Dark Circus: the most precious treasure

di Lacus Clyne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II. prima parte ***
Capitolo 4: *** II. seconda parte ***
Capitolo 5: *** III ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao a tutti! Torno, dopo più di un anno ormai, dalla conclusione di Dark Circus, con uno special chapter di pochi capitoli, ma che avevo in mente da un po' e che, a dirla tutta, non vedevo l'ora di scrivere. Per chi già conosceva DC, spero che possa essere un piacevole ritorno, stavolta con una novità data dal cambio di voce narrante. Per chi non conoscesse la storia, vi invito a leggerla, anche se qualcosa dovrebbe comunque già evincersi. Per me l'ultimo anno è stato emotivamente molto duro, ho combattuto a lungo e sto ancora combattendo con il dolore dato dalla scomparsa del mio amato gatto Jack e tutto ciò che ne è seguito e, in un certo senso, la scrittura, per quanto recente, mi ha aiutato a mettere in luce alcune tematiche che, come avrete modo di capire, toccano le corde dell'anima. 
Come sempre, un ringraziamento di cuore a chi deciderà di passare, sperando di poter leggere qualche parola, se vorrete.
Un'ultima, doverosa, annotazione: come per Dark Circus, che per Underworld, entrambe le storie sono storie ORIGINALI scritte da me e pubblicate soltanto su EFP. DC è stata protagonista di furti ad opera di ragazzine su Wattpad e un tale Mark Hills che, a sua volta, rivendeva a pagamento. EFP è il solo sito su cui le mie storie originali sono postate, pertanto, si considera illegale qualunque sottrazione e ripubblicazione.

Un abbraccio a tutti e buona lettura! 

 

 

 

 

 

 


◊PROLOGO◊

 

 

 

 

Jacques Deval sosteneva che metà della vittoria fosse nel campo di battaglia. L’altra metà era nella scelta del momento. Di recente, mi ero ritrovata a convenirne. Tanto per cominciare, proprio alle prese con qualcuno che, per intransigenza, la stampa aveva talvolta associato persino all’integerrimo Teddy Roosevelt.

– Qualunque cosa tu possa fare o dire, a costo di scomodare direttamente il Presidente, la risposta è sempre la stessa: no. –

Inarcai il sopracciglio di fronte a tanta ostinazione. Se c’era una cosa che conoscevo bene di mio marito era la sua ostinata propensione all’incorruttibilità. Del resto, non avrebbe ricoperto la carica di Procuratore Distrettuale se non avesse votato la sua vita ad essa, almeno formalmente. In condizioni normali, questo mi rendeva molto orgogliosa di lui. Tuttavia, quando sedeva nel suo ufficio centrale in veste ufficiale e i nostri interessi personali non coincidevano… beh, quelle erano le eccezioni e lì dovevo usare tutte le armi a mia disposizione. Del resto, quello che si paventava era un caso per cui avrei avuto bisogno di giocare di strategia e d’astuzia.  

Erano trascorsi poco meno di due mesi dalla conclusione del caso che aveva scosso l’opinione pubblica per via della sua efferatezza e che aveva condizionato le vite di tutti noi che, a vario titolo, eravamo stati personalmente coinvolti in esso. Non avrei mai potuto dimenticare la disperata telefonata della mia migliore amica, Elizabeth, la voce rotta dallo strazio mentre mi informava della sparizione della sua piccola Lily, che consideravo a mia volta una figlia. Le notti insonni e i giorni infiniti di ricerche, coordinate da Maximilian. La frustrazione di Marcus nel non poter far altro che schierare i suoi migliori agenti alla ricerca di un fantasma, ben consapevole che l’unico in grado di trovare quell’assassino era il solo intimamente toccato da quella tragedia e, pertanto, sul filo del rasoio. Il vedere Alexander, che un tempo era stato così importante per me, perdere se stesso dopo quell’unico e disumano urlo di lancinante dolore che talvolta, anche a distanza di anni, mi riecheggiava dentro con terrore, una volta che il corpo senza vita della sua bambina, che amava più di chiunque al mondo, era stato ritrovato… calarmi nei panni di Doc, quella notte, era stata l’impresa più difficile che fossi mai stata chiamata a compiere.

E poi, sei anni di indagini che non avevano portato a niente, fino a che la svolta nel caso non era comparsa, nelle vesti di una giovane psicologa testimone di un altro omicidio, preziosa risorsa per il nostro team… e per lo stesso Alexander. Doveva averlo visto anche lui, intuitivo com’era, che Kate Hastings sarebbe stata la chiave di volta. E così era stato, sebbene nel mentre, anche quella ragazza avesse pagato a sua volta il prezzo dell’aver incrociato la sua strada con quella del Mago.

Eppure, alla fine, non soltanto quel caso era stato risolto e archiviato, ristabilendo, per quanto possibile, la giustizia, ma sorprendentemente, era stato fautore, per noi tutti, di salvezza e guarigione e per me, dell’arrivo di quel figlio che tanto avevo cercato negli anni. Al mio non poter diventare madre naturalmente aveva fatto da contraltare l’entrata nelle nostre vite di Nicholas, un piccolo orfano di sei anni che aveva trascorso tutta la sua giovane vita al giogo di una famiglia di folli. Non vi era nulla al mondo di grande a sufficienza per ripagare Kate e Alexander per aver reso possibile la realizzazione di quel sogno a cui avevo praticamente rinunciato. Ed era anche per quel motivo che non potevo permettermi di recedere.

Posai le mani sull’importante scrivania coloniale riccamente intagliata e ordinatissima che troneggiava nell’elegante ufficio di Marcus, fissando gli occhi in quelli scuri di mio marito, che aggrottò le sopracciglia brunite e posò i fogli che aveva in mano.

– Selina, ti prego. Attendo a breve Morris. Non possiamo parlarne a casa? –

Tamburellai le unghie sul legno massiccio. Accanto alla mia mano, un piccolo mappamondo bordato d’oro. – Fallo per Nicholas. Sono mesi che lavori ininterrottamente e non trovi del tempo da passare un po’ tutti e tre insieme. Non ti chiedo di prenderti una lunga vacanza, ma qualche giorno per staccare, prima che la stagione finisca… –

Marcus appoggiò le larghe spalle sul morbido schienale in pelle bordeaux della poltrona, rivolgendomi uno sguardo severo. Purtroppo per lui ero tra le poche persone a non esserne intimidita e, in fondo, lo sapeva. Scostò un ciuffo castano ribelle, portandolo dietro l’orecchio destro e poi sospirò. Dietro di lui, un quadro raffigurante la baia di Boston dei primi del secolo scorso faceva da sfondo, sormontato da una lampada allungata a luce calda. – Siamo sposati da poco più di due mesi e già tiriamo in ballo nostro figlio? –

Non abboccai. – Ci conosciamo da più di dieci anni, Marcus Ryan Howell, e dovresti sapere bene che non ho bisogno di scomodare il Presidente. –

Quel commento gli fece arricciare le labbra in un broncio per non sorridere. Se non avessi dovuto tenere il punto l’avrei decisamente baciato. E magari avrei avuto l’ardire di chiedergli di rimandare l’appuntamento con Morris. Ma non era il momento. L’imperativo era vincere.

– La risposta è comunque no. Tesoro, ascolta. Prometto solennemente che troverò il tempo per concederci una breve vacanza di famiglia, non appena avremo assicurato alla giustizia quel commerciante d’armi che sembra aver legami col narcotraffico. Nella mia posizione, ora come ora, non posso permettermi di rilassarmi. –

Ed ecco la parola magica. Sembra. Adoravo l’irreprensibilità di Marcus, ma aveva una certa predisposizione al controllo che alle volte finiva con il tradursi in un dover monitorare anche situazioni ancora non ben chiaramente esplicitate. Probabilmente, e su questo non potevo far altro che biasimare i nostri trascorsi, doveva pesare la condotta di Alexander e la sua propensione alla macchinazione e al cacciarsi nei guai. Avrei dovuto ricordarmi di tirargli le orecchie, prima o poi. Sospirai, poi lo guardai di sottecchi.

– La sola posizione di cui dovrai preoccuparti, mio caro, è quella della tua schiena sulla chaise longue del tuo ufficio a casa… da stanotte e per tutte le notti a venire, fino a che non cambierai idea, ovviamente. – annunciai solennemente.

Batté le palpebre. – Prego? –

– Hai capito bene. –

– Puoi cortesemente smetterla di comportarti come una bambina? –

– E tu puoi prenderti una vacanza per una volta? –

– Selina… –

– Marcus. –

Alzò gli occhi al cielo, poi incrociò le mani, posando i gomiti sulla scrivania e tornando a fissare lo sguardo nel mio. – Sai che posso essere molto più cocciuto di te. –

Oh, sì che lo sapevo. Generalmente, aveva anche un che di eccitante, soprattutto quando avevamo tempo. Tempo che in quel momento stringeva, dato che l’orologio sulla parete decorata mi ricordava che mancavano cinque minuti a mezzogiorno e all’arrivo svizzero del direttore dell’FBI. Sospirai fingendo resa, vedendo la tensione allentarsi per un istante sul suo volto. Era il momento per tirare fuori il mio asso nella manica. Raccolsi la mia Gucci dalla poltrona e Marcus mi rivolse un’occhiata conciliante.

– Grazie per aver capito, tesoro. – disse, con tono sinceramente riconoscente.

Trassi un biglietto dalla borsa e glielo porsi. Lo prese, aggrottando le sopracciglia.

 – La prozia Portia ci aspetta a pranzo questo sabato. Prima che tu dica qualunque cosa, i tuoi fratelli e tua madre hanno già declinato l’invito per impegni pregressi, quindi non puoi esimerti. E non dire che non cercavo di salvarti. –

La sua mano tremò nel tenere in mano il biglietto e vidi il suo volto, solitamente affascinante nella sua compostezza, adombrarsi per qualche istante.

La prozia Portia, 103 anni, di cui circa trentasette, data l’età di abilità di comprensione di mio marito, trascorsi a raccontare, ogni qualvolta, ogni umanamente possibile episodio del glorioso passato della famiglia nonostante sia Marcus che i parenti conoscessero oramai a memoria ogni virgola, era a tutti gli effetti l’incubo peggiore che gli Howell si fossero mai trovati ad affrontare nel corso delle loro vite. Dovetti fare appello a tutte le mie doti da giocatrice d’azzardo per ricacciare indietro il sorriso sardonico che premeva per aprirmisi sul viso nel vedere il pomo d’Adamo di Marcus salire su e giù per la tensione. Si alzò, andando verso la credenza laterale a grandi passi. Sapevo cosa gli stesse passando per la mente. Battei in modo civettuolo le palpebre quando mi rivolse un’occhiata esasperata, prima di prendere la miglior bottiglia di brandy invecchiato in suo possesso e uno snifter in cristallo di Boemia. Almeno non aveva deciso di accendere un sigaro. La mano continuava a tremargli mentre riempiva il bicchiere oltre la soglia considerata accettabile, tanto che cominciai a temere che potesse cadergli da un momento all’altro. Trattandosi di un servizio storico, sarebbe stato un peccato. Forse tirar fuori la prozia Portia era stato un po’ troppo… ma me l’aveva servita praticamente su un piatto d’argento. Così come i favori che mi erano stati richiesti da Lawrence e da Amanda per tener su la farsa col fratello maggiore e che contemplavano presenze puntuali a pranzi e cene di famiglia dalla vecchia fino a Natale. Mi feci animo. Se proprio dovevo bruciare, tanto valeva farlo in grande stile.

– Tesoro? Tutto… ok? Suvvia, in fondo si tratta soltanto di un sabato… pensandoci, è un vero peccato che ti abbiano messo in questa incresciosa situazione… soprattutto con un caso importante… forse ti conviene chiamare direttamente la prozia e spiegare la situazione… dopotutto, a modo suo, lei sa essere comprensiva, anche se penso che alla sua età dovresti usare tutte le cautele possibili… però temo che non sarà così semplice... –

Marcus trangugiò il liquore in due sorsi e sperai che non avesse lo stomaco del tutto vuoto. Mancava un minuto e mezzo a mezzogiorno. Era ufficialmente ora della ritirata. – Ehm… si è fatto tardi, devo andare. Sai, Nicholas mi aspetta per pranzo… ok, ci… ci vediamo a cena! Buon lavoro, amore! –

Feci per girare i tacchi e affrettarmi alla porta, quando la voce di Marcus mi fermò, con un tono imperativo tale da farmi gelare il sangue.

– Selina Clair Howell. –

Mi bloccai all’istante e mi voltai appena, sorridendo. – Tesoro? –

Sbottonò il doppiopetto nero e allentò appena il nodo Cavendish della cravatta borgogna, probabilmente per l’effetto dell’alcool, e agitò l’indice, poi sentenziò, con voce leggermente roca e perentoria.

– Questo weekend. Ma niente colpi di testa, ci manteniamo nelle vicinanze. –

A quelle parole non riuscii a trattenermi più e corsi a baciarlo. Un bacio veloce, al sapore di brandy. – Tu lo sai che sei il miglior marito del mondo, vero? –

Mi guardò sconvolto, poi posò il bicchiere e il biglietto. – E con la prozia Portia ci parli tu. –

Il sorriso mi rimase in volto, un po’ meno convinto. Dopotutto, era un relativamente equo prezzo da pagare per un weekend che, ne ero certa, ci avrebbe riservato delle belle sorprese. Picchiettai le dita sulla sua camicia bianca, sovvenendomi un pensiero. – A proposito, devo ricordarmi di avvisare la signora Thompson del fatto che non dormirai sulla chaise longue questa notte. –

Inclinò appena la testa sul lato, incredulo, poi mise la mano in faccia. – C’è altro che devo sapere oggi? –

Annuii, stringendo le labbra, colpevole, ma divertita per la piega che gli eventi avevano preso.

– E… sarebbe? –

Sorrisi candidamente, avendo cautela nel comunicargli che, in realtà, Elizabeth, Kate e io avevamo già organizzato tutto… e già da un po’. Quanto al mantenersi nelle vicinanze, beh… se ciò contemplava un’ora di volo fino a Nantucket, allora non c’era problema.

L’arrivo del direttore Morris, mai così gradito come in quel momento, fu ciò che mi salvò dalla sua furia… a differenza del contenuto della bottiglia di brandy che, dopo quell’occasione, non vidi più. Ma, d’altronde, in guerra e in amore tutto era concesso e dunque, data l’entità della posta in gioco, qualche sacrificio era ben concesso.

 

 

 

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Capitolo 2
*** I ***



◊I◊







– Dunque, alla fine… hai parlato o no con la prozia Portia? –

La domanda di Elizabeth mi ricordò del fatto che non avevo avuto letteralmente il tempo per raccontarle come fosse andata a finire. Nei giorni che erano seguiti, il lavoro ci aveva tenuti particolarmente impegnati, ma in quel momento, comodamente sdraiate su delle sdraio con vista piscina e drink di cui avevo praticamente dimenticato il sapore, mi sembrava di aver lasciato il mondo alle spalle. Mi voltai appena verso la mia migliore amica che sorseggiava un analcolico, dato il suo stato interessante, e abbassai appena gli occhiali da sole. Era praticamente metà settembre e si stava ancora divinamente.

–  Ovviamente no, altrimenti sarei stata ancora al telefono con lei. Ho parlato direttamente con il suo maggiordomo, però. Sembra che ultimamente la cariatide abbia qualche problema d’udito e pertanto ha delegato le udienze… finalmente. – spiegai, sorridendo.

Elizabeth fece altrimenti, ma con più sorpresa. Da quando il caso del Mago si era concluso e aveva parlato con Max della gravidanza, era nuovamente felice. Solo il cielo poteva sapere quanto mi fosse mancato il vederla così vitale. Portò la mano al ventre, sistemando il pareo fiorato che ne celava una lieve rotondità. – Meglio così, allora. Ed è bello, per una volta, trascorrere qualche giorno tutti insieme, in pace. –

Convenni, notando che osservava il bordo piscina. Mi voltai a guardare anch’io. Erano anni che non vedevo Marcus, Alexander e Maximilian sorridere così come stavano facendo e chiacchierare con tanta complicità. A distanza, non potevamo ascoltare, ma conoscendoli, il discorso doveva star vertendo su quali potessero essere i migliori passatempi per impiegare il tempo di una vacanza di cui probabilmente avevano cominciato a realizzare la necessità, al di là di quelli offerti dal resort. E, poco più in là, Kate, la sua amica Lucy e Jace, i tre più giovani, sguazzavano in piscina insieme a Nicholas, entusiasta come non mai. Fu lui che mi soffermai ad osservare. Il mio bambino che tanto aveva sofferto da piccino. Mi si strinse il cuore.

– Perché non li raggiungi? – mi chiese Elizabeth, all’improvviso.

– Eh? Ah, ecco… è che non mi va di bagnare i capelli… almeno non adesso. Magari più tardi ci farò un pensierino. – farfugliai, indicando il mio chignon. Avevo capelli piuttosto corposi, che generalmente erano un vanto per me dato che mi consentivano di acconciarli in più modi con facilità, ma quando li bagnavo, rischiavo il disastro. Elizabeth inarcò il sopracciglio, poi si puntellò sul fianco e le onde mosse castano chiaro le incorniciarono il viso.

– Se non ti conoscessi come le mie tasche ci crederei. Si può sapere cosa succede? –

Mi sfuggì un sospiro. – Non posso proprio nasconderti nulla, eh? –

– Non siamo amiche forse anche per questo? – mi fece eco, guardando verso la piscina e affilando gli occhi azzurri, poi si rivolse nuovamente a me. – Nicholas. –

Un ex marito e un attuale nuovamente fidanzato, nonché padre del suo secondo figlio, entrambi detective. Non c’era da meravigliarsi se avesse imparato qualche trucco. Elizabeth era sempre stata piuttosto recettiva e svelta ad imparare, sin dai tempi della scuola. Annuii.

– È tanto che desiderava poter passare del tempo con Kate, quindi non voglio mettermi in mezzo… –

Batté le lunghe ciglia. – E credi che non si divertirebbe se la sua mamma, formalmente nota come la Regina delle feste più esclusive e scandalose di Harvard, non giocasse a sua volta con lui? –

Sgranai gli occhi e mi venne da ridere. Erano anni che non sentivo quell’appellativo. Precisamente, da quando, ai tempi del Dark Circus, organizzavamo feste d’élite. Ovviamente, data la segretezza della confraternita, nessuno avrebbe mai potuto collegare la Regina alla brillante, ma riservata studentessa di Medicina, figlia del ben più noto professor André Clair. La dualità di mio padre, stimato e cordiale psichiatra in pubblico e totalmente privo d’amore e interesse per la sua famiglia in privato, in un certo senso mi aveva aiutato. E Alexander l’aveva notato, quando avevamo cominciato a frequentarci. All’epoca, era uno studente di Legge con, immaginavo allora, scarse ambizioni. Annoiato, ma sempre in cerca di qualcosa in più per capire se quella fosse realmente la sua strada. In qualche modo, simile a me, che cercavo in tutti i modi di allontanarmi dall’ombra paterna per trovare la mia.

Mi alzai. – Hai ragione. Vieni anche tu? –

Elizabeth sorrise e si alzò a sua volta. – Potrei mai perdermi il momento? –

Ridacchiammo e raggiungemmo i ragazzi a bordo piscina. Con l’eccezione di Alexander, che non si faceva problemi a mostrare il tatuaggio del Dark Circus sulla spalla e pertanto, era tranquillamente a dorso nudo, Maximilian aveva ancora indosso la camicia, così come Marcus, sebbene lui non avesse alcun simbolo addosso. Quando arrivammo, presi sottobraccio mio marito, che si voltò assieme agli altri e sorrise.

– C’erano una volta tre tritoni che giocavano a fare gli Adoni… – dissi, canzonandoli.

Maximilian tese la mano ad Elizabeth, mentre Alexander mi guardò di sottecchi e mi rivolse un sogghigno dei suoi. – Disse la sirena mancata. Vi stavamo aspettando. –

– Ma che cavalieri… –                            

– Non è vero. L’acqua è fredda e non hanno intenzione di entrarci. A una certa età, poi… – fece eco Kate, che si era avvicinata a nuoto. Nel sentirla, Alexander si voltò. – Devo ricordarti chi non voleva entrare in acqua a Sand Beach? –

Kate si mise a ridere, poi si tirò su e incrociò le braccia sul bordo della piscina. – Tu, ovviamente. –

– E nessuno dubita dell’onestà della dottoressa Hastings. – constatarono in coro Marcus e Maximilian.

Alexander rivolse un’occhiataccia a entrambi e si chinò, a poca distanza da Kate, che gli riservò un’espressione di sfida. Vederli finalmente insieme, dopo tutto ciò che avevano passato, era davvero rincuorante. Kate aveva perso il suo fidanzato la notte dell’operazione in incognito al Four Seasons Hotel. Per lungo tempo avevo cercato di darle supporto, affinché potesse tornare finalmente a sorridere alla vita. In lei, probabilmente, avevo finito col proiettare ciò che avevo sempre desiderato aver per me, quando nessuno si preoccupava di come stessi realmente. E Lex, che dopo il divorzio da Elizabeth aveva chiuso il suo cuore, aveva trovato in Kate la persona in grado di fargli credere di essere migliore di ciò che credeva… e di tornare ad amare e a fidarsi di qualcuno. E poi, dovevo ammettere che quei due stavano veramente bene insieme. Si dissero qualcosa sottovoce, poi Alexander si sporse per baciarla, ma Kate ne approfittò per attirarlo giù in acqua. Con buona pace degli schizzi e dei vari presenti che si ritrovarono ad assistere al siparietto, riemersero insieme poco dopo, fradici, con una trionfante Kate stretta tra le braccia di un mai così teneramente infuriato Alexander. Ci mettemmo tutti a ridere e Jace, che aveva Nicholas sulle spalle, si avvicinò a sua volta insieme a Lucy.

– Questo è quello che sarebbe accaduto a Ulisse se non si fosse fatto legare al palo. – disse.

– Chi è Ulisse, Jace? – domandò Nicholas, incuriosito.

– Un eroe antico che aveva viaggiato a lungo ed era conosciuto per la sua grande intelligenza e astuzia. – spiegò Marcus, che vantava una vera e propria predilezione per l’antichità classica e la letteratura, anticipando Jace, che sbuffò.

– Sei un guastafeste, Marcus. Capisco perché Laurie gira al largo ogni volta che ti vede. –

Alexander e Maximilian annuirono, sotto gli sguardi perplessi di Lucy, Kate e Nicholas, mentre Elizabeth si mise a ridere. – Non capita tutti i giorni di avere un fratello che non ne sbaglia una. –

Mi ritrovai a convenire, pensando a quante volte il povero Lawrence si era sentito messo in ombra. In realtà, se Marcus aveva sempre cercato di far del suo meglio, Laurie tendeva a patire un confronto involontario. Ad occhi estranei, la famiglia Howell era una delle più prestigiose famiglie di Boston, per signorilità e per ricchezza. E, in fin dei conti, lo era. Eppure, non potevo non pensare che, come ogni famiglia, anche la loro aveva i suoi problemi. Guardai Marcus, ripensando alla prima volta in cui l’avevo incontrato.

All’epoca, mancava poco alla fine dei nostri percorsi di studio e, senza che lo sapessi ancora, alla fine del Dark Circus. Avevo raggiunto Alexander nell’aula ad anfiteatro in cui era rimasto dopo aver seguito una lezione. Lo vedevo di rado studiare, ma sapevo molto bene quanto fosse portato, a dispetto dell’apatia. Era un attento osservatore, ma impulsivo. Sollevò lo sguardo nel vedermi arrivare e sorrise, nel comunicarmi di aver messo gli occhi su qualcuno che avrebbe potuto far parte della nostra cricca e che, a suo dire, sarebbe stato una sorta di punta di diamante. Quando mi comunicò che si trattava di Marcus, non potei non nascondere il mio disappunto. Avevo di recente scoperto, d’altronde, che la madre, Agnes Howell, era una paziente di mio padre, a causa di una profonda depressione subentrata in seguito alla morte per incidente del marito Albert, stimato chirurgo del MGH, quando Marcus era poco meno che sedicenne.

All’epoca, la pressione mediatica e della famiglia, unita all’avere due figli di undici e sei anni, oltre al primogenito, aveva finito col distruggerla. Lentamente, Agnes aveva finito col chiudersi al mondo, trascurando i suoi doveri di madre e obbligando, inconsciamente, Marcus ad occuparsi anche dei fratelli minori, senza contare la gestione del ramo finanziario Howell Holding, del cui consiglio d’amministrazione lei ed Albert erano soci di maggioranza. Nel tempo, la depressione l’aveva alienata, al punto da necessitare di un periodo di soggiorno nella clinica gestita da mio padre.

Era stato durante una delle visite di Marcus che l’avevo conosciuto. Aveva ventisei anni allora. Ricordavo ancora come fosse accaduto soltanto il giorno prima di averlo visto seduto nella sala d’aspetto, con le mani incrociate, l’anello di famiglia al dito, i capelli castano scuro mossi che gli adombravano viso, celando la sua espressione. Eppure, la postura la rivelava perfettamente. Quel che desideravo non ricordare era il motivo per cui mi trovavo lì, dato che aveva a che fare con qualche esame particolarmente ostico e la consultazione di manuali specifici che mio padre aveva con sé nel suo studio, luogo che non frequentavo che molto di rado. Mi affrettai ad attraversare il pavimento in parquet pregiato black cherry con i testi in mano, quando Marcus alzò lo sguardo, rivelando per la prima e unica volta, un lucido brillio di preoccupazione negli occhi scuri. Inciampai nei miei stessi passi e i libri mi caddero per terra, tanto più che mi dovetti piegare per riprenderli, non riuscendo a trattenere un Sacrebleu!. Generalmente non parlavo più in francese se non quando sentivo mia madre, ma alle volte, dei lapsus accadevano. E, in quel caso, con l’addio alla mia intenzione di sparire da lì il prima possibile senza dare nell’occhio. Marcus si alzò e mi raggiunse, per aiutarmi. Tutto bene? Si è fatta male?, mi aveva chiesto, cortesemente. N-No… solo… sono solo i libri…, avevo risposto, biascicando e affrettandomi a riprenderli. Lui aveva in mano un manuale di anatomia cerebrale e aggrottò le sopracciglia. Mi ritrovai a pensare che probabilmente mi aveva scambiato per qualche tirocinante del dottor Clair. Sospirai, mentre ci rialzavamo entrambi e mi passò il volume, che presi. Mi scusi per la figura… le auguro una buona giornata, dissi, congedandomi. A lei, miss Clair, rispose, con un cenno del capo che mi fece corrucciare. C-Come? Non mi sono nemmeno presentata…, protestai. Al che, sul suo viso spuntò un accennato sorriso. Non è difficile, quando si osserva. Somiglia a suo padre… e la sua imprecazione in perfetto francese… Battei le palpebre, arrossendo e vergognandomi come una ladra. Deglutii e mi sforzai di sorridere. In realtà avrei voluto prenderlo a schiaffi per avere osato paragonarmi a mio padre, ma d’altro canto, non poteva certo sapere i miei trascorsi. Arrivederci, signor Howell, ribattei, inarcando il sopracciglio e indicando il suo anello, per poi girare i tacchi e allontanarmi prima che potesse dire altro… dal mio primo e fatidico incontro con l’uomo di cui, senza nemmeno rendermene conto, mi sarei presto innamorata. E quel ricordo si sommò a quello di Alexander che sorrideva, sornione, nel chiedermi di pazientare. Già… avevo dovuto imparare ad essere paziente. Lo richiedeva la mia professione, così come lo richiedevano il mio ruolo di moglie di Marcus e soprattutto… di mamma di Nicholas.

– Selina? – la voce di Kate mi riportò alla realtà.

Battei le palpebre, ritrovandomi gli sguardi di tutti addosso.

– Tutto bene? – chiese Marcus, posandomi la mano sulla spalla. Prontamente, portai la mia sulla sua e annuii.

