Breach of contract

di Striginae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il figlio del capo ***
Capitolo 2: *** La lista nera ***
Capitolo 3: *** Strike-chan ***
Capitolo 4: *** Il meme ***



Capitolo 1
*** Il figlio del capo ***


Breach of contract


I
Il figlio del capo



Erano le sette e mezza di lunedì mattina.
Una frase breve, con meno di dieci parole, che però racchiudeva in sé tutti i mali di questo mondo. Esisteva qualcosa di peggio del lunedì? Quel giorno era odiato universalmente da tutti, sia dai grandi che dai più piccoli e per validissimi motivi: andare a scuola dopo il fine settimana era un incubo. Così come lo era tornare in ufficio.

E nonostante Francis –impiegato amministrativo alla Jones International, una delle aziende più importanti al mondo in fatto di importazioni ed esportazioni– avesse anni e anni di lunedì alle spalle, non ci aveva ancora fatto il callo a quell’infausto giorno.

Ancora mezzo addormentato e per nulla pronto ad affrontare l’ennesima giornata di lavoro, impalato davanti al distributore automatico, Francis bevve il suo espresso. Era già il terzo da quando si era svegliato e di sicuro non sarebbe stato l'ultimo.

Il francese davvero capiva perché tutti quanti odiassero i lunedì. Neppure lui li sopportava. Non che amasse particolarmente gli altri giorni, ma il lunedì era proprio un trauma, gli risucchiava via la voglia di vivere. Per essere onesti, non era solo un problema del lunedì: di settimana in settimana diventava sempre più difficile tollerare il tedio e l’assoluta mancanza di stimoli del suo lavoro.  

Francis finì la sua bevanda e fece una smorfia. Gli sembrava di aver appena ingoiato un bicchiere d’acqua sporca eppure si ostinava a bere quel dannato caffè istantaneo per qualche ragione a lui stesso ignota.

«Che schifo il lunedì.»
Risuonò una voce alle sue spalle e Francis non aveva certo bisogno di voltarsi per riconoscere Arthur Kirkland, segretario amministrativo, che alla stessa stregua di uno zombie si era trascinato fino alla macchinetta del caffè.

«Ugh e perché fra tutti dovevo incontrare proprio te di primo mattino?»
Gli disse a mo’ di saluto Arthur mentre inseriva i soldi nel distributore e con un dito guantato pigiava il tasto corrispondente alla bevanda che aveva scelto e, anche senza guardare, Francis era sicuro che si trattasse di un tè.

«Dovresti esserne contento, la mia presenza non ti basta per allietare la tua grigia giornata?»
Ribatté il francese, seguendo con lo sguardo i movimenti del collega.

Francis era da sempre convinto che se il lunedì mattina avesse avuto forma umana, avrebbe avuto l’aspetto di Arthur che nel suo gessato blu, abbinato ad una cravatta nera su una camicia e dei pantaloni del medesimo colore e con i suoi occhiali da ufficio, neri anch’essi, sembrava più un uccellaccio del malaugurio che un impiegato.

«Nulla potrebbe allietare la mia giornata, men che meno tu.»
Replicò Arthur, lapidario. All’inglese non importava proprio di risultare acido, fino alle dieci sarebbe stato intrattabile e non era una novità. Un po’ Francis lo capiva, anche lui aveva le sue giornatacce. Peccato che Arthur vivesse ogni giorno della sua vita come una “giornata no”.

«Come sei negativo, Arthur.»

Nel frattempo, la macchinetta aveva iniziato a rumoreggiare segno evidente che stava per iniziare il processo di preparazione della bevanda. Tuttavia, una scritta lampeggiò nel piccolo display del distributore e Arthur sbatté le palpebre, non volendo credere ai suoi stessi occhi.

Rifornimento bicchieri necessario.

Con la morte nel cuore, Arthur vide l’erogatore della macchinetta che lasciava ricadere inesorabilmente la sua bevanda nel piano d’appoggio, vuoto, in cui invece si sarebbe dovuto trovare il bicchierino.

«Cazzo!»
Sbottò Arthur che non avrebbe mai voluto rinunciare al suo tè e Francis, che aveva assistito a sua volta alla scena e stava cercando con tutte le sue forze di rimanere impassibile, gli diede una mesta pacca sulle spalle.

«Ci vediamo dopo.»
Lo salutò Francis, sghignazzando, mentre Arthur scuoteva rabbiosamente il distributore, forse nella speranza di farsi almeno rimborsare la monetina.

E se il buongiorno si vede dal mattino, sicuramente quel lunedì non sarebbe stato poi così male... almeno per Francis, chiaro.



* * *



Francis si sbagliava.

La giornata, certo, era iniziata bene ma a partire dalle otto non aveva fatto altro che peggiorare.

Fossilizzato di fronte al computer aziendale, Francis era in ritardo su tutto e le scadenze erano pericolosamente incombenti. Intenzionato a recuperare il più in fretta possibile, aveva cominciato proprio con un intenso scambio di mail con dei clienti rimasti indietro con i pagamenti e, purtroppo per lui, ben presto quelle mail si era trasformate in chiamate e, dopo ore di discussioni e linee che cadevano misteriosamente proprio nel momento in cui si discuteva di denaro, non aveva comunque concluso nulla dato che i clienti in questione avevano deciso di annullare l’ordine. Dopodiché era stato il turno di un fornitore nel dargli rogne, per qualche presunto errore in una fattura, e lo aveva tenuto attaccato al telefono per almeno un’altra oretta abbondante. Come se ciò non bastasse, il computer aveva deciso di smettere di funzionare mentre stava finendo alcuni calcoli che aveva perso nell’esatto istante in cui il diabolico strumento tecnologico si era spento in maniera anomala, e aveva dovuto chiamare un tecnico per far sistemare quell’aggeggio malefico. Arrivato a metà mattinata Francis era al sesto caffè e a tanto così da un crollo nervoso e doveva ancora finire il calcolo mensile dell’IVA da comunicare al più presto ad Arthur che gli stava sul fiato sul collo per quella faccenda già dalla settimana precedente.

Tuttavia, quella giornata era destinata a degenerare ancora di più di quanto il francese potesse immaginare.

Cinque minuti prima della pausa pranzo, infatti, era avvenuto l’impensabile.

A sorpresa Alfred F. Jones, il figlio diciannovenne del titolare della compagnia, si era presentato trionfalmente in ufficio. Ciò significava solamente una cosa.
Guai in vista.

Francis, però, non poteva sapere della visita di Alfred dato che da ore era barricato dietro la porta del suo ufficio... alla quale stava bussando qualcuno. Ancora preso dal calcolo dell’imposta, il francese rispose un distratto: “Avanti!” a mezza voce, senza staccare gli occhi dallo schermo del pc.

La porta si aprì e Arthur si intrufolò nell’ufficio. Raggiunse la postazione del collega, dando una rapida occhiata a quello che l’altro stava combinando. Roteò gli occhi verdi nel vederlo così assorto, per una volta che quello scansafatiche francese stava lavorando quasi gli dispiaceva interromperlo.
 
«In sala conferenze, subito.»
Aveva invece proclamato l’inglese, più autoritario che mai, battendo sulla testa del collega un catalogo arrotolato.

«Eh?!»
Aveva esclamato Francis, voltandosi oltraggiato verso Arthur e, lasciando perdere l’IVA, lo guardò come se non credesse alle sue orecchie.
«Ma tra cinque minuti vado in pausa pranzo!»

Francis si imbronciò e Arthur si lasciò andare ad un sospiro.  

«Lo so, anche io avrei dovuto staccare ma il signor Jones ha indetto una riunione straordinaria e ci vuole tutti lì tra cinque minuti.»

«Il signor Jones? Il capo è qui?»
Francis aggrottò le sopracciglia, credeva che il signor Jones fosse nel suo costosissimo yacht da qualche parte nei Caraibi a godersi i suoi miliardi. Che diavolo ci faceva lì in azienda? Certo erano nella sede di Parigi, una delle più importanti in Europa, ma era comunque strano che si presentasse di persona così, senza un minimo di preavviso.

«No, non lui. Il figlio.»
Spiegò Arthur, sistemandosi gli occhiali sul naso e accigliandosi come se il solo pensiero del giovane Jones fosse una gran fastidio... come probabilmente era.

«Guarda, non lo so perché è qui e perché vuole fare questa riunione. So solo che mi ha ordinato di farlo sapere in giro. E ora in piedi, prima cominciamo e prima finiamo.»

Il tono di Arthur non ammetteva repliche e, dopo aver spento il computer, Francis pigramente obbedì, accodandosi all’inglese e seguendolo fino alla sala conferenze nella quale era già presente qualcuno.

Infatti, sbracato su una poltroncina con ruote, all’estremità del tavolo ovale, un ragazzo dava loro le spalle. Sentendoli arrivare, lentamente il giovane ruotò la sedia di centottanta gradi. Se ne stava a gambe incrociate, con i gomiti puntellati sui braccioli e li accolse con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Una musichetta grandiosa nel frattempo risuonava dal cellulare del ragazzo, per accompagnare quella presentazione ad effetto che somigliava quasi al preambolo di un incontro con un boss in un videogioco. Francis era sicuro di non essere l’unico a trovare quel comportamento un po’ bislacco, per così dire. Lo sguardo avvilito di Arthur accanato a lui ne era la conferma.

«Buongiorno!»
Esclamò il giovane, battendo le mani.

Francis lo guardò bene. Era un tipo bizzarro. Biondo con un ciuffetto viola sulla frangia, occhi azzurri, occhiali, una stella sulla guancia destra –è del trucco o un tatuaggio?, si chiedeva il francese–  e un lungo cappotto nero dal colletto piumato. Non vi erano dubbi su chi potesse essere.

«Lei è... Alfred Jones?»

«In persona! Piacere di conoscervi... anche se con Arthur ho già parlato prima.»
Affermò il ragazzo e Arthur brontolò qualcosa. Poi Alfred allungò una mano verso il francese che, cordialmente, la strinse.

«Francis Bonnefoy, responsabile amministrativo.»
Si presentò il francese seguendo con lo sguardo Arthur che si accomodava al suo posto, riordinando alcuni fogli. Poi tornò a concentrarsi su Alfred che sembrava entusiasta di essere lì.

«Sono sicuro che andremo d’accordo!»
Disse Alfred e Francis annuì, quasi contagiato dalla vitalità del ragazzo.

Nel frattempo, la sala riunioni si stava cominciando a riempire e Alfred, per qualche motivo, sembrava non stare più nella pelle. Con un cenno del capo Francis si congedò, prendendo posto accanto all’inglese che lo fulminò con lo sguardo ma non disse nulla.

«Bene signori!»
Iniziò Alfred quando tutti i responsabili dei vari settori si sedettero. Il ragazzo allargò un sorriso sornione che non prometteva nulla di buono.

«Sono Alfred Jones, lieto di vedervi tutti! Ma non perdiamoci in presentazioni, nei prossimi mesi avremo modo di conoscerci come si deve, infatti, sotto mio suggerimento, mio padre ha deciso che è tempo che anch’io inizi a capire cosa significa vivere nel mondo del lavoro. E lo farò qui in azienda con voi... ciò vuol dire che il vostro capo, da oggi in poi, sarò io! Fantastico, sì?»

Nessuno nella sala fiatò, era come calato il gelo. Del tutto indifferente a quell’atmosfera, Alfred armeggiò con il computer della sala, collegato al proiettore, che subito mostrò grafici e indici vari, dall’aria vagamente minacciosa.

«Prima di venire qui ho dato un’occhiata alle prestazioni dell’azienda... vanno bene, ma se solo ci impegnassimo come si deve si potrebbe fare molto meglio. E io sono qui per spronarvi e per darvi la giusta motivazione a lavorare meglio e di più!» 

A Francis non piaceva affatto la direzione che stava prendendo il discorso. Anche Arthur doveva pensarla alla stessa maniera, dato che si era persino interrotto dal prendere appunti.

«Perciò, preparatevi!»
Affermò infine Alfred, sbattendo con forza entrambe le mani sul tavolo per rafforzare il concetto.

«Adesso che ci sono qui io, molte cose sono destinate a cambiare!»

Arthur e Francis si scambiarono un’occhiata, condividendo silenziosamente la stessa apprensione: quei cambiamenti non sarebbero stati affatto positivi.



* * *
 


«... tre ore di straordinari, ma siamo impazziti?»
Si lagnò tra sé Francis mentre usciva dall’azienda, più intorpidito che mani, e guardava l’orologio del cellulare.

