Alice e il ritorno al passato

di Fiore del deserto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Galleria dell’Impossibile.
Una galleria d’arte privata dedicata all’esposizione di opere artistiche differenti, che si cura di mostre, convegni ed eventi artistici che hanno come protagonista l’arte, il design, l’architettura, la moda, il cinema, la comunicazione e la società. Qualunque artista che desideri mettere in mostra il proprio talento, pagherebbe oro pur di ricevere l’onore di partecipare ad un evento così rilevante, avendo la possibilità di ricevere notevole visibilità e attenzione di ogni genere.
Anche quell’anno, la Galleria dell’Impossibile avrebbe ospitato architetti e designer di fama nazionale e internazionale, stimati stilisti che hanno rivoluzionato il gusto e il costume, pittori e scultori contemporanei che bramano di condividere il loro potenziale. Nondimeno, anche per quella volta, l’organizzatore per eccellenza dell’evento artistico è Alex Felicetti, pittore contemporaneo che ha affascinato da tempo varie gallerie d’arte con i suoi lavori che hanno affrontato il difficile tema dell’arte sacra in varie mostre artistiche d’Europa. Per quella volta, tuttavia, Alex non esporrà nessun quadro, ma ha deciso di far partecipare un’altra artista che, a detta sua, merita di essere notata nel mondo dell’arte.
Ma dov’è finita? Si sta chiedendo. Se non la conoscesse bene, direbbe che starà senz’altro chiusa nei bagni per sciacquarsi il volto più e più volte, di fronte allo specchio, nel tentativo di calmare un ennesimo attacco di ansia.
La previsione di Alex si è rivelata fondata: all’interno dei bagni femminili, è presente una ragazza che non fa altro che guardare il proprio riflesso sullo specchio e, ciò che vede, non è una graziosa giovane donna dal viso dolce e dall’aria incuriosita impressa attraverso i suoi occhi scuri, con i fluenti capelli dorati che spiccano nelle loro onde sulla pelle candida. Il panico, purtroppo, si è fatto strada in lei e nel suo volto. Lo specchio, infatti, riflette una ragazza dall’aria matta, tremante e trasandata a causa dell’eccessivo pianto che le ha arrossato gli occhi e la punta del naso, sciupandole le guance e scavandone la serenità.
Si chiama Alice e altro non è che la trisnipote della famosa Alice Kingsleigh che, nel diciannovesimo secolo, era diventata famosa in tutta l’Inghilterra per aver occupato il rilevante ruolo di capitano della Wonder e proprietaria della “Kingsleigh & Kingsleigh Trading Company”.
La prima donna ad occupare un incarico che, a quel tempo, era impensabile per una donna. E se la sua trisavola era descritta come una giovane donna coraggiosa, che non si lasciava mettere i piedi in testa da nessuno, dall’animo avventuroso ed eroico, la trisnipote ne era l’esatto opposto in tutto, fatta eccezione per l’aspetto fisico. Di certo aveva come “strappato” la faccia alla trisnonna – come le dicevano sempre tutti i suoi familiari e parenti - ma la personalità era perentoriamente differente.
Facendo un piccolo passo indietro, Alice Kingsleigh, durante i suoi viaggi in Europa, aveva conosciuto e poi sposato uno studente di Oxford. Dal loro legame, erano nati tre figli: Alan Knyveton Hargreaves e Leopold Reginald, entrambi caduti durante la prima guerra mondiale, e Caryl Hargreaves, sopravvissuta al periodo bellico e che aveva avuto, a sua volta una figlia. Quest’ultima, aveva sposato un uomo italiano e, di conseguenza, si era trasferita nella città natale di lui. La discendenza di Alice Kinglseigh, dunque, aveva cominciato a mettere radici nel suolo italiano, ma il nome del capitano della nave Wonder non era mai caduto nel dimenticatoio. E la nascita di Alice aveva come fatto “rinascere” la trisavola, non solo per via dell’incredibile e spiccicata somiglianza, ma anche perché la ragazza si era cimentata nel mondo dell’arte prendendo ispirazione dai racconti della trisnonna.
Alice, infatti, amava profondamente trasformare una tela bianca di qualsiasi dimensione in un mondo fatto di colori intensi, formulando il mondo fiabesco che la sua trisnonna aveva tramandato durante i suoi anni di vita. Dapprima, acquarelli e bozzetti di grande sensibilità e poi tinture in acrilico e colori ad olio. Il tema era sempre lo stesso: il Paese delle Meraviglie.
Alice aveva poco più di vent’anni quando si era lasciata convincere dai suoi familiari di iscriversi in un’Accademia di Belle Arti, in modo da poter affinare il suo talento. Dopo nemmeno due mesi, Alice era stata notata proprio da Alex Felicetti – già famoso – il quale aveva da subito visto in lei una grande artista.
Lo stile seguito dalla giovane Alice era il realismo magico, ossia una corrente artistica che si identifica in una visione lucidamente esterrefatta del reale, mescolando la realtà con elementi magici in un contesto realistico. E Alice, con i suoi scenari boschivi costellato soprattutto di funghi giganteschi e variopinti, fiori e animali dall’aspetto antropomorfo, era sempre riuscita a coinvolgere ogni spettatore.
Per questo motivo, dopo qualche anno, Alex le aveva espressamente detto di volerla portare alla mostra d’arte. Tuttavia, per la giovane Alice, tale notizia si era rivelata una fonte di ansietà e paure.
Riprendendo il discorso precedente, relativo alla personalità della ragazza, infatti, Alice era la personificazione dell’insicurezza, del timore, dell’agitazione il tutto elevata all’estrema potenza.
La sua trisavola non aveva paura di solcare il mare e affrontare sanguinari pirati, mentre lei si lasciava intimorire dall’idea di dover esporre i propri quadri e parlare al pubblico?
Chissà se la sua trisnonna, da qualche parte del cielo – o del suo mondo – era in grado di vederla, se avesse potuto assistere al degrado della mente e della sua vita della trisnipote che scorreva, sempre più velocemente, nel vortice della paura, della depressione e della solitudine?
La via dell’artista, si sa, è difficile ed è quasi sempre segnata da un continuo circolo di incompletezza e (nella maggior parte dei casi) di isolamento. Non si è mai pronti ad accettare veramente un simile destino, ma nessuno all’infuori di Alice, reagiva in questo modo.
Per la troppa tensione accumulata, Alice si era sentita male e aveva vomitato. Si stava lavando il viso, nella vana speranza di darsi una regolata, quando Alex aveva bussato alla porta.
Il giovane uomo ha lineamenti esteuropei, i suoi capelli sono corti e biondi, come la sua barba altrettanto corta e curata. Il naso è leggermente aquilino, i suoi occhi hanno una fredda tonalità azzurra, la pelle è chiarissima e – come sempre - veste abiti curati, ordinati e che gli donano un’aria austera come un soldato russo. Il suo carattere forte, spesso un po’ freddo, è sempre in netto contrasto con quello di Alice e, puntualmente, non si perde mai l’occasione di vederli battibeccare.
Ignorando di trovarsi nel bagno delle donne, Alex non aspetta il consenso di Alice ed entra ugualmente. 
«Io non ci voglio credere.» sbuffa Alex, con voce nasale e leggermente acuta «Ne avevamo già parlato.»
Alice non risponde e, tirando col naso per trattenere ulteriori pianti, cerca di ignorare Alex.
«Possibile che tu non ti renda conto dell’incredibile occasione che hai davanti?» continua il ragazzo «Guardati. Sembra che ti debbano condurre al patibolo.»
Alice sta per ribattere, ma Alex non glielo permette. Si avvicina a lei a passi veloci, senza staccare i propri occhi sul volto livido di lei. È di qualche dito più alto di Alice, ma l’atteggiamento così severo fa sentire la ragazza come se fosse molto più piccola.
«Non chiedermi di comprendere la tua ansia da palcoscenico,» le dice duramente «perché non la capisco e non la voglio capire. Hai più di venticinque anni, ma reagisci come una bambina di cinque. Alla tua età, non dovresti piagnucolare per queste stupidaggini.» si ferma, volendo concederle la parola.
«Alex, non me la sento...» dice lei, in un sospiro.
«Stammi a sentire, figliuola,» è il soprannome che Alex le ha affibbiato da tempo, concedendosi eccezionalmente di utilizzare un nomignolo con lei, malgrado il suo carattere poco caloroso «se non vuoi più partecipare alla mostra, non ti costringerò. Sappi solo che chi crede in te, resterà molto deluso.»
Alice tira un lieve sospiro e, con ogni probabilità, quelle parole sembrano averla convinta un po’. Riconosce, comunque, di non potercela fare e di avere paura, ma l’ultima cosa che vuole è deludere chi è giunto alla mostra – anche da lontano – per poter vedere i suoi lavori.
Alex guarda l’orologio e le riferisce che abbia mezz’ora di tempo per potersi ridare una sistemata. Nel frattempo, aggiunge, lui avrebbe pensato ad allestire i suoi quadri. La lascia da sola, nella speranza che quella “svitata e ipersensibile della sua figliuola” possa mettere la testa a posto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Contrariamente alle parole di Alex, nella Galleria dell’Impossibile non sono presenti solo persone che credono in Alice, nel suo talento e che facciano il tifo per lei. Benché si possieda un carattere buono e gentile, ci sarà sempre qualcuno che gli vorrà male, anche senza un valido motivo.
A questo proposito, una coppia di coetanei di Alice si stanno incamminando presso il corridoio della galleria, dirigendosi con maggiore interesse verso lo spazio dedicato ai lavori di quest’ultima.
Si chiamano Dennis e Annie, rispettivamente un acquarellista e un’iperrealista e sono sempre stati molto invidiosi di Alice, in quanto nessuno ha mai apprezzato i loro lavori. Benché qualcuno li rassicurasse, invitandoli alla pazienza e alla determinazione, nessuno dei due erano più disposti a pazientare. Era inaccettabile, pensavano, che nessuno capisse i loro dipinti, che mai nessuno avesse mai dato loro una possibilità. Quel giorno, infatti, la loro invidia è salita alle stelle.
Alice li conosce molto bene, poiché sono membri del suo corso. Abbiamo presentato già la ragazza come una persona timida, gentile e riservata, ma questo non indica che sia chiusa o poco intelligente. Lei, infatti, non si era mai sognata di offrire loro le sue più intime confidenze, al massimo si era dimostrata garbata ed educata, ma l’idea di simpatizzare con quei due tipi strambi, non le passava nemmeno per l’anticamera del cervello.
Dennis era un ragazzo molto robusto, con i capelli sempre in perenne disordine in modo da poter richiamare lo stile dei fumetti giapponesi – benché molte persone, Alice inclusa, credevano per lo più che fosse tutta colpa della sua scarsa amicizia con l’igiene che portasse la sua chioma ad assumere un aspetto unto e appiccicoso. Dennis amava tingerli con qualsiasi tipo di tonalità, poiché fosse appariscente: dal semplice castano naturale e limitandosi a dare un tocco di grinta al ciuffo con una colorazione rosso fragola, fino a tingerli tutti quanti con un acceso rosso ciliegia, per poi passare ad un giallo che ricordasse un ananas e, infine, ad un nero intenso e senza nessuna sfumatura.
Gli occhi sono piccoli e appuntiti, dal colore marrone chiaro, adornati dalle sopracciglia rade, talmente infossati al punto da dare l’impressione che la fronte sia grassoccia come quella dei mostri delle favole. Nondimeno, il naso adunco e dalla punta allungata peggiorava l’infossatura degli occhi. Ci sono ben due caratteristiche che Alice non ha mai ignorato di lui, da quando l’ha conosciuto: Dennis indossava sempre gli stessi vestiti – proprio come i personaggi dei fumetti – e puzzava. Puzzava tremendamente, come se avesse dichiarato guerra al sapone... o come se non avesse mai saputo che fosse stato inventato dal 2800 a.C.
La sua compagna, Annie, non è assolutamente da meno. Probabilmente, oltre all’avidità, al narcisismo e all’invidia verso Alice, ad accomunarla con la sua dolce metà è l’inspiegabile sciatteria.
I capelli ricci e castani avevano dato spazio alla tintura arancione, regalandone un effetto parrucca da clown. Il volto allungato e rotondo per la paffutezza è tutt’altro che amichevole, segnato dagli occhiacci scuri a malapena nascosti dalle lenti rotonde degli occhiali, che sembrassero voler fulminare chiunque istantaneamente. Il naso corto e piccolo, oltre a garantirle un senso di puzza sotto il naso (che non fosse la propria), la facevano somigliare a Miss Piggy, il personaggio immaginario dei Muppet, con addosso una parrucca arancione. La sua pelle è nivea e la corporatura tozza, insieme all’andatura, la fa sembrare una maialina che prova a camminare sui tacchi a spillo.
“Perché mai si trovano alla mostra di Alice, se ne provano tanto odio?” si domanderà il lettore. La risposta arriverà a breve.
E se il motivo dell’ansietà di Alice sia anche derivato dalla presenza di Dennis ed Annie? Questo non è dato saperlo, poiché nemmeno lei sa darsi una risposta. Si sta dando un’ultima sistemata ai capelli, quando un suono regolare di colpi alla porta interrompono il silenzio.
Alice si appresta ad aprire e lo fa in tutta fretta.
«Alex, non è il momento...» la ragazza si interrompe quando si accorge che a bussare non è stato Alex, ma un altro ragazzo di sua conoscenza.
Carlos Lopez si era fatto conoscere da tempo per la sua dote di saper maneggiare artisticamente la macchina fotografica ed era stato assunto dallo stesso Alex come fotografo ufficiale della mostra, anche se tra i due non scorreva buon sangue da quando entrambi avevano conosciuto Alice.
A differenza del rinomato pittore, Carlos possiede i lineamenti che richiamano i nativi americani, ondulati capelli castani e lunghi fino alla fine del collo, gli occhi sfumano dal terriccio al verdastro e spiccano per via del contrasto della sua fisionomia. La mascella squadrata è delineata da un tocco di raffinatezza retrò e contemporanea per via della barba in leggero stile Van Dyke. È magro ma non esile, supera in altezza Alice di un bel po’. La differenza sostanziale che la ragazza aveva notato istantaneamente tra Alex e Carlos, ruotava intorno al carattere allegro, amichevole e molto festaiolo del secondo.
Il cattivo rapporto che si cela tra i due è nato, come già detto, da quando Alice era entrata nelle loro vite. Il lettore può già intendere che il comune denominatore può assumere il nome di “gelosia”. Non è mai stato chiaro per Alice se i due non si sopportassero già da tempo, ma c’era un episodio che ricordava benissimo. Una sera, mentre parlavano del più e del meno, Alex le aveva dato un avvertimento a bruciapelo.
«Stai lontana da Carlos, è uno sciupafemmine.»
La mattina seguente, “paradossalmente”, anche Carlos aveva in serbo per lei un avvertimento.
«Non ti fidare di Alex, è un donnaiolo.»
In un primo momento, Alice l’aveva presa a ridere e, scherzosamente, si domandava se i due si fossero messi d’accordo o meno. Quando Alice gli aveva domandato, con un sorrisetto divertito, se fosse geloso di lei, la ragazza lo aveva visto assumere un’espressione così seriosa che quasi le aveva tolto le parole.
«Non sto scherzando.» aveva dichiarato Carlos, guardandola con la faccia più seria che sapesse fare, alla quale Alice non era per niente abituata a vedere – o ad immaginare.
Sta di fatto che almeno per il giorno della mostra, Alex doveva mettere da parte l’orgoglio e scegliere Carlos come fotografo adatto per la circostanza.
Tornando al tempo presente, Alice sta balbettando per la figuraccia appena fatta, ma Carlos la interrompe quando si accorge che ci sia qualcosa che non vada.
«Va tutto bene?» le chiede con timbro vocale graffiante.
Alice annuisce, ma Carlos non sembra intenzionato a cascarci.
«Ogni volta che annuisci, senza dire “sì”, stai mentendo.» la canzona, alzando un sopracciglio sopra le lenti degli occhiali da sole che gli coprono le iridi «Alice, dov’è il tuo sorriso? Non avrai intenzione di farti vedere con un faccino che non ti appartiene?» comincia ad assumere un tono più divertente, mirando a farla rasserenare «Come faccio ad immortalarti con quel muso lungo? Vuoi farmi bruciare la carriera prima del tempo?»
«Carlos, io non so se ce la posso fare...» rivela lei, sentendosi molto di più a suo agio con lui che con Alex, poiché ne conosce il lato caloroso e sentendo di poter trovare un dialogo con lui.
«Su, su, Alice.» le sorride «Non dare motivo alla tristezza e all’ansia di fare di te ciò che non sei. Ignorale e falle morire di fame.»
Alice sorride appena, mentre Carlos nasconde l’insoddisfazione di non essere riuscito nel saperle tirare su il morale.
Una ragazza si presenta alle spalle di Carlos e anche lei è giunta per Alice.
Si chiama Sibilla, ma ha sempre preferito farsi chiamare Sissy, compagna di corso di Alice, nonché sua grande amica e ha appena finito di aiutare Alex con l’allestimento di alcuni quadri. I suoi lineamenti sono graziosi, quasi fanciulleschi, il visetto è contornato da lisci capelli lunghi fino al collo, castano chiarissimo e sempre perfettamente dritti. Gli occhi da cerbiatta hanno sempre suscitato una grande fiducia ma, nonostante il carattere docile – a differenza di Alice – non si è mai fatta problemi a tirare fuori la grinta e il carattere tenace.
«Abbiamo già appeso le prime tele.» dice e poi si rivolge a Carlos «Puoi anche cominciare con le fotografie preliminari con accanto la nostra artista.» quasi cambia idea quando si rende conto dell’aspetto di Alice, evidenziato dalle occhiaie livide per il malessere.
«Ti senti bene?» si impensierisce Sissy, preoccupata per l’amica «Ti aiuto a sistemarti.»
«Sto bene.» mente Alice, ma non per cattiveria, quanto per decidere di provare ad andare avanti e senza più perdere tempo.
 
