Il mio nome è Thrip

di The_Red_Goliath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un cucciolo smarrito ***
Capitolo 2: *** Chi trova un amico ***
Capitolo 3: *** Chi perde un amico ... ? ***
Capitolo 4: *** La strada per l'Aurora (Prima parte) ***
Capitolo 5: *** La strada per l'Aurora (Seconda parte) ***
Capitolo 6: *** Nuovi incarichi, nuovi incontri ***



Capitolo 1
*** Un cucciolo smarrito ***


 
 Monti Orsraun, 1357 C. V. circa
 
La catena montuosa degli Orsraun è vastissima, ramificata e indubbiamente complessa. È forse uno dei complessi montuosi più vasti di tutto il Faerun, con vette che superano i duemila metri di quota, gole e crepacci che arrivano fin quasi nell’Underdark, vasti pianori, grotte, valli nascoste e torrenti che spuntano dai fianchi dei monti per poi inabissarsi quasi subito e sparire nelle profondità.
Le rocce sono presenti in grande varietà di tipi, forme e colori, tanto che forse i monti Orsraun celano più tesori in minerali preziosi di qualsiasi tana di drago mai esistita.
Spettacolari paesaggi si alternano a luoghi dove nessun umano dotato di un minimo di senno si avventurerebbe, nemmeno col miglior equipaggiamento magico disponibile nei mercati della Costa della Spada.
Eppure un sacco di specie di umanoidi, di giganti e altre creature più o meno mostruose vivono in questa regione.
Perché vivere su quei monti è difficile. E solo il peggio sopravvive. O il meglio.
Decisamente non i deboli.
 
Così ebbe a scoprire una gelida mattina autunnale, un povero bambino, allontanatosi troppo dai sentieri battuti dalla sua tribù, e ritrovatosi intrappolato in una piccola e stretta vallata, circondato da una dozzina di crudeli goblin.
Tra le grigie rocce che costellavano la vallata, aveva provato invano a trovare un riparo e un nascondiglio. Ma gli spietati inseguitori erano ormai sulle sue tracce, e nel giro di poche ore gli furono attorno.
La pelle verdastra come il muschio delle rocce, le zanne grondanti bava appiccicosa, e gli occhietti piccoli e crudeli, suscitavano nel piccolo un senso di fastidio. Quasi di ribrezzo.
 
«Mi sapresti spiegare perché ci abbiamo messo un’intera mezz’ora prima di vederlo dal costone di nord ovest Skiafez?»
«Non saprei Gerath, eppure è solo un ragazzino umano.»
«Mi sembra un bel po’ deforme per essere un ragazzino umano… guarda la testa e le mani quanto sono grosse!»
«Sarà tipo un mezzo sangue. Lo sai che le femmine umane vengono stuprate da qualsiasi cosa.»

Un coro di risate stridule si alzò dal gruppetto di mostriciattoli, che intanto andava a chiudere le vie di fuga alla sventurata vittima, avvicinandosi al contempo, non più di soppiatto, ma ormai ben visibile.
Pareva strisciassero quasi più che camminare, emettendo solo un vago fruscio sull’erba secca della valle.
A pochi metri dal bersaglio estrassero le piccole asce di bronzo, i pugnali d’osso e le lance di selce dalle punte aguzze e taglienti,  cominciando a schernirlo.

«Sento il tuo lercio odore! Ti sei pisciato addosso ragazzo?»
«Ti scuoierò così lentamente che mi supplicherai di ucciderti. Ma non accadrà così presto…»
«Ho voglia di aprirti la pancia e mangiare le tue viscere ben calde!»
«Vedrai come ci divertiremo a giocare a palla con la tua testona, piccolo mostro!»

Il bambino tuttavia non fu scosso da alcun tremore. Anzi, vistosi ormai circondato, salì in equilibrio su di un masso e cominciò a rispondere a tono ai suoi aggressori, che tuttavia non parvero dar segno di comprenderlo.
Tuttavia si arrestarono dall’avanzare, vedendolo ora perfettamente eretto nel suo metro e mezzo di altezza.

«Non mi sembra affatto un umano Skiafez… Guardagli la faccia! E poi… È … Azzurro???»
«Ti ha dato di volta la merda che hai nella testa Gerath? Come sarebbe a dire “azzurro”?»
«Oh che Maglubyet ti strafulmini… GUARDA!»
«Che io sia cacato da un troll… Si è azzurro… Come quelle rocce che si trovano più a nord… Come cazzo è possibile?»

C’è da dire, stimati lettori, che i goblinoidi, come tutte le creature che vivono per la maggior parte del tempo al buio, di notte, in qualche grotta se non nel sottosuolo, pur vedendoci benissimo in condizioni di perfetta oscurità, proprio a cagione di ciò, hanno una capacità di discernere i colori leggermente inferiore rispetto a quella di altri umanoidi. Li distinguono, li riconoscono, ma ci mettono sempre un po’di più.
Ma torniamo ai nostri aggressori goblin e alla loro piccola vittima.
Il piccolo, non conscio del fatto che i suoi aggressori si stessero rendendo conto per la prima volta, dopo ore di inseguimento, di aver a che fare con una creatura mai vista prima, si stava producendo in tutta la sua gamma di coloriti insulti nella sua lingua natia. Ed esauriti questi, passò a quelli che conosceva nella lingua dei nani (avendole sentite spesso ripetere dal fratello maggiore e talvolta anche dal padre).

«Skiafez… quel coso parla nanico!»
«E sai quanto me ne fotte a me.»
«No, per dire… Cosa è quella cosa color roccia, piuttosto grossa, che parla nanico, ma che insulta come un moccioso, con parole come “pezzi di cacca” e “caccole di troll”?»
«Ahhh… Non saprei… Un nano ritardato?»
«Oppure?»
«LA SO IO! LA SO IO! UN CUCCIOLO DI GOLIATH … OPPORCACCIA LA MAMMA DI SKIAFEZ!»
«HEI! ... Ah no aspetta, è anche tua madre Kiavek. … Hai detto un cooosa ???»
«Bhè, cacasotto, e allora? Se anche è uno di quei cosi pieni di muscoli… È SOLO UN LURIDO POPPANTE!»
«Non direi… È già alto più di noi… Quasi quanto un umano o un elfo…»
«E ALLORA??? Pidocchi di culo di vermeiena… Adesso vi faccio vedere io, Yalken, come si ammazzano i bambini troppo cresciuti.»

Fu così che il goblin Yalken, scalato il macigno da cui il marmocchio li stava insultando, gli saltò addosso, mirando al fianco con la sua lancia.
Un rumore di carne lacerata, un lamento soffocato, e il piccolo si accasciò in ginocchio sul masso. Ancora cosciente sebbene ferito, sanguinante, ma ora visibilmente spaventato.
Il suo aggressore si lasciò andare ad una risata sguaiata e gutturale, seguito a ruota dagli altri compagni che, avendo sentito odore di sangue, avevano ripreso ad avvicinarsi.
Yalken fece per estrarre la lancia dal bambino, ormai tremante, pronto a dargli il colpo di grazia. Ma si accorse con un certo stupore, che questa era rimasta incastrata nelle carni.

«Lercio aborto! Rendimi la lancia! Avanti!»
Appoggiando un piede sul fianco del ragazzo, e facendo leva col corpo, Yalken cercava di estrarre l’arma da questi, ottenendo come unico risultato, di farlo urlare in modo disperato e straziante.
«SE CREPI URLANDO È MEGLIO! MA RIDAMMI LA MIA FOTTUTA LANCIA! ALTRIMENTI LA SPEZZO E TI INFILO L’ALTRA METÀ NEL CU …»
Yalken non riuscì a finire la frase.

Qualcosa, spesso quanto un giovane ramo di abete, ma assai più appuntito e veloce, gli passò da parte a parte il cranio.
Appena pochi istanti dopo, gli altri scellerati aggressori videro qualcosa delle dimensioni di un orso, ma che sembrava fatto di sassi e muscoli, caricare le loro retrovie e cominciare a far schizzare pezzi di cranio a destra e a manca, sventolando qualcosa che sarebbe dovuta essere una mazza, ma sembrava più la gamba strappata a un qualche mostro.
Si diedero ad una fuga scomposta e urlante, ma ciò non li protesse da altre frecce grosse come rami che calavano dall’alto, né da un lupo nero, grosso quanto un piccolo leone, che piombò loro addosso dalla parte opposta rispetto all’energumeno clavato.
 
Alcuni istanti dopo, il bambino si riebbe. Era per terra, circondato dal pelo di un animale che conosceva assai bene. Qualcuno gli stava massaggiando la ferita sul fianco, con una specie di pasta di erbe viscida e molto puzzolente.

«Mamma dai piantala! Che schifo! Questa roba mi ammazza prima dei goblin!»
«Thrip’ad della tribù Kuntana, stai zitto e fammi fare il mio lavoro. O devo dire a Gauran di tenerti fermo coi denti?»
«No, no. Va bene mamma. Sto fermo… Papà è arrabbiato?»
«No. Sono solo seccato.»
«Ciao pa’…»
«Per te sono Litorb, sciocco. Hai già nove anni e ancora non sai ritrovare da solo i segni per arrivare all’accampamento? Tuo fratello Ghrug’le alla tua età già poteva avventurarsi fino alla città dei nani da solo! E i tuoi cugini Daf’ork e Dhel’iv Erù sono già ottimi cacciatori di tassi. E tu ti fai fregare da … da dei goblin… Io non capisco… A COSA STAVI PENSANDO???»
«Cercavo Uluntaya Kukanath …»
«ANCORA QUELLA STORIA??? BASTA! NON ESISTE ALCUNA CAPRA LEGGENDARIA! SE CONTINUI A DARE RETTA ALLE STORIE DI QUEL VECCHIO PAZZO…»
«Quel vecchio pazzo sarebbe mio nonno, Litorb… Il bisnonno del ragazzo… Se hai qualcosa contro la mia famiglia …»
La madre del piccolo goliath si alzò in tutti i suoi due metri e tredici e prese l’arco che aveva poggiato in terra.
«No no… ci mancherebbe… Mandhalà lo sai che stimo tuo nonno in quanto Anziano, druido e …»
«Fa silenzio. E aiutami a sollevare nostro figlio.»
«Si sub… Ma non è ferito?»
«Sì… ma il goblin lo ha preso su una zona di emersione.»
«Una zona di … Vuoi dire che sta già per avere i suoi primi litodermi? A nove anni???»
«Già… Peculiare. Ma succede. Nella mia famiglia spesso. Mio padre li ebbe che era persino più giovane di Thrip»
«Ah… Bhe…Ragazzo hai sentito? A quanto pare hai un vantaggio su tuo fratello e i tuoi cugini. Contento?»

Thrip’ad, giovane goliath di soli nove anni, nonostante la sua stazza facesse pensare più a quella di un giovane adulto di altre specie, ronfava della grossa. La giornata era stata densa di emozioni.
Durante il ritorno al villaggio, comodamente appoggiato sulla schiena della lupa da caccia di sua madre, sognò varie cose. Non tutte con un senso, non tutte realistiche. Quando si svegliò, era calato il sole e le stelle brillavano nitide come non mai nella fredda notte autunnale.

«Padr…Litorb?»
«Dimmi Thrip’ad.»
«Siamo all’accampamento?»
«Manca poco, ma sì. Se alzi la testa puoi vedere le luci delle torce e dei fuochi di allarme. Tua madre è andata avanti ad avvisare che ti abbiamo ritrovato.»
Il giovane goliath stette ancora un po’ in silenzio, mentre la lupa nel portarlo stava attenta ad avanzare lentamente per non farlo cadere. Aveva giocato così spesso col piccolo che lo considerava come un suo cucciolo.
Dopo un po’ Thrip’ad ruppe nuovamente il silenzio della marcia notturna:
«…  Tu e la mamma… Quando vi siete uniti… È vero che siete andati in giro per il mondo?»
«Le tue solite assurdità. Abbiamo esplorato tutte le montagne, questo è vero. Ma il mondo… Il mondo è infinito.»
«L’anziano druido dice che esiste dell’acqua salata che è più vasta delle nostre montagne …»
«… Non saprei … Forse … Dice tante cose quel vecchio.»
«Tu e la mamma siete mai scesi su un fiume con una di quelle cose… Quelle cose fatte coi tronchi messi assieme…»
«Intendi una zattera?»
«Sì!»
«No, mai. Siamo goliath. Perché dovremmo rischiare di annegare su uno di quei cosi?»
«P … Litorb … Ho sognato che io stavo su una di quelle. E mi divertivo tanto … C’era anche altra gente … Loro non si divertivano. Ma io …»
«PIANTALA!»
«Scusa.»
«I sogni sono solo sogni Thrip’ad! E non si vive di sogni sulle montagne. A meno che tu non voglia fare il druido.»

Una nota di preoccupazione si inserì nel tono di Litorb, ma il figlio non ebbe ad avvedersene. Dopo attimi che nella mente del maturo goliath parvero secoli, Litorb fece una domanda al figlio che aveva rimandato da tempo, perché temeva la risposta che avrebbe potuto ricevere, più che incontrare un gigante delle nuvole cui aveva ucciso per sbaglio il gatto.

«Thrip’ad, quando sarai riconosciuto come goliath adulto dal capo della tribù… Vuoi forse fare il druido come l’Anziano?»
«No Litorb. Certo l’Anziano sa un sacco di cose. Ma a me piace fare a botte con gli animali, mica stare lì a sentire tutte le fesserie che dicono, come fa lui. Non hai idea di quanto siano stupidi i conigli. Per non parlare dei discorsi deliranti degli scoiattoli …»
Litorb levò gli occhi al cielo esasperato. Il figlio aveva ricominciato a parlare di cose astruse.
«Non capirò mai perché perdi tempo a parlare così tanto di cose così sciocche.»
«Perché io voglio vedere il mondo, padre. E per farlo dovrò viaggiare e parlare con un sacco di gente. Di un sacco di cose, anche di idiozie di cui non me ne frega niente. Che mi piaccia o no.»
Litorb “il Caccia Ogre”, barbaro della tribù Kuntana, smise di camminare. Aspettò che la lupa della moglie gli passasse accanto, in modo da poter guardare il figlio, steso sulla schiena dell’animale, dritto negli occhi.
Restarono così a fissarsi per alcuni minuti.
Gli occhi del ragazzo erano limpidi e blu, saldi nel reggere lo sguardo paterno e riflettevano le stelle. In lui leggeva paura, apprensione, ma anche una determinazione granitica. Gli ricordò lo sguardo di Mandhalà, quando anni prima gli disse che lo avrebbe partorito lì, nella grotta in cui si erano rifugiati, nonostante i troll li stessero cercando. E comunque le cose erano andate bene alla fine, no?
Litorb riprese la marcia in silenzio. Thrip’ad non aveva letto né rabbia né delusione nello sguardo del padre. Quanto più uno strano misto di apprensione e … orgoglio?
Tornati che furono nella tenda di famiglia, e adagiato Thrip’ad sul suo giaciglio, per permettergli di riposare e recuperare dalle ferite, Litorb e Mandhalà si ritrovarono davanti al falò centrale.

