Together we will stand

di Night_Shadow_1303
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- la bambina ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Una mattina come le altre ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Il progetto ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Il Soldato d'Inverno ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Come ti chiami? ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Aspettarsi l'inaspettato ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Non lo ha detto nessuno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
 

Prologo

No! Non osare saltarmi solo perché sono un prologo!😁

Ciao a tutti! 

Sono AgentNightShadow (ma questo l'avrete già capito XD) e questa è la primissima storia che scrivo su Wattpad (per cui non so come verrà). 

Mi sono appassionata ai film dell'MCU poco più di un anno fa, ma visto che purtroppo sono pochi (una ventina possono essere pochi, se ci credi!😂), ho iniziato a leggere anche storie che riguardano i miei personaggi preferiti. Così alla fine mi è venuta voglia di scriverne una anch'io... quindi, eccomi qua.

La storia è principalmente su un mio OC, Joanna appunto, e su Bucky Barnes, ma poi (se riesco a finire questa storia, ovviamente) ci sarà anche un sequel con gli Avengers al gran completo.

Gli aggiornamenti temo che saranno un po'irregolari, perché spesso con gli studi e tutto non ho tantissimo tempo, ma cercherò di farli più spesso possibile.

Detto questo, vi lascio alla storia!

Ciaone!!!

( ゚д゚)つ Bye

(o゜▽゜)o☆

 

Disclaimer:
Non possiedo la Marvel (purtroppo! XD) quindi neanche vari dei personaggi che compaiono in questa storia. Gli unici che sono miei sono Joanna, i suoi amici e i suoi genitori (che ho inventato di sanissima pianta).

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- la bambina ***


12 settembre, 1976
New York City, New York

Era una mattina soleggiata e una leggera brezza mattutina soffiava per le strade della città, increspando lievemente le acque dell'East River. 

Un'automobile Ford nera si fermò davanti alla "Little Angels' House", un piccolo edificio da poco ristrutturato dove aveva sede un orfanotrofio. Dalla vettura uscì un uomo sui trentacinque anni, alto e muscoloso, con gli occhi e i capelli scuri, vestito con un completo formale di colore grigio che, assieme alla sua espressione quasi impassibile, gli dava un'aria piuttosto seria. Subito dopo l'uomo, ne uscì anche una donna sulla trentina, minuta di statura e di corporatura, abbigliata con un vestito estivo a fiori. Aveva i capelli e gli occhi di color nocciola, e la sua espressione sorridente, dolce e socievole, faceva contrasto con quella dell'uomo.
I due si avvicinarono al cancello e l'uomo suonò il citofono.
Dopo pochi istanti, una donna di mezza età aprì la porta e andò loro incontro sorridendo.

"I coniugi Rumlow, suppongo. Piacere di conoscervi. Io sono Emma Browne, assistente sociale." disse la donna che era appena uscita dall'edificio.
"Esattamente!" rispose la giovane donna "Io sono Claire Jeanine Rumlow, piacere di conoscerla, e questo è mio marito, Daniel Dylan Rumlow.
"Piacere, signora Browne" disse quest'ultimo.
"Come sicuramente Daniel le avrà anticipato per telefono, siamo qui per un'adozione." continuò poi la giovane donna.
"Ne sono lieta. Se volete seguirmi, posso portarvi a conoscere i bambini." replicò l'assistente sociale indicando con il braccio destro una scala all'interno dell'edificio.
La signora Rumlow ringraziò e poi si salì su per le scale velocemente, quasi impaziente di arrivare in cima, seguita a breve distanza, ma con passo più lento e composto, dal marito e, per ultima, dall'assistente sociale.

I tre si avvicinarono ad una porta socchiusa, da cui proveniva un rumore misto di parole, di risate, di giochi e di suoni inarticolati.
"Entrate" disse loro l'assistente sociale "Guardate un po' i bambini, poi provate magari a parlare un po' con loro. Potete restare fino alle 13.00, perché poi devono pranzare."
La signora Rumlow non se lo fece ripetere due volte ed entrò immediatamente, praticamente trascinando con sé il marito.

All'interno c'erano una ventina di bambini, di età comprese tra due e sei anni circa. Quattro giocavano al centro della stanza lanciandosi una palla colorata, alcune bambine preparavano nella cucina giocattolo il "tè" per alcuni loro peluche o tenevano in braccio delle bambole, mentre altri facevano una gara di automobiline sul tappeto con il disegno forma di strada.

"Facciamo una gara di aeroplanini di carta!" esclamò d'un tratto uno dei più grandicelli.
Vari dei bambini accettarono con entusiasmo la proposta.
Uno dei più piccoli si avvicinò alla signora Browne per chiederle di fargli l'aeroplanino, quando fu interrotto da quello che aveva fatto la proposta. "Non vale, quelli che fa lei funzionano sempre meglio perché li sa fare bene, se te lo fa è come imbrogliare!"
"Dacci un taglio, Ryan, tu hai sei anni e lui tre, hai il doppio della sua età e della sua esperienza, se ragioniamo come dici tu anche questo è come imbrogliare!" disse la voce di una bambina. Il  signor Rumlow, che prima era rimasto in disparte, come a disagio e un po' teso, si voltò verso il luogo dove la voce proveniva. Era una bambina minuta di statura, con i capelli biondo grano e grandi occhi di un colore cangiante tra l'azzurro e il verde, che guardava il bambino che aveva chiamato Ryan con la fronte leggermente corrucciata e che stava prima leggendo un libro. Anzi, stava guardando le figure, si corresse subito l'uomo, perché non c'era possibilità che sapesse leggere. Giusto?

"Tranquillo, Billy, l'aeroplanino lo facciamo insieme. Ho letto alcune cose che potrebbero esserci utili. Guarda," proseguì la bambina, avvicinandosi all'altro, che la guardava con aria stupita, " è facile. Devi solo piegare qui, a metà, poi qui e qui verso l'interno, e poi di nuovo pieghi in dentro, e poi pieghi le ali. Così viene più a-... aereo-... cioè, aerodinamico, ecco!, perché riduci l'attrito dell'aria. L'ho letto ieri, nel libro del nipote della signora Browne, quello che va alla scuola degli alti!" concluse la bambina, tutta sorridente, mentre gli altri bimbi la guardavano con aria interrogativa.

"Non è la scuola degli alti, è l'High School, penso" intervenne il signor Rumlow "ma per il resto tutto giusto. Complimenti, bambina." concluse con un sorrisetto appena accennato.
"La "bambina" ha un nome, e si chiama Joanna" lo rimbeccò questa, con un'aria mista tra il seccato e lo spiritoso, suscitando una risata divertita da parte di tutti i presenti, e in particolare della giovane donna.
"E Joanna ha anche un'età, giusto?" chiese quest'ultima, guardandola dolcemente. 
"Ha tre anni" rispose l'assistente sociale, che era rimasta stupita dalla scena ma neanche troppo, essendo abituata alle uscite insolite e argute della bambina.
"E non avendone zero, ma tre e mezzo, e vorrei sottolineare e mezzo, sa rispondere anche da sola, sempre che non le dispiaccia, signora Browne." concluse lei, impedendo a tutti i presenti  di non ridere.

La coppia passò un'altra mezz'ora nella stanza con i bambini, parlando in particolare con la piccola Joanna, per poi, uscirne e fermarsi davanti all'ufficio dell'assistente sociale.
"E' così carina!" esclamò la giovane donna, che non riusciva più a contenersi.
"Beh, è intelligente." disse il marito, il cui sorriso appena abbozzato faceva però trapelare che, dopotutto, era d'accordo con la moglie. "Però ha un senso dell'umorismo un po' troppo... spiccato, direi." concluse.
"Amore, a volte hai davvero le capacità emotive ed empatiche di un lampione," gli rispose sorridendo la donna "ma non per questo ti mando a quel paese tutti i giorni".
"Se no avrei percorso tanta di quella strada... oh no, mi ha contagiato!" rise l'uomo, che evidentemente era abituato a comportarsi in modo molto più serio. "Va bene, mi hai convinto, chiediamo qualche informazione" disse, riprendendo il suo solito contegno rigido e controllato.

"Allora, signora Browne, che cosa ci può dire sulla bambina?" chiese l'uomo.
"Beh, non c'è molto da dire." rispose questa.
"Cosa dovrebbe voler dire questa frase, scusi?" domandò, quasi indispettito dalla risposta alquanto vaga.
"Il fatto è che, su di lei, adesso voi non sapete molto meno di me. Il 13 marzo dell'anno scorso mi ha chiamato una mia amica, che mi ha detto di aver incontrato una bambina piccola da sola, che le aveva saputo dire solo il nome, Joanna, e l'età, due anni, che era completamente spaesata e non ricordava altro. Non un cognome, non un nome che potesse ricondurre ai suoi genitori, non una data di compleanno... nulla. Il compleanno lo festeggia il 13 marzo, dato che non sappiamo quando sia nata in realtà. Non sono ancora riuscita a farle ottenere dei documenti validi, anche se ci provo da tempo. A livello di carattere, come avete già avuto modo di vedere, è intelligente, spiritosa e piuttosto gentile con gli altri bambini, ma a volte si comporta in modo un po' testardo."
"La ringrazio molto" disse l'uomo "Ora andiamo, ma si aspetti di vederci tornare presto."

Due mesi dopo

DLIN DLON! suonò il campanello.
"Sono arrivati?" chiese la bambina, con uno sguardo eccitato che rivelava la sua impaziente attesa. Erano venuti a trovarla più volte in quei due mesi e l'ultima volta le avevano detto che, se le andava bene, la volta dopo l'avrebbero adottata. E lei aveva contato i giorni, anche se, come avrebbe ripetuto più di una volta nei mesi successivi, non le era stata necessaria la sua grande mente matematica.
"Sì, piccola, devono essere loro. Dai, vieni." rispose gentilmente la signora Browne, per poi andare ad aprire la porta.
"Un secondo, devo prendere Patch e salutare gli altri." e, senza dire altro, si precipitò su per le scale.
Intanto la coppia era arrivata sulla soglia.

"Dov'è la bambina?" chiese l'uomo, dopo aver salutato gentilmente l'assistente sociale.
"Eccomi!" esclamò la bambina, appena ricomparsa in cima alla rampa di scale con un peluche a forma di cucciolo di dalmata sotto il braccio, un disegno nell'altra e un sorriso enorme sul volto, per poi correre letteralmente giù dalle scale.
"Ciao piccola! Sono contenta di rivederti! Allora, si va?" disse la signora Rumlow, la cui eccitazione, trattenuta a stento, era probabilmente seconda solo a quella della piccola Joanna. Aveva sempre desiderato avere un bambino, ma i dottori le avevano detto che era quasi impossibile e, pertanto, lei e il marito avevano deciso di adottare. Nonostante il dubbio iniziale da parte dell'uomo, dopo aver incontrato Joanna avevano entrambi capito perfettamente che non serviva era il sangue a decidere l'appartenenza alla famiglia.

"Anch'io! Sì, dai, andiamo!" rispose la bambina.
La donna la prese per mano e la accompagnò verso l'auto, seguita dal marito, sul cui volto solitamente così serio e impassibile si poteva leggere un'espressione di tenerezza.
"Ciao a tutti!" esclamò la bambina vedendo gli altri che guardavano la scena dalla finestra.
"Ciao Joanna"
"Ciao!"
"Ciao Jo, ci mancherai!" salutò per ultimo Billy.
"Ciao, mancherete anche a me!" rispose lei salutandoli con un gran sorriso con la manina dal finestrino dell'auto che partiva.
Rimase, poi, per un po' in silenzio, guardando assorta il paesaggio, per poi voltarsi a guardare la sua nuova famiglia. 
Sì, non vedeva l'ora di iniziare quella nuova vita.

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Ciao a tutti! 

Questo è il primo capitolo della storia, spero vi piaccia!

