Dirty little freaks - volume 2

di sab2fab4you
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo




Daniel
 
“La vita umana è come un pendolo
che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia,
passando attraverso l’intervallo fugace e illusorio
del piacere e della gioia”
A. Schopenhauer

Schopehnauer era riuscito a catturare l’essenza dell’essere umano alla perfezione. Siamo creature stupide ed egoiste, perseguiamo i nostri desideri e le nostre passioni semplicemente per sentirci appagati. Il problema è che questa soddisfazione dura poco, subito dopo abbiamo bisogno di inseguire un nuovo capriccio; e non importa il come o quando, dobbiamo arrivare al nostro scopo, anche se ciò comporta usare o ferire qualcuno.

Era proprio per questo che odiavo le persone. Chiamatemi asociale o come vi pare, ma più stavo lontano dagli affari della gente e meglio era. Mi piaceva stare per i fatti miei, sicuro nel mio spazio e senza la paura che qualcuno avrebbe potuto approfittarsi di me, perché si sa che tutti hanno un doppio fine.

Avevo solo due punti di riferimento nella mia vita, le uniche persone che sapevo non avrebbero mai potuto farmi del male: mia madre e il mio migliore amico, Ben.

Mia mamma mi aveva avuto a diciott’anni e mio padre beh, chissà dov’era, non l’avevo mai conosciuto. Quando passi tutta la vita a vedere tua madre che si spacca la schiena per te e non essere in grado di poterla aiutare il minimo che puoi fare è renderla fiera. Ma io non ero riuscito a fare neanche questo.

Avevo vent’anni ed ero ancora alle superiori perché ero stato bocciato due volte. Risse a scuola, problemi con la polizia, di tutto e di più.

E poi c’è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: mia mamma ha perso il lavoro, ingiustamente tra l’altro, e io ho cercato di darle una mano ma la situazione in cui mi sono invischiato era molto più grande di me.

Ed era per questo che ora dovevo seriamente stare fermo, niente più cazzate, per il suo bene.

***

Hana

Per tutta la vita mi sono sentita dire che ero una stupida, un’ingenua che si fidava troppo degli altri. All’inizio questo mi rendeva triste perché non capivo, ma crescendo ho realizzato.

Bontà, gentilezza, generosità sono modi di essere che il mondo non comprende perché non richiedono nulla in cambio. Questo spaventa perché le persone vivono nella paura di essere ferite, quindi mettono in atto meccanismi di protezione.

Ed è per questo che io non smetterò mai di essere come sono, in un mondo così crudele e avido, c’è bisogno di questo spiraglio di luce.

Il problema è che quando inizi a dare non riesci più a fermarti, tutti si aspettano sempre qualcosa da te, contano su di te. A un certo punto diventa stancante.

Sarà perché sono la seconda figlia di una famiglia numerosa la cui primogenita è scappata di casa, ma è difficile vivere e soddisfare le loro aspettative. Faccio ciò che posso al ristorante, aiuto in casa e svolgo i miei doveri scolastici alla perfezione, eppure sento sempre che c’è qualcosa che non va.

Ho sempre avuto poco tempo da dedicare alle amicizie ed è per questo che mi sono ritrovata all’ultimo anno di scuola con zero amiche. Ma finalmente ero riuscita a trovarne una, Lily era diventata praticamente la mia migliore amica. Molte volte mi sono ritrovata divisa fra il piacere e il dovere, quando sceglievo di uscire con lei piuttosto che rimanere a casa a guardare i miei fratelli avvertivo sempre un senso di colpa profondo perché sentivo di star mancando di rispetto ai miei genitori.

Non smetterò mai di essere così come sono, ma sarebbe bello avere qualcuno su cui appoggiarsi







 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Capitolo uno


Dan


Era un’altra, schifosa giornata di inizio novembre. Dal cielo cupo di Bristol cadeva un acquazzone incessante che io trovavo ormai monotono dato che non faceva altro che piovere da una settimana.
La mensa della Stokes Croft High School era stracolma di studenti, è risaputo che quando ci sono più persone nello stesso ambiente la temperatura si alza ma non questa volta, il freddo e l’umidità mi penetravano le ossa facendomi rabbrividire di tanto in tanto.


Ispezionai il cibo che avevo nel piatto e mi chiesi se valesse davvero la pena assaggiare quella poltiglia grigia che avevano spacciato per porridge. Non ero solo al tavolo, di fronte a me c’erano i miei due migliori amici, Ben e Lily che scherzavano l’uno con l’altro con tutta l’allegria del mondo, e sebbene fossi contento di avere loro due ora che avevo cambiato scuola non potevo fare a meno di provare un forte senso di vuoto dentro di me.


“Ieri sera:


Guardai le due valigie che mia madre aveva sistemato vicino alla porta, ancora non ci potevo credere, gli occhi mi pizzicavano ma non volevo assolutamente piangere.


<< Dan, amore, lo so che è difficile ma è l’unica soluzione >> disse la donna.


La osservai, Minseo era considerata giovanissima per avere un figlio di vent’anni ma la stanchezza che portava stampata sul viso la invecchiava di molto. Non era stato facile crescermi da sola e al contempo lavorare giorno e notte per mantenerci.


Aveva perso il lavoro qui a Bristol e non riusciva a trovarne uno nuovo, per cui mio zio James le aveva offerto un posto al suo ristorante. Il problema era che lo zio viveva a Forrest of Dean nel Gloucestershire, a un’ora di treno da qui. Secondo la mamma trasferirsi con lei non avrebbe avuto senso perché avrei dovuto cambiare scuola per la seconda volta, e dato che ero già stato rimandato due volte voleva tanto che riuscissi a finire l’anno qui. Per cui avevamo concordato che io sarei rimasto a Bristol e lei avrebbe lavorato dallo zio fino a quando non avrei concluso la scuola e poi l’avrei raggiunta.


<< Lo so mamma, è solo che… sarà strano >>.


La avvolsi in un abbraccio dal quale non mi sarei mai voluto separare, eravamo stati sempre e solo noi due e non ero pronto a stare senza di lei.


<< Ti voglio bene >> dissi. “


Sbuffai pesantemente per poi spingere il vassoio lontano da me, il solo pensiero di dover tornare a casa e non trovare nessuno mi irritava. Non era proprio giornata.


<< Ehi, mister felicità, che ne dici di stasera? >> la voce di Lily mi riportò alla realtà.


<< Non ho ascoltato neanche una parola di quello che hai detto >> confessai.


Ben si intromise, fece passare un braccio attorno le spalle della sua ragazza e poi parlò, << Un nostro amico stasera dà una festa, vuoi venire con noi? >>.


Come dicevo prima, non avevo nessuna voglia di tornare a casa e starmene da solo, meno tempo ci passavo meglio era per cui anche se avevo l’umore sotto terra che ballava il valzer con i morti, accettai di andare a questa festa.


Hana


L’adolescente medio di solito passa la mattinata a scuola a seguire le lezioni, pranza, partecipa ai club pomeridiani e poi torna a casa a studiare, se c’è tempo qualche volta esce anche con gli amici.


Vorrei tanto far parte di questa categoria di adolescenti, ma la mia realtà era completamente atipica.


Quando sei la secondogenita di sei figli diventi un po’ una seconda madre per i tuoi fratelli e sorelle, soprattutto se i tuoi genitori sono impegnati nel gestire un’attività. Spesso passavo il pomeriggio ad aiutarli con i compiti, rassettavo casa e preparavo la cena. Ma la mia giornata non si fermava qua, perché la sera lavoravo al ristorante della mia famiglia.


Il Ristorante Coreano Choi conservava il record di essere il primo ristorante di cibo asiatico situato nel quartiere di Stokes Croft a Bristol. Aperto negli anni ‘70 da mio nonno, alla sua morte l’attività è stata poi passata a mio padre e i suoi due fratelli.


Ed è per questo che al momento ero nella mia camera con Lily ad escogitare un piano per convincere mia madre a farmi uscire stasera. Eh sì, perché sebbene mio padre fosse il proprietario del ristorante il vero boss in casa era Mirae Choi.


La ragazza mi aveva parlato di questa festa organizzata da Thomas Wallace alla quale avrebbero partecipato tutti, anche i nuovi trasferiti dalla St. Jude’s High School. In particolare, ero molto curiosa di conoscere Daniel Kwon, un carissimo amico di Ben e Lily e di cui avevo sentito molto parlare ma che non avevo ancora conosciuto.


<< E se mia madre dice di no? >> dissi mentre camminavo avanti e dietro per la stanza.


<< Non potrà mai dirti di no, fidati! >> mi confortò Lily stringendomi le spalle con le mani.


Presi un bel respiro ed uscii dalla stanza seguita dalla mia migliore amica e mi diressi in cucina, dove il Generale Choi stava svuotando le buste della spesa. Sedute al tavolo c’erano le mie due sorelline più piccole, Yorin e Seol che facevano i compiti aiutate da mio fratello Taehyung.


<< Ciao, mamma >> salutai e subito iniziai a mettere a posto le cose che aveva comprato.


<< Salve signora Choi >> disse Lily.


<< Ragazze >> ci accolse la donna, << com’è andata oggi a scuola? >>.


<< Molto bene, la professoressa di inglese ha adorato la presentazione che Hana ha portato >> esordì la ragazza, la ringraziai con un’occhiata.


Mirae si fermò per qualche secondo, come se avesse bisogno di tempo per riflettere su ciò che aveva sentito per poi riprendere ciò che stava facendo.


<< Senti mamma… stasera un nostro amico fa una festa, una cosa tranquilla però eh, e ci ha invitate e io stavo pensando che forse potrei andarci dato che non ho il turno al ristorante >> ormai la bomba era stata lanciata e non potevo più tornare indietro.
Il silenzio cadde fra i presenti, vidi con la coda dell’occhio che anche mio fratello Minho si era affacciato per controllare come finisse la faccenda.


La mamma mi guardò, incrociò le braccia sotto al seno e assottigliò lo sguardo.


<< Hai fatto i compiti? >> domandò con tono serio.


<< Li ho finiti tutti >> risposi prontamente, mi stavano sudando i palmi delle mani.


<< Come sono messe le camere? >>.


<< Pulite, tutti hanno ordinato le proprie stanze >>.


Non mi tolse gli occhi da dosso neanche per un secondo, era incredibile come ancora dovesse battere le palpebre.


<< Che mi dici della cena? >>.


<< Il riso è pronto, c’è del kimchi in frigo e ho preparato del sunbudu jjigae >>.


Il viso della donna non cambiò espressione, rimase severo come se le avessi appena detto di volermi andare a ubriacare in mezzo alla strada.


<< Va bene, puoi andare >>.


Rilassai tutti i muscoli del corpo mentre gioivo internamente. Mi resi conto solo ora che avevo il cuore che batteva a mille e la fronte che grondava di sudore.


<< Grazie mille >> dissi per poi girarmi verso Lily e rivolgerle un enorme sorriso.


Ritornammo in camera mia e solo quando la porta fu chiusa ci lasciammo andare in un’esultanza scatenata.


<< Tua madre fa davvero paura, pensavo che un altro po’ avrebbe sgridato me perché stavo respirando >>.


Presi la sua mano e me la portai sul cuore per farle sentire quanto ancora stesse battendo forte. << Non sei l’unica ad aver avuto paura >>.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Capitolo due
 
Golden, golden, golden
As I open my eyes
Hold it, focus, hoping
Take me back to the light
I know you were way too bright for me
I'm hopeless, broken
So you wait for me in the sky
Browns my skin just right


Hana


Non so per quale motivo, ma per tutta la mia vita ho avuto l’idea che le feste fossero in genere uguali a quelle che fanno vedere nei film americani: ville enormi, musica a palla, ragazzi a testa in giù che bevevano dai barilotti di birra e gli immancabili bicchieri rossi. Ovviamente la mia era un’idea sbagliata.


Io e Lily eravamo appena arrivate al Bearpit, il parco comunale di Bristol, luogo dove si sarebbe svolta la famosa festa. Stokes Croft purtroppo è sempre stato un quartiere degradato e di conseguenza anche le sue strutture pubbliche, era facile trovare i senzatetto dormire qua e la, ma per me non era così. Amavo il Bearpit per i graffiti che decoravano le mura dando un tocco di colore e vivacità a un quartiere che a primo impatto poteva sembrare cupo.


<< Ti avverto, Daniel può essere molto stronzo a volte >> la ragazza ruppe il silenzio con questo annuncio.


<< Sono piuttosto brava ad avere a che fare con persone così >> dissi con un sorrisetto e Lily capì subito a cosa mi riferivo. Il nostro primo incontro fu abbastanza insolito e lei all’inizio è stata molto diffidente nei miei confronti.


Seguii la mia migliore amica mentre si dirigeva verso le rampe da skate, sulle quali già c’erano parecchi di loro a fare dei trick che a me sembravano pericolosissimi. Seduti sui gradoni della platea invece riconobbi molti miei compagni di scuola, che ovviamente non avevano la minima idea di chi fossi, riuniti in gruppetti. La musica faceva da sottofondo ma era un po’ confusa perché c’erano più casse che trasmettevano diverse canzoni.


<< Mi sto gelando il culo, come fai a non avere freddo? >> commentò Lily indicando la mia gonna.


Sì, era novembre, facevano circa quattro gradi ed io indossavo una gonna, << ho le calze felpate, mica sono pazza >>.


Vidi i suoi occhi illuminarsi quando da lontano notò Ben, dovetti correrle dietro perché aumentò di colpo il passo mentre ci avvicinavamo a lui. Il ragazzo le prese il viso fra le mani e le stampò un sonoro bacio sulle labbra. Più li guardavo e più ero contenta che finalmente stessero insieme, sotto sotto ero molto fiera di ciò perché sentivo che era anche un po’ merito mio.


<< Ciao, Hana >> ricambiai il saluto alzando una mano e sorridendo appena.


Osservai oltre le spalle di Ben che c’erano dei visi a me sconosciuti e constatai che quelli fossero i nuovi trasferiti dalla St. Jude’s High School.


<< Venite, che vi presento gli altri >> ci disse il ragazzo.


Di colpo venni invasa da un senso di imbarazzo e timidezza e ciò mi portò a nascondermi dietro le spalle di Lily.


Ero ben cosciente del fatto che fossi completamente diversa dalla mia amica, Lily aveva vissuto da sempre senza regole, poteva fare quello che voleva e nessuno le avrebbe detto niente. Era abituata a stare fuori fino a tardi, andare alle feste o semplicemente fumare una sigaretta a casa del suo ragazzo.
Messa a confronto con lei, io sembravo una stupida e la mia paura era proprio di non piacere agli amici di Ben.


<< Raga’, loro sono Lily e Ha- >> Ben venne interrotto da un altro ragazzo che gli si parò proprio avanti mentre parlava, il quale fece spostare anche la mia amica e si sporse verso di me.


<< Molto piacere, io sono Joseph ma tu mi puoi chiamare quando vuoi >> mi prese una mano e baciò il dorso per poi rivolgermi un sorriso.


Mi sentii il viso andare a fuoco. Lo fissai per qualche secondo non sapendo cosa dire.


Era molto carino, tratti asiatici come i miei, il naso leggermente più pronunciato e i capelli neri dalle punte blu legati dietro con i ciuffetti lasciati liberi avanti. Aveva anche un piercing sul sopracciglio.


<< E tu bambolina, come ti chiami? >> continuò, sempre piegato vicino al mio viso.


<< Hana >> non so come riuscii a parlare. Buttai un occhio verso Ben e Lily e li vidi ridacchiare sotto i baffi.


C’era una ragazza, seduta su un muretto che osservava la scena in silenzio e con un’espressione annoiata in viso. Riuscii a notare solo i suoi vaporosi capelli ricci e la pelle scura.


<< Joe, smettila di fare il cretino e passami la roba >> pronunciò qualcuno con tono infastidito alle spalle del ragazzo.


Finalmente Joseph si allontanò da me per girarsi verso la voce, << non ce l’ho io, ora la sta fumando Angie >>.


Quando la mia visuale fu completamente libera potei finalmente rivolgere la mia attenzione verso il misterioso ragazzo che mi aveva salvato dalle grinfie della mia nuova conoscenza.


Era alto, anche se non avevo un metodo di paragone molto affidabile dato che ero un metro e sessanta, per cui tutti mi risultavano alti. Si era girato di spalle per poter prendere quella che scoprii essere una canna dalle mani della ragazza dai capelli ricci. Aveva il cappuccio della felpa nera che gli copriva il capo e data la scarsa luminosità dei lampioni non riuscivo a vedere bene il suo viso.


All’improvviso Lily gli mise un braccio attorno le spalle e gli tolse il cappuccio, << Hana, lui è lo stronzo che sarebbe dovuto venire a lavorare al ristorante dei tuoi ma che poi ha rinunciato >>.


Daniel, quello era Daniel. I miei genitori stavano cercando disperatamente un fattorino per fare le consegne e Lily mi aveva detto di avere un amico con la patente che poteva occuparsi di ciò, ma poi non si è fatto più nulla.


Nell’esatto momento in cui la mia amica finì di parlare, Daniel fece un tiro dalla canna per poi cacciare dalle narici un denso fumo grigio e inchiodare i suoi piccoli occhi neri nei miei.


Ma cos’è stasera, tutti vogliono giocare a farmi rimanere senza parole?


Il primo aggettivo che mi venne in mente osservando il suo viso fu: particolare.


Aveva il mento leggermente a punta, guance piene, zigomi appena appena pronunciati e naso piccolo. Gli angoli delle labbra piene puntavano verso il basso e ciò gli donava un eterno, anche se velato, broncio. Dire che era bello era riduttivo, c’era un non so che di fine nei suoi tratti mascolini.


<< Piacere di conoscerti >> dissi, questa volta risultai molto più decisa.


Daniel fece un cenno con la testa prima di liberarsi dalla morsa di Lily, infilarsi le mani in tasca e rimanere con lo spinello fra le labbra.


<< Sempre molto loquace tu, eh? >> lo prese in giro Ben.


<< Come hai potuto notare, Joe è un tipo molto singolare >> mi disse Lily una volta che fu al mio fianco, << e Dan invece è… così >>.


<< Per un momento ho pensato che Joseph mi stesse prendendo in giro… >> confessai ridacchiando.


<< Non ci credo che ti ha davvero baciato la mano >>.


<< Murphy, Davies, siete venuti! >> esclamò un ragazzo alle mie spalle.


<< Perdermi la festa di addio di Thomas Wallace? Anche no! >> disse Lily.


<< E così te ne vai ad Oxford, eh? >> continuò Ben.


Capii che Thomas Wallace era quello che aveva organizzato la festa, ovviamente non avevo capito che fosse perché si sarebbe dovuto trasferire altrove. Non lo conoscevo molto bene, per cui mi limitai a rimanere in disparte mentre tutti e tre parlavano.


Mi grattai la nuca a disagio quando notai che anche Daniel, Joseph e Angie avevano iniziato conversare fra di loro.


All’improvviso Joe mi gettò un’occhiata e onde evitare altri incontri ravvicinati potenzialmente imbarazzanti, feci finta di inviare un messaggio vocale e gli diedi le spalle.


Dan


Non ero per niente contento di stare a quella festa. Era novembre, a chi diavolo verrebbe in mente di organizzare qualcosa all’aperto quando il freddo ti gelava persino le guance? Ma fortunatamente tutto era diventato piuttosto sopportabile dopo la terza birra e il primo tiro di canna, sarei tornato a casa abbastanza intontito da riuscire a dormire senza farmi troppi problemi.


<< Quella è proprio uno zuccherino >> commentò Joseph guardando in direzione dell’amica di Lily, Hana mi pare?


<< Che ci trovi di speciale? Sembra un marshmallow sputato >> disse Angie facendo un altro tiro dallo spinello.


La ragazza indossava uno smanicato rosa sopra la felpa bianca, in tinta con gli anfibi. In effetti era molto rosa, ma pensai che fosse un colore che le stava bene.


<< Ahh Angie cara, non capisci proprio niente >> il ragazzo le mise le mani sulle spalle, << le tipe innocenti come lei sono le migliori da stuzzicare, è divertente! >>.


Gli diedi uno spintone, << finiscila, sei disgustoso >>.


Vidi che Hana prese posto su un muretto poco distante da noi, ogni tanto guardava verso Lily per vedere se avesse finito di parlare con Thomas. Faceva dondolare i piedi mentre giocherellava con il telefono. Non so il perché, ma di colpo mi alzai e la raggiunsi.


Si girò verso di me con gli occhi lievemente sgranati, la luce del lampione questa volta le illuminava per bene il viso e fu come se la vedessi per la prima volta.


La cascata di capelli le incorniciava il viso, erano così neri da avere addirittura dei riflessi azzurri, aveva dei ciuffi tirati indietro con delle mollette per cui gli zigomi, alti, erano in bella vista.


<< Ti stai divertendo? >> mi domandò.


Osservando il suo naso mi chiesi se lo avesse rifatto, era perfettamente dritto e la punta appena all’insù.


<< Non sono il tipo da feste >>.


