto pronta ad avere quel tipo d’intimità con lui.
 “Non importa” disse avvicinandosi e carezzandogli una guancia “Non devi giustificarti. Ma comunque grazie. Per la gita di oggi, per le tue attenzioni, perché mi fai sentire desiderabile e perché non hai fretta” si sentì di dirgli, poi gli dette un timido bacio a stampo sulle labbra.
Harlock contraccambiò quel bacio e le dette la buona notte, quindi si congedò. Il suo autocontrollo cominciava a vacillare paurosamente e non sapeva fino a quando avrebbe potuto trattenersi, quindi era meglio andare via e in fretta.


Nonostante gli accadimenti abbastanza sconvolgenti Joy si fece una bella dormita, come non le accadeva da un bel po’ di tempo. La mattina seguente si sentiva bene. Era felice, come se fosse rigenerata. Quindi si alzò e molto allegramente andò a fare colazione. C’era un’aria strana in giro, come di aspettativa. Non capiva molto bene che cosa potesse significare, e a dire il vero, quella mattina, non le interessava neppure, era comodamente appollaiata sulla sua nuvoletta rosa e niente e nessuno avrebbe potuto rovinarle quell’atmosfera paradisiaca.
Così, quando uscì dalla cucina, non dette peso al fatto che non aveva visto, né Kei, né Yattaran, né Yama. E dire che erano sempre un quartetto molto affiatato, soprattutto alle ore dei pasti.
Lei quella mattina pensava solo ad Harlock. 
Prima di andare in laboratorio a fare le sue cose, volle passare al ponte di comando solo per vederlo. Non lo faceva mai, ma quella mattina ne aveva proprio voglia.
Solo che quando arrivò, si rese conto che il ponte sotto la Plancia era affollato da gran parte della ciurma e non capiva perché. Erano tutti festosi. 
“Ma che succede?” chiese al primo pirata che le capitò sotto mano.
“Il Capitano è appena tornato. Questa notte ha fatto una spedizione segreta dentro il Palazzo del Governo insieme a Yama, Kei e Yattaran, sono andati a prendere informazioni preziosissime per sventare un attacco di quelli della Gaia Sanction. Sono appena rientrati tutti sani e salvi!” le spiattellò tutto galvanizzato.
Joy si sentì come se le avessero dato un pugno nello stomaco.
Fu in quel preciso momento, con un tempismo funesto, che i loro sguardi si incrociarono. 
Harlock stava appena mettendo piede sulla nave, la vide e nei suoi occhi lesse tutta la collera e la delusione che Joy stava provando. Lo guardava come se solo con la forza di quello sguardo, potesse comunicargli tutto il suo disprezzo.
Lui invece la guardò diversamente, dispiaciuto, ma non con aria colpevole, ma come se si aspettasse che lei capisse, o gli lasciasse il tempo di spiegare.
Cosa che lei assolutamente non fece. Prese e se ne andò via immediatamente.
Era furiosa.

 

NOTA: T-Klon (terrestrischer klon ) Pianeta inventato, il nome e una parola tedesca che è l’abbreviazione di clone terrestre. Nella prima stesura della storia questo pianeta si chiamava : apántisi  una parola greca che significa risposta. All’epoca mi era presa questa mania dei nomi greci che però ad un certo punto mi sfuggì dalle mani, oggi  T-Klon lo trovo più semplice, più calzante e meno scontato dei miei soliti nomi greci ;)

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Capitolo 20
*** Il coraggio è impastato di paura ***


Attenzione ho notato ormai da diverse volte, che il secondo capitolo postato nell’aggiornamento settimanale, ha più letture del primo, vi ricordo quindi che posto sempre DUE capitoli e che prima di questo è necessario leggere il precedente, per ovviamente seguire la storia in modo corretto.
Spero di esservi stata utile se invece entrate dal secondo per leggere il primo fate finta che non abbia detto nulla :P e buona lettura :)

 

 

 

  .19.

 

 

IL CORAGGIO È IMPASTATO DI PAURA

Harlock aveva lasciato passare quasi tutta la giornata prima di andare a cercare Joy, per parlarle. Principalmente perché doveva sbrigare delle faccende molto urgenti. Le informazioni che aveva ricevuto erano importantissime, doveva organizzare subito una strategia di contrattacco e poi, perché credeva che forse era meglio farla sbollire. Era conscio del fatto che sarebbe stata quanto meno contrariata, lo aveva messo in conto quando aveva preso quella decisione estemporanea. Era abbastanza certo che, parlandoci, lei avrebbe capito e la cosa si sarebbe risolta in maniera serena.
Quindi, appena ebbe un attimo di tempo libero, nel tardo pomeriggio, si recò spedito al laboratorio.
La trovò come sempre impegnata con le colture. Stava preparando la seconda mandata di clonazioni. Era molto presa, tanto che neppure si accorse del suo arrivo.
Entrò senza indugiare. Joy si girò e quando lo vide cambiò subito espressione. Lui si rese immediatamente conto di una cosa: era stato decisamente troppo ottimista, non sembrava esserle passata proprio per niente.
“Che cosa vuoi?” gli chiese glaciale.
“Sono qui per spiegar...” cominciò, ma la biologa non lo fece continuare. Lo interruppe subito, alzandosi dalla sedia, fronteggiandolo “Non mi interessano le tue spiegazioni. Non voglio ascoltarti. Non voglio neppure sentire il suono della tua voce. Se vuoi fare qualcosa di utile: esci e vattene dove ti pare, basta che sia molto lontano da qui”.
“Senti io capisco che…”.
“Allora non mi sono spiegata. Non voglio ascoltarti! Ti avevo detto quanto fosse importante per me. Ti avevo pregato, supplicato e tu che cosa mi avevi detto? Te lo ricordi? Perché io lo ricordo molto bene Harlock!” replicò più addolorata che arrabbiata. Era delusa. “Ti rinfresco la memoria: Non metterei mai a repentaglio la vita di nessuno per andare a prendere delle informazioni di persona dentro il Palazzo del Governo. E invece che cosa hai fatto? E non una notte qualsiasi, ma stanotte, probabilmente poco dopo che sei uscito dalla mia cabina? Che cosa hai fatto? Esattamente quello che avevi detto non avresti fatto mai. Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, io non voglio ascoltarla e se non vuoi capirlo, sai che facciamo?” disse, mentre si levava il camice bianco e lo scagliava con stizza sulla sedia “Me ne vado io” e così fece, uscendo spedita da quel laboratorio, piantandolo lì senza nemmeno dargli il tempo materiale di riaprire bocca.
Si diresse di filato nel suo alloggio e ci si chiuse dentro. Non lo voleva nemmeno vedere. Era rimasta così male che lui l’avesse tradita in quel modo. Come aveva potuto? Cominciò a credere che anche tutta la faccenda della passeggiata su T-Klon fosse stata solo una bieca macchinazione, per distrarla e rabbonirla. Non lo sopportava, non dopo quello che sarebbe potuto accadere la sera prima. Questa non gliela avrebbe perdonata facilmente. Si trattava di sua sorella, una sorella che non sapeva di avere e che non avrebbe mai più rivisto, una sorella che per giunta, aveva anche chiesto espressamente di lei. La domanda era sempre la stessa: come aveva potuto?
Harlock capiva e cercava di portare pazienza. Nella sua testa, sapendo il motivo per cui l’aveva fatto, era certo che una volta che si fosse calmata, e lo avesse ascoltato, non avrebbe potuto che capire.
Dopo cena provò ad andare direttamente alla sua cabina. Bussò, ma non ottenne risposta. Provò ad entrare, ma si rese conto che era chiusa a chiave.
Cominciò a spazientirsi. Bussò di nuovo.
Niente.
“Puoi, per favore, aprire la porta?” chiese leggermente infastidito. Non era un mostro, né un bugiardo, aveva le sue ragioni, ma dannazione, quella ragazzina ostinata non voleva nemmeno ascoltarlo!
Silenzio.
Perse un po’ della sua proverbiale pazienza. Girò su stesso, facendo volteggiare con stizza il mantello e se ne andò, a passo spedito, dalla parte opposta della nave a cercare ciò che gli sarebbe servito.
Già aveva i suoi gravi problemi. Ezra aveva in mente di fargli una bella sorpresina e menomale che Nami li aveva avvertiti, ma anche preparare una contro offensiva in pochi giorni non era una cosa così facile e semplice. C’era in ballo la vita di quaranta persone oltre che la forse futura rinascita della Terra. Quindi era anche comprensibile che fosse un tantino agitato e potesse irritarsi facilmente, contrariamente a ciò che molti credevano, era umano anche lui.
Quando tornò, aveva una chiave elettronica universale per aprire la porta, ma qualcosa lo trattenne dal farlo. Non era una cosa fatta bene e lo sapeva. Tentò la via della diplomazia, ancora una volta.
“Ho la chiave. Ma non la userò. Ora per favore, puoi aprire la porta? Devo spiegarti” le chiese abbastanza frustrato, dopo aver bussato per l’ennesima volta senza ottenere risposta.
La porta si aprì. 
Joy però rimase sulla soglia a braccia conserte. Il messaggio era forte e chiaro, lui non poteva entrare.
“Parla, parla! Non parli MAI. Una volta che sarebbe cosa buona e giusta che tu facessi quello che ti riesce meglio, no, tu vuoi parlare! E allora parla e poi sparisci!” era veramente esasperata.
“Non è stata una cosa prevista. Non era programmata. Kei ha sorpreso Yama che stava per svignarsela, lo ha fermato e mi ha avvertito. Abbiamo discusso molto, anche con Yattaran, e poi abbiamo capito che sarebbe andato comunque, e alle mie spalle. A quel punto non potevo permettere che facesse qualche sciocchezza, o che lo potessero catturare, obbligandolo a fare qualcosa contro di noi, o peggio, che si facesse ammazzare. Quindi, ho preso una decisione improvvisa e abbiamo convenuto di andare tutti e quattro insieme. Non ti ho esclusa a priori, non era programmato, non ti ho ingannata... e comunque era notte fonda…” le spiegò alla ben meglio.
Joy lo aveva ascoltato e lo stava fissando seria, molto seria “Correggimi se sbaglio. Non centra nulla l’orario. Giorno, o notte che fosse, tu non mi avresti comunque avvisata, vero?”.
“No. Non puoi partecipare a cose così pericolose” rispose sincero, sospirando.
“Sai qual è la cosa che più mi fa rabbia? Che avrei potuto agire alle tue spalle con Yama e non ho voluto farlo, per rispetto nei tuoi confronti! Ma tanto che importa? Sono solo chiacchiere. Buona notte!” concluse, chiudendogli la porta sul muso.
Harlock rimase parecchio interdetto, non era abituato a prendersi le porte in faccia. 
Aprì la bocca per dire qualcos’altro e poi la richiuse. Tanto che avrebbe potuto fare, parlare nuovamente ad un porta ostinatamente chiusa? 
Decise di andarsene. Prima o poi, le sarebbe passata, pensò. Del resto lui detestava discutere.

Nei giorni seguenti, i preparativi per il contro attacco fervevano febbrili. Harlock era quasi sempre impegnato con i suoi due ufficiali Kei e Yattaran, insieme a Yama ed altri uomini che durante le battaglie stavano sempre in prima linea. Erano concentrati su una strategia che potesse in qualche modo cogliere di contro sorpresa l’attacco che Ezra pensava di sferrare alle loro spalle. Stavano pianificando strategie a ritmi intensi, per essere pronti all’abbisogna.

Intanto Joy c’era, ma era come se non ci fosse. Se ne stava molto alla larga da lui e se per sbaglio lo incrociava, o non lo guardava neppure, o peggio cambiava addirittura corridoio.
Quella sera Harlock, che era più nervoso del solito e anche stufo di quella situazione che riteneva grottesca, senza pensarci troppo decise di andare nuovamente al laboratorio.
Tanto Joy era sempre lì, neppure ci si fosse seppellita dentro!
Irruppe nella stanza abbastanza incupito e accigliato “Quanto deve ancora durare questa tiritera?” le chiese spazientito, ma con il suo solito tono calmo.
La biologa girò la testa e lo guardò. La sua non era una ripicca, era davvero rimasta molto male. Non capiva come mai, con lei dovesse sempre essere più intransigente che con chiunque altro. Sembrava che la trattasse quasi come una bambina, da mettere a letto dopo cena, zitta e buona. Questa cosa la faceva soffrire.
“Che vuoi?” gli chiese.
“Ti rendi conto che sembri infantile e bizzosa?” le disse lui, quasi le avesse letto nella mente.
“Invece tu chi sei? Il grande Pirata tutto d’un pezzo. Vero? Quello che decide il bello e il cattivo tempo, perché tanto è lui che comanda e tutti zitti!” ribatté. Il torto era di Harlock e non certo il suo. E quelle non erano bizze, ma giuste ragioni.
“Mi spieghi perché l’hai presa così male?” le chiese davvero frustrato. Non comprendeva perché non capisse, eppure per lui era così semplice: lei non poteva partecipare a certe missioni. Punto e basta. 
“E me lo chiedi? Ma tu, ti rendi conto di come mi possa sentire io? Ti sei mai chiesto, che cosa provi ogni dannato giorno, che passo su questa nave? Senza quasi sapere chi sono più realmente, che cosa ci faccio qui? Che cosa ne sarà della mia vita? Che senso ha tutto questo. Se vivremo, se moriremo! Hai mai pensato che Nami è una parte della mia famiglia, forse l’unica cosa vera che ho qui? È un legame che io avevo bisogno di riconoscere, vedere, per capire chi diamine sono! Perché non lo so più” gli spiegò, con così tanto ardore che le brillavano gli occhi.
Harlock non lo diede a vedere, ma fu colpito come uno schiaffo da quella frase: L’unica cosa vera che ho qui , come se tutto il resto non fosse minimante importante per lei, lui compreso. Si frugò in tasca e le dette un piccolo marchingegno.
“Lo manda Nami, è per te, è una proiezione tridimensionale di lei che ti darà un messaggio da parte sua. Strettamente personale ha detto. Guardatelo nella tua cabina” le comunicò serio, con una sorta di calma piatta nella voce.
Non era nemmeno più accigliato, era semplicemente impenetrabile, calmo e già lontano. 
All’improvviso aveva solo voglia di starsene da solo. Quindi, una volta datole ciò che doveva, avrebbe tolto subito il disturbo, ma prima di farlo le disse “Se devo dirti la verità, sebbene andrà a mio discapito, alla fine sono proprio contento di non averti portata, credimi, non ti sarebbe piaciuto quello che avresti visto” e uscì.
Joy, rimase un po’ perplessa da quella frase sibillina, non seppe che pensare, sembrava sincero, ma restava il fatto che lei era ancora arrabbiata e probabilmente lo sarebbe stata ancora per un po’.
Avrebbe voluto finire di lavorare, ma dopo poco la sua curiosità ebbe la meglio e corse in cabina ad ascoltare il messaggio di Nami.
Non sapeva che aspettarsi, ma dopo che ebbe udito ciò che aveva da dirle, rimase letteralmente sconvolta. Ancora una volta, le carte erano state cambiate in tavola, ma forse cominciava ad intuire tante cose ed i vari pezzi del puzzle cominciavano a ricomporsi, a darle una chiara visione d’insieme, soprattutto sulla Terra ed eventuali possibilità concrete di rinascita. 
Quello che stava vivendo era tutto davvero incredibile, ma quello che le aveva detto Nami era, e doveva, restare una cosa solo tra loro due, tranne alcuni particolari tecnici sulle colture, che avrebbe potuto condividere. Sul resto c’era il veto assoluto di condivisione, anche con Harlock.
Nonostante tutto, stranamente, Nami sembrava essersi fidata ciecamente del Capitano, ed era chiaro che lui non avesse tradito la sua fiducia, che non sapesse che cosa contenesse qual messaggio, sebbene lo conservasse da qualche giorno, altrimenti adesso sarebbe stato lì a tempestarla di domande. 
Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando all’improvviso la nave fu scossa come da una forte e improvvisa virata. Joy carambolò al suolo, sbattendo la testa contro la sedia che le era rovinata addosso. Le sirene di bordo presero a suonare all’impazzata, dando l’allarme.
Spaventatissima, non senza fatica, si rialzò frastornata, toccandosi la testa dolorante. Sembrava assurdo e anacronistico, ma la nave pareva proprio come se fosse in mare aperto, in mezzo ad una tempesta forza nove. Ondeggiava paurosamente. Tutto le fu chiaro. Erano sotto attacco, o forse loro stessi stavano attaccando. Cercò di uscire dalla cabina, ma non fu così semplice. Era difficoltoso anche stare in piedi. Una volta fuori, corse come meglio poté verso la Plancia, rimbalzando da una paratia all’altra cercando di non perdere l’equilibrio.

Una volta arrivata al ponte di comando, vide Harlock che teneva salde le caviglie del timone, per manovrarlo. Due virate a dritta e poi tutto a sinistra; stava facendo girare la ruota nel senso indicato, all’impazzata, così che la nave sembrava stesse prendendo una sorta di rincorsa. 
“Tutti pronti per il combattimento all’arma bianca. Manovra il Capitano! ” urlò Yattaran dalla sua postazione.
“Prepararsi all’arrembaggio!” gli fece eco Kei.
Stavano attaccando dunque!
E fu allora che Joy vide Harlock virare violentemente, con tutta la forza che aveva in corpo, a babordo, lasciando poi di colpo la presa sulle caviglie, facendo ruotare in maniera libera e velocissima il timone. 
L’impatto arrivò all’improvviso, devastante, così violento che fece tremare paurosamente tutta la nave, sembrava che stesse battendo un terremoto di proporzioni bibliche. Avevano appena speronato una nave Classe Tiered della Gaia Fleet.
“Party Time!” urlò Yattaran come grido di battaglia e la ciurma cominciò a correre a frotte verso i canali che tramite il lancio di arpioni (le anchor cables), permettevano di arrembare la nave appena speronata.
Joy non ci stava capendo più niente, quando si sentì afferrare per un braccio.
Era Yama. “Eccoti finalmente! Ti ho cercata da per tutto! Presto, vieni con me. Sei sotto la mia responsabilità. Harlock ha detto che se ti succede qualcosa mi ammazza. Quindi sarà mia cura tenerti sana e salva. Andiamo alla mia postazione di artiglieria. Lì, saremo al sicuro” le spiegò trascinandola via.
La biologa ancora non si rendeva conto, era frastornata, forse non aveva neanche paura perché ancora non capiva bene che stesse accadendo. Era stato tutto così fulmineo ed improvviso. Doveva essere stato un assalto non programmato, deciso all’ultimo momento. Yama la teneva stretta per la mano e correvano veloci attraverso i corridoi dell’Arcadia, per raggiungere la postazione, quando si resero conto che alcuni soldati della Gaia Fleet avevano approfittato della confusione che stava regnando, per intrufolarsi a bordo dell’Arcadia. La cosa che li mise in allarme fu che stavano correndo dalla parte opposta rispetto a quella dove c’era la baruffa.
“Ma che diavolo?” disse Yama, fermandosi di colpo, mentre li osservava andare in una direzione che non aveva un senso logico. C’era qualcosa che non gli tornava.
“Devo andare a vedere cosa vogliono fare. Tu stai qui” disse alla ragazza.
“Ma neanche per sogno!” gli rispose “Vengo con te”.
Lui ci rifletté due secondi e ne convenne che forse, era meglio non lasciarla sola. Harlock lo avrebbe ammazzato per davvero, se le avessero torto un solo capello, meglio non rischiare. 
“Va bene, ma mi raccomando, cerca di starmi dietro e fai solo quello che ti dico. Siamo intesi?”.
Joy annuì.
Seguirono i soldati a distanza, nascondendosi via via dietro colonne e rientri della nave, per non farsi vedere. Dopo un po’, si resero conto che quelli erano diretti alla sala del Computer Centrale. Erano cinque e sembravano sapere esattamente dove andare. Si trattava probabilmente di una squadra addestrata, proprio per fare una qualche operazione chirurgica e letale. Una volta nella sala, Yama e Joy, si resero conto che avevano con sé delle piccole bombe comandate a distanza. Volevano far saltare tutto.
“Maledizione!” esclamò Yama “Questa non ci voleva…” e ora come facevano loro due da soli, a sventare questa cosa? Era impossibile. Bisognava che Joy corresse a chiedere aiuto e lui li tenesse impegnati, sperando nel frattempo di non farsi ammazzare, prima che arrivassero i rinforzi.
“Sei matto?” disse lei “Io non ti lascio qui da solo! È fuori discussione”.
“Non è il momento di fare inutili eroismi, non mi servi qui, con tutto il dovuto rispetto, non sai sparare quanto basta per aiutarmi. L’unico aiuto valido che puoi darmi, è andare a cercare qualcuno. Non c’è tempo da perdere, o moriremo tutti. Vai, CORRIIIIII!” le disse spingendola per le spalle.
“Va bene” disse Joy senza perdere tempo. Non era il caso di mettersi a discutere. Era un ufficiale addestrato, meglio dargli retta e cominciò a correre più forte che poteva per quei corridoi, cercando di fare più veloce possibile. Stava correndo a perdifiato, quando ad un certo punto fu travolta come da una folgorazione, una sensazione improvvisa e terribile, che le afferrò la bocca dello stomaco e la portò a fermarsi di colpo. 
Terrore allo stato puro. 
Yama era in pericolo. 
Non sapeva né perché, né come, ma lo avvertì chiaramente, quasi a livello fisico, tanto fu forte l’empatia della rivelazione. Senza stare a pensarci, riprese subito la corsa per tornare indietro. 
Un’angoscia senza fine la stava divorando, con la paura tremenda di non riuscire ad arrivare in tempo, quando, finalmente riuscì a girare nell’ultimo corridoio, in direzione sala Computer Centrale. 
Stremata e senza fiato arrivò a destinazione. La scena che le si presentò davanti le gelò il sangue nelle vene. Yama era in piedi, con un soldato che gli stava puntando la pistola alla testa per giustiziarlo. Era questione di pochi secondi. Joy come guidata da una forza che non sapeva di avere, estrasse fulminea la sua Cosmo Gun dalla fondina e la impugnò, per fortuna aveva preso l’abitudine di portarla sempre con sé, come tutti i pirati. Fu la disperazione a guidarla, insieme alle parole di Harlock, che le riecheggiarono nella mente, le stesse di quando le aveva insegnato a sparare.

Lei è la tua amica, la tua compagna fidata. Quando hai bisogno non sei mai sola perché lei è con te, e lei è l’unica che ti può salvare. Portale rispetto, dalle fiducia, imprimile la tua mira, e spara!

L’uomo si accasciò di colpo. Lo aveva centrato in piena testa. Tanto che notò che qualcosa gli era schizzato via dal casco bianco, giusto poco prima di vederlo franare a terra, stecchito.
Subito vide Yama girarsi e sorriderle, ma nello stesso istante, vide qualcosa che lo trapassò da parte a parte, mentre un piccolo fiotto di sangue zampillò da quello che doveva essere il foro d’uscita. Il sorriso del ragazzo morì sul nascere, lasciando spazio ad una smorfia che gli contrasse le labbra, mentre cadeva in ginocchio, a terra.
“YAMA!” urlò e fece per andargli incontro.
“Ferma lì troietta! Butta immediatamente quella pistola” ringhiò uno dei soldati, l’unico rimasto incolume, che uscì da dietro il Computer Centrale. Gli altri li aveva uccisi tutti il ragazzo.
Lei ubbidì e alzò le mani in segno di resa.
L’uomo si avvicinò a Yama, tenendola sempre sotto tiro e con un calcio allontanò da lui la sua pistola “Che delusione che sei stato per tuo fratello. Ma ora non sarai più un problema. Te lo darò io il colpo di grazia, ma prima, faremo saltare le cervella a questa stronzetta isterica che non si è fatta gli affari suoi e ha ucciso il mio compagno. Da bravo, salutala” disse rabbioso, ma con una nota di maligna soddisfazione nella voce.
Yama osservò Joy con uno sguardo che era dispiaciuto e profondamente addolorato, non era riuscito a proteggerla come doveva, anche se non era ovviamente colpa sua.
L’uomo si girò per fronteggiare la biologa, le puntò la pistola poggiandola direttamente sulla sua fronte.
La ragazza in una frazione di secondo capì che questa volta era davvero finita.
Chiuse gli occhi e trattenne il respiro.
Non ebbe neppure il tempo di pensare, perché ci fu solo un eterno secondo di silenzio… 

Poi nell’aria riecheggiò tonante il fragore dello sparo…

 

NOTE
Le caviglie è un termine marinaro che sta ad indicare quella specie di “pioli” che fanno parte del timone.
Mi scuso per le due parolacce usate nell’ultima parte. Di solito le evito, soprattutto in una storia come questa, ma la concitazione della situazione le richiedeva, anche per dare più “credibilità” all’azione e allo stato d’animo dei personaggi.
INFO: Con questo capitolo si cambia “marcia”, dato che da questo punto in poi, c’è una nuova, importante svolta. Avrei voluto aggiungere introspettivo insieme a romantico e avventura, alla voce GENERE, ma non me lo permette, non so perché, e allora ve lo dico qui :)
NB: IL CORAGGIO È IMPASTATO DI PAURA è stato ispirato dalla frase ’Il coraggio è fatto di paura’ tratto dal libro “Un Uomo” di Oriana Fallaci.

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Capitolo 21
*** Tempo di agire ***


Buona sera e buon week end a chi legge! Eccoci qua oggi di sabato, come ogni fine settimana con il consueto appuntamento del RI-postaggio, sempre uno di seguito l’altro, di DUE nuovi capitoli, rivisti, corretti e sfrondati.

Buona lettura e grazie a chiunque passi di qua. Un grazie particolare anche a chi spende un po’ del suo tempo prezioso per lasciarmi le sue impressioni :)

 

.20.

 

TEMPO DI AGIRE

…In una frazione di secondo capì che questa volta era davvero finita.
Chiuse gli occhi e trattenne il respiro.
Non ebbe neppure il tempo di pensare perché ci fu solo un eterno secondo di silenzio… poi nell’aria riecheggiò tonante il fragore dello sparo…

 

Joy avvertì qualcosa di caldo e appiccicoso colarle sul viso. 
Era strano che non avesse sentito nulla, come se fosse sempre viva…
Aprì gli occhi e vide Kei ancora con la mitraglietta fumante in mano.
“Non ho mai sopportato gli uomini che non si rivolgono con il dovuto rispetto alle donne!” dichiarò serissima, mentre anche l’ultimo soldato franava a terra, morto.
“Non sai quanto sono felice di vederti!” le disse Joy sollevata. Era così frastornata che quasi non si stava neppure rendendo conto di cosa stesse accadendo, aveva l’adrenalina ai massimi livelli e poi c’erano ancora delle problematiche molto serie da risolvere. Una di queste era Yama, ferito e ancora in ginocchio. Respirava faticosamente, perdeva molto sangue, era stato colpito appena sotto la clavicola sinistra.
Kei si avvicinò al ragazzo “Stai bene?” gli chiese, poggiandogli una mano su una spalla.
Lui si girò, aveva la fronte imperlata di sudore e lo sguardo sofferente “Onestamente? Stavo meglio prima!” le rispose, cercando di sdrammatizzare.
“Ti pare il momento di fare dello spirito?” chiese la ragazza preoccupata, la ferita non era mortale, ma era brutta.
“Se avessi voluto fare lo spiritoso magari avrei avuto l’ardire di chiederti… che so, un bacio?…” commentò, facendo una smorfia. Aveva proprio bisogno di prenderla sul ridere, perché se l’era vista davvero brutta. Era il suo modo di esorcizzare il fatto che lui e Joy avrebbero potuto essere entrambi morti. Stava davvero male. Il dolore gli si era manifestato di colpo, acuto e violento, quasi insopportabile, sembrava bruciare come il fuoco, perché la sua, di adrenalina, stava decisamente scemando.
“Chissà, potrei anche sacrificarmi e baciarti per davvero, così magari ti potresti anche trasformare in un principe, hai visto mai?” rispose la bionda dandogli corda, aveva capito che aveva bisogno di allentare la tensione e lo assecondò. Era arrivata appena in tempo, un secondo dopo e non ci sarebbe stato più nulla da fare. Doveva ringraziare Meeme che l’aveva avvisata.
“Ora però basta con queste scemenze, andiamo via di qui! Stai perdendo troppo sangue” aggiunse, non era più il caso di perdere tempo a scherzare.
“No! Le bombe. Il timer!” le disse farfugliando Joy agitata, aveva appena realizzato che sarebbero saltati in aria a breve.
Kei non capì, allora le spiegò. C’erano quattro bombe, piazzate tutte sul Computer Centrale, e un timer era stato azionato dall’ultimo soldato prima di morire, segnava il conto alla rovescia. In quel preciso momento erano già trascorsi sette dei venti minuti rimanenti alla detonazione.
“Devi andare di corsa in Plancia e recuperare Yattaran. È una lotta contro il tempo. Vai, corri!” le intimò Kei agitatissima, mentre cercava di tamponare la ferita di Yama.
Così a Joy toccò nuovamente precipitarsi a perdifiato per quei corridoi bui ed interminabili, fino a quando, stremata, arrivò in Plancia dove trovò subito Yattaran: c’era rimasto solo lui in postazione di comando.

 

Il primo ufficiale, esperto hacker, ci aveva messo dieci minuti esatti a disinnescare le bombe, salvando il Computer Centrale e Tochiro che stranamente era poco attivo, ma sicuramente vivo
Nel frattempo Joy e Kei avevano portato Yama in infermeria. Il ragazzo stava perdendo troppo sangue e il dottore, dopo averlo curato, era intento a ricucirlo. Lui cercava di essere stoico, ma ogni tanto il dolore gli faceva digrignare i denti e contrarre il viso in smorfie, che facevano capire quanto stesse soffrendo.
Le ragazze erano dentro con lui, preoccupate, ma Zero diceva che non era poi così grave, che gli era andata di lusso.
“Ecco qua!” fece il dottore. “Ti sei guadagnato il primo ricamino da pirata. Vedrai, la prima cicatrice non si scorda mai. La mostrerai con orgoglio ai tuoi nipoti!” concluse mentre lo fasciava.
Yama abbozzò un mezzo sorriso e un grazie stentato, il dolore ora era quasi insopportabile.
Joy notò che anche lui era piuttosto magro e così sofferente sembrava anche più piccolo di quello che era in realtà. Doveva avere circa quattro, cinque anni meno di lei. Era un ragazzo strano. Coraggioso e forse anche un po’ incosciente. Ma in fondo ai suoi occhi, ogni tanto, leggeva una malinconia infinita che in un certo senso le ricordava quella di Harlock. Si sorprese a pensare che si somigliassero parecchio. Ecco chi le ricordava! Ma no, che sciocchezza, forse si stava sbagliando. Pensò di essere fuori di testa e di vedere Harlock da per tutto, anche in una situazione e in un momento, in cui era il caso di pensare decisamente ad altro. Per fortuna era andato tutto bene. Yama se la stava cavando. Kei lo stava aiutando ad alzarsi, doveva stare a riposo e andarsene a letto di filato, aveva perso molto sangue, era debole, doveva rimettersi in forze.
“Lo accompagno io” disse la pirata rivolta a Joy “Hai ancora tutto il sangue di quel tizio sulla faccia, forse è meglio se vai a lavarti” le disse infine.
Joy si toccò, non se lo ricordava neppure. In un lampo, le arrivò addosso con fragorosa potenza, la cognizione di quello che aveva appena vissuto e soprattutto, di quello che aveva fatto. Aveva sparato in testa ad una persona. Una persona viva, che ora era morta… per colpa sua. Ebbe un lieve capogiro e sbandò.
“Vado in cabina…” disse, uscendo come un automa. Stava sudando. Brividi di freddo le scuotevano forte il corpo. Le venne la nausea era angosciata. Si rendeva conto che non era stata una cosa volontaria, era stata senza dubbio legittima difesa, ma restava il fatto che senza neppure pensarci, aveva tolto una vita, per salvarne un’altra. Non riusciva a togliersi dalla testa quel qualcosa che aveva visto schizzare via dal casco di quell’uomo, che non sapeva neppure che faccia avesse. Quel qualcosa, era probabilmente materia celebrale, le sembrava come fosse stata la vita che esalava da quel corpo per mano sua. 
Aveva sempre pensato che essere donna fosse un privilegio, perché avrebbe potuto donare la vita ad un essere umano, ed invece lei l’aveva appena tolta a qualcuno. Arrivò nel suo alloggio e si guardò allo specchio, vide il sangue raggrumato sulla faccia e cominciò a chiedersi come facessero a fare quella vita. 
Attacchi improvvisi, morte, poi normalità, poi ancora un attacco, morte e ancora normalità, in una sorta di giostra impazzita, dove vita e morte viaggiavano a braccetto, in modo macabro e grottesco.  
Le sembrava tutto senza senso. Che mondo era quello? Così diverso e selvaggio rispetto al suo. Stava per avere una crisi di nervi. Corse in bagno e vomitò. Poi aprì la doccia, si spogliò e ci si infilò sotto, lasciandosi scivolare a sedere, mentre l’acqua la investì dall’alto, quasi come fosse sotto un forte temporale, e finalmente diede sfogo alle lacrime.

L’abbordaggio nel frattempo era finito.  Prima dell’attacco più potente e pericoloso, che il Consiglio avrebbe voluto evitare, erano stati avvertiti da Nami che Ezra avrebbe tentato un approccio chirurgico, proprio tramite un arrembaggio a sorpresa. Harlock aveva deciso di prevenirli, ma il suo piano era riuscito a metà, perché comunque la squadra d’assalto era riuscita ad entrare lo stesso in azione. Per fortuna le bombe erano state disinnescate e tutto sommato era andata bene.

Molto più tardi, quando finalmente l’Arcadia navigava placidamente nello spazio, lontano da ogni imminente pericolo ed era in corso la sua autoriparazione tramite la dark matter, Harlock venne a conoscenza di che cosa fosse accaduto a Yama. Quindi, abbastanza preoccupato, andò di corsa a sincerarsi delle sue condizioni anche per avere notizie di Joy, sebbene fosse convinto che lei fosse stata sempre nella postazione di artiglieria, dove aveva detto a Yama di portarla.
Quella dannata nave era spuntata all’improvviso e avevano dovuto agire precipitosamente, gli dispiaceva che il ragazzo ci avesse quasi rimesso le penne. Aveva una strana sorta di affezione per Yama. Neanche lui capiva bene perché. Ma si sentiva molto protettivo nei suoi confronti, era come se a volte, in lui, rivedesse se stesso a quell’età. Era un bravo ragazzo, forse ancora incerto e confuso, ma aveva un animo nobile ed era anche coraggioso. Inoltre si riconosceva in lui nell’affinità nel portare dentro sé un peso enorme, per una grave colpa, commessa con leggerezza, a causa della rabbia.
Nessuno però gli aveva raccontato come fossero andate realmente le cose, così quando Harlock lo seppe da Kei, si congedò da Yama ed andò dritto di filato alla cabina a cercare Joy, ma non ce la trovò.
Andò al laboratorio, ma non era neanche lì. 
Cominciò a preoccuparsi. 
Dove poteva essere…
Poi, facendo mente locale, capì dove probabilmente l’avrebbe trovata. 
Era nella sala del Computer Centrale dove era accaduto il fattaccio. La vide seduta in terra, a gambe incrociate, che guardava il punto dove probabilmente prima c’era il cadavere di quell’uomo. Ferma, immobile, con lo sguardo vacuo fisso sulla quella macchia di sangue, era come se materialmente fosse lì, ma con la mente chissà dove.
La cosa che lo colpì profondamente fu che fosse in canottiera, senza giacca e maglione. Era completamente scoperta. Mostrava la cicatrice che nascondeva sempre. Era un messaggio chiaro, molto forte, si stava punendo come se si stesse fustigando pubblicamente. Era il suo modo di umiliarsi. Si avvicinò in silenzio e la prese per un braccio, facendola alzare. Lei non oppose resistenza, sembrava una marionetta. Si tolse il mantello e glielo mise sulle spalle.
“Ora vieni con me” le disse quasi sotto voce, quindi la prese per mano e la portò nella sua cabina. La fece sedere. Sembrava che lei fosse da un’altra parte, poi però sembrò come rinvenirsi, si levò bruscamente il mantello dalle spalle, come se non volesse protezione alcuna e lo guardò.
“Mi vuoi dire che sono cose che capitano? Che ho salvato una vita a discapito di un’altra? Lo so già, ma non mi farà stare meglio, quindi risparmiatela” proferì con astio.
Era rabbiosa, ma non ce l’aveva con lui, solo con se stessa.
Harlock non disse niente, prese due bicchieri e una bottiglia di vino. 
“In realtà voglio che tu beva” le disse, sedendosi e spiazzandola completamente.
“Voglio, se ti va, che tu ti ubriachi” e le versò da bere, quindi le porse il bicchiere “È ottimo. Bevi”.
Joy non capiva molto bene che stesse cercando di fare, ma prese il bicchiere e bevve tutto d’un fiato. Il liquido rosso, corposo, dal sapore intenso e deciso, le pizzicò forte la gola, poi se lo sentì arrivare dritto nello stomaco e bruciare.
“A me il vino non piace” dichiarò seria.
“A me sì” rispose lui, sorseggiando il suo.
Lei lo guardò come se fosse matto.
“Cosa centra questa disquisizione sul vino ora?” gli chiese spazientita “Io proprio non ti capirò mai!” sbottò.
“Joy, tu desideri tornare a casa, vero?” le chiese, facendola trasalire. 
Non l’aveva mai chiamata per nome… e poi ora da dove usciva fuori questa domanda?
“Sì…” rispose d’impulso la ragazza, e poi si passò nervosamente le mani tra i capelli “No!” aggiunse subito. “Non lo so! E ora meno di prima” concluse, allungando la mano con il calice vuoto verso di lui, in una muta richiesta di altro vino.
Harlock le versò altro liquido rubino e lei ancora una volta lo buttò giù tutto d’un fiato. Non beveva mai, ma forse aveva ragione lui, poteva essere utile in quel frangente. “Tu che vuoi che faccia, che vada, o che resti?” gli domandò, guardandolo dritto indagando quell’unico occhio ambrato che la stava fissando. 
Era anche arrivata l’ora di sapere che cosa pensasse.
“Quello che voglio io è ininfluente” rispose calmo, senza neppure muovere un muscolo del viso, sostenendo il suo sguardo.
La ragazza sospirò, non aveva voglia di discutere.
“Ma se decidessi di restare? Sarebbe un problema?”.
Lui finì di bere il suo vino e poi corrugò appena la fronte rendendo più serio lo sguardo.
“No” rispose lapidario, girando la testa verso la vetrata. Non voleva fare nessun tipo di pressione su di lei, non fin quando fosse stata in quelle condizioni.
“Sono curiosa di sapere se volessi andare via, come potrei fare secondo te, sappi che non conosco alcun modo per tornare da dove sono venuta. Sebbene sappia che forse è una cosa possibile. Fino a quando funzionava quel chip neanche ci pensavo, probabilmente era programmato per inibirmi, ma adesso lo so. A casa forse non tornerò mai, quindi è meglio che cominci a farmi piacere questo posto e anche parecchio” rifletté a voce alta, guardandosi intorno.
Lui non rispose.
“Sei snervante. E io voglio uscire di qui. Non ho voglia di farmi l’ennesimo monologo” disse alzandosi di scatto, innervosita dalla sua calma.
“Non serve che tu faccia così. Non cambierà le cose” le disse Harlock pacato, tornado a guardarla intensamente, con una sfumatura di dispiacere che gli velò appena la pupilla ambrata.
Joy invece lo guardò accecata dal dolore e non capendo che cosa lui stesse cercando di fare, tracimò letteralmente “Non cambierà il fatto che mi faccio schifo? Che non mi perdonerò mai per quello che ho fatto? Che continuerò a vedere il cervello di quello schizzare per aria? Che cosa dovrei fare? Ubriacarmi? Magari che so, farmi anche una sveltina? Io non sono come voi e non lo sarò mai! Questa è la verità!” sputò fuori, livida come se volesse ferirlo.
“Nessuno nasce assassino. A nessuno piace uccidere, salvo rare eccezioni. Credi che a me piaccia togliere la vita alle persone? Credi che provi piacere a fare quello che faccio in certi frangenti?” le chiese quasi sottovoce, studiandola.  
“Non lo so…” rifletté lei, abbassando lo sguardo. L’effetto del vino, all’improvviso le stava salendo tutto insieme, ora era leggermente frastornata, le girava la testa, del resto non beveva mai.
“Non ho mai ucciso nessuno che non fossi costretto. Cerco di non togliere inutilmente vite. Ma a volte è inevitabile. Non potevi fare diversamente. Altrimenti ora ti danneresti l’anima per non aver salvato Yama. Come vedi non avevi scampo, sempre da te dipendeva una vita umana. Hai fatto la tua scelta. Perché di questo si tratta: di una scelta, tra un uomo che voleva farci fuori tutti e Yama. Prima lo accetterai, prima starai meglio”.
Questa volta fu lei a non rispondere.
Harlock continuò: “Capisco che questa vita sia lontana in maniera inconciliabile dalla tua, ma non devi pesare che noi tutti non abbiamo sentimenti, paure e angosce, e che questa scelta non ci costi un prezzo altissimo che paghiamo quotidianamente” concluse sempre pacato, ma quasi incupito. Poi si versò da bere nuovamente, fece roteare piano il liquido rosso nel suo calice e sospirò appena. Stava per dire una cosa che gli costava molto, ma doveva farlo. “Per rispondere alla tua domanda di prima, credo di poter fare in modo che tu possa tornare indietro nel tempo” quindi si fermò e buttò tutto giù in un fiato il vino, poi aggiunse “E se proprio devo darti la mia opinione personale, forse è davvero meglio se torni a casa, anche se puoi restare qui fino a quando lo desideri, senza nessun problema”.
Joy non parlò e abbassò ancor più la testa, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, in senso di sconfitta. Aveva capito in parte, ma in parte aveva del tutto frainteso. Infatti ora era chiaro, secondo lei, che Harlock volesse solo che se ne andasse. E come poteva biasimarlo? Lei era un problema. Lei lì, non centrava niente. Doveva sistemare quelle dannate colture, fare ciò che le aveva raccomandato Nami e poi andarsene, sparire, tornare indietro, qualsiasi cosa, pur di non rimanere su quella nave.
“Ho bisogno al massimo di un mese ancora e poi attivati, torno a casa” disse decisa ma vinta, quindi gli voltò le spalle e uscì.
Harlock rimase immobile, lo sguardo fisso su un punto indefinito della cabina, con il bicchiere di vino vuoto in mano. Lo strinse così forte che finì per frantumarlo in mille pezzi, ferendosi anche la mano. Si alzò, senza fretta, prese un altro bicchiere. 
Decise che avrebbe finito la bottiglia.

Joy si sentiva stranita a causa dell’alcool che aveva in circolo, ora l’effetto cominciava ad esser fastidioso. Non beveva mai e dato che aveva una specie di forte cerchio alla testa, decise di andare a farsi un caffè. Arrivò in cucina e ci trovò Masu che stava preparando per la cena.
“Mamma mia!” fece la cuoca appena la vide “Figlia mia, ti stai sciupando. Hai proprio una brutta cera oggi”.
La ragazza le sorrise appena “Ho bisogno di un caffè e bello ristretto”.
“Siedi che te lo preparo io” disse quasi maternamente la donna.
Pensò di stare proprio male se Masu era così premurosa.
“Ecco qua” le disse la cuoca poco dopo, passandole una tazza di caffè nero bollente e fumante.
“Bevila piano e poi vedrai che starai meglio”.
La ringraziò e cominciò a sorseggiare il liquido scuro, senza zucchero. Era amaro come tutta la situazione, ma perché doveva essere tutto così difficile? Perché era sempre una corsa in salita?
“Non so che cosa ti tormenti ragazza mia, ma lascia che una vecchia ti dia una dritta” le disse Masu mentre con le sue mannaie affettava la carne da cucinare.
“Nella vita è meglio avere ricordi belli, o brutti che siano, piuttosto che rimpianti. Devi saper prendere quello che di buono c’è, anche se non sarà per sempre. Per sempre è un concetto molto indefinito, molto sopravalutato. Senza contare che il per sempre a volte uccide il presente. Allora io preferisco credere ad un bel presente, piuttosto che sperare in un improbabile per sempre. Il futuro è un incognita per tutti, potremmo morire tra cinque minuti. La vita è strana, ma non credere che non saprà lo stesso sorprenderti, magari non nel modo che tu speri, ma ci saranno sempre belle cose, anche se non sono quelle che avevi desiderato all’inizio ”. 
Joy ascoltava e beveva, ma Masu non aggiunse altro.
Una volta finito il suo caffè, ringraziò la cuoca e uscì. S’infilò le mani in tasca e decise di andare a vedere come stava Yama.
Con lui c’era ancora Kei che era rimasta a fargli compagnia. Stava dormendo e lei lo stava vegliando. Il ragazzo sembrava sereno. Gli occhi chiusi e il respiro regolare. Aveva i capelli sparsi sul cuscino e un’espressione rilassata dipinta sul volto, anche se era decisamente molto pallido.
“È sedato” le spiegò Kei “Sei stata bravissima” aggiunse alzandosi, poi le poggiò entrambe le mani sulle spalle “Lo so che per te è stata una cosa terribile, ma almeno lui è vivo”.
Joy annuì, in effetti era confortante vederlo così. Ricordava anche fin troppo bene il momento in cui era stato colpito. Rimase ancora un po’, più che altro per riordinare le idee e stare in compagnia, sebbene né lei, né Kei, parlarono. 
Poi tornò nella sua cabina. Le parole di Harlock e quelle di Masu si rincorrevano tra loro, nella sua mente, portandola a fare un sacco di considerazioni a volte anche in forte contrasto tra loro.
Pensare, pensare, pensare. 
Non aveva fatto altro da quando era salita su quella nave. I suoi pensieri erano sempre stati molteplici, a volte anche discordi, confusi, appassionati e in certe occasioni anche sciocchi e incoerenti. E se invece di pensare, per una volta avesse avuto il coraggio di agire?
Fu questa la domanda che la tormentò lì, nella sua cabina seduta sul letto, mentre dal suo oblò, osservava quel lembo di spazio, quell’immenso manto nero trapuntato di stelle, che ogni tanto qualche nebulosa gassosa, colorava di verde e arancio, rendendo la visione ancora più maestosa e irreale.
D’improvviso realizzò che Masu aveva ragione. Sarebbero anche potuti morire tutti e non essere neppure lì in quel momento. Non aveva mai messo a fuoco chiaramente che stessero facendo qualcosa di davvero pericoloso, mai come in quel giorno. 
Se avesse dovuto morire, o se semplicemente avesse dovuto andarsene per sempre da lì, voleva qualcosa da portare con sé. 
Un ricordo. 
Un momento. 
Un attimo. 
Finalmente le fu tutto chiaro: non le importava nulla, se non il fatto che per quanto non riuscisse neppure a pensarlo, né tanto meno ammetterlo, l’unica cosa che voleva veramente e che aveva sempre voluto era lui, il resto era tutto molto relativo. Ed era perfettamente conscia che non sarebbe mai stato suo, se non per un momento fugace. 
Ma nel bene, come nel male, le fu chiaro che ora, era giunto il tempo di prendersi quel momento.


Harlock alla fine non si era ubriacato. Non aveva avuto neanche voglia di bere. Così era andato in Plancia e si era messo a sedere sul suo scranno, a testa bassa, ripiegato su se stesso, con il viso rintuzzato dentro il bavero del suo mantello, come se volesse sprofondarci dentro. Il gomito era appoggiato sul bracciolo e la mano gli sorreggeva il viso, inclinato di lato e nascosto dai capelli. Pensava e si raccontava che alla fine era meglio così. Che era più semplice per lei, per lui e per tutti. Nonostante questa convinzione, si sentiva profondamente insoddisfatto, stava cominciando a chiedersi se fosse giusto che si dovesse sempre reprimere e dovesse sempre rinunciare a tutto per il bene comune. Ogni scelta che aveva preso, aveva avuto il suo prezzo e lo aveva pagato senza battere ciglio, ma ora quel prezzo gli pareva decisamente un po’ troppo caro. Però, di contro, se era onesto era pur vero che ormai la sua vita era quella, se l’era scelta lui e sapeva con certezza che alla fine non l’avrebbe cambiata, per niente e per nessuno, perché era l’unica vita che volesse. 
Ma allora perché si sentiva così svuotato?
Fermo, immobile e assorto, sembrava essere tornato a qualche tempo prima, quando passava così quasi tutte le sue giornate.
Yattaran si accorse subito che pareva essere ritornato indietro nel tempo e se ne dispiacque, si augurò che fosse stanco per la giornata lunga e difficile, ma qualcosa gli diceva che c’era dell’altro. Per questa volta decise di non indagare e rispettare questo suo momento di silenzio e solitudine interiore.



Era piuttosto tardi, quando il Capitano si decise a rientrare nella sua cabina. 
Aprì la porta ed entrò deciso. 
Rimase molto più che interdetto per la sorpresa, Joy era lì, nel suo alloggio, in piedi, davanti alla vetrata, che lo stava aspettando. 
Per l’ennesima volta era riuscita a spiazzarlo.
“Non ti arrabbiare mi sono fatta aprire, ma non ho toccato niente” si affrettò subito a spiegargli piuttosto agitata. La ragazza era in attesa da diverso tempo. Pensava di essere tranquilla, si era anche preparata mentalmente su cosa dire e fare, ma poi quando lui era arrivato, le era salita subito l’ansia. Pensava di essere pronta, ma ora non sapeva neppure che dirgli.
“No, non ci ho neppure pensato… Ma che succede? Perché sei qui a quest’ora?” le chiese, anche se forse intuiva. Ma non voleva nemmeno considerarne l’eventualità.
“Io… non… io non le pensavo quelle cose che ho detto prima” farfugliò, tormentandosi le mani “Ero fuori di me e anche molto angosciata…” non riusciva a sbloccarsi, aveva questo nodo enorme che le occludeva la gola e le impediva quasi di respirare.
“Non importa” disse lui, togliendosi il mantello, buttandolo a caso sul divano, per poi cominciare ad armeggiare freneticamente per levarsi la corazza. Quando se ne fu liberato cominciò a slacciarsi le cinture e togliersi i guanti, fissando ostinatamente il pavimento.
Non poteva star fermo, doveva fare qualcosa e soprattutto non voleva guardarla in viso.
“Invece importa a me” replicò Joy avvicinandosi appena, mentre lui lasciava cadere tutto per terra, evitando ancora il suo sguardo, sfilandosi con un po’ troppa foga il giubbotto di pelle, che volò a far compagnia al mantello.
“Io non voglio andarmene e tonare indietro nel tempo” affermò con decisione disperata Joy.
Harlock si girò e questa volta la guardò, era serio e accigliato “E invece lo farai, proprio come stabilito oggi” confermò deciso.
Si stava abituando all’idea e ora lei arrivava e cambiava di nuovo le carte in tavola? Era per il suo bene, non lo voleva capire? E che diavolo ci faceva lì a quell’ora? Perfino lui aveva un limite, che diamine!
“Allora vuol dire che sei tu che non mi vuoi qui!” gli rinfacciò costernata.
Harlock si fermò di scatto e la fissò in una maniera che a lei sembrò che le si aprisse una voragine nello stomaco, per via dell’intensità di quello sguardo, così cupo e profondo in cui sui si agitavano un’infinità di tormenti inespressi.
“Cosa voglio io non conta, te l’ho già detto” ribadì a fatica. 
Era una lotta continua, una lotta difficile, una lotta che in fondo, se era onesto, desiderava solo perdere, ma con cui si ostinava a combattere.
“Allora cosa desidero io, non conta niente?” gli chiese Joy con tono quasi angosciato, non lo sopportava quando faceva così e si chiudeva come un riccio. Sembrava un muro di gomma, contro cui lei finiva per rimbalzare sempre.
Harlock non rispose, le voltò le spalle e si trincerò dietro il suo solito mutismo ostinato e rude, sperando così che lei si infuriasse e lasciasse quella cabina.
Subito.
Ma non fu così.
La ragazza caparbia colmò la distanza fra di loro, lo superò e gli si piantò davanti a pochi centimetri di distanza, obbligandolo a guardarla. Alzò lo sguardo e lo fissò dritto in viso. Non riusciva però a parlare, dirgli quello che sentiva era troppo difficile. L’emotività le aveva bruciato letteralmente le parole in gola, quindi lo osservava e basta, ma nei suoi occhi c’era riflesso tutto quello che aveva dentro. Così, come di rimando, nello sguardo di Harlock si poteva chiaramente leggere la forza, quasi disperata, di ciò che stava cercando di soffocare.
Erano ormai imbrigliati in quella rete e anche se tentavano disperatamente di liberarsi, ciò che li legava diventava sempre più stretto. Più si dibattevano, più restavano legati.
All’improvviso, senza neppure rendersi conto come accadde si ritrovarono labbra contro labbra. Le loro bocche che già si conoscevano si erano ritrovate da sole. A dispetto di ogni logica, si erano mossi d’istinto, all’unisono, arrendendosi a quel sentimento che, nonostante tutto furiosamente era sbocciato, vincendo ogni lotta.
Fu un bacio dapprima quasi disperato, doloroso, che divenne però subito intenso, urgente.
Harlock dolcemente l’attirò a sé per poi stringerla forte. Joy, vista la sua reazione, prese coraggio e lo abbracciò, aggrappandosi al suo maglione, perché l’intensità di quel contatto aveva in sé qualcosa di devastante, che la travolse. Anche lui che aveva ceduto completamente le armi, gli si era totalmente arreso, come un guerriero abbattuto dalla furia di un conflitto inutile. Cominciò a carezzarla, partendo dall’angolo del viso, sfiorandola con la punta delle dita, scendendo poi piano lungo il collo. Quindi fece quello che avrebbe voluto fare da moltissimo tempo, si piegò e posò le labbra nell’incavo tra il collo e la spalla di lei, vicino alla clavicola, sfiorando con la pienezza della bocca la sua pelle candida e morbida, poi aspirò profondamente il suo profumo e pensò che ora poteva anche morire, non gli importava più di niente, se non di quello che stava provando. 
Era esattamente dove voleva essere. 
Joy si lasciò preda di quei baci leggeri e sensuali, socchiudendo gli occhi e trattenendo il respiro, lasciando che fosse lui a condurre, perché era così persa nelle sensazioni che provava da non capire più nulla. Le pareva quasi una cosa irreale e aveva il sacro terrore, che come le altre volte si sarebbe fermato di colpo.
Invece lui guardandola con amorevole deferenza le sfilò senza fretta la canottiera e notò subito, con rammarico, il riaffiorare del suo imbarazzo per quelle maledette cicatrici. Allora si abbassò e prese ad accarezzare delicatamente, con una scia di baci, proprio quella pelle divorata dal fuoco che a lui non faceva nessun effetto negativo, al contrario di quello che aveva sempre pensato lei.
Joy credette di perdere la ragione. Le si sciolse qualcosa dentro e non era solo passione o voluttà, era qualcosa di molto più intenso, profondo e complesso, qualcosa che riguardava le loro anime, qualcosa che andava molto oltre la mera carnalità
. Quando Harlock tornò a cercare la sua bocca, lei lo fermò un momento per ammirarlo, pensò di non aver mai visto niente di più perfetto e bello in vita sua. I loro sguardi si imbrigliarono ancora una volta, poi lei si lasciò avvolgere dal sua stretta, chiuse gli occhi e tra quelle braccia forti, come in un porto sicuro, si sentì finalmente a casa.
Le loro labbra tornarono di nuovo a cercarsi e il resto degli abiti finì sparso sul pavimento.
Harlock a quel punto si fermò e decise di mostrale una cosa che non permetteva mai a nessuno di vedere, si tolse la benda dall’occhio, quindi lee prese il viso tra le mani e le disse con voce rotta: “Guardami!”.
Joy lo ammirò sorpresa, un fremito le corse lungo la schiena perché capì subito la profondità e il significato di quel gesto così intimo. Si emozionò fino a sentirsi venire meno e gli sorrise, preda di tante emozioni violente. Con il cure in gola gli carezzò la guancia e gli scostò i capelli per osservarlo ancora meglio. Lo trovò perfetto, anche a dispetto di quella enorme cicatrice che aveva rubato per sempre la luce dal suo occhio destro. Si allungò appena e con le labbra sfiorò con riverenza tutta la lunghezza dello sfregio, per poi baciare con devozione quella palpebra offesa. Harlock, sconvolto dal turbamento sussultò appena e la strinse a sé con forza, quasi per celare la grande emozione che lei gli aveva appena regalato. Poi la baciò con ardore e Joy inarcò appena la schiena, per donarsi a lui. 
Ora erano davvero completamente nudi.
Soprattutto nell’anima.
Pronti a perdersi senza riserve l’uno nell’altra.
Senza domande, senza risposte e senza un domani.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:  Questo (lo dico per chi ha già letto al tempo la storia) è uno dei capitoli che ho cambiato in maniera abbastanza significativa nella forma, anche se poi fondamentalmente non l’ho stravolto. D’ora in avanti ci saranno alcuni cambiamenti più o meno tangibili, ma anche degli accorpamenti, (tipo due capitoli “fusi” che diventano uno) via via vi avviserò (o forse no, vedremo così se lo capirete da soli, parlo sempre per chi ha già letto la storia :P ).Il perché di questi cambiamenti è semplice: alcune cose non mi convincevano più da tempo. Certe parti erano troppo “immature” altre non rispecchiano più chi sono e il mio sentire e proprio non le tolleravo più, altre ancora erano decisamente troppo prolisse e ridondanti. Spero che ciò non vi porti ad amare meno la storia (parlo sempre di chi l’aveva letta prima) in caso, se vi va, fatemi sapere cosa vi piace, o non vi piace di questa nuova versione. Grazie comunque di cuore a chiunque la stia leggendo o rileggendo.
Un altro cambiamento significativo riguarda le citazioni ad inizio capitolo. Nella prima versione postata nel 2014 da questo capitolo in poi c’era sempre, in testa, una citazione di qualche riga tratta da una canzone, un libro, una poesia, o un film. In questa nuova veste l’ho abolita, in quanto la ritengo inutile e inflazionata. Forse ce ne sarà soltanto una, dopo la parola fine dell’intera storia, ma ancora non ho certezze in merito, vedremo come mi prende al momento! :D

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Capitolo 22
*** Regole, codici e tracce ***


Attenzione vi ricordo che posto sempre DUE capitoli e che prima di questo è necessario leggere il precedente, per ovviamente seguire la storia in modo corretto ;)

 

  .21.

 

 

REGOLE, CODICI E TRACCE

Sebbene nello spazio sembrasse essere sempre notte, nel senso che gli incontri con la luce erano davvero sporadici, gli orologi biologici della ciurma si erano con il tempo naturalmente regolati, tra lo stato di veglia e quello di sonno. 
Alla fine il tempo adibito a quello che poteva essere ricondotto al riposo notturno, era quasi uguale a quello che avrebbero potuto fare normalmente sulla Terra. 
Così, in quella sorta di notte artificiale, l’Arcadia navigava placida e silenziosa, solcando l’immenso Spazio, guidata dal Computer Centrale, mentre per la prima volta dopo tantissimo tempo, tutto l’equipaggio, Capitano compreso, stava dormendo.

Joy si svegliò all’improvviso non riuscendo a rendersi conto di che ora fosse. 
Avevano ceduto al sonno molto tardi, in quel grande letto, completamente disfatto, sopra le lenzuola, completamente nudi. Si accorse di essersi mossa nel sonno e ora si ritrovava con la schiena appoggiata al torso di Harlock, che era ancora profondamente addormentato abbracciandola, o meglio, avendola completamente imprigionata tra braccia e gambe, tenendola stretta a sé. 
Non si poteva muovere o l’avrebbe svegliato. Erano come aggrovigliati e la cosa straordinaria era che le pareva la cosa più naturale e normale del mondo, come se fosse una loro consuetudine che durasse da tempo. Il respiro di Harlock era regolare e le solleticava appena i capelli e la base del collo, il calore del corpo appiccicato al suo, le dava un grande senso di benessere e protezione. In quel momento avrebbe anche potuto saltare in aria la nave, che lei sarebbe rimasta in quello stato di pace e di completezza senza esserne scalfita. 
Stava così bene che decise di non rovinare tutto mettendosi a fare le sue solite congetture, cercando risposte scontate a domande inutili. 
Sarebbe stato quello che doveva essere. 
Si era arresa a questa evidenza nel momento in cui aveva deciso di andare da lui, e non era pentita, anzi era felice come forse non lo era mai stata, ma forse neppure felice era la parola giusta.
Era in un totale stato di grazia e appagamento. 
Come se ogni cosa fosse al suo posto in un’armonia cosmica perfetta. 
Si sistemò meglio, spostando una gamba. Harlock si mosse mugolando appena, stringendo ancor più la presa e Joy allora chiuse gli occhi, il sonno stava per vincerla di nuovo.
Dopo un lasso di tempo indefinito, fu svegliata da una scia di piccoli baci che lui le stava dando sulle spalle. Non si mosse subito, lasciò che continuasse ancora un po’, godendosi quel momento così piacevole e poi si girò. Come lo vide gli si chiuse quasi lo stomaco, pensò subito che non si sarebbe mai abituata a vederlo così: appena sveglio, con i capelli leggermente arruffati, l’aria deliziosamente sonnacchiosa e lo sguardo completamente rilassato e lucente, mentre i tratti del viso erano completamente distesi e illuminati da un vero e proprio sorriso. 
C’era da rimanerci stecchiti. 
Chi l’aveva detto che nello Spazio non c’era il sole? 
Era lì, proprio davanti a lei.
Harlock la guardò ancora illuminato da quel sorriso e le dette un lieve bacio sulla punta del naso, stava per baciarle le labbra quando sentirono bussare energicamente alla porta.
Era Masu con la colazione, si erano svegliati tardissimo!
“Un momento!” disse lui prendendo tempo con la su solita flemma.
Mentre Joy in preda al panico era letteralmente schizzata giù dal letto, raccogliendo in tempo record tutta la sua roba, biancheria intima compresa, barricandosi poi nel bagno interno della cabina.
Harlock intanto, con tutta la calma che lo contraddistingueva si era infilato pantaloni, stivali, maglione, la benda e poi aveva dato il benestare a Masu per entrare.
La cuoca entrò e poggiò il vassoio sul grande tavolo, mentre lui, come se niente fosse, armeggiava con le sue cinture con consumata nonchalance.
Masu osservò quel letto che sembrava un campo di battaglia, con le lenzuola tutte arrotolate e commentò sorniona: “Nottataccia eh?”.
Il Capitano, impassibile, non fece neanche una piega.
“Ehhh! Devi avere avuto proprio degli incubi tremendi per conciare il letto in quel modo…”rimarcò la cuoca.
Fu in quel momento che Harlock alzò la testa e la guardò “Se hai finito di commentare il mio riposo notturno, vorrei fare colazione” le disse serio, facendole capire che era ora che si congedasse.
“Ma sì, vado. Certo ad averlo saputo che avevi passato una così brutta notte, avrei abbondato con il cibo, magari avrai fame per due” buttò lì come se fosse casuale.
Harlock allora le lanciò un’occhiataccia delle sue. La vecchia cuoca pensò che forse si era spinta oltre il dovuto, quindi salutandolo se andò sorridendo sotto i baffi. 
Appena la donna uscì, Joy fece incerta capolino dal bagno. A lui nonostante tutto scappò da ridere. “Puoi uscire” le disse divertito.
E no, non ce la faceva proprio ad essere serio. Sì, era vero che c’erano un sacco di problemi, anche enormi. C’erano delle incognite terribili e c’era anche la consapevolezza che quello che era successo tra loro potesse portare a conseguenze spiacevoli nell’immediato futuro, ma anche lui per una volta nella sua vita, dopo aver sofferto le pene dell’inferno, aveva deciso di provare a prendersi questo rischio. Aveva il sacrosanto diritto di gustarsi la sua piccola porzione di serenità e non importava se sarebbe durata una settimana, un giorno, o un mese. 
Sapeva che aveva delle responsabilità e un conto da saldare, quindi, a prescindere da ciò che stava accadendo ora, sarebbe comunque andato incontro al suo destino, qualunque fosse stato e avrebbe fatto la sua parte, senza tirarsi indietro, come faceva ormai da sempre. 
Joy uscì quasi timorosa.
“Dici che ha capito?” chiese, corrugando la fronte preoccupata.
Harlock le fece cenno di assenso con la testa.
“E ora che si fa?” gli chiese la ragazza sempre più preoccupata. Non voleva metterlo in difficoltà, era l’ultima cosa che desiderava. Sapeva che una cosa del genere poteva compromettere la sua posizione e anche gli equilibri di quella nave. Senza contare la situazione delicata generale in cui si stavano trovando, che rendeva tutto più complicato.
Lui, per tutta risposta si avvicinò e la prese per mano accompagnandola alla tavola, quindi le scostò la sedia per farla accomodare.
“Io intanto farei colazione” disse serafico. Non voleva cominciare la mattinata, e soprattutto quella mattinata, all’insegna della paranoia. Tanto i problemi erano tutti lì, fuori da quella cabina che li attendevano, tali e quali alla sera prima e non c’era nessuna fretta di andargli incontro di corsa.

Infatti, appena usciti dagli alloggi del Capitano, le cose da fare furono molteplici per entrambi. 

Joy dopo aver parlato con Nami, sapendo cosa dovesse fare, era concentratissima sull’aumentare il più possibile la produzione di colture per clonare il maggior numero di semi possibile. Doveva produrne una grande quantità e poi c’era l’altra questione, ma ancora riteneva di non doverne parlare con Harlock. Prima doveva aumentare la produzione e poi pensare al resto. 
Intanto a lui meno pensava e meglio era in quel momento, altrimenti davvero non avrebbe combinato più niente. Tassativamente s’impedì di fare mente locale, anche per sbaglio, alla sera prima. Non le riuscì molto facile, ma fu abbastanza stoica nel provare a concentrarsi solo sul lavoro, sebbene ogni tanto, inevitabilmente, s’incantasse a ricordare certi particolari.

Harlock, da parte sua, era impegnato a studiare i minimi dettagli della controffensiva all’attacco imminente di Ezra. Sapeva grazie a Nami che avrebbe cercato di poter usare questa risorsa particolare chiamata Kaleido Star System, un’arma micidiale capace di spazzare via una Galassia intera grazie ad un fascio costituito da una concentrazione della potenza delle stelle di neutroni.
Per loro fortuna però il Governo della Coalizione Gaia, secondo quello che riferiva giornalmente Nami a Yama, non era del tutto propenso a dare il benestare all’uso di questa risorsa bellica, perché troppo pericolosa, quindi era in corso una sorta di summit per prendere questa decisione che sembrava tardasse ad arrivare.
Nonostante il Capitano si comportasse normalmente, Kei aveva subito capito che c’era qualcosa di strano. Intanto non aveva quella sua solita aria della serie ho dormito solo tre ore e sono già tante!
Inoltre il suo viso appariva rilassato e riposato. Benché fosse serio e concentrato, perché l’argomento lo richiedeva, il suo sguardo era completamente diverso da quello spento e cupo di sempre. Malgrado nel suo occhio marrone ambrato ci fosse sempre una velata ombra di malinconia, che era uno dei suoi tratti distintivi, quella mattina appariva vivo, quasi come se brillasse. La ragazza ovviamente non disse niente, ma ogni tanto le veniva da osservarlo perché era curiosa. Il suo comportamento non tradiva alcunché, ma il suo aspetto era diverso, pur essendo uguale, come se avesse una sorta di nuova aura e alla fine, Kei convenne che c’era sicuramente qualcosa di nuovo nell’aria. Tutto sommato ne fu sinceramente contenta. Per lei era molto peggio vederlo in stato catatonico, prostrato e quasi succube della vita. Anzi era davvero angosciante vederlo come si era trascinato fino a qualche tempo prima, chi gli voleva bene, come lei, desiderava che fosse sereno e non certo angosciato e sofferente.

Yattaran invece non si era accorto di niente, ma s’insospettì che ci fosse qualcosa di strano quando il Capitano gli fece due richieste. A suo avviso una più strana dell’altra. Provò anche a chiedere lumi ma Harlock gli fece garbatamente capire che se avesse continuato a far domande inopportune, sarebbe finito per l’intera settimana a lucidare tutti ponti della nave e alla vecchia maniera: con secchio e straccio. Quindi il primo ufficiale, almeno per il momento, si cucì la bocca ed eseguì gli ordini senza fiatare.

Masu-san intanto canticchiava e cucinava tutta felice, stava addirittura facendo una torta. Cosa che, quando si seppe, insospettì molto parte della ciurma. Quando mai era così allegra e canterina?
Insomma nell’aria serpeggiava un certo mormorio. Tutti si chiedevano cosa stesse accadendo a bordo, chi formulava un’ipotesi, chi un’altra, chi aveva certezze e chi solo sospetti, ma il parlottio aleggiava nell’aria correndo veloce di bocca in bocca.

 

Harlock interruppe la sua riunione strategica nel tardo pomeriggio e si recò a trovare Yama. Voleva accertarsi di persona del suo stato di salute. Aveva avuto fortuna, se il colpo fosse stato un po’ più basso sarebbe potuto morire.
Il ragazzo era ancora un po’ malconcio, ma grazie alla sua giovane età aveva un’ottima capacità di ripresa. Di lì a poco sarebbe potuto uscire e tornare anche alle sue mansioni.
Yama fu molto sorpreso di tutto questo interessamento da parte del Capitano dell’Arcadia, e alla fine gli chiese “Perché ti preoccupi così tanto? E già che ci siamo, mi sono sempre domandato perché tu abbia rischiato la tua vita per me, su Tokarga?”.
Harlock lo guardò serio e dritto negli occhi.
“Sono responsabile di tutti voi. Quando accetto un membro a bordo di questa nave, è come se automaticamente mi facessi carico di lui, della sua vita” gli spiegò molto semplicemente, nel suo solito modo pacato.
“Sì, ma io ero una spia e tu lo sapevi” ribatté il ragazzo “Perché accettarmi a bordo allora?”.
“Lo sospettavo, ma non ero certo. Il mio metro di giudizio potrebbe sembrare bizzarro, ma ho le mie regole. Ho solo intuito che meritavi un’occasione”.
Yama lo ascoltava perplesso e anche turbato.
“Ma tu hai visto che cosa ho fatto a Nami…” aggiunse molto serio.
Harlock rimase in silenzio, non rispose subito. Voleva usare le parole giuste per fargli capire il concetto. Lo osservò qualche secondo e poi gli disse: “Non lasciare che questa colpa ti corroda l’anima. Comincia a perdonarti, perché da quello che ho capito, Nami l’ha già fatto. E credimi Yama, un uomo che non conosce l’importanza del perdono è un uomo già morto. Senza perdono non c’è possibilità di redenzione, non c’è modo di andare avanti, di passare oltre e di rimediare al male fatto, o almeno di provarci”. 
Harlock sapeva bene che cosa volesse dire spegnersi giorno dopo giorno, consunti dal senso di colpa e dalla rabbia dell’impotenza di non poter porre rimedio a un errore fatale.
Stava appena riemergendo da quell’abisso di oscurità che lo aveva intossicato avvelenandogli l’anima. Non voleva che quel ragazzo provasse le stesse cose. Voleva che avesse una possibilità di riscatto e lui gliel’avrebbe data, perché era ciò per cui lottava e in cui credeva. 
Libertà di essere se stessi, libertà di sbagliare, libertà di rimediare, libertà di scelta sempre e comunque. 
Solo che per poter scegliere bisognava essere anche svincolati dalla paura e dai sensi di colpa.
Yama era pensieroso. Non aggiunse altro e quando il Capitano lo salutò poggiandogli una mano sulla spalla, lui lo contraccambiò con un mezzo sorriso, ma senza dire una sola parola. Sperava di riuscire a perdonarsi, ma la sua strada era ancora tutta in salita, gli ci sarebbe voluto ancora del tempo.

Joy, nel frattempo, era ancora chiusa in laboratorio. 
Si era appena tolta gli occhiali e stava riponendo alcune cose che non le servivano più, quando arrivò Harlock.
Era tutto il giorno che non lo vedeva. Per ovvie ragioni, durante la colazione, avevano stabilito di comportarsi in maniera assolutamente normale e di occuparsi delle loro cose, come se niente fosse. Come prima di quella sera. 
Ora si trovavano l’uno di fronte all’altra e aleggiò un attimo di lieve imbarazzo. Tutti e due non sapevano ancora come muoversi in questa nuova situazione e in più avevano anche questo problema, dato dal fatto che dovevano avere un certo comportamento di facciata, che alla fine li frenava ulteriormente. Non è che avessero all’abbisogna un interruttore per accendere e spegnere gli stati d’animo.
Harlock estrasse dalla tasca dei pantaloni una tessera magnetica e tenendola tra l’indice e il medio gliela porse, guardandola dritta negli occhi enigmatico.
“È la nuova chiave della mia cabina”-le spiegò-“Ho chiesto oggi a Yattaran di riprogrammare il codice della serratura. Ora ci sono solo due chiavi. Una ce l’ho io, e questa è la tua. Sentiti libera di entrare, o non entrare, quando vuoi, a qualsiasi ora del giorno e della notte” specificò mentre un lampo gli guizzò nell’iride ambrata.
Joy rimase sorpresa e anche un po’ colpita, non si sarebbe aspettata una mossa del genere. Prese la tesserina, gli sorrise e lo ringraziò sorridendo, ma evitando il suo sguardo, che ancora nonostante tutto la rendeva un po’ confusa. Lui le faceva quell’effetto, c’era poco da fare, come la guardava lei si sentiva nuda. E poi anche Joy non era una che in questo genere di cose avesse la parlantina così sciolta.
“Sei sicuro che sia il caso?” gli chiese infine. Non voleva che si sentisse obbligato nei suoi confronti.
“Di darti la chiave?” le chiese, e Joy annuì. “Almeno non dovrai andare a raccomandarti in giro per farti aprire” le disse sorridendo divertito.
“Questo è un colpo un po’ basso” rispose la biologa fingendosi indispettita “E comunque lo sai benissimo chi mi ha aperto” puntualizzò.
“Ora non potrebbe aprirti più. Lì possiamo entrarci solo noi due e così deve essere. Ho deciso che dobbiamo avere una zona franca, solo nostra. E la mia cabina è il posto più adatto”.
“Ma tu guarda che coincidenza però!” ribatté con ironica impertinenza lei.
Si stavano sciogliendo.
Finalmente.
“Cos’è che non va nella mia cabina?” chiese Harlock alzando il sopracciglio, e lei non capì se fosse serio, o se stesse al gioco. 
A volte era ancora difficile per lei interpretare i suoi sguardi, poiché lui era il principe dei dissimulatori. Una gara dura!
“Nulla, a parte il fatto che forse è un tantino troppo buia e lugubre? Sembra un po’ una catacomba…” buttò lì la ragazza.
Il Capitano ignorò deliberatamente il suo commento, le si avvicinò, si chinò e le sfiorò le labbra con un bacio lieve e fugace, ma molto sensuale che la fece piacevolmente rabbrividire.
“Questo è contro le regole, ma le regole sono nate per essere infrante… di tanto in tanto” le spiegò, cercando di darsi un tono, dato che era da quando l’aveva vista che aveva voglia di farlo e si era trattenuto anche troppo. “Devo andare” aggiunse poi più serio. Aveva ancora un sacco di cose da sbrigare e non poteva perdere tempo.
Joy annuì “Ci vediamo dopo” gli disse salutandolo, ma prima che lui sparisse nel corridoio aggiunse con tono fintamente casuale “Forse…”. 
Harlock, rallentò appena il passo, inclinò la testa di lato, ma non si fermò, né si girò. Le labbra gli si piegarono naturalmente in un mezzo sorriso, che lei ovviamente non vide, e poi sparì come risucchiato da quegli immensi corridoi metallici. 
La biologa a sua volta, appena rimasta sola, sorrise divertita. Le piaceva l’idea di stuzzicarlo un po’, tanto per fargli credere di non averla vinta al primo colpo.

 

Quella sera però Joy fece davvero molto tardi in laboratorio, ma non per via delle colture. Anche se non ne aveva parlato con Harlock, sapeva perfettamente che c’era nell’aria la possibilità di questa battaglia imminente, con il rischio anche di nuovi pericoli. Questa volta non voleva essere impreparata e men che meno essere causa di problemi a nessuno, soprattutto dopo quello che era accaduto con Yama. Così si era messa in combutta con Yattaran. Intanto si era fatta spiegare che cosa diamine fossero tutte quelle fondine che le aveva confezionato, annesse alla sua divisa.
Lui le aveva detto di usare la fantasia. Non sei una chimica, o qualcosa del genere? Allora ingegnati, costruisciti delle bombe o delle miscele esplosive da lanciare contro i soldati, sai quanti ne puoi accoppare in una botta sola? Ne puoi portare dietro sei alla volta, tre a destra e tre a sinistraPer come la vedo io ogni pirata deve avere la sua specialità in combattimento. Le aveva spiegato. Poi si era offerto di confezionarle i contenitori in modo e maniera che implodessero solo tramite l’avvio di un micro pulsante. 
Ora lei non voleva accoppare nessuno, ma l’idea era geniale, potevano essere utili anche per creare confusione, o diversivi. Perciò stava mettendo appunto il suo piccolo arsenale personalizzato, armando di miscele chimiche quella specie di micro bombe.

Harlock intanto era in cabina seduto alla scrivania a tracciare le rotte e a studiare dei percorsi di navigazione. Studiava e prendeva appunti sulla sua Moleskine, appena un po’contrariato dal fatto che fosse abbastanza tardi e che lei non fosse ancora arrivata. Cominciava a pensare che non sarebbe più venuta. Eppure era matematicamente certo che l’avrebbe fatto, questa volta la sua consuetudine a sorprenderlo, non gli stava andando molto a genio. Ovviamente non era arrabbiato, ma un po’ infastidito sì. Scribacchiava veloce appunti e a volte anche usando un codice tutto suo che capiva solo lui. Gli serviva anche per tenere bene a mente ciò che avrebbe dovuto fare e come reagire ad eventuali sorprese durante l’attacco, non lasciava mai niente all’improvvisazione. Tutto doveva essere accurato e studiato nei minimi dettagli. Una mossa sbagliata e potevano saltare tutti in aria.
Così quando sentì armeggiare alla porta, alzò la testa abbastanza sorpreso, ormai era convinto che non arrivasse più, ma non si mosse, e riprese a scrivere. 
Finalmente lei entrò. Harlock era a testa bassa con i capelli davanti al viso che prendeva appunti e aveva appena abbozzato un accenno di sorriso, che però lei non poté scorgere, perché celato dalle lucide chiome.
Era immerso nella luce giallastra dei candelabri, che distorcevano i contorni delle cose, rendendoli appena tremolanti e quasi evanescenti. Il bagliore vicino a lui era invece piuttosto vivo, ma molto soffuso nel resto della cabina, tanto che il letto in fondo alla stanza, rimaneva quasi in completa oscurità.
“Ho fatto un po’ tardi” si scusò Joy “Avevo da fare in laboratorio”.
Lui alzò la testa e con uno sguardo tranquillo mentì: “Non importa, tanto non mi ero neppure reso conto che fosse così tardi, avevo da fare anch’io”.
“Meglio così” ne convenne lei e si sedette sul divano. 
Harlock continuò a scrivere, doveva finire le sue cose.
Joy rimase in silenzio ad osservarlo. 
Entrambi si rilassarono subito di colpo, sebbene lui stesse lavorando e lei stesse semplicemente aspettando. 
Quella quiete era semplicemente un preludio al loro limbo personale.
Era strano, eppure per loro era molto facile condividere anche il silenzio. 
“Puoi fare quello che vuoi, non c’è bisogno che tu stia ferma seduta” le disse a un certo punto.
“In realtà mi piace guardarti” rispose la ragazza.
Harlock alzò la testa e la osservò con aria interrogativa.
“Mi chiedevo come fai a scrivere con un occhio bendato e l’altro completamente ricoperto dai capelli” gli spiegò serafica.
“Abitudine” borbottò, rimettendosi a scribacchiare veloce.
Joy si soffermò ad scrutarlo ancora un po’, poi si alzò e andò a curiosare quello che stava facendo più da vicino. Scriveva fitto fitto, e c’erano anche degli schizzi. Senza preavviso lui l’afferrò per la vita, la fece sedere sulla gamba destra e cominciò a spiegarle che stava tracciando le varie longitudini e latitudini galattiche. Gli archi semi discendenti che poteva fare la nave. L’oscillazione della rotazione spaziale durante le virate per gli speronamenti e altro ancora.
Joy ovviamente non capì assolutamente niente di cosa le stesse dicendo, ma con quella voce suadente e calda, avrebbe potuto anche declamarle l’intero elenco telefonico di Gorianus, se mai fosse esistito, che lei lo avrebbe ascoltato ugualmente, estasiata.
Quando ebbe finito ripose il suo taccuino nel cassetto della scrivania e si alzarono. 
“Ci sono un paio di cose di cui dovrei parlarti” cominciò lei guardinga.
“Sono urgenti?” le chiese.
“No, ma…”
“Allora ne parleremo domani sera. Sei ufficialmente inviata a cena qui” esordì quasi in tono formale. 
Joy lo guardò molto incuriosita, alzando il sopracciglio destro. Le stava facendo addirittura un invito formale?
Harlock notò la sua aria sorpresa. “Beh che c’è di strano? Solitamente prima si chiede ad una donna di uscire, poi la s’invita a cena e poi…” spiegò contegnoso.
Joy non capiva se fosse serio e le scappò da ridere “Ma sei serio?” gli chiese per l’appunto.
Lui aggrottò la fronte perplesso.
“Sei un po’ in ritardo con i tempi” gli fece notare.
“Non è colpa mia” rispose tranquillo.
“Ah…” fece lei come chi la sa lunga.
Harlock la guardò non capendo.
“No, stavo constatando che la colpa sarebbe mia”-si spiegò-“Sarei io che ti ho provocato in sostanza” stava scherzando, ma neanche poi tanto.
“Non era mia intenzione dire questo”.
“Sì ma il succo è questo” rimarcò Joy leggermente piccata.
“Non capisco come mai ogni volta che cerco di fare qualcosa di gentile, tu t’indispettisci” sbottò appena contrariato.
“Se evitassi i tuoi spiegoni e ti limitassi al gesto carino sarebbe infinitamente meglio, fidati”.
Spiegoni?” chiese Harlock perplesso, corrugando di nuovo la fronte.
Joy sospirò “Sì non c’era bisogno di rimarcare che siamo finiti a letto ancora prima di condividere l’intimità di una cena. Hai capito ora?” sbottò.
“In realtà era mia intenzione invitarti a cena, da molto prima…” le confidò a sorpresa con un tono da bambino imbronciato “Il fatto è che è successo sempre qualcosa, e che poi a dire il vero, non so più neanche quanto sia che non porto una donna cena, mi sa che ho perso proprio l’allenamento con questo genere di cose. Ultimamente non è che sia stato un gran compagnone. Senza contare i problemi gravissimi che ci assillano. Ho pensato che potesse essere considerata sciocca una cosa del genere vista la situazione ” brontolò.
Dopo queste ammissioni a lei era già passato tutto.
“Va bene ho capito. Allora parleremo domani, a cena” lo rassicurò.
Harlock si sentì riavere. La discussione poteva dirsi chiusa. Menomale!
“Allora io vado via” disse la ragazza, facendo il gesto di girarsi verso la porta.
Lui la guardò non capendo.
“No, siccome secondo il tuo codice, prima si cena e dopo…. io vado, ci vediamo domani” e gli sorrise con aria furbetta.
Harlock la prese per la vita bloccandola, poi la tirò a sé “Direi che più che un codice è una traccia, e ormai è stato infranto, quindi…”.
“Ah… ho capito è un po’ come la cosa delle regole di oggi…”.
“Esatto”.
“La sai lunga tu Capitano!” fece appena in tempo a rispondergli, prima che Harlock le passasse una mano sul viso e la facesse scivolare piano dietro la nuca.
Quindi si abbassò e la baciò, gustando con calma il suo sapore. Senza fretta e senza urgenza. 
Questa volta si prese tutto il tempo necessario per assaporare ogni attimo, a partire dai baci, passando per le carezze e lasciando che ogni altro senso venisse appagato completamente.

 

NOTA: Più che un codice è una traccia. È un omaggio a I Pirati dei Caraibi, che non hanno niente a che fare con Capitan Harlock, ma sempre pirati sono. Fu una richiesta specifica della mia amica Silvia, Azumi su EFP, che all’epoca mi betava, oltre al fatto che sono buona, ho voluto anche ringraziarla per il suo aiuto e il suo prezioso supporto.
E poi anche perché a noi due i pirati e ci garbano tutti a partire da quelli descritti da Salgari, Capitan Uncino, quelli Di Roman Polanski, passando per Juan del Diablo, One piece, I pirati dei Caraibi, per arrivare all’apoteosi, che è LUI il solo ed unico Capitano il Pirata tra i Pirati! :D

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Capitolo 23
*** Come in una bolla di cristallo ***


Buonasera e buon week end a chi sta leggendo, oggi aggiornamento di venerdì. Come ogni fine anche oggi RI-posterò sempre uno di seguito all’altro DUE nuovi capitoli, rivisti e corretti.
Comunicazione di servizio la prossima settimana essendo Pasqua, non so quando potrò aggiornare, al più tardi mal che vada lo farò lunedì, Pasquetta

Permettetemi di spendere due parole per le persone che mi recensiscono. Non so se vi siete messe d’accordo, ma queste ultime recensioni mi hanno lasciata a bocca aperta. Non sono una che fa sceneggiate, né piaggerie da paraculismo, anzi sono piuttosto una lingua biforcuta e chi mi conosce lo sa bene. Sono estremamente severa con me e con ciò che faccio, mai  soddisfatta e ipercritica (non avrei cancellato ben tre storie se non lo fossi), quindi mai e poi mai mi sarei aspettata così tanto calore, entusiasmo, affetto e bellissime parole con questo ripostaggio, che se devo essere onesta credevo sarebbe rimasto nel più completo oblio. Questo per dirvi che non dovete MAI dubitare che non apprezzi le vostre recensioni, sono bellissimi e graditissimi doni, l’unica cartina di tornasole che noi scribacchini della domenica possiamo mai avere. Mi rendo conto che ci metto molto a rispondere (ma risponderò, abbiate fede) e mi dispiace non sapete quanto, ma la mia vita, come dico spesso, è piena come un uovo sodo e il tempo lo devo rubare a mozzichi e bocconi, ma state sicuri che non mancherò MAI di dare risposta ad una recensione (salvo fatta l’unica eccezione per l’unica storia incompiuta, che presto credo cancellerò).
Detto ciò non sono certo meno grata a chi comunque mi legge silente, e anche voi siete andati oltre ogni mia più rosea aspettativa, credetemi, ovviamente grazie di cuore anche a quelli che mi hanno messa tra seguiti, ricordati e preferiti.
A tutti voi citati, indistintamente, va la mia più grande e sincera riconoscenza

Buona Lettura! =)

 

  .22.

 

 

 

 

COME IN UNA BOLLA DI CRISTALLO

Quella mattina si erano svegliati in tempo, anzi addirittura in anticipo, quindi stavano ancora pigramente indugiando nel letto. 
Erano come sempre completamente nudi, lei supina e lui su un fianco, appoggiato su un gomito che la guardava. Si abbassò e struffò appena la punta del naso contro quello di lei, poi allungò il collo e le diede una bacio su una tempia, quindi sempre con la punta del naso seguì il contorno del suo viso, fino alla bocca e alla fine la baciò sulle labbra, indugiando a lungo, quasi come se stesse gustando qualcosa di dolce, morbido e succoso.
Era strano come fossero completamente a loro agio nudi e lo fossero molto meno da vestiti, fuori da quella cabina. Ad ogni modo dopo quel lungo bacio, lei gli sorrise e gli scostò i capelli dal viso che scompostamente le celavano il suo sguardo. Harlock le abbozzò un sorriso di rimando e poi si mise a seguire con il dito indice il contorno del suo ombelico, fissandolo. “Sembra quasi un piccolo Saturno e qui potrebbero esserci i suoi anelli…” continuava a dire, sfiorandole la pelle, tracciando tanti piccoli cerchi.
Joy rise sommessamente, le stava facendo il solletico, ma non solo. Infatti le erano venuti i brividi e le formicolava in modo piacevole la pelle proprio dove lui la stava toccando. 
“Mi chiedevo come stessi” disse lui all’improvviso, mettendo fine a quella piacevole tortura per fermarsi a guardarla in viso.
Lei corrugò la fronte non capendo bene il senso di quella domanda.
“Intendo, rispetto a l’altro ieri. Riguardo il salvataggio di Yama” disse, cercando di scoprire dalla sua espressione qualcosa di più.
Joy sospirò “Sto cercando di convincermi che non è così grave, che ho fatto l’unica cosa giusta da fare, ma dobbiamo parlarne proprio ora?” gli chiese lievemente crucciata.
“No, ma volevo sapere…”.
La ragazza allungò il collo, gli passò una mano tra i capelli e cercò le sue labbra, passandogli l’altra mano dietro la schiena, in un muto invito ad avvicinarsi ancora di più. Lui non si fece pregare.
Il risultato fu che ancora una volta fecero molto, troppo tardi! 
Fortunatamente Joy ce la fece a sgattaiolare fuori dalla cabina prima che arrivasse Masu.

Malgrado Harlock non avesse fatto nessun tipo di pubblicità alla cosa, questa cena nella sua cabina tra lui e la biologa, in men che non si dica era diventata l’argomento principe dell’Arcadia.
Era nato tutto dai suoi ordini in cucina della sera prima e dalle disposizioni date a Yattaran. Da lì s’era propagata la notizia che ora era di dominio pubblico, tra sorrisetti, parlottii e gomitate varie tra la ciurma, via, via, che la notizia correva.
Era ormai da troppo tempo che quella nave errava nello spazio, buia e cupa, trascinando dentro di sé il carico pesante del rimorso e della mancanza di nuova speranza. Così questa piccola e anche sciocca novità, aveva subito rallegrato gli animi di tutti.
Yattaran si era precipitato nella cabina del suo Capitano subito dopo colazione. Siccome si dovevano fermare a fare rifornimento di cibo, tra l’altro dietro sue precise disposizioni, aveva bisogno di sapere se avesse gradito che comprassero anche un vino particolare, magari per scaldare la serata e poi era curioso come una bertuccia.
Quando entrò nel suo alloggio, lo trovò in bagno con i soli pantaloni indosso che si stava facendo la barba. Era tutto concentrato davanti allo specchio, che si stava radendo con un vecchio rasoio dei primi del novecento. Come suo solito Harlock era un cultore di oggetti d’antiquariato. 
“Huuuu!!” esclamò tutto soddisfatto “Ti fai la barba? È per via dell’appuntamento di stasera eh?”. 
Il Capitano si girò e lo guardò malissimo “Veramente la barba me la faccio tutte le mattine, ma poi mi spieghi per quale ragione tutte le volte che mi vedi fare una cosa normale, te ne esci come se fosse un fatto fuori dall’ordinario?” rispose un po’ spazientito.
“Scusa” fece l’altro ancora sorridente “Allora che vino vuoi per festeggiare? Qualcosa di particolare? Qualcosa da primo appuntamento?”. 
Harlock continuò a radersi, ma questa volta facendo fatica a restare serio. Yattaran stava diventando impossibile, bisognava che appena avesse potuto, lo mandasse a fare una vacanzina ricreativa, perché ne aveva proprio bisogno.
“Allora?” incalzò il primo ufficiale trepidante.
“Se non ti togli di torno, il ponte te lo faccio pulire con la lingua Yattaran!” gli disse in tono fintamente minaccioso, senza neanche staccare lo sguardo dallo specchio. Poi mentre sciacquava il rasoio, si voltò e aggiunse un po’ più serio: “A parte il fatto che questi sono fatti miei, ma qui non c’è nessun appuntamento e nessun festeggiamento. Quindi fila via e vai a fare quello che devi, il vino non mi serve”.
“Va bene, me ne vado” disse il pirata uscendo dalla stanza un po’ deluso, per l’ennesima volta non aveva scoperto niente di piccante.