Avendo visto i film e non conoscendo i fumetti, ho inventato di sana pianta la composizione della famiglia Rumlow.
Brock nascerà due anni dopo, ma questo non influirà sull'affetto che i genitori provano per Joanna, che nel frattempo è stata registrata all'anagrafe come Joanna Julia Rumlow.

C'era bisogno di un capitolo introduttivo per introdurre il mio personaggio, ma poi dal prossimo capitolo si passerà alla storia vera e propria.

Ciaoooo 👋👋👋

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Una mattina come le altre ***


Vent'anni dopo
Sabato, 16 novembre 1996 
New York City, New York

Joanna era in un parco, con la sua migliore amica Becky, e stavano chiacchierando allegramente, finché a non le era caduta la borsa. 
Strano, si disse Joanna. Lei non portava quasi mai la borsa. Perché se l'era portata?
Si chinò quindi per raccoglierla, ma questa fu sospinta via da una folata di vento, che la portò più lontano.
La ragazza la seguì, ma il vento era sempre più impetuoso e iniziava a trasportare via tutte le cose, finché Joanna non rischiò di perdere l'equilibrio. Si aggrappò allora ad una panchina, ma il turbine sembrava essere quasi attirato da lei.
Tutti gli oggetti le stavano venendo contro, e il primo ad arrivarle addosso fu proprio la sua borsa, che aveva una consistenza... umida e molle?

"Bau! Bau!"
Joanna aprì gli occhi, per vedere che un cane le stava praticamente lavando la faccia con la lingua.
"Ehi!" esclamò, guardandosi intorno e non vedendo più traccia del parco "ma... aspetta, cosa succede? Dove sono?"
Le ci vollero un bel po' di secondi per capire che l'edificio nel quale si trovava era niente meno che il suo appartamento, che quella era camera sua e che l'animale che la stava sberleccando a più non posso era la sua cagnolina Kayla.
Beh, cagnolina... si fa per dire. Effettivamente, forse "cagnolina", non era proprio il termine più adatto per designare un animale mezzo cane e mezzo lupo, alto quasi un metro, pensò la ragazza, facendosi scappare una risatina divertita.

"Ho capito, ho capito, mi alzo... a proposito, vediamo un po', che ore sono?" si chiese, ancora mezza addormentata, mentre buttava all'aria le coperte per alzarsi dal letto. 
Già le nove e mezzo?!, pensò Joanna dirigendosi poi verso la cucina.
Era una persona piuttosto mattiniera, e le piaceva andare a correre la mattina. A vent'anni si era anche iscritta alla maratona di New York, ma poi... poi c'era stato l'incidente ed era stata costretta a rinunciare. E comunque, anche se non avesse avuto una gamba ingessata, non era sicura che ne avrebbe avuto voglia... ma basta, meglio non pensarci. 

Dopo aver fatto rapidamente colazione, la ragazza prese il suo Nokia 9000 e chiamò il numero di casa dei suoi genitori.
"Pronto?" rispose una voce mezza addormentata dall'altra parte del telefono.
"Buongiorno fratellino! Non dirmi che ti sei svegliato tardi anche tu!"
"Mi hai svegliato tu, a dire il vero." rispose questo in modo un po' troppo freddo e scontroso per i gusti di Joanna. Ma dopotutto suo fratello era fatto così, e lei gli voleva bene ugualmente.
"Suvvia, non prendertela così! Comunque ti è andata bene che mi sono svegliata tardi, pensa se mi fossi svegliata alle sette e mezzo come al solito..."
L'unica risposta che ricevette fu un mugolio tra l'assonnato e l'irritato. Capendo che la conversazione con il fratello non sarebbe stata particolarmente allegra e interessante, per dirla con un eufemismo, la ragazza chiese: "E mamma e papà? Si saranno già svegliati, immagino."
"Sì. Mamma ha finito ora di lavarsi, mentre papà non c'è. Ti passo la mamma." fu la risposta.

"Ciao tesoro! Come stai?" chiese poco dopo la voce dolce e nello stesso tempo squillante della madre. 
"Io tutto bene, anche se direi che essendomi appena svegliata è un po' presto per dirlo, no?"
"Effettivamente hai ragione. Allora, riformuliamo la domanda: hai dormito bene?"
"Direi di sì, anche se ho fatto un sogno un po' strano e, non avendo sentito la sveglia, mi sono svegliata con due ore di ritardo e Kayla che mi lavava la faccia con la sua lingua, ma che vuoi che sia?" rispose Joanna ridacchiando.
La risposta della madre fu una risatina divertita.
"Sai se papà è già andato al lavoro?" chiese poi la ragazza.
"Mi sento molto offesa. Non ti sono abbastanza simpatica, bambina mia?" replicò la donna in modo sarcastico.
"Certo che lo sei! Ma sai, mi è venuta la curiosità, perché in genere è lui a rispondere la mattina, essendo il meno poltrone della famiglia." rispose la ragazza in modo altrettanto sarcastico.
"E poi" proseguì "visto che di sabato va solo a volte e in genere mai prima delle dieci, pensavo ci fosse ancora, anche per chiedergli se per caso ha qualcosa da farmi fare. Cioè, anche se quasi sicuramente mi avrebbe risposto nuovamente di no, come al solito." concluse sbuffando.
"Oggi l'hanno chiamato prestissimo, verso le sette, per un affare che non mi ha voluto dire, 'come al solito', per citare qualcuno che conosco." rispose la donna, con un sarcasmo che però faceva trapelare anche una punta di irritazione per il comportamento del marito.
"Vabbè, fa lo stesso. Adesso mi preparo e vado a correre. Non sia mai che Becky speri di avermi finalmente convinto a evitarle la corsa mattutina anche di sabato!" esclamò Joanna.
"Ciao piccola, buona giornata"
"Ciao mamma. Ah e potresti smetterla di chiamarmi piccola, per piacere? Ho ventitré-" ma non riuscì a finire la frase perché la chiamata fu interrotta.

La ragazza si girò verso la sua cagnoli- anzi, cagnolona, e, mentre prendeva i vestiti e le scarpe da corsa, disse, o meglio pensò ad alta voce: "Capisco che per papà sia importante e tutto e so benissimo che lui, essendo figlio di uno stretto collaboratore di Zola, ci tiene particolarmente, ma a me francamente dà un po' fastidio l'atteggiamento 'metto l'associazione di cui faccio parte davanti a tutto e manco saluto o mando un SMS a mia figlia'. E poi, se è davvero così importante, perché non vuole mai darmi uno straccio di compito? Insomma, come stavo provando a dire alla mamma, non sono più una bambina e non ne posso più di essere trattata come se lo fossi!"
Kayla la guardò con il muso inclinato lateralmente e gli occhi con un'espressione che Joanna non sapeva se interpretare come "lo capisco, hai ragione" oppure piuttosto come "non ho idea di cosa tu stia dicendo ma se mi porti al parco va bene uguale", che fece un po' ridere la ragazza

Una volta finito di prepararsi, poi, Joanna si diresse verso la casa della sua migliore amica, che si trovava sopra il ristorante italiano gestito dai suoi genitori. Il padre di Becky era italiano e che, per dirla come le due ragazze, faceva 'le pizze più buone di New York, ma non della città, dello stato!'
Diede uno squillo alla sua amica e, dopo pochi minuti, questa uscì dalla porta sul retro.
Era una ragazza coetanea di Joanna, con un fisico slanciato, bellissimi capelli lucenti color dell'ebano, labbra naturalmente rosse e occhi verdi. Naturalmente, la sera nei club notturni che talvolta frequentava faceva cadere tutti i ragazzi ai suoi piedi. Nonostante fossero piuttosto diverse sotto vari punti di vista, Joanna Julia Rumlow e Rebecca Blaire Viani, questi i nomi completi, o Jo e Becky, come si chiamavano a vicenda, erano migliori amiche fin dai tempi delle elementari.
"Ciao Becky, ce ne hai messo di tempo!" fu il saluto di Joanna.
"Ciao Jo, sai non ero mica pronta, pensavo che non mi sarebbe toccato correre pure oggi. Insomma, so che ne abbiamo già parlato, ma per quanto la corsa faccia bene, penso che di sabato potremmo anche evitare e-"
"Auguri!" la interruppe Joanna.
"Di cosa, scusa? Il mio compleanno è tra due settimane..." rispose Becky confusa.
"Ma di trentesima volta che mi fai questo discorso! E prima che tu lo chieda, sì, le ho contate, e no, questo non ti risparmia la corsa di oggi."
"Uffa... però dai, almeno posso farti una richiesta? Come regalo di trentesimo discorso 'non ha senso correre anche il sabato mattina'?"
"Va bene, dai, basta che non sia chiedermi di risparmiarti una qualche corsa" scherzò Joanna.
"Il prossimo sabato devi portare a correre anche il tuo ragazzo."
"Ma non ce l'ho neanche..."
"Esattamente Jo, te lo devi trovare! Non puoi continuare a startene da sola, ed è da tre anni che non esci con un ragazzo nemmeno per sbaglio. Dico davvero, sai. Nemmeno Clive vorrebbe che tu ti isolassi così. Non ti dico di ricominciare a frequentare i club notturni, quello lo posso capire, ma..." le spiegò l'amica, con una faccia che lasciava trapelare un velo di preoccupazione.
"Ma si può sapere come dovrei fare in  una settimana?!" esclamò Joanna "Guarda che non sono un trattore come te!"
"Un cosa scusa?"
"Un trattore, visto che rimorchi più o meno qualunque essere umano di sesso maschile circa della tua età." rispose ridacchiando Joanna.
"Ma va'... e io che provavo a parlare seriamente...mi sarei dovuta ricordare che la mia migliore amica è una gran cretina... comunque o ti presenti con un ragazzo sabato prossimo, oppure io non vengo a correre, chiaro?"

Joanna voleva ribattere, ma in quel momento il suo telefono squillò.
"Numero sconosciuto" lesse ad alta voce Joanna "Sarà una pubblicità... bene, vediamo un po' se i pubblicitari sanno lo spagnolo" disse poi, un po' all'amica e un po' a se stessa.
"Hola, quién està hablando?" disse poi rivolta al telefono, con un sorrisetto dispettoso
"Chi sei e perché diavolo hai il telefono di mia figlia?!" tuonò una voce dall'altro capo del telefono.
"Oh ciao papà, non preoccuparti, sono io... solo che ho visto un numero sconosciuto e pensavo fosse una pubblicità, quindi ho pensato di rispondere in spagnolo per far finta di non capire. Comunque se qualcuno ti parla in spagnolo, forse sarebbe meglio rispondere nella stessa lingua, altrimenti rischiano di esserci delle incomprensioni... In ogni caso, perché mi hai chiamato?" rispose Joanna, riconoscendo la voce, ma soprattutto il modo di fare del padre.
"E' per una questione... diciamo... di lavoro. C'è un progetto che è rimasto senza un ingegnere e che richiede una certa dose di esperienza... avevano chiamato me ma non sono esperto di alta tecnologia e mi chiedevo... ma solo per due consigli... perché si tratta di una cosa molto segreta, nonché molto pericolosa..." 
"Papà, non sono più una bambina, te l'ho già detto! Comunque va bene, se mi dici dove sei vengo subito." rispose la ragazza alzando gli occhi al cielo.
"Il luogo di lavoro, quello che sai." rispose lui "Ne parliamo meglio lì. A dopo" concluse, e terminò la chiamata.

"Allora?" chiese Becky, che aveva ascoltato le risposte dell'amica.
"Allora sei fortunata, niente corsa oggi. Finalmente mio padre mi ha detto che ho un incarico un po' più interessante e un po' più coerente con le mie competenze specifiche del solito lavoro d'ufficio che mi tocca in genere. Mi spiace, ma temo che non avrò tempo per-"
"Meno scuse, cara, nelle agenzie segrete c'è sempre pieno di bei ragazzi, quindi visto che non frequenti club notturni sarà solo più facile trovarti un accompagnatore per il prossimo sabato! Io torno a casa, ciao!" le rispose Becky, prima ancora che lei potesse finire.
Joanna sbuffò. Se c'era qualcosa di cui non aveva voglia, quello era sicuramente cercarsi un ragazzo. Non è che non volesse, era più che non si sentiva ancora pronta, dopo Clive.
In ogni caso, ci avrebbe pensato dopo. Adesso doveva andare alla base per il suo primo incarico d'importanza.