Il suo turno avrebbe dovuto terminare alle 17:00 in punto ma, a causa della riunione straordinaria e delle chiacchiere, delle discussioni e delle litigate varie da essa scaturite, non aveva potuto lasciare l’ufficio prima delle 20:00. Quel che era peggio, era che nessuno gli avrebbe pagato quelle ore in più e Francis, a torto o a ragione, si sentiva più maltrattato di uno schiavo egizio impegnato nella costruzione di una piramide. Poteva però ritenersi fortunato, non avrebbe mai voluto ritrovarsi al posto del povero Arthur che si stava trattenendo ancora a lavoro per discutere con Alfred delle nuove politiche aziendali, o qualcosa del genere.

Fiaccamente Francis raggiunse la sua auto, in un parcheggio a pochi metri dell’ufficio, cercando nella ventiquattrore le chiavi. Stava per aprire lo sportello quando notò un gatto a pelo lungo, marrone ma con un’unica striscia di pelo bianco sul collo, che se ne stava pigramente accovacciato sul tettuccio della macchina.

«Sciò, sciò.»
Cercò di farlo spostare Francis e il felino aprì gli occhi, di una strana sfumatura violetta, ma non accennò a muoversi.

Cautamente il francese avvicinò una mano all’animale, agitandola per farlo allontanare, ma il gatto non solo restò fermo ma anzi, continuò ad osservarlo con interesse.

«Oh suvvia, è stato un giorno pesante di per sé, almeno tu potresti non farmi perdere altro tempo.»
Recriminò Francis, osservando il gatto con aria seccata.

«Il capitalismo è proprio orribile, non è vero?»
Domandò allora il micio, con un improbabile accento russo, e Francis strabuzzò gli occhi.

Di scatto fece un balzo indietro, lasciandosi poi andare ad una risatina nervosa per recuperare il controllo.

«Sono stato troppo al computer e mi si sarà fritto il cervello.»
Si guardò attorno, non vi era nessun altro nel parcheggio, solo lui e il gatto. Francis stancamente si diede dello sciocco, il troppo lavoro gli aveva dato alla testa.

«Tu non parli, vero micio?»
Disse, passandosi una mano sugli occhi. Non appena a casa si sarebbe preparato una tisanina, i suoi nervi ne avevano evidentemente bisogno.

Il gatto mosse pigramente la punta della coda ma non aggiunse altro. Francis prese un sospiro di sollievo.

«Meglio che torni a casa adesso.»

Senza badare al gatto ancora sul tettuccio, Francis fece per accomodarsi sul sedile ma la bestia parlò di nuovo e questa volta era sicuro di non esserselo immaginato.

«È da un po’ che osservo quello che accade qui sulla Terra... soprattutto in questa azienda, ah-ah!»
Cominciò il gatto, allungando le zampe anteriori in avanti per stiracchiarsi.
«Oggi poi! Ho visto quello che è successo. Non trovi fastidioso stare alle dipendenze di un adolescente figlio di un riccone?»

Francis era semplicemente senza parole.

«Lui tiranneggia e si arricchisce alle spese dei suoi dipendenti che non vengono neppure pagati abbastanza. È ingiusto, non pensi anche tu?»
Domandò ancora il micio e con prudenza Francis fece cenno di sì con la testa, ancora non riuscendo a capacitarsi che un gatto davvero stesse parlando con lui.

«Non ti piacerebbe poter fare qualcosa al riguardo?»
Chiese ancora l'animale, impassibile di fronte allo sbigottimento del francese.

«Sì... certo che sì.»
Riuscì finalmente a balbettare Francis, che continuava a ripetersi nella sua testa che , stava facendo conversazione con un felino.

Francis era ogni secondo più convinto che Arthur gli avesse ficcato di nascosto qualche pasticca nel caffè e che adesso stesse avendo una sorta di trip allucinogeno. Per questo, paradossalmente tranquillizzato dalla sua nuova realizzazione, il francese decise di smetterla di farsi così tanti problemi e di assecondare quel gatto parlante. Perciò, chiese ancora:
«Ma qualcosa tipo... cosa?»

«Scioperi! Proteste! Rivolte!»
Esclamò il gatto con una certa vivacità e Francis scosse gravemente il capo.

«Perderei il posto in mezzo secondo anche se solo ci pensassi.»
Purtroppo era la dura realtà e i soldi gli servivano. Non si poteva campare di aria e Francis aveva bisogno del suo lavoro... anche se lo odiava e ne era stufo.

«È per questo che ti sto offrendo il Potere dello Sciopero
Affermò il gatto e Francis ci pensò su un attimo. Scioperare era un suo diritto e la proposta di quel gatto anticapitalista non era poi così malvagia.

«E in che cosa consisterebbe il Potere dello Sciopero

L’animale si mise seduto e, come se non stesse aspettando altro, face comparire dal nulla un... megafono rosa?

«Per prima cosa, prendi questo.»
Ordinò l’animaletto, con tono gentile ma perentorio.

Francis osservò il megafono fluttuare davanti a sé e, non senza una buona dose di perplessità, lo afferrò.

Non accadde nulla.

«E ora?»

«E ora devi pronunciare la formula che ti consentirà di ottenere il suo magico potere.»
Spiegò il gatto come se fosse la cosa più normale del mondo e Francis trovò che quella motivazione fosse molto sensata.

«Magi-Magi-Magical Strike. Forza, ora tocca a te!»
Lo spronò l’animale. Poi, con un agile scatto, il gatto scese dalla macchina per atterrare con grazia sull’asfalto del parcheggio.

«Perché no, tanto che vuoi che accada.»
Ponderò Francis e si schiarì la gola. Strinse un po’ più saldamente il megafono e poi:

«Magi-Magi-Magical Strike!»

Questa volta, però, qualcosa accadde sul serio.

Il megafono iniziò a brillare e Francis si sentì sollevare da terra da una forza misteriosa. Ci fu un lampo di colori e il parcheggio, le macchine, la città intera sparirono intorno a lui. Il francese sentì qualcosa agitarsi nel suo petto e venne avvolto dalla luce. Poi, una nuova energia iniziò a scorrere nelle sue vene e un brivido gli serpeggiò lungo la schiena.

L’istante successivo tutto finì e Francis era di nuovo nel parcheggio insieme al micio parlante.

«Cosa...»

Ancora stordito, Francis abbassò lo sguardo su di sé e a stento riuscì a trattenere un urletto.

Del suo elegante completo blu non ne era rimasta traccia. Era infatti stato sostituito da un abitino rosa e bianco, dall’ampia gonna a ruota tenuta ferma da un fiocco stretto alla vita. Al posto dei mocassini erano apparsi degli stivali rosa con un piccolo tacchetto, perfettamente in tinta con il vestito e con i guanti. Incredulo, Francis corse ad osservarsi nello specchietto della macchina per controllare il suo riflesso e... ormai era a corto di parole per descrivere il suo sconcerto. Un collarino rosa gli fasciava il collo e i suoi capelli biondi, che prima gli ricadevano morbidamente sulle spalle, erano stati acconciati in due codine alte tenute ferme da altri due graziosi fiocchetti.

Se solo Francis fosse stato meno scombussolato avrebbe notato che, nonostante tutto, quell’insolito abbigliamento in qualche modo gli donava.

«Cosa è successo?! E perché sono vestito... così

Ormai era chiaro persino a Francis che quello che stava vivendo non era affatto un’allucinazione. Anzi, non poteva essere più reale di quant’era.

«Eh? Non va bene? Da dove vengo io non si fanno differenze di genere tra i vestiti.»
Domandò con fare innocente la voce miagolante del gatto, il quale si stava felicemente leccando una zampetta.

Il francese si passò le mani sul vestito, per poterlo sistemare più comodamente. Poi girò il capo all’indietro, per potersi esaminare meglio e, con una giravolta, piroettò su se stesso, facendo roteare le gonna.
Sì e allora? Era divertente.

«Ah? E si può sapere chi sei tu e da dove vieni?»
Si decise finalmente a chiedere Francis, piegandosi sulle ginocchia per stabilire un contatto visivo con l’animale.

«Giusto, non mi sono ancora presentato.»
Fece il gatto e Francis poteva giurare di averlo visto sorridere.

«Il mio nome è Ivan e vengo dall’Inferno!»



Note finali
... io non so davvero come spiegare tutto ciò, so solo che mi ci sono impegnata molto di più di quanto sembri. Il fatto è che Magical☆Strike è diventata la mia AU canonica preferita e non ho resistito all’idea di scriverci qualcosa. Giusto qualche precisazione, per Francis, Arthur e Alfred mi sono basata ovviamente sui ruoli e i design che Himaruya aveva assegnato loro. Per quanto riguarda Ivan, visto che non è ancora ufficialmente apparso, mi sono detta: “Be’, il vestito Magical Strike di Francia mi ricorda Madoka Magica, perciò perché non prendere ispirazione da questo? Non c'è ruolo migliore di Kyubey per Neko!Russia” ovviamente con i giusti accorgimenti e differenze del caso (?)
Detto ciò, giuro che questa storia non vuole essere una trashata (non che ci sia qualcosa di male nel trash eh, ma non è il mio obiettivo in questo caso). Ringrazio chiunque abbia letto fino a qui e, se vi va, lasciatemi un parere :)
Al prossimo capitolo <3

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Capitolo 2
*** La lista nera ***


II 
La lista nera



Quando Francis si svegliò, parecchie ore prima del trillo della sveglia, ebbe la sensazione di destarsi da un sonno irrequieto. Sbadigliò e si passò una mano sul viso, ripensando a quella che per forza di cose doveva essere una fantasia onirica: un gatto parlante, un vestitino rosa pastello e la missione di combattere il sistema capitalistico.

Rigirandosi nel letto, Francis decretò che quello doveva essere uno dei sogni più strani che avesse mai fatto. E, per quel che ne valeva, sembrava quasi reale.

Tenendo cocciutamente gli occhi chiusi per provare a riprendere sonno, il francese cercò di ignorare l’inspiegabile senso di ansia che si stava facendo strada dentro di lui. Con un sommesso mugolio affondò il viso nel cuscino. C’era qualcosa riguardo a quel sogno che non gli tornava e che, per qualche ragione, non riusciva a farlo stare tranquillo. Dopo essersi rigirato ancora e ancora, rassegnato, Francis voltò il capo verso il comodino e socchiuse un occhio, per controllare l’orologio. Erano solamente le cinque e mezza e ogni speranza di rimettersi a dormire stava velocemente sfumando.

Assonnato, ad occhi ancora chiusi e con i capelli più spettinati che mai, il francese a tentoni si alzò dal letto, infilò le sue comode pantofole e si avviò in cucina. Per prima cosa aveva bisogno di un caffè e poi, visto che aveva ancora molto tempo prima di recarsi al lavoro, ne avrebbe potuto approfittare per prepararsi la colazione. Era da una vita che non si concedeva il lusso di una colazione fatta in casa ma normalmente al mattino non aveva tempo per mettersi ai fornelli.

Aveva appena acceso la macchinetta del caffè quando, sorprendentemente, sentì qualcosa artigliarlo alla gamba.

Oh no.

Dovette costringersi a guardare in basso e ciò che vide non gli piacque affatto. Ancora con gli artigli felini conficcati nella sua gamba, un gatto marrone a pelo lungo lo fissava con un sorrisetto sornione.

«Se tiri via adesso ti potresti graffiare.»
Gli disse allegramente Ivan come se quella potesse essere eventualmente colpa del francese, quasi non fosse il demoniaco gatto quello attaccato alla sua gamba. Per fortuna Francis era talmente immobile da dar quasi l’impressione di non essersi nemmeno accorto del pizzicare degli artigli.

«Quindi non era un sogno.»

«A volte i sogni possono diventare realtà.»

Il rumoreggiare della macchinetta avvertì che il caffè era pronto.

Francis si sentì sospirare. Martellò le dita sul bancone della cucina, la sua mente correva talmente veloce che ebbe quasi difficoltà a seguire il corso dei suoi stessi pensieri.

«Va bene. Non è poi così grave... un gatto infernale e il potere di scioperare non sono nulla che io non possa gestire. Ho solo bisogno del mio caffè, ecco tutto.»

«Questo è lo spirito giusto, ah-ah!»
Commentò Ivan, mollando finalmente la presa dalla sua gamba.

Recuperato il suo caffè, Francis si sedette al piccolo tavolino quadrato della cucina. Ivan, con un balzo agile, si accomodò sulla sedia di fronte, senza mai distogliere il suo sguardo magnetico dal francese, il quale, un po’ a disagio stava sorseggiando la sua amara bevanda.