«Domani prendo i ragazzi e Gauran e saliamo sui picchi di nord est. Alleneremo Thrip a saltare i crepacci.»
«Non è presto? Almeno il tempo di guarire…»
«No. Deve accelerare nel suo apprendimento. Anzi, tra qualche anno dirò a Ghrug’le di portarlo con sé, dai nani di Ironfang Deep, perché gli insegnino a usare anche qualche arma più complessa di una mazza o di un giavellotto.»
«Come mai? Solo perché svilupperà i litordermi prima del previsto?»
«No Mandhalà. Gli ho parlato … Dice che vuole esplorare il mondo… È uno di quelli. Un Sognatore!»
«Come mio padre!» Mandhalà si portò le mani alla bocca, come a trattenere un urlo di angoscia.
«Già…»

L’espressione di Mandhalà si era fatta triste e melanconica. Cominciò a fissare le braci del falò con intensità, come se all’interno vi vedesse immagini del suo passato. Alcune belle, altre brutte, molte decisamente tristi.
«Non ha mai fatto ritorno … Ha lasciato la tribù per sempre … Mia madre lo ha pianto per anni e poi è morta senza sapere dove fosse finito.»
«Il ragazzo non farà proprio lo stesso. Se parte prima di farsi una sua famiglia, lascerà solo due vecchi genitori e qualche cugino a chiedersi che fine abbia fatto. E Ghrug’le. E la piccola Freh’fog.»
Al pensiero degli altri due figli, la madre goliath parve rasserenarsi.
«La piccola ha appena cominciato a camminare. Avrà ancora anni per stare col fratellone prima che parta. In quanto a Ghrug’le, visto che vuole andare a lavorare per i nani, non è detto che non viaggi a sua volta allontanandosi dai monti ogni tanto. Chissà che i fratelli non si ritrovino in giro per il mondo.»
Il fuoco scoppiettava per gli ultimi pezzi di legna. A breve sarebbe rimasto solo il rossore delle braci a illuminare la notte e la tenda. I due goliath si abbracciarono.
Dopo avergli dato un affettuoso cazzotto nelle costole, Mandhalà guardò Litorb.
«Alla fine sei orgoglioso di lui, ammettilo.»
«Orgoglioso… Morirà sicuramente affrontando chissà che razza di creature… Come posso non esserlo???»
La luce delle stelle che brillavano fuori, illuminò per un attimo l’enorme sorriso di gioia folle di Litorb il Caccia Ogre.
 
Le Orsraun sono un posto difficile in cui vivere. Per i goliath non c’è sfida più grande che sopravvivere lì. Eccetto forse, sopravvivere nel resto di Faerun.

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Capitolo 2
*** Chi trova un amico ***


Lungo la Grande Strada del Commercio, direzione Murann (in corrispondenza degli ultimi picchi delle Snowflake Mountains), 1367 C. V. circa
 
Una volpe si aggirava furtiva tra i cespugli di more che circondavano il gruppetto di tende.
Gli occupanti dormivano della grossa, stando all’udito della bestiola. Tranne due figure. Una molto molto grossa, tanto che, se non fosse stato per il leggero odore di sudore e muschio, lo avrebbe scambiato per un macigno.
L’altro era decisamente più minuto, ma altrettanto massiccio.
“Due pietre rotolate da bordo strada degli uomini” pensò la bestia sulle prime, con una sottile ironia.
Non si direbbe ma le volpi sono dotate di molta ironia.
Che tuttavia venne meno a questa volpe nello specifico, quando la figura più grossa si voltò nella sua direzione e grugnì qualcosa in quello strano modo di emettere versi che hanno gli umanoidi.
Dal tono tuttavia, anche un picchio avrebbe intuito che stava comunicando “Qualsiasi cosa tu sia, se provi ad avvicinarti al cibo, diventi cibo.”
La volpe pensò bene di cambiare strada… Aveva annusato una famigliola di arvicole alla base di quel faggio poco più lontano, se non ricordava male. Poca roba, ma gustose.
 
«L’hai spaventata, bestione.» bofonchiò il vecchio nano.
Poi tornò a darsi da fare con sputo e pietra da cote, per lucidare un’ accetta da battaglia.
«Era solo una povera volpetta. Avrebbe potuto essere un passatempo. Potevamo giocare a tirarle qualche avanzo. O potevo farmi un nuovo bordo di pelo per il mio mantello. Lo sai, ho una certa età. Patisco il freddo sempre di più. Non come quando ero un nano nel pieno delle forze. Ahhh, avresti dovuto vedermi ai miei tempi. Mentre spaccavo una testa di hobgoblin con una mano, potevo soddisfare una nana con l’altra! E anche una giovane umana col mio amico lì sotto nel caso fosse servito! Ti ho mai detto di quella volta in cui io e Buragast il Mago Sciocco ci trovammo in un rituale orgiastico di fauni e ninfe? Cristo quante botte… E quanto sesso! E quanto sangue. E quanto …»

Il nano aveva ripreso a parlare. Dumar Bondrek – così aveva detto di chiamarsi – a quanto Thrip’ad il goliath aveva capito, aveva questo brutto vizio. Dopo la quarta pinta di birra, attaccava a raccontare e non la smetteva più.
D’accordo, per un goliath, qualsiasi discorso superi i trenta secondi equivale a parlare troppo. E Thrip’ad, cresciuto con le storie del suo bisnonno, l’Anziano druido Gorot’ah, era abituato agli interminabili sproloqui dei vecchi. E Dumar era anche molto molto vecchio, persino per un nano. Aveva detto di avere quanti? Trecento ottanta anni? Trecento ottantacinque?
Vabbè era molto vecchio e parlava in proporzione altrettanto.
Ma Kavaki Santissimo, Pastore di Tutte Le Greggi dei Monti, così era troppo!

«… E quindi presi l’alabarda dalle mani della guardia duergar e gliela piantai nel …»
«Mio bisnonno – cominciò Thrip in un comune stentoreo, interrompendo finalmente lo sproloquio del vecchio – ha detto che chi ammazza volpe si attira sfortuna per tanti anni quanti peli ha volpe in buco di dietro.»
«Intendi dire il “culo” ragazzone?»
«Ah… Si chiama così?»
«Si, culo. C-u-l-o. Culo!»
«Mh… Imparo parola culo.»
«Si però santissimo Moradin, ragazzo devi imparare anche a coniugare un po’di verbi.»
«Cosa?»
«Verbi! Quelle parole che vogliono dire le azioni che fai e quando le fai! Thrip’ad mangia; Thrip’ad va a dormire; Thrip’ad ha pisciato nel cespuglio sopra la testa di un grig; Thrip’ad si è beccato una piccola freccia nel ginocchio e poi ha ballato per un paio di ore buone; Thrip’ad prima o poi scoperà …». Il nano chiuse la frase con una tossicchiante risata.
«Thrip’ad fatto quella cosa che dici tu.»
«Si nella locanda per pagarti il cibo hai pulito il pavimento. Sei stato molto bravo. Non pensavo che voi bestioni delle vette ci teneste tanto alla pulizia. Ma io intendevo …»
«Fatto cosa di affare maschio in affare femmina.»
«Ah… Quindi sai cosa vuol dire!»
«Ah-ah.» fece il goliath muovendo il testone in segno di assenso.
«Era una capretta affascinante?» insinuò malignamente il vecchio.
Thrip’ad si accigliò parecchio. Il “senso dell’umorismo” era una di quelle cose che ancora faticava a comprendere. E dire che i nani di Ironfang Deep gliene dicevano di cotte e di crude a lui e al fratello maggiore, quando andavano a trovarli. Ma di solito finiva sempre in risse e denti saltati.
«Buono, buono, scherzavo! Scherzo! Scher-zo! Tutti fanno ah ah ah ah. Capito?»
«Si. Goliath, mica cretino.»
«Va bene. Va bene… E dimmi… Era carina?»
«No. Cugina.»
«No… Santo Moradin dammi la pazienza della forgia… CA-RI-NA! Bella, affascinante, con tutte le placche pietrose al punto giusto…»
«Djast’it ha pochi litodermi. Ma molto… carina, sì.»
«Bhè, sai come si dice tra gli umani… E tra i nani … E santi dei tra tutti gli umanoidi credo… Comunque, c’è un detto. “Non c’è cosa più divina, che trombarsi la cugina!”»
«Io no suonato tromba con Djast’it. Lei grida abbastanza felice, ma nessuno suona trombe.»
«Oh per la testaccia glabra di Deep Duerra …»
 
I due improbabili viaggiatori si erano incontrati solo poche settimane prima, tra le colline a sud dei monti Snowflake.
Il nano, anche se molto in là con gli anni, scortava una carovana di mercanti che trasportavano spezie, tinture, tessuti e altri ammennicoli provenienti da est.
Erano stati attaccati da un gruppo di giganti delle colline, comandati da un ogre magi. E se la sarebbero vista brutta, se un grosso bietolone roccioso e azzurro, nel tentativo di saltare da una roccia alle spalle dell’ogre, non gli fosse penosamente franato in testa, distraendolo tuttavia dal portare a termine una qualsivoglia magia (sicuramente nociva) che stava per lanciare, e permettendo all’anziano Dumar di raggiungerlo ansando e di staccargli la testa con due buoni colpi di accetta da guerra. La stessa che stava lucidando fino a pochi minuti prima di cominciare a sproloquiare come suo solito.
Avendo appreso dal rintontito goliath di nome Thrip’ad, che era diretto verso le grandi città della costa, così come loro, ed avendo come unica guardia un nano piuttosto spompato, i mercanti decisero di portarsi appresso anche il bestione. Sebbene, come ebbero a rammaricarsene nei giorni seguenti, mangiava quanto e più del nano. E pareva stesse cominciando a bere alcool in eguale misura.
Eppure, da che Thrip’ad aveva preso a viaggiare con loro, non erano più stati importunati nemmeno dalle cornacchie alle ore dei pasti. Si vede che la mole del goliath terrorizzava abbastanza, senza che dovesse mettere in mostra le sue – purtroppo – ancora acerbe capacità di combattimento.

Passarono così altri giorni e la carovana arrivò tranquillamente (ma coi viveri agli sgoccioli) a Riatavin.
Qui Thrip’ad accompagnò il nano a vendere parte della refurtiva sottratta ai loro aggressori di pochi giorni prima.

«I giganti nelle tasche e nelle bisacce di solito hanno solo roba di merda. Lo sai meglio di me, roccetta. Ma questi erano ben forniti. Avere un magi come capo deve averli resi più furbi. E appunto, non scordiamoci della robina magica del magi. Quei figli di puttana sono incredibilmente furbi, e sanno riconoscere gli oggetti magici di migliore fattura. Tipo – il nano si frugò in una delle tasche della cintura – vedi questo anello? Lo sai che fa?»
«Si mette a dito.»
«Si. Ma fa anche una cosa interessante. Guarda.»
Dumar si infilò l’anello al pollice, e poi, di colpo, tuffò la testa in un barile pieno d’acqua che aveva lì vicino.
«DUMAR! Dumar tu è vecchio ma no buona idea far fine vita così! Se vuoi ti dà io mazzata su testa! Dumar! Dumar, dai esci da secchia di legno! DUMAR! DU … mar?»
Dumar stava sorridendo al goliath con la testa sott’acqua. Anzi pareva quasi stesse fischiettando, sebbene dall’acqua non uscisse alcun suono, solo bolle.
Poco dopo riemerse, ma senza annaspare. Respirava normalmente.
«Anello del Respiro Subacqueo. O del Respirare Sott’Acqua! Non molto utile tra le montagne, ma chissà a chi lo aveva sottratto quello stronzo di un magi. Vale qualche millanta, lo sai?»
«Millanta?»
«Si. Migliaia di monete. Monete d’oro!»
«Aaah! Cosa buona! Con oro tante buone armi!»
«BRAVO! Qualcosa dai miei cugini di Ironfang l’hai imparata allora, roccetta! Tuttavia non solo armi. Cibo, vino, birra, corde, pozioni, fiasche di fuoco liquido… Se vuoi viaggiare per il mondo, ti serve questo e anche altro. Vieni, ti mostro come si fa.»

Restarono lì a Riatavin per una settimana circa. Settimana in cui Thrip imparò da Dumar come si vendono gli oggetti, dove si trovano le bettole migliori per bere e quelle migliori per darsi due legnate in allegria, e come si approcciano le gentili donzelle dei bordelli.
Thrip’ad era abbastanza frastornato dalla città umana. Non era la prima che visitava, ma era la prima abbastanza grande da non essere considerata un borgo o un villaggio. Questa aveva mura di pietra e di legno, torri, un castello e un sacco di guardie e altra gente strana ma spesso molto ben armata. Dumar li chiamava “Avventurieri”. E l’odore… Cibi e bevande mai annusate prima. E l’odore del piscio dei vicoli, dei piccoli goblin che provavano a saccheggiarti le tasche, dei ratti di taglia più che generosa che, se ti addormentavi vicino al chiusino sbagliato, provavano a mangiarti la faccia.
Fosse stato da solo, Thrip’ad sarebbe stato masticato e sputato persino da Riatavin. Di questo il goliath se ne rese conto subito. Ma per fortuna aveva incontrato quell’anziano nano, che lo aveva preso in simpatia.