Le tele riportate e appositamente scelte per l’evento, hanno immortalato i luoghi di fitti e fantasiosi boschi con e in ognuno di essi vi è un “abitante prestabilito”: un bruco azzurro intento ad aspirare dal narghilè, il cui fumo ricrea un’illusione di giochi di colori, un bizzarro gatto dal ghigno innaturale e ben appollaiato su di un ramo, il cui corpo sembra evaporare e confondersi con l’albero sul quale è adagiato. Più avanti, vi è un giardino di una reggia popolato da carte da gioco comandati da una regina di cuori dalla testa sproporzionatamente grande, oltre al fante di cuori che sembra dare un prossimo ordine ad un esecutore. Ancora, in una foresta tinta di colori più vivaci, un coniglio ben vestito con un panciotto blu mare continua a controllare il suo cipollotto, come se fosse in un ritardo esagerato, mentre un’altra tela ritrae una bizzarra ora del tè, capitanata da uno strano cappellaio che fa festa con una lepre dall’aria stranita e un ghiro.
Vi sono alcuni quadri che non sono ancora presenti, poiché momentaneamente conservati in un’altra stanza e ai quali verrà riservato un trattamento speciale per via della loro importanza. Tra questi, vi è un olio su tela di dimensioni che raggiungono i due metri di lunghezza e un metro e mezzo di altezza. Sarà questo il dipinto che, più di tutti, risulterà essere il vero e proprio capostipite di tutti i lavori di Alice: uno scenario bellico ispirato alle rovine di un’area distrutta dal tempo o da una battaglia, una torre si erge sulle sue stesse macerie attraverso il suolo adibito ad un’improbabile, quanto gigantesca, scacchiera. Sulla cima della torre, una figura femminile ritratta di spalle sta affrontando una mostruosa creatura simile ad un drago che attacca con le zanne e gli artigli.
 
 
Dopo aver ascoltato le ultime raccomandazioni di Sissy riguardo ai tempi da rispettare per le foto e per il programma relativo alla mostra, Alice segue Carlos per gli scatti da eseguire. Mentre si incammina, incrocia lo sguardo di Dennis ed Annie e gli occhi della ragazza assumono un’aria di sorpresa mista a sgomento.
«E che diamine!» sbuffa Carlos, essendosi anche lui reso conto della presenza dei due «Che ci fanno qui, quei due? Sono venuti fin qui per portare scalogna?»
«Questo è un luogo pubblico.» risponde Alice, facendo spallucce «Non possiamo scacciarli. L’importante è che si comportino bene.»
«Ho i miei dubbi.» sbuffa nuovamente Carlos e, per non pensarci, si arma della sua macchina fotografica e indica ad Alice il punto esatto in cui mettersi in posa.
Insieme al quadro con il bruco e poi con il gatto, Carlos scatta.
Tela con le carte da gioco nella rocca della regina, Carlos scatta.
«Ancora un momento...» continua Carlos con i suoi scatti, quando Alice si trova dinanzi al quadro che dovrebbe immortalare il coniglio. E non è un caso se è stata utilizzata la parola “dovrebbe”.
Proprio in quell’istante, gli occhi di Alice si spostano oltre la figura di Carlos e intravedono qualcosa che cattura la sua attenzione. Di fronte alla porta d’ingresso, infatti, quello che sembra essere un coniglietto bianco con gli occhi rossi, fa capolino all’entrata e le fa un cenno di saluto.
Alice strabuzza gli occhi e Carlos se ne rende conto.
«Che ti prende?» le domanda.
«Un coniglio...» esclama Alice, anche se confusa «Davanti alla porta.»
Carlos si gira, ma non vede nessuno, né tantomeno un coniglio.
«Non c’è niente.» sorride Carlos, mentre continua a scattarle altre foto.
«Ma io l’ho visto...» si giustifica Alice e in quello stesso momento appare nuovamente, nello stesso modo in cui le era apparso la prima volta «Eccolo!» dichiara lei, allungando la mano in direzione dell’uscio dell’entrata e augurandosi che Carlos lo veda in tempo. Purtroppo, non va così e il ragazzo rimane perplesso.
Poco prima che entrambi possano dire qualcosa, Alex fa la sua comparsa e si avvicina a Carlos. Con la scusa di dargli una pacca amichevole sulla spalla, Alex fa sì che Carlos sbagli a pigiare il tasto per lo scatto e il flash inaspettato acceca di pochissimo Alice per qualche secondo.
«Eccoti qua.» dichiara Alex fintamente lieto di vedere Carlos «Si può sapere dov’eri finito? Ti sto cercando da un bel po’ di minuti.»
«Sto facendo il mio lavoro, se non ti dispiace.» lo sfida Carlos, sogghignante.
«Lo vedo.» si avvicina ad Alice, appoggiando un indice sul volto di lei e continuando a guardare Carlos «E se stai facendo il tuo lavoro, dovresti saperlo che la nostra Alice ha il viso troppo livido e smunto, decisamente poco adatto per essere racchiuso in una foto, non è vero?» lo fissa gelidamente, come un serpente pronto ad attaccare in qualsiasi direzione «Non lo sai che Alice è la protagonista di questa mostra e che deve essere perfetta? Potevi lasciarle il tempo di sistemarsi a dovere...»
«Alice è sempre perfetta.» taglia corto Carlos.
Ignorando che Carlos le abbia appena fatto un gradevole complimento, la mente di Alice è troppo occupata a pensare a quel coniglio che le era apparso misteriosamente per ben due volte. E in quel momento, nemmeno a farlo apposta, quell’animaletto le appare ancora e, questa volta, tira fuori da ciò che sembra essere il taschino della sua giacca blu, un orologio a cipolla.
Il cuore di lei sembra mancare un battito e il respiro si ferma per qualche secondo. Si rende conto che quella creatura sia identica in tutto e per tutto allo stesso coniglio che ha rappresentato in uno dei suoi dipinti.
Si volta verso il quadro in cui aveva dipinto quel coniglio con le stesse fattezze e si accorge che la bestiola al suo interno... sia sparita!
Approfittando del battibecco tra Carlos ed Alex, con la scusa di voler prendere un po’ d’aria fresca prima di proseguire, Alice parte all’inseguimento del coniglio bianco, augurandosi di non aver perduto la testa a causa della tensione fisica e mentale accumulati.
Varca la porta dell’ingresso e cerca con lo sguardo l’animaletto, intravedendone la coda a palletta come una piccola ovatta. “Aspetta!” vorrebbe dirgli, anche se la sua parte razionale la invita a ragionare sul fatto che quella bestiola non potrebbe mai capirla.
Il coniglio continua a correre, ma non va molto lontano. Guardandosi alle spalle, assicurandosi che la ragazza lo stia seguendo, imbocca una stradina che lo porta sul retro dell’edificio e passa per la porta di servizio precedentemente aperta da lui stesso.
Alice corre e quasi lo raggiunge, ma appena entra nella stanza non vi trova altro che i suoi quadri ancora da allestire citati in precedenza, tra questi il più grande e rilevante di tutti.
La ragazza si guarda intorno, ma del coniglio non vi è alcuna traccia.
Delusa, fa per andarsene, ma si blocca quando i suoi occhi si posano su di una sua tela che le appare molto strana. In quello che dovrebbe essere un dipinto in acrilico che riprende un bosco pieno di funghi giganteschi, illuminato da una serie di lucciole così lucenti da sembrare piccole stelle, vi è proprio il coniglio bianco... che sta correndo lungo un sentiero e le ha appena fatto cenno di seguirlo.
Alice indietreggia e scuote la testa.
Devo essere diventata matta.” pensa immediatamente e non credendo ai propri occhi “È impossibile.”
E quello stesso termine, le fa ricordare una frase che la sua trisavola era solita dire e tramandare nella sua famiglia, come una formula da ricordare.
L'unica maniera di ottenere l'impossibile, è pensare che sia possibile.
Dopo aver avuto il tempo di ricordare questa frase, il coniglio dentro la tela si volta in direzione della ragazza e le fa di nuovo segno con la zampa anteriore di seguirlo, invitandola ad entrare nel quadro.
Senza aspettare più, anche se un po’ esitante, Alice allunga una mano verso la tela e si sorprende quando le sembra di averla immersa in una superficie acquosa. Ritrae la mano, ma essa appare del tutto normale e pulita, senza nemmeno una traccia di colore acrilico. Il suono di alcuni passi e mormorii che si fanno sempre più vicini sembrano aver convinto la ragazza a ricompiere il gesto e lo fa con più convinzione. Immerge tutto il braccio e poi si tuffa completamente all’interno della stessa tela da lei creata, fino a che non scompare al suo interno.
Ritornando al fatto del perché Dennis ed Annie siano presenti alla mostra, nonostante il loro risentimento verso Alice, la pazienza del lettore sarà premiata proprio adesso.
Come si può intuire, i passi e i mormorii appartengono proprio a loro due.
«Sicuro che non ci abbia visto nessuno?» domanda Annie, seguendo Dennis all’interno della stanza.
«Ma figurati.» esclama Dennis come se dovesse dare la risposta più ovvia del mondo, asserendo che “quel pinco pallino e quell’altro idiota” – ovvero, Alex e Carlos - siano troppo occupati a parlottare tra loro «Nessuno sa che siamo qui.»
«E Alice?» domanda ancora Annie.
«Sarà in giro. Che cosa ne so e cosa importa?» sbofonchia Dennis «Vogliamo farla questa cosa, sì o no?»
«Certo che dobbiamo farla!» enfatizza Annie, dimenticandosi di non alzare la voce.
Frettolosamente, Dennis caccia fuori dalla propria borsa a tracolla – la stessa che porta sempre con sé per portarsi dietro i suoi schizzi, colori, acquarelli e tutto ciò che può essergli utile per disegnare o dipingere – dei flaconi in vetro contenente dei colori a china. Per “l’occasione”, i due si sono attrezzati e hanno portato un set sufficiente di quei colori per poter compiere il loro sporco lavoro.
Dennis apre il primo flaconcino di inchiostro nero e comincia a cospargerlo sulla prima tela di Alice che si trova davanti, seguito da Annie che non riesce a trattenere le risatine mentre rovina un quadro della “rivale” con altrettanta china nera.
«Sbrighiamoci!» incita Dennis, mentre si appresta ad invadere di nero tutti i lavori di Alice, frutto dei suoi sacrifici, della sua passione, della sua ispirazione. Non si salva nessun quadro, neanche il più grande di tutti.
L’ultima vergognosa passata di inchiostro nero non risparmia nemmeno la stessa tela dove Alice si era immersa per inseguire il coniglio bianco.
 
Come aveva detto Dennis, Alex e Carlos non avevano ancora finito di battibeccare e di fare a gara su chi tra loro dovesse avere l’ultima parola.
Per ferirlo, Alex aveva cominciato a toccare un nervo scoperto dell’avversario.
«Sappi che se ho scelto di farti lavorare qui, è solo perché me l’ha chiesto Alice.» afferma «Credi davvero che, tra tanti professionisti, sarei stato così stupido da tenerti in considerazione?»
«Evidentemente,» risponde sibilante Carlos «Alice è in grado di riconoscere il valore altrui, indipendentemente dal rapporto che ci sia tra lei e i diretti interessati.»
Alex sta per fargli frenare la lingua, quando Sissy accorre verso di loro con un’aria visibilmente scossa e preoccupata.
«Vi ho trovati...» ansima lei, riprendendo fiato «È successo un disastro...» la sua voce impregna la sua apprensione, contagiando la stessa preoccupazione ai due ragazzi come un’influenza «Alice... I suoi quadri... La mostra dovrà essere annullata.»

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Incredibilmente da quanto potesse aspettarsi, nulla intorno a lei aveva l’aspetto tipico di un qualcosa dipinto su di una tela, nessuna imperfezione di macchie di colori o fantasiose sproporzioni dettati da umane mani artistiche. Ovunque intorno a lei era prettamente normale, se mai si potesse definire “normale” assistere a quanto Alice ha assistito fino a quel momento – e assisterà. Il succo della questione, è che tutto è genuinamente realistico, benché la ragazza non riesca a trovare un filo razionale su quanto sia appena accaduto.
Di sicuro, non è razionale essersi addentrata nel proprio quadro. Così come non lo è averlo fatto per poter inseguire uno strano coniglio bianco, con addosso un panciotto che, con una zampetta, le indicava il tempo che stesse trascorrendo tramite il proprio cipollotto.
Nello stesso momento in cui si era domandata dove fosse finito quel coniglio, una foglia si era posata sulla sua testa ed Alice l’aveva spostata con gentilezza. Di colore ambrato e delicata al tatto, Alice sta per lasciarla andare quando giura di aver appena sentito qualcosa. Qualcosa di molto simile ad una risatina femminile.
Alice sgrana gli occhi, a dir poco incredula e la foglia, come di sua volontà, riprende a fluttuare intorno alla ragazza ridacchiando allegramente.
La foglia continua a girarle intorno e, senza smettere di ridere, lasciando intuire ad Alice che desidera essere inseguita, vola dritta verso un sentiero dapprima ignorato da Alice.
«Aspetta.» la richiama la ragazza, continuando a domandare a sé stessa quanto possa essere ragionevole rivolgere la parola ad una semplice foglia.
Continua ad inseguirla, senza rendersi conto di aver imboccato una strada che l’ha portata dritta ad uno stranissimo emporio costruito in una maniera alquanto grezza e, ad una prima occhiata, poco armoniosa. Con grande sorpresa e tanta confusione nella mente, Alice scorge l’insegna della bottega e la sua attenzione non può non essere stuzzicata: “A.L.I.C.E.”.
Mentre continua a farsi delle domande circa l’insegna, una risatina echeggia alle spalle di lei. È la foglia di prima e questa si intrufola sotto la porta della bottega. Spronata da essa, a passi lenti e timidi, Alice avanza e decide di entrare.
Ha appena appoggiato la mano sul pomello della porta, apre riservatamente ed ecco per lei un’altra ed incredibile sorpresa.
Prima di tutto, in fortissimo contrasto con la parte esterna, l’interno dell’emporio è decisamente ampio e in ogni dove vi sono filati di ogni genere, di ogni tonalità cromatica.
Dietro un lungo banco, con indescrivibile stupore di Alice, vi è una pecorella seduta su di una poltrona, intenta a lavorare ai ferri. Ricoperto da una foltissima lana bianca, l’ovino ha un paio di occhiali da vista e ha indosso una bellissima sciarpa fatta a mano (probabilmente, realizzata dalle sue stesse zampe).
«Desideri qualcosa?» le chiede la pecora con una voce femminile e gracidante, chiaro segno della sua età matura.
Alice quasi indietreggia, sbalordita dal fatto che un animale possa aver parlato e lei stessa sembra aver perduto la parola.
«Sei sorda o cosa?» bela l’ovino «Anche se mi auguro che tu sia muta, visto che solo così potrei perdonare la tua maleducazione riguardo al fatto di essere entrata nel mio negozio senza salutare.»
«C-chiedo scusa.» balbetta Alice, dopo aver tirato un sospiro e aver cercato di regolarizzare il respiro.
«Le scuse sono solo parole che volano via come le foglie, quando tira il vento.» e proprio in quel momento, Alice è riuscita a vedere la foglia uscire da una finestra, continuando a ridere e scomparendo via chissà dove «Allora, che cosa vuoi comprare?» domanda la pecora, seccamente.
«Non voglio farle perdere tempo.» si giustifica Alice e crede che sia inutile provare a spiegare a quella pecora poco amichevole che si sia intrufolata lì dentro solo per inseguire una fogliolina, ma ha un’alternativa «Ho visto il mio nome sull’insegna e...»
«Che cosa ti fa credere» la interrompe l’ovino con tono decisamente inasprito «che il mio negozio porti il tuo nome?» mette da parte i ferretti e scruta la ragazza con aria minacciosa «Il mio negozio vanta i migliori filati di tutta Saggezzolandia. Filati di cotone, di lana merino, cashmere e pura, purissima lana.»
Tralasciando la lista di filari dettati dalla pecora, Alice quantomeno adesso sa dove si stia trovando. Saggezzolandia. È questo, dunque, il nome del luogo?
«Il mio negozio» continua la pecora «porta il nome mio e delle mie sorelle: Ava, Lorna, Isla, Charity, Ebba.»
Finalmente, le lamentele belanti della pecora cessano quando la porta del negozio si apre e un altro cliente fa il suo ingresso.
Con meraviglia di Alice, il cliente non è altro che il coniglio bianco che aveva inseguito.
«Madame Ebba,» esclama il coniglio frettolosamente «mi dispiace disturbarti, hai per caso visto...» si ferma quando i suoi occhi rubini incontrano la figura di Alice e sembra rasserenarsi di colpo «Toh! Eccoti qui. Finalmente, ti ho trovata, Alice.»
La domanda della ragazza riguardo alla stranezza sul fatto che quel coniglio conosca il suo nome, viene bloccata dall’ennesima lamentela della pecora.
«Tu conosci questa sfrontata, McTwisp?» aizza Madama Ebba.
«E chi non la conosce?» reagisce il coniglio, guardando Alice amichevolmente «Come si fa a non conoscere la paladina
Alice indietreggia la testa, assumendo un’espressione interrogativa e confusa, di fronte a quel nominativo.  
«Per me è solo un’ochetta.» la scontrosità di Madama Ebba è irremovibile.
«Oh, suvvia.» McTwisp cerca di difendere la ragazza, visibilmente a disagio «Che male ti ha mai fatto?»
«Non si vede che è solo un’ochetta? Un’ochetta che vive controcorrente tra le sue insicurezze in mezzo agli altri cigni che, a differenza sua, percorrono la loro via con grazia ed eleganza.»
Questa offesa è troppo da sopportare, anche per la pazienza ed educazione di Alice. McTwisp, tuttavia, le afferra una mano con la sua soffice e candida zampa e la conduce verso la porta.
«Togliamo il disturbo, Madama Ebba.» dice il coniglio, augurandole una buona giornata.
Una volta fuori dal negozio, come prima cosa, Alice prende un bel respiro per non lasciarsi compromettere dalle irritanti e taglienti parole di quella pecora.
«“Si può passar sopra a un morso di lupo, ma non a un morso di pecora”.» cita il coniglio, facendo spallucce.
Alice sembra ritrovare un pezzetto di entusiasmo – dapprima perduto per via dei velenosi commenti di Madama Ebba – quando il coniglio le fa cenno di seguirlo.
«E questa volta, per favore, stammi dietro.» le dice «Siamo già in ritardo e non è un bene fare attendere il Brucaliffo
«Attendere chi?» chiede Alice, intravedendo appena il sentiero dalla forma di scacchiera verde.
Il viottolo diventa sempre più cupo, come se inghiottito da un crepuscolo e Alice si rende conto che gli alberi sono alquanto strani. Con somma meraviglia, realizza che non siano affatto alberi, ma funghi. Funghi giganteschi, variopinti e fluorescenti come tanti lampioni che illuminano una stradina quando il sole sta per tramontare.
Una coltre di fumo incontra il cammino di Alice e di McTwisp, come una fittissima nebbia invernale e l’aria si fa sempre più pesante per i polmoni della ragazza.
Si fermano quando intravedono sul suolo quello che sembra essere un grosso orologio a pendolo, distrutto e non più funzionante. McTwisp si avvicina all’orologio, come se guidato da una forma di luttuoso rispetto. Non appena Alice gli chiede cosa stia accadendo, il coniglio inizia a darle spiegazioni in merito.
«Un tempo, questo era un orologio.» lo dice, carezzando l’oggetto con una zampa.
«“Era”?» domanda Alice, non comprendendo affatto.
«La Regina Rossa» prosegue McTwisp «ha ordinato che tutti gli orologi del Sottomondo devono essere distrutti. Ma non...» trema visibilmente «Ma non so il perché. Non lo sa nessuno.»
«La Regina Rossa?» Alice inclina la testa con espressione interrogativa, ma non ottiene risposta.
Per non perdere ulteriore tempo, il coniglio raccoglie un respiro e invita Alice a continuare a camminare, non ritenendo confacente fare attendere il Brucaliffo.
Una grande fila di funghi rossastri si dispone dinanzi a loro, formando una scalinata e Alice e il coniglio la percorrono a passi moderati e arrivati sulla cima il fumo continua a farsi sempre più fitto.
Avvolti nel grigiore del densissimo vapore, Alice realizza che non si tratti di nebbia: sul cappello di un grosso fungo dalle lamelle luminose, come un grosso trono luminescente, un bruco azzurro è intento ad aspirare da un narghilè.
«Chi sei, tu?» domanda il bruco, scrutando Alice con fare sospetto e schizzinoso.
«È Alice, Brucaliffo.» risponde il coniglio per lei, cominciando a nutrire qualche timoroso sospetto nei riguardi del silenzio della ragazza.
«Non l’ho chiesto a te.» taglia seccamente il Brucaliffo e rivolge la stessa domanda ad Alice «Chi sei tu
«Alice.» risponde, infine le.
«Questo lo metto in dubbio.» il bruco aspira il fumo, rigettandolo in faccia alla giovane «Tu non sei... tu.»
«Oh, saggio Brucaliffo.» interviene McTwisp «Sono sicuro che sia lei. Lo so che è passato tanto tempo, ma...»
«Lei non è Alice.» conclude il Brucaliffo, lasciandosi avvolgere da una coltre di fumo, scomparendo in essa e tralasciando in Alice e nel coniglio un evidente senso di confusione.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Non ha amici, è demotivata ed è depressa. Erano queste le parole che il Brucaliffo avrebbe tanto voluto esprimere nei confronti della ragazza che McTwisp gli aveva presentato, limitandosi piuttosto a liquidare entrambi con una sentenza molto aspra.
«I-io non capisco.» balbetta il coniglio.
Come un fulmine improvviso, Alice comincia a vedere le cose sotto un’altra prospettiva: e se i racconti della sua trisnonna Alice non fossero state solamente delle favole? Se quel posto fosse vero? Se fosse tutto reale.
Dopotutto, ogni cosa sembra ritornare, a cominciare dagli scenari e dagli animali antropomorfi che, fino a quel momento, le era capitato di incrociare. Cerca, quindi, di dare una risposta al coniglio nel tentativo di offrirgli un po’ di serenità. Sta per rivelargli, infatti, che probabilmente la “vera” Alice che stessero cercando non poteva essere lei, ma la sua ormai defunta trisnonna, ma la lingua della ragazza viene bloccata quando ad un tratto accade qualcosa di insolito. O, per meglio dire, di sinistro.
Dal nulla, nell’aria si aprono dei portali fatti di luce rossastra, accompagnate da una spirale del medesimo colore e McTwisp sobbalza.
«Oh, cielo! Oh, cielo!» senza pensarci, il coniglio afferra una mano di Alice e la sprona a scappare via, il più lontano possibile «Corri!»
Senza avere il tempo di realizzare, Alice segue il consiglio della bestiola e lo segue nella fuga, augurandosi di non inciampare per le scale. Arrivati alla fine della scalinata, McTwisp la conduce ai piedi di un albero, nel punto esatto in cui vi è una tana di coniglio. Con nervosismo e con molta fretta, il coniglio tira fuori dalla tasca del proprio panciotto una bottiglia di vetro e sprona Alice a berne il contenuto.
«Sbrigati, non c’è tempo!» esclama, guardandosi alle spalle.
Da quei portali, nel frattempo, ne sono usciti degli strani individui dall’aspetto di tetre carte da gioco, dal colorito che richiamava il rosso fuoco, armate di lance e seguiti da un uomo molto alto, con addosso un’armatura nera. È molto pallido al punto da sembrare un cadavere, i suoi capelli sono neri come la pece, porta una benda a forma di cuore che gli copre l’occhio sinistro sfregiato da una cicatrice.
Il fante di cuori, sente Alice pronunciare dalla tremante bocca di McTwisp, l’essere più crudele che abbia mai messo piede in quel mondo. Ilosovic Stayne. Colui che ha convinto la Regina Rossa quanto possa essere appagante essere temuti, anziché amati. Colui che ha aiutato e continua ad aiutare la tiranna a bruciare ogni luogo in cui sono presenti i traditori della corona, incoraggiato dalla stessa regina a commettere il massacro di vite innocenti e poco importa se molti di loro non avessero opposto resistenza, l’importante era soddisfare il proprio piacere.
Nella fuga precipitosa, Alice finisce con incastrare una ciocca dei capelli mielati sul di un ramo di un albero allungato, secco e scuro come un lungo dito di uno scheletro annerito. Con un urlo strozzato, la ragazza è costretta a dover sopportare il dolore dello strappo del mucchietto di capelli incastrato. Così facendo, il lamento di dolore ha attirato il fante nella sua direzione e il coniglio non ha ignorato questo dettaglio.
McTwisp cerca di trovare una soluzione più in fretta che può e la fortuna gli sorride non appena si trova di fronte ad un bivio. C’è un cartello, proprio al centro dell’incrocio.    
DEST-EST
SINIS-VEST
Il coniglio le indica la seconda via con il dito della zampa destra.
«Segui la via.» la avverte sbrigativamente, temendo che il fante e le sue guardie possano coglierli di sorpresa «Non puoi assolutamente sbagliarti, la strada è completamente dritta. Io ti raggiungerò dopo.» poco prima di proseguire la via differente, il coniglio le fa un’ultima raccomandazione «Stai attenta all’orizzonte
Chiaramente, Alice non ha il tempo materiale per poter fare domande visto che il coniglio è corso via spedito e, in pochi secondi, la creatura svanisce nella boscaglia.
Come fa ad esserci un orizzonte, si domanda la ragazza, all’interno di un bosco? La risposta le si para davanti in meno di un batter di ciglia... anzi, sotto i piedi.
Con lo stesso brivido che si prova quando la pianta del piede non trova appoggio nel punto in cui ci dovrebbe essere lo scalino, Alice precipita verso il vuoto e il suo urlo echeggia tra la natura selvaggia e variopinta, mentre l’orizzonte segnalato dapprima da McTwisp la inghiotte.
Seguendo la direzione dell’urlo, dapprincipio il fante si imbatte nell’esatto ramo in cui sono ancora presenti dei fili della chioma dorata di Alice. Afferra la ciocca con una mano coperta da un guanto nero come l’inchiostro e sul suo volto si tinge un’espressione incredula mista a stupore. Avvicina la ciocca alle narici e inspira profondamente.
«Non è possibile...» sussurra in un sibilo e sprona le carte da gioco a seguirlo, notando delle tracce impresse sul terreno.
Seguendo il sentiero tracciato dalle impronte di Alice, il fante realizza quale strada abbia percorso, vedendole terminare a ridosso dell’orizzonte.
Un sadico sorriso gli riga il volto cadaverico.
 
Nella Foresta di Tulgey, al contrario delle nebbiose tenebre del bosco percorso da Alice e McTwisp, uno scenario armonioso si riflette nell’atmosfera, con i fiori che brillano di scintillanti colori da presentare alla luce del sole e il ronzio degli insetti che accompagnano il cinguettio degli uccellini.
Una lunga serie di tavoli è allineata l’uno accanto all’altro, dando l’illusione di apparire come una lunga tavolata, le cui superfici sono imbandite di dolciumi, teiere, tazze da tè. A pochi metri di distanza, si erge un vecchio mulino a vento ed in quel preciso istante sbuca fuori il Leprotto che tiene con una zampa un’alta pila di cupcake e pasticcini, mentre con l’altra tiene in equilibrio dei piatti sostenuti da dei cucchiaini.
«È l’ora del tè! È l’ora del tè!» esclama a gran voce con tutta l’allegria che porta in corpo.
«Ce ne hai messo di tempo.» lo redarguisce Mally, il piccolo ghiro coraggioso.
«Non litigate.» sogghigna il Cappellaio mentre cerca di disporre sul tavolo altre stoviglie e una quantità di dolciumi sufficienti per accogliere una ventina di commensali, nonostante gli effettivi ospiti erano unicamente loro tre.
Quando il Leprotto ha portato ogni cosa sulla tavola, mettendo tutto quanto in ordine e senza rovesciare nulla, il Cappellaio si mette comodo al capotavola e, insieme ai suoi amici, è pronto a scatenare una festosa ora del tè. Un suono del tutto insolito, tuttavia, interrompe ogni cosa.
 
Alice urla con tutto il fiato che ha in gola, sta precipitando ma i suoi occhi continuano a rivelarle degli scenari alquanto bizzarri: anziché cadere in un buio baratro, la ragazza sta piombando in un cielo azzurro e cosparso di soffici nuvole bianche.
Il suolo è sempre più vicino e Alice si copre il volto con le braccia e la paura si fa strada in lei.
 