– Stavamo pensando di raggiungere la spiaggia. Da qui dista pochissimo, si gode una vista decisamente migliore e poi abbiamo spazio per giocare. – spiegò Alexander.

– Va bene, andiamo pure. – mi trovai a convenire, dato che tutti, Nicholas in primis, avevano già deciso. Felice, mi riservò un abbraccio fradicio.

– Grazie!! – esclamò, con un sorriso enorme, che ricambiai.

– Ti va di… –

– Papà, poi facciamo dei tuffi nell’oceano?? – domandò senza ascoltarmi, rivolgendosi a Marcus, speranzosissimo. Marcus mi rivolse uno sguardo prima di dargli risposta. Notai che aveva per un istante cambiato espressione, poi si voltò verso Nicholas e annuì. – Però a patto che si rimanga nelle vicinanze, eh? Non vogliamo certo far preoccupare la mamma, no? –

Nicholas assentì con gran serietà, poi ci prese entrambi per mano e tutti insieme ci recammo alla Children’s Beach, poco lontano.

Litorale lungo e ampio, poca gente nei dintorni e, a distanza, un faro storico dell’isola. Il sole rendeva tutto ancor più piacevole, anche se, in fondo al cuore, non riuscivo a bearmi del tutto di quel calore. Era quasi come se ci fosse una parte di me che fosse troppo lontana per essere riscaldata del tutto.

Osservavo i miei amici chiacchierare tra loro, con complicità e naturalezza e guardavo Marcus, il cui profilo restituiva l’immagine di chi conosceva i miei tormenti, ma sapeva bene di non poter far altro in quel momento. Semplicemente, mi rivolse uno sguardo comprensivo e un sorriso che mi ricordava di aver ancora pazienza. Da quando Nicholas era entrato a far parte della nostra famiglia, l’aveva chiamato papà sin da subito, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ero felice per entrambi.

D’altronde, a causa mia, e quella era e sapevo che sarebbe stata sempre fonte di dolore per me, Marcus non sarebbe mai diventato padre di un figlio realmente suo. Quando avevamo scoperto che la probabilità di diventare madre naturalmente per me era bassissima, ero sprofondata in un abisso di impotenza e depressione. Avevo cercato persino la rottura. Non volevo che gli fosse negata quella gioia. Eppure, davanti al ginecologo, non aveva battuto ciglio, né l’aveva fatto davanti alla mia irremovibilità, quando gli avevo urlato contro di voler chiudere la nostra relazione. Ero convinta che quel suo stoicismo fosse una sorta di corazza che aveva eretto per proteggersi dal dolore, a causa di tutto ciò che aveva vissuto nel passato. In realtà, era proprio parte del suo essere ma, diversamente da quanto avessi mai pensato, anche lui era in grado di sconvolgersi.

Era accaduto quando entrambi eravamo rimasti coinvolti in una rapina a mano armata presso la Central Bank accaduta quando lui era assistente del precedente Procuratore. Allora, dando prova di senso pratico, scaltrezza e un’inattesa faccia tosta, aveva contrattato con gli assalitori per far evacuare i presenti. A dire il vero, nel vederlo offrirsi spontaneamente facendo leva sul suo nome e sui benefici che essi avrebbero avuto da un ostaggio del suo calibro, mi aveva fatto venire un accidente, salvo poi dovermi far animo e tirare fuori il mio lato più sfacciato nel realizzare che ad una donna presente tra gli ostaggi, a causa della tensione e della paura, si erano rotte le acque. Lì era toccato a me far fronte comune contro un ostinato idiota in mitra, assieme ad un incredulo Marcus che, a quanto pareva, non si aspettava di aver a che fare con qualcuno che aveva ben altro carattere rispetto alla quieta apparenza. Ricordavo con una certa soddisfazione un certo battibecco che si era concluso con una convincente minaccia di trasformare la banca in una sala parto da parte della sottoscritta e con l’ordine da parte di Marcus di garantire una necessaria e provvidenziale privacy alla partoriente, elemento che aveva permesso a lui di continuare la contrattazione e, al tempo stesso, a me di contattare Alexander che, da quel che sapevo, aveva dei contatti stretti con qualcuno di importante in Polizia.

Nell’arco di un paio d’ore, Marcus aveva ottenuto di evacuare gli ostaggi e aveva preso tempo per far sì che Lex organizzasse il tutto e la Polizia agisse in segreto e io, tramite tra i due, avevo nel mentre aiutato una donna a far nascere la sua bambina. Il ricordo della SWAT che entrava dal caveau e metteva in sicurezza l’interno, Marcus che, conoscendo già il gruppo, faceva in modo di coordinare il tutto senza che gli assalitori sospettassero nulla e l’adrenalina dell’azione finale, mentre la piccola Josette veniva al mondo al sicuro… una folle giostra di emozioni, eppure una su tutte, quando Marcus, dopo la cattura dei criminali, ci raggiunse nell’archivio in cui ci eravamo nascoste. Per la prima volta, io sporca di sangue, sudore e con quella piccina stretta tra le braccia, lui stravolto, mentre ci guardavamo, lo vidi preda di emozioni indicibili. E, su tutte, mi chiesi se tra quelle, che anch’io provavo, vi fosse quella che più mi ritrovavo a desiderare. Mi rivolse un sorriso che mai avrei dimenticato e poi si lasciò andare a un sospiro di sollievo, prima di crollare sulle ginocchia, decisamente tanto esausto e sconvolto quanto lo ero io stessa.

Ricordavo che qualche ora dopo, quando tutto ormai si era concluso per il meglio, mi disse delle parole che non mi sarei mai aspettata. Dunque sei così davvero, eh? Non hai battuto ciglio quando hai visto quei balordi irrompere… hai mantenuto il sangue freddo come se per te fosse normale avere a che fare con eventi del genere. E, in mezzo a tutto quel delirio, hai fatto nascere persino una bambina. Avevo sorriso, a quelle parole. Non dimenticare che è grazie a me se il rampollo di una famiglia importante di Boston è sano e salvo. Fece spallucce. Non che solitamente faccia sfoggio di ciò… ma se si tratta di proteggere degli innocenti e ristabilire la giustizia, non ho paura di nulla. Sgranai gli occhi, nel sentirlo parlare con tanta determinazione. E mi sovvennero le parole di Alexander, quando mi disse che lui sarebbe stato la punta di diamante del Dark Circus. Da qualche tempo, era ciò che anche lo stesso Alexander stava cercando di fare, da quando aveva scoperto che Richard Kenner stava cospirando con alcuni corrotti, di cui ancora non aveva ancora scoperto tutte le identità, per ottenere dei conti ubicati in paradisi fiscali e farla franca, colpendo indistintamente coloro che avrebbero beneficiato di quel denaro e che, in quel modo, avrebbero subito gravi danni. Marcus Howell… chi sei davvero?, avevo domandato, ottenendo per risposta un’occhiata divertita. Dovrei essere io a chiedere a te chi sei, Céline Clair. Ma non lo farò. Quando sarai pronta a dirmelo, sappi che ci sarò. E… anzi, se dovessi pensare a cosa fare in futuro, sebbene l’immagine di te che hai quella neonata tra le braccia sia quanto di più bello e sacro abbia visto oggi e mi basterà a vita… mi farebbe molto piacere se considerassi l’idea di entrare in Polizia. Sto creando il mio team e averti nel mio entourage sarebbe alquanto gradito. Non seppi cosa rispondere. Aveva capito molto più di quanto cercava di darmi a bere e, al tempo stesso, mi aveva teso la mano, con quella proposta. Eppure, mi ritrovai a desiderare qualcosa di più personale. Quel qualcosa che, anni dopo, sarebbe stato fonte di dolore, nel rendermi conto di aver fatto molto di peggio che prendere la sua mano.

Mi era capitato spesso, nei momenti che erano seguiti alla diagnosi di endometriosi severa, di pensare a cosa sarebbe accaduto se non avessi mai accettato la sua offerta… alla fine, non avevo fatto altro che aggrapparmi a lui, in un certo senso, come avevo fatto con Alexander, ma senza quell’incoscienza che il passato aveva portato con sé.

Marcus non si era scomposto allora, ma aveva elaborato il tutto nel solo modo che conosceva: un’intima riflessione e, in quel silenzio, alla fine, davanti alla mia richiesta di rottura, mi aveva confessato che non aveva mai realmente desiderato diventare padre. La morte del suo e tutto il carico che ne era derivato l’avevano segnato in un modo che nemmeno potevo immaginare. Per la prima volta da quando lo conoscevo, aveva rivelato tutto ciò che davvero albergava realmente nel suo cuore… e mi ero resa conto di quanto anche lui, pur se per motivi differenti, fosse danneggiato. E, alla fine, entrambi ci eravamo fatti forza, trovando quella via di mezzo che avrebbe conciliato i nostri desideri. Almeno, fino a che Nicholas non aveva sconvolto ogni cosa, guarendo entrambi.

– Propongo una sfida a beach volley! Due contro due. A meno che non vogliate partecipare anche voi. – la voce di Alexander risuonò nell’aria distogliendomi dai pensieri, mentre indicava il posto perfetto, verso la riva, e poi noialtre.

Elizabeth fece cenno di no, Kate si accodò per gustare meglio il match, mentre Lucy si offrì di fare da arbitro. Personalmente, ero sempre stata più tipo da danza, motivo per cui mi limitai ad augurare loro buona fortuna. Alexander ci dette l’ok, poi si rivolse nuovamente ai ragazzi.

– Sul serio? Guarda che se rimani secco poi non devi lamentarti, eh? – rispose Maximilian, inarcando il sopracciglio con l’aria di chi sapeva con chi avesse a che fare.

– Non preoccuparti di questo… perché Jace e io facciamo squadra. Vero, Jace? – fece eco Alexander, rivolgendogli un’occhiataccia che non ammetteva opposizioni.

Jace guardò Marcus con fare pietoso, prima di accettare. – Scusa. Sarebbe capace di farmi lavorare anche in pausa. –

Marcus gli riservò uno sguardo perplesso.

A dire il vero, tutto si poteva dire di mio marito tranne che fosse interessato agli sport. Dal momento che la sua vita si alternava tra lo star seduto dietro a una scrivania e gli impegni istituzionali che non erano particolarmente d’aiuto, anche se avesse voluto, non avrebbe avuto nemmeno il tempo necessario.

– Perché Alexander vuole Jace in squadra con lui? Pensavo che facesse squadra col detective Wheeler… – osservò Kate.

Elizabeth sorrise divertita. – Perché, contrariamente a quanto possa essere pantofolaio ora, Jace è stato un asso della pallavolo ai tempi del college… almeno prima che fosse cacciato… e non tanto per forza fisica, quanto per capacità di previsione. E Alexander lo sa bene. Anche se Max sa come dare del filo da torcere… –

– Oh… allora… Alexander, cerca di darti da fare e non abbassare la guardia! – esclamò Kate, ottenendo in risposta un assenso compiaciuto da parte di Lex.

Sospirai, guardando Marcus che stava per recarsi da Max. Per quanto fossi affezionata alla nostra psicologa, c’era qualcosa di più importante in ballo e aveva a che vedere con Nicholas, che guardava sia Alexander che Marcus con aria combattuta. Mi chinai accanto a lui e gli accarezzai il visino. – Perché devono giocare separati? So che devo fare il tifo per papà… però così Alexander ci rimane male… –

Sorrisi. – Puoi fare il tifo per chi vuoi, tesoro mio, a prescindere dalla squadra in cui milita. E comunque è un match informale, giusto per divertirsi un po’. –

Nicholas annuì, ma non mi sembrò particolarmente convinto. – Però… –

– Mhh… vediamo cosa si può fare. – sussurrai, facendogli l’occhiolino e rialzandomi. – Posso chiedere un time out prima dell’inizio della partita? –

– Ovviamente no. – replicò seccamente Alexander e gli scoccai un’occhiataccia.

– Arbitro? – mi rivolsi a Lucy, ignorandolo.

– Accordato. – mi rispose la ragazza di Jace.

– Arbitro!! – protestò Alexander.

– Prima che faccia io le squadre e non credo che le convenga, detective Graham… è meglio che obbedisca. – rispose con tono solenne e minaccioso, per poi cambiare registro. – Ah, potere decisionale… che bella cosa! Potrei abituarmici! – esclamò saltellando, in un modo che fece ridere noi e sbottare Lex, che si voltò verso di me, con fare impaziente.

– Tu. Marcus. Io. Ora. – dissi, facendo cenno a entrambi di raggiungermi, poco più dietro. Entrambi si guardarono, poi ci appartammo per qualche istante, mentre i ragazzi finivano di predisporre il campo e le ragazze parlavano con Nicholas.

– Per quanto in passato fossi lusingato dall’idea di una cosa a tre, mi pare che comunque noi abbiamo superato da anni quella fa--   

Né Marcus né io permettemmo a Lex di terminare la frase, rispettivamente, con uno sguardo truce il primo e con una tirata d’orecchio la sottoscritta. – Adesso ascoltate, tutti e due. Non importa che perdiate o vinciate… Nicholas si aspetta che suo padre e il suo padrino facciano squadra insieme… e voi non volete deluderlo. Vero? – mi assicurai di far ben capire il messaggio al secondo tirandogli l’orecchio con più forza.

– Ahh! Perdere con Marcus… ne va della mia reputaz--  

– Non ho capito. – insistetti.

– Così gli stacchi l’orecchio però… – osservò Marcus.

– Non sarà la sola cosa se non farà come dico. Non è così, Lex? Con tutti i favori che mi devi, sei fortunato che ti chieda qualcosa di così innocente. – bisbigliai, mollando la presa e guardandolo di sottecchi. Lui massaggiò l’orecchio.

– Credevo di essermi sdebitato ampiamente facendovi da Cupido in passato, quindi… –

– Niente affatto. Semmai fu merito mio l’averti portato Marcus, dunque… –

– Oh certo. Ma se fui io ad organizzare tutto. –

– Senza il mio aiuto non ce l’avresti mai fatta. –

– Scusate… –

– Comunque non ho intenzione di perdere clamorosamente. –

– Ma lo farai lo stesso. Per Nicholas. –

– Voi due… –

– Non puoi chiedermi questo… che esempio daremmo a Nicholas così? Le difficoltà si affrontano. –

– Disse quello che voleva vincere facile con Jace accanto. –

– Selina, Alexander? –

Entrambi ci voltammo verso Marcus, che sospirò esasperato. – Davvero credete che io sia una tale causa persa? –

Lex e io ci guardammo di nuovo, poi annuimmo. – Amore, sappiamo che non sei bravo negli sport… –

– E non hai il quoziente intellettivo di Jace, dunque… –

Il mio solitamente imperturbabile marito si adombrò, per poi incrociare le braccia e inarcare entrambe le sopracciglia, torreggiando su di noi e rivolgendo a entrambi un’occhiata intimidatrice alquanto eloquente.

– M-Marcus? –

– Bene. Se è questo ciò che pensate… lasciate che vi informi che non si diventa capo del corpo di Polizia senza un’adeguata preparazione fisica e mentale. Dunque, non sia detto che Marcus Ryan Howell non sia in grado di sostenere e vincere un semplice match di beach volley. Alexander, in quanto tuo superiore, questo è un ordine: sei in squadra con me ed entrambi porteremo a casa la corona della vittoria. –

A quelle parole, dopo un iniziale stupore, seguì uno sbuffo di risate da parte di entrambi. Marcus si accigliò e non arretrò, mantenendo un tono saldo. – Dico davvero. –

– Detto in quella tenuta, per uno che è sempre in giacca e cravatta… beh, questo è l’ordine più informale che abbia mai ricevuto in vita mia. E se proprio devo farlo, allora… se perdiamo, voglio casa a Cambridge. – disse Alexander, affilando lo sguardo.

– Scordatelo. Faresti di tutto per perdere di proposito. –

– No, ma sono realista. –

Sospirai. – Per una volta… non potete comportarvi come persone normali? –

– Disse quella che aveva preteso un cambio nelle squadre. –

Colta in fallo, misi una mano in faccia. – Marcus, ti prego, di’ di sì e cominciate questa dannata partita! –

Marcus rimase a bocca aperta, poi si massaggiò la fronte, tra gli occhi, prima di voltarsi verso il gruppo in attesa. Probabilmente, aveva dovuto incrociare lo sguardo di Nicholas, perché tornò a guardarci e annuì. – Va bene. Ma se provi a perdere di proposito, ti spedisco a North Dorchester a mantenere l’ordine pubblico senza possibilità di appello. E cerca almeno di non intralciarmi. – sentenziò seccamente, prima di raggiungere gli altri.

Lex mi guardò. – Fa sul serio? –

Feci spallucce. – A quanto pare… –

– Che ce la mandi buona… – disse, alzando gli occhi al cielo e precedendomi.

Mi ritrovai ad annuire, prima di vederli disporsi in campo secondo ciò che era stato deciso. Quando raggiunsi anch’io il gruppo, mi sedetti accanto a Nicholas, che si appoggiò a me. – Giocano insieme! Ora posso fare il tifo per bene! –

Annuii. – Dobbiamo farlo sì. Vero Kate? –

Kate sorrise teneramente, sedendosi vicino a noi. – Certamente. Alexander, dottor Howell!! Siete i più forti!! –

Elizabeth, ridacchiando, si voltò verso Maximilian e Jace, accarezzando la sua pancia. – Due anche di qua! Forza papà e forza Jace! –

Max le rivolse il suo sguardo più dolce. – Vinceremo assolutamente! –

– Puoi dirlo forte! – si aggiunse Jace, prendendo la palla e preparandosi alla battuta.

Guardai Alexander, che era passato in retroguardia, lasciando Marcus davanti. Come minimo, aveva intenzione di fare backup nel caso, decisamente probabile considerando la postura del tutto sbagliata di Marcus, lui non avesse ribattuto.

 – Sarà una strage, vero? – mormorò Kate e io annuii, imbarazzata. – Però almeno ci provano… – sussurrai a mia volta.

– L’importante è che lui si diverta… – aggiunse, chinando gli occhi azzurri su Nicholas, che osservava con attenzione ogni cosa, e mi ritrovai a convenire.

Alla schiacciata di Jace, Alexander balzò in difesa e Marcus fece altrimenti, sollevando le braccia per prendere la palla. Tuttavia, dando prova di un tempismo fuori dal comune, Nicholas si alzò e si mise a urlare un incoraggiamento decisamente... singolare.

 – Papà, prendi quella palla altrimenti stanotte dormirai sulla chaise longue!! –

Ci voltammo tutti verso di lui, sconvolti. Ad essere sincera, oltre allo shock nel mio caso si era aggiunta una dose di imbarazzo al pensiero del dove avesse sentito quelle parole. Rammentai a mie spese di averle dette alla nostra governante soltanto pochi giorni prima… e Nicholas doveva aver ascoltato. Enfant terrible… non l’avevo partorito, era vero, ma era decisamente mio figlio.

– Nicholas… –

– La chaise longue? Avete una chaise longue in camera? – chiese Kate.

– Ehm… –

– A dire il vero credo intendesse altro… – rispose una serafica Elizabeth e Kate colse subito l’allusione, guardandomi allibita.

Arrossii, ma fu nulla rispetto a quando non sentimmo un tonfo e una mezza imprecazione. Ci voltammo di colpo… e, con buona pace, non fu Marcus a prendere la palla… ma la palla a prendere Marcus, in pieno.

– Marcus! – esclamammo in coro.

– Papà!! –

Marcus barcollò, ma la palla, in qualche modo, era ancora in gioco, tanto più che Alexander riuscì a rispedirla ai mittenti, dando inizio a una sequela di passaggi da un lato all’altro del campo. Grazie alle direttive di Jace, Maximilian non aveva alcun problema a ribattere, ma, contrariamente a quanto avevamo pensato di lui, Alexander non si arrendeva e combatteva con onore. Almeno avrebbe conquistato casa a Cambridge senza bisogno di perdere di proposito… Quanto a Marcus, dopo un iniziale sbigottimento, riuscì a riprendersi e, quantomeno, a non prendere troppe pallonate.

Noi ragazze, invece, tra tifo, preoccupazione e necessità di spiegare a Nicholas il modo corretto, che non contemplava il rivelare minacce, trascorremmo lungo tempo ad assistere a una Waterloo annunciata, ma, nonostante tutto, incredibilmente divertente. Sì, avevamo decisamente bisogno di staccare e, in fondo, se ne erano resi conto anche i ragazzi.

 


***



            Il pomeriggio, in attesa di ritrovarci tutti a cena e dietro insistenza di Nicholas, al quale avevamo promesso ufficialmente di poter trascorrere un po’ di tempo insieme a Kate ed Alexander, avevo approfittato del tempo a disposizione per rimettere in sesto un Marcus piuttosto dolorante. Nel massaggiargli le spalle arrossate dal sole e indolenzite, mentre eravamo entrambi seduti sul letto king size della nostra suite, ci ritrovammo a parlare un po’.

– La prossima volta che mi viene in mente di accettare, ricordami che non ho più l’età per fare certe cose… –

Spinsi i polpastrelli dei pollici alla base del suo collo e lo sentii irrigidirsi, per poi lamentarsi.

– Suvvia, un po’ di movimento fa bene. E comunque, Nicholas ha gradito. –

Scosse la testa e le onde castano scuro, ancora umide per la doccia, ballarono lasciando cadere delle goccioline d’acqua profumata sulle mie mani. – Almeno questo mi consola. Anche se la storia della chaise longue… –

Feci ruotare i polpastrelli, stavolta e chiusi gli occhi, sorridendo. – Ti immagini se avesse detto qualcosa di più compromettente? Quel bambino è un ottimo ascoltatore, sai? –

Percepii il suo sorriso di rimando. – Non lo metto in dubbio. Ma mi sarebbe andato bene un “Forza papà!”. In fondo, ho poche pretese. Puoi spostarti sulla spalla destra, per favore? La sento intorpidita. –

Riaprii un occhio. – Alla faccia delle poche pretese, eh? Comunque avete perso con onore, dovresti esserne soddisfatto. – aggiunsi, per poi fare come mi aveva chiesto, sollevando il suo braccio e ruotandolo con attenzione, ottenendo un mugugno in risposta.

– Ahh. E tu, invece? Sei soddisfatta, ora? –

Sapevo che si stava riferendo ai momenti trascorsi con Nicholas, ma sebbene fossi consapevole del fatto che la strada con il mio piccino fosse fatta di piccoli passi, non sarei stata mai soddisfatta completamente fino al momento in cui non mi avesse davvero considerato la sua mamma. Sapevo bene che la presenza di Karina nel suo cuore e nei suoi ricordi ci sarebbe stata per sempre e non osavo nemmeno pensare di far qualcosa per rimuoverla. Dovevo e potevo soltanto attendere che in quel suo cuoricino facesse un po’ di posto anche per me e che Selina diventasse mamma anche per lui.

Chiusi gli occhi per un attimo, riportando quel pensiero nel posto da cui aveva fatto capolino e poi sospirai profondamente, osservando le spalle larghe e definite di Marcus, prima che scostasse il braccio e si voltasse verso di me. Era così affascinante, con quel suo sguardo profondo e attento, incastonato nel volto dai lineamenti spigolosi e antichi, e sembrava leggere le mie intenzioni come fossi un libro aperto. Appoggiai le mani sulle lenzuola di candido lamé e inclinai appena il capo, lasciando che i capelli mi ricadessero lunghi su un lato.

– Mhh... dipende da cosa intendi. – ripresi, in tono sottintendente.

Lui non disse nulla, ma vidi chiaramente il fremito tra le sue sopracciglia scure, prima che prendesse una delle mie ciocche corvine e la lasciasse scorrere delicatamente tra le dita.

Attorno a noi, la piacevole brezza che entrava dalla porta-finestra aperta sul balcone si era mischiata al profumo di bagnoschiuma e a vederlo così, con soltanto l’asciugamano bianco attorno ai fianchi, le minuscole tracce d’acqua ancora addosso, i segni del sole sulla sua pelle, mi sentii bruciare e lasciai andare i pensieri, alla ricerca di un’altra soddisfazione. Mi tirai un po’ indietro, verso i cuscini, lasciando che l’accappatoio che avevo addosso mi scoprisse appena le gambe. A causa degli impegni di entrambi, era da un po’ che non stavamo insieme e a giudicare dalla sua espressione, stava pensando la stessa cosa.

Sorrisi ad invitarlo e non se lo fece ripetere una seconda volta, avvicinandosi in un lungo balzo e attirandomi a sé in un bacio che sapeva di desiderio. Non che per me fosse diverso e mi sdraiai sui cuscini, tirandolo giù con me senza staccarmi da lui e anzi, chiedendo di più, mordicchiando il suo labbro inferiore e passando le dita tra le onde scure. Sentii un ringhio risalirgli in gola, mentre si tirava su e allentava il nodo della cintura del mio accappatoio, senza distogliere lo sguardo dal mio.

– Marcus, per favore… – fiatai, con urgenza. Giuro, avrei preferito che mi prendesse vestita. Ma a quanto pareva, aveva altre idee in mente.

Inarcò il sopracciglio e sorrise malevolo, per poi sciogliere il nodo e sfilare la cintura. Poi, usando la mano libera, con movimenti lenti e squisitamente ignoranti la mia pelle in fiamme, aprì l’accappatoio, lasciandomi mezza nuda e impaziente sotto di lui.

– Pensavo… non è una cravatta, ma… –

Sgranai gli occhi e sollevai istintivamente le braccia con i polsi chiusi verso di lui.

– Ti prego… –

I suoi occhi scuri si accesero d’eccitazione e mi ritrovai in breve senza più l’accappatoio addosso, ma con i polsi legati insieme e le braccia sollevate ad altezza della testiera. Fissai il mio sguardo prima sul suo petto teso sopra di me, poi risalii sulla sua gola e infine, incontrai nuovamente il suo volto, prima che tornasse nella mia bocca, in una danza di lingue che ebbe l’effetto di ottenebrare del tutto quel poco che rimaneva delle mie facoltà mentali. E nel mentre, una mano tenne ben salda la presa sul mio viso e l’altra scese a stuzzicare con malizia e sicurezza prima i miei capezzoli turgidi, ottenendo in risposta una scarica di piacere che mi fece gemere in lui, per poi scendere e impedirmi di accomodare meglio le gambe sotto i suoi fianchi.

– Marcus, Sacrebleu, vuoi farmi impazzire? Ti prego… non ce la faccio più! – protestai.

Rise con voce roca, come non lo sentivo da tempo. – No. Hai più di qualcosa per cui fare ammenda, dunque… –

Mi ritrovai ad ansimare a bocca aperta quando le sue labbra scesero a prendere il posto delle sue dita, succhiando a lungo e mordicchiando, per poi scendere lungo il mio ventre e più in basso, con movimenti lenti e calcolati nella loro voracità, mai quanto il suo sguardo seducente ancora attento al mio. Mi spinsi più verso i cuscini e cercai di sollevarmi affinché si decidesse, ma mi rispose con un ghigno e mi ritrovai voltata all’indietro, con le braccia incrociate e urlai. Non che fosse dolore, ma non me l’aspettavo. Inarcai la schiena ritrovandomi spinta tra le lenzuola e sentii le sue labbra scendere lungo la mia colonna vertebrale, che ospitava, non visto ai più causa posizione poco sopra l’area sacrococcigea, il tatuaggio del Dark Circus.

Come un marchio d’appartenenza, ciò che aveva significato, in passato, un primo vero atto di ribellione a quel padre da cui desideravo attenzione e da cui ricevevo soltanto silenzi. Strinsi i pugni e gemetti nel sentire le sue dita muoversi su di me seguendo quelle linee artistiche. Diversamente dai tatuaggi di Alexander e Maximilian, il mio era più piccolo, ma molto più elaborato. Una lama avviluppata da un rovo d’oro e una rosa rossa alla base dell’elsa. Chiusi gli occhi nel sentire la punta rovente dell’indice destro di Marcus che ne seguiva i contorni, lasciando che il piacere del suo tocco sul mio corpo facesse il resto. Mi sentivo come una statua d’argilla nelle mani del suo creatore, per un tempo indefinibile.