“Sarà anche logorroico, ma ci sa fare il vecchio. Come il bisnonno, ma in città, non nei boschi o sui monti. È incredibile. La gente invecchia, e diventa più debole. Ma in qualche modo sembra che sappia fare sempre più cose. Forse noi goliath non dovremmo permettere ai nostri guerrieri e cacciatori anziani di andare a cercare la fine tra i monti. Forse dovremmo lasciare che vivano assieme tutti nello stesso punto, così da ritrovarli sempre nel caso ci serva la loro esperienza. Peccato non tutti sappiano diventare aquile come l’Anziano. Però se vivessero tutti assieme… Qua nelle città vivono assieme … Pare si aiutino tra loro. Grossomodo, almeno …”

Erano tanti pensieri per la mente di un solo goliath. Per un goliath fermarsi nello stesso punto troppo a lungo, equivale a morire. Specie sulle Orsraun, dove giganti e orchi cercano sempre di farti la pelle.
La città tuttavia stava presentando un nuovo approccio alle cose al cervello di Thrip’ad. Gli stava facendo scoprire un mondo molto più organizzato. Forse anche troppo.
Quando ebbe l’idea di “dare un giudizio che restasse ben impresso” sulla qualità di una delle bettole in cui Dumar lo aveva portato, in modo che altri avventurieri potessero avvantaggiarsene, le cose non andarono come le aveva previste.
Le guardie furono piuttosto risolute nel dire che provare a infilare un tavolo in bocca a un mezzo-gigante, per quanto questa sia larga, non è un buon modo di “dare un giudizio” sulla qualità del servizio di una qualsivoglia attività commerciale.
E dopo che Dumar ebbe pagato la cauzione di Thrip’ad, i mercanti furono “cortesemente” pregati di abbandonare la città.
Fu così che la carovana ripartì per Murann.

«Stupida testa di capra morta che non sei altro! Perché hai combinato quel casino?»
«Bhè io vuole …»
«STAI ZITTO! Lo sai che mi hai fatto sfumare un affare? Eh? Lo sai?»
«Tu urla tanto … Ma io non ha fumato affare … Che vuol dire fumato affare?»
«IDIOTA! Ti ricordi l’ogrefiglioditroiamagi? Quello a cui sei caduto tra capo e collo e porcaccio il mondo perché non ci sei rimasto secco allora? EH?»
«S-si … Thrip’ad ricorda … Ma …»
«SI-LEN-ZIO! Parlo io! Dunque, la merda magi, aveva come arma questa bellissima ascia bipenne – Dumar, con estrema semplicità, come se si stesse cavando un fazzoletto dalla tasca, estrasse dal suo zainetto una specie di padella di ferro affilata, molto più grande di qualsiasi cosa Thrip’ad avesse mai visto chiamare “ascia” – che io stavo per vendere a un mezzorco piuttosto idiota. Dopo cinque, dico CINQUE giorni che ho provato ad appiopparla a qualsiasi armaiolo. Ma lo sai che dicevano quelli? Lo sai?»
«N-no io …»
«ZIIIITTO! Mi dicevano “Oh mi dispiace messere nano. Ma solo un gigante può brandire un’arma da gigante. O un guerriero davvero molto molto abile. E qui a Riatavin e difficile capitino l’uno o l’altro. Le vanno bene poche merdose monete?” CAPISCI? Poche merdose monete! Quando i bastardi lo sanno che questa è un’opera di alta metallurgia. E di monete ne vale almeno due centinaia. Se non di più! Ora comprendi quello che hai fatto??? Stavo per gabbare questo mezzorco lì alla locanda quando tuuu hai voluto dare “il tuo parere sulla locanda”. Fosse stato anche piscio di drow quello che ti versavano nel bicchiere, saresti dovuto restare MUTO! E FERMO!»
 
Continuarono a camminare in silenzio per ore. Dumar aveva rimesso l’ascia sproporzionata nello zaino ed era andato in testa alla carovana, lasciano Thrip’ad nelle retrovie da solo coi suoi pensieri.
Ora, finalmente Thrip’ad aveva un po’di silenzio, e non sarebbe stato affatto male, normalmente. Ma c’era dell’astio in quel silenzio. E il goliath si scoprì per la prima volta a rimpiangere il suono del chiacchiericcio costante del nano.
Arrivata la sera si accamparono come al solito su uno spiazzo erboso poco lontano dal ciglio della strada.
Dumar continuò a non parlare con Thrip’ad, che lo fissava a distanza come un cane bastonato, e anzi lo lasciò anche per tutto il turno di guardia da solo.
Finalmente, all’alba del giorno seguente, rivolse nuovamente la parola al barbaro porgendogli una tazza di tisana calda.

«Toh, prendi. Sei stato su tutta la notte. Almeno questo lo sai fare. Lo “spaventabriganti”.»
«Grazie … Scusa per ascia non venduta.»
«Pff… La venderò a Murann. Lì c’è un porto. Più gente, più traffi… Che cos’è quella faccia?»
«Porto?»
«Sì porto! Un porto! Dove si ormeggiano le naaaaooohmioMoradin, tu non sai cos’è un porto! E scommetto nemmeno una nave.»
«Na-vhe, è quella cosa che va in acqua grande salata.»
«Mare. E n-a-v-e. Senz’ “acca”.»
«Ah, capito. Tanta gente viaggia su … mare?»
«Si. Non riesco a capire perché, ma sì. A quanto pare agli umani e quei finocchi degli elfi piace molto rischiare di annegare tra le onde. Contenti loro.»
«Mio padre dice … Dice-va? Sì. Diceva stessa cosa quando io bambino. Gente di montagne pazza ad andare su … mare. Noi fatti per il terreno e per le rocce.»
«Uo… Goliath saggio tuo padre. Tu, a parte i muscoli, non hai preso questa cosa da lui, vero?»
«Tutti dicono che Thrip’ad più simile a nonno Go’hrt. Lui partito … È! Lui è partito tanto tempo fa e mai tornato. Lui sogna … va. Lui sognava grandi avventure come Thrip … Come me.»
«Roccetta complimenti! Quanti sforzi oggi per parlare bene! Lo fai per fare buona impressione su questo vecchio, eh?»
Thrip’ad divenne leggermente più azzurro in volto. D’altro canto i goliath arrossiscono così, azzurrando. O ingrigendo. Insomma dipende dal colore base dell’incarnato.
«Bhè se proprio vuoi farti perdonare del tutto da questo nano, oggi allenamento difficile con le armi! Oggi ti allenerai proprio con questa!»
Detto ciò, Dumar porse al goliath la bipenne più grande di una taglia rispetto al normale.
«Dai, adesso voglio proprio farmi due ris… Oh per la Barba Dorata di Moradin.»
Thrip’ad, dopo un primo sbilanciamento in avanti, dovuto al peso della strana arma, aveva cominciato a maneggiarla tranquillamente, quasi come se fosse stata fatta per lui.
«Padre Litorb detto a Thrip’ad “Noi combattiamo giganti. Da tanto tempo ormai goliath imparato a usare anche loro armi. Sennò non si sopravvive sulle Orsraun”. Tu non sa, Dumar?»
«Che io sia preso a calci nel culo da un coboldo, no. O forse lo sapevo una volta ma poi l’ho dimenticato. Mi hai fregato Roccetta. Ahahahahahah.»
La risata del nano fu uno dei suoni migliori sentiti da Thrip’ad da che aveva lasciato casa.
Finito l’allenamento restituì l’arma al nano, che tuttavia continuò a fissarlo per un po’mentre tornavano al campo.
 
Ripreso che ebbero il viaggio, non ci furono altri problemi tra i due, o sfortunati incontri per la carovana.
Fu così che in due settimane arrivarono al crocevia che portava a nord, verso Athkatla e le grandi città della Costa della Spada, a solo un giorno di viaggio dalle porte di Murann.
Lì c’era un grande campo semipermanente per tutte le carovane e i viaggiatori che transitavano. Lì si faceva qualche commercio, ci si scambiavano notizie, e grossomodo si cominciava a capire che aria tirasse nella grande città portuale. Giungevano notizie interessanti, di grandi carichi d’oro e viaggiatori esotici provenienti dallo strano continente scoperto da navigatori dell’Amn pochi anni prima.
Questo caricava di fermento tutte le carovane mercantili, che sognavano già grandi margini di profitto e affari mai sperati, tramutando il tutto in un’enorme festa gitana per tutti i carovanieri, gli avventurieri che li scortavano e i viaggiatori occasionali.

Thrip e Dumar gozzovigliarono tutta la notte, tra alcool donne e cibo. Musiche diverse e danze esotiche riempirono l’aria della sera, assieme al profumo dei cibi alla brace e delle bevande speziate, e ai colori delle vesti dei più diversi popoli della parte ovest del Faerun, umani e non.
Al mattino dopo, Thrip trovò il vecchio nano seduto accanto a uno dei fuochi della loro carovana.
In mano reggeva l’imbracatura di cuoio che serviva a riporre e trasportare la bipenne dell’ogre magi, di modo che la lama non perdesse il filo.
Sembrava che il nano ci avesse lavorato su la notte con dei ferri da artigiano, per ritagliare e adattare il cuoio.

«Dumar, tu fatto notte brava ieri eh? Io ti ha visto con giovani nane chieriche a vantarti. Quante tu strombazzate? Eh?»
Dumar stava con gli occhi chiusi, il volto teso, come a volersi concentrare su qualcosa di molto importante.
«Dumar allora? Tu diventato timido nanetto di cento anni tutto di improvviso? Eh?»
Dumar non rispose… Dalle sue mani, l’imbracatura per l’ascia scivolò dolcemente al suolo.
«Du…Dumar?»

I goliath sono esseri avvezzi alla morte. Muoiono per incidenti di montagna, combattimenti, lotte finite male, veleni di piante o animali sconosciuti, o per malattie in seguito alle ferite riportate.
Ma un goliath non ne ha mai visto un altro morire di vecchiaia. Quando giunge il loro tempo, semplicemente si allontanano dalla tribù, per non essere di peso. Come e quando moriranno è un segreto tra loro, le rocce e Kavaki, il Dio delle Greggi.
Thrip’ad pianse in silenzio. Lo trovarono abbracciato al corpo del vecchio nano. Una statua che ne cinge un’altra. Solo le lacrime che copiose scendevano dalle guance del colosso e innaffiavano la lunga barba bianca del nano, facevano capire di non star assistendo all’opera di uno scultore superbamente abile, ma ad uno straziante addio fra amici.

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Capitolo 3
*** Chi perde un amico ... ? ***


Città di Murann, regione dell’Amn, 1367 C. V. circa
 
Dumar Bondrek venne sepolto da altri nani nelle cripte poste sotto un piccolo tempio dedicato a Moradin poco fuori le porte di Murann.
I suoi averi vennero affidati ai chierici del tempio affinchè venissero spediti ai parenti che, a quanto disse loro Thrip, in base ai discorsi del vecchio risiedevano tra Silverymoon e l’appena riconquistata cittadella nanica di Felbarr.

«Il vecchio veniva da così lontano?» commentò la sera dopo le esequie il capo carovaniere.
«Eh sì. Pare fosse stato colto dal sacro fuoco dell’avventuriero quando ormai era già un nano adulto. Si era stufato di attacar briga con gli orchi, in attesa della riconquista di Felbarr, ed era andato a cercare “cose più grandi in giro per il mondo”.»
«Bhe, un po’ come il nostro bestione. Nevvero Thrip’ad? Per questo andavate così d’accordo?»
Thrip’ad si alzò ed uscì dalla locanda, senza dare alcuna risposta.

Erano ormai arrivati a Murann, ma la grande città portuale sembrava non interessare per niente il goliath, che si era chiuso nel riservato mutismo, tipico della sua gente.
Chiuso il contratto coi mercanti e ricevuto il suo compenso, il goliath aveva visitato il porto, ma quasi senza vederlo. Trovò superbo il mare, impressionanti gli immensi vascelli a tre alberi e con un sacco di vele che giungevano dall’estremo ovest; incredibilmente fastidiosi i gabbiani che berciavano nel porto, sui moli, e tra le barche.
Ma qualcosa mancava. Un suono, una voce, un continuo raccontare storie. Qualcosa in Thrip’ad si era spezzato. Si trovò a pensare con nostalgia alle sue montagne, e a chiedersi se in fondo non era lì che sarebbe dovuto sempre restare. Il mondo fa male. Il mondo è cattivo. Ti porta via gli amici appena incontrati. Come può un goliath da solo, far fronte a tutto questo, senza la sua tribù. Glielo avevano sempre insegnato da piccolo. Un goliath lavora sempre con gli altri goliath. E una squadra è forte tanto quanto il suo componente più debole. Ma un goliath solo, è automaticamente lui stesso il più debole della squadra. E per questo è destinato a fare una fine rapida e ingloriosa.

Attanagliato da questi cupi pensieri, si aggirò per quasi un mese dentro Murann, dilapidando i suoi pochi averi in taverne. E finiti questi divenne un barbone, un enorme accattone pietroso, scambiato dai passanti per una statua quando gli andava bene. Per un pericoloso brigante quando gli diceva male.
Passò alcune settimane in prigione per uno scambio di persona (una nobildonna che a quanto pare non sapeva distinguere un troll da un orco e un orco da un goliath, accusò Thrip’ad di averle sottratto una preziosa tiara gemmata).
Quando venne finalmente scarcerato, nessuno gli diede delle scuse, nemmeno informali. Le guardie lo sbatterono per strada, lanciandogli ai piedi quel poco che gli restava.
Un mantello da viaggio, un sacco cencioso e vuoto, poche monetine di rame e … un’ascia bipenne stranamente grande, con la sua imbracatura di cuoio.
Solo allora Thrip si accorse di aver tenuto sempre quell’ascia con sé.

Lo avevano ritrovato che stringeva Dumar, e l’ascia era ai suoi piedi. E tutti dovevano aver pensato che un oggetto talmente grande dovesse per forza appartenere al goliath, sia i mercanti che i nani del tempio. Probabilmente gli avevano passato l’arma e lui, per riflesso, senza neanche pensarci, doveva averla messa nel suo sacco che fungeva da bagaglio. In quel momento aveva altro a cui pensare. O a cui non pensare.

“Oh! Oh no! Questo… Questo è il bottino invenduto di Dumar! Quello che non è riuscito a vendere per colpa mia! Devo … Devo darlo ai nani del tempio! Anche questo appartiene alla sua famiglia! Non posso permettere che resti invenduto ancora una volta per colpa mia!”
E così corse verso le porte della città, per uscirne e recarsi al tempio di Moradin.

Ma Murann è vasta. E il rancio della prigione a malapena sufficiente per un goliath.
Aveva perso un sacco di peso e di muscoli in cella, e i morsi della fame non tardarono a farsi sentire.
Passando davanti a delle vetrine vide il suo riflesso. Uno spilungone secco e azzurro-grigiastro, sporco e coperto da pochi cenci e un mantello da viaggio.