<< Allora perché sei venuto? >> i suoi grandi occhi a mandorla mi analizzavano inquisitori alla ricerca di una risposta.


<< Per quella >> e indicai la canna che era fra le dita di Joseph.


Le labbra carnose della ragazza si piegarono in una “o” come a voler dire “interessante, ora capisco tutto”.


<< Sai è un peccato che tu abbia detto di no al posto da fattorino, se cambi idea noi stiamo ancora cercando qualcuno >> concluse la frase abbozzando un sorriso.


Era così… delicata nel parlare, e il suo sorriso troppo, troppo gentile tanto da mettermi a disagio. Mi sentivo quasi un criminale a stare vicino a lei.


<< Sì beh, solo perché ho origini coreane non significa che debba lavorare in un ristorante coreano, che stupido stereotipo >> dissi bruscamente.


Non volli neanche guardare la sua reazione che mi alzai e mi allontanai.


**


Per qualche motivo a me sconosciuto ieri notte ero convinto che se fossi tornato a casa brillo non avrei pensato al fatto che ormai vivevo da solo. Mi sbagliavo di grosso.


Ora ero a scuola con due ore scarse di sonno, delle occhiaie paurose e ancora i rimasugli di ciò che avevo bevuto la sera prima. Dovevo proprio seguire la lezione di chimica?


<< Dai, fratello, abbiamo la lezione insieme, che figo! >> Joseph comparve al mio fianco e mi diede una pacca sulla spalla che mi risvegliò dal mio stato di trance. Se non fosse stato per lui che mi trascinò dentro l’aula, avrei marinato la scuola.
Io e Joe prendemmo dei posti in terza fila, i banchi erano uniti in modo che ognuno avesse un compagno da laboratorio.


Mi stavo massaggiando le tempie per alleviare il martellante mal di testa che mi era scoppiato quella mattina quando sentii il mio amico esultare a bassa voce.


<< Sì, cazzo! >> mi voltai verso il suo soggetto d’interesse e di colpo l’emicrania passò in secondo piano.


Hana era appena entrata in classe in tutto il suo splendore, aveva i capelli legati in una coda alta e questo, insieme allo scollo a barca del suo maglione, lasciavano scoperti il collo e le clavicole.


<< Buongiorno, ragazzi >> ci salutò entrambi ma vidi che si soffermò a guardare più Joseph che me, probabilmente era offesa per ciò che avevo detto ieri. Sbuffai, far rimanere male qualcuno era l’ultimo dei miei problemi e di certo non potevo stare attento a tutto ciò che dicevo, che rottura.


Dopo qualche minuto il posto accanto ad Hana venne occupato da un ragazzo dai capelli biondi.


<< Ciao, Mike! >> lo accolse con un sorriso.


<< Vorrei tanto che sorridesse anche a me in quel modo >> mi sussurrò Joe nell’orecchio.


<< Ma che cazzo dici? >> lo rimproverai.


<< Hana, ti volevo solo dire che sei incantevole questa mattina >> per poco non mi strozzai con la saliva alle parole di Joseph.


Entrambi si girarono verso il ragazzo che ora guardava fisso Hana.


<< Grazie, Joe >> rispose educata, e anche abbastanza imbarazzata aggiungerei.


<< Li conosci? >> domandò quello che avevo appreso chiamarsi Mike.


<< Oh sì, sono i nuovi trasferiti. Ti presento Joseph e Daniel >> disse Hana puntando prima il mio amico e poi me.


Notai che il biondino ci guardò molto ma molto male, quasi come se la nostra sola presenza lo infastidisse. Fortunatamente la professoressa entrò in classe giusto in tempo dal fermarmi a rispondere male a questo ossigenato.


La lezione fu noiosa, erano argomenti che già avevamo trattato alla vecchia scuola per cui per non addormentarmi ho dovuto trovare altro da fare. Per quaranta minuti ho contato quante volte Mike si fosse girato a guardare la sua compagna di banco e di come Hana a sua volta non si sia persa neanche una parola della professoressa. Per non parlare poi degli infiniti commenti che Joe non si è risparmiato riguardo la ragazza.


Quando finalmente la campanella suonò, ero ben cosciente di tre cose:


1. A Mike piaceva Hana
2. Hana era totalmente ignara di ciò
3. A Joseph piacevano da morire i capelli di Hana


**


Ero sopravvissuto alle lezioni mattutine grazie ad un unico pensiero: avrei potuto finalmente chiudere occhio nella pausa pranzo.


Entrai in mensa e senza neanche prendere da mangiare mi andai a sedere al primo tavolo libero, mi coprii il capo con il cappuccio per poi prendere lo zaino e poggiarmi sopra come se fosse un cuscino. Il vociare di sottofondo degli altri studenti non mi dava fastidio anzi, mi rilassava, il silenzio invece era la causa della mia notte insonne.


Non so quanto tempo fosse passato, ma a un certo punto avvertii un movimento d’aria seguito dal rumore di una sedia.


Hana era seduta di fronte a me e stava tranquillamente disfacendo il suo porta-pranzo.


<< Che stai facendo? >> domandai.


<< Sto mangiando >> rispose con tono ovvio.


<< Sì lo vedo, ma perché ti sei seduta qui? >>.


<< Ti ho visto da lontano e ho pensato che dovessi pranzare anche tu, cerca di non saltare i pasti che fa male >> le sue parole suonarono quasi come una ramanzina.


Notai che oltre al suo porta-pranzo sul tavolo c’era anche un vassoio con il cibo della mensa.


<< Perché? >> ero molto confuso dalle sue azioni.


La ragazza fece spallucce. Ma che problemi aveva?


<< Vedi di starmi alla larga >> mi alzai e così come ieri non mi girai a vedere come reagì.


Il suo modo di fare mi attraeva ma allo stesso tempo non mi fidavo, era troppo gentile con me e con gli altri in generale. Ero sicuro che nascondesse qualcosa.



 

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Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


Capitolo 3
 
La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c'è fuori.”


Dan


C’erano poche cose nella mia vita di cui non avrei potuto fare a meno e una di queste era la musica.


Trovavo incredibile come delle melodie e delle parole messe insieme da uno sconosciuto potessero avere un effetto così potente e diverso su ogni singola persona. Ciò che era più straordinario era che qualsiasi fosse il tuo umore, c’era sempre una canzone che riusciva a mettere per iscritto ciò che pensavi non si potesse esprimere.


La musica ti rendeva libero, leggero.


In questo momento, nel monotono tragitto da casa mia alla scuola, ciò che mi dava sollievo era Migraine dei Twenty One Pilots.




I-I-I've got a migraine
And my pain will range from up down and sideways
Thank God it's Friday
'Cause Fridays will always be better than Sundays
'Cause Sunday's are my suicide days



Presi la rincorsa per poi lasciare cadere lo skate sull’asfalto del marciapiede e saltarci sopra, mi diedi qualche spinta per acquisire un po’ di velocità e iniziare a sfrecciare fra le strade di Bristol. Il vento mattutino mi colpì la faccia come un tagliente coltello ma era piuttosto piacevole, mi svegliò.


Come da copione, era ormai la quinta notte che passavo insonne. Non ci potevo fare nulla, per me era impossibile dormire da solo. Parlavo ogni sera a telefono con mamma ma non era la stessa cosa. Ogni volta che mi stendevo nel mio letto mi ritrovavo a fissare la luce dell’abat-jour posta sul mio comodino. Sì, dormivo con la luce accesa perché il buio che portava la notte era terrificante.


...And sometimes death seems better than the migraine in my head
Am I the only one I know?
Waging my wars behind my face and above my throat
Shadows will scream that I'm alone
But I know we've made it this far, kid



Feci pressione con il piede a terra per poter andare ancora più veloce quando notai una macchia rossa spuntare all’improvviso sul marciapiede.


Quando fui piuttosto vicino capii che quella macchia in realtà era una persona. Hana era a pochi metri di distanza da me.


Ho sempre vissuto qui ma non avevo mai realizzato che casa mia si trovasse sulla parallela di Rupert Street, e quindi vicino al ristorante dei suoi genitori.


Rallentai con lo skate fino a fermarmi e proseguire a piedi. La ragazza indossava un enorme e paffuto giubbotto rosso e sulle spalle portava uno zaino a forma di… maneki neko? Avete presente il gatto giapponese portafortuna? Ebbene, lo zaino aveva la solita forma ovale ma sulla parte superiore e sui lati spuntavano delle orecchie a punta e delle zampette.


Cercai di camminare il più silenziosamente possibile per non farmi notare, non avevo proprio voglia di iniziare male questa giornata. Dopo l’ultima conversazione che abbiamo avuto in mensa avevo cercato in tutti i modi di ignorarla.


Hana non si muoveva normalmente ma saltellava, un passo alla volta notai che cercava di fare centro nel quadrato di cemento che decorava la strada, stando bene attenta a non colpirne le linee.
Questa cosa andò avanti per circa dieci minuti e non so neanche io il motivo per cui sia rimasto dietro di lei a guardarla piuttosto che attraversare e andare dritto a scuola.


A un certo punto la morettina fece un salto molto più lungo e finì con l’atterrare in una pozzanghera con tutti e due piedi. Non le importò nulla del fatto che l’acqua sporca le fosse finita sul pantalone perché dopo due secondi saltò di nuovo. Questa volta però perse l’equilibrio e per poco non cadde.


Si fermò, così feci anch’io, e la sentii ridacchiare. Poi riprese a camminare, stavolta senza salti.


A cosa avevo appena assistito?




**




<< Andiamo, Joe! Passa quella palla! >> urlai al mio compagno di squadra.


Il ragazzo fece uno scatto per poi eseguire il mio ordine. Acchiappai la sfera, tastai la superficie ruvida della palla da basket per poi farla rimbalzare a terra e lanciarla dritta nel canestro. Io e Joe eravamo sotto di due punti contro Ben e Lily ma con il tiro che avevo appena centrato ormai avevamo raggiunto la parità.


<< Tempo scaduto, la partita è finita! >> urlò Angie che era seduta sulla gradinata posta di fronte al campetto.


<< Dai, cazzo! >> esultò Joseph.


Mi limitai ad un semplice e abbozzato sorriso, ero stanco e avrei voluto solo dormire, l’unico motivo per cui avevo accettato di uscire con i miei amici questa sera era perché così avrei esaurito le mie ultime energie rimaste e ritornare a casa con la speranza di crollare di botto sul divano.


<< Sto morendo di fame >> mi lamentai quando sentii il mio stomaco brontolare.


<< Non ti preoccupare, la nostra cena sta arrivando >> mi tranquillizzò Lily anche se non capii cosa intendesse.


Presi posto su uno dei tanti gradoni per poter riprendere fiato. Infilai la mano nel mio zaino e fra una bomboletta di vernice a spray e l’altra recuperai il mio cellulare, cercai di coprire il rumore metallico degli oggetti tossendo dato che non volevo che gli altri scoprissero cosa avevo in mente di fare più tardi.






Iniziai a perdere tempo su Instagram fino a quando non mi comparve una foto che aveva postato Lily qualche ora prima. L’immagine ritraeva il vassoio della mensa scolastica e nell’angolino c’era una scritta che diceva “quanto può fare schifo da 1 a 10?” e taggato vicino un profilo a me sconosciuto.


Cliccai sopra il nome di “lovelydaisy” e con mia grande sorpresa apparve l’account di Hana. L’ultima foto che aveva postato era di cinque minuti fa: lei di profilo appoggiata sul bancone del ristorante. La didascalia diceva “aspettando di poter prendere le consegne”.


Nella foto aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi, probabilmente dovuti dal freddo. Sembrava un gattino che era rimasto chiuso fuori la porta per sbaglio. Era… dolce.


Ripensai a questa mattina e a come Hana passeggiava spensieratamente, guardarla fare la stramba mi aveva distratto dai miei soliti pensieri cupi.


<< Sei più taciturno del solito, va tutto bene? >> mi domandò Ben. Bloccai il telefono di colpo con il timore che qualcuno avesse visto che stavo spiando il profilo di Hana.


<< Non ti preoccupare >> risposi cercando di risultare convincente.


Il mio migliore amico mi guardò dritto negli occhi, sapeva che c’era qualcosa che non andava. Ero pessimo a mentire ma non volevo farlo allarmare perché con quello che gli avevo fatto passare si meritava un po’ di serenità, di stare lontano dai miei problemi.


<< Qualcuno ha ordinato coreano? >> pronunciò una voce melodiosa e a me familiare.


<< Noi! >> urlò contenta Lily.


Hana si era fermata ai piedi della gradinata con la sua bicicletta. Sorridente, ci raggiunse con in mano delle buste contenenti quello che immaginavo fosse la nostra cena, ora capivo cosa voleva dire Lily.


<< Ahh bambolina, sai che il rosso ti fa risaltare le labbra? >> pronunciò Joseph facendo riferimento al giubbotto della ragazza.


La osservai, Joe aveva fatto un commento inappropriato ma aveva ragione, la giacca riprendeva il colore roseo delle labbra facendole spiccare e rendendo netto il contrasto con la sua pelle chiara.


<< Ugh, ma la vuoi finire? >> disse Angie infastidita.


<< Grazie… >> rispose la povera vittima di Joseph, indugiò su di me per qualche secondo per poi distogliere lo sguardo.


<< Quanto ti devo? >> chiese Ben.


La ragazza si strinse nel suo giubbotto cercando di prendere calore


<< Sono trenta sterline senza contare la consegna, è gratis per voi >>.


Guardai le nuvolette di condensa che cacciava mentre parlava.


Fui molto veloce, presi la prima banconota che trovai nel portafogli per poi inseguirla mentre scendeva le scale.


<< Aspetta, tieni >> le porsi i soldi ma lei invece di prenderli mi guardò confusa.


<< La consegna è gratis >> ribadì lei.


<< Non m’importa, prendili >> incalzai abbastanza spazientito.


<< Ma sono dieci sterline, è troppo >> ribatté.


Al che presi la sua mano, tra l’altro gelida, e le misi il contante sul palmo.


Cercai di non guardarla negli occhi dato che avevo constatato che mi mettevano in soggezione, << non voglio sentire altro >> e le diedi le spalle.


**


Erano circa le undici di sera e mi stavo districando fra i copiosi vicoletti di Stokes Croft per non attirare l’attenzione. L’avevo fatto e ora non potevo più tornare indietro anche se ad ogni falcata mi saliva il senso di colpa.


Avevo promesso alla mamma che mi sarei tenuto lontano dai guai eppure, preso dalla rabbia, avevo appena imbrattato le vetrine del negozio di parrucchieri della signora Mulligan.


C’era un motivo dietro questo mio gesto folle: mia madre ci lavorava in quel negozio, poi quando la Mulligan ha scoperto che il marito faceva il cretino con lei ha ben pensato di licenziarla. Se non fosse stato per quella vecchia stronza ora mia mamma non vivrebbe nel Gloucestershire ma starebbe con me, com’è sempre stato.


Svoltai l’angolo e mi ritrovai in compagnia di una persona che nella giornata di oggi non aveva fatto altro che comparirmi davanti agli occhi.


Hana era appena uscita da una grossa porta di ferro con una busta della spazzatura più grande di lei. Indossava un grembiule attorno alla vita per cui immaginai che ora stesse lavorando e che quella porta non era altro che il retro del ristorante.


Trascinò l’immondizia vicino ai bidoni per poi fermarsi e tamponare gli occhi con le maniche della maglia, stava piangendo.


<< Va tutto bene? >> mi palesai dalla penombra per raggiungerla.


<< Oh ciao.. va tutto alla grande, a te? >> rispose con la voce rotta.


Rimasi in silenzio, non sapevo cosa fare ed ero molto a disagio. Mi resi conto che la ragazza indossava una semplice maglietta a manica lunga, perfetta per l’interno del locale riscaldato ma assolutamente leggera per i gradi che continuavano a scendere qua fuori.


Mi sfilai la giacca e la poggiai sulle sue spalle, << P-perché piangi? >>.


Hana tirò su col naso prima di scoppiare in lacrime, << Mi sono anticipata tutte le consegne di questa sera e ho dato anche una mano in sala nonostante non dovessi lavorare. Ho s-sbagliato solo un ordine e mia madre mi ha sgridato c-come se avessi fatto fallire il ristorante >>.


<< E guarda qua >> si puntò il ginocchio facendomi notare che il pantalone si fosse rotto, << sono pure caduta dalla bicicletta e si è bucato il jeans! >> non smetteva di singhiozzare.


Io ero preso da un attacco di mutismo improvviso, << come.. >> non riuscii neanche a finire la frase.


<< Se non ti dispiace piangerò per altri due minuti, poi ritorno dentro >> sentenziò come se piangere in quel modo fosse normale.


Dopodiché, feci qualcosa di totalmente impulsivo. Un po’ perché mi dispiaceva vederla in quello stato e un po’ perché i suoi occhioni limpidi mi stavano scavando nel profondo.


<< Hana, credo che accetterò il lavoro >>.




**


Ciao!!


Volevo solo informarvi che cercherò di aggiornare
la storia sempre nel weekend dato che in settimana
sono impegnata con l’università!


Un bacio









 

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


Capitolo quattro




 
It’s hard to resist a bad boy
who’s a good man.


Hana


Ero rimasta male per il modo in cui Daniel mi aveva trattata? Certo, non ero immune a queste cose ma nonostante ciò avevo deciso di dargli una seconda possibilità. Mi era bastato poco per capire che lui fosse simile a Lily e come lei, ogni sua azione celava una richiesta d’aiuto. Chi si sforza di apparire cattivo spesso lo fa per nascondere le proprie debolezze. Lo avrei aiutato ma senza che ne se ne potesse rendere conto, gli orgogliosi con il cuore ferito sono i più difficili da gestire.


Quella sera al Ristorante Coreano Choi non c’era una sola persona che non vedesse l’ora di conoscere il nuovo fattorino, per il semplice fatto che avevo detto che era un mio amico. La mia famiglia mi conosceva e sapeva benissimo che per tutta la vita avevo avuto pochi amici, soprattutto maschi.


Sarà meglio per te che è davvero un amico e non il tuo fidanzato” aveva detto mia madre.


Posso solo dire che i Choi non guardavano di buon occhio chi alla mia età aveva già una relazione. Alquanto ipocrita a parer mio, ma non potevo certo dirlo.


Non temevo la reazione di mio padre o dei miei zii, ma era la controparte femminile a preoccuparmi. La nostra era una famiglia… matriarcale oserei dire. Mio nonno è morto presto per cui mia nonna ha dovuto gestire tutto fino a quando i figli non si sono fatti abbastanza grandi da rilevare l’attività, mia madre e le mie zie sono rimaste incinte quando erano molto giovani e ovviamente sono nate più femmine che maschi.


<< Nari, porta su Yorin e Seol! Non ce la faccio più a vederle scorrazzare in giro >> ordinò mia madre alla mia cuginetta più piccola.


Strofinai per l’ennesima volta il panno sul tavolo che avevo già pulito tre volte, stavo cercando di prendere tempo per poter rimanere in sala quando Daniel sarebbe arrivato. Avevo paura che se non ci fossi stata l’avrebbero mangiato vivo.


<< Allora, com’è questo tuo amico? E’ carino? >> mi domandò mia cugina Eun-ji la cui unica preoccupazione nella vita erano i ragazzi.


Non feci in tempo a rispondere che venne presa in giro da mio cugino Ji-Ah, << Pensa a quel grosso brufolo che ti è uscito in fronte piuttosto >> e con ciò la ragazza fuggì via offesa da questo commento.


Ridacchiai sotto i baffi, già sapevo che Eun-ji sarebbe caduta ai piedi di Daniel fissata com’era con gli idol coreani, lui esteticamente rispecchiava tutto ciò che mia cugina sognava in un ragazzo.


A un certo punto sentii vibrare il telefono in tasca, lo presi solo per scoprire un messaggio di Dan che diceva “sono qui”. Lasciai andare il panno sul tavolo per poi fiondarmi nel retro del ristorante prima che qualcun altro si accorgesse della sua presenza. Aprii, con non poca difficoltà, la pesante porta di ferro che dava sullo stesso vicolo in cui Daniel mi aveva trovata a piangere la sera prima.


Una folata di vento asciutto mi colpii in pieno viso e sebbene fossi contenta di non dover più girare la città in bicicletta non potei fare a meno di sentirmi colpa perché adesso era Daniel quello che si sarebbe dovuto subire il freddo.


<< Ciao! >> lo salutai, forse un po’ troppo entusiasta.


Il ragazzo mi fece un cenno con la testa ed io mi spostai per farlo passare, attraversò l’uscio con le mani nascoste nelle tasche del suo giubbotto pesante.


Notai che aveva qualcosa di diverso rispetto a quando lo avevo conosciuto, i capelli neri, che prima gli cadevano in un unico ciuffo sulla fronte, ora erano perfettamente ordinati in una fila in mezzo i cui ciuffi accarezzavano dolcemente gli zigomi.