Nel frattempo Kei era andata subito da Joy in laboratorio e aveva cominciato a tempestarla di domande, mettendola anche in serio imbarazzo. Alla fine si era messa in testa che si dovesse preparare adeguatamente.
“No, ma non ci penso nemmeno!” disse risoluta Joy alla bionda pirata.
“Ma perché! Non puoi sempre stare vestita come un maschio. E dai su, facciamogli prendere un colpo al Capitano!” la esortò.
La biologa non voleva dirle che non c’era bisogno di agitarsi così, perché le cose erano molto più avanti di quanto credesse. Quindi tendeva a minimizzare. E sperava che desistesse.
“Ma io non voglio far prendere un colpo a nessuno! E poi non è niente di che, solo una cena. Non vi invita mai a cena?” chiese, facendo la gnorri.
“No. Cioè non so se hai presente Harlock, non è esattamente un compagnone!”.
“Ad ogni modo non c’è bisogno di nessun abito speciale, probabilmente vorrà dirmi qualcosa circa il fatto accaduto con Yama. E poi non ho nulla da mettere, quindi…”  rispose facendo spallucce, sperando che la cosa finisse lì.
Macché.
“Abbiamo un magazzino pieno di roba da vestire. Ci sarà pur qualcosa che ti vada bene no?” insisté la bionda. S’era messa in testa di fare da cupido ritardatario.
Joy alzò gli occhi al cielo “Questa è una nave di testoni! Altro che pirati! E Comunque tu lo conosci meglio di me, dovresti sapere che un vestito non farà nessuna differenza” commentò.
“Sì, ma sempre un maschio è. Insomma sarà anche particolare e avrà un occhio solo, ma ci vede, non è mica completamente orbo e non credere che non apprezzi le donne. Non ha fatto voto di castità, sappilo!”.
In effetti io già lo so! 
Pensò sentendosi un po’ in colpa, ma non poteva proprio condividere questa cosa con Yuki. E non era perché non volesse confidarsi, o non le facesse piacere, ma la riservatezza in questo caso era l’unica forma di salvaguardia, soprattutto per lui e la sua autorità di Capitano della nave.
Intanto Kei era partita in quarta, parlava a raffica e non si zittava più “Lui pensa che non lo sappiamo dove sparisce ogni tanto alla chetichella…”.
Fu in quel momento che a Joy saltò subito una pulce all’orecchio.
Se non ricordava male era sparito proprio di recente. Sì, sì, proprio quando poi era tornato a sorpresa e aveva fatto quella scenata durante gli allenamenti.
Le montò il nervoso. Era una cosa stupida, ma le montò a prescindere. Anche perché non è che potesse dire, o fare nulla. Non è che lui le dovesse qualcosa, in quel momento non erano neppure intimi, ma anche ora come ora, in pratica, loro, cosa erano? 
Però questa cosa le dava fastidio da morire. Quindi lui spariva. Bene a sapersi.
“E di solito quando sparisce?” chiese, come se fosse stata una domanda casuale, fatta così tanto per parlare.
Kei si mise a ridere “Ultimamente mai! Te lo ricordi in che condizioni era, sì?”.
Joy la guardò di traverso.
Kei non se ne curò e continuò “Prima spariva ogni tanto. C’era a tal proposito anche un giro di scommesse clandestine sulla nave, anche se non ho mai capito come potessero capire chi vincesse e chi perdesse” fece lei, scuotendo la testa.
“Ma non siete mica tanto normali qui dentro!” commentò Joy ridacchiando, malgrado la punta di irritazione che sentiva. “Ma senti…” chiese ancora con aria casuale “… secondo te l’altra volta quando è sparito…?”.
Yuki fece mente locale “Ma no, non credo, però chissà…  non ero con lui quindi, penso di no, ma chi lo sa? Quell’uomo è mistero!”.
Joy alla fine pensò che tutto ciò di cui stavano discutendo, soprattutto la questione abito era molto stupido, anche tenendo conto della situazione e dell’attacco imminente che gravava sopra le loro teste, come una specie di spada di Damocle. Quindi alla fine declinò gentilmente, ma fermamente, l’invito di Kei. Del resto lei e Harlock quella sera avrebbero dovuto parlare anche di cose molto serie, non aveva gran che senso presentarsi tutte agghindate.

Nel pomeriggio andò anche a trovare Yama e fu contenta di constatare che stesse molto meglio. Era però sempre molto malinconico, e quando gli chiese che avesse, lui le disse che al momento non aveva voglia di parlarne, non era ancora pronto. Era così serio, e ancora una volta si ritrovò a constatare che assomigliasse davvero in modo impressionante ad Harlock. Ma era una cosa stupida, perché Yama non era Harlock e questo era evidente. Però c’era un’effettiva notevole somiglianza. Solo che a lei Yama non le faceva certo l’effetto che le faceva il Capitano. Caso mai le faceva tenerezza. Soprattutto ora che era ferito ed era così sconsolato.
“Un giorno mi piacerebbe sapere perché stai così male. Sarò felice di ascoltarti, puoi pensare a me come ad una sorella maggiore e magari sfogarti” gli disse, scompigliandogli affettuosamente i capelli. 
Lui abbozzò un mezzo sorriso “Lo terrò a mente” le disse.
E dopo averla nuovamente ringraziata per averlo salvato, si congedarono. Lei aveva capito che voleva stare da solo e rispettò il suo muto desiderio.

La giornata passò normalmente e finalmente arrivò anche l’ora della fatidica cena.
Joy si era cambiata, nel senso che non aveva messo la divisa che portava sempre. Aveva optato per un paio di pantaloni neri aderenti con sopra una maglietta attillata, sempre nera a maniche corte e il suo vecchio giubbotto di pelle invecchiata marrone. Voleva stare comoda. Ai piedi niente anfibi, ma i vecchi e confortevoli scarponcini. In vita la cintura di pelle marrone con la Cosmo Gun. Aveva preso l’abitudine a non girare mai disarmata. Non si poteva prevedere che cosa potesse capitare a bordo di quella nave, meglio essere previdenti.
Anche Harlock, neanche si fossero messi d’accordo, quella sera variò appena il suo abbigliamento abituale. Aveva indossato un paio di pantaloni di pelle marrone, ma diversi da quelli della tuta d’ordinanza, semplici, senza borchie, o ammennicoli vari e invece del solito maglione si era messo una maglia di cotone, sempre maniche lunghe e di colore antracite.
La ragazza arrivò puntuale, passò la scheda sulla porta che si aprì, entrò e vide una tavola apparecchiata di tutto punto, che pareva imbandita per un esercito. Ma la cosa che la sorprese di più, fu la stanza completamente illuminata da una serie infinita di candele sparse un po’ ovunque, a piccoli gruppi, che davano all’ambiente un’aria molto suggestiva. Rimase molto colpita, con tutta quella luce non sembrava neanche più la stessa cabina, sebbene fosse soffusa e molto intima.
Harlock incrociò le braccia al petto “Va meglio la catacomba, ora che è illuminata?” le chiese, alzando il sopracciglio.
Lei sorrise “Sì. Molto meglio grazie!” disse sfilandosi per comodità il cinturone, per appoggiarlo poi sul divano. E continuò ad osservare quello strano gioco di ombre che la luce creava sulle pareti di legno.
Intanto Harlock le scostò la sedia per farla accomodare a tavola. 
Masu si era scatenata, aveva cucinato l’impossibile.
Il menù era così composto:
(1)
Carpaccio di astice alla rosa
Foie gras d’oca in rosso e nero
Crema di zucca Hokkaido alla mandorla
Cappone al miele di pino e foglia di fico
Noce di vitello al tartufo e caramelle di cavolini di Bruxelles
Composta di mele al rabarbaro
Mousse al cioccolato
Vini:
Beaujolais nouveau
Nebbiolo d’alba
Ala marascato
Caffè

La ragazza guardò tutto quel cibo e poi guardò lui “Mica dobbiamo finirlo vero?” gli chiese preoccupata.
“Sì, tutto!” scherzò lui, mentre le versava del vino.
Joy lo guardò “A me non piace il vino, ricordi?”.
“Ma questo è diverso. Provalo” le disse, versandole il liquido rosso nell’elegante calice a stelo lungo, che poi le porse.
Lei lo prese controvoglia e se lo portò alle labbra, mente lui la osservava. Appena lo assaggiò si rese subito conto che questo era decisamente meno corposo di quell’altro, leggero e con un retrogusto fruttato, non bruciava la gola e una volta bevuto il primo sorso, restava in bocca un piacevole sapore e la voglia di berne ancora.
“Sì è abbastanza buono” ammise.
Eppure c’era qualcosa che non andava, pensò Harlock. Joy non aveva fatto né detto niente di particolare, ma era leggermente tesa. Decise per il momento di ignorare la cosa e di farla mangiare. 
La cena trascorse abbastanza piacevolmente, il cibo era buono e anche il vino contribuì a stemperare le tensioni. Di fatto c’erano comunque un sacco di sospesi e non è che potessero rimandare in eterno, come non potevano neppure giocare a fare i fidanzatini. Le questioni da affrontare erano serie, pericolose ed urgenti, era forse giunto il tempo di rientrare un po’ nei ranghi.
Intanto erano arrivati al dessert. Masu aveva preparato una semplice mousse al cioccolato, sapendo che tanto l’avrebbe mangiata solo lei, perché lui i dolci non li mangiava e neanche li chiedeva mai, quindi era inutile darsi troppa pena.
Joy che all’inizio era stata un po’ tesa, per varie cose, ma anche per quello che le aveva detto Yuki, ora era decisamente più rilassata. Aveva bevuto quattro bicchieri di vino ed essendo quasi astemia, le avevano subito regalato quel senso di effimera leggerezza per cui tutto appare un più ovattato e piacevole.
Si era sciolta, forse anche un po’ troppo. Si era levata le scarpe per stare più comoda, sotto lo sguardo curioso e anche un po’ divertito di lui, che non l’aveva fatta bere per farla diventare brilla, ma semplicemente perché nella sua visione delle cose, era inconcepibile non apprezzare un buon rosso. Si era messo in testa di farle cambiare idea, anche perché quando ci si metteva era molto testardo.
Così ora la osservava, seduta a gambe incrociate sulla grande sedia, con i gomiti poggiati sul tavolo ed il viso tra le mani, che fissava la mousse pensosa e non capiva che le passasse per la testa.
“C’è qualche problema?” le chiese.
Joy sospirò “Stavo riflettendo” ammise, non staccando gli occhi dal dolce.
Harlock aspettò che parlasse, ma stava zitta.
“E?” le chiese.
Fu allora che lei alzò la testa dal dolce e lo guardò con aria determinata “E… se io ho bevuto il vino, ora tu ti mangi la mousse!”.
“Mi pare equo” rispose lui, facendo molta fatica a restare serio, infatti gli si piegò la bocca in quel mezzo suo tipico sorrisino.
“Masu però ne ha fatta solo una” disse guardando nuovamente la coppa “Ti vizia come un bambino, ti sei accorto?” commentò.
Lui annuì, prese la sua sedia e si mise accanto a lei “Mangiala tu” disse.
Joy si girò e lo guardò quasi seria “Ma davvero non ti piace la cioccolata? Perché questa cosa è anormale, molto più anormale di tutta la faccenda della dark matter, sappilo!”.
Harlock si stranì appena, sentendo quel paragone, se l’aveva tirato fuori, vuol dire che in qualche modo ci pensava. Ecco un altro argomento da chiarificare. Ma quanti ce ne erano? Un’infinità!
“Non ho mai detto che non mi piace la cioccolata” specificò e gli sembrò sollevata.
“Meno male! Allora mangiamo!” concluse Joy, infilando un dito dentro la coppetta per prendere un bel po’ di mousse e poi ficcarsela in bocca tutta soddisfatta, come una bambina pestifera.
Lui prese il cucchiaino e lei lo guardò malissimo “È mai possibile che tu sia sempre così preciso, compassato e ingessato?”-gli chiese-“Non ti riesce mai di lasciarti un po’ andare?” e senza neanche aspettare che gli rispondesse, infilò la mano nella mousse e poi lesta lo raggiunse e gliela spiaccicò tutta sulla bocca.
Harlock si girò di scatto “Questa è insubordinazione!” disse fingendosi adirato“Non posso tollerare una cosa del genere!” aggiunse, afferrando la coppetta. Joy capì al volo e schizzò via. Lui la rincorse, per poco a dire il vero, c’era poco da scappare, l’afferrò e le rese la pariglia. Ora erano impiastricciati come due scemi. E scoppiarono a ridere.
“Lo sapevo sai, che non eri un musone, l’ho capito subito che riesci a dissimulare quella tua aria furbetta, sotto quelle occhiatacce da finto orco!” le disse la ragazza, agitando l’indice.
Lui non le rispose, si abbassò e a sorpresa le assaggiò l’angolo della bocca. “Molto buona questa mousse” disse compito, come se nulla fosse.
Joy che non voleva esser da meno fece lo stesso, solo che la cosa degenerò subito in altro.
Ma non era così che doveva andare. 
Non quella sera. 
Si stavano baciando e lui le aveva appena scostato la maglietta per poterle carezzare la pelle, quando lei gli sgusciò letteralmente via dalle mani.
“Dobbiamo parlare” gli disse.
Harlock si passò una mano tra i capelli “Sì, lo dobbiamo fare” convenne “Ma non stasera, per favore” le disse.
“Invece io dico di farlo adesso. Ci sono un sacco di punti da chiarire”.
Ecco cosa c’era, pensò lui, ma non ne aveva nessuna voglia. Implicava una serie di cose che sapeva sarebbero state difficili da affrontare e lui non era nell’animo adatto, non in quel momento. 
“Che differenza fa tra stasera e domani?” le domandò.
“Nessuna credo…” rispose la ragazza incerta.
L’atmosfera però ormai si era guastata. Quindi ora c’era un momento strano, indefinito, quasi sospeso.
Joy nel frattempo raggiunse la scrivania e prese il barattolo con la terra che gli aveva riportato qualche giorno prima, visto l’insuccesso della clonazione. “A chi apparteneva?” gli chiese. Anche se questa cosa tra loro, probabilmente non aveva nessun futuro, lei voleva saperne di più.
Harlock s’incupì, non tanto per la domanda, ma per quello che avrebbe comportato la risposta. Sospirò e non poté fare a meno di risponderle, raccontandole che apparteneva a Tochiro, poi le raccontò anche della sua morte e anche della faccenda del Computer Centrale.
Joy rimase esterrefatta, lei aveva creduto ci fosse stata di mezzo una donna. Le spiacque averlo costretto a ricordare cose che in qualche modo lo facevano soffrire, ma aveva proprio bisogno di conoscerlo più a fondo. E forse non era poi così male che ne parlasse.
“Mi spieghi come fai a stare sempre chiuso in questa nave?” gli chiese, dando voce a una delle domande che aveva nelle testa da giorni, poi si mise a sedere sulla scrivania, penzolando le gambe. Aveva imboccato una strada pericolosa, ma doveva e voleva sapere.
“Veramente io non mi sento affatto chiuso” specificò lui “Io amo questa vita, me la sono scelta. Non vorrei fare altro. Questo è il mio mondo, questo è tutto ciò che desidero”.
“Eternamente?” domandò lei.
Lui abbozzò un mezzo sorriso, piuttosto amaro a dire il vero, quello era un argomento comunque ostico da trattare. Non gli piaceva molto avere ottenuto quella specie di vantaggio da una cosa così sbagliata, la riteneva quasi una maledizione a cui dover sottostare. “No. Non sono esattamente eterno, te l’ho già spiegato. La contaminazione con la dark matter non mi ha reso immortale. Ha solo modificato il mio DNA, ha potenziato in maniera sorprendente le mie difese immunitarie e rallentato quasi del tutto il processo d’invecchiamento. Più sto vicino al motore della nave, più questa cosa viene potenziata e sono quasi invulnerabile, però ti assicuro che se mi sparassero in testa morirei subito. Se poi mi allontanassi per troppo tempo dai motori, poco alla volta recupererei la mia normalità e credo che nel giro di qualche settimana riprenderei la mia età biologica da dove è stata interrotta. Però ho notato che comunque chi passa molto tempo su questa nave comincia ad invecchiare molto più lentamente a prescindere” spiegò “Quindi non sono un mostro, non per questo almeno” aggiunse.
“Non ho mai pensato che tu lo fossi” specificò lei. “Mi piacerebbe capire anche un’altra cosa” continuò con circospezione, muovendosi su un terreno minato, mentre lui la guardava non capendo dove potesse andare a parare. Aveva capito che voleva sapere delle cose precise, del resto era consapevole che prima o poi certe domande sarebbero arrivate, certo magari sperava più in là, ma ormai il dado era tratto.
“Ti ascolto”.
“Con le donne come fai? Mi spiego, mai avuta una? Non credo sia possibile. Quindi mi chiedo: come gestisci questa parte della tua vita?” domandò la ragazza, senza girarci troppo intorno.
“Non dovresti farmi domande di cui non ti piaceranno le risposte” rispose serio. Il suo sguardo si era incupito, quella domanda era una tra quelle da evitare di fargli.
“Non cerco risposte che mi piacciano. Cerco risposte” puntualizzò decisa, fissandolo.
“Non c’è posto per le donne nella mia vita. Non avrei scelto di fare quello che faccio, se avessi voluto una donna accanto” fu la spiegazione chiara, lapidaria e diretta di lui. Era la verità e non aveva nessuna intenzione di mentirle.
Joy questa cosa l’aveva già capita, ma sentirgliela dire, fu comunque molto spiacevole e in un certo senso anche doloroso. Però preferiva una brutta verità ad una bella illusione.
“Quindi ne deduco che non sei mai stato innamorato” chiese infine.
Harlock mutò completamente espressione, si rabbuiò diventando rigido e quasi irato, questa era proprio l’unica domanda che non avrebbe dovuto fargli.
“Di questo non intendo parlare” replicò tagliente e fermamente deciso freddandola con uno sguardo intransigente .
Praticamente le aveva già risposto, ma era evidente che non volesse condividere la cosa con lei. Joy però non era un’indovina, che ne poteva sapere se questo ipotetico amore fosse vivo, o morto? Per quanto le concerneva, poteva anche essere che lui quando spariva, andasse da lei, a trovarla. 
Ora la domanda più difficile la stava rivolgendo a se stessa: e lei che cosa rappresentava allora? Che ci faceva lì? 
Certo se l’era cercata. Era andata lei da lui, non viceversa. Era questo il nocciolo della faccenda e non poteva recriminare. Era stato tutto molto bello, ma aveva senso? Ora aveva i suoi bei ricordi, poteva anche ritenersi soddisfatta oppure, nonostante non l’avesse mai voluto ammettere, in realtà lei voleva molto di più?
Scivolò giù dalla scrivania. Si diresse verso il tavolo. Finì di bere il vino che aveva nel calice, con una mano prese le scarpe e con l’altra il cinturone e poi si avviò alla porta.
“Dove vai?” le chiese lui.
La ragazza si fermò, ma restò di spalle “Nella mia cabina. Hai detto che sono libera di andare e venire quando mi pare no? Non ho voglia di restare” disse, ed uscì senza voltarsi indietro.

NOTE 
(1) Un grazie particolare a mamie che all’epoca mi fece l'enorme e graditissimo dono di confezionarmi un menù apposito per questa cena
La ricette sono tratte da: “L'arte del ricevere” a cura della Maison Ladurèe, edito da Ippocampo.
Per Quanto riguarda le spiegazioni che Harlock dà sulla sua contaminazione data dalla dark matter, preciso che è una mia idea, nel film non viene mai spiegata la questione, e a me è garbato di risolverla così, in un modo che ritengo plausibile e meno vincolante di una presunta eternità, che comunque dovrebbero aver acquistato anche i membri dell'equipaggio e non si sa bene come e quando, insomma un'altra delle tante incoerenze del film che me la sono risolta a modo mio ;)

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Capitolo 24
*** Questa cosa tra di noi ***


 

Attenzione vi ricordo che posto sempre DUE capitoli e che prima di questo è necessario leggere il precedente, per ovviamente seguire la storia in modo corretto.

  .23.

                                                     

 

 

QUESTA COSA TRA DI NOI

Joy non era arrabbiata con Harlock. Ce l’aveva solo con se stessa Eppure lo aveva saputo fin da quando aveva capito di provare qualcosa per lui, che quella era una causa persa in partenza. Però era stata testarda e aveva voluto comunque andare avanti, come se niente fosse, ma non si può nuotare controcorrente perché si viene trascinati indietro. È inevitabile.
La realtà, per quanto la si possa rifuggire, alla fine ti presenta sempre il conto e il suo era appena arrivato: puntuale e salato.

Harlock era rimasto a sedere sul suo grande letto vuoto, a riflettere sul fatto che non si era mai sbagliato nel non volere mai cominciare qualcosa che non avesse avuto futuro. Non aveva neppure lontanamente pensato che lei potesse restare lì per sempre, né tanto meno che avrebbero avuto una relazione, ma la cosa era loro sfuggita di mano e ora ne stavano pagando le conseguenze.
Non poteva dedicare tempo a questa cosa, non poteva avere la testa impegnata da questa cosa. Aveva la responsabilità di più di quaranta vite e un attacco imminente da sventare, questa cosa non sarebbe dovuta accadere, perché ora con tutta la buona volontà del mondo, questa cosa lo avrebbe comunque distratto dal suo compito, ed era sbagliato, oltre che pericoloso.

La mattina seguente, animata da rinnovati propositi, Joy andò spedita da Yama. Era tempo di fare ciò che doveva. Non era il caso di lasciare che gli eventi la distogliessero del tutto dai suoi doveri.
Bussò ed entrò. “Senti io devo andare su Caladan” gli disse, senza stare a girarci troppo intorno “E se te la senti ho bisogno che qualcuno mi accompagni. Sai guidare quegli affari, no? Mi ci porteresti, per favore?”.

“Sì, non è che stia ancora benissimo, ma penso di poterlo fare” rispose il ragazzo interdetto, perché non capiva bene come mai lei fosse andata a chiedergli, così di buon mattino, una cosa del genere.
“Mi dispiace essere piombata qui a chiederti questo sacrificio, ma non voglio nessun altro. Sei l’unica persona con cui mi sento di passare l’intera giornata, senza dovermi arrabbiare, o snervare” spiegò, come se gli avesse letto nel pensiero. In effetti lei, per ovvi motivi, aveva escluso a priori sia Kei che Yattaran.
Yama ci pensò un attimo. In effetti per pilotare non importava fare chissà quali movimenti e poi Caladan gli ricordava sua madre, era stata lì a fare i primi esperimenti per capire come terraformare Marte, forse non sarebbe stato un male accompagnarla. Senza contare che le doveva la vita, poteva fare anche uno sforzo per lei
“Ma che devi fare?” le chiese curioso.
“Una cosa che mi ha detto Nami. Mi ha anche dato le coordinate esatte di dove atterrare” gli spiegò.
“Ah…” fece Yama, rabbuiandosi subito.
Lei capì che c’era qualcosa che non andava tra lui e Nami, ma non indagò, non voleva essere invadente. Doveva essere lui a parlare e confidarsi, e poi anche lei aveva le sue di problematiche al momento.
“Penso di poterti accompagnare, ma lo sai no? Senza il suo permesso, non si può uscire dall’Arcadia”.
“A quello ci penso io” concluse la biologa, poi si salutarono e rimasero d'accordo che lei, appena ottenuto il benestare del Capitano, gli avrebbe fatto sapere.
Harlock stava finendo di prepararsi, quando se la vide arrivare in camera. E a dispetto di tutto quello che aveva pensato la sera prima, ne fu contento. Perché nonostante la ritenesse sbagliata, questa cosa era diventata importante, a prescindere dalla sua volontà.
“Mi dispiace molto disturbarti di primo mattino, ma io devo andare su Caladan” disse Joy senza perdersi in inutili convenevoli. 
“Buongiorno” rispose lui leggermente irritato, avrebbe dovuto capirlo che non c’era da illudersi.
“Sì, buongiorno, ti chiedo scusa per la mia maleducazione. Ma io sempre su Caladan devo andare” ripeté lei, che in realtà avrebbe voluto sbrigarsi il prima possibile ed uscire di lì altrettanto velocemente. Non è che fosse esattamente facile come situazione, visto che praticamente aveva passato in quella cabina le ultime due notti e che i risvegli erano stati decisamente diversi da questo attualmente in corso, sebbene non avesse di fatto dormito molto.
“A che fare?” domandò lui pacato, senza tradire nessun tipo d’emozione particolare.
“A controllare una cosa che mi ha detto Nami”.
“Ti accompagno io”.
“No” disse subito Joy.
“No?” chiese lui, guardandola di sbieco. Ora era arrabbiato. Cos’era quella una ripicca, o cosa? Era stufo di tutto questo discutere sempre. Lui era uno che non discuteva mai. Odiava discutere e con lei non faceva altro. 
“Vorrei andarci con Yama” specificò la biologa.
“Non potete andare da soli, su un pianeta distante da qui quasi mezza giornata di navigazione” rispose deciso.
“Harlock, tu non puoi venire”-cominciò a dirgli con calma-“dimentichi che potremmo essere attaccati da un momento all’altro, vuoi essere su Caladan quando accadrà? Non mi sembra proprio il caso che tu lasci la tua nave. Non ce n’è bisogno. Lascia che vada con Yama. Siamo i meno importanti dell’equipaggio: qualunque cosa succeda, voi sarete tutti qui, a difendere l’Arcadia, noi faremo ciò che dobbiamo e poi rientreremo. Caladan è disabitato da anni e non è neppure presidiato dalla Gaia Fleet, non c’è alcun pericolo e tu lo sai. Lasciarci andare da soli è la cosa più giusta”.
“Intanto non sta a te decidere chi è importante, o no. Né con chi andare, o non andare” puntualizzò il Capitano serio, come se parlasse ad un suo qualsiasi sottoposto.
“Senti, riguardo a ieri sera è bene chiarire che io non ce l’ho con te” disse lei che aveva intuito che lui fosse molto contrariato, per via della sua dipartita. “Non hai fatto niente di male, anzi. Sono io che ho sbagliato. Che poi non lo so se ho sbagliato, ma questo non è il momento di parlarne”-ammise-“Ora non lasciamo che questa cosa rovini per sempre i nostri rapporti. Sai benissimo che non ti chiederei di andare, se non fosse importante, non sono così stupida. Sono qui per un motivo serio, giusto? E se ti dico che devo volare su Caladan, tu dovresti trovare il modo di farmi andare, senza fare tutto questo inutile ostruzionismo”.
Harlock non rispose. Rimase in silenzio qualche secondo, sempre con quell’espressione indefinita, che poteva essere rassegnazione, rabbia, o chissà cos’altro. Quella calma impenetrabile, dietro la quale celava un intero mondo da cui escludeva tutti, in questo momento lei compresa. “Fai quello che vuoi. Vai pure su Caladan” concluse con tono incolore.
“Ti ringrazio” rispose Joy sincera, poi prese la chiave della cabina che lui le aveva dato e la poggiò sul tavolo, restituendogliela.
Fu a quel punto che Harlock le lanciò un’occhiata così gelida e tagliente, che lei ebbe quasi paura, perché sembrava volesse trafiggerla da parte a parte. Ma non sillabò e si girò dall’altra parte, mostrandogli le spalle. 
Joy pensò che era meglio andare a fare quello che doveva. Ora non era il caso né di parlare, né di aggiungere altro. La situazione era già abbastanza degenerata per conto suo, per peggiorarla ancora di più.

Così Joy e Yama avevano preso una navetta e stavano appunto volando verso Caladan.

Dopo un po’, dato che il silenzio regnava sovrano, intervallato solo dai rumori degli strumenti di bordo, Joy pensò che potessero anche fare un po’ di conversazione così, per passare il tempo.
“Non te l’ho mai chiesto, ma tu quanti anni hai?” gli domandò tanto per rompere il ghiaccio.
“Ventidue. E tu?” gli chiese lui di rimando.
“Sai che non mi ricordo?” fece lei, toccandosi distrattamente il chip che aveva ancora ben piantato dietro la nuca “Questo affare mi deve davvero aver fatto alcuni danni, comunque mi pare ventisette, ventotto circa” concluse, facendo spallucce.
“È strano vero?” gli domandò lui “Intendo dire tutto questo per te” aggiunse curioso. Era così di natura. Gli piaceva capire le cose e approfondirle, perché la sua giovane età gli regalava ancora quel guizzo di purezza in più, che a volte lo faceva assomigliare ad un ragazzino che aveva fame di sapere e voglia di conoscere. Era in effetti ancora genuino, e forse anche un pizzico ingenuo, rispetto ad un uomo già fatto e finito.
“Abbastanza. Ma per quanto strano sia, ormai sono qua e mi devo adattare ” gli spiegò Joy riferendosi alla sua particolare situazione.
“Ma non tornerai mai da dove sei venuta? Nel tuo tempo, intendo?” le chiese ancora, sempre più interessato.
“Non lo so” rispose sincera. “Suppongo sia complicato, a livello logistico, organizzare un ritorno indietro nel tempo…” sospirò forte, facendo uscire l’aria dal naso, sbuffando appena. Era un argomento di cui preferiva non parlare.
Il ragazzo improvvisamente abbassò la testa accigliato “Io vorrei tanto poter tornare indietro nel tempo” cofessò in un soffio, come se il suo fosse stato un pensiero che avesse preso corpo da solo.
“Credo che tutti, chi per una ragione e chi per un’altra, vorrebbero una macchina del tempo per andare e venire, ma sarebbe anche un po’ troppo comodo, non credi? Bisognerebbe pensarci prima alle cose” rispose, in parte a lui, in parte a se stessa.
Il ragazzo annuì, ma non aggiunse altro. S’era come intristito.
Finalmente si stavano avvicinando a Caladan che si presentava ai loro occhi in tutta la sua maestosità. Orange, veniva anche chiamato, per il suo aspetto che variava in tutte le sfumature del suo colore predominante: l’arancio.
Avevano appena sorpassato Eureka e stavano entrando nella costellazione della Lira; superando l’atmosfera, Caladan si mostrava nella sua bellezza cromatica. Era davvero uno spettacolo, anche se a Joy quell’immagine, per via del colore, sebbene solo in parte, le ricordava la Terra, com’era adesso mostratale da Harlock. Rabbrividì appena al pensiero, ma si impose di scacciare quella visione raccapricciante dalla mente.
La navicella atterrò gentilmente sul pianeta e loro, che già indossavano le tute spaziali, si infilarono i caschi ed uscirono in perlustrazione. In realtà lei doveva prendere solo dei campioni, infatti erano scesi nel punto esatto indicato da Nami che aveva fornito a Joy le coordinate di atterraggio. 
Infatti in lontananza, scorsero come degli agglomerati non meglio definiti, ma che la moglie di Ezra le aveva indicato.
“Andiamo!” esclamò Joy. Era come incredibilmente attratta da quel posto. S’incamminò senza neppure aspettare la risposta di Yama, che comunque la seguì. Quegli agglomerati non erano altro che enormi impianti, in cui c’erano un’infinità di serre piene di colture secche. Una volta entrati dentro, accade una cosa che turbò molto Joy.
Yama si inginocchiò, sfiorò quella terra, come per carezzarla, poi ne prese un pugno e la strinse forte, quindi improvvisamente scoppiò in un pianto dirotto scosso dai singhiozzi come se tremasse..
La ragazza fu molto turbata da quella scena, si ritrovò a non sapere né che dire, né che fare. Era stata una cosa così inaspettata e così emotivamente violenta, che la colse impreparata. Le si chiuse lo stomaco. Si avvicinò e gli si mise accanto. In silenzio, quasi timorosa e a disagio, perché si sentiva l’intrusa spettatrice di un dolore altrui.
“Che succede?” gli chiese alla fine incerta. Non sapeva davvero come comportarsi.
Yama all’inizio non sembrò neppure udirla, poi si girò: i suoi occhi ambrati erano lucidi e carichi di un angoscia senza fine. Ne rimase davvero colpita.

Fu così che finalmente quel ragazzo, così diverso da quello che sembrava essere, condivise con lei la sua pena. Le spiegò che quelle erano le serre di sua madre, che anni prima aveva tentato questo esperimento che però era miseramente fallito. Poco dopo la donna si era ammalata ed era morta. Nami però aveva voluto continuare la sua opera e aveva spostato le colture da un’altra parte. Quando lui l’aveva scoperto si era infuriato, perché nella sua testa, sua madre era morta per colpa di questo tentativo, perché riteneva che la sua permanenza su Caladan avesse fatto insorgere la sua malattia. Così in un impeto di rabbia cieca, volendo disattivare per sempre quelle serre, aveva involontariamente innescato un corto circuito ed era letteralmente saltato tutto in aria. Tutto l’apparato era franato. Ezra, che era presente, aveva perso le gambe, come gli aveva già confessato tempo prima, senza però specificarle come, Nami invece aveva avuto la peggio.
Era rimasta schiacciata da una struttura ed era finita in stato semi vegetativo, mentre lui miracolosamente, ne era uscito illeso. A seguito di questo incidente, Nami era stata tenuta in vita grazie al collegamento ad una macchina. Ciò che rimaneva di lei era solo una sua proiezione mentale, resa viva da un ologramma. Praticamente di lei restava solo l’immagine virtuale della sua mente, mentre il corpo era devastato e paralizzato.
Joy rimase malissimo. Fu un vero choc questa scoperta. E di colpo le ritornarono alla mente le parole di Harlock.
Alla fine sono proprio contento di non averti portata, credimi, non ti sarebbe piaciuto quello che avresti visto.
Ora capiva a che si stesse riferendo. Così Nami era praticamente poco più che un vegetale. Rimase davvero sconcertata e senza parole. Poteva capire il dolore del ragazzo, doveva provare un senso di colpa enorme. Proprio come Harlock. Queste similitudini cominciavano a farla impazzire. Come era possibile che si somigliassero così tanto e che tutti e due condividessero un destino diverso, ma così dannatamente simile?
Era una coincidenza? O cosa? Lo fissò intensamente. Eppure, era davvero impressionante quanto assomigliasse al Capitano anche se, ad una analisi più attenta, poteva chiaramente notare che non erano certo identici,
.ma a parte ciò, tutte queste coincidenze cominciavano a darle da pensare.
Cercò, come meglio poteva, di consolare il ragazzo. Non era facile, non poteva mica dirgli di non pensarci più e di passare oltre. Era una cosa delicata, quindi fece leva sul fatto che lui in realtà non lo avesse fatto di proposito, che anche passare l’intera vita nel rimorso non era certo una soluzione, e purtroppo non rimediava il mal fatto. Che doveva in qualche modo elaborare questa tremenda disgrazia e cercare di tirarci fuori qualcosa di buono, che solo così avrebbe potuto superarla. Di sicuro ci sarebbe voluto tanto tempo, e forse un giorno sarebbe riuscito a perdonarsi. 
Yama ascoltò, ma non commentò.
Joy era rimasta piuttosto sconvolta da questa rivelazione, ma decise di non infierire e non approfondire oltre. Prima o poi avrebbe anche dovuto dirgli del suo legame con Nami, ma non era certo quello il momento adatto.
Infine gli disse che era il caso di sbrigarsi e raccolse i campioni di terra e terriccio da analizzare, quindi risalirono sulla navicella per fare rientro sull’Arcadia. Durante il viaggio di ritorno, tra loro calò un pesante silenzio.
Una volta atterrati sulla nave furono accolti da Kei.
“Allora è andata bene la gita?” chiese in tono allegro.
Yama non le rispose, si tolse il casco e tirò dritto.
“Ma che ha?” domandò a Joy, che pure si stava levando il casco “Niente. Abbiamo avuto un contrattempo” tagliò corto la biologa.
“Tutto bene?” chiese ancora la bionda.
“Sì, sì. Diciamo che ci siamo scontrati con qualche fantasma del passato”.
Kei la guardò perplessa, ma qualcosa le disse che era meglio non indagare, tra tutti e due avevano certe facce che facevano capire che dovevano avuto qualche brutta esperienza. L’importante era che fossero rientrati sani e salvi, del resto avrebbero anche potuto parlarne in seguito.
Joy andò a levarsi quella tuta spaziale e come entrò in camera, sul comodino, trovò la chiave della camera di Harlock. Sospirò. Era davvero testardo. L’aveva rimandata al mittente. La lasciò lì sopra, si cambiò infilandosi la sua divisa e andò con i campioni al laboratorio. Voleva subito darci un’occhiata e poi tanto che aveva da fare? Non voleva pensare né a lui, né a niente di tutto il resto, Nami compresa, il lavoro era la medicina migliore.
Fece molto tardi, ma era soddisfatta perché la terra era sicuramente naturale e su Caladan ce n’era in quantità industriale, quindi avrebbero potuto prenderla e provare a fare le prime colture, per poi provare a portarle sulla Terra e magari tentare di innestarle direttamente lì. 
Pensare a Nami le dava una grande tristezza, com’era stata sfortunata, pensò. Ora più che mai avrebbe voluto vederla, ma da una parte ne era anche angosciata, non sapeva che effetto le avrebbe fatto incontrarla in quelle condizioni e provava una gran pena anche per Yama. Il suo dolore e il suo rimorso, dovevano essere immensi. Da una parte ora, poteva anche capire tutta la rabbia e l’odio represso di Ezra, non lo giustificava, ma poteva comprenderlo. Era proprio una situazione infelice e angosciante.
Menomale che almeno la buona notizia riguardo i campioni c’era stata e mitigava un po’ tutto il resto, che non era esattamente roseo.
Uscì dal laboratorio, andò in cucina e si fece un bel panino, perché stranamente le era venuta anche fame, ultimamente mangiava troppo poco, era meglio rifocillarsi. Appena finito il suo spuntino, uscì per raggiungere la sua cabina. Passando dalle parti della sala del Computer Centrale, senza volere, scorse Harlock seduto che parlava sommessamente con quel grande calcolatore illuminato, aveva capito dalla sua spiegazione, che quell’affare contenesse l’essenza del suo grande amico Tochiro, ma trovò la cosa comunque un po’ bislacca e difficile da capire. Tirò dritto senza fermarsi, non aveva intenzione di invadere la sua privacy, né tanto meno di origliare.
Arrivò in cabina, si spogliò e infilò in doccia. Era appena uscita e si stava asciugando i capelli, quando qualcuno bussò. Si infilò in fretta i leggings, maglietta e aprì. Non rimase poi molto sorpresa, del resto chi altro poteva essere, se non Harlock?
“Dobbiamo parlare” le disse bruscamente serio.
“Ora?” chiese lei, che da una parte era contenta che fosse lì, dall’altra non sapeva più nemmeno che pensare, era molto confusa, anche su ciò che voleva veramente. D’altronde si era convinta che avesse questa donna da qualche parte nella Galassia e quindi tutto assumeva un contorno diverso. E poi la giornata era stata densa e anche pesante.
“Sì” disse lui, aspettando il suo permesso per accedere.
Lei sospirò forte, si fece da parte e lui entrò.
“Mi scusi cinque minuti per favore?” gli disse, infilando nel suo bagno per finire di asciugarsi i capelli.
Harlock si guardò intorno. Quella cabina era minuscola, pensò. Però era tutto al suo posto, Joy aveva una certa metodica tutta sua di riporre le cose, sebbene lo spazio fosse davvero limitato. Non c’era neppure una sedia. Pensò che le era toccata proprio una cabina da sguattero di quart’ordine, eppure non se ne era mai lamentata. Non solo, non aveva neppure mai chiesto di cambiarla.
“Dimmi” gli disse, uscendo dal bagno e fronteggiandolo con le braccia puntate sui fianchi. Era comunque sulla difensiva.
“Sono una persona difficile, non l’ho mai nascosto. Ma questo non significa che sia senza sentimenti. Questa cosa tra di noi, ha per me una certa importanza e non mi chiedere quale sia perché non lo so, e non voglio nemmeno saperlo” dichiarò subito, mettendo le mani avanti. “Non voglio obbligarti a fare niente, ma davvero vorrei capire come siamo passati dalle stelle alle stalle nel giro di una cena, perché io non l’ho capito” borbottò molto serio.
“Perché non ci conosciamo, non sappiamo niente l’uno dell’altra, ecco perché” disse lei stancamente.
Lui rimase silenzioso qualche secondo.
“La risposta alla tua domanda di ieri, è sì” aggiunse poi non senza fatica.
“Questo l’avevo capito da me” ribatté Joy.
“Ma non voglio parlarne”.
“Avevo capito anche questo”.
Questi dialoghi erano sfiancanti. 
“È una cosa del passato. Una cosa che non c’è più, se mai fosse stato questo a preoccuparti, ma non intendo aggiungere altro”.
Joy lo ascoltò. Allora non era qualcosa del presente, però a quanto pareva era un argomento tabù. Avrebbe rispettato la sua volontà, ma era molto arduo accettare tutte le sfaccettature così particolari di questo uomo così complesso. Certo la sua esistenza era stata veramente molto difficile e anche carica di dolore, perché gli si potesse essere sviluppato un carattere malleabile, ma a volte era davvero faticosissimo avere a che fare con lui.
“Va bene. Non sei obbligato a parlarne” concluse e poi sentì il desiderio impellente di cambiare argomento e cercò una via di fuga: “Ho saputo di Nami, da Yama. È una cosa orribile” commentò.
“Già” annuì lui “Ma non giudicarlo troppo severamente, è un ragazzo che ha reagito d’impulso e il prezzo che sta pagando è salatissimo”.
“A proposito di Yama, io devo chiederti una cosa” disse guardinga.
“Dimmi”.
“Ma tu ti sei mai reso conto quanto ti somigli fisicamente?”.
Harlock corrugò la fronte “Veramente no” rispose sincero.
Joy scosse la testa “Non lo so è una mia paranoia, ma io vedo tra voi una somiglianza inquietante e non solo fisica”.
“Sarà una coincidenza” tagliò corto lui. A dire il vero non si era mai posto il problema e neppure gli interessava. Era ben altro che gli stava a cuore al momento. Non certo le presunte somiglianze tra lui e Yama.
“Ti ho riportato la chiave. Il concetto è sempre lo stesso, sei libera di venire quando vuoi” disse arrivando finalmente al punto che gli premeva di più. Voleva ristabilire quella condizione idilliaca dei giorni precedenti. Non capiva e non voleva accettare che ci fosse stato quel brusco cambiamento di rotta.
Fu a quel punto che lei prese la chiave e gliela rese “Ho visto, ma forse non hai capito. Io non verrò più da te. Questo mi pareva fosse chiaro. Anche io ho il mio carattere Harlock e probabilmente sono contorta più di te, magari anche incoerente, ma che vuoi farci? Non sono perfetta neppure io. E benché non rimpianga niente di quello che ho fatto, che probabilmente rifarei da capo, ieri sera ho capito una cosa fondamentale: non mi basta condividere la tua cabina e il tuo letto. Io voglio di più, voglio condividere i tuoi pensieri, il tuo passato, i tuoi ricordi, le tue emozioni. Io voglio conoscerti e se tu non sei pronto, io lo rispetto, mi va bene e sei libero di fare quello che credi. Ma io non verrò più da te. Dovrai essere tu a venire da me, e quando verrai, se mai verrai, dovrai essere disposto a farmi almeno capire che cosa è per te questa cosa tra di noi, perché non accetterò niente di meno” gli disse, non sapendo nemmeno lei come avesse fatto a dare voce ad un pensiero che probabilmente sonnecchiava nella sua testa da un po’, e che ora era uscito fuori a sorpresa.
Lui incassò il colpo senza battere ciglio, prese quella scheda, si voltò e uscì da quella cabina senza neanche pronunciare mezza parola.
Lei non si stupì.
Era certa che avrebbe avuto esattamente quel tipo di reazione.

NOTE
Caladan è un omaggio alla mia opera di fantascienza preferita: Dune. Nella prima stesura della fic questo pianeta era stato chiamato Kepler (un pianeta tra l’altro esistente che si chiama kepler-62) Siccome poi, in seguito, fu usato in altri contesti da altri autori, oggi ho preferito sostituirlo con Caladan che è un pianeta immaginario presente nei libri del Ciclo di Dune dello scrittore Frank P. Herbert. Si tratta del terzo pianeta del sistema di Delta Pavonis, dove ebbe origine la Casa Atreides.
La superficie del pianeta è quasi interamente coperta d'acqua e il clima è caratterizzato da abbondanti precipitazioni e forti venti. La terra abitabile è caratterizzata da praterie, paludi e dense foreste. Le principali risorse di Caladan tra le tante altre consistono nell'agricoltura.
Mi piace e mi sembrava appropriato e l’ho voluto usare :)
PS Le sue caratteristiche cromatiche non sono certo riconducibili al colore arancione, ma ho voluto lo stesso mantenerle, per mio gusto personale.

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Capitolo 25
*** L'amore, come la morte, cambia tutto ***


Buon Lunedì dell’Angelo! E buon fine week end di Pasqua, come ogni fine settimana ci ritroviamo per il consueto il RI-postaggio di due nuovi capitoli, rivisti e corretti.
Vorrei anche oggi ringraziare tutte le numerose persone che stanno leggendo, o rileggendo la storia, quelle che l’hanno nuovamente messa tra seguite, ricordate e preferite. Naturalmente un grande grazie va a chi ha voluto dedicare un po’ del suo tempo a lasciarmi le sue impressioni

Buona lettura a chiunque passi di qua!

 

 

.24.

 

L’AMORE, COME LA MORTE, CAMBIA TUTTO
(cit. di Gibran Khalil Gibran)

Da quella sera in cui Harlock aveva avuto quell’ultimo chiarimento con Joy, erano passati alcuni giorni. 
Giorni strani, simili come atmosfera a certe giornate di terrestre memoria: uggiose, grigie, dense di nebbia. Giornate cariche di una sorta di apatia che aveva reso tutto incolore e statico. 
La situazione fra loro due assomigliava ad uno stagno pieno d’acqua scura, in cui non si riusciva a capire che cosa potesse celare il fondo. 
Acqua ferma, senza guizzi, circoscritta, in attesa di qualcosa che potesse mutare quella sua inerzia.
Harlock era tornato ad essere molto distante da tutto e tutti. 
Solitario. 
Chiuso ermeticamente nel suo silenzio introspettivo, rifletteva, pensava, analizzava; più che altro, Harlock metabolizzava.
Quella fatidica sera era uscito da quella cabina, senza neppure articolare una parola non per sdegno, o per orgoglio, ma semplicemente perché si era ritrovato come con le spalle al muro e non era preparato, né pronto; soprattutto, non era abituato ad un simile modo di rapportarsi agli altri. Era sempre lui che gestiva le situazioni: questa condizione invece gli era caduta addosso a sorpresa e lo aveva letteralmente destabilizzato, quasi schiacciandolo. Odiava sentirsi così vulnerabile, perché s’incrinava quel muro massiccio di protezione che lui aveva eretto a salvaguardia della sua sopravvivenza, perché era un tipo d’uomo che non riusciva a sciogliersi, a parlare, a sviscerare le cose. Lui serrava le porte della comunicazione e rimaneva ligneo, succubo dei suoi limiti sentimentali: per questo aveva battuto ritirata, per capire, valutare e per non dire, o fare, niente di avventato. Era disorientato e incupito. Forse si sentiva fragilmente inadeguato e la cosa lo turbava profondamente, era una sensazione sconosciuta e a lui nemica.

 

***

 

La signora Masu, dopo essersi fatta i fatti suoi per diverse mattine, quel giorno decise di rompere il riserbo e di dire la sua. Harlock era nuovamente come spento, passivo, succube dei suoi tormenti e sinceramente a lei dispiaceva molto. Non che Masu non capisse le sue ragioni aveva anche troppe preoccupazioni ed un’infinità di responsabilità da gestire, oltre chissà quali tempeste interiori da addomesticare, ma lei aveva sperato che il periodo oscurantista fosse superato, o quasi, e invece sembrava quasi più tetro di prima.
“Insomma” esordì la cuoca senza preavviso “Da quando non fai più quegli incubi terrificanti, per cui sfasciavi quasi il letto, sei diventato più musone di prima. Per assurdo, dormire male ti faceva bene”. Gli disse, partendo da una sorta di battuta per alleggerire il concetto di quello che aveva intenzione di dirgli.
Harlock, come suo solito, la guardò accigliato, non aveva nessuna voglia di entrare in quel tipo di argomento. Ovviamente non proferì parola. Si fissò in un punto indefinito, com’era solito fare quando voleva fiaccare l’interlocutore di turno.
Ma Masu non si fece scoraggiare, la sua età e la sua esperienza le dicevano che per aiutare quel giovane uomo, che lei considerava un po’ come un figlioccio e a cui voleva un gran bene, doveva farlo parlare, che per una volta tanto andava messo davanti alla realtà dei fatti, e poi lui avrebbe fatto come meglio credeva. Era grande, vaccinato e la vita era la sua.
“Guarda che anche se guardi di traverso, non mi fai paura. Ho sempre rispettato la tua autorità, ci ho messo una vita a darti del tu, ma sappi che mai mi hai spaventata, neppure una volta” chiarì, anche perché per spaventare lei ci sarebbe voluto ben altro.
“Ad ogni modo, ragazzo mio, credo che tu sappia che qui nessuno è fesso. E credo che tu sia consapevole che la cosa che in assoluto ci rende tutti contenti è vederti sereno. Ora, nessuno vuole intromettersi nella tua privacy, e non lo farò neppure io, ma credo che se per una volta nella tua vita hai uno spicchio di felicità a portata di mano, sia molto sciocco lasciarselo sfuggire tra le dita. Tanto, sai bene che non durerà comunque, quindi sempre temporanea sarà, ma almeno per quel che dura: prenditela e tienitela stretta! O vuoi deporre le armi prima di combattere?” e detto questo si congedò, lasciandolo da solo.
Harlock si sedette sulla sua sedia, e volse lo sguardo oltre le vetrate della sua cabina, cominciò a fissare lo spazio scuro e cupo, che era impreziosito solo da qualche puntino luminescente e da qualche gassosa biancastra. Sembrava che quella massa piuttosto tenebrosa, a tratti, riflettesse il suo stato d’animo. 
Era un momento veramente troppo statico. 
Nami aveva fatto sapere che per ora avevano negato l’autorizzazione all’attacco organizzato da Ezra, quindi erano tutti in uno stato di apatia, sospesi in una sorta di strana attesa, che neppure loro sapevano definire:.
Questo gli stava lasciando troppo tempo per pensare. Ed ogni pensiero lo riconduceva a lei, che era ancora lì, sulla quella nave, ma che probabilmente ci sarebbe stata ancora per poco, perché avrebbe potuto decidere di andarsene da un momento all’altro.  
Presto lui avrebbe dovuto mettere a conoscenza tutto l’equipaggio del vero stato della Terra, lei avrebbe concluso il suo lavoro e sarebbe potuta tornare indietro. 
Se ne sarebbe andata e non semplicemente via, ma sarebbe rientrata nel suo mondo, nel suo arco temporale, per sempre, e proprio con il suo aiuto. Solo che l’ultima novità, che lo aveva colto assolutamente di sorpresa, impreparato, come una neve marzolina, era che una parte di lui si stesse ribellando e non voleva che lei se ne andasse. 
Non avrebbe mai neppure lontanamente immaginato di arrivare a pensare una cosa simile, ed invece era proprio quello che gli stava accadendo, rovesciando ogni logica che fino ad allora lo aveva sostenuto. Il suo tormento consisteva in un dilemma veramente enorme. Perché, nonostante fosse venuto a patti con questo desiderio, così vivo e così prepotente da bruciargli dentro come un fuoco, avendo avuto il coraggio di ammetterlo a se stesso, non l’avrebbe mai e poi mai espresso a voce alta. E non perché fosse un folle, o un masochista, ma perché voleva che lei fosse felice, che stesse bene, ed era consapevole che se fosse rimasta lì con lui, alla fine non lo sarebbe stata e non poteva permetterlo. 
Di contro c’era un altro aspetto della faccenda, quasi di natura etica. Poteva lui decidere per tutti e due, decidere anche per lei? Era giusto? Decidere per lei significava levarle la sua libertà di scelta. Quindi che cosa era più importante per lui? La sua felicità, o quella che lui riteneva essere tale? Oppure la sua libertà di scelta?
Era una decisione difficilissima. 
Un tarlo che lo consumava, rosicchiandolo poco a poco. 
Una volta era convinto di una cosa, la volta dopo dell’altra… 
I suoi stati d’animo erano come una giostra impazzita: su e giù; giù e su, senza posa, nuovamente senza più pace, sballottato come una barchetta di carta buttata nel mare agitato.
Il silenzio era come sempre il suo alleato migliore. Si trincerava duro dietro questo mutismo, denso di pensieri e riflessioni che non condivideva ormai neppure con Meeme.
Non aveva mai più cercato l’amore dopo Maya. 
Non gli interessava. 
Amare era un sentimento troppo coinvolgente e troppo impegnativo. Non poteva dedicare se stesso ad una donna e all’Arcadia contemporaneamente, erano davvero due cose inconciliabili. Era come avere due mogli nella stessa casa. Impossibile.
Eppure, ora che le cose erano in un certo qual senso cambiate, che i fatti lo avevano in minima parte smentito, nella sua testa si affacciavano con timida prepotenza nuovi orizzonti, ma erano percorribili, o erano solo meri voli pindarici? 
Era giusto da parte sua indugiare e carezzare queste chimere?
Nei sui pensieri c’era posto per tutto ed il contrario di tutto. 


Anche Joy si trovava in una situazione mentale simile. Quando aveva dato quella specie di ultimatum ad Harlock non intendeva obbligarlo a fare niente, né, tanto meno, si era neppure sognata di sperare che tra loro ci potesse essere chissà quale futuro insieme. Lei era consapevole che Harlock fosse un uomo libero, un uomo che non poteva essere castrato da un rapporto di coppia. 
Né ora, né mai. 
Senza contare che non era esattamente una sognatrice romantica, ma una giovane donna molto pratica. Il suo lavoro si basava sul ragionamento e lei ragionava sempre su tutto. Ma questa volta, per certi versi, la ragione se ne era andata in cavalleria e ora si trovava in una situazione complicata e dolorosa. Perché le emozioni non si possono comandare, fluiscono da sole, animate di vita propria.
Aveva ceduto ad un sentimento che sapeva essere difficilissimo da gestire. 
Non era stato facile per lei essersi innamorata di un ideale incarnato. 
Perché Harlock questo era: un ideale, un punto di riferimento, un Capitano, e non solo per l’Arcadia, ma per chiunque ne condividesse convinzioni e ne sposasse la causa.
L’unica certezza, che nonostante tutto aveva sempre avuto, era che lei lì non poteva rimanere e questo lo aveva saputo fin da quando aveva deciso di andare da lui, quella sera, anche se per molto tempo aveva fatto finta di niente, ignorando la realtà dei fatti.
Quello non era il suo tempo e anche con tutta la buona volontà, era evidente che non fosse proprio adatta a quella vita. L’episodio del salvataggio di Yama lo aveva chiaramente dimostrato.
Soprattutto non poteva e non voleva tarpare le ali a Harlock. Si rendeva conto che sarebbe stata un limite e un pericolo, non solo per lui, ma per tutti. I legami erano tacitamente banditi da quella nave, era così, anche se nessuno lo aveva mai detto chiaramente.
Sapeva anche che, se avesse voluto rimanere, Harlock non glielo avrebbe impedito, così come se avesse voluto riallacciare la loro relazione, le sarebbe bastato andare da lui.
Nonostante ciò, era chiaro per lei che l’amore che provava per lui non sarebbe bastato a colmare l’enorme distanza che nonostante tutto c’era tra di loro. Una distanza data in parte, da due diversi mondi che si erano incontrati per caso, ma che altrimenti avrebbero percorso uno parallelo all’altro, senza sfiorarsi neppure una volta. Ma la cosa che più li divideva era l’impossibilità di avere una vita normale.
Non avrebbe mai sopportato che, un giorno, lui potesse arrivare ad essere insofferente verso un legame che lo avrebbe comunque obbligato a cambiare radicalmente il suo modo di rapportarsi alla vita di quella nave. E no, neanche per un solo istante si era neppure sognata di immaginarlo in qualsiasi altro posto, che non fosse stato al comando dell’Arcadia. Harlock e la sua nave erano inscindibili. Sapeva che l’unica cosa che avrebbe mai potuto separare il Capitano dall’Arcadia, sarebbe stata solo la morte, perché quella vita errabonda, lui l’aveva abbracciata in maniera consapevole e convinta. 
Il motivo per cui lo aveva messo di fronte ad una sorta di scelta era un altro. 
Era giusto sminuire un rapporto, qualunque fosse stata la sua durata, solo perché non aveva un futuro? 
Era giusto accontentarsi delle briciole, in virtù dell’inconciliabilità tra ciò che desiderava e la realtà?
Le bastava condividere solo un letto e non l’intimità, quella vera, fatta di emozioni, pensieri, di raccontarsi e dello scoprirsi, l’aprirsi all’altro?
Non sarebbe mai stato suo, ma voleva almeno conoscere chi fosse: altrimenti,  non avrebbe avuto per lei alcun senso niente di tutto quello che le stava capitando e di quello che provava. Non voleva ricordarsi solo dei baci, delle carezze, del piacere fisico o delle battute spiritose, avrebbe voluto sapere chi fosse quell’uomo che aveva votato la sua vita ad un ideale, che era così nobile ed integro, ma anche pieno di misteri ed ombre. 
Non conosceva neppure il suo nome di battesimo e questo era assurdo, soprattutto dopo quello che avevano condiviso, era addirittura inaccettabile.
Era perfettamente consapevole che non l’avesse presa in giro, che provasse dei sentimenti per lei: non era sciocca, ma aveva bisogno di andare oltre i suoi silenzi cupi, oltre le sue barriere, voleva vedere che cosa c’era al di là, in quel giardino segreto che lui teneva così gelosamente chiuso. Semplicemente voleva avere il privilegio di poterci entrare, almeno una volta.
Per lei non era importante la quantità, ma la qualità di quello che avrebbero potuto condividere per il tempo che fosse stato loro concesso. Non intendeva snaturarlo, a lei piaceva così come era, desiderava solo conoscerlo meglio; e, soprattutto, riteneva di avere il diritto di capire che cosa rappresentasse lei per lui. E nonostante soffrisse molto, perché le mancava davvero tanto e non fosse facile stare su quella nave, vicini, ma mai così lontani, non poteva fare diversamente, non poteva svendere, neppure ad Harlock stesso, l’importanza del suo sentimento per lui. Avrebbe fatto un torto ad entrambi, passando altro tempo con lui in superficie, senza che una parte interiore di loro venisse mutualmente condivisa.

 

Tutti questi pensieri affollavano le loro menti costantemente, incessantemente, sfiancandoli, e tenendoli alla larga l’uno dall’altra. 
Anche se poi inconsciamente si cercavano. 
Finivano per sbirciarsi di sottecchi l’un l’altra, tra i corridoi bui di quella nave silenziosa e scura. 
Furtivi, senza farsi scorgere, come ladri. 
Con la finta noncuranza di chi vorrebbe, ma non può, di chi sa che dovrebbe fare qualcosa, ma che alla fine rimane fermo e preferisce non fare nulla, lasciando che il tempo scivoli via prezioso, simile a sabbia tra le dita. 
Senza poter fare a meno di guardare, almeno di sfuggita ciò che si potrebbe avere, ma che preferivano evitare, pur di non affrontare, per paura di soffrire. 
Tutti e due chiusi nel proprio guscio, nascosti dietro lo scudo delle loro paure, intenti a tirar tardi con le loro reciproche occupazioni, per scacciare immagini e ricordi. Che la notte, però, ripresentava loro subito a tradimento, rievocando memorie ed immagini a cui disperatamente cercavano di non pensare, ammantando tutto con un velo scuro di tristezza, alimentando emozioni ancora vive e per questo dolorose. 
Pensieri, sensazioni che si rincorrevano e facevano male, male da togliere l’aria a volte, perché troppo intense, cariche di promesse disattese, sfumate dall’amarezza della realtà. 
Complicarsi la vita sembrava così facile, perché nonostante fosse faticoso e doloroso, era la cosa che stava riuscendo ad entrambi tragicamente meglio di ogni altra.

L’occasione di interagire fu data loro da una causa esterna, il contatto che Harlock aveva cercato per aiutare Joy a rientrare nel suo arco temporale.
Si trattava del professor Daisuke Akido scienziato fisico nucleare amico di Teinosuke, il padre adottivo di Joy, che a suo tempo l’aveva assistito durante i suoi esperimenti sui nodi temporali, collaborando con i Nibelunghi. Si era finalmente reso disponibile per salire sull’Arcadia, per parlare di persona a quattr’occhi con la ragazza: il tramite ovviamente era stata Nami.
Così quando Yama glielo aveva comunicato, Harlock non aveva indugiato ed aveva fatto sapere che l’uomo sarebbe potuto salire a bordo due giorni dopo, presso Clessidra, un altro piccolo pianeta, colonia terrestre.
Quindi, senza nemmeno rifletterci, aveva deciso di andare da Joy per comunicarglielo. 
La smania di avere una scusa plausibile per andare da lei, aveva vinto su ogni altro tipo di ragionamento logico, o illogico che avesse fatto fino a cinque minuti prima.
A dispetto di tutti i pensieri che avevano affollato la sua mente per giorni, la verità era una sola, lontano da lei stava male e lo poteva anche negare a se stesso, al mondo e all’Universo intero, ma rimaneva ineluttabilmente un dato di fatto. 
Gli mancava tutto. 
La sua sola presenza, la sua voce, il suo sorriso, il suo profumo, i suoi gesti, le discussioni e naturalmente tutto il resto, a cui evitava accuratamente di pensare per non stare anche peggio.
Al momento, gli bastava solo vederla e parlarle, non chiedeva altro, anche perché non sapeva proprio che fare, la sua lotta interiore era ancora nel vivo dello svolgimento.
 
Erano due settimane che si evitavano come se fossero stati infetti. 
Era capitato solo una volta che l’avesse incrociata frontalmente, per sbaglio e aveva subito sentito come un senso di oppressione al petto, come se una lama invisibile gli fosse penetrata nella carne e lo avesse trafitto da parte a parte, impedendogli di respirare, come se fosse rimasto a corto d’ossigeno. Perché gli mancava anche il solo parlarci. E ora neppure si guardavano, avevano abbassato entrambi lo sguardo e tirato dritto. Come due estranei: o peggio, come due persone che non volevano avere a che fare l’una con l’altra.
La sua umanità era ormai riemersa nella sua intera pienezza. E non era stata la possibilità concreta di poter morire la cosa più terribile da affrontare, ma il rifiorire dei sentimenti. Così forti, così impetuosi e così prepotenti, sia nel bene che nel male. Erano ingestibili, come onde tempestose che si infrangono contro gli scogli, spruzzando salsedine su ferite ancora aperte. 
Era stato travolto da sensazioni che erano rimaste sepolte in quello che era diventato il sepolcro della sua anima. Prima era completamente inerte, vuoto, morto, inutile. 
I suoi cento anni erano come stati lasciati vivere, scivolati via nell’accidia del rimorso. 
E poi questa cosa imprevista era arrivata nella sua vita, prepotente ed intensa, violenta come uno schiaffo in pieno viso. 
Aveva portato scompiglio, spazzando via sicurezze e logica, come il vento che disperde le foglie secche in autunno, ma soprattutto aveva distrutto il castello di carta delle sue certezze che lui si era così minuziosamente costruito. 
Improvvisamente, mentre camminava lentamente verso il laboratorio, nel silenzio della nave, i suoi passi segnavano quasi il tempo del suo destino, come se volessero dare un ritmo ai suoi pensieri, componendo forse la melodia di una certezza. Tori, svolazzando e gracchiando, gli si appollaiò sulla spalla. Ruppe il flusso delle sue riflessioni e fu allora che Harlock realizzò chiaramente, come un fulmine a ciel sereno, che a quel punto le soluzioni erano davvero solo due. 
Poteva continuare a nascondersi, ignorando i suoi sentimenti, cercando di riseppellirli a forza dove avevano giaciuto fino a poco tempo prima, o poteva fermarsi e provare ad affrontarli a viso aperto, come faceva con i nemici in battaglia. 
Cercare di fare come aveva consigliato Masu, tenere stretto quello che gli era stato donato senza preavviso, per custodirlo e viverlo, fino a quando sarebbe inesorabilmente volato via per sempre.
Avere il coraggio di amare, o avere il coraggio di fuggire?
In entrambi casi, il rovescio della medaglia sarebbe stato comunque doloroso, ci sarebbe stata una perdita, si trattava solo di decidere se, prima di soffrire, c’era posto per l’amore.

Di una cosa fu addirittura fisicamente certo, per l’intensità quasi dolorosa, per quanto vivida, di quella rivelazione da cui fu improvvisamente fulminato, in modo ineluttabile.
Una verità adamantina.
Qualsiasi soluzione avesse scelto, lui non sarebbe mai più stato lo stesso.
Perché l’amore è come la morte: cambia tutto.

NOTE 
L’amore è come la morte, cambia tutto. 
È una citazione di Gibran Khalil Gibran in cui casualmente mi imbattei in rete e che trovai di una potenza maestosa, oltre che per me assolutamente vera. Mi colpì al cuore, tanto che scrissi questo capitolo quasi totalmente introspettivo e non previsto (almeno non in questa modalità) in corso di stesura della storia, sull’onda emotiva provocatami da questa frase, in cui forse osai molto, tentando di entrare a fondo nella testa del Capitano, che però io vedo/interpreto così, perché questa è l’immagine di lui che Matsumoto ha instillato nella mia mente.

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Fraintendimenti e importanti chiarimenti ***


Attenzione vi ricordo che posto sempre DUE capitoli e che prima di questo è necessario leggere il precedente, per ovviamente seguire la storia in modo corretto.

 

 

.25.

 

 

FRAINTENDIMENTI E IMPORTANTI CHIARIMENTI

Quando Harlock arrivò in prossimità del laboratorio e la intravide in lontananza, sebbene solo di spalle, sentì qualcosa alla bocca dello stomaco. 
Era perfettamente consapevole che si stava prendendo un gran rischio, ma non poteva agire in modo diverso, perché ciò che aveva capito di provare per Joy gli imponeva di fare questo passo.

La biologa, che neanche poteva lontanamente immaginarsi che stesse andando da lei, se lo vide arrivare all’improvviso, dopo giorni e giorni di lontananza cercata da entrambi.
Anche lei non era preparata e l’emozione la colse alla sprovvista.
Per una manciata di secondi sperò, anzi, credette sinceramente, che fosse andato da lei per darle ciò che desiderava.
Ma non fu così.
“C’è una persona che tra due giorni salirà a bordo e ti deve parlare” le disse, con un tono assolutamente incolore.
Nonostante una sottile angoscia cominciasse ad impadronirsi di lei, mantenne la calma. “Chi è?” chiese con voce forzatamente tranquilla.
“Un amico di tuo padre” rispose Harlock.
Joy capì subito tutto, non era necessario che continuasse oltre. 
Calò pesante il silenzio.
Harlock si rese conto che stava male, ormai un pochino aveva imparato a leggere certe sue gestualità e certe sue espressioni, era chiaro che non fosse felice di questa notizia, ma non poteva e non voleva parlarle, prima voleva che incontrasse quell’uomo. A qualsiasi costo.
“Bene. Lo incontrerò, ma voglio che sia chiara una cosa” disse, continuando quello che stava facendo, senza degnarlo di uno sguardo, volgendogli addirittura le spalle. “Io, ed io sola deciderò quando tornare indietro e non mi piegherò alla volontà di nessuno, se non alla mia, a costo di scendere da questa nave ed andare a vivere su qualunque pianeta. Non mi obbligherai mai a fare una cosa che non voglio”.
Era arrabbiata, arrabbiata con lui. 
Credeva che la volesse scaricare e non voleva dargliela vinta, ed era anche disposta a rimanere in quell’universo temporale solo per fargli un torto. 
Harlock non disse niente. Non voleva influenzarla, ma la sua reazione lo colpì.
“Voglio solo che tu lo incontri, lo manda Nami, è lei che caldeggia questo colloquio” le disse per invogliarla.
Joy si girò di scatto, alzò lo sguardo e lo fulminò. Aveva toccato un argomento su cui non era molto propensa a fargli sconti: Nami.
“È stata lei la tramite e questo non c’entra niente, con la vecchia storia dell’incursione al Palazzo del Governo” le disse frustrato, neppure per lui era facile gestire questa situazione.
Rifletté qualche secondo e poi decise di farle una proposta. 
“Vuoi vederla? Posso portartici, ma ad una condizione: incontrerai quest’uomo e ti farai spiegare esattamente quello che devi fare per tornare indietro, nel tuo arco temporale”.
Joy smise di fare ciò a cui si stava dedicando, si girò di nuovo e lo fissò dritto in faccia.
“Ti ringrazio della gentile offerta” gli disse con un tono leggermente caustico “Ma non mi comprerai con una visita a Nami. Ci andrò da sola. Quando vorrò andarci, farò quello che mi pare, adesso, domani e tra vent’anni, e ora se hai finito, perché non ritorni da dove sei venuto?” gli sentenziò con astio.
Era ferita, sempre più arrabbiata e aveva un gran voglia di mollargli un ceffone.
L’aveva evitata in tutti i modi possibili ed immaginabili, ed ora si palesava così, per una semplice comunicazione. Le sembrava si prendesse gioco di lei. A questo punto cominciava a credere di non averci mai capito niente, di essersi immaginata sentimenti che evidentemente da parte sua non c’erano mai stati. Forse lei era stata solo un piacevole diversivo, un’occasione ghiotta che non andava sprecata in tempi di magra. Era davvero delusa e amareggiata.
Harlock per conto suo non aggiunse altro. Uscì e si allontanò. Non che fosse stato semplice neppure per lui, non gli piaceva vederla così, ma voleva tenacemente che incontrasse quell’uomo, e se il prezzo da pagare era che lo odiasse, non c’era problema, l’avrebbe pagato, come ogni conto che gli aveva presentato il destino. Perché per lui era più importante ciò che era giusto per Joy, piuttosto ciò che lui desiderasse.


Passarono due giorni e Daisuke Akido, come da accordi presi, era stato fatto salire sulla nave. L’uomo aveva parlato privatamente solo con Joy e le aveva spiegato esattamente cosa dovesse fare per poter tornare indietro, nel suo arco temporale. Lei però non aveva ben capito come mai suo padre dalla Terra non fosse potuto mai tornare in quell’universo dove si trovava lei attualmente, e da dove lui proveniva, ma l’uomo le disse lapidario che l’avrebbe capito solo quando fosse tornata indietro, che non poteva dirle una sola parola riguardo ciò, perché poteva essere molto pericoloso. Era una cosa che proprio non poteva sapere, finché non fosse stata nuovamente a Londra. 
Le fece delle raccomandazioni specifiche e le disse di attenersi strettamente alle sue indicazioni. Poi le consegnò anche un trasmettitore che le consentiva di mettersi in contatto con lui, in qualsiasi momento e per qualsiasi emergenza avesse avuto, o se avesse incontrato qualche problema al momento del passaggio. La salutò, raccomandandosi caldamente di nuovo di attenersi alle sue indicazioni specifiche. Quindi fu fatto nuovamente scendere dalla nave e l’Arcadia ripartì in fretta.


Joy era da poco rientrata nei suoi alloggi ed era stanca. Si era appena fatta una lunga doccia molto calda. Poi si era buttata vestita sul letto con gli occhi chiusi. Aveva un disperato bisogno di rilassarsi. 
Quello di cui aveva parlato con il professor Daisuke Akido la stava facendo riflettere molto. Il passaggio da una dimensione all’altra non era una cosa da doversi per forza fare nell’immediato futuro.
La cosa fondamentalmente importante, era che si attenesse scrupolosamente alle regole e che rispettasse i giusti tempi; così, per fortuna, almeno quella non era una cosa che dovesse decidere subito. Poteva finire il suo lavoro e poi pensare seriamente a quello che volesse veramente fare.
Un lieve bussare alla porta la distolse dalle proprie considerazioni. 
Il cuore le fece un balzo in petto e corse ad aprire, ma davanti non si trovò Harlock, come si sarebbe aspettata, o meglio come avrebbe sperato, bensì Yama.
Era molto serio “Posso parlarti un momento?” le chiese.
Lei fece cenno di sì con la testa, e lo fece entrare.
“È difficile per me affrontare questo argomento, ma credo che tu possa essere la sola persona nell’intero Universo che forse può aiutarmi. Hai parlato con quel professore dei viaggi nel tempo vero? Lo so perché ne ho parlato anche con Nami…” le disse prendendo la cosa un po’ alla larga.
Lei che forse cominciava a capire che cosa potesse volere, annuì un po’ preoccupata di ciò che avrebbe potuto chiederle.
“Ho saputo che viaggiare nel tempo è difficoltoso e non è detto che si possa tornare indietro. Quindi, suppongo che, se io lo facessi, alla fine non è sicuro che riuscirei a risolvere il mio problema…” cominciò a sostenere un po’ titubante.
Joy annuì di nuovo.
“Mi hai detto di considerarti come una sorella. Allora te lo chiedo come se fossi per davvero tuo fratello: ti prego, quando tornerai indietro, puoi cercare un modo, una maniera, non lo so neppure io come, ma una qualsiasi cosa che dopo, nel futuro, mi impedisca di far saltare quella stramaledetta serra?”. I suoi occhi brillavano, per l’intensità del dolore che ancora vi si rifletteva dentro e lei si sentì stringere il cuore, avrebbe davvero voluto tanto aiutarlo, ma come poteva promettergli una cosa del genere? Era una follia.
Joy gli strinse a sua volta le mani e lo guardò dritto negli occhi “Yama credimi se potrò farlo lo farò con immenso piacere, anche se credo sia impossibile”.
Non si sarebbe mai sognata di giocare con i sentimenti di quel ragazzo, a cui anche lei si stava stranamente affezionando molto.
“Non devi promettermi niente se non che proverai almeno a trovare una strada. Non pretendo l’impossibile, ma vorrei avere la certezza che se mai ci fosse un modo, tu lo farai”. 
“Sì. Te lo prometto” gli disse lei sincera.
Lui, in un impeto di sincera gratitudine l’abbracciò e Joy tutto sommato, ne fu felice. Era un bel contatto umano, di cui aveva proprio bisogno e contraccambiò volentieri quell’abbraccio che le regalò una bella sensazione di pace e di serenità.
Anche Yama fu rasserenato, ma lo colpì una cosa; fu investito dal profumo della ragazza che gli sembrò molto familiare, ebbe la netta sensazione di aver avuto un déjà vu. Era certo di riconoscerlo, ma non capiva come potesse essere possibile, dato che era l’odore naturale di una persona e non un’essenza e lui, Joy, senza ombra di dubbio, l’aveva conosciuta lì…
Scacciò questi pensieri e le sorrise “Grazie. Mi sarebbe piaciuto avere una sorella come te” disse sincero.
Lei gli scompigliò i capelli affettuosamente “Anche tu non sei male, quando non fai il gradasso” le disse sorridendo. “Ma in fondo sei un ragazzo molto sensibile, anche molto forte. Credo che diventerai un uomo molto in gamba. Cerca però, di pensare un po’ più al tuo futuro e un po’ meno al tuo passato. Promettimi che ci proverai” gli disse.
Yama annuì e poi si congedò, era tardi e non voleva approfittare oltre della sua disponibilità.

Capitava che qualche volta Harlock facesse qualche passeggiata nei pressi della cabina di Joy.
Fu così che, con un tempismo straordinario, arrivò preciso nel momento in cui Yama usciva dalla stanza della ragazza. Normalmente si sarebbe contrariato, invece, stranamente, vedere uscire quel ragazzo, non gli fece nessun effetto, né caldo, né freddo e la cosa sorprese lui per primo. Come mai? Di certo non era perché non gli interessasse di lei. Eppure, inspiegabilmente, era come se fosse matematicamente sicuro che Yama non potesse in alcun modo essere un suo rivale, era una cosa che sapeva con certezza inconfutabile, pur non riuscendo a spiegarselo in alcun modo razionale. Il fatto era che non era andato lì con l’intento di spiarla e neppure di cercarla, ma qualcosa dentro di lui lo spinse a fare quel passo, così quasi senza rendersene conto bussò alla porta della cabina di Joy.
Lei aprì, pensando che fosse Yama che si fosse dimenticato qualcosa, invece a sorpresa, questa volta, si trovò davanti proprio Harlock. Il cuore le fece una capriola in petto, schizzandole direttamente in gola, galoppando fortissimo in una sorta di corsa impazzita che le tolse il fiato. “Ti devo parlare” le disse, guardandola in un modo completamente diverso da quello quasi indifferente dell’ultima volta.
Joy, cercando di tenere a bada le palpitazioni, ci pensò su qualche secondo, era combattuta tra la voglia di sbattergli la porta in faccia e chiedergli mille spiegazioni. Alla fine vinse la ragione, si fece da parte e lo fece entrare. Solo che lui era entrato, ma non stava parlando, che novità!  Entrare e fare scena muta, fissandola, era la sua specialità.
“Allora?” gli chiese spazientita, mentre il suo cuore ballerino continuava a galoppare.
Harlock in realtà stava cercando le parole giuste. Era anche lui un po’ agitato, nonostante sapesse dissimulare molto bene. 
“Sono qui per farti capire alcune cose” cominciò a dire, prendendola molto alla larga.
Joy non sillabò e continuò a guardarlo, aspettando. Nonostante tutto ne era innamorata e averlo lì, nella sua cabina che la stava guardando, le faceva sfarfallare lo stomaco, anche a dispetto di tutta la rabbia ed il dolore che aveva provato in quei giorni. 
La cosa assurda era che sembrava un’altra persona, rispetto a giorni prima e questo le fece quasi paura. Non si riusciva mai a capire con esattezza chi fosse il vero Harlock, quello indifferente, freddo, calcolato, o quello di adesso davanti a lei: serio, leggermente agitato, forse addirittura impacciato?
“Lo so che ti ho fatta star male. Ma volevo che tu incontrassi il professore. Tu non ti rendi conto, ma mi hai manifestato in molti modi e in varie occasioni la volontà di voler tornare sulla Terra” le spiegò, fissandola come solo lui sapeva fare, per scrutarla dentro e per cercare di non lasciarsi sfuggire ogni sua reazione.
Questa cosa la colpì come un’improvvisa doccia gelata. 
Era assolutamente vero, sebbene anche lei avesse tutt’ora mille ripensamenti, era come se sulla giostra dell’incoerenza, una volta sceso lui, ci fosse salita lei.
“Credi che avrei dovuto non tenerne conto?” le chiese, fissandola intensamente.
“Suppongo di no” gli rispose sincera, mentre cercava di sostenere il suo sguardo. 
“Intuendo quali potessero essere i tuoi desideri, ho creduto giusto, per prima cosa, sistemare questa faccenda. Darti modo di avere la tua chiave, per poter aprire la tua porta temporale, come e quando riterrai opportuno. Libera da ogni condizionamento esterno”.
E quindi? Le sarebbe salito subito sulle labbra, ma si trattenne, voleva proprio sentire che altro avesse avuto da dirle.
Harlock però non parlava, la guardava, anzi continuava a scrutarla a fondo, come aveva fatto la prima volta che l’aveva vista, credendola un ragazzo, come se ancora una volta stesse cercando di analizzarla e di capire i suoi pensieri, come se volesse leggerla.
“Cos’è? Aspetti che ti ringrazi?” gli chiese appena pungente “Grazie!” disse alla fine appena piccata.
“Non esattamente” pronunciò lui con calma controllata. “In realtà, vorrei sapere che cosa pensi”.
“Di cosa?” chiese Joy appena confusa.
Lui sospirò appena frustrato “Del tempo!” sbottò. Non era facile fare quella conversazione, stava cercando di metterla in condizione di non svicolare e di essere chiara, di fargli capire che cosa realmente desiderasse.
“Mi prendi in giro?” s’indispettì la ragazza che non lo afferrava.
“Sei tu che fai finta di non voler comprendere. Mi adeguo” rispose serio.
Era sempre molto calmo, ma molto determinato nell’andare fino in fondo. Questa volta con le spalle al muro ci sarebbe andata lei.
“Vuoi sapere se desidero tornare a casa?” lo sfidò, credendo di aver centrato il punto.
“No, so già che lo desideri, forse lo so meglio di quanto non lo sappia tu stessa. Voglio solo sapere quando lo farai” le chiese infine, senza mezzi termini. Era inutile girare in torno a quella domanda, che era il perno su cui poi ruotava tutto il resto.
Ma Joy non era Harlock. 
Era molto più diretta di lui.
“Dipende da te” gli rispose ribaltando completamente la situazione, mentre una strana agitazione la stava assalendo, non si rendeva bene conto dove stessero andando a parare, dove lui volesse arrivare.
Harlock sapeva che sarebbero arrivati a quel punto,

nonostante questo, lo aveva spiazzato, perché era riuscita a prenderlo ancora una volta in contropiede.
Si agitò. Si era fatto tutto un percorso mentale per poi arrivare al momento più difficile e cruciale, ma lei c’era arrivata molto prima di quanto lui avesse calcolato.
Si arrese.
“Che cosa vuoi sapere?” le chiese. 
Non poteva tirarsi indietro. 
“Che tempo fa!” gli rispose lei leggermente sarcastica, usando i suoi stessi metodi. Era come se fosse in bilico su una corda e la calma pacata di lui la stava facendo innervosire.
Perché non riusciva ad essere diretto, almeno una volta? 
“Non ti ho mai presa in giro” le disse molto serio, girando subito dopo lo sguardo altrove, come per cercare appiglio in qualcosa. Era irrequieto e anche Joy se ne accorse. Alla fine non era poi così sciolto. Determinato magari sì, ma pronto a sbottonarsi facilmente, non molto. Era la sua natura, non lo faceva di proposito.
“Lo spero bene, anche se onestamente ne ho dubitato!” commentò seria. “Pensavo che si capisse. Che fosse chiaro, che non ci fosse bisogno di chissà quali spiegazioni” asserì appena spazientito. Gli era davvero ostico parlare di quello. “Ma capisco che forse non tutti ragionano come me” ammise onesto. Odiava cortesemente parlare di certe cose, preferiva andare in missione e rischiare la pelle, di sicuro gli costava meno fatica fisica e mentale, che stare lì in quel momento. Si stava facendo violenza, sebbene fosse convinto di fare la cosa giusta.
Emise un sospiro piuttosto forte.
Joy capì che fosse in forte difficoltà, ma nello stesso tempo, pian pianino stava riacquistando un briciolo di speranza e non fiatava, quasi tremava. Ascoltava e basta.
“Intanto sono venuto” cominciò infine a dire serio, incrociando le braccia al petto in modalità difesa, perché quella era la parte più difficile di tutto ciò che era nei suoi intenti. “Da te. Come avevi chiesto” specificò a scanso di equivoci.  Ce ne erano stati fin troppi ultimamente, bisognava essere estremamente chiari. 
Joy pensò seriamente che volesse farla morire di un attacco cardiaco, ma si guardò bene dal parlare e continuò ad ascoltare, in una sorta di attesa incerta, incredula, non voleva neppure farsi sfiorare dall’idea che potesse davvero dirle ciò che lei desiderava sentire.
“Prima di ogni altra cosa, voglio assolutamente che tu sappia che hai dato alla mia vita uno scopo che non avevo neanche il diritto di sognare. Lo hai fatto senza pretendere niente in cambio, semplicemente perché sei fatta così. Sei un’entusiasta, ma soprattutto perché hai una sorta d’ingenuità e una purezza di fondo che mi disarmano. Con te cadono le mie difese. Non avevo capito fino ad ora quanto, nonostante tutto, desiderassi vivere, continuare ad aprire gli occhi ogni giorno, per cercare di trovare un modo per rimediare al mio sbaglio. Hai abbattuto le mie barriere con delicata tenacia, colpo dopo colpo. E poi, molto importante per me, è il fatto che con te posso tranquillamente condividere il silenzio, perché non hai bisogno parole per riempirmi di pace”.
Joy rimase pietrificata, incredula e anche senza fiato, letteralmente. Le si piegarono le ginocchia, dovette fare uno sforzo enorme per rimanere dritta e non appoggiarsi alla parete. Le aveva detto delle cose così belle e così profonde, che le stava venendo da piangere, dovette sbattere le palpebre per ricacciare le lacrime indietro. 
Ma Harlock non aveva ancora finito. “E non pensavo neanche lontanamente che fosse possibile ma ...”
La ragazza però lo interruppe immediatamente e gli poggiò le dita sulle labbra “No. Non dire altro! Non serve” gli fece sapere seria. Era pienamente consapevole, che per come era fatto lui, si fosse spinto anche troppo oltre, non voleva che oltrepassasse ulteriormente i suoi limiti. Non era necessario. Ciò che voleva sapere, lui l’aveva ampliamente ed egregiamente espresso. Non voleva che si sentisse costretto a fare promesse o a dire cose solo per compiacerla, quello che le aveva appena manifestato era moltissimo e le bastava.
Harlock a dire il vero non capì esattamente perché lo avesse interrotto, ma fu sinceramente felice di potersi azzittire. Era stato tutto assai arduo per lui. Quello che le aveva detto era la pura verità, ed alla fine era stato anche contento di averlo espresso a voce alta.
“A dire il vero mi avevi già conquistata al Sono venuto da te, come avevi chiesto. Già quello mi era più che sufficiente” gli disse, avvicinandosi e carezzandogli una guancia.
Joy capiva la fatica enorme che aveva fatto e per questo apprezzava ancor di più il valore di ciò che le aveva detto.
Lui, istintivamente, poggiò la propria mano su quella di lei, si sorprese a riscoprire una sensazione di calda euforia. Era un turbamento di antiche memorie che aveva il vago profumo delle rose e dei giardini, l’ebbrezza di quei primi sospiri, che affogano in gola e che sconvolgono i giovani animi ancora ignari delle pene d’amore. Non avrebbe mai potuto neanche immaginare di poterlo assaporare di nuovo.

Rimasero fermi a guardarsi, abbastanza storditi da questo istante che li stava coinvolgendo così fortemente a livello emotivo, anche se su due livelli completamente diversi. Perché loro due erano sentimentalmente diversi. 
Diversi, ma complementari.
“Però non hai ancora risposto alla mia domanda” puntualizzò lui, fissandola negli occhi con una luce completamente diversa nello sguardo: calda e penetrante, tanto da riscaldarla dentro.
“Il più tardi possibile. Almeno fino a quando mi sarà concesso, io resterò.” rispose lei di getto, sincera, ricambiando quello sguardo intenso.
Aveva davvero temuto che Joy avesse dovuto andarsene via subito, o nell’immediato futuro. E nonostante tutto, non era ancora preparato ad un concetto così definitivo.
Ora però senza altri indugi, né incertezze, era davvero giunto il momento di godersi questa cosa tra di loro.
Joy, da parte sua, stava pensando cosa potesse dire per dimostrargli i propri sentimenti e si trovava a sua volta in enorme difficoltà.
Era troppo emozionata per poter articolare un discorso compiuto. E comunque non sarebbe mai riuscita ad esprimersi come aveva fatto lui. Forse al momento, stranamente, era più bloccata di Harlock stesso, perché non si sarebbe mai aspettata così tanto da lui. Alla rivelò ciò che pensava, di getto, senza rimuginarci troppo su.
“Mi hai attribuito delle cose fin troppo belle…” cominciò abbastanza confusa, abbassando appena lo sguardo sulle sue labbra, perché a volte quell’iride color miele che s’incupiva era impossibile da sostenere.
“Ma non credo di avere fatto niente di che. Credo solo di avere seguito il cuore. Ho davanti un uomo particolare, ma molto speciale. Un uomo che ha dei valori profondi, che ha degli ideali per cui è disposto a sacrificare non solo la vita, ma addirittura l’intera eternità al loro servizio. È una cosa davvero nobile, una missione dettata dall’amore per quello in cui credi. È straordinario. Tu sei così diverso e credo unico. È davvero impossibile non volere il tuo bene. Sei pronto anche a morire per gli altri, anteponi sempre il benessere di chiunque al tuo. Senza contare cosa non hai fatto per me. Da quando sono arrivata su questa nave, ogni singola cosa, anche la più piccola, mi ha parlato chiaramente di chi sei, anche se tu non parli mai. E ora capisco perché. Tu sei l’uomo del fare non del parlare, come mi avevi spiegato. Solo che è stato difficile capirlo. Probabilmente perché sono stata poco ricettiva… ma attraverso la luce del tuo sguardo, hai saputo dirmi cose bellissime” concluse ancora un po’ stordita.
Harlock accennò un mezzo sorriso. Come se fosse imbarazzato. E lo era davvero. Da anni era completamente estraneo a questo tipo di conversazioni. Non erano nelle sue corde. Le evitava come la peste bubbonica. Lo mettevano a disagio. E anche adesso, aveva una vaga voglia di scappare via. Era un riflesso incondizionato, ma ovviamente non lo fece. Essendo estremamente chiuso ed introverso, non faceva mai grossi complimenti a nessuno, ed innalzando i suoi muri, faceva in modo che non li facessero neppure a lui. Quindi riceverli lo turbò appena.
Ora che si erano chiariti e spiegati non sapevano bene che fare, che dire, né che direzione prendere, si fronteggiavano leggermente storditi.
C’erano ansia e felicità che si mescolavano tra loro, in un turbine che  toglieva il respiro. Non c’erano mai certezze in questa cosa tra di loro. 
Harlock la osservava. Il suo sguardo calmo e attento, scivolò come una carezza lungo la sua figura. Se fosse stato possibile, la trovava più bella e più desiderabile di come la ricordasse l’ultima volta che erano stati così vicini. In realtà, gli era sempre piaciuta, anche quando pensava, o inconsciamente faceva finta di pensare, che fosse un ragazzo. Lei aveva questi lineamenti così particolari e così delicati, tanto da essere femminile e bella, senza aver bisogno di essere provocante. Libera da ogni malizia studiata, a volte aveva certe movenze che lo incatenavano senza che lei neppure se ne rendesse conto.
La trovava semplicemente perfetta, non riusciva neanche a trovarle un difetto, neppure in quelle cicatrici, di cui per assurdo era quasi grato, perché senza sarebbe stata fin troppo desiderabile, e gli uomini non l'avrebbero mai lasciata in pace
(1), e non poteva neppure immaginarla tra le braccia di un altro.
Gli piaceva molto anche il suo carattere agro dolce, impulsivo, a volte un po’ immaturo, ingenuo, altre invece estremamente forte e volitivo. Trovava irresistibile la sua impertinenza e la sua attitudine alla discussione, la sua testardaggine, ma soprattutto era fatalmente attratto dal fatto che non si arrendesse mai, che lottasse e non si piangesse addosso, neppure quando ne aveva motivo. Era una vera guerriera, sebbene nel senso più strettamente metaforico del termine, ma per questo non meno degna della sua ammirazione.
Mentre pensava a tutte queste cose, era molto indeciso su come muoversi. D’istinto avrebbe voluto abbracciarla, baciarla e soprattutto fare l’amore con lei, ma si domandava se fosse il caso. Si erano appena riavvicinati e temeva di fare un passo falso, nell’essere troppo precipitoso. 
Non voleva essere frainteso. 
Così le sorrise e fece un tentativo di congedo: “È meglio che io vada, ci rivedremo domani con più calma”.
Joy rimase un po’ stupita e leggermente stranita da questa sua decisione, ma alla fine pensò che in fondo, forse aveva ragione lui, non c’era bisogno di affrettare subito i tempi, anche se non le sarebbe affatto dispiaciuto se fosse rimasto. Però non disse niente in merito, per gli stessi identici motivi che avevano frenato lui: non voleva essere fraintesa.
Entrambi erano troppo storditi, dovevano ancora rendersi bene conto di che cosa fosse appena accaduto.
Harlock stava per andarsene, ma poi ne convenne che almeno un bacio poteva anche darglielo. E, comunque, la verità era che ne aveva una gran voglia e decise di non privarsene.
Con naturalezza le si avvicinò, le poggiò una mano sulla guancia, facendola scivolare appena dietro l’orecchio, quindi si chinò e le baciò le labbra, in modo piuttosto delicato, ma non si fermò ad un singolo tocco, la sua bocca era un richiamo troppo forte per essere sbrigativo. Joy gli prese l’altra mano rimasta libera e intrecciò le dita con le sue, mentre rispondeva a quella serie di baci lievi e delicati, ma seducenti. 
Alla fine cominciarono a baciarsi sul serio, in maniera molto coinvolgente. Le loro labbra si fusero in un solo respiro, mentre quel bacio divenne sensuale ed esigente, mossi da gesti loro familiari, si strinsero l’uno contro l’altra.
“Potresti anche restare..” gli alitò lei sulla sua bocca, carezzandogli le labbra con il calore del suo fiato corto.
“Potrei…” soffiò piano lui, riprendendo subito a baciarla, facendo in modo che le loro bocche si avvicinassero di nuovo fino a toccarsi, per allontanarsi appena e poi sfiorarsi ancora, in una danza di guizzi leggeri, più o meno intimi, fino ad arrivare a baciarsi nuovamente, in un modo decisamente intenso e caldo.
Mentre continuavano questo gioco di labbra, Joy pensò che fosse nato per baciare, perché non aveva mai trovato un uomo che baciasse così bene e senza mai avere fretta di passare ad altro. Di solito erano egoisti e piuttosto sbrigativi, vogliosi di arrivare al sodo. Lui no. Era una cosa che le piaceva moltissimo. Come tutto il resto di lui, a dire il vero. Eppure, nonostante ciò, sentiva che Harlock ancora non avesse espresso tutta la passione che doveva covare dentro, era come brace sotto la cenere, aveva capito che lui fosse come fuoco vivo e devastante, e che se fosse stato appiccato l’avrebbe travolta: questo le piaceva e la intimoriva allo stesso tempo, per questo lo lasciava sempre condurre.
Alla fine, Harlock, seppur riluttante, si staccò da lei, facendo un passo indietro. “Potrei restare, è vero, ma è meglio se vado come stabilito. È molto tardi, ed è meglio riposare” disse caparbio e fermo nel suo intento. Quando decideva una cosa, neppure le cannonate lo facevano desistere. E comunque era anche vero che avesse ancora un paio di cose urgenti da sbrigare.
Joy fece una smorfia e arricciò il naso, mascherando male un certo disappunto, i suoi sensi si erano accesi quanto quelli di lui, ma non obiettò. In effetti era tardissimo, forse era giusto così, un po’ di attesa non avrebbe guastato: anzi, avrebbe solo rimandato qualcosa che sarebbe stato sicuramente più bello e coinvolgente.
Harlock le dette un ultimo fugace bacio sulle labbra e poi se andò.