«Ecco... voi gatti demoni bevete latte come i gatti normali? O vuoi un caffè anche tu?»
Si decise infine a chiedere Francis, che non sapeva bene come interpretare il lungo silenzio del demone. Inoltre, aveva bisogno di una scusa per sfuggire a quello sguardo inquietante, non gli piaceva essere fissato in quella maniera.

«No. Personalmente, preferisco gli alcolici.»

Un gatto demone alcolizzato, che fortuna.

«Non ho neppure croccantini in casa.»

«Non è un problema, purché tu sappia fare i bliny.»

«So fare le crêpes

«Andranno bene.»

Calò ancora una volta il silenzio e l’umano e il demone si scambiarono un’occhiata.

«Quindi...»
Cominciò Francis, sperando che Ivan gli venisse in soccorso e gli spiegasse un po’ meglio ciò che era successo il giorno precedente.

«Quindi?»
Domandò innocentemente Ivan, oscillando pigramente la morbida coda pelosissima, rivolgendogli uno sguardo difficile da decifrare. Francis si schiarì la gola, era sconcertante quanto quel gatto fosse espressivo, dava quasi la sensazione di parlare con un essere umano... un umano dall’aria particolarmente enigmatica, per essere precisi. Gli faceva quasi impressione.

«Quindi. Com’è che funziona il Potere dello Sciopero
Era una domanda lecita quella. Francis non era ancora sicuro di aver compreso tutte le implicazione di ciò che un potere del genere comportasse, ma tanto valeva sapere in cosa consistesse nel dettaglio. Anche Ivan sembrò felice nel ricevere quella domanda.

«Anche se dal nome non sembra nulla di che, è un potere piuttosto interessante. Prima di tutto, potrai usarlo soltanto quando ti trasformi. Ti farà diventare più agile, per riuscire a sparire nel caso le cose si mettessero male e... potrai condizionare l’umore della folla. Ti basterà urlare nel megafono per spronare i manifestanti a seguirti durante una protesta, a battere in ritirata... o a caricare, per esempio.»

Francis si fece pensieroso. In poche parole, Ivan gli aveva appena detto che avrebbe potuto guidare una folla inferocita se solo avesse voluto. Non era una bazzecola né qualcosa da sottovalutare. Anzi, a conti fatti era qualcosa di potenzialmente molto pericoloso.

«Ah, e potrai anche inventarti slogan accattivanti all’occorrenza!»
Aggiunse Ivan con entusiasmo, distogliendo Francis dalle sue considerazioni. Il francese si accigliò, ancora non del tutto convinto.

«Resta il problema che se dovessi usare un potere del genere contro l’azienda per la quale lavoro perderei il posto seduta stante.»

Francis non si stupì nemmeno quando vide Ivan, un gatto, sogghignare.

«Non avevo ancora finito. Fin quando durerà la trasformazione, nessuno sarà in grado di riconoscerti... per quanto ovvia possa risultare la tua vera identità.»

Francis non poteva negarlo, per quanto la situazione fosse assurda, era sbigottito da tutte quelle informazioni.

«E come farò a trasformarmi senza dare nell’occhio? Devo portare sempre con me quell’ingombrante megafono di ieri?»

«Sì, non puoi fare niente senza di esso.»

Dal nulla, apparve il megafono rosa che Francis ormai conosceva bene. Fluttuò verso di lui e, quando gli fu abbastanza vicino, come per magia si trasformò in un orologio da polso... rosa, neanche a dirlo.

«Così lo potrai portare anche a lavoro senza destare sospetti. Come un vero uomo d’affari.»
Spiegò Ivan, mentre Francis lo fissava a bocca aperta.

«Hai proprio pensato a tutto.»

«Siamo molto precisi all’Inferno.»

«Dimmi ancora un’altra cosa. Cosa ci guadagni tu esattamente?»
Chiese Francis, dando finalmente voce al cruccio che più lo angosciava. Nessuno fa niente per niente e ciò era valido sia in ambito lavorativo sia per i demoni, Francis ne era sicuro. Si augurava solamente di non aver venduto per errore la sua anima.

«Il piacere di seminare un po' di zizzania è la migliore ricompensa.»
Rispose candidamente Ivan, con un sinistro luccichio negli occhi.

A conti fatti, non era una risposta rassicurante. Francis però preferì guardare il lato positivo... almeno la sua anima era al sicuro.

Considerando chiusa la conversazione, il francese abbassò lo sguardo sul suo nuovo orologio. Segnava le sei meno un quarto. Bisognoso più che mai di riordinare i pensieri, Francis decise che prepararsi per andare al lavoro era la cosa migliore che al  momento potesse fare.


 
* * *

 
Era solo martedì, eppure, Francis aveva la sensazione che tutto stesse accadendo troppo in fretta e troppo lentamente al tempo stesso. Si sentiva ancora talmente tanto scombussolato da non volersi neppure mettere al volante ma l’angoscia sembrava averlo abbandonato, lasciando spazio ad un singolare senso di euforia.  

Perciò, seduto sul sedile della metro e gli occhi fissi sull’orologio rosa, ripercorse gli eventi che si erano susseguiti in così poco tempo.

Primo: Alfred F. Jones, il figlio del capo, aveva fatto irruzione in ufficio e si era autoproclamato il loro superiore, pensando bene di indire una riunione decisamente troppo lunga.
Secondo: all’uscita dalla riunione aveva incontrato Ivan, un gatto-demone parlante che gli aveva conferito il Potere dello Sciopero. Come se ciò non bastasse, Ivan aveva deciso che si sarebbe stabilito a casa sua a tempo indeterminato, per ragioni a Francis ignote.
Terzo: il rosa gli stava proprio bene addosso. Il suo amico polacco Feliks sarebbe stato molto fiero di lui.

Francis infatti, aveva deciso che fino a quando aveva tutto sotto controllo non vi era motivo di preoccuparsi. Per quanto fosse assurdo, era qualcosa di speciale che era successo a lui, tra miliardi di persone. Quante possibilità c’erano? E perché non vederne il lato positivo? Si sentiva più vivo che mai e non sapeva proprio come avrebbe fatto a lavorare, gli ronzavano troppe idee per la testa per dedicarsi alle sue noiose mansioni da ufficio.

Sceso dalla metro, si diresse verso la sede della Jones International, al centro di Parigi. Francis diede un’occhiata all’orologio, era un po’ in anticipo rispetto al solito. Quando arrivò di fronte il palazzo in cui si trovavano gli uffici, il francese non si stupì nel vedere Arthur fuori dalla porta principale, appoggiato con la schiena al pilastro a fumare una sigaretta.

«Un giorno mi spiegherai come fai ad essere sempre il primo ad arrivare qui.»
Disse Francis quando gli fu abbastanza vicino, accennando un cenno di saluto con la mano.

Arthur grugnì qualcosa, non volendosi sprecare in una risposta più articolata.

«Non mi dirai che dormi direttamente sulla scrivania del tuo ufficio?»
Riprese Francis, per punzecchiare un po’ il suo collega preferito che per tutta risposta gli scoccò un’occhiatina bieca.

«Almeno io sono sempre puntuale, a differenza tua che credi che questo sia un hotel e di poter arrivare quando ti pare.»
Rimbeccò allora Arthur, come al solito di pessimo umore.

«Ehi, questa settimana non sono arrivato in ritardo neanche una volta!»
Si scandalizzò il francese, portandosi una mano sul petto con fare drammatico.

«Questo perché siamo solo a martedì!»
Quasi urlò Arthur, esasperato. Francis gli rivolse un’occhiata indagatrice. Per quanto Arthur fosse sempre scontroso, era insolito persino per lui perdere le staffe per così poco.

«Quanto ti ha tenuto qui ieri?»
Domandò il francese che, ad intuito, temeva di aver indovinato il perché del malumore dell’inglese.

«Un po' oltre le undici. Perché?»

«Così. E poi?»

«E poi mi ha dato un mucchio di carte da controllare entro oggi e ho passato una notte in bianco. Se ho dormito due ore è tanto.»
Ammise esitante Arthur. Accennò un sospiro e prima che Francis potesse esprimere la sua preoccupazione per l’orologio biologico sballato dell’inglese, Arthur si affrettò a parlare di nuovo.  

«Piuttosto, come mai così presto? È la fine del mondo e io non lo sapevo?»
Ironizzò l'inglese e Francis sollevò gli occhi al cielo.

«È solo capitato, non vedo cosa ci sia di strano. Posso un tiro?»
Fece il francese, accennando alla sigaretta che Arthur teneva tra le dita. L’altro gliela cedette ma continuò a scrutarlo.

«Non me la racconti giusta. Sembri troppo contento.»

Francis si portò la sigaretta alle labbra, sbuffando poi una nuvoletta di fumo in faccia all’inglese.

«E va bene détective Arthur, mi hai scoperto. Ho preso un gatto.»
Non era una bugia. Nemmeno la verità, ma era comunque un’ottima giustificazione. Francis non voleva certo nascondere la verità ad Arthur, semplicemente non era quello il momento giusto per parlargliene.

«Un gatto. Tu, che a stento sai badare a te stesso?»
Arthur guardò con scetticismo il collega e ovviamente non si lasciò scappare l’opportunità di insultarlo velatamente.

«Se qualche volta vuoi venire a casa mia per assicurarti che io e il gatto siamo vivi sei il benvenuto, mon cher. Troveremmo sicuramente un modo per passare il tempo.»
Francis gli fece l’occhiolino, per quel gusto impareggiabile di provocarlo un po’, e gli rese la sigaretta. Arthur se ne riappropriò, prendendone un ultimo tiro prima di depositare la cicca nel suo porta mozziconi in acciaio.

«Oh sì. Per esempio io potrei guardarti mentre compili tutti i moduli che avresti dovuto mandarmi un mese fa. Più rimandi e più si accumulano, ricordatelo.»

Francis lo guardò imbronciato e Arthur esibì un ghignetto. La conversazione però morì lì, dato che ad un tratto una lucidissima auto nera dall’aspetto così costoso che Francis non si sarebbe potuto permettere nemmeno dopo dieci anni di stipendi, si parcheggiò di fronte l’ingresso della Jones International. Nessuno dei due colleghi si stupì quando dalla vettura uscì Alfred, con un sorriso talmente bianco e smagliante da risultare accecante.

«Buongiorno miei cari impiegati!»
Salutò calorosamente lo statunitense, mentre l’auto che lo aveva accompagnato sfrecciò via in pochi istanti. I due colleghi risposero con un cenno del capo, a differenza del ragazzo, non le avevano proprio tutte quelle energie.

«Mi fa molto piacere vedervi qui già a quest’ora. Pensavo di arrivare per primo! Meglio così... ho bisogno del vostro aiuto!»
Esclamò Alfred e Arthur e Francis si scambiarono un’occhiata. Da quel che avevano avuto modo di imparare il giorno prima, le idee di Alfred potevano essere alquanto... particolari.

«Dunque... visto che non ho avuto il tempo di fare colazione, Arthur non è che mi andresti a comprare una Chocolate Dipped Doughnut e un Double Chocolate Chip Frappuccino da Starbucks? Ho visto che ce n’è uno qua vicino.»

«Ma! Io veramente...»

«E visto che ci sei, per me un croissant al cioccolato.»
Si intromise Francis, con un sorrisetto sfacciato, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Arthur.

«Compratelo da solo se proprio ci tieni!»

«Dai... per favore?»
Francis ebbe anche l’ardire di sfarfallare le ciglia e Arthur dovette far ricorso a tutta la sua pazienza per evitare di prenderlo a parole di fronte al loro capo.


«Allora, ci vai? Ti aggiungerò quanto ti devo in busta paga!»
Sottolineò Alfred e Arthur scosse appena il capo. Non aveva scelta.


«Vado a comprare la sua colazione, Mr Jones.»
Così dicendo, pur avendo un diavolo per capello Arthur si congedò dalla conversazione.

«Non c’è bisogno di essere così formali! Oh... credo non mi abbia sentito. Comunque, Francis! Francis giusto? –Francis fece cenno di sì con la testa, così che Alfred riprendesse– Amico, come te la cavi a fare video?»

Il francese rimase un po’ interdetto dalla domanda.

«Bene, credo? Ho la mano ferma, se è questo che intendi.»
A quelle parole, Alfred allargò un sorriso soddisfatto.

«È esattamente quello che volevo sentire! Su aiutami, devo fare un TikTok dove mostro ai miei followers il mio nuovo ufficio e ho bisogno di qualcuno che mi riprenda!»