“Perdonami Dumar … Ma ho fame… E mi servono soldi per rimettermi in forze e tornare a casa… Tra le mie montagne … Dai, almeno avrò venduto quest’ascia come volevi. Ti prometto che proverò a ricavarne tanti soldi, come volevi tu! Se ne ricaverò abbastanza, manderò quelli alla tua famiglia al nord. Lo prometto, parola di Thrip’ad il goliath della tribù Kuntana!”
Girò per vari armaioli e fabbri di Murann, ma proprio come gli aveva detto sgridandolo il vecchio nano, quel tipo di arma era molto difficile da piazzare.
Fu così che si trovò a trattare con un inquietante ricettatore, nei vicoli più luridi della città.

Il tipo si faceva chiamare Flaziel il Vantaggioso. Puzzava vagamente di zolfo, la sua carnagione era stranamente arrossata e i suoi occhi molto più gialli di un paio di occhi normali. In più, oltre ad avere l’atteggiamento e l’espressione di chi venderebbe sua madre per alcune monete di argento (e nessuno ci assicura non lo avesse fatto davvero), Thrip’ad avrebbe giurato di aver visto anche un paio di piccole corna, sotto il cappuccio del tizio.

«Bene, bene, bene. Cosa abbiamo qui?».
La voce del tizio era sgradevole. Non per il tono, o perché disarmonica o gracchiante. C’era comunque qualcosa nella voce di quel tipo che faceva pensare che qualcuno stesse suonando un violino con un gatto vivo a cui avevano strappato l’anima per ricavarne le corde del violino stesso. E nemmeno il violinista doveva essere troppo ben messo.

«Ahhh! Una bipenne dei giganti. Merce rara, molto rara. Ma anche ben fatta… Forse una volta era di un giovane gigante delle nuvole. Chi lo sa… E tu come l’hai avuta, mio malmesso amico?»
«Era di mio amico. Lui è morto. Voglio venderla e dare parte dei soldi alla famiglia.»
«Il tuo amico doveva essere un bel tipino per uccidere un gigante e prendergli l’arma.»
«Non era di un gigante. Era di un ogre mago.»
«Un ogre magi intendi? Stupefacente! – In realtà la faccia di Flaziel diceva “Non me ne può fregare di meno” – Bhè comunque fanno parte della stirpe dei giganti anche loro, non lo sai?»
«No. Quanto mi dai?»
«Ehiii! Che fretta… Così subito al dunque? Ti insegue qualcuno?» insinuò Flaziel furbescamente. Intanto i suoi occhi, luminescenti nella penombra del vicolo, mandavano segnali di “truffa imminente ai danni di un povero sempliciotto”.
Tuttavia Thrip’ad non si sentiva in vena di litigare.
«Ascolta. Io non ha niente. Ma ascia so che vale almeno duecento monete di oro. Me lo ha detto mio amico. Tu mi dà monete, ti tiene ascia e tutti felici, va bene?»
«Mh, mh, mh… Eh, come si dice: “Chi trova un amico…”».
Thrip’ad lo fissò perplesso.
«Il detto… “Chi trova un amico, trova un tesoro”. Vabbè fa niente. Duecento hai detto. Uhm, diciamo più un centinaio scarsi. E forse hai capito male. Forse diceva di argento. Maaa siccome oggi mi sento toccato dalla tua triste condizione di straccione, potrei arrivare anche a venti monete d’oro. Che dici?»
Thrip’ad sapeva che la persona che aveva davanti era un truffatore, un pezzo di merda e chiaramente non un umano. Ma lui non sapeva trattare. E prenderlo a pugni non se ne parlava. A stento si sentiva la forza necessaria a reggersi in piedi. Restò in silenzio a pensare.
«Amico, io capisco la tua riluttanza a separarti da un’arma così bella, ma il mio tempo è prezioso. Venticinque pezzi d’oro e cinque di argento, così ti fai anche un buon pranzetto eh? Che ne pensi?»
«Io… Non so … Non credo …»
I toni del ricettatore cambiarono. I suoi occhi divennero freddi e duri. Un tono di chiara minaccia era percepibile nella sua voce, nel suo volto e nella postura del corpo, improvvisamente rigido e teso.
«Amico, basta scherzare. Questa roba l’hai rubata, è chiaro. Magari hai ammazzato tu stesso il nano che si chiamava Roccetta.»
«COSA? NO! Io … Chi avrei ucciso scusa?»
«Ahhh… Non sapevi nemmeno come si chiamava. Ma hai fatto un errore grossolano per un ladro. Guarda, qui nell’interno dell’imbracatura il nano ha segnato con una punta a caldo il suo nome in rune. Vedi? Roccetta … Ah… No aspetta … Per Roccetta. Chi sarebbe mai questo Roc … Amico, tutto bene?»
«Chi trova un amico trova tesoro. Ma cosa perde chi perde un amico?»
«Come scusa?»
«Cosa perde chi perde un amico?»
«Ma che cazzo vuoi che ne sappia io? Magari perde un tesoro. Magari tutto … Magari l’anima o il senno. Che me ne fotte! Piuttosto, mi stai cominciando a seccare coso. E smettila di fare quegli occhi da pazzo!»
Thrip era sconvolto. Dumar aveva inciso quelle rune per lui, che non sapeva scrivere. Voleva dare l’ascia a lui!
«Chiamava sempre me “roccetta”. Io sono Roccetta! Ridammi l’ascia! È mia! Non posso venderla!»
«Eh eh eh. E no caro mio, non si scherza così con Flaziel.»
Le dita del tipo s’illuminarono di uno strano, minaccioso bagliore rosso-arancio.
«Ora, io mi porto via la tua ascia, che sia tua o che tu l’abbia rubata. Perché sei un povero coglione e mi hai stuf…»
Una mano grande e nervosa si avventò sulla gola del ricettatore tiefling Flaziel.
«L’ascia. È. Mia! Tu. Me. La. Ridarai. OOORAAA

Il goliath per quanto magro e denutrito era diventato almeno una volta e mezzo più grande. I muscoli di roccia vibravano sotto la pelle tesa. I suoi occhi blu, normalmente gentili e un po’ sognanti, erano stati rimpiazzati da due pezzi di zaffiro freddi e bluastri. E bava stillava dagli angoli della sua bocca.
«Hai…coff … Fatto unaaah… Cazzata … La tua coff coff ultima cazzataaaahhh»
 - CRICK –
Il rumore della cartilagine ioidea di Flaziel che cedeva, e il panico che ne derivò, fecero perdere abbastanza concentrazione al tiefling da interrompere l’incantesimo di fuoco che stava per lanciare.
Tuttavia Thrip non si stava fermando. La sua coscienza era in un posto buio freddo e lontano. Al suo posto, nella testa di Thrip’ad, ormai c’erano solo rabbia e il desiderio di vedere come muore un coso dalla pelle rossa.
Gli occhi di Flaziel erano ormai un bel po’ fuori dalle orbite, il suo incarnato era passato da un tenue rosso a un tetro viola-nerastro, così come la lingua, normalmente già più scura di una lingua umana, era adesso inquietantemente gonfia e nera.

«Hei! Tu laggiù! Che stai facendo! Fermati! Così lo ammazzi!»

La voce giunse a stento alle orecchie di Thrip’ad. Il sangue nel suo cranio rombava troppo rumorosamente per badare ad altri suoni.

«Amalena, questo è partito per incazzatolandia. Placalo con un canto, svelta!»

Una melodia dolce e soave poco a poco cominciò a sovrastare il rumore del sangue nelle orecchie di Thrip’ad. La canzone parlava di casa, e di dolci ricordi. Di affetto materno e di amicizia. Di tutto ciò che è di bello nel mondo e di come basti poco per ricordarsene.
«Hei, roccetta. Non ti pare il caso di lasciar andare questo povero stronzo?»
La voce che cantava ora era in sincrono con un’altra voce nelle orecchie (… o forse nella testa? O era il cuore?) del goliath furente. Era la voce di Dumar.
«Dai su. Lascialo. È una povera merda. Non mi pare un bel modo di lasciare Murann, non credi? Pestando una cacca di cane. Sì, dicono porti fortuna, ma tu ci hai mai creduto? Su ragazzone, calmati dai. Il peggio è passato. Hai l’arma che ti ho lasciato. Non me ne sono andato davvero. Sono solo un po’più avanti di te. Hai ancora tanta strada da fare tu, e non ti puoi certo fermare ora. Dai. Coraggio bestione delle Orsraun. Riprendi il cammino e rendici tutti fieri di te. Più di quanto lo siamo già.»
Parve a Thrip’ad di sentire voci di persone che non sentiva da tempo. E anche qualcuna che non aveva mai sentito.
Il tiefling rantolava a terra ripiegato su sé stesso.

Uno gnomo baffuto lo stava prendendo a calcetti sulla schiena.
«Così! Impari! A! Fregare! La! Gente! E ora smamma, prima che mi occupi di te personalmente!»
Flaziel non se lo fece ripetere due volte e rialzatosi a stento, tossendo e soffocando, cominciò a barcollare via nella parte più buia e profonda del vicolo.
Thrip’ad invece era crollato su una cassa appoggiata nel vicolo, e stava piangendo lucciconi grossi come perle degli elfi dei mari.
«Suuu, suu calmo omone. Va tutto bene. Hai solo passato un brutto periodo, mi pare di capire. Sei ridotto davvero male. Ma coraggio! La vita è bella! Il mondo è vasto! Tutto sorride!»
Lo gnomo intonò così un’allegra filastrocca oscena che parlava di un pollo che attraversava tutti i giorni la strada, per andare a vedere le galline nude esposte nella macelleria dall’altra parte.
Thrip’ad smise di piangere.
«Non l’ho capita.»
«Come non l’hai capita? E a lui piacean le pollastrelle, nude sì ma alquanto mortarelle!»
«Ah. No scusa. Non mi fa ridere. Mi fa venire solo fame.»
«Comprensibile, comprensibile… Comunque permettimi di presentarmi. Presentarci, scusate amici.»
Il goliath si accorse solo allora che oltre al piccolo essere che a stento gli arrivava al ginocchio, vestito color zucchina e con dei favoriti piuttosto enormi per uno così piccino, nel vicolo erano presenti anche altre due figure.
Una donna sulla trentina, dai lunghi capelli bianchi, molto magra, che indossava leggere vesti di lino candido, sotto una leggera cotta di maglia argentata, e reggeva un liuto intarsiato in oro, con al centro della cassa di risonanza, un sole stilizzato.
E ai piedi di lei un altro essere, forse ancora più piccolo di quello vestito color zucchina, ma vestito in modo decisamente più sobrio e molto più grasso, con tutta una matassa di ricci scuri sul capo.
«Lascia che ci presenti. Io sono Arlo Fitzbottle Polsen, maestro prestigiatore e gnomo illusionista. Il mio amico ricciuto lì a destra è Colton Dagger Polidori, halfling scrittore e poeta e a tempo perso borseggiatore.»
«Artista del trasferimento inconsapevole, prego!» sottolineò l’halfling piuttosto offeso.
«Sì, sì. Come vuoi. E la nostra efebica amica è Amalena Sulien, cantante, musicista (forse aasimar) e Voce di Lathander… O Suonatrice di Lathander… O qualcosa del genere. – la donna alzò gli occhi al cielo – Fatto sta che prima faceva la muffa a pregare in un tempio ed ora suona con noi per le città. Tutti insieme siamo I Tre Astri del Palco!»
Lo gnomo enfatizzò quelle ultime parole come se avesse appena detto a Thrip’ad che loro erano i salvatori del Faerun intero.
«Ah. Thrip’ad. Della tribù Kuntana delle Orsraun. Goliath. Piacere.»
E tese la manona verso lo gnomo, che lo guardò un po’ deluso e un po’interdetto.
«Ah-aah… Capisco. Sei un tipo di poche parole. Senti, non sappiamo quello che ti è capitato. Ma deve essere certo una storia lunga. Noi domani partiamo per Athkatla, via terra, per una serie di spettacoli che ci porterà su, su, fino all’estremo nord. Ma non troviamo nessun uomo d’armi disposto ad accompagnare la nostra compagnia.»
«Dicono che siamo molesti, imprevedibili, logorroici, egomaniaci…» aggiunse sempre con tono offeso l’halfling.
«E hanno ragione, per quanto riguarda voi due.» aggiunse la donna. «Ma è anche vero che da soli non sappiamo difenderci. Per cui signor goliath, che ne dice se in cambio di cibo e qualche moneta, non ci accompagna su al nord?»
«Per non parlare della sua storia! Deve essere una storia davvero affascinante!»
«Arlo smettila, lo infastidisci.»
«Amalena non è vero. Lo vedo che sente il bisogno di aprire il suo grande cuore e …»
«Veramente ora come ora voglio un buon bagno, tanto cibo e un letto comodo. Grazie accetto la proposta. Un mio amico era del nord. Credo che se lui è sceso a sud per cercare avventure, io devo salire a nord. Ho tanta strada da fare. E mi manca un po’di rumore nelle orecchie.»
I tre si guardarono senza capire.
D’altro canto non sempre i goliath sono facili a comprendersi. Ad esempio, non tutti lo sanno, ma i goliath cantano. Non un canto a parole, sia chiaro. È più un canto interiore. Un suono che emettono facendo vibrare diaframma, torace e gola e che ai non avvezzi alla cultura goliath può sembrare una serie di rutti molto ben modulati.
Quella sera Thrip’ad cantò. Cantò dal balcone della locanda in cui i tre nuovi compagni di viaggio alloggiavano, rivolto verso le acque del porto e il sole che sembrava inabissarsi in esse. Cantò per Dumar. Un amico perduto. Cantò per Dumar, un amico che non se ne sarebbe mai andato dal suo cuore.
 
 
 
Ovviamente dai Tre Astri del Palco, gli venne chiesto di non cantare mai più.
Ma questa è un’altra parte storia.