NOTE
- (1)
Frase ispirata dalla citazione: "Sei così bella che è davvero un peccato. Se non avessi le cicatrici, però, saresti troppo bella e i ragazzi non ti lascerebbero mai in pace."  tratta dal libro Il coperchio del mare di Banana Yoshimoto Grazie infinite mamie per avermela fatta conoscere
- In seconda battuta, volevo avvisare i lettori che questo capitolo è il risultato dell’accorpamento di due capitoli della prima versione. Accorpamento che ho ritenuto necessario in quanto secondo me, ad una rilettura accurata, risultavano simili e a tratti ripetitivi. Se qualcuno trova qualche discrepanza, o qualcosa che non gli torna me lo faccia sapere. Grazie :)

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Capitolo 27
*** Piccoli passi nel giardino segreto ***


Buonsalve gente. Oggi aggiornamento sabato sera. Consueto RI-postaggio di DUE capitoli.
Nel ringraziare chi continua a leggere, e in particolare chi commenta, auguro a tutti un buon week end e una buona (spero) lettura :)

 

  .26.

 

 

PICCOLI PASSI NEL GIARDINO SEGRETO

Ci sono giorni che si assomigliano, e giorni che sono completamente diversi ma ugualmente simili per emozione ed intensità.
Così come prima c’era stata la volontà assoluta di nascondersi l’un l’altra, quel giorno c’era stata la volontà opposta. Di guardarsi, cercarsi, anche durante le loro occupazioni. Con il semplice gusto di poter comunicare ed essere complici con uno sguardo, un gesto, un ammiccamento che solo loro due capivano e che escludeva tutto il resto.
Erano un po’ come furtivi amanti che, nell’attesa dell’incontro fatale, comunicano nella loro personalissima lingua, fatta di sguardi e promesse da esaudire a breve, nelle ore riservate alla notte, ritornata nuovamente ad essere amica e complice di entrambi.
Era capitato che solo il giorno seguente al loro importante chiarimento, Harlock fosse andato già quattro volte in laboratorio con le scuse più insensate dell’Universo solo per vederla. Arrivava, farfugliava due sciocchezze e andava via di nuovo.
Lo stesso aveva fatto Joy, passando svariate volte dalla Plancia di comando, come se fosse stato casuale e invece non lo era affatto. Anche lei voleva solo vederlo.
I loro sguardi si incrociavano e si scambiavano promesse mute e segrete, a volte anche ardite, perché lui riusciva veramente a farla avvampare, con quell’espressione magnetica e imbronciata, che a volte la mandava in debito d’ossigeno, perché sentiva quello sguardo come se potesse arrivare ad accarezzarle la pelle oltre la stoffa dei vestiti.
E aleggiava questa sorta di clima di zucchero filato e canditi, sembrava quasi di percepirne il profumo appena dolciastro nell’aria. Non era una cosa stucchevole, ma piuttosto una cosa gioiosa. Quegli odori così genuini rimandavano alla meraviglia estasiata delle prime volte dei bimbi al parco divertimenti, dove tutto è bello, colorato, carico di grandissime promesse e meraviglie da scoprire. Così, al momento, era anche per loro.

Quella stessa sera si erano ritrovati nell’alloggio di Joy. C’era andato lui, per l’ennesima volta, a riportarle la chiave della sua cabina. Alla fine erano rimasti lì, perché l’impeto prepotente del desiderio li aveva sopraffatti e non c’era stato né il tempo, né la voglia di trasferirsi altrove. Avevano fatto l'amore, allacciati in un groviglio di fremiti, labbra, sudore e sospiri carichi di passione, e ora si ritrovavano piacevolmente spossati su quel letto troppo piccolo, soprattutto per lui.
Harlock stava supino, con un braccio piegato sotto la testa e l’altro mollemente appoggiato sulla schiena di lei. La stava accarezzando distrattamente, con la palpebra chiusa completamente rilassato. 
Joy era nella posizione opposta, sdraiata quasi completamente sopra di lui, con la guancia appoggiata sul suo petto, all’altezza del suo cuore, di cui percepiva i battiti: lenti e regolari, con una gamba accavallata sul suo fianco e gli occhi chiusi. Una mano era abbandonata lungo il corpo, mentre con l’altra gli carezzava i capelli alla base del collo.
Svegli, tranquilli, completamente appagati. 
Stavano condividendo il silenzio. La pace.
Rimasero così per un lasso di tempo indeterminato. In uno stato di grazia quasi perfetta.
Poi d’un tratto lui parlò. Il tono della sua voce era basso e carezzevole.
“Stavo riflettendo sul fatto della non conoscenza tra di noi e mi è venuto a mia volta spontaneo farmi delle domande su di te” esordì a sorpresa.
Joy girò lentamente il viso, spostò la mano dai i capelli di lui e poi ci appoggiò sopra il mento per guardarlo dritto in viso.
“Che cosa vuoi sapere?” gli chiese incuriosita. Non le aveva mai chiesto nulla fino ad allora, dopo tutto le parve una piacevole novità.
“Mi chiedevo, come ti sei chiesta tu su di me, se sei mai stata innamorata…” le buttò lì, con quasi noncuranza. Come se parlasse di una cosa banale.
Lei arrossì appena. Era stata colta alla sprovvista da questa domanda improvvisa, quasi a trabocchetto. Si sarebbe aspettata qualsiasi cosa, ma non questo.
“Una volta sì…” ammise, dopo un breve pausa. Si trattava della sua prima vera storia seria all’università. A dire il vero aveva preso una bella tramvata. Niente a che fare con quello che provava adesso, ma anche quella volta non fu una cosa da poco, almeno non per lei.
Quella risposta dette leggermente fastidio ad Harlock, forse anche un po’ più che leggermente, ma fu propenso a dare credito solo al leggermente. Di certo si rendeva perfettamente conto che lei non fosse alla sua prima esperienza, e che non avesse conosciuto biblicamente solo lui, ma ciò non gli permise di essere completamente distante dalla cosa, come di solito gli riusciva bene fare.
“Chi era?” chiese con malcelata nonchalance.
Joy rimase piuttosto esterrefatta da questa specie di interrogatorio estemporaneo, uscito così dal nulla assoluto.
“Un compagno di università, ma come mai tutte queste domande?” chiese sinceramente interessata. Capiva che potesse essere curioso, ma che fosse anche geloso? 
“Così, per conoscersi…” rispose Harlock in tono tranquillo, quasi colloquiale. Si rese conto da solo che era il caso di smetterla subito. Non era proprio da lui un comportamento simile. Ma quella pulce maligna punzecchiava così sottilmente… avrebbe volto sapere, indagare, capire… ma si arrestò.
Una volta tanto, anche lei decise di far cadere il discorso, altrimenti ci sarebbe stata pronta un’altra bella discussione, perché lui, del suo grande amore, non aveva voluto parlare nella maniera più categorica, mentre a lei avrebbe fatto volentieri un bel terzo grado. 
Bisognava avere tanta pazienza, dopo tutto, sebbene notevole in tutti sensi, anche Harlock era pur sempre un uomo! 
Appena fatta questa considerazione, Joy si lanciò in una domanda che era un po’ che voleva fargli, ma per la quale non c’era mai stata l’occasione.
“A proposito di conoscersi, ma tu, come ti chiami? Ce l’hai un nome, proprio?” gli chiese, strizzando appena gli occhi con fare indagatore. Era una cosa che l’aveva sempre colpita. Harlock era un cognome e nessuno lo chiamava mai per nome, chissà perché, forse per una questione di gerarchia? Mah… ad ogni modo ora l’avrebbe saputo.
Notò subito che lui alzò lo sguardo al cielo, in un moto di mal celata frustrazione.
Il Pirata aveva segretamente sperato che, siccome non glielo aveva mai chiesto, non l’avrebbe mai fatto, e invece eccola là!
“Sì, certo che ce l’ho” rispose, corrugando appena la fronte con fare noncurante.
“Per caso è una cosa che non si può sapere?” lo punzecchiò per via della sua reticenza.
Lui fece una specie di smorfia di disapprovazione. Tacque alcuni secondi e poi cominciò a farfugliare grugnendo appena, a denti stretti, non facendole capire niente.
“Eh?” fece Joy che appunto non aveva inteso nulla.
“Fi..nfr..eni” fu un’altra incomprensibile risposta mugugnata a labbra serrate.
“Ma, allora!?” chiese lei quasi preoccupata. O che mistero celava mai il suo nome? Lo guardò perplessa, con aria molto interrogativa.
“Beh? C’è qualcosa di losco, o cosa? Se non puoi dirlo fa niente…” aggiunse, non capendo sinceramente che cosa lo frenasse così tanto.
Harlock sbuffò forte, veramente scocciato. Aveva proprio l’allergia al suo nome di battesimo.
“Franklin!” disse alla fine chiaramente, scandendolo, ma con una faccia alienata che era tutta un programma.
Lei scoppiò a ridere, ma che razza di nome era quello, per un uomo COME quello?!
“Ci avrei giurato!” commentò lui indispettito. Odiava quel nome, nessuno lo chiamava mai così e lui non ci teneva proprio ad essere appellato in quel modo.
Joy continuava a sghignazzare senza ritegno. Era davvero buffo vederlo in difficoltà, lui che era sempre così tutto d’un pezzo e compassato. Era una cosa che le piaceva, che lo rendeva molto umano, molto più vicino a lei.
“Smetti!” le intimò “Non è carino da parte tua. Non piace nemmeno a me, comunque se vuoi veramente ridere, sappi che non è completo” le disse a sorpresa.
“Ah no? Stupiscimi!” lo stuzzicò curiosa.
Lui, stando al gioco, si schiarì la voce come se dovesse annunciare qualcosa di veramente importante, quindi scandì solennemente: “Phantom Franklin Harlock Terzo”.
“Ammazza! Sei per caso anche nobile?” gli chiese Joy in tono scherzoso, lo sfottò era partito alla grande.
“Non credo” rispose il Capitano “Sei soddisfatta?” le chiese poi, passandole la punta dell’indice lungo la spina dorsale, in un’altra leggera carezza, nella segreta speranza che ora, per l’amor del cielo, non si mettesse a chiamarlo Franklin.
Apparentemente Joy non lo fece. Prima rimase un po’ ferma, gustando il sottile piacere di quella carezza lieve ad occhi chiusi, ma poi tornò alla carica e continuò con il chiedergli ciò che le premeva conoscere di lui.
“Vorrei anche sapere qualcosa in più di te. Che so, le tue origini, ma soprattutto, quello che mi incuriosisce di più: quanti anni hai?” gli chiese. 
Finalmente poteva togliersi numerose curiosità sul suo conto, quello che lo riguardava era sempre stato così misterioso e come avvolto da un alone di segretezza.
“Le mie origini sono tedesche” spiegò tranquillo.
“Ahhh! Quindi sei un crucco! Ecco perché bevi così tanto” commentò giocosamente la biologa.
Crucco non mi piace come appellativo e io non bevo tanto, bevo morigeratamente” puntualizzò serioso.
“E il nome non ti piace e l’appellativo non ti piace” cominciò lei come se gli stesse facendo una finta predica “Franz? Può andar bene?” gli chiese quasi seria.
“Assolutamente NO!” saltò su lui stizzito.
Joy si stava divertendo come una matta.
“Frank?”.
“No!”.
“Frankie??!”.
“Non ti azzardare, perché davvero non l’ho mai fatto prima, ma ti sbarco sul serio sul primo spazioporto!” la minacciò con un’occhiataccia delle sue e Joy non fu del tutto certa che scherzasse.
Nonostante tutto, riprese a ridere come una scema. Davvero non capiva se fosse serio, o se facesse la posa, in ogni caso era davvero ilare.
Questa volta lui per dispetto le ammollò una lieve sculacciata.
“Ahia!” si lamentò  la ragazza “Non farlo di nuovo sennò ti do un pizzico!” lo minacciò.
Harlock finalmente ridacchiò “E tu hai finito di sfottermi?” le chiese poi.
“Franz, ommiddio hai detto sfottermi???! Non ci posso credere! Dici anche le parolacce? Ma allora sei vero!” gli disse, sgranando gli occhi, spalancando la bocca e mimando una grandissima meraviglia.
“Sei veramente pessima!” le rispose, non riuscendo però a trattenere un sorrisino. In realtà, sotto, sotto, si stava divertendo anche lui. Era tantissimo tempo che non indulgeva in facezie, che non scherzava o ironizzava, ne aveva quasi dimenticato il sapore, era piacevole e rilassante.
“Mi sento di tranquillizzarti. Non ti chiamerò MAI Franz, né Frank, o Franklin. Rilassati, ero solo curiosa, preferisco chiamarti Harlock, come sempre”.
“Grazie. Avrai la mia eterna gratitudine!”.
“A proposito, ma me lo dici quanti anni hai?”.
Harlock intanto aveva ripreso a carezzarle la schiena, facendo una serie di disegni immaginari con la punta delle dita sulla sua pelle.
“Humm vediamo, tecnicamente sono centotrentasette. Praticamente, sono i miei naturali trentacinque, più centodue dal blocco genetico che ho avuto dalla contaminazione della dark matter” le spiegò velocemente.
“Quindi sei un trentacinquenne centenario...”. 
Che cosa strana pensò senza esprimerla.
“Praticamente sì”.
Joy divenne improvvisamente seria “Harlock ma com’è vivere per cento anni?” gli chiese, osservandolo come lo vedesse per la prima volta. 
Il Capitano sospirò e chiuse l’occhio “È stato terribile. Per lo meno, per come li ho vissuti io…” disse estremamente diretto e sincero. Poi aggiunse “Anche se è stato giusto così. Sarebbe stato troppo comodo per me poter morire, perché alla fine non avrei scontato la mia colpa e non avrei cercato nessun rimedio allo scempio che ho attuato. Ma il modo in cui ho vissuto tutto questo tempo non lo augurerei a nessuno, neppure al mio peggior nemico. Anche perché non ho vissuto, ma ho subìto la vita per ben centodue anni tondi” spiegò improvvisamente molto serio. Si era rabbuiato di colpo.
“Praticamente un ergastolo…” venne da commentare a Joy a voce alta, in tono grave. Doveva essere stata una cosa davvero pesante. Una condanna dolorosa, a cui lui si era consegnato senza reagire e che per sua stessa ammissione aveva subito, accettandola come giusta punizione.
“E non è detto che sia finita qui…” aggiunse Harlock molto scuro. Quello era davvero un argomento tosto e ancora troppo dolente, bastava poco e le ferite, ancora fresche, cominciavano a sanguinare copiosamente, tormentandolo.
Joy si accorse subito che si era intristito e che stesse male, ma capiva anche le sue ragioni. Appoggiò nuovamente la guancia sul suo petto e l’abbracciò. Come se in qualche modo volesse proteggerlo dal dolore, come se gli volesse trasmettere un po’ del suo amore, per calmarlo, dargli un po’ di ristoro, una tregua. 
“Fai finta di essere… in libertà vigilata” gli disse per smorzare la tensione. In qualche modo lui doveva metabolizzare questi argomenti, o ne sarebbe sempre stato succube. “Voglio dire che la situazione è davvero seria, pesante e anche molto difficile, ma forse uno spiraglio c’è. Ci stiamo impegnando. Stiamo cercando un rimedio e le possibilità sono poche, ma ci sono. È già qualcosa. A proposito di questo, devo dirti alcune cose su Caladan”.
Così prese l’occasione al volo e gli spiegò che cosa avesse trovato su quel pianeta e dell’enorme potenziale che avesse, grazie alle numerosissime serre abbandonate. 
Lì si sarebbero potute iniziare le prime colture e poi finalmente sarebbero potuti scendere sulla Terra, per capire ciò che si sarebbe potuto fare, e provare a sperimentare, magari trapiantandole. Nonostante tutto, bisognava essere fiduciosi e propositivi. Guai a lasciarsi andare alla disperazione, non sarebbe stato saggio, né sarebbe servito a nulla.
Harlock l’ascoltava e intanto però si domandava se fosse giusto, per lui, prendersi quella pausa dalla sua espiazione e stare bene, a fronte di quello che ancora gravava sulle sue spalle, in termini di enorme colpa nei confronti della Terra e del genere umano intero. Si chiedeva se ne avesse il diritto. E la risposta non era affermativa. Voleva stare con lei, ma non si sentiva degno di potersi concedere questo spiraglio di luce.
Tutto ciò lo faceva stare male, lo metteva in un conflitto tremendo e continuo. 
Perché lui era ancora costantemente impegnato nella sua furiosa battaglia interna. A volte vinceva la pace e allora stava bene, c’era spazio per una timida speranza, ma altre volte era il drago che aveva la meglio, e quando la bestia vinceva, lui ne veniva divorato, dilaniato e masticato fino ad esserne annientato. 
Fino ad ora era sempre riuscito a rimettere insieme i pezzi, ma era dannatamente faticoso. Aveva il dubbio di non avere nessun diritto di essere amato, né di amare. Credeva di essersi giocato quel jolly molti anni fa, e di avere perso la mano per sempre.
Ciò nonostante c’era lei, lei che lo abbracciava così, in modo puro e sincero, come una madre farebbe con un figlio. Un abbraccio che lui aveva percepito esattamente come lei aveva voluto trasmettergli: un gesto di consolazione, fiducia e amore. L’amore spontaneo e sincero di cui gli faceva dono ogni giorno.
Joy si era resa conto che Harlock stava cedendo, deragliando verso qualcosa che non le piaceva. Si era irrigidito e non solo nei gesti, era anche fisicamente teso con i muscoli tirati, l’espressione contratta. Lo aveva sentito con forza appena lo aveva abbracciato.
Se ne era dispiaciuta molto. Lei e la sua boccaccia. Non si era resa conto che facendo magari certe domande avrebbe potuto turbarlo.
“Mi dispiace” ammise a voce alta.
“Di cosa?” chiese Harlock, alzando appena la testa per guardarla meglio.
“Che ti sia intristito. Forse parlo troppo” ammise.
“No.” Sospirò “Tu non c’entri niente …”.
“Ti sei di nuovo chiuso...” si azzardò a dirgli “Hai mutato espressione. È ovvio che tu sia turbato. Però, magari se ti sfoghi, poi ti passa”.
Lui girò la testa dall’altra parte. Non voleva parlare. Lui non parlava mai era il suo tratto distintivo. 
Anche se alla fine le parole gli si affacciarono da sole sulle sue labbra, prima timidamente, e poi più decise.
Le confidò i suoi timori e anche ciò che lo turbava, riguardo la loro situazione e ciò che stavano vivendo.
Joy lo ascoltò e cercò di trovare le parole giuste per fargli capire il suo punto di vista.
“La domanda che ti dovresti fare è questa: ho risolto qualcosa passando cento e più anni a macerarmi, giorno dopo giorno, nel senso di colpa? Il tuo stare male è lecito sia chiaro, ma serve ancora a qualcosa? Mettiamo che tu decida di voler continuare a punirti. Mettiamo che adesso tu mi dica che ti alzerai e andrai via da questa stanza e non mi guarderai più in faccia. A cosa servirà? Forse sulla Terra magicamente cresceranno piante e fiori? Quello che intendo dire è che senz’altro dobbiamo assolutamente tenere ben presenti quali siano le nostre priorità e gli obiettivi da perseguire, ma se possiamo avere anche un po’ di felicità, nel frattempo, che male c’è? Credi che sminuisca qualcosa? Il problema è che tutti siamo convinti che stare male sia nobile, che stare male dia più valore all’amore, o a certe nostre azioni, come se queste, attraverso il dolore dovessero ridondare, e pensiamo che la gioia è roba da stolti, che non si possa essere felici e fare ciò che si deve, adempiendo ai compiti importanti della vita. Chi l’ha detto che bisogna solo soffrire? Credo che tu abbia pagato abbastanza per la tua colpa e comunque continuare a pagare non risolve il problema. Servirebbe solo a renderti infelice e basta”. 
Lui aveva ascoltato in silenzio la sua disamina così accorata e così diretta e aveva ragione, non c’era dubbio su questo, ma non era facile. Era abituato rigidamente ad un certo tipo d’impostazione mentale, non era certo possibile cambiare di colpo, neppure l’amore ti cambia così repentinamente, comunque le sue parole lo avevano in un certo qual senso rinfrancato.
“Quello che dici è vero. Ma non è così semplice per me accettare qualcosa che non ho mai accettato nella mia vita”.
Sentì il desiderio di abbracciarla forte, fu un moto di bene profondo, quel bene puro, candido, che viene direttamente dalla pancia che è il ricettacolo delle emozioni umane, una cosa che forse non aveva mai provato prima, perché mai gli era mai riuscito di arrivare a lasciarsi andare così tanto con un essere umano. Mai con una donna.

Il loro parlare si protrasse fino all’alba immaginaria che lo Spazio poteva regalar loro solo a livello mentale, dato che la notte, come sempre era perpetua, sebbene nel loro cuore, timidamente, un lieve chiarore si facesse strada.
Harlock riuscì, seppure in modo anche molto marginale, di sua totale spontanea volontà, ad accennarle qualcosa anche su Maya. Liberandosi in minima parte anche di quel senso di colpa antico, ma ancora profondo, vivido e doloroso. Come se avesse voluto una volta ancora scegliere quella strada intrapresa qualche giorno prima, e ovviamente scegliendo di nuovo lei, per tutto il tempo che il fato, o chi per lui, avesse voluto concedere loro.

Aveva dissotterrato dalla buca la chiave del suo giardino segreto e gliela aveva data perché lei potesse aprire quella porta chiusa da anni, ed entrarci, in punta di piedi a piccoli passi


NOTE  
Il nome Franklin è il vero nome di Harlock, lo sappiamo da L’arcadia della mia giovinezza.  Il III finale è una mia aggiunta, perché mi piaceva così!
Comunque siccome son curiosa sono andata a cercare l’etimologia del nome e guardate che cosa ho scoperto…
FRANKLIN: "Franco" - dal francone "frank", uomo libero. Da cui i Franchi che hanno dato il nome alla Francia. (Il maestro Matsumoto mica frigge con l’acqua eh?).
L’età di Harlock è stata un mio vezzo: 35 anni esattamente come quelli che erano, (all’epoca del primo postaggio) dalla prima volta che  vidi la serie TV, poi ci ho aggiunto 102 anni che faceva meno “preciso” di 100 tondi.
Comunque specifico che nella mia testa Harlock non ha, e non potrà mai avere più di 30, massino 35 anni e so’ pure troppi, perché è un pischello e si vede (io in confronto a lui sono una vera babbiona sapevatelo!) 

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Capitolo 28
*** Limbo ***


 Attenzione vi ricordo che posto sempre DUE capitoli e che prima di questo è necessario leggere il precedente, per ovviamente seguire la storia in modo corretto

 

 

.27.

 

 

LIMBO

I giorni seguenti furono un regalo.
Ogni momento, ogni singolo istante era comunque per loro importante perché condiviso. 
La condivisione, non importava che fosse per forza fisica, o presente, poteva anche essere mentale. Potevano stare uno da una parte e l’una dall’altra, ma essere comunque vicini. Perché l’empatia li stava legando in maniera indissolubile.
Come sempre e come insito nella loro natura, non tralasciavano indietro nessuno dei loro rispettivi compiti, anche perché era giunta notizia da Nami che il Consiglio della Gaia Sanction forse si sarebbe a breve di nuovo riunito, su richiesta pressante di Ezra. Di colpo era tornata ad incombere la concreta minaccia di un possibile imminente attacco.
Tutto ciò però non impedì loro di tenersi stretto il loro momento.
Avevano capito il valore di ogni singolo giorno e ora cercavano di mettere in pratica ciò che si erano ripromessi.
Così, come non poteva essere altrimenti, di giorno lavoravano alacremente, ma la notte apriva le porte al loro unico e personale Limbo, in cui c’erano solo loro due. Il resto rimaneva chiuso fuori dalla porta.
Questa volta, non solo Joy aveva la chiave della cabina di Harlock, ma anche lui aveva la chiave della cabina della ragazza. Avevano così accesso l’uno agli spazi dell’altra, senza limiti e restrizioni. In perfetto accordo e comunione.


Questa faccenda delle chiavi a volte era diventata un’arma a doppio taglio, perché era loro accaduto, come solo gli innamorati scioccamente fanno, di ritrovarsi in situazioni non solo piacevoli, ma anche strane, o paradossalmente buffe.
Come quella sera, che si erano trovati contemporaneamente: Harlock nella cabina di Joy e lei nella cabina di lui. Si erano inutilmente aspettati, a vicenda, per più di un’ora, quando la pazienza di lui, esauritasi per prima, lo aveva ricondotto al suo alloggio, dove aveva sorpreso Joy addormentata sul divano.
O quell’altra volta in cui lui, era arrivato nella cabina della ragazza e resosi conto che era sotto la doccia, non si era palesato, ma silenziosamente si era spogliato ed infilato in bagno direttamente, facendole prima prendere un colpo, per poi fare una lunga doccia insieme e finire in quel letto troppo piccolo, a fare l’amore completamente fradici, costretti subito dopo ad asciugarsi alla meglio per trasferirsi nella cabina di lui, dato che il letto di lei era impraticabile e completamente bagnato.
Erano come avvolti da uno stato di grazia. 

E poi c’erano i momenti d’intimità mentale, dove avevano preso a parlare.
La cosa più strana di tutte era stata che, paradossalmente, quello che alla fine, per i suoi standard, parlava di più era proprio Harlock, forse perché non riusciva a farlo mai con nessuno, non essendo empaticamente avvezzo a condividere i propri pensieri, una volta trovato il giusto interlocutore, un po’ come gli era accaduto con Tochiro, si stava aprendo. 
Non che stesse cambiando. 
Le persone non cambiano mai. 
Neppure l’amore può cambiare radicalmente il modo di essere.
Era sempre lui, con il suo carattere, solo che ora riusciva a condividere degli aspetti di sé e questo lo faceva stare bene, a prescindere dal loro rapporto, perché c’erano senz’altro delle cose che teneva chiuse nel suo giardino segreto e non le mostrava neppure a Joy, ma ce ne erano molte altre che gli fluivano fuori in modo naturale, dandogli la possibilità di alleggerirsi e di gustarsi la gioia della condivisione con qualcuno. 
Potevano condividere cose belle, cose tristi, cose buffe e anche cose veramente brutte, ma in due il peso era più leggero, questo è quello che stava lentamente imparando Harlock, e gli piaceva.
Il suo carattere però era comunque immutato. In realtà, per proteggere questo rapporto dalla curiosità o dall’intromissione dei suoi sottoposti, era diventato ancora più criptico e sfuggente di prima. Non intendeva condividere questa cosa con nessuno. Era stato pericoloso e anche destabilizzante quando, seppur ingenuamente, erano stati creati dei malintesi che avevano portato ad un doloroso allontanamento tra loro due. Non avrebbe permesso che accadesse un’altra volta. Per tutto il tempo che Joy sarebbe potuta rimanere, fosse stato un mese, un anno, o un secolo, nessuno si sarebbe dovuto mettere tra loro. L’unica cosa saggia da fare, era preservare la segretezza. Proteggere quella cosa tra di loro, come una leonessa protegge i suoi cuccioli. Per questo motivo all’esterno appariva più chiuso ed introverso che mai. 

Da quando poi era riapparsa la minaccia Ezra, si era davvero di nuovo incupito e spesso era come assente, oltre che molto occupato.
E quando aveva certe giornate delle sue, non era accomodante neppure con Joy. Lei ormai gli aveva preso le misure e lo lasciava fare, cercava di sopportare i suoi sbalzi d’umore e comunque capiva anche le sue preoccupazioni per la situazione, per il pericolo imminente e per la responsabilità di tutte quelle vite che doveva proteggere.
Harlock era anche molto impegnato mentalmente a riordinare tutte le strategie, fatte e appuntate in precedenza. Era in costante allerta, quindi la sera era solito tirare tardi, occupato nelle sue cose, persino quando rientrava in cabina spesso rimaneva a lungo indaffarato.
Joy, non volendo distrarlo, o essere invadente, si era offerta di lasciarlo solo più di una volta, ma lui le aveva manifestato il desiderio di avere accanto la sua presenza, anche se il più delle volte la ragazza finiva per addormentarsi molto prima che lui andasse effettivamente a letto. A lui non importava, gli bastava che fosse lì, vicina, a pochi metri. Poi una volta finito, s’infilava sotto le lenzuola e l’abbracciava, quindi si addormentava tranquillo.
Gli piaceva averla accanto, dormirci insieme anche senza per forza fare l’amore. Godeva anche semplicemente della sua vicinanza, del suo profumo, della pienezza di un abbraccio, del risveglio insieme, della sua aria assonnata e a volte imbronciata, delle coccole che ogni mattina gli faceva, a cui lui sottostava in religioso silenzio, con l’occhio chiuso, in relax, estasiato, che erano una sorta di carica positiva per affrontare meglio la giornata.
Da quando stava con lei, la qualità del suo sonno era sorprendentemente migliorata.
Finalmente il suo era un riposo pesante, vero, ristoratore e rigenerativo.
Una di quelle notti poi gli era capitata anche una cosa incredibile.
Aveva sognato.
Era davvero una vita che non gli accadeva.
Aveva sognato Tochiro ed Esmeralda. Lo sguardo innamorato del suo amico e quello fiero, ma addolcito della sua compagna. Erano così felici, gli andavano incontro, poi incoerentemente, come accade solo nei sogni, s’era ritrovato da tutt’altra parte. Da solo, su una spiaggia, sulla Terra… si era spogliato e si era tuffato in mare. Aveva cominciato a nuotare gustandosi, come se riuscisse davvero a percepirla sulla pelle, la carezza leggera dell’acqua, provando una sensazione di beatitudine.
Si sentiva come finalmente libero.
Libero da se stesso, dalle sue stesse catene.
Libero e leggero.

Un sogno bellissimo.

Joy quella mattina si era svegliata per prima. Era riuscita in qualche modo a sgusciare piano dalla presa di Harlock, senza disturbarlo. Come si era spostata, lui si era mosso nel sonno, mettendosi supino. Mugugnando appena.
Una volta tanto, prima che aprisse l’occhio, Joy si concesse il lusso di osservarlo in santa pace.
Ce l’aveva sempre davanti, ma poi in realtà non riusciva mai ad ammirarlo per bene, soprattutto in viso, per via di quella massa setosa e scomposta di capelli, che gli danzavano sempre sul volto, celandolo quasi del tutto.
Ora invece sembrava a sua completa disposizione, proprio come per farsi contemplare. 
Lo trovava bello come una creatura fiabesca, tanto le pareva perfetto, come una statua cesellata nel marmo dalla sapienza di uno scalpellino, ma forse non c’era neppure un modo per descrivere che cosa le agitasse dentro la sua presenza, le parole erano comunque riduttive. 
Sapeva di essere completamente ammaliata da ogni singola particella vitale di quell’uomo che stava placidamente e pesantemente dormendo, completamente nudo su quel letto che ormai era diventato una specie di loro rifugio intimo.
I capelli castani appena arruffati, come sempre, celavano scompostamente parte del suo viso. Joy, con la punta delle dita delicatamente li scostò, e quelli ricaddero gentilmente al lato del collo, scoprendogli il volto. Nel frattempo, lui arricciò appena il naso sospirando, ma restando placidamente addormentato. La ragazza sorrise e continuò ad osservalo ancora meglio: la fronte alta e spaziosa, era appena segnata da due timide rughe d’espressione, per via del suo essere così spesso pensoso e crucciato.
Il suo sguardo scivolò come una carezza, partendo dalle lunghe ciglia che frangiavano l’occhio sano, passando per il naso appena leggermente aquilino, le narici perfette. La cicatrice, profonda, ma così sorprendentemente armonica con i lineamenti del suo viso, che sembrava per assurdo quasi impreziosirli, come fosse stata un ornamento, piuttosto che uno sfregio. 
Le labbra schiuse, insolitamente piene per essere un uomo. 
La mascella forte, ma non troppo squadrata. 
Il collo proporzionato, le spalle possenti, larghe e ben delineate. Il torace ampio, muscoloso, perfettamente proporzionato, costellato anch’esso da alcune cicatrici che non ne compromettevano la maestosa bellezza. 
L’addome piatto, con la muscolatura appena delineata, forte. Le braccia abbandonate al lato del corpo, le mani virili, grandi, ma non grezze, né tozze, con dita affusolate. Mani forti e signorili allo stesso tempo. Mani che sapevano sapientemente sia uccidere che carezzare, con la stessa grazia: letale e delicata.
Pareva così sereno nel sonno, ne era contenta, ultimamente era stato spesso preoccupato e nervoso, le faceva piacere vederlo rilassato.
A dire il vero aveva il suo fascino anche quando era cipiglioso o addirittura incupito.
Perché aveva quel carisma del condottiero che incatenava e una volta incontrato il suo sguardo eri perso. Donna o uomo, non faceva differenza. Lui ammaliava, era insito nella sua natura, un incantatore, una sorta di pifferaio magico a cui non era possibile resistere.
Per questo era affascinante anche quando furioso dispensava occhiatacce e sguardi taglienti come lame affilate.
Joy era perfettamente conscia che in lui c’era anche un lato scuro e indomabile.
Una parte di Harlock era esattamente come la vita che aveva scelto: libera e ribelle. Probabilmente, il dolore e l’espiazione avevano in parte sedato questo aspetto, rendendolo rassegnato e vinto, ma c’erano chiari segnali del risveglio anche della sua parte più selvaggia e non poteva che essere un bene, che si stesse riappropriando di se stesso interamente, nella piena complessità della sua poliedrica personalità. Era un uomo così complesso e affascinante, che lei riteneva un privilegio condividere la sua vita su quella nave con lui.
Continuava a guardarlo e alla fine non poté fare a meno di avvicinarsi e stampargli un piccolo bacio sul collo, appena sotto l’orecchio, godendo, come spesso faceva lui con lei, del profumo naturale della sua pelle, che anche lei amava respirare perché era inebriante, penetrante e gradevole. Ricordava a tratti il profumo salmastro del mare, ma con una nota appena più speziata che lo rendeva davvero piacevole da inalare.

Harlock rimase perfettamente immobile. 
La ragazza pensò che probabilmente stesse ancora dormendo.
Continuò, quasi per gioco ciò che aveva appena iniziato e prese a tracciare una scia di piccoli baci, intervallati da leggere carezze in punta di labbra, che percorrevano tutta la lunghezza del collo fino ad arrivare all’incavo della spalla.
Lui era ancora immobile, ma a quel punto lei ebbe la netta sensazione che fosse completamente sveglio, sembrava in attesa della sua prossima mossa e le ricordò vivamente quella volta su Filos quando era teso, con tutti i sensi all’erta.
Sembrava come se fosse stato una fiera pronta ad attaccare la preda, infatti subito aprì l’occhio e si mise a scrutarla in un modo che a lei sembrò avere qualcosa di selvaggio e profondamente indomito. Il suo sguardo era profondamente cupo, l’iride ambrata velata di desiderio, tanto da essere più scura del suo naturale color miele, la indagava come se volesse capire chissà cosa, ma durò un soffio perché la baciò subito, in un modo così ardente, che a lei non solo si contrasse lo stomaco sfarfallando, ma avvampò rimanendo completamente senza fiato, incatenata da quell’assalto così svisceratamente passionale.
Quando lui si staccò dalle sue labbra, lei, ancora imprigionata nella sua stretta, con il fiato corto gli sorrise.
Harlock allentò la presa, la guardò con un guizzo di soddisfazione che gli balenò nello sguardo, le sorrise sornione di rimando e le mordicchiò appena il labbro inferiore, prima di cominciare a restituirle il favore. Ripercorrendo nei gesti e nei modi, ciò che lei aveva fatto con lui. Donandole le stesse sensazioni che lui stesso aveva provato. 
 

***

 
Nonostante le grandi novità tra loro due, la vita nell’Arcadia non era affatto cambiata. Tutto era immutato. Nessuno sembrava aver captato nulla. Questa volta era diverso, tutto e tutti ne erano stati chiusi fuori. Volontariamente, o involontariamente, nessuno era stato reso partecipe di questo nuovo riavvicinamento.
Erano molto più discreti e guardinghi, sebbene anche in precedenza non avessero mai fatto niente di eclatante per dar adito a pettegolezzi o intromissioni, a parte la famosa cena, che comunque poteva anche essere stata una cosa male interpretata dalla ciurma, dopotutto Joy era un’ospite sull’Arcadia, e non era inusuale che il Capitano invitasse a cena gli ospiti, le rarissime volte che ne aveva avuti a bordo.
Nella nave, insomma, la vita sembrava svolgersi nella solita routine. Ognuno era preso dai suoi impegni e dai suoi compiti.
Nessuno sembrava fare caso al fatto che Harlock fosse nuovamente appena più tranquillo del solito, sebbene sempre molto serioso e taciturno. Anche Kei sembrava ignorarlo, e Yattaran stranamente era a corto di domande curiose.
Solo Masu aveva ovviamente intuito qualcosa, ma anche lei aveva saggiamente deciso di far finta di niente. Non una parola e non un commento, anche se portava sempre una colazione così abbondante che andava sempre bene per due.

Yama, nel frattempo, era completamente guarito e ormai era diventato un membro attivo della ciurma, anche ben accetto, soprattutto perché aveva dimostrato lealtà, rischiando la vita per salvare la nave dall’esplosione nella sala del Computer Centrale.
Oltre alla sua postazione di artiglieria, gli era stato affidato il compito di revisore della sala d’armi. Doveva tenere un registro in cui settimanalmente fare l’inventario dell’armeria, controllare che fossero tutte ben funzionanti, e poi fare rapporto a Yattaran.
Quella nuova vita per lui era strana. Piacevole da un lato, visto che dopo tanto tempo era libero di fare ciò che voleva e per sua scelta, ma anche molto solitaria. Erano in tanti sull’Arcadia, ma era una nave dispersiva e spesso si trovava ad essere solo, perciò vagava con la mente tra i ricordi e non sempre era piacevole.
Aveva continui contatti con Nami e anche se lei lo supportava e capiva le sue ragioni, stava cominciando a fare i conti con un possibile scontro con il fratello, che prima o poi avrebbe dovuto affrontare. Sapeva che Ezra, quando li avrebbe attaccati, sarebbe stato al comando della sua nave, la corazzata Okeanos, una potentissima nave da guerra della Gaia Fleet. Questo lo rendeva pienamente consapevole del fatto che suo fratello non si sarebbe trattenuto; era certo che avrebbe tentato di distruggere l’Arcadia, a prescindere dalla sua presenza.
A Yama era ormai chiaro che Ezra lo avesse intenzionalmente abbandonato al suo destino, ritenendolo sacrificabile per la causa. Anzi, a dire il vero, pensava che questo fosse stato il suo intento fin dall’inizio, quando con il pesante ricatto morale lo aveva costretto a violentare la sua indole pacifica e il suo amore per la botanica, per entrare in accademia e diventare ufficiale. 
Sii le mie gambe Yama!
Corri per me
Combatti per me!

Gli aveva quasi ordinato. All’epoca aveva sperato che forse, esaudendo questa sua volontà, l’avrebbe almeno odiato con meno forza, ma non era stato affatto così. Suo fratello non l’avrebbe mai perdonato, temeva che non l’avrebbe fatto neppure se fosse riuscito a tornare indietro e restituirgli le gambe, come se quell’incidente gravissimo, di cui senza dubbio il ragazzo aveva piena colpa, finalmente gli avesse dato la giusta scusa per non dover più fingere ciò che realmente sentiva per lui.
Odio, rancore e disprezzo.
Questa cosa, nonostante tutto, lo feriva profondamente, perché lui voleva davvero bene a suo fratello, si sentiva davvero in colpa per avergli stupidamente rovinato la vita e aveva cercato ogni modo possibile per espiare la sua colpa, per compiacerlo, ma aveva capito che qualunque cosa avesse potuto fare, niente avrebbe reso le gambe ad Ezra, né fatto tornare Nami quella di prima e, soprattutto, niente avrebbe convinto suo fratello a perdonarlo.
Quindi aveva preso serenamente la sua decisione, sarebbe stato fedele ad Harlock fino alla morte: sua, o di Ezra, senza rimpianti e senza sensi di colpa, perché ormai così erano le cose.
Questa consapevolezza lo aveva reso più forte, ma anche più profondamente triste. 
Il prezzo che avrebbe dovuto pagare, in qualsiasi modo, sarebbe stato altissimo.

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Capitolo 29
*** Inquietudini ***


Buongiorno! Come ogni fine settimana, questa volta di sabato, ci ritroviamo per il consueto il RI-postaggio di due nuovi capitoli, rivisti e corretti.
Nel ringraziare ancora una volta chi segue con affetto e partecipazione questa mia divagazione, oggi vi lascio con una comunicazione di servizio: è possibile che la prossima settimana sia impossibilitata a fare l’aggiornamento consueto. Cercherò in tutti i modi di non saltarlo, a costo di farlo anche domenica sera tardi, ma se proprio non dovessi farcela non me ne vogliate e sappiate che sicuramente ci ritroveremo puntuali il fine settimana successivo ;)

Buona lettura e grazie a chiunque passi di qua!

 

  .28.



 


INQUIETUDINI

Negli ultimi giorni Joy non era stata molto bene di salute. Il dottor Zero l’aveva visitata e lei ovviamente non aveva voluto sentir ragioni, e aveva continuato a fare imperterrita le sue cose. Anche perché non era da lei fermarsi per una banale infreddatura, probabilmente causata da un calo delle difese immunitarie dovuto allo stress. La vita che faceva era molto piena e impegnativa, senza contare che, sebbene per ragioni diverse da prima, la notte dormiva sempre molto poco.
Ora sembrava stare meglio, ma aveva sempre una certa spossatezza e dei lievi mal di testa, dovuti presumibilmente ad un po’ di sinusite, piccolo regalo di quel fastidioso raffreddore.
Harlock, in quel frangente, sebbene fosse molto teso e per certi versi anche distante, si era comunque dimostrato molto premuroso, a volte anche troppo per i suoi gusti. Era decisamente iperprotettivo, e forse addirittura anche un po’ ipocondriaco.
Quella sera, come le precedenti, l’aveva aspettata con l’ennesima tisana bollente e amara che aveva personalmente ordinato a Masu-san.
“Una caraffa intera!?” gli chiese la ragazza contrariata, appena entrò nella sua cabina, mentre osserva quella tisaniera gigante, fumante, che diffondeva nell’aria un olezzo terribile, ma che non era nulla in confronto al sapore disgustoso di quel liquido verdognolo, che lei conosceva fin troppo bene.
Erano già tre sere che doveva sorbirsela per forza, prima di coricarsi. Per carità, le aveva anche fatto bene, ma era davvero stomachevole, questa volta aveva sperato di cuore di risparmiarsela e invece no. Il mostro sbuffante era minacciosamente al suo solito posto!
Harlock non le rispose come suo solito. Stava leggendo le sue cose, pareva assorto.
“Te la bevi tu, sappilo” disse Joy andando a passo di marcia in bagno.
Quando gli prendevano i cinque minuti da baby-sitting non lo sopportava. Diventava asfissiante ed essendo per sua natura testardo come un mulo, era difficilissimo dissuaderlo dai suoi intenti. Diventava snervante finché lei, esausta, non si piegava e faceva quel che voleva, in questo caso era bere la tisana malefica.
Infatti, quando uscì era lì, con la chicchera fumante in mano, bella che pronta per esser bevuta.
Joy roteò gli occhi e sbuffò. E lo guardò quasi con aria implorante.
“Russi.” le disse lui serissimo, porgendole la tazza “Quindi sii cortese e bevila, fallo per me, così almeno posso dormire”.
Lei lo guardò veramente male “Eh no, caro mio! Qui se c’è uno che russa, quello sei tu!” gli rispose piccata “Bevitela tu!” e incrociò le braccia al petto, in segno di protesta.
Harlock non fece una piega, si versò a sua volta una tazza della tisana e cominciò a berne piccole sorsate.
“Ora bevi anche tu” disse soddisfatto di averla incastrata per benino e di averla avuta vinta, anche questa volta.
Joy starnutì. E indispettita prese la tazza. Dopo quello starnuto se si fosse rifiutata di bere quell’acqua sporca, apriti cielo! Il problema era che essendo bollente, doveva anche sorseggiarla. La cosa che le faceva più rabbia era che lui la stesse bevendo senza fare una piega. 
“Non mi dire che ti piace…” disse alla fine rassegnata.
Harlock la guardò, poi guardò la sua tazza con ancora metà della tisana da bere “In effetti, se devo essere sincero… fa proprio schifo!” ammise, arricciando il naso.
La ragazza rise sodisfatta.
“Però è carino da parte tua sorbirtela per solidarietà” gli disse avvicinandosi, per poi carezzargli i capelli in un moto d’affetto.  
Lui prese un’altra sorsata, si girò verso lei e poi aggiunse “Russo davvero?”.
Joy rise di nuovo “No” lo tranquillizzò e gli dette un bacio a stampo sulle labbra.
“Tu sì.” rispose invece lui non appena lo ebbe baciato “Ma solo ora e per via del raffreddore” specificò quasi serioso.
Finirono di bere la bevanda calda e, una volta terminata la sua, Harlock si affrettò a trangugiare di fila tre bicchieri di rosso, per ripulirsi la bocca.

Poi calò il silenzio. 

Harlock era in un periodo che aveva dei giorni un po’ strani e anche un po’ cupi, uno di quei periodi che Joy chiamava a riccio, perché era poco incline alla conversazione. Era molto pensoso, pieno di problemi, ma era anche distante. Lui si chiudeva. La sua natura introversa vinceva sempre, alla fine.
La biologa aveva capito che il suo problema più grande, era quello di trovare il modo e la maniera di dire alla sua ciurma che cosa avesse fatto alla Terra. Non era certo una cosa facile da fare, soprattutto per lui che aveva un carattere così introverso e anche orgoglioso. Quindi capiva che fosse piuttosto nervoso, inquieto, e per questo anche molto silenzioso. Rimuginava, e sicuramente analizzava i vari modi per poter risolvere ciò che più lo assillava e preoccupava al momento. Malgrado ciò, cercava alla sua maniera di essere gentile e di occuparsi di lei, al momento il suo intento di gentilezza era farle fare il pieno di quel liquido spiacevole che le faceva bene alle vie respiratorie.

La cura, per quanto amara fosse stata, aveva prodotto i suoi effetti e Joy stava decisamente meglio, così, nell’attesa di nuove notizie, soprattutto da parte di Nami, Harlock decise che era l’ora di andare con lei su Caladan, a vedere queste famose serre abbandonate, di cui gli aveva parlato giorni prima. Voleva rendersi conto di persona e capire poi, se, e come, avrebbero potuto utilizzare la terra che la ragazza gli aveva detto di esserci in abbondanza.
Era tempo di cominciare a lavorare seriamente per vedere di porre rimedio a quella tragedia terrestre. I tempi erano maturi.
Una volta saliti sulla navetta, che tecnicamente si chiamava Aereo Navalizzato, Joy si lanciò e gli disse: “Senti, credi che potresti mai insegnarmi a guidare uno di questi affari un giorno?”.
La riteneva una cosa utile, se mai si fosse trovata in difficoltà, e, se fosse stata costretta, almeno avrebbe saputo come usarlo, in quell’arco temporale era tutto molto pericoloso e improvviso, non si sapeva mai che potesse capitare.
Harlock ci rifletté qualche secondo e poi si girò “Perché non subito?” disse a sorpresa “Scambiamoci di posto” le propose.
Joy rimase interdetta, ma non replicò, prese l’occasione al volo e, come lui aveva detto, invertirono le loro postazioni.
La ragazza così era al posto del pilota. Davanti aveva una consolle piena di pulsantini e schermi, tra le gambe invece aveva una cloche molto simile a certi joystick che aveva visto sulla Terra, che venivano usati per sofisticati videogames.
“Allora seguimi attentamente. 
Ė più facile di quello che sembra, ma ci vuole attenzione a ciò che si fa”.
La ragazza annuì seria, già concentrata e pronta ad ascoltare le sue parole.
Harlock le indicò la cloche “Con questa impugnatura puoi gestire gran parte dei sistemi di bordo, soprattutto l’armamento al motore che è assistito dal fly by light, che  non è altro che un sistema di controllo reversibile manuale. In pratica, gestisci la navetta meccanicamente, e guidi tu, non sei in modalità automatica. Che invece è questa” -aggiunse, indicandole un pulsantino sulla consolle con la dicitura autopilot.- “Il pilota automatico è sicuro solo nei voli a rischio intercettazione nemica pari allo zero, altrimenti devi pilotare meccanicamente e inserire la modalità ghost fly. È uno schermo protettivo che rende la navetta praticamente invisibile, grazie all'utilizzo di fibre ottiche, che, con il trasferimento del segnale elettrico, permette di ridurre le interferenze emanate dalla strumentazione di bordo”.
Come sempre detto da lui sembrava tutto facile. Bisognava vedere all’atto pratico, però.
Harlock intanto continuava le spiegazioni e aveva premuto su start, il pulsante di avvio ai motori. Joy si era subito allarmata, ma lui con la sua calma le infuse subito tranquillità e sicurezza.
Le fece tirare la cloche e la navetta si mosse. La biologa era concentratissima e anche un po’ preoccupata e tesa. Harlock coopilotava insieme a lei, tendendo la mano sulle sue ne accompagnava i gesti. “Vedi? Bastano delle piccole pressioni sull'impugnatura per direzionare il velivolo, sono manovre estremamente semplici e ti garantiscono facilità d’uso, consentendoti di pilotare per molto tempo senza affaticarti”.
Alla fine risultò più semplice del previsto, ad un certo punto il Pirata le lasciò il pieno controllo della navetta e lei riuscì a guidarla in modo accettabile sebbene, soprattutto all’inizio, sbandasse un bel po’, facendola oscillare.
Per l’atterraggio, lui nuovamente azionò i comandi insieme a lei, coopilotando e accompagnandola nelle manovre.
“Sei stata molto brava per essere una principiante” le disse infine non senza un leggero moto d’orgoglio nella voce.
Quella giovane donna che all’apparenza pareva fragile e minuta, era una continua fonte di sorprese, pensò ammirato. Era certo che se avesse passato abbastanza tempo in loro compagnia, sarebbe diventata anche una fiera combattente, nonostante la sua avversione alle armi. Non glielo aveva mai detto, per non turbarla più di quanto non lo fosse già stata  per conto suo, ma avere centrato un nemico in testa, in una situazione così particolare e stressante, come aveva fatto salvando Yama, denotava che avesse una vera e propria naturale attitudine al combattimento.
“Il merito è tuo che insegni molto bene” gli rispose Joy con un caldo sorriso.
Era contenta dei suoi apprezzamenti, le facevano enormemente piacere, specialmente quelli di quel tipo, riguardanti cose a lei estranee e così complicate.
Con calma cominciarono a perlustrare Caladan. Andarono nelle serre che Joy aveva visto con Yama, ed Halorck si rese conto che c’era davvero un enorme potenziale, oltre che una enorme riserva di terra da poter usare. 
“Che cosa ti ha detto esattamente Nami di queste serre?” le domandò mentre perlustravano una zona.
“Mi ha spiegato che fanno parte di un esperimento non riuscito, che c’è tantissima terra organica che è stata abbandonata consapevolmente dalla Gaia Sanction. Sembra che loro non abbiano alcun interesse a riedificare la Terra. Non si sono mai presi la briga di venire qui e di ripristinare le colture. Né hanno mai fatto esperimenti o tentativi. Sebbene abbiano terraformato Marte, non si sono neppure mai veramente curati dello stato attuale della Terra. Per loro è morta e basta. A loro serve solo la menzogna ologrammata creata dai satelliti per imbonire le folle”.
Harlock la ascoltava con interesse e concordava con il suo ragionamento. Quelli della Gaia erano solo dei politicanti corrotti che manipolavano qualsiasi cosa solo per i loro biechi scopi, in un secolo le cose non erano cambiate di una sola virgola, constatò amareggiato. 
Notò che all’inizio lei si era come irrigidita, imputò la cosa al fatto che fosse ancora dispiaciuta di non aver potuto incontrare Nami.
Sospirò. Comprendeva le sue ragioni e non poteva biasimarla, non lo aveva fatto neppure quando si era arrabbiata a morte con lui per non averla portata al Palazzo del Governo. La capiva.
“Ti piacerebbe andare da Nami?” le chiese a sorpresa. In realtà da tempo pensava a questa cosa.
Joy lo guardò stupita, non capendo bene dove volesse andare a parare “Certo…”.
“Allora ti prometto che cercherò di organizzare la faccenda. Non so dirti esattamente quando, ma ti do la mia parola che ti porterò da lei”.
“Davvero?” gli chiese la ragazza, sgranando gli occhi incredula.
Lui fece un cenno con la testa e abbozzò il suo classico mezzo sorriso. “Sì” confermò.
La biologa istintivamente gli schioccò un bacio sincero a stampo sulle labbra. “Grazie” gli disse piano, regalandogli uno sguardo pieno di gratitudine.
Harlock in un moto di dolcezza le carezzò una guancia e poi le chiese di fargli strada per vedere più da vicino quelle serre. Lei gli fece cenno di seguirla, e lo accompagnò dove era stata con Yama.
Il Capitano si rese subito conto che c’era ancora più materiale di quello che avrebbe potuto sperare, era davvero un’ottima base di partenza e con tutti i semi geneticamente modificati che stava sfornando Joy, c’era davvero la possibilità di mettere su una vasta porzione di colture.
Questo però lo riportò ai suoi pensieri e ai suoi assilli quotidiani. Era chiaramente ora di prendersi le proprie responsabilità, anche davanti ai suoi uomini. Doveva dire la verità sulla Terra e cominciare davvero a fare qualcosa di concreto per rimediare a quel tremendo errore. Questa presa di coscienza lo turbò molto e subito si incupì. Affrontare quella questione era davvero difficile per lui e lo impensieriva oltre ogni dire.
Finirono di perlustrare con calma tutta l’area e poi lasciarono Caladan.
Una volta rientrati sull’Arcadia, Harlock si congedò frettolosamente da Joy, che rimase un po’ perplessa di questo suo brusco cambiamento d’umore, ma che intuì a cosa potesse essere dovuto.
Il Pirata andò diretto nella sala del Computer Centrale, aveva uno sviscerato bisogno di stare solo con Tochiro e parlarci. Si trattenne a lungo fino a notte inoltrata poi, anche su consiglio dell’amico stesso, si ritirò in cabina per andare finalmente a riposare.
Entrò e naturalmente Joy era già a letto che dormiva.
Mentre si spogliava la osservò. Era serena. Coperta fino alla pancia, con in dosso una maglietta leggera, un braccio era ripiegato sulla pancia, l’altro mollemente adagiato lungo il corpo. Le erano cresciuti un po’ i capelli ed aveva qualche ciocca scomposta che le ricadeva sulla fronte, le labbra appena schiuse e il respiro lento e regolare. Era così bella, pareva l’immagine stessa della tranquillità. L’impulso fu quello di infilarsi sotto le lenzuola, svegliarla per fare l’amore con lei e trovare un attimo di pace tra le sue braccia, ma era tardi, lei era stata poco bene per diversi giorni, si sentì un egoista e decise di lasciarla riposare tranquilla.
Essendo molto stanco, alla fine per fortuna si addormentò velocemente anche lui.

Joy si svegliò di soprassalto. Harlock aveva urtato contro la scrivania e aveva imprecato piano, facendo rumore.
La biologa si rese conto che era molto presto. Poco dopo essersi addormentato, si era svegliato agitato. La visita su Caladan lo aveva davvero scombussolato, non era difficile per lei intuirne il motivo.
“Che fai?” gli chiese con la voce impastata di sonno, mentre lui si aggirava per la cabina.
“Scusa, non volevo svegliarti” sospirò “Vado in Plancia” aggiunse.
“A che fare?” chiese ancora tirandosi su.
Lui non rispose, non gli andava di parlarne con lei, era in una fase di chiusura netta. 
Finì di prepararsi e poi rispose “Ho da fare” e chiuse lì il discorso. La ragazza sospirò e si rifugiò sotto le lenzuola, era chiaro che lui non volesse dirle niente.
Pensò che forse era giusto rispettare la sua volontà, ma la cosa non le fece piacere, ad ogni modo, finse di rimettersi a dormire e lui sgusciò via dalla cabina silenzioso e furtivo.


L’indomani Yama si recò a fare visita a Joy in laboratorio. Era deciso a farle qualche domanda, era da qualche giorno che ci pensava e la cosa non gli tornava.
Che cosa erano andati a fare su Caladan? Non era riuscito a spiegarselo in maniera logica e poiché, quando erano sul pianeta insieme, era stato sopraffatto dalle emozioni e non aveva avuto modo di chiedere spiegazioni, ora voleva capire.
Joy fu vaga, troppo vaga per il ragazzo. Gli spiegò che avevano bisogno di terra e serre, ma non il motivo. In realtà, il giovane cominciava a chiedersi come mai Harlock tenesse una biologa sulla nave a clonare semi. Non aveva molto senso e, se prima non ci aveva fatto mente locale, avendo altro a cui pensare, ora la cosa lo incuriosiva.
“Volete continuare ciò che tentò mia madre? Volete terraformare Caladan? O che altro avete in mente? Perché Marte è già stato terraformato, forse il Capitano vuole un pianeta dove poter fare una base? O Cosa? Perché non ha molto senso tutto ciò, a meno che non sia una nuova fissa di Nami, ha sempre voluto portare avanti il lavoro di mia madre... insomma che c’è dietro?” chiese a raffica alla biologa.
Joy non sapeva bene che rispondergli. Non era preparata a tutte quelle domande.
“Yama non posso dirti niente. Sarà il Capitano a dare spiegazioni plausibili a tutti al momento opportuno” si risolse a rispondergli e poi cambiò subito argomento.
“Come stai?” gli chiese, riferendosi alla sua ferita.
“Bene. Diciamo che mi dà ancora fastidio, ogni tanto mi fa male e brucia, ma tutto sommato non posso lamentarmi”.
Così era riuscita a distrarlo e si misero a conversare del più e del meno mentre lui la guardava curioso.
Parlando, l’argomento andò a cascare nuovamente su Nami. Il ragazzo le raccontò tutta la storia dall’inizio, prima dell’incidente, da quando ne era stato innamorato, si sfogò fino in fondo non omettendo nulla. Gli veniva naturale parlare con lei, sentiva una sorta di affinità, Joy lo ascoltò senza interromperlo e alla fine cercò di consolarlo, anche se non era una cosa facile, tutta la situazione di Yama era davvero complicata a ben pensarci. Un po’ come lei, era solo su quella nave, senza più famiglia e senza più certezze, se non quelle di aver abbracciato una causa, di cui però non conosceva tutti i risvolti.
“Mi piacerebbe incontrare Nami, Harlock ha promesso di portarmi da lei” si lasciò sfuggire, forse un po’ incautamente, la ragazza.
“Ora forse non è proprio il momento migliore per andare nella tana del lupo” commentò Yama.
“Io mi fido ciecamente del Capitano. Deciderà lui come e quando, me l’ha promesso e io so che non è un uomo che si rimangia la parola data” disse seria.
All’improvviso Yama la fissò negli occhi e disse “Tu sei innamorata di lui vero?”.
La biologa arrossì fino alla radice dei capelli.
“Non sono cose che ti riguardano” tagliò corto.
“Ma io ti ho raccontato tutto di me! Se dobbiamo essere amici, allora, ora tu mi dovresti raccontare di te” ribatté Yama.
“Non è così semplice, né così automatico, tu fai tutto facile, ma io sono piuttosto riservata” sospirò “E poi è una situazione delicata e complessa. C’è in ballo questa maledetta questione che questo non è il mio mondo… è tutto troppo complicato ” concluse, scompigliandosi i capelli in un moto di frustrazione. Alla fine i problemi finivano per riemergere sempre.
“Ma tu Joy, che cosa vorresti? Andare o restare?” le chiese sincero il ragazzo, fissandola dritta negli occhi, in un modo che a lei ricordò fin troppo quello del Capitano.
La biologa sorrise appena, ma nei suoi occhi c’era tristezza “Io vorrei quello che non si può…” disse in un soffio “Quello che non potrò mai avere” ammise alla fine.
Yama sospirò forte “Credo di avere capito”.
“Sono sempre stata molto confusa al riguardo, e ora più che mai. Se devo essere sincera, la Terra mi manca moltissimo, ma non sono sicura che ci vivrei più bene senza tutto questo e soprattutto senza di lui. Sono diventata un ibrido, sono il caos… come se fossi sospesa tra Terra e Spazio… senza più tetto, né legge…” commentò disorientata, era difficile ammetterlo a voce alta, con qualcuno, suonava ancora più vero e doloroso.
“Gli hai mai parlato di questo tuo desiderio?” le chiese il ragazzo accigliato e pensoso.
“No”.
“Perché?”.
“Perché lo metterei solo più in crisi di quello che già è. Io lo capisco molto più di quanto lui creda e vedo molto bene che cosa sta passando. So che una parte di lui è felice, ma l’altra è insofferente. Questa cosa tra di noi per lui, è un bene, ma anche un male, perché alla fine, anche se lui non lo dice, la verità è che lo lega troppo. Harlock è uno spirito libero” poi aggiunse “È come se fosse un falco, dovrebbe volare fiero, libero e sciolto, e non costretto ogni volta a tornare dal falconiere. È tutto molto difficile per me, anche perché non so mai che fare, che cosa sia bene, perché se una volta mi pare giusto dargli un po’ di quella felicità che forse non ha mai avuto, dall’altra, ho una gran paura di fargli un torto. Ho paura di fargli del male e di farlo soffrire ed ha così già tanto sofferto e così a lungo, che io non vorrei mai e poi mai, essere causa di ulteriore sofferenza per lui” gli confidò forse non rendendosi neanche conto di quanto si fosse spinta oltre, anche nell’ammettere con se stessa certe affermazioni. Ed era chiaro per lei che il benestare di lui andasse avanti a tutti e tutto, se stessa compresa.
“Capisco…” disse Yama, riflettendo e rabbuiandosi di colpo.
Joy lo guardò, mentre con i gomiti sul tavolo si teneva il viso poggiato sui palmi delle mani, serio, pensoso e crucciato. Poi il ragazzo sospirò forte. “Mi rendo conto che i sentimenti sono troppo pericolosi. Io ho deciso che non mi innamorerò mai più” dichiarò fin troppo determinato.
La biologa lo osservò e sorrise “Adesso stai parlando quasi come farebbe Harlock” gli disse di getto.
Lui la guardò serio “Ma io non sono Harlock, anche se non mi dispiacerebbe affatto diventare come lui. È un uomo retto, con dei principi e degli ideali. Un esempio per tutti noi” puntualizzò.
“Mi sembrava che ti piacesse Kei…” buttò lì la biologa
“È una ragazza bella ed intelligente, oltre che coraggiosa e pure tosta, ma non vado bene per lei, e lei non va bene per me. Yuki pensa di essere migliore di me perché è appena più grande, perché è una pirata e poi credo che avesse una cotta, o qualcosa del genere, per il Capitano e che paragoni tutti gli uomini a lui. Te lo immagini? Non troverà un compagno neppure se solcasse l’infinito ed oltre. Se devo essere sincero non sono sicuro che sia adatta a me, non credo che saprebbe capirmi, o mitigare i miei tormenti. Abbiamo caratteri incompatibili” commentò, facendo una smorfia.
“Non so dirti se Kei abbia o non abbia un carattere adatto a te, può darsi invece che forse non siate pronti. Forse non è il vostro momento”.
“Bah… può darsi che tu abbia ragione. Non so e francamente non c’ho neppure pensato più di tanto” ammise il ragazzo.
Rifletté qualche secondo e poi aggiunse, guardandola dritta in faccia: “Se fosse possibile vorrei trovare una ragazza che somigliasse a te”.
A quell’affermazione Joy strabuzzò gli occhi. Le aveva quasi dato fastidio quella frase, oltre che averla agitata non poco.
Lui capì e cercò di spiegarsi “Non ho detto che vorrei te, ho detto: una tipo te
È diverso e comunque io non ho paura di nessuno. Non ho proprio voglia di donne al momento, siete troppo complicate e troppo faticose da gestire. Ho altro a cui pensare, magari un giorno…”.
“Ecco ora va meglio, l’importante è che tu non dica che non vuoi innamorarti più, sei troppo piccolo per rinunciare all’amore, diciamo che sei in quella che viene comunemente chiamata: pausa riflessiva”.
“Io non sono piccolo!” protestò Yama.
“Hai ragione. Giovane, volevo dire giovane! Scusa” e gli fece l’occhiolino. Lei davvero lo vedeva come un ragazzino, anche se tra loro c’erano solo pochi anni di differenza.
Chiacchierano ancora un po’, poi Yama si congedò.
Fu a quel punto che Joy ritenne opportuno andare da Harlock, per metterlo a conoscenza della curiosità del ragazzo su Caladan.
Non lo trovò, o meglio lo trovò molto tempo dopo, nella sala del Computer Centrale, assorto, che borbottava fitto fitto con Tochiro.
Non le restò che andarsene e convenire che non era il caso di disturbarlo.
Gli avrebbe parlato in seguito, magari a cena. 
Mentre se ne andava nel silenzio, rotto soltanto dai suoi passi che riecheggiavano sul pavimento metallico della nave, fu colta da una leggera malinconia.
Come se qualcosa le dicesse che lui era inquieto, troppo inquieto, e purtroppo anche di nuovo lontano, seppure a pochi metri da lei.

 

NOTE:  Per la descrizione di come si pilota un aereo navalizzato mi sono ispirata ai caccia dell’aeronautica militare consultando questo sito: www.aereimilitari.org i termini usati sono proprio quelli tecnici dei caccia, ovviamente rimaneggiati e adattati come mi servivano, eccetto ghost fly autopilot che sono termini e funzionalità di mia invenzione.

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Capitolo 30
*** L'incontro ***


Attenzione vi ricordo che posto sempre DUE capitoli e che prima di questo è necessario leggere il precedente, per ovviamente seguire la storia in modo corretto
Comunicazione di servizio: è possibile che la prossima settimana sia impossibilitata a fare l’aggiornamento consueto. Cercherò in tutti i modi di non saltarlo, a costo di farlo anche domenica sera tardi, ma se proprio non dovessi farcela non me ne vogliate e sappiate che sicuramente ci ritroveremo puntuali il fine settimana successivo ;)

 

  .29.


L’INCONTRO

Joy aveva parlato ad Harlock di Yama, ma il Capitano non aveva commentato. Si era solo raccomandato con lei di non fare una sola parola sul reale stato della Terra.
Era evidente che la cosa lo infastidisse e non poco, ma, essendo tornato silenzioso e impenetrabile, taceva. 
Spariva a giornate intere, tra i labirinti di quella grande nave, perso chissà dove e in preda a chissà quali pensieri. Anche lei ormai lo vedeva davvero molto poco.
Per Joy era difficile gestire questa situazione, dato che, se da una parte le dispiaceva vederlo così, dall’altra preferiva lasciarlo libero, anche perché sapeva che non ci sarebbe stato verso di farlo aprire, se lui non avesse voluto. La biologa sapeva che fino a quando lui non avesse parlato con i suoi uomini, le cose non sarebbero cambiate. 
Era quello il mostro da domare e finché Harlock non gli avesse tagliato la testa, le cose non sarebbero mutate.
L’unico problema era che questo stato di cose li stava allontanando.
Harlock non c’era mai, non si presentava neppure la sera a cena, praticamente la loro condivisione del tempo si era ridotta solo al letto e solo per dormire.
L’unica cosa che consolava un poco Joy era che lui comunque non aveva assolutamente voluto che tornasse nella sua cabina. Piuttosto bruscamente le aveva ribadito che se per lei andava bene, lui preferiva averla accanto, anche se era solo per dormire assieme. Non che fosse stato incoraggiante nei modi, ma lei ormai aveva capito com’era fatto e aveva sorvolato accondiscendendo, perché seppure a tratti fosse tornato ad essere quasi come i primi tempi che lo aveva conosciuto, stargli accanto per lei era sempre e comunque un dono che non aveva intenzione di sprecare. L’ora della sua partenza prima o poi sarebbe scoccata e non voleva avere nessun tipo di rimpianto.


Quel pomeriggio la biologa non era stata in laboratorio, aveva voglia di distrarsi e si era data alla lettura. Non voleva pensare e si era presa una pausa anche dal suo lavoro. Il libro che stava leggendo era una raccolta, il primo racconto era: Il giardino dei sentieri che si biforcano di Jorge Luis Borges. Lo aveva preso nella stanza dei libri che c’era sulla nave, così l’aveva chiamata Meeme quando ce l’aveva accompagnata. In realtà era un piccolo magazzino, in una parte angusta e nascosta dell’Arcadia, organizzato come una sorta di libreria dove erano reperibili testi anche molto antichi come quello, che era risalente al 1941. Si stava appassionando, ma la lettura terminò bruscamente, perché arrivò Harlock che si sorprese di trovarla in cabina a quell’ora.
“Come mai sei qui?” le chiese sbrigativo. Era corrucciato più del solito.
Joy colse come una lieve nota di fastidio nella sua voce.
“Stavo leggendo… e qui c’è più spazio che da me…”-disse incerta-“Ma posso andare via” affermò alzandosi.
“Non è necessario” tagliò corto lui.
“Preferisco andare via”.
“Sono stato scostante, ma non…”.
“Sì lo so”-lo interruppe lei-“non ce l’hai con me, ma ti do fastidio lo stesso”.
“No” le disse in un modo che a lei parve sincero.
Joy sospirò. Era sempre estremamente difficile averci a che fare in certe circostanze, non capiva mai quando era il caso di parlare, o tacere, andare o venire, ma alla fine, essendo per sua natura testarda forse quanto lui, non solo rimase ma cercò di cambiare tattica, perché così non si poteva più andare avanti.
“Stasera mi farebbe piacere se cenassi a tavola, come una persona normale e ad un orario decente” esordì calma, guardandolo di sottecchi.
“Veramente avrei molte cose da fare…” rispose lui, mentre cercava degli appunti nel cassetto della scrivania, con il viso semicelato dai capelli, così che lei non potesse vedere la sua espressione. 
Harlock, malgrado fosse irritato, stava tentando di evitare di discutere con Joy che sapeva non essere la causa della sua stizza, ma che inevitabilmente finiva spesso per farne le spese. In quel momento particolare era chiuso a tutti, lei compresa, perché riteneva che lasciarsi andare, o avere anche il minimo sollievo fosse una mancanza. 
“Mi farebbe davvero piacere se tu lo facessi. Ho notato che ultimamente sei insofferente a tutto e tutti, me compresa. E credimi, posso intuirne i motivi e capirli, ma ciò non toglie che ti stia trascurando, mangi pochissimo e dormi ancora meno” gli disse sincera la ragazza, interrompendo il flusso sei suoi pensieri.
“Ho da fare” tagliò corto lui, usando la sua frase tipo di quando voleva essere parco di parole e soprattutto quando non voleva dare spiegazioni, o dilungarsi in chiacchiere.
Era consapevole che lei non avesse tutti i torti, ma era concentrato e molto preso, perché vicino alla decisione cruciale e questo lo torturava. Era la resa dei conti e doveva prepararsi mentalmente ad affrontare una sconfitta, perché ammettere a voce alta la sua grave colpa significava calare la maschera che portava da più di cento anni, spogliarsi nudo e mettere in piazza la sua debolezza e per un uomo come lui, forse sarebbe stata preferibile la morte, piuttosto che l’onta della vergogna davanti alla sua ciurma.
L’unico essere umano su quella nave, che era a conoscenza del suo peccato originale era Joy e la flebile speranza di Harlock era che, se lei lo aveva perdonato, forse con il tempo lo avrebbero fatto anche gli altri. Non era comunque una cosa da poco quella che si apprestava a dover fare e il pensiero di doverla affrontare a breve, lo faceva star male e gli dava il tormento.
La ragazza rimase un po’ in silenzio, poi prese il libro e lo poggiò da una parte, quindi decise di parlargli ancora. 
“Non ti pregherò, fai quello che credi, però potresti fare un piccolo sforzo. Dedicare a te una cena e rilassarti appena, non credo che farebbe detonare l’Universo, o cambiare chissà come lo stato delle cose. Ormai quelle sono e quelle rimangono” disse infine, tanto era inutile, se non avesse voluto, non l’avrebbe accontentata neppure supplicandolo.
Harlock rimuginò un po’. Come sempre le parole di Joy avevano questa logica semplice, ma spiazzante. Era difficile contestarle e alla fine decise di accontentarla e di cenare con lei. Un paio d’ore di pausa forse gli avrebbero giovato e poi sapeva che con lei non era necessario fare conversazione, avrebbe anche potuto stare in silenzio tutto il tempo, senza bisogno di sforzarsi a sostenere una conversazione, e questa fu la cosa che lo convinse definitivamente a rimanere.
“Va bene” disse, cercando di abbozzare quel suo mezzo sorriso che però questa volta, somigliò più a una sorta di smorfia.

Avvertivano quindi Masu, dato che effettivamente non cenavano quasi mai assieme, e, mentre aspettavano la cena, la ragazza si mise a sedere sul letto e lo invitò a fare altrettanto.
Harlock non rispose subito a quell’invito e la guardò scrutandola.
Aveva imparato a conoscerla un poco ed era piuttosto certo che non stesse prendendo iniziative di tipo intimo. Non che in caso la cosa gli sarebbe dispiaciuta, anzi, magari poteva essere un momento di tregua, sebbene ultimamente, non essendo stato quasi mai presente, anche quel lato della loro relazione, era stato messo da parte, ma era certo che non si trattasse di un’avance.
Non capiva e quando questo accadeva, era insito nella sua natura essere diffidente.
“Non ho intenzione di approfittarmi di te, se è questo quello che temi” lo canzonò  sorridendo, come se gli avesse letto nel pensiero.
Harlock, invece di ironizzare, si accigliò e continuò a studiarla perché seguitava a non capire che avesse in mente.
Lei lo incalzò invitandolo nuovamente a sedersi e a togliersi la giacca di pelle.
Lui tentennò un po’ e si mostrò reticente, ma Joy insisté garbatamente.
Alla fine cedette alle sue richieste, andò a sedersi accanto a lei, continuando a guardarla come se avesse voluto leggere le sue intenzioni, sempre un po’ guardingo, non riuscendo proprio a intuire dove volesse andare a parare.
“Sei troppo teso ultimamente. Vorrei solo cercare di farti rilassare cinque minuti. Niente di trascendentale, fidati di me” gli disse dolcemente.
Harlock non rispose, né commentò.
“Vedrai che dopo starai meglio, fai come ti dico: cerca di scioglierti, pensa a qualcosa di estremamente piacevole e chiudi gli occhi” gli sussurrò Joy sfilandogli il maglione, grazie anche alla sua inaspettata collaborazione, dettata forse più dalla curiosità che da un’effettiva convinzione. 
Dopo di che la ragazza si spostò e si posizionò in ginocchio sul letto, dietro di lui, prendendo a massaggiargli la schiena. Più specificatamente le spalle e il collo, dato che era rigido come un ciocco di legno.  Harlock rimase immobile e con i muscoli così induriti che pareva uno stoccafisso. Era impressionante quanta tensione avesse accumulato.
All’inizio Joy fece proprio una gran fatica, era fortemente legato e teso, sembrava impossibile rilassarlo, ma dopo un po' riuscì piano, piano, a decontrarlo. Gli impastava con forza e delicatezza, sapientemente miscelate, la muscolatura alla base delle spalle. Usava entrambe le mani, un lato per volta, strizzava e rilasciava in modo alternato i muscoli contratti. Proseguì leggera, appoggiandogli le mani sulla schiena e i pollici sulla parte anteriore della spalla, massaggiandolo e facendo una lieve pressione verso l'esterno, fin sopra l'articolazione del braccio per poi finire sul collo, sempre con un leggero, ma persistente impastamento, eseguito con le dita sulla base della colonna vertebrale. 
Harlock, dapprima, rimase come in allerta, sempre teso, ma a poco a poco si arrese. Sospirava soddisfatto e piacevolmente sorpreso da questo trattamento rigenerante, così tremendamente piacevole. Sentiva le energiche e leggere mani di Joy che lavoravano sulla sua muscolatura, ma che allo stesso tempo gli sfioravano la pelle, ed era una bella sensazione. La lasciò fare senza opporre più resistenza e alla fine si rilassò di colpo, mollando tensioni e postura, godendo appieno di quel massaggio così amabile, inebriante quasi come una coppa di buon vino invecchiato, da gustare un sorso alla volta. Ad un certo punto si rilasciò così tanto, che scivolò lentamente contro di lei e le sue scapole vennero a contatto con la morbidezza del suo seno. La testa si appoggiò naturalmente nell’incavo tra il collo e la spalla di lei. Si rilassò totalmente, traendo piacere dall’essere completamente svuotato da ogni pensiero e preoccupazione che non fosse quella di lasciarsi sfiorare e massaggiare, come se fosse preda di una sorta di magico incantesimo che gli regalava un benessere infinito ed obnubilante. 
Dopo un po’, Joy lasciò che la testa di Harlock, in modo naturale, le scivolasse in grembo e che poi si sdraiasse lentamente sul letto, una volta che lui fu completamente disteso, prese a massaggiargli il cuoio capelluto con tutti e dieci i polpastrelli delle dita. A quel punto, Harlock andò in estasi totale e alla fine, dopo essere entrato in uno stato di profonda distensione, finì con l’addormentarsi di colpo.
Finalmente la ragazza poté riposare le braccia, i muscoli le bruciavano dallo sforzo. Non era stata una cosa da poco. Massaggiarlo così a lungo era stato fisicamente molto faticoso, ma fu estremamente contenta di avere ottenuto il risultato che voleva. Sperava che potesse trarne un po’ di giovamento e finalmente riposare.
Si era addormentato così profondamente, che quando arrivò la cena lei non lo svegliò. 
Era intraversato sul letto, occupandone l’intera superficie in orizzontale, mezzo vestito e mezzo spogliato. Il suo respiro era lieve, regolare e faceva abbassare ed alzare ritmicamente il suo torace, mentre la testa era leggermente girata a destra, con i capelli dispettosi che come al solito erano scomposti a coprirgli il viso. Con molta delicatezza riuscì a sfilargli gli stivali senza svegliarlo, lo coprì alla meglio con una parte delle lenzuola, quindi a passo felpato, dopo aver recuperato il suo libro, uscì da quella cabina per andare nella propria. Decise che avrebbe dormito lì, per non disturbarlo e lasciarlo dormire in pace.


Harlock, il giorno dopo, entrò in laboratorio di buon mattino, afferrò Joy per le spalle e la fece girare, facendole anche prendere un bello spavento, ma la ragazza non fece in tempo a dire una sillaba perché le labbra di lui le chiusero la bocca, baciandola come non faceva da tempo. Non fu un bacio lungo, ma fu decisamente molto intenso e appassionato.
Quando si staccò da lei e il loro sguardo s’incrociò, Joy si accorse che era diverso, serio, ma forse appena un po’ meno cupo. La cosa la rincuorò.
“Non era necessario che andassi via” le disse con una luce molto viva che guizzò nell’iride ambrata come un lampo.
“Era necessario che dormissi” specificò la biologa, ancora un po’ sottosopra per quell’assalto inaspettato, ma era probabilmente il modo tutto suo di ringraziarla.
“Mi sto organizzando per portarti da Nami” enunciò a sorpresa, cambiando radicalmente argomento e sorprendendola non poco.
“Dopo di che faremo rotta sulla Terra e dirò a tutti come stanno le cose” aggiunse poi molto serio e in tono grave. Aveva già mutato espressione e indurito lo sguardo.
Joy non disse niente, gli prese la mano e gliela strinse tra le sue.
Dopo qualche secondo aggiunse: “Sono sicura che andrà tutto bene. Finalmente potrai dedicarti a sanificare la Terra e ricostruirla”.
La ragazza aveva parlato al singolare, come se lei non fosse parte in causa della faccenda e ad Harlock questa cosa non sfuggì. Lo colpì e rimase interdetto, era una svista oppure lei stava pianificando di andarsene via?
Non volle soffermarsi a pensarci, probabilmente era solo una disattenzione verbale, ora voleva organizzare questa breve e pericolosissima visita a Nami e aveva bisogno dell’aiuto di Yama, quindi si congedò e andò a cercare il ragazzo. Evitando di proposito di farsi domande o pensare a cose che non voleva neppure prendere in considerazione.

 

 

***

 

 

Un paio di giorni dopo Harlock, Joy e Yama salirono su una navetta per dirigersi al Palazzo del Governo. 
Il ragazzo aveva parlato con Nami e avevano convenuto di andare da lei sul tardi, di notte, quando il Palazzo era chiuso. Lei risiedeva nella grande serra, in un’ala distaccata di cui aveva dato a Yama i codici d’accesso. La moglie di Ezra era abbastanza certa che sarebbero potuti transitare indisturbati, se avessero preso le giuste precauzioni.
Harlock aveva organizzato tutto da solo, non aveva avvertito nessuno dei suoi, neppure Yattaran, né Kei, voleva tenerli fuori da ogni pericolo e al sicuro da questa operazione veloce, ma rischiosa. L’unico al corrente di tutto era Yama, avrebbero fatto un’incursione rapida, in modalità ghost fly in modo da non essere intercettati dalla Gaia Fleet.
Era stato deciso tutto nell’arco di un paio di giorni, in gran segreto come aveva richiesto il Capitano ed ora, finalmente dopo tanto penare, Joy avrebbe incontrato quella che credeva essere sua sorella.
Il suo stato d’animo era contrastato. Da una parte era felice ed euforica di poter finalmente vedere Nami, dall’altra era davvero preoccupata dell’effetto che avrebbe avuto su di lei, conoscere il vero stato in cui si trovava la ragazza.
Quando salì sulla navetta con Yama e Harlock la sua agitazione, se possibile, aumentò ancora di più. 
Le prese una grande ansia e cominciò a chiedersi se fosse stata una buona idea andare a quell’incontro, ma c’era anche una cosa che le stava a cuore e che voleva chiedere a Nami.
Harlock e Yama erano molto silenziosi, probabilmente erano concentrati, in stato di allerta continua.
Il Capitano, che non era un sprovveduto, aveva taciuto a Joy un fatto importante, per non agitarla inutilmente. Non era solo per farle incontrare la sorella che stavano andando al Palazzo del Governo, ma soprattutto, per rubare dei piani strategici che gli avrebbero permesso di far rotta sulla Terra senza pericolo per l’Arcadia ed il suo equipaggio, di incorrere in attacchi a sorpresa della Gaia Fleet. Ovviamente,  Nami era loro complice, essendone al corrente.
L’ultima volta, quando erano andati in quattro, era stato facile e veloce entrare, fare ciò che dovevano e rientrare, anche questa volta avrebbero usato la stessa modalità e sarebbe andato tutto liscio.

In effetti sembrava tutto molto tranquillo. Il viaggio era stato veloce e senza nessun problema di sorta, la modalità ghost fly aveva tenuto segreto il loro atterraggio, ed entrare nella grande ala dove si trovava anche la serra, si era rivelato un gioco da ragazzi, dato che Yama aveva i codici d’accesso.
Procedevano in silenzio. Il ragazzo in testa alla fila, con la sua pistola in pugno, Joy dietro senza armi in mano, sebbene avesse sia la Cosmo Gun che le sue speciali armi nelle fondine, preparate con Yattaran, e Harlock dietro di lei, anche lui con la pistola in mano.
Stavano attraversando i lunghi corridoi dell’ala distaccata del Palazzo del Governo, quando giunsero davanti ad una paratia d’acciaio massiccio, finemente intarsiata. Yama digitò velocemente un codice sulla pulsantiera e la porta si aprì, introducendoli in una serra enorme, che assomigliava ad un grande giardino artificiale, ricco di una fitta e rigogliosa vegetazione.

Quel posto era pieno di ogni genere di piante e fiori, era alimentato da un sistema di irrigazione a piccole cascate perpetue, che gorgogliavano sommessamente, creando uno scroscio molto simile a quello dei ruscelli di campagna, che rompeva gentilmente il silenzio assoluto di quel luogo così strano, ma evocativo.
Joy ne fu affascinata, per un attimo tutte le paure e le preoccupazioni lasciarono il posto alla meraviglia. Sembrava davvero una piccola giungla in cui ogni specie vegetale vivente trovava lì, coltivato, un suo duplicato.

Ad un certo punto si palesò loro l’ologramma a grandezza naturale di Nami: una bella ragazza dai capelli castani e dagli occhi verde smeraldo, il cui viso emanava una dolcezza infinita, sebbene quegli stessi occhi fossero appena velati da un’ombra malinconica.
“Benvenuti” disse sorridendo ai tre “State tranquilli, non c’è nessuno in giro a quest’ora e anche Ezra è fuori” li tranquillizzò.
Harlock la salutò con un cenno del capo e Yama le sorrise, sebbene il suo fosse un sorriso davvero amareggiato.
Poi si rivolse direttamente alla biologa “E tu devi essere Joy, vero?” le chiese avvicinandosi. La ragazza la guardò esterrefatta, sembrava vera, in carne ossa, sebbene fosse solo un immagine artificiale, ma la cosa che la colpì maggiormente fu che da vicino era molto più bella di come le fosse apparsa nel messaggio ologrammato datele tempo prima da Harlock. Una cosa le fu chiara, Nami non le somigliava per niente e la cosa la turbò appena. “Sì, sono io e sono molto felice di conoscerti” disse un po’ incerta, ma regalandole un caldo sorriso.
“Vorrei abbracciarti” le disse “Ma è praticamente impossibile”.
Joy le sorrise comprensiva e ancora un po’ impacciata, poi Nami fece loro un cenno. “Seguitemi”.
Harlock e Yama rimasero in silenzio, lasciando spazio alle due ragazze, ma continuavano, nonostante le rassicurazioni di Nami, a stare molto in allerta e a muoversi furtivamente, guardandosi intorno.
Proseguirono tutti e quattro lungo il viale centrale della grande serra, fino a quando arrivarono in una parte più interna e protetta, dove c’era un’alta concentrazione di fiori. 
Là in mezzo, stazionava una grande teca di vetro. Prima che Joy si potesse avvicinare, Yama la prese per un braccio “Non si offenderà se non vuoi vederla” sembrava molto agitato e anche molto sofferente, si capiva che per lui era un tormento essere lì. 
Harlock era impassibile, non mosse un solo muscolo del viso. In cuor suo avrebbe preferito che Joy non la vedesse, ma aveva capito che per lei era una cosa importante e non poteva che rispettare questo suo desiderio. Capiva e non voleva che le rimanesse il rimpianto, una volta rientrata nel suo arco temporale, di non aver conosciuto questa sua sorella.
Nel frattempo l’ologramma di Nami fece trovare a Yama una tessera magnetica e gli spiegò dove dovessero andare per copiare i dati, nell’adiacente sala dei monitor a cui lei aveva accesso e da dove si collegava anche alla postazione del marito. Da lì carpiva le informazioni che poi passava a loro, e lì avrebbero trovato tutte le strategie che la Gaia Fleet avrebbe messo in atto contro l’Arcadia.
Anche Nami era al corrente della vera situazione della Terra ma non solo, sapeva anche che la Coalizione Gaia non era interessata a porre rimedio allo scempio perpetrato involontariamente da Harlock, ma che i Saggi volevano solo usare la menzogna propagata tramite i mezzi d’informazione, per assoggettare l’umanità e indirizzarla verso i loro scopi biechi ed economici. Solo per questo motivo li stava aiutando tradendo la fiducia del marito, che comunque amava, e che sperava un giorno potesse rendersi conto e passasse dalla loro parte.
Una volta rimaste sole, Nami accompagnò Joy vicino alla teca “Non è necessario che tu mi guardi, ciò che importa sono la mia mente e il mio cuore, non ciò che resta del mio corpo” le disse dolcemente. All’inizio non era stato facile neppure per lei vedersi in quello stato.
Ma la biologa voleva vedere e si avvicinò.
Lo scenario che le si aprì davanti agli occhi fu agghiacciante.
Nami non era più un essere umano, ma un mezzo troncone collegato ad una macchina.
Dalla vita in giù il suo corpo non esisteva più, proprio sotto l’ombelico c’era una larga fascia metallica a cui erano collegati tutta una serie di tubi, che risiedevano dove avrebbero dovuto esserci il resto del bacino e le sue gambe. Tutto il corpo era malconcio e la testa era inglobata in una sorta di casco metallico da cui partivano una serie infinta di tubicini e fili. Immobile, ferma, con lo sguardo fisso in un punto, era l’immagine stessa della devastazione.
Joy si sentì mancare e perse quasi l’equilibrio dallo choc.
Era una visione raccapricciante. 
Nami si rese conto e le si avvicinò. Gli occhi della biologa si inumidirono e una lacrima le rigò una guancia.
“È terribile io non… credevo…” riuscì semplicemente a dire, la voce rotta.
Ma furono subito interrotte da uno rumore sospetto.
“Presto nasconditi!” disse Nami a Joy, che si infilò lesta dietro un fitto cespuglio poco distante dalla teca appena in tempo, prima che Ezra si palesasse nella serra.
Nami sorrise al marito, per fortuna la sua immobilità corporea le permetteva di gestire il suo ologramma mentale dando lei stessa gli impulsi e riuscendo a mentire abbastanza bene e in modo credibile.
“Come mai sei ancora in giro per la serra?” le chiese l’uomo sospettoso. A quell’ora non c’era un motivo plausibile perché il suo ologramma fosse attivo.
“Perché sono venuto a trovarla” disse Yama, sbucando all’improvviso nel viale.
Si era accorto dell’arrivo di Ezra e aveva lasciato Harlock a finire di copiare i piani, mentre lui era andato in aiuto delle ragazze, sperando di poter gestire la situazione. Tanto non c’era altra possibilità e avevano dovuto agire d’impulso. Si accorse subito che Joy si era nascosta e la cosa lo sollevò, poteva rendere il tutto più credibile.
“Yama…” lo apostrofò lievemente sarcastico Ezra “Sei vivo dunque”.
“La cosa non sembra neppure toccarti, vero Ezra?” rispose il giovane al fratello.
“Che ci fai qui?” gli chiese l’altro accigliato, come se non credesse affatto alla sua spiegazione. “O vuoi che te lo dica io?” proseguì incattivito. “Ti sei asservito a quel Pirata terrorista e sei sicuramente qui a carpire informazioni, con l’aiuto svergognato di mia moglie, che neppure si cura di far entrare i nemici nella mia casa!” tuonò.
“Ezra calmati! Harlock non è l’uomo che tu credi” dichiarò Yama.
“No, mio caro fratellino. Non è l’uomo che TU credi” specificò, guardandolo con soddisfazione.
“Lui o la sua amichetta, che tanta pena si è dato nel recuperare, ti hanno mai parlato del suo grande peccato? Ti hanno detto che Harlock, il manifesto dell’integrità morale, il vessillo della libertà, è reo di aver completamente distrutto la Terra?”.
Yama sbiancò.
“Cosa vai farneticando Ezra?”.
“Ora basta!” disse Nami “Lascia che Yama se ne vada, era davvero…”.
“Taci!” fece l’uomo e in un moto di rabbia cercò di schiaffeggiare quell’ologramma, ma la sua mano oscillò nel vuoto, creando solo una lieve interferenza all’immagine della moglie.
“Non andrai da nessuna parte Yama!” ribadì Ezra ed estrasse la pistola.
A quel punto Joy non sapeva più che fare, era nel panico.
“Fermo!” intimò perentoria la voce di Harlock che, sopraggiunto, puntò il Gravity Saber alle spalle di Ezra, che nella concitazione, dalla consolle della sua sedia tecnologica riuscì comunque a dare l’allarme.
“È vero quello che ha detto?” chiese serio Yama ad Harlock.
Il Pirata suo malgrado annuì con un cenno della testa. Poteva tacere una verità, ma interrogato non avrebbe mai mentito.
“Tu ci hai ingannati tutti! Tu ci hai venduto falsi ideali….”
“Finiscila Yama!” disse Joy uscendo allo scoperto, palesandosi.
“Prima di parlare e giudicare, dovresti conoscere la realtà dei fatti, sapere come sono andate le cose e comunque non mi sembra che neppure Ezra, né Nami ti abbiano rivelato il vero stato della Terra, quindi siamo tutti bugiardi mi pare. E anche tu sei salito a bordo dell’Arcadia con la menzogna, o sbaglio?”. Era stato più forte di lei e comunque prima o poi sarebbe dovuta scappare da lì.
“Ma che bella riunione di avanzi da galera che c’è nella mia serra” commentò caustico Ezra e lanciò un’occhiata carica di rabbia a Nami. 
Harlock guardò malissimo Joy, come a rimproverarla silenziosamente perché uscita incautamente dal suo nascondiglio.
Yama era confuso e si sentiva tradito da tutti, ma quello che lo aveva maggiormente deluso era Harlock, che lui aveva assunto come modello morale.
“Fai la cosa giusta” gli disse suo fratello “Riappropriati della tua dignità e fai il tuo dovere!”.
Yama estrasse la sua pistola.
“Non costringermi a puntarla contro di lei” disse al Capitano girandosi verso Joy.
“Che fai? Sei matto?” gli chiese la biologa esterrefatta.
Il ragazzo non sapeva più che fare, scambiò un’occhiata con Harlock, ma fu in quell’istante che irruppero le guardie dentro la serra. 
Joy non ci pensò neppure un attimo, colta da un istinto fulmineo prese una delle sue micro bombe, messe a punto tempo prima con Yattaran, che altro non erano che una specie di potente fumogeno, la lanciò a terra e confuse le acque, creando questa specie di cortina nebbiosa artificiale.
Harlock capì al volo e raggiuntala l’afferrò per un braccio e la trascinò via.
Corsero in direzione del corridoio centrale, per riuscire a scappare.
“E Yama?” gli chiese la ragazza.
“Deve fare la sua scelta, non possiamo obbligarlo!” rispose il Capitano mentre correvano.
Alcune guardie, ripresesi da un primo attimo di smarrimento, li rincorsero quasi raggiungendoli.
Si udirono del colpi fendere l’aria e poi all’improvviso Harlock lasciò la presa sul braccio di Joy, non prima di averle passato veloce il file con le informazioni rubate.
“Vai, scappa! Sali sulla navetta e torna sull’Arcadia!” le disse con voce affannata.
Joy impressionata si girò di scatto e lo vide.
Aveva le mani che premevano sul fianco destro.
Era stato colpito e perdeva molto sangue.