<< Senti… oggi la mia famiglia è più strana del solito, non farci caso >> iniziai a dire mentre gli mostravo la strada verso la sala, << mi piacciono i capelli, ti stanno bene così >> e a questo mio complimento il ragazzo spalancò gli occhi quasi imbarazzato.


<< ...Grazie >> borbottò.


Mi costrinsi a proseguire e guardare avanti solo perché da lontano sentii il vociare dei miei familiari, altrimenti sarei rimasta a fissarlo per altri dieci minuti. La sua era una bellezza che ti lasciava senza parole, così cristallizzato nella sua espressione distaccata, i suoi occhi malinconici ogni tanto risplendevano di una luce potente e che prima o poi avrebbe inondato tutti.


<< Se posso avere la vostra attenzione … >> iniziai a voce alta per farmi sentire da tutti, << lui è Daniel >>


Fu come se tutto d’un tratto i miei parenti si fossero schierati. Da un lato c’era mio padre Woo-Young con i suoi due fratelli Si-Woo e Seojun e dall’altro mia madre affiancata dalle mie zie, Ara e Byeol. Nascosti dietro la tenda che dava sulle scale per salire ai nostri appartamenti c’erano i miei cugini con solo le teste che sbucavano.


Mia nonna invece, sedeva in disparte e osservava i presenti in silenzio.


<< Mi chiamo Daniel Kwon, è un piacere conoscervi ! >> la mia mascella per poco non toccò il pavimento per quanto spalancai la bocca sorpresa dal coreano perfetto che il ragazzo aveva usato.


Non so perché ma avevo presunto che non lo conoscesse.


Cercai con lo sguardo gli occhi gentili di mio padre per incoraggiarlo a dire qualcosa. Se mia mamma era soprannominata il Generale, lui era l’opposto. Mirae e Woo-Young erano il perfetto esempio di “gli opposti si attraggono”. Mio padre era l’unico in casa capace di far cambiare il cattivo umore di sua moglie con il suo modo di fare gioviale e scherzoso.


<< Ahh ma che bel giovane! Dì un po’ ragazzo, ora ti farò una domanda dalla quale dipenderà il tuo posto di lavoro >> pronunciò serio l’uomo, << Cos’è che ha più lettere dell’alfabeto? >>.


Se avessi potuto schioccare le dita e scomparire lo avrei fatto, ma purtroppo non potevo. Di tutte le cose che avrebbe potuto dire aveva scelto una delle sue solite battute che facevano ridere solo lui e i suoi fratelli.


Mirae fulminò con lo sguardo suo marito, che a sua volta stava aspettando una reazione da Daniel.


La sala di quel ristorante non era mai stata così silenziosa.


<< Non lo so, signore, forse un ufficio postale >> i tre Choi scoppiarono in una grassa risata.


Mi girai sorpresa verso il ragazzo, ma era davvero la stessa persona che avevo conosciuto alla festa?


<< Yaah! Mi piace già! >> disse Si-Woon mentre si avvicinava a noi.


La spalla di Daniel venne colpita da una pesante ma amichevole pacca da parte mio zio Seojun.


Con la coda dell’occhio vidi mia madre che confabulava con le sue cognate e pregai mentalmente che anche lei non dicesse qualcosa di imbarazzante. Tutte e tre si accostarono a noi capeggiate da Mirae e poi la donna parlò, << Tua madre è Minseo Kwon? >>.


<< Sì, signora >> rispose il ragazzo meravigliato che mia mamma fosse a conoscenza di tale informazione.


<< Una donna molto educata e grande lavoratrice, era la nostra parrucchiera. Da quando non lavora più al negozio della signora Mulligan non sappiamo da chi altro andare, nessuno è bravo quanto lei >> pronunciò seria.


Sul viso di Daniel cadde un velo di tristezza, << glielo riferirò >> disse sorridendo mesto.


A passo lento, fummo raggiunti anche da mia nonna, la quale poggiò una mano sul braccio di Daniel e gli sorrise, << gli somigli molto… spero che ti troverai bene qui con noi! >>.


**


Avevo giudicato male la mia famiglia perché tutto sommato il loro incontro con Daniel era andato meglio del previsto. Era raro che a mia mamma andasse subito a genio qualcuno di sesso maschile di mia conoscenza, ero contenta e sollevata.


Stavo mostrando al ragazzo l’armadietto nel quale poggiare tutte le sue cose quando mi interruppe con un’osservazione.


<< Hai una bella famiglia numerosa… c’è molto calore >> e sapevo che non si riferiva di certo al riscaldamento.


<< Grazie, scommetto che anche a te sarà così >>.


Lo vidi scuotere la testa in segno negativo e ciò che disse mi rattristò parecchio, << no, no... siamo sempre stati solo io e mia madre >>.


Mi morsi l’interno della guancia per la brutta figura che avevo appena fatto, l’ultima cosa che volevo era sbattergli in faccia il quadretto della mia famiglia felice.


<< Ah.. scusa non lo sapevo >> stupida, stupida, stupida!


Daniel non disse nulla ma si limitò a togliersi lo zaino dalle spalle e stiparlo mobiletto di metallo, ciò mi innervosì parecchio per cui cercai di sistemare la situazione.


<< Beh.. comunque.. ora ti do il casco! >> presi l’elmetto protettivo dall’attaccapanni per poi passarglielo e nel mentre mi cadde anche a terra, << oddio! Spero non si sia rotto… beh, le chiavi del motorino le ha mio padre, ti farà vedere lui il resto >>.


Daniel non sorrise ma era palesemente divertito dal mio teatrino da imbranata, lo vedevo da come mi guardava.


<< Grazie >> fu l’unica cosa che disse.


Gli afferrai dolcemente il braccio e lo guardai negli occhi, << Hwaiting! >> e alzai il pugno della mano libera al cielo.


**


Dopo una serata di lavoro intenso ci si aspetterebbe che uno vada a dormire, soprattutto se il giorno dopo deve si deve svegliare presto per andare a scuola, ovviamente avevo fatto tutto il contrario.


Sì, perché avevo passato tutta la notte a leggere uno dei miei manga preferiti: Namaiki Kizakari.


Questa era una cosa che nessuno a parte la mia famiglia sapeva di me, amavo i manga shojo, quelli romantici con le storie un po’ frivole e adolescenziali, smielati e pieni di cliché ma che a me facevano battere forte il cuore tanto da spingermi a passare la notte in bianco.


Questo fumetto in particolare mi faceva impazzire perché trovavo adorabile il modo diretto e anche un po’ infantile in cui il protagonista maschile, Naruse, si comportava con la protagonista femminile, molto fredda e rigida e più grande di lui.


Ero quasi arrivata fuori l’entrata del cancello della scuola ma stavo ancora con il manga in mano a leggerlo avidamente. Feci scorrere la pagina fra le dita per poterla girare e arrivai a una scena che mi fece scoppiare uno stormo di farfalle nello stomaco: i due si erano appena nascosti sotto le coperte di un futon per non farsi scoprire e lui aveva approfittato della vicinanza per infilarle sfacciatamente una mano sotto il maglione.


<< Ci fosse una volta che cammini guardando dove metti i piedi >> disse una voce alle mie spalle.


<< AAH! >> urlai, così spaventata da far cadere il fumetto a terra.


Daniel Kwon stava raccogliendo il mio manga dal marciapiede, me lo porse e scorsi nei suoi occhi lo stesso luccichio divertito di ieri, << e così ti piacciono questi cosi… >>.


<< Sono… interessanti >> bugia, mi piaceva leggere quelle storie d’amore così inverosimili per poter sognare un minimo.


Per la prima volta lo vidi sorridere, nessun abbozzo impercettibile, ma un vero e proprio sorriso tanto da mostrare le gengive. Gli si formarono delle rughette attorno agli occhi ora ridotti a fessure. Fece schioccare la lingua sotto al palato, << certo, ti credo >>.


Strinsi il manga al petto quasi a volerlo nascondere quando notai che anche lui aveva un libro in mano e che era un titolo dalla grande importanza letteraria; I fiori del male di Baudelaire, padre del simbolismo francese e colui che ha anticipato il decadentismo.


<< Vedo che a te piace la poesia, invece >> cercai di cambiare argomento mentre riprendemmo a camminare verso la scuola.


Si era acceso una sigaretta per cui prima di rispondermi fece un tiro, << mi piace come Baudelaire descrive il mondo, lo trovo confortevole >>.
Ed eccolo lì, con i capelli che si muovevano ad ogni passo che faceva e che gli cadevano avanti agli occhi, la sigaretta lasciata fra le labbra e il libro mantenuto fra le dita piene di anelli a dire che trovava accogliente il pensiero di un poeta cupo e tormentato.


Era così misterioso, così… indecifrabile. Eppure ciò mi incuriosiva, volevo conoscere il perché di tali idee, volevo scoprire cosa ci fosse aldilà di questa facciata dura.




**


Ciao!


Hwaiting o Fighting è un’espressione molto usata in Corea
per incoraggiare una persona, può essere tradotto come “ce la puoi fare, forza!”.


Credo di aggiornare la storia o domenica o lunedì, vi aspetto!


Un bacio

 

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


Capitolo cinque
 
Pardon the way that I stare
There's nothin' else to compare
The sight of you leaves me weak
There are no words left to speak
But if you feel like I feel
Please let me know that it's real
You're just too good to be true
Can't take my eyes off of you


Dan


Dopo una settimana di lavoro al Ristorante Coreano Choi ero esausto e sfinito ma contento perché finalmente la notte riuscivo a dormire. Andare continuamente in giro per la città al freddo mi toglieva tutte le energie ma ciò faceva sì che una volta tornato a casa, mi bastava mettere la testa sul cuscino per scivolare nel mondo dei sogni.


Passavo poco tempo all’interno del locale ma da quello che avevo potuto capire, in quella famiglia ognuno contava sull’aiuto dell’altro. Tutti avevano un ruolo ben preciso con responsabilità annesse che venivano rispettate senza problemi. C’era molta disciplina e fiducia. Avevo sempre pensato che lavorare in famiglia ti desse una certa libertà nello svolgere le mansioni ma a quanto pareva, mi ero sbagliato di grosso.


Hana era stata quella che mi aveva colpito di più. Si muoveva sinuosamente fra i tavoli quasi come se fluttuasse, sorrideva sinceramente anche ai clienti più maleducati ed era attenta a tutto ciò che accadeva in sala così da essere sempre pronta a risolvere la situazione. E poi, come se non bastasse, cercava di dare una mano a tutti, che fosse asciugare le posate con il lavapiatti o affettare le verdure in cucina.


Ancora non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile che una persona agisse in quel modo.


Stranamente, oggi in alto nel cielo risplendeva un pallido sole di metà novembre i cui raggi combattevano contro i nuvoloni che di tanto in tanto comparivano. E proprio perché era una bella giornata, il professore di educazione fisica aveva deciso di fare allenamento all’aperto.


<< Vorrei tanto capire perché quel cretino le sta così appiccicato >> si lamentò Joe al mio fianco guardando verso un punto ben preciso.


Eravamo in fila con il resto della classe per andare nei campetti sportivi appartenenti alla scuola e poco più avanti di noi camminava Hana affiancata da Mike Ellis. Quel ragazzo davvero coglieva ogni occasione per starle vicino, l’unica cosa che sapeva fare era rispondere a monosillabi e fissarla. Era abbastanza inquietante.


<< Certo, perché le tue chances di successo con Hana sono altissime >> lo presi in giro.


Joseph si girò con gli occhi spalancati, << prendimi in giro quanto vuoi ma la bambolina è molto desiderata, mi sono informato >>.


E prima che potessi chiedere spiegazioni, il mio amico scappò verso di lei pronto a dirle qualcosa di totalmente inopportuno o stupido, o entrambe dato che con Joseph non si sa mai.


Non ero il tipo che si faceva i fatti degli altri ma le mie orecchie captarono una conversazione che stava avvenendo alle mie spalle e non potei fare a meno di origliare.


<< Lo giuro su dio fra, Hana Choi ha il culo più bello che io abbia mai visto >> disse uno.


<< Guardala come fa finta di niente, scommetto che non vede l’ora di farsi sbattere da Ellis >> continuò un altro.


<< Le santarelline sono le peggiori, chissà cosa sa fare con quella bocca >>.


Guardai Hana, con le gambe fasciate da un paio di leggins bianchi e le mani infilate nelle tasche della felpa che purtroppo le arrivava sopra la vita e lasciava scoperte le sue forme, ora soggette a sguardi disgustosi. Mi veniva da vomitare al solo pensiero di quante volte magari Hana si sia rivolta a loro completamente ignara di ciò che dicevano su di lei.


Mi girai di scatto verso i tre vermi che stavano parlando di lei, << Siete davvero delle teste di cazzo >>.


Il trio mi guardò sbigottito dalla mia sparata, poi uno di loro parlò: << cosa cazzo hai detto? >>.


<< Sei anche sordo oltre ad essere stupido? >> lo provocai avvicinandomi a lui.


<< Che c’è cinesino, hai voglia di essere preso a pugni? >>.


<< Potrei dire lo stesso di te >>.


Il suono stridulo del fischio del professor Carter ci interruppe e fummo costretti ad allontanarci.


<< Se voi idioti non steste litigando avreste sentito ciò che ho detto: scegliete un partner e iniziate a palleggiare! >> ci ordinò l’insegnante.


Guardai in cagnesco i tre coglioni viscidi prima di essere preso per il polso e fatto girare.


<< Alleniamoci insieme >> con mia grande sorpresa Hana mi stava tenendo per la manica della felpa e mi guardava speranzosa.


Gli occhi brillanti e il sorriso stampato sulle labbra, era luminosa.


<< Okay >> ogni volta che la guardavo era come se il mio corpo dimenticasse di ragionare, facevo ciò che il mio istinto voleva senza pensarci due volte.


**


Seguire la lezione di chimica per me era diventato ormai impossibile. Volente o nolente i miei occhi finivano sempre per guardare Hana. Sedeva dritta e composta come una ballerina, dall’ora di educazione fisica si era sciolta i capelli e di tanto in tanto li spostava da una spalla all’altra. Si sporse verso il suo compagno di banco per fargli vedere una cosa appuntata sul quaderno, non consapevole dell’effetto che aveva su di lui. Mike per poco non cadde dalla sedia.


<< Vi dividerò in gruppi da quattro, scegliete uno degli esperimenti indicati sul libro e filmatevi nella preparazione. Voglio anche una spiegazione della reazione chimica, sono stata chiara? >> disse la professoressa Hughes.


Dopo che la classe diede un cenno di consenso, la donna proseguì nell’elencare le divisioni, <<… Choi, Ellis, Kwon e Jenkins insieme >>.


Sentii Joseph ringraziare il cielo di essere capitato nello stesso gruppo di Hana. La ragazza si girò e rivolse a entrambi un pollice all’insù mentre Mike pareva piuttosto scocciato. Fu difficile ammettere a me stesso che anch’io ero contento di stare nel suo stesso gruppo.


Una volta che la lezione finì, tutti e quattro ci ritrovammo nel corridoio per decidere il da farsi.
<< Allora, cosa facciamo esplodere? >> Joe si strofinò le mani come uno scienziato pazzo.


<< Assolutamente niente, dobbiamo prima decidere che esperimento fare >> sbottò antipatico il biondino.


<< Calmati, non ha detto niente di male >> difesi il mio amico infastidito dal continuo atteggiamento ostile di questo tizio.


<< Ehm.. che ne dite se ci incontriamo oggi pomeriggio e ne discutiamo? >> propose timidamente Hana.


<< Ogni tuo desiderio è un ordine per me >> disse Joseph facendo passare un braccio attorno le spalle della ragazza.


La vidi arrossire e grattarsi il naso per nascondere l’imbarazzo. Certe volte mi chiedevo come facesse Joe ad essere così spontaneo e a non avere vergogna di dire certe cose. Un po’ lo invidiavo.


**


Hana


Non so come ma finimmo tutti per ritrovarci a casa di Daniel. Mi sentivo in soggezione a stare seduta sul suo divano perché mi sembrava di stare invadendo il suo spazio personale.
Riuscivo a capire che anche lui fosse a disagio nell’averci tutti lì, ma purtroppo non avevamo avuto alcuna possibilità di scelta.


L’appartamento non era molto diverso da quello di Lily e il fratello: un semplice bilocale con cucina unita al soggiorno. Era piccolo, certo, omologato per due persone. La casa era in perfetto ordine, nessun rivolo di polvere o piatto sporco nel lavabo, sembrava quasi che non ci vivesse nessuno.


Mi chiesi quando la mamma sarebbe tornata da lavoro.


L’arredamento era spoglio, non c’era molto tocco personale ma sapevo che se avessi varcato la soglia della stanza di Daniel sarebbe stato diverso. Ero curiosa.


<< Forza, vediamo di finire presto >> disse annoiato il ragazzo mentre spargeva tutti i suoi libri sul tavolino.


<< Alla Hughes interessa l’impegno e non tanto la difficoltà dell’esperimento, scegliamo con criterio >> dissi cercando di infondere fiducia a tutti.


Mike mi diede solo un cenno con la testa per poi prendere a leggere il libro di chimica, mentre vidi Daniel scrivere qualcosa su un quadernino dalla copertina nera. L’unico che mi rivolse un minimo di attenzione fu Joseph, il ragazzo sedeva accanto a me e mi guardava sorridente.


<< Mi piacciono i tuoi orecchini >> disse.


Questo esperimento non sarà semplice come avevo previsto.


Dopo aver passato due ore a spulciare tutti gli esperimenti che il libro proponeva, alla fine scegliemmo quello del collasso della lattina. Semplice e veloce e che non prevedeva il mischiare nessun ingrediente chimico. Avevo scoperto che Joseph poteva essere piuttosto pericoloso quando si trattava di ciò, per cui gli affibbiammo la mansione di registrare il video e montarlo.


Daniel alzò le braccia in aria per potersi stiracchiare e uno sbadiglio gli sfuggì dalla bocca, si strofinò gli occhi per poi spalancarli e cercare di rimanere sveglio, sembrava davvero sfinito.


Si erano fatte le sei ed era quasi l’ora per me di dover tornare a casa e mettermi al lavoro.


<< Io direi di fermarci qui, anche perché devo andare via >> confessai mentre iniziai a mettere nello zaino tutti i miei libri.


<< Lascia che ti accompagni a casa >> si offrì Mike.


<< Oh, no no dav- >> e venni interrotta da Joseph, << no! Io ti voglio accompagnare a casa! >>.


Era tutto il giorno che questi due si comportavano in modo strano e davvero non riuscivo a capire cosa gli fosse preso.


Il rumore della rotella di un accendino costrinse tutti e tre a girarci, << andiamo insieme, tanto comunque devo venire da te >> disse Daniel rivolto a me.


Gli occhi socchiusi, la sigaretta che pendeva dalle labbra e il tono imponente che aveva usato mi provocarono dei brividi lungo la schiena. Né Joseph né Mike osarono proferire parola.


Una volta che le nostre strade si divisero da quelle dei nostri compagni, ci incamminammo verso il ristorante.


Mi resi conto che passeggiare insieme a lui mi piaceva, non era un ragazzo di tante parole ma il silenzio che si veniva a creare non era mai imbarazzante. E poi, mi volevo prendere a schiaffi per questo pensiero così superficiale, ma era così bello che mi ritrovavo sempre a fissarlo sottecchi.


Anche adesso, gli buttavo degli sguardi furtivi per cogliere ogni suo movimento ma quando lo feci per l’ennesima volta e mi accorsi che lui mi stava fissando, inciampai nei miei stessi piedi. Per fortuna che mi prese in tempo.


<< Non ti piace proprio camminare in modo normale >> mi prese in giro.


<< Ti stavo guardando, sei proprio affascinante >> ed ecco cosa succede quando scolleghi cervello e bocca.


Daniel mi guardò con gli occhi spalancati palesemente imbarazzato, anche con questa espressione risultava comunque carino.


<< Oh! Ecco, siamo arrivati… buon lavoro! >> dissi prima di scappare all’interno del locale e rifugiarmi nella mia stanza.


Chiusi la porta con il fiatone e il cuore che mi batteva all’impazzata, e un po’ mi convinsi che non era per la corsa appena fatta bensì per il ragazzo dal broncio perenne.



 

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Capitolo 7
*** Capitolo sei ***


Capitolo sei

 

Hana

 

Ho solo vent'anni e ho perso la gioia di vivere.

Ogni giorno passa come un altro, facendo le stesse cose ma senza stimoli. La mia vita è scandita dal passare delle ore, ma la realtà è che non sto vivendo affatto, eppure ho solo vent'anni.

Avevo tanti sogni da voler realizzare, ma poco a poco ho smarrito la forza di lottare per essi. Sulle spalle sento gravare il peso di una giovinezza lasciata sfumare nella monotonia di questo periodo, eppure ho solo vent'anni.

Mi sto spegnendo pian piano e se mi guardo allo specchio non mi riconosco più. La solitudine è diventata opprimente, tanto che la notte non riesco più a dormire, eppure ho solo vent'anni.

Io ho solo vent'anni e non ce la faccio più”.