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Capitolo 4
*** La strada per l'Aurora (Prima parte) ***


 Città di Baldur’s Gate, sale della guarnigione cittadina del Pugno Fiammeggiante, torre di sorveglianza della Porta di Gond, 1369 C. V. circa
 

«Allora, mi ripeta tutto per filo e per segno signor… »

Juniper Malden, ufficiale del Pugno fiammeggiante addetta a mantenere l’ordine nel quartiere di Bloomridge, riaggiustò la medaglietta che ne indicava il grado di Giovane Fiamma, e poi tornò a studiare la pila di pergamene un po’ unte che aveva dinnanzi a sé. Il sergente Phil “Mortadella” Pores aveva come al solito consumato (e sporcato) un sacco di pagine per descrivere quella che, secondo l’istinto di Juniper, era stata solo una comune rissa da locanda. E in quel marasma di dettagli inutili, scritti con la solita grafia sghemba e sporca di Pores, tipica di chi aveva tenuto in mano delle reti da pesca dagli otto fino ai quattordici anni per poi passare ad impugnare direttamente una spada; in quel orrendo guazzabuglio di macchie di sugna colata da chissà quale pietanza e lettere storte, strette, chiuse male, come al solito, si faticava a ritrovare i nomi dei soggetti coinvolti nel reato (in questo caso danni a cose e persone, schiamazzi, tentato incendio, tentata strage, furto di un … Furto di una scimmietta ammaestrata ? … e, oh per Helm questa era bella, provocato panico con apparente scambio di generi sesssuali ??? …).

«Arlo Fitzbottle Polsen, egregia signorina tenente. E a discolpa mia e dei miei compari, posso dirle che si è trattato solo di uno spiacevole equivoco. Se il buon signor Geremia – il tenente Juniper guardò Arlo come se avesse appena detto un nome di un antico e sconosciuto drago del Mulhorand – ehm, se il buon mastro oste Geremia, il proprietario del “Cinghiale Sorridente – Juniper assunse l’espressione di chi finalmente ricorda come si chiama il suo vicino di casa – Ecco se il signor Geremia ci avesse fatto rimborsare i danni, ora saremmo tutti e cinque liberi.»
Juniper posò il grosso fascio di carte, si sistemò meglio a sedere, e poi si sporse verso lo gnomo vestito come un grosso mirtillo che sedeva sulla seggiolina con rialzo – quasi un seggiolone da bambini – che era stata piazzata dall’altra parte della piccola ma ingombra scrivania della giovane ufficiale.
Nel farlo per poco non rovesciò addosso allo gnomo, col rischio di schiacciarlo, una torre di vecchi rapporti, mappe e avvisi di taglia che come sempre occupavano i quattro quinti dello spazio a disposizione sul mobile.

«Caro il mio Fitzbobble»
«Bottle. Fitz-bottle.» la corresse Arlo con un sorriso a ottanta denti.
«Caro il signor gnomo prestigiatore, va meglio così? – Arlo annuì vigorosamente; adorava veder riconosciuto il suo mestiere – Quindi carissimo il mio prestigiatore, lei e i suoi compagni avete raccontato una storia. Anzi, più versioni piuttosto diverse e abbastanza discordanti di una stessa storia. Che a mio giudizio sono solo panzane belle e buone. Il signor Geremia Board, proprietario del “Cinghiale Sorridente” e i venticinque testimoni ancora abbastanza coscienti e in grado di parlare, ce ne hanno raccontata un’altra. Ma in questo caso abbiamo ventisei versioni decisamente concordanti. Quindi, le cose possono essere andate in due modi. O voi avete fatto quello che loro dicono, e state cercando di farla franca per non finire per qualche mesetto nella prigione cittadina sotto il tempio di Helm; oppure, voi avete vissuto sei risse totalmente diverse che per una bizzarra coincidenza si sono generate tutte nella stessa locanda, ad opera di un malvagio oste di cinquantadue anni, che cerca di fregarvi i vostri averi che ammontano a … - Juniper recuperò il fascio di carte che  aveva esaminato poco prima e prese il foglio che aveva scelto e messo per primo per non dover perdere altro tempo a cercarlo in quell’orda di cartaccia – strumenti musicali, trucchi magici, attrezzi di scena vari, costumi e oggetti e (santiddio) armi! Per un valore complessivo di circa settecento ottanta monete d’oro, nove d’argento e cinque di rame (se vogliamo dar credito alle vostre personalissime stime).
Ammetto che siano non pochi soldi, ma mi pare che il signor Board, grazie alla sua locanda, e alle altre attività commerciali in suo possesso, possa raggranellare una somma simile in poco meno di cinque giorni.
Voi quanto ci mettete signor Fitzpopple?»

Arlo si sistemò sullo scomodo seggiolone. Poco prima aveva chiesto almeno un cuscino, ma nessuno gli aveva dato retta.
«Non sono il contabile del gruppo. Sono il capo comico e regista per così dire. Ma prendendo io gli accordi con locande e teatri in cui ci esibiamo… Diciamo … Non volendo esagerare … Sì forse dieci giorni. Forse qualcosina di più …»
«Ah-aah! Andate alla grande … Beh mi permetta di dubitare. Dai rapporti che abbiamo chiesto alla guarnigione alla Porta del Basilisco, quella da cui siete entrati in città, il giorno del vostro arrivo avevate solo i vostri vestiti, i vostri zaini, e un paio di strumenti musicali. Abbiamo esaminato gli zaini. Normalissimi. Quindi lei ha spazi magici per l’occultamento di oggetti e merci, che non ha dichiarato al momento della perquisizione quando è stato portato qui?»
«No! Cielo no, ma si figuri.»
«Aveva reso invisibili un baule, un carro o altri modi per trasportare i vostri averi, al momento del vostro arrivo a Baldur’s gate?»
«Nemmeno! Mia cara stia tranquilla. Mi pare si stia alterando…»
«Non mi sto alterando signor Fizropple. Al contrario, è lei che sta diventando sempre più nervoso. Ha cominciato a sudare. Deglutisce sempre più spesso. Si agita molto sulla sua sedia…»
«Perché è maledettamente scomoda!» si ritrovò quasi ad urlare Arlo.

Gli stava facendo perdere la calma a posta, era chiaro. Ma lui ci stava cadendo come uno gnometto alle prime armi. C’era qualcosa nel tono insinuante della donna che lo irritava in modo incredibile. Oltre al fatto che lo avesse piazzato su quello scomodo e ridicolo sedile da bambini. E le lentiggini. Arlo odiava le persone con le lentiggini. In più la stanza era maledettamente calda. E non beveva da ore. Dopo l’interrogatorio di quel grasso e ignorante sergente erano stati presi, quasi spogliati del tutto e sbattuti in cella. E lì lasciati a prendere umidità senza mangiare né bere per almeno mezza giornata.
L’unico che, nonostante la mole, non aveva fatto una piega, era stato Thrip’ad. Ma quando si erano conosciuti due anni prima, il goliath era stato scarcerato dopo mesi di detenzione. Era normale fosse abituato al trattamento delle carceri. Anzi, dalla sua cella aveva anche commentato che le celle della guarnigione di Baldur’s Gate erano molto più asciutte e larghe delle celle della prigione di Murann. E con un trattamento decisamente più cortese.

Arlo fu tenuto così per almeno quattro ore. A ripetere e ripetere e ripetere sempre la stessa storia.
Come era cominciata?
Con un pessimo giudizio da parte del pubblico.
Ovvero?
Frutta e uova marce. Appena arrivati in città, la loro cantrice aveva chiesto di assentarsi, non volendo spiegarne la ragione. E loro si erano trovati costretti a rimpiazzarla con un duo di mezzorche gemelle dalla capacità canore sicuramente non all’altezza, ma con due coppie di seni che speravano avrebbero distratto il pubblico. Decisamente avevano distratto la loro scorta-attrezzista-buttafuori-tecnico di palco-factotum goliath, che passava parecchie sere dopo gli spettacoli nella loro stanza. A giudicare dai colpi forse a fare lotta libera, forse sesso. Forse entrambe.
Sì ho capito queste storie non la interessano, è la quindicesima volta che me lo ripete.
Quindi, l’altra sera finiscono la loro mediocre esibizione, e uno del pubblico, un troll “civilizzato” molto poco cortese, le apostrofa in modi indegni anche per la mamma del troll stesso. E comincia a lanciare loro cibarie, bevande, stoviglie, posateria … Arrivato che era ai pezzi di arredamento del locale, il signor Geremia gli si è avvicinato con quattro dei suoi ragazzoni e un paio di torce accese per convincerlo ad allontanarsi, ma non prima di aver pagato il conto.
Peccato che Ulla… O era Sulla … Le ho detto sono gemelle! Non riesco a distinguerle! … Vabbè una delle due aveva ricevuto una forchettata in faccia. Sì lo so anche io che bisogna essere tiratori più che abili per centrare qualcuno con una forchetta! Ma che le devo dire signorina, pardon tenente, io le ho visto la forchetta che sporgeva dalla guancia. E non solo io. Anche il nostro goliath. Che ovviamente ha perso un po’ la calma e si è scagliato, nonostante i vani tentativi di placarlo miei, del mio collega Colton Dagger Polidori o del suo compagno di lavoro, sì il signor Shanti, sì l’acrobata … Bhe glielo ri-ri-ri-ripeto! Non sapevo che fosse stato un monaco quando l’ho assunto. Lo abbiamo incontrato solo poco prima di arrivare a Candlekeep… Sì, dicevo, nonostante i nostri vani tentativi di riportarlo a più miti consigli, il signor Thrip’ad si è lanciato urlando frasi nella sua lingua natia contro il troll.
No, non penso proprio avesse preso in considerazione la presenza del signor Board tra loro. Come dei quattro tavoli su cui è saltato per raggiungerlo. Oddio – a questo punto immancabilmente Arlo sospirava – tenente lei davvero non sa cosa fa un goliath che carica il suo bersaglio? DAVVERO? Sarà pure lei a fare le domande qui ma io non posso assolutamente credere che … Va bene … Va bene … E niente, dopo io mi sono reso invisibile e mi sono nascosto dietro il palco aspettando che le cose si calmassero. Non so proprio chi abbia fatto levitare il lampadario sulla testa del signor Geremia per poi lasciarlo cadere. Io no di certo. Ero nascosto. E non posso dirle con certezza se il signor Colton abbia preso o meno buona parte dell’incasso, come lei afferma. Io, conoscendolo da anni, mi rifaccio alla sua buona parola. Se poi il signor Shanti è stato visto scappare con una scimmia da organetto presa ad uno degli altri artisti della serata non so che dirle. Non sapevo avesse un debole per quegli animali. Né che suonasse gli organetti. O i suonatori di organetto coi pugni. Però, come lei stessa ha detto pocanzi, è stato un monaco. Hanno un codice quei tizi lì. E a meno che il loro codice morale non gli dica che è lecito sottrarre artisti primati ai loro legittimi proprietari …

L’interrogatorio di Arlo andò avanti per almeno quattro ore.
Alla fine il tenente Juniper Malden non ne poté più di quello spocchioso gnomo e lo rimandò in cella. Erano solo le due del pomeriggio. Interrogare le due mezze orchesse la mattina era stato facile. Il sergente si era offerto di interrogare l’halfling che tuttavia aveva ripetuto lo svolgimento degli eventi una sola volta e poi si era chiuso in un ostinato mutismo. E maledizione perché lei aveva proibito a “Mortadella” le percosse e la tortura? Il monaco-acrobata, catturato solo quella mattina mentre provava a scappare via nave con la scimmia (peraltro disperata a dire delle guardie quando era stata separata dal monaco), aveva annunciato lo sciopero della fame, della sete e della parola.
E ancora doveva interrogare il goliath.

Juniper Malden prese una pozione corroborante per allontanare la cefalea che stava cominciando a farle desiderare di cavarsi gli occhi dalle orbite, e una volta che sentì agire l’effetto benefico del medicamento disse «FATE ENTRARE IL PROSSIMO!» (e che Helm non mi faccia impazzire, pensò).

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Capitolo 5
*** La strada per l'Aurora (Seconda parte) ***


(Seconda parte)
 
Thrip’ad della tribù Kuntana, si alzò stiracchiandosi dalla panca su cui gli avevano detto di aspettare. La panca era troppo piccola per il suo fondoschiena, ma abbastanza resistente. In più preferiva restare seduto mentre era nelle stanze di quella guarnigione, così non rischiava di sbattere la testa in lanterne o altri oggetti appesi che pendevano dal soffitto e dagli architravi di legno.

Una voce di donna dall’altra parte di una porta aveva urlato l’ordine di farlo entrare.
Arlo era uscito prima dalla stessa porta fischiettando, all’apparenza tranquillo. Ma il goliath ormai conosceva il suo amico e datore di lavoro. Il modo in cui teneva la testa mentre camminava, lo sguardo fisso davanti a sé e il fatto che sfregasse le punte di pollice e anulare tra loro, erano tutti segni che era nervoso e anche abbastanza arrabbiato.
“La donna dall’altra parte di quella porta deve essere terribile.” pensò Thrip’ad. “Ci sarà da divertirsi!”

Dopo essersi chinato leggermente per passare dalla porta, entrò con un sorriso smagliante nell’ufficio del tenente della guarnigione del Pugno Fiammeggiante.
«Guardia, potete anche levargli i ceppi» intimò la donna al soldato che lo scortava, un omone alto quasi due metri, e col fisico di chi probabilmente doveva essersi allenato da piccolo a sollevare sacchi di sabbia sempre più pesanti. Tuttavia la sua testa arrivava a malapena alla spalla del goliath. Questi chiese alla sua comandante se fosse prudente liberare le mani di quel bestione.
«Ma certo. Il signore qui mi sembra abbastanza sveglio da capire che, per quanto sia inquietantemente alto e muscoloso, nemmeno lui riuscirebbe a scappare da una guarnigione di uomini e donne armati. Inoltre, se anche ci prendesse come ostaggi, aggraverebbe la sua posizione, fino a trovarsi tutta la città che gli dà la cacc… A cosa sta pensando?»

Per un attimo Thrip’ad valutò effettivamente di tirare una gomitata sul naso al soldato alla sua sinistra, saltare sulla donna col corpetto in cuoio borchiato e gli spallacci dall’altra parte della scrivania, afferrarla per le caviglie e mulinarla a mo’ di mazza per aprirsi la strada. Magari, una volta tolte le carte e rotte le gambe, il tavolino poteva servire da scudo … E che dire di affrontare tutte le guardie di una città …
Da un angolo della sua testa, il tossicchiare di un vecchio nano lo riportò coi piedi per terra. Erano almeno due anni che il suo senso di autoconservazione ormai si palesava come il ricordo dei colpi di tosse che dava Dumar durante i loro allenamenti di combattimento, prima di dirgli “Roccetta, meno cazzate, più pragmatico. Come ti puoi salvare davvero la pelle?”
Smise di sorridere come un ebete e riacquistò un certo contegno.