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Capitolo 31
*** Echi Lontani ***


Buona domenica!  Ce l’ho fatta anche questa volta, come ogni fine settimana, a fare il consueto il RI-postaggio di due nuovi capitoli, rivisti e corretti. (Il secondo sarà postato al più tardi tra un’oretta! Sorry mates!)
Vorrei oggi vorrei esprimere la mia gratitudine a tutte le numerose persone che stanno leggendo, o rileggendo la storia, a quelle che l’hanno nuovamente messa tra seguite, ricordate e preferite e soprattutto a chi mi lascia le sue impressioni. Grazie di vero cuore a tutti!

Buona lettura =)

 

 .30.

 

 ECHI LONTANI


Aveva le mani che premevano sul fianco destro.
Era stato colpito e perdeva molto sangue...

Joy non gli rispose neppure, afferrò veloce un’altra delle sue bombette e la lanciò contro i soldati, creando nuovamente una fitta cortina di densa nebbia. Avrebbe dovuto fare un monumento a Yattaran, per averla stimolata a confezionarle.
“Non ti lascio qui nemmeno se mi spari, sappilo! Forza, nascondiamoci” gli rispose risoluta, cercando di aiutarlo come poteva. Era terrorizzata, soprattutto dal fatto che fosse ferito, ma determinata a fare qualcosa:
cosa, non lo sapeva neppure lei a dire il vero, ma la forza della disperazione in quel momento era più forte di tutto.
In qualche modo si intrufolarono tra la fitta vegetazione e si  accucciarono ben nascosti, intanto le guardie disorientate dal fumo si sparpagliarono in varie direzioni, per stanarli, per fortuna non sembrava avessero capito dove si trovassero.
Joy si rese conto che Harlock respirava a fatica, e che perdeva troppo sangue. Dalla giacca di pelle affiorava minacciosa una macchia vermiglia e il suo volto era contratto, cinereo, la sua fronte imperlata di sudore, tanto che alcune ciocche di capelli gli si erano appiccicate alle tempie. Alla biologa fu chiaro che soffrisse molto e che la ferita fosse importante. Era lontano dall’Arcadia e quindi dalla dark matter, ciò lo rendeva pericolosamente vulnerabile e questa era la cosa che la terrorizzava di più. Lo guardò disperata, come a chiedergli che cosa potesse fare. Era angosciata, smarrita ed impotente. Non aveva né la forza fisica, né la capacità materiale di trarlo in salvo da quella situazione. Si sentiva come una lepre presa al laccio, che aspettava solo di essere stanata dal bracconiere.
Harlock la guardò dritta negli occhi, il suo sguardo era duro e determinato, come a farle capire che non era il momento di cedere, le fece cenno di fare il più assoluto silenzio, portando l’indice sulle labbra. Impugnò quindi la sua Cosmo Gun e rimase in attesa. 
Doveva solo pensare al modo in cui sarebbero potuti uscire da lì. Non poteva concedersi il lusso di essere sopraffatto dal dolore lancinante che la ferita gli stava procurando. Sembrava che un cane gli stesse affondando i denti nella carne e gliela lacerasse, scarnificandola a brandelli, mentre la ferita pulsava e bruciava come arsa da fuoco vivo. Non poteva neppure dar spazio alla paura, o alla preoccupazione di non riuscire a portarla in salvo, ogni suo sforzo e ogni sua energia era incanalata nella concentrazione che gli serviva per capire come meglio muoversi. Se avesse potuto, l’avrebbe obbligata con la forza ad andarsene via da lì, ma sapeva che sarebbe stato inutile insistere e che avrebbe solo rischiato di farli scoprire. Era meglio stare all’erta in silenzio, cogliere l’occasione propizia e sperare che la sorte desse loro una mano, prima che quel dolore acuto lo sopraffacesse del tutto.
Poco dopo, lo scalpiccio, prodotto dalla corsa delle guardie sul marmo del corridoio centrale, si perse in lontananza ed Harlock comprese che quello era il momento giusto per uscire e cercare di scappare da quella dannata serra.
Non senza difficoltà, guardinghi, uscirono  dal nascondiglio e raggiunsero la porta d’acciaio intarsiata, dalla quale erano entrati. Il Capitano cercò di fare mente locale per ricordare il codice digitato da Yama.
Fece un primo tentativo.
3-8-5-16
La porta non si aprì. 
8-3-5-16
Ancora niente.
Intanto Joy cercava di sostenerlo, facendolo appoggiare alla sua spalla. Era davvero malconcio. Cominciava ad essere debole e le ginocchia gli si erano appena piegate. Aveva preso a sudare ancora più copiosamente. Il suo viso era diventato così pallido da sembrare quasi di cera. La biologa era disperata, temeva che potesse svenire o peggio, e lei non sapeva proprio che fare per aiutarlo, si sentiva totalmente inutile, un peso morto. Si maledisse per il fatto che fossero andati in quel posto e si sentì addosso tutta la colpa e la responsabilità di ciò che stava accadendo, perché era solo a causa sua se erano lì, e se lui era stato ferito.
All’improvviso, i suoi pensieri e il silenzio circostante furono rotti dal suono metallico prodotto dal disarmo della sicura di una pistola, e a Joy si ghiacciò il sangue nelle vene.
Yama li aveva raggiunti e stava puntando la pistola carica contro Harlock.
Il Capitano si girò con molta fatica e lo fissò dritto negli occhi.
Il suo sguardo era intenso, severo, ma non incattivito, piuttosto sembrava quasi di rimprovero.
“Se credi che questa sia la cosa giusta da fare, non indugiare: spara pure”.
Glielo disse con una calma glaciale e senza l’ombra di un qualcosa che potesse lontanamente ricordare la paura. Fiero e dignitoso, quasi eretto, nonostante la ferita sanguinante. “Ma lei non c’entra. Falla uscire” aggiunse subito dopo, senza distogliere lo sguardo dagli occhi del ragazzo.
“Lei può andare” rispose l’altro, fissandolo a sua volta.
“Yama, ma sei impazzito? Che ti prende? Hai davvero intenzione di ammazzare l’uomo che ti ha salvato la vita? Ti sei dimenticato che Harlock ha rischiato di morire per venire a salvarti su Tokarga? Ė ferito, non vedi?” gli chiese angosciata Joy, che non capiva il comportamento del ragazzo. Di se stessa non le importava nulla al momento, era molto più preoccupata per Harlock, anche perché sapeva che era ricercato in tutta la Galassia, mentre lei non era nessuno, cosa mai le avrebbero potuto fare? E poi voleva solo che lui si salvasse a tutti i costi, perché il suo senso di colpa aumentava di minuto in minuto e l’ultima cosa che avrebbe voluto era quella di essere la causa della sua cattura, o peggio della sua morte.
“Voglio solo consegnarlo alla giustizia” disse Yama senza colore nel tono della voce. Era deluso, ma anche molto confuso e disorientato, sembrava muoversi più per forza d’inerzia che per reale convinzione. 
“Quale giustizia? Quella della Gaia Sanction?” gli chiese ironico Harlock, facendo una smorfia che somigliava ad un mezzo sorriso sarcastico “La Terra che io ho distrutto involontariamente, sebbene mi sia macchiato di una colpa imperdonabile, forse può essere risanata, ma a loro non interessa, non gli è mai interessato il destino del nostro pianeta. L’hanno sempre usato, da vivo come da morto. Un simbolo falso per ammansire le folle. Tu solo puoi capire il mio gesto inconsulto da pazzo, puoi capire la rabbia e il disappunto che lo hanno sciaguratamente armato. Ma più di ogni altro, puoi capire l’enorme peso della mia colpa ed il mio rimorso. Puoi comprendere la grande importanza del potervi porre rimedio. Ora devi decidere tu, ciò che è giusto fare” concluse con affanno, perché aveva fatto uno sforzo disumano per parlare e stare eretto. Malgrado il dolore e la posizione di svantaggio, non aveva perso quell’aura solenne da combattente fiero ed indomito. Le sue parole pacate erano state incisive, vere, e non erano certo meno efficaci dei fendenti o dei colpi, che avrebbe potuto dispensare con le sue armi.
5-3-8-16
La porta si aprì. 
Yama, che aveva digitato il codice, rinfoderò la pistola e aiutò Joy nel sostenere Harlock, poi, più veloce che poterono, uscirono fuori per cercare di raggiungere la navetta.
In modo abbastanza rocambolesco, arrivarono in prossimità del mezzo che li avrebbe riportati all’Arcadia. Erano ad un passo dalla salvezza quando furono raggiunti da un manipolo di guardie.
“Maledizione!” grugnì Yama.
“Sa-lite sul-la nav-etta e las-ciat-emi qui…” disse Harlock a stento, con voce fioca. Era allo stremo delle forze, stava come spegnendosi.
“NO!” risposero all’unisono Joy e Yama.
“Arrendetevi!” li interruppero a sorpresa le guardie, puntando le pistole contro di loro. Li avevano raggiunti e semi circondati.
Era finita…
Non avevano più scampo. 
Yama lasciò cadere la pistola a terra e quelli cominciarono ad avanzare verso di loro, quando, ad un tratto dal nulla, sbucò nel cielo un’altra navetta che prese a sparare a pioggia sui soldati della Gaia Fleet, i quali iniziarono a cadere al suolo, scomposti, come  fossero stati dei birilli.
“Ya-ttara-n…” disse il Capitano in un soffio, tenendosi il fianco, il dolore lo stava dilaniando e le forze lo stavano abbandonando.
Il primo ufficiale, avvertito fortunosamente da Nami, era arrivato giusto in tempo.
Yama, con l’aiuto di Joy, riuscì finalmente a trascinare il Capitano e a portarlo via.
Nel frattempo Yattaran copriva loro le spalle, sparando accanitamente contro chiunque si avvicinasse.
Finalmente i tre riuscirono a decollare, partendo in tutta fretta per rientrare sull’Arcadia.

Joy aveva avvertito Kei tramite radio dalla navetta, così quando arrivarono sull’Arcadia, Harlock fu trasportato d’urgenza in infermeria. Nonostante la gravità della ferita, la ragazza notò subito che erano stranamente tutti piuttosto controllati ed apparentemente calmi, mentre lei aveva come un’esplosione atomica dentro, che le stava creando una voragine nello stomaco. Era preda della paura e della disperazione, dettata dalle pessime condizioni fisiche di lui. 
Harlock stava andando lentamente in ipotermia, mentre il suo corpo era scosso da brividi e tremori continui. Era palese che facesse fatica a restare cosciente, le sue labbra erano livide e lo sguardo perso nel vuoto anche se ancora cosciente. Era evidente che stesse lottando con ogni fibra del suo essere, per non cedere allo svenimento.
Una volta in infermeria fu sistemato sul lettino e Zero lo sedò immediatamente, ignorando le sue deboli proteste, perché era davvero al massimo estenuo delle sue forze.  
Una volta sedato, Zero, con l’aiuto di Meeme lo spogliò, mentre Joy guardava ciò che stava accadendo e le pareva di essere in una sorta di incubo, tremendo ed infinito, come se fosse stata inghiottita da un buco nero d’angoscia. La testa le si era ovattata, capiva, ma nello steso tempo era confusa, stava in piedi, ma tremava come una foglia e le ginocchia sembravano volerle cedere da un momento all’altro. Il cuore le batteva furiosamente, ma era un battito strano: accelerato ma anche debole, ovattato e rimbombante, quasi come se urtasse contro la cassa toracica, a tratti doloroso e pungente, come se fosse stato ferito da chiodi appuntiti.
Una volta che fu liberato dal giubbotto di pelle e dalla montura sottostante, che gli si era leggermente appiccicata al sangue e ai lembi della ferita, si resero tutti conto che il colpo di laser che lo aveva colpito, gli aveva procurato una lesione molto profonda, lacerando tessuti, intaccando anche parte dello stomaco e l’intestino.
Joy sentì come se il sangue, defluendo, le si liquefacesse ai piedi in una pozza, svuotandola di ogni energia e dovette appoggiarsi alla parete per non cadere. La testa le girò vorticosamente dallo choc, mentre le orecchie le fischiarono forte stordendola.
“Non ti preoccupare” le disse Meeme girandosi, mentre Kei le si avvicinava per sorreggerla.
“Per fortuna la dark matter lo salverà” le spiegò coincisa e poi uscì dall’infermeria, lei sapeva che fare.
“Lo so che è impressionante. Terribile da vedersi, ma Meeme ha ragione” le disse Kei “Non piace neppure a me vederlo così, ma per fortuna non è toccato a nessuno di noi, o saremmo già morti. Lui ce la farà, fidati!”.
Tutti sulla nave sapevano che Harlock era stato contaminato per una fuoriuscita della dark matter aliena dai motori dell’Arcadia, prima di reclutare la ciurma. Per sua fortuna non solo non era morto, ma ne aveva avuto dei vantaggi. Ovviamente nessuno sapeva con esattezza la dinamica dell’incidente, né quella della contaminazione. Era semplicemente un altro dei misteri che aleggiavano sul Capitano, lo si prendeva per buono senza fare troppe domande.
Nonostante anche Kei fosse traumatizzata da quella visione, comunque tremenda, non si lasciò andare, né commentò oltre. Essere un membro di quella nave a volte significava prendere i propri sentimenti, le paure e le angosce, masticarle e inghiottirle. Senza parlare, né manifestare il proprio stato d’animo, perché non si poteva dare spazio alle proprie emozioni, soprattutto quando si trattava di una situazione così delicata.
Joy ascoltava, ma era come se parlassero in lontananza, come se fossero echi lontani di conversazioni altrui, l’unica cosa che riusciva a capire era ciò che vedeva: un corpo martoriato nella carne, scomposto, con le braccia penzoloni e i capelli che gli ricoprivano quasi interamente il viso ormai bianco come la neve; rabbrividì, sembrava davvero morto.
L’unica vera certezza che aveva, era quella che se non fosse stato per lei, tutto ciò non sarebbe mai accaduto. Nella sua testa era come se la mano armata fosse stata la sua.
Poco dopo rientrò Meeme. Aveva in mano un contenitore simile a quelli criogenici, con una parte trasparente a vista, dentro vi si agitava, in una sorta di moto perpetuo, quella specie di gas nero, nebuloso e denso, intervallato da micro scariche, simili a quelle elettriche, di colore rosso vivo. Era la stessa materia che proteggeva l’Arcadia e che la autorigenerava: la dark matter.
Il dottore, nel frattempo, aveva eretto intorno al lettino sul quale era stato sistemato Harlock, una sorta di tenda sterile di contenimento. Quindi, sempre sotto lo sguardo vacuo di Joy, che non sentiva altro che rimbombare nella testa: è colpa tua, solo colpa tua… s’infilò a sua volta una tuta sterile.
Con cautela, prese il contenitore dalle mani di Meeme, lo collegò ad una specie di erogatore con un lungo tubicino d’acciaio, il quale terminava con una sorta di pistola a spruzzo. Facendo molta attenzione, infilò le braccia in dei nei manicotti esterni che lo collegavano con l’interno della tenda. Gli avrebbero permesso di usare la materia oscura, da fuori, direttamente dentro lo spazio sterilizzato, senza contaminarsi e senza contaminare a sua volta la purezza della dark matter stessa, che altrimenti avrebbe potuto non funzionare a dovere.
Quando fu pronto, cominciò a nebulizzare quella strana sostanza direttamente dentro la ferita di Harlock. Subito, come per magia, i tessuti, seppur lentamente, cominciarono a ricostruirsi. Era come se quella sostanza stesse tessendo la sua carne e i suoi muscoli, come se gradualmente ne unisse i lembi, rigenerandola totalmente.
Joy guardava impressionata da una parte, meravigliata ed esterrefatta dall’altra, per come prodigiosamente stesse guarendo. 
Malgrado ciò non capiva e non riusciva a comprendere queste cose così lontane dalla sua razionalità e dalla realtà da cui veniva. Le sembrava di stare in una sorta di sogno angosciante e incoerente, la testa le ronzava mentre gli occhi non potevano fare a meno di rimanere incollati su quella scena salvifica e terrifica allo stesso tempo.
“Forse è meglio se adesso esci” le disse piano Kei. Capiva che non era il caso di protrarre ancora quella visione così particolare e dolorosa. Aveva visto che era salvo, che sarebbe guarito, per questo le avevano permesso di rimanere. Loro erano in un certo senso abituati, al sangue, al dolore, alla morte e alla sofferenza, così come alla particolarità di Harlock, ma lei no. Poteva essere troppo turbativo a livello emotivo, e poi per assistere a certe operazioni, in tutto e per tutto simili alla chirurgia antica, bisognava avere stomaco, una preparazione psicologica adeguata, ma soprattutto non essere coinvolti emotivamente, o la cosa poteva diventare devastante. Yuki temeva che sarebbe crollata o peggio svenuta e non era il caso. La priorità assoluta era Harlock.
“No… io vorrei restare” protestò in un soffio Joy.
Intervenne Meeme. Le si avvicinò e le prese le mani.
“Devi andare ora. Non sei d’aiuto qui. Ci vorrà ancora un po’ prima che il dottore riesca a ricostruire tutti i tessuti dello stomaco e la parte d’intestino danneggiata” le spiegò senza tanti preamboli. “È meglio se ti riposi. Quando si risveglierà faremo in modo che tu sia presente, al suo fianco, ma con un’altra cera, credimi, non sarebbe un bene per lui vederti così”. Anche lei era molto preoccupata e addolorata per Harlock, ma la sua razionalità aliena l’aiutava a scindere le cose e le regalava una freddezza molto utile in quei frangenti, soprattutto perché era l’unica che non si lasciava mai andare alla disperazione, almeno in apparenza, perché di fatto non era un essere privo di sentimenti.
Joy non voleva andare, non voleva proprio, ma le stavano facendo capire in tutti i modi che doveva farlo per lui e alla fine, facendo violenza su se stessa, seppur a malincuore, uscì da quell’infermeria.

Fuori c’era praticamente quasi tutto il resto dell’equipaggio assiepato, tra cui ovviamente anche Yattaran e Yama.
“Come sta?” chiese quest’ultimo, contrito, quasi a voce bassa.
“Come sta?” gli chiese Joy facendosi violenza fisica per non colpirlo, tanto che strinse così forte i pugni, da farsi sbiancare le nocche e ferirsi i palmi, guardandolo con uno sguardo irato, carico di un’angoscia disperata. “Come uno a cui hanno sparato, aperto un fianco e perforato stomaco e intestino. Ecco come sta!” gli disse, evitando altri commenti. Lo avrebbero linciato se avessero saputo ciò che aveva fatto e siccome alla fine, nonostante tutto, se non ci fosse stato lui, forse non ce l’avrebbero fatta, decise di tacere. Tuttavia con Kei, che la stava accompagnando in cabina, si sfogò.
Una volta venuta a conoscenza dei fatti, Yuki s’infuriò.
“Tienilo d’occhio” le stava dicendo Joy a conclusione del discorso “Non credo che farà niente, e sicuramente è già pentito. Ha avuto questo momento disgraziato perché purtroppo ha scoperto una cosa che l’ha turbato moltissimo e ha reagito male”.
“Di cosa si tratta?” le chiese Yuki con voce tagliente, avrebbe voluto andare da Yama e picchiarlo anche lei.
“Non posso proprio dirtelo, mi dispiace… lo farà Harlock quando si sveglierà” le rispose la biologa contrita, ma non poteva proprio dirle nulla della Terra.
“E chi saresti tu per arrogarti il diritto di tacermi le cose? Sono un ufficiale di questa nave, e devo sapere esattamente che cosa abbia nella testa quel traditore!” le chiese, piuttosto risentita. Erano tutti molto preoccupati e nervosi per via del Capitano ed era normale che potessero diventare aggressivi.
“Non sono nessuno. Sto solo rispettando la volontà di Harlock” le disse Joy un po’ turbata da quella reazione.
Ma Kei era molto arrabbiata, soprattutto perché il Capitano l’aveva estromessa da quella missione, perché era andato con quei due, che in fondo erano solo gli ultimi arrivati, e ci aveva quasi rimesso le penne. Quando si trattava di Harlock non ce n’era per nessuno, lui era la persona a cui voleva più bene nell’universo e averlo visto così le aveva straziato il cuore. Anche se aveva dovuto darsi un contegno, stava sfogando tutta la tensione accumulata contro la biologa.
“Hai detto bene, non sei nessuno. Non conti niente qui dentro, non più di chiunque altro. Quindi dovresti smetterla di comportarti come se tu fossi qualcosa di speciale per lui, perché non è così! E ora entra nella tua cabina e stagli alla larga. Chissà come mai, per una volta che esce con vuoi due, rientra più morto che vivo!” le inveì contro veramente indignata, piantandola poi da sola nel corridoio a pochi passi dal suo alloggio.

Le parole di Kei erano state più violente di pugni e schiaffi. Le erano arrivate addosso, dando un vero e chiaro senso ai suoi rimorsi. Erano la certezza di essere stata la causa di quel tremendo pasticcio. 
Si sentiva priva di forza fisica, così devastata che faceva fatica a muoversi, entrò in cabina e si sedette sul letto.
Rimase al buio, immobile, ferma, senza fare niente. 
Non pianse neppure, quando stava così male, era come se calcificasse dentro, le rimanevano tutte le emozioni compresse in fondo allo stomaco, in cui si apriva quella voragine senza fine che le risucchiava qualsiasi tipo energia vitale, lasciandola inerme, incapace di qualsiasi reazione. Riusciva solo a respirare, mentre il cuore continuava quella strana danza rimbombante in petto.
Non c’era null’altro da fare, se non aspettare.

 

 

NOTE : L’immagine della ricostruzione dei tessuti così come descritta, è stata presa in prestito dal film Transcendence di Wally Pfister. Nel film la ricostruzione dei tessuti, ossa e organi, veniva effettuata con le nano tecnologie, a volte anche all’aria aperta. Io ho solo preso in prestito la parte tecnica riguardante i tessuti che si ricompongono, così da giustificare il risarcire piuttosto veloce di una ferita così importante da parte della dark matter. 
L’idea della rigenerazione delle possibili ferite di Harlock è frutto della mia immaginazione fin dall’inizio del concepimento della storia, mi sono rifatta al concetto di dark matter, che se ripara in volo le rotture dell’Arcadia, perché non dovrebbe rigenerare le ferite di Harlock? 

 

 

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Capitolo 32
*** Destini incrociati ***


Ecco il secondo capitolo!
Buona (spero) lettura! =)

 

  .31.



 


DESTINI INCROCIATI

Quanto tempo rimase in quella stanza, seduta immobile e priva di forza, non se ne rese conto. Un’ora? Forse due? Probabilmente anche di più.
Il tempo si era fermato dilatandosi come una membrana e lei era lì, statica, incapace di muovere un solo muscolo in attesa di qualcosa che la scuotesse da quell’inerzia indefinibile.
Ad un certo punto sentì come un formicolio alla nuca che aumentava, facendole correre una sorta di brivido nel cuoio capelluto. Il suo microchip sfrigolò appena, facendola letteralmente sobbalzare, più dallo spavento, che dal reale fastidio che effettivamente le aveva procurato quella micro scossa improvvisa.
Si portò istintivamente una mano alla nuca, ma le sembrò tutto a posto, tutto già passato, forse era colpa dello stress?
Lentamente si alzò e andò in bagno, si sciacquò il viso e poi passò la testa direttamente sotto il getto d’acqua fredda che gorgogliando usciva dal rubinetto. 
Doveva riprendersi, scuotersi da quel torpore amorfo che l’aveva come paralizzata.
Si stava frizionando i capelli, quando qualcuno bussò alla sua porta.
Aprì. Era Yattaran.
“Ciao. Scusa il disturbo, ma Yama ha detto che hai qualcosa per me” le disse serio.
“Come sta?” chiese lei ignorando completamente le sue parole, come se non le avesse neppure udite.
L’uomo sospirò e si grattò la testa sopra la bandana “È sedato. La ferita sembra che stia guarendo piuttosto in fretta, il problema è che ha perso troppo sangue, ha comunque bisogno di una trasfusione veloce, non si può attendere la rigenerazione sanguigna, che è troppo lenta. Stiamo cercando qualcuno compatibile… perché non abbiamo scorte di plasma e purtroppo il Capitano è uno zero negativo, gruppo molto raro, e può ricevere sangue solo da un altro zero negativo…” le spiegò molto amareggiato. 
Figuriamoci se ci poteva essere una cosa semplice! Pensò la ragazza sconsolata ed arrabbiata allo stesso tempo. Lei era l’opposto, neppure a farlo apposta: zero positivo. Avrebbe potuto ricevere il suo sangue, ma non donarglielo. La frustrazione generata da quella scoperta la fece sentire completamente inutile e il senso di colpa la divorò in un sol boccone, nuovamente.
“È successo tutto a causa mia…” ammise alla fine, a voce alta, portandosi le mani al viso celandosi gli occhi piena d’angoscia e rabbia repressa contro se stessa.
“Non è affatto vero. Non dire sciocchezze” le rispose sincero poi la esortò nuovamente “Dovresti avere un file. Lo ha preso Harlock, ma non gli è stato trovato addosso, Yama dice che potresti averlo tu”.
Fu in quel momento che la biologa si ricordò che Harlock gliel’aveva dato quando le aveva chiesto di scappare e lasciarlo in balìa della Gaia Sanction. Pazzo! Come gli era venuto in mente? Si sarebbe fatta ammazzare piuttosto che scappare lasciandolo ferito nella morsa di un destino già scritto.
“Sì, ora ricordo” disse concitata frugando in tutte le tasche. Finalmente lo trovò e lo glielo passò.
“Il Capitano non è avventato, né un uomo che agisce sull’onda dei sentimenti, dovresti averlo capito. La ragione principale per cui siete andati al Palazzo del Governo è proprio per carpire le informazioni ora contenute qui dentro. Ci sarebbe andato comunque con te, o senza di te” le disse, agitando il file “E se lo conosco bene, sono certo che preferisca mille volte che abbiamo sparato a lui, piuttosto che a te o a Yama” aggiunse convinto.

Yattaran aveva una vera e propria venerazione per Harlock, lo rispettava profondamente e verso di lui nutriva una sorta di timore reverenziale, dettato dall’ammirazione che gli suscitava la sua rettitudine e la sua abnegazione al sacrificio, tanto che era stato l’unico che aveva seguitato a dargli del voi più a lungo di tutti gli altri. Aveva ceduto al tu solo dopo che il Capitano glielo aveva praticamente imposto. Sebbene a volte fosse molto curioso e anche un po’ bambinone, era forse il membro maschile di quell’equipaggio più devoto al comandante dell’Arcadia, e pur essendo un combattente spietato e valoroso, a suo modo era anche un uomo sensibile. Aveva intuito che tra quella ragazza ed Harlock c’era del tenero, e aveva capito che per il Capitano lei era importante e, allora, lei automaticamente era diventata importante anche per lui, e l’avrebbe difesa anche da se stessa se era necessario. Perché come per fatta la ciurma, il benessere di Harlock era la cosa più importante per l’equilibrio e la vita di quella nave.
Le parole del primo ufficiale dell’Arcadia furono come una stilla di balsamo lenitivo per la sua anima, ma non così efficace da farle svanire i sensi di colpa.  
Era comunque stata d’intralcio e se Harlock e Yama fossero stati da soli non si sarebbero dovuti occupare di lei, né tornare alla teca di Nami, quindi magari non avrebbero incontrato Ezra e il resto non sarebbe accaduto. Secondo il suo ragionamento, la causa di tutto restava sempre lei a prescindere.
“Dov’è Yama?” chiese poi. Voleva parlare a quattr’occhi con lui.
“In fila a farsi le analisi con tutti i membri della ciurma che non si ricordano il gruppo sanguigno, sono circa quindici, speriamo di avere l’enorme colpo di fortuna che almeno uno di loro sia zero negativo, o dovremmo per forza rivolgerci ad un ospedale” disse molto serio “E sarebbe molto, troppo pericoloso!” concluse grave.
Il cuore di Joy perse un colpo.
“Voglio vedere Harlock” disse risoluta.
“Ora è meglio di no. È sedato e in attesa di un donatore. Meglio lasciarlo in un ambiente più asettico possibile. Non l’ho visto neppure io. Ci sono solo Zero, Meeme e Kei” le spiegò.
Zero, Meeme e Kei. Ripeté mentalmente la ragazza. 
Lei non era ammessa. Dopo tutto era una forestiera, un’ospite non sempre gradita che aveva fin troppo monopolizzato l’attenzione del loro Capitano. 
Si domandò se avessero saputo la reale natura del loro rapporto, se forse non avrebbero reagito anche peggio.
Il suo stato d’animo prostrato le faceva vedere ogni cosa sotto una luce negativa e distorta.
Ad ogni modo il messaggio, riferito anche a parole da Kei era stato forte e chiaro: fuori dai piedi, tu qui non sei ammessa.
Era disperata, ma non tanto da non rendersi conto che non poteva forzare la mano. Non poteva imporsi, non era il caso e non sarebbe servito a niente. Soprattutto, non sarebbe servito a far star meglio Harlock, quindi era più saggio mettersi da parte e lasciare che lo curassero a dovere, senza essere d’intralcio.
“Va bene” disse remissiva a Yattaran “Se non è il caso che entri, starò fuori della porta”.
“Ma non è necessario, stai qui e riposa” le disse cercando di essere persuasivo.
Stai qui e riposa?” ripeté sgranando gli occhi, ma come ragionavano tutti?  “Secondo te io posso stare qui tranquilla a riposare?” gli chiese quasi arrabbiata. Ma si rendevano conto, o no di quello che dicevano? Oppure credevano che fosse una stupidina senza cuore e cervello?
Lei lo amava quell’uomo! E lui stava forse per morire come gli poteva venire in mente di dirle stai tranquilla e riposa come se Harlock avesse un semplice mal di denti? Era uscito fuori di senno?
Yattaran notò la sua espressione, che forse era più eloquente del tono indignato che aveva usato per rispondergli e abbassò lo sguardo con fare dispiaciuto “Hai ragione scusa. Ho detto una sciocchezza” bofonchiò e poi si congedò lasciandola alle sue pene. Non era bravo come consolatore, era meglio che se la desse a gambe prima di dire un’altra cosa sbagliata, anche se in realtà lui avrebbe voluto solo essere gentile. Era chiaro che nessuno poteva far niente se non si trovava questo donatore.

Joy fece come aveva detto al primo ufficiale e andò diretta in infermeria. Non entrò e si sedette in terra accanto alla porta. In attesa che qualcuno uscisse per avere notizie.
Da dentro si sentivano delle voci, ma parlavano piano, e lei non capiva niente. Provò ad origliare, ma non ci fu nulla da fare, non erano udibili.
Nel corridoio a differenza di prima non c’era più nessuno, probabilmente avevano fatto sgomberare tutti e sicuramente gli esami del sangue li stavano facendo altrove, o forse già sapevano…
Era molto frustrante essere esclusa così. Non sapeva come rendersi utile e alla fine si concentrò e si mise a pregare. Che altro poteva fare se non quello? Era l’unica cosa che le era concessa e vi si dedicò con anima e cuore sperando di essere ascoltata.
Rimase seduta a terra, poi dopo un po’ vide arrivare Yama.
Era molto serio, lo sguardo basso da cane bastonato fisso a terra, ma non le fece pena per niente, era ancora molto arrabbiata con lui.
“Che ci fai qui?” le chiese diffidente alzandosi di scatto in piedi.
“Ho il suo gruppo sanguigno” disse in un soffio evitando il suo sguardo.
Lei si sentì riavere e per una volta non fece nessun tipo di pensiero sui legami veri o presunti tra i due, non le importava niente se non che Harlock potesse stare di nuovo bene.
Le sue preghiere erano state ascoltate ora poteva avere la sua trasfusione. Il resto erano sciocchezze inutili.
“Almeno potrai rimediare a ciò che hai fatto” gli disse severa.
“Non volevo che stesse male”.
“Ah già, tu non vuoi mai fare male a nessuno vero Yama? E allora cresci! Perché ogni volta che prendi una decisione e fai qualcosa, qualcuno ne paga le conseguenze. Magari impara a pensare prima di agire!” gli disse duramente, ma era ciò che pensava. Era ora che capisse e che smettesse di fare la prima cosa che gli passava per la mente. Tutto istinto e niente riflessione, doveva maturare un bel po’ il ragazzo.
Yama abbassò nuovamente la testa e strinse i pugni, poi fece solo un cenno di assenso e aprì la porta per entrare.
Joy, nonostante tutti i suoi buoni propositi, non resisté, e lo seguì a ruota.
Una volta dentro non ci fu neanche il tempo per pensare, Kei fece uno scatto e cogliendo tutti di sorpresa mollò un destro ben assestato sul naso al ragazzo, che perse l’equilibrio e franò addosso al carrello dei medicinali, facendo un gran baccano, rompendo varie cose.
Zero s’inviperì.
“Ma dico, ti dà di volta il cervello? Il Capitano è quasi dissanguato, dobbiamo fare una trasfusione immediatamente e tu lo me stendi? Corpo di mille balene arenate sulla quella spiaggia che non c’è più! Picchialo dopo la trasfusione, no?” la rimproverò iroso.
Intanto Yama si stringeva il naso che sanguinava copiosamente mentre Kei si era fatta male alla mano.
Joy pure si indispettì per quel gesto stupido, ma si morse la lingua per non dire niente.
Meeme chiese gentilmente alla bionda pirata di uscire e andare farsi un giro per calmarsi, non era quello il momento di agire così.
Anche Joy fece per uscire, voleva essere l’ultima a causare problemi. Le era bastato vederlo, sebbene appena di sfuggita. Era tale e quale a quando lo aveva lasciato, sedato, immobile, e abbandonato su quel lettino.
“No, tu resta. Credo che la tua presenza gli faccia bene” disse l’aliena seria “Non ne sono certa, ma credo che a livello di subconscio la percepisca, nella sua mente, sebbene ottenebrata dal sedativo, c’è stata una piccolissima flessione da quando te ne sei andata, ora invece la flessione è sparita…”.
Joy non aveva capito bene che stesse dicendo e che mai potesse essere quella flessione, ma fu lo stesso grata a Meeme per averle permesso di restare.
Zero intanto bofonchiava e aveva messo i tamponi nel naso a Yama.
Poi prese un altro lettino e lo avvicinò a quello dove era steso Harlock e finalmente la procedura ebbe inizio.
Inserì un piccolo ago in uno dei vasi sanguigni di Harlock. L’ago era parte di una cannula che terminava in un depuratore di plasma che ripuliva il sangue e contemporaneamente, con la giusta pressione, avrebbe fatto in modo che fosse pompato e arrivasse direttamente dal donatore al ricevente. Il medico cominciò a spiegare a tutti loro presenti che la trasfusione sarebbe durata circa due ore, per via della quantità di sangue necessaria. Circa mezzo litro
1.
Bisognava sorvegliare Harlock, soprattutto nei primi quindici minuti, cioè nel momento in cui ci sarebbe stato il maggior rischio di reazioni allergiche. Comunque, a scopo cautelativo, doveva essere tenuto sotto controllo per tutta la durata dell’operazione.

Finalmente la trasfusione iniziò.
Era una cosa strana, ma anche in un certo senso affascinante vederli l’uno accanto all’altro, così uguali eppure così diversi. 
Da uno usciva la rossa linfa vitale, che attraversava tutto il tubicino di collegamento per poi riversarsi nell’altro, ridando ciclo alla vita.
Joy li stava osservando attentamente. 
Erano entrambi distesi. Stessa postura. Stessi capelli castani, leggermente mossi e setosi. Stessi occhi marroni screziati d’ambra, stessi lineamenti gentili, ma anche maschi. Stessa corporatura longilinea, ma compatta e muscolosa, stesse mani forti e affusolate, simili quasi fino ad essere uguali. Uno un uomo fatto e finito, l’altro ancora in cammino per divenirlo. Sembravano quasi la copia di una stessa matrice.
Il viso di un giovane uomo con gli anni cambiava, questo era un dato di fatto inconfutabile, e quindi Yama poteva benissimo essere Harlock da giovane. 
C’era qualcosa che anche a livello di destino li legava in modo indissolubile, erano segnati entrambi dal marchio del rimorso e dall’aver agito dietro l’impulso della rabbia causando un grave danno. E sebbene Yama sembrasse più solare del Capitano, era anche vero che non avesse ancora, data l’età, il suo bagaglio di esperienze negative e dolorose. Ma come aveva reagito quella volta in laboratorio riguardo i sentimenti, era una cosa tipica del Capitano e lei cominciava a credere seriamente che Yama potesse anche essere un Harlock di un universo alternativo, o di una realtà parallela, e che fosse stato mandato lì, come lei, per uno scopo preciso. Del resto, se si fossero potuti fare i viaggi nel tempo, anche la teoria delle realtà parallele sarebbe stata del tutto plausibile.
Erano come due facce della stessa medaglia, ma c’erano comunque un sacco di punti oscuri da chiarire. Il primo fra tutti era come e da dove fosse giunto lì Yama, e soprattutto chi ce l’avesse mandato. Perché lui non ricordasse niente, e soprattutto che effetti devastanti potesse avere il fatto che un’entità sdoppiata venisse in contatto con la sua copia parallela, proprio come stava accadendo a loro. Ne sapeva poco, ma era certa di aver sentito dire, o letto da qualche parte, teorie sulla pericolosità di questo genere di incontri, tipo che un viaggiatore nel tempo, incontrando se stesso e quindi alterando alcuni equilibri cosmici sarebbe poi scomparso dalla sua realtà, ma non si ricordava bene le esatte dinamiche della cosa. Insomma, era una faccenda complicata e anche pericolosa, voleva sapere e capire. Pensò che forse Meeme potesse aiutarla, ma ci avrebbe parlato in un altro momento. Ora la priorità assoluta restava Harlock e la sua salvezza.
Pensava intensamente a queste cose quasi fantascientifiche, perché altrimenti il tempo non sembrava scorrere. C’era una strana calma in infermeria. Zero ogni tanto prendeva il battito ad Harlock, e controllava la sua temperatura. Chiedeva anche a Yama se stesse bene e lui si limitava a fare un cenno di assenso con la testa. Intanto gli si era gonfiato il naso come a lei, quando quella volta si era presa quel pugno in faccia, e cominciava anche fiorirgli un bel livido bluastro sotto gli occhi.
Kei era stata troppo impulsiva pensò Joy. E le venne anche un’altra considerazione, non è che, sotto, sotto, fosse ancora innamorata di Harlock?
Sospirò. Fece mente locale e convenne che no, non era per quello, altrimenti per la famosa cena non si sarebbe data tanta pena, forse era solo davvero tanto arrabbiata con Yama, forse era delusa…
“Ecco fatto!” disse trionfante Zero distogliendola dalle sue congetture “Finalmente abbiamo finito. Ora se per le prossime ore andrà tutto bene, il Capitano è a posto e possiamo riportarlo nella sua cabina. Dovrà stare qualche giorno a riposo, di modo che la dark matter finisca il suo lavoro, ma dopo sarà meglio di prima, come nuovo di pacca!”.
La biologa tirò un sospiro di sollievo, il medico intanto liberò Yama dell’ago.
Il ragazzo fece per alzarsi, ma il medico lo fermò.
“Devi stare a riposo anche tu signorino, e poi devo rimetterti a posto il naso” e lo ributtò giù sdraiato.
“Posso avvicinarmi?” chiese quasi timidamente Joy. 
Zero annuì. Sembrava molto più rilassato, la cosa la sollevò ulteriormente.
La ragazza si avvicinò al lettino e guardò subito il fianco di Harlock, dove era stato colpito.
La ferita era quasi completamente rimarginata. La pelle era di un rosa acceso e pareva sottile, sottile, simile a quella sotto una crosta quando viene tirata via troppo in fretta. Il corpo era leggermente velato di sudore, il viso un po’ meno pallido ma sempre molto cinereo.
Gli spostò i capelli dalla fronte. Non gli avevano tolto neppure la benda, ma suppose che forse lui non gradisse mostrare a tutti il suo occhio offeso. Poggiò il palmo della mano su una guancia, era piuttosto freddo. Joy sussultò appena. Le fece effetto, di solito la pelle di Harlock era molto calda, questo contrasto non le piacque, ma probabilmente era da imputare alla perdita di sangue appena reintegrato. Respirava piano, le braccia erano abbandonate inerti lungo i fianchi e le labbra erano ancora un po’ più scure del solito.
Le venne un gran magone. Sicuramente stava meglio, ma di certo non bene. Sembrava ancora moribondo e la cosa non la rassicurava per niente.
Rimase lì con il palmo della mano premuto sulla sua guancia, come se volesse che un po’ del suo calore passasse a lui, come se potesse in qualche modo scaldarlo.
Era così penoso vederlo fermo, immobile, privo di coscienza, fragile. Lui che era un uomo così risoluto e forte, ora pareva quasi un uccellino spiumato fuori dal nido. Sembrava quasi un ragazzino, così abbandonato in quel lettino, bianco in viso, tra lenzuola bianche… faceva proprio uno strano effetto e le si chiuse lo stomaco dal dispiacere. Avrebbe voluto dar sfogo ad un pianto liberatorio, ma c’era troppa gente in quella stanza e il groppo le rimase di traverso in gola, privandola anche del conforto delle lacrime.
Intanto Zero si stava occupando di Yama. Lo stava reintegrando un po’ con una flebo e gli stava riaggiustando il naso come aveva fatto con lei. Il ragazzo non fiatava, e dire che non doveva essere proprio piacevole.

La biologa rimase accanto ad Harlock quasi un’ora poi Zero buttò tutti fuori. Doveva fare un paio di analisi al Capitano e se tutto fosse stato a posto, finalmente lo avrebbero riportato in cabina e dichiarato definitivamente fuori pericolo.
Joy, nel frattempo, uscì e andò a cercare Yattaran che trovò in Plancia. Gli spiegò di Yama e di ciò che aveva fatto al Palazzo del Governo. Voleva che lo tenesse d’occhio lui e non Kei, che stava dando davvero troppo di matto.
Il primo ufficiale s’incupì parecchio, ma quando voleva sapeva essere meno testa calda di Yuki. Se ne sarebbe occupato personalmente. Yama non avrebbe potuto far niente, o ci avrebbe pensato lui a fermarlo.
Però poi avrebbe dovuto decidere Harlock che fare con quel ragazzo. Tuttavia fino a che non fosse stato in grado, bisognava che qualcuno impedisse che facesse qualche altra sciocchezza.
Joy si era sempre fidata di Yama, ma dopo quello che era accaduto era guardinga e preferiva andarci cauta, con i piedi di piombo, anche se in cuor suo sapeva che li aveva salvati e che aveva deciso da che parte stare.
Meeme, come sua consuetudine, si palesò all’improvviso e la distolse dai suoi pensieri.
“Harlock ha superato il momento critico, gli esami vanno tutti piuttosto bene. È stato riportato nel suo alloggio. Sono sicura che vorrai essere presente quando si risveglierà” le disse sorridente, anche lei era più serena.
“Oh grazie!” rispose con impeto Joy “Poi appena le cose si saranno calmate vorrei parlare con te di una cosa”.
L’aliena fece un cenno di assenso e la guardò curiosa “Va bene, quando vuoi” le disse prima che sparisse quasi correndo per raggiungere la cabina di Harlock.
Quando arrivò, ci trovò solo Zero “Eccoti” le disse alzandosi dalla sedia vicino al letto dove il Capitano era sotto le lenzuola con addirittura una coperta di lana sopra.
“Veglialo finché non si sveglia. E se non dovesse farlo entro due ore, vieni di corsa a chiamarmi, intesi?”.
La ragazza annuì e prese il suo posto.

Dopo quasi un’ora Harlock aprì l’occhio e cercò di mettere a fuoco la stanza, si rese conto di essere nella sua cabina e questa cosa, nello stato in cui versava, lo confortò non poco, almeno era al sicuro. Era molto confuso, ricordava le dinamiche dei fatti accaduti in ordine cronologico sparso, senza riuscire a coordinare i pensieri, ma neanche molto bene i movimenti. Aveva tutti i sensi ottenebrati dalla forte sedazione, oltre che la mente in stato piuttosto confusionale. Rimase fermo qualche secondo. Aveva le vertigini e un fortissimo mal di testa. Poi a fatica si girò e la vide, con i gomiti puntati tra le ginocchia e la testa tra le mani.
“Ehi…” riuscì a dire molto fioco. Era ancora piuttosto debole.
Lei si tirò su di scatto mentre il cuore le schizzò direttamente in gola come se volesse scapparle fuori dalla bocca.
Lo guardò quasi incredula e lui le accennò un mezzo sorriso.
A quel punto accadde l’unica cosa che non avrebbe voluto mai accadesse, soprattutto davanti a lui in quello stato. Invece l’emozione la travolse con la potenza di uno tsunami e le lacrime nonostante cercasse disperatamente di ricacciarle indietro, scivolarono lente a rigarle le guance, come due piccoli rivoli che avevano rotto gli argini, impossibili da contenere.
“P-iangi?... non sono an-cora mort-o…” le disse a fatica sempre fioco, ma sorridendo ancora più intensamente di prima.
Era lui quello malconcio, ma aveva trovato il modo anche di fare dell’ironia per rincuorarla.
Lei si asciugò gli occhi e gli prese una mano tra le sue. La temperatura doveva essere salita, sebbene ancora non fosse ancora caldo come al solito.
“Scusa…”  soffiò piano, tirando poi su con il naso e asciugandosi gli occhi “Ho avuto tanta paura” ammise. Lui sciolse la mano dalle sue e la batté piano sul materasso in un muto invito perché si stendesse accanto a lui. Aveva bisogno di sentirla vicina ora come non mai.
“Stai male, ed è meglio se me ne sto qui…” provò a dire lei, ma la sua mano batté ancora una volta sul materasso e il suo sguardo era così lucido e sembrava quasi implorante. Testardo fino all’impossibile. Non si sarebbe arreso neppure questa volta.
In fondo lei non chiedeva di meglio e cedette, si levò gli anfibi e facendo attenzione, con la massima cura si sistemò accanto a lui, vestita e sopra le coperte. Fu allora che lui cercò nuovamente la sua mano, la intrecciò con la propria, e chiuse la palpebra. “Ora... va be-ne” disse soddisfatto sospirando appena.
Sì, ora andava decisamente meglio. Certo era ancora molto debole e probabilmente anche sofferente, ma era vivo e fuori pericolo. 
Il peggio era passato.

 

NOTE
* Riguardo la trasfusione sanguigna chiesi consulenza a mia cugina che è infermiera. Non vi dico la scena dato che non sapeva e non sa che scrivo fanfiction ed era curiosa. Le ho detto che era per una cosa fantascientifica che stavo scrivendo, ma che si mettesse l’animo in pace perché non l’avrebbe letta MAI!
Detto ciò, non si può fare una trasfusione diretta,  si fa esclusivamente con le sacche, ma con l’escamotage del depuratore sanguigno
 (che non esiste e me lo sono inventato io) è assai plausibile, soprattutto perché fantascienza e molto futuristica, quindi potrebbe benissimo esistere un macchinario del genere che renda possibili le trasfusioni dirette. Poi a me serviva così e quindi in nel kamony-verse è possibile XD

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Un vero amore non sa parlare ***


Buon pomeriggio gente! Eccoci con il consueto appuntamento settimanale del RI-postaggio, oggi di UN SOLO capitolo il secondo capitolo verrà postato domani
Voglio come sempre mostrare la mia sincera gratitudine, ringraziando tutte le persone che leggono (o rileggono) questa storia, in particolar modo a chi mi lascia le sue impressioni, e quindi GRAZIE e…
Buona lettura a chiunque passi di qua! =)

 

  .32.



 UN VERO AMORE NON SA PARLARE 
  (Cit. William Shakespeare)

Harlock convalescente era simile ad una fiera selvatica in gabbia.
Si agitava costantemente ed era di pessimo umore. Senza contare che borbottava continuamente come una pentola di fagioli sul fuoco.
Era letteralmente intrattabile.
Fin dal giorno seguente il suo risveglio, aveva palesato la sua enorme insofferenza a quella condizione di riposo forzato.
Non voleva stare a letto. Voleva alzarsi e andare in Plancia. Era come ossessionato dal doversi levare il peso di comunicare alla ciurma ciò che aveva fatto alla Terra.

La mattina dopo il suo risveglio, Masu come sempre gli aveva portato la colazione. Il medico aveva dato ordini precisi riguardo la sua alimentazione, e lei si era prodigata più del solito.  
Joy era uscita per lasciarli soli. La cuoca aveva sofferto moltissimo per quello che era accaduto al suo Capitano. Dopo aver chiesto notizie in infermeria, si era rinchiusa in cucina e non era uscita finché non era stato dichiarato fuori pericolo. Era fatta così, non sopportava di vederlo star male, proprio come fosse un figlio. Aveva sofferto come un animale ferito e aveva preferito farlo in disparte, perché poteva piangere senza darne conto a nessuno, e così aveva fatto. 
La biologa aveva in qualche modo capito la sensibilità dell’anziana donna e aveva lasciato che la colazione gliela facesse mangiare lei, allontanandosi e lasciandole campo libero. Intanto perché Harlock, con Masu, in qualche modo era un tantino più conciliante, non fosse per l’affetto ed il rispetto che le portava. E poi perché quella donnina era così determinata e risoluta, che non era possibile tenerle testa. E alla fine, con lei, aveva mangiato quasi tutto.

Quando Joy rientrò nella cabina, Harlock era solo, imbronciato, con i cuscini sistemati contro la testiera di legno del grande letto dove lui era appoggiato, sistemato sotto le lenzuola, fino alla vita, con le braccia fuori incrociate al petto, e i capelli tutti arruffati.
Era buffo da morire, sembrava un bambino indispettito. Le fece tenerezza.
“Sto bene! Come devo dirlo in gorianese antico?!” sbottò, appena lei mise piede in camera.
“Conosci il gorianese antico? Ma soprattutto, esiste il gorianese come lingua? O è il gorianico?” gli rispose lei semiseria.
“Non sei affatto spiritosa” disse lui accigliandosi serioso.
“E tu fai capricci come un ragazzino! Il medico è stato chiaro: una settimana di letto te la devi fare. Che sarà mai! Arrenditi”.
L’espressione del suo viso mutò di colpo e si fece tirata. 
“Devo parlare con la mia ciurma. Devo dire loro della Terra. Non posso rimandare oltre” era serio e anche angosciato. Sembrava che d’un tratto avesse come la fregola di liberarsi di quel peso schiacciante. Come se non potesse più aspettare neppure un minuto.
Lei si sedette sul bordo del letto e sospirò “Capisco. Però non credo che una settimana faccia la differenza. Insomma, hai aspettato cent’anni, che cosa possono essere pochi giorni?” gli disse, cercando di essere gentile e persuasiva, perché quando aveva la luna di traverso in quel modo era ingestibile, imprevedibile e molto più intrattabile di sempre. 
Nonostante le sue rimostranze, era convalescente e sempre debole, bisognava lisciarlo per il verso del pelo per farlo stare tranquillo.
Harlock sospirò e la guardò corrugato per qualche secondo. 
Aveva ragione lei. 
Aveva spesso ragione lei e questo cominciava a volte a dargli un po’ sui nervi, ma erano l’ansia ed il nervosismo a renderlo così di pessimo umore, non Joy, e lei questo lo sapeva.
Come tutti, anche lui aveva i suoi limiti e i suoi difetti, che con il nervosismo si accentuavano.
“Vai a chiamarmi Yattaran” le disse quasi perentorio.
Joy lo guardò e alzò un sopracciglio. Si morse la lingua perché avrebbe voluto dirgli che poteva anche essere un tantino più gentile, ma lo scusò per via della sua condizione e non disse nulla.
Quindi si alzò per ubbidirgli. Solo che lui aveva letto la sua espressione e si rese conto di avere esagerato.
“Per favore…” aggiunse in tono decisamente più pacato e gentile.
Lei si girò e gli sorrise “Così mi piaci di più” gli disse spontanea.
Lui allargò le narici e sbuffò appena, come a rammaricarsi silenziosamente. Come sempre scusarsi non era la sua specialità. Ma a lei non importava, ora lo conosceva un po’ meglio e le bastava che si fosse reso conto.

Yattaran alla fine passò tutto il pomeriggio nella cabina di Harlock.
Joy nel frattempo prese l’occasione per andare in laboratorio a controllare le sue cose.
Era tranquilla a rassettare degli strumenti, quando il suo chip sfrigolò e le dette una leggera scossa che la fece trasalire. Poi più niente, come l’altra volta. Le venne una leggera agitazione. Come mai ora le capitavano questi episodi? Era il caso di allertare Zero?
Forse sì, ma prima voleva che si rimettesse del tutto Harlock, non voleva creare inutili allarmismi, in fondo non era niente di che, la scarica durava solo qualche secondo, non c’era bisogno di farsi prendere dal panico.
Per distrarsi decise di andare in cerca di Meeme, e di farle alcune domande.
Non fu facile trovarla. Non capiva bene dove stesse rintanata quando non era in Plancia.
In realtà, l’aliena aveva una cabina personale in una parte molto nascosta della nave, molto lontana dagli alloggi di tutto il resto della ciurma, Capitano compreso.
Un alloggio diverso da quelli del resto dell’equipaggio. Si sviluppava più in altezza che in larghezza. Una stanza molto lineare e semplice, con una grande capsula di vetro al centro, anche quella in estensione sempre verticale. Da una parte faceva bella mostra di sé una vetrinetta antica in piuma di mogano, con finiture di pregio. Notò gli ovali in bassorilievo delle gambe, decorati in oro antico e la chiusura con un cricchetto a scomparsa. Era piena zeppa di bottiglie di vino e liquori. Accanto a dove era lei, invece, c’era una bellissima arpa anch’essa di foggia antica.
La fece accomodare nell’unica sedia presente, su cui faceva bella mostra un cuscino di velluto verde, rifinito da un cordone color oro, a cui erano appese ad ognuno dei quattro lembi delle nappine dello stesso materiale e colore. 
Joy si accomodò e l’aliena le offri da bere, due dita di un pregiatissimo Courvoisier, ma la biologa gentilmente rifiutò. Bere del cognac a quell’ora del giorno per lei era impensabile. L’altra invece se ne versò per due e si appollaiò in una specie di sospensorio appena vicino alla vetrinetta.
“Scusami, ma ho solo una sedia che a me serve per suonare l’arpa e il mio letto è questo”. E indicò la capsula di vetro.
Joy sorrise “Non fa niente”.
“Ti ascolto” le disse Meeme, prima di trangugiare in un sol sorso il liquore.
Joy sospirò.
“Forse sono una sciocca visionaria, ma a te non pare che Harlock e Yama si assomiglino un po’ troppo? Ho avuto modo di osservarli da vicino in infermeria, e devo dire che sembrano quasi la copia l’uno dell’atro. E poi questa storia che hanno tutti e due questo gruppo sanguigno così particolare e raro…”  allargò le braccia, incurvando le labbra in maniera dubbiosa “Ma non solo. Sono tutti e due vittime di un destino anche quello troppo simile seppure diverso, non lo so… c’è qualcosa che mi sfugge. Tu riterresti possibile che Yama possa essere Harlock stesso? Mi spiego: è plausibile che possa essere un lui alternativo che provenga come me da un’altra realtà, magari da uno spazio-tempo parallelo? Ti pare una follia?”.
Meeme si illuminò tutta e una serie di puntini luminescenti cominciarono a danzarle intorno. Era rimasta piuttosto scioccata da questo pensiero di Joy e non riuscì a nasconderlo.
“Non ne ho la certezza…” ammise sincera e guardinga allo stesso tempo. “La tua teoria non mi sembra che sia così fuori luogo, perché una cosa di sicuro la so: tra Yama e Harlock esiste un legame fortissimo ed indissolubile, questo l’ho percepito dalla prima volta che ho visto il ragazzo e le reazioni di Harlock me ne hanno data conferma. Potrei scoprire qualcosa di più spiando il loro DNA e analizzando la loro struttura interna” disse tranquillamente.
Joy la guardò stranita “E come?” le venne spontaneo chiedere.
L’aliena allora le spiegò che era capace, plasmando l’energia della dark metter tra le sue mani, di vedere in proiezione le strutture molecolari di ogni cosa ed essere vivente, ad esempio era lei che aveva trovato tutti i nodi temporali nello spazio, quindi era in grado di vedere anche il DNA di loro due, oltre le molecole. Naturalmente oltre a vederle le sapeva anche leggere.
“Che cosa affascinante!” disse la biologa rapita.
“È una procedura particolare, specialmente quella sugli esseri umani, anche un pochino fastidiosa perché si deve interagire con la loro energia corporea, magari aspettiamo che Harlock stia meglio”.
Joy era molto curiosa e dato che erano in argomento, approfittò per farle una domanda che si era posta quando aveva visto tutte quelle cose in infermeria.
“La dark matter ha delle capacità di guarigione incredibili, avete mai pensato di farne una cura per chiunque? Insomma, potrebbe essere molto utile su questa nave”.
Meeme s’illuminò tutta di nuovo “Assolutamente no! 
È una sostanza pericolosissima. Intanto non è la comune materia oscura conosciuta dagli scienziati umani, ma è una sottospecie molto più potente e particolare, che si sprigionava solo nell’orbita di Yura. Nessuno può prevedere gli effetti che può avere su un essere umano. Essendo voi tutti diversi uno dall’altro avreste reazioni diverse e contrarie. Harlock nella sfortuna è stato fortunatissimo, il contagio invece di distruggerlo lo ha come potenziato, ma, per farti un esempio, quella dose usata per curarlo, spruzzata su altro essere umano avrebbe potuto fondergli il bacino direttamente” le spiegò agitata l’aliena che era molto restia su quel delicato argomento. Infatti, non era solo Harlock ad avere sensi di colpa per via della dark matter e dei suoi effetti sulla Terra, ma anche lei che ne divideva l’enorme colpa e responsabilità, avendo incoscientemente obbedito al suo ordine senza fiatare.

Quando Joy ritornò da Harlock, lo trovò seduto alla scrivania con Yattaran. Era pallido e  sudato, stavano presumibilmente studiando qualcosa al computer.
Come la ragazza entrò, il primo ufficiale scattò in piedi, salutò e se la diede a gambe; non era d’accordo sul fatto che il Capitano fosse stato alzato tutto quel tempo, ma non poteva neppure disobbedirgli e ora che era arrivata lei, prevedeva che ci sarebbe stata maretta, meglio darsela a gambe levate.
La biologa si rese subito conto che Harlock stava male, e che forse aveva anche la febbre.
“Sei testardo come un mulo!” gli disse seria “Non puoi stare alzato. Sei debole”.
Lui la guardò palesemente irritato.
“So da me quello che devo, o non devo fare. Non dovresti intrometterti” le disse piuttosto seccamente.
“Hai ragione. Non dovrei né intromettermi, né preoccuparmi” e così dicendo uscì dalla cabina. Andò spedita dal medico e gli riportò esattamente ciò che era accaduto. Tanto a lei non dava minimamente retta, bisognava che lo facesse mettere in riga da qualcun altro.
Zero si allarmò, che avesse la febbre non andava affatto bene, quindi andò subito dal Capitano. Joy no, decise di tornare in laboratorio. Aveva bisogno di distrarsi. Era molto stanca e preoccupata. Aveva capito che Harlock con lei si agitava, non rispettava gli ordini del medico e faceva le bizze. Era normale che lui si dovesse sfogare con qualcuno, lo capiva e lo giustificava, anche perché lei era la più adatta a fargli da parafulmine al momento, ma non voleva assolutamente essere la causa di un peggioramento della sua salute. Già si sentiva ancora terribilmente in colpa per il suo ferimento, quindi si era rifugiata nel lavoro, allontanandosi, perché certa che con gli altri si sarebbe comportato diversamente e magari avrebbe anche seguito i consigli di Zero.

Era passato molto tempo, quando Kei la raggiunse.
“Ciao” le disse distogliendola dalle sue occupazioni.
“Ciao…” rispose Joy incerta.
Non si erano più viste né parlate.
“Mi dispiace per come mi sono comportata con te. Ero preoccupata e molto arrabbiata perché il Capitano non si era affidato a me e Yattaran come sempre, ma ho sbagliato e ti chiedo scusa”.
Joy sospirò “Ti sembrerà strano, ma io la penso come te. La colpa è solo mia e del mio voler per forza andare a vedere Nami; quindi, accetto le scuse e non ti preoccupare”.
La bionda non replicò alla sua affermazione e le face l’ambasciata per cui era andata lì.
“Comunque sono qui per dirti che ha chiesto di te. C’è Zero con lui, ma vuole te e come avrei notato non è molto conciliante, né incline al ragionamento. Purtroppo, la dark matter gli cura il corpo, ma gli oscura l’anima, questo non te l’hanno detto scommetto?” concluse un po’ sarcastica. A lei quella faccenda non piaceva, come non le piaceva che Harlock ne fosse stato contagiato, secondo il suo punto di vista gli faceva più male che bene.
Joy sospirò e si passò una mano sulla nuca.
“Non è che con me sia più calmo. Io non so che fare…”.
Kei fece spallucce “Mi sa che questa volta non posso esserti d’aiuto”.
Joy notò che era strana. Seria e anche turbata.
“Che ti passa per la testa Yuki?” le chiese la biologa.
“Troppe cose” rispose lei.
“Si tratta di Yama?” le chiese spontaneamente.
L’altra non rispose.
“Tu sei attratta da lui, molto più di quello che vuoi far credere e se sapessi il perché, forse staresti meglio”.
Kei la fissò sospettosa, ma anche incuriosita.
Così Joy, un po’ imprudentemente, confessò anche a lei i suoi sospetti. 
Yuki rimase scioccata.
“Non è possibile!” saltò su.
“In verità è molto più che probabile. Comunque, volevo solo che lo sapessi, perché così magari la smetterai di tormentarti per la tua infatuazione per Yama” le disse diretta.
Kei non parlò più e uscì da quel laboratorio con un vortice di pensieri sconnessi che le turbinavano per la testa.
Joy si fece coraggio e si avviò verso la cabina di Harlock.

“Perché sei andata via?” le chiese lui piuttosto contrariato appena Zero li lasciò soli.
“Sono andata a chiamare il medico. Sei quasi morto, santa pazienza! Sembra che la cosa non ti interessi minimamente. Sembra che tu voglia stare male per forza! Non hai a cuore la tua salute e ti approfitti di me, non rispettando gli ordini del dottore. Ti sei fatto venire anche la febbre, come se non mi sentissi già abbastanza in colpa per conto mio!” sbottò.
Harlock cambiò espressione.
La guardò molto intensamente, il suo occhio brillava per la profondità del suo sguardo.
“Che discorsi sono questi? In colpa di cosa?” le chiese quasi arrabbiato.
Lei cominciò a vagare per la cabina nervosamente.
È la verità! Lo sai bene anche tu. Se non ci fossi stata io, non sareste dovuti tornare indietro, non vi avrebbero scoperti e non saresti stato ferito…” disse infine e le venne subito il magone perché quelle immagini di lui straziato nella carne, più morto che vivo, erano davvero emotivamente terribili da ricordare.
Ci fu un attimo interminabile di silenzio, ma il silenzio era ormai parte integrante della loro comunicazione. Era il modo di dare vero valore alle parole. Prima si dava spazio ai pensieri, poi arrivava la comunicazione. Soprattutto Harlock, era maestro in questo perché cercava sempre di riordinare le idee prima di esprimersi e così fece anche questa volta.
“Sei troppo intelligente per pensare una simile sciocchezza” le disse quasi con durezza e poi aggiunse: “Sai benissimo che la vita che facciamo è pericolosa. Ogni azione può essere l’ultima. E comunque avrebbero potuto spararmi in qualsiasi altro momento. Tu non c’entri proprio niente”.
Joy lo guardò addolorata “Puoi dire ciò che vuoi, ma non cambia il fatto che io mi senta responsabile, che il mio aver così insistito per voler conoscere Nami fosse sbagliato, che avevi ragione tu, non era una bello spettacolo da vedersi. E scusami…” disse e la voce le si incrinò appena, dato che nonostante i suoi sforzi le stava venendo da piangere di nuovo “… ma vederti ferito e ridotto in quello stato mi ha spezzato qualcosa dentro e…”
“Ora basta. Vieni qui...” la interruppe lui, in tono decisamente più dolce, ma fermo, allungandosi appena sul materasso come a voler sottolineare l’invito.
“Preferirei di no” disse lei, dandogli le spalle e sorprendendolo non poco, sebbene fosse palese che il suo diniego fosse bugiardo.
“Perché no?” le chiese lui quasi fosse stata una bambina recalcitrante.
Il problema era che le stava venendo da piangere, e tutto voleva, meno che andare lì da lui e fare un’altra frignata. Stava lottando per cacciare in gola lacrime e magone, ma era una gara dura.
Siccome la ragazza non rispondeva, né si muoveva, toccò a lui parlare di nuovo “Se non vieni tu da me, dovrò venire io da te, dovrò alzarmi… e ho la febbre…” le disse in modo leggermente ironico, ma dolce. Era rimasto toccato dal dispiacere che aveva letto nei suoi gradi occhi pieni d’angoscia. Non voleva assolutamente che anche lei cominciasse ad essere aggredita e poi maledetta dai sensi di colpa. Quella era una malattia che lui conosceva troppo bene e sapeva gli effetti devastanti che procurava. Non avrebbe permesso che lei ne fosse vittima, anche a costo di forzare la sua personale natura se fosse stato necessario.
Joy si girò e maldestramente cercò di asciugarsi le lacrime. Era psicologicamente provata e molto fragile in quel momento, non riusciva a gestire le sue emozioni. Il fatto che lui fosse ancora allettato e non nel pieno delle sue forze, la scuoteva molto.
Lo raggiunse come le aveva chiesto e si mise compita a sedere sul bordo del letto.
Harlock la guardò un po’ e poi le disse “Non sono infetto, puoi venire anche accanto a me”.
A quel punto lei si arrese e si lasciò andare; quindi, si distese lunga accanto a lui, che subito l’abbracciò. La strinse a sé, lasciando che le si rannicchiasse contro, offrendole un contatto protettivo e rassicurante.
“Se proprio vogliamo essere pignoli…” le disse quasi sottovoce, dopo averle baciato una tempia “… in realtà mi avresti salvato. A proposito di questo, che cosa erano quella specie di ordigni fumogeni? Credo che senza quelli non ce l’avremmo mai fatta” ed era piuttosto serio e sincero nel dirlo.
“Merito di Yattaran…” disse lei piano.
“Ah sì? Li ha inventati lui?”.
“No. Ma li ha assemblati…”.
“Quindi tu non hai nessun merito?” le chiese, obbligandola a guardarlo.
“Senti, io capisco la tua delicatezza nel volermi rassicurare, ma tanto io so che la colpa è mia” ribadì lei e due lacrimoni, a tradimento, le rigarono le guance. Forse aveva solo bisogno di liberarsi dalla tensione. Certo per lei farlo davanti a lui non era il massimo, ma il pianto non le chiese il permesso, ruppe gli argini e lei cominciò a singhiozzare. 
Harlock la strinse a sé e lasciò che lasciasse fluire fuori, insieme a quelle lacrime, tutta l’amarezza, la paura e l’angoscia che doveva aver covato in quei giorni. Poi, quando i suoi singulti si furono un po’ quietati, la sciolse da quell’abbraccio per guardarla.
Joy notò che lui la guardava e la sua pupilla dilatata era immersa in un’iride che sembrava una pozza di miele liquido. Il suo sguardo era velato da un’ombra di profonda dolcezza, che le sciolse il cuore in petto come se lo avesse liberato dal ghiaccio dell’angoscia.
Con la punta dell’indice le asciugò una lacrima e poi le sfiorò le labbra con un bacio lieve quasi impercettibile. Poi sorrise appena, scostandole una ciocca dispettosa di capelli dalla fronte e la baciò di nuovo, ancora un bacio gentile, ma più intimo.
“Sei salata come l’acqua di mare” commentò sorridendo, poggiando la punta del suo naso contro quello di lei. Harlock si sentiva traboccante di questo sentimento così forte e così tenace che nonostante tutto, cresceva, si alimentava e li legava sempre più profondamente.
Non si erano mai detti ti amo . Anime gemelle in questo intento di non voler consegnare alle parole ciò che risiedeva nel loro muto accordo di affidare al silenzio, ai gesti e agli sguardi, la forza del loro sentimento, ma soprattutto alla concretezza dei fatti.
Joy sorrise appena a quell’affermazione e si asciugò le guance.
Lui la baciò ancora una volta e poi le disse: “
È vero, le tue lacrime hanno il sapore dell’acqua di mare…” la biologa, mentre lui parlava notò che il suo sguardo era davvero intenso, profondo e ricolmo di sentimento “…il mare è il ricordo più vivo, dolce e doloroso che ho della Terra. L’ho sempre amato per il suo fascino misterioso e sorprendente. Calmo e impetuoso, sicuro e pericoloso: imprevedibile. È per questo motivo sai, che una parte dell’Arcadia ricorda un vecchio galeone, è un omaggio ai flutti che avrei voluto solcare con una vera nave, provvista di vele da affidare ai capricci del vento. Tu mi ricordi molto il mare…” le disse a sorpresa e nel suo sguardo lesse qualcosa che le fece quasi fermare il cuore “…sei un mare in cui posso navigare, rifugiato in acque placide e tranquille, ma che è capace di sconvolgermi con tempeste improvvise, che mi travolgono, rendendomi inerme, completamente in tua balìa…” e di nuovo le baciò le labbra salate.

Le aveva appena detto di amarla… senza averlo effettivamente fatto… 
Lei lo capì e le venne di nuovo da piangere.

 

 

NOTE: 
È un mio vezzo, o limite, decidete voi, ma non mi piaceva usare il classico “ti amo”.
A volte questa frase è  banalizzata dall’uso improprio che purtroppo se ne fa anche nella vita reale. Ritenendo il Capitano un uomo particolare, di spessore e non molto ciarliero, ma anche sentimentalmente chiuso, mi piaceva fargli dire un “ti amo” non convenzionale. Spero abbiate abbate apprezzato anche voi :)
Anche in questo caso il titolo è una citazione e niente meno che di W. Shakespeare che di amore ha scritto in modo assai migliore di quanto potrò mai fare io in 5/6 vite! :)

 

 

 

 

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Capitolo 34
*** La verità rende liberi ***


 

  .33.



 

LA VERITA’ RENDE LIBERI

Erano trascorsi alcuni giorni. 
Harlock stava cominciando a ristabilirsi in modo definitivo e anche le angosce di Joy si erano appena un po’ acquietate, sebbene il dottor Zero fosse ancora guardingo e lo monitorasse di continuo.
Quella mattina la biologa si era alzata presto ed era sgusciata fuori dal letto, si era vestita in fretta ed era andata nella sua cabina. Voleva farsi una bella doccia. Aveva bisogno della sua libertà così da non disturbare Harlock, che in realtà era sveglio, ma aveva fatto finta di dormire, lasciandola libera di fare ciò che desiderava. Era consapevole di non essere una persona facile e di avere a volte un carattere ostico, ma aveva anche tante cose per la testa e non solo il fatto di dover confessare la sua colpa ai propri uomini.
Cominciava ad avere anche tormenti di altro tipo.
Dopo che Joy si era alzata, era rimasto steso nel grande letto con le braccia incrociate sotto la testa e in quel preciso istante, vista la sua momentanea assenza si ritrovò improvvisamente a pensare a come sarebbe stato una volta che fosse andata via.
Era strano, perché al momento non riusciva proprio ad immaginarlo. Gli era diventato naturale averla accanto. Sentire il suo respiro, o il calore della sua pelle contro la propria la prima di addormentarsi, o appena sveglio. La mattina era diventato un rituale osservarla mentre si vestiva. Restava sdraiato su un fianco e si perdeva a guardarla, studiando i suoi movimenti. Gli piaceva vedere la sua schiena nuda quando seduta sul letto si infilava la canottiera e le scapole si muovevano gentili. Quando si infilava i pantaloni con gesti veloci ma armonici. Già sapeva che gli sarebbero mancate le cose più semplici, come quel suo modo di arricciare il naso quando era un po’ contrariata. Come lo guardava prima che la baciasse, come mangiava il pane tostato la mattina, o come sorseggiava senza fretta il caffè, soffiandolo prima e poi poggiando con grazia le labbra sul bordo della tazza.
Gli sarebbe mancata la naturalezza quasi sfrontata che aveva acquisito e con cui a volte si muoveva, completamente nuda, per la cabina, dopo che avevano fatto l’amore. Non si vergognava più delle sue cicatrici, né era timida con lui. Una volta era capitato che dopo aver consumato la fiamma della passione tra le sue braccia, aveva espresso a voce alta la voglia di un calice di rosso e lei, di sua iniziativa, era andata a prenderglielo. 
Chiuse gli occhi e rivisse quella scena.
Joy era sgusciata da sotto le lenzuola, in maniera del tutto naturale. Si era alzata ed era andata verso il mobile, dove erano riposte tutte le sue bottiglie di vino. Lui l’aveva osservata curioso.
Si ricordava, attraverso le immagini che gli scorrevano vive nella mente, come il suo sguardo avesse indugiato sulla sua figura, che si muoveva sinuosa nell’ombra, schiarita appena dalla fioca luce di alcune candele rimaste accese. Quel gioco velato di chiaroscuri sulla sua nudità, gliel’avevano resa ancor più affascinante e quasi misteriosa…
Improvvisamente però una sensazione d’angoscia gli afferrò la bocca dello stomaco, neanche i ricordi di lei riuscivano a distoglierlo dalla sua pena. Aprì subito l’occhio, e cercò di ignorare il senso di oppressione che sentiva al petto. Le immagini evocate erano già svanite e la realtà lo aveva riportato ai suoi problemi.
Sarebbe stato difficile lasciarla andare, molto difficile, ma ora doveva pensare ad altro.

Joy dopo un’ora circa era rientrata in cabina per la colazione, e aveva trovato Harlock alzato che si stava preparando.
“Come mai ti vesti di tutto punto?” gli domandò prima di sedersi a tavola.
“Vado in Plancia, Zero mi ha dato il suo benestare” gli disse subito per evitare discussioni inutili.
La ragazza, non fiatò e si versò del caffè.
Lui la guardò e sospirò “Non sono imprudente, e tu non devi essere così apprensiva. Dovresti fidarti di me. So quello che faccio. Sempre”.
Lei non rispose. Cercava di ignorarlo perché quando lui era così di malumore era l’unica cosa saggia da fare. In fondo non è che volesse asfissiarlo, si stava solo preoccupando della sua salute. Facesse e dicesse quello che voleva, lei non avrebbe sillabato, né lo avrebbe intralciato.
Harlock finì di indossare tutta la montura, poi si sedette anche lui a tavola. 
In effetti era vero che stesse molto meglio. Era quasi tornato ad essere come prima della ferita, sembrava anche aver recuperato le forze. Quella mattina poi aveva una discreta fame, cosa che meravigliò abbastanza la biologa, non era abituata a vederlo mangiare così tanto e così di gusto.
Masu-san, come da precisi ordini di Zero, gli aveva preparato una ricca colazione molto proteica: caffè nero, spremuta d’arancia, formaggio, uova sode, prosciutto affumicato e pane tostato.
E lui, sorprendentemente, stava mangiando tutto e anche piuttosto voracemente.
Joy si soffermò a guardarlo sinceramente meravigliata, sgranando appena gli occhi per la sorpresa.
“Che c’è?” le chiese Harlock ad un certo punto, sentendosi osservato, prima di addentare generosamente le due fette di pane con il prosciutto che si stava portando alla bocca.
“No, niente… stai mangiando in modo famelico, oserei dire che ti stai quasi abbuffando ed è una cosa strana da vedersi…” gli disse sincera.
Lui dopo aver addentato il cibo, masticò, deglutì, prese un sorso di succo d’arancia e poi le disse molto naturalmente “Ho fame” e dette un altro generoso morso al panino.
Il fatto era che la dark matter usata dal medico sulla sua ferita, gli era entrata in circolo e ora lo stava rigenerando a ciclo continuo e velocissimo. Le sue cellule si riproducevano profusamente e questo causava in lui queste reazioni fisiche piuttosto inconsuete. Il metabolismo era acceleratissimo, e anche le funzioni vitali erano al loro massimo. Aveva più fame, ma anche più energia e più forza, era come potenziato e rinnovato, ma lei non poteva saperlo, nessuno glielo aveva spiegato, perciò era perplessa, anche se vederlo mangiare così di gusto le piaceva. Le sembrava salutare.
“Voglio che tu sia presente quando farò vedere a tutti la Terra” le comunicò a sorpresa, mentre stava per addentare un uovo sodo “Ho bisogno del tuo supporto scientifico. Voglio che tu spieghi a tutti che cosa hai in mente di fare per risanarla. Questo mi aiuterà forse a rendere meno scioccante la notizia che devo dar loro” e sospirò forte.
“Va bene” acconsentì incerta “Ma Harlock, io non posso dir loro solo le cose teoriche, prima bisognerà che vada sulla Terra e veda le sue reali condizioni... non è una cosa così immediata, potrebbe essere un processo lunghissimo”.
“Non voglio che tu dica niente di più di quello che puoi e comunque, a mali estremi, sappi che non ho ancora del tutto abbandonato l’idea delle bombe a vibrazione dimensionale, certo sarebbe l’ultima spiaggia, ma me la tengo come soluzione di riserva”.
Lei lo guardò perplessa “Stai scherzando spero?” gli disse seria.
“No” ribadì secco.
“Non puoi fare una cosa del genere, distruggeresti l’Universo!”.
Lui la guardò aggrottato, molto serio e convinto di ciò che stava per dirle: “Forse sarebbe un bene non credi? Ti pare forse che in questa nostra epoca ci sia un motivo valido per salvaguardare la vita? L’umanità è dispersa in ogni dove. Non ci sono valori se non quelli del potere e della sopraffazione. La Gaia Sanction ha lobotomizzato le menti delle persone, con la falsa informazione, la gente è felice nella sua beata ignoranza e preferisce la menzogna ad una verità, pur cruda che sia. Noi erriamo nello spazio senza più neppure sapere che stiamo facendo, il nostro apporto è inutile, la nostra missione inesistente e mi domando ogni giorno che senso abbia tutto ciò. In nome di cosa, questo dovrebbe continuare?”.
“In nome della speranza! C’è sempre un motivo per andare avanti, per cercare il modo di migliorare le cose e lo sai bene. Sei solo rabbuiato perché devi fare questo passo, ma sono certa che alla fine farai la cosa giusta. Tu non sei un distruttore”.
Lui non parlò più.
Finì di mangiare, si alzò e si infilò il giacchetto di pelle con il Jolly Roger bianco, tirò la cerniera fino al collo, prese la corazza, la indossò, poi facendolo roteare con un’unica mossa aggraziata, si sistemò il mantello sulle spalle.
“Vado in Plancia, ti aspetto là appena hai finito” le disse prima di uscire.
Era pronto. 
Sapeva che fare.
L’ora era finalmente scoccata.
Non si poteva più tornare indietro.
Di colpo spazzò lontano dalla sua mente ogni angoscia e ogni incertezza. 
Finalmente era arrivata la sua personale resa dei conti. Nel bene o nel male, quello era il giorno in cui avrebbe liberato la sua colpa.
Questa consapevolezza, improvvisamente lo rese forte. Sembrava più imponente e maestoso di sempre.
Lo sguardo fosco e cipiglioso. I capelli, che gli danzavano ai lati del viso leggeri come una massa scomposta di fili di seta.
Le labbra piene serrate, a sottolineare la determinazione della sua espressione. 
Procedeva austero, con la sua tipica falcata militare del condottiero. 
Il Capitano dell’Arcadia era nuovamente rinato, pronto ad entrare in azione, come era insito nella sua natura di indomito guerriero.
Mentre camminava statuario ed imperioso per i lunghi e silenziosi corridoi della sua nave, un alone leggero di bluastra dark matter, di cui era saturo, si sprigionò dal suo mantello, quasi come fosse un’aura, rendendolo somigliante ad una sorta di figura mitologica.
Ogni suo passo risuonava echeggiando tra le pareti di ferro, annunciando il suo ritorno e segnando con il suo incedere sicuro l’incontro con il suo destino, che quel giorno fatidico, avrebbe sancito o un nuovo inizio, o la fine di tutto. 

Appena giunto in Plancia fu accolto da un’ovazione dei suoi uomini che lui però aveva azzittito subito, con severo gesto della mano. 
Capiva che fossero contenti per la sua ritrovata salute, ma dubitava che gli avrebbero tributato nuovamente tutta quell’approvazione dopo che avesse parlato.
Scostò con grazia il mantello e si sedette sul suo scranno.
Erano tutti a rapporto davanti a lui, come aveva chiesto a Yattaran. Aveva esplicitamente richiesto anche la presenza di Yama, che aveva saputo essere stato consegnato.
Joy era in mezzo alla ciurma, nelle prime file. Non aveva ritenuto opportuno salire sul ponte. Lui l’aveva vista arrivare e sapeva dov’era, si erano scambiati un fugace sguardo d’intesa.
Con Harlock c’erano Meeme, accanto allo scranno, e i due ufficiali Yattaran e Kei, alle loro postazioni.
Lui apprezzò molto la delicata riservatezza della biologa. Era una donna intelligente, non amava mettersi in mostra e soprattutto sapeva stare al suo posto, specialmente in situazioni delicate come quella.
Una volta resosi conto che c’erano tutti, si alzò in piedi, avanzò a passi lenti finché non raggiunse il bordo del ponte che si affacciava sulla sua ciurma. 

Poi parlò.

“Tra qualche giorno faremo rotta sulla Terra. È lì che dovremmo posizionare la centesima e ultima bomba a vibrazione dimensionale” cominciò a spiegare, e subito si levò un brusio meravigliato.
Nessuno si sarebbe aspettato che uno di quegli ordigni sarebbe finito sulla Madre Terra.
“Non vi ho mai veramente spiegato a che cosa realmente servissero queste bombe…” cominciò. Era scosso sebbene all’esterno apparisse freddo e distaccato.
Era deciso a parlare, lo avrebbe fatto, ma era anche umano e la tensione lo stava attanagliando, non perché avesse paura, ma perché non era facile trovare le giuste parole per poter spiegare tutto quello che aveva loro da dire.
“Ora è giunto il momento che lo sappiate con chiarezza” e giratosi, facendo roteare il mantello, tornò a sedersi. 
“Yattaran, inserisci il file che ti ho dato e proietta sullo schermo il suo contenuto, di modo che tutti lo possano vedere. Ciò che osserverete è la vera condizione della Terra, che a noi appare falsata da un sistema di ologrammi intrecciati, che celano la verità” spiegò infine.
Quello fu l’ordine più difficile da impartire della sua intera vita.
Stava svelandosi. 
Pochi secondi e tutto sarebbe finito. 
Avrebbero saputo…
In un tempo che gli sembrò interminabile, il primo ufficiale prese il file, lo collegò al computer di bordo ed infine proiettò quelle dannate immagini sullo schermo. Le stesse che tempo prima aveva mostrato a Joy.
Fu allora che quelle presero forma e la Terra apparve a tutti i componenti dell’Arcadia nella sua orrifica desolazione, senza la maschera ologrammata che ne celava la cruda realtà.
Apparve ai loro occhi increduli come una sorta di palla composta di un qualcosa che ricordava la lava, ma di un rosso più cupo. Frastagliata da immensi crateri, compensati da possenti colonne di magma e materia oscura, che si allungavano attorcigliate su loro stesse, in una sorta di moto perpetuo. Come spirali di morte, simili a pezzi d’inferno che tentavano di inerpicarsi per il cielo, quel cielo che nonostante tutto, era ancora in qualche piccola porzione sorprendentemente azzurro. Alcune di quelle orride colonne, non potendo reggere la gravità, finivano per ricadere su loro stesse, mentre tutto intorno era morte e devastazione.
Dopo un primo momento di orrore e sbigottimento generale, cominciarono ad arrivare le domande, accompagnate da sguardi interrogativi, tutti puntati su Harlock.
Che era successo? Perché era stato tutto taciuto? Di chi era la responsabilità?
Certamente il Capitano aveva una spiegazione. Tutti credettero che fosse sicuramente opera della Gaia Sanction, sebbene fossero un po’ disorientati e anche molto preoccupati.
Ma Harlock non parlava.
Forse per la prima volta nella sua esistenza, Harlock provò che cosa significasse la vergogna profonda.
Avrebbe voluto nascondersi, sottrarsi a quegli sguardi increduli, infatti si era come celato nell’ampio bavero del suo mantello, scivolato nella seduta fino quasi sul bordo dello scranno, con la testa prona e i capelli scomposti sul viso. Le mani artigliavano con forza i due teschi sui braccioli, quasi come se si stesse metaforicamente genuflettendo davanti a tutti loro, come se con la sua postura umiliata stesse già chiedendo perdono. 
Lui, un uomo fiero, moralmente ineccepibile, un idealista, un esempio di rettitudine, stava svelando la sua miseria, la sua debolezza, la sua fallace umanità, il suo peccato più grande.
Joy sentì una fitta al petto, per lui doveva essere tremendo, ma era incrollabilmente certa che alla fine, i suoi uomini avrebbero capito e lo avrebbero comunque spalleggiato.
Harlock era un condottiero nato. Un uomo retto, con dei principi saldi, un uomo generoso e leale, con una forte morale, sebbene spesso distante da quella comune. Aveva un suo codice d’onore e lo rispettava, anche a costo della vita, per questo era un esempio, ma non era un dio, era un semplice essere umano alla stregua di chiunque altro. Aveva il diritto di essere imperfetto e di sbagliare come qualunque persona. Sperava che, sebbene avesse commesso uno sbaglio enorme, l’ago della bilancia potesse pendere verso ciò che di giusto aveva fatto e non verso la sua colpa, seppur grandissima, perché alla fine ciò che contava davvero era l’intenzione. 
Lei sapeva che avrebbero capito.

