Broken hearts

di _etriet_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - il mese di settembre ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Una famiglia completa ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Gusto letterario ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Mattoncini di lego ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Nutella, amaretto, legno e cuoio ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Il primo giorno di scuola ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Mani gelide e chiavi nuove ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Il sapore di una caramella all'arancia ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Un posto chiamato casa ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Il sole di ottobre ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 )prima parte) - Canzoni anni ottanta ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 (seconda parte) - Cocco e Cioccolato ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Come la pizza e l'ananas ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Vodkaccino ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - I numeri primi ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Il freddo di novembre ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Soli, lune, stelle e pianeti ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Bouquet di fiori rossi ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Alla lettera L e alla lettera V ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Come un gatto nero ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - il mese di settembre ***


Quella mattina profumava come una semplice e comune giornata d'inizio settembre, con i ragazzi che si godevano i pochi momenti di libertà prima di rimettere la testa sui libri, i tuffi in mare, ora un po' più freddo, le grida dei turisti stranieri sulle spiagge, le lenzuola messe ad asciugare sui balconi più alti dei palazzi, che mosse dal vento sembravano onde bianche che si infrangevano nel cielo. Quella mattina aveva un certo sapore aspro di rammarico, di nostalgia, un certo che di fine estate che portava le persone a passeggiare nei parchi, i cui alberi erano ancora coperti da foglie verdi, e queste quasi splendevano sotto il sole, come a voler dire che loro c'erano ancora, che non tutto era finito. In pochi sentivano quel senso di amarezza, eppure, quelle poche foglie già cadute facevano notare un po' spavaldamente come sempre di più la stagione stesse cambiando, come presto la natura sarebbe stata più cupa, simile a un urlo silenzioso che avrebbe tolto ogni linfa di vita.

Non ci credeva molto negli Dei, eppure, mentre si tirava dietro la valigia fino alla stazione dei treni e si osservava intorno, pensava sempre di più al mito greco di Demetra e Persefone, un modo come un altro di dare una spiegazione mitica a ciò che, di per sé, non aveva niente di mitico.

Quella mattina sembrava avere il solito sapore d'inizio settembre, il sapore di una lunga rinascita e certificazione delle proprie abilità; perché settembre aveva sempre avuto quel carattere contrastante di perenne incoerenza, diviso a metà tra la nascita e la morte: in un certo senso capiva perché proprio quello fosse il suo mese preferito. Però quel particolare mese di settembre non le dava un chissà quale motivo per essere amato, anzi: quasi lo detestava con tutta sé stessa; perché mai come allora aveva cambiato la sua vita.

Lei camminava, camminava veloce per le vie della città, sotto i portici, in mezzo alla strada, al bordo delle righe, l'importante era fare in fretta, tanto che quando le sue scarpe toccavano il suolo facevano un rumore sordo, quasi inudibile, palpabile solo a un orecchio fine. Pareva quasi che avesse qualcosa da perdere, ed era perfettamente vero; perché nonostante camminare sotto il sole di settembre non fosse al pari di camminare sotto a quello di agosto, le sembrava che il tempo scorresse molto più lentamente del vero, e questo l'aveva portata a quella familiare sensazione di essersi dimenticata qualcosa, qualcosa che assomigliava molto all'orario del treno su cui sarebbe dovuta salire; forse ci sarebbe anche riuscita forzando di più la corsa, ma non lo sapeva nemmeno lei. La sua valigia, al contrario delle sue scarpe, faceva un rumore che era perfettamente udibile, sui ciottoli, dove in quel momento i suoi piedi camminavano svelti, le ruote si scontrano con la pietra e talvolta ci si incastrano anche, poi, finalmente, come una visione paradisiaca, la stazione dei treni si era palesata davanti a lei, facendola fermare un attimo, il fiato corto e la leggerezza nel cuore. Il biglietto lo aveva già, incastrato in una tasca dei suoi mom jeans, quindi le era bastato prendere la valigia dal manico più corto, scendere e salire le scale fino ad arrivare al binario che era stato predestinato al suo treno. Era stata fortunata, visto che avrebbe dovuto fare una corsa unica fino a Treviso, senza dover scalare in città che non conosceva. Le piaceva viaggiare in treno, molto più che in aereo o in macchina, poiché quel piccolo pezzo di mondo passava davanti ai suoi occhi come in un filmato, e a lei pareva di stare ferma lì, a guardare tutto quel movimento, senza accorgersi che effettivamente si stava spostando anche lei insieme a tutto il resto. Un istante è così breve e intenso che imprimerlo nella propria memoria diventa più semplice quando si è carichi di sentimenti: quella era una di quelle cose che aveva sempre saputo, e che col tempo aveva anche imparato a comprendere, il treno, nella sua mente, rappresentava l'ideale rappresentazione fisica del suo pensiero. Quando si era riscossa dal momento di stallo che si era presa e aveva sentito l'annuncio che da lì a pochi minuti sarebbe arrivato il suo treno, si era alzata dalla valigia, che le aveva fatto da appoggio improvvisato, e aveva timbrato il biglietto, per poi spingersi fino a quaranta centimetri dalla linea gialla. Il treno era arrivato con il suo solito fischio e l'ennesimo annuncio della voce femminile, lei, incurante, aveva lasciato che il vento le scompigliasse i capelli, portandoli un po' da tutte le parti, e aveva chiuso gli occhi, beandosi di quell'istante familiare che la riportava a quando era piccola. Si era incamminata verso i vagoni che sapeva essere i più vuoti, quelli più esterni, e aveva preso posto, spostando la valigia davanti a sé, con la borsa e il borsone sul sedile affianco, poi, aveva atteso che il treno partisse per mettersi gli auricolari.

Aveva già fatto quella corsa, una volta, con sua madre, suo padre e sua sorella, nel periodo delle vacanze natalizie di quando aveva sette anni, in quel caso però, la loro era una semplice visita di cortesia a una cara amica di sua madre e ai suoi figli, nel presente, Veronica doveva andarci per viverci. Non che avesse molta scelta, sua madre le aveva messo davanti due soluzioni, Milano, con sua nonna (e la badante), o Treviso, con la sua amica, e lei, per quanto amasse Milano, non amava sua nonna, quindi aveva preferito zia Angela - si chiamava così l'amica di sua madre - anche se in realtà di zie non ne aveva nemmeno una.

Tutta quella situazione, tuttavia, non era partita esattamente da lei, ma dal lavoro di sua madre; era una fotografa, spesso molto cercata, ed era stata chiamata per fare un servizio in varie parti dell'America, cosa che avrebbe potuto generare una svolta importante per la sua carriera, e non si era sentita in grado di toglierle una tale opportunità. Quindi, semplicemente, aveva accettato tutto quello che era andato dietro alla decisione confermata di sua madre di partire, perché ce ne aveva messo di tempo prima di decidersi seriamente su cosa fare e come farlo, e Veronica aveva detto semplicemente va bene. Quella, era la spiegazione più veloce che sapesse dare sul perché si trovasse su un treno, verso una città che non conosceva, e per giunta, in un'altra regione rispetto alla sua.

Non era passato tanto tempo da quando era salita sul mezzo, poco più di una mezz'oretta forse, eppure si sentiva già così distante da casa, senza un punto di riferimento fisso.

Il mese di settembre era quello in cui, ogni anno, ricominciava la sua semi indipendenza. Non poteva di certo lavorare, era ancora minorenne, ma la maggior parte delle volte si ritrovava da sola a casa, talvolta per pochi giorni, talvolta per settimane intere, e ormai si era abituata a fare tutto da sola. Eppure, quel settembre non era lo stesso di sempre, non sarebbe stata a casa sua con la certezza che, arrivata una certa ora, avrebbe dovuto cucinarsi qualcosa da mangiare, non sarebbe stata nella sua stanza, con la sua libreria affianco e la sua tazza preferita piena di cappuccino, non avrebbe avuto il balconcino che mostrava l'intera città e le permetteva di leggere in un ambiente quasi idilliaco, quella era la sua indipendenza, sapere che qualsiasi cosa sarebbe accaduta lei avrebbe sempre avuto quegli spazi ormai solo suoi per distinguersi e distrarsi da tutto. Ma non sarebbe più stato così, non avrebbe più avuto quelle immagini impresse nella sua mente, che per lei avevano tanto il significato di casa, di calore, semplicemente, da lì a poche ore, tutto quello che aveva sempre conosciuto sarebbe cambiato, e non avrebbe saputo più niente. Tanto che la sua ancora parziale indipendenza, costruita sulle solide basi dell'educazione e della cultura, oltre che dal rispetto e del giudizio, sarebbe semplicemente scomparsa, fino a quando non avrebbe conosciuto a pieno ciò che l'aspettava. Non era così semplice, lasciare tutto e partire, ma lo aveva fatto, l'aveva fatto perché teneva a sua madre, ci teneva tanto che riuscire a vedere il riflesso della pura e genuina felicità nei suoi occhi aveva colmato anche la paura che fin dall'inizio l'aveva colta, e si ripeteva, mentre le immagini di alberi, industrie, città e altri treni si facevano sempre più spesso presenti durante il percorso, che vedere sua madre felice avrebbe colmato qualsiasi cosa. Era sempre stata molto vicina a sua madre, fin da bambina, si ricordava ancora di quando aveva quattro anni e non riusciva a dormire, sua madre, che a quel tempo teneva un taglio di capelli abbastanza lungo, le percorreva con l'indice il sopracciglio sinistro, come quando Veronica non sapeva ancora parlare e in qualche modo doveva rilassarsi, così le faceva quelle dolci carezze per calmarla. Quel ricordo le era rimasto tanto che, quando sua madre era a casa e potevano guardarsi un film insieme, ancora se lo faceva fare. A pensarci bene le sarebbe mancato anche il divano, se lo si vedeva come posto sul cui giravano molti ricordi, dove solitamente si metteva a leggere le storie su Wattpad, accompagnata generalmente da un bicchiere di succo di arancia e un panino al tonno. Leggeva sempre quando ne aveva la possibilità, amava riuscire a incanalare tutto quello che delle semplici parole le facevano provare e trasformarle in qualcosa di più complesso, come immagini tanto vivide nella sua mente che era come se le avesse vissute di prima persona, sensazioni tanto vere da sembrare idilliache, lei leggeva per vivere, per avere quella consapevolezza interiore di sapere sempre di più sul mondo, anche se ne viveva nella realtà dei fatti una parte poco sensazionale e minima, ma nel suo complesso meravigliosa. Nella valigia aveva messo alcuni libri che, nonostante fossero nella sua libreria da molti anni e la incuriosivano da sempre, non riuscivano mai a prenderla sul serio, e si era detta che, in un caso o quell'altro, li avrebbe letti prima o poi, e che era decisamente meglio prima che poi, quindi se li era portati via, insieme al computer portatile, perché il suo adorato fisso non poteva di certo venire con lei, una chiavetta USB piena di cose che aveva ritenuto importanti. Era tremendamente doloroso staccarsi dalla sua quotidianità, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro sui propri passi, ed era una cosa che sapeva anche lei. Il treno aveva preso a rallentare e Veronica, ormai completamente assorta dai propri pensieri, quando aveva visto che si trovava a quasi metà del percorso, si era stupita, poi, presa da un moto di stanchezza, si era accasciata contro al sedile e aveva chiuso gli occhi, beandosi del calore del sole che, attraverso il finestrino, raggiungeva il suo corpo.

Nelle successive ore non aveva fatto niente di entusiasmante, aveva cambiato playlist un paio di volte e letto qualcosa su Wattpad dal telefono, si era scritta con la sua migliore amica e con zia Angela, solo per capire come avrebbe dovuto girarsi nella stazione dei treni di Treviso e soprattutto cosa sarebbe successo quando sarebbe arrivata, sua zia l'aveva rassicurata, dicendole che ci sarebbe stata lei e suo figlio maggiore, visto che il minore era fuori e non aveva nemmeno preso la briga di ricordarsi che lei sarebbe arrivata.

Poco male, aveva pensato, uno in meno con cui dover fare conversazione.

Veronica amava parlare, probabilmente era una delle sue attività preferite, tanto che veniva definita logorroica dalle persone che le erano vicine, eppure non era brava ad aprirsi nell'immediato e odiava parlare con gli sconosciuti con cui aveva tenuto interazioni di pochi secondi. Ovviamente sua zia non era tra questi, visto che era ancora giovane -aveva la stessa età di sua madre, quindi aveva circa quarant'anni- e si capivano perfettamente, ma con i suoi figli, se non per quelle due volte in cui si erano incontrati, non aveva mai interagito o avuto una conversazione che andasse oltre alle solite domande di chi vuole perdere il giusto tempo per poter dire "sì, l'ho salutato" o "gli ho parlato", per questo non si sentiva a suo agio.

Piano piano, mentre il treno cambiava binario e curvava sulle rotaie, riusciva sempre di più a vedere il cartello che indicava che stava per sorpassare il confine che delimitava la zona di Treviso. Il suo cuore si era fatto un po' più leggero, ma il pensiero costante che in quel preciso istante solo un anno prima stava scrivendo a computer con la sua migliore amica affianco, nella Città alta mentre si mangiavano un gelato, le faceva venire una stretta al cuore insopprimibile. Era brava a farsi degli amici, una cosa forse ovvia vista la sua parlantina appena prendeva un po' di confidenza, aveva già previsto che se ne sarebbe fatta di nuovi e forse in poco tempo, eppure, nonostante sapesse che non avrebbe sostituito nessuno, si sentiva un po' una traditrice. Non avrebbe dimenticato nessuno, non poteva, sia perché la sua migliore amica, ormai a distanza, aveva promesso di scriverle tutti i giorni e di fare videochiamate appena entrambe avrebbero avuto del tempo libero, sia perché non riusciva a dimenticare così facilmente le persone.

Poi, quasi come se la bolla illusoria in cui si era chiusa avesse deciso di scoppiare per riportarla al mondo reale, il treno si era fermato, dandole il grazioso annuncio che era finalmente arrivata a destinazione. Nulla di più normale, per una qualsiasi di quelle persone sul treno che dovevano scendere a quella fermata, ma incredibilmente drammatico per lei. Stava per abbandonare l'ultimo pezzo della sua quotidianità scendendo da quel treno, e per quanto cercasse di trovare il positivo in ciò che stava accadendo, riusciva solo a vedere un enorme buco di trama in quella che sarebbe dovuta essere la sua vita.

Eppure doveva farlo, quindi, incoraggiando se stessa, aveva riposto il telefono nella tasca dei jeans e si era caricata la borsa e il borsone sulle spalle, prima di prendere la valigia dal solito manico corto e scendere dal treno. Sua zia l'aspettava vicino a una panchina su cui era seduto un ragazzo moro: era Francesco, ancora si ricordava il nome fortunatamente, il più grande dei due figli di Angela. Se ne stava a guardare il cellulare e a scrivere, almeno fino a quando sua madre non gli aveva dato uno scossone per risvegliarlo e si era incamminata verso di lei, con gli occhi che le splendevano di gioia. Capitava molto di rado che si vedessero, ma nonostante tutto Angela era sempre stata un punto di riferimento per Veronica, sia per le sue passioni sia come persona fidata, per questo, quando le era venuta in contro tutta sorridente, per quanto lei fosse quasi a corto di sorrisi, gliene aveva dedicato uno e si erano abbracciate. Dopo le solite domande di rito, a cui Veronica aveva risposto sorridente, si erano incamminati tutti e tre verso l'uscita della stazione, e Francesco era stato così gentile che si era offerto di portarle il borsone.

Quella mattina d'inizio settembre la stazione dei treni di Treviso era particolarmente piena, nonostante questo, mentre camminava al fianco di Angela, con al seguito il figlio maggiore di quest'ultima, aveva avuto l'occasione di guardarsi intorno e notare come alle pareti, prima della scalinata centrale che portava alla stazione vera e propria, fossero appesi dei piccoli mosaici, fatti dai ragazzi delle scuole medie della città. Alcuni erano particolarmente articolati e altri, invece, più semplici, ma in entrambi i casi le immagini di quei piccoli pezzi di arte, che rendevano meno cupa l'entrata per la stazione, le erano rimaste impresse nella mente. Usciti dalla stazione Angela l'aveva portata fino alla sua macchina, parcheggiata vicino a un'insolita palla di metallo, posta al centro della strada che portava al centro storico. Quella era una delle molte cose che si era dimenticata di Treviso.

Il viaggio in macchina era stato composto per lo più dalle domande di Angela a Veronica, tutte basate sulle sue abitudini a casa, cosa le permetteva di fare e cosa non le permetteva di fare sua madre quando era a casa, in quale scuola aveva deciso d'iscriversi e se aveva qualche particolare preferenza per il pranzo, visto che mancavano poco più di trenta minuti alle tredici, in più, da quel momento in poi, Angela era praticamente la vice e voce di sua madre, quindi le appariva più che logico che sua zia le chiedesse tutte quelle cose, visto che non vivendo insieme non poteva conoscerle. Aveva fatto anche un accenno di conversazione con Francesco, che era rimasto ad ascoltare quanto le due si stessero dicendo, intervenendo qualche volta con una battuta o qualche domanda sulla scuola. Le sembrava tutto normale, sì insomma, per quanto normale potesse essere. Era ancora stranita, ma quella sensazione cominciava a farsi un po' più fievole man mano che passava il tempo, e forse, sarebbe scomparsa del tutto quando avrebbe avuto modo di conoscere l'ultimo componente della famiglia Villa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Una famiglia completa ***


Veronica era seduta sul letto, che era tanto comodo che quasi le faceva venir voglia di distendersi, e per la prima volta in quella giornata stava sorridendo davvero. Quando erano arrivati a casa sua zia le aveva fatto fare un veloce giro di perlustrazione, facendole vedere principalmente dove si trovavano il bagno, la cucina, il salotto e camera sua, poi, le aveva chiesto gentilmente di aspettarla prima di cominciare a mettere via le sue cose, in quanto le voleva dare una mano, ovviamente lei non si era rifiutata e aveva preso a curiosare in giro per la stanza mentre l'attendeva. Era spoglia, o almeno era la prima cosa che aveva pensato quando ci aveva messo piede, il letto, che stanziava davanti all'armadio munito di specchio, era coperto solo da un lenzuolo bianco, giusto per proteggere il materasso dalla polvere, la scrivania rettangolare, affianco a questo, era anch'essa bianca e priva di tutto, se non per una lampada di sale posizionata su un angolo più esterno, sopra alla scrivania, poi, facevano capolino delle mensole, ma queste, come aveva potuto felicemente notare, erano piene di fotografie di lei e mamma, e di tanto in tanto, anche di mamma e zia.

Era una cosa piuttosto banale ma le aveva migliorato la mattinata più di quanto pensasse. Immaginare sua madre felice era la cosa che scaldava di più il cuore.

Quindi, presa dall'emozione, non aveva saputo trattenere un sorriso e si era seduta sul letto, le mani appoggiate sulle gambe e i muscoli rilassati. L'affetto era una di quelle sensazioni che amava, che le riscaldava il cuore e anche tutto il fisico rilassandola quasi all'istante.

Amava provare amore, qualsiasi tipo di amore fosse, dall'affetto romantico a quello genitoriale, da quello per un amico a quello per un animale, amava quei momenti di pura felicità che solo un sentimento così profondo sapeva darle, eppure, odiava profondamente quello che avveniva prima dell'amore vero e proprio, lo sconforto, il dubbio, la distrazione, erano tutte cose di cui sapeva poter fare a meno ma a cui non poteva rinunciare se voleva amare qualcuno.

I suoi pensieri erano stati bruscamente interrotti dalla porta, che si era aperta cigolando e scivolando sul pavimento, lasciando entrare sua zia, un poco trafelata, che pareva essere molto più felice di lei

«Scusami tesoro, ti ho fatto aspettare molto?» Veronica non aveva fatto a meno di sorridere, piegando poi leggermente la testa e scuotendola in disapprovazione

«No no, tranquilla, stavo guardando le foto e non mi sono nemmeno accorta quanti minuti stessero passando.»

«Ti piacciono?»

«Oh sì, sono bellissime.»

«Bene, ne sono felice -aveva fatto una piccola pausa per guardarsi intorno- allora, cominciamo che se no non finiamo più, passami i vestiti, segui un ordine particolare per l'organizzazione dell'armadio?»

«Oh... no -si era lasciata scappare una leggera risata, mentre ricordava la sedia piena delle sue magliette, la usava come armadio, visto che era troppo pigra per sistemarlo ogni volta che tirava fuori due o tre magliette in più, però, quella volta si era ripromessa di avere più ordine, visto che quella non era propriamente casa sua e, anche se sua zia le aveva detto di fare le cose come se lo fosse, lei ancora non si sentiva abbastanza a suo agio per essere veramente sciolta- Non faccio molto caso all'ordine.»

«Va bene, nel frattempo se vuoi sistemati la libreria e la scrivania, che so che all'ordine di quelle ci tieni.»

Angela le aveva sorriso dolce e poi, canticchiando, aveva cominciato a sistemare i vestiti nell'armadio.

Veronica aveva passato una quindicina di minuti abbondanti per decidere come mettere il computer e tutti gli oggetti di cancelleria che aveva. Era fissata con quel genere di cose, amava i colori, quindi tendeva a collezionare tutto quello che era colorato, che aveva una sfumatura particolare o una fantasia poco conosciuta: pastelli, penne, evidenziatori, matite, pennarelli, scotch, quaderni. Erano quelle le cose che generalmente amava "raggruppare", insomma sì: un po' di tutto. Alla fine aveva deciso di posizionare il computer al centro della scrivania, con affianco un piccolo portapenne, l'astuccio e il suo diario, nei cassetti aveva riposto i quaderni nuovi, lo scotch di carta e tutte le penne, gli evidenziatori, i pennarelli particolari e i post-it che possedeva. Sulle mensole, invece, aveva posizionato i libri per la nuova scuola, alcuni quaderni di quella vecchia, che probabilmente le sarebbero tornati utili per gli appunti, altri vari portapenne e organizzatori, che aveva suddiviso poi in base alla marca. Aveva poi posizionato in un set gli evidenziatori che usava di più e li aveva posati vicino al muro, successivamente, si era girata verso la libreria vuota, dandole un'occhiata un poco frustrata.  Non si era portata dietro molti libri, quindi aveva posizionato quelli che aveva nei primi scaffali, dividendoli talvolta anche con le foto che aveva trovato sulle mensole, in modo da utilizzare più spazio e lasciarne meno vuoto.

«Come sei presa zia?» si era voltata verso la diretta interessata e l'aveva osservata mente piegava con cura i suoi jeans e li riponeva piegati su uno dei ripiani dell'armadio

«Abbastanza bene, ho quasi finito, anche se mi aspettavo meno vestiti.»

«Ah aspetta, ti do una mano.»

«Ma non serve.»

«Ma ho finito... dai, mi sentirei in colpa a lasciarti fare tutto da sola.»

«Va bene, va bene, piegami quelle magliette nel miglior modo che hai imparato -e si era beccata un occhiolino- E poi passamele che le metto a posto.»

Veronica aveva cominciato a passarle le magliette piegate una ad una e aveva notato come sua zia le stesse mettendo in pile per colore e per sfumatura, erano andate avanti per dieci minuti buoni a mettere giù magliette e a cambiare posizione di alcune per creare una sfumatura perfetta, dal bianco al grigio scuro, dal grigio all'azzurro, dell'azzurro al violetto, e via dicendo, fino ad arrivare al nero. Sua zia era poi sparita per cinque minuti ed era tornata con delle tende, che sì erano leggere e sembravano pure traspiranti, ma erano anche abbastanza ingombranti. Avevano aperto sia i balconi delle finestre sia quelli della porta di vetro scorrevole, e delle vetrate, che portava sul piccolo terrazzino, da cui era possibile guardare verso Ovest, sapeva già che si sarebbe ritrovata a osservare il tramonto da lì, una di quelle sere, era una cosa che aveva dato quasi per scontato quando aveva capito che c'era una terrazza. Avevano messo le tende e successivamente si erano occupate del letto, mettendo copriletto e lenzuola al suo giaciglio, stanche, poi, ci si erano distese sopra ed avevano sorriso spensierate, perché era così che sua zia la faceva sentire, felice e priva di pensieri inopportuni.

Si erano riposate per un po' di minuti e, quando avevano cominciato a sentirsi cariche, si erano alzate e avevano sceso le scale per poi dirigersi verso la cucina

«Hai detto quindi che pasta con il ragù ti va bene giusto?»

«Sì sì.»

«Allora aiutami un attimo, in freezer c'è del ragù di ieri, prendi una pentola e fallo scongelare, io mi occupo della pasta nel frattempo, preferisci spaghetti o mezze penne?»

«Mezze penne!» non aveva poi ricevuto una risposta verbale, solo un sorriso e un cenno con la testa.

Veronica si era procurata una padella antiaderente e aveva acceso il fuoco, mettendo anche un filo di olio sul fondo, aveva poi preso il ragù da sopra il forno dove lo aveva appoggiato, visto che precedentemente lo aveva tirato fuori dal freezer, e lo aveva messo sulla padella, girandolo di tanto in tanto con un mestolo di legno. Anche cucinare era una cosa che le piaceva, anche se le faceva piacere farlo solo quando era in compagnia. Cucinare da sola le dava una noia immensa, e la faceva sentire sola, invece, in quel frangente, non si sentiva affatto sola, con sua zia Angela che canticchiava una canzone in inglese e la porta di casa che si apriva e si chiudeva, lasciando che i muri facessero passare la voce di Francesco al disopra degli altri suoni, fino a farla unire ai tipici rumori di una cucina in uso: il bollire della pasta, i mestoli che venivano posati e il friggere dell'olio. Francesco si era preannunciato di ritorno da una infinita spesa e fila al supermercato.

«Ma tuo fratello non si decide a tornare a casa?» Angela quella volta aveva ovviamente parlato con Francesco, che aveva alzato le spalle

«Sarà da qualche parte in centro mamma.»

«È uscito ancora prima che uscissimo noi, e sono già le tredici e mezza passate, quando torna mi sente.» Aveva sorriso, divertita da vedere Angela sguainare un cucchiaio di legno come se fosse l'arma più dolorosa del mondo.

Dopo pranzo in realtà non era successo niente di particolare, Francesco era rimasto un po' con loro e successivamente si era congedato a ripassare le ultime cose prima del rientro a scuola, visto che quell'anno avrebbe avuto la maturità. Angela e Veronica invece si erano appostate sul divano e avevano cominciato a guardare un film su Netflix, commentando alcune scene e ridendo di tanto in tanto. Poi, verso le quindici e trenta, sua zia aveva cominciato a prepararsi perché aveva il turno in ospedale, Veronica lo sapeva ma, una volta che rimase da sola, davanti alle scene del film Giallo-Comico che continuava imperterrito ad andare avanti, si sentì incredibilmente sola. L'altro fratello non era ancora rientrato, quindi si era abbandonata sul divano e aveva cominciato a scrivere con la sua migliore amica, un sorriso spontaneo le era comparso sulle labbra quando, pochi secondi dopo, la risposta le era arrivata, quasi impaziente, si erano chiamate. Veronica aveva preso a camminare avanti e indietro per la casa, stando lontana dalla camera di Francesco, che probabilmente stava ancora studiando visto che non era ancora uscito. Aveva parlato con Lucrezia, quello era il nome della sua migliore amica, sia del viaggio in treno e delle persone più singolari che aveva visto salire, sia di sua zia e di Francesco. Lu, come era solita chiamarla Veronica, aveva riso di gusto ascoltando la ricostruzione comica di una conversazione che aveva avuto con un signore in treno ed era rimasta ad ascoltarla per tutto il tempo, consigliandola, rassicurandola e facendola sorridere. Non che in quella giornata i sorrisi fossero di certo mancati, ma ovviamente, aveva riso e sorriso più volte al telefono con Lu di quante non aveva fatto in otto ore che era lì. Avevano messo giù la telefonata solo quando i genitori di Lucrezia, dopo aver salutato Veronica, l'avevano chiamata per cenare. A quel punto, o forse solo pochi minuti dopo, anche Francesco era sceso sbadigliando

«Hey.» l'aveva salutata con un cenno della mano e un sorriso

«Hey, come è andato lo studio?»

«Pesante, incredibilmente pesante, ma se si vuole superare un anno al massimo è meglio impegnarsi fin da subito.»

«Già.» Veronica aveva risposto il suo pensiero ai quaderni di sopra e, guardando suo "cugino" girovagare per la cucina cercando qualcosa, le era quasi venuta voglia di mettersi a studiare, o almeno, più di quanto non facesse già.

La conoscenza era qualcosa che amava, di natura lei era una persona fin troppo curiosa, quindi lo studio, fin da quando era stata cosciente delle proprie capacità, non era mai stato un obbligo o un dovere, ma più uno sfizio da togliersi, un pallino costante nella sua mente che le diceva di dover imparare, di dover sapere, conoscere le risposte le dava un senso di forza, di coraggio, che inevitabilmente andava a posarsi sulla sua autostima, alzandola inesorabilmente ogni volta che una delle sue affermazioni era riconosciuta come giusta da un insegnante o a chi facevano riferimento. Era bello sapere, comprendere, avere la consapevolezza di riuscire a dare il meglio di sé. Si era riscossa quando la mano di Francesco le era passata davanti agli occhi, sorprendendola e spaventandola, facendole perdere di poco l'equilibrio, ma era tornata subito in quella che era la sua posizione statica

«Oi, tranquilla sono io, volevo chiederti se per caso mia madre ha lasciato dei soldi per la cena?» Veronica aveva contratto lo sguardo e scosso la testa

«Non ho fatto caso, a che servono?»

«Quando ha il turno la sera generalmente ci lascia dei soldi per prendere qualcosa da asporto, tipo sushi, pizza, club sandwich, e pensavo che visto che oggi sei arrivata anche tu ne avesse lasciati.»

«Oh okay, hai provato a guardare all'ingresso? Mi è sembrato di vederla fermarsi di più in quella zona.»

«Quello è il posto dove solitamente li lascia, ma non ci sono.»

«E per terra?» era andata verso la porta in legno della casa e si era accovacciata, poggiando le ginocchia sulle piastrelle fredde «Magari sono caduti, oh, eccoli» aveva allungato il braccio sotto al termosifone e li aveva presi, erano leggermente impolverati ma sempre di soldi si trattava, quindi, dopo che li aveva passati con le mani per togliere lo sporco, si era girata verso Francesco che la guardava privo di emozioni

«Trovati.» lui le aveva sorriso e lei glieli aveva passati, spolverandosi i pantaloni all'altezza delle ginocchia

«Cosa preferisci, il Sushi o il club sandwich?»

«Il sushi, ma non dovremmo aspettare tuo fratello?»

«In ogni caso non credo che tornerà a casa presto, e visto che sono le otto di sera e lui non è ancora qua direi che è il caso di mangiare?»

«Come vuoi tu, in fondo non conosco per niente tuo fratello.» Francesco non aveva aggiunto nessun tipo di commento e le aveva passato il listino del ristorante giapponese, dicendole che poteva scegliere quel che voleva, rimanendo tuttavia entro le sette portate. Aveva apprezzato che Francesco non avesse proferito parola, perché nonostante lei avesse fatto una battuta, quella singola frase probabilmente aveva fatto capire al ragazzo che tipo di emozioni provava, e senza aggiungere altro ci era passato sopra, convinto che qualsiasi cosa col tempo si sarebbe sistemata.

Alla fine Veronica non aveva scelto niente di che per la cena, come antipasto dei ravioli di carne, che in teoria dovevano essere tre o quattro, non aveva molto fatto caso alla quantità, e degli involtini di verdure, come primo del riso alla cantonese e due nigiri, come secondo due uramaki e una porzione di sashimi. Successivamente, soli a casa, sia mentre mangiavano sia prima, avevano cominciato a parlare fino a finire tra le battute colme di ironia e alcune frasi spinose o piene di sarcasmo. Alla fine lui si era dimostrato una persona testarda e ostinata nelle sue opinioni, certo, ma con cui era incredibilmente facile avere una conversazione, in più, quando parlava della scuola e di ciò che avrebbe voluto fare in un prossimo futuro, gli si illuminavano tanto gli occhi che Veronica aveva quasi pensato che tanta dedizione non ce la metteva nemmeno lei, lui era quel tipo che anche senza abilità speciali nello studio o facoltà che gli creavano delle facilitazioni riusciva a studiare dando il massimo e a trattare in modo incredibilmente schietto, aveva un'innata capacità di conversatore, che spesso, come lei stessa non aveva potuto far a meno di notare nell'arco di quella serata tranquilla, si sviluppava anche per materie in cui non aveva una particolare preparazione, riusciva ad eludere qualsiasi barriera mentale e a portare le persone con il discorso in tutt'altri campi rispetto a quello di partenza. Con lei era riuscito a passare dalla storia della stampa agli ingranaggi meccanici e alla fisica, che nemmeno si era accorta per quale strada stesse andando il discorso, ed era per quello che andava bene, perché riusciva a spaziare e creare di ogni singola cosa più discorsi che, inevitabilmente, erano sempre giustificati, talvolta da una giustificazione più significativa e talvolta da una meno immediata, ma sempre e comunque vera. Veronica invidiava quella sua capacità, perché per quanto lei leggesse, per quanto lei studiasse, le sembrava di lavorare a compartimenti chiusi, e quella era tra le cose che doveva modificare di sé quella che cercava di cambiare sin da tempi immemori. Era andata avanti così fino a quando, dopo aver deciso di comune accordo di guardarsi un episodio insieme di "The mandalorian", visto che tra i vari argomenti di cui avevano parlato era rientrato anche Star Wars, che avevano scoperto piacere ad entrambi. Veronica non aveva mai visto nemmeno un episodio della serie, invece Francesco sì, quindi quando lui faceva dei commenti, invece di infastidirla le faceva piacere, cosa che normalmente non sarebbe stata. Avevano continuato a guardare la televisione fino a quando Veronica, vedendo Francesco ormai mezzo addormentato, non lo aveva scosso per andare a dormire, avevano spento la televisione ed erano andati entrambi nelle proprie stanze.

Veronica però, alle tre di notte, era ancora sveglia perché quella non era la sua camera, non era il suo letto e non le sembrava nemmeno di respirare la stessa aria di prima, quando in realtà probabilmente lo stava facendo. Era in uno stato di confusione e ciò che gli dava vita era un raggio di cose disordinate e poco equilibrate che si erano scontrate col maniacale ordine che aveva cercato di dare alla sua vita.

Aveva passato esperienze ben peggiori, perché in quella giornata bene o male era stata circondata da persone che non le avevano fatto pesare di essere lì, e lei si era messa in gioco per poter stare al loro passo, per dimostrare che la loro preoccupazione nei suoi confronti e riguardo ai suoi sentimenti poteva anche essere messa da parte. Aveva cercato di mostrare che riusciva a lasciarsi quello che era il suo mondo prima di quella mattina un poco alle spalle, accettando quella che era la sua nuova vita da quel momento in poi, eppure, per quanto ci provasse, quando era sola, non riusciva a fare a meno di pensare che nulla sarebbe mai tornato come prima, che tutto quello che sarebbe accaduto da lì in poi avrebbe portato un freno alla concezione del mondo e della vita che aveva fino a quel momento, o che aveva avuto a seguito di esperienze di cui preferiva sempre non far parola. Niente era più doloroso che ricordare qualcosa in grado di spezzarle il cuore a metà, rifiutava qualsiasi pensiero rigirandosi nelle coperte e cercando di non pensare, di non ricordare e di non far dubitare se stessa della propria forza d'animo.

Poi, mentre i suoi occhi si stavano chiudendo per il sonno arretrato, una piccola creaturina nera era salita sul letto, strusciando sulla sua guancia il suo pelo morbido, Veronica, imbarazzata, sorpresa e quasi impaurita, aveva acceso la luce e aveva scoperto essere solo il gatto di sua zia, Akimi. La prima volta che aveva sentito quel nome le era sembrato strano, per un gatto, poi però ci aveva fatto l'abitudine e in quel momento le pareva normale. Aveva accarezzato il musetto della micia, che si era accucciata sul suo letto, poi, si era spaventata per quelle che sembravano delle urla trattenute, ed era scappata e scesa in salotto, e lei le era andata dietro, incontrando anche Francesco che, svegliato da quelle urla, si era preoccupato fino a uscire dalla propria stanza

«Ma ti sembra l'ora di tornare a casa?!» la voce di sua zia, che si stava trattenendo nella speranza di non svegliare nessuno, era giunta alle orecchie dei due ragazzi e del gatto, che con fare tranquillo si era strusciato sulle gambe della nuova presenza in quella casa

«Sono le tre di notte, sai cosa potrebbe succedere a un ragazzo della tua età a quest'ora per strada? No che non lo sai, figlio incosciente che non sei altro!»

«Mamma... m»

«Mamma un corno, vai in camera tua, prima che anche Veronica e tuo fratello si sveglino.»

«Possibile che non possa essere ascoltato?»

«Quella che deve essere ascoltata qui sono io, non tu.»

«Ma...»

«Leonardo -quella volta era stato Francesco a parlare, entrando nel soggiorno- Ti conviene stare zitto, oggi.»

Avevano un'armonia nella stramba situazione in cui si trovavano, Leonardo sembrava più un bambino in quell'istante che un ragazzo di diciassette anni, rimproverato sia da sua madre, sia da suo fratello maggiore.

Erano una famiglia completa, nonostante la mancanza di un padre presente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Gusto letterario ***


Veronica era rimasta ferma nel punto da cui aveva assistito alla scena di pochi minuti prima, cercando di trattenere le risa da quando aveva visto Leonardo col capo basso, Francesco con le braccia incrociate al petto e sua madre che non finiva più di sgridarlo. Era una di quelle situazioni che a lei, più che di noia o di rabbia, sapevano di amore e complicità. Il modo in cui Angela si era preoccupata faceva trasparire quanto affetto in realtà provasse per suo figlio, e gli ammonimenti continui di Francesco, oltre agli sguardi fugaci che i due si mandavano, le facevano presumere che ci fosse molto altro dietro a quella apparenza di lite.

Era facile capire, pensando da un punto di vista puramente razionale ed estraneo, come, dietro qualsiasi rimprovero di un familiare, ci fosse tanto amore da non poterlo nemmeno immaginare. Le prove concrete stanziavano nei ricordi più intimi, e nelle emozioni sbagliate, come la lecita paura di una punizione o la rabbia per il non essere capiti, che sormontavano appena il tono di un adulto si alzava oltre al conosciuto o al familiare. Aveva sempre pensato che i rimproveri fossero le forme di affetto più evolute, eppure, quasi nessuno, se non gli adulti, riuscivano a comprendere quel suo punto di vista forse troppo maturo.

Non era semplice per lei prendere le cose male, anche quelle che nella realtà dei fatti dovevano essere prese male. Aveva sofferto, un po' come tutti hanno sofferto nella loro vita, ma non si era mai demoralizzata o lasciata andare a emozioni troppo negative, perché quel genere di pensiero sadico e masochista, come altre convinzioni comuni, le faceva ribollire il sangue nelle vene tanto trovava quelle cose infantili e futili, non intendeva di certo che il soffrire fosse una cosa inutile, ma più che la demoralizzazione non portasse a niente.

Era della convinzione che soffrire fosse lecito, ma che crogiolarsi nel dolore fosse soltanto da sadici. Tutte quelle filosofie sulla sofferenza si erano andate a unire alla sua versione di insieme, allo sguardo che dava sul mondo, fino a formare nella sua mente la concezione che, qualsiasi fosse stata la situazione, qualsiasi fosse stato il danno, ci sarebbe sempre stato un modello che moralmente seguiva il suo pensiero positivo, ed era giusto così, perché lei sapeva già, fin da quando aveva cominciato a comprendere le sue stesse idee, che ognuno sceglieva il proprio cammino creandosi la strada dove camminare, senza che nessun'altra persona potesse aggiungere o togliere dei pezzi che, in un futuro prossimo, sarebbero potuti essere di intralcio o meno. Perché ognuno aveva la propria ottica dalla quale vedere le cose e cercare di introdurre dei filtri a quello che era già un filtro, fatto di emozioni e convinzioni proprie, cose che non appartenevano affatto a quel pensiero innaturale e introdotto e manipolato, era, per lei, un abominio.

Veronica era fatta di morali, che nella sua vita forgiavano i principi fondamentali su cui basava il proprio modo di vivere: il passato non si cancella, si descrive; aveva pensato mentre era ancora nascosta dietro al muro della cucina, il presente non va guardato, ma vissuto, e il futuro non deve essere sognato, ma costruito; e quello in particolare, era il mantra su cui faceva affidamento nei momenti in cui non sapeva cosa fare, il suo modo di fare era costituito da convinzioni, morali e discorsi ben articolati. Molte persone non erano d'accordo con questo suo modo di pensare, ma ormai lei non dava più credito a nessuna critica, lasciando che le parole altrui, a meno che non fossero di consiglio, colpissero le sue spalle e scivolassero lungo la sua schiena, fino a infrangersi ai suoi piedi dove non avevano più nessun peso. Mentre guardava anche sua zia che sgridava Leonardo, aveva pensato che in qualche modo, in quell'ambiente, sarebbe giunta a conclusioni che non aveva mai trovato, e così, anche la sua linea di pensiero si sarebbe sgretolata in mille pezzi lasciando solo quelli che erano i concetti fondamentali, perché trasferirsi non significava solo cambiare città, farsi nuovi amici e tante altre cose che non aveva ancora sperimentato, significava anche cancellare ciò che fino a quel momento era conosciuto e ritrovarsi con un mucchio di indesiderata ignoranza, trasferirsi significava cambiare sé stessi, smuoversi a prospettive mai scorte, ed era quello il principale problema. Aveva parlato certo con Francesco, ma non era riuscita ad essere sé stessa al cento per cento, perché ancora quel posto non se lo sentiva suo. Si era staccata dal muro, consolata, quando finalmente Angela aveva finito di litigare con Leonardo. Sapeva che nessuno le aveva chiesto o imposto di aspettare lì fino all'ultimo, quindi aveva cominciato a salire le scale indisturbata, facendo il meno rumore possibile, e si era chiusa in camera sua. Durante la notte, dopo che tutti si erano chiusi nelle proprie stanze, chi a rimuginare e chi a dormire, Veronica aveva finalmente preso sonno, e le ore successive erano trascorse tranquille, almeno fino alle otto e mezza della mattina successiva. Infatti, a quell'ora di quell'undici settembre, Veronica si era alzata, stanca e ancora con i muscoli indolenziti, era scesa in cucina, trovando tutti seduti a tavola, ognuno con una tavoletta di plastica sotto le tazze. Si era sentita un'intrusa, quando, già vestiti, i tre componenti della famiglia Villa avevano alzato lo sguardo su di lei, che ancora con il pigiama estivo addosso, si era bloccata per l'imbarazzo dallo stipite della porta. Si era schiarita la voce, che era ancora roca dal sonno e imbarazzata per gli sguardi che erano ancora profondamente puntati su di lei

«Buongiorno...»

«Buongiorno tesoro»

«Buongiorno»

«Giorno.» La voce di Leonardo, che era stata l'ultimo a ricambiare il suo saluto, l'aveva fatta tremare di disappunto, era per lei insolita, poco conosciuta e per nulla confortevole, la faceva sentire fuori posto, tanto che, quando si era seduta al fianco di Francesco, che con fare fraterno le aveva versato del caffè nella tazza da colazione, si era sentita inopportuna

«Zucchero?»

«Ah, uhm, sì, grazie», aveva mescolato piano il caffè dopo che Francesco le aveva messo lo zucchero, ritrovandosi in sovrappensiero a intingere i biscotti e a rigirarli con la punta del cucchiaino dentro alla tazza calda. Non era abituata a quel genere di attenzioni, a dirla tutta non era abituata nemmeno a fare colazione, la sua giornata tipo, in estate, era costituita dall'alzarsi tardi, tanto tardi che la colazione era il pranzo, ripassare una materia al giorno per un paio di ore nel primo pomeriggio, poi uscire, fino a quando il buio non era tanto intenso da far paura, e tornare a casa, per ripetere successivamente tutto ancora una volta, con le eccezioni che in alcune settimane non usciva nemmeno un giorno ed altre era perennemente fuori. C'erano giorni in cui nemmeno la compagnia di sé stessa le andava a genio, e quindi si rifugiava dove sapeva di stare bene, dove era consapevole che la compagnia altrui non l'avrebbe fatta stare male, dove era certa di non poter essere ferita in alcun modo. Era una presunzione complessa perché, per quando i libri e la musica le tenessero compagnia, niente di quel che sentiva e vedeva era realmente tangibile. Non poteva di certo entrare nel libro e compiere le azioni dei personaggi, e tralasciando quella che era la sua vera vita certamente fisicamente era impossibile, ma mentalmente, gli infiniti orizzonti del finito si spezzavano fino a diventare polvere, perché quando era tra sé e sé nulla era reale, ed esisteva solo quello impostava lei, un po' come quando doveva identificare le condizioni di esistenza di una equazione, in modo che non diventasse impossibile, perché decidere di dare uno zero al denominatore dava la conseguenza di un calcolo che alla fine era un errore, e lei ne era consapevole. Angela si era alzata e si era diretta in salotto, lasciando i tre ragazzi da soli, Veronica, ancora un po' imbarazzata, si era portata il biscotto alla bocca, e ne aveva presi altri due dal sacchetto, intingendoli insieme, generalmente probabilmente lo avrebbe fatto con le mani, ma era in quella famiglia da meno di due giorni, quindi preferiva non sbilanciarsi troppo, ma aveva preso la decisione di capire come quella famiglia fosse così completa nonostante l'assenza di un padre fisso e presente, e dopo aver mangiato anche quelli, presa una bella dose di coraggio dopo aver finito il caffè, aveva alzato lo sguardo quasi incerta

«Come mai siete già vestiti?»

«Andiamo in centro. -Questa volta, invece di essere l'ultimo, Leonardo si era preso la briga di rispondere per primo, spostando lo sguardo dal suo telefono fino a lei- Dobbiamo prendere dei libri che sono arrivati ieri, in più tua zia...» e a quel punto il tono di voce di Leonardo si era incrinato, tanto che aveva fatto una piccola pausa, aveva anche provato a riprendere il discorso, ma Francesco si era intromesso, rassicurandola con un sorriso

«Tua zia vuole farti vedere la città, almeno per darti una piccola infarinatura delle vie, ma comunque andiamo a scuola nello stesso istituto, quindi caso mai ti daremo delle indicazioni noi.» Poi si era alzato, prendendo con sé la tazza e la tovaglietta, e si era messo al lavello, Leonardo si era stravaccato sulla sedia, mentre lei si era alzata quando Francesco aveva preso le stoviglie di suo fratello e le sue, gli si era avvicinata, incurvando leggermente un sorriso quando aveva constatato che stava realmente lavando i piatti

«Vuoi una mano?» lui aveva girato gli occhi verso di lei, mentre continuava a passare la spugna sul piattino dove sua zia aveva messo il burro, che poi avevano usato sulle fette biscottate

«Sì, grazie -lei gli aveva sorriso di rimando, felice di potersi rendere utile- fammi un favore, metti in tanto le tazze nella lavastoviglie, così poi, col ciclo lungo, quando rientriamo è già finita.»

«Va bene.»

Aveva fatto tutto con molta calma, rispettando i tempi che aveva Francesco nel risciacquare le varie stoviglie e passargliele, avevano anche un po' scherzato, quando per sbaglio lui l'aveva schizzata con l'acqua mentre ci passava sotto un cucchiaio, lei aveva fatto lo stesso per scherzare e tra un istante e l'altro si erano ritrovati entrambi con le magliette zuppe, e Leonardo dietro di loro che imprecava quando arrivava addosso dell'acqua anche a lui. Avevano finito quel teatrino spensierato poco dopo, quando il fratello minore si era alterato più del dovuto e aveva lasciato la cucina con qualche santo sulla bocca, Veronica e Francesco si erano guardati, ridendo ancora, e si erano tranquillizzati solo dopo, quando lei si era alzata un'ultima volta e aveva impostato il lavaggio lungo. Angela, che era seduta sul divano, già truccata, li aveva guardati per un attimo, prima di assumere un'espressione confusa

«Ma che diavolo avete fatto?»

«Eh mamma, hanno fatto i gavettoni.»

«In cucina?»

«In cucina -aveva sospeso la frase per pochi secondi, senza lasciargli possibilità di replicare, e aveva aggiunto, con un tono mieloso che a lei aveva fatto salire i nervi sopra le stelle- questa settimana potresti dare l'aumento di paghetta a me, visto che non ho cercato di allagare casa.» Francesco lo aveva fulminato con lo sguardo, suo fratello non ci aveva per nulla fatto caso, e non era riuscito a intervenire perché lo aveva fatto lei

«Sei esagerato, stavamo semplicemente scherzando tra noi, e mi sembra proprio di aver asciugato tutto, quindi non si è allagato proprio un bel niente.» Lui l'aveva guardata per pochi secondi, prima di assumere un comportamento di sufficienza, incrociando le braccia al petto

«Okay, basta, questa settimana nessuno di voi due -la voce di sua zia era stata autoritaria, molto più del solito, mentre passava lo sguardo dal figlio maggiore a quello minore- avrà un aumento di un bel niente, e Leo, smettila di essere scortese.»

«Ma che ho fatto? -sua madre, fulminandolo, lo aveva poi costretto con lo sguardo a sedersi vicino a lei- ma in questa casa non si può più fare niente insomma.» Aveva borbottato lui di rimando, beccandosi un occhiata da Francesco che invece si era seduto sulla poltrona, Angela aveva riposto lo sguardo su di lei, dopo aver guardato i due ragazzi un'altra volta, sorridendole

«Veronica, cara, vai a sistemarti, così tra poco partiamo.» lei aveva annuito

«Certo, vado.»

Era salita su per le scale velocemente e si era chiusa la porta di camera sua alle spalle. Non sapeva cosa mettere, fatto che per una ragazza adolescente era del tutto normale, ma che a lei sembrava quasi strano. Non si era mai trovata in una situazione simile, la mattina generalmente prendeva quello che le piaceva di più e se lo metteva addosso, senza tanti pensieri, consapevole che volente o nolente, doveva uscire comunque, quindi era giusto il caso di vestirsi con qualcosa che le piaceva e in cui stava comoda, prima di guardarsi allo specchio e non sopportare la vista degli abiti che aveva addosso. Infine, anche se ancora la risposta quella sua insicurezza non l'aveva trovata, aveva preso dei baggy jeans beige e una semplice maglietta verde, che aveva messo dentro ai pantaloni, giusto per dare un po' più di personalità all'outfit. Veronica non aveva uno stile, e principalmente se ne rese conto mentre si allacciava le Nike, ma le piacevano i colori, quindi molte volte puntava su quello senza nemmeno accorgersene. Si era guardata intorno, cercando i suoi occhiali da sole, che si era messa in testa per non perderli, aveva preso la borsa nera, capiente abbastanza per metterci dentro il telefono, il portafoglio, dei fazzoletti e il burrocacao, si era passata velocemente il mascara sulle ciglia e un po' di cipria, giusto per non sembrava proprio struccata, e poi era scesa giù velocemente. Non ci aveva messo tanto, giusto il tempo di darsi una rinfrescata, passare i capelli con una crema, pettinarli e poi vestirsi, quei quindici minuti che le servivano più o meno sempre. Erano usciti tutti dalla casa, dopo essersi assicurati di aver chiuso tutte le porte, ed erano saliti in macchina, lei si era impostata dietro ad Angela, mentre Leonardo aveva preso posto dietro a Francesco, che si era messo di fianco a sua madre. Veronica aveva lanciato una veloce occhiata al ragazzo di fianco a lei da sopra gli occhiali, per poi sistemarli meglio sul naso e mettersi la cintura, girandosi per cominciare a osservare fuori dal finestrino. Non aveva voglia di conversare, quindi, per quasi tutto il viaggio era stata taciturna, eccezione fatta quando era Angela a cercare di avere una conversazione con lei, con ovvi scarsi risultati. Erano arrivati in centro una ventina di minuti dopo e sua zia aveva parcheggiato la macchina in dei parcheggi che si trovavano oltre le mura della città, quello era il primo posto che Angela, in successione a imprecazioni poco carine sulla quantità di persone presente nel centro storico quella mattina, aveva trovato libero, visto che, per cinque minuti buoni, avevano girato tutte le possibili zone in cui ci potesse essere un parcheggio, senza però riscontri. Veronica era scesa dalla macchina e si era stiracchiata, sistemandosi meglio gli occhiali da sole sul naso quando un raggio le aveva colpito gli occhi, scoperti per via degli occhiali abbassati. Era una bella mattina, lo aveva constatato mentre attraversavano le strisce pedonali, l'aria era fresca, quasi frizzante, e sapeva di nuovo, come se tutto fosse rinato all'improvviso, in perfetto contrasto con quello che aveva provato solo la mattina prima, era una cosa che ancora faticava a comprendere, quella di non essere più a Bergamo, di non poter più salire la funivia o di arrivare a Milano prendendo la metro, di non poter più raggiungere la sua migliore amica semplicemente attraversando la strada o di dover fare salite e discese infinite prima di arrivare a scuola, e probabilmente, se Francesco non l'avesse tirata verso di sé, sarebbe anche potuta essere investita da una bicicletta, perché era tanto assorta dai suoi pensieri da nemmeno riusciva a fare caso a ciò che succedeva intorno a lei

«Tutto bene?» Francesco ancora le teneva il braccio, insicuro se fidarsi a lasciarla libera

«Sì... cioè, sì, mi ero distratta, scusami.» gli aveva fatto un sorriso cordiale, ed era tornata taciturna, ma attenta a dove andava con gli occhi. In quel momento stavano attraversando una via non troppo stretta, ma dalle case alte e di colori differenti, poi, erano arrivati davanti a un altro incrocio, e davanti a Veronica stanziava infiniti portici e la Caffetteria Cavour, o almeno così c'era scritto che si chiamava, avevano preso la via subito dopo, e ancora una volta, lei si era ritrovata a guardare l'altezza delle case e l'infinità di portici alla loro base

«Questa è via Riccati -Francesco l'aveva affiancata- e praticamente porta direttamente al duomo, da queste parti c'è anche la scuola di musica dove abbiamo preso lezioni di piano, giusto mamma?» Angela si era voltata verso il figlio maggiore, per poi osservarsi meglio intorno

«Mi par di sì», Veronica aveva inclinato la testa, di colpo curiosa

«Sapete entrambi suonare il pianoforte?»

«Io sì, modestamente.»

Leonardo era intervenuto rivolgendosi a lei con un tono saccente e guardandola di sbieco, visto che le si trovava esattamente davanti, e Veronica gli aveva risposto con un sorriso parzialmente ironico

«Io me la cavo meglio con la chitarra», Francesco era intervenuto di nuovo, sorridendo fraterno

«Io non so suonare nessuno strumento, siete fortunati.»

«Davvero? Eppure hai tanto l'aria di una classica brava ragazza... -il fratello minore era intervenuto di nuovo, con lo stesso sguardo inclinato e lo stesso tono borioso- Sai no? Una di quelle che suonano il violino, vanno in chiesa quasi ogni domenica, si sono lette pure la bibbia e visto più film basati suoi libri di Nicholas Sparks che altro...»

«Io avrei l'aria di un cliché?» lui aveva fatto una smorfia divertita

«In sintesi, però forse...»

«Leo, smettila, non sei affatto divertente.» Francesco aveva fulminato suo fratello con lo sguardo

«Peccato.» il più piccolo si era avvicinato di nuovo alla madre, che nel frattempo era stata intrattenuta da una telefonata e si era sospinta leggermente più avanti di loro

«Scusalo, certe volte pare non capire quando è il momento giusto di frenare le parole.»

«Già, l'ho notato -si era lasciata sfuggire una risata- Pare quasi voglia solo attirare l'attenzione su di sé.» Veronica aveva guardato la schiena del ragazzo che le stava davanti, la maglietta bianca seguiva tenue i suoi movimenti

«Certe volte sì, altre vuole solo capire meglio le persone. -Francesco aveva sospirato- Per spiegarmi meglio, le spiazza per vedere le loro reazioni, ma, a tratti, è davvero insopportabile» la conversazione si era conclusa poche battute dopo, quando avevano dovuto percorrere tutto il duomo, e per poco, se non fosse stato sia per uno che per l'altro dei due fratelli, probabilmente sarebbe andata a scontrarsi con chiunque fosse stato sulla sua linea di cammino. Non era sbadata, odiava esserlo, ma non si era mai trovata a suo agio nelle grandi folle e quella mattina il duomo sembrava eccezionalmente pieno, come se tutti avessero deciso che quella era la mattina ideale per farsi una vasca nel centro storico, senza stare a guardare quanta gente ci fosse in realtà. Veronica si era prefissata con l'idea che in quella città ci sarebbero state meno persone, meno confusione, di quando non aveva lei nella sua città di origine, invece le sue aspettative si erano completamente infrante quando erano quasi arrivati davanti alla libreria, quasi per sbaglio aveva spostato gli occhi a destra, notando che, oltre alla chiesetta vicino lì vicino, c'era un'altra strada, e che se possibile, quella era molto più gremita di gente di quanto non lo fosse ciò che la succedeva, in più, ad aumentare quell'atmosfera piena, c'era anche il caldo che, nonostante non fosse così insopportabile, si faceva presente comunque. Erano entrati nella libreria e Veronica, dopo una rapida occhiata in giro, si era diretta istintivamente verso il ripiano dei gialli, dei thriller e dell'horror, cominciando a sfogliare con lo sguardo le varie costine. Non sceglieva mai un libro dalla copertina, quello era ovvio, ma la cosa che la catturava sempre per prima era il titolo, come presumeva fosse per un qualsiasi altro lettore. Dopo aver lasciato lo sguardo correre su e giù per gli scaffali, cercando gli autori, e a destra e a sinistra, per cercare le opere, la ragazza aveva preso su tre libri di cui due, in quel momento, erano appoggiati sopra una mensola, nel giusto equilibrio per far in modo che non cadessero. Le unghie, di media lunghezza, battevano sulla carta lucida della stampa del libro mentre leggeva il terzo di copertina

«Genere Giallo, eh?» Lei era sobbalzata, colta all'improvviso e si era girata, mentre ancora stringeva il libro tra le mani

«Già.»

«Mi sorprendi.»

«Vedi quante cose si possono imparare da un presunto cliché?»

Leonardo aveva fatto una piccola scenetta, in cui faceva finta di essere stato colpito al cuore, e quell'immagine l'aveva fatta sorridere, e di rimando lo aveva fatto anche lui, anche se di poco, poi si era tirato su, impostando le mani dentro le tasche dei pantaloni

«Ti consiglio "La prima indagine di Theodore Boone"»

«Di cosa parla?»

«Racconta di un omicidio perfetto -aveva fatto un piccolo sorriso- Theodore Boone è un tredicenne che vuole diventare un avvocato, cosa non proprio normale, per questo dà consulenze private ai suoi compagni di classe. -sembrava perso in un mondo tutto suo mentre raccontava quella trama, smarrito in chissà quale ricordo- Il suo passatempo preferito è indagare in prima persona quando la situazione non lo convince, e poi, improvvisamente, si trova nel mezzo del processo di Peter Duffy, un giocatore di golf accusato di aver ucciso la moglie, tuttavia, l'uomo per insufficienza di prove sta per essere scagionato. Ma Theodore può cambiare il corso delle indagini grazie ad un testimone, ma sfortunatamente questo non può parlare perché vincolato a un patto di segretezza -aveva fatto una pausa, e poi aveva sorriso, inclinando la testa e prendo il libro da un ripiano della libreria, e glielo aveva porto- Sembra scontato all'inizio, ma alla fine si rivela tutt'altro»

«Sembra carino»

«Lo è, in più lo scrittore ha uno stile che cattura quasi subito, quindi non dovrebbe essere un problema entrare nella storia» la ragazza aveva girato il libro per vederne la copertina

«Meglio dai, altri libri da consigliarmi?» Leonardo aveva fatto vagare lo sguardo sugli scaffali, e lei gli si era messa al suo fianco per non intralciarlo

«Vediamo allora -aveva preso un libro e come per il precedente, glielo aveva lasciato- questo»

«"Ricordati di me"? Sei sicuro?»

«Sì.»

«La trama?» il ragazzo aveva sospirato accennando un sorriso

«Ma non ti fidi proprio.»

«No, direi di no -lei aveva ridacchiato- 'sta trama allora?» lui aveva alzato gli occhi al cielo, ma aveva annuito sconsolato

«È un altro romanzo giallo, uno di quelli in cui il detective è anche la vittima. La protagonista si chiama Shari, e la sera prima aveva partecipato ad una festa di compleanno, ma quando si era svegliata si anche era resa conto che c'era qualcosa che non andava. Solo una telefonata e la reazione dei genitori che si precipitano in ospedale le svelano la verità: è morta ed ora è un fantasma, ed è esclusivamente quando vede il suo stesso cadavere a terra, in seguito di una caduta che ha fatto nel vuoto dal balcone, si convince che quanto è successo sia vero. Tutti pensano che si sia suicidata, ma lei, anche se non ricorda nulla delle ultime ore sulla terra da viva, è convinta che qualcuno l'abbia uccisa. Il colpevole in realtà è uno dei suoi amici, ma toccherà a lei scoprire chi è stato e il perché del suo gesto»

«Scegli sempre libri un po' particolari tu eh- la ragazza aveva fatto un'alzata di sopracciglia e poi gli aveva sorriso, quasi sornione- però sono tutti interessanti»

«Lo so.»

«Ne hai un altro?»

«Ancora?»

«Sì.»

«Okay, va bene, ma che sia l'ultimo, che devo anche vedere di un libro per me, d'accordo?» lei aveva annuito, seguendo lo sguardo di Leonardo, che spostava veloce l'attenzione da una copertina all'altra, in cerca di qualcosa che potesse piacerle, alla fine, le aveva messo l'ennesimo libro tra le mani

«"Più fiori che opere di bene"?» aveva guardato il titolo confusa

«Sì -aveva fatto la sua tipica piccola pausa- Clotilde Grossi, è una fioraia ma coltiva un innata passione per il crimine. Non riesce a resistere di fronte a una nuova notizia di cronaca nera, cosa che avviene spesso anche grazie al suo fidanzato, che, per la cronaca, possiede un'impresa di pompe funebri. Un giorno nella piazza principale di Bergamo, che dovrebbe esserti famigliare, no? -Veronica aveva abbassato lo sguardo per un attimo, facendo vagare i ricordi su quel posto, sentendosi quasi ferita all'idea di non poterlo vedere più per mesi, poi, sbattute le palpebre e scacciate le lacrime, aveva ripreso subito a prestare attenzione al ragazzo, che era tornato a parlare solo quando lei era tornata a guardarlo- Praticamente viene ritrovata la testa di un uomo, macabramente sfigurato, e per Clotilde sembra l'occasione giusta per mettere in pratica, ma soprattutto in mostra, la sua passione. Durante le indagini conosce il commissario Riccardo Leonardi, un uomo dai rari sorrisi e dall'intuito infallibile»

«C'è anche una storia d'amore di mezzo, quindi?»

«Se ti interessa leggi il libro, no?» lui le aveva fatto un sorrisetto complice, e poi si era allontanato verso un altro reparto.

Doveva ammetterlo, aveva un gusto letterario niente male, e cosa ben più importante, non aveva tutto quel gusto di cliché che fino a pochi momenti prima le era sembrato avesse addosso.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Mattoncini di lego ***


Veronica era stata la prima a uscire dalla libreria, con una borsetta carica di libri, che aveva pagato lei di sana pianta, sua zia ci aveva anche provato a convincerla che quattro libri in più da aggiungere a quelli dei suoi figli alla fine non fossero una così grande spesa, ma la ragazza si era impuntata per fare da sola, per avere la propria piccola parte di indipendenza, e alla fine era stata lei ad aprire il portafogli e a tirare fuori i soldi per avere ciò che, dopo tutto, sarebbe diventato suo e di nessun altro, e cui aveva quindi il dovere di pagare. Non le piaceva quando le persone facevano le cose al posto suo, era un'altra di quelle regole che si era sempre impegnata a mantenere, perché, sebbene sapesse che con più persone a fare una cosa quella da svolgere sarebbe stata meno faticosa, aveva anche la capacità di comprendere che qualcosa fatto da sé dava molto più soddisfazione che qualcosa fatto in condivisione con altre persone, e riuscire a pagarsi i libri da sola era già abbastanza per riempirle il cuore di una consapevolezza sua, perché quei soldi se li era guadagnati facendo dei piccoli lavoretti sia durante le estati, che nel corso degli anni scolastici. Pagare qualcosa con quello che aveva messo da parte la faceva sentire bene, piena di autostima e orgoglio per se stessa, nonostante pagare quel genere di cose non fosse una così grande spesa, era sempre un piccolo passo avanti.

Il secondo a uscire dal negozio era stato Francesco, che aveva lasciato sua madre al seguito di Leonardo, ancora intento a cercare un libro per sé, Veronica aveva salutato il ragazzo con un segno della mano, mentre si stringeva fino a stare a filo con quello che era lo spigolo più esterno del negozio

«Tutto bene?» Francesco le si era avvicinato

«Sì sì, perché?»

«Ti vedevo un po' persa -il ragazzo aveva fatto una piccola risata, mentre si rilassava sotto la luce del sole, che gli illuminava il volto su cui aveva un sorriso pieno, a trentadue denti- anche se, pensandoci, ti vedo sempre così, quindi credo sia proprio una cosa tua, neh?» Aveva girato il volto verso di lei, inclinando la testa di trequarti

«Non proprio, è l'effetto delle cose nuove.»

«Ti disturba abbandonare la monotonia?» Veronica era rimasta interdetta, con la lingua appoggiata sul palato e una risposta decisamente poco cortese che premeva per uscire, rispondere pacatamente in quelle situazioni le risultava difficile, perché la parte meno razionale di lei prendeva il sopravvento, lasciandola molto spesso pentita di quello che diceva, ma inevitabilmente consapevole di riuscire a doversi controllare, cosa in cui molto spesso falliva, quindi, basato il pensiero di essere gentile come fondamenta per la sua risposta, aveva preso un piccolo respiro, per poi riprendere a guardare Francesco diritto in faccia

«Non... non avevo una vita monotona, mi piaceva, avevo le mie comodità e le mie cose da fare, sapevo come muovermi e di certo non mi servivano le balie per andare in gir... -aveva sgranato gli occhi, mordendosi la lingua- scusa, non intendevo dire che voi siete...nel senso -il tono della sua voce era andato ad abbassarsi sempre di più, fino a diventare un sussurro- di certo un senso non c'è, ci sono solo io che mi comporto da stronza.» Aveva guardato a terra, mortificata, almeno fino a quando lui non le aveva posato una mano sulla testa, scompigliandole i capelli

«È okay, dopo tutto sei qui da una giornata e mezza, nemmeno, mi sarei preoccupato di più se tu mi avessi risposto con tranquillità.» Lei aveva alzato lo sguardo lui aveva tolto la mano, per riportarla al suo posto originario nelle tasche dei pantaloni

«Era una domanda trabocchetto?» Lui le aveva sorriso

«Più o meno, era il termine monotono la vera ambiguità, se avessi usato un qualsiasi altro sinonimo il tono della frase e della tua risposta sarebbero cambiati, era solo per, diciamo, cercare di capire.»

La conversazione era stata interrotta in quel momento, quando Angela e Leonardo erano usciti dal negozio e sua zia li aveva chiamati a gran voce per invitarli a seguirla, quindi Veronica aveva semplicemente lasciato che fosse Francesco il primo a seguirli e, più guardava la schiena del ragazzo dondolare ad ogni passo davanti a lei, più le sembrava una figura fraterna con cui confidarsi, le ispirava fiducia.

Sentendo il telefono vibrare nella tasca dei jeans Veronica si era affretta a prenderlo e con sollievo aveva notato che era proprio sua madre a chiamarla, aveva risposto, portandosi il telefono all'orecchio il più in fretta possibile. Aveva aspettato quella telefonata da quando sua madre le aveva detto di aver messo la modalità aereo per il viaggio, incredibilmente lungo tra l'altro, che aveva fatto, le erano salite le lacrime agli occhi quando aveva sentito la voce di sua madre e si era dovuta tenere ad Angela per non perdersi tra la folla che alloggiava le strade di Treviso. Non era una persona troppo sentimentale, né sensibile, ma sua madre era pur sempre la donna più importante della sua vita, e non sentirla aveva peggiorato di molto quella che era una situazione ancora pensante, si era asciugata le lacrime con il palmo della mano sinistra, visto che l'altra era stretta da sua zia in una presa forte, e aveva cominciato a parlare con sua madre che, curiosa come era, le aveva fatto un sacco di domande, alle quali Veronica certe volte non sapeva nemmeno come rispondere, e quindi si mettevano a ridere entrambe, felici di sentirsi serene, almeno in quel momento, perché per quanto infimo, per quando distanti l'una dall'altra, era comunque il loro momento, eterno di pura commozione nel finito dei minuti a loro disposizione. Perché sua madre era la cosa che le mancava di più, e la consapevolezza di starle distante per così tanto tempo la uccideva dall'interno come un veleno mortale, almeno prima sapeva d'essere in un tempo finito di una settimana, in quel momento, aveva soltanto la certezza che sarebbero potuti essere cinque mesi come sette, e in qualsiasi caso avrebbe dovuto accettare quella condizione, che andava ben oltre la sua generica normalità.

Sua madre si era fatta passare Angela, e anche lei aveva sorriso come Veronica sentendo la voce dell'amica, che si preoccupava più delle pratiche burocratiche, poi, almeno da quello che riusciva a sentire, aveva smesso di parlare di cose serie e si era messa a scherzare, un po' come aveva fatto con lei.

Amava infinitamente quel lato di sua madre, quello che sapeva come prendere le persone e farle ridere con ben poche parole, quello che era conscio di come rendere le persone felici, anche per attimi finiti, acquistava tutto un altro colore quando c'era anche lei in una conversazione, o quando semplicemente si intrometteva in qualcosa di già iniziato, perché era proprio lei ad essere speciale, e Veronica lo sapeva, andandone fiera oltre ogni considerazione. Sperava, peccando di poca modestia, di diventare come lei un giorno, di essere in grado di capire come stessero le persone con un singolo sguardo e farle sorridere con poco, riuscire ad alzare l'umore comune solo con la propria presenza e diventare indispensabile per qualsiasi persona, voleva rendere qualcuno felice a modo proprio, con battute stupide o momenti esilaranti, perché ammirava davvero il modo in cui sua madre riusciva a spiccare in mezzo alla folla, con un sorriso confortevole e amabile, con i suoi modi gentili e i gesti trasparenti, netti, che valevano quanto la sua capacità di far sorridere. Era sempre stata lei a darle la forza, a darle coraggio, incitandola in tutto quello che faceva, a passarle l'amore per la conoscenza e a istigare in lei quella curiosità che le permetteva di volere sempre di più dalla vita, tanto da ricercarne altre di vite in racconti fantastici; sua madre era il fondamento principale su cui si ergevano le sue convinzioni, la sua influenza su di lei era la colonna portante della sua personalità, e Veronica ne era fiera.

Le due donne non erano state molto al telefono, il giusto per scherzare e fare due chiacchiere tra amiche, poi sua madre si era ritirata, visto che dal lei erano le cinque, e si era svegliata giusta a quell'ora per telefonare, visto che poi durante la giornata le sarebbe stato difficile poter rimanere al telefono.

Veronica, che sapeva quanto la madre ci tenesse a un sonno ristoratore, aveva sorriso, in qualche modo felice e sorpresa, ma a pensarci bene, probabilmente lo avrebbe fatto anche lei. Erano seduti fuori ad un bar, i tramezzi posati sul tavolo, i colori del posto e le voci di contorno che rendevano l'atmosfera vivace e frizzante, con quell'accento tanto diverso dal suo e a tratti poco comprensibile dei vecchi signori che, ancora dopo tanti anni, se ne stavano seduti sulle loro solite sedie a leggere il giornale, scherzandoci sopra con chi, tra i loro amici, era in quel posto a fargli compagnia, che si fumava una sigaretta o una pipa, mentre seduti su quegli sgabelli un po' traballanti e pericolanti, ascoltavano le notizie che chi leggeva commentava allegramente. Era un atmosfera calda e accogliente, diversa da quella di una casa, ma resa simile dalle persone che frequentavano la via. Angela era andata a pagare, ma probabilmente, conoscendo la proprietaria e barista, si era fermata a parlare più del dovuto, quindi c'erano semplicemente i due fratelli con lei al tavolo. Leonardo se ne stava seduto comodo, con il telefono in mano e qualche piccola risata in bocca, che usciva però sommessa e trattenuta a stento, derivante da qualcosa che qualcuno gli diceva proprio in quel momento, Francesco, invece, era po' più attivo, tanto che si era messo a parlare con lei per una decina di minuti buoni, fino a quando il fratello non gli aveva fatto vedere qualcosa, che aveva stravolto completamente l'attenzione del primogenito, passando rapidamente da lei, a lui e in fino allo schermo del cellulare di quest'ultimo, anche lei lo aveva fatto, alla fine, annoiata e poco vogliosa di sapere cosa si stessero dicendo o cosa stessero guardando quei due per sorridere tanto. Aveva sbloccato il cellulare con l'impronta digitale, che si trovava sul lato destro del suo cellulare, vicino ai pulsanti del volume, e le si era aperta da subito la schermata home, rivelando quante notifiche la modalità silenzioso le avesse impedito di sentire, il primo messaggio a cui aveva risposto era stato quello di Lucrezia, salvata, un po' semplicemente, come "Bæ🤍". Il messaggio era un semplice "Buongiorno", con un successivo nomignolo affettuoso, susseguito da una serie di telefonate che non avevano avuto risposta, al messaggio lei aveva risposto altrettanto, ma mandando un cuore invece che deliberare un soprannome carino. La sua migliore amica aveva visualizzato quasi subito, facendosi attendere per un lasso di tempo tanto limitato che le era sembrato quasi fossero passati pochi secondi invece che pochi minuti, visto il messaggio, Lucrezia l'aveva chiamata e Veronica aveva risposto, bisognosa di qualcuno con cui parlare, visto che chi era lì, nonostante gli sforzi, non aveva una conversazione con lei.

"Oi, sei viva, ma dove eri finita?"

"Mi sono svegliata alle otto e trenta e nemmeno il tempo di vivere che mi hanno subito detto che saremmo usciti." Lucrezia aveva riso di gusto, sfottendola in modo amichevole "Ma invece di prendermi in giro, mandami piuttosto ultimo programma di informatica dell'anno scorso"

"Dai, è sul computer, in dev, e io sono a letto, in più come dovrei mandartelo? Che formato?" Lucrezia aveva annuito sconfortata probabilmente, a sentire il sospiro fatto da lei dopo

"Ma fai un file di word, no?" Veronica aveva bevuto un po' dalla sua spremuta, mentre scorreva la chat velocemente e aspettava una risposta della sua migliore amica, ma quello che sentiva era solo il suono del cane che abbaiava.

Nell'ultimo periodo si erano scritte un bel po', visto che le conversazioni sembravano non finire mai, e lei aveva una punta di terrore nella gola che quella lontananza non sarebbe stata solo fisica, ma anche emotiva, e più ci pensava, più aveva il timore che potesse succedere davvero.

Poi, scorrendo ancora più in alto, si era fermata verso una conversazione familiare, ed era rimasta a rileggerla fino a quando Lu non le aveva risposto, palesandosi finalmente dopo un bel po' di secondi

"E la madonna che due palle." aveva sospirato l'amica poi, e poi aveva sentito tutta una serie di rumori familiari, come lo sbattere i piedi per terra di Lucrezia quando scendeva dal letto di malavoglia, lo scostare delle ciabatte e l'imprecare dell'amica quando si accorgeva che le aveva messe sbagliate, l'alzarsi strisciando i piedi per terra e il sedersi comoda della sua migliore amica sulla sedia della scrivania.

Era rimasta da Lucrezia così tante mattine dopo aver dormito da lei, che ormai conosceva ogni passaggio di quando si alzava, tanto da riconoscerli anche solo tramite i rumori

"Ti obbligo."

"Poi faccio un word e lo mando, ora devo litigare con qualcuno." La sua migliore amica aveva alzato il tono della voce e Veronica era rimasta un po' allibita, però, senza lasciarlo intendere, aveva deciso di essere ironica nella risposta, commentando con tono finto offeso

"Ma, sono più importante io o qualcuno?!" Lu, dall'altro capo del telefono, aveva riso di gusto, prendendosi anche un attimo di silenzio prima di riprendere a parlare

"Forse mi sento con qualcuno, no?" Veronica aveva sputato l'aranciata, ed entrambi i fratelli, di cui si era parzialmente dimenticata l'esistenza, si erano girati verso di lei, entrambi con la stessa identica espressione addosso, lei aveva sentito le punte delle orecchie calde, e si era pulita le labbra sporche di spremuta

"Tu ti senti con dei tipi e nemmeno mi dici niente?" aveva sussurrato, cercando di non aggravare di molto la situazione

"In verità l'ho detto a tre gatti che mi sento con questo."

"E allora dirlo a me che ti costava."

"Perché non so se ci stiamo sentendo seriamente."

"Ma che significa non 'so se ci stiamo sentendo veramente', come diavolo fai a non saperlo."

"Perché parliamo da solo una settimana" Veronica era rimasta un attimo allibita, ferma nella sua posizione, il bicchiere in mano e il telefono nell'altra, poi aveva riso sommamente, mordendosi l'interno labbro per non attirare troppo l'attenzione su di sé

"Come si chiama almeno"

"Federico"

"Ma non sarà mica quello di ventuno o ventidue anni, non ricordo, di cui mi parlavi, vero?"

"No, è un altro."

"Un altro?"

"Senti, se vuoi farmi la predica anche tu non serve."

"Non è quello il punto, sto solo dicendo, davvero? Ti piace davvero?"

"Penso di sì, insomma, è simpatico, gentile, carino... e guarda su Whatsapp che ti mando una foto" Veronica lo aveva fatto, rimanendo a guardare la foto per un paio di secondi, poi, esasperata, aveva risposto velocemente a una sua ex compagna di classe che era venuta a sapere del trasferimento e che dal quel momento non faceva altro che tartassarla di messaggi

"Guarda che non mi caga proprio oh." Veronica aveva riso, rientrando nella chat

"Guarda che ti ho sentita."

