Final Fantasy Challenge 2022

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice ***
Capitolo 2: *** Tifa Lockhart (Gennaio; song-fic; Final Fantasy VII) ***
Capitolo 3: *** Il Torneo delle Case [parte prima](Febbraio; HogwartsAU!; Final Fantasy VIII) ***
Capitolo 4: *** Il Torneo delle Case [parte seconda](Febbraio; HogwartsAU!; Final Fantasy VIII) ***
Capitolo 5: *** Epistole d'Amore (Marzo; Modalità 3+1; Final Fantasy IX) ***
Capitolo 6: *** Come un bambino (Marzo; Missing Moments; Final Fantasy X) ***
Capitolo 7: *** Tramondi di Mihen (Maggio; Kid-fic; Final Fantasy X-2 ***
Capitolo 8: *** L'Anima Gemella - Soulmate - (Giugno; Soulmate. AU!; Final Fantasy XII) ***
Capitolo 9: *** L'ultimo fuoco (settembre; Bromance; Final Fantasy XV) ***
Capitolo 10: *** Sempre dalla tua parte (ottobre, Hurt/comfort; FFXIII) ***



Capitolo 1
*** Indice ***




Indice Challenge Final Fantasy 2022
 


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Capitolo 2
*** Tifa Lockhart (Gennaio; song-fic; Final Fantasy VII) ***


 
Questo capitolo partecipa alla Challenge “To Be Writing Challenge 2022” indetta da Bellaluna sul forum “Ferisce più la penna”.
La sfida del mese di gennaio prevedeva di scrivere una song-fic e io ho scelto la canzone "Sally"  di Vasco Rossi (o Fiorella Mannoia, bellissime entrambe le versioni).
I fatti narrati si svolgono alla fine dell'intero capitolo di Final Fantasy VII, la protagonista è appunto Tifa.

(1212 parole)



 
 
Tifa Lockheart



 
Sally cammina per la strada senza nemmeno
Guardare per terra
Sally è una donna che non ha più voglia
Di fare la guerra



 
Tifa cammina per il Settore 7 di Midgar, è diretta al 7th Heaven.
Alza lo sguardo, dopo l’attacco una parte della piattaforma sovrastante è crollata, adesso si può notare uno squarcio di cielo color arancio: ricorda vagamente la sfumatura dei capelli di Aerith sfiorati dal sole.
Ritorna con gli occhi scuri sulla strada davanti a sé, prova una fitta alla bocca dello stomaco.
Non passa giorno che non pensi all’amica… avrebbe potuto fare di più?
Sicuramente.
Si può sempre fare di più.
Aerith, con il suo sorriso dolce.
Aerith, con i suoi modi gentili.
Aerith, bella e spiritosa.
 
Il Settore è stato quasi completamente ricostruito, ma il fetore dei bassifondi permane all’infinito. Alcuni topi bevono da una pozzanghera; dei bambini vestiti di stracci si ricorrono con delle spade di legno urlando di essere i nuovi SOLDIER.
Qualcuno la saluta, lei ricambia senza espressione, forse le ha chiesto qualcosa in particolare, perché in lontananza gli sente urlare indispettito che avrebbe almeno potuto rispondere.
 

 
Sally ha patito troppo
Sally ha già visto che cosa
Ti può crollare addosso
Sally è già stata punita


 
 
È cambiata Tifa, non è più la ragazza che era prima di tutto quello che ha patito. Come se la vita non fosse già stata abbastanza ingrata con lei.
Abituata a combattere, a non dipendere da nessuno, a contare solo sulle sue forze, ma sempre pronta ad aiutare chiunque glielo avesse chiesto.
Adesso vuole solo una vita tranquilla, niente più mostri da sconfiggere o amici da sotterrare.
Finalmente raggiunge il bar che ha riaperto dopo la grande battaglia. Ancora una volta si è dovuta rimboccare le maniche e ricominciare, di nuovo, come dopo la morte di suo padre.
Una volta la vita era più facile.
Da bambina, nel suo villaggio natale, giocare e fare colpo sui compagni sembrava la cosa più importante del mondo. Perfino Cloud faceva di tutto per mettersi in mostra. Non ci aveva mai fatto caso, ma il suo vecchio amico d’infanzia ricercava sempre e solo le sue attenzioni, e se lei lo guardava le sorrideva felice e soddisfatto.
Poi era andato via e tutto era cambiato, in peggio. Non si era resa conto di quanto le fosse affezionata, di quanto dipendesse dalla sua amicizia, fino a che non era stata costretta a vivere senza di lui.
 
Entra nel bar. Tutto è perfettamente identico a come lo aveva lasciato la sera precedente: le sedie capovolte sui tavoli, il jukebox spento, le freccette raccolte sul davanzale della finestra. Non accende le luci, non ancora, quindi si sposta dietro al bancone, dove comincia a prepararsi un tè caldo, senza pensarci su troppo a lungo. Mette il bollitore sul fuoco e aspetta il classico fischio, mentre fuori comincia a piovere, prima lentamente, poi con maggiore insistenza. Immagina la gente del Settore 7 correre al riparo, se aprisse adesso la maggior parte di loro si riverserebbe all’interno. Ma non è ancora giunto il momento di aprire al pubblico, prima deve essere certa che la missione sia andata a buon fine e che tutti – tutti! – siano al sicuro.
 
 

 
Perché la vita è un brivido che vola via
È tutto un equilibrio sopra la follia
Sopra la follia


Senti che fuori piove
Senti che bel rumore
 

 
Posa una sedia sul pavimento tirato a lucido e si siede, il calore del tè nella tazza le distende i nervi. Socchiude gli occhi. Il brusio cullante della pioggia è rilassante.
Cloud è in missione con Barret, dovrebbero tornare a momenti, ammesso che non ci siano stati intoppi.
Il Settore 4 aveva chiesto a quelli dell’Avalanche di mandargli qualcuno per sterminare una colonia di ratti giganti che si era annidata nelle fognature. Un lavoretto di routine, insomma. Eppure, ogni volta, teme il peggio. È abituata ad aspettarsi sempre il peggio dalle situazioni, complicazioni insomma, anche dove non dovrebbero essercene.
Si dice che è cambiata, che non è più la ragazza di prima, che ormai tutto quello che accade intorno a sé non la riguarda, non le importa. Ma non è così.
Continua a mentire a se stessa, perché?
Ogni volta che Cloud va in missione teme per la sua vita, ha paura che non torni sano e salvo, che guardandolo possa rivedere quello sguardo glaciale, senza sentimenti e che smetta di amarla.
Cosa le resterebbe?
Teme per la piccola Marlene, che un giorno possa essere vittima di bullismo a scuola, che possano prenderla di mira perché è la figlia di Barret.
Teme per la vita di quest’ultimo. È una testa calda, sa che si butta a capofitto in ogni situazione, senza pensare alle conseguenze.
Semmai dovesse succedergli qualcosa, cosa ne sarebbe di Marlene?
 
La porta del bar si apre all’improvviso e il fruscio della pioggia si espande tutt’intorno, poi si attutisce quando l’uscio si richiude. Tifa apre gli occhi e si volta in quella direzione. La sala è in penombra, ma non ha bisogno di accendere le luci per sapere che si tratta di Cloud.
È tornato, per fortuna.
«Tutto bene?» gli chiede.
«Tutto bene» le risponde, avanzando verso di lei. Lo spadone che ha dietro la schiena quasi sfiora il pavimento, i capelli chiari sono spettinati, il viso è incrostato da macchie scure. Forse sangue di ratto gigante. Gocce di pioggia si posano sul pavimento, lasciando impronte profonde.
«Hai bisogno di una doccia, hai una faccia! I ratti sono stati più tosti del previsto?» Tifa ridacchia, più che altro per allentare la tensione che aveva provato fino a un attimo prima. «Non sei più il guerriero imbattibile di un tempo». Scherza.
«Tu resti qui?» gli domanda Cloud e lei annuisce. Il bar è il suo lavoro adesso, non può chiuderlo. «Io, allora, vado» conclude lui, dandole le spalle per andare via.
«Cloud, non chiudere la porta quando esci».
Lui fa un cenno con il capo e sparisce.
 


 
Sally cammina per la strada, leggera
Ormai è sera
Si accendono le luci dei lampioni
Tutta la gente corre a casa davanti alle televisioni


 
I lampioni si stanno accendendo con una lentezza incredibile, le botteghe cominciano a chiudere i battenti e le persone tornano a casa, stanche e ingrigite dalla pioggia.
O forse è solo la vita?
Tifa si alza, versa il tè nel lavabo e rimane qualche minuto così. Stringe le mani sul banco da lavoro, abbassa le palpebre e si ripete un mantra che va avanti da troppo tempo.
È tornato. Sta bene. Io sto bene. Stiamo tutti bene.
Riapre gli occhi e lo sguardo si posa su un fiore bianco posato in un bicchiere di vetro con dell’acqua. Sorride. Aerith avrebbe saputo usare le parole giuste per confortarla. Ma adesso è tempo di lavorare, non dei rimorsi.
 
Quando il 7th Heaven chiude i battenti è notte inoltrata.
Ha smesso di piovere, ciò nonostante l’aria è permeata di umidità, la strada è puntellata da diverse pozzanghere, mentre in lontananza si ode ancora l’eco di qualche tuono che si è attardato.
Tifa scende i pochi scalini che la separano dalla via principale e lo vede: è di spalle, le mani infilate nelle tasche del giubbotto. Si volta verso di lei. Non ha più il viso sporco, né lo spadone sulla schiena. Lo raggiunge e Cloud le lascia un bacio sulla fronte, passandole un braccio intorno alla schiena. Le chiede se per caso ha freddo.
«No» mente, ma l’ex SOLDIER le posa comunque il suo giubbotto sulle spalle.
«Com’è andata la serata? Problemi?»
«Per niente, tutto bene.»
«Andiamo a casa?»
Tifa alza gli occhi per guardarlo dritto nei suoi, quegli occhi innaturali, di un verde brillante. Annuisce con la testa, provando un profondo senso di sollievo intanto che Cloud le sorride, con una dolcezza infinita.
Poi, insieme, si incamminano per le vie deserte del Settore 7 di Midgar.
 


 
Ed un pensiero le passa per la testa
Forse la vita non è stata tutta persa
Forse qualcosa s'è salvato
Forse davvero non è stato poi tutto sbagliato
Forse era giusto così

Forse, ma forse, ma sì!



 
Fine 
 
 

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Capitolo 3
*** Il Torneo delle Case [parte prima](Febbraio; HogwartsAU!; Final Fantasy VIII) ***



Non ho mai scritto una AU! quindi vi chiedo scusa in anticipo se qualcosa dovesse stonare e di conseguenza di essere magnanimi nell’elargire sentenze (qualora vogliate lasciarmi il vostro parere, che è sempre ben accetto!).
La sfida della Challenge di febbraio prevedeva una HogwartsAU! perciò i personaggi del fandom scelto da me – Final Fantasy VIII – avrebbero dovuto vestire i panni di maghi, Auror, professori di Hogwarts…
Spero di non aver fatto un casino (non troppo almeno)
Io speriamo che me la cavo (cit.)

 
 

Il Torneo delle Case
 
 

Laguna Loire entrò nel pub i Tre Manici di Scopa e si guardò attorno, con le mani nelle tasche dei pantaloni, i capelli scuri legati in una coda bassa e un sorrisetto ironico sulle labbra.
Il locale non era molto affollato, a quell’ora la maggior parte degli studenti era a lezione. I tavoli occupati erano tre e solo uno – quello in fondo a sinistra – era particolarmente chiassoso.
Laguna avanzò, alzando una mano per salutare Raine, la barista che al di là del banco stava preparando alcune Burrobirra.
«Ehy!» la salutò gioioso.
«Non è giornata, Loire, non è proprio giornata!» Esclamò la giovane donna, afferrando il vassoio con le bibite e allontanandosi.
Laguna rimase interdetto, non si era ancora espresso e Raine sembrava già di cattivo umore. Pessimo momento per andare a farle visita, pensò, sebbene non avesse ancora capito quale fosse il momento giusto della giornata. Intanto che aspettava che lei tornasse e lo trattasse almeno come un cliente qualsiasi, si divertì a origliare la conversazione che alcuni studenti dell’ultimo anno stavano avendo al tavolo nell’angolo in alto a sinistra.
Li conosceva tutti, non solo perché aveva insegnato loro le basi per difendersi contro le Arti Oscure, ma soprattutto perché erano i ragazzi orfani dell’istituto di Edea Kramer.
Dopo la guerra contro la Strega Adele, l’ultima Mangiamorte fedele a Voldermort – o quanto meno si sperava – che aveva seminato terrore nel mondo magico anni addietro, diversi giovani maghi erano rimasti orfani. Allora Edea, moglie dell’attuale preside Cid Kramer, aveva deciso di riunirli sotto un unico tetto. Non era riuscita pienamente nel suo intento, poiché il numero di bambini raggiunti era risultato molto inferiore a quello auspicato, ma quei pochi che aveva preso sotto la sua ala protettrice erano venuti su bene.
Più o meno.
I giovani maghi stavano discutendo su quale delle quattro Casate di Hogwarts fosse la migliore, citando rispettivi virtù e punti deboli.
Selphie Tilmitt, di Tassorosso, cercava di mettere pace grazie alla sua indole gentile e paziente, sempre allegra, ma si era prefissata un compito assai arduo.
Quistis Trepe sedeva a gambe incrociate, teneva i lunghi capelli dorati raccolti dietro alla testa, gli occhiali calati sul naso e sorrideva di sottecchi. Lei era la prefetta della sua Casa, Corvonero, da ormai due anni e addirittura era stato fondato un Fan Club in suo onore.
Poi c’era Squall Leonhart, di Grifondoro, accompagnato quel giorno dai suoi inseparabili amici Zell Dincht e Irvine Kinneas.
Infine, sedeva nell’angolo più remoto, lo studente di Serpeverde: Seifer Almasy. Quest’ultimo era forse l’alunno di Hogwarts più problematico con cui avevano avuto a che fare nell’ultimo decennio: un ripetente, bocciato all’esame finale non perché non fosse bravo, anzi, era un mago molto preparato per la sua giovane età, ma a causa dei continui richiami disciplinari. Adesso, se ne stava con gli occhi chiusi e un sorrisetto irriverente dipinto sul viso.
Neanche Squall parlava molto, ma Seifer dovette dire qualcosa che irritò il mago di Grifondoro poiché questo scattò in piedi e batté le mani sul tavolo di legno massiccio:
«Ripeti quello che hai detto, Almasy!»
«Ho detto che voi di Grifondoro siete delle mezze cartucce! Sempre pronti a fare la morale agli altri, non prendete mai una decisione netta. Ad esempio, il Gallinaccio lì» aggiunse rivolto a Zell, il quale si era buscato quel nomignolo per i capelli biondi a forma di cresta, «fa tutto quello che gli dici. Si butterebbe dalla Torre di Astronomia se glielo chiedessi.»
«Ehi, non è vero!» Si lagnò il ragazzo.
Seifer rise sguaiato, come se avesse appena udito la battuta più spiritosa del mondo.
«Serpeverde… avrebbero dovuto cancellarvi da Hogwarts per quello che avete fatto in passato...» azzardò Squall, sapendo di colpire il rivale su un argomento sensibile.
Infatti, Seifer balzò dalla sedia e afferrò Leonhart per il collo del giubbino:
«Vieni fuori codardo, vediamo se avrai ancora l’ardire di parlarmi in questo modo!» Gli ringhiò contro.
Anche Quistis si alzò, cercando di separare i due:
«Ok, va bene così. Per oggi avete dato abbastanza spettacolo, ora smettetela!»
Proprio in quel momento si trovò a passare Raine, la barista, la quale urlò loro di risolvere i propri problemi fuori dal locale, non voleva danni economici e soprattutto non era giornata!
Seifer lasciò andare Squall, estraendo la bacchetta dalla tasca dei pantaloni lo sfidò a seguirlo, se ne aveva il coraggio.
Ovviamente Squall Leonhart non se lo fece ripetere due volte e insieme lasciarono I Tre Manici di Scopa. Il pub si svuotò in un attimo, tutti ansiosi di assistere all’ennesimo scontro fra i due.
Raine tornò al suo posto, oltre il bancone, e mentre asciugava alcuni bicchieri, chiese a Laguna se avesse intenzione di intervenire. Lui fece spallucce:
«Sono ragazzi, è un periodo di calma piatta. Dovranno pur sfogarsi in qualche modo» minimizzò.
 
Seifer e Squall si posizionarono l’uno di fronte all’altro, a debita distanza, con le rispettive bacchette sguainate, simili a spade affilate. Quistis continuava a urlare loro di smetterla, erano i soliti ragazzini infantili. Anche Selphie sembrava preoccupata, chiedendosi in cuor suo cosa avrebbe potuto fare per evitare il peggio.
Si sarebbero beccati una bella nota disciplinare, come minimo!
Zell e Irvine invece incitavano il loro compagno a fargliela vedere a quel serpeverde chi era il più forte!
Il primo a colpire fu proprio il mago della casata verde/argento, invocando un incantesimo di fuoco che Squall fu lesto a parare. Continuarono così per diversi minuti, con la ragazza di Corvonero incerta se intervenire o meno per sedare gli animi, ma temendo di ricevere un rimprovero dai professori a sua volta. Non voleva certo compromettere la sua splendida media per quei due…
All’improvviso però Seifer cambiò bersaglio, e invece di mirare a Squall puntò la sua arma contro Zell, facendolo schiantare al suolo, poi vide il suo rivale distratto dalle condizioni dell’amico e pensò che fosse la volta buona per colpirlo. Gli scagliò contrò una lingua di fuoco che lo avvolse per qualche secondo, prima di sparire annientata da un potente getto d’acqua.
I presenti si voltarono nella direzione in cui era arrivata quella magia, Idròs, e quando videro il professor Kiros Seagul avanzare con la bacchetta protesa in avanti, molti dei presenti si dileguarono.
Quistis si chinò al canto di Squall, il quale aveva perso i sensi, prima di lanciare un’occhiataccia nei confronti di Seifer.
«Che c’è Trepe? Ti ho sfigurato il principe azzurro?» Scoppiò a ridere.
In effetti, la fronte di Squall era attraversata da una cicatrice che solo la magia della dottoressa Kadowaki avrebbe potuto rimarginare.
Proprio in quell’istante le porte della taverna si aprirono e Laguna Loire ne fece capolino, restando di stucco. Kiros, suo vecchio amico, lo rimproverò:
«Professor Loire, è qui! E non ha pensato che fosse necessario intervenire?»
«Kiros… io non…» vide Squall disteso a terra, ancora svenuto. «Accidenti, non credevo arrivassero a tanto!».
Nel frattempo, Zell e Irvine avevano circondato Seifer, il quale non sembrava intenzionato a tirarsi indietro, neanche contro due maghi abili come lo loro. Selphie si aggrappò al braccio di Irvine Kinneas, supplicandolo di mettere giù la bacchetta; poi la voce del professore di pozioni, Kiros Seagul, tuonò su tutti, ordinando di ritirarsi nelle rispettive stanze e di non uscire fino a nuovo ordine. Squall invece fu portato in infermeria.
Laguna Loire rimase qualche minuto ancora a osservare il terriccio bruciacchiato, dove pocanzi giaceva il corpo di Leonhart. Quei ragazzi si sarebbero ammazzati prima o poi, bisognava fargli comprendere il vero spirito delle Case di Hogwarts, che di sicuro c’entrava poco quella rivalità accesa che si era creata tra loro.
Che fosse il sangue che scorreva nelle loro vene ad aumentare l’aspra inimicizia?
Squall Leonheart discendeva dai Potter; Quistis si diceva fosse una lontana nipote della famiglia Granger/Weasley; Seifer invece era certo fosse un erede dei Malfoy, i suoi capelli chiari e gli occhi azzurri ne erano una testimonianza tangibile, senza contare il suo caratteraccio, o il fatto che lo stesso Cappello Parlante, nel giorno della Cerimonia dello Smistamento, recitò che lui era destinato senza ombra di dubbio a Serpeverde, giacché nelle sue vene scorreva il sangue dei Malfoy.
Il professor Loire rimase in piedi, le braccia conserte e lo sguardo puntato nel nulla, a riflettere, e quando trovò la risposta che cercava si batté un pugno al centro del palmo e si mosse in direzione di Hogwarts.
 


 
***
 
Bussò alla porta del preside con veemenza, come era solito fare. Una vocina stanca e anziana si levò dall’altra parte della stanza. Il preside Cid Kramer lo accolse con le braccia spalancate, pur restando accomodato alla scrivania. Alle pareti erano appesi i quadri dei suoi predecessori, tutti attenti alla richiesta che il professore di Difesa Contro le Arti Oscure era pronto ad avanzare. Avevano imparato negli anni che quando c’era Laguna di mezzo non ci si annoiava mai.
«Loire! Dimmi caro, dimmi pure!» lo esortò Cid.
«Preside, c’è un problema: le Case stanno perdendo il senso di solidarietà e altruismo che invece dovrebbero coltivare. C’è un’accesa rivalità tra alcuni degli studenti migliori dell’ultimo anno e non avranno un’altra occasione per capire cosa significhi davvero far parte di una Casa di Hogwarts, dal momento che presto lasceranno la Scuola di Magia e-».
«Vieni al punto Laguna, non dilungarti oltre.» Kramer non voleva essere scorbutico, ma conosceva il professor Loire e sapeva del suo parlare eccessivo.
«Con il vostro permesso, preside, vorrei indire un torneo: il Torneo delle Case
«Un torneo? Ma per il Torneo Tremaghi è ancora presto e non-»
«No, no! Lei non ha capito: è un torneo tra quattro membri delle rispettive Case. Penserò a tutto io: prove, studenti… Allora, posso?».
Cid Kramer soppesò l’idea. Erano vicini alla fine di settembre e c’era una tranquillità soporifera in quel periodo dell’anno, un po’ di brio non avrebbe ammazzato nessuno. Sperò.
«A patto che le prove non mettano in pericolo la vita dei maghi e che il tutto si concluda entro la fine del prossimo mese.»
«Per il ballo di Halloween sarà tutto finito!» esclamò il professore Laguna Loire, emozionato come un bambino.
Uscì dalla sala del preside gongolando, mille idee si affacciavano nella sua mente brillante, di sicuro avrebbe dovuto chiedere consiglio agli altri insegnanti per quanto riguardava le prove da sostenere. Alcune gli erano già venute in mente, aveva solo bisogno di qualche informazione in più…
 

 

***
 
Squall riaprì gli occhi castano-verdi e sollevò appena il capo per notare la figura di Quistis Trepe seduta su una sedia alla sua destra. Quando la ragazza lo vide chiuse il libro che stava leggendo e gli sorrise.
«Ben svegliato» disse. «Come ti senti?»
«Mi fa male la testa» ammise lui, tornando sul cuscino e poggiando il dorso della mano alla fronte, la ferita che gli aveva inferto Seifer cominciava a cicatrizzarsi.
Si era già destato una volta, dopo lo scontro, e al suo capezzale aveva visto Rinoa. Quest’ultima gli aveva terso le tempie con una spugna umida, sussurrandogli di dormire, era sotto l’effetto di erbe sedative. Squall ricordava quella scena come un sogno, aveva abbassato le palpebre e si era appisolato all’istante. Adesso, però, c’era Quistis al suo fianco.
Che avesse davvero sognato Rinoa?
«Quistis» cominciò, «Ho visto Rinoa prima…».
La prefetta di Corvonero sentì una morsa allo stomaco, ma si sforzò di rimanere impassibile:
«Sì, è andata a mangiare. Non voleva lasciarti da solo, perciò mi sono offerta di sostituirla».
Rinoa Heartilly era arrivata alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts da un anno circa. Non era una vera studentessa, poiché era cresciuta in giro per il mondo, viaggiando spesso a causa del padre: Caraway, Colonnello lo chiamavano, l’Auror più potente in circolazione. Poi la madre era morta e l’uomo si era rivolto al preside Cid Kramer, chiedendogli come favore personale – in memoria della loro ventennale amicizia – di prendersi cura della figlia. Saperla da sola, aveva detto, mentre lui era in missione, lo distraeva oltremodo dall’incarico e temeva per la sua incolumità. Ovviamente, il preside Kramer, uomo di grande cuore, aveva accolto quella ragazza nella propria scuola. Non era stata smistata in alcuna Casa, ma aveva trovato buoni amici tra gli studenti di Grifondoro, ed era lì che soggiornava.
L’intesa tra lei e Squall era stata immediata, un filo invisibile li aveva legati nell’attimo in cui il preside gli aveva chiesto di farle da guida – e anche un po’ da balia. Non stavano veramente insieme, questo almeno Quistis in cuor suo lo sperava, ma davano comunque l’impressione di essere una coppia e ormai tra gli studenti si accettavano scommesse su chi- come-quando si fossero dichiarati.
«Riesci ad alzarti?» domandò la prefetta di Corvonero, cacciando indietro quella sensazione amara. «Il professor Loire ha detto di raggiungerlo nell’aula di pozioni.»
«Ha in serbo qualche ramanzina, immagino. Sarà uno dei suoi soliti discorsi istruttivi e banali.»
Spesso, nella sua insofferenza verso le regole, Leonhart era molto simile a Seifer Almasy.
 


***
 
Nell’aula di pozioni erano già presenti Seifer e Selphie, insieme ad alcuni dei più rinomati insegnanti di Hogwarts. Tra questi spiccava la professoressa di Incantesimi: Edea Kramer, moglie del preside, nonché la donna che si era presa cura di loro da piccoli. C’era anche il professor Kiros e, ovviamente, l’artefice di tutto: Laguna Loire.
Quando Quistis e Squall varcarono la soglia della stanza, Selphie fu l’unica a chiedere allo studente di Grifondoro come si sentisse, ma quest’ultimo non ebbe neanche il tempo di rispondere, poiché Seifer lo canzonò con le sue solite battute. I due si fissarono in malo modo, forse non sarebbero mai andati d’accordo alla fine, nonostante tutti gli sforzi.
Edea Kramer richiamò l’attenzione battendo le mani. Sebbene superasse la cinquantina, rimaneva una donna attraente e con un forte ascendente su ognuno di loro, completamente diversa dal marito che invece era un ometto buono e gentile, ma che non incuteva soggezione quanto la moglie.
«Grazie Edea, grazie» intervenne Laguna, schiarendosi la voce. «Cari studenti, ho assistito troppo spesso a litigi pretenziosi e futili negli ultimi tempi. State confondendo il vero spirito delle Case con i vostri tornaconti personali. Se ricordate bene, durante le lezioni di Storia della Magia, avete studiato quando e perché sono state fondate le Casate di Hogwarts e quale fosse lo scopo iniziale…».
Seifer sbadigliò platealmente, mentre Quistis continuava il discorso del professor Loire.
«Wow! Secchiona come sempre, eh Trepe?!» L’apostrofò il mago di Serpeverde, beccandosi un’occhiataccia da parte della ragazza.
«Venga al dunque, professore» era stato Squall a parlare e subito Seifer lo indicò con l’indice.
«Bravo, ecco uno che la pensa come me!»
«Per dimostrare quale delle quattro Case è la migliore, ho deciso di indire un torneo: il Torneo delle Case. Ci saranno quattro prove da superare, ognuna della quale vi aiuterà a risolvere quella successiva, mettendo in risalto le peculiarità delle Casate. Grifondoro, coraggio. Tassorosso, gentilezza. Corvonero, conoscenza. Serpeverde, astuzia. Per ogni prova avrete una settimana di tempo. Domande?»
Selphie alzò una mano:
«Potranno partecipare tutti gli studenti?»
«No, solo voi quattro» rispose Laguna.
«Possiamo confrontarci tra noi per il superamento delle prove?»
«Questo è a vostra discrezione» continuò il professore, pensando che fosse proprio quello l’obiettivo finale del torneo.
«Sono prove difficili?» aggiunse Selphie.
«Richiedono ingegno, magari un po’ di lavoro, ma pericolose no, questo no».
«Che noia!» sbadigliò ancora Seifer. «Posso tirarmene fuori?»
«No, non puoi.»
«Almeno si vince qualcosa alla fine?»
La domanda di Seifer spiazzò Laguna, a quello non aveva pensato, accidenti. Cercò con gli occhi l’amico e collega Kiros, sperando capisse che non aveva una risposta adeguata, ma fu Edea Kramer a prendere la parola.
«Il vincitore potrà ritenere superato l’esame di fine anno, pur continuando a seguire i corsi, qualora lo volesse.»
«Quindi, vincendo il torneo, potrei lasciare questo schifo di istituto?» Ancora Seifer, ancora con il suo tono offensivo. La professoressa di Incantesimi annuì con un cenno del capo. Quando guardava Seifer Almasy sentiva che con lui aveva sbagliato qualcosa, non riusciva a capire cosa, eppure era una sensazione logorante, la sentiva scavare nel profondo.
Anche a Squall l’idea di poter finalmente lasciare Hogwarts lo allettava parecchio, era stanco di quella vita da studentello di primo anno, con regole da seguire e nozioni da apprendere. Il suo sogno era diventare un Auror rinomato e rispettato, e ormai si sentiva pronto per la vita al di fuori di quelle quattro vecchie mura.
Lo stesso valeva per Quistis Trepe, la quale tuttavia non immaginava di fuggire da Hogwarts appena ne avesse avuto la possibilità, ma al contrario di rimanerci per sempre, ricomprendo il ruolo di insegnante e – chissà – un giorno anche di preside.
Selphie pareva l’unica che non aveva fretta di crescere, seguiva lo scorrere della vita senza troppi patimenti. Ogni cosa a suo tempo, era il suo slogan.
«Ci sono altre domande?» Laguna li guardò in faccia, uno a uno e quando nessuno parlò, lo fece lui. «Bene. La prima prova consiste nel dirigervi nella Foresta Proibita e cercare dei centauri di nome Wiggs e Biggs. Loro vi consegneranno l’indizio per la seconda prova. Ward, il guardiacaccia, è già stato avvisato del vostro arrivo, quindi non dovreste avere problemi con lui. Il Torneo delle Case è appena iniziato: buon divertimento!».
«Tutto qui? Cercare due mezzi umani e farci dare l’indizio?» Seifer si staccò dal banco contro il quale si era puntellato fino a quel momento. Si avviò verso l’uscita e passando accanto a Quistis si chinò, in modo che potesse sentirlo solo lei: «Senza offesa per mezzi umani, eh?», quindi uscì.
Quistis Trepe strinse i pugni lungo i fianchi. Sapeva che il serpeverde alludeva alla sua discendenza: lei era un po’ Weasley e un po’ Granger, la famosa maga mezzosangue che, si raccontava, avesse preso a pugni un Malfoy proprio in quei corridoi. Non avrebbe permesso a Seifer di vincere quello stupido torneo, per nulla al mondo.
Squall s’incamminò a passo spedito, Quistis lo raggiunse fermandolo per un braccio.
«Leonhart, che ne dici se-?»
«Ognuno per sé» fu la risposta secca del Grifondoro, il quale si liberò dalla presa proseguendo per la sua strada, senza darle neanche il tempo di terminare la frase.
Quistis chinò il capo, offesa, poi la voce allegra di Selphie irruppe nel suo malumore.
«Andiamo insieme da Biggs e Wiggs?»
La Corvonero la guardò sorpresa:
«Li conosci?»
«Certo che sì! Hanno dei nomi troppo carini, non trovi?».
Il professore Laguna Loire aveva spiegato che le quattro prove consistevano nel testare le quattro virtù delle case. Non conosceva ancora le sfide che sarebbero venute dopo, ma andare a chiedere un favore a dei Centauri, i quali per natura non erano cortesi manco a pagarli, con una Tassorosso come Selphie Tilmitt in qualità di alleata, era un inizio più che buono!
 

 

***
 
Trovarono Ward Zabak, il guardiacaccia, con le mani sui fianchi e gli occhi rivolti all’entrata della Foresta Proibita, incerto sul da farsi.
Selphie Tilmitt lo salutò con una mano alzata, sorridente come il suo solito. Quistis non poté fare a meno di osservare la compagna: probabilmente pesava poco più di quarantacinque chili e non arrivava al metro e sessanta, eppure non l’aveva mai vista scoraggiarsi o tirarsi indietro di fronte a una sfida. I suoi capelli erano castani e tagliati a caschetto, con le punte rivolte verso l’alto. Aveva sentito che Irvine Kinneas fosse innamorato perso di lei, eppure la frizzante Selphie pareva non accorgersi neanche di tutte le attenzioni che il grifondoro le riservava. La corvonero si sentì un po’ come Irvine…
Tilmitt le si avvicinò guardandola dal basso verso l’alto con i suoi occhietti verdi e allegri, Quistis la superava di almeno dieci centimetri.
«Che c’è? Non ti senti bene?» le chiese la tassorosso.
«No, tutto bene. Andiamo?»
Ward parlò loro a gesti, poiché era l’unico modo che aveva di comunicare. Laguna e Kiros sostenevano che un tempo il loro amico era un gran chiacchierone, ma dopo una missione qualcosa era andato storto, forse una magia irreversibile, e il grande e grosso Ward era rimasto muto per sempre.
Il guardiacaccia fece intendere loro che Squall e Seifer si erano già inoltrati nella foresta e che era alquanto preoccupato: i centauri Biggs e Wiggs erano due fratelli testardi e se non presi con gentilezza, avrebbero potuto anche rivoltarglisi contro senza scrupoli.
Selphie Tilmitt di Tassorosso gli rispose di stare tranquillo, era sicura che i due studenti non fossero così scemi da mettersi a combattere con due centauri della stazza di Wiggs e Biggs.
Quistis storse il muso: a volte Selphie risultava troppo ingenua per una maga intelligente come lei.
Le due ragazze si congedarono da Ward e imboccarono l’entrata angusta della Foresta Proibita, dove alberi secolari dalle fronde rigogliose non permettevano neppure alla luce del sole di filtrare. Dal terreno umidiccio, ricoperto di foglie secche e humus, sbucavano radici grosse e spesse, che si intrecciavano simili alle dita di un gigante. Di tanto in tanto, qualche animale sgattaiolava a nascondersi al passaggio delle maghe, evidentemente non abituati a ricevere visite esterne.
Quistis Trepe seguiva qualche passo più indietro l’amica, poiché sembrava conoscere a menadito la strada e, in effetti, poco dopo giunsero in una radura nel cuore della selva, ma ciò che videro le allarmò.
Squall era scivolato con le spalle contro un tronco, la sua bacchetta rotolata lontano, mentre un centauro lo sovrastava in tutta la sua imponenza. Seifer, invece, era disteso sul terreno, intanto che l’altro centauro gli teneva immobilizzato con uno zoccolo il polso della mano con cui stringeva l’arma.
«Wiggs, Biggs!» Esclamò Selphie, correndo loro incontro.
«Selphie! Dacci qualche minuto e siamo da te, il tempo che facciamo capire a questi due chi comanda qui!» rispose Biggs alzando gli occhi dallo studente di Serpeverde.
«Lasciateli andare, per favore» continuò la ragazza e finalmente i due centauri la guardarono.
«Non mi dire che li conosci?» le chiese Wiggs, la tassorosso annuì.
Wiggs si allontanò da Squall, ordinando a Biggs di fare lo stesso con Seifer. Quest’ultimo scattò a sedere, massaggiandosi il polso dolorante con l’altra mano.
Il centauro Biggs si mosse in direzione delle due ragazze, squadrando in particolare Quistis che per tutto il tempo era rimasta in silenzio, senza sapere cosa fare o cosa dire, ma con una mano pronta ad afferrare la bacchetta in caso la situazione fosse degenerata, anche solo per proteggersi.
«Anche lei è amica tua?» domandò Biggs rivolto a Selphie.
«Sì, lei è Quistis Trepe, prefetta di Corvonero» cantilenò Tilmitt, portandosi le mani dietro la schiena e ondeggiando avanti e indietro sui talloni.
Il Centauro fece ancora qualche passo, visto da vicino incuteva davvero timore, il suo viso era di un essere umano, ma il corpo possente era quello di uno stallone. Teneva un sacchetto di iuta appeso al collo, raggiunse Selphie e le disse di prenderlo: all’interno avrebbe trovato ciò che cercava.
La ragazza di Tassorosso eseguì, aprì il sacco e vi trovò un foglietto scritto a mano, sul quale era riportata una specie di filastrocca infantile. La lesse ad alta voce:
«”Se la seconda prova superare vorrai, alla Stramberga Strillante andare dovrai! Ma attenti al Platano Picchiatore! Solo una notte durante il dì non picchierà né qui né lì”».
«E che cazzo significa?!» Seifer era tornato in piedi, scrollandosi di dosso i rametti e le foglie che si erano attaccati ai suoi vestiti.
«È un indovinello» intervenne Squall, anche lui finalmente libero di potersi muovere, raggiunse Selphie dopo aver recuperato la sua bacchetta.
«Come sei intelligente!» lo canzonò ancora Almasy, prima di rivolgersi a Quistis, intenta a leggere la filastrocca al di sopra della spalla di Selphie. «Ehi, maestrina, nulla da dire? Nessuna idea?»
«Per il momento no. E seppur ne avessi, stai certo che non la rivelerei a te, Almasy.» Aggiunse la corvonero, quando Wiggs parlò:
«Il nostro compito è finito, la nostra presenza qui non è più necessaria. E neanche la vostra.» I centauri salutarono la loro compagna, poi sparirono nel cuore della boscaglia.
«Andiamo via anche noi, è inutile restare» questa volta era stato Squall Leonhart a esprimersi e nessuno lo contraddisse.
 


***
 

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Capitolo 4
*** Il Torneo delle Case [parte seconda](Febbraio; HogwartsAU!; Final Fantasy VIII) ***




Il Torneo delle Case
[seconda parte]




 
***
 
Erano passati diversi giorni da quando avevano ricevuto il primo indizio per risolvere l’enigma della seconda prova. Tutto ciò che avevano capito era il fatto di doversi recare alla Stramberga Strillante, la cui entrata era tuttavia nascosta sotto le radici del Platano Picchiatore. Era un albero pericoloso, chiunque si avvicinasse rischiava di essere colpito dai sui rami.
Solo una notte durante il dì non picchierà né qui e né lì”
Quistis rilesse per l’ennesima volta il verso. Era quello il passaggio sul quale sapeva di doversi focalizzare. Si alzò dal letto per avvicinarsi alla finestra, osservando il panorama montano che si estendeva a perdita d’occhio. Il cielo era puntellato di stelle, una notte meravigliosa quanto fredda. La luna tonda si specchiava nel lago, il riflesso increspato dalla superficie dell’acqua.
Solo una notte durante il dì non picchierà né qui e né lì”
All’improvviso quelle parole sembrarono chiare come la luce: aveva a che fare con Astronomia, ne era certa!
“… una notte durante il dì”
E se si stesse riferendo a un’eclissi solare?
Afferrò al volo il mantello scuro, si calò il cappuccio sul capo e uscì dal dormitorio.
A quell’ora della notte i corridoi erano deserti, perfino i fantasmi e i signori dei quadri dormivano, doveva solo sperare di non incontrare il custode. Si muoveva con passi felpati sui freddi pavimenti di cemento, qualcuno in un quadro le disse che era vietato uscire durante il coprifuoco, ma lei lo ignorò.
Salì a passi veloci le scale che portavano alla Torre di Astronomia e quando finalmente giunse in cima si arrestò, il cuore fece un salto in gola e continuò a battere come un pazzo nel petto.
Squall era lì, seduto sul pavimento, un libro aperto sulle gambe, ma non era solo. Al suo fianco – molto, molto vicino – c’era Rinoa Heartilly, la figlia dell’Auror Caraway. Entrambi tenevano lo sguardo sulle pagine di un libro, lei in particolare stava indicando qualcosa. Quando Quistis fece capolino dalle scale la osservarono, zittendosi.
«Ah, mi dispiace, non sapevo… non volevo…» balbettò e si detestò.
Lei, due volte prefetta di Corvonero, imbarazzata di fronte a un paio di studenti rintanati nella Torre di Astronomia?!
Certo, non erano due studenti qualsiasi, c’era Squall lì, con Rinoa. Come se vederli insieme l’avesse meravigliata, come se non sapesse che quei due si piacevano e presto o tardi…
«Dispiaciuta di cosa?» la voce di Rinoa la riportò con i pensieri sulla terraferma. La vide alzarsi, era davvero una bella ragazza, se fosse stato un uomo forse si sarebbe infatuata di lei. Non era alta quanto Quistis, ma neanche bassina come Selphie, era proporzionata. Teneva i capelli neri lunghi e lisci oltre le spalle, scalati sul davanti, con qualche ciocca più chiara sul ciuffo. Gli occhi erano vispi, scuri, intelligenti e gentili.
La corvonero non rispose, ma spostò l’attenzione su Squall che la fissava dal basso, il libro ancora aperto, e un’espressione indecifrabile sul volto.
Li aveva interrotti? Con quello sguardo le stava forse comunicando di andarsene?
«Vado via, torno un’altra sera» Quistis fece per tornare sui suoi passi, quando Selphie sbucò da dietro il telescopio.
«Credo di aver capito quando poter andare alla Stramberga Strillante!» esclamò.
Quistis la guardò sgranando gli occhi: allora Rinoa e Squall non erano da soli. Un senso di sollievo le pervase le membra, si rilassò e sorrise.
«Eclissi solare» disse prima di tutti.
«Eeesatto!» Selphie Tilmitt alzò una mano e Quistis le batté il cinque.
«Ora dobbiamo solo capire quando ci sarà» intervenne Squall, mettendosi in piedi e porgendo il libro di Astronomia alla prefetta. «Io non ci ho mai capito molto di queste cose.»
Il sorriso di Quistis Trepe si allargò, mentre prendeva il pesante volume che lo studente di Grifondoro le stava tendendo, perlomeno il capitolo era quello giusto: Eclissi e Congiunzioni Astrali.
 


 
***

Scoprirono che l’eclissi solare ci sarebbe stata due giorni dopo, a mezzogiorno in punto. Attesero che il sole si oscurasse completamente, osservando a debita distanza come, in effetti, il Platano fosse del tutto rapito da quel fenomeno da non accorgersi di quando i tre maghi si infilarono nella botola alle sue radici.
Recuperare il secondo indizio fu davvero molto facile: trovarono ciò che cercavano su un vecchio mobile all’entrata del rudere, la parte complicata era stata la precedente, ossia decifrare la filastrocca e leggere le stelle.
Quando tornarono in superficie, il Platano era ancora rivolto con l’attenzione verso il sole nero e di nuovo Squall, Quistis e Selphie poterono allontanarsi senza problemi.
 


 
***
 
La biblioteca era deserta e poco illuminata.
La luce soffusa delle lanterne creava ombre sinuose sulle pareti; le tende di pesante velluto color carminio erano chiuse; tavoli e sedie ben sistemati e tirati a lucido; i libri ordinati ciascuno nella propria sezione di appartenenza.
Quistis conosceva quel luogo come casa sua, non aveva alcun problema a muoversi seppur in penombra, i corridoi deserti tra gli scaffali non la spaventavano, neanche gli scricchiolii che ogni tanto udiva le incutevano timore.
Con la punta della bacchetta illuminata bisbigliò Accio e un tomo grosso e pesante si librò nell’aria, ondeggiando fino a lei, la copertina citava: “Metodo semplificato per la lettura delle Rune Antiche”.
Con un sospiro si accomodò sul pavimento, la schiena adagiata allo scaffale di legno di quercia e le gambe incrociate. Iniziò a sfogliare le pagine inspessite dal tempo, tenendo la bacchetta tra i denti in modo che potesse illuminarle, estraendo dalla tasca della gonna il foglietto che aveva trovato nella Stramberga Strillante qualche giorno prima. C’era un unico indizio al centro di quel piccolo foglio di carta, ed era un 6 scritto a mano.
Quistis Trepe ci aveva ragionato su per due notti e tre giorni, valutando diverse ipotesi e scartandone altre. Si era consultata con Selphie, ma anche lei sembrava in alto mare, inoltre, aveva detto, era alle prese con il Comitato Organizzativo per la il Ballo di Halloween, quindi aveva avuto davvero poco tempo da dedicare alla soluzione di quel nuovo indovinello.
«Hai chiesto a Squall?» Le aveva domandato e Quistis aveva risposto di sì, ma neppure lui sapeva da dove cominciare. La ragazza di Tassorosso aveva annuito, poi, con la sua solita aria smaliziata, aveva aggiunto:
«E Almasy?»
Seifer?
Quistis non era neanche sicura che si fosse recato alla Stramberga Strillante, nessuno gli aveva comunicato del loro appuntamento durante l’eclissi solare. Ma, riflettendoci su, la ragazza ricordò che nella vecchia casa ai piedi del Platano Picchiatore, le buste, contenenti gli indizi per la quarta e ultima prova, erano state solo tre…
La prefetta di Corvonero continuò a sfogliare il libro. Aveva seguito il corso di Rune Antiche un po’ di tempo fa e le sue nozioni erano alquanto arrugginite, ma se non avesse trovato la risposta quella sera, davvero non sapeva più dove sbattere la testa. Aveva già consultato il manuale sull’Aritmanzia e il numero 6 l’aveva portata a virare sulle antiche Rune magiche.
Reggendo il pesante tomo sulle cosce, una penna sospesa a mezz’aria cominciò a prendere appunti su ciò che lei leggeva biascicando, giacché teneva ancora la bacchetta fra le labbra. Tuttavia, la biro si arrestò di colpo e cadde al suolo, seguita dal quadernino, rotolando ai piedi dello studente che era appena arrivato: Seifer Almasy.
Quest’ultimo si chinò a raccogliere la penna, mentre Quistis seguiva i suoi movimenti con gli occhi, meravigliata di trovarselo dinnanzi.
«Quistis Trepe, prefetta di Tassorosso, che elude il coprifuoco…». Seifer increspò gli angoli della bocca in una sorta di sorriso.
La ragazza si tolse la bacchetta dalle labbra e abbassò lo sguardo, sistemandosi gli occhiali sul naso:
«Che vuoi, Seifer?»
«Beh, immagino che siamo qui per lo stesso motivo. Tanto vale collaborare» lo studente di Serpeverde si sistemò dall’altra parte del corridoio, le spalle contro le mensole e le lunghe gambe distese, quasi a sfiorare l’altra.
«Collaborare? Con te?» Lei accennò una risatina ironica. «Neanche morta!»
«E dai, che ti costa?» Seifer si sporse in avanti, lei lo osservò di sottecchi. «Questa è la prova di conoscenza, è chiaro. Io poi ti aiuterò in quella di astuzia» le fece l’occhiolino.
Quistis lo scrutò alla luce tenue della sua bacchetta: aveva gli occhi chiari, i capelli biondi, le spalle larghe e lineamenti delicati che stonavano con il suo pessimo carattere. Quando era nelle vicinanze, la maga provava una sorta di disagio, come se tutti i sensi fossero allerta, sensazione che di certo non avvertiva con Zell o Irvine.
E neanche con Squall, a dirla tutta.
«Pensi che non sia abbastanza furba?»
Lui si fece indietro, intrecciando le dita alla base della nuca.
«Non ho detto questo, ma se tu aiuti me io dovrò pur sdebitarmi in qualche modo. Ci sarà qualcosa che voi di Tassorosso non sapete fare, no?»
«L’indizio ce l’hai?» gli chiese Quistis e lo vide frugare nella tasca anteriore del pantalone di tessuto scuro, dalla quale ne tirò fuori un foglietto spiegazzato che le porse. Al centro c’era un numero 6. Quindi, alla fine, si era recato alla Stramberga Strillante, ma quando? Loro avevano fatto appena in tempo a entrare e uscire prima che l’eclissi si esaurisse, lui come…?
«Sei andato da solo?»
«Sì…» voltò il viso verso sinistra, mostrando un lieve livido che correva lungo lo zigomo. «Piccolo ricordo del Platano. A proposito, grazie per avermi invitato a venire con voi.»
Quistis provò un lieve tuffo al cuore. Selphie le aveva proposto di dirlo anche a Seifer, ma lei si era opposta categoricamente: se volevano vincere non potevano contare di essere gentili con lui.
«Allora, hai trovato qualcosa?» Il ragazzo indicò con un cenno del capo il volume che teneva aperto sulle gambe. Quistis sospirò, togliendosi gli occhiali che cominciavano a pesarle sul naso, poi abbassò le palpebre e si rilassò con la testa contro i libri.
Il serpeverde ne approfittò per osservarla meglio: quella sera aveva lasciato i capelli sciolti, cosa più unica che rara poiché era solita legarli con un fermaglio dietro al capo. Non pensava fossero così lunghi. Le cadevano lisci e dorati ai lati del viso, perfettamente divisi a metà alla radice. La pelle era bianchissima, senza imperfezioni alcune, le labbra leggermente rosate e gli occhi di un blu intenso, più scuri dei suoi che invece scemavano nel verde.
«Il numero 6, nelle Rune Antiche, corrisponde alla salamandra» disse la prefetta all’improvviso, dopo aver analizzato i pro e i contro di rivelargli le sue scoperte. «Quindi, l’ultima prova, potrebbe consistere nell’affrontarne un esemplare, o creare una pozione con la sua saliva, o non so.» Riaprì gli occhi e lo fissò attentamente. «Si accettano idee.»
Seifer ricambiò lo sguardo, annuendo con il capo, come se stesse riflettendo su quello che aveva appena detto la maga, invece se ne uscì con tutt’altra proposta:
«Vieni al ballo di Halloween con me, Trepe.»
Lei sgranò gli occhi.
«Non credo di aver capito bene.»
«Vieni al ballo con me. Cazzo, ci sarà qualcosa che voi di Corvonero non sapete fare?! Scommetto che non sapete ballare, sempre presi dai libri e dallo studio, vieni al ballo con me e ti insegnerò io. È il mio modo di sdebitarmi per avermi aiutato con la terza prova».
«Tu sei pazzo!» Quistis si alzò, ma Seifer la imitò e la fermò per un polso, era molto più alto di lei – neppure Squall aveva una fisicità tanto imponente – e una presa salda.
«Facciamo una scommessa: se perderai il torneo verrai al ballo con me. Tanto lo sai che Squall non ti inviterà mai, è preso da quella nuova, la figlia del Colonnello. Ti vede solo come una sorella, dovrai fartene una ragione, prima o poi».
Quelle parole la ferirono come mille spuntoni nel petto. Con un moto di stizza si liberò dalla presa, il libro sulle Rune antiche cadde ai loro piedi con un tonfo sordo, chiuse le mani a pugno e distese le braccia lungo il corpo, alzandosi appena sulle punte per parlargli a una spanna dal viso:
«Il torneo lo vincerò io!»
«Perfetto, allora accetta. Che problema c’è?!».



 
***
 
Quistis Trepe controllò l’ora sull’orologio che teneva al polso, mentre si dirigeva nell’aula dove il professor Loire li aveva convocati il giorno prima. Era in anticipo di qualche minuto, ma non importava: ne avrebbe approfittato per ripassare la lezione di Incantesimi a cui era appena stata.
Tuttavia, da quando aveva avuto quell’incontro nella biblioteca con Seifer, appena due notti prima, non riusciva a pensare ad altro che non fosse la loro conversazione.
Lo studente di Serpeverde l’aveva sfidata ad andare al ballo di Halloween con lui. Chiusa nel suo mutismo, aveva accettato l’invito, perché in fondo Squall non l’avrebbe mai invitata, lo sapeva. Avrebbe preferito ballare con una sconosciuta, piuttosto che con lei, ma sentirselo dire senza mezzi termini da Seifer l’aveva ferita. Ciò che la infastidiva più di tutto era però l’evidenza della cotta che aveva per Leonhart.
Stava camminando a passo spedito per i corridoi della scuola, la mente altrove, quando notò la figura di Almasy con le spalle contro il muro e le mani nascoste nelle tasche della divisa verde/argento. D’istinto rallentò, ma quando il mago la vide fu lui a muoversi nella sua direzione, raggiungendola. Il ragazzo biondo tirò via la mano destra dalla tasca e le mostrò il palmo rivolto verso l’alto, al centro del quale c’era una boccetta di vetro scuro.
«Che cos’è?» gli chiese.
«Il debito che avevo con te» rispose Seifer.
Quistis ripensò all’indizio che gli aveva rivelato nella biblioteca, ossia il fatto che il numero 6, nelle Rune Antiche, simboleggiava la salamandra.
«Prendila, ti servirà.»
La ragazza esitò, titubante. Poteva davvero fidarsi di lui?
«Tranquilla, Trepe, non voglio avvelenarti.»
Lei ancora non si mosse, neanche quando il professor Laguna Loire li oltrepassò, invitandoli a seguirlo, gioviale come sempre.
Il serpeverde alzò gli occhi al cielo, e in un moto di sdegno afferrò una mano di Quistis e vi adagiò al suo interno la bottiglietta, quindi raggiunse l’insegnante.
La prefetta di Corvonero rimase qualche secondo ancora a fissare quella boccetta scura, avvertiva il suo peso maggiore di quello che non fosse. Non sapeva bene come comportarsi, se credergli, se fidarsi, poi Selphie la salutò e lei in automatico nascose quella specie di regalo nella tasca della divisa di Hogwarts.
 
Laguna Loire iniziò il discorso complimentandosi con i quattro maghi. Disse che non aveva dubbi sulla riuscita del torneo, aveva scelto i quattro studenti più in gamba. Avevano risolto le prove proprio come si sarebbe aspettato, ma la parte difficile arrivava adesso.
L’ultima prova consisteva nel rubare un uovo a un essere speciale – non specificò di quale animale fantastico si trattasse, poiché il prepararsi ad affrontare quella battaglia era proprio ciò che si richiedeva alla fine della terza prova –, perciò, nel giardino antistante l’ingresso principale, lui e Kiros avevano preparato una Passaporta – con il nulla osta del preside Kramer, ovvio – che li avrebbe teletrasportati nell’habitat della creatura in questione.
L’uovo da prendere a quest’ultima sarebbe stato uno soltanto e di conseguenza avrebbe vinto il Torneo delle Case chi di loro fosse riuscito nell’impresa.
Lo aveva già specificato all’inizio di quella gara, ma ci tenne a ribadirlo: non era una missione suicida.
Insieme raggiunsero il professor Kiros Seagul, il quale li attendeva vicino a una vecchia scopa, abbandonata ai suoi piedi, mentre reggeva quattro cappotti di un marrone scuro, con il cappuccio bordato di pelliccia. Li distribuì a ciascuno di loro, invitandoli a indossarli.
«Perché?» Chiese Seifer, un sopracciglio alzato in forma di protesta.
«Sono bruttissimi!» Fece notare Selphie, intanto che Squall e Quistis li mettevano sulle spalle.
«Tanto non dobbiamo fare una sfilata di moda» aggiunse proprio lo studente di Grifondoro.
«Questa è una Passaporta» spiegò Kiros, indicando la scopa ai suoi piedi. «Appena la toccherete verrete trasportati nella Caverna di Fuoco a nord del ghiacciaio Vatnaiökull, nelle isole islandesi. Si tratta di una caldara minore del vulcano Askja, ai cui piedi si estende il lago Viti. Sapete cosa significa Viti in islandese?» domandò alla fine.
«Inferno» rispose Quistis.
«Esatto» concluse il professore di pozioni, sperando in cuor suo di non doversi pentire di aver appoggiato l’amico Laguna in quell’assurda iniziativa.
«Brava, maestrina» la canzonò Seifer.
Ignorandolo, i quattro studenti si chinarono sulle ginocchia, pronti a sfiorare il manico della scopa in contemporanea.
«Ci siete?» chiese Squall.
«(Ricordati della scommessa)» sussurrò Seifer all’orecchio di Quistis, facendola irrigidire.
«Al mio tre…» continuò il mago di Grifondoro.
«(Tanto non vincerai, Almasy).»
«Uno…»
«(Dici?)»
«… due …»
«Che vinca il migliore!» cinguettò Selphie.
«Aspettate! Ho dimenticato di dirvi che…» Laguna accompagnò le parole con un gesto della mano. «L’uovo è la Passaporta per tornare indie-»
«… tre!»
Gli studenti afferrarono la scopa e un attimo dopo erano spariti, lasciando un grande senso di irrequietudine nell’animo di Kiros.
«Non gli avevi detto che l’uovo è la chiave per tornare a Hogwarts?» Laguna Loire sollevò le spalle e allargò le braccia, respirando a pieni polmoni l’aria pulita che soffiava dalle montagne.
«Lo capiranno, sono svegli» sbadigliò. «Burrobirra ai Tre manici di scopa
Kiros scosse il capo, tornando all’interno del castello.



 
***
 
Ad accoglierli dall’altra parte della Passaporta trovarono un vento gelido e un’immensa distesa di ghiaccio.
«Dannazione, si gela!» Seifer si portò le mani alla bocca e vi soffiò all’interno, sperando di riscaldarle.
«Qualcuno di voi ha capito cosa ci stava dicendo il professor Loire?» Chiese Quistis, aveva un’aria preoccupata.
«Io no» rispose Selphie.
«Nulla d’importante, sicuramente. Come tutto ciò che dice» concluse invece Squall, il quale si guardava intorno con attenzione. Poi, ai piedi del lago Viti, notò l’apertura naturale di una grotta e consigliò a tutti di raggiungerla, prima di morire congelati.
La Caverna di Fuoco era un luogo caldo, dalle pareti di roccia vulcanica e secolare. Si addentrarono con le bacchette puntate davanti a sé e i sensi allerta, sebbene per il momento non si udisse nulla che non fossero i propri passi e le lamentele di Seifer.
«La smetti?!» Gli ringhiò contro Quistis, snervata dai monologhi del mago di Serpeverde. «Se non vuoi proseguire, sei libero di tornare indietro.»
«E rischiare di perdere la mia scommessa con te? Ma neanche morto!» sorrise lui.
«Quale scommessa?» Chiese Selphie ai due ragazzi che la seguivano.
«Oh, lo vedrai Tilmitt. Lo vedrai con i tuoi occhi» sghignazzò ancora Seifer.
Squall, in prima fila, disse loro di fare silenzio, gli sembrava di vedere qualcosa alla fine del tunnel che stavano percorrendo. In cuor suo, però, si chiese che tipo di scommessa avessero mai potuto stringere quei due. Ora, tuttavia, non era il momento di lasciarsi distrarre da quelle cose: aveva un uovo da portare indietro, così da poter finalmente lasciare la Scuola di Magia e Stregoneria.
In effetti, lo studente di Grifondoro aveva avuto ragione: la galleria terminava in uno spazio più ampio, di forma circolare, dove alcuni fiumi di lava scendevano dalle pareti in fondo, per poi sfociare in una sorta di fiume incandescente che scivolata in un’apertura laterale. Al centro della stanza, una salamandra di colore rosso sonnecchiava beatamente, con le palpebre abbassate e la testa adagiata sulle zampe anteriori, le quali trattenevano un oggetto giallastro, dalla forma ovale: l’uovo.
A guardarla, la creatura pareva innocua, ma avvicinarsi e disturbarla per prenderle l’uovo, che sembrava serbare con tanto amore, non allettava nessuno dei maghi di Hogwarts.
Tranne uno.
«Bene, cominciamo!» Esclamò Seifer, prendendo una boccetta di vetro dalla tasca dei pantaloni – identica a quella che aveva dato a Quistis – e bevendone il contenuto, senza pensarci troppo su. Poi stuzzicò l’animale con una magia, svegliandolo.
«Almasy, sei impazzito!» Squall tentò di fermarlo, ma l’altro gli strinse una spalla con una mano.
«Che c’è, Leonhart, non vuoi divertirti un po’? Non deludermi, almeno tu!» Gli strizzò l’occhio, prima di avanzare.
La salamandra urlò tutto il suo dissenso con un verso stridulo e profondo. Lentamente si mosse, mettendo una zampa davanti all’altra, quindi spalancò le fauci e scagliò un getto infuocato.
«Seifer!» Quistis fece per muovere la propria bacchetta e proteggere il serpeverde, ma restò di stucco quando lo vide ricevere in pieno il colpo della salamandra, senza tuttavia bruciare.
«Pozione per attraversare le fiamme» si vantò.
Gli altri tre rimasero a bocca aperta. Dovevano ammettere che Almasy era stato davvero furbo a preparare quella pozione per affrontare la creatura fantastica.
Quistis Trepe fu colei che si meravigliò maggiormente, forse perché era l’unica ad aver avuto una conversazione segreta con lui nella biblioteca, o forse perché rivelargli la soluzione dell’indizio numero tre si era rivelato una mossa giusta, alla fine.
Guardò Selphie alla sua sinistra e Squall a destra. Si domandò come si fossero preparati loro per quell’incontro, se si fossero preparati, ovviamente. Si portò una mano sulla tasca della gonna, sentendo la durezza della bottiglietta che Seifer le aveva lasciato poco prima, indecisa se bere la pozione a sua volta oppure no.
Mettiamo caso l’avesse ingannata e non ci fosse la stessa pozione al suo interno, cosa sarebbe successo?
Vide Squall scattare in avanti, la bacchetta protesa mentre invocava una magia d’acqua che colpì la salamandra facendola irritare.
L’animale si mosse con una velocità inaudita, cercando di travolgere lo stesso Squall che tuttavia fu lesto a evitarla.
L’animale spalancò la bocca e una lingua di fuoco attraversò l’intera area.
Eccetto Seifer Almasy, gli altri tre studenti di Hogwarts invocarono uno scudo magico per proteggersi dalle fiamme.
«Di solito non sono così aggressive!» Disse Selphie, riferendosi ovviamente alla salamandra. «Qualcuno deve averle fatto un incantesimo di aggressività.»
Quistis Trepe era d’accordo con l’amica, il problema però restava il muro di fuoco che ardeva dinnanzi a loro, ostruendo il passaggio verso l’uovo, senza contare la creatura fantastica che non sembrava avere intenzione di farli passare.
La prefetta di Corvonero la vide proprio mentre caricava puntando Seifer: il mago di Serpeverde avrebbe potuto evitare le fiamme, ma non la carica della salamandra. Il ragazzo alzò la bacchetta, pronto a colpirla, ma Selphie lo disarmò, inaspettatamente.
«Stupida di una portaordini, che cazzo fai?!»
La bestia dalla pelle ricoperta di scaglie lo travolse, spingendolo contro le pareti rocciose della caverna.
«Non possiamo farle del male!» spiegò Selphie Tilmitt.
Quistis e Squall la fissavano con gli occhi sbarrati.
«Non è cattiva, vuole solo proteggere l’uovo. È il compito che le hanno affidato, non è colpa sua.» Si voltò a cercare consenso nello sguardo della prefetta. «Non possiamo farle del male» aggiunse.
Quistis la osservò: così piccola eppure così determinata, come lei non sarebbe mai stata. Si tastò ancora una volta la boccetta di vetro nella tasca della gonna, mentre si guardava intorno. Seifer si stava rialzando a fatica, la pozione che aveva creato l’aveva protetto dalle fiamme, ma non dagli attacchi fisici e sembrava più arrabbiato che mai nei confronti della maga di Tassorosso. Quando si sarebbe rimesso in piedi, forse il suo obiettivo non sarebbe più stato la salamandra o l’uovo, bensì proprio Selphie. E uno scontro con lui era proprio ciò che dovevano evitare. L’aveva chiamata portaordini, un soprannome di scherno che le aveva affibbiato durante i primi anni di scuola, quando Selphie faceva avanti e indietro per il castello a consegnare messaggi tra un professore e l’altro, o tra insegnanti e studenti. La portaordini, appunto.
Guardò Squall, che pareva sul punto di buttarsi nelle fiamme pur di arrivare all’uovo e vincere quello stupido torneo. Quanto doveva essere grande la sua forza di volontà?
Quistis strinse il braccio di Selphie, che ancora la fissava in attesa di una risposta:
«Hai ragione, non possiamo ferirla, ma noi dobbiamo andarcene da qua.» Lanciò un’occhiata alla salamandra che adesso si muoveva piano in direzione di Squall, quello più vicino all’uovo, anche se a separarlo da quest’ultimo c’era una parete incandescente. «Devi tenerla impegnata, devi coprirci le spalle. Pensi di riuscirci?» Aggiunse infine, tornando con l’attenzione su Selphie, la quale parve illuminarsi.
«Certo, conta pure su di me!»
«Bene.» Sistemato quello, la prefetta di Corvonero si mosse verso Seifer, raccogliendo per strada la bacchetta che gli era sfuggita a causa dell’incantesimo di disarmo invocato da Tilmitt. Gliela consegnò, chinandosi al suo fianco. Il ragazzo si teneva la spalla, il colpo era stato violento.
«Quella portaordini… aspetta che mi rimetta in piedi!»
«No, Seifer, non è Selphie che devi attaccare. Guardami…» disse Quistis, mentre lui teneva lo sguardo puntato sulla maga di Tassorosso. Gli torse il viso con garbo e fermezza, adagiandovi un palmo sulla guancia,.
«Guardami, Seifer!»
Finalmente lui la guardò.
«Questa pozione è la stessa che hai preso tu?» Quistis gli mostrò la bottiglietta che le aveva dato quella mattina.
«Sì, certo.»
«Sei sicuro? Non mi stai mentendo?»
«Accidenti, Trepe! Ti ho detto che mi sarei sdebitato con te e l’ho fatto. Adesso non è compito mio convincerti!».
Si fissarono per qualche secondo ancora negli occhi, nessuno li abbassò, infine la ragazza tornò in posizione eretta e continuando a guardarlo dall’alto disse:
«Prega per te che tu non mi abbia mentito, Almasy!»
Quindi gli diede le spalle e si allontanò di qualche passo, rivolgendosi a Squall, il cui cappotto era ormai bruciato in più punti.
«Ehi, Squall!» Lo chiamò e quando lui si voltò a guardarla gli lanciò la boccetta di vetro. «Prendi questa, ti aiuterà ad attraversare le fiamme!».
Lo studente di Grifondoro afferrò al volo la bottiglietta, la osservò per pochi secondi, poi tirò via il tappo e ne bevve il contenuto. Si fidava di Quistis, era sua amica da tanti anni, anzi, il loro era un rapporto più profondo dell’amicizia.
Saltò nelle fiamme, incolume, prese l’uovo e tornò dall’altra parte. La salamandra guaì, quasi ruggendo.
«Andiamo, usciamo da qui!» Esclamò Leonhart, muovendosi verso l’uscita e trascinando Selphie con sé.
Quistis intanto stava aiutando Seifer a rialzarsi, poi insieme seguirono gli altri due compagni. La salamandra, invece, rimase ferma al centro della stanza, continuando a emettere versi che sapevano di sconfitta.
«Ehi, Trepe…» fece il serpeverde, camminando a passi lenti e tenendosi ancora la spalla con una mano. «Hai perso la scommessa, è Squall il vincitore.»
La maga lo guardò di sottecchi. Doveva ammettere che le sue pozioni si erano rivelate un ottimo supporto, difficilmente avrebbero potuto recuperare l’uovo senza farsi del male o ferire la salamandra.
Inoltre, la festa di Halloween sarebbe stata solo tra una settimana. Gli sorrise e lui ricambiò.
 
Quando finalmente uscirono dalla Caverna di Fuoco, un freddo pungente li accolse senza troppi complimenti. Tra l’altro, aveva cominciato a nevicare e il vento creava piccoli mulinelli bianchi; mentre i loro respiri si trasformavano in nuvole di vapore.
«Come torniamo indietro?» Chiese Seifer, gli altri lo guardarono.
Già, perché nessuno aveva pensato a quell’eventualità?
«Il professor Loire ha detto qualcosa su una Passaporta e sull’uovo…» intervenne Selphie.
Squall guardò l’oggetto ovale che teneva in mano. Era leggero, come se all’interno fosse vuoto, quindi non poteva essere un vero uovo di salamandra. Lo posò sul terreno soffice e candido ricoperto di neve, prese la bacchetta e urlò:
«Dissendio!»
L’uovo si spaccò in due parti, rivelando al suo interno un foglietto e un piccolo peluche a forma di salamandra. Quistis si chinò a leggere cosa ci fosse scritto sul foglio, ancora una volta la grafia era quella di Loire:
«“Insieme!”».
 
 
 
 
Epilogo
 

Selphie Tilmitt aveva fatto davvero un ottimo lavoro. Il Comitato Organizzativo per il Ballo di Halloween aveva dato i suoi frutti e adesso si potevano ammirare in tutto il loro splendore nella Sala Grande.
Zucche arancioni dai volti spaventosi galleggiavano a mezz’aria, gli occhi e la bocca emettevano una luce fioca, da brividi. Candele e candelabri erano accesi tutt’intorno, mentre le immense finestre erano state coperte da tendaggi strappati in diversi punti e schizzati di rosso qua e là. Dagli angoli della stanza, scendevano fitte ragnatele, alle quali erano aggrappati ragni grossi quanto una mano e – si sperava – di gomma. Lunghi tavoli erano imbanditi di ogni cibo e leccornia, dalle forme più spaventose e stravaganti. 
Rinoa Heartilly batté le mani, emozionata: non era mai stata a una festa del genere. Afferrò il suo accompagnatore per un braccio e lo tirò, affermando di voler assaggiare tutto quello che c’era, anche se non sapeva bene cosa fosse. Lo strattonò più volte, ma Squall non si mosse di una virgola, sembrava imbambolato a guardare qualcosa, o meglio qualcuno. La ragazza bruna seguì il suo sguardo e anche lei rimase affascinata dalla maga che stava scendendo le scale, bellissima nel suo elegante abito nero e il cappello da strega.
Ad attenderla, ai piedi della rampa, c’era Seifer Almasy, anche lui tirato a lucido per l’occasione: smoking scuro, i capelli biondi acconciati all’indietro e un’aria spavalda dipinta sul viso. Le allungò il braccio per aiutarla con gli ultimi gradini e la maga lo accettò volentieri. Si sorrisero.
«Quistis…» biascicò Squall.
«Ciao Squall. Ciao Rinoa. Divertitevi». La prefetta li salutò allegra, poi si allontanò con Seifer.
 
La festa stava ormai giungendo al termine, molti degli studenti erano tornati nei dormitori, ma altri si attardavano nella Sala Grande, ballando un lento e mangiando ciò che ne restava.
Quistis si affacciò alla balaustra del terrazzo, alzando gli occhi al cielo. Amava il panorama notturno: le stelle, la luna, il lago argentato ai piedi dei monti sembrava risplendere di mistero e bellezza.
Tirò un lungo sospiro, socchiudendo gli occhi, ma quando sentì dei passi dietro di lei non si voltò a vedere chi fosse, sebbene si stupì di sentire la voce di Squall.
«Balli con un serpeverde, non ti va di stare con noi?»
Quistis si girò a guardarlo in viso. Era sempre bellissimo, sebbene gli fosse rimasta una leggera cicatrice tra gli occhi, ricordo dello scontro con Seifer a Hogsmead.
«No, scusa. So che Seifer non è ben visto da voi, quindi preferisco stare da sola con lui.»
Squall non replicò, ma l’affiancò puntellandosi alla balconata per studiare il paesaggio che si estendeva a perdita d’occhio.
«All’inizio credevo di amarti» cominciò la prefetta, senza sapere bene dove sarebbe andato a parare il suo discorso, ma sentiva che doveva dirglielo, prima che lui fosse andato via da Hogwarts. «Poi è arrivata Rinoa e mi sono fatta da parte. Non avrei potuto competere con lei. Ma, nella Caverna di Fuoco, ho capito che i sentimenti che provo nei tuoi confronti sono semplicemente fraterni. Ho temuto per la tua vita, come ho temuto per quella di Selphie e anche di Seifer. Sentivo che avrei dovuto fare tutto il possibile per salvarvi, per riportarvi indietro incolumi. Avrei sacrificato me stessa, per tutti voi, in egual misura.»
«Come una sorella maggiore» specificò Squall Leonhart.
«Come una sorella maggiore» ripeté Quistis, sollevata di aver compreso finalmente i suoi sentimenti e di averglieli confessati. Infine, gli sorrise con dolcezza. «Andrai via?»
«No, attenderò la fine dell’anno scolastico» rispose Squall. «E tu?»
«Anche io.»
«Ci si vede in giro, allora!» Il mago di Grifondoro si congedò dall’amica con un cenno del capo e si allontanò, le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni scuri. Tornando verso l’interno della sala, si scontrò con Seifer. I due si guardarono, senza proferir parola.
Il serpeverde raggiunse Quistis, e insieme passeggiarono per tornare ai dormitori. Era stata una bella serata, piacevole e divertente. Nonostante i pregiudizi che lei aveva nei suoi confronti, Seifer si era dimostrato un ottimo cavaliere e buon compagno.
Si fermarono ancora qualche minuto sui gradini che la maga aveva sceso un paio di ore prima, raggiunta la cima della rampa si sarebbero dovuti dividere per tornare ognuno nei propri alloggi.
 
Quando erano tornati ad Hogwarts, dopo aver recuperato l’uovo e fermato la salamandra, si erano ritrovati nell’ufficio del preside Cid Kramer, dove ad attenderli c’erano stati anche la moglie Edea e il professor Laguna. Il preside era stato il primo a prendere la parola, dicendo loro che era molto soddisfatto del lavoro compiuto, poiché l’obiettivo del Torneo delle Case era appunto quello di risvegliare il vero spirito delle Casate, ossia la collaborazione. E loro, per tornare indietro, avevano unito le forze. Poi Edea, l’insegnante di Incantesimi, era intervenuta dicendo che non c’era un unico vincitore in quella gara, ma potevano considerarsi tutti e quattro sul podio e, di conseguenza, superato l’esame finale dell’ultimo anno.
Quistis ripensò in quel momento alle parole di Edea Kramer e, accomodandosi al canto di Seifer, gli chiese che intenzioni avesse: sarebbe andato via da Hogwarts come desiderava?
«Ti ho mai parlato del mio sogno romantico?»
La prefetta scosse il capo.
«Un giorno diventerò Cavaliere della Strega!» La guardò di sottecchi e increspò le labbra all’insù. «La professoressa di Divinazione, Ellione, mi ha predetto che in futuro sarò il cagnolino di Edea».
«Edea Kramer, la moglie del preside?» Quistis corrugò la fronte, non capiva.
«Esatto. La Strega. Così l’ha chiamata. Ci incontreremo di nuovo, io e te, ma da nemici.»
Seifer Almasy si protese in avanti, sfiorandole la bocca con la sua. Quistis non si tirò indietro, semplicemente abbassò le palpebre e si concesse quel tocco delicato, intimo e inaspettato.
«Fino ad allora vagherò per il mondo, allenandomi alla battaglia finale.»
«Io, invece, resterò qui e studierò un modo per poterti sconfiggere.»
«Come desideri, maestrina.»


 
fine
 

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Capitolo 5
*** Epistole d'Amore (Marzo; Modalità 3+1; Final Fantasy IX) ***


La tematica vincitrice del mese di marzo è stata: modalità 3+1 o 4+1 o 5+1, a vostra scelta, più il tema: 3/4/5 volte in cui il personaggio X ha provato a confessare i suoi sentimenti al personaggio Y, fallendo, più 1 volta in cui, infine, c'è riuscito.
Io ho scelto la modalità 3+1 per raccontare i vari tentativi di Eiko di dichiararsi a Gidan, stiamo quindi parlando del mondo di Final Fantasy IX.
Buona lettura ^^


 


Epistole d’Amore


 
La prima volta che Eiko aveva provato a conquistare il cuore di Gidan era stato nel proprio villaggio natale: Madain Sari. Con l’aiuto dei suoi amici Moguri aveva provato a cucinare un pasto afrodisiaco – come lei stessa l’aveva definito, sebbene di afrodisiaco avesse ben poco –, con la speranza che lui si innamorasse perdutamente di lei.
Tuttavia, qualcosa era andato storto. Forse aveva aggiunto troppo sale alla sua super ricetta segreta, o forse l’acqua della cottura non era stata abbastanza calda. Fatto sta, che Gidan aveva speso tutto il tempo del pasto a farle domande sul perché vivesse da sola in un villaggio abbandonato, sugli Sciamani dai quali discendeva e sui suoi poteri magici, interessato solo a scoprire chissà cosa per fare bella figura con la principessa Garnet.
Alla fine della fiera, Eiko si era talmente indignata che lo aveva costretto a sparecchiare e ad aiutarla nelle faccende domestiche.
 

 

La seconda volta che provò a confessargli il suo folle amore, pensò di farlo attraverso una lettera appassionata che la bambina scrisse con l’aiuto del luminare dottor Dotto, il quale sembrò più che orgoglioso di aiutarla in quell’impresa.
La missiva fu poi affidata al boss Kalò, il cui compito sarebbe stato quello di farla recapitare al destinatario: Gidan. Anche questa volta però qualcosa non andò per il verso giusto e la lettera finì chissà come in mani sbagliate. Così, all’appuntamento “sotto un cielo di stelle” si presentarono il “guerriero di latta” Steiner e la bella Shogun Beatrix.
Eiko si rattristò parecchio per non esser riuscita nel suo intento, ma il dottor Dotto la consolò, dicendole che in ogni caso le splendide parole che aveva scritto erano servite a far nascere l’amore tra i due generali dell’esercito di Alexandria, i quali si amavano già, ma non erano mai riusciti a trovare il coraggio di confessarselo.
Ecco, la sua lettera era servita proprio a quello scopo.
Magra consolazione.
 

 

 
La terza volta non andò meglio!
Eiko aveva trascorso intere giornate a spiare i cuochi di palazzo, che si diceva fossero i migliori chef del Regno di Alexandria e di tutto il Continente, solo per rubare i loro segreti e preparare così una cenetta a lume di candela al suo amato Gidan.
Il tentativo di sedurlo con il cibo non era andato a buon fine la prima volta, ma adesso sentiva che era diverso, magari lui non era abituato alle prelibatezze afrodisiache di Madain Sari, chissà, forse preferiva il cibo locale al quale era sicuramente più avvezzo.
Dopo aver sistemato tutto, lo aveva atteso all’ingresso del castello per invitarlo a condividere con lei una cena coi fiocchi, nella torre più alta del palazzo reale. Ma, quando gli si era avvicinata per dirglielo, Markus l’aveva interrotta di gran carriera, parlando con il suo solito accento tedesco. Si era rivolto a Gidan, affermando che il boss Kalò voleva vederlo immediatamente, lo stava attendendo nel teatro di Carmen per parlargli: c’era una cosa fondamentale che doveva discutere con lui.
Gidan gli aveva risposto che lo avrebbe raggiunto subito, poi si era voltato verso Eiko con aria di chi ha fretta, chiedendole cosa stesse per dirgli pocanzi. Lei lo aveva liquidato con superficialità, concludendo che non era nulla di importante, poteva aspettare.
La bambina aveva poi consumato il pasto con Quina, la quale non aveva mancato di farle notare tutti gli errori commessi nel cucinare e dandole ulteriori consigli culinari, di cui adesso non sapeva che farsene.
 

 

 
Ormai delusa da tutti quei tentativi falliti, Eiko era decisa a buttare la spugna.
Durante un tardo pomeriggio, però, incontrò Gidan per puro caso, mentre passeggiava per le stradine di Alexandria. Insieme si accomodarono sul molo, con le gambe penzoloni a sfiorare l’acqua placida del mare.
Il sole stava già tramontando. Ogni volta che calava il crepuscolo, Eiko non poteva non pensare ai tanti tramonti infuocati, malinconici e silenziosi di Madain Sari, e a tutte le volte che li aveva ammirati in compagnia di Mogu e nessun altro.
Gidan, sedutole di fianco, la osservò per qualche secondo, accorgendosi solo allora di quanto fosse cresciuta quella bambina che aveva incrociato per caso durante la caccia per fermare Kuja.
Si domandò se fossero mai riusciti a venire a capo di tutti i misteri irrisolti fino a quel momento se lei non avesse deciso di aiutarli e seguirli.
La battaglia finale era alle porte, più di una volta Gidan aveva soppesato l’idea di non portarla con sé, era troppo pericoloso, ma sapeva anche che non sarebbe stato corretto nei suoi confronti: Eiko c’era sempre stata, non si era mai tirata indietro, neppure dinnanzi ai nemici più pericolosi.
Inoltre, la sua magia bianca si sarebbe rivelata di grande utilità…
Ciò nonostante, decise che era una scelta che spettava a lei.
«Eiko, ascolta, la battaglia finale contro Kuja non è cosa da poco. Sei sicura che-?»
«Che noia!» Esclamò la ragazzina. «Siamo qui, di fronte a questo tramonto meraviglioso, e tu mi parli di battaglie? Ma che avete in testa voi uomini?»
Gidan sbatté le palpebre, non capiva.
«Sai che c’è?» Eiko balzò in piedi, strinse le mani a pugno e tenne lo sguardo fisso sul sole, che nel frattempo spariva all’orizzonte. «Volevo confessarti il mio amore. Ero sicura di essere innamorata di te e di doverti conquistare in mille modi. Ma mi sono scocciata, pensi solo a combattere!» Si mosse per andare via, prima di fermarsi ancora a spendere due parole. «Di’ a Garnet che può stare tranquilla, non cercherò più di conquistarti, perciò io e lei non siamo più rivali in amore.» Prese fiato. «Ah, un’altra cosa: io combatterò contro Kuja, senza se e senza ma. Hai capito?»
Rivolgendogli quest’ultima domanda, Eiko si voltò indietro per guardarlo dritto negli occhi. Gidan sorrise e annuì:
«Ho capito» rispose solo, osservandola allontanarsi a grandi falcate, con il suo bel fiocco giallo che le ballonzolava sui capelli, troppo grande per la sua testa.
Infine, rimase a osservare il panorama ancora un po’, ripensando alle parole della piccola e coraggiosa compagna di viaggio: se avesse avuto qualche anno in più, si sarebbe potuto innamorare perdutamente di quel faccino sfrontato e del suo carattere irriverente.

 
fine 
 
 

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Capitolo 6
*** Come un bambino (Marzo; Missing Moments; Final Fantasy X) ***


Per il mese di aprile la challenge prevedeva di scrivere un Missing Moments. Continuando con la mia raccolta di racconti dedicata ai capitoli di Final Fantasy, questo mese è toccato a Final Fantasy X.
Durante il torneo di Blitzball di Luka, precisamente fra il primo e il secondo tempo, Wakka è ormai fuorigioco a causa del colpo preso. Tutti gli altri si dirigono allo stadio per disputare il secondo tempo, solo Lulu rimane con lui nello spogliatoio…


 
 
Come un bambino

 
 
Lulu rimase per tutto il tempo nell’angolo in alto a destra degli spogliatoi, con le braccia conserte e un’espressione indecifrabile sul bel viso. Come al solito, preferiva osservare in silenzio ciò che accadeva intorno a lei, tenendo per sé le proprie impressioni, i propri pensieri.
Ad esempio, in quel momento, avrebbe voluto dire a Yuna di non scusarsi continuamente per le proprie azioni, lei era l’invocatrice! Umiliarsi e prostrarsi in quel modo solo perché era stata rapita dagli Albhed non si addiceva al suo ruolo, al massimo avrebbero dovuto chiederle perdono i guardiani che aveva scelto e portato con sé – la maga nera compresa –, i quali non erano stati capaci di proteggerla, consentendo un rapimento proprio sotto il naso.

Lulu avrebbe anche voluto zittire quello stupido di Wakka, mentre sentenziava offese nei confronti degli Albhed, quel popolo tecnologico che lui detestava, ma dal quale discendeva Yuna, sebbene lui non lo sapesse, glielo avevano tenuto nascosto.
Eppure, la maga nera aveva ancora nella testa e nello stomaco la sensazione di vuoto e paura che aveva provato quando, durante il primo tempo della partita di Blitzball, mentre lei e gli altri erano impegnati nella ricerca di Yuna, aveva visto Wakka galleggiare nella bolla d’acqua, al centro dello stadio di Luka, privo di sensi dopo il violento colpo preso dall’avversario.
Il cuore le si era fermato, le viscere si erano contorte, lì impassibile davanti allo schermo della TV. Tidus l’aveva chiamata più volte, accorgendosi poi della preoccupazione per Wakka le aveva detto di stare tranquilla, il capitano dei Besaid Aurochs era uno tosto, la priorità era salvare Yuna, o Wakka lo avrebbe ucciso per non essere stato in grado di proteggere l’invocatrice.
 
Yuna era stata trovata e salvata poco dopo, intanto il primo tempo della gara era finito, si erano quindi recati nello spogliatoio della squadra, dove avevano trovato Wakka supino sopra una panca. Respirava, parlava, si arrabbiava: stava benone insomma, seppur ancora dolorante.
Dopo la paternale a Yuna e le scuse di quest’ultima, Wakka aveva alzato bandiera bianca, cedendo a Tidus il suo posto e il comando dei Besaid Aurochs per il secondo tempo.
A uno a uno i giocatori erano scemati dalla stanza, con Tidus davanti a tutti. Poi era toccato a Yuna, la quale non aveva lanciato neanche un’occhiata a Lulu – ancora immobile, simile a una statua –, seguita a ruota del suo fedelissimo guardiano Kimahri.
Adesso Wakka era in piedi, aveva tenuto un bel discorso di incoraggiamento rivolto ai suoi compagni, confessando il ritiro dal Blitzball (il compito di guardiano di Yuna richiedeva la massima attenzione!), spendendo anche le ultime e poche energie che gli erano rimaste a disposizione, fingendo che non provasse dolore.

Ormai soli, Lulu gli si accostò, era molto più alto e grosso di lei, ma sensibile come un bambino troppo cresciuto. Non era difficile per lei immaginare il dolore che stava sopportando.
«Ti ho visto fluttuare» gli disse, omettendo il fatto che avesse temuto per lui.
«Ehi! Non dovevi guardare!» Wakka era orgoglioso come pochi, odiava mostrarsi debole e vulnerabile, ma con Lulu era diverso.
Era Lulu.
Barcollò in avanti, il dolore allo stomaco si stava espandendo fino alla schiena, lei lo afferrò al volo, prima che potesse cadere sul pavimento. Lo strinse a sé, poggiandogli la testa sul petto.
«Ci hai messo davvero tutto te stesso» gli sussurrò, aiutandolo a sdraiarsi sulla panca, la testa sulle proprie gambe, accarezzandogli i capelli rossi. Wakka sembrava svenuto, o forse si era solo addormentato.
Aveva deciso di ritirarsi da capitano dei Besaid Aurochs e dal Blitzball. La maga sapeva bene quanto tenesse a quel ruolo, ma aveva deciso di mettere Yuna e il suo pellegrinaggio davanti a tutto.
Che stupido!
«Mi spiace non poter far molto per aiutarti. La magia nera non serve a curare le ferite, né ad alleviare il dolore. Per quello ci vorrebbe la magia bianca di Yuna» sospirò Lulu.
«Va benissimo così» rispose il capitano, cingendole l’addome. «Mi sento già molto meglio.»
Lulu sorrise, dolce, continuando a sfiorargli i capelli con le dita. Qualche istante dopo sentì il suo respiro regolare, si era addormentato davvero alla fine, proprio come un bambino.
 

 
fine

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Capitolo 7
*** Tramondi di Mihen (Maggio; Kid-fic; Final Fantasy X-2 ***


Challenge del mese di maggio: Kid-fic.
Devo ammettere che finora è stata la tematica che mi ha messo più in crisi, poiché non riuscivo a immaginare nessuna trama adatta. Alla fine mi sono buttata nei ricordi di Paine, immaginando come un tramonto e un luogo possano cambiare a seconda delle persone che abbiamo affianco o delle situazioni per cui lo attraversiamo.

 
 
Tramonti di Mihen
 
 
Paine si accomodò sulla superficie piana all’esterno dell’Aeronave, un ginocchio piegato al petto e l’altro a formare un triangolo, con la punta dello stivale che le sfiorava il bacino. Abbandonò la spada al suo fianco e si godé il panorama.
Il Celsius volava a una velocità modica, in fondo non avevano nessuna fretta. I Gabbiani erano riusciti a scovare un’altra Looksfera e potevano concedersi un po’ di tregua. Rikku e Yuna erano andate a dormire, ognuna nella propria stanza, ma lei – dopo un po’ che ci aveva provato, girandosi e rigirandosi sul letto – aveva sentito il bisogno di uscire a prendere una boccata d’aria.
Le temperature erano piacevoli, sebbene si apprestasse a scendere la notte. A est il sole stava tramontando, tingendo tutto ciò che i suoi raggi sfioravano di un arancio intenso.
Paine sapeva che in quella direzione c’era la via Mihen, famosa appunto per i suoi spettacolari tramonti. Un tempo quella strada era legata a ricordi felici, ma due anni prima ogni bella rimembranza era stata spazzata via da quel traditore di Nooj. Adesso, però, immersa in quell’atmosfera pacifica e tranquilla, la mente la riportò ai tempi in cui era solo una bambina di dieci anni, quando accompagnava suo padre a Luka, per seguire le partite della squadra del cuore: i Luka Goers.
Paine ricordava ancora perfettamente l’adrenalina che le scorreva nel sangue, le emozioni e le sensazioni che non avrebbe mai più provato…
 

*
 

«Pan! Ehi, Pan!»
Paine apre gli occhi e sbatte le palpebre un paio di volte, ancora intontita. Si guarda attorno, gli oggetti che la circondano le sono famigliari, li conosce, in fondo si trova nella sua cameretta, eppure al tempo stesso le sembrano estranei, hanno qualcosa di inanimato.
Ed è una sensazione assurda, perché i pelushe sulla scrivania, o l’armadio stesso sono oggetti morti, senza vita, ma è come se non provasse più alcun sentimento di affezione per loro, come se non li conoscesse come suoi.
Estranei, appunto.
«Pan! Faremo tardi!» La voce di suo padre la distoglie da quella sensazione di smarrimento, lo vede precipitarsi all’interno della stanza spalancando la porta. Indossa la maglia dei Luka Goers, il berretto che cita “Fan numero uno” calato sui capelli scuri, ricci e folti. Il sorriso a trentadue denti gli illumina tutto il viso, la sua pelle è dorata dal sole, senza rughe. Bello, giovane e… vivo.
Vivo?!
Paine ha di nuovo la sensazione di estraneità. Guarda quell’uomo e sa che si tratta di suo padre, ovviamente, ma allo stesso tempo non gli sembra lui. Una specie di alieno che si è impossessato del suo corpo, prendendone le sembianze.
«Avanti pigrona! Guarda che ti lascio qua!» Aggiunge lui, lanciandogli una maglia dei Luka Goers. «Dovrebbe entrarti, era mia quando avevo la tua età.» Le fa l’occhiolino, conclude dicendo che l’aspetta di sotto, poi va via richiudendosi la porta alle spalle.
Paine osserva la maglia, ripensando alle parole che le ha appena rivolto il papà: era mia quando avevo la tua età. Perché, che età ha?
Finalmente si alza dal letto e letteralmente di sente più bassa. Si guarda allo specchio e rimane di stucco: è ancora lontana dal suo metro e settanta che raggiungerà con l’età adulta. Adesso arriva si e no al metro e cinquanta, magra come un grissino, senza forme, con i capelli scuri lunghi fino alle spalle, lisci e tagliati pari. È tornata indietro di una decina di anni, adesso avrà al massimo dodici anni, non di più. È di nuovo quella ragazzina spensierata che seguiva suo padre lungo la via Mihen per accompagnalo a vedere i Luka Goers.
Già, perché lui non lo sa, la crede una grande tifosa, in realtà a Paine frega ben poco della squadra di Blitzball, a lei interessa ritagliarsi quel momento esclusivo con il suo papà.
Ed è proprio la voce di quest’ultimo che ancora una volta la desta dai suoi pensieri. Si cambia velocemente, non le importa di sapere cosa è successo, se si trova in un sogno o se realmente è tornata indietro nel tempo (che sia opera di Sin?), è lì e vuole godersi l’attimo.
 
Padre e figlia si incamminano fianco a fianco, lui canticchia qualcosa, ma Paine non riconosce quel motivetto, o forse si… che sia l’inno di… no, impossibile. Quella canzone è finita nel dimenticatoio dopo aver sconfitto Sin.
L’uomo però prende una direzione diversa dalla solita e ancora una volta la ragazzina deve tornare con la mente al presente.
«Papà, ma Luka è da quella parte…» dice, fermandolo per un braccio.
«Lo so, ma noi siamo diretti a Zanarkand. L’hai dimenticato?» Lui riprende a camminare, continuando a intonare quella dolce melodia.
Paine rimane di stucco.
Zanarkand?
Quella Zanarkand?
La città distrutta da Sin?
Meta ultima del pellegrinaggio degli Invocatori?
Impossibile! È troppo assurdo!
Eppure suo padre non sembra intenzionato a tornare sui suoi passi, perciò alla ragazza non resta che stargli dietro.
«Ed è lì che giocheranno i Luka Goers?» Chiede, sperando di capirci qualcosa in più.
«Sì, contro i Zanarkand Abes.»
I Zanarkand Abes?
Mai sentiti… sebbene quel nome non le sembri del tutto sconosciuto. Se si sforzasse un pochino forse riuscirebbe anche a risalire al momento in cui gliel’hanno nominato o la persona che l’ha fatto, ma ciò che conta davvero adesso è capire cosa diamine stia succedendo.
Il cammino prosegue senza intoppi.
Lungo la strada trovano altre persone dirette allo stadio e nessuna di loro sembra interdetta, è come se fosse normale andare a Zanarkand ad assistere a una partita di Blitzball.
Che sia lei la strana?
Paine si guarda intorno, conosce quelle strade, conosce il panorama che le si para davanti, ma continua ad avere quella sensazione di alienazione. È come se tutto fosse fermo, immobile: l’aria, le fronde degli alberi, gli uccelli…
Sembra quasi di vivere in un sogno…
Già, ma un sogno dannatamente reale.
 
Dopo ore di cammino – Paine non saprebbe dire quanto, a lei in realtà sembrano passati pochi minuti, ma suo padre continua a dire di essere arrivati appena in tempo – giungono nella mitica Zanarkand e di nuovo la ragazza rimane esterrefatta.
Non è la città distrutta che conta solo macerie ed edifici caduti, è una vera metropoli moderna e sfavillante, ancor più viva di Luka.  
Zanarkand risplende di luci colorate. Gli edifici quasi sfiorano il cielo e le strade sono piene zeppe di persone chiassose, ridenti e allegre. Alcune indossano la maglia dei Luka Goers, ma la maggior parte ha gadgets degli Zanarkand Abes e un fiume di gente si sta dirigendo proprio verso lo stadio.
Anche Paine e suo padre riescono ad entrare. La struttura è enorme, mai vista una cosa del genere. Alcune ragazze pon-pon stanno intrattenendo il pubblico al centro del campo. È una città in festa, una vera baldoria e finalmente Paine sembra rilassarsi per godersi lo spettacolo.
La partita inizia dopo un po’, ma Paine proprio non riesce a quantificare il tempo e ben presto la sua attenzione viene rapita dall’asso degli Zanarkand Abes: Tidus. Anche questo nome non le è nuovo, l’ha già sentito, ma dove?
È biondo, con un bel fisico da sportivo e la carnagione olivastra, mentre due splendidi occhi azzurri risaltano sul volto. Proprio quegli occhi color zaffiro si fissano su Paine, le sorride e lei avverte una strana sensazione allo stomaco. Non è come quella provata nella sua camera o per tutto il tempo del viaggio, non è estraneità che sente. È qualcos’altro.
È paura.
Tidus.
Adesso ricorda chi è!
Paine scatta sul posto, guardandosi intorno spaventata. Vuole fuggire da quel luogo ma non sa come fare.
Adesso sa che non è reale. La sua età non è reale. Suo padre che la invita a sedersi non è reale. Zanarkand non è reale.
«Ciao Paine.»
La giovane si volta nella direzione da cui è provenuta quella voce che ha prontamente riconosciuto: è Nooj e ha una pistola puntata contro di lei.
Paine cerca di saltargli addosso per disarmarlo, ma è troppo piccola, non riesce a contrastare il suo fisico e assiste impotente all’uomo – che un tempo credeva suo amico – mentre rivolge l’arma contro suo padre e preme il grilletto.


 
*

 
Paine urlò svegliandosi di soprassalto. Era sull’Aeronave, distesa sul pavimento, la notte aveva ormai avvolto ogni cosa nel suo manto stellato.
Una lacrima le corse lungo la guancia. L’asciugò in fretta e furia, come se potesse bruciarle la pelle, poi si mise in piedi e afferrò la sua arma per tornare all’interno dell’Aeronave: era tempo di rimettersi al lavoro, non potevano permettersi che altri trovassero le loro Sfere. Gli anni spensierati erano finiti, al suono di spari di pistola.


 
fine

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Capitolo 8
*** L'Anima Gemella - Soulmate - (Giugno; Soulmate. AU!; Final Fantasy XII) ***


Ciao a tutti cari lettori!
Continua la Challenge indetta da BellaLuna sul forum "Ferisce più la penna" e - miracolosamente - sono riuscita a scrivere anche una mini oneshot (di 600 parole e poco più) sul tema di giugno, ossia la Soulmate. AU!
Ammetto che non conoscevo questo universo fatto di anime gemelle, ma mi ha colpito molto. Infatti, penso che scriverò ancora qualcosa in merito...
Per la challenge di giugno avrei voluto dar vita a qualcosa di più lungo e originale, ma gli impegni e il caldo mi hanno lasciato davvero poco tempo per farlo, inoltre portare a termine la sfida con tutti i capitoli di Final Fantasy è davvero una cosa a cui tento.
Per giugno, quindi, ci troviamo nel mondo di Ivalice (Final Fantasy XII) e le due anime gemelle altri non potevano essere se non Fran e Balthier.
Buona lettura,
Nina^^

 

 

 
L’Anima Gemella

Soulmate ῀
 


 
Fran sapeva che lasciando il suo villaggio avrebbe per sempre detto addio anche al farne parte. Le viera non avrebbero mai più accettato chi, come lei, si era mischiata agli uomini e ai loro modi rozzi di vivere, mangiando il loro cibo e respirando la loro aria impura. Si sarebbe contaminata, il suo spirito non sarebbe mai più tornato puro, e nel villaggio di Eruyt, dove le figlie della natura vivevano in stretta armonia con essa, non sarebbe più stata accettata.
Ma c’era un particolare che le altre sorelle ignoravano e al quale lei invece aveva voluto dare ascolto: la Soulmate. L’anima gemella, alla quale ogni essere vivente era destinato anche le viera.
 
Nel mondo di Ivalice la legge della Soulmate era una regola divina, non si poteva evitare, pur fingendo che non esistesse: quando il tuo Soulmate moriva, morivi anche tu, condividendo con esso ogni singolo dolore. Ecco che allora Fran aveva visto sorelle spegnersi all’improvviso davanti ai suoi occhi, senza un’apparente motivo; altre portarsi le mani sull’addome, piegate in due dal dolore e guardarsi le dita, aspettandosi quasi di trovarle sporche di sangue a causa di una profonda ferita.
Lei non voleva finire così: vivere un’intera vita, spesso secolare, all’oscuro di chi fosse la sua Anima Gemella, la sua Soulmate.
 
Per questo motivo, cinquant’anni prima, aveva lasciato il villaggio di Eruyt, salutando gli alberi millenari a cui era affezionata e le consorelle, senza voltarsi indietro, senza rimpianti. Solo Jote e Myrn l’avevano scortata fino all’uscita della Foresta di Golmore, per chiederle come pensasse di individuare la sua soulmate fra tante anime.
«Lo capirò quando la vedrò» aveva risposto Fran e aveva avuto ragione.
 
Balthier, la sua Anima Gemella, lo aveva incontrato anni dopo, ma c’era riuscita. Lui, aviopirata della Strahl, era sopravvissuto a un atterraggio di fortuna nel Deserto a est di Dalmasca. Fran lo aveva aiutato a uscire dai rottami, quando una vampata improvvisa aveva avvolto il braccio di lui. Balthier si era sbrigato a togliersi il pezzo superiore della divisa da aviopirata, borbottando nel suo modo di fare mai volgare, trovando poi lei a fissarlo con gli occhi spalancati, impauriti, mentre si tamponava sul proprio braccio il punto esatto in cui lui si era scottato. Si erano guardati per un po’, imbarazzati, poi non si erano mai più separati.
 
Insieme, avevano intrapreso viaggi eccezionali, sorvolando tutta Ivalice. A bordo della Strahl, vivendo di pirateria e rubando i tesori più importanti. Non avevano mai affrontato l’argomento Soulmate, solo una notte, mentre erano sdraiati sull’astronave e contavano le stelle in cielo, alle porte di Rabanastre, lui aveva fatto una considerazione importante:
«Se tu sei la mia Soulmate e sei una viera, io potrei vivere per interi secoli…»
«Oppure sarò io a morire, quando giungerà per te la vecchiaia.»
Balthier le aveva accarezzato una guancia, pensando che fosse bellissima e che non meritava la fortuna di averla accanto, in qualità di compagna di vita.
«Mi dispiace Fran, sei stata sfortunata.»
«Io non la penso così» gli aveva risposto, poi si era sollevata sui gomiti per lasciargli un lungo e delicato bacio sulle labbra.
 
Il giorno seguente avrebbero dovuto intrufolarsi nel Palazzo Reale di Rabanastre, per rubarne il tesoro, ignari che nulla sarebbe stato più come prima: stavano per intraprendere la loro avventura più grande e ancora non lo sapevano. Ma sarebbero stati insieme per l’eternità e questo era ciò che importava davvero.
Fran, sentì una forte felicità pervaderle l’intero corpo, ma non riuscì a spiegarsi se fosse un’emozione che le stava trasmettendo Balthier o se provenisse da lei. Ormai, era sempre più difficile distinguere le sensazioni e capire da chi dei due nascessero. Non se ne curò, da chiunque provenisse la avvertiva anche l’altro, la condividevano.
 
Essere anime gemelle significava proprio questo: condividere tutto, gioie e dolori. E morire, perché sopravvivere al proprio Soulmate sarebbe stato un vuoto troppo grande da colmare, una ferita troppo profonda da rimarginare.
 
 
Fine
 
 

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Capitolo 9
*** L'ultimo fuoco (settembre; Bromance; Final Fantasy XV) ***



Salve a tutti! Continua la raccolta per la Challenge indetta da BellaLuna sul forum “Ferisce più la penna”.
La tematica vincitrice di settembre è stata “Bromance, basata sul tema dell’amicizia maschile fra due o più personaggi”.
Ragionando su, mi sono venuti in mente Noctis e i suoi amici: Gladiolus, Ignis, Prompto.
Ho provato allora a immaginare i pensieri del protagonista, appena prima di rivelare la verità sul proprio destino ai suoi cari compagni d’avventura.
Nina^^


¡Attenzione! Spoiler per chi non ha terminato il videogioco!

 

 

L’ultimo fuoco

 
 
L’aria era calma. Non c’era vento, solo un leggera brezza che soffiava dal mare e portava con sé un buon odore di salsedine. Il cielo sopra di loro si estendeva a perdita d’occhio: un manto nero tempestato da migliaia di diamanti luminosi che sembravano fare a gara a chi brillasse di più.
 
Noctis non riusciva a staccare gli occhi da quella meraviglia, intendeva riempirsene quanto più poteva, di tutto: della brezza che gli scompigliava i folti capelli corvini; delle stelle; del frinire dei grilli; del fruscio del vento fra gli steli d’erba; del piacevole calore del falò. Soprattutto, della compagnia dei suoi amici.
 
Non sapeva ancora come, né in che modo, ma avrebbe dovuto dirglielo, confidarsi con loro sul suo destino. Non meritavano di essere presi in giro, non dopo tutto quello che avevano affrontato insieme.
 
Li osservò a uno a uno, un’ultima volta, i loro volti famigliari illuminati dal riverbero del fuoco, intorno al quale si riunivano ormai da diverse notti da quando avevano intrapreso quel viaggio.
 
Gladiolus Amicitia, il loro legame era scritto già nel suo nome di battesimo. Gladiolus era stato allevano per diventare un giorno il suo braccio destro, per difenderlo dai pericoli e uccidere al posto suo. Invece, tra loro si era instaurata un’amicizia vera, sincera, genuina. Sarebbe stato il più restio ad accettare la sua scelta, il suo infido destino…
 
Ignis Stupeo Scientia, un ragazzo intelligente e colto, che faceva della ragione il suo punto di forza, anche nella battaglia, essendo essenzialmente magro. Un giorno, il suo compito sarebbe stato quello di fargli da consigliere, come suo padre prima di lui. Consigliere del re! Che onore!
Noctis era convinto che nel momento in cui avrebbe esternato la decisione di proseguire da solo il viaggio, Ignis avrebbe cominciato a cercare una soluzione ragionevole, scoprendo alla fine che quella era l’unica strada da poter percorrere per il bene di tutti.
 
Infine, c’era quel pazzo di Prompto, un giovane scalmanato che Noctis aveva conosciuto durante gli anni della scuola. Tra di loro era nato subito un forte sentimento di amicizia, forse perché erano più simili di quanto credevano. Se Noctis fosse stato un ragazzo comune, e non l’erede al trono, sarebbe stato proprio come Prompto: libero.
 
Loro erano i fratelli che si era scelto, gli amici che lo avevano sostenuto sempre e comunque, anche nello sbaglio. I compagni di mille avventure (soprattutto l’ultima) e meritavano la verità: per lui il viaggio proseguiva e la meta ultima sarebbe stata la fine, la sua fine, ma non quella del Mondo. No, il Mondo sarebbe andato avanti, forte e prospero.
E loro con esso.

 
Prompto e Ignis stavano litigando, come al solito, sulla cena da preparare. Gladiolus affilava il suo enorme spadone completamente perso nei propri pensieri, poi il principe parlò:
«Vi devo dire una cosa…».
E tutti e tre si voltarono ad ascoltarlo.

 
fine

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Capitolo 10
*** Sempre dalla tua parte (ottobre, Hurt/comfort; FFXIII) ***


Ciao a tutti!
Anche per la tematica di ottobre (Hurt/Comfort - una storia in cui un personaggio o entrambi soffrono per un motivo scelto da voi e uno tenta di dare conforto all'altro, oppure provano a darsi conforto a vicenda) mi sono lasciata ispirare da uno dei capitoli di Final Fantasy, in questo caso il XIII.
Le protagoniste sono Fang e Vanille, un piccolo scorcio sulla loro vita prima degli eventi di Cocoon.
Questa storia partecipa alla Challenge indetta da BellaLuna sul forum “Ferisce più la penna”.

 



Sempre dalla tua parte
 
 


Oerba era deserta come al solito.
Il tramonto a est tinteggiava di aranciato ciò che restava del piccolo villaggio: le abitazioni abbandonate, la flora che negli anni era prosperata libera, le strade di cemento battute da creature improbabili. 
 
Fang si muoveva lentamente, osservando l’ambiente circostante in cerca della sua cara compagna. La vide seduta con le gambe penzoloni oltre il parapetto che si affacciava a perdita d'occhio sulla vasta pianura di Pulse; neanche la sentì arrivare, né si mosse quando le si accomodò di fianco, abbandonando la lancia contro il muro. 
Vanille avevo lo sguardo triste e per qualche minuto nessuno delle due parlò.
 
Fang conosceva perfettamente i pensieri dell’amica, i suoi tormenti, le domande che talvolta diventavano così pressanti da diventare veri e propri fardelli. Avrebbe voluto dirle parole di conforto, abbracciarla, ma Vanille era molto brava a nascondere i propri sentimenti, soprattutto quelli negativi. Le riusciva facile scacciare l’espressione triste con un sorriso e una battuta sempre pronta. Eppure, la stessa Fang sapeva che la sua sola presenza bastava alla compagna di disavventure per rianimarla. 
 
Infatti, dopo un po’, Vanille stiracchiò le braccia, accompagnando il gesto con un mugolio plateale. Disse che aveva proprio una gran fame, il crepuscolo le metteva sempre una fame pazzesca.
«A te non capita la stessa cosa?» Chiese a Fang e quest’ultima sorrise. 
«Sempre» rispose mentendo. In realtà lo stavano facendo entrambe, per il bene di tutte e due. 
 
Vanille saltò sulla terraferma con un balzo atletico, annunciando che sarebbe andata a preparare la cena. Quindi fece per allontanarsi, ma si arrestò quando Fang la chiamò:
«Vanille» si prese una pausa prima di continuare. «Io ci sarò sempre per te. Qualsiasi cosa accada sarò al tuo fianco e combatteremo insieme. Lotterò per te, fino alla fine. Non mi importa ciò che sarai, chi o cosa sarai. Chi saremo o contro chi dovremmo vedercela.»
Vanille si voltò indietro, gli occhi lucidi di lacrime.
«Lo so, Fang. Lo so».
Fang la raggiunse, era più alta di lei di una spanna. Le accarezzò la testa e i capelli rosati, adagiando la fronte alla sua.
«Sarò sempre dalla tua parte».
«Grazie, Fang». Vanille l’abbracciò, senza più riuscire a trattenere le lacrime, ma il futuro ora faceva meno spavento.

 
fine

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