Il talento da solo non basta

di lunatica91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # Sorpresa ***
Capitolo 2: *** # Fallimento ***
Capitolo 3: *** # Accettazione ***
Capitolo 4: *** # Noi ***



Capitolo 1
*** # Sorpresa ***


Salve a tutti! Eccomi qua con un'altra storia su Encanto. Ammetto che il rapporto tra i tre gemelli mi ha incuriosita tanto, quindi mi sono sbizzarrita ad immaginarmeli da bimbi e da adulti. Qui si vedrà il loro rapporto con i loro doni, come è nato e si è sviluppato nel tempo. Ogni capitolo tratterà un momento importante riguardo il loro Talento e come l'hanno vissuto. Spero vi piaccia e ogni critica o consiglio è bene accetto. Buona lettura ^^



#Sorpresa


La prima ad aprire la porta fu Julieta. Non perché fosse la più coraggiosa o la più grande dei tre. Semplicemente, la madre la mise di fronte a quella nuova porta e la guardò fieramente, quasi con orgoglio; in che modo dirle che era spaventata a morte e che avrebbe preferito non fare assolutamente nulla? A lei piacevano le cose come stavano: le piaceva casita e le piaceva l'Encanto esattamente così com'erano.
Ma Julieta era sempre tanto brava, sempre tanto buona, ascoltava sempre la sua mamà quando le diceva di fare qualcosa, non si lamentava mai, la piccola Julieta. E così fu anche quella volta.
Si asciugò le manine sudate sul vestito candido e, incerta, tese il braccio verso il pomello dorato. La porta prese a brillare intensamente di luce propria mentre la fiamma della candela magica scoppiettava con vivo entusiasmo. Un disegno iniziò ad apparire piano piano sulla porta: era lei, o almeno credeva, e tutt'attorno si intrecciavano erbe varie, foglie, fiori, rampicanti che le facevano da cornice, infine in mano portava ciotole ed erbe come fosse stata un'erborista.
Julieta guardò interrogativa la madre, altrettanto confusa.

-Forse ti farà vedere cosa diventerai da grande? - disse la voce acuta di Pepa.

Julieta fissò curiosamente la porta. In effetti le erano sempre piaciute le piante e i fiori, come anche cucinare insieme a mamà, e cercava sempre di aiutare gli altri quando si facevano male. Pepa poteva avere ragione.

-Apri la porta, mi querida.- la spronò la madre.

Julieta rimase basita davanti a quello che trovò: un'enorme stanza colma di tavoli, vasi in fiore, alambicchi, liquidi e polveri di svariati colori. In mezzo troneggiava un immenso letto a baldacchino dai tenui colori azzurri e lilla.
Sia Pepa che Bruno furono subito esaltati da quello che aveva ricevuto la sorella e, quasi all'unisono, pregarono la madre di fargli aprire al più presto anche le loro porte. Julieta non potè che essere totalmente d'accordo.


+ * + * +



Pepa fu la seconda ad aprire la porta. Al contrario della sorella, lei si fiondò a capofitto verso l'uscio e si lasciò travolgere dalla luce forte e ardente. Questa volta l'immagine che si formò mostrava Pepa, i capelli ricci raccolti in una coda, e tutt'attorno un cielo ricco di movimento: nuvole, sole, pioggia e fulmini.
Pepa, piena di aspettative, saltellò contenta e avanzò decisa per aprire la porta.

-Pepa...-

La bimba si bloccò, la mano a mezz'aria, mentre si voltava verso la mamma ed i fratelli che la guardavano a bocca spalancata.

-Cosa...?-

Pepa, senza pensarci, si guardò sopra la testa e vide un bellissimo e vivido arcobaleno sovrastare la sua testa. Rimase anche lei sconvolta dalla scoperta, talmente sconvolta che vide subito sparire i vivaci colori, nascosti da un'improvvisa nuvola. Appena la vide formarsi sopra la propria testa provò a toccarla. Quella si dissolse subito e al suo posto comparve una tenue luce rossastra che baciò con calore i riflessi ramati dei capelli. Pepa guardò elettrizzata i fratelli e la mamma.

-Forza! Apri anche tu la porta!- la spronò Bruno.

La bimba si fiondò dentro la stanza. Questa era più piccola di quella della sorella, ma con colori più caldi e tonalità accese. Anche qui al centro si trovava un sontuoso letto a baldacchino, mentre tutt'attorno vi erano specchi e pareti che simulavano paesaggi diversi. Pepa si lasciò cadere con gioia sopra il morbido materasso pensando di essere in un bellissimo sogno da cui non voleva più svegliarsi.




+ * + * +



L'ultimo fu Bruno. Per quanto anche lui non vedesse l'ora di aprire la sua porta, guardava adesso un po' timoroso quel pomello che sembrava fissarlo a sua volta. Che dono gli sarebbe capitato? E se non gli fosse piaciuto? E se poi non lo sapeva usare?
Strinse la gonna della madre per farsi coraggio. Sentì la mano calda e rassicurante della sua mamà spronarlo a fare come le sorelle e, con rinnovato coraggio, si accinse a toccare anche lui la porta.
Anche la sua si illuminò e vide la sua immagine disegnata fissarlo serio, quasi con austerità.
Non se ne accorse subito di quello che accadde. Vide chiaramente la sua stanza: una stanza circolare, dal soffitto alto e dai grandi spazi aperti. Al centro vi era però una bellissima amaca e un tavolo enorme colmo di carta e penna.

-La mia stanza ha un'amaca!- esclamò estasiato Bruno cercando di saltarci sopra, ma tutto ciò che sentì fu la dura porta ancora chiusa.

Bruno si voltò confuso verso la madre e le sorelle.