Qualcosa si è appena schiantato tra le foglie di un albero, proprio vicino al mulino, per poi scivolare sempre di più verso il terreno. La stranezza, o la fortuna, ha fatto sì che Alice si schiantasse su delle foglie morbide come ovatta e la caduta non era stata così rovinosa. O quasi.
Un gemito esce dalle labbra di lei, toccandosi una spalla che ha subito un urto troppo forte.
Nel frattempo, il Cappellaio, Mally e il Leprotto sono rimasti turbati da quanto hanno appena assistito e si chiedono chi sia quella ragazza caduta dal cielo.
Alice non si è ancora accorta della loro presenza e in un sospiro volge gli occhi verso il cielo seminascosto dalle foglie degli alberi, chiedendosi se sia morta. Sta respirando, dopotutto e sente dolore. Quindi, è improbabile che sia passata a miglior vita.
Superata la sorpresa preliminare, il Cappellaio e gli altri si precipitano verso la ragazza per assicurarsi che le sue condizioni non siano critiche.
«Stai ben...» il Cappellaio si blocca all’istante, come colpito da un profondo shock «N-non può...» persino Mally e il Leprotto sono sconvolti dalla presenza della ragazza «Non può essere...»
Alice riesce, finalmente, a prestare attenzione all’ambiente circostante e si accorge di non essere sola. Ha un lieve sussulto nel comprendere di avere davanti altre strane creature ma, pian piano, pareva che la sua mente si stesse abituando al bizzarro.
«Dove mi trovo?» domanda la ragazza perplessa.
«A-A-Alice...» balbettano quasi in coro il Leprotto e il ghiro.
«Alice, sei tu!» esclama il Cappellaio «Sei tornata!»
Al vertice dell’entusiasmo, il Cappellaio butta le braccia intorno al collo della ragazza, ma quest’ultima si ritrae appena, per poi lamentare un dolore lancinante alla spalla.
Il Cappellaio cerca di scusarsi per l’inconveniente e, per farsi perdonare, le offre immediatamente un lungo pezzo di stoffa tirato fuori magicamente da una delle tasche della sua giacca. Con premura, lo avvolge tra il braccio e la spalla di lei, in modo da poterle dare un lieve sostegno e sollievo.
«Sei tornata, cara Alice...» ripete il Cappellaio con la voce compromessa dalla commozione.
«Mi dispiace, signore,» risponde Alice cercando di trovare le parole esatte per non ferire l’emozione di quell’uomo dall’aspetto curioso, ma dai modi gentili «ma non sono quella Alice che vi aspettate che io sia.»
Il Leprotto e il ghiro si guardano perplessi, non comprendendo il significato di quelle parole. Il Cappellaio, invece, non sembra nutrire nessun dubbio.
«Devi aver picchiato forte la testa.» ridacchia con tono scherzoso e istericamente divertita «Sì, che sei tu, Alice. Tu sei solo tu, nessuna Alice al mondo sarebbe in grado di sostituirti. Tu sei tu e insostituibile.»
«Cappellaio!» Mally lo richiama all’ordine severamente, ottenendo da quest’ultimo un soffocato “grazie”.
Gli occhi grandi e verdi del Cappellaio, improvvisamente, si dipingono di malinconica confusione e non smette di guardare la ragazza che, a fatica, si alza da terra per rimettersi in piedi.
Vedendola ancora dolorante, il Leprotto e Mally la invitano a sedersi alla loro tavola, nella speranza che possa stare più comoda.
«Non capisco.» dice il Cappellaio, scuotendo la testa e sedendosi accanto a lei, al capotavola «Tu devi essere tu
Alice fa un lievissimo passo indietro segnato da un’iniziale diffidenza, quando il Cappellaio avvicina un dito indice della mano destra, bianca come la luna contrassegnata da una serie di macchioline ramate, a ridosso delle sue labbra.
«Quello...» aggiunge il Cappellaio incrinando il timbro vocale, indicando proprio il neo presente sopra il labbro sinistro della ragazza «Sì, devi essere tu. La mia Alice. Quello, quello è il mio...»   
Le parole del Cappellaio vengono fermate da una voce bassa, profonda, che si sta librando nell’aria come una nuvola che si espande nel vento.
«Sei sicuro di non sbagliarti, Tarrant
Alice si accorge che, dal nulla, è apparso uno strano gatto dal pelo folto e grigio, con alcune striature azzurre e scintillanti presenti sul mantello, dotato di un paio di giganteschi occhi dello stesso colore brillante e, soprattutto, di un ghigno larghissimo. Il lettore avrà già intuito di chi stiamo parlando.
«Lei è Alice, Stregatto.» insiste il Cappellaio con la voce di chi voglia avvertire di non gradire di essere contraddetto.
«Forse,» continua lo Stregatto senza curarsi dell’implicito avvertimento e fluttuando “comodamente” nell’aria «questa volta non è proprio lei. Anche se dovesse avere lo stesso volto, la stessa voce, lo stesso odore, non ha lo stesso sguardo dell’Alice che conosciamo. Ergo, non è la nostra Alice.»
«LEI È ALICE!» urla Tarrant, picchiando un forte pugno sulla tavola e guardando lo Stregatto con occhi minacciosi.
«Questo si vedrà.» lo sfida bonariamente il gatto, scomparendo nel vento.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Il reale motivo del congedo dello Stregatto possedeva una natura più preoccupante. Come se lo avesse previsto, nell’esatto momento in cui era svanito dal nulla, alle spalle del Cappellaio e dei suoi amici animali si stavano materializzando gli stessi portali a spirale che Alice aveva avuto modo di vedere poco prima in compagnia di McTwisp e, questa volta, la ragazza non aveva bisogno di spiegazioni.
Dopo un preliminare sussulto di sgomento collettivo, il Leprotto sembrava essere l’unico ad essere riuscito a conservare un piccolo pezzetto di lucidità.
«Nascondila! Nascondila!» strillava al Cappellaio, accertandosi che non sia ancora uscito nessuno dai portali.
Con una velocità fulminea, seppur goffa, il Cappellaio tira fuori da una manica una minuscola bottiglia contenente la Mezzastazza – e il lettore sa bene quali siano gli effetti di questa bevanda bizzarra – e costringe Alice a berla istantaneamente.
Tutta in un solo sorso, senza perdere tempo e poco importa, purtroppo, che Alice abbia un forte dolore che le parte dalla spalla. L’effetto sorpresa, infatti, non gioca a suo favore e il dolore si fa ancora più forte. Gocce di Mezzastazza le colano dalle labbra, scorrendo lungo il collo e macchiandole di poco le parti superiori dell’abbigliamento.
Presto, presto! stanno sussurrando tutti quanti, continuando a sperare di non essere colti di sorpresa e, nel frattempo, il Cappellaio le offre un pezzo di stoffa.
Oltre al dolore lancinante, Alice si accorge che il Cappellaio, il Leprotto e anche Mally si stanno facendo sempre più grandi, così come gli alberi, i fiori, la tavola imbandita. No, non sono loro ad ingigantirsi. È lei che sta rimpicciolendo. Capisce, quindi, perché Tarrant le abbia offerto la stoffa e la usa per coprirsi alla meno peggio. Diventa sempre più piccola, fino ad assumere l’altezza di non più di una mano. Il Cappellaio, non curandosi involontariamente del dolore alla spalla della ragazza, la afferra e la nasconde all’interno del proprio cilindro, mentre il Leprotto si sbriga a nascondere i vestiti di lei sotto la grande tavola. Appena in tempo per poter assistere all’esatto istante in cui il fante di cuori e le sue guardie hanno messo piede sul suolo.
Shhhh! suggerisce il Cappellaio ai suoi amici, appoggiando un dito sulle labbra e aggiungendo di continuare a comportarsi come se nulla fosse.
«Cos’è questa forma di oltraggio?» esclama Stayne con violenza «Da quando gli inferiori non accolgono i loro padroni?»
Comprendendo che il fante non si sia accorto di nulla circa la presenza di Alice, il Cappellaio e gli altri si prostrano letteralmente ai piedi dell’uomo bianco come la carta e nero come l’inchiostro.
«Chiediamo umilmente perdono, Eccellenza...» è costretto a dire il Cappellaio, accompagnato dal Leprotto e dal ghiro dal medesimo titolo rivolto all’arrogante figura del fante. Un fastidiosissimo reflusso scorreva nei loro esofagi quando erano costretti ad appellarsi a lui in quel modo, mentre per Stayne questa era solo la punta dell’iceberg del numero indefinito di soddisfazioni che si stava riappropriando in quel periodo.
Prima di proseguire con la storia, per non creare nel lettore ulteriore confusione come quella già presente nella testa della povera Alice, è necessario andare indietro nel tempo.
 
Tempo la parola chiave.
Il Tempo, la personificazione del concetto del proprio nome. L’immortale, l’eterno e l’onnisciente che presiede nel suo castello, svolgendo accuratamente il suo ruolo sul monitoraggio della durata della vita degli abitanti dell’Underland. Metà uomo e metà orologio che non si fa scrupoli a mostrare la propria maestà ai visitatori e ai suoi servi, i Secondi. Severo, ma allo stesso tempo galante e giusto, proprio come la nozione del nome che porta con regalità. Per quanto possa essere facile ingannarlo, gli abitanti di Underland non mancano mai di ricordare che egli debba essere trattato sempre e comunque con rispetto, benché la vera Alice abbia provato a sfidarlo pur di trovare la verità riguardo la famiglia del Cappellaio, rubando la cronosfera e causando non pochi problemi, il tutto concludendosi con esito positivo... o quasi.
Certamente, il lettore sarà al corrente del fatto che dapprima Tempo avesse costruito una relazione con la Regina Rossa, arrivando ad essere disposto a tutto pur di compiacerla a proprie spese. Iracebeth, infatti, aveva ottenuto dal nuovo spasimante in un solo giorno un nuovo castello, con un’intera corte composta da umanoidi fatti di piante e ortaggi. Solo la cronosfera era esentata dai “doni” e questo faceva incollerire e deludere la regina.
Sebbene sembrasse che tutto si fosse concluso nel migliore dei modi, con una riconciliazione tra la Regina Rossa e la sorella, la Regina Bianca, tutto era basato sull’apparenza. Il potere, si sa, è un vizio che si cela nell’animo come una radice troppo profonda e difficilissima da estirpare. Di conseguenza, quel peduncolo era ancora rimasto intatto nel cuore di Iracebeth.
Non era affatto bastato, perciò, che Mirana – la Regina Bianca – si scusasse con lei, così come non era bastato che tutti cominciassero ad amare Iracebeth e che lei si rendesse conto del significato del valore della famiglia e della speranza.
Poiché due galli non stanno bene in un pollaio, un regno non può essere governato da due regine e Iracebeth non aveva intenzione di condurre una vita dettata dall’accettazione di vivere nell’ombra della sorella minore, così come sotto sotto aveva sempre provato una forma di rancore nei confronti di chi le aveva rubato tutto ciò che mantenesse l’equilibrio della sua felicità. In un certo senso, pensava giorno dopo giorno, le cose andavano molto bene quando governava nella Rocca Tetra, tagliando le teste di tutti coloro che osavano lenire la figura della sua maestà, anche per motivi tanto semplici quanto inutili.
Chiunque ricorderà che ad un servo ranocchio, affamato dopo tante ore di lavoro, avesse osato mangiare di nascosto le crostate della regina e quest’ultima non ci aveva pensato mezza volta a condannarlo istantaneamente, senza processi perditempo, a farlo decapitare. Così come non aveva provato una briciola di pietà nei confronti dei girini ormai orfani, comandando ad un servo di andarli a sequestrare perché lei potesse usarli come ingrediente principale sul pane tostato.
Dominio delle creature viventi, la sua materia preferita, come diceva Mirana, perché potesse controllare, manipolare e schiacciare ogni animale presente nel suo regno. Il potere le aveva annacquato la testa, al punto da farla diventare paranoica, arrivando all’estremo gesto di far decapitare il Re Rosso, suo consorte, perché temeva – seppur infondatamente – che l’avrebbe ripudiata per la sorella Mirana.
Andava tutto per il verso giusto quando aveva il suo esercito di carte rosse corazzate, quando i suoi servitori non osavano emettere un solo fiato ad ogni suo ordine, quando il popolo la temeva e la rispettava senza nessuna obiezione.
Quando c’era Stayne, il suo braccio destro, il suo fante. Aveva cercato di ucciderla, lo ricordava bene, così come lei lo aveva addirittura ucciso con una pugnalata dritta al cuore per vendicarsi del torto subito. Era pur vero, nondimeno, che fosse stato l’unico uomo riuscito a farle scaldare sul serio il cuore. Nemmeno il Re Rosso, quando era in vita, si era mai preso cinque secondi del proprio tempo per salutarla amorevolmente, anche solo sfiorandole la mano schioccandole un bacio delicato. Stayne lo faceva, così come si premurava di riservarle appellativi maestosi e, allo stesso tempo, affettuosi.
Erano dettati dalla finzione, come sa il lettore, ma qualcosa nella grossa testa di Iracebeth ronzava da diverso tempo. Tutto l’equilibrio citato fino ad adesso era crollato, da quando Alice Kingsleigh era ritornata nell’Underland nel periodo adiacente al giorno Gioiglorioso, rovinando tutti i suoi progetti, uccidendo il suo amatissimo Jabberwocky a fil di Spada Bigralace.
La colpa di tutto era unicamente e nuovamente di quella Alice. Era colpa sua se nessuno dei suoi cavalieri di carte aveva più avuto intenzione di obbedirle, era colpa sua se era stata confinata in esilio nelle Outlands, mentre il suo castello giaceva in rovina.
Iracebeth voleva riprendersi ciò che era suo di diritto e per questo motivo era ritornata nel castello di Tempo per pareggiare i conti. Avendo avuto il modo di frequentare quel luogo quando aveva avuto una relazione con lui, la Regina Rossa aveva familiarizzato con diverse stanze del castello e sapeva che ve ne fosse una molto particolare.
Poco le importava che i piccoli Secondi erano allarmati di fronte alla sua presenza, cercando di dare l’allarme in maniera molto scomposta e facendo solo confusione, proprio come si aspettava la regina. Difatti, ignorandoli totalmente e sapendo di poter proseguire indisturbata, la donna dalla testa enorme e acconciata come un grosso cuore rosso, aveva varcato la soglia della Sala della Pendola del Fato. Come si può evincere dalla denominazione, la stanza ospitava un antico orologio a pendolo d’oro, dal quadrante d’argento e i numeri romani in pietre preziose, così come le lancette in indio. Sul lato dell’orologio c’era anche un altro quadrante che segnava gli anni, quindi gli eventi, rilevanti nell’Underland.
Iracebeth sapeva bene quale fosse l’evento con il quale fare i conti. Aperto il quadrante del lato del pendolo, la regina aveva appena rimosso l’evento con su scritto Giorno Gioiglorioso quando alle sue spalle aveva sentito una voce agitata che conosceva benissimo.
Tempo, appena avvertito dai suoi sottoposti, l’aveva appena raggiunta e si era accorto con sommo orrore quanto avesse fatto.
Sciagurata!” urlava disperatamente “Lo sai cos’hai appena fatto?
Oh, lo so benissimo.” rispondeva Iracebeth con acido rancore, come quello di chi sapeva che di lì a poco avrebbe ottenuto il suo riscatto, la sua vendetta.
Le lancette della Pendola del Fato avevano cominciato a girare all’indietro, prima lentamente e poi sempre più velocemente. Le pareti iniziavano ad oscillare, il terreno si scuoteva e tutti, all’infuori di una soddisfatta Iracebeth, manifestavano la propria angoscia e il proprio sgomento. Tempo stava per avanzare contro la regina, ma i suoi occhi zaffiri si erano spalancati per la brutta sorpresa quando la donna era scomparsa, dissolvendosi nell’aria insieme alla Pendola del Fato.
Tempo non aveva indorato la pillola: la Pendola del Fato era molto più pericolosa della cronosfera, poiché non esisteva il pericolo di incontrare la propria persona del tempo desiderato, scatenando l’imminente sciagura già causata in precedenza dalla Regina Rossa – il lettore lo sa bene - la Pendola del Fato permetteva di poter modificare il passato a proprio piacimento, quindi il presente e il futuro.
Proprio per non scatenare squilibri simili per mano degli assetati di potere e da coloro che nutrivano secondi fini malvagi, Tempo si era ben curato nel nascondere tale orologio, tuttavia non aveva tenuto conto che la sua ex amante si potesse spingere a tanto.
Ancora una volta, ripeteva con amara delusione verso sé stesso, aveva fallito. Ancora una volta, il Tempo era stato ingannato e il prezzo da pagare, ora più che mai, sarebbe stato molto alto.
Cancellato, quindi, il Giorno Gioiglorioso, Alice non era mai tornata nell’Underland, né aveva mai ucciso il Jabberwocky e, soprattutto, nessuno al mondo aveva impedito ad Iracebeth di governare.
Le lancette della Pendola del Fato si erano fermate, per volere della Regina Rossa, nel giorno in cui avrebbe fatto decapitare il re consorte e, prima di dare il subdolo ordine, aveva incontrato Stayne in gran segreto nel cortile.
Nell’area dove i cespugli di rose rosse era più fitto, lontano dal punto in cui era stato allestito il gioco del croquet. L’unico angolo del castello in cui, forse, veniva mostrata una parte di vivacità.
Un furioso risentimento strisciava nel cuore della regina nel vedere il fante ancora in vita, ben conoscendo le sue reali intenzioni, ma Iracebeth aveva un piano. Scortata da un paio di carte da gioco armate di lancia e dallo sguardo minaccioso, la Regina Rossa aveva puntato il dito contro il fante che, a sua volta, era molto confuso.
Senza nessun giro di parole, la donna aveva rivelato al fante provenire dal futuro e di essere ritornata per “aggiustare” le cose... a cominciare dal fatto di essere al corrente delle sue reali intenzioni del fante e di essere pronta a farlo giustiziare seduta stante.
Non dando il tempo all’uomo di sbiancare per la notizia appena ricevuta, la regina aveva comandato alle guardie di puntare le lance contro la sua gola, pronti ad intervenire in caso di necessità.
Maestà,” supplicava Stayne disperato “vi prego, abbiate pietà...”
Silenzio!” comandava la regina “Dovrei farti tagliare la testa immediatamente, ma sono tornata per offrirti due scelte. Giurami fedeltà assoluta, amami sul serio ed io ti offrirò una vita piena di agi che non potrai mai immaginare. Oppure, rifiuta questa mia offerta e ti farò tagliare la testa oggi stesso. È semplicissimo.
Le lame gelide delle lance si facevano sempre più vicine sul collo di Stayne e una delle loro punte si era conficcato sulla pelle, causandogli un leggero gemito. Il fante taceva, ma sapeva di dover prendere in fretta una decisione. Sicuramente, non desiderava passare la sua vita con quella donna, ma l’idea di poter ricevere da quest’ultima degli onori incredibili non era qualcosa da ignorare. Anche lui, dopotutto, era assetato di potere e nondimeno la regina, seppure in collera, gli stava offrendo una seconda chance e solo uno stolto avrebbe potuto gettare via una simile occasione.
Stayne aveva sigillato un patto di indissolubile lealtà verso la Regina Rossa inchinandosi al suo cospetto e offrendosi di baciare la mano della sua sovrana.
Mi ami?” domandava Iracebeth.
Sì, Maestà.
Stai mentendo ancora, ma non importa perché tu mi amerai. Mi amerai per sempre.”
Dopo aver fatto giustiziare le stesse guardie che poco prima l’avevano scortata, perché non potessero mai testimoniare su quanto avessero visto e sentito, Iracebeth aveva mantenuto la parola. Da quel giorno, infatti, Stayne doveva essere trattato con enorme rispetto e tutti dovevano appellarsi a lui col titolo di “Eccellenza”. Solo la Regina Rossa gli sarebbe stata superiore.
Da quel giorno, per ordine di Iracebeth, tutti gli orologi presenti nel regno dovevano essere distrutti, in modo tale che il tempo venisse distorto e che nessun abitante di quel luogo potesse mai più avere il reale senso del tempo. Chiunque avesse posseduto un orologio funzionante di qualsiasi genere, da quelli a pendolo a quelli da taschino, sarebbe stato considerato un traditore e, quindi, condannato all’inevitabile decapitazione.
E tutto sarebbe continuato ad andare nel migliore dei modi se quel giorno, nel tempo presente, Stayne non avesse portato alla Regina Rossa una ciocca di capelli dorati che aveva trovato nella foresta.
Riconoscerei quel groviglio di capelli tra mille.” aveva ammesso tempo prima Iracebeth e le era bastato vedere quella sola ciocca per capire a chi appartenesse.
Alice, quella Alice, era tornata? Sentendosi nuovamente minacciata, pur non sapendo che si trattasse della tris nipote della sua antica nemica, Iracebeth aveva dato un solo ordine al suo fante. Trovarla, ma non ucciderla. Voleva essere presente quando il boia avrebbe fatto cadere la scure sul suo collo, facendole rotolare via la testa.
 