Quando finalmente mi fece voltare di nuovo e i nostri sguardi si incontrarono ancora, stavolta senza più remore, non tergiversò e, splendidamente nudo, entrò in me, che non attendevo più altro, senza alcuno sforzo, ma rispondendo soltanto a un bisogno vitale per entrambi. E fu meraviglioso, eccitante come non ci succedeva da tempo, grazie anche all’aria marina che rinfrescava e offriva un brivido in più. Mi ritrovai presto con i polsi nuovamente liberi e lo strinsi a me, percorrendo a mia volta la sua schiena che si inarcava sul basso spingendosi in me e di tanto in tanto, istintivamente, lasciandogli dei graffi che l’avrebbero sicuramente costretto a tenere addosso la camicia, l’indomani. Non che lui fosse da meno, nel rendermi conto del fatto che, con tutta probabilità, mi sarei ritrovata a dover aver a che fare con dei segni a mia volta, ma in quel momento, non importava a nessuno dei due. Come fuoco gettato sui tizzoni ardenti, il ricordo della nostra prima volta si fece strada ad alimentare le sensazioni che già stavo provando.

Avevamo discusso, quella volta, perché avevo scoperto che Marcus aveva già preso contatti con Alexander a mia insaputa e, insieme, avevano stretto un accordo che avrebbe previsto un beneficio per entrambi: Lex avrebbe smascherato Richard e i suoi complici, consegnando le prove a Marcus, il quale avrebbe ottenuto una risonanza tale da raggiungere le cariche di suo interesse. In cambio, Alexander e Maximilian sarebbero entrati in Polizia e nessuna menzione del nostro passato nel Dark Circus sarebbe mai stata fatta. Il resto sarebbe diventato leggenda.

Essendomi sentita esclusa, avevo litigato con Lex, per di più scoprendo che il motivo che l’aveva spinto a riconsiderare tutta la sua stessa vita fino a quel momento e a intraprendere quella carriera era stato la gravidanza di Elizabeth, di cui nemmeno lei mi aveva parlato. Non mi ero mai sentita così tradita e, in un certo senso, quei segreti avevano finito col minare tutte le certezze che avevo faticosamente cercato di costruire in quegli anni. Pertanto, avevo deciso di chiudere con il Dark Circus e con lo stesso Marcus, non prima di averlo, però, messo davanti alle sue menzogne.

Avevo deciso di affrontarlo a viso aperto, ma quel giorno stesso, come se il destino non volesse saperne di smettere d’accanirsi contro il mio animo inquieto, mio padre mi convocò nel suo studio per informarmi di aver deciso di tornare in Francia, avendo accettato una cattedra alla Sorbona. Il problema, per quanto mi riguardava, era nel fatto che quella decisione non era legata soltanto a un discorso accademico, ma alla presenza della sua amante storica, la sola in grado di fargli considerare seriamente l’idea di un trasferimento.

Disperata e ormai esasperata, di fronte a quell’ennesima rivelazione e all’essere stata ancora una volta passiva destinataria di comunicazioni su argomenti ormai stabiliti, per la prima volta in vita mia, risposi con tutta la rabbia, con tutto il risentimento e con tutta la delusione che mi portavo dentro da troppo tempo e lo mandai all’inferno, sperando che, quantomeno, quella sarebbe stata l’ultima volta in cui ci avessi avuto a che fare. E, per la prima volta, sul volto di mio padre, in quegli occhi ambrati così simili ai miei, si aprì un’espressione di incredulità. Céline! Non ti permetto di parlarmi in questo modo! mi aveva urlato contro, quando gli avevo augurato persino di aver quei figli maschi che mia madre non era stata in grado di dargli, per renderli a sua immagine e somiglianza.

Selina! Siamo in America, è Selina qui. C’est tout, père., avevo risposto, girando i tacchi e lasciando quel luogo, ma portando con me la consapevolezza di quell’ennesimo fallimento.

Vagai a lungo senza meta, piangendo, tra gente a cui non importava nulla di me. Dovevo essere io stessa a raccogliere i pezzi del mio cuore e a rimetterli insieme. Ma, in quel momento, non ne avevo affatto la forza. Avevo soltanto un gran freddo, in un ormai inoltrato pomeriggio piovoso di fine novembre, e ad ogni passo in quel groviglio di strade e persone, così simile alla vita vuota e senza senso che avevo condotto tra Parigi e Boston in quegli anni, sentivo di essere sempre più sola e miserabile. D’improvviso, anche il Dark Circus era diventato causa di malessere, per me. Avevo disperatamente cercato in quella vita segreta e parallela una via di fuga, senza rendermi conto di quanto stessi sprofondando nel marcio. E, alla fine, non mi era rimasto nemmeno quello.

Mi strinsi nelle braccia, strofinando per far calore, dato che non mi ero nemmeno presa la briga di riprendere il mio blazer. La Regina ormai aveva perso la sua corona e di lei non rimaneva che l’aspetto dismesso, riflesso nella vetrina di un Café. E fu allora che sentii uno stridio di freni e, nel vetro che continuava a restituirmi una me persa nella vita che continuava imperterrita e disinteressata, l’immagine di Marcus, l’espressione sconvolta, sempre più vicina e più vivida. Sobbalzai al tocco che mi fece voltare e incontrai i suoi occhi. In essi, soltanto un muto conforto. Tolse il cappotto color cammello che aveva addosso e me lo mise addosso. Quel calore, assieme al suo profumo di colonia, servì a calmarmi e mi abbandonai al suo abbraccio, quando, ignorando sia la gente che si era fermata a osservare la scena che la coda che si stava formando dietro alla Volvo C30 nera da cui era sceso senza farsi troppi problemi, mi portò con sé in auto e chiedendo all’autista di ripartire, con destinazione la sua residenza.

Stretta tra le sue braccia, tutti i miei propositi di affrontare anche lui svanirono quando mi sentii cullare e scoppiai a piangere, facendomi piccola piccola. Marcus non disse nulla, ma continuò semplicemente a tenermi con sé, per tutto il tempo necessario.

Anche una volta arrivati a casa, accolti dalla signora Thompson, la governante, e da Laurie e Amanda, che non si aspettavano il rientro prima del tempo del fratello, Marcus non mi lasciò per un istante, chiedendo anzi che mi fosse preparato tutto il necessario per ospitarmi. Alla curiosità dei due giovani Howell e di Amanda, in particolare, che rispetto a Laurie era quella che più somigliava a Marcus, con i lunghi capelli castani ondulati e gli occhi scuri di un tono più chiaro, fece eco la professionalità della governante che, dopo averli rimandati prontamente a studiare, mi fece preparare un bagno caldo e una camera, nonché degli abiti puliti e un profumato vassoio con thè caldo e deliziose madeleine. Cosa avrei dovuto aspettarmi? Rigirai la madeleine tra le dita, quando sentii Marcus bussare alla porta. Avanti., dissi, lasciando il dolcetto nel piattino. Quando entrò, la sua espressione si fece sollevata. Si sedette accanto a me, sul morbido letto a baldacchino che troneggiava nella stanza dai toni caldi, e attese che fossi io a parlare.

Gli raccontai ogni cosa, partendo dall’inizio. Della mia famiglia inesistente. Dei miei patetici tentativi di ricevere amore da un padre che conosceva fin troppo bene i meccanismi del pensiero e per niente quelli del cuore, della mia vita a Parigi in una nicchia d’élite e poi a Boston, del Dark Circus. Della mia relazione con Alexander e di quel gioco di perdizione e potere alla Baudelaire… per me che tanto Madame Bovary mi sentivo. Del rendermi conto di quanto ogni mio tentativo di sentirmi viva fosse insulso e inutile, tanto più che la sola strada che avevo potuto percorrere, alla fine, era stata quella della medicina legale, in un altro patetico tentativo di aggrapparmi alla vita attraverso la morte. E alla fine, cos’avevo mai ottenuto da tutto ciò, se non piaceri effimeri e nulla di realmente costruttivo? E a cos’era servito creare dei legami, se questi avevano finito con l’infrangersi come onde sugli scogli? Forse, sarebbe stato più saggio e meno penoso se avessi evitato di lasciarmi andare. Sarebbe stato più semplice, sì. Ma se c’è qualcosa che non possiamo controllare è proprio il nostro cuore. E paradossalmente, è proprio ciò che dovrebbe essere tenuto maggiormente a bada, perché una volta lasciato andare… sei totalmente in balia degli eventi. È come un serpente che si morde la coda da solo. Sobbalzai nel sentire quelle parole. Dunque, non ho scelta? Vuoi dirmi questo?

Marcus sorrise. Avrai sempre una scelta. Se rimanere ostaggio di un cuore che non puoi controllare o se guardarla da un’altra prospettiva e di diventare tu stessa forte abbastanza da decidere realmente tu cosa sia meglio per la tua vita. Abbassai lo sguardo, fissandolo sulle mie mani strette nell’abito color foglia d’acero che certamente era di Amanda. La verità… è che io ho cercato di essere forte per tutta la mia vita… e alla fine, non ho fatto altro che ergere un castello di bugie intorno a me… perché in realtà, non lo sono per niente… risposi, sentendo la mia voce tremare e vedendo tutto attraverso un velo di lacrime.

Marcus si alzò e quella mancanza improvvisa mi provocò un vuoto d’aria. Mi morsi le labbra, al pensiero di aver finito col deluderlo. D’altronde, avevo finto anche con lui, dunque sarebbe stato del tutto logico se non avesse più voluto ascoltare altro. Ricacciai un singhiozzo indietro, cercando di raggranellare un minimo di compostezza, quando Marcus si chinò in ginocchio di fronte a me e mi sollevò il viso con entrambe le mani. Le lacrime vennero giù senza che potessi far nulla, quando incontrai nuovamente quel suo sguardo. Soltanto allora mi resi conto di come, fuori dalla finestra, stesse imperversando la tempesta. La pioggia battente, i tuoni… eppure, fino a quel momento non mi ero resa conto di niente, tanto la sua presenza era stata catalizzante.

Sono un disastro, scusami…, biascicai, in un maldestro tentativo di salvare il salvabile. E Marcus sospirò, prima di regalarmi il suo più tenero sorriso, poi sollevò il sopracciglio. Sei il più bel disastro che abbia mai visto in tutta la mia vita… e la verità è che non ci rinuncerei per nulla al mondo, Selina Clair…, mi disse, con voce gentile, tanto da farmi arrossire come una ragazzina a cui avevano appena confessato i propri sentimenti. C’erano così tanta sincerità e tanta purezza in quelle parole… così forti da toccare le corde piene di dolore del mio animo e guarirle, come fossero taumaturgiche. Non potei far altro che ricambiare quel sorriso, che a poco a poco si fece più intimo, più sentito, più vicino, fino a che non sentii le sue labbra sulle mie, in un bacio lento, delicato, diverso da tutto ciò che avevo sperimentato sino a quel momento. Ero finita sul fondo del pozzo, ferita e smarrita come una bambola rotta e abbandonata. Ma in quell’istante mi resi conto che avrei potuto scegliere tra il rimanere lì a raccogliere i cocci o il reagire. E scelsi di amare Marcus Howell, nel cui abbraccio mi sentivo viva. Allora, cominciai a guarire.

Il pleure dans mon coeur comme il pleut sur la ville, diceva Verlaine. Quella notte, tra le sue braccia, mentre la pioggia continuava a cadere sulla città, per la prima volta in vita mia, nel mio cuore non cadde più.

Spalancai gli occhi ansimando, prima di stringere Marcus con tutte le forze che avevo, tanto forte era stata l’intensità dell’orgasmo. Lo sentii spingersi ancora in me, prima di venire a sua volta e lasciare che ciò che stavamo provando entrambi andasse lentamente a perdersi, così come i nostri sguardi persi l’uno dell’altro, languidi e soddisfatti. Lasciandoci sfuggire un ultimo sospiro di piacere, ci ritrovammo abbracciati e prede di un più che piacevole affanno per diversi minuti.

 – Se questo è quello che mi aspetta per aver perso una partita sarò più che felice di perdere a vita… – ridacchiò Marcus, quando ebbe ripreso fiato, con quel pizzico di ironia che lo contraddistingueva.

Sorrisi, incrociando le braccia sul suo petto e appoggiandovici il viso. – Ah no. Dovrai far di tutto per vincere la prossima volta. Sai com’è… questo era il premio di consolazione… –

Roteò gli occhi, poi portò il braccio dietro la testa, sui cuscini, e fece per dire qualcosa, quando sentimmo il suo iPhone squillare. Ci guardammo entrambi, poi si voltò verso il comodino e tese nuovamente il braccio, prendendolo. Osservai le rughe farsi strada sulla sua fronte.

– Morris. –

Stavolta toccò a me roteare gli occhi. – Non rispondergli. Sei praticamente suo ogni giorno, quindi per un weekend può anche lasciarti in pace… –

Mi rivolse un’occhiata in tralice. – Deve essere urgente. Sa che siamo qui in vacanza, pertanto non avrebbe disturbato se non fosse stato importante. –

Sbuffai e mi scostai, mentre si tirava su. – Dammi qualche istante e torno. –

– Mmhhh. – bofonchiai. Almeno il lenzuolo lo tenni su io e dovette avvolgersi intorno l’asciugamano che era rimasto da qualche parte sul letto. Lo vidi alzarsi, scrollando le spalle su cui potevo intravedere delle linee rosse, con mio compiacimento, e andare sul balcone, per rispondere a quella chiamata.

Sospirai, notando soltanto allora che la temperatura era scesa e che c’era maggiore umidità, un po’ troppo per i miei gusti e per il periodo.

– Perfetto… i miei capelli ringraziano. – mormorai tra me e me, nel prendere una ciocca aggrovigliata. Non che fosse soltanto colpa del tempo, a dirla tutta.

Afferrai il mio iPhone sul mio comodino e vidi che Kate mi aveva mandato una foto che mi scaldò il cuore. Nicholas faceva segno di vittoria dopo una partita a scacchi contro Alexander. Sullo sfondo, quest’ultimo sorrideva con l’aria della compiacenza e sapevo bene quanto anche per lui fosse importante che Nicholas fosse sereno, a dispetto di tutto. In fondo, se non fosse stato per Lex e per Kate, il mio piccolino avrebbe avuto tutt’altra sorte. Mi affrettai a rispondere con un vocale.

– Ben fatto, tesoro mio! Sono davvero orgogliosa di te! –

Sospirai, stringendo l’iPhone tra le mani, poi mi voltai verso il balcone. Altro che pochi istanti… Marcus si era persino seduto sulla poltroncina, accanto al tavolino che ospitava i nostri drink, segno che la conversazione si sarebbe protratta. Guardai l’ora. L’orologio segnava le 17:42 e ci saremmo dovuti ritrovare tutti a cena per le 20:30. Mi alzai pigramente, ancora avvolta nel lenzuolo, e mi affacciai sul balcone.

– Saluta quel guastafeste di Frank. – sussurrai sadicamente, prendendo la flûte e riempiendola di delizioso Roederer Cristal.

Marcus increspò le labbra e ignorò volutamente le mie parole, continuando a conversare con Morris a proposito di una qualche operazione che avrebbe richiesto nuovamente le nostre forze congiunte. Aggrottai le sopracciglia e sollevai il calice verso di lui, poi mi voltai verso la distesa dell’oceano in lontananza e bevvi. Un’inattesa folata di vento mi fece rabbrividire e posai il bicchiere, indicando a Marcus il bagno e lui annuì, poi mi affrettai a rientrare e a rifugiarmi nuovamente nella doccia.

L’acqua calda fu una deliziosa benedizione e ne approfittai per rilassarmi, riaprendo gli occhi svariati minuti dopo, soltanto quando mio marito, dopo aver terminato il colloquio, mi raggiunse… e il relax dovette attendere ancora… e ancora... e ancora…


 ***


Finimmo di prepararci poco prima dell’ora di cena. Data l’informalità, non avevo ritenuto il caso di svaligiare tutto il guardaroba di pregio e così, mi ero decisa a indossare un semplice abito morbido in seta dai toni ramati. Avevo acconciato i capelli in una treccia laterale a spina di pesce che ricadeva sulla spalla sinistra. Mi mancavano soltanto gli accessori. Seduta davanti allo specchio della toeletta, stavo osservando i gioielli che avevo portato con me. Avrei sicuramente optato soltanto per una collana, ma non avevo ancora deciso per quale. Mi voltai verso Marcus e Nicholas. A Marcus, camicia bianca di lino, pantaloni color sabbia, giacca in tinta e stringate marroni, faceva eco Nicholas che, con grande impegno, stava finendo di allacciare le scarpe. Quando tirò su il visetto, le guance rosse per il sole e i capelli arruffati, batté gli occhioni azzurri e mi rivolse un sorriso candido.

– Ce l’ho fatta! Il fiocco è venuto bene! – esclamò.

Sorrisi anch’io. – Già. Sembra proprio che sia una giornata di successi oggi, eh? –

Lui annuì e mi raggiunse. – Anche se papà e Alexander hanno perso la partita… –

Marcus inarcò le sopracciglia, io ridacchiai. – Eh già. –

Lo vidi volgere lo sguardo sulle due pietre delle rispettive collane con filo in oro che avevo in mano. Una era un bellissimo topazio ambrato, l’altra un diamante a goccia ricavato dal Cullinan.

– Ti piacciono, tesoro? – chiesi, mostrandogliele.

I suoi occhi si accesero nel notare il brillio di entrambe.

Appartenevano a due momenti diversi della mia vita e le portavo sempre con me. La prima era un cimelio, essendo appartenuta alla mia bisnonna materna. Una reliquia, passata di generazione in generazione alle donne della famiglia. A dire il vero, per quanto trovassi quel topazio simile al colore dei miei occhi, il pensiero di essere l’ultima a poterlo indossare mi rendeva generalmente un po’ triste, tanto più che non lo portavo spesso. La seconda era stata il regalo di Marcus per l’arrivo di Nicholas nella nostra vita. Desiderava, con esso, simboleggiare davvero un nuovo inizio, come famiglia, e dunque, il nostro legame. Il mio piccolo tese la manina verso il topazio, salvo poi ritrarla subito, imbarazzato. Quel gesto fece scambiare un’occhiata perplessa a me e a Marcus.

– Che c’è, Nicholas? Puoi prenderle tranquillamente. –

Arrossì e poi scosse la testa. – Ricorda il colore dei tuoi occhi perché ha tante sfumature… dovresti metterla. – farfugliò.

Battei le palpebre, poi sollevai il topazio e sorrisi, sentendo il mio cuore scaldarsi di gioia.

– Sono d’accordo. Grazie del consiglio, piccolo mio. – risposi, accarezzandogli la guancia. Nicholas sollevò appena lo sguardo e mi sorrise nuovamente, con grande tenerezza, poi corse ad abbracciare Marcus, che sollevò gli occhi al cielo, come a non poterci far nulla. Mi beai di quell’immagine e mi voltai nuovamente per indossare la collana che mi aveva indicato il mio bambino, per poi alzarmi e fare un giro su me stessa.

– Come sto? –

Padre e figlio si guardarono, poi risposero insieme con un dieci e lode.

 

E così, ci apprestammo a raggiungere gli altri per la serata, che si aprì con una squisita e appetitosa cena a base di pesce, musica e conversazione… e si concluse con il progetto di esplorare i dintorni del faro il giorno seguente. Inoltre, mentre noi adulti ci ritrovammo a chiacchierare del più e del meno, non ci sfuggì come Nicholas, forte della presenza di tutti noi accanto a lui, aveva fatto amicizia con i bambini presenti. Era così bello vederlo chiacchierare con altri bimbi e assieme a loro aveva giocato durante il primo pomeriggio, in spiaggia.

Dato che avevamo preferito attendere ancora un po’ prima di iscriverlo a scuola, a causa della sua situazione, non aveva tante occasioni per socializzare a dovere. Era sempre stato abituato a stare in mezzo agli adulti, o meglio, purtroppo, a subirne, tanto più che i primi periodi a casa erano stati duri. Eppure, poco per volta, aveva preso confidenza con l’ambiente e con i cuginetti coetanei, Anthony e Albert, figli di Laurie, tanto più che, una delle ragioni per cui avevo accettato senza batter ciglio la sequela di favori dei miei cognati stava nel fatto che così, Nicholas avrebbe avuto ancora più occasioni per trascorrere del tempo con loro. Era bello vederli tutti e tre in azione. I gemelli l’avevano accettato senza remore e, in questo, non potevo non vedere lo stesso comportamento di Laurie nei miei confronti, dato che lui stesso, assieme ad Amanda, mi aveva fatto sentire parte della famiglia nell’istante stesso in cui Marcus aveva detto loro che avrei trascorso con loro un po’ di tempo… tempo che pensavo sarebbe stato breve, almeno fino a che non fossi stata forte abbastanza da affrontare mio padre una volta per tutte e voltare realmente pagina, ma che aveva simboleggiato l’inizio della nostra convivenza, alla fine.

Quando la piacevole serata fu conclusa, Jace e Lucy decisero di fare un salto a Nantucket Town insieme a Kate ed Alexander, mentre noi facemmo compagnia a Maximilian ed Elizabeth nella loro suite, prima di tornare nella nostra. Nicholas, nonostante l’evidente stanchezza per la giornata trascorsa, si era rifiutato di andare a dormire per primo e si era accomodato tra me ed Elizabeth, sul divanetto che dava sul porticato interno. Max e Marcus portarono da bere delle tisane e si sedettero con noi. La temperatura era scesa ancora, tanto più che avevamo optato per il mettere addosso delle coperte leggere.

– Comincia a far fresco, eh? – osservai, passando la tazza Nicholas, che mi sorrise grato.

– Le previsioni parlano di fare attenzione agli eventi avversi. Ci manca soltanto che d’improvviso ci sorprenda un uragano. – rispose Elizabeth, sorseggiando la profumata tisana di pesca e melograno.

– Considerando che Alexander non ha ancora combinato nulla di cui farci preoccupare, direi che l’uragano per ora è scongiurato. – rise Maximilian, stendendo le gambe e incrociando le caviglie scoperte e le Espadrillas nere.

Nicholas sorseggiò a sua volta, mentre Marcus fece spallucce. – Piuttosto… abbiamo un accordo. Vuole una casa a Cambridge. –

Elizabeth alzò lo sguardo. – Come mai? Credevo che stare a Beacon Hill gli piacesse. Del resto, ha sempre apprezzato lo stile vittoriano della zona. –

– Magari ha a che vedere con suo padre. Dopo tutto quello che è accaduto, credo che persino lui si sia reso conto di quanto sia importante stare accanto alle persone care… e lui ci ha messo un po’ per ritrovare la via di casa. – spiegò Maximilian.

Ne convenni e guardai il rosso scuro, reso nero dalla notte incipiente, della mia tisana. Anch’io, in un certo senso, avevo vissuto lo stesso.

– Oppure semplicemente vuol mettere la testa a posto. – incalzò Marcus.

Maximilian si mise a ridere. – Per quello è più probabile che ci travolga un uragano. –

Elizabeth dissentì, accigliandosi. – Potete smetterla con questo ritornello? Mi mette agitazione. Siamo qui per rilassarci e divertirci, non per parlare di uragani e delle decisioni di Alexander. E poi… comunque, finalmente riesco a vederlo nuovamente felice. Kate gli fa bene, più di quanto lui stesso possa comprendere, forse. –

Annuii e così fecero anche i nostri mariti. – Comunque è assurdo che monopolizzi le conversazioni anche quando non c’è. – aggiunse Marcus.

– Per questo motivo… che ne dite di parlare dell’escursione di domani? Mi è venuto in mente che potremmo anche noleggiare uno yatch nel pomeriggio. – propose Maximilian.

– O magari potremmo andarci di mattina e visitare il faro di Brant Point nel pomeriggio. – suggerii.

Nicholas rispose con un grande sbadiglio e si appoggiò a me. – Hai sonno tesoro, eh? –

Na… io sono… io… – farfugliò parole con la voce di chi era ormai più nel mondo dei sogni che della veglia, così, messe da parte entrambe le nostre tazze di tisana, lo presi in braccio e lo sedetti su di me, affinché potesse star più comodo. Elizabeth mi aiutò a coprirlo e Nicholas, accoccolatosi, sprofondò in breve nel sonno, ormai vinto. Fino a che non l’avevo avuto tra le mie braccia, non avevo mai capito a pieno cosa avesse provato Elizabeth con Lily. Potevo soltanto lasciar lavorare la mia immaginazione al pensiero che non avrei mai tenuto tra le braccia un bambino addormentato. Né capitava spesso che si abbandonasse così. Sicuramente, la ragione stava nel fatto che era esausto dalla giornata trascorsa, ma nonostante tutto, mi faceva piacere e mi riempiva il cuore di gioia. Il peso del suo corpicino addormentato, le guance rosse, il suo respiro sempre più profondo e regolare… tutto di lui era così vivo e perfetto che non avrei mai potuto sperare in nulla di più. Mi sarei persa nell’osservarlo, se non avessi sentito sottovoce Elizabeth chiamare il mio nome.

– Sì? –

La mia migliore amica mi sorrise gentilmente. – Sarà meglio che ci ritiriamo tutti. Mi sento stanca anch’io e abbiamo bisogno di riposare. Che ne dite? –

– Sono d’accordo. Andiamo, Marcus? –

Ci rialzammo tutti e mio marito annuì, prima di togliere la giacca e metterla addosso a Nicholas. – Allora, a domani e buonanotte a tutti. –

Prendemmo così congedo e di lì a poco ci ritrovammo a dirigerci nella nostra suite, al piano superiore. Ci giungemmo nel silenzio intervallato dai respiri di Nicholas.

–  Beato lui… vorrei aver avuto la possibilità di dormire così profondamente anch’io, oggi. –

– Marcus Howell! – protestai sottovoce, con compiaciuta indignazione, nel cogliere il suo tono sottintendente.

Alzò le sopracciglia e ridacchiò sotto ai baffi, poi aprì la porta e rientrammo nella nostra stanza, ponendo ufficialmente fine alla nostra lunga giornata, così decisamente piena di emozioni. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

**Angolo dell'autrice**


Buona domenica a tutti! Primo capitolo up! Ero indecisa se spezzarlo o meno, ma alla fine ho preferito tenere tutto attaccato (soprattutto considerato che le mie lettrici dell'originale erano abituate a certi tour de force... spero comunque che la lettura sia risultata agevole! Alla fine, son tornati in scena anche gli altri personaggi di Dark Circus... e, devo ammettere, sono molto contenta di poterli guardare da un altro punto di vista. Selina, rispetto a Kate, è più matura ed è la persona che conosce Alexander e compagnia da più tempo, quindi, grazie a lei ho avuto l'opportunità di raccontare qualcosa in più e andare a riempire certi vuoti che, nel tempo, mi sono resa conto di aver avuto bisogno di raccontare. E, ovviamente, non potevo non raccontare della sua storia con Marcus che, rispetto alle impressioni di Kate, si è rivelato davvero un personaggio molto più sfaccettato di quanto avessi potuto pianificare. Un ringraziamento ai miei lettori silenziosi e uno in particolare alla mia dolcissima Red Saintia... sei speciale, lo sai! <3
Un abbraccio a tutti e alla prossima!

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Capitolo 3
*** II. prima parte ***


◊II◊

PARTE PRIMA

 

 

 

Il risveglio, quella mattina, fu particolarmente gradito. Nicholas dormiva ancora quando riaprii gli occhi. Non mi disturbai a guardare la sveglia, ma la luce che filtrava dalla tenda suggeriva che non fosse poi così tardi. Marcus, che generalmente aveva la sveglia fissa alle 5:30, si era dovuto concedere qualcosa in più, ma non troppo, perché la sua parte di materasso era fresca.

Mi stiracchiai il giusto, poi affondai la guancia del cuscino soffice, osservando il visetto ancora immerso nel sonno, accanto a me. Sembrava passato così tanto, eppure, in realtà, Nicholas era con noi da soli tre mesi. Il ricordo della prima notte a casa mi tornò in mente, al pensiero di come le cose fossero cambiate nel tempo.