“Capitano? Che significa?” gli chiese Kei con voce quasi stridula, esterrefatta, con gli occhi sgranati, guardandolo come se non lo riconoscesse.
“Già, che storia è questa? La Terra? Che è accaduto Capitano?” chiese sbigottito e preoccupato Yattaran.
Erano tutti smarriti e molto scossi.
Fu allora che intervenne Meeme, facendosi avanti e cominciando a spiegare che cosa fosse realmente accaduto.
Raccontò in parte cose che già sapevano, come il fatto che Harlock all’epoca fosse un primo ufficiale della Gaia Fleet, che originariamente l’Arcadia fosse una delle quattro corazzate Death Shadow alimentate a dark matter, costruite e seguite dall’ufficiale ingegnere aerospaziale Tochiro Oyama, il quale aveva anche addestrato le aliene macchiniste delle navi, tra cui Meeme stessa.
Spiegò come Harlock fosse stato messo a comando della piccola, ma potentissima flotta, per difendere e salvaguardare la Terra, ma che quando aveva scoperto che la Gaia Sanction stava sfruttando il suo pianeta d’origine per biechi scopi personali, vietando il ritorno degli umani in patria, per puro tornaconto, avesse disertato appoggiato da Tochiro.
A causa di questo gesto furono attaccati, dietro ordine della Gaia Fleet, dalle altre tre navi classe Death Shadow.
Durante quegli scontri violenti, Tochiro era morto. Prima di spirare, l’ingegnere, come aveva già predisposto in precedenza, con l’aiuto della dark matter e di Meeme, fece in modo che parte della sua essenza, tramite un trasferimento celebrale, fosse incanalata nel Computer Centrale che divenne a tutti gli effetti l’anima viva dell’Arcadia, per non abbandonare mai Harlock.
Il Capitano era scampato per miracolo alla morte, ma era rimasto ferito gravemente all’occhio destro. La sua rabbia e il suo dolore lo avevano letteralmente sopraffatto, così, in preda ad una furia cieca, aveva deciso di rendere la Terra davvero inviolabile, e aveva chiesto all'aliena di aprire su di essa i motori e liberare la dark matter, perché la oscurassero e la preservassero dalla Gaia Sanction. Harlock però non aveva messo in conto che quella era materia oscura proveniente dal pianeta alieno Yura, molto diversa da quella conosciuta dagli scienziati umani.
Infatti le cose purtroppo non andarono come previsto. La materia oscura aveva avuto un effetto in parte anomalo, devastante, aveva contaminato e distrutto la Terra, rendendola quella specie di orrenda palla rosso scuro che adesso si trovava davanti ai loro occhi.
Alla fine Meeme, sebbene sapesse che Harlock non sarebbe stato d’accordo, volle comunque fare una precisazione a tutti i presenti.
“Prima di giudicare il vostro Capitano è bene che sappiate tutto. Quando ho deciso di ubbidire alla richiesta di Harlock, ho commesso un errore imperdonabile. Ho ceduto ad una debolezza perché avevo appena assistito a qualcosa di tremendo e tragico, che lo aveva ferito a morte nell’anima: la dipartita di Tochiro. Io stessa ero sconvolta, triste e amareggiata per ciò che stava accadendo. Solo che sono stata sconsiderata, non ho tenuto conto delle possibili conseguenze e ho di fatto commesso una colpa pari alla sua, se non più grande, perché avrei dovuto fermarlo. Ho permesso che distruggesse un pianeta e sono stata complice di quest’orrore inenarrabile. Quindi non è forse lui il maggiore responsabile... Non sono un essere superiore, come voi erroneamente credete, sono solo biologicamente diversa da voi, sono di un’altra razza, ma non priva di emozioni e sentimenti, sicuramente non sono infallibile. Credevo di aiutare il Capitano della nave a cui ero stata assegnata. Sapevo di fare un gesto azzardato, ma non avrei mai pensato a queste conseguenze, ciò che Harlock voleva fare, mi pareva nobile e invece ho solo provocato dolore e devastazione…”.
“Basta così Meeme!” la interruppe adirato Harlock “Smetti di dire cose senza senso. La colpa è solo mia. Mio è stato l’ordine, mio è stato l’errore! Non permetterò che nessuno, e tanto meno tu, prenda su di sé le mie responsabilità. Hai solo ubbidito a ciò che ti ho chiesto. Ero il tuo comandante, tu una mia sottoposta, non potevi sottrarti ad un mio ordine preciso. Sono io che ho approfittato della tua condizione” concluse autoritario, con un tono che non ammetteva repliche. Non avrebbe mai e poi mai accettato che lei si prendesse la sua colpa.
Intanto intorno, tra la ciurma c’era un’aria di incredulità, di smarrimento, ma anche di rabbia e di incertezza. Non ebbero però il tempo di protestare e domandare, perché Meeme continuò e spiegò subito la faccenda dei nodi temporali e delle bombe a vibrazione dimensionale. “Ma se detoniamo le bombe, l’Universo scomparirà!” ne convenne Yattaran preoccupato.
“Io mi fido del Capitano! Sarà un nuovo inizio, lui sa ciò sta facendo” rispose prontamente Kei.
Tra la ciurma aleggiò più forte un gran brusio di sconcerto e di preoccupazione sulla fattibilità della cosa.
“In realtà abbiamo un’altra opportunità” disse Harlock, mettendo tutti a tacere.
Fu allora che chiamò Joy in Plancia a spiegare.
La ragazza un po’ impacciata si fece largo tra la folla, salì le scale e si mise alla sinistra dello scranno di Harlock.
Si schiarì la voce e cominciò.
“Non so esattamente in che condizioni versi la Terra, ma il Capitano ha fatto fare delle ricerche negli archivi della Gaia Sanction, sembrerebbe che ci sia ancora ossigeno nell’atmosfera e che la situazione sia un po’ meno drammatica di quello che appare a schermo. Per fortuna, la dark matter non ha completamente oscurato tutta l’atmosfera terrestre, di questo abbiamo prove certe. In realtà, la Terra è diventata una specie di enorme e gigante deserto atipico. Sotto il profilo geomorfologico ha ancora montagne, altopiani e pianure, sebbene ruvidi, aspri e certamente aridi. La superficie a tratti è rocciosa, ghiaiosa e sabbiosa. Suppongo che abbia un ecosistema con pochissima riserva d’acqua in termini di bacini e che possegga poca vita, ma ciò non mi scoraggia. Ho prodotto dei semi geneticamente modificati per dar vita ad una vegetazione che sia molto resistente, di facile attecchimento e che si adatti al basso tasso di umidità. Sicuramente, vi starete chiedendo dove possa trovarsi l’acqua in quella specie di palla di fuoco che avete visto. Ebbene, la faccenda è molto più semplice di quello che pare. Abbiamo scoperto, proprio dagli archivi della Gaia Saction, che quella specie di colonne ricurve sono costituite in parte da una sorta di magmi lavici: per nostra fortuna, sappiamo che la lava e i suoi derivati contengono una notevole quantità di acqua. Quindi può essere liberata sotto forma di vapore, magari si potrà velocizzare il processo con un aiuto esterno, è complicato ma non impossibile. Una volta create delle riserve d’acqua, si potrà procedere con l’innesto delle coltivazioni”
(1) .
Qui Joy spiegò tutta la parte riguardante Caladan e la possibilità di poter iniziare lì il processo di coltura, per poi trasferirlo già ben attecchito sulla Terra.
“Quando le colture cresceranno, naturalmente avverrà il processo di evapotraspirazione
(2): non è altro che l’acqua traspirata dagli esseri viventi, in questo caso vegetali, che stimolata dal sole, sprigiona proprio il vapore che le correnti d’aria ascensionali solleveranno in alto, nella parte di atmosfera non contaminata, dove, come natura vuole, la temperatura più bassa ne provocherà la condensazione in goccioline, che formeranno delle nuvole. Le particelle delle nubi collideranno, si accresceranno, e alla fine cadranno dal cielo sotto forma di precipitazione. La Terra verrà nuovamente e parzialmente irrorata e, piano, piano la vita tornerà alla luce e al suo naturale ciclo. Ma non è tutto. Come ben sappiamo, l’atmosfera terrestre è capace di auto pulirsi grazie all’Isopropene(3), una molecola che viene prodotta dalle piante e che rilascia un particolare tipo di radicali che sono particelle chimiche capaci di distruggere tutte le molecole organiche gassose di qualunque genere che sono presenti in atmosfera. In questo modo, grazie anche alle piante geneticamente modificate, l’atmosfera terrestre verrà ripulita dalla dark matter in tempi relativamente brevi” concluse.
Erano rimasti tutti in silenzio ad ascoltarla.
Con poche parole abbastanza semplici aveva dato loro il quadro della situazione, dando l’idea che probabilmente la speranza c’era ed era anche piuttosto concreta.
In quel momento Harlock si ricordò della loro gita su T-Klon, quando lei gli aveva detto che amava la pioggia, certo non poteva essere altrimenti, l’acqua è fonte di vita e lo sarebbe stata anche questa volta!
Era molto ammirato dalla sua competenza e dalla semplicità con cui sapeva spiegare il suo lavoro. Lui le sapeva già tutte quelle cose, ma sentirla spiegare alla sua ciurma che l’ascoltava senza fiatare gli diede la misura di quanta passione, amore e convinzione mettesse in ciò che faceva e soprattutto, gli fece capire che dono immenso fosse stata per lui, ma anche per tutti loro.
Come Joy ebbe finito, Harlock si alzò, scostò il mantello e si mise al centro della Plancia: eretto e fiero. 
Era pronto a prendersi tutte le sue responsabilità e anche il disprezzo della sua ciurma, se glielo avessero riservato, sapeva in cuor suo di meritarlo fino in fondo.
Poi parlò di nuovo.
“Sono consapevole di avere su di me il marchio di questa infamia. E credetemi, me ne vergogno più di quanto io possa spiegarvi a parole” disse indicando la Terra “Se avessi solo immaginato, non avrei mai ordinato a Meeme di aprire i motori a dark matter” disse abbassando lo sguardo addolorato. 
Non avevano mai visto il Capitano abbassare lo sguardo, né sentirgli dire una cosa così forte come quella di vergognarsi, molti di loro furono scioccati da quel gesto. Sapevano che tipo d’uomo fosse e che cosa gli stesse costando quell’ammissione.
“È bene chiarire che ho accettato su di me i benefici della materia oscura, solo per avere modo di errare, anche in eterno se fosse stato necessario, fino a trovare una soluzione  per la Terra”.
Fece una breve pausa, per dare maggior importanza a quello che stava per dire.
“Sappiate che ho taciuto questa mia nefandezza non per vigliaccheria, ma solo ed unicamente per proteggervi. Confessando la mia colpa vi avrei resi morti che camminano, esattamente come me. Tutto avrei voluto, meno che accompagnarvi nel mio inferno. A volte c’è bisogno di cullarsi in un’illusione per trovare il modo di tornare a sperare.
Tacendo ho solo cercato di agire come un padre che nasconde ai propri figli certi orrori, per salvaguardarli. Mi ero ripromesso di parlarvi al momento opportuno, quando ci fosse stato almeno uno spiraglio concreto, per darvi modo di poter meglio metabolizzare questa cosa così terribile, e così ho fatto”.
Tacque ancora qualche secondo. In Plancia regnava il più assoluto silenzio.
Il Capitano non parlava mai così tanto, anzi non parlava mai, per questo erano tutti scossi e perplessi, increduli e frastornati da quella lunga confessione.
Erano spiazzati.
“Potete condannarmi e anche consegnarmi, sappiate che io lo accetterò senza replicare, ma se saprete in qualche modo accettare la mia colpa…”- disse, non avendo il coraggio di usare la parola perdono che credeva di non meritare- “…insieme potremmo intraprendere questa nuova battaglia, alimentati da una nuova, vera e concreta speranza. Sconfiggeremo la Gaia Sanction e ci riprenderemo la nostra Madre Terra. La faremo risorgere per poter assicurare alle nuove generazioni la possibilità di poter tornare nel nostro pianeta d’origine. Per ridar loro e a tutti noi la dignità di esseri umani. Ora abbiamo una speranza e una ragione vera, concreta, per cui lottare!”.
Tacque per l’ultima volta, prese il respiro e concluse deciso: “A voi e solo a voi spetta la libertà di decisione. Mi rimetto nelle vostre mani, dopo di che accetterò qualsiasi cosa, anche la morte se lo riterrete necessario”.
E rimase in piedi, fermo ad attendere il verdetto.
Ci furono alcuni interminabili secondi di silenzio sbigottito, poi il solito brusio confuso serpeggiò nell’aria, fino a quando alta e chiara si levò sopra la folla la voce di Yama.
“Posso parlare Capitano?” chiese rivolto ad Harlock e lui fece un lieve cenno di assenso con la testa.
Il ragazzo si girò verso la ciurma, dando le spalle alla Plancia di Comando.
“Sono l’ultimo arrivato e sono salito su questa nave come spia. Credevo che Harlock fosse un eco terrorista pazzo ed esaltato; invece, mi sono trovato davanti un uomo diverso da qualsiasi altro abbia mai incontrato nella mia vita. Ero arrabbiato, confuso e disperato. Cercavo redenzione da una colpa, ma in realtà neanche io sapevo che stessi facendo. Lui non mi ha giudicato, mi ha accolto senza fare domande. Mi ha lasciato libero per la sua nave, probabilmente ben sapendo chi fossi, ma non solo; si è fidato di me quando non avrebbe dovuto farlo, mi ha salvato la vita e io, per ringraziamento l’ho tradito. Sì, l’ho tradito rischiando di farlo morire. Ora però sono qui, ho fatto la mia scelta, quella definitiva, anche volendo non potrei più tornare indietro, incorrerei nella corte marziale. Ma nessuno mi ha obbligato, per la prima volta in vita mia ho scelto la mia strada liberamente, basandomi solo su ciò che io desideravo fare”.
Spiegava concitato. Gli premeva che lo ascoltassero e non lo interrompessero, per questo pareva un fiume in piena di parole: “
È vero, ciò che Harlock ha fatto è terribile, ma che avrei fatto io al suo posto? E voi? Che avreste fatto? Sareste stati migliori di lui? Non dimentichiamo chi è quest’uomo e che cosa ha fatto per noi e per chiunque abbia incrociato la sua strada. Ci ha accolti, ci ha dato una casa, ma soprattutto ci ha dato una ragione per andare avanti, portando da solo e in silenzio un fardello così grande.
È chiaro che nel suo intento primario c’era la sincera volontà di difendere e non di offendere, quindi secondo il mio parere non dovremmo giudicarlo troppo severamente. E poi condannarlo non ci ridarà comunque la Terra. Io ho fiducia in lui, non sono stato obbligato da niente e da nessuno a seguirlo, né lui mi ha mai chiesto un giuramento, ma ora, oggi, qui, io mi sento di farlo per lui, per l’unico uomo che ha creduto in me anche quando neppure io ci credevo. Perché oggi sono io che scelgo di credere in lui” concluse accorato Yama poi prese fiato, si girò direttamente verso Harlock e urlò: “Sempre con te mio Capitano. Fino alla morte! Per scelta e non per obbligo!” disse battendosi il pugno sul cuore per poi elevarlo in alto come segno di forza e appartenenza.
Lui in quel momento, con quel gesto, rappresentò per tutti davvero il simbolo della scelta libera, perché lì era l’unico che avrebbe potuto realmente consegnarlo, ucciderlo, o lasciarlo semplicemente al suo destino, invece aveva scelto per la seconda volta lui e la sua causa, e questa volta per sempre.
Kei che si era emozionata, lo imitò subito: “Sempre con te mio Capitano. Fino alla morte! Per scelta e non per obbligo!”.
Yattaran, anche lui toccato, la seguì a ruota: “Sempre con te mio Capitano. Fino alla morte! Per scelta e non per obbligo!”.
E piano, piano, tutti, nessuno escluso, fecero altrettanto finché quel grido carico di potenza, che rimbalzò da una parete all’altra dell’Arcadia, non divenne come un’unica voce di un unico corpo, con un unico cuore che batteva all’unisono e che urlava cadenzata:

SEMPRE CON TE MIO CAPITANO. FINO ALLA MORTE! PER SCELTA, NON PER OBBLIGO!

Tori arrivò gracchiando, volando in tondo sopra le loro teste, come se anche lui volesse far parte di quel giuramento di fedeltà al loro solo ed unico Capitano.
Fu allora che Harlock, toccato fino nel profondo dell’anima dalla devozione dei suoi uomini,  estrasse con una sola mossa decisa il Gravity Saber dalla fondina e in modo elegante e marziale, tributò loro il più alto saluto militare, quello che si riserva in segno di rispetto agli eroi, portando la sua sciabola dal petto alla fronte e chinando leggermente la testa in segno di devota ammirazione.
“Per la mia ciurma, fino alla morte!” disse.
E anche in tuo onore e alla tua memoria amico mio!
Subito alte si levarono grida di ovazione e tributo, piene di rinnovato entusiasmo.
Il cuore di Joy traboccò di gioia infinita. 
Calde lacrime le rigarono le guance.
Stava provando una felicità così grande che la fece quasi sentire male. 
L’uomo che amava era finalmente libero!


NOTE

(1) – (2) – (3): Queste informazioni sono state in parte reperite su www.tecnologiaericerca.com  il resto tramite ricerca su Google. Questi sono processi reali della natura. Mi sono inventata io questa possibile soluzione immaginando (nel film non viene specificato) che le colonne e i crateri fossero davvero lavici, inoltre ho ritenuto possibile inserire questa teoria, perché come si nota dal film c’è ancora ossigeno nell’atmosfera terrestre, infatti Yama è senza casco, né respiratore, e ci sono davvero piccole porzioni di cielo celestino che si vedono. D'altronde ci mostrano che ci sono nati dei fiori, perciò è più che plausibile che ci sia rimasto qualcosa di ciò che c’era prima, sia al suolo, che in atmosfera.

In seconda battuta, volevo avvisare i lettori che anche questo capitolo è il risultato dell’accorpamento di due capitoli della prima versione. Accorpamento che ho ritenuto necessario in quanto secondo me, avevo un po’ troppo allungato il “brodo” come si dice in questi casi e sempre secondo me, che sono una giudice piuttosto spietata di me stessa, la narrazione risultava alla lunga pesante. Se qualcuno trova qualche discrepanza, o qualcosa che non gli torna me lo faccia sapere. Grazie :)

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Capitolo 35
*** Nel vero amore è l'anima che abbraccia il corpo ***


Buona domenica gente! RI-postaggi!!! Stamani un capitolo il secondo capitolo verrà postato questo pomeriggio!
GRAZIE a chi legge e a chi mi lascia le sue impressioni!
Buona lettura! =)
 

  .34.



 

 

NEL VERO AMORE È L’ANIMA CHE ABBRACCIA IL CORPO
(Cit. Friedrich Nietzsche)

Quel momento così esaltante e così catartico aveva sancito l’inizio di una nuova era per l’Arcadia e il suo equipaggio. Il buio dell’angoscia si sarebbe dileguato per sempre e quella nave, in tutto il suo fulgore, sarebbe diventata quello che avrebbe sempre dovuto essere: un faro di speranza e un simbolo di libertà al servizio di una giusta causa.

Tutti gli animi erano più sollevati e c’era nell’aria una grande euforia, preludio d’inizio di una vera missione, a supporto di un ideale concreto.
Harlock, ripreso subito il suo piglio da capitano, comandò a tutti di tornare alle loro occupazioni, così anche Joy frastornata, ma felice, si accinse a scendere dal Ponte per andare in laboratorio. Imboccò la scaletta di ferro quando, all’improvviso, il suo chip le dette nuovamente una scossa lieve ma inaspettata che le fece perdere l’equilibrio. Tentò di riprendersi, cercando un appiglio che non trovò e cominciò a ruzzolare rovinosamente, si sarebbe fatta molto male se nel frattempo non fosse stata afferrata saldamente per un braccio. Era Harlock che in un balzo l’aveva raggiunta impedendole di cadere ulteriormente, temendo che si rompesse qualcosa. 
“Stai bene?” le chiese preoccupato mentre la tirava su.
“Sì… credo…” rispose lei frastornata, spazzolandosi i pantaloni. Si sentì così imbranata.
Con lo sguardo le dette una rapida controllata e si accorse che la stoffa era strappata all’altezza della coscia destra, si era fatta male probabilmente andando in collisione con lo spigolo ferroso della scala.
“Sei ferita” constatò serio, osservando lo strappo e il graffio sanguinante.
Lei si guardò e solo allora se ne rese conto, ma non sentiva quasi nulla, solo un po’ di bruciore, era una cosa superficiale.
“Non è niente” lo rassicurò.
Harlock neanche le rispose, la sollevò da terra come fosse una piuma e la prese tra le braccia.
“Ma che fai? Mettimi subito giù!” protestò immediatamente Joy, sgambettando appena.
Non c’era proprio bisogno di un gesto così plateale, stava bene, mica era impedita.
Harlock neppure l’ascoltò e facendosi largo, la portò via nonostante lei continuasse a risentirsi piuttosto vivacemente. Alla fine le toccò arrendersi e smise anche di brontolare. Tanto sapeva che era uno zuccone e avrebbe fatto comunque di testa sua.
Una volta arrivati nella sua cabina, il pirata l’adagiò delicatamente sul letto e cominciò a levarsi mantello, corazza, armi e guanti.
Anche lei per comodità si sfilò la giacca, mentre lo guardava non capendo bene che volesse fare, poi commentò appena contrariata “Non c’era bisogno di questa uscita scenografica alla Ufficiale e Gentiluomo!
(1)”.
Lui si girò e aggrottando la fronte e le chiese: “A quale ufficiale ti riferisci?”.
Di cosa stava parlando?
“Intendevo il film… l’ho visto una volta, a casa, su uno di quei canali a pagamento che trasmettono vecchie pellicole…” gli spiegò, chiedendosi perché lo avesse detto, come se lui avesse mai potuto conoscerlo, a volte si dimenticava completamente che fossero di due mondi totalmente diversi tra loro.
Harlock la guardò di nuovo appena perplesso, a volte aveva delle uscite che lui proprio non comprendeva, ma fu rassicurato dal fatto che si trattasse solo di una cosa fittizia, sapeva che cosa fosse un film.
Andò in bagno e prese il necessario per disinfettarla e ripulirle la ferita.
Joy era rimasta a sedere sul letto, cercando di non pensare al fatto che quel chip avesse fatto di nuovo i capricci.
“Come hai fatto a perdere l’equilibrio?” le chiese serio, appena tornato da lei, quasi come se conoscesse i suoi pensieri.
“Probabilmente ho messo male un piede” mentì lei.
“No. Ti stavo guardando” la sbugiardò fissandola.
Non gli avrebbe rovinato quella giornata per niente al mondo. Era così disteso, il suo viso sembrava anche ringiovanito. Essersi liberato da quel peso e l’accettazione dei suoi uomini era stata per lui una cosa senza pari, come una rinascita a nuova vita. Joy voleva  solo che si godesse il suo momento e non sarebbe stata certo lei a guastarlo con le sue scossettine da nulla.
A tempo debito sarebbe andata da Zero, se lo ripromise per la seconda volta.
“E allora non lo so… mi pareva di aver inciampato” gli disse facendo spallucce, ma lui la fissava sempre con quel suo modo di sondare per capire.
Fu allora che agì d’impulso, si alzò in ginocchio sul letto e lo afferrò per il giacchetto, obbligandolo a chinarsi per baciarlo.
Voleva distrarlo e quello le sembrò il modo più adatto e più piacevole.
Lui la lasciò fare per un po’, assecondandola, poi si staccò de lei.
“Siediti e distendi le gambe” le disse, abbandonando per il momento la sua indagine sulla caduta.
Joy ubbidì e Harlock cominciò ad armeggiare con la chiusura dei suoi pantaloni.
“Che fai?” gli chiese lei avvampando appena.
“Te li levo”.
Lei arrossì, lui se ne accorse e ammiccò un sorrisino divertito “Per medicarti” aggiunse sornione.
Si sentì un po’ stupida.
Intanto le sfilò delicatamente l’indumento mentre lei lo facilitò inarcando il bacino. 
Esaminò subito la ferita. Era abbastanza superficiale, un’abrasione e sanguinava appena. 
La ripulì con delicatezza e la disinfettò, poi volle per forza applicarci una specie di medicamento, nonostante le proteste della ragazza. 
Appeno l’ebbe fatto, d’istinto le carezzò la gamba, il suo non voleva essere un gesto sensuale, ma di fatto ebbe l’effetto di una scintilla che appicca un incendio che subito brucia.
Rabbrividirono entrambi e i loro occhi s’incontrarono, non ci fu bisogno d’altro. 
Il desiderio come l’amore, non chiede il permesso, arriva e ti investe quando meno te l’aspetti e così stava capitando anche a loro.
Furono travolti all’improvviso come da un’onda anomala che li trascinò di sorpresa e si lasciarono andare senza neppure provare ad arginarla.
Harlock si chinò e le sue labbra si posarono a baciarle la pelle vicino all’abrasione.
Nel frattempo le sfilò il maglione e le tirò su la maglietta con una mano. Con le labbra raggiunse l’ombelico e la baciò, mentre i suoi capelli le solleticavano piacevolmente la pelle.
Joy sentì il ventre contrarsi e le vennero i brividi. Da quanto non la baciava cosi? 
Troppo tempo… 
C’era stato quel periodo in cui era stato così solitario e chiuso che si erano allontanati pur essendo vicini. Dormivano abbracciati ma non facevano mai l’amore, come se lui fosse trattenuto.
Ora le sembrava diverso. Nei suoi gesti c’era qualcosa di molto più sensuale. Non che prima non fosse appassionato, tutt’altro, ma forse ciò che lo turbava al tempo stesso lo frenava molto, come fosse stato imbrigliato nelle sue pene. Come se per lui stare bene, fosse stata una cosa sbagliata ed egoistica perciò era stato molto distante.
Ora non più.
Si accorse che la stava guardando e riconobbe quello sguardo. 
Aveva un’espressione autoritaria e severa ma sapeva che in quel momento era solo la foschia della passione che lo incupiva così profondamente. 
Erano stati lontani per giorni e ora quella sete andava placata. 
Subito.
Non le disse niente, ma continuò a fissarla.
Lui non parlava mai, men che meno in quei frangenti, non ce n’era bisogno, le comunicava non solo con lo sguardo ma con tutto il corpo, ciò che sentiva e ciò che desiderava.
Le afferrò delicatamente le caviglie e l’attirò a sé, facendola scivolare fino al bordo del letto. 
Lei trattenne il respiro. 
Rimasero a guardarsi negli occhi, comunicandosi il reciproco desiderio di fare l’amore. Senza attendere neppure un secondo in più. Come se avessero già sprecato troppo tempo prezioso.
Harlock si chinò sulle sue labbra, lei le schiuse, permettendogli di approfondire quel bacio che lui assaporò senza fretta. Aveva a disposizione tutto il tempo dell’Universo. In quel momento il resto era senza importanza, sparito, inghiottito chissà dove. Tra un bacio e l’altro la guardò ancora una volta. Scivolando con lo sguardo sulle sue forme morbide. 
Gli piaceva guardarla. 
Gli piaceva lei.
Gli piaceva fare l’amore con lei.
La desiderava.
Le si mise accanto, di fronte, steso su un fianco e cominciò a baciarle il collo, da dietro l’orecchio fino a scendere alla spalla e ancora più giù.
Quando le dette un attimo di tregua anche lei si girò su un fianco e lo guardò. Gli era mancato così tanto. Voleva fargli capire quanto lo amasse e quanto fosse felice in quel momento, soprattutto per lui.
Lo osservava estasiata, era così bello, e in quel momento era solo suo. Il cuore sembrava che le esplodesse in petto e le sue mani presero a carezzargli le spalle larghe, le braccia, il torace, le sembravano acciaio vellutato, la sua pelle era così calda e invitante che lei la baciò quasi con riverenza. Nel frattempo le mani di lui si spostarono sulla sua schiena per attirarla a sé. Joy sfiorò quelle labbra morbide ed invitanti, poi prese a mordicchiargli il mento, quindi scese lungo la linea del collo fino alla fossetta tra le clavicole, facendolo sospirare.
Lo amava così tanto che stava quasi male e voleva che lui lo sapesse. 
Si fermò e lo guardò intensamente, lui lesse in quegli occhi lucidi e limpidi tutto l’amore e la passione che lei gli stava trasmettendo.
Era sua e di nessun’altro, almeno in quel momento.
Le parole tra loro non servivano. 
Gli occhi erano sufficienti, perché si comunicassero tutto quello che volevano, l’uno dall’altra. 
Quando l’impeto della passione dette loro tregua, lui la guardò in un modo che a lei venne un nodo alla gola. Forse non l’aveva mai guardata così intensamente, sembrava profondamente emozionato.
Harlock voleva imprimersi, marchiandola a fuoco nella mente, quell'immagine, per poterla ricordare nel tempo.
Lei così bella in quel momento di unione completa: carne e anima fusi in unico nucleo palpitante. Con le guance arrossate, le labbra appena dischiuse, gli occhi lucidi traboccanti. La sua donna, il suo amore, la sua vita.
Poggiò la fronte contro la sua e sospirò forte.
Non andare via… resta con me… resta per sempre…
Il suo cuore, finalmente libero, era saturo di amore e voleva vivere, amare e rinascere, voleva lei a dispetto di ogni difficoltà, problema e incertezza. 
Joy era stata travolta dalle violente sensazione che il suo corpo e il suo cuore provavano all’unisono, come una melodia perfettamente accordata che la faceva vibrare.
Capì che lui stava provando qualcosa di così intenso che si sentì investire dalla forza silenziosa di quel sentimento prepotente che, seppure muto, non poté fare a meno di entrarle sotto la pelle e devastarle l’anima.
Avrebbe a sua volta voluto dirgli che lo amava, ma anche lei non ci riuscì, lo fece in silenzio, prendendogli il volto tra le mani e obbligandolo a guardarla negli occhi.
Con quello sguardo si comunicarono tutto l’amore che sentivano l’uno per l’altra.
Alla fine si lasciarono cadere sul letto, distesi ed esausti. Erano tutti e due in debito d’ossigeno e piuttosto stravolti dalla prepotenza di ciò che avevano appena condiviso.
Silenziosi, addirittura quasi un po’ impacciati, perché a volte l’intensità di certe sensazioni ti svuota, riempiendoti d’emozione pura e ti rende quasi indifeso, si erano abbracciati stretti, come se volessero prolungare quel momento più a lungo possibile. 
Rimasero così: storditi e smarriti. 
Poi fu il momento dei teneri baci e delle carezze, come un mare che dopo una fragorosa tempesta torna alla bonaccia.
Fu in quel momento di serenità e di appagamento che Joy improvvisamente si scoprì pienamente consapevole di ciò che realmente volesse fare e prese al volo una decisione definitiva. 
Quasi timorosa, senza riuscire a guardarlo neppure in viso, nascose il viso contro il suo collo e poi parlò.
“Harlock devo dirti una cosa…”-iniziò incerta-“… è una cosa che non avevo preventivato, una cosa che non avevo deciso…” sospirò appena, solleticandogli la pelle.
Non era facile e non lo sarebbe mai stato, neppure dopo, anzi ci sarebbero stati un sacco di problemi, ma non le interessava, era quello che voleva più di ogni altra cosa. Avrebbe osato, non si sarebbe arresa alle difficoltà, alle differenze, a niente, era certa e convinta che ne valesse la pena e avrebbe fatto questo salto nel buio con lui, perché se Harlock l’avesse tenuta per mano, avrebbe potuto anche affrontare la morte, se fosse stato necessario.
Ed era infinitamente meglio la morte che stare lontano dall’uomo che ormai amava così profondamente da sapere che la vita senza di lui sarebbe stata un vegetare inutile.
Lui le carezzò i capelli per tranquillizzarla ed incitarla a parlare. Era ancora in uno stato di semi estasi e non parlò, ma la strinse a sé, per darle sicurezza.
Joy aveva bisogno di sapere che anche lui volesse la stessa cosa.
“Io voglio restare qui” gli disse alle fine la ragazza “Non voglio crearti problemi, nel senso che …” e continuò a parlare.
Ma lui non sentì più nulla, si era fermato a: Io voglio restare qui.
Il suo cuore aveva perso un battito, si era fermato e una sorta di groppo gli era salito scalpitando dallo stomaco. Poi aveva cominciato a galoppare così forte che temette gli potesse scappare via dal petto.
Era quello che lui volveva più di ogni altra cosa, che le aveva chiesto con il pensiero e lei era come se lo avesse letto
“… tu vuoi che resti? ”. 
Era tornato ad udire la sua voce come se si fosse svegliato da un sogno.
Cosa gli avesse detto nel frattempo non lo seppe mai, perché lui proprio non la udì e in fondo non gli importò, quello che gli interessava lei lo aveva già detto, rendendolo assurdamente felice e in un modo, che non conosceva affatto, dato che ciò che stava che stava capitando non lo aveva mai provato prima. 
Si tirò appena su e la guardò.
Lei aspettò ansiosa e quasi timorosa un gesto, una parola, qualsiasi cosa che le facesse capire il suo sentire, o la sua opinione.
Harlock le sorrise apertamente in un modo così solare e luminoso che Joy sentì  il cuore come incendiarsi e anche lei ebbe la sua dose di prepotenti palpitazioni.
“Assolutamente sì!” le disse semplicemente. 
Due parole che significavano una miriade di cose che non necessitavano di essere espresse, né di essere spiegate perché entrambi volevano la stessa identica cosa.

La verità l’aveva reso libero, l’amore lo stava rendendo coraggioso, ma non come guerriero o combattente, ma come un uomo che non ha più paura di vivere né di rischiare, ma soprattutto di amare.

 

NOTE
 (1) Ufficiale e gentiluomo (An Officer and a Gentleman) film del del 1982 diretto da Taylor Hackford. In cui c’è una scena (quella finale) in cui il protagonista (un ufficiale) va a prelevare al lavoro la sua ragazza e la prende in braccio portandosela via :)
La citazione di Friedrich Nietzsche usata nel titolo esprime ciò che penso io. Come cantava il buon vecchio Venditti: e non c’è sesso senza amore è dura legge nel mio cuore! Questo è un altro capitolo che ho sentito la necessità di cambiare radicalmente. Non mi rappresentava, non l'avevo scritto come avrei voluto/dovuto, strideva nella mia testa come un gesso sulla lavagna. Oggi forse appare troppo smielato (non per me) ma preferisco sondare i sentimenti del cuore, mi appagano di più e sono anche una bella sfida, quindi se vi ho fatto cariare i denti, perdonatemi :D

 

 

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Capitolo 36
*** Una giornata particolare ***


 

  .35.

 

 

 

UNA GIORNATA PARTICOLARE

Dopo quel momento intenso e vibrante che avevano condiviso, sospesi come in un’altra dimensione e con dei risvolti inaspettati, vista la decisione di Joy, non fu facile per loro dividersi e tornare alle proprie occupazioni, ma Harlock, suo malgrado, era dovuto rientrare in Plancia, mentre lei era rimasta in cabina. 
La biologa uscì con calma e passò dal laboratorio, era una giornata particolare e non aveva voglia di lavorare, fece il minimo indispensabile e poi se ne andò.
Si fermò in Cambusa e si trattenne a parlare con Masu-san, aveva voglia di mangiare un boccone, di farsi due chiacchiere.
Era stato un pomeriggio piacevole e rilassante, dopo tutto quello che avevano passato: Harlock soprattutto. Si sentiva ottimista e fiduciosa.
Più tardi, in serata, era ripassata dal laboratorio solo per un controllo, prima della cena che aveva ordinato in cabina, sia per lei che per Harlock. Masu era l’unica che ormai sapeva con assoluta certezza che il loro rapporto era fisso ed era anche l’unica con cui non si facevano problemi, soprattutto Joy che ormai la considerava davvero una sorta di cara zietta un po’ burbera.
Anche la cuoca le voleva bene. Intanto perché vedeva sereno il suo Capitano e poi perché aveva davvero apprezzato il suo gesto quando lui stava male, era stata sensibile e generosa, e lei non lo avrebbe mai dimenticato.
Joy non pranzava mai con Harlock e neppure cenavano spesso insieme, anzi, era solita mangiare con gli altri a mensa. Un po’ perché lui aveva orari tutti particolari, e un po’ sempre per mantenere una certa riservatezza di fondo. E poi Harlock oltre ad essere impegnatissimo era estremamente spartano. A volte si nutriva addirittura solo con i blocchi proteici liofilizzati, giusto solo per non saltare il pasto, specialmente quando tirava tardi, cosa che ovviamente faceva imbestialire Masu. La donna odiava quelle mattonelle simili a panetti di burro di colore marrone consistenti come la cioccolata morbida, insipidi e insapori composti di proteine vegetali e animali liofilizzate, ottenute da colture in vitro e che comunque erano scorte d’emergenza e non cibo da tutti i giorni.
Quella sera Joy invece aveva voluto una cena decente, niente di speciale, ma buon cibo e buon vino per annaffiarla come si deve.
Osservava la grande tavola apparecchiata, doveva essere una cena normale, nonostante quella giornata che volgeva al termine era stata invece molto speciale.
Si sentiva bene, serena. Aveva preso la sua decisione: Spazio. 
Sarebbe rimasta e avrebbe affrontato la sua vita e il suo destino, accanto all’uomo che amava. Non poteva chiedere di meglio.
Sorrise, lisciò la tovaglia con una mano e ancora una volta posò lo sguardo sulla tavola e si scoprì in un’attesa, un po’ emozionata, di Harlock.
Sarebbe stata così la sua vita d’ora in avanti?
Probabilmente sì e non le dispiaceva per niente.
Solo che lei aspettava, lui non arrivava e la cena si stava inesorabilmente freddando.
Attese ancora un po’, ma del Capitano nessuna traccia. 
Joy sbuffò appena e poi decise di andare a cercarlo.
S’incamminò per i corridoi dell’Arcadia, direzione Plancia, ma una volta arrivata si rese conto che lo scranno era vuoto.
Quindi girò sui tacchi e andò verso la sala del Computer Centrale. Era certa che fosse là ed infatti lo trovò, come sempre, che seduto dialogava sommessamente con quell’enorme colonna di acciaio intersecata di fili e luci che sembrava davvero interagissero con lui.
Non poteva disturbarlo e quindi si mise a gironzolare nelle vicinanze, ma a sorpresa Harlock la richiamò.
“Non volevo disturbare” disse un po’ intimidita, affacciandosi a quella specie di Sancta Sanctorum dove era stata di fatto un paio di volte, ma che essendo stato all’epoca tutto spento, non le aveva fatto quell’impressione. La prima volta era concentrata su Yama e gli attentatori. La seconda era a recriminare su ciò che aveva fatto, quindi del Computer Centrale non si era curata, ora invece si sentiva come osservata ed era una sensazione stranissima. Era appena intimidita, come se avesse violato un po’ scioccamente un qualcosa di molto intimo e personale. 
“C’è qualche problema?” le chiese serio Harlock, voleva capire come mai fosse andata fin lì.
Joy si sentì sprofondare. Ma che le era passato per la testa? Disturbarlo per la cena, come se fossero stati una coppia qualsiasi, in cui la moglie protesta con il marito ritardatario e lo va a cercare…
“No…” disse appena incerta, con le braccia dietro la schiena e lo sguardo fisso sulla punta dei suoi anfibi, poi si schiarì la voce, maledicendosi mentalmente “ Ė che sarebbe… pronta la cena…”.
Lui girò la testa di scatto e le lanciò una di quelle sue occhiate di traverso.
“Vado via…” disse subito la ragazza mogia, conscia di averlo molto contrariato.
Ma in quel momento scattò l’allarme generale, le sirene suonarono.

Erano sotto attacco.
“Presto vieni con me!” disse fulmineo Harlock, balzando in piedi e afferrandola per la mano.
Insieme corsero veloci attraverso i corridoi della nave, mentre Yattaran, dalla sua postazione, tramite interfono, informava tutti della situazione.
“Abbiamo uno schieramento di circa mille cinquecento vascelli da guerra operativi della Gaia Fleet, in assetto da combattimento: formazione a Tenaglia. E suppongo che la corazzata di riferimento sia la famosa Okeanus. Ci stavano aspettando al varco!”.
“Ci siamo!” disse Harlock, che sembrava una freccia tanto correva veloce, trascinandola con sé.
Arrivarono in Plancia che lui era appena accaldato, mentre lei era paonazza e sudata, con il fiato corto.
“Devi starmi vicina chiaro? Non farmi perdere tempo a starti appresso: vicina e sempre tre passi dietro me, intesi?”.
Lei annuì. “Tranquillo” disse con un filo di voce e il fiatone che ancora le faceva scoppiare la milza. Quindi, come lui aveva chiesto, si posizionò in piedi dietro lo Scranno.
Lo spettacolo davanti a loro era impressionante: una miriade di navicelle, in perfetta formazione, fronteggiavano l’Arcadia. Viste dalla vetrata della Plancia sembravano uno sciame di cavallette .
Joy notò che Harlock sembrava imperturbabile, era molto concentrato e serissimo, non fece una piega, né si agitò. Guardava quelle navette così torvo che pareva potesse annientarle solo con la forza del pensiero. 
“Capitano, si stanno avvicinando!” disse concitato Yattaran.
“Bene! Irrompiamo senza indugi: avanziamo verso la linea centrale, per sfondare a forza!” comandò secco Harlock, con tono deciso ma pacato di chi sa già come muoversi e che cosa fare.
“Pronti all’attacco. Tutti ai vostri posti: caricate i cannoni, le armi pesanti e i sistemi antiaerei!” comandò Kei dalla sua postazione.
Joy capì che di lì a poco si sarebbe scatenato il finimondo.
“Avvio motori a dark matter! Navigazione in-skip!” disse Yattaran.
Intanto i nemici avevano cominciato ad attaccare, ma l’Arcadia era stata protetta dal Dark Matter Shield
(1) e poi se l’era filata, lasciando un bell’ologramma a confondere il piccolo esercito della Gaia Fleet, andandosi a nascondere sul margine esterno di Saturno, da tutt’altra parte rispetto all’illusione ottica, che però non ingannò Ezra.
Fece la sua contromossa: la Okeanus liberò da un ologramma il Kaleido Star System, una specie di enorme parabola che avrebbe sparato sull’Arcadia un fascio di luce potentissima, formata dallo schiacciamento di stelle di neutroni. Raggiunse poi la nave pirata in-skip, quindi Ezra, forte della sua strategia mirata, sparò a colpo sicuro il fascio micidiale, certo di colpirla.
L'Arcadia strideva e friniva come una creatura viva ferita, a causa del Dark Matter Shield sfiorato dalla luce del Kaleido Star System, ma all’improvviso, con una mossa a sorpresa, Harlock ordinò di far scomparire la nave all'ombra degli anelli di Saturno, e di ingannare il nemico con un altro ologramma.
La mossa riuscì alla perfezione e la nave pirata apparve da tutt’altra parte, cogliendo di sorpresa i vascelli da guerra che, bombardando un ologramma, incorsero in errori di tiro, rimanendo spiazzati e diventando bersaglio degli attacchi dell’Arcadia, che comparve all’improvviso da dietro un meteorite. 
Dopo aver sbaragliato molte navette, la nave pirata attaccò pesantemente la Okeanus speronandola, per poi arpionarla ed usarla come scudo, mentre faceva fuoco a raggera con i cannoni, annientando l’intera formazione della Gaia Fleet.
Harlock, che aveva accuratamente studiato questa strategia e aveva tutte le contromosse nemiche nel file rubato, aveva gabbato alla grande Ezra e di fatto stava distruggendo tutta la sua flotta di vascelli da guerra, con un’intelligenza bellica molto fine e abile.
Fu in quel momento però che alcuni soldati, probabilmente approfittando della confusione durante lo speronamento partirono all’arrembaggio, facendo irruzione nell’Arcadia grazie alle anchor cables, e arrivarono fin sotto la Plancia. 
Subito iniziò un concitato corpo a corpo con i pirati sottostanti.
Harlock scattò in piedi ed estrasse il Gravity Saber.
Joy rimase dietro lo Scranno, come comandatole.
Di lì a breve si creò il caos e lo scontro si sparpagliò un po’ ovunque.
La ragazza pensò bene di rimanere ferma e nascosta dov’era, per non essere d’impiccio.
Harlock furioso per quell’intromissione inaspettata, si lanciò con una capriola sotto la Plancia e cominciò a falciare nemici come una furia. Non pago della spada, con l’altra mano usava anche la Cosmo Gun.
Yattaran invece avviò il pilota automatico e prese la sua mitraglietta, seguito da Kei. Entrambi si gettarono con grida di battaglia nel corpo a corpo contro chiunque gli si parasse davanti.
Joy rimase sempre dietro lo Scranno senza sapere che fare.
Sembrava che il combattimento si stesse spostando lontano dalla Plancia, infatti il Capitano e la ciurma facevano arretrare il nemico sospingendolo da dove era entrato. 
Il conflitto infuriò a lungo ed alacremente, ma alla fine i pirati riuscirono ad orchestrare un contro attacco, entrando direttamente nella Okeanus per catturare Ezra in persona. Anche Yama, che nel frattempo si era unito ad Harlock, partecipò all’operazione. Fu lui stesso a impacchettare il fratello, trascinandolo dentro l’Arcadia. Il suo fu il gesto che sancì una volta per tutte da che parte stesse.
Intanto però i soldati della Gaia Fleet non erano stati tutti ricacciati dentro l’Okeanus, e quelli ancora sull’Arcadia, non volevano arrendersi e soprattutto non volevano lasciare il comandante supremo nelle mani di quei rinnegati, così con la forza della disperazione, si battevano come leoni creando non pochi problemi.
Joy che si stava preoccupando soprattutto per Harlock che era sparito, scese dalla Plancia e cominciò a percorrere i corridoi, non capendo dove fossero tutti e perché fossero scappati, nessuno l’aveva avvertita né si era occupato di lei. 
Ad un tratto, sbucati dal nulla, si vide arrivare incontro un gruppetto di soldati armati e d’istinto si fermò.
Loro la videro: una donna senza armi alla mano, sola nel corridoio, fu un attimo, poi successe l’impossibile.
Un soldato estrasse la pistola per spararle, ma prima che potesse farlo cadde a terra colpito da Harlock appena sopraggiunto, che cominciò a girare su se stesso, roteando e seminando morte “Corri dietro di me come ti ho detto!” le urlò, mentre con il Gravity Saber con una precisione chirurgica e devastante, ad uno ad a uno, faceva cadere i soldati a terra. Schizzi di sangue danzavano nell’aria, mentre lui volteggiava simile ad un rapace, avvolto dal suo mantello che ne seguiva armonicamente i movimenti, enfatizzandoli, nella sua inconfondibile, personale danza della morte, così perfetta, così letale e sorprendentemente anche così sempre elegante.
Joy era piuttosto scioccata da quella sua furia omicida, il pirata si muoveva in modo incredibilmente agile e coordinato, a tratti come fosse un felino, abbassandosi ed alzandosi, non mancando un solo bersaglio, con uno sguardo di ghiaccio che sembrava anch’esso trapassare il nemico da parte a parte. Alla fine, i corpi di tutti soldati rimasero a terra accasciati l’uno sull’altro, come pupazzi inermi, mentre Harlock, con il fiato leggermente corto, sebbene il suo sguardo fosse torvo e tagliente come la lama di una spada, lei non vi lesse alcun compiacimento, né soddisfazione, solo la determinazione del guerriero che deve sterminare per proteggere, come una sorta di angelo vendicatore che aveva portato a termine il suo compito.
Stava pensando queste cose quando improvvisamente…
Fu questione di un attimo.
Un soffio.
Lei non seppe perché si girò, forse l’istinto, ma si voltò di scatto, fu un riflesso incondizionato, forse fortuito, ma anche questa volta accadde tutto in pochi secondi.
Joy al volo estrasse la sua Cosmo Gun, sparò e colpì ad una gamba un soldato che furtivo si stava avvicinando a loro e che li avrebbe centrati entrambi, dato che erano uno dietro l’altro e lei gli stava dando le spalle.
Anche Harlock allora si girò e fulmineo, lo finì con un colpo e subito dopo preoccupatissimo le chiese “Stai bene?” cambiando completamente espressione.
“Sì…” disse lei frastornata, ma sollevata dal fatto di essere stata utile.
Purtroppo dietro a quel soldato c’era un altro gruppetto che li assalì subito, senza dar loro modo di dire o fare altro. 
Harlock a sorpresa agguantò Joy per la vita e se la mise sotto braccio, coperta e riparata dal mantello. 
La biologa si rese conto che aveva una forza sovrumana. La teneva come un pacco e con l’altra mano combatteva come un forsennato contro i soldati, lanciando dei gridi sommessi, per aumentare la concentrazione e scaricare meglio l’energia, canalizzandola nei colpi che dispensava con precisione millimetrica senza sbagliare un solo bersaglio, continuando a far fuori chiunque gli si parasse davanti, senza tregua e all’ultimo rimasto in piedi, che gli si avventò come una furia, lanciò contro il Garvity Saber centrandolo in pieno. Subito recuperò la sua spada e senza lasciare la ragazza, come se fosse una cosina da nulla, sfrecciò come il vento tra i corridoi della sua nave e la portò di filato al sicuro nella sua cabina.
“Chiuditi dentro, aziona la paratia d’acciaio e non aprire a nessuno per nessun motivo, chiaro? Tornerò appena possibile”.
E così dicendo la lasciò lì, piuttosto stordita.
Joy si girò e vide la tavola ancora apparecchiata. Le sembrò un’assurdità.
La vita in quella nave era un’incognita e non si poteva mai sapere che cosa accadesse. Dalla calma all’inferno, nel giro di pochi minuti e ancora non era finita…
Infatti la battaglia infuriò ancora per un bel po’, poi finalmente i pirati dell’Arcadia riuscirono ad avere la meglio.


Harlock arrivò in cabina molte ore dopo e la trovò seduta alla tavola, con la cena intatta, ormai da buttare o quasi. 
Come Joy lo vide, scattò in piedi e gli andò incontro.
“Stai bene?” gli chiese preoccupata, toccandolo come per assicurarsi che fosse tutto intero.
Aspettarlo chiusa lì dentro era stata un’agonia.
“Sì” rispose lui, cominciando a togliersi la montura.
“Per fortuna abbiamo avuto la meglio e abbiamo anche catturato Ezra” disse con uno sguardo sinistro che fece rabbrividire Joy.
“E come mai?” gli chiese guardinga.
“Ė il comandante supremo della Gaia Fleet, è un signor ostaggio” disse, prima di sfilarsi le cinture con le armi.
Appariva stanco e molto pensieroso. Sembrava come avere la testa da un’altra parte.
“E poi non ho mai dimenticato ciò che ti ha fatto” aggiunse in maniera che a lei sembrò troppo fredda e distaccata, tanto da farle venire i brividi.
“Che intenzioni hai?” gli chiese senza mezzi termini, non le piaceva questo suo lato così cupo e oscuro.
Lui si girò di scatto accigliato “Non sono un assassino a sangue freddo” le disse tagliente “Ma non credo che gliela farò passare liscia. Se devo essere onesto, ho una gran voglia di ammazzarlo. Ma lo farei sempre in modo onorevole, s’intende” concluse glaciale, come se non avesse intenzione di discutere sulla cosa.
“E di grazia, quale sarebbe il modo onorevole?” gli chiese la ragazza, puntando le mani sui fianchi piuttosto arrabbiata. Non le piaceva proprio questa cosa.
“Combattendo” rispose lui, afferrando un pezzo di pane dalla tavola e portandoselo alla bocca.
“Me se ora è rinchiuso, come farai a combatterci?” obiettò lei.
“Ė necessario parlarne proprio adesso? E poi sono cose che non ti riguardano” le disse contrariato.
Era ancora saturo dell’adrenalina del combattimento che il rigeneramento a dark matter, subito da poco, aveva potenziato ai massimi livelli. Era praticamente una molla pronta a saltare. In più, sempre per il rigeneramento, come le aveva spiegato Kei, la sua dark side era la parte predominante al momento.
Come sempre toccò a lei soprassedere. Non era quello il momento adatto, ma si ripromise di tornare sull’argomento quanto prima, perché non le piaceva la piega della faccenda e voleva mettere con lui le cose in chiaro.
“Concordo sul fatto che forse ora non è il momento, però dobbiamo parlarne e ti assicuro che lo faremo”.
Lui annuì. 
“Come dobbiamo parlare di te e del tuo addestramento, devi imparare ad essere autonoma se devi restare su questa nave, non posso avere l’assillo di dovermi occupare della tua incolumità” le disse serio quasi seccamente, ma non era arrabbiato, solo preoccupato. Aveva rischiato moltissimo per portarla in salvo, ma non poteva concedersi questi lussi ogni volta che avessero subito un attacco. In quell’occasione era andata bene, ma non era detto che sarebbe sempre stato così.
Joy doveva integrarsi a tutto tondo e non poteva essere l’anello debole della catena, non lo avrebbe permesso.
Lei divenne mogia, rendendosi conto che aveva ragione.
“Harlock, se tu pensi davvero che sia un problema, forse sarebbe meglio che io…”
Lui la interruppe subito categorico e anche molto arrabbiato, non lasciandole il tempo di finire “Non ho detto questo! Non mettermi in bocca cose che neanche penso. Il problema è che sei su una nave di pirati e devi diventare un pirata a tutti gli effetti. Hai le carte in regola, devi solo essere addestrata e me ne occuperò io stesso. Chiuso l’argomento”. 
Lei annuì, sebbene quel suo essere così scostante un po’ l’aveva fatta rimanere male, ma capì che probabilmente era anche stressato e tacque.
Che fosse un uomo molto impegnativo e difficile, con un carattere davvero particolare ne era conscia e avendolo scelto doveva accettarne sia il buono che il poco buono.

Alla fine mangiarono qualcosa, ovviamente in silenzio, perché c’era stata un po’ di tensione che era meglio stemperare. 
Poi Harlock infilò in doccia e lei si spoglio e s’infilò a letto.
Quando la raggiunse, aveva i capelli ancora umidi, si sfilò l’asciugamano dai fianchi e si infilò sotto le lenzuola.
Senza neppure dire una parola, la prese tra le braccia e cominciò a baciarla. 
Probabilmente era il suo modo di fare la pace.
Fecero l’amore in silenzio e in modo molto tenero, un po’ come se ciò potesse fare da contraltare a tutta quella morte e quell’orrore a cui avevano partecipato poche ore prima. 
Sembrava quasi che lui tra le sue braccia si purificasse e placasse quella parte più oscura che ogni tanto emergeva, come se la dark matter gli rigenerasse il corpo e lei gli rigenerasse l’anima.
Quando ebbero finito, rimasero abbracciati fin quando Joy disse, riferendosi ad Ezra “Dovresti lasciarlo andare. Ė un uomo già molto provato dalla vita, credo che nessuno meglio di te possa capire ciò che sta passando. Ucciderlo onorevolmente o meno, non servirà a nulla io credo….”
Ma lui le tappò la bocca con un bacio. Non aveva voglia di parlare né di pensare ad Ezra. Non in quel momento.
Alla fine si addormentarono l’uno nella braccia dell’altro.

Non erano passate che poche ore, forse non più di un paio, o giù di lì, quando Harlock fu svegliato di soprassalto da dei sussulti strani che facevano muovere il letto. 
Non fece in tempo ad aprire la palpebra, che un violento movimento del braccio di Joy gli avrebbe inferto un colpo in pieno viso, se grazie ai suoi riflessi sempre allerta, non l’avesse prontamente scansato. Si tirò su, frastornato, non capendo bene che stesse accadendo, si girò e gli si aprì alla vista una scena a dir poco raccapricciante.
La ragazza era scossa con forza da dei movimenti involontari, inconsulti e scattosi. Come fosse una bambola rotta che saltellava in attesa di finire la carica.
Notò che aveva gli occhi girati all’indietro, così tanto che le pupille erano completamente sparite dietro le orbite, lasciando spazio solo al bianco vitreo della sclera.
Uno spettacolo agghiacciante, ma non era ancora tutto.
La mascella era serrata, la bocca distorta in un ghigno innaturale e terrifico. 
Joy era chiaramente preda di una sorta di violenta crisi epilettica, con il chip dietro la testa che sfrigolava come una lampadina rotta in procinto di scoppiare.
No, no! Ti prego, no! 
Fu il suo primo ed unico pensiero di panico allo stato puro. 
Non poté neppure darsi il tempo di spaventarsi ulteriormente, o fare mente locale su quello che stava accadendo e perché, bisognava agire e molto velocemente.
La prima cosa che istintivamente fece subito, fu quella di cercare disperatamente di aprirle la bocca. 
C’era il pericolo che le si girasse la lingua e morisse soffocata prima che l’attacco finisse. La mascella sembrava cementata, ma con uno sforzo ce la fece, le infilò due dita dentro la cavità orale per stenderle la lingua, quando un spasmo più forte ed improvviso, fece sì che lei serrasse con violenza inaudita i denti e involontariamente lo mordesse, ferendo la carne del suo dito indice fino all’osso.
Lui non sentì niente. 
Era terrorizzato, ma sorprendentemente lucido. Concentrato solo su quello che doveva fare. Riuscì in qualche modo a rigirarle nel giusto verso la lingua, poi afferrò uno dei suoi guanti e glielo cacciò in parte nella bocca, in modo che lei, serrando nuovamente il morso, non potesse più soffocarsi, avendo quello a contrasto che le manteneva la lingua al suo posto naturale. 
Poi rapidamente s’infilò solo i pantaloni e indosso la giacca di pelle, la guardò un attimo, non del tutto convinto di quello che stava per fare, ma non c’era tempo da perdere e sebbene vederla in quello stato fosse devastante, fu lucidissimo ed estremamente freddo. 
Uscì dalla sua cabina, correndo come forse non faceva davvero da un secolo, coprendo la distanza che lo separava da dove era diretto, in modo velocissimo, attraversando come un lampo di luce i corridoi bui e silenziosi della nave, che pareva quasi un relitto abbandonato nel silenzio della notte. Correva senza neppure concedersi il lusso di pensare, concentrato solo sulla distanza da coprire nel minor tempo possibile.
Irruppe nella cabina del dottor Zero, sudato e trafelato, lo stress lo aveva fatto affaticare più del dovuto.
Il medico, svegliato di soprassalto in quel modo, prima si prese un accidente, poi capì immediatamente che ci doveva essere qualcosa di estremamente grave in corso perché se lo vide arrivare con solo i pantaloni e la giubba in dosso, scalzo, senza benda, con una mano il cui dito perdeva copiosamente sangue, ma la cosa che lo turbò maggiormente fu l’espressione che aveva dipinta sul volto, un misto tra orrore e disperazione, fusi insieme in uno sguardo così addolorato, che sembrava sanguinare più del dito. 
In vita sua, non avrebbe mai pensato di vedere così il suo Capitano. 
Le spiegazioni furono brevi e coincise. Gli serviva quel dannato farmaco per le crisi che Joy non aveva mai più avuto, ma che ora si erano manifestate all’improvviso, in tutta la loro potenza e devastazione. La cosa impensierì non poco il medico, facendogli salire una grave preoccupazione.
Zero fece prima possibile e reperì una dose doppia di farmaco, da quello che gli stava raccontando Harlock era una crisi molto, troppo violenta. Avrebbe voluto andare lui stesso a curarla, ma per qualche ragione capì che non era il caso, quindi si raccomandò: “La carotide esterna. Devi iniettarla lì, pensi di esserne capace?” gli spiegò facendo pressione con un dito nel collo di Harlock, per fargli esattamente capire il punto “Il liquido arriverà subito e diretto al cervello. Agirà prima e più efficacemente”.
Harlock annuì, afferrò quel farmaco e si volatilizzò.
In pochissimo tempo era di nuovo in cabina. 
La crisi purtroppo era ancora in corso, sebbene appena un po’ meno violenta. 
Prese quella specie di iniezione, si mise sopra di lei, la bloccò con forza e con un gesto fermo e deciso, iniettò tutto il contenuto nel collo della ragazza.
Gli spasmi si ridussero subito, fino a smettere. Il suo corpo si rilasciò di colpo, abbandonandosi. 
I muscoli, compresi quelli della bocca, si rilassarono tutti, tanto che il guanto le scivolò appena dalle labbra. 
Il chip non sfrigolò più.
Respirava in modo regolare, pareva quasi che dormisse. Era completamente sudata, ma stranamente ora pareva serena. Un’immagine in forte contrasto con quella che aveva visto appena sveglio, rassicurante per un verso, ma ugualmente sinistra dall’altro, perché sembrava come se fosse in coma.
Harlock, ancora in ginocchio sul letto si prese la testa tra le mani, tirandosi i capelli. 
Il dolore al dito arrivò martellante ed improvviso a ricordargli che era ferito, ma non se ne curò. L’adrenalina generata dalla concitazione stava pian pianino scemando, lasciando posto alla paura che aveva violentemente represso. 
Solo ora si stava rendendo davvero conto di quello che era appena accaduto, se non si fosse svegliato, forse sarebbe potuta finire davvero male e soprattutto, gli arrivò addosso la terribile consapevolezza che probabilmente il peggio dovesse ancora venire. 
Disperatamente si domandò: 
Perché? Perché…

Ancora con la testa nascosta tra le braccia, piegato su stesso, avrebbe voluto urlare con quanto fiato aveva in corpo, tutta la furia rabbiosa e il dolore prepotente che provava, ma quell’urlo gli implose dentro, detonando fragorosamente come una carica massiva di distruzione, che lo devastò fino dentro le viscere.

 

NOTE

(1) Scudo di Dark Matter direttamente ripreso dal film
La battaglia del Kaleido Star System dialoghi compresi è ripresa quasi pari, pari dal film anche se la fine è diversa e i tempi di successione pure, che ho adattato alla mia narrazione.

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Capitolo 37
*** L'imprevisto ***


Buona domenica!
Ecco  a voi il primo capitolo ri-postato, rivisto e corretto.  A breve sarà postato anche il secondo ;)
GRAZIE a tutti voi che leggete e seguite questa storia

Buona lettura! =)
 

 

  .36.



 

L’IMPREVISTO

Era dalla notte precedente che Harlock era seduto in infermeria.
Ancora scalzo, con indosso solo i pantaloni e la giacca di pelle buttata alla meglio sulle spalle. 
Se ne stava lì: muto e inerte, come se fosse stato una statua di cera.
Era in attesa, davanti a quel letto, davanti a quel corpo, mentre lei era sotto l’effetto del sonno artificiale, attaccata a quella flebo e a quel macchinario che la stava analizzando. Sembrava serena. 
Pallida, immobile, con il respiro leggero, appena impercettibile, i lineamenti distesi. Pareva quasi una bambina. 
Il dottor Zero, che la teneva sedata solo per precauzione e per evitare un’altra crisi ravvicinata, la stava sottoponendo a tutta una serie di analisi approfondite per capire in che stato fosse e soprattutto per quale motivo avesse avuto quella crisi così violenta, senza nessun tipo di preavviso. Doveva per forza esserci una causa scatenante.
Ovviamente nessuno di loro era a conoscenza delle piccole avvisaglie che Joy aveva avuto, perché alla fine non era mai andata in infermeria a parlarne con il medico.
Era passato anche Yattaran a dire nuovamente la sua sul microchip. Era rimasto a lungo e aveva scupolosamente fatto dei controlli, ma per ora, da una prima analisi, non era emerso granché, se non le solite informazioni che già erano note dalla volta precedente. Anche lui non si spiegava come mai all’improvviso le cose fossero precipitate, voleva capire, perché senza conoscere le cause era difficile anche cercare la soluzione del problema, nonostante continuasse ad essere convinto, così come la volta precedente, che l’unico in grado di intervenire sul chip fosse solo l’impiantatore.
Comunque, anche Zero si riservava di parlare solo a conclusione delle sue analisi.
Harlock non parlava. Era muto e indurito come fosse stato un vaso vuoto, al cui interno il dolore, rimbombando, produceva un’eco infinita che lo stordiva. Era in attesa di sapere che cosa avesse, che cosa le fosse accaduto, e che cosa comportasse il tutto. Perché era terrorizzato. 
Quella maledetta crisi era stata troppo violenta ed improvvisa per non essere niente, come gli dicevano via, via, i vari membri della ciurma che si palesavano per avere notizie della ragazza. 
Non aveva rivolto parola a nessuno di quelli che si erano presentati in infermeria, per venire a trovare la biologa e per capire che cosa fosse successo. 
Avesse potuto li avrebbe cacciati via. 
Nessuno escluso. 
Gli davano fastidio e, ancor di più, le loro inutili parole, gli sembravano come tante mosche irritanti, che gli ronzavano intorno producendo solo rumore molesto. Incuranti del fatto che niente e nessuno avrebbe mai potuto rassicurarlo, che nulla potesse cambiare il fatto che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di molto preoccupante, forse qualcosa di veramente brutto.
Voleva stare da solo, ripiegato su se stesso, a centellinarsi quel dolore acuto come se stesse sorseggiando un calice di fiele. Lo stomaco gli si era contratto e intorcinato come un panno strizzato.
Aveva solo un disperato bisogno di silenzio. 
Non era andato neppure da Tochiro…
Continuava a dialogare internamente, non sapeva neppure lui con chi. Non era importante, bastava che chiunque fosse, l’ascoltasse, perché quella supplica gli veniva dalla parte più profonda e intima di sé. Nessuno poteva percepire quel suo lamento flebile e sommesso, quasi a fior di labbra, un borbottio che era cosi personale e così sentito, che sembrava lo coinvolgesse tutto: anima e corpo. 
Una preghiera vera e propria, semplice nella forma, ma potente nell’intento della richiesta. 

Ti prego, non a lei… 
Rifattela con me.
Lascia stare lei, non c'entra...
Sono pronto a qualsiasi cosa tu voglia da me, ma lascia stare lei. 
Non portarmela via, non anche lei… ti prego… non lo fare… 

Era svuotato e non gli importava che qualcuno lo potesse vedere così. Aveva lasciato il comando della nave senza neppure dare ordini a nessuno. Ovviamente non ce n’era stato bisogno. C’era Yattaran, ma, soprattutto, c’era Tochiro. Era tutto giorno che il Computer Centrale cigolava sommessamente, come se si lamentasse, come se fosse partecipe del dolore del suo più caro amico, solidale e sofferente; ma manteneva la rotta, qualcuno doveva pur farlo.
Tutti avevano capito e tutti, alla fine, avevano rispettato il suo muto desiderio di essere lasciato solo, sprofondato nella melma della sua disperazione.

Era questo quello che aveva sempre temuto, quello da cui era eternamente fuggito.
Le conseguenze inaspettate.
Quando ti innamori appare tutto luminoso, roseo, profumato e deliziosamente perfetto. 
Ti senti come invincibileimmortale e forte
Sembra che niente e nessuno possa alterare questo stato di grazia. Sembra che nulla potrà più scalfirti.
Menzogne.
Perché poi arriva il conto, quel maledetto conto con cui lui era sempre in debito.
E ogni volta, per lui, pagare era sempre più difficile e doloroso.
Sempre più pesante.
Si era assurdamente convinto che lei sarebbe morta e che fosse solo sua la colpa, solo per il fatto di averla amata, come se su di lui gravasse una maledizione spietata, che si divertisse a portargli via tutte le persone a cui aveva voluto bene.
Perché sembrava che lui non potesse e non dovesse amare nessuno. 
Che fosse una grave colpa amarlo, una colpa da pagare con la vita.
Chi lo aveva profondamente ed
 incondizionatamente amato era morto:
Maya.
Tochiro.
E ora anche lei?
Non lo sopportava, non lo accettava, ma era troppo disperato per essere arrabbiato.
Era vinto dalla paura, dall’angoscia, dalla mancanza totale di speranza.
Il drago, la bestia, lo aveva nuovamente ghermito con i suoi artigli ricurvi, affondati nella carne debole del suo cuore; lo stava riportando giù, nell’abisso più profondo e tetro, da cui era appena riuscito a scappare.
Meeme entrò piano, quasi timidamente nella stanza. 
Avvertì l’aria carica del dolore di Harlock. Era come se percepisse una nebbia fitta, densa e scura, un’aria irrespirabile, quasi tossica, pesante. 
Era stata come investita dalla forza del dispiacere che era dentro di lui. Grazie alla sua sensibilità aliena, lei poteva sentirlo e lui lo sapeva.
Si girò e la guardò, assente, come se lei fosse trasparente “Questa cosa non ti riguarda. Non voglio condividerla neppure con te: per favore, esci” le disse calmo, stanco, ma estremamente deciso nel tono della voce.
Lei annuì. Capiva e voleva rispettare la sua volontà, ma non poteva andare via senza aver detto quello che doveva. 
“Desidero solo che tu sappia che non è una cosa così grave come tu la percepisci. Io lo sento” e gli poggiò una mano sulla spalla, come cercando di assorbire un po’ di quell’energia così negativa che sentiva quasi come fosse sua, o, semplicemente, per dargli solo un po’ di calore, di conforto, per scuoterlo da quello stato di esagerata prostrazione in cui lui si stava quasi cullando. Meeme pensò che a volte Harlock era come se non potesse fare a meno di soffrire, non potesse astenersi dal malessere, dal dolore e dall’espiazione. Come se gli fossero ormai entrati nel sangue e facessero parte di lui, come se gli fossero necessari, per mantenere un perverso equilibrio delle cose.
Lui non rispose. Rimase immobile. 
Le parole di Meeme furono come un filo d’aria che lo carezzarono appena, e subito volarono via. Non lasciando quasi traccia. Non voleva farsi illusioni e non voleva neppure che lei stesse lì, né che cercasse di alleviare in alcun modo la sua pena. 
“Esci per favore” ripeté a bassa voce, ma sempre deciso.
“Me ne vado. Ma non puoi e non devi fare così. Non serve né a te, né a lei, né a tutti noi. Sei troppo intelligente per cadere in questa trappola. Liberati dalle catene a cui tu stesso ti stai legando, perché sono inutili”.
Finita la frase, l’aliena, vedendo che sembrava non ascoltarla, lo accontentò e lui non la guardò neppure uscire dalla stanza.
Non ragionava più, era completamente schiavo e succube delle proprie angosce. I sentimenti erano forse la sua più grande debolezza. Non era capace di rapportarsi ad essi con equilibrio, era un suo grande limite. Per questo era sempre stato un uomo solitario, taciturno e introverso. Per evitare di farsi coinvolgere. 
Stava auto alimentando un senso di disperazione enorme, spropositato, condizionando scioccamente la sua momentanea capacità di non ragionare lucidamente.
Perché, tutto sommato, Joy adesso non stava così male e non le erano stati riscontrati chissà quali gravi danni. Certo, la crisi era stata oltremodo violenta, lui si era comprensibilmente scioccato, ma con il farmaco era stata subito bloccata. Non era per forza detto che ci dovesse essere chissà quale male oscuro in corso. Magari avrebbe dovuto fare una cura, o portarsi dietro quella medicina, come era stato stabilito all’inizio. Forse erano stati troppo ottimisti prima, ma non era detto che dovessero essere per forza troppo pessimisti adesso. 
Ma questo Harlock, al momento, neppure lo prendeva in considerazione. 

Zero, a fine giornata, aveva dato il benestare a far risvegliare Joy e il Capitano aveva voluto che accadesse nella sua cabina e non in quella stanza dell’infermeria.
L’aveva presa in braccio e l’aveva riportata nel grande letto del suo alloggio. L’aveva messa sotto le lenzuola, poi si era messo a vegliarla, in attesa che l’effetto dei farmaci finisse e riaprisse gli occhi. Ancora non era chiaro che cosa le fosse accaduto, il medico aveva ipotizzato anche una sorta di reazione ad un grande stress, probabilmente il ferimento di Harlock. Secondo il dottore c’era stato qualcosa che aveva come interferito con quel chip, in maniera molto violenta, ma era ancora tutto confuso a livello di diagnosi. Sembrava che le sue difese immunitarie avessero avuto una reazione strana, anomala e brutale, aggredendo con forza distruttiva questo intruso innaturale impiantato nella sua testa. 
Quella che aveva avuto, era stata una crisi epilettica prolungata, come se l’elettricità del cervello e quella del chip, fossero andate in collisione e avessero creato un forte contrasto, sfociato in una sorta di violento corto circuito. 
Secondo il medico non c’era pericolo grave, o di morte imminente, ma andava di sicuro approfondita la questione e trovata la cura adatta. Per il momento era tassativo che dovesse avere sempre e comunque dietro le medicine, non doveva liberarsene neppure se non avesse avuto nuove crisi anche per mesi interi.
Il Dottor Zero disse anche che sarebbe dovuta stare sotto controllo costante. 
Aveva persino pensato che forse una visita specialistica più accurata non sarebbe stata un male, ma per ora questa considerazione se l’era tenuta per sé.

Harlock era in spasmodica attesa che la ragazza si svegliasse.
Quando lo fece, per lui fu come ritornare a vivere. La vide muoversi nel letto e aprire gli occhi, leggermente spaesata.
“Devo aver dormito troppo…” commentò Joy stropicciandosi le palpebre e portandosi una mano alla fronte.
“Ti senti bene?” le chiese, schizzando letteralmente al suo capezzale.
“Sì… solo un po’ di mal di testa”.
Non capiva bene che stesse accadendo, perché lui fosse lì ed avesse quella faccia così devastata.
A quelle parole Harlock afferrò delle pastiglie che gli aveva ordinato il medico e le versò un bicchiere d’acqua.
“Prendi subito questa”.
“No… non è necessario” provò a dire lei “Ma che succede? Perché sei qui?”.
Pensando che fosse inizio giornata e non capendo perché lui non fosse in Plancia.
“Sei stata poco bene, è necessario tu prenda la pastiglia subito!” insisté lui, tirandola su e obbligandola, anche piuttosto bruscamente, a prendere la medicina.
Lei lo guardò stranita.
“Poco bene in che senso?” gli chiese, prima di finire di bere l’acqua.
Lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli, era ancora provato e molto, troppo nervoso, ma non voleva assolutamente impaurirla. Quindi cercò di sfoderare tutta la naturalezza che poté.
“Hai avuto una piccola crisi” butto lì con noncuranza.
Lei d’istinto si portò la mano al chip “C'entra questo?” chiese e poi aggiunse “Sarei dovuta andare dal medico…” e Harlock la guardò di traverso “Che stai dicendo?” le chiese.
Fu così che Joy gli raccontò delle avvisaglie che aveva avuto e lui dette di matto.
Si arrabbiò moltissimo e la rimproverò aspramente.
E non ci fu verso di fargli capire che lei non aveva voluto essere imprudente, solo non aveva dato peso alla cosa. Non voleva fargli venire i sensi di colpa, dicendo che in quei frangenti era più preoccupata per lui che per se stessa, quindi alla fine si prese la lavata di testa senza replicare più di tanto. 
Harlock mandò a chiamare subito il medico, il quale però, venuto a conoscenza delle avvisaglie, un po’ si rinfrancò. Spiegò loro che era da considerarsi meno violenta in sé la crisi se preceduta da piccoli avvertimenti e anche lui rimproverò la ragazza, per non averlo contattato, poi confermò la cura che aveva già stabilito e rimase comunque della sua idea che una visita specialistica sarebbe stata opportuna, ma ancora non ne parlò con il Capitano. Era troppo agitato e avrebbe fatto qualche sciocchezza. Non poteva rischiare di farlo catturare per andare in qualche centro medico specializzato. Meglio parlarne quando Harlock fosse stato più lucido.

 

***

 

 La convalescenza di Joy andava piuttosto bene. Era stata a letto qualche giorno. Si era riguardata e riposata. Masu l’aveva rimpinzata di roba da mangiare e tutti le erano stati accanto, andando a trovarla e facendole compagnia. Harlock, per fortuna, vedendo che le sue condizioni erano migliorate, si era dato una bella regolata ed aveva quasi superato la brutta crisi interiore che lo aveva davvero provato profondamente. Era comunque un uomo temprato e ricco di risorse. Era difficile spezzarlo, anche se come essere umano aveva i suoi punti deboli e le sue ricadute, perché purtroppo ci sono ferite che non guariscono mai e ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare. Ma lui era un guerriero e sapeva come curarsi e rialzarsi.
In pratica, sebbene Harlock avesse ripreso la normale vita di bordo, lei non veniva mai lasciata sola, né il giorno, né la notte. Ovviamente dietro precisi e tassativi ordini del Capitano, perché temeva in una ricaduta.
Tra Joy ed Harlock c’era un’atmosfera strana in quei giorni. 
Lui non aveva permesso che la ragazza venisse messa al corrente della gravità della crisi che aveva avuto. Quindi lei sapeva di avere avuto una cosa lieve e subito sedata, però nello stesso tempo, non aveva potuto fare a meno di notare che lui fosse molto strano, preoccupato e troppo vigile, perché si bevesse del tutto questa versione dei fatti. Nonostante Harlock cercasse di dissimulare ogni tensione e preoccupazione, con la sua solita calma, Joy si era accorta che la notte non dormiva, al massimo si concedeva un paio d’ore di semi sonno, ma era consapevole che la vegliasse e questo alla fine la mise molto in allarme. Perché, se lo avesse fatto per una notte o due, poteva essere a causa del suo modo di essere iperprotettivo, ma adesso era un’intera settimana che la faccenda andava avanti, ergo lui le stava nascondendo qualcosa e lei voleva la verità.
Anche perché la trattava come se fosse una bambola di porcellana ed era sempre attentissimo ad ogni suo movimento, in allerta continua, come fosse in battaglia, in attesa di chissà quale nemico invisibile.
Così quella sera, sebbene fosse tardi, quando lui arrivò in cabina, decise di affrontarlo.
“Senti, me lo vuoi dire che succede?” gli chiese. Lui la guardò e da bravo dissimulatore quale era, abbozzò uno dei suoi mezzi sorrisi, anche se aveva l’aria molto, troppo stanca “Niente perché?” le rispose con tono casuale, come se non capisse la domanda.
“Sei un terribile bugiardo” lo scrutò Joy, che ormai aveva quasi imparato anche a capire le sue più riuscite dissimulazioni “Credi che non mi sia accorta di nulla? A parte il fatto che non dormi e mi sorvegli, ma anche che non vengo mai lasciata sola per un solo minuto, è un caso?”.
“Lo sai che dormo poco” tagliò corto lui “Non è una novità” aggiunse, mentre si slacciava il mantello.
Joy alzò un sopracciglio guardandolo scettica “No. Ė una novità, perché fino a qualche giorno fa, dormivi eccome! E comunque io sto bene, sono stufa di essere controllata a vista. Se è vero che non ho niente come tu dici, domani vado in laboratorio. Da sola!” lo sfidò.
Lui non rispose, cercava di far cadere la cosa e intanto si spogliava con calma studiata. Era tardi e confidava nel fatto che fosse stanca, se non altro per l’orario. Voleva che cercasse di dormire e la smettesse di fare domande, soprattutto dopo che lui si fosse infilato a letto.
Si era appena un po’ ripreso dallo spavento enorme che aveva avuto, ma in lui c’era ancora questa paura folle che potesse star male e la controllava, custodendola come fosse stata una cosa preziosissima e delicata, quasi come un lungo stelo di cristallo, da maneggiare con estrema cura e cautela, come se potesse frantumarsi da un momento all’altro. 
Joy però non era una sciocca e aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Lui era troppo strano e lei voleva sapere che cosa le nascondesse. Lo avrebbe saputo quella sera, a qualsiasi costo.
Aspettò che si spogliasse, che andasse in bagno, che si lavasse e che ci passasse quasi un’ora, per uscire poi con i capelli ancora umidi e sedersi sul letto.
“Dormi, che tanto devo farli asciugare” le disse, riferendosi ai capelli, stranito dal fatto che fosse ancora sveglia.
“Harlock, puoi traccheggiare anche fino a domani mattina. Io non dormirò e ti aspetterò sveglia” gli disse calma. Voleva proprio vedere che avrebbe fatto adesso.
Lui sospirò appena, si tolse l’asciugamano dalla vita, si frizionò forte i capelli e poi sgusciò rapido sotto le lenzuola.
Si mise supino, con le braccia incrociate sotto la testa a fissare il soffitto della cabina, cercando di raccogliere i propri pensieri.
“Sono in pericolo di morte?” gli chiese Joy, girandosi su un fianco, per osservare le sue reazioni meglio e da vicino.
Harlock girò solo la testa “No. Ma come ti viene in mente?” le chiese sincero.
“Già, chissà come mai mi verrà in mente…” commentò lei appena sarcastica.
“Sono molto stanco, vorrei dormire…” rispose, non volendo per nessuna ragione al mondo toccare quell’argomento. 
“Harlock io non avrò cento e passa anni, ma non sono una bambina. Sono un’adulta, perché per una volta non provi a trattarmi come tale?”.
Lui non rispose.
“Siamo di nuovo punto e capo? Tu taci e io faccio i miei monologhi?” chiese abbastanza sconcertata Joy “Allora che abbiamo fatto fino ad ora? Perso del tempo?” era infastidita da questo suo comportamento che sembrava come azzerare tutti i passi in avanti fatti tra loro.
Harlock non sapeva che fare. Non sapeva che dire. Per questo taceva. Gli sembrava che ogni cosa fosse sbagliata. Mentirle, come dirle la verità. Erano sempre i soliti dilemmi con cui si ritrovava a scontrarsi.  
Alle fine però, prevalse il rispetto per lei e per le sue richieste, perciò le raccontò tutto. 
Joy aveva ragione, non poteva continuare a trattarla come una bambina, e benché fosse spiacevole e difficile, aveva diritto di conoscere la verità. Soprattutto, non poteva renderla succube delle sue paure. Sapere quello che le era accaduto poteva anche esserle utile e sicuramente l’avrebbe resa più consapevole, più accorta, riguardo alla sua salute, anche se dirglielo non fu affatto facile. Dovette rivivere quella notte terribile, ovviamente omise molti particolari raccapriccianti, ma purtroppo nella sua mente, quelle immagini violente e devastanti, riaffiorarono con tutta la loro potenza.
Joy rimase molto turbata. Non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere. Ora capiva molto meglio il comportamento di Harlock, ebbe un brivido gelido di autentica paura, qualcosa le diceva che questa volta la faccenda non si sarebbe risolta così facilmente…

 

 

 

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Capitolo 38
*** La diagnosi ***


  .37.

 

LA DIAGNOSI

I giorni passavano e Joy sembrava stare benino, nonostante avesse avuto una piccola ricaduta, un’altra scossettina come quelle che avevano preceduto la grossa crisi. Aveva subito preso le medicine e aveva parlato con Zero.
Il dottore non era molto tranquillo. Non gli bastavano più le analisi fatte, ma non aveva gli strumenti adatti per fare ulteriori approfondimenti. 
Era ancora molto indeciso se parlarne con Harlock, perché sapeva quanto fosse delicata la situazione e quanto sarebbe stato pericoloso portare quella ragazza su un pianeta per farla visitare in un centro specializzato. Era un azzardo perché era certo che il Capitano sarebbe voluto andare con lei e si sarebbe esposto ad un rischio inutile. Essendo il ricercato numero uno dell’intera Galassia, per lui, andare in giro fuori dell’Arcadia poteva essere molto rischioso.
Aveva traccheggiato per qualche giorno, anche in virtù del fatto che Joy, per fortuna, stesse meglio, ma ora con questa nuova piccola crisi s’era deciso a parlarne con Meeme.

Tra lui e l’aliena esisteva un rapporto particolare, indefinito, ma di profonda e reciproca stima. Ci fu un momento, tanti anni prima, quando passavano molto, troppo, tempo insieme a bere sakè, che c’era stato quasi un guizzo di tenerezza tra loro. Meeme un giorno, all’improvviso, gli aveva chiesto un bacio
(1), che però lui si era rifiutato di darle. Non aveva mai capito quella bizzarra richiesta. Ubriaca non poteva essere, dato che lei si nutriva esclusivamente di alcool, e quindi si era sempre domandato il perché di quella uscita così singolare. Lui non si era mai sentito all’altezza di quell’essere alieno quasi mistico, e non era voluto entrare in così grande intimità con lei, ne aveva timore. Era una creatura così particolare, così leggiadra ed eterea che gli sembrava asessuata, come una sorta di angelo, che dovesse rimanere al di sopra delle cose degli uomini. Come sapeva per certo, che la sua abnegazione per il Capitano, non era e non sarebbe mai stata un legame tipicamente umano, né tanto meno di natura romantica. Meeme di fatto era come una specie di coscienza vivente per Harlock, era come se fosse stata la sua parte interiore personificata, così come Tochiro era l’anima dell’Arcadia. 
La devozione dell’aliena era puramente e decisamente platonica, perché al di sopra delle debolezze umane, sebbene all’inizio, come tutti, anche lei fosse stata vittima del potente fascino di Harlock, a cui non sfuggiva nessuno. Per questo quella volta era rimasto così sconcertato da quella insolita richiesta, che però era subito svanita nell’aria, come una bolla di sapone e che non fu mai più ripetuta.
La stima tra loro era rimasta intatta, seppure negli ultimi tempi si fossero visti molto poco e frequentati anche meno.
L’aveva fatta chiamare e adesso lei era lì, nel suo studio, elegantemente seduta, in modo piuttosto rilassato, con una gamba accavallata e un braccio appoggiato al tavolo.
“Gradisci del sakè?” le chiese il medico, mentre apriva uno stipetto in cui teneva gli alcoolici.
“Sai che ho un debole per quel liquore, volentieri Zero” disse Meeme sorridendogli amabilmente. Era stata sempre piacevole per lei, la compagnia di quell’umano. Era una mente semplice e tranquilla, non intricata e contorta come quella di Harlock. Con Zero poteva rilassarsi e non pensare a niente. Le regalava una sensazione di leggerezza che le piaceva molto.
L’uomo versò da bere e l’aliena lo trangugiò tutto d’un fiato, era golosa di quel liquore.
Se ne fece versare ancora e poi gli chiese “Dunque Zero, a che debbo l’onore di questo invito, dopo così tanto tempo, nel tuo studio?” e riprese a bere il sakè.
Il medico gli spiegò a grandi linee quale fosse il problema e Meeme lo ascoltò senza fiatare, una volta che l’uomo ebbe finito, parlò “Potrei portarla io stessa da un vecchio amico di Harlock, che potrebbe fare in una giornata tutti gli approfondimenti del caso. Però dobbiamo convincere il Capitano a non esporsi al rischio di lasciare l’Arcadia” commentò.
Zero annuì e le versò altro sakè “Sono d’accordo con te, ma come intendi fare? Non hai visto com’è iperprotettivo con quella ragazza? Non credo che acconsentirà tanto facilmente a lasciarvi andare da sole”.
Meeme finì il suo liquore e si passò la punta della lingua sul piccolissimo labbro superiore in un gesto del tutto spontaneo, privo di ogni malizia umana, per non lasciare neppure una goccia di sakè, che fece comunque arrossire il dottore come uno scolaretto, quindi sospirò “Parlerò io con Harlock. Una cosa è certa, non possiamo opporci alla sua volontà; quindi, bisognerà convincerlo” e si alzò “Appena saprò qualcosa mi farò viva. Grazie della bevuta, dovremmo farne più spesso”.
L’uomo sorrise lievemente imbarazzato “Perché no?” buttò lì, prima che si congedassero definitivamente. Ma quando se ne fu andata, si rilassò di colpo. Era troppo bella e troppo strana per lui, sarebbe stato meglio se avessero continuato a mantenere le distanze.

Meeme aveva tentato di parlare con Harlock, ma lui, soprattutto sentendo che Joy doveva fare una visita specialistica, era stato irremovibile.
Avrebbe accompagnato la biologa e non avrebbe ammesso intromissioni di alcun genere, da parte di nessuno.
Il problema era che sarebbero dovuti andare su Cerere
(2) dove c’era il più grande centro di cura di tutto il sistema solare, in pratica era una sorta di pianeta ospedale, voluto dalla Gaia Saction ai tempi della Guerra di Come Home, per far fronte alle esigenze di cura dovuta alle aspre battaglie. In seguito i medici operanti si erano pacificamente ribellati e avevano ottenuto che tutti potessero andare a curarsi lì, non solo i soldati, i membri della Gaia Fleet e della Gaia Sanction, ma chiunque, civili compresi. L’unica condizione per accedere a quel pianeta era non avere pendenze con la legge, né tanto meno con il governo della coalizione.

Harlock e Meeme avevano conosciuto il dottor Heizo qualche anno prima, a causa di una brutta ferita che era stata inferta a Yattaran durante un abbordaggio. Si era infettata e il primo ufficiale aveva rischiato grosso, così anche loro avevano deciso di azzardare e l’avevano portato su Cerere per salvargli la vita.
Da allora, dopo un inizio burrascoso, era nata una bella amicizia con il medico che li aveva aiutati e che si era sempre messo a loro disposizione, ogni qual volta ne avessero avuto bisogno. Dall’Arcadia però, difficilmente ricorrevano all’aiuto di Heizo se non costretti, come questa volta, perché era troppo pericoloso, sia per loro, che per lui, dato che rischiava la forca ogni volta che li faceva atterrare in segreto su quel pianeta.
Avendo catturato Ezra, sicuramente da parte della Gaia Fleet erano stati intensificati anche i controlli e per Harlock sarebbe stato un mezzo suicidio atterrare su Cerere, ma non voleva sentire ragioni. 
Fu così che Meeme lo lasciò perdere e andò a parlare direttamente con Joy.
“Devi convincerlo a non venire. Possiamo accompagnarti io e Yattaran, o io e chiunque altro, ma non Harlock” le disse decisa e molto risoluta, dopo averle spiegato la stretta necessità di nuove analisi.
La biologa si era molto preoccupata, ma non lo aveva dato a vedere all’aliena e cercò di risponderle il più tranquillamente possibile.
“Non ti preoccupare, ci parlerò questa sera. Farò in modo che mi dia retta”.
Meeme annuì e ritornò da dove era venuta.
La biologa invece se ne tornò in laboratorio. Aveva puntato i piedi e ottenuto di tornare alle sue normali occupazioni.
Non aveva detto niente ad Harlock della sua nuova piccola crisi e aveva pregato Zero di tacere, sapeva che si sarebbe preoccupato inutilmente, anche se adesso cominciava a non essere tranquilla neppure lei, non riuscendo a capire che cosa le stesse capitando. Cercava di distrarsi con il lavoro per non cedere allo sconforto e alla paura.
Quella sera, come si era ripromessa, parlò con lui.
“Devo fare questa visita specialistica su questo pianeta…” cominciò a dirgli.
“Sì lo so, si chiama Cerere ed il medico è il Dottor Heizo” la interruppe lui.
“Il punto è che non voglio che tu venga” gli disse senza mezzi termini.
Lui la incenerì con un’occhiataccia “Io faccio quello che è giusto fare” le rispose tagliente.
Era arrabbiato, sicuramente Meeme o Zero le avevano parlato, ma non avevano capito che lui non l’avrebbe lasciata da sola neppure a rischio della sua stessa vita. Era preoccupato, questa faccenda non gli piaceva per niente, voleva vederci chiaro e di persona, perché avvertiva che c’era qualcosa che non andava.
Lei capì che avrebbe dovuto aggirare l’ostacolo e avere molta pazienza, perché sembrava davvero irremovibile.
Gli si avvicinò e a sorpresa, lo abbracciò, spiazzandolo completamente. Infatti rimase un po’ irrigidito.
La ragazza allora alzò lo sguardo verso di lui e disse “Che c’è? Ti do fastidio?”.
“No…” rispose guardingo. Non che fosse propriamente un tontolone, poteva benissimo intuire la motivazione di quel gesto, infatti le prese le mani e la obbligò a sciogliere quell’abbraccio.
“Non mi convincerai” disse serio.
“In realtà, penso proprio che ti convincerò e comunque ti avevo abbracciato perché hai il muso più lungo del solito e pensavo ti facesse piacere, ma tu a volte sei davvero peggio di un istrice!” gli disse un po’ piccata.
“Non volevo essere scostante”.
“Ma lo sei stato e lo sei spesso” lo rimproverò.
Lui arricciò il naso. Aveva ragione. Già, lei era quella che aveva quasi sempre ragione…
“Mi dispiace” disse sincero avvicinandosi, ma lei si ritrasse.
“Ora non ho voglia io delle tue gentilezze”.
“Che c’è, dobbiamo litigare?”.
“Magari ci farebbe bene” sentenziò Joy. “Io non ti voglio con me. E se tu insisti, allora io non andrò a fare la visita” gli spiattellò. Si era innervosita, quella sera non era incline a dargliele tutte vinte, come invece faceva di solito e a dire il vero, era anche un po’ stufa di essere sempre lei quella condiscendente, accomodante e comprensiva.
Lui s’incupì molto.
“Se non vuoi andare, temo che farò qualcosa che andrà contro i miei principi. Ti obbligherò”.
“Prima o dopo avermi sculacciata e mandata letto senza cena?” gli chiese lei sarcastica.
“È inutile che tu faccia dello spirito. Si tratta della tua salute e su questo argomento non transigo”.
“A parte che è la mia salute, ma parli proprio tu? Non ti ricordi che quando eri moribondo facevi di testa tua, trasgredendo tutti gli ordini del medico?”.
E continuarono a discutere animatamente per un bel po’, fino a quando lei fu molto chiara.
“Non permetterò che tu rischi la tua vita per portarmi a fare una visita! E non mi obbligherai, perché non è nella tua indole comportarti così, perché mi vuoi bene e mi rispetti, quindi mi farai fare a modo mio. Andremo io Meeme e Yama”.
“Neanche per idea!” sibilò lui.
“Sì invece. Lo farai per me, perché io desidero così e sto male, e tu non mi farai arrabbiare, né mi farai venire un’altra crisi solo perché vuoi essere testardo come tuo solito. E poi ragiona, daremo meno nell’occhio noi tre”.
“Oh certo, con una nibelunga al seguito, non darete nell’occhio proprio a nessuno!”.
Ma stava per cedere, perché lei aveva toccato i tasti giusti.
“Meeme non è una stupida, sa come fare, fidati di noi. Non mi far diventare un problema, ti prego, io non voglio essere quella che crea situazioni di pericolo. Mi faresti un grave torto, vuoi davvero che abbia rimorsi per tutta la vita?” gli disse davvero accorata.
“E poi, se tu per primo non riesci a trattarmi come un qualsiasi membro della tua ciurma, come potremmo portare avanti questa cosa?”.
Lui si passò una mano tra i capelli frustrato, poi le si avvicinò.
“Come ti viene in mente anche solo di pensare, che tu per me sia come un qualsiasi membro di questa nave?” le disse, con lo sguardo attraversato come da una scintilla.
Lei lo abbracciò di nuovo e questa volta lui la lasciò fare.
“Se devo restare qui, devo per forza essere come chiunque altro Harlock, altrimenti divento troppo pericolosa per te e per tutti gli altri. Quindi, ora farai il bravo e mi dirai che abbiamo il tuo permesso per andare su Cerere, che tu ci monitorerai e ci guarderai le spalle dall’Arcadia”.
Dopo qualche mugugno e sbuffo, alle fine si arrese, ma solo per compiacerla non perché fosse d’accordo. Non voleva davvero farla arrabbiare, anche perché Zero si era raccomandato di non farla stressare e così, seppur a malincuore, cedette, ma solo a beneficio della sua salute. Non si sarebbe dato pace finché non fossero rientrati e se fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato, ma aveva promesso e avrebbe mantenuto la parola.

 

Due giorni dopo, Meeme Joy e Yama salirono su un areo navalizzato e si diressero su Cerere.
Arrivarono dalla parte più remota e meno controllata del pianeta. Appena atterrati, trovarono ad attenderli una navetta-ambulanza attrezzata per le malattie infettive, pronta a caricarli e portarli direttamente da Heizo. Era uno stratagemma che usavano sempre. Nessuno scagnozzo della Gaia Saction si prendeva quasi mai la briga di controllare quei velivoli, che si supponeva trasportassero qualche umano infettatosi in chissà quale pianeta e in chissà quale cantiere, o miniera aliena.
Dopo i soliti convenevoli, Heizo si affrettò ad iniziare i dovuti controlli su Joy. Partì con esami del sangue, ma anche esami cellulari, esami elettrostatici, scannerizzazione molecolare, eco tac celebrale, rilevazione laser della polpa del midollo spinale, insomma un vero e accurato check-up completo
(3).
Ovviamente non erano esami che si potessero fare in breve tempo e come previsto, soprattutto per avere i primi riscontri, sarebbe stato necessario rimanere su Cerere almeno per l’intera giornata.
La ragazza fu chiusa in una stanza con dei fidatissimi collaboratori del medico. Yama rimase fuori della porta a fare la guardia e Meeme si appartò con Heizo, per metterlo a conoscenza di ciò che Zero le aveva detto su Joy.
“Le hai fatto la tua scansione del DNA?” s’informò l’uomo, conoscendo le abilità dell’aliena. 
“No. Non volevo impressionarla. Ma c’è qualcosa di poco chiaro che sfugge al medico, sembra una reazione scatenata da qualcosa, ma non capisce in realtà che cosa possa essere”.
Heizo si riservò di aspettare i risultati e fece qualche domanda a Meeme, tanto per informazione, soprattutto su quel chip che la ragazza aveva impiantato in testa e che lui aveva subito notato. L’aliena gli riferì quello che le aveva detto Yattaran.
Il medico fin da subito aveva avuto un sospetto, ma non ne parlò perché voleva vederci veramente chiaro prima di esporsi, tanto sarebbe solo stata questione di tempo.
Però volle fare una domanda a Meeme “Questa ragazza è umana. Hai la certezza matematica che lo sia?” gli chiese.
Meeme annuì “Assolutamente sì”.
Heizo si grattò pensoso il mento “E allora temo che ci sia davvero qualcosa che non va… speriamo che non sia un processo irreversibile…” commentò a voce alta, corrugando la fronte.
Meeme si preoccupò “Che intendi dire?” gli chiese.
“Te lo spiegherò ad analisi fatte, non mi piace parlare per ipotesi” tagliò corto lui.
Intanto Joy si faceva studiare ed analizzare, non senza un sottile e serpeggiante senso d’angoscia che aumentava ogni qualvolta passavano ad un nuovo tipo di esame, sperava di finire presto, che le dicessero che tutto andava bene. Voleva tornare da Harlock, sperando che non fosse troppo agitato. 
Cominciava ad avere paura ed a temere di avere davvero qualcosa di grave. 

Yama intanto continuava a fare la guardia ed era piuttosto teso, perché ovviamente non è che non si rendesse conto che stavano rischiando grosso. Su Cerere c’erano un sacco di soldati che, se li avessero scoperti, probabilmente li avrebbero fatti fuori, o presi in ostaggio per catturare Harlock, quindi era costantemente in allerta e non vedeva l’ora che avessero finito, perché anche lui era impaziente di rientrare.

Una volta terminate le analisi, Heizo chiese di parlare in privato con Meeme.
Le confermò i dubbi che aveva avuto in origine e l’aliena rimase a dir poco scioccata.
“Ma sei sicuro?”.
“C’è un margine d’errore del venti per cento circa, ma sono abbastanza sicuro e ti dirò di più. Lei sarebbe meglio che non sapesse niente, questo per preservare la sua salute. Non deve davvero agitarsi. Ad ogni modo, ti darò dei medicinali più efficaci e più adatti di quelli che le ha somministrato Zero. Ve ne darò una buona scorta, ma come potrai capire, l’unica soluzione valida sarebbe rischiare un intervento, che però non può certo avere garanzie di riuscita. Questa ragazza sta rischiando la vita. Più tempo passa, più il pericolo aumenta, questione di mesi direi, uno, ad essere ottimisti due” le spiegò.
Fu a quel punto che Meeme gli spiegò da dove venisse Joy e che non era di quell’arco temporale.
Il medico sembrò sollevato “Allora credo la sua unica vera speranza di salvezza sia tornare indietro nel tempo e risolvere a monte il problema, facendosi disinstallare quel chip”.
Parlarono a lungo di questo e molto altro e l’aliena si convinse della cosa, poi si congedò.
Ora su di lei gravava un peso veramente enorme.
Joy non doveva sapere tutta la verità… ma allora, come convincerla a tornare indietro nel tempo?
E ad Harlock che cosa doveva dire? La verità, o no? 
Era certa che l’avrebbe presa malissimo e come al solito se ne sarebbe attribuito tutta la colpa… un vero dilemma.
Per ora decise di non pensarci, avrebbe studiato uno stratagemma e avrebbe dovuto farlo da sola, perché gli equilibri di tutta quella situazione erano delicatissimi. Aveva una responsabilità enorme e questa volta non avrebbe commesso errori, avrebbe agito con la lungimiranza e la saggezza che la contraddistinguevano.

Intanto Joy era stata congedata e stava spettando Meeme con i risultati, per poter rientrare anche insieme a Yama sull’Arcadia.

