Dolcezza

di Mnemosine__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strani incontri sulla sabbia ***
Capitolo 2: *** Potrei fare come mio fratello e sposarti ***
Capitolo 3: *** È così che reagiscono i mortali ***
Capitolo 4: *** Quando torno ad essere immortale vedrai come ti combino ***
Capitolo 5: *** E questo cos'è? Pt.1 ***
Capitolo 6: *** E questo cos'è? Pt. 2 ***
Capitolo 7: *** Sorridere ***
Capitolo 8: *** Sono proprio bravo ***
Capitolo 9: *** The end ***



Capitolo 1
*** Strani incontri sulla sabbia ***


Se avete aperto questa storia vi chiedo cinque secondi per leggere questa nota, anche se lunga.
Allora, premetto che questa storia è una specie di prequel di Blood Brothers, quindi rientra nel fandom di Percy Jackson, ma non sono esattamente sicura di cosa inserire tra i personaggi o nelle caratteristiche della fic. Questo perchè dopo più di due anni ho avuto un po' di nostalgia e mi è venuta voglia di provare a riprendere in mano i personaggi descritti in Blood Brothers in modo un po' diverso. Elisabeth o Lissandra Jackson è una mia creazione, un personaggio che ho inventato io per prendersi cura di Percy e che poi è finita per stare con Apollo. Quindi Apollo, insieme agli altri dei qui presenti, saranno (spero di non farli diventare OOC) gli stessi che conosce anche Percy. 
Ma, c
ome immagino avrete capito, questo è il primo incontro tra gli Elipollo e la storia si baserà sul come si sono conosciuti e come si è poi evoluto il loro rapporto nel corso dei secoli. 
Di conseguenza, ci tengo a sottolinearlo più volte, in questa storia non ci saranno Percy e tutti i personaggi a cui siamo legati, tralasciando gli dei, e quindi le vicende verteranno su Apollo e un personaggio da me inventato
Pubblico questa fic per chi ha letto la storia precedente ed è curioso o anche, solamente, sente la mancanza di questi due personaggi.
Se siete interessati e non avete letto la storia principale siete i benvenuti, ma vi consiglio di passare anche per il primo capitolo della serie.
Riguardo al bollino... per ora è arancione, anche se in realtà non c'è niente di spinto nei primi capitoli, vedrò poi se modificarlo in seguito, quando dovrò pubblicare la parte più spinta o esplicita.  
Cercherò di aggiornare una volta a settimana, presumibilmente ogni martedì o lunedì, ma non prometto nulla. 

Piccola nota per chi continuerà a leggere:

Per chi se lo stesse chiedendo Efira è l'antico nome di Corinto, che è stata fondata molto circa e molto forse due secoli prima della guerra di Troia. Sinceramente non so se a Corinto sia rimasto un tempio a Poseidone, ovviamente ci sono i resti in pianta ma non ci sono mai stata e non ho la più pallida idea se sia ancora visibile. Non ho nessuna voglia di cercare tra gli appunti di archeologia greca per controllare una cosa del genere. Prendete quello che vi dico con le pinze, non sono un'enciclopedia :)

 


Strani incontri sulla sabbia


Le era sempre piaciuta Efira. Certo, era una grande città che vantava una posizione strategica sia dal punto di vista militare che commerciale e questo implicava un ricco via vai di persone di vario genere ogni mese.

Proprio per questo era città viva e rumorosa, difficilmente si potevano trovare luoghi tranquilli e silenziosi ma, essendo a diretto contatto con il mare, era facile per lei spostarsi velocemente.
Aggiungendo il fatto che Poseidone ne era il patrono e che, quindi, la sua presenza lì sarebbe stata interpretata come elemento di augurio, Corinto era il luogo perfetto per mettere radici.
Ecco che da ormai alcuni anni viveva lì, in una casa avuta in dono dall'attuale sovrano.

La figlia di Poseidone trascorreva le giornate allenandosi con la spada, la sua arma prediletta, faceva visita al tempio del padre per lasciare un'offerta e, spesso, si fermava a chiacchierare con i sacerdoti: quei vecchi mortali le chiedevano sempre di intercedere per loro per futili richieste oppure la interrogavano su quali offerte potesse gradire maggiormente il dio del mare.

Ma una volta ogni tanto scendeva per le strade di Efira, sempre accompagnata dai servitori, per controllare di persona alcuni acquisti necessari per la casa, o anche solo per passare un pomeriggio come una normale mortale.

Quella mattina Lissandra si era alzata di buon umore: il Sole non l'aveva disturbata, nessun servo aveva fatto rumori prima dell'alba e, strano ma vero, nemmeno il gallo aveva cantato in quella maniera così fastidiosa da svegliarla tutte le mattine con la voglia di infilzarlo e farlo allo spiedo. Così, dopo aver fatto colazione, uscì di casa per dirigersi verso l'agorà.

La prima volta che lo vide fu solo di sfuggita mentre camminava sotto la stoà. Stava ammirando la morbidezza di alcune stoffe portate dall'Oriente, quando con la coda dell'occhio intravide una chioma bionda muoversi poco lontano da lei.

Non riuscì a mettere a fuoco nessun viso, perchè la figura si era mossa troppo in fretta e lei l'aveva intravista solo di sfuggita e, così come non è importante prestare attenzione ai passanti che ci stanno intorno, la figlia di Poseidone non ci badò.

Dopo aver contrattato con il commerciante un buon prezzo per alcune braccia di quella seta blu notte che le piaceva, si recò alla bottega del proprio sarto di fiducia, per concordare con lui come adattare la stoffa al proprio corpo e decidere i tempi di consegna.

La seconda volta si trattò di un incontro più ravvicinato.

Lissandra aveva appena congedato il servitore che l'aveva accompagnata in quella giornata: insieme, dal centro della città, avevano camminato fino alla spiaggia ma, quando il mortale aveva dato visibili segnali di stanchezza, la ragazza gli aveva consigliato di tornare a casa.

In un primo momento il servitore aveva tentennato, indeciso se assecondare o no la richiesta. Era arrivato in quella casa solo da poche settimane, ma gli altri gli avevano raccontato di cosa esa capace la giovane: in caso di pericolo imminente la sua padrona sarebbe stata perfettamente in grado di proteggersi da sola. Abidos sapeva che lei si faceva accompagnare fuori di casa solo perché era costume, in questo modo non avrebbe scatenato quelle malelingue che erano le mogli dei cittadini di Efira.

Quindi, dopo averle chiesto di non fare troppo tardi e di stare attenta a non essere vista in giro da sola sulla strada verso casa, il giovane servo girò i tacchi e i due si mossero in direzioni opposte l'una all'altro.

Lissandra sorrise quando, dopo aver camminato sul bagnasciuga per un po', immerse i piedi in mare. Immediatamente la fatica prodotta da quella giornata venne meno, mentre lei si rilassava nel suo elemento.

Le piaceva il silenzio, la musica che veniva dal mare, il ritmo delle onde e il profumo di salsedine portato dai flutti. Tutte cose difficili da trovare in una grande città commerciale: proprio per questo faceva lunghe passeggiate sulla spiaggia, lontano dal porto, fino a dove i mortali non riuscivano ad arrivare, vinti dalla stanchezza.

A volte era bello stare soli. E in una città così grande era davvero raro poter rimanere solamente in compagnia di se stessi.

Guardò l'orizzonte, ammirando il gioco di luci e colori che il Sole di Elio produceva a contatto con l'acqua, mentre si preparava a lasciare il posto al carro di Selene.

Sussultò impercettibilmente, improvvisamente conscia di non essere più sola sulla sabbia.

"Non credo che, per una bella ragazza, sia una buona idea andare in giro da sola di giorno, figuriamoci quando il Sole sta tramontando".

Una voce maschile ruppe la magia del silenzio che tanto aveva ricercato.

Lei non si girò, ma irrigidì le spalle.

"Ti ho vista in piazza, oggi. Dov'è il tuo servitore?"

"L'ho mandato a casa." La figlia di Poseidone ruotò il busto per guardare negli occhi il suo interlocutore, sicura che fino ad un attimo prima su quella spiaggia non ci fosse nessuno per chilometri. "Sarebbe stato sfiancante per lui arrivare qui." Era dannatamente lontana dal porto. E i mortali erano scarsamente capaci quando si parlava di camminare nella sabbia bagnata o nell'acqua.

Si morse un labbro, trovandosi davanti un giovane prestante e parecchio abbronzato, i capelli biondi e gli occhi del colore dell'ambra.

Lui si guardò intorno, notando forse solo in quel momento quanto, effettivamente, fossero lontani da qualunque insediamento umano, eccezion fatta per alcune capanne di pastori che si potevano intravedere dal litorale.

"Sfiancante, dici?" Il giovane fece un passo in avanti "Non mi sembri sfiancata."

"Nemmeno tu."

La ragazza strinse i propri sandali, che si era sfilata prima di arrivare in spiaggia, tra le mani, chiedendosi perchè diavolo non li avesse lasciati ad Abidos. 

"Posso accompagnarti. Non sai mai chi potresti incontrare." il giovane fece un passo verso Corinto, facendole segno di camminare insieme a lui "Si sta facendo buio." disse indicando il Sole che era prossimo al tramonto.

Lissandra soppesò la proposta. C'era qualcosa che non andava il quel giovane, non necessariamente qualcosa di negativo, ma non era possibile che lui avesse camminato fino a lì, dove lei percepiva anche i piccoli molluschi nascosti sotto la sabbia, senza che se ne fosse accorta.

Sicuramente fino a pochi minuti prima non c'era nessuno sulla spiaggia oltre a lei.

"E, dimmi, come mai qui non c'è nessuno e tu ti offri magicamente di venire con me?"

"Ti giuro che non mordo, dolcezza." si strinse nelle spalle. "Ho visto una donzella in difficoltà e mi sono precipitato ad aiutarla."

Lei inarcò le sopracciglia, accigliata. "Come?"

"Non so il tuo nome, dolcezza, cosa pretendi?" Il giovane sorrise, un sorriso così smagliante che per un momento sembrò tornare giorno, per poi incamminarsi in direzione della città.

Lissandra fece un respiro profondo, per poi seguirlo. Infondo, lì nel Peloponneso, era lei l'essere più pericoloso, mostri compresi.

Per quanto una donna, sposata o non, dovesse per forza essere accompagnata durante le uscite fuori di casa proprio per evitare incontri spiacevoli o, come diceva la maggior parte delle persone, perché era non era decoroso uscire da sole, la figlia di Poseidone era perfettamente conscia di rappresentare il pericolo per qualunque mortale o mostro malintenzionato.

Il massimo che sarebbe potuto succedere se le cose fossero degenerate, era che il giovane aitante eroe sarebbe uscito da quella situazione con il naso rotto. O anche qualcos'altro, a sua discrezione.

"Sono Apollo, comunque." disse lui dopo alcuni minuti passati a camminare in silenzio.

Lei chiuse gli occhi per un paio di secondi, provando una certa familiarità per quel nome ma non riuscendo a capire dove l'aveva sentito.

"Sono il dio del Sole, della musica e della medicina."

Ah. Ecco perchè c'era qualcosa che non andava in lui. Suo padre le aveva raccontato, durante una delle sue ultime visite, che Zeus si era preso una sbandata doppia, per così dire. Era l'aveva presa così male da proibire all'amante del re degli dei di poter partorire in qualunque terra o isola, così Poseidone, l'unico che poteva permettersi di sfidare la regina degli dei, l'aveva accolta in mare, sulla non ancora del tutto formata isola di Delo.

E la donna aveva partorito ben due gemelli, Apollo e Artemide.

Aveva conosciuto Artemide, un paio di mesi prima, durante l'ultima impresa che le aveva affidato il padre. Ragazza intelligente e ottima guerriera ma, soprattutto, aveva le idee molto chiare sul ruolo della donna nel mondo. Ne avevano parlato molto velocemente, in quanto erano entrambe occupate a cacciare una manticora, ma magari un giorno avrebbe potuto farsi spiegare meglio. Sembrava un discorso davvero interessante, da come l'aveva descritto la giovane dea.

Lissandra strinse le labbra, forse troppo visibilmente. 

"Sei il figlio di Zeus e ... come si chiama? Latona?" chiese conferma, non ricordando se il nome fosse giusto.

Lui annuì.

Poseidone le aveva raccontato dello scivolone di Zeus proprio perchè il fratello era stato colto con le mani nel sacco dalla moglie, il che rendeva suo padre particolarmente felice. Ma, ahimè, il dio del mare non era prodigo di dettagli sulle amanti del fratello quando Anfitrite era a portata d'orecchio. Il che equivaleva a sempre.

"Ho sentito che hai sconfitto Pitone, sei stato bravo per essere così giovane."

"Beh, grazie. Non è stato niente di che." gongolò lui prima di bloccarsi. Apollo si fermò, stupito.

"Aspetta." alzò una mano come a sottolineare il fatto di doversi fermare. "Stai parlando con un dio e la tua reazione è un misero complimento?"

Lei fece un paio di passi in avanti, per poi guardarlo di sottecchi "Cosa vuoi che faccia?" chiese continuando a camminare "Dovrei supplicarti di non incenerirmi?"

"Sarebbe carino, visto che mi stai prendendo in giro." Borbottò il figlio di Zeus.

Il giovane dio riprese a camminare, affrettando il passo per seguirla.

"Un dio ti concede le sue grazie e tu continui a camminare come se fossi una persona normale?" 

La figlia di Poseidone rise "Questa tattica ha mai funzionato con altre ragazze?" chiese per stuzzicarlo.

"Ovviamente, guardami." Si indicò. "Se fossi un semplice mortale le immortali farebbero a gara per avermi." Si sistemò i capelli. "Anche gli dei, a dire il vero."

Lei racimolò l'informazione in silenzio, per poi continuare dopo qualche minuto.

"Quindi dovrei essere lusingata che un immortale sia apparso per un aiuto, come lo chiami tu, tra l'altro non richiesto, e dovrei concedermi a te per ringraziarti di tanta generosità?"

Lui boccheggiò, colto in flagrante.

Lei rise di nuovo. "Non credo che tua sorella apprezzerebbe questo tuo modo di abbindolare le ragazze, sai?"

"Cosa c'entra Arti?"

"Ci siamo aiutate con una... commissione. Ragazza meravigliosa."

Apollo incrociò le braccia, continuando a camminare.

"Non mi credi." disse annuendo alla sua stessa affermazione.

"In che senso?" chiese lei non capendo.

"È normale, però. Non capita tutti i giorni di incontrare un dio." Spiegò lui il proprio ragionamento. "Chissà quanti giovani si fingono dei per abbindolare le giovani sprovvedute."

"Sprovvedute?" chiese lei girando la testa di scatto. Dei, Zeus non poteva creare una progenie maschile intelligente, per una volta?

"Ovviamente noi dei li puniamo, fingersi noi è una mancanza di rispetto." Continuò imperterrito il dio del Sole.

"Ti serve una prova." Disse battendo le mani. Si guardò intorno, cercando un'idea.

"Io non credo che..."

"Dolcezza, permettimi di farti un dono." Apollo schioccò le dita e, in un lampo di luce, la ragazza si ritrovò ad indossare una vistosa collana dorata.

Si girò verso il dio, notando che la tunica anonima che indossava pochi secondi prima era stata sostituita da delle vesti dorate e che, come sua sorella, sulle spalle portava arco e faretra.

Lei aprì e chiuse la bocca un paio di volte, mentre lui la guardava chiaramente soddisfatto di se stesso.

"Apollo." Lo chiamò dopo un paio di minuti.

Il dio era sicuro di averla sorpresa. Quante possibilità c'erano di trovarsi a faccia a faccia con una divinità come lui?

"Si, dolcezza?"

Lei si sfilò il pesante monile dal collo e glielo porse. "Non ce n'era alcun bisogno. Ma ti ringrazio." Disse mettendogli in mano la collana.

Lui aggrottò le sopracciglia, confuso. "Ma come, niente 'La prego, divino Apollo, non mi incenerisca'?

"Se te lo dicessi saresti più contento?" chiese lei riprendendo a camminare e facendogli segno di seguirlo.

"Sei davvero convinta di parlare con un dio?" chiese lui per essere sicuro.

"Non ho mai detto che non ti credevo." Gli disse piegando leggermente la testa verso l'alto e ammirando le stelle che stavano comparendo nel cielo.

"Non hai paura?" Il dio del sole accarezzò il cuoio della faretra dorata.

"Dovrei?" lei gli sorrise.

Lui non rispose. Ogni volta che si era palesato ad una mortale la prima reazione ottenuta era sempre il timore, anche le ninfe con cui era stato avevano visibilmente paura del suo essere un nume.

"Comunque non serve indossare vesti dorate, anche con la tunica di prima non saresti passato inosservato." Gli concesse la figlia del dio del mare.

Il dio del Sole accettò il complimento sorridendo e, con un gesto della mano, la collana e le vesti brillanti sparirono in una pioggia di polvere dorata, lasciando il posto ad una semplice tunica coperta da un himation bianco. 

La ragazza sentì un leggero peso sul collo, niente di paragonabile alla collana che indossava prima, e portà le mani sulla clavicola, scoprendo una leggera catenina di fattura pregiata che terminava con un'unica pietra preziosa come pendente.

"Da quello che ho capito, non ti piacciono le cose vistose". Disse lui indicandola "Sei sicuramente aristocratica, ma indossi abiti semplici, anche se si vede da lontano che sono opera di sarti di altissimo livello."

Lissandra sorrise, accettando il dono. "Non verrò a letto con te, lo sai vero?"

Lui rise, una risata fastidiosamente melodiosa, e disse "Mai dire mai, dolcezza."

Lei scosse la testa e Apollo rise di nuovo.

Lissandra lo guardò con la coda dell'occhio, lei continuava a camminare con i piedi nell'acqua con facilità, senza affondare o inciampare nella sabbia, senza curarsi della tunica dagli orli bagnati, compiendo quello che a qualunque mortale sarebbe sembrato un grande sforzo, soprattutto se prolungato.

Ma anche il dio sembrava non essere minimamente stanco e camminava con dei movimenti fin troppo armoniosi e privi di fatica, era quasi snervante: quel giovane sembrava trasudare grazia da tutti i pori.

"Come sei arrivata fino a qui?" chiese lui quando, ormai, il sole era tramontato. Da dov'erano potevano vedere la sagoma di Corinto, ma la città era ancora molto lontana.

"Camminando." Rispose lei ovvia. "Diversamente da te."

Lui alzò le spalle, guardando gli alberi che si facevano sempre più vicini.

Lissandra constatò che, ormai, stavano camminando insieme da alcune ore e il dio, sebbene lei avesse chiaramente detto che non sarebbe stata una delle sue conquiste, non se n'era ancora andato.

"Posso sapere come mai sei senza accompagnatore?" chiese lui quando, ormai, erano le mura della città erano ben visibili.

"Volevo rimanere sola per poter pensare in pace." Disse lei.

"È pieno di mostri e furfanti nel bosco." Puntualizzò lui.

"Per questo ci sei tu, no?" gli sorrise.

"Certo." Apollo indicò la città "Siamo quasi arrivati."

Lei annuì, facendo un leggero gesto con la mano che portava lungo il fianco, ordinando alle onde di risalire sul bagnasciuga e bagnare i piedi del dio. Lui sussultò, a contatto con l'acqua fredda.

"Mi piace Efira, è una delle città sacre a Poseidone. Lui ha permesso a mia madre di partorire, sai?" le raccontò.

La ragazza fece segno di si con la testa. "L'ho sentito, si."

"È un grande dio. Delfi è diventato il mio santuario, ma molti pellegrini pregano anche lui."

"Ed è un male?" chiese lei.

"No. Voglio dire, insieme proteggiamo i marinai. Il che significa meno lavoro per me."

Quando arrivarono alle porte della città, gli sbarrarono la strada, non riconoscendo il giovane. Ma, ad un cenno della semidea, li lasciarono passare.

"Sono arrivata sana e salva dentro le mura. Hai visto?" chiese lei quando superarono il blocco.

"Certo, ma non si sa mai chi c'è per le strade di notte. Ti lascerò quando sarai dentro casa."

La ragazza alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla in contrario.

La compagnia del giovane dio era stranamente piacevole.

Insieme si fecero largo per le strade cittadine e, quando incrociarono alcuni giovani visibilmente ubriachi, il dio le si fece immediatamente più vicino e, schioccate le dita, i due apparvero alcuni metri più in là rispetto al gruppo.

"Questo." Disse guardandolo e alzando le sopracciglia "Mi è sembrato un tantino esagerato."

"Questo." Rispose lui guardandola negli occhi "Lo dici tu, dolcezza."

Apollo la guardò intensamente, l'aveva appena fatta scomparire e riapparire in un luogo diverso e lei non era rimasta minimamente sorpresa o ammirata.

Anzi, sembrava quasi infastidita dal suo magnifico gesto di galanteria. Che strana, quella mortale.

Lei schioccò la lingua, distogliendo lo sguardo e indicandogli un piccolo palazzo al limitare della città, poche costruzioni più avanti. "Lì è dove devo arrivare, posso anche andare da sola ormai ..." non fece in tempo a finire la frase che in un battito di ciglia si ritrovò esattamente davanti alla porta di casa.

Vide un paio di servitori correrle incontro, rimporverandola per l'ora tarda.

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma il dio era sparito.

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Capitolo 2
*** Potrei fare come mio fratello e sposarti ***


Potrei fare come mio fratello e sposarti


Respirò a fondo, riempiendosi i polmoni di quell'odore di salsedine che sapeva tanto di casa e rimase con gli occhi chiusi, crogiolandosi sotto il calore del sole.

Picchiettò le dita sulla dura roccia su cui era salita, uno scoglio abbastanza ampio per potercisi distendere sopra, immergendo l'altra mano nell'acqua.

Era salita su quel gruppo di scogli dopo aver nuotato lontano dalla spiaggia vicino al porto di Corinto, abbastanza lontano da non sentire la confusione della città ma anche vicina da poterne ammirare le mura, le navi che si muovevano galleggiando sulle onde, il fuoco sacro sull'Acrocorinto.