 

Questa è stata la prima cosa che ho letto quando, nello svuotare lo zaino è caduto un quaderno dalla copertina nera a me sconosciuto, poi mi sono ricordata. Era lo stesso quaderno che avevo visto fra le mani di Daniel quando sono stata a casa sua, per sbaglio avevo preso il suo diario.

 

Avrei voluto leggere altro perché ero curiosa ma non l’avevo fatto, erano pur sempre i suoi pensieri personali e non era giusto. Era bastata quella pagina a turbarmi parecchio perché finalmente avevo capito il motivo per cui lui si ritrovava in ciò che scriveva Baudelaire.

 

Daniel celava grandi insicurezze e un profondo malessere ma non aveva modo di sfogarsi, perciò trovava conforto in cose che lo facevano sentire meno sbagliato, meno diverso e soprattutto compreso. Gli avrei voluto dire che invece io lo capivo eccome.

 

Avevo deciso che gli avrei dato il diario l’indomani mattina e stavolta ero ancora più sicura nel mio intento di diventare sua amica.

 

**

 

Quella mattina arrivai a scuola super in ritardo, stupida me e che non avevo sentito la sveglia. Avevo studiato tutta la notte perché c’erano una marea di compiti arretrati ma purtroppo mi ero addormentata sui libri e alla fine non avevo concluso nulla. Il solo pensiero di andare a scuola impreparata mi faceva venire l’ansia, se avessi preso una brutta nota non ci sarebbe stato modo di nasconderlo al Generale Choi.

 

Con mio grande sollievo scoprii di non essere l’unica a star facendo tardi: Daniel camminava poco più avanti di me. Aumentai il passo e poco dopo lo raggiunsi.

 

<< Ehi! >> lo salutai.

 

Il ragazzo sussultò, dedussi che non mi aveva sentito arrivare viste le auricolari che sbucavano dalla felpa.

 

<< Mi hai fatto venire un colpo >> disse mentre attraversavamo il cortile della scuola.

 

Sembrava più sfiancato del solito... quasi rassegnato.

 

Strinsi fra le mani le spalline dello zaino per poi cacciare fuori il suo diario. Avevo pianificato di dargli il quaderno e dirgli che se mai avesse voluto qualcuno con cui parlare io c’ero, che ciò che provava era valido e che lo capivo. Anch’io mi sentivo sopraffatta da tutto ciò che mi circondava e come lui tenevo tutto dentro.

 

Purtroppo andò tutto diversamente perché quando Daniel vide il diario me lo strappò dalle mani visibilmente infuriato.

 

<< Cosa cazzo ci fai tu con questo? >> tuonò arrabbiato.

 

<< Io.. l’ho preso per sbaglio, no-non l’ho fatto di proposito >> tentai di giustificarmi, << ma non ho letto niente! >> lo rassicurai.

 

Con una reazione del genere non avrei mai potuto dirgli che ero riuscita a leggere solo una pagina.

 

<< Col cazzo! >> il ragazzo si passò una mano fra i capelli scompigliandoli, negli occhi lampeggiava una scintilla pericolosa, era furioso.

 

Si avvicinò minaccioso facendomi sentire ancora più insulsa di ciò che ero realmente, << fatti gli affari tuoi e non mi rivolgere più la parola >>.

 

E così ero tornata al punto di partenza.

 

**

 

Dan

 

Non ci potevo ancora credere, quella stupida ficcanaso aveva avuto il mio diario e probabilmente lo aveva anche letto. Li dentro c’erano tutti i miei pensieri, c’era il vero me, qualcuno che neanche mia madre conosceva e con il quale io combattevo ogni giorno. Tutte le mie paure o anche solo una cazzo di stupida considerazione, tutto messo a nudo su quelle pagine.

 

Mi sentivo violato nel privato.

 

Erano cose personali che mai avrei voluto rivelare, soprattutto a qualcuno che conoscevo a malapena, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava.

 

Mi ero dannato a cercare il diario senza alcun risultato per cui mi ero messo l’anima in pace, convinto di averlo perso e col senno di poi sarebbe stato meglio così. Almeno non mi sarei sentito uno schifo per aver trattato male Hana. Non mi era stato indifferente il suo sguardo agitato quando le ho urlato contro. Il mio cervello mi diceva che la ragazza non l’aveva fatto a posta e che nel caso l’avesse letto non avrebbe mai detto niente in giro, ma avevo una paura irrazionale che invece potesse farlo.

 

Feci un tiro dalla sigaretta per poi appoggiarmi con la schiena sul muretto << chi stiamo aspettando? Voglio tornare a casa >>.

 

All’improvviso la cicca che avevo fra le labbra venne rubata da Angie, la guardai male ma la ragazza in tutta risposta alzò semplicemente le spalle. Mi sentivo a disagio con lei. In estate c’era stata una cosa fra noi che potrei definire semplicemente come sesso occasionale ma per Angie non è stato così. Credeva che stessimo insieme e da quando l’ho fatta tornare alla realtà è tutto un po’ strano. Cercavo di starle alla larga il più possibile per non darle speranze vane.

 

<< Hana mi deve dare una cosa, mi ha scritto che sta arrivando >> rispose Lily mentre veniva abbracciata da dietro dal suo ragazzo.

 

Storsi un po’ il naso, quei due erano maledettamente innamorati e anche se ero contento che finalmente stessero insieme la visione di loro due mi diede un po’ fastidio. Possibile che fossi geloso di quello che avevano?

 

Vidi da lontano i capelli di Hana ondeggiare da destra a sinistra fino a quando non fu vicino a noi. Mi girai verso Angie con la scusa di riprendere la mia sigaretta per non incrociare lo sguardo della ragazza, mi diedi del vigliacco da solo.

 

<< Scusate >> disse col fiatone non appena arrivò.

 

<< Stiamo andando tutti al Bearpit, vieni con noi? >> propose Ben.

 

Hana stava frugando nel suo zaino ma pareva che stesse lottando con sé stessa: i capelli le cadevano continuamente sul viso, delle ciocche erano rimaste incastrate sotto la spallina della borsa che tra l’altro pareva pesare più di prima.

 

<< Mi dispiace ma.. non.. posso, ah finalmente! >> disse trionfante mentre stringeva fra le mani un fumetto che riconobbi essere lo stesso dell’altra volta.

 

Lo porse a Lily e poi si rivolse a Ben, << quelli del club di teatro mi hanno chiesto una mano con le coreografie quindi devo rimanere a scuola >>.

 

La coppietta annuì in risposta ma si vedeva che erano rimasti male.

 

Mi sentii sprofondare quando Hana mi guardò dritto negli occhi, << io e Mike abbiamo lavorato sulla tesina per il progetto di chimica, controlla e facci sapere se vuoi aggiungere altro >> e poi se ne andò. Era stata piuttosto fredda e rimasi stranamente offeso da quel trattamento.

 

Ma perché mi sentivo così?

 

**

 

Hana

 

Mi mancava poco per avere un esaurimento nervoso.

 

Dato che Mike era il presidente del club di teatro mi aveva chiesto di aiutarlo perché sapeva che in passato avevo fatto danza e mi sono sentita in dovere di dire di sì perché gli avevo rubato del tempo durante la pausa pranzo per il progetto di chimica.

 

Il problema era che non avevo calcolato la quantità abnorme di compiti arretrati che dovevo fare e per non farmi mancare niente, nonostante fosse il mio giorno libero al ristorante, il lavapiatti aveva deciso di non venire per cui toccava a me sostituirlo. Sapevo già che sarei finita a studiare fino a domani mattina.

 

La cucina era molto più frenetica della sala e proprio per questo una volta che entravi nel meccanismo diventava tutto automatico. Non avevi neanche il tempo per pensare che subito dovevi caricare la lavastoviglie e asciugare il carico appena uscito, ma bastava un attimo per far sì che i piatti si accumulassero fino a quando non ti trovavi nel caos più totale.

 

E infatti al momento ero completamente nel pallone.

 

Avevo già distrutto parecchi bicchieri e per poco non mi rompevo anche l’osso del collo visto che il pavimento era bagnato e di conseguenza scivoloso.

 

<< Dai piccola, ti do una mano >> disse mio padre spuntando alle mie spalle.

 

<< E la cucina? >> chiesi mentre strofinavo un piatto con un panno.

 

<< Le cose sono piuttosto lente, non è rimasta molta gente dentro >> mi informò quello che al momento era il mio salvatore.

 

Guardai l’orologio che segnava mezzanotte e mezza, era già così tardi ma non me ne ero minimamente resa conto.

 

Stavo sistemando i piatti nella cesta per il prossimo carico quando mia madre entrò in stanza come una furia.

 

<< Guarda qui >> e mi mostrò un bicchiere << segni di rossetto! >>.

 

Presi il calice dalle sue mani e constatai che ciò che stava dicendo era vero.

 

<< E in sala ne sono arrivati altri quattro così e li abbiamo anche portati ai tavoli, è inaccettabile! >> continuò la donna.

 

Il cuore aveva iniziato a battermi velocemente mentre sentivo un nodo formarsi in gola, ci risiamo.

 

<< Mi dispiace… si sono accumulate le cose da lavare e mi è sfuggito questo particolare >> tentai di giustificarmi inutilmente.

 

<< Dai Mirae, non è successo niente di che >> guardai mio padre in cerca d’aiuto, ero esasperata dall’ennesima sfuriata di mia madre.

 

Sapevo perché Mirae fosse così intrattabile in questi giorni ma era diventato insostenibile, sfogava tutto su di me.

 

<< E invece no! Devi solo lavare e asciugare, niente di così difficile... >> mi faceva male la testa, << ma allora perché stasera non hai fatto altro che combinare guai?! >>.

 

Perché ero sfinita, mamma, e non connettevo con il cervello. Perché volevo fare una cena decente insieme ai miei fratelli, uscire con i miei amici e dormire. Eppure ero lì, a lavorare.

 

Lanciai il panno di stoffa a terra, stavo sudando freddo << Yah! Eomma! >> non avevo mai e poi mai controbattuto a mia madre. << Non dovrei nemmeno essere qui, tuttavia guardami… >> mi slacciai il grembiule e lo buttai vicino al panno, << sto facendo del mio meglio ma ricordati che io non sono Yoona >>.

 

Scappai dagli occhi feriti e sorpresi di mia mamma perché non avevo più le forze di oppormi a lei ma non appena misi il piede fuori dalla stanza mi imbattei in Daniel, che tempismo.

 

Lo scansai senza neanche guardarlo in faccia e mi affrettai ad uscire dalla porta di servizio. Stavo sudando come se non ci fosse un domani, neanche il freddo gelido della notte riuscì ad acquietare le vampate di calore che sentivo.

 

Poggiai la schiena contro il muro di mattoni del vicolo mentre una sensazione terrificante si impossessò del mio corpo quando feci per prendere un grosso respiro ma i polmoni si rifiutarono di funzionare.

 

Mi mancava l’aria.

 

Il cuore mi martellava in petto per poi arrivare fino alle orecchie ed espandersi per tutto il corpo.

 

Mi sentivo come se qualcuno mi stesse premendo sul torace per soffocarmi e mi faceva male. Mi passai una mano sul cuore cercando di alleviare il dolore.

 

Stavo avendo un attacco di panico, di solito riuscivo a controllarli perché duravano poco e alla fine non sfociavano mai in chissà cosa ma questo invece era davvero pesante.

 

Dan

 

Era stato piuttosto ipocrita da parte mia origliare la discussione di Hana e dei suoi genitori dopo che le avevo chiesto di farsi gli affari suoi. Per sentirmi meglio con me stesso mi dissi che avevo accidentalmente assistito a quella conversazione, tutto qua.

 

Il mio turno era finito ed ero pronto per andare a casa quando decisi di proseguire nella direzione in cui era scappata la ragazza, mi era sembrata piuttosto sconvolta per cui il mio istinto mi suggerii di andare a controllare se fosse tutto okay.

 

Trovai Hana appoggiata al muro ricurva su sé stessa, aveva una mano sul ginocchio per mantenersi e con l’altra si massaggiava il petto.

 

<< Ehi, stai bene? >> domandai allarmato ma non appena incrociai il suo sguardo capii che non era affatto così.

 

Aveva il viso bagnato di lacrime, alcune ancora intrappolate in quegli occhioni così limpidi.

 

<< Io… sto…attacco di panico >> riuscì solo a dire fra un respiro e l’altro.

 

Lasciai cadere lo zaino a terra di colpo per poi piegarmi verso di lei, << okay, come ti posso aiutare? >>.

 

Conoscevo bene gli attacchi di panico, da piccolo erano il mio incubo peggiore ma per fortuna c’era mia madre che riusciva sempre a calmarmi ma non ero sicuro di poter fare la stessa cosa con lei in quanto non tutti reagiscono allo stesso modo.

 

Hana si aggrappò alla manica del mio giubbotto e poco a poco la aiutai a scivolare fino a quando non si sedette a terra. La sua piccola e fredda mano all’improvviso si incastrò con la mia e quasi mi parve di graffiarle la pelle con le mie nocche screpolate.

 

<< Lo so, ti senti di morire in questo momento e non riesci a respirare >> la vidi annuire, non aveva distolto lo sguardo dal mio neanche per un secondo. Mi sfilai la giacca e gliela sistemai sulle spalle come avevo già fatto in passato perché aveva iniziato a tremare. << Fai come me >> e iniziai a prendere delle profonde boccate d’aria così da aiutarla a regolare la respirazione.

 

Era così vulnerabile in quel momento e nonostante quello che era successo fra noi non aveva paura di farsi aiutare da me. Lei non si allontanava.

 

<< Vuoi venire in un posto con me? >> proposi di getto.

 

<< Sì >> fu la sua risposta, non vacillò neanche un secondo.

 

Ci alzammo contemporaneamente, la sua mano ancora che stringeva forte la mia, ignorai la pelle d’oca che il suo contatto mi provocava e iniziai a camminare in direzione di uno dei posti preferiti in assoluto.

 

**

 

Ciao!

 

Ebbene, il capitolo di oggi non è altro

che una preparazione a quello successivo nel quale

finalmente ci sarà una svolta nel rapporto fra Hana e Dan.

Come sempre, cercherò di aggiornare o domenica o lunedì.

 

Un bacio

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Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


AAA: IL CAPITOLO E’ SCRITTO IN TERZA PERSONA

Capitolo sette



 
Shall I sleep within your bed
River of unhappiness
Hold your hands upon my head
Till I breathe my last breath


Oh, oh woe-oh-woah is me
The last time that you touched me
Oh, will wonders ever cease?
Blessed be the mystery of love






I due giovani camminarono a lungo per le strade silenziose di Bristol, Hana non aveva idea di dove stessero andando ma si fidava, più di quanto avrebbe dovuto perché in fin dei conti lei non conosceva bene Daniel. Il ragazzo le avrebbe potuto fare di tutto, era molto più grosso e forte di lei. Eppure c’era qualcosa che la spingeva a continuare a tenere la sua mano, a bearsi del calore che essa emanava e perché no, a provare del solletico al contatto con il suo palmo calloso.


Daniel d’altro canto non riusciva a controllare il battito cardiaco, il cuore batteva come una molla impazzita perché la ragazza era ancora aggrappata a lui e sembrava non volerlo lasciare. La sua pelle era morbida e liscia e ciò lo rendeva nervoso, quel gesto così innocente lo agitava a tal punto da fargli sentire le farfalle nello stomaco.


E questo pensiero lo mandava fuori di testa, perché provava così tanta attrazione lei? Lui era il tipo che non abbassava mai lo sguardo, anzi, a lui piaceva sfidare gli altri sapendo che avrebbe già vinto, ma da quando aveva conosciuto Hana non aveva fatto altro che perdere.


Finalmente Daniel avvertì lo scrosciare delicato dell’acqua, erano arrivati.


Il quartiere dell’Harbourside li accolse silente, e nonostante l’oscurità della notte Daniel non poté fare a meno di provare un forte senso di calma. Odiava Bristol e odiava Stokes Croft, ma c’era qualcosa nel Porto che invece lo affascinava. Quel luogo era vissuto, in passato marinai e mercanti ci avevano fatto la storia e niente era andato perduto perché ovunque ti girassi potevi trovare dei frammenti di ricordi a partire dalle strade che riprendevano i nomi di personaggi importanti per finire alle statue costruite e piazzate in ogni dove.


L’Harbourside era un luogo in cui nessuno veniva dimenticato e Daniel trovava sollievo in questo, quel posto era senza tempo e ad ogni passo che faceva lui si sentiva infinito.


I due si accomodarono su una panchina, Daniel percepì la presa di Hana allentarsi per cui pose fine a quel contatto tanto piacevole per paura di infastidire la ragazza.


<< Come ti senti? >> le chiese, sperava che la passeggiata l’avesse calmata un minimo.


Hana si sentiva come stordita e non era più colpa dell’attacco di panico ma del giaccone che indossava. Profumava di acqua di colonia e di uno shampoo che a lei pareva essere alla camomilla, misto all’odore del tabacco, non sapeva come definirlo ma una cosa era certa: profumava di Daniel, e adesso anche tutti i suoi vestiti erano impregnati dello stesso odore.


<< Sto molto meglio… grazie >> disse sbirciandolo sottecchi.


I lampioni illuminavano le strade con la loro luce fioca ma ciò non impediva loro di creare un gioco di colori nel momento in cui essi si andavano a specchiare nelle acque del fiume Avon. La vera protagonista però era la luna, pallida ed immensa, il cui bagliore inondava qualsiasi cosa e che rendeva tutto un po’ più misterioso.


<< Vengo qui ogni volta che mi sento solo, mi aiuta >> iniziò Daniel, gli occhi sempre puntati avanti a lui.


Hana invece non aveva timore a guardarlo, per cui si girò verso il ragazzo sperando che prima o poi anche lui facesse lo stesso.


<< Ti senti spesso solo? >> domandò lei con un tono di voce che a Daniel arrivò vellutato come una pesca e non poté fare a meno di ricambiare il suo sguardo.


<< Sempre >> non era mai stato uno che parlava a cuore aperto di ciò che provava, lui nascondeva, ma con lei sentiva che non ce n’era bisogno perché i pensieri fluivano liberi dalla sua bocca, era ormai inutile negarlo.


<< Due anni fa mia sorella maggiore, Yoona, è scappata di casa >> Hana si lasciò sfuggire un sospiro carico di dolore, << e hai visto come funziona nella mia famiglia… lei era l’unica che capiva ciò che provavo >>.


La ragazza aveva iniziato a giocare con le dita delle mani, la sua vittima in particolare era una pellicina sul pollice, insulsa, ma che se l’avesse strappata avrebbe bruciato come il fuoco.


<< Sono sola da quando se n’è andata >> ed era vero, perché sebbene i suoi cugini avessero la sua stessa età le madri erano diverse, e nessuno poteva farti più male di un genitore ferito specie se vedeva in te la figlia ormai lontana.


Hana aveva dovuto prendere il posto della sorella, farsi carico delle sue responsabilità e prendersi cura dei cuori sofferenti dei suoi genitori e fratelli, ma il problema era che nessuno aveva pensato a lei. E Daniel lo leggeva questo dolore e ci si rispecchiava, perché avrebbe tanto voluto protestare quando la mamma aveva preso la decisione di lasciarlo a Bristol; ogni volta che lo chiamava e gli chiedeva come stava, avrebbe voluto dirle che andava tutto male, che per l’ennesima volta la scuola lo stava distruggendo e si sentiva un fallito. Aveva bisogno di lei in un modo così egoistico che, diamine, aveva addirittura provato a spacciare per trovare un po’ di soldi. Ma lei era partita lo stesso.


<< Vivo da solo… >> pronunciò malinconico il ragazzo, << … e da quando mia mamma si è trasferita altrove per lavoro non me la passo bene, mi manca >>.


Minseo Kwon era la sua eroina. La donna che a diciott’anni era scappata da Seoul perché disconosciuta dalla famiglia quando aveva scoperto di essere incinta. Daniel non aveva voluto sapere niente più di nessuno, né di suo padre che voleva costringerla ad abortire e tanto meno dei suoi nonni, così bigotti da buttare fuori casa una ragazzina.


All’improvviso entrambi poggiarono la mano sul bordo della panchina e per un momento le loro dita si toccarono; erano ancora occhi negli occhi, quel contatto era stato fugace ma carico di elettricità. Ognuno stava confessando cose che mai avrebbe pensato di dire all’altro, quel momento era più intimo di un bacio.


Per la prima volta Hana vedeva sincerità negli occhi di Daniel.


Nessuno dei due disse una parola, continuarono a guardarsi e a capirsi. Erano diversi come il giorno e la notte, questo lo sapevano, eppure c’era qualcosa che li legava ed era proprio per questo che in un modo o nell’altro continuavano ad attrarsi.


<< Mi dispiace per la questione del diario… in realtà una pagina l’ho letta >> svelò la ragazza per poi mettere subito le mani avanti, << ma è stato un errore, ti giuro >>.