L’aliena però non sapeva proprio che fare con Joy, sebbene qualcosa dovesse pur dirle.
Il medico le aveva dato il suo consiglio e lei, seguendo la sua logica tutta particolare, le disse l’unica cosa che poteva veramente sapere senza sconvolgerla, o rompere il suo equilibrio psichico che era poi, in quel momento, la cosa più pericolosa per la sua salute.
“Sei stata contaminata” le disse asciutta, come se le comunicasse di avere il raffreddore.
“Come? E da cosa?” chiese la ragazza impaurita, guardando prima lei e poi il medico con aria interrogativa e angosciata. Questa proprio non se l’aspettava.
“Da una sorta di virus alieno” rispose Meeme, lanciando un’occhiata d’intesa al medico.
Il medico annuì “Purtroppo il tuo fisico sta reagendo molto male. C’è questa sorta di auto difesa in corso, per cui sarai ancora soggetta a queste crisi. Ora io ti darò una cura più forte e più specifica di quella di Zero, per rallentare questo processo, ma la cosa più saggia da fare sarebbe quella di tornare indietro nel tempo. Potresti bloccare questo processo che si è innescato per via di quel chip che collide con il virus e avresti la certezza che non soffriresti più, perché ciò che hai ti potrebbe causare anche tanta sofferenza fisica” le disse l’uomo. Le stava dicendo una mezza verità, nascondendo una cosa importante di quella specie di processo di metamorfosi, solo ed esclusivamente per il suo bene e la sua incolumità. Doveva tassativamente tornare indietro e salvarsi, ma non poteva assolutamente essere messa in agitazione, perché era estremamente pericoloso per la sua vita, avere altre crisi molto forti. 
La sua tranquillità aveva la priorità su tutto.
Joy rimase molto interdetta, non era molto propensa a considerare l’idea di tornare indietro nel tempo, aveva appena deciso restare e poi non capiva.
“Ma che significa? Che virus? E dove lo avrei contratto?” chiese per nulla convinta.
“Qualcuno te lo ha trasmesso” disse vagamente il medico.
“Qualcuno?” chiese lei, cominciando a capire.
Poi si girò verso Meeme “È come penso?”.
L’aliena pensò che quello in fondo fosse il male minore e annuì.
“È stato Harlock e credo che tu possa capire come e che cosa” tagliò corto.
“Quindi non è un virus…” chiese lei piuttosto spaesata.
“È stata la dark matter” tagliò corto Meeme. Non avrebbe dovuto dirlo ma lo fece.
Il medico la guardò malissimo, ma ormai il danno era fatto.
Joy si sentì morire.
E ora?
Che cosa sarebbe accaduto?
Che ne sarebbe stato di lei?
Sarebbe dovuta davvero tornare indietro nel tempo?
Qualunque cosa sarebbe stata per lei una tragedia, perché aveva fatto la sua scelta ed era felice e convinta; invece, il destino le stava giocando un bel tiro mancino, azzerando tutto e rimescolando ancora una volta tutte le carte in tavola.

 

NOTE:
(1) Omaggio alla serie classica del 1978, episodio n.29 in cui Met/Meeme/Miime bevendo allegramente con il Dottor Zero gli chiede un bacio, per noia, lui si rifiuta e lei lo rincorre! :D
(2) Cerere è l'asteroide più massiccio della fascia principale del sistema solare; fu inoltre il primo ad essere scoperto, il 1º gennaio 1801 da Giuseppe Piazzi, e per mezzo secolo è stato considerato l'ottavo pianeta. Dal 2006, inoltre, Cerere è l'unico asteroide del sistema solare interno ad essere considerato un pianeta nano, alla stregua di Plutone, Makemake, Haumea ed Eris. L’ho preso in prestito e ho fatto finta che fosse un pianeta terraformato, mi piaceva il nome latino :) (Fonte Wickipedia)
(3) Serie di termini “medici” totalmente inventati a random dalla sottoscritta :P

 

 

 

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Capitolo 39
*** Il gioco del caso ***


Buona domenica a tutti!
Primo dei due ri-postaggi!
Il secondo verrà effettuato in serata.
Grazie a tutti voi che dedicate il vostro tempo a leggere questa fic a voi che la recensite, a chi aggiunge ai preferiti, seguiti e ricordati e ovviamente grazie anche ai numerosissimi lettori silenti 

Buona lettura =)

 

  .38.



 

IL GIOCO DEL CASO

Erano dovuti andare via in tutta fretta da Cerere, perché c’era stato un incidente ed era arrivato un convoglio della Gaia Fleet pieno di soldati feriti accompagnati da una scorta molto numerosa, quindi si erano congedati da Heizo e avevano preso veloci la via del ritorno.
Joy era ancora sotto choc per la diagnosi che aveva ricevuto, era molto confusa, preoccupata e in ansia ma non aveva avuto il tempo di fare le domande che desiderava al medico perché di fatto non ce ne era stato il tempo materiale.
Per Meeme invece al momento il problema maggiore di tutta quell’incresciosa situazione era preservare Harlock da un ulteriore choc.
Doveva prendere tempo per gestire al meglio questa cosa. 
Con Joy se l’era per il momento cavata, in seguito avrebbe fatto in modo di convincerla a tornare indietro nel tempo, ma al Capitano che avrebbe dovuto dire?
Era un uomo testardo ed intelligente avrebbe fatto delle domande e preteso delle risposte, ci sarebbe stato ben poco da nascondergli…
Era certa che appena avesse scoperto la verità si sarebbe macerato nel senso di colpa come suo solito, ma poteva mentirgli su una cosa così seria ed importante?
Era giusto? E poi quando l’avesse scoperto, come avrebbe reagito?
Era davvero una situazione delicata e difficile.
Decise di parlarne con Joy sulla via del ritorno. 
Non potendolo escludere, gioco forza fu messo al corrente della situazione anche Yama, che, per il momento, vista la situazione d’emergenza che si era creata da giorni, non aveva ancora fatto domande a Joy su quelle assurdità che gli aveva riferito Kei quel giorno nella sua cabina.
“Intendo parlarci prima io e da sola” disse la ragazza risoluta rivolta all’aliena.
“Non dirgli della dark matter, però” la pregò Meeme.
“Non gli diremo niente” e lanciò un’occhiata d’intesa anche a Yama.
“Bene, ma allora che cosa t’inventerai?” chiese l’altra.
“Una mezza verità, gli dirò, come avevate detto a me, che ho preso un virus sconosciuto che ha provocato queste reazioni e poi farò in modo che mi assecondi, per il mio bene. Insomma, in qualche modo lo convincerò” rispose la biologa pensosa.
Meeme sapeva che Harlock non l’avrebbe bevuta, ma per il momento tacque.
“Ma vi pare il caso di mentire al Capitano?” chiese Yama perplesso. Lui non era molto convinto di questa soluzione e a dire il vero era anche sinceramente preoccupato per la ragazza, era stata contaminata da una sostanza aliena, pericolosa e sconosciuta di cui non si potevano prevedere gli effetti e secondo lui stavano giocando con il fuoco.
“Non permetterò che Harlock si senta responsabile, né che stia male per causa mia, e tu non t’intrometterai e ti farai i fatti tuoi” lo freddò Joy.
Il ragazzo annuì con la testa, non gli restava che rispettare i desideri della malata.
“Però devi anche pensare anche a te stessa e alla tua salute…” aggiunse quasi a voce bassa, come se non fossero affari suoi ma dando ad intendere che comunque teneva a lei e alla sua salute.
“Ha ragione Yama” gli dette man forte Meeme “Non è una cosa da poco, ti ricordi come parlammo quella volta nella mia cabina?” le disse riferita a quando avevano discusso dei possibili effetti devastanti della dark matter sugli esseri umani. 
Aveva astutamente preso la palla al balzo per gettarle l’amo del rientro nel suo arco temporale.
“Sì, lo ricordo bene, ma ora devo capire che cosa mi sta succedendo e come posso curarmi. Perché posso curarmi: vero, Meeme?” chiese sospettando improvvisamente che l’altra non le stesse dicendo tutta la verità.
“In realtà, credevo che avessi capito che l’unica cosa giusta da fare è tornare indietro nel tempo” le disse senza mezzi termini, non era il caso di traccheggiare, s’era presentata l’occasione propizia e la sua fredda logica aliena ebbe la meglio sul buon senso. 
Joy la guardò stupita “Come sarebbe a dire? Credevo che fosse un’opzione, non l’unica cura!” le chiese allarmata.
“Il medico ha spiegato che il tuo processo è irreversibile, l’unico rimedio veramente sicuro è tornare indietro nel tempo e farti aggiustare quel chip” tagliò corto.
Le cose stavano precipitando, Meeme avrebbe voluto gestirle meglio, ma le stavano sfuggendo di mano.
Joy era molto sconcertata da quella scoperta; intanto, erano però arrivati sull’Arcadia.
Appena atterrati, prima di uscire nel corridoio, l’aliena la prese per un braccio “Mi raccomando, devi cercare di mantenere un equilibrio. Questa cosa è inaspettata e sconcertante. Capisco che sia difficile per te, ma io sono sicura che non tutto il male viene per nuocere, purtroppo forse viene a rompere e a stravolgere delle sicurezze, ma devi essere molto forte. Ė ora il momento in cui devi prendere la tua decisione definitiva e da questo dipenderanno molti equilibri futuri, compreso quello di Harlock stesso. A volte la vita e l’amore richiedono sacrifici estremi e bisogna essere abbastanza forti da compierli per un bene superiore, ma sono certa che capirai qual è la strada giusta da intraprendere”.
La biologa l’ascoltava sempre più turbata e preoccupata.
Era confusa. Le era piovuta addosso questa così improvvisa proprio nel momento forse più bello e più sereno che stava vivendo sull’Arcadia e ora era letteralmente spaesata.

Come si aprì la paratia di contenimento che immetteva in Plancia, si ritrovarono di fronte Harlock, molto serio e a braccia conserte che li stava attendendo con Tori appollaiato sulla spalla.
Yama sgattaiolò subito via furtivamente per evitare qualsiasi implicazione nella faccenda, fece un sorrisino di circostanza e si eclissò. 
Il Capitano come insito nella sua natura non parlò, scrutò sia Meeme che Joy cercando di carpire qualcosa dalle loro espressioni.
Fu la ragazza a prendere in mano la situazione, tanto sapeva che avrebbe dovuto farlo comunque e allora perché rimandare?
“Dobbiamo parlare” gli disse decisa.
Lui fece un cenno d’assenso con la testa e poi scambiò un’occhiata d’intesa con Meeme. Avrebbe ascoltato Joy, ma subito dopo avrebbe preteso di parlare con l’aliena. Di certo non era un uomo che si potesse raggirare facilmente. 
Così si avviarono in silenzio l’uno di fianco all’altra verso la parte più lontana della nave dove risiedevano gli alloggi di Harlock.
I loro passi risuonavano ritmati e sincronici sul metallo rompendo il grave silenzio che era calato inesorabile tra di loro.
Lo scalpiccìo che facevano camminando sembrava quasi come il rintocco di una sorta di pendola del destino. 
Erano consci che ci sarebbe stato un cambiamento e dato che erano due anime affini e molto sensibili lo sentivano quasi a pelle, anche se non volevano neppure pensarci. Questa volta avrebbero dovuto fare i conti con qualcosa che non dipendeva direttamente dalle loro volontà.
Quella camminata di quasi un chilometro
(1) si era come dilatata portando le loro menti a perdersi in pensieri diversi, ma complementari.
Joy era in totale confusione e soprattutto era molto incerta su cosa dirgli. Avrebbe dovuto trovare la forza di apparire serena e convincente poi, in seguito, avrebbe dovuto pensare seriamente a che decisione prendere in merito al suo problema.
Partire o restare? 
La cosa che, nella maniera più assoluta non voleva che accadesse, era che lui ripiombasse nell’angoscia o nella disperazione per causa sua. Yama, qualche giorno prima, facendole una confidenza, le aveva raccontato come Harlock avesse reagito male e quanto avesse sofferto quando lei era stata in infermeria. Non sarebbe accaduto di nuovo perché non lo avrebbe tollerato.
Inoltre c’erano altri inquietanti interrogativi che affollavano la sua mente.
Se fosse rimasta, sarebbe davvero morta?
O forse sarebbe rimasta offesa nel corpo, o peggio nella mente?
Doveva sapere la verità, che intuiva le celassero. Voleva avere delle certezze per poter meglio valutare l’opzione ritorno al passato, a cui aveva definitivamente rinunciato scegliendo di vivere la sua vita a bordo dell’Arcadia.

Harlock era molto inquieto. Da quando Joy era stata male, ed aveva avuto quella brutta crisi, ogni sua fibra corporea aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Aveva avuto un presentimento che gli diceva che lei era in pericolo grave ma non capiva cosa potesse essere: per questo si sentiva impotente ed incapace di aiutarla, o difenderla.
La sua reazione a quella dannata crisi, a molti era forse sembrata spropositata, in realtà non lo era affatto stata, perché lui in cuor suo aveva capito, ed ora temeva di scoprire che i suoi dubbi potessero essere certezze.
Quando lei stava male in infermeria aveva fatto una sorta di voto. Si era giurato, che si fosse salvata, e fosse stato necessario per il suo bene, sarebbe stato disposto anche a rinunciare a lei.
Sentiva di amarla così tanto che preferiva struggersi eternamente nella sua mancanza piuttosto che vederla soffrire, o, peggio, morire.
Era una cosa che gli era nata spontanea, perché lui era fatto così: pronto a sacrificarsi per chiunque e a maggior ragione lo sarebbe stato per la donna che amava. Poi sembrava che la cosa si fosse ridimensionata e si era quasi cullato nell’illusione di lasciarsi tutto dietro le spalle come se fosse stato tutto un brutto sogno.
Invece pareva tutto di nuovo punto e capo. Perciò era molto turbato, anche se alla fine il suo pensiero primario era quello di saperla sana e salva, non chiedeva altro.
Finalmente arrivarono alla porta della cabina della biologa, Tori volò via gracchiando, Harlock aprì ed entrarono.
Rimasero in piedi. Tutti e due piuttosto rigidi nella postura. Lui a braccia conserte e lei con le mani in grembo. 
Seguì qualche secondo di silenzio, poi Harlock che voleva assolutamente sapere, ruppe il ghiaccio.
“Dunque come è andata la visita?” le chiese calmo.
“Non benissimo” ammise lei, vagando con lo sguardo per la stanza e a lui si accelerò subito il battito cardiaco.
“Cioè?” le chiese subito scuro aggrottando la fronte. 
Era come temeva.
La ragazza sospirò forte e poi parlò: “Sembra che io sia stata contagiata da una sorta di virus sconosciuto… e sembra che questo virus abbia interferito con il mio sistema immunitario… una cosa un po’ complicata” spiegò con un sorriso forzato vagando con lo sguardo per la stanza. Era agitata e le sembrava di dire un sacco di sciocchezze.
“Un virus?” le chiese sospettoso. Che stava blaterando? La fissò sempre più accigliato.
“Sì, è sconosciuto e raro…” gli rispose cercando di essere convincente.
Lui sembrò berla, o forse fece solo finta, ma non smise di fissarla.
Poi le si avvicinò “Che ti ha detto il medico?” chiese scrutandola sempre con quello sguardo indagatore, che sembrava come un fascio di luce che volesse per far chiaro dentro di lei e stanare i suoi pensieri più nascosti.
Joy si agitò, sapeva quanto lui la leggesse e quanto fossero diventati empatici, mentirgli era molto difficile e poi lei era come un libro aperto, soprattutto per lui.
“Il medico mi ha dato una cura più forte da fare” aggiunse dicendo una verità sperando che questo bastasse a quietarlo un poco.
“E?” chiese lui avvicinandosi pericolosamente a lei, impedendole di abbassare lo sguardo che aveva incatenato alla sua iride ambrata che continuava a scrutarla severa.
“E cosa? Niente!” sbottò, da come la guardava sembrava che avesse capito già tutto e questo la fece agitare. Infatti, si scostò per allontanarsi, voleva mettere spazio tra loro, come se tenerlo a distanza servisse quasi a tenerlo a bada.
“Joy, voglio che tu mi dica la verità” le disse pacato, ma deciso, avanzando nuovamente verso di lei.
La ragazza per un attimo si distrasse e pensò quanto fosse bello sentirlo pronunciare il suo nome, non lo faceva praticamente quasi mai: era un’altra delle sue stranezze. 
“È questa la verità” gli disse poi fissandolo quasi con sfida. Stava cercando di dissuaderlo.
Harlock fece un cenno con la testa e non replicò anche se era chiaro che non le credesse, poi si girò come per andarsene.
“Riposati un po’, io vado da Meeme” le disse infine quasi dolcemente. Non voleva aggredirla, né farla agitare era solo preoccupato e non intendeva discutere con lei. 
“Non sono stanca e preferirei che tu stessi con me” gli disse raggiungendolo e poggiando una mano sul suo braccio. Era preoccupata dal fatto che andasse da Meeme, era chiaro che non lo aveva convinto e questo la agitava.
Harlock sospirò “Joy, non fare così debbo parlare con lei” non avrebbe desistito perché voleva sapere.
“Se fossi superstiziosa o scaramantica, potrei dire che oggi è una giornata particolare perché hai pronunziato il mio nome due volte nell’arco di pochi minuti, ed è un evento raro”.
Lui la guardò sorpreso non capendo.
La biologa malgrado la situazione molto particolare si ritrovò a sorridergli dolcemente “Devi essere molto preoccupato per me. Non mi chiami mai per nome, non te ne rendi neppure conto ma con tutta la gente che devi istruire sembra che tra tutti, il mio, sia quello che pronunzi di meno, forse perché non ne hai bisogno effettivo dato che non mi devi impartire degli ordini, anche se magari ti piacerebbe” aggiunse appena ironica per stemperare i toni. 
Questa considerazione gli fece tenerezza. Era vero, non se era mai reso conto prima. Aveva colto nel segno, era molto preoccupato, ma non voleva certo spaventarla e neppure agitarla.
Per una volta tanto si ammorbidì, mise da parte quella sorta di rigidità che lo contraddistingueva, rendendolo talvolta così intransigente e cupo e decise di lasciar correre per accontentarla. Con Meeme avrebbe potuto parlare anche in seguito, perché tanto lo avrebbe fatto ed era certo che lo sapesse anche Joy. Ora forse era il caso di riprendere un po’ il fiato, magari rilassarsi un poco per attutire il colpo del precipitare degli eventi che li aveva sorpresi come un fulmine a ciel sereno. Tra loro gli equilibri erano di nuovo molto delicati, questa però volta per una causa esterna e non di poco conto. Era tutto molto difficile e sfiancante, così Harlock sentì quasi il bisogno fisico di regalarle qualcosa che per qualche momento la facesse stare bene e la distraesse, come quella volta quando lei l’aveva massaggiato. Lui però non ne sarebbe stato capace, così gli venne in mente un’altra idea.
“Ti va se smettiamo per un po’ di pensare a questa brutta faccenda e andiamo in un posto?” le chiese a sorpresa.
“Dove?” gli chiese lei molto incuriosita. Non chiedeva di meglio che prendere un po’ di fiato. Conosceva abbastanza bene quella nave e si chiese dove mai l’avrebbe potuta portare.
“Vedrai”.
Voleva farla distrarre e subito dopo avrebbe trovato il modo di andare anche da Meeme.
Uscirono e si diressero nella parte più lontana di quella zona dell’Arcadia che somigliava tanto ad un antico Galeone, dove c’era la cabina di Harlock, ma anche altro, essendo un’area molto vasta. In un certo senso quella parte della nave era quasi come una sorta d’ala riservata a lui, e sebbene di fatto fosse di libero accesso a chiunque, non ci andava mai nessuno perché rispettavano tutti il suo spazio sapendo che uomo solitario e discreto fosse. L’unica che non ci faceva caso era Meeme, ma solo perché tra di loro c’era un rapporto particolare, lei sapeva perfettamente quando poteva andare e quando no, senza bisogno che il Capitano glielo manifestasse apertamente.
Dopo pochi passi arrivarono davanti ad una pesante porta, sicuramente anch’essa d’acciaio, ma rivestita di legno. Harlock posò l’indice sulla pulsantiera che vi era a lato inserì un codice, strisciò una tessera e la porta si aprì.
Davanti a loro apparve uno spettacolo grandioso. 
Quella in cui erano entrati era una stanza particolare costruita con una leggera sporgenza in fuori dalla nave, le cui tre pareti principali ed il soffitto erano semplici vetrate a vista. Praticamente sembrava di stare in sorta di bolla che si affacciava direttamente nello Spazio. Anche il pavimento, nel centro, aveva un enorme oblò
(2) di vetro esposto nell’infinito stellato.
Joy spalancò la bocca e sgranò gli occhi come un bambino davanti ad un balocco nuovo.
Davanti a loro si stagliava maestoso il nero cupo siderale trapunto di piccoli punti luce vividissimi. Il tutto era drappeggiato a sprazzi da nubi gassose celestine dai contorni viola tendenti al rosso, sembrava quasi come se una sarta vi avesse gettato ad arte dei lembi di tulle colorato che spezzavano giocosi la monotonia del buio. 
L’Arcadia si muoveva placida e di tanto in tanto qualche effluvio di dark matter, simile ad una nube tempestosa, irrompeva tra i colori sfumati che si rincorrevano tra una gassosa e l’altra. Sembrava che la nave pirata, con l’ausilio della materia oscura, volesse rimarcare alla natura circostante, che solcava imperiosa attraversando quell’oceano celeste, la sua egemonia spaziale.
Come sempre lo Spazio offriva uno spettacolo mozzafiato ma non era finita lì la sorpresa, come avrebbe scoperto più tardi.

Intanto Harlock a braccia conserte era rimasto come lei in contemplazione di quella magia che ogni volta immancabilmente lo rapiva estraniandolo quasi da tutto il resto. Era da moltissimi anni che non rientrava in quella stanza, ma ora era davvero felice di averlo fatto, perché quello era un posto magico ed evocativo.
Quella vista gli riempiva l’anima di pace. Era da tantissimo tempo che non accadeva e il merito era solo di lei. Ora poteva anche riconoscere con se stesso che quella giovane donna era entrata per caso nella sua vita e l’aveva semplicemente e straordinariamente resa migliore, come nessun altro aveva saputo fare in cento e passa anni. Joy Aveva avuto lo stesso effetto di una folata di vento primaverile che passa birichino in un giardino ancora innevato.
Gli aveva alleggerito l’anima e ricolmato il cuore, e non sarebbe mai stato grato abbastanza per questo dono così prezioso. Per questo l’avrebbe protetta e salvata a qualunque prezzo e con qualunque sacrificio sarebbe stato necessario. Il suo amore era puro e grande e niente poteva contare per lui se non il suo benessere.

Dopo aver goduto di quelle immagini così ammalianti Harlock si spostò e andò verso una consolle, quindi azionò un comando, e subito in tre dimensioni, ologrammato, in quella stanza, apparve il Sistema Solare Terrestre in tutta la sua vastità e complessità. Ovviamente c’erano anche le riproduzioni in scala di tutti i pianeti, la fascia degli asteroidi.
Joy riconobbe subito Plutone, Saturno e ovviamente la Terra, ne rimase estasiata.
“È un Planetario tridimensionale interattivo. L’ha costruito il mio amico Tochiro per sua figlia Mayu
(3)” le disse sorprendendola moltissimo.
“Davvero? Aveva una figlia?” le scappò detto.
“È una lunga storia… magari ne parleremo un giorno” le disse, ma si capiva che era un argomento che ancora lo faceva soffrire, quindi lei annuì, e non fece domande in merito rispettando la sua ritrosia e il suo evidente dispiacere.
Rimasero nella stanza un bel po’, lui le mostrò come sfiorando con le dita l’ologramma del planetario questo, in maniera interattiva, mostrava e spiegava la struttura e le dimensioni del Sistema Solare e le caratteristiche chimico-fisiche dei pianeti, con tutte le implicazioni della presenza-assenza di atmosfera. Una cosa affascinante e molto interessante che per un po’ li distrasse dai loro crucci.
“Perché mi hai portata qui?” gli chiese ad un certo punto Joy, che era ancora con lo sguardo rivolto alle immagini suggestive del Planetario che si perdevano, fondendosi quasi magicamente, con quelle reali oltre la vetrata.
“Questo è il posto dove passavo tanto tempo i primi anni dopo la distruzione della Terra. Era il mio rifugio. Accendevo il Planetario e rimanevo qui delle ore come dentro una bolla, un sogno, come se avessi potuto fermare il tempo e fare finta che non fosse successo niente. Era la mia fuga dalla realtà. La mia più grande illusione. Per qualche anno ha funzionato. Ė stata come un’assurda ancora di salvezza, poi l’oscurità ha preso il sopravvento e il resto già lo conosci…” le confessò sincero.
“Comunque ti ho portata qui” aggiunse “Perché volevo farti rilassare. Mi sono ricordato di quando stavi in Plancia ad osservare le stelle, ed ho pensato che ti sarebbe piaciuto vederle da questo osservatorio così particolare”.
Lei annuì “In realtà le osservavo anche a casa mia, sulla Terra, dalla finestra, mi hanno sempre affascinata, ho sempre sentito una sorta di richiamo. Subisco moltissimo il loro fascino e mi infondono un forte senso di tranquillità”.
Harlock sorrise appena muovendo impercettibilmente la testa come a sottolineare che capiva e poi disse: “Sai credo che le anime siano polvere cosmica. Appartengono all’Universo infinito e misterioso, sono micro frammenti di esso, scintille che sono state instillate nei nostri poveri corpi corruttibili, ma che in realtà anelano solo a tornare all’origine che le ha create. Siamo davvero tutti parte di un unico corpo”.
Lei lo ascoltava affascinata. La sua voce bassa, morbida e carezzevole era come un canto ammaliatore, soprattutto quando parlava di cose così profonde che mettevano a nudo quell’anima bianca che lui possedeva e che non era affatto stata scalfita da quell’oscurità che invano aveva tentato di portarsela via.
“Quando osservo lo Spazio torno ad essere un semplice uomo davanti al mistero dell’infinito. Un essere imperfetto davanti alla bellezza suprema. Se c’è una cosa che mi manca come e quanto la Terra è la mia normalità” si ritrovò a confessarle sorprendendo per primo se stesso.
Tacque alcuni secondi e poi continuò a parlare, quasi sottovoce, con calma centellinando le parole per aggiungere più valore al loro significato.
“Vorrei tornare ad invecchiare, vivere e morire, come qualsiasi uomo. E vorrei poter vivere una vita sola, poi andarmene e tornare a far parte di questo” disse indicando oltre la vetrata.
Lei lo aveva ascoltato in silenzio ed era rimasta molto toccata dalle sue parole.
“Forse la tua strada è diversa perché tu hai un compito preciso. Ognuno di noi ha il suo compito, è una cosa che ho sempre pensato. Probabilmente, quando avrai assolto a ciò che devi, ti sarà concesso quello che tu chiami riposo”.
Lui annuì nuovamente e le sorrise. Nonostante l’incresciosa situazione in quel momento stava bene ed era sorprendentemente sereno.
Rimasero ancora un po’ silenziosi l’uno accanto all’altra ad osservare le stelle che sembravano avere un’azione molto rilassante sui loro stati d’animo, poi Harlock si mosse e spense l’ologramma
“Avrei una richiesta da farti” gli disse Joy facendolo girare.
Harlock la guardò e fece ancora un cenno di assenso con la testa come per invitarla ad esprimersi liberamente.
Lei si spostò al centro dell’oblò che si apriva sullo Spazio e lo invitò a seguirla.
Il Capitano la raggiunse, la ragazza lo guardò intensamente e gli sorrise.
“Baciami” gli disse.
Lui sospirò e sorrise appena, aveva già capito prima che lei glielo chiedesse.
Ma prima di baciarla le carezzò una guancia con la mano guantata e le scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
“Credo di non avertelo mai detto, ma io ti trovo bellissima” le disse in un soffio e il suo alito le sfiorò le labbra, appena prima che la sua bocca incontrasse morbidamente quella di lei, che al suo tocco si schiuse lasciando che quel bacio divenisse intimo e profondo. 
Con una dolcezza ancora più sentita di sempre, la baciò a lungo, quasi come se fossero stati due amanti di antica memoria, che alla stazione si salutano per l’arrivo di un treno che inesorabilmente porterà via, lontano, uno di loro.
Erano come sospesi tra le stelle nell’Universo infinito e per qualche secondo sembrò come se il tempo si fosse davvero fermato, si fosse dilatato, aprendo un magico incanto in cui loro stavano fluttuando al di là dello Spazio e della logica. Una sensazione forte e molto intensa che probabilmente si sarebbero ricordati a lungo anche quando fossero stati lontani.
Perché questo sentore di partenza volteggiava intorno a loro, come se fosse stato uno spettro maligno che soffiava gelide folate di presagio.
Quando lui riluttante si staccò dalla sua bocca, Joy aveva gli occhi lucidi e determinati, quelli di una donna decisa che sa quello che vuole.
“Io resterò qui. E lo farò qualunque cosa accada. Sono libera di decidere, e io questo ho deciso” gli disse risoluta.
Lui si sentì morire, ma non disse una sola parola.
Doveva prima prepararsi mentalmente e trovare la giusta via per dissuaderla, quindi la prese per mano e la portò via da lì.
Joy, lo seguì in silenzio, aveva imparato a conoscerlo e aveva capito che c’era qualcosa che lo turbava, ma capì che non era quello il momento per intavolare una discussione, forse sarebbe davvero stato meglio che lui andasse a parlare con Meeme, d’altronde l’aliena sapeva come prenderlo e poi lei si sentì improvvisamente molto stanca, probabilmente lo stress della giornata le stava salendo tutto assieme.
Ebbe anche un leggero capogiro mentre stavano camminando silenziosi l’uno accanto all’altra e si portò la mano alla fronte, per fortuna lui che era immerso nei suoi pensieri non se ne accorse.
“Harlock io vado a riposare sono stanca. Tu vai pure da Meeme se vuoi” gli disse cogliendolo di sorpresa.
La guardò accigliato, era seriamente preoccupato.
Joy intuì e prima che parlasse aggiunse “Non è niente è lo stress della giornata e delle visite. Vado nella mia cabina” disse e prima che lui potesse replicare aveva già imboccato un corridoio secondario.
Lui s’insospettì, gli sembrò che fosse quasi scappata come se avesse una qualche urgenza. Fu tentato di seguirla, ma la sua natura glielo impedì, non era da lui fare cose del genere. Era chiaro che volesse stare da sola e lui doveva parlare assolutamente con Meeme.

 

NOTE

(1) Lunghezza della nave Arcadia del film riportata nel mio Space Pirate Captain Harlock Concept art book
(2) Oblò che richiama quello che si trova in Plancia dell’Arcadia della serie SXX
(3) Per me e per la mia fervida (o malata xD) immaginazione non è difficile collocare né Esmeralda né Mayu in questo contesto del movie verse. Potevano benissimo essersi conosciuti e sposati prima della Guerra di Came Home, ma anche subito dopo e vi avviso che molto probabilmente parlerò di questo (forse) in un’altra fic, quindi per me è evidentemente possibile, ma qui, ovviamente è solo accennato ;)

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Capitolo 40
*** Il confronto ***


Secondo capitolo ri-postato! 
Sono reduce da un’intensa giornata lavorativa  (eh sì, a volte mi tocca di lavurà anche la domenica!) quindi mi perdonerete se questa sera non ce
 la faccio a rispondere alle vostre gradite e bellissime recensioni, lo farò con calma in settimana!
E grazie ancora a tutti voi che leggete!

  .39.



IL CONFRONTO


Harlock stava guardando Meeme ma era come se neppure la vedesse.
Non poteva credere a quello che gli aveva appena detto. Era una cosa del tutto fuori dalla sua logica, una cosa che non avrebbe mai immaginato possibile, che non aveva mai neppure sfiorato per sbaglio la sua mente.
Eppure era accaduta.
Naturalmente, come aveva temuto l’aliena, dentro di lui stava già maturando la convinzione che la colpa fosse solo ed unicamente sua e non di una concatenazione disgraziata di fortuite coincidenze, quale probabilmente era davvero.
“Harlock…” gli disse poggiando una mano sulla spalla “Tu non c’entri…”.
Lui la trafisse con un’occhiata “No?” le chiese quasi sibilando.
“Non potevi immaginare che potesse succedere”.
“Ed invece avrei dovuto”.
“Non puoi sempre accollarti la responsabilità di ogni evento dell’Universo”.
“Maledizione! Io sapevo di essere contaminato dalla Dark Matter” rispose quasi angosciato.
“Sì, ma non potevi prevedere questa reazione su di lei, nessuno poteva, neppure io. Ė un caso del destino. Ti prego ora non riprendere da dove avevi lasciato, non ributtarti di nuovo tra le spire del rimorso. Non farlo, o tutto il cammino che hai fatto sarà stato inutile”.
Lui si allontanò. Era furioso. Cosa ne poteva sapere Meeme di cosa stava sentendo dentro di sé? Era facile per lei parlare così come se niente fosse, facile e semplice, non era implicata a livello emotivo, ma il dolore che lo dilaniava era solo suo e condensato dentro la sua anima che stava calcificando. In più aveva il rimpianto legato alla consapevolezza che, se avesse avuto un minimo di buonsenso, tutto ciò non sarebbe accaduto.
Quando Meeme gli aveva detto che Joy era stata contaminata e quali erano state le conseguenze si era sentito morire. Era come se di colpo si fosse azzerato tutto quello che di buono e positivo era riuscito a costruire dentro di sé negli ultimi tempi. Era stufo marcio di essere sempre in lotta con questo destino infame che si burlava di lui ogni maledetta volta.
Guardò il tavolo su cui faceva bella mostra di sé un vino pregiato e due calici pieni a metà, senza neppure pensarci, al colmo della frustrazione mista all’impotenza che gli serpeggiava dentro, con una manata spazzò via tutto con forza. Fece schizzare e frantumare a terra, bottiglia e bicchieri, mentre il liquido in cui annegavano i frammenti di vetro, si allargava in una pozza vermiglia sul pavimento, diffondendo il suo aroma dolciastro nell’aria.
Meeme abbassò la testa e chiuse gli occhi dispiaciuta. Sentiva la tempesta furiosa che gli urlava dentro e in parte anche lei se ne sentiva ancora una volta responsabile.
Poi prese coraggio e decise di parlare.
“Non dovresti permettere alla rabbia di dominarti di nuovo. Non ti servirà a niente. Ormai è fatta”.
Harlock la guardò furente. Lei ebbe un lieve sussulto nell’incrociare quella sciabolata che fu il suo sguardo.
Ma Meeme non si lasciò intimorire. Non aveva paura di lui e capiva molto bene la sua reazione, la capiva e la giustificava in pieno.
“Questa volta non starò in silenzio” rispose con calma
 “Conosco molto bene i tuoi sentimenti perché li sento e tu lo sai. La dark matter ti ha in un certo senso come dannato, ma ormai fa parte di te, devi accettarlo sia che ti piaccia, sia che non ti piaccia, ma a parte ciò, dovresti vedere le cose da un’altra angolazione. Rifletti, senza questa maledizione non l’avresti mai incontrata. Se ci pensi, probabilmente c’è un disegno più grande di noi, di cui facciamo parte, e che purtroppo non sempre possiamo gestire come vorremmo”.
Lui alzò la mano come per farla tacere “Non credo a certe sciocchezze e sarebbe stato un gran bene per lei non avermi mai conosciuto” rispose glaciale.
Meeme era molto combattuta e non sapeva se dirgli tutto fino in fondo, era titubante, ma alla fine pensò che forse era giusto che sapesse almeno quella parte della faccenda.
Tanto già poteva immaginare la sua reazione, non c’era alcun rischio in merito, Harlock era un uomo integerrimo e non sarebbe mai sceso a compromessi, né avrebbe ceduto all’egoismo da innamorato, anzi proprio perché amava quella ragazza era certa che si sarebbe sacrificato.
“In realtà forse ci sarebbe un modo per risolvere il problema, ma è molto rischioso…”  cominciò a dirgli catturando subito la sua attenzione. “Dovrebbe subire un’operazione alla testa. Quel chip va assolutamente rimosso…”.
Harlock si girò di scatto.
“Devo andare a parlare di persona con Heizo” disse come se formulasse un pensiero a voce alta.
L’aliena si mise in allarme, non capì bene il perché di quella sua repentina decisione, che si fosse sbagliata? E poi era pericolosissimo per lui andare su Cerere.
Si agitò.
C’era ancora quella cosa che gli aveva taciuto, quella cosa così importante e così particolare da cui derivava il pericolo maggiore che forse era meglio lui non sapesse, almeno non per il momento.
Lo raggiunse cercando di fermarlo.
“Non è il caso, posso dirti io tutto ciò che vuoi sapere. Potresti essere catturato, o peggio ucciso, non fare sciocchezze Harlock. Hai comunque degli obblighi morali a cui assolvere” gli disse poggiandogli una mano sul braccio. Lui la fissò. Aveva già capito che c’era qualcosa che non quadrava, che lei non gli stava dicendo tutto ed era stanco e veramente stufo di tutto quel mistero e di quei giochetti, avrebbe saputo la verità a qualunque costo, e per una volta decise di essere egoista. Era pronto a rischiare la cattura e anche la vita, ma sarebbe andato da Heizo.
Scostò il mantello e velocemente si diresse alla porta della cabina “No. Grazie. Farò a modo mio e ti assicuro che questa volta nessuno potrà fermarmi, nemmeno i miei obblighi” concluse lapidario uscendo, e lasciandola da sola con i suoi dubbi e le sue preoccupazioni.
Il Capitano si recò in Plancia dette immediatamente disposizioni a Yattaran, poi salì su un aereo navalizzato e in completa solitudine fece rotta su Cerere.

 

Joy aveva riposato a lungo, quando si svegliò era frastornata. Si sentiva strana ed era ormai certa che qualcosa non andasse bene nella sua salute. Era stanca, stranita e quel chip sfrigolava troppo spesso, anche se per fortuna, le medicine per ora lo tenevano a bada.
La sua decisione di rimanere in quell’universo in quelle condizioni era senza dubbio una scelta azzardata. Doveva parlare con Meeme. Ci doveva essere una soluzione alternativa. Non si sarebbe arresa facilmente.
Si alzò e andò subito dall’aliena.
Joy fu così pressante e così determinata che alla fine l’altra cedette e disse anche a lei che c’era quella remota possibilità dell’operazione, ma che era decisamente troppo pericolosa.
Purtroppo c’era una cosa che Heizo le aveva tassativamente proibito di rivelarle. Era pericolosissimo metterla conoscenza di tutta la verità, perché lo stress emotivo avrebbe potuto causarle un danno enorme e anche farle venire una crisi a rischio mortale. 
Per il bene della sua salute doveva evitare scompensi emozionali perché avrebbero potuto influire sulle crisi epilettiche causate dal chip.
“Parlerò con il medico. Da sola. E deciderò io e solo io che cosa fare!” saltò su la biologa agitandosi.
Meeme si preoccupò della sua reazione.
“Adesso non essere precipitosa. Calmati, e poi se vuoi andare dal medico faremo in modo di portarti da lui”.
“C’è qualcosa che mi sfugge, è come se fra tutti mi steste nascondendo qualcosa”.
Meeme sospirò.
“La verità è che sei in grave pericolo. Se decidessi di operarti probabilmente non sopravviveresti” si risolse a dirle.
Era una mezza verità, non aveva avuto scelta e doveva per forza dirle qualcosa perché smettesse di fare e farsi domande in merito.

Joy ne fu sconvolta.
Non poteva davvero credere che le cose fossero così drastiche. Aveva creduto ad un’eccessiva premura da parte loro, ad un’esagerazione. Aveva sperato che con una cura adeguata sarebbe guarita, o per lo meno che forse si sarebbe dovuta curare a vita, ma che si sarebbe tutto risolto, invece le faccenda era molto peggio di qualsiasi previsione catastrofica avesse mai potuto immaginare.
Nuovamente le si poneva la scelta: Spazio (morte), Terra (vita) e questa volta sarebbe stata davvero una scelta molto difficile e gravosa.
“Non c’è neppure una remota possibilità che io ce la possa fare?” chiese all’improvviso a Meeme.
L’aliena chiuse gli occhi. Era difficile anche per lei districarsi in quel dedalo di mezze verità, di cose dette e non dette, era come camminare su una corda sospesi nel vuoto e non era abituata, né faceva parte della sua indole.
“Forse una su cento” mormorò.
La biologa non parlò più. C’era ben poco da dire e da fare.
Si congedò e andò a rifugiarsi nella cabina di Harlock. Non sapeva dove fosse, ma in quel momento non le importava. Si buttò a faccia in giù nel grande letto e affondò il viso nel cuscino di lui aspirandone il profumo. Era piena di disperazione.
Chiaramente non voleva morire, non era una kamikaze, ma allo stesso tempo era disperata perché non avrebbe mai voluto separarsi dall’uomo che amava.
Poteva tornare indietro nel tempo e salvarsi, o almeno questo era ciò che pensavano tutti, ma le venne un dubbio. C’era davvero la certezza che questo ritorno al passato sarebbe stato privo di rischi?
D’accordo, il dottor Daisuke  le aveva spiegato come fare, e le aveva consegnato quel marchingegno simile ad una barretta d’acciaio che aveva chiamato Chiave Sonica
(1) e aveva dato per certa la riuscita della cosa, ma c’era stato qualcuno, a parte suo padre, che era già riuscito nell’intento? Comunque lui aveva viaggiato nel tempo per errore, per un caso fortuito, e non per una sua precisa volontà tentando di passare da una dimensione all’altra, come avrebbe dovuto fare lei.
E se qualcosa fosse andato storto? Se invece che tornare nel suo tempo in Inghilterra fosse finita altrove, in un’altra epoca? Il chip sarebbe rimasto al suo posto e il suo destino sarebbe stato comunque segnato per sempre.
Allora che cosa era più saggio fare?
Rimanere fino alla fine accanto ad Harlock, magari tentando il tutto per tutto con l’operazione, o affrontare l’incognita di un viaggio temporale?
Cominciò a piangere sommessamente. Non aveva mai pianto così tanto in tutta la sua vita. Di solito era una di quelle persone che si tengono sempre tutto dentro senza riuscire a sfogarsi, ma ora sembrava aver rotto gli argini e piangeva molto, troppo spesso.
Per fortuna era sola e nessuno l’avrebbe vista. 
Era davvero disperata e sconfortata. Aveva paura. Paura di morire, ma anche di viaggiare attraverso le dimensioni spazio temporali. Si chiese perché le dovesse capitare tutto ciò, che senso avesse, perché proprio a lei, ma non trovò risposta. 
Solo silenzio. 
Un silenzio cattivo e avaro che la lasciò preda delle sue angosce.

 

***

 

Quello che gli aveva alla fine rivelato Heizo era forse più sconvolgente della mezza verità propinatagli di Meeme.
Harlock era sul suo aereo navalizzato e stava errando sconfortato senza decidersi a rientrare sull’Arcadia.
Era semplicemente pazzesco. Inaudito e fuori da ogni previsione avesse mai potuto fare.
Era sconvolto.
Quando Meeme gli aveva detto che avrebbe dovuto scegliere tra la vita e la morte credeva si riferisse a lui,
 ed invece evidentemente non era esattamente così.
La vita e la morte erano di qualcun altro, ora non v’erano più dubbi in merito.
C’era questa remotissima possibilità di questa operazione, ma si sarebbe davvero  azzardato a caldeggiare questa soluzione rischiando di metterla
 in pericolo di vita?
Una parte di lui, quella irrazionale ed innamorata, urlava disperatamente di sì. Ma quella razionale ed integerrima sapeva già quale fosse l’unica cosa possibile da fare, vale a dire rimandarla a casa sua nel suo tempo, senza indugi, né ripensamenti.
Gli era improvvisamente chiaro che quando era stata male e aveva pregato per lei, era stato esaudito, solo non nel modo che si sarebbe aspettato, Joy sarebbe stata salva, ma lui, come richiesto a suggello di un voto,
 avrebbe dovuto pagarne il prezzo.
Si disse che era la giusta punizione per aver distrutto la Terra. Un giusto dazio da pagare per aver ottenuto il perdono della sua ciurma.
Ma qualunque cosa pensasse, o qualunque giustificazione trovasse, la sua disperazione gli stava divorando l’anima a morsi, come una iena che spolpa una carogna.
C’era una parte di lui che si ribellava con furia cieca a questo stato delle cose, che non voleva arrendersi all’evidenza e dentro gli si appiccò il fuoco maligno della rabbia. Avrebbe voluto disintegrare l’Universo intero se ne avesse avuto la possibilità. 
Alla fine rientrò nella sua nave, non poteva certo vagare ancora per molto senza una meta precisa, sputando veleno e rabbia, da solo come un cane. Non serviva a niente e non avrebbe cambiato lo stato delle cose.  
Una volta atterrato ed uscito dalla paratia di contenimento
(2) , entrò in Plancia e non guardò in faccia nessuno, a passo quasi marziale si diresse veloce verso la sala degli allenamenti.
Entrò deciso e subito, con gesti veloci e scattosi, si levò di dosso tutta la roba più ingombrante rimanendo con i pantaloni e la leggera maglia a collo alto. Estrasse con foga il Gravity Saber dalla fondina e come una furia scatenata si avventò contro le sagome disposte su tre file. Era così rabbioso e così frustrato che le devastò letteralmente facendole a pezzi. Le colpì così tante volte, che le maciullò sparpagliando ovunque i loro brandelli nella stanza.
Una volta finito aveva il fiatone e la fronte imperlata di sudore, ma la rabbia era ancora tutta lì che mordeva il freno e che gli rodeva il cuore, come se fosse stato immerso in un bicchiere di acido.
Si tolse i guanti e a mani nude prese a dare pugni al sacco che penzolava poco più in là e fungeva da addestramento per il corpo a corpo.
Lo colpì con una forza inaudita. Come se fosse il responsabile del suo dolore.
Gli si avventò contro con pugni e calci accompagnati da gemiti rabbiosi, e continuò fintanto che non si sbucciò le nocche, ma la rabbia resisteva, era come se non riuscisse a scaricarla. Lo soffocava, quasi tanto era impetuosa e densa.
Poi d’un tratto si fermò. 
Era sudato fradicio, con i capelli appiccicati al viso e in debito d’ossigeno. 
Fu in quel momento quasi di quiete che si ricordò di Ezra rinchiuso nella stiva, in cella.
Non ci pensò neppure un attimo e, lasciando tutto com’era, andò diretto da lui.
Irruppe nella prigione e si trovò davanti il comandante della Gaia Fleet seduto compostamente, rigido, con lo sguardo perso oltre l’oblò alla sua destra. Non si girò, né mutò la sua postura, fu come se neppure lo avesse sentito arrivare.
“Guardami!” gli intimò Harlock furente.
Ezra obbedì e finalmente si voltò fissandolo dritto nell’occhio.
“Ho deciso che oggi morirai”.
L’altro non fece una piega.
“Tutti prima o poi dobbiamo morire, eccetto te, forse” disse calmissimo, come se la cosa non lo riguardasse.
Harlock, lo fissò di sbieco allargando le narici sbuffando appena, per niente impressionato dalla sua imperturbabilità tipica di un comandante. Non si sarebbe aspettato niente di meno.
“Ho deciso di sfidarti a duello” gli disse senza preamboli.
“Mi astengo” ribatté Ezra senza colore nel tono della voce.
Poi lo guardò in un modo che impressionò Harlock. I suoi occhi cerulei erano due schegge di ghiaccio, ma velati da un’ombra di profondo dolore che pungeva come uno spillo e gli disse “Fai un piacere ad entrambi: giustiziami”.
Fu in quel momento, incrociando quello sguardo determinato e disperato che il Capitano capì senza ombra di dubbio che Ezra voleva morire.
Si chiese perché.
“Vorresti morire senza onore?” gli domandò serio.
“Sì” gli rispose spiazzandolo.
“E perché mai?” fu la domanda spontanea che affiorò sulle labbra di Harlock, che era turbato da questo comportamento insolito.
Ezra non aveva proprio più niente da perdere, era uno storpio che aveva commesso il più grave dei misfatti, la morte per lui sarebbe stata solo un sollievo.
“Ho ucciso Nami” disse lapidario e le sue parole colpirono Harlock come uno schiaffo in pieno viso.
Gli ci volle qualche secondo per riprendersi.
“Che hai fatto?” gli chiese afferrandolo per il bavero della divisa militare, scuotendolo con forza.
Ezra rimase immobile come se qualsiasi cosa accadesse attorno a lui fosse senza importanza, e come se la furia di Harlock gli scivolasse addosso, sembrava quasi un oggetto inanimato.
“Ho ucciso mia moglie” ripeté freddamente, come un automa.
Harlock lo lasciò andare di colpo, sconcertato.
“Non volevo farlo” aggiunse in un soffio. Era come se all’improvviso avesse bisogno di sfogarsi con qualcuno e il destino gli aveva inviato il Capitano dell’Arcadia. Così, non si fece sfuggire l’occasione di confessare la colpa che lo stava martoriando da giorni, e che gli pesava sul cuore divenuto ormai poltiglia.
Non voleva più vivere perché la sua ragione di vita non c’era più.
“È stato un gesto inconsulto dettato da uno profondo moto di rabbia, dopo che vi avevo scoperti quel giorno che poi siete fuggiti. Per farla tacere, dato che vi difendeva, ho staccato la spina della sua teca e in pochi secondi è morta…” disse tutto d’un fiato con lo sguardo vacuo perso nel vuoto.
Questa volta i suoi occhi gli apparvero come due laghi di profonda tristezza e basta.
Harlock era atterrito, senza parole, il suo pensiero corse subito a Joy e al dolore che avrebbe dovuto sopportare. Desiderò strozzarlo ma era come immobilizzato, paralizzato, dalla sincera brutalità di quell’ammissione. 
“Amavo Nami più della mia vita, ma il mio stupido orgoglio, la mia ottusità mi ha sempre impedito di capire quanto anche lei mi amasse. Del resto mi aveva scelto… avrebbe dovuto bastarmi come risposta, ma lei era così buona e così empatica. Adorava e amava Yama come un fratello, lo giustificava sempre, perché lo capiva e sapeva che aveva delle fragilità… io ero geloso di questo bene puro, che volevo vedere marcio. Ho covato per anni una gelosia malata, insana, peggiorata dall’incidente, così quando continuava a difendervi, non potendo neppure colpirla, mi è sembrato che l’unico modo per punirla fosse staccare la spina e farla soffrire. Invece è morta, sebbene per lei forse sia stata una liberazione… ma non volevo, purtroppo nella concitazione del gesto e della rabbia sono caduto da quella maledetta sedia e non sono riuscito a riattaccare in tempo la spina… ho strisciato in terra, come un verme per raggiungerla, ma non ce l’ho fatta… l’ho vista morire senza poter muovere un solo dito” e la testa di Ezra si reclinò in avanti come in un gesto di totale sconfitta.
Quelle parole vacue e confuse, pronunziate con tono sommesso, doloroso e quasi cantilenato disarmarono Harlock.
Vide Ezra per quello che era, un uomo distrutto dal dolore e dal senso di colpa che cercava la sola e unica via d’uscita: la morte.
Una cosa gli fu subito certa, non gliela avrebbe data lui.
“Mi chiedo che cosa tu ne abbia guadagnato a svendere la tua vita alla Gaia Saction, e a cosa ti sia servito farti corrodere da sentimenti così infimi come la gelosia, che evidentemente provi nei confronti di tuo fratello” gli disse serio.
“Non sai niente della mia vita, della mia famiglia e di mio fratello” gli rispose rabbioso in un moto d’orgoglio.
“No. Ma ne so molto di come ti comporti con le persone, sai che hai quasi condannato a morte anche Joy, la sorella di Nami?”.
Ezra abbozzò un mezzo sorrisetto amaro “Non mi pento. Sono un militare, dovevo fare il mio dovere. Purtroppo ci sono cose spiacevoli che devono essere fatte in nome della giustizia. Come al tempo avresti dovuto fare tu. Sei un militare e sai che possiamo essere costretti a fare cose spiacevoli, sebbene sia chiaro che tu abbia ormai rinnegato questa parte della tua vita”.
“Non avrei mai introdotto la sonda nella testa di una donna indifesa. Non ho fatto l’accademia per diventare un assassino prezzolato al soldo di un potere che è egemonia e lusso per pochi. Io volevo servire la giustizia!”. 
“Tutte belle parole Harlock, ma intanto hai distrutto un pianeta e condannando l’umanità a non avere più una casa”.
“Era una casa occupata dal regime della Gaia Sanction, l’umanità ne era comunque priva. La mia intenzione era celare e non distruggere. Ė stato un gravissimo errore di valutazione che solo io so quanto mi sia costato, ma per fortuna possiamo porvi rimedio”.
“Le farneticazioni di Nami…” commentò in un soffio Ezra.
“Non sono farneticazioni!” e si ritrovò suo malgrado a spiegargli tutto.
Ezra lo ascoltò anche se non sembrava neppure udirlo.
Alla fine disse “Ormai non mi interessa più niente…”.
Harlock si ricordò all’improvviso delle parole di Joy.

Dovresti lasciarlo andare. Ė un uomo già molto provato dalla vita, credo che nessuno meglio di te possa capire ciò che sta passando. Ucciderlo onorevolmente o meno, non servirà a nulla…

Era vero. A che cosa sarebbe servito accanirsi contro di lui?
Il danno era fatto e ucciderlo non avrebbe rimesso a posto quel chip danneggiato. Né avrebbe ridato la vita a Nami.
Sarebbe stato uno sbaglio, un morto in più sulla coscienza, per di più ammazzato per vendetta. Non era da lui. Non agiva così e non lo avrebbe fatto neppure questa volta.
“Sei libero” enunciò all’improvviso a sua volta atono.
Ezra alzò la testa di scatto e lo guardò perplesso.
“Ti rendo la tua nave e te ne puoi andare” ripeté il Capitano serio e pacato.
“Tu sei un pazzo!” gli vomitò contro l’altro “Dovresti uccidermi! Chi ti garantisce che una volta sulla Okeanos io non faccia fuoco sull’Arcadia?”.
“Il tuo amore per Nami” lo freddò con sicurezza Harlock. “Tu sai che lei aveva ragione a sostenere la nostra causa e devi sapere che il suo più grande desiderio era che tu ti unissi a noi. Aveva grande stima di te e conosceva il vero colore della tua anima, sperava che prima o poi saresti rinsavito. Devi slegarti Ezra. Non sono io il tuo nemico, ma questo già lo sai da tempo, non è vero?” gli disse fissandolo cupo e sicuro.
Ezra serrò le labbra e strinse i pugni abbassando lo sguardo.
“Slegati dai tuoi pregiudizi, dal tuo orgoglio, lascia che almeno l’amore di Nami non ti abbandoni. Lascia che sia lei, con il suo sacrificio, a riportarti sulla retta via. Imbraccia la tua causa e perseguila Ezra, ognuno di noi ha un compito che non può essere disatteso, per nessuna ragione” e, detto ciò, uscì dalla cella lasciando le sbarre aperte.
“Sei libero. Puoi andare quando vuoi. Ti faccio riportare la tua sedia” disse, mentre le sue parole si perdevano per il corridoio della stiva, insieme al rumore dei suoi passi.

Aveva parlato a lui, ma in realtà quelle parole erano forse più per se stesso.
Era inutile farsi legare dalla rabbia. Era inutile combattere una battaglia già persa.
C’era una sola cosa da fare e come sempre l’avrebbe fatta senza tirarsi indietro.

 

NOTE

(1) Omaggio alla storica serie fantascientifica, basata sui viaggi nel tempo, della TV britannica che va in onda da ben 51 anni: Dr. Who. Nella quale esiste il “cacciavite sonico” che però serve a tutt’altro :) 
(All rights reserved, no copyright infringement intended)

(2) Non l’ho mai specificato ma il termine “paratia di contenimento” me lo sono inventato presumendo che le paratie (porte automatiche esistenti nelle navi) possano anche essere di “contenimento” vale a dire un collegamento tra la stiva (o quello che è) dove stanno gli aerei navalizzati, navette ecc… e la parte sottostante la il ponte della Plancia. Praticamente se ricordate nel film quella parte gialla da cui esce Yama dopo che è stato salvato da Harlock su Tokarga che sembra immettere direttamente dalla navetta alla Plancia. Perciò ricordate che non è un termine del film, ma una mia invenzione fantasiosa ;)

Per quanto riguarda di Ezra… 
Questa è la mia personale visione sul personaggio, dei suoi tormenti e del suo essere così inc… con il fratello, ma temo che lo sia con il mondo intero . Per me Ezra è un debole, ma con le sue ragioni. Forse è un frustrato che alla fine è più pericoloso di un cattivo vero. Ho provato a modo mio a dargli un minimo di spessore che nel film per me non ha avuto, è forse il cattivo più sciapo della storia dei cattivi, ma forse per questo è interessante provare a sondare la sua psicologia molto umana e debole. Mi è piaciuto immaginare che fosse merito di Nami, ma anche del nostro Capitano una sua possibile redenzione e/o cambio di rotta, che se mai ci sarà, leggerete senz’altro prima della fine, oppure no… chissà. Tutto ciò è ovviamente una mia personale opinione e modo di vedere, o come dicono quelli imparati è il mio headcanon!

 

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Capitolo 41
*** La scelta ***


Buon week-end a tutti voi!
Ecco, il primo ri-postaggio, oggi effettuato di sabato :)
L’altro capitolo lo posterò domani in serata ;)
La storia sta per avviarsi alla conclusione, ma mancano ancora dei passi decisivi.
Ringrazio tantissimo chi legge (continuate a stupirmi per quanti siete!), chi aggiunge alle preferite, ricordate e seguite. Un sincero ringraziamento colmo di gratitudine a chi commenta

Buona (spero) lettura! =)

 

 

  .40.



 

LA SCELTA


Joy vide arrivare Harlock in cabina molto serio e senza guanti. Notò che aveva le nocche sbucciate. Si preoccupò.
“Ma che hai combinato? Sembra tu abbia fatto a pugni…” gli chiese, andandogli incontro e prendendogli le mani tra le sue. Lui le ritirò subito, quasi bruscamente.
“Mi sono semplicemente allenato” le disse evitando il suo sguardo.
Non sapeva esattamente da che parte cominciare a parlarle.
Era veramente difficile trovare le parole adatte, ancora non era lucido, né abbastanza freddo per tirare le giuste fila e intavolare una discussione assennata.
Poi però decise che non c’era un modo migliore di un altro, che ciò che doveva dirle era spiacevole a prescindere, e fu diretto.
“Sono stato da Heizo su Cerere. So tutto. Devi tornare quanto prima nel tuo tempo”.
Joy, che non se l’aspettava, rimase basita. Lo guardò incredula.
“Come scusa?” gli domandò, cercando di capire meglio. 
“Quando sei andata a riposare ho parlato con Meeme, ma ho capito che mi stava nascondendo qualcosa, quindi non ho perso tempo e sono andato direttamente alla fonte. E devo dire che ho fatto benissimo!”.
Joy si rabbuiò.
“Ma come? Non potevi parlarne prima con me?” gli chiese appena risentita. Come al solito lui faceva e disfaceva senza neppure consultarla, e dire che questa volta si trattava della sua vita.
“Non mi sembrava che tu avessi intenzione di dirmi la verità” le rispose, fissandola serio.
La biologa notò che il suo sguardo era un misto tra addolorato e rassegnato, non sembrava arrabbiato, sebbene le sue parole somigliassero ad una ramanzina.
In realtà Harlock stava cercando la chiave giusta per condurla a ragionare. Il suo sesto senso gli suggeriva con forza che non sarebbe stato esattamente facile farla tornare a casa.
“Harlock, eravamo solo preoccupate per te” gli disse sincera.
“E questo giustifica il fatto di tacermi una cosa così importante?”.
“Sì” disse lei seria. “Non voglio mai più vederti star male per i sensi di colpa. Men che meno voglio procurartene io”.
Lui sospirò forte.
“Questa conversazione è ormai inutile. So che ciò che ti va capitando è colpa di una contaminazione che deriva dalla Dark Matter e che sono stato io a passarti il contagio. Heizo mi ha detto che il tuo fisico sta reagendo in maniera violenta e che l’unica soluzione sicura è mandarti indietro nel tempo da tuo padre, e farti scollegare quel dannato chip. Le due cose non sono compatibili tra loro, ma una volta eliminato quello, starai bene e non avrai più problemi. Per fortuna la dark matter ha reagito bene con le tue cellule. Sembra proteggerti, per questo attacca con violenza l’intruso”.
Intanto si era seduto e si era versato del vino. Aveva davvero bisogno di bere.
Cercava di essere tranquillo, fermo e deciso nel suo proposito, ma dentro di sé aveva un maremoto che lo stava distruggendo. Stava seraficamente dicendo all’unica donna che fosse stato capace di amare dopo Maya che doveva andarsene per sempre e non era affatto facile anzi, era veramente doloroso, in un modo così acuto che mai avrebbe potuto immaginare. Era come se gli avessero piantato uno stiletto nel petto che sembrava bucargli l’anima e il cuore in una sola ferita. Avvertiva un dolore quasi fisico, era sconcertante come ogni sua fibra si ribellasse a quella separazione, ma al contempo sapesse che fosse l’unica cosa giusta da fare per lei. Non c’erano alternative, né vie traverse da poter imboccare, non questa volta.
Il sentimento così forte e così profondo che nutriva per Joy era la molla che lo spingeva a questo sacrificio, in modo del tutto rassegnato e consapevole.
Sarebbe stato male, fino a sanguinare e avrebbe probabilmente fatto un altro lungo soggiorno all’inferno, ma era un prezzo che ora era pronto a pagare volentieri, perché dopo la rabbia e la furia cieca, stavano subentrando la logica e la consapevolezza che lei  sarebbe stata comunque salva, e questa era l’unica cosa importante per lui. 
“Quindi hai già deciso tutto tu?” gli chiese la ragazza con il groppo in gola, scioccata dalla calma glaciale che stava ostentando, come se la cosa non lo toccasse neppure.
Lo detestava quando faceva così. Freddo. Calcolatore. Sembrava privo di sentimenti e lei sapeva che era tutta una posa. Non sopportava che la trattasse ancora una volta come una bambina e che decidesse per lei. Era la sua vita e la sua malattia, era lei che doveva scegliere e non lui!
“Non cominciare per favore” disse Harlock, scolando il bicchiere del vino e versandosene ancora.
Non era sua intenzione discutere, voleva troncare l’argomento.
Lo guardò scrutandolo, proprio come lui faceva spesso con lei.
“Per te è tutto a posto? Me ne devo andare e così sia. A non rivederci mai più e vissero felici e contenti, ognuno in un arco temporale diverso? Ti sta davvero bene così? Non fai neanche una piega. Bevi il tuo maledetto vino, come se nulla fosse?”.
Lui si girò e il suo occhio le sembrò una larga pozza di tristezza.
“Sì, certo. Sono sicuramente felice di questa piega improvvisa che hanno preso le cose” rispose appena sarcastico e bevve un’altra sorsata del liquido rubino.
“Sono dispiaciuto, ma so che è l’unica cosa giusta da fare. Oltretutto siamo onesti, probabilmente sarebbe stato comunque uno sbaglio. Non avrebbe funzionato. Non sei fatta per questa vita e io non sono fatto per avere una compagna, sarebbe potuto diventare un vero inferno”.
Non sapeva più che dire per condurla sulla strada del ritorno. Non pensava realmente ciò che stava dicendo, perché a quell’unione lui ci credeva davvero, ma non poteva e non voleva dirglielo.
Lei ricacciò indietro le lacrime che a tradimento le inumidirono gli occhi. Perché le parlava così?
“A volte sei veramente troppo duro” gli disse in un soffio.
“Non sono duro. Sono realista” rincarò lui.
“Allora sei anche un gran bugiardo, caro Phantom Franklin Harlock terzo! Perché con la bocca non parli è vero, ma ogni tuo singolo gesto mi ha detto il contrario di ciò che stai affermando. Tu mi vuoi proteggere e mi vuoi allontanare, anche in malo modo se è necessario, ormai ti conosco, ma deciderò io e solo io della mia vita. E io voglio operarmi!”.
Gli sparò in faccia all’improvviso, senza che lui potesse essere minimamente preparato ad una simile evenienza. La riteneva assennata e mai avrebbe immaginato che avrebbe voluto rischiare quasi al cento per cento la sua vita, solo per poter rimanere lì. Era una cosa dannatamente stupida. Si sentì mancare. Non le avrebbe permesso di fare una simile sciocchezza. 
Mai!
A costo di usare la forza, sarebbe tornata a casa, questo gli fu certo come il fatto che respirasse.
“Non farai nessuna operazione!” le disse, alzandosi e avanzando verso di lei minaccioso. “Non rischierai la tua vita per restare qui. Non ne vale la pena” aggiunse gelido.
“È questo quello che pensi? Che i miei sentimenti non valgano la pena?”.
“Non i tuoi. I miei” le disse lapidario, ferendola a morte con uno sguardo freddo come la lama di un pugnale.
Era l’unica cosa che avrebbe potuto farla desistere e si giocò la carta più difficile e dolorosa.
“Bugiardo!” gli disse lei sfidandolo e tremando appena. Il colpo era comunque arrivato a segno.
“No” le rispose compito. “Ho amato una sola donna: Maya. Non potrò amare nessun’altra. Con te sono stato bene, ho passato dei bellissimi momenti. Provo dell’affetto, ma non ti ho mai amata” gli disse, sorprendendosi di come la sua voce non si fosse incrinata e non avesse avuto neppure una leggera flessione. L’aveva udita come se fosse stato un esterno: limpida, forte, chiara e molto convincente.
“Cazzate!” ribatté lei, guardandolo con occhi pieni di dolore, che furono come un altro stiletto piantato nel cuore per lui.
“No” ribadì secco, avendo ancora la forza di protrarre credibilmente quella commedia tragica.
È la verità. Non ti ho mai amata, per questo non te l’ho mai detto. Non potevo dirti ciò che non sentivo. Sono un uomo integro, lo sai” le disse molto astutamente. Continuava a ferirla e questo lo dilaniava, ma l’avrebbe spinta verso la giusta decisione.
“Bugiardo!” ripeté Joy, ancora con il cuore in gola che le batteva furiosamente.
Perché faceva così? Sapeva che mentiva, ma il tarlo del dubbio aveva già cominciato a rosicarle il cuore e la mente, maligno e puntuale faceva il suo lavoro lento e inesorabile.
“Mi spiace è la verità. Con te sto bene” prese una pausa, perché ciò che stava per dirle gli costava moltissimo ma doveva farlo anche a rischio di farla sentire male “Soprattutto fisicamente” disse, come se fosse una cosa da niente, dandole probabilmente il colpo di grazia “Ma non ti amo” ripeté per la terza volta. E così sperò di averla convinta ad andarsene.
A Joy si fermò un attimo il cuore. Questo non avrebbe mai dovuto dirlo. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, ma le mancò la forza fisica di alzare il braccio e colpirlo, era vinta. Vero o non vero che fosse, la cosa la sconvolse a prescindere, come osava?
“Sei veramente un mostro!” gli disse alla fine, dirigendosi verso la porta della cabina, poi si girò e lo guardò decisa e fiera “Di me non hai capito niente! Se credi di umiliarmi per farmi fare ciò che vuoi tu, sei fuori strada. Sappi che mi farò operare lo stesso, ora ne sono più convinta che mai. Decido comunque io della mia vita e della mia salute. E tu, vattene all’inferno!” e così dicendo, aprì la porta e uscì nel corridoio.
Il chip sfrigolò violentemente, per fortuna aveva le medicine con sé altrimenti se la sarebbe vista brutta. Lo scompenso emotivo le aveva causato una scossa più violenta del solito. Fortunatamente la sedò subito. Ma il dolore causato dalle parole di Harlock rimase tale e quale, stritolandola. 

Harlock rimase seduto e bevve ancora un calice di vino.
Si chiese se avesse agito nel giusto modo. Forse non era esattamente quella, la chiave che cercava. La reazione di lei era stata contraria alle sue aspettative ed in più, si era molto agitata e arrabbiata, cosa che Heizo, come Zero, si era raccomandato caldamente di evitare.
Quando si trattava di Joy non riusciva ad essere esattamente lucido, non sempre almeno.
Gli rimaneva molto difficile mantenere la sua solita calma imperturbabile e gestire con estrema freddezza le situazioni.
Aveva sbagliato.
Nella sua testa tutta maschile, aveva pensato che facendole credere che non l’amava, l’avrebbe spinta ad andarsene, ma non era stato così. Aveva agito troppo frettolosamente, senza riflettere. Lei era molto testarda e non esattamente stupida. Essendo così addolorato e anche pieno di sensi di colpa nei suoi confronti, l’aveva sottovalutata, aveva tirato in ballo l’unica cosa che non avrebbe dovuto, ma ormai indietro non poteva tornare. Doveva correre subito ai ripari.
Uscì dalla cabina e decise di andare da Tochiro. Chi meglio di lui avrebbe potuto consigliarlo ed aiutarlo, in una situazione così delicata e difficile da gestire?
Il suo più caro amico aveva una sensibilità fuori dal comune e lo conosceva più a fondo di chiunque altro, solo lui avrebbe potuto fargli capire che strada percorrere e, per poter portare a termine una delle più difficili e dolorose decisioni che avesse mai dovuto prendere. Si rimproverò di non averci pensato prima, ma come a volte gli capitava quando si trattava dei sentimenti, perdeva la bussola e si lasciava trascinare dall’onda della rabbia, o del dolore. Dopo tutto non era poi così cambiato in cento e passa anni.
Ma come già assodato, le persone non cambiano mai e lui non faceva certo eccezione.

Tochiro non solo gli aveva parlato, aveva fatto molto di più. Aveva instillato in lui la scintilla della speranza, e una piccola e debole fiammella stava appena rischiarando l’antro nero e scuro che si era aperto nel cuore di Harlock.
Il suo migliore amico e la donna che amava, avevano questo comune tratto: non si arrendevano mai e non perdevano la speranza, perché senza di essa, la vita ha meno senso.
Rinfrancato da quella lunga chiacchierata, decise di andare in Plancia. Da lei sarebbe passato più tardi. La loro discussione era ancora troppo fresca, meglio lasciarla qualche ora tranquilla e poi andare a parlarle nuovamente.
Stava camminando nei corridoi, direzione Ponte di Comando, quando incrociò Yama.
Era serio, forse addirittura arrabbiato. La sua espressione era dura e accigliata.
“Ti stavo cercando!” gli disse, sbarrandogli la strada.
“Sembra che tu mi abbia trovato” gli rispose.
“Dimmi che non è vero!”.
“Che cosa?”.
“Che hai lasciato andare via Ezra! Sei impazzito forse?”.
“So quello che faccio”.
“A me pare di no. Ti rendi conto che potremmo trovarci ogni incrociatore e nave da guerra della Gaia Fleet addosso, nell’arco di poche ore?”.
“Non accadrà”.
“Tu non conosci mio fratello”.
“Ora è diverso”.
“Perché?”.
Harlock lo guardò, cercando di capire se avesse dovuto o meno dirgli una cosa tanto brutta. Ma era un uomo ormai e comunque, prima o poi, avrebbe dovuto saperlo…
“Nami è morta” gli disse calmo.
Yama cambiò espressione e il suo viso passò dallo stupore al dolore, in pochi secondi.
Tacque, come se volesse realmente metabolizzare quella notizia tremenda e comprendere se avesse udito bene, poi parlò.
“Come è accaduto?” gli chiese con la voce rotta. Qualcosa nel suo cuore gli diceva che c’entrava Ezra.
“Credo sia stato un incidente” gli mentì pietosamente. Che scopo avrebbe avuto aggiungere odio ad altro odio, un dolore inutile che avrebbe fatto da cassa di risonanza a quello immenso della perdita?
E poi, si trattava di una mezza verità, perché Ezra aveva agito d’impulso, era certo che non volesse davvero ucciderla.
“Credi davvero? Che tipo d’incidente?” lo incalzò Yama, sempre più convinto dei suoi dubbi.
“Un ammanco di corrente, un corto circuito” svicolò Harlock “Credimi, tuo fratello è devastato dal dolore, mi ha chiesto di ucciderlo. Non penso lo incroceremo mai più sulla nostra strada”.
Yama lo guardò ancora non convinto e ripeté, stringendo i pugni “Tu non lo conosci affatto. È stato lui!”.
“E allora che vuoi fare? Prendere una navetta ed inseguirlo? Ammazzarlo? Dopo starai meglio? Ma soprattutto, chiediti: Nami approverebbe un simile comportamento da parte tua?”.
Yama rimase in silenzio.
“È stato lui…” ripeté a bassa voce.
“Se così fosse, dato che mi ha chiesto di dargli la morte, credo che il rimorso lo accompagnerà per tutta la vita. Tu ed io sappiamo bene che è una punizione terribile che succhia dall’anima ogni scintilla vitale. Credo che, come espiazione, basti, non pensi?”.
Il ragazzo sembrava distante, ma nonostante questo, a sorpresa annuì. 
“Va bene” disse quasi distrattamente e si congedò in fretta.
Il Capitano lo seguì con lo sguardo, mentre svelto spariva tra i corridoi dell’Arcadia. Sperò che non si mettesse nei guai, lui non poteva stargli dietro, al momento aveva cose ben più gravi da fare e a cui pensare.

Quella sera Harlock si ritirò dalla Plancia piuttosto tardi. Avevano avuto un’avaria ai sistemi elettronici di bordo, a causa di un campo magnetico che avevano attraversato. Yattaran aveva dovuto ripristinare tutto il collegamento di rete sulla nave e il Capitano aveva dovuto stare al Timone per manovrare manualmente l’Arcadia.
Finalmente adesso era di nuovo tutto a posto. 
Ripristinato il pilota automatico, lasciò la Plancia e si diresse svelto verso gli alloggi di Joy, dove supponeva di trovarla. Se la conosceva bene sapeva che, essendo adirata, non sarebbe stata di certo nella loro cabina. Sì, perché per lui ormai la sua cabina era diventata la loro.
Solo che la biologa non era neppure nella propria, né in laboratorio, né da nessun’altra parte. Il Capitano cominciò a preoccuparsi. D’istinto, si diresse in infermeria. 
La trovò proprio lì. Zero le aveva appena fatto un’iniezione e ciò voleva solo dire una cosa: aveva avuto una crisi e anche forte.
Harlock si sentì morire. Pensò subito che fosse colpa sua. L’aveva fatta arrabbiare. Le andò incontro, per accertarsi delle sue condizioni e notò che aveva agli occhi gonfi. Aveva pianto e neanche poco. Lei lo guardò, poi abbassò la testa e si girò dall’altra parte. Era come assente, come se avesse una grave pena che le opprimesse il cuore.
Gli venne un dubbio atroce. Ma prima, volle assicurarsi che stesse bene. Zero gli spiegò che aveva avuto uno choc emotivo fortissimo e che le era iniziata una grave crisi, simile a quella di quell’infausta notte, per fortuna non era sola ed era stata portata di corsa in infermeria, così lui aveva agito subito, bloccandola sul nascere.
“Chi l’ha portata qui?” chiese Harlock, senza perdersi in preamboli.
“Yama” gli disse Zero, confermando i suoi sospetti.
Lo sapevo!
Senza aggiungere altro, uscì dall’infermeria furioso. 
Trovò il ragazzo in armeria, non gli disse una parola, gli si avvicinò e gli mollò un sonoro ceffone che lo fece barcollare appena.
“Sei un egoista incosciente!” gli sibilò ancora furibondo.
Avrebbe voluto pestarlo, ma si trattenne, non era un violento e non voleva farsi sopraffare dalla rabbia o avrebbe commesso l’ennesima sciocchezza.
“Aveva il diritto di saperlo” si ribellò Yama, con la mano sulla guancia che gli frizzava da morire, gli era andata bene perché un pugno di Harlock avrebbe fatto molti più danni di quello di Kei.
“Anche a costo di farla morire? Ma ti rendi conto di che stai dicendo?”.
“Ho agito sull’onda dell’emozione, senza riflettere che potesse reagire così…” ammise, abbassando lo sguardo per poi aggiungere “Comunque sembra che Joy possa fare qualcosa. Ha detto che tornerà indietro nel tempo e con suo padre troverà il modo per far sì che questo evento non accada, anzi, sventerà anche l’incidente nella serra”.
Harlock rimase sconcertato. Guardò incredulo quel ragazzo scellerato. 
Era proprio vero che da una cosa sbagliata a volte può nascere qualcosa di giusto e molto importante. Yama con la sua sconsideratezza giovanile, era riuscito là dove lui aveva miseramente fallito.
“Sei sicuro di quello che dici?” gli chiese fissandolo intensamente.
“Sì. Avevamo già parlato di questa opportunità ed era stata molto vaga in proposito, ma dopo aver appreso della morte della sorella ha detto: A questo punto devo assolutamente tornare indietro. Devo salvarla!”.
“Grazie!” disse Harlock poggiandogli le mani sulle spalle “E scusa per quello schiaffo, ma te lo meritavi”.
E lasciando il povero Yama completamente basito, si voltò e il mantello, con la solita eleganza, seguì la sua figura mentre si dirigeva nuovamente verso l’infermeria.
Quando giunse a destinazione, lei non c’era più. Zero gli spiegò che Joy ora stava bene e che al momento non c’era più alcun pericolo; quindi, aveva preferito tornare nei suoi alloggi. 
Al Capitano sembrò che per qualche strana ragione non gli riuscisse mai di arrivare in tempo, in quella strana giornata, che segnava inesorabilmente la fine di quello che probabilmente era stato il più bel sogno dei suoi ultimi cento anni…
Sospirò e se ne andò nuovamente. Quando arrivò alla cabina di Joy, si fermò qualche secondo davanti a quella porta. Tante volte era andato lì e per tanti motivi diversi, questo era il motivo più doloroso di tutti e per un attimo sperò che fosse un incubo, uno di quei sogni da cui ti svegli trafelato con la bellissima sensazione che era tutto frutto dell’inconscio, purtroppo, in questo caso era invece la cruda realtà. Chiuse l’occhio, trattenne il fiato ed entrò deciso.
Lei era rannicchiata sul letto, in posizione fetale. Sembrava come se volesse nascondersi in se stessa. Le si avvicinò, senza dire una sola parola. Si sdraiò alla meglio accanto a lei e, da dietro, l’abbracciò stretta.
Ci fu un momento di silenzio.
“Hai ragione. Sono un bugiardo… perdonami” le disse piano.
Joy non parlò, si mosse appena, facendo in modo che lui potesse abbracciarla meglio.
“Ho apprezzato moltissimo che tu non abbia usato la morte di Nami per costringermi ad andare via…” disse dopo un po’, con un filo di voce.
Lui la strinse ancora un po’ di più, ma lei si girò per guardarlo “Sei un uomo con una grande sensibilità, ma non le dai mai spazio. Ho capito le tue intenzioni, ma non puoi ogni volta rinnegare i tuoi sentimenti per piegare la mia volontà. Non lo fare mai più Harlock, perché questa è l’ultima volta che ti perdono. Se lo farai ancora, mi perderai per sempre, sappilo” gli disse seria.
Lui annuì dispiaciuto. Solo che non sapeva che dire. Continuare a scusarsi gli pareva sciocco e anche inutile. Era vero, aveva sbagliato e lo sapeva, sarebbe stata davvero l’ultima volta, se lo ripromise. Come sempre, glielo avrebbe dimostrato con i fatti, piuttosto che ribadirlo a parole.
“Ho saputo che hai liberato Ezra”.
“Sì” rispose lui carezzandole i capelli. Stava così male. Dentro sentiva una voragine senza fine che lo inghiottiva.
Lei gli posò una mano su una guancia “È questo che amo di te. Sai essere giusto. Sei coraggioso e non solo perché non temi la morte, ma perché hai il coraggio di essere buono, sai perdonare, sai essere magnanimo, per questo non sopporto quando non riesci ad aprirti con me. Devi dirmi le cose come stanno. Promettimi che per quel poco di tempo che ormai ci resta, saremo sinceri e onesti. Promettimi che sfrutteremo al meglio ogni minuto e che qualsiasi cosa io decida, tu l’accetterai”.
Lui sospirò forte. “Tutto tranne l’operazione” gli disse sincero.
Lei lo sfidò. “Non sta a te decidere. Se io vorrò morire qui, tu dovrai accettarlo”.
Lui chiuse l’occhio “Non so se sarei in grado di farlo” ammise, mettendo a nudo la realtà dei fatti.
Joy si strinse forte a lui “Credi che ti infliggerei un simile dolore a cuor leggero, credi davvero che ne sarei capace?”.
“No”.
“E allora devi fidarti di me. Promettimi che qualunque cosa io deciderò, tu sarai al mio fianco e mi spalleggerai, fosse anche l’operazione”.
Qualcosa dentro di lui urlò NO! Ma le sue labbra dissero “Te lo prometto. Hai la mia parola d’onore”.
Lei capì quanto gli fosse costato assecondarla e sapeva che avrebbe mantenuto la sua parola, per questo non ritenne giusto lasciarlo consumarsi nel dubbio.
“Ho già deciso. Tornerò nel mio arco temporale non appena sarà possibile” gli disse, fissandolo dritto nell’iride ambrata che si velò immediatamente di triste stupore.
Era fatta. 
Il loro tempo stava davvero per scadere.

 




 

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Capitolo 42
*** Conto alla rovescia ***


  .41.



CONTO ALLA ROVESCIA


I giorni a seguire furono difficili e strani.
Tra le altre cose, Yama aveva avuto la febbre alta ed era stato molto male, come se avesse avuto una forte reazione gastro intestinale, o qualcosa di simile. Si era disidratato e aveva passato tre giorni in infermeria, con costante reintegrazione di sali per via endovenosa. Probabilmente lo choc subito per ciò che aveva scoperto riguardo Nami, alla fine, lo aveva provato non solo sul piano emotivo, ma aveva avuto anche una ripercussione fisica.

Joy non aveva più parlato con Harlock della decisione che aveva preso. Non una sola parola in proposito era uscita dalle sue labbra dopo quel chiarimento e questo dilaniava il Capitano, ma le aveva fatto una promessa e non le avrebbe chiesto niente. Come le aveva detto, si fidava di lei, sebbene questa cosa gli costasse moltissimo.
La biologa gli aveva chiesto il permesso di uscire dall’Arcadia un paio di volte, sempre accompagnata da Yattaran. La prima volta era stata per andare con il suo primo ufficiale e Kei su Ferenginar
(1), dove, una volta al mese circa, facevano scalo a fare provviste di cibarie e non solo. In quel pianeta c’erano un sacco di negozi, mercati e ingrossi planetari, in cui si poteva trovare veramente di tutto. Dal cibo coltivato in serra, alle navette spaziali usate, ai mobili di antiquariato terrestre di antica foggia e memoria, ai libri di carta, armi di ogni genere e fattura: moderne e antiche, abiti e molto altro. Se qualcuno cercava qualcosa, qualsiasi cosa, su Ferenginar era molto probabile che la trovasse.
Harlock non le chiese il perché di quella richiesta. Gliela accordò, non senza preoccupazione, ma rispettava Joy e la sua libertà, sebbene rimase in ansia finché non rientrarono tutti sani e salvi. Poi c’era stata la richiesta per poter andare su Clessidra e, benché non ci fossero state domande in proposito, Harlock capì subito che volesse andare lì per via dei viaggi temporali, per avere un incontro con il professor Daisuke  Akido e, certamente, per definire meglio il suo passaggio da una dimensione all’altra. La cosa lo turbò oltremodo, ma non proferì parola. Ovviamente, le accordò il suo permesso.

 

***

Quella mattina il Professore ricevette Joy nel suo studio su Clessidra. 
Le stava spiegando come fare per ottenere un passaggio extra, oltre a quelli preventivati in precedenza, che avevano aperture temporali con una cadenza semestrale e tutto un altro modo di esecuzione. La ragazza doveva effettuare un viaggio attraverso il tempo quanto prima, non poteva assolutamente aspettare sei mesi e doveva avere un’alternativa, per questo lo aveva contattato con il famoso trasmettitore che le aveva lasciato per le emergenze. 
Yattaran era presente, la biologa aveva insistito affinché ascoltasse con lei, perché si fidava di lui e voleva che sentisse che cosa la aspettasse, in caso di bisogno era certa che il primo ufficiale dell’Arcadia l’avrebbe aiutata.
Il Professore all’inizio era stato restio a rispondere a quella domanda ma quando capì che c’erano di mezzo problemi di salute, si arrese e le rivelò ciò che le premeva sapere.
Joy aveva detto solo di stare male, che poi era anche la verità, e di dover rientrare nel suo arco temporale nel giro di massimo un mese, omettendo la motivazione Nami. Yattaran aveva spiegato dettagliatamente al professore il problema con il chip, che il tempo per lei era fondamentale per salvarsi, così alla fine l’uomo si era convinto.
“C’è solo un altro modo con cui puoi accedere al tuo arco temporale attraverso la Chiave Sonica, quando vuoi e in modo più veloce, ma devi sapere che questo metodo è un po’ più difficoltoso e rischioso, di ciò che ti avevo spiegato la prima volta. Il viaggio è possibile solo tramite l’apertura di un varco temporale direttamente dentro la Nebulosa
(2) Kairos(3), dove potrai trovare diversi tipi di Resto di Supernova(2) . Sono stelle che collassano su se stesse, e ogni volta che questo accade, si aprono dei passaggi, o porte temporali, della durata di circa tre giorni. Sono Scuciture Temporali(4), una sorta di cunicoli detti anche wormholes(5), in cui è possibile la navigazione spazio-temporale creata dall’antimateria sprigionata dall’attivazione della Chiave Sonica una volta che l’avrai impostata.” L’uomo sospirò e prese fiato. “La nebulosa Kairos, si trova a trenta nodi ad ovest di longitudine galattica del sistema stellare di Krisis(6) ” aggiunse infine.
Yattaran solerte prese nota.
Joy aveva ascoltato, anche se a dire il vero era un po’ difficile per lei capire esattamente tutto.
“La Chiave Sonica va impostata con anno e luogo, questo lo ricordo bene” disse la biologa concentrandosi “Ma non mi è molto chiara la dinamica del passaggio…” chiese un po’ perplessa. Tutte quelle spiegazioni non avevano chiarificato in sostanza che cosa avrebbe dovuto esattamente fare.
Il professore sorrise “È più facile di quello che sembra a parole. Devi prima andare in ricognizione nella nebulosa, attivare il rilevatore di Resto di Supernova che ti darò, e vedere quando puoi attraversare una scucitura, o porta temporale che dir si voglia. Il rivelatore ti indicherà esattamente giorno, ora, minuti e secondi esatti, del più prossimo collasso di una supernova. Tu, quando accadrà, dovrai essere semplicemente lì, da sola, con la tua Chiave Sonica impostata. Il wormhole ti risucchierà automaticamente, facendoti letteralmente passare da una dimensione all’altra e da un tempo all’altro. Ovviamente il tempo non verrà riavvolto, quindi non tornerai al momento di partenza. Ritornerai esattamente nell’anno e nel luogo indicato nella Chiave Sonica, ma non nel momento esatto di quando sei partita. Sarà un momento qualsiasi di quell’anno, in quel luogo, e tu sarai la tu di adesso e non di quando sei partita, mi capisci?”. 
La ragazza annuì. “Praticamente se io imposterò: Londra 2034, mi ritroverò direttamente da qui, nella mia città natale nel 2034, ma non posso sapere esattamente in che punto, né in che mese e giorno, giusto?”.
Il professore annuì “Più o meno sì” e poi aggiunse “Tieni bene a mente che questo tipo particolare di passaggio nel tempo non sarà immediato, ma avverrà attraverso il tunnel temporale chiamato wormhole, e potrebbero passare anche alcuni mesi prima di attraversarlo completamente, anche se tu non te ne renderai conto, perché lo farai alla velocità della luce e quindi ti sembrerà immediato, anche se di fatto non lo sarà”.
“Va bene, lo terrò a mente, ma come farò se dovrò essere da sola nella nebulosa?” chiese ancora un po’ preoccupata. Lui la faceva semplice, ma a lei sembrava tutto molto assurdo e anche angosciante.
L’uomo sospirò “Basta che tu ti addentri con una navetta, ma mi raccomando, devi essere solo tu, altrimenti ti porterai dietro chiunque. Non puoi avere neppure un veivolo  d’appoggio. Nessuno deve entrare nella nebulosa a parte te. Questo deve essere chiaro, perché una volta attivata la Chiave Sonica non si potrà più fare niente, chi c’è passerà al di là automaticamente” e guardò anche Yattaran, per accertarsi che fosse tutto chiaro.
Il pirata annuì, dandone conferma. 
Joy deglutì. Non avrebbe mai pensato che quando aveva imparato a pilotare l’aereo navalizzato, le sarebbe poi servito per quello. Quindi era tutto chiaro e risolto, almeno dal punto di vista teorico. 
Il Professore fece ancora qualche raccomandazione, poi le consegnò il rilevatore di Resto di Supernova e si congedarono.
Sulla via del ritorno, Joy e Yattaran parlarono molto. Lei gli fece delle richieste specifiche e lui acconsentì, ma per il momento erano tutte cose che sarebbero dovute rimanere tra loro due, e il pirata le dette la sua parola che così sarebbe stato.

Per la biologa non era facile. Questo suo atteggiamento di chiusura, altro non era che una barriera difensiva tirata su per disperazione.
Si era convinta a tornare sui suoi passi unicamente per salvare Nami, ma alla fine stava cercando di auto convincersi che fosse comunque a priori la scelta migliore, anche per Harlock e forse pure per lei. Lo amava così perdutamente che aveva voluto provare a fare quel sogno meraviglioso che sarebbe stato vivere con lui, anche a costo di grandi rinunce e sacrifici, ma la realtà la stava obbligando a rendersi conto che quella era solo una chimera. Il Capitano, come aveva sempre saputo e capito, apparteneva all’Arcadia e ora aveva anche un’importante missione da compiere, e lei sarebbe solo stata d’intralcio. Era meglio così, andarsene e tornare da dove era venuta, che poi era il suo luogo natio, sebbene in quella nave avesse avuto tutto quello che non avrebbe mai neppure sognato, quando era sulla Terra.
Naturalmente aveva una gran paura. Essendo mentalmente libera, e non condizionata artificialmente, come lo era stata quando era stata spedita là da suo padre, grazie al chip, capiva e temeva l’enorme incognita che si celava dietro quel salto nel buio. Fare questo viaggio nel tempo le sembrava come una sfida alle leggi della natura e, in un certo senso, alla morte stessa. Ma ormai il dado era tratto e indietro non poteva tornare, doveva affrontare questa prova e doveva farlo da sola, con le sue forze o non ci sarebbe mai riuscita, per questo non ne parlava con lui, perché poi le sarebbe mancato il coraggio.