«Oggi mi sento di buonumore.» dice il fante, sogghignando crudelmente «Quindi, per questa volta vi risparmio. Dopotutto, siete il mio adorato trio di matti
Il Leprotto, Mally e il Cappellaio si sforzavano per mantenere un inchino ben prostrato e, per poco, quest’ultimo non rischiava di far scivolare via il cilindro e di rivelare il nascondiglio di Alice.
«Avanti, fuori gli orologi.» dichiara Stayne.
Il Cappellaio e il Leprotto tirano fuori dai loro taschini i propri orologi a cipolla e li consegnano al fante. Quest’ultimo, assicuratosi che siano rotti, continua a sogghignare e in segno di spregio li getta per terra, schiacciandoli sotto i propri piedi.
«Dovrebbero essere tutti ben preparati e attenti alle leggi come voi.» fa un gesto come se si fosse ricordato all’ultimo momento il vero motivo di quella “visita” «Stiamo cercando una donna. Una ragazza, per la precisione. Ed è alta, all’incirca...» afferra violentemente il Leprotto per le orecchie, alzandolo a mezz’aria e mostrando l’effettiva altezza di Alice «...così.» dopo averlo lasciato cadere al suolo, il fante tira fuori dalla tasca la ciocca bionda «I suoi capelli, sono di questo colore. L’avete, forse, vista da qualche parte?»
Per non cadere nell’ansietà e cercare di donare sicurezza ai suoi amici, il Cappellaio gioca la carta della propria follia.
«Oh, mio caro amico Leprotto, un buon tè e sarai in forma.» dice in tono canzonatorio «Sai che il tè è una tazza di vita e che l’amore e l’amicizia non si chiedono come l’acqua, ma si offrono come il tè. Dopotutto, il tè è saggezza liquida...»
Le sue parole vengono bloccate dalla mano di Stayne che, improvvisamente, gli stringe la gola con brutale forza minacciosamente.
«Se scopro che la state nascondendo,» il fante stringe ulteriormente la presa «vi farò tagliare la testa proprio davanti ai suoi occhietti.»
Se il Leprotto e Mally mostrano apprensione sui propri volti, il Cappellaio riesce a non vacillare.
«Siete così magnanimo, Eccellenza...»
Il fante lascia la presa spintonando il Cappellaio con la stessa scortesia usata contro il Leprotto. Tarrant si risolleva immediatamente da terra e, nuovamente, per non sconfortare i suoi amici non smette di sorridere e di farsi burla della situazione.
Nel mentre, Alice lotta duramente per non fare rumore e il dolore alla spalla è sempre più forte al punto da risultare molto difficile restare aggrappata ai capelli del Cappellaio sforzandosi di non emettere nemmeno un gemito.
Accertatosi che sia tutto regolare e non avendo voglia di perdere tempo prezioso, Stayne ordina ai suoi cavalieri di proseguire oltre. Non ha nessuna intenzione di deludere la sua Regina Rossa.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Una volta fuori pericolo, Tarrant libera Alice dal “nascondiglio” e stavolta si ricorda di essere delicato per non fare altro male alla spalla. L’espressione dolorante della ragazza vale più di mille parole e il Cappellaio la accompagna dentro il mulino, chiedendo successivamente al Leprotto di prendere dalla tavola una Tortinsù perché Alice possa ritornare alla propria grandezza naturale. Il Leprotto ritorna con il dolce richiesto, insieme ai vestiti nascosti poco prima sotto la tavola. Così, il Cappellaio la lascia sola lì dentro in modo che possa rivestirsi in tutta libertà.
«Dai solo due morsi. Non uno di più.» raccomanda Tarrant.
Una volta sola, Alice esegue e ritorna incredibilmente alla sua altezza effettiva.
In quell’esatto momento, McTwisp giunge sul posto dopo una folle corsa, il fiatone pesante e incapace di pronunciare una frase.
«Tempismo perfetto.» lo canzona il Leprotto.
Riprendendo a malapena il fiato, il coniglio si sforza a pronunciare qualcosa. Balbettando, domanda al Leprotto, al Cappellaio e al ghiro se avessero visto Alice.
Sentendo il proprio nome e riconoscendo la voce familiare, Alice si veste velocemente, non mancando di lamentare il forte dolore, quindi esce dal mulino e ritorna dagli altri.
«Oh, eccoti, grazie al Cielo.» si rasserena McTwisp comprendendo che il fante non l’abbia catturata, ma la sua preoccupazione si ripresenta quando viene avvisato della visita precedente di quest’ultimo, sebbene si sia conclusa con esito positivo nei suoi riguardi.
Spiegata la tragica situazione, il coniglio e gli altri realizzando che il mulino non sia più un posto sicuro per la ragazza e portarla dalla Regina Bianca era fuori discussione, poiché i controlli ai confini del regno erano stati doppiamente intensificati: Iracebeth, per l’appunto, aveva ben previsto che Alice potesse trovare asilo nel regno della sorella e non doveva lasciarla scappare.
La casa del Cappellaio, avevano deciso, era la sola scelta migliore poiché isolata e che solo un matto sarebbe stato in grado di raggiungere quell’abitazione, percorrendo un sentiero pericoloso. Solo il Cappellaio, infatti, avrebbe potuto scegliere un posto del genere. Tra tutti, del resto, era il solo che possedesse la coraggiosa follia che lo portasse a rischiare tanto per la sua Alice.
La ragazza rimane, tuttavia, molto confusa. Non sa perché si trovi in quel luogo, non sa che cosa voglia quel fante da lei.
«Non devi temere, mia cara.» dice il Cappellaio «Ciò che conta è che tu sia tornata. Ti abbiamo aspettata così tanto...»
«Ma io non sono l’Alice che stavate aspettando.» risponde Alice sconfortata «L’Alice di cui tanto parlate, era la mia trisnonna. È morta parecchio tempo fa. Io le somiglio e basta...»
McTwisp, Mally e il Leprotto assumono uno sguardo carico di delusione, il cuore spezzato è palpabile, ma il Cappellaio non si lascia scalfire.
«La mia Alice è una sola e insostituibile.» insiste con un sorrisetto di natura strana «Sono sicuro che questa tua smemoraggine sia dovuta al tuo luuuuungo allontanamento, ma vedrai che piano piano ricorderai ogni cosa.»
«Come devo dirvelo che state commettendo un grosso sbaglio?» esclama Alice con la pazienza messa a dura prova «Ed anche io mi trovo qui per sbaglio!»
«Il coniglio non avrebbe mai permesso che un’Alice qualunque mettesse piede nel nostro mondo.» è la sicura affermazione di Tarrant, con occhi seriosi e il sorriso ben mantenuto, mentre McTwisp si sente un po’ più confortato di fronte a tale asserzione.
«Io non...» si ferma Alice per il dolore alla spalla, divenuto troppo lancinante.
Sentendosi in colpa per averla fatta stancare troppo, il Cappellaio accorre in suo aiuto. Non è il caso di farla innervosire più del dovuto, si rende conto che abbia bisogno di un po’ di riposo. Il resto verrà da sé.
Ancora una volta, Alice doveva bere la Mezzastazza e viaggiare con Tarrant in dimensioni ridotte, in modo da potersi nascondere sotto il cilindro di quest’ultimo. Usato nuovamente un pezzetto di stoffa per coprirla e offertole un nastro più piccolo per aiutarla a fasciarsi la parte indolenzita tra la spalla e il braccio e, per non farle fare altri movimenti bruschi e causarle altri mali, il Cappellaio la fa accomodare dentro il taschino della propria giacca, così da farla viaggiare comodamente.
Il Cappellaio era pronto a mettersi in marcia, attraversare la Foresta di Tulgey e condurre Alice al sicuro nella propria abitazione.

«Sei un idiota!» strilla la Regina Rossa di fronte ad un prostrato e sempre più umiliato Stayne, alzatasi dal suo trono, mani strettissime a pugno e la fronte arrossata per la stizza «Ti ho affidato un compito così semplice e tu torni come un fallito?»
«Maestà, non abbiamo...»
«SILENZIO!» ruggisce Iracebeth e la sua voce tuona su tutta la sala «Trovala, Stayne! Aumenta le ricerche, perlustra tutto il regno. Giorno, notte, non mi interessa! Trovala o ti farò tagliare la testa!»
«Sì, Maestà.» si limita a pronunciare Stayne, augurandosi di non fallire nuovamente.
Quello stesso giorno, la crudele sovrana aveva fatto annunciare che chiunque avesse nascosto Alice, o l’avesse vista e non avesse avvisato le autorità, sarebbe stato giudicato colpevole di alto tradimento, finendo i suoi giorni con la testa recisa dal corpo. Nessuna pietà per nessuno.
 
Il pomeriggio rossastro diventava sempre più scuro e la foresta di Tulgey stava per essere inghiottita.
Durante il viaggio, il Cappellaio aveva ritenuto opportuno spiegare ad Alice cosa fosse accaduto al tempo, il perché del giorno e della notte sbilanciati, il perché del tanto odio della Regina Rossa verso gli orologi.
La leggenda, diceva il Cappellaio, narra che nel suo castello esista ancora un solo e unico orologio in grado di stabilire il vero e proprio ordine e concetto del tempo. Si diceva, aggiungeva, che nessuno all’infuori della crudele sovrana, lo avesse mai visto. Tuttavia, il vero motivo della causa del suo astio verso il tempo non era mai stato rivelato con sicurezza. Si era solo al corrente riguardo al fatto che la crudeltà della Regina di Cuori non fosse mai stata così estrema.
Capocciona maledetta, ripeteva il Cappellaio passo dopo passo, Capocciona maledetta.
Era stato necessario che Alice intervenisse chiamandolo per nome almeno tre volte, perché il Cappellaio ritrovasse il senno. Il buio accelerava e il Cappellaio doveva affrettarsi. Quando avevano raggiunto la casa di lui, Alice aveva ben considerato l’idea di pazzia del Cappellaio per poter vivere in un luogo simile.
Oltre una scarpata ricolma di ciliegi in fiore, di fronte ad una cascata che gloglottava tra le sponde rocciose, l’abitazione si estendeva pericolosamente ai margini di una radura che sporgeva su una gola. Una sottile striscia di terra battuta portava sulla magione che richiamava fedelmente quella di un cappello a cilindro, con i muri circolari e alla falda del “cappello” adibita a tetto. Solo uno come il Cappellaio poteva percorrere il sentiero pericolante a lunghi e ad affrettati passi, fino ad arrivare al portico bianco e rosso, varcando la soglia della porta turchese.
Dopo aver mangiato nuovamente la Tortinsù, senza esagerare con le dosi, Alice aveva indossato gli abiti che il Cappellaio era disposto a prestarle. Poco importasse che fossero maschili e strambi, purché indossasse qualcosa. La camicia bianca le copriva metà delle cosce, con apertura non completa sul davanti e chiusa con un cinturino, mentre gli stivaletti marroni in pelle erano più comodi del previsto.
Tarrant si avvicina alla ragazza con una tazza di tè colorata tra le mani e la offre ad Alice.
«Ti sentirai meglio.» le assicura sorridente.
Alice soffia sul tè di colore viola intenso, sentendo l’aroma di mirtilli e altri frutti di bosco. Un solo sorso e, magicamente, ha la sensazione che il dolore alla spalla sia svanito.
«È passato, non è vero?» esclama gioiosamente il Cappellaio, come se le avesse letto nel pensiero.
Alice ha a malapena il tempo di dire di sì con la testa e di far uscire dalle labbra un soave “grazie”, quando improvvisamente un forte rumore echeggia fuori dalla casa. Un rumore metallico, voci e passi che si fanno sempre più vicini.
Tarrant afferra Alice per una mano e si accinge a portarla al piano superiore, nella propria camera. Non era di certo educato portare una signora nella propria stanza da letto, ma non aveva altra scelta.
«Resta qui.» ordina il Cappellaio «Qualunque cosa sentirai, non ti muovere.»
«Cappellaio, io...»
Bruschi colpi alla porta interrompono le parole e il Cappellaio è costretto a lasciarla prima di darle altre raccomandazioni.
«Apri, razza di matto!» urla da fuori una voce molto familiare «Sappiamo che sei lì dentro!»
«Arrivo subito.» canticchia il Cappellaio simulando di essere di buonumore.
Aprendo la porta, ritrova davanti a sé un adirato Stayne che non si fa alcuno scrupolo ad entrare senza nessun permesso. Lo stesso argomento vale per tre carte da gioco che seguono il fante.
«Prego, Eccellenza. Fate come se foste a casa vostra.» sogghigna bonariamente ed ironicamente il Cappellaio «Nessuno sarebbe disposto a credere che Vostra Eccellenza sia stato mio ospit...»
Stayne, per tutta risposta, lo ricompensa con un violento schiaffo al volto facendolo cadere per terra.
Dalla camera da letto, Alice ha sentito ogni cosa e la sua apprensione comincia a farle tremare la schiena, le mani e le gambe.
«Poche chiacchiere.» lo avverte Stayne «Abbiamo modo di credere che Alice sia qui! Quindi, consegnacela e forse ti risparmierò la tua insulsa vita.»
Rimanendo nella sua posizione, con la mascella dolorante, il Cappellaio non si scompone.
«Non so di cosa stiate parlando, Eccellenza.» rischia lui, con tono serio.
Dopo avergli assestato un calcio dritto all’addome, Stayne fa un cenno ad altre guardie di chiamare gli altri cavalieri.
«Portateli qui.» il suo occhio vedente e nero, senza nessuna luce di umanità, ritorna verso il Cappellaio «È chiaro che sono stato troppo indulgente con te. Forse, adesso ti passerà la voglia di scherzare.»
Altre due carte da gioco fanno il loro ingresso nella casa e gli occhi del Cappellaio si riempiono di orrore. Un cavaliere tiene il Leprotto per le orecchie, mentre le sue zampe sono bloccate da un paio di manette di ferro. Accanto a lui, c’è Mally nelle sue stesse condizioni, con le zampe intrappolate dalle medesime manette ma in dimensioni fatte apposta per lui.
«Abbiamo trovato questi straccetti, in quel lurido mulino.» aggiunge Stayne, mentre un secondo cavaliere si presenta con dei vestiti tra le mani.
Dopo aver ricevuto l’ordine dalla sovrana di setacciare tutto il regno, il fante e il suo squadrone erano ritornati nel mulino e avevano perquisito ogni angolo del luogo, cercando Alice, trovandone solo gli abbigliamenti. Poiché né il Leprotto, né il ghiro coraggioso avevano intenzione di tradire Alice e il Cappellaio, i due erano stati arrestati in nome della Regina Rossa e condotti dal Cappellaio, perché potessero essere usati come pretesto affinché quest’ultimo confessasse.
«Non so di cosa stiate parlando, Eccellenza.» ripete il Cappellaio temerariamente, ricompensato poi con un altro calcio.
«Ti do un’ultima possibilità.» sibila Stayne e schioccando le dita in direzione della carta da gioco che trattiene il Leprotto e il ghiro e, automaticamente, quest’ultima li avvicina al fante «Dimmi dove si trova Alice...» tira fuori la spada, puntandoli rischiosamente verso i due «... o i tuoi subdoli ed inutili amici, assaggeranno il gusto di questa.»
Dal suo nascondiglio, Alice sentiva di dover fare qualcosa. Non si sarebbe mai perdonata che la sua paura, la sua codardia mettesse a repentaglio l’incolumità di qualcuno, specie se si trattava di qualcuno disposto a tutto per proteggerla. Un conto era essere ricolmi d’ansia per non parlare di fronte ad un pubblico, un’altra era starsene impalata mentre la vita del Cappellaio, del Leprotto e del ghiro, tanto buoni con lei, era appesa ad un fil di lama – o di spada, in questo caso. Sa che il Cappellaio le abbia detto di non muoversi, ma non può obbedirgli.
La ragazza si guarda intorno, dicendo a sé stessa di sbrigarsi, di fare qualcosa e subito. I suoi occhi scuri cadono su di uno scaffale pieno di cappelli di varie forme e colore. Prende una cloche grigia, la sistema alla testa e fa in modo che i suoi capelli – l’unica particolarità che Stayne sappia di lei – e li nascondo il più possibile sotto il cappello.
«Uno...» conta minacciosamente il fante «Due...»
«Fermi!» la voce di Alice rituona per la casa, mentre scende la scala a chiocciola e raggiungendo i presenti. Le carte puntano le lance sulla sua direzione, mentre il Cappellaio la guarda sbalordito e con un tuffo al cuore perché la ragazza sia uscita allo scoperto.
Il fante fa abbassare le lance e il suo volto si tinge di un’espressione molto strana. Tarrant se n’è accorto. Lancia uno sguardo d’intesa a Mally e al Leprotto perché non dicano una sola parola.
«Chi sei tu, bella straniera?» le domanda con smielata galanteria.
Alice non sa cosa rispondere nell’istantaneo, ma la cascata di sviolinate del fante la aiuta a prendere tempo e realizza che il suo piano abbia funzionato. Non è stata riconosciuta.
«Di sicuro, non sei di queste parti.» continua Stayne «Se avessi visto il tuo incantevole viso, non ti avrei di certo dimenticata. Qual è il tuo nome?» si avvicina a lei, girando su di essa come un serpente a sonagli.
Non sopportando che quel viscido fante si stia avvicinando troppo ad Alice, il Cappellaio interviene ancora una volta.
«È Lady Hightopp, Eccellenza. Mia cugina.» mente lui, alzandosi in piedi.
«Oooh.» sussurra Stayne «Non immaginavo che un vile matto come te, avesse nella sua famiglia uno stupendo bocciolo di rosa. Il mondo è pieno di sorprese.» breve pausa «E dimmi, bella creatura, come mai non ti ho mai vista?»
«Viaggio molto, signore.» recita Alice «Sono una pittrice.»
«Interessante, molto interessante.» si ricompone quando scopre di stare per andare troppo oltre in pubblico, quindi si rivolge ai cavalieri e punta il dito contro il Cappellaio e gli altri due suoi amici «Portiamo questi tre sospetti alla Rocca Tetra.»
«Aspettate.» agisce Alice quando anche il Cappellaio sta per essere incatenato «Non potete, non hanno fatto niente.»
«Non temere, bella fanciulla.» la rassicura malignamente Stayne «Saranno tratti con... indulgenza. E poi, anche tu verrai con me...» si corregge «...con noi. Del resto, credo proprio che alla sovrana farebbe tanto piacere avere una pittrice personale a corte.»