Nei minuti a seguire, una volta saliti in ufficio, mentre Alfred si aggirava con sicurezza nella stanza parlando di fronte alla telecamera del cellulare della sua nuova avventura da dirigente d’azienda, Francis rifletteva sul fatto che alla fin fine quel ragazzino non era neppure così male. Sicuramente sui generis, si era tuttavia mostrato abbastanza amichevole fino a quel momento. Anzi, sembrava proprio simpatico e alla mano. Francis non si era scordato degli straordinari ma, magari, poteva trattarsi benissimo di un caso isolato di zelo eccessivo “da primo giorno”.

«E per ora è tutto! Ringrazio tanto il mio impiegato Francis per avermi aiutato in questo breve office tour e... oh appena in tempo, arriva Arthur con la mia colazione! See ya guys
Concluse Alfred, facendo cenno a Francis di terminare il video.

Appena entrato nella stanza, a quelle parole Arthur alzò un sopracciglio, con tutta l’aria di uno che non voleva nemmeno sapere che cosa fosse successo in sua assenza.

«Io... mi trovate nel mio ufficio se avete bisogno di me.»
Borbottò Arthur, porgendo il sacchetto ad Alfred e uscendo dalla stanza senza troppe cerimonie. Per quella giornata che ancora doveva cominciare ne aveva già abbastanza di tutto e di tutti.

«Bene! Credo che imiterò Arthur e mi metterò al lavoro anch’io. Buona giornata!»
Salutò Francis, avviandosi di buon umore verso il suo ufficio. Quando si sedette di fronte al computer non poté che allargare un sorriso notando un familiare sacchetto di Starbucks al centro della sua scrivania.
 

 
* * *

 
Era già passata metà mattinata e Francis da interminabili minuti fissava una pagina bianca sul suo computer aziendale. Aveva ancora parecchio lavoro da recuperare, ma non riusciva a concentrarsi. Aveva troppi pensieri in testa, primo fra tutti: forse i suoi nuovi poteri non gli sarebbero mai serviti e, in tutta onestà, non sapeva se sentirsene sollevato o meno. In fondo, Alfred quella mattina si era comportato abbastanza bene. E forse, Francis lo avrebbe dovuto capire prima, Alfred si stava comportando sospettosamente bene.

Comunque, il francese aveva fatto le sue ricerche sul loro nuovo giovane capo e su internet aveva trovato parecchie informazioni su di lui. A quanto pareva, Alfred era una qualche sorta di influencer con migliaia di followers su Instagram e altre varie piattaforme, conosciuto come ImYourHero sul web. A parte la carriera digitale, Francis aveva anche appreso che Alfred era uscito dal liceo con il massimo dei voti e che attualmente frequentava il primo anno di Ingegneria Informatica ad Harvard. A tal proposito, il francese aveva due teorie al riguardo, discordanti tra loro: o i soldi di papà riuscivano a spalancare qualsiasi porta oppure Alfred era decisamente meno sciocco di quanto il suo atteggiamento spensierato, quasi superficiale, dava ad intendere.

Visto che non sapeva decidersi su quale delle due cose fosse più probabile, Francis decise che era arrivato il momento di disturbare un po’ il suo caro collega inglese.

 Tu lo sapevi che Alfred studia ad Harvard?
11:30

 Ah, e grazie per la colazione. Che carino 
😘 
11:30

Francis concesse ad Arthur cinque minuti, prima di controllare per una risposta.

 Guarda che lo vedo che hai visualizzato.
11:35


 
  E allora? Mi ha già fatto leggere il suo curriculum tre volte solo questa mattina, non ti ci mettere anche tu.
11:36

 
  Fottiti.
11:36


Francis aveva già scritto metà della sua risposta, quando all’improvviso la porta del suo ufficio si spalancò, facendolo sobbalzare.

«Francis! Come va al lavoro?»
Proruppe energicamente Alfred, facendosi strada nell’ufficio come se fosse suo e fermandosi proprio alle spalle del francese, per dare un’occhiata a quello che stava combinando. Francis, per sua fortuna, fu abbastanza rapido da aprire un documento qualsiasi già in parte compilato... non aveva certo intenzione di farsi vedere come uno scansafatiche.

«Bene! Stavo giusto... finendo questa scheda.»
Improvvisò il francese, voltando appena il capo ed esibendo un sorriso. Alfred annuì e Francis con la coda dell’occhio notò che il ragazzo stava prendendo dei misteriosi appunti sul suo iPhone di ultimissima generazione.

«E hai fatto solo questo per tutta la mattinata?»
Chiese con una certa nonchalance Alfred, sistemandosi gli occhiali sul naso per studiare meglio il documento al computer.

«Sì... cioè no, ho anche mandato qualche mail.»
Si affrettò a correggersi il francese, cominciando a fiutare puzza di guai. Era una specie di terzo grado?

«Ottimo. Perché, sai no, adesso che sono io il capo... voglio assicurarmi che il risultati di questa azienda siano al massimo e... come dire...»
Alfred fece una pausa, come se stesse cercando le parole. In verità, Francis aveva già capito dove stesse andando a parare. E no, non era una cosa buona per nulla.

«Ecco, curiosando un po’ tra le varie fatture e relazioni, ho notato che alcuni dipendenti tendono ad avere ritmi un po’ troppo... rilassati.»

«Rilassati?»
Domandò quindi il francese, fingendo di non capire cosa sottintendesse Alfred.

«Proprio così. E be’, credo che sia arrivato il momento di incitarli con i giusti metodi... quello che voglio dire è, sarebbe molto professionale da parte di questi dipendenti mostrarmi il loro valore sul posto di lavoro. O potrebbero finire per diventare i miei social media managers, se capisci cosa intendo.»

Per un lungo momento, i due si guardarono negli occhi e Alfred questa volta non sorrideva affatto. Francis, a corto di parole, si limitò ad annuire.

«Anche se sono sicuro che questo non sia il tuo caso!»
Riprese Alfred, recuperando il suo sorriso amichevole e dandogli una pacca sulla spalla.

«No, certo.»
Rispose piano il francese, con un sorriso un po’ tirato.

«Allora ti lascio lavorare in pace. E mi raccomando, eh!»
Disse ancora Alfred, mostrandogli i pollici all'insù per poi sparire, chiudendosi la porta alle spalle. Solo allora Francis si lasciò ricadere sullo schienale della sedia, esalando un sospiro. In poche parole, era fottuto.

Cercando di non pensare oltre alle parole di Alfred, Francis diede un’ulteriore occhiata al suo cellulare. Qualche minuto prima Arthur gli aveva inviato un messaggio che Francis con l’arrivo di Alfred non era riuscito a leggere.
 

 
  E comunque vedi di non farti beccare a rigirarti i pollici, Mr Jones non ci va leggero con chi non lavora come dice lui. Ha già la sua lista, prova ad essere meno idiota del solito e a non finire lì dentro.
11:38
 

Be’, troppo tardi.

Con l’umore sotto ai piedi, Francis diede un’occhiata al suo orologio rosa.

Forse...

Un sorrisetto apparve sul suo viso. Aveva parlato troppo presto, prima, a non credere di aver bisogno dei suoi nuovi poteri.

Era arrivato il momento di andare in sciopero.



Note finali
Oh, da quanto tempo! Sì be', ci ho messo un po' ad aggiornare ma... spero che questo capitolo sia uscito bene! Allora, non posso negare che scrivere questa storia mi diverte tantissimo, era da una vita che non mi cimentavo in una Modern!AU. Ora, sicuramente sto dimenticando qualcosa, ma non credo di avere altro da dire. Note finali stranamente brevi da parte mia e giuro che adesso la smetto e la chiudo qui. 
Se vi va, mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate <3 
Happy Pride Month e ci vediamo al prossimo capitolo :)

Edit 12/06/2022
In effetti c'era una cosa che volevo scrivere nelle note e ho dimenticato (ecco perché mi sembravano troppo brevi!)
🤦🏻
Non è mia intenzione fare di Alfred il "cattivo" di questa storia, anzi, più avanti ho intenzione di approfondire un po' anche il suo ruolo. Perciò fan di Alfred lì fuori (e mi ci includo anch'io) non linciatemi vi prego 

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Capitolo 3
*** Strike-chan ***


III
Strike-chan


 
 
«... inoltre, per migliorare le prestazioni della compagnia, credo che dovremmo iniziare ad eleggere un impiegato del mese. Non credi anche tu che aiuterebbe a sollevare il morale qui in ufficio, eh Arthur?»

«Sì, signor Jones.»
Arthur annuì, senza convinzione, ma dubitava che ad Alfred importasse veramente qualcosa della sua opinione. Impiegato del mese, eh? Ci mancava solo quella. Arthur non ci teneva proprio a vedere un’immagine incorniciata di se stesso o di uno dei suoi colleghi appesa al muro, era più che sufficiente dover avere a che fare con loro per quarantacinque ore alla settimana. Purtroppo però, la decisione non dipendeva da lui.

Quando dopo la pausa pranzo era stato convocato nell’ufficio di Alfred ed invitato a sedersi sulla sedia di fronte la scrivania del giovane americano, lo stressantissimo segretario non sapeva cosa aspettarsi. Alfred era lì da appena quattro giorni ed era come se fosse arrivato un uragano. Perciò Arthur si era rassegnato ad ascoltarlo, prendendo ogni tanto qualche appunto sul suo block notes mentre Alfred marciava avanti e indietro nell’ufficio, evidentemente in preda all’entusiasmo.

«Sai cosa? Magari accompagnando il titolo con un extra sullo stipend... oh, e quella chi è?»
Si interruppe Alfred, bloccandosi di fronte alla luminosa vetrata che dava sulla strada, proprio quando la discussione stava per prendere una piega finalmente interessante. Arthur sollevò lo sguardo dal suo taccuino, vagamente interdetto.

«Guarda, Arthur! Abbiamo una cosplayer di Sailor Moon! C’è qualche convention qui nei dintorni e non ne sapevo nulla? Ci sarei andato!»

Arthur aveva smesso di seguire Alfred, non avendo la benché minima idea di che stesse dicendo. Si sistemò gli occhiali sul naso e ripose il block notes nella tasca della giacca, raggiungendo il ragazzo alla finestra per poter osservare con i suoi occhi di cosa diamine stesse parlando.

«Non ci sono convention in questo periodo e... cosa sta succedendo?»
Arthur guardò all'esterno, scorgendo effettivamente una figura dai capelli biondi in un vestitino. Dal quarto piano non riusciva a distinguere bene ogni dettaglio, ma diamine se era rosa.

«E comunque quella non è Sailor Moon, il costume è tutto sbagliato!»
Arthur aveva visto abbastanza episodi dell’anime da poter permettersi una tale affermazione. Prima che però Alfred potesse insospettirsi sulla sua conoscenza dei manga shōjo anni ’90, Arthur riportò l’argomento sul focus principale.
«Perché è di fronte l’entrata principale del palazzo con un megafono?»

Arthur non si azzardò ad aprire la finestra dell’ufficio del capo, ma riusciva a sentire delle parole indistinte provenire dalla strada, lì dove si trovava la cosplayer. Oh, ad Arthur piaceva ogni secondo di meno. Alfred invece sembrava divertito. Lo statunitense stava per commentare ancora quell'evento bizzarro quando il telefono del suo ufficiò squillò. Alfred fu costretto ad allontanarsi per rispondere e Arthur continuò a scrutare quella stravagante figura in rosa.

Arthur aveva uno... strano presentimento.
Sfortunatamente per lui, il suo sesto senso aveva azzeccato in pieno.

Una mezza imprecazione lo fece voltare ed incontrò così lo sguardo di Alfred che, dopo aver riattaccato la cornetta, sembrava molto meno entusiasta. E Arthur ne aveva la certezza matematica, la cosplayer in strada era coinvolta in qualsiasi cosa avesse causato un così rapido cambiamento d'umore.

«Volevi sapere perché la nostra guerriera Sailor si trova qui sotto con un megafono, no? Deve essere il tuo giorno Arthur, stai per incontrarla. Andiamo.»

Come se quella si potesse considerare una spiegazione esaustiva! Alfred abbandonò l’ufficio e Arthur gli arrancò dietro, maledicendo quello stupido lavoro e se stesso per non aver tenuto chiusa la sua maledetta bocca.



 
 * * * 



Francis non era sicuro che il suo fosse un buon piano, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.

Durante la pausa pranzo aveva lasciato l’ufficio, imboscandosi come il peggiore dei criminali in qualche punto cieco sul retro del palazzo così da potersi trasformare senza destare sospetti.