Era rilassante rimanere lì, ascoltando il suono delle onde che sbattevano sul gruppo di scogli dove si era sistemata, beandosi del calore del sole.

Non c'era neppure il rischio di scottarsi sotto i raggi bollenti, poiché in mare era protetta da tutto.

Quella sarebbe stata una giornata di pausa dal mondo, sia da quello mortale che da quello divino.

Per una giornata, si sarebbe dedicata solamente al dolce far nulla.

Nessun mortale sarebbe arrivato fino a lì per chiederle consiglio o aiuto e suo padre le aveva garantito che per quel giorno non l'avrebbe incomodata, poiché Tritone era voglioso di darsi da fare per compiacerlo.

Sarebbe stata sola, senza mortali o dei a disturbarla.

Improvvisamente la luce che intravedeva dalle palpebre chiuse sparì, come se fosse stata coperta da qualcosa.

"Dolcezza."

O forse da qualcuno.

Non aprì gli occhi, decidendo che forse, se si fosse finta morta, il dio del Sole l'avrebbe lasciata in pace.

"Ehi." Ritentò il dio, toccandole il braccio.

Lei rimase immobile, cercando di ignorarlo.

"Stai respirando." Le fece notare lui "Non puoi far finta di essere morta se respiri."

"Mi stai facendo ombra." Rispose lei, infastidita.

Sentì il dio muoversi sulla poca superficie disponibile della roccia e il calore del sole tornò a scaldarle la pelle.

"Meglio?"

"Cosa c'è?"

Lui fece un verso indignato e si sedette al suo fianco. "Sei su uno scoglio ad una notevole distanza dalla costa. Ti hanno abbandonata qui?"

Il socchiuse gli occhi, cercando di raggiungere con lo sguardo la nave più vicina. "Hai sentito della moglie di Dioniso? Anche lei era stata abbandonata su un'isola."

Lei strinse gli occhi e fece una smorfia "Mi sono abbandonata da sola."

"Potrei fare come mio fratello e sposarti." La buttò lì lui.

"Faresti prima a sposare questo sasso." Rispose lei picchiettando una mano sullo scoglio.

Socchiuse un occhio, per guardarlo di sbieco, ma fu costretta a farsi ombra con una mano in quanto il dio del sole sembrava splendere di luce propria.

Apollo le sorrise guardando il mare intorno a lui "Davvero non sei nei guai?"

Lei aprì anche l'altro occhio, cercando di coprire entrambi con la mano per non rimanere accecata "Ti sembro nei guai?"

Lui si appoggiò su un braccio, distendendosi con estrema eleganza vicino a lei "Dimmelo tu."

Lissandra si girò su un fianco, per guardarlo negli occhi. "Giuro che sto bene o, almeno, stavo bene fino a pochi secondi fa."

Apollo fece una smorfia simulando un dolore improvviso "Ahia." Si portò una mano al petto, facendo finta di aver avuto un colpo al cuore.

"Quindi mi stai dicendo che sei distesa su uno scoglio in mezzo al nulla di proposito?" il dio soffiò piano con le labbra per spostare un ciuffo di capelli che gli era finito sugli occhi.

Lei annuì "Avevo sperato che almeno qui nessuno mi avrebbe dato fastidio."

Lui alzò le sopracciglia, incuriosito "Stai dicendo che con la mia magnifica presenza ti sto dando fastidio?"

Lei rise e fece su e giù con la testa "Continui a parlare."

Apollo si sistemò supino, portandosi le braccia sotto la testa.

Guardò il sole sopra di loro, immobile come lo aveva lasciato, ringraziando mentalmente Elio per averlo sostituito anche in quella giornata. Il vecchio era sempre disponibile a riprendere temporaneamente il suo compito, per spezzare la monotonia delle proprie giornate.

"E se rimanessi qui in silenzio senza disturbarti?" chiese dopo un po'.

Lei alzò le sopracciglia "Puoi provare, ma dubito che ci riuscirai." Disse sicura. "Ho notato che adori anche solo sentire il suono della tua voce."

Lui gongolò, stringendosi nelle spalle "Se sono nato magnifico non è colpa mia."

"Resta il fatto che non ti sia ancora zittito." Lissandra lasciò uscire un respiro rumoroso dal naso "Potresti rimanere in silenzio per, non so, almeno dieci minuti? Oppure andartene."

Lui fece una smorfia "Confidi così poco nelle mie capacità, dolcezza?"

La figlia di Poseidone annuì.

Il dio non rispose, chiuse gli occhi e si concesse dei respiri sereni.

Lei si concesse un sorriso di sollievo, quando passarono dieci minuti di silenzio pieno.

Si concentrò sul rumore altalenante delle onde, un suono calmo e ritmato.

In poco tempo si appisolò, entrando in quello stato di dormiveglia in cui non si è svegli né dormienti, finalmente era serena e tranquilla, poteva riposarsi alla luce del sole come stava cercando di fare dall'inizio di quella mattina.

Ma, come c'era da aspettarselo il silenzio durò meno di un'ora.

"Un dio ti concede ben due visite in tre anni e tu sembri addirittura infastidita."

Ecco. La serenità di quel momento si ruppe come un vetro colpito da un sasso.

Lissandra sbuffò, mentre gli ultimi frammenti di sonnolenza svanivano veloci, ritrovandosi completamente sveglia.

Provò a richiudere gli occhi, cercando di riaddormentarsi, ma ormai quel magico momento e le possibilità di riposarsi scomparivano nel nulla.

"Sono sorpresa che ti ricordi di me, a dire la verità" disse lei dopo un paio di minuti, conscia che non sarebbe più riuscita a chiudere gli occhi.

La ragazza si spostò leggermente verso la fine dello scoglio, a pochi centimetri dall'acqua.

"Tesoro, io non dimentico mai una faccia."

Lei si portò una mano sulla fronte, spostando i capelli di lato "Ma che fortuna."

"Non mi hai ancora detto il tuo nome, comunque." Il figlio di Latona si issò sul braccio e, alzando il busto, si sistemò su un fianco per poterla guardare.

La figlia di Poseidone sorrise "Tu non me lo hai chiesto." Si voltò verso si lui "Lissandra".

"Un nome insolito." Commentò lui "Non ne conosco altre."

Lei rise "Perché, conosci altri Apollo?"

Lui alzò il mento, fiero "No, ma io sono un dio."

Lissandra si portò un braccio sotto la testa, per essere più comoda.

"Non hai altre mortali con cui provarci?" chiese dopo un po' "Non so, principesse o naiadi."

Lui rise "Non ti senti onorata di essere la prescelta di oggi?"

Lei schioccò la lingua "Mi pareva di averti già detto di no, l'ultima volta che si siamo visti. O sbaglio?"

"E io ti ho risposto mai dire mai." Disse lui, mellifluo.

"Davvero." La figlia del dio del mare piegò la testa di lato "Perché non sei con una principessa? Chiunque stravede per te."

"Non mi interessano le principesse, al momento." Le fece l'occhiolino.

"Potresti tornare sull'Olimpo, è pieno di ninfe che si lancerebbero tra le tue braccia." Riprovò lei, sperando di mandarlo via.

Lui arricciò le labbra. "Le ninfe sono appiccicose."

Lei chiuse gli occhi, sbuffando.

Il dio si guardò intorno, assicurandosi di essere veramente soli.

Apollo sorrise "Sai, mia piccola Liz, che non c'è nessuno nei paraggi?"

Un'onda leggermente più forte delle altre batté sullo scoglio e delle fredde goccioline d'acqua finirono sul braccio della figlia di Poseidone. Gli occhi di lei vennero attraversati da un guizzo, come se un pensiero si fosse formato nella sua mente, e si avvicinò al suo viso "E quindi?"

Il dio sorrise e, con uno scatto, si sistemò sopra di lei. "Quindi..." sussurrò abbassando la voce ed avvicinandosi alle labbra della ragazza "Potremmo..."

"Si?" lei guardò intensamente le labbra di lui, per poi ancorare lo sguardo negli occhi d'ambra del dio.

Apollo lo prese come un invito e si sporse verso la bocca della ragazza ma, ancor prima di raggiungere le sue labbra, il mondo si fece sottosopra e lui si ritrovò improvvisamente nell'acqua gelata del mare.

Risalì in superficie, adocchiando la mora che rideva seduta sulla roccia.

"Questo è stato scorretto." Le gridò il dio mentre con le braccia si teneva a galla.

Lei si strinse nelle spalle, continuando a ridere "Te la sei cercata."

Lui nuotò agilmente fino allo scoglio, per poi trovare un comodo appiglio e issarsi sulla roccia e sedarcisi sopra, tenendo le gambe in ammollo.

"Molto scorretto." Ripeté passandosi una mano tra i capelli bagnati. "Accidenti."

Il dio si portò le mani sulle spalle e sciolse le fibbie che tenevano ferma la tunica, liberandosi dalla stoffa bagnata.

La figlia di Poseidone spalancò gli occhi.

"Potresti anche schioccare le dita, per asciugarti, sai?" chiese la ragazza accorgendosi del proprio errore.

Apollo sorrise vittorioso, chiudendo gli occhi e godendosi il calore del sole "E non approfittare di una giornata così bella?"

Lei si morse le labbra, volgendo lo sguardo dalla parte opposta.

Apollo si liberò completamente dell'indumento. "Ti disturbo, per caso?"

Lei strinse le labbra "Fai quello che ti pare."

Apollo rise. "D'accordo". Annuì prima di tuffarsi in acqua.

Il dio riemerse dall'acqua con grazia, portandosi davanti alla ragazza e muovendo lentamente le braccia per rimanere a galla.

Lei si concentrò sui riflessi che il sole (e probabilmente anche il suo dio) mandava sull'acqua introno al giovane.

Si sedette, immergendo in acqua i piedi e le gambe fino alle ginocchia.

"Come mai sei l'unica sulla terra che non mi trova attraente?" chiese lui dopo alcuni minuti trascorsi in silenzio.

Lei strinse le labbra in una linea dritta, sapendo che presto si sarebbe pentita delle proprie parole "Questo non l'ho mai detto." Disse bagnandosi una mano.

Il dio sussultò, alzando il viso verso di lei. "E allora qual è il problema?"

Lissandra si passò una mano tra i capelli, spostando alcuni ciuffi ribelli dietro l'orecchio. "Ho detto che sei attraente, non che verrei a letto con te." Specificò.

Il dio sparì dal mare, riapparendo perfettamente asciutto di fianco a lei. Si piegò fino a portare la bocca a pochi centimetri dall'orecchio della semidea "Come ho detto la prima volta che ci siamo visti, dolcezza, mai dire mai." Sussurrò.

"Non ci sperare." Lissandra continuò a mantenere gli occhi fissi davanti a lei "Ti potresti coprire?"

Lui ridacchiò tra sé e sé, ma assecondò la richiesta: con un gesto della mano della stoffa orlata d'oro gli apparve intorno ai fianchi, lasciandogli il busto scoperto.

"Ti porto a casa." Disse.

"Come?" la figlia di Poseidone non fece in tempo a voltarsi verso di lui che si ritrovò seduta su una panchina nel giardino del proprio palazzo.

Il dio, apparso davanti a lei, incrociò le braccia al petto "Non ringraziarmi."

"Non lo sto facendo." Lo fissò lei, seria "Sarei potuta tornare da sola."

Lui alzò gli occhi al cielo "Certo. Avresti nuotato da quello scoglio a miglia di distanza fino a qui. Ovviamente." Gli apparve la faretra alle spalle. "E, per la seconda volta, il grande Apollo ti ha tirato fuori dai guai." Disse facendo un teatrale inchino e scomponendosi in pioggia dorata.

La figlia di Poseidone scosse la testa, cercando di trattenere un piccolo sorriso.

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Capitolo 3
*** È così che reagiscono i mortali ***


È così che reagiscono i mortali
 

Da quel secondo incontro erano passati, ormai, diversi mesi. La figlia di Poseidone aveva continuato a passare le giornate ad allenarsi, anche se le ultime due settimane le aveva vissute correndo per i boschi della Tessaglia insieme alla dea della caccia, per trovare e sbarazzarsi di un grande dragone che da tempo distruggeva i raccolti dei contadini tessali.

La dea della Luna le aveva chiesto personalmente di accompagnarla in quell'impresa.

Aveva passato con Artemide molto tempo, le due avevano conversato su molti argomenti, ma lei non aveva mai accennato all'incontro con il gemello. Almeno, finchè la dea stessa non aveva tirato fuori il discorso.

"Mio fratello ha detto che ad Efira ha trovato una strana mortale." Aveva detto mentre sistemava le frecce nella faretra. "Ne sai qualcosa?"

La figlia di Poseidone si irrigidì, non riuscendo a mascherare il nervosismo "È stato strano. Mi ha portata fino a casa e poi è sparito. Credevo volesse fare come con la povera Dafne da quanto ha insistito, hai sentito di lei?"

Artemide annuì, allacciando la faretra sulle spalle e alzandosi dal masso su cui era seduta. "Il mio gemello è un idiota. Sono sorpresa che con te non abbia calcato la mano."

La semidea alzò un sopracciglio "Credi che mi sarei limitata a scappare chiedendo aiuto? Tipico delle ninfe."

"Probabilmente lo avresti castrato." Artemide alzò le spalle indicando un punto sulla montagna davanti a loro e facendole segno di incamminarsi.

"Oppure lo avrei fatto io. Mi piace cacciare con te."

La figlia del dio del mare si mise a ridere per poi buttare un po' di terra sul fuoco che avevano acceso e seguire la dea.

Quando, terminata la missione, Artemide l'aveva accompagnata a casa con il proprio carro, Lissandra passò l'intera giornata nella vasca da bagno, cercando di togliersi dalle membra l'odore nauseante di sangue di drago.

Dopo quelle che le sembrarono solo poche ore decise di uscire dall'acqua, constatando che era ormai sera.

Indossò un leggero chitone e si fece portare della frutta in una delle terrazze sul mare del piccolo palazzo in cui viveva, per mangiare tranquilla ammirando il regno di suo padre e il cielo illuminato dal carro della dea della caccia.

Una leggera brezza la fece rabbrividire, ma venne subito sostituita da una folata d'aria calda alle sue spalle. Quello spostamento d'aria le confermò di non essere più sola. Si appoggiò con le braccia alla balaustra, sporgendosi in avanti. "Ancora qui?" chiese guardando le onde che si infrangevano sulla scogliera sotto di lei.

"Non fa un po' freddo, per stare fuori?" le chiese il dio del sole.

Lei sorrise e socchiuse gli occhi. "Non se l'aria arriva dal mare."

Apollo fece qualche passo in avanti, raggiungendola al limite della terrazza e si appoggiò con il bacino alla ringhiera di marmo. "Sono passato la scorsa settimana, ma non c'eri."

Lissandra si inumidì le labbra con la lingua. "Ero con tua sorella." Disse. "In Tessaglia."

Lui rise. "Certo."

La ragazza ruotò il viso verso il dio "Come mai mi cercavi?"

Lui aprì la bocca per parlare, ma lei lo bloccò "Visto che non verrò mai a letto con te."

Apollo arricciò le labbra, offeso.

"Qualunque mortale sarebbe felice di concedersi a me."

"Ho sentito di Dafne." Disse lei guardandolo con disappunto "Quando è successo? Un mese fa?"

"Quello è stato un incidente di percorso e lei era una ninfa." Apollo fece una smorfia.

"Le ninfe non erano appiccicose?" chiese la ragazza cercando di imitare la voce del giovane.

"Beh, è stata colpa di Eros, non mia." Puntualizzò il dio.

lei innarcò le sopracciglia "Eros?"

il dio del sole si guardò le mani, diventate improvvisamente interessanti "Potrei averlo preso in giro."

"Preso in giro." ripetè la semidea assumendo un cipiglio di rimprovero.

"Gli ho detto che non è un vero arciere, nè un guerriero come il sottoscritto." il biondo aprì e chiuse le mani un paio di volte, poi aggiunse "E mi è scappata una cosa tipo 'accontentati di accendere le fiaccole di qualche amoruccio.' Non l'ha presa molto bene."

La figlia di Poseidone annuì, cercando di trattenere una risata. "Te la sei cercata."

"Ha colpito me con una freccia d'oro e Dafne con una di piombo. Ci ho messo giorni per superare la sua perdita." sbuffò il dio.

"Mai far infuriare gli dei dell'amore." consigliò la ragazza, concedendosi una risata.

Apollo sorrise di rimando, contento che quella ragazza stesse parlando con lui senza paura. Certo, anche gli altri dei si relazionavano con lui come tra pari, ma c'era sempre un velato distacco, a nessuno importava davvero degli altri.

Lei si portò i capelli dietro l'orecchio e gli sorrise.

"Perchè sei qui, invece che da una mortale qualunque?" chiese.

"Mi incuriosisci." Rispose lui, sincero.

Lei lo guardò, interrogativa. Così lui cercò di spiegare "Non sei per niente turbata dal fatto che sia un dio." Disse sedendosi sulla balaustra di marmo. "Non hai paura di me, né di dire la cosa sbagliata, mi tratti come se fossi un semplice mortale." Disse aprendo le braccia per enfatizzare le proprie parole. "Ti passo a trovare perché mi fai sentire... normale. Mentre parlo con te sono solo Apollo, non il dio di Delfi."

"Vuoi che smetta?" chiese dopo un po', piegando la testa di lato. "Posso darti del voi, se ti fa sentire meglio."

Apollo sussultò "No, no." Si passò una mano sul collo. "È... piacevole."

Lissandra sorrise "D'accordo."

"D'accordo." Ripeté il dio, come a sancire un patto.

"Ho questa sensazione..." Apollo piegò una gamba, ruotando il busto verso la mora "Chiunque, colto di sorpresa, avrebbe come minimo sussultato. Tu sei rimasta impassibile entrambe le volte che ti sono apparso alle spalle."

Lei si girò lentamente, per poi sederglisi accanto.

"Sembri quasi abituata."

La ragazza rise, "Forse perché lo sono." Confermò, lui spalancò gli occhi.

"Ti sei concessa ad un altro dio." Disse, sorpreso. "Ecco perché non vuoi stare con me."

Lissandra, che stava finendo la sua mela, finì per farsela andare di traverso. Iniziò a tossire così forte che Apollo, dopo averle dato delle pacche sulle spalle per farla smettere, fu costretto a schioccare le dita e far sparire il pezzo del frutto dalla gola della ragazza.

"Ma stai scherzando?" chiese lei cercando di riprendere fiato.

"Stai bene?" chiese il dio.

Lei lo fulminò con lo sguardo, aspettando di tornare a respirare ad un ritmo normale, prima di rispondergli.

"Grazie." Disse allontanando la ciotola di frutta da loro.

"Quindi... non sei l'amante di nessuno?" chiese lui ammettendo a se stesso che, forse, la sua era stata una domanda inappropriata.

"Ovviamente no." La ragazza incrociò le braccia.

Apollo scese da dove era seduto per mettersi di fronte a lei. La figlia di Poseidone si sistemò meglio sul marmo.

"Sei strana per essere una mortale, dolcezza, lo sai?" disse lui guardandola negli occhi.

La figlia di Poseidone lo guardò curiosa. "Quando dicevi che ero mortale credevo mi stessi prendendo in giro." Aggrottò le sopracciglia "Davvero non sai chi sono?"

Lui scosse la testa "Mi hai detto solo il tuo nome, non so altro di te."

Lei scosse la testa, per spostare alcuni capelli dal viso e si morse il labbro inferiore per nascondere un sorriso "Hai pensato che, forse, potrei non essere mortale?"

Lui piegò la testa di lato, riflettendo che, già, a quello non aveva pensato. Era una possibile ipotesi. Ma...

"Vivi in una città mortale."

Questa volta lei rise apertamente. Si diede una spinta con i fianchi e scese dalla balaustra su cui era seduta, appoggiandosi al braccio di lui per non cadere, e camminò spedita verso le scale alla fine della terrazza.

"Vieni con me."

Il dio socchiuse gli occhi, ma dopo un momento di indecisione la seguì.

Lei lo condusse fino ad una scalinata scavata tra le rocce dell'Acrocorinto, in un'impegnativa salita fino all'agorà della città.

"I sovrani di Efira hanno fatto costruire per me questa scala, è impossibile che un mortale riesca a percorrerla da quanto è ripida" spiegò tra un respiro e l'altro mentre si faceva largo tra le rocce in quella difficile salita. Apollo constatò che si, era ripida. Perfino lui iniziava a fare fatica.

"Ma è più veloce della strada di là." Continuò lei indicando con un dito alla sua sinistra, dove una strada battuta e con una pendenza decisamente più dolce si faceva largo dalla città bassa fino alla zona sacra. "E privata."

Il dio del sole sentì il fiato corto della ragazza, mentre continuavano a salire.

"Quella strada è sempre piena di gente e ci vuole più di mezz'ora per arrivare ai templi."

Finalmente, dopo dei minuti interminabili di salita, Apollo si affacciò sull'agorà di Efira.

Si sorprese scoprendo che anche il battito del suo cuore era accelerato pericolosamente.

Guardò in basso e, effettivamente, pensare che un mortale potesse cimentarsi in una salita del genere e percorrerla in pochi minuti così come avevano fatto loro era pressoché impensabile.

Si girò a guardare la ragazza, notando che stava riprendendo fiato su una roccia.

"Questa" disse tra un respiro e l'altro "È una di quelle volte in cui mi pento di aver rinunciato alla divinità."

Lui sussultò a quella frase. "Come?"

"Ti mostro una cosa." Disse lei prendendolo per un braccio e portandolo verso i templi. Si fermarono davanti a quello di Poseidone.

"Quella scala è stata costruita cosicché io possa parlare con mio padre ogni volta che ne ho bisogno." Disse indicando il tempio. "Quello che non sanno è che, se davvero avessi bisogno di papà, mi basterebbe tuffarmi in mare e andare da lui direttamente."

Apollo alternò lo sguardo tra la ragazza e il tempio, non sapendo esattamente cosa dire. Oh. Ecco la provenienza di quel nome particolare: Zeus gli aveva raccontato di come Poseidone si fosse invaghito di una donna di nome Lissa, prima di trovare Anfitrite.