Grazie al lavoro di Kate, per lui non eravamo degli estranei, anzi, si poteva dire che Nicholas avesse considerato l’intero V Dipartimento una grande famiglia allargata. Quando finalmente potemmo portarlo a casa dopo l’adozione ufficiale, si era dimostrato coraggioso e, dopo un’iniziale timidezza, persino incuriosito dal contesto. Nell’arco di poche ore, aveva fatto conoscenza con tutti e questo ci aveva lasciato ben sperare. Aveva persino conquistato Agnes, che aveva ricominciato a sorridere alla vita dopo la nascita dei gemelli, grazie ai suoi modi gentili e una prova di lettura di un brano tratto dai Libri della Giungla, che aveva già iniziato a leggere con Alexander in precedenza.

Sembrava che ogni cosa andasse per il meglio, almeno fino a quando non giunse la sera. Quel giorno era stato particolarmente sfiancante, perché sembrava finalmente che il caso del Mago fosse finalmente giunto a una svolta, ma l’improvvisa sparizione di Kate prima e la conseguente reazione di Alexander nello scoprire che lei aveva scoperto dell’indagine parallela che lui stava portando avanti e che la vedeva sia protagonista che obiettivo primo del Mago ci avevano scombussolati. Nicholas, in particolare, non aveva preso bene il non poter parlare con nessuno dei due e questo l’aveva spaventato. Si era sentito nuovamente abbandonato e nonostante Marcus e io l’avessimo rassicurato sul fatto che avrebbe visto entrambi dopo un paio di giorni alla festa che stavamo organizzando, non sembrava riuscire a darsi pace. Perché non posso tornare da Kate e Alexander?! Per favore, non voglio stare qui! Voglio tornare da loro! Perché non mi rispondono?!

Occorse tutta la nostra comprensione per capire che in quelle domande urlate tra le lacrime, taglienti tanto quanto un coltello affilato per il mio cuore, c’era il terrore di un bambino che aveva, dall’oggi al domani, visto la sua mamma sparire e non dare più alcuna notizia di sé, fino a che non era stata ritrovata morta. Nicholas temeva per Kate. Come dargli torto, dal momento che tutti quanti avevamo il cuore in gola? Lo stesso Alexander si era disperato, fino a che non aveva ricevuto un messaggio da parte di Lucy, che lo avvisava del loro viaggio a Shrewsbury, la città natale di Kate, alla ricerca di risposte. Soltanto allora eravamo stati in grado di rassicurare un po’ Nicholas e, almeno, di metterlo a letto, nella speranza che quello fosse sufficiente.

Fu Marcus per primo a sentire i suoi singhiozzi nel cuore della notte e, quando ci alzammo a controllare, a trovarlo rannicchiato, con le piccole braccia che stringevano le esili gambe, in un angolo tra le stanze che davano sul corridoio interno con balaustra in legno che dava sull’ampio ingresso sala, un piano più sotto.

Nicholas?, chiamai, a voce bassa, avvicinandomi a lui. Il piccolo tremava come una foglia. Accanto a lui, il lenzuolo del suo letto. Marcus e io ci scambiammo uno sguardo incerto e quando tesi la mano per toccargli il braccio, Nicholas spalancò gli occhi, scoppiando a piangere. Syzhalyavam! Non… non lo faccio più!! Mola, non lo faccio più! Non mi fare del male! Mola! Mama! Pomoschch!, urlò, tirandosi indietro e coprendosi terrorizzato, in un misto tra la nostra e la sua lingua madre. Non capivo cosa stesse dicendo di preciso, ma almeno una di quelle parole la compresi bene. Mi morsi le labbra e mi venne da piangere, tanto più che caddi sulle ginocchia e lo guardai impotente. Va tutto bene, Nicholas. Nessuno ti farà del male. Siamo qui con te. Non avere paura. Guardai Marcus con la coda dell’occhio, senza sapere cosa fare o cosa dire per non peggiorare le cose. Lui invece, con la tranquillità di chi aveva già avuto a che fare con bambini piccoli e traumatizzati, riuscii a catturarne l’attenzione e, con voce calma, accese prima la luce e poi si sedette accanto a me. Nicholas sollevò il visetto pieno di lacrime e arrossato, guardandoci. Non avere paura. Tutto quel che è successo è nel passato. Sei al sicuro qui. Trassi coraggio anch’io da quelle parole e mi sforzai di sorridere. Avrei tanto voluto dirgli che la mamma era lì per lui, ma temetti di scatenare qualcosa di peggiore, se avessi usato quella parola. Tesoro… papà ha ragione… è tutto a posto… guardati intorno… è tutto tranquillo. Nicholas ci guardò in tralice, poi fece come gli avevo detto e il suo corpicino scosso dal pianto cominciò a calmarsi. Respira, tesoro. Quel che mi ero ostinata a urlare, la notte in cui avevamo ritrovato Lily. Ma lei non poteva più respirare. Nicholas invece… Battei le palpebre e asciugai le lacrime, nell’incontrare i suoi occhi azzurri, resi rossi dal pianto. Quando si fu tranquillizzato, gli chiedemmo cosa fosse accaduto. Pensavo che avesse trascinato con sé il lenzuolo come fosse la coperta di Linus, ma, in maniera imbarazzata e piena di vergogna, come se fosse qualcosa già accaduto in passato e che, probabilmente, era stato vissuto male, ci confessò di aver bagnato il letto. A quelle parole, tirammo un sospiro di sollievo. Non doveva essere lo stesso per lui, dato che abbassò nuovamente lo sguardo. È tutto a posto, Nicholas… possiamo rimediare tranquillamente., spiegai, sperando di rassicurarlo. È capitato a tutti, almeno una volta nella vita, sai?, fece eco Marcus, con un tono sdrammatizzante. Nicholas arrossì di più. N-Non mi picchierete per questo?, domandò, con voce esitante.

A quelle parole, strinsi i pugni. I Reyes, che avevano distrutto la vita di Nicholas, non si erano limitati soltanto a farne un oggetto dei loro esperimenti, ma, evidentemente, erano andati ben oltre. Non mi aveva mai permesso di visitarlo approfonditamente, tanto era terrorizzato dai camici, ma per ciò che aveva subito, se da una parte provavo un profondo dolore, dall’altra il desiderio di distruggere la causa di tutto era talmente forte da scuotermi intimamente. Una volta che fosse stato celebrato il processo a Harriet Cruise, non avrei avuto pace fino a che non l’avrei annientata. Marcus comprese il mio stato d’animo e mi posò una mano sulla spalla, riportandomi a Nicholas che mi guardava incerto. Sospirai e scacciai quel pensiero, poi gli accarezzai la disordinata chioma scura. Mai, Nicholas. Nessuno ti toccherà più., gli giurai e quelle parole sembrarono tranquillizzarlo. Che ne dici se papà ci prepara una camomilla mentre tu ed io sistemiamo tutto?, proposi poi, addolcendo il tono. Nicholas annuì e si alzò insieme a noi. E camomilla sia. Con un goccio di Cognac per papà… rispose Marcus e mi strappò un sorriso.

Tornò un quarto d’ora più tardi, mentre Nicholas finiva di mettere il pigiama pulito, nella nostra stanza. Quella notte, dormì per la prima volta tra noi, così com’era abituato a fare con Kate e Alexander. Sapevamo che non sarebbe stato facile e che il dolore che si portava dentro non era stato ancora del tutto elaborato, ma tutto ciò che potevamo offrirgli in concreto, quando accadevano quegli episodi, era una camomilla calda e un abbraccio che gli facesse sentire, in qualche modo, che poteva fidarsi di noi e che saremmo stati pronti a tutto per proteggerlo e aiutarlo a sentirsi di nuovo al sicuro.

Marcus aprì la porta della suite portando con sé un vassoio. Il profumo inconfondibile del caffè, del cappuccino e dei croissant appena sfornati mi solleticò le narici e gli sorrisi, sollevandomi dai cuscini. Nicholas, a sua volta, aprì gli occhi, ancora pieni di sonno.

– Buongiorno, dormiglioni. –

Bonjour, mari. – dissi io, suscitando lo stupore di Nicholas, che batté le palpebre.

– Bon… che hai detto? – mi chiese, perplesso.

Gli accarezzai i capelli, scostandoglieli dalla fronte, mentre Marcus posava sul tavolo il vassoio. – Et bonjour à toi, mon chaton. –

Nicholas si tirò su e mi guardò stupito. – Perché parli così? –

– Perché mamma è d’origine francese. Solo che solitamente è più tipo da intercalare. – spiegò Marcus. Nicholas aggrottò le sopracciglia. – Oooh… quindi sei un po’ come me… –

Io annuii. – Già. Ma è colpa di papà e di quegli squisiti croissant. – spiegai.

Nicholas tirò su col naso, annusando e si voltò verso il tavolo. – Hai ragione!! –

Sorridemmo tutti e tre. – Comunque io ho dormito molto bene. Tu, Nicholas? – chiesi.

– Come un ghiro! E poi… tu sei soffice come… come una nuvola! –

Battei le palpebre a quel commento e mi venne da ridere.

– Posso confermare. – aggiunse Marcus, con un cipiglio serissimo di verecondia che mi fece arrossire.

– Oh grazie, eh? – risposi, prima di dare un bacio in fronte a Nicholas e invitarlo a fare un anticipo di colazione.

– E a me nulla? – chiese Marcus.

Inarcai il sopracciglio e scesi dal letto insieme al piccolo, raggiungendo Marcus. – Tu sei… le pire. – dissi, sogghignando e sollevandomi appena sugli avampiedi nudi, per baciarlo.

Nicholas, vicino a noi, sorrise. – Che vuol dire quello che hai detto ora? – chiese, incuriosito.

– Ehm… –

Marcus ridacchiò, poi prese in braccio Nicholas e ci guardammo a mezz’aria. – Mhh… chiedi ad Alexander, ok? –

Quel commento mi fece ridere, mentre il nostro piccino, del tutto ignaro, annuì con convinzione. E così, tra una risata e un croissant, cominciò la nostra lunga giornata.

 

***


A dispetto di quanto avessimo deciso, tuttavia, vi furono delle variazioni. Quando ci ritrovammo per il giro in barca, Alexander ci informò che Kate e Lucy non avrebbero preso parte all’escursione, ma ci avrebbero raggiunti più tardi. Quando Nicholas chiese il motivo, deluso per la mancata partecipazione della sua madrina, Lex spiegò che Kate aveva trascorso una pessima notte, perlopiù insonne. Prima che Maximilian lo pungesse con una qualche battuta pronta, l’espressione pensierosa sul suo volto finì con l’impensierire anche me. Mi offrii di dare consulto ma, a quanto pareva, dopo che Kate aveva riposato, aveva deciso di recarsi in centro con Lucy per fare un po’ d’acquisti. Alexander aveva insistito per recarcisi a sua volta, ma Kate, che sapeva come tener testa e freno all’ostinazione di Lex e, probabilmente, non voleva far sì che Nicholas non potesse vivere un’altra esperienza importante insieme, aveva già organizzato tutto.

E così, il giro turistico in yatch lungo la costa occidentale dell’isola si svolse ugualmente e, complice la bella giornata e il mare calmo, fu estremamente piacevole. Nicholas si divertì molto, anche se più di una volta dovemmo trattenerlo dal cercare di avvicinarsi troppo ai cetacei che facevano capolino quando rallentavamo per ascoltare le spiegazioni della guida. A un certo punto, anche Jace si accodò, complice un gruppo di capodogli, e ci raccontò del Whaling Museum in città prima di cimentarsi nel racconto di Moby Dick, drammatizzando qualche scena, con lui novello capitano Achab sul Pequod. Mentre raccontava, supportato da Max nei panni del primo ufficiale Starbuck, vidi Elizabeth sedersi accanto ad Alexander, che fissava la costa in lontananza. Con Marcus a sorvegliare, mi avvicinai anch’io.

– Stai cercando di calcolare quanto tempo ci impiegheresti a sopravvivere in acqua prima di arrivare a riva a nuovo, Lex? – domandai.

Alexander si voltò appena e mi rivolse un’occhiata seccata.

Elizabeth sorrise.  – Su, su. Ti si legge in faccia che sei preoccupato. –

Stavolta sospirò e i suoi occhi scrutarono attentamente l’oceano. – Il fatto è che dopo quello che è accaduto col Mago, non mi sento tranquillo a lasciarla andare da sola… so che, razionalmente parlando, non ci sono rischi, ma la verità è che quella sensazione è dura a morire. –

– Alexander Graham che si arrende all’amore… stai davvero invecchiando. –

– Liz, non mi va di scherzare. –

La sua ex moglie gli dette una pacca sulla spalla. – Lo so. Ma con lei sei iperprotettivo e questo non ti fa bene… lo sai anche tu. Finisci con l’arrovellarti il cervello, diventi di pessimo umore e non è facile starti accanto. E credo che se ne sia resa conto anche Kate. Fortuna che quella ragazza ha capito presto come tenerti a bada. –

Elizabeth e i suoi modi diretti. Lex la guardò in tralice, ma lei non si scompose, mantenendo un’espressione risoluta.

Incrociai le braccia, ricordando il passato.

Dopo la rottura con Maximilian, Elizabeth aveva deciso di concentrarsi soltanto sui suoi studi. Per quanto avessi cercato di coinvolgerla almeno in qualche festa, da me personalmente organizzate, ma alle quali partecipavo molto di rado e quasi sempre in veste di spaesata e ignara partecipante, lei era irremovibile. Tuttavia, ad una decise di partecipare, non fosse altro che per mettere in chiaro, una volta per tutte, il non voler avere nulla a che fare con Lex che considerava essere il diavolo tentatore di Max. Era la notte di Halloween e, modestie a parte, quella fu una delle mie feste più riuscite. A dire il vero non mi trovai in presenza, ma stando al racconto di Elizabeth, Alexander ne aveva combinata una delle sue.

Mi sembrava di averla davanti agli occhi. Stavo completando la riscrittura di alcuni appunti in caffetteria, quando Liz mi aveva raggiunto con un’espressione che era tutta un programma. Solitamente, preferivo studiare nella mia stanza, ma ero davvero curiosa di ascoltare e registrare mentalmente i commenti sull’ultima festa d’élite della Regina. La mia amica si sedette di fronte a me, togliendo la sciarpa a quadri e il cappello color crema. Una morbida cascata di folte onde castano chiaro venne giù quando si scrollò. Ho sentito che, nonostante il freddo, c’è stato chi ha trascorso la notte all’aperto, vero? I suoi luminosi occhi azzurri si ridussero a due fessure. Spero almeno che gli venga una broncopolmonite. Risi sotto i baffi, poi ordinammo due tazze di cioccolata calda con panna montata e una spruzzata di cannella. Nel locale, giusto due o tre silenziose presenze, data l’ora, nel primo pomeriggio. A quanto ne so, saltare in una piscina riscaldata non è poi così letale per il sistema immunitario. E poi, il Fantasma dell’Opera è sempre stato un po’ teatrale. Sorrisi. Ti prego, non ti ci mettere anche tu. Sul serio… quel deficiente non conosce buone maniere. È un prepotente con manie di protagonismo che non sa nemmeno dove sia di casa il rispetto. E non è soltanto per me, ma anche per Max e per te. Insomma, soltanto io trovo bizzarra questa situazione? Gli ho spiegato che non voglio averci nulla a che fare e cosa penso di lui, che ha avuto una pessima influenza su Max e che era già abbastanza strano che avesse avuto una storia con la mia migliore amica, ma il problema è che Mr. Me ne frego del buonsenso non sente da quell’orecchio. Per chi diamine mi ha preso, per una sfida?! Dovrebbe crescere e rendersi conto che la vita non è un gioco e realizzare che non è il quarterback della squadra di football del liceo. E poi, chi vorrebbe stare con uno che ha avuto il coraggio barbaro di lanciarsi da un terrazzo?!

Nell’ascoltare quella tutto sommato realistica sequela di descrizioni di Lex, sorseggiai la cioccolata che ci era stata portata nel frattempo. Esattamente, questo non ha nulla a che vedere col fatto che hai detto di sì a quello che ti ha chiesto, giusto? Quel che le aveva chiesto era, in breve, una possibilità: un anno per dimostrarle che era la persona giusta per lei. Col senno di poi, tutto appariva così immaturo… Elizabeth si ammutolì di colpo e arrossì. La verità era che, nonostante il suo caratteraccio, Alexander Graham aveva sempre avuto qualcosa di profondamente affascinante. Io stessa ne ero rimasta colpita, un tempo. Non che fosse realmente uno scapestrato. I Graham avevano sangue militare nelle vene. Diversi membri della sua famiglia, tra cui suo padre Christopher, erano dei veterani pluridecorati che avevano ricoperto cariche di tutto rispetto, alcuni anche al Pentagono. A dispetto dei pronostici, tuttavia, lui non aveva voluto seguirne le orme, cercando un’altra strada… e l’aveva fatto attraverso la fondazione del Dark Circus, mostrando una visione alquanto personale e decisamente non ortodossa dell’idea di giustizia. Almeno, fino a che le carte in tavola non erano cambiate e lo stesso Lex aveva finalmente compreso cosa fare realmente della sua vita. Ma quando conobbe Elizabeth, tutto ciò non gli era ancora chiaro. Cercava la sfida ed Elizabeth Dekker gli aveva praticamente offerto un’occasione su un piatto d’argento.

Liz era sempre stata determinata, non amava gli scherzi e soprattutto, non si faceva alcun problema a stroncare i comportamenti che non le andavano a genio. Aveva conosciuto Maximilian e in lui aveva trovato un’anima affine. Almeno fino a che Max non era entrato a far parte del gruppo e aveva finito col farsi traviare, mostrando un’indole molto più incline al divertimento, anche proibito, di quanto sperasse. E così, Elizabeth aveva posto fine alla loro storia, ma incolpando anche Alexander di ciò. Quel che non si aspettava era che per Lex quello fosse praticamente un invito a nozze: aveva raccolto quell’inconsapevole guanto di sfida, impegnandosi a dimostrarle che si stava sbagliando. E, per convincere una scettica e irremovibile Liz a dargli una possibilità, aveva ben pensato di ergersi su un cornicione e saltare giù. Il tempo di far prendere un colpo alla mia amica, farla accettare e poi odiarlo per sempre una volta scoperto che non correva alcun rischio di spaccarsi l’osso del collo in quanto pochi metri più sotto aveva precedentemente fatto collocare una piscina riscaldata. L’ordine esatto dei sentimenti non mi era mai stato ben chiaro, a dire il vero.

Elizabeth appoggiò la guancia sul palmo della mano, guardando fuori dall’ampia finestra della caffetteria con l’aria di chi aveva altro in mente. Come se potessi mai innamorarmi di uno stronzo del genere. Ha voluto un anno? Ok, che anno sia… ma sono più che sicura che non durerà così a lungo. E, in effetti, qualcosa cambiò nel tempo, perché la stessa vita ci mise davanti a situazioni al di fuori del nostro controllo. Quei due finirono con l’innamorarsi per davvero l’una dell’altro e, alla fine, nonostante l’iniziale disappunto, dato più che altro dal fatto che fossi stata praticamente l’ultima a sapere della piega che quella storia aveva preso, non potei non esserne felice, su lungo termine.

La nascita di Lily e il matrimonio sembrarono cementare quella loro strana unione, ma a un certo punto cominciarono i problemi. Lex era un padre straordinario per Lily, ma con Elizabeth l’incanto finì presto. E così, se lui si rivelò artefice di tradimenti, lei ritrovò l’intesa con Maximilian, dando vita a un triangolo che portò, per diverso tempo, a silenzi e comportamenti distruttivi.

Da parte mia, conoscendoli tutti e avendo vissuto sulla mia pelle cosa significasse un matrimonio a tre, data la mia storia familiare, mi sentii in dovere di intervenire e far qualcosa, almeno perché la piccola Lily non si ritrovasse a soffrire, un domani, come avevo sofferto io. Eppure, come se quella festa di Halloween in cui tutto era iniziato tanti anni prima fosse stata fautrice di cattivi presagi, quanto di più terribile potesse abbattersi su Alexander ed Elizabeth accadde.

Quella notte del 22 maggio, Elizabeth e io eravamo nel corridoio del primo piano interrato del Dipartimento, vicino al mio ufficio. Nessuno di noi riusciva a dormire da quando Lily era scomparsa e Alexander non si era fatto vedere nemmeno da lei, fino a quel momento. Il pallore sul volto della mia amica, le occhiaie violacee per la mancanza di sonno e pace, le lacrime ormai consumate e il nome di sua figlia che risuonava come un mantra… non avevo più parole per darle speranza. Era così lontana… persa in un mondo che non conoscevo. Una madre che si riteneva responsabile della sparizione della sua bambina di tre anni… e quando Alexander finalmente ci raggiunse, anche lui sembrava un fantasma. Aveva trascorso giorni e notti infinite a cercarla in ogni dove, ricorrendo persino alle connessioni nel torbido. Ma niente. Lily si era dileguata nel nulla, senza una ragione. Perché quel Male di cui non conoscevamo ancora l’identità colpiva indiscriminatamente, o almeno così pensavamo.

Lex…, la mia voce fece eco nel vuoto. Alexander alzò lo sguardo, perso nel nulla. Sembrava svuotato anche lui. Come se entrambe le loro anime non fossero in grado di riposare e avessero lasciato soltanto quei corpi esausti, per continuare la loro ricerca. Nel sentirmi pronunciare il nome di suo marito, ad Elizabeth si mozzò il fiato e si voltò verso di lui, con uno scatto d’ira che mai avevo visto in lei. A grandi passi, con i tacchi che risuonarono sul pavimento freddo, lo raggiunse e gli tirò un ceffone con forza tale da risvegliare tutti e tre. Alexander non reagì, ma i suoi occhi blu notte si fecero lucidi e il segno delle cinque dita rimase impresso sulla sua guancia. Dovevi stare con noi!! Dovevi stare con lei!! Lily ti stava aspettando e tu… tu hai preferito continuare a star dietro a un maledettissimo, inutile caso! Sei un dannato bastardo, Alexander! Quello che è successo è colpa tua!! Tu sei il responsabile! Tu e le tue maledette indagini! Mia figlia… se le accade qualcosa, ti giuro che…

A quel punto Lex le afferrò i polsi e li strinse con forza, costringendola a fermarsi. Elizabeth era sconvolta. Singhiozzai, mi doleva il cuore a vederli così. Mia… Nostra figlia, Elizabeth!! Credi che non stia soffrendo anch’io?! Cosa cazzo credi che stia facendo se non cercarla, maledizione?! Ma tu… era con te, dovevi essere tu responsabile e non l’hai fatto!, urlò con un tono torvo e avvelenato dal dolore.

Lex basta! Non è colpa di nessuno!

Stanne fuori, Selina. Non è affar tuo questo., mi disse, rivolgendomi uno sguardo fosco che non ammetteva repliche e che mi fece indietreggiare.

Elizabeth, scossa dai singhiozzi, strattonò, liberandosi dalla presa di Alexander e battendo i pugni sul suo petto. Ti odio… ti odio!! Maledetto il giorno in cui sei entrato nella mia vita, Alexander Graham!!!

A quell’imprecazione, gridata con tutta la forza della disperazione e del risentimento, che tanto conoscevo, fece seguito, inaspettatamente, la voce di Marcus, che ci aveva raggiunti.

Basta adesso. Tutti.

Ci voltammo tutti e tre verso di lui. Nella tensione del momento non ci eravamo resi conto che ci aveva raggiunti e vederlo fu provvidenziale. Almeno era ciò che credevo. Mi oltrepassò senza guardarmi e quel gesto suscitò in me un presentimento inquietante. Si fermò a pochi passi da Alexander ed Elizabeth, che lo fissarono, improvvisamente insicuri. Non vidi l’espressione sul volto di Marcus e forse, fu meglio così. Se l’avessi fatto, non avrei saputo affrontare ciò che sarebbe derivato poche ore più tardi. Ma le espressioni sui volti dei miei migliori amici… beh, quelle le portavo dentro da allora. La speranza che, come una fiammella sempre più debole, aveva lottato per sopravvivere in quei tre giorni, si spense all’improvviso nei loro occhi, mentre Marcus diceva loro di farsi forza. Mi appoggiai al muro, incapace di guardare oltre… di sostenere il peso di quegli sguardi… e di ascoltare. Elizabeth ebbe un mancamento e le ci vollero diversi minuti per riprendersi quel poco che bastava per sprofondare in un abisso di dolore. Alexander… Alexander si allontanò, salvo poi essere fermato dagli agenti in servizio, tra cui un più giovane Daniel, prima che potesse compiere qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire. E quando Maximilian tornò in Dipartimento, portando con sé Lily… quell’urlo…

– Terra chiama Selina. –

Scossi la testa e una folata di vento mi sparpagliò i capelli sul viso, ricordando all’istante dove fossi. Elizabeth ed Alexander mi guardarono perplessi, si guardarono tra loro e poi Liz mi appoggiò una mano sulla spalla.

– Si può sapere cos’hai da piangere? –

– Ehm… sto piangendo? Scusate… è colpa del vento. – mentii, asciugando le lacrime.

Alexander sospirò. – In effetti sta cambiando… forse sarebbe meglio rientrare. –

Mi guardai intorno. Il cielo si era fatto plumbeo e si era alzato vento più forte che spingeva verso la costa. D’altronde, dato il periodo, un cambiamento repentino era da considerare.

– Vai a vedere che davvero qui vien giù un uragano. – borbottò Elizabeth.

– Rischiamo più una tempesta… dico al capitano di rientrare, ok? – fece eco Alexander e noi annuimmo.

Quando fu andato via, Elizabeth accarezzò il ventre, preoccupata. La abbracciai.

– Tu non me la racconti giusta. Lo sai, vero? – mi disse, sorridendo un po’ perplessa.

La strinsi più forte. – Non è nulla… è soltanto che sono felice di avervi tutti qui accanto a me… –

Elizabeth scostò la testa e ci ritrovammo faccia a faccia. Per un attimo il suo sguardo si fece interrogativo, poi si addolcì. – Abbiamo combattuto per questa vacanza di famiglia… e ce la godremo fino all’ultimo. Quindi vedrai, andrà tutto bene. E poi… io ci sono. Per te sempre. –

Annuii, ricambiando il sorriso, poi mi scostai. – Grazie… ti voglio bene. –

– Anch’io. – aggiunse, quando fummo raggiunte da tutti gli altri.

– Saremo a terra in una ventina di minuti. Il capitano suggerisce di ripararci sotto coperta in caso dovesse cominciare a piovere. – ci informò Maximilian.

– Buona idea. –

E così, ci rifugiammo all’interno, per il resto del viaggio. Non fu esattamente una passeggiata rispetto a com’era cominciato perché le onde cominciarono a ingrossarsi sotto la spinta sempre più forte del maestrale e tutto quel trambusto provocò sia ad Elizabeth che a Jace il mal di mare e una bella dose di spavento a me e a Nicholas, tanto più che ringraziammo tutti il cielo non appena potemmo rimettere piede a terra.

 

***


Quando rientrammo in albergo, ci ricongiungemmo con Kate e Lucy. Fu un sollievo, soprattutto per Alexander, ritrovarla ristabilita.

– Ti senti meglio? – le domandò, raggiungendola, mentre Lucy si avvicinava a Jace.

Kate sorrise e annuì. – Mi dispiace di non aver partecipato all’uscita, ma son certa che vi siate divertiti. Anche se… sembrate alquanto… sbattuti. –

– Il viaggio di ritorno è stato burrascoso. Letteralmente. – spiegò Marcus.

– Però abbiamo visto i fari e Jace e Maximilian hanno raccontato la storia di Moby Dick! Sapevi che era un capodoglio, anche se lo chiamavano balena bianca, Kate? – disse Nicholas, facendosi avanti.

Kate gli accarezzò i capelli. – No, non lo sapevo… allora vorrà dire che mi farete un riassunto, va bene? –

Nicholas annuì entusiasta, per poi rivolgere lo sguardo ai bambini che erano nella hall e che lo osservavano, facendo cenno di raggiungerli. – Davis! Nathan! Oh, ma ci sono anche Becky, Sarah e Cole! Posso andare da loro?? – chiese poi, voltandosi verso me e Marcus, che assentimmo. Felice, ci lasciò per correre dai suoi nuovi amici, con cui scambiò il cinque. In breve li vedemmo impegnatissimi a confabulare.

– Wow… e bravo Nicholas… ci ha decisamente scaricati. – osservò Jace, appoggiando il mento sulla spalla di Lucy, che alzò gli occhi cervoni al cielo. – Beh, è normale che sia così. Dovreste considerare l’idea di iscriverlo a scuola… –

– Stiamo aspettando ancora per… beh, per quello che sapete… – spiegai, evitando di entrare troppo nel dettaglio.

Da quando Nicholas era con noi, non si era mai nemmeno ammalato. Sapevamo che era stato sottoposto a degli esperimenti da prima di nascere mentre sua madre era alla Cruise Pharma, ma non eravamo ancora riusciti a capire quale fosse l’entità esatta né che effetti avrebbero potuto avere alla lunga sul suo sistema immunitario. Avevamo lottato a lungo per gestirlo noi e questo, spesso, era stato motivo di attrito tra Marcus e Morris, che avrebbe di gran lunga preferito metterlo in quarantena, formalmente per la sicurezza pubblica. Per tutti noi del V Dipartimento, Nicholas non era altro che un bambino che aveva già pagato un prezzo troppo alto per la sua giovane vita.

– Scusate, è un problema se mi ritiro per qualche ora? – chiese Elizabeth, all’improvviso, appoggiandosi al braccio di Max.

– Cosa senti? – le chiesi, preoccupata, mentre tutti ci stringemmo attorno a lei.

– Ho bisogno di stendermi un po’… il viaggio è stato un po’ più stressante di quanto pensassi e non ho più la vitalità che avevo durante la mia prima gravidanza. – ci spiegò, tranquillizzandoci.

E così, lei e Max presero congedo, mentre noialtri ci sedemmo nella hall insieme alle altre famiglie presenti. Non era il caso di uscire, dal momento che, giusto per aggiungere il danno alla beffa, si era messo a piovere, per cui, non potendo far altro, ci ritrovammo a chiacchierare e a seguire le news in tv. Ricevemmo anche diverse chiamate dai vari parenti preoccupati per il maltempo, ma li rassicurammo tutti. Pranzammo poi tutti insieme, prima di ritirarci nel pomeriggio nelle rispettive suite.

Nicholas si fiondò sul letto, stringendo un cuscino tra le braccia.

– Sei proprio felice oggi, eh, Nicholas? – domandò Marcus, avvicinandosi alla finestra.

– Sì! Anche se piove… però son contento di poter trascorrere ancora qualche ora con i miei amici. –

Sorrisi, sedendomi al tavolo per la toeletta. – E noi siamo contenti per te. Avete in mente qualcosa in particolare? –

Nicholas annuì, dondolando avanti e indietro. – Faremo una caccia al tesoro. Il tesoro più prezioso di Moby Dick! –

Battei le palpebre. – Prego? –

– Allora… Davis ha detto che Moby Dick, ogni tanto, si… mhh… non ricordo bene la parola che ha usato, però… è come dire che diventa una persona che mangia i tesori più preziosi. E noi li ritroveremo! –

Scambiai un’occhiata con Marcus, che aggrottò le sopracciglia. Il padre di Davis era un animatore presso un importante studio di Hollywood, dunque quel bambino sguazzava nella fantasia, ciononostante, nutrivo qualche riserva. Marcus chiuse la tenda e si sedette accanto a Nicholas.

– E questi tesori più preziosi sarebbero? –

Nicholas alzò gli occhi al cielo. – Non lo so… ma i capodogli mangiano di tutto. –

Mi venne da ridere. – E fanno indigestione, ogni tanto. Quando sarebbe questa caccia al tesoro? –

– Che ore sono adesso? – mi chiese.

– Le 16:15. –

– Allora… quando i capodogli dormono! –

– Spero che non sia una metafora per indicare gli adulti… – fece eco Marcus, pietoso.

– Questa mi è piaciuta. Comunque, purché non si dia fastidio alle persone che soggiornano nell’albergo, va bene. –

Nicholas ne fu felice. – Grazie, Doc!! –

Mi morsi le labbra, ma ricambiai il sorriso, non volendo rovinare l’idillio. Poi mi voltai verso lo specchio e sospirai.

– Senti, tesoro… dal momento che stasera sarà l’ultima sera che passiamo qui, che ne dici di scegliere cosa indossare? – mi chiese Marcus, prontamente.

Annuii, senza guardarlo, poi presi lo scrigno con i ciondoli e li osservai. D’improvviso sentii Nicholas avvicinarsi a me e abbracciarmi. Ne vidi il riflesso nello specchio e mi calmai.

– Mi racconti di queste pietre? –

Presi il topazio. – Questa è vecchia. Appartiene alla mia famiglia da tanto tempo… e ieri avevi ragione su una cosa: ha il colore dei miei occhi. Credo che sia per questo motivo che si tramanda. –

– Che vuol dire? –

– Che passa di mamma in figlia… –

Nicholas batté le palpebre, poi mi abbracciò più forte. – Io però, non sono una femmina… –

Sgranai gli occhi e mi voltai per abbracciarlo a mia volta. – Tu sei perfetto così come sei, bambino mio… e io sono felice di averti. –

Arrossì e mi guardò, poi osservò il diamante. – E questa? –

Sorrisi dolcemente, lasciai il topazio e lo presi, poi guardai Marcus e infine tornai a guardare Nicholas. – Questa rappresenta te, splendente e forte, così come la nostra nuova famiglia. È un preziosissimo regalo di papà per il tuo arrivo nelle nostre vite… –

– Oh… ha così tanti riflessi… più dell’altra… –

Fui d’accordo e gliela posai in mano. – È per tutte le emozioni che abbiamo provato… e che proviamo in ogni momento che passiamo insieme, Nicholas… tra le due, questa è decisamente quella che più preferisco. –

Il piccolo osservò la pietra, sulla quale si infransero alcune gocce. Mi accorsi che si trattava delle sue lacrime.

– Tesoro? –

Nicholas si sforzò di ricacciarle indietro, tirando su col naso e increspando il musetto, ma con scarsi risultati. Poi posò il diamante al suo posto e mi strinse forte.

– Ti voglio bene… – farfugliò.

Il mio cuore mancò un battito e mi ritrovai a guardare sconvolta Marcus, che mi restituì uno sguardo pieno d’amore. Prima che me ne rendessi conto, sentii gli occhi pungere anch’io e coccolai Nicholas, premendo le labbra contro i suoi capelli scuri.

– Anch’io te ne voglio, tesoro… anch’io… –

Passammo così tanto tempo, fino a che un tuono non ci fece sobbalzare. La tempesta imperversava ormai da qualche ora e non accennava a smettere, tanto più che Marcus decise di interessarsi personalmente affinché non ci fosse il rischio di rimanere isolati.

Quando tornammo nella hall, la preoccupazione cominciava a farsi sentire, ma il direttore del resort rassicurò tutti sul fatto che un evento meteo inatteso non avrebbe affatto precluso la possibilità di stare in sicurezza. L’animazione tenne impegnati i bambini, mentre noi adulti ci ritrovammo a tener d’occhio la situazione, fin quando non arrivò sera. Il maître ci informò che a breve sarebbe stata servita la cena in ristorante e così ci accomodammo.

In sala, c’era almeno una trentina di persone e noi prendemmo posto vicino agli strumenti. Ogni serata era allietata da musica diversa: se in precedenza era stata una selezione di musica classica ad accompagnarci, quella sera toccava al jazz.

Vennero servite nuovamente deliziose portate di pesce e stavolta, Kate si tenne ben lontana dalle ostriche, per la gioia di Jace che si ritrovò con qualcosa in più nel piatto. Scherzammo a proposito degli effetti afrodisiaci e Alexander suggerì a lui e a Lucy di cambiare stanza, scegliendone una più lontana. Anche Elizabeth, per ovvi motivi, evitò di mangiare crudi, ma non disdegnò delle morbidissime orate al profumo di limone e timo, che aveva già apprezzato la sera precedente. Complice la musica e il buon cibo, la tensione per il maltempo si allentò e conversammo di feste. Quelle del passato furono oggetto di curiosità da parte dei giovani, mentre quelle più recenti ci riportarono al bisogno di concederci, un po’ più frequentemente, degli svaghi. Un tavolo più in là, i bambini, che di svago ne avevano avuto a bizzeffe, ridevano e ci ricordavano, in un certo senso, quanto fosse semplice la vita alla loro età. E così, anche quella cena si concluse, non senza aver pattuito di organizzare qualcosa in futuro, soprattutto considerando che Lex non aveva ancora mandato giù la sconfitta a beach volley.

Quando lasciammo il ristorante per rientrare nella hall, notammo alcuni clienti parlare, anche con impazienza, con un receptionist piuttosto in difficoltà. Inizialmente non pensammo di fermarci, ma quando un’anziana signora lamentò, con voce più alta e alterata, la sparizione di un paio di orecchini in diaspro egiziano, seguita da altre voci che nominavano, grossomodo, gioielli contenenti opale, rubino, acquamarina, quarzo lavanda, tormalina e altre pietre preziose, ci guardammo tra noi. Istintivamente, controllai che il topazio fosse ancora al mio collo ed Elizabeth toccò i pendenti in quarzo rosa che erano ben ancorati ai suoi lobi.

– Stai a vedere che abbiamo del lavoro da fare proprio la nostra ultima sera… – borbottò Alexander, mettendo la mano in faccia.

– Avevi altri progetti, eh? – aggiunse Maximilian, grattando il mento.

Kate arrossì. – Detective Wheeler! –

Max batté le palpebre. – Che ho detto di strano? –

Alexander inarcò il sopracciglio. – Sta’ zitto, potresti andare in bianco, stanotte. –

Maximilian lo guardò in cagnesco, ricambiato, mentre Elizabeth guardò Kate, rassegnata.

– Lasciali perdere. Sono due bambini viziati. –

Jace si mise a ridere, poi prese per mano Lucy. – Ve la sbrigate voi? –

Marcus sospirò. – A meno che non ci siano dei professionisti in giro, considerando la tempesta qua fuori, dev’essere tutto ancora qui. –

Kate annuì. – Che si fa? –

Guardammo tutti Marcus, che alzò gli occhi al cielo. – Ok. Me la vedo io qui. Dottoressa Hastings e signorina Garner, avete portato con voi dei preziosi? –

Entrambe le ragazze fecero cenno di no. Vidi Alexander mettere le mani in tasca nervosamente, poi la sua espressione si fece più distesa e guardò verso il manipolo. – Marcus, tu metti in sicurezza la reception prima che quel ragazzo faccia una brutta fine. Max e io ci occupiamo di recuperare la refurtiva. –

Marcus annuì. – Hai già capito dove si trova? –

Lex arricciò le labbra e sogghignò. – Credo di avere una mezza idea. – disse. – Quando il capitano non c’è… i capodogli ballano. –

Guardai Nicholas, che mi rivolse uno sguardo perplesso.

– La… caccia al tesoro? I bambini? – chiesi, incerta.

Nicholas fece cenno di no, allarmato. – Non abbiamo preso nulla! Lo giuro!! –

– Sta’ tranquillo, piccolo mio… nessuno vi dà colpe. – dissi, accarezzandogli i capelli e lanciando un’occhiataccia ad Alexander. – Piuttosto… dovrei controllare che sia tutto ok anche per me. – continuai, rivolgendomi a Marcus, che annuì.

Tuttavia, prima di potermi muovere, un lampo illuminò a giorno la hall, seguito poco dopo da un forte tuono sconquassante. Nicholas urlò, ma non fu il solo. Oltre ai bambini, anche alcuni adulti avevano preso un bello spavento.

– Basta temporeggiare. Avanti. – disse Marcus, recandosi, seguito, presso il gruppetto che cominciava a farsi più numeroso e agitato. – Signori. Per cortesia, manteniamo la calma. Da questo momento prendo il controllo della situazione. Sono Marcus Howell, Procuratore Distrettuale e direttore del corpo di Polizia di Boston. Questi invece sono i miei agenti: il detective Alexander Graham e il detective Maximilian Wheeler. –

A quelle parole, calò un reverenziale silenzio rotto soltanto dallo scrosciare della pioggia e da qualche mugolio in sottofondo. Marcus si voltò verso il receptionist. – Chiami il direttore Hudson. E, per amor del cielo, evitiamo gli assembramenti. –

Il receptionist annuì e provvide, mentre gli astanti si distanziarono. L’eco della conclusione del caso del Mago destava ancora delle curiosità, tanto più che qualcuno riconobbe nomi e volti e vi fu del vociare, ma, grazie all’intervento di Kate, queste furono temporaneamente messe da parte. Dissi a Nicholas di accompagnarmi a controllare che il diamante fosse ancora al suo posto, ma, arrivati all’ingresso del corridoio, sentimmo invocare la presenza di un medico. Sospirai, nel riconoscere l’anziana che aveva urlato precedentemente, tra le braccia della figlia che, a quanto pareva, aveva preso da lei per tono di voce.

– Ricorda, tesoro… un medico è sempre un medico… anche se forse stasera non ci scappa il morto. – dissi a Nicholas, che mi restituì uno sguardo preoccupato. – Va tutto bene. Ascolta… va’ con i tuoi amici, aspettate sui divani, magari guardando un cartone, ok? Nel frattempo, papà, Alexander e Maximilian recuperano i gioielli e io aiuto la vecchietta. – continuai, facendogli l’occhiolino e sorridendo, nella speranza che potesse aiutarlo a tranquillizzarsi. Nicholas assentì, non del tutto convinto, poi raggiunse i bambini, che erano tutti insieme. Jace, nel frattempo, aveva raggiunto gli altri, mentre Elizabeth si era momentaneamente allontanata assieme a Lucy.

Mi avvicinai alle due donne, intanto. L’anziana era seduta su un divano, mentre la figlia le teneva la mano, in pena. Alzò il viso nel vedermi. – Lei è un medico? –

Annuii, evitando di dire di che tipo. – Cos’è successo? – chiesi, chinandomi. Alcuni dei presenti erano ancora intorno a noi e chiesi loro di non accalcarsi. Soltanto i parenti rimasero il giusto per garantire un po’ di privacy rispetto ad occhi indiscreti.

– Non lo so, ha avuto un mancamento… l’ho sentita stringermi il braccio e poi mi si è accasciata addosso. La prego, che cos’ha?! –

Osservai attentamente la donna, i cui lineamenti del viso erano leggermente distorti su metà volto. La mano destra, non tenuta dalla figlia, era appoggiata in modo rigido sul cuscino in tessuto, ma ciò che mi fece orientare verso qualcosa di specifico fu il fatto che, a dispetto delle parole pronunciate con chiarezza in precedenza, l’eloquio si era fatto confuso, sia nel contenuto che nella pronuncia. Controllai l’occhio destro e il sinistro. Mentre la pupilla del destro si mostrò più reattiva, quella del sinistro ci mise più tempo.

– Come si chiama sua madre? – chiesi alla donna, che mi rispose, stavolta con voce più preoccupata, dicendo il nome Mary. Annuii.

– Molto bene… Mary, so che adesso è spaventata, ma le prometto che andrà tutto bene. E servirà qualcuno che non abbia paura di affrontare la tempesta là fuori. Non distante da qui, in centro, c’è il Cottage Hospital. – spiegai, guardando la figlia. – Ha avuto un ictus. Ha bisogno di una visita neurologica al più presto. Chiedete del dottor Dallas, è in gamba. –

La donna annuì, in pena, poi si rivolse al marito che corse fuori. Guardai Mary, che continuava a farfugliare e le sorrisi. Per qualche ragione, mi ricordò la mia defunta nonna Jeannette e mi ripromisi di chiamare mia madre, una volta tornati a Boston. Dopo che le ebbero messo addosso una giacca e furono andati via, Ashley, mamma di due bambini del gruppetto di Nicholas, si avvicinò a me.

– Dottoressa, già che c’è, può dare un’occhiata ai piccoli? Sarah già non si sentiva bene, lamentava del mal di gola stamattina, mentre Cole ha mal di pancia… –

Mi sporsi ad osservare i piccoli, di otto e cinque anni, da quanto mi aveva raccontato Nicholas. Entrambi avevano le manine strette a quelle della mamma e le faccette sofferenti. C’era poco da fare… quel legame, che si fosse bambini, adulti o anziani, era lo stesso. Indistruttibile… forte come il diamante. Guardai verso il resto del gruppetto, scorgendo i capelli scuri del mio piccolo e poi annuii.

– Ma certo. Però, credo sia meglio spostarci in un luogo più adatto. – proposi, indicando le stanze. Ashley fu d’accordo e così, mentre nel resort continuavano le indagini, ci spostammo perché potessi visitare i bambini.

Alla fine, i colpevoli sembrarono essere un banale Rhinovirus per Sarah e qualche leccornia di troppo per Cole prima di cena. Entrambi se la sarebbero cavata con riposo, idratazione e, alla peggio, con un flaconcino di fermenti lattici. Ashley ed io ci fermammo a chiacchierare un po’ e scoprii che anche loro erano di Boston, anche se in vacanza da qualche giorno in più rispetto a noi. Mi raccontò che lei e il marito erano in terapia di coppia e quell’occasione stava servendo loro per cercare di appianare le loro divergenze.

– Lei invece è fortunata… Nicholas vi adora e ha raccontato ai bambini di quanto la sua mamma e il suo papà si vogliano bene e quanto siano straordinari. –

Sgranai gli occhi nel sentire quelle parole. – L-Lui… davvero ha detto così? –

Ashley sorrise e portò una liscissima ciocca biondo miele, identica a quella di Sarah, dietro l’orecchio. – Certamente. E poi… trovo che le somigli un po’, sa? –

Rimasi a bocca aperta, senza sapere cosa dire, quando sentimmo bussare. Ashley andò ad aprire e ci ritrovammo davanti Kate.

– Prego? – la sentii, prima che si scostasse e i loro sguardi incontrassero il mio. D’improvviso, avvertii la sensazione di un nodo all’altezza dello stomaco e ricordai il motivo. Quegli occhi. Elizabeth. Il terrore. Il giorno in cui Lily sparì.

 


 

 

 

 

****** ANGOLO DELL'AUTRICE *******


Buon pomeriggio!

Prima parte del secondo capitolo! Questo è il più lungo, motivo per cui ho preferito dividerlo in due per evitare di sovraccaricare. Poteva mai mancare un risvolto drammatico in una mia storia? Decisamente no! Oltretutto, mi sono resa conto che questo speciale mi ha permesso davvero di raccontare momenti del passato che desideravo tantissimo raccontare, ma che, per forza di cose, non ho mai potuto fare nella storia originale... quindi spero che possa aiutare a rivelare un po' di curiosità!

Alla prossima settimana con la seconda parte e un grazie affettuoso a chi sta leggendo!!

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Capitolo 4
*** II. seconda parte ***


Raggiunsi la hall di corsa, come avessi il diavolo alle calcagna.

– Dov’è Nicholas?! – urlai, col cuore in gola, preda di un’agitazione che mai, prima d’allora, avevo conosciuto realmente. Fuori continuava a piovere e non c’erano che pochi dei presenti, rispetto a soltanto un’ora prima. Marcus si voltò a guardarmi e, dopo tanti anni, tanti casi e tanta disperazione che credevamo di aver imparato a gestire, lo vidi di nuovo così come quel giorno della rapina alla Central Bank.

– Marcus! – gridai.

Scosse la testa, ancora alla ricerca di una spiegazione. – Alexander aveva ragione. È… ecco…  i ladri. I ladri erano i membri del team dell’animazione. Come diavolo ho fatto a non rendermene conto?! La caccia al tesoro… si sono serviti dei bambini per creare un alibi. Durante il gioco, si sono introdotti nelle stanze usando una chiave clonata in precedenza. E così hanno preso quel che potevano e si sono dileguati al termine dell’esibizione. Un uomo dello staff della sicurezza ha confermato, l’abbiamo già preso in custodia. Resta da… ecco… –

Lo guardai incredula. Chi diavolo se ne fregava di cosa era successo? Appoggiai le mani sulle braccia di Marcus e parlai, con voce praticamente estranea nelle mie stesse orecchie. – Che diamine c’entra questo con Nicholas?! Dov’è nostro figlio, Marcus?! –

– Ha detto che non poteva lasciare che rubassero il tesoro più prezioso. E così ha seguito Rachel, Letizia e Pequod. –

Mi voltai appena, nel sentire la voce infantile, rotta dal pianto, di Davis, mentre spiegava l’accaduto, facendo riferimento alle navi del romanzo. Non mi ero resa conto, fino a quel momento, che anche lui aveva i capelli neri. Un sinistro presagio mi attraversò i pensieri, nel realizzare quanto fossi stata superficiale a non osservare attentamente. D’altronde, mio padre mi rimproverava spesso, sin da quand’ero piccola, quanto fossi disattenta. Lasciai la presa e mi avvicinai al bambino. Chi tremava tra noi? Lui o io? Non avrei potuto dirlo con certezza. Accorsero anche i genitori di Davis, sui cui volti si leggeva pena e tensione, e solo allora notai la presenza degli altri. Se Kate si era mantenuta silenziosa, la sua espressione era piena di angoscia e paura. D’altronde, come avrebbe potuto non essere così, dato che era stata lei per prima a incontrare Nicholas, in uno sgabuzzino durante un’operazione notturna? Entrambe non riuscimmo a trattenere le lacrime. Mi morsi con forza le labbra e strinsi gli occhi, imponendomi di calmarmi e ricordarmi di ragionare lucidamente, ma il mio cuore stava battendo con troppa forza perché mi fosse possibile.

– Selina… – il mio nome, pronunciato con voce esitante da Elizabeth, a sua volta in lacrime, appoggiata a una preoccupata Lucy.

– M-Mio figlio… i-il mio Nicholas… dov’è? – balbettai, guardandole.

Mi sentivo in una bolla. Come se tutto intorno non ci fossero persone, ma soltanto sguardi incapaci di dare risposte. Né la famiglia del piccolo Davis, né Kate, né Lucy o lo stesso Marcus… E realizzai, come mai prima d’allora, come si fosse sentita lei, quando Lily scomparve. Ma Lily era stata rapita da un folle psicopatico, mentre Nicholas aveva volutamente seguito le persone che ci avevano rapinato. Inspirai profondamente e l’odore della pioggia, proveniente dall’esterno, fece il resto. Come quello schiaffo che Elizabeth schioccò a Lex, tanti anni prima… mi voltai verso la porta e mi incamminai ad ampi passi.

– Dove stai andando?! – esclamò Marcus, trattenendomi per il polso.

Mi voltai di colpo. – A ritrovare Nicholas. Se preferisci restare qua, accomodati. Ma non provare a fermarmi o non rispondo di me. –

Non sapevo se fossero stati più il tono o il contenuto di quelle parole a smuoverlo, ma in qualche modo ebbero effetto. Ed era quello ciò che ci aveva sempre distinti da Alexander ed Elizabeth. Marcus e io, nonostante le differenze caratteriali, avevamo sempre fatto fronte comune davanti alle difficoltà.

Si voltò verso gli altri, poi lasciò la presa e riprese lucidità. – Il gruppo è del Siasconset ed è in quell’area che è diretto. In condizioni normali ci vuole poco più di una ventina di minuti per raggiungere la zona, ma la tempesta ha causato danni e, a meno che non si sia del posto, non è così semplice spostarsi. Ho contattato il comandante della stazione di Brant Point e mi ha detto che non c’è modo, al momento, per nessuno, di lasciare l’isola, motivo per cui, volenti o nolenti, hanno scelto una pessima notte per portare avanti il loro piano con possibilità di successo. Questo ci dà tempo per trovarli. Maximilian e Alexander sono andati avanti e per via del maltempo, anche le forze militari sono in ricognizione, per cui daranno una mano. Tuttavia… –

Guardai Davis, sul cui viso c’era la paura per le sorti di Nicholas, poi tornai a guardare Marcus.

– Tuttavia credi che abbiano potuto modificare il percorso… che sia per i danni, per la presenza di Nicholas o perché si sono resi conto di averli alle calcagna, potrebbero aver trovato il modo di seminarli, se non di cambiare la loro destinazione. –

Marcus strinse le labbra e dette conferma. Mi voltai verso il direttore Hudson, in quel momento l’unico del posto presente. – C’è qualche luogo particolare nel Siasconset? –

L’uomo deglutì con aria mortificata. – Il faro di Sankaty Head. Non che ci sia granché a parte i campi da golf, poi attualmente è chiuso al pubblico. –

– Quindi potrebbe essere un buon posto per ripararsi, tutto sommato. È una scommessa allora… – dissi, rivolgendomi nuovamente a Marcus. – Come ci arriviamo? –

– Magia della rete, ragazzi. – intervenne Jace, col tablet in mano. – Vi invio posizione e tragitto, ma vi conviene sbrigarvi. La perturbazione ha cambiato volto. Pensavo stesse andando ad esaurirsi, ma c’è un rinforzo dall’area atlantica e rischia di investire la costa est in meno di un’ora. –

– Oh mio Dio… – sussurrai, stringendo i pugni.

– Prendete il mio SUV. – disse, a sorpresa, il padre di Davis. – Non è un carro armato, ma sa bene il fatto suo. – aggiunse, lanciando le chiavi a Marcus, che le prese al volo.

– Grazie, Parker. Davvero. – disse.

L’uomo sorrise, prendendo in braccio il figlio, ma fu la moglie Jennifer a parlare. – Riportate qui Nicholas. Se c’è qualcuno che può farlo, quelli sono i suoi genitori. –

Annuimmo entrambi, poi guardammo Kate, Elizabeth, Lucy e Jace che sorrisero. Scambiai un’ultima, muta occhiata con le prime due. Nei loro occhi leggevo paura mista a speranza… era ciò che provavo anch’io, pertanto, mi feci animo anche per loro.


 ***


Ci congedammo così e raggiungemmo la Honda CR-V nel parcheggio. Aveva smesso di piovere, ma il cielo era plumbeo e minaccioso più che mai e il vento spirava forte abbastanza da scuotere gli alberi e provocare marosi. Jace aveva ragione: dovevamo muoverci. Ad accoglierci in macchina, una festante confusione di pupazzi, vestiti e giochi di Davis. Presi il peluche di Stich, pensando che avevamo lasciato a casa Oz, il pupazzo della scimmietta che era stato di Kate e che lei aveva regalato a Nicholas. Era così prezioso per lui e se ne separava raramente, ma data l’occasione, gli avevamo suggerito di lasciarlo a guardia della sua stanza. Strinsi a me Stich, mentre Marcus, acceso il navigatore e messo in moto, imboccò senza esitazione il percorso che ci era stato inviato da Jace. Tutto intorno, nel buio della notte incipiente ormai, solo i segni del passaggio del maltempo. Mi ritrovai a pregare silenziosamente affinché Nicholas stesse bene. Durante il viaggio che, come previsto, ci costrinse a continue variazioni e ricalcoli, Marcus cominciò a mostrare insofferenza. Non diceva nulla, ma vedevo i tratti del suo viso indurirsi ad ogni minuto di ritardo sul percorso iniziale. Inoltre, non riuscivamo nemmeno a contattare Alexander o Maximilian, per cui potevamo soltanto sperare che avessero avuto più fortuna di noi o che, nella peggiore delle ipotesi, fossero al sicuro.

Fissavo le strade dipanarsi davanti all’auto, illuminate in maniera spettrale soltanto dai fari del SUV. – Mi dispiace, Marcus…

Affilò lo sguardo, sterzando per scansare l’ennesimo tronco. Subimmo il contraccolpo. Mi morsi le labbra e mi sforzai di trattenere le lacrime.