Francis era… offeso. L’incontro del giorno prima e le velate minacce di Alfred erano ancora vivide nella sua mente e, diamine, aveva la possibilità di non farsi mettere i piedi in testa per una volta! Come minimo era più che giusto che la giornata di Alfred venisse rovinata esattamente come lo era stata la sua. Si era quindi piazzato di fronte l’entrata principale del palazzo, in modo tale da attirare più attenzione possibile e aveva iniziato a parlare nel suo magico megafono, meravigliandosi con quanta facilità gli uscissero le rime. 

Proprio come aveva detto Ivan.
Per lo meno, adesso aveva la certezza che quel gatto demoniaco non gli avesse mentito sui suoi poteri.

«On veut faire des affaires?
Paie-moi les heures supplémentaires!»[1]

Francis in verità non aveva idea di cosa si aspettasse che succedesse. La sicurezza all’ingresso aveva goffamente provato a farlo allontanare ma con scarsi risultati. Il francese aveva come l’impressione che lo stupore di trovarsi davanti qualcuno abbigliato in quella maniera giocasse molto a suo favore, dato che sì, tra una risatina e l’altra, sembrava davvero aver messo gli uomini della sicurezza in difficoltà.
Bastava davvero un uomo in un vestito a metterli a disagio? Pft, deboli.

E poi, in un certo senso era… divertente.
Francis sperava solo che nessuno si accorgesse della sua assenza in ufficio, non aveva idea di come giustificare la sua mancanza. Era però abbastanza ottimista nel pensare che con tutto quello che stava accadendo fuori, nessuno avrebbe fatto troppo caso a lui.

Qualcosa però era in procinto di accadere.
All’interno del palazzo era possibile vedere un certo movimento e Francis non dovette aspettare molto prima che Alfred in persona si presentasse al suo cospetto, seguito da Arthur dietro di lui.

Oh, le cose si fanno interessanti.

Alfred stava dando palesemente delle indicazioni ad Arthur che, a giudicare dalla faccia, Francis dedusse non fosse troppo felice di assolvere. Ma quello era un ordine del capo e perciò, per l'ennesima volta, nessuno degli impiegati avrebbe avuto voce in capitolo.

Francis infatti vide Arthur farsi avanti. Il francese abbassò il megafono e gli rivolse un sorrisetto provocatore, oh, non vedeva l’ora di sapere che cosa Arthur avesse da dirgli. Una parte di lui temeva che l’inglese potesse riconoscerlo e a quel punto, che avrebbe dovuto dirgli? Il pensiero lo turbò, era davvero possibile che un travestimento del genere, seppur magico, riuscisse a celare la sua vera identità a qualcuno che conosceva da più di dieci anni?
Stava per scoprirlo, ormai Arthur lo aveva raggiunto e...

«La prego di andarsene, sta disturbando il normale svolgimento delle attività lavorative.»

Davvero, Arthur? Davvero?

Francis non riuscì a spiegarsi perché non si sentisse sollevato. Era un bene che Arthur non lo avesse riconosciuto, allora perché era allo stesso tempo così deluso? Ma, aveva ben altro a cui pensare.

Francis infatti sapeva benissimo che Arthur poteva fare molto meglio che ripetergli a pappagallo una frase di circostanza.

«Bene! Era proprio quello che mi ero proposto di ottenere.»
Francis cercò di non scoppiare a ridere nel vedere Arthur trattenersi dal cercare di non perdere la pazienza. Gli stava riuscendo proprio male.

«Senta, mi ascolti bene…»
Cominciò Arthur e Francis ebbe l’ardire di fargli gli occhi dolci mentre il suo collega tentava di… intimidirlo? Mandarlo via? Povero inconsapevole Arthur, non poteva sapere di avere davanti il solito Francis che ormai aveva fatto l’abitudine a minacce ben peggiori che a qualche vuoto avvertimento buttato lì.
«… non ho intenzione di ripeterlo ancora una volta, ma lei da qui deve andarsene.»

Francis rise nel ritrovarsi puntato contro il dito di Arthur. 

«O cosa, chiamerai la polizia?»
Francis si fece più vicino, in modo tale che l’indice ancora teso dell’inglese si scontrasse con il suo torace. Forse era un po’ avventato prendere quell’incontro come una specie di sfida, ma poteva davvero resistere all’idea di mettere il suo collega preferito in difficoltà?
La risposta era scontata.
«Attento Arthur, ora che mi hai toccato potrei essere io a denunciare te, non

Arthur aveva assunto una preoccupante sfumatura rossastra dovuta alla rabbia ma qualsiasi cosa stesse per obiettare gli morì in gola e, all’unisono, anche Francis si rese conto del madornale errore che aveva compiuto. Entrambi si guardarono ad occhi sgranati ed un momento di panico aleggiò tra loro.

«Come… come diamine fai a sapere chi sono io?»
Si ritrovò a chiedergli Arthur con stupore e Francis ebbe voglia di urlare.

Che gli dico adesso? Oh sai Arthur, ora ho un gatto demoniaco che mi ha dato dei poteri magici e io li sto sfruttando per litigare con te ed evitare di lavorare, perché sai no, ammuffire in ufficio non è molto divertente.

Con un tempismo perfetto, Alfred ritenne che fosse arrivato il momento di intervenire.

«Su, su, non scaldiamoci. Vogliamo evitare tutti quanti rogne, non è così?»
Francis stava ascoltando, ma lui e Arthur si stavano ancora fissando. Sembravano in attesa che qualcosa dovesse succedere da un momento all’altro, come se una sorta di rivelazione divina potesse scendere su di loro e risolvere l'impasse. L’unica cosa che accade fu che Alfred continuò a parlare sfoderando una pazienza diplomatica che Francis non si aspettava che possedesse.

«Che ne dici se vieni dentro e ti offro un caffè, così mi spieghi che cosa sta succedendo?»

Francis, finalmente, distolse lo sguardo da Arthur e lo puntò su Alfred, mettendo su il suo solito sorriso impertinente. Non aveva intenzione di seguirlo all’interno del palazzo o non avrebbe avuto modo di interrompere la trasformazione e a quel punto che sarebbe stato nei guai. Inoltre, non aveva alcuna intenzione di scendere a patti.

«Eviterò di farle perder tempo. Il compromesso non è mai stata un’opzione.»
Francis ridacchiò, l'ultima frase proveniva direttamente da Ivan: "All'Inferno non esiste il concetto di compromesso!"

Francis fece discretamente qualche passo indietro, mantenendo il contatto visivo e la sua aria sicura. In realtà, stava solo cercando di aprirsi una via di fuga. La situazione stava diventando man mano sempre più ingestibile. Dopo lo scambio di battute con Arthur infatti, Francis sentiva il bisogno di tagliare la corda e tornare a commiserarsi sulla scrivania del suo ufficio. La prossima volta che si sarebbe trasformato, Francis avrebbe dovuto pianificare meglio le sue mosse.

Condurre una doppia vita era così estenuante!

«So che le piacciono le liste. Bon! La informo che è in cima alla mia, ma non creda che sia una cosa buona, monsieur le directeur
Con un altro sorriso smagliante Francis fece un altro passo indietro. Il suo sguardo vagò da Alfred ad Arthur e si soffermò su di lui, rivolgendogli un occhiolino.
«Nella mia to do list, in compenso, ci sta già qualcun altro.»

Non aspettò una risposta che fece un inchino derisorio allargando le falde della gonna per accompagnare il gesto.

«A la prochaine!»
Esclamò infine, tagliando la corda ed accompagnandosi con un gesto della mano. Con un agile balzo sparì tra la folla di curiosi che si era venuta a creare. Gli uomini della sicurezza scattarono ma era come se... quell’individuo si fosse volatilizzato.


«Dannazione!»
Ancora davanti all’ingresso del palazzo, Alfred sembrava aver perso ogni traccia di buonumore. Si voltò, marciando come una furia all’interno. Arthur invece era come se si fosse pietrificato.

Cosa diamine era appena successo?



* * * 



Kiku Honda, da soli tre giorni a Parigi, aveva imparato una cosa fondamentale sui francesi: erano sempre e costantemente in sciopero.

Quando era arrivato, il primo giorno, dopo dodici ore di volo, trovare i mezzi pubblici in sciopero era l’ultima cosa che desiderava. Ma Kiku non si era perso d’animo ed il secondo giorno era andato molto meglio del precedente. Girando sugli Champs-Élysées aveva intravisto uno sciopero studentesco che aveva osservato con cauta curiosità. La sfortuna però lo aveva nuovamente trovato quel giorno, il terzo, quando volendo salire sulla Torre Eiffel aveva scoperto che era stata momentaneamente chiusa per motivi legati a chissà quale altro sciopero sindacale.

Kiku però aveva stoicamente accettato l’evento. In fondo, a Parigi le cose da fare non mancavano e alla Torre Eiffel poteva lo stesso tornare il giorno dopo. O quello dopo ancora. A Kiku non restava altro che esplorare la città. E, cammina cammina, Kiku si era imbattuto in una scena piuttosto... singolare.

Doveva trovarsi in uno dei quartieri centrali della città, quelli sede di aziende e grandi compagnie, e qualcosa doveva star succedendo perché una folla, tra passanti ed altri impiegati, si era radunata in un punto da cui si alzava un certo cicaleccio.
 
Kiku decise di indagare e, be’, non avrebbe mai immaginato di trovare il cosplayer di un qualche mahō shōjo che stava attivamente protestando davanti ad un’azienda. Ovviamente Kiku non poteva che rimanere intrigato dalla faccenda. Gli piacevano i cosplay, erano tra i suoi hobby preferiti! Inoltre non riusciva proprio a riconoscere da quale manga provenisse quel personaggio. Modestia a parte, la sua cultura manga era vastissima ed era impossibile che gli fosse sfuggita l’esistenza un’eroina con un costume così grazioso. Non riuscendone a venirne a capo, alla fine Kiku ipotizzò che quello non poteva essere altro che un original charctater.

Ad ogni modo, stava accadendo qualcosa. Un impiegato era uscito e stava confrontando il misterioso manifestante in cosplay e, anche se Kiku non era abbastanza vicino da sentire, intuì che i toni si stessero scaldando. Kiku allora fece l’unica che un vero giapponese avrebbe fatto. Tirò fuori il cellulare e scattò qualche foto. Oh, gli sembrava di assistere ad un vero e proprio scontro tra l’eroina e il villain della situazione! Era in qualche modo emozionante.

Mentre quello scontro teneva ancora il banco, Kiku entrò su Twitter, desideroso di condividere con i suoi followers giapponesi e non quel momento topico a cui aveva appena assistito. Non capitava tutti i giorni di vedere una cosa del genere e gli piaceva rendere partecipi i suoi amici dei suoi lunghi viaggi in solitaria, soprattutto quando accadeva qualcosa di così inaspettato.

Perciò, un po’ troppo innocentemente e senza pensarci più di tanto, caricò la foto accompagnata da una didascalia in rōmaji.

 
本田菊 @HondaKiku

Strike-chan Salaryman-san!

15:09 · 27 Gen 2022 da Parigi, Francia


Kiku ripose il cellulare in tasca e si allontanò dalla scena del crimine, proseguendo tranquillamente il suo tour parigino.


Quando un paio di ore dopo si accorse che la sua foto era diventata virale, collezionando più di centomila tra retweet, mi piace e visualizzazioni, Kiku quasi rischiò di strozzarsi con un macaron.


 
* * * 



Erano le 16:45 che significava che avrebbe staccato tra quindici minuti.
Arthur non era mai stato così felice di giungere a fine giornata. Non vedeva l’ora di tornare a casa e lasciarsi alle spalle quel dannatissimo ufficio almeno per le prossime dodici e passa ore. Sospirò, spegnendo il suo computer fisso. Non era stato molto efficiente quel pomeriggio. La sua mente, con suo grande disappunto, non smetteva di riportarlo all’incontro più surreale che avesse mai avuto.

Come diavolo sapeva il mio nome?

Arthur sistemò la ventiquattro ore.

E perché aveva un’aria così fastidiosamente familiare?

Più Arthur ci pensava e meno la questione aveva senso. Ripose gli occhiali nel cofanetto, massaggiandosi le tempie e, per la seconda volta in due minuti, sospirò. Aveva bisogno di una birra, ecco cosa.

L’inglese uscì dal suo ufficio, chiudendo la porta dietro di sé. Era ben deciso a lasciare quel luogo infernale il più in fretta possibile ma qualcosa attirò la sua attenzione. La luce dell’ufficio di Francis era ancora accesa. Arthur sbuffò. Possibile che l’avesse scordata? Non era proprio da Francis trattenersi fino a quell’ora, in genere staccava sempre con una mezz’oretta abbondante d’anticipo e, giorno per giorno, Arthur glielo rinfacciava. Perché giusto quel giorno sembrava che le novità non volessero mai aver fine?
Ad Arthur mancava la sua noiosa routine.