-Ma tu non hai aperto la porta...- disse Julieta corrucciata -Non puoi sapere che ci sarà un'amaca!-

-Ma io l'ho vista!- esclamò Bruno accigliato -e c'è anche un tavolo enorme! E un soffitto altissimo!-

La madre aprì la porta e, con sguardo stupito, si rese conto della verità delle parole del figlio.
Bruno si lanciò trionfante sull'amaca tanto decantata.

-Ve l'avevo detto!- e fece una linguaccia alle sorelle che ricambiarono poco dopo, trattenendo un risolino divertito.

-Bruno, in che senso l'hai “visto”?-

Il bambino sembrò pensarci un attimo.

-Non lo so... pensavo di essere entrato e di averla vista.-

E poi accadde di nuovo, inaspettato, proprio come prima. Vide di essere in cucina, con sua mamma e le sorelle, e sopra il tavolo troneggiava una bellissima torta di frutta con cinque candeline sopra.
Ora sua madre gliene stava porgendo una fetta e lui tese la mano, pronto ad assaggiare quella bontà.

-Bruno...?-

Il bambino sbattè gli occhi e si accorse di essere ancora nella sua stanza, sull'amaca, il braccio teso verso la madre, che lo fissava leggermente preoccupata.

-Bruno, stai bene?- chiese Julieta avvicinandosi al fratellino -Avevi gli occhi strani...-

Lui abbassò il braccio e, senza potersi trattenere, chiese subito concitato: -Mamà, hai preparato una torta di frutta? Quando la mangiamo?-

Era sicuro di averla vista, ma era anche sicuro di volerla tantissimo una torta di compleanno. Forse il suo dono era esaudire ogni suo desiderio?
La madre lo fissò esterrefatta, ma il suo tono cambiò repentinamente.

-Brunito, sai dirmi che frutta c'era nella torta?-

Il piccolo si concentrò per ricordare.

-Mmm... papaya, mango e... piña?-

Sperò di averle indovinate, perché altrimenti il suo dono non sarebbe stato esaudire i suoi desideri.
La mamma rimase a bocca aperta e Bruno esultò dalla gioia.

-Il mio dono esaudisce i miei desideri!-

-Ma come ha fatto?!- fece Pepa arrabbiata -Ha sbirciato in cucina! Lo sai che la mamma non vuole!-

Ma la madre fermò subito la rabbia della sorellina.

-No, Pepita, la torta non è in cucina. La sta ancora preparando Josè, al forno giù in paese.-

Ora Bruno non capiva. Quindi non si era esaudito un suo desiderio perché la mamma aveva già pensato alla torta.

-Ma allora, qual è il mio dono?- chiese con voce lamentosa.

Fu Julieta, ancora accanto a lui, a rispondere: -Ma se la torta non è pronta, vuol dire che hai visto il futuro?-

Tutti gli occhi erano puntati su di lui.
Era possibile?
Bruno fissò la madre, chiedendo con lo sguardo una risposta e il sorriso che gli rivolse fu meglio di mille parole.

-Posso vedere nel futuro!- esultò il bambino saltellando giù dall'amaca e abbracciando Julieta lì accanto.
Doveva essere bello avere una camera enorme come Julieta, piena di cose per fare esperimenti. Come doveva essere bellissimo comandare il tempo come Pepa, come già stava facendo con quella bellissima nuvola sopra la sua testa. Ma il suo dono li superava tutti! Poteva vedere il futuro! Non ci poteva essere una cosa più bella. Forse solo la torta di frutta.




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Capitolo 2
*** # Fallimento ***


Salve a tutti! Eccomi qua con il secondo capitolo. Questa volta si parlerà dei primi grandi fallimenti che hanno provato i tre fratelli riguardo i loro talenti e come li hanno affrontati. Più o meno mi sono immaginata che avessero circa 10/11 anni.
Buona lettura!




#FALLIMENTO



Julieta fissava la sua porta con sguardo vuoto. Sperava che almeno guardare la sua immagine serena e pacata brillare di fronte a lei l'avrebbe aiutata a calmarsi, o per lo meno a capire, a comprendere. Ma era tutto inutile. Non c'era niente da capire.
Com'era potuto succedere? Cosa aveva sbagliato? Aveva sicuramente sbagliato qualcosa, d'altronde le sue arepas avevano sempre funzionato. Perché proprio questa volta no? Perché il suo cibo non aveva risolto tutto come sempre?!
Era troppo sconvolta anche per piangere, anche se sentiva di averne tanto bisogno. Le sembrava di essere ancora lì, di fronte al letto di abuela Lolita. Anche se non era davvero la sua nonna, le voleva bene come se lo fosse. Non poteva essere... non poteva davvero...

-Julieta...-

La bambina si voltò e corse ad abbracciare forte la sua mamma.
L'abbraccio caldo e forte della madre la rassicurò per un momento, un momento in cui sperò di svegliarsi da un brutto sogno. Calde lacrime iniziarono finalmente a sgorgare dai suoi occhi e Julieta le lasciò andare, come un fiume in piena.

-È tutta colpa mia...- singhiozzò inconsolabile – è colpa mia se abuela Lolita è... è...-

-No, mi querida, non dire così.-

Julieta intravide tra le lacrime il viso della madre abbassarsi per guardarla in faccia.

-Juli, non è come dici tu. Purtroppo non è possibile aiutare tutti e abuela Lolita era tanto anziana e tanto malata...-

-M-ma... ma io le h-ho dato le mie arepas...- provò a ribattere la bambina continuando a piangere -Hanno sempre fu-unzionato, perché oggi no? Cosa h-ho fatto di sbagliato?-

-Nulla, hai fatto tutto ciò che potevi. Ma Julieta, non puoi impedire che le persone muoiano... Fa parte della vita.-

Ma Julieta non si dava pace. Le parole dolci della madre non riuscivano proprio a consolarla e continuò semplicemente a piangere, continuando a chiedersi: e se avesse fatto un'altra ricetta? E se avesse potuto fargli mangiare qualcosa prima? E se fosse capitato di nuovo? E se...