"Anche meglio." Aveva osservato la foto un attimo meglio, memorizzando mentalmente il nome dell'instagram del ragazzo e cercandolo sul social

"Stavo provando a vedere il profilo, ma lo ha privato, comunque non è brutto." Lucrezia aveva ridacchiato, mormorando qualcosa come un "lo so"

"Però di faccia non è troppo carino, quanto è alto?"

"Uno e ottantatré." Veronica si era quasi strozzata con la sua stessa saliva

"Praticamente gli arrivi al cazzo." Lu le aveva imprecato contro, ribadendo che non era così tanto bassa e che lei era fin troppo volgare

"E tu fin troppo santa!"

"Vedi che a certi piace." Dopo un altro giro di battute sempliciotte, Veronica aveva visto arrivare sua zia, e con rammarico aveva messo giù la telefonata con la sua migliore amica.

Le mancava, ed era quasi ovvio che fosse così, lei e Lucrezia erano cresciute insieme, fin da bambine non c'era stato giorno in cui non si fossero viste, all'asilo, al parco, a scuola, e si erano sempre state simpatiche tanto che erano diventate un duo, poi, in seconda elementare, c'era stato quel periodo in cui a entrambe interessava lo stesso ragazzino, ed erano entrate in competizione, stavano sempre a vedere chi gli stava più vicino, chi lo faceva sorridere di più, chi era quella a cui lui era più interessato, e più trascorreva il tempo, più loro due si allontanavano l'una dall'altra, a Veronica aveva cominciato a smettere di piacere dopo una gita, quando aveva visto Lu che giocava con i capelli ricci di lui e le sorrideva malefica, lui, quel lui di cui non ricordava più il nome, a quel tempo aveva una cascata di boccoli castano chiaro che sembravano molto morbidi, Veronica era morta di gelosia in quel momento. Poi, durante la recita di natale, quando a Lucrezia era stato dato il ruolo di protagonista e a lui la sua controparte, e avevano ballato un pezzo di una canzone come una coppia romantica, Veronica a quel punto si era detta, da persona matura, che dei ragazzi poteva anche fregarsene, e successivamente aveva ignorato tutti i gesti di quella che ormai non era più una sua rivale, ignorando di conseguenza anche lui, poi, l'ultimo giorno di scuola, rimasti soli loro tre ad aspettare i genitori, aveva lasciato il ragazzino e Lucrezia vicino alle porte della scuola, come da loro richiesta, per poi tornare quando aveva visto Lu con la testa bassa, ed infine, guardandosi negli occhi, erano scoppiate a ridere, capendo quanto in realtà tutti quei mesi appresso a quel bambino erano stati solo momenti per loro persi.

Da allora, dopo quel sciocco periodo di infatuazione bambinesca niente aveva più avuto la capacità di dividerle, consapevoli del loro legame solido. Eppure, quella situazione, dava un senso ad entrambe di perdita, e Veronica aveva sempre più paura che da un momento all'altro qualcosa potesse cambiare, tanto in loro tanto nel loro rapporto, come se potesse crearsi un danno irreparabile e profondamente ingiusto; la voleva lì con lei, voleva indietro loro momenti, come il guardare una serie insieme, o andare fino a scuola l'una affianco all'altra, iscriversi a lezione e concordarsi tramite messaggio sul dove trovarsi a ricreazione, stare dal muretto mentre una delle due portava dei caffè caldi, decidere il colore dello smalto insieme ed arrivare prima al cinema sembrando delle stupide. Tutte cose che non avrebbe più potuto fare per un bel po' di tempo, consapevolezza che le faceva male e le faceva capire ancora meglio quanto il loro rapporto potesse lacerarsi nel creare un nuovo modo di esserci l'una per l'altra. Le saliva quasi un moto di gelosia a pensare alla sua migliore amica con qualcun'altra, a vederla scherzare come faceva con lei con qualcuno che inevitabilmente avrebbe preso il suo posto, anzi, poteva vedersi, un giorno molto più avanti di quello, mentre in videochiamata Lu le presentava quella che era la sua nuova migliore amica, qualcuno migliore di lei nel farla ridere e nel capirla. Lei, in un moto di superbia, mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere, si era detta che tale persona non esisteva, e che lei era una delle poche che riusciva a capire Lu come doveva essere capita, perché chi era meglio di lei in quello? Veronica la conosceva da sempre, e temere il confronto non era nemmeno un opzione da prendere in considerazione, non poteva avere dei rivali, non in quello, era una cosa che, allo stesso tempo, non riusciva né a concepire come possibile né a lasciare che non le consumasse l'animo da dentro, perché dopotutto le faceva comunque male pensare ad un opzione del genere. Sapeva che nello stesso modo in cui lei riusciva a capire la sua migliore amica anche quella faceva lo stesso con lei, quindi, nonostante sperasse di fare amicizia in modo corretto e sincero, sapeva che nessuna delle ragazze che avrebbe trovato nella sua classe, o a scuola, avrebbe avuto la capacità di esserle davvero amica.

Aveva smorzato i suoi pensieri dopo poco, quando aveva cominciato a piovere quasi a dirotto e loro, in successione ad una corsa veloce, si erano rifugiati in un negozio di vestiti, e di conseguenza allo sguardo che sua zia le aveva mandato avevano preso a girovagare nei piani insieme, cercando qualcosa di carino l'una per l'altra. Sua zia, mentre lei era in camerino per provare una maglietta, le aveva confidato che fare quelle cose con lei le faceva piacere, visto che non aveva mai potuto farle con i suoi figli, o almeno, non nel modo in cui lo stava facendo con lei e in un certo senso riusciva anche a capirla, stare con sua zia era un po' come stare con sua madre, con cui, momenti del genere, come andare a fare shopping insieme, avvenivano di rado, e stare con Angela le ricordava in qualche modo quando era piccola e sua madre non doveva sostenere da sola una famiglia intera, quando il tempo che le poteva dedicare era maggiore al tempo che occupava lavorando. Era una bella sensazione, incredibilmente malinconica, forse anche un po' triste, ma pur sempre bella e con un'aria famigliare. Distolti quei pensieri, si era guardata allo specchio, inchiodando gli occhi sulla propria figura, aveva scelto una maglia ocra, che contro ogni previsione le stava anche bene, e una gonna in jeans nera che, dopo aver sistemato la maglia sotto di essa, dava un bell'aspetto al tutto, forse le scarpe che aveva in quel momento non erano le più adatte, a l'insieme dei vestiti non le dispiaceva affatto. Si era tolta tutto, prendendo successivamente una maglia azzurro pastello che le aveva consigliato sua zia, con sopra una stampa quadrata con delle nuvole, non sapeva con cosa abbinarla, se con la gonna gialla a quadratini bianchi che aveva scelto lei, o a dei jeans a palazzo con la vita alta che aveva scelto lei, aveva provato da prima i suoi jeans, ma dopo un attimo, il tempo di guardarsi allo specchio, che aveva capito che quei pantaloni avrebbe dovuto metterli con un qualsiasi top, o crop top che aveva a casa.

Si era rivestita e aveva sorriso ad Angela mentre usciva dal camerino

«Allora, cosa prendi?»

«Penso la maglia ocra, la gonna nera, quella gialla e l'altra maglia, se non è troppo.» Al momento i pantaloni, per quanto belli, non le servivano, quindi aveva deciso di rinunciarci, anche perché in ogni caso aveva lo stesso modello ma nero

«Ma certo che no, prendi tutto quello che ti piace- sua zia le aveva sorriso, sorniona- ora vedo di qualcosa per me e poi andiamo.»

«Francesco e Leonardo non vogliono nulla?» Angela si era voltata verso i suoi figli, entrambi presi dalla smania di scrivere al telefono

«No, me lo avrebbero detto.» Veronica aveva annuito con la testa e poi, senza più pensarci, aveva preso ad osservare cosa ci fosse di carino per Angela.

Era ancora una donna in forma, aveva le gambe lunghe e il seno non troppo prosperoso, in più le curve del corpo dolci che aveva acquisito dopo i due parti le davano un fisico equilibrato, quindi sperava, sapeva, che trovate dei vestiti non fosse tanto difficile.

Angela l'aveva seguita per tutti i reparti dove era andata, felice di vedere sua nipote allegra, spensierata; sapeva quanto un trasferimento di quel tipo fosse radicale, e stava cercando, portandola fuori, facendole conoscere la città, consigliando a Francesco di diventarle amico, di fare di tutto per renderglielo il meno soffocante possibile, ma sapeva che, anche se lei ci provava, c'era sempre una parte di sua nipote che con la mente era rivolta solo e soltanto alla sua vecchia vita, perché la conosceva, e sapeva che non poteva fare a meno di costruire parallelismi. Conosceva molto bene sua nipote, perché anche se lontane Angela non le aveva mai negato un appoggio affettivo o morale, e sapeva quanto ella fosse fragile, non tanto quanto lo era stata in passato, ma abbastanza da permettere a chiunque di intravedere quel velo nero che si ergeva sopra di lei. Anche Veronica sapeva che quella sua tristezza era ben visibile e estremamente percepibile, quasi concreta, tattile, tangibile più del suo stesso tocco, ma aveva quell'inconsueta sensazione che le stesse fuggendo tutto di mano, e che intraprendere quel percorso l'avrebbe portata dove la strada non era affatto lineare ma molto più vicina come immagine ad un pavimento coperto da pezzi e mattoncini di lego.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Nutella, amaretto, legno e cuoio ***


Veronica aveva fissato gli occhi su Leonardo, che seduto di fronte a lei, aspettava per poter aprire la scatola che conteneva il suo panino.

Quando erano usciti dal negozio di vestiti, dopo un abbondante lasso di tempo in cui aveva continuato a piovere incessantemente, si erano accorti che si era fatta ora di pranzo, e i due fratelli, che erano sembrati stranamente muti per tutta la durata dello shopping di Angela e Veronica, si erano improvvisamente risvegliati affamati e poco pazienti, tanto che sua zia, esasperata dopo un po', aveva comprato per tutti dei panini da asporto a un pub poco distante da dove stavano loro in quel momento. Quindi in quel momento, sia Francesco, seduto affianco a lei, sia Leonardo, aspettavano pazienti, in incoerenza con l'atteggiamento che avevano tenuto fino a mezz'ora prima, di poter mangiare. Veronica aveva già il panino sul piatto, con la salsa e le patatine messe di fianco, anche se non era molto sicura che sarebbe stata in grado di mangiarlo tutto intero, era troppo alto e lei non era abituata a fare morsi troppo esigenti, sua madre, dopo averla vista quasi strozzarsi per via di un morso troppo grande, le aveva insegnato a fare morsi piccoli e masticare lentamente, cosa che ovviamente, dopo un po' di tempo, era diventata tanto automatica e normale che anche quando era da sola o in compagnia soltanto dei suoi migliori amici adottava quel modo di mangiare. Angela, che aveva finito di portare su le borse con i suoi vestiti solo in quel momento, si era seduta a tavola, di fronte a Francesco, che dopo uno sguardo complice con il fratello, aveva deciso di cominciare a tirare fuori le sue cose, e Leonardo aveva fatto lo stesso

«Mi hanno aspettata?» Sua zia aveva alzato entrambe le sopracciglia, guardandola confusa, Veronica aveva riso, annuendo con vigore, mentre entrambi i fratelli facevano la stessa espressione ferita

«Ci offendi così -il fratello minore, Leonardo, aveva guardato sua madre con un sorriso decisamente sarcastico- Come se non potessimo essere gentili» Angela l'aveva guardato contrariata ma divertita

«Generalmente quando arrivo a tavola avete anche già finito di mangiare» sua zia aveva scosso la testa e Francesco si era rivolto verso Veronica, che ridacchiava

«Non ascoltarla, mente!» Leonardo aveva annuito mentre teneva una patatina tra le dita

«Esatto, esatto.» Angela aveva sorriso, sorniona, e poi aveva incitato tutti a mangiare, mentre tirava fuori il proprio panino dalla scatola con la firma del pub.

Veronica era stata la prima a iniziare, schiacciando il panino come aveva fatto tante di quelle volte quando era a cena con i suoi migliori amici, e poi aveva cominciato ad alternare i morsi al panino con le patatine, mentre ascoltava con interesse vago la conversazione che Francesco, Angela e Leonardo stavano facendo, non interveniva non perché non le interessasse quello che dicevano ma perché, fin da bambina, si era abituata, e quella volta per sua volontà, che mentre mangiava generalmente non parlava, e cominciava a chiacchierare solo quando le venivano fatte domande dirette o quando aveva finito completamente di mangiare. Era una cosa su cui molto spesso i suoi amici facevano battute che divertivano anche lei, ma probabilmente, quel suo modo tacito di mangiare, era stato interpretato male da entrambi i fratelli, perché poteva percepire chiaramente Francesco guardarla di tanto in tanto, forse quando lui pensava che lei non lo vedesse, Leonardo che invece era rimasto tacito fino a quel momento, aveva esordito con un «Sei diventata improvvisamente muta?» detto in modo abbastanza sarcastico da beccarsi occhiatacce da chiunque e far quasi strozzare Veronica, facendole mutare l'umore da calmo ad irritato in così poco tempo che si sorprese anche lei

«Meglio muta che stronza.» Francesco aveva riso e sua zia aveva, con molte probabilità, fatto finta di non sentire, Leonardo invece l'aveva semplicemente guardata sorridendo, e poi aveva ripreso la sua conversazione con suo fratello, tutta fondata su uscite e nomi di persone che lei non conosceva, poi, quando lei si era alzata per andare a buttare via il cartone dove era contenuto il suo pranzo, Francesco le aveva battuto due dita sulla spalla, come a richiamarla, e Veronica, che ancora masticava l'ultima patatina si era girata involontariamente

«E se portassimo anche lei?» a quel punto si era sentita quasi mancare, tanto che le era andato di traverso l'ultimo pezzettino che stava masticando

«Non credi che potrebbe sentirsi un po' a... emh, disagio? -Leonardo l'aveva squadrata un attimo- in più, come credi che la prenderebbe Cecilia a vederti arrivare con lei?»

«Vabbé, è praticamente una cugina, basterà spiegarglielo con un po' di...»

«Di calma? -Leonardo aveva riso interrompendo il fratello maggiore- Tu credi davvero che basterà la calma? Io che non credevo nemmeno in un calmante, guarda te.»

«Ehi, stai parlando della mia ragazza!»

«Credimi questa è la volta buona che ti lascia se porti lei con noi.»

«Io esisto. -aveva borbottato Veronica- Visto che state parlando di me come se non fossi qui, posso andarmene davvero?»

«No.»

«Sì!» Francesco si era girato verso Leonardo, che aveva semplicemente alzato le spalle

«Decidetevi!»

«Ascolta. -Francesco si era alzato prendendo anche lui il cartone- Domani, dopo scuola, usciamo a mangiare fuori con la nostra compagnia, e avevo pensato che potessi aggiungerti anche tu -aveva sospirato un attimo mentre strappava con le mani la carta e la buttava nel cestino- sì insomma, se non ti senti troppo a disagio.»

Veronica aveva sentito le orecchie bruciarle, prima di ragionarci un attimo sopra, se fosse andata, oltre ai suoi compagni di classe, avrebbe avuto la possibilità di conoscere anche altre persone, quindi dopo tutto era una cosa buona, o almeno così le sembrava, in più, non aveva obblighi verso di loro, se non li avesse trovati simpatici avrebbe semplicemente fatto finta di niente e oltrepassato l'ostacolo girandoci intorno, senza dover dar prova di qualcosa o farsi male emotivamente, quindi, si era semplicemente girata verso Francesco, che ancora aspettava una sua risposta, e aveva semplicemente annuito

«Va bene -lui le aveva sorriso sornione- Perfetto, allora avviso gli altri -prima di andarsene, si era girato verso di lei- Sono felice che tu abbia accettato, non mi sembrava giusto metterti da parte così, e tranquilla, sono tutti simpatici, e estroversi, quindi non faranno storie o battute» Veronica aveva ridacchiato «Francesco, tranquillo.» Francesco poi era salito in camera sua e così aveva fatto anche Leonardo, sua zia, invece, dopo aver finito di mangiare si era preparata per andare in ospedale, chiedendole il favore di rimettere a posto la cucina dopo averle chiesto conferma del fatto che mangiava fuori con gli altri ragazzi, poi, dopo il segno affermativo di Veronica, era scomparsa dietro alla porta di ingresso.

La ragazza aveva svuotato la lavastoviglie del giorno prima e ne aveva messo su una nuova dopo aver pulito la tavola dalle ultime cose, poi, recuperato il computer dalla sua camera, si era appollaiata sul divano ed aveva controllato le mail, trovandoci anche il word di Lucrezia. Aveva dato una veloce ripassata a tutto nei giorni che avevano preceduto quel momento, ma sfortunatamente informatica era una di quelle materie, oltre a religione, che non si era mai appuntata in classe, anche perché passavano quasi sempre le lezioni in un'ala riservata solo a quella materia con ventine e ventine di computer dove compilavano programmi su programmi, era una materia che le piaceva, ma non aveva per lei una vera e propria passione. Lucrezia invece aveva il padre programmatore, e fin da piccola era sempre stata interessata, e portata, per e a quell'ala della materia, si portava perfino a scuola la chiavetta per salvare i programmi che facevano, cosa che aveva provato a fare anche Veronica, ma aveva riscontrato vari problemi che l'avevano portata a non provarci nemmeno più. Aveva scaricato velocemente il programma e lo aveva modificato leggermente secondo il suo stile, poi, dopo un'ora, presa da un moto di pigrizia, aveva collegato le cuffiette al portatile ed aveva fatto ripartire l'episodio della sua serie preferita la dove un paio di giorni prima si era interrotta. Aveva sporadicamente fermato la serie per prendersi qualcosa da mangiare, ma poi, verso le cinque, quando aveva sentito i primi rumori venire dal piano di sopra, si era semplicemente alzata abbandonando il computer sul tavolino di legno che si stanziava tra il divano e il televisore a parete, ed era andata fino in cucina per farsi un caffè.

Francesco, fin da piccolo, non aveva mai percepito il concetto di amicizia, gli sembrava tanto estraneo e discordante come termine, come sentimento, e spesso quando altri bambini, con fare innocente, gli chiedevano di "diventare amici" lui, ingenuo e ignorante, rispondeva con un no secco, come se gli avessero chiesto di dividere l'ultima fetta del suo dolce preferito con loro, e allora quei bambini, che volevano solo includerlo in un gioco, se ne andavano delusi, prostrandosi verso qualcun altro, e ignorandolo successivamente, e li capiva, perché avevano ragione sul fatto che preferisse stare da solo. Solo a cinque anni, quando aveva cominciato a percepire veramente suo fratello, nato solo due anni dopo di lui, aveva capito anche cosa fosse l'amicizia, un sentimento a lui ignoto che, però, era improvvisamente esploso nel suo cuore quando aveva visto suo fratello minore piangere dopo un altro dei molti rimproveri crudi del loro papà. Erano già successe cose del genere, ovviamente, ma mai, quanto quella volta, aveva sentito il cuore stringersi e farsi doloroso alla vista del dolore altrui, perché lui, agli altri, non ci aveva mai veramente pensato. Era stato un bambino egoista e solitario, permaloso e forse dispotico, ma molto più avaro del suo avere che umile per molte altre cose. Senza nemmeno farci caso, negli anni successivi, quando la situazione a casa era diventata sempre più difficile, aveva cominciato a stare con suo fratello per quasi tutto il tempo, cercando di rimarginare le ferite profonde, che erano state inflitte da quello che doveva essere il loro papà, finché era in tempo, ad aprirsi con lui e a esplorare quel sentimento nato spavaldamente, come un fiore in un campo secco e arido. Non era stato facile, ma era stato puramente naturale, perché provava un affetto profondo per Leonardo, e quello stesso sentimento lo aveva fatto cambiare sempre di più, fino ad arrivare a prendersi il suo dolore pur di non lasciargli dei ricordi traumatici di una persona con cui avrebbe dovuto averne solo di felici. Era da anni che andava avanti quella storia traumatica: suo padre, fin quando Leonardo non aveva cominciato le elementari, era sempre stato un uomo incline alla calma, gentile e mai particolarmente arrabbiato, poi, qualcosa era scattato in lui, come una bomba ad orologeria che aveva ormai finito il suo tempo e che non era stata mai disinnescata, e poi, l'anno dopo, era cominciato il peggio.

I loro genitori urlavano ogni volta che si vedevano, che fosse per la cena, che fosse per i figli o che fosse per i soldi, le urla di suo padre regnavano indiscusse sopra quelle di sua madre, che pian piano diventava sempre più tacita fino ad ammutolirsi completamente, succube dei toni alti e della rabbia che il marito sembrava sfogare su di lei, poi, dopo tutte le volte che le aveva urlato contro, si era azzardato anche ad alzare le mani e con un semplice schiaffo, che tanto semplice non era, aveva segnato la fine di quella che era la loro famiglia. Francesco aveva sentito le gambe tremare a quei ricordi, al ricordo di un padre che ora poteva anche decidere di non vedere, ed altre tracce di memoria avevano cominciato a presentarsi dentro la sua mente:

Francesco stava tenendo la mano a Leonardo, ed entrambi, erano seduti vicino ai termosifoni caldi, abbracciati l'uno all'altro, cercavano di non impaurirsi, di non singhiozzare, mentre le continue grida passavano perfino le pareti per arrivare alla loro stanza «Andrà tutto bene- Francesco aveva sospirato, passando la mano libera sulle spalle del fratello -tranquillo», ma Leonardo lo aveva guardato poco convinto, chiudendosi sempre di più a riccio su se stesso.

Leonardo stava guardando la televisione sul divano, indisturbato, mentre mangiava il solito panino alla Nutella che di consueto sua madre gli preparava a quell'ora, stavano dando il suo cartone preferito in quel momento, e Francesco, che se ne stava al tavolo nel salone a fare i compiti, guardava suo fratello in piedi sul divano che saltellava felice ad ogni scena d'azione, poi, la porta di era aperta e chiusa velocemente e i soliti passi pesanti avevano cominciato a riecheggiare in casa, Leonardo si era ammutolito, fermandosi deluso dal quel umore nero che aveva circondato tutti e Francesco, in panico, lo aveva trascinato su per le scale fino in camera loro, dove, dopo avergli messo le mani sulle orecchie, era sicuro che non avrebbe sentito, però, quando gli occhi, colmi di lacrime, di suo fratello si erano alzati verso i suoi aveva avuto il bisogno di distogliere velocemente lo sguardo.

Le orecchie di Francesco erano state tappate prepotentemente dalla madre, che si era accorta solo in quel momento della sua presenza, nonostante la discussione fosse già iniziata da minuti

«Ma ti sembrano cose da dire davanti a un bambino?»

«È giusto che sappia quanto tu sia inutile e quanto lo sia lui di conseguenza, essendo nato da una come te.»

«Non ti permettere. -sua madre gli aveva accarezzato una guancia in segno di rassicurazione- Ma non ti fai schifo? Denigrare la donna che hai sposato, che dicevi di amare, e il tuo stesso figlio..» Francesco aveva smesso di ascoltare, fissando il vuoto, grato che Leonardo fosse da un suo amico e non lì, a subire quella scena. Poi, da un momento all'altro, si era ritrovato più in là, vicino al divano, e sua madre, a terra, aveva una guancia completamente rossa e l'angolo dell'occhio sanguinante per via della botta violenta data allo spigolo del tavolo. Francesco aveva guardato suo padre, che con il busto piegato in avanti sembrava stesse piangendo

«Angela.. scusami... -e si era inginocchiato, cercando di accarezzare il volto della donna, ma sua madre stava indietreggiando, impaurita, e Francesco, issatosi sulle gambe tremanti, era corso per mettersi in mezzo ai genitori, ponendosi davanti a sua madre, cercando di opporsi come uno scudo, con braccia e gambe aperte, mentre lacrime di rabbia e dolore cercavano di uscire, parevano quasi spingere per essere lasciate andare- Francie, Angie, mi dispiace, non volevo»

«Mi fai schifo!». Sua madre si era alzata, limpida di rabbia, aveva preso per un braccio Francesco, a passi pesanti aveva raggiunto la porta, e dopo aver recuperato la borsa, si era chiusa alle spalle la porta di casa sua

«Lo denuncio.»

«Mamma...»

«Va avanti da troppo tempo.»

«Mam... mamma» la voce di Francesco era rotta, perché le lacrime erano uscite e lui aveva preso a piangere. Angela lo aveva preso in braccio, cercando di rassicurarlo, ed aveva cominciato a camminare verso la macchina

«Va tutto bene, tra poco sarà finita, finirà davvero.»

Francesco, insieme a Leonardo, se ne stava seduto sul nuovo divano, in una nuova casa, con la madre che finalmente sorrideva davvero, nonostante i punti vicino all'occhio sinistro. Era stato Francesco a dire a Leonardo che non avrebbero più vissuto con il loro padre, che si sarebbero trasferiti, che non era più sano stare lì, con lui, in quella casa, in quella città, ma a differenza di quanto aveva pensato, suo fratello minore non aveva detto niente, lo aveva ascoltato in silenzio e alla fine aveva sospirato, poi, la sua vocina rotta dalla felicità, aveva pronunciato un lieve , e Francesco si era sciolto, abbracciandolo di netto, felice di sentirlo felice, grato per non vedergli delle lacrime sul viso ma solo un sorriso riservato a lui e lui soltanto, perché era suo fratello, e lo avrebbe sempre amato.

Da quel momento la loro infanzia era andata sempre meglio, erano stati in grado di rifarsi una vita, e Angela era andata a lavorare in ospedale, cosa che non aveva mai potuto fare prima. Era bello, perché era una realtà serena, anche se avevano comunque dovuto fare degli incontri con uno psicologo che aveva garantito che non ci fossero patologie o danni a lungo termine avevano smesso di andarci, dopo più di un anno, ma per lui, il dubbio che le violenze subite potessero far diventare lui stesso un violento come suo padre, cosa che mai avrebbe voluto, aveva cominciato a radicarsi sempre di più nel suo cuore, fino a farlo tornare come prima, senza amici e concreto nella sua solitudine. Poi, in terza media, quando l'allontanamento dagli altri era più reale che mai, una ragazza, Cecilia Montefranchi, si era trasferita, il "da dove" non lo aveva capito bene nemmeno lui, e, ignara, aveva cominciato a stargli sempre appiccicata, lui cercava in qualsiasi modo di allontanarla da se con scarsi risultati, visto che qualsiasi cosa le dicesse lei tornava sempre, e alla fine, si era lasciato andare. Lei aveva aiutato lui ad uscire dalla sua bolla e lui aveva aiutato lei che, in sorpresa a quello che ci si poteva aspettare dal suo carattere di tutti i giorni, gli aveva fatto vedere anche una parte più fracile di sè, una parte che non aveva mai mostrato a nessuno. Così prima erano diventati amici, poi migliori amici, e il quel periodo aveva fatto amicizia con molte persone solo grazie a lei, poi qualcosa di più, fino a quando, in seconda superiore, lei non gli aveva detto di amarlo, la notte di Natale, mentre la neve cadeva su di loro e li ricopriva di bianco, sciogliendosi poi con calore dei loro corpi, bagnandoli vestiti e capelli, lui, come un fesso, era rimasto senza parole, quindi, a corto di frasi sensate, era passato ai gesti, baciandola, smontando definitivamente la sua corazza che con lei si era fatta ormai burro, e confermandosi, nei successivi anni di relazione, un ragazzo normale. Poi, inaspettatamente, quando nemmeno due giorni prima a quel momento era arrivata Veronica, con la sua nube di malinconia, che sembrava coglierla di sorpresa anche quando sorrideva, si era sentito persuaso dalla stessa preoccupazione che nutriva negli anni più bui per il fratello. Per lei provava un affetto improvviso, nato da ricordi dolorosi, e si sentiva in dovere per quel stesso affetto di farla felice in qualche modo, di renderle meno triste una permanenza pianificata non da lei ma da altri, che aveva semplicemente accettato per chissà quali motivi. Quindi, mentre l'osservava fare il caffè, era stato preso da un'improvvisa voglia di abbracciarla, ma sarebbe stato prematuro e fin troppo strano come gesto, quindi, si era semplicemente appoggiato al tavolo osservando la dimestichezza che aveva preso con la macchinetta

«Tu facevi il caffè con la moka a casa tua, vero?» lei aveva ridacchiato, mentre si girava verso di lui, gli occhi prima spenti ora illuminati, felici di avere qualcuno lì con lei

«Si vede così tanto?»

«Non troppo dai.» Francesco si era avvicinato un poco di più, e aveva visto Veronica sorridere,

«Mi abituo in fretta.» Lui aveva annuito, anche se dentro di sé stava cercando di trovare una risposta per portare avanti la conversazione. Veronica, col suo sguardo dolce e il sorriso innocente, gli faceva sia venir voglia di prepararle una torta e lasciargliela mangiare tutta sia ricordare le giornate di fine autunno nei Luna Park con suo fratello, quando la loro mamma comprava a entrambi lo zucchero filato e anche le frittelle con la nutella, per poi lasciar loro fare le giostre più pericolose insieme, forse li aveva leggermente viziati in quel periodo, ma ben presto, come ricordava lui, aveva smesso.

«Chissà se ci fosse stata anche lei come sarebbe stato... -la ragazza si era voltata verso di lui, mentre la schiuma del cappuccino le stava facendo i baffi, Francesco aveva riso- Niente niente, piuttosto, hai i baffi» lei si era portata la mano sulla bocca, pulendosi con il palmo della mano e sorridendogli imbarazzata, mentre le diventavano le orecchie rosse 'com'è kawaii', aveva pensato, mentre l'osservava bere la tazza di cappuccino 'probabilmente sta pensando che sono pazzo' Francesco aveva distolto lo sguardo da lei, e si era voltato verso le mensole della cucina, prendendo una capsula di caffè, poi, improvvisamente, si era ricordato di una cosa saputa da un suo amico, quindi, mentre posava la capsula dentro alla macchinetta e metteva una tazzina sotto all'erogatore, si era voltato verso di lei, sperando non la prendesse troppo male

«Ho una cosa da dirti, ma non avere reazioni esagerate- Veronica si era girata a guardarlo, le mani allacciate dietro alla schiena, aveva semplicemente annuito -in modo semplice, sei in classe con Leonardo.»

«Come?!» la situazione si era fatta doppiamente complicata quando Francesco si era accorto che la voce non era solo quella di Veronica, ma anche quella di suo fratello.

Veronica aveva guardato prima Francesco e poi Leonardo, domandandosi a quale santo si fosse messa contro, di certo non odiava il minore dei fratelli, sarebbe stato impossibile dopo nemmeno due giorni, eppure aveva qualcosa che la costringeva a essere restia con lui, diversa, rigida, cosa che probabilmente Francesco aveva notato, però, allo stesso tempo, quando aveva sentito anche Leonardo avere la sua stessa reazione, ci era rimasta male

«Scusami? Che ci sarebbe che non va?» si era girata verso di lui

«Mi prendi per il culo? -Leonardo aveva riso sarcastico- mi toccherà farti da babysitter per tutto il tempo dopo che mia madre lo verrà a sapere, perché "oh ma falla orientare eh! Non lasciarla sola! Aiutala!"»

«Oh poverino, per nemmeno cinque minuti in cui il massimo che farai sarà dirmi il nome dei professori già ti senti stanco adesso? Scusami davvero, vado a prenderti una poltrona di "va in mona" e una squadra di "quel cazzo che me ne frega"!» Veronica aveva sbuffato; poi, solo dopo, quando aveva realizzato quello che aveva detto, le sue orecchie erano diventate rosse e si era sentita andare completamente a fuoco, ma prima di poter dire qualsiasi cosa aveva sentito nitidamente la risata di Leonardo e di Francesco, ma quella del primogenito era più contenuta, riempire l'intera stanza di un calore famigliare. Aveva alzato lo sguardo verso il ragazzo, che piegato su se stesso, stava ridendo perfino con le lacrime agli occhi, e poi, contagiata, era scoppiata a ridere anche lei

«Oh Dio -Leonardo aveva preso un respiro profondo, prima di rimettersi in posizione eretta- Era anche ora che dicessi qualcosa di più.»

«Farti offendere risulta tra i propositi dell'anno?» Francesco si era voltato verso suo fratello con entrambe le sopracciglia alzate e ancora un mezzo sorriso sulle labbra

«Credo che sia uno di quei propositi che non cambiano mai.» Veronica aveva fatto una mezza risata e Francesco l'aveva seguita quasi a ruota, avvicinandosi senza accorgersi a lei

«Non siete divertenti» Leonardo aveva messo su un finto broncio, aveva gonfiato leggermente le guance e aveva fatto loro il labbruccio, per poi sorridere divertito, e quella volta aveva sorriso veramente.

Il ragazzo aveva un sorriso luminoso che pareva risplendere quasi di luce propria, e illuminato dai fiochi raggi di quel sole che stava tramontando, assumeva tutt'altra immagine. Leonardo non aveva le fossette, o i canini sporgenti, o qualsiasi altra cosa avesse potuto identificarlo come 'adorabile', ma a lei era sembrato tanto straordinario vederlo sorridere con sincerità, senza quella maschera di sarcasmo e restia che si portava sempre dietro e indossava nelle situazioni a lui congeniali, che nemmeno ci aveva fatto caso, visto che credeva fosse già perfetto così. Non era certo una cosa che avrebbe detto ad alta voce, ma l'aveva pensata, e questo era bastato per diventare rossa e sentirsi bruciare, tanto da dover distogliere prepotentemente lo sguardo dal sorriso del ragazzo, che nel frattempo si stava ricomponendo.

Veronica lo aveva guardato di sottecchi prima di rialzare del tutto la testa e incontrare il suo sguardo confuso

«Comunque, credo che se ti da tanto fastidio, può anche aiutarmi Francesco, vero?» la ragazza si era girata autonomamente verso il maggiore dei due fratelli,

«Certo»

«No.» A quel punto, sia Francesco sia la ragazza si erano girati verso Leonardo, che nel frattempo si era appoggiato sullo schienale del divano, rilassato come se fosse appena stato a farsi un massaggio

«Scusa?»

«Intendo, mi va bene.»

«Hai la febbre?»

«Non ho la febb... Hey, togli le tue mani dalla mia fronte!» il ragazzo aveva tolto velocemente la mano del fratello maggiore dalla sua testa, e Francesco poi si era rivolto a lei

«No, non la ha.»

«Ma va? Wow.» Leonardo si era sbattuto la mano sulla fronte, esasperato

«Hai appena detto che non ti va.» Veronica era intervenuta «Magari salto delle ore» lei aveva sorriso scuotendo la testa

«Che sfaticato.»

«Proprio -Veronica aveva visto Leonardo lanciare un occhiataccia ad entrambi- come faccio ad avere un fratello del genere.»

«Scemo.»

«Come te.»

«No. -si era messa di nuovo in mezzo quando aveva visto la bocca di Leonardo aprirsi- Smettetela, sembrate due bambini, per domani si vedrà, chi se ne frega al momento, più che altro, a qualcuno va di vedersi un film? -Aveva ricevuto un occhiata sconvolta da entrambi- Mi annoio» Veronica aveva alzato le spalle e i due fratelli si erano guardati un attimo, poi erano tornati a guardare lei, annuendo tranquilli. Un'ora dopo, in successione ad un panino con la nutella e alla visione di metà del film che avevano deciso di vedere, lei era già semi addormentata sul divano e, inconsciamente, si era appoggiata ad uno dei due fratelli

«Carina, vero?»

«Ma tu non sei fidanzato?»

«Io parlo per te.»

«Tsz, sta zitto, che non riesco a sentire il film.» Poi, Veronica era caduta in un sonno profondo che sapeva di nutella, amaretto, legno e cuoio.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Il primo giorno di scuola ***


I raggi del sole avevano cominciato ad entrare prepotentemente dalle finestre del soggiorno, ampie vetrate che facevano anche da porte per andare nel giardino, oltrepassando il vetro e le tende, per posarsi leggeri, leggiadri, sugli occhi di Veronica, che, dormiente, per proteggersi aveva schiacciato di più il volto contro il cuscino, estremamente morbido. Inconsciamente ci aveva strusciato il naso, beandosi dell'odore di pulito e della sensazione di fresco che avvertiva contro la guancia, e poi, pian piano, più passava il tempo, occupato nella sua mente da immagini colme di piante in fiore, più il suo corpo si svegliava. L'udito la rendeva partecipe del suono del suo stesso respiro, che sembrava calmo, tranquillo, l'olfatto del profumo di amaretto, che prevaleva tra quelli che ricordava dalla sera prima, il sapore che si sentiva in bocca era un misto di nutella e pane e il tatto le faceva capire che aveva una coperta addosso, questa le si posava leggera sulle spalle e sembrava diventare nettamente più pesante sulla sua vita.

All'improvviso, quando un altro raggio le aveva colpito gli occhi, li aveva finalmente aperti, cominciando a vedere tutto ciò che la circondava. Non era in camera, lo aveva capito quando, davanti a lei, aveva notato le scale che portavano al piano superiore, poi, girando il volto e battendo le palpebre rapidamente, perché ancora non riusciva a mettere tutto a fuoco al primo colpo, aveva confermato la sua teoria di essere in salotto, e in quel momento, il vero problema, oltre all'orario, perché erano già le otto e mezza e loro dovevano entrare a scuola alle dieci, era uno dei due fratelli. Si era girata lentamente, perché si sentiva inevitabilmente fuori posto, imbarazzata come mai nella sua vita, ed aveva constatato, partendo dall'analizzare prima i capelli e poi la fronte rilassata, le sopracciglia non corrucciate, il naso che ogni tanto si arricciava, le labbra dischiuse e l'insieme del volto di Leonardo, che quando dormiva il ragazzo assomigliava di più a suo fratello. Francesco tuttavia aveva un volto simile a quello di Angela, mentre Leonardo tendeva ad avere dei tratti leggermente diversi, probabilmente lui aveva preso dal padre ma Veronica non aveva ancora visto delle foto dell'uomo, quindi non aveva prove concrete per quella sua ipotesi. A dirla tutta Leonardo avrebbe potuto tranquillamente assomigliare ad uno dei suoi nonni o dei suoi zii, ma non avendo nessuna prova aveva semplicemente scacciato i pensieri, concentrandosi nuovamente su di lui. Veronica si era appoggiata al petto del ragazzo, sul quale era distesa per la mancanza di spazio, col mento sul dorso delle proprie mani e lo guardava dal basso della sua posizione, Leonardo aveva sempre un'espressione poco rilassata o un ghigno ironico in volto, che deformava le sue espressioni, e poterlo osservare in quel momento di estranea calma era un privilegio che non poteva sottrarsi. Aveva inevitabilmente sorriso mentre sentiva la cassa toracica del ragazzo abbassarsi e rialzarsi ad un ritmo regolare contro la sua. Non ci aveva messo molto a capire, seguendo la direzione che prendevano le sue braccia, che il peso sulla sua vita non era nient'altro che la sua mano, totalmente aperta sulla sua schiena; aveva smesso di sorridere poco dopo, quando il braccio di lui si era sfilato dalla sua vita; Veronica aveva chiuso di istinto gli occhi ed aveva reso il respiro più profondo, pensante, per simulare di star ancora dormendo, lo aveva sentito sussultare mentre si spostava leggermente, tirandosi su con la schiena, poi, molto chiaramente, aveva sentito una leggera bestemmia, segno che si era accorto della sua presenza. Lui l'aveva scossa, abbastanza prepotentemente da farle aprire gli occhi subito, fulminandolo con lo sguardo

«Buongiorno principessa -l'aveva apostrofata con tono ironico, mentre ricambiava il suo sguardo e l'espressione sul suo viso si corrucciava, diventando quasi infastidita- se non le dispiace vorrei alzarmi.» Lei si era alzata tirandosi dietro anche la coperta, che aveva usato per coprirsi le spalle.

«Sai perché abbiamo dormito così?» lei aveva fatto un gesto con la mano per indicare il divano sul quale lui era ancora seduto, non aveva aspettato una sua risposta e gli aveva voltato le spalle, cominciando ad incamminarsi per andare in cucina aveva acceso la macchinetta del caffè con tutta calma, lui l'aveva raggiunta prendendo due tazze dalla lavastoviglie.

«Avrei qualche idea in proposito, ma nulla che possa confermare, ho la sensazione di saperne quanto te -poi, mentre lei apriva il frigo per prendere il latte, lo aveva visto lanciare un'occhiata alla macchinetta- ne fai uno anche a me?»

«Non sai fartelo da solo?» aveva messo la capsula nella macchinetta e versato del latte freddo nella tazza per compensare il bollore della bevanda.

«Ma generalmente le ragazze non sono più gentili da appena sveglie?»

«Secondo me tu non conosci delle ragazze ma delle aliene.» Leonardo aveva ridacchiato e lei, dopo aver bevuto il caffè, senza zucchero perché aveva bisogno di svegliarsi, aveva lasciato la tazza nel lavello e cominciato a salire le scale per andare in camera sua e cominciare a prepararsi, aveva anche incrociato Angela, ma sua zia non le aveva fatto troppe domande, a parte chiederle cosa diavolo ci facesse già sveglia a quell'ora, lei aveva buttato sul ridere una battuta sull'agitazione da primo giorno di scuola e sua zia aveva semplicemente annuito sorridendo e dicendole di stare tranquilla, poi le aveva dato un bacio sulla guancia e Veronica era salita in camera sua. Aveva lanciato poco elegantemente la coperta bianca sul letto ancora fatto, ed aveva preso un asciugamano per andare a farsi una doccia veloce, sotto l'acqua tutta l'agitazione che effettivamente aveva si era sciolta, come del burro nel microonde e il suo pensiero quando finalmente era tornata rilassata era passato subito a Lucrezia. Si era inevitabilmente chiesta come stesse andato il suo primo giorno, se avesse già cominciato o meno, poi, con un imprecazione, si era ricordata che nella sua vecchia scuola il primo giorno era per i primini e il secondo per tutte le altre classi; un modo come un altro per far ambientare meglio i ragazzini, ma era da apprezzare perché anche lei, quando tre anni prima si era trovata di fronte al cancello della sua scuola, era rimasta inizialmente intimidita, e probabilmente quell'emozione si sarebbe ulteriormente amplificata se ci fossero stati anche i ragazzi degli altri anni. Ma quella volta la sua migliore amica le aveva appoggiato una mano sulla spalla, lanciandole uno sguardo di complicità, perché aveva paura anche lei, ma come al solito si erano appoggiate l'una sull'altra, congiungendo insieme uno stato di coraggio, e si erano incamminare sorridenti, felici di procedere insieme verso una nuova parte della loro vita, come era sempre stato, come quel giorno avevano sperato sarebbe sempre stato. Ma in quel momento quella certezza era andata a farsi benedire, non aveva né Lu né i suoi sguardi di incoraggiamento, solo Leonardo, che come minimo avrebbe fatto qualche battuta per alimentare la sua ansia. Quando il getto dell'acqua era diventato più caldo, tanto da farla allontanare, aveva smesso di pensare a quelle cose e si era avvolta il corpo con l'asciugamano che aveva preso da camera sua e, uscita dalla doccia, si era tamponata i capelli con un altro trovato lì in bagno. Non ci aveva messo molto a prepararsi, aveva già deciso i vestiti da indossare più di una settimana prima insieme ad Adele, una delle sue migliori amiche; era una ragazza sempre gentile ed aveva un discreto gusto in fatto di combinazioni e abbinamenti, aveva chiesto a lei quasi in automatico, sapendo di andare sul sicuro e di essere in buone mani. Col senno di poi guardandosi allo specchio, dopo essersi infilata le converse nere, aveva notato che stava molto bene con quei vestiti, si sentiva bella e si trasmetteva sicurezza.

Lo aveva sempre saputo che sentirsi bene con se stessi era la prima arma per mostrare determinazione, perché per essere sicuri di se stessi agli occhi delle altre persone era fondamentale, se non obbligatorio, avere almeno un poco di autostima sopra la media, e nonostante non fosse una persona particolarmente egocentrica, Veronica spesso lasciava andare quel lato di sé, conscia del fatto che un poco di elogi non le avrebbero fatto alcun male, non era solita lasciarsi andare a stati di sconforto rispetto a se stessa, anzi, trovava quasi inutile perdersi in questioni del genere, perché per quanto riconoscesse che fosse giusto avere umiltà per lei non era per niente appropriato sminuirsi come se nulla fosse. Riteneva che avere delle qualità, che fossero fisiche, caratteriali, manuali o intellettuali, dovesse essere solo motivo di orgoglio, non un sciocco tentativo per credere di non farcela, perché quante volte nel corso dei suoi sedici anni aveva affrontato momenti difficili? Tantissime, ma questo non le dava una scusante per fare finta di nulla e oscurare un camino che avrebbe potuto portarla a fare cose ben più importanti, più soddisfacenti; in più, aveva piena coscienza del fatto che ogni anno che passava faceva avvicinare problemi sempre più grandi, sempre più importanti, e sminuirsi, lasciarsi andare, non faceva che peggiorare una situazione che si sarebbe potuta dimostrare complicata oltre ogni aspettativa. Ovviamente quelle erano le sue opinioni, facilmente contrastabili, strettamente personali, tutte cose derivanti dal come era cresciuta.

Si era lanciata un'ultima occhiata allo specchio ed aveva alzato i jeans, che si erano leggermente abbassati sui fianchi , ed aveva sistemato la maglia, aveva deciso di vestirsi nel modo più sobrio possibile, per non dare troppo nell'occhio da subito, l'unico particolare forse erano i pantaloni, ma niente di esagerato, dei semplici wide jeans che le arrivavano sopra la caviglia; erano i suoi jeans preferiti tra tutti quelli che aveva, ed aveva deciso di metterli perché si sentiva veramente bene con quelli addosso, niente in confronto a quando si metteva degli skinny, con quelli si sentiva bloccata. Si era truccata, aveva preso lo zaino, grigio e tremendamente anonimo, decisamente classico, ma ci era legata da un sentimento effettivo, e da quando lo aveva si era sempre imposta di usarlo, in più si trovava bene, quindi non le interessava più di tanto alla fine, ci aveva messo dentro l'astuccio e due quaderni, nel caso avessero avuto più professori durante il corso delle tre ore di scuola, poi, dopo aver sistemato i trucchi nella pochette ed aver preso il telefono, aveva spento la luce della camera ed era uscita. Si sentiva bene, inspiegabilmente serena per una volta, scesa in salotto aveva appoggiato lo zaino sul divano e si era seduta sul bracciolo, tirando fuori il telefono dalla tasca anteriore dei pantaloni, aveva risposto ai messaggi di Lu, quelli che la sera prima non aveva letto, e poi le aveva mandato il buongiorno, con tanto di foto, sapeva che non le avrebbe mai risposto prima delle undici, perché durante le vacanze la sua migliore amica aveva la tendenza ad andare a dormire tardissimo e si svegliarsi di conseguenza ad orari ridicoli, una volta si era vista arrivare un video di lei ancora a letto quando erano ormai le tredici del pomeriggio, non che Veronica fosse da meno, perché lo faceva anche lei, ma non dormiva mai troppo, massimo per le undici era già in cucina a svuotare la moka per farsi un caffè. Aveva scritto sul gruppo con tutte le sue migliori amiche e fortunatamente sia Alice, una sua ex compagna di classe con cui sia lei che Lu avevano legato subito, sia Adele erano sveglie, "e per fortuna" si era detta, perché erano già le nove e un quarto, avevano parlato per circa cinque minuti, prima che Francesco scendesse le scale di corsa con lo zaino in spalla, seguito a ruota da Leonardo, che tuttavia appariva esternamente molto più calmo e rilassato di Francesco

«Francie, cazzo, datti una calmata.» Lo aveva sentito dire così, ma Francesco non gli aveva risposto e invece si era diretto verso di lei

«Buongiorno, dormito bene?» Veronica aveva sgranato leggermente gli occhi confusa, ma poi gli aveva sorriso

«Buongiorno anche a te.» Il maggiore dei due fratelli aveva cercato un attimo nella tasca dei pantaloni, e poi aveva tirato fuori un biglietto dell'autobus leggermente piegato

«Mamma non può accompagnarci perché l'hanno chiamata all'ospedale, quindi ci tocca prendere l'autobus. -Veronica aveva preso il biglietto, notando come fosse sui toni del verde e del bianco, poi, girandolo, la scritta MOM* appariva quasi gigantesca- Al momento ho solo questo, per tornare a casa passeremo un attimo in tabaccheria a prenderne un altro, tanto ce n'è uno vicino a dove mangiamo, -non le aveva nemmeno lasciato il tempo di rispondere che aveva subito ripreso a parlare- e a proposito, tra poco passa l'autobus quindi ci conviene uscire, tu hai tutto?»

«Sì sì.» Veronica aveva annuito ed aveva rimesso il telefono della tasca dei pantaloni, poi aveva preso lo zaino ed aveva seguito Francesco fuori di casa, lasciando uno sguardo a Leonardo ed avvicinandosi un poco a lui

«È sempre così agitato?» il ragazzo aveva sorriso annuendo

«Da sempre, ogni tanto mi sembra mia madre.» Veronica aveva guardato Francesco girare le chiavi nella toppa della porta e mettere l'allarme, un po' troppo trafelato

«In effetti.» Si erano sorrisi, ma poi lei aveva concentrato ancora la sua attenzione su Francesco, che era già uscito dal cancelletto e li stava invitando a sbrigarsi.

Avevano aspettato l'autobus per una decina di minuti e quando era arrivato Francesco li aveva costretti a passare il biglietto, Veronica aveva percepito perfettamente lo sbuffare di Leonardo, forse infastidito dalla troppa agitazione del fratello, poi, qualcos'altro aveva attirato la loro attenzione, e quel qualcos'altro non erano altro che due ragazze: una bionda, con le lentiggini sul naso e sulle guance, due grandi occhi castani e una mano alzata, l'altra aveva i capelli neri, anche se su gran parte della lunghezza erano argentati, doveva esserseli fatti di recente perché il colore era ancora carico; Francesco si era avvicinato alla bionda, stampandole un bacio a stampo, e si era seduto di fianco a lei, circondandole le spalle con un braccio

«Quella è Cecilia, la fidanzata di Francesco.» Veronica aveva annuito, mentre cominciava a camminare verso i ragazzi

«L'altra è la tua?» Leonardo aveva riso mentre la spronava ad avanzare spingendola con una mano sulla schiena

«No, anzi, non mi sta neanche particolarmente simpatica, ma è la migliore amica di quei due -con un movimento del viso aveva indicato Francesco e Cecilia, che stavano guardando qualcosa sul telefono di quest'ultima- accetto la sua presenza e basta, comunque siediti tu.»

«Sicuro?»

«Sì.»

Veronica aveva sorriso alle due ragazze un po' timidamente, poi si era seduta affianco alla ragazza dai capelli colorati, che si era girata verso di lei con un sorriso a trentadue denti

«Ei, tu sei Veronica, giusto?» lei si era sentita andare a fuoco, ma poi aveva annuito.

«Sì.»

«Vedi Ce, te l'aveva detto, comunque io sono Giada, sono in classe con te e Leo»

«Oh! -si era subito pentita di quella risposta, la faceva sembrare stupida- Fantastico.»

«Se vuoi possiamo sederci vicine, così ti do anche qualche informazione e alcuni consigli!» La ragazza aveva inclinato di poco la testa, facendole intravedere gli orecchini, prima coperti dai capelli, Veronica si era girata istintivamente verso Leonardo, che aveva alzato una delle due mani, mentre con l'altra si teneva per non cadere

«Fai ciò che vuoi.» Veronica aveva sospirato, ma quando si era voltata aveva trovato lo sguardo confuso e scandalizzato di Giada

«Oddio, non credevo che...»

«No... no, hai frainteso! -Veronica aveva interrotto la ragazza ed aveva riso, Giada l'aveva guardata ancora più confusa- Per me va benissimo... e grazie!» Giada le aveva sorriso, prendendole una mano

«Ma di che! Tranquilla, a me fa solo che piacere -poi aveva tirato su una delle due cuffiette- ti va?» Veronica aveva annuito ed aveva preso la cuffietta, poi avevano cominciato a parlare un po' di tutto

«Come mai ti sei trasferita? -Veronica aveva girato il volto verso la ragazza bionda, Cecilia, aveva una voce leggermente acuta, al contrario di Giada, che aveva un tono più profondo, più dolce- Mi pare che Francesco abbia detto che vieni da Bergamo no?»

«Sì, è vero. -con la coda dell'occhio aveva visto Giada inclinare leggermente la testa, e Cecilia aveva alzato le spalle- Mi sono trasferita per il lavoro di mia madre»

«E perché proprio qui? Non hai qualche parente?»

«Mia nonna.» Veronica si era interrotta, non volendo sbandierare ai quattro venti i suoi problemi personali.

«E perché non sei da lei? Insomma, è una parente di sangue, aveva più motivi lei di prenderti con se, o sbaglio?»

«Cecilia.» Francesco si era intromesso e la sua ragazza lo aveva fulminato

«Cosa c'è? Sono solo domande.» Cecilia le aveva sorriso sprezzante e Veronica l'aveva ricambiato.

«Angela è la mia tutrice legale, al momento, e mia nonna non è autosufficiente, sono qui per questo, ma credimi, se ci fosse stata un altra possibilità l'avrei colta al volo.» Cecilia le aveva lanciato un'ultima occhiata, prima di concentrarsi su qualcos'altro e Veronica aveva sospirato. Quella conversazione era stata ridicola, come se a parlare non ci fosse stata una ragazza di diciotto anni ma una bambina di cinque che credeva le stessero rubando il suo giocattolo preferito; per due mesi la causa del suo affidamento era stata affidata ad un giudice, che solo dopo un periodo parso infinito e soprattutto, all'ultimo minuto, aveva dato il verdetto, Veronica poteva stare da Angela per il periodo in cui la madre sarebbe stata all'estero ma quella doveva garantire un mantenimento economico a sua figlia per i mesi di allontanamento; sia Veronica sia Angela aveva dovuto passare da un psicologo, e fare un minimo di sedute per confermare che emotivamente e psicologicamente fossero entrambe nello stato giusto per compiere quel passo, era stato un mese di torture l'ultimo, e quando finalmente Veronica aveva saputo che era tutto ok, che si poteva fare, si era sentita estremamente più leggera, come se tutti i pesi che aveva accumulato si fossero dissolti come lo zucchero nel caffè. Ed era stata felice, perché andava da una persona fidata, senza dover allontanarsi troppo da casa sua, perché nonostante la prima volta le ore che aveva passato sul treno le fossero sembrate interminabili, aveva la consapevolezza che, pur di rivedere chi le era caro, le avrebbe tranquillamente fatte di nuovo e di nuovo ancora.

Veronica era stata riscossa da Giada, che le aveva posato una mano sulla spalla

«Dobbiamo scendere. -poi la ragazza si era voltata verso Leonardo- Schiacci lo stop per favore?»

«Che rottura.» Veronica si era tolta la cuffietta e l'aveva passata nuovamente a Giada, che le aveva messe dentro alla tasca dello zaino, poi lei si era alzata e tenendosi era stata la prima a scendere, andando vicina a Leonardo

«Non è così antipatica come dicevi tu.» non lo aveva detto a voce troppo alta e Leonardo aveva girato il viso verso di lei, sorridendo sarcastico

«Sarà perché tra donne vi capite.» Veronica non aveva risposto, anzi, aveva guardato l'orologio, quasi strozzandosi vedendo che mancavano meno di quindici minuti.

«A che piano eri gli anni scorsi?» Veronica si era voltata verso Giada, che tamburellava con le unghie sul palo a cui si stava tenendo.

«Secondo e Terzo, perché?»

«Generalmente ci mettono al terzo, era solo per sapere se eri abituata.»

«Si dai, nel caso la trovavamo svenuta lungo le scale.» Veronica lo aveva guardato fulminandolo con lo sguardo, mentre Giada aveva fatto una smorfia infastidita

«Lascialo perdere, è uno stronzo.»

«Non sono io ad essere stronzo siete voi che non capite l'ironia e il sarcasmo, cosa che vi rende noiose oltre l'immaginabile.» Veronica lo aveva guardato, e le sopracciglia le si erano alzate quasi di scatto, ma aveva lasciato perdere, concentrandosi sul paesaggio fuori dai finestrini, poi l'autobus aveva accostato, ed aveva seguito Leonardo passo per passo, mentre Giada le stava affianco. L'entrata della scuola era gremita di studenti, non aveva un cancello, perché si trovava in centro e l'entrata dava direttamente su una strada principale, la ragazza al suo fianco si era allontanata per salutare altra gente, e Leonardo, che era rimasto fermo per pochi minuti, aveva cominciato ad avanzare. Guardava la sua schiena e le spalle muoversi, mentre teneva le mani nelle tasche dei jeans, aveva una camminata sicura; lei aveva distolto lo sguardo, per osservarsi un poco intorno, le scale erano sia a destra sia a sinistra, e al centro dell'area principale si trovava la segreteria, era estremamente diversa dalla sua scuola, ovviamente, e non sapere nemmeno dove mettere i piedi la faceva sentire estremamente insicura di tutto ciò che la circondava, aveva riportato lo sguardo avanti, notando come Leonardo ormai fosse ben più avanti di lei, non aveva nessuna intenzione di chiedergli aiuto, quindi quando aveva visto Giada poco più in là si era avvicinata a lei, la ragazza l'aveva vista ed aveva cominciato a agitare la mano per salutarla.

«Veronica! Tutto ok?»

«Circa, stavo seguendo Leonardo ma l'ho perso.»

«Io stavo proprio per salire -poi si era voltata- loro sono delle nostre compagne di classe comunque » quelle le avevano sorriso e poi avevano cominciato a salire le scale. Quando erano arrivate davanti alla porta Giada era entrata abbastanza velocemente, trascinandola per un braccio fino a dei banchi in terza fila, Veronica si era seduta vicino alla finestra, posto che la ragazza le aveva lasciato perché odiava le correnti d'aria.

Durante la prima ora di lezione con l'insegnante di storia, che da quello che aveva capito era un altro rispetto all'anno scorso, non era successo niente di che; era un uomo abbastanza magro, non sembrava avere meno di cinquant'anni, indossava un completo beige e aveva un particolare tipo di occhiali che si potevano dividere a metà perché erano uniti da una calamità, era abbastanza simpatico, ma aveva anche la tendenza a non rispondere in maniera lineare, quando qualcuno faceva una domanda accavallava le gambe e divideva gli occhiali, lasciando che il cordino attaccato alle stanghette facesse in modo che le due parti non cadessero a terra, e dopo sembrava perdersi, passava da un argomento all'altro, si alzata, gesticolava, faceva una battuta e circa una ogni sei non faceva mai ridere, e chi rideva lo faceva per finta, perché nemmeno quel simpaticone di Leonardo rideva a quelle battute, alcune volte finiva col parlare di latino, materia che nemmeno rientrava nel loro programma di studi, <>, esordiva così quando se lo ricordava, ferito quasi nel profondo li guardava uno ad uno, squadrandoli, e poi si risedeva,

«Questo di cognome fa 'rompi coglioni'.» aveva commentato ad un certo punto Giada mentre il professore faceva un discorso sulle civiltà antiche, e lei aveva trattenuto una risata, nascondendo la bocca dietro alla mano sinistra. Poi era passato il turno di quella di matematica, era particolarmente giovane, spigliata, indossava un tailleur bordeaux anche se la gonna in realtà era bianca, e da quello che le aveva detto la sua compagna di banco, era anche brava sia ad intrattenere la classe sia a spiegare. Avevano avuto una conversazione di parecchi minuti sul programma scolastico che aveva svolto l'anno precedente nella sua vecchia scuola, alla fine la professoressa le aveva rivelato che era circa al loro stesso punto e che doveva recuperare solo una minima parte di geometria, ma che non c'era nessun problema perché avrebbe fatto un ripasso generale della durata di una o due settimane, e che quindi sicuramente sarebbe riuscita a capire avendo tutte le basi. Veronica si era sorpresa, perché nella sua precendente scuola i professori non erano così cortesi, e nemmeno così giovani, quindi era rimasta un attimo allibita ma alla fine aveva sorriso e la professoressa Boschi aveva richiamato la classe, cominciando a parlare del programma che avrebbero svolto durante l'anno, la lezione era continuata così, tra le battute di Giada, le presentazioni, le chiacchiere con le compagne quando era suonata la campanella della ricreazione, il giro veloce della scuola a braccetto con due compagne di classe, Anna, una ragazza abbastanza alta, con fisico slanciato e il sorriso cordiale e Giorgia, che invece aveva un fisico più minuto ma pieno di energia, camminava sempre davanti a loro, parlando in continuazione e presentandole persone a destra e a manca, l'ultima ora, che era stata tenuta con l'insegnante di italiano, un uomo non troppo giovane, Veronica presumeva che non avesse più di quarant'anni, dai modi calmi e concisi, poi, il suono della campanella aveva concluso quel suo primo giorno di scuola.

*Sarebbe "Mobilità di Marca" ed ovviamente è il servizio di autobus a Treviso

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Mani gelide e chiavi nuove ***


Il sole, cocente, puntava esattamente su di lei, illuminandole il viso e i capelli, questi seguivano i movimenti del leggero venticello fresco che suonava come una dolce melodia in mezzo a quel vociare, ma tutto ciò non stava rallegrando il suo stato emotivo; era scesa con Leonardo e Giada, ma entrambi si erano allontanati, nelle direzioni opposte, per giunta, per andare a parlare con quelli che presumeva essere i loro migliori amici, e lei era rimasta lì, in mezzo a quella marea di persone che spingevano e urlavano emozionate per la fine del primo giorno di scuola. Si era appoggiata alla ringhiera che delimitava il confine del cortile esterno, e aveva guardato i messaggi, rispondendo a Lucrezia, che fortunatamente si era svegliata, non aveva nemmeno notato che Leonardo, dopo aver finito di parlare col suo amico, era tornato indietro e si era appoggiato di fianco a lei, o almeno fino a quando non aveva parlato.

«Carina la foto.» Veronica aveva rizzato subito le orecchie al comune suono ironico della voce del ragazzo e si era girata verso di lui, senza rispondergli aveva ripreso a scrivere con Lu, almeno fino a quando non aveva sentito la voce di Francesco farsi sempre più vicina. Il maggiore dei fratelli era davanti ad un gruppetto di ragazzi e ragazze, che parlavano tra loro sorridenti, qualcuno la guardava incuriosito, ed altri, come Cecilia, la guardavano con astio, Veronica non aveva fatto molto caso a lei, imponendosi di ignorarla e di non cedere a nessuna delle provocazioni che la ragazza avrebbe potuto fare, ed aveva subito concentrato l'attenzione su tutti gli altri mentre quasi in automatico metteva il cellulare nella tasca dei pantaloni. Nemmeno due secondi dopo era stata accerchiata da quasi tutte le ragazze del gruppo, cinque o sei, non era di certo riuscita a contarle; per tutta la durata della camminata, che fortunatamente era tutta dritta e non aveva pali di mezzo, se no immaginava già come sarebbe finita, le ragazze avevano parlato e scherzato con lei. A Veronica tutte quelle attenzioni non piacevano troppo, la mettevano in imbarazzo e le domande la facevano sentire a disagio, inoltre le varie battute delle ragazze erano spesso su cose e su avvenimenti che lei non conosceva, cosa che le faceva ricordare, ancora una volta, che lei non apparteneva veramente a quel posto e che non aveva nessun legame concreto se non Angela. Era una sensazione che la rendeva incredibilmente malinconica per tutto quello che apparteneva alla sua vecchia vita, e per quanto cercasse di non farlo notare, lo sguardo di rassicurazione che Francesco le aveva lanciato ad un certo punto le aveva fatto capire che per quanto ci provasse non riusciva a nascondere del tutto quel suo sentimento. Quando aveva incrociato lo sguardo di Cecilia le era sembrato di vedere, in tutta quella diffidenza, una punta di rammarico, ma la ragazza si era voltata troppo velocemente, ed aveva incontrato un altro paio di occhi, verdi, dalle linee dolci, come quelle di un gatto, ma li aveva ignorati, ed era tornata a concentrarsi su quello che stava dicendo Francesco, qualcosa in proposito al "sedersi fuori". Quando erano arrivati davanti al ristorante non solo Veronica aveva capito cosa intendesse, ma aveva anche sorriso felice con la consapevolezza che sarebbe tornata a casa con lo stomaco totalmente pieno; erano al sushi. Il pranzo era passato tranquillo, tra risate, abbuffate e scene buffe di Leonardo che non sapeva nemmeno come tenere le bacchette e quindi faceva cadere tutte le cose e tentava di mangiare con quelle, si era divertita ed aveva staccato un poco dalla realtà, ritrovandosi felice di quel momento. Avevano girato un po' per il centro, le avevano fatte vedere i posti e i negozi più carini, poi si erano divisi e tornata a casa quella sensazione di tenera spensieratezza era rimasta fino a sera.

Martedì tredici, il giorno successivo, non era successo niente che, la professoressa Boschi aveva iniziato il ripasso, come promesso il giorno prima, e per ben due ero aveva spiegato teoremi di geometria; quando finalmente era suonata la campanella e le professoressa se ne era andata salutando tutti Veronica aveva giurato di aver sentito esclamazioni di sollievo provenire da ogni angolo della stanza, e aveva sorriso, divertita dalla cosa, prima di venir inclusa in una conversazione con Giada e Ada su quale fosse la serie che dava più vibes di Autunno. Nelle ore successive aveva conosciuto la professoressa De Lazzari, insegnante di chimica e scienze naturali, era una donna sulla sessantina, vestiva pantalone e giacca elegante e aveva la tipica faccia da nonnina buona del quartiere, anche se, come le aveva suggerito Giada quando la docente aveva varcato la soglia dell'aula, si era dimostrata tutt'altro; per i gusti di Veronica alzava la voce troppe volte senza una reale motivazione, e da quello che aveva capito odiava essere interrotta, in qualsiasi modo, che fosse una penna che cadeva a terra, una mano alzata, lo sfogliare dei quaderni o il leggero brusio di due parole sussurrate, appena se ne accorgeva, sbatteva la mano sulla cattedra, producendo un suono sordo e pesante, come a voler richiamare un ordine che in realtà c'era già e, cosa ancor più odiosa, faceva delle visibili preferenze. L'ultima ora invece l'aveva passata praticamente a non fare nulla; il docente di fisica non era ancora stato confermato, quindi avevano avuto un'ora di supplenza in cui principalmente l'intera classe aveva dormito, lei aveva conversato un poco con Giada, chiedendole un po' di sé, alla fine aveva scoperto che viveva oltre le mura della città, vicino al tribunale, e che aveva passato la sua infanzia tra i libri e la scrittura, era sempre andata a scuola in centro fin dall'asilo e la sua amicizia con Cecilia era nata quando lei si era trasferita insieme ai suoi genitori per motivi economici, le aveva rivelato che aveva avuto solo un ragazzo e che principalmente cambiava cotta ogni due per tre. Veronica era andata avanti ad ascoltarla incuriosita, perché Giada sapeva raccontare bene e far interessare chiunque a quello che stava dicendo, pure se parlava di broccoli. Alla fine la campanella era suonata, e lei, Giada e Leonardo erano tornati a casa, mentre Francesco e Cecilia avevano un ora in più di lezioni. Arrivati a casa, con Angela fuori per via del turno in ospedale, lei e Leonardo avevano cucinato da mangiare, anche se non era stato facile, perché entrambi avevano opinioni diverse su cosa fare da mangiare, ma alla fine si erano accordati su un riso alla cantonese un poco mancante di sale, ma, per fortuna, su quello aveva riso, poi si erano divisi, Veronica aveva sistemato il tavolo e dato da mangiare ad Akimi, che, svegliata dai rumori della cucina, era scesa di corsa aspettandosi qualcosa da mangiare, Leonardo tuttavia le aveva solo accarezzato il musetto, grattandola sotto le orecchie e facendole fare le fusa, senza tuttavia capire cosa volesse davvero, per questo si era ritrovata lei a farlo. Quando era tornato il Francesco, la gatta gli era subito andato incontro, strusciandosi sulle sue gambe, e il ragazzo l'aveva presa in braccio grattandole la pancia, Veronica aveva osservato tutto dalle scale, e quando lui si era accorto di lei lo aveva avvertito del cibo, e poi era salita, intenzionata a sistemare gli appunti di scienze e di matematica, non osava prendersi indietro, anche perché le sembrava che la docente di chimica avesse cominciato a correre fin da subito, e lei non poteva fare che di conseguenza.

Mercoledì era stata la giornata più noiosa di tutte probabilmente, avevano ben tre ore di supplenza, e Veronica le aveva usate per dormire, visto che era andata a letto tardi, quando si era svegliata aveva visto Leonardo, seduto nel posto di fronte a lei, con in mano il suo diario scolastico; non che ci fossero scritti chissà quali segreti, ma le aveva comunque dato fastidio, tanto che glielo aveva preso dalle mani con un "Hey", lui si era girato verso di lei e, inaspettatamente, dopo aver fatto scivolare gli occhi sul suo viso, le aveva accarezzato una guancia leggero, passato i polpastrelli freddi sul lato della sua mandibola, tracciando il contorno di alcuni piccoli segni rossi e bianchi. «Hai i segni del braccialetto» le aveva detto, incurante, per poi far ricadere il braccio e posarlo sullo schienale della sua stessa sedia, lei aveva sentito le punte delle orecchie scottare per l'imbarazzo e i brividi scorrerle lungo la schiena per la differenza di temperatura tra le mani del ragazzo e la pelle della sua guancia, poi si era passata la mano sulla guancia ed ci aveva strofinato il tessuto della maglia a maniche lunghe contro, sussurrando un «Ah si? Vabbè.» sconnesso. Da quel momento in poi la giornata trascorsa regolare, tra le battute sarcastiche del ragazzo, quelle ironiche di Giada e gli appunti disordinati.

Giovedì era stato diverso, avevano avuto tutte le ore piene fin dal primo istante, durante la prima ora aveva scoperto che il professore di storia, per quanto logorroico e scenografico, spiegava in una maniera eccellente, seguendo un filo logico ben definito e soprattutto, senza lasciare niente al caso, dopo di lui, avevano avuto un'ora di Italiano, quella probabilmente era stata la lezione che aveva preferito in quella giornata. Poi era passata la ricreazione doveva aveva avuto uno sciocco e infantile dialogo con Leonardo per via della merenda, ma alla fine aveva vinto lui, con i suoi modi superbi e le sue battutine sarcastiche, tanto che per esasperazione lei gli aveva ceduto un pezzo della sua merenda. Poi avevano avuto un ora di inglese, con un'insegnante abbastanza capace, «Beh -aveva detto a Giada, sporgendosi verso di lei per prendere il quaderno dentro alla cartella- questa sicuramente più capace di quella nella mia vecchia scuola, sembrava masticasse cinque gomme contemporaneamente quando parlava» la ragazza al suo fianco aveva riso e poi si erano alzate ancora con il sorriso sulle labbra, cercando di rimanere composte, per finire, nell'ultima ora, avevano avuto la docente di scienze, e solo Dio sa quante volte Veronica lo aveva maledetto quando l'insegnante era entrata in aula con quella sua camminata fastidiosamente pesante e il solito, falso, sorriso sulle labbra. Il resto della giornata era andato meglio, erano tornati a casa tutti insieme, visto che quel giorno Francesco finiva alla loro stessa ora. Avevano fatto da mangiare tutti insieme, anche se l'unica cosa veramente utile che aveva fatto Leonardo era stata quella di prendere la pentola per scolare il riso, poi si erano divisi, ognuno nelle proprie camere Veronica aveva passato tutto il pomeriggio a fare i compiti in videochiama con Lu, che aveva già preso a lamentarsi del nuovo ragazzo che era arrivato.

Venerdì alla prima ora aveva praticamente dormito da seduta, perché la lezione di religione non stava procedendo su qualcosa di fondamentale e ci si stava più che altro presentando. Le due ore di scienze invece si erano dimostrate dei macigni, tra la professoressa che spiegava parlando troppo velocemente e la mano che le faceva male per quanti appunti stava scrivendo, aveva desiderato così tante volte che quelle due ore finissero il prima possibile che aveva perso anche il conto. Durante la ricreazione aveva condiviso le cose prese al distributore con Leonardo, che quella mattina si era svegliato tardi e non aveva fatto colazione, era pallido quanto un cadavere e aveva perso anche la sua parlantina sarcastica, cosa su cui lei aveva anche tentato di fare una battuta, ma lo sguardo di ghiaccio che lui le aveva rivolto l'aveva zittita completamente, lui l'aveva ringrazia quando finalmente aveva mangiato qualcosa e si era alzato, con un colorito un poco più umano, ed era sparito oltre la porta dell'aula. Quel fatto era quasi quotidiano, e Giada le aveva spiegato che in realtà lui aveva il suo migliore amico, che fino all'anno prima faceva il loro stesso indirizzo, in un altro piano, e che spesso si incontravano a metà strada o l'altro veniva da loro. Veronica quindi non ci aveva dato molto peso ed era andata a parlare con le sue compagne di classe, raggiungendole vedendo che venivano verso di lei.

Sabato era trascorso tranquillo, le prime due ore avevano avuto storia dell'arte, il professore era un poco noioso, logorroico e non lo si riusciva interrompere mai, nemmeno per chiedere di andare in bagno, poi avevano avuto due ore di educazione fisica, e Veronica era quasi morta, visto che la docente, provvisoria, una donna sulla cinquantina abbastanza esigente, li aveva fatti correre per ben venti minuti, ma lei non era certo una persona da da jogging mattutino; dopo la corsa avevano fatto mezz'ora di stretching e poi avevano fatto tiri liberi, alla fine, dopo due ore, ne era venuta fuori sudata e stanca, Giada le aveva sorriso mentre si incamminavano allo spogliatoio. Veronica si era pulita, sistemata e vestita, e il pomeriggio lo aveva passato con alcune sue compagna di classe in centro, la sera, dopo aver fatto i compiti per lunedì ed essersi fatta una doccia, aveva chiamato ancora Lucrezia, ed aveva guardato un film insieme, poi la chiamata era terminata e la luce nrlla sua camera si era spenta.

Quella domenica mattina Veronica si era svegliata tardi, aveva strusciato il naso sul cuscino quando si era resa conto che ormai il suo sogno stava finendo, e aveva atteso, rimanendo distesa sul letto, fino a quando la sua concentrazione non aveva raggiunto totalmente ciò che la circondava; erano le dieci di mattina, aveva guardato l'orologio che portava al polso, la sveglia non aveva suonato e Francesco non si era catapultato in camera sua per sapere a che punto era, se si era già vestita, se la cartella era a posto, cosa voleva per colazione, se si era già lavata; lei aveva sorriso, colta dai ricordi delle mattine precedenti, e si era alzata, scalciando le ciabatte in un angolo della stanza e allungandosi per recuperare il telefono; quella mattina pioveva, se ne era accorta solo quando aveva spalancato i balconi e l'aria fredda si era scontrata con suo corpo, che anche se coperto dal pigiama era esposto a quel vento freddo, visto che fino a pochi attimi prima era circondata da morbide e calde coperte. Aveva aspettato un attimo prima di richiudere la finestra, giusto il tempo per fare un cambio d'aria, le sembrava che di soffocare per il caldo, e poi aveva appoggiato libro e quaderno di scienze sul tavolo; anche se non sopportava i modi della sua professoressa questo non le dava un motivo per non studiare, perché la materia non è il professore che la insegna ma un'opportunità per apprendere. Si era seduta alla scrivania, appoggiando per bene la schiena sulla sedia aveva aperto il quaderno proprio nella pagina degli appunti che doveva sistemare. Veronica aveva l'abitudine di studiare il sabato pomeriggio, e quando era occupata, farlo la domenica mattina, le veniva facile quando era rilassata, con la mente completamente distratta dai pensieri e nulla che potesse intaccare la sua concentrazione; era un estrema amante del sapere, una delle poche caratteristiche che aveva ereditato da suo padre, quella incondizionata voglia di sapere, di conoscere, di apprendere, gliela aveva passata lui, con quelle sue passioni e quei suoi libri che prendevano gran parte delle spazio nel suo studio; lo ricordava mentre, concentrato sull'obiettivo di trovare qualcosa di nuovo, entrava in una qualsiasi libreria e caricava lei sulle spalle, per farle vedere quante cose ancora non conoscesse, per farle vedere quanto potesse imparare, quanto chi prima di lei avesse fatto e scoperto per il mondo, non era stato difficile cominciare a pensare come lui visto che quando era piccola suo padre lavorava da casa, era sempre con lei: se stava male era lui a portarla dal medico, a prepararle il riso, a metterla sul divano con il piumone che sapeva da pulito e un film di Star Wars alla tv; era lui che l'aiutava con i compiti, con le divisioni di matematica e con le idee per i temi di italiano, era lui che le spiegava storia quando non la capiva, facendola sedere sul piano in marmo della cucina e utilizzando quel tono che a lei piaceva sempre tanto. Aveva una voce calda, calma, dolce, che prometteva epoche straordinarie, momenti epici ed indimenticabili; come lui Veronica aveva imparato ad amare gli egizi, era, tra tutte, la civiltà e l'epoca che fin dalle elementare l'aveva affascinata più di tutte, ricordava ancora come molte volte, con Lucrezia, erano solite fare un gioco che riguardava appunto gli egizi, ma crescendo, acquisendo consapevolezze, avevano smesso, e l'unica cosa che Veronica riusciva a ricordare era semplicemente lei e la sua migliore amica che correvano in giro per casa di quest'ultima, intente a scappare da un personaggio immaginario. Era stato un bel periodo quello, quando la massima gioia era quella di osservare suo padre sistemare la sua libreria colma di libri; lui se ne stava lì, dandole le spalle mentre lei si sedeva sulla sua scrivania e dondolava le gambe nell'aria; suo padre sembrava cercare di capire quale fosse il giusto ordine per riuscire a farli stare tutti insieme quei libri che collezionava, e Veronica, già fissata con disposizioni che prevedevano la perfezione, come erano quelle di sua madre, molte volte non comprendeva l'aspetto emotivo dietro le combinazioni, spesso scoordinate, che suo padre faceva negli scaffali, ma crescendo, e soprattutto leggendo, aveva capito che avere una libreria non era come avere una cartella nel computer da tenere in ordine nel caso gli altri dovessero cercare qualcosa, ma come avere un'infinità di amici, e da lì, anche il suo ordine aveva cominciato a cambiare, a diventare meno ragione e più sentimento.