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Ciao a tutti! 

Ecco a voi il secondo capitolo, in cui facciamo conoscenza della nostra protagonista diventata finalmente grande e della sua migliore amica! 

Inoltre, si sono annunciati alcuni piccoli segreti... cos'è che non ci racconti, Jo? 🤔

E quale sarà il progetto tanto importante e segreto? Che poi non ha senso fare tanto la misteriosa, scommetto che l'avete già capito😉

Ciaoooooo 🤗🤗🤗

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Il progetto ***


Sabato, 16 novembre 1996
New York City, New York
HYDRA secret facililty

Joanna si avvicinò ad uno stabile che, dall'esterno, sembrava solo una vecchia fabbrica abbandonata. 
Fece scorrere le dita sul muro, finché non incontrarono un'irregolarità. A questo punto appoggiò più decisamente il palmo della mano destra e, dopo pochi istanti, sospinse una porzione di muro con l'altra.
Quest'ultima si rivelò essere una piccola porta che si aprì, rivelando al suo interno un lungo corridoio, che dava su una serie di porte chiuse e apparentemente vecchie.
La ragazza si diresse con decisione verso la terza a destra e, dopo aver digitato una combinazione su una piccola tastiera nascosta dietro il maniglione antipanico che la chiudeva, vi entrò, seguita a brevissima distanza dalla sua "cagnolona". La porta dava su una scala che scendeva verso il piano interrato. 
Joanna scese la scala, fino ad arrivare ad un'ulteriore porta sorvegliata da due guardie vestite di nero e armate di mitraglietta.

"Si identifichi." disse una di loro.
Nemmeno un 'buongiorno' o un 'salve', per non parlare di un 'come va?'... sempre scorbutici come chissà, pensò la ragazza rivolgendo gli occhi al cielo, per poi rispondere "Buongiorno agenti, sono Joanna, ma probabilmente mi conoscete meglio come dottoressa Joanna Julia Rumlow, figlia del maggiore Rumlow."
I due la squadrarono. "Signorina... " iniziò uno pei due.
"Ah sì, che sbadata!"  esclamò la ragazza, portandosi una mano alla fronte. Se ne sarebbe mai ricordata da sola?
 "Hail HYDRA." disse poi.
"Sì signorina, avevamo capito, ma il cane..." riprese quello. Allora il problema non era la parola d'ordine
"La mia cagnolina viene con me, visto che non c'è nessun regolamento che vieta la presenza di animali. Ora se non vi spiace entro." lo interruppe lei con sicurezza, camminando con aria risoluta verso la porta ed entrandovi, seguita dall'animale.

L'ambiente dove era giunta era un lunghissimo corridoio da cui si dipartivano dieci corridoi secondari, su ciascuno dei quali si aprivano delle porte.
Joanna conosceva a menadito quel posto. C'era stata più volte, e sapeva dove portavano tutti i corridoi, e cosa c'era dietro tutte le porte.
Cioè, quasi tutte. A dire il vero, non sapeva cosa ci fosse dietro la porta in fondo al quarto corridoio a sinistra, davanti alla quale c'era solo il cartello ZS-A e nelle due a lato, con i cartelli ZS-T e ZS-L. 
La prima volta che aveva visitato la base in qualità di nuovo membro dell'associazione, compiuti diciotto anni, aveva chiesto a suo padre cosa ci fosse, ma lui le aveva risposto che erano stanze di solito vuote. E da come l'aveva guardata, si capiva che, per quanto lo riguardava, il discorso era chiuso. Effettivamente, Joanna aveva visto qualcuno aggirarsi da quelle parti a dicembre dello stesso anno, ma per il resto le erano sembrate effettivamente vuote.

Non si aspettava, quindi, di trovare il padre, con aria pensierosa e un po' preoccupata, fosse in piedi ad aspettarla proprio davanti a quelle tre porte.

"Ciao papà, sono arrivata!" lo salutò lei.
"Joan- ma si può sapere come ti sei vestita?!" esclamò lui vedendola arrivare abbigliata ancora da corsa, con una felpa azzurra su cui spiccava la scritta Los Angeles - California, comprata l'estate prima in vacanza e sotto la quale si vedeva la maglia termica, con un paio di leggings e scarpe da ginnastica Adidas. Sapeva che sua figlia non amava la formalità, ma che arrivasse vestita da corsa e seguita dal suo cane quando lui l'aveva chiamata per un progetto importante... beh, per lui era semplicemente inconcepibile.
"Sono venuta subito, come ti avevo detto, quindi se ero vestita da corsa per forza che sono ancora vestita da corsa! Se avessi voluto cambiarmi sarei dovuta tornare a casa, cambiarmi, e poi rifare tutto il tragitto fino a qui o a piedi o comunque lasciando l'auto non troppo vicino. E dal modo in cui mi hai parlato durante la chiamata, anzi dal fatto stesso che hai deciso di chiamarmi, ho capito che la mia presenza era necessaria e, se possibile, anche in fretta, quindi sono venuta direttamente qui, ok?" rispose lei, un po' stizzita dal saluto freddo e polemico del padre. Insomma, possibile che si curasse di queste sciocchezze???

"Ascolta, non importa." riprese il padre. Da quando in qua lasciava perdere così facilmente un discorso sull'importanza della formalità? Ok, la situazione doveva essere grave, pensò Joanna.
"C'è questo progetto segreto, molto importante, che però è anche molto pericoloso, Joan, quindi ti chiediamo solo due consigli, che è rimasto senza ingegnere, perché quello di cinque anni fa nel frattempo è morto, ma è una roba che richiede una certa conoscenza di robotica e di meccanica, e c'è bisogno di qualcuno di fidato, e..." proseguì lui.
"Ma dirmi semplicemente il nome, in cosa consiste e qual è il 'pericolo' è troppo difficile?" lo interruppe la ragazza. Non aveva alcuna voglia di fare indovina chi, anzi indovina il progetto, per capire cosa c'era da fare. 
"Va bene. Allora, ti spiego. I cartelli sulle porte stanno per 'Zimnij Soldat - Activation', 'Zimnij Soldat - Training' e 'Zimnij Soldat - Logistics'." iniziò lui.
"Ok, quindi si tratta del progetto Soldato d'Inverno, anche se avresti potuto dirlo un po' prima e non per enigmi. So già che è il sicario migliore dell'HYDRA e probabilmente il pericolo di cui tanto ti preoccupi è quello, ma c'è una cosa che mi sfugge: per quanto ho capito non è un robot, quindi mi spieghi cosa c'entra la robotica?" chiese lei.
Se si trattava di costruire armi per il sicario, avrebbe volentieri declinato l'offerta. Preferiva i robot, tanto che tempo prima aveva progettato alcuni prototipi di guardie robotiche e aveva anche realizzato un robot per casa sua (che lei aveva soprannominato scherzosamente Okie, visto che era dotato di quattro braccia meccaniche), oppure la programmazione, e infatti aveva contribuito a crittografare tutti i dati dell'HYDRA in modo che non potessero essere scoperti dai 'buonisti' dello S.H.I.E.L.D. 
Ma le armi... no, quelle erano un'altra storia.
Per quanto le avessero detto più volte che per garantire la vera libertà al mondo era necessario che alcune persone morissero o soffrissero, lei faceva ugualmente fatica ad accettarlo. Non aveva il coraggio di fare del male a qualcuno, per quanto potesse essere necessario e tutto, ed era anche per questo che, nonostante grazie alla combinazione delle sue competenze in arti marziali e ginnastica artistica fosse bravissima nel corpo a corpo, non era voluta diventare un agente operativo, al contrario di suo fratello.
E in ogni caso, a lei le armi non erano mai piaciute. Senza contare che a sparare faceva davvero pena.

"Vedi, è dotato di un braccio meccanico, ma dopo l'ultima missione, in cui c'è stato  un combattimento con una serie di guardie, qualcosa deve essere stato danneggiato, perché i movimenti adesso sono molto più lenti e impediti. Hai idea di quale possa essere il problema?" rispose il padre.
Si trattava di bionica allora? Quello sì che la interessava.
Se avesse accettato, avrebbe potuto imparare un sacco di cose interessanti al riguardo, che avrebbe potuto utilizzare anche per costruire protesi high-tech anche per la gente comune, e...

"Aspetta cosa?" chiese al padre capendo la domanda che le aveva fatto solo in quel momento. "Ma sei impazzito o cosa? Mi spieghi come diamine dovrei capire qual è il problema quando non so nemmeno come sia fatto 'sto benedetto braccio metallico? Sarò anche intelligente papà, ma le cose non le so mica per scienza infusa!" 
"Lo so, è solo che visto che potrebbe essere pericoloso preferirei che tu non..."
Joanna roteò gli occhi. Ma davvero? Non era più una bambina, e suo padre doveva capirlo. E poi, non aveva paura, non di una singola persona e tantomeno di una con cui aveva solo intenzione di collaborare. La spaventavano di più le situazioni di affollamento eccessivo, dove non si aspettava pericoli anche se potevano essercene ovunque, come...
Joanna contrasse istantaneamente la mascella. No, non doveva pensarci.
"Papà, tranquillo, qualunque problema ci sia, so difendermi, non preoccuparti. E poi c'è sempre Kayla, che ha delle buone mascelle" disse, e senza aspettare una risposta aggiunse: "Beh, io entro. Da qui non farò sicuramente nulla di utile."
"Joan..." riprese il padre.
"Io. Entro. Fine della discussione." affermò lei con aria decisa. Un lampo percorse istantaneamente i suoi occhi azzurro-verdi, facendoli scintillare di una luce particolare, che fece trasalire l'uomo. Non era la prima volta che vedeva gli occhi di sua figlia animarsi in quel modo, ma ogni volta era inquietato dalla quantità di decisione e forza che trasmettevano.
"Almeno mettiti un camice, non puoi lavorare così." disse lui, porgendogliene uno. "E stai attenta" concluse. 

La ragazza se lo infilò sbuffando e si diresse con decisione verso la porta.
Inspirò ed espirò profondamente, per poi far ruotare la chiave che si trovava nella serratura e spingere la maniglia.

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Hello everybody!

Siamo arrivati al terzo capitolo! 
Originariamente il terzo capitolo doveva comprendere una parte più lunga della trama della nostra storia, ma poi mi sono accorta che era diventato sproporzionatamente lungo rispetto al resto della storia, quindi ho deciso di spezzarlo in due.

Nel prossimo capitolo quindi incontreremo il nostro Bucky (SIIIII!!!😃😃😃) che però non si ricorda ancora di essere Bucky, perché questa storia è ambientata troppo presto (NOOOO!!!🙁🙁🙁).

Lo so, vi lascio sempre in suspense... sono cattivissima!😅😈😏

Alla prossima!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Il Soldato d'Inverno ***


La porta si aprì cigolando, attirando l'attenzione dell'uomo seduto sulla sedia in mezzo alla stanza, che alzò lo sguardo vedendo una figura che avanzava nella stanza.
Non era di statura particolarmente alta, non più di un metro e sessantacinque, ma era di corporatura piuttosto slanciata. Aveva lunghi capelli biondi, raccolti in una coda un po' disordinata, che incorniciavano un viso dai lineamenti morbidi e delicati, su cui spiccavano due occhi di un colore tra il verde e l'azzurro, vivi e brillanti, che osservavano con curiosità l'ambiente circostante, le attrezzature, le guardie, lui.
Doveva avere tra venti e venticinque anni, pensò lui, e a giudicare dal camice era una scienziata. Male. Non sapeva dire se fossero peggio le guardie o gli scienziati, almeno dalle ultime ventiquattro ore e quei due altri stralci confusi in croce che ricordava della sua vita.