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Niente portali a spirale per i prigionieri, poiché le loro sofferenze devono essere ben dipinte sui loro volti per il puro sadico piacere del fante di cuori. È stata sua la scelta di fare attraversare il Cappellaio, il Leprotto, Mally e Alice per il vasto Deserto Rosso, costituito dal terreno del medesimo colore e disseminato di alberi magri, spogli, scheletrici. Per nulla desolato, al suo interno vi abitano le creature più pericolose appartenenti alla Regina Rossa – che, ritornata al suo potere, ha incrementato la popolazione di bestiacce maggiormente minacciose per l’incolumità altrui – per non parlare dell’aumento dei cavalieri arruolati per la sorveglianza del luogo.
Superato il Deserto Rosso, i prigionieri vengono condotti nella città denominata La Rocca Tetra, patria che condivide la stessa combinazione di colori e forme privilegiate dalla crudele regina. La cupa città portuale è collegata con il castello della regina, circondato dal fossato conosciuto come il Mare Cremisi, un corpo d’acqua rosso sangue che ospita come creature marine ostili e letali. Lo stesso fossato è ricolmo di centinaia, se non migliaia, di teste decapitate dalla regina Iracebeth, tra cui il Re Rosso deposto e punito dalla stessa consorte per il semplice sospetto di poter essere ripudiata e sostituita dall’odiata sorella, la Regina Bianca. Nessuno avrebbe mai saputo le reali sensazioni dell’ormai defunto sovrano, se davvero era disposto a rifiutare la Regina Rossa per la Bianca, ma l’unica sicurezza di cui in pochi a corte erano a conoscenza ruotava intorno al fatto che il re fosse sempre più spaventato della figura della consorte, divenuta sempre più violenta ed incline a sempre più accesi scatti d’ira. 
Alice doveva lottare con tutte le sue forze per trattenere una smorfia di disgusto alla vista di quella macabra visione.
Superato il ponte levatoio, lei e gli altri sono costretti ad avanzare verso il sentiero roccioso e sterrato. Il fante e i soldati corazzati conducono i nuovi prigionieri all’interno del castello, chiamato Crims, luogo di vessazione.  Oltre ad ospitare creature malevoli citati in precedenza, la patria è composta anche da persone e animali oppressi dalla tiranna e dal fante: la piazza principale, non per niente, è evidenziata da una scultura in pietra a forma di cuore, dove tutti i cittadini – con la regina in prima fila – si riuniscono per assistere alle esecuzioni pubbliche. Un’area conosciuta tristemente con il nome di “blocco del taglio”.
Superato, infine, il cortile dove la regina è solita intrattenersi per ammirare le proprie rose rosse e per giocare a croquet - usando i fenicotteri come mazze e i porcospini come boccia – Stayne ferma per un istante il triste corteo.
«Portate questi scellerati nelle prigioni.» dice il fante, in sella al suo cavallo nero, facendo un cenno con una mano, bloccando invece una delle guardie che ha in custodia Alice «Dico io...» assume un’intonazione odiosamente sviolinante «Non vorremmo mica riservare un simile trattamento ad un’incantevole madamigella?»
Alice fa un piccolo passo indietro, come per sottrarsi da chissà quali squallide intenzioni del fante. Lo stesso Cappellaio, intuendo qualcosa di losco, si mette davanti alla ragazza come per proteggerla e senza emettere un solo fiato.
Rimanendo in sella all’inquietante destriero, Stayne tiene le gambe ben aperte in modo da colpire in faccia il Cappellaio, allontanandolo dalla ragazza.
«Cappellaio!» Alice tenta di soccorrerlo, ma un cavaliere la trattiene puntandole contro la propria lancia.
Con arroganza, il fante scende dal cavallo e si avvicina ad Alice con un ghigno superbo e altezzoso.
«Tu verrai con me, graziosa creatura.» dice senza scollarle lo sguardo di dosso «Ho proprio bisogno di riempire la mia sala personale con dei quadri meravigliosi.» lieve pausa «Scommetto che queste candide e stupende manine sono in grado di creare delle sublimi opere d’arte.»
Alice si ritrae di nuovo e per poco non fa saltare la propria copertura.
«Non temere, Lady Hightopp.» interviene tempestivamente il Cappellaio, alzatosi a fatica «Esegui il tuo mestiere e fatti onore.»
Alice lo guarda scambiandogli uno sguardo di compassione e insicurezza, mentre Tarrant ricambia con un’occhiata colma di sicurezza e temerarietà. È sicuro che tutto andrà per il meglio.
Per ordine di Stayne, il Cappellaio e gli altri vengono quindi condotti nelle prigioni, mentre ordina con malvagia intimidazione alle guardie di non fare parola alla Regina Rossa della presenza di Lady Hightopp nel castello.
Nonostante sia stato avvertito dalla sovrana, la quale – come il lettore ricorda – gli aveva offerto una seconda occasione, il fante di cuori non era disposto a cambiare quando si trovava di fronte ad una bella e graziosa ragazza e, nuovamente, si trattava di Alice. Il fante era ricaduto nella propria stessa trappola, anche se a sua insaputa.
 
Sala del Trono.
Due porte su entrambi i lati della parete di fondo, portano al corridoio con lunghi pilastri rossi che arrivano fino al soffitto. Le finestre colorate ai lati della sala creano l’illusione che l’aera sia più spaziosa, la parete di fondo dell’ingresso murale ritrae la Regina Rossa in groppa al suo Jabberwocky che combatte contro una creatura simile ad un grifone. La decorazione centrale del pavimento è una scacchiera ricoperta da un lungo tappeto rosso che conduce alle scale a forma di cuore dove è posto il trono, una piccola sedia d’oro a forma di cuore, spinta indietro in una piccola rientranza con tende su entrambi i lati e da una grande vetrata progettata con cuori. Proprio lì, in quel momento, siede comodamente un’indispettita Iracebeth.
Aspetta con visibile impazienza, la stessa servitù composta da rane, scimmie, pesci e valletti, fa fatica a nascondere il proprio disagio e tremore.
Non appena il fante fa il suo ingresso nella sala, inchinandosi rispettosamente dinanzi alla sovrana, qualcosa nell’aria sembra alleggerirsi.
Non ha trovato Alice, ammette, ma ha rinchiuso il Cappellaio, il ghiro e il Leprotto nelle prigioni. Il primo, soprattutto, è l’elemento chiave per ritrovare Alice. La regina lo sa benissimo e sorride appena. Il sorriso aumenta a dismisura quando il fante rivela che sarà lui stesso a torturarlo per estirpargli di bocca la verità, per far sì che quello “smidollato” – come lo chiama lui – non sia così testardo o stupido da tacere.
«Metticela tutta.» dichiara la Regina Rossa, aggiungendo di non avere nessuna pietà: riconosce la fedeltà del Cappellaio verso Alice, per cui non devono esistere indulgenze nei suoi confronti.
Il fante si inchina e fa per congedarsi, intento ad ordinare alle guardie di preparare la sala delle torture, ma la Regina Rossa ha un’ultima domanda da fare.
«Hai nient’altro da dirmi?» il suo tono tranquillo sembra nascondere un filo di sospetto.
Stayne, infatti, accoglie quella domanda con scomodità, sentendo una fitta sulla bocca dello stomaco per il timore di svelare una verità fastidiosa. Senza rimorso e senza pensarci troppo, decide di omettere la presenza di “Lady Hightopp”.
«Nient’altro, maestà.» afferma con dignitoso inchino.
«Vai.» ordina la regina, con un sogghigno soddisfatto.
Tirato un sospiro di sollievo, il fante si allontana dalla sala il più presto possibile, cercando di nascondere come meglio può il suo reale stato d’animo carico di ansietà e timore verso quella pazzoide di sovrana che, ahimè, è costretto ad amare.
 
Con il cuore colmo di affanno, Alice si domanda quali siano le reali intenzioni di quel losco individuo. Non gli piace proprio per niente e continua a non piacergli nemmeno adesso che ha fatto rinchiudere il Cappellaio e i suoi amici in chissà quale fredda e buia prigione. Né, di sicuro, sarebbe disposta a provare per il fante una briciola di empatia anche se le sta riservando un trattamento diverso.
Tanto per cominciare, Alice non vede di buon occhio il fatto che Stayne l’abbia “segregata” in una delle sue stanze private con il pretesto di farla unicamente dipingere.
Al diavolo il fatto che le abbia ricavato delle tele, ripete a sé stessa Alice.
Al diavolo i pennelli. Al diavolo i materiali, pigmenti e oli più pregiati del regno.
Decide di rimanere in piedi, poiché lo sgabello sul quale dovrebbe sedersi è sorretto da due scimmiette. Per nessuna ragione al mondo Alice se la sentirebbe di creare una simile fatica ed un simile sopruso a delle povere creature.
Guarda la tela grande poco più di mezzo metro e realizza di non aver ancora creato nulla. Il tutto è ancora completamente bianco. E le cose non migliorano quando Stayne irrompe nella stanza con insopportabile cavalleria.
«I miei omaggi, Lady Hightopp.» si inchina il fante per il puro spirito di cercare di entrare nelle grazie della ragazza.
Ne ottiene solo il silenzio: Alice, infatti, decide di puntare su questa carta, ignorando quel cascamorto e fingersi concentrata sul proprio lavoro. Per mascherare il proprio disagio, Alice inizia a passare dei tocchi di colore sulla tela e, tra una pennellata e l’altra, si rende conto di aver realizzato un pezzetto di cielo rosato e incline al tramonto.
«Non mi rispondi?» continua il fante, avvicinandosi sempre di più «Sei silenziosa.» comincia a girarle intorno, facendosi sempre più vicino «Oh, questo sì che arricchisce il tuo fascino.» Alice ha, suo malgrado, il modo di sentire il respiro dell’uomo vicino al proprio collo «Una bella donna dovrebbe essere sempre silenziosa. Quando si parla ad una fresca rosa, lei ci risponde, forse?»
La pazienza di Alice si esaurisce quando avverte, per fortuna in forma lieve, che le labbra di Stayne sono anche troppo vicine alla pelle del suo collo. Se prima provava un senso di rifiuto verso di lui, adesso ne prova anche disgusto.
È una ragazza timida, non c’è dubbio, ma non è affatto stupida. Erano casi come questi, seppur rari, in cui Alice riusciva a tirare fuori la grinta nascosta dentro la propria pancia.
«Signore,» dice lei lasciando perdere i pennelli, la tela e tutto il resto, allontanandosi dal fante di qualche passo «quando eseguo i miei dipinti, non sono solita rivolgere la parola a nessuno, se voglio svolgere il mio lavoro con diligenza.» senza saperlo, i suoi occhi si riempiono di sicurezza e quello sguardo così forte devono aver impressionato lo stesso Stayne, visto che quest’ultimo la sta guardando con un’espressione inebetita.
Di sicuro, non si aspettava di ricevere una simile risposta né da Alice, né da nessun’altra donna del regno. Per la prima volta, Regina Rossa a parte, una donna gli stava tenendo testa.
«Potrei farti tagliare la testa per questa tua insolenza.» è la minaccia che Alice si aspettava, ma la ragazza non sembra farsi intimorire e rimane ferma, composta e silenziosa, senza staccare lo sguardo combattivo sul fante.
Tale reazione mette in difficoltà Stayne, ma le proprie parole non saranno consone alle sue vere intenzioni. Riconosce di aver pronunciato quell’intimidazione per puro orgoglio maschile, ferito da un’insulsa donna straniera e di rango inferiore.
«Al mio ritorno,» sibila solamente, puntandole l’indice contro «voglio vedere un mio ritratto. Fatto e finito. E che sia perfetto.» per dare un ultimo sfogo alla propria frustrazione, il fante afferra la spada e, con un solo colpo, taglia a metà la tela appena ritoccata da Alice.
La ragazza sussulta per il modo violento in cui Stayne ha appena agito, ma non ha intenzione di mostrarsi debole. Gli stessi animali lamentano un lieve e giustificato urlo di spavento, ma rimangono fermi al proprio posto.
«Niente robaccia variopinta.» conclude il fante, riponendo la spada nel fodero, per poi uscire dalla stanza e lasciando Alice finalmente da sola.
Chiusa rumorosamente la porta, Alice sente le proprie gambe farsi pesanti e per poco non crolla sul pavimento. Nel suo petto, sente una strana sensazione che non sa come descrivere.
Non ricorda quando sia stata l’ultima volta ad aver provato questo tipo di emozione. Non ne trova un nome. Sa solo che la sta facendo sentire bene.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Andrà tutto bene. Tutto si aggiusterà.
Mally e il Leprotto avevano sentito il Cappellaio sentenziare queste due frasi molte volte, suonanti più come una certezza piuttosto che un comune modo per tenere alto il morale dei suoi amici.
Il fante non si era di certo limitato a rinchiudere i tre “malfattori” in un’unica cella e, chi ha modo di conoscere il suo sadismo, sa bene quanto la sua fantasia possa spingersi se c’è da fare soffrire qualcuno. Tanto per cominciare, il ghiro era stato rinchiuso dentro una gabbia penzolante – simile a quella usata per rinchiudere gli uccellini – grande abbastanza perché la bestiolina potesse compiere tre passi avanti e indietro. Il Leprotto, di sicuro, non se la passava molto bene nella sua di gabbia dal medesimo spazio angusto e la pazzia, la frustrazione, lo portava inevitabilmente a tirarsi violentemente le lunghe orecchie quasi a volersele strappare via.
Il Cappellaio, come detto precedentemente, non avrebbe mai permesso che i suoi cari amici scivolassero nello sconforto e puntualmente ripeteva le consolazioni citate prima. E ci voleva un grande coraggio per pronunciare simili frasi con tanta serenità, visto che lo stesso Tarrant si trovava nella sua cella ma impossibilitato a compiere un qualsiasi movimento, in quando il suo collo, i suoi polsi e le sue caviglie erano legate da catene così pesanti da procurargli delle fitte molto dolorose, benché facesse di tutto per non darlo a vedere.
Sarebbe andato tutto bene? Tutto si sarebbe aggiustato? Sì, se conosceva bene la sua Alice e poteva confermare della veridicità di questo. Il Cappellaio riconosce limpidamente quanto Alice sia forte e valorosa.
Un tonfo improvviso echeggia nella fredda, umida e lugubre sala delle prigioni e i tre indirizzano lo sguardo in direzione dell’origine del rumore, anche se non hanno alcun dubbio su di chi si possa trattare.
Stayne fa il suo ingresso e il suo sguardo non promette nulla di buono. Il Cappellaio e gli altri non possono sapere che il fante sia enormemente furioso per il trattamento ricevuto da quell’insulsa pittrice – come la sta nominando nella sua mente – e di come quella circostanza gravi così tanto dentro di sé al punto da volerla scacciare via. E, purtroppo, conosce già la sola ed unica soluzione.
Schiocca le dita verso una guardia, questa si fa avanti e sa che quel gesto indica di aprire la cella del Cappellaio. Il cigolio della cella rimbomba gravosamente, graffiando l’aria come una violenta artigliata. Il fante avanza in direzione di Tarrant, il quale rimane fermo sul terreno, accovacciato e dallo sguardo apparentemente sereno.
«Ora stammi a sentire.» inizia Stayne, stridente e torvo «Tu adesso mi dirai dove si trova Alice.» schiocca nuovamente le dita e altre due guardie fanno il loro ingresso all’interno della cella, portando un tavolo di legno scheggiato con sopra di esso uno strano involto «Sappi che so perfettamente come farti parlare.» nessuna risposta e il fante, dopo avergli scaraventato via il cappello a cilindro con un veloce manrovescio, gettandolo sul nudo suolo di pietra, lo afferra per i riccissimi capelli scompigliati e lo costringe a guardare in direzione del tavolo «Sta a te decidere: con le buone...» completa la frase non appena una delle carte da gioco espone il contenuto dell’involto «... o con le cattive.»   
Mally e il Leprotto emettono un gemito strozzato alla vista degli strumenti da tortura che verranno utilizzati sul loro amico, qualora decidesse di non parlare. Il problema era che il Cappellaio non aveva deciso di non parlare... ma si era imposto di non parlare. Non ha nessuna paura della frusta lunga quasi mezzo metro, con un manico lungo la metà, la cui seconda cinghia è collegata ad esso con un anello metallico e sulla quale sono stati attaccati delle strisce brevi, terminanti in ganci aventi la forma di becchi di rapaci. Non ha paura nemmeno della frusta adiacente alla prima, quella con diverse strisce di cuoio intrecciate con fili, le cui estremità sono libere e finenti con degli uncini. Non ha nessuna paura della terza frusta, la più lunga e con una banda più larga, dapprima imbevuta di latte e lasciata essiccare al sole per rendere le cinghie dure e affilate come rasoi.   
Stringendogli i capelli con più forza, Stayne lo obbliga a fare la sua scelta.
«Per l’ultima volta,» domanda biecamente «dove si trova Alice?»
Gli occhi verdi del Cappellaio ricadono sugli sguardi atterriti e apprensivi di Mally e del Leprotto. Le sue labbra si stirano in un sorriso strano, fuori luogo, folle. Temerario.
«Ricordate la canzoncina che cantavamo in onore della Regina Bianca? Quando in volo te ne vai, pipistrello cosa fai? Hai...»
Infastidito, il fante lascia malamente la presa e ignora la canzone intonata dal Cappellaio. Un altro schiocco di dita e i due cavalieri obbediscono senza fiatare: il Cappellaio viene liberato dalle catene, ma solo per dare alle guardie la possibilità di privarlo degli abiti superiori, scoprendone il busto e le braccia. Sempre per ordine di Stayne, il Cappellaio viene legato nuovamente e fatto adagiare col petto sul gelido muro, in modo che possa esporre la schiena.
Il Cappellaio avrebbe continuato a cantare senza vacillare, se il fante non avesse cominciato a percuoterlo con il primo colpo della prima frusta con una violenza inaudita. Un gemito viene strozzato dal Cappellaio, ma resiste insolitamente e riprende a canticchiare, seppur tremante per il dolore.
Un altro colpo, più concentrato e più violento. Non c’è pietà nell’arida e nera anima del fante e la crudeltà aumenta a dismisura quando ripensa al rifiuto di “Lady Hightopp”. Nessuna donna aveva mai osato rifiutarlo e una banale parente di un misero cappellaio non sarebbe, di certo, stata la prima a farlo. Era piuttosto facile riversare tutto il suo sfogo sulla pelle di un prigioniero indifeso, legato ed inerme, così come era piuttosto soddisfacente.
I colpi aumentano e Stayne non sembra stancarsi, ma la resistenza del Cappellaio lo innervosisce. Si ferma per cambiare lo strumento di tortura, il tempo che serve perché il Cappellaio possa prendere un momento di respiro.
Mally non ce la fa, ha sopportato anche troppo. Non vuole che il suo povero amico continui a soffrire così.
«Alice è Lady Hightopp!» strilla tutto d’un fiato, attirando l’attenzione di tutti i presenti.
Il povero ghiro, con il cuore a pezzi per aver assistito alla tortura del Cappellaio e per aver tradito Alice, crolla immediatamente e si pente di quanto ha appena fatto. Il Leprotto lo guarda con occhi sgranati, mentre il Cappellaio sbarra lo sguardo poiché comprende quanto l’incolumità di Alice sia in pericolo.
«Cosa?» sibila Stayne nel sentire una simile rivelazione, mentre lo sguardo si riempie di sadica gioia «Che cosa hai detto?»
L’inconsolabile Mally non ha mai desiderato di poter sparire all’istante.
 
Marmorea
 
Quando si muoveva, lo faceva sempre con molta grazia, dando l’illusione di danzare perennemente. Negli ultimi tempi, purtroppo, la Regina Bianca faceva non poca fatica a continuare a mantenere questo suo stato di soave danza, dal momento che più il tempo passava e più le cose non facevano che peggiorare. Tempo. Semmai avesse davvero avuto un senso poterlo nominare. Lo stesso tempo aveva perduto il proprio significato e concretezza, niente più era certo e tutto stava crollando ogni giorno di più.  
Con amara mestizia, seduta su di una candidissima panca dal colore che richiamava fortemente la neve, Mirana continua a passare le giornate in momenti di autocommiserazione, rimpianti e rimproveri verso sé stessa. Era davvero servita la pietà, quel giorno, quando Alice aveva messo a posto le cose, riportando la cronosfera al suo giusto e legittimo posto, scusandosi sinceramente con la sorella nel tentativo di mettere fine ad un conflitto durato per troppi anni?
Questa volta, probabilmente, non c’era nessuna bambinata aventi le crostate come pomo della discordia. Semplicemente, Iracebeth poteva essere definita come una di quelle persone nate per essere malvage?
Mirana scuote la testa, socchiudendo gli occhi, non accettando seriamente il fatto che la sorella conservi realmente una così sciagurata natura. Con un tuffo al cuore, la povera Regina Bianca, nuovamente senza la sua corona, si ritrova da sola. Senza corona, senza famiglia, senza speranza.
I pensieri vengono spazzati via con l’arrivo di un gruppo di dame e gentiluomini, rigorosamente abbigliati con il candido colore predominante del castello della Regina Bianca, i quali informano la loro amata sovrana dell’arrivo di McTwisp e che, a loro dire, sembra avere una notizia molto urgente da dare.
Mirana acconsente di incontrarlo, non è solita fare attendere chi si sia disturbato a giungere nel suo castello e, a maggior ragione, se hanno delle nuove da dichiarare.
Incontrato il coniglio presso la sala del trono, McTwisp è scortato dai gemelli Pinchi e appare molto affaticato, nervoso e apprensivo. La dolce regina gli dà il tempo di ricomporsi, lo mette ad agio e la bestiola inizia, finalmente, a parlare.
«Alice è qui.» afferma uno dei gemelli, al posto del coniglio.
«Alice è tornata.» fa da eco il fratello.
Questa rivelazione dà vita ad un sussulto collettivo, specialmente da parte di Mirana. Un fulmine a ciel sereno, non se lo sarebbe mai aspettata.
«Ma il saggio Brucaliffo,» continua tristemente il coniglio «ha nuovamente negato che si tratti di lei. Eppure,» un sussulto di sconforto «io sono così sicuro che si tratti di lei
«E così sarà.» lo consola la Regina Bianca «Non ti sei sbagliato la prima volta che la portasti qui, così come non ti sei sbagliato adesso.»
«Ma adesso è in pericolo con il Cappellaio, il ghiro e il Leprotto.» aggiunge Pinco Panco.
«Alla rovescia, il Cappellaio, il ghiro e il Leprotto sono in pericolo insieme a lei.» dichiara Panco Pinco.
Mirana emette un sobbalzo e chiede una spiegazione a riguardo.
Il coniglio prende la parola e spiega ogni cosa: il crudele fante di cuori ha rapito Alice, insieme al Cappellaio e gli altri, conducendoli dalla Regina Rossa. Altro, purtroppo, non sa.
Il cielo solo sa cosa potrebbe succedere ad Alice in quell’orribile posto, ma il fatto che Stayne non abbia giustiziato istantaneamente la ragazza quando avrebbe potuto farlo, la dice molto lunga. Probabilmente, non l’avrà riconosciuta – e se lo augura con tutto il cuore – ma adesso Alice si trova in serio pericolo.
Devono agire in fretta, trovare al più presto una soluzione.
Non c’è più un solo momento da perdere.  

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Tic. Tac. Tic. Tac.
La Pendola del Fato continua il suo ticchettio, nonostante il tempo completamente compromesso dalla malvagia mano della Regina Rossa. Iracebeth guarda con intensità il quadrante, ossessionata dalla sicurezza che non appaia mai l’evento che possa ricordare il giorno Gioiglorioso. Non c’è. La sovrana tira un sospiro di sollievo, ma qualcosa sembra toglierle la serenità quando si accorge che proprio sul quadrante sembra apparire qualcosa. Gli occhi della regina si fanno sempre più perplessi ad ogni forma assunta dal disegno del quadrante. La perplessità si tramuta in ira quando si rende di vedere qualcosa che sembra ricordare Alice che combatte contro la sua creatura più preziosa, il suo amatissimo Jabberwocky.
«No... No...» ansima Iracebeth facendo un lieve passo indietro e calpestando la zampa di una delle scimmie addette a “mobilia” – come le chiama lei insensibilmente «No, non può essere...»
La Pendola del Fato sta “parlando” di nuovo, sta annunciando che la storia sarà destinata a ripetersi. Alice è tornata e presto ucciderà nuovamente il Jabberwocky, mettendo ancora una volta la Regina Rossa sotto scacco.
In un attacco di furia, Iracebeth srotola via l’evento attuale dal quadrante nel tentativo di stracciarlo in mille pezzettini. Per sua sfortuna, non avendolo premeditato, Iracebeth è costretta a fermarsi a causa di una violenta, seppur breve, scossa di terremoto che fa ballare il pavimento e quasi incrinare le pareti di tutto il castello. Dai sotterranei, interrompendo bruscamente il fante con le sue malefatte, alla stanza in cui Alice è tenuta prigioniera.
Non solo. Il movimento tellurico viene avvertito da tutto l’Underland, nello stesso momento e della stessa intensità.
A Marmorea, infatti, la Regina Bianca si dimostra molto preoccupata e insieme ai presenti – McTwisp e i gemelli compresi – realizza che non possa trattarsi di un buon segno. Lo stesso e identico discorso vale per il luogo in cui vive Tempo, che a sua volta trema all’idea di un evento catastrofico non molto lontano.
«No, no!» esclama Iracebeth, fino a che il suo enorme volto non assume la tonalità di rossissimo pomodoro «STAAAAAAYNE!» ulula lei.
Il ruggito della regina viene udito da tutto il castello, letteralmente. Dalle prigioni, finendo alle orecchie del fante che – per una lieve fortuna del Cappellaio, di Mally e del Leprotto – è costretto ad allontanarsi e recarsi immediatamente dalla sovrana, fino a giungere ad Alice.
Partendo da Stayne, quest’ultimo corre fulmineamente verso la stanza della sua sovrana e il suo animo comincia a temere il peggio. Non può essere un caso se la regina lo abbia chiamato dopo quell’improvviso sisma.
Ottenuto il permesso di entrare, il fante trova Iracebeth lontana di qualche passo dalla Pendola del Fato, con lo sguardo impietrito verso il quadrante.
«Maestà,» prende la parola Stayne «state bene?»
«Chiama subito il vate di corte.» dice in un sussurro cupo.
«Come dite...?»
«Chiama il vate di corte! Ora!»
Non volendo farselo ripetere di nuovo, Stayne convoca alcune guardie e si reca immediatamente nella sala adibita allo studio del vate appena nominato, costretto contro la propria volontà di recarsi prima da Alice e appagare le proprie spietate soddisfazioni. Riconosce che non sia saggio fare attendere la sovrana, non ora che l’ha appena vista così turbata. Con un temperamento simile, il rischio che la Regina Rossa possa farlo decapitare per un impulso di rabbia è troppo alto.
Il lettore potrebbe domandarsi se lo stesso rischio non sia comunque alto per il fante proprio ora che la Regina Rossa abbia comandato di portarle il vate di corte, l’indovino, il veggente personale della sovrana. La risposta è unicamente negativa.
Il vate in questione, altro non era che una volpe antropomorfa e un ex sottoposto del Tempo, il quale lo aveva scacciato su due piedi quando lo aveva sorpreso a frugare tra i suoi cataloghi senza nessun permesso, relativi all’ordine del tempo, dei pianeti e delle circostanze sovrannaturali. Voleva diventare una sorta di astrologo, come lo chiameremo noi del nostro mondo, ma la sua insolenza gli era costata cara – lo stesso Tempo, nella sua severa semplicità, lo aveva redarguito affermando che gli sarebbe bastato semplicemente di chiedergli il permesso di venire a conoscenza di tali apprendimenti.
Allontanato per sempre da quel luogo, il tanto rinomato vate altro non era che un ciarlatano comune che si dilettava ad imbrogliare coloro che andassero da lui, in buona fede, per avere dei consigli relativi alle circostanze future.
Vuoi per il suo carisma, vuoi per la sua dote di saper padroneggiare le parole, quest’ultimo si era costruito da pochissimo la fama di vate ed era partito da una semplice capanna dove era solito accogliere i suoi clienti – parola non usata a caso, visto che voleva essere pagato profumatamente dagli ingenui che volevano sentirsi dire parole che volevano sentirsi dire – vantandosi subdolamente e bugiardamente di aver lavorato a stretto contatto con il Tempo e, quindi, di aver ricevuto il dono di una vasta sapienza.  
Persino la Regina Rossa – dopo aver “restaurato” il proprio regno - era caduta dritta nella sua tela e, in pochissimo tempo, lo aveva accolto nel suo castello e nominato vate di corte.
Ogni giorno, la regina era rallegrata da frasi del tipo “Sarete una grande sovrana”, “Nessuno oserà mai più ribellarsi” e tante altre menzogne simili.
Persino Stayne non era rimasto indifferente dinanzi alla sua figura, fino a quel giorno. Perché mai, si stava domandando, il vate non aveva mai predetto il ritorno di Alice? Un dettaglio così importante non era una cosa di poco conto e il fante cominciava a nutrire non pochi sospetti. Con ogni probabilità, doveva trattarsi di un ciarlatano e si ripromette che, alla prima occasione, chiederà alla regina di fargli tagliare la testa.
Irrompe nella sala del vate senza tante cerimonie, senza nemmeno prendersi la premura di bussare. Lo ritrova intento a fare qualcosa di strano, come se stesse raccogliendo tutti i propri oggetti personali all’interno di un bagaglio di medie dimensioni.
Fingendo di non aver prestato attenzione a quel dettaglio, Stayne obbliga il vate di seguirlo.
«La regina vuole parlarti... ma credo che questo tu lo abbia predetto, vero?» lo canzona, iniziando a burlarsi di lui.
«Assolutamente.» quasi balbetta il vate, cercando di rimanere composto e apprestandosi ad indossare la sua “tunica da lavoro”, un mantello nero con richiami rossi dalla forma di rombi.
Come il lettore può ben intuire, quel ciarlatano aveva fiutato l’aria di guai ed era pronto ad andarsene. Si può solo immaginare la sua espressione quando è stato colto di sorpresa dal fante, alla notizia di venire convocato immediatamente dalla regina.  
 
Tornando ad Alice, nel frattempo, non era riuscita a dare una sola pennellata a quella stupida e maledetta tela tanto desiderata da quel corvaccio di Stayne. Evidentemente, nessuno gli aveva mai detto che un artista non può mai trovare l’ispirazione necessaria se messo sotto tensione. Ci mancava solo quel breve sisma a peggiorare le cose, facendole urtare la tela con un’accidentale pennellata tinta di nero, come una grossa ferita su di un lenzuolo immacolato. Inoltre, il movimento oscillatorio improvviso le aveva fatto perdere l’equilibrio e l’impatto violento contro il pavimento le ha fatto perdere la cloche dalla testa. È importante che la recuperi e che si copra i capelli, non volendo che il fante la colga all’improvviso e la riconosca – inconsapevole del fatto che egli sia già a conoscenza della sua identità.
«Vedo che, per fortuna stai bene.» pronuncia una voce calda a lei familiare, sopra di lei.
La ragazza alza la testa e trova lo Stregatto, ghignante e acciambellato sopra una delle tende della finestra. È lieta di vederlo, ma il felino dalle qualità evaporatrici non sembra intenzionato a perdere tempo in conversazioni amichevoli.
«Meno male. Ho fatto in tempo.» continua il felino e, aprendo le fauci, porge ad Alice qualcosa poggiato sulla propria lunga lingua. Una piccola bacca azzurra, simile ad un mirtillo e lo Stregatto la invita ad ingoiarlo subito.
 
Per non confondere nessuno, nel castello della Regina Bianca si stavano scervellando per cercare una soluzione per salvare Alice, il Cappellaio e gli altri dalle grinfie di Iracebeth. McTwisp, con somma vergogna, aveva ammesso di non possedere molto coraggio per avventurarsi nel regno della malvagia sovrana tagliateste. Per quanto ci tenessero a farsi avanti, offrire una simile missione ai Pinchi era del tutto fuori luogo. Le speranze sembravano perdute quando, proprio nell’ultimo momento, lo Stregatto aveva fatto la sua comparsa senza la preparazione dei presenti. Faceva spesso così, apparire da un momento all’altro, quando nessuno se lo aspettava e questo vizio era stata di grande ispirazione per Mirana. O, meglio, lo erano state le qualità evaporatrici del gatto.
All’interno delle sue serre private, Mirana amava fare crescere le piantagioni più rare e disparate e, tra queste, vi era un maestoso albero di rose blu notte che aveva la caratteristica di produrre all’interno di questi fiori dei frutti molto particolari. Il rarissimo Fruttofugante era conosciuto per garantire a chi lo mangiasse di possedere le stesse capacità evaporative dello Stregatto, anche se per un tempo breve. Inoltre, non ne andava mai mangiato più di uno, dato che si trattava di un frutto velenosissimo. Uno solo era più che sufficiente. Solo la Regina Bianca ne era in possesso e, per fortuna, questo sarebbe stato più che utile per salvare Alice e i suoi amici.
E, come ulteriore fortuna, lo Stregatto aveva accettato – per una volta – di farsi avanti per soccorrere qualcuno.
Prima di recarsi da Alice, lo Stregatto aveva raggiunto le prigioni e aveva liberato dapprima il Cappellaio e gli altri. Dopo essere stati informati della qualità del Fruttofugant, lo Stregatto aveva riferito loro che per sfumare via da un posto all’altro dovevano solo immaginare il luogo in cui avrebbero voluto recarsi. Naturalmente, Alice non era ancora in grado di riconoscere Marmorea, per cui sarebbe stato saggio se lo Stregatto l’avesse “accompagnata”.
In principio, voleva essere Tarrant a farlo, ma Mally era stato chiaro: il Fruttofugante funzionava una volta sola, come spiegato dal felino, quindi il Cappellaio doveva sfruttarne l’effetto per arrivare al castello della Regina Bianca, soprattutto per farsi curare quelle orrende ferite.
 
«Dobbiamo fare in fretta.» le dice lo Stregatto, inducendola a mangiare un Fruttofugante. Non appena Alice ingoia il frutto bluastro, dal sapore decisamente aspro e sgradevole, lo Stregatto le afferra una mano. In meno di pochi secondi, Alice sente qualcosa di strano. I suoi occhi si strabuzzano quando si rende conto di stare scomparendo insieme al felino, il quale la esorta a non avere paura.
«Presto sarai al sicuro.» le accerta, scomparendo con la ragazza in una nube di fumo argenteo.
Pochi istanti e la stanza di Stayne rimane completamente vuota. Della presenza di Alice rimangono solo le tele incomplete, i pennelli, i pigmenti e... la cloche sul pavimento.
 
«Esigo una spiegazione!» ruggisce la Regina Rossa, mettendo in suggestione il vate di corte, visibilmente agitato.
La volpe tenta di prendere tempo, facendo finta di ispezionare ogni quadrante della Pendola del Fato.
«Allora?» irrompe Iracebeth «Allora?!» strilla, pretendendo una risposta istantanea.
È un imbroglione, non c’è alcun dubbio, ma è pur sempre una volpe e si sa che tali animali siano riconosciuti per il loro intelletto. Con fredda e calcolata astuzia, il vate sembra aver trovato una spiegazione plausibile e, paradossalmente – e per la prima volta in tutta la sua falsa carriera – aveva indovinato.
«Sembrerebbe» spiega «che la Pendola del Fato abbia subito degli importanti compromessi quando Vostra Maestà l’ha indotta a modificare il tempo.» breve pausa «Evidentemente, ciò deve averle causato degli sforzi eccessivi. Temo proprio che indurla a richiedere altri cambiamenti...» la sua voce si ferma.
«Parla!» lo esorta Stayne.
«Ho paura che il nostro mondo finirà per sempre.» conclude il vate, tutto d’un fiato.
«Ma non può essere!» si lamenta la Regina Rossa, guardando con astio il disegno del quadrante che ricalca la figura di Alice contro il suo Jabberwocky «No! No! Non permetterò mai che quell’Alice rovini di nuovo tutto!»
«E questo “vate di corte”» si intromette viscidamente Stayne «perché mai non ne ha predetto il suo ritorno?» la domanda raggela la stanza «Non eri forse tu,» continua il fante, aizzando la spada contro un’atterrita volpe «che farcivi la mia regina con notizie relative al suo grande riscatto? Perché, invece, non le hai mai accennato nulla riguardo il possibile ritorno di quella mocciosetta, fonte di tutti i guai della mia amata sovrana?»
Il lettore avrà già intuito che Stayne stia usando quelle parole così smielate nei confronti della Regina Rossa per puro spirito di adulazione. Il risultato ottenuto gioca a favore del malevolo Fante di Cuori e, difatti, Iracebeth, istigata da quest’ultimo, è accecata dalla furia.
«Tagliategli la testa!» comanda aspramente, indicando alle guardie il povero vate.
Non prova nessuna pietà di fronte al suo lamento impaurito, nemmeno quando la povera volpe tenta un ultimo appello, mentre viene trascinato via dalle guardie.
La soddisfazione del fante si incrina quando fanno il loro ingresso un gruppo di guardie che, come se non bastasse, hanno una pessima notizia da dare alla regina.
Il Cappellaio, il ghiro, il Leprotto sono spariti dalle prigioni.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Apre gli occhi e ciò che vede è una splendida distesa di rosei ciliegi in fiore, la cui fragranza floreale viene insufflato nei polmoni di una sorpresissima Alice.
Tutto ormai stava diventando sempre più curioso al punto da non dare più nulla per scontato.
Dove siamo? è la legittima domanda della ragazza. Marmorea, il regno della Regina Bianca, è la risposta dello Stregatto. E come se l’avesse appena chiamata, la stessa Mirana avanza dolcemente verso di loro, senza nascondere l’espressione carica di sollievo ed inquietudine insieme.
Anche questa volta, per la tristezza nel cuore della candida donna, Alice si vede costretta a rivelare di non ricordare nulla di lei e del suo regno. Un flebile “oh” esce dalle labbra scure di Mirana, chiaramente dispiaciuta.
«Cara, cara Alice.» la accoglie, comunque, con calore la regina «Anche tu sei qui, finalmente.»
Quella parola, “anche”, fa presagire che sia arrivato già qualcun altro prima di lei. Allungato lo sguardo oltre la regina, ad Alice pare di scorgere una figura a lei familiare seduta su di una panchina di bianchissimo marmo.
L’inconfondibile chioma rossiccia e la carnagione nivea del Cappellaio lasciano correre un sorriso sulle labbra di Alice. Sta bene, lui e il Leprotto e Mally stanno tutti quanti bene. O, almeno, così sembra visto che si trova in compagnia di un paio di persone intente a prestargli delle cure.
«Sto bene, sul serio.» asserisce il Cappellaio sollevando il palmo di una mano contro un medico, volenteroso di disinfettargli e fasciargli alcune delle ferite esposte.
Comprendendo lo stato d’animo della ragazza, desiderosa di andare incontro ai suoi amici, Mirana le fa strada e Alice si avvia verso il Cappellaio, chiamandolo con timida gioia.
Lo sguardo di Tarrant si trasforma completamente alla vista di lei e, in barba alle cure a cui sottoporsi, balza verso la ragazza saltellando come un cerbiatto tra i prati in fiore.
«Alice!» esclama correndole incontro, afferrandole le piccole e delicate mani che tanto si ostacolano con quelle callose, macchiate e ingrigite di lui. Mani che riconoscevano la fatica e il sacrificio, ma sempre e comunque gentili e tenui «Oh, sapessi quanto sono felice che tu sia qui. Salva e... oh, cos’è quello?» si interrompe quando vede che la giovane gli stia sorridendo. 
Per la prima volta da quando aveva messo piede in quel magico mondo, Alice stava mostrando un sorriso ed era davvero bello, fresco e innocente. Un sorriso sincero e senza sforzo.
Festoso come non mai, al Cappellaio sembra di aver assistito ad un importante avvenimento.
«Sorride, la mia Alice. Oh, finalmente...»
«Cappellaio.» benché lieta di rivederlo, la ragazza lo fa rinsavire appoggiandogli delicatamente i polpastrelli sulle braccia.
Dichiarando di stare bene con un soffocato sospiro, il Cappellaio ritorna alla realtà. A questo punto, la Regina Bianca decide di fare il punto della situazione e non riesce a nascondere la sua preoccupazione riguardo il terremoto avvenuto poco prima.
«La saggezza assoluta ci guiderà.» annuisce Mirana ed è chiaro per tutti, tranne per Alice, che la sovrana si stia riferendo al Brucaliffo.
Seguita da tutti i presenti, Mirana si incammina verso i corridoi del castello fino ad arrivare ad un vestibolo lungo e basso, illuminato da una fila di lampade che pendono dal soffitto. La stanza è circondata da molte porte, alternandosi da quelle bianche e quelle nere, tutte chiuse a chiave. Mirana si imbatte in un piccolo tavolo di cristallo e sopra di esso vi è una chiave minuscola, adatte per le zampette di Mally. La afferra con delicatezza e la inserisce all’interno della porta bianca con la serratura più grande di tutte. Un solo tentativo e la porta si apre. Di fronte a quella stranezza, Alice si rifiuta di farsi ulteriori domande.
«Vai, adesso.» Mirana espone la soave mano indicando l’ingresso, invitando Alice ad attraversare.
«Se permettete maestà,» avanza il Cappellaio appoggiando discretamente una mano sulla spalla di Alice «vorrei accompagnarla.»
«D’accordo.» annuisce la regina, pregando gli altri presenti di non aggiungersi «Un accompagnatore è sufficiente.»
Avanzando verso la porta, Alice e il Cappellaio trovano una tenda più bassa che prima non avevano notato e dietro di essa un’altra porta. Alice la apre e si stupisce nell’apprendere che dia su di un corridoio non molto più largo della tana di un animaletto come un topolino o una talpa. Seguita dal Cappellaio, si inginocchia e si intrufola camminando a gattoni fino a che non si arriva al più bel giardino che chiunque avesse mai visto. I due si guardano intorno e scorgono fiori di ogni genere e colore e a pochi passi più avanti si erge un fungo, alto suppergiù quanto Alice. La ragazza si alza in punta di piedi e sbircia oltre l’orlo del fungo, così i suoi occhi scuri incontrano quelli del bruco azzurro seduto sulla superficie del fungo, a zampe conserte e intento a fumare in silenzio il suo lungo narghilè. Senza curarsi di niente e di nessuno.
«Oh, saggezza assoluta...» enfatizza il Cappellaio, investendo il bruco di una moltitudine di richieste riguardo il sisma che ha scosso l’intero mondo «Cosa mai ci attende? Di certo, non siamo in una situazione gradevole.»
Il Brucaliffo guarda Alice e il Cappellaio senza pronunciare una sola parola, fino a che non sposta il narghilè dalla bocca e apostrofa la ragazza con voce svogliata, ignorando completamente le domande di Tarrant.
«E ora... chi sei tu?»
Come inizio non c’era male.
«Alice.» dice lei «Ma so di non essere l’Alice che cercate. Era la mia trisnonna, ma per qualche strana ragione sento che...»
«Spiega te stessa.» la incita il bruco.
«Ho paura di non poter essere più chiara di così.» risponde Alice, mentre il suo volto comincia ad assumere un colorito rossastro «Sono io la prima a non capirci più nulla. Tutti questi cambiamenti hanno finito per scombussolarmi.»
«Sciocchezze.» rimprovera Brucaliffo.
«Parli così perché non ti trovi nella mia situazione.» esclama Alice, dimenticando la dolcezza e le buone maniere, con Tarrant che cerca di metterle invano un freno «Quando ti trasformerai in una crisalide, sai cosa succederà? Non credo proprio che saresti preparato. E poi in farfalla? Sono sicura che ti sentirai diverso e strano.»
«Nemmeno per sogno.» dice il bruco con agghiacciante calma.
«Io so che io mi sentirei molto strana.»
«Tu. E chi sei tu?»
Comprendendo che la conversazione non stava giungendo ad un senso logico, Alice decide di sfidarlo.
«Perché non mi dici chi sei tu?»
«Perché dovrei perder tempo con te?» la domanda si rivela imbarazzante e fastidiosa, ma il bruco rincara la dose «Pensi che io ami perdere il mio tempo con una bambinetta viziata, depressa e che non sappia cosa voglia dalla vita?»
Arrossendo di rabbia e malessere, Alice si volta per andarsene.
«Torna indietro.» il Cappellaio la raggiunge e la afferra delicatamente per un braccio.
«Io non ci parlo con...» si ribella lei, mostrando un’espressione annacquata da sgradevoli lacrime.
«Controllati.» le dice Tarrant con decisione, ma anche con garbo «Brucaliffo ha una cosa importante da dirti.»
Alice inghiotte il senso di pianto meglio che può. Riflette e ascolta il Cappellaio.
Torna indietro insieme a lui, dopotutto il bruco avrebbe sempre detto qualcosa che sarebbe valsa la pena di ascoltare.
«Tu credi» domanda Brucaliffo «di essere cambiata?» vede Alice annuire e prosegue «Cos’è, allora, ti crea altri dubbi in te stessa?»
«Non fa piacere continuare a cambiare così spesso.» risponde Alice.
«Sei contenta di come sei ora?» pausa «Non rispondermi adesso, non rispondermi affatto. Quando smetterai di cercare le risposte, saranno loro a cercare te.» un’altra pausa e, finalmente, decide di rispondere alla domanda posta dapprima dal Cappellaio «Il tempo è stato compromesso per troppo tempo. Se l’ultima occasione, non verrà sfruttata...» un’aspirata profonda e un lungo sospiro di nube. Da essa iniziano a comparire una sequenza di immagini che inquadrano la vera Alice in groppa al Grafobrancio con indosso l’armatura da Paladino quale ella era stata, impugnando valorosamente la Spada Vorpal. E appare la Regina Rossa che ordina di distruggere qualsiasi cosa possa ricordare il tempo che scorre, ricalcando il divieto assoluto dell’esistenza degli orologi. Teste mozzate a chiunque disobbedisca, la corruzione e la violenza del Fante. Ed ecco comparire l’attuale Alice, confusa e spaesata ed è adesso lei che trattiene tra le mani la Spada Vorpal. Sta affrontando qualcosa, una grande creatura nera come la pece, dalle lunghe zanne affilate e le grosse ali in nero patagio come quelle di un gigantesco pipistrello.
Alice riconosce il mostro. È uno dei protagonisti dei suoi quadri. È lui, il Jabberwocky. La paura si fa strada nelle sue membra, riconosce che anche quel mostro era assolutamente reale e che adesso le avventure affrontate dalla sua trisnonna, ora spettano a lei.  
In pochi secondi, il Brucaliffo scompare nella coltre fumosa lasciando Alice e il Cappellaio senza una risposta definitiva. Il succo, tuttavia, è stato quasi colto. Parola d’ordine: la storia si sta ripetendo e non c’è tempo.
Scuotendo il capo, Alice fa dei piccoli passi indietro e il Cappellaio la tiene ferma per le spalle.
«Hai paura, non è vero?» è la sua semplice domanda e nella posa la obbliga a guadarlo negli occhi «Avevi questo sguardo anche la prima volta che affrontasti il Jabberwocky. Ma quanto ardore potevi spigionare una volta che...»
«Era la mia trisnonna, Cappellaio!» esclama Alice stizzita «Io sono io, un’Alice assolutamente diversa! Guardami!»
Il Cappellaio la guarda, come lei ha chiesto. Annuisce.
«Lo sto facendo, Alice. Ti sto guardando.» dice con calma, come se le urla della ragazza non lo avessero per nulla infastidito «E c’è un dettaglio che mi rende sicuro che tu sia tu.» soavemente, le appoggia un polpastrello sul neo caratterizzato sopra la bocca «Ho lasciato alla mia Alice il mio bacio.»

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