Harlock era un automa. Faceva tutto molto meccanicamente. Ancora non aveva elaborato e metabolizzato il lutto, che la prossima perdita di lei lo stava appena sfiorando, il peggio sarebbe arrivato quando se ne sarebbe andata e ci avrebbe dovuto fare i conti sul serio. Si stava preparando alla sua maniera, impermeabilizzandosi, o almeno cercando di farlo, perché era difficilissimo. L’unico conforto gli veniva da Tochiro e da quella fiammella di speranza che aveva acceso in lui, a cui si attaccava come un moribondo fa, nonostante tutto, alla vita che non vuole lasciare.
A volte vagava per la nave come se non avesse una meta, in realtà pensava. Intanto cercava di tenersi occupata la mente, elaborando strategie per la riedificazione della Terra, come ad esempio trovare qualcuno che potesse portare avanti il lavoro di Joy. Era chiaro che se ne sarebbe stata lì ancora per poco e, di certo, non si poteva mandare a monte tutto ciò che avevano costruito in quei mesi. E poi pensava ad altro, tutte cose che gli frullavano in testa come un mulinello che lo consumavano, ma che per fortuna gli davano anche un appiglio per lottare.
Naturalmente cercava di stare con lei il più possibile, desiderio condiviso anche da Joy, sebbene si imponessero di mantenere una certa normalità, per evitare di rendere ancora più doloroso il tempo rimasto a loro disposizione.
Quando seppe che era rientrata da Clessidra, il suo primo impulso fu quello di raggiungerla immediatamente e tempestarla di domande, ma si dominò. Volle darle del tempo per sé, immaginando che fosse turbata e preoccupata, quindi lasciò che passasse un’intera e lunghissima ora, prima di decidersi a raggiungerla.
Era certo che fosse nella loro cabina. Neppure lui si spiegò questa sicurezza, ma di fatto ebbe ragione. 
La biologa era in bagno. La porta socchiusa lo portò ad avvicinarsi silenzioso ed a sbirciare oltre la feritoia.
Da quando era lì e stavano insieme, era la prima volta che la vedeva fare il bagno nella sua preziosa vasca in rame del diciottesimo secolo. Un altro oggetto d’antiquariato terrestre che aveva reperito molti anni prima, proprio su Ferenginar, e che aveva fatto poi personalizzare con dei rilievi a forma di Jolly Roger sulle fiancate e sullo schienale, più alto dei bordi. Era molto bella, poggiava sul pavimento e non vi era fissata, ma sorretta da zampe di leone, di foggia molto antica, senza rubinetti, da usare solo con l’ausilio della brocca, proprio come nell’epoca da cui proveniva. Era diventata in realtà più un oggetto decorativo, dato che alla fine, facevano sempre la doccia, ma quel giorno Joy ci si era immersa, usando una piacevole essenza, riprodotta artificialmente, di muschio bianco che profumava delicatamente tutta la stanza. Se ne stava lì a mollo, con le ginocchia strette al petto e il mento poggiato su di esse, sembrava essere persa in chissà quali pensieri.
Harlock sospirò. Si spostò e si levò tutti gli ingombri, guanti compresi, restando in maglia e pantaloni. Quindi entrò nella stanza da bagno. Lei da dietro avvertì la sua presenza ma non si mosse. Stava male, era molto triste e molto angosciata, come lui aveva immaginato, era sconvolta dalla visita fatta al professore. Il Capitano osservò il collo e la sua schiena nuda, poi d’istinto s’inginocchiò proprio dietro lo schienale della vasca. Avvicinò il viso alla sua nuca. Joy rimase sempre ferma, nella solita posizione rannicchiata, immobile, senza dire una parola. Harlock allora si bagnò le mani nell’acqua e prese la saponetta, la strofinò, producendo una schiuma leggera e profumata, quindi con molta delicatezza e premura, cominciò piano ad insaponarle prima il collo e poi pian pianino le spalle, e la porzione di schiena che era fuori dall’acqua tiepida, come se le facesse una sorta di lenta e leggera carezza. Era il suo modo di farsi sentire vicino, senza però interferire troppo. La stava lavando senza malizia, né con sensualità, il suo era solo un gesto puro e amorevole verso la persona che amava.
Joy chiuse gli occhi e lasciò che quella cura quasi materna che lui le stava regalando, le desse un po’ di pace. Ad un certo punto la mano di Harlock scivolò sul braccio, fino ad incontrare la sua mano. La prese tra le sue e continuò a carezzarla insaponandola, stendendole le dita una ad una, con gentilezza.
Fu in quel momento che lei parlò.
“Quando andrò via, lo farò da sola” disse quasi a fatica. Le parole le uscirono di bocca stentate. 
Lui si bloccò di colpo, smettendo di insaponarla, con i sensi come allertati e stava per parlarle, ma lei lo precedette “Lo farò senza dirtelo. Un giorno, andrò via e non mi troverai più. Deve accadere così, o non sarò in grado di farlo, mi capisci? Nessun addio, nessun pianto, o ultimo giorno insieme, niente di niente. Devo scappare finché ne ho la forza, o non lo farò più…”.
Sentendo quelle parole, Harlock ebbe una sensazione tremenda, come se il cuore gli si fosse fermato per qualche secondo. Avvertì una fitta acuta, simile ad una scheggia di vetro che schizzando gli avesse attraversato lo sterno e spezzato il fiato, con un dolore così sordo e vivido che lo fece sussultare appena, parendo reale, ma poteva capirla, sapeva che come sempre aveva ragione lei.  
Tanto verrò a riprenderti!
Pensò subito d’istinto, ritirando le mani da quella di lei, per tornare ad insaponarle una spalla, mentre il cuore aveva ripreso la sua corsa di battiti.
La mano di Joy raggiunse nuovamente la sua, stringendola appena, per attirare ancor più la sua attenzione e gli rispose come se avesse udito il suo pensiero “Non metterti strane idee in testa Harlock, non si può fare avanti e indietro nel tempo, così come se niente fosse. È pericoloso e definitivo in certi casi. Tu devi stare qui, nella tua nave, nel tuo mondo. Promettimi che cercherai di rassegnarti e che ti rifarai una vita”.
Il silenzio che le restituì, per lei, fu più eloquente di mille parole, già aveva capito che non si sarebbe arreso con facilità.
Il Capitano non disse nulla. Infatti, le sfiorò appena la nuca con un bacio lieve. E le circondò le spalle in un abbraccio forte e disperato. Fu quella l’unica risposta che le diede. Non poteva prometterle una cosa che non avrebbe mantenuto.
Era la famosa fiammella che aveva instillato in lui Tochiro: la possibilità di poter andare da lei, nel suo arco temporale, esattamente come lei aveva fatto con lui.
Harlock finì di lavarla, poi lei si alzò e lui l’aiutò ad avvolgersi nel bianco asciugamano di lino, Joy se lo legò appena sopra il seno. Poi la precedette nella stanza adiacente dove c’erano i vestiti, lasciati sparsi sul letto.
La ragazza appena lo raggiunse, con un unico gesto, lasciò che l’asciugamano le scivolasse di dosso e si posasse ai suoi piedi come una morbida nuvola, rimanendo completamente nuda davanti a lui, mentre l’aria si saturava del profumo gentile di muschio bianco che traspirava dalla sua pelle ancora appena umida.
Harlock non si mosse, dentro di lui c’erano troppe emozioni contrastanti in collisione tra loro.
Amore, dolore, desiderio, rabbia, rassegnazione, speranza e molte altre ancora, che si rincorrevano l’un l’altra come in un girone infernale.
Lei gli tese la mano “Fai l’amore con me…” gli disse in un soffio, con lo sguardo infinitamente triste e smarrito. A lui parve quello di una bambina impaurita da qualcosa di troppo grande per lei.
Le si avvicinò, le prese la mano e poi la prese tra le braccia. Le baciò le tempie, la fronte, i capelli e labbra, poi, dopo essersi spogliato, fece l’amore con lei, nel modo più dolce e struggente che conosceva. Prolungando quel momento il più possibile, con una calma quasi dolorosa, mosso da un profondo moto di puro amore. Non smettendo mai di baciarla e carezzarla, adorandola con lo sguardo che non distolse neppure una volta, come se avesse paura che potesse scomparire direttamente tra le sue braccia, quasi fosse un sogno che si potesse dissolvere come il pulviscolo impalpabile, che danza nell’aria rischiarata dalla luce.
Alla fine rimasero abbracciati a lungo, stretti, cercando di riempirsi di amore e attenzioni, come se volessero fare scorta l’uno dell’altra. Anche se ormai, ogni volta che facevano l’amore e stavano insieme, era come se una parte di ognuno di loro morisse un po’ nell’altro, perché la tristezza comunque, velava ogni loro gesto.

Più tardi Harlock si alzò e le chiese di rimanere in cabina, voleva fare una cosa con lei, ma non le disse che cosa.
Era da un po’ che ci pensava e adesso, dopo la confessione della biologa di voler andarsene via senza avvisarlo, si era deciso a muoversi.
La loro era una situazione veramente difficile ed estremamente dolorosa, ma lui capiva Joy profondamente. Gli costava moltissimo lasciarla libera di fare una cosa del genere, ma non poteva fare altrimenti, perché sapeva che, in fondo, era la cosa più giusta e sensata. Era perfettamente conscio che se si fossero straziati a vicenda, in un lungo e terribile addio, tutto sarebbe stato più difficile, forse addirittura ingestibile, perché dentro di lui, così come ovviamente dentro di lei, c’era una parte che urlava disperata e rabbiosa che non voleva cedere e rassegnarsi alla realtà dei fatti. Tenerla a bada e dominarla, era sempre più difficile, era quasi come voler imbrigliare il vento.

Harlock aveva affidato la sicurezza di Joy a Yattaran, che aveva capito ed accettato. Era onorato di poter fare da protettore alla compagna del suo Capitano, in una così delicata missione. Non gli chiese neppure perché non lo facesse lui, si limitò a dare la sua disponibilità assoluta. Il Capitano sapeva che l’avrebbe difesa e custodita a costo della vita. Non poteva saperla in mani migliori.
Era uno dei sacrifici più faticosi che avesse mai dovuto superare, ma Harlock lo stava affrontando di petto, come suo solito e stava cercando di prendere solo il buono e di lasciare il cattivo. Il dolore cercava di metterlo da parte, per dopo, per quando lei non ci sarebbe più stata. S’impose di non farsi avvelenare neppure un secondo fin quando Joy fosse stata lì, e come per magia, la calma alla fine s’impadronì di lui, facendo in modo che potesse gestire al meglio il suo proverbiale autocontrollo.
“È una sciocchezza, ma mi piacerebbe farla assieme” le spiegò, riferendosi a ciò che voleva fare, giusto prima di darle un bacio ed uscire misteriosamente dalla stanza.
Tornò poco dopo, con in mano un vassoietto nero, in cui facevano bella mostra di sé: una specie di teiera sempre nera e ma rifinita in oro, con dei disegni raffiguranti degli aironi in volo, e sei coppette di foggia simile, anch’esse nere e oro. La ragazza lo guardò curiosa, lui sorrise appena, piegando solo un angolo della bocca “Non è thè” le disse subito e versò il liquido che sembrava acqua in tutte e sei le coppette “È sakè!” le spiegò.
“E a che serve tutto ciò?” gli chiese incuriosita. 
Lui si sedette al tavolo con lei e la guardò “Si tratta di un’antica tradizione giapponese, un gesto simbolico che mi fa piacere condividere con te. Sono di origini tedesche come ti spiegai, ma mia nonna era giapponese e ho assorbito molte cose da quella cultura, che ho scoperto nel tempo di amare molto e a cui, per tanti versi, mi sento affine”.
Lei sorrise appena, lui non poteva capire, ma era chiaro che tra loro ci fosse una connessione fortissima. Era strabiliata di come fossero in sintonia, quasi fossero due parti di un solo nucleo.
“Mi piace moltissimo che tu abbia sangue giapponese nelle vene! Ti si addice e spiega molte cose sul tuo modo di essere” gli disse entusiasta, poi chiese spiegazioni su quello che intendeva fare con il sakè.
Lui non voleva pensare a ciò che sarebbe accaduto a breve, annegandosi l’anima nel rimpianto e nell’angoscia. Non sempre gli riuscisse bene autocontrollarsi, ma in quel momento stava facendo una cosa a cui teneva tantissimo e si impose di non sciuparla con la tristezza e il dolore.
“Si tratta di un rito antico, consiste nello scambio di tre coppe di sakè che vanno bevute in tre sorsi. Tutto qui” le disse molto ermetico, come suo solito. Lei intuì che dietro quel gesto ci fosse sicuramente molto di più ma che Harlock, per qualche ragione, non volesse rivelarlo. Rispettò questo suo desiderio, perché sembrava essere importante per lui e perché tanto, una volta rientrata a Londra, avrebbe poi cercato di sapere che cosa significasse realmente quel rito così particolare e curioso. Ora preferiva assecondare la sua volontà, senza contrariarlo.
Bevvero così il sakè in tre sorsi, da tre coppette ciascuno.
Alla fine la strinse a sé, tra le braccia e la baciò ancora.

Il tempo tra loro era così. Strano. Corto e lungo. Prezioso e maligno.
Inesorabile scorreva comunque e non c’era verso di fermarlo, neppure facendo finta di non considerarlo. Faceva la sua strada imperterrito e spietato, senza riguardo.
Tic, tac. Tic, tac.
Il ritmo era preciso e il suo percorso, nel cronometro delle circostanze, era quasi giunto a termine.
Ogni notte era un momento ancora più esclusivo e intimo per loro. Parlavano tantissimo. Erano giunti alla conclusione che il lavoro di Joy dovesse essere portato a termine da Yama. Lei lo avrebbe istruito a dovere e Harlock avrebbe trovato un biologo che gli facesse da supporto. Di fatto, tramite Kei, avevano già allertato un contatto su Gorianus, a giorni avrebbero avuto delle risposte in tal senso.
La paura di Joy aumentava con la consapevolezza che ormai mancasse poco al passaggio. Harlock la percepiva quasi fisicamente e si dannava per non poterla aiutare. 
Cercava comunque di infonderle pace e sicurezza, in tutti i modi possibili per quanto potesse, distraendola e cercando di mostrarsi relativamente tranquillo. 
Quando non era con lei, era sempre nella sala del Computer Centrale e con Yattaran. Lo stava martellando ogni giorno perché all’ora fatidica fosse pronto e reattivo ad ogni evenienza e bisogno di lei. Aveva parlato con il suo amico di ciò che Yattaran gli aveva dettagliatamente spiegato circa il viaggio nel tempo che Joy avrebbe dovuto affrontare, e Tochiro sembrava piuttosto tranquillo. Inoltre Harlock mordeva il freno per capire e sapere come e quando potesse lui viaggiare nel tempo, ma quella era una questione assai più complicata e delicata, che non avrebbe visto la luce molto presto, come invece avrebbe sperato.
Intanto, sebbene fosse ancora malaticcio, Joy si era messa alle costole di Yama e lo stava istruendo a dovere. Per le colture il più era stato fatto, si trattava solo di conservare nel giusto modo il materiale, per poter poi impiantarlo nelle serre su Caladan e coltivarlo prima di ripiantarlo sulla Terra. Il ragazzo sembrava appassionato e davvero interessato, anche se oramai si sentiva abbastanza portato anche per fare il pirata. Aveva questa dualità particolare che incuriosiva Joy. Era forte e gentile. Determinato, ma anche delicato. Un binomio curioso, ma anche affascinante, in un certo senso.
Per fortuna il contatto di Kei aveva trovato un valido sostituto di Joy, un giovane biologo ricercato dalla Gaia Sanction per ribellione, che addirittura aveva a suo tempo anche collaborato con Nami, pronto e fiero di arruolarsi.

Meeme invece, in quei giorni era molto agitata. C’era un dubbio che le era venuto e che le dava il tormento. Da una parte le sembrava una cosa improbabile, ma dall’altra cominciava ad esserne quasi certa, per via di una serie di motivazioni concatenate l’una all’altra, che la portavano tutte in un’unica direzione. 
Decise di non attendere oltre e di fare la scansione del DNA ad Harlock e Yama. Era tempo di sapere la verità.
Il più facile da reperire fu il ragazzo. Era in armeria a catalogare. Ora doveva solo convincerlo senza dargli troppe spiegazioni.
“Come stai Yama?” gli chiese, accennando un sorriso con la piccolissima bocca verde acqua.
Il ragazzo, che aveva sempre avuto una sorta di attrazione mista a timore verso l’aliena, la guardò incuriosito. Era un essere molto affascinante, ma quegli occhi con la doppia palpebra, erano a tratti inquietanti e totalmente diversi da quelli umani, privi di quell’espressività in cui potevi leggere le sfumature delle emozioni, infatti non si capiva mai che cosa potesse realmente pensare. Allo stesso tempo però, queste caratteristiche, così particolari, avevano un fascino magnetico, catturavano inesorabilmente l’attenzione dell’interlocutore che finiva per non staccare lo sguardo da lei, che sapeva infondere, con i suoi gesti e il suo modo di fare, una grande calma.
“Non bene” ammise “Sono molto debole e ancora ho un bel po’ di disturbi spiacevoli, ma passeranno” le spiegò, non capendo come mai gli chiedesse della sua salute, non erano soliti intrattenersi in conversazione, né erano intimi.
“Non ne sono sicura, ma forse potrei sapere l’origine dei tuoi improvvisi mali” buttò lì Meeme, con studiata noncuranza.
“Devo preoccuparmi?” chiese il ragazzo, drizzando le antenne.
“Non necessariamente, però se me lo consenti, vorrei farti una scansione del DNA” gli propose.
“Una che?” chiese Yama un po’ interdetto.
L’aliena gli spiegò che cosa avrebbe fatto. Attraverso la materia oscura plasmata tra le sue mani, avrebbe creato una sorta di campo energetico in grado di leggere e riportare nella bolla di dark matter tutta la struttura del suo DNA e lei avrebbe potuto poi leggerlo, per compararlo con quello di Harlock.
Il ragazzo strizzò gli occhi riducendoli a due fessure e cercò di capire che intendesse l’aliena.
“E che c’entra Harlock?” chiese infine.
Meme chiuse le prime palpebre e sospirò.
“Il vostro gruppo sanguigno comune mi sarà di aiuto per capire meglio i tuoi mali” gli rispose vaga.
Yama non era molto convito “Ma davvero?” le chiese scrutandola.
“È una pratica nibelunga sviluppatasi su Yura, il mio pianeta d’origine, non puoi comprenderne le modalità tu che sei di una razza diversa dalla mia, solo io posso” gli rispose tranquilla ma decisa, non voleva né poteva dirgli altro.
Sembrò averlo convinto. Il ragazzo allargò le braccia “Che devo fare?”.
Si era arreso, tanto gli avrebbe rotto le scatole finché non le avesse dato retta, era un’aliena ma pur sempre una femmina e come tale era testarda, quindi era meglio levarsi il pensiero.
“Niente. Penso a tutto io. Sarà un po’ fastidioso, ma sopportabile” rispose Meeme e subito cominciò a plasmare la materia oscura tra le mani, creando una sfera.
Ad un certo punto, la puntò dritta verso Yama e il ragazzo s’inarcò, sbarrando gli occhi. Si sentì come svuotare di tutta l’energia che aveva in corpo. Fu una sensazione molto forte, spiacevole, come se gli stesse risucchiando la sua forza vitale, e da lui partì una specie di flusso energetico di color giallognolo, che entrò direttamente nella sfera. In pochi secondi apparve la struttura completa del suo DNA, con tutte le informazioni del codice genetico che servivano a Meeme, l'aliena subito le memorizzò. Quindi lasciò che il flusso giallo rientrasse dentro il ragazzo, il quale sembrò come rianimarsi e si piegò su se stesso, tossendo un po’.
“È fastidioso ma non pericoloso” lo tranquillizzò, quindi insistette per accompagnarlo in cabina, dove gli raccomandò di riposarsi almeno un’oretta e poi tornare pure alle sue incombenze senza problemi.
Uscita dall’alloggio di Yama, si mise alla ricerca di Harlock.

Lo trovò poco dopo in Plancia, agitatissimo.

“Come sarebbe a dire che sono andati via!” stava chiedendo a Yuki, scuotendola appena per le spalle.
“Hanno preso una navetta e sono partiti, mi pare per una certa nebulosa… aspetta…” disse la ragazza, cercando di fare mente locale “Sì ecco: Nebulosa Kairos, così l’hanno chiamata”.
“Sei sicura?” gli chiese il Capitano irrigidendosi di colpo e diventando teso e rigido come un blocco di marmo.
“Sì, perché?”.
Ma Harlock non la sentiva già più.
È partita… è andata via…
Queste parole presero possesso della sua anima, della sua testa, del suo corpo, facendoli prigionieri in una morsa che gli spezzò ogni energia vitale e il resto sparì di colpo, inghiottito nel nulla.
Si ritrovò in una caverna d’angoscia profonda, soffocante, in cui era impossibile respirare, in cui non c’era nemmeno uno spiraglio di luce, una vera anticamera infernale. 
Inghiottito da quelle fauci enormi di disperazione, girò i tacchi, e le sue gambe, muovendosi da sole, lo condussero fuori dalla Plancia, senza neppure udire Meeme che lo chiamava insistentemente.

 

ATTENZIONE Se qualcuno conoscesse il “rito del sake” è pregato di non parlarne nei commenti per evitare di spoilerare, tanto lo spiegherò molto presto. Se ne volete parlare con me fatelo in forma privata. GRAZIE!!! :D

 

NOTE: 

I termini e le spiegazioni usati da me per la mia personale del tutto inventata e fantasiosa  visione dei viaggi nel tempo, si rifanno a dei classici fantascientifici e fantastici del genere quali ad esempio: Dr. Who (in primis), Ritorno al Futuro, Thor, Terminator (All rights reserved, no copyright infringement intended) ed altro ancora che ora per motivi di spoiler non posso dirvi, da cui ho attinto a piene mani, rielaborando e creando ex novo la mia visione d’insieme personale. Infatti ho immaginato che un collasso di Supernova (cosa esistente realmente) potesse, fantascientificamente, in quella particolare Nebuolosa (non esistente, ma inventata ad hoc da me, usando termini greci riguardanti il tempo) aprire porte temprali come appunto, ad esempio accade (in modalità del tutto diverse e non in una nebulosa) in Thor: The Dark World(All rights reserved, no copyright infringement intended), in cui sulla Terra in una fabbrica abbandonata c’è un passaggio temporale aperto.
 
La nonna giapponese di Harlock è una MIA personale invenzione frutto della mia fervida immaginazione.  

Glossario:

(1) FEREGINAR: noto come pianeta natale dei Ferengi abili commercianti e affaristi. Usato (solo come nome) in questa fic come omaggio a Star Trek - Deep Space Nine. (All rights reserved, no copyright infringement intended)

(2) NEBULOSA-RESTO DI SUPERNOVA: una supernova si forma quando una stella di grande massa raggiunge la fine della sua vita. Al termine della fusione nucleare che avviene nel nucleo, la stella collassa su se stessa. Il gas che sta cadendo può rimbalzare oppure si può surriscaldare espandendosi verso l'esterno, causando l'esplosione della stella. L'espansione del gas forma un Resto di supernova che è un tipo speciale di nebulosa diffusa.
Usata a mio piacimento e adattata ad uso e consumo della mia teoria inventata

(3) KAIROS: parola greca significa "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade. Oppure anche: 'momento opportuno, il tempo giusto'.

(4) SCUCITURE TEMPORALI: Termine rielaborato e adattato a mio uso e consumo da una terminologia usata nel film Space Pirate Captain Harlock. (All rights reserved, no copyright infringement intended)

(5) WORMHOLES: termine di fisica quantistica è un ponte di Einstein-Rosen o cunicolo spazio-temporale, (in italiano letteralmente "buco di verme", ma tradotto in modo poco attinente col termine galleria di tarlo, o cunicolo di tarlo), è una ipotetica caratteristica topologica dello spazio-tempo che è essenzialmente una "scorciatoia" da un punto dell'universo a un altro, che permetterebbe di viaggiare tra di essi più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la distanza attraverso lo spazio normale. Il wormhole viene spesso detto galleria gravitazionale, mettendo in rilievo la dimensione gravitazionale strettamente interconnessa alle altre tre dimensioni: spazio e tempo. Questa singolarità gravitazionale, e/o dello spazio-tempo che dir si voglia, possiede almeno due estremità, connesse ad un'unica galleria o cunicolo, potendo la materia viaggiare da un estremo all'altro passandovi attraverso. 
Usato a mio piacimento e adattato ad uso e consumo della mia teoria inventata

(6) KRISIS: parola greca significa 'la scelta, il cambiamento cruciale'.

Alcuni links di riferimento
http://it.wikipedia.org/wiki/Kairos 
http://it.wikipedia.org/wiki/Nebulosa 
http://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_di_Einstein-Rosen

 

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Capitolo 43
*** Le parole che non posso dirti ***



Buon week-end a tutti voi!
Il primo ri-postaggio, anche oggi è effettuato di sabato :)
L’altro capitolo invece lo posterò domani in serata ;)

La fine è sempre più vicina…


Ringrazio di cuore TUTTI i lettori. E un sincero ringraziamento colmo di gratitudine a chi commenta

Buona (spero) lettura! =)

  .42.



 

LE PAROLE CHE NON POSSO DIRTI



Meeme bloccò Harlock prendendolo con delicatezza per un braccio. Come lo toccò avvertì immediatamente il suo stato d’animo.
“Che c’è, che cosa è accaduto?” gli chiese preoccupata.
“Ė andata…” disse lui, con l’occhio velato da una lacrima sospesa nell’incertezza di essere ricacciata indietro, o lasciata scivolare libera e lenta sulla sua guancia sfregiata. Harlock era un uomo così puro e così vero, che non avrebbe avuto pudore di piangere, se la sua anima glielo avesse richiesto.
“Non è andata via!” gli disse Meeme stupita “Quando sarà il momento io l’accompagnerò insieme a Yattaran, è già stabilito…” aggiunse, non capendo la ragione di quel suo turbamento profondo.
Un’ondata anomala di dolorosa felicità s’infranse contro il cuore di Harlock soffocandolo quasi. 
“Ma Kei ha detto…” gli uscì a fatica dalle labbra mentre l’ondata si ritirava veloce, facendo nuovamente spazio ad una sottile cortina d’angoscia.
Meeme sospirò “Credo che siano andati a controllare quando ci sarà il prossimo collasso di Resto di Supernova. Si sta preparando. Manca poco, ma ancora non è andata via” gli disse, restituendogli un filo di pace.
“Sei sicura?” le chiese ancora incredulo.
“Sì. Sicurissima e poi lo sentirei, fidati di me Harlock”.
Lui sospirò e chiuse l’occhio quasi come per riprendersi. In pochi minuti aveva avuto un assaggio del profondo baratro dove sarebbe finito una volta che lei se ne fosse andata. Si rese conto che non poteva permettere a se stesso di lasciarsi prendere così dallo sconforto e dal dolore. Le sue emozioni lo avrebbero sopraffatto e non era accettabile. Aveva una missione importante da compiere. Doveva fare in modo che questo distacco non compromettesse il futuro della Terra e ciò per cui si era impegnato davanti ai suoi uomini. Doveva fare appello a tutta la forza interiore che aveva, e doveva darsi un freno. Era tempo di serrare nuovamente quel giardino segreto, dove spesso nel passato aveva rinchiuso gelosamente ogni sentimento ed emozione che gli avrebbe impedito di essere ciò che era: Capitan Harlock, comandante della nave pirata Arcadia, a servizio della Libertà e della Terra.
Doveva farlo di nuovo. Non c’era altra via.
Questa consapevolezza riemerse dalle profondità della sua anima e gli dette una spinta improvvisa di forza di volontà.
Il suo sentimento per Joy doveva trasformarsi e diventare la sua ragione per combattere. Sarebbe stata la sua Itaca e la sua Penelope. Finalmente Ulisse aveva un porto dove tornare al termine della sua Odissea, un amore vivo a cui tenere aggrappate le sue speranze. Questo doveva fare, il resto era già appartenente al passato.
Prese così la decisione fulminea ed irrevocabile che il suo cuore l’avrebbe salutata quella sera stessa. La sua anima in silenzio, si sarebbe congedata da lei. Il distacco graduale sarebbe cominciato dall’indomani stesso. Ogni istante che si fosse trattenuta in più, sarebbe stato solo un regalo e lui l’avrebbe accettato di buon grado, ma doveva essere pronto alla sua dipartita.
Doveva assolutamente parlare con Tochiro. Solo lui gli avrebbe dato la giusta carica e la forza per affrontare questa svolta decisiva.
“Harlock dove vai?” gli chiese Meeme stupefatta. Aveva avvertito in lui un cambiamento emozionale notevole. Era sempre stata impressionata e affascinata dalla sua capacità straordinaria di controllo emotivo.
Lui non le rispose e lei lo seguì.
“Devo farti la scansione del DNA e…” gli disse una volta che lo raggiunse.
“Non ora Meeme, non ho tempo per queste cose” la interruppe il Capitano alzando una mano come per impedire che lo seguisse. “Ci vediamo dopo” aggiunse, imponendole tacitamente con lo sguardo di lasciarlo solo.

L’aliena obbedì. Non c’era fretta.

 Nel frattempo Joy e il primo ufficiale dell’Arcadia stavano rientrando dalla nebulosa Kairos.
“Sembra che ormai ci siamo eh?” le disse uno Yattaran insolitamente malinconico.
“Sì. E se devo essere sincera… ho una gran paura!” ammise la biologa.
“Menomale! Altrimenti non saresti umana” sdrammatizzò il pirata, poi tacque alcuni secondi e aggiunse: “Diglielo”.
Joy che stava pilotando si girò e lo guardò stupita“Cosa?” chiese non capendo.
“Che hai paura. Lui ti aiuterà. Non tacergli ciò che senti e non fare l’eroina affrontando una cosa così tremenda da sola, senza neppure il suo supporto morale. Posso capire che tu non lo voglia nell’attimo del distacco finale, ma tenerlo a distanza come stai facendo, a che serve?”.
La ragazza lo guardò incredula “E tu come fai a sapere tutte queste cose?” gli chiese sincera.
“Osservo molto e non sono così tonto come appaio” le disse sogghignando lievemente, grattandosi la bandana che aveva sempre in testa.
Joy ammiccò sorridendo. Era un uomo buono, lo aveva sempre saputo, anche se la prima volta che lo aveva incontrato, su Gorianus, e le aveva fatto quello scherzetto, lo avrebbe preso volentieri a calci.
Quanto tempo era passato da allora? Non moltissimo ma le pareva una vita intera. Non era più la Joy di quei giorni e mai più lo sarebbe stata. Questa considerazione la investì facendola riflettere su come la vita fosse strana e capricciosa.
Rientrati sull’Arcadia, la biologa andò subito nella cabina di Harlock. Lui non c’era e allora si ritirò di corsa nei suoi alloggi.
Il collasso di Resto di Supernova, secondo il rilevatore, sarebbe avvenuto esattamente tra diciotto giorni, nove ore, quarantasette minuti e ventidue secondi. Quello era il tempo effettivo che le rimaneva a disposizione per stare con Harlock.
Si era imposta di non piangere e di essere forte, ma non era facile, così decise di dare sfogo a tutta l’amarezza, la paura ed il dolore che la stavano attanagliando per svuotarsi e rimanere poi lucida fino alla partenza. Anche perché non voleva compromettere quel poco tempo che le rimaneva per stare con lui. Era il momento di essere forti. Sfogarsi e poi fare il pieno di lui, per portare via solo il buono dei ricordi con sé sulla Terra.

Harlock raggiunse Meeme solo molto più tardi. Era stato a lungo con Tochiro e poi si era occupato di una cosa che aveva commissionato a Kei quando era stata su Ferenginar. La pirata si era molto sorpresa di ciò che le aveva chiesto. Era rimasta un po’ turbata perché non avrebbe mai pensato che Harlock potesse pensare ad una cosa del genere, ma evidentemente c’erano parti di lui così nascoste, che era difficile anche solo immaginarle. Quindi aveva semplicemente fatto ciò che lui le aveva commissionato senza fare, né farsi, troppe domande.
“Hai con te quello che ti ho chiesto?” le chiese Harlock una volta raggiuntala in Plancia.
“Ė nella mia cabina vado a prenderlo se vuoi”.
“Vengo con te” le rispose serio il Capitano.
Mentre camminavano assieme verso i suoi alloggi Kei si sentì di parlargli.
“Mi dispiace tantissimo, credimi mi sono davvero affezionata a Joy. Né tu, né lei, vi meritavate una cosa del genere. Non voglio essere invadente, puoi anche non rispondermi, ma volevo che lo sapessi”.
“Non ho mai dubitato del vostro affetto, soprattutto del tuo” le disse semplicemente, senza aggiungere una sola parola in più.
Kei fece un cenno di assenso con la testa e gli regalò un sorriso senza dire altro. Era conscia che Harlock non avrebbe mai esternato i suoi sentimenti con nessuno, neppure con lei.
Arrivati alla sua cabina la giovane pirata gli consegnò l’oggetto che le aveva richiesto. Quindi si salutarono e le loro strade si divisero.


Quando Meeme vide Harlock raggiungerla capì subito che qualcosa in lui era cambiato. Era scuro, concentrato, determinato e sfuggente proprio come lo era sempre stato, salvo alcuni momenti, durante questa breve parentesi, legata all’amore per quella biologa.
Era di nuovo lui come l’aveva sempre conosciuto. L’uomo cupo e solitario votato al suo ideale, anche se il suo cuore era sempre e comunque rimasto bianco, a dispetto di tutto ciò che aveva fatto e aveva passato. Solo che ora era diverso, indissolubilmente contaminato dalla purezza dell’amore di lei. Percepiva la sua anima limpida e forte, libera, satura d’amore e non solo per Joy, ma per la vita stessa, a cui evidentemente dava adesso un valore diverso.
Fu sorprendente, per l’aliena, percepire questa forza interiore nutrita dal quel sentimento che era ormai fiorito rigoglioso nel suo cuore. Lo stava fortificando e non indebolendo. Era la cosa più bella che si potesse augurare in quel momento così difficile e doloroso per lui.
Ma non era sorpresa. Harlock era un uomo pieno di risorse. 
Un’araba fenice che risorgeva sempre dalle sue ceneri. 
Un istante che si ripeteva nel tempo.
“Perché vuoi farmi la scansione del DNA?” le chiese interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
“Credo di aver capito chi possa essere Yama e voglio la conferma”.
Il Capitano la scrutò, sebbene quei suoi tratti alieni gli impedissero spesso di coglierne il suo sentire. Era anche quella la forza di Meeme, la sua mimica ridotta, rispetto a quella umana, la rendeva impenetrabile, salvo quando era preda di fortissime emozioni.
Harlock sospirò.
“Non ora Meeme. Come ti ho detto prima, non ho tempo per queste cose. Yama resterà qui, ma Joy no. Quando se ne sarà andata faremo tutte le scansioni che vuoi, ma ora preferisco passare tutto il mio tempo libero solo con lei. E poi io non ho nessuna fretta di sapere chi sia Yama” e con la sua innata eleganza si girò per andarsene.
L’aliena capì che non era il caso di controbattere, ma era molto preoccupata per il ragazzo. La sua salute era nuovamente peggiorata senza un motivo apparente, quindi se ne andò anche lei, cercando di riordinare i pensieri che la turbavano.


Harlock non avrebbe mai pensato di trovare Joy lì, ma quando Yattaran gli aveva detto dove si era rintanata, si era subito recato da lei.
Era nella stanza del Planetario. 
La trovò seduta a gambe incrociate sull’oblò che si affacciava direttamente sullo Spazio concentrata ad osservare di sotto.
“Che fai, mi rubi i rifugi segreti?” le disse ammiccando un mezzo sorriso.
Non voleva appesantire la situazione e voleva esserle di conforto e sostegno.
Lei si girò di scatto. Non l’aveva neppure udito entrare.
“Scusa spero che non ti dispiaccia. Volevo immedesimarmi, volevo provare a capire che cosa potrà accadere, e qui pare d’essere sospesi nel vuoto dello Spazio… con un po’ di fantasia posso far finta di volare via, immaginando come sarà la mia dipartita… forse…” e deglutì.
Lui la osservò tacendo, voleva che sputasse quel rospo che la opprimeva, ma non intendeva forzarla minimamente, era lei che doveva scegliere di parlare liberamente.
La ragazza sospirò forte “Harlock io ho paura. Una paura fottuta…” gli disse infine.
Lui si avvicinò e sedette accanto a lei “Ė normale che tu ne abbia” le disse, cingendole le spalle con un braccio e facendola appoggiare a sé.
Vorrei dirti quanta ne ho anche io. Quanto mi costi lasciarti andare via da sola. Non poterti essere di conforto nel momento più difficile della tua vita. Non poterti proteggere come vorrei. Ma ti ho fatto una promessa e la manterrò.
“Ho istruito Yattaran a dovere e tecnicamente non devi avere nessun tipo di dubbio o timore. Per il resto io sarò comunque presente” poi la fissò dritta negli occhi, con quel suo sguardo profondo e melanconico. Era pieno d’amore e specchiava la sua grande profondità d’animo. Era un uomo indurito dalle circostanze, ma puro di cuore, con quella voce così bassa e amabile che era quasi una melodia per lei, le disse: “Io sarò vicino a te per sempre, anche a Londra, ci sarò perché una parte di me viene via con te. Ė tua, e niente e nessuno te la potrà mai togliere” le disse piano, carezzandola, con parole che le sciolsero il cuore. Ne aveva così bisogno e lui sembrava essere arrivato proprio al momento giusto.
Vorrei tanto che i sogni potessero realizzarsi. Vorrei poter rimanere ed imparare ad essere una di voi. Vorrei poter addormentarmi e svegliarmi con te ogni giorno, vorrei poter essere libera di dedicarti la mia vita… ma non ti toglierei mai la speranza, non un’altra volta, rimanendo potrei forse morire e ti ricaccerei ancora una volta nell’inferno, preferisco affrontare l’ignoto piuttosto che farti del male.
Si era stretta a lui come se potesse infonderle attraverso il calore corporeo coraggio e forza “Mi passerà… è solo che non so come accadrà, dove e come mi troverò…” gli disse in un soffio.
“Ho parlato di questo con Tochiro. Lui era un grande scienziato e ora ha accesso a canali d’informazione privilegiati tramite la fibra interluminare
(1),  sicuramente passerai di là con la navetta. Ma non ti spaventare, Yattaran sta mettendo a punto uno speciale dispositivo per cui, una volta a Londra dovrai uscire subito, azionarlo e quella si autodistruggerà senza lasciare frammenti ma solo cenere, che si disperderà non lasciando tracce. Nessuno potrà ricavare informazioni, né capire che hai viaggiato nel tempo”.
A questo lei non aveva pensato.
“Oh mio Dio! E se arrivo per esempio a Piccadilly in pieno centro? Farò una strage!” gli disse preoccupatissima.
Lui sospirò “Speriamo di no, ad ogni modo credo che il professore abbia contemplato questa evenienza nella costruzione della Chiave Sonica, mi diceva Yattaran che difficilmente dovresti arrivare dove c’è molta gente, ma è un rischio che certamente dovrai correre” le disse sincero. Avrebbe dato la sua vita per lei, ma non poteva fare niente e non intendeva mentirle. Se voleva salvarla doveva solo infonderle coraggio e fiducia e lasciarla andare via sperando che ce la facesse, con le sue forze, non poteva fare altrimenti. Per fortuna Tochiro lo aveva molto tranquillizzato in merito. Era certo che la ragazza non avrebbe corso gravi rischi e sarebbe rientrata nel suo arco temporale con relativa facilità. Questo gli aveva regalato appena un soffio di quiete, ma certo non la serenità.
Joy deglutì e il cuore cominciò a martellarle in petto.
“Ma starò facendo davvero la cosa giusta?” chiese a lui, ma più che altro a se stessa, a voce alta.
Harlock sospirò per l’ennesima volta.
“Nessuno sa mai quale sia la cosa giusta. Chi crede di essere nel giusto assoluto sbaglia. Io stesso ho commesso il mio più grave errore credendo di fare una buona cosa. Quindi non posso dirti se è la cosa giusta in assoluto, ma so sicuramente che è la cosa giusta per te. Non puoi rimanere qui e condannarti a morte quasi certa, quando hai una possibilità. Devi essere coraggiosa e devi affrontare il tuo destino a viso aperto. Io so che ce la puoi fare. Non devi arrenderti”.
“Vorrei avere la tua forza…” disse lei piano rannicchiandosi ancor più in quel mezzo abbraccio.
Lui sorrise appena, soffiando l’aria dalle narici.
“Penso che tu sia molto più forte di quanto ti sembri, solo che non te ne rendi conto. La tua semplicità di metterti nuda davanti agli altri non avendo paura di mostrare le tue debolezze, accettando i tuoi limiti, dandogli senso e trasformandoli in energia e reazione, è simbolo di grande forza. In te c’è verità, dolcezza, sensibilità, ma anche determinazione e amore. Ho conosciuto ben poche persone così ricche e forti. Solo due a dire il vero” le disse, prendendo la sua mano e portandosela alle labbra per baciarla. Si riferiva a Maya e Tochiro, ma non lo esternò.
Era consapevole che lei era davvero giusta per lui, come lo era stata Maya a suo tempo e si riteneva fortunato di aver potuto amare due donne così diverse, ma anche così simili. Entrambe forti e coraggiose, ma anche dolci e fragili. Benché fossero molto differenti l’una dall’altra.
Una volta tanto fu lui che decise di fare leva sui sensi di colpa di lei. Assolutamente solo per il suo bene “Devi farlo anche per me. Non sopporterei di vederti star male. Sono quasi impazzito quando hai avuto quella crisi, ero scivolato in un pericoloso stato catatonico ed ero come svuotato. Non potrei riedificare la Terra, questa volta non ce la farei a superare un simile trauma”.
Non era vero che non ce l’avrebbe fatta e anche Joy lo sapeva, ma non le importava, era il gesto che stava apprezzando, quindi gli sfilò un guanto e poi fece lo stesso con il suo e intrecciò le dita con le sue. Aveva bisogno di un contatto diretto con lui.
“Non tornerò indietro sui miei passi e non mi farò condizionare dalla paura. Seguirò il tuo esempio e affronterò il destino a testa alta, come fai sempre tu. Poi succeda quel che deve succedere. Io credo di essere pronta”. 
Era vero. La sua vicinanza la rendeva forte. Yattaran aveva avuto ragione aveva fatto bene a parlare con lui. Harlock era la sua ancora, la sua roccia di granito, il suo scudo di protezione. Il suo esempio e le sue parole, le erano entrate dentro come un fluido benefico, che aveva ridimensionato la paura e rafforzato la volontà.
Sapeva con certezza che lui avrebbe comunque riedificato la Terra, anche se lei fosse morta lì, in quel preciso istante, ma sapeva che se ne sarebbe attribuito la colpa morendo nuovamente dentro, e allora preferiva rischiare la vita nel viaggio, piuttosto che vederlo ridotto come quando l’aveva appena conosciuto. 
Rimasero lì ancora un po’, senza parlare. Seduti su quell’oblò particolare che si affacciava sull’ignoto mistero astrale. In un silenzio che faceva da contorno ad una realtà particolare, strana, indecifrabile.
Ogni tanto la dark matter tuonava, sembrava portare con sé un presagio di sinistra tempesta, che strideva con quell’immagine di pace e impalpabile bellezza, che si scorgeva sotto di loro.
Condivisero il silenzio assorti, e per un po’ rimasero come sospesi con il muto accordo di non pensare e non parlare, ma di godere la lieve pace e la reciproca vicinanza, come un dono prezioso, che andava centellinato al pari di una libagione prelibata, di cui non andava sprecata neppure una goccia.

Più tardi quando furono in cabina, dopo aver cenato, Harlock estrasse di tasca un pacchettino legato con uno spago.
Joy lo guardò curiosa.
Il Capitano era un po’ titubante, si schiarì la voce e poi disse “Ho pensato che forse avresti avuto piacere di avere un ricordo di questa tua permanenza qui…” le disse non tanto convinto, ma solo perché non era solito fare certe cose e si sentiva tremendamente fuori posto “…con me” aggiunse finendo la frase in un soffio. Non che non fosse un uomo avvezzo a fare gentilezze ad una donna, solo che la vita che faceva, e tutte le circostanze del passato, lo avevano arrugginito molto in quel senso; e poi era sempre il solito Harlock, sentimentalmente chiuso e schivo, sempre un po’ impacciato.
Il cuore di Joy cominciò a battere forte, questa era una cosa che proprio non si sarebbe mai aspettata e s’intenerì. Prese il pacchettino e gli sorrise “Grazie” sussurrò deglutendo.
“Aprilo” la esortò lui timidamente. Era incerto, si sentiva un po’ emozionato e un po’ sciocco, una sensazione strana per lui, che lo faceva stare sulle spine.
La ragazza con molta cura tirò lo spago e aprì la carta, simile a quella da pacchi, dentro scoprì esserci una collanina di chiara foggia antica, da cui pendeva un medaglione ovale non molto grande e finemente lavorato ad intarsio. Sembrava di ottone oppure era oro ma molto antico, ma poco importava il materiale. Era curiosa, stupita e anche emozionata. Era un dono bellissimo e del tutto inatteso. Notò che c’era come uno sportellino, aprì e rimase molto sorpresa, dentro incastonato vi scorse metà parte di un fiore essiccato: una Camelia Japonica
(2).
Joy guardò Harlock incredula. Un fiore era una cosa rarissima e a dire il vero non ne aveva mai visti da nessuna parte su quella nave. Lui si alzò e aprì il cassetto della sua scrivania, tirò fuori la sua Moleskine e l’aprì. Nel mezzo c’era l’esatta metà di quel fiore.
“Era di Tochiro. Aveva questa pianta che teneva nel suo laboratorio. Era l’unica pianta che c’era sull’Arcadia. Dopo che lui morì, prima di aprire i motori a dark matter e dirigermi sulla Terra l’ho preso e l’ho messo qui, dove ha riposato fino a qualche giorno fa” le spiegò piano, quasi con riverenza, per farle capire il valore di quei pochi petali incastonati in quel medaglione. “Ė una parte di me che viene con te” le disse candidamente e in quel gesto così semplice c’era in realtà tutta la sua profondità, di uomo, sconfinata come la galassia che stavano attraversando. La ragazza si commosse moltissimo ma con grande forza di volontà riuscì a trattenere le lacrime sebbene i suoi occhi fossero lucidi.
“Non so cosa dire…” soffiò appena.
Sapeva il valore di quel fiore per lui e quel regalo valeva per lei più di qualsiasi altra cosa al mondo. Gli aveva davvero donato una parte di sé.
Lui le si avvicinò le prese la collana dalle mani, aprì con cura il gancio e poi gliela mise attorno al collo e la chiuse.
Poi le sorrise. 
“Ė un gesto bellissimo” riuscì infine a dirgli prima di volare letteralmente tra le sue braccia e stringerlo fortissimo, così tanto che sembrava voler fondersi in lui.
Harlock contraccambiò quell’abbraccio così vivo e forte. E inalò il suo profumo come amava fare da sempre.
Erano così stretti l’un l’altro che i loro cuori sembravano avere un solo battito.
E lui stava già cominciando a salutarla, proprio come si era ripromesso.
Non ci fu più bisogno di altre parole. I loro baci, le loro carezze, i loro corpi, parlarono come sempre per loro.
Le sfilò delicatamente la giacca di pelle, senza staccare lo sguardo dai suoi occhi, senza fretta, facendogliela poi scivolare lentamente dalle spalle. La guardava come se la vedesse per la prima volta, come se fosse una cosa rara e preziosa. Cominciò a baciarla mentre con delicata lentezza continuava a toglierle i vestiti di dosso.
Joy ricambiò i suoi baci e con la medesima dedizione che aveva usato lui con lei, gli sfilò il giacchetto e il maglioncino, ricambiando il suo sguardo e le sue carezze, lasciando che i suoi gesti gli esprimessero tutto l’amore che sentiva dentro di sé. Rimasero completamente nudi, lei con solo il medaglione addosso, e cominciarono a fare l’amore come se il tempo fosse magicamente tornato indietro, come quando erano sereni e tutto appariva più semplice e già scritto. I loro corpi uniti si muovevano piano, languidamente come se non fosse importante il piacere, ma il prolungamento del contatto, l’unione e la fusione perfetta di carne e anima.
Si carezzavano e si baciavano guardandosi ma chiudendo poi anche gli occhi per vedersi solo con i gesti e le sensazioni che si stavano donando a vicenda. 
Le gambe intrecciate, le labbra morbidamente sigillate le une sulle altre, si lasciavano e si cercavano tra lievi sospiri.
Harlock era dolce ed esigente, delicato ed impetuoso, tutto ciò che la sua natura controversa racchiudeva in lui e lei gli si stava donando completamente, sbocciando per lui come una corolla per rendere ancora più intensa la loro unione.
Sembrava dovesse essere l’ultima volta che stavano insieme e facevano l’amore, ma non era così, eppure quella sera si stavano congedando.
Harlock mentre la baciava ed era ancora perso in lei le confessò mentalmente tutto l’amore che sentiva. Le giurò che sarebbe andato da lei appena fosse stato possibile, perché non avrebbe permesso al destino infame di portargli via un’altra volta la donna che amava. Che avrebbe pagato il suo debito fino in fondo, ma poi sarebbe andato a riprendersela, fosse stata anche l’ultima cosa che avrebbe fatto.
Joy non udì quei pensieri eppure si rese conto che era diverso, che c’era qualcosa in lui che le arrivò dritto al cuore e mentre le passava le dita tra i capelli perdendosi in quell’iride di miele, capì in qualche modo che tra loro non sarebbe finita semplicemente così.  
Poi furono investiti con impetuosa prepotenza da sensazioni intense che presero il sopravvento su qualsiasi pensiero e muto giuramento. Non ci fu più posto se non per quel limbo infinito dove arrivarono all’unisono e da dove insieme precipitarono in un abisso scintillante, perdendosi in un oblio meraviglioso, che finì per stordirli.
Rimasero come sempre abbracciati e silenziosi. 
Le parole ora più che mai erano davvero inutili tra loro.

I giorni avvenire furono molto particolari. Belli e brutti. Troppo corti. Ma intensi. Pieni di cose da fare insieme. Alla fine passarono quasi ogni minuto di tempo l’uno con l’altra. Joy aveva preso a stare anche in Plancia, le ore che passavano separati erano davvero poche.
Il tempo però fu maligno e sembrò volare più veloce del suo ritmo normale.


***

Harlock aveva lasciato Joy un paio di ore prima. Era stato da Tochiro e ora stava andando in cabina dove sapeva lo stesse attendendo.
Quando arrivò. Il silenzio lo investì. Lei non c’era e sulla tavola c’era un pacco di carta legato con lo spago.
Al suo cuore mancò un battito e il respiro gli si spezzò morendo in gola.
Si avvicinò alla tavola e prese l’involucro che era abbastanza ingombrante tra le mani.
La sua ragione aveva già capito, ma il suo cuore ostinatamente no. Eppure quel pacco e la sua assenza potevano significare una cosa sola…
Si lasciò cadere sulla sedia appena confuso, poi si tolse i guanti e cominciò ad aprire l’incarto. Con sua grande meraviglia si trovò tra le mani uno splendido Wakizashi
(3) di circa trenta centimetri di lunghezza. Notò che l’impugnatura di legno, in cui era incastonata la tipica lama curva, era rifinita con cordoni azzurri intrecciati tra loro, da cui s’intravedeva un basso rilievo raffigurante un Suzaku(4). Ma la cosa che lo turbò profondamente fu il nastro rosso di seta che pendeva dall’elsa. Chiaramente era un riferimento a Gekka-o(5), che incredibilmente, era strettamente legato alla cerimonia del sake, che lui aveva voluto condividere con Joy e che si chiamava San San Kudo(6).
Praticamente lui l’aveva quasi simbolicamente sposata con un’antica cerimonia Samurai e lei di rimando gli aveva regalato la spada che ogni samurai portava con sé, chiamata “Guardiano dell’onore”, a cui era legato il filo rosso che simboleggiava il dio del matrimonio nella mitologia giapponese, che si narrava fosse solito legare mani e piedi degli innamorati con appunto proprio un filo di seta rossa. Rimase profondamente turbato dall’empatia che c’era tra di loro e che li avrebbe legati per sempre, anche se lontani anni luce l’uno dall’altra. Tutti e due avevano voluto legarsi simbolicamente, ma senza voler legare di rimando l’altro, lasciandolo di fatto libero. Una cosa straordinaria che cementava ancora di più il loro amore.
Rimirò il meraviglioso Wakizashi di cui conosceva molto bene il profondo significato. Un’arma bianca portata dai samurai sempre a contatto con il corpo, mentre la più famosa Katana era portata esclusivamente in battaglia. Quando erano indossate insieme, la coppia di spade era chiamata Daisho “grande e piccola”, grande era la Katana e la piccola il Wakizashi. Mentre il samurai poteva a volte abbandonare la sua Katana, per esempio in caso di visite ufficiali, non si separava mai dal Wakizashi. Quindi era chiaro e limpido che lei volesse per mezzo di quell’arma, come lui per mezzo del medaglione, stare sempre insieme all’uomo che amava.
Harlock prese il Wakizashi e lo indossò a contatto con la pelle sotto il maglione. Quindi scorse una cosa che non aveva notato prima. Un bigliettino.
Lo aprì.

Né con te, né senza di te.
Per sempre.
Joy

E mentre Harlock leggeva quelle parole, Joy si era appena lanciata nell’ignoto seguendo il suo destino.

NOTE: 
I miti giapponesi descritti in questo capitolo sono frutto di una ricerca in rete di cui non ho conservato i link ma solo le definizioni, non rispondo di eventuali inesattezze, quindi prendetele per buone così come le leggete, anche perché così sono e così resteranno in ogni caso :) 
L’arma esiste e la sua spiegazione proviene da wikipedia, così come esiste il rito delle tre coppe di sake chiamato San San Kudo di cui potrete trovare ampie e varie spiegazioni antiche e moderne semplicemente googolando ;)

Glossario:

1 INTERLUMINARE: termine completamente inventato da me che dovrebbe rappresentare la rete (facsmile di fibra ottica odierna) come sarà nellanno 2977 in cui si svolgono le vicende sullArcadia

CAMELIA JAPONICA: tipo di fiore Giapponese con ben 80 specie diverse di cui una ricorda moltissimo il fiorellino bianco che appare nel film. (Googolate e troverete)
Se qualcuno si chiedesse come fa un fiore essiccato a resistere 100 anni, la risposta 
è che questa  è fantascienza e che questa è una fanfic, quindi è tutto lecito, ma ci possono essere ben due risposte volendo.
La prima 
è che se nel film Titatic un disegno a carboncino resiste quasi 70 anni sottacqua, perché non dovrebbe farlo un fiore essiccato in unagenda? La seconda è la risposta jolly: merito delle immense ed infinite proprietà della dark matter! :P

 

3 WAKIZASHI: Il wakizashi è un'arma bianca manesca tipo spada del Giappone, portata dai samurai sempre a contatto con il corpo, là dove la katana era portata esclusivamente in battaglia. Veniva utilizzata durante la cerimonia di suicidio del Seppuku. La sua lama è lunga dai 30 ai 60 centimetri. Il wakizashi era solitamente portato dai samurai insieme alla katana. Quando erano indossate insieme la coppia di spade era detta daisho ("grande e piccola", grande per la katana e piccola per la wakizashi).Mentre il samurai poteva (a volte) abbandonare la sua katana, per esempio in caso di visite ufficiali, egli non si separava mai dal wakizashi, che veniva chiamato "il guardiano dell'onore". La coppia di spade veniva portata dal samurai infilandole nella cintura: la katana al fianco sinistro, ed il wakizashi davanti al ventre (hara, sede dello spirito dell'uomo per i giapponesi). Da qui il concetto di guardiano dell'onore, che spiega anche perché i samurai si tagliassero il ventre per suicidarsi (seppuku). Durante tale rito, il ventre, tradizionalmente sede dell'anima del samurai, veniva trafitto e squartato mediante la wakizashi; lo scopo era per l'appunto quello di mostrare la propria anima pura e, pertanto, non macchiata dal disonore.
Siccome per me Harlock è un fottuto samurai (eh sì le parole di Kei nel capitolo Cicatrici, sono PROPRIO le mie) non ho saputo resistere e c’ho infilato in mezzo questa cosa che secondo me è compatibile con il personaggio

SUZAKU: Il termine Suzaku significa “l’Uccello Rosso”. Il simbolismo di Suzaku si compenetra con quello della Fenice (Ho-oo). Suzaku corrisponde all’estate, al rosso, al fuoco, alla virtù della conoscenza. Fa crescere i piccoli semi facendoli diventare alberi giganti. Raffigurato con piume luminose, ha la testa di un fagiano e la coda di un pavone, e canta una canzone incantatrice, appare in tempi fortunati. 
Poteva essere più calzante?

GEKKA-O: Divinità del matrimonio della mitologia giapponese. È solito legare mani e piedi degli innamorati con un filo di seta rossa 
(Il tanto decantato “filo rosso del destino” che lega gli innamorati nei manga...NdA) 

6 SAN SAN KUDO: Il rito antico del matrimonio Samurai che consisteva nello scambio tra i due sposi di tre coppe di sake che venivano bevute in tre sorsi (sansankudo ). Il matrimonio diventava però regolare soltanto dopo la nascita del primo figlio e poteva essere sciolto con il consenso dei coniugi, o con il ripudio della donna che tornava alla casa paterna, mentre i figli restavano al marito. La moglie di un samurai poteva anche fuggire in un tempio dove rimaneva tre anni e dopo era considerata divorziata.
Quindi consideratela più come una “promessa di matrimonio”.

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Capitolo 44
*** Rivelazioni ***


 

  .43.

 

           

RIVELAZIONI

Joy aprì gli occhi. Era confusa, non capiva dove fosse. La luce fredda che illuminava la stanza era troppo forte e richiuse gli occhi.
“Dottore! Ha aperto gli occhi!” sentì dire da una voce di donna a lei sconosciuta.
“Molto bene. Ora vediamo come procedono le cose nelle prossime quarantotto ore, mi raccomando, tenetela sotto osservazione. Dovete monitorarla costantemente, seguite la prassi”.  
La biologa capì chiaramente di essere in ospedale e piano piano la sua mente cominciò a rielaborare il susseguirsi degli ultimi fatti, anche se tutto era molto, troppo confuso.

 

SPAZIO 
ANNO 2977

Era stato tutto concordato da giorni. Joy si era premunita prima dello scadere dei fatidici diciotto giorni. Sarebbero arrivati sulla nebulosa Kairos del sistema stellare di Krisis, con un cargo da guerra che poteva contenere un aereo navalizzato. Era stato Harlock a suggerire a Yattaran questa soluzione perché, con quell’astronave, avrebbero potuto difendersi da un eventuale attacco, quasi ad armi pari, mentre con l’aereo navalizzato sarebbero stati un bersaglio fin troppo facile. Una volta nei pressi della nebulosa, avrebbero sganciato la ragazza e lei avrebbe raggiunto Kairos.
Quando giunse il giorno della partenza, Joy rimase fino all’ultimo insieme ad Harlock, facendo uno sforzo sovrumano per mostrarsi tranquilla. Le riuscì bene perché erano giorni che si preparava mentalmente e lui, per sua fortuna, era molto assorto nello studio di alcune carte interstellari, alla ricerca di un luogo sicuro in cui rifugiarsi In-skip, durante eventuali attacchi futuri. All’ora stabilita, gli dette un fugace bacio sulle labbra per non insospettirlo e, con la scusa di andare a controllare una cosa in laboratorio, si allontanò.
Circa un’ora dopo, insieme a Yattaran, Meeme e Yama, che si era unito all’ultimo momento, salì sulla più grande delle astronavi presenti sull'Arcadia
(1), dove era stato inglobato un aereo navalizzato, quindi, aperti i portelloni, partirono in tutta fretta. Per tutto il viaggio, che comunque fu relativamente corto, regnò un silenzio strano ed imbarazzato.
Nessuno di loro si sentiva particolarmente allegro o ciarliero. Tutti volevano favorire la concentrazione di Joy che doveva affrontare una situazione molto difficile e pericolosa, oltre che ignota.
Raggiunto il sistema solare di Krisis, Yattaran si posizionò a distanza di sicurezza e fermò l’astronave. 
“Bene. Sembra che ci siamo” disse sorridendo per rassicurare la ragazza.
Joy era stranamente calma, quasi assente, sebbene il cuore le martellasse furiosamente in petto, quasi lo volesse sfondare.
Tutti si slacciarono dai sedili e raggiunsero la parte finale del cargo in cui si trovava la navetta, era posizionata sopra una specie di botola dalla forma circolare che, una volta aperta, l’avrebbe liberata nello Spazio e lei avrebbe potuto raggiungere da sola Kairos.
“Facciamo in fretta” disse la biologa ad occhi bassi. Era difficile, troppo doloroso. Una parte di lei si stava ribellando svisceratamente a questo viaggio nel tempo, ma ormai il dado era stato tratto e non si poteva tornare indietro, anche se d’istinto sarebbe scappata a gambe levate da lì.
I suoi pensieri però furono interrotti da un suono a lei familiare: quello metallico prodotto dal disarmo della sicura di una pistola. Yama a sorpresa gliela stava puntando contro.
“Io vado con lei. E se non parto io, non parte neppure lei” disse deciso e freddo.
Era voluto andare con loro per forza, adducendo la scusa di voler salutare la biologa e starle vicino fino all’ultimo, nonostante avesse la febbre molto alta e stesse evidentemente molto male. Aveva fatto il diavolo a quattro e per non insospettire Harlock, avevano deciso di accontentarlo, ma nessuno si sarebbe mai immaginato che avesse in mente di andarsene con Joy.
“Yama non puoi andare con lei” gli disse, calma, Meeme.
“Perché?” chiese il ragazzo che stava sudando copiosamente e respirava a fatica; sembrava che la sua salute stesse peggiorando a vista d’occhio.
“Moriresti” gli disse semplicemente.
“Allora questo significa che morirò anche io?” scattò la biologa, guardandola seria.
“No” rispose criptica l’aliena.
Fu in quel momento di distrazione che Yattaran fulmineo colpì con forza il ragazzo e lo stordì, mettendolo momentaneamente fuori gioco.
“Presto, sali sulla navetta e vai!” la esortò Meeme.
“Perché, se devo morire? Mi credi una stupida?” le rispose ribellandosi. C’era qualcosa che le stava nascondendo e che non le quadrava.
“Non puoi perdere questo passaggio perché allora sì, che morirai e morirà anche lui!” e indicò Yama.
“Perché? Chi è? Che c'entra con me?” le chiese a raffica.
Meeme, nonostante la sua natura calma, si spazientì. Non avrebbe dovuto dirglielo, poteva diventare tutto troppo pericoloso, ma non vide altra soluzione.
“Perché lui è…”.
Ma proprio in quel momento, l’astronave fu scossa violentemente. 
Erano stati colpiti.
“Porca puttana! Un incrociatore della Gaia Fleet in ricognizione e temo che ci abbia riconosciuti. Presto Joy, scappa con la navetta e fila su Kairos, ti copro io le spalle, ma devi farlo subito!” la esortò Yattaran.
La biologa non si mosse e fissò torva Meeme.
“Chi è? Non mi muovo di qui se non me lo dici!”.
“Sali sulla navetta e te lo dirò. Hai la mia parola” le rispose risoluta l’aliena.
Joy tentennò qualche secondo ancora e alla fine obbedì, la situazione le imponeva di essere razionale. Non poteva compromettere tutto per una presa di posizione.
A quel punto, quando si fu seduta sull’aereo navalizzato, Meeme si abbassò e in un orecchio, in due parole, le rivelò la vera identità di Yama.
Joy trasalì e la guardò stordita e scioccata. Non le credette. O meglio, le sembrava una cosa impossibile, quindi la sua razionalità le suggerì che fosse una menzogna, ma la situazione era così pericolosa e concitata che davvero non c’era tempo da perdere a farsi domande. Decise che, se di Meeme si fidava ciecamente Harlock, avrebbe potuto farlo anche lei e non le chiese ulteriori spiegazioni.
“E ora vai! Muoviti! Dipende tutto da te, fila via!” le disse ancor più risoluta l’aliena.
Joy annuì e chiuse l’aereo navalizzato, mettendolo in moto. Il portellone sottostante si aprì e volò via verso la nebulosa.
Yattaran intanto era impegnato a sparare contro l’incrociatore della Gaia Fleet che sembrava piuttosto agguerrito. Era una nave molto più grande della loro e stavano correndo il serio rischio di poter soccombere perché i piccoli cannoni in dotazione a quel cargo potevano fare ben poco contro quella nave da guerra. Ad un certo punto si rese conto che, sorprendentemente, a sua insaputa, era stato caricato a bordo un potentissimo missile iron destroyer
(2)
“Harlock!!!” esclamò baldanzoso e rinvigorito Yattaran, quindi non perse tempo, si spostò per correggere la traiettoria di tiro, prese le coordinate, armò il missile e lo lanciò contro l’incrociatore che, colpito, esplose in una palla di fuoco.
“Fottetevi, maledetti soldatini bianchi!” disse ridacchiando e poi si girò verso Meeme “Il Capitano ne sa sempre una più del diavolo, ed è presente anche quando non lo è!”.
Meeme fece un cenno di assenso con la testa sorridendo. L’avevano scampata bella.
Armare la navicella di quel potentissimo missile era stata una decisione che il Capitano aveva preso due giorni prima, perché non era tranquillo. Non potendo essere lì di persona le aveva pensate tutte, era sua intenzione avvertire Yattaran solo che non ne aveva avuto il tempo, inconsciamente credeva e sperava che Joy si sarebbe trattenuta di più, e per questo si era riproposto di farlo l’indomani, ma il tempo era stato più veloce di lui.

 

LONDRA 
ANNO 2034
St Mary’s Hospital Paddington

“Non deve agitarsi, mi raccomando. Sembra sotto choc, è confusa, probabilmente ha avuto un incidente. Meglio che stia tranquilla, nelle sue condizioni è fondamentale. Intanto cercheremo di capire chi è, avvertiremo la polizia che è stata ritrovata questa donna senza documenti…”
“Magari faccia presente anche del suo stato di salute”.
“Sì, certo. Ora mi scusi Infermiera Jones, ma ho un’emergenza e devo scappare, l’affido a  lei e alla sua collega, ripasso più tardi appena mi è possibile”.

Joy sentiva queste voci e ancora non capiva bene. Si era appena ricordata in modo molto confuso ed incoerente del suo viaggio nel tempo.
La confusione la stordiva non facendola essere certa di ciò che le stava capitando. Dove era ora? Perché si sentiva così gonfia e così strana? Che le stava capitando?
Era sulla Terra? O era tornata forse sull’Arcadia? Chi stava parlando?
Sentì come se qualcosa le si muovesse dentro ed ebbe paura. Sussultò, ma improvvisamente una specie di oblio la pervase.
Stava bene.
Si girò e vide Harlock seduto su una sedia.
Le stava sorridendo. Quel mezzo sorriso così bello e dolce che lei amava tanto.
Le prese la mano “Stai tranquilla. Sono qui con te. Andrà tutto bene. Devi solo riposare”.
E il sonno, o qualunque altra cosa fosse, la vinse.

 

SPAZIO
ANNO 2977
ARCADIA

Né con te, né senza di te.
Per sempre.
Joy

Harlock aveva letto e riletto quel biglietto. Quelle semplici parole erano così vere e vive, che ebbero l’effetto di un pugnale penetrato fino al manico nel cuore e lì vi sarebbe rimasto, appunto, per sempre. 
Il suo occhio era velato da una tristezza infinita, che si rifiutò di liquefarsi in una lacrima. Era meglio ingoiarla, perché non poteva farsi sopraffare. 
Ebbe solo un attimo di sbandamento. 
Per un momento, si concesse il lusso di immergersi nel dolore e nella disperazione. Vi affondò piano, poco per volta, e lasciò che quell’angoscia, che si poteva descrivere forse solo pari a quella del seppellimento di un uomo vivo, lo tirasse a fondo, come un sasso lanciato in un lago, poi chiuse l’occhio, prese un bel respiro e lasciò che l’aria gli uscisse piano dal naso. Stava facendo un semplice esercizio di meditazione legato alla respirazione. Una, due, tre volte e poi continuò ancora per un bel po’. E la calma pian piano cominciò ad avere la meglio e riuscì a quietare in piccola parte l’angoscia.
Riemerse.
Prese il biglietto e lo piegò con cura, lo ripose nel mezzo alla sua Moleskine insieme alla parte di fiore rimasta a lui e lo chiuse nel cassetto della sua scrivania.
Uscì dalla cabina e camminò lentamente in direzione della Plancia. 
Tutto era al suo posto.
L’amore della sua vita era andato via, ma non era cambiato niente.
L’Arcadia scura e fredda offriva il suo solito impatto visivo. 
Gli uomini della ciurma, come al solito, erano intenti a sbrigare le loro mansioni.
La nave procedeva placida e la dark matter tuonava e friniva.
Non c’era niente che desse adito a pensare che qualcosa fosse radicalmente cambiato quel giorno.
Infine, andò da Tochiro e lì rimase, per un tempo indefinito.
Quando uscì erano rientrati tutti.
Tutti… tranne Joy ovviamente.

Meeme stava cercando Harlock. 
Yama stava malissimo, peggiorava di ora in ora, sembrava quasi sul punto di entrare in  coma. Doveva fare quella scansione.
Lo trovò finalmente in Plancia che stava discutendo con Yattaran. L’ufficiale gli stava raccontando dell’ultima bravata del giovane pirata.
“Quel ragazzo merita una lezione come si deve!” disse irato il Capitano, e si girò per andarsene a cercarlo, ma l’aliena lo fermò.
“Harlock, temo che Yama stia morendo. Dobbiamo fare immediatamente la scansione al DNA, devo capire!”.
Lui invece non capiva più niente, ma il tono accorato di Meeme, e lo stato di salute del ragazzo, lo convinse a darle finalmente retta. “E sia” disse “Ma non qui. Andiamo nella mia cabina”.
A scansione terminata, i sospetti di lei divennero certezze.
Questa volta Harlock non poté non notare lo choc dell’aliena. Aveva la piccola bocca aperta, gli occhi spalancati e s’illuminò tutta.
“Che hai scoperto?” le chiese torvo.
“Una cosa che ti farà felice e infelice allo stesso tempo, temo…” soffiò piano.
“Ebbene, parla! Santo cielo!” sbottò appena, non era incline ad aver pazienza.
Lei gli si avvicinò e gli posò una mano su una guancia “Yama è un’incongruenza spazio-temporale” cominciò a spiegargli, prendendola molto alla larga. Non era una notizia che poteva dargli a cuor leggero, andava preparato.
“Ne so quanto prima. Che significa?” le disse scostandole la mano. Era molto nervoso.
“Prima devo spiegarti una cosa” sospirò lei. “Vedi, Harlock, per me è più facile capire questo concetto, perché la mia mente aliena ha una capacità di ragionamento molto diversa dalla vostra, e noi nibelunghi riusciamo a vedere e capire cose che a voi risultano confuse, perché siete un po’ più limitati in tal senso” cominciò a spiegargli.
Lui la guardava accigliato e non sillabò. Era stufo di tutti questi misteri, voleva solo la verità.
“Il fatto è che tendete a pensare che il tempo sia lineare. Ma non è così. In realtà, per farti meglio comprendere, lo si potrebbe paragonare ad una sorta di bolla tremolante costituita da tempo e spazio, in cui tutto si mescola e niente ha un inizio e una fine, ma coesiste. Quindi non c’è e non esiste la coerenza, così come la vostra mente umana limitata, da ciò che conoscete come antichi retaggi terrestri, vi fa percepire
(3)”.
“E quindi?” le chiese severo e per niente impressionato da quella spiegazione.
“Yama è tuo figlio, Harlock” le disse finalmente l’aliena.
Harlock dovette sedersi, a dire il vero si lasciò cadere pesantemente sulla sedia e si portò una mano alla fronte, chiudendo l’occhio.
Rimase qualche secondo in silenzio. Senza neppure rendersi conto di che cosa gli si stesse aggrovigliando dentro, una miriade di sensazioni stranissime e contrastanti, tra cui lo sconcerto, vinceva a man bassa su tutte le altre.
“Ma com’è possibile?” le chiese poi frastornato ed incredulo, alzando la testa per guardarla negli occhi.
“Il DNA parla chiaramente”.
“Ma allora…”
E si portò nuovamente una mano sulla fronte, facendo un’associazione che lo scioccò ancora più profondamente.
“Sì” fece Meeme, dando conferma al suo sospetto.

Quando era stato da solo su Cerere da Heizo, per sapere che cosa avesse realmente Joy, il medico gli aveva risposto che Joy era incinta di pochi giorni ed era sicuramente una gravidanza atipica ed anomala per via del contagio.
Essendo infatti lui contaminato dalla dark matter, ovviamente lo era anche il suo liquido seminale, che, a sua volta, aveva contagiato la biologa e di conseguenza anche il feto.
La contaminazione della ragazza fortunatamente l’aveva potenziata e aveva anche rafforzato moltissimo le sue difese immunitarie. Heizo pensava che si fossero attivate in maniera violenta contro il chip ritenuto un intruso, per proteggere la nuova vita che si era appena creata dentro di lei.
Per questo Harlock si era così scioccato ed arrabbiato. Perché dopo quella rivelazione si era ritenuto uno sconsiderato. Credeva di essere stato attento e francamente non pensava neppure di essere in grado di procreare, visto tutto ciò che il suo corpo aveva passato per via della dark matter, ma anche per via dell’età biologica che aveva: centotrentasette anni. Insomma la verità era che non aveva mai pensato a questa cosa e, forse, l’essersi innamorato lo aveva reso un po’ incosciente da quel punto di vista. Era comunque un uomo e quindi la perfezione non gli apparteneva. Semplicemente, non ci aveva pensato, con tutti i problemi e le angosce a cui aveva dovuto far fronte, quella cosa non gli aveva sfiorato nemmeno il cervello. 
Però ora sembrava che ogni tassello del puzzle fosse come tornato al suo posto.
Era davvero sotto choc.
Un figlio… 
Una cosa che non avrebbe mai pensato di fare nella sua vita era proprio quella di diventare padre e ora, di colpo, si ritrovava genitore di un ragazzo che era quasi un uomo, di cui praticamente conosceva pochissimo. Si sentì tremendamente a disagio.
Quasi impaurito. Come se fosse una cosa che non gli appartenesse e non sapesse proprio come gestirla né affrontarla. Era un’assurdità davvero difficile da digerire.
Meeme riprese a parlare.
“Come ti ho spiegato, questo fenomeno è chiamato: incongruenza spazio temporale. Accade quando, per un evento eccezionale e forzoso, come un viaggio attraverso il tempo, due universi paralleli coesistenti vengono in contatto, formando appunto incongruenze, che possono anche essere pericolose. Ė una collisione tra passato e futuro”.
Harlock sospirò, gli sembrava una cosa inverosimile eppure...
“E ora che accadrà, lui morirà?” nonostante tutto, quel pensiero lo angosciava fortemente.
“Speriamo che vada tutto bene, o il suo essere un’incongruenza gli potrebbe costare la vita. Ma se Joy sarà riuscita a tornare indietro nel tempo e lo partorirà vivo, allora, lui sarà fuori pericolo. E’ come un cerchio Harlock, un cerchio infinito che si ripete, sono gli istanti che fluttuano nella bolla e che si aprono e richiudono in se stessi, ed ogni volta ripartono dallo stesso punto, ciò che lei sta vivendo lo ha già vissuto, pur non conservandone memoria alcuna, speriamo che questa collisione non comprometta il futuro di Yama!”. 
Harlock la guardò seriamente preoccupato “Non può morire, sarebbe terribile… io… non posso accettarlo” disse molto turbato, non poteva essere venuto a conoscenza di aver avuto un figlio e perderlo nello stesso istante, era inaccettabile. Era una cosa così particolare e strana che per il momento faceva una fatica enorme a concepirla ed anche a capirla, sebbene si fidasse ciecamente di Meeme e credesse alle sue parole, ma l’angoscia che provava per la salute di Yama era vera e vivida, il sangue, dopo tutto esercitava il suo richiamo anche su di lui.
Non sapeva neppure come si sentisse. Felice, infelice, arrabbiato, incredulo, deluso, impaurito e molto altro ancora. La confusione la faceva da padrona in quel turbine di sentimenti contrastanti. 
“Dobbiamo solo aspettare Harlock” gli disse dispiaciuta.
“Non seminiamo il panico, nessuno lo deve sapere, soprattutto Yama. Dobbiamo proteggerlo. Devo proteggerlo…” si passò una mano tra i capelli. Sembrava essere finito in un incubo orrendo, tra la dipartita di Joy e la sconcertante scoperta su Yama.
Dopo aver perso lei ora rischiava anche di perdere lui, ancor prima forse di averlo veramente trovato.

 

LONDRA 
ANNO 2034
St Mary’s Hospital Paddington

Joy si svegliò dal suo breve sonnellino. Questa volta si sentì meno confusa. Aprì gli occhi e si guardò intorno.
Decisamente non era sull’Arcadia, quella era proprio una stanza di un ospedale.
Si girò e vide la sua compagna di reparto che allattava un neonato.
“Scusa? Ma dove siamo?”. Le chiese incerta, passandosi la lingua sulle labbra secche.
Aveva tanta sete e si sentiva stanca e confusa.
“Oh ti sei svegliata, che bello!” e suonò il campanello per chiamare l’infermiera. “Davvero non sai dove sei?”.
“No, puoi dirmelo?” le chiese Joy appena spazientita. Quella non faceva che sorriderle ma lei aveva bisogno di risposte.
“Ospedale St. Mary a Paddington. Precisamente reparto maternità” le cinguettò “Io sono Lizzie e tu, mia cara?”.
“Mi chiamo Joy. Piacere” rispose meccanicamente, ma la sua testa era altrove.
Un’altra volta sentì come un qualcosa muoversi dentro di lei e sobbalzò.
Questa volta, che era sveglia e lucida, scostò le coperte e con enorme sorpresa scoprì di avere una pancia spropositata.
Cacciò un urlo.
L’infermiera, allarmata arrivò solerte.
“Che c’è?” le chiese una volta al suo capezzale.
“Cos’è? Come è possibile?” le chiese Joy spaventata.
L’infermiera le sorrise cercando di tranquillizzarla.
“Non ti ricordavi di essere incinta? Devi avere subito una temporanea perdita della memoria. Ti ricordi chi sei?”.
Joy intanto stava mentalmente cominciando a riordinare tutte le cose, a metterle insieme e dargli un senso, quando la verità le si rivelò come un fulmine a ciel sereno scioccandola.  Si ricordò che il professor Daisuke le aveva detto che per attraversare il whormhole ci sarebbero voluti anche dei mesi, sebbene lei viaggiando alla velocità della luce non se ne sarebbe resa conto, vivendo il passaggio come immediato. Fatta questa considerazione tutto cominciò ad avere senso, Meeme le aveva davvero detto la verità… cosa che ora le appariva chiara come il sole, dato che era tornata da quell’arco temporale incinta. Non avrebbe mai immaginato di aver concepito un figlio con Harlock sull’Arcadia…  non ci aveva neppure fatto mente locale durante la rivelazione dell’aliena, del resto la situazione era concitata, doveva tornare indietro nel tempo, erano stati attaccati, di certo non poteva fare troppi ragionamenti e mettere insieme le cose; inoltre non era certa che Meeme le avesse detto il vero, anzi era convinta che le mentisse e invece… le sembrò davvero una cosa assurda, incongruente e stranissima ma d’improvviso tutto le parve tornare, si rese conto che Yama era davvero suo figlio! 
Così tutto combaciava: le sensazioni empatiche verso di lui quando era corsa a salvargli la vita, senza sapere neppure lei perché. La straordinaria somiglianza con Harlock, sebbene alla fine ci fossero comunque delle evidenti differenze, quel suo carattere particolare che alla luce dei fatti ora sembrava un miscela del suo e di quello di Harlock, l’amore del ragazzo per le piante, il suo rapporto così conflittuale con Ezra, i gruppi sanguigni! Solo uno zero negativo e uno zero positivo possono concepire uno zero negativo e tutto il resto...
Una lacrima le scivolò silenziosa su una guancia. Era una cosa così bella ma anche così dolorosa e triste, perché Harlock non era lì, non avrebbe mai potuto condividere quei momenti con lei, neppure quelli futuri e questo le spezzava il cuore.
Si ricordò le sue parole: Una parte di me viene via con te. 
Quindi lui lo sapeva? Ecco forse a che cosa si riferiva. Le si strinse il cuore nello scoprire quanto fosse stato forte e quanto probabilmente avesse sofferto dentro di sé, tacendo e agendo solo per il suo bene. Se lo conosceva bene, sapeva che ne era stato dilaniato. 
Non voleva farlo soffrire e invece…
Si portò istintivamente la mano al collo agitata, ma si tranquillizzò subito, il medaglione era la suo posto, e questo la calmò appena un pochino.
“Tesoro, ti ricordi almeno il tuo nome?” le chiese l’infermiera, distogliendola dai suoi pensieri.
“Mi chiamo Joy Takuro. Avvertite mio padre Teinosuke Takuro che sono qui, per favore” e dette loro il numero di telefono di casa. Era molto agitata per via del chip, e comunque sentiva che quello non sarebbe stato un parto normale.
Intanto arrivò l’ostetrica che rimase un po’ con lei, le misurò la pressione e le fece una veloce ecografia per controllare che il feto non avesse problemi e poi, dopo averle dato da bere, la lasciò sola con i suoi pensieri. Durante l’ecografia Joy poté vedere il bambino che aveva in pancia ed avvertì una sensazione stranissima, una grande gioia mista ad una grande paura. Era una situazione emotivamente sconvolgente e troppo destabilizzante. Ancora era difficile per lei capire ed accettare tutte queste cose assieme.
La ragazza si carezzò il pancione. Il piccino scalciava che era una meraviglia, sembrava vispo, forse anche troppo.

Improvvisamente avvertì un dolore lancinante che sembrò come spezzarle in due la spina dorsale, unito ad una contrazione fortissima che la fece gridare dal dolore.
Il chip sfrigolò violentemente e subito le venne una fortissima crisi epilettica.
La ragazza del letto accanto, terrorizzata, cominciò a suonare senza posa il campanello, perché l’infermiera accorresse il prima possibile.
La dark matter si era come appena risvegliata e stava aggredendo violentemente il microchip. 

 

NOTE

1: Mi sono ispirata all’anime del 1978 in cui nell’Alkadia (Arcadia) erano contenute anche navicelle piuttosto grandi.

Nome completamente inventato da me

3 Teoria ripresa dal telefilm di fantascienza che parla di viaggi temporali Doctor Who  
(All rights reserved, no copyright infringement intended)

Pensiero (semi idiota) della autrice: Non avrei MAI pensato che in questa fic (ma neppure in un’altra da me scritta) potesse apparire la dicitura: liquido seminale  *.*  e invece… oddei… vabbé mi cheto scusate, ma non ho resistito, mi fa troppo ridere ‘sta cosa! xD

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Capitolo 45
*** Né con te né senza di te ***


Buona sera!
Con un giorno di ritardo, causa forza maggiore, eccomi a postare l’aggiornamento.
Il secondo capitolo lo posterò domani sera.
Scusate, ma di meglio non riesco a fare!
Ancora una volta GRAZIE a tutti voi che leggete e seguite questa storia, in particolar modo GRAZIE a chi mi lascia un suo pensiero!

Buona lettura! =)

 

  .44.



 

NÈ CON TE NÈ SENZA DI TE

 

SPAZIO
ANNO 2977
ARCADIA

Harlock era in infermeria al capezzale di Yama. Il ragazzo stava male. Peggiorava di ora in ora. Era entrato in coma e Zero per precauzione lo aveva attaccato al respiratore. Purtroppo però le sue condizioni vitali erano sempre più deboli. 
Il Dottore non capiva l’eccessiva angoscia del Capitano. Certo, lui era apprensivo con tutti loro, ma con quel ragazzo sembrava avere un’attenzione un po’ troppo particolare. Gli teneva addirittura la mano e non era una cosa da lui. 
Harlock, mentre teneva la mano a quello che era suo figlio, stava cercando di riordinare le idee. 
Meeme gli aveva detto che Joy era passata attraverso il varco temporale circa dieci ore prima. Secondo l’aliena, se tutto era andato bene, a meno che non fosse arrivata sulla Terra proprio nove mesi dopo, o giù di lì, dato che non si poteva scegliere il tempo esatto di rientro nell’anno 2034, Yama sarebbe dovuto rimanere stazionario fino al parto. Se poi fosse nato vivo, non avrebbe dovuto avere più problemi. Stessa storia se la biologa fosse arrivata dopo averlo partorito. Ma il ragazzo peggiorava di ora in ora, ergo qualcosa era andato storto e di questo non si capacitava
.(1)
La disperazione di Harlock era doppia. Prima di tutto era sconvolto dal fatto che Yama fosse suo figlio e stesse morendo davanti ai suoi occhi, spegnendosi piano piano come una candela che si consuma e poi c’era l’incognita di Joy, se Yama fosse morto non avrebbe mai saputo se lei ce l’avesse fatta e gli spezzava il cuore. Se non si fosse salvata, il sacrificio di separarsi era stato del tutto inutile e quel viaggio maledetto l’aveva solo fatta morire prima del tempo, senza nemmeno una remota possibilità di salvezza. Non poteva accettarlo.
Mentre si macerava in queste congetture, arrivò Kei. La pirata, avvisata da Yattaran sulle condizioni di salute del ragazzo, era corsa lì per avere notizie di Yama e vedendo il Capitano così sconvolto si sentì mancare.
“Sta molto male?” domandò in un soffio; il cuore le batteva forte in petto, era sinceramente preoccupata e dispiaciuta.
“Sta morendo…” rispose Harlock come un automa, senza nemmeno voltarsi e continuando a stringere la mano del ragazzo, come per infondergli coraggio e forza.
Non indossava i guanti e sentiva la sua pelle fredda e leggermente sudata, era una sensazione brutta che trasmetteva solo angoscia.
“Ma possibile che non ci sia niente da fare?” chiese Kei dolorosamente incredula. All’improvviso capì che quel ragazzo era importante per lei, che avevano stupidamente litigato facendosi del male, quando invece avrebbero potuto essere ottimi amici. Avevano gestito male il loro tempo e il loro modo di rapportarsi e ora se ne doleva alquanto.
La domanda di Yuki però fece balenare un’idea folle in testa ad Harlock.
“Dottore potrebbe essere utile una donazione di sangue?”.
Zero fece spallucce “A che scopo? Non ne ha così bisogno. Per guarirlo dovresti avere il sangue magico…” buttò lì facendo una battuta per alleggerire l’atmosfera, era il suo modo di fare. Quella del Capitano era una richiesta insolita e anche non molto pertinente dal suo punto di vista medico, ma non se l’era sentita di scoraggiarlo a priori.
“Non ho il sangue magico ma ho la dark matter!” disse risoluto.
“Potrebbe essere un’ottima idea” disse Meeme che era appena sopraggiunta fece poi un cenno d’intesa ad Harlock che subito si alzò e la seguì fuori.
“Non puoi salvarlo se lei non lo partorisce vivo, perché non sarà mai esistito, ma se c’è qualche complicanza in attesa di risoluzione, la tua idea potrebbe essere utile a rafforzarlo un po’, quindi ben venga la donazione del tuo sangue contaminato, tanto anche Yama è stato contaminato dalla dark matter, attraverso te”.
Rientrarono e fu deciso per la donazione anche se Zero, che non era a conoscenza dei particolari, disse che sarebbe stato tempo perso, ma li accontentò.
A Kei fu chiesto di allontanarsi e le fu promesso che sarebbe stata avvertita in qualsiasi caso, sia di miglioramento che di peggioramento.

 

LONDRA 
ANNO 2034
St Mary’s Hospital Paddington

“Presto, presto! Dovete sedare la crisi e poi portarla immediatamente in sala operatoria, il bambino va fatto nascere subito!”.
Il medico stava impartendo ordini precisi. Quella crisi violenta e improvvisa gli fece pensare, non essendo a conoscenza del chip che la ragazza aveva impiantato in testa, che Joy avesse qualche problema neurologico e voleva far nascere subito il bambino per  poi eventualmente curare lei.
Intanto, dalla sala infermieri cercavano disperatamente di contattare il padre della ragazza, ma il telefono squillava inesorabilmente a vuoto.
“Datele subito del fenobarbital
(2) Appena si riprende dobbiamo farle firmare il consenso per il cesareo, perché i meccanismi patogeni messi in moto dalla crisi possono crearle disturbi della respirazione e quindi la mancanza di ossigeno nel feto. Ci potrebbe anche essere il distacco della placenta, provocato dalla stessa convulsione.(3) La signora deve essere avvisata, deve essere lei a decidere in prima persona e in mancanza di parenti, sarà la sua l’ultima parola”.
“Dottore, ho notato che quando era semi incosciente chiamava spesso un certo Harlock, forse è il marito?” disse l’infermiera mentre l’ostetrica stava eseguendo gli ordini del primario.
“Mi sembra un cognome più che un nome, ma informati, vediamo, magari è il padre del bambino” rispose prontamente il medico.
Intanto l’ostetrica le stava somministrando il fenobarbital e la crisi sembrava piano, piano scemare.
“Appena torna in sé fatele firmare il consenso e preparate la sala operatoria”.
“E se non vuole firmarlo?” chiese l’ostetrica solerte.
“Beh, speriamo che sia ragionevole e lo firmi, altrimenti dovremmo desistere e sperare che vada tutto bene, o uno dei due ci potrebbe rimettere le penne. Fatela ragionare” concluse e, controllando la cartellina medica di Joy, si allontanò per far visita ad altre pazienti del reparto, in altre stanze attigue.

Joy si sentiva strana. Non stava né bene né male. Le sembrava quasi di essere nel grande letto della cabina di Harlock sull’Arcadia. Le pareva quasi di essere rannicchiata tra le sue braccia. Ma era tutto confuso e strano… lo rivide lì, dove l’aveva visto la prima volta: seduto sulla sedia accanto al suo letto.
Le stava nuovamente sorridendo. Sempre quel mezzo sorriso così bello e dolce che lei amava tanto.
“Stai tranquilla. Sono qui con te. Andrà tutto bene…”.
Poi però sparì come dissolvendosi nel nulla e lei aprì gli occhi. La sua era stata solo un’allucinazione…
La luce forte e fastidiosa del neon la riportò bruscamente alla realtà. 
Ma purtroppo non solo a quella. Improvvisamente avvertì dei dolori lancinanti e le sembrò di non poter resistere.
La crisi, e forse anche la dark matter, stavano accelerando il parto.


SPAZIO
ANNO 2977
ARCADIA

Il Dottor Zero era basito. Se glielo avessero raccontato non ci avrebbe mai creduto, di fatto Yama stava scomparendo e non metaforicamente parlando, ma proprio materialmente. Il ragazzo sembrava essere diventato simile ad un invertebrato. La pelle gli si era assottigliata e si era trasformata, appariva trasparente come quella di una medusa e si potevano vedere attraverso i capillari, le vene e tutto il sistema linfatico.
Era una cosa raccapricciante e lui non sapeva darsene una spiegazione logica, né tanto meno scientifica, guardava allibito e non proferiva parola. 
“Sta scomparendo…” disse Meeme molto preoccupata, ormai era inutile mantenere il segreto, visto come stava degenerando la situazione.
“Non può essere” saltò su Harlock, scattando in piedi “Non lo accetto, non dopo tutta la fatica e il dolore che è costato a tutti, maledizione!” aggiunse passandosi una mano tra i capelli, in un moto di stizza frustrata, per poi rimettersi subito al capezzale di quello che sapeva essere suo figlio. Cercava di stare calmo, di avere fiducia, una fiducia incrollabile in Joy e nella sua testardaggine, nel suo coraggio, ma era dura, anzi durissima; ogni minuto la speranza scemava, scivolando via come sabbia tra le dita.
“Qualcuno mi può spiegare che cosa sta accadendo, perché in vita mia non ho mai visto scomparire una persona e mai mi sarei sognato che potesse accadere” sbottò Zero che si stava rendendo perfettamente conto che quei due gli stavano nascondendo qualcosa di molto grosso e sicuramente anomalo.
Alla fine l’aliena lo portò da una parte, lasciando Harlock da solo e gli spiegò tutto.
Il dottore strabuzzò gli occhi “O madre del cielo e della terra e di tutti i pianeti del sistema solare e dintorni! Il figlio del Capitano e della biologa? Che viene da un altro arco temporale? Che sta sparendo perché forse lei non è riuscita a tornare sulla Terra ed a rispedirlo da noi? Ma siete sicuri? Sembra la brutta trama di uno di quei filmacci antichi che colleziona Yattaran in quegli aggeggi prestorici che chiama dvd!
(4)” sbottò. Poi aprì lo stipetto e dette una generosa sorsata di sakè a garganella.
Era troppo scioccato. 
Sebbene vivesse nello spazio e ne avesse viste di tutti colori, era la prima volta che sentiva di uomini che interagivano tra un arco temporale e l’altro. Così come era difficile capire che un ragazzo potesse essere sdoppiato in due linee temporali diverse e che rischiasse la vita, finché non venisse nuovamente partorito, perché spedito nel futuro lo era già stato ed il suo ciclo era concluso e perpetuo. Dette un’altra generosa sorsata di sakè e si impose di fare quello che gli riusciva meglio: curare le persone, in questo caso Yama, anche se era molto preoccupato ed incerto sul da farsi.
Il suo unico cruccio era quello di trovare il modo di aiutare quel ragazzo, ma anche di evitare un enorme dispiacere al Capitano. Già, ma come fare? Non era una cosa normale né mai accaduta prima e nessuno di loro aveva uno straccio di risposta alle domande angoscianti sulla salute di Yama.
Harlock intanto non si era mosso dal suo capezzale, neanche per un secondo. Guardava quel ragazzo che gli somigliava così tanto, con un senso di disagio profondo, come avrebbe dovuto rapportarsi a lui se si fosse svegliato e fosse vissuto? Cosa che tra l’altro anelava con tutto se stesso.
Sapeva che era suo figlio. La ragione lo comprendeva ma il cuore era agitato e confuso, anche se sopra tutto la cosa che più gli premeva era che avesse salva la vita.
In seguito avrebbe affrontato in qualche modo questa nuova condizione genitoriale che gli si era rovesciata addosso come una secchiata di acqua gelida e che lo trovava del tutto impreparato nonché sinceramente preoccupato.
Cercava di non disperare, di essere fiducioso. Nonostante questo era comunque molto spaventato, molto confuso e con sentimenti contrastanti che gli si agitavano dentro. Voleva con tutte le sue forze che Yama si salvasse, ma ancora di più voleva essere certo che Joy fosse salva. Il ragazzo era la sua cartina di tornasole, se si fosse salvato e non fosse sparito, significava che lei era viva e vegeta, che il viaggio era andato a buon fine e che in qualche modo era riuscita a rimandarlo da loro, come avrebbe dovuto essere e come era accaduto in precedenza quando lei, interferendo con il suo futuro, lo aveva incontrato sull’Arcadia.
“Facciamo questa donazione di sangue, magari può dargli una mano, non ne sono ancora convinto, ma tentare non nuoce” esordì Zero, distogliendo Harlock dai suoi pensieri. Era l’unica cosa che gli pareva utile, per il resto non avrebbe proprio saputo che altro fare.