"E' la dottoressa Rumlow" sentì bisbigliare una guardia ad un altro.
"Chi?" chiese quest'ultimo.
"La dottoressa Rumlow, la figlia del maggiore Rumlow. Si è laureata in ingegneria l'anno scorso ed è praticamente un genio, specie in robotica e informatica, almeno a quanto dice il padre." rispose il primo.
Di male in peggio. 
Il maggiore Rumlow era uno dei peggiori, poco ma sicuro. 
Capace di prendersela per nulla, guardava sempre il mondo intero con quel suo sguardo severo e minaccioso che metteva tutti in soggezione, guardie e altri membri dell'HYDRA compresi, e sembrava sempre in cerca di motivi per prendersela con qualcuno.
Era vero, la ragazza sembrava diversa... aveva un'aria molto meno seria, un'infinità di volte meno severa e minacciosa, ma le apparenze spesso ingannano. E non bastavano certo a fargli pensare che la giovane sarebbe stata gentile o altro, almeno non con lui.

"Buongiorno!" esclamò lei, con una voce fresca e squillante.
"Buongiorno, dottoressa Rumlow. Piacere di vederla." salutarono alcune guardie.
"Joanna Julia, Rumlow, comunque piacere! Come vi chiamate?" rispose lei.
"Questo esula dal suo incarico, dottoressa. Comunque sono l'agente Andrew Murphy. Se non erro, lei si trova qui per-" rispose uno di loro, facendo un passo avanti.
"So perfettamente qual è il mio compito, mio padre non ha il gusto della sorpresa, state tranquilli" lo interruppe lei "Stavo solo cercando di fare due parole, per evitare di arrivare subito al dunque e cercare di essere un po' gentile, ma fa lo stesso. Potete andare, arrivederci." concluse lei con aria un po' seccata e un po'... delusa? No, impossibile. Doveva essere solo irritata.

"Dottoressa, noi abbiamo ordine di restare qua per tutta la durata del suo lavoro. Ordini del maggiore." rispose la guardia, impassibile.
La ragazza si irrigidì e si guardò intorno, scrutando le guardie.
 "Per quale motivo? Non si fida di me?" chiese poi, come a disagio. Sì, per quanto fosse strano, sembrava piuttosto a disagio.
"Dottoressa, ci fidiamo tutti di lei, è di un'altra persona che non ci fidiamo. Si tratta di una misura precauzionale, per la sua incolumità." rispose quello, glaciale.

La ragazza si voltò a osservare il giovane seduto in mezzo alla stanza e quest'ultimo alzò gli occhi incontrando, per un istante, quelli dell'altra. Si stupì di non vedervi l'odio, né la paura, né il disprezzo, né la soddisfazione della propria superiorità che si leggevano, chiarissimi, negli occhi di tutte le persone che aveva visto lì. Quella ragazza sembrava voler solo capire qualcosa.
Il contatto visivo non durò, però, che un istante. 
Il giovane, sentendo quello sguardo troppo interrogativo e troppo pesante, girò la testa di scatto. Quella ragazza non doveva vedere, pensò. Soprattutto, non doveva capire.

Ma lei parve aver capito tutto ciò che le serviva per risolvere il suo dubbio, perché, senza esitare, rispose: "Vi ringrazio molto, ma non è necessaria alcuna misura precauzionale."
Questa risposta stupì tutti coloro che si trovavano lì. Non aveva paura?
"Ma signorina, potrebbe attaccarla!"
"Non c'è pericolo." rispose lei.
Il giovane fu ancora più meravigliato. Com'era possibile? Tutti, lì, sembravano temerlo, e si comportavano come se potesse aggredirli o tentare di scappare da un momento all'altro. Del resto... se avesse potuto, l'avrebbe anche fatto. Ma sapeva benissimo che, anche se fosse riuscito a fuggire da quella stanza, con il braccio meccanico danneggiato, senza un'arma e comunque con altre decine di guardie nell'edificio le sue probabilità di fuggire sarebbero state quasi nulle, e se lo avessero ripreso... sarebbe stato solo peggio. Se solo avesse iniziato a ragionare, a capire, ad agire con la propria testa qualche ora prima, quando ancora non era chiuso lì. Ma qualche ora prima, l'unica cosa a cui riusciva a pensare erano gli ordini, come se qualcuno li avesse inchiodati nella sua mente.

"E in base a cosa lo afferma?" domandò la guardia, spazientita.
"Punto primo: è letteralmente ammanettato alla sedia, prima dovrebbe liberarsi e io avrei il tempo di arrivare fino alla porta e chiamarvi, dato che c'è sempre qualcuno a pattugliare i corridoi. Punto secondo: è disarmato e il braccio meccanico, da quanto mi pare di aver capito, è malfunzionante, quindi non proprio nelle condizioni diciamo più adatte per attaccare qualcuno. Punto terzo: mi so difendere perfettamente, e comunque c'è anche Kayla" concluse con fare seccato, indicando l'enorme cane lupo che la seguiva e che in quel momento stava ringhiando alla guardia.
"Non possiamo essere sicuri che-" riprese la guardia, per essere interrotta dalla ragazza, sempre più irritata.
"Potete benissimo. Facciamo così: mi attacchi. Se arrivo alla porta entro un minuto, uscite tutti."

Nella stanza calò un silenzio tombale.
Non che di solito fosse particolarmente rumorosa, anzi, ma quel silenzio era davvero assoluto. 
Del resto probabilmente a nessuna delle guardie una scienziata aveva mai detto di allontanarsi perché non aveva bisogno di essere difesa, né tantomeno di attaccarla per dimostrare la sua abilità nell'autodifesa. Men che meno una ragazza così giovane.
Ma quell'insolito silenzio durò poco.

All'improvviso, colui che si era presentato come Andrew Murphy con un movimento repentino afferrò un braccio alla ragazza. Ma questa, prima che lui potesse provare a torcerlo o a fare qualunque altra mossa, si avvicinò e gli diede una gomitata decisa appena sotto il torace, che lo fece sussultare. Non appena questi vacillò e allentò la presa lei lo colpì con decisione agli stichi, facendogli mancare l'appoggio e facendolo finire rovinosamente per terra. Poi si girò e corse fino alla porta e ne uscì, mentre il suo enorme cane saltava sull'uomo impedendogli di rialzarsi da terra. Il tutto in una manciata di secondi.

 

"Joan! Stai bene? Che cosa è successo? Ti ha attaccata?" le chiese il padre, che evidentemente era rimasto fuori dalla porta ad aspettare, nel caso lei cambiasse idea. 
Tipico di suo padre. Non riusciva a farsi entrare in testa il fatto che lei, quando prendeva una decisone, non la cambiava, almeno sicuramente non in due minuti. Eppure anche lui era uno che non cambiava idea che una volta ogni morte di papa.
"Allora, fisicamente sto meglio dell'agente Andrew, è avvenuta solo una sorta di esercitazione, sì mi ha attaccata ma non chi intendi tu, è stato il detto agente rompiscatole. Ora che ho risposto a tutte le tue domande, posso sapere COSA CAZZO CI FACEVANO UNA DOZZINA DI GUARDIE CON ORDINI DI FARMI DA BABYSITTER?!?!?!" rispose lei, con gli occhi lampeggianti di rabbia e quasi urlando l'ultima parte.
"Joan, modera il tono e le parole! Era per la tua sicurezza, lo sai che-"
"Nonono, per la mia sicurezza un corno! Sai benissimo che mi so difendere anche meglio di quelli lì!"
"Sì ma pensavo che ti saresti sentita più al sicuro se-"
"Ah allora o sei scemo o quando parlo non mi ascolti nemmeno?"
"Joanna piantala, sono tuo padre!" rispose lui, sempre più arrabbiato.
"Oh davvero? E allora perché mio padre dopo due anni non ha ancora capito che mi sento un milione di volte più a disagio in una stanza con una dozzina di agenti armati di tutto punto che con una singola persona tra l'altro disarmata?" chiese lei, tra l'arrabbiato e il deluso. A volte le sembrava che suo padre non capisse nulla, o peggio, che non gli interessasse nulla di quello che lei pensava e di ciò che temeva.
"Perché quell'uomo è pericoloso, è lui stesso un'arma! Non lo riusciamo a controllare sempre!" fu la risposta.

La ragazza sbuffò. 
Cercare di spiegargli che il giovane che aveva visto non era uno psicopatico assassino era inutile. Lei l'aveva visto nei suoi occhi, che era tutt'altro che una persona malvagia. Poteva anche essere un assassino, ma sicuramente non era uno che uccideva per denaro né tantomeno perché ne aveva voglia. Sembrava avere come un certo rimorso di ciò che aveva fatto. Francamente, Joanna non capiva proprio tutto il timore che c'era nei suoi confronti. E poi, quasi tutti gli agenti e gli scienziati dell'HYDRA non avevano forse ucciso una o più persone in modo da poter garantire un giorno al mondo la vera libertà? Qual era la differenza, che lui era più forte?
In ogni caso, cercare di convincere suo padre o un qualunque membro dell'associazione con argomenti logici era fiato sprecato.
Saranno state anche brave persone, potevano anche combattere dalla parte giusta, ma ogni volta che provavi a correggerli su qualunque cosa, pareva che gli si stesse dicendo che gli asini volano, tanto erano incapaci di capire ogni opinione che non fosse la loro.
Come Jo si diceva sempre, "se tagli una testa, due prenderanno il suo posto, ma si divideranno il cervello della prima".

"Senti, in ogni caso, avevo detto all'agente Andrew che se fossi riuscita a uscire dalla stanza anche se attaccata dal detto agente deficiente, se ne sarebbero andati. Quindi guarda, io torno dentro, loro vanno fuori, e fine della storia. Mi so difendere, non mi serve una scorta che manco la regina d'Inghilterra e il presidente degli Stati Uniti messi insieme!" disse poi, scocciata, al padre.
"Joan! Non sai chi è e cosa è capace di fare!" replicò lui, alzando la voce.
"Hai ragione..." disse lei, portandosi una mano sotto il mento come per riflettere. Dopo una brevissima pausa chiese "Come si chiama?" 
"E' il Soldato d'Inverno e non devi sapere di più. Ma non era quello che-"
"E come lo dovrei chiamare scusa?" lo interruppe lei.
"Soldato. Ma quello che ti devo dire è che-" rispose il padre, ma Joanna non sentì il resto del discorso, perché dopo aver alzato gli occhi al cielo, si girò ed entrò nuovamente nella stanza, da cui poco dopo uscirono il malcapitato agente Andrew e le altre guardie.

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Buongiorno a tutti! Come state?
Per prima cosa devo scusarmi davvero un sacco per il ritardo esagerato nella pubblicazione, il problema è che io scrivo prima su Wattpad (sono AgentNightShadow) e poi pubblico anche qua, ma con questo capitolo mi ero scordata di farlo e, anche col fatto che ci ho messo un bel po' a scrivere quello dopo, non me ne sono resa conto fino ad oggi, sorry! 

In ogni caso, in questo capitolo vediamo (oltre a una Jo piuttosto incavolata), le primissime impressioni ovviamente pesantemente filtrate dai rispettivi punti di vista, che Jo e Bucky hanno ciascuno dell'altro. Per evitare un capitolo di lunghezza immane, però, ho dovuto spostare il primo dialogo tra i due al prossimo capitolo (che adesso vedo di pubblicarvi).

Sciaooooooooooo e al prossimo capitolo!🤗🤗🤗👋👋👋

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Come ti chiami? ***


Dopo aver congedato gli agenti, o meglio dopo averli scacciati con una cortesia palesemente ipocrita che malcelava la sua stizza nei confronti loro e del padre, Joanna chiuse la porta. Dopo aver tirato un sospiro di sollievo, si girò verso l'uomo seduto in mezzo alla stanza, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, ma senza perdersi probabilmente un dettaglio di tutta la scena.