Veronica ricordava suo padre come un uomo dal sorriso dolce e dai modi gentile, aveva un grande carisma, una determinazione fuori dal comune, e la sua voglia di essere primo, in qualsiasi cosa, ad occhi estranei lo faceva sembrare sempre un pizzico troppo egoista, forse anche egocentrico, ma, come diceva lui, in compenso, aveva l'abilità di emozionare con le parole, e ogni volta che Veronica lo ascoltava parlare si sentiva sempre più grata di avere lui come padre, perché era un suo punto di riferimento, la sua guida, la sua ancora; Veronica si era riscossa, trovandosi sofferente, era stata troppo impegnata a ricordare per gestire le emozioni, le lacrime, ma le aveva accolte, lasciando che scivolassero lungo le sue guance, segnandole il volto come era giusto che fosse, poi, tranquillizzata, libera da quel peso che aveva sentito nel cuore e nella gola, aveva abbandonato lo sguardo sul quaderno mentre con una mano recuperava una penna e la rigirava nelle dita, decisa a fare le cose per bene, perché un'altra delle molte cose che aveva imparato da suo padre era quella che nulla, se non la conoscenza, poteva darle una gioia che si potesse chiamare pura. Aveva finito di studiare circa un'ora e mezza dopo, quando la testa aveva cominciato a farle male e la scrivania era sommersa dalle penne colorate e dagli schemi più disparati, si era stiracchiata, allungandosi come un gatto sulla sedia, poi, dopo essersi presa un momento di calma, aveva cominciato a sistemare; non era mai stata particolarmente ordinata, la maggior parte lasciava le cose come erano e poi le rimetteva a posto quando il disordine cominciava ed essere troppo anche per i suoi gusti, però non si sentiva a casa sua, perché quella effettivamente non era casa sua, quindi cercava d'essere più ordinata e cortese possibile, pulendo subito dove sporcava e lasciando tutto come prima del suo passaggio.

Dopo aver posato l'ultimo libro nella mensola sopra la scrivania si era spogliata, togliendosi il pigiama e ripiegandolo, per poi posarlo sotto al cuscino. Aveva recuperato dei jeans neri dall'armadio, leggermente strappati qua e là lungo tutta la lunghezza della gamba, e una felpa verde, leggera, giusta per l'estate, con sotto una maglia classica, a maniche corte, normalmente non le piaceva rimanere col pigiama in casa, non era una sua abitudine, quindi si cambiava regolarmente con dei vestiti comodi; aveva preso il telefono ed, chiusa la porta della stanza, era scesa in cucina, Francesco se ne stava dalla porta, mentre cercava di sistemare il colletto del giubbotto

«Buongiorno. -Il ragazzo si era voltato verso di lei, sorridendole, e Veronica si era avvicinata, incuriosita- Dove vai?»

«A pranzare da Cecilia. -Aveva preso le chiavi di casa e se le era messe in tasca, mentre si passava la mano tra i capelli per sistemare un ciuffo fuori posto- rientro per questa sera, credo. -Veronica gli aveva sorriso sbarazzina alzando le sopracciglia e Francesco per poco non si era soffocato dalle risate- Ma smettila.»

Veronica aveva riso dopo avergli lanciato un ultimo eloquente, ironico, sguardo; lui le aveva passato una mano tra i capelli, arruffandoglieli leggermente

«Mia madre è uscita per andare in ospedale, siete solo tu e Leo, vedete di non litigare e farvi fuori a vicenda, o distruggere casa. -Veronica aveva annuito e dopo aver preso la gatta in braccio, poi aveva riportato la sua attenzione su Francesco, che stava aprendo la porta- Io vado, ci vediamo sta sera, se ci sono problemi chiamami.»

«Va bene.» Si erano salutati e poi Francesco era scomparso oltre le porta d'ingresso.

Aveva accarezzato la gatta, passando le dita sul pelo della sua schiena, poi l'aveva messa giù, vedendola strusciarsi sulla sua gamba aveva sorriso, e guardata l'ora, aveva deciso di andare a chiamare Leonardo. Non era mai entrata in camera sua, non aveva la minima idea nemmeno di quale fosse, al piano superiore oltre la sua stanza c'erano altre quattro camere, una di Angela, una di Francesco, quella di Leonardo e uno studio, che aveva visto usato principalmente da sua zia, però non ricordava l'ordine, conosceva la posizione esatta solo della camera di Francesco, quella davanti alla sua, perché si era ritrovata senza alcuni libri comunitari, come quello di storia o di italiano, ed era andata più volte a prenderli durante il corso della settimana per studiare e leggere i vari testi. Aveva preso una mela verde dal cesto in mezzo alla tavola ed era salita fino al piano superiore, oltrepassate le prime due stanze e il bagno, aveva guardato la porta a sinistra, trovandola leggermente aperta, sbirciando dentro, dopo aver ampliato un poco l'apertura della porta, aveva guardato le pareti color caffè latte e il letto al centro, per poi spostare lo sguardo sulle lenzuola bianche e sull'armadio, che occupava un muro intero, vicino alle finestre una piccola zona trucco; era tornata diritta con la schiena ed aveva rimesso la porta come l'aveva trovata, si era diretta verso la porta a fianco, ma aprendola, sempre lentamente, aveva intuito dalle pareti colme di libri che quello fosse lo studio, quindi l'ultima opzione era la porta dietro di lei.

Si era voltata verso quella stanza ed aveva bussato, ma non aveva ottenuto nessuna risposta, si era guardata intorno, per vedere se Leonardo fosse in giro, ma non c'era traccia di lui, quindi cautamente aveva aperto la porta, cercando di fare il più piano possibile come aveva fatto precedentemente. Aperta la porta, sulla sinistra, aveva notato il letto, a due piazze, come quello di Francesco, le lenzuola blu scuro in contrasto con le pareti chiare, verde pastello; la scrivania era ai piedi del letto e a fianco di questa una finestra grande, sulla parete opposta c'era l'armadio e tre librerie; era una stanza piuttosto semplice, anche se quella di Francesco, di egual larghezza, era decisamente più piena rispetto a quella del fratello minore.

Veronica aveva aperto un poco di più la porta, guardando alla sua destra, oltre il legno, ma aveva visto solo un altro mobile e delle mensole

«Hai finito di curiosare?» La ragazza aveva sentito un brivido passarle lungo la schiena, come se migliaia o milioni di ragni avessero preso a passeggiare sulla sua colonna vertebrale, ed aveva sentito le orecchie andarle a fuoco per l'imbarazzo; non si aspettava che potesse arrivarle alle spalle; si era girata cautamente, trovandolo con le braccia incrociate al petto, che la guardava dall'alto della sua statura.

«Ti stavo cercando.»

«Beh, mi hai trovato direi. -Il ragazzo l'aveva sorpassata, sedendosi sul letto e mettendo in carica il cellulare, poi aveva alzato lo sguardo verso di lei e le aveva lanciato uno sguardo eloquente- Cosa ti serviva?»

«Stavo pensando di mettere su qualcosa da mangiare, vista l'ora.»

«Ma se ordiniamo qualcosa non facciamo prima?» Leonardo si era disteso con il busto ed aveva posizionato le mani dietro alla testa, guardandola, più che altro squadrandola, da quella posizione, e Veronica aveva percepito concretamente la sua buona volontà di non discutere cominciare a lacerarsi

«Ma anche ieri abbiamo mangiato pizza, non credi di esagerare?» Leonardo si era alzato sbuffando, palesemente irritato, probabilmente aveva voglia di qualcosa in particolare, ma lei non avrebbe di certo ceduto, mangiare in quel modo non faceva bene e di certo non aveva voglia di stare male solo perché lui aveva quelle sue voglie da donna incinta. Veronica aveva incrociato le braccia, spostando il peso da un piede all'altro, visto che sentiva una gamba atrofizzarsi e gli aveva lanciato un chiaro sguardo di ammonimento, alla fine Leonardo l'aveva guardata negli occhi fulminandola, rassegnato all'idea che non avrebbe avuto quello che voleva.

«E cosa vorresti fare?»

«Ti stavo cercando appunto per decidere.»

«Potremo fare insalata di riso se ti va.» Si messo in piedi, a pochi passi da lei, con uno sguardo speranzoso, sembrava Akimi quando la vedeva dirigersi verso lo scaffale dove sapeva esserci le sue bustine, Veronica aveva sospirato, rassegnata

«Con i wurstel però. -Veronica era uscita dalla sua camera quando aveva visto che lui aveva fatto lo stesso, e lo aveva seguito fino in cucina- Solo col tonno non mi è mai piaciuta.»

«Non so se ne abbiamo.»

«In qualsiasi caso dobbiamo andare a fare la spesa, perché mancano anche le cipolline e il preparato -lui l'aveva guardata con entrambe le sopracciglia alzate- quale sarebbe il problema adesso?»

«Vuoi andarci vestita così?» Veronica era rimasta un attimo stupita, sia per il tono sarcastico sia perché non capiva esattamente quale fosse il problema, però, poi l'aveva guardato per l'ennesima volta in volto e conscia, si era portata una mano alle tempie, sorridendo

«Tu scherzi.» Leonardo aveva sorriso a sua volta, compiaciuto, mentre andava verso la scarpiera, vicino alla porta d'ingresso

«Lo hai capito, finalmente.» Lo aveva visto togliersi le ciabatte e mettersi della scarpe da ginnastica

«E tu, non ti devi cambiare?»

«Io sono perfetto anche con solo un sacchetto della spazzatura addosso!» Veronica aveva ridacchiato sentendo il tono ironico del ragazzo, ed aveva ricambiato con sarcasmo, anche se di certo non diceva la verità.

«Forse il sacchetto per molte dovresti mettertelo in testa.» Leonardo era scoppiato a ridere, mostrandosi per una volta sinceramente divertito dalla situazione, poi le aveva passato le sue Vans, mentre ancora sorrideva

«Dai, che è già mezzogiorno, e ho fame.»

Dopo aver chiuso tutte le porte ed avere recuperato le ultime cose, come i telefoni, i soldi e un ombrello, Leonardo aveva avuto anche la brillante idea di prendersi il giubbetto di jeans, cosa a cui lei non aveva pensato; erano usciti usciti di casa, lasciando la gatta dentro, avevano parlato un poco durante il tragitto, per passare il tempo e non far cadere troppe volte la conversazione in un silenzio imbarazzante; Leonardo non era esattamente come Francesco, non riusciva a mantenere la conversazione costante o a passare da un argomento all'altro con facilità, però argomentava le proprie idee in modo impeccabile, non lascia niente al caso, ed era in grado, forse per qualche influenza del fratello, di non far annoiare mai chi lo ascoltava; lo aveva guardato con attenzione, mentre parlava, osservando il suo viso di profilo, gli occhi fissi sulla strada, le labbra dischiuse e una mano che giocava con le chiavi di casa, dentro alla tasca del giubbotto di jeans, mentre l'altra teneva l'ombrello per entrambi, visto che continuava insistentemente a piovere.

«Stavo pensando...» Aveva detto, ad un certo punto, quando la conversazione era diventata vuota

«Mh?» Veronica si era voltata, curiosa

«Tu non hai ancora una copia delle chiavi, vero?»

«Ah, no» lui aveva sorriso

«Ti piacerebbe averle?» si era voltata verso di lui, che a sua volta la stava guardando

«Mi farebbero comodo.» Era successo in pochi secondi, lui le aveva sorriso, girando anche il corpo verso di lei, e poi le aveva preso la mano, istigandola a seguirlo

«Ma non dovevamo andare al supermercato?» Aveva ansimato lei, dopo aver scorso per tre passaggi pedonali di fila con il rosso,

«Certo che sei veramente fuori allenamento -l'aveva derisa divertito, mentre ancora le teneva la mano, non le piaceva: faceva caldo, nonostante la pioggia, si sentiva più un cagnolino che una persona ed era maledettamente strano quel tipo di contatto con lui, in più, rischiava di sudare, cosa che odiava profondamente- è una specie di scorciatoia, passiamo per un posto e allo stesso tempo arriviamo al supermercato -Veronica lo aveva guardato confusa- Non puoi fidarti di me, almeno per un'ora o due?» Veronica aveva fatto una smorfia divertita in risposta ed aveva stretto un poco la mano del ragazzo, che aveva ridacchiato, mentre continuava a camminare spedito, poi, meno di cinque minuti dopo, erano arrivati davanti ad una ferramenta.

«Sei sicuro di tutto ciò?» Lui le aveva lasciato la mano

«Consideralo un mio regalo per il tuo arrivo. -l'aveva guardata un attimo, mentre si rimetteva la mano in tasca, sorridendole divertito- Vieni dentro o preferisci stare fuori?» Nel mentre aveva cominciato ad entrare.

«Arrivo, arrivo!» lo aveva raggiunto, affiancandolo, e tenendo l'ombrello, visto che lui glielo aveva porto. Un uomo sulla cinquantina era uscito dal magazzino ed aveva sorriso a Leonardo, che lo aveva salutato amichevolmente; a lei era stato spiegato dopo, quando l'uomo era sparito dietro alle tendine con le chiavi, che quello era un amico di famiglia, padre di un ex compagno alle medie di Leonardo e marito di un'amica intima di Angela, aveva scoperto che Leonardo andava spesso lì per degli attrezzi che gli mancavano, stava cercando di sistemare la vecchia moto di suo zio, ma spesso non aveva tutto, ed era costretto ad andarsi a comprare sia i pezzi di ricambio sia gli attrezzi per montarli, l'uomo, Luca Viannini, come aveva scoperto poi, era uscito poco dopo, con sei copie di tre chiavi diverse, due per ogni chiave, in caso le perdesse, Leonardo l'aveva un attimo guardata quando le aveva dato le chiavi in mano

«Hai un portachiavi, vero?»

«Sì, tranquillo» lui aveva pagato, aveva salutato il signore Viannini con un sorriso e poi l'aveva invitata ad uscire, si era messo le chiavi in tasca, visto che era l'unico che le aveva, ed era tornato ad tenere l'ombrello per entrambi. Si era ritrovata a guardarlo ancora mentre procedevano verso il supermercato, spostandosi leggermente verso di lui per non bagnarsi con la pioggia, e, per puro sbaglio, aveva strusciato la mano destra contro la sinistra del ragazzo.

Leonardo aveva sgranato leggermente gli occhi, sorpreso da quel contatto improvviso, e si era girato verso di lei, osservando il suo profilo; aveva le orecchie rosse, come ogni volta che era imbarazzata, ed il volto leggermente piegato a sinistra, verso il basso, i capelli le coprivano gran parte del viso, facendo intravedere solo il naso, le labbra arricciate e le punte rosse delle orecchie; era tornato a guardare davanti a sé, o almeno ci aveva provato, fino a quando, per la seconda volta, la mano, gelida, di Veronica era entrata in contatto con la sua, e quindi si era voltato ancora, la ragazza quella volta gli era più vicina, e, guardando indietro, aveva capito che si era avvicinata per superare una pozzanghera, poi, l'aveva sentita tremare per il vento freddo ed avvicinarsi, in cerca di calore. Alla terza volta che si erano sfiorati, un poco stufo, le aveva preso la mano, portandola con la sua nella tasca del giubbotto di jeans, e, cercando di darle un minimo di sollievo, aveva cominciato ad accarezzarne il dorso, sentendola rilassarsi e scaldarsi sotto il suo tocco. Non era un amante del contatto fisico, molte volte si rifiutava di ricevere e dare affetto in quella forma, perché non era una cosa in cui si sentiva a proprio agio. Fin da bambino aveva sempre visto il contatto fisico come un'arma, come qualcosa che, potenzialmente, poteva procurare dolore; le immagini di suo padre che se la prendeva con lui o con suo fratello rimbombavano costantemente nella sua mente, come il ritornello di una canzone, il ricordo dei suoi modi di fare, del suo tocco su di lui quando lo spingeva per terra, (perché per quanto suo fratello e sua madre avessero cercato di proteggerlo quando loro non c'erano subiva tutto lui, sia mentalmente sia fisicamente) accusandolo di aver portato solo disgrazie nella loro famiglia, o, più semplicemente, la vista di sua madre con i punti sul viso e i lividi, gli avevano sempre fatto disprezzare qualsiasi tipo di gesto, anche il più innocente del mondo come un abbraccio.         
Era rimasto sulla difensiva per molto tempo su quel lato, e non si era mai spinto più in là di quanto non credesse fosse giusto con nessuna, aveva il terrore di procurare dolore, e il fatto di assomigliare fisicamente a suo padre non faceva altro che incrementare questo suo pensiero, ma, ogni tanto, come in quel momento, si lasciava andare, facendosi guidare e cullare dall'istinto e dal pensiero di essere delicato con chi si trovava davanti, o di fianco.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Il sapore di una caramella all'arancia ***


Pioveva ancora, nonostante avessero passato più di mezz'ora nel supermercato e loro stessero camminando da una decina di minuti, la pioggia non accennava a fermarsi; tutto era grigio, profondamente triste e fastidiosamente umido, l'acqua scendeva copiosa dal cielo, come una maledizione, e Leonardo, di fianco a lei, sembrava estremamente distante, teneva sia le borse della spesa sia l'ombrello, perché nonostante lei non gli avesse chiesto niente era stato così gentile da prendere due borse su tre, lasciandole quella meno pesante di tutte, non si era spinta a chiedergli perché e lo aveva solo ringraziato, lui le aveva sorriso ma non si era spinto oltre. Nessuna frase, nessuna parola, nessuno sguardo, semplicemente si era voltato ed aveva cominciato a guardare davanti a sé. Le sembrava stesse pensando, tal volta credeva fosse qualcosa di carino, visto che accennava un sorriso al nulla, ma poi sul suo viso appariva un espressione fredda, distante, scostante, e poi ricominciava tutto da capo. Veronica aveva distolto lo sguardo, prendendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni, visto che aveva cominciato a vibrare, e rispondendo alla chiamata di sua madre, erano rimaste in telefonata per molto tempo, almeno fino a quando non erano arrivati a casa, poi avevano chiuso la telefonata. Leonardo, davanti a lei, aveva aperto la porta di casa e la gatta si era strusciata sulle sue gambe

«Ciao bellissima -l'aveva presa in braccio, portandosela al petto, ed aveva strusciato il naso contro il musetto della micia, lei gli aveva morsicato il naso e lui aveva sorriso, poi si era voltato verso di lei- dai, accarezzala, le piaci già no?» Veronica gli aveva sorriso, accarezzandole il musetto, e lei aveva cominciato a fare le fusa, lui le aveva sorriso e poi aveva rimesso giù la gatta

«Ci cambiamo e facciamo da mangiare? Ho fame» lei aveva annuito, posando la borsa sul tavolo, come, successivamente, aveva fatto anche lui. Veronica era salita in camera sua, togliendosi i vestiti e mettendosi una felpa larga, calda e morbida, e un paio di leggings, erano le tipiche cose che si metteva quando c'era il temporale, qualcosa di comodo e che le ricordasse qualcosa di familiare, casalingo, era tornata in cucina una quindicina di minuti dopo, ed aveva trovato Leonardo riempire la pentola d'acqua

«Ei, dovevamo cominciare insieme!» Leonardo si era voltato verso di lei, mentre metteva la pentola sul fuoco già acceso.

«Ho solo messo su l'acqua. -Si era voltato ancora una volta, mentre cominciava a prendere le cose dai sacchetti- Come sta tua madre?» Veronica gli si era avvicinata, ed aveva preso le cose che lui le aveva passato, alzandosi in punta di piedi per mettere via le cose nei mobili della cucina

«Sta viaggiando da città a città, per me lavora troppo.»

«Chi lo avrebbe mai detto che un fotografo ha tanto lavoro» lei lo aveva fulminato con lo sguardo, girandosi verso di lui

«Come, scusa?»

«Beh -lui l'aveva guardata- un fotografo di norma non lavora tanto, no?» lei aveva alzato le sopracciglia

«Se non lo sai, perché parli?» gli aveva strappato un barattolo di mano, girandosi di nuovo per metterlo via

«Non volevo offenderti» lo aveva detto dopo un po'

«Non mi hai offesa»

«Certo -lui aveva scoccato la lingua, facendola girare- sembri una vecchia, ti verranno le rughe a vent'anni se continui così»

«Simpatico.» Veronica cominciava ad irritarsi, non tanto perché fosse suscettibile, ma perché aveva passato la maggior parte della sua adolescenza da sola; da quando sua madre aveva capito che poteva farcela da sola, aveva cominciato a sparire per sempre più giorni, sempre più tempo, occupandosi di lavoro che richiedevano la sua presenza in una altra regione, in uno stato vicino, in una città così lontana da farla cercare su google a Veronica, si era infastidita perché lui non sapeva, e non voleva parlasse, ma il problema, e l'incoerenza, era il fatto che lei non gliene volesse parlare; era una cosa di cui non voleva parlare in generale, perché parlarne portava sempre a discorsi più dolorosi di quello, e non aveva nemmeno voglia di pensarci, figurarsi di parlarne.

Si era voltata, trovandolo a guardarla

«Certe volte sembri proprio persa -lui l'aveva guardata, e lei aveva inclinato la testa, aveva trovato ironico come sia lui che il fratello avessero usato le stesse parole per descriverla quando pensava- Quando pensi, sembri persa...»

«Ah, pare sia normale.»

«L'ho notato -si era avvicinato, portandola ad alzare lo sguardo seguendolo nei movimenti- sei preoccupata per qualcosa?» lei aveva negato con la testa, guardando un secondo la spesa rimasta fuori, quella che dovevano usare per fare l'insalata di riso

«No, niente -lo aveva guardato un attimo- tu sembri diverso, dove sono finite le tue battute?» Leonardo le aveva sorriso

«Non sono dell'umore adatto, non posso sempre affrontare tutto in quel modo no? -il ragazzo aveva inclinato la testa, guardandola attentamente, come se cercasse di capire qualcosa in più, anche se non gli sembrava che potesse esserci, lei si dimostrava sincera, e anche lui- Che ne dici se cominciamo a preparare? L'acqua probabilmente a quest'ora bolle, metti il sale e il riso che io taglio il formaggio, sai, non ho voglia di mangiare alle tre»

«Nemmeno io, se è per questo.» lei lo aveva fulminato con lo sguardo e lui le aveva fatto una linguaccia giocosa, come un bambino, e poi aveva recuperato una ciotola e i vari condimenti per metterli tutti insieme. Veronica aveva percepito la sua presenza muoversi con agilità, visto che, ovviamente, quella era casa sua, ma, in qualche assurdo modo, se ne era stupita comunque, cominciava a sentirsi ancora inopportuna, fuori posto, priva del suo centro, e vederlo destreggiarsi così bene le faceva ricordare quando cucinava con sua madre, e allora il ritmo era fatto di chiacchiere, di sfrigolii, di bollori, quella era casa, cucinare con sua madre e raccontarle delle uscite, o farsi raccontare delle sue foto, del suo lavoro.

Era doloroso accettare di non poterlo più fare per molto tempo, era davvero doloroso e sfiancate. Aveva sentito una carezza sul braccio, e si era voltata alla sua sinistra, dove Leonardo, con in mano un coltello e del formaggio, la guarda confuso

«Ti eri persa di nuovo.»

«Mhmh.»

«Sei sicura sia tutto a posto?» lei si era voltata, posando il mestolo con cui stava girando il riso vicino ai fornelli

«Anche se fosse, perché ne dovrei parlare con te?» lo aveva visto lasciare il coltello e voltarsi verso di lei, il suo sguardo si era indurito, e una scintilla di fastidio l'aveva fulminata insieme ad un ira repressa, Veronica aveva fatto un passo indietro, e lui aveva sorriso quasi ironico

«Perché mi hanno chiesto di essere gentile, di starti vicino, di supportarti, anche se direi più sopportarti, se fosse stato il caso, e ti giuro che ci sto provando, ci sono anche riuscito, ma se la cosa ti irrita tanto, visto che irrita anche me, torno normale, così facciamo un favore ad entrambi e questo finto buonismo cessa di esistere.» Il silenzio era poi calato, Leonardo aveva ripreso a tagliare i wurstel in modo decisamente più rude rispetto a quello di poco prima, mentre lei si era seduta sulla tavola, in attesa che l'acqua bollisse per buttare il riso, con un'espressione leggermente contrariata in volto, era infastidito, e in certo senso poteva capirlo, ma lo stava detestando con tutto il suo cuore.

Lei non era una creaturina da proteggere, lo aveva capito la prima volta che l'aveva vista, ma questo non giustificava il fatto che, a tratti, fosse insopportabilmente irraggiungibile, e più lui cercava di avvicinarsi, più faceva passi avanti verso di lei, più Veronica ne faceva uno indietro facendogli quasi perdere l'equilibrio per raggiungerla, il risultato della somma, alla fine, risultava sempre meno uno, perché Leonardo aveva un limite di sopportazione basso, la sua pazienza tendeva ad esaurirsi velocemente, e più il limite veniva sorpassato, più tendeva a non regolare le proprie risposte e a lasciarsi andare a frasi piene di fastidio, o frustrazione, o sarcasmo. Non era stato felice quando gli avevano detto del suo arrivo, circa un mese prima rispetto a quel giorno, aveva subito giudicato la cosa come una scocciatura, una persona in più a casa significava meno spazi, meno privacy, meno favoritismi da parte di sua madre, era il più piccolo, e per quanto avesse un carattere orribile, era sempre quello che, in qualche modo, riceveva più attenzioni, con il suo arrivo avrebbe avuto anche meno possibilità di uscire, meno tempo per la sua moto. Durante le giornate di pioggia come quella, generalmente, nessuno voleva mai uscire e lui era quindi libero di occuparsi della sua moto, era un Harley Davidson 883 iron special edition e l'aveva trovata nel garage dei suoi nonni ad inizio agosto, era da allora non faceva altro che dedicare qualsiasi istante di tempo a sua disposizione per sistemarla; lui aveva sempre avuto una fissa per le moto, tanto che, quando era più piccolo, aveva fatto una scommessa con sua madre, se fosse riuscito ad uscire con il cento dalle superiori lei gli avrebbe lasciato la possibilità di farsi la patente ed averne una. Angela aveva acconsentito un poco per scherzo, lo sapeva, però lui aveva preso sul serio quella cosa, e non si era più permesso di prendere un brutto voto, in nessuna materia; poi, quando aveva trovato quel gioiellino, non aveva potuto fare a meno di innamorarsi e cercare di capire se potesse ancora andare, era stata una bella sorpresa quando si era accesa, Leonardo si era sentito come un bambino alla vista delle caramelle, però, dopo nemmeno un minuto si era spenta in un mare di fumo grigio, e da lì aveva capito che effettivamente qualcosa che non andava c'era, e quindi si era rimboccato le maniche per capire cosa non andasse, e alla fine, un po' con l'aiuto di suo zio e un po' con quello di altre sue conoscenze, era arrivato alla conclusione che cinghia, motore e freni fossero ormai da buttare, e in più doveva anche essere verniciata, però non si era fatto scrupoli, i pomeriggi liberi e i weekend andava da sua nonna per continuare a sistemare la moto, o almeno, era quello che faceva prima che arrivasse Veronica. Era stata una palla al piede, all'inizio, e un poco l'aveva anche odiata; sua madre gli aveva detto di farci amicizia, di passare del tempo con lei e di mostrarsi gentile, oltre che a controllare che si sentisse a suo agio e a non lasciarla mai sola, lui si era chiesto, per tutta la durata di quella settimana e dei giorni prima ancora che arrivasse, quale fosse il senso di tutto quello, infondo aveva una madre, non poteva trasferirsi con lei? Non ce l'aveva un padre che potesse occuparsi di lei? Un parente che la prendesse sotto la sua custodia senza fare troppe storie? Magari una di quelle nonne vivaci e ancora piene di vita che a novantacinque anni vanno ancora a farsi i giri in bicicletta e la spesa al supermercato vicino perché "E chi ha bisogno? Non vedi che reggo ancora"? Le aveva fatte quelle domande, ma sua madre aveva risposto quasi per sbaglio ad alcune, le altre le aveva ignorate, e successivamente aveva ignorato perfino lui, poi gli aveva lasciato Veronica, nemmeno fosse stata un sacco di patate; l'aveva svegliato alle cinque, una chiamata urgente dall'ospedale che squillava sul cercapersone e mezza barretta proteica in bocca, gli aveva praticamente ordinato di prendersi cura di Veronica, di farla stare bene e di non fare lo stronzo, aveva usato letteralmente quelle parole, e per un primo momento l'aveva presa sul ridere, poi era stato letteralmente fulminato dallo sguardo di sua madre, che dopo avergli detto le ultime cose era scappata a lavoro, e lui era rimasto disteso sul letto a guardare il soffitto, e a chiedersi per quale maledetto motivo dovesse sempre essere lui quello a cui affidavano Veronica; sarebbe dovuto andare da sua nonna quella mattina, l'aveva chiamata il giorno precedente per avvisarla e mettersi d'accordo su cosa fare a pranzo, la moto era quasi pronta, mancava poco, eppure sembrava che l'intero universo gli stesse dicendo di non fare niente, rimanere a casa e occuparsi di quella ragazza, aveva dovuto disdire tutto e si era anche sentito in colpa, perché sua nonna voleva fargli il pasticcio, il puré, i wurstel, e altre cose che apparentemente sembravano buone, tutte cose che sua nonna sapeva gli piacessero, e invece era a preparare un insalata di riso, fredda e anonima, a detta sua, e che gli ricordava, per certi versi, la ragazza che adesso se ne stava seduta sul tavolo, con le gambe accavallate, e un espressione incattivita, nemmeno le avessero rovesciato addosso una vasca di acqua ghiacciata in pieno inverno. Aveva sorriso divertito non sapendo se definirla noiosa o curiosa, in entrambi i casi, probabilmente si sarebbe dovuto scusare; non c'era niente di peggio che far arrabbiare una donna, ormai lo aveva imparato, sapevano dimostrarsi vendicative oltre le aspettative e maledettamente brave nell'umiliare, per convenienza, superato l'orgoglio, avrebbe fatto meglio a chiedere scusa, senza farsi prendere da individualismo ed egocentrismo, non che fosse così semplice; a differenza di suo fratello lui non era cresciuto altruista, prostrato agli altri e capace di farsi calpestare pur di non far rimanere male le persone, Leonardo era cresciuto con un pensiero strettamente egoista, a tratti megalomane, individuale, avrebbe lasciato che una ragazza stendesse il proprio vestito su una pozzanghera per far passare lui che preoccuparsi minimamente di fare lo stesso per la suddetta, ma allo stesso tempo, cercava di controllare quel lato di sé e mostrarsi rispettoso, magari non avrebbe steso la propria giacca per terra sopra una pozzanghera o checchessia, ma sicuramente avrebbe indicato alla ragazza le parti della strada dove non avrebbe dovuto preoccuparsi di sporcarsi di acqua lercia. Veronica lo aveva affiancato di nuovo, ed aveva buttato il riso nell'acqua, che ormai aveva cominciato a bollire, lui aveva tagliato gli ultimi pezzetti di formaggio e li aveva messi nella ciotola dove avrebbero messo il riso quando sarebbe stato pronto, l'aveva guardata un'altra volta ed aveva appoggiato la fronte sulla sua spalla, non era bravo a chiedere scusa, odiava farlo guardando le persone negli occhi, perché si imbarazzava e finiva col dire cose stupide

«Che diavolo fai?»

«Mi scuso» incalzando il proprio tono interrogativo aveva alzato un sopracciglio, anche se lei questo non avrebbe mai potuto vederlo, l'aveva sentita irrigidirsi e per poco non era scoppiato a ridere sentendola diventare più calda, probabilmente stava arrossendo

«Puoi spostarti?»

«No» l'aveva sentita sbuffare contrariata, mentre un verso di frustrazione le era uscito involontariamente dalle labbra

«Puzzo per caso?»

«No»

«Allora perché la mia vicinanza sembra farti schifo?»

«Perché mi infastidisci»

«Mmhh» si era tirato su, lasciandole più spazio, ed aveva preso il cellulare, rispondendo ai messaggi al suo migliore amico, in realtà ne aveva ben quattro, però i messaggi sul gruppo si erano fermati a quella notte e nessuna aveva ancora scritto, così si era limitato a scrivere a colui che gli era più vicino di tutti, Andrea.

Si erano odiati, ma odiati davvero; si erano visti per le prime volte all'asilo, ma nessuno dei due aveva mai prestato veramente attenzione all'altro, o almeno fino a quando, in una delle solite gare di corsa, Andrea non aveva battuto Leonardo, che, essendo sempre stato il più veloce, aveva preso la questione sul personale, colpito profondamente nell'orgoglio, ed aveva fatto di tutto per dimostrarsi migliore, alimentando un antipatia immediata da parte di Andrea.

Dalle elementari, dopo aver scoperto di essere in classe insieme, non avevano fatto altro che litigare, che fosse per il ruolo nelle partite di calcio, regolarmente volevano entrambi il portiere e nessuno dei due aveva mai intenzione di cedere e giocare in un altro ruolo, o peggio, rimanere in panchina, per le risposte nelle verifiche, per i voti più alti, per chi aveva più figurine, erano arrivati a litigare anche per chi leggeva più libri nella biblioteca scolastica, e che fosse chiaro, a quel tempo lui detestava leggere tanto quanto a diciassette anni odiava i romanzi d'amore, non andavano d'accordo su nulla, se la maestra li metteva vicini di banco non duravano nemmeno cinque minuti, perché alla fine uno dei due si allontanava e metteva una divisione fisica tra i loro banchi. In quinta elementare non si erano parlati per un anno intero, se uno era vicino all'altro si ignoravano e facevano finta che l'altro non esistesse e così facevano anche con tutto quello che sentivano dire dagli altri, forse era anche per quello che alle medie, sfortunatamente, si erano trovati in classe insieme; Leonardo lo aveva trovato maledettamente ridicolo, quante possibilità c'erano che proprio la persona che sopportava di meno tra tutte quelle che aveva categorizzato come "insopportabili" potesse scegliere tedesco, nella stessa scuola media che aveva scelto lui, ed essere proprio collocato nella sua stessa sezione, quando ce ne erano ben tre? Ricordava di aver sbuffato in continuazione durante tutto il primo giorno, lo aveva immaginato come un bel momento, come uno di quei momenti che non avrebbe mai dimenticato, un memento sensazionale, ma nulla era riuscito a rovinare le sue aspettative come ritrovarsi proprio Andrea Martini nella sua stessa classe; dopo poche settimane di scuola, il ragazzo, a fine lezioni, lo aveva trattenuto fuori dalla palestra, e sorprendentemente aveva chiesto una sottospecie di tregua, visto che era stanco di quella situazione di rivalità, quasi, infondata che si era creata tra di loro per una stupida gara all'asilo, Leonardo aveva accettato, stanco anche lui della situazione e da quel giorno qualcosa si era rotto, avevano smesso di trattarsi con sufficienza, si erano adattati l'uno all'altro, smettendo di rispondersi, aveva perfino cominciato a scherzare, e poi, in un modo tanto naturale da essere sembrato ad entrambi quasi automatico, erano diventati amici, alla fine delle seconda media avevano cominciato a definirsi migliori amici, alla fine della terza media sembravano due fratelli, conoscevano tutto, o quasi, l'uno dell'altro (qualcosa di nuovo da scoprire c'era sempre), non c'erano segreti ed avevano deciso di non rivelare l'un altro la scuola che avevano deciso di frequentare, sia per non influenzarsi sia per fare una prova, un test. Il primo giorno di scuola superiore, felicemente, aveva scoperto che Andrea aveva optato per il suo stesso indirizzo, ed ancora una volta si erano trovati in classe insieme. Lì avevano conosciuto gli altri due ragazzi che, successivamente, erano diventati gli altri suoi migliori amici, aveva passato con loro e suo fratello la maggior parte dei momenti che riusciva a categorizzare come quelli più belli della sua esistenza; non gli dimostrava spesso affetto a gesti, ma quella era sempre una questione a parte, nemmeno a parole, non era decisamente bravo nel mettere insieme frasi che non sembrassero delle accuse o delle battute inutili e fuori argomento, però aveva sempre cercato di rimanere loro affianco nei momenti difficili, di supportarli, di lasciarli sfogare con lui, anche di sentirsi urlare contro, qualsiasi cosa, per farli stare bene e far capire loro quanto fosse disposto a fare, a sopportare, per vederli felici, erano praticamente la sua famiglia.

Leonardo, dopo un attimo, si era ripreso ed era tornato a rispondere ai messaggi di Andrea, era rimasto a scrivere con lui per una buona ventina di minuti, poi, quando aveva visto Veronica prendere la pentola da entrambi i manici e lasciarla andare di colpo si era alzato di scatto, denominandola sottovoce come una cretina, mentre portava entrambe le sue mani sotto l'acqua gelata; le aveva chiesto se stava bene, ma lei non aveva risposto, si era limitata ad appoggiarsi alla sua spalla ed a rimanere lì, con le mani nelle le sue, dopo un po' gli aveva fatto segno che era tutto a posto, e si era spostata, recuperando uno strofinaccio e avvicinandosi per una seconda volta alla pentola, ma lui glielo aveva tolto di mano, ammonendola con lo sguardo

«Faccio io, tu siediti.»

«Posso farcela!»

«Credo di aver appena sentito una cazzata uscire dalla tua bocca, ti prego non ripetere, mi farai venire mal di testa.»

«Che pigna in culo che sei quando fai così!»

«Touche.»

Leonardo aveva scolato il riso, e, dopo averlo passato sotto l'acqua fredda, l'aveva lasciato riposare, aspettando che si raffreddasse del tutto, poi lo aveva unito al condimento in una ciotola, che successivamente aveva posato al centro del tavolo. Nessuno dei due aveva parlato per tutto il pranzo, e il vuoto lasciato dalle loro voci mutate era stato riempito dalla televisione; generalmente Leonardo preferiva mangiare da solo, non perché non amasse la compagnia altrui o gli facesse schifo condividere i momenti della propria vita con le altre persone, ma perché quando tornava da scuola, dopo ore e ore passate ad ascoltare dagli adulti logorroici, voleva solo un po' di pace e tranquillità, quindi, circa dalla terza media, senza nemmeno farci caso, a quasi ogni pranzo prendeva il suo piatto e spariva in camera sua, collegava le cuffie al computer e decideva se guardare un film o continuare una serie qualsiasi tra le molte che aveva iniziato, la maggior parte delle volte optava per il film, era più veloce da vedere e, a meno che non si trattasse di un sequel, non doveva ricordarsi cosa era avvenuto prima visto che la storia iniziava regolarmente. Come per i film anche per i libri aveva quel ragionamento, perché, a meno che la saga in questione non fosse Harry Potter, lui era dedito ai libri autoconclusivi, quelli per cui non si doveva preoccupare del seguito, quelli facili da leggere, quelli per cui non doveva spendere troppi soldi, certo, le trilogie e le duologie non le sdegnava, ma preferiva sempre il porto sicuro di un libro che iniziava e si concludeva in un unico volume. Leonardo aveva lasciato che Veronica prendesse il suo piatto, ormai vuoto, e lo lasciasse nel lavello insieme ai bicchiere e alle posate, l'aveva aiutata a lavarli e poi la ragazza era salita in camera, con a seguito la gatta.

Leonardo era rimasto un po' in salotto e poi era salito in camera sua, infondo doveva ancora finire i compiti, si era seduto con un tonfo sordo sulla sedia girevole, aveva accesso il computer, piegandosi verso il basso per premere il pulsante di accensione; aveva un computer fisso e la torre si trovava su un tavolino sotto alla scrivania quindi si doveva sempre sporgere verso il basso per accendere tutto, anche se la maggior parte delle volte lasciava il computer acceso e spegneva solo il monitor, aveva preso quell'abitudine dopo la pandemia de duemilaventi, la mattina si svegliava sempre pochi minuti prima della videolezione, quando erano in didattica a distanza, e il computer ci metteva sempre troppo ad accendersi del tutto, quindi aveva preferito lasciarlo acceso, giorno e notte, perché pigro come era, pur di dormire qualche minuto in più, avrebbe fatto di tutto.

Aveva alzato lo sguardo sul monitor quando una fioca luce azzurra, derivante dallo sfondo, lo aveva colpito sul viso chinato a guardare il telefono, aveva schiacciato velocemente alcune lettere della tastiera e poi aveva premuto invio, lanciando il cellulare sul letto e aprendo Chrome per entrare sul sito della scuola per vedere l'orario e i compiti. Aveva studiato scienze in tranquillità, era una delle sue materie preferite, quindi era un piacere per lui studiarla, poi aveva finito il programma di informatica che il professore gli aveva dato da fare nelle vacanze, non era troppo complicato ma qualche santo gli era uscito ugualmente dalla bocca, amava programmare, era una di quelle cose che faceva volentieri, ma allo stesso tempo, non essendo preciso al cento per cento quando scriveva, provava un enorme fastidio nel momento in cui, dopo aver schiacciato "esegui", doveva correggere tutti gli errori che aveva fatto durante la scrittura. Verso le diciotto si era alzato dalla sedia, stanco e indolenzito, aveva recuperato il telefono notando come gli fossero arrivati più messaggi di quanti avrebbe voluto, il gruppo dei suoi migliori amici si era animato dopo che Andrea aveva scritto della partita di calcio che due squadre, non aveva badato a quali, avrebbero fatto quella sera stessa; non era mai stato un amante di quello sport, sia perché era di squadra sia perché gli piaceva molto di più la pallavolo, ma allo stesso tempo non lo sdegnava e soprattutto non odiava chi lo amava. Aveva continuato a scorrere i messaggi fino a quando non li aveva letti tutti, poi era passato sul gruppo di classe, dove si era messo nei preferiti alcune foto con gli esercizi svolti di matematica e italiano, i messaggi che erano stati mandati sul gruppo della compagnia li aveva ignorati, come aveva fatto per quelli di suo fratello e di sua madre, aveva risposto ai messaggi di Damiano, uno dei due migliori amici dopo Andrea ed aveva categoricamente ignorato Caterina, era una bella ragazza, dolce, ma asfissiante, era da quando l'aveva conosciuta per la prima volta, solo un anno prima, che gli sembra di portarsi appresso un macigno quando parlava con lei, cosa che lo aveva portato a trattarla con riserbo, freddezza e svogliatezza, ma invece di allontanarla, evidentemente, l'aveva affascinata, quindi, da un po' di tempo, aveva deciso di ignorarla categoricamente. Leonardo aveva risposto in ultima anche a suo fratello, Francesco aveva la noiosa abitudine di chiamarlo se pensava o capiva che lui non gli aveva risposto, quindi, prima di subirsi una telefonata inutile aveva pensato bene che rispondere fosse la cosa migliore, poi si era alzato e, collegate le cuffie bluetooth, aveva cominciato ad ascoltare un po' di musica, intenzionato ad andare a mangiare qualcosa, sapeva che non avrebbe dovuto, visto che gli mancava ancora fisica da fare, ma in quel momento era fin troppo stanco per occuparsene, in più, aveva passato circa quattro ore davanti ad uno schermo o chino sui libri, nessuno, a quel punto, poteva fargli cambiare idea sul fatto che avesse bisogno di una pausa.

Era sceso per andare in cucina, ma prima di girarsi verso la suddetta aveva individuando Veronica appollaiata sul divano, stava parlando con qualcuno al telefono e, nel mentre, stava anche accarezzando quella ruffiana della sua gatta, che, volendo qualcosa, aveva cominciato a strusciarsi sulle gambe raccolte al petto della ragazza, che ora teneva la gatta tra le gambe, coccolandola con movimenti costanti e ripetitivi; Leonardo aveva socchiuso gli occhi, guardando la micia, che aveva il musetto girato nella direzione del ragazzo, che aveva imitato il suo sguardo, poi, diligentemente se ne era andato in cucina, aveva aperto il frigo, preso l'affettato e il succo d'arancia, aveva recuperato il burro, poi il pane dalla credenza, non si era accorto che Veronica lo aveva raggiunto fino a quando non si era sentito prendere per una manica, si era voltato verso di lei dopo aver posato la pentola sul fuoco, era ancora in chiamata, visto che sembrava parlare al vento e teneva il telefono schiacciato contro l'orecchio, si era tolto una cuffietta, e l'aveva guardata distrattamente, inclinando il volto e corrugando le sopracciglia

«Lu puoi stare zitta un attimo? -gli era parso di sentire uno sbuffo, ma si era concentrato di nuovo su Veronica- Fai un panino anche a me?» e poi era stato guardato con sguardo implorante, aveva annuito, sbuffando

«Va bene va bene, a cosa lo vuoi?»

«Cosa c'è?»

«Mortadella e prosciutto cotto, anche se penso ci sia dello speck in frigo.»

«Mi va bene il prosciutto cotto, grazie» Leonardo aveva annuito, poi, quando lei era tornata a parlare con "Lu" e si era allontana, aveva rimesso la cuffietta ed era tornato dedito a farsi il suo toast, per poi fare anche quello della ragazza, e si era anche preso la briga di portarglielo, lei lo aveva ringraziato con lo sguardo ed era tornata a parlare al telefono. Il ragazzo le aveva lanciato un'ultima occhiata, per poi incamminarsi su per le scale, aveva intenzione di tornare nelle propria camera, finire di mangiare e mettersi a fare fisica, perché dubitava che sarebbe riuscito a finire la materia in fretta, quindi più velocemente mangiava più tempo poteva dedicare a quella scocciatura. Fisica, fin dalla prima superiore, non era mai stata uno delle sue materie preferite, al suo posto prediligeva matematica, scienze, anche storia, nelle altre materie non si era quasi mai trovato in difficoltà, con fisica invece avrebbe voluto solo spararsi un colpo alle tempie, perché faticava a capirla e non aveva quasi mai una soddisfazione, raggiungeva sempre la sufficienza ma era raro che riuscisse ad andare oltre, non eccelleva quasi mai, tralasciando quelle volte in cui lui ed il libro andavano d'accordo, in quei casi riusciva a mettere insieme i pezzi ed a portarsi a casa un sette od un otto, in base anche a quanto aveva studiato. Aveva passato più di mezz'ora davanti al libro senza capirci niente, e ci era mancato poco che la sua testa non avesse deciso di auto-implodere e mettere fine alle sue sofferenze, dopo un'altra mezz'ora, passata a cercare di capire le parole stesse del libro e a studiarle quasi a memoria, ma soprattutto, dedita alla risoluzione, completamente sbagliata, dei problemi che aveva da fare per casa, si era alzato infastidito ed era uscito da camera sua sbattendo la porta, trovandosi faccia a faccia con Veronica; un'idea, malata e contorta, gli era giunta alla mente quando i suoi occhi, dallo sguardo frustrato e freddo, erano entrati in contatto con quelli di Veronica, caldi, quasi bollenti di sentimenti che non era riuscito a categorizzare

«Sei brava in fisica?» il suo orgoglio era andato in pezzi, ma ormai non importava più; le aveva afferrato un polso, fermandola dove era, visto che sembrava intenta a camminare verso camera sua, cercando non stringere troppo la mano sulla sua pelle

«Me la cavo»

«Mi dai una mano? -la ragazza aveva alzato entrambe le sopracciglia quasi di scatto, e lui aveva visto la sua espressione e i suoi occhi addolcirsi di colpo, come presa da un moto di buonismo- non..non guardarmi come se fossi un cucciolo bastonato che ti fa pietà però, cazzo».

Veronica aveva riso «Scusa, scusa- aveva continuato a sorridere e si era sposata una ciocca di capelli dietro l'orecchio, lui le aveva lasciato andare il polso, visto che aveva preso una posizione frontale rispetto a lui, quindi presumeva anche che non fosse intenzionata ad andarsene- ti serve una mano?»

«Direi di sì, ma solo per questa volta»

«Ok, solo per questa volta» ma lei aveva continuato a ridacchiare anche mentre entravano nella stanza del ragazzo, che a quel punto, con fogli scritti e poi accartocciati sparsi da tutte le parti, sembrava un campo di battaglia dove il ragazzo aveva decisamente perso.

L'aveva vista sedersi sul letto dopo aver preso il suo libro di fisica ed essere andata alla teoria, visto che era rimasto aperto alle pagine dei problemi, le aveva anche chiesto se non preferiva una sedia, ma lei aveva scosso la testa e gli aveva intimato di sedersi sulla sedia girevole, da quel momento in poi, esattamente dopo che aveva raccolto i capelli in una coda alta, forse per una quindicina di minuti o forse meno, lei aveva continuato a leggere la teoria e le definizioni, poi aveva riportato lo sguardo su di lui, e con voce che non sembrava nemmeno appartenerle aveva cominciato a rispiegare l'intero capitolo; aveva un linguaggio semplice, non di certo povero, solo semplice, e quando le faceva delle domande rispondeva prendendosi tutta la calma del mondo, andava con calma, che certe volte gli sembrava frustrante, ma che era funzionale, alle fine, e quella volta non aveva nemmeno prestato attenzione al tempo, troppo impegnato ad ascoltare la sua coinquilina e a capire, una volta tanto, qualcosa senza doversi scervellare, Veronica gli era rimasta a fianco anche quando aveva svolto i problemi, prendendosi la briga di correggerlo senza perdere la pazienza e mandarlo a fanculo quando faceva dei commenti poco divertenti o per nulla idonei, alla fine, dopo un paio di errori durante lo svolgimento dell'ultimo problema, avevano finalmente finito, e la ragazza aveva esultato, distendendosi con la schiena sul letto del ragazzo, mente i piedi erano appoggiati al pavimento, e sospirando aveva allargato le braccia sulla superficie morbida e profumata.

Lui l'aveva guardata ancora seduto sulla sedia, ma non aveva detto niente, si era limitato ad osservarla, fino a quando non si era tirata su, tornando seduta di fronte a lui, con gli occhi ancora caldi da quei sentimenti che aveva notato prima. A quel punto, in un moto di dolcezza scaturito da una scintilla di gentilezza, le aveva sciolto la coda, sporgendosi verso di lei, avvicinandosi, lasciando una leggera carezza mentre seguiva l'onda naturale dei capelli della ragazza con le mani, sfilando via del tutto l'elastico. Quando lei l'aveva guardato nuovamente negli occhi aveva percepito chiaramente una scossa partire dalla nuca e protrarsi fino al suo basso ventre, ed era sembrata riecheggiare fino a spegnersi in un calore agrodolce. Era stata tanto potente da farlo sorridere, seguita da un paio di brividi che si era raccolti sulla schiena e sui muscoli delle sue braccia, le mani gli avevano quasi fatto prurito quando aveva portato una ciocca dei capelli di Veronica sulla spalla semi scoperta della ragazza ed aveva sfiorato per sbaglio il collo niveo. Aveva seguito con gli occhi la linea definita della mandibola femminile, la curva della mascella, il rosso intenso delle guance, il leggero arricciarsi del naso, poi si era spostato più in basso, sulle labbra rosee, piene, premute leggermente le une sulle altre, e si era alzato di scatto sugli occhi, confusi, mutati in un colore più intenso, le aveva lasciato lentamente la ciocca di capelli che ancora si posava sul palmo della sua mano alzata «Stai meglio coi capelli sciolti...»
Gli occhi della ragazza erano parsi vibrare di attrazione, e ne era stato attratto, attratto tanto che gli era sembrato di aver perso il proprio nord, deviato in una strada che sembrava essere pericolosa. Lui si era allontanato piano, sentendo la tensione che si era creata tra i loro corpi sciogliersi lentamente millimetro dopo millimetro che procedeva nel ritrarsi, alla fine, tornato delle posizione iniziale, un calore dolce, che non si era del tutto assopito, sembrava regnare nella stanza, un calore che sembrava prendere il colore e il sapore di una caramella all'arancia, una di quelle in forma di gelatina con lo zucchero sopra, una delle sue preferite.
Le guance di Veronica erano rosate, come se il sole l'avesse scottata durante una giornata al mare ai primi di settembre. Gli occhi sembravano scottare ancora più di prima contornati da quel colore, risplendevano lucidi, vibranti, colmi, anche se non sapeva bene di cosa, avrebbe potuto leggerci dentro molte cose, ma probabilmente, inconsciamente, aveva deciso che non era la serata giusta; lei si era alzata poco dopo, non velocemente come se fosse stata imbarazzata, o come se si fosse sentita offesa, oltraggiata, umiliata, come, invece, altre ragazze avrebbero potuto sentirsi, meno consapevoli rispetto a lei, decisamente no. Veronica si era alzata lentamente, non in modo provocatorio, aveva già capito che non era quello il suo intento, gli aveva sorriso quasi cordiale, e dalla porta, prima di scomparire del tutto, gli aveva lanciato un ultimo sguardo, che aveva comunque un che di imbarazzato, al quale lui aveva risposto divertito. Gli aveva fatto capire di essere ancora a proprio agio, glielo aveva esplicitamente detto con lo sguardo, ma per Leonardo non era esattamente la stessa situazione.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Un posto chiamato casa ***


Dopo quella domenica erano passate ben tre settimane, e, in quelle, si era confermata la monotonia di una casa che Veronica aveva cominciato a sentire finalmente sua: Francesco aveva preso l'abitudine di svegliare sempre prima Leonardo, che, puntualmente, faceva cadere qualche santo e qualche dio quando passava davanti alla stanza di Veronica e vedeva il modo dolce che il fratello aveva di svegliare la ragazza, modo che era all'estremo opposto di come svegliava lui.
Facevano poi colazione tutti insieme; anche se la maggior parte delle volte era sempre Angela a cominciare le conversazioni, tuttavia poi spariva in ospedale, (in affanno per il possibile posto di primario) e il silenzio cominciava a regnare nuovamente sopra la tavola, a quel punto, lei e Francesco cominciavano a parlare, Leonardo spariva in camera sua senza aver detto una parola, e in un tempo che sembrava non essere reale, si ritrovavano in autobus, seduti sui posti da quattro, Veronica e Giada che condividevano le cuffiette con la musica al massimo e Cecilia, dallo sguardo sempre più tagliente, davanti a loro, seduta affianco a Francesco, che, invano, cercava di far contenere le battute sprezzanti che quella ragazza era solita donarle di prima mattina. Veronica non ci faceva più tanto caso, quella scenetta insulsa era portata avanti da un mese, e per quanto fosse fastidioso lo sguardo di Cecilia addosso e la sua voce stridula che pronunciava frasi senza senso, quelli erano momenti che considerava troppo immaturi perché avessero importanza durante la giornata, quindi lasciva correre, ignorando qualsiasi pretesto di sfida e si concentrava su Giada, che appariva provata per quella situazione, e la rassicurava, confermando il fatto che fosse tutto a posto e che non si doveva preoccupare perché quello che diceva Cecilia scivolava sulle sue spalle come la pioggia su un impermeabile.

Quando arrivavano a scuola Leonardo, che in autobus sembrava dissolversi, ricompariva sempre con una faccia soddisfatta e con un ottimo umore, riusciva anche a fare battute che divertivano qualcuno, anche se non tutti, e non solo lui, tuttavia quell'illusione sembrava sparire man mano che le ore scolastiche passavano, fino a quanto, all'ultima, il suo umore tornava quello della mattina: schivo, tacito e cupo. A pranzo mangiavano spesso divisi, la maggior parte delle volte Leonardo andava in camera sua e ne usciva solo per prendersi ancora cibo o per riportare il piatto in cucina, di conseguenza Veronica pranzava in camera, spesso in compagnia della gatta mentre Francesco aveva orari diversi dai loro, quindi, quando tornava a casa, sapeva già che la sua parte era conservata nel forno e che avrebbe mangiato da solo; i momenti dopo il pranzo passavano veloci, almeno fino a quando Francesco e Veronica non decidevano di fare gli <>, come diceva sempre Leonardo, e allora lui si allontanava (quando era nelle loro vicinanze), voglioso di un silenzio che sembrava impossibile da trovare.

Poi già dalle tre, se non prima, Veronica si ritrovava Leonardo in camera, una sedia in più e doppi libri sulla scrivania, tutte le intenzioni di velocizzare il processo di studio. Una faceva i compiti di una materia e l'altro di un'altra, se li spiegavano a vicenda e poi li ricopiavano, passavano minuti a ripetersi le definizioni di fisica o quelle di matematica, si aiutavano con le traduzioni di inglese, ripassavano italiano o storia, e cercavano, una più disperatamente dell'altro, di fare ordine negli appunti disordinati e presi alla rinfusa di scienze.

Leonardo era fin troppo tranquillo per quanto riguardava quella materia e la professoressa che la spiegava.
Giada le aveva riferito il perché: era uno dei pochi che fin dalla prima si erano dimostrati attenti e concentrati, sicuri e motivati nonostante il carattere della donna, portati per la materia, tanto che erano stati presi sotto l'ala della professoressa, che li portava e li mostrava sul proprio palmo della mano, come se fossero creature mitologiche e mai viste; con Veronica si era mostrata paziente, interessata, tollerante, ma rigida, voleva sentire quello che la ragazza aveva intenzione di dire, ma non le sembrava mai andar bene nessuna delle parole che pronunciava. Le rimbeccava, con sempre più frequenza, quanto il giudizio più che ottimo di un collega sconosciuto, e qui faceva riferimento al suo ex professore, potesse essere errato. Quella era forse, tra molte, la cosa che le dava più fastidio, poteva interromperla, poteva sminuirla, poteva urlarle contro e tutto le sarebbe scivolato sulle spalle come niente, ma giudicare un insegnante che non conosceva, che per Veronica era stato fondamentale per riuscire a superare i divari che c'erano tra lei e la materia, e reputare errato un giudizio costato due anni di sudore e studio le faceva ribollire così tanto il sangue nelle vene che spesso credeva di poter cominciare a sputare vapore. Si conteneva, tuttavia, conscia che dire qualcosa le avrebbe fatto perdere soltanto punti, e, allo stesso tempo, si chiedeva come poter accontentare una professoressa come lei, una che mostrava il suo lato peggiore urlando come un'arpia di Virgilio contro una ragazza che di male, ad occhi estranei, non aveva fatto nulla, ma che per la professoressa aveva infranto una delle regole più importanti di quel regime dittatoriale che aveva impartito durante le sue ore. Era nuova anche quella ragazza, e per quanto maldestra, perché lo era molto, risultava in ogni caso simpatica, gentile e con sempre la parole giuste da pronunciare, ma spesso aveva la tendenza a dimenticarsi le cose più stupide, come di approssimare un numero nella prima verifica, e da lì, da quel numero non approssimato, era scattata la ramanzina di mezz'ora, che poi si era spostata su tutt'altri argomenti, e per chiarire, a Giada erano anche venuti gli occhi lucidi, si era sentita tanto impotente che aveva afferrato una mano di Veronica, bisognosa di supporto morale, perché anche se aveva quella professoressa da praticamente tre anni ancora non riusciva a sopportare quei modi burberi e fuori controllo che aveva.
Leonardo aveva rassicurato più volte Veronica durante i pomeriggi di studio, dicendole che non era così difficile accontentare la professoressa come molti facevano pensare, bastava essere tranquilli, commettere meno errori possibili, cercare di parlare poco e annuire molto, in più si doveva essere bravi, e prima dimostravi di esserlo prima la professoressa ti accettava. Spesso i pensieri di Veronica sviavano sulla voglia di mettersi in mostra e di far vedere quanto fosse brava, perché sapeva di poterlo dimostrare e di poter dare di più.

Le prime due ore di quel quindici ottobre, un sabato qualsiasi, erano passate tranquille, certo, portare alle sette di mattina in autobus sia la cartellina da disegno sia la sacca da ginnastica era stato un trauma che avrebbe voluto non far ripetere mai, anche se l'orario scolastico su quello non l'aveva di certo graziata come aveva fatto invece per altri giorni, tuttavia, scaricare la tensione disegnando era una delle cose che più aveva adorato di quel lasso di tempo; il professore aveva dato loro la possibilità di ascoltare la musica, così lei aveva potuto tranquillizzarsi tracciando linee, tamponando la grafite in eccesso con la gomma pane, regolando le squadre per far in modo che risultassero gli angoli corretti.

Spesso si era sentita chiedere per quale ragione le piacesse tanto il disegno tecnico, ma lei non era mai riuscita a dare una risposta che non fosse qualche balbettio sconnesso, un sorriso cordiale e un assolutamente inutile "non ne ho idea", ma la verità era che la tranquillizzava. Il disegno prevedeva perfezione: un tratto lineare e definito, segni di costruzione leggeri e segni di finitura evidenti, nessuna sbavatura, nessun errore; tutto quello, con aggiunta la musica classica, faceva si che Veronica entrasse in una dimensione tutta sua, dove niente esisteva se non il foglio, i portamine, le squadre, la gomma e lei; mentre disegnava non c'era emozione che superasse lo stato di tranquillità in cui entrava, niente era più importante del disegno stesso e niente la rendeva più felice di vedere il disegno svolto. Per quel motivo quelle prime due ore, se non si contava la prima mezz'ora di storia dell'arte, erano state le ore migliori di tutta la giornata e, con tutte le probabilità, sarebbe andata avanti a definirle in quella maniera fino a quando non avrebbe fatto buio e i suoi occhi non si sarebbe chiusi per la stanchezza immane che l'avrebbe pervasa dopo una giornata tanto stancate come sarebbe stata quella.

Veronica si era stiracchiata sulla sedia ed aveva messo il disegno dentro alla cartellina, aveva sistemato i portamine nel loro astuccio insieme alla gomma che usava per il disegno e la gomma pane, poi, al richiamo di Giada, aveva frugato nelle tasche interne del giubbetto di jeans ed aveva preso delle monete per le macchinette, si era alzata ed aveva raggiunto la sua amica. Era stato facile legare con lei, straordinariamente veloce e particolarmente indolore, era stata simpatica anche a Lucrezia, che aveva voluto conoscerla in una video-chiamata (circa due settimane prima), poi, pregata da una e anche dall'altra, aveva fatto un gruppo con tutte e tre, che si era dimostrato anche più attivo di quello della classe, il che era tutto dire, perché come minimo venivano mandati mille messaggi al giorno.

La ragazza aveva osservato combattuta la macchinetta di fronte a lei, indecisa

«Tu che prendi?» si era girata verso Giada che, come lei, fissava il cibo confezionato dietro al vetro

«Credo solo qualcosa da bere, un tè penso.»

«Ti va se prendo le patatine e facciamo a metà?»

«Ah beh, a me va benissimo» Giada aveva ridacchiato, contagiando anche lei, poi aveva messo dentro i soldi ed aveva pigiato i tasti per la sua bibita, stesso aveva fatto Veronica per le patatine e poi insieme si era dirette di nuovo verso la loro aula;

«Spero che la verifica di matematica della settimana prossima non sia molto difficile» Veronica aveva mugugnato alla frase mentre apriva il sacchettino

«Di solito come sono?» Giada le aveva sorriso, aveva preso due tre patatine e si era appoggiata alla cattedra dietro di lei

«Come dire, non si ha nemmeno il tempo di respirare, ci sono così tanti esercizi che se non ti metti subito a farli e perdi troppo tempo va a finire che va male- aveva fatto una pausa per bere del tè e Veronica ne aveva approfittato per visualizzare mentalmente di quale morte sarebbe morta durante la verifica -poi beh, non so come sarà quest'anno, avremo la fortuna di usare la calcolatrice, ma non penso che le modalità diaboliche cambieranno- si era fermata ancora, sorridendo al niente -anzi, probabilmente ora metterà ancora più esercizi giustificandosi dicendo che avremmo un aiuto in più, da te come era?» Veronica aveva sorriso, riportando alla mente i ricordi delle fotocopie colme di esercizi e la tanto odiata tabella dei punti che spesso aveva odiato

«Avevamo abbastanza esercizi anche noi, ma si riusciva a respirare, almeno un po'- aveva cercato di scherzare, ma dentro di sé ricordava perfettamente il terrore che l'agognava ogni volta che guardava in sequenza prima l'ora e poi gli esercizi che ancora non era riuscita a fare -erano comunque terrificanti: spesso c'erano esercizi per i quali non ci aveva mai preparato o cose che non facevamo da così tanto che credevo di essermele dimenticate del tutto ad un certo punto.»

«Però avevi una media ottima no?»

«Sì, perché mi salvavo sempre con la logica, andando a tentativi il più delle volte, credo che se mia madre incontrasse la professoressa ci sarebbe una sottospecie di guerra fredda» il tono che aveva usato era stato tanto ironico che Giada aveva riso, rischiando anche di soffocare per via delle patatine che stava ancora masticando

«Oddio, che avete da schiamazzare come oche?» aveva visto Giada alzare gli occhi al cielo e cambiare espressione facciale in un attimo, per quanto riguardava lei, si era semplicemente girata verso un Leonardo con le braccia incrociate e le occhiaie profonde: la sera prima era rientrato tardi, ma lei non sapeva nulla di più se non l'orario inappropriato (parole di Angela) in cui aveva deciso di tornare

«Che c'è? La ragazza di turno non te l'ha mostrata e ora hai le palle tanto girate da tentare di farci venire il ciclo prima?» Veronica aveva sgranato gli occhi ed aveva tossito, per metà incredula e per metà orgogliosa. Giada era il tipo di ragazza che si mostrava dolce e gentile (con chi non tentava di rovinarle il buon umore giornalmente) ma che, all'occorrenza, sapeva anche mostrare una parte più grezza, e di solito sapeva sempre come equilibrare quei due lati, quando fermarsi prima e quando lasciarsi andare. Veronica aveva pensato che avesse deciso di lasciar correre quella volta, ma, evidentemente, si era sbagliata. Aveva visto Leonardo lanciarle uno sguardo che se avesse potuto l'avrebbe fulminata

«Non mi preoccupo, lei non so -Veronica aveva ricambiato lo sguardo che il ragazzo le aveva dedicato, almeno per pochi secondi, prima di tornare a guardare in modo gelido la ragazza di fianco a lei- ma di te so per certo che ti va all'incontrario, trenta giorni di puro rosso e al massimo due o uno di pausa eh? Ecco spiegato perché sei così insopport-» una mano gli aveva coperto la bocca, anche se non era di certo stata quella di Giada pronta a colpirlo con un pugno; gli occhi di Leonardo si erano subito girati verso un paio di verdi, gli stessi che Veronica aveva incrociato quasi un mese prima, li aveva riconosciuti perché avevano un taglio quasi felino

«Che ne dici di smetterla? Cominci a non essere per nulla simpatico»

«Mmhh» Veronica aveva sentito Leonardo mugugnare indispettito, mentre quel ragazzo, di cui non ricordava sinceramente il nome, continuava a tenergli la bocca serrata con la mano

«Perdonalo Giada, lo sai come è, lascialo perdere e basta -la sua amica aveva annuito, poi aveva lanciato un altra sguardo piano di odio a Leonardo e si era dileguata con la scusa di andare a buttare la bottiglietta di tè; Veronica l'aveva seguita con la sguardo fino a quando non era stata di nuovo catturata dalla nuova voce nell'aula- mi hai leccato? Che schifo!» lei aveva ridacchiato vedendo come il ragazzo avesse mollato la presa su Leonardo e si stesse pulendo la mano sui pantaloni di tuta neri

«Ma che ti è preso?» la voce del suo coinquilino era diventata roca

«Ma che è preso a te -le parole le erano sfuggite di bocca (ma in ogni caso non se ne era pentita)- Capisco che il tuo istinto di fare lo stronzo sia più forte di quello di trattenerti, ma diventi veramente insostenibile dopo un po', fattelo dire, in più, devi smetterla di prendertela con Giada»

«Vedi? Non sono solo io a dirlo» lei aveva sorriso al ragazzo senza nome, tuttavia questo era stato completamente ignorato da Leonardo, che si era limitato a guardare lei e a inclinare le testa di lato

«Sennò?» Leonardo aveva incrociato le braccia in segno di sfida e lei gli si era posta frontalmente, imitandolo, avvicinandosi quel tanto che bastava per farsi sentire solo da lui

«Smetto di fare io fisica e comincio a cucinare pasta al pomodoro tutti i giorni» il ragazzo aveva esitato, contrariato dalla possibilità di cominciare a cucinare lui, poi aveva alzato entrambe le mani, dichiarando resa

«Hai vinto, ma solo per un mese» Veronica aveva sorriso, riconoscendo ormai il tono ironico di quando stava scherzando senza sottintesi, ma era stata tentata comunque di mandarlo a quel paese. Il ragazzo dagli occhi verdi l'aveva guardata ancora, inclinando leggermente la testa, lo sguardo curioso

«Sei Veronica, vero? -era rimasta un attimo sorpresa, almeno in un primo momento, poi si era lasciata andare ad un sorriso ed aveva annuito, il ragazzo le aveva messo un braccio intorno alle spalle, quello l'aveva lasciata stordita, sorridendo a sua volta, sornione- Sei venuta al pranzo al sushi quel giorno giusto? Mi sembrava di aver già sentito la tua voce ma non ricordavo, poi ho collegato, io sono Andrea, il migliore amico di questo maleducato» a quel punto Veronica aveva collegato un paio di cose

«Sei quello che lo rende normale fino all'ora di punta? In quel caso credo di doverti costruire una statua»

«Ma tu così mi lusinghi» avevano riso e parlato per un paio di minuti, almeno fino a quando Leonardo non si era parato davanti a loro con le braccia incrociate ed aveva fissato Andrea per brevi secondi

«Guarda che la ricreazione è finita da minuti ormai, sai?»

«Ma io ho un ora buca»

«Ma io mica ti voglio qui» il ragazzo aveva riso, si era staccato da Veronica ed era andato da Giada per salutarla, in seguito, se ne era andato lasciando un saluto generale alla classe, (Andrea li conosceva poiché era stato un loro compagno di classe nei due anni precedenti, tuttavia aveva deciso di cambiare indirizzo durante quell'estate) e poi era scomparso oltre la porta, lasciando Veronica e Leonardo ad osservare una Giada rossa di imbarazzo.

Veronica aveva preferito non fare domande quando era tornata al proprio posto, ma dallo sguardo che le aveva lanciato la ragazza aveva già cominciato a capire qualcosa in più. Il professoresse era arrivato con una quindicina di minuti di ritardo, cosa che era già accaduta in precedenza e che la sua compagna di banco le aveva detto essere normale, ma che aveva fatto sì che le due ore successive fossero più intense e veloci. Avevano fatto una decina di minuti di corsa, dove avevano potuto tenere il cellulare per ascoltare la musica, anche se, quando aveva sentito il telefono vibrare attraverso la tasca dei pantaloni di tuta, Veronica non aveva potuto fare a meno di guardarlo di nascosto, cercando di rispondere ai messaggi di Lu il più in fretta possibile per non farsi vedere. Era da un po' di giorni che non riuscivano a sentirsi spesso, se non si contavano le poche volte in cui erano riuscite a parlarsi, anche la tipica intensità dei messaggi sul gruppo era svanita circa una settimana prima, quando la sua migliore amica aveva ricominciato gli allenamenti di pallavolo, che, se fosse stata a Bergamo, avrebbe fatto anche Veronica.

Era stata proprio Lu a farle scoprire lo sport, a farla emozionare e a rendere interessante una palla gialla e blu. Quasi le veniva da piangere se pensava a tutte le partite a cui avevano partecipato entrambe, quelle in cui avevano vinto, anche quelle dove avevano perso, erano tutti ricordi che riecheggiavano prima nel suo cuore che nella sua mente. Le mancava l'odore della palestra, le urla dell'allenatrice, il suono della gomma che si scontrava con il pavimento in parquet dopo una schiacciata, le mancava la sensazione di onnipotenza quando si faceva punto, quando il contapunti arrivava a venticinque, la sensazione della terra che le mancava da sotto i piedi quando riuscivano a vincere tre a zero, le mancava il peso allo stomaco del set-point, le mancava il nodo alla gola di quando era in battuta e voleva fare un ace; a tutti quei ricordi, inconsciamente, aveva stretto nella mano destra il telefono, tanto che, quando aveva rilassato la presa, ripresa la propria coscienza, si era sentita quasi in colpa per quanto aveva stretto, lo aveva rimesso a posto quando Giada le aveva dato una gomitata leggera. Qualcuno doveva aver ascoltato i suoi desideri e le sue lamentele, perché il professore aveva deciso di cominciare a ripassare i fondamentali della pallavolo, cosa che, inevitabilmente, l'aveva messa ancora di più di buon umore.

Finita la prima ora avevano avuto una decina di minuti di pausa, in cui il professore aveva deciso di parlare sia a lei sia ad una sua compagna di classe insieme ad una persona che non aveva mai visto. Era una donna abbastanza giovane, un poco in carne, il viso paffuto e l'espressione cordiale, ma assumeva una postura tale da essere tanto intimidatoria quanto bella

«Ragazze, lei è Alessandra Zanin, un'allenatrice, la domanda che stiamo per farvi è un po' affrettata, avrei dovuto chiedervelo settimana scorsa, ma come sapete sono stato male -Veronica aveva annuito, mentre la sua compagna aveva mormorato qualche "sì"- Quest'anno, oltre che per il basket, c'è un campionato scolastico anche per la squadra di pallavolo, servono un minimo di diciotto membri, ma sfortunatamente siamo arrivati a diciassette- aveva visto Alessandra annuire -La prima volta che ci siamo visti in classe mi avete detto di aver smesso di giocare da poco, quindi mi chiedevo, ci chiedevamo, se potesse interessarvi»

«Quanti allenamenti sarebbero?» Veronica aveva spostato il peso da una gamba all'altra, valutando quanto potesse essere fattibile, l'allenatrice le aveva sorriso

«Due o tre a settimana, generalmente sono di martedì e sabato, ma ogni tanto ne facciamo uno il giovedì» la sua compagna di classe, Alessia, aveva dondolato un poco sulle gambe

«A che ora?»

«Dalle diciannove alle ventuno; utilizziamo la palestra scolastica, quindi ci sarà anche il professore e alcuni bidelli, in più servirà l'autorizzazione dei vostri genitori». Veronica aveva annuito. Le sarebbe piaciuto, era una cosa che le mancava fare, quindi, in un primo momento, era stata propensa ad accettare senza pensarci, tanto che anche il suo corpo sia era mosso leggermente in avanti con consolidare la cosa, però, poi, le era venuto in mente che quello era il suo terzo anno, e che da quel momento tutto sarebbe stato valutato per l'esame di quinta. Se fosse stata a Bergamo quella questione forse non l'avrebbe nemmeno presa in considerazione: erano ormai sette anni che giocava in quella squadra ed era diventata la sua seconda famiglia, quindi abbandonare era fuori discussione per un obbligo morale che, anche se nella realtà non c'era, c'era perché se lo era imposto lei.

In ogni caso quei pensieri si sgretolavano come nulla se pensava a cosa potesse essere diverso, le compagne? L'allenatrice? Il posto? Si sarebbe potuta abituare a tutto, infondo era sua consuetudine fare ben tre allenamenti regolari a settimana, e se avesse avuto qualche problema avrebbe chiesto a Leonardo di aiutarla, ormai aveva imparato alcuni dei suoi punti deboli, come la pasta al pomodoro, fisica, i ragni... sì, avrebbe sicuramente trovato un modo di convincerlo se mai avesse deciso di entrare nella squadra. Aveva guardato ancora una volta Alessandra e il professore, che, tuttavia, era impegnato a rispondere ad una domanda di Alessia; Veronica si era sporta verso l'allenatrice che le aveva sorriso cordiale

«Per quando dobbiamo decidere?»

«Entro le tre di questo pomeriggio, oggi è l'ultimo giorno, poi lunedì dovremmo mandare una mail con tutti i dati, tra cui il numero di giocatori, agli organizzatori del torneo» Veronica aveva annuito e poi si era allontanata insieme ad Alessia, i dieci minuti si erano conclusi, la lezione aveva ripreso ed era andata avanti fino alle dodici.

La ragazza aveva spostato il peso da un piede all'altro, nervosa, mentre lanciava un'occhiataccia al sorriso sornione, falso, che Leonardo stava commissionando ad un gruppetto di cui lei aveva riconosciuto solo una ragazza, cioè quella a cui si era seduta affianco al pranzo di un mese prima. Aveva alzato gli occhi al cielo quando il secondo autobus era passato ma lei non aveva potuto fermarlo perché <> e invece, come minimo, erano venti minuti che Veronica se ne stava in piedi dalla fermata dell'autobus, a perdere le corse per rimanere ad aspettare "quello lì" come aveva scritto a Lucrezia pochi minuti prima. Stava attendendo una risposta, ma invece della vibrazione tipica del messaggio, il telefono aveva continuato per più secondi del dovuto, e quando lo aveva preso dalla tasca dei pantaloni, si era ritrovata davanti il soprannome della sua migliore amica. Aveva risposto, tanto per non ritrovarsi vari insulti, (che alla fine non erano insulti perché sia mai che Lucrezia Vanin, figlia di catechista, dicesse una parolaccia nella sua vita, a meno che quella parolaccia non fosse una parola inventata o 'palle'), nella loro chat; aveva portato il telefono all'orecchio

"Ei"

"Ei, ha finito?" Veronica aveva lanciato un'occhiata a Leonardo

"No, sta ancora parlando, arriveremo a casa alle due se continua così- Veronica aveva sospirato -Ora aspettiamo"

"Con calma"

"Perché ancora parla 'sto stronzo" Lucrezia aveva ridacchiato, ma poi era tornata seria

"Mi dispiace non esserci sentite in questi giorni"

"È normale, almeno per adesso, dobbiamo solo cercare di aggiustare gli orari"

"Ma a me dispiace comunque, mi manchi, manchi a tutti"

"Anche voi, ma al momento è così"

"Mhmh"

"Cos'è, sei triste? -Veronica aveva ridacchiato, ironica, e Lucrezia aveva ribattuto con ironia bofonchiando come una bambina- Magari un sabato pomeriggio riesco a venire su"

"Sarebbe fantastico! Comunque, io e Damiano ci siamo messi insieme" le sopracciglia di Veronica avevano fatto un guizzo verso l'alto

"Ma non eri tu quella che una settimana fa diceva che era un cretino?"

"Si è rivelato diverso"

"Ogni volta che dici così va a finire male"

"Non possiamo essere ottimiste?"