Daniel sorrise alle sue scuse sincere, dopo le confessioni di questa sera la vicenda del diario gli sembrava lontana anni luce, << no, sono io che mi devo scusare. Me la sono presa con te inutilmente >>.


E ad Hana il cuore iniziò a correre come un cavallo imbizzarrito alla vista di quel sorriso gengivale, perché Daniel poteva allontanare chiunque voleva, poteva essere scorbutico e antipatico ma quel sorriso rivelava tutto ciò che il ragazzo cercava di nascondere: voleva essere compreso, ascoltato e voleva fare lo stesso con gli altri ma aveva paura di essere preso in giro.


<< Non voglio essere presuntuosa, ma semmai volessi sfogarti su qualsiasi cosa… io ci sono >>.


Hana non lo sapeva, ma era davvero coraggiosa. Era stata sempre la prima a fare un passo verso di lui e non aveva idea di quanto Daniel stesse imparando da lei.


<< Devi imparare ad essere un po’ più egoista >> il consiglio del ragazzo aveva una sfumatura fraterna, quasi a volerla aiutare.


<< E tu invece a fidarti più degli altri >> controbatté lei, lasciando Daniel a corto di risposta.


Decisero che era l’ora di ritornare, quindi si alzarono dalla panchina e si allontanarono da quel posto magico nel quale il tempo pareva essersi davvero fermato per loro due.


E quando Daniel si rimise la giacca prestata alla ragazza, inspirò un forte profumo di ciliegie e gli bastò un attimo per capire che quello era l’odore dei capelli di Hana. Quella meravigliosa e lunga chioma che faceva prudere le mani a Daniel perché moriva dalla curiosità di constatare quanto fosse morbida. Entrambi avevano il profumo dell’altro impregnato addosso, come un ricordo di questa strana serata.


<< Grazie >> disse Hana in piedi vicino all’entrata del ristorante, ormai chiuso.


<< Grazie a te >> rispose lui.


Poi la ragazza fece l’ennesima cosa che sconvolse Daniel: si avvicinò a lui con uno scatto e lo abbracciò.


Per pochi secondi le braccia di Hana cinsero la vita di Daniel, fu un gesto spontaneo che rispecchiava appieno la personalità della ragazza, ma lui non era abituato.


<< Ci vediamo a scuola >> fu l’ultima cosa che lei gli disse, prima di andare via.


Niente sarebbe stato più come prima, perché non puoi tornare a casa e dimenticare ciò che è stato condiviso.


Dan e Hana ancora non lo avevano capito, ma si stavano innamorando.



Ciao!


Avrei dovuto aggiornare domenica ma
è stato un capitolo piuttosto intenso da scrivere, pardon!


Ho deciso di scriverlo in terza persona perché mi sembrava
il modo più efficace di esprimere appieno ciò
che i due protagonisti provano l’uno per l’altro.


Ad ogni modo, sono davvero contenta di quello che è
venuto fuori, spero che vi piaccia tanto quanto piace a me.


Un bacio


 

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Capitolo 9
*** Capitolo otto ***


Capitolo otto




 
I don't like the way he's looking at you
I'm starting to think you want him too
Am I crazy? Have I lost ya?
Even though I know you love me, can't help it




Hana


La serata di ieri aveva preso una piega totalmente inaspettata e solo ora stavo realizzando tutto quello che era successo, la cosa divertente era che non mi importava minimamente del litigio con mia madre perché nella mia testa ora c’era solo Daniel.


Non avevo dimenticato la ruvidità delle sue mani in netto contrasto con la sua presa gentile e non sapevo se me lo stessi immaginando, ma ero sicura di riuscire a sentire ancora il suo profumo. Un pensiero mi colpì all’improvviso: gli avevo tenuto la mano per un sacco di tempo ed era stato proprio lui a staccarsi.


Poggiai le mani sul tavolo della cucina e chiusi gli occhi, che imbarazzo, probabilmente gli avrò dato fastidio. Come se non bastasse l’avevo anche abbracciato, ma a cosa stavo pensando?


Cercai di essere razionale e di non vedere malizia in ciò che era successo, perché alla fine eravamo due persone, due amici che si erano semplicemente sfogati l’uno con l’altro. Ma non riuscivo a togliermi dalla testa il suo sguardo, gli amici si guardano davvero così?


Sobbalzai quando sentii un tonfo sul tavolo, il Generale Choi aveva appena appoggiato una pila di panni da piegare. Sperai che il rossore della mia faccia non destasse sospetti e afferrai la prima maglia della catasta. La donna aveva la stessa espressione severa di sempre e mi preparai a una sua sfuriata, stamattina l’avevo evitata perché ero uscita presto quindi era arrivato il momento.


Piegai tre magliette in attesa della sentenza, poi mia madre parlò, << ti senti bene? Mica hai la febbre? >>.


Boccheggiai confusa da ciò che aveva detto, << hai la faccia rossa >> e poggiò una mano sulla mia fronte.


<< S-sto bene >>.


Mirae mi guardò attentamente, ora le mani entrambe sui fianchi, << copriti bene se esci >>.


Cercai di nascondere la mia sorpresa e ripresi a sistemare i vestiti, mi aveva implicitamente dato il permesso di uscire e capii che quello era il suo modo di chiedermi scusa. Mia mamma non era una donna di molte parole, era rigida ed esigente per cui questo suo piccolo gesto mi aveva scaldato il cuore e anche se sapevo che non amava il contatto fisico, la abbracciai di sfuggita per poi correre nella mia stanza.


**


Feci dondolare le gambe dal muretto per poi fissare con un pizzico di tristezza il cielo già scuro alle cinque di pomeriggio. Sbuffai e una nuvola di condensa uscì dalla mia bocca.


<< Aaallora, stasera c’è un evento in questo locale che dicono sia super particolare, vieni? >> Lily si parò avanti a me con un sorriso a trentadue denti, declinavo più della metà delle cose che mi proponeva di fare ma non stavolta.


<< Oggi il ristorante è chiuso, quindi sì! >> dissi entusiasta.


<< Evvai! >> esultò per poi correre nel campo avanti a noi e fare un canestro, << questo è per te! >>.


Eravamo al Bearpit ad aspettare che arrivassero gli altri e non potevo negare che ero impaziente di vedere Daniel, ora che finalmente si era sciolta quella freddezza iniziale avevo immaginato mille modi in cui si sarebbe potuto evolvere il nostro rapporto, ero contenta di essere sua amica.


<< Ben! >> esclamò Lily prima di correre in direzione del suo ragazzo.


La mia testa fece uno scatto che mi sbilanciò dal muretto e per poco non caddi.


Daniel camminava dietro al suo migliore amico, la testa bassa e il cappuccio della felpa a coprirgli il viso, seguito da Angie. Mi alzai ma rimasi ferma sul posto perché non sapevo cosa fare, quando il ragazzo fu abbastanza vicino sventolai una mano in segno di saluto e lui ricambiò con un cenno.


Certo, non mi aspettavo i fuochi d’artificio ma almeno un po’ più di entusiasmo.


Solo quando si tolse il cappuccio capii il motivo del suo silenzio: aveva un occhio gonfio e vagamente violaceo.


Lo fissai sfacciatamente, << che cosa ti è successo? >> mi avvicinai preoccupata.


<< Non mi vuole dire con chi ha fatto a botte >> aggiunse Ben.


Daniel si passò una mano nei capelli, il suo viso perfetto era stato deturpato da quella botta ma rimaneva comunque bellissimo e il mio cuore non seppe contenersi dal battere più velocemente.


<< Hai picchiato qualcuno per me? >> Angie si aggrappò al suo braccio per poi guardarlo con occhi languidi.


<< Giochiamo e basta >> il ragazzo ci ignorò tutti, si limitò a prendere la palla da basket e dirigersi in campo.


Non so se rimasi più infastidita dal suo atteggiamento o da Angie che lo seguì ancora aggrappata al suo braccio. Presi di nuovo posto sul muretto anche se avevo una gran voglia di andare via.


<< Non mi piace >> e Lily indicò con la testa la riccia, << e sai che io non sbaglio mai su queste cose >>.


<< Cosa te lo fa pensare? >> domandai, forse se mi avesse dato una ragione mi sarei sentita meno ridicola dall’odiarla senza motivo.


<< Ben mi ha detto che prima stavano insieme >>.


Spalancai gli occhi mentre sentivo il cuore perdere dei battiti.


<< E poi, so che lei ha passato la notte a casa sua >>.


Quindi dopo la serata passata insieme, dopo che mi aveva accompagnato a casa, Daniel era stato con lei. Eravamo amici, certo, ma allora perché mi sentivo così ferita da tutto questo?


<< Wow, Ben non sa proprio tenere la bocca chiusa con te >> sdrammatizzai per mascherare la delusione.


**


Mi ero illusa che forse stava nascendo qualcosa di speciale tra me e Daniel e stavo quasi per balzare la serata al locale perché non avevo voglia di vedere né lui né Angie ma alla fine avevo ripreso i sensi, mia mamma mi aveva dato il permesso di uscire senza che facessi nessuna faccenda e non potevo di certo sprecare questa occasione. Ciò che era successo mi servii da lezione, la prossima volta ci avrei pensato due volta prima di iniziare a costruire castelli in aria.


Ero arrivata al locale da circa cinque minuti e non sapevo cosa fare. L’insegna rossa de “Le ombre notturne” illuminava il marciapiede, il nome avrebbe potuto incutere un certo timore se non fosse che era una semplice scritta a led. Lily non rispondeva ai miei messaggi, per cui decisi di entrare e di scoprire se fosse già arrivata.


Uscii di nuovo per controllare di essere nel posto giusto prima di ritornare dentro. La stanza era grande quanto la mia camera, muri bianchi, pavimento grigio e neanche una sedia per arredare, era completamente spoglia e silenziosa. Notai delle scale che portavano al piano di sotto, una volta scesa spinsi la pesante porta che si trovava alla fine delle scale e mi addentrai finalmente nel locale.


Dire che rimasi a bocca aperta era poco. La sala era immensa, grande quasi quanto lo spiazzale del Bearpit. Alcune pareti erano decorate da graffiti, altre invece erano a tinta unita ma adornate con quadri di personaggi di manga e anime, riconobbi il famoso alfabeto disegnato sul muro di Stranger Things e c’era una parete dedicata esclusivamente alla Marvel. Delle botti erano usate come tavolini ma non erano l’unico tipo di arredamento perché c’erano anche parecchi divani, come quelli che si trovano nelle case, poltrone e pouf. Non sapevo dove mettere occhio perché avevo come l’impressione che spuntava fuori sempre qualcosa di nuovo.


C’erano richiami a qualsiasi tipo di serie tv, film o fumetto che potesse esistere sulla faccia della terra.


Il bar si trovava letteralmente nel furgoncino di Scooby Doo.


C’erano persone che stavano giocando a giochi da tavolo mentre altre bevevano, ma la stragrande della maggioranza si trovava sulla pista da ballo luminosa, come quella de “La febbre del sabato sera”, in puro stile anni ‘70.


Ero li da solo cinque minuti ma stavo sudando come se avessi corso per un’ora. Mi tolsi il giaccone e rimasi con il maglione di lana, al di sotto del quale avevo ancora un’altra maglia a manica lunga e la canottiera. Fuori si moriva di freddo, non mi sarei mai aspettata invece di trovarmi catapultata nell’estate.


Le casse stavano sparando a tutto volume una canzone hip hop che non riconobbi ma rimasi incantata nel guardare il modo in cui stavano ballando, non era come il semplice ballare in discoteca, eseguivano passi ben precisi e in un modo o nell’altro si trovarono a ondeggiare a ritmo della stessa coreografia.


Di Lily o Ben neanche l’ombra, mi allontanai dalla folla trovando posto su uno sgabello e mi chiesi come avrei fatto a trovare i miei amici in quel mare di persone, il telefono neanche prendeva più, non c’era modo di contattarli.


<< Non ci credo, Hana! >> qualcuno urlò il mio nome.


Quel qualcuno era Joseph, il ragazzo mi raggiunse a petto nudo e non so cosa mi fece più arrossire, se i suoi bicipiti o il suo addome scolpito. Sembrava molto più grosso di quanto mi ricordassi.


<< Ciao! >> lo salutai cercando di concentrarmi sul suo viso.


<< Sei da sola? >> mi domandò avvicinando uno sgabello vicino al mio.


<< Sì, sto aspettando che arrivino gli altri >> dissi, il colletto del mio maglione sembrava quasi incollato alla pelle, mi stava facendo diventare matta.


Inoltre, la vicinanza con Joseph non aiutava.


<< Fortuna che ti ho trovato >>, il ragazzo si sporse pericolosamente verso di me << sarò ridondante ma il rosso ti sta davvero bene >> e fu lì che arrivai al mio limite.


Da quando lo avevo conosciuto non aveva fatto altro che essere ambiguo nei miei confronti e mi sembrava sempre di essere presa in giro.


Mi coprii il volto con le mani << non prenderla male m-ma mi sento un po’ a disagio quando fai così >>, allargai le dita per lasciare liberi solo gli occhi << non so mai se prenderti sul serio >>.


Mi stavo ufficialmente sciogliendo insieme alla catasta di vestiti che avevo addosso.


Joseph portò una mano sulla bocca per poi girarsi dal lato opposto al mio, << tu mi farai morire un giorno di questi >> disse ma non capii cosa volle dire.


Alzò le braccia come se si stesse arrendendo, << ti prometto che sarò più discreto >>.


<< Quindi… anche tu eri in pista? >> cambiai argomento.


<< Sono il miglior ballerino con cui potrai avere a che fare stasera >>.


La sua spavalderia mi fece ridacchiare e mi tolse da dosso un po’ di tensione, << anche il più umile a quanto vedo >>.


Joseph gettò un’occhiata alle sue spalle per poi ritornare a rivolgermi la sua attenzione, << ti va di ballare? >>


**


Dan


L’occhio mi faceva un male cane ed era diventato ormai di un viola scuro, come me lo ero procurato era un’altra storia, alquanto imbarazzante se posso aggiungere.


Perché non posso non darmi del cretino se mentre camminavo ero concentrato a guardare il profilo di Hana, in particolare una sua foto di qualche anno fa in cui eseguiva un perfetto grand jeté, e mentre continuavo a fissare la foto avevo travolto una vecchietta che pensava la stessi derubando e che mi aveva colpito con la busta della spesa contenente quelle che mi convinsi essere pietre, era l’unico modo per spiegarmi questo brutto livido.


Quella ragazza ormai aveva invaso ogni angolo della mia mente, e se prima mi era difficile guardarla negli occhi ora era proprio impossibile. Le sensazioni che avevo provato con lei su quella panchina erano state indescrivibili e non riuscivo a capire perché lei mi facesse un effetto così potente.


La magia però era stata interrotta una volta tornato a casa, perché sull’uscio della porta avevo trovato Angie che era scappata di casa per l’ennesima volta dopo un litigio con i suoi genitori e anche se non volevo darle false speranze, non avrei certo potuto lasciarla lì.


Il problema era che adesso la ragazza non faceva che starmi appiccicata.


<< Oddio! Hana mi ha scritto un’ora fa e non ho letto il messaggio >> esclamò Lily poco più avanti di me.


<< Che significa? >> chiesi un po’ troppo ad alta voce.


<< E’ probabile che ci stia ancora aspettando fuori al locale >> e all’improvviso la voglia di raggiungere “Le ombre notturne” si fece più forte.


Conoscendola era davvero possibile che stesse ancora la fuori.


<< La smetti di andare così velocemente? Mi sto stancando! >> si lamentò Angie alle mie spalle.


<< Non mi interessa >>.


Dopo dieci minuti arrivammo fuori al locale ma di Hana neanche l’ombra.


<< Forse è tornata a casa >> suggerì Ben.


<< No, me lo avrebbe scritto altrimenti >> ribatté la sua ragazza.


<< Io propongo di entrare, mi sono rotta di stare qui >> Angie ci superò per poi iniziare a scendere la rampa di scale.


Candy shop di 50cent risuonava per tutta la sala, c’era un caldo innaturale li dentro e una forte aria viziata. Storsi il naso mentre mi facevo spazio fra la gente, odiavo stare in mezzo alla folla e odiavo tutte quelle persone sudate con cui mi stavo scontrando.


<< Non la vedo >> urlai per farmi sentire da Lily.


<< Ragazzi, ma quella non è… >> Angie indicò un punto preciso della pista e la mia mascella non fu l’unica a cadere quasi al suolo.


Hana si muoveva agitando sinuosamente i fianchi, la cascata di capelli ondeggiava insieme a lei, e spiccava in mezzo a tutta quella gente. I jeans le fasciavano le cosce alla perfezione fino ad arrivare al punto vita stretto da una cintura e all’interno della quale era infilata una semplice canottiera bianca.


La musica iniziò a cambiare pian piano fino a quando non si mischiò con Mi gente di J Balvin. Una mano si posò sul suo fianco destro e quando realizzai che quello era Joe mi strozzai con la mia stessa saliva.
Il ragazzo le prese una mano e le fece fare una giravolta troppo velocemente perché Hana perse l’equilibrio e si ritrovò fra le sue braccia, entrambi scoppiarono a ridere. Avevo dimenticato un particolare, Joseph era senza maglia.


Avevo conosciuto il lato dolce, timido e innocente di Hana, ma non l’avevo mai vista così… era attraente, sensuale.


Joe prese a twerkare e ciò causò altre risate da parte della ragazza che gli posò una mano sulla schiena nuda per farlo smettere. Da quando erano così amici?


<< Non credo ai miei occhi >> disse Ben.


La canzone era quasi finita quando Hana ci notò e come un fulmine ci raggiunse. Aveva i capelli leggermente arruffati, piccole gocce di sudore le imperlavano la fronte e le gote rosse erano la prova del fatto che stesse ballando già da un po’. Era stupenda.


<< Finalmente siete qui! >> e abbracciò la sua migliore amica.


<< Hana, mica hai bevuto? >> domandò Lily e in effetti era una domanda lecita.


<< Cosa? No! >> la ragazza stava ancora sorridendo.


La canottiera era troppo stretta, non lasciava nulla all’immaginazione tanto da mettere in risalto il suo seno. Mi strofinai gli occhi, dovevo smetterla.


<< Io non ci posso credere, perché non ti ho mai vista ballare? Sei fantastica! >> Joseph calcò l’ultima parola con entusiasmo, << l’avreste dovuta vedere, è proprio portata per l’hip hop >>.


Joseph era mio amico ma per qualche ragione che avevo deciso volutamente di ignorare avevo tanta voglia di zittirlo con un pugno in testa.


<< Vado a sedermi >> annunciai, mi dovevo allontanare da loro.


Mi sentivo uno stupido perché ero geloso del fatto che Hana avesse condiviso questo suo lato con Joseph.


Ma in fin dei conti, chi ero io per essere geloso? Non aveva alcun senso.












Ciao!


Perdonatemi se la settimana scorsa non ho aggiornato, purtroppo ho avuto dei problemi di studio con l’università e non avevo abbastanza ispirazione per scrivere, quindi ho deciso di rimandare.

In ogni caso, eccoci qua! Dopo un primo avvicinamento fra Dan e Hana c’è stata di nuovo una scissione che ha fatto solo capire ad entrambi che forse quello che provano l’uno per l’altro non è semplice amicizia.

Dan però è il mio preferito, non sa come gestire i suoi sentimenti e quindi si chiude nel suo guscio ma non ha idea che Hana è sempre pronta a creparlo, lo vedrete nel prossimo capitolo!



Baci



 

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Capitolo 10
*** Capitolo nove ***


Capitolo nove
 
I see the crystal raindrops fall
And the beauty of it all
Is when the sun comes shining through
To make those rainbows in my mind
When I think of you sometime
And I wanna spend some time with you


Dan


Troppe volte avevo sfidato la sorte spegnendo la sveglia la mattina per dormire un po’ di più, perché dopo averlo fatto per l’ennesima volta ero arrivato a scuola così in ritardo da arrivare a metà lezione di letteratura inglese, tutti tranne me sapevano che la professoressa Jones odiava i ritardatari.


Ed era per questo che adesso, dopo le lezioni, mi ritrovavo a seguirla per i corridoi della scuola pronto a scontare la mia ora di punizione e il fatto che ormai avevamo superato tutte le classi mi stava facendo preoccupare.


<< Mi scusi, ma dove stiamo andando? >> chiesi cercando di stare al suo passo.


Ma la donna iniziò a camminare ancora più velocemente, << Per tua informazione, io sono anche la responsabile del club di teatro e in questo periodo sto organizzando lo spettacolo di natale >>.


Si fermò davanti alla porta che conduceva appunto al teatro e poi la spalancò, << abbiamo bisogno di una mano con le scenografie >>.


Era l’unica parte della scuola che ancora non avevo visto e contro ogni aspettativa era davvero grande e ben tenuto al contrario della palestra che se ne stava cadendo a pezzi.


<< Non credo che in un’ora riuscirò a- >> la professoressa mi interruppe all’istante.


<< Sconterai tutte le ore di ritardo che hai fatto, che so essere parecchie, ogni giorno dopo le lezioni per un’ora >>.


Aspettai che si girasse in avanti per lasciarmi andare in un sospiro silenzioso, il vecchio Daniel avrebbe protestato e si sarebbe preso altre ore di punizione ma volevo mantenere la promessa fatta a mia mamma: mi sarei comportato bene.


Le scenografie erano state già montate per cui dedussi che il mio compito sarebbe stato quello di aiutare a dipingerle. Notai che esse rappresentavano il cortile di un palazzo fiabesco, c’era addirittura una scalinata che portava a un cancello.


<< Cosa mettete in scena? >> domandai


<< Lo Schiaccianoci >> rispose secca per poi indicare uno dei tanti studenti che trafficavano sul palco, << Bernard ti mostrerà quello che devi fare >>.


Altamente annoiato, mi rimboccai le maniche e mi diressi verso il ragazzo indicato dalla prof che non fece altro che darmi un barattolo di vernice bianca e un pennello.


“Dipingi tutto” aveva detto e così iniziai a fare.


Dopo dieci minuti la puzza del barattolo già mi aveva dato alla testa e mi mancava poco per arrendermi, andare dalla professoressa e pregarla di affidarmi qualsiasi altro incarico se non fosse stato per la voce che avvertii subito dopo.


<< Ci sono, scusate il ritardo! >> Hana salì sul palco con il fiatone di chi aveva fatto una corsa per arrivare.
Ma perché lei era lì?


Mi cadde il pennello a terra quando la ragazza si accorse di me, da quando l’avevo vista ballare al locale non ero più riuscito a guardarla con gli stessi occhi di prima perché mi ritornava sempre in mente la scena di lei che scuoteva i fianchi, libera e spensierata e ciò mi causava sempre un forte rossore che non riuscivo mai a nascondere.


<< Dan, che ci fai qui? >> non mi aveva mai chiamato Dan.


<< Uhm… punizione, sai com’è… e t-tu? >> benissimo, ora balbettavo anche.


<< Io e Ji-Ah diamo una mano con le coreografie >> disse dondolando sui talloni, indossava una semplice felpa corta e un paio di leggins decisamente troppo stretti perché dovetti fare molta fatica a concentrarmi sul suo viso.


Mi limitai ad annuire per poi osservarla sottecchi quando si allontanò per fare riscaldamento insieme ad altri due membri del club di teatro, rischiai di far cadere nuovamente il pennello perché mi resi conto che il ragazzo che si stava allenando con lei era Mike.


<< Oggi proviamo il passo a due e ricordate: non fa niente se non siete ballerini di danza classica, la coreografia è semplificata >> la sentii dire con tono rassicurante.


<< Lui è mio cugino, vi faremo prima vedere i passi e poi la proveremo insieme >> concluse Hana indicando il ragazzo vicino a lei. Cacciai un sospiro di sollievo nel sentire che non avrebbe ballato con Mike.


Mantenevo con una mano il pennello e per fortuna che non dovevo fare chissà quale disegno perché avevo la testa completamente girata in direzione dei due cugini.


Hana si mise in posizione, dritta ed elegante come solo lei sapeva fare, e Ji-Ah dietro di lei. Un attimo dopo la musica partì e tutto il resto delle persone scomparve, nella mia visuale c’era solo lei.


Hana si perse in un turbine di volteggi e piroette nei quali sembrava quasi volare leggiadra come una farfalla. Era fluida nei movimenti come se facesse questo da tutta la vita. Sul viso rimase stampata l’ombra di un sorriso che non perse neanche per un secondo, trasmetteva calore.


Ogni volta che il cugino la sollevava lei atterrava aggraziatamente e senza il minimo rumore.


E sebbene al locale l’avevo vista ballare in un modo completamente diverso da questo, percepii la stessa cosa: Hana era libera, spensierata e maledettamente attraente.


Sì perché quella ragazza non smetteva di sorprendermi, come poteva una persona passare dal balbettare se un ragazzo le rivolgeva la parola ad essere così sicura di sé mentre ballava?


Volevo conoscere le altre mille sfaccettature che Hana nascondeva in un modo che andava ben oltre l’amicizia.


**





Hana


Passai il panno sul tavolo per la terza volta perché secondo mia mamma due non erano abbastanza per poi passare a quello affianco. Era stata una serata piuttosto tranquilla al ristorante, niente drammi con il Generale stranamente, e si era finalmente fatta l’ora di chiusura.


<< Cugina >> Ji-Ah si avvicinò a me con fare sospetto, << ma per caso piaci a Daniel? >>.


<< Ma che dici? >> tossii per colpa della saliva andata di traverso.


Mio cugino iniziò a pulire insieme a me, << ho notato che oggi alle prove non faceva che guardarti >>.


Mi avvolse una vampata di calore che cercai di nascondere con tutta la disinvoltura possibile, << non dire stupidaggini >>.


Già, perché mi ero resa conto anch’io del suo sguardo ma avevo concentrato tutte le mie forze nel convincermi che magari stava guardando l’esibizione in maniera del tutto disinteressata e sentirmi dire una cosa del genere non faceva altro che accendere quella speranza che forse, forse gli interessavo.


<< Signora Choi, ecco i soldi dell’ultima consegna >> non mi ero resa conto che Daniel fosse entrato in sala, lo guardai di sfuggita e lui fece lo stesso con me.


<< Come dici tu, cuginetta >> Ji-Ah alzò le mani e si allontanò.


Vidi il ragazzo dirigersi nel retro del locale, feci passare circa cinque minuti prima di seguirlo ma una volta raggiunti gli armadietti lui già era andato via.


Afferrai i sacchi della spazzatura completamente delusa da me stessa per poi spingere la porta ed uscire fuori.


Non mi sarei mai aspettata di trovarlo appoggiato al muro a fumare una sigaretta. Ti stava aspettando disse la vocina nella mia testa ma la ignorai scuotendo il capo. Daniel mantenne la cicca fra le labbra per poi avvicinarsi silenziosamente a me e rubarmi i sacchi dalle mani.


<< Grazie >> dissi, ferma sull’uscio della porta.


<< ‘niente >> mormorò buttando fuori il fumo.


Non sapevo cosa fare, mi sentivo una stupida a stare lì impalata ma non volevo ritornare dentro perché avevo voglia di stare con lui.


<< Ti va di fare qualcosa? >> ma perché dicevo sempre ciò che mi passava per la testa?


Daniel mi guardò con gli occhi spalancati, << intendi… ora? >>.


<< Sì… però se non puoi non fa nulla, anche perché è tardi e domani c’è scuola- >> dissi tutto d’un fiato ma il ragazzo mi interruppe con una risposta secca ma che mi rese molto felice.


<< Sì >>.


**


Bristol di notte, a dicembre era meravigliosa. Le finestre degli appartamenti rivelavano tutte uno scorcio di decorazioni natalizie sempre diverso e le luminarie davano un tocco di vita a quella città che molto spesso appariva triste e spenta.


Daniel camminava al mio fianco, silenzioso come al solito e anche se ero contenta che avesse accettato non potevo fare a meno di pensare che forse lo avevo costretto a dire di sì quando avrebbe solo voluto tornare a casa.


Ci fermammo su una delle tante panchine del Bearpit vicine alla pista da skateboard.


Non sapevo cosa dire per iniziare una conversazione il che era strano dato che di solito ero sempre pronta a dire qualcosa di stupido.


<< Sei molto brava… a ballare intendo >> pronunciò all’improvviso rauco.


Il sangue fluì subito alle mie guance << grazie >>, abbassai la testa per poi continuare << ho fatto danza classica per dieci anni >>.


<< Perché hai smesso? >> si avvicinò impercettibilmente a me.


<< Dopo che Yoona è andata via non ho avuto più tempo >> confessai lasciando trapelare una nota di dolore, << però Ji-Ah ha continuato, facevamo spesso spettacoli di coppia >> dissi tentando di risollevare il morale.


Daniel si limitò ad annuire e a rimanere in silenzio così presa dal nervosismo mi alzai dalla panchina e dissi la prima cosa che mi venne in mente, << Lily mi ha detto che fai graffiti >>.


<< Lily non tiene mai la bocca chiusa >> ridacchiò spostandosi i capelli dalla fronte.


<< Vorrei vederne qualcuno >> confessai.


Daniel si mise in piedi sovrastandomi con la sua altezza, << guardati intorno >> e poggiò le mani sulle mie spalle per poi farmi girare lentamente.


<< Questi… li hai fatti tutti tu? >> domandai meravigliata, il tripudio di colori che decoravano la pista da skateboard era infinito.


<< Esatto >> sussurrò, il suo respiro mi solleticò la guancia provocandomi brividi dietro la schiena.


Corsi verso il muro vicino a noi e indicai un disegno in particolare, << anche questa farfalla? >>.


Non so se fu una mia impressione ma mi parve di vederlo arrossire, << quella l’ho fatta oggi >>.


Continuavo a girare su me stessa e ogni volta notavo un disegno diverso, sempre più bello di quello precedente.


<< Sono meravigliosi, Dan, sei bravissimo >>.


Il ragazzo mi raggiunse e siccome stavo ancora roteando persi un po’ l’equilibrio e andai a sbattere contro di lui.
<< Tu lo sei >> sussurrò credendo che non lo riuscissi a sentire, ma quando capì che forse non era stato così si portò una mano alla bocca.


Lo avevo sentito, eccome se lo avevo sentito. Quelle tre parole mi avevano fatto aumentare il battito cardiaco così tanto da causarmi le vertigini. Ma sapevo anche che Daniel era il tipo che non amava esprimere i suoi sentimenti, spesso se ne vergognava per cui decisi di fare finta di niente.


<< Ogni volta che cado ci sei tu a prendermi >> sdrammatizzai.


Daniel stava per rispondere quando vidi un pallino bianco poggiarsi sul suo giubbotto seguito subito dopo da un altro, e poi da un altro ancora.


<< Oddio, sta nevicando! >> esultai.


Il ragazzo alzò il viso verso il cielo e un fiocco di neve gli si posò sulla guancia. Mi alzai sulla punta dei piedi per poi sporgermi verso di lui e passargli il dito sulla pelle, dopo qualche secondo la neve si era già sciolta. Daniel sembrava non credere a ciò che stava succedendo e questa volta il rossore sulle sue guance lo vidi chiaramente.


Gli presi una mano, << Andiamo >>.


<< D-dove? >> domandò.


<< Ad inseguire i fiocchi di neve >>.


Daniel mi piaceva, era inutile dire il contrario, e forse lui ricambiava, forse no, ma in quel momento tutto passò in secondo piano perché decisi che era meglio godermi quell’attimo con lui.










 

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci ***


Capitolo dieci
 
Should this be the last thing I see
I want you to know it's enough for me
'Cause all that you are is all that I'll ever need



I'm so in love







Dan


Nei miei vent’anni di vita non avevo mai provato niente per nessuno, neanche una cotta, e fino a qualche tempo fa pensavo che quello che c’era stato fra me e Angie ci andasse vicino ma ora sapevo che non era così.


Perché il modo in cui mi sentivo quando ero con Hana era ogni volta una scoperta.


Posai un piede a terra per prendere la rincorsa, il vento mi fece scivolare via il cappuccio dalla testa e un brivido mi percorse la schiena.


Ma una volta che realizzi che ti piace qualcuno, qual è il prossimo passo da fare?


Ti confessi, idiota” disse una vocina nella mia testa e il solo pensiero mi fece perdere l’equilibrio proprio mentre stavo cercando di far roteare lo skate. Finii con il sedere per terra, e non fu per niente piacevole.


Sconsolato, afferrai lo skateboard e ritornai sulle gradinate della pista. Come se le fitte al coccige non bastassero, sentivo anche il naso pizzicare.


<< Ti ho fatto una foto mentre cadevi >> esordì Ben quando mi accomodai accanto a lui.


<< Tu e questa maledetta macchina fotografica >> mi lamentai.


Ripensai alla mostra fotografica a cui avevo partecipato prima di iscrivermi alla John Stokes High School, Ben aveva dedicato il suo progetto a Lily. L’ennesima dimostrazione d’amore nei suoi confronti e l’aveva fatto senza vergogna. Ben era quello che non aveva paura di piangere avanti a lei, non temeva i suoi sentimenti ma li esprimeva nei modi più disparati, non glielo avevo mai detto ma lo ammiravo tanto.


Io invece ero un vigliacco che riusciva solo a tenersi tutto dentro.


Inspirai profondamente prima di parlare, << Ben, quando hai detto a Lily che l’amavi… tu… ecco, sapevi lei cosa provava? >>.


Gli lanciai uno sguardo prima di iniziare a fissarmi le maniche del giubbotto, il ragazzo non staccò gli occhi dallo schermo della macchina fotografica neanche un secondo.


<< No, ero quasi sicuro che mi odiasse >> rispose, come se niente fosse.


<< Non hai avuto paura? >> mi morsi nervosamente l’interno della guancia.


Lo sentii ridacchiare, << mi sentivo di morire, ma è stato meglio così >> e mi guardò negli occhi << non sarei riuscito più a tenerlo dentro >>.


Sbuffai pesantemente, non avevo idea di cosa fare per andare avanti.


<< Che c’è, ti devi dichiarare a qualcuno? >> mi canzonò, provocando da parte mia un bel “COSA?” come risposta.


Ma non finì qui, perché dopo qualche secondo delle voci familiari ci costrinsero a girarci verso di loro.


<< Bella raga’ >> salutò Lily, Hana al suo fianco si limitò a sventolare una mano.


I miei occhi incontrarono quelli della ragazza e il corpo si mosse da solo, mi alzai di scatto boccheggiante ma non dissi nulla.


Hana, Lily e Ben mi guardavano come se fossi impazzito.


AHCHOO!” e menomale che mi coprii il viso, perché la vista del moccio penzolante era piuttosto disgustosa. Mi allontanai dal gruppetto con le orecchie fumanti di imbarazzo.


Non potevo credere che avevo anche solo pensato di confessarmi ad Hana quando la sua presenza bastava a farmi comportare come un cretino.


All’improvviso vidi un braccio spuntare dalle mie spalle e sapevo già chi fosse senza neanche voltarmi, recuperai il fazzoletto dalla mano di Hana e solo quando mi pulii per bene mi girai verso di lei.


<< Grazie >> borbottai, ero sicuro di avere ancora le orecchie bordeaux.


<< Ti sei preso un raffreddore per colpa mia, vero? >> la ragazza partì come un treno, << non avrei dovuto costringerti a correre con la neve… >>.


<< No! >> poggiai entrambe le mani sulle sue spalle, “passerei anche cento ore sotto la neve con te” pensai ma ovviamente non lo dissi, << è solo una stupida allergia >> mentii spudoratamente dato che non soffrivo di nessuna allergia.


Sentii i muscoli della ragazza rilassarsi per poi realizzare che la stavo ancora mantenendo e stavolta ad infiammarsi furono le guance.


<< Sai, c’è una cosa c-che, uhm ti volevo chiedere >> gesticolai con una mano mentre con l’altra mi grattavo nervosamente la nuca, << sono molto indietro con fisica e non ho seguito l’ultima lezione >>.


Sospirai per poi arrivare finalmente dritto al punto << mi puoi aiutare a studiare? >>.


Hana balzò come una molla << sì, sì! >> esclamò mentre batteva le mani, il suo sorriso mi scaldò il cuore.




**


Hana


Non sapevo come avrei aiutato Daniel dato che ero arrivata alla conclusione che il mio cervello smetteva proprio di funzionare quando ero con lui. E ora eravamo a casa sua, sebbene non fosse la prima volta che stavamo da soli in qualche modo il fatto di trovarmi chiusa dentro quattro mura mi rendeva nervosa.


<< … non odiarmi, ma mi puoi rispiegare la formula? >> pigolò il ragazzo, aveva la testa poggiata su una mano e mordeva nervosamente il tappo della penna.


Trattenni una risata alla vista di un Daniel spogliato della sua compostezza stoica, pensai che gli mancasse poco per strapparsi tutti i capelli dalla testa. Era chiaro che le materie scientifiche non erano il suo forte, dentro di me sapevo che lui era il tipo che amava la letteratura e la filosofia. Aveva l’animo dell’artista, sensibile ma incompreso dal resto del mondo.


Una volta che finii di spiegargli il fenomeno anomalo dell’acqua attraverso tutta una serie di operazioni matematiche, Daniel fissò il libro per un minuto buono prima di scompigliarsi i capelli.


<< Non ho capito niente >> pronunciò e stavolta non riuscii a non ridere.


<< Non-Non ridere! Questi sono fenomeni naturali che accadono da prima che l’uomo nascesse, come fanno ad essere regolati da equazioni? >>.


<< Direi… di fare … una pausa >> sghignazzai.


Daniel mi guardò serio e per un momento temetti che stesse per fare una delle sue solite sfuriate perché si era sentito preso in giro, ma poi vidi le sue labbra incurvarsi in una smorfia e infine si unii a me.


Quel meraviglioso sorriso gengivale che raramente dipingeva il suo viso mi fece perdere dei battiti.


<< Vado a prendere un po’ d’acqua, vuoi qualcosa? >> scossi la testa ma nel momento in cui si alzò lo seguii silenziosamente in cucina.


Oggi c’era qualcosa di diverso in lui, era molto più rilassato e sembrava quasi di buon umore. Gettai un occhio verso le tre porte che davano sul salone, consapevole che dietro una di esse ci fosse la camera di Daniel. E io volevo assolutamente vederla.


Ero avida di conoscere ogni sua sfumatura, volevo entrare a far parte del suo piccolo mondo e fargli compagnia per poi costruire un muro attorno a noi e rimanere da soli. Era troppo egoistico da parte mia?


<< Non ti avvilire troppo per fisica… è una materia difficile e io non è che sia bravissima a spiegare >> inserii il discorso mentre il ragazzo cercava l’acqua nel frigorifero.


<< Non è assolutamente vero, tu vai bene così come sei >> e mi guardò come se dietro quelle parole ci fosse altro, << sono io che ho la testa dura >>.


Sorrisi puntando lo sguardo sulla punta dei piedi, non sapevo mai come interpretare ciò che diceva perché mi sembrava sempre che ci fosse un doppio significato e più ci passavo del tempo assieme, più mi chiedevo: gli piaccio o è solo gentile con me?


Mi accostai a lui, il cuore iniziò ad aumentare di battiti perché sapeva già ciò che stavo per fare, Daniel mi guardò sorpreso dalla vicinanza, era ancora con la bottiglia in mano.


Iniziai a giocare con le dita, << posso vedere la tua camera? >> dondolai sui talloni mentre lo fissavo in attesa di una risposta.


Sei una sfacciata” pensai dopo che la preoccupazione di essere stata troppo invadente mi colpì.
Daniel si coprì la bocca con una mano e abbassò lo sguardo, per un secondo mi parve di scorgere un impercettibile sorriso sulle sue labbra ma non ne ero certa. Lo vidi dimenticarsi totalmente dell’acqua e farmi cenno di seguirlo.


<< Mi dispiace, è un po’ disordinata… >> e aprì la porta centrale.


La stanza non era grande e come mobili aveva solo un letto, una cassettiera e una scrivania. Avanzai al centro di essa e mi guardai intorno: la parete sulla quale si appoggiava la testiera del letto era tappezzata di disegni, alcuni fatti con gli acquerelli mentre altri a matita, c’erano appesi addirittura dei quadri. Dal lato opposto, quello occupato dalla scrivania, si ergeva una libreria che occupava tutto il muro. Infine, le restanti pareti erano decorate da vari graffiti, e vicino alla finestra c’era un cavalletto con sopra una tela ancora bianca.


Inspirai a pieni polmoni il profumo di quella stanza, tabacco e acqua di colonia misto a un altro aroma molto più dolce. Ritornai a quando avevo indossato la sua giacca e una sequenza di brividi mi percosse la schiena.


C’erano libri poggiati su ogni superficie disponibile, oltre che a stare sistemati sulla libreria. Mi avvicinai ad essa eccitata di scoprire Daniel cosa leggesse: più di uno scaffale sorreggeva volumi di autori dal cognome impronunciabile, riuscii a capire che si trattava di letteratura russa solo quando lessi il nome di Tolstoj. Spostai lo sguardo per poi scoprire infiniti testi sulla poesia, per lo più francese, ma non era finita qui; Austen, le sorelle Brontë, Shelley e Wilde e tanti altri giganti della letteratura inglese. E infine singoli titoli di autori scollegati fra loro fra cui Stephen King, Murakami e Ian McEwan.


<< Incredibile >> mormorai attonita, forse più a me stessa che a Daniel.


Mi girai per guardarlo e lo trovai appoggiato allo stipite della porta a fissarmi, aveva la punta delle orecchie bordeaux.


<< Mi piace leggere >> constatò l’ovvio con quella affermazione.


Ripresi a curiosare sfacciatamente nella sua intimità e stavolta mi concentrai sui suoi lavori. Notai che i soggetti dipinti sulle tele erano completamente diversi da quelli fatti con l’acquerello; i primi avevano colori scuri e spenti, i tratti dei disegni erano spesso imprecisi quasi come se volesse renderli grossolani di proposito. Notai che c’era sempre lo stesso personaggio, cioè un mostriciattolo dalla testa deforme e l’espressione infelice. Gli altri invece ritraevano paesaggi che pian piano andavano sfumando in disegni astratti, erano colorati e vivi, semplicemente unici.


<< Dan, sei straordinario… io-io non ho parole! >> esclamai.


<< Grazie >> rispose timidamente, mi aveva raggiunta ma non si fermò accanto a me, piuttosto preferì rimanere fermo alle mie spalle.


<< Quello sono io >> puntò il protagonista di una delle tele.


<< Perché sei… così? >> e mi girai, sperando di non averlo offeso.


<< Perché mi sento in questo modo la maggior parte delle volte >> e abbassò lo sguardo sospirando ,<< sono una persona malinconica, Hana. Passo più tempo a rimuginare sul fatto che sono un disadattato con una visione troppo cinica della vita che a respirare >>.


Poggiò le mani sulle mie spalle per poi farmi girare, come aveva fatto qualche sera prima al Bearpit, << ma qualche volta anch’io vedo il mondo a colori e quando capita cerco di imprimerne la gioia così da ricordarla >>.


Ero senza fiato, sentivo la presenza di Daniel dietro di me ed ero tentata dal fare un passo indietro e far scontrare la mia schiena contro il suo petto. Il profumo di quella stanza, i libri, i disegni, lui mi stava dando alla testa. Era una persona così intensa e dalle emozioni profonde, solo chi aveva tanto da dire riusciva ad esprimersi in questo modo. E questa fu la conferma del fatto che Daniel era una persona completamente diversa da quello che sembrava.


<< Sai, ho scritto una cosa… non ho mai avuto il coraggio di dartela… >> il ragazzo prese a frugare in uno dei cassetti della scrivania per poi cacciare fuori il suo diario.


Lo raggiunsi pian piano ma rimasi a debita distanza quando si mise a sfogliarne le pagine. Lo sentii strappare un foglio per poi porgermelo, << non so se definirla poesia ma- >> inchiodò i suoi occhi nei miei << l’ho scritta pensando a te la sera del tuo attacco di panico >>.


Ma quel pezzo di carta non lo accettai, << voglio che sia tu a leggerla per me >>.


Daniel si grattò la nuca imbarazzato e dopo aver preso un bel respiro procedette.


<< “Proteggi te stessa, sempre, perché non ti meritano.
Proteggiti perché sei speciale, dal cuore puro e fuori dal normale
e so che ti fa male perché hai tanto da dare al mondo.
Pensi sempre il meglio degli altri
ma non pensare mai che tutti siano come te,
perché nessuno può esserlo” >>.


Tra poco il cuore mi sarebbe esploso dal petto, ero quasi certa che Daniel riuscisse a sentirne il battito tanto che era veloce. Lo raggiunsi, i miei occhi sempre fissi nei suoi, e feci scontrare le nostre mani, questo contattò mi provocò non poche farfalle nello stomaco. Sentivo la testa leggera, gli amici non si comportavano così, non si scrivevano poesie. Agganciai due dita attorno al suo indice, decisi che era arrivato il momento di essere presuntuosa e credere che quello era stato il suo modo di confessarsi.


<< E’ bellissima, la amo >> le parole mi uscirono in un sussurro.


<< Sono… sono davvero contento >> sembrava che stesse affannando.


Lui aveva scritto quelle parole pensando a me, ancora non riuscivo a farmene una ragione.


<< Ma hai sbagliato solo una cosa >> questa volta gli strinsi tutta la mano, << c’è qualcuno che mi merita >>.


Daniel inspirò profondamente per poi chiudere gli occhi, si chinò verso di me e poggiò la sua fronte contro la mia.


<< Sei sicura? >> il suo fiato mi colpì la faccia, ormai ero più rossa di un peperone.


<< Mh-mh >>.


All’improvviso si liberò dalla mia presa e al contempo fece cadere a terra il foglio di carta solo per poter prendere il mio viso fra le mani e guardarmi. Quelle iridi onice che spesso parlavano anche quando Daniel non diceva nulla ora stavano brillando. Pensai che non ci fosse cosa più bella.


Dan fece scorrere il pollice prima contro la pelle della mia guancia e poi lo passò sulle labbra. Iniziai a fare fatica a controllare il respiro. Infine, si sporse ancora di più verso di me e per qualche secondo le nostre bocche si scontrarono.


Questo bastò a mandarmi in estasi. Sentii come delle scariche elettriche attraversarmi tutto il corpo, dalla testa ai piedi per poi ricominciare il circolo.


Fu un bacio casto e fugace perché poi Daniel si staccò ed ebbi l’impressione che lo fece per vedere come stessi. Mi aggrappai alle maniche della sua felpa per fargli intendere che non mi sarei mossa da lì.


Mi baciò una seconda volta e fu molto più deciso. Venni travolta dalla morbidezza delle sue labbra che ora si muovevano velocemente sulle mie. Non sapevo bene cosa stavo facendo dato che non avevo mai baciato nessuno, ma sperai che stesse provando le stesse sensazioni che stavo provando io.


Gli cinsi la vita con le braccia e mi beai del calore di quell’abbraccio che tanto avevo desiderato. Un nuovo stormo di farfalle prese a vorticare nel mio stomaco quando Daniel mi solleticò le labbra con la lingua. Con una mano prese ad accarezzarmi i capelli, districandoli delicatamente con le dita.


Al contrario di quello che si poteva pensare, Daniel fu delicato in ogni suo movimento. Mi accarezzava gentilmente le labbra con la lingua e le sue mani erano ancora perse nella cascata di capelli. Mi persi nella dolcezza delle sue braccia che mi stringevano come se fossi la cosa più preziosa che esisteva sulla faccia della terra.


Poi si staccò ed entrambi ci guardammo come se non potevamo credere a ciò che era appena successo. Mi sentivo elettrica, eccitata, viva.


Vidi Dan spalancare gli occhi e portarsi le mani sulla bocca, << oh, cazzo >>.


E prima che potessi chiedergli cosa intendesse, la porta della sua camera venne spalancata violentemente e il nostro abbraccio si sciolse bruscamente.


<< Idiota, ti sto chiamando da mezz’ora! >> urlò Ben, << Hana! Non sapevo che ci fossi anche tu >>.


La consapevolezza del bacio mi colpì peggio di uno schiaffo. Avevo baciato un ragazzo, avevo baciato Daniel.


<< Oh, stavo giusto per andare via >> inciampai nei miei piedi e caddi rovinosamente a terra, << stavamo studiando fisica >> dissi distrattamente.


Daniel si fiondò ad aiutarmi e lessi nei suoi occhi il mio stesso imbarazzo.


Più veloce di un fulmine raccolsi tutte le mie cose, << che stupida, questo non è il mio quaderno >>.


<< Hana… >> tentò il ragazzo.


<< Io…cioè, tu… uhm noi ci vediamo al ristorante >> giuro che mi sentivo fumare anche la punta dei capelli.


<< Ciao, Ben! >> urlai, troppo forte dato che il ragazzo si trovava nel soggiorno con noi.


Io e Daniel ci guardammo di sfuggita prima che mi fiondassi fuori dal suo appartamento, la magia del nostro momento era svanita e ora c’era solo un pesante e forte disagio.




**


Ciao!


Scrivere questo capitolo non è stato affatto semplice, non ho avuto neanche un momento libero in queste due settimane e infatti ho scritto ogni qualvolta avessi cinque minuti. Devo essere sincera, avevo altre idee per il loro primo bacio, ma mentre scrivevo mi sono resa conto che si era creata l’atmosfera perfetta e quindi eccoci qui! Spero davvero che il capitolo vi piaccia.


Un bacio

 

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Capitolo 12
*** Capitolo undici ***


Capitolo undici


Baby, you're like lightning in a bottle
I can't let you go now that I got it
And all I need is to be struck
By your electric love


Hana


Sono sempre stata una persona paziente, per essere più precisi lo sono dovuta diventare. Quando la tua famiglia è grande quanto una squadra di calcio e la mattina devi aspettare anche più di un’ora per utilizzare il bagno, devi per forza abituarti a mantenere la calma. Allo stesso modo, quando trovi le tue sorelle a giocare con i tuoi trucchi e provare i tuoi vestiti prima o poi impari a farti scivolare tutto addosso.


Ma da tre giorni a questa parte non sapevo neanche più cosa fosse la pace. Ero perennemente un fascio di nervi pronta a scattare alla più piccola stupidaggine, perché? Quando il ragazzo con cui hai dato il tuo primo bacio sparisce nel nulla è un po’ difficile non farsi prendere dal nervosismo.


Mi sistemai meglio lo zaino sulla spalla e sbuffai frustrata dall’esagerato peso della borsa. Dopo essere fuggita da casa di Daniel avevo aspettato invano un suo messaggio e quando non l’ho ricevuto mi sono semplicemente consolata dicendo che tanto lo avrei visto quando sarebbe venuto a lavorare, ma una violenta tormenta di neve aveva travolto la città e reso impossibile camminare per strada.


Così gli avevo scritto io, ma non avevo ricevuto nessuna risposta. Avevo scoperto poi da mia madre che Daniel aveva davvero preso il raffreddore e non sarebbe tornato al ristorante fino a quando non si fosse rimesso. Daniel aveva chiamato il Generale e non me, non riuscivo a farmene una ragione.


Avevo pensato che forse si era offeso per come ero scappata o che addirittura si fosse pentito del bacio, ma in entrambi i casi non capivo perché non mi avesse detto niente dato che mi ero comunque fatta sentire.


Scaraventai lo zaino sulla panca degli spogliatoi della scuola sollevata di essermi tolta quel peso dalle spalle e poi indossai la tuta, non ero per niente dell’umore di seguire la lezione di educazione fisica ma non avevo scelta. Mi ero stufata di illudermi di star facendo passi avanti con Daniel per poi scoprire di essere rimasta sempre allo stesso punto dato che lui non faceva altro che allontanarsi.


Uscii dallo spogliatoio di corsa dato che ero rimasta l’unica all’interno e il professore aveva appena suonato il fischietto. Vidi i miei compagni disposti in fila sul bordo del campo da pallavolo per cui li raggiunsi e presi posto accanto a Joseph.


<< ‘Giorno, tesoro >> mi salutò il ragazzo.


Gli sorrisi per ricambiare e sperai che non si accorgesse del fatto che era palesemente un finto sorriso di cortesia. Avevo voglia di tornare a casa e non stare più a contatto con le persone fino alla fine dei miei giorni.


<< Vedo che non hai perso l’abitudine di fare tardi a lezione >> disse all’improvviso il professor Carter.


<< Mi scusi, professore >>.


Mi pietrificai sul posto perché riconobbi all’istante quella voce. Impiegai tutte le mie forze per non girarmi e fissare il ragazzo che era appena entrato in palestra.


<< Wow, sembri proprio uno straccio >> commentò Joseph rivolto alla persona che ora era in piedi di fianco a me.


<< Tu sembri un coglione, come al solito >> disse fra i denti Daniel.


Ero in mezzo a quei due e non avevo idea dove guardare o cosa fare, ero arrabbiata con Daniel ma allo stesso tempo non volevo fare la figura di chi faceva l’offesa senza poi spiegare il perché. Poi mi ricordai che il motivo era piuttosto ovvio e che se lui non l’aveva ancora capito era davvero un’idiota.


Mi limitai a lanciargli un’occhiata ma fu un grosso errore; quando incrociai i suoi occhi venni investita dalla sensazione delle sue labbra morbide che si muovevano delicatamente sulle mie, del calore del suo abbraccio e dal modo in cui mi aveva accarezzato i capelli. Nel giro di cinque secondi ero diventata un peperone.


<< Ehi >> mormorò.


Bastò quell’unica parola a farmi saltare tutti i nervi. Gli regalai il mio miglior sguardo omicida per poi rivolgere la mia attenzione al professore.


<< ..già sapete cosa fare, iniziate a palleggiare con un compagno >>.


Mike oggi non c’era ed eravamo dispari, quindi rimasi l’unica a non avere un partner. Ma la mia solitudine non durò molto perché quando Joe mi vide vagare per la palestra mi offrì gentilmente di unirmi a lui e a Daniel.


Ripensai al commento che Joseph aveva fatto sull’amico e constatai che Dan era davvero conciato male, aveva gli occhi ridotti a due fessure e contornati da delle occhiaie spaventose.


Continuai imperterrita ad evitare il suo sguardo ma dopo tre rimbalzi di palla Daniel la colpì troppo forte e mi finì dritta sulla testa.


<< Scusa! Stai bene? >> mi raggiunse con uno scatto.


<< Benissimo >> dissi fra i denti.


<< Non ho parole, sei proprio scarso >> lo prese in giro Joseph.


<< Sei sicura di non esserti fatta male? >> Daniel ignorò l’amico e si concentrò su di me.


<< Sto bene, riprendiamo a giocare >> dissi mentre recuperavo la palla dal pavimento.


Perché adesso si preoccupava per me? Perché si comportava come se non fosse successo niente? Questo era davvero troppo, non ne potevo più di essere confusa a causa sua.


Alzai la palla in aria e con un colpo secco la lanciai nella sua direzione, fortuna che Daniel lo scansò perché solo dopo aver avvertito un forte bruciore alla mano destra capii di averci messo davvero troppa forza.


Entrambi i ragazzi mi guardarono con gli occhi spalancati, probabilmente sorpresi da questa mia improvvisa potenza. A spalle basse, mi avviai a riprendere la palla che ormai era finita quasi sotto gli spalti.
<< Stupida >> mi dissi sottovoce mentre prendevo la palla.


<< Hana >> pronunciò Daniel alle mie spalle.


<< Che cosa vuoi? >> sospirai girandomi verso di lui, ma non lo lasciai rispondere che gli feci subito un’altra domanda, << Dan, ti funziona il telefono? >>.


<< Uhm… sì, ti volevo dir- >> e lo interruppi.


<< Fantastico! Quindi hai letto il mio messaggio e hai deciso di tua spontanea volontà di non rispondere >> risi sardonica per poi fare un passo e avvicinarmi a lui.


<< Possiamo parlare da un’altra parte? >> lo vidi grattarsi il retro nella nuca come era solito fare quando era nervoso.


<< No, non voglio parlare da nessuna parte con te >> sentivo il sangue ribollire nelle vene, << sei uno stronzo >> e gli lanciai di nuovo la palla.


<< Professore! Posso andare in infermeria? Non mi sento molto bene >> urlai per farmi sentire e non appena l’uomo mi diede il permesso di andare via fuggii dalla palestra.


**


Dan


Idiota, deficiente, imbecille e coglione. Questi erano solo alcuni degli appellativi che da stamattina mi ero affibbiato. Avevo la capacità di rovinare qualsiasi cosa positiva che mi capitava, tutto per colpa della mia stupida abitudine di tenermi tutto dentro.


Sei uno stronzo” era la prima volta che avevo sentito Hana imprecare e sebbene fossi rimasto ferito dalle sue parole, sapevo di meritarle.


Onestamente, dovevo ancora riprendermi dal fatto che l’avessi baciata. L’unico motivo per cui era successo era perché lei si era esposta, come d’altronde aveva sempre fatto. Sapevo che se invece non avesse fatto niente, io non mi sarei mai fatto avanti, ero davvero un codardo.


Mi strinsi nel giubbotto mentre guardavo la neve cadere delicatamente dal cielo, era un’ora che aspettavo che Hana finisse le prove con il gruppo di teatro. Avevo combinato un gran casino e ci tenevo a risolvere la situazione, non potevo rimanere un codardo per sempre.


All’improvviso vidi una macchia rossa camminare dall’altro lato della strada, mi bastarono due secondi per mettere a fuoco la persona, si trattava proprio di Hana,


<< Hana! >> alzai la voce per farmi sentire mentre attraversavo.


La ragazza si girò di scatto e quando capì chi la stava chiamando, prese a correre.


<< No! Non voglio parlare con te! >> quella ragazza era piccola ma veloce, faticavo a starle dietro.


<< Per favore! >> affannai, << fermati! >> mi ignorò e aumentò il passo.


<< Non seguirmi >> strillò girandosi per guardare se fossi ancora dietro di lei e in un battito di ciglia la vidi stesa a terra.


La raggiunsi, preoccupato dalla botta che aveva appena preso.


<< … non riesco ad alzarmi >> mormorò imbarazzata.


La aiutai a mettersi in piedi, aveva le gote rosse per il freddo e i capelli scompigliati dalla corsa appena fatta, era adorabile. Si liberò dalla mia presa come se fosse infastidita dal fatto che la stessi toccando.


<< Ora, ti prego… lascia che ti spieghi >> la implorai.


<< No, tu ora mi ascolti >> le parole le uscirono dalla bocca con un tono che non le avevo mai visto usare, << smettila di confondermi, non puoi essere carino con me un momento e cambiare umore subito dopo >>.


Fece scivolare lo zaino dalle spalle per poi poggiarlo sull’asfalto, << e soprattutto, non puoi rubarmi il primo bacio e sparire per tre giorni, non è giusto! >> aveva entrambe le mani strette in un pugno.


Mi passai le dita tra i capelli per poi tirarne le punte, le avevo rovinato il primo bacio… ero uno stupido e non c’era altro modo per descrivermi.


<< Hana, tu non hai idea di quanto mi piaci >> iniziai, << e non so come gestire questi sentimenti perché sono così forti che mi sento sopraffatto >> mi avvicinai a lei quando vidi che aveva smesso di indietreggiare.


<< So solo che quando mi sei vicino non ho più il controllo di me stesso, mi potresti chiedere di andare a fare il bagno nell’Havon in piena tormenta e ti direi comunque di sì >> le presi una mano sperando che non si ritraesse, << e ti prego, perdonami per come mi sono comportato… certe volte mi imbarazzo per nulla e sparire è l’unico modo che ho per riprendermi >>.


<< Ma mi piaci… mi piace il modo in cui ti stanno i capelli quando li leghi o come ti dona il rosso >> Hana lasciò che le tenessi anche l’altra mano, la guardai negli occhi e continuai << amo la delicatezza con cui mi parli… Hana sei così spontanea nel fare le cose che mi lasci sempre senza parole >>.


La ragazza allacciò le braccia attorno ai miei fianchi in uno scatto, per poi affondare con il viso nel mio petto, << … non dire altro o il cuore mi esploderà dal petto >>.


La strinsi a me mentre un sorriso andava a formarsi sulla mia bocca, inspirai a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli, << se non l’avessi capito, mi piaci >> ridacchiai.


<< Shh! Stai seriamente attentando alla mia vita >> e mi guardò con quei suoi occhioni capaci di farmi inebetire, << ma certe cose me le devi dire prima… così evito di chiamarti stronzo inutilmente >>.


<< Ti prometto che non succederà più >>.


<< Chiudi gli occhi >> mi ordinò e senza farmelo ripetere due volte chiusi le palpebre, rimanendo comunque abbracciato a lei.


Avvertii i suoi capelli solleticarmi il viso, per poi ricevere un leggero bacio sulle labbra. Mi sentii il viso andare a fuoco. Non le diedi neanche il tempo di allontanarsi che lambii la sua bocca e la catturai con i denti, mi era mancata da morire. Cercai di stampare nella mia mente questa sensazione per il futuro, una sorta di promemoria nel caso mi venisse di nuovo la voglia di combinare altri casini. Hana era finalmente mia, non avrei potuto chiedere di meglio.



 

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Capitolo 13
*** Capitolo dodici ***


Capitolo dodici


Dan


Vivere in Inghilterra ti insegna a sopportare l’umido, soprattutto in inverno dato che è il clima perenne. Mi ero abituato ad avere le mani ghiacciate ogni qualvolta facessi una consegna oppure ad ignorare il vento che mi tagliava la faccia, nonostante portassi poi i segni di tutto ciò.


O almeno così credevo.


Da quando avevo messo piede nella regione del Lake District, l’umidità aveva assunto tutto un altro significato. Ero coperto da strati di vestiti eppure sentivo il gelo bloccarmi le ossa. Mi fermai un momento per poi guardare dietro di me e aspettare di essere raggiunto dai miei amici. Poggiai il borsone a terra così da liberare la spalla da quell’enorme peso, giusto per qualche minuto.


Joseph oltre a portare il suo zaino dietro le spalle, aveva tra le mani anche le valigie di Angie, la quale camminava tranquillamente di fianco a lui. Ben e Lily, invece, passeggiavano mano nella mano, ignorando il peso dei bagagli e la ripidità della salita.


Hana era l’ultima, indossava un giubbotto esageratamente più grande di lei e che le impediva di muoversi con fluidità, per cui arrancava con le borse. La raggiunsi, ignorando lo sguardo di tutti i presenti.


Stavamo camminando per le strade deserte delle montagne di Keswick da un’ora, più o meno da quando il bus ci aveva mollato nel mezzo del paese con la scusa che “non ci muoviamo anche sulle montagne”.


Non sapevo come fosse possibile, ma stavo morendo di caldo e di freddo allo stesso tempo. La salita e le valigie mi avevano fatto sudare come se mi stessi allenando da ore, ma il freddo continuava a farmi asciugare il sudore sulla pelle, e di conseguenza mi penetrava dentro facendomi battere i denti.


La ragazza, appena mi vide si fermò e sbuffò, gonfiando le guance rosse e buttando fuori una piccola nuvola di condensa.


<< Non... ce la faccio… più >> si lamentò.


<< Dove cazzo è questa casa? >> domandai a colui che ora si trovava a dirigere il gruppo, e nel frattempo liberai Hana dai suoi pesi. Avrei voluto carezzarle il viso e aggiustarle i capelli dietro le orecchie, ma mi fermai dal farlo perché non eravamo soli.


<< Ehi.. che fai, lasciami portarne almeno una >> disse Hana cercando di stare al mio passo.


<< No >> risposi secco, per poi guardare Joseph. Nessuno di loro sapeva di me e Hana, entrambi eravamo ancora piuttosto… imbarazzati e senza neanche il bisogno di parlarne, avevamo deciso di tenerlo un segreto.


<< Ancora dieci minuti, forza! >> urlò il ragazzo.


Ci fu un coro di sbuffi e imprecazioni, ma tutti riprendemmo la camminata.


Era la settimana di break di dicembre, la scuola aveva deciso di farla coincidere con l’inizio delle festività natalizie, per cui eravamo ufficialmente in vacanza e Joseph aveva proposto di passare qualche giorno tutti insieme nella casa in montagna della sua famiglia. Non ero molto convinto che il cottage potesse esistere, conoscendolo anche una semplice stanza per lui era un palazzo reale.


Continuammo a salire la strada, accompagnati dalla quiete della vallata e se non fosse che avevo una voglia incredibile di prendere a calci il mio amico, mi sarei soffermato ad ammirare l’incredibile paesaggio. Infinite colline rosse e arancioni si ergevano in lontananza, gli alberi sembravano piccoli ciuffetti di broccoli visti da lontano ed erano leggermente spruzzati di bianco. La neve ricopriva a chiazze il mare d’erba e c’era un sottile strato di nebbia che pian piano risucchiava ogni cosa.


All’improvviso Joseph cambiò direzione e ci inoltrammo in una boscaglia, seguendo un piccolo sentiero sterrato e più andavamo avanti, più esso si faceva pianeggiante.


<< Joe, dillo che ci vuoi ammazzare >> sbuffò Lily, e con uno scatto si aggiustò lo zaino sulla spalla.


<< Mi offende che non abbiate fiducia in me >> il ragazzo si portò una mano al petto, fingendo un dolore al cuore.


<< Wow… i rami degli alberi sembrano dei polmoni >>.


Non fui l’unico a girarmi verso Hana, la quale al posto di guardare davanti a sé stava con la testa piegata all’insù. Non passarono neanche dieci secondi che la ragazzina inciampò in una pietra e se non ci fossi stato io a prenderla, probabilmente sarebbe finita a faccia a terra.


<< Fai attenzione >> la rimproverai mentre ancora la tenevo ferma per le braccia.


<< S-sì >> rispose imbarazzata.


<< Eccoci! >> esclamò Joseph, fermo avanti a un grosso cancello di ferro nero e sul quale era cresciuta una fitta pianta rampicante che impediva la vista di ciò che c’era all’interno.


Con la preoccupazione stampata in viso, attraversammo il cancello e in un attimo le nostre espressioni si tramutarono in sgomento. Il vialetto, ora in pietra, attraversava le siepi perfettamente curate e conduceva a un enorme villa in mattoni rossi e dal tetto spiovente.


<< Oh… mio.. dio >> commentò Angie.


<< Non ho mai visto una casa così grande >> mormorò poi il mio migliore amico.


Lily ed Hana si limitarono a rimanere in silenzio, la bocca mezza spalancata dalla sorpresa.


<< Amico… ma sei ricco… >> constatai mentre giravo su me stesso per cercare di vedere la fine della villa.


<< Se la vuoi mettere così… >> il ragazzo fece spallucce, << andiamo, i domestici ci staranno aspettando! >>.


<< Domestici? >> sbottai incredulo.


Il ragazzo ci fece strada e uno ad uno entrammo in quella reggia.


**


Conoscevo Joseph dal primo anno di liceo e avevo dato per scontato che fosse… come noi. Stokes Croft era uno dei quartieri più poveri e malfamati di Bristol, non riuscivo proprio a capire cosa ci facesse lì una famiglia benestante.


La casa contava tre bagni, più di quattro camere da letto, una soggiorno grande quanto il mio appartamento, due cucine, una sala da pranzo e una cantina che Joseph aveva trasformato nel suo rifugio. I soffitti erano alti e mantenuti da pesanti travi di ferro, inutile dire che il pavimento era ricoperto da un costosissimo parquet d’olmo.


I domestici, ancora dovevo abituarmi a questa cosa, ci avevano accolto all’ingresso e ognuno di loro ci aveva scortato alla nostra camera. Da circa due minuti, ero impalato all’entrata della stanza, intimorito dalle sue dimensioni. Il letto a due piazze occupava metà dello spazio sinistro, mentre quello destro era decorato da un camino in pietra e un piccolo divano in pelle marrone. Sotto l’enorme finestra invece era posta una cassettiera, costruita presumibilmente in un altro legno pregiato.


<< Sono di vostro gradimento? >> la voce di Joseph mi fece sobbalzare. Annuì lentamente in sua direzione quando poi Hana sbucò dalla camera affianco la mia e si precipitò nel corridoio.


<< Scherzi? E’ meravigliosa, adoro il letto a baldacchino! >> saltellò eccitata sul posto e ciò provocò una risata da parte del ragazzo.


<< Per te ho scelto la camera più bella, bambolina >> storsi il naso a quell’appellativo, mi era passato di mente che Joseph avesse una cotta per lei. Osservai i due entrare nella stanza di Hana e il loro chiacchierare divenne un sottofondo per i miei pensieri.


Tra il viaggio di notte durato cinque ore, la scalata devastante e lo shock nello scoprire che il mio amico avesse più soldi di quanti ne avrei mai potuti guadagnare nella vita, non avevo realizzato per bene ciò che stava accadendo: ero in vacanza con Hana, nessuno era a conoscenza della nostra relazione e avremmo dovuto fingere di non stare insieme, e la cosa peggiore? Ero sicuro che Joseph ci avrebbe provato spudoratamente con lei.


<< Amico, tutto ok? Non hai detto una parola da quando sei entrato >> non mi ero reso conto di avere entrambe le mani sulle tempie, << che c’è, devi fare lo stronzo e dire che la tua stanza non ti piace? >> Joe mi colpì scherzosamente la spalla, per cui cercai di dissimulare la mia preoccupazione con un sorriso.


<< Che faccia tosta a chiamarmi stronzo, ci conosciamo da sei anni e non mi hai mai detto di essere ricco! >>.


<< I miei genitori vogliono che resti umile, non ho il permesso di parlarne liberamente >> spiegò per poi poggiarsi allo stipite della mia porta, << comunque, non appena vi sarete sistemati venite in soggiorno, non avete ancora visto il pezzo forte! >> e detto ciò si allontanò, lasciando me e Hana da soli. Mi domandai cos’altro ci aspettasse, col senno di poi ci mancava solo una pista di atterraggio con tanto di jet privato.


<< Voglio vedere la tua stanza! >> Hana saltellò all’interno della camera con le mani unite dietro la schiena, finalmente non era più imbacuccata in quell’ingombrante giubbotto ma indossava un semplice maglione di lana lilla.


<< Che spettacolo >> disse sognante mentre faceva una piroetta, poi si fermò per parlare << siamo vicini >>.


Capii che alludeva alle nostre camere, per cui mi limitai ad annuire e quando vidi che anche le sue guance si colorarono di rosa, mi resi conto di non essere l’unico in imbarazzo.


<< Andiamo, ci staranno aspettando >> dissi con una scrollata di spalle.


Le nostre camere erano quelle più vicine al soggiorno che come ho detto prima, era probabilmente l’ambiente più grande di quella casa. Al centro vi era un grande divano ad L, sempre in pelle marrone, e ai lati di ogni bracciolo c’era un comodino con una lampada blu poggiata sopra. Il tavolino di pietra sembrava una roccia appena caduta dalla montagna.


Trovai Ben e Lily a riscaldarsi davanti al camino, mentre Angie osservava con attenzione l’impianto cinema attaccato al muro.


<< Hai di tutto… >> mormorò con gli occhi sgranati.


Joseph attraversò la stanza con il petto gonfio, soddisfatto di tutti i complimenti che stava ricevendo, per poi sostare avanti a una porta.


<< Le sorprese non sono ancora finite, spero che abbiate portato i costumi da bagno >> e abbassò la maniglia per rivelare la ciliegina sulla torta: una piscina scavata nella roccia racchiusa in una cupola di vetro e che affacciava sulle sponde di un lago ora ghiacciato.


<< Voglio rimanere per sempre qui >> sentenziò Lily.


<< La vacanza può avere ufficialmente inizio >> concluse sorridente il padrone di casa.




Ciao!!


Chiedo umilmente perdono per questa mia lunga assenza, tra lo studio e gli esami disastrosi è andato tutto a rotoli. Non avevo per niente ispirazione per scrivere, non ci riuscivo. Per cui ho deciso di riprendere quando sarei stata un po’ meglio.


Andando al capitolo, so che non succede molto ma è un capitolo di passaggio. Ne succederanno di tutti i colori in questa vacanza, quindi aspettatevi dei capitoli pieni in futuro! Ringrazio di cuore chi mi segue e chi segue la storia, mi sono affezionata ai due protagonisti. Entrambi esprimono una parte del mio carattere, li sento davvero miei.


Un bacio













 

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Capitolo 14
*** Capitolo tredici ***


Capitolo tredici


Hana


Attraversai il corridoio dell’immensa villa di Joseph per poi entrare in quella che sarebbe stata la mia camera per i prossimi giorni. Ero ancora incredula, non smettevo di guardarmi intorno perché una casa così grande e ben arredata non l’avevo mai vista. Il letto a baldacchino si trovava proprio di fronte la finestra, sotto la quale c’era una panca a cassetto, il posto perfetto per sedersi e ammirare la natura circostante. C’era anche un armadio, un camino in pietra e una poltroncina in pelle marrone.


Mi sedetti sopra il morbido materasso per poi accarezzarne la coperta, il colletto del maglione stava iniziando a starmi stretto per cui decisi di cambiarmi. La temperatura interna era abbastanza calda da permettermi di indossare una maglietta a mezza manica e un pantalone di tuta. Percorsi nuovamente il corridoio e passai avanti la stanza di Dan, mentre raggiungevo il soggiorno non potei fare a meno di arrossire. Non riuscivo ancora ad abituarmi al fatto che lo avrei avuto così vicino per questi giorni.


In soggiorno non trovai nessuno, ma gli schiamazzi che provenivano dalla piscina mi confermarono che si trovavano tutti lì. Aprii timidamente la porta per poi avanzare nella cupola di vetro e sedermi su una delle sdraio a bordo piscina. Joseph era in procinto di fare un tuffo ma venne spinto da Daniel, per cui il ragazzo finì rovinosamente in acqua, mentre Ben e Lily stavano giocando a chi affogava prima l’altro, Angie bagnava solo le gambe.


<< Hana, sei qui! >> urlò contenta la mia migliore amica.


Daniel fece saettare gli occhi su di me, anche lui non era in acqua.


<< Ma perché non hai il costume? >> domandò Joe piuttosto sorpreso.


Mi grattai la nuca, << oh, preferisco non bagnarmi … >> iniziai, incastrando i miei occhi in quelli felini del ragazzo dall’altro lato della piscina, << non so nuotare >>.


<< Ti insegnerò io! >> continuò con fierezza il ragazzo.


Avvertii le mie guance infiammarsi, era una cosa di cui mi vergognavo molto. Angie osservò entrambi per poi alzarsi ed entrare nel campo visivo di Daniel. Il suo bikini viola stringeva perfettamente ogni punto del suo corpo, rendendo in particolare il sedere pieno e il seno più alto. Quelle forme me le potevo solo sognare. Mi sentii ancora più insulsa del solito.


Non mi sfuggì il ghigno che mi rivolse prima di parlare, << sei seduta sul mio asciugamano >> e posso assicurarvi che fu piuttosto antipatica.


<< S-scusami >> farfugliai per poi alzarmi.


Ovviamente il mio primo istinto è sempre quello di chiedere scusa, mi maledii mentalmente per non averle risposto male. Inconsciamente riportai lo sguardo su Dan per controllare se la stesse fissando ma lo trovai a guardare me.


<< Cosa trovi di tanto divertente? >> tuonò Lily, non mi ero neanche resa conto che fosse uscita dall’acqua.


Con poche falcate raggiunse Angie e dal tono di voce che aveva usato, potei capire che la situazione stava per prendere una brutta piega.


<< Dici a me? >> la riccia strabuzzò gli occhi, forse fingeva, forse no.


<< Non ho visto nessun altro che rideva, a parte te >> continuò la mia migliore amica, la vena che di solito le pulsava in fronte quando si arrabbiava sporgeva sulla sua pelle chiara.


<< Dai ragazze, non litigate! >> urlò Joe mentre continuava a galleggiare in acqua.


<< Lily… >> pronunciò Ben alle spalle della sua ragazza.


<< Non stavo ridendo >> Angie la provocò con un sorrisetto sardonico per poi aggiustarsi i capelli dietro le spalle.


<< Lily, lascia perdere per favore >> mi intromisi tra le due, supplicandola con gli occhi.


<< Vedi? Non è successo niente >> disse la riccia con un gesto della mano, quasi a voler scacciare entrambe.


Le spalle della mia amica si rilassarono al tocco del suo fidanzato e proprio quando l’avevamo convinta ad allontanarsi, Angie decise di lasciare un ultimo commento.


<< Infondo, non è colpa sua se non sa nuotare >> e questa volta rise in faccia ad entrambe.


Successe tutto in un attimo, Lily che carica come un toro e si scaglia su Angie, io e Ben che cerchiamo di dividerle e Ben che mi finisce addosso per colpa di una spinta involontaria. Se non ci fosse stata la piscina non sarei inciampata sul bordo e quindi caduta in acqua. Invece mi ritrovavo ad annaspare convulsamente, avvolta nei miei stessi capelli che mi facevano da cappio, cercando di ritornare in superficie. Ero terrorizzata, sentivo il corpo farsi sempre più pesante e continuavo ad ingerire acqua.


Qualcuno mi prese per le ascelle e mi aiutò a risalire. Avevo ancora gli occhi chiusi e i capelli attaccati al viso, mi aggrappai al bordo per poi iniziare a tossire fino a farmi venire i conati.


<< Oddio Hana stai bene? >> capii che era stato Joseph a salvarmi, il ragazzo mi spostò delle ciocche che erano finite vicino alla bocca.


Annuii continuando a tossire, gli occhi mi bruciavano ma provai ad aprirli. Notai Daniel che stava sbracciando per raggiungermi, evidentemente si era buttato anche lui ma non aveva fatto in tempo.


<< Mi dispiace Hana, non volevo! >> la voce di Ben mi arrivò ovattata alle orecchie.


<< Non… ti preoccupare >> affannai mentre cercavo di riprendere fiato.


<< Se solo non avessi fatto la pazza, la tua amica non avrebbe rischiato di annegare! >> trillò insopportabile Angie.


<< Hana… come ti senti? >> mi ritrovai Daniel pericolosamente vicino per cui il mio cervello smise di funzionare e la mano mi scivolò, finii di nuovo sott’acqua.


<< Guarda che se non la finisci ti faccio rotolare giù per tutta la collina a suon di calci >> fu la prima cosa che sentii quando ritornai in superficie.


<< Siete due stupide! >> il rimprovero di Daniel zittì tutti i presenti.


Mi alzai una volta per tutte con l’aiuto di Joe, << vi prego.. basta >> conclusi, sfinita da quei minuti di puro caos.


Notai la punta delle orecchie di Dan farsi bordeaux e solo quando seguii lo sguardo di Angie capii il perché: avevo la t-shirt appiccicata addosso ed era ormai diventata un velo trasparente che lasciava intravedere il mio imbarazzante reggiseno rosa.


Mi coprii il petto di scatto, rossa di vergogna, << vado..vado ad asciugarmi >> e scappai via.


**


Dan


Avvicinai la lattina di birra alle labbra per poter prenderne un sorso ma mi fermai a mezz’aria perché nel mio cervello tornò vivida la scena di oggi pomeriggio.


Joseph che solleva Hana, l’abbracciava a sé e la accompagnava a bordo piscina. Joseph che le accarezzava il viso. Joseph che le stringeva la vita, che la toccava. E il colpo di grazia, lei sotto gli occhi di tutti con la maglia che non lasciava niente all’immaginazione. Era un loop infinito.


Poggiai la lattina sul marmo e la strinsi, ero uno stupido. Ero geloso marcio di un mio amico che l’aveva semplicemente salvata, sarei dovuto stare io al suo posto ma purtroppo sono un povero idiota lento. Sospirai, grattandomi gli occhi con i palmi delle mani.


<< Ehi, che succede Dan? >> mi girai di scatto verso Ben, rischiando di far cadere la birra sulla penisola.


<< Cosa? Niente! >> dissi, troppo velocemente.


Il ragazzo attraversò la cucina, la macchina fotografica appesa al collo, e si posizionò di fronte a me. << Stai da schifo >> sentenziò.


<< Mi fanno sempre commuovere i tuoi complimenti >> dissi con un finto sorriso, la mia attenzione venne catturata da ciò che stava succedendo nel soggiorno.


Hana seduta a gambe incrociate sul divano e Joe che faceva uno dei suoi teatrini per mettere in mostra i suoi muscoli.


<< Joe mi ha detto che a fine vacanza le chiederà di uscire >> pronunciò serio il mio migliore amico, la mia lattina ora ce l’aveva lui.


Spalancai gli occhi, << ma cosa stai dicendo? >>.


Solo dopo aver fatto un lungo sorso, il ragazzo continuò, << dico sul serio! Vuole usare questi giorni per conquistarla >>.


Non era possibile, cosa sarebbe successo se si fosse dichiarato? Joe ci sapeva fare con le ragazze, era molto più bello e affascinante di me. Me l’avrebbe potuta portare via in un batter d’occhio, anzi, probabilmente già ci era riuscito dato che al momento Hana sghignazzava come non l’avevo mai sentita fare.


Dovevo avere un’espressione piuttosto buffa, perché Ben mi scoppiò a ridere in faccia e quasi aveva le lacrime agli occhi.


<< Non ce la faccio… avresti dovuto vedere la tua faccia… >> e continuò ilare.


<< Mi hai proprio rotto le palle >> sbottai innervosito dalla sua palese presa in giro.


Si portò una mano sulla pancia e le sue risa diminuirono, << Joe non mi ha detto niente, mi sono inventato tutto >>.


Lo fissai truce, sperando di poterlo incenerire con gli occhi, << per quale assurdo motivo hai fatto una cosa del genere? >>.


Incrociò le braccia al petto e mi guardò con le sopracciglia alzate, << mi volevo vendicare >> si sporse verso di me, << non mi hai detto di stare con Hana! >>.


Scavai nel mio cervello alla ricerca di qualcosa da dire ma era come se ogni mio pensiero si fosse volatilizzato, non c’era più niente. Mi limitai a ridere nervosamente, fu l’unica cosa che riuscii a fare.


<< E prima che tu mi chieda come faccio a saperlo, pensi che io e Lily siamo degli stupidi? >> quindi lo sapeva anche lei.


<< Non capisco … >> balbettai.


<< Ci siamo accorti che ti piaceva dal momento in cui l’hai incontrata, eri molto più stupido quando c’era lei nei paraggi. Poi c’è stato quel momento a casa tua, quando sono entrato nella tua stanza ed eravate vicini. E infine poco fa, quando stavi avendo una crisi esistenziale al solo pensiero che Joe potesse provarci con lei >> spiegò Ben con la stesso tono di chi aveva appena svelato uno dei misteri dell’universo.


Mi premetti il ponte del naso con due dita e poi chiusi gli occhi, << era così ovvio? >>.


<< Pfft, vi manca poco per guardarvi con gli occhi a cuoricino >>.


Sorrisi alla sua affermazione e all’improvviso sentii le spalle leggere, mi ero tolto un piccolo peso da dosso.


<< Ma sono molto contento… sembri molto più sereno, ora >> aggiunse.


<< Non so neanche quando sia successo, non ho capito più niente da un giorno all’altro >>.


Il ragazzo mi aveva raggiunto e ora stava in piedi al mio fianco, e mi diede un piccolo schiaffo dietro la nuca, << benvenuto nel mio mondo >>.

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Ciao!

Ho diviso il capitolo a metà perchè mi era venuto eccessivamente lungo.
Preparatevi agli stormi di farfalle nello stomaco, il prossimo ne sarà pieno!

 

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