– Avevi ragione. Avrei dovuto attendere un momento migliore e invece… ho voluto strafare come al solito. E adesso, per colpa mia… per colpa mia… –

– Non è colpa tua. Di eventi metereologici improvvisi ne accadono. Di rapine in resort di lusso… a bizzeffe, quando si sottovalutano gli indizi. –

Il suo tono era distaccato e calcolato. Faceva così quando si concentrava su qualcosa ed era costretto a dover rispondere. Posai la mano sul suo braccio. – Sta bene… è sveglio e in gamba, il nostro bambino… –

Lui annuì e io scostai la mano, abbassando lo sguardo, rimanendo in silenzio. In realtà aveva ragione, ma la verità era che mi sentivo davvero in colpa. Anni e anni di pratica, d’altronde. Non potei non ricordare quante volte desiderassi essere all’altezza di mio padre. Per lui sembravo non essere mai abbastanza e questo, inconsciamente, continuava a nutrire i miei sensi di colpa. Mi ero sempre illusa che se fossi stata la prima della classe, impeccabile nei contatti con la società, perfetta in tutto ciò che facevo, allora forse si sarebbe accorto di me. Ma questo non accadeva mai e anzi, se qualcosa non andava bene, non facevo altro che sentirmi io stessa inadeguata, il tutto rinforzato dal suo disprezzo e dai suoi rimproveri.

Se da piccola speravo che far del mio meglio fosse un modo per farlo rimettere insieme a mia madre, crescendo questo si era tradotto in una disperata e disfunzionale richiesta di attenzioni. Ma allora ero troppo giovane per capire quanto disastrato lui stesso fosse, incapace di conciliare il dovere dell’aver sposato una donna che non amava e di aver avuto una figlia con lei, con l’aspirazione a una vita devota allo studio prima e ai piaceri sregolati dopo, quando conobbe la sua amante, tutte le sue convinzioni finirono con l’allontanarci ulteriormente.

Era tornato a Parigi, alla fine, con l’idea di rimanerci a vita e io avevo cominciato a ricostruire la mia, accanto a Marcus. D’altro canto, per lui non ero altro che la concretizzazione di un fallimento. Una figlia che non amava e che non avrebbe mai amato. Alle volte, nel sentire i tre Howell ricordare la figura del loro padre, non potevo non nascondere di esserne invidiosa. Pur non avendolo conosciuto personalmente, Albert Howell era stato un padre attento e premuroso con i suoi figli e non li avrebbe mai lasciati se un incidente non l’avesse strappato all’amore della sua famiglia per sempre. Vedevo quel sentimento negli occhi di Marcus, di Lawrence e di Amanda, ma anche in quelli di Agnes, che mai aveva accettato la prematura scomparsa dell’amore della sua vita. Quando vedevo gli occhi di mia madre, invece, essi non restituivano altro che il vuoto di un matrimonio nato non per amore, ma per puro interesse. Avevo vissuto nell’agiatezza data da un contratto tra due individui che avevano combinato le nozze per affari, ma infine, avevo realizzato a mie spese che la vera ricchezza stava nello stringersi assieme in un abbraccio e ricordare in ogni momento quanto ci si amasse.

E così, quando finalmente avevo incontrato nuovamente mio padre, circa due anni prima, forte di quella realizzazione e della presenza di Marcus al mio fianco, durante un meeting, l’avevo salutato come si fa con qualcuno per cui non si nutre più alcun sentimento negativo. Non che provassi altro, a dire il vero, dato che gli ero riconoscente quantomeno per aver contribuito a mettermi al mondo, ma avevo smesso di sentire il bisogno di essere alla sua altezza. Avevo un lavoro che, per quanto difficile, mi aveva reso più resistente, avevo accanto a me un uomo che amavo e che mi amava senza riserve, e quella bambina che cercava attenzioni, a costo di finire in qualche girone infernale, era infine guarita, scoprendo di essere più forte di quanto pensasse. Tutto grazie alla sola cosa che non aveva bisogno di essere reclamata in alcun modo.

Mi aveva guardato con incertezza, quasi come stentasse a credere che quella donna che aveva di fronte e che non vedeva da anni era la stessa che gli aveva urlato di andare al diavolo e quando aveva capito, aveva abbassato lo sguardo. E per la prima volta in vita mia l’avevo visto per com’era: un comune essere umano. Non quel padre inarrivabile né lo psichiatra che capiva fin troppo bene cosa significasse quella risoluzione. Selina. Non mi aveva mai chiamato così prima di quel momento. Non che non mi piacesse il mio nome, ma anche scegliere faceva parte di una dichiarazione d’identità. Ed era anche a partire da quello che avevo cominciato a ribellarmi. Il fatto che non mi avesse chiamato col mio nome di battesimo, Céline, ma col nome che avevo scelto, era per me una grande vittoria. Seguii il suo sguardo mentre rialzava il volto un po’ invecchiato. I capelli brizzolati mossi, la barba più cresciuta, ma curata impeccabilmente come al solito… soltanto la sua espressione si era fatta più umana… Mi fa piacere che tu abbia trovato la tua strada., disse. Annuii e strinsi la mano di Marcus, già intrecciata alla mia. Un tempo avrei fatto carte false anche soltanto perché mi parlasse così, e forse gli avrei chiesto anche il motivo per cui mi aveva sempre trattata con aria di sufficienza, ma la verità era che, infine, l’avevo capito da me. Non aveva mai incontrato l’amore vero e in quanto tale, non era mai stato in grado di darne a sua volta. A quello che aveva creduto essere soltanto un banale meccanismo chimico non era mai riuscito a dare spiegazione e, pertanto, alla fine aveva finito col rimettere in discussione tutto ciò che conosceva. Avevo saputo che era rimasto solo a un certo punto, e che in quella solitudine aveva, a quanto sembrava, trovato le risposte che cercava. Sorrisi. Merci, père., fu la sola cosa che gli risposi. Non ci fu bisogno d’altro. Dopo quel momento, ognuno tornò alle proprie vite. Non mi era più capitato di incontrarlo di persona, ma avevo la sensazione che se anche fosse accaduto, sarebbe andato tutto bene. Non l’avevo invitato al mio matrimonio, mentre mia madre partecipò col suo secondo marito, René. Tuttavia, poco dopo le nozze, ci era giunta una preziosissima statuetta in oro e vetro di Murano che raffigurava Eros e Psiche. Non c’era alcun biglietto ad accompagnarla, ma Marcus e io capimmo subito. La tenevamo sul comò color avorio nella nostra stanza padronale da allora.

– Sono Alexander e Maximilian! – esclamò all’improvviso Marcus e rialzai lo sguardo.

A lato della strada, mentre in lontananza, verso sud, l’oceano era rischiarato dal passaggio della luce di Sankaty Head, era parcheggiata una Jeep Renegade metallizzata con i fari puntati verso la boscaglia e un vecchio furgoncino nero che aveva terminato la sua corsa contro un albero. Mi mancò il respiro e non appena Marcus fermò il SUV, mi precipitai da loro. Sull’asfalto c’erano evidenti segni di frenata e il sol pensiero che Nicholas fosse stato coinvolto in un incidente… Mon Dieu…

Lex! Max! – urlai.

Sui loro volti, la tensione non si era affatto allentata.

– Selina… – la voce di Maximilian e il suo sguardo insicuro.

Mi affrettai ad avvicinarmi al furgoncino. Normalmente ero abituata a scene di incidenti o omicidi con vittime e, sebbene umanamente mi facessero sempre un certo effetto, il lavoro mi aiutava a guardare il tutto col necessario distacco, ma quella volta, l’idea che il mio bambino potesse essere là in mezzo fu sufficiente a mandarmi in un panico mai provato prima. Due persone, un uomo e una donna, quelle che si trovavano davanti. Solo sangue, bottiglie, di cui alcune rotte, sparse sui sedili e nessun airbag attivatosi. Mi sporsi a guardare il retro. Lo sportello che dava verso il bosco era aperto, ma di Nicholas non c’era alcuna traccia. In compenso, per terra, altre macchie di sangue, dove qualcuno era sceso. Mi guardai intorno, ma non riuscivo a vedere nulla. Per di più, la pioggia aveva ricominciato a cadere da poco prima che giungessimo e sarebbe stato impossibile trovare o seguire una pista in quelle condizioni. Strofinai le braccia per il freddo, poi mi voltai verso i ragazzi. Anche Marcus era sceso e stava parlando con Alexander e Maximilian.

– Quando siamo arrivati, avevano già impattato. Stavano procedendo a velocità sostenuta e la frenata non è stata sufficiente a evitare lo scontro. Che abbiano incrociato qualche animale spaventato o che sia accaduto altro, questo non possiamo stabilirlo con certezza. – spiegò Maximilian.

– E inoltre, stavano bevendo. Quel che sappiamo è che c’erano tre persone. Una, quella sul retro, che stando al complice che abbiamo interrogato in precedenza, è una donna, è riuscita ad allontanarsi. Potrebbe essere in stato confusionale e ferita a sua volta, ma al momento, quello che mi preoccupa è il fatto che possa aver portato con sé Nicholas. – aggiunse Alexander.

Marcus si voltò verso il faro. – Pensi che sia riuscita a raggiungerlo? –

Da dov’eravamo noi, il promontorio, che ospitava il faro storico, distava circa a occhio e croce un chilometro. – Dubito che si sia potuta allontanare nel bosco, data la situazione. Che abbia raggiunto il faro… non ne sono sicuro. Lo scontro è stato violento e una persona ferita con un bambino al seguito non è detto che riesca a camminare così tanto, per di più sotto la pioggia… che si fa sempre più forte, a quanto pare. – continuò Lex, alzando gli occhi al cielo, ma riparandosi con la mano. Eravamo fradici e infreddoliti, ma a nessuno, in quel momento, importava particolarmente.

– Dobbiamo tentare comunque. Ogni minuto che passa, Nicholas potrebbe essere sempre più in pericolo e io… – strinsi i pugni, al pensiero di cosa potesse accadergli o peggio, essergli accaduto.

D’improvviso, sentimmo l’iPhone di Alexander squillare. Ci guardammo tutti, prima che lo prendesse prontamente e ci annunciasse che si trattava di Jace. – Forse abbiamo novità. – disse, rispondendo. – Jace, dimmi. –

Mi voltai a guardare verso il furgoncino e poi verso il faro, col cuore in gola. Avevo bisogno, in quel momento, di una speranza. Nicholas aveva affrontato così tanto dolore da quand’era al mondo. Gli avevamo promesso una casa e una famiglia che lo proteggesse e lo amasse sempre, ma il fatto di non essere riusciti ad adempiervi era così penoso e mi stringeva il cuore ad ogni istante che passava.

– Jace! Jace, cazzo, ti sento a tratti! Non capisco! Qui non c’è copertura sufficiente! Cos’è successo? Sta bene?! –

Alexander si spostò a grandi passi verso la Jeep, nervoso più che mai. Ci scambiammo tutti uno sguardo preoccupato e presi la mano di Marcus, sperando che si trattasse di Nicholas. Magari il corpo di guardia di Brant Point l’aveva trovato e l’aveva riportato al resort. Lui mi strinse la mano, mentre Maximilian si mosse, tornando sulla strada, in cerca di qualche altro indizio. Quando Lex tornò da noi, riconobbi nei suoi occhi qualcosa di conosciuto. Era combattuto e preoccupato. E mi resi conto che la telefonata di Jace non aveva a che vedere con Nicholas.

– Lex… –

– Credo che… Kate non stia bene. – disse, con voce impastata.

Al culmine dello scontro con il Mago, quest’ultimo aveva fatto fuoco contro di loro. Kate era stata colpita in testa, e quel colpo l’aveva lasciata in coma per alcuni, interminabili giorni. Da allora, aveva eseguito delle visite periodiche di controllo. Probabilmente, la tensione di quanto accaduto doveva averle giocato un brutto tiro e, per questo, non potevo non comprendere i sentimenti di Alexander.

– Torna da lei. Tu e Max, perché conoscendoti saresti capace di mettere sotto qualunque cosa ti capiti davanti. – gli dissi.

– Io… ecco, non è che abbia ben capito… ma credo che ci sia qualcosa che non va e… e credo che Kate non voglia dirmelo. –

Sospirai, poi sciolsi la presa dalla mano di Marcus e mi posizionai davanti ad Alexander. Un tempo, lui era stato importante per me. Lo era ancora, in un certo senso, perché, a dispetto dei suoi modi talvolta bruschi e della sua innata propensione al fare ammattire chiunque avesse accanto, aveva un grande cuore e quel cuore sapeva bene cosa significasse soffrire e perdere ciò che di più prezioso si avesse al mondo. Incontrai i suoi occhi, resi scuri dalla notte. – Marcus e io continueremo la ricerca fino a che non avremo ritrovato Nicholas. Voi avete già fatto tanto. Dovete rientrare ora. –

– Sì, ma voi non siete preparati ad affrontare-- 

Lo azzittii agitando l’indice davanti al suo viso. – Noi ce la caveremo. Kate ha bisogno di te ora. E tu hai bisogno che lei stia bene. O non potrai chiederle quello che desideri, vero? –

Quelle parole lo sorpresero. Non ero una detective, almeno non per quanto riguardava i vivi, ma il mio fiuto di donna non mi ingannava.

– Come l’hai capito? – mi domandò, stupito.

Sorrisi e gli feci l’occhiolino, poi ripetei le parole che Marcus mi aveva detto quando ci eravamo conosciuti. – Non è difficile, se si osserva. Quando hai sentito dei gioielli scomparsi, Elizabeth e io abbiamo controllato che i nostri ci fossero ancora addosso e tu hai messo la mano in tasca, per poi tranquillizzarti nel renderti conto che era tutto a posto. Quando ne veniamo fuori, prima che tu faccia qualunque cosa, voglio vedere quell’anello, eh? –

Mi guardò in tralice, poi abbozzò un sogghigno dei suoi. – Mpf. Ed ecco la Selina che conosco. E sia. – disse, con tono rincuorato, per poi voltarsi verso Maximilian, che stava tornando verso di noi a passo svelto. – Max! Andiamo! – esclamò, a voce più alta.

Quest’ultimo portò con sé uno zainetto scuro. Quando lo aprì, trovammo all’interno la refurtiva. – Immagino che manchi qualcosa… –

Marcus, Lex e io annuimmo. – Il tesoro più prezioso… Nicholas potrebbe aver inavvertitamente dato delle informazioni sul frammento di Cullinan. – disse mio marito.

Un lampo improvviso ci fece sobbalzare, seguito, pochi istanti più tardi, da tuoni sempre più vicini. 

– Andiamo. – ordinò poi e così ci separammo. Loro tornarono indietro, mentre noi riprendemmo la strada verso il faro.

Nel vedere il furgoncino distrutto e quei corpi all’interno, non potei che pensare a quanto l’avidità potesse essere fautrice di tragedie. Sembrava che nulla fosse mai abbastanza, arrivando persino a perdere la propria vita pur di inseguire una ricchezza che prima o poi, considerando i soggetti in questione, avrebbe avuto termine.

Sospirai, mentre cercavo di togliere l’acqua in eccesso dai capelli e mi voltai a cercare qualcosa per legarli. Marcus, intanto, guidava con cautela, facendo attenzione a tutto ciò che incontravamo lungo il tragitto, nella speranza di incrociare la rapinatrice.

Giungemmo alle spalle del faro, sotto la pioggia ormai battente. Il vento, libero di sferzare la costa sul promontorio scarno, messo in sicurezza, per quanto possibile, soltanto da alcune recinzioni in fil di ferro, dava potenza all’oceano. Eravamo in alto, ma le onde sembravano non curarsi particolarmente della scogliera sotto di noi. Quando scendemmo, dovetti togliere i tacchi per non affondare nella fanghiglia e Marcus si fece avanti per ripararmi, per quanto possibile, dalle intemperie.

– Nicholas!! – urlammo a più voci.

Silenzio intorno. La pioggia e il vento, prima, il rombo dei tuoni e le onde che si infrangevano violentemente sulla roccia dopo furono le sole risposte che sentivamo. Mi aggrappai al suo braccio, mentre procedevamo nella ricerca. Il terrore che potesse essere accaduto qualcosa di irreparabile mi pervadeva l’animo. – Nicholas!! Rispondi, Nicholas!! Siamo noi!! – gridava Marcus.

– Tesoro, siamo qui per te!! Ti prego, rispondi!! – strillavo io.

E dopo aver oltrepassato il faro, intravedemmo un luccichio al di là della recinzione.

– Oh mio Dio… Nicholas!! –

La mia voce risuonò con tutta la forza che avevo in corpo, quando finalmente, riuscimmo a vederlo. Non c’era traccia della donna che era scappata, ma Nicholas era pericolosamente vicino alla scogliera, aggrappato alla struttura di una vecchia altalena. Evidentemente, un tempo doveva esserci stato un piccolo parco giochi, mai rimosso. In quel momento, lo vedemmo come un’ancora di salvezza.

– Nicholas!! –

L’urlo di Marcus, mentre correvamo verso la recinzione. La luce abbagliante di un lampo ci consentì di vederci, per un paio di istanti. Nicholas alzò lo sguardo terrorizzato verso di noi, poi sgranò gli occhi e si mise a gridare a sua volta, con la voce rotta dal pianto.

– Papà!! MAMMA!! –

Inspirai e di colpo fu come se tutto il mondo intorno a me avesse smesso di girare. Mamma.

Battei le palpebre, mentre Marcus spingeva il cancello battente, probabilmente già dissestato dal maltempo, per passare dall’altro lato. Mamma.

Lo sciabordio delle onde in piena contro la scogliera. I nostri passi in corsa. Nicholas gridò, a pochi metri da noi e vedemmo il brillio del diamante rotolare lontano dall’altalena. Mamma.

– Nicholas!! – urlai ancora, straziata, bloccandomi di colpo. Silenzio.

Il mio cuore impazzì, galoppando a briglie sciolte. Chiusi gli occhi.

– Mamma!! –

La sua voce, disperata. Riaprii gli occhi e prima ancora di rendermene conto, il mio corpo si mosse da solo. Per qualche assurda ragione, mi sovvenne il ricordo di Elizabeth che mi raccontava di come avesse cercato di evitare che Alexander saltasse dal terrazzo e di come non ci fosse riuscita, vedendolo andar giù fino a finire in acqua e mi misi a correre, oltrepassando Marcus che non poté in alcun modo fermarmi, stavolta. Senza i tacchi ero più veloce... ed ero leggera. Corsi sentendo la percezione della terra diventare sempre più fangosa sotto i miei piedi nudi. La luce girevole proveniente dal faro illuminò la distesa oscura davanti a me. L’oceano era in piena tempesta. Trattenni il fiato e saltai.   

Un, deux, trois. Demi Plie et Grand Jetè.

Non ero mai andata avanti con la danza, sebbene da piccola mia madre avesse insistito perché prendessi delle lezioni. Dal momento che non era qualcosa in grado di suscitare l’attenzione di mio padre, avevo perso presto l’interesse. Eppure, quei passi nobili e grandiosi avevano qualcosa di straordinario, nella loro ricerca della perfetta esecuzione. Ma non c’era nulla di straordinario in quel salto. Soltanto il meccanico ricordo di posizioni provate e riprovate fino allo sfinimento sul parquet di una sala piena di specchi, ma rimaste ad aleggiare nella memoria del corpo. Quel corpo che sarebbe stato disposto anche a distruggersi pur di salvare un bambino che, pur non essendo nato da esso, ad esso si tendeva, urlando in lacrime quel nome. Mamma!

Afferrai Nicholas stringendolo a me e riuscii a voltarmi facendo forza sul tronco. Il dolore dello strappo che ne seguì fu lancinante, il più forte che avessi mai provato in vita mia. Pochi secondi ci separavano dal finire in acqua, sempre ammesso che le onde non ci avessero travolto prima. Ma avrei venduto la pelle a caro prezzo. Avevo imparato a combattere, a resistere. E per mio figlio ero disposta a tutto. Lo guardai. La folta testolina dai capelli neri che premeva sul mio petto, abbarbicato come un piccolo koala tremante su di me. In quel momento non pensai che saremmo morti. Mi venne da piangere al ricordo del primo ricordo di lui. Dopo una lunga notte e l’interrogatorio ad agenzie congiunte impartito ad Harriet Cruise e Varban Petrov, a Norfolk, avevamo raggiunto Lex e gli altri presenti in albergo.

La presenza di un bambino che poteva essere considerato una potenziale arma biologica era stata ciò su cui non eravamo ancora riusciti a raggiungere un punto d’accordo. Tutto ciò che sapevamo era ciò che avevano riferito Alexander e Alejandra Ortega, cioè che Nicholas era sempre stato tenuto sottochiave dai Reyes, proprietari della Cruise&Sons Pharma, e che il suo plasma era stato oggetto di studio per una presunta immunità biologica ad agenti chimici di varia natura. Quando Kate ci aveva raggiunti con Jace, tenendo per mano quello che Morris considerava un pericolo per la pubblica sicurezza, tutto ciò che avevo visto era un bambino di sei anni esile, sottopeso, con indosso un giubbino più grande di lui, i capelli neri folti e spettinati, lo sguardo basso e spaventato di chi aveva paura di essere maltrattato ancora. Mi ci ero avvicinata, con uno slancio che non avevo mai sentito prima d’allora e Nicholas mi aveva guardato per la prima volta, rivelando i suoi occhioni azzurri, lo stesso taglio di quelli della sua defunta mamma, per un istante, prima che tornasse a nascondersi dietro Kate. E, in quegli occhi che rivelavano tutto il suo dolore, mi resi conto per la prima volta in vita mia, io che avevo rinunciato all’idea di diventare madre, che per quel bambino sarei stata pronta a dare persino la mia stessa vita. Avevo giurato a Karina, dopo che fu dichiarata l’adottabilità di Nicholas, che avrei fatto di tutto per lui. E, quando finalmente lo potemmo stringere tra le braccia come nostro figlio, ebbi la conferma che anche per Marcus sarebbe stato così.

E lo era stato. Lo fu anche quella notte. Alzai lo sguardo al cielo e realizzai di aver inavvertitamente teso un braccio. L’istinto di sopravvivenza assumeva forme strane, a volte. Marcus mi aveva afferrato all’altezza dell’avambraccio e lo strattone mi fece dolorosamente ritornare in me.

– Marcus!! –

Strinse più forte la presa, mantenendosi con il braccio libero a terra. Il suo volto era un crogiolo di emozioni, la tensione su tutte. Forse, in fondo Alexander non sbagliava quando diceva che non eravamo addestrati ad affrontare certe situazioni… eppure, nemmeno lui voleva mollare.

– Prendi Nicholas!! – urlai.

– Vi prendo entrambi! Vi reggo! Aggrappati a qualcosa, muoviti!! – ordinò e cercai un appiglio impossibile, in quella scogliera troppo liscia e bagnata.

– Non ci riesco! Non ce la faccio, Marcus! Ti prego, prendi Nicholas!! – ribattei.

Marcus strinse i denti, poi tese l’altro braccio e riuscì ad afferrarlo, tirandolo su con tutta la forza che aveva in corpo e io lo aiutai per quanto possibile, spingendolo verso l’alto. Nicholas non rispondeva, ma quando sentii che era al sicuro tutta la tensione andò improvvisamente ad allentarsi e mi sentii tirare verso il basso.

– Cazzo! Selina!! –

Alzai il viso, esausta. Mi sentivo come se mi fossi totalmente svuotata. Avvertivo soltanto una fortissima stanchezza. Mi venne fuori un mezzo respiro e sorrisi, guardando quell’uomo che amavo così tanto e a cui avevo fatto delle promesse, fino a che morte non ci avrebbe separati. Il calore bruciante delle lacrime che mi avevano inondato gli occhi e che correvano sulle mie guance mi fece realizzare che, infine, e prima di quanto avessi mai potuto immaginare, quel momento era giunto. La voce mi uscì esitante e debole.

– T-Ti amo… prenditi cura di Nicholas… – fiatai, nel sentire le onde avvolgermi nel loro abbraccio gelido.

Marcus sgranò gli occhi e la presa gli scivolò. Per un attimo, un solo attimo, mi abbandonai al nulla. Almeno, Nicholas era salvo e Marcus avrebbe saputo crescerlo in maniera eccelsa.

Solo… solo che… io volevo… Encore une fois…

– Dannazione, Selina Clair! Nella buona e nella cattiva sorte non ti dice proprio niente?! –

Si tese ancora e stavolta mi afferrò con entrambe le braccia. Mi sentii strappata con forza alla mano dell’acqua e senza che riuscissi a rendermene conto, mi ritrovai sbalzata sulla terraferma, accanto a Marcus e a Nicholas.

I polmoni reclamarono con dolore l’aria e respirammo affannosamente, mentre la pioggia continuava a caderci addosso, senza accennare a smettere. Voltai appena la testa verso Nicholas e Marcus, che fissava il cielo nero sopra di noi, si girò a guardarmi. Era sconvolto.

– Marcus… – sussurrai.

Respirava con difficoltà. – Saltare dalla scogliera… tu sei matta… sul serio… –

Quel commento mi fece quasi ridere, anche se una fitta me lo impedì. Poi ci tirammo su, guardando Nicholas, addormentato accanto a noi.

– Dobbiamo… dobbiamo andare via di qui. – riprese Marcus, rialzandosi e prendendo in braccio Nicholas. Mi rialzai a mia volta, tenendo la mano sul fianco destro. – C-Ce la facciamo a tornare al SUV? – chiesi.

Marcus si guardò intorno, poi scosse la testa. – Il faro è più vicino. Ci ripariamo là almeno fino a che non smette di piovere. –

Annuii e, non senza sforzo, raggiungemmo la struttura. Marcus si rese conto che sarebbe stato un problema aprire la porta che, come prevedibile, era chiusa, ma se c’era qualcosa che avevo imparato da Alexander era che qualunque porta poteva essere aperta col mezzo giusto. E, usando un coltellino svizzero che avevo trovato mentre frugavo nell’auto del padre di Davis e che avevo preso con me per sicurezza, riuscimmo ad aprire la porta in ferro e a rifugiarci all’interno del faro. Non era grande e la scala a chiocciola occupava gran parte dello spazio a disposizione, ma come riparo andava bene. Avremmo soltanto dovuto attendere.

Mentre Marcus accendeva la luce, ripresi in braccio Nicholas e mi sedetti sotto le scale, poi gli accarezzai i capelli, scostandoglieli dal visetto. Aveva il respiro leggermente irregolare, ma sembrava star bene. Tuttavia, proprio come noi era fradicio.

– Marcus, serve qualcosa di asciutto per lui… ha preso troppa acqua, non possiamo rischiare gli venga una polmonite. – dissi, allarmata.

Marcus annuì, poi si chinò davanti a noi. – E nemmeno a noi. Qua si gela. – osservò, accarezzando la testa di Nicholas.

Convenni. In effetti, eravamo delle pozze d’acqua e faceva freddo. Però, non c’era nulla con cui potessimo ripararci. Almeno, non nelle vicinanze. Ci scambiammo un’occhiata.

– Nel SUV. – dicemmo entrambi.

Nella confusione, avevo intravisto delle magliette da bambino. Magari con un po’ di fortuna, avremmo recuperato qualcosa. Marcus si rialzò. – Vado a controllare. E… ti prego, che non ti venga in mente di fare qualcosa di folle nel frattempo… tra te e Nicholas ho già perso dieci anni di vita stasera. –

Mi venne da ridere. – In effetti sei un disastro. E credo che ti siano uscite altre rughe. –

Scrollò le spalle, poi sorrise. – Torno tra poco. – disse, riaprendo la porta. Fuori imperversava la tempesta.

– Sta’ attento! – esclamai e lui annuì in risposta, prima di uscire e richiudere la porta dietro di sé.

Sospirai, quando rimasi sola e tornai a osservare Nicholas. Si era rannicchiato quasi in posizione fetale, con i pugni stretti. Nel vederlo così, realizzai improvvisamente che, se non fosse stato per Marcus, saremmo morti. Quella consapevolezza mi artigliò il cuore, al pensiero di come fossimo stati praticamente miracolati. E non riuscii a trattenere un singhiozzo. Strinsi a me Nicholas, senza riuscire a trattenere il pianto. A causa dello spostamento, il diamante gli cadde di mano. L’avevo praticamente dimenticato. Credevo che fosse perso, e invece lui l’aveva protetto per tutto quel tempo. A poco a poco, lo sentii muoversi e mugolare.