Era muscoloso, e anche se era seduto non era difficile capire che era piuttosto alto. I capelli castani gli arrivavano poco sopra le spalle e gli occhi del colore del ghiaccio la osservavano attentamente con un'espressione piuttosto fredda e sospettosa.
La ragazza non poté fare a meno di trovarlo piuttosto bello, per poi schiaffeggiarsi mentalmente. Ma come diamine le venivano in mente certe idiozie?

Non appena Joanna si voltò e lo guardò in faccia, però, lui rivolse lo sguardo da un'altra parte, come per evitare un contatto visivo.
'Ok, è palesemente a disagio', pensò lei. 'Magari ha preso la mia dimostrazione alle guardie come una minaccia verso di lui. O magari, che ne so, mio padre l'ha minacciato, come fa troppo spesso, anche se lo fa perché si preoccupa dovrebbe piantarla, altrimenti non sarò mai simpatica a nessuno qui. Non che ci sia una grande simpatia in generale in questa base... sembra un po' un mortorio a volte. In ogni caso, condizione imprescindibile per lavorare su questo braccio meccanico è avvicinarsi, quindi meglio smetterla di stare qui ferma come un'idiota', concluse la catena dei suoi pensieri con un sorriso appena abbozzato.

La ragazza mosse quindi qualche passo, seguita dalla fedele Kayla, fino a raggiungere un tavolo vicino alla pulsantiera collegata alla poltrona metallica e sul quale appoggiò il suo marsupio da corsa con cellulare e chiavi. Dopo aver studiato quella pulsantiera senza capire a cosa diamine dovesse servire, dato che il braccio meccanico ad essa collegato non era nemmeno prensile e la tensione dell'elettricità era troppo alta perché servisse a verificare i circuiti elettrici del braccio meccanico, decise di rivolgersi all'uomo, che sembrava, se possibile, ancora meno a sua agio, per cercare di smorzare la tensione.

"Quindi, come ti chiami?" chiese la ragazza.
"Sono il Soldato d'Inverno" rispose lui, con gli occhi color del ghiaccio fissi.
"Ok, grazie, quello lo sapevo. Intendevo il nome vero. Non mi piace chiamare le persone in modo troppo formale." replicò, trattenendosi a stento dall'alzare gli occhi al cielo.
"Non lo so."
"Ho capito, ho capito. Mi sa che mi toccherà sbirciare nel tuo fascicolo. Chissà poi perché nessuno vuole dirmelo... insomma, sono un ingegnere, non un generale, e non ho alcuna intenzione di chiamarti soldato, qualunque cosa dica mio padre. A proposito... non è un problema se ti do del tu, vero?"
"No." fu la risposta, decisamente secca.
"Comunque, io sono Joanna, Joanna Julia Rumlow. Mi puoi chiamare come preferisci, Joanna, Julia, Jo, Joan, Julie... per me è uguale. Solo, se per te non è un problema, preferirei evitare roba tipo dottoressa Rumlow, che mi fa sentire più vecchia di mio nonno, o signorina Rumlow, che mi fa pensare ad un'anziana zitella, o Julia Joanna Rumlow, perché suonerebbe un po' come una sgridata. Sempre che non sia un problema, si intende." concluse lei, con un sorriso nervoso.
L'uomo annuì, senza proferire parola.

Joanna non riusciva proprio a capire se il suo atteggiamento derivasse dal fatto che lui si sentiva a disagio, dal suo carattere oppure dal proprio comportamento che magari lo aveva irritato in qualche modo, come del resto capitava con quasi tutte le persone che frequentavano quella base e che parevano essere prive della capacità di essere non dico amichevoli, ma almeno vagamente socievoli.
Sperava di no, perché quel giovane era forse l'unico che avesse visto in quel buco di persone una più scorbutica dell'altra di cui il suo istinto non le diceva di non fidarsi. E anche se evidentemente, dopo l'incidente, era un po' andato in tilt, tanto che in certi momenti le pareva di dover stare attenta anche a suo fratello e a suo padre, su chi non era un pericolo non l'aveva mai ingannata.

"Ti sto infastidendo a parlare? Perché se è così mi dispiace, non era mia intenzione, smetto subito. Volevo solo provare a fare un po' di conoscenza, perché sai, credo che lavorerò qui per un po', quindi penso che sia meglio, sai com'è, però non è che voglia costringerti a parlare o ad ascoltarmi se ti do fastidio, quindi dimmi tu, insomma... beh scusami, sto parlando in modo sconclusionato, a volte mi capita, ora smetto." disse.
Ok, adesso probabilmente la riteneva non solo fastidiosa, ma anche una deficiente.
Era davvero diventata così incapace di fare conoscenza con persone nuove?
E pensare che era sempre stata così disinvolta... allora forse aveva ragione Becky, a dirle che avrebbe dovuto ricominciare ad avere una vita sociale degna di tale nome, o per quanto non fosse una vecchia zitella lo sarebbe diventata in fretta.

"No, non c'è problema." fu la risposta, arrivata dopo un attimo di esitazione, dell'uomo.
Joanna sentì come un velo di stupore e di dubbio nella sua voce, e questo la fece restare un attimo interdetta. 
Sembrava quasi che nessuno gli si fosse mai rivolto così, e per quanto non nessuna delle persone che si incontravano in giro per la base lo facesse, statisticamente durante la propria vita di persone che si comportavano come lei se ne incontravano parecchie, tanto che la ragazza considerò la possibilità che avesse per davvero una qualche forma di amnesia.
Forse allora non le aveva detto il nome perché effettivamente non ricordava nemmeno quello e, con la loro proverbiale mancanza di qualunque tipo di simpatia, ad una domanda di quel genere gli agenti gli dovevano aver risposto qualcosa del tipo 'questo esula dal suo incarico'. 
Questo, in ogni caso, le fece crescere il desiderio di scoprire di più sul suo conto, benché ci fosse indubbiamente una parte di lei che le suggeriva di usare il buonsenso e farsi i fatti suoi. Parte che lei regolarmente trascurava prima dell'incidente e che, poi, era invece diventata preponderante, ma che in quel caso evidentemente sembrava aver bisogno di una bella batteria nuova, tanto era debole.

Rimandando alla pausa pranzo questa sua curiosità, la ragazza si mise quindi al lavoro, esaminando il braccio meccanico. 
Non era un compito facile, dato che nessuno le aveva detto come funzionasse, come fosse fatto o quale fosse di preciso il problema, e nemmeno il suo proprietario, da quanto intuì dalle sue risposte monosillabiche, ne sapeva molto di più.
Senza contare che non aveva neanche modo di mostrarle quali erano i movimenti impediti, essendo ammanettato alla sedia, e che anche volendo liberarlo la ragazza non aveva idea di quali fossero i pulsanti giusti e non voleva fare sciocchezze, ma d'altra parte se avesse chiesto non glielo avrebbero mai lasciato fare, o suo padre avrebbe mandato almeno una ventina di guardie armate vagamente simili a stormtrooper dei poveri caduti nel carbone. 
Inoltre non c'era uno straccio di strumentazione adatta a fare dei test per i circuiti senza dare delle scosse assurde, né uno schema di funzionamento del braccio... insomma, doveva individuare un problema ignoto basandosi sul nulla cosmico. Facile, no?

Dopo una laboriosa analisi del braccio, vale a dire dopo aver osservato ogni centimetro quadrato dello stesso con e senza le placchette di copertura, riuscì finalmente a trovare come una sorta di bruciatura, come se qualcuno gli avesse dato una scossa. 
Forse era il segno di un taser, come quelli che avevano i buonisti dello S.H.I.E.L.D.
A questo punto, probabilmente la cosa migliore era provare a chiedergli qualche dettaglio della missione, sperando che ricordasse almeno quella.

"Posso chiederti una cosa? Sulla missione che hai fatto ieri?" domandò quindi all'altro.
L'uomo, che fino a quel momento sembrava un po' più rilassato, all'udire quella domanda contrasse improvvisamente la mascella, serrò i pugni e riprese l'espressione dura e sospettosa che aveva all'inizio. 
"Rapporto missione?" chiese, con una voce fredda e quasi impersonale, che fece trasalire la ragazza.
"No, no... non è quello, era... ma... senti, non importa, lascia stare." rispose lei, cercando di capire la ragione di questo mutamento repentino di atteggiamento. 
"Ehi... è tutto a posto?" gli chiese poi, dopo un attimo di esitazione.
"Sì." rispose lui, con aria diffidente.
Era chiaro che non era così, ma Joanna sapeva più che bene che quando qualcuno fingeva che andasse tutto bene, era perché non voleva parlare del problema, o perché non se la sentiva o perché non si fidava.
In ogni caso, forzarlo a parlarne sarebbe stato solo peggio, quindi, almeno in base all'esperienza di Jo, la cosa migliore era lasciar perdere, almeno per il momento. E così fece.

In ogni caso, la questione non era che rimandata. 
Durante la pausa pranzo avrebbe senza dubbio trovato il modo di dare una sbirciatina al suo fascicolo.
Si chiese per un attimo se quella potesse essere, forse, una violazione di privacy, ma si rispose che, se effettivamente aveva un'amnesia, sarebbe stato solo contento di saperne di più su chi era, mentre se le aveva mentito perché non voleva che sapesse niente... beh, a un certo punto, fatti suoi. Avrebbe dovuto pensarci prima e inventarsi qualcosa di diverso.

(Time skip)

Si erano ormai fatte le dodici e mezza passate, e Joanna decise che era ora di pranzo, nonché della passeggiata di mezzogiorno di Kayla. 
Quindi rimontò le placchette metalliche di copertura e mise a posto gli attrezzi.
"E' ora di pranzo" disse, rivolgendosi all'uomo per la prima volta dopo quello che era successo menzionando la missione "io vado a prendere qualcosa da mangiare fuori, perché qui non è che abbiano dei gran menù qui... beh, insomma, quello che volevo dire è solo che ora vado e..." ma qui s'interruppe, incontrando il suo sguardo, che era rivolto da un'altra parte, perso nei suoi pensieri.
Nei suoi occhi Joanna poté leggere chiaramente una profonda tristezza, e questo le fece cambiare idea. Era vero che non lo conosceva e che, come le diceva suo padre, avrebbe dovuto farsi ogni tanti i fatti suoi, ma odiava vedere le persone tristi, e voleva assolutamente fare qualcosa per cercare di rallegrare quel giovane, che le sembrava tanto solo.

"Ascolta, sai cosa? Sarai sicuramente stanco anche tu di barrette energetiche e cibi liofilizzati, quindi, sempre se ti va s'intende, posso prendere qualcosa da asporto anche per te, vedo di metterci poco anche se devo anche portare la mia cagnolina a fare una passeggiata, e torno qui, così mangiamo insieme. Che ne dici?" chiese.
L'altro rimase piuttosto stupito da quella proposta, ed esitò un bel po' prima di rispondere, come se pensasse che non fosse una vera domanda.
"Allora? Dico davvero, ti va o no? Se non ti va non c'è problema, non mi offendo, era solo-"
"Va bene." fu la risposta, con un tono che lasciava trasparire ancora un po' di dubbio e di incertezza.
"Ottimo! Ti va bene qualcosa tipo fast food? O preferisci dell'altro? Cosa ti prendo?"
"Qualunque cosa."
"Ok, allora a tra pochissimo!" salutò la ragazza, precipitandosi fuori con il suo cane al seguito.

Certo, era vero che aveva effettivamente un certo appetito e che doveva portare Kayla a spasso, ma soprattutto era maledettamente curiosa di saperne qualcosa di più sull'uomo con cui stava lavorando e la sua priorità in quel momento era dare una sbirciatina al suo fascicolo. Tutti quelli che lavoravano lì ne avevano uno, lei compresa, e per quanto essere letteralmente schedata le desse un po' fastidio, il sistema poteva sempre tornare utile anche a lei se voleva scoprire qualcosa di più sugli altri.

Ovviamente, non aveva intenzione di improvvisare.
Nella sua mente si era già formato un piano vero e proprio, con tanto di piano B e di possibili giustificazioni da darsi nel caso fosse beccata nell'archivio a curiosare nel fascicolo. 
Da quando a quindici anni aveva letto il dossier sulle tattiche di spionaggio lasciato accidentalmente incustodito dal padre, era diventata una vera professionista. 
Le tecniche erano decisamente utili, ma soprattutto aveva imparato ad adattarle ai suoi scopi. 
E se a scuola non era diventata una copiatrice accanita, era solo perché riusciva comunque bene nella maggior parte delle materie. 

Dopo essere entrata nel quarto corridoio a destra, si avvicinò alla porta che ospitava l'archivio e, guardatasi intorno per essere sicura che nessuno la vedesse, spinse delicatamente la porta e scivolò all'interno, per poi accostarla nuovamente. 
Come aveva preveduto, non c'era nessuno.
Del resto era facile prevedere le azioni di persone rigide, serie e abitudinarie come quelle che lavoravano lì, tanto più che, se avevano mille precauzioni contro coloro che potevano essere una minaccia, parevano non interessarsi minimamente ai motivi delle azioni di uno di loro, anche a causa di tutta la segretezza.
Decise che accendere la luce sarebbe stato meglio, poiché anche se a quell'ora era molto improbabile, se qualcuno passava lì davanti era solo per andare nell'archivio, quindi sarebbe entrato comunque, e farsi trovare con una torcia in mano sarebbe stato eccessivamente  sospetto, anche per persone abituate a pensare agli affari propri e a non farsi troppe domande sul comportamento degli altri membri dell'HYDRA.

Si avvicinò all'angolo sinistro della stanza, dove venivano tenuti i fascicoli che non avevano un posto fisso perché lì solo temporaneamente, e iniziò ad aprirli con cura, cercando uno che avesse al suo interno una foto dell'uomo.
Non fu un compito difficile, perché, con la mania della rigorosa precisione e dell'ordine che c'era in quella base i fascicoli che non avevano una collocazione precisa erano sempre pochissimi.
Inizialmente, in ogni caso, fece un po' fatica a riconoscerlo, perché nella foto aveva i capelli corti, senza contare che era in bianco e nero. Aspetta, cosa? Quando era stata scattata? Non potevano essere passati più di tre o quattro anni da allora, quindi come mai era in bianco e nero? 

Sempre più incuriosita, iniziò a leggere dalla prima pagina:

'Soggetto: James Buchanan Barnes
Nato il: 10 marzo 1917
Sergente nel 107° reggimento dell'esercito americano dal 1942 al 1943

La ragazza interruppe la lettura, cercando di processare le informazioni nel suo cervello.
No no no, tutto questo non aveva assolutamente alcun senso! Come diamine era possibile? Avrebbe dovuto avere quasi ottant'anni, non tra venticinque e trenta!
Era talmente scioccata che non si accorse nemmeno dei passi che si avvicinavano, né di Kayla che le dava delle musate silenziose per avvertirla.

"Joanna! Cosa. Stai. Facendo. Esigo delle spiegazioni, subito." tuonò la voce autoritaria di suo padre, strappandole di mano il fascicolo con un cipiglio scuro e severissimo, che non prometteva nulla di buono.
La ragazza di schiaffeggiò mentalmente. Non era proprio da lei farsi sorprendere così. Da quando abbassava la guardia così facilmente? 
Ah giusto, da quando scopriva di lavorare con una persona che avrebbe dovuto essere poco più giovane di suo nonno e invece aveva pochi anni più di lei.

"Oh ciao papà" rispose con un sorriso dall'aria innocente dopo qualche istante di esitazione.
"RISPONDIMI, ORA!"
Ok, era proprio arrabbiato.
"Ok, ok, tranquillo... vedi, ero venuta a chiederti i soldi per andare a comprare qualcosa, poi venendo verso il tuo ufficio ho intravisto l'archivio e mi sono detta: 'Beh, proviamo a vedere se c'è il fascicolo della persona con cui sto lavorando, che magari contiene qualche informazione in più sul funzionamento del braccio meccanico.' Perché sai, non è proprio la cosa più semplice al mondo riparare qualcosa che non sai come funzioni, so che non sei un ingegnere ma essendo padre di una, nonché figlio di uno scienziato penso che tu ci arrivi tranquillamente." 
"Avresti dovuto chiedermi." rispose il padre, gelido.
"Magari eri impegnato, come sempre quando ti chiamo perché ho voglia di fare due chiacchiere" rispose lei, con una punta di amarezza nella voce "E poi volevo capire da dove saltava fuori. A proposito, il fascicolo è stato scritto da un ubriaco o c'è una spiegazione al fatto che una persona abbia quasi ottant'anni quando sembra averne meno di trenta?"
"Non ti riguarda."
"Mi riguarda sì, visto che ci devo lavorare io con lui. E sappi che non credo alle creme antirughe, quindi vorrei una spiegazione convincente, grazie."
"E va bene... Allora, ha combattuto nell'esercito americano, è quasi morto ma è stato salvato dall'HYDRA e da allora è diventato il Soldato d'Inverno e ha combattuto con noi. Nei periodi in cui non è impegnato in missioni, resta in sonno criogenico, anche perché è creduto morto. Adesso ti ho spiegato tutto, ma non osare dirglielo. Ha una sorta di amnesia ed è meglio che non sappia nulla di tutto ciò che ti ho detto, potrebbe renderlo instabile e pericoloso, mi sono chiarito?"

"Sì, sei stato chiaro." rispose lei. In ogni caso, gli aveva detto solo che era stato chiaro, non che lei avrebbe seguito le sue indicazioni.
Aveva come l'impressione che il giovane fosse stato non dico costretto, ma sicuramente un po' forzato ad aiutarli. Della serie: noi ti abbiamo salvato, ora tu devi aiutarci. Che per gli altri membri dell'HYDRA era la normalità, ma a lei comunque non andava a genio.
Sì, gli avrebbe raccontato tutto quello che aveva appena saputo. 
Ma adesso c'era una questione più urgente da risolvere. 

"Allora, questi soldi per il pranzo me li vuoi dare o no? Guarda che ho fame, eh!"

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Buonciorno pulchrae persone!

Come va?

Allora, innanzitutto c'è da dire che con questo capitolo e il precedente ho battuto il mio record di pubblicazione lenta🐌🐌🐌, scusatemi un sacco! Non sto ad accampare scuse perché non credo che abbiate voglia di leggerle né io ho voglia di inventarle, quindi vi dico che a parte la tonnellata di compiti  e di verifiche a scuola (fun fact: domani ho una verifica di fisica, proprio come il giorno dopo quello in cui avevo finito lo scorso capitolo. Che sia fisica ad ispirarmi?), ci ho messo tanto più che altro perché questo capitolo (che è venuto super lungo, scusate) proprio non aveva voglia di farsi scrivere, mannaggia a lui!

Ma bando alle ciance e ciancio alle bande (e basta con certi discorsi tristi!), parliamo del capitolo. In questo capitolo vediamo il primo incontro diretto tra Jo e Bucky, si spiega qualcosa ma soprattutto si introducono più misteri! Cosa sarà "l'incidente"? (non è automobilistico, ve lo assicuro) Ma soprattutto, il padre di Jo le sta nascondendo qualcosa?Beh, se avete visto i film la risposta è ovvia, la domanda è più che altro: perché?

Eheheheh... lo scoprirete solo vivendo!

Ok, fine momento zen nonché della lunghissima nota della rompi autrice.

Gud bai, alla prossima!👋👋👋

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Aspettarsi l'inaspettato ***


"Ciao! Sono tornata solo ora, scusa per il ritardo!" esclamò una voce allegra e squillante proveniente dall'uscio.
L'uomo seduto in mezzo alla stanza alzò lo sguardo e riconobbe la ragazza che non troppo tempo prima era uscita dopo aver fatto quell'insolita proposta di portare anche a lui qualcosa per poi mangiare insieme.
Si stupì del fatto che avesse davvero una borsa che, probabilmente, conteneva del cibo.
Anche se aveva acconsentito, infatti, in realtà fino ad un istante prima era convinto che non l'avrebbe fatto davvero.
Deve essere uno scherzo, aveva pensato.
No, impossibile, erano tutti troppo seri. Però... no, lei sembrava diversa. No, erano tutti uguali, si era subito corretto. Non ce n'era uno che si comportasse diversamente con lui, eppure... eppure lei effettivamente gli sembrava diversa. Ma cosa gli dava quest'impressione?
In ogni caso meglio non fidarsi. Lì dentro non poteva fidarsi di nessuno, nemmeno di se stesso... figuriamoci degli altri.
Magari quella lì stava solo fingendo di voler essere gentile, e in realtà chissà che intenzioni aveva. 
O magari no. Magari lo è davvero, dopotutto è solo una ragazza, pensò per un attimo.
Ma cosa gli saltava in testa? Era la figlia del maggiore Rumlow, era naturale che fosse una di loro fin da giovane, e sicuramente era come il padre. La sua doveva essere tutta una messinscena, il fatto di voler chiacchierare, l'atteggiamento allegro, anche quell'offerta... tutto. 

"No, davvero, scusa, ci ho messo un'ora intera, è che io sono sempre in ritardo, perché non sono brava a calcolare i tempi... pensa che una volta ho fatto qualcosa tipo quarantacinque minuti di ritardo a una cena di famiglia! Inutile dire che mio padre, che ci tiene alla puntualità e alla precisione non ne è stato molto contento..." continuò lei, in un monologo un po' imbarazzato, concludendo con una risatina nervosa. 
Più quella ragazza parlava, meno lui capiva. 
Scusa... non l'aveva mai sentita, quella parola. O forse sì. Ma non ricordava. Cosa voleva dire?  
E che senso aveva il modo di fare di quella ragazza, così insolito, così diverso da quello di tutti gli altri? 
Tutti lo trattavano come un'arma, una macchina di morte estremamente utile ma anche molto pericolosa, ma lei? Lei lo trattava come gli altri, come se fosse una persona... E se fosse stato davvero una persona, come tutti gli altri? Non lo sapeva, non sapeva più nemmeno lui cosa fosse in realtà.

"Alla fine il Burger King dove volevo andare era troppo affollato, quindi ho deciso di cambiare genere e sono andata alla pizzeria dei genitori di Becky. Suo padre è italiano e fa una pizza davvero ottima! Visto che non sapevo che cosa ti piacesse ho preso due margherite, sono già tagliate. Spero che ti piacciano, anche se mi sa che il padre di Becky abbia messo mozzarella senza lattosio su tutte e due, perché sa che sono intollerante, anche perché non sono stata a specificare per chi erano... Ora che ci penso, avrà pensato che l'altra fosse per Becky, perché di solito il sabato pranziamo insieme, dopo la nostra corsetta... allora sì, sono entrambe con mozzarella senza lattosio, perché anche lei è intollerante. Sai, è una cosa che hanno in famiglia, lo è anche sua madre, e il fratello di sua nonna lo era." si mise a spiegare, per poi interrompersi, come aspettando una qualche risposta al suo monologo.
Ma lui si limitò a guardarla con uno sguardo diffidente e vagamente dubbioso.
Del resto, non aveva capito metà del discorso, ma soprattutto non capiva perché gli stesse dicendo quelle cose, né tantomeno era riuscito a farsi un'idea di quali potessero essere le sue intenzioni, e ciò lo preoccupava ancora di più. 

"Ok, sto divagando. Mi sa che non ti interessi minimamente, quindi meglio se passo alle cose importanti." riprese la ragazza, avvicinandosi alla pulsantiera collegata alla sedia.
A quell'atto, lui ebbe un istintivo moto di timore, come se il suo inconscio avesse riconosciuto una minaccia, che però non riusciva a motivare.
In ogni caso, fu rapidissimo a mascherare quell'immotivata inquietudine in modo tale da nasconderla all'altra, il cui sguardo gli sembrava già troppo penetrante. Non aveva la benché minima intenzione di renderla partecipe dei suoi pensieri incerti, né di lasciarglieli capire.
Anziché premere un qualche pulsante, come lui si aspettava e per qualche motivo incomprensibile anche a lui stesso temeva, vide la ragazza avvicinarsi al cavo dell'alimentazione e staccare tranquillamente la spina.
Immediatamente sentì la pressione delle spesse manette che gli bloccavano interamente entrambi gli avambracci venire completamente meno e se ne liberò facilmente.

Questo non se l'aspettava.
Se c'era qualcosa di cui era sicuro, era che tutti coloro che aveva visto fino a quel momento avevano paura di lui. Certo, si mostravano più forti, ma non c'era bisogno di essere dei geni per capire che, in realtà, non lo erano, dato che non si azzardavano a lasciarlo libero di muoversi se non c'erano almeno una decina di armati a tenerlo sotto tiro, anche se non lo avrebbero mai ucciso, perché gli serviva. 
Ma la ragazza non sembrava per nulla spaventata.
Eppure, sebbene si fosse dimostrata piuttosto abile nel combattimento, non era sicuramente dotata di una forza straordinaria, e almeno a prima vista sembrava anche disarmata.
Quindi, cos'è che si era perso? E cosa aveva intenzione di fare la giovane dottoressa Rumlow?

"Allora? Ti alzi e vieni a mangiare questa benedetta pizza o no?" 
La voce squillante della ragazza lo distolse dai suoi pensieri.
"Dai, ti assicuro che è buona! Non ti fa mica male, sai?" continuò lei allegramente, mentre liberava una parte del tavolo da alcuni attrezzi e ci sistemava due scatole di cartone.
"Cioè, se ne mangi una tutti i giorni poi ingrassi e ti si alza il livello di colesterolo, che non fa bene, quindi a rigore se si esagera effettivamente potrebbe fare male, ma non mi sembra che tu abbia problemi di linea, quindi..." 
La ragazza si voltò a guardarlo e si interruppe. 
"Ehi, c'è qualcosa che non va?" disse lei.
"No" fu la risposta. Non doveva lasciar capire ciò che pensava alla ragazza, e non poteva permettersi nemmeno un passo falso, perché... perché? Dopotutto, sembrava non avere cattive intenzioni...
Ma cosa gli saltava in mente? Non doveva abbassare la guardia, punto e basta!

In ogni caso, decise che era meglio raggiungerla, e provare quello strano cibo... come aveva detto che si chiamava? Certo che comunque l'odore era gradevole...

(Time skip)

"E per finire, dulcis in fundo, una fetta della famosissima crostata alle prugne della mamma di Becky, offerta gentilmente dalla casa!" concluse la ragazza sorridendo, mentre gli porgeva una fetta di quella che doveva essere, suppose, una crostata di prugne.
Mentre la prendeva, non poté fare a meno di osservare che, effettivamente, con quel suo modo di fare allegro e amichevole, con quella sua parlantina inesauribile (aveva passato tutto il tempo del pranzo a raccontargli cose a caso su di sé e sulle sue amiche, tra cui un paio di aneddoti piuttosto simpatici) e con quella sua espressione sorridente, quella ragazza era decisamente diversa dalle altre persone... forse non era poi così male come aveva temuto, concluse tra sé e sé addentando la crostata.
"Buona!" disse d'istinto.
"Sono contenta che ti sia piaciuta, e anche che tu abbia ritrovato la parola, James Buchanan Barnes." rispose lei.

Come l'aveva appena chiamato? James Buchanan Barnes... che fosse il suo nome? E di chi altri poteva essere?
Ma perché glielo stava dicendo? Nessuno gli aveva detto nulla su chi era, e pareva che nessuno avesse intenzione di farlo... che si fosse sbagliata?
Oh, no... e se si fosse resa conto dell'errore e avesse deciso che bisognava ricancellargli la memoria? 
Quest'ultimo pensiero gli diede i brividi. Aveva iniziato a ricordare vagamente qualcosa, e non voleva dimenticare tutto di nuovo. 
Ok, si disse, bastava che non si rendesse conto dell'errore, no?
Ma questo gli venne in mente troppo tardi, quando un'espressione scioccata era già comparsa sul suo volto e non c'era più molto da fare per nasconderla.
E lei se n'era accorta.

"Oh, no. Quale terribile peccato." disse la ragazza, portandosi una mano alla fronte con un gesto che sembrava un tantino teatrale e un tono un po' troppo monotono per sembrare sincero e autentico, "Ho commesso il terribile errore di chiamarti per nome. Mio padre mi aveva detto che non dovevo. Ma mi è proprio sfuggito, accipicchia." continuò, per poi girarsi a guardarlo, con un'espressione più serafica che mai.
"Beh, e 'ste cose terribili? Non dovevano, che ne so, saltare fuori gli alieni e fulminarmi? Pare di no... allora magari non c'è problema, sempre che tu non vada a dirlo in giro, s'intende... sai, potrebbero non prenderla bene, magari pensano che gli abbia attirato la maledizione di Tutankhamon, non si sa mai!" concluse lei con un sorrisetto furbo.
"Quindi, non dirai niente? E un'altra cosa: posso chiamarti James?"

A James, se era così che si chiamava, ci volle qualche istante per processare le informazioni.
Quindi non aveva intenzione di cancellargli la memoria?
No, anzi... aveva come la netta impressione che Joanna - sì, la ragazza aveva detto di chiamarsi così - si fosse lasciata sfuggire il suo nome quasi... appositamente? 
Sì, sembrava proprio così. Ormai non sapeva più cosa doveva aspettarsi da lei.
Solo meglio, si disse, sembrava effettivamente meno rigida e severa degli altri. 
"No, non dirò niente." le rispose poi.

"Finalmente! Ancora un po' e avrei pensato che ti avesse colpito la maledizione di Tutankhamon!" replicò Joanna ridendo "Comunque non hai risposto alla mia domanda: posso chiamarti James? O preferisci Buchanan? Anche se a me francamente non è che Buchanan piaccia molto... facciamo un soprannome? Tipo... tipo Bucky? O forse è meglio James a questo punto?" 
"Come vuole dottoressa... va bene comunque." rispose lui. James doveva essere il suo nome... ma anche Bucky suonava bene.
"No no no, risposta sbagliata! Ti prego, dammi del tu e chiamami per nome, non voglio sentirmi un'ottantenne a ventitré anni!"
"Allora... come vuoi, Joanna." rispose. Altra cosa inaspettata: preferiva essere chiamata in modo informale. In genere lì andavano tutti fieri della loro carica, e si facevano chiamare con quella seguita dal cognome, e si davano rispettosamente del lei, mentre la ragazza evidentemente preferiva il nome e il tu.

"Ok, decisamente meglio! Per ora direi che se non hai preferenze James va bene, dato che anche tu mi chiami col mio primo nome." concluse lei.
"Beh, adesso mi sa che devo rimettermi a lavorare... Visto che  la trovata geniale di staccare la spina prima non ce l'avevo avuta - lo so, sono un genio con motore diesel - mi faresti vedere quali sono i movimenti in cui hai difficoltà? Così almeno riesco ad identificare il problema, anche se con la strumentazione scarsa che c'è a disposizione qui ho i miei dubbi di avere la benché minima possibilità di poterlo mettere a posto."
"Certamente. Ma perché un motore diesel?"
"Aspetta un attimo. Ma ti ricordi cos'è un motore diesel?"
"Non credo, a dire il vero."
"Ahia... e di libri che hai letto? Film visti? Tipo, sai cos'è Star Wars?"
"Nulla, e no, non so cosa sia Star Wars. Da quanto posso capire, c'entra con la guerra e con le stelle, ma..."
"Mi sa che qui ci sono notevoli lacune! Ma non ti preoccupare, adesso ti spiego il motore, poi pensiamo anche al resto. Devi assolutamente conoscere Star Wars, anche se sono film un po' vecchiotti sono molto belli, ma non posso mica spoilerarteli! Vedrò di trovare un modo per farteli vedere... Dov'eravamo rimasti?"
"Al motore diesel..."
"Ah giusto! Scusa, ogni tanto mi capita di perdermi quando parlo. Anzi, a voler essere sinceri, ogni spesso, perché mi metto a divagare piuttosto facilmente. Ok, mi sono persa di nuovo. Ah giusto, sì, il motore diesel..."

(Time skip) Sì, di nuovo, e non lamentatevi, perché Jo sa spiegare il motore diesel, ma io non  sono Jo e anche se so più o meno com'è fatto, non so spiegarlo. E poi questa è una fanfiction, non un trattato di ingegneria.

"Ok, direi che il problema l'ho individuato, come mi aspettavo sono circuiti danneggiati dall'elettricità, ma per mettere a posto ho bisogno di una scansione completa e di strumenti migliori, dato che qui non ci sono..." aveva concluso la ragazza, dopo alcune ore di lavoro.
Durante le quali aveva parlato incessantemente, passando dal motore diesel, al college, ai robot, alle sue amiche, alla sua cagnolona, che per inciso sapeva anche portarle gli attrezzi ed era in realtà molto meno aggressiva di quanto sembrasse.
'E' perché le sei simpatico, non ti vede come una minaccia', gli aveva spiegato Joanna.
'E tu?' le aveva chiesto improvvisamente.
'Cosa?' aveva domandato lei.
'Niente, lascia stare' le aveva risposto. Non sapeva neanche perché le aveva fatto quella domanda. Era ovvio che, nonostante il suo comportamento, anche lei lo riteneva una minaccia, come tutti gli altri. Probabilmente fingeva solo di non averne.
Ma era bello vedere qualcuno che almeno facesse finta, e senza un'aria di disprezzo e superiorità e senza sorrisi minacciosi.
Ed era altrettanto bello sentire Joanna che, mentre lavorava, parlava, divagando, raccontandogli storie divertenti, perdendo il filo mille volte e ritrovandolo dopo delle mezze ore spese a parlare tranquillamente d'altro, o anche solo guardarla lavorare, quelle poche volte che stava in silenzio. In qualche modo, era rilassante.

"Oh mamma mia, sono le sette! Il tempo è volato, non me ne sono resa conto..." esclamò lei, riscuotendolo dai suoi pensieri "Io devo andare, domani è domenica... quindi ci vediamo lunedì." disse poi, prendendo le sue cose e facendo cenno al suo cane di seguirla mentre si dirigeva verso la porta.
"A lunedì allora." l'aveva salutata, cercando di evitare il pensiero di cosa avrebbe fatto, o cosa avrebbero fatto, prima di lunedì, che evidentemente doveva essere due giorni dopo.
"Sì, a lunedì James, e vedrai che troverò un modo per avere la strumentazione adatta... oltre che per colmare la tua terribile lacuna su Star Wars! Ciaoooo!" lo salutò allegramente lei, facendogli l'occhiolino, accompagnato da una sorta di sorrisetto d'intesa.

Mentre la guardava richiudere la porta, James non poté fare a meno di piegare leggermente in su l'angolo sinistro della bocca.
Anche se non lo sapeva nemmeno lui, Joanna era riuscita a strappargli il primo mezzo sorriso degli ultimi cinquant'anni.

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Ok, sono tornata...

Con un ritardo indescrivibile, lo so,😅 ma sono tornata!

Non ho scuse, perché tutte le verifiche del mondo non giustificano ritardi di più di un mese nella pubblicazione, ma boh, mi era venuto anche un immotivato blocco dello scrittore per cui questo capitolo aveva deciso di non venire.
Però poi oggi ho detto "Occaspiterina (e non altro che sennò Steve mi tira lo scudo in testa) è passato più di un mese! Qua o aggiorno oggi o finisco letteralmente a maggio!" 

Quindi mi sono messa di buzzo buono ed ecco qua il capitolo!
Solo che essendo la pigrona inconcludente che sono mi sono scordata di aggiornare anche qui su efp, e quindi sono effettivamente finita a maggio... sorry!😅
Comunque, spero vi piaccia!

Stavolta non sto a farmi gli autocommenti perché francamente non ne ho voglia, quindi  questo è tutto!

Ciaone!!!👋👋👋

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Non lo ha detto nessuno ***


Lunedì, 18 novembre 1996
New York City, New York

Era ancora buio quando Joanna uscì dalla portiera dell'auto, seguita come sempre da Kayla, e il vento soffiava forte.
La ragazza, dopo aver richiuso la portiera e aver preso un borsone sportivo, si strinse nel cappotto cammello che indossava e si avviò verso lo stabile almeno all'apparenza abbandonato che si trovava appena un isolato più avanti. 
In genere parcheggiava più lontano, e sempre in posti diversi, per non destare sospetti, ma quel giorno aveva deciso che sarebbe stato più comodo avere la macchina vicina.
Del resto, alle sei e mezzo di mattina non c'era molta gente in giro, e quella che c'era non avrebbe sicuramente notato un'automobile come tante altre.
Dopo essere entrata senza problemi, considerando anche che le due guardie all'ingresso dovevano essere stanche morte (erano alla fine del turno di guardia di notte, del quale tra l'altro Joanna non capiva l'utilità) si diresse verso il quarto corridoio a sinistra.

Durante tutta la giornata precedente, anche se si era sforzata di non pensarci troppo, i suoi pensieri erano stati quasi completamente rivolti a James.
Dopo il pranzo di sabato e il pomeriggio trascorso a parlare con lui (o meglio, prevalentemente a lui, dato che non lui non era sicuramente di molte parole), infatti, Jo era ancora più sicura della sua impressione iniziale.
No, non era pericoloso. Beh, forse un pochino, certo, ma lei non aveva paura. 
Non tanto perché sapeva difendersi, ma perché era capace di prendere le persone dal verso giusto, se voleva. E se non erano troppo indisponenti. E se non si sentivano superiori a tutto e a tutti. E se lei non era arrabbiata con loro. 
Ok, i requisiti spesso erano troppi. E spesso semplicemente non aveva voglia di mettersi a fare la leccapiedi con i palloni gonfiati per convincerli ad apprezzarla e portarli dalla sua parte, perché anche se non le piaceva ammetterlo, era anche lei una persona piuttosto orgogliosa e testarda.
In ogni caso, James non era un presuntuoso, e lei aveva deciso che, oltre a lavorare sul suo braccio, voleva diventare sua amica.

Gli altri pensieri erano stati rivolti al proprio piano per quella giornata.
Che, ovviamente, lo riguardava, e che era l'unico motivo per cui si era svegliata alle cinque di mattina ed era uscita di casa con quel vento gelido.
Contava, infatti, di incontrare ancora poca gente alla base e di poter sfruttare il cambio delle guardie delle sette di mattina.
Memorizzare la routine delle guardie era stata sicuramente un'ottima idea, si disse, mentre si avvicinava a una di loro.

"Buongiorno agente, sono Joanna Julia Rumlow. Vorrei vedere il Soldato d'Inverno, dato che come sicuramente saprà sono il nuovo ingegnere del progetto e devo aggiustare il braccio meccanico." gli disse.
"Buongiorno dottoressa, come mai così presto?"
Joanna sorrise. Si aspettava quella domanda e, ovviamente, si era preparata una risposta.
"Oggi mi sono svegliata presto... e ho deciso di venire presto anche perché qui devo solo vedere due cose, ma il grosso del lavoro sui pezzi da cambiare lo faccio a casa, dove ho attrezzature migliori."
"Va bene, lo faccio portare subito. Se desidera intanto può prendere un caffè." rispose l'agente, accontentandosi tranquillamente della risposta.
Parte 1 del piano (non risultare sospetta): riuscita, pensò soddisfatta la ragazza mentre sorseggiava la bevanda calda vagamente somigliante ad un caffè che era uscita dalla macchinetta poco prima.

Un paio di minuti dopo, borsone in mano e cagnolona al seguito, era entrata nella stanza del giorno prima, dove era da poco arrivato anche James, scortato da quattro agenti.
Cielo, che esagerazione, si disse la ragazza, mentre li congedava con un sorriso forzato.
Richiusa la porta, controllò l'orologio: erano le sette meno un quarto. Perfetto. Stava andando tutto come aveva pianificato.
Si girò verso James, e notò che aveva un'aria piuttosto stanca. Probabilmente non aveva dormito molto, e per un attimo la ragazza si sentì in colpa per averlo fatto svegliare così presto... ma dopotutto era per fargli una bella sorpresa, e in ogni caso gli avrebbe lasciato l'occasione di riposare nel corso della giornata se ne aveva bisogno.

"Ciao James, scusa se ti ho svegliato così presto" lo salutò.
"Non c'è problema" rispose, sollevando un angolo della bocca. 
'Sì!', si disse Jo, 'lo sto facendo sorridere!' 
Era una persona piuttosto altruista, anche troppo a detta di suo padre, e rendere felici le persone le procurava più soddisfazione che vincere un premio... beh, non sempre, ma un sorriso era sempre un premio bellissimo per lei. Specie se veniva da una persona che, in genere, sorrideva poco.
Incoraggiata dal buon inizio, proseguì:
"Allora... stavo pensando... sai, qui la strumentazione è abbastanza vecchia, scarsa... e a dire il vero nemmeno particolarmente sicura, vista l'esposizione all'elettricità che rischiano di provocare questi macchinari... e dire che ieri avevo detto a mio padre che c'era da starci ben attenti, almeno finché non avrò messo a posto il tuo braccio... ma sai, a volte le cose gli entrano da un orecchio e gli escono dall'altro... ok, scusa, sto divagando" disse con una risatina nervosa, maledicendosi mentalmente.
'Sei un'idiota, Jo! Vai al punto per una volta, non hai mezz'ora da perdere in scemenze varie!' si disse.
"Comunque, volevo dire che ho pensato che forse sarebbe meglio che andassimo a casa mia. Ho una stanza laboratorio con strumenti che ho fatto io e che, modestamente, sono decisamente meglio della robaccia qui, e poi è un posto più accogliente... allora, che ne dici?" chiese, speranzosa. 

La domanda fu seguita da qualche secondo di silenzio.
"Non... non so se sia una buona idea" rispose poi James "Non credo mi sia permesso uscire di qui" concluse con un'aria da cui traspariva una certa delusione e un pizzico di rimorso per avere dovuto dare quella risposta.
Joanna sentì il sangue ribollirle nelle vene. Ma davvero? Non lo lasciavano uscire? E perché di preciso? Se una persona si era unita all'Hydra, non c'era motivo che provasse a scappare, ovviamente a meno che non la rinchiudessero...  che manica di imbecilli!
In ogni caso, più o meno si aspettava che avrebbero fatto qualche storia, e fortunatamente si era organizzata.

"Non preoccuparti, dirò che sono stata io ad averlo imposto, se a te va bene... alla peggio faccio la figura della tonta che non pensa prima di agire, ma non possono dirmi che ho infranto qualche regola... dopotutto non lo ha esplicitamente detto nessuno, no?" concluse con un sorrisetto furbo.
"Mi andrebbe bene, ma non credo che le guardie mi lasceranno passare, comunque" rispose, con uno sguardo però più speranzoso di prima.
"Infatti non ho la benché minima intenzione di chiedergli gentilmente il permesso... vedi, la mia idea è questa: tu ti travesti da agente e usciamo durante il cambio delle guardia delle sette, e se  qualcuno chiede spiegazioni dirò che mi stai aiutando a trasportare delle attrezzature in auto. Con tutto il movimento di guardie nessuno si farà molte domande, e dato che mio padre oggi non c'è non dovrebbe accorgersene nessuno, almeno fino all'ora di pranzo... e a quel punto se mi telefonano avrò buon gioco a dire che avevo bisogno dei  miei strumenti e non pensavo che non potessimo ma che dopotutto non era successo nulla di male e che quindi non c'era ragione di temere nulla!" spiegò lei. "Però ho bisogno che tu mi prometta che non farai nulla di strano, ok? Ne va della possibilità di uscire di qui anche delle altre volte... allora, ci stai?" gli chiese, con un tono diventato d'un tratto più serio.
"Sì... sì, certo." rispose James, con tono prima più dubbioso, poi con più convinzione. "Ma dove trovo una divisa da guardia?"

"Ottimo!" rispose Joanna, con un sorriso che andava da una parte all'altra del viso.
Parte 2 (convincere James): completata con successo, pensò, ancora più felice di quanto fosse soddisfatta.
"Per la divisa ne ho una qui nel borsone... era la prima di mio fratello, che però ha cambiato subito perché avevano preso male le misure ed era un po' grande... più o meno dovrebbe starti." continuò "Adesso sono le 6:55, esco un attimo con qualche cianfrusaglia nel borsone e fingo di sistemarla, quando sei pronto esci anche tu, così sembrerai solo una guardia che, finendo il suo turno, ha deciso di darmi una mano, ok?" 
James le fece un cenno con la testa, facendole capire di avere capito, e Jo, dopo aver raccolto un paio di strumenti e un po' di materiali vari uscì.

(Time skip)

 Mentre richiudeva la portiera dell'auto e inseriva la chiave nel cruscotto, Joanna non poté fare a meno di complimentarsi con se stessa per aver ordito un piano che, almeno fino a quel momento, aveva davvero funzionato a meraviglia.
E dire che suo padre sosteneva che fare una cosa del genere fosse sempre difficile, ma assolutamente impossibile per chiunque non avesse seguito l'addestramento specifico da agente operativo che lei si era rifiutata di ricevere!
Quasi le dispiaceva che non lo sarebbe mai venuto a sapere. Quasi.

Con un sorrisetto divertito da questi pensieri, mise la chiave dell'auto nel cruscotto e si voltò a guardare James.
Questo, seduto sul sedile del passeggero, si era appena tolto il casco e si guardava intorno, con quella che ad altri sarebbe parsa un'aria indifferente, ma Jo, che era sempre stata piuttosto brava a leggere le persone, impiegò meno di un istante per capire che, in realtà, era teso come una corda di violino.
"Ehi, rilassati. Va tutto bene" gli disse quindi con un sorriso gentile, sfiorandogli il braccio coperto dallo spesso strato di tessuto nero.
Lui restò in silenzio, ma, per la seconda volta nell'ultima mezz'ora, abbozzò un sorriso.

Rimasero in silenzio per quella che a entrambi, desiderosi l'una di conversare, l'altro di ascoltare una voce non ostile, sembrò un'eternità, ma che in realtà durò poco più di un minuto. 
Poi, improvvisamente, Joanna, ferma ad un semaforo rosso, si voltò nuovamente verso James.
"Ti va bene se metto un po' di musica?" chiese.

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Buongiorgio a tutti!😃😃😃

Ebbene sì... dopo due mesi, sono finalmente tornata!!!
So che ci ho messo un po' tanto, ma maggio con la scuola è praticamente la morte civile, e a giugno mi sono presa un mese sabbatico (mi sa che non si dice, ma fa lo stesso😂)

In ogni caso... eccomi qui, con questo nuovo capitolo dal punto di vista di Jo, che, detto tra parentesi, non è stato facilissimo da scrivere, e dove scopriamo che, come a tanti, anche alla nostra protagonista piacciono i piani contorti (la differenza è che i suoi funzionano, i nostri no 😂😂😂).

Dato che non ho idee, nè tempo, nè voglia, per aggiungere altro (sono pigra e lo so 😅) vi saluto!!!

Sciaooooooooooooooooooooooooooo!!!!!🤗🤗🤗

 

 

 

 

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