"Tra tre mesi mi pregherai di venire da te per consolarti"

"Ma smettila"

"Nessuno dei tuoi fidanzati supera i due, tre mesi forse sono esagerati, hai ragione" Lu aveva sbuffato, e probabilmente si era seduta a gambe accavallate

"Smettila!"

"Sì dai, mica è colpa tua se li trovi tutti coglioni" aveva palesemente sentito il sibilo di un 'come sei volgare' che l'aveva fatta sorridere

"Tu hai novità?"

"Mi hanno chiesto di entrare nella squadra di pallavolo della scuola"

"Fantastico!"

"Tu dici?"

"Non sei felice?"

"Certo che lo sono -Veronica aveva sospirato, il cuore le era sembrato vibrare quando aveva pensato ad una qualsiasi possibile partita- e non so nemmeno cosa mi fermi da dire sì, è un emozione così incoerente, io sono incoerente!"

"Hai paura?"

"Non è quello"

"E allora? Buttati! È più di un mese che sei lì, ma ancora non è cambiato nulla, ora hai una possibilità per mettere del pepe dentro a questa insalata insapore!"

"Stai paragonando la mia vita qui ad un'insalata?" Veronica aveva riso di gusto, piegandosi in avanti, aveva sentito varie risate anche dall'altro capo del telefono

"Oddio, non respiro" "Okok, riprendiamoci" "Non credo di farcela" Lu aveva continuato a ridere, e il suono delle sue risate, come il solito, aveva contagiato anche lei, quindi aveva ripreso a ridere, con una mano agli occhi perché le stavano venendo le lacrime

"Parlando seriamente -aveva sentito la sua migliore amica prendere un sospiro ampio- dovresti accettare; entro quando devi decidere?"

"Questo pomeriggio"

"E quanto ti hanno avvisato di questa cosa?"

"Un'ora fa circa"

"Ma farlo prima no?"

"Scorsa settimana il prof non c'era"

"In ogni caso, accetta"

"Ma non ho nemmeno le cose, e il primo allenamento è martedì"

"Vieni a prenderle oggi o domani!"

"Devo studiare"

"Ma se studi sempre, ogni volta che ho un momento libero la situazione è: 'Veronica ti va di parlare?' 'Sto studiando' 'Veronica facciamo chiamata?' 'Sto studiando' 'Veronica, guarda, sono morta!' 'Sto studiando'; ogni sabato, ogni domenica, ogni giorno, basta!" la ragazza aveva sospirato "Vedo cosa mi dice Angela, ok?"

"Perfetto, ora ti lascio, che è pronto il pranzo, scolla quell'energumeno dai sanpietrini eh" si erano salutate, e la ragazza si era girata ancora una volta nella direzione di Leonardo, ed aveva sorriso, esasperata, quando, finalmente, lo aveva visto avanzare verso di lei, non si erano scambiati molte parole ma avevano comunque dovuto aspettare altri cinque minuti per l'autobus. Quando erano saliti, tuttavia, non avevano trovato posti a sedere, così avevano dovuto piazzarsi nel mezzo, dalla vetrata più grande. Veronica si era dondolata sulle gambe, incerta, mentre con le mani si teneva al corrimano che aveva dietro alla schiena. Aveva preso un'altra volta il telefono, ed entra entrata nella mail di istituto, aveva deciso di ascoltare Lucrezia e accettare. Aveva fatto un email veloce e sintetica in cui comunicava al professore la sua decisione e l'aveva inviata; due-tre mesi prima non si sarebbe presa tutte quelle remore prima di accettare, avrebbe subito colto l'occasione ed avrebbe detto di sì appena la domanda le sarebbe stata posta, senza pensarci troppo, senza approfondire il perché sentisse delle incertezze, ma c'era stato qualcosa in quello che era successo, o per meglio dire cominciato, da metà luglio che le aveva posto un modo più rigoroso di pensare, e lei lo aveva recepito tanto da incanalare quel modo e renderlo proprio. L'autobus si era fermato di colpo e per poco non si era ritrovata anche catapultata dall'altra parte del mezzo, era stata maledettamente fortunata, perché il braccio di Leonardo, con ottimi riflessi, le aveva circondato la vita quando il conducente aveva sterzato troppo in fretta, fermandola dall'imminente caduta sul pavimento e tirandola verso di sé, schiacciandosela contro il petto

«Potresti evitare di cercare il suicidio? Morire in autobus non è una bella morte sai, soprattutto così» le aveva sussurrato arrogante e ironico, con il mento appoggiato sulla sua testa; Veronica aveva riso, la fronte appoggiata al petto ampio del ragazzo, aveva posizionato le mani aperte sulle sue scapole, ed era rimasta ferma in quel semi abbraccio.

C'erano stati altri momenti come quello, piccoli frammenti in cui tutto diventava intimo e caldo, come un abbraccio affettuoso, istanti in cui tutto era sfumato, provvisoriamente irrilevante, ed erano esistiti solo loro due. Erano diventati amici, all'incirca, spesso c'erano litigate anche per i motivi più futili, ma avevano imparato, grazie a quegli istanti, che alcune cose, cose stupide e talvolta senza senso, le conoscevano solo loro. Veronica sapeva perfettamente come Leonardo fuggisse e urlasse come una femminuccia alla vista di qualsiasi piccolo insetto (e la conseguenza era sempre che lei o Francesco dovevano prendere l'insetto e portarlo fuori), come nel suo caffè alla mattina ci fosse più zucchero che latte, aveva anche scoperto anche che era allergico al salame, e che per qualche dolorosa sfortuna era anche l'insaccato che gli piaceva di più, sapeva che preferiva l'ordine alfabetico a quello personale (perché se fosse stato per lui l'avrebbe cambiata ogni quindici giorni la disposizioni di quella maledetta libreria) e Leonardo sapeva che lei preferiva un film horror ad uno romantico, che quando era affamata apriva il frigo dieci volte anche senza mai prendere nulla, aveva anche scoperto come amasse, in un modo quasi disperato, qualsiasi film, libro o serie che parlasse di una scuola magica o di una accademia, e anche come, quando era triste, scaldasse il pane, tostandolo, e si facesse un panino con il tonno. Piccole abitudini che li avevano fatti avvicinare, anche se litigavano spesso per i motivi più futili, come, per banale esempio, il modo disordinato in cui il ragazzo lasciava i suoi vestiti in bagno quando si doveva fare una doccia. Veronica aveva alzato gli occhi sul viso del ragazzo e quasi si era sentita la faccia prendere fuoco quando aveva incrociato lo sguardo di Leonardo, lui le aveva sorriso, gentile, e si era appoggiato al vetro del finestrino mentre ancora la teneva abbracciata; lei aveva potuto percepire chiaramente i muscoli del suo addome contrarsi e, successivamente, rilassarsi appena i loro corpi si erano scontrati, poi, quando aveva rialzato lo sguardo per vederlo in volto, Veronica si era resa conto del divario che c'era tra le loro stature: Leonardo era alto, slanciato, superava quasi sicuramente il metro e ottantacinque, e per quanto Veronica fosse all'incirca metro e settanta o qualcosa in più, la differenza tra le loro altezze era almeno di quindici centimetri, e più vicini erano più chiaramente poteva percepire e vedere la differenza. Aveva spostato lo sguardo in avanti, verso la strada, e si era resa conto che erano arrivati, aveva premuto il pulsante per chiamare la fermata e si era staccata leggermente da Leonardo. Erano scesi poco dopo, ed avevano fatto la strada di casa quasi tutta in silenzio, anche perché Lucrezia e Giada avevano preso a scrivere sul gruppo, e l'avevano interpellata più volte di quante avrebbe voluto. Era stata costretta a risponder loro per frenarle. Appena arrivati a casa avevano trovato Akimi ad aspettarli fuori dalla porta, e Leonardo l'aveva presa in braccio, giocandoci un poco, ed aveva chiesto a lei di aprire la porta, ma era stata preceduta da Angela, che quel giorno fortunatamente era a casa, Veronica aveva guardato istintivamente l'orologio, ci avevano messo poco, relativamente, non contando i minuti che il ragazzo le aveva fattp perdere

«Ragazzi! -Angela si era spostata, lasciandoli entrare in casa- Come è andata oggi?»

«Bene»

«Cosa avete fatto?»

«Niente» Leonardo aveva continuato a coccolare la gatta, incurante, e si era diretto verso camera sua, fino a sparire dopo le scale

«Tutto bene?» Angela le si era avvicinata con fare materno

«Sisi, volevo parlarti» Veronica si era tolta lo zaino dalle spalle, appoggiandolo sul pavimento

«È successo qualcosa? -Sua zia aveva lanciato uno sguardo alle scale- Avete litigato?» aveva negato con la testa

«Nono, niente del genere, solo, mi hanno chiesto di entrare nella squadra di pallavolo della scuola, per il torneo primaverile»

«Che bello! Anche Leonardo l'anno scorso ha giocato, però era nella squadra di basket, dovrei chiedergli se quest'anno lo farà ancora» Veronica era rimasta un attimo sorpresa, ma si era ripresa subito

«Si ecco, ho accettato, il problema è che tutte le mie cose sono ancora a casa mia, e visto che non ci sono più tornata ho pensato di andarle a prendere domani, invece di farti spendere soldi per qualcosa che, in pratica, ho già -Angela aveva annuito un paio di volte- In più, visto che non ci vediamo da molto, ho pensato di passare il pomeriggio con la mia migliore amica»

«Lucrezia, giusto?»

«Sì, esatto» Angela aveva annuito, poi era parsa preoccuparsi

«Io tuttavia non posso accompagnarti perché ho dei post-operatori da seguire...»

«Non è un problema, posso prendere il treno»

«Non volevo mandarti da sola però... -era sembrata pensarci un paio di secondi, poi l'aveva guardata- Ti fa dispiacere se Francesco o Leonardo vengono con te? Tornerai tardi se ti fermi il pomeriggio, non mi va di saperti in un treno di notte da sola, e non è che non mi fido di te, è che di questi tempi le persone fanno veramente schifo»

«Nono, va bene, tranquilla, grazie mille» Veronica l'aveva abbracciata di slancio, Angela l'aveva abbracciata a sua volta ed erano rimaste così per un paio di secondi, poi Veronica si era diretta in camera sua per sistemare lo zaino. Si era cambiata, e poi era scesa in cucina, il sabato, come la domenica, era uno dei pochi giorni in cui riuscivano a pranzare tutti insieme alla stessa tavola. Il pranzo era passato tranquillo in un primo momento, e considerando che quella era una delle poche volte in cui riuscivano a mangiare tutti e quattro assieme era andata anche meglio di quanto si potesse immaginare: Veronica, Angela e Francesco avevano scherzato per tutto il tempo, Leonardo, invece, era sembrato frasi gli affari suoi (come se quello che veniva detto a tavola non lo toccasse minimamente, probabilmente era proprio così), tuttavia, quando sua zia aveva tirato fuori la questione "accompagnarla a Bergamo", improvvisamente, tutto si era fatto gelido. Francesco aveva sorriso, rivolgendosi a Veronica come se cercasse di scusarsi, anche se non aveva nulla di cui chiedere scusa, ed aveva negato qualsiasi possibilità, Leonardo aveva alzato in modo minimo e non curante un sopracciglio, come a dire "si, ok, quale è il punto?", dopo, quando probabilmente aveva recepito anche lui la negazione del fratello come consolidata, aveva alzato velocemente il volto, prima fisso sullo schermo del cellulare, ed aveva spostato lo sguardo da Angela a Veronica velocemente, come se stesse cercando di elaborare qualcosa, poi, come una bomba ad orologeria, era scoppiato, implodendo all'interno, quello si era capito dallo sguardo pieno di odio che aveva rivolto alla ragazza, ed esplodendo verso l'esterno, con le urla che erano susseguite a quel momento, dopo ciò, Leonardo non aveva più rivolto la parola nè a lei nè a sua madre, e si era chiuso in camera per l'intero pomeriggio. Veronica era rimasta confusa, leggermente scioccata, ed aveva preferito dileguarsi, preferendo lo studio all'atmosfera ancora calda di lite che aleggiava in cucina.

Quello, era il principale motivo del perché, in quel momento, circa alle nove del mattino del sedici ottobre, in treno, Leonardo stesse facendo il possibile e l'impossibile per non parlarle. Si era seduto un paio di posti distante da lei, si era messo le cuffiette ed incurante di tutto, di lei (soprattutto di lei), si era messo a guardare fuori dal finestrino, come se cercasse di dimenticare sia la presenza della ragazza sia ciò che non aveva potuto fare in quella giornata. Da quello che aveva capito era da settimane che doveva andare da sua nonna e suo zio per continuare a sistemare la sua moto, ma che non aveva mai potuto farlo perché <>, (a dire la verità si era sentita offesa in quel momento, più che altro perché a lei sembrava fossero arrivati ad un buon punto del loro rapporto, invece lui aveva demolito tutte le sue speranze sull'essere almeno amici in pochi secondi, Veronica aveva preferito rimanere zitta e non dire nulla che potesse complicare ulteriormente la situazione) e che quella domenica aveva deciso di continuare; per quella giornata si erano messi d'accordo giorni prima: la madre avrebbe dovuto accompagnarlo fino da sua nonna, dove avrebbe passato tutto il giorno, poi suo zio lo avrebbe portato a casa per l'ora di cena, avrebbe mangiato e poi sarebbe filato a dormire stanco, invece, tutto era sfumato per lei, in malo modo Leonardo aveva accettato, sottomesso al volere di sua madre, e quindi si era ritrovato con lei nel treno.

Poteva capire quello che provava, almeno in una minima parte, e, anche se avrebbe voluto tentare di sistemare le cose, aveva capito che la cosa migliore da fare era semplicemente non fare nulla. Si era seduta in un punto in cui lui poteva vederla e in cui lei poteva vedere lui, poi, si era messa le cuffie anche lei ed aveva scritto a Lucrezia, aveva preferito non scrive a nessuno il giorno prima, quindi, a parte dirle che sua zia le aveva dato il permesso, non aveva comunicato nient'altro alla sua migliore amica, che, fortunatamente, le aveva tenuto compagnia per tutta la durata del viaggio. Avevano ricavato del tempo per loro facendo un piano di quello che sarebbe potuto accadere in quella giornata e alla fine si erano accordate per mangiare qualcosa verso l'una e passare il pomeriggio insieme fino alle otto circa (visto che erano già a metà del viaggio e, considerando gli scambi, sarebbero arrivati verso le dieci e mezza o giù di lì, salvo i vari possibili ritardi che ci sarebbero potuti essere). La presenza di Leonardo era stata un poco di intralcio all'inizio, visto che nessuna delle due l'aveva messa in conto il giorno prima, ma Lucrezia aveva avuto la pessima, a detta di Veronica, e magnifica, a detta di Lu, idea di invitare anche Damiano e di farli conoscere, in modo che Leonardo non rimanesse a guardarle o ad ascoltarle senza fare niente ed annoiarsi. Veronica aveva tentato di dissuadere la sua migliore amica, cercando di convincerla che l'umore di Leonardo, quel giorno, non fosse appropriato per fare troppe nuove conoscenze e comportarsi educatamente con qualcuno, ma Lu era stata tanto testarda e irremovibile che alla fine Veronica aveva ceduto, nonostante sapesse che tutto quello avrebbe solo peggiorato la situazione già in bilico che c'era tra loro due. L'unico, vero, problema era trovare il modo di parlare con Leonardo in modo civile, senza farsi urlare contro o ritrovarsi a sbraitare in mezzo alla strada, sperando che non cercasse di ucciderla.

Erano partiti da casa piuttosto presto, alle sette e quarantacinque erano arrivati in stazione, ed avevano preso subito un treno, anche se quello non li aveva risparmiati alle tre ore buone che avevano fatto tra scambi e cambi, alla fine, quando erano scesi, erano circa le undici, e lui non le aveva ancora parlato.

Il ragazzo era sceso per primo, si era tolto le cuffiette e si era girato verso di lei, poi, con noncuranza, si era sollevato il cappuccio della felpa ed aveva messo le mani nelle tasche, l'aveva guardata scendere dal treno e poi, quando lei aveva cominciato a camminare verso l'uscita della stazione, aveva cominciato a seguirla; una volta fuori, superate le porte della stazione e mosso il primo passo verso la strada, il vento freddo le aveva accarezzato i capelli, spostandoli leggermente all'indietro, muovendoli, alzandoli, abbassandoli, se li era tenuta fermi, o almeno aveva tentato, il sole caldo le aveva sfiorato il viso, illuminandole gli occhi, che si prestavano ad essere confusi, un velo tristi, ma saccentemente determinati, poi, un po' in automatico, visto che era ancora un gesto per lei solito, aveva cominciato a camminare verso casa sua, con Leonardo che, un passo dietro di lei, la seguiva con un cipiglio confuso.

Veronica aveva avuto tre case a Bergamo, tutte vicine tra di loro a parte l'ultima, perché sua madre al tempo odiava cambiare troppo le carte in gioco. In una, situata vicino alla stazione, aveva vissuto fino ai cinque anni, era un appartamento piccolo, a due piani, dai toni freddi, moderni, e l'aria elegante. Il profumo dolce di sua madre si mischiava con l'aroma frizzante dello shampoo alla menta e limone di suo padre, creando un unione di fragranze che dava all'intero appartamento una parvenza di calore, quei profumi sembravano colorare le pareti grigie di qualche tinta allegra, dando origine ad uno dei posti in cui lei era stata felice, poi, un bel giorno di quando aveva quattro anni era arrivata sua sorella, Alice, e da quel momento non era stato più possibile vivere in quella casa.

Si erano trasferiti in un altro appartamento, uno ad un piano solo, le pareti della cucina, ora divisa dal salotto, erano di un rosso bordeaux accesso, e, a differenza dall'altra, sembrava attirare le persone ai fornelli e convincerli a cucinare sempre cose nuove (in quella stanza lei e suo padre avevano combinato tanti di quei disastri  che nemmeno ore di pulizie erano riuscite a pulire tutto), i mobili erano bianchi, sempre pieni, e il tavolo era di vetro, che era sempre stato utilizzato per fare i compiti o spandere cibo; il salotto era bianco, il mobile-libreria di legno si ergeva ad arrivare fin quasi al soffitto e prendeva una delle quattro pareti della stanza, in un altra c'era la collezione di fiori di sua madre, una era inutilizzabile perché portava alla terrazzata tramite delle porte di vetro, e la terza era occupata da uno dei due divani e la porta per entrare nel corridoio delle camere; quell'appartamento ne aveva ben quattro, e in una di queste (con più precisione, la camera dei suoi genitori) c'era anche un bagno, in più, aveva un parco giochi vicino.

Erano stati bene lì, anche se suo padre aveva cambiato lo shampoo e non c'era più il solito profumo dolce-frizzante ad accoglierla quando tornava da scuola, anche se sua madre era diventata più gelida e il profumo dolce era stato sostituito da uno che sapeva di eucalipto e sandalo. Poi, quando aveva dodici anni, dopo un'infanzia alla contrassegna della felicità, era avvenuto quello che tutti avevano definito "la tragedia della famiglia Lisi".

Veronica stava leggendo quel pomeriggio di Dicembre, perché, come tutti i giovedì, anzi, per meglio dire, come, quasi, tutti i giorni, aveva finito i compiti entro le cinque e le era rimasto più di metà pomeriggio per fare quello che voleva. Aveva preso l'abitudine, dall'anno prima, di cominciare a fare i compiti appena dopo mangiato, con la mente libera e nessuna preoccupazione per il numero di esercizio e il troppo poco tempo che aveva per farli, così, al contrario di molti dei suoi compagni di scuola, lei riusciva sempre ad avere i pomeriggi liberi per fare quello che più le conveniva: leggere, scrivere, guardare la televisione, un anime, qualche episodio di una qualsiasi serie tv. Nessuno le poteva dire nulla, perché i compiti erano fatti, le relazioni erano scritte, i temi erano stati composti, e i voti ottimi erano elencati nel registro elettronico, né sua madre, tentata dalla perfezione delle cose, né suo padre, la potevano incolpare di non studiare o di non adempiere al suo dovere di studente, come diceva sempre sua madre; ciò, però, non si poteva dire per Alice. Aveva otto anni, una folta chioma castana sempre perfetta, gli occhi azzurri, innocenti, di chi mai avrebbe fatto qualcosa di male, ma il sorriso acuto, furbo, di chi sapeva come mentire e imbrogliare tutti con pochi gesti; Alice era il suo opposto, cominciava i compiti quando lei li finiva, e se tutto andava bene, riusciva a finirli prima delle nove di sera, aveva almeno due materie in cui i suoi voti tendevano più al cinque che al sei, si concentrava poco e si faceva distrarre dalle cose più inutili, era fissata al tablet con l'attak e sembrava che Ludmilla, di violetta, fosse la sua guida nella vita. Caratterialmente, poi, era peggio: se Veronica aveva preso la parte più logica, (quella che si sarebbe potuta definire "da lavoro") dei suoi genitori, quella concentrata sulle cose di sua madre, quella che sapeva come essere in ogni situazione di suo padre, come cambiare in base a chi si trovava davanti, quella che non si lasciava scoraggiare e che, finché non lo raggiungeva, non staccava gli occhi dall'obiettivo, sua sorella invece aveva preso la parte irrazionale, (quella "da casa"), quella parte arrogante che usciva quando sua padre discuteva al telefono, quella parte indecisa, sempre in dubbio, ma intestardita tanto sulle proprie convinzioni da far scoraggiare tutti, quella che non ammetteva di avere torto e quella che non prestava attenzione a nulla e che ignorava tutto e tutti. Litigavano sempre, in continuazione, e gli unici momenti in cui non erano in conflitto era quando Alice aveva danza e quindi non era in casa, e fortunatamente, Alice aveva danza proprio giovedì (e martedì). La ragazza aveva staccato gli occhi dal libro sbuffando, i capelli scuri si erano mossi per il movimento del volto e gli occhi chiari avevano cercato l'orologio alla parete, erano già le otto e nessuno era ancora rientrato; Veronica si era alzata, affamata, ed era andata in cucina, aveva preso del pane e l'affettato e la verdura dal frigo, poi aveva aperto il freezer ed aveva tirato fuori dei bastoncini findus e le olive ascolane, aveva aperto il forno e tirato fuori la teglia, ordinatamente aveva posizionato il cibo surgelato ed aveva impostato il programma per cucinarlo, poi, con lo stomaco che brontolava, si era fatta un panino ed era tornata a leggere. Non era insolito che sua madre tornasse tardi, lavorava in un agenzia e c'era sempre del lavoro da finire, delle scartoffie da riempire o qualcosa da compilare, e se le otto ore lavorative non erano bastate per finire rimaneva comunque a lavoro e poi rientrava tardi, invece, la cosa anomala di quel giovedì era che suo padre ed Alice non fossero ancora rientrati, aveva anche provato a chiamarlo, ma lui non aveva risposto, che sua sorella finisse più tardi gli allenamenti quel giorno? Forse Alice glielo aveva anche detto ma lei si era dimentica? Era una cosa possibile, visto che ogni tanto le parlava mentre faceva i compiti e non riusciva sempre a concentrarsi su entrambe le cose, ed ogni tanto dimenticava o l'una o l'altra. Aveva fatto spallucce, ed era tornata a leggere. Poi, il telefono era squillato, e Veronica aveva posato gli occhi sullo schermo dello cellulare con un po' di diffidenza, tuttavia, quando aveva visto chi la stava chiamando, suo padre, aveva preso lo smartphone ed aveva risposto, ma non aveva sentito nulla, se non il suo nome e uno schianto; era stato così potente da farla sobbalzare, da incendiare il sangue nelle sue vene di puro terrore. Si era premuta il telefono contro l'orecchio ed aveva provato a sentire qualcosa, era rimasta in attesa una decina di minuti, ma aveva sentito solo cigolii inquietanti e rumori di cose che cadevano, poi, la telefonata si era chiusa. Il cuore sembrava scoppiarle nel petto e il nodo alla gola non le dava modo di pronunciare nessuna delle molte parole che giravano nella sua mente in quell'istante. La porta di casa si era aperta, poi chiusa, il rumore della giacca di sua madre posata sull'attaccapanni avrebbe dovuto essere rassicurante, il suono dei suoi tacchi sul pavimento altrettanto, il suo profumo, che la seguiva in qualunque posto lei andasse, avrebbe dovuto tranquillizzarla, ma quando sua madre aveva pronunciato il suo nome Veronica nemmeno l'aveva sentita. Si era sentiva scottare, come se fosse stata giorni sotto al sole di luglio, le orecchie aveva cominciato a pulsarle, a farle male, stare seduta aveva cominciato a darle fastidio, la faceva sentire impotente, come se qualcuno cercasse di trattenerla dal fare qualcosa in cui voleva assolutamente riuscire, dentro di sé, un dolore crescente si contorceva, si attorcigliava e si dimenava per riuscire ad uscire, poi, come una folgore a ciel sereno, le lacrime erano uscite incontrollate, forse erano passati minuti, o forse ore, ma quando il telefono di sua madre aveva suonato, producendo la melodia di una delle poche canzoni che piacevano a quella donna, Veronica si era sentita ancora più impotente, poi, era stato come se delle mani invisibili cercassero di strozzarla, il suo respiro si era fatto più pesante, incontrollato, la stanza era parla girare, come se fosse a Gardaland e avesse deciso di fare la casa di prezzemolo, e dopo, l'aveva colpita un senso di nausea così forte che aveva pensato che avrebbe vomitato in soggiorno. Mille domande cercavano di trovare una soluzione razionale nella sua mente, ma nulla, di quello che aveva sentito, lo era stato; sapeva che erano andate all'ospedale, sapeva di aver parlato con una donna, sapeva di essere stata portata in una stanza a parte, ma poi, dopo quello, il buio e la frase che, per sbaglio, aveva sentito dire da alcune infermiere; erano morti, entrambi.

Pochi giorni dopo quell'avvenimento, avevano cambiato un'altra volta casa; la terza era una casa di simili dimensioni alla prima, forse leggermente più grande; la cucina aveva i muri bianchi e i mobili in legno di ciliegio, il salotto, rosa salmone, all'inizio era stato vuoto per un bel po' di tempo, sua madre aveva buttato via tutti i mobili che avevano utilizzato nelle altre case, e non era rimasto nulla, nemmeno gli elettrodomestici; Veronica era riuscita a nascondere e salvare i libri e qualche fotografia, ma tutto, dal suo letto ai peluche era stato buttato via. La sua camera era stata rifatta da zero, ed avevano anche fatto buttare giù un muro perché, se l'avessero lasciata così come era, più Veronica sarebbe diventata grande più quella stanza sarebbe somigliata allo stanzino dove dormiva Harry Potter, quindi, oltre alla stretta porta di vetro che conduceva alla terrazza, Veronica aveva avuto un altro paio di vetrate scorrevoli, che rendevano la sua stanza quella più illuminata di tutte, l'aveva anche fatta dipingere di verde pastello, perché il bianco su molte pareti era stato sostituito da un grigio dovuto alla polvere. Aveva vissuto bene anche lì, le mura erano state spettatrici di pianti, di urla, di liti e di pensieri confusi, ma nonostante quello, e soprattutto per quello, era un posto chiamato casa, un posto dove lei poteva tornare e sentirsi in pace con sé stessa, era un posto dove era libera di fare quel che voleva e dove aveva condiviso momenti importanti con persone importanti, quello era diventato il suo posto sicuro, la sua tana; i colori caldi, soffici, le davano sempre un senso di sicurezza ogni volta che entrava, ed era proprio così che si era sentita anche quella volta.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Il sole di ottobre ***


La luce del sole sorgeva placida all'orizzonte, illuminando annoiata ciò che si ritrovava davanti, si posava tiepida sui cofani delle macchine, sui muri delle case, sui tetti dei palazzi, passava oltre le tende delle finestre, si infiltrava nei soggiorni delle case, creando delle figure scomposte sui piani dove il suo pigro illuminare veniva interrotto da qualche oggetto. Sorgeva piano, andava con calma, e man mano, sempre più luce filtrava, sposandosi su capelli, palpebre, braccia, cuscini; il tiepido tepore si faceva sempre più intenso, fino a scottare sui corpi vivi su cui si fermava incurante. All'inizio quella luce sembrava pacata, timida, si posava tanto leggera da non sembrare nemmeno esserci, poi, come un pugno nello stomaco, si faceva spavalda, illuminando con più sicurezza ciò che prima aveva solo sfiorato pacatamente, la luce colpiva con prepotenza le pareti delle case, i vetri delle finestre, i balconi e le serrande chiuse, si posava arrogante sugli occhi chiusi delle persone e splendeva in sintonia col suono incessante delle sveglie. Si ritirava poi dietro ad un paio di nuvole chiare, che annunciavano buon tempo, e regalava attimi di pausa ben goduti, attimi in cui gli occhi vibravano, le schiene si giravano, le lenzuola frusciavano mentre venivano tirate in avanti, e poi tornava, continuando quella sua danza. Aveva danzato anche su di lui, in modo totalmente diverso rispetto a come lo aveva fatta sulla sua compagna, (perché lei era dentro e lui era fuori, perché lei si copriva mentre lui si scopriva). Su di lei era stata gentile, la luce si era calata cortese, filtrata da serrande e tende, lungo il suo corpo semi-nudo, rivelando piano le fossette di venere, i fianchi pronunciati, la curva delle spalle spigolose, la rotondità del seno schiacciato contro il materasso e il suo naso alla francese, (il resto del suo corpo era stato celato dalle coperte beige, posizionate proprio da lui per coprire entrambi del fresco della sera). 
Su di lui invece era stata scortese; si era alzato prima dell'alba, era incespicato su scarpe, vestiti e mutandine, che non appartenevano di sicuro a lui, prima di trovare il proprio intimo, se lo era dovuto infilare alla cieca, facendo il minimo rumore possibile per non svegliare lei, e poi era uscito sulla terrazza di quell'appartamento. Si era appoggiato contro la ringhiera con le braccia, i muscoli contratti per l'aria fredda che soffiava e poi era sorto il sole. 
La sua luce si era posata su di lui calma, regalandogli un tiepido tepore, gli aveva illuminato le gambe lunghe, le cosce toniche, il tessuto scuro dei boxer, i muscoli addominali accentuati dalla posizione, le spalle larghe e gli occhi di quel marrone tanto chiaro, si era spostato un poco più indietro, tornando dritto con la schiena e quella luce, permalosa, lo aveva seguito, facendosi più intensa, più sicura, illuminando il suo intero corpo, e ogni minuto che passava era un po' di luce in più su di lui. Francesco si era appoggiato piano al muro esterno dell'appartamento man mano che il sole si innalzava nel cielo, aveva incrociato le braccia al petto, beandosi del calore che cominciava a disperdersi sul suo corpo, gli colpiva prima il petto, e poi scorreva lungo le sue spalle, giù per le braccia fino ad arrivare ai polpastrelli delle dita, che gli sembravano quasi formicolare, ma probabilmente quella era solo una sua illusione. 
Aveva sentito i passi leggeri di Cecilia avvicinarsi, poi la porta finestra si era aperta, e la sua ragazza, vestita solo della sua maglietta, aveva sporto busto e viso oltre il vetro, girandosi verso di lui, in cerca di lui. Il suo sguardo scettico si era spento, ed era stato sostituito da uno più dolce. Lui sapeva che lei avrebbe voluto dire qualcosa, lo capiva dal modo nervoso in cui tratteneva il labbro inferiore nei canini, ma sapeva anche che avrebbe taciuto, consapevole che la scelta del silenzio quella volta non fosse sinonimo di litigio. Era solita parlare tanto, incessantemente, continuamente, a tratti in modo fastidioso, obbligandolo a farla tacere. Lei cercava di limitare i silenzi imbarazzanti, come se si sentisse in obbligo di parlare. Quella volta non aveva spiccicato parola, si era accoccolata tra le sue braccia ed era rimasta lì con lui, accettando che il silenzio fosse più essenziale delle parole. Il sole a quel punto aveva illuminato entrambi, e loro avevano sorriso. L'uno aveva abbassato il viso e l'altra lo aveva alzato, si erano guardati negli occhi, contemplandosi, poi, dolcemente, Francesco l'aveva fatta girare tra le sue braccia. Circondandole i fianchi, accarezzando la sua pelle da sopra il tessuto della sua maglia, le aveva baciato la guancia in modo delicato, tanto che lei aveva creduto di esserselo sognato, poi, come la luce di quel sole d'ottobre che assumeva sicurezza, anche i baci del ragazzo erano diventati più certi. Si era spostato lentamente dalla sua guancia alle sue labbra, e l'aveva baciata. Aveva percepito chiaramente le mani di lei risalire lungo il suo addome, su cui si erano posate, proseguire sul suo petto, sulle spalle, si erano allacciate intorno al suo collo, e poi si erano infilate gentili nei suoi capelli, scompigliandoglieli. Il mondo intorno a loro era sembrato vorticare e perdere importanza. Lui si era staccato, lasciandole un bacio a stampo prima di appoggiare in modo naturale il mento sulla sua spalla, erano rimasti in silenzio ancora mentre lei gli accarezzava dolce la nuca e giocava con i suoi capelli, arricciandoseli intorno alla dita; aveva respirato l'odore del suo balsamo, beandosene, poi, istintivamente, l'aveva stretta un poco di più a sé, attento a non farle male. 
Le aveva baciato il collo, leggero, mentre le accarezzava le cosce, i fianchi, era risalito fino alla vita e si era fermato lì, aumentando la presa ad ogni mugugno di disappunto quando staccava le labbra dalla sua pelle. Le aveva sorriso addosso, divertito, e l'aveva sentita sussurrare qualche, poco velato, insulto contro di lui, l'aveva baciata a stampo ancora una volta prima di staccarsi da lei, sorridendole, facendola sorridere. 
Erano rientrati dentro poco dopo, a tratti costretti dal vento gelido che aveva cominciato a soffiare, un po' perché si stava facendo tardi e loro avrebbero dovuto andare a scuola quel martedì.

La sera prima, dopo aver capito che Veronica e Leonardo avrebbero continuato a litigare, aveva deciso che gli serviva un po' di pace, e quindi, senza nemmeno pensarci, dopo aver preso la cartella e un paio di pantaloni, si era diretto a passo spedito fino a casa di Cecilia. Lui non sapeva cosa fosse successo tra quei due domenica, poteva capire i motivi per i quali suo fratello fosse scontroso, irritabile, poteva capire anche i motivi di Veronica, ma non quelli per i quali entrambi dovessero litigare tutte le volte che si vedevano, ormai da otto giorni consecutivi, decisamente no. Non era sano, non era normale e a lui stava cominciando a venir meno la pazienza. 
Sentiva Veronica sfogarsi in chiamata ogni volta che ne aveva la possibilità e vedeva Leonardo uscire alle tre di pomeriggio per poi tornare di sera o di notte fonda, in cui per tutte quelle ore aveva preferito la compagnia dei suoi amici al minimo tentativo di chiarimento, e ciò gli regalava della graziose strette al cuore che lo perseguitavano ogni volta che i due alzavano la voce. Aveva pensato molte volte, appena la ragazza era arrivata nella loro casa, che una situazione del genere potesse palesarsi all'inizio, visto che nessuno conosceva nessuno e tutto era poco equilibrato, ma avevano convissuto come persone normali, ed aveva pensato, sbagliando, che si fosse instaurato una sotto specie di equilibrio, tuttavia, si era dimostrato tanto precario da cedere in meno di un giorno. 

Francesco aveva sospirato, sopraffatto dai suoi stessi pensieri, e si era regalato un attimo di pausa prima di alzarsi di nuovo in piedi. Aveva alzato il viso verso Cecilia che, ferma davanti a lui, lo guardava con uno sguardo preoccupato 

«Stai bene amore? -Francesco aveva annuito, le aveva sorriso, e le era andato incontro per posarle un leggero bacio sulle labbra- Lo sai che puoi parlarmi di tutto...» lei aveva lasciato la frase in sospeso, colta alla sprovvista quando lui le aveva posato una mano sulla testa, scompigliandole di poco i capelli

«Si, lo so, tranquilla -il ragazzo aveva recuperato la cartella, mettendosela sulle spalle. Ne aveva sentito il peso sulla schiena, ed era stato quasi tentato di alzare gli occhi al cielo, posare la cartella e trascinare la sua ragazza nel letto per fare cose più interessanti di, beh, qualsiasi cosa avessero fatto a scuola quel giorno- Ora andiamo, che anche se c'è la fermata davanti casa tua non mi fido degli orari» lei aveva ridacchiato, si erano presi per mano ed erano usciti dall'appartamento. 

La sua ragazza viveva in un complesso di condomini fuori le mura, la finestra della sua camera aveva parte della visuale sul Put*, sul parco, aveva vicino due diversi ristoranti di sushi, una pizzeria, una pasticceria, una palestra, per fino le scuole, anche se nessuna di quelle era la loro. Uscire da quel complesso non gli piaceva mai, l'odore di smog lo colpiva in faccia e ogni volta si ritrovava a tossire, il rumore dei clacson gli frantumava i timpani, la pista ciclabile rischiava di far morire almeno quattro persone contemporaneamente e sentiva volare tante bestemmie da far venire giù tutto il paradiso, (quella era, nella sincerità dei fatti, un esagerazione), attraversare era una sottospecie di impresa impossibile, per quanti semafori potessero esserci, gli automobilisti andavano sempre un poco troppo velocemente, quindi anche raggiungere la fermata dall'altro lato della strada era un impresa. 
Francesco si era ritratto ed, allungando un braccio, aveva fermato anche Cecilia, che, inconsapevolmente, stava attraversando, senza vedere la macchina che correva a tutta velocità sulla curva 

«Deficiente...» lo aveva sussurrato con astio, incapace di trattenersi, poi, dopo aver controllato altre due volte, aveva attraversato la strada, seguito a ruota da Cecilia, che saldamente gli teneva una manica della felpa. 

Giada li aveva raggiunti due minuti dopo, aveva visto la ragazza sorpresa di vederlo, tanto che all'inizio c'era stato un piccolo momento di imbarazzo, ma alla fine avevano conversato pacificamente per un paio di minuti, o almeno, il tempo necessario perché l'autobus arrivasse. Si erano seduti sui posti da quattro in fondo, Francesco era riuscito a scorgere Andrea e gli altri due migliori amici di suo fratello in mezzo al mezzo, ma ormai era troppo tardi per riuscire ad andare da loro. Si era limitato a prendere uno degli auricolari che Cecilia gli aveva offerto e a lanciare occhiate alla strada quando ne aveva la possibilità. 
Era preoccupato, soprattutto per Veronica; conosceva suo fratello, sapeva quanto poteva essere cattivo se prendeva una persona in antipatia, e non voleva che mostrasse il peggio di sé proprio con lei, che non meritava, almeno dal suo punto di vista, una dose di rancore come quella che Leonardo stava cominciando ad accumulare per lei. 

Quando la ragazza era entrata nel mezzo, il sole d'ottobre le aveva illuminato il volto, illuminandola, e Francesco aveva seguito quella luce fino ad incontrare gli occhi stanchi di Veronica. Il ragazzo in un primo momento aveva alzato il braccio in modo quasi entusiasta, invitandola a venire verso di loro, poi, aveva tentennato, quando aveva percepito nei movimenti di lei tanta di quella spossatezza da fargli dubitare, in modo serio, che avesse una qualsiasi voglia di parlare con qualcuno. 
Lei si era avvicinata solita, mentre la luce accompagnava i suoi passi, e si era seduta di fianco a Giada. Francesco aveva rivolto uno sguardo indietro, verso il fratello, che era entrato poco dopo la ragazza. 
Leonardo lo aveva guardato, rivolgendogli uno sguardo scocciato, e si era diretto a passo pesante, nell'ombra della luce che illuminava Veronica, verso i suoi migliori amici, che, mezzi preoccupati, lo avevano accolto con evidenti parole gentile, anche se evidentemente, dai gesti e dalle espressioni, suo fratello li aveva zittiti con parole dure. Francesco si era nuovamente girato verso Veronica, nel mentre, aveva incontrato anche lo sguardo duro di Cecilia, aveva sospirato, portando i gomiti alle ginocchia e massaggiandosi le tempie con gli indici e i medi. 

Cecilia non era cattiva, o gelosa perché possessiva, era gelosa poiché insicura; un po' di sé, un po' del suo aspetto. A volte pareva essere sempre alla ricerca di un modo per piacergli di più, cosa totalmente errata visto che lui l'amava così come era. 
La presenza di Veronica, tuttavia, aveva peggiorato tutto, instaurando in lei una gelosia che non le era mai appartenuta, e che ora faticava a togliersi di dosso. Non avrebbe voluto odiare la ragazza, Cecilia lo aveva confessato un paio di volte, ma ogni volta che la vedeva il suo stomaco bruciava come se avesse bevuto qualche acido e sentiva le budella contorcersi dal fastidio; più la vedeva più pensava al fatto che vivesse col suo ragazzo, che fossero quasi sempre soli, e che lui sembrasse nutrire una simpatia per lei. 
Odiava il modo in cui Francesco si preoccupava o il modo in cui la guardava, anche in quel momento, disprezzava in maniera quasi folle pensare a loro che cenavano insieme o che guardavano un film, loro che scherzavano e ridevano l'uno di fianco all'altro, immaginarli e vederli vicini la faceva impazzire, e detestava con tutta sé stessa vedere nella sua mente quelle immagini, che come un film le scorrevano davanti agli occhi in modo ripetitivo e incessante, facendole venire il voltastomaco. 
Il cuore le si stringeva in una stretta tanto ferrea da farle male, da farle desiderare che Veronica si sentisse nel suo stesso modo, che provasse il suo stesso fastidio e il suo stesso dolore, la provocava e la guardava male per quello. Cecilia non voleva quello per sé e per la ragazza, desiderava in modo disperato smettere di soffrire per quel genere di cose, avrebbe voluto controllare se stessa di più, attenuare quei suoi sentimenti, soffocarli e conoscere Veronica per quella che era, andando oltre il suo ragazzo o la loro amicizia, eppure, era tanto debole e fragile da lasciarsi sopraffare e cedere alla gelosia appena la vedeva. La situazione poi era peggiorata ulteriormente quando Veronica si era aggiunta alla squadra di pallavolo, squadra di cui Cecilia era il capitano. Era stato traumatico per lei trovarsela davanti il martedì prima, aveva invidiato tutto di lei, gli occhi chiari, la carnagione nivea, le dita affusolate, le cosce magre; si era sentita inferiore tanto da disgustarsi. Poi era arrivato il colpo di grazia, quella ragazzina sapeva giocare meglio di lei nel suo stesso ruolo, nel ruolo in cui si era sempre sentita forte, in cui aveva sempre pensato di essere la migliore. 
Ci aveva messo anni per migliorarsi, per entrare in sintonia completa con la squadra, per riuscire a capire tutte con una sola occhiata, ma la sua passione, il suo amore e il suo impegno per lo sport non avrebbero mai eguagliato l'affinità che c'era tra Veronica e il ruolo di alzatore, per quanto ci provasse, le era impossibile. Era Cecilia la più forte in quel momento, ma si sentiva più debole che mai di fronte a lei, e lo sapeva, lo sapeva che prima o poi i loro ruoli si sarebbero invertiti, che lei, da protagonista, sarebbe passata a comparsa, ad ombra, ma sapeva anche che quando quel momento sarebbe arrivato lei avrebbe avuto pace, era giusto così. 
Se ne doveva solo convincere. 
Aveva stretto convulsamente il tessuto della felpa, tirandolo e facendo sbiancare le nocche delle sue mani. Anche quel giorno era martedì, e anche quel giorno avrebbe dovuto vederla giocare, e quel pensiero la faceva sentire tanto male da desiderare di darsi malata, per una volta. Il modo in cui quella ragazza la faceva sentire le dava più fastidio di qualsiasi altra cosa, per questo, la sua curiosità e il suo timore verso di lei aumentavano ogni volta che la incrociava. Francesco aveva incrociato lo sguardo di Cecilia, e in un attimo, aveva capito esattamente quello a cui la ragazza aveva pensato, perché era esattamente quello che aveva pensato lui. Quasi in automatico, senza pensarci, la sua mano si era diretta su una della ragazza, ancora stretta intorno alla felpa, l'aveva calmata, facendogliela aprire e accarezzando le linee del palmo con i polpastrelli delle dita, lei lo aveva guardato, accarezzando con lo sguardo i contorni del suo viso. 
Aveva chiuso gli occhi quando lui le aveva baciato la fronte, beandosi del contatto leggero delle labbra del fidanzato contro la propria pelle, e lo aveva guardato negli occhi quando si era staccato. Avrebbe voluto baciarlo, come lui avrebbe voluto baciare lei, ma non era il tempo, non era il luogo, entrambi, nelle proprie menti, si erano ripromessi di farlo il prima possibile. Cecilia aveva posato gli occhi oltre la spalla del suo ragazzo, guardando con remora lo sguardo abbattuto e spendo di Veronica, si sarebbe anche spinta verso di lei per chiederle cosa era successo, ma Giada l'aveva preceduta, e, quando gli occhi chiari della ragazza avevano incontrato i suoi scuri, aveva indurito il volto, regalandole la solita espressione di sempre, (anche se dentro di sé si stava chiedendo i motivi di quello sguardo), alla quale Veronica non aveva risposto, limitandosi a tornare con lo sguardo sulla sua migliore amica. 
Cecilia si era rivolta nuovamente a Francesco, che a sua volta si era rigirato, poiché incuriosito da cosa guardasse la sua ragazza si era girato anche lui 

«Cos'ha?» lo aveva sussurrato, in modo che lo sentisse solo lui. Aveva visto Francesco sospirare, sembrava abbattuto

«Lei e Leonardo litigano da otto giorni, tutte le volte che si vedono -Cecilia si era sorpresa, tanto che aveva anche sgranato di poco gli occhi- si, lo so» 

«Ma per quale motivo?»

«Mia madre dà a Leonardo il compito di starle affianco, cosa inutile ormai, sono quasi due mesi che è qui, ormai sa giostrarsi tra le vie e i negozi, ma comunque non le dà fiducia, o almeno, non tutta quella che dovrebbe darle...»

«E?»

«E per i primi tempi è andata bene, a Leonardo non sembrava pesare troppo e nemmeno a Veronica, ma due domeniche fa lui in teoria, anche in pratica visto che era da giorni che organizzava la cosa, doveva andare da nostra nonna e nostro zio, sai, per la moto -Cecilia aveva annuito- ma lei doveva andare a prendere delle cose a Bergamo, io non potevo per una verifica e Leonardo è stato tirato in mezzo, puoi immaginare la sua risposta alla cosa, conoscendolo»

«Ma è successo anche qualcosa lì? -Francesco aveva negato, facendole intendere che non ne sapeva nulla- È strano... sembravano essere abbastanza in sintonia, no?» 

«Non so che dire, ho provato a parlare con entrambi, ma nessuno mi dice nulla» Cecilia aveva preso un respiro profondo, riempiendosi i polmoni, poi, gli aveva puntato un dito al petto e lui aveva alzato un sopracciglio 

«Se oggi è distratta e si becca una pallonata in faccia od altro, faccio ragionare io sia lei che lui, a pedate sul culo però!»

Aveva visto Francesco ridere e contagiata aveva sorriso anche lei, poi, quando il sole le aveva illuminato un altra volta il viso, aveva guardato fuori dal finestrino ed aveva visto che era quasi arrivata, quindi si era alzata per prenotare la fermata. Erano scesi, e, passando in mezzo alla calca, avevano raggiunto l'entrata della loro scuola, mancavano ancora una decina di minuti prima del suono della campanella, e li avevano consumati con i loro compagni di classe per parlare delle cose in programma per quel giorno.
Erano saliti in classe poco dopo, e, con felicità, avevano scoperto che la professoressa di storia quel giorno non c'era. Cecilia aveva appoggiato le braccia sul banco, e si era voltata verso la sua compagna di banco, poi, in un moto di stanchezza non giustificato, aveva piegato il busto e posato il viso sulle proprie braccia. In terza media, quando le era stato messo davanti un foglio con tutte le scuole in cui poteva essere accettata, il suo sguardo era caduto istintivamente sull'istituto scientifico; la matematica era la sua materia preferita, ma il vero motivo per il quale aveva scelto quella scuola le era sempre sfuggito.
Anche in quel momento, a distanza di sei anni, ancora capiva ben poco della sua decisione, era stata puramente istintiva, emozionale, a tratti le sembrava anche di parte, visto che suo fratello aveva frequentato quella scuola, tuttavia, di una cosa era sicura, non l'aveva presa per Francesco. Cecilia, prima ancora di sapere la scuola in cui lei voleva andare, sapeva la scuola in cui voleva andare lui. Ai tempi della terza media, quando si era trasferita con la sua famiglia, la figura del suo attuale ragazzo era ben poco definita: un ragazzino sempre in disparte, che parlava poche volte e non di faceva avvicinare mai, un po' cupo e introverso; l'opposto esatto di lei, che veniva etichettata come estroversa, disinvolta, radiosa, sempre col sorriso sulle labbra.
Ci aveva messo un po' ad abituarsi alla sua presenza schiva, marginale, ma quando era finita in banco con lui aveva cominciato a capire un paio di cose in più su di lui, è più passava il tempo in sua compagnia più aveva voglia di conoscerlo più a fondo. Poi, si era sciolto, come un cubetto di ghiaccio sotto al sole, ed erano diventati amici, da quel momento aveva sempre saputo, o almeno ci aveva sempre sperato, che qualsiasi cosa fosse successo sarebbero rimasti insieme. Per questo, quando aveva deciso che scuola frequentare, si era imposta di dimenticarsi di Francesco per un pochi di attimi, e qualcosa, che andava ben oltre dei suoi sentimenti per il ragazzo, le aveva indicato quella scuola come giusta.
Quando era arrivata il primo giorno si era sentita subito a suo agio, e le settimane a venire le avevano portato la conferma di quel suo sentimento. Aveva sorriso, al ricordo di quei giorni così felici, così facili. Poi, aveva voltato il viso verso la porta che era stata aperta, ed aveva rialzato il busto , vedendo entrare le due rappresentati d'istituto 

«Allora ragazzi -aveva iniziato la rappresentate di istituto, salvandoli dall'ora di scienze- Lunedì prossimo, come tutti gli anni si terrà la festa di Halloween per il triennio, il locale è qui in centro, visto che quello in strada est l'anno scorso non è stato molto apprezzato -il locale dell'anno precedente si era dimostrato troppo piccolo per tutti gli studenti, in più, alcuni ragazzi sulla ventina avevano infastidito le ragazze di quarta e terza liceo, oltre a quasi scatenare una rissa per omofobia- Il locale è la discoteca Ink, vi assicuro che quest'anno ci staremo tutti senza doverci spintonare» probabilmente doveva essere una battuta divertente, tuttavia non fece ridere quasi nessuno, a parte qualche ragazzo, ma era più che certa che fossero troppo imbambolati a guardare l'altra rappresentate 

«L'orario per l'arrivo degli studenti è 22.30, quindi per favore, cercate di essere precisi -la professoressa che faceva loro da supplente aveva fatto una faccia poco convinta, poi, si era di nuovo concentrata sullo schermo del suo computer- Qui avete i moduli da compilare, e ovviamente, serve la firma dei genitori.»

L'altra rappresentante si era avvicinata ad ogni fila di quelli in primo banco, con un sorriso cordiale e dolce sulle labbra, i foglietti erano stati consegnati mano a mano per tutte le coppie di banchi.
Non si sorprese quando Alice, la sua compagna di banco, fece una battuta sulla qualità della stampa, anche lei constatava che quello che c'era scritto si capiva per modo di dire.
Le lezioni fino alla prima ricreazione poi erano trascorse normalmente, la prima ora Cecilia l'aveva passata a ripassare in modo svogliato i teoremi di matematica, con la luce del sole che, di tanto in tanto, le colpiva gli occhi, quasi a ricordarle che doveva concentrarsi su quello che faceva e cercare di non prendere sonno mentre rileggeva le definizioni dal libro. L'ora successiva l'aveva passata a prendere appunti di latino, a scrivere paradigmi e poi aveva iniziato, insieme alla sua compagna di banco, anche la versione che il loro professore aveva dato loro per la lezione seguente. Durante la ricreazione Cecilia e le sue migliori amiche avevano deciso di andare fino in giardino, giusto per sgranchirsi le gambe.
Avevano quindi sceso le tre rampe di scale per arrivare al piano terra , dove c'erano la segreteria, e poi ne avevano sceso ancora un'altra, che portava ad un piano sotterraneo, lì c'erano le aule dei laboratori, gli spogliatoi, la palestra (per arrivare alle porte tuttavia si doveva scendere ancora un'altra rampa), ed a una piccola passerella che dava l'accesso al cortile scolastico. Si erano fermate alle macchinette vicino ai laboratori per prendere un caffè e poi si erano avvicinate alla recinzione del giardino, 

«Voi come vi vestite per la festa?» aveva chiesto Margherita di punto in bianco, interrompendo Ada, che aveva alzato di scatto le sopracciglia, leggermente infastidita, mentre soffiava sul the bollente che si era presa

«Non ne ho idea -Cecilia si era appoggiata al muretto con la schiena, poggiando i palmi delle mani sulla superficie ruvida, non badando alla piccola guerra di sguardi che si era creata tra le due ragazze. Margherita era un po' sbadata, non pensava troppo agli altri, ma non era certo una persona cattiva, semplicemente, a tratti, perché non sempre era così, menefreghista- Credo che userò la tutina a righe, sai no, quella che abbiamo preso quest'estate a Jesolo»

«Uh, bella quella tutina, la vorrei anche io -Margherita aveva messo il broncio, incurvando anche le sopracciglia con fare innocente, spingendo leggermente il labbro inferiore fuori, lei e le altre  avevano sorriso, sapendo già quello che la ragazza avrebbe chiesto- Venite a casa mia per prepararvi? Magari sabato andiamo anche a fare shopping»

«Ma non avete già abbastanza vestiti?»  Ada aveva scosso la testa, ormai divertita

«I vestiti non sono mai troppi Ada!»

«È ora di tornare in classe piuttosto» l'aveva corretta Celeste, mentre distoglieva gli occhi dal cellulare e incontrava il suo sguardo, Margherita aveva cercato di trattenerle, ma tutte, vedendo che ormai era quasi l'ora del suono della campanella, l'avevano trascinata fin dentro e poi su per le scale fino alla loro classe. 

Tre ore dopo Cecilia aveva lanciato uno sguardo veloce fuori dalla finestra, gli occhi scuri si erano scontrati con il cielo limpido coperto da nuvole bianche, queste erano definite tanto bene da far sembrare il tutto più un dipinto che un panorama vero e proprio. Pochi secondi dopo la campanella era suonata, quando il suo grido stridulo era risuonato per tutto l'istituto gli animi erano sembrati rallegrarsi, e tutti avevano eseguito le solite cose con velocità, anche Cecilia.
Aveva posato astuccio e libri dentro alla cartella, tirando poi fuori il telefono dal fondo, aveva chiuso la zip mentre si alzava e, recuperata la giacca posata sulla sedia, si era girata verso Francesco, intendo ad aspettarla proprio lì affianco. Si erano diretti fuori dall'istituto con alcuni loro compagni di classe, che, nel tragitto dalle porte alla fermata, avevano parlato di quanto quello di storia fosse, potenzialmente, una mummia reincarnata, aveva sorriso più volte, mentre la luce del sole illuminava tutti loro e copriva, di un tiepido calore, le loro braccia scoperte per le maglie a maniche corte. Alcuni momenti dopo, quando si erano ritrovati in autobus da soli, il suo ragazzo le aveva chiesto, pacatamente, se le andasse di andare a cenare da lui quella stessa sera, dopo gli allenamenti, anche con Leonardo e Veronica. Il dubbio l'aveva avvolta, tanto da farle vedere anche il cielo grigio, certo non si mostrava una tra le prospettive migliori, aveva pensato, una cena con il fratello odioso del suo ragazzo e la ragazza che si dimostra una minaccia per lei in molti campi; tuttavia, quando il suo sguardo era passato dalle sue mani agli occhi imploranti del suo ragazzo, non aveva potuto fare a meno che accettare. In fondo, doveva solo allenarsi con Veronica, andare a casa con lei, cenare con lei e poi andarsene, no? Era solo questo che doveva fare, solo questo.
O almeno quelle erano le parole che si era ripetuta, per circa tutto il pomeriggio da quando era arrivata a casa, nella testa, per cercare, circa inutilmente, di convincersi che fosse una buona idea.
Nonostante ciò, quando si era ritrovata di fronte la ragazza nello spogliatoio la maggior parte delle sue buone intenzioni erano andate a farsi benedire, ed era ricaduta, per la milionesima volta, in tutte quelle paranoie che solitamente non si sarebbe mai fatta. Non che fosse particolarmente egocentrica o vanesia, non era quel tipo di persona, aveva i suoi dubbi su sé stessa come qualsiasi ragazza che conosceva, a tratti Cecilia sembrava demoralizzarsi un po' troppo ed a altri esaltarsi in maniera esagerata, come i due lati di una stessa medaglia: uno serviva per regolare l'altro e viceversa. In quel momento, forse in maniera fin troppo avvilente, si stava incupendo oltre il suo solito.
Si era guardata allo specchio, fissando gli occhi sui contorni del proprio volto, si era passata le mani bagnate di acqua fresca sulle guance e sulla fronte, poi, dopo aver guardato fuori il cielo scuro era tornata nella palestra, con la convinzione che parlare con Veronica nella strada di ritorno, senza cadere nel sarcastico, era la decisione migliore. Tuttavia, non era andata esattamente in quel modo. Cecilia aveva ripreso il telefono dalla cesta in cui lo aveva messo e si era diretta, a passo spedito, verso gli spogliatoi, aveva scherzato per un paio di minuti con una sua amica, e poi si era avvicinata a Veronica, che era entrata proprio in quel momento 

«Tu ti fai una doccia qui o a casa?» aveva visto la compagna di squadra piegare la testa di lato, forse ragionando un po' sulla risposta

«Tu andresti meglio a farla qui, no? -Cecilia aveva annuito- Allora la faccio qui anche io dai» Veronica si era voltata verso il proprio borsone, probabilmente a prendere l'asciugamano e la busta con shampoo e bagnoschiuma, mentre lei era stata attirata dai saluti delle loro compagne, che, avendo finito di cambiarsi, stavano andando via tutte. 

Cecilia aveva preso le proprie cose e si era diretta verso la doccia più esterna, ne aveva aperto il rubinetto e lo aveva voltato verso destra, lasciando che l'acqua si riscaldasse mentre scivolava pigra lungo la parete piastrellata. Si era spogliata, aveva messo i vestiti in una busta, e poi si era lasciata andare sotto l'acqua, permettendo all'acqua tiepida di far scivolare il sudore e lo sporco via dalla sua pelle. Si era insaponata i capelli alla svelta, poi aveva sfregato le mani colme di sapone su tutto il corpo, grattando via dalla pelle la puzza del sudore che si era accumulato durante le due ore di allenamento e sostituendolo con il profumo di pulito del suo bagnoschiuma. Si era risciacquata due volte, poi aveva spento l'acqua e si era avvolta nell'accappatoio, aveva camminato gocciolando infreddolita fino alla panca dove aveva i vestiti per il cambio ed aveva cominciato a sistemarsi. Si era infilata l'intimo, i suoi skinny jeans neri e una maglia di Francesco, aveva messo poi la busta con i vestiti sporchi nel borsone ed aveva frizionato i capelli con l'asciugamano. Aveva cercato di asciugarli e di pettinarli il più possibile, ma quello spogliatoio mancava di phon, è asciugarli più di quanto aveva già fatto era stato impossibile, quindi si era abbandonata all'idea di legarli in una treccia o in una coda e mettersi il cappuccio. Quando si era voltata verso la panca dove Veronica aveva lasciato il suo borsone si era accorta che anche la ragazza aveva quasi finito. I suoi capelli neri si posavano sulla maglietta viola, bagnandola e scurendo leggermente il tessuto, la compagna si era voltata verso di lei e si erano scambiate un'occhiata

«Sai che si mangia sta sera?» Cecilia aveva controllato le notifiche sul cellulare, e si era diretta verso la porta dello spogliatoio

«Sinceramente no -Veronica si era pettinata i capelli- Francesco mi ha detto solo che saresti venuta a cena e che dovevano torn...» 

«Cazzo!» la sua compagna si era voltata nella sua direzione, confusa, mentre lei cercava di aprire inutilmente la porta 

«Hai qualche cib...»

«No, non è quello il punto, cazzo -Veronica le si era avvicinata, con ancora il cipiglio dubbioso stampato in faccia- La porta non si apre dall'interno» aveva visto le sopracciglia di Veronica scattare verso l'alto

«Ma allora questa cosa è vera? Ne avevo sentito parlare, ma non credevo che potesse succedere sul serio.» 

«Certo che sì» Cecilia aveva sospirato e si era seduta sulla panca 

«Possiamo chiamare qualcuno? L'allenatrice è ancora nella scuola, giusto?» 

«È in aula insegnanti, ci rimane sempre un'ora o meno ogni volta per mettere scritto tutto quello che abbiamo fatto, poi passa a controllare che sia tutto a posto e chiude tutto, qui prende da schifo, quindi dubito che ci sia qualcosa da fare se non aspettare» Veronica si era seduta al suo fianco, i capelli le si erano appiccicati leggermente alla fronte

«Ti era già successo?» (Veronica si era sbilanciata su quella domanda, un po' incerta, mentre, anche se non lo voleva ammettere, dentro alla sua testa continuava a ripetersi solo il nome del suo compagno di classe e coinquilino)

«Una volta in primo, e una in terzo, sono sempre l'ultima ad andare via ed ogni tanto trovo la porta chiusa -Cecilia aveva gesticolato un po', nervosa- avevo dei giochi che andavano anche se ero offline, quindi me la sono cavata, ma di recente li ho tolti, quindi sì, presumo che dovremmo solo aspettare.» 

Veronica, al suo fianco, aveva mugugnato in accordo e poi era andava verso il suo borsone, per finire di prepararsi, mentre Cecilia era rimasta lì. Non sapeva esattamente quando Alessandra sarebbe arrivata, da un certo punto di vista avrebbe voluto che arrivasse presto, da un altro, quando aveva guardato Veronica, aveva anche pensato che quella fosse la sua occasione per conoscerla. Aveva sbagliato la prima volta che si erano viste, l'aveva giudicata partendo dalle proprie emozione e non da quello che Veronica potesse essere veramente, e, con molte probabilità, aveva sbagliato oltre ogni misura

«Che ne dici se proviamo a occupare il tempo in qualche modo?» aveva lanciato la frase un po' così, senza neanche pensarci troppo. Veronica si era voltata verso di lei e le si era seduta di fronte, anche se laterale 

«Avevi in mente qualcosa?» 

«Potremmo parlare, farci delle domande, o roba del genere, tanto per, non abbiamo niente di meglio da fare, dopotutto.» Cecilia aveva cercato di essere il più convincente possibile, e quando aveva visto Veronica annuire dentro di sé aveva esultato 

«Comincio io? -lei aveva annuito, sistemandosi più comodamente sulla panca- Allora, il tuo più bel ricordo dell'infanzia?» 

Cecilia aveva annuito «Quando ero piccola in inverno da me nevicava molto, abitavo nel Friuli, a Moena, ed io e mio padre facevamo sempre i pupazzi di neve, mettevamo i sassi per gli occhi, la carota per il naso e prendevamo delle sciarpe di mia madre da mettergli intorno al collo, poi, mio fratello, ogni anno, distruggeva un pupazzo tra i quattro che avevamo fatto, buttandosici sopra -sorriso, e lo aveva fatto anche Veronica- il tuo?» la ragazza a quel punto aveva parlo pensarci un po' 

«Credo quando portavo mia sorella al parco, dicevo sempre che mi scocciava, ma in realtà mi faceva piacere -Cecilia aveva sorriso, capendo perfettamente di cosa parlasse, poi, prima che potesse fare una domanda, Veronica ne aveva detta un'altra- la tua prima cotta?» 

«Un ragazzino un po' ribelle in quinta elementare. Era un bulletto, decisamente antipatico, ma c'era qualcosa che mi incuriosiva, e ci sono stata dietro per un anno, anche se cercavo di non farglielo capire ignorandolo o rispondendogli male...» 

«La mia è stata in prima superiore -lei l'aveva invitata a continuare- Jacopo, uno decisamente bello, intelligente, abbastanza comunicativo. Non gli avevo prestato molta attenzione all'inizio, ci parlavamo poco, ma poi siamo finiti in banco insieme. Si preoccupava per me quando stavo male, mi chiamava spesso, una volta che non gli ho risposto sembrava fossi morta, per la cit ero solo dal medico e allora "Poi dimmi com'è andata, nel frattempo ti mando le foto di quello che abbiamo fatto di scienze, e un audio con quello da scrivere sul libro vicino al metodo scientifico"» 

«Che carino! Sembra perfetto» Veronica le aveva sorriso 

«Ah si, lo era, circa. Un giorno sono uscita prima, io lo avevo salutato ma lui non aveva salutato me»

«Stronzo...» 

«Aveva la luna storta quel giorno credo -la ragazza aveva riso, probabilmente ricordando l'accaduto- Poi un mio compagno mi ha fermato, a caso credo, quando ero quasi fuori, io sono rientrata chiedendomi "che succede?" E questo mi ha abbracciato. Ho visto Jacopo guardarci un po' male» 

«E come è finita?» 

«Ha cambiato scuola a metà anno scolastico, non ne ho saputo più nulla»

«Ti manca?» Veronica aveva alzato le spalle e si era appoggiata al muro 

«Non troppo, mi piaceva ma non era minimamente un interesse vero, sono passati due anni, se fosse rimasto forse le cose sarebbero state diverse, ma sono andate come sono andate, quindi alla fine me ne sono fatta una ragione e sono passata oltre»

«Hai dato un taglio netto?» 

«All'incirca, lui ha dato il primo colpo, io ho fatto cadere l'albero» 

Cecilia aveva annuito «Era la cosa più sensata alla fine.» la ragazza davanti a lei le aveva sorriso, annuendo. Era sempre stata dell'idea che all'inizio della vita ci si trovasse davanti ad un sentiero battuto, come se in una stanza buia, ad un certo punto, una luce illuminasse una porta, e attraversata quella, andando avanti, camminando nell'oscurità, ce ne fosse un'altra, poi ancora una, e ancora una sola. Ad un certo punto non sarebbe più stata una sola ma due, poi tre, poi quattro, e allora le scelte si sarebbero divincolate dal sentiero battuto, dalla retta che sembrava esserci prima, e si sarebbero fatte nuove strade, costruite sul momento. Ma quelle porte che non si attraversano non avrebbero potuto avere strada oltre loro, perché non ci sarebbe stato nessuno a farla. Capiva perfettamente cosa intendesse Veronica quando diceva che le cose erano andate come erano andate. Aveva fatto una scelta, deciso una porta, ed ne aveva evitata un'altra, accettando il fatto che una parte della storia sarebbe stata per lei sempre sconosciuta.

«Insomma, poteva essere amore, o alla fine poteva anche andare peggio di come è andata, e magari ci saremmo mandati a fanculo» Cecilia aveva riso, senza riuscire a trattenersi 

«Mi piace questa tua visione delle cose, sono d'accordo» Veronica aveva riso con lei, di rimando. 

Cecilia si era seduta a gambe incrociate, le luci delle lampadine a led le illuminavano gli occhi e coprivano una parte del suo viso, le macchine che passavano da fuori, a intermittenza, illuminavano i bagni e le docce per via delle piccole finestre che davano sulla strada

«La tua più grande paura?» Veronica si era passata una mano tra i capelli scuri che le si erano spostati sul viso, dividendoli in tre ciocche più piccole 

«Credo, i furgoni -Cecilia aveva piegato leggermente in viso, incuriosita- È una storia lunga -la ragazza aveva riso- la tua?»

«La montagna. Ci sono vissuta, ma quando ero piccola c'è stato un incendio e una frana, non è morto nessuno, non ho avuto lutti, ma casa mia è stata distrutta, come gran parte delle altre case che erano lì. Settimane dopo ci siamo trasferiti qui; all'inizio, per i primi mesi, credo sei mesi, ho sofferto di attacchi di panico, ogni cosa mi riportava a quel giorno e alla paura che avevo provato, però Francesco mi ha aiutato standomi affianco anche in quei momenti... Questa conversazione sta diventando fin troppo triste -aveva riso, cercando di non farlo con nervosismo, per smorzare l'atmosfera, anche se non era riuscita a nascondere una nota più grave nella sua voce- Guardi serie tv?» 

«Sì, anche se sempre meno spesso ora»

«Troppe verifiche?» 

«Già, ci stanno riempiendo, e studiare senza Leonardo è uno strazio» Cecilia aveva percepito una nota di rammarico e tristezza al nome del ragazzo 

«Leonardo non ama che le cose cambino, preferisce farsi un bagno in una vasca di acqua fredda, con tanto di cubetti di ghiaccio, che mutare, anche di poco, la sua stessa armonia. -Veronica era rimasta ad ascoltarla, in parvenza curiosa- Lo conosco da quando è piccolo, ed è principalmente un egoista, preferisce che le cose vadano bene per lui che per le altre persone, e tu al momento sei "le altre persone" -aveva mimato le virgolette- oltre a ciò che ha rovinato la sua quotidianità» 

«Ma allora che devo fare? -Veronica aveva sospirato- Chiamare sua nonna e organizzare una domenica da lei?» la ragazza aveva riso nervosa ed ironica, mentre Cecilia pensava alla proposta 

«Perché da sua n...Ah giusto! La moto. Beh, non è una cattiva idea -Veronica aveva strabuzzato gli occhi- Sì, sembra impossibile, ma credimi, basta dargli un po' di stabilità, cercate di capirvi, invece di scontrarvi, mettete un po' da parte l'orgoglio, in più non  credo che lui ti stia proprio indifferente, no?» la ragazza era arrossita dalle orecchie alle guance 

«Non in quel senso però» 

«Nono, non in quel senso -Cecilia aveva sorriso maliziosa, Veronica aveva riso, e, contagiata, aveva cominciato anche lei- Non resp...respiro» aveva sussurrato ad un certo punto mentre ridevano a crepapelle. 

Francesco aveva guardato l'orologio, che ormai segnava quasi le ventidue, ed aveva sbuffato un'altra volta mentre manda l'ennesimo messaggio ad Cecilia. Leonardo, seduto di fianco a lui, era meno irrequieto, ma in ogni caso poteva percepire nei suoi movimenti una certa agitazione. Era stato il primo a preoccuparsi, anche se in maniera minima, circa mezz'ora prima, giustificandosi, in maniera poco credibile, almeno agli occhi di Francesco, dicendo che era solo perché aveva fame e non voleva che il cibo si raffreddasse troppo. Francesco lo aveva rassicurato in ogni caso, anche se il fratello gli aveva fatto spallucce, dicendo che non era così strano che si facesse tardi, e che avrebbe dovuto saperlo anche lui, visto che l'anno prima aveva preso parte ad una cosa del genere. Aveva visto Leonardo annuire, in parvenza disinteressato, e sedersi sul divano di fianco a lui, sporgendosi di tanto in tanto verso lo schermo del suo telefono quando scriveva a Cecilia 

«È inutile, non le arrivano» Francesco aveva lasciato il telefono sul tavolino davanti a loro

«Già.» 

«Hai provato a scrivere a Veronica?» Leonardo si era girato verso di lui con uno sguardo annoiato, le sopracciglia chiare inclinate

 «No?» lo aveva detto tanto maleducatamente che Francesco aveva sospirato, quasi al limite. Si era piegato in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e passandosi una mano tra i capelli 

«Sei mio fratello, ti voglio bene e ti difenderò sempre, ma in questo periodo mi stai altamente sui coglioni -Leonardo aveva alzato un sopracciglio, ed aveva provato a dire qualcosa, ma lui lo aveva interrotto- e non cominciare con i soliti piagnistei, non è solo la tua vita ed esser stata buttata in un tritacarne per farci polpette sai? Anche la sua, decisamente più della tua! Smettila di essere arrogante e cerca di capire gli altri, invece di metterti al centro dell'universo. -suo fratello era sembrato sorpreso e intimidito- Più fai così più ti dimostri solo uno stronzo immaturo -Francesco aveva sospirato rumorosamente- avevi i tuoi motivi per incazzarti quel giorno, ma non ne hai per continuare la cosa.» Per minuti il fratello era rimasto in silenzio, e lui si era ributtato con la schiena sul divano. 

Aveva per fratello un completo coglione, o almeno era quello che aveva pensato. 

«Come dovrei fare allora, secondo te?» Francesco dentro di sé aveva sorriso 

«Metti fine a questa tortura, parla e chiarisciti sia con Veronica che con nostra madre»

«Come se non ci avessi già provato, almeno con la seconda» 

«Prova a farle capire che hai anche le tue cose da fare e che non sei una babysitter, e che se mai devi esserlo vuoi essere pagato e non fare lo stronzo, dio -Leonardo aveva riso, sincero- cosa è successo a Bergamo, a proposito?» suo fratello si era raggelato 

«La migliore amica di Veronica ha pensato di fare una sottospecie di uscita a quattro con il suo fidanzato mollusco, cosa che ha interrotto il momento di pace che eravamo riusciti ad avere a casa sua, eravamo quasi riusciti a chiarirci. Dopo un po' che quel coso continuava a parlarmi ho lasciato Veronica con loro, mi sono fatto dare le chiavi di casa e sono rimasto lì fino a quando non è tornata lei. Abbiamo litigato ancora e poi siamo tornati qua, breve storia non molto allegra.» 

«Ho capito, ti conviene chiederle scus...» il rumore di una macchina lo aveva zittito, e ancora prima di lui, Leonardo si era precipitato verso la porta, spalancandola. Francesco lo aveva seguito a ruota, ma quando avevano visto Veronica e Cecilia venire verso di loro scherzando e sorridendo, l'espressione sulle loro facce era stata la stessa, molto simile a quella della loro madre.

«Ma che diavolo è successo» gli aveva sussurrato Leonardo nell'orecchio, mentre Francesco fissava il sorriso felice e entusiasta della fidanzata con non poco shock 

«Non ne ho idea -Francesco le aveva guardate ancora una volta quando si era fermate davanti a loro- che...che cosa è successo?»

«Sapete che le porte dello spogliatoio non si aprono dall'interno, no? -Aveva cominciato Veronica- Qualcuno le ha chiuse e siamo rimaste lì fino a quando l'allenatrice non è ripassata a controllare, ci ha portate a casa lei» Cecilia aveva annuito, mentre passava dallo stare al fianco della ragazza a quello del suo ragazzo

«Puoi, venire con me un attimo?» il tono di voce di Leonardo si era addolcito e abbassato di qualche tono, per essere il più discreto possibile. Aveva visto Veronica guardare Cecilia, Cecilia annuire e Veronica sparire con Leonardo di sopra. 

«Hai fatto il lavaggio del cervello a tuo fratello?» Francesco aveva riso, mentre posava la borsa sul divano e stringeva la sua ragazza a sé 

«Per un certo verso sì, tu invece hai parlato con Veronica immagino -lei aveva strusciato il naso sul suo collo ed aveva annuito- sono felice che ora tu l'abbia conosciuta» 

«È simpatica, dolce, ed è una brava ragazza, se tuo fratello le fa qualcosa lo picchio.» Il ragazzo aveva sorriso 

«Ti amo perché ti amo.» Cecilia gli aveva sorriso 

«Anche io ti amo perché ti amo.»

Lei non era un sole caldo come quello di Luglio, o uno scottante come quello di Agosto, all'inizio non era nemmeno stato voluto come quello di Dicembre, ma era ciò che nella giornata lo riscaldava e gli dava modo di andare avanti, era più come il sole d'Ottobre.

*Circonvalazione esterna delle mura per il traffico

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È un capitolo un po' diverso, lo so, ho spostato il narratore su un personaggio che non è molto amato, o ben visto in generale, ma Cecilia era, nella prima versione che ho scritto di questa storia, la migliore amica di Veronica, ed ho voluto far sì che questo rimanesse anche in questa versione.

In più volevo anche introdurre un po' di scene tra Francesco e lei, e questo capitolo mi è sembrata l'occasione perfetta per fare entrambe le cose!

Spero che nonostante tutto vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate del suo personaggio ora che è stato esplorato un po' meglio.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 )prima parte) - Canzoni anni ottanta ***


Veronica aveva fatto una giravolta, la sua voce dolce, forse per nulla adatta ad un testo del genere, risuonava nella casa vuota e il succo di arancia rischiava di uscire dal bicchiere di vetro che la ragazza teneva in mano. Aveva mosso i fianchi, mentre portava le mani in alto e continuava a cantare e urlare. La prima volta che aveva ascoltato quella canzone non ne era stata affatto attratta: era il 2013, lei era piccola, e non ne aveva capito nulla, troppo giudiziosa. Non aveva affatto notato quanta energia le desse, o come questa si accumulava sulle sue gambe e sulle sue braccia, spingendola poi, dopo numerosi ascolti, a muoversi in un ballo che era fatto di movimenti scoordinati e mosse del bacino imbarazzanti. Ma era così che andava quando nessuno era in casa: si metteva le cuffie, metteva le canzoni che le davano più carica e poi ballava fino a sentire i muscoli dolenti. Lo faceva a casa sua quando era a Bergamo e aveva cominciato a farlo anche lì. Spesso lo faceva anche la sera in camera, con la porta chiusa e le cuffiette bluetooth. 