+ * + * +




Pepa fissava ormai da ore la nuvola sopra la sua testa. Era di medie dimensioni, grigio chiaro, non sembrava umida di pioggia, stava solo lì e le teneva ombra. Stava lì da due giorni ormai. Non si era spostata, non era mutata in un temporale o in un arcobaleno. Stava semplicemente lì. Solo che non doveva stare lì, ma ci stava lo stesso.
Le avevano chiesto del vento una settimana fa. Quella nuvola aveva fatto del vento? No, aveva deciso però di fare della grandine che aveva rovinato parte del raccolto.
Allora le avevano chiesto del sole. Era semplice, no? E invece era arrivata della neve. E dell'altro raccolto rovinato.
Ora le stavano chiedendo della pioggia. La pioggia, la cosa che le veniva più facile in assoluto. Non faceva altro che piovere sulla sua testa da quando aveva ricevuto il suo talento! Tranne in quell'occasione, proprio quando gliel'avevano chiesto. Quella dannata nuvola non voleva far piovere. La prendeva in giro, standosene lì e basta.
Ma questa volta non gliel'avrebbe data vinta, e no! Questa volta avrebbe fatto piovere. Sarebbe rimasta lì in mezzo al campo tutto il giorno, anche tutta la notte se necessario. Ma avrebbe fatto piovere, come le avevano chiesto.

-Pepa!-

All'improvviso da dietro ai lunghi steli di mais, apparve Bruno, il viso rosso di chi ha fatto una gran corsa o ha riso troppo.

-Vuoi giocare con noi ad acchiapparella?-

Pepa sbuffò, concentrata ancora sulla sua nuvola.

-Non posso, devo far piovere. Va via!-

Bruno si fermò un attimo a riprendere fiato e nel mentre fissava la nuvola grigio perla sulla testa della sorella.

-Non ci stai riuscendo molto bene.-

Pepa lo fulminò con lo sguardo.

-Ci sto provando! Cosa vuoi? Sei venuto a prendermi in giro?!-

-Non ho detto questo, ma magari se ti fermi un attimo poi dopo farai piovere.-

-Che ne sai, eh?! Lo hai visto? Hai visto che non farò piovere?-

-Ma io non...-

-Se non lo sai, perché parli?! Lasciami in pace invece di darmi fastidio!-

Il grido di Pepa venne coperto dal suono di un potente tuono.
Bruno sorrise raggiante.

-Ehi, ce l'hai fatta!-

-NO!- urlò Pepa cercando di scacciare l'ennesima nuvola sbagliata che, sfortunatamente, si stava ingrandendo sempre di più.
Bruno la guardò spaventato.

-Questo è un temporale! E i temporali rovinano i raccolti. Mi avevano chiesto della pioggia! È tutta colpa tua, Bruno! Vattene via!- tuonò Pepa.

Il fratello, senza dire una parola, corse via.
Già, era tutta colpa sua, si disse decisa. Non sarebbe dovuto venire a infastidirla. Stava cercando di far piovere. Lei era bravissima a far piovere. Solo che era arrivato Bruno e aveva rovinato tutto. Non era stata colpa sua.




+ * + * +




-Bruno, esci!-

-No...-

-Non lo voglio ripetere ancora, esci!-

-Ho detto di no...-

Non sarebbe uscito. No no, stava bene in camera sua. Non voleva uscire.
Tremò dentro la sua amaca all'idea di affrontare sua mamma. Ogni secondo che passava la sentiva sempre più furiosa, mentre bussava impaziente alla sua porta.

-Sto perdendo la pazienza. Vedi di uscire.-

Nessuna risposta.
Ecco sì, avrebbe fatto finta di essersi addormentato. Avrebbe fatto finta di non sentire. Tanto non sarebbe uscito. No no.

-BRUNO!-

Bruno sobbalzò e, per l'ennesima volta quel giorno, gli apparve una visione e vide qualcosa che non voleva vedere. Questa volta si trattava del piccolo Damian: era cresciuto un po', ma comunque non avrebbe dovuto cercare di salire sulla credenza. È ovvio che poi cadi e ti fai male.

-Bruno, è l'ultimo avvertimento. Se non esci dalla tua stanza, sta sera non mangi.-

Ancora nessuna risposta. Preferiva non mangiare anziché affrontare sua mamma arrabbiata.
La sentì provare nuovamente ad entrare, ma la porta rimase bloccata, proprio come prima. Sospirò sollevato.

-Molto bene.- dichiarò la madre, glaciale -Ma non credere che sia finita qui. Dopo parleremo di quello che hai fatto.-

Il suono secco e veloce dei passi di sua madre scemò velocemente e Bruno si ritrovò da solo, nella sua stanza, accoccolato nella sua amaca.
Dal fondo di una sua tasca sbucò il musetto peloso di Gris. Il topino zampettò fin sul suo petto e rimase a fissarlo, quasi a chiedergli cos'era successo. Bruno lo accarezzò piano, ripensando a ciò che era successo quel pomeriggio.
Non l'aveva fatto apposta... Gli avevano chiesto una visione, come sempre, e lui l'aveva fatta. Non era colpa sua se non era piaciuto quello che aveva visto.
Ultimamente non piacevano più le sue visioni... e dire che all'inizio si divertiva talmente tanto ed erano tutti così contenti!
Gli era piaciuto dire quanto raccolto ci sarebbe stato durante l'anno, o anche giocare con gli amici e le sorelle a nascondino e scoprire prima di tutti gli altri dove si erano nascosti. Gli era piaciuto dire quanti cuccioli avrebbe partorito la gatta del falegname. E poi che festa quando aveva avvertito il villaggio che sarebbe arrivato un giaguaro ma che sarebbero riusciti a catturarlo!
Solo che, da un po' di tempo, vedeva solo cose brutte: amici che si facevano male, animaletti che morivano, persone che si lasciavano...
E dire che si stava impegnando tanto; con la sua mamà avevano trovato tutto un rituale per riuscire a concentrarsi meglio durante le visioni, così da non fargli più venire quei terribili mal di testa. E che forza quella lastra di smeraldo che veniva fuori! Ma i suoi sforzi sembravano non interessare a nessuno...
Il suo talento iniziava a non piacergli più tanto come prima e, qualche volta, sperava di poterlo cambiare. Chissà se era possibile?
La pancia brontolò sonoramente e Bruno, con un profondo sospiro, si decise ad affrontare la cena. Fece scivolare nuovamente Gris nella tasca, e sperò che nessuno si sarebbe arrabbiato per averlo voluto portare con sé: di solito lo lasciava in camera e poi gli portava un arepas avanzata, ma oggi sentiva il bisogno di avere il suo compagno a fianco.
Uscì dalla sua stanza sovrappensiero ma rischiò di cadere goffamente per terra. Si voltò confuso e si trovò a fissare un gradino di fronte all'uscio. Era sempre stato lì?
Fece spallucce non preoccupandosene e, con uno sguardo funereo, scese in cucina.




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Capitolo 3
*** # Accettazione ***


Salve di nuovo! Questa volta il capitolo è arrivato subito ^^
Questa volta si parlerà dell'accettazione del proprio talento. Ammetto che questo capitolo mi ha rattristata un po', ma in genere i tre gemelli mi danno sempre questa sensazione di hurt/comfort continuo.
Questa volta mi immagino che abbiano circa sui vent'anni.
Buona lettura!




# ACCETTAZIONE


Julieta aveva accettato quasi subito il suo talento. Non era un talento difficile da accettare, dopotutto: guarire con il cibo è quasi impossibile da sbagliare. Sapeva che c'erano delle eccezioni, come in tutto nella vita, ma in fin dei conti si era sempre sentita fortunata di quel dono. Amava cucinare e amava vedere star bene le persone che le erano vicine. Soprattutto i suoi fratelli.
Loro non sempre riuscivano a vivere serenamente il loro talento; anche adesso che erano ormai adulti vivevano con l'ansia di sbagliare e di deludere tutti.
No, Julieta non l'avrebbero mai delusa, glielo diceva sempre: potevano entrare nella sua stanza ad ogni ora del giorno o della notte, potevano disturbarla in ogni momento, lei ci sarebbe stata. Ed era successo.
Pepa una notte aveva svegliato l'intero villaggio con un enorme tuono, a causa di un incubo. Allora si era rintanata in camera di Julieta per paura che mamà la sgridasse. Non l'aveva fatto apposta, Julieta lo aveva capito subito: sognare che l'amore della tua vita ti lasci per sempre spaventerebbe chiunque. Forse anche mamà avrebbe capito, ma da dietro la porta avevano sentito che era troppo arrabbiata per ascoltare. Durante quella sera, Julieta scoprì che a Pepa bastava una bella tazza di caffè speziato per rilassarsi. E Julieta preparò quella miscela solo per lei. E fu tanto felice di vederla serena.
Bruno per un periodo venne molto spesso a rintanarsi in camera sua: i motivi erano svariati, ma in genere era qualche visione mal interpretata o qualcosa che a mamà non andava bene.
Ricordava che per un po' di tempo Bruno aveva provato a recitare nella taverna del villaggio. Era particolarmente allegro in quel periodo. Ma quando mamà lo aveva scoperto, aveva impedito che continuasse. Diceva che non era utile alla comunità come predire il futuro. E Bruno si era chiuso in camera per una settimana ed erano apparsi ben tre gradini davanti alla sua porta. Fu in quell'occasione che Julieta scoprì che a Bruno piacevano le tisane: le sue preferite erano quelle alla menta e pepe rosa. E ne lasciò sempre una scatola in cucina ogni volta che ne avesse avuto bisogno. E fu tanto felice di vederlo sereno.
In realtà sapeva che anche mamà era spesso triste e agitata: cercare di fare sempre tutti contenti non doveva essere semplice. Così si accorse che a lei piaceva tantissimo la cioccolata; cominciò a lasciare piccoli cioccolatini in giro per casa, soprattutto quando era molto tesa. Se mamà era contenta, anche loro potevano respirare un po'. E poi era bello vederla felice.
Julieta sapeva che avrebbe potuto fare di più, ma il suo talento era quello: donare felicità con il cibo. Avrebbe voluto essere più decisa come Pepa e fare fuoco e fiamme quando qualcosa non le andava bene; invece preparava ali di pollo piccanti. Oppure avrebbe voluto parlare in modo forbito e acuto come Bruno, così da farsi capire meglio; e invece cucinava arepas di tutti i gusti possibili.
Infondo il suo talento era stato sempre facile da accettare, forse troppo.


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Pepa si era ormai abituata a pensare di essere “troppo”: troppo eccentrica nel modo di vestire; troppo volubile riguardo il suo umore; troppo permalosa quando qualcosa non le andava bene; troppo malinconica quando non era giornata.
E il suo talento faceva parte di questo “troppo”, come sua madre le ricordava costantemente: “Pepa, hai una nuvola!”, “Pepa, smetti di far piovere.”, “Pepa, non tuonare, non sta bene.”, “Pepa, calmati!”.
Quindi si era convinta di essere troppo: troppo audace, troppo triste, troppo agitata, troppo felice. Troppo in tutto.
Poi era arrivato Fèlix. Lui le aveva mostrato un'altra se stessa, le aveva fatto capire di non essere quella nube di ansie come veniva dipinta da sua madre, ma di essere molto di più. E non troppo.
Anche Julieta e Bruno l'avevano sempre supportata e consolata, infondo erano tutti sulla stessa barca. Ma con Fèlix era stato... diverso. Con lui si sentiva sempre se stessa: sia che ci fossero sole, neve, pioggia, addirittura grandine, Fèlix le rivolgeva sempre uno sguardo sognante, quasi in adorazione. E lei era assuefatta da quello sguardo. La faceva sentire speciale e perfetta. Così com'era. Bastava che ci fosse lui al suo fianco e tutto si calmava.
Le prime volte che erano usciti assieme, ricordava di essersi trattenuta talmente tanto che, a metà di un appuntamento, scoppiò un enorme tempesta. Lei se ne vergognò a tal punto che cercò di fuggire verso casa, scusandosi per l'inconveniente. Fèlix, invece, la spiazzò con una semplice frase.

-Pepa, non ti rendi conto di quanto tu sia speciale. Sei così concentrata sul far sparire le nuvole, da non vedere quanti arcobaleni in una sera tu sia riuscita a creare.-

E niente, se n'era innamorata, perdutamente. E con Fèlix, in un qualche strano modo, aveva persino finito per trovare simpatico il suo talento. Se a Fèlix piaceva allora doveva per forza essere un bel talento, no?





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Capitolo 4
*** # Noi ***


Salve a tutti! Eccomi qua con l'ultimo capitolo di questa raccolta. A fondo pagina le note e i ringraziamenti.
Vi auguro una buona lettura! ^^






# NOI


Nessuno dei tre riuscì a dormire quella notte. Erano stanchi, scossi dagli eventi di quei due giorni, affaticati dai lavori. Ma quella sera i pensieri erano troppi. O forse, dopo tanti anni, avevano solo bisogno di stare nuovamente assieme. Da soli.
Pepa e Julieta diedero un fugace sguardo alle rispettive famiglie, addormentate alla meglio vicino alle macerie di casita, prima di avviarsi verso la solita palma sotto cui giocavano da bambini.
Bruno era già lì, come ad attenderle. Era ancora strano vederlo e sapere che era reale, che non sarebbe svanito nel nulla, di nuovo...

-Ahi!-

Bruno non fu abbastanza veloce da evitare un sasso colpirlo al braccio. E dire che una volta era bravissimo a schivare i tiri mancini della sorella.

-Pepa!-

La voce di Julieta provò a rimproverarla, ma il tono era alquanto divertito.

-Volevo solo vedere se era reale, per essere sicura.- ribatté Pepa col naso per aria -E poi se lo merita!-

Pepa lanciò un'occhiataccia al fratello, ancora seduto sotto all'albero. Bruno parve guardare in alto, tra le fronde della palma, e si intravide fuori uscire un sorrisetto da sotto il cappuccio alzato.

-Fossi in te mi sposterei da lì.-

Pepa lo vide quel sorrisetto, quel maledetto sorrisetto impertinente. Alzò il dito, puntandoglielo minacciosamente contro.

-Non abbiamo più i poteri, non è possibile che...-

Non finì la frase perché un pappagallo, proprio in quel momento, non riuscì a trattenerla, centrando in pieno il suo vestito.
Julieta non riuscì proprio a rimanere seria e scoppiò in una sonora risata. Da quant'è che non rideva così? Non riusciva proprio a smettere, mentre guardava Bruno alzarsi rapido e nascondersi dietro al tronco prima che Pepa riuscisse a centrarlo per la seconda volta.
Da quanto tempo non li vedeva litigare? Da quanto tempo sognava di rivedere una scena del genere? Da quanto aveva perso le speranze?
Sentì il volto rigarsi di lacrime e la risata si tramutò in pianto. Anche Pepa, mentre tentava di colpire il fratello con tutto quello che trovava, iniziò a singhiozzare. E anche Bruno, nonostante il cappuccio e le ombre, aveva perso il sorrisetto e lasciato il posto ad una smorfia di dolore. Si lasciò prendere da Pepa, che iniziò a picchiarlo, poi ad abbracciarlo e poi a picchiarlo ancora.
Julieta, dopo essersi asciugata gli occhi, cercò di dividerli lentamente, mettendosi amorevolmente in mezzo ai due strani litiganti. Bruno le si accoccolò vicino e Pepa le appoggiò la testa sulla spalla, esattamente come quando erano bambini.

-Mi dispiace...- sussurrò Bruno tirando appena su col naso -So di avervi fatto soffrire... e... mi dispiace così tanto...-

-Anche a me dispiace.- sospirò Pepa -Avrei dovuto essere una sorella migliore e invece...-

-Anche a me dispiace...- iniziò Julieta ma Pepa la bloccò subito.

-Tu, Juli? Ma tu sei sempre stata perfetta! Di cosa ti devi scusare?-

-Già...- aggiunse Bruno girandosi appena a guardarla -Chi era sempre vicino a noi quando stavamo male? Chi provava a farci ragionare, ma non la ascoltavamo mai?-

Julieta sbatté le palpebre, confusa.

-Perfetta? Ma io non sono perfetta. Sono come voi e ho anche io le mie colpe. Non ho mai insistito troppo quando ce n'era bisogno e ho sempre cercato di fare contenta mamà, anche quando aveva torto...- e detto questo si rabbuiò nuovamente.

-Era lei a vedermi perfetta...-

Sentiva la colpa di ogni volta che si era sentita dire di essere migliore di Pepa o Bruno: “Julieta, sei sempre così gentile e disponibile con tutti. Perché anche i tuoi fratelli non sono come te?” “Julieta, insegna un po di educazione anche i tuoi gemelli!” “Ah! Se fossero tutti come te, Julieta...”.
Sentì le lacrime rigarle nuovamente il volto.

-Se fossi stata “perfetta” non ti avrei lasciato da solo, Bruno... Se fossi stata “perfetta” non avrei permesso a Luisa di avere tutto quel peso...-

Tra il pianto iniziarono i singhiozzi e il senso di colpa iniziò a soffocarla.

-Se fossi stata “perfetta” Isabela sarebbe stata felice! E invece lo vedevo che era sempre triste, ma non diceva nulla, non si lamentava di mamà che le stava sempre appresso, quindi non mi sono preoccupata...-

E sentiva su di sé il peso di quello che aveva fatto subire alle sue figlie: non meritavano tutta quella pressione che, anche se aveva cercato di alleviare, era rimasta lì a covare per anni, fino a scoppiare.
Sentiva gli occhi dei fratelli su di sé e iniziò a vergognarsi.

-Sapevo cosa provava Mirabel, e avevo così tanta paura di perdere anche lei che mi sono concentrata tanto su di lei e ho iniziato a lasciare andare Luisa e Isabela.-

Era la prima volta che lo ammetteva, che ammetteva di aver dedicato più attenzioni a Mirabel. E non sapeva nemmeno perché lo stesse dicendo in quel momento: erano solo loro tre, dopo dieci anni si erano finalmente ritrovati e lei cosa iniziava a raccontare? Di come fosse stata una madre assente...
Forse anche lei voleva dimostrare di non essere perfetta?

-Non dite che sono perfetta, non la voglio più sentire quella parola...-

Era talmente presa dal suo discorso che a mala pena si accorse dei fratelli che l'avevano stretta forte.

-Scusate, non so perché stia facendo questo discorso.- si bloccò e rimise su il suo sorriso, tornando a guardare Bruno, ma lui ribatté dicendo: -Forse è meglio che lo tiri fuori. A tenere tutto dentro non si risolvono le cose...- e finì il discorso con una risata nervosa e lo sguardo un po' vacuo.
Julieta sbatté le palpebre, confusa.

-Bruno ha ragione- aggiunse Pepa -Forse è giunto il momento di fare una bella chiacchierata. Non mi sembra che abbiamo molta voglia di dormire, no?-

Julieta si fermò a riordinare i pensieri e fece passare distrattamente le dita tra i capelli del fratello, ancora accoccolato su di lei. Lo faceva con le sue figlie quando voleva consolarle, e un po' lo faceva per lei: quel gesto meccanico la rilassava.
Lui rimase fermo a farsi accarezzare, come un cucciolo ferito.

-Non mi ero accorta di quanto peso portasse Luisa... e nemmeno di cosa volesse davvero Isabela. Se Mirabel non le avesse parlato, lei avrebbe davvero sposato Mariano...-

Pepa e Bruno le si avvicinarono ancora di più.

-Juli, non ti accollare altre colpe, pensa che è andato tutto per il meglio, proprio grazie al lavoro che hai fatto con Mirabel.- fece Pepa con tono conciliante. -Vogliamo parlare dell'ansia che aveva Antonio? Neanche io mi posso considerare la mamma dell'anno!- e concluse la frase con una risata amara.
Già...
Anche Pepa, nonostante la presenza di Felix e di Camilo, dolce ragazzo, non era riuscita a stare tranquilla. Nel corso degli anni l'ansia l'aveva colpita sempre di più, sempre più intensamente. Non importava quanti caffè prendesse o quali frasi utilizzasse per calmarsi: l'ansia arrivava, imperterrita, e la annientava. E i figli erano costantemente ansiosi: Dolores pareva sempre assente nel suo modo; Camilo non faceva altro che girare a destra e a sinistra per il villaggio, dove andasse ormai lo sapeva solo lui; e Antonio stava spesso chiuso in camera a giocare da solo, anziché uscire con gli altri bambini.
-Pepa ha ragione- si intromise Bruno scostandosi appena -È stato un periodo difficile, per tutti...- e afferrò le mani di Julieta, stringendole piano -Ma Mirabel è un dono prezioso, Luisa una giovane donna fortissima, e posso assicurarti che non sarebbe successo niente di male ad Isabela. È sempre stata testarda e forte per affrontare tante difficoltà.-

-Già! Ti ricordi quando fece un letto di edera per tutta casita e provò a dare la colpa a Dolores?- aggiunse Pepa con foga.

Julieta sorrise appena.

-E poi- il sorrisetto ricomparve sul volto di Bruno -l'ho vista in una della mie visioni, forte e potente. E sapete che le mie visioni non sbagliano mai!-

Pepa sollevò un sopracciglio.

-Certo! Come quella volta che dicesti che mamà non avrebbe mai scoperto chi aveva rubato il suo vestito preferito.-

-Ma come potevo prevedere che sarebbe rientrata così presto?!-

-E quella volta che ci hai assicurato che nessuno ci avrebbe visto entrare allo spettacolo alla taverna? E quella volta che...-

-Ma non dicevi che le mie visioni si avveravano sempre?-

Pepa provò a ribattere, poi arrossì e si girò appena, bofonchiando qualcosa che assomigliava ad altre scuse. Pepa notò un sorrisetto divertito sul volto di Bruno. Non negò di essere felice che riuscisse, almeno con loro, a riderci un po' su.
Julieta sospirò e fu lei ad accoccolarsi per un attimo contro la spalla del fratello, solo per un attimo. Lo sentì trattenere il respiro mentre le faceva scorrere il braccio attorno alle spalle. Lo faceva anche prima che se ne andasse; diceva che trattenere il fiato portava fortuna, ma lei si spaventava sempre che potesse svenire per la poca aria.

-Non scompariremo.- provò a tranquillizzarlo Julieta.

-Basta che non scompaia più lui!- si intromise Pepa, pizzicandogli il braccio.

-No, non voglio più scappare...- ammise Bruno, lo sguardo a terra, incapace di sostenere quello di altri.
Ed era vero: non aveva più intenzione di lasciare la sua famiglia. Aveva sofferto lui, avevano sofferto loro. La sua scelta di andarsene, per quanto in quel momento sembrasse la cosa più giusta da fare, era stata pessima, per tutti.
Si era accorto che nessuna delle sorelle gli aveva fatto la domanda: perché era rimasto lì? Perché non se n'era davvero andato? Perché torturarsi in quel modo, guardando costantemente la sua famiglia piangerlo, odiarlo e poi dimenticarlo?
Se solo lo avesse saputo anche lui...

-Scusate...-

Fu l'unica cosa che nuovamente gli uscì dalle labbra. Era l'unica cosa che riusciva ad articolare, nessun altro pensiero.
Erano passati tanti anni, tanti anni in cui tutti loro erano cambiati. Come avrebbero reagito alle sue nuove fissazioni? Come avrebbe reagito lui alle loro nuove routine? Come avrebbe convissuto nuovamente in pace? Era terrorizzato dalle risposte.

-Io... io lo so che il mio talento non era granché. Spesso il futuro è incerto e si pensa sempre al peggio, quindi... so che non è stato sempre utile e so anche che... che a volte ha fatto male.-

Respirò piano, prendendo tempo. Sentiva ancora la testa di Julieta sulla sua spalla e si concentrò anche su quel calore.

-Sapete, quando Mirabel mi ha chiesto aiuto, ho fatto apparire una visione. E, ecco... era da tanto che non ne facevo più. Ero spaventato ma... sono riuscito a vedere una cosa bella...-

Fissava un punto imprecisato davanti a sé, gli occhi sgranati e un sorriso tremolante sul volto, ancora incerto se fosse davvero accaduto.

-Dopo tanto tempo è stato... strano. Non potevo crederci, ma era davvero così. Era solo un abbraccio. Che male poteva fare un abbraccio? Non poteva! È stato... bello. E... e... forse, forse avrei potuto vedere altre cose belle, forse...- e incrociò le dita di una mano, mentre con l'altra tamburellò sul tronco della palma, come a farsi forza, come a darsi speranza.
Le dita callose di Julieta lo riportarono dolcemente alla realtà.

-Bruno, non ti dovrai più preoccupare dei poteri. Tutti noi ci siamo fatti condizionare troppo dai nostri talenti... Averli persi ci farà vedere tutto sotto una nuova luce.-

-Io sicuramente non me ne lamento!- aggiunse Pepa con un sonoro sospiro di sollievo -Finalmente non dovrò più sentire mamà urlare “Pepa! La nuvola!” “Pepa! Hai di nuovo una nube!”-

Dopo aver detto quelle parole si bloccò e guardò imbarazzata Bruno, sentendosi tremendamente in colpa per la sua lamentela.
Ma Bruno, nuovamente, le sorrise, un sorriso triste e comprensivo.

-Pepa, lo so che non piaceva neanche a te il tuo potere. Me lo ricordo tutte le volte che mamà ti sgridava per nulla oppure pretendeva troppo.-

I tre rimasero in silenzio, ascoltando i suoni della sera avvolgerli piano.
Fu Julieta a rompere il silenzio. Aveva bisogno di sapere.

-Bruno, perché non mi hai detto della visione di Mirabel?-

Bruno sembrò rimpicciolirsi ancora di più dentro al ruana. Non sembrava intenzionato a parlare, ma Julieta non demorse.

-Bruno, per favore. È mia figlia. Sapevi che ti avrei dato ascolto. Perché non...-

-Perché non volevo che passasse quello che ho passato io.-

Lo sussurrò, pianissimo, ma a Julieta parve una coltellata. Se le avessero sferrato un pugno in pieno petto avrebbe sentito meno male.

-Io... Io lo so che tu e Agustìn l'avreste protetta, ma... ma gli altri? Si sarebbe creato il panico. Tutti avrebbero visto solo il peggio e alla fine anche voi avreste iniziato a credere che lei fosse il problema anziché la soluzione. Tutti, alla fine, pensano male di Bruno...-

Julieta avrebbe voluto zittirlo, avrebbe voluto dirgli che si stava sbagliando. Ma non era così. Sapeva che aveva ragione e, purtroppo, non era servito a nulla. Quante volte mamà era stata dura con Mirabel? Quante volte aveva provato a parlarle, senza però ottenere alcun risultato?
Questo le provocò un dolore sordo alla bocca dello stomaco.

-Aveva solo cinque anni. Non volevo che fosse messa da parte... e indovina? Alla fine non è servito a niente...-

Julieta lo fermò appoggiandogli una mano sul braccio. Aveva capito, fin troppo bene.

-Hai ragione. So che hai ragione. Ma avrei voluto lo stesso che ce ne parlassi, invece di tenere tutto dentro.-

Bruno fece un profondo sospiro, nascondendo il viso tra le gambe.

-Ho sperato che, per una volta, la mia visione fosse... sbagliata oppure che non si avverasse proprio.-

Julieta afferrò il volto del fratello e lo scoprì dal cappuccio, tenendolo di fronte a lei.
Aveva bisogno di dirglielo, ne aveva bisogno da tanti anni. Glielo aveva già detto e ridetto, ma all'epoca non stava più ascoltando, completamente perso nei suoi problemi.

-Bruno... se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiedicelo, parlane. Ti prego. Non ignorarci più.-

Lo fissò dritto negli occhi, sperando di essere stata ascoltata. Gli occhi del fratello non riuscivano più a stare fermi come un tempo; sfuggivano a destra e sinistra, come in preda al panico.
Bruno deglutì, sforzandosi con tutte le sue forze di ricambiare lo sguardo premuroso di Julieta. Aveva così tanta paura di deluderla di nuovo, di deludere tutti di nuovo.

-Io... ci proverò...- iniziò incerto ma poi, scuotendo forte la testa, ricominciò dicendo -No! Io voglio farlo. Voglio rimanere con voi e quindi... quindi, se dovrò dirvi qualcosa, se avrò bisogno, se vorrò parlarvi, lo farò!-

Sentì il cuore battere forte e si fermò un attimo a riprendere fiato. Guardò le sorelle che ora lo fissavano felici, spronandolo a continuare. Lui si abbandonò ad un breve sorriso prima di continuare.

-Solo... solo, abbiate pazienza. Io...-

Iniziò a sentire il respiro mozzarsi in gola, ma tentò di sforzarsi. Doveva spiegare cosa sentiva, cosa provava. Magari ci avrebbero messo un po' a capire, ma ce l'avrebbero fatta. Era le sue sorelle, la sua famiglia. Avrebbero capito prima o poi.

-Io con voi sono sempre lo stesso, più o meno...- ridacchiò, una risata nervosa -Ma... ecco, potrei essere... meno tranquillo con... gli altri. Potrei... faticare a...-

Deglutì.

-A... stare in compagnia... di altri. Ma poi ci riuscirò!- aggiunse immediatamente -Ve lo prometto, ci riuscirò e mi impegnerò! Solo... solo non subito... io...-

-Bruno- lo fermò Pepa -Lo sappiamo.-

Bruno guardò le sorelle che, con un misto di comprensione e tristezza, lo fissavano.

-Ti conosciamo, non devi dire altro.- spiegò Julieta. -E non ci interessa nient'altro. Vogliamo solo averti qui con noi.-

E Bruno, finalmente, sorrise. Un sorriso sincero e, per un attimo, si dimenticò anche di picchiettare sul tronco, perché le sorelle sembravano così convincenti che non aveva bisogno della fortuna per credere che sarebbe andata bene.
E passarono la notte così, sotto la loro palma, abbracciati, a chiacchierare, a scherzare, a piangere, a ridere. Come se il tempo si fosse fermato a vent'anni prima. Come se non fosse successo nulla. Come se fosse tutto come sempre.
Sapevano che non sarebbe stato sempre così, sapevano che ci sarebbero stati momenti altrettanto difficili. Ma sapere che tra loro non era cambiato nulla, che erano rimasti sempre loro nonostante tutto, li tranquillizzò.










Allora!
Ammetto che è stato particolarmente difficile scrivere quest'ultimo pezzo e non so se esserne proprio soddisfatta ^^'
Questa volta i tre gemelli si confrontano da soli, dopo essere stati divisi per dieci anni. Ho voluto fare apposta un confronto solo con loro tre un po' perché le storie erano centrate su di loro, e un po' perché a volte, quando si parla da soli con i propri fratelli, ci si sfoga meglio.
Ho pensato che la figura di Abuela, in questo caso, avrebbe rovinato l'atmosfera, per quanto io non ce l'abbia davvero con lei.
E, al contrario degli altri capitoli, qui non c'è stata una divisione precisa dei loro pensieri, ma erano tutti mischiati, poiché finalmente hanno avuto un confronto costruttivo dove tutti si ascoltavano reciprocamente.
Ho immaginato che Julieta fosse considerata quella “perfetta”, col potere più utile e dal carattere più dolce e accomodante dei suoi fratelli. Credo che questo l'abbia delegata a ruolo di “seconda mamma” e abbia avuto la pressione di crescere più in fretta degli altri per aiutare tutti.
Pepa sa di avere attacchi d'ansia e di panico e probabilmente grazie a Felìx, ma anche ad un lavoro fatto con se stessa, ha imparato a convivere con questo suo lato. Sa di doverci lavorare ancora, ma sono certa che Felìx e i suoi figli le staranno accanto. Ho anche qui ipotizzato che il rapporto fraterno, quello di amore/odio e litigi vari, li avesse più lei con Bruno anziché con Julieta. Pepa e Bruno hanno potuto permettersi di essere più bambini di Julieta, sempre a mio parere.
Bruno è un personaggio difficile, non lo nego. È una persona che è stata sì allontanata da tutti, famiglia e comunità, ma è anche di indole chiusa, timida e introversa. Probabilmente tutti i fattori messi assieme l'hanno portato ad autoisolarsi sempre di più. Non sono pochi i casi di persone che ad un certo punto vivono solo tra le mura di casa per paura del confronto con il mondo. Anche lui come Pepa, però, ha lavorato su se stesso: la compagnia di animali invece della solitudine totale, il dirsi che ce l'ha può fare per farsi coraggio prima delle visioni e il regolare il proprio respiro. Voglio credere che Bruno riuscirà a vincere le sue paure!
Non sono riuscita a mettere proprio tutto quello che avrei voluto che si dicessero, ma loro hanno anche tanti giorni a disposizione per parlare con calma di ogni cosa XD
Scusate il papiro e vi ringrazio tanto per avermi seguita e spero vi sia piaciuto questo spaccato di vita di casa Madrigal^^
Alla prossima!
Danke <3




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