Per questo quando Arthur entrò nell’ufficio, trovando Francis all’interno, pensò che il mondo doveva essersi per forza rovesciato. A guardar meglio però, Arthur si rese conto che Francis si era addormentato sulla sedia, piegato scomodamente sulla scrivania. La sola visione fece venire all'inglese mal di schiena.

Arthur sollevò gli occhi al soffitto. Avrebbe potuto abbandonarlo al suo triste destino e condannarlo ai dolori vertebrali, ma neppure lui era così insensibile. Gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla e scuotendolo... molto più delicatamente di quanto ci si aspettasse da parte sua.
«Ehi, sveglia. Non te l’hanno detto che non si dorme in ufficio?»

Francis aprì un occhio, poi anche l’altro. Gli ci volle un secondo ma si alzò di scatto, evidentemente disorientato. Si rese conto di essere ancora in ufficio e si ritrovò a fissare Arthur come se lo vedesse per la prima volta.

«… eh? Arthur?»
Francis si riscosse, sollevandosi una manica per controllare l’orologio. Arthur lo anticipò.

«Sono quasi le cinque. Che ci fai ancora qui?»
Arthur esaminò Francis, c’era qualcosa che non gli tornava. Lo poteva sentire ad un chilometro di distanza che Francis non gliela raccontava giusta, era dal giorno precedente che gli dava quell’impressione. E ora, trovarlo addormentato in ufficio? Troppe strane coincidenze. 
«Hai un aspetto orribile.»
Disse ancora Arthur. Non gli era sfuggito il viso stravolto di Francis, sembrava esausto.

A quel commento, Francis brontolò qualcosa.

«Questa notte ho dormito male.»

Arthur non credette neanche per un secondo a quella spiegazione, ma decise di non indagare oltre... per il momento. Era preoccupazione la sua? Assolutamente no, nella maniera più categorica. Al massimo, una vaga curiosità. E poi, se Francis non era produttivo a lavoro, di mezzo ci sarebbe andato anche lui. Era nel suo interesse scoprire perché il collega si trovasse in quello stato così da trovare una soluzione il più in fretta possibile. 
Non era affatto preoccupato. 
No, no.

«Perciò hai pensato di dormire sul tuo posto di lavoro. Se Mr Jones ti avesse beccato avresti passato un brutto quarto d’ora.»

«Per favore, non parliamone. Penso mi odi.»

Arthur fece spallucce.

«Che esagerato. Ti ha detto solo di lavorare, è quello per cui sei pagato.»

«Lo stai difendendo, sul serio?»

L’occhiatina oltraggiata che gli rivolse Francis divertì Arthur, che però no, non aveva alcuna intenzione di difendere Alfred. Quanto più, voleva ribattere qualsiasi cosa avesse da dire Francis perché era una delle cose che gli riusciva meglio.

«Non sto difendendo proprio nessuno.
»
Arthur pensò ad Alfred. Dopo l'incontro con il cosplayer in sciopero, Alfred si era rintanato nel suo ufficio e non si era più fatto vivo. Ennessimo comportamento che non prometteva nulla di buono. Arthur si impose di non pensarci, il suo turno era finito. Qualsiasi cosa li aspettasse poteva benissimo attendere fino alla giornata successiva. Si rivolse di nuovo a Francis.

«Che ne dici di andarcene? O questa notte la vuoi passare qui dentro?»

Francis non aspettava altro. Si alzò, sistemando alla svelta le sue cose. Per una volta, era d’accordo con Arthur, non voleva stare un secondo più del necessario in quello stupido ufficio.

Uscirono insieme ma nessuno dei due aggiunse altro, fino a quando non si trovarono di fronte all’entrata del palazzo. Arthur stava già per augurargli una buona serata nella maniera più sgarbata potesse venirgli in mente ma Francis aveva ben altri piani per loro.

«Euh... non è che mi daresti un passaggio a casa? Sono arrivato in metro oggi ma mi farebbe comodo uno strappo. Per favore?»

Arthur diede un’altra occhiata a Francis. Aveva le occhiaie e sembrava essere stanco sul serio e in fondo ad Arthur non costava nulla accompagnarlo. Sbuffò spazientito.
«Ugh e sia. Non voglio averti sulla coscienza.»
Segretamente, Arthur stesso sarebbe stato più tranquillo nel sapere che Francis fosse arrivato tutto intero a destinazione. Non c'era bisogno che Francis però lo sapesse, altrimenti glielo avrebbe ricordato a vita. Gli fece quindi cenno di seguirlo fino al parcheggio, in cui era posteggiata la sua macchina. O meglio, la macchina aziendale di cui Arthur si era impossessato.

«Finalmente hai imparato a guidare a destra?»
Scherzò Francis, mentre si accomodava sul sedile del passeggero. Arthur, seduto dal lato del guidatore, lo guardò male attraverso lo specchietto.

«Finalmente hai imparato a stare zitto?»
Ribatté Arthur e, contro ogni previsione, Francis rimase in silenzio durante quasi tutto il tragitto.

Con il gomito appoggiato al finestrino, Francis guardava la strada che scorreva velocemente sotto ai suoi occhi. In ufficio nessuno si era accorto della sua trasformazione ma, dopo essere tornato il solito se stesso, si sentiva così spossato da trovare difficile persino tenere gli occhi aperti. Francis aveva ipotizzato che si trattasse di qualche effetto collaterale dei suoi poteri ma per sicurezza avrebbe chiesto dopo a Ivan. Maledetto gatto demone, avrebbe dovuto avvertirlo di una cosa così importante. Per un attimo, la sua mente tornò agli eventi di quel pomeriggio e si chiese se non si stesse invischiando in una faccenda più grande di lui. Francis decise che era solo la stanchezza a palare per lui. Stirò un sorriso, effetti collaterali a parte, il suo intervento da scioperante era andato piuttosto bene!

Forse ci stava davvero pensando troppo. 

«Siamo arrivati.»
Annunciò Arthur, ridestando Francis dalle sue riflessioni.


«Di già?»
Il percorso era stato più breve del solito. O forse Arthur era un pirata della strada che andava a cento all'ora. Qualsiasi fosse la verità, a Francis andava bene in quella maniera. Infatti, notò che l'auto si era fermata proprio davanti al suo appartamento. Ah, Arthur gli aveva davvero evitato un bel po’ di fatica.

«Su scendi.»
Lo spronò Arthur, voltandosi per poterlo osservare. Francis non si mosse. Invece gli chiese:

«Visto che sei qua, posso offrirti qualcosa? Per sdebitarmi del passaggio.»

Arthur fece cenno di diniego.

«No.»

Francis annuì.

«Va bene. Hai programmi per la serata o semplicemente ti diverti a declinare i miei gentilissimi inviti?»
Lo prese un po’ in giro anche se, sotto sotto, gli interessava sapere la risposta.

«Nessun programma, vorrei solo recuperare ore di sonno arretrato. Pensavo fossi stanco anche tu.»

Francis si strinse nelle spalle. Era stanco, . Ma non avrebbe disdegnato un po’ di compagnia. Soprattutto se era Arthur a fargliela. Invece si sarebbe dovuto accontentare soltanto di Ivan che chissà come era sempre pieno di energie.

«Il mio invece consiste solo nel preparare la cena a Ivan e, se non si è già appropriato del letto, andare a dormire.»

Per qualche secondo, né Arthur né Francis parlarono. Si scambiarono uno sguardo, poi Francis allargò un sorriso.

«Se è tutto, allora andrei... e grazie ancora per avermi accompagnato.»
Fece Francis. Esitò. Prese un sospiro e infine si sporse verso il collega. Gli posò un lieve bacio sulla guancia, esattamente come ai vecchi tempi quando doveva ringraziarlo per qualcosa.

«Ci vediamo, Arthur.»
Lo salutò infine Francis, uscendo dalla macchina e avviandosi sul vialetto di casa senza neppure aspettare una risposta.

Anche se ormai solo, Arthur rimase immobile, i fari accesi e lo sguardo fisso davanti a sé. Poi, si sfiorò una guancia nel punto in cui Francis lo aveva baciato. Aggrottò le sopracciglia. Aveva una sola, assillante domanda che gli martellava in testa.

«Chi cazzo è Ivan?»



[1]
«Vuoi fare affari? Pagami gli straordinari!»



 

Fanart realizzata da R_Kim56

 
Note finali
Edit 03/04/2023grazie ancora a R_Kim56 per questa adorabile fanart di Strike-chan e neko!Ivan 
❤️ 

Ebbene sì, rieccomi qua dopo nove mesi di latitanza. Mi scuso davvero ma ugh... la vita a volte è proprio dura. Ma bando alle ciance!
Oh, questo capitolo è bello pieno di eventi. Strike-chan entra in azione! E c'è anche Kiku! Che sì, ricopre il ruolo di turista sfigato perseguitato dagli scioperi, esattamente come lo descrive Himaruya in questa AU. Lasciate solo che Arthur e Francis si accorgano della foto, sarà estremamente divertente. Il povero Arthur invece in questo capitolo si fa solo domande che non ricevono risposta. Inutile dirlo, la scena finale è la mia preferita. "Ai vecchi tempi" già, succedono cose. 
Non ho niente altro da aggiungere, semplicemente ringrazio chi con pazienza segue questa storiella qui. 
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Bye bye 
❤️

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Capitolo 4
*** Il meme ***


IV
Il meme
 
                                                                   
 
Francis scese dall’auto di Arthur ed entrò nel palazzo dove si trovava il suo appartamento. Prese l’ascensore e salì fino al terzo piano mentre, soprappensiero, cercava la chiave nella ventiquattrore. Non era mai accaduto che si addormentasse in ufficio. Non ricordava nemmeno di averlo fatto, era collassato... come se avesse prosciugato tutte le sue forze all’improvviso. Sentiva le palpebre pesanti e gli occhi secchi ma si impose di tenerli aperti. Entrò in casa con l’unico desiderio di prendere una bustina e mettersi a letto. Era stata una fortuna che Arthur avesse rifiutato il suo invito, che figura avrebbe fatto se si fosse fatto vedere in quelle pietose condizioni? Inoltre, Francis ricordò, c’era un’altra cosa che doveva fare prima di concedersi una buona nottata di sonno ristoratore: parlare con Ivan della sua piccola, magica, protesta del pomeriggio.
 
E a proposito di Ivan, dove si era cacciato? In genere quando lo sentiva rientrare, il gatto si faceva sempre trovare al centro del salotto con quel suo enigmatico sorriso felino, chiedendogli com’era andata a lavoro. Il francese conosceva Ivan da meno di una settimana, ma sapeva che il demone stava aspettando il momento in cui finalmente Francis avrebbe detto: “Mi sono trasformato in Magical Strike”. A quanto pareva, non avrebbe dovuto aspettare ancora tanto a lungo.
 
«Privet.»
 
Lo salutò allegramente la voce miagolante di Ivan mentre con un poof appariva dal nulla, facendogli prendere un colpo. A differenza del suo “padrone”, il demoniaco gatto sembrava pieno di energie.
 
«Oh putain!»
Quasi urlò Francis, portandosi una mano sul cuore per lo spavento. Prese un profondo respiro per calmarsi mentre Ivan piegava la testolina di lato. Mosse le orecchie. La reazione di Francis doveva averlo divertito.
 
«Ti ho spaventato?»
 
«Ovviamente! Non farlo mai più... sono esausto.»
Si lamentò Francis, abbandonando le scarpe, il cappotto e la valigetta all’ingresso. Non attese che Ivan gli rispondesse, ma si diresse subito in bagno per darsi una rinfrescata. In genere, dopo una dura giornata di lavoro, una doccia era in grado di rimetterlo in sesto. Purtroppo per Francis, questa volta servì a ben poco. Ogni secondo che passava si sentiva un po’ più stanco. Si trascinò fino in cucina per riempirsi un bicchiere d’acqua e sciogliervi una compressa. Sapeva che era meglio prendere quei farmaci a stomaco pieno ma non aveva voglia di cucinare e la sua testa sembrava sul punto di rompersi in due. Percepì la coda pelosa del felino solleticargli le gambe. Poi vi fu un miagolio.
 
«Hai usato i tuoi poteri, è così?»
Chiese Ivan, pimpante, andando al sodo. Francis confermò e Ivan saltò sul bancone per poterlo osservare negli occhi.