– Nicholas? Ehi… mormorai, sorridendo tra le lacrime.

Nicholas riaprì gli occhi. Aveva lo sguardo confuso, ma ben presto riuscì a mettere a fuoco.

– I-Il tesoro… p-più… prezioso… – balbettò.

Raccolsi il diamante e lo misi di nuovo nella sua mano, stringendola nella mia. – L’hai protetto, Nicholas… sei stato straordinario… – dissi, con voce tremante. Dio, non mi sembrava vero. Lui sorrise appena e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

– Va tutto bene, piccolo mio… sei al sicuro adesso… – spiegai, cullandolo.

Nicholas scoppiò a piangere e mi gettò le braccia al collo. – Mamma!! Mamma!! Ho avuto tanta paura!! –

Nel sentire quelle parole, sgranai gli occhi, lo strinsi forte a me e non riuscii a trattenermi nemmeno io.

– Lo so! Lo so, Nicholas! Anch’io ho avuto tanta paura! Ma è finita ora… è finita… la mamma è qui con te… e non ti lascia più! –

Il pianto di Nicholas era diverso da quelli che avevo sentito in passato. Ormai, credevo di aver udito tutto. Il dolore, la paura, la vergogna, la disperazione, l’emozione… quelle lacrime, invece, erano quelle di un bambino che aveva infine abbattuto tutti i muri che, inconsciamente, aveva tirato su attorno al proprio piccolo cuore martoriato.

Quando Marcus tornò, portando con sé uno zaino e riparandosi, incontrai il suo sguardo e gli sorrisi. Era come se tutto l’amore del mondo fosse lì ad avvolgerci. Nei suoi occhi rividi la stessa espressione che mi aveva rivolto dopo la rapina alla Central Bank, tanti anni prima. Non ero più sporca di sangue né avevo una neonata tra le braccia, né lui aveva appena fatto in modo di neutralizzare una banda di rapinatori. In quel momento, eravamo tutti sporchi di acqua e terra, contusi, indolenziti e abrasi, e io avevo tra le braccia nostro figlio e il diamante che lui, il nostro piccolo eroe, aveva salvato. Anche Nicholas si voltò a guardarlo, ma senza staccarsi da me.

– Bentornato… – dissi.

– Ciao papà… – aggiunse Nicholas, sorridendo.

Marcus ci rivolse la sua espressione più dolce. – Siete il più bel disastro che abbia mai visto in tutta la mia vita… –

Mi sforzai di non piangere ancora, con scarso successo, e gli tesi la mano. Si avvicinò a noi e la prese nella sua, chinandosi e baciandone il dorso.

– Siamo vivi, Marcus… solo grazie a te… –

Sentii la presa farsi più forte, poi alzò lo sguardo e gettò lo zaino a terra, avvolgendo sia me che Nicholas nel suo abbraccio. – Non provateci più. Non sopporterei una vita senza di voi… –

Nello stringerci a sé, mi accorsi che stava tremando. Il mio Marcus, abituato a fronteggiare con coraggio e dedizione i crimini più duri, stava tremando. Sollevai un braccio lungo la sua schiena e passai le dita tra i suoi capelli bagnati, resi neri dalla poca luce, poi lo avvicinai a me e posai le labbra sulla sua fronte, fino a che non si fu tranquillizzato. Anche per lui tutto quello che era accaduto era stato troppo.

– Va tutto bene… – mormorai, nel sentire che anche Nicholas l’aveva abbracciato.

Quando ci separammo, riprese lo zaino. – Ho preso quello che ho potuto. Non so cosa ci sia, ma magari troviamo qualcosa di utile. –

Nicholas e io ci guardammo e, tempo una decina di minuti a testa, ci ritrovammo grossomodo asciutti, un po’ meno infreddoliti e con delle improponibili magliette di Star Wars addosso. A Nicholas andò meglio, in quanto lui e Davis avevano taglia simile e riuscii a mettergli dei vestiti adatti a lui.

À la mode. – dissi, sistemandogli i capelli.

Nicholas si mise a ridere. – Ma tu non hai freddo? – mi chiese, osservando che, a causa della maglietta, pur extra large per me, avevo le gambe scoperte.

– Non preoccuparti, tesoro. La mamma è una selvaggia. – rispose Marcus, ridacchiando, poi ci fece cenno di raggiungerlo. Aveva improvvisato un giaciglio con dei teli da mare che aveva recuperato.

– Dovresti darti alla carriera del ladro. A quanto pare ti riesce meglio di quanto pensi. – osservai, punta nell’orgoglio, inarcando un sopracciglio, prima di raggiungerlo e prendere posto insieme a Nicholas.

– A proposito di ladri… vuoi spiegarci cos’è successo, Nicholas? – chiese Marcus, rigirando il diamante in mano.

Seduto tra di noi, Nicholas ci raccontò che, mentre era con gli altri bambini nella hall, aveva notato, nella confusione, i tre membri del team d’animazione che si facevano passare uno zainetto da un uomo, che era stato identificato come il palo del gruppo e, cosa che lo aveva insospettito e messo sull’attenti, aveva visto e riconosciuto il diamante, nelle mani della donna che aveva chiamato Letizia. Resosi conto di non poter raggiungere nessuno di noi, in quanto impegnati a mantenere l’ordine, aveva deciso di agire come avrebbe agito Alexander.

Nel sentirlo, Marcus e io ci guardammo increduli, ma Nicholas continuò a raccontare, spiegando di aver seguito il gruppo e di aver approfittato di una discussione dei tre malviventi a proposito della via migliore da seguire e del buio, per intrufolarsi all’interno del furgoncino. Durante il viaggio, li aveva sentiti parlare dei poliziotti di Boston e di come fossero riusciti a farla franca mettendoli in scacco, ma, non potendo sopportare che si parlasse male delle persone per lui più importanti, era sbucato dal suo nascondiglio e, approfittando dello shock dei tre, aveva ripreso il diamante, determinato a proteggerlo perché era il tesoro più prezioso dei suoi genitori. Il problema era che, come in una delle ipotesi suggerite da Maximilian e Alexander, lo stato d’ebbrezza del guidatore e l’imprevista presenza di Nicholas avevano finito col far sbandare il furgoncino. Tuttavia, Nicholas era stato protetto dalla donna che era dietro con lui, probabilmente più per il diamante che per istinto e così, ne era venuto fuori incolume. Ascoltammo stupiti di come erano usciti dal furgoncino e di come la donna, ferita in seguito all’impatto, aveva cercato di riprendere il gioiello. Nicholas, nonostante la paura, aveva visto il faro e, pensando che si trattasse di Brant Point, aveva corso verso di esso più veloce che poteva, salvo poi rendersi conto di non essere affatto vicino al resort, ma dalla parte opposta dell’isola.

– Quando ho visto i fari in lontananza ho pensato che Letizia mi stesse inseguendo ancora e ho oltrepassato la recinzione… ho avuto così tanta paura… e così mi sono aggrappato all’altalena… ma eravate voi… –

Marcus e io annuimmo. – Non ti avremmo mai lasciato da solo, Nicholas… – dissi, accarezzandogli i capelli.

– Quindi questo significa che quella donna potrebbe essere ancora qua fuori… spiegò Marcus. – E qui non c’è campo… siamo tagliati fuori, per il momento. Forse dovremmo fare un tentativo e tornare al resort… –

Scossi la testa. – È notte fonda, sta venendo giù il diluvio universale e il GPS non funziona. –

Marcus sospirò. – In effetti… aspetta un attimo. Nicholas, hai detto che hai visto qualcosa di strano durante la concitazione, vero? –

Nicholas annuì. Aggrottai le sopracciglia non capendo dove volesse andare a parare. Lo vidi pensieroso per diversi istanti, poi si decise a parlare.

– Alexander pensava che la banda si fosse dileguata al termine dello spettacolo, ma non è stato così. Hanno atteso che si creasse confusione e che noi fossimo impegnati, per allontanarsi. Dovevano essere certi che non saremmo andati a controllare nelle stanze. Il loro obiettivo doveva essere il diamante fin dall’inizio o non avrebbero abbandonato il resto della refurtiva. Dunque c’era una falla da qualche parte… il palo che abbiamo preso in custodia era nella sicurezza, ma tutto ciò che riguarda la sicurezza passa inevitabilmente anche… – si interruppe, poi vidi la sua espressione farsi più torva. – Ma certo. Ci ha mandati direttamente a Sankaty Head. Quando ha scoperto che Nicholas si era intrufolato a bordo non ha avuto altra scelta se non mandare al diavolo tutto. Non potendo lasciare l’isola, oltretutto, avere con sé un ostaggio come Nicholas sarebbe stato troppo rischioso e la posta in gioco troppo alta. –

Battei le palpebre. – Stai dicendo che il direttore Hudson è implicato? –

Marcus annuì. – Era impossibile che potessero agire assolutamente indisturbati, considerando che, alla fine, erano un gruppo con scarsa preparazione tecnica. –

Strinsi a me Nicholas. – Quindi ci ha indirizzati verso Sankaty Head vendendo di fatto i suoi compagni? Anche correndo il rischio che qualcuno di loro potesse accusarlo? –

– Credo che l’idea di avere un frammento del Cullinan gli abbia fatto particolarmente gola. E che abbia sovrastimato i possibili risultati finché non si è reso conto di non poter venirne fuori. –

– Capisco… tutto questo… per un diamante. – osservai.

Marcus lo posò sul palmo della mano. – Tutto questo perché non hanno capito che il tesoro per noi più prezioso non è una pietra, bensì la persona che l’ha protetto per tutto questo tempo… –

Nicholas e io guardammo Marcus. – Però, Nicholas, devi prometterci che non ti allontanerai più senza permesso. Hai rischiato grosso stanotte. Lo sai, vero? –

Il nostro piccolo annuì, abbassando lo sguardo, e Marcus gli sollevò il viso, con aria gentile, ma determinata.

– Sei quanto di più prezioso la mamma e io abbiamo al mondo. E per te siamo disposti a tutto… che sia ad avventurarci nel bel mezzo di una tempesta o saltare da una scogliera… ma è importante che tu capisca che, a differenza di questo diamante, noi non siamo eterni. E per questo motivo, voglio che tu mi prometta che non metterai più a rischio la tua vita come hai fatto stavolta. –

Nicholas annuì solennemente e io sorrisi. Marcus inarcò il sopracciglio. – Lo stesso discorso vale anche per te. –

– Signorsì signore. – risposi, non osando contraddirlo.

La verità era che ci era andata bene e ciò che dovevamo sperare, dal momento che non potevamo contattare in alcun modo Alexander e gli altri, era che anche loro fossero riusciti a collegare i pezzi del puzzle. E poi, c’era anche la telefonata di Jace da tenere in considerazione. Però, in quel momento, tutto ciò di cui sentivo il bisogno era riposare. Generalmente eravamo abituati a lunghe nottate e levatacce, ma non mi ero mai sentita così esausta… almeno, non come la notte in cui ritrovammo Lily o quella in cui il fidanzato di Kate fu trovato morto. Istintivamente, strinsi a me Nicholas, che si voltò a guardarmi. Per una volta, era la vita ad aver vinto. Gli detti un bacio in fronte e lui mi regalò un sorriso, poi, inavvertitamente, si scostò e lo sentimmo starnutire.

– Hai freddo, tesoro? – gli chiesi.

– Un po’… ma tra le tue braccia si sta bene, mamma… –

Mi colpì il modo in cui pronunciò quel nome. Era quasi come se stesse cercando di abituarcisi, ma con una sfumatura di dolcezza che mi riempì il cuore di gioia.

– Che ne dite di provare a dormire qualche ora? – propose Marcus.

– Siamo al sicuro qui, vero? Non è che vedremo sbucare qualche pazza in cerca di diamanti da un momento all’altro? – chiesi.

– Non preoccuparti. In quel caso… – rispose, frugando nello zaino e prendendo le mie scarpe. – Non metto in alcun dubbio che questi possano tornare utili. –

Sgranai gli occhi e scoppiai a ridere. Le mie meravigliose Jimmy Choo erano ricoperte di terra per almeno sette centimetri e, immaginavo, irrecuperabili. Marcus le posò per terra, poi mi porse il diamante. – Hai già su il topazio, ma che ne pensi di tenere anche questo? –

Lo presi, ma scossi la testa. – Questo appartiene a Nicholas. Dopotutto, l’ha difeso a spada tratta. –

– I-Io… ecco… – Nicholas non nascose l’imbarazzo, poi posò la manina sulla mia e con l’altra prese quella di Marcus, facendo sì che facesse altrimenti. È di tutti e tre. Perché siamo una famiglia… e io vi voglio tanto bene! – spiegò, con saggezza non indifferente per la sua età, prima di abbracciarci nuovamente e finire, stavolta, tutti e tre a terra.

Ridemmo e, forti di quella rinnovata consapevolezza, immersi in un abbraccio di famiglia che sapeva d’amore e pace, mentre fuori la tempesta era nel pieno del suo violento passaggio, a poco a poco, finimmo con l’abbandonarci completamente al sonno.




****** ANGOLO DELL'AUTRICE *******


Buonasera!! Parte finale del secondo capitolo! Credo che sia stata una tra le parti ad avermi emozionato maggiormente. Sin dall'originale, mi sono resa conto di aver avuto bisogno di raccontare di come il piccolo Nicholas, che aveva perso i genitori e che, fino a un certo punto, aveva sofferto di mutismo selettivo, avesse eretto dei muri intorno a sè molto più difficili da abbattere, anche inconsciamente. E il muro più importante riguardava il rapporto con Selina che, finalmente, è diventata mamma anche nelle parole di Nicholas. Che ne pensate? E, in tutto questo, un minuto di silenzio per il povero Marcus che entro la fine di questo speciale avrà bisogno di una seduta psichiatrica. XD 
Un grazie a chi legge come sempre e spero di poter leggere qualche opinione.

Un abbraccio a tutti e alla prossima!

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Capitolo 5
*** III ***


◊III◊

 

 

 

 

 

Fu il suono finalmente pacifico delle onde dell’oceano a svegliarmi, quella mattina. Riaprii gli occhi con pesantezza, dato che non avevo dormito affatto bene. Non che fosse soltanto a causa di ciò che era accaduto, nonostante la stanchezza, ma dormire sul pavimento, con soltanto un telo come materasso non era esattamente il massimo del comfort. C’era da dire che almeno non avevo patito il freddo, dato che Nicholas e Marcus erano abbastanza caldi e mi ero risvegliata con addosso un altro telo mare. Mi stiracchiai. Ero completamente a pezzi. Dolori ovunque, soprattutto nel tronco. Per la prima volta in vita mia mi rimproverai di aver rinunciato a seguire le lezioni di danza. Almeno sarei stata allenata e avrei evitato strappi. Quando mi tirai su, sbadigliando, notai che né mio marito né nostro figlio erano presenti. In compenso, dalle finestre in alto proveniva un sacco di luce. Istintivamente, cercai i tacchi, trovandoli dove Marcus li aveva posati. Scampato pericolo. Sbadigliai nuovamente, poi mi alzai, tirando giù la maglia nera extralarge con tanto di Stormtrooper stampato su. O almeno, mi pareva che così li chiamasse Jace. Portai le mani ai capelli e sospirai. Avevo bisogno di una doccia. Alla fine, mi alzai e, sempre scalza, aprii la porta che mi separava dall’esterno. Una forte brezza marina fu la sveglia di cui avevo bisogno. Poco più in là, Marcus e Nicholas erano insieme, oltre la recinzione.

– Buongiorno! – dissi, alzando la voce.

Entrambi si voltarono e mi fecero cenno di raggiungerli. Sbadigliai ancora e rientrai, raccogliendo un telo e mettendolo addosso, poi uscii e mi avventurai sul terreno erboso ancora umido, facendo attenzione a non farmi più male di quanto già avessi fatto la notte precedente. Quando fui da loro, l’immensa distesa dell’oceano, rischiarata dal sole di metà settembre, mi parve molto meno minacciosa, ma troppo pericolosamente vicina.

– Si può sapere cosa ci fate qui? – chiesi, mantenendomi più indietro rispetto a loro. Non avevo alcuna voglia di avvicinarmi oltre alla scogliera.

– Abbiamo fatto una perlustrazione e ci siamo fermati a guardare il luogo su cui sorgerà una statua in onore della prima ballerina del Distretto di polizia di Boston. – mi punzecchiò Marcus, sorridendo e facendo un mezzo inchino.

– Sei veramente un def-- – mi interruppi guardando Nicholas, che sorrise candidamente. Aveva la mia collana al collo e il diamante risplendeva alla luce del sole. – … Défaitiste. –

Marcus si mise a ridere così come non lo sentivo da tempo, poi mi tese il braccio e sospirai, avvicinandomi e abbracciando sia lui che Nicholas. Casa.

– Che vuol dire? – chiese quest’ultimo.

– Chiedi ad Alexander. – scherzammo in coro noi.

– Alexander deve sapere davvero un sacco di cose… – osservò il nostro piccino, convinto.

Inarcai le sopracciglia e feci spallucce. – A proposito… credo che proprio una, la più importante, gli sia sfuggita. Ora che ci penso, l’ho realizzato soltanto stanotte… –

– Tra un mugugno e l’altro. – aggiunse Marcus. Sorrisi, poi ci scambiammo un dolce bacio.

– Bonjour mari. – sussurrai.

– Buongiorno moglie. – rispose lui e il sorriso gli rimase sul volto, il tempo di sentire il suo iPhone squillare.

– Adesso prende? – chiesi.

– Eh già… avranno ristabilito le linee. – rispose, prendendo il telefono dalla tasca dei pantaloni classici blu scuro che mal si accordavano alla maglia con Dart Vader stampato su. Sbirciai, immaginando che fosse qualcuno dei nostri, ma… Marcus alzò gli occhi al cielo e fui piuttosto tentata di andare a prendere uno dei miei tacchi.

– Tra tutti, proprio lui?? –

Marcus sospirò, poi mise la mano in faccia e rispose. – Buongiorno Frank. –

– Frank è… –

Guardai Nicholas e annuii disperata. – Proprio lui. –

In realtà, Marcus mi sorprese. Ero convinta che avrebbe intavolato qualche discussione, ma non fu così.

– Tutto a posto, stiamo bene. Che ne dici se rimandiamo qualunque questione a quando torno a Boston? Magari… tra una settimana. Perché sai, al momento sono con la mia famiglia e abbiamo una vacanza da portare a termine. A proposito… – aggiunse guardandomi – … la prossima volta montagna. Ti saluto Frank. Ci vediamo al rientro. – disse, tagliando corto non appena Morris cercò di controbattere e chiudendo.

Battei le palpebre, dubbiosa. – Scusa… posso sapere cosa ne hai fatto di mio marito? Sai… alto, capelli mossi castani, occhi scuri, affascinante… fedele ai completi sartoriali, intenditore di brandy e dedito al dovere prima di tutto? –

Marcus si mise a ridere. – Credo avesse bisogno di una bella vacanza. E… a proposito… –

Si scostò e lo vidi prendere pericolosamente la mira per un viaggio di sola andata del suo iPhone verso l’oceano. Sgranai gli occhi. – Marcus Ryan Howell!! – urlai, pronunciando il suo nome completo e bloccandolo prima che potesse dar seguito a quel colpo di testa. La voce di Nicholas tra noi, invece, uscì più alta. – Ops… abbiamo un problema… –

Sentimmo d’improvviso alcuni, fin troppo noti, click, poi una voce maschile, decisamente meno nota. – Voi! Mani in alto! –

Il cuore mi prese a battere forte e ci voltammo tutti e tre. Circa una decina di agenti in uniforme della US Army ci puntava contro le pistole.

– Sul serio? Ditemi che questa è opera di Alexander… – mormorai, sconvolta, in una mezza risata isterica.

Il comandante si fece più avanti. – Avete sentito? Mani in alto! Il bambino viene con noi. –

Nicholas si strinse alla gamba di Marcus, che alzò le braccia. – Tutto a posto. Sono Marcus Howell. Mia moglie Selina e nostro figlio Nicholas. –

Feci cenno di saluto con la mano, ma il comandante non ordinò di abbassare le armi.

– Certamente. E io sono il capo di stato maggiore della Difesa. Non fatemelo ripetere un’altra volta. –

– Oh cielo, questa mi mancava… –

In effetti, considerando che alcuni dei ladri fossero un uomo e una donna, le nostre tenute, il fatto che fossimo quanto di più lontano dal nostro aspetto ufficiale, e che Nicholas, diversamente, fosse vestito di tutto punto e avesse il mio diamante al collo…

– Mamma… papà… – bisbigliò spaventato.

– È tutto a posto, tesoro… – disse Marcus.

– Magari no… insomma, hai parlato soltanto telefonicamente con quell’uomo, non ha idea di che faccia abbiamo! E conciati così poi… – protestai, sottovoce.

Marcus mi guardò con la coda dell’occhio, poi si voltò nuovamente verso la squadra e abbassò le braccia, assumendo la sua solita postura di comando e parlando con il suo tono più formale.

– Comandante Johnson di Brant Point. Abbiamo parlato ieri sera, le ho chiesto informazioni sulla viabilità dell’isola e sulle condizioni meteo al fine di perimetrare al meglio la zona in seguito a un’assestata rapina presso il WE resort e pianificare un’operazione di recupero. Mi creda, quel che è accaduto dopo è degno di essere raccontato davanti a qualcosa di forte che sarò ben felice di offrirle una volta rientrati in sicurezza presso il nostro alloggio e tornati ad un aspetto più decoroso. –

L’uomo ponderò per un istante le parole di Marcus, poi abbassò le pistole e sventolò la mano in segno di dismissione. I soldati fecero altrimenti, mettendosi sull’attenti non appena lo fece lo stesso comandante. – Procuratore Howell. Mi scuso per la mancanza. La mia squadra e io ci occuperemo di scortare lei e la sua famiglia. –

Marcus annuì e io sospirai. Nicholas mi prese per mano e lo guardai, rivolgendogli un sorriso.

– Sei pronto a tornare dagli altri, tesoro mio? –

Stavolta toccò a lui annuire. – Da! – esclamò, soddisfatto.

E così, finalmente, al termine di quella lunghissima notte, facemmo ritorno al resort.


 ***


Quel che non immaginavamo… o meglio, che avremmo dovuto aspettarci, dato il soggetto, fu l’accoglienza di Jace. Non appena scendemmo dal SUV, circa tre quarti d’ora più tardi e dopo un viaggio nella distruzione causata dalla violenta sferzata del maltempo, fummo accolti dagli sguardi increduli dei nostri amici. Jace, dopo averci girato intorno, scoppiò a ridere e ne approfittò per scattare un paio di foto.

– Questa è per Amanda. Mi aveva chiesto di farle sapere qualcosa sulle sorti di suo fratello, quindi… e questa è per-- 

Marcus afferrò il suo iPhone, fulminandolo con un’occhiataccia fosca e minacciosa che non aveva nulla da invidiare agli ultimatum di un assente Alexander. – Ricordati chi ti paga lo stipendio, dottor Norton. – sibilò.

Jace sudò freddo, tirandosi indietro. – C-Chiedo umilmente scusa… –

Mi misi a ridere, poi strinsi le mani di Elizabeth. Il suo bel viso era stanco. – Avevi dimenticato il telefono qui e non sono riuscita a chiudere occhio al pensiero di voi chissà dove… state bene? – mi chiese, preoccupata.

Quel suo tono mi commosse. – Sì… sì! È stata l’esperienza più drammatica… e meravigliosa di tutta la mia vita… – le spiegai, guardando Nicholas. Elizabeth, che conosceva i miei tormenti, capì immediatamente a cosa mi riferivo, poi mi guardò con occhi lucidi e un sorriso comprensivo.

– Sono così felice per te! –

Sorrisi a mia volta, mentre a poco a poco si avvicinavano anche i genitori degli altri bambini, Parker ed Ashley in primis. A Parker fummo particolarmente riconoscenti. Senza il suo SUV e, soprattutto, il delirio che ospitava all’interno, non ne saremmo venuti fuori facilmente. Parker, ad ogni modo, decise di regalarci le magliette e quel gesto provocò un’ondata di risate da parte di Jace, seguito a ruota da alcuni sbuffi dei soldati di Brant Point, prontamente ripresi dal comandante Johnson. Del resto, non capitava tutti i giorni che il distinto ed elegante capo della Polizia di Boston dovesse fare gli onori di casa con indosso una maglietta raffigurante Dart Vader.

Alla fine, Jace ci spiegò che, al loro rientro, Alexander si era diretto assieme a Lucy al Cottage Hospital per via di Kate ed erano ancora lì. Maximilian, invece, aveva provveduto a dichiarare l’arresto del direttore Hudson e a riconsegnare la refurtiva alle famiglie derubate, poi si era occupato di coordinare le operazioni di recupero assieme al corpo di guardia. E, se noi eravamo vivi e vegeti, la donna che era scappata era stata ritrovata in fin di vita a circa mezzo chilometro dal luogo dell’incidente e trasportata urgentemente in ospedale, dove aveva subito un intervento per frenare l’emorragia interna. In quel momento, era piantonata in Terapia Intensiva.

Così, dopo che Marcus ebbe pattuito con il comandante Johnson un rendez-vous tecnico, potemmo far ritorno in tranquillità nella nostra suite e, finalmente, far uso di mai così gradite docce e profumati abiti puliti. E, quando mi guardai allo specchio, dopo aver finito di sistemare il mio abito color crema a mezza lunghezza a mezza manica larga, con drappeggio e spacco laterale, mi resi conto di ciò che aveva visto Elizabeth. La stanchezza e le abrasioni erano facilmente camuffabili con un po’ di trucco, ma quella luce negli occhi… non credevo che sarei mai stata in grado di vederla nei miei.

Raggiunsi Marcus, che stava finendo di abbottonare la camicia bianca e vidi Nicholas che, nel frattempo, complice l’essere stato il primo a beneficiare dei comfort e dei suoi abiti puliti, si era addormentato nel nostro letto.

– Aveva detto che si appoggiava giusto un attimo, ma è crollato… – disse Marcus, armeggiando con l’ultimo bottone.

– Dopotutto, è soltanto un bambino… puoi biasimarlo? – feci eco, fermandomi davanti a lui, scostando le sue dita e liberandogli il collo dal primo bottone, poi inspirai il suo profumo di colonia.

Scosse la testa e io sorrisi. Mi guardò perplesso, poi la sua espressione si fece indagatrice in un modo che conoscevo piuttosto bene. – Non vorrai… –

Alzai lo sguardo verso di lui e agitai l’indice davanti al suo viso. – Mi spiace, per quello dovrai aspettare. Però… devo ammettere che quella versione di te un po’… insouciante… – dissi, calcando l’accento, ottenendo in risposta uno sguardo dubbioso.

– Alexander conosce il francese. Vero? –

Soffocai una risatina. – Nemmeno una parola. – dissi, poi mi sollevai a incontrare le sue labbra e ci ritrovammo in breve impegnati in un bacio che finì col perdere ben presto quel poco di innocenza e castità con cui era cominciato. Tuttavia, non era il momento ed entrambi lo sapevamo fin troppo bene. Quando ci separammo, mi accarezzò il viso con il dorso delle dita. – Tu non hai idea di cosa darei per… – alzò gli occhi al cielo, poi sospirò. Non che non me ne fossi accorta data la nostra vicinanza, a dire il vero. – Attento. Prendo nota. – lo minacciai, per poi scostarmi. – Piuttosto… che ne dici di sbrigare le formalità mentre io rimango un po’ qui con Nicholas? –

Lo trovai d’accordo. – Forse è meglio, sì… sì. – disse. Raccolse il suo Philippe Patek col quadrante in oro giallo dal comò dietro di noi e lo sistemò al polso, poi infilò la giacca blu scuro.