« Ah, io pensa mie capre là su montagne… Belle capre…»
“Oh cielo, l’ennesimo idiota” pensò il tenente Juniper.
“Oh bene, l’ennesima umana che pensa che io ragioni solo coi muscoli o col cazzo” pensò Thrip’ad
«Mi pare innocuo soldato Frosnic. Vada pure, ma stia a portata d’orecchio»
«SISSIGNORA, SIGNORA TENENTE!»
Il soldato batté i tacchi degli stivali ed uscì, chiudendo la porta alle sue spalle.
«Prego, si metta comodo signor… Trippa?»
«Sì, bona, bona trippa … Io ha picca picca famona»
«Immagino… Ma no, niente trippa per lei. Dicevo, lei si chiama, Tri-pad?»
«Sì, io Thrip’ad di tribù Kuntana di monti Orsraun. Tuo nome bela siniorina?»
 «Non la riguarda. Può chiamarmi tenente. Come mai un …golla? delle Orsraun è arrivato così a nord, fino a Baldur’s gate?»
«Ah boh… Io camina camina camina e sta qua»
«Capisco … Lei parla altre lingue oltre la sua?»
«Io parla gol’kah…E poco poco nanese. Ma io sta parlando tua lingua. Tu no capisce povero Thrip’ad?»
«Sì, la capisco. Ma lei mi sa potrebbe non capire tutte le mie domande. E rispondere dicendo qualcosa che potrebbe aggravare la sua posizione e quella dei suoi compari. Peccato non ci sia tempo per chiamare un mago interprete…» aggiunse Juniper assumendo l’espressione più falsamente dispiaciuta e indisponente che riusciva.
«Oppure signorina tenente così poco educata da non volermi dire nemmeno il suo cognome, potrebbe smetterla di pensare che io sia un coglione di montagna e aprire un po’gli occhi. Che dice?»

Thrip’ad le riservò uno dei migliori sorrisi a sua disposizione e si sedette direttamente per terra, scostando con un piede lo scomodo sgabellino che la donna soldato aveva piazzato lì per lui, a rimpiazzare l’altrettanto scomodo e umiliante seggiolone che aveva riservato ad Arlo.
«Sa, noi idioti di montagna siamo abituati a sedere sulle pietre e sulla terra. Quindi questo pavimento per me è una comoda poltrona. E poi posso comunque guardarla negli occhi anche seduto così.» continuò Thrip mentre incrociava le gambe e si accucciava direttamente davanti alla scrivania.

Juniper, dopo aver aperto e chiuso la bocca a vuoto un paio di volte, era diventata paonazza. Si sedette di peso sulla sua sedia e batté un pugno sulla scrivania, facendo franare a terra almeno dieci chili d’incartamenti e pergamene.
«Cominciamo male signor Trippin. Lei si sta prendendo beffe di un ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni! Lei è in stato di arresto per numerosi crimini! Vogliamo aggiungerne qualcun altro, così che per svariati anni veda solo il soffitto delle celle del tempio di Helm? Mh?»
«Non per offenderla, ma ho pensato di giocare nello stesso modo in cui stava facendo lei con me. Lei sbaglia il mio nome sistematicamente, pensa che io mi metterò a sedere scomodamente in modo da sentirsi in vantaggio mentre mi fa delle domande in una lingua non mia, insinuando che potrei non capirle … Io invece mi faccio passare per idiota quando in realtà, dopo aver vissuto per due anni sulla Costa della Spada, con gente come mastro Fitzbottle, o il signor Polidori o la nostra momentaneamente assente amica Amalena Sulien, credo di padroneggiare abbastanza bene il Comune. Pensavo ci sarebbe arrivata da sola. Invece no. Ripeto, la mia non è voglia di sfotterla. Oddio, un po’ forse sì. È che per la cultura del mio popolo, ogni cosa diventa una sorta di competizione. Chieda pure a un qualsiasi esperto di culture montane se non mi crede. Qui la gara era a chi riusciva a far passare per scemo l’altro, no? Penso di aver vinto io. Ora può anche cominciare con le sue domande, tenente.»

Juniper era diventata decisamente color fragola. Nemmeno lei saprebbe dire se per l’incazzatura, per la vergogna di essere stata presa per il naso da un barbaro di montagna o per entrambe.
Il suo primo istinto sarebbe stato quello di mandare il grosso stronzo a passare un annetto nelle prigioni di Helm. Ma resistette all’impulso e dopo aver contato mentalmente fino ad un numero ragionevole (intorno a centosessanta), riprese a parlare.

«Allora passiamo direttamente alle domande sulla serata di ieri. Si rende conto di aver aggredito il signor Board, il proprietario della locanda “Il Cinghiale Sorridente”, presso cui i suoi compagni si stavano esibendo?»
«Sì, certamente.»
«Quindi ammette di aver caricato intenzionalmente il signor Board!»
«Ammetto di averlo colpito, sebbene la mia intenzione non fosse di farlo in modo così brutale. Ma ho ancora un po’ di difficoltà a capire quanto possiate reggere voi umani. Siete davvero molto diversi tra voi. Noi goliath grossomodo siamo fisicamente tutti abbastanza simili. Litoderma più, macula meno.»
«Litocos … Lasciamo stare. Quindi lei confessa di non aver voluto colpire il signor … Klaag. Ma lei voleva colpire proprio il signor Board! E poi io sarei la scema! I suoi amici mi hanno fatta dannare per ore con scene di mutismo, o ore e ore di chiacchiere per coprirvi le spalle a vicenda! Mentre lei, pezzo di fesso, mi dice che era un’aggressione premeditata a scopo di furto! Ma lei è un pezzo di deficiente!»

Juniper sorrideva di una felicità selvaggia. Non vedeva l’ora di mandare ai ceppi per almeno due o tre anni (a seconda di quanto avrebbero stabilito i sacerdoti della giustizia di Helm) quella banda di rompiscatole. Stava già per chiamare la guardia di sentinella per dirgli di riprendere il prigioniero e poi portare l’ordine di incarcerazione ai sacerdoti perché lo convalidassero, quando Thrip’ad rise.
Era una risata sincera, di cuore e di pancia. Batteva anche una mano a terra ritmicamente e grosse lacrime gli scendevano dagli angoli degli occhi.

«Ahahahahah! Tenente lei è uno spasso… Davvero uno spasso. Ma secondo lei vado a colpire il tizio che ci deve pagare solo per fregargli le monete dalla cassa? Il signor Klaag! Ahahahah! Lei ha talento … Klaag è un disgustoso troll di merda e come tutti i troll spero bruci prima possibile. Devo ammettere che per la sua stirpe è a livelli quasi sopportabili. Ma da questo a dargli del “signore” … Ahahahahah! No. Ci eravamo messi d’accordo con le ragazze e con lui perché lanciasse un po’ di cose sul palco per dare il via alla baraonda. Certo lo stronzo, da bravo troll della merda, ha esagerato e adesso Ulla avrà tre carinissimi buchi sulla guancia destra per sempre… Ma a parte questo il diversivo ha funzionato. Questo, il lampadario in caduta libera nel locale, il signor Fitzbottle che fa credere a metà dei presenti che gli sia cascato il cazzo e gli siano cresciute le tette … Ahahahaha! Una serata davvero spassosa.»

Juniper aveva cominciato a digrignare i denti e sbavare molto. A Thrip’ad ricordava molto sia un tasso idrofobo (il bisnonno una volta lo portò a sopprimerne uno) sia la sorella di sua madre, la zia Kha’na, quando il terzo marito diede fuoco alla loro tenda per baglio. Fu piuttosto sgradevole. Altrettanto lo fu Juniper quando prese ad urlare. Qualcosa in lei aveva totalmente ceduto e non prestò più alcuna considerazione a quanto appena detto dal suo prigioniero. Davanti a se vedeva solo un velo rosso e tanti goliath deceduti in vari modi, tutti molto molto cruenti.

«LEEEIIIII! LEI NON VEDRÀ MAI PIÙ LA LUCE DEL SOLE! IO LA FACCIO SBATTERE NELLE SEGRETE PIÙ SCHIFOSE … MI PREGHERÀ DI ESSERE SBATTUTO NELLA PIANURA DELLA BATTAGLIA DELLE OSSA PER FARSI SBRANARE DAI NON MORTI! COME PENSA CHE IO MI POSSA BERE QUESTO CUMULO DI CAZZATE …»
«Battaglia delle Ossa? … Sembra un posto interessante … Come ci si arriva?»
«FUUUOOORIIIIII!»
Triph’ad venne rimesso ai ceppi e scortato in cella dal soldato colosso che lo aveva accompagnato da Juniper. Il ragazzo sembrava aver visto una manticora nell’ufficio del suo superiore.
Il goliath invece era molto rilassato.

I suoi compagni di prigionia (tranne il monaco Shanti, in pieno voto del silenzio) dalle loro celle gli chiesero come fosse andato l’interrogatorio, se la soldatessa ci fosse andata giù pesante.
La sua risposta fu “Zia Kha’na urla di meno”.
 
Circa cinque giorni dopo, vennero liberati dalle prigioni di Helm con profonde scuse.
La missione di Amalena Sulien e dei suoi ex compagni del tempio di Lathander era andata a buon fine.

Sfruttando il puro caos creato dalla compagnia dei Tre Astri del Palco, lei e il suo gruppo erano potuti arrivare di nascosto nelle cantine del “Cinghiale Sorridente”, e al passaggio segreto lì nascosto, per poter così giungere al covo di una pericolosa setta di cultisti di Belial.
Il vecchio Board era consapevole che loschi soggetti stavano sfruttando i vecchi tunnel per il contrabbando che partivano dalle sue cantine, ma non sapeva esattamente per cosa. Tuttavia il fatto che ci fossero due mezze immonde canuffate tra le sue cameriere (come si scoprì in seguito), aveva reso necessaria un’estrema prudenza per il gruppo di Sulien.
Che tuttavia conosceva le “grandi doti” dei suoi compagni di teatro nel creare caos e si era affidata a loro prima di arrivare in città. Arlo aveva elaborato il piano in appena mezz’ora. Thrip’ad ci mise almeno un giorno a capire che non avrebbe potuto uccidere il troll. Ma per essere ancora più sicuri che non ci fosse alcun omicidio, Colton lo aveva convinto a lasciare la sua amata ascia ai nani che vivevano fuori le mura di Baldur’s Gate, perché la revisionassero, pulissero ed affilassero.
Lì avevano anche ingaggiato le due mezzorche, in realtà una vecchia conoscenza di Colton, che riscattò così un vecchio debito contratto in un bordello di Athkatla circa un anno prima.

«Scusa Shanti» chiese Thrip’ad al monaco, che aveva interrotto il voto di fame, sete e silenzio e si stava ingozzando a quattro palmenti in una locanda della città coi suoi compari «ma il furto della scimmietta, a che serviva?»
«Ah quello? A niente. Era la mia scimmia. Me l’avevano rubata circa due anni fa mentre navigavo tra le isole Moonshae. Un pirata se n’era invaghito e se l’era presa. Poi si vede se ne sarà stufato e l’avrà venduta a quel suonatore di organetto. L’ho rivista nella locanda quella sera, poco prima che partisse il piano, e ci siamo riconosciuti immediatamente! Non potevo crederci. E così nella confusione sono andato da lei, ho pestato l’organettista, e l'ho salutata.»
Sulien alzò gli occhi al cielo e mormorò una mezza preghiera a bassa voce.
«Era necessario pestare il suonatore di organetto? Lui ha solo comprato una scimmia da un pirata, Shanti. Non è un crimine. Non poteva sapere fosse la tua scimmia.»
«Beh Sulien tu ci avevi detto di non farci scoprire. Che doveva sembrare una rissa da locanda genuina… Ti sembra normale andare a parlare con una scimmia nel bel mezzo di una rissa?»
«Effettivamente hai ... ragione? - ammise, pur non molto convinta, l'aasimar - Ma perché poi volevi scappare per mare con lei?»
«Ah boh. Io nella rissa, mentre mi allontanavo con Sciona (così si chiama la scimmia) ho sentito Thrip’ad urlare “Prendi la scimmia e scappa!” e ho pensato facesse parte del piano!»
«Veramente stavo urlando a Sulla “Prendi la scimitarra!”. Era dietro di te, con due grossi hobgoblin che stavano per staccarle la testa.»
«Ahhhh … Scusate. Credo di aver capito quello che volevo capire. Colpa mia.»
Arlo e Colton si diedero una manata sulla faccia quasi all’unisono. Ulla e Sulla risero con gusto. Amalena sospirò nel suo bicchiere di vino elfico. Thrip’ad soltanto chiese «Ma ora dov’è la scimmia?»
«Beh col suo amico organettista. Sono passato a chiedergli scusa, e a rimborsarlo per i danni. Lui la tratta bene e Sciona è felice. E so’sempre dove trovarla adesso. Non posso certo riprendermela, serve a quel pover’uomo per esibirsi.»
Thrip’ad rimase perplesso, mentre un angolo della sua testa si chiedeva che sapore avesse una scimmia, e se era il caso di tirare una mazzata in testa all’organettista, recuperare Sciona, e provare a cuocerla sullo spiedo. Questa volta il suo buonsenso si manifestò come il ricordo di un dolorosissimo scappellotto del bisnonno.

Mentre si massaggiava la testa, al ricordo di quell’educazione a non mangiare qualsiasi bestia si muovesse, notò che Amalena Sulien aveva uno sguardo triste e melanconico nonostante l’allegria della serata.
Fu così che quando tutti si accomiatarono per andare a dormire finalmente in un letto vero dopo giorni di tavolacci, pagliericci lerci di chissà cosa e pietre nude, Thrip’ad resistette alle avances di Ulla e Sulla e si diresse verso la terrazza della locanda, dove Amalena stava fissando le stelle.

«E così stavolta ci lasci per sempre, eh piccolo angelo?»
«Cosa? Thrip’ad oddio, sei tu. Pensavo che uno dei muri della locanda stesse parlando.» disse lei cercando di ostentare allegria.
«Non mentirmi per favore Amalena. Non sono molto sveglio con le parole, non sono Arlo… Ma so riconoscere lo sguardo che fai quando sei triste e preoccupata. In più hai lo stesso sguardo di chi sta per partire e non sa quando tornerà. È uno sguardo che conosco bene. Lo stesso che avevo io quasi tre anni fa, quando lasciai le Orsarun. Che succede?»
«È una faccenda lunga Thrip’ad. Una storia complessa che riguarda le mie origini forse angeliche, la mia vocazione a lungo sopita e il non poter rimandare il mio destino.»
«Robe di dei e guerre sacre e quelle altre menate lì?»
«Più o meno» rispose Amalena, stavolta sorridendo sinceramente «mi mancherà il tuo modo di ridurre tutto a “Oh no una seccatura” e “Oh sì finalmente ci si pesta”. Un po’ meno il rattopparti.»
«Già … Con solo Arlo, Colton e Shanti, probabilmente mi farò così male che loro non sapranno nemmeno da dove cominciare per ricucirmi.»
«Thrip’ad… Non so se tu te ne sei accorto… Ma in questi due anni che sei stato con noi hai imparato a parlare bene, a non fare a pezzi proprio tutte le locande e anche come ci si muove in una città … Tuttavia temo che per seguire noi, tu abbia messo un po’da parte te stesso.»
«Eh?»
«Thrip’ad … Non sono un’esperta di goliath … Ma uno della tua gente, alla tua età, avrebbe bisogno di farsi rattoppare così spesso? Dopo ogni singola lite?»
«Beh … no. Effettivamente non mi sembra di aver fatto grandi progressi nella lotta o nell’uso delle armi o …»
«Sono mesi che non sfoderi la tua … Come l’hai chiamata?»
«Tagliacavalli. Non ricordi? Quei briganti da quattro soldi che ci volevano rapinare nel bel mezzo dell’Amn. E io che con un colpo d’ascia ho aperto il cavallo di uno dei loro in due… Con un singolo colpo… Non mi è più riuscito.»
«Perché hai smesso di allenarti con la tua arma. E credo di sapere il perché. Un po’ per paura di rovinarla. Un po’ perché ti manca Dumar vero? Alla fine, da quanto ci hai raccontato, quel nano era più simile a te di qualsiasi altra persona tu abbia incontrato in due anni a questa parte. Io me ne devo andare Thrip. Ma forse anche tu devi riprendere il tuo cammino. E crescere ancora.»
«E Arlo? Colton? Shanti?»
«Loro sono tipi da locanda, ma non da risse. Forse così mi capisci. Tu devi trovare delle persone più da… Oddio spero non risse. Ma che all’occorrenza possano mettersi spalla a spalla con te e combattere.»
«O che possano aiutarmi mentre combatto, come facevate voi con trucchi, magie e canzoni magiche»
«Hai ragione… Forse un mix di entrambe.»
«Si… Però in tutto questo non mi hai ancora spiegato perché te ne vai.»
«Mettiamola così… Quello che mi hai sempre visto fare non è tutto ciò che so fare. Mi sono sempre trattenuta un po’. Ora mi è richiesto di “scatenarmi” un po’ come fai tu. E dove vado io, tu e gli altri potreste essere in pericolo. Un pericolo tale da cui nemmeno le mie protezioni vi caverebbero di impaccio.»
«Oh… Alla fine quindi vai in una squadra più forte …»
Amalena fu sul procinto di mettersi a piangere. Ma si accorse che nelle parole del goliath non vi era biasimo o delusione. Ma un tacito “Fai bene, fossi in te, avrei fatto lo stesso”. Forse, era riuscita finalmente a capire il bizzarro modo di pensare del goliath.

Tuttavia il goliath era davvero triste. Non perché fosse troppo poco forte per fare ancora squadra con Amalena. No. Era solo perché stava per salutare un’altra amica. E forse non solo lei.
La spropositata figura del goliath si voltò e ri-incamminò verso l’interno della locanda. Ma prima di sparire nell’ombra delle sale interne si voltò un attimo. La luce delle stelle fece vedere ad Amalena il suo sorriso un po’ folle.

«Amalena, tuttavia stavolta non è un addio come con Dumar. E se mai ti trovassi nei guai, nonostante la tua “forza che ci hai tenuto nascosta”, non esitare a cercarmi. Chissà, nel frattempo potrei essere diventato abbastanza forte da aiutarti»
Detto questo si ri-incamminò verso le sale interne, con passo lento ma sicuro.

Amalena Sulien tornò a rivolgere una preghiera alle stelle «Oh astri del firmamento, oh superni Guardiani Celesti, e tu stella celata, ma che al mattino risplendi unica e sola, Mio Signore Lathander, ponete la vostra protezione sui miei amici, anche quando sarò lontana da loro. Thrip’ad, goliath della tribù Kuntana. Se solo tu sapessi quanto mi hanno detto le stelle, saresti molto stupito di quello che stai per affrontare. Pensi che il tuo viaggio sia cominciato circa tre anni fa. Ma ti sbagli. Il vero viaggio, comincerà tra poco.»
 
Immobili nel cello le stelle tremarono leggermente. Le stelle della costellazione che molti popoli di Toril chiamavano “Del Montone Selvaggio” lo fecero con più intensità delle altre.
Amalena Sulien, rincuorata, lasciò la locanda e Baldur’s Gate quella notte stessa.
Solo le stelle sanno se vi fece mai ritorno.

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Capitolo 6
*** Nuovi incarichi, nuovi incontri ***


Waterdeep, una locanda, fine 1370 C. V.

C’era confusione quella sera. Un sacco di gente si era ammassata nella locanda.
Il proprietario era assente; stava festeggiando nella sua dimora la nascita dell’ennesimo erede maschio coi suoi familiari ed amici, e aveva lasciato la gestione del locale al giovane Patrick Coldpepper, cameriere e cuoco di appena diciannove anni.
Le ragazze addette a servire al bancone e ai tavoli ne avevano subito approfittato, riempiendo il ragazzo di moine per farsi accorciare i turni, o per mandare lui a portare i pesanti vassoi colmi di cibarie e boccali agli avventuri più rozzi e turbolenti.
Il personale di cucina, la vecchia Griselda e il giovane sguattero Sam, gli avevano comunicato che loro avrebbero smesso di cucinare ben prima della mezzanotte, non essendoci lui ai fuochi a dar loro una mano.
Oskar e Trogolo, rispettivamente il nano e il bugbear che svolgevano il compito di buttafuori per gli ubriachi molesti, si erano già ubriacati a loro volta e insultati almeno quindici volte da inizio del servizio, venendo alle mani almeno in un paio di occasioni. I loro denti nella pattumiera ne erano una prova.
Ed erano solo le sette della sera.
«Ti vedo scosso Patrick? Tutto bene?»
«Ah? Si … No … Non ci capisco un cazzo stasera Thrip, scusami.»
«No, no. Ti capisco benissimo. Primo giorno in cui hai tutta la responsabilità del locale sulle tue spalle. Sei chiaramente nel panico. Posso capirlo. Come quando mi hanno chiesto di fare la mia prima consegna fuori città. Mi sono perso, sono andato nel villaggio sbagliato, e alla fine il pacco che ho consegnato era tutto schiacciato. È così che ho imparato che non si può usare un ordine di un cliente per spaccare la testa a un cinghiale.»
«Questo discorso non mi aiuta minimamente Thrip … Anzi adesso ho ancora più paura di fare qualche sbaglio e di finire nei casini.»
«Dai, andrà tutto bene. Ora però, se hai cinque minuti, riempiresti qui per favore?» e il goliath agitò il suo boccale speciale da 4 pinte e mezza (per clienti di taglia “importante”) sotto il naso di Patrick.
«È la seconda? O la terza?» chiese il ragazzo preoccupato.
«È a malapena la prima! Quella scema di Catherine me lo ha riempito a metà perché si è messa a fare gli occhi da barbagianni a quel bardo lì» disse indicando una cameriera piccola e dai capelli rosso fuoco che era ormai da dieci buoni minuti in una scomodissima posizione; seno proteso sul bancone di modo che la non tanto generosa scollatura fosse comunque bene in vista per la persona seduta innanzi a lei, che a stento beveva il suo bicchiere di vino. Dall’altra parte del bancone, stava un giovane dai capelli corvini, il sorriso smagliante e la faccia di uno che potrebbe tranquillamente uscire con cinque donne nella stessa sera, dando a credere a ognuna che lei è la sola e unica e sarà sempre nel suo cuore.
«CATHERINE! PER LA MISERICORDIA DI WAUKEEN! TORNA A SERVIRE! Ma santa miseria … Ma perché il padrone non ha messo qui quell’inetto di suo figlio maggiore, quel grasso porco di Donovan … Ma nooo… Donovan sarà sicuramente con qualche puttana in qualche bordello a sperperare i soldi del padre, fottendosene anche della nascita del fratellino …»
Thrip’ad assunse un’espressione perplessa, mentre il locandiere riempiva il suo enorme bicchiere.
«Ma – chiese alla fine di una lunga meditazione, e dopo che fu sicuro che il boccale fosse colmo fino all’orlo e non di sola schiuma – Donovan ha solo tre anni meno di te, no? Come puoi pretendere che sappia come mandare avanti questo posto, anche se solo per una sera? Specialmente se va sempre nei bordelli, come dici tu.»
«Ma che ne so Thrip’ad… So solo che se sei così grande da dilapidare almeno 10 monete d’oro a notte …» Thrip emise un lungo fischio di commento «… Allora sei anche abbastanza grande da venire qui a tenere in riga quattro ochette, una vecchia insopportabile, e due bestioni idioti!»
«E Sam?»
«Sam cosa?»
«Sam non ti da problemi?»
«Oh, che Waukeen lo benedica, no! Lui è l’unico che mi porta un minimo di rispetto qui. Sarà perché mi vede un po’ come un fratello maggiore»
In quel momento un tizio vestito con un paio di pantaloni di tela e una semplice casacca, ma con due braccia dai muscoli incredibilmente ben definiti per essere solo uno straccione qualsiasi, entrò nella locanda urlando «DOOORAAAA? DOVEE SEIII? SEI GIÀ ARRIVATAAA? Ehi! Tu brutto muso di goblin di merda troppo ciccione … Che hai visto la mia sorellona? O eri troppo impegnato ad annusare le tue stesse scuregge?»
Patrick si mise entrambe le mani sul volto, producendo un notevole “Ciaff”.
Thrip’ad si voltò sullo sgabello, pensando di assistere ad una bella presa al collo con annessa rottura delle vertebre di lì a poco. Trogolo non era noto per il senso dell’umorismo. Una delle poche cose che il goliath comprendeva della razza bugbear e che non li aveva ancora fatti venire alle mani, stranamente.
Trogolo si limitò a guardare stordito il soggetto appena arrivato, per poi ruttargli in faccia e svenire.
L’altro rise come un ragazzino scemo, e dopo aver scavalcato il corpo del bugbear, continuò a urlare in giro per il locale cercando la sua fantomatica (e forse inesistente) sorella.
«Che serata di merda … OOOSKAAAR! VIENI A RECUPERARE IL TUO COLLEGA … Scusami Thrip. Io vado a intercettare quel tizio che è arrivato già carico. Maledizione … Ma perché proprio tutto stasera???»
 
Thrip’ad tornò a fissare il suo boccale, poco prima di ingollare almeno un terzo del contenuto con un solo colpo.
“Deludente. – pensò – Mi aspettavo che il tipo lì venisse spalmato sulla porta e invece… Bah… Comunque … Patrick si lamenta, ma anche io sono in dei bei casini. Che idee quel Giles.
Ora è abbastanza pratico della zona signor Thrip’ad. Per questo la direzione, nella mia persona, ha deciso di affidarle una consegna un po’ più importante. Ma essendo un carico di valore, sarei più tranquillo se lei si mettesse d’accordo con qualcuno degli altri corrieri per formare un gruppo di consegna. Ha tempo fino a venerdì.
Io mi devo formare il mio gruppo di consegna? Non ci può pensare lui? Maledizione … E domani siamo già a giovedì! Tutti gli altri sono fuori per altre consegne; oppure hanno saputo del mio piccolo passatempo di dare un giudizio sulle locande. Sì, ogni tanto comporta qualche scaramuccia che fa tardare … Ma se uno non è nemmeno libero di dire quello che vuole a un oste che vuole truffare la gente col piscio al posto della birra! Bah!”
 
Erano passati ormai già tre mesi dall’arrivo di Thrip’ad a Waterdeep.
Dopo essersi accomiatato dai Tre Astri del Palco, ovvero il signor Arlo Fitzbottle, Colton Polidori e Shanti Vasara, aveva intrapreso il suo viaggio in solitaria verso nord. Ricordava ancora con una certa tristezza la loro ultima bevuta assieme, parecchie sere prima, in una locanda di Elturel.
«Allora sei proprio deciso a lasciarci anche tu?» gli aveva chiesto Shanti.
«Prima Amalena … Poi tu … Arlo dì la verità. Sei nuovamente incappato in qualche maledizione della malasorte eh? Hai importunato un’altra volta qualche maga pixie?»
«Ma piantala Colton. Piuttosto ragazzone, mi dispiace. Se c’è qualcosa che posso fare per convincerti a cambiare idea e restare …»
«No Arlo. Sto bene con voi. Ci siamo divertiti parecchio in questi due anni. Ma ecco vedete, sono un goliath. Non siamo un popolo che cerca la battaglia a ogni costo, noi gente delle montagne. Ma di certo ci piace fare a botte. E farlo nel miglior modo possibile, in modo da uscirne vincitori. Stando con voi ho imparato moltissime cose. Ma la mia natura di goliath è rimasta un po’ … Un po’ indietro … Non so se potete capirmi …»
Colton intanto aveva acceso la sua pipa a forma di elefante (in cui la proboscide faceva da cannello e il corpo da fornello), e dopo alcune boccate disse «Io ti capisco. È come se mi avesse accolto una simpatica combriccola di druidi. Si bella la natura, le foglie, gli animaletti e tutto. Ma uno come me ha bisogno di un po’ di gemme e denari da mettersi in tasca.»
«Soprattutto del brivido di prendere queste cose dalle tasche altrui» aggiunse ghignando Arlo.
«Un giorno di questi non troverai più il buco del tuo stesso culo, vecchio gnomo demente. E non sarà perché te lo avrò rubato, ma perché lo avrò chiuso per sempre con un grosso tappo di pietra.»
Thrip’ad rise all’ennesimo battibecco tra i due piccoletti. Gli sarebbero mancati veramente tanto. Ma ormai aveva preso la sua decisione. E sentiva nuovamente quel misto di tristezza, paura, gioia ed attesa spasmodica che aveva provato quattro anni prima (o poco più), quando aveva lasciato le sue montagne.
Il giorno seguente riuscì a trovare una carovana di mercanti decisa a salire a nord lungo la Via del Commercio, e partì con loro. Vide posti particolari e misteriosi come il Ponte Boareskyr e Castello Dragonspear, ma non ebbe occasione di esplorare quelle zone. Come nemmeno l’Alta Brughiera o la Foresta Nebbiosa che costeggiarono nei giorni seguenti, prima di giungere a Daggerford.
Il capo di quella carovana, il vecchio signor Finnegan, era un mercante piuttosto prudente e non voleva assolutamente correre il rischio di trovare qualcosa di più pericoloso di una banda di ladroni, o di goblinoidi saccheggiatori. E con sommo dispiacere di Thrip’ad, non trovarono nemmeno quelle.
Per tutto il viaggio, fino a Waterdeep, gli sembrò di aver rubato la paga. Ma non ebbe tempo per crucciarsene più di tanto.
Waterdeep! Il gioiello della Costa della Spada! La città più grande che Thrip’ad avesse mai visto!
Così grande che vagò per la città smarrito per quasi quattro giorni, sebbene il capo carovaniere al momento della paga, gli avesse indicato una locanda economica vicino al porto dove poteva sostare e decidere cosa fare nei giorni seguenti.
Fu così che trovò due posti particolari.
Il primo fu la locanda in cui lavorava Patrick, e che presto divenne la sua preferita, tanto da darle tre asciate sullo stipite della porta (o “stellette” come le chiamava lui).
Ma la qualità ha un prezzo. E ben presto si trovò quasi senza soldi. A quel punto, il giovane Patrick, impietosito dal senso di smarrimento del goliath, e visto che questi aveva una certa esperienza come scorta carovaniera (come aveva avuto modo di scoprire durante gli sproloqui alcoolici del suo spropositato cliente), gli consigliò di rivolgersi al secondo posto che fu fondamentale per Thrip’ad all’interno di Waterdeep.
«Salve! È questo l’emporio di Aurora?»
«Sì signore! Cosa desidera? Acquistare? Spedire?»
«Lavorare, se possibile. Sono quasi senza il becco di una moneta e avrei bisogno di sopravvivere.»
«Ah, dritto al punto… Beh vediamo cosa si può fare. Le chiamo il principale. Signor Giles! Signor Giles! C’è qui un energumeno in cerca di lavoro!»
G. Giles Jr era forse l’umano più serio che Thrip’ad avesse mai visto. Magro come un chiodo, con un paio di lenti sottili sul naso, emerse dal fondo dell’emporio e lentamente si avvicinò al suo dipendente.
«Dimmi Jonas, cosa succede? Chi cerca un… Ah. Capisco. Mi dispiace. Non siamo una locanda. Non cerchiamo buttafuori.»
«Lo so che non siete una locanda. Ma un emporio, signor Aurora Giles»
«No no no, giovanotto. Si sbaglia. Aurora è la stimata e amata Fondatrice nonché Amministratrice Principale di questa attività che abbraccia molte città nel Faerun. Io sono il direttore di questa filiale. G. Giles. G. Giles Jr a essere precisi.»
«Ah, piacere. Thrip’ad, goliath della tribù Kuntana delle Orsraun. Per cosa sta la prima “G”?»
«Non è cosa che la riguardi» risposte Giles seccato dall’inopportuna domanda. In pochi sapevano dell’orribile scherzo fattogli dai genitori, quando fu il momento di dargli un nome. E Giles si adoperava perché la cosa restasse ben celata ai più.
«Quindi, cosa è lei esattamente signor Tripad?»
«Thrip’ad. E sono un goliath, mi pare di averlo detto.»
«Non so minimamente cosa sia un goli … Quello che lei è. Ma m’informerò. Ora, tornando al dunque, se lei dice di sapere che questo è un emporio, come pensa che potremmo mettere a frutto le sue … qualità? Sa vendere?»
«Vendere? Beh non molto … »
«Produce manufatti tipici del suo popolo?»
«Nel tempo libero intaglio legno … Ma per fare una singola statuina mi ci vogliono ancora cinque o sei giorni … E non viene troppo bene. Non per quello che intendono come “bene” le persone del nord.»
«E allora mi scusi come pensa che noi potremmo sfruttarla?»
«Il mio amico Patrick mi ha detto che voi vendete cose anche fuori dalla città. Che le spedite con delle persone no?»
«Sì, abbiamo il miglior servizio di consegne merci e messaggi di tutto l’ovest. Ma non sempre mandiamo gente a piedi. Queste lande sono pericolose e per le merci più preziose abbiamo degli addetti che con degli incantesimi di Trasposto Magico, si spostano direttamente sul …»
«Ahhh, magia … Non ne capisco. Ma per le merci un po’ meno preziose? O di una preziosità media?»
«Non esiste il termine preziosità. Ma effettivamente per quelle usiamo ancora dei corrieri a piedi. O a cavallo. O su carro.»
«Ecco. Io ho scortato almeno due carovane. Una fino a Murann, e l’altra fino a qui! Quindi ci so fare! Posso tenere al sicuro i vostri corrieri!»
Giles riconsiderò con una rapida occhiata la mole del goliath «Non lo metto in dubbio. Ma vede, i nostri corrieri sono i migliori appunto perché non necessitano scorta. Sono essi stessi la loro scorta. In questo modo sono molto più veloci, meno individuabili (e rapidi nella fuga nel malaugurato caso fosse necessaria) di una qualsivoglia carovana mercantile.»
«Ah … Capisco …» le spalle del goliath scesero di qualche centimetro, e la sua postura divenne un tantino più gobba.
«Tuttavia lei ha viaggiato da così lontano ed è ancora vivo … Notevole. È stato aiutato dal fato o dalla sua bravura?»
«Da entrambe. E da buoni amici.»
Gli occhi del goliath presero a luccicare. Thrip’ad li sentiva un po’ più umidi del necessario.
«Uno della sua mole riesce a farsi degli amici. Non che lo metta in dubbio, ma non è molto frequente. Questo è notevole. Come lo è il fatto che lei non abbia fatto lo spaccone dando tutto il merito ai suoi muscoli o alla sua fortuna. Quindi nel caso lei lavora anche in squadra?»
«Beh, sono stato in una compagnia di gente dello spettacolo per un paio d’anni …»
«Davvero?» la faccia di Giles era improntata al più totale stupore. «Chi?»
«I Tre Astri dello Spettacolo. Sono un piccolo gruppo che …»
«Li conosco. Ho avuto modo di ascoltare la splendida voce di Amalena Sulien. Fenomenale. Prodigiosa anzi! E lei si esibiva con loro?»
«No. Me lo hanno sempre impedito. Il canto gutturale goliath pare non sia apprezzato fuori le Orsraun. O così mi hanno detto loro.»
«E allora cosa faceva di grazia?»
«Beh montavo il palco, spostavo le cose pesanti, tenevo lontani i seccatori, specialmente da Amalena e nel caso di risse da locanda li tenevo al sicuro. Ah e trovavo oggetti nel caso fosse necessario qualcosa sul palco che non avevamo.»
«Uhm. Interessante. Alla luce di ciò, signor Thrip’ad, forse posso azzardare un piccolo periodo di prova. Diciamo un mese. Le darò alcune consegne semplici in città e poco fuori città e vedremo come se la saprà cavare. La paga sarà abbastanza esigua all’inizio, la avviso.»
«Vorrà dire che berrò di meno.»
«E soprattutto, non deve bere durante le ore di lavoro! Sono ferreo su questo.»
Nonostante questa regola, alla fine Thrip’ad se l’era cavata. Non benissimo all’inizio ma aveva dimostrato un certo attaccamento alle consegne. Cascasse il mondo il pacco andava recapitato al mittente. Anche se voleva dire entrargli in casa mentre era impegnato a tavola o a fare altro.
Nonostante alcune iniziali lamentele, Giles non ebbe a pentirsi di aver assunto il goliath.
Ora tuttavia il goliath era in seria difficoltà. Non aveva avuto molta fortuna nel trovare altri che apprezzassero i suoi modi e i suoi metodi, tra i colleghi corrieri. In generale a Waterdeep aveva stretto pochissimi legami.
“E ora? E se trovassi degli altri nuovi da assumere? Chissà se Giles ci affiderebbe subito delle missioni. A dei novelli ni …”
«AMMIRATE LA PERFEZIONE E IL CONTROLLO PLEBAGLIA!»
Il tizio in brache di tela era salito sul tavolo e stava esibendosi in una serie di mosse acrobatiche su uno dei tavoli. Era indubbiamente pazzo. Ma anche bravo. A Thrip’ad ricordò improvvisamente Shanti.
Una donna bionda, vestita di giallo e con un’armatura leggera, si era avvicinata al folle e lo stava rimbrottando pesantemente, fino ad afferrarlo per un orecchio e tirarlo giù dalla tavola.
“Ah! Chissà se è la sorella che stava cercando. Effettivamente, di spalle …“
Thrip’ad si trovò a studiarli con attenzione.
Lei sembrava aver ricevuto una qualche educazione molto rigida. Si muoveva quasi come un soldato, o un paladino, ma senza tutta quella scopa su per il culo. Oddio forse un pochino, da come reagiva alle mosse del fratello.
Thrip’ad tornò a bere. E a pensare. E più pensava e beveva più un sorriso si allargava sul suo volto e un’idea folle si faceva strada nel suo cervello.
«QUESTA BIRRA FA SCHIFO!» ruggì «TI MERITI ZERO STELLINE!»
Patrick si avvicinò trafelato. Poi con un filo di voce disse
«Thrip! Che cazzo fai? Sei uscito di cervello? No davvero, non ti ci mettere anche tu stasera che …»
«Shht! Sono effettivamente un po’brillo. Ma reggimi il gioco. Se va come dico, qui dentro ti porteranno un po’più di rispetto dopo stasera. O non ti affideranno più la locanda. Comunque vinci! Ora zitto che la gente si sta avvicinando. E prova a blandirmi!»
«È la migliore che abbiamo …» balbettò il povero Patrick facendosi piccolo, azione notevole considerando che, sebbene non fosse alto quanto Thrip’ad, anche la sua stazza non era da sottovalutare. In quel momento non ci stava capendo assolutamente nulla. “Ma sì, facciamo come dice lui. Se mi va bene le guardie portano via tutti e io stasera chiudo” «Offre la casa?» disse con la voce più spaventata che riuscì a emettere.
«NON TI VERGOGNI A CERCARE DI COMPRARMI?» ruggì il goliath sfilando un giavellotto dalla bisaccia che portava sulla schiena.
 «Perdono … non mi uccida …»
«DOVREI FARE BEN DI PEGGIO!»
La ragazza bionda stava guadagnando la prima fila. Sembrava più preoccupata che spaventata. Ma aveva anche la risolutezza di chi sta per infilarsi in una lite, non per prendervi parte, ma per sedarla.
“Sulle vesti … Sembra il sole che era sul liuto di Amalena. Possibile? Che cazzo di coincidenza!”
Thrip faticò a non perdere la sua espressione furente per sorridere, divertito dalla bizzarra circostanza.
“Come Amalena, anche lei si mette in mezzo a sedare le liti. E ha lo stesso simbolo. Però da quanto diceva Amalena, il suo dio sembrava più tipo da proteggere i deboli, i bambini e il futu …”
La voce del tipo folle in braghe di tela arrivò a interrompere i pensieri di Thrip’ad.
«Ehi, coglione! Lascia stare l’oste!» urlò. Si era messo già in posizione da combattimento e saltellava da un piede all’altro, in modo perfettamente bilanciato.
“Cazzo, il folle ha la postura di chi davvero sa combattere! Sorprendente!”.
Voltandosi con calcolata lentezza, e cercando di cancellare dal viso ogni minima espressione, rispose «Come mi hai chiamato?»
L’altro aveva un sorriso totalmente folle sul volto «Coglione. Hai muschio anche nelle orecchie per caso?»
Il goliath per un attimo parve rifletterci seriamente. Effettivamente ai goliath ogni tanto capita. Ma no. Se le era pulite pochi giorni prima. Poi sogghignò ferale. «No, ma tra poco tu non avrai le orecchie!»
Un’antica tradizione goliath vuole che, quando i giovani creano una squadra, che sia per un allenamento, per un gioco, o per la caccia, i vari membri debbano sfidarsi tra loro, per saggiare le rispettive abilità, capacità, resistenze e debolezze. Molto spesso tutto questo avviene coi vari compagni di squadra che si pestano contemporaneamente, in un caotico groviglio di calci, pugni, bastonate e denti che volano.
Thrip’ad era intenzionato a fare proprio questo. Nella speranza che fossero abbastanza disperati da aver bisogno di un lavoro (e brache di tela lo sembrava decisamente), prima doveva capire se fossero in grado di combattere. O altrimenti, cosa erano in grado di fare.
Gli sembrò di tornare giovane. E un po’ quello, un po’ le dodici pinte di birra in corpo, gli fecero lanciare la sfida di prova rituale nella sua lingua natia, che non parlava ormai da anni.
«GOLAH'KA THRIP'AD, GU TH’AN DARK'HOL
NE?». Che tradotto dal gol’ka vuole semplicemente dire: "Io mi chiamo Thrip'ad, vuoi/volete fare squadra con me?”
Ci furono molte botte. Molte sedie rotte. Alla fine, come spesso avviene, anche altri si unirono alla baraonda. Ma alla fine nessuno si fece male seriamente. Non secondo gli standard di Thrip’ad almeno.
Arrivarono un paio di paladini di Lathander, supportati da alcune guardie cittadine, per sedare la rissa.
Molti avventori vennero fatti uscire e Patrick venne ufficialmente elogiato da uno dei paladini per il contegno mantenuto in quelle circostanze turbolente, per aver cercato di risolvere la faccenda a parole senza far intervenire Oskar e Trogolo (sebbene non avrebbero potuto far molto visto che erano nel retro della locanda a smaltire una sbornia epica) ed evitato che gran parte degli avventori si ferissero gravemente correndo in giro a togliere bottiglie e vetri da ogni posizione che riusciva a raggiungere evitando pugni , schiaffi, bastonate e alcune magie dall’aria per nulla innocua. Effettivamente il piano di Thrip’ad aveva funzionato per entrambe.
Difatti il goliath, la bionda e suo fratello vennero fatti uscire senza essere arrestati visto che lei, a quanto pare, conosceva bene e da tempo i paladini.
E mentre si rattoppavano in un vicolo dietro la locanda, Thrip’ad si presentò in modo più “umano” per così dire.
Fu così che Thrip’ad della tribù Kuntana delle Orsraun conobbe Dora e Rushe Honeycomb da Secomber.
Il resto, come si suole dire, è storia.

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