«Non avevo dubbi. Guarda come sei ridotto.»

Sebbene fosse mezzo stordito, Francis inarcò comunque un sopracciglio. Non gli piacque il modo in cui Ivan lo aveva detto: non solo non era affatto sorpreso ma, al contrario, sembrava preparato all’eventualità. Francis non era davvero dell’umore giusto per affrontare un qualsiasi tipo di discussione ma la curiosità, ed un pizzico di preoccupazione, ebbero la meglio su di lui.
 
«Che intendi?»

«Che questo risultato era più che prevedibile.»
 
«In che modo?»
 
«C’è una cosa che dovresti sapere.»

I suoi sospetti erano fondati dunque. Francis non se ne sentì affatto sollevato, anzi, aveva come l’impressione che il peggio dovesse ancora arrivare. Ivan lo fissava attentamente con i suoi occhi violetti ma non disse altro. Francis sollevò il gatto per costringerlo ad affrontarlo faccia a faccia. Ivan accennò delle fusa e Francis era sicuro che lo stesse solo prendendo in giro, un chiaro modo per dire: “No, non ti considero affatto una minaccia”.
 
«Perché sono sicuro che non mi piacerà?»
 
Sconfitto, Francis si sedette, poggiando Ivan sulle sue ginocchia. Approfittando dell’occasione, per vendetta per avergli mancato di rispetto prendendolo contro la sua volontà, Ivan gli graffiò il braccio. Francis lo ritirò di scatto ma subì in silenzio, in attesa che il demone gli spiegasse una volta per tutte cosa stesse succedendo.
 
«Quando usi il potere dello Sciopero consumi energia...»
Iniziò Ivan, con serietà. Già dalle prime battute, a Francis non piacque affatto quella discussione. Aveva un pessimo presentimento. Vedendo la crescente preoccupazione dell’umano, il gatto continuò.

«... parecchia energia, probabilmente il triplo di quella che useresti in una tua giornata-tipo da impiegato. Forse anche più, soprattutto se non ci sei abituato. Usare i tuoi poteri incoscientemente è un po’ come se soffrissi di problemi cardiovascolari e decidessi di gareggiare nei duecento metri piani senza aver mai corso in vita tua.»
Ivan ridacchiò, evidentemente soddisfatto dell’immagine che era riuscito ad evocare. Riprese:
«Viste le tue pessime condizioni fisiche e la tua vita sedentaria non è neppure un paragone così sbagliato. Infatti, ti consiglierei di non abusarne, altrimenti... la conseguenza sarà soltanto una.»

«Vuoi dire che...»

«Ti scoppierà il cuore.»

Francis per la sorpresa si alzò di scatto, facendo cadere Ivan sul pavimento. Il demone atterrò con grazia mentre il francese si reggeva allo spigolo del tavolo per non crollare a terra.

«E me lo dici solo ora?!»

Francis sudò freddo. Cosa diavolo saltava in mente a Ivan, questa era la prima cosa su cui avrebbe dovuto metterlo in guardia! Ma d’altro canto, pensò Francis, Ivan non era l’unico da incolpare lì. Lui stesso aveva peccato di ingenuità a fidarsi di un demone. Quando Francis abbassò gli occhi, trovò Ivan a fissarlo, con aria serafica.

«Non c’era stata ancora l’occasione per discuterne.»
Fu l’unica giustificazione del demone. Francis avrebbe voluto imprecare ma riuscì a contenersi. Quel maledetto demone era esasperante.

«Ne abbiamo parlato due giorni fa!»

«Ma tu non mi avevi detto quando avresti voluto utilizzare i tuoi poteri. Se lo avessi fatto, ti avrei avvertito in tempo.»

Francis si passò nervosamente una mano tra i capelli. Rimaneva una sola alternativa.

«Non mi trasformerò più in Magical Strike.»

Di colpo Ivan appiattì le orecchie all’indietro e inarcò la schiena, la coda così gonfia da risultare spessa il doppio del normale.

«No!»
Soffiò aggressivamente il gatto, prendendo Francis alla sprovvista.

«Perché no?»

Francis distinse chiaramente le unghie malefiche di Ivan affondargli nella gamba ma fece finta di nulla, per quanto la reazione di Ivan fosse inaspettatamente ostile, la sua mente stava ancora processando la non così banale notizia di aver rischiato di morire. Avrebbe avuto tutto il tempo di chiedere al demone quali fossero i suoi reali interessi quando si sarebbe calmato.

Ivan nel frattempo si ricompose. I suoi occhi felini trapassarono Francis da un lato all’altro come se potessero leggergli l’anima.

«Sarebbe uno spreco, ti pare? E poi credevo volessi farti valere. Se oggi ti sei trasformato vuol dire che ne hai avuto bisogno.»

Se avesse saputo la verità fin da subito, Francis non avrebbe usato mai e poi mai quel genere di potere. Certo, quella follia lo aveva salvato dal morire di noia e per un po’ lo aveva fatto sentire speciale ma ormai era pienamente consapevole dei rischi e non era sicuro che il gioco valesse la candela. Se solo Ivan lo avesse avvertito in tempo sarebbe stato diverso. Francis avrebbe voluto arrabbiarsi ma non ne aveva le forze necessarie e, suo malgrado, non riuscì a trattenere uno sbadiglio.

«Per questa sera la chiudiamo qua ma domani mattina ne riparliamo.»

Francis aveva bisogno di dormirci su. A mente fredda, magari, sarebbe stato tutto più semplice. Ivan non rispose, limitandosi ad osservare l’umano, curvo per la stanchezza, sparire nel buio dell’altra stanza.

Quella sera, sia demone che umano andarono a letto senza cena.


 
* * *


 
«Sveglia!»

Francis venne scosso dai cuscinetti di Ivan sulla sua faccia. L'umano, ancora addormentato, cercò di spostare il gatto ma Ivan, decisamente più agile di lui, senza fatica evitò la presa sbattendogli per ripicca la coda sul naso.

«Francisk, devi vedere una cosa!»

Francis aprì un occhio, restio. Era venerdì ed era il suo giorno libero, poteva prendersela comoda. Qualsiasi cosa fosse successa non poteva essere più importante del suo sonno di bellezza. Ivan lo chiamò di nuovo e ancora una volta il francese fece finta di non sentirlo, coprendosi la testa con il lenzuolo. Peccato che l’umano non avesse considerato che il demone era ben più testardo di lui. Infatti, grazie ai suoi poteri, Ivan aveva fatto sparire lenzuolo e cuscino, non lasciando a Francis altra scelta che quella di ascoltare qualsiasi cosa avesse da dirgli.

Quando Francis, sconfitto, si raddrizzò sul materasso si ritrovò a fissare il suo cellulare che fluttuava davanti a sé. Improvvisamente sveglio, afferrò il telefono. Ivan lo aveva sbloccato ed era entrato su Instagram.

«Come conosci il mio pin?»
La luce abbagliante dello schermo quasi lo accecò nel buio della stanza.

«0804.»
Ivan non aveva avuto neppure bisogno di usare i suoi poteri demoniaci, Francis aveva incautamente digitato quel codice così tante volte di fronte a lui che per Ivan era stato un gioco da ragazzi accedere al cellulare. Francis capì perché ultimamente trovava sempre il cellulare aperto su improbabili pagine Google, non era lui che cominciava a perder colpi e scordarlo accesso ovviamente c’era lo zampino di quel gatto russo.

«Guarda là. Strike-chan è una celebrità.»

Francis non aveva idea di che cosa stesse parlando Ivan ma fece quanto ordinato e guardò la foto che faceva bella mostra di sé sullo schermo. Un secondo dopo, era saltato giù dal letto. La foto in questione ritraeva lui e Arthur, durante il loro “incontro” il giorno prima, nel momento esatto in cui l'inglese gli stava puntando contro un dito. Francis lesse la didascalia, non comprendendo perché venissero chiamati Strike-chan e Salaryman-san. Ad una seconda occhiata, Francis si accorse che quello era uno screen di un post su Twitter che, a quel che pareva, in tutte le pagine parigine di meme era diventato virale. La maggior parte di esse avevano adottato quella foto come template per battute come: “Barbenheimer, version française”, “Me:/Also me:”, “My two personalities arguing over what to wear” e così via. Francis avrebbe pure trovato divertenti quelle immagini se non fosse stato che temeva sia che il suo travestimento non reggesse sia, e soprattutto, la reazione di Arthur.

«Oh merde.»
Francis scorse ancora tra le immagini, poi aprì la sezione commenti. Se ne pentì all’istante, riconoscendo uno scambio di battute tra due utenti a lui decisamente noti.


 
alascot @a_kirkland  “Vado in Francia, è la mia opportunità” > diventa un meme 🤡           ♡ 
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                  a_kirkland @alascot  Alasdair ti blocco.                                                                                                 
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A quel punto, Francis era talmente inorridito da farsi quasi cadere il cellulare di mano.

«Com’è successo? Non dirmi che è opera tua!»
 
«Se lo fosse stata, me ne sarei già preso il merito.»
 
La risposta di Ivan non era una grande consolazione e Francis non la sentì nemmeno. Infatti, aveva già aperto la chat con il collega, iniziando a scrivere più velocemente possibile ma Ivan lo bloccò.
 
«Devo spiegare a Arthur la situazione, a quest’ora sarà furioso. Mi odierà per tutta la vita, come minimo!»

«Calmati. Non può sapere che sei tu Strike-chan, non hai nulla di cui preoccuparti. Ricordati che è un travestimento magico, non c’è modo che lo scopra. A meno che non sia tu a volerlo.»

Le dita di Francis si arrestarono di colpo, Ivan aveva ragione. Un po’ più tranquillo cancellò il testo che aveva iniziato a scrivere ma non posò il telefono. Si sedette sul letto, sul quale erano spuntati di nuovo cuscino e coperta, e Ivan si sistemò accanto a lui per sbirciare tra i direct.

«Gli manderò comunque un messaggio... posso inoltrargli questa stessa immagine e chiedergli che stava succedendo, teoricamente io non c’ero.»
Ragionò Francis che, ansia a parte, moriva dalla curiosità di sentire le opinioni di Arthur sul suo scontro con Strike-chan.

«Chi è questo Artur comunque?»
Come un vero gatto che si rispetti, attratto dai movimenti rapidi delle dita di Francis che battevano furiosamente sulla tastiera, Ivan picchiettò la zampa sulla sua mano, in attesa di spiegazioni.

«Un mio collega.»

«Questo lo avevo capito.»
 
Non ricevendo nemmeno un cenno da parte di Francis, Ivan insistette.
 
«È solo un collega?»

Francis sollevò lo sguardo dallo schermo, ricordandosi per l’ennesima volta che quell’adorabile palla di pelo era in realtà un demone. A volte il francese rabbrividiva di fronte a Ivan, c’era qualcosa di estremamente inquietante nei suoi modi all’apparenza gentili e nel suo intuito infallibile.
 
«Che stai insinuando?»

«Per essere “solo un collega” ne parli decisamente troppo.»

Non era una menzogna né un’esagerazione. Francis parlava di Arthur in continuazione. “Arthur oggi mi ha offerto la colazione”, “Arthur mi ha dato un passaggio”, “Questa mattina ho incontrato Arthur che...”, Arthur di qua e Arthur di là, ormai a Ivan sembrava di conoscerlo pur non avendolo mai visto. Francis sollevò gli occhi al soffitto. Oh dai, era così palese?

«È il mio ex, d’accordo?»

Francis era sicuro di aver sentito Ivan sghignazzare. Come potesse un gatto emettere un suono così umano rimaneva per lui ancora un mistero, ma stava ormai accettando che farsi meno domande possibili era l’unico modo per sopravvivere.

«Lo ami ancora.»
Affermò Ivan e Francis sbuffò. Solitamente Francis non si sarebbe tirato indietro dal parlare apertamente dei suoi sentimenti, ma aveva i suoi buoni motivi per voler evitare momentaneamente l’argomento. Il primo, i suoi sentimenti per Arthur erano complicati. Il secondo, era ancora arrabbiato con Ivan.

«Neanche per idea.»

Ivan lo fissò e Francis si sentì a disagio. Il francese distolse lo sguardo ma, senza mostrare alcuna pietà, fu Ivan ad avere l’ultima parola.

«La mia non era una domanda.»
 
Francis fece finta di non averlo sentito, non aveva intenzione di affrontare quell’argomento con lui. Che ne poteva sapere un demone di problemi d’amore, comunque? 
 