– Ci vediamo più tardi. –

Annuii e lui uscì. Sentivo il cuore battermi forte. Soltanto Marcus aveva quella capacità di farmi battere il cuore come una ragazzina davanti al suo primo amore, anche a distanza di tanti anni. Presi un bel respiro, poi mi sedetti sul letto e accarezzai i capelli di Nicholas, che dormiva profondamente.

– Fa’ sogni d’oro, angelo mio… – sussurrai, poi recuperai il mio iPhone.

C’era davvero di tutto. Una ventina di chiamate, la maggior parte di esse dai miei cognati, dei messaggi da parte di Elizabeth e quel che mi colpì più di tutto, fu il messaggio di Alexander. Appoggiai la guancia sul palmo della mano, mentre osservavo lo schermo. Alexander era sempre stato scaltro, estremamente attento ai dettagli, un vero maestro della pianificazione, soprattutto quella criminale, ma quando si trattava del personale, era davvero una catastrofe vivente. E, in effetti, non si era reso conto di quel che stava realmente succedendo a Kate.

Tre parole. Di quelle che cambiano la vita per sempre. Kate è incinta.

Sorrisi e tornai a guardare Nicholas. Presto avrebbe avuto dei piccoli amici. E poi, guardai verso la porta finestra aperta, riparata dalla sottile tenda in cotone candido, pensando a Lily. Abbiamo una missione, piccolina…

 

 ***


In seguito all’arresto del direttore Hudson, il suo vice aveva preso le redini dell’amministrazione del resort e, dal momento che l’ondata di maltempo aveva costretto al blocco momentaneo dei voli sia in entrata che in uscita, senza contare i danni all’immagine, ci vennero offerti alcuni giorni di permanenza a titolo gratuito, con le migliori scuse. Inizialmente avevamo rifiutato, dato che Marcus non avrebbe potuto rimanere a lungo lontano dal suo ufficio ma, dal momento che non potevamo comunque far ritorno a Boston, tanto valeva approfittare almeno fino a che non fossero stati ripristinati i collegamenti. Tuttavia, insistemmo sul pagamento e, di fronte all’irremovibilità del vicedirettore, ottenemmo almeno che quelle quote fossero impiegate per gli aiuti, laddove necessario.

Kate e Lex, assieme a Lucy, fecero ritorno al resort nel pomeriggio. Non avevo detto nulla del messaggio di Alexander e attesi che fossero loro a dare l’annuncio della gravidanza della nostra giovane amica. Come prevedibile, vi fu felicità, curiosità e non mancarono le punzecchiature ma, se Kate sembrò celare bene la preoccupazione, non mi sfuggì affatto quella di Lex. Verso sera, mentre festeggiavamo la luce alla fine del tunnel e, tra le varie notizie, seppi anche che l’anziana donna che avevo aiutato la sera precedente era sotto osservazione, ma in buona salute, presi un paio di Martini e uscii all’esterno, convinta di trovarlo fuori. Seguendo l’aroma familiare alzai lo sguardo, adocchiando Alexander sul balcone della sua suite, intento a fumare con aria pensierosa.

– Ok, è ora di darsi da fare… –

Rientrai e, dopo aver informato Marcus che avrei tardato un po’ per via di un’operazione top secret ed essermi accertata che Nicholas fosse al sicuro (per quanto la definizione di sicurezza, trattandosi di Jace Norton impegnato a fare animazione a dei bambini, fosse alquanto opinabile), raggiunsi il piano superiore e bussai.

– È aperto. – sentì Alexander rispondermi in lontananza.

Ripresi i bicchieri da cocktail ed entrai, poi lo raggiunsi sul balcone. Essendosi già accorto di me, non si voltò nemmeno.

– Un penny per i tuoi pensieri. – dissi, porgendogli il bicchiere.

Fece un ultimo tiro e spense la sigaretta nel posacenere, prima di prendere il Martini. Si voltò appoggiandosi alla ringhiera in ferro e incrociò le caviglie. – Un salto dalla scogliera di Sankaty Head. Impressionante. –

Sorrisi, senza stare al suo gioco. – Sono più che sicura che non sia questo ciò di cui vogliamo parlare. –

Alzò appena il bicchiere. – Già. –

– Ok… – dissi, voltandomi verso il panorama. La costa occidentale era nuovamente illuminata, ormai all’imbrunire. Placida, serena, a testimonianza di come, dopo un grande trambusto, tutto si sistemasse e tornasse alla normalità. A parte la temperatura più bassa. E la distruzione. Portai una ciocca dietro l’orecchio. – Nicholas mi ha chiamato mamma. –

Percepii il suo sorriso. – Lo so. –

– E tu stai per diventare di nuovo papà. –

Attese. – So anche questo. –

– Non ne sei felice? – chiesi, forse con un tono troppo diretto.

Inspirò e sollevò lo sguardo al cielo, reclinando appena la testa. – Non capisco… come sia possibile… –

A quel commento mi voltai verso di lui, incredula. – Devo forse ricordarti come si fanno i bambini, Alexander Graham? –

Si mise a ridere, inaspettatamente, poi tornò alla posizione precedente. – No, certo che no. Ciò che non capisco è perché Kate non me l’abbia detto subito. –

Spalancai gli occhi. – Oh… beh… mhh… vediamo. Giovane donna vede la sua vita sconvolta in meno di un anno. Fidanzato ucciso da uno psicopatico. Tale psicopatico si rivela perseguitarla da oltre vent’anni e lei scopre che i casi che lo vedono implicato rendono lei stessa il caso zero. Ah… è incinta di un uomo che ama, che ricambia, ma che, per coincidenza, è il padre della prima vittima e, come se non bastasse, il suo capo. Ho dimenticato qualcosa per spiegare il fatto che probabilmente è confusa e spaventata? –

Il bicchiere gli tremò tra le dita. – Stai dicendo che sono io ad intimidirla? –

Inarcai le sopracciglia. – Sto dicendo che, per quanto tu possa essere in gamba nel tuo lavoro, sei un vero idiota nelle relazioni. Ha paura, Lex. E se non ti ha detto nulla, conoscendola, è perché è il genere di persona che pensa agli altri prima che a se stessa. E, onestamente, non è sempre facile parlarti quando ti metti sulla difensiva. –

Scosse la testa. – Il fatto è che… è che Kate mi spiazza. Quella ragazza… da quando è entrata nella mia vita, l’ha sconvolta totalmente e quando si tratta di lei… ecco… io non… non riesco ad agire in maniera razionale. –

– E… quindi? –

– E quindi lei è in costante pericolo. A causa mia. Quello che è successo… il vederla accasciarsi dopo esser stata colpita dal proiettile di Novak, il sangue, il fatto che non mi rispondesse… e poi i giorni interminabili del coma… Dio solo sa quanto avrei voluto essere io a prendere quel colpo e risparmiarle tanta sofferenza. Purtroppo, col lavoro che facciamo, non è escluso possa accadere di nuovo e questo mi inquieta. Ma Kate è ostinata e testarda e non ascolta. Il pensiero che possa accaderle qualcosa… che io possa perderla… perdere anche lei… Oh Dio… – disse con frustrazione, posando il bicchiere e coprendosi il volto con la mano.

Sospirai. – Lex. –

Digrignò i denti.

– Alexander. –

Tolse la mano, ma evitò di guardarmi. Sapevo che mostrarsi vulnerabile era la cosa che meno tollerava. Aveva bisogno di sentirsi forte per la ragione più semplice del mondo: non voleva più patire il dolore della perdita di una persona amata.

– Hai ragione: è ostinata e testarda. D’altronde, per avere a che fare con te, bisogna avere una certa dose di resistenza. Ma Kate è anche una giovane donna in salute… e aspetta un bambino. E un figlio ti cambia la vita. Noi due lo sappiamo bene. Lex, capisco che anche tu sia spaventato e che parlare di questo non sia facile per te. Ma volevi chiederle di sposarti e stavi già pianificando di trovare casa a Cambridge. Quindi questo significa che eri già pronto a passare la tua vita con lei e, a quanto pare, il destino ti ha dato un’occasione in più per capire le cose, data la tua lentezza di comprendonio. E poi… ti conosco troppo bene per non sapere che, nonostante la paura, sei felice. –

Sgranò gli occhi e finalmente si voltò a guardarmi. Oramai, conoscevo Alexander da circa quindici anni e, a dispetto di come fossero mai andate le cose tra noi, potevo dire di essere tra le poche persone a saper leggere le corde del suo animo inquieto. La verità era che, in quel momento, aveva bisogno di realizzare il fatto che quel che stava accadendo avrebbe cambiato la sua vita in un modo che, per quanto già vissuto, portava con sé implicazioni date da una maturità diversa.

– Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi anni è che non possiamo dare nulla per scontato… né fare progetti a lungo termine senza tenere in considerazione che qualcosa possa cambiare da un momento all’altro. Prima di incontrare Nicholas, di fronte all’ennesimo aborto spontaneo, avevo rinunciato del tutto a diventare mamma. E quando tu hai perso Lily, con lei se n’è andato per sempre un pezzo del tuo cuore. Però… Nicholas mi ha fatto rendere conto che nessun dolore, per quanto profondo e distruttivo, dura per sempre… e lo sai anche tu, o non avresti certo fatto quel bel discorso ad Elizabeth un paio di mesi fa. Lex, non so cosa ci riserverà il futuro, ma conosco te e conosco Kate e so che se ti senti così spaventato per lei, è perché l’ami. E proprio per questo, sono sicura che andrà tutto bene e che saprete essere dei genitori meravigliosi. –

– Selina, io… –

Sollevai il bicchiere. – Un brindisi alla vita. –

Mi guardò in tralice, poi riprese il bicchiere lasciando che tintinnasse col mio. – Mpf. Tu lo sai che hai sbagliato carriera, vero? – mi fece eco, prima di sorseggiare il Martini.

Sorrisi e bevvi a mia volta. – Non è vero. Sono solo straordinaria in tutto quello che faccio. A proposito… hai qualcosa da farmi vedere, giusto? –

Stavolta toccò a lui sorridere, ma non mi accontentò. – Non è il momento ora. Una cosa per volta. Voglio davvero che Kate sia felice e qualcuno mi ha detto, cito testualmente, che con lei divento iperprotettivo. E poi… non voglio che pensi che le chiedo di sposarmi soltanto perché aspetta un bambino. Insomma… il tempismo… –

Convenni. – Oh certo. –

Mosse il bicchiere e il poco liquido all’interno si mosse, poi bevve l’ultimo sorso, realizzando un certo fatto. – Avrà la stessa età del figlio di Max ed Elizabeth… – osservò, sorpreso.

– Già. – sorrisi, poi gli detti una pacca sulla spalla. – Auguri. –

Lui annuì, poi tornò a guardare il cielo e rimanemmo in silenzio per diversi istanti prima che tornasse a parlare. – Suonerebbe strano se ti dicessi che sei la migliore amica che abbia mai avuto? –

Feci spallucce, ripensando a quanto poco amici fossimo stati durante i pochi, ma intensi, mesi della nostra relazione. Un’eternità fa. – A volte mi è capitato di pensare al perché non abbia mai funzionato tra noi, sai? –

Mi guardò con la coda dell’occhio, ma non rispose.

Sorrisi. Per quanto in passato avessimo avuto una gran chimica, si era trattato soltanto di attrazione ed era rimasto soltanto un profondo affetto. Non avevo mai, con lui, provato quel batticuore che sentivo ancora con Marcus. E, immaginavo, nonostante il suo silenzio, ne fosse ben consapevole anche lui.

 – Perché siamo felicemente innamorati di altre persone? –

Mi stiracchiai un po’, scostandomi dalla ringhiera, poi mi avvicinai alla porta per rientrare.

– Perché sono molto più intelligente e più scaltra di te. – risposi, ottenendo un mugugno in risposta e mettendomi a ridere, prima di lasciare la suite e incrociare, all’uscita, proprio Kate.

– Alexander è lì? – mi domandò, con tono incerto.

– Tutto tuo. – dissi, con tono conciliante, prendendole le mani. – E ricorda che se si comporta male… possiamo sempre chiedere a Marcus di spedirlo a tirare slitte con Balto con biglietto di sola andata. –

Quel commento la fece sorridere. – Grazie… –

Le strinsi le mani. – Andrà tutto bene. È soltanto innamorato… ma essendo l’idiota che è, non ha idea di come gestire situazioni al di là del suo controllo. Quindi… striglialo. –

– Oh… ecco… –

Le feci l’occhiolino, tempo di sentire i passi di Lex e di vederlo sulla porta. Kate sembrava in imbarazzo ma, a suo onore, Alexander le tese la mano. – Che ne dici di parlare un po’? – chiese, con voce dolce.

Kate annuì e io lasciai la presa, perché potesse raggiungerlo. Quando gli fu accanto, notai che agli occhi lucidi di lei faceva eco un’espressione che avevo visto sul volto di Alexander soltanto quando l’aveva vicina. Si guardarono entrambi e Kate lo abbracciò forte, serrandosi contro il suo petto, persa in un singhiozzo. Alexander premette le labbra contro i suoi capelli castani, poi la strinse forte a sé. – Sono un idiota… – bisbigliò e Kate fece cenno di sì con la testa, prima di tornare a guardarlo. Non potevo vedere che faccia avesse in quel momento, ma in compenso, vidi il sorriso commosso di Lex. – Un idiota che sta per diventare papà per la seconda volta in vita sua e ama già questo bambino tanto quanto ama la sua testarda, ostinata, intelligente e bellissima mamma. –

Il mio cuore mancò un battito e, a quelle parole, pronunciate con amore e con devozione, mi voltai per nascondere la mia, di commozione, e mi allontanai, lasciandoli a parlare della neonata famiglia e del bambino che sarebbe venuto di lì a qualche mese.

Quando tornai al piano inferiore, tra i bambini che giocavano spensieratamente, Nicholas in primis, e gli adulti che conversavano, incrociai lo sguardo di Marcus e lo raggiunsi, prendendolo sottobraccio.

– Tutto bene? – mi chiese soltanto.

Annuii, soddisfatta. – Molto. –

Mi sorrise e ci intrattenemmo a lungo con gli altri ospiti, fino a quando, dopo la cena non rimanemmo che in pochi. Comodamente seduti sui divani, Jace esausto, Lucy conciliante, Elizabeth divertita, Maximilian serafico e Nicholas un po’ stanco e assonnato, ma felice tra noi, riflettemmo sul fatto che quella serata extra sarebbe stata davvero l’ultima, prima di tornare a Boston l’indomani. Che quella vacanza sarebbe passata alla storia era un dato di fatto e, quantomeno, avremmo avuto delle nuove glorie da aggiungere al repertorio non appena avessimo cenato con la prozia Portia.

Kate e Alexander, invece, ci raggiunsero con comodo. Finalmente, non c’era più ombra di tensione sui loro volti. Quando presero posto assieme a noi, per trascorrere quella che fu davvero l’ultima sera che passavamo tutti quanti insieme a Nantucket, la conversazione verté, in breve, sulla famiglia. Nicholas, in particolare, era quello che non riusciva a credere al fatto che nella pancia di Kate ci fosse un bambino. E, quando rivolse a noi tutti la fatidica domanda alla quale prima o poi qualunque genitore si trovava a dover dare risposta…

– Chiedi ad Alexander. – fu ciò che dicemmo tutti quanti in coro.

E, per la prima volta da quando lo conoscevamo, sul volto di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, leggemmo tutto l’imbarazzo di chi era stato preso totalmente contropiede e non aveva idea di come rispondere all’innocentissima domanda di un naturalmente curioso bambino di sei anni.

Fu un fine serata allegro e divertente, lontano da tutto ciò a cui eravamo abituati e soprattutto, dal dramma vissuto la notte precedente. Già… una volta che la tempesta si era esaurita, ogni cosa aveva trovato il suo posto. Così come la vita, in fondo. E fu quella che celebrammo. Vivi. In un abbraccio. A ricordarci quanto fossimo fortunati. Immersi nell’amore che salva, che cambia, che genera nuova vita.

 

 

 


****** ANGOLO DELL'AUTRICE ******

 

Buonasera! Parte terza... e finale prima dell'epilogo! Mi sono resa conto che questo speciale è pieno di missing moments... e uno di questi riguardava proprio il rapporto tra Selina e Alexander e... la gravidanza di Kate. Ci tenevo proprio un sacco a raccontare come fosse andata proprio perché Henry e Landon sono coetanei e si tolgono pochi mesi... mi mancava creare il contesto. <3 
Alla prossima settimana con il finale di questo speciale! Un abbraccio a chi sta continuando a leggere e, se vi va, fatemi sapere qualcosa! 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


◊EPILOGO◊

 


 

 

 

 

 

Mi svegliai qualche ora più tardi, nel pieno della notte.

Marcus e Nicholas dormivano profondamente e sorrisi. Marcus mormorò qualcosa nel sonno, mentre Nicholas dormiva respirando a bocca aperta. Scivolai fuori dal letto e infilai velocemente una vestaglia in seta color argento che avevo portato con me, prima di uscire dalla suite. Normalmente, non soffrivo d’insonnia, ma probabilmente, dovevo ancora metabolizzare del tutto le emozioni vissute in quei giorni.

Scesi in un silenzioso e delicatamente illuminato piano inferiore e, con mia sorpresa, trovai, appollaiata sul divano della hall, la stessa Kate, che stava sorseggiando qualcosa. Nel sentire i miei passi, spalancò per un attimo gli occhi con la stessa espressione di una ladra beccata a far qualcosa che non doveva, poi si tranquillizzò non appena mi riconobbe.

– Non riesce a dormire? – mi chiese.

– Mi sono svegliata e non riesco a riprendere sonno. – spiegai, raggiungendola. – Posso? –

Kate annuì e mi sedetti accanto a lei. Il delizioso profumo di tisana alla lavanda si spanse nell’aria. Accanto a lei, su un tavolino in legno bianco, c’era un piattino con dei biscotti.

– Avevo fame. Alla fine Alexander e io abbiamo saltato la cena… –

Mi venne da ridere, ma mi trattenni. – Giusto. E… come hai fatto con la cucina? –

Fu lei a sorridere. – Servizio notturno. Giuro, ci ho provato a far da me, ma sono ben lontana dalla maestria di voi del Dark Circus nell’agire col favore delle tenebre. –

– Oh beh… questa mi lusinga. –

– Signora, gradisce anche lei una tisana? –

Mi voltai, riconoscendo la cameriera che si era affacciata dalla cucina. Sorrisi. – Una camomilla… con un goccio di Cognac, grazie. –

La donna annuì e tornò dentro, poi tornai a guardare Kate.

– Un goccio di Cognac? –

– Opera di Marcus. Non sono poi così svergognata di mio… in parte è anche colpa sua. –

Mi porse il piattino con i biscotti e ne presi uno, deliziosamente profumato alla cannella. Mentre li mangiavamo, Kate sorrise. – Grazie per quel che ha fatto per me… per noi, Selina… –

Sventolai la mano. – Se dovessi metterla su questo piano… non sarebbe nemmeno paragonabile a ciò che avete fatto voi… a quel che hai fatto tu, per Nicholas e per la nostra famiglia, Kate. –

Un leggero rossore le colorò il viso. – Alexander mi ha detto che finalmente l’ha chiamata mamma… –

Intrecciai le dita. – Già… alla fine, avevi ragione. Ci voleva tempo… –

Scosse la testa. – Per Nicholas… lei era già la sua mamma. Semplicemente, credo che avesse bisogno di urlarlo ad alta voce per rendersene davvero conto. –

Il ricordo di quel grido terrorizzato era ancora lì. – Probabilmente è così… –

Nel mentre, la cameriera tornò portando la camomilla. Scusandoci per aver disturbato, le chiedemmo di tornare a riposare e le augurammo una ricambiata buonanotte. Dopotutto, ne aveva bisogno anche il personale, dopo tutto ciò che aveva vissuto. Quando fu andata via, mi ritrovai a guardare il riflesso del mio volto nel liquido chiaro.

– C’è qualcosa che non va? –

Sospirai, poi tornai a guardarla. Kate era così giovane, eppure aveva visto l’inferno con i suoi occhi. Ciononostante, non si era mai arresa, e anzi, aveva saputo trovare il modo di reagire al dolore e di andare avanti, sempre. – No, è tutto a posto. Pensavo soltanto che sarai una mamma meravigliosa e che sia questo bambino che Alexander siano molto fortunati ad averti. –

– Eh? –

– E… non so perché, ma ho idea che possiate avere un maschietto. –

Sorpresa, Kate portò istintivamente la mano sul ventre. – Lei crede? –

Annuii. – Ho un certo intuito. – dissi, bevendo un sorso di camomilla. In poco, mi scaldai. Kate invece, aveva un’aria teneramente trasognata. – Chi lo sa… un figlio mio e di Alexander… è tutto così inaspettato e devo ancora realizzare bene… –

Mi trovai d’accordo, poi guardai l’orologio sulla parete opposta. – Che ne dici di tornare a dormire? Domani ci attende il ritorno e… oh cielo, non oso nemmeno immaginare. Questi giorni sono davvero volati… e Morris finirà col sequestrare Marcus, stavolta.  –

Lei mi guardò stranita. D’altronde, non poteva sospettare il livello di invischiamento di quei due. – A proposito di cose strane… ma le foto che Jace ci ha girato sono dei fotomontaggi, vero? –

Sentii il mio sopracciglio fremere. – Prima o poi lo uccido. Lo giuro solennemente. –

Kate si mise a ridere e, alla fine, lo feci anch’io. Non prima di aver progettato un omicidio, ma quello era un dettaglio.

Così, riaccompagnai Kate nella sua suite, poi mi ritirai nella mia. Marcus e Nicholas dormivano ancora e, svestita la vestaglia, mi infilai nuovamente nel letto, sdraiandomi accanto a loro. Nella penombra data dalla poca luce che proveniva dall’esterno, osservai i loro volti sereni e mi resi conto che non avrei mai potuto fare a meno di loro. Marcus, l’uomo della mia vita, e Nicholas, il mio bambino dal cuore ferito e bisognoso d’amore. Con loro accanto, non c’era nulla che potessi desiderare di più. I miei tesori più preziosi. Accarezzai la guancia di Nicholas, piena e calda… forse un po’ troppo per la temperatura che c’era intorno. Mi venne un dubbio. Allora provai con l’infallibile metodo scientificamente approvato dalle nonne di tutto il mondo e posai le labbra sulla sua fronte, sgranando gli occhi. Rimasi per un tempo indefinibile a fissarlo cercando di darmi delle risposte plausibili e poi, armeggiai fino ad accendere la luce accanto a me, prima di svegliare Marcus. Quando, riluttante, lo fece, al mio sguardo allarmato rispose ben presto il suo preoccupato.

– C-Che succede? – chiese, tirandosi su.

– Nicholas… – riuscii appena a dire, mentre il nostro piccolino si rannicchiò, tirando su col naso.

– Selina? Ehi… tesoro, così mi fai spaventare. –

Scossi la testa, cercando di trattenere le lacrime. Invano, dato che uscirono ugualmente. Non sapevo se ridere o piangere. Marcus guardò Nicholas a sua volta, poi gli accarezzò i capelli. – È sudato… e… – spostò la mano sulla sua fronte. – Oh mio Dio… è… è caldo… – disse, incerto.

Annuii. – Credo abbia la febbre… –

Marcus mi guardò incerto. – Ed è… una cosa buona? –

– Sì… sì… significa che è un bambino come tutti gli altri… –

– Oh… wow… –

Assentii e guardai Nicholas, che riaprì gli occhi, cisposi. – M-Mamma… – mormorò, con voce assonnata e leggermente nasale. – M-Mi pizzica… la gola… e fa caldo… –

Sorrisi e gli posai la mano sulla guancia. – Lo so… lo so, tesoro mio… ma sta’ tranquillo… passerà tutto molto presto, te lo prometto… –

Lui annuì e, tra febbre, sonno e confusione, si riaddormentò di lì a poco. Scambiai un’occhiata con Marcus, che scosse la testa a non poterci far nulla e si alzò. – Bagnoli. –

Concordai. – Del latte caldo con miele… e una tazza di thè corretta per papà. – aggiunsi.

– Decisamente. – osservò, alzando gli occhi al cielo, sorridendo e indossando la sua vestaglia rosso scuro.

Quella notte, non dormimmo granché. Il colpevole del misfatto fu il virus del raffreddore che aveva già colpito la piccola Sarah e, ben presto, finì per interessare tutti i bambini e, casualmente, anche Jace, costringendoci a rimandare, ancora, almeno per la mia famiglia, la partenza.

 Eppure, fu una notte da ricordare, in quanto ci dette conferma al fatto che Nicholas non era assolutamente immune alle malattie, come i Reyes credevano, ma era un bambino come tutti gli altri. Anzi, definirlo come tutti gli altri, dal mio punto di vista, aveva un significato puramente biologico. Perché sapevo fin troppo bene quanto la sua stessa esistenza fosse speciale. Lo era per Karina, che gli aveva dato la vita. Lo era per Kate, che l’aveva salvato da un destino probabilmente peggiore di quello che aveva vissuto fino a quel momento. Lo era per me e lo sarebbe stato per sempre.

Quel bambino che, in una notte tempestosa, aveva rischiato la sua vita per recuperare e proteggere qualcosa che riteneva importante. Quel bambino che mi si era aggrappato al petto, in una muta richiesta di protezione. Quel bambino che mi aveva riconosciuto come sua mamma… accettandomi nel suo cuore e nelle sue parole. Il mio Nicholas, per cui provavo un amore così grande da sfidare una notte tempestosa e saltare giù da una scogliera… E mi sovvenne, così, un aneddoto risalente alla mia primissima infanzia, quando ancora la mia vita era semplice, ingenua e… felice.

Mio padre, seduto su una poltrona à la Reine tappezzata con un prezioso tessuto damascato dai toni chiari, impegnato a leggere un saggio di Carl Gustav Jung. Conversava, per una volta non litigando, con mia madre, sul senso di una qualche citazione di cui non ricordavo il contenuto. E lei, il topazio che le era stato donato da sua madre al collo e che tanto mi affascinava per le sue sfumature di colore che ricordavano lo scoppiettare del fuoco nel camino, i colori del tramonto nella casa di campagna in Provenza e i suoi occhi, della cui lucentezza non riuscivo a darmi ancora spiegazione, sorrideva, accarezzandomi gentilmente i capelli, mentre osservavamo insieme un libro illustrato. Aveva risposto con delle parole, che mi erano rimaste dentro da allora e che avevo compreso soltanto da adulta, grazie a Nicholas, prese in prestito da Cornelia, la madre dei Gracchi. Il vero tesoro di una mamma.

Elle voici, mon bijoux à moi.

 

 

 

 

- FINE -

 

 

 

 

********ANGOLO DELL'AUTRICE*******

Buonasera a tutti! Eccoci finalmente giunti al finale di questo speciale... sapevo che sarebbe stata soltanto una breve avventura, una sorta di percorso fatto di missing moments... e alla fine, concluso. Desideravo tanto toccare il tema della maternità di Selina che, come tante donne, non ha potuto avere la gioia di avere un figlio suo ma, incontrando Nicholas, a sua volta ha potuto coronare questo sogno. Ci tenevo a raccontare di Kate, che avevo lasciato, nel finale, mamma di Henry, ma di cui desideravo raccontare uno dei momenti più belli e delicati per lei e Alexander... Essere mamma ha davvero tante di quelle sfumature... e poi, ancora, tramite Selina, punto di contatto tra presente e passato di Dark Circus, ho avuto modo di raccontare qualcosa in più sulla combriccola. Spero che, per chi ha seguito questa breve storia, si sia destata un po' di curiosità anche per l'originale. Non voglio dire che non tornerò più su DC, perché davvero, questo speciale non era previsto ed è stato il frutto di un lavoro che ho cominciato a ideare la scorsa estate e che è durato fino ai primi giorni di gennaio per scrittura... ma per il momento, credo di non aver altro da aggiungere. 
Un grazie incredibile a Red Saintia e a Sunshine, siete preziose!!
Alla prossima!

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