Lei fece alcuni passi verso le scale, incitandolo a seguirla.

Si fecero largo tra le colonne, fino ad arrivare al naos, dove la statua del dio del mare troneggiava al centro della stanza.

"I mortali hanno una grande immaginazione." Disse indicando l'immagine del padre, davvero lontana dal reale aspetto del dio. "Non me la sono sentita di dirgli che non è affatto somigliante."

La figlia di Poseidone si girò verso di lui, per guardarlo negli occhi, aspettando una qualsiasi reazione da parte del dio.

Lui rimase in silenzio, racimolando le informazioni.

"Puoi sederti, se ti va." Disse, accomodandosi sul piedistallo del padre. "Sono stata la prima figlia di un dio." Raccontò, per non essere costretta a rimanere in silenzio, visto che il giovane dio non aveva nessuna intenzione di parlare.

"Subito dopo la vittoria degli dei su Crono, mio padre si innamorò di una mortale. Nacqui io." Fece un respiro profondo.

"Prima di Ares, di Efesto, di Persefone, Dioniso. Molto prima di te. Sono nata da sangue divino e mortale, così, quando diventai abbastanza grande, mio padre mi mise davanti ad una scelta: diventare una dea e vivere sull'Olimpo con loro, oppure poter rimanere sulla terra, tra gli umani, ma rinunciando ai poteri divini."

Lissandra alzò lo sguardo. "Scelsi di rimanere sulla terra con mia madre, aiutando i mortali a combattere contro i mostri. Sono passati secoli da allora."

Apollo piegò la testa e incrociò le braccia, rimanendo così per una manciata di minuti. Erano tante le informazioni da digerire. Soprattutto contando il fatto che era lui quello giovane, tra i due. La ragazza non era una mortale qualsiasi, ma un'ex divinità. E ci aveva provato spudoratamente con lei.

"Vivo tra i mortali da molto tempo." Aggiunse lei "Ma non avevo ancora ricevuto la corte di un dio, tralasciando tuo padre, ma lui ci prova con tutti."

Un tuono squarciò il cielo e il tempio in cui si trovavano venne illuminato per un secondo dalla luce accecante del fulmine. Lei sbuffò, in risposta.

Apollo si passò una mano sul viso, coprendosi gli occhi per alcuni secondi, cercando di riflettere. Troppe. Troppe informazioni tutte in una volta.

"Eri seria quando hai detto che eri con Arti in Tessaglia, vero?" mugugnò.

Lei annuì. "È un'ottima compagna in uno scontro." 

"Quindi" disse lui alzando lo sguardo, per guardare negli occhi la figlia di Poseidone che, ora che ci faceva attenzione, aveva gli occhi verdi come il mare e i capelli corvini, proprio come quelli del dio. Avrebbe dovuto stare più attento ai dettagli. Meglio appuntarselo per esperienze future. "Sei la prima figlia di un dio, tuo padre è il dio del mare e sai pure combattere come mia sorella?"

Lei sorrise, chiudendo gli occhi e fece segno di sì con la testa.

"Devo preoccuparmi?" chiese il dio, facendo riferimento al pugnale stretto sul polpaccio della ragazza, pugnale che solo in quel momento aveva notato.

Lei rise piano "Sempre se non la smetterai di provarci con me."

Lui batté le mani, per poi camminare veloce verso la ragazza "E perché mai, dolcezza?"

Il dio si guardò intorno, sedendosi vicino ad uno dei piedi della statua del divino zio. "Se sei immortale, ho tutto il tempo del mondo per farti mia."

"Certo, ma devo avvertirti che accadrà nel tempo del poi e nell'anno del mai." Rispose la semidea alzando il viso, orgogliosa. "Posso offrirti la mia amicizia, se ti basta."

"Amici con benefici?" chiese lui, facendole l'occhiolino.

"Amici e basta." Sottolineò la figlia di Poseidone. "Prendere o lasciare."

Apollo aprì la bocca per rispondere, ma "Cosa state facendo?" una voce lo interruppe.

La ragazza scese dal plinto, appoggiandocisi con la schiena, mentre un vecchio sacerdote, probabilmente stava compiendo un rito serale e li aveva sentiti parlare, camminava a pieni passi verso di loro.

"È proibito per i fedeli entrare qui. Solo i sacerdoti..." si bloccò, riconoscendo la ragazza.

"Mia signora, non è un po' tardi?"

Lei scosse la testa, facendo segno di no.

Quando notò che il vecchio sacerdote era rimasto a fissarla per troppo tempo, incrociò le braccia al petto, mentre Apollo, che aveva seguito la traiettoria dello sguardo del vecchio mortale, si posizionò davanti alla ragazza, incrociando le braccia.

"Dolcezza, non che abbia da lamentarmi, ma la prossima volta mi metterei qualcosa di più coprente del semplice lino."

Lei spalancò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento che aveva indossato quella tunica leggera perché era convita di rimanere da sola tutta la sera.

Apollo fece un gesto veloce con l'altra mano e un leggero mantello leggero ma spesso le apparve sulle spalle.

Il vecchio posò lo sguardo verso il giovane dio "Sapete che, anche se con voi, i fedeli non possono entrare all'interno della cella." Disse alla semidea indicando il biondo con la mano.

Lei strinse le labbra per poi inumidirle con la lingua.

"Un dio non può venire a salutare un'amica?" chiese Apollo incrociando le braccia.

"Un..."

"Dio. Sei un sacerdote, dovresti sapere cosa sono." Disse il dio del sole facendo un gesto della mano. Di nuovo, come mesi addietro, le vesti dorate sostituirono quelle anonime che aveva scelto per passare inosservato, e i suoi attributi gli apparvero sulla schiena. In più, una corona d'alloro gli decorava il capo.

Il vecchio spalancò la bocca per poi inchinarsi velocemente davanti al nume.

"Odio essere interrotto." Disse Apollo stringendo tra le mani l'arco.

"La prego divino Apollo, dio del Sole, non mi riduca in cenere."

Il dio si girò eloquente verso la ragazza, indicandole il vecchio che aveva iniziato a recitare una cantilena al dio del Sole.

"Vedi, dolcezza? È così che reagiscono i mortali." gongolò.

La figlia di Poseidone aprì la bocca più volte, senza trovare le parole giuste. Optò per la via più semplice: mandare via il mortale. Scese del tutto dal piedistallo e si avvicinò al sacerdote, sapendo che una vista prolungata del dio nelle sue vesti divine l'avrebbe, probabilmente, portato alla pazzia.

"Alzati." Disse prendendolo per un braccio e facendogli segno di rimettersi in piedi. "Ora, però, potresti lasciarci soli."

"Così potremo copulare in pace." Aggiunse il dio del Sole.

La ragazza si girò, veloce, verso di lui, ma il sacerdote fu più scaltro "Nel tempio del Signore dei cavalli? È un sacrilegio!"

"Certo, certo. Nessuno ha mai detto che lo avremmo fatto qui. Non voglio scatenare l'ira di Poseidone." Disse spiccio il dio. "Ora, sciò."

Il poveretto alternò lo sguardo tra i due, balbettando parole senza senso, per poi inchinarsi più volte mentre camminava verso l'uscita.

Lissandra piegò la testa da un lato, facendo una smorfia. "Complimenti, lo ha fatto ammattire."

Apollo fece su e giù con le spalle, minimizzando la cosa.

In un secondo le vesti si sciolsero, lasciandolo coperto solo da una tunica leggera.

Quando uscirono dal tempio il dio si voltò, ammiccante, verso la ragazza "Allora, dove andiamo a copulare?"

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Capitolo 4
*** Quando torno ad essere immortale vedrai come ti combino ***


Quando torno ad essere immortale vedrai come ti combino


La figlia di Poseidone piegò la testa di lato e si mordicchiò l'interno della guancia, leggermente perplessa. Un giovane messaggero tessalo aveva bussato alla sua porta, chiedendo di incontrarla.

Cosa ci facesse un tessalo in casa sua, era un vero mistero.

La ragazza lo accolse e, offertogli da bere, gli chiese la ragione di quella visita.

Il giovane corridore, che aveva viaggiato per più di una settimana senza sosta per portarle quel messaggio, le raccontò che lo mandava il re di Fere, con un messaggio per lei.

Fere, ovviamente una città della Tessaglia, ma che a lei non diceva assolutamente nulla.

"Il re Admeto mi manda per avvertirvi che il divino Apollo, per punizione del grande Zeus, è costretto a passare nove anni come mortale al servizio del mio sovrano." Disse il ragazzo, dopo aver bevuto qualche sorso di vino.

"Sa che siete in buoni rapporti con il dio del sole, e vi invita, quando e se lo vorrete, ad essere sua ospite a Fere per tutto il tempo del castigo di Zeus."

Ah.

Effettivamente il dio non era più passato a farle visita e, dal loro ultimo incontro era passati più di sei anni.
Non che ci avesse fatto caso, comunque.
La ragazza era tornata a Corinto da meno di un anno, poiché aveva passato gli ultimi cinque nelle profondità del mare.

Quindi, anche se non aveva più avuto notizie del dio, non vi aveva dato troppo peso visto che molto spesso gli immortali spesso non facevano caso allo scorrere degli anni. Lei compresa.

Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, per poi alzarsi in piedi sistemando la propria veste "Da quanto..."

"Cinque anni, giorno più, giorno meno."

Lei strinse le labbra.

Si girò verso due schiave, rimaste vicino alla porta della stanza "Preparate qualcosa per il viaggio. Verranno con me Abidos e Loti."

Le due annuirono e corsero ad avvertire i diretti interessati.

"Deduco che accetterete l'invito del re." Disse il ragazzo sistemandosi il mantello sulle spalle.

Lei annuì "Qualcuno si prenderà cura di te per questa notte, partiamo tra un paio di giorni."

Quando, dopo ben tre settimane di viaggio, la semidea giunse a Fere, fu la volta in cui rimpianse con tutta se stessa di aver rinunciato a diventare una dea. Sarebbe bastato schioccare le dita e si sarebbe risparmiata quasi un mese di cavalcata estenuante.

Certo, avrebbe potuto viaggiare in mare per conto suo molto velocemente, ma i bagagli e i servitori come avrebbero fatto a raggiungerla così velocemente?

L'unica soluzione era sorbirsi un mese di viaggio.

Pertanto, quando vide le mura della città, la figlia di Poseidone tirò un sospiro di sollievo.

D'accordo con Loti e Abidos, i tre si fermarono lontano dalla città cosicché la figlia di Poseidone potesse rendersi presentabile per incontrare il re.

Varcate le mura, la giovane venne condotta nel palazzo e poi nel megaron, per incontrare Admeto.

La figlia di Poseidone si guardò intorno: una semplice stanza rettangolare con un focolare rotondo al centro circondato da quattro colonne che sorreggevano la copertura.

Sulla parete opposta rispetto all'entrata, c'era un trono vuoto.

Vicino al fuoco stava, in piedi, un uomo sulla trentina che, quando la vide, aprì le braccia per accoglierla.

"Vedo che hai accettato il mio invito, benvenuta."

Lissandra sorrise "Ti ringrazio per la tua ospitalità, maestà."

Admeto si sfregò le mani "Posso offrirti qualcosa?"

Lei accettò della semplice acqua fresca per poi chiedere "Apollo è qui?"

Il sovrano le sorrise e, facendole segno di seguirlo, camminò fuori dalla sala del trono, percorsero l'atrio e il vestibolo "Fere è una piccola città, ma spero che ti troverai bene." Disse conducendola per alcuni corridoi per uscire, dopo un po', dal palazzo.

"Il dio del Sole è stato mandato qui da Zeus in persona. Gli ho affidato il mio gregge, dovrebbe essere in un pascolo verso quella montagna." Disse indicando con il dito un'alta collina.

Lei rilasciò un respiro profondo.

"Mi ha detto che siete amici, ma non sa chi vi ho invitata qui." Confessò il re. "Se posso aggiungere, sperando che Zeus non mi fulmini, penso che sia una punizione immeritata."

Lei annuì, guardando il cielo per essere sicura che il re degli dei non li stesse ascoltando.

Durante il lungo viaggio per arrivare in Tessaglia il messaggero le aveva raccontato cosa si mormorava tra i cittadini di Fere, anche se nessuno era sicuro sul vero perché il dio fosse stato punito così crudelmente. Vivere da mortale al servizio di un re umano.

Si vociferava che Apollo avesse ucciso i ciclopi che si occupavano di creare le folgori di Zeus, il dio li aveva sterminati brutalmente con una pioggia di dardi.

"Posso farti accompagnare da lui, anche se è un po' tardi". Disse il re guardando il sole che aveva passato lo zenite da ormai un bel po' di tempo "Oppure uno degli schiavi può condurti alla tua stanza."

La figlia di Poseidone sbuffò. "Prima dovrei cambiarmi." Si indicò il lungo chitone che indossava "Ma gradirei raggiungerlo velocemente."

Il re rispose che era una buona idea e, veloce, chiamò una serva che accompagnasse la ragazza nei suoi alloggi.

 

Dopo una buona mezz'ora di cammino, trascorsa per la maggior parte del tempo a discutere con le due guardie che l'avevano seguita poiché lei camminava molto più velocemente di loro, Lissandra adocchiò alcune pecore intente a brucare all'ombra di alcuni alberi.

"Potete anche tornare indietro." Disse, quando i due la raggiunsero.

"Sarete da sola, in questo modo." Replicò l'uomo più anziano riprendendo fiato.

"Sola, armata e immortale." Aggiunse lei picchiettando le dita sul pugnale che aveva stretto al polpaccio.

Quello bastò.

Lissandra si incamminò con passo spedito verso il gregge, cercando l'ex dio con lo sguardo.

"Stupido ragazzino." Sentì borbottare dietro un albero. "Quando torno ad essere immortale vedrai come ti combino."

La ragazza sorrise, riconoscendo la voce.

"Cosa è successo?" chiese quando arrivò alle spalle del figlio di Leto.

Il giovane sobbalzò, girandosi di scatto.

Indossava una corta tunica e dei semplici sandali. I capelli biondi erano più lunghi del solito, legati dietro la testa con uno spago e la pelle era molto più scura a causa del contatto prolungato con il Sole. Già, come dio non c'era il rischio di scottarsi o abbronzarsi troppo. Ora che era mortale avrebbe dovuto fare più attenzione a rimanere nelle zone di ombra.

"Un ragazzino, ecco cosa è successo!" ringhiò Apollo stringendo i pugni.

"Che ci fai qui, comunque?" chiese camminando svelto al di là dell'albero e iniziando a contare le pecore ad alta voce.

"So che sei finito nei guai e volevo farti un po' di compagnia." Disse lei guardandolo agitarsi mentre cercava di non contare due volte la stessa pecora.

Lei si sedette sull'erba e invitò il giovane a fare lo stesso.

Apollo si distese sul prato, decidendo di usare le gambe dell'amica come cuscino.

"Ma..."

"Sono mortale, è stata una giornataccia, fammi almeno stare comodo". Chiuse il discorso lui.

La ragazza aggrottò le sopracciglia, ma non disse niente.

Rimasero così, senza dire nulla e ascoltando le cicale e il vento.

Ad un certo punto la ragazza, quasi senza pensarci, cominciò a giocare con i capelli dell'ex dio e, dopo alcuni minuti, decise di cominciare ad intrecciare i capelli biondi del giovane.

Rimasero in silenzio per un po', mentre Lissandra muoveva veloce le dita, poi la figlia di Poseidone aprì la bocca e, dopo aver pensato svariate formulazioni della propria domanda per non risultare indiscreta, decise di chiederglielo.

"Posso farti una domanda?"

Il giovane aprì gli occhi e, dopo essersi inumidito le labbra, disse "Ho vendicato mio figlio, non che abbia più importanza."

"Io non..." disse lei, spiazzata dalla risposta diretta ad una domanda che non aveva nemmeno detto ad alta voce.

"Dolcezza, non serve essere il dio della profezia per sapere cosa volessi chiedermi." Rispose lui prendendo un respiro profondo, mentre lei distoglieva lo sguardo il suo da quello dorato.

"Tuo figlio?"

Il biondo annuì. "Asclepio aveva venti, trent'anni. Mi sono perso un po' di cose, lo ammetto." Aggiunse vedendo votarsi il viso della figlia di Poseidone "Sai che non sono bravo a contare gli anni."

Lei decise di non commentare, anche se aveva una risposta pungente sulla lingua.

"Era un grande medico. Così bravo da essere riuscito a sconfiggere la morte. "disse orgoglioso. "Zeus non ne fu felice."

Apollo chiuse di nuovo gli occhi, cercando le parole adatte "Ha fulminato mio figlio." Strinse i pugni. "E io mi sono leggermente fatto prendere dalla rabbia."

"Quindi i ciclopi... ?"

"Erano solo tre. Loro hanno costruito le folgori con cui Zeus ha... fatto quello che ha fatto." Si morse l'interno della guancia "Io ho agito di conseguenza."

La figlia di Poseidone fece respirò a pieni polmoni "Apollo mi..."

"Dispiace?" chiese lui mettendosi a sedere.

"Non sono pentito, per farmi smettere mio figlio è stato trasformato in dio."

Apollo si strinse nelle spalle "Devo solo aspettare ancora quattro anni senza morire e poi me ne potrò andare." Le sorrise.

La ragazza guardò il giovane seduto al suo fianco, capendo immediatamente cosa stesse facendo il vecchio dio del sole.

Voleva darle l'impressione di essere sereno, di stare bene.

Ma lei sapeva perfettamente cosa volesse dire costruire un muro attorno a sé, cercando di nascondere i propri problemi.

Socchiuse gli occhi, non riuscendo a decidere come comportarsi con lui.

Forse avrebbe dovuto parlarne con Artemide.

"Si sta facendo tardi, forse è meglio tornare prima che faccia buio." Disse il biondo guardando la posizione del sole nel cielo.

Si alzò in piedi, aiutando la ragazza a fare lo stesso. "Avresti potuto aspettarmi insieme ad Admeto, ormai è sera."

Lei piegò di lato la testa per qualche secondo, scegliendo di chiudere il discorso precedente per non turbare l'amico più di quanto non fosse già.

"Ho cavalcato per un mese per venire a trovarti. Avevo bisogno di sgranchire le gambe." La ragazza si alzò in punta di piedi per sfiorare una foglia.

Apollo fischiò e gli animali, aiutati da un paio di cani, si incamminarono verso il palazzo.

Fece un paio di passi in avanti e si passò una mano sul viso. "Ti ha detto Arti che ero qui?"

Lei scosse la testa, incamminandosi insieme a lui. "Il re ha mandato un messaggero."

I due camminarono per una ventina di minuti senza dire nulla, Apollo seguiva gli animali che sembravano conoscere la strada verso casa meglio di lui.

"Volevo evitare che mi vedessi così." borbottò.

Lei giocò con i lembi della propria tunica: della stoffa leggera fermata sulla spalla da una spilla, che le lasciava le gambe libere per qualsiasi movimento.

Camminarono per pochi altri minuti, poi la figlia di Poseidone fu costretta a rallentare gradualmente il passo.

"Questo corpo mortale è inutile. Devo stare attento a tutto per evitare di farmi male." Si lamentò l'ex dio.

Lei sorrise "È così che funziona."

"Non per me." Rispose lui grugnendo.

Lissandra si morse le labbra, non sapendo come rispondere.

Già, quando si era abituati a schioccare le dita e ottenere tutto ciò che si desiderava, ritrovarsi a non poterlo più fare e a dover sottostare ai limiti anche solo fisici del corpo umano poteva essere una tortura.

Quando videro le stalle, dietro il palazzo, dove il re di Fera li stava aspettando, Apollo alzò lo sguardo dai propri piedi, ricominciando a contare le pecore, per essere sicuro che ci fossero tutte.

Arrivato a quaranta ringhiò.

"Stai bene?" chiese lei, notando l'ansia sul viso dell'amico.

"Ti sembra che stia bene?" lui si girò di scatto verso di lei, con espressione furente. "Sono mortale perché ho difeso mio figlio. E quello stupido ragazzino mi ha rubato le pecore!"

La ragazza alzò le sopracciglia, non capendo. "Aspetta." Lo prese per un braccio, costringendolo a fermarsi, mentre i cani conducevano le pecore all'interno della stalla.

Vide con la coda dell'occhio il re, così come alcuni altri pastori e inservienti, sussultare a quell'affermazione.

"Di chi stai parlando?"

"Del mio nuovo fratello!" Apollo grugnì, rimettendosi a contare.

"Il figlio di Maia?" chiese lei.

"Quel farabutto mi ha rubato le pecore ed è scappato via. Zeus lo ha promosso dio dei ladri. E non me le vuole restituire, quel bambino viziato." Spiegò lui, sbrigativo.

La figlia di Poseidone scosse la testa, cercando di nascondere un sorriso.

Aveva sentito parlare del figlio di Maia, Ermes.

Il bambino, a detta sua un modello di birichinate provetto, riusciva molto spesso a sfuggire dal controllo della madre, cosa che succedeva ogni mese, da quello che aveva capito, e finiva per tornare a casa solo dopo aver combinato qualche marachella.

Non si sarebbe stupita se fosse diventato anche il dio degli scherzi.

"C'è qualche problema?" chiese Admeto avvicinandosi alla coppia, avendoli visti gesticolare animatamente.

"Ificle ha detto che mancano quindici pecore."

Apollo si mise le mani tra i capelli, facendo un verso molto simile ad un miagolio di disperazione.

"Odio essere mortale." Si lamentò.

Il sovrano lo guardò, annuendo comprensivo. "È più dura dover fare tutto da soli, lo so. Ma stai facendo un ottimo lavoro."

"Mhmmm". Rispose intelligentemente il figlio di Zeus, calciando un sasso.

"Hai perso le pecore?" chiese il re.

"Non le ho perse. Quel bambino viziato di mio fratello le ha rubate." Puntualizzò l'ex dio "E questo corpo non è fatto per la corsa. Il furfante è volato via con i suoi stupidi sandali."

"Dei." La figlia del dio del mare si coprì la bocca con le mani e fece alcuni passi avanti e indietro.

Il re aprì la bocca e poi la richiuse "Tuo fratello..."

"Ermes."

"Se è un dio che le ha prese, non credo si possa fare molto..."

Apollo si lamentò di nuovo, guardando il cielo con rabbia "Sono stato obbligato a servirti. Se non riuscirò a portare a termine il compito che mi hai assegnato la mia pena si prolungherà." Indicò le nuvole con rabbia "È questo che volevi?" gridò verso il padre.

Il cielo rimase sereno, come se il re degli dei non lo stesse nemmeno ascoltando.

La figlia di Poseidone si avvicinò all'ex dio, guardando verso l'alto.

"Ragazzo, non devi disperarti, davvero. Se gli dei vogliono così, così dovremo fare." Disse il re mettendo una mano sulla spalla del giovane.

"Facile, detto da un mortale."

"Perchè è quello che sono." Il sovrano gli sorrise, prima di incamminarsi verso il palazzo e lasciarli soli.

Un belato fece voltare i due giovani di scatto verso il prato.

Un bambino dai capelli castani stava a gambe divaricate e con le mani dietro la schiena a pochi metri da loro. Aveva su viso un'espressione vispa e, anche se non avrà avuto più di dodici anni, li guardava dall'alto in basso.

Intorno a lui stavano a pascolare alcune pecore con i rispettivi agnelli.

Apollo spalancò gli occhi "Tu!" esplose il biondo, scattando verso di lui.

La figlia di Poseidone ringraziò che il dio fosse un semplice mortale, perché riuscì a bloccarlo in tempo prendendolo per le spalle prima che si avventasse sul bambino. "Ehi, aspetta un secondo!"

"Aspettare? Vieni qui, dio dei miei stivali!" si dimenò il biondo cercando di sgusciare via dalla presa della ragazza.

"Zeus mi ha ordinato di riportarti gli animali." Borbottò il ragazzino.

Apollo si bloccò di colpo e la ragazza tirò un sospiro di sollievo.

"Zeus?" chiese l'ex dio.

Il piccolo annuì. "È il re degli dei." Sbuffò. "Hai fatto la spia."

"Non ho fatto la spia, ho solo inveito a gran voce contro di te per tutto il giorno." Ringhiò il figlio di Leto.

"A cosa ti servivano le pecore?" chiese la figlia di Poseidone continuando a stringere un braccio di Apollo.

"Mi annoiavo." Il piccolo si strinse nelle spalle. "Ero nei paraggi e ho visto un mortale distratto."

"Ti annoiavi." Ripeté lei.

"È stato divertente." Ermes sorrise con occhi vispi "Non avevo mai visto un mortale correre in quel modo."

"Ragazzino, ridammi quegli stupidi animali." Apollo lo indicò con un dito "O appena torno ad essere un dio non sai come ti riduco."

"Ora non sei un dio." Sottolineò il figlio di Maia.

Un tuono squarciò il cielo.

"Che rottura." Disse spingendo una pecora verso Apollo. "Ecco."

Il biondo sorrise "Oh. Bene." Guardò le pecore trotterellare intorno a lui.

"Quindi siamo a posto?" chiese la figlia di Poseidone. "Tutto risolto?"

Apollo, che si era messo a contare, aggrottò le sopracciglia "Ne manca una." 

Ermes sorrise, sghembo, dondolandosi sulle proprie gambe "Ne ho uccisa una, mi serviva la pancia."

"Ne hai..." Apollo scattò di nuovo in avanti e la ragazza, ancorata al suo braccio, questa volta venne tirata di peso verso il piccolo dio.

Ermes tirò fuori da dietro la schiena le mani, mostrando che cosa aveva nascosto per tutto il tempo.

"E quello cos'è?" chiese la ragazza quando il figlio di Leto piantò i piedi a pochi centimetri da quelli del fratellastro, facendola scivolare in avanti.

"L'ho chiamato lira." Disse il ragazzino e, toccando le corde dello strumento, produsse una serie di suoni sconcatenati tra loro.

Gli occhi di Apollo si accesero di curiosità. "E come funziona?"

Ermes fece un sorrisetto vispo "Crei dei suoni toccando le corde, bello vero?" chiese muovendo le dita sulla lira.

Apollo tese le mani "Posso provare?"

Ermes abbracciò lo strumento "Certo che no, l'ho appena inventato."

"Non lo sai usare." Puntualizzò il biondo.

"E tu si?" chiese Ermes assottigliando lo sguardo.

"Dai qua." Disse Apollo strappandogli lo strumento dalle braccia.

Come se lo avesse fatto altre mille volte prima, sistemò la lira tra le braccia e iniziò a pizzicare le corde in un ordine diverso da quello che aveva usato Ermes, producendo suoni sempre più gradevoli, fino a creare una sinfonia.

Quando finì di suonare, l'ex dio sorrise. "Visto?"

La figlia di Poseidone, che aveva assistito all'intera scena in silenzio, si mise una mano sul viso e borbottò un "Dei." Un misto tra un'imprecazione e una richiesta d'aiuto.

"Sembra fatto apposta per te." Rispose il ragazzo più giovane. "Mi chiedo se..."

"Cosa?" chiese Apollo guardando la lira con occhi sognanti, riprendendo a suonare piano una melodia armoniosa e delicata.

"Ti propongo un accordo." Disse Ermes "Io ti do la lira e tu mi dai le pecore che ho rubato." 

Apollo rimase in silenzio per qualche minuto, fissando lo strumento che aveva tra le mani e alternando, ogni tanto, lo sguardo dalla lira alle pecore.

"Non posso." Disse alla fine "Se lasciassi rubare le pecore vorrebbe dire che non ho saputo svolgere il mio compito e Zeus prolungherà la mia pena."

"Ma noi faremo uno scambio. E tu potrai allietare il re mortale con i tuoi suoni melodiosi." Rispose Ermes sorridente.

"Musica."

"Come?" chiese il piccolo dio.

"La chiamerà musica. Va bene, le pecore per la lira." Acconsentì Apollo porgendo la mano al fratellastro.

"Ci so proprio fare." Si disse il figlio di Maia prima di sparire insieme alle pecore.

Apollo ammirò la propria lira, contento dello scambio appena avvenuto, e poi si girò verso la figlia di Poseidone, che lo stava guardando con disappunto.

"A cosa ho appena assistito?" chiese lei assottigliando gli occhi e piegando la testa di lato.

"Ho inventato la musica, dolcezza. E quando tornerò immortale ne sarò il dio." Gongolò lui.

Lei schioccò la lingua, perplessa. "Sai che quel ragazzino ti ha appena raggirato vero?"

"Oh, ma a me piace sul serio. Ho un talento naturale." Disse il giovane muovendo veloce le dita sulle corde.

"Può anche essere il dio degli scambi, non mi interessa. Ora, che cosa ti va di ascoltare?"




 

Prima di tutto, lo so che Fere è a nord della Tessaglia e Corinto è molto più giù, so perfettamente che tre settimane sono troppo poche per percorrere tutta quella strada a cavallo, ma mi sembrava troppo lungo scrivere, non so, due mesi di strada. Quindi facciamo finta che sia più vicina.

Seconda cosa, ci sono diverse versioni su cosa succede ad Apollo a Fere: una versione dice che si è occupato dei cavalli di Admeto, un'altra che Ermes da bambino gli abbia rubato le pecore e costruito una lira (si parla anche di un guscio di tartaruga) e che, poi, consegnandola ad Apollo in cambio delle pecore, siano diventati dei del commercio e della musica. In mito della nascita di Asclepio vuole, invece, che sia stato proprio Ermes a tirarlo fuori dal ventre della madre.

Quindi so che ci sono delle incongruenze, ma ho scelto le versioni che meglio si adattavano a quello che volevo fare con la storia.

Ringrazio tutti i lettori silenziosi, immagino abbiate letto le due storie precedenti a questa. Spero vi abbia fatto piacere ritrovare un aggiornamento, anche se aggiornamento non è proprio la parola giusta visto che è un prequel, di questa serie dopo... ormai credo siano 7 anni da quando ho pubblicato il primo capitolo di Blood Brothers. Beh, grazie di continuare a leggere.

 

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Capitolo 5
*** E questo cos'è? Pt.1 ***


E questo cos'è?
 

Apollo trovava le feste sull'Olimpo estremamente divertenti: il giovane Dioniso faceva in modo che tutti avessero i boccali sempre pieni, le sue sorelle cantavano, ballavano e suonavano gli strumenti che aveva inventato o migliorato e giovani ninfe o divinità minori erano sempre felici di essere a sua completa disposizione.

Il dio si guardò intorno, soddisfatto della musica, allisciandosi il chitoniskos con una mano e stringendo la sua kylix con l'altra. Mosse lentamente lo sguardo, cercando una ninfa di suo gradimento tra le giovani ancelle delle dee presenti, quando gli occhi gli caddero su una figura di sua conoscenza. O meglio, su una figura di sua conoscenza non meglio etichettabile – avrebbe usato parole sgradite a sua madre – di spalle, poteva distinguere perfettamente l'arco d'oro e le frecce di metalli diversi in quella sua stupida faretra, e i capelli scuri disgustosamente fluenti.

Apollo storse il naso, girandosi dalla parte opposta di Eros e dirigendosi verso la propria gemella. Fu felice di attirare su di sé lo sguardo di molte – anche se non gli sarebbe dispiaciuta un'avventura con quel giovane coppiere dagli occhi blu che stava servendo sua sorella – giovani spiriti della natura.

"Fratello." Lo salutò la dea della caccia fulminando con lo sguardo il ragazzo che le aveva appena versato il succo d'uva diligentemente annacquato per non finire, a detta sua: "Come una mandria di debosciati perversi e ubriachi."

"Arti." Apollo si sedette al fianco della sorella, sulla panchina di marmo al margine dell'enorme terrazza.

"Come mai sei venuto da me?" chiese la dea, guardandolo di sottecchi.

"Non posso fare compagnia alla mia sorellina annoiata?" prese un lungo sorso di vino, assaporandolo prima di deglutire. Wow. Dioniso c'era andato pesante, quella sera.

"Sono nata prima io, scemo." Artemide gli diede un pugno sul braccio. "Da chi stai scappando?"

"Perché dovrei scappare?" Apollo si girò di scatto verso di lei, per guardarla in faccia.

"Fai sempre quella faccia quando vuoi evitare qualcuno." Lei si strinse nelle spalle. "Stringi gli occhi, ti si arrossano le orecchie, fai quella smorfia con..."

"Si si ho capito." Il fratello mosse veloce la mano davanti a lei, come per scacciare un insetto. "C'è Eros."

La dea della Luna si passò la lingua sulle labbra. "Non ti è ancora passata?"

"Certo che mi è passata. Dafne è un albero e suo padre è ancora disperato." Incrociò le braccia. "Odio l'amore."

"Mi pare che tu abbia provato a stuprarla, non c'è da stupirsi che quella ragazza fosse disperata..."
"Ma non è stata colpa mia!" sussurrò Apollo tra i denti.

"Se avesse pregato me, invece che nostro padre o il suo, ti avrei volentieri preso a sberle personalmente." La dea della Luna sorrise.

"Se avesse pregato te, l'avresti accolta tra le Cacciatrici e io mi sarei trovato senza palle." La corresse lui, facendo un leggero sorriso.

I gemelli rimasero in silenzio per qualche minuto, osservando le divinità chiacchierare o flirtare tra loro: vide con la coda dell'occhio Afrodite e Ares su un divanetto per niente appartato amoreggiare esplicitamente mentre Efesto, dal lato opposto della veranda, faceva braccio di ferro con un ciclope. Vide suo padre cercare di fare la corte ad una ninfa niente male – non era quella con cui era stato lui, tipo, un'ora prima? – che sembrava apprezzarne le attenzioni.

Artemide gli toccò il braccio e Apollo voltò lo sguardo verso una coppia, un cratere ormai vuoto era stato messo vicino a loro – probabilmente non era stato nemmeno diluito – e aprì la bocca per lo stupore, guardando zio e sorella che inequivocabilmente si stavano baciando con tanto di effetti sonori e lingue nelle gole altrui – non era ancora tramontato il sole, come facevano ad essere già sbronzi? –.

"Sono..."

"Si." Rispose Artemide altrettanto scioccata, mentre fissava Poseidone e Atena baciarsi senza alcun ritegno nell'angolino più appartato della terrazza, sempre che ce ne fossero, lì sull'Olimpo, luoghi appartati.

"Ermes o Dioniso?"

"Non ne ho idea." Disse Artemide distogliendo lo sguardo e cercando quello dei fratelli nella grande sala.

Vide Ermes nascosto dietro ad una colonna fissare, forse non così discretamente come pensava, visto che la dea della Luna lo vedeva perfettamente dalla sua panchina, i due dei mentre Dioniso sogghignava alle sue spalle.

Apollo sorrise, felice, facendosi servire ormai la quarta coppa di vino dal giovane e attraente coppiere alle sue spalle.

"L'hai mescolato con qualcosa, prima di berlo?" chiese la dea.

"Non lo so, ma è estremamente buono, direi che ne prenderò ancora." Disse facendo segno al coppiere di passargli la brocca. "E poi sai che non reggo come un semplice mortale."

Artemide guardò il fratello intensamente, come se stesse per dirgli qualcosa di importante, prima di alzarsi in piedi "Perché non vai a divertirti?" chiese prendendolo per le mani e tirandolo in piedi di peso. "Tra poco devo unirmi alle Cacciatrici, c'è questa manticora che spaventa i mortali in Epiro."

Apollo si lasciò tirare dalla sorella, senza opporre resistenza.

"Non posso occuparmi di te per tutta la sera." Aggiunse la dea.

"Non ho bisogno che ti prenda cura di me." Rispose lui "Ma vorrei evitare di vedere quel dio ogni volta che mi giro. Non ha gente da disturbare con le sue stupide frecce?" indicò con il mento la direzione dove aveva visto il figlio di Afrodite l'ultima volta, ma il dio era sparito.

"È di là." Lo corresse Artemide prendendogli il mento tra le dita e girandogli la testa dalla parte opposta.

Apollo spostò lo sguardo intravedente la chioma scura del figlio di Afrodite tra la folla. Sorrise, felice che il dio dell'amore si fosse allontanato dal gruppetto di ninfe che aveva puntato all'inizio di quella serata, per poi bloccarsi e riportare lo sguardo su Eros.

"Eh no, eh."

Fissò con più attenzione il dio dell'amore, cercando di vedere con chi stesse parlando, certo di aver intravisto una figura conosciuta.

"Ci vedi così male?" chiese la dea dopo qualche secondo, notando lo sguardo fisso del fratello.

Lui fece una smorfia, da quell'angolazione non riusciva a capire. Quell'idiota aveva delle spalle favolosamente e irritabilmente larghe.

"Io muoverei il culo, se fossi in te." Disse Artemide togliendogli coppa e brocca dalle mani e spingendolo con una spallata.

"Mhmpf." Rispose lui attraversando a grandi falcate la terrazza, facendosi largo tra giovani adoranti e ninfe dei boschi che lo ringraziavano per il nutrimento che ogni giorno il Sole gli forniva. Il dio del Sole si fece apparire arco e faretra dorate sulle spalle, la corona d'alloro sul capo e un chitone con pregiati ricami d'oro che gli lasciava libero il busto. 

"Dolcezza." Si intromise nella conversazione del dio dell'amore cingendo le spalle della figlia di Poseidone con un braccio e guardando dall'alto in basso il suo interlocutore.  "Ti stavo cercando."

Lissandra sussultò al contatto improvviso con la pelle bollente del dio, ma non lo scacciò. "Non è vero." Rispose sorridendo e guardandolo di sottecchi.

"Certo che è vero. E guarda con chi ti trovo." Disse lui, non distogliendo lo sguardo dagli occhi rossi del dio dell'amore.

"Apollo." Lo salutò educatamente Eros, facendo un plateale ed eccessivo inchino dispiegando le ali. Quando si alzò il dio sorrideva, malizioso. "Sono anni che non ci vediamo."

"Eros."

"Avevi bisogno di qualcosa?" chiese la figlia di Poseidone quando si accorse che nessuno dei due dei aveva intenzione di parlare.

"Di te." Rispose lui troppo velocemente. Spalancò gli occhi, affrettandosi ad aggiungere "Lontano da arcieri di serie b."

Eros lo guardò impassibile, ma un guizzo di comprensione gli attraversò lo sguardo. "Io centro sempre il bersaglio che mi sono prefissato." disse, portando la mano nella faretra e pescando una freccia semplice, argentata, dalla punta rossa come i suoi occhi.

Apollo fissò la freccia incantato, per poi stringere più a sé la semidea senza accorgersene.

"Evita di usarla, quella." Disse la figlia di Poseidone indicando la freccia che il dio teneva in mano. "Ci sono abbastanza accoppiamenti in questa stanza."

"Questa." Spiegò Eros, sfiorandone la punta con l'indice. "È ciò che sono."

Apollo alzò gli occhi al cielo. "Sei enigmatico."

Il dio alzò e abbassò le spalle "L'amore lo è, all'inizio."

"L'amore è un'invenzione dei mortali che non vogliono rimanere soli." Rispose Apollo. "Si creano l'illusione di amare qualcuno per paura della solitudine."

"Se fosse un'illusione, lui non sarebbe qui." Puntualizzò Lissandra.

"Quello che voglio dire." Apollo si passò una mano sul viso, irritato "È che l'amore per i mortali è quella che per noi è semplice attrazione, una forte amicizia, passione fisica. Stai bene con una persona, inconsapevolmente la cerchi in ogni modo possibile. Loro lo scambiano per amore, perché hanno poco tempo a disposizione."  Affermò il dio del Sole, abbassando il braccio dalle spalle della figlia di Poseidone fino ai suoi fianchi, accarezzando la stoffa del chitone blu. Lei lo guardò, incerta, per quel gesto così – troppo – intimo.

Inaspettatamente, Eros rise. "Il desiderio, la passione, l'attrazione mentale e fisica sono più pericolose della morte. La mia controparte..." indicò Thanatos, intento a segnare dei nomi sul proprio papiro "... è molto meno dolorosa di ciò che io rappresento." 

Il dio del Sole assottigliò gli occhi. "So che è doloroso, grazie per avermelo fatto provare così approfonditamente."

"Tu potevi evitare di prendere in giro il suo lavoro." Commentò Lissandra.

"Tesoro, lui per vivere tira le frecce a chi non ha il coraggio di dichiararsi." Rispose lui a tono.

Eros piegò la testa di lato "C'è chi ha bisogno di una spinta." Disse guardando entrambi e stringendo la freccia dalla punta scarlatta. "E chi invece riesce a fare da solo." Aggiunse spostando brevemente lo sguardo sui propri genitori.

Apollo seguì il suo sguardo, così come la figlia di Poseidone, per poi spostarlo verso Poseidone e Atena. "Potresti non immischiarti in affari che non..."

"Mi riguardano?" finì per lui. "Si dà il caso che sia esattamente il mio campo di competenza."

Eros aprì le ali, stiracchiandosi. "Mia moglie crede che io sia un mostro." Aggiunse. "Ma l'amore a volte può esserlo."

"Tua moglie?" il dio del Sole lo guardò, sorpreso.

"È mortale." Spiegò Lissandra. "Prima stavamo parlando di come farla sentire a suo agio visto che non è, sai, una dea." 

"Con lei non mi serve usare questa." Disse Eros accarezzando la freccia che ancora teneva in mano. "So che il nostro è vero amore. È raro, ma esiste."

"Perché quella è diversa dalle altre?" chiese la semidea, notando che il dio continuava a rigirarsi la freccia tra le dita. "Di solito usi il piombo o l'oro."

Amore sorrise, come se improvvisamente qualcuno gli avesse fatto la domanda giusta. "Questa è un dono." Disse.  "L'ho usata solo su una coppia, fin'ora."

Contemporaneamente, Apollo e Lissandra fecero un passo indietro, cercando di allontanarsi da quell'arma pericolosa. Gli occhi di Eros guizzarono tra i due, scrutandoli profondamente.

Apollo si grattò il collo, probabilmente una delle stupide api per cui Demetra stravedeva negli ultimi tempi lo aveva scelto come bersaglio. All'improvviso la feccia che aveva in mano scomparve, trasformandosi in una manciata di polvere rossa che si disperse nell'aria circostante.

"Il sole è tramontato." Disse Eros guardando il cielo.

"Elio è sempre felice di sostituirmi." Rispose sbrigativo il dio del Sole.

"Vai da Psiche?" chiese la ragazza ignorando il biondo.

Eros annuì. "Mia moglie vuole stare con me tutte le notti, a luci spente. Per ricordare com'è iniziato il nostro matrimonio." Spiegò le ali, sorridendo in modo glaciale. "Ci vorrà un po'." Aggiunse guardando negli occhi il dio del Sole prima di sparire in un battito d'ali.

Apollo sussultò per il cambiamento d'aria, ma fu felice che il dio dell'amore si fosse tolto di torno.

"Interessante." Commentò dopo un po' la ragazza, trattenendo un evidente sorriso.

"Eros?" chiese Apollo volandosi a guardarla di scatto. Eros interessante? Un arciere che si divertiva a giocare con i sentimenti delle persone e dava risposte senza senso era interessante?

Lissandra scosse la testa, ridendo apertamente. "Tu." Disse. "Mi stai tenendo stretta da quando sei arrivato."

Apollo si mise davanti a lei, mettendole le mani sulle spalle "Questo perché non sopporto che uno come Eros si avvicini alle cose a cui tengo."

"E' strano, ma non mi sembra tanto male." disse lei ruotando la testa.

Apollo si ritrovò a fissare improvvisamente le labbra della ragazza, rendendosi conto solo in quel momento quanto fossero invitanti. Non era la solita sensazione di quando aveva voglia di baciare qualcuno, questa volta si sentiva quasi... Scosse la testa, spostando lo sguardo sugli occhi. Dei, quand'è che erano diventati così luminosi?

"Lo ha detto lui stesso. È un mostro. E non sopporto che giochi con i sentimenti delle persone."

Lei si morse un labbro, per poi rispondere "I sentimenti delle persone o i tuoi?"

Apollo si sentì in dovere di trattenere il respiro, fissando il labbro dell'amica e desiderando per un momento di morderlo lui stesso. Sbattè le palpebre più volte, razionalizzando il pensiero che aveva appena fatto. Com'era possibile? Erano anni che la voglia di portare a letto la figlia di Poseidone era svanita, voglia che, all'inizio, lo aveva spinto a chiederle solamente un'avventura di una notte, come faceva con tutte le ninfe e le mortali di suo gradimento.

Il dio ringhiò, distogliendo lo sguardo dal viso della ragazza e facendo alcuni passi indietro. "Andiamo a scollare tuo padre e mia sorella, prima che Atena infranga il suo giuramento." disse scattando verso i due dei e facendo segno all'amica di seguirlo.

"Non hai risposto alla mia domanda." Lo rimbeccò lei ridendo, facendo alcuni passi per seguirlo verso Poseidone. Apollo si voltò di scatto verso la parte opposta della veranda, accorgendosi di aver appena posato lo sguardo sulle curve della semidea.

Dei, fino a dieci minuti prima era sicuro di reputarla una bella ragazza, di poterne ammirare felicemente le forme, occasionalmente, ma di sicuro la voglia di averla non c'era.

"E allora? Forza, tesoro, prima che sia troppo tardi!"

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Capitolo 6
*** E questo cos'è? Pt. 2 ***


E questo cos'è? pt. 2
 

Apollo strinse i pugni attorno al proprio arco, fino a far sbiancare le nocche. Spostò lo sguardo sulla dea della saggezza mentre con passo incerto camminava verso le scale che davano l'accesso alla terrazza su una delle vette più alte dell'Olimpo, quando la dea inciampò – Apollo era sicuro che se avesse lasciato la lancia, lo scudo e l'alto cimiero avrebbe avuto più possibilità di rimanere in piedi – la dea venne prontamente assistita da un paio di satiri, che cercavano ormai, da ore, di riportarla alla sua reggia.

Il dio del Sole decise che Atena era ormai salva – perché diamine doveva essere lui quello responsabile ad una festa? – e diresse lo sguardo sullo zio. Poseidone era in piedi, più o meno, sostenuto dalla figlia, leggermente in difficoltà, che cercava di scacciare con il proprio tridente le nereidi e i membri del proprio seguito.

"Padre." Lo richiamò Lissandra. "Per favore, lascia che queste gentili ragazze ti riportino a casa." Apollo storse il naso, ormai aveva sentito quella frase una ventina di volte e in nessuna il dio aveva deciso di ascoltare le richieste della figlia.

La mora sbuffò, cercando di sistemarsi meglio il braccio del dio sulle spalle e rivolse ad Apollo una muta richiesta d'aiuto.

Il dio del Sole strinse l'arco con entrambe le mani, sentendosi estremamente nervoso. Nell'ultima mezz'ora, tempo che ci era voluto per staccare le bocche dei due eterni rivali, si era ritrovato più volte a cercare lo sguardo, o anche solo la presenza, della principessa del mare. Si era accorto, anche, che più le stava vicino, più il suo profumo salmastro gli invadeva le narici, azzerando tutti gli altri odori.

Gli occhi della ragazza – dei, da quando erano così luminosi? – lo squadravano dalla testa ai piedi, mentre gli faceva segno con la testa di andare a prendere Dioniso, cosicché li aiutasse a fare ragionare il dio del mare.

Il dio sussultò, voltandosi in cerca del dio del vino. Ecco, avrebbe avuto qualcosa da fare e si sarebbe anche potuto allontanare da lei. Camminò a grandi falcate verso il fratellastro, disteso sull'erba assieme alla sua sposa immortale. Scacciò con malagrazia un satiro che giocava con un... cos'era? Una gamba umana, no, una coscia di giovenco?

Che schifo. Pensò il dio del sole, sorpassando il satiro e le baccanti, ebbre e infervorate, che si muovevano al ritmo di tamburelli e percussioni.

"Risolvi quel casino." Disse Apollo senza preamboli e indicando Poseidone che aveva iniziato a giocare con l'acqua dell'enorme fontana, mentre sua figlia e un paio di naiadi cercavano di farlo rinsavire. Apollo deglutì, mentre gli occhi si soffermavano sulle forme ormai molto evidenti della mora, bagnata dalla testa ai piedi, il chitone aderente sul proprio corpo.

"Quale casino?" chiese Dioniso allungando lo sguardo verso il dio del mare, mentre masticava un chicco d'uva.

"Quello. Poseidone è scandalosamente ubriaco." Disse Apollo senza staccare gli occhi dalla ragazza. Dei.

"E?" Dioniso alzò le sopracciglia.

"E Liz sta diventando matta. Così come quelle povere nereidi." Scandì Apollo. "Quindi vedi di fare quello che ti pare, ma fai in modo che nostro zio torni nel suo palazzo."

"Mhmm. Non ne vedo il motivo, arrangiatevi." Disse il dio del vino portandosi alla bocca un altro chicco d'uva. "Poi tu che cosa vuoi da Poseidone?"

Apollo aprì la bocca, non sapendo esattamente cosa rispondere.

Arianna scosse la testa, sorridendo. "Non vuole niente da Poseidone, caro. Non vedi che vorrebbe liberare sua figlia da quell'incomodo? Sai, se suo padre fosse a letto lei potrebbe dedicarsi a qualcun altro..." spiegò la nuova divinità al marito.

"Eh?"

Arianna diede un lento bacio al marito, Apollo spostò lo sguardo verso l'alto, estremamente in imbarazzo.

"Non vedi come la guarda?" chiese la figlia di Minosse. "Potresti aiutarlo."

"Chi guarda chi?" chiese Apollo stringendo gli occhi a due fessure e fulminando con lo sguardo la giovane, che si limitava a guardarlo, sorniona. Insomma, lui non guardava nessuno in nessun modo.

Il dio del vino guardò la moglie, che lo fissava a sua volta in maniera molto decisa. Il dio sbuffò, dopo qualche secondo. Schioccò le dita e, dall'altro lato della sala, Poseidone cadde in un sonno profondo in acqua.

"Tu e i tuoi sguardi." Si limitò a borbottare Dioniso mentre la dea rideva, divertita. "È per questo che mi hai sposato."

Dioniso alzò la sua kylix e questa si riempì di vino. "Ti ho sposato perché hai fatto una scenata."

"Tu mi avevi mollata a Nasso per conquistare l'India, e invece hai conquistato un'indiana." Puntualizzò lei.

"Ma ti ho sposata, alla fine. Fa lo stesso, no?"

"Io... eahm... grazie." Apollo abbassò le spalle ringraziando la dea con un lieve cenno della testa, deciso a lasciare quella coppia il più presto possibile. Girò i tacchi e camminò, veloce, verso il corteo del dio del mare, notando come le nereidi, sotto indicazioni della loro principessa, avevano sistemato Poseidone sulle proprie spalle, decise a portarlo nel suo letto.

"Finalmente." Lo accolse la figlia di Poseidone spostandosi una ciocca di capelli umidi dal viso. "Quell'uomo dovrebbe sposarsi o trovare una babysitter." Lei gli sorrise. "Grazie dell'aiuto."

Apollo le sorrise a sua volta, fissando la giovane dall'alto al basso soffermandosi, forse troppo tempo, sulle curve coperte dalla stoffa bagnata. "Non mi rifiuto mai di aiutare una donzella in difficoltà."

Lei incrociò le braccia al petto e Apollo strinse – di nuovo – l'arco tra le mani, osservando come inavvertitamente la ragazza avesse evidenziato il proprio seno.

Lei lo guardò, stringendo gli occhi fino a farli diventare due fessure. "Stai bene?" chiese piegando la testa di lato, per sottolineare il fatto che ci fosse qualcosa di strano in lui e che lei se n'era accorta.

Apollo scosse la testa, sorridendo e mostrandole quei denti candidi come il sole a mezzogiorno "Certo. Ti accompagno a casa?" chiese lui sporgendosi verso la balaustra di marmo e guardando le nuvole che toccavano le vette del monte. "Sempre che tu non voglia rimanere qui."

Lei si sistemò al suo fianco, scuotendo la testa. Il dio si sorprese ad inspirare a pieni polmoni il profumo della ragazza. Dei, cos'aveva quella notte?

"Sinceramente, non voglio essere nelle vicinanze quando domattina papà si sveglierà con un bel dopo sbronza."

Apollo rise, immaginandosi i maremoti che si sarebbero verificati in ogni specchio d'acqua del mondo mortale e dell'Olimpo stesso.

"Va bene." Disse schioccando le dita.

Apparirono sulla terrazza del palazzo di Efira tra la pioggerellina dorata. Era buio, l'unica luce che gli permetteva di vedere proveniva dal carro della sorella e dalle poche fiaccole appese in giro.

Apollo si voltò verso la ragazza, che si era avviata verso l'entrata della sua stanza.

"Vuoi qualcosa da mangiare?" gli chiese facendogli segno di entrare.

Apollo si passò la lingua sui denti più volte, pensando anche di mordersela per capire se quello fosse un sogno o se solamente fosse diventato matto, per poi scuotere la testa e seguirla all'interno.

In tutti quegli anni, la ragazza non lo aveva mai invitato ad entrare.

"È tardi." Riuscì a dire il dio, guardandosi intorno, curioso. Le pareti erano spoglie, se non si contavano le armi appese su quella di fondo – una panoplia completa – dei bauli contenevano, probabilmente, le diverse tuniche e i chitoni, compresi i gioielli, si trovavano tra una toletta e un paio di scaffali pieni di rotoli di papiro.

Il letto, dall'altra parte della stanza, era coperto da pelli e lenzuola di lino.

Attaccato al muro che ospitava la porta, c'era un tavolo di legno massiccio e lucido, finemente decorato.

Chissà come sarebbe stato poterla prendere lassù....

Il dio sbattè le palpebre, scioccato dal pensiero appena fatto.

Dei, che cos'aveva che non andava la sua testa? Liz non era una ninfa con cui spassarsela.

Il dio si girò verso la ragazza e l'aria gli abbandonò i polmoni come se fosse stata risucchiata via. La figlia di Poseidone era di spalle, certo, ma scandalosamente ed inequivocabilmente nuda, con la tunica umida ai suoi piedi e un corto chitone asciutto in mano.

Porco me.

Il dio scosse la testa più volte, sentendo un forte calore espandersi nel petto.

Non avrebbe dovuto guardare, lo sapeva, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da quel corpo. Ecco a cosa servivano gli allenamenti, le corse con Artemide, il voler usare il cavallo per muoversi da una città all'altra.

"Dolcezza." Balbettò. Dei... dov'era la sua maledetta voce?

"Ti ricordo che mi hai già visto così, quando abbiamo fatto il bagno in quel lago, due anni fa." Disse lei finendo di appuntarsi i lembi della stoffa sulle spalle con due spilloni.

Già, dopo una scampagnata per le montagne dell'Attica si erano fermati in quel laghetto, nascosto tra gli alberi, per rinfrescarsi e detergere il sudore.

Anche quella volta aveva sbirciato e sì, anche quella volta aveva trovato il fondoschiena della semidea molto invitante, ma non così come lo trovava in quel momento. Era... era come se il proprio corpo rispondesse in modo totalmente differente a tutti quei dettagli.

Perché balbettava come una ragazzina?
 

"Si può sapere cos'hai oggi?" chiese voltandosi verso di lui.

Apollo la guardò, sentendosi letteralmente attratto da lei. Non voleva farlo, la sua testa doveva ancora razionalizzare il pensiero e poi decidere di rimanere al proprio posto senza muoversi di un millimetro, ma il suo corpo scelse per lui senza dargli tempo di pensare.

Due falcate e il dio si ritrovò a pochi centimetri da lei e – dei, da quando il suo profumo era così inebriante? Sapeva di mare, porchi dei, mica di fiori – inspirò quell'odore salmastro a piene narici, riempiendosi i polmoni.

Non le diede il tempo di reagire, che le portò una mano dietro alla testa e la baciò.

Quando le labbra si toccarono, il dio sentì chiaramente una scossa attraversare il corpo della ragazza, ma non se ne curò. Morse piano, dopo tutte quelle ore che aveva aspettato per farlo ne aveva bisogno, il labbro inferiore della ragazza, passandoci la lingua poco dopo per sentire il sapore salmastro della sua bocca.

Acquistò un briciolo di razionalità, combattendo contro il bisogno di stringerla a sé, per staccarsi di qualche centimetro e guardarla negli occhi. Chissà, magari lei poteva non essere proprio d'accordo.

Non essere ridicolo. Si disse. Mica ti è arrivato un pugno in faccia.

"Scusami." Disse contro la sua volontà, ignorando quello che il proprio corpo – la propria pelle, dei, sentiva il sangue palpitare per lei su tutto il corpo – gli stava chiedendo.

Lissandra lo guardava con i occhi verdi, le labbra socchiuse e le guance imporporate.
"Apollo..." disse solo. Il modo in cui pronunciò il suo nome gli diede l'impressione di avere la spina dorsale fatta di aria calda. Il fuoco gli ardeva nel petto e tutti i sensi erano concentrati sulla ragazza di fronte a lui: percepiva il calore della sua pelle febbricitante sotto i palmi delle mani, sentiva il suo profumo riempirgli le narici con ogni respiro tremante che prendeva, ma soprattutto la vedeva. Così bella da sembrargli irreale, così bella che avrebbe potuto scambiarla per Afrodite stessa – il fatto che, ai suoi occhi, Afrodite avesse i capelli mori e gli occhi verdi era un dettaglio insignificante – , se l'avesse incontrata passeggiando per le vie della cittadella olimpica.

Apollo era abituato a rimanere immobile per aspettare l'attimo giusto, era un arciere, perdinci, per aspettare il momento esatto in cui lasciare la freccia e centrare il bersaglio. E, anche dopo aver scoccato la propria freccia, era abituato a rimanere immobile per ammirare il proprio operato da lontano. Ma ciò a cui non era abituato era ritrovarsi perfettamente immobile senza impazzire, del tutto concentrato su un solo obiettivo così vicino. Gli sembrò che il campo visivo gli si restringesse sul volto di Lissandra e sulle sue labbra piene mentre tutto quello che c'era nella periferia del suo sguardo si appannava.
Non si era mai sentito così attratto e desideroso di avere una persona, che non si era mai sentito così sicuro come in quel momento.
Rafforzò la presa sulle spalle della ragazza e l'attirò a sé. Ebbe il tempo di pensare che, forse, in quel turbinio di sensazioni per niente razionali, qualcosa che non andava ci fosse. Poi le labbra della figlia di Poseidone incontrarono le sue e non pensò più a nulla.

Il baciò iniziò come una pressione gentile delle labbra, ma si fece presto urgente. Apollo sentì le mani della ragazza circondagli i fianchi, poi salire urtando la faretra che aveva ancora ancorata sulle spalle e infilarsi nei suoi capelli. Con una leggera pressione sul proprio collo, si accorse che la ragazza si era messa in punta di piedi, per poter avere un accesso migliore alla sua bocca e non farlo stare con il collo piegato.

Lui le portò una mano sulla schiena, avvicinandole il più possibile la testa alla propria con l'altra.

Si ritrovò in breve spinto verso il letto mentre la figlia di Poseidone posizionava le gambe ai lati delle sue, prendendo pieno controllo della situazione.

Apollo, sentendo la pressione che la ragazza stava facendo con il proprio corpo sul suo, seguì le indicazioni accomodandosi sul materasso di piume, spostando allo stesso modo il corpo della mora per farla salire sulle proprie gambe e trovarsi in una posizione perfetta per continuare il bacio.

Apollo lasciò scivolare le mani dalle spalle della ragazza lungo la sua schiena, giù fino all'orlo del chitone – splendidamente in basso – scoprendo che gran parte della pelle era stata lasciata libera dalla stoffa.

Il contatto con la pelle nuda della ragazza non fece altro che rifocillare il fuoco che gli bruciava dentro; la figlia di Poseidone gemette contro la sua bocca quando lui le sfiorò i glutei e Apollo la considerò un'occasione perfetta per farle scivolare la lingua tra le labbra dischiuse. Contemporaneamente a lei, il dio si lasciò scappare un leggero gemito dal fondo della gola.

Il ragazzo sfruttò la presa sulla schiena della ragazza per spingerla contro di sé, portandola ancora più vicina mentre la bocca di Lissandra si muoveva sulla sua, le lingue che si accarezzavano urgentemente.

Il figlio di Leto le mise le mani sui fianchi scendendo fino alle cosce e risalendo con le mani le gambe da sotto il chitone, fino ad arrivare ai fianchi nudi, spingendola delicatamente ad arretrare con il busto per interrompere il bacio e guardarla negli occhi. La teneva incatenata con lo sguardo e quando le si avvicinò ad un soffio dalle labbra, muovendo i pollici per accarezzare la porzione di pelle su cui aveva poggiato le mani, sentendola tremare sotto quel semplice tocco, Apollo la baciò come se avesse aspettato quel momento per tutta la vita; le sua labbra si muovevano morbide su quelle della ragazza mentre con la lingua le esplorava la bocca, le mani che vagavano per il suo corpo lasciando una scia di fuoco.

Lei smise di passargli le mani sui capelli e stringergli la parte bassa della testa per sfiorargli le spalle, vagare sul petto e fermarsi sulla cinghia della faretra. Apollo si sentì sfuggire un gemito di disappunto quando lei lasciò le sue labbra per dedicarsi troppo lentamente alla cinghia, progettata da Efesto appositamente per non aprirsi a meno che non fosse lui stesso a volersi sfilare l'arma.

"Aspetta." Il dio le sorrise, sfilando una mano da sotto il chitone bianco e con l'aiuto di pollice e indice aprire di scatto la cinghia.

Lei si lasciò sfuggire un sonoro sbuffo, mentre prendeva la faretra e si piegava per appoggiarla delicatamente a terra senza far cadere né arco né frecce. "Potevi farlo prima."

Apollo rise e senza darle il tempo di rigirarsi prese a baciarle il collo, giù fino alla clavicola; sentì il graffio delle sue unghie sulla schiena quando il ragazzo afferrò una piccola porzione di pelle ed iniziò a succhiare. Le afferrò la mano che – senza rendersene conto – Lissandra gli aveva poggiato sul petto e la guidò verso la parte bassa della propria schiena, lasciandole una scia di baci sul collo cercando di riprendere possesso della sua bocca.

Ma la ragazza girò velocemente il viso, per dargli un bacio molto, troppo lento, sull'angolo della bocca.

Apollo sentì la testa leggera, mentre lei scendeva succhiando e baciando il mento, il collo, fino a scendere verso la clavicola.

Stava per dare un colpo di reni e voltarsi su un fianco con l'intenzione di capovolgere le posizioni quando lei si bloccò.

"E questo cos'è?" sentì chiedere con voce ferma e decisa, mentre gli spingeva in basso la testa – dei, praticamente aveva il viso nel suo seno – e si avvicinava ancora di più – come se fosse possibile – per poter vedere meglio quello che il dio aveva sul collo.

"Cosa?" chiese lui, con la voce tremante, mentre ammirava le forme della ragazza a distanza ravvicinata.

"Hai un segno qui." Disse lei toccando un punto preciso sul suo collo.

"Si chiama succhiotto." Sentenziò lui, portandole le mani sui fianchi e baciandole la clavicola, per poi scendere verso il seno.

La sentì tremare sotto il suo tocco per qualche secondo, ma poi lo prese per le spalle e di forza lo costrinse ad alzare lo sguardo.

"No, aspetta."

Tutto si aspettava in quel momento, tranne un così repentino cambio di umore da parte della ragazza.

Lei lo guardava, seria, troppo seria in volto, anche se Apollo lo vedeva chiaramente nei suoi occhi verdi, il desiderio di averlo, di sentirlo.

"È una ferita, ma non sanguina." Spiegò lei indugiando sulle sue labbra, per poi scuotere la testa e guardarlo negli occhi.

"Io non ho ferite." Disse lui per chiudere il discorso tornando a baciarla con passione.

Di nuovo, lei si rilassò sotto al suo tocco, per poi staccarsi di colpo e respirare, indecisa.

"Io..." lo guardò, indecisa sul cosa fare. Scosse la testa e chiuse gli occhi, cercando di ragionare, mentre Apollo la guardava stordito.

"Cosa c'è?" le chiese lui con la voce abbastanza bassa e la bocca così vicina al suo orecchio da sentirla rabbrividire. "Non mi vuoi?" chiese sfiorandole le gambe con le dita e avvicinandosi verso l'interno delle cosce.

La sentì gemere e tremare, ma scosse di nuovo la testa.

"C'è qualcosa che non va." Riuscì a dire, mentre lui le accarezzava le gambe.

Apollo la baciò sulla guancia, rimanendo a contatto con la sua pelle per qualche secondo. "Tesoro, io ti voglio e tu mi vuoi, cosa c'è che non va?" la baciò di nuovo.

Lei tentennò, tremante, spingendosi sulle le ginocchia e allungandosi di nuovo sul suo collo e toccando la strana ferita del dio.

"Non c'era, prima."

"Prima non ci avevi messo le labbra." Rispose lui, baciandole la spalla.

"Non l'ho fatto io. Non hai sentito niente di strano?" lo bloccò lei, cercando di ignorare le mani del dio che si erano fatte pericolosamente vicine alla sua intimità e la sua bocca che le succhiava la pelle.

"Alla... alla festa. Non è successo niente?" chiese di nuovo.

"Un'ape." Disse Apollo tra un bacio e l'altro, avvicinando la bocca al suo seno. "Mentre Eros avev..." si bloccò.

Il dio sentì la propria pelle bollire, mentre razionalizzava ciò che gli era successo. Lo avrebbe di sicuro ucciso, questa volta. Dei, se Pitone fosse ancora vivo avrebbe potuto lasciare quell'arciere da strapazzo nelle sue grinfie.

Sentì la ragazza fare un profondo respiro, per poi tornare a sedersi completamente sulle sue gambe. Le mani sulle sue spalle.

"Dici che..."

Apollo la guardò, gli occhi arrabbiati, certo, ma aveva le gote arrossate, le labbra gonfie. Si passò una mano tra i capelli, per cercare di rimetterli in ordine.

"Noi..." deglutì.

"Noi." annuì il dio ammirando la semidea che teneva ancora stretta. Per quanto fosse arrabbiato con il dio dell'amore e avesse finalmente capito perché nelle ultime ore vedeva la ragazza sotto una prospettiva diversa, non riusciva a togliere le mani dalle sue gambe.

Dei, sapeva che non era colpa sua, che era tutta una finzione, che nessuno dei due era veramente lucido, in quel momento, ma non riusciva a capacitarsi di quanto ardentemente la volesse.

Vide gli occhi verdi di Lissandra indugiare sul suo corpo, come se non sapesse esattamente cosa fare.

Nemmeno lui lo sapeva.

Apollo si sporse in avanti, appoggiando le labbra su quelle salate di lei, godendosi il suo profumomuovendo le mani sulle sue gambe.

"Non siamo lucidi." Disse lei sulle sue labbra.

"Non è reale." Concordò il dio, per poi succhiarle le labbra, la guancia, il collo, la spalla e portare le mani sugli spilloni che tenevano ferma la stoffa bianca e gli impedivano di poterla ammirare completamente.

Si fermò, recuperando un attimo di razionalità, per capire cosa stesse facendo.

Un bacio, anche se spinto come il loro, era una cosa, ma andare avanti...

Alzò lo sguardo, non sapendo come muoversi.

"Non è reale." Ripeté. Voleva che anche lei lo comprendesse. Non lo volevano davvero, non era colpa loro. Quelle sensazioni che provava, tenendola tra le braccia, erano così forti solamente perché era stato colpito dalla freccia di Amore.

E allora perché con Dafne era diverso?

Lei fece un respiro profondo, muovendo le dita sui capelli di lui, per poi fargli una carezza.

"Lo so." Disse. Si morse un labbro e Apollo credette di poter morire in quell'istante.

Lei scosse la testa. "Non è reale."

La figlia di Poseidone si avventò sulle sue labbra con tanta foga da fargli perdere l'equilibrio. Lissandra gemette contro la sua bocca mentre faceva scivolare la lingua sulla sua, le dita intrecciate nei suoi capelli biondi e il corpo interamente premuto contro quello del figlio di Zeus.

Non è reale. Ripetè per l'ennesima volta Apollo nella propria testa.

Ma gli riusciva difficile crederlo mentre le mani di Lissandra vagavano sul suo petto e la sua bocca gli rubava il respiro. Non era possibile che quel fuoco mai sentito prima d'ora fosse frutto di una freccia di Eros. Ogni tocco, ogni bacio, ogni volta che la sua pelle incontrava quella della figlia di Poseidone gli sembrava di andare a fuoco.

Gli uscì un mugolio di protesta – di cui si sarebbe vergognato, si fosse trovato in una situazione diversa – quando la figlia di Poseidone si staccò dalle sue labbra e gli lasciò un bacio sul naso. La sentì muoversi e fece un grugnito di dissenso quando lei si alzò in piedi, mentre lui era rimasto da solo seduto sul letto.
Aveva fatto bene, non era reale. Non avrebbero dovuto fare nulla. Non si stupì a riconoscere che lui, tutta quella forza di volontà, non l'avrebbe avuta.

Poi lei sfilò le spille che aveva sistemato sugli orli dell'abito e lo lasciò cadere giù dalle spalle muscolose. La stoffa le scivolò lungo il corpo come acqua e si raccolse ai suoi piedi.

Apollo avrebbe potuto passare il resto dei suoi giorni a cercare di ricordare il proprio nome o come si facesse a respirare se la ragazza non si fosse mossa verso di lui, invitandolo ad alzarsi.

Dopo essersi alzata in punta di piedi e averlo baciato lentamente, lei si occupò della spilla che fermava il chitone del dio, liberando i suoi fianchi da quell'ingombro.

Lui le sfiorò la mano con le dita, mentre ne ammirava le forme. Com'era possibile desiderare così ardentemente una persona e non morirne?

"Sei sicura?" chiese Apollo. "Non voglio fare niente che tu..."

"Credi che sarei qui, nuda, per te, se non lo volessi?" chiese lei facendo vagare le mani sul corpo del dio.

Apollo smise di respirare, sentendosi bollire in ogni punto in cui la ragazza metteva le mani.

"Non è..." riuscì a balbettare. "Non siamo noi che..."

Dei, com'è che la sua testa voleva – no, capiva che era profondamente sbagliato – fermarsi, ma tutto il resto desiderava la semidea?

"Lo so." Disse la figlia di Poseidone prendendo un profondo respiro – ne aveva fatti a dismisura, nell'ultima ora – mentre Apollo guardava estasiato il suo petto alzarsi e abbassarsi.

"Ma ti..." cercò la parola giusta per qualche secondo, guardandolo negli occhi.

"Bramo." Completò lui la frase.

Lei deglutì, rendendosi conto in quel momento di quanto fosse estremamente fuori controllo quello che stavano facendo. Poi lo guardò negli occhi, quegli occhi ambrati che sembravano oro fuso, con una tale decisione che Apollo si sentì bruciare le viscere.

"Una volta." Disse, decisa. "Solamente una volta." Ripeté, Apollo non sapeva se per sottolinearlo a lui o a se stessa. "Ti prego."

Era tutto l'incoraggiamento di cui aveva bisogno: si avventò sulle labbra di Lissandra, poi scese a baciarle il collo, il petto, il seno causandole gemiti e sospiri.

Apollo decise di spingerla verso il tavolo che aveva puntato da quando erano entrati in quella stanza, facendo pressione col bacino e costringendola ad indietreggiare, mentre la baciava con foga. Si staccò quando non potè spingerla oltre, stringendola tra il proprio corpo e il tavolo d'ebano. La guardò da sotto le ciglia umide, i suoi occhi verdi brillavano. "Voltati, Dolcezza". Lo disse con gentilezza, ma la sua voce era ferma come se fossero sul campo di battaglia.

Lei spalancò gli occhi, capendo cosa il dio volesse fare. Piegò la testa di lato, guardandolo di sbieco. "Non se ne parl..." Apollo non la lasciò finire, sfiorandole l'interno delle gambe e risalendo fino all'intimità della ragazza.

"Voltati." Ripetè il dio, muovendo le dita e facendole scappare un gemito. "O io mi fermo."

Lei deglutì, senza fiato, allungando la testa all'indietro e Apollo le baciò il petto, scendendo fino al seno, giocando con la lingua, mentre la ragazza tramava sotto il suo tocco.

Senza smettere di tormentarla, le lasciò abbastanza spazio per potersi muovere. "Voltati." Disse di nuovo, e la semidea gli diede le spalle, appoggiando la testa alla spalla del dio.

Apollo le baciò l'orecchio, il collo, la schiena e sorrise quando un gemito più forte degli altri scappò dalle labbra della ragazza, mentre le sue dita non le davano tregua.

Fece pressione con il busto e la guidò in avanti, mentre lei si appoggiava al bordo di legno, Apollo sentì il cuore gli batteva all'impazzata.

Il figlio di Leto le posò una mano sul fianco e spostando l'altra dall'inguine all'interno coscia e le sollevò la gamba destra, la baciò la spalla e con un unico movimento fluido fu dentro di lei. Lissandra sentì una travolgente ondata di piacere che le fece reclinare il capo, gli occhi spalancati e le labbra dischiuse in un urlo muto. Apollo dovette provare le stesse sensazioni perché lei lo sentì gemere alle sue spalle.

Quando lui cominciò a muoversi, entrambi rischiarono di morire dal piacere.

Finalmente erano tutt'uno. Apollo sentì il fuoco spandersi per il proprio corpo, come se lui fosse stato veramente il Sole, mentre cercava di ricordarsi come respirare.

La figlia di Poseidone inarcò la schiena per garantirgli un'angolazione migliore e Apollo non riuscì a trattenere un gemito.

Il dio tenne un ritmo rapido e preciso che gli le impediva di pensare a qualsiasi cosa che non fosse il braccio del ragazzo stretto intorno alla sua vita o la cantilena spezzata dei suoi respiri, a cui si mescolava il suo nome. Dopo quella che a entrambi parve un'infinità le spinte del dio perdevano regolarità e si facevano più vigorose. Lei si aggrappò alla prima cosa che riuscì a trovare – il bordo del tavolo – e strinse, conficcandoci le unghie, mentre Apollo nascondeva il viso tra le sue scapole e insieme raggiungevano l'apice con un'ultima spinta del dio.

Rimasero immobili per qualche istante, ansimanti ed esausti. La figlia di Poseidone stava per voltarsi verso Apollo – per fare cosa non lo sapeva nemmeno lei; baciarlo, probabilmente – quando lo sentì ridacchiare contro la propria pelle.
"Sbaglio o mi hai pregato?" mormorò, il viso ancora appoggiato alla sua schiena. La baciò in mezzo alle scapole, sorridendo felice.

"Sbaglio o mi hai ricattato?" rispose lei costringendolo ad alzarsi muovendo la schiena. Lo guardò negli occhi, ancora brucianti di desiderio.

Il dio ridacchiò di nuovo e fece un passo indietro, prendendosi tutto il tempo che voleva per ammirare la ragazza che aveva davanti. La ragazza si appoggiò con la schiena al bordo del tavolo, aprendo leggermente le gambe per mettersi più comoda e ricambiò lo sguardo ardente che lui le aveva rivolto.

Una calamita. Ecco cosa si sentiva. Una di quelle cose che si attraevano se messe vicine che Efesto aveva inventato.

Il dio del Sole fece scorrere gli occhi sull'intero corpo della giovane, sentendosi esattamente come prima, se non più bramoso di averla.

Cosa diamine gli aveva fatto quell'arciere di serie b?

"Rimarrai lì tutta la notte?" chiese lei, vedendolo indugiare troppo tempo su proprio corpo.

Apollo le si avvicinò, lasciandole un bacio a fior di labbra e portando le mani sui suoi seni.

"Ti voglio ancora." Disse lui, mentre accarezzava, stringeva e guardava quella pelle così bollente al suo tocco.

"Non è reale." Gli ricordò lei, lasciandosi scappare un sospiro di piacere.

"Stento a crederlo, in questo momento." Apollo continuò il suo gioco, felice delle reazioni della partner, fermandosi solo per baciarla e passare le mani sotto le sue gambe fino ai glutei. "Cosa..."

"Shh." Fece lui alzandola e sistemandosi le sue gambe intorno ai fianchi.

"Essere un dio ha i propri vantaggi." Sussurrò Apollo impossessandosi delle sue labbra.

Lentamente, mentre sentiva le mani della semidea vagare sul proprio petto, sulla schiena, tra i capelli, il dio raggiunse il materasso.

"Una volta sola, avevamo detto." Sottolineò la ragazza tra un bacio e l'altro, mentre si sistemava sul letto e trascinava il dio con sé. "E non siamo pienamente lucidi."

Apollo di distese al suo fianco, poggiando una mano sulla sua gamba e facendola risalire lentamente verso l'alto. "Dimmi di smettere."

"Come?"

"Se non è reale, se sei convinta di non volerlo, dimmi di fermarmi." Disse lui, toccandola di nuovo e godendo i sospiri tremanti che le provocava.

"Posso smettere in ogni momento." Aggiunse avvicinandosi al suo orecchio, il fuoco che aveva nel petto si espandeva fino alla punta dei capelli. "Reale o no, l'unica cosa che voglio, al momento, è averti."

"Questo è un altro ricatto." Commentò Lissandra prima di avventarsi sulle labbra di Apollo; il dio sorrise tra un bacio e l'altro, la bocca gli bruciava da impazzire, le mani sembravano tizzoni ardenti. Il dio fece forza sulle braccia e si posizionò sopra di lei, cercando di non pesarle troppo.

"Devo pregarti, di nuovo?" chiese lei stringendogli i capelli mentre il dio si dedicava al suo collo.

Il figlio di Zeus si avvicinò al suo viso dove le lasciò un bacio a fior di labbra, poi si posizionò tra le sue cosce. Lissandra si morse il labbro inferiore e Apollo non ci vide più: con un unico movimento scivolò dentro di lei, gongolando quando la ragazza lasciò cadere la testa tra i cuscini, artigliando le lenzuola. Il ragazzo rimase immobile per un istante, il tempo necessario per ammirare la giovane e poi prese ad ondeggiare i fianchi ritmicamente, baciandole il viso e il petto, dovunque le sue labbra riuscissero ad arrivare. Lei allacciò le gambe intorno alla sua vita, limitandogli i movimenti ma dandogli un'angolazione che le strappò un lungo gemito.

Le sue spinte si fecero più frenetiche ed incalzanti finché un verso strozzato con gli scappò dalle labbra e si lasciò cadere sul corpo nudo di Lissandra, attento a non pesarle troppo addosso.

L'ultima cosa che percepì prima di chiudere gli occhi fu l'abbraccio caldo della ragazza.
 

La prima cosa di cui si accorse, quella mattina, era che non si trovava nella propria stanza. Non c'erano oggetti dorati in giro o ninfe che suonavano la lira per svegliarlo dolcemente.

La seconda, la piccola Liz era al suo fianco ed entrambi non indossavano nulla.

Porco me.

Dei, cosa aveva fatto? Gelidi, i ricordi della notte precedente si riversarono davanti ai suoi occhi come un fiume in piena.

Merda.

Già. Ricordava perfettamente la brama di quella notte, le sensazioni che aveva provato guardando la ragazza al proprio fianco.

Si girò a guardarla. Bella, senza ombra di dubbio, ma quella voglia inarrestabile di farla sua era sparita. Si sentì come se avesse detto la più grande bugia del secolo. Ora che la guardava meglio, si ritrovò a sorridere, ricordando che aveva potuto toccare e ammirare quel corpo immortale per una notte intera.

Strinse gli occhi. Fino al giorno prima lei era un'amica, poi Eros lo aveva colpito con quella stupida freccia, ma l'effetto ormai doveva essere svanito. O almeno così credeva. Perché la guardava con quello stupido sorriso stampato sulle labbra?

Cercò di fare il punto della situazione. Uno, era nudo nel letto della sua migliore amica. Due, avevano fatto... insieme. Dei...

Tre, sulla porta che dava al terrazzo c'era una persona che avrebbe volentieri strozzato a mani nude.

Quasi non si rese conto di essere schizzato verso il giovane dio alato senza nulla addosso e aver cercato di arpionargli il collo.

Quando sparì sotto le sue mani, Apollo ringhiò.

"Sei nudo." Disse una voce alla sua destra.

Il dio del sole schioccò le dita, facendosi apparire addosso un lungo chitone tenuto fermo su una spalla da una fibbia.

"Come hai osato?" gridò verso il dio dell'amore, che lo guardava a braccia conserte da sopra la balaustra che dava sul mare.

"Ti ho fatto un dono." Rispose Amore, senza scomporsi.

"Un dono? Hai... Tu..." balbettò Apollo rosso di rabbia. Di colpo si voltò verso l'interno, sperando di non aver svegliato la figlia di Poseidone.

"Ho chiesto a Morfeo di allungare il suo sonno, mentre parliamo. E di trasformare i ricordi di ieri notte in sogni imprecisi." Disse Eros scendendo leggero dalla ringhiera.

Ottimo. Niente situazioni imbarazzanti da dover gestire. Perché, allora, sentiva che un grosso macigno si era appena bloccato nel suo petto?

Apollo non rispose, cercando di decidere di quale morte lenta e atroce far morire l'immortale dio dell'amore.

"Sai come funzionano le mie frecce?" chiese il dio

"Le tiri e incasini la vita delle persone." Rispose secco il figlio di Zeus.

"Funzionano per far crescere un piccolo sentimento che va coltivato nel tempo, altrimenti non fanno più effetto." Battè le ali un paio di volte. "Quella freccia particolare... amplifica quello che già è presente, se è presente qualcosa." Disse il dio.

"Non ho mai pensato a lei in quel modo." Ringhiò Apollo.

Eros lo guardò, con un'irritante espressione indecifrabile. Davvero? sembrava dire.

"Ti ci vorrà comunque del tempo per capirlo." Disse noncurante il dio dell'amore. "Tu non mi piaci, sia chiaro." Disse squadrandolo con i suoi occhi rossi "Ma la tua compagna si. E visto che l'altra faccia della sua medaglia sei tu..."

"Non dire sciocchezze." Rispose il dio del Sole.

"Ancora non lo capisci." Amore spalancò le ali "Ma difficilmente riuscite a capire l'amore, all'inizio."

Apollo si fece apparire arco e frecce in mano, prendendo la mira e scoccando proprio nel momento in cui Eros scomparve.

Non sapeva se fosse riuscito a prenderlo, ma gli aveva dato comunque soddisfazione.

Apollo si voltò verso la porta della stanza da cui era uscito.

La figlia di Poseidone dormiva, coperta solo parzialmente dal lino leggero, poteva ancora distinguere perfettamente le sue forme.

Apollo indugiò, ammirandone la schiena, per poi sorridere e scuotere la testa.

"No." Disse sparendo per portare il suo carro in giro per il mondo, cercando di dimenticare quello che aveva detto la sera prima.

È che l'amore per i mortali è quella che per noi è semplice attrazione, una forte amicizia, passione fisica. Stai bene con una persona, inconsapevolmente la cerchi in ogni modo possibile.

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Capitolo 7
*** Sorridere ***



Sorridere
 

Quando Lissandra emerse dalle onde Apollo sentì il cuore smettere di battere. Sapeva che la punizione del padre sarebbe stata dura, sapeva che l'avrebbe trovata diversa dopo cinquant'anni di prigionia negli abissi più profondi dell'oceano, ma forse in cuor suo si aspettava meglio di quello che aveva davanti.

La prima cosa che il dio notò furono i capelli bagnati, più scuri, più opachi – se mai avessero potuto essere più scuri di come fossero già – di quello che ricordava; quando si accorse di quanto la ragazza avesse perso tono muscolare e colorito sentì un grosso macigno posarsi non proprio delicatamente al centro del suo petto.

Fece qualche passo in avanti, allontanandosi dal proprio carro per andarle incontro, e riuscì ad afferrarla quando uscì completamente dall'acqua, senza forze.

"Ehi." Si agitò il dio stringendola tra le braccia e accompagnandola piano sulla sabbia.

Lei scosse la testa, abbassando lo sguardo.

"Ehi." Ripeté il figlio di Zeus, sentendola tremare leggermente. Faceva forse così freddo? "Stai bene?"

Una domanda semplice, a prima vista. Apollo sapeva quanto sarebbe stato difficile rispondere a quel quesito, ma aveva bisogno di accertarsi che la ragazza stesse bene sul serio.

Doveva capire se Poseidone l'avesse già informata della prematura morte di figlio e amante, fatto successo ormai molti anni prima, o se quel difficoltoso onere spettasse a lui.

"Hanno sofferto?" chiese con voce rauca la figlia del dio del mare.

Apollo sospirò leggermente.

Ottimo. Lei sapeva e non avrebbe dovuto darle lui la straziante notizia.

"No. Te lo giuro." Decise di dire dopo un paio di minuti di silenzio.

Apollo spostò lo sguardo sul suo viso, rendendosi conto di quanto gli occhi si fossero arrossati.

"Tu stai bene?" chiese di nuovo, cercando traccia di una qualche ferita. Niente, per quanto sembrasse pallida, la pelle della ragazza era intonsa.

"Potresti portarmi a..." casa.

La mora si bloccò a metà frase. Efira, dove aveva vissuto ormai un secolo prima, si era trasformata completamente. Troia era distrutta. E sull'Olimpo non aveva nessuna intenzione di tornare almeno per qualche secolo.

"Io e Arti ce ne siamo occupati." Disse velocemente il giovane dio. "Starai a Delo per un po', insieme a noi."

Lei non rispose, ma si lasciò aiutare a rimettersi in piedi.

"Abbiamo trasferito tutte le tue cose."

Apollo le passò un braccio attorno alle spalle, conducendola verso il proprio carro dorato.

Dopo averla aiutata a salire il dio prese in mano le redini e diede il comando ai cavalli magici, che in poco tempo si librarono in aria.

Il viaggio durò poco, ormai era sera e il sole doveva tramontare.

"Sai, tesoro, quando starai meglio, se lo vorrai, Arti ha detto che potrai andare ad uccidere mostri con lei e le altre Cacciatrici." Disse facendo cenno ai cavalli di fermarsi in prossimità della reggia di marmo bianco che pochi anni prima aveva fatto apparire insieme alla gemella.

Per quanto gli piacesse oziare sull'Olimpo, la sua isola natale era la sua casa, il luogo dove poteva stare in pace lontano dai problemi divini della propria famiglia. Non che gli importassero granché.

"Oppure puoi divertirti a prendermi a calci in cortile." Aggiunse con un mezzo sorriso, mentre un satiro si occupava del cocchio dorato e lui si dirigeva verso casa, girandosi di tanto in tanto per controllare che l'amica lo stesse seguendo.

"Arti è partita poco fa con la Luna, ma verrà a salutarti domani mattina." Disse fermandosi davanti alla porta imponente e spingendola verso l'interno.

"Ti faccio vedere la tua stanza, magari tra un po' di giorni potresti curiosare in giro."

Il figlio di Leto vide la ragazza guardarsi intorno, senza un particolare interesse, mentre insieme a lui percorreva i candidi corridoi.

Apollo si fermò davanti ad una porta, incitandola ad entrare.

"Dovrebbero esserci tutte le tue cose." Disse, guardandola camminare lentamente verso il letto al centro della camera.

Seguì con gli occhi ogni movimento, guardando l'amica prima sedersi e poi prendere uno dei morbidi cuscini che il dio aveva fatto apparire tra le braccia, stringendolo.

"Tesoro..." tentennò sulla porta, non sapendo se entrare o lasciarle del tempo per stare da sola.

"Potresti... uscire?" chiese lei dopo qualche minuto di silenzio, senza alzare lo sguardo dall'orlo del cuscino che aveva poggiato sulle gambe.

Apollo la guardò tremare, prima di distendersi sul materasso e dargli la schiena.

Dei.

Lui era un guaritore. Ci metteva un attimo a far sparire le ferite e il dolore che implicavano, ma come avrebbe fatto a guarire una ferita immateriale di quella portata?

La guardò e vedendola tremare fece un passo in avanti, prima di bloccarsi.

Se voleva stare sola, l'avrebbe lasciata sola.

"Chiama. Per qualunque cosa." Si premurò di dire prima di uscire.

Si chiuse la porta alle spalle, adocchiando la giovane ninfa che si stava premurando di portargli una coppa di nettare.

Quando fu abbastanza vicina le prese dalle mani la kylix e in pochi sorsi la svuotò. Senza degnare la ragazza di un ulteriore sguardo le riconsegnò la coppa e a passo spedito si avviò verso l'uscita del palazzo.

Si fermò sui gradini di marmo per riflettere meglio sul da farsi.

Dopo la caduta di Troia, della sua amata città, si era premurato di proteggere gli esuli sopravvissuti. Aveva accompagnato Enea con le profezie delfiche fino ad Alba Longa, dove il principe era riuscito a creare una nuova stirpe che continuasse la stirpe di sangue troiano. Aveva, insieme ad Afrodite, seguito i progressi di Ascanio (Iulo, come lo chiamavano in quella nuova terra).

D'altra parte, era anche riuscito a seguire i viaggi di Troilo e Aferio che insieme ad i mirmidoni di Achille erano riusciti a sfuggire al massacro della città e a rifugiarsi in una piccola isola vicina.

Non aveva potuto fare molto, però, quando Pammone (di cui non si era minimamente preoccupato, credendo fosse caduto insieme a Troia) era riuscito a trovarli e assassinarli a sangue freddo, durante la notte.

Appresa la notizia si era premurato di vendicare personalmente quelle morti, con l'aiuto di Poseidone. Aferio, anche se frutto di un tradimento, era pur sempre l'unico nipote del dio del mare.

Sorrise leggermente, pensando a come lo spirito di Pammone avrebbe continuato a vagare senza pace nel mare, a differenza di Troilo e Aferio che, aveva chiesto personalmente ad Ade, si trovavano in pace nei Campi Elisi.

Si passò una mano tra i boccoli biondi, pensando a come si sarebbe dovuto muovere con la principessa del mare. Si conoscevano ormai da due secoli, era forse l'unica immortale con cui poteva essere se stesso, esclusa la sorella, e che lo accettava per quello che era senza paura.

Entrambi c'erano sempre stati l'uno per l'altro, in qualunque situazione. Nel momento del bisogno, l'altro era sempre al fianco del bisognoso.

Durante la propria punizione a Fere la ragazza era rimasta alla corte del re come ospite per mesi e, quando la sua presenza fissa nel palazzo si era prolungata troppo per i gusti di Zeus, aveva optato per muoversi con Artemide per cacciare i mostri in Tessaglia. Ma non si era mai allontanata troppo, era sempre rimasta nei dintorni per fargli da sostegno.

E, quando Apollo venne liberato, lei era lì a sorridergli, fiera di lui.

Il dio strinse le dita a pugno fino a far diventare bianche le nocche.

Gli ultimi settant'anni erano stati davvero difficili.

Apollo ripensò all'incidente con il dio dell'amore, quell'incompetente dio di serie b che lo aveva colpito ben due volte con le sue frecce.

Quella freccia particolare... amplifica ciò che già esiste, se esiste qualcosa.

Scosse la testa più volte, cercando di non pensate a quelle parole.

Aveva avuto altre storie nell'ultimo secolo, sia con donne che con uomini, ed era riuscito a non dare troppo peso al fatto che, involontariamente, si ritrovasse molto spesso a pensare alla semidea.

Aveva avuto Cassandra, più o meno, il suo bel Giacinto ed aveva giaciuto con spiriti della natura di cui non ricordava né i nomi né i volti. Si era divertito.

Lissandra era stata con Troilo per più di dieci anni, prima che Troia cadesse. E lui li aveva sempre aiutati.

O meglio, aveva aiutato lei così come stava cercando di fare in quell'esatto momento.

Avrebbe dovuto aiutarla a superare il lutto e il senso di perdita, sapeva cosa voleva dire veder morire i propri figli e desiderò di poterla proteggerla anche da quel dolore.

Apollo si morse un labbro, guardando le stelle.

Sì, forse l'incapace aveva visto giusto e sì, forse si era affezionato fin troppo alla figlia di Poseidone, ma ormai il danno era fatto ed avrebbe dovuto conviverci.

La cosa importate, in quel momento, era occuparsi di lei.

Il dio guardò il pesante portone alle proprie spalle.

Ti farò sorridere di nuovo, dolcezza, te lo prometto.

 

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Capitolo 8
*** Sono proprio bravo ***


Sono proprio bravo


Apollo si guardò intorno, soddisfatto della bella giornata.

Prese un profondo respiro prima di guardarsi intorno: i mortali si muovevano indaffarati lungo la strada principale di Poseidonia, presi dalle faccende del giorno.

Fece qualche passo indietro per lasciar passare un carretto tirato da un asino su cui erano assicurate una serie di anfore, vino probabilmente, diretto verso una delle botteghe dell'agorà.

Si leccò le labbra, ammirando l'impegno che gli umani mettevano in tutto quello che facevano: sapeva che per loro era necessario lavorare per sopravvivere, lo aveva provato sulla propria pelle, ma era entusiasmante ogni tanto scendere tra loro per poterli osservare.

Era pur sempre il dio dell'arte, lui, e trovava il lavoro di artigiani e scalpellini estremamente dilettevole da guardare, il modo in cui con le loro mani creavano oggetti e opere di ogni tipo era strabiliante: erano in grado di produrre manufatti meravigliosi, frutto di fatica e doti naturali.

Apollo stesso si dilettava nel creare piccole statuine di legno, nei momenti di noia, ma osservare i maestri mortali al lavoro era estremamente meno faticoso.

Annuì a se stesso, giudicando ottima la propria scelta di passare qualche ora ad osservare l'operato degli uomini.

Soprattutto se l'ultima costruzione che i popolani avevano appena terminato di costruire era in suo onore.

Il dio si girò a contemplare, poco lontano da dove si trovava, il proprio tempio.

È più grande di quello di Era pensò gongolante.

Si, decisamente più grande e più nuovo quindi, di conseguenza, migliore.

"Ti stai montando la testa." Disse una voce alle sue spalle.

Il dio sussultò, colto di sorpresa. In mezzo a tutti quei mortali indaffarati non si aspettava di essere fermato da qualcuno.

Ma, ovviamente, lui non poteva di certo passare inosservato.

"Cosa te lo fa credere?" Apollo si voltò leggermente verso la voce, sorridendo candidamente alla proprietaria. Sbatté le palpebre un paio di volte, vedendosi sorpassare da una figura conosciuta.

La figlia di Poseidone alternò lo sguardo dal biondo alla costruzione in travertino per poi scuotere la testa e ridacchiare.

"Oh, dicevo così per dire." Rispose lei continuando a camminare verso una delle botteghe sotto la stoà, seguita da due giovani, probabilmente due schiavi, visti gli abiti che portavano annodati su una sola spalla.

Apollo fissò i capelli scuri dell'amica ondeggiare leggermente, fermati sulla testa da un pregiato fermaglio di zaffiri. Indossava una lunga tunica blu che le lasciava scoperta la schiena.

Lei non diede segno di volersi fermare ad aspettarlo, ma sventolò una mano per fargli capire di doverla seguire.

Erano anni che non si vedevano e nessuno dei due era cambiato di una virgola.

Il dio si morse un labbro, reprimendo un sorriso. Vederla lì, a camminare davanti a lui come se nulla fosse, lo rese estremamente felice, era come se non si fossero casualmente appena incontrati in una piccola città mortale dopo quasi cento anni di silenzio.

In un secondo gli anni passati dall'ultima volta che erano stati insieme sparirono, anche se non dall'ultima in cui l'aveva vista. Erano ormai secoli che, durante la giornata, mentre guidava il carro del Sole intorno alla terra, Apollo controllava le mosse della figlia di Poseidone.

Sapeva che si era stabilita da poco in quella città costruita in onore del padre, spostandosi nella penisola italica in una delle nuove colonie greche. Aveva scelto bene, la città era uno dei porti più prolifici su quella costa.

Il dio si sistemò meglio le fibbie che gli fermavano sulle spalle il chitoniskos, per poi seguire la ragazza.

La trovò in un piccolo emporio ben riparato al di sotto della stoà, china davanti ad un tavolo su cui erano poggiati gioielli finemente decorati in filigrana.

Apollo sorrise ad un giovane servo che gli era passato di fianco, al seguito del proprio padrone, per poi avvicinarsi alla bottega dove l'amica stava conversando con l'orafo.

Quando raggiunse l'entrata dell'emporio con la coda dell'occhio vide i due schiavi farsi più vicini a lei e squadrarlo con lo sguardo.

Il dio salutò con un cenno del capo l'artigiano dall'altro lato del tavolo, completamente a suo agio.

Apollo si fermò alle spalle dalla semidea, fino a far sfiorare le loro tuniche, e inspirando il profumo salmastro che proveniva dalla sua pelle.

"Cosa cerchi, tesoro?" chiese allungando il collo oltre la sua spalla e poggiandole una mano sul fianco.

Dietro di lui sentì fremere gli schiavi e cercò di reprimere un sorriso soddisfatto mordendosi un labbro.

"Tu quale prederesti?" chiese lei voltando leggermente il volto e appoggiandosi a lui.

Il figlio di Leto le circondò il fianco con il braccio per allungare l'altra mano verso un anello su cui era incastonato uno smeraldo grosso quasi quanto una castagna, lo prese tra le dita e, dopo averne ammirato la fattura, scosse la testa e lo riconsegnò al commerciante davanti a loro.

"Mi sembra troppo appariscente per i tuoi gusti." Lo escluse il dio.

Lei annuì, ma poi disse all'uomo davanti a loro "Bene. Se non hai qualcosa di più costoso prendo quello."

"Al momento è la pietra più cara che ho montato su un gioiello, se è questo che vi interessa." Rispose il commerciante.

Apollo aggrottò le sopracciglia, confuso. "Non hai mai messo niente di così grande." Appoggiando il mento sulla spalla della ragazza si sporse in avanti verso un sottile bracciale d'oro su cui erano incastonate piccoli topazi perfettamente tagliati. "Questo, invece, mi sembra più il tuo genere."

"Non è per me." Assicurò lei. "Va bene l'anello." Disse all'orafo.

"Ottima scelta, signora."

La figlia di Poseidone fece cenno ad uno dei due servi "Roti, occupati del pagamento e porta l'anello a casa."

Apollo osservò il giovane servitore avvicinarsi al commerciante, che si premurò di scoccargli un'occhiata di avvertimento prima di dedicare la propria attenzione all'uomo davanti a lui.

Apollo alzò le sopracciglia, per niente impressionato; sapeva per esperienza personale che se l'amica si fosse trovata in difficoltà con una compagnia maschile non desiderata sarebbe stata perfettamente capace di risolvere la questione da sola, ma era confortante sapere che i servitori sarebbero intervenuti se lui avesse fatto qualcosa di non gradito alla loro padrona.

Distolse lo sguardo da quello del servo, che non smise di controllare i suoi movimenti, mentre la ragazza si girava verso di lui per guardarlo negli occhi.

"Hai un'amante segreta?" chiese il dio.

"La moglie del nuovo tiranno mi ha invitato a cena." Spiegò Lissandra. "E le piace ostentare la propria ricchezza." Aggiunse facendo un movimento circolare con le mani e alzando gli occhi al cielo.

Apollo annuì, voltandosi verso l'altro giovane che li stava aspettando all'ingresso.

Si chinò fino ad arrivare all'orecchio dell'amica "Se lo sguardo dei tuoi servitori potesse uccidere e io fossi mortale, credo che avrei salutato questo mondo appena ho messo piede qui dentro."

Lei sorrise, alternando lo sguardo tra i due. "Li ho salvati da un esercito di barbari tempo fa, vogliono ricambiare il favore."

"Beh, potrebbero essere un po' meno grati." Borbottò il dio "Mica ti voglio ammazzare."

Apollo si beò della risata dell'amica, gustandosi le espressioni irritate dei due giovani servi.

"Andiamo?" gli chiese la mora quando il servitore, Roti, come lo aveva chiamato lei, aveva inserito nella borsa che portava a tracolla il prezioso oggetto.

Apollo guardò Lissandra salutare il commerciante ed incamminarsi verso l'esterno, seguita dai due servitori.

"Arrivo." Garantì lui portando una mano dietro la schiena e facendosi apparire sul palmo un sacchetto con all'interno delle dracme d'oro.

"Il braccialetto?" chiese l'uomo prendendo tra le dita il gioiello e porgendoglielo.

Il dio sorrise "Vedo che ci capiamo." Si avvicinò per ammirarne la fattura: piccoli anellini erano saldati uno nell'altro, le pietre perfettamente tagliate erano incastonate in sottili montature appese alla catenina. "Magnifico." Disse, lodando il lavoro dell'artigiano.

"Grazie, signore. Starà molto bene al polso di vostra moglie."

Apollo sobbalzò e si sentì come se fosse stato appena investito da una secchiata di acqua fredda. Scosse la testa e mise sul tavolo il sacchetto. "Tieni il resto." Disse stringendo il bracciale tra le dita e dirigendosi veloce verso dove aveva visto andare l'amica.

La trovò ad aspettarlo all'inizio del portico della piazza. I due servitori erano spariti, probabilmente diretti verso casa.

Chiuse e aprì i pugni un paio di volte, cercando di sembrare perfettamente a proprio agio mentre si muoveva con passo sicuro tra la folla.

Come poteva una semplice frase, tra l'altro non veritiera, turbarlo in quel modo? Certo, ad un occhio esterno il suo rapporto con la figlia del dio del mare era facilmente equivocabile: lui era molto espansivo, doveva ammetterlo, e con lei gli veniva spontaneo essere tattile, avere un contatto diretto, pelle contro pelle.

Strinse tra le dita il delicato monile, per quanto riuscisse a far finta di niente non aveva dimenticato quello che avevano fatto ormai secoli prima, per colpa del dio dell'amore. E, anche se sapeva che era solo stato frutto di un brutto scherzo, non riusciva a cancellare dalla memoria la sensazione di fuoco ardente che aveva sentito né le parole che quel mostro – si rifiutava di credere che fosse sul serio il dio di qualcosa di positivo – gli aveva rivolto: la freccia utilizzata serviva ad amplificare, non a creare. Figuriamoci.

Scosse di nuovo la testa.

Quell'idiota di sicuro si sbagliava.

"Quindi niente amante segreta?" chiese lui quando la raggiunse. "Avrei voluto vederlo."

Lei rise, scuotendo la testa "Mi dispiace deluderti."

"Peccato." Apollo sorrise.

"Allora." Disse lei prendendolo sottobraccio e facendogli segno di camminare a bordo della strada. "Che cosa hai fatto nell'ultimo secolo?"

"Oh, sai, le solite cose." Apollo socchiuse gli occhi. "Ho portato in giro il Sole, aiutato la mia sorellina a cacciare un paio di mostri, squartato un satiro..."

Lei strinse gli occhi, facendo una smorfia. "Cos'aveva fatto quel poveretto?"

"Si vantava di essere un musicista migliore di me." Disse il dio. "Ovviamente si sbagliava."

"Io non ho parole." La ragazza scosse la testa.

"Tu non hai mai parole quando punisco chi non sa stare al proprio posto." Sottolineò il dio.

Lei si strinse nelle spalle.

"E tu?" chiese il dio dopo un paio di minuti.

"Io, cosa?"

"Hai combinato qualcosa di interessante?" chiese lui ammirando la bellezza di quelle campagne dove non aveva ancora messo piede.

"Niente di che. È stato un secolo tranquillo." Lissandra sorrise, facendo pressione con il proprio corpo su quello del dio per indicargli si svoltare l'angolo e incamminarsi in una strada secondaria: una stradina sterrata larga abbastanza per farci passare un carro. "Ho comprato una villa, campi e animali.

"Una villa." Apollo strinse gli occhi. "Tu. Una villa."

"Già." Lei si morse un labbro. "Volevo cambiare."

"Io non lo farei mai." Sentenziò il dio, beandosi della risata della ragazza. "Le pecore di Admeto mi sono bastate."

"Lo so."

Apollo rise a sua volta, notando come il Sole – merito suo, ovviamente – illuminasse la natura intorno a loro. Spostò lo sguardo su alcune delle abitazioni che, ormai, si erano lasciati alle spalle. Probabilmente Poseidonia era il luogo giusto per l'amica: una città tranquilla ma commercialmente prolifica, tra le campagne e il mare, lontano dalla penisola greca che le aveva causato tanto dolore.

Si morse il labbro quando, vicino a loro, vide passare un gruppo di bambini mortali di corsa. Socchiuse gli occhi sentendo la ragazza al suo fianco sussultare. Fu un attimo, ma per un secondo il dio notò un lampo di dolore nei suoi occhi.

Apollo deglutì. Ancora, a distanza di secoli, Lissandra sentiva la mancanza di suo figlio.

Dei. Avrebbe dovuto occuparsi anche di questo. Odiava quanto si sentisse male a sua volta se le persone che amava – una lista veramente corta, a suo parere – soffrivano. Era una sensazione orribile.

Doveva per forza risollevarle il morale, o si sarebbe sentito male per l'intera giornata.

"Sai." Disse fermandosi e incastrando i propri occhi dorati in quelli verdi dell'amica. Riuscì a farle dare le spalle al piccolo gruppo che, ormai, si stava allontanando da loro. Il bracciale che teneva stretto nel pugno apparve, sottile e brillante, sul polso della ragazza. "Che sei la mia migliore amica, vero?"

Lei abbassò gli occhi, fissando il nuovo gioiello. Alzò lo sguardo e scosse la testa, irritata e sbuffò.

"Non ho mai detto che mi piaceva." Disse cercando di sembrare irritata.

Apollo sorrise, vittorioso, felice di averla distratta. "I tuoi occhi dicevano 'prendilo', dolcezza."

"Gli occhi non parlano."

"Ma ti conosco, mia cara." Sentenziò lui, ridacchiando. Rilasciò una grande quantità d'aria dai polmoni, quando lei gli sorrise a sua volta cercando di fare una smorfia per mascherarlo.

Sono proprio bravo gongolò.

"Potresti ingoiare un po' di quel tuo orgoglio e dire semplicemente grazie." Continuò Apollo, felice di aver superato facilmente il momento di nostalgia.

"D'accordo." Annuì lei. "Grazie." Disse ridendo prima di sporgersi e baciare il dio sulla guancia.

Apollo schioccò la lingua sul palato, quando le labbra della giovane sulla propria pelle non gli fecero nessune effetto. O, almeno, non provocarono la vampata di calore che ricordava dalla notte incriminata. Liz era un'amica. Una buona amica, certo. Ma niente di più. 

Ottimo, pensò, ora era chiaro che Eros gli aveva giocato solo un brutto scherzo.

Dio incapace.

"Allora." Disse, mettendo un braccio sulle spalle della ragazza e riprendendo a camminare. "Visto che sono stato così gentile da farti un regalo – non mi guardare così, sai che lo sono – non è che mi faresti assaggiare un po' di quel vino che ti ha mandato Dioniso?"

Ancora, Apollo sorrise, felice di sentire la risata cristallina della ragazza al suo fianco.

 

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Capitolo 9
*** The end ***


The End
 

Il pesante portone dorato si aprì lentamente, mentre i novelli sposi facevano la loro entrata trionfante nella Reggia del Sole.

Il dio stinse la mano alla propria sposa, mentre venivano scortati all'interno dalle ninfe del vento e dal canto delle muse.

"Signore." Lo chiamò un satiro. "Sono passati millenni dall'ultimo matrimonio di un nume..." Biascicò il satiro strisciando gli zoccoli sul marmo, in imbarazzo.

"La tradizione... la tradizione vuole che ci siano testimoni per..." balbettò.

Incredibilmente, il dio si ritrovò senza parole. Dei, suo padre avrebbe dovuto... e Poseidone...

"Possiamo fare a meno dei testimoni." Rispose la ragazza per lui.

Il satiro sembrò tornare a respirare solo in quel momento, grato di non doversi occupare dell'allestimento di quella serata.

"Riguardo alla sua preparazione, signora..."

"Fuori." Rispose candidamente la figlia di Poseidone, facendo segno al corteo che li aveva seguiti all'interno di raggiungere le porte.

"Bene, aehm. Ancora felicitazioni." Barbettò il giovane satiro per poi trotterellare fuori dalla porta della reggia, insieme a muse, tritoni e ninfe, chiudendosi la porta alle spalle con un pesante tonfo.

Apollo sussultò, sentendo che di fianco a lui la ragazza aveva rilasciato un forte respiro.

"Siamo soli." Disse lei, guardandosi intorno.

Apollo non rispose, non sapendo se fosse un bene o un male. La vide aggirarsi per il grande ingresso ed entrare in soggiorno, un soggiorno perfettamente moderno e accessoriato.

Il dio la seguì, lentamente, mentre lei raggiunse il divano. Apollo inserì le mani nelle tasche dei pantaloni, mentre camminava per quei corridoi così familiari ma in cui non metteva piede da mesi.

Il figlio di Leto fissò intensamente sua moglie – sua moglie – rimanendo, però, a debita distanza.

"Grazie." Decise di dire quando si accorse che il silenzio cominciava a rendere l'aria pesante.
Dei, era stata una giornata pesante: si era svegliato da mortale nella cabina 3, era stato malamente portato al cospetto del Consiglio e aveva gridato inequivocabilmente contro il re degli dei.
Ma poi quella ragazza era apparsa, infuriata come l'aveva vista poche volte nella sua lunga vita, e gli aveva urlato di volerlo sposare.
Finalmente era tornato immortale, nella sua reggia e, soprattutto, con lui c'era anche la figlia di Poseidone.

"Di cosa?" lei voltò di scatto il viso verso la figura del dio. Dei, se era bello in quel completo.

Il dio socchiuse gli occhi.
Era felice oltremisura di averla - finalmente - portata all'altare.
Ma era un dio, davvero sarebbe riuscito a non farla soffrire?
"Mi hai tirato fuori da una brutta situazione." Apollo fece alcuni passi lenti, troppo lenti, in avanti. "Anche se ti sei condannata da sola."

Lei alzò un sopracciglio, scontenta "Condannata? È questo che ho fatto, secondo te?"

Lui la raggiunse, rimanendo in piedi davanti a lei.
La amava alla follia da anni, certo, ma questo non gli aveva impedito di infatuarsi di belle mortali e, per quello che sapeva, anche la ragazza aveva avuto delle storie nel corso dei secoli.
"Non è così?"

Lei si mise a ridere, una risata cristallina, come un piacevole zampillio d'acqua. "Sei proprio un idiota."

Apollo la guardò intensamente.

Dei, quella ragazza era sua moglie. Quella ragazza che aveva capito troppo tardi di amare, ma per cui provava qualcosa da sempre.

"Non voglio farti del male, o intrappolarti in qualcosa che non vuoi." Rispose lui, seriamente.

Se c'era una cosa che aveva sempre cercato di fare nella sua lunga vita era proteggerla, per quanto fosse perfettamente in grado di farlo da sola, non voleva doverla proteggere anche da se stesso.

"Se stai bene con una persona, inconsapevolmente la cerchi in ogni modo possibile." Rispose lei, guardandolo negli occhi. "Ci è voluto un po', ma alla fine ho capito."

Apollo sentì un sorriso farsi largo sul suo volto, mentre si chinava per baciare la moglie.

Il dio si sedette di fianco alla semidea, cingendole i fianchi con le mani. Lei gli portò le mani tra i capelli, mentre lui scendeva con la bocca lungo il suo collo, fino alla spalla nuda, lasciandole una scia di baci umidi sulla pelle bollente.

Apollo sorrise di nuovo, mentre tornava a baciarla lentamente, schiudendole le labbra con lingua e accarezzandole la schiena.

Quando le sfiorò i fianchi e cercò di scendere sulle gambe si lasciò scappare un mugugnio scontento.

"Un momento." Disse prima di schioccare le dita.

Al posto dello stretto vestito da sposa, la ragazza indossava un semplice chitone verde, come quelli che utilizzava nelle terre antiche, come quando si erano conosciuti.

Il dio sorrise, sentendo sulle proprie gambe la leggera stoffa di lino, tenuta ferma da una spilla a forma di sole.

"Meglio stare più comodi." Aggiunse per poi riprendere a baciarla con foga.

Sentì le mani della ragazza vagare sul proprio petto, le spalle, le braccia, i capelli, mentre lui riusciva, finalmente, ad accarezzare quelle gambe che tanto aveva desiderato.

"Volevo sapere una cosa..." provò a dire lei tra un bacio e l'altro. "Prima..."

La ragazza lo prese per le spalle e spingendolo indietro, per riprendere fiato e poter guardare il dio del Sole negli occhi.

"So che magari non... ma cosa ti ha detto Eros?"

Apollo sentì tutto il fuoco che gli stava mangiando le viscere venire spento da una secchiata di acqua gelida.

"Cosa?" ringhiò.

Lei arretrò di un paio di centimetri con il busto. Vedendo gli occhi dorati del marito ardere di rabbia.

"Scusa..." la ragazza scosse la testa "Vi ho visti discutere, mentre ero con Jason e Reyna..."

Il dio chiuse gli occhi, cercando di regolarizzare il respiro.

"E sei rimasto in silenzio per tutto il tempo, dopo aver parlato con lui."

Certo, che li aveva visti.

Aveva visto il dio dell'amore che tanto lo aveva tormentato per cinque millenni sbattergli in faccia quanto tempo ci avesse messo per chiedere la mano alla ragazza.

Ovviamente, il dio dell'amore non poteva farsi gli affaracci suoi nemmeno quel giorno.

"Sembrava una discussione accesa."

Apollo spalancò gli occhi, guardandola furente.

"Tanto male?" chiese lei, seria.

"Ha detto che ci ho messo cinquemila anni per farmi avanti." Il dio strinse i pugni. "Tra le altre cose."

Elisabeth annuì, non capendo dove fosse il problema. "Non è una novità."

"E ha aggiunto che potevo svegliarmi direttamente quando ti ho fatta mia." Ringhiò di nuovo.

La figlia di Poseidone aggrottò le sopracciglia, non capendo cosa le stesse dicendo il marito. "Noi non..." balbettò scuotendo la testa.

Il dio ringhiò di nuovo, aggiungendo qualche colorito insulto diretto ad Amore.

Apollo guardò la moglie, bella come quando l'aveva conosciuta e venne percorso da una scossa di adrenalina.

"Ti amo." Le disse per poi fiondarsi sulle sue labbra.

La ragazza si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa, mentre il biondo la stringeva a sé per farle cambiare posizione e sistemarla sulle proprie gambe. Elisabeth sussultò, quando sentì la lingua del marito farsi strada in maniera così prepotente nella sua bocca, mentre le mani la stringevano sui fianchi.

Elisabeth cinse il collo di Apollo con le mani, stringendo le gambe attorno alla sua schiena per averlo un po' più vicino mentre le loro lingue si muovevano assieme.

Apollo le strinse i glutei con forse troppa forza, e lei interruppe il contatto.

"Ehi." Disse cercando di regolarizzare il respiro. "Cosa c'è?" chiese preoccupata.

Il giovane dio non l'aveva mai baciata in quel modo. Si, doveva ammettere che era piacevole, ma era la loro prima notte, avrebbero dovuto prendersi tutto il tempo del mondo e fare le cose con calma.

"Non posso baciare mia moglie?" chiese lui incatenando lo sguardo dorato negli occhi della semidea.

Il dio si sporse in avanti per catturare di nuovo le sue labbra, stringendola a sé ed alzandosi in piedi con un colpo di reni.

"Tesoro, lascia... lasciami un momen..." Provò a dire la ragazza, non sopportando di essere così in alto.

Un conto era volare sul carro dei gemelli, con i piedi su qualcosa di solido, ma rimanere in alto senza appoggiarsi da nessuna parte... le veniva la nausea.

Il dio grugnì, ma l'aiutò a tornare con i piedi per terra, senza smettere di torturare le sue labbra con le proprie.

Le ginocchia della ragazza cedettero leggermente e Apollo le abbracciò la vita, allontanandosi da lei solo per poterla guardare in quelle pozze verdi.

"Ti voglio." Sussurrò il dio. "Come la prima volta." Aggiunse in maniera quasi impercettibile.

Le loro iridi si trovarono, lucide, confuse, affamate e fu Elisabeth a cingere il volto di Apollo con le mani, attirandolo contro le sue labbra ancora una volta. E Apollo sorrise mentre la baciava con più ardore, facendo scorrere le mani sulla sua schiena, accarezzandola piano e fermandosi sui glutei sodi, che strinse un paio di volte.

"Ho bisogno di un tavolo." Ringhiò il figlio di Leto tra un bacio e l'altro, mentre allungava le mani sulla schiena della moglie.

"Un... perché vuoi usare il tavolo?" chiese lei trattenendo il respiro quando il dio iniziò a succhiarle la pelle, muovendosi famelico tra le spalle e il collo.

"Voglio che sia come la prima volta." Ripetè il dio sottovoce, mentre si beava dei sospiri e dei brividi che provocava alla ragazza.

"Ehi!" Esclamò lei per la sorpresa, quando il dio era risalito sotto il corto chitone che la giovane indossava – a detta della figlia di Poseidone erano molto più comodi delle gonne che le mortali indossavano con quei top che erano più simili a reggiseni che a delle magliette – per arrivare a sfiorarle senza preavviso l'intimità.

Dei, che genialata non aver inventato la biancheria intima prima del terzo secolo.

"Fermo, fermo un momento." Balbettò la ragazza, non capendo la fretta di suo marito.

"Mhmm." Annuì lui, muovendo le dita. "Davvero?" chiese lasciandole il fianco che teneva stretto con la mano libera per schioccare le dita e teletrasportarli nella sua ­– la loro, perdinci – camera da letto.

Lei tremò sotto il suo tocco, quando si ritrovò stretta tra il bacino del dio e una superficie solida che, di sicuro, non avrebbe dovuto essere in una camera da letto.

Con poca dell'autonomia e del raziocinio che le era rimasto, mentre il giovane le faceva venire brividi in posti che non sapeva nemmeno che potessero tremare, cercò di girarsi a vedere su cosa avesse sbattuto.

"Questo..."

Apollo la alzò con il braccio libero quel tanto che bastava per farla sedere sul legno, mentre si abbassava a baciare, succhiare e leccare ogni centimetro di pelle disponibile.

"Posso far apparire quello che voglio."

Elisabeth rimase impietrita, davanti ad un pregiato ed imponente tavolo di legno duro, finemente decorato, così simile a quello che aveva nella propria camera da letto quando viveva ad Efira, milioni di anni prima.

Si lasciò sfuggire un gemito e strinse il braccio con cui Apollo la teneva stretta, mentre lui sorrideva sul suo collo.

Era sullo stesso tavolo su cui aveva sognato di...

Spalancò gli occhi quando arrivò all'apice del piacere, artigliando la spalla del dio e reprimendo un gemito più forte degli altri, mentre il proprio corpo tremava incontrollabilmente.

Sentì Apollo ridacchiare soddisfatto, mentre le baciava la punta la punta del naso.

"Tu non hai idea da quanto tempo volessi farlo" le disse, cingendole i fianchi con entrambe le mani, sfiorandole la parte bassa della schiena.

Lei lo guardò, tremolante, ricordandosi di quel sogno scandaloso che aveva fatto anni e anni prima, di come i dettagli fossero estremamente nitidi e di come le mani del dio l'avessero fatta godere esattamente come in quel momento.

"L'abbiamo già fatto." Sussurrò abbassando lo sguardo. "A... a Corinto, quella sera."

Apollo non rispose ma la baciò senza malizia, prima sul naso, poi sulla fronte.

"Credevo..."

"Di aver fatto un sogno erotico su di me?" chiese il dio, ammiccante.

Lei non rispose, limitandosi a inclinare la testa e fulminarlo con gli occhi, cosa che l'ardore di quel momento rese molto difficile, visto che non riusciva ancora a regolarizzare il respiro e desiderava avere il dio ancora più vicino. "Perché mi hai fatto credere che fosse un sogno?"

Il dio strinse gli occhi, scuotendo la testa, e fece combaciare i propri bacini, infilandosi tra le gambe della moglie.

"Ha fatto tutto Cupido. Si è preso gioco di entrambi, ha detto..." si bloccò, trovando estremamente interessanti le labbra della ragazza, che aggredì con forza per non dover finire la frase.

Elisabeth si lasciò sfuggire un altro gemito di piacere, mentre il marito esplorava la sua pelle con le mani. Dei, va bene, era sposata con il Sole, ma sentire il corpo bollente del dio sul proprio, il fuoco che accendeva sulla propria pelle ogni volta che la sfiorava, come quella prima notte che credeva fosse solamente un sogno...

"Ha detto..." chiese lei, passando la lingua sulle labbra del marito ed indietreggiando con la testa per poterlo guardare negli occhi. Dei, aveva sentito ciò che Eros aveva fatto a Nico, ma che tormentasse gli innamorati fin dall'inizio...

"Ha detto che non ha creato niente che non ci fosse, si è solo limitato ad amplificare."

Elisabeth aprì e chiuse un paio di volte la bocca, prima di capire il significato delle parole del marito. "Quindi noi..."

"Si, ci saremmo evitati tutti i casini che abbiamo vissuto, se avessimo aperto gli occhi."

"Perché non me lo hai detto?" chiese lei. "Tu lo sapevi, perché non dirlo a me?"

Apollo la guardò, affranto. "Io non volevo crederci, ho passato anni a negare che fosse vero e... poco tempo dopo sei andata a Troia, non c'era motivo di dirtelo..."

"Ti amo."

Le mani della semidea si modellarono attorno al viso di Apollo ed Elisabeth lo attirò a sé premendo le labbra sulle sue, schiudendogliele con la lingua in una frazione di secondo.

Lui la accarezzò piano, si concesse un'esplorazione languida di quella bocca che – forse – gli era mancato poter baciare in quel modo e le passò le mani sulle spalle, sulle curve del seno e sui fianchi, stringendoglieli delicatamente prima di palparle i glutei. Il ragazzo la schiacciò contro il tavolo ancora di più e la baciò con più ardore, richiedendone altrettanto mentre cercava a tentoni le spille che fermavano il chitone della ragazza su quelle meravigliose spalle allenate.

Trovata la cerniera dello spillone il dio riuscì ad aprire il gioiello ed esultò contro le sue labbra, fiero di esserci riuscito. Elisabeth affondò le mani nei suoi capelli, spingendogli la testa leggermente all'indietro per baciargli il collo avidamente.

Apollo rise, mentre appoggiava il monile sul tavolo – visto che serviva? – e si staccava dalla ragazza quel tanto che bastava per ammirare la stoffa leggera scivolare a terra, lasciandola completamente nuda davanti a lui.

"Sei bellissima." Si lasciò sfuggire, sentendo nel petto quel calore ardente che non provava da quell'antica volta nella vecchia Corinto.

"Anche tu." Lei gli sorrise, facendogli una leggera carezza.

Apollo trattenne il respiro, sentendo l'aria incredibilmente calda, quando lei si morse il labbro superiore. "Tu..."

Dei, quella passione per le labbra della moglie lo avrebbe fatto ammattire, prima o poi.

Elisabeth seppellì le mani tra i capelli di Apollo ancora una volta, aggrappandosi a lui quando la sollevò tra le braccia per condurla verso il letto, senza lasciare mai le sue labbra.

Non smise di baciarla neanche per un istante mentre si sistemava tra le sue gambe, puntellando i gomiti ai lati della sua testa per non pesarle troppo.

"Non volevi il tavolo?" chiese lei ridacchiando contro le labbra del marito.

Affondò le mani tra i suoi capelli scuri, attirandola verso di sé un po' di più, reclamando le labbra della ragazza quando lui si allontanò da lei, baciandole la punta del naso.

"Abbiamo tutta la notte per usarlo, Dolcezza, non temere."

Gli occhi verdi scintillarono nella stanza illuminata dalla luce della luna e la figlia di Poseidone si chinò verso di lui, baciandogli l'angolo della bocca e strappandogli un sorriso, baciandogli poi anche quello prima che potesse abbandonare le sue labbra.

"Ti amo." Sussurrò lui a pochi millimetri dal suo volto e Elisabeth sorrise ancora una volta, protendendo il collo in avanti per cercare le labbra di Apollo. "Anche io."

Il ragazzo le succhiò il labbro inferiore tra i propri, accarezzandole con le dita il collo che si cosparse velocemente di brividi.

Le baciò la fronte, il naso e la mascella, concentrandosi poi su quella porzione di pelle sotto all'orecchio che aveva torturato pochi attimi prima.

Elisabeth mugolò sotto di lui e Apollo sorrise, mordicchiandole la pelle calda, troppo calda sotto al suo tocco.

Le dita della ragazza si stinsero un po' attorno alle sue spalle e Apollo continuò a baciarla lungo tutto il collo, facendo scorrere una mano sul profilo del suo corpo. Le accarezzò il seno, la curva del fianco, si premurò di baciarle ogni singolo centimetro della spalla.

Si leccò le labbra, allontanandosi da lei, impossibilitato a distogliere lo sguardo dal corpo allenato che - finalmente - era tutto suo.

Le dita di Apollo si chiusero attorno al suo mento e le sollevò il volto verso il proprio, baciandola piano, limitandosi a posare le labbra su quelle di Elisabeth prima di baciarle anche la punta del naso e la fronte.

"Sei meravigliosa." le ripeté, posando le labbra sulle sue ancora una volta mentre, con una mano sulla sua schiena, la faceva stendere sul materasso baciandole piano le labbra, il mento, la gola e il petto. Seppellì il volto nella valle tra i seni e Elisabeth gli strinse i capelli sulla nuca ancora una volta, gemendo quando Apollo chiuse le labbra su una delle sue forme, succhiando piano e torturando l'altra con le dita.

Giocò con i seni della moglie per un tempo indefinito, godendosi i gemiti di gola che la ragazza non riusciva più a trattenere, e il modo in cui il corpo rispondeva al proprio, in totale balia di lui e di ciò che gli stava facendo.

Elisabeth si agitò sotto di lui, un secondo prima che Apollo potesse abbandonare un suo seno per baciarle il costato, lo stomaco e il ventre piatto che si ricoprì di brividi, mentre lui scendeva sempre di più.

La semidea si morse le labbra nel tentativo di nascondere un gemito che, comunque, risuonò per la stanza mentre Apollo roteava la lingua dentro di lei, facendole inarcare la schiena e tremare le gambe, in balia del piacere.

Apollo le strinse i glutei mentre la baciava, mentre spingeva la lingua un po' più a fondo.

Il ventre di Elisabeth si strinse per il piacere e alzò la testa dal cuscino, prendendosi qualche secondo per vedere quella del ragazzo, seppellita tra le sue gambe. Per vedere i muscoli della schiena che si flettevano mentre si spingeva contro di lei, portandola a decidere, senza riuscire a trattenere un urlo gutturale di piacere, chiudendo le coperte nel pugno della mano.

Il piacere la travolse con forza e, con un sorriso forse troppo soddisfatto, Apollo si staccò da lei.

Elisabeth respirò con affanno, il petto nudo che si alzava e abbassava più velocemente del normale e sollevò il capo, incrociando lo sguardo maladrino di Apollo che la osservò dal basso prima di baciarle il ventre, lo stomaco e un seno, tornando poi alle sue labbra.

"Ti amo." Sussurrò lei, tra un respiro e l'altro.

"Lo so." Apollo si sistemò meglio su di lei, slacciando la fibbia che teneva ferma la stoffa sui suoi fianchi e lanciandola lontano.

La baciò, assaporando quelle labbra come se avesse paura di perderle due istanti dopo e Elisabeth aprì le mani sulla schiena, accarezzandolo piano, sentendolo fremere sopra di lei.

Con una mano gentile le sfiorò le gambe, già dischiuse e Apollo si spinse dentro di lei, baciandola con più forza.

Elisabeth buttò la testa all'indietro, stringendo le spalle di Apollo per il piacere, cercando di reprimere un gemito, quando si accorse che però non lo aveva prodotto lei, ma lui. Quando Apollo cominciò a muoversi, lei credette di poter morire da un momento all'altro.

Elisabeth si inarcò all'indietro, mentre il marito la baciava ovunque riuscisse a posare le labbra.

"Aspetta." Sussurrò lei, tra un gemito e l'altro, con la voce che non ammetteva repliche.

Apollo boccheggiò, non capendo esattamente la richiesta, arpionando i glutei della ragazza con le mani e avvicinando i loro fianchi per riuscire ad andare più a fondo.
Lei spalancò la bocca, in un muto grido di piacere, bloccandogli la schiena con le proprie gambe.
"Aspetta." Ripeté di nuovo, allungandosi per baciarlo.
Sotto sguardo attento, dei, da quando era così... wow? – ottima descrizione, sei il dio della poesia e l'unica cosa che riesci a dire è wow – della semidea, il dio fu costretto a fermarsi.

Lei gli sorrise, lo baciò lentamente e, stringendogli la schiena con le braccia, con un colpo di reni degno di tutti gli allenamenti a cui si era sottoposta in quegli anni la ragazza riuscì a capovolgere le posizioni.

Da quella nuova angolazione, Apollo fu sicuro di non sapere come diavolo riuscire a respirare. "Dei, quanto ti amo."

La ragazza rise, baciandolo con foga e cominciando a muoversi, alternando movimenti circolari a... Apollo non sapeva bene cosa stesse facendo, forse dei cerchi, forse degli otto, non riusciva a pensare in quel momento, ma indubbiamente era qualcosa di... wow – di nuovo? –.

Lei gli sorrideva, soddisfatta, mentre il dio non riusciva a mascherare i gemiti di piacere che gli uscivano dalle labbra.

Con una leggera pressione sulle spalle, la ragazza lo fece mettere seduto, mentre lui sollevava il busto verso il suo petto, accompagnandola nei movimenti, ansimando contro le sue labbra.

Elisabeth si lasciò cullare dai respiri di Apollo che si infrangevano contro la sua bocca, allacciò le gambe attorno al bacino del ragazzo, puntando i talloni alla base della schiena mentre perdeva la cognizione del tempo.

Mosse il bacino perché voleva Apollo sempre di più, e il ragazzo aumentò la velocità delle spinte, aggrappandosi alle sue spalle, gemendo contro di lei e con lei, stringendola a sé quando sentì di essere ormai al limite.

Apollo spinse un'ultima volta e si godette la reazione della moglie: buttò la testa all'indietro e inarcò la schiena mentre il piacere giungeva qualche attimo prima di lui, con un gemito più forte degli altri. E Apollo spinse in lei ancora una volta, prolungando quel piacere che stava rendendo entrambi schiavi.

La figlia di Poseidone si strinse al marito, lasciandogli leggeri baci umidi sulle spalle, respirando il suo odore dolce, mentre lui la teneva stretta, con la testa tra i suoi capelli.

"Ti amo." Sussurrò di nuovo lei, sentendosi stringere i fianchi.



Ciao. Lo so, sono sparita per un bel po'. Ma avevo le mie ragioni. Comunque, ringrazio tutti per essere arrivati fino a qui, anche se in silenzio, e spero davvero che questo piccolo prequel sia stato di vostro gradimento. Questa è la conclusione della mia "saga", se così si può chiamare, Blood Brothers. 
Spero di riuscire a tornare presto nel fandom di Percy Jackson con un nuovo lavoro (ho qualche bozza in via di sviluppo ma non so se vedrà mai la luce del sole), ma se volete passare sul mio profilo in questo ultimo periodo sono attiva nel fandom dell'MCU e tra poco pubblicherò una nuova one-shot che ha avuto un periodo di gestazione davvero, davvero lungo.
Detto questo, grazie di nuovo per essere arrivati alla fine. 
Arrivederci :)  

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