«Lascia perdere. Ricorda piuttosto quello che ti ho detto ieri, con gli scioperi ho chiuso.»
 
Ivan tacque e Francis abbassò lo sguardo sul cellulare. Arthur aveva visualizzato ma non gli aveva ancora risposto. Conoscendolo, non lo avrebbe fatto comunque. Poteva essere un bene però, se Arthur non voleva parlargliene al telefono magari lo avrebbe fatto di persona. Ed era anche una buona scusa per vedersi fuori dal lavoro, Francis non si sarebbe fatto sfuggire quell’opportunità
 
 Sei libero questa sera, cher?
09:49
 
 Potremmo andare a bere qualcosa insieme, che ne dici? 😚
09:50
 
Francis vide i tre pallini cominciare a muoversi, Arthur stava scrivendo... e scrivendo... e scrivendo... dopo dieci angoscianti minuti quegli stupidi tre pallini continuavano ancora a muoversi e dopo circa altri dieci arrivò finalmente la riposta. Francis a quel punto si aspettava un messaggio lungo quanto Alla ricerca del tempo perduto ma non poteva sbagliarsi maggiormente.
 
 Ok.
10:14
 
Il punto finale aveva un qualcosa di minaccioso, ma Francis decise di non farci caso. Arthur aveva accettato, perciò poteva ritenersi soddisfatto.
 
  Alle 21:30 al solito posto?
10:15
 
Arthur inviò la stessa stringata risposta. Era fatta. Quella sera gli avrebbe detto la verità e Arthur si sarebbe incazzato da morire ma Francis era sicuro di poterlo gestire. Perciò, dopo aver passato ore e ore a prepararsi, quando alle nove di quella sera varcò la porta di casa per uscire e sentì il rumore della notifica sul telefono, Francis non riuscì a nascondere la delusione.
  
 Questa sera non posso. Ci vediamo lunedì in ufficio.
20:59
 
 
* * *
 


Come ogni settimana il lunedì arrivò micidiale e Francis stava ancora ribollendo come una pentola a pressione, ma era nulla in confronto al malumore che lo aveva accompagnato per tutto il weekend.
 
La sera del venerdì aveva fatto dietrofront ed era tornato a casa, aveva sbattuto sonoramente la porta e aveva tenuto il muso per tutto il resto del tempo. Poi si era buttato sul divano, una cioccolata calda in mano e aveva acceso Netflix, per guardare un documentario su un qualche serial killer che Ivan si era ritrovato a seguire con interesse. Anche ogni tentativo di mettersi in contatto con Arthur era stato vano, tutti i vocali che gli aveva inviato erano rimasti inascoltati, fino a quando Francis non spense il cellulare e lo lanciò via con un gesto stizzito, perdendolo tra le pieghe del divano. Contro la sua volontà Ivan venne accarezzato sulla testa e usato a mo’ di peluche mentre Francis si commiserava.
 
Purtroppo per il demone non si era più presentata una buona occasione per riprendere il discorso su Strike-chan, ma Ivan aveva elaborato un piano. All’insaputa di Francis lo avrebbe seguito in ufficio, magari lì avrebbe scoperto qualcosa.

La mattina del lunedì Ivan era pronto ad agire. Il demone aspettò pazientemente che Francis lo salutasse e sparisse dietro la porta, prima di smaterializzarsi in una nebbiolina nera, ritrovandosi poco dopo nell’auto del francese. In silenzio Ivan si acquattò nella parte posteriore della macchina mentre Francis, attaccato al volante e di pessimo umore, si recava alla Jones International.

Francis scese e lo stesso fece Ivan e, utilizzando qualche suo trucchetto da demone, si accertò che l’umano non lo notasse. Giunti al piano degli uffici, il gatto fece slalom tra le gambe dei dipendenti senza mai perdere di vista il suo umano di riferimento. Francis stava marciando nel corridoio finché, senza neanche bussare, spalancò una porta e come una furia entrò nella stanza. Ivan sgusciò all’interno, comprendendo immediatamente che quello non dovesse essere l’ufficio di Francis. Seduto alla scrivania infatti vi era già un altro dipendente e indovinare di chi si trattasse non era poi così difficile. Prevedendo che da lì a poco avrebbe assistito ad un esilarante spettacolo Ivan si sedette comodamente su una delle due sedie libere dall’altro lato della scrivania. Gli umani non potevano vederlo, tanto valeva godersi la scena in prima fila.

«Si può sapere perché ti stai comportando da stronzo?»
Esordì Francis, piazzandosi di fronte alla scrivania del collega, un uomo biondo e con l’aria di chi non dormiva da una settimana intera. Ivan era sicuro che quello fosse Arthur. Il segretario lanciò un’occhiata bieca a Francis da dietro le lenti degli occhiali. Poi tornò a fissare lo schermo del computer.

«Francis, non ora. Sto lavorando.»

Francis non solo non desistette, ma si sedette pure.  
«Tu lavori sempre Arthur, non è mai il momento giusto. Ce l’hai con me.»

Arthur non lo degnò di uno sguardo.

«No.»

Francis rise, ma a Ivan non sembrò una risata allegra.
 
«Quindi mi hai dato buca e non hai risposto alle mie chiamate... per quale motivo? Dimmi che ti ho fatto.»

Arthur lasciò perdere qualsiasi cosa stesse facendo al computer e si tolse gli occhiali, volgendosi infine verso il collega. Francis sostenne lo sguardo e finalmente Arthur parlò.
 
«Forse non te ne sei accorto ma ho l’intera azienda che mi prende per il culo a causa di un meme di merda. E sai chi ha dovuto rispondere ad una marea di e-mail di giornalisti e curiosi che volevano sapere che stava succedendo in azienda per tutto il weekend? Esatto, io. E sai chi non ha chiuso occhio perché non riesce a capire come un cosplayer del cazzo, che per inciso mi ha rovinato la settimana, mi conosca? Di nuovo io, wow che sorpresa.»

Francis lasciò che Arthur si sfogasse e il suo sguardo si fece più comprensivo. Oh, Ivan conosceva bene quell’espressione. Si trattava dei sensi di colpa. Francis chiaramente doveva sentirsi responsabile.

«Va bene, ti concedo che hai le tue ragioni per essere stressato. Ma non capisco cosa ti ho fatto io. Ho visto la foto e ho pensato che avessi bisogno di una distrazione, per questo ti ho chiesto di uscire.»
Fece Francis e Arthur si rimise sulla difensiva.
«Magari non mi andava di uscire, soprattutto con te. Immagino che Ivan ti abbia tenuto buona compagnia.»

Il gatto tese le orecchie quando venne chiamato in causa. Oh, quindi Francis aveva parlato ad Arthur di lui! L’evidente disprezzo con cui era stato pronunciato il suo nome fece ridacchiare Ivan. Al contrario, Francis assunse un’espressione quantomeno perplessa.
 
«Che c’entra Ivan adesso?»
 
«Sei stato con lui, sì o no?»
 
«Sì, sono rimasto a casa con lui ma che...»
 
«Allora io e te non abbiamo più niente da dirci.»
 
Il telefono dell’ufficio di Arthur squillò e il segretario rispose subito, facendo un cenno a Francis di rimanere in silenzio. Francis allargò le braccia per nulla contento dell’esito di quella conversazione.
 
«... sì. Sì, arrivo subito.»
Stava dicendo Arthur alla cornetta, poi riattaccò.

Francis inarcò un sopracciglio con aria interrogativa e Arthur semplicemente disse:
«Alfred mi vuole nel suo ufficio.»
 
«Perché?»
 
«Non lo so. E comunque non è affar tuo.»
 
Era chiaro che la discussione finisse lì. Senza nascondere l’ennesima delusione Francis si congedò e Ivan, invece che seguire lui, trotterellò dietro all’inglese fino all’ufficio del signor Jones.
 
«Buongiorno Arthur!»
Lo accolse Alfred, in piedi accanto alla finestra del suo ufficio.

«Buongiorno Mr Jones.»
Ricambiò Arthur, in tono neutro. Alfred gli fece cenno di sedersi e accennò una risata.

«Solo Alfred va bene, altrimenti mi fai sentire vecchio!»
 
Ivan osservò per bene Alfred, mentre si esibiva in tutti quegli allegri convenevoli. Il demone non si fece abbindolare, forse quella facciata poteva ingannare Francis e Arthur, ma Ivan riusciva a scorgere facilmente oltre essa. Alfred non era per nulla uno sprovveduto, ma un ragazzo armato di ferrea determinazione che perfettamente si combinava ad un pizzico di avventatezza, tipica della sua età. Alfred aveva in mente qualcosa, Ivan glielo leggeva in faccia.
 
«Di cosa mi voleva parlare, Alfred?»
Iniziò Arthur e Alfred non perse tempo a girare intorno alla faccenda. Andò dritto al dunque, un tratto della personalità che condivideva con Ivan.

«Di quello che è successo la settimana scorsa... dello Strike-chan gate
 
Arthur non disse niente, ma il demone lo vide chiaramente irrigidirsi.
 
«È da giovedì che ci penso... e ho un’ipotesi.»
Alfred esibì un sorrisetto. Il gatto rimase in attesa, era genuinamente curioso di scoprire a quale conclusione fosse arrivato l’americano.

«Strike-chan non è nessuno dei nostri dipendenti o l’avremmo riconosciuto, ti pare?»
 
Ivan mosse la coda. Non aveva dubbi che il travestimento reggesse alla grande, per un demone camuffare l’apparenza era in gioco da ragazzi. Poveri umani, bastava così poco per fregarli. Alfred, però, non aveva ancora smesso di esporre la sua idea.
 
«Perciò mi sono chiesto... se non è nessuno dei miei dipendenti, come faceva a sapere della nuova politica aziendale?»
 
Ivan vide Arthur sgranare gli occhi, segno che aveva colto il sottinteso.
 
«Qualcuno ha fatto una soffiata.»
Rispose Arthur e Alfred annuì, soddisfatto che pure il suo segretario fosse giunto alla medesima conclusione.
 
«Din din din. Bingo.»
Alfred finalmente lasciò che la sua aria allegra facesse spazio ad un’espressione più seria.
 
«Devo scoprire chi è stato... e sarai tu ad aiutarmi, Arthur.»

Arthur si fece attento.

«Perché proprio io?»
 
«Sei l’unico di cui mi possa fidare. Hai parlato faccia a faccia con Strike-chan e, oltre che l’azienda, sei stato tu che hai ricevuto un danno di immagine in prima persona con tutta la questione del meme su Salaryman. Dubito che tu sia suo complice.»
Spiegò Alfred con semplicità e Ivan doveva ammetterlo, quel ragazzino era un buon osservatore. Tutto sommato la sua ipotesi non era neppure così campata per aria, considerando che ci fossero delle forze ultraterrene a nascondere la verità.

Un sorrisetto diabolico si dipinse sul viso di Alfred. Sicuro di sé, tese la mano verso il segretario.

«Quindi... accetti?»

Arthur abbassò lo sguardo sulla mano di Alfred, stava chiaramente valutando l’offerta. Ivan riusciva a percepire l’aura negativa che aleggiava attorno all’inglese. Meglio ancora, Ivan riusciva a fiutare i cattivi sentimenti che la alimentavano. Frustrazione, nervosismo e... gelosia?

Arthur strinse la mano di Alfred.

«Sì. Sì, scoprirò di chi si tratta.»
 
Ivan balzò giù dalla sedia, aveva sentito abbastanza.
Allargò un ghigno.

Adesso era il suo turno e aveva già in mente la sua prossima mossa. 




Note finali
Ciao! Sono passati mesi interi ed eccomi qui con un nuovo capitolo di questa storia... anche un po' più lungo del solito. La mia risoluzione è riuscire ad aggiornare una volta al mese, spero di farcela. Comunque... tadà! Questo capitolo è molto Ivan-centric e mi ha divertito parecchio scriverlo. Anche perché ehi, il nostro demone ha scoperto qualche carta. Così come l'ha fatto Alfred. In tutto ciò, la villain origin story di Arthur è quella di essere geloso di un gatto. A sua discolpa, ha frainteso. Francis la vera vittima di questa storia, poveretto. Ivan ha un piano, quindi non può che andare tutto bene, giusto? ... giusto? 
Ah, piccola noticina! A un certo punto si nomina Barbenheimer, anche se questa storia è ambientata a gennaio 2022... ma facciamo finta di niente, è stato il mio meme preferito questa estate perciò volevo inserirlo per forza ahahah 
Detto questo, grazie mille per aver letto fin quaggiù e se volete, ditemi che ne pensate :) 
Alla prossima! 

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