 

LONDRA 
ANNO 2034
St Mary’s Hospital Paddington

Le contrazioni e i dolori erano sempre più forti. Intanto l’ostetrica era arrivata per controllarla.
“Stai tranquilla, le contrazioni sono ancora lievi” le disse per calmarla.
“Lievi?” chiese Joy spaventata “Ma se sembra che mi si spezzi la schiena e mi si stia dilaniando il basso ventre!”.
“È normale cara ,cerca di non agitarti e monitoriamo la loro frequenza”.
Joy però era agitatissima, così agitata che rischiava un’altra crisi, cosa che per fortuna però non avvenne, perché i medicinali in qualche modo, nonostante la dark matter, stavano arginando la cosa. 
Dopo circa un’ora, accadde invece che all’improvviso sentisse del liquido bagnare il letto e si spaventò. Chiamò immediatamente l’infermeria che arrivò con l’ostetrica.
“Ti si sono rotte le acque! Cerca di stare calma, ora ti faccio il tracciato” le disse la dottoressa, procedendo con tutti i controlli e le analisi del caso. 
Sembrava tutto molto, troppo accelerato, in un modo non normale ed inquietante.
“Preparate la sala parto!” disse agli infermieri “E allertate il primario” aggiunse, cercando di non far trapelare con la paziente la sua preoccupazione.
Tutto stava accadendo troppo in fretta, in modo accelerato ed anomalo. I dolori parevano essere sempre più forti e ravvicinati, fino a presentarsi ogni uno-due minuti, con una durata di quaranta-sessanta secondi, praticamente la biologa stava quasi per partorire…
Infatti Joy cominciò ad avvertire che i dolori della zona superiore dell’addome e lombare, diventavano sempre più prepotenti, specialmente nel basso ventre dove erano sempre più intensi e lancinanti.
Afferrò con una mano il medaglione che aveva al collo e lo strinse forte, mentre cercava di sopportare quelle ondate così intense di dolore.
“Ora ti portiamo subito in sala parto” le disse l’ostetrica, facendola accomodare su una sedia a rotelle “Forse sarebbe meglio che ti levassi quella collana cara” provò a dirle, ma la ragazza la guardò malissimo, fece una smorfia digrignando i denti per l’ennesima contrazione, poi trattenne un urlo, emettendo una sorta di ringhio soffocato, ed infine disse a fatica, ma decisa “Neanche morta!” stringendo ancor di più il medaglione nella mano, quasi fino a farsi male.
“Non la agiti, portiamola via” consigliò il medico che era appena sopraggiunto e così la trasportarono d’urgenza in sala parto.
La ragazza venne sistemata nell’apposito lettino, l’ostetrica le fece fare la respirazione e lei cominciò a spingere e sudare copiosamente; si rese conto che partorire era più faticoso e doloroso di quanto uno potesse mai immaginare. Continuava a stringere in modo convulso quel medaglione come se in un certo senso le desse l’illusione che lui in qualche modo fosse lì con lei, traendone quasi conforto.
Le contrazioni intanto si erano fatte sempre più dolorose e nonostante la biologa cercasse di spingere a più non posso, la situazione non si sbloccava.
Alla fine ci pensò il medico, facendo un’opportuna leva sulla pancia di Joy e finalmente, dopo un paio di spinte più violente e un dolore incredibile, il bambino mise fuori la resta ed uscì. Era sano e pianse subito.

 

SPAZIO
ANNO 2977
ARCADIA

Nello stesso istante, mentre in un altro arco temporale veniva alla luce, nell’infermeria dell’Arcadia, Yama di colpo tornò normale e scattò a sedere sul lettino. Si strappò il respiratore dalla bocca, prendendo una gran boccata d’aria, come se fosse stato sul punto di affogare e fosse appena riemerso in superfice per respirare.
Tutti trasalirono.
“Stai bene?” gli chiese subito Harlock, avvicinandosi ancora di più a lui per accertarsi che fosse tutto a posto.
Il ragazzo si girò confuso e si portò una mano alla testa.
“Sì… almeno mi pare… ma che è successo?”.
Zero stava per parlare, ma Harlock lo fulminò con un’occhiataccia.
“Sei stato molto male, per via di un virus, o qualcosa del genere temevano per te e la tua salute, sei stato molto tempo incosciente. Come ti senti ora?” gli chiese preoccupato, ma anche sollevato. Intanto scambiò un’occhiata d’intesa con Meeme, gli sembrò molto tranquilla e si concesse il lusso di sospirare.
“Non lo so… mi pareva di essere come sospeso…” cominciò a spigare incerto Yama “Una sensazione molto strana, come se fluttuassi in una sorta di luce vivida, non vedevo né sentivo niente, ma stavo tanto bene…”.
Parlava e sembrava normale. Era tornato lui, in salute, il dottore decise comunque di fargli qualche controllo e qualche analisi, per sicurezza.
Harlock rimase per tutto il tempo con loro finché non ebbe la conferma che fosse tutto a posto, poi lui e Meeme uscirono insieme dall’infermeria.
L’aliena gli poggiò una mano su una spalla “Harlock è andato tutto bene. Yama è salvo quindi anche Joy lo è ”.
Harlock non rispose, continuava a camminare profondamente immerso nella confusione del suo sentire interiore. 
Poi d’improvviso, si girò verso di lei e parlò.
“Nessuno deve sapere di Yama. Devi dire a Zero che deve mantenere il segreto” le comunicò serissimo il Capitano.
“Intendi non dire la verità al ragazzo?” gli chiese lei un po’ contrariata.
“Saprà la verità, ma a tempo debito”.
“Harlock non credi che…”.
Ma lui la interruppe subito “Santo cielo Meeme, devo ancora rendermi conto di questa cosa, come puoi pretendere che sia in grado di affrontare un simile discorso con lui! Non saprei neppure da che parte cominciare”.
“Più tardi lo farai e peggio sarà. Ma rispetteremo la tua volontà” concluse lei, capendo che non era proprio il momento di affrontare quella questione.
Lui non rispose e continuò a camminare. Improvvisamente si sentì stanco, come se di colpo i suoi centotrentasette anni gli fossero piombati addosso tutti insieme e lo avessero piegato sotto il loro peso. Nonostante fosse forte e fosse determinato, era carne e sangue impastata con un’anima piena di sentimenti, e in quel momento sentiva più di ogni altra cosa la terribile mancanza di lei.
Arrivò in cabina, si tolse il mantello, si sedette e si versò del vino, aveva decisamente bisogno di bere; scolò il bicchiere in una sola volta e si passò una mano tra i capelli.
Chissà come stava lei, come erano andate le cose. Si chiedeva se era sola, se avesse ritrovato subito suo padre, come se la sarebbe cavata e mille altre cose ancora. Si sentiva impotente e frustrato, era un sensazione davvero brutta. Bevve ancora, e ancora, ma non più di quello che sapeva potesse reggere, difficilmente si lasciva andare ubriacandosi, non era nella sua indole commiserarsi. All’improvviso si alzò e andò alla scrivania, aprì il cassetto e tirò fuori di nuovo quel biglietto. Lo spiegò con cura e lesse ancora una volta.

Né con te, né senza di te.
Per sempre.
Joy

Quelle semplici parole erano così tremendamente vere e dolorose. Come se fossero una nuova condanna da espiare, li relegavano sospesi in un limbo infinito da cui era quasi impossibile uscire.
Già, quasi impossibile, perché c’era quella remota possibilità a cui ora lui si aggrappava con tutte le sue forze. E poi c’era Yama, a cui cercava quasi di non pensare. Era così turbato e così preoccupato. Come si doveva comportare? Che doveva fare? Ma soprattutto era spaventato dalla reazione del ragazzo, chissà come avrebbe reagito, scoprendo l’assurda verità.
Da una parte però era quasi emozionato. Una sensazione stranissima perché in fondo, nonostante la rabbia e l’impotenza, cominciava a carezzare l’idea che esistesse qualcosa di suo e di Joy, che fosse frutto del loro amore, sebbene fosse già un ragazzone di venti e passa anni. Era un’emozione forte,  anche se castrata da tutta una situazione così strana e particolare. 
Si sorprese a pensare come sarebbe stato vederlo piccolo, magari tenerlo in braccio, o accudirlo come aveva fatto tantissimi anni prima con Mayu, la figlia di Tochiro.
Fu così che Harlock si concesse un’intera serata immersa nei pensieri e nei ricordi, annaffiata da fiumi di buon vino che quasi lo ottenebrò, poi passò il resto della nottata da Tochiro.

Tutti a bordo ormai sapevano della partenza di Joy, anche perché lei aveva avuto cura di far trovare un bigliettino di saluti a tutti coloro che avevano interagito con lei durante quei mesi trascorsi sull’Arcadia.
Masu si era commossa fino alle lacrime, ma anche Kei si era sentita molto triste. Era come se si fosse separata da una cara e vecchia amica. Zero poi era rimasto stupito da quel pensiero così delicato e così anche tutti coloro che avevano ricevuto i suoi saluti.
Non aveva voluto salutare nessuno di persona e tutti avevano capito il perché. Sarebbe stato troppo doloroso per lei.
Tutta la ciurma, nessuno escluso, era addolorato per il Capitano. Tutti sapevano, anche se tutti avevano fatto finta di ignorare. 
Conoscevano il condottiero e avevano profondamente rispetto per l’uomo che ritenevano retto, ma anche umano, e quindi con il diritto di avere una sua vita privata che fosse, appunto, solo sua.
Sapevano che avrebbe sofferto tantissimo, ma che non avrebbe mai fatto trapelare niente. Così l’unica cosa che potevano fare per lui, era assolvere al meglio ai loro compiti ed essere una buona ciurma, perché la missione di riedificazione della Terra che stavano affrontando era importantissima, pericolosa e molto lunga.

 

 

Alla fine di quella lunga notte, Harlock lasciò la sala del Computer Centrale.
S’incamminò per gli scuri e silenziosi corridoi della sua nave, sempre con il proprio passo marziale, sempre con il suo incedere sicuro da comandante, nonostante non avesse dormito e avesse mille pensieri e preoccupazioni che gli affollavano la mente.
Arrivò in Plancia accolto dagli sguardi dei pirati presenti, che lo trovarono cupo, serio, concentrato e puntuale come sempre, con il solito cipiglio crucciato da Capitano, accompagnato dal tipico incedere possente che allertò tutti i presenti in attesa di ordini da eseguire. Senza sillabare, si scostò il mantello e sedette sul suo Scranno, mentre in Plancia regnava il più assoluto silenzio, interrotto solo dal rumore degli strumenti di bordo delle postazioni dei due primi ufficiali dell’Arcadia.
Erano tutti in attesa.
E alla fine lui parlò.
“Yattaran, dammi le coordinate” ordinò secco.
Il pirata consultò il computer di bordo e solerte gli rispose, il Capitano allora gli comunicò la nuova rotta e il primo ufficiale la impostò. Quindi Harlock si alzò, con calma raggiunse il timone e l’afferrò saldamente per le caviglie. Si raddrizzò e con maestosa eleganza gli dette una poderosa spinta, tanto dar far ondeggiare il nero mantello che svolazzò appena di lato. 
Subito, a quel tocco, l’Arcadia docile, obbedì al suo comandante e virò, seguendo la traccia da lui impostata, mentre il resto della ciurma riprese solerte le proprie mansioni.
Un nuovo giorno, a bordo della nave più famosa dell’Universo che solcava il mare dello Spazio, era appena cominciato.

 

NOTE ESPLICATIVE

1: Dunque per l’idea del tempo come bolla tremolante che permette Yama di essere in contemporanea adulto sull’Arcadia e appena nato a Londra, che sono due archi temporali che per un evento straordinario (il viaggio nel tempo di sua madre: Joy) coesistono, mi sono ispirata sia  a Terminator, che a Ritorno al Futuro, e un po’ su tutta la filmografia del genere sci-fi/viaggi nel tempo, oltre a tutti gli altri già citati come Doctor Who, Looper, Thor e aggiungo anche la serie Once Upon a Time in cui c’è una coppia (Prince Charming e Snow White che hanno una figlia quasi coetanea loro: Emma e tutti allegramente viaggiano da un universo all’altro) .
Quindi ricapitolando Yama è stato (sempre) mandato da Joy nello spazio, e questo è possibile perché passato e futuro si sono intersecati grazie al viaggio nel tempo di Joy, che ha creato una sorta di “anomalia” se così la vogliamo chiamare, per capire. Quando Joy torna indietro nel tempo il loop (cerchio) “ritorna al suo posto” e i due Yama, una volta che lei lo rimanderà nello spazio, non coesisteranno più, ma ci sarà solo quello adulto sull’Arcadia, e tutto sarà a posto. 
Spero sia chiaro :)

Ecco alcuni link di riferimento per capire ancora meglio (spero)

LOOPER: 
http://www.mymovies.it/film/2012/looper/

TERMINATOR: 
http://it.wikipedia.org/wiki/Terminator_(film)

RITORNO AL FUTURO TRILOGIA: http://it.wikipedia.org/wiki/Ritorno_al_futuro_(trilogia)

ONCE UPUN A TIME: http://it.wikipedia.org/wiki/C'era_una_volta_(serie_televisiva)

DOCTOR WHO http://it.wikipedia.org/wiki/Doctor_Who

*FINE SPIEGONE* 

2: Medicinale per malati di epilessia che si può usare in gravidanza. Non so a che serve né che effetto ha. L’informazione l’ho reperita in internet, se fosse una castroneria pazienza, prendetela per buona, volevo solo usare il nome di un medicinale vero e poi farlo agire nel racconto come meglio mi pareva. Quindi nome vero, il resto, probabilmente è licenza da fanfic ;)

Informazioni vere reperite in internet circa pazienti epilettici incinta

4 Ho immaginato che Yattaran come Harlock collezionasse cose antiche, ma “tecnologiche”. Quindi perché no? Anche dvd e film, d'altronde essendo in una nave nel tempo libero potevano anche dedicarsi a questi hobbies, anche perché non è che potessero avere chissà quali altri svaghi :)

 



 

 

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Capitolo 46
*** Continuità ***


  .45.



 

CONTINUITA’

 

SPAZIO ANNO 2977

Erano trascorsi alcuni mesi dalla partenza di Joy.
Molte cose erano accadute.


L’Arcadia era stata nuovamente e pesantemente attaccata dalla flotta della Gaia Sanction. Avevano tentato di usare una potentissima arma di distruzione chiamata Jovian Blaster. Si caricava usando il pianeta Giove come un cannone al plasma, che poi sparava la sua potenza distruttiva sull’obiettivo, disintegrandolo. Così avevano cercato di distruggere la nave pirata e la Terra stessa, di cui a loro non interessava più niente perché Harlock aveva fatto in modo, entrando tramite Yattaran nella rete d’informazione interplanetaria, di rendere nota a tutti la sua vera e reale condizione. I pirati avevano poi trasmesso, sempre intrufolandosi nella rete, un messaggio in cui spiegavano il loro piano di riedificare il Pianeta, creando grande scompiglio e non pochi problemi al governo Gaia. Di fatto avevano dato una bella scossa alle coscienze dormienti, che ora avevano cominciato a non fidarsi più delle informazioni diffuse dalle reti nazionali.
Era stato per questo motivo che il Plenipotenziario aveva ordinato di scagliare contro l’Arcadia tutta la loro flotta e concesso di usare il terribile e devastante Jovian Blaster. Li volevano neutralizzare a qualsiasi costo.
Ezra, avendo subito compreso che oltre la nave pirata avrebbero distrutto anche la Terra, si era ribellato ed aveva avvertito Harlock. Questa scelta gli era costata la vita, dato che quelli, una volta capito che non stava affatto attaccando i pirati, avevano dato ordine che  le navette della Gaia Fleet lo bombardassero, costringendolo ad una veloce ritirata.
Ezra, con la sua ammiraglia Okeanos, aveva tentato di raggiungere l'Arcadia in un disperato tentativo di salvataggio ma, quando si era reso conto che il potentissimo cannone stava per sparare, si era subito messo in mezzo deviandone la traiettoria in modo da salvare la Terra e lasciando che l’arma sfiorasse appena la nave pirata. Quell’azione non gli lasciò scampo: la sua nave ed il suo equipaggio erano inevitabilmente saltati in aria. Grazie al suo sacrificio, il Jovian Blaster era a sua volta divenuto un facile bersaglio per l’Arcadia. La grande abilità strategica di Harlock aveva consentito di colpirlo e distruggerlo tramite una massiccia esposizione di materia oscura che ne aveva assorbito la potenza, per poi riscagliargliela contro. Era stata utilizzata un’arma sempre a base di dark matter che trasformava l'Arcadia dotandola di una struttura ad ali laterali che si aprivano e funzionavano come una sorta di fionda. Questa operazione complicata e difficile era quasi costata la vita a Meeme che, per rendere attuabile il piano del Capitano, si era dovuta smaterializzare ed inglobare nel motore per potenziarlo al massimo, facendo così uscire fuori quasi tutta la dark matter necessaria a neutralizzare e distruggere il Jovian Blaster. 
Per fortuna poi era riuscita miracolosamente a rimaterializzarsi, con grande sollievo da parte di tutti, soprattutto di Harlock che era stato costretto, suo malgrado, a chiederle questo sacrificio così immenso per il bene comune. Lei, di contro, aveva aderito quasi con sollievo, come se potesse finalmente riscattarsi dall’averlo aiutato a distruggere la Terra, dimostrandosi forte e impavida.
Poco prima di immolarsi, Ezra aveva chiesto di parlare con Yama e lo aveva in qualche modo perdonato per l’incidente alla serra, ma non solo, gli aveva confessato che era stato adottato
(1) e che per questo lui era sempre stato così geloso e scostante nei suoi confronti. Aveva chiesto a sua volta anche il perdono del ragazzo, per poter morire in pace e raggiungere Nami senza conti in sospeso.
Yama ovviamente glielo aveva accordato e si era molto disperato per il suo sacrificio: adottato o meno, lui lo amava davvero come un fratello e vederlo morire era stato straziante.

Questa cosa dell’adozione ovviamente aveva sconvolto tantissimo Yama il quale ancora non sapeva assolutamente niente, né riguardo ad Harlock, né tanto meno riguardo a Joy, che di fatto erano i suoi veri genitori.

Successivamente a questi accadimenti, Harlock si era immerso a capo fitto nella sua missione. Procedeva a testa bassa nelle sue incombenze e così aveva caldamente evitato la problematica Yama. La sua priorità era la Terra e la sua riedificazione, prima avessero messo a punto il processo, prima lui avrebbe potuto fare ciò che gli premeva di più, ovvero viaggiare nel tempo per andare a riprendersi Joy. Era diventato il suo secondo scopo di vita subito dopo la rinascita della Terra.
Con il ragazzo aveva un rapporto conflittuale. Naturalmente la sua affezione era mutata e spesso si sorprendeva a scoprire atteggiamenti molto simili ai suoi, ma anche a quelli della madre e questo lo turbava molto, a volte anche troppo. Tanto che spesso era scostante e molto cupo in sua presenza. Alla fine con lui si comportava forse in modo più severo e più strano che con chiunque altro, perché era ancora a disagio e non sapeva bene che fare né come risolvere il problema, quindi al momento semplicemente lo aggirava e, sbagliando, ne faceva fare un po’ le spese al ragazzo.

“Vorrei capire come mai il Capitano è sempre così ingrugnito con me, insomma tutte le volte che mi rivolge la parola sembra arrabbiato. Pare che io non ne faccia una giusta…” stava commentando Yama con Kei, durante una pausa dal suo nuovo incarico insieme al nuovo biologo, che era ormai a bordo da qualche tempo.
Erano tornati ad essere buoni amici. Avevano capito che tra loro per il momento non ci potevano essere implicazioni sentimentali. Si conoscevano poco ed erano partiti con il piede sbagliato, quindi avevano voluto ricominciare da capo, partendo dalla semplice amicizia, il tempo poi avrebbe stabilito di che reale natura avrebbe potuto diventare il loro rapporto. 
“Sta soffrendo molto, anche se non vuole darlo a vedere. Non deve essere stato facile rinunciare a lei, cerca di capirlo. Tu qui sei comunque l’ultimo arrivato è normale che sia un po’ più duro con te” gli spiegò la ragazza.
“Sì, va bene, ma a volte l’ho sorpreso a spiarmi. Certo lui è furbo, sembra sia sempre nei paraggi per caso, invece sono certo che mi tampina”.
“Alla fine non è mai stata approfondita la faccenda del fatto che vi somigliate così tanto… forse è per quello che ti spia…” commentò a voce alta Yuki, cambiando radicalmente discorso. 
Come tutti, ad eccezione di Meeme e Zero, nemmeno Kei era al corrente della sua vera identità e aveva fatto riferimento a quella famosa volta in cui c’era stata quella discussione nella cabina del ragazzo, dopo che aveva parlato con Joy. 
Yama sospirò e fece spallucce “Tutte cazzate… voi ragazze avete insita questa tendenza al dramma, che vi fa vedere anche quello che non c’è e poi io sono più bello di Harlock, ergo lui non può essere me” e fece una faccia buffissima per poi scoppiare a ridere da solo della scemenza che aveva detto, aveva bisogno di leggerezza; era un po’ a disagio ultimamente, proprio a causa di Harlock perché sentiva, costante, il suo sguardo addosso, non ne capiva la ragione e ne soffriva. Quindi doveva sdrammatizzare ed in questo assomigliava a sua madre. Gli ultimi tempi erano stati difficilissimi per lui, si sentiva solo al mondo, senza più famiglia ed identità. Non ne parlava, ma il fatto di aver scoperto di essere stato adottato lo aveva sconvolto, minando tutte le sue certezze. Come suo padre, era però molto forte interiormente e celava il suo vero dolore ricacciandolo sempre in una parte recondita di sé, cercando di dominarlo.


“Harlock, quando hai intenzione di parlare con Yama?” chiese Meeme al Capitano, prima di bere un sorso di Barolo dall’elegante calice di cristallo e argento, di antica fattura.
Lui non rispose, era impegnato a controllare una carta nautica e quello era un argomento di cui non voleva parlare.
“Ignorarmi non risolverà il problema” disse l’aliena prima di finire il liquido purpureo in tre piccoli sorsi “Non sai quando lei lo rimanderà indietro e se, come ha promesso, farà in modo di evitare l’incidente nella serra, è probabile che tra qualche tempo riappaia Nami, dovresti parlargli”.
Harlock alzò la testa e la guardò accigliato.
“Non comprendo la tua agitazione, Yama sa che Joy farà questa cosa, glielo ha chiesto lui stesso, io che cosa dovrei mai dirgli?”.
“Lo sai benissimo di che cosa devi parlargli e stai rimandando da troppo tempo. Cos’è che ti preoccupa?” gli chiese Meeme avvertendo chiaramente il suo disagio.
“Niente” tagliò corto.
“Sai che non è vero”.
“Meeme, non mi interessa cosa senti, non intendo parlare di questo argomento”.
“Non potrai accantonarlo per sempre”.
“Lo so” ammise, passandosi una mano tra i capelli “Il punto è che non ho idea di cosa dirgli e non so come comportarmi. Sono suo padre, ma non vorrei esserlo” ammise sincero.
“Perché?” gli chiese l’aliena, inclinando appena la testa di lato.
Lui sospirò forte “Non lo so… probabilmente non riesco ad abituarmi all’idea di avere un figlio già grande. Mi manca una larghissima parte della sua vita e sono in difficoltà, mi sembra tutto troppo strano. Non riesco a sentirlo mio, poi la verità è che non ho mai voluto avere dei figli” ammise con cruda sincerità. Un uomo come lui trovava quasi impossibile avere una relazione fissa, figuriamoci avere un figlio. 
Era rientrato nella sua modalità di chiusura e razionale distacco.
In realtà oltre a tutto ciò, era anche molto a disagio nel dover svelare la vera natura del suo rapporto con Joy, sebbene ormai tutti sapessero, non voleva assolutamente rendere nota la loro intimità e anche, in un certo senso, il suo errore. Insomma era molto, troppo geloso delle sue cose personali e Yama era la prova vivente di ciò che lui avrebbe voluto custodire, mantenere segreto e non condividere con nessuno, tanto meno con la sua intera ciurma.
E poi che avrebbe dovuto dirgli? Sai, io sono tuo padre, mi è capitato di mettere incinta tua madre, la biologa venuta da un altro tempo, e così sei arrivato tu, scusa se non siamo stati troppo attenti! Da oggi in poi chiamami papà.
Era sempre il solito Harlock, un uomo molto in difficoltà a rapportarsi con gli altri, figuriamoci con un figlio adulto.
Meeme lo ascoltava e sentiva tutto il suo profondo disagio. Era un evento raro che parlasse così tanto di ciò che gli passava per la testa e infatti vi pose subito rimedio “Ora se non ti dispiace vorrei rimanere solo” concluse all’improvviso. Meno pensava a quella cosa e meglio era, già ci rimuginava troppo per conto proprio, non aveva bisogno dei rimbrotti dell’aliena.
Lei pazientemente lo accontentò. La strada da percorrere per convincerlo le parve ancora molto lunga, meglio non calcare la mano.
Per Harlock c’era anche un’altra questione spinosissima e, da un certo punto di vista, assurda ma di fatto anche se non lo diceva e se ne vergognava, era davvero arrabbiato con Yama.  
Era una cosa illogica, ma a volte ai sentimenti non si può proprio comandare, ed era come se in un certo senso lo ritenesse responsabile della dipartita di Joy.
Certo, l’aveva messa incinta lui, non è che non considerasse la sua di responsabilità, però quel ragazzo era un promemoria vivente e giornaliero nonché il motivo principe per cui lei aveva dovuto lasciare l’Arcadia e quell’arco temporale.
Doveva digerire un sacco di cose, era normale che avesse bisogno di tempo.

Finì di consultare le carte nautiche interstellari e poi si alzò per dirigersi in Plancia.
Appena arrivato dette le coordinate a Yattaran che si stupì.
“Andiamo sulla Terra, Capitano?”.
“Sì. È ora di fare un bel giro di ricognizione per vedere in che reale stato versa”.
“Non sarà pericoloso? Voglio dire, la Gaia Sanction conosce i nostri piani, sarà sicuramente presidiata” commentò saggiamente Kei.
“Nasconderemo l’Arcadia con un ologramma, la saturazione di Dark Matter presente nell’atmosfera potenzierà lo scudo di protezione e scenderemo con due navicelle io, Yama e Yattaran, che deve farci da eventuale copertura; tu Kei, rimarrai sulla nave e prenderai il comando finché non risaliremo” disse serio dal suo Scranno sul quale si era seduto.
La ragazza annuì, raggiante per la fiducia accordatale dal Capitano nell’affidargli l’intera baracca e si sentì fiera di questo onore.
Subito dopo, Harlock chiese a Yattaran di chiamare Yama per interfono e farlo arrivare in Plancia.
Una volta arrivato il ragazzo, il Capitano lo mise al corrente di che cosa dovessero fare.
“Parla con il nuovo biologo, suppongo che tu debba prendere dei campioni. Equipaggiati come quando sei sceso su Tokarga, non sappiamo se possiamo respirare senza bombole sulla Terra…”.
Yama lo interruppe per spiegargli una cosa.
“Nami una volta mi disse di sì, non chiedermi perché, ma sembrava che lo sapesse”.
Harlock lo fulminò con un’occhiataccia delle sue.
“Non dovresti interrompermi quando parlo” gli disse gelandolo.
“Scusa io non… volevo” rispose il ragazzo mortificato. Non erano sue paranoie, Harlock ce l’aveva proprio con lui, era chiaro.
“Va' a preparati. Tra quattro ore scendiamo sulla Terra” gli disse infine.

Come stabilito, esattamente quattro ore dopo, l’Arcadia stava entrando nell’atmosfera terrestre. Non sarebbe atterrata ma sarebbe rimasta nascosta a pochi metri da terra, come deciso dal Capitano.
Poco dopo, Harlock e Yama si apprestavano a scendere dalla loro navetta, Yattaran rimase nella propria, pronto ad intervenire se mai ce ne fosse stato bisogno.
Appena affacciatisi per uscire, si resero subito conto che l’aria era respirabilissima, quindi decisero, anche per comodità, di lasciare l’equipaggiamento sulla navicella e proseguire senza ingombri, in abiti normali.
La dark matter aveva reso la Terra proprio come l’aveva descritta Joy, una sorta di deserto atipico. Era tutto rossastro e fosco; c’era un gran vento che sembrava sibilare quasi perpetuo ed alzava polvere simile a sabbia rossa. Sembrava di essere su di uno sconosciuto pianeta alieno. Tutto intorno c’erano diverse rovine. Assomigliava vagamente a Marte prima di essere terraformato.
Harlock era molto turbato e rimase qualche secondo ad osservare quello che la sua sciagurata rabbia aveva causato al pianeta Terra. Immobile, a braccia conserte, scrutava l’orizzonte nebuloso e vermiglio, mentre quel forte vento anomalo gli faceva svolazzare il mantello, gli scompigliava i capelli e lasciava che quella specie di sabbia gli pungesse il viso e gli irritasse l’occhio. Mille pensieri si rincorrevano nella sua testa, estraniandolo da tutto il resto.
Yama intanto si era subito messo a raccogliere campioni, quando inavvertitamente, per colpa anche della poca luce che la foschia rossastra rendeva fioca, inciampò e ruzzolò giù per un dirupo appena scosceso. 
Non si fece niente ma come aprì gli occhi, davanti a sé, vide una piccola distesa di fiorellini bianchi che si muovevano ondeggiando al ritmo del vento. 
Dapprima li guardò incredulo, come se stesse avendo una sorta di allucinazione, ma poi rendendosi conto che erano veri si alzò in piedi, quindi, emozionato ed agitato, chiamò subito a gran voce Harlock che, allarmato da quelle grida concitate, lo raggiunse.
Quando il Capitano arrivò in fondo al dirupo e vide i fiori, sgranò il suo occhio e fu colto da una genuina e stupefatta meraviglia. Il suo cuore iniziò a palpitare fortissimo, una corsa impazzita di battiti irregolari. L’emozione che provò fu indescrivibile e violenta. Un vero colpo al cuore.
La Terra, la sua amata Terra era ancora viva!
Yama ne raccolse uno e lo rimirò.
“Nami…” disse in un soffio, rapito dalla candida corolla.
Era chiaro che la moglie di suo fratello, o chi per lei, in qualche modo era stato lì e aveva provato a trapiantare quei fiorellini, per questo aveva così tanto spinto Joy a fare quelle colture, perché lei sapeva già con certezza che ci fossero ottime probabilità di riuscita
(2) 
Spontaneamente il ragazzo porse il fiore ad Harlock che lo prese delicatamente tra le dita, come fosse stato il più raro e prezioso dei tesori. Assomigliava così tanto alla Camelia Japonica che aveva Tochiro e che lui aveva condiviso con Joy…
In quel momento, con quella piccola meraviglia della natura in mano, si rese conto che tutto il dolore, il sacrificio e la sofferenza provati negli ultimi mesi non erano stati inutili, così come non era stata inutile la sua espiazione durata cento anni, tutto era servito a dare vita a questa nuova concreta possibilità di rinascita. 
Il tempo delle illusioni era finito e finalmente si erano aperte le porte della speranza, una nuova Era stava per compiersi.
Dentro di lui fu come se un nodo atavico si sciogliesse. Sentì un’ondata di calore salirgli dalla pancia fino in gola, per poi invadergli il viso e la grande emozione che stava provando, si sciolse in una lacrima che dall’occhio, rigandogli la guancia sfregiata, gli morì vicino alle labbra.
Non era dolore, non era rimpianto, era gioia pura, viva e prepotente che faceva male al cuore da quanto era intensa.
Yama rimase toccato da questo grande turbamento che vide accendersi sul volto del Capitano, che gli distese i lineamenti in un candido e sincero stupore, tanto da renderlo quasi irriconoscibile. Aveva la stessa espressione di un bambino di fronte ad un evento miracoloso, ne fu a sua volta molto emozionato e rimase rispettosamente in silenzio.
D’improvviso però, Harlock mutò espressione e lo guardò serissimo.
“Dimmi, saresti pronto a morire, ora, in questo momento, per la salvezza della Terra?”.
Yama non capiva che c’entrasse quella domanda, ma non fu difficile rispondere, non c’era pericolo imminente, né alcuna ragione di dover morire.
“Sì, certo, come tutti” rispose un po’ superficialmente. Non lo capiva più il suo Capitano, francamente cominciava a credere che fosse un po’ esaurito e che fosse meglio assecondarlo e basta.
Harlock non rispose, con molta cura sbarbò dalla terra un fiorellino con tanto di radici e poi lo esortò a finire di prendere i suoi campioni, quindi fecero rientro sull’Arcadia.

Più tardi, quella sera stessa Harlock convocò nuovamente Yama in Plancia, quando il ragazzo arrivò si rese conto che erano soli. Non c’era anima viva oltre loro due.
Harlock se ne stava imperiosamente seduto sul suo Scranno e lo graffiò con un’occhiata durissima.
Yama si sentì subito a disagio, ma parlò ugualmente “Eccomi. Che succede?” chiese cercando di tranquillizzarsi, non aveva fatto nulla di male e, sebbene lo stesse guardando di traverso, si volle convincere che gli girassero per conto suo e non ce l’avesse direttamente con lui.
“Ho preso una decisione. Imparerai a pilotare questa nave” gli disse asciutto.
Yama lo guardò perplesso “E perché mai? Non sono nemmeno un ufficiale, cioè lo sono ma non di questa nave”.
“Perché ho deciso così. Ti ritengo il candidato più idoneo a diventare il futuro comandante in seconda” sparò a sorpresa, sempre molto ingrugnito.
Non era semplice per niente. Stava, oltre tutto il resto, cercando di fare qualcosa per passare del tempo insieme a lui, per trovare un contatto, ma come suo solito gli riusciva proprio male interagire con le persone e così finiva per essere il solito burbero ed incomprensibile vecchio Harlock, proprio come a suo tempo lo era stato con sua madre. 
Provava dei sentimenti per lei, ma li soffocava e così stava facendo con il ragazzo.
Yama era basito. Comandante in seconda? In realtà non era troppo convinto di volerlo quel ruolo, né ora e forse neppure mai, e poi c’erano delle gerarchie da rispettare, questa cosa lo agitò moltissimo. Non la capì e non gli piacque, ma non disse nulla, quello era così torvo che era meglio essere cauti.
“Ovviamente non lo diventerai subito. Devo addestrati come si deve e capire se potrai essere davvero all’altezza”.
Il ragazzo era rimasto in silenzio, c’era qualcosa che proprio non gli tornava in tutta questa faccenda, ma non riusciva a capire che cosa fosse, anche se era lampante che Harlock con lui fosse molto, troppo strano.
“Perché prima mi hai risposto in modo superficiale, Yama?” gli chiese spiazzandolo e distogliendolo dalle sue congetture.
“Ma quando?” domandò.
Harlock sbuffò “Quando eravamo sulla Terra e ti ho chiesto se eri disposto a morire” quindi si alzò e gli andò incontro a braccia conserte, guardandolo serio “Non si scherza mai con la morte, mai! Hai capito?”.
Yama si sentì ancora più a disagio, come sotto esame.
“Non intendevo scherzare, Capitano” disse raddrizzando la schiena, proprio come faceva Joy e questo ammorbidì appena Harlock, ma giusto solo un poco.
“Te lo ripeto: sei pronto a morire per il bene della Terra?” gli chiese nuovamente girandogli intorno.
Yama sospirò “Se sarà necessario sì” disse più convinto. 
Ma perché quell’interrogatorio?
“Bene, molto bene” disse condiscendente, smettendo di giragli intorno per poi fronteggiarlo.
Quindi a sorpresa estrasse il detonatore delle bombe a vibrazione dimensionale e poggiò il dito sullo start.
“Vedi, non ho abbandonato l’idea di far saltare tutto in aria, soprattutto se dovesse accaderci di essere sconfitti dalla Gaia Fleet. In quel caso, farei esplodere tutte le bombe che ancora non ho disinstallato”.
Yama sentì un moto di rabbia investirlo.
“Non lo farai, non puoi farlo, è una follia!” si risentì con veemenza.
“Sarebbe più folle condannare l’umanità alla schiavitù della Gaia Sanction” rispose calmo ma deciso Harlock.
“C’è sempre una speranza! E comunque io te lo impedirò” disse ed a sorpresa tirò fuori la sua Cosmo Gun, puntandogliela contro.
Era proprio figlio loro: pieno di speranza come sua madre e combattivo come suo padre.
Harlock, non si fece cogliere alla sprovvista, velocissimo estrasse il Gravity Saber ed a sua volta lo puntò contro il ragazzo. Si stavano tenendo entrambi sotto tiro incrociato.
“E ora Yama, che farai?” gli chiese serio.
Non gli avrebbe fatto nessuno sconto, mai, anzi sarebbe stato più duro proprio perché era sangue del suo sangue.
Il ragazzo tacque qualche secondo e osservò torvo il suo Capitano.
“Se credi che non abbia il coraggio di spararti, ti sbagli” gli disse serissimo e Harlock capì che non stava mentendo. Questo gli piacque molto, tanto da strappargli un lieve accenno di sorrisetto compiaciuto.
Ma a sorpresa Yama abbassò l’arma “Ti ho giurato spontaneamente fedeltà fino alla morte e non rinnegherò la mia scelta, ma non puoi distruggere la Terra, renderesti vano tutto il lavoro di Nami e di Joy: i loro sacrifici, la morte di Ezra, sarebbero inutili. Non sei un pazzo, ma se davvero uscirai di senno, allora sappi che mio malgrado ti sparerò”.
Harlock abbassò l’arma e fece un cenno di assenso con la testa, quindi rinfoderò il Gravity Saber.
Yama lo guardò serio “Perché ti stai comportando così con me?” gli chiese scrutandolo.
Harlock non rispose.
“Sei arrabbiato con me perché ho detto a Joy di Nami vero? Mi reputi responsabile della sua partenza? Se avessi taciuto lei sarebbe ancora qui…”.
Non volendo aveva quasi centrato il punto.
“Ci sono cose che non sai, cose importanti” disse Harlock.
“E allora dimmele!” lo esortò il ragazzo, stufo di tutto quel mistero e quelle stranezze.
“A tempo debito” fu la risposta criptica del Capitano.
Yama rimase qualche secondo in silenzio e poi disse: “Non credo di voler diventare il capitano in seconda di questa nave, non mi sentirei a mio agio in questo ruolo. Non mi interessa comandare”. 
Era stato estremamente sincero. Non sapeva più chi fosse, in più si ritrovava con un uomo che aveva stimato moltissimo ma che adesso gli sembrava strano e incoerente. Era confuso e amareggiato, cercava solo chiarezza e risposte da una vita nuova che non capiva, che non sentiva ancora completamente sua.
Harlock rimase chiuso nel suo silenzio e alla fine Yama si arrese, gli dette le spalle e si allontanò dalla Plancia senza neanche chiedere il permesso. 
Quel silenzio era pesante come un macigno, perché era custode di un grande segreto e lui avvertiva che il Capitano gli stava facendo ostruzione.
Era profondamente turbato e sconcertato. Non sapeva, né capiva bene perché, ma quella sera in Plancia avvertì senza ombra di dubbio che era accaduto qualcosa di importante tra loro, ma non riusciva proprio ad intuire che cosa fosse, sebbene ne avvertisse a pelle la potenza. Aveva la necessità fisica di allontanarsi, cercando rifugio nella solitudine. Doveva raccogliere le idee, solo dopo avrebbe affrontato il Capitano e preteso spiegazioni sul suo comportamento e su quell’idea assurda di farlo comandante in seconda. Non era uno stupido, era chiaro che se gli aveva proposto un ruolo così importante, ci doveva essere a monte un motivo particolare e lui voleva saperlo.
Harlock lo vide andare via, proprio come avrebbe fatto lui stesso al suo posto e capì che i tempi erano maturi, che gli piacesse o no, era giunta l’ora di dirgli la verità.

LONDRA ANNO 2034

Joy guardava incredula quell’esserino che gli avevano appena portato e che teneva tra le braccia. Si sentiva profondamente felice e allo stesso tempo infinitamente infelice. Questa dualità di sentimento la rendeva quasi assente, come se vivesse ancora sospesa tra terra e spazio, tra reale e irreale.
Il bimbo era piccolo, morbido e profumava di buono, come un biscotto alla vaniglia. Era tranquillo, aveva appena mangiato ed ora sonnecchiava placido. Lo osservò con attenzione, i pochi capelli castani leggermente ritti sulla testa e due occhi incredibilmente dorati, lo rendevano inconfondibilmente ciò che era: il frutto dell’amore con Harlock. Lo guardava sempre più incredula e confusa. Sapeva esattamente l’aspetto che avrebbe avuto tra circa una ventina d’anni e poco più e le sembrava una cosa davvero folle, quasi un’eresia, eppure…
Suo padre l’aveva raggiunta in ospedale da pochi minuti ed era stranamente silenzioso. Sembrava profondamente turbato, ma per ora non aveva parlato un gran che. Si era solo assicurato che stesse bene e aveva guardato il piccino con aria prima basita, poi incredula ed infine curiosa.
“Sembra tu sia preoccupato” gli disse biologa di sottecchi, che intuiva il suo disagio.
“Ti prego, non una parola del tuo viaggio, ne parleremo una volta a casa da soli, certo non mi sarei aspettato che tornaste in due!” commentò l’uomo appena contrariato. Non è che l’avesse mandata su Gorianus per riprodursi.
“Se questa vuole essere una predica, risparmiatela, ho un sacco di domande da farti e pretendo delle risposte chiare” gli disse Joy adirata e poi si toccò la testa per fargli capire del chip.
“Hai ragione, ho un’infinità di cose da dirti e spiegarti, ma ti chiedo una cosa sola: sei riuscita a fare ciò che dovevi?”.
“Sì” rispose Joy, carezzando piano il piccolo.
“E questo… è il figlio… di lui?” chiese l’uomo imbarazzato. Insomma mica l’aveva mandata lassù nello spazio perché diventasse l’amante di Harlock!
“Ne parleremo a casa, anche io ho un sacco di cose da dirti e non credo che ti piaceranno tutte…” ammise la ragazza pensando a Nami e alla sua triste sorte.
L’uomo annuì. Certo la curiosità era tanta, ma sapeva che era meglio non mettersi a parlare in una camera d’ospedale che per di più Joy condivideva con un’altra puerpera ciarliera e un po’ impicciona.
Sorrise e poi guardò il bambino “Hai già deciso come lo chiamerai?”.
“Sì. Il suo nome è Yama”.
“Yama? Ma è il nome del dio della morte!” commentò perplesso il professore.
“Sì, ma non c'entra niente. È l’anagramma del nome Maya” rispose la ragazza senza neppure rendersi conto che aveva scelto quel nome per una ragione particolare e profonda.
L’uomo non capiva, ma lei sì. 
Yama, anagramma di Maya, il primo vero amore di Harlock, perché sapeva che sarebbe stato il più grande e profondo affetto del Capitano, colui che gli sarebbe stato accanto sempre, colui che avrebbe dato veramente un senso alla parola continuazione ed eternità, colui che avrebbe attenuato il dolore della loro separazione, perché Yama sarebbe stato la loro ragione di accettazione del destino che li aveva fatti incontrare e poi divisi. 
Il filo invisibile che li avrebbe per sempre uniti e le sembrava giusto che anche il primo vero grande amore Harlock fosse in qualche modo ricordata e celebrata.

 

 

NOTE

(1)Yama suppongo sia stato mandato nel futuro come Emma di Once Upon a Time, cioè spedita dai genitori (Yama dalla madre che è Joy) ed è arrivata in un altro arco temporale dove è stata adottata e cresciuta, cosa che si intuisce, ma non si vede e non viene né spiegata, né specificata. Io ho adottato lo stesso metodo. Yama viene spedito e successivamente adottato dalla famiglia di Ezra. Questo fatto va preso per buono così come lo leggete, chiamasi stratagemma narrativo ;)  Cioè, così comoda al narratore (in questo caso me) e così è :D

(2) Nel film non viene specificato come ci siano arrivati quei fiorellini sulla Terra e io mi sono immaginata questa versione dei fatti.

 

 

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Capitolo 47
*** Una nuova realtà ***


Buongiorno e buon sabato a tutti voi!

Questo che vi apprestate a leggere è il penultimo capitolo. Siamo arrivati in fondo alla storia!
L’ultimo capitolo lo posterò domani o lunedì sera a l più tardi.
Sono un po’ emozionata ma ce l’abbiamo fatta e questo “salto nel buio” è stato una piacevolissima sorpresa!
Ancora una volta come sempre il mio più sincero grazie va:
A tutti coloro che gentilmente hanno avuto voglia di farmi sapere il loro pensiero sulla storia attraverso le recensioni.<3
Ai tanti che comunque leggono e seguono la storia con affetto. Magari un giorno anche voi mi direte il vostro pensiero. ;)
A chi mi ha aggiunta ai preferiti, seguiti e ricoraadti :)

Buona Lettura! =)

 

.46.



 

UNA NUOVA REALTA’

 

SPAZIO ANNO 2977
Quella mattina, come sempre, Harlock si svegliò dopo poche ore di sonno. Allungò la mano, sull’altro lato del letto, in cerca di chi non c’era più, ormai da quasi un anno. Era strano come il tempo trascorresse nonostante tutto molto velocemente, mentre per certi versi era invece incredibilmente lento.
La missione di riedificazione della Terra andava avanti tra alti e bassi come era normale che fosse, grazie anche al massiccio contrasto che la Gaia Saction faceva loro. C’erano state molte battaglie, ma fino a quel momento erano stati sempre in vantaggio e le primissime colture, da poco trapiantate, sembravano reggere, nonostante qualcuna si fosse inesorabilmente seccata.
Harlock si girò e guardò la porzione di letto vuoto. Chiuse la palpebra e tornò con la mente ad una delle tante mattine in cui, svegliatosi prima di lei, si era tirato su e l’aveva osservata mentre ancora dormiva. Le sembrò di vederla come se fosse ancora lì, parzialmente coperta dal lenzuolo leggero, con un braccio piegato sopra la testa appena reclinata di lato e le labbra semichiuse, mentre il seno si muoveva seguendo appena il ritmo leggero del sonno. Dormivano sempre abbracciati ma la mattina lei ad un certo punto si scostava, come se d’abitudine lo volesse lasciare libero di fare con calma le sue cose.
Non c’era stato un solo giorno in cui lei non fosse stata con lui e non solo perché portava addosso il Wakizashi che gli aveva regalato, ma perché era diventata una parte di lui e lo sarebbe sempre stata. E poi c’era Yama che gliela ricordava a volte in modo inequivocabile, perché aveva certi gesti e alcuni modi di fare tipici di Joy.  Prima non ci poteva fare caso, non sapendolo, ma ora era lampante che una parte di lei vivesse nel ragazzo. 
Si chiedeva come stesse, che facesse. Come potesse essere la sua vita in quel momento, ma ovviamente non trovava mai una risposta che fosse sufficientemente appagante. Gli mancava in tutti i modi e in tutti sensi, ma cercava di non crucciarsi più del dovuto, di lavorare sodo, per poi poter andare a riprendersela, appena fosse stato possibile.
La mattina era il momento peggiore di tutta la giornata, così come la sera quando si coricava, perché erano i due frangenti in cui lei gli mancava di più. A volte gli mancava prepotentemente anche a livello fisico e non solo per il sesso, ma per la sua voce, il suo odore e la sua pelle. I suoi abbracci, la sua risata, il suo calore…
Il Capitano scacciò queste visioni dalla mente e si alzò per andare in bagno. Si muoveva lento, seguendo un rituale di gesti consueti e uguali, che si ripetevano ogni giorno, come una ruota che gira sempre nello stesso verso. Aprì l’acqua della doccia ed andò al lavabo, dove si sciacquò il viso con acqua fredda. Evitò di incrociare lo sguardo con lo specchio e s’infilò sotto la doccia. L’acqua era appena tiepida e gli dette ristoro. Il getto vigoroso picchiettava sulla pelle, simile ad un acquazzone estivo di antica memoria; abbassò la testa e lasciò che il flusso si concentrasse sulla nuca e sulle spalle. L’acqua scorreva come una gentile carezza che gli solleticava appena il corpo, formando tanti piccoli rigagnoli che gli defluivano ai piedi. Quella sorta di delicato massaggio, aveva un potere rigenerante di cui aveva tanto bisogno. Si girò e lasciò che il flusso lo colpisse direttamente sul petto, quindi chiuse il rubinetto dell’acqua calda e lasciò che il freddo del gettito lo riportasse bruscamente alla realtà, svegliandolo definitivamente da quel vago senso di malinconico torpore, che ogni mattina lo avvolgeva come una fitta nebbia.
Finì di lavarsi, si fece la barba e uscì dal bagno. Si vestì meticolosamente, senza fretta, e alla fine arrivò Masu-san con la colazione. 
La ringraziò. 
La donna gli sorrise e si raccomandò che mangiasse, dato che aveva ripreso a piluccare di mala voglia qualsiasi pietanza gli preparasse, poi lo lasciò solo. Era passato del tempo, ma la cuoca sapeva che la ferita era fresca e che gli faceva ancora male, anche se lui era impenetrabile, silenzioso e non diverso da come, più o meno, era sempre stato. Non lasciava trapelare niente ma lei lo conosceva a fondo e sapeva riconoscere i suoi stati d’animo, anche quando erano camuffati dalla sua maschera abituale.
Dopo aver mangiato, rimase quasi un’ora in piedi a braccia conserte ad osservare le stelle. 
Per sicurezza, L’Arcadia stazionava appena fuori dell’orbita terrestre, vi entravano solo quando dovevano scendere, perché avevano appunto cominciato a fare i primi trapianti da Caladan. E poi, da lì era molto più facile scappare o nascondersi in-skip, se la situazione lo avesse richiesto. Ma non era questo l’oggetto dei suoi pensieri, bensì Yama. Era giunta l’ora di parlare con il ragazzo e di dirgli la verità, di lì a poco avrebbe cominciato il suo addestramento e voleva che tra loro le cose fossero chiare una volta per tutte.  

 

LONDRA ANNO 2034

Joy era rientrata a casa con suo padre. Londra, che l’aveva riaccolta tra le sue braccia, con il suo caos ordinato e compito di moderna metropoli con gli alberi e la tanta, troppa luce a cui non era più abituata, le era sembrata un posto sconosciuto. Le pareva quasi fosse stata la città dove avesse vissuto un’altra vita, che ora era finita, morta e sepolta, una sensazione strana, che la faceva sentire una straniera a casa propria.
Era molto confusa. Ovattata, in uno stato di babele mentale che la prostrava. Non sapeva neanche lei come si sentisse realmente. Aveva praticamente partorito un bambino, senza neppure aver avuto il tempo di abituarsi all’idea che sarebbe diventata madre. Non aveva vissuto il cambiamento del suo corpo, né aveva avuto modo di capire che le accadesse: semplicemente, si era ritrovata quella creatura tra le braccia, quasi come se le fosse caduta dal cielo, ma le sorprese non erano finite.
Una volta a casa, erano cominciati i fatidici chiarimenti e Joy era venuta a sapere cose che avevano aggiunto maggior turbamento al suo stato già molto disorientato e prostrato.

Intanto, aveva scoperto di essere stata adottata, che il professore Teinosuke Takuro non era affatto suo padre e che Nami non era sua sorella. Non era ancora tutto. Venne di conseguenza a sapere di non avere alcuna discendenza giapponese nelle vene, ma di essere figlia di inglesi, rimasta orfana a pochi mesi, unica sopravvissuta di un incidente stradale in cui era stata sterminata tutta la sua famiglia: padre, madre e due fratelli più grandi. Il suo nome di battesimo non era Joy, ma Skyler(1) e il suo vero cognome era Logan.
Naturalmente tutte queste novità avevano ancor più minato il suo stato psicologico, già messo a dura prova dalla bislacca situazione che stava vivendo. In un primo momento aveva avuto quasi una crisi di nervi e si era ribellata al Professore in malo modo, voleva andarsene di casa e dimenticare tutto e tutti. Le sembrava di essere in un incubo senza fine, come se fosse entrata in un tunnel buio ed inospitale, la cui uscita fosse stata murata. Si sentiva soffocare ed era profondamente triste ed infelice. Le mancava l’aria, era persa, come una straniera in un luogo inospitale. E poi c’era la terribile mancanza di Harlock, che la destabilizzava non solo a livello psicologico, ma che la faceva soffrire così tanto da farla star male a livello fisico. Per fortuna, dopo lo choc iniziale e soprattutto grazie al piccolo Yama, che era diventato improvvisamente la sola unica vera ragione di vita, si era un po’ calmata e aveva fatto mente locale su tutta la situazione, cercando di non impazzire. Aveva bisogno del professore per rimandare suo figlio da Harlock e aveva intenzione di fare ciò per cui si era sacrificata ed era tornata indietro, quindi cercò di fare buon viso a cattiva sorte; non senza difficoltà e una buona dose di dolore, cominciò ad elaborare tutte le informazioni che aveva avuto facendole proprie, cercando un modo per poter superare questo momento così duro e difficile per lei, che si ritrova veramente sola.
La prima cosa che fece fu di riappropriarsi del suo vero nome e di renderlo ufficiale all’anagrafe. Non era più Joy Takuro, ma Skyler Logan, cognome che dette anche a suo figlio, che così diventò Yama Logan
(2). Avrebbe voluto dargli quello di suo padre, ma era oggettivamente impossibile farlo riconoscere da un uomo che viveva in un altro arco temporale, in un futuro molto lontano dal loro. Anche se, nella sua testa, cominciava farsi strada un’idea folle che prima non avrebbe mai preso in considerazione, ovvero trovare il modo di poter tornare sull’Arcadia, anche se non era certa di come avrebbe mai potuto riuscirci, dato che era consapevole che non sarebbe potuta andare con Yama, perché non poteva certo creare un altro paradosso temporale, e magari incontrare la se stessa nel futuro, combinando chissà quali guai.


Molti mesi dopo, appena Yama fu svezzato, cercò casa per conto proprio e abbandonò l’abitazione del Professore. 
Non sopportava più di vivere con lui, perché si era sentita tradita. Forse con il tempo avrebbe anche potuto perdonarlo, ma per ora non ce la faceva proprio.
Ovviamente, a suo tempo gli aveva spiegato tutta la situazione, morte di Nami compresa, e gli aveva detto che la loro unica speranza, anche per sua figlia, era rimandare Yama nel futuro per impedirgli di ripetere il solito errore. Il Professore prima si era disperato a lungo, ritenendo il tutto una follia, ma poi, grazie anche alla Chiave Sonica che Joy aveva salvato dalla distruzione della navetta, cominciò subito a lavorare per poter rimandare nel futuro il ragazzino, e non più tardi dei suoi tre, massimo quattro anni, così da non fargli ricordare chi fosse e da dove venisse, di modo che non potesse alterare il futuro che lo attendeva nell’altro arco temporale, eccetto salvare la vita a Nami.
Del resto, se la ragazza lo aveva incontrato, significava per certo che loro erano in qualche modo riusciti a farcelo arrivare, e quello divenne l’unico obiettivo e scopo di vita dell’uomo: richiudere il loop dell’esistenza di Yama.

 

SPAZIO ANNO 2977
Quella sera stessa Harlock mandò a chiamare Yama, lo avrebbe ricevuto nella sua cabina.
Il ragazzo fu avvertito da Yattaran e, non senza un filo d’ansia per quella convocazione, si diresse dal Capitano. Ultimamente avevano discusso parecchio riguardo il suo addestramento per diventare l’eventuale comandante in seconda dell’Arcadia. Lui non voleva proprio farlo e Harlock invece pareva irremovibile. I loro rapporti erano senza infamia né lode, forse da un certo punto di vista erano anche migliorati, ma ancora c’era quel sentore di qualcosa in sospeso, che non aveva mai abbandonato Yama e che lo teneva sempre sul chi va là.

Giunto di fronte alla porta della cabina di Harlock, bussò e appena gli fu risposto, entrò.

Il Capitano era seduto al tavolo e gli fece cenno di sedersi, aveva davanti una bottiglia di Masseto(3) e due calici vuoti.
Yama notò che dietro di lui, sulla sua scrivania, faceva bella mostra di sé un vaso di vetro sbriccato e riappiccicottato alla meglio, dove aveva trapiantato il fiorellino che aveva sbarbato sulla Terra.
“Ti piace il vino?” gli chiese il Capitano con la bottiglia in mano, prima di versarlo.
“Direi di sì” rispose il ragazzo. 
Harlock abbozzò un accenno di sorriso e versò il liquido rosso nei due bicchieri.
“Al nuovo, probabile, comandante in seconda” accennò come brindisi, ma forse era più una provocazione, per carpire la sua reazione.
Yama fece una smorfia.
“Proprio non ti va questo incarico?”.
“Non è che non mi vada a priori” cominciò a dire il ragazzo dopo aver assaggiato una sorsata del vino, che gli sembrò estremamente corposo, ma buono “Ė solo che non capisco perché di punto in bianco tu abbia preso questa decisione. Sono uno dei più giovani e l’ultimo arrivato, non ho ancora dimostrato niente e quindi mi sfuggono le tue ragioni” gli disse, guardandolo dritto nell’occhio.
“Come ti trovi su questa nave?” gli domandò Harlock cambiando discorso. 
Yama fece spallucce “Bene. Anche perché ormai non ho più una casa, quindi…”.
Il Capitano fece roteare appena il vino nel calice, prima di berne un sorso che centellinò piano.
“Sceglieresti ancora di vivere a bordo dell’Arcadia se avessi un’alternativa?”.
“Ma io non ho alternative!”.
“Ma se ne avessi?”.
Yama sbuffò, non capiva dove volesse andare a parare.
“Credo di sì. Quando ho scelto questa vita l’ho fatto consapevolmente, mi piace ciò che stiamo facendo per la Terra, mi sento utile e mi appaga ciò che faccio con il biologo. I miei problemi sono altri…” ammise infine.
Harlock bevve di nuovo e lo guardò. Sebbene fisicamente fosse quasi la sua copia, lui in realtà ci rivedeva moltissimo sua madre e questo lo aveva notevolmente ammorbidito nei suoi confronti.
Il suo volerlo comandante in seconda, non era né un capriccio né una forzatura. Yama era la sua discendenza, aveva il suo sangue nelle vene e se fosse stato mentalmente adatto, niente e nessuno avrebbe comandato quella nave meglio di lui, se un giorno avesse per caso deciso di lasciare il posto di Capitano, magari scegliendo di invecchiare e morire.
“Non sai più chi sei” gli disse come se gli leggesse nella mente. Poteva comprendere benissimo il suo stato d’animo.
“Già…” ne convenne il ragazzo.
“Tu chi credi di essere?”.
Yama lo guardò perplesso, poi provò a rispondere.
“Credo di essere uno che si è sempre sentito un po’ fuori posto e ora forse, ne comprendo la ragione. Quella non era la mia vera casa e quella non era la mia vera famiglia, anche se sono sempre stato così legato a quella che credevo fosse mia madre…”.
Harlock sospirò e bevve di nuovo. Era dannatamente difficile dirglielo. Difficile e doloroso. E poi c’era sempre la preoccupazione che potesse prenderla male, ma Meeme aveva ragione, bisognava darci un taglio e saltare quel fosso, più si aspettava e più sarebbe stato peggio.
“Dimmi una cosa. Che ne pensi di Joy?” gli chiese a sorpresa, spiazzandolo di brutto.
Il ragazzo si chiese che diamine c’entrasse la biologa adesso in quel discorso e perché mai l’avesse tirata in ballo.
“Non capisco che cosa c’entri lei…”.
Il Capitano non rispose e scolò il bicchiere, quindi si versò altro vino, ne versò ancora al ragazzo e bevve di nuovo.
“Puoi rispondere?” gli chiese calmo ma fermo.
“Per me è una brava persona…”.
“Che sentimenti nutri per lei?”.
Yama s’infastidì.
“Non ho mai pensato a lei in quel senso!” disse mettendosi sulla difensiva. Tutte quelle domande lo stavano inducendo a credere che l’altro avesse equivocato qualcosa.
“Se mai ho nutrito qualcosa, è stato un sentimento di tipo fraterno. Te lo assicuro. Mi ha salvato la vita ed è sempre stata gentile con me, comprensiva e affettuosa, proprio come una sorella maggiore”.
Harlock suo malgrado sorrise di quell’agitazione.
“Ti manca?”.
Il ragazzo era sempre più perplesso, però in effetti un po’ di nostalgia si era fatta sentire, forse perché c’era sempre stato un buon rapporto e poi per lui era stata una buona amica.
“Magari un poco sì” ammise.
Ma continuava a non capire quella serie di domande fatte, secondo lui, a casaccio.
“Senti, non vorrei mancare di rispetto a te e alla tua autorità, ma ti sarei profondamente grato se mi spiegassi il vero motivo della tua convocazione” gli disse abbastanza seccato.
Harlock si alzò, gli si avvicinò quindi tirò fuori il detonatore delle bombe a vibrazione dimensionale e glielo consegnò.
“Quando prendo una decisione, non lo faccio mai sull’onda delle emozioni, ma perché la ritengo la più giusta” cominciò a spiegargli. “Un giorno potrebbe darsi che io me ne vada, o che mi accada qualcosa, o che semplicemente io voglia abdicare da questo ruolo e allora, chi sarebbe il più idoneo a sostituirmi?” gli chiese retoricamente scrutandolo. “Kei è troppo ottimista. Non sarebbe capace di detonare quelle bombe neppure per salvare l’umanità, è la sua indole e questo determina la sua debolezza, ma anche la sua forza, che io ammiro molto, ma che la rende inadatta al comando” gli disse, mentre il ragazzo lo ascoltava serio. 
“Yattaran al contrario le detonerebbe di sicuro, ma è troppo impulsivo è un valido guerriero e un ottimo hacker, ma una parte di lui è rimasta infantile e non è affidabile al cento per cento. Il suo odio per la Gaia Sanction potrebbe portarlo a fare cose avventate e già una volta io ho commesso quell’errore, non posso permettere che accada di nuovo. Ho bisogno di una persona che sia riflessiva” e lo fissò dritto negli occhi.
“Tu hai un bagaglio di esperienze diverse. Conosci il nemico meglio di chiunque altro, perché ci hai vissuto insieme. Nonostante la tua giovane età, ti porti dietro un fardello pesante che ti rende, a parte qualche ingenuità, cauto e anche affidabile. Conosci il valore del rimpianto, del rimorso e sai che ad ogni scelta, corrisponde un pesante rovescio della medaglia. Sai quale può essere il prezzo di uno sbaglio e il valore del ponderare una scelta. Non credo che agiresti mai d’impulso, considerando che cosa sia costata questa riedificazione della Terra in termine di persone a te care. Ezra non sarà stato tuo fratello biologico, ma lo è stato a livello affettivo. Nami era ciò che di più caro tu abbia avuto come sorella, amica e primo amore” quindi fece una breve pausa “E poi c’è tua madre…” disse quasi a fatica, ora veniva davvero il difficile di tutto il discorso.
“Attraverso lei, il suo lavoro, il suo impegno ed il suo sacrificio hai compreso e amato l’importanza della Terra, il nostro pianeta natio. Sono certo che sapresti prendere la giusta decisione, qualunque essa fosse, se lo ritenessi necessario. Sei un ragazzo che nonostante tutto ha a cuore più di chiunque altro la sorte del nostro Pianeta, perché è costato il sangue di chi ami”.
Yama era ammutolito. In effetti, il ragionamento aveva un suo senso logico. Anche se lui credeva che si riferisse alla sua madre adottiva, che era una botanica.
Guardò il detonatore mentre dentro di lui si affacciava timidamente una nuova consapevolezza.
“Ma non è tutto Yama” gli disse grave, quasi sottovoce.
Ora veniva il bello della faccenda.
“Sei anche l’unico in tutto l’Universo che avrebbe forse la possibilità di entrare empaticamente in contatto con l’essenza di Tochiro
(4), che vive di vita propria, racchiusa nel Computer Centrale” gli disse, svelandogli uno dei più grandi segreti dell’Arcadia.
Il ragazzo era allibito, turbato, ma anche molto affascinato. Ascoltò poi tutta la storia del grande amico di Harlock e del suo straordinario passaggio, da incorporeo, dentro quella nave di cu era diventato per sempre l’anima, per sorreggere ed aiutare il Capitano, in quel lungo cammino di redenzione e ricostruzione.
“Una cosa mi sfugge” cominciò a dire argutamente Yama, quando l’altro ebbe terminato le spiegazioni. 
Harlock immaginò subito che cosa fosse.
“Perché proprio io sarei predisposto ad entrare empaticamente in comunicazione con Tochiro?”.
Harlock chiuse l’occhio e prese fiato, poi parlò.
“Perché tu sei sangue del mio sangue” disse infine in tono solenne.
Yama spalancò occhi e bocca all’unisono.
“Oddio! Mi stai forse dicendo che siamo fratelli?” chiese quasi senza fiato. In effetti poteva avere un certo senso per lui.
“No” rispose Harlock asciutto. Era incredibilmente difficile, il cuore gli stava bombardando il petto e gli sembrava di annaspare come se fosse senza aria. L’emozione e la paura stavano lottando l’una contro l’altra e lui era agitatissimo.
“In realtà, tu sei mio figlio” ammise infine, con un filo di voce e Yama ci mancò poco che non cascasse dalla sedia, franando malamente a terra.
Si riprese al volo e poi lo guardò come si potrebbe guardare un folle.
“Come, prego?” gli domandò freddamente, con una sorta di rabbia incredula che spuntò all’improvviso e lo afferrò per la gola quasi strozzandolo.
Harlock si sedette nuovamente e si versò da bere. Fece per versarne anche a Yama, ma quello tappò il bicchiere con il palmo della mano in segno di diniego. Fissandolo, come se volesse trapassarlo “Questa fregnaccia da dove te la sei tirata fuori?” gli chiese tagliente, mentre il Capitano si mesceva generosamente il liquido rubino.
Il ragazzo era più che contrariato, se quello credeva di prendersi gioco di lui era fuori strada.
“Non è una fregnaccia Yama e credo che se ti guardi allo specchio, la risposta sia molto più evidente di quanto non ci abbiamo mai dato peso, o forse, di quanto non ci abbiamo mai voluto fare caso”.
Il ragazzo scattò in piedi, agitato, confuso e infuriato.
“Sono stufo di questi discorsi idioti e fantascientifici! Vuoi forzarmi a fare qualcosa che io non voglio e mi avevi quasi incastrato, ma sai che ti dico? Non lo farò neanche morto il comandante in seconda, e tu inventati quello che ti pare, non mi obbligherai. Mai!”.
“Siediti” gli disse secco Harlock.
“Sennò che fai? Me le suoni?”.
Se mai avesse avuto un minimo dubbio sul fatto che potesse essere figlio di sua madre, in quel momento sarebbe stato fugato. Pareva lei quando si arrabbiava, tale e quale. La cosa per assurda che fosse, in un certo senso lo divertiva e lo stimolava, ma rimase comunque imperturbabile e serissimo.
“No. Credo che non te le avrei suonate neppure se fossi stato un ragazzino, sebbene ora tu ti stia comportando come tale. Siediti!” gli intimò di nuovo, trafiggendolo con un’occhiataccia.
Yama incrociò le braccia al petto e rimase in piedi in segno di sfida. Era insofferente e anche molto contrariato, eppure una vocina cominciava a dare credito a ciò che gli aveva appena detto il Capitano, perché qualche tassello del puzzle cominciava a combaciare nella sua testa e la cosa non gli piaceva per nulla. Anzi lo destabilizzava molto.
“Sei stato molto male ricordi?” gli disse Harlock sedendosi, lasciandolo in piedi impalato.
Si versò altro vino. Magari quella sera si sarebbe anche ubriacato, perché no? Infondo la rivelazione di paternità poteva anche essere un ottimo giustificativo per una bella sbronza!
“Voglio sapere chi è mia madre!” sbottò Yama molto arrabbiato.
Harlock trangugiò il bicchiere che aveva appena riempito e se ne versò ancora. Perché doveva essere tutto così dannatamente difficile e complicato?
“Davvero non lo capisci da solo?” gli disse, guardandolo di sbieco, era stanco, agitato e si sentiva tremendamente fuori posto. L’unica cosa che desiderava davvero era che tutto finisse quanto prima. 
Yama fece mente locale qualche secondo, poi strabuzzò gli occhi.
“Non ci credo! Non è possibile! Non può essere lei! Cazzo, ha quasi la mia età!” disse scioccato e furioso. Era certo che sua madre fosse una donna di molti anni prima. In fondo quello lì aveva più di cent’anni, poteva essere plausibile, ma la biologa proprio no! Gli sembrava una sorta di abominio, una cosa contorta e contro natura, perché non capiva la dinamica ed era scioccato e molto spiazzato.
“Ti assicuro che è possibilissimo” affermò secco Harlock e, con molta calma e pazienza, dopo aver bevuto l’ennesimo bicchiere di vino, gli raccontò tutto, per filo e per segno. Non tralasciando niente anche della sua quasi sparizione a causa del rientro di Joy a Londra, dove il lui piccolo era attualmente con Joy, in attesa di essere nuovamente rimandato in quell’arco temporale nell’eterno loop tempo/spazio che si perpetrava all’infinito, compiendo la sua esistenza.
Yama era fuori di sé, questa cosa non riusciva proprio ad accettarla. Quando Harlock ebbe finito, lo guardò con disappunto e anche forse con odio e poi gli sputò “Bella roba! Tra tutti non potrei aver avuto due genitori peggio di voi! Due incoscienti, egoisti che mi hanno fatto vivere una bella vita del cazzo! Basata sulla menzogna e sul dolore, ma tu lo sai che è stata la mia vita in quella casa? Te ne rendi minimamente conto? E ora capisco perché Ezra e mio padre mi mal tolleravano, magari sapevano anche la verità! E questo perché? Perché voi non vi siete trattenuti! Fanculo a te e lei!”.
“Ehi! Modera le parole ragazzino!” gli disse torvo Harlock, non tanto per se stesso ma per Joy, che sistema era quello di parlare? Lui aborriva il turpiloquio. Capiva il suo choc, ma a tutto c’era un limite e lui lo aveva appena travalicato.
“Altrimenti che fai?” lo sfidò di nuovo il ragazzo, guardandolo dall’alto in basso con strafottenza “E poi fai la pace con il tuo cervello, prima vuoi che faccia il comandante in seconda e poi ora sono un ragazzino? Che c’è, non ti vado più bene perché non puoi manipolarmi? Non sono mica lei che te la portavi a letto!”.
Harlock scattò in piedi e lo raggiunse in due falcate; quindi, lo afferrò per la giacca sollevandolo quasi di peso da terra.
“Ora falla finita!” gli disse furente “Se non te la senti di portarmi rispetto come padre, per me va bene, ma non ti azzardare mai più a parlare così di tua madre, perché la prossima volta che lo fai, ti suono come un tamburo, è chiaro? Ha rischiato la sua vita ben tre volte per te e questo deve avere la tua riconoscenza eterna e il tuo massimo rispetto, ad di là del fatto che ti abbia messo al mondo! Cerca di non dimenticarlo mai!” e lo lasciò andare, dandogli una spinta che lo fece barcollare all’indietro.
Yama gli lanciò uno sguardo tagliente pieno di odio.
“Se pensi di metterti a farmi da padre scordatelo, per me non lo sei e mai lo sarai, non ti voglio come padre!” gli si rivoltò rancoroso.
Harlock sospirò, si sedette di nuovo e bevve ancora, la bottiglia era stata consumata per più della sua metà, ma lui era ancora lucidissimo.
“Mi dispiace Yama, ma i genitori non si possono scegliere e per quanto tu possa esserne rammaricato e indispettito, io resto ciò che sono: tuo padre. Ora devi darti una calmata e devi decidere che cosa davvero vuoi fare della tua vita e lo devi fare seriamente, una volta per tutte. Nessuno ti obbliga a restare qui, né a diventare ciò che ti ho chiesto, solo tu puoi scegliere” quindi prese fiato e finì di scolare l’ennesimo bicchiere.
“Non ti ho chiesto di diventare il mio braccio destro perché sei mio figlio, lo avevo già deciso prima di sapere chi fossi. Te l’ho chiesto perché in te, vedo tutto ciò che vorrei per il mio successore, compresa questa rabbia e questo dolore che faranno di te un uomo più profondo e più comprensivo di chiunque altro. Vedo in te la forza che tu non sai ancora di avere e vedo la purezza delle tue intenzioni, oltre che una certa etica. Quindi, ora esci da questa cabina e rifletti bene. La prossima volta che ci vedremo, mi dirai che cosa hai definitivamente deciso”.
Avrebbe voluto dirgli molto altro, ma non voleva influenzarlo, con lui, come con sua madre, stava applicando la regola della libertà totale di scelta. Non avrebbe mai costretto chi amava a stare per forza con lui.
Yama non rispose e, con un moto di stizza, uscì dalla cabina. Era davvero irato, non riusciva a capacitarsi di questa situazione così inverosimile e ne stava soffrendo molto, soprattutto perché aveva sempre ammirato Harlock e ora si sentiva come tradito, poi non sapeva più che pensare di Joy, verso di lei sentiva rancore ed imbarazzo.
Mentre camminava veloce e stizzoso per i corridoi dell’Arcadia, gli si fece incontro Meeme. Lui la vide solo quando l’ebbe davanti, l’aliena gli toccò un braccio e lui si sentì immediatamente più calmo, mentre lei avvertì chiaramente la ridda confusa di sentimenti che gli si aggrovigliavano dentro.
“Sei sconvolto. Ti devi calmare. Non devi dare troppo credito alla tua rabbia o finirai per fare del male a te stesso e a chi ami”.
“Io non amo nessuno!” sbottò il ragazzo divincolandosi, ma lei non lasciò la presa.
“Oh sì invece, io lo sento” gli disse molto calma, ma decisa. Lo sconvolgimento del ragazzo le rese chiaro che Harlock lo aveva messo a parte della verità. 
“Yama ascoltami” gli disse con estrema dolcezza, catturando inesorabilmente la sua attenzione “Tutto ciò che sta accadendo non è un caso bizzarro, né una coincidenza beffarda, semplicemente è così che doveva succedere ed è così che doveva accadere la rinascita della Terra. Questa è una nuova Era per il genere umano. Vedi, i tuoi genitori sono una coppia oppositiva
(5) e tu sei ciò che deriva dalla loro unione. Per arrivare a questa svolta decisiva, occorreva una serie di condizioni particolari che permettessero una concatenazione di eventi straordinari ed è stato possibile perché passato, presente e futuro si sono incontrati, si sono intersecati e concentrati insieme, simultaneamente, in un’unica direzione. Harlock rappresenta il presente, Joy rappresenta il passato e tu Yama, sei il futuro che li lega indissolubilmente e sei la chiave di volta per la rinascita della Terra, perché sei tu che la porterai a termine in maniera definitiva. Per questo ti dissi che avresti dovuto scegliere a quale retaggio appartenere. Intendevo dire, se a quello della tua famiglia adottiva, o se a quello della tua vera famiglia” gli spiegò l’aliena, aggiungendo confusione alla confusione, nella mente e nel cuore del ragazzo, che ora davvero si sentiva come preso tra due fuochi.
“E c’è un’altra cosa che devi sapere. Tu sei l’unico che terrà legati i tuoi genitori e sei l’unico che potrà permettere la loro ricongiunzione”.
Si era spinta molto oltre, forse troppo avanti, ma le era venuto spontaneo e l’aveva ritenuto giusto.
“Che significa?” chiese imbronciato Yama.
“Quello che ho detto: che si potranno ricongiungere solo grazie a te! E ora medita e fa la cosa giusta. Cerca di ricordare tutto il bene che hai avuto da loro, anche prima che sapessero chi tu fossi. Perché anche loro l’hanno scoperto solo poco prima della partenza di Joy e non credere che non siano rimasti scioccati. Come te, si sono trovati nel mezzo a questa cosa senza averla prevista, ma è così che doveva essere, io lo so” concluse, liberandogli il braccio dalla sua presa, per poi lasciarlo da solo ed andarsene.

Il ragazzo rimase interdetto alcuni secondi. Un nuovo e più confuso turbinio di pensieri ed emozioni prese possesso della sua testa, ma anche del suo cuore. Alla fine mogio e pensoso si cacciò le mani in tasca e, a capo basso, riprese a camminare. Una cosa si ripromise, che avrebbe pensato seriamente a che cosa volesse realmente fare. E con questo nuovo proposito nell’animo, raggiunse i suoi alloggi e lì si rintanò, a meditare.

 

NOTE

(1)  Skyler è il primo nome che avevo scelto (al tempo nella stesura della fic. Successivamente l’ho cambiato in Joy per semplificarmi la vita perché Joy è un nome (anche se si scrive in modo diverso per i maschi) la cui pronunzia va bene sia per uomo, sia per donna e mi era utile all’inizio quando si fingeva ragazzo.

(2) Yama Logan. Un mio vezzo/sfizio Chiamare questo personaggio con i due nomi che sono stati usati nel film per appellarlo, Yama per i giappi e anche per noi, Logan per gli altri paesi o giù di lì.

(3) Vino consigliatomi da mio fratello. Io non mi intendo di vini :)
http://www.masseto.com/Default.aspx?tabid=221&vino=3&annata=27&campo=note_degustazione_it

(4) Nella mia testa Tochiro e Harlock hanno un rapporto assolutamente esclusivo, che come avrete notato per scelta non ho mai approfondito, rispettandone quasi religiosamente la sacralità, che non è mai stata del tutto svelata neppure dal sensei. È una mia scelta personale e giammai mi permetto di contestare chi fa altrimenti, ma per me, nella mia testa, nessuno può interagire con Tochiro a parte Harlock. Ho ipotizzato che potesse forse riuscirci suo figlio, in virtù del fatto che sono sangue delle stesso sangue, ma chissà…

(5) Le coppie oppositive sono: futuro/passato, inganno/verità, morte/vita costituiscono gli assi centrali attorno a cui si sviluppa la trama del film e sono presenti in numerosi personaggi che prendono vita negli interstizi dimensionali creati da questi opposti (tratto da disamina critica del film fatta a tempi dell’uscita dello stesso)

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Capitolo 48
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

Molto tempo dopo…

 

Harlock era in piedi e, quasi incredulo, la guardava negli occhi. 
Non gli sembrava possibile di essere lì, insieme a lei. 
Il salone dove si trovavano era ampio. 
Fasci di luce filtravano dalla parete a vetrata, che ricordava vagamente quella dell’Arcadia, ma che invece di mostrare lo Spazio, dava direttamente sul giardino adiacente. La luce metteva in risalto il fine mobilio pregiato di antica fattura che, riflettendola, sembrava ancora più lucido e caldo. Come sempre lui prediligeva le cose antiche a quelle moderne, sebbene quest’ultime potessero essere talvolta più funzionali. Ma era un suo tratto distintivo, un uomo del futuro affascinato e rapito da tutto ciò che riguardava il passato. 
Anche lei veniva dal passato…
Il suo cuore traboccava di gioia, era questo il sapore della felicità? 
Probabilmente sì.
Si sentiva finalmente appagato e quasi sospeso, leggero, mentre la guardava negli occhi, adorandola.
Lei di rimando lo osservava estasiata e si sentiva così ricolma di amore e così contenta, che stava quasi male. A volte la felicità poteva essere anche dolorosa per l’intensità della sua potenza. Quel posto poi era meraviglioso. Tutto le sembrava semplicemente perfetto.
Il Capitano le si avvicinò e la prese finalmente tra le braccia, poi le passò una mano dietro la nuca lasciando che i suoi capelli, adesso molto più lunghi, gli solleticassero piacevolmente le dita, quindi reclinò appena la testa in avanti, quel tanto che bastò perché le loro labbra si sfiorassero. E finalmente lasciò che le loro bocche si unissero e la baciò. Un bacio che fu quasi doloroso da quanto era stato agognato, che si trasformò in un trionfo di dolce passionalità, preludio di qualcosa di più intimo e profondo, che entrambi i loro corpi esigevano con prepotente impazienza, e che di lì a poco avrebbero saziato, perdendosi finalmente l’uno nell’altra.

Harlock si svegliò di soprassalto con la netta sensazione di aver vissuto veramente quello che in realtà stava solamente sognando. 
Aveva provato una sensazione così forte ed intensa, che gli parve di percepire in bocca il dolce sapore di lei, unito alla sensazione della morbidezza della sua bocca sulle proprie labbra.

La stessa identica cosa, nello stesso identico istante, accadde a Joy che si svegliò all’improvviso e scattò seduta sul letto, molto turbata da quel sogno che pareva assolutamente vero. Le sembrò di sentire ancora nei capelli la sensazione provocata dalle sue dita, come se vi fossero appena passate attraverso, carezzandole la nuca e ancora avvertisse quel lieve formicolio, così piacevole, dato dal contatto. Le sembrava addirittura di poter respirare il suo odore. Chiuse gli occhi e inalò, come se lui fosse lì.


Non che non si fossero mai sognati da quando si erano separati, ma questa volta era diverso. Innanzi tutto era stata una cosa assolutamente empatica e simultanea, ma poi era sembrata a tutti e due sorprendentemente come troppo vera. Tanto che era stato quasi fisicamente doloroso, il rendersi conto che non era esattamente così come i loro sensi avevano nettamente percepito. La memoria a volte fa brutti scherzi. Evoca sapori ed odori inesistenti, è solo la potenza del ricordo che agisce sul cervello e lo inganna.

Harlock saltò giù dal letto, scattando come una molla. Era giunto il momento di andare a riprendersela e non avrebbe aspettato un solo giorno di più! 
Al diavolo la Terra e tutto il resto, l’avrebbe riportata sull’Arcadia, anche a costo di scombinare tutti i suoi piani. 
Si vestì, uscì dalla cabina e arrivò in Plancia dove si attaccò all’interfono e comandò perentorio a Yama di raggiungerlo.
Il ragazzo dormiva, si svegliò di soprassalto e non fece neanche in tempo a rispondergli che il Capitano aveva già interrotto la comunicazione.
“E ti pareva che non si fosse svegliato storto anche oggi!” borbottò contrariato, mentre vagava come un automa per la cabina alla ricerca del vestiario, sbadigliando.
Il suo addestramento era cominciato ormai da qualche tempo e procedeva tra alti e bassi. Non era ancora proprio felicissimo di quell’incarico ma si stava impegnando per non deluderlo. I loro rapporti erano diventati abbastanza civili, ma ancora non proprio confidenziali e tanto meno particolarmente affettuosi. 
Yama non riusciva a consideralo un padre, proprio non ce la faceva, così mentalmente aveva preso a far finta che fosse una sorta di fratello maggiore che gli faceva anche da genitore. La sua ammirazione e il suo rispetto per il Capitano erano immutati, ma serpeggiava in lui ancora un po’di rabbia, probabilmente per via dello choc che ancora non aveva del tutto superato e preferiva incolpare lui piuttosto che affrontare la situazione che era troppo contorta, ma anche molto dolorosa e decisamente anomala. Era comunque una reazione plausibile e solo il tempo avrebbe aggiustato le cose.
Lo stesso valeva per Harlock. Cominciava a voler davvero bene a quel ragazzo, in lui ci si rivedeva moltissimo, e ultimamente anche se stesso, solo che, come accadeva a Yama, aveva questa specie di rancore e disagio che ancora non lo avevano abbandonato, rendendolo così spesso brusco e molto esigente nei suoi confronti sebbene poi, per certi versi, fosse anche molto orgoglioso di lui e dei progressi che stava facendo. Solo che non riusciva mai ad esternargli ciò che provava e a volte faceva una fatica immane anche a lodarlo. 
Ormai sull’Arcadia sapevano tutti che era suo figlio.
La cosa alla fine era stata resa pubblica e lui temeva sempre che gli altri potessero pensare che avesse nei suoi riguardi un atteggiamento di favore, solo perché era suo padre. Per questo motivo spesso era davvero intransigente con Yama, tanto che a volte si era anche confrontato con Yattaran e addirittura con Tochiro: entrambi lo avevano brontolato per la sua eccessiva durezza con il ragazzo.

Yama arrivò trafelato in Plancia e trovò Harlock seduto sullo Scranno che prese a fissarlo.
“Che c’è? Che ho fatto?” chiese sulla difensiva, non era mai troppo sereno quando il Capitano aveva queste sortite così repentine, a quegli orari impossibili.
“Afferra le caviglie del timone” gli disse l’altro, senza perdersi in chiacchere come suo solito.
Yama roteò gli occhi. Erano mesi che andava avanti quella faccenda delle virate; non ne poteva più! Quello era fissato con gli speronamenti, ma era inutile speronare il nulla. Non sarebbe mai stato come andare diretti contro una nave nemica, ma il comandante era lui e bisognava solo ubbidire.
“Ti ho visto” fece Harlock con tono di rimprovero marcato, mentre Yama raggiungeva la barra.
“Cosa?” domandò l’altro, facendo lo gnorri.
Harlock sospirò.
“Sai bene, che cosa! Non devi contestare i miei metodi, tutto ciò che ti chiedo di fare ha un motivo specifico”.
“Anche speronare il vuoto siderale?” sbottò Yama polemico.
“Sì. Anche quello, saputello!” gli rispose Harlock torvo.
Yama sbuffò e afferrò le famigerate caviglie.
“Oggi farai pratica su un satellite abbandonato. Dovrai fare una virata completa e speronarlo”.
“Ah sì?” chiese il ragazzo ringalluzzito. Finalmente un po’ di sana azione, pensò baldanzoso.

La giornata alla fine fu proficua e per una volta l’addestramento fu meno noioso del solito.
Yama si sentiva allegro e soddisfatto, aveva sfasciato di gran gusto quel satellite ed Harlock si era mostrato morigeratamente soddisfatto, per l’apprendista pirata era stato un gran traguardo.
L’unica cosa che però lo turbava, era vedere la profonda sofferenza che si celava dietro lo sguardo malinconico di colui che sapeva essere suo padre.
Capiva quanto terribilmente sentisse la mancanza della biologa e sapeva che non gli  sarebbe mai passata, così, prima di lasciare la Plancia, fece una cosa inaspettata.
Si parò davanti ad Harlock e lo fissò molto serio, quindi prese coraggio e parlò.
“Ho grande stima di te come uomo. Sei un condottiero giusto e leale. Da te ho imparato il valore delle scelte e sei il primo che mi ha fatto gustare il sapore della libertà. Hai passato cento anni a lacerarti l’anima. Hai espiato la tua colpa, stai ricostruendo un futuro per l’umanità, non sarebbe anche ora che magari pensassi un po’ a te?” finì con il dirgli quasi con affetto.
Harlock alzò la testa e con il suo cipiglio crucciato lo scrutò intensamente.
“Che intendi dire?” gli chiese sempre più serio, ma anche incuriosito da questa sortita inaspettata del ragazzo, pareva davvero accorato.
“Vai a riprendertela e finiscila di stare imbronciato un giorno sì e l’altro pure!” sbottò Yama diretto. Era palese quanto si logorasse, che la facesse finita una volta per tutte.
Il Capitano sussultò appena. L’aveva sorpreso e non poco, ma cercò di contenersi e di non darlo a vedere.
“Non sono cose che ti riguardano” borbottò burbero.
“Invece penso proprio che mi riguardino” ribatté Yama, incrociando le braccia al petto.
Harlock si alzò in piedi, sovrastandolo con la sua imponenza.
“In che senso?” gli chiese molto serio. Voleva capire, era turbato.
“Nel senso che è anche mia madre. Vorrei conoscerla più a fondo…” gli confessò con disarmante sincerità, stupendo se stesso per primo, per quel pensiero tramutatosi in parole.
Il Capitano rimase spiazzato, ma non rispose, si girò elegantemente su se stesso e molto lentamente cominciò ad allontanarsi dalla Plancia, per andare da Tochiro, senza dargli una risposta, né commentare ciò che gli aveva appena detto.

 

***

 

A gennaio a Londra faceva un freddo tale che si poteva anche correre il rischio che, essendo fuori, si ghiacciasse la punta del naso. 
Joy camminava in fretta. Era buio pesto e rischiava di perdere la metro. Doveva raggiungere la sua amica  Suzette per andare a cena in un ristorante indiano, a Chelsea.
Susette era l’unica persona con cui aveva fatto amicizia da quando si era trasferita a Covent Garden. Era una tipa tranquilla e riservata, la faceva ridere, e Dio solo sapeva se ne avesse avuto bisogno.
Era tutto il giorno che si sentiva strana. Una sensazione come di aspettativa che la agitava oltre ogni dire. Si ritrovava a volte con i battiti del cuore accelerati, senza nemmeno capire il perché. 
Scese veloce le scale che portavano alla metro e riuscì a prendere il treno appena in tempo. Era stipato, del resto era anche l’ora di punta.
D’un tratto si sentì come osservata. Si guardò intorno, ma ognuno si stava facendo i fatti suoi. 
Due ragazzi amoreggiavano in piedi vicino alle porte scorrevoli, che si erano appena chiuse. Un signore consultava il suo cellulare, passando ritmicamente l’indice sullo schermo. Un uomo leggeva il giornale, mentre accanto a lui una madre accudiva la figlia. Insomma, nessuno si curava di lei eppure si sentiva addosso lo sguardo di qualcuno, era come se la toccasse.
Si dette della paranoica e controllò quante fermate mancassero alla sua stazione. Solo due. Avanzò verso le porte.
Poco dopo, finalmente uscì da quel treno così zeppo. Salì sulla scala mobile, passò l’abbonamento elettronico sul tornello della metro e uscì all’aria aperta. Una sferzata di vento gelido l’accolse facendola rabbrividire, si strinse il bavero del cappotto al collo e, in fretta, s’incamminò verso il ristorante, dove l’aspettava la sua amica.
D’improvviso ancora quella sensazione.
Si girò di scatto e intravide un'ombra.
Aguzzò la vista e le parve di scorgere la sagoma di un uomo molto alto. Indossava un cappotto di pelle, lungo fino ai polpacci, il bavero ampio e rialzato, la postura eretta e le movenze eleganti, i capelli lunghi gli danzavano sul collo ad ogni passo…
Camminava a distanza, con una falcata di tipo militare che a lei sembrò dolorosamente familiare.
Il tipo, come si rese conto che si era girata, in un attimo, con una rapidità fulminante, scomparì in un vicolo adiacente.
Joy, senza neppure pensarci, lo rincorse con il cuore in gola, non poteva essere, era impossibile, ma sembrava davvero 
Una volta raggiunto il vicolo non vi trovò nessuno.
Eppure, se non avesse pensato che fosse una pazzia, una cosa pressoché impossibile, sarebbe stata quasi certa che si trattasse di lui: Harlock!

Ma era davvero Harlock?
Non lo era?
Forse, si trattava solo di un desiderio inespresso, così prepotente da trasformarsi in allucinazione?
Chissà… la mente talvolta gioca brutti scherzi, soprattutto se si allea con il cuore!

 

***

 

Il Capitano aveva convocato Yama.
“Devo andare via. Non subito. Per quando partirò devi avere imparato a manovrare la nave da solo, ma sappi che non sarai tu il comandante. Ho in mente ben altro…”. 
“Va bene…” disse il ragazzo guardandolo un po’ perplesso, non capendo assolutamente che gli volesse dire. A parte questo, lui non voleva comandare proprio niente e nessuno, fu felice che l’avesse capito.
“Ma dove vai, se è lecito chiedere?” gli domandò curioso. Gli era sembrato quasi agitato e non era da lui, si mostrava sempre compassato e statico come un blocco di marmo.
La cosa lo incuriosiva e poi, era rarissimo che se ne andasse da qualche parte, anche se ogni tanto spariva e nessuno sapeva dove andasse.
Harlock si alzò dallo Scranno e si mosse lentamente, gli dette le spalle, fece un paio di passi poi si girò, lo guardò dritto negli occhi, con una luce nuova e maledettamente determinata, che gli fece scintillare un lampo nell’iride color miele.
“A riprendermi tua madre” disse, scandendo le parole per dar loro la giusta solennità dell’intento.
Quindi, a passo deciso, si diresse come faceva ormai ogni giorno, a conferire con Tochiro, perché preparare quel passaggio in un altro universo non si stava dimostrando affatto una passeggiata e lui non voleva perdere né sprecare altro tempo prezioso, neppure un solo secondo ancora.

Non c’erano più scuse, ripensamenti, né intralci, era giunta finalmente l’ora di fare ciò che il suo cuore gli chiedeva, era il momento di riprendersi la donna che amava. 
Ulisse finalmente avrebbe fatto rotta su Itaca!

 



Ed eccoci giunti alla fine.
Mettetevi comodi che voglio dirvi alcune cose.
Come alcuni di voi sanno questa storia aveva una seconda parte. Fu cancellata anche quella all’epoca.
Non ho ancora deciso se la posterò di nuovo. Il problema è che dovrei cambiarla molto e al momento non me la sento di metterci le mani.
Non so neanche quanto possa interessarvi, anche perché la storia potrebbe benissimo finire qui, e così, senza problemi.
Non so magari cambierò idea, ora sono presa da altro. Sto scrivendo storie nuove (che devo ancora iniziare a pubblicare. Attualmente ri-postando una storia cancellata.) in un’altra sezione, ma magari nel futuro potrei anche ri-postare la seconda parte. Vedremo.
Poi è ovvio che devo assolutamente ringraziarvi TUTTI
Grazie di cuore per aver letto
(siete tanti, ma tanti!) questa storia con regolarità, dimostrando un interesse che non mi aspettavo!
Un grazie davvero speciale a CHIUNQUE abbia lasciato un commento. Anche in questo caso siete stati molti, ma molti di più, di quelli che avrei anche solo immaginato!
Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite – ricordate – seguite.
Un ringraziamento particolare
va alla mia cara amica Silvia (aka Azumi) senza la quale, nella prima stesura del 2014, questa storia non avrebbe mai visto una fine. Quindi grazie per il tuo tempo, il tuo entusiasmo, l’incoraggiamento, la tua pazienza e bellissime serate passate isieme! Se la storia è qui è anche merito tuo.
Un altro ringraziamento particolare va alla mia cara amica Marilou che è tra le persone che si sono battute perché ri-postassi questa storia, che mi ha sostenuta e incoraggiata e invogliata scrivere di nuovo.
Grazie anche a tutte quelle persone che mi hanno sempre chiesto di questa storia e che hanno, con il loro affetto, contribuito a farmi decidere a ri-postarla.
Grazie ancora una volta per avermi fatta emozionare e per avermi fatto provare quelle sensazioni belle che regala la condivisione di una passione comune!
Di seguito potete trovare alcune delle fan art che all’epoca furono fatte per questa storia dalla mia amica Silvia e un disegno di Harlock fatto da me.
Ora è veramente tutto, un caro saluto e alla prossima!

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Disclaimer: Tutti i personaggi di Capitan Harlock sono © di Leiji Matsumoto. I personaggi e la trama inerenti al film sono © Shinji Aramaki e Harutoshi Fukui. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Grazie a quel sant’uomo di 
Yutaka Minowa, il disegnatore Harlock in CG!!! 

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