Swing your partner round and round*

End of the night, it's going down

One more shot, another round

End of the night, it's going down

Swing your partner round and round

End of the night, it's going down

One more shot, another round

End of the night, it's going down

S'era voltata, girando su stessa, portando le braccia in alto, il bicchiere abbandonato sul tavolino del soggiorno, il corpo riverso in avanti, il seno che sobbalzava, la maglietta che si muoveva al tempo dei suoi movimento. S'era piegata in avanti e poi si era rialzata inarcando la schiena, aveva battuto le mani a tempo mentre camminava saltellando filo alle finestre, aveva scostato di poco una tenda, abbassandosi, aveva guardato fuori, constatando che ancora non c'era nessuno. Incrociando i piedi si era rialzata, e continuando a ballare era tornata al centro del salotto. 
Angela sarebbe dovuta tornare di lì a poco: aveva organizzato un pomeriggio per loro due dalla parrucchiera e dall'estetista; non era niente di che alla fine, solo un modo carino per scusarsi dei vari inconvenienti che si erano creati. Era stata molto felice, tanto che quando sua zia le aveva fatto quella proposta aveva accettato senza nemmeno pensarci, era da un po' che anche lei sperava di riuscire ad avere un pomeriggio solo per loro due, ma era come se non ci fosse mai abbastanza tempo. Poi, il pomeriggio del trentuno ottobre era sembrato perfetto.
Aveva dovuto rifiutare l'invito Giada, Cecilia e le loro amiche, le avevano chiesto di prepararsi e andare alla festa insieme, ma alla fine erano comunque giunte all'accordo che sarebbe andata da loro per vestirsi e dare gli ultimi ritocchi, se mai il trucco si fosse rovinato durante la giornata. 
Aveva sentito le chiavi di casa ruotare nella toppa e si era girata, mentre ancora la musica andava al massimo nelle cuffie e lei finiva di fare un passo. Francesco l'aveva guardata un attimo sorpreso, e lei era arrossita imbarazzata, poi il ragazzo aveva chiuso la porta, posando la giacca sull'attaccapanni. Si era diretto verso di lei a passo felpato e le aveva rubato una delle due cuffiette, a quel punto la canzone era cambiata. Francesco le aveva preso le mani, sorridendole e quasi ridendo, e facendola muovere avanti e indietro l'aveva fatta girare su sé stessa. 

Love is blind, but now I see**

I don't love you no more

I got twenty twenty

Got your number, got your number

Finally awaking from the spell I was under

See my lightning, hear my thunder

I'm wakin', I'm wakin', I'm wakin', I'm wakin' up

I got your number, got your number

Finally awaking from the spell I was under

See my lightning in my bottle

I got it, I got it, I got it, I got your number

Avevano cantato insieme, mentre lui le faceva fare un'altra giravolta, e poi si erano mossi da soli, sempre abbastanza vicini perché le cuffie non si staccassero: avevano riso, continuando a ballare fino a quando la canzone si era conclusa. Poi ne era iniziata una più dolce e Francesco l'aveva abbracciata fraterno, arruffandole i capelli con una mano mentre si dondolavano insieme. Era bello avere lui, avere qualcuno con cui parlare sempre e di tutto, qualcuno che capiva tutte le sfaccettature dei suoi modi di fare, del suo carattere, e che le accettava, positive o negative che fossero. Con lui si sentiva nello stesso modo in cui Alice avrebbe dovuto sentirsi con lei. Le mancava, più di qualsiasi altra cosa, gli "anche se", i "però" e i "ma" in quel momento, stretta tra le braccia di un Francesco preoccupato, sembravano inutili, futili, e tutte quelle cose che non accettavano le une delle altre sembravano così piccole in quel momento, tutte quelle cose che le portavano a litigare, a scontrarsi erano così infantili. Aveva sbattuto velocemente le palpebre cercando di non far uscire nessuna lacrima, mentre si aggrappava alle spalle di Francesco con forza. Aveva sorriso, prendendosi in giro mentalmente: lei, che tempo prima aveva pensato che l'affogare nel dolore fosse stupido, si stava lasciando andare a dei ricordi che aveva sempre rifiutato. Il ragazzo le aveva accarezzato la schiena, leggero, dolce, mentre cercava di capire quel suo improvviso cambio di umore 

«Ve -lei aveva mugugnato, incerta- ti voglio bene» lo aveva sussurrato, come se temesse il significato di quelle parole, come se potessero essere il pugnale per ucciderla. A quel punto non ce l'aveva fatta, presa alla sprovvista, in un momento di debolezza, e le lacrime erano uscite copiose, singhiozzi forti e pieni di dolore erano scappati dalle sue labbra. Francesco l'aveva stretta a sé, tanto forte che in un momento normale avrebbe potuto farle male.

«Non volevo! Non l'ho mai voluto!» aveva singhiozzato, e come una macchina che doveva solo spostare un pezzo da destra a sinistra aveva continuato a ripetere quelle parole con un mantra, stringendo e strattonando la maglietta del ragazzo. Le gambe le tremavano, instabili, ma non aveva ceduto, resistendo all'agitazione. 

Non credeva di essere migliore degli altri, non si sentiva forte, (non lo era, lo sapeva e lo accettava) ma quando era successo aveva preso la decisione di parlarne il meno possibile. Ne aveva fatto parola con Lucrezia quando ne era stato il momento, era stata forzata a parlarne con una psicologa, e silenziosamente, senza parole ma con sguardi, ne aveva parlato anche con sua madre. Angela ovviamente sapeva: era stata il supporto morale di sua madre in quel periodo, era stata una di quelle persone che erano riuscite a farle tornare il sorriso nei momento distratti, aveva dato a sua madre un'altra prospettiva, e, in un certo senso, era anche colei che l'aveva spinta al cambiamento. Erano state in grado di curarsi insieme, (sua madre era stata vicino a sua zia, nello stesso modo in cui l'amica era stata vicina a lei, quando questa aveva divorziato), di affrontare traumi che sarebbero rimasti irrisolti e di rialzarsi, vive, splendenti, come due stelle che dopo esser state coperte dalle nuvole erano riuscite a splendere di nuovo nel cielo scuro della notte. Ma Veronica ne faceva meno parola possibile, sia di sua sorella sia di suo padre, perché quello non era un dolore fisico, non era una botta qualunque che con il tempo scompare, quel dolore, figurato, appariva più come uno squarcio. Quel tipo di dolore portava ad uno stato di stallo dove più si cercava sollievo più si girava su se stessi senza mai arrivare ad una soluzione vera e propria. Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra girare intorno al dolore, sono momenti in cui non si è più sé stessi, e sembra non esserci mai via d'uscita da quel sentimento tanto ingombrante. In quel momento capita di perdersi nel passato, nei rimpianti e nei periodi felici. Il dolore che si prova è paragonabile all'essere sott'acqua in un mare profondo: si guarda verso l'altro nel tentativo di riemergere, si cerca l'ossigeno, e ci si prova, si crede in sé stessi, ma la superficie sembra allontanarsi quanto ci si sente di avvicinarsi, e si pensa di esser morti, ci si sente stanchi, privi di qualcosa che da vita, che da la possibilità di fare un sorriso, di abbracciare chi si ama, poi, come un sasso lanciato in un lago, ci si sente sprofondare, pesanti. Si è fermi, bloccati nel proprio dolore, e si rimugina, ci si gira intorno senza trovare soluzione. Da lì, poi, parte la convinzione che, nella realtà, non si possa vivere in modo peggiore, che non ci sia nessun altro a provare dolore, e qualsiasi persona si guardi sembra essere messa meglio. Gestire quel tipo di dolore non significa reprimerlo, scacciarlo o schiacciarlo, ma più accettarlo e comprenderlo, cosa che Veronica non aveva per nulla fatto. Avrebbe avuto tutti i diritti per sfogarsi, per piangere, per urlare, ma non lo aveva fatto, si era risparmiata tutto, ed aveva riversato il dolore nello sport: si era allenata così tanto che le erano venuti i calli sulle dita, aveva schiacciato e battuto così forte che dopo ore le sue mani erano ancora rosse, si era allenata così tanto che anche i suoi muscoli avevano cominciato ad avere dei contorni più definiti. Ma sapeva, anche se a quel tempo era piccola e, relativamente, ci capiva poco, che non sarebbe dovuto essere così, avrebbe dovuto fare tutt'altro. Le avevano consigliato la scrittura, perché da quello che molti avevano letto scrivere era una cura contro il dolore psichico, sembrava che scrivere permettesse di elaborare il dolore e accettarlo, ma per lei non aveva affatto funzionato, aveva smesso anche di leggere in quel periodo, e non perché si era bloccata, ma più perché aveva capito che rifugiarsi in una realtà tutta propria, in quel momento, peggiorava solo la realtà vera, quella che viveva tutti i giorni. Aveva trovato più giusto rifugiarsi in qualcosa di tangibile, qualcosa che aveva la possibilità di toccare. Pensare al dolore alimentava il dolore, lo aveva capito quando aveva pensato a quando le dicevano "non pensare al mal di pancia, diventa più forte", per questo si era concentrata su tutt'altro. Ma non era stata forte a non parlarne, era stata solo sottomessa dalle proprie convinzioni, quelle che da sempre l'avevano protetta dalle scelte stupide, ma che, in altrettanta quantità, l'avevano portata a reprime certi tipi di sfoghi.

«Lo so che probabilmente non vuoi sentire parlare nessuno -Francesco l'aveva spostata, portandola dal divano per farla sedere, e si era staccato solo per accucciarsi davanti a lei e prenderle le mani- so che vorresti continuare a piangere, ma ti prego, dimmi che succede...» l'aveva pregata, accarezzandole le braccia fraternamente. Francesco aveva tutti i diritti per sapere quello che le era successo, soprattutto dopo che gli era scoppiata a piangere addosso «Ti prego, parlami, non riesco a vederti in questo stato se non so nemmeno il perché...» la sua voce suonava dolce, confortevole, pacatamente nervosa, ansiosa. Veronica aveva balbettato per secondi, dimostrandosi confusa, prima di riuscire a mettere insieme una frase

«Tu per Leo sei stato un buon fratello... -aveva singhiozzato, impotente sotto al peso del dolore, che le colpiva come un macigno il petto- lo vedo, non mi serve che mi venga raccontato: Leonardo ti guarda diversamente da come guarda qualsiasi altra persona, ti è grato, in un modo sconsiderato, e sembra pregarti con gli occhi di non andare mai via -aveva sorriso, ripensando agli occhi del minore dei fratelli quando guardava il maggiore- ma io non sono mai riuscita a farmi guardare così da mia sorella, nemmeno una volta -Francesco era rimasto in silenzio, frenando tutte le domande che stavano cominciando a formarsi nella sua testa mentre ascoltava la ragazza, e le aveva fatto segno di andare- ed è morta quando avevo dodici anni, senza lasciarmi la possibilità di essere almeno una sorella decente»

«Stare con me ti fa ricordare quello che non sei potuta essere per lei? Per questo hai pianto?»

«Sì, esatto» Francesco le aveva accarezzato le mani, per poi toglierle le ultime lacrime dagli occhi 

«Sembri più serena adesso però...» Veronica aveva annuito con vigore, sporgendosi ad abbracciare di nuovo Francesco 

«Scusami se ti ho fatto preoccupare» Francesco le aveva sorriso, accarezzandole la testa e arruffandole i capelli mentre si alzava

«Ma ti pare? -si era messo le mani sui fianchi, alzando il mento, come un supereroe- sarò sempre qui se avrai bisogno -lei aveva riso e anche il ragazzo si era lasciato sfuggire un sorriso divertito- io parlo seriamente Veronica, non lasciare che ti portino via la felicità che ti spetta di diritto.» Veronica avrebbe tanto voluto rispondergli, ma la porta si era aperta, rivelando un Angela sorridente e felice che entrava quasi canticchiando in casa. 

Angela aveva finito di lavorare da una mezz'oretta buona; aveva bevuto un caffè con un'amica, tanto per fare due chiacchiere, si era fatta dare tre brioche dal bar e poi aveva preso la macchina per tornare a casa. L'ospedale si trovava nella zona sud-est della città, e Angela ci metteva sempre una quindicina di minuti per arrivare a lavoro, poi, se si contavano i tempi con il traffico era anche peggio. La donna aveva frenato, aveva guardato l'orario mentre tamburellava con le unghie sul volante: si stava facendo tardi, lei e Veronica sarebbero dovute andare dalla parrucchiera di lì a venti minuti, e, con molte probabilità, sarebbero arrivate in ritardo. Nessun problema per lei certo, ma aveva visto quando Veronica ci tenesse a passare del tempo con le sue amiche. Sapeva, allo stesso tempo, che non le avrebbe mai detto nulla, era troppo educata, troppo buona, fin troppo fissata sulle regole del rispetto per risponderle anche una sola volta o violare il limite che si era predisposta. Angela non se ne dispiaceva, la sua migliore amica aveva fatto un ottimo lavoro con l'educazione della figlia, Greta era stata molto rigorosa sotto quel punto di vista, ma a volte percepiva la ragazza distante, e, nonostante avessero lo stesso rapporto che potevano avere due amiche, a tratti era come se ci fosse un muro imbattibile. Angela aveva premuto sull'acceleratore ed aveva cambiato marcia, spostando la mano appoggiata sul volante dalle '10 alle '12. Aveva sbagliato con lei, avrebbe dovuto darle più fiducia e non accollarle sempre Leonardo: aveva rischiato di logorare il loro rapporto e quello tra i due ragazzi. Probabilmente non se lo sarebbe mai perdonata e avrebbe continuato a ripensare a quello sbaglio in eterno, come una ragazzina alla sua prima figuraccia davanti al ragazzo che le piace. Aveva canticchiato quando era partita una canzone, aveva svoltato una volta a destra, una a sinistra, e poi ancora a sinistra, e poi dritta, aveva svoltato ancora, fatto una rotonda, e poi si era immessa nella tangenziale. La strada era quasi deserta dal suo lato, c'erano pochissime macchine solo alcune sembravano andare di fretta, compresa lei. C'era il sole quel pomeriggio, un sole che le accecava gli occhi e che le faceva maledire la borsa, schiacciata contro uno dei sedili posteriori, che conteneva i suoi occhiali da sole. Non ci aveva affatto pensato quando era salita in macchina, aveva posato la borsa dietro come al solito, insieme ad un paio di cartelle da visionare per un intervento, e si era seduta al posto del guidatore, si era portata i capelli ramati all'indietro ed aveva girato la chiave per accendere la macchina. Aveva sorpassato un'altra macchina, perché era tardi, ed era scesa dalla tangenziale. Gli alberi, in quel punto, creavano una piacevole ombra che dava ai suoi occhi chiari un po' di riposo, aveva approfittato del semaforo rosso per girarsi e recuperare gli occhiali neri dalla borsa. Li aveva infilati sospirando soddisfatti, poi, quando era scattato il verde, aveva ripreso la strada verso casa. Una decina di minuti dopo aveva parcheggiato la macchina nel vialetto di casa e, ancora canticchiando l'ultima canzone che aveva sentito, era entrata nella propria abitazione. Le note della sua canzone erano state interrotte da un immagina che, inizialmente, era stata piacevole: Francesco stava sorridendo e Veronica lo stava osservando seria, anche se vedeva i suoi occhi scintillare. Era felice del rapporto che era nato tra loro due, avevano impiegato poco tempo per entrare in sintonia l'uno con l'altra, si erano capiti fin da subito, e Francesco sembrava una figura più che positiva per Veronica, l'ascoltava, le stava affianco, l'aiutava quando nemmeno Leonardo capiva un esercizio, guardava con lei film e serie, l'accontentava quasi in tutto. Era come un fratello maggiore che viziava la più piccola di casa. Tuttavia, osservando meglio Veronica aveva notato anche un altro paio di particolari, gli occhi della ragazza non luccicavano soltanto perché Francesco le stava dicendo qualcosa di bello ma anche perché erano lucidi da lacrime, in più, i suoi occhi e le sue guance avevano lo stesso colorito arrossato. Si era domandata cosa fosse successo, se fosse stato il caso di parlarle appena sarebbero state sole, ma lo sguardo di suo figlio le aveva fatto capire che andava tutto bene. Aveva capito, lo aveva pensato sollevata, glielo ha detto, ed aveva sorriso a quella consapevolezza, felice che la ragazza si fosse sentita tanto sicura anche da rivelare quel particolare della sua vita. Angela, sinceramente, aveva pensato che si sarebbe lasciata andare prima con Leonardo, visto anche il rapporto di schiettezza che si era creato tra i due sia dopo i fatti accaduti. Tuttavia, effettivamente, guardando meglio il linguaggio corporeo che Veronica aveva con i fratelli si poteva notare quanto con Francesco fosse più sciolta, non più sicura, non aveva decisamente paura di Leonardo, solo che con Francesco assumeva posizioni e modi di fare che apparivano, anche ad un parere meno esperto, più limpidi. Come se si sentisse nella posizione di potersi mostrare interamente 

«Tesoro! Sei pronta?» Lo aveva esclamato, tanto per non distruggere l'atmosfera vivace che si era creata lì intorno

«Sì! Recupero la borsa ed arrivo» 

«Certo, fai con comodo!» Aveva guardato la ragazza scomparire su per le scale 

«Tu sapevi?» Angela aveva annuito, mentre si prendeva uno yogurt dal frigo e posava il sacchettino di brioche sul piano della cucina 

«Certo che sì» 

«Perché non ci hai detto nulla? Perché farci pensare che fossero semplicemente divorziati?» 

«Perché eravate piccoli -aveva guardato suo figlio- ve ne ricordavate bene allora, erano venuti qui poco prima e vi eravate divertiti molto, non volevo rovinarvi un ricordo felice» 

«E perché non dircelo mesi fa?» 

«Perché non erano affari vostri, è Veronica a decidere qui, non io, non tu -gli aveva puntato il cucchiaino contro- non provare a sforzarla, e non dire nulla a tuo fratello, lei lo ha detto a te ora perché sentiva di fidarsi, lo farà anche con lui» Francesco aveva annuito e poi si era messo a scrivere al telefono, mentre Angela aveva finito di mangiare ed aveva sorriso a Veronica che, prese le ultime cose e datasi una sistemata, era scesa velocemente dalle scale

«Bene, noi andiamo» 

«Ci vediamo sta sera!» 

«A dopo!»

Angela si era chiusa la porta alle spalle loro spalle e si era diretta, dopo aver aperto il cancello con il telecomando, verso la macchina. La strada che avevano percorso era stata quasi tutta curve e qualche sottopassaggio, la luce del sole si era addolcita, ma ancora, petulante, tornava a posarsi sul vetro della macchina, illuminando entrambe. Erano arrivate dalla parrucchiera una decina di minuti più tardi, con cinque di ritardo. Si erano tolte le giacche e Veronica era stata la prima ad essere accompagnata verso il lavabo. Sua nipote le aveva sorriso, felice, mentre la donna dietro di lei le bagnava i capelli con l'acqua tiepida. Si era seduta al suo fianco, e, rilassata dalla poltrona massaggiante, si era lasciata andare, più rilassata. 

«Zia?» 

«Sì tesoro?» Angela aveva risposto con gli occhi chiusi, beata dal profumo di lavanda che stava cominciando a propagarsi dalla sua parte

«Mi racconti qualcosa di te e anche come tu e lo zio, tra virgolette, come vi siete conosciuti?» 

Angela, che ancora non aveva mai detto nulla a Veronica riguardo suo marito, si era lasciata prendere in un primo momento da uno stato di mutismo: perché le cose erano state scritte in modo leggermente diverso da quanto avrebbe voluto. 

1985 Aprile, 
Welcome to the sunshine suonava forte dalla radio e Angela aveva guardato suo fratello finire di scavare, poi, il bambino di otto anni si era girato verso il nonno che, seduto su una sedia, fumava una sigaretta mentre muoveva uno spago per far giocare il gatto 

«Nonno!» l'anziano si era girato verso Angela che, con le ginocchia piegate, guardava dentro alla buca 

«Sì, cea***?»

«Prova a stenderti! Per vedere se ci stai!» l'uomo si era messo a ridere, come suo fratello, si era alzato, la sigaretta tra le labbra e ancora la risata sonora, le aveva accarezzato la testa con fare affettuoso.  

~

Due anni dopo, nello stesso periodo, a dodici anni, Angela aveva staccato dei fiori dal giardino di sua nonna, li aveva annusati e, senza nemmeno che se ne accorgesse, suo nonno le aveva fatto una foto, poi ne avevano fatta un'altra insieme. Ed era stata anche l'ultima.

1991, Novembre

Ci sono un sacco di decisioni che le persone prendono, ma queste possono essere divise in due macro-categorie, ci sono decisioni giuste, perché prese con la logica, e decisioni avventate, perché prese sul momento. 

Una delle ultime era la causa fondamentale per cui era seduta su quella sedia, con sua madre che sbatteva ripetutamente, in modo incessante, il piede per terra; la mandava fuori di testa, facendola innervosire più di quanto già non fosse. Quando, pochi minuti dopo, entrarono nell'ufficio la signora Sentin, la preside della scuola, quella era seduta alla sua scrivania, gli occhiali a mezzaluna sulla punta del naso le regalavano un'aria severa, critica, mia madre si era seduta su una delle due poltroncine presenti nella stanza, mentre lei, irrequieta, ci aveva messo un momento in più prima di prendere posto di fianco alla donna che aveva i suoi stessi occhi 

«Signora Marchetti, come lei sa ho dovuto convocarla in maniera urgente per il comportamento di sua figlia, non adeguato all'ambiente scolastico -sua madre aveva annuito, mentre lei non mosse un muscolo- la signorina Martinelli è rimasta sconvolta da ciò che è successo» aveva trattenuto le risa. Sara Martinelli era stata la persona che più aveva odiato nella mia breve vita, tuttavia non aveva mai sentito la vera necessità di risponderle, nonostante molte volte si immaginasse come sarebbe stato darle uno schiaffo. Pochi giorni prima, dopo anni di prese in giro, aveva reagito, visto che nessuno era mai sembrato prendere le sue difese. Aveva portato al muro la ragazza e le aveva intimato di fermare quel suo modo di fare. Sara era corsa subito da sua madre, che era amica delle preside, ingigantendo l'accaduto oltre il verosimile; così il giorno antecedente la scuola aveva chiamato a casa e quando ciò che era successo era arrivato alle orecchie dei suoi si era beccata una lavata di capo, una di quelle che non si sarebbe mai scodata. Suo padre si era rifiutato di andare alla riunione, lasciando a sua madre il peso di ciò che sarebbe accaduto 

«Nonostante sua figlia abbia sempre avuto un comportamento impeccabile e rispettoso verso i professori, i compagni di classe e i collaboratori scolastici, io e i suo insegnanti abbiamo deciso che la ragazza sconterà una punizione -perché il verbo scontare le sembrava tanto un termine da tribunale e da carcerato?- sua figlia passerà i suoi pomeriggi, dalle tredici e mezza alle sedici, a scuola, per aiutare i collaboratori scolastici a pulire le aule, in oltre, le saranno assegnati dei compiti in più, oltretutto nei pomeriggi non sarà sola, per altri motivi anche un suo compagno di anno, Marco Villa, prenderà parte alla punizione». Le sopracciglia le erano guizzate verso l'alto, poi si erano incrinate di poco. Lisi non era un figlio di papà come lo era Sara, non era egoista, non guardava tutti dall'alto in basso, era educato e rispettoso del prossimo, ma apparteneva alla stessa cerchia di persone della ragazza che mi aveva costretta su quella sedie, quindi, inevitabilmente, era una persona da evitare. 

«Per quanto durerà la punizione?» 

«Fino alla fine dell'anno scolastico, se la ragazza, alla fine dell'anno scolastico avrà mantenuto un comportamento e una media dei voto perfetta, l'accaduto sarà dimenticato, parzialmente» 

«Cosa significa parzialmente?» avrebbe dovuto tapparsi la bocca con entrambe le mani, ma ormai la domanda l'aveva fatta 

«Significa che il voto del primo quadrimestre non sarà positivo, indipendentemente dal suo comportamento» aveva piegato la testa verso il basso e si era morsa il labbro. 

Un leggero pizzicore le aveva solleticato la gola e il naso, e poco dopo si era ritrovata a starnutire e gli occhi avevano cominciato a lacrimare. Aveva spostato lo sguardo sull'intera stanza in cerca di un qualsiasi vaso di fiori contenente delle camelie. L'ufficio della preside era grigio e ordinato, forse fin troppo. Era una stanza lunga e stretta, la parete dove si trovava la porta era spoglia, quella affianco, anche quella a cui la signora Sentin dava la schiena, era tappezzata da fogli e quadri astratti dai colori spenti, sopra uno dei due mobili d'acciaio si trovavano dei plichi di fogli e una stampante, sopra l'altro, nella parete affianco, cioè anche quella delle finestre, c'erano alcune foto delle classi di quinta e con i colleghi. La scrivania era ordinata, il computer fisso si stanziava sulla destra, la tastiera era posta parallelamente al monitor e un piccolo calendario con alcuni giorni cerchiati stanziava al fianco di un bicchiere d'acqua, sulla sinistra, una pianta d'edera e alcune camelie, anche se quelle erano semplicemente posate dentro ad un altro bicchiere colmo d'acqua. Aveva sospirato, mentre sempre di più sentiva gli occhi bruciarle e il respiro diventare pesante 

«Che succede?» il tono di voce della preside si era rivelato preoccupato, come era giusto che fosse 

«È allergica alle camelie -sua madre le aveva accarezzato la schiena- Angela, via a sciacquarti, qui finisco io». 

Non se se l'era fatto ripetere due volte e si era alzata, aveva salutato la preside con quel poco di voce che riusciva a far passare senza sentire fitte alla gola e si era diretta fuori da quella stanza. Per la vista offuscata dalla lacrimazione eccessiva e gli altri sensi concentrati sul bruciore della sua gola, non si era per nulla accorta che stava per inciampare voltando l'angolo. Due mani l'avevano prontamente afferrata le braccia, impedendole di cadere di faccia sulle piastrelle fredde della pavimentazione, aveva cercato di aprire maggiormente gli occhi per ringraziare in modo corretto chiunque le avesse fatto quel favore, ma più ci provava più lacrime scendevano copiose sulle guance 

«Stai attenta...» la voce maschile la colpì come un schiocco, le mani, con molta probabilità, appartenevano a quella voce e quella voce apparteneva a una persona; si era distanziata, posando lo sguardo verso il basso, per poi rialzarlo e incontrare un paio di occhi scuri e miti. 

~

Si era sciacquata il viso per la terza volta, il rossore agli occhi era passato, mentre aveva ancora la punta del naso rossa e la gola le faceva male. Avevo sospirato, stare dieci minuti ad aspettare sua madre non era l'aspettativa che si era fatta quando era uscita dall'ufficio della preside. Uscì fuori dal bagno e Andrea Villa le lasciò un occhiataccia. Andrea era il padre di Marco, ma lui, a differenza del figlio, non era per niente gentile o garbato, garbato si, ma solo con le persone che, secondo il suo parere, lo meritavano, gente "importante" come i genitori di Sara gli amici del figlio. Affianco al signor Villa sedeva Marco, che le rivolse un saluto di cortesia e un sorriso. Si era seduta a tre posti di distanza da loro e aveva preso uno dei tanti libri che si trovavano nella piccola libreria lì di fianco. 

Aveva i polsini del maglione blu più giù, il freddo e la voglia andare a casa le martoriavano il cuore. Dopo altri cinque minuti in cui aveva guardato costantemente la porta, questa si era aperta e ne lascia uscire sua madre e la signora Sentin che si stringevano la mano, non sapeva con quale coordinazione, ma lei, e i due Villa si erano alzati contemporaneamente, sua madre le fece un cenno con la testa, poi la spinse fuori dalla porta, indicandole di scendere i tre piani di scale, successivamente avevano camminato verso casa 

«Sei appena stata graziata! Ti avrebbero potuto sospendere, o peggio, espellere» eccola lì, sua madre, sempre pronta a ricordarle delle scelte degli errori. 
Non che sbagliasse molto spesso, non trasgrediva mai le regole. Aveva sempre avuto un comportamento impeccabile. Trasgredire era proibito, eppure, quando aveva gridato in faccia tutte le cose dell'asilo a Sara si era sentita bene. 

Poi si era anche sentita cattiva, vedere la lacrime salirle agli occhi delle persone non faceva per lei, vedere soffrire qualcuno non era una cosa sopportabile, Sara ci riusciva invece, riusciva a fare del male senza che il cuore le cedesse, senza provare pietà. 
Quando Sara prendeva in giro lo faceva con cattiveria. Lei l'aveva fatto dopo tre anni di prese in giro. Normalmente era una persona calma, paziente, riflessiva e logica. Sara era l'unica capace di farla arrabbiare davvero. Riusciva a farla diventare istintiva, arrogante e illogica. 

Lei era quello che Angela non sarebbe mai riuscita a essere e Angela era quello che Sara non sarebbe più riuscita a diventare. 

~

I giorni seguenti passarono lenti: tutti la guardavano mentre passava per i corridoi, alcuni sussurravano e altri la salutavano, anche persone che non conosceva. 

Sara non aveva ancora detto nulla, non aveva ancora fatto battute.  Nulla di nulla. Se ne fece una ragione. 

Era fuori, nel cortile della scuola a farsi i risvoltini alla manica della camicia a quadri, quando la voce di Greta la interruppe 

«Tutti parlano di te, -si era appoggiata al muro al quale era appoggiata anche lei, con una sigaretta tra le labbra, il fatto che fumasse non le piaceva, era l'unica a saperlo e in una a dirle che le faceva male- tutti ti guardano, tutti ti sorridono, ti ammirano -la bionda buttò per terra la sigaretta- avanti, Angie, sei popolare» e lo aveva detto come se fosse una gran cosa 

«Io non sono "popolare" -aveva imitato la sua voce- la notizia di di spargerà velocemente, come è arrivata se ne andrà, rimarrà solo una voce di corridoio» 

«Angie, sono proprio le voci di corridoio che rimangono» Le voci non si erano fermate, comunque. 

~

I primini non erano mai particolarmente puliti, eppure  l'avevano fatto lavorare veramente tanto: fazzoletti a terra, gomme da masticare sotto ai banchi o alle sedie, libri dimenticati, matite e penne sparse, gesso, gesso e ancora gesso. Quella era stata la classe più difficile, poi era andato tutto in discesa. 

Marco si era dimostrato una persona particolarmente paziente, riservata e tendente al silenzio, motivo per cui, quando eravamo stati divisi, lui era andato con Monica (che tra le due bidelle era quella più silenziosa) e lei con Francesca. Non era esattamente il suo tipo di persona, ma almeno trovava sempre un argomento di cui parlare o qualcosa da dire, senza far ricadere le conversazioni in quei tipici silenzi imbarazzanti in cui non si ha nulla da dire, tuttavia era impaziente, sbrigativa e veloce, tutte cose che lei, ovviamente, non ero. Motivo per il quale subiva un rimprovero ogni due per tre anche senza un vero e proprio motivo: lei voleva che si sbrigasse perché c'erano tante altre parti della scuola da pulire ma più le metteva fretta più si fermava sulle cose più semplici. 

~

La prima settimana era passata velocemente, Sara aveva fermato qualsiasi cosa portasse avanti prima, probabilmente l'umiliazione pubblica era servita veramente a qualcosa. Il lunedì successivo, quindi due settimane dopo i fatti, Sara le era venuta incontro con lo sguardo serio. Avevano la maggior parte degli occhi puntati addosso 

«Io non voglio, che sia chiaro, tu non mi piaci per nulla -Sara le aveva preso una mano, tirandola: era più bassa e leggermente più gracile di lei quindi le era facile spostarla- Ma hanno insistito tutti per averti.» 

Tutti gli studenti che si trovavano nel corridoio le stavano guardando straniti e, quando arrivarono fuori dalla scuola, sull'entrata sul retro, capii quello che voleva dire. Lei non la voleva, ma il suo gruppo di amici sì. Gruppo di cui faceva parte anche Marco. 

Non era difficile poi comprendere come erano andate le cose, tra un'uscita e un pomeriggio passati insieme i due si erano avvicinati, fino ad innamorarsi. E di come è andata a finire, si sa, ne abbiamo già scritto a sufficienza. Era stato bello però il loro rapporto in presenza.

Venezia era sempre stata una delle sue città preferite, eppure, ogni volta che ci andava si perdeva nel marasma di viette che componevano l'isola.
Angela allungò lo sguardo fin dove poteva, lei, Alessandro, Antonio, Marco, Sara, e Anna stavano aspettando Daniele, il migliore amico di Marco, che stava comprando i biglietti per il treno, il ragazzo guardò Angela, che parlava con Sara e Anna di cose loro.
La ragazza parlava sorridendo, e annuiva, allargando sempre di più il sorriso, si poteva dire che fosse quasi il ritratto della felicità, lei spostò lo sguardo su di lui, che continuava a guardarla con la coda dell'occhio, la ragazza chiuse la bocca ma continuò a sorridere e pochi secondi dopo riprese a dare ascolto alle sue amiche, scivolando via con lo sguardo dalla figura del ragazzo.
Daniele arrivò pochi secondi dopo, con otto biglietti in mano
«Il treno parte, cioè arriva tra due minuti, il ragazzo ha detto che se è troppo affollato ci conviene prendere il prossimo» il ragazzo diede a ognuno di loro un biglietto
«Il prossimo tra quanto arriva?» Sara si era spostava affianco ad Daniele mentre faceva la domanda, Anna si era messa affianco a lei, che a sua volta, si era spostata, affiancandosi a Marco, Daniele guardò l'orologio che aveva al polso
«Tra una quindicina di minuti» il ragazzo alzò le sopracciglia, era una cosa che accadeva spesso, quando era sorpreso, nervoso o colto alla sprovvista, una delle reazioni primarie che aveva Marco era quella di alzare le sopracciglia, cosa che faceva anche quando si accorgeva che una persona lo stava guardando, o quando guardava una persona e questa si girava verso di lui.
Angela si era girata verso Daniele
«Secondo me ci conviene prendere quello successivo» Sara diede ragione alla ragazza e la voce metallica annunciò che il treno da Venezia stava arrivando, i ragazzi si spostarono verso i binari, le ragazze si presero a braccetto, camminando davanti al gruppetto di ragazzi.
Arrivarono nel preciso istante in cui anche il treno arrivò, era facile constatare quanto fosse pieno e le ragazze si impuntarono per prendere il successivo.
Angela aveva visto Marco massaggarsi da solo il collo e poco dopo il ragazzo sentì una mano fredda che gli si posava sul collo, alzò la testa alzando le sopracciglia, Angela si sistemò con la mano libera gli occhiali da sole sul naso, mentre con l'altra gli massaggiava il collo
«Lo sai che dovresti prendere qualcosa per i mal di testa?» la ragazza posò anche l'altra mano sul suo collo e il ragazzo abbassò di poco la testa, lasciandole maggiore spazio
«Sono contro qualsiasi antidolorifico» Angela aveva sbuffato e lui era certo che aveva alzato anche gli occhi al cielo. Passò a massaggiargli le spalle, Marco si rilassò leggermente, nonostante avesse ancora un tremendo dolore alle cervicali, il ragazzo prese le mani della ragazza e le posizionò meglio
«Parte da qui?» Angela sapeva la risposta, ma gli tracciò comunque una linea leggera con un dito sulle cervicali, il ragazzo annuì, mentre lei riprendeva a massaggiargli il collo- io non ho mai avuto dei mal di testa forti, tu sembri completamente afflitto dal dolore -Marco abbassò ancora di più la testa, lasciando maggiore spazio alle mani della ragazza- quante volte al giorno ti viene?»
«Beh, dipende»
«Sta arrivando il treno» Angela aveva staccato le mani dal suo collo e il ragazzo si era alzato.

Angela era sempre stata un puzzle di personalità, a tratti i pezzi si contrastavano e ad altri coincidevano: si era costantemente ritenuta, fin dalla tenera età, una persona piena di energie, pronta a fare nuove amicizie e a non lasciare mai indietro nessuno, era sempre stata spontanea ed entusiasta di tutto ciò che accadeva. Però, come tutti, si era ritrovata in situazioni in cui, poco alla volta, la sua personalità era mutata; la malinconia prendeva possesso di lei facendola essere egoista e avida. 

Angela si era voltata verso Veronica che coccolata dalle mani della parrucchiera aveva gli occhi chiusi 

«Beh, ero come tante altre da piccola: andavo a scuola, facevo i compiti, ogni tanto al pomeriggio uscivo a giocare; c'è stata una  volta però che mi ricorderò sempre -sua nipote si era voltata verso di lei, le sopracciglia leggermente alzate e lo sguardo luccicante di curiosità- ero alle medie, stavamo festeggiando la fine dell'anno scolastico, c'erano i banchi attaccati dove c'erano pasticcini e bibite, eravamo uno dalla parte opposto, lui ad un certo punto mi ha tirato un biscotto in faccia -Veronica aveva cominciato a ridacchiare, mordendosi le labbra per non ridere- ho fatto il giro dei tavolini come una furia e lo preso per i capelli -Angela aveva riso di rimando alla risata sonora di Veronica, che la ragazza tentava di trattenere- dietro aveva il muro e credo che gli abbia fatto dare una testata molto forte mentre urlavo "tu biscotti a me non ne lanci!", la professoressa si è girata dall'altra parte» Veronica aveva riso, a tratti trattenendo il fiato, mentre anche Angela si metteva una mano davanti alla bocca cercando di trattenersi. 

Sul tardo pomeriggio poi Angela era uscita dalla parrucchiera, i capelli, a boccoli, che profumavano di lavanda. L'ormai liscio caschetto nero di Veronica era esattamente di fronte a lei, ciocche si spostavano a favore del vento e con loro seguiva un aroma di arancia.

*Canzone: Timber
**Canzone: Got your number
***Dal dialetto Veneto: bambina

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 (seconda parte) - Cocco e Cioccolato ***


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Nota autrice all'inizio perché mi piace la suspence, no scherzo, volevo solo dirvi di far partire la canzone dalla parte in corsivo in poi!

Per il resto, tralasciando che ho sclerato tantissimo mentre scrivevo la fine, non ho nulla da dire!

Buona lettura!

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Veronica si era guardata nel grande specchio che aveva davanti, sulla mantellina che aveva sulle spalle ciocche dei suoi capelli neri scivolavano e cadevano a terra, spargendosi, mentre la parrucchiera le metteva in piega quelli rimasti con la spazzola e il phon. I suoi capelli, ormai tagliati in un caschetto lungo e bagnato, prendevano piano la forma di onde larghe che le si poggiavano leggere sulle spalle. Non sapeva perché ma da giorni, forse addirittura una settimana abbondante, aveva sentito il profondo bisogno di cambiare qualcosa di sé. Veronica sapeva che desiderare il cambiamento era una cosa più che normale, la vita era fatta di sfide, percorsi ad ostacoli e decisioni continue che portavano a cambiamenti costanti, anche se esterni, era quasi sicura di poter dire che il cambiamento non era la ricerca dello sviluppo ma il desiderio di un equilibrio interiore o questo almeno se non si parlava di un cambiamento caratteriale. La sua voglia di cambiare quindi non si fondava più sulla voglia di rivoluzionare sé stessa o solo qualcosa di sé ma più nel dare un equilibrio a ciò che era già stato cambiato, e questo lo aveva appreso un paio di giorni prima, quando, uscita dalla doccia, si era guardata allo specchio, soffermandosi principalmente sui propri capelli, lunghi tanto da arrivare a metà schiena. Era da anni ormai che teneva costante quella lunghezza, probabilmente dalla prima superiore, e le serviva, in modo decisivo, un taglio. Così, parlando con Angela del più e del meno davanti alla televisione con i popcorn aveva buttato lì la questione, introducendo anche la scusa della festa, sua zia aveva compreso, forse addirittura prima che Veronica finisse di parlare, e le aveva detto, la stessa sera, che due giorni dopo sarebbero andate insieme. Così in quel momento, presa da non sapeva nemmeno lei quale moto, si stava fissando incessantemente i capelli. Corti come mai lo erano stati. Si era sentita libera, leggera, come se qualcuno le avesse tolto un peso dalle spalle, un macigno che si portava dietro da quei primi giorni di settembre quando era arrivata a Treviso. Veronica era rimasta a fissarsi ancora per un po', sentiva anche gli sguardi delle altre persone guardarla, poteva vedere perfettamente, attraverso lo specchio, la vecchietta dall'altra parte della stanza guardarla male, forse si stava chiedendo se non fosse un po' vanesia a guardarsi così costantemente allo specchio, sinceramente non le importava, che altro avrebbe dovuto fare? Di certo non fissarsi le scarpe. Aveva sentito il telefono vibrare tra le mani; lo aveva preso e, dopo per visto il nome di Cecilia, con tanto di cuoricino rosa e rombo rosso, le aveva risposto 

"So di arancia" era la prima cosa che aveva detto quando aveva risposto, prendendo in contropiede Cecilia

"Vero ma che cazzo? -Veronica aveva ridacchiato, e si era mossa possibilitata dall'assenza della ragazza che le stava mettendo a posto i capelli- Ma dove sei?" 

"Sono dalla parrucchiera"

"Ahn, ti fai bella per qualcuno eh" 

"Ma -Veronica aveva riso, la maglietta che sobbalzava- Sì, per te amore mio, aspettami che tra poco torno a casa" aveva sentito Cecilia ridere dall'altro capo del telefono 

"Hai deciso per il caschetto alla fine?" 

"Alla fine sì" 

"Siamo tutte curiose qui -aveva sentito Ada urlare, poi, al suo seguito, un bel po' di sì di tutte le altre- ma state un poco in silenzio? Mandale foto poi eh, vogliamo vedere" 

"Ma non potete aspettare che io arrivi a casa tua?" Volendo invitare anche Veronica il luogo dell'appuntamento era cambiato spostandosi dalla casa di Margherita a quella di Cecilia, le altre ragazze erano arrivate prima di lei, circa verso le diciotto, almeno a guardare l'orario dei messaggi scritti sul gruppo, mentre lei a quell'ora era giusto appena entrata nel salone. Lei sarebbe arrivata da loro giusta per l'ora di cena, per sistemarsi con il trucco e l'abito, poi, con la macchina di Ada, sarebbero andate tutte al locale dove si sarebbe svolta la festa 

"Dai amo -sta volta era stata Giada a parlare, ed aveva anche allungato la o di quel nomignolo ormai famigliare- siamo tutte troppo curiose per aspettare"

"Va bene va bene, per cosa mi avevate chiamato comunque?"

"Per sapere se ti andava bene mangiare dei tramezzini e un po' di schifezze che hanno portato questa qua" 

"Ah, si certo!" 

"Tranquilla niente con gli asparagi sai, dai ragazze gli asparagi, ma davvero non sapete che -Margherita era stata interrotta da Cecilia- Marghe, per l'amore del cielo" Veronica aveva riso 

"Vero allora ci sentiamo dopo, va bene?" 

"Sì sì, vi mando anche le foto, tranquille" avevano chiuso la telefonata dopo un altro paio di battute, salutandosi animatamente. Angela, affianco a lei, le aveva sorriso, mentre un'altra donna le fermava i capelli con della lacca

«Zia» 

«Dimmi tesoro» Angela le aveva risposto mentre scriveva un messaggio, poi aveva messo giù il cellulare e l'aveva guardata 

«Quando siamo fuori mi fai due foto? le vogliono per forza» aveva ridacchiato immaginando le loro facce speranzose di sapere cosa era venuto fuori da quel cambiamento. 

A Veronica non importava tanto come loro la pensassero, insomma: le stavano simpatiche ed era a loro simpatica ma oltre a quello non c'era molto che le unisse l'un l'altra. La considerazione che aveva per loro pesava anche in base anche a quanto si fosse aperta, e, se si tralasciavano Cecilia e Giada, non aveva parlato più di tanto con nessuna, almeno in modo serio, si era limitata a fare battute, a ridere alle loro ed a ascoltarle, ma non si era veramente aperta. A sé stessa piaceva ed era quello che più importava. Angela l'aveva guardata, poi aveva annuito 

«Certo!». 

Veronica si era guardata ancora, e ancora, sempre più decisa nell'idea che non avesse sbagliato. Quel taglio le donava, dandole un'aria più sbarazzina. Veronica, inconsciamente, aveva pensato a Leonardo. Cosa avrebbe detto lui? Probabilmente, si era detta, quel cretino avrebbe fatto delle battute sarcastiche sui suoi capelli, Veronica avrebbe fatto la finta offesa e poi avrebbe riso. E poi era arrossita 

Lui l'aveva guardata ancora seduto sulla sedia, ma non aveva detto niente, si era limitato ad osservarla, fino a quando Veronica non si era tirata su, tornando seduta di fronte a lui. La ragazza aveva percepito gli occhi del ragazzo su di sé ancora prima di tornare a guardarlo, e per una volta gli si era sentita vicina, fisicamente e mentalmente. Quando il ragazzo aveva allungato una mano verso il suo volto, in un gesto dettato da un moto di dolcezza scaturito da una scintilla di gentilezza, Veronica non si era spostata, desiderando, in maniera fin troppo fraintendibile, il tocco delle sue dita su di sé. Lui le aveva sciolto la coda, sporgendosi verso di lei, avvicinandosi, lasciando anche una leggera carezza sulla sua pelle, che Veronica sentiva ormai scottare, mentre seguiva l'onda naturale dei capelli della ragazza con le mani, sfilando via del tutto l'elastico. Lei l'aveva guardato nuovamente negli occhi, ed incontrando un sguardo tanto mite aveva percepito chiaramente una scossa partire dalla nuca e protrarsi fino al suo basso ventre e quella stessa era sembrata riecheggiare fino a spegnersi in un calore agrodolce. Era stata tanto potente da farla tremare come una foglia secca che, ancora appesa al suo albero, subiva le angherie del vento. Tutto quello era stato seguito da un paio di brividi che si era raccolti sulla schiena, sui muscoli delle sue gambe e delle sue braccia, il suo sguardo era vacillato ancora quando il ragazzo aveva portato una ciocca dei suoi capelli sulla spalla semi scoperta della ragazza ed aveva sfiorato per sbaglio il collo niveo. Ed ancora brividi si erano sparsi sulla pelle che era stata toccata da quelle dita calde. Leonardo aveva seguito con gli occhi un percorso che aveva fatto anche lei su di lui, dalla linea dura e definita della mandibola, la curva della mascella, il rosato delle guance, poi sugli occhi chiari, azzurri, degli stessi che malediva quando faceva quella battute troppo sarcastiche che ferivano gli altri, quegli stessi di cui sentiva il peso dello sguardo addosso, quelli che la stavano facendo arrossire, poi Veronica si era spostata più in basso, sulle labbra rosee, l'inferiore era piena mentre la superiore si mostrava più fine, leggermente aperte, socchiuse, dischiuse, e si era alzata di nuovo sugli occhi, ancora più miti di prima, scintillanti, mutati in un colore più intenso. Lui aveva lasciato lentamente la ciocca di capelli che ancora si posava sul palmo della sua mano alzata «Stai meglio coi capelli sciolti..» e la sua voce roca le era risuonata nella testa ancora e ancora. 
Si era sentita vibrare di attrazione, attratta da lui in un modo che, per il momento, sembrava sia giusto che sbagliato, la gola secca, il respiro leggero, che nemmeno ci pensava più all'aria che entrava nei suoi polmoni. Le era sembrato di aver perso il proprio nord, deviata in una strada che sembrava essere tortuosa, pericolosa.

E poi. 

L'autobus si era fermato di colpo e per poco non si era ritrovata anche catapultata dall'altra parte del mezzo, era stata maledettamente fortunata, perché il braccio di Leonardo, con ottimi riflessi, le aveva circondato la vita quando il conducente aveva sterzato troppo in fretta, fermandola dall'imminente caduta sul pavimento e tirandola verso di sé, schiacciandola contro il petto

«Potresti evitare di cercare il suicidio? Morire in autobus non è una bella morte sai, soprattutto così» le aveva sussurrato arrogante e ironico, con il mento appoggiato sulla sua testa; Veronica aveva riso, la fronte appoggiata al petto ampio del ragazzo, aveva posizionato le mani aperte sulle sue scapole, ed era rimasta ferma in quel semi abbraccio.C'erano stati altri momenti come quello, piccoli frammenti in cui tutto diventava intimo e caldo, come un abbraccio affettuoso, istanti in cui tutto era sfumato, provvisoriamente irrilevante, ed erano esistiti solo loro due. [...]Veronica aveva alzato gli occhi sul viso del ragazzo e quasi si era sentita la faccia prendere fuoco quando aveva incrociato lo sguardo di Leonardo, lui le aveva sorriso, gentile, e si era appoggiato al vetro del finestrino mentre ancora la teneva abbracciata; lei aveva potuto percepire chiaramente i muscoli del suo addome contrarsi e, successivamente, rilassarsi appena i loro corpi si erano scontrati

Era arrossita, dalle orecchie e alle guance, ci ripensava troppo spesso a quelle scene e fin troppe quelle stesse la facevano sembrare un peperone. 

«Veronica tutto bene? Sei parecchio rossa!» Angela si era subito preoccupata e, come volevasi dimostrare, aveva pensato, era arrossita tanto da sembrar star male

«Sì, tranquilla, è solo l'aria calda del phon che mi fa questo effetto» aveva cercato una scusa un po' a caso, forse un po' troppo buttata là per sembrare credibile. Tuttavia sua zia, e per fortuna, si era detta, aveva annuito e, anche se l'aveva guardata con una faccia stranita, aveva ripreso a leggere la rivista che aveva trovato lì. Aveva cercato di spostare la conversazione su altro e, fortunatamente, ci era anche riuscita. 

Una decina di minuti dopo si erano alzate entrambe dalle poltroncine bianche, la mantellina le era stata tolta dalle spalle e anche la vestaglia leggera, si era passata le mani sotto agli occhi e si era sistemata la gonna a scacchi che, quando si era seduta, si era alzata un po' troppo. Sotto il consiglio di Angela era uscita, e, pazientemente, aveva aspettato che pagasse, era rimasta per pochi minuti a guardare le case davanti a sé, erano delle ville alte ognuna due piani, delle finestre grandi con le tende bianche e dall'edera che cresceva lungo le pareti, i giardini curati e i pilastri dei cancelli che avevano in alto un leone, si era distratta quando il cellulare aveva vibrato e aveva risposto a Giada, che le chiedeva se aveva finito, e a Lucrezia. Quando era uscita sua zia si erano appartate verso una stradina e avevano fatto le foto tanto desiderate dalle sue amiche, poi, percorrendo la strada al contrario, le due erano salite in macchina. Il tragitto non era stato troppo lungo: dopo nemmeno una ventina di minuti, verso le venti, era arrivata da Cecilia. Aveva salutato sua zia velocemente ed aveva recuperato la borsa con dentro due abiti e la sua pochette, si era diretta a passo spedito, cercando di fare il più in fretta che poteva, verso il condominio, e ne aveva fatto le scale di corsa, sfortunatamente la sua amica abitava all'ultimo piano di un edificio storico senza un ascensore. Quando era arrivata, con il fiatone, aveva bussato, le nocche della mano destra che si scontravano con la porta grigia, e, contro le sue aspettative, le aveva aperto sorridente e felice Giada, che le si era buttata addosso, gridando ai quattro venti di quanto stesse bene con quel nuovo taglio, così anche tutte le altre ragazze erano accorse per vedere. Tra i vari complimenti era finita a mangiare barrette al cioccolato mentre le altre le raccontavano di ciò che era successo, quello che avevano fatto nelle due ore in cui lei non c'era stata, a discutere su quale abito indossare e su quali colori usare per l'ombretto, cosa che, sinceramente, lei aveva già deciso. Prima ancora di qualsiasi altra cosa, anche di vestirsi dopo la doccia, Veronica aveva preso in considerazione due vestiti, uno blu, scuro, che le arrivava circa sotto la metà coscia, abbastanza stretto, con le spalli sottili e che le lasciava scoperta mezza schiena, le piaceva, si sentiva sicura, ma allo stesso tempo era convinta che anche un altro abito, uno nero della medesima lunghezza dell'altro, su questo le spalline sottili si incrociavano sulla schiena, riprendendo più volte il tessuto del vestito circa dalle costole e sui fianchi, fino a formare varie x per concludersi in un piccolo fiocco verso il centro. Le piacevano e le stavano bene entrambi gli abiti, ma non sapeva decidere quale tra i due indossare. Dopo aver messo quelli nella borsa era passata alla rassegna dei suoi trucchi e, messe le cose basi quali correttore, blush, mascara e eyeliner, era passata a considerare quali ombretti scegliere, alla fine aveva scelto come base uno color pesca e poi una più scuro per la sfumatura esterna. Veronica aveva preso un'altra barretta di cioccolato al cocco dal contenitore e, scartato dalla cartina, lo aveva mangiato, poi, aveva seguito le altre verso la camera di Cecilia. Si era dimostrata abbastanza grande da permettere a tutte di stare comode. Il letto era situato davanti alle finestre e alla porta finestra di vetro a sinistra di questo c'era la postazione da trucco con tanto di specchio, la scrivania, dal lato opposto, era affiancata da una libreria bassa che conteneva i vari libri di scuola e anche alcuni libri di piacere, Veronica ne aveva individuati un paio che aveva letto anche lei ma non si era spinta a chiedere a Cecilia qualcosa, sulla parete della porta invece si trovava un enorme armadio beige ad ante. Giada, appena erano entrate, aveva subito chiesto a Veronica se le andasse di truccarla e lei, ovviamente, non le aveva detto di no. Non era stato strano truccare la sua amica, capitava spesso che, a Bergamo, quando lei e Lucrezia dovevano andare ad una festa fosse sempre Veronica a truccare la sua migliore amica, un po' perché era sempre stata abbastanza brava un po' perché Lucrezia si truccava pochissime volte e quasi sempre si metteva solo il mascara e il correttore. 

Veronica aveva passato circolarmente il pennello con la tinta scura sulla palpebra chiusa di Giada, una delle mani della ragazza le stringeva il fianco e le tirava la maglietta 

«MI fai il solletico» la ragazza seduta aveva ridacchiato, mentre Veronica si tirava su per prendere l'eyeliner e il mascara. Aveva cercato per un po' di tempo dentro alla pochette rosa di Giada per poi tirare fuori i due prodotti, aveva aperto il primo togliendo il tappo e piano lo aveva passato sulla palpebra, facendo una linea dritta e nera che si spingeva fino a mezzo centimetro oltre l'occhio, aveva finito la codina e poi era passata a colorare l'interno. Seguendo lo stesso procedimento aveva fatto anche l'altro occhio, per poi tirarsi su, da piegata che era, soddisfatta del suo lavoro. 

Alcune ciocche di capelli si erano abbassate sui suoi occhi e, prontamente, la ragazza li aveva riportati indietro. 

Veronica aveva ripassato la codina sull'occhio sinistro di Giada che, sensibile, aveva ridacchiato facendola imprecare mentalmente

«Amo sta ferma» 

«Scusa» Giada aveva allungato la "u" della parola e le aveva fatto il labbruccio come una bambina. Veronica aveva sorriso, poi si era spostata indietro ed aveva lasciato all'argentea la possibilità di guardarsi allo specchio 

«Ma sono stupenda! -aveva riso, il mascara ancora in mano- Ti adoro Vero!» Giada l'aveva abbracciata ancora una volta, poi si era staccata sorridendole ed era andata verso il suo vestito azzurro. Era di natura morbida, uno scollo abbastanza profondo e le spalline sottili che si incrociavano sulla schiena, lasciando scoperte, almeno nella teoria, da scapole in su. Veronica si era girata verso lo specchio e, guardata la sua immagine, aveva messo via i trucchi di Giada per prendere i propri. Una buona quindicina di minuti dopo stava prendendo il pennello per stendere l'ombretto pesca, che le serviva solo da base per utilizzare il più scuro dopo. Si era passata un ultima volta l'eyeliner, finendo di fare la codina sull'occhio destro, poi, girando il viso aveva fatto anche quello sull'occhio sinistro. Per sé aveva usato un inclinazione leggermente più alta rispetto a quella che aveva usato per Giada, ma era stato anche perché l'amica le aveva chiesto qualcosa di non troppo esagerato e quindi si era trattenuta. Ma con sé stessa questo non era un problema. Veronica tendeva a sperimentare e a capire cosa le piacesse, quindi, quando aveva fatto la codina più alta, che le rendeva gli occhi simili a quelli di un gatto, non aveva resistito ed aveva riprodotto la stessa inclinazione anche nell'altro occhio. Si era messa un rossetto chiaro, che probabilmente su alcune avrebbe stonato, tendente al rosa opaco, aveva sorriso a sé stessa nel proprio riflesso, si era ravvivata i capelli e, dopo essersi messa il mascara, era rimasta a guardarsi 

«Smettila di guardarti allo specchio, ti sciupi!» Veronica si era sistemata un altro ciuffo 

«Eh ma ho dei ciuffi strani» Cecilia le aveva messo le mani nei capelli, sistemando glieli 

«Ma quali ciuffi strani, sono perfetti, vuoi che ti metto un po' di lacca così durano di più? -lei le aveva annuito e la ragazza si era abbassata verso una porticina del mobile- Hai già deciso quale vestito usare?»

Veronica aveva atteso che la ragazza le immobilizzare i capelli prima di parlare e muoversi

«Sinceramente? -Cecilia aveva annuito mentre la guarda dallo specchio- No»

«Dovrei avere qualche idea...» Veronica aveva scosso la testa

«Tu quale sceglieresti?»

«Beh -la ragazza si era voltata a guardare i due abiti, i capelli biondi, tipicamente lisci, quella sera erano dei boccoli definiti- quello nero, decisamente!» Veronica le aveva sorriso

«Allora metterò quello dai» 

«Che numero porti di piede?»

«Il trentanove e mezzo, perché?» 

«Abbiamo lo stesso numero! Fantastico -Cecilia era andata verso l'armadio e si era piegata a cercare tra le scarpe- Le tue scarpe non c'entrano nulla col vestito, proprio un caz...» 

«Sì, ho capito Cecilia, grazie per la sincerità.»

La ragazza si era tirata su, indossava dei pantaloni ampi con degli spacchi laterali, che partivano da metà coscia, che evidenziavano le lunghe gambe e, come pezzo sopra, un body bianco a manica lunga, le scarpe, con tacco, la alzavano di parecchi centimetri e le davano un'aria elegante

«Ti presto i sandali, o te li regalo, tanto non li uso più» Cecilia le aveva appoggiato vicino ai piedi dei sandali neri, dal tacco alto e dal cinturino fine 

«Ma sono dei trampoli -Veronica aveva riso, e di seguito a lei lo aveva fatto anche Cecilia, mentre si alzava e recuperava il vestito nero che precedentemente aveva appoggiato sul letto insieme a quello blu. 

Veronica era andata dietro al separé bianco che Cecilia aveva in camera, si era tolta per prima cosa le scarpe, delle dr martens che aveva ormai consumato fino allo sfinimento, si era sfilata anche i calzini lunghi che indossava sempre quando metteva gli anfibi e, dopo aver tirato verso il basso la cerniera laterale, si era tolta anche la gonna, che, essendo a tubino, aveva fatto un attimo di resistenza quando si era scontrata con i suoi fianchi. Veronica ne aveva strattonato piano il tessuto, terrorizzata dall'idea di romperlo, poi era riuscita finalmente a sfilare l'indumento e lo aveva appoggiato su una sedia che si trovava esattamente dietro di lei, si era tolta la maglietta e si era sfilata anche il reggiseno, ne aveva uno classico, bianco, in pizzo, ma comunque non andava bene per il vestito che doveva indossare visto che questo le lasciava la schiena scoperta. Aveva chiesto gentilmente ad Ada di passarle la sua borsa e ne aveva estratto un reggiseno adesivo. Non lo metteva spesso, di solito usava dei vestiti che erano scollati principalmente davanti, però comunque non era un problema indossarlo; non avendo una taglia abbondante, Veronica portava circa una seconda che tendeva ad una terza, avrebbe potuto anche non indossare il reggiseno, ma si sentiva decisamente più sicura con. Si era infilata il vestito nero e, dopo aver faticato un po', era riuscita a prendere i due laccetti e a fare un fiocco. Era uscita da dietro al separé, i piedi scalzi che camminavano sul pavimento freddo, si era avvicinata davanti allo specchio e, dopo aver sistemato le ultime cose, si era guardata soddisfatta. Come aveva già detto non era persona da sottovalutarsi

«Ragazze io e Marghe andiamo giù nel frattempo, perché sono già le dieci e dieci, tempo di arrivare da Ink...»

«Sì sì, certo, andate, noi prendiamo le giacche e vi raggiungiamo -Giada aveva passato a Veronica l'altra scarpa- Dai Ve, muoviamoci» lei aveva annuito ed aveva allacciato l'ultimo dei due laccetti, si era alzata in piedi e, dopo un attimo, non era abituata a tacchi così alti, si era stabilizzata. 

Aveva recuperato anche il chiodo di pelle, il telefono e la piccola borsetta doveva aveva il portafogli, quindi aveva afferrato la mano che le aveva teso Giada, la ragazza l'aveva vista ancora un po' insicura ed aveva preferito darle un supporto e si erano incamminate così fuori dalla casa di Cecilia. Giada e Veronica avevano raggiunto Ada e Margherita seguite quasi a ruota da Cecilia e Celeste, insieme avevano attraversato la strada, il rumore dei loro tacchi che batteva sull'asfalto accompagnava la loro venuta. Avevano passato porta San Tommaso e poi avevano continuato a camminare per Viale Burchiellati, di solito lì veniva fatto il mercato, c'era andata con Angela una domenica. Ricordava ancora che erano tornate a casa a piedi, non distavano troppo da quella zona, con almeno cinque sacchetti in mano, in più, Veronica ci aveva guadagnato anche un mal di testa che, nonostante l'oki che aveva preso, era persistito fino alla mattina successiva e oltre. Avevano percorso il borgo Mazzini parlando di quanto sarebbe potuta essere bella la festa e poi avevano girato per via Sant'Agostino. Le strade della città erano quasi tutte fatte di ciottoli e sanpietrini cosa che non facilitava loro la camminata, Celeste era stata più furba, aveva usato degli stivali con un tacco leggermente più basso del loro, cosa che la faceva proseguire tranquilla, al contrario di loro, che ogni passo poteva essere una caduta. Aveva notato, già da un po' di tempo, come Treviso fosse fatta praticamente solo di portici, ma mai come quella volta se ne era resa conto.  La strada che stavano percorrendo era abbastanza stretta, gli alti edifici facevano da barriere e, ai piani terra di ognuno di loro, si trovavano dei negozi. All'inizio della via a sinistra, sotto ad una fila di portici che poi si interrompeva, cosa che non accadeva dalla parte opposta, si trovava una gelateria, a destra invece una pizzeria al taglio. Ancora più avanti, sotto ad altre file di portici, si potevano trovare un fotografo e una caffetteria, poi dei negozi di vestiti e borse, ancora più avanti si trovava una farmacia a destra e una chiesa a sinistra. Avevano camminato ancora, girando a sinistra, ed ancora altri portici, appartenenti a palazzi alti e talora anche larghi, le si erano palesati davanti. Almeno, si era detta, se mai dovesse piovere c'è un riparo. 

Cecilia si era fermata poi davanti ad un locale

«È qua?» Margherita si era spostata vicino alla bionda, che, guardando la chat con l'indirizzo aveva annuito 

«Dicono che è tipo sotterraneo e che ci sono delle scale per scendere» 

«Che figata! Serve la tessera sanitaria o la carta di identità giusto?» Cecilia aveva annuito all'amica 

«Hanno una lista con i nomi, quindi dobbiamo avere un documento dietro per forza» Veronica aveva preso il portafogli, come le altre, ed aveva recuperato la carta di identità, come avevano fatto anche Giada e Celeste. 

Erano entrate, avevano passato il controllo ed erano andate tutte dalla parte che aveva detto loro il buttafuori e si erano fermate prima di scendere le scale. Una coppia le aveva sorpassate 

«Ciao!» Margherita aveva alzato il mento quando il ragazzo le aveva salutate, avevano risposto quasi in coro, ma la ragazza, generalmente peperina era rimasta in silenzio 

«Ciao Marghe!» 

«Ciao! -poi, quando erano passati oltre, Margherita si era voltata verso di loro lo sguardo carico- Ze fora sta qua?» Cecilia l'aveva spinta dalla vita, facendole quasi scendere le scale di forza, Veronica non sapeva nulla né chi era quel ragazzo né tanto meno chi era la ragazza, nonostante quello aveva deciso di non chiedere subito informazioni 

«Margherita non ci pensare e vai avanti, forza!» 

La musica alta si era già fatta sentire da circa metà scale ma, appena furono in fondo, non riuscirono più nemmeno a sentirsi tra loro, Cecilia urlava di non allontanarsi troppo, Margherita diceva qualcosa sul bere e Giada sembrava urlare e basta. Veronica si era guardata intorno, la stanza era grande, più di quanto si era immaginata: su un palchetto rialzato, delimitato da una sottospecie di ringhiera, il dj faceva andare la musica, in quel momento c'era, a tutto volume, una canzone di Salmo, aveva continuato a perlustrare la stanza ed aveva visto che su un altro c'era il bancone del bar che, proprio in quel momento, stava servendo alcolici ad un gruppo di ragazzi, il resto dello spazio, quello centrale, era completamente aperto e ormai occupato dagli studenti, lateralmente c'erano delle porte, alcune con le indicazioni dei bagni e altre che semplicemente sembravano essere lì e basta. Le luci blu e rosse erano state abbassate fino e poi alzare, poi tutto era diventato viola, poi ancora rosso e ancora blu, l'euforia generale aveva contagiato in qualche modo anche loro e, dopo esser state spintonate di qua e di là fino a centro, si erano ritrovate a ballare le une con le altre al ritmo incalzante della musica. Veronica ancheggiava i fianchi, con le mani in aria, alte urla si erano levate e anche le loro le avevano seguite. Tutto nero, poi tutto rosso, blu, e viola, poi da capo, Veronica aveva girato il viso, una luce l'aveva illuminata per intero, dai piedi stretti in quei saltali alti alle cosce coperte dal vestito, dalla vita messa in evidenza dai laccetti ai capelli neri che, nonostante la lacca, si muovevano con lei ad ogni minimo movimento, aveva sorriso ad Ada, poi, il suo sguardo sia era spostato sulla persona dopo Ada. Leonardo era impegnato, proprio in quel momento, a parlare con altri tre ragazzi, aveva distolto lo sguardo ed era tornata a guardarsi intorno 

«Ma Marghe?» aveva urlato, cercando di farsi sentire, l'unica che si era girata però era stata Giada 

«Credo al bancone, vai a controllare?» 

«Sì, casomai avvisa le altre.» 

Veronica aveva dovuto spalleggiare e spintonare delle persone per arrivare fino al bancone, che, ormai, era mezzo vuoto. Aveva individuato subito Margherita, la ragazza era seduta su uno degli sgabelli, tre ragazzi a fianco che scherzavano e le offrivano da bene. Aveva sospirato, capendo ciò che stava succedendo e le si era avvicinata, con l'intento di portarla da qualche altra parte, qualsiasi altra parte. 

Veronica le si era avvicinata, toccandole il braccio per avere la sua attenzione. Margherita si era voltata verso di lei, lo sguardo languido, i movimenti scoordinati «Ma quanti ne hai bevuti?» aveva indicato con le dita i bicchierini davanti a loro

«Cinque» 

«Cinque?!» 

«Sei...No! Cioè, quattro! Non lo so!» la ragazza aveva riso, indicando con le dita il numero di shottini che si era bevuta

«Marghe» 

«Dimmi una cosa, visto che comunque non ne sai nulla, no?» 

«Ma non ne so nulla di cosa?» Veronica aveva sorretto la ragazza che, instabile, si era appoggiata totalmente a lei

«La coppietta di prima, dai Vero! -Veronica le aveva fatto cenno di continuare il discorso- chi è più figa tra lei e me?» 

«Ma che discorsi sono?» 

«Dai dimmelo, non mi offendo! Da uno a dieci!» Margherita l'aveva guardata ovvia, come se la risposta fosse tra le più facili dell'universo, nel frattempo si afferrava alle sue spalle e al tessuto della sua giacca 

«Non lo so, non ne ho idea...»

«Ragazze! -Celeste aveva circondato loro le spalle ed aveva messo in mano sia a Veronica sia a Margherita un bicchierino colmo di alcool- Bevete! Siamo ad una festa! -Celeste aveva lasciato uno sguardo di apprezzamento verso Margherita, che, ancora una volta, aveva bevuto ed aveva fulminato lei che aveva ancora il bicchierino in mano. Veronica aveva sospirato ed aveva bevuto, la gole le aveva bruciato leggermente, ma alla fine non era nemmeno così forte- Brave! Ve ne porto altri!»

«Non serve!» aveva urlato Veronica che ancora teneva Margherita 

«Serve!» 

Margherita aveva abbracciato Veronica senza nessuna ragione precisa, forse solo per sostenersi meglio, Cecilia, invece, le aveva raggiunte poco dopo e, quando Margherita aveva avuto un conato di vomito, l'aveva subito portata via. Così, minuti dopo, Veronica si era ritrovata a dover bere altri tre bicchierini che aveva portato Celeste invece di uno solo, era così strano come quella ragazza fosse cambiata dopo nemmeno un'ora passata dentro al locale, da distribuire silenzio era passata a distribuire alcolici a destra e a manca, e quelli lì sì che erano stati forti, la gola le aveva bruciato e un forte sapore di cocco le aveva pervaso la bocca, aveva dovuto voltare il viso dall'altra parte e serrare la lingua contro il palato, poi la ragazza gliene aveva dati di altro tipo e di un'altra tipologia ancora. Un po' brilla aveva raggiunto di nuovo Giada e Ada che, nel frattempo, avevano continuato a ballare, si erano mosse quasi in sincronia ed avevano alzato le mani in aria quando, ancora una volta, la canzone era cambiata. Dopo poco le aveva raggiunte di nuovo anche Cecilia e Margherita, mentre Celeste aveva distribuito e bevuto l'ennesimo bicchiere. Veronica aveva visto, con la coda dell'occhio, Leonardo e Francesco parlarsi, poi il maggiore dei fratelli era venuto verso di loro, i capelli scuri, generalmente pettinati all'indietro e ora completamente scombinati gli davano un'aria vispa, il ragazzo aveva lanciato un'occhiata a Veronica, forse giusto per controllare se stesse bene, poi l'aveva sorpassata ed era arrivato fino a Cecilia. Veronica aveva visto la ragazza saltargli addosso, abbracciarlo, baciarlo e, come le altre, non aveva potuto fare a meno di sorridere e ridacchiare. Veronica aveva sperato, dentro di sé, che da un momento all'altro arrivasse anche Leonardo, magari con una delle sue frecciatine, una qualsiasi battuta sarcastica, il motivo non c'è dato saperlo, forse era solo confusa dall'alcool, dalle luci, dei fumi e dall'euforia, ma lei desiderava vederlo e anche sentirlo. Due mani le si erano appoggiate sulle spalle, e il suo primo, primitivo, istinto, era stato quello di dare una gomitata a chiunque ci fosse dietro di lei, Giada, dietro di lei, aveva schivato la gomitata e le aveva urlato che era lei, quindi Veronica ne era rimasta delusa. Per un secondo, un solo istante, Veronica aveva pensato che ci fosse Leonardo dietro di lei, ma poi, solo dopo, si era ricordata di quanto il ragazzo odiasse essere toccato e toccare le persone, una qualche fobia probabilmente, si era detta settimane prima. Veronica non sapeva quasi nulla del padre di Francesco e Leonardo: era a conoscenza del fatto che non vivesse in Italia ma in Francia, la sua terra natia, che avesse divorziato con Angela circa quando i due bambini erano alle elementari, sapeva anche che non era esattamente amato da nessuno dei due fratelli, ma non si era messa troppo a rimuginare sul perché e si era convinta, forse perché era la risposta più verosimile, che quel non parlarsi fossero delle scaramucce familiari, sapeva anche che aveva gli stessi occhi e lo stesso colore di capelli di Leonardo, sapeva che si chiamava Marco e che, all'incirca, aveva quarantacinque anni; ma le sue conoscenze su quell'uomo finivano esattamente lì, cioè fin dove le era stato detto una volta da Angela e una da Francesco. La musica era cambiata ancora, passando da una canzone di Nitro ad una di un cantante che non conosceva affatto. Giada le aveva circondato il collo con le braccia e Veronica, tanto per stare al gioco, le aveva circondato la vita, lasciata nuda per via del crop top che indossava, ed avevano continuato a ballare ridendo. Ed erano andate avanti così ore, a ballare, divertirsi, ridere e bere, e un po' per quello e un po' per quell'altro, si erano ritrovate fuori dal locale all'orario di chiusura della loro festa, quindi circa verso le due, forse le due e mezza, Veronica non ne era per nulla sicura. Cecilia le aveva salutate ed era andata via con Francesco, Celeste, che aveva bevuto più di tutte ma sembrava anche la più sobria, sorreggeva insieme a Giada, solo brilla, Margherita che, invece, era completamente ubriaca 

«Sei sicura di non voler venire con noi Vero?» le aveva chiesto Celeste, che, uscita dal locale, aveva ripreso un po' del suo normale modo di fare 

«Sì sì, Leonardo è ancora qua in giro con i suoi amici in teoria» 

«Va bene, ma cerca di trovarlo subito!» Giada l'aveva guardata, apprensiva, e per un momento le aveva ricordato Lucrezia. Aveva sentito il petto stringersi al pensiero della sua migliore amica così distante da lei, ma aveva ignorato la sensazione ed aveva salutato con una mano le tre ragazze che, ormai, sembravano star scomparendo. 

«Vero!» Una voce familiare, quella di Andrea, l'aveva colta alla sprovvista, tanto che il ragazzo era anche riuscito a sollevarla e ad abbracciarla. Da quando si erano conosciuti avevano legato molto, non si consideravano certo migliori amici, quello no, non erano ancora arrivati a quel punto, ma erano dei buoni amici, delle spalle l'una per l'altra e viceversa. 

«Andre! -Quando era stata messa giù si era voltata e l'aveva abbracciato, ancora un presa dall'alcool- Quel cretino del tuo migliore amico dove è?»  

«Non lo so! Forse in bagno con una...» 

«Eh?»

«Ma smettila di sparar puttanate» le loro reazioni erano giunte all'incirca nello stesso momento. 

Veronica aveva guardato Leonardo, spostando lo sguardo dalle sue scarpe, delle semplici vans classiche, su per i jeans neri e la maglietta bianca, e poi sul suo volto. Gli occhi luccicavano, doveva aver bevuto anche lui qualcosa, i capelli castani, invece, erano pettinati come al solito, il ghigno sarcastico che si portava dietro durante ogni ora della giornata persisteva sul suo volto ed aveva le mani infilate nelle tasche dei pantaloni

«Andiamo? -Veronica aveva capito che si era rivolto a lei, quindi era staccata da Andrea e si era avvicinata a Leonardo- Hai tutto vero? Che non ci tocchi tornare indietro perché sei mezza ubriaca» 

«Simpatico come al solito -Veronica aveva aperto la borsa e, controllato che ci fosse tutto, aveva annuito, anche se più a se stessa che a Leonardo- Sì, ho preso tutto, tu il tuo sarcasmo te lo sei tenuto stretto quindi direi anche di -aveva sbadigliato e balbettato- andare.» 

Aveva visto Leonardo sorridere e scuotere la testa, era andato per un attimo a recuperare la sua felpa e poi, insieme, si erano incamminati sulla strada del ritorno, cioè quella che avevano fatto lei e le altre ma al contrario. 

Le auto procedevano lente nel put come in una processione ordinata e stanca, la pioggia tamburellava dolce sui cofani, sui muri delle case, sui tetti dei palazzi, sul cemento grigio. Calava fine e fitta prima, poi si ingrossava molesta e si riversava con più lentezza, timida, e poi ricominciava, fastidiosa. Il rumore sordo copriva le voci di quei pochi passanti che c'erano a quell'ora, i loro passi svelti che incontrano l'asfalto bagnato, le scarpe scivolavano, le imprecazioni volavano mentre gli occhi si alzavano verso l'alto e gli ombrelli, per quelli che ce li avevano, si piegavano sotto al volere del vento, tanto forte da procurar timore. Le nuvole grigie e nere si ingrossavano, gonfiandosi e allargandosi, e si muovevano veloci verso il punto in cui il cielo era più scuro, avanzavano, minacciose, lasciando, talvolta, scoperta una porzione di cielo blu. Il cappuccio della felpa che aveva tirato su era scivolato malamente all'indietro quando una folata di vento freddo lo aveva colpito in piena faccia. Si era passato una mano sul volto, scocciato, e l'aveva portata fino ai capelli ormai bagnati, tirandoli indietro, anche se alcune ciocche gli erano ricadute vicino agli occhi. Ne aveva presa una tra l'indice e il pollice, e l'aveva tirata in avanti, attorcigliandola intorno al primo dito, l'aveva guardata, osservando i capelli fini piano piano scivolare via dalla sua stretta e riposarsi in gruppo sulla sua fronte, li aveva tirati indietro un altra volta, poi, aveva spostato lo sguardo sulla figura davanti a lui. Le caviglie fine della ragazza erano coperte dai sandali neri, la suola delle scarpe lasciava impronte invisibili sul marciapiede, illuminato dalle luci dei lampioni. Le gambe magre erano lasciate scoperte dal vestito che indossava e piccole pieghe si formavano all'altezza delle cosce quando faceva un passo in avanti o quando, da ferma, spostava il peso da un piede all'altro, i suoi occhi si erano soffermati più del dovuto sulla curve del suo fondoschiena e dei suoi fianchi. Seguendo la curva della sua vita aveva alzato lo sguardo verso la sua schiena, quasi totalmente scoperta e leggermente curva in avanti per guardare il telefono, poi si era sposato verso la nuca, sul collo fine ma teso, i capelli scuri, ora corti, stretti in una coda alta e disordinata, fatta giusto per non sentire le ciocche bagnate sul collo, si spostavano al volere del vento. Li avrebbe preferiti sciolti, liberi. La ragazza, quando aveva cominciato a piovere, si era tolta la giacca di pelle e l'aveva usata per ripararsi, anche se, più di tanto, non aveva funzionato 

«Credo di aver gufato questa situazione prima» aveva detto, gli occhi fissi davanti a sé e le mani alzate per sorreggere la giacca

«Hai detto che sarebbe piovuto?» 

«Ho visto i portici e ho pensato che, se mai dovesse piovere, almeno ci sarebbe stato un riparo» 

«Del tipo "porto sfortuna solo a pensare alle cose"»

«Non sei divertente» 

«Non sono mica io quello che porta sfiga, e mi raccomando non pensare a nient'altro chatte noire -l'aveva sentita sbuffare, probabilmente gli aveva anche imprecato contro mentalmente- Veronica» l'aveva chiamata poi 

«Se è un altra frase su quanto io riesca a portare delle cal...» 

«Ti stanno bene i capelli così» la ragazza si era zittita, e, con tutte le probabilità, era anche arrossita, l'aveva intravista passarsi una mano sul viso, poi, quella stessa mano era stata messa in un punto a lui più visibile e Veronica gli aveva fatto il dito medio. 

Avevano attraversato la strada con estrema calma, non c'era nessuno nei dintorni a quell'ora, ed avevano cercato di camminare vicino agli alberi, non che la situazione cambiasse tanto, erano fradici, Veronica probabilmente si sarebbe anche presa qualcosa visto che era vestita ancora meno di lui. Aveva sospirato, poi, quando erano riusciti a trovare un posto dove ripararsi. Avevano aspettato un attimo, perché da semplice pioggia tutto era degenerato in un temporale con tanto di lampi e fulmini, poi, passata una buona dose di minuti, forse una decina o una quindicina, la situazione si era calmata e loro avevano ripreso la strada. Erano arrivati a casa di corsa, fradici e infreddoliti, Leonardo probabilmente non era mai stato tanto impaziente di aprire  proprio quella porta dopo una festa come quella volta. Appena entrati Leonardo aveva suggerito a Veronica di andare in bagno, mentre lui sarebbe passato a prendere dei vestiti asciutti per entrambi. Era andato prima in camera sua e dopo in quella di Veronica, aveva, sinceramente, preso i primi vestiti che aveva trovato per entrambi, quindi una tuta nera per lui e una beige, che manco sapeva esistesse, per Veronica. Aveva lasciato i vestiti dalla porta del bagno dopo aver avvisato la ragazza che, contro le aspettative, non ci aveva messo nemmeno così tanto a farsi la doccia; lui invece era andato nel bagno del piano inferiore e, accesa la stufetta, si era asciugato e si era rivestito. Quando era uscito aveva trovato Veronica in cucina, non capiva ancora come riuscisse a reggersi in piedi nonostante tutto quello che Celeste le aveva fatto bere, perché Leonardo sapeva, molto meglio di Veronica, che nonostante fosse tranquilla quella ragazza provasse un inspiegabile attrazione perso gli alcolici. Insomma, la sua prima sbronza gliel'aveva procurata lei, come potersi scordare una cosa del genere.

«Ti conviene andare a dormire adesso» le aveva detto appoggiandosi allo schienale del divano

«Solo se vieni con me» aveva sentito le budella attorcigliarsi nel suo stomaco, una piccola fitta gli aveva gelato completamente il sangue, che tanto per la pelle ci aveva pensato il temporale, quella ragazza era andata, non sapeva che cosa le avesse fatto bere Celeste, ma Leonardo sapeva perfettamente che, da sobria, una cosa del genere non l'avrebbe mai detta

«Veronica -si era passato una mano sul volto, ed aveva sospirato, poi si era avvicinato a lei e l'aveva sospinta in avanti- Sì, va bene, andiamo, ma muoviti» se quello era l'unico proprio l'unico modo...

«Hai paura di farti toccare le persone? Credo si chiami Afo, no, Afa, Afe, Afefobia»

«Non ho nessuna paura io» 

«Allora perché ti ritrai sempre -ed era stato naturale spostarsi quando la mano della ragazza aveva tentato di toccarlo- vedi? Fai sempre così» 

«Ne parliamo domani Veronica, ok? Domani parliamo di tutto quello che vuoi, ora continua a salire queste maledette scale» la ragazza gli aveva messo il broncio e aveva fatto gli ultimi gradini, poi, per non sapeva nemmeno lui quale miracolo, erano riusciti a entrare nella camera della ragazza senza che questa dicesse altro. Veronica si era distesa sotto alle coperte e lui, anche se avrebbe preferito dormire nella sua stanza, si era disteso di fianco a lei 

«Davvero non posso minimamente toccarti?» 

«Dove vorresti mettere le mani, scusa?» aveva alzato gli occhi al cielo e, scomodo come mai nella sua vita, era rimasto immobile 

«Non lo so, credo -Veronica si era interrotta, ed aveva sperato che stesse riacquistando un minimo di lucidità- sul tuo petto, sul tuo collo -e questa gli aveva fatto male- e tra i tuoi capelli -a quel punto Leonardo non sapeva decisamente più dove guardare- e le tue mani?» 

«Cosa?» 

«Dove le metteresti?» 

Era solo per farla felice? Tanto era ubriaca, cosa diavolo avrebbe potuto ricordare? Avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, sarebbe andato bene comunque «Sulle tue spalle, sulla tua schiena, suoi tuoi fianchi -ad ogni parola aveva abbassato il tono di voce- e tra le tue cosce» si era girato verso di lei, ritrovandosi sommerso dal profumo del cocco e del cioccolato, cioè quello che doveva essere l'aroma del suo bagnoschiuma.

Era solo per farla felice, forse. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Come la pizza e l'ananas ***


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Si ragassuoli, di nuovo la nota autrice all'inizio! Io ve l'ho detto che mi piace creare suspance :3. No, scherzo di nuovo, solo c'è un altra canzone e spero capiate dopo farla iniziare, aggiungerò comunque un mio commento all'inizio della parte così da avvertirvi!

Per il resto, spero che questo capitolo possa piacervi come è piaciuto a me scriverlo! Anche se questo è un po' un desiderio di tutte le autrici!
Buona lettura!

Ps. Se avete bisogno della traduzione in italiano delle frasi Venete ditemelo tranquillamente e le aggiungerò <3, penso sia abbastanza comprensibile da scritto comunque, fatemi sapere!

E scusatemi per gli errori che sono rimasti dalla correzione!

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La luce fioca del sole, tipica dopo un temporale, entrava dalla vetrata della stanza e si scontrava con lo specchio piano dell'armadio, i raggi riflessi illuminavano le forme dei due ragazzi sul letto, ancora addormentati. Poi la luce diventava più intensa e l'angolo si spostava, i raggi allora capitavano sulla scrivania di fianco al letto dalla parte destra o sulla libreria dalla parte sinistra, allora il sole si spostava e raggi si infrangevano contro la parete bianca, contro la porta chiusa, poi ancora sull'armadio e ancora sui due. Quella luce era sembrata definirsi poco dopo quando, in modo definitivo, si era incontrata con il vetro e il suo fascio luminoso aveva messo in evidenza il braccio con cui Leonardo stava stringendo Veronica a sé. Francesco li aveva guardati ancora una volta e sul suo volto, nel mentre, si era formata un espressione piuttosto confusa: i corpi dei due ragazzi erano vicini e i loro visi, se possibile, anche di più. Leonardo, sopra le coperte, stringeva la vita di Veronica in una stretta forte, una sua gamba era posizionata in mezzo a quelle della ragazza e le sue labbra sfioravano, in una maniera che se fosse stato sveglio non sarebbe mai successa, la fronte bianca di quella.
Veronica invece aveva una mano appoggiata sul petto del ragazzo, quella aveva un lembo di tessuto stretto tra le dita come se stesse sognando qualcosa di preoccupante, l'altra mano era appoggiata sulla nuca di Leonardo e una sua gamba circondava il bacino del ragazzo. Francesco aveva piegato la testa, le braccia incrociate al petto, ed aveva ringraziato qualche santo, che nemmeno lui sapeva se esistessero, constatando il fatto che, entrambi, avessero ancora i vestiti addosso.
Perché sapeva che se li avesse trovati mezzi nudi, nudi o, peggio, in atti che lui non avrebbe mai voluto vedere, sarebbe stato molto indeciso se picchiare suo fratello, lavarsi gli occhi con la candeggina o buttarsi dalla terrazza. Si era schiarito la voce ed aveva sistemato i capelli con una mano, riportando indietro altro ciocche

«Ragazzi.» li aveva chiamati, ma come risultato aveva ottenuto solo dei mugugni insensati e qualche leggero movimento.

«Ragazzi!» aveva cercato di metterci più enfasi, di alzare il tono della voce, tanto per non farsi sentire da sua madre. Che situazione assurda, aveva pensato quasi ridendo.

«Ragazzi!» allora aveva urlato, piegandosi anche verso di loro, le mani suoi fianchi e le sopracciglia alzate.

«Leo -l'uomo si era sporto verso di lui, facendogli segno di avvicinarsi. Suo padre aveva appoggiato le ginocchia a terra e lo aveva preso per le spalle, strattonandolo vicino, piccoli brividi gli erano passati sulla schiena mentre osservava quegli occhi tanto simili ai suoi- Lei sarà anche tua madre, ma io sarò sempre tuo padre e tu sarai sempre mio figlio, ricordatelo».

Leonardo aveva aperto gli occhi lentamente, si era girato in altrettanto modo ed aveva fatto scontrare le sue iridi chiare con quelle scure del fratello. Per un secondo, uno solo, non erano più stati ragazzi quasi adulti, non avevano più avuto sedici e diciotto anni, ma erano tornati bambini, piccoli, indifesi, impauriti, gli uni nelle mani dell'altro, l'uno che proteggeva l'altro, sempre stretti in abbracci e prese forti, sempre accovacciati vicino al termosifone di camera loro. Costantemente alle prese con urla tanto forti da superare pareti e piani. Entrambi tuttavia avevano distolto lo sguardo quando Veronica, ancora stretta a Leonardo, si era mossa, sciogliendo le prese che aveva sul ragazzo e girandosi, per poi appoggiarsi di nuovo, la schiena ora completamente appoggiata al petto di Leonardo. Francesco aveva guardato il castano chiaro arrossire ed aveva trattenuto le risa mordendosi il labbro e portandosi le mani al naso, tappandolo, per non scoppiargli a ridere in faccia.
Il fratello lo aveva guardato male e gli aveva indicato con la mano libera la porta, visto che il suo braccio destro era stato afferrato e abbracciato dalla ragazza. Il maggiore, alzando le mani, aveva sorriso sbarazzino leccandosi il labbro, aveva guardato poi un'altra volta il complesso della situazione ed aveva alzato le sopracciglia un paio di volte beccandosi dello occhiatacce che sostituivano, momentaneamente, insulti, battutine e anche qualche santo. Ancora una volta, in modo tacito, lo aveva guardato allusivo e suo fratello lo aveva letteralmente mandato a quel paese. Francesco aveva annuito, e, quasi fuori dalla porta, aveva guardato Leonardo girarsi e osservare Veronica, soddisfatto ed addolcito era uscito, e, girandosi, aveva incrociato lo sguardo di sua madre

«Veronica è lì?» Francesco aveva aperto la bocca, sorpreso, e, ancora, si era trattenuto dal ridere

«Sì mamma è lì, ma che ne dici se andiamo a fare colazione? L'ho svegliata ma sarà ancora mezza assonnata.» il ragazzo aveva preso una mano della madre, sorridendole

«Ma oggi devo...»

«Sì sì mamma lo sappiamo, Leonardo -aveva alzato il tono della voce per farsi sentire anche dal fratello- scenderà tra poco, dai andiamo, ho fame, cosa c'è da mangiare?»

«Beh puoi farti un cappuccino e poi ci sono le fette biscottate... sto scherzando, non guardarmi con quella faccia, ci sono tre brioche.»

«Che ci facciamo ancora per le scale?»

«Dimmelo tu tesoro.»

Leonardo aveva guardato Veronica: i suoi capelli neri erano sparsi sul cuscino e aveva la bocca leggermente aperta, manteneva la solita l'espressione rilassata che era così diversa da quella seria che aveva durante lo studio o da quella della sera prima, più sbarazzina, gli occhi chiari, ma più scuri rispetto ai propri, celati dalle palpebre. Il corpo, completamente appoggiato al proprio, mi muoveva leggermente di tanto in tanto e spesso una smorfia appariva sulla sue labbra, a quel punto il braccio che Veronica abbracciava veniva stretto e lei si rilassava, come una bambina a cui era stato restituito il peluche preferito.
Le aveva accarezzato il capelli, attorcigliandosi intorno alle dita alcune ciocche per poi lasciarle ricadere dolcemente sul cuscino, e lo aveva rifatto, accarezzandone la consistenza morbida e leggermente arruffata. Aveva sorriso inconsciamente, le aveva picchiettato l'indice e il medio sulla fronte* e quasi aveva riso quando aveva contratto il viso in una smorfia, l'aveva guardata, ancora, perché sapeva che quello sarebbe stato un bel giorno, ne era sicuro.

«Veronica -l'aveva chiamata una prima volta, aveva sospirato quando la ragazza si era solo girata verso di lui, ritornando alla posizione in cui si era svegliato, aveva contratto le sopracciglia e le sue labbra erano diventate una linea sottile- Chatte Noire -lo aveva cantilenato, ironico, e lei gli aveva semplicemente afferrato la maglietta, strattonandolo e mugugnando incomprensibile. Aveva alzato le sopracciglia, se avesse avuto entrambe le braccia libere probabilmente le avrebbe anche incrociate, spazientito le aveva tolto le coperte di dosso in un solo colpo e, in contemporanea ad un tono di voce più alto, aveva pronunciato di nuovo il suo nome- Veronica!»

La ragazza aveva aperto di scatto gli occhi azzurri con sfumature verdi puntando glieli addosso frustrata, mentre, di scatto, si tirava seduta sul letto improvvisamente infreddolita e scoperta

«Che ci fai qui?» aveva sussurrato lei, la voce roca

«Raccolgo margherite, non vedi chatte noire?» Veronica aveva riso, anche se piano visto l'evidente dolore alla gola

«Dai Leo! -gli aveva dato uno schiaffo sulla spalla- Sono seria, che ci fai nel mio letto? In più, "Chatte noire"? Sei serio?»

«Davvero non ricordi nulla? -La ragazza aveva negato con le testa- In questo caso meglio, comunque sì, sono molto serio, in più ti s'addice.» Leonardo aveva alluso al colore dei capelli della ragazza

«Cosa significa "in questo caso meglio"?» Veronica aveva piagnucolato e si era alzata irrequieta

«Ma tranquilla, non hai perso la verginità in un bagno con uno sconosciuto, solo con me su questo letto» dentro di sé il ragazzo era diviso in due: una parte era come un cagnolino scodinzolante dopo la pappa, soddisfatto, dall'altra si stava sbellicando dalle risate e cercava di pensare alle cose meno divertenti per non ridere in faccia a Veronica.

La ragazza però aveva incrociato le braccia, le sopracciglia alzate e un sorriso trattenuto sulle labbra

«Non sono più vergine da un anno Leonardo, questa carta non si può giocare.»

Il ragazzo non sapeva come spiegarlo, forse non aveva le parole giuste per farlo, forse ne conosceva solo il concetto base e non si era mai addentrato veramente nel complesso della cosa, ma, per ogni situazione aveva un colore da associarci. Lo faceva da quando era piccolo, ogni momento aveva il proprio colore, spesso capitava che fossero anche più di uno a situazione. Ogni emozione, ogni gesto, ogni sguardo veniva categorizzato e poi reinterpretato come colore, fino a formarne uno o più che si associavano per il meglio alla situazione, gli capitava di farlo anche con le lettere, con i numeri o con le persone.

La prima persona a cui lo aveva detto era stata la psicologa da cui andava da piccolo, la stessa che lo seguiva quando i suoi genitori avevano divorziato, questa, per verificare la cosa, gli aveva fatto fare delle prove: gli presentava delle casistiche oppure gli faceva raccontare delle situazioni, spesso diverse tra loro, e poi gli chiedeva di associare un colore ad ogni momento. L'aveva definita una forma di sinestesia, ma Leonardo non ci aveva mai dato peso, era una cosa che faceva automaticamente e non era pericolosa quindi ogni volta alzava le spalle e faceva semplicemente finta di nulla, non era una cosa importante era solo una cosa che faceva.
Spesso associava le situazioni divertenti al giallo, se lo sentiva dentro quel colore come se ci fosse un energia a sé che cresceva dentro di lui e spingeva per uscire, così tutto si colorava, oppure spesso gli capitava di associarle anche all'arancione. Ed erano esattamente quei colori che aveva percepito in lui fino a poco prima, l'arancione, il giallo, anche il rosato, eppure, in quel momento, tutto era diventato di un azzurro pastello tendente a volte al bianco altre che al blu intenso.

Quando aveva incontrato Veronica la prima volta, con quel suo atteggiamento silenzioso, spesso tra le nuvole e timido,
aveva subito pensato, oltre che fosse una bella rottura di scatole, che il suo colore fosse un rosa pastello molto chiaro, questo indicava la dolcezza, la calma e la gentilezza, conoscendola meglio poi le aveva dato l'indaco, la ricerca di armonia e affinità oltre che ad acciacchi di malinconia improvvisa, e fino a poco prima ne era ancora sicuro, ma in quel momento, in quel preciso istante, il colore della ragazza non era più il rosa, l'indaco, ma era il viola, qualsiasi sfumatura di viola le apparteneva e le donava. Il viola rappresentava, nel significato dei colori, l'unione della saggezza, raffigurata dal blu, e dell'amore, dal rosso. Indicava quindi il mistero, la magia e la metamorfosi, il colore significava desiderare la libertà e attirare la simpatia e l'ammirazione altrui. Veronica era così per lui, apparentemente timida e chiusa in sé stessa, misteriosa nel suo insieme, sembrava cambiare con il tempo, trasformarsi e prendere le forme di qualcuno sicuro di sé, capace, intelligente e particolarmente simpatico a primo acchito, in più, il fatto che quel giorno di due mesi prima, in libreria, avesse voluto pagare da sé e non farsi pagare i libri da Angela gli indicava anche che cercasse una propria indipendenza, una propria piccola libertà.

Leonardo non era un genio, non capiva le persone notando i loro piccoli particolari, non scrutava la gente con occhio critico, non vedeva sicuramente la piega della cravatta inusualmente a sinistra di un avvocato e non sapeva collegare quel particolare a nessuna sensazione, emozione o fatto. Non era nemmeno particolarmente empatico, aveva difficoltà a capire le persone e spesso le feriva anche per quello, si ritrovava in situazioni spiacevoli perché faticava il come comprendere gli altri, ma i colori, a differenza di quell'empatia che non aveva, lo aiutavano.

Quell'istante, per lui, quel momento, era stato grigio. Che non si prodigava a simboleggiare la tristezza, ma il momentaneo distacco dalla situazione.

Veronica era stata un cliché per lui, una ragazza vista e rivista troppe volte per apparire interessante, eppure ora si stava mostrando in tutto ciò che non la faceva essere quello che lui aveva pensato fosse. Più le si avvicinava, più le parlava, più passava del tempo con lei, più la sua curiosità nel conoscerla ancora di più, istinto che aveva provato raramente nella propria, breve, esistenza, lo coglieva e lo destabilizzava sempre.

«Beh, vediamola in questo modo, qualcosa di diverso da un cliché allora lo hai, proprio perché non l'hai più!»

«Guarda come rido Leo, guarda.» Veronica aveva le braccia incrociate al petto e l'espressione di qualcuno che, se potesse, si butterebbe giù dalla finestra

«Tu ieri hai bevuto fiumi di antipatia e non-senso dell'umorismo, e desso te i stà vomitando sóra de mi, me misero me tapino! -la ragazza aveva riso e lui si era sentito soddisfatto. Alzatosi dal letto aveva sbadigliato, stanco- Vestiti, che oggi vieni con me.»

«Scherzi? -il ragazzo aveva negato con la testa guardandola con un sorriso compiaciuto- Ma dove?»

«In Alaska Lisi, portati anche un piumone, si sa mai che con 'sto tempo -aveva guardato fuori, indicando con lo sguardo il sole che, pungente e fastidioso, si scontrava con la finestra oltrepassando le tende, illuminando fortemente la stanza- venga una bufera.» Era uscito dalla stanza e in ultima aveva sentito Veronica imprecargli contro.

Si era messo le mani in tasca, aveva camminato a passo veloce fino in camera sua dove, dopo essersi messo dei pantaloni di tuta neri e una maglietta bianca si era spruzzato deodorante e profumo e aveva fatto un piccolo zaino con un cambio. Non che a lui importasse tanto ma, come minimo, appena lo avrebbe visto sua madre gli avrebbe ricordato che, dopo una giornata come quella, avrebbe fatto meglio a cambiarsi. Era uscito dalla stanza abbastanza tranquillo, lo zaino aveva un leggero peso sulla sua spalla e nemmeno si rendeva conto di starselo portando dietro. Aveva sceso le scale quasi saltellando, felice oltre ogni cosa, contento fuori dal tipico, circondato da giallo, verde e arancione si muoveva verso la cucina.

Quando si entrava in casa la prima cosa che si vedeva davanti a sé erano le scale che portavano al piano superiore, alla sinistra di queste c'era un piccolo bagno, lo stesso che Leonardo aveva usato quella mattina per cambiarsi, e la sua porta era di un legno chiaro. Se si guardava un poco più a sinistra gli occhi incrociavano il divano bianco, i ricordi del primo giorno di scuola, quando lui e Veronica si erano svegliati insieme erano riaffiorati nella sua mente. Ancora a sinistra il tavolino di vetro, il mobile della televisione e questa, quasi sempre spenta. Se si voltava completamente il volto invece si vedevano le porte finestre che davano l'uscita sul giardino e l'attaccapanni, poi ancora, nella parete del piccolo corridoio di circa due metri, dell'entrata un mobile dove erano soliti lasciare le chiavi e le scarpe. Il soggiorno non era diviso dalla cucina da nessun muro, o almeno, per una parte lo era, la porta infatti se aperta completamente si poggiava sull'intonaco bianco e, in alcune parti, intaccato per tutte le volte in cui la maniglia interna si era scontrata violentemente con la parete, ma il resto era in realtà un open space che permetteva di vedere la cucina del suo complesso: il tavolo da pranzo, il piano in marmo bianco, oltre a questo il piano cottura e affianco il lavello, più alcuni mobili, come due librerie poste le une davanti alle altre su pareti opposte e una credenza bianca appena affianco alla scala. Dopo il frigo c'era un piccolo corridoio che portava alla porta di accesso al garage Non era esattamente perfetta, su molti punti il legno dei mobili era scheggiato, ma quel posto, da quando ci si erano trasferiti, aveva assunto molteplici significati importanti tanto che, da quando era piccolo, aveva sempre sperato di poterci vivere per sempre.

Leonardo si era seduto sulla sedia a fianco a quella di Francesco che, intento a finire di masticare, stava scrivendo un messaggio. Aveva salutato di nuovo suo fratello, guardandolo male un'altra volta quando aveva alzato un paio di volte le sopracciglia come poco prima.
Leonardo lo aveva fulminato mentre si prendeva dal sacchettino bianco la sua brioche, rigorosamente alla crema. Non amava i dolci, non ne era attratto e, a meno che non si parlasse di tiramisù, lui le torte le guardava e lo ignorava. Tuttavia le paste gli piacevano, e cose come le brioche erano la sua colazione preferita, anche se amava decisamente di più i crafen.

«Vuoi davvero portarla dallo zio e dalla nonna?» Leonardo si era leccato le labbra per togliere via della crema che era rimasta dal morso che aveva appena dato

«Credi che sia un problema?»

«Lo sai che lo zio è particolare...» Leonardo lo aveva guardato confuso, mentre addentava di nuovo la sua colazione

«Semplicemente non ti è mai piaciuto, dai, te lo si leggere in faccia Fra.» Suo fratello aveva riso, una risata calda, piena, in cui poteva sentire tranquillamente dei "hai ragione".

«Domani vai a trovare anche la zia prima?» Leonardo aveva alzato le spalle

«Non so se andrò in cimitero, poi mi dovrei come minimo portare dietro Veronica. Proprio un posto carino dove portare una ragazza.»

«Proprio carino decidere di uscire l'uno di novembre»

«Ti prego -Leonardo aveva riso, il palmo aperto sulla fronte- Non posso farci niente se la festa di tutti i santi è anche quella in cui nessuno mi rompe le palle»

«Siamo stati contagiati, che ti devo dire! Domani vedremo di ucciderti!»

Leonardo e Francesco avevano, nell'insieme, un rapporto piuttosto unito: se il secondo aveva capito grazie al primo cosa fosse l'amore e quale sentimento fosse il generante della frase "ti voglio bene", il primo aveva sicuramente capito dal secondo che cosa fosse la gentilezza.
Avevano due caratteri prettamente diversi: Francesco era una persona calma, mai, almeno attualmente, particolarmente chiusa con le persone, sempre disponibile, pienamente altruista, capace nel consolare e ottimo psicologo senza licenza, questo poteva dirlo per esperienza personale. Francesco era davvero il tipo di persona di cui ci si poteva fidare ad occhi chiusi, colui che avrebbe sorretto qualsiasi persona si sarebbe appoggiata alla sua schiena, avrebbe sempre teso una mano al prossimo e non si sarebbe mai tirato indietro vedendo una persona in difficoltà. Suo fratello aveva un animo dolce, socievole, probabilmente era l'apoteosi di quello che si poteva definire un bravo ragazzo. Tuttavia, nel complesso, Francesco non era solo quello, sapeva dimostrarsi capace di arrabbiature profonde, tanto che, spesso, faceva provare un timore da far venire i brividi, non assumeva più un comportamento da perenne fratello maggiore ma si circondava di un'aura da figura paterna arrabbiata. Era bravo con le parole suo fratello: ne conosceva i significati profondi e le ammaestrava, per quanto si potesse, come più gli piaceva, spesso, nella maggior parte delle volte, utilizzava questa sua caratteristica peculiare per andare bene nelle interrogazioni, per discutere di argomenti con persone più grandi, si giocava le sue abilità come un maestro del vetro di Burano sfruttava le proprie per creare oggetti che venivano considerati d'arte. Perché Francesco faceva quello: produceva arte a parole. I suoi discorsi, spesso monologhi, erano apprezzati, certo non da Leonardo (lui quasi si addormentava quando li sentiva) però sembravano essere giusti per gli adulti quindi non poteva di certo dire nulla. Nel caso in cui Francesco fosse arrabbiato quella sua caratteristica, quel suo pregio tanto riconosciuto e ammirato, tanto voluto quanto amato e apprezzato, sfociava spesso in lunghe lavate di capo che, anche se piene di insegnamenti, erano anche tanto rudi da far salire le lacrime agli occhi contro qualsiasi volontà. Non si risparmiava di certo, era piuttosto schietto e forse, a causa dell'influenza del fratello minore, finiva con l'essere leggermente sarcastico. Questa parte di lui, tuttavia, veniva veramente fuori di rado e nella maggior parte dei casi il ragazzo assumeva semplicemente un comportamento freddo e scostante in completa incoerenza con quella che era la sua solita personalità aperta. Leonardo non vedeva suo fratello arrabbiato da molto tempo, un po' perché non c'era mai un vero motivo per farlo un po' perché Francesco era solito trattenersi, e lui amava suo fratello ma lo preferiva sinceramente nelle vesti di una persona tranquilla e comprensiva.

Leonardo aveva lanciato uno sguardo prima verso le scale e successivamente verso l'orologio che aveva al polso: non lo toglieva mai, anche se a conti fatti non aveva un significato particolare per lui. Gli era stato regalato alla sua comunione, quando aveva otto anni, da sua madre, e, benché avesse già avuto tanti di quegli orologi da perderne il conto, quello se lo era messo al polso destro e non lo aveva mai tolto. Lo aveva portato ovunque avesse potuto portarlo: a nuoto alle elementari, a pallavolo alle medie e a basket alle superiori, in piscina con gli amici, in montagna con la sua famiglia.
Era come un piccolo tesoro per lui, ma la più probabile delle opzioni era quella che non lo avesse mai tolto per via dei suoi compagni (delle elementari):  erano soliti fargli complimenti per quell'oggetto (visto che nessuno di loro ne aveva uno simile) e, di conseguenza, l'orgoglio e l'ego per quella piccola cosa si erano espansi, andandogli a creare quella sorta di attaccamento. Fatto sta che, in quel momento, il suo oggetto preferito gli stava dicendo che Veronica era fin troppo lenta e che il tempo, a differenza della ragazza, scorreva in maniera indipendente e veloce.

Veronica si era strofinata i capelli con l'asciugamano, mentre, con la mano destra, apriva l'armadio. Il mal di testa dovuto all'alcool le era passato dopo un Oki e la doccia. Aveva alzato gli occhi al cielo: l'irritazione per l'ignoranza generata dalle poche informazioni che le aveva dato Leonardo su dove sarebbero andati l'aveva colta in un primo momento in doccia mentre si stava lavando i capelli, poteva ancora sentire, nonostante fossero passati una decina di minuti buoni, ancora il letto fastidio per quando aveva premuto le unghie contro la cute.
Non amava non sapere, desiderava il conoscere tutto al meglio più di qualsiasi altra cosa, e il non sapere cosa mettersi non era un buon punto di partenza. Si era tolta l'asciugamano dalla testa ed aveva legato i capelli ancora bagnati, poi si era asciugato un ultima volta con l'accappatoio, quando a tamponare le parti in cui ancora era bagnata. Aveva sospirato mentre si sistemava il reggiseno carne a fascia, dondolandosi sulle gambe, spostando il peso da un piede all'altro, mentre i piedi nudi facevano passetti prima avanti e poi indietro, aveva preso una canottiera dalle spalline larghe, una camicetta corta, bianca ma con delle palme a fare la fantasia, e dei jeans, leggeri e di una taglia più grande della sua.
Non che odiasse gli abiti stretti ma quel giorno faceva abbastanza caldo, e vestirsi in maniera più chiusa l'avrebbe fatta sentire soffocata. Si era resa conto dopo, quando si era specchia l'ultima volta prima di uscire dalla camera, che il tempo che aveva impiegato a vestirsi probabilmente era stato di più quello che aveva passato a mettersi gli orecchini, che erano stati, tra le cose da indossare, quelli più difficoltosi per via della chiusura, e la collana. Aveva recuperato il cellulare, che poi era stato messo in una tasca posteriore dei pantaloni, e si era data un occhiata nello specchio. Non aveva voglia di truccarsi quel giorno, aveva già caricato troppo il viso di prodotti la sera prima; sotto la doccia si era fatta uno scrub ma aveva preferito comunque passarsi una salvietta struccante sul viso, giusto per togliere gli ultimi residui di mascara.
Aveva puntato gli occhi sulla propria immagine, non c'erano molte cose che non le piacevano del proprio viso: la forma era a diamante, non aveva un mento appuntito e il naso si avvicinava ad uno alla francese, i suoi occhi le piacevo, chiari, azzurri, tendenti al verde con la coroncina castana, aveva qualche lentiggine sparsa e un piccolo neo vicino all'angolo destro della bocca. Era bella, o almeno, lo era per sé stessa, si piaceva e non si sarebbe cambiata per nessun insulto al mondo. Aveva lanciato uno sguardo orgoglioso alla sé nello specchio, si era sistemata i capelli ancora bagnati e, dopo essersi messa le dr martens, era uscita dalla stanza. Veronica aveva fatto le scale di fretta, i passi leggeri che quasi non si sentivano, e quando era arrivata nel salotto si era guardata intorno, cercando Leonardo.
Lo aveva visto pochi secondi dopo in cucina, con suo fratello, che parlavano, si era avvicinata a loro, l'intendo di chiedere al minore dei due fratelli dove diavolo voleva portarla, ma Angela era stata più veloce di lei

«Tesoro buongiorno! Che bella che sei! -sua zia l'aveva abbracciata, e lei aveva ricambiato quel contatto fisico lanciando un'occhiata a Leonardo, per via della pressione che il suo sguardo le metteva addosso- Allora Leo, io non posso accompagnarvi, quindi vi direi di andare in bici. -il ragazzo aveva annuito svogliato e disinteressato, come se il modo in cui si sarebbero dovuti muovere fosse stato superfluo- Vai via così?»

«Quale è il problema?»

«Nessuno, caso mai portati via un cambio.»

«Sì, lo ho già qui come al solito.» Leonardo aveva alzato lo zaino che aveva precedentemente posato per terra

Veronica aveva spostato lo sguardo prima su uno e poi sull'altra, confusa. Angela però era andata via poco dopo e, anche se Veronica aveva provato a chiedere informazioni a Leonardo, lui aveva sviato qualsiasi domanda, incamminandosi con un leggero sorriso verso la porta di casa. La ragazza lo aveva seguito a ruota, incamminandosi verso la porta che avevano attraversato veramente poche volte. Il garage, dalle pareti bianche, aveva il muro sinistro composto da scaffali, in quelli erano riposti scatoloni, scatole, contenitori di tutti e tipi e vari oggetti sparsi, sul lato opposto c'era invece un piano da lavoro in legno, sotto, altri contenitori con vari tipi di viti e chiodi, più altri oggetti, affianco c'era un piccolo armadio bianco che
Veronica non aveva mai aperto e poi, riposte ordinatamente le une affianco alle altre tre bici, nella parete della porta, invece, appesi a dei ganci, c'erano gli oggetti per il giardinaggio. Aveva osservato Leonardo prendere una bici maschile, della Pinarello, sui toni del grigio e dell'azzurro, non sembrava totalmente nuova, però doveva ammettere che piaceva anche a lei.

«Vedi un attimo se ti va bene la bici di mia madre -Veronica l'aveva sfilata da affianco a quella di Francesco ed aveva provato a salirci, ma del tentativo era quasi caduta a terra, aveva fulminato Leonardo quando aveva sentito la sua risata soffocata- Ok, lo sapevo già, era solo per provare. Gonfio un attimo le gomme della mia e poi andiamo -Veronica lo aveva guardato male mentre sistemava la bici della zia, ed aveva scritto a Lu mentre aspettava che Leonardo finisse- Susu, era ovvio, quella bici è più grande di almeno due volte della tua» aveva guardato il ragazzo sospirando

«Almeno mi dici dove stiamo andando?» Leonardo l'aveva guardata, si era tolto dalla bocca un pezzettino di metallo mentre spingeva in basso la pompetta per le ruote.

«Andiamo da mio zio e mia nonna»

«Abitano ancora insieme?» Il ragazzo si era spostato più indietro, tastando la ruota anteriore e annuire, aveva poi indietreggiato per occuparsi di quella posteriore

«No, sono solo nello stesso complesso di villette, visto che non è rimasta da sola e lo zio non è sposato ha deciso di trasferirsi vicino a lei per comodità»

«È paterna o materna?» Leonardo aveva dato una spinta violenta alla pompetta, mentre gonfiava la ruota. L'aveva guardato di sottecchi in volto, per poi spostare l'attenzione sulla maglietta bianca che si muoveva alla pari di quanta forza ci mettesse lui. Probabilmente aveva solo avuto uno scatto per la tensione delle braccia

«Paterna -Veronica aveva annuito mentre il ragazzo metteva via tutto ciò che aveva usato, aveva tolto il cavalletto alla bici per poi sedersi sulla sella. La posizione che aveva assunto era rilassata: le piante dei piedi toccavano completamente terra, il busto era rivolto all'indietro- Siediti dietro, riesci a tenermi lo zaino?»

«Eh? Mh, sì, presumo di sì, ci metto dentro il telefono e la mia borsa se non ti dispiace» Leonardo l'aveva guardata di sbieco, gli occhi chiari fissi su di lei. Brividi puri le avevano fatto venire la pelle d'oca, Veronica aveva aperto lo zaino sotto quello sguardo e il formicolio che si aggirava sul suo corpo per via dei brividi, ne aveva richiuso la zip quando aveva messo dentro tutto ciò che le apparteneva, poi, si era seduta sul portapacchi rettangolare.

«Certo che sei pesante eh -Leonardo aveva aperto il portellone del garage con un telecomando che aveva nel portachiavi ed era partito di scatto. Veronica istintivamente aveva stretto in un pugno un pezzo della maglia di Leonardo che, fermandosi scocciato, l'aveva guardata un attimo- Non dirmi che hai paura?»

«Io? Macché! -La ragazza aveva inclinato la testa, alzando le sopracciglia sarcastica- Parti con più delicatezza magari.»

Il ragazzo aveva alzato gli occhi al cielo, soffiandole in faccia, poi si era messo le cuffiette, muovendo il piede destro per rimettere il pedale della bici in una posizione ottimale. Veronica aveva stretto le dita intorno alla parte metallica dietro di lei per tenersi in equilibrio, stringendo di nuovo la maglietta di Leonardo quando era partito nuovamente. Leonardo, pochi minuti dopo, si era tolto una cuffia e, portando una mano oltre le proprio spalle, gliel'aveva passata. Lei aveva lasciato la sua stretta sulla sua maglietta per prendere l'auricolare, non poteva metterlo nell'orecchio giusto quindi le faceva un po' male, ma, tutto sommato, trovata la posizione giusta non era scomodo da portare.
Veronica non si era affatto stupita quando, al cambio di canzone, quella che aveva susseguito la prima che aveva sentito era stata una canzone rock.

Si era aggrappata alla maglietta del ragazzo quando questo aveva svoltato troppo bruscamente a causa di una macchina, aveva sentito chiaramente l'imprecazione che era uscita dalle sue labbra ed era anche riuscita a vedere il santo che Leonardo aveva nominato cadere dal paradiso. La ragazza aveva voltato il viso verso la strada: le macchine passavano loro a fianco, si sorpassavano, si fermavano e, ogni tanto, volava qualche, partivano dei clacson. Erano appena fuori dalle mura in quel momento, verso il liceo classico.
Leonardo aveva attraversato la strada fuori dalle strisce pedonali ed era stato costretto ad accelerare. Aveva sorpassato sia il liceo sia la chiesa che gli era difronte a tutta velocità, poi, il ragazzo aveva dovuto decelerare e schivare, quasi letteralmente, alcune impalcature che si trovavano in mezzo alla pista ciclabile. Veronica aveva chiuso gli occhi per via del sole che puntava dritto davanti a loro e, quasi senza farlo apposta, gli si era appoggiata completamente addosso.

«Quanto abita distante tua nonna?»

«Un po'.» Leonardo aveva alzato le spalle, spostandosi leggermente per non prendere in pieno alcuni passanti e un paletto

«Riuscirai a fare il cavalcavia della stazione?» il ragazzo l'aveva guardata con la coda dell'occhio, e lei era riuscita chiaramente a vedere anche il ghigno che aveva fatto. Leonardo poi aveva accelerato di poco, mentre evitava un altro paletto, aveva sorpassato una stradina, voltando di poco la testa giusto per vedere di non essere investito, anche perché, poi, chi diavolo l'avrebbe sentita sua madre imprecargli contro per essere riuscito non solo a ferire sé stesso ma anche a Veronica.

«E chi ha detto che mi servirà farlo? -Aveva svoltato a sinistra, curvando fin troppo la bici visto che Veronica aveva dovuto alzare ancora di più i piedi per non fargli toccar terra- Non credi anche tu che sarei morto con il tuo peso sulla bici?» Veronica gli aveva dato uno schiaffo sulla spalla e il ragazzo aveva riso di gusto.

Veronica si era seduta meglio nel momento in cui Leonardo si era fermato davanti al passaggio a livello. Lui le aveva chiesto di non muoversi troppo ma ormai la ragazza sentiva che il proprio fondo-schiena aveva preso la forma del portapacchi. Si era alzata in piedi, sentendo immediatamente il tiepido dolore alle gambe comportato dal fatto che le aveva tenute in tensione quasi tutto il tempo, formicolavano piacevolmente sotto al suo peso; si era guardata intorno, osservando le macchine che stavano loro di fianco e le case che li circondavano.
Non era mai passata in quella via, men che meno sapeva bene dove si trovassero. Veronica aveva fissato Leonardo, la folta chioma castano chiaro nascondeva di poco le orecchie e le spalle larghe erano piegate in avanti e contratte per via della stretta che il ragazzo aveva sul manubrio. Si era riseduta, facendo imprecare il ragazzo per il peso improvviso che la bici aveva subito, gli aveva messo le mani sulle spalle ma il ragazzo le aveva letteralmente schiaffeggiate via.

«Hai paura di farti toccare dalle persone? Credo si chiami Afo, no, Afa, Afe, Afefobia»

«Non ho nessuna paura io»

«Allora perché ti ritrai sempre... -Aveva cercato di toccarlo, ma il ragazzo si era ritirato, indietreggiando- Vedi? Fai sempre così»

«Ne parliamo domani Veronica, ok? Domani parliamo di tutto quello che vuoi, ora continua a salire queste maledette scale.»

Se ne era ricordata solo in quel momento, e il ricordo l'aveva fatta arrossire dalle orecchie alla faccia, tuttavia non aveva avuto il tempo per dirgli o chiedergli nulla, visto che Leonardo era partito poco dopo, di scatto, appena le sbarre del passaggio a livello si era tirate su. Si era tenuta al pezzo di metallo come circa quindici minuti prima ed aveva afferrato la maglia di Leonardo quando aveva voltato bruscamente. Veronica era sicura di una cosa: se il ragazzo avesse mai fatto la patente per la moto, ed era abbastanza palese che l'avrebbe fatta, non sarebbe mai salita su un ciclomotore con lui, preferiva una morte serena ad un incidente per il suo modo abbastanza brusco di guidare anche solo una bici. Aveva ridacchiato, e il ragazzo le aveva lanciato un'occhiata chiedendole tacitamente per quale motivo assurdo stesse ridendo, lei, però, aveva semplicemente alzato le spalle con fare indifferente.
Gli si era stretta addosso, nonostante sapesse con gli faceva piacere, perché in un modo convulso, strano e inaspettato aveva compreso che, forse, morire facendo un incidente su una moto con lui non sarebbe stata proprio una brutta morte.
Lo aveva lasciato andare poco dopo quando aveva sentito non solo i muscoli del suo addome contrarsi ma totalmente il ragazzo smettere quasi di respirare, aveva sciolto la presa sul suo busto ed aveva lasciato una sola mano appoggiata al suo fianco, mentre l'altra, la sinistra, era tornata ad avere una salda presa sul portapacchi. Leonardo era passato affianco ad una pizzeria aperta, Veronica aveva osservato il complesso di appartamenti che stanziava dall'altra parte della strada, la rotonda, il sottopassaggio e i negozietti che ogni tanto incontravano, aveva spinto il suo sguardo più lontano potesse per memorizzare vie e posti. Era stata piacevolmente colpita dalla tranquillità e dalla semplicità che aleggiava in quel posto, anche se ancora non aveva capito bene dove si trovassero di preciso. Non c'erano cartelli quindi si trovavano ancora sotto Treviso, tuttavia quella strada, Via di Sant'angelo (lo aveva letto poco prima, quando Leonardo era passato affianco alla rotonda che succedeva il sottopassaggio), costellata da palazzoni vecchio stile e negozietti a destra e a manca le dava sensazioni nettamente diverse.
All'inizio di quella via era capitato spesso che se da una parte c'erano palazzi e negozi, dall'altra c'erano solo, per un pezzo, case coperte da siepi mediamente alte ma folte. Verdi e vive alcune marroni e sul punto di cadere altre, creavano, nell'insieme, un'armonia non del tutto indifferente che regalava a Veronica un senso di tranquillità proprio non solo della loro distribuzione ma anche della zona in cui si trovavano. Aveva continuato ad osservare attenta, tiepida di sensazioni, colma fino allo star per straripare, poi, girando il capo a sinistra, capelli al vento, mento alzato, collo propenso, aveva visto forse l'abito che le sarebbe rimasto nella mente fino alla fine dei suoi giorni. Fiero nella vetrina di un piccolo negozio al di là della strada appariva un vestito blu, smanicato e dalle spalline sottili aveva uno scollo che arrivava fino alla piccola cintura di diamanti che, dalla posizione, sarebbe dovuta essere sotto il seno, il vestito poi sembrava girarsi su sé stesso, lasciando uno spacco poco o molto evidente in base alla posizione assunta (nella vestina era, ovviamente, posizionato in modo che si vedesse). Poi, tuttavia, avevano sorpassato il negozietto che lo teneva in vetrina e quell'immagine le era rimasta impressa come una fotografia, fotografia dove avrebbe sicuramente sognato ad occhi aperti eventi in cui poterlo indossare. Avevano passato poi un tabacchino, altre case, una farmacia, un campo da calcio, altre siepi, e ville con giardini enormi, e poi, da un certo punto, avevano cominciato ad esserci solo case. Veronica aveva dondolato la testa riconoscendo la canzone che, nel suo feed di tiktok, compariva ogni due per tre, l'aveva canticchiata anche, accompagnata dal ghigno mezzo nascosto di Leonardo. Non si era nemmeno accorta, concentrata a cantare la canzone, che ad un certo punto Leonardo si era fermato in un parcheggio a fianco ad una caserma, o almeno era quello che pensava fosse.
Per Veronica loro si trovavano esattamente nel nulla, aveva fatto una faccia un po' stranita quando il ragazzo l'aveva incoraggiata a scendere e, con un leggero velo di sudore sulla fronte, era smontato dalla bici anche lui.

«Vuoi un fazzoletto?» Non lo aveva chiesto esattamente seria, aveva dato un pizzico di sarcasmo alla frase, e Leonardo lo aveva percepito chiaramente

«Se fossi stata tu davanti, a pedalare, saremmo caduti al primo tombino.» Veronica gli aveva sorriso falsamente e, con lo zaino ancora appeso sulla spalla, lo aveva seguito. Il ragazzo aveva attraversato la strada, era andato dritto verso un muretto con dei citofoni ed aveva schiacciato dove c'era scritto 'Vincenzo Villa'. Aveva ricevuto subito una risposta e il suono del cancello che si sbloccava era stato preceduto da una qualche esclamazione in Veneto che Veronica non aveva capito. Sinceramente non capiva nemmeno Leonardo, Francesco e sua zia quando lo parlavano, andavano troppo veloci e sembrava che alcune parole fossero divise a metà apposta, giusto per sembrare proprio incomprensibili.
Veronica aveva seguito Leonardo e si era chiusa il cancelletto alle spalle, prima di ritrovare il ragazzo poco più avanti di lei. Lo aveva raggiunto giusto per non rimanere indietro e, appena avevano superato per prima cosa una siepe di circa tre metri, si erano ritrovati davanti delle sottospecie di villette a schiera. Un uomo, vestito di una camicia henley a maniche corte e di jeans neri leggermente larghi li aveva raggiunti col sorriso

«Leo -il signore aveva allungato la 'o', mentre aveva abbracciato il suo coinquilino, Veronica aveva fissato la scena fulminando malamente la schiena di Leonardo con sguardi che lanciavano fulmini da tutte le parti e che, se avessero potuto, l'avrebbero fatto prendere fuoco all'instante- Te sì tutto suà, che xe sucesso? -Poi, quasi ovviamente, lo sguardo di quell'uomo che era, palesemente, lo zio di Leonardo, si era spostato su di lei- E questa?»

Ora ho capito da chi ha preso la delicatezza, aveva pensato, quasi ridendo, tuttavia era rimasta semplicemente dove era.

«Bòcia?»

«È Veronica, la figlia dell'amica di mamma.» Leonardo si era girato verso di lei, aveva stretto le labbra tra loro mentre suo zio aveva fatto una faccia confusa, ancora le mani sulle sue spalle. L'aveva osservata poi un attimo, arricciando le labbra, annuendo come se avesse scoperto i segreti dell'universo e sorridendole calorosamente dopo, era stata avvolta poi da un abbraccio improvviso che l'aveva anche sollevata da terra per la differenza di altezza.

«Ma certo! La ragazzina! -Veronica aveva sussurrato un 'piacere' mentre quelle braccia abbastanza forzute la stringevano. Era stata rimessa a terra, e il sorriso a trentadue denti dell'uomo le era comparso davanti- Sei bergamasca vero? Cercherò di parlare più in italiano possibile»

«Ma non serve...»

«Capisci già il Veneto?» Veronica aveva negato con la testa, anche se dentro si sé avrebbe voluto dire di sì.

«Non sa nemmeno una parola.»

«Sempre il solito tu.»

«...Come la pizza e l'ananas... -un paio di 'Eh?' erano volati, ma l'uomo aveva solo sorriso loro ed aveva alzato le spalle, voltandogli la schiena e incamminandosi con le mani in tasca verso un'abitazione- Ve lo spiego a pranzo, nel frattempo andiamo dalla nonna, sai che le sei mancato? E sarà di sicuro felicissima di conoscere Veronica!» L'accento veneto, in lui, era molto più pronunciato che in Leonardo.
Certo, si sentiva molto anche su di lui, tanto che quando parlava puro italiano, senza mischiare parole in dialetto, aveva una voce leggermente diversa che Veronica aveva piacevolmente scoperto durante una delle prime ore che avevano fatto di italiano.

«Ovvio che lo so!» Leonardo aveva risposto alla prima domanda in modo orgoglioso e suo zio aveva riso, girando leggermente il volto per lanciare un'occhiata ad entrambi. Aveva continuato a camminare e parlare fino ad entrare in un piccolo corridoio bianco, lungo meno di due metri, che finiva in uno spazio più ampio dopo, l'una a destra e l'altra a sinistra, si trovavano due appartamenti.

Veronica si era permessa, nello stare dietro ai due, di osservarli con più minuzia: avevano lo stessi identico modo di camminare, la stessa pendenza laterale, aveva riconosciuto negli sguardi dell'uomo alcuni sguardi di Leonardo, e altre a quelli anche cipigli, smorfie, il modo di inarcare le sopracciglia. Apparivano, anche di viso, più simili di quanto si sarebbe aspettata: dall'impostazione squadrata il viso dello zio di Leonardo si diramava in tratti più duri, marcati, diversi da quelli un po' più morbidi del nipote, la forma degli occhi, seppur di colore praticamente uguale, variava di poco, i capelli, in realtà, sembravano essere simili non solo a quelli di Leonardo ma anche a quelli di Francesco, infatti quest'ultimo oltre all'apparente morbidezza e il tratto ondulato aveva, sebbene con riflessi leggermente ramati, lo stesso castano scuro che aveva l'uomo. Se non avesse saputo che era lo zio lo avrebbe scambiato per il padre, ma, con molta probabilità, anche questo aveva i suoi stessi tratti somatici.

Lo zio aveva girato la chiave nella serratura, spingendola leggermente verso di sé dal pomello, poi la porta si era aperta rivelando una signora, seppur anziana, abbastanza energica da fare dei passi veloci verso di loro

«Vecia! Sta calma che te caschi e che me toca portarte all'ospedal!»

«Uccellaccio del malaugurio che non te sì altro! -A quel punto gli aveva sbattuto il giornale arrotolato sulla testa, scherzosamente- Leonardo! -E l'aveva abbracciato con slancio, stavolta aveva guardato la scena intenerita, cercando di non farsi venire le lacrime agli occhi, ma aveva dovuto farsi aria e sbattere le palpebre velocemente per non far uscire delle lacrime- Perché sei stato via così tanto? Andare a trovare la nonna è passato di moda mascalzone?»

L'amore familiare era, per Veronica, una delle cose più belle che ci potessero essere: la complicità tra nonni e nipoti, il rapporto che si poteva venire a creare con gli zii, tanto da prenderli come punti di riferimento o addirittura idoli infantili, la fratellanza tra cugini e la possibilità di poter dire tutto, anche il senso di leggera rivalità, se preso nel modo giusto, era qualcosa di unico su cui poter anche scherzare.
Quando tutto questo esisteva e lei ne era spettatrice si commuoveva fin oltre il consentito e, invece, quando non c'era e si veniva a creare tutt'altro che un ambiente caloroso (e di storie dove accadeva ne aveva sentite e ne conosceva fin troppo bene) si rattristava, o per meglio dire, si indignava, in una maniera tutta sua che non faceva vedere, ma dentro di sé provava sconforto. Perché l'amore, come già probabilmente detto, a Veronica piaceva in tutte le forme questo si immedesimasse.

L'anziana, come il figlio, si era accorta di Veronica mentre ancora abbracciava Leonardo. Prima disorientata aveva guardato un attimo il nipote e poi la ragazza dietro di lui. Veronica aveva sorriso, cercando di controllare il rossore che forzava le sue orecchie e che la faceva sentire come se, da un momento all'altro, quelle avrebbero potuto prendere fuoco e farle bruciare in un sol colpo non solo i capelli ma anche l'intero corpo.

«Xe to morosa? -Veronica era quasi svenuta nel momento stesso in cui, fatto due più due e capito il senso della frase (probabilmente se non fosse stato per il significato sarebbe svenuta anche solo per aver finalmente tradotto qualcosa), aveva compreso quello che la signora aveva chiesto sia al figlio sia a Leonardo, tuttavia poi si era sentita male, e con i capogiri si era dovuta appoggiare alla parete per non cadere, aveva sentito la sudorazione aumentare anche se nell'appartamento faceva piuttosto fresco- Tesoro ti senti bene? Ti vedo un po' bianca... Che le hai fatto? -Leonardo si era indicato, con un'espressione tra il mezzo sconvolto e il dubbio- Ti dispiace prenderle un bicchiere d'acqua?» Quella volta si era rivolta al figlio e non al nipote, per poi avvicinarsi a Veronica piano «Susu, tutto bene? Avete fatto colazione stamattina?» Leonardo aveva fatto per annuire, ma poi aveva fissato lo sguardo su Veronica.

«Ma sarai scema! -Il ragazzo aveva sospirato, mentre ben volentieri sua nonna gli avrebbe tirato tutte le ciabatte che possedeva addosso- Bevi come una deficiente alimentata da quella cretina che hai come amica, da ubriaca fai e dici le cose più improponibili -Si era diretto verso una mensola, prendendone dello zucchero, poi aveva recuperato un cucchiaio- e la mattina dopo nemmeno ti degni di mangiare, col cibo lì eh, qualcosa come se avere una sbronza fosse cosa così e ti prodighi pure a stare sotto al sole cocente per mezz'ora o più. Se fossi tua madre ti diserederei, che poi averti come figlia deve proprio essere fantastico, quante volte fai saltare in aria casa tua a Bergamo? Solo durante i giorni in cui perdi il tuo QI o anche altre volte?»

«Ma se sei stato tu a dire che dovevamo andare!»

«Non litigate voi due! -La signora aveva preso lo zucchero e il cucchiaio dalle mani di Leo che, di compenso, aveva sbuffato- Veronica giusto? Mangia un po' di zucchero e bevi l'acqua, nel frattempo vedo se ho qualcosa di più sostanzioso»

«Io vado in garage a preparare tutto! Appena sta meglio raggiungimi pure, nel frattempo io finisco una cosa!»

Leonardo aveva annuito e sorriso allo zio, mentre era tornato con lo sguardo sul corpo di Veronica, che seduta sul pavimento aveva le ginocchia al petto mentre mangiava metà di un cucchiaio colmo di zucchetto, uno intero probabilmente era troppo. Si era piegato su un ginocchio dopo essersi assicurato che sua nonna non fosse lì ma in cucina, per prendere qualcosa per la ragazza che ora Leonardo guardava ostinatamente preoccupato. Aveva appoggiato un braccio sul ginocchio sinistro, mentre l'altra mano era finita sul naso della ragazza, pizzicandoglielo con indice e pollice scherzosamente. Le aveva accarezzato il viso caldo, e anche leggermente rosato, con le nocche, facendole passare dalla sua tempia leggermente coperta dai capelli neri fino al mento, che il ragazzo poi aveva alzato con i polpastrelli delle dita, facendo scontrare gli azzurri diversi dei loro occhi. Le si era avvicinato piano, mentre il mondo intorno a loro sembrava perdere colore e l'unica cosa che esisteva, in quel secondo, in quel momento, era lei. Lo guardava come se lo stesse pregando con tutta sé stessa di avvicinarsi, come se l'unico contatto, anche il più infimo, tra di loro fosse l'unica ragione per cui ancora esisteva.
Aveva perso di nuovo, in modo simile alla volta precedente, il suo nord e, come per errore, lo aveva posizionato su di lei.
Più le si avvicinava, più i loro occhi si guardavano, si scrutavano e si scoprivano, più lui sentiva il bisogno inconscio di osservarli ancora più da vicino, vederli in ogni loro espressione, scoprirli fino alla fine, decimare le loro difese ed entrare in lei partendo dalla sua anima e non dal suo corpo. Un desiderio inconscio, forte e doloroso lo aveva spinto a appoggiare la sua fronte contro quella della ragazza, mentre le sue labbra incontravano piano, in un bacio così delicato da sembrare frutto della fantasia, l'angolo sinistro della bocca della ragazza e quindi il piccolo neo che si trovava lì, si era ritrovato sulle labbra lo zucchero e il suo sapore dolce gli aveva riempito la bocca insieme al profumo di lei, che gli aveva riempito i polmoni. Poi, come il battito di una farfalla, si era allontanato, gli occhi l'uno colmi dell'altra e viceversa. «Non farlo più -glielo aveva sussurrato, la voce leggermente roca e bassa per l'improvvisa aridità che si era creata nella sua gola, aveva visto quei suoi occhi aprirsi, ed aveva visto dentro di essi che aveva capito- Non ci provare.» Veronica gli aveva annuito, completamente rapita. Leonardo si era allontanato piano, anche se in realtà avrebbe preferito rimanere con lei, le aveva accarezzato ancora una guancia, leggero, salutandola in quel modo. Aveva atteso un secondo che sua nonna tornasse nella sala da pranzo e poi era scomparso oltre la porta principale, lasciata socchiusa da suo zio.

Nelle due ore prima di pranzo Veronica era andata un po' avanti indietro dopo aver fatto colazione: era rimasta con la signora Silvana, la nonna, per una buona mezz'oretta per fare colazione come si deve, aveva bevuto un tè, mangiato due biscotti e preso un cucchiaino di miele, poi, dopo essersi all'incirca presentata l'aveva aiutata a mettere via quelle poche cose che aveva tirato fuori.

Aveva fatto un giro nella casa, riscontrando che non c'erano spazi aperti o di inframezzo, infatti quando si entrava si veniva catapultati subito nella sala da pranzo, che era divisa da un muro dal soggiorno non molto grande, era una sala classica: un mobile di legno massiccio sulla parete a sinistra, il tavolo, dello stesso materiale, era posto nel centro della stanza davanti a questo, posizionato sul muro che divideva sala da pranzo e salotto, c'era un mobile dove c'erano varie fotografie di famiglia e delle piccole piantine, altre più grandi erano posizionate ai lati di questo, in quello stesso muro si trovava anche l'entrata per il salotto. Non era una vera e propria porta ma più un arco verde menta (anche un po' sbiadito) aperto. Anche il salotto era classico: la televisione era affiancata dalle vetrate che conducevano nel giardino e, oltre al divano da tre posti che le stanziava davanti c'erano anche due poltrone ai lati di questo e un mobile angolare, più alcuni quadri e piante.
La cucina era invece il primo arco a destra del corridoio, lungo poco più di quattro metri, era la stanza più piccola della casa, infatti il piano cottura era stato posto strategicamente in angolo, contornato da un mobile in legno, il frigorifero infatti era ad incasso, con tre porticine di vetro dai dettagli in oro, c'era poi un piccolo tavolino di circa un metro e mezzo per ottanta, era andata ad occhio ma quelle sembravano le effettive misure, Veronica aveva presunto che ci potessero mangiare giusto due o tre persone, anche meno, c'era anche una credenza e una finestra, quella dava sui parcheggi e, se si girava la testa, si poteva vedere anche il muro del garage. Nella stanza dopo, una da letto quindi con una porta vera, c'era un materasso da una piazza, un piccolo comodino, un armadio di medie dimensioni nella stessa parete della porta e una piccola televisione stile vecchio sopra un mobiletto in cui, in basso, era appoggiata una camera da cucire. Anche il bagno e la camera avevano delle porte vere e non degli archi, per ovvi motivi di privacy, ed anche quelli erano abbastanza semplici, tanto che probabilmente erano rimasti così, tralasciando l'armadio in legno massiccio, da quando la donna era andata ad abitarci. In definitiva quindi era un appartamento di dimensioni che superavano di poco la media. Appena aveva finito di guardare la casa in generale Veronica era tornata nella sala da pranzo decisa ad osservare le foto che aveva visto appoggiate al mobile, quando lo aveva raggiunto si era leggermente piegata in avanti per vederle meglio Aveva guardato delle fotografie di Leonardo e Francesco da piccoli, quando, entrambi, avevano i capelli che tendevano di più al rosso rispetto al colore che avevano il quel momento, stavano giocando in un giardino abbastanza grande, entrambi di corsa, con dei fiori in mano, a lato dell'immagine, un poco tagliata dalla prospettiva si poteva vedere una giovane Angela che, con le braccia aperte, gli attendeva per prendere i fiori che avevano raccolto per lei. La foto successiva era molto simile, tranne che di fianco ad Angela era apparso un uomo che aveva fatto venire i brividi lungo la schiena.
Aveva in volto lo stesso identico sorriso di Leonardo e, letteralmente, sembrava la sua versione più matura, altro che somiglianza con lo zio, aveva pensato, questo è la copia sputata di suo padre.
I tratti del viso, la squadratura leggermente delicata, il colore dei capelli, il colore degli occhi, l'assenza totale di fossette, perfino il naso sembrava essere lo stesso.
Quando aveva spostato lo sguardo su altre foto, individuando il nonno di Leonardo, da cui Francesco probabilmente aveva ereditato il colore dei capelli vista la scurezza di questi, e la signora Silvana, molto più giovane di quel che era. In giovinezza la donna aveva avuto occhi sfavillanti, la stessa scintilla che spesso vedeva in quelli di Leonardo poteva scorgerla in quelle foto, i tratti delicati del suo volto la facevano apparire una donna tranquilla, anche se, da alcune foto più avanti, dove aveva le braccia incrociate e stringeva un mestolo in una mano mentre due bambini le erano davanti, seduti e con la testa bassa. Aveva sorriso, perché le era inevitabile non farlo.

«Non sembrava avere quell'indole, quando era piccolo.»

«Scusi? -La nonna l'aveva guardata con un cipiglio offeso, e Veronica aveva compreso subito- Scusami... in che senso "indole"?»

«Non sai nulla? -Veronica aveva scosso la testa- Vorrei dirtelo cara, davvero, ma ci sono storie che non possono essere raccontate da meri spettatori... Mi aiuti a preparare da mangiare? Anzi, vai a chiedere cosa vogliono, così iniziamo subito?»

«Certo! Vado!»

Veronica aveva girato la chiave nella toppa e, socchiudendo la porta, era andata in garage, dove, sporco di olio e grasso, Leonardo stava lavorando ininterrottamente da più di un'ora. Veronica era entrata piano e, costretta al silenzio per minuti, era stata colta dopo alla sprovvista quando il ragazzo era saltato in piedi, con ancora il saldatore in mano, esclamando a gran voce che aveva finito. Lo aveva visto togliersi i guanti, spegnere l'aggeggio che faceva venire a Veronica un'ansia assurda e slegarsi la sottospecie di tunica che aveva addosso per non sporcarsi troppo i vestiti a gran velocità, poi, di slancio, l'aveva presa in braccio sollevandola da terra tutto in solo colpo, gli avambracci sotto il suo fondoschiena, la faccia all'altezza delle costole, sotto il seno. Lei aveva riso, colta alla sprovvista, e con le mani sulle spalle del ragazzo si era lasciata stringere e girare su sé stessa, riuscendo ad abbracciarlo in maniera normale, senza che si irrigidisse, per la prima volta dopo un paio di mesi. Il ragazzo l'aveva abbassata un poco, posando il viso ancora sorridente sulla sua clavicola, ispirando il suo profumo e trovando, in quell'attimo, della tranquillità.

La felicità è vissuta veramente solo se condivisa, il dolore più puro è quello mutato. L'aveva capito fin troppo tempo prima Leonardo, e quella gioia non aveva potuto fare a meno di condividerla con lei, lei che sentiva il bisogno di conoscere, capire, scoprire e svestire, fino al suo nucleo più nudo e vulnerabile.

L'aveva abbassata un poco, appoggiando il mento sulla sua clavicola, per poi posarla a terra del tutto, senza tuttavia spostare le mani dei suoi fianchi

«Eri venuta qui a chiedere qualcosa, vero Veronica?» Lo zio le aveva sorriso cordiale, distogliendo l'attenzione della ragazza sul ragazzo che stava davanti a sé

«Ah sì! Volevo sapere cosa via andava da mangiare...» Era tornata con lo sguardo su Leo, che continuava ad avere un sorriso felice in volto

«Credo che vada bene tutto, non penso abbia qualche preferenza -L'uomo aveva indicato con il mento il ragazzo, fin troppo esaltato per pensare al cibo, con solo l'obiettivo in testa di concludere del tutto il lavoro- Dì a mia madre che può fare quello che vuole, e che noi ci muoviamo una mezz'oretta, così riuscite a fare tutto con calma per l'una circa»

«Uhm, dove andate?» Il ragazzo le aveva sorriso, con lo sguardo più dolce che gli avesse mai visto addosso, completamente diverso dal solito: sembrava un bambino, e le ricordava quello nelle foto nella sala da pranzo. Aveva stretto la presa su di lei, mentre anche lei stringeva la presa su di lui stritolando la sua maglietta all'altezza del petto, all'altezza del cuore.

«Andiamo solo a prendere la vernice, così entro questo pomeriggio o questa sera è davvero finita del tutto, almeno così non dovrò sudare non otto ma ottantotto camicie per portarti in bici, col tuo peso piuma poi...»

Veronica aveva ghignato, portando l'indice destro al naso del ragazzo e allontanandolo di poco «Eh da oggi in poi sarai un vero Bad Boy, mi volevi qui per farti da crocerossina? O per farmi vedere che il cliché tra me e te in realtà sei tu?» Il ragazzo le aveva fatto il solletico

«Spiritosa...»

«Dai, vai, tuo zio ti sta aspettando!» Veronica li aveva salutati entrambi, e poi era rientrata, accolta dalla signora Silvana che nel frattempo aveva fatto la tavola. Alla fine, avendo tutti gli ingredienti, avevano fatto il pasticcio, e non avevano fatto nulla di secondo, più che convinte che sarebbe bastato anche solo quello per sfamare quei due. Veronica che in vita sua non aveva neppure mai provato a guardare la ricetta di quel piatto si era ritrovata a girare un mestolo di legno dentro ad una pentola piena di besciamella che aveva fatto lei. Silvana era stata tanto gentile da legarle i capelli con un polpo per capelli. Aveva steso la besciamella, aveva coperto le sfoglie con ragù, aveva grattato un quintale di formaggio e, più di cinquanta minuti dopo era riuscita a sentire il forno fermarsi dopo una buona mezz'ora in cui si era cucinato. Aveva aiutato la nonna a tirare fuori la pentola incandescente e, posandola sul piano della cucina con sotto un sotto pentola.
Erano passati altri quindici minuti, in cui Silvana e Veronica avevano guardato un programma in televisione prima che zio e nipote rientrassero. Avevano salutato, entrando un attimo nella sala da pranzo, prima di scomparire di nuovo nel garage. Il pasticcio si era ormai fatto della temperatura giusta per essere mangiato quando, dopo essersi puliti e risciacquati un minimo, anche Leonardo e suo zio si erano seduti a tavola.

Avevano mangiato chiacchierando, con la televisione accesa e argomenti vari che erano entrati in discussione, poi, in ultima, Silvana aveva fatto una domanda che aveva scaldato il cuore di Veronica fino quasi a farle male.

«Verrai comunque qui anche quando avrete finito e la moto sarà a posto, vero?» Leonardo, un o' colto alla sprovvista, aveva posato la forchetta e l'aveva guardata con sguardo amorevole

«Certo nonna!»

«Riporta anche Veronica ogni tanto, e anche tuo fratello, è da tanto che non lo vedo, ormai da settembre...»

«Beh è un po' occupato essendo l'ultimo anno...»

«Tuttavia sono sicura che riuscirà a trovare il tempo!» La nonna le aveva sorriso calorosamente, mentre Leonardo la fulminava leggermente con lo sguardo

«Non fare promesse...»

«Ma dai, vuoi che almeno un weekend non riesca a venire giù!»

«Ecco quello che dicevo prima: come la pizza e l'ananas. -Ed entrambi, come la prima volta, si erano ritrovati ad esclamare un 'Eh?'- La pizza e l'ananas: due cose che non dovrebbero stare bene insieme ma che piacciono, anche se a pochi.»

* "Citazione" a Naruto.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Vodkaccino ***


Veronica sapeva, era a conoscenza del fatto essendo donna, che il ciclo fosse fastidioso fin oltre l'immaginabile, ma quella mattina, il dieci di novembre, non avrebbe mai pensato che si sarebbe trovata in una situazione simile. Si era sistemata l'assorbente sulle mutante, tirandole su subito dopo essersi pulita per la millesima volta ed era visto la carta igienica bianca, aveva allacciato il bottone dei jeans neri e tirato la cerniera, trattenendo il fiato per non esternare il gemito di dolore che tanto desiderava lasciar andare. Aveva dato un occhiata all'orologio, consolata nel fatto che mancassero ancora più di cinque minuti prima del suono della campanella.

Quel giorno la fortuna non aveva proprio voluto accompagnarla, anzi, probabilmente aveva preso un biglietto di sola andata per andare dall'altra parte del mondo. Si era svegliata male, alle cinque di mattina, per via del gatto che aveva deciso, nel vano tentativo di andare fuori, di zampettarle in faccia per richiamare la sua attenzione e beh, dopo quello, lei era caduta dal letto. Scocciata si era alzata, dolorante e già con la pazienza a pezzi aveva provato ad accompagnare Akimi fuori, e si dice provato perché aveva fatto le scale di culo dopo essere inciampata su un piccolo peluche a forma di topo. Non aveva tirato giù l'intero paradiso per soli due motivi: anche se era atea le bestemmie non le piacevano, e il secondo non lo conosceva nemmeno lei. Già frustata poi aveva rovesciato lo zucchero in cucina, aveva schiantato il mignolo del piede su uno angolo e il gomito sul tavolo. Dopo aver finito di fare colazione, e pulire il disastro dello zucchero, si era ritrovata nelle condizioni di doversi preparare, e quindi si era diretta di nuovo verso la sua camera, anche se quella volta per fare le scale aveva acceso la luce. Il peggio era arrivato quando aveva indossato i pantaloni perché si erano strappati all'altezza delle cosce, e lei, per almeno una decina di minuti, era caduta nello sconforto più totale. Poi, dopo un profondo respiro e la sottomissione di sé stessa a una calma che logicamente non avrebbe dovuto avere in quel momento, aveva cambiato jeans, decidendo per un paio più stretto e scuro. Aveva raccattato cartella, telefono, cuffie e abbonamento e si era diretta al piano inferiore dove, grazie a qualche dio di sua sconosciuta esistenza, Francesco era riuscito a farla rilassare. L'aveva notato subito lui, a differenza del fratello, che qualcosa in lei quel giorno non andava, così l'aveva abbracciata e coccolata, calmandola, si era aggiunta anche Angela dopo, che giunta anche lei aveva colto l'occasione per fare un abbraccio di famiglia, nel quale avevano coinvolto Leonardo con la forza. Il ragazzo in realtà poi si era lasciato andare, andando ad avvolgere tutti e a chiudere quel cerchio fatto di braccia, capelli e risate. In autobus la situazione non era peggiorata: aveva ripassato velocemente chimica con Giada ed aveva chiesto a Cecilia se quel giovedì fosse stata giornata di allenamento, e lei le aveva risposto di sì. In realtà Veronica era stata felice di quella notizia: avrebbe sfogato tutta l'irritazione provata quella mattina su un pallone, avrebbe battuto dall'alto così tante volte da farsi male e avrebbe schiacciato tanto forte da comprimere la palla, perché la pallavolo era la sua valvola di sfogo, la palestra un posto sicuro e la palla un'amica. Tuttavia non aveva calcolato un paio di cose. La prima ora la professoressa di chimica l'aveva chiamata alla lavagna, le aveva fatto correggere gli esercizi delle verifica che avevano appena fatto e aveva deciso di interrogarla facendole fare gli esercizi della verifica dell'altra classe. Veronica non ne era stata esattamente felice, anzi, se ne era irritata abbastanza visto che non era giro di interrogazioni, non facevano esercizi da quando avevano fatto l'ultima verifica, circa due settimane prima, e per giunta, se non avesse avuto un minimo di buon senso, avrebbe preso sicuramente solo la sufficienza (che sicuramente non era un brutto voto, ma avrebbe calato la sua media di quasi un voto) ma almeno aveva potuto dimostrare all'insegnante che, in qualsiasi momento, lei era pronta a qualsiasi cosa. Poi era arrivata l'ora della lezione di Italiano, e in quell'ora era stata perseguitata dall'ansia di venir chiamata, ma fortunatamente, tutte le volte che il professore usava il suo metodo sadico per scegliere (prendeva quattro dadi, li metteva dentro un sacchettino, lo scuoteva come si potrebbe scuotere solo il pandoro a natale dopo averci messo lo zucchero a velo, estraeva due dei dati e se dalla somma o combinazione dei numeri veniva fuori qualcuno di già chiamato sceglieva, in base all'umore, se sommare la data del giorno o il numero di una pagina a caso del libro di letteratura) il suo cognome non era mai stato chiamato, anche se in realtà sarebbe bastato un numero inferiore o superiore e sarebbe dovuta uscire. Durante la prima ricreazione poi, mentre lei e Giada erano in coda ad aspettare il proprio turno per le macchinette e guardavano alcune cose su pinterest, una ragazza dello scientifico tradizionale le aveva spinte, anche se per sbaglio o a posta sinceramente Veronica non lo sapeva. Poteva ricordare benissimo il dolore che aveva sentito al fondo-schiena quando questo si era spalmato sulla pavimentazione e alle gambe quando Giada le era caduta sopra. La ragazza si era scusata velocemente, anche se a Veronica non era sembrata del tutto convinta, e lei aveva dovuto tenere Giada prima che questa decidesse di rincorrerla e dirgliene quattro. La sua pazienza, il suo autocontrollo e chissà cosa le stesse facendo mantenere una calma piatta nell'atteggiamento stava per esaurirsi velocemente e a quel punto, scattata la sua amica, sicuramente Veronica non avrebbe avuto le forze per contenersi.

Non era il tipo di persona che faceva vedere spesso quando o quanto era arrabbiata, infastidita, delusa e irritata, preferiva far trasparire freddezza che ira, perché se si è freddi, almeno dal suo punto di vista, si ha la possibilità di parlare cautamente invece di farsi prendere dalle emozioni e recare più danni alla situazione di quanti in realtà non ci fossero già. In quel momento, tuttavia, avrebbe volentieri mandato a quel paese la propria morale solo per lasciarsi andare un minimo.

Ma quello non era stato il peggio, decisamente no. Quando era tornata in classe si era seduta sulla sua sedia in totale tranquillità, felice di avere un attimo di pace visto che l'aula era praticamente vuota, con la luce del sole che le arrivava dritta in faccia e che la riscaldava: si era beata di quella luce, ascoltando Giada con gli occhi chiusi mentre il leggero tepore si spargeva sul suo corpo. Aveva spostato il bacino, e in quel momento aveva sentito qualcosa di sbagliato, di profondamente e ingiustamente sbagliato per quella giornata. Giada, vedendola improvvisamente preoccupata, aveva seguito il suo sguardo fino alla sedia dove le gambe della ragazza si stavano aprendo, fino a scoprire una macchia di un rosso leggero. Veronica aveva sentito Giada muoversi alla velocità della luce: aveva preso un pacchetto di fazzoletti, i quali poi erano stati usati per pulire la sedia quando Veronica si era alzata, un assorbente, che era finito sotto la felpa corta, incastrato tra i pantaloni e la maglietta, e la felpa di Leonardo, che il ragazzo aveva abbandonato sul proprio banco per via del caldo.

Quale caldo poi, aveva pensato Veronica, che qua si gela, ci mancano solo le scalatiti sulla porta e sulle finestre.

Se la era legata in vita, coprendosi per bene vista la lunghezza, mentre praticamente fuggivano dall'aula. Si erano dirette in bagno più velocemente possibile, e nel mentre avevano anche incontrato la professoressa che avrebbero avuto alla terza ora, dopo uno sguardo d'intesa Giada le si era fermata a parlarle, raccontandole in modo minimale il problema e dicendole che nel caso avessero fatto ritardo sarebbe stato per quello, mentre Veronica raggiungeva il bagno e ci si chiudeva dentro. Si era slegata la felpa di Leonardo dalla vita e l'aveva appoggiata sulla porta, poi si era tirata giù i pantaloni e si era seduta sul water sbuffando. Quella era una giornata che decisamente non avrebbe mai voluto ripetere e l'idea di andarsene a casa le era balenata in mente per un millesimo di secondo, ma poi l'immagine di lei spiaccicata a terra perché una macchina l'aveva presa sotto le aveva fatta desistere, insomma si, più male di come era già c'era solo quello. Nella sua mente poi si era palesata la palestra e l'allenamento, e a quel punto lo sconforto totale l'aveva travolta, spingendola quasi a piangere. Era quasi al limite.

Quella, sfortunatamente, era stata la prima parte della sua mattinata. Era uscita dal bagno sbuffando, facendo sollevare uno dei ciuffi scuri che generalmente le ricadevano ai lati del viso. Giada l'aveva abbracciata, le aveva passato le mani sulla schiena e l'aveva coccolata come meglio poteva. Non sapeva precisamente cosa fosse successo quella mattina, non ne era minimamente a conoscenza, ma sapeva che, in qualsiasi caso, Veronica stava palesemente per avere una crisi di nervi. L'aveva rassicurata come meglio aveva potuto, sistemando la felpa meglio, in modo che non si vedesse niente, poi, con calma, erano tornate in classe. Veronica aveva fulminato con lo sguardo Leonardo quando il ragazzo l'aveva guardata irritato e confuso sul perché la sua felpa le fosse legata in vita e non sul suo banco, il ragazzo aveva fatto spallucce arruffandole e sorridendole, anche se lo aveva fatto in un modo che la ragazza non era riuscita a decifrare, poi la lezione era cominciata e la classe era sprofondata nel silenzio totale, concentrata sulla spiegazione.

Veronica si era massaggiata la pancia, piegandosi leggermente su sé stessa mentre con la mano destra continuava a scrivere, non avrebbe resistito ancora a lungo. Aveva un ciclo pressoché regolare, c'erano state volte in cui aveva ritardato ma a dire la verità non era mai stato qualcosa di troppo prolungato, qualche giorno al massimo, ma non si sarebbe mai spettata che le venisse in anticipo di una settimana, avrebbe potuto comprendere uno o due giorni, ma una settimana proprio no. Aveva mollato la penna sul banco, portando anche l'altra mano al basso ventre, massaggiandosi da sopra i vestiti. Odiava il ciclo più di qualsiasi altra cosa, o comunque era una tra le cose che più detestava, come, probabilmente, qualsiasi altra ragazza. Non era tanto per il ciclo in sé ma più per i dolori che ne conseguivano: mal di pancia, mal di testa, spossatezza generale... erano tutte cose che non sopportava. Tuttavia c'erano e ci doveva convivere, quindi lamentarsene troppo era fin troppo inutile, anzi probabilmente aumentava solo la loro intensità. Aveva guardato Leonardo, davanti a lei, e gli aveva invidiato il fatto di essere un ragazzo e di non avere di quei problemi, poi, però, il suo sguardo era caduto sulle sua braccia, sul ricordo di quanto forte potessero stringerla, del calore che emanavano, su quanto si fosse sentita protetta quando l'avevano avvolta. Si era ritrovata a desiderare di averle attorno, con le mani calde alla base della schiena mentre veniva stretta al petto del ragazzo, avvolta in una morsa delicata, a tratti incerta, poteva ancora sentire addosso la presa del martedì prima, quando lui l'aveva sollevata e abbracciata. Non si erano chiariti alla fine, non ne avevano più parlato dell'argomento e a dire la verità non c'erano quasi più stati contatti di quel genere, o almeno, non abbracci, una cosa come quella di prima, come quando le aveva arruffato i capelli, era normale, o circa insomma. Veronica si era sentita arrossire, desiderando ancora una volta un contatto del genere, contatto che sapeva non sarebbe arrivato presto, o non sarebbe arrivato soltanto chiedendo vista la natura fisica schiva del ragazzo. Lei lo avrebbe voluto, soprattutto in quel momento (diventata più dolce, estremamente appiccicosa quasi, cosa che generalmente non era quasi con nessuno, se non si contava certo sua madre e Lu con cui era abituata ad abbracci lunghi), ma non sapeva se lo volesse lui e di certo non poteva obbligarlo ad abbracciarla solo per un suo bisogno momentaneo che nemmeno avrebbe avuto se non fosse stato per il ciclo.

Veronica aveva messo giù la penna nell'esatto momento in cui la professoressa aveva preso la sua borsa dalla sedia su cui l'aveva appoggiata, la donna poi aveva salutato l'intera classe ed era sparita oltre la porta dell'istituto. Lei si era rilassata, distendendosi quasi sulla sedia e stringendosi le mani alla pancia

«Posso sapere perché hai la mia felpa, adesso?» Veronica aveva aperto un occhio trovandosi davanti la faccia di Leonardo, la quale era poggiata sulle braccia che erano a loro volta appoggiate al suo banco

«Mi è venuto il ciclo e ho sporcato i pantaloni.» Il ragazzo l'aveva guardata inarcando un sopracciglio, e a quel punto il ghigno sul suo volto si era espanso

«Povera piccola donna con le mestruazioni, vuoi il bacino sulla bua?» Veronica aveva riso, mentre Leonardo aveva solo accentuato un sorriso rivolgendo però lo sguardo verso la porta. Si erano alzati quando era entrano entrati sia la professoressa di inglese sia il professore di italiano

«Ma ancora?» Aveva sussurrato, le era stato rivolto uno sguardo dal compagno di banco di Leonardo, Alessandro, lui aveva solo alzato le spalle come a dire che non sapeva nulla, mentre Giada aveva grugnito

«Adesso fanno comunella e ci interrogano insieme, sarebbero in grado di farlo questi pazzi.»

«Sadici.» «Come pochi, come sempre.» «Secondo me propongono una gita noiosa.» «Tipo quella alle grotte di non so cosa.» «Eh?» «Una gita fatta in prima, nulla di importante.» «Una nostra compagna diceva di aver fotografato un fantasma... -Alla faccia confusa di Veronica Giada si era sporta un po' verso di lei- Praticamente in una foto c'era questa ombra bianca vicino ad una panchina, in realtà non sappiamo ancora cosa sia» «Anh» «Ma ci credi ancora?» «Qualcosa in contrario, Ale?» «Ma no, era solo per chiedere... Fai paura con quella faccia cristo» «Ma? Non te ne eri accorto? Ha questa faccia addosso la maggior parte del tempo, ovviamente direi visto che è la sua, è tanto se la si riesce a guardare» «Stronzo...» «Leo!»

«Voi quattro! -Veronica aveva tremato- In fondo! Villa, Pellegrini, Lisi e Pavan! Smettetela di confabulare! Fare più casino voi in quattro che tutti gli altri! Villa, non guardarmi così, il primo a prendere fuoco saresti te. Sedetevi adesso, che ci fate ancora in piedi?» Leonardo aveva sbuffato mentre si sedeva, se così si poteva dire visto che in realtà era mezzo stravaccato e girato verso le ragazze, come del resto anche Alessandro. Veronica invece si era seduta con tutta calma, come anche Giada.

«Secondo me è davvero una gita, anche se non saprei dove...» «Non sperare troppo in un posto carino chatte noire, o interessante che sia» «Chatte noire?» «Peccato» Veronica si era girata verso l'amica, alzando le spalle

«Niente, una cosa stupida.» «Un soprannome dato dal fatto che porta tanta sfiga quanta quella di un gatto nero che ti attraversa la strada, poi in quanto ragazza, e non c'è da dubitarne viste anche le sue condizioni -Alessandro aveva alzato un sopracciglio non capendo e Veronica aveva fulminato con lo sguardo Leonardo- il "chat" si trasforma in "chatte"» «Anh... ma mica porta sfiga.» Giada l'aveva abbracciata, circondandole il corpo con le braccia e stringendola «Parla per te.» Veronica gli aveva fatto la linguaccia in modo scherzoso mentre ricambiava la stretta di Giada.

Giada era poco più bassa di lei, giusto due o quattro centimetri, pochi, quindi riuscivano ancora a stringersi senza che ci fosse così tanta differenza di altezza o variazione. Veronica aveva accarezzato la chioma argentea della sua amica, chioma che ormai stava variando sempre di più verso il colore naturale dei capelli cioè un castano molto scuro. A lei piacevano anche così come erano, rendevano Giada quasi brillante tra la folla e rappresentavano alla perfezione quella che era la ragazza. Sbarazzina, esuberante, solare, sempre entusiasta per tutto, non riusciva sinceramente a capire i motivi per i quali a Leonardo non piaceva nemmeno un po' visto che nella vita di Veronica aveva portato una nuova nota colorata. Tuttavia non era a conoscenza di tutto, quindi certe cose sarebbero rimaste per lei sempre un mistero da scoprire, anche se ne aveva già svelati molti. A dire la verità si era accorta solo in quel momento di non sapere così tanto su Giada come credeva, e nemmeno su Francesco e Leonardo, certo non poteva dire di essersi aperta molto anche lei, ma qualcosa lo aveva raccontato, forse. Aveva improvvisamente sbuffato quando si era resa conto di non aver svelato più di tanto a nessuno, e quello che sembrava strano era che la persona che sapesse di più di lei da lei fosse sua zia. Non era certo strano per il ruolo che ricopriva la sua vita, ma lo era per il fatto che quasi le stesse cose che sapeva lei non le sapessero i suoi amici e i ragazzi con cui viveva. Avrebbe dovuto fare un passo avanti per far fare a loro un passo avanti? Svelarsi per svelare? Era questo il patto? Non che le importasse molto ma era sempre vissuta con la convinzione che il meno si dicesse di sé meglio fosse per la propria vita, perché meno le altre persone sanno di te meno possono ferirti nel caso lo volessero. Fidarsi e svelarsi erano una cosa che con lei andavano di pari passo, più si fidava più svelava, e il quanto svelasse dipendeva spesso da quanta fiducia metteva nelle altre persone. Come sempre era un tipo di ragionamento che non tutti avrebbero potuto capire, che forse non avrebbero dovuto comprendere per forza, perché era la sua morale, il suo tipo di pensiero, il suo modo di vivere, e fino a quando questo non avrebbe fatto del male a qualcuno, fino a quando non avesse ferito una persona, Veronica era fermamente convinta che andasse bene così.

«Vero?» Giada l'aveva richiamata, notando che la ragazza era ricaduta in quel limbo oscuro che erano i suoi pensieri. Succedeva spesso, si estraniava dal mondo e lasciava che le cose andassero avanti mentre lei rimaneva ferma in un punto a pensare a chissà cosa, e poi, come un lampo, percorreva tutta quella strada che aveva saltato e lasciato indietro in un solo colpo, tornando al fianco di chi aveva già raggiunto determinate tappe.

«Dimmi» Veronica si era girata verso la sua amica, stavano parlando a bassa voce visto che i professori sproloquiavano tra loro tenendo comunque d'occhio la classe

«Ti va di venire a casa mia questo pomeriggio?» Veronica aveva fatto una smorfia «Ho l'allenamento questo pomeriggio» «Potremmo fermarci un attimo a casa tua, prendiamo il borsone e poi andiamo a casa mia» «Sicura?» «Massì, è da tanto che non passiamo un pomeriggio insieme, sempre se ti va!» «Ma certo! Era solo per te, perché poi alle diciannove io devo tornare qui e magari un altro giorno avevano più tempo» «Non c'è problema per me, poi per domani abbiamo solo scienze di nuovo no?» «Io l'ho già fatta» «E allora aiuti me a farla e poi abbiamo l'intero pomeriggio libero!» «Potremmo preparare una torta!» «Sì!»

«Pavan! Lisi! Basta! -L'accento inglese della professoressa aveva decisamente introdotto una nota leggermente spaventosa, oltre che più autoritaria, nella frase, quindi le due ragazze avevano solo annuito, per poi sorridersi a vicenda- Allora, ora che le vostre compagne hanno smesso di parlare e voi vi siete silenziati possiamo cominciare! Io e il vostro professore di italiano abbiamo pensato, visto l'imminente programma di letteratura inglese di proporvi una gita a Verona*! È un tipo di gita che tendiamo a fare quasi tutti gli anni per le terze, tralasciando quelli in cui non ci si poteva muovere nemmeno di casa, sempre circa in questo periodo.»

«Non sarà per molto giorni, quattro o cinque al massimo, e parteciperà anche l'insegnante di storia con l'altra classe della sezione A!»

«Alla faccia della gita da schifo...» «Cosa De Cheri?» «Niente prof!»

«Ora vi consegniamo i moduli per la partecipazione, anche se siamo sicuri che vorrete sicuramente andarci. Anche solo per staccare... vi conosciamo.-Alcune mani, principalmente quelle dei due rappresentati di classe, si erano alzate in aria- Sì? Chiedeteci pure, prima tu Sartori!» La ragazza aveva abbassato la mano lentamente, riportandola sul banco

«Mi chiedevo, quando sarebbe la gita?» «Tra circa una ventina di giorni, il tempo di raccogliere i soldi e completare l'organizzazione»

«Cosa ci dovremmo portare via?» «Una decina di giorni prima della partenza arriverà un comunicato per quello Ranieri, ora non mi metto a farti la lista della spesa.»

Veronica aveva guardato prima Giada, che le aveva sorriso elettrizzata, e poi Leonardo, il ragazzo era intento a guardare il telefono e non sembrava per nulla entusiasta della notizia, probabilmente nemmeno aveva sentito le parole del professore. La ragazza aveva sbadigliato, appoggiando prima le mani e poi la guancia sul banco. I professori erano andati avanti una buona ventina di minuti a parlarsi e alla fine l'ora era passata così.

Veronica si era passata una mano tra i capelli mentre infilava l'ultimo quaderno nello zaino grigio, ne aveva successivamente chiuso la cerniera ed aveva fatto un gesto di assenso verso Giada che, dalla porta, la stava aspettando mentre parlava con Andrea. Si era fermata un attimo in mezzo all'aula, in mezzo ad un piccolo corridoio formato da banchi e sedie, lo sguardo fisso sul sorriso dell'amica, sui suoi gesti, sulla posizione del suo corpo, e poi aveva guardato il migliore amico del suo coinquilino, gli occhi brillanti e la risata squillante, anche se non acuta, per una cosa che aveva detto Giada. Aveva sorriso guardandoli, desiderosa di sapere di più, glielo avrebbe chiesto dopo, appena sarebbero arrivate a casa della ragazza, anche se, dall'occhiata che l'amica le aveva appena rivolto, aveva già intenzione di dirle tutto lei.

Era un sentimento pericoloso l'amore, radicato nelle credenze come il sentimento per eccellenza, era stato impossibile perfino per i più grandi poeti trovargli una definizione, e alla fine nemmeno loro erano riusciti a dettarne una universale. Perché l'amore non era definibile, concreto nel suo astratto, freddo in contrasto al suo calore e pieno di ombre nonostante la luce che portava sul volto di molti.

Leonardo l'aveva affiancata un attimo dopo, rivolgendo uno sguardo alla sua intera figura, poi le si era messo davanti e le aveva stretto la felpa. Le era sembrata, per un momento, la scena di un drama coreano, anche se dopo quello ci sarebbe dovuto essere uno sguardo tanto intenso da far scongelare i poli della terra, sguardo che, ovviamente, non era avvenuto nemmeno per sbaglio. Il ragazzo le aveva semplicemente dato una pacca sul fianco, invitandola a muoversi, e si era incamminato con le mani nelle tasche del giubbotto di jeans verso il suo migliore amico. Lo aveva seguito, raggiungendo Giada che aveva subito cominciato a parlarle di quale torta fare. Era da un po' di tempo, da quando un mese prima le aveva chiesto una cosa sulla torta margherita, che si dicevano sempre di fare una torta, a casa dell'una o a casa dell'altra non c'era molta differenza, ma tra una cosa e l'altra, ironicamente, non erano mai riuscite ad organizzarsi, il che le sembrava strano, vista la facilità con cui si erano accordate in due minuti di orologio.

Quel giorno, dal momento che Cecilia e Francesco non c'erano, avevano fatto tutto il tragitto insieme a Leonardo e i suoi migliori amici, Veronica a dire la verità non aveva mai interagito molto con loro, aveva parlato molte volte con Andrea, ma gli altri tre ragazzi sembravano essere solo ombre scure, li aveva visti alcune volte a casa, a ricreazione e quella volta il primo giorno di scuola, ma in realtà si chiedeva semplicemente se non fossero soltanto meno amici di Leonardo rispetto a quello che era Andrea o se ci fosse altro sotto. Quelle erano domande delle quali, comunque, non sarebbe mai andata a chiedere la risposta al diretto interessato.

Aveva guardato fuori dal finestrino, una delle due cuffiette di Giada nell'orecchio sinistro e le note di ' I'm not pretty' di sottofondo, aveva sorriso ad una battuta di Andrea ed aveva giocato con lembo della felpa di Leonardo. I loro vestiti, nonostante fossero lavati con lo stesso detersivo, assumevano diverse sfumature per quello che riguardava il profumo: quello del ragazzo si riconduceva velocemente alla boccetta di Guerlain** che si trovava nella sua parte di armadietto in bagno, mentre quello di Veronica sapeva semplicemente di cioccolato e caffè (anche se si presentava con una nota speziata), la profumazione derivava a sua volta da una boccetta di profumo maschile che però veniva conservata in un ripiano aperto, e non chiuso, del bagno, ogni tanto in realtà la si poteva trovare anche in salotto, generalmente sul tavolino, o abbandonata vicino al portachiavi. Veronica amava troppo quel profumo per non portarselo anche a dormire, o almeno quello era ciò che pensavano tutti gli altri componenti della famiglia consci del fatto che veramente la ragazza se lo portasse e mettesse dappertutto, c'erano state svariate scene comiche di Leonardo e di Francesco che imprecavano contro quale dio, greco o romano che fosse, mentre passavano nella zona in cui la ragazza si era messa il profumo, essendo soffocati dalla fragranza.

Aveva lanciato un occhiata a Leonardo, i capelli chiari gli coprivano la fronte e gli occhi, era leggermente piegato in avanti, i pantaloni che si tendevano all'altezza delle cosce e le dita che battevano veloci suoi tasti del telefono, al polso destro un orologio nero della Casio. Poi, come se lo avesse sentito, aveva smesso di muovere le dita e aveva alzato lo sguardo su di lei, una ciocca di capelli che gli copriva per metà un occhio, le sopracciglia distese e un'espressione neutra in volto. Non percepiva emozioni in quello sguardo, non era come quella volta in camera sua o il martedì precedente quando quell'azzurro era stato momentaneamente bollente, in contrapposizione con la definizione fredda di questo, era come ritrovarsi davanti il Leonardo dei primi giorni. Veronica aveva fissato il vuoto per un momento pensando che no, non sarebbe stato possibile retrocedere a quello, non più almeno, non dopo tutto quel tempo, giusto? Non aveva avuto modo di darsi una risposta, perché Giada aveva chiamato la fermata e si erano dovuti alzare, per poi spintonarsi con tutti gli altri al fine di raggiungere le porte centrali. Istintivamente, quando il ragazzo l'aveva osservata da sopra la spalla prima di procedere per uscire dall'autobus, lei aveva teso una mano, anche se viste le esperienze aveva avuto zero aspettative sul fatto che lui gliela prendesse o meno. Invece poco dopo aveva sentito la mano calda di lui prendere la sua e trascinarla fuori dal mezzo quasi di forza, visto che era ancora pieno colmo di studenti. Non l'aveva lasciata nemmeno quando erano scesi, anzi, lui aveva stretto la presa e se l'aveva avvicinata, spalle con spalle, ed erano finiti col intrecciare le proprie dita fra loro. Era arrossita oltre il consentito, ricordandosi che Giada era con loro, aveva lanciato un'occhiata indietro, ma se la era trovata di fianco ed era finita col sussultare all'espressione che aveva l'amica addosso. La sua compagna di banco aveva alzato ripetutamente le sopracciglia, l'espressione di chi la sapeva lunga. Veronica l'aveva guardata con gli occhi sgranati, e si era sventolata una mano davanti alla faccia, come a dirle "ma sei pazza?", tuttavia la ragazza al suo fianco non aveva desistito ed aveva alzato un altro paio di volte le sopracciglia, al che Veronica aveva sbuffato e alzato gli occhi al cielo. Aveva premuto di più i polpastrelli sulla mano di Leonardo, e lui aveva ricambiato con una carezza mentre le stava un passo avanti. No, non sarebbero potuti tornare indietro, per un verso o per l'altro stavano camminando in avanti, e a quel punto girarsi non avrebbe avuto senso. Poi il ragazzo aveva frenato il passo e Veronica era stata costretta a girarsi visto che aveva sentito il braccio tirarle, con lei anche Giada. Leonardo aveva le labbra premute le une contro le altre e un cipiglio confuso e irritato stanziava sul suo viso, un sopracciglio leggermente alzato e la testa lievemente inclinata.

«Ma che cazzo ci fa lei con noi? -Veronica aveva riso, senza riuscire a trattenersi, non sapeva perché lo avesse fatto ma le era venuto naturale. Aveva percepito chiaramente entrambi guardarla confusa e Veronica aveva dovuto appoggiarsi a lui per non cadere dalle risate- Ho capito che hai il ciclo, come se non ti venisse per quattro giorni al mese, ma devo chiamare uno psichiatra?»

«Credo che i tuoi modi la facciano ridere...» Veronica aveva sospirato, prendendo un lungo respiro per calmarsi, mentre aveva la fronte appoggiata alla spalla di Leonardo. Anche senza vederlo sapeva che lui aveva lanciato un'occhiataccia a Giada

«Ma smettila! Pensa a come ti vedono quelli per strada, una pazza che ride!»

«Non respiro.» Aveva finito con l'allungare la 'o' mentre prendeva faceva un altro lungo sospiro e alzava totalmente il viso verso il cielo, cercando di calmarsi. Non rideva così da tantissimo tempo, come se poi fosse stato veramente qualcosa di divertente quello che Leonardo aveva detto.

«Non morire però!» «Ci credo, sembri un delfino! -I due erano intervenuti nello stesso momento con toni di voce simili, anche se di certo questo non li aveva fermati da guardarsi un attimo male. Il ragazzo le aveva accarezzato la schiena, sorpassando lo zainetto, nel tentativo di farla concentrare su altro per mettere fine a quel teatrino. Avrebbe voluto continuare a sentirla quella risata, ma non era il momento, non era il luogo e un giorno o l'altro l'avrebbe fatta ridere di nuovo così, magari mentre erano soli. In qualche modo poi Veronica si era calmata, e anche se lui avrebbe preferito rimanere in quella posizione, si era spostata, staccandosi da lui di almeno una quindicina di centimetri.- Ora, per l'amor del cielo, mi dici che ci fa con noi? Non. Ridere.»

«Vado da lei questo pomeriggio, e anche per pranzo, stiamo passando un attimo a casa per prendere il borsone e permettermi di cambiarmi. Ti ridò anche la felpa così.» Leonardo aveva fatto una smorfia di disappunto alla seconda frase.

«Puoi anche tenerla per quel che vale. Quindi, nella sintesi, mi stai dicendo che ci vediamo solo sta sera tardi? -Veronica aveva annuito, stringendo leggermente la presa sulla sua mano- Significa che devo farti da mangiare nonostante tutto?» Aveva sorriso quando lei aveva sussurrato uno <>, e aveva esclamato la sua amica.

Avevano ripreso a camminare verso casa qualche momento dopo, le loro mani ancora intrecciate mentre riprendevano lo stesso stile di prima: Leonardo un passo davanti a loro e Veronica e Giada che camminavano l'una a fianco all'altra. Ci avevano messo meno di cinque minuti ad arrivare all'abitazione e a quel punto avevano dovuto per forza lasciarsi visto che servivano obbligatoriamente due mani per aprire la porta d'ingresso. Veronica era corsa di sopra, desiderosa di cambiarsi, mentre entrambi i ragazzi la seguivano. Il primo posto in cui la ragazza si era diretta era stata camera sua, lì aveva degli assorbenti puliti, tre, due dei quali sarebbero finiti nel borsone per sicurezza, delle mutande pulite, un paio di pantaloni di tuta con rispettiva felpa e una maglietta da sotto bianca, classica. Aveva lasciato a Giada completa disposizione della sua camera e si era chiusa in bagno per una decina di minuti, il tempo di cambiarsi, sistemarsi e ricomporsi un attimo.

Quando era tornata in camera aveva trovato l'amica distesa, se si poteva dire così, sul suo letto: aveva le gambe piegate e i piedi appoggiati per terra, mentre il resto del corpo era disteso sul materasso morbido coperto dalle lenzuola e dal piumone. Veronica l'aveva richiamata, e la ragazza le aveva subito sorriso per poi tirarsi su. Erano passati circa venti minuti da quel momento, minuti in cui avevano preso un autobus e raggiunto la casa di Giada. Non era molto distante da quella di Cecilia, motivo anche per il quale le due ragazze prendevano il mezzo nella stessa fermata, tuttavia la sua compagna di banco abitava in una casa di quelle che si dividevano in due, generalmente dall'aria antica, come quella appunto, e dai giardini di media grandezza. Avevano dovuto aspettare un attimo, il tempo che il cancello si aprisse, prima di potersi incamminare verso la porta, quando erano entrate Veronica si era stupida della grandezza di quella casa. Giada l'aveva preceduta e le aveva indicato la strada per camera sua, erano quindi salite su per una scala abbastanza stretta e ripida, anche se non troppo da rendere il passaggio difficile, poi, dopo un piccolo corridoio bianco, si era trovata davanti ad una porta grigia, la quale nascondeva semplicemente la camera della ragazza. Era grande, spaziosa, ordinata e profumava di cannella e bergamotto.

La camera si apriva dando la vista sul letto ad una piazza e mezza, affianco ad esso un comodino a sinistra e una libreria a destra, questo tuttavia non era posizionato sul muro davanti a quello della porta ma a quello affianco dalla parte di ovest. Davanti a loro si stanziavano due vetrate, alte circa due metri e larghe altrettanto, dalla forma quindi quadrata, le tende bianche, non troppo spesse, lasciavano passare abbastanza la luce da lasciare che le lampadine rimanessero spente. Davanti al letto, grazie ad una composizione di mobili, si trovava un armadio aperto, pieno di vestiti, e il colore più ricorrente tra questi era il grigio scuro, che però, al centro, lasciava lo spazio per una porta che portava ad un altro ambiente. Giada l'aveva invitata a seguirla, e lei aveva fatto come ordinato, superando l'armadio ed entrando in quello che poteva essere definito, senza troppo virgolette (o per meglio dire: proprio nessuna) un paradiso per qualsiasi amante dei manga. Aveva strabuzzato gli occhi, cercando di ricordarsi un altro posto in cui ne aveva visti così tanti, ma era finita col non avere risposte. Nello stesso modo in cui l'armadio lasciava uno spazio al centro anche quest'altro ambiente composto principalmente solo da librerie, mensole e ripiani, (a dire la verità c'erano anche due finestre una nello stesso muro delle vetrate e l'altra nel muro affianco un piccolo divano da due, un tavolino e una lampada) aveva questo particolare, anche se quella volta la "porta" si trovava più a sinistra e non era una porta vera e propria, solo un passaggio. Nell'altra parte della camera, che adesso avrebbe potuto definire veramente enorme, si trovava semplicemente una zona studio, era piccola, circa la metà della parte formata da librerie, ma era bel ordinata. La scrivania rettangolare appariva appena si entrava e la si poteva notare anche prima, affianco a questa, sia a destra sia a sinistra, c'erano due librerie, entrambe più basse rispetto a quelle dell'altro ambiente, in cui si trovavano i libri di scuola o comprati per scuola da una parte, Veronica ne aveva potuto notare giusto uno che la loro professoressa gli aveva detto di leggere giusto una settimana prima per il mese successivo, e dall'altra parte dei semplici libri. Da quello che poteva vedere non ce ne era nemmeno uno di romantico: aveva sorriso, ricordando che effettivamente Giada non era proprio il tipo per quel genere di storie. Aveva appoggiato lo zaino e il borsone dove le aveva indicato l'amica, che aveva fatto lo stesso, e poi si era tolta le scarpe lasciandole vicino alle borse. Erano tornate indietro, ripercorrendo lo stesso percorso fatto in precedenza. Tuttavia, per raggiungere il luogo in cui avrebbero mangiato, una sala da pranzo di medie dimensioni che aveva annessa una piccola cucina e un salottino con una televisione due divani, avevano dovuto percorrere il salotto principale e poi scendere ancora altre scale, anche se questa volta meno ripide e decisamente più larghe delle precedenti.

Avevano pranzato con la televisione di sottofondo, Veronica poteva sentire ancora il sapore delle patate al forno in bocca mentre saliva un'altra volta le scale ripide. Aveva controllato i messaggi sul cellulare, rispondendo ad uno di sua madre e ad uno di Lu, mentre quelli delle classe li aveva semplicemente ignorati e si era detta che quelli degli altri li avrebbe letti successivamente. Arrivate nel mini studio della ragazza Veronica si era seduta su uno sgabello, affiancandosi alla sedia girevole di Giada.

«Odio scienze. Ma odio soprattutto chimica.» Aveva detto la ragazza ad un certo punto, sospirando e spingendo la sedia indietro, allontanandosi dalla scrivania e lasciando che la penna cadesse sul legno

«Sembri Leonardo che si lamenta di fisica» Veronica aveva riso, contagiando anche Giada

«Me lo immagino col broncio e gli occhi incazzati, tipo così!» La sua amica aveva imitato il cipiglio arrogante che aveva il ragazzo quando si alterava e il finto broncio che mostrava ogni tanto.

«Sì! -Aveva allungato la 'i'- È proprio la sua faccia!» Avevano riso insieme, Giada che schiacciava di più la schiena contro lo schienale della sedia e Veronica che si teneva ad un angolo del tavolo per non cadere.

Dopo essersi riprese Veronica aveva aiutato Giada a finire di un esercizio che non le veniva, poi, finiti totalmente i compiti, si erano alzate, stiracchiandosi e ridendo per via della contrazione dei muscoli. Si erano avviate velocemente verso la piccola cucina che c'era nella sala da pranzo in cui avevano mangiato, Veronica doveva ancora abituarsi al fatto che quella casa in realtà fosse un reticolo di scale, stanze in altre stanze e percorsi impossibili. Era la casa più strana che avesse mai visto, ma era comunque una bella casa. Tutte le stanze avevano i muri dipinti da colori pastello, questi sembravano avere un ordine ricorrente, o almeno così le aveva detto Giada. La sopracitata, comunque, era sparita dentro alla cucina, tutte le intenzioni di preparare una merenda, ed aveva lasciato a Veronica la possibilità di guardare le foto che si trovavano sul mobile che circondava la televisione, non che fosse qualcosa di particolare visto che era semplicemente un insieme di ripiani di ferro leggermente ruvido, non troppo, e leggero che sostenevano libri, enciclopedie, oggetti vari e fotografie. Veronica quando si trattava di foto era una ficcanaso, ma ne era attratta inconsapevolmente, non lo faceva apposta, semplicemente ne era attratta. Ne aveva presa una tra le mani, la foto era incorniciata da una cornice di legno, come tutte le altre, con ricami oro, impressa nella carta c'era l'immagine di una Giada bambina, i capelli scuri al vento, il sorriso uguale a quello che mostrava sempre anche attualmente, ad entrambi i lati aveva due cani, uno aveva i colori di un pastore tedesco ma era decisamente di una taglia troppo piccola per esserlo, probabilmente era solo un meticcio, e l'altro aveva invece i colori di un dalmata, anche se anche quello aveva una taglia diversa, fin troppo, per essere di razza, erano comunque, in realtà bellissimi. Le altre foto erano simili, i cani erano sempre presenti, entrambi, che Giada fosse con i genitori, con altre persone, in altri posti, quei due erano sempre con lei. Sempre con lei. Fino a quando, scorrendo con lo sguardo le foto, non ne aveva trovato una in cui rimaneva solo il simil dalmata. L'aveva visto il sorriso diverso sul suo volto in quella foto, aveva percepito chiaramente il cambiamento. Si era sentita pervadere da brividi di tristezza ricordando come anche lei aveva avuto un periodo del genere. Aveva fatto scivolare lo sguardo oltre a quella foto, incontrandone di altre sempre con quel cane, l'altro non compariva più. Poi, ancora, nelle foto c'era solo Giada, lo sguardo felice palesemente montato per la foto in sé. Era brutto perdere qualcuno a cui si voleva bene, Veronica lo capiva, lo comprendeva e provava dolore per gli altri. Aveva immaginato, per un solo istante mentre realizzava del tutto ciò che rappresentavano quelle foto, il momento in cui Akimi sarebbe morta, e le erano venuti i brividi lungo la schiena, il bisogno fisico di stringere a sé la gatta l'aveva colta alla sprovvista e si era ritrovata a schiacciarsi le unghie contro il braccio per reprimere quell'istinto che non poteva soddisfare.

«Ehi! Tutto bene?» Veronica si era girata, annuendo vigorosamente

«Sì sì»

«Non sembri esserne sicura...» «Tranquilla, seriamente.» Giada aveva per un secondo guardato le foto, per poi girarsi verso di lei, inclinando la testa con un sorriso dolce sulle labbra: «Non te ne devi dispiacere, loro sono qui. -La ragazza si era indicata il cuore, picchiettando con l'indice la zona del petto incriminata- Lo saranno sempre, è l'unico posto in cui devono stare.» Giada aveva riso, per smorzare la situazione, e poi si era avvicinata velocemente a Veronica, abbracciandola. Lei aveva ricambiato stringendo la ragazza a sé.

«Che momento depressivo.» Giada aveva annuito contro la sua testa, poteva sentire il volto caldo leggermente a contatto con il proprio «Facciamo la benedetta torta? Sono solo le quattro e quindici quindi dovremmo anche riuscire a mangiarla!» «Quanto entusiasmo per una torta!» «Un mese che voglio farla, cavolo.» Veronica aveva sciolto l'abbraccio, leggermente più serena, ed aveva sorriso.

Tra l'infarinarsi a vicenda, rompere un uovo sul pavimento, rovesciare lo zucchero (di nuovo per Veronica), e cercare per mezza casa il lievito erano riuscire a sbrigarsela in un'ora, anche un po' di più. Veronica si era abbassata, controllando la torta in forno mentre addentava un'altra volta il suo panino alla nutella. Era stanca, sentiva lo stomaco farle male, aveva freddo nonostante nella casa ci fossero diciotto grandi e aveva avuto improvvisamente voglia di alcool. Non che le piacesse particolarmente bere ma durante il ciclo le venivano delle voglie strane, e a quanto pareva Giada era ben felice di accontentarla. Quando aveva detto quel suo desiderio, in chiave assolutamente ironica, Giada si era alzata, sorridendole furtiva e dicendole solamente <> poi era sparita verso la cucina vera e propria della casa, che si trovava al piano superiore, cioè il piano terra. Veronica aveva aspettato paziente, seduta su una sedia, tranquilla, circondata dal rosso pastello e dalle finiture rustiche della cucinetta. Era carino lì. La sua compagna di banco era tornata pochi minuti dopo, tra le mani due tazze alte, da cui traboccavano due cannucce nere e sembrava intravedersi del ghiaccio.

«Amò ma cosa è?» aveva chiesto veronica mentre guardava il liquido dentro alla tazza, aveva girato la cannuccia, facendo ruotare il ghiaccio e creando un rumore rilassante.

«Mocaccino con Vodka, Vodkaccino***.» Veronica aveva sgranato gli occhi, leggermente sorpresa

«Ma è buono?»

«Assolutamente!» «Ma come ti è venuta 'sta cosa?» «Sinceramente? Non ne ho idea -Giada aveva bevuto un po' della bevanda- Tipo domenica non c'era nessuno a casa e io mi stavo facendo il Mocaccino tranquilla, poi ho visto la bottiglia di Vodka e mi si è accesa una lampadina» «Ma quanta ne hai messa?» «Mezza tazza? Un po' meno, o forse di più?»

Veronica aveva spalancato occhi e bocca, aveva assunto un espressione leggermente preoccupata mentre osservava la sua amica bere, significava quasi il cinquanta percento di Vodka con un quasi cinquanta percento di mocaccino? Beh insomma, aveva pensato, chi lo sapeva che sarebbe successa una cosa simile.

«E io che credevo sarebbe stata Celeste la prima ad andare in coma etilico...» «Al coma etilico, quindi?» Giada aveva alzato la sua tazza in direzione di Veronica, che poi aveva sospirato sorridendo «Al come etilico.» Ed avevano bevuto.

Una mezz'ora dopo la situazione era degenerata: Giada se ne stava distesa a testa in giù sul divano, le mani che giocavano con i propri capelli, li intrecciava, li legava tra loro, e quando non stavano, essendo lisci, sbuffava. Veronica invece era stesa a terra, una gamba sul tavolino di vetro in mezzo alla stanza e le mani rivolte verso l'alto, propense verso qualcosa che voleva disperatamente. Lo aveva pensato, prima di bere, che quella fosse una pessima idea, che le proporzioni fossero sbagliate e che sarebbe sicuramente morta prima dell'allenamento, che non ci sarebbe nemmeno arrivata all'allenamento se avesse bevuto, tuttavia era stata spinta dalla curiosità di sapere, curiosità alla quale non riusciva mai a mettere un freno.

«Mi piace Andrea.» Aveva biascicato Giada, girando il volto verso l'amica

«Come se non si notasse! -Veronica aveva singhiozzato mentre si passava una mano tra i capelli, poi aveva riso- Hai la bava quando lo guardi!»

«È sempre così gentile, ed è così bello, probabilmente ne sono cotta dalla prima...»

«Ma perché non ti sei mai confessata!»

«Non ricambia!» «Ma smettila.» «L'unica cosa che fa di carina è tappare la bocca a Leonardo!» «È già qualcosa, no?» «Non sono molto sicura che significhi qualcosa però... Io nemmeno avrei voluto innamorarmi.» «Non sei mai tu che scegli l'amore, è l'amore che scegliete te.» «Il sesso senza implicazioni sembra più allettante.» «Una scopamicizia?» «Non funzionano.» «Ne hai già provata una?» «No, ma non funzionerebbe -Giada si era alzata con la schiena, e dopo un giramento di testa, aveva lanciato un cuscino addosso a Veronica per fermare la sua risatina perversa- Sto dicendo che se anche ne facessi una con Andrea sarebbe solo peggio, no?» «E non farla con Andrea allora!» «Veronica! Allora la faccio con Leonardo?» Quella volta era stata Veronica a tirare un cuscino in faccia a Giada, che aveva riso dopo essersi massaggiata il naso dolorante. «Sei gelosa!» «Non sono gelosa!» «Certo Miss "Ho dormito con il mio coinquilino, che non si vuole far toccare nemmeno da sua madre, due volte e tratta decentemente solo me."» «Ma!» «Non dire ma! È vero!» «Mh mh mh mhmh... Non mi tratta proprio decentemente, ma va bene...» «Sì, certo, come no.» Veronica aveva ammesso un basso grugnito, che era stato più simile al ringhio di un leoncino che di un leone, ma andava bene comunque.

«Comunque non lo so, per Andrea, passa più tempo da sola con lui!»

«Fosse facile! Pensa ad una scena da film all'incontrario: lui che cammina verso casa e io che lo abbordo con la macchina!» Veronica era morta dalle risate, aveva dovuto piegarsi, girarsi, girarsi ancora una volta per non soffocare. Le si bloccava totalmente il respiro quando rideva e sembrava una macchina che non riusciva a mettersi in moto. Lu l'aveva memorizzata "motore rotto" da circa quando avevano entrambe il telefono ormai. «Sto... S-sto per morire -Veronica aveva riso ancora, stringendosi al petto un cuscino e battendo con il palmo aperto sul divano di fianco a lei- Aiuto»

Ci avevano messo una buona decina di minuti per tornare all'incirca serie, per quanto se lo potessero permettere.

«Leonardo comunque, per quel che vale, davvero non l'ho mai visto così con nessuna, anche se sinceramente pensavo fosse asessuale» «Potrebbe?» «Mh? -Giada l'aveva guardata un attimo, per poi tornare a osservare il soffitto- Nah.»

Veronica era arrossita, poi, minuti dopo, si erano addormentate entrambe. Il sapore di Vodkaccino ancora in bocca e un messaggio, ore dopo, che compariva sullo schermo del suo telefono.

*Il programma di terza di letteratura prevede Shakespeare con Romeo e Giulietta.

**Da ricoleggersi al capitolo 5, è il profumo che Veronica sente quando si addormenta.

***Da NON rifare per divertimento.

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Nota autrice alla fine, non volevo annoiarvi con troppe precisazioni.

Allora, so che l'ho praticamente già detto, ma mi ripeto: le azione compiute da Giada e Veronica non sono un incitazione al bere, è male, fa male e non andrebbe fatto da minorenni, non si dovrebbe nemmeno sapere dove è l'alcool in casa. E questo lo dico perché ragazzin* potrebbero leggere e pensare che vada bene perché "in quel libro lo fanno". No, sbagliato, sbagliatissimo. Non è da rifare, punto, non mi importa quanto vi sentiate grandi dentro!
Poi se avete un età consona fate pure quello che volete :3.

Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto! Come sempre mi scuro se sono rimasti errori dalla prima correzione!

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - I numeri primi ***


I primi sono divisibili soltanto per uno e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là agli altri. Sono sospettosi e per questo Mattia li trovava meravigliosi.

Tra i primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un pari che gli impedisce di toccarsi per davvero.*

Aveva chiuso il libro, la sovraccoperta posata da qualche parte nella stanza, le impronte delle due dita sulla copertina rigida avevano cominciato a farsi presenti proprio quel giorno quando, per il terzo di fila, aveva preso il libro dalla libreria. Era rimasto lì per molto tempo, tanto tempo che quando Leonardo lo aveva adocchiato sulla penultima mensola si era stupito che ci fosse. Ma c'era, e gli gridava di prenderlo, aprirlo e leggerlo. Così, richiamato dalla costina, si era avvicinato all'oggetto, aveva premuto una mano sui libri che lo circondavano e lo aveva sfilato dallo stretto posto in cui era stato confinato. Aveva tolto la sovraccoperta, in modo da non essere condizionato da un'immagine, si era seduto per terra, le gambe incrociate, ed aveva cominciato a leggere. Arrivato alla centesima pagina si era interrotto, lo stomaco che brontolava, e quindi aveva appoggiato il libro sul comodino, si era alzato spolverando i pantaloni ed era sceso in cucina. Aveva ripreso la lettura il giorno dopo, mercoledì, appena finiti i compiti per quello seguente e quelli di chimica per il venerdì. Aveva finito il libro quella stessa notte, ad un orario indecente, ed era crollato mentre ancora lo teneva aperto con le mani. Quando si era svegliato lo stava abbracciando. Ora, in quel momento, dopo aver finito una tavola di disegno, aveva preso a leggerne le frasi che sarebbero, ed erano, state categorizzare come citazioni.

Leonardo aveva sorriso sbieco pensando alla parola citazione, perché si era reso conto che dietro di essa c'era in realtà tutt'altro che la semplice ripetizione di una frase altrui. Citare qualcosa o qualcuno significava incanalare dentro di sé il concetto di ciò che era stato sentito o letto, farlo proprio, riporlo nel proprio bagaglio personale e portarselo dietro fino al punto di non ritorno. Citare era incanalare, incanalare era apprendere.

Per questo a fianco a quel tipo di frase metteva sempre un asterisco, per ricordarsi che quello era qualcosa di utile, qualcosa da cui si poteva apprendere. Quelle contorte, con molteplici significati e difficilmente capibili dalla massa erano le sue preferite.

Leonardo si era alzato da terra, una mano in tasca e l'altra che teneva il segno mentre si dirigeva a passo spedito verso la camera di Veronica. Si era appoggiato allo stipite, osservando l'intera stanza, sentendo la mancanza della presenza della ragazza. Era carino, non bello perché fastidioso, sentila confabulare, borbottare e balbettare mentre faceva i compiti, lei si concentrava così tanto quando li faceva che quasi non si accorgeva delle cose che aveva intorno, o delle persone, e quindi spesso nemmeno si accorgeva di lui, che, a differenza sua, si distraeva velocemente. Leonardo, le prime volte, era stato più volte sorpreso che le domande che ogni tanto volavano in aria non fossero realmente state sottoposte a lui, che lei non si aspettasse una risposta da parte sua e che spesso, pochi secondi dopo, se la desse completamente da sola. Ci aveva messo un po' ad abituarcisi, ma ormai era normale.

Veronica si comportava spesso come se non avesse bisogno di nessuno nello studio, a differenza sua non chiedeva mai chiarimenti, non poneva domande, non chiudeva aiuto in nessuna materia. Era capitato solo una volta, forse, che gli avesse chiesto un particolare su un disegno che dovevano fare, ma quello era stato un caso isolato e la cosa non si era più ripetuta.

Leonardo aveva guardato la scrivania della ragazza, il computer spento e chiuso, gli evidenziatori messi in ordine dietro ad esso e quasi appoggiati alla parete, un porta penne colmo e un foglio lasciato sopra la scrivania con delle cose scritte. Poi il suo sguardo si era alzato sulle mensole, sui libri di scuola ordinati e divisi gli uni dagli altri da spaziatori, sulle due piccole piantine ai lati di questi, poi era salito con gli occhi incontrando alcune fotografie che aveva già visto parecchie volte in degli scatoloni in soffitta. Affianco alle foto due libri. Si era avvicinato, aveva abbandonato il suo libro sul letto della ragazza e si era propenso verso quelli appoggiati sulla superficie di legno dipinta di bianco. Il primo era Ready Player One e il secondo era 331 Metri al Secondo. Li aveva letti entrambi, anche se aveva preferito di più il secondo rispetto al primo. Poi il suo sguardo era sorvolato dal letto alla libreria. Era variopinta, c'erano libri di tutto i colori e non parevano seguire un ordine proprio, messi a casaccio, vicini, aveva visto che due dei libri che le aveva consigliato quella volta in libreria. Aveva sorriso al ricordo di quel giorno, un po' malinconico, ma non troppo. Il pensiero di cosa la ragazza stesse facendo in quel momento lo aveva preso, ma si era impedito di rimuginarci sopra. Era da Giada, cosa diavolo sarebbe mai potuto succedere? Aveva ripreso il libro ed era uscito dalla stanza, chiudendosi anche la porta alle spalle.

Leonardo era tornato in camera solo per rimettere la copertina al libro e posizionarlo nuovamente nella libreria, poi aveva preso il telefono, controllando le notifiche ed aveva riposto positivamente all'invito di Andrea nel gruppo ad uscire, e le cuffiette. Si era cambiato velocemente, indossando dei cargo neri, una maglietta dello stesso colore e una felpa grigia, aveva poi preso il giubbotto di jeans ed aveva sceso le scale velocemente. Mentre si stava mettendo le scarpe aveva visto Francesco camminare verso la cucina, suo fratello non si era accorto di lui in un primo momento ed era tornato indietro sui propri passi con un'espressione confusa in viso e un sopracciglio alzato.

«Dove vai?» Leonardo aveva alzato le spalle, indifferente, mentre Francesco lo fissava curioso

«Da Andrea, torno 'sta sera» Francesco aveva annuito mentre incrociava le braccia e si appoggiava alla spalliera del divano

«Cerca di tornare a casa ad un orario decente. -Leonardo aveva guardato l'orario sul telefono, erano solo le cinque e mezza, quindi, contando il tono di voce di suo fratello, sarebbe potuto rientrare massimo alle dieci. Francesco su quel lato faceva solo le voci di sua madre, quindi non poteva contraddirlo più di tanto- Magari passi anche a prendere Veronica? Così non fa la strada da sola...»

«E Cecilia? Di solito non è lei che le da un passaggio?» Leonardo si era appoggiato interamente alla porta dopo aver sollevato Akimi. L'aveva accarezzata e lei gli aveva fatto le fusa, accoccolandosi a lui e strusciando il musetto sulle sue dita. Aveva sporto il viso verso l'animale, lasciando che gli leccasse guance, naso e fronte, poi aveva sfregato la guancia contro la sua, e la micetta aveva fatto lo stesso, appendendosi anche con le unghie alla sua maglietta.

«Ha una cena e finisce prima» Leonardo aveva annuito, anche se a dire la verità gli importava solo della gatta che ora lo guardava e scrutava con gli occhioni dalla pupilla affilata.

«Va bene, passerò da lei.» Il tono un po' assente con cui lo aveva detto avevano fatto in modo che Francesco lo guardasse un attimo storto

«Leonardo.»

«Sì, ho capito, una camomilla fratellone?» «La prossima volta che dici una cosa del genere prendo ispirazione da mamma e di uso come bersaglio, ma io userò i suoi tacchi non le pantofole.» Leonardo aveva sentito un brivido passargli per la schiena all'immagine di Francesco nella sua versione "mamma arrabbiata". Sapeva che stava scherzando e che quello utilizzato dal fratello era un tono ironico, ma comunque non avrebbe voluto provare l'esperienza con sua madre invece che con lui. «Ci andrò, ci andrò.» «Ma che bravo.»

Leonardo aveva messo giù la gatta, che come nulla poi si era diretta verso il maggiore dei fratelli pretendendo di avere ancora attenzioni. Il ragazzo l'aveva raccolta da terra e accarezza in maniera più dolce rispetto a come aveva fatto il fratello poco prima. Leonardo aveva preso le chiavi di casa, aveva salutato Francesco, fatto un'ultima carezza all'animale e poi era uscito di casa.

Andrea abitava proprio in centro a Treviso, vicino a Piazza Vittoria, in una vietta a "L" che poi sbucava fuori in un altra via appena affianco alla chiesa di San Nicolò. Ci sarebbe potuto arrivare a piedi in una ventina di minuti, anche perché per prendere l'autobus avrebbe dovuto attendere proprio quello stesso lasso di tempo. Da dove sarebbe arrivato lui la prima cosa che avrebbe visto sarebbe stato il parcheggio, a cinque file, sempre pieno, poi il monumento circondato da alberi e siepi, le poste situate in un di palazzo di mattoni rossi, la fiancata destra e poca parte davanti erano coperte da marmo bianco, ma per il resto rimaneva ancora un edificio vecchio stile. Affianco alle poste, sempre sulla destra, la sua scuola elementare, la struttura a L, nessun colore particolare, poi ancora più a destra altri negozi, il tabaccaio, l'ortofrutticolo e infine una piccola chiesetta, sulla sinistra invece l'istituto Tecnico, la gelateria che dava inizio alla via che i doveva fare prima di imboccare la vietta per la casa di Andrea. Leonardo aveva atteso, le mani intasca, lo sguardo freddo, il verde per poter attraversare la strada e dirigersi verso una porta della città, passando per lo stesso viale dove c'era l'incrocio della loro scuola. C'era passato davanti, le mura antiche ma il nome fiero e svettante in alto, le scalinate su cui da piccolo aveva fatto tante di quelle foto che ormai, trovarle negli album era cosa banale. Davanti al suo liceo, comunque, c'era anche una scuola elementare, scuola elementare che veniva gestita dalla loro preside, scuola elementare che lui detesta con tutto il cuore. I ragazzini urlanti a ricreazione erano una noia, il fatto che potessero uscire in giardino per una ventina di minuti anche di più, urlavano e schiamazzavano, le bambine sembravano essere capaci solo di urlare a destra e a manca nomi di cantanti e di attori, e i bambini di giocare a calcio. Davvero, non avevano un altro sport da praticare? Ce ne erano così tanti, perché proprio solo quello. Loro e la loro maledetta palla che finiva in strada una volta ogni cambio d'ora. Se avesse mai avuto un figlio, anche se solo l'idea di un poppante urlante da pulire e seguire gli faceva venire la nausea, sapeva che le uniche volte in cui si sarebbe divertito con lui, o lei, sarebbe stato quando sarebbe caduto, o caduta. L'idea di una bambina era già più accettabile, più tranquille, meno chiassose, anche se non sapeva esattamente quanto una sua figlia sarebbe potuta essere amabile se mai avesse avuto il suo carattere. Perché lo sapeva Leonardo di non essere così simpatico, ma ne andava fiero perché stava simpatico a se stesso. Però sarebbe stata molto bella se avesse preso i suoi colori, magari non proprio il suo aspetto ecco. Una versione femminile di suo padre come figlia non lo entusiasmava affatto. Menchemeno lo entusiasmava una versione di sé poppante. Quanto diavolo potevano essere brutti i bambini piccoli a volte? Va bene che l'amore acceca, aveva pensato, ma davvero così tanto? Ma la vera domanda che si poneva era un'altra: perché non posso lasciare mio figlio a qualcuno e poi riaverlo così da dormire tranquillo invece di subirmi notti insonni per un marmocchio?

Leonardo aveva smesso di osservarsi intorno, concentrato nell'attraversare la strada senza farsi investire e arrivare davanti ad un altro istituto. Era pieno di scuole lì, se ne poteva avere anche un'idea precisa prendendo in considerazione il fatto che, se avesse svoltato a destra prima di attraversare, dopo la biblioteca, la pizzeria al taglio, il museo e altro si sarebbe trovato di fronte ad una scuola privata. Poi ancora, se avesse proceduto più avanti e avesse girato a sinistra avrebbe trovato il Liceo Classico** con tanto di pup proprio lì a fianco. Si potevano definire fortunati quanto volevano quelli lì perché lo erano.

A pensarci bene quella era la strada più corta da un certo punto di vista, in più, se avesse svoltato per una via prima rispetto a quella che conduceva al Liceo avrebbe anche tagliato più percorso. Si era fermato per almeno cinque secondi prima di decidersi. Aveva svoltato a destra, nella strada parallela a quella che aveva citato prima, infatti lungo quella, prima dei portici, aveva sorpassato la chiesa, poi il portone di una casa e alla fine, sotto i portici aveva passato i negozi. Prima il calzolaio, poi le poste, il bar e un negozio che sembrava vendere tutte cose appartenenti a cent'anni prima. Leonardo aveva svoltato a sinistra, era passato a fianco alle cose, poi ancora a sinistra ed aveva incontrato la rotonda. Aveva continuato a camminare per un po', stringendosi leggermente nel giubbetto di jeans. C'erano una quindicina di gradi, era ancora relativamente presto per fare più freddo, ma l'arietta gelida preannunciava il contrario. Leonardo amava il freddo fino ad un certo punto e sapeva che quel punto sarebbe presto arrivato.

Una decina di minuti dopo, appena sorpassata la chiesa di San Nicolò, il suo telefono aveva preso a vibrare. Non amava il rumore e quindi era sempre in silenzioso, ma almeno per le telefonate lasciava la vibrazione

"Oi, dove sei?" La voce di Andrea, leggermente ottava dagli altri due, gli era giunta apparentemente pimpante alle orecchie, ma c'era stata una nota diversa dal suo solito tono felice, tono che usava sempre con tutti anche quando sapeva che non ce ne era il bisogno. Come in quel momento.

"Sto arrivando. Che c'è, che è successo?" Andrea aveva sospirato, il tono preoccupato con cui Leonardo aveva pronunciato l'ultima frase gli aveva fatto vibrare il petto.

"Nulla, se ne è andata."

"Andata... Andata andata?"

"Devo dirlo in tedesco?" Andrea, nel mentre, aveva annuito ad Alessandro che gli aveva indicato il frigo, come a chiedergli se poteva.

"No, non mi ricordo un cazzo di tedesco, cosa vuoi che capisca"

"Devi averlo studiato solo due volte in tre anni: al primo compito e all'ultimo, tanto per passare l'anno"

"Esattamente, comunque sono qui sotto, apri." La telefonata si era chiusa lì.

Non aveva dovuto attendere tanto Leonardo, prima che il portone del complesso di appartamenti facesse il tipico suono che stava ad indicare che si poteva entrare. Aveva fatto le scale con calma, perdendo più tempo possibile, tanto per non sentire quello che Andrea gli avrebbe detto di lì a pochi minuti.

Era entrato trovando già la porta dell'appartamento aperta, ed era stato accolto, come sempre, in primo luogo dal cane del suo migliore amico. Quel cane lo amava e lui amava quel cane. Avrebbe volentieri fatto una battuta sarcastica su come si trovasse meglio in mezzo gli animali che tra le persone ma sarebbe stata solo offensiva verso sé stesso, e in quel momento non ne aveva tutta quella voglia.

Nessuna voce femminile gli era giunta alle orecchie dopo, come sarebbe stato nella normalità se quello fosse stato un giorno normale, nessuna signora De Re, o Martini se si prendeva il cognome da sposata, ad accoglierlo, nessuna chiacchierata con lei. Nessun sorriso finto. Niente di quello che era solito era avvenuto quella volta.

«Me ne passi una, Ale?» Leonardo si era tolto la giacca e l'aveva buttata su uno dei divani, dove ce ne erano altre due. Quell'appartamento era abbastanza ampio, l'ingresso si apriva su un piccolo atrio, circa ci tre metri per due, forse, poi a destra c'era un piccolo arco, e non una vera e propria porta, che lasciava libero accesso al salotto. L'enorme vetrata rettangolare dalle porte scorrevoli era tra tante cose, quella che più catturava l'attenzione di chi entrava nel salotto, questa dava su un terrazzo terrazzo di medie dimensioni che dall'esterno era mezzo nascosto dalle piante rampicanti e dai fiori. La stanza era, generalmente, moderna: la televisione era a parete e sotto di questa c'erano dei mobili sospesi, sopra, delle mensole con delle fotografie e degli oggetti ricevuti da varie cresime e comunioni. Davanti alla televisione prima un tavolino dalle gambe di legno scuro e poi un divano ad angolo da sei posti, beige, in contrasto con i colori della mobilia che ricadevano tutti sul marrone quasi nero. A destra dell'atrio, con una porta, c'era la cucina. Quella era piuttosto semplice: il tavolo rettangolare stanziava al centro della stanza e ben sei sedie lo circondavano, davanti a questo una finestra , alla sua sinistra la credenza e un paio di mensole contenenti libri di cucina e alla sua destra, in ordine, prima il frigo, poi il piano della cucina in marmo scuro, poi il piano cottura ad angolo, il lavandino e poi i vari mobili che contenevano gli alimenti. Leonardo si era diretto proprio in cucina, trovando Andrea seduto sul tavolo, le gambe a penzoloni mentre beveva una Monster, Alessandro che si mangiava un panino e Damiano che, come al solito in quelle situazioni, se ne stava in attesa in silenzio, conscio, prima degli altri, che Andrea avrebbe parlato quando se la sarebbe sentita. Leonardo si era appoggiato al marmo, le braccia incrociate e lo sguardo fermo sul proprio migliore amico, mentre prendeva dalle mani il panino, o la metà che ne rimaneva, di Alessandro. Il ragazzo dai capelli rossi gli aveva imprecato un attimo contro, rivolgendo il suo cibo indietro, ma si era zittito completamente al suo sguardo di fuoco.

Sapevano tutti e tre che Andrea avrebbe parlato solo quando avrebbe trovato il coraggio, coraggio che, in quelle determinate occasioni, sembrava scomparire e basta, dileguarsi e smettere di esistere, o se avessero cominciato a fargli domande su domande, partendo da dei luoghi generali fino a finire a pungerlo nel vivo, ad affondare il coltello nella piaga per poi metterci del sale. Era l'unico modo, visto che la sua sicurezza sembrava sparire. Si conoscevano da tantissimo tempo, eppure ancora tentennava nel mostrarsi debole, nascondeva, celava e provava a dimenticare, ma alla fine tutto quello che non voleva mostrare saltava fuori. Per quanto entusiasta, sicuro di sé e gentile si potesse mostrare con tutti gli altri loro tre sapevano quanto potesse essere debole e malinconico, quanto bastasse un solo gesto a ridurlo al silenzio. Silenzio che ovviamente, generalmente, non ci sarebbe mai stato se non ci fosse stata quella situazione e la causa di quella situazione, al contrario di come credeva il suo migliore amico, non era lui ma loro.

La situazione familiare di Andrea era, nel complesso delle cose, delicata. Quasi quanto era stata delicata quella di Leonardo molti anni prima. Era iniziato tutto molti anni prima, quando era piccolo, ancora all'asilo. Ricordava che a quel tempo aveva una strana abitudine con suo padre: perennemente in ritardo quello correva ogni volta per farlo arrivare in orario, e prima di scendere dalla macchina e incamminarsi verso la grande porta bianca Andrea gli prendeva l'indice e il medio, e li storceva, incrociandoli tra loro fino a quando l'uomo non mostrava i primi segni di dolore. Ovviamente non sapeva quello che faceva, era piccolo, incosciente e gli sembrava solo un modo per ricordare a suo padre della sua presenza, qualcosa che, anche se minimo, si prolungasse nel tempo. Volava che la sensazione delle dita incrociate rimanesse impressa nella sua mente e che durante la giornata, a lavoro, mentre scriveva, a pranzo quando mangiava o quando si guardava semplicemente le mani. Voleva che lo ricordasse, e sorridesse pensando a lui. Lo voleva, lo desidera, lo bramava, amava la sensazione di essere ricordato, di essere il primo, come primo era stato nella sua famiglia. Anche per quel motivo, quel giorno di maggio, aveva deciso di provare a battere Leonardo. Egoista fin oltre l'immaginabile ma incapace di comprenderlo perché solo un bambino. Iniziate le elementari suo padre si era licenziato, rimanendo disoccupato. Era stata colpa sua, almeno dal punto di vista di un bambino che non sapeva: gli orari e le possibilità della scuola erano in contrasto con quelli dei lavori dei suoi genitori, e per l'una o l'altra cosa suo padre aveva dovuto farlo. Aveva lavorato però già per ben venticinque anni, avendo cominciato subito dopo il militare, quindi non aveva avuto grossi ripensamenti o roba del genere. Durante il corso degli anni, però, aveva comunque fatto dei lavori momentanei, quattro mesi di là, quattro mesi di qua. Non si era mai stancato di lavorare, con tre diplomi e una laurea, specializzazioni e con anche la possibilità di fare l'agente di commercio era stato facile trovare lavoro. Nel compenso Andrea passava sempre tantissimo tempo con lui. Lo aiutava a fare i compiti, giocavano insieme a palla, preparavano la cena per la mamma. Quando stava male chiamava lui, quando aveva bisogni di qualcosa chiamava lui, quando aveva bisogno di un abbraccio lo stesso. Lui e solo lui. Poi era arrivato il secondo figlio, e allora la concentrazione di suo padre, e di sua madre, era passata da lui a quel bambino in fasce che dormiva insieme ai suoi genitori nel lettone. A quel punto lui era passato in secondo piano, non che non fosse guardato, ma era guardato di meno, non che giocassero con lui, ma ogni due per tre interrompevano per guardare se il piccoletto avesse bisogno di qualcosa, non che gli fosse tolta tutta quell'attenzione ma agli occhi di un bambino spesso le cose venivano ingigantite. Lui aveva ingigantito quelle emozioni, quei gestiti, gli sguardi e le non preoccupazioni. Non poteva più storcere le dita a suo padre e pensare che lui si ricordasse di quel gesto tutto il giorno perché per tutto il giorno avrebbe avuto modo poche volte di pensare a lui. Così Andrea aveva fatto la cosa che gli era risultata più naturale: smettere di cercare attenzioni, accontentarsi di quelle che gli venivano date. Aveva imparato allora che se si guardava la televisione di pomeriggio il tempo passava più velocemente, che la si poteva guardare anche dal computer con la porta di camera chiusa, perché ormai nessuno gli diceva più di tenerla aperta, che i compiti per casa erano più noiosi se fatti da soli e che sua madre, quando suo padre non ascoltava o non c'era, si lamentava fin troppo. Lo stesso, se era per quello, lo faceva anche l'altro genitore. Si lamentavano con lui di quello che l'altro non faceva, denigrando il lavoro che faceva l'uno a casa e l'altra con i figli, mettendolo in cattiva luce per il fatto di non avere un lavoro o di non fare abbastanza per la famiglia e giudicandola per i vuoti che cercava di colmare con i dolci che portava a casa appena fatta la spesa. Non c'era stato giorno in cui facendo la lavastoviglie con suo padre non avesse sentito delle lamentele o in cui facendo la lavatrice con sua madre non sentisse dei giudizi. Più passava il tempo più le cose si appesantivano, lui, ovviamente, non aveva mai parlato di niente a nessuno. C'erano spesso litigate violente tra i suoi genitori, la prima era stata quando lui era piccolo e, per quanto volesse ricordarla, non ricordava nulla, se non che un registratore era volato giù dal tavolo che che tra tutte le cose che aveva potuto colpire aveva colpito proprio lui, in faccia. Sua madre lo aveva truccato per una settimana buona con fondotinta e altri prodotti di cui lui non conosceva né nome e ben che meno marca. Ovviamente nessuno poteva sapere. Gli avevano chiesto, o fatto capire, o imposto, di non dire mai veramente che lavoro facesse suo padre, di girarci intorno, di dire <> se mai fosse stato il caso, e così aveva capito che oltre a quello avrebbe dovuto tacere anche tutto il resto. Le crisi di rabbia poco frequenti di suo padre, il modo in cui i suoi genitori parlavano l'uno dell'altro, il modo in cui fosse profondamente ferito da tutto. Quando suo fratello era diventato un poco più grande, circa quando aveva cinque anni, era arrivato anche il terzo figlio. Lui, allora, aveva dieci anni ed aveva capito veramente da poco come in realtà i bambini nascessero, come venissero concepiti, e a quel punto ciò che lo aveva tormentato di più era stato il desiderio di capire cosa spingesse i propri genitori a fare sesso se si lamentavano costantemente l'uno dell'altro. Si era anche chiesto cosa diavolo fosse l'amore e perché quel sentimento spingesse due persone così a rimanere insieme nonostante tutto, l'evidente, male che si facessero l'uno all'altra. Aveva cercato su internet, aveva letto articoli su articoli, registrato nella propria mente citazioni da libri, film o spettacoli. Amava i suoi fratelli ma odiava che fossero solo un modo per nascondere un evidente rottura, una crepa tanto profonda da aver fatto male persino a lui nonostante centrasse poco o nulla nell'effettivo rapporto di coppia tra i propri genitori. Il colpo di grazia era arrivato in realtà quando aveva notato che, nei loro gesti, non c'era il benché minimo sentimento. Se ne era accorto un giorno qualsiasi da sua nonna, quando sua zia era arrivata e gli aveva chiesto se volesse muoversi un poco con loro. Aveva detto di sì, non aveva nulla di meglio da fare se non mangiarsi un grissino ogni mezz'ora tanto perché non gli rompessero che ne mangiava troppi. Era salito nella loro macchina, maglietta bianca e larga che si muoveva al muoversi della vettura e che, ogni tanto, veniva tirata dalle sue dita. Era timido a dieci anni, si nascondeva dietro suo padre quando una domenica al mese c'era la cena con tutti i parenti perché lo guardavano, e lui odiava essere guardato, lo metteva in soggezione e un sentimento del genere non lo voleva provare. Sua cugina, tre anni più piccola di lui, gli aveva sorriso per tutto il viaggio quando i loro sguardi si incrociavano, era una bambina dolce, sempre con il sorriso sulle labbra, spesso la chiamava "pasta di zucchero" in modo scherzo e per nulla offensivo, alla bambina pareva piacere quindi lui non si faceva problemi a chiamarla così. Durante il viaggio aveva visto spesso le mani di suo zio cercare quelle di sua zia, guardarla, li aveva sentiti cantare insieme una canzone spagnola che pareva stesse spopolando ovunque e non aveva potuto fare a meno di vedere cosa i loro genitori non avessero. Erano arrivati da qualche parte con un fiume, con i mulini e con un percorso sterrato da fare e lì vicino anche una gelateria. Avevano preso prima il gelato e poi avevano cominciato a camminare, sua cugina gli aveva preso prima un lembo della maglia, tirando indietro un po' per fargli capire che stava andando troppo veloce e che lei non riusciva a stargli dietro se mangiava il gelato, e poi gli aveva afferrato del tutto la mano, stringendo la presa ogni volta che voleva fermarsi o cose simili. Avevano fatto foto, riso e si erano divertiti. Quello che lo aveva distrutto era stato poco dopo, quando avevano quasi raggiunto la fine del percorso e i suoi zii erano rimasti indietro rispetto a loro. Si era girato, cercandoli, per dirgli che Soleil***, sua cugina, aveva deciso di fermarsi lì poco distante, ma la voce gli era morta in gola quando aveva visto i suoi zii che, mano nella mano, si sorridevano e si baciavano come quei ragazzi che ogni tanto vedeva in centro. Non sapeva quanto male gli avesse fatto prima di tornare da sua nonna, gli era salita la nausea appena li aveva lasciati ed era dovuto correre in bagno per vomitare, suo nonno, a quel punto, lo aveva raggiunto, e ancora una volta Andrea aveva celato e sotterrato tutto quello che era da nascondere. Non poteva far vedere alla persone nemmeno uno spiraglio di quella che era la sua vera vita, di quella che era la sua vera condizione, non poteva e non doveva. Si era chiesto spesso, a quel punto, se l'amore non si mostrasse in diverse forme, internet gli aveva risposto di sì e da quel momento lui era diventato una sottospecie di cupido. Dopo tutto quello che aveva sentito ed ascoltato sapeva esattamente cosa faceva piacere all'uno e all'altra e cosa invece li infastidivano, quindi diceva a suo padre cosa dire quando sua madre tornava a casa, gli faceva promettere essere più dolce, non che non lo fosse ma, da quello che diceva la donna, non lo era abbastanza. Stesso aveva fatto con sua madre, anche se a lei consigliava generalmente di essere più fisica, magari un abbraccio in più, un bacio ogni tanto, una carezza qualsiasi. Puntava tutti i discorsi sul "ma papà perché non fai o dici questo alla mamma secondo me potrebbe far piacere" "mamma perché non abbracci papà?". Sempre la stessa tipologia di frase, cambiata a volte, trasformata per non apparire ripetitiva. Non che avesse poi funzionato così tanto insomma, certo avevano fatto qualcosa in più l'uno per l'altra ma Andrea li percepiva comunque come due pezzi di ghiaccio che si scontravano tra di loro. Non era bello, ma almeno lui ci aveva provato. Iniziate le medie aveva cercato di farlo con meno frequenza, cambiando un po' i termini della faccenda, portando le cose su un altro piano, ma alla fine non era servito a molto e lui, che a scuola si era mostrato come aveva sempre fatto, competitivo ed egoista, si era ritrovato ad essere se non completamente quasi completamente solo. C'erano solo i suoi fratelli, ma uno aveva appena iniziato le elementari e l'altro aveva appena un anno. A quel punto, un po' così, aveva deciso di provare a risanare quello che poteva, ed aveva chiesto a Leonardo di smetterla con la rivalità. Non lo aveva detto al compagno di classe, ma dentro si sé la frase era finita col pensiero che avesse bisogno di qualcuno vicino e non distante, come erano sempre stati tutti. Così aveva trovato in Leonardo un altro fratello, un fratello incredibilmente vicino a lui e con cui si era potuto mostrare. Per molto tempo, fino alla terza media, aveva taciuto anche con lui tutto quello che era successo e succedeva ancora nella sua famiglia, perché a quel tempo le litigare erano diventate più frequenti e per giunta lui era il solo di tre a subirle, perché avvenivano sempre nell'orario di pranzo quando l'unico dei figli ad essere a casa era lui. Gli aveva detto tutto l'ultimo giorno di scuola mentre erano a pranzo al sushi poco distante dalla loro scuola media. Leonardo era rimasto in silenzio per un bel po' di tempo, il suo migliore amico gli aveva rivelato quello che era successo a lui molto tempo prima, circa in seconda, quindi i primi minuti in cui Leonardo aveva taciuto gli era passata per la testa l'idea che si stesse arrabbiando per il fatto che lui ci avesse messo un anno in più, che non si fidasse abbastanza e tutta quella roba lì. Ma il ragazzo aveva solo rialzato lo sguardo su di lui dopo buoni cinque minuti in cui aveva guardato gli uramaki sul suo piatto. Quegli occhi azzurri così determinati lo avevano sconvolto, luccicavano e sembravano avere luce propria, Leonardo non aveva preso e lo aveva abbracciato, non lo aveva consolato con parole dolci o roba del genere. Non ne era il tipo e non ne sarebbe mai stato il tipo. <> <> aveva risposto lui come uno scemo, con il tono da scemo <> Ad Andrea era scoppiato il cuore, aveva sentito le lacrime arrivargli dritte agli occhi e per poco non era scoppiato a piangere in mezzo al ristorante. Leonardo aveva distolto lo sguardo, lasciandogli un momento per riprendersi, per elaborare, per capire, per assimilare e fare sue le parole che lui gli aveva detto. Non aveva smesso di nascondere, ma aveva capito che arrivato un certo punto non riusciva più a contenersi ed dopo un po' scoppiava, diceva tutto ad Leonardo e lui lo ascoltava in silenzio, a volte faceva battute sarcastiche su come avrebbe potuto rispondere ai suoi genitori e robe simili. Altre si alzava, prendeva uno dei loro film preferiti, faceva i popcorn e lo costringeva a guardarli con lui. Il messaggio era ovviamente che non era solo, non lo sarebbe mai stato, e che avrebbe sempre avuto, con Leonardo, un porto sicuro sul quale rimanere ogni volta che avrebbe voluto per tutto il tempo che gli sarebbe servito. Andrea non aveva mai smesso di ringraziarlo anche solo mentalmente per esserci stato e per esserci ancora. Alla fine della seconda superiore, mentre tutti e quattro erano sulla spiaggia, Andrea si era lasciato andare anche con Alessandro e Damiano che, dal canto loro, avevano reagito in modo differenti. Il primo lo aveva guardato negli occhi per minuti interi e poi aveva esordito con un <>, Andrea aveva riso per via della schiettezza dell'amico, Leonardo aveva ghignato mentre buttava un bastone in mare, quello era arrivato a circa venti metri dalla riva, e Damiano aveva alzato gli angoli della bocca. Il sopracitato aveva riso appena Andrea aveva finito di parlare, generalmente più tranquillo degli altri aveva avuto proprio la reazione che nessuno di loro si sarebbe aspettato, non li aveva insultati ma aveva riso di loro, che, a fin dei conti era circa la stessa cosa che dirgliene quattro. Erano finiti sbronzi quella sera, distesi in mezzo alla spiaggia con le onde che solleticavano loro i capelli. Da quel momento in poi i suoi genitori avevano cominciato a fare una cosa che mai avrebbe pensato potessero fare. Quando si arrabbiavano oltre la loro soglia prendevano le chiavi della macchina e se ne andavano per ore. Vittorio, il secondo in linea di nascita, aveva dieci anni, era stato il primo a cui era capitata la cosa ed aveva pianto per tutto il giorno, anche dopo che i suoi erano tornati. Ovviamente se ne erano andati via separati, con due macchine diverse in due posti diversi.

Quel giorno era accaduto proprio quello: suo padre aveva litigato con sua madre e se ne era andato, Andrea, stanco, aveva sbagliato a fare una sola cosa delle dieci che sua madre gli aveva detto di fare e quello sbaglio gli era costato delle urla, la minaccia di non tornare più, i fogli del divorzio che venivano presi dalla borsa e sbattuti sul tavolo della cucina e la porta di casa che quasi era caduta per la violenza con cui era stata sbattuta, una quasi crisi in cui aveva lanciato un vaso su un muro, non lo aveva mai fatto e non si era affatto sentito meglio dopo, quindi decisamente non era stato utile, e il bisogno di confidarsi con qualcuno. Aveva chiamato tutto, aveva spazzato per terra ed aveva messo i cocci in un angolo del soggiorno, tanto perché nessuno si facesse male. Damiano, che abitava a cinque minuti da lui, era stato il primo ad arrivare, profumava di mortadella ed aveva una macchia di maionese sull'angolo della bocca, il che gli aveva fatto dedurre che avesse letto il messaggio e che fosse arrivato di corsa. Alessandro era stato il secondo, era arrivato una decina di minuti dopo Damiano e lo aveva abbracciato appena gli aveva aperto la porta, quasi facendolo cadere per terra per via della diversa corporatura. Alessandro infatti faceva rugby quindi era quello che, a fatto di corporatura, era preso meglio. Non che gli altri fossero presi male, Damiano faceva judo, Andrea boxe (colpire un sacco era rilassante, soprattutto se quel sacco assumeva a tratti la faccia arrabbiata dei propri genitori) e Leonardo aveva fatto diversi sport tutti per molto tempo, solo quell'anno sembrava non avere intenzione di farne nemmeno uno (in realtà Andrea era a conoscenza del fatto che il ragazzo andasse a correre almeno una volta a settimana, alle prime luci del weekend, ma proprio a livello di peso Alessandro li superava di una decina di kili).

Andrea aveva alzato gli occhi su ognuno di loro, i suoi ambra si erano focalizzati subito su quelli di Leonardo che quasi lo stavano obbligando a parlare, come se il ragazzo in quel momento pensasse solo "Parla, parla, parla, sono qui, siamo qui per te, parla."

«Ha chiesto il divorzio.»

«HAH?!» Alessandro quasi si era strozzato con la sua stessa saliva

«Era la cosa più giusta alla fine, no?» Damiano lo aveva guardato con un sopracciglio alzato mentre sbatteva ripetutamente i polpastrelli delle dita sul tavolo.

Leonardo era rimasto in silenzio.

«Lui ha ovviamente accettato, ma non credo che lei tornerà. I suoi vestiti sono spariti dell'armadio.» Aveva cominciato a tremare e la sua voce si era incrinata.

«Tuo fratello ha solo cinque anni...» «Lo so Ale, lo so, ma non posso farci nulla, lui ha firmato -Aveva indicato con il dito la firca di suo padre, la vena sul collo che batteva incontrollata e il respiro che stava per mancargli- Non posso farci nulla...»

«Puoi prenderti cura di loro come meglio puoi.» Era intervenuto Damiano, le mani stavolta ferme. Era definito saggio, lo chiamavano scherzosamente "Il Gufo", anche perché qualsiasi cosa diceva si avverava.

Si erano voltati tutti e quattro verso Leonardo, che ancora se ne stava immobile nella sua posizione, le mani incrociate al petto, lo sguardo leggermente indurito. Andrea sapeva quali ricordi gli stavano passando per la testa, in fondo anche lui era piuttosto piccolo quando i suoi si erano separati, anche se per motivi più gravi. Leonardo aveva alzato lo sguardo su ognuno di loro, non aveva voglia di fare battute sarcastiche e la bocca gli si era seccata, eppure tutti lo guardavano come se si aspettassero qualcosa. Alla fine Andrea aveva sorriso, facendogli capire che se non voleva parlare non doveva per forza farlo, e così avevano fatto anche gli altri due. Si era un poco sentito punto nel vivo e nell'orgoglio pensando di apparire così debole in una situazione del genere, e si era infilato le mani in tasca.

«Meglio per te, meglio per voi. Tuo padre è un buon padre alla fine.» Aveva ribattuto, staccandosi dal marmo e sedendosi su una sedia della cucina. Andrea aveva annuito, concordante.

«Dove sono i tuoi fratelli ora?» «Vittorio è da un amico e Gabriele anche, rimangono una notte fuori.» «Vuoi che rimaniamo con te, oggi?» «Vedete un po' voi, nel senso sì.» Damiano gli aveva sorriso. Avevano passato il resto del tempo assieme, e Leonardo si era completamente dimenticato di ciò che aveva detto al fratello, concentrato principalmente sul suo migliore amico. Non ci aveva proprio pensato, perché la sua testa era stata piena di domande come "Come diavolo lo distraggo? Se lo ubriaco questo comincia a raccontare la storia della sua vita partendo da Adamo ed Eva, in più sarebbe capace di limonare il divano e Alessandro di mangiarselo."

Alla fine avevano fatto tutti del loro meglio, avevano passato tutta la serata a far ridere Andrea che pian piano aveva cominciato a riprendersi. Leonardo, se ci pensava bene, aveva sempre considerato Andrea come un suo simile, almeno da quella volta in terza media. Lo aveva considerato, ora che ci pensava bene, come un numero primo, qualcuno di incredibilmente solo come lui che aveva trovato meno solitudine con lui, forse erano semplicemente numeri primi gemelli, come quelli citati nel libro che aveva letto i giorni precedenti, e il loro numero pari era semplicemente il sangue diverso. Leonardo aveva alzato gli occhi al cielo, guardando Andrea collassato sul divano, e pensando che quel genere di cosa fin troppo dolci per uno come lui. Leonardo sapeva solo una cosa: voleva il suo migliore amico come era sempre stato, solare nonostante tutto, sbagliato, divertente e con il sorriso sulle labbra. Spensierato probabilmente era il termine giusto. Andrea era così semplicemente perché quello era proprio il suo carattere, e non perché cercasse di coprire la sua vera natura. Era vero, trasparente, e non avrebbe mai potuto far finta di essere qualcun altro con lui. Andrea poteva avere nascosti un milione di scheletri o portarsi dietro tantissime ombre, una delle cose che non gli aveva mai visto scomparire sulla faccia era stato il sorriso. Era dall'asilo che glielo vedeva addosso, ancora prima che iniziasse il peggio, non poteva essere falso. In più, per Leonardo, Andrea era facile da leggere, glielo capiva dallo sguardo se qualcosa non andava, a volte pensava che fosse una sua abilità nascosta, poi era arrivato alla conclusione che semplicemente Andrea si lasciasse leggere in quel modo solo da lui. Perché soli come erano, uno per un motivo e l'altro per un altro, si erano trovati e uniti, e quello contava abbastanza da permettersi di essere sincero in tutto, di dire sempre la verità.

Quando aveva sentito il telefono vibrare nella tasca dei pantaloni aveva distolto lo sguardo dalla figura del suo migliore amico ed aveva preso il telefono dalla tasca dei pantaloni, quando aveva visto il nome di suo fratello, o per meglio dire il suo soprannome, sul display quasi gli era venuto un infarto. L'immagine di Veronica gli si era palesata in mente e tutto gli era tornato alla memoria, aveva risposto, conscio del fatto che veramente Francesco lo avrebbe usato come bersaglio, o almeno prima di aver sentito il motivo del perché non era andato a prenderla. Probabilmente la ragazza era tornata a casa da sola, visto che erano quasi le ventidue. Leonardo però aveva notato anche un'altra cosa mentre rispondeva. Francesco lo aveva chiamato una decina di volte e anche Cecilia gli aveva scritto, ma dalla tendina delle notifiche poteva vedere solo un punto di domanda e lui l'aveva semplicemente tolta, ignaro.

"France, davvero, posso spiegarti, An..." Suo fratello lo aveva interrotto bruscamente

"Veronica non si trova." Un brivido gli era passato lungo la schiena e si era alzato di scatto da per terra, colpendo il tavolino e facendo cadere della roba. I suoi amici lo avevano guardato un attimo preoccupati e anche Andrea si era ripreso dallo stato di dormiveglia in cui era caduto. Aveva guardato il suo migliore amico sparire dal salotto e si era alzato anche lui per capire cosa stesse succedendo.

"Che cazzo significa?"

"..."

"Ma era con Giada oggi! Sono andate via insieme da casa!" Andrea aveva drizzato le orecchie quando aveva sentito il nome della ragazza, e si era avvicinato, tutte le intenzioni di sentire. Nel frattempo il cuore di Leonardo stava perdendo battiti.

"Non si trova nemmeno lei, se è per quello."Il suo migliore amico lo aveva guardato scuro in volto e Leonardo aveva stretto il legno del mobile nell'atrio.

"Cecilia saprà qualcosa? L'allenamento, sarebbe dovuta andare no?" "Non si è presentata." "Ma vaffanculo."

"Leo." lo aveva ammonito Francesco

"Non me ne frega un cazzo, non ha mai saltato un allenamento da quando li fa, non lo avrebbe mai fatto." "Cecilia ha provato a scriverle più volte ma ad una certa nemmeno le arrivano più i messaggi, mi ha girato gli screen."

"I genitori di Giada?" "Fuori per una cena." Andrea e Leonardo si erano scambiati uno sguardo cupo, Alessandro e Damiano dalla porta, anche se stavano capendo ben poco, stavano ascoltando.

"Inizialmente volevo chiederti se ne sapevi qualcosa..." Leonardo lo aveva interrotto

"Te l'ho detto, l'ho vista l'ultima volta a casa, poi basta. France, se lo sa la mamma..."

"Se lo sa la mamma ci fa fuori, lo so." Avevano chiuso la telefonata poco dopo, la rassicurazione che Angela avesse il turno dalle nove alle sei quel giorno.

«L'opzione più plausibile sarebbe quella di andare a controllare a casa di Giada no?»

Leonardo aveva guardato Andrea di sbieco, nessuno dei suoi amici gli aveva mia visto un'espressione tanto seria in faccia. Poteva sentire il cuore bruciare nel petto, la preoccupazione invadergli la testa e il corpo. «E se non sono lì?» Io che faccio, aveva pensato, se lei non è lì?

«Magari si è sentita male per le mestruazioni... -era intervenuto Alessandro, che quel giorno aveva sentito la conversazione tra Leonardo e Veronica- Magari ha deciso di rimanere da Giada e il telefono le è morto.»

«Ci basterebbero venti minuti o meno per arrivare, non è così distante.» Damiano aveva incrociato le braccia al petto, come a dire "volete andare?".

Si erano guardati per esattamente cinque secondi lui e Andrea, poi si erano girati verso l'amico ed avevano annuito, questo allora li aveva spinti a prendere le giacche ed ad uscire di casa. Andrea aveva chiuso la porta dell'appartamento a chiave, poi aveva raggiunto gli altri che erano già quasi dal portone.

Avevano fatto quasi tutta la strada in silenzio, passando vicino a bar e pub, L'odore di cibo, di birra e di alcool, man mano che camminavano verso il centro della città, era sempre più forte. Avevano anche incrociato dei loro compagni di classe per strada, persino Caterina, di cui però Leonardo non aveva minimamente colto la presenza, mente concentrata su un unica cosa, su un'unica persona.

«La detesto.» Aveva sussurrato ad un certo punto mentre attraversavano le strisce pedonali per andare verso il fuori delle mura. Si era infilato le mani in tasca, sbuffando il fumo, mentre chiudeva gli occhi per tre secondi.

«Ma non è vero, smettila.» Andrea gli aveva lanciato un'occhiataccia, ammonendolo.

«In questo momento sì, invece.» «Ti rode solo che ti faccia preoccupare.» Era intervenuto Damiano, guardandolo con il volto leggermente girato verso di lui.

«Il suo povero cuore di ghiaccio è stato scalfito!» Alessandro gli aveva circondato le spalle con un braccio, tirandolo più vicino e scuotendolo. Leonardo si era liberato dalla sua presa sgusciando via come un'anguilla.

«Siete divertenti quanto un palo su per il culo.» Andrea aveva riso, facendo uscire fumo bianco dalla bocca.

Erano arrivati a casa di Giada poco dopo, avevano suonato al campanello più volte e, proprio quando stavano per cedere ed andarsene, quello si era aperto.

Giada si era svegliata da poco, intontita, con un mal di testa terribile e mezza infreddolita, aveva visto Veronica addormentata e se ne era andata in bagno, cercando di far assumere ai suoi capelli una qualche forma decente. Si era passata le mani sulle lunghezze mentre faceva scorrere l'acqua per risciacquarsi il viso. Si era passata l'acqua calda sulla faccia, facendo leggermente colare il trucco che aveva ancora su da quella mattina, anche se si era comunque già rovinato per via della dormita. Si era asciugata e poi si era guardata ancora, sospirando poi si era tolta il trucco e si era fatta una cosa alta, leggermente disordinata.

Era tornata nel piccolo soggiorno, aveva raccolto il telefono da terra e quasi le era venuto un infarto quando aveva visto le telefonate perse da parte di Cecilia, i suoi messaggi e i messaggi di Francesco. I primi erano riferiti a Veronica, si era ricordata del suo allenamento solo in quel momento ed aveva appoggiato la fronte alla parete fresca dandosi mentalmente della stupida, ma dopo un po' entrambi avevano cominciato a preoccuparsi anche per lei.

Giada era andata verso Veronica, consapevole che probabilmente non l'avrebbe presa bene, però, prima anche solo di poterle sfiorare il viso la ragazza era stata fermata dal suono del citofono. Velocemente era corsa da una parte all'altra della casa, sistemando tutto alla rinfusa ed si era presa una mentina. Perché se mai fossero stati i suoi genitori sarebbe diventata il pranzo e la cena per i giorni seguenti, probabilmente.

Quando aveva guardato dalla telecamera però aveva visto prima il volto di Andrea, poi quello di Leonardo e successivamente anche quello degli altri due amici.

«Porcocazzo.» Aveva sussurrato tutto d'un fiato. Il fatto che ci fosse anche Andrea le stava facendo scoppiare il cuore. Il fatto che lei stesse bene aveva tranquillizzato quello di lui.

Veronica si era svegliata pochi minuti prima, aveva fatto girare gli occhi per la stanza e, quando aveva visto che Giada non era più nell'ultimo posto in cui la ricordava, si era alzata confusa e leggermente preoccupata. Aveva raccolto il telefono da per terra ma lo aveva trovato spento, probabilmente scarico visto che non lo aveva mai caricato quel giorno, e se lo era messo in tasca. Poi, con calma, aveva fatto le scale, la testa e il basso ventre che urlavano e le facevano male come avevano fatto poche volte prima. Giada aveva quasi riso quando l'aveva vista, e subito Veronica ci aveva capito poco, poi si era specchiata: aveva i capelli mezzi all'aria e lo sguardo di qualcuno che avrebbe preferito continuare a dormire.

Giada l'aveva guardata divertita e preoccupata allo stesso tempo, anche se l'unica cosa che l'allarmava era ciò che avrebbe fatto Leonardo quando avrebbe saputo tutta la storia. Oltre che insultarla come al solito ovvio. Il ragazzo dai capelli biondi, però, Giada, non l'aveva nemmeno guardata.

*Citazioni da "La solitudine dei numeri primi"

**Lo stesso liceo di prima, sì

***Soleil -> Luce, luminosità, calore, vita.

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Aggiornamenti veloci di questi tempi, lo so, ma non ne sono il tipo e non abituatevi.

Spero di non avervi intristito troppo, con questo capitolo, però in parte mi è sembrato giusto far vedere oltre il rapporto tra Veronica e Giada anche quello tra Leonardo e Andrea e gli altri.

Non ve lo chiedo mai, quindi: come state? <3
Spero bene! Vi auguro nel frattempo una buona giornata!

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Il freddo di novembre ***


Che Novembre fosse sempre stato un mese freddo lo sapevano tutti, Veronica meglio di altri, ma freddi come quello non ne aveva mai sentiti. Si era tirata addosso il piumone viola mentre si portava le gambe al petto e le stringeva con le braccia, andando quasi a formare una palla da sotto agli strati di lenzuola che, dalla notte passata, avevano ormai assunto il suo calore e al tatto erano calde. Non aveva voglia di alzarsi quella mattina, non aveva voglia di prepararsi e di prendere la valigia azzurro pastello, la stessa con cui mesi prima era arrivata in quella casa, e salire in macchina di Angela, con anche Leonardo, ed arrivare fino a scuola per poi salire su un bus e farsi ore di viaggio. Era stanca dall'allenamento del giorno precedente e sentiva ancora i muscoli bruciare per l'acido lattico, contrarsi, rilassarsi e poi tornare a dolerle. Quando la porta era stata spalancata quasi di colpo lei si era girata, sempre tendo la stessa posizione, verso la parte opposta del materasso, in modo da inoltrarsi totalmente nel centro del letto. Si era aspettata la voce di Angela quella mattina, pronta a ricordarle della fantastica gita di cui sarebbe stata partecipe e di portarle a casa qualche souvenir, contando il fatto che il minore dei suoi figli non lo avrebbe mai fatto. Probabilmente nemmeno ci avrebbe mai pensato e, se mai se lo fosse ricordato, avrebbe preso solo una calamita, una di quelle da appendere alla porta del frigo. Qualcosa di poco memorabile, insomma. Nulla di tutto quello, però, era successo. Aveva sentito una mano calda poggiarsi sulla sua spalla, farle una carezza, e poi spostare delicatamente le coperte. Veronica aveva visto il volto di Leonardo quasi di sfuggita, visto che lui era andato ad aprire i balconi e le finestre, così da far entrare aria e luce nella stanza. Aria gelida, la ragazza aveva immaginato dei pinguini entrare dentro la camera con la loro camminata buffa, e luce indesiderata. Si era alzata, allora, tanto perché ormai era stata esposta all'aria fredda e non aveva più modo di perdere tutto il calore che la circondava grazie alla sua piccola tana, se lo era sentito strappare via, e si era ritrovata, piacevolmente, nelle braccia di Leonardo. Erano passati parecchi giorni dall'ultima volta in cui era successo, quasi venti, o proprio venti, contato che era stato il dieci di quel mese e ormai era il trenta.

Ricordava ancora quella sera, il modo apprensivo e preoccupato con cui Leonardo l'aveva guardata quando era riuscito a vederla oltre la figura di Giada, la sua camminata veloce, di nemmeno due falcate, e le sue braccia che, forti come quella volta da sua nonna, l'avevano stretta a sé, spinta all'indietro addirittura. Lei, schiacciata contro il suo petto caldo, aveva spostato le mani lentamente fino al suo collo dove si erano trovate e l'avevano stretto. Era stato inconscio rimanere in quella posizione, l'uno per un motivo e l'altra per un altro. Leonardo l'aveva guardata male, in un secondo momento, come se semplicemente tutti i sentimenti che gli aveva fatto provare avessero potuto fargli esplodere il petto. Veronica, dal canto suo, sapeva che il proprio era stato bombardato dalla felicità di essere abbracciata dall'unica persona da cui non si sarebbe aspettata un abbraccio. Erano rimasti abbracciati per un bel po' di tempo, la ragazza lo aveva trattenuto anche più di quanto lui stesso volesse, alla fine Leonardo aveva ceduto quasi subito riportando le braccia intorno alla sua vita e l'aveva nuovamente stretta. Si era arrabbiato, successivamente, quando si era accorto delle vere condizioni della ragazza. La rabbia, quella pura, non era un sentimento che Veronica aveva visto spesso sul viso di Leonardo, una volta sola che ricordasse, ma quella era stata una situazione completamente diversa. Gli occhi azzurri del ragazzo erano sembrati quasi schiarirsi, illuminarsi e scoppiettare, come la scintilla di un fuoco appena acceso, la sua stretta su di lei era diventata più prepotente, anche se dalla forza calibrata per non farle male in nessun modo. Leonardo, che se fosse stato un altro momento si sarebbe allontanato con un minimo di cinque metri a dividerli, cosa che non era accaduta nemmeno nei tempi della pandemia, si era avvicinato ancora di più a lei, la gola che gli faceva male e mi muscoli dell'addome che si contraevano per quanto lo stomaco gli stesse bruciando, l'istinto che premeva e si sovrapponeva alla ragione imponendogli gesti che nemmeno sembravano suoi. Avrebbe voluto esplodere, perché si sentiva davvero come una bomba ad orologeria, ma era come se il contatto con lei fosse la forbice che tagliava il filo giusto per fermare l'ordigno. Avrebbe sicuramente fatto del sarcasmo su come il contatto, in quel momento, lo stesse calmando e non infastidendo se ne fosse stato pienamente cosciente. La verità, tuttavia, era quella che in realtà si sentiva su tutt'altro pianeta.

Veronica, in quella stessa occasione, aveva avuto modo di conoscere meglio gli altri amici di Leonardo. Non si era affatto stupita quando aveva constatato che, di quattro, due si tenevano un poco più sulle proprie e si esponevano l'uno quando doveva intervenire sarcastico e l'altro quando doveva intervenire con ragionevolezza (e maturità, anche se quella stessa l'aveva dimostrata parecchie volte anche nelle ore scolastiche) e gli altri due fossero decisamente più allegri, Andrea più riservato e Alessandro più estroverso, ma comunque entrambi portati per una comunicazione più aperta e di intrattenimento. Aveva anche rivalutato il compagno di banco di Leonardo che, in quell'occasione, si era esposto molto di più rispetto a quanto succedeva durante le ore scolastiche. Avevano cenato da Giada, che, con Andrea, aveva preparato la cena con quello che aveva trovato nel frigo. Era stata bene, coccolata da un Leonardo più premuroso del solito, anche perché premuroso lo era stato poche volte, e intrattenuta dalle battute dei due ragazzi. Leonardo si era spaventato in modo abbastanza violento quella sera, il pensiero stesso che aveva fatto prima di andare da Andrea, quello che Veronica fosse al sicuro essendo con Giada e che non c'era niente di cui preoccuparsi, lo aveva tormentato per tutto il tragitto dalla casa del suo migliore amico a quella dell'argentea fin quando non aveva visto la ragazza tutta intera e solamente assonnata. Quello stesso pensiero, il fatto di aver sbagliato a formulare nella sua mente una cosa del genere e di aver scacciato così facilmente il pensiero di lei dalla testa lo avevano spinto, in maniera irrazionale, involontaria e, prepotentemente, istintiva, ad abbracciare Veronica più a lungo potesse. Tutto per sentire che era lei e per farle sentire che era lì. Probabilmente era stata la cosa più dolce che avesse fatto per una ragazza, anzi, ne era quasi completamente sicuro visti tutti i precedenti. Quella dolcezza, che in realtà si sarebbe potuta chiamare gergalmente senso di colpa misto a preoccupazione, era durata per un paio di giorni, almeno fino a quando, la domenica stessa di quella settimana, il tredici quindi, Veronica non era andata fin su a Bergamo per passare un'intera giornata con Lucrezia. Lei aveva anche provato a invitarlo ma il ragazzo, appena sentito il nome della migliore amica della ragazza e immaginando già il suo fidanzato fastidioso con quel suo fare da persona vissuta, aveva desistito, ringraziandola e augurandole buon viaggio in maniera totalmente sarcastica. Così, poi, tra una settimana e l'altra e i preparativi per l'imminente gita tutto era tornato normale, o quasi, e il tempo era volato, fino ad arrivare al giorno della partenza. Un piovoso e freddo trenta di Novembre.

L'abbraccio con il ragazzo non era durato molto, nemmeno trenta secondi. Non che li avesse contati ovviamente. Leonardo le aveva intimato di muoversi appena era giunto alla porta, anche se a metà frase era stato interrotto dalle parole della madre che annunciava loro, in modo perentorio, che se ci avessero messo più di altri minuti lì avrebbe lasciati lì. Il ragazzo aveva sorriso sbieco ed era definitivamente scomparso oltre la porta, lei, invece, aveva sbuffato, mettendo la finestra in ribalta tanto per non dare spettacolo all'intero vicinato. Si era cambiata alla svelta, aveva infilato dei mom jeans grigi, si era messa una maglietta nera a righe bianca che poi era stata infilata dentro ai pantaloni, aveva indossato una maglietta gialla, sul davanti lo stampo di alcuni girasoli, una felpa nera dalle rifiniture bianche aperta e le scarpe. Quelle stesse le aveva infilate senza nemmeno slacciarle. Aveva recuperato il suo zaino, e dopo essersi assicurata che ci fosse tutto quello che le serviva per la gita, (un quadernino, un quaderno, l'astuccio), ci aveva infilato un ombrello e il portafogli. Si era messa lo zaino su una spalla, sottobraccio aveva posato il giubbetto e, senza difficoltà, si era presa poi la valigia, trascinandola dietro fino alle scale. Lì Francesco, gentile come sempre, le aveva sorriso per poi prenderle la valigia di mano e portando gliela fino alla macchina. Veronica, appena uscita dalla casa, era stata travolta da una pioggerellina leggera, non una di quelle imponenti che aveva visto nei primi mesi, una di quelle che dava più fastidio alle persone che alle macchine. Veronica era salita in macchina, mettendosi ai piedi lo zaino e allacciando la cintura. Pochi secondi dopo era arrivato anche Leonardo che, come sempre quando doveva fare qualcosa che non voleva ma che gli avevano imposto, si era seduto nel posto davanti fulminando sua madre che, dall'altro canto, gli aveva messo una mano nei capelli biondi e glieli aveva scossi, sorridendogli come se lui non l'avesse mai guardata in quel modo brusco. Il ragazzo l'aveva lasciata fare stendendosi un poco di più sul sedile, come se quel gesto lo rilassasse e infatti, quando la donna, poco dopo, aveva tolto la mano, aveva sul volto la stessa espressione che assumeva quando dormiva. Angela, mentre partiva, aveva riposto il suo sguardo su Veronica ed avevano parlato circa per un paio di minuti. Veronica, tuttavia, poi era stata assorta dalla musica e dal paesaggio che le si palesava dal finestrino. Ci aveva appoggiato la testa, riscontrando quanto fosse freddo e quanti brividi le avesse fatto venire quel gelo.

Novembre non era uno dei mesi che preferiva, non aveva quasi ricordi di quel mese nella sua testa, tuttavia aveva sempre constatato che il suo freddo era uno tra quelli che più odiava. Un freddo rigido a giorni, ad altri meno. Un freddo che a variava di settimana in settimana e che faceva si che in una ci si potesse permettere di indossare solo la giacca di jeans e in un'altra lo stesso piumone che più avanti, nel mese di Dicembre, si sarebbe indossato ogni giorno. Era un freddo variabile che nelle prime due settimane quasi non esisteva, comportandosi come un freddo di Settembre, complici anche i giorni di San Martino (detti appunto "estate di San Martino) che facevano somigliare quel mese ad un'estate fredda, ma che dalla metà della terza settimana in poi diventava sempre più rigido. Il suo tempo era tipicamente autunnale, con precipitazioni frequenti e le temperature in diminuzione, anche se in realtà scendevano così tanto lentamente da non sembrarlo nemmeno.

Si era stiracchiata, cercando di riconoscere un attimo in che punto della città si trovassero, e quando aveva capito che erano dai parcheggi dentro le mura, vicini alla scuola, aveva indossato il bomber nero, chiudendolo sul davanti. Aveva scosso Leonardo per una spalla, ridestandolo dal sonno, evidentemente leggero vista la facilità con cui si era svegliato, in cui era caduto. Avevano salutato Angela dalla macchina e erano bastati loro nemmeno due minuti di camminata per arrivare fino a alla loro scuola e incontrare i propri compagni di classe e di sezione davanti alla corriera. Leonardo era andato da Alessandro e Damiano dopo aver posizionato la propria valigia nel vano e Veronica aveva raggiunto Giada, facendosi dire dove era la sua per sistemare le proprie cose lì vicino, in modo che poi fosse più facile trovarle. Insomma, lo zaino nero ma tutto colorato di Giada non era difficile da riconoscere e la sua valigia azzurro fluorescente appariva un poco come un pugno nell'occhio se messa a confronto con i colori pacati di quelle dei loro compagni. Veronica era rimasta a parlare con la sua amica e alcune loro compagne di classe per un bel po' di minuti, almeno fino a quando i professori non li avevano "chiamati a raccolta" e avevano cominciato a controllare se erano tutti facendo l'appello. L'attenzione di Veronica, però, si era spostata su una ragazza dell'altra sezione che, quando aveva risposto, si trovava vicino a Leonardo. La ragazza aveva un braccio propenso verso il ragazzo e il corpo rivolto verso di lui come se volesse qualcosa, Leonardo aveva il busto piegato pesantemente all'indietro, le mani in tasca e lo sguardo che, se mai avesse potuto, avrebbe incenerito la ragazza davanti a sé o perlomeno l'avrebbe fatta bruciare. Veronica aveva sentito la bocca dello stomaco diventare palesemente pesante, bruciare e stringersi fino a farle male, il freddo rigido degli ultimi giorni di Novembre l'aveva coperta, investendola e congelandola sul posto mentre quell'orribile sensazione continuava a viaggiare per tutto il suo corpo. Veronica si era letteralmente imposta di smetterla, come ogni volta che provava qualcosa a cui non voleva sottostare, ma sembrava che quella sensazione fosse molto più forte di lei sotto molti punti di vista. Si era intensificata, diventato fredda tanto quanto l'aria e pungente come migliaia di aghi su ogni poro della pelle, quando la ragazza si era avvicinata di nuovo a lui e aveva cominciato ad alleggerirsi vedendo Leonardo dire qualcosa alla ragazza, in modo probabilmente abbastanza brusco dal modo in cui Damiano lo aveva guardato dopo, e lei allontanarsi poco dopo. A quel punto quella sensazione aveva lasciato il suo corpo e Veronica si era improvvisamente sentita svuotata, poi, quasi realizzando quello che effettivamente era stato si era passata le mani sul viso, completamente struccato e privo di qualsiasi prodotto se non il burrocacao, strofinando il polpastrelli sulla fronte. Si era insultata da sola in migliaia di modi diversi, facendolo anche con cose che non erano esattamente dei veri e propri insulti ma che, all'occorrenza, potevano diventarlo tranquillamente. Veronica, trascinata da una Giada felice per quella gita, era stata portata verso gli ultimi posti della corriera, vicino agli ultimi cinque, lì, seduti con altri loro due compagni di classe, si trovavano Leonardo, Damiano e Alessandro, anche se, dal terzo posto in poi, erano in realtà posizionati nell'ordine opposto. Inevitabilmente quindi Leonardo era praticamente dietro di lei. Veronica si era schiacciata contro i sedili blu del mezzo, stringendosi a sé stessa e formando una sorta di scudo dal mondo esterno, aveva preso il telefono dalla tasca dei pantaloni e le cuffiette, di cui se ne era messa solo una per concedere, nel caso, a Giada la possibilità di ascoltarla con lei. In realtà la sua amica era concentrata più sul fare conversazione con le persone che le stavano attorno che starsene seduta un poco. Il professore di italiano, insieme a quello di storia, si era seduto nel mezzo della corriera e, proprio in quel esatto momento, nell'istante in cui Giada aveva schiacciato un ginocchio sul sedile per alzarsi un attimo e rivolgere la sua attenzione a quello che stava dicendo Alessandro, aveva guardato male la ragazza e l'aveva richiamata, facendola, con un battuta su quante note avrebbe potuto prendere anche solo per il comportamento sul mezzo, risedere composta, anche se in realtà aveva sbuffato un paio di volte. Veronica non era nuova a quel tipo di cose, anche Lucrezia era una persona abbastanza peperina che parlava sempre con tutti, anche se sicuramente lei aveva un atteggiamento un poco più timido di Giada. Quelle due, secondo il suo parere, andavano d'accordo proprio per quel motivo. Simili ma non uguali si capivano e mostravano all'altra tutte le altre opzioni possibili come risposte ad una conversazione, atteggiamenti e tutto quello che succedeva nel semplice conversare. Anche il contatto fisico era piuttosto diverso: Lucrezia la toccava raramente, spesso solo per gli abbracci (non era fredda, semplicemente si esprimeva meglio nel verso delle parole che in quello fisico), Giada, invece, aveva l'abitudine di prenderle la mano in bus, di appoggiarsi a lei e di abbracciarla, anche solo con un braccio, molto spesso. A Veronica non dispiaceva né il modo di fare di una né il modo di fare dell'altra. Erano comunque due persone distinte con personalità distinte, se mai avesse incontrato lì qualcuno di uguale a Lucrezia il tutto sarebbe stato solo inquietante. O meglio: strano e soprattutto inquietante.

Veronica aveva preso il cellulare lasciato in una tasca della felpa e aveva guardato la chat con la sua migliore amica, rispondendo solo in quel momento al messaggio che quella stessa le aveva mandato una ventina di minuti prima. Facevano conversazioni lunghe ore qualche giorno, altri giorni invece non riuscivano a trovare il tempo per scriversi più di una ventina di messaggi. Non era facile, si poteva dire che risultasse difficile, complicato, e ancora strano. Anni passati con l'abitudine di vedersi tutti i giorni, con l'andare a scuola insieme, col trovarsi i pomeriggi o la sera, dormire a casa dell'una o dell'altra, passare le ore insieme. Tutte cose che non si potevano sostituire con un semplice messaggio, con una videochiamata o col trovarsi una volta o due al mese. Avevano dimostrato, tuttavia, di essere in grado di mantenere sempre la stessa complicità, gli stessi toni e di non farli scendere mai di grado. Erano in grado, al contrario di quanto Veronica aveva temuto all'inizio, di mantenere la loro amicizia nonostante le conversazioni non fossero sempre lunghe o altro. Era una buona cosa alla fine. Aveva sorriso mentre scorreva la chat, mentre rileggeva alcune conversazioni e osservava alcune vecchie foto. Aveva tuttavia distolto l'attenzione dal telefono quando gli insegnanti li avevano richiamati ed erano partiti.

I viaggi in corriera, per quanto si potesse, non erano mai stati particolarmente entusiasmati, da piccola, alle elementari, aveva l'abitudine di addormentarsi sia all'andata sia al ritorno di quei viaggi, perché non c'era mai qualcosa di interessante da dire o fare lungo la strada e riposare era decisamente la cosa che risultava più immediata. Alle medie era cambiato tutto, aveva ricevuto un telefono e giocare con il cellulare era diventato molto più entusiasmante, per ovvi motivi, del dormire. In più il fatto che spesso si potesse giocare in due aumenta di molto i motivi per cui lasciar perdere il riposare. Tenere gli occhi incollati ad uno schermo era molto più facile che chiuderli e sperare che da un momento all'altro tutte le voci presenti si affievolissero. Tutto era cambiato ancora in terza media, quando fare conversazione, relazionarsi, il brivido del vociare era più interessante sia del gioco sul telefono sia di tutto il resto. Alle superiori Veronica era tornata quasi allo stadio iniziale: nell'andata generalmente parlava, faceva conversazione, era socievole e si comportava come avrebbero potuto fare Giada e Lucrezia, al ritorno, invece, faceva palesemente finta di dormire. Si metteva le cuffie, faceva partire una canzone a caso dalla sua playlist, si sistemava in una posizione comoda e poi chiudeva gli occhi, sperando che nessuno avesse la malsana idea di toglierle una cuffia solo per provare a farla parlare. L'azione era giustificata solo se la frase che sentiva dopo era <> In quel caso, solo in quello, accettava di buon grado che qualcuno facesse una cosa del genere, nel caso in cui la frase non fosse quella nella maggior parte delle volte apriva gli occhi e fulminava con quel suo azzurro la sfortunata persona che aveva deciso di interrompere il suo riposo. Veronica quella mattina però era più che convinta che invertire le cose, quella volta, fosse stata la cosa migliore. Era stanca, poco concentrata, esigeva una comodità che non riusciva a trovare ed avere, l'acido lattico sembrava fluire come olio ad ogni movimento per colpire i muscoli a cui stava sottoponendo lo sforzo, aveva un livido sul esterno coscia sinistro che le impediva di mettersi nella sua posizione preferita e, nel complesso, stava anche per venirle un mal di testa. Veronica si era messe anche l'altra cuffia ed aveva alzato il volume della musica fino a quando tutto il resto non era stato sovrastato dalla canzone che stava ascoltando, poi, complice l'allenamento del giorno prima, Veronica si era addormentata con una delle due gambe rannicchiate al petto, le braccia incrociate attorno ad essa e la fronte premuta sugli avambracci, i capelli che le coprivano il volto.

La corriera era partita da un bel pezzo, circa una ventina di minuti, quando Veronica aveva cominciato a sognare.

In quella dimensione priva della benché minima cosa tutto esisteva, ma cessava anche di esistere qualora lo si volesse. Il posto in cui era poteva essere uno qualsiasi dei tanti luoghi di cui conservava ricordi importanti: il tetto della sua vecchia scuola, la sua prima camera da letto, la sua cucina attuale, la biblioteca comunale. Il nulla poteva essere tutto e il tutto poteva essere nulla, o, nel caso lo si volesse, il nulla poteva anche essere semplicemente nulla: solo un reticolato di fili invisibili che tenevano sul palcoscenico dei suoi ricordi. Era proprio su quel palcoscenico che, molte volte, aveva rivisto episodi della sua vita più o meno importanti, dolorosi, felici e malinconici. Aveva esposto uno alla volta tutti i suoi ricordi e li aveva fatti danzare senza sosta come i ballerini al balletto, e quelli avevano volteggiato, si erano messi sulle punte ed avevano esposto il migliore dei loro spettacoli. Veronica glielo aveva fatto fare così tante volte, li aveva riportati, o per meglio di trascinati, sul palco fino a quando loro stessi non avevano avuto le scarpette da ballo rovinate, spezzate, consumate. Era lei che decideva tuttavia, così li aveva logorati uno ad uno, li aveva sciupati fino a renderli irrivivibili, esaurendoli e usurandoli, sporcandoli di frammenti non veri o diversi e contaminandoli con parole che loro, di per sé, non avevano mai pronunciato in nessuna delle volte prima. Inutilizzabili, sprecati e dissipati quei ricordi, che dopo si erano sentiti sbagliati nel modo più sbagliato possibile, si erano nascosti una parte ben precisa della propria memoria, nascosti, non guariti e ancora doloranti, pieni di vergogna per non essere più ricordi reali e veri. Quei ricordi così erano finiti semplicemente per non salire più su quel palchetto, e al posto loro erano ne erano andati altri, speranzosi e entusiasti di essere stata chiamati almeno una volta. Avevano ricevuto un trattamento migliore loro, certo erano stati riportati alla mente dei momenti meno opportuni, a non erano mai stati trattati nello stesso modo degli altri. Loro non si stavano rovinando, stavano letteralmente sbiadendo. Ora, nel bel mezzo di un viaggio per un'altra città sconosciuta, Veronica se ne stava seduta nell'unico posto a sedere di quel piccolo teatro e, come sempre, stava aspettando i suoi ricordi.

Lei, Lucrezia e altre due loro amiche erano appena uscite dal bubble tea, i bicchieri freddi in mano e la punta della cannuccia nella bocca per bere e tirare su le palline di gelatina. Erano solite andarci in estate: col caldo una bibita da mezzo litro del genere le dissetava più della semplice acqua, anche perché aveva quel qualcosa in più. Si erano sedute su una delle tante panchine di marmo della piazza, una delle altre due amiche aveva insistito per fare una foto e metterla sulla storia. Come se a qualcuno importasse veramente delle storie. Veronica non riusciva a distinguere i volti delle due, non riusciva a vedere nemmeno loro i capelli se era per quello. Tuttavia quello non era un ricordo rovinato, semplicemente la sua memoria aveva dato per scontato che, per quanto amasse le uscite in compagnia, quelle due non fossero molto degne di nota e infatti, nemmeno dopo due uscite in quattro Lucrezia aveva smesso loro di chiedere di uscire, di conseguenza loro avevano smesso di fare lo stesso.

Una piccola bambina, una piccola Alice, le stava correndo incontro. I capelli lunghi, molto lunghi per una bambina, si muovevano oltre le spalle e le punte, riccioline, arrivavano fino alla base della schiena, le braccia corte, piccole e paffutelle erano aperte nel segnale che non chiedeva un abbraccio, piuttosto lo pretendeva. Al suo sorriso, composto dai bianchi denti, mancava un piccolo mezzo, cioè il canino sinistro. Gli occhi azzurri, di un azzurro che assomigliava molto a quello della mamma, non come il suo che era un misto, sprigionavano felicità ovunque. A Veronica era parso, per un momento, che avesse gli occhi lucidi per quanto luccicavano. L'effetto, in realtà, era dovuto dal fatto che la bambina si fosse praticamente spalmata sugli occhi un intero ombretto della madre. Un ombretto con i brillantini, tanto per mettere i puntini sulle i. Veronica aveva otto anni, la consapevolezza che ci sarebbe stato un omicidio e l'incredibile acume di andare prima dal papà che dalla mamma. Aveva preso in braccio la piccola Alice, pesante tanto che la sorella aveva dovuto farla sobbalzare due o tre volte prima di arrivare alla posizione per cui, successivamente, non si era più sentita le braccia.

Suo padre, chino su qualcosa in garage, che le chiedeva di passare delle chiavi e lei che, come una brava bambina, gliele passava mentre lui concentrava tutta la sua attenzione su quello che stava facendo. L'espressione dura, fredda, ma lo sguardo caldo appena si era posato su di lei, pieno di amore. Veronica aveva sorriso di un sorriso imbarazzante, le braccia rigide lungo i fianchi, una gamba leggermente alzata da terra e il corpo piegato di lato. Il padre aveva posato la chiave, mettendosi nella sua stessa posizione.

Veronica si era fermata davanti alla tomba della sorella, accarezzandone piano il marmo bianco, limpido e intonso. Sua madre che, dalle porte del cimitero, la guardava con apprensione. Un altra carezza, poi una lacrima, un altra carezza ed ancora una lacrima. Perché non c'era, in quel momento, altro modo per esprimere il proprio dolore. Non c'era e le lacrime erano scese copiose lungo le sue guance ancora immature, fino ad arrivare al collo e correre fin sotto la maglietta, dove però erano state trattenute dal tessuto. Veronica aveva pianto così tanto da anche per i giorni successivi aveva avuto gli occhi rossi. Ne aveva versate così tante di lacrime che, tra una cosa e l'altra, le aveva anche finite. Il periodo in cui quei ricordi erano stato consumati era stato quello, e quei ricordi erano tutti su di loro... Le gambe si trascinavano lungo la cucina nuova, la memoria che non voleva farle tornare alla mente dove fossero i suoi biscotti e un momento dopo, però, arrivava l'immagine di sua sorella che li mangiava e lei che le dava contro (quella lì, come borbottava lei nella sua mente, aveva sempre odiato i suoi biscotti, motivo per cui si arrabbiava sempre quando questa glieli prendeva e li finiva). Così era finita col guardare sempre, senza sosta, quelle scene di quotidianità, cambiarne alcuni aspetti. Era stata ingiusta verso sé stessa, circondandosi da un dolore che, per almeno due mesi, l'aveva consumata da dentro sia in modo fisico che in modo psicologico. Era stata ingiusta. Nei propri confronti, in quelli delle persone che le volevano bene e che cercavano di stare vicino e in quelli di sua madre. Era cambiata sua madre, era cambiata nel profondo ed aveva cambiato anche lei in qualche maniera. La sua forza era stata quella di Veronica, il suo modo di rialzarsi aveva sollevato entrambe.

Perché andava così quando ci si amava: ci si sosteneva fino a patire l'uno il dolore dell'altro, a comprenderlo e rialzarsi insieme. Per quanto un figlio possa lasciare solo un genitore un buon genitore non potrà mai lasciare da solo un figlio.

Veronica, una festa (la prima) per qualcosa che nemmeno ricordava, forse un compleanno, e l'alcool non erano sempre un buon abbinamento, anzi, quasi mai in quel periodo. Beveva da poco, reggeva quanto un gatto o un astemia e si ritrovava sempre e non troppo piacevolmente addormentata da qualche parte. Quella volta, distesa nella vasca da bagno con un bicchiere ancora mezza vuoto di qualcosa in mano stava quasi per lasciarsi andare, tanto che uno sbadiglio prolungato le era uscito dalla bocca ed aveva chiuso gli occhi, concentrandosi già su un posto, come un pinneto, in cui non era mai stata. Poi la porta del bagno si era aperta, Veronica aveva aperto gli occhi sprezzante ed aveva incrociato uno sguardo scuro e corrucciato di un ragazzo che aveva già le mani sulla patta dei pantaloni. I riccioli bianchi, tinti, del ragazzo gli scendevano lungo la fronte divisi a metà e dalla ricrescita nera. Gli occhi castani erano sopra i suoi e non accennavano a staccarsi, il naso dritto, le guance leggermente scavate, non quel scavato cadaverico ma quel scavato sensuale, le labbra fine e il mento non troppo pronunciato. Quel ragazzo, nella sintesi della loro conoscenza e frequentazione, circa sei ore e un quarto, era stata la sua prima volta. Poi era stata di Veronica la scelta di non vederlo più, di non scambiarsi i numeri e di non continuare una cosa che non era nemmeno iniziata. Ancora cotta dalla sbronza aveva chiamato Lucrezia, biascicando, che di rimando le aveva detto che si trovava ancora al piano inferiore e che aveva dormito su un divano. Quando Veronica le aveva raccontato tutto Lucrezia aveva riso fino a quasi soffocarsi con la pesca che stava mangiando, aveva continuato a ridere per un'eternità di minuti, tanto che quando aveva provato a bere le era venuto nuovamente da ridere ed aveva sputato tutta l'acqua. Non lo aveva più visto il ragazzo, nemmeno una volta, e solo dopo, quando aveva parlato per un paio di minuti con uno di quelli che aveva organizzato la festa, le era stato rivelato che il realtà lui abitava nelle Marche e che si trovava lì solo per il weekend. Veronica aveva sospirato, contenta della cosa, almeno ora aveva una scusa plausibile per il fatto. Certo, valeva solo se specificava il dettaglio prima di raccontare tutto il resto, ma comunque funzionava ed era quello l'importante. Almeno se non si contava il resto.

L'odore di salsedine l'aveva avvolta, circondandola come un abbraccio caldo e dolce, prendendole tra le proprie braccia che sapevano di sale e stringendola contro forte, tranquillizzandola fino allo stremo. Milioni di impronte si confondevano sulla sabbia e anche le sue si perdevano di vista insieme a quelle di molte altre persone. Ferma in mezzo alla spiaggia, vicina tanto alla riva per sentire l'acqua fresca arrivarle fino alle caviglie e schizzare in alto al contatto con la sua pelle fino a colpirla sulle ginocchia e sulle cosce nude. Aveva sospirato, mentre il ricordo di molti anni prima, quando in quello stesso punto, o quasi, Alice le aveva preso la mano e l'aveva trascinata fino in acqua, le aveva riempito la testa. Un ricordo in un ricordo. Quando si era girata per tornare verso il telo steso sulla spiaggia quasi aveva potuto vederla Alice, o più probabilmente, visto che non era il tipo da credere, se l'era immaginata. Ma limpida come se fosse stata lì, sorridente come se fosse ancora viva, calda, come se nel suo corpo ancora il sangue fluisse per regalarle il suo solito colorito rosso sulle guance, lei era stata lì. Era ancora lì. Veronica poteva tornare indietro e rivederla ancora, e ancora e ancora. Desiderando di vederla per sempre. Ma non poteva, così Veronica l'aveva semplicemente lasciata andare. Aveva lasciato andare i suoi ricordi, li aveva lasciati riposare e non gli aveva più dato la possibilità di tornare, confinandoli in una barriera invisibile che, in ogni caso, non potevano oltrepassare.

I ricordi di Alice, o meglio, i ricordi dei ricordi, erano stati sostituiti da quelli di sua madre, da quei suoi modi passati da rigidi a vivaci, come lo era passata la sua intera personalità, da quelli di Lucrezia, dei suoi abbracci lunghissimi, dei suoi occhi sempre scherzosi, dalla risata soave di Giada, dal suo modo di fare le cose, dalle sue battute e dalla sua gentilezza, contrastata dalla una forza che mostrava così poche volte da far dubitare molti che fosse una vera e propria parte di lei, erano stati sostituiti dalla gentilezza di Francesco, dai suoi modi fraterni, dai suoi sorrisi sempre pronti, dalle indicazioni di Cecilia, dal suo modo di aiutarla nella tecnica e di trattarla, nella pallavolo, sia come amica che come rivale, dalle sue frasi di incoraggiamento, dalle sue frasi orgogliose, erano stati sostituiti poi dai ricordi di Angela, sai suoi modi di mamma-amica e infine erano stati sostituiti da Leonardo, dai suoi interventi sarcastici, dalla sua espressione mentre osservava i libri negli scaffali della libreria, dal suo volto rilassato mentre dormiva e da quei contatti fisici rari ma intensi da farle arrivare il battito a centoventi.

Un film fatto da una pellicola infinita le era passato davanti, mostrandole immagini felici di immagini felici di persone che avevano regalato a lei momenti, istanti, attimi e ore di felicità e spensieratezza.

Catapultata di nuovo sulla sua poltrona rossa Veronica piangeva, il dolore al petto crescente e soffocante, il respiro corto dalle paure frequenti, ma nessun singhiozzo udibile. Non doveva accantonare, relegare e confinare quei ricordi, non doveva nemmeno sostituirli. Doveva accettarli, doveva accettare che sarebbero sempre stati lì, liberi di ricomparire quando volessero, liberi di viaggiare nella sua mente e palesarsi. Perché come spesso succedeva quando era più piccola Veronica aveva preso il controllo di sé nel modo sbagliato, esercitandolo con troppa violenza dove sarebbe dovuta esserci della delicatezza. Soprpattuto in quel periodo, quando si avvicinava l'anniversario della loro morte.

Si era svegliata, scossa da almeno due mani, e quando aveva aperto gli occhi quelli di Giada le si erano palesati davanti, le sue mani si erano spostate da lei ed erano finite lungo i fianchi.

«Per fortuna che ti sei svegliata! -La ragazza aveva sospirato al suo sguardo confuso- Ti era addormentata profondamente e visto che dei venti minuti di pausa ne rimangono solo dieci ho pensato che magari ti avrebbe fatto bene sgranchirti le gambe!»

Veronica aveva mugugnato qualcosa di confuso prima di tirarsi su con calma, i muscoli indolenziti per via del fatto di essere rimasti per molto tempo in un'unica posizione.

«Grazie... Non dovevi preoccuparti.» «Fa solo piacere, a me! L'idea di svegliarti però è stata di Leo, dovresti ringraziare lui -Veronica aveva annuito prima di prendere lo zaino che l'amica le stava porgendo- Te l'ho preso!» «Se continui così finirò per ringraziarti nel duemilamai.» Giada aveva riso mentre scendevano dalla corriera, che dentro aveva ancora due professori di quattro e una decina di ragazzi, e camminavano in direzione dall'autogrill.

Veronica si era comprata una brioche, perché non aveva fatto colazione e stava morendo di fame. Era rimasta in piedi dal balcone, l'amica di fianco a lei e un ragazzo che non conosceva alla sue spalle, a sua volta questo le dava la schiena. Aveva addentato la brioche facendo vagare distrattamente lo sguardo intorno a sé. Quel posto era pieno di piccoli gruppi di persone, disposti nella maggior parte circolarmente, che giravano intorno ai prodotti esposti facendo commenti o battute, si spostavano dal centro verso i lati e poi facevano il percorso opposto, girando tutto il negozio. Disinteressata aveva portato di nuovo lo sguardo su Giada che, intenta a posare la tazza del cappuccino sul banco non si era accorta di avere i baffi per via della schiuma del latte. Veronica aveva riso, rischiando di soffocarsi con il boccone che aveva in bocca, e aveva preso un fazzolettino passandolo velocemente sul labbro superiore di Giada. Dall'altro canto la sua amica aveva riso e poi si era passata una mano sulla bocca, tanto per assicurarsi di essere del tutto pulita.

Il resto del viaggio, dalla ripresa dell'andata con la corriera fino al varcare la soglia della camera che avrebbe condiviso con Giada e un'altra loro compagna di classe, era proceduto abbastanza velocemente. Veronica si era addormentata appena si era seduta sul suo sedile lato finestrino e, quando si era svegliata accaldata, soffocata da due giacche e non da una, si era sorpresa di aver trovato Leonardo seduto di fianco a lei. Aveva il volto all'indietro e la nuca posata sulla testiera del sedile, le cuffiette nelle orecchie, il bacino spostato leggermente più in avanti di quanto avrebbe dovuto essere, o almeno se si fosse seduto composto, il cellulare posato in mezzo alle cosce leggermente aperte e le mani infilate nelle tasche della felpa che indossava. Ancora prima che Veronica potesse provare a svegliarlo il ragazzo aveva aperto gli occhi, puntando direttamente nei suoi, le aveva spiegato brevemente che aveva fatto cambio di posto con Giada e che le aveva messo la sua giacca addosso perché, ad un certo punto del viaggio, aveva cominciato a tremare. Si era sentita privata di qualcosa, anche se non sapeva di cosa, quando si era tolta il giubbetto di dosso, ridandolo successivamente al legittimo proprietario. Erano scesi insieme, al seguito i loro amici e i loro compagni di classe. Non avevano potuto arrivare fino all'Hotel con la corriera, visto che questo si trovava verso il centro di Verona, quindi una parte della strada l'avevano fatta a piedi. Veronica, appena fermato il passo e sollevato lo sguardo, aveva alzato le sopracciglia, sorpresa. Non era stato facile riconoscere che quello fosse un albergo perché era posto tra altre case, lasciate in mattoni, e, da fuori, sembrava parecchio piccolo, si trovava vicino ad uno dei ponti che collegava il centro primario della città con la sua parte più esterna, sempre considerata come centro. I professori avevano detto che quello era uno dei punti più strategici perché da lì alle parti della città più interessanti c'era poca strada. Veronica aveva squadrato la costruzione osservando il porticato, cui sotto si trovava l'ingresso per l'hotel, e le varie terrazze. Veronica si era dondolata sulle gambe tendosi al manico della valigia mentre aspettava il proprio turno per entrare con Giada e Greta, la compagna con cui avrebbero condiviso la stanza, pochi minuti dopo, fatti gli accertamenti, si erano prodigate a salire fino alla camera. Rispetto a come se lo era immaginata l'albergo era in realtà grande e spazioso. La loro stanza, per esempio, da fuori se l'era immaginata molto piccola, stretta e decisamente invivibile, invece, appena aperta la porta, si era trovata meravigliata. La camera era rettangolare, la grande vetrata posta in fondo illuminava l'intero ambiente e tre letti singoli erano posizionati l'uno dopo l'altro, divisi dai comodi in legno chiaro, di fronte al primo letto e a fianco alla porta c'erano due armadi, entrambi dalle ante scorrevoli, con una di esse che era uno specchio e spaziosi all'interno, poi c'era una televisione a muro posizionata davanti al letto centrale e, sotto di essa, un mobiletto. C'erano altre due stanze, una era il bagno dalle decorazioni in azzurro, rosa e giallo, colori che Veronica non avrebbe mai pensato di abbinare ma che, da come erano posizionate nel mosaico che faceva da sfondo alla doccia, si mescolavano perfettamente tra loro, la seconda era semplicemente un piccolo spazio con un tavolo e il mini-frigo. Veronica, dopo aver perlustrato un attimo le varie stanze, si era buttata sul letto centrale, l'unico rimasto libero, ed aveva chiuso gli occhi, beandosi di quegli attimi. Avevano il pomeriggio libero quell'oggi, perché sarebbero rimasti a Verona quattro giorni e tre notti, non contando il giorno d'arrivo. Il pomeriggio era passato tranquillo: Veronica, Giada e Greta avevano deciso di guardare qualcosa su Netflix e usufruendo dell'account della terza si erano guardate tre film, erano scese per il pranzo e per la cena, ma per il resto erano rimaste in camera a scherzare e a ridere mentre commentavano le varie cose che accadevano nella pellicola. Arrivata sera, col freddo che era diventato ancora più freddo, Veronica si era sciacquata velocemente sotto la doccia, conscia che anche le altre due ragazze avrebbero dovuto usarla. Si era avvolta nell'accappatoio bianco dai ricami azzurri e dorati dell'hotel, tamponando la pelle e asciugandosi per bene, si era spazzolata i corti capelli neri e poi si era vestita del proprio pigiama invernale: dei pantaloni a fantasia tartan sul verde scuro e sul bianco, che si stringevano alla vita, e una maglietta nera a maniche lunghe con dei dettagli di verdi diversi sulla parte destra. Si era messa sotto le coperte, rispondendo a un messaggio di sua zia, a uno di sua madre e a uno di Lucrezia, gli alti li aveva lasciati perdere. Aveva sistemato meglio il cuscino morbido ed aveva appoggiato la faccia ad esso, addormentandosi poco dopo aver dato la buonanotte alle altre due ragazze che, finite le docce, si erano coricate come lei.

Leonardo era avvolto nelle coperte, posizionato al centro del divano bianco, mentre, alla televisione di fronte a lui, il primo film dei "Transformers" si prestava a entrare nel suo arco narrativo centrale. Stretto nel piumone, accovacciato praticamente su sé stesso, aveva esultato come meglio era riuscito nella scena più bella, mentre il termometro stretto sull'ascella sinistra produceva il tipico suono di quando aveva concluso di rilevare il calore. Sua madre, con fortunatamente il turno di tardo pomeriggio, si era avvicinata a lui valutando quanta febbre avesse.

Leonardo aveva aperto gli occhi verso le sei e quindici del mattino, le occhiaie e le borse accentuate sotto di essi e il freddo gelido del mese che lo circondava come se lo stesse abbracciando. Si era alzato, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare gli altri tre ragazzi che erano con lui, e si era preso una felpa dalla valigia ancora aperta ai piedi del letto. cautamente, con una mano infilata nella tasca dei pantaloni di tuta neri, aveva aperto la porta finestra, uscendo sul terrazzo e godendosi la vista della città illuminata. Si era appoggiato alla ringhiera con le braccia, portando il busto leggermente in avanti e soffocando un mugugno quando aveva sentito il freddo del ferro anche attraverso la felpa spessa. Era stato ipnotizzato per buona parte del tempo dal paesaggio che si prostrata al suo sguardo, tanto che nemmeno aveva sentito una voce familiare chiamarlo, o almeno, non in un primo momento.

«Leo! -La voce di Veronica, anche se un urlo sussurrato, gli era arrivato dritto alle orecchie. Si era guardato a destra e a sinistra, ma non aveva visto niente e si era domandato, a quel punto, se la sua mente non gli stesse facendo brutti scherzi- Idiota! Sono qui! In alto a destra!» Leonardo aveva scosso la testa ed aveva seguito le indicazioni scettico, tuttavia, quando aveva visto la figura della ragazza sul terrazzo della sua camera quasi gli era venuto un colpo.

«Io? Parla per te Chatte noire! E copriti! Se prendi la febbre poi è colpa mia!» Veronica gli aveva sbuffato in faccia, per modo di dire, facendo uscire del fumo bianco dalle labbra rosee. Leonardo aveva alzato gli occhi al cielo, il fianco sinistro appoggiato alla ringhiera e le braccia incrociate.

«Cosa è quell'espressione?» «La consapevolezza che ti sto guardando perdere l'opportunità di partecipare alla gita, visto che tra poche ore avrai la febbre!» «Ma se a te nemmeno interessava venire!» «E tu? Eri interessata a venire? -Veronica era arrossita fino alla punta dei capelli- Vuoi venire qui?»

«Leo!»

«Non in quel... Ma possibile?!» La ragazza lo aveva guardato male, come ad intimargli che era stato lui a cominciare, tuttavia poi aveva annuito ed era scomparsa dalla sua vista. Leonardo era rientrato in stanza nello stesso modo in cui era uscito, con discrezione e cercando di fare il massimo del silenzio e il minimo del rumore. Era uscito dalla stanza lasciando la porta socchiusa. Gli insegnanti li avevano minacciati un paio di volte che, se ce ne fosse stato il caso, avrebbero messo lo scotch delle porte, in modo da vedere se fossero state aperte durante le notte, ma alla fine però avevano deciso, come tutti gli anni, di dividere i piani: ragazzi con ragazzi ad uno e ragazze con ragazze ad un altro. Non che serva a molto comunque, aveva pensato Leonardo, la parte alta della schiena appoggiata al muro bianco. Aveva visto Veronica arrivare pochi secondi dopo, e, ritrovatasela di fronte, l'aveva semplicemente circondata con un braccio e spinta, invitandola a fare piano e con calma, dentro la camera, fino a tornare nuovamente sul terrazzo. Leonardo sapeva, era a conoscenza del fatto, che se mai i suoi compagni di stanza, soprattutto Damiano e Alessandro, ma più che altro il secondo, lo avessero visto in quel momento, con Veronica che lo seguiva a passo felpato verso la porta finestra, avrebbero sicuramente tenuto le loro battute per un momento in cui sarebbero stati soli, cogliendo poi l'occasione al volo per rifilargliele tutte in una volta. Aveva sbuffato, stringendo la mano della ragazza più saldamente mentre se la tirava addosso, circondandola e riscaldandola.

Stretti insieme, con le mani gelide della ragazza che si posavano sui fianchi di Leonardo, per stare sotto alla felpa che ormai aveva il suo stesso calore, e quelle calde di lui che si posavano rispettivamente sulla spalla e sulla vita di Veronica, accompagnati dalla vista di un'alba calda, il freddo di Novembre non sembrava poi così rigido, questo assumeva, in quel frangente, la forma di una cornice di un quadro che faceva risplendere l'opera stessa.

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L'ultima parte del capitolo è stata scritta sta notte, dopo una serata con il mio ragazzo e alcuni suoi amici, quindi non so esattamente cosa ne sia venuto fuori. Sarà un putiferio di errori e orrori, ma la verità è che pubblicare un "Capitolo 15" era un mio sogno da quando ho abbandonato la prima versione di questa storia.

Dovete sapere che, come la chiamo io, ho la "maledizione del quindicesimo". Per quante storie io abbia portato avanti fino ad adesso, per quante ne abbia inventate e cominciate, con tutte, alla conta dei quindici capitoli mi fermavo sempre. Il quindicesimo rimaneva sempre incompleto o mai iniziato. Le mie storie generalmente muoio, ma possiamo dirlo pure letteralmente, proprio al loro capitolo quindici. La maledizione del quindicesimo.

Potrei scriverci un racconto ma sarebbe un poco strano.

Tralasciando io che mi commuovo per me stessa, spero che il capitolo vi sia piaciuto se siete arrivati fino a qui e che le cose che mi sono lasciata indietro, tipo la punteggiatura, la grammatica e un cer- si, insomma, non vi abbiano dato troppo fastidio.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Soli, lune, stelle e pianeti ***


La luce del sole entrava come stanca dalle finestre, illuminava quello che le capitava davanti quasi per obbligo e lasciava tutti, comunque, in una piacevole penombra. Leonardo aveva ispirato pesantemente, le narici allargate per raccogliere nei polmoni quanta più aria possibile, stringendo gli occhi fra loro talmente forte da sentire dolore alle tempie e poi, lentamente, si era girato. Veronica, di fianco a lui, dormiva serenamente: il suo petto si alzava e abbassava in modo lento e regolare, la bocca, leggermente aperta, era schiacciata contro il cuscino che stavano condividendo e con le proprie stringeva una delle sue mani, come solo un bambino con il proprio peluche avrebbe mai potuto fare. Aveva sorriso di poco e si era sporto verso di lei per farle una carezza, togliendole alcune ciocche di capelli che le coprivano il volto e disegnando, con i polpastrelli, la linea della sua mandibola. Si era sistemato meglio, disteso su un fianco, e, dopo alcuni secondi in cui aveva chiuso gli occhi con lo scopo di riaddormentarsi, la mano che la ragazza stringeva a sé era stata tirata costringendolo a seguirla nei movimenti; si era ritrovato, così, nel giro di pochi secondi, ad abbracciare la ragazza da dietro, mentre gran parte del suo braccio destro serviva, evidentemente, aveva pensato ironico, come appiglio a Veronica. Aveva sospirato per poi far passare, delicatamente, il braccio sinistro sotto alla nuca di Veronica (tanto per non ritrovarselo formicolante di lì a pochi minuti). Leonardo aveva socchiuso gli occhi, godendosi del silenzio della stanza e del calore che lo circondava, puntando il proprio sguardo sulla curva morbida dell'incavo del collo della ragazza, lasciato scoperto per via della posizione; si era avvicinato, stringendo Veronica a sé, e aveva posato il mento su quel punto. Veronica poco dopo, quando ormai Leonardo stava per addormentarsi nuovamente, si era girata verso di lui e, nel mentre, stava cominciando ad aprire li occhi. Si erano guardati per alcuni secondi senza che nessuno si muovesse, istanti di tempo silenziosi che si erano prolungati quando, poi, Veronica gli aveva circondato un fianco con un braccio e Leonardo aveva cominciato a giocare con il tessuto della maglietta della ragazza, arricciandolo intorno alle dita e distendendolo di conseguenza. Si erano assopiti ancora, destreggiandosi in una dormiveglia calda, l'uno nei proprio sogni e, tal volta, l'una in quelli dell'altro.

Veronica si era mossa in avanti, le braccia quel poco aperte per far capire a Leonardo quali intenzioni avesse. L'aveva raggiunta a passo veloce, voltandosi totalmente verso di lei e compiendo quei due metri che li dividevano in modo fulmineo, a quel punto i polsi della ragazza erano stati totalmente inglobati nelle mani del ragazzo che, per facilitarsi, l'aveva sforzata a portare le braccia dietro la schiena.

«Fai tutto così alla leggera, vero?» «Volevo solo...» «Lo so.»

Leonardo le aveva soffiato in faccia, sbarazzino, cercando di toglierle quell'espressione da donna ferita che stava assumendo in quel momento. Non gli piaceva e lo faceva sentire come se stesse sbagliando in qualcosa. Con la mano destra aveva preso anche l'altro polso della ragazza, stringendoli di più e trovando, in modo momentaneo, un posizione che gli permettesse di tenerli bloccati entrambi con una sola mano. Si era tirato leggermente indietro, per quanto quella specie di abbraccio glielo permettesse, e con la mano libera aveva spostato una ciocca di capelli dal viso della ragazza. Era cresciti e il caschetto che aveva fatto ormai due mesi prima si era sfatto, trovando nuova forma in un taglio di media lunghezza. Non gli dispiaceva quella versione di lei, nemmeno lo entusiasmava che fosse chiaro, ma la preferiva di gran lunga con i capelli lunghi. Le immagini di quelle ciocche nero lucido che venivano tirate dalla sua mano, portandole il viso all'indietro mentre il suo intero corpo veniva spinto in avanti dalle scoccate secche che continuava ad infliggerle, il collo in tensione, traslucido per il sudore, e il busto piegato, quasi sollevato, poi le mani della ragazza che cercavano e arrivavano al suo di collo e la schiena di lei che gli si appoggiava interamente al petto, le gambe divaricate per lui e il fondo schiena schiacciato sul suo bacino avevano avuto il potere di regalargli scariche elettrice per tutto il corpo. Piccoli brividi avevano trovato spazio sulle sue braccia, poi sul suo petto, erano scesi fino alle cosce e infine erano risaliti al suo basso ventre e lì erano esplosi, espandendosi in vampate di calore tanto intense fa farlo tremare. Leonardo l'aveva stretta a sé, incurante della condizione in cui si trovava, il bisogno fisico di un contatto con lei stava andando oltre il sopportabile. Le aveva lasciato le mani, circondandole i fianchi con le braccia e avvicinandola a lui. Aveva appoggiato il viso sulla sua spalla, piegandosi quel tanto che era necessario. «Leo» Il ragazzo l'aveva guardata quasi incurante, in modo non sinceramente interessato, ma poi, quando i suoi occhi chiari si erano congiunti con quelli della ragazza, non aveva potuto fare a meno che guardarla. Gli occhi colorati di nero, per via del trucco, assumevano un espressione decisa, la loro lucidità e il calore che trasudavano però gli facevano apparire a istanti incerti, le labbra dischiuse, piene e quasi propense gridavano di essere guardate e baciate, le guance si stavano colorando di rosa. Aveva camminato in avanti, portando lei a farlo a ritroso e, quando l'aveva sentita sussultare per il contatto con le lenzuola fresche, l'aveva guardata intensamente, accarezzandole un fianco per chiederle il permesso. Quando lei aveva annuito l'aveva fatta distendere sul letto delicatamente, portandosi sopra di lei mentre le lasciava i polsi liberi, le mani ora possibilitate a toccarlo in qualsiasi momento volessero. L'aveva baciata, ancora e ancora e ancora, fino a perdere il conto di quante volte le loro labbra si erano scontrate e staccate per poi rincorrersi, alla ricerca di un contatto che era diventato estremamente importante, nuovo. Era sceso con i baci, guidato anche dalle mani di lei, morsicando leggermente, delicatamente, il suo collo in alcuni punti, le aveva tolto la giacca ed era sceso con la bocca, posando le labbra sopra ai suoi seni, morsicando più forte la pelle che sporgeva dalla canottiera e dal reggiseno, lasciando ben visibili i segni dei propri denti. L'aveva sentita gemere e, di conseguenza, aveva continuato, scendendo con le labbra fino alla vita, poi ai fianchi, di conseguenza alla cosce: in ognuno di questi spiccavano, di tanto in tanto, segni rossi e lucidi. La ragazza, quando ormai era arrivato all'altezza delle ginocchia, lo aveva attirato verso di sé, baciandolo ancora, ancorandosi a lui. Senza staccarsi da lei aveva fatto in modo che si mettessero meglio, in quanto erano distesi dalla parte corta del letto, quindi l'aveva sollevata leggermente  dalle cosce, le mani completamente aperte e posizionate  appena prima della cucitura della gonna, e, girandosi sulle ginocchia, le aveva fatto posare la nuca sul proprio cuscino. L'aveva guardata alla luce della penombra, fissando i propri occhi chiari nei suoi. Le aveva accarezzato il volto con una mano e lei, quando lui era arrivato alla sua guancia, gli aveva baciato il dorso della mano, accoccolando il viso e strusciando la pelle tiepida e lievemente rossa sulla sua più fredda. Le aveva sorriso, baciandole prima la fronte, poi gli zigomi, le guance, un angolo della bocca, di poco sollevato, e successivamente le labbra. 

Veronica aveva la pelle calda, talmente calda che al confronto con la sua lei sembrava avere la febbre, e più volte Leonardo si era chiesto se in quel momento non stesse realmente male. Poi, distolti gli occhi dalle sue labbra schiuse, l'aveva guardata negli occhi lucidi, scorgendo in quel mare solo emozioni positive. Si era stretto a lei, accarezzandole i fianchi e le spalle con le punte dei polpastrelli, sentendo immediatamente la reazione del suo corpo contro al suo: brividi avevano corso fino ai punti in cui la stava toccando, e, dopo di loro, la pelle d'oca si era fatta e mostrata prepotentemente. Aveva sorriso contro al suo collo quando le mani di lei si erano posate sulla sua schiena, l'aveva sentita passare delicatamente le unghie dalle sue scapole al suo collo, per poi infilarsi piano tra i suoi capelli, muovendosi lentamente sulla nuca, per poi fare il percorso inverso. Le sue mani, nel frattempo, si erano infilate piano nella canottiera che la ragazza stava portando e si erano posizionate appena sotto al suo seno, sfiorandolo di tanto in tanto con i pollici, lei, a quei tocchi, aveva azzardato mentre passava le unghie sulle sue spalle, intensificando di poco il tocco e lasciando leggere strisce rosse, parallele tra loro. Tutto intorno a loro era quasi completa oscurità e silenzio, niente, oltre i loro corpi che strusciavano e si scontravano fra loro, non ancora del tutto spogli dai vestiti, produceva rumore o emanava calore. La porta chiusa impediva a qualsiasi suono esterno di entrare: le urla, gli schiamazzi, la musica erano cose che non appartenevano a quell'ambiente. Perché non era momento per quelle cose, perché l'aria che aleggiava con loro era totalmente diversa dall'aria che respiravano tutti gli altri. Leonardo aveva chinato il viso posando le labbra sul collo niveo della ragazza, questa, colta di sorpresa, aveva sospirato tendendosi verso di lui, abbracciandolo e stringendosi al suo corpo. Il ragazzo aveva lasciato baci freddi, segni delebili su quella pelle pallida, fino alle sue labbra che, già aperte, avevano accolto prontamente il bacio che lui era intenzionato a darle fin dall'inizio. Si era tirato su sulle ginocchia aperte mentre inclinava il volto e si spingeva verso di lei, prendendole le natiche a mani aperte e portandola con sé, facendola sedere sul proprio bacino. Le aveva morso il labbro inferiore con i canini destri, tirandolo leggermente, prima di staccarsi completamente da lei e guardarla meglio alla luce fioca della luna che entrava attraverso la finestra. Un sorriso era nato il modo naturale sulle labbra di Leonardo quando l'aveva guardata, incantato, e il suo cuore aveva accelerato il proprio battito mentre, dolcemente, lei lo stringeva a sé, posando nuovamente le labbra sulle sue. A occhi socchiusi l'aveva sentita mugugnare, gemere silenziosamente, mentre approfondiva il bacio portandola a inarcarsi. Si erano mossi nello stesso momento poi: mentre lei gli toglieva definitivamente la camicia bianca, che ormai non serviva più a nulla, lui le alzava la canottiera verso l'altro, godendo della vista del suo seno coperto dall'intimo, ancora, poi, Leonardo aveva spostato le mani verso il basso, cercando alla cieca la cerniera laterale della gonna mentre Veronica slacciava velocemente la cintura e il bottone dei pantaloni, tirandoli poi verso il basso. Si erano spostati, distesi di nuovo sul letto, privati di tutto tranne dell'intimo. Leonardo aveva fatto scivolare le mani sulla schiena della ragazza, che, inarcandosi, lo aveva aiutato, cercando il gancetto del reggiseno per slacciarlo. Le aveva lasciato un bacio nell'incavo tra i seni mentre lo slacciava del tutto e lo faceva scivolare piano dalle sue spalle, sorridendole divertito quando aveva scorto la leggera scintilla di irritazione che aveva visto protagonisti i suoi occhi. Quando le posizioni si erano ribaltate e lei si era strusciata su di lui, rendendolo partecipe di quanto lo volesse, Leonardo aveva dovuto fare appello a tutto il proprio autocontrollo: una morsa stretta aveva circondato il suo cuore, raggelandolo in un attimo, rendendolo impotente davanti all'unica vera paura che aveva. Ma Veronica lo aveva capito, anche molto prima di lui, e gli aveva preso dolcemente le mani, portandosele ai fianchi, facendoglielo vedere, sentire, provare. Veronica gli aveva sorriso dolcemente, distendendosi su di lui, mantenendo la stretta sulle sue braccia, in modo che non smettessero di stringerla «Non mi farai del male amore, non sei lui.» La ragazza aveva intrecciato le mani con le sue e le aveva portate verso l'alto, fino alla parete, le aveva strette e, in contemporanea, lo aveva baciato, muovendo le proprie labbra su quelle di Leonardo che, lentamente, aveva cominciato a ricambiare. Aveva sentito le proprie mani essere lasciate e quelle di Veronica cominciare, lentamente, a scendere in concomitanza delle sue mani: dove prima passavano le labbra piene dopo passavano le mani calde, lasciando scie diverse, causandogli brividi più intensi. 

Leonardo, risvegliato dal susseguirsi infinito del suo nome pronunciato, si era svegliato intontito, disorientato da quel sogno, tanto che, prima di rendersi conto di dove era, con chi era e chi lo stava chiamando, aveva avuto per alcuni secondi la vista e l'udito completamente appannati, in un caso, e ottavati, nell'altro. Quando tutto era diventato più lucido aveva girato il volto verso Alessandro che, mezzo vestito, praticamente stava urlando il suo nome per svegliarlo. Il ragazzo aveva subito guardato alla propria sinistra, alla ricerca della ragazza, ma invece di trovare lei aveva trovato il posto affianco a lui vuoto e freddo. La testa, nel frattempo, aveva cominciato a duoliergli e un senso di disorientamento lo aveva colto in pieno, trascinandolo in quella che era l'abitudinarietà dei propri movimenti. Si era alzato passandosi una mano tra i capelli, senza ascoltare minimamente Alessandro o Damiano che gli parlavano, e, traballando leggermente, aveva recuperato alcuni vestiti per poi andare verso il bagno. Si era guardato allo specchio, leggermente confuso da quel senso che gli invadeva il corpo e, in un gesto automatico, dopo essersi spogliato, si era buttato in doccia. Più volte, sotto l'acqua calda, si era passato le mani sul viso, cercando di svegliarsi sul serio, pensando di essere ancora intontito dal sonno, strabuzzando gli occhi fino ad allargarli al massimo, ma niente era servito a togliergli quel senso di confusione che lo aveva circondato anche quando era uscito dalla doccia. Era come se fosse stato leggermente ubriaco, come se fosse ancora sveglio ad un'ora tarda della notte, come se avesse addosso solo due ore di sonno. Quella sensazione era alla stregua del trovarsi sott'acqua, mentre, lentamente, si scendeva verso gli abissi e niente aveva suono, le parole erano inutili perché non capibili, i gesti erano limitati dalla pressione e la vista appannata, tutto, intorno al proprio essere, sembrava essere tranquillo; risalire a galla a a quel punto avrebbe comportato la perdita di quel momento. Leonardo aveva preso un momento sotto l'acqua, l'attimo in cui quella gli colpiva i capelli risciacquandogli dallo shampoo, per rilassare il proprio corpo, per sciogliere la tensione nei muscoli. Poi, quando aveva riaperto gli occhi e una fitta alla testa lo aveva preso di sorpresa, aveva deciso di uscire dalla doccia. Si era vestito in bagno, circondato da vapore, indossando alla rinfusa i vestiti che si era preso dalla valigia: tralasciando l'intimo aveva preso dei jeans chiari, leggermente strappati, e un maglione leggero nero. Non che avesse molta importanza in ogni caso, comunque fosse uscito da quella stanza pochi avrebbero notato come era vestito e chi lo avrebbe notato sarebbe stato in silenzio, più perché non volevano una risposta sgraziata dalla controparte che altro. Tornato in camera aveva trovato Damiano disteso sul letto, completamente vestito, mentre Alessandro era già andato verso la sala da pranzo. Il suo amico lo aveva guardato senza dire nulla e Leonardo si era seduto sul proprio letto per mettersi le vans, aveva recuperato dalla valigia anche il proprio bomber nero, con le rifiniture sulla cerniera e sulle tasche catarifrangenti. Aveva guardato Damiano ancora una volta che, vedendolo pronto, si era alzato dal letto con uno slancio

«Tutto bene?» Leonardo lo aveva guardato mentre usciva dalla stanza, chiudendosi poi la porta alle spalle

«Sì. Perché?» 

Damiano lo aveva guardato sospirando mentre camminava in avanti, verso le scale che li avrebbe condotti al piano terra «Non lo so, è da quanto ti sei svegliato che sembri appena sceso dal The King.»

«Mh. -Il ragazzo biondo si era passato le mani sul viso mentre il suo amico lo guardava curioso, la testa leggermente inclinata- Non lo so, non mi interessa, magari mi serve solo fare colazione.»

Entrati nell'enorme sala Leonardo aveva fatto viaggiare lo sguardo su tutte le persone presenti, non che fossero molte, e, come se niente fosse, il suo sguardo, insieme al suo pensiero, si era andato a posizionare su un unica persona. Veronica se ne stava seduta con Giada e altre loro amiche a parlare, sorrideva, ogni tanto si portava danti alla bocca il krafen che, di poco in poco, stava finendo e, fatto un morso, si puliva dallo zucchero a velo che le rimaneva di residuo. Aveva sorriso con le sopracciglia leggermente sollevate, tuttavia, quando se ne erano reso conto, era tornato a fare la propria "poker face", dirigendosi verso il buffet. Si era preso una brioche all'albicocca, decisamente quella meno stomachevole per lui rispetto a quello che erano esposte, e una tacca di caffè. Damiano, che si era già preso, gli aveva fatto indicazione di seguirlo per dirigersi verso Alessandro. Mai lo avesse fatto. Non se ne era accorto mentre procedeva verso il suo amico, probabilmente perché non voleva notarlo, ma Caterina, Caterina Di Paolo, quella stessa ragazza che il giorno prima, a pochi minuti dalla partenza verso Verona, gli era stata attaccata come una cozza e di cui, da un anno, sapeva l'interesse nei propri confronti, era seduta di fronte ad Alessandro. Come ragazza, di aspetto fisico, non era brutta, ma di per sé la trovava una persona appiccicosa e per nulla conscia, di certo, di quanto fastidiosa potesse essere. O almeno: lui sperava non ne avesse la consapevolezza, perché se ne aveva, anche solo un minimo, ma continuava imperterrita allora era proprio il genere di persona che Leonardo avrebbe potuto odiare con tutto sé stesso. Quando si era seduto di fianco a lei, di conseguenza all'ordine imposto dalla sua professoressa di inglese, l'aveva guardata con la coda dell'occhio mentre prendeva il caffè e se lo portava alla bocca. Era riuscito a guardarla proprio nel mentre lei guardava lui, la ragazza aveva subito distolto lo sguardo trovando improvvisamente interessante la brioche che aveva davanti a sé. Nel corso dei successivi cinque minuti era riuscito a vedere almeno quattro delle volte il cui la ragazza aveva provato a girarsi verso di lui per dire qualcosa ma che, all'ultimo, si era sempre fermata. Riusciva a sentire, dentro di sé, una spiacevole sensazione cominciare a palesarsi e  a diffondersi universalmente in tutto il proprio corpo. Aveva guardato i propri amici in cerca di aiuto, un palese, affranto, estremo e disperato aiuto, loro però lo avevano guardato non capendo, perché solo Andrea sapeva. A lui aveva detto di Caterina in un disperato momento in cui la ragazza gli scriveva quasi ogni giorno su instagram. Alessandro aveva costretto Damiano ad accompagnarlo al buffet per prendere altro cibo e Leonardo, così, si era ritrovato da solo con lei.

«Bello il tempo fuori, vero?» Il ragazzo aveva leggermente allargato gli occhi mentre masticava l'ultimo pezzo della propria brioche.

«Sì, bellissimo.» Issimissimo, aveva pensato. La ragazza aveva ridacchiato con un risata tanto finta da fargli venire i brividi, nulla in paragone a quella da delfino di Veronica.

«Facciamo una passeggiata?»

«Le morti per assideramento non mi piacciono, grazie.» Caterina aveva riso ancora, portandosi una mano davanti alla bocca. Leonardo aveva alzato gli occhi al cielo, senza nemmeno cercare di nascondere la cosa.

«Non essere esagerato. -La ragazza gli aveva posato una mano sulla spalla e Leonardo, di rimando, si era allontanato, infastidito. Lei lo aveva guardato incrinando le sopracciglia, ma poi aveva ripreso- Se ti metti una giacca pesante non sentirai niente! O se ci stringiamo...»

Leonardo si era guardato attorno, individuando al buffet i propri amici, e si era alzato di scatto, facendo strisciare leggermente la sedia per terra.Alcune persone si era girate verso di lui e lui le aveva guardate male una ad una.

«Scusami, ma non mi interessa.» Il ragazzo si era diretto a passo spedito verso la tavola in cui era disposto il cibo, prima che lei potesse aggiungere altro o inventarsi qualcosa per farlo rimanere lì, con media velocità, aveva raggiunto Damiano e Alessandro che lo avevano guardato senza chiedergli niente.

Questa volta erano andati a sedersi vicino ai loro compagni di classe, anche se il ragazzo poteva giurare di riuscire a sentire ancora lo sguardo della ragazza addosso, come se la luce di un palcoscenico stesse illuminando solo lui e il teatro fosse pieno, colmo di persone. Si era guardato intorno, individuando Veronica alcuni posti più in là, l'aveva guardata, incapace di distogliere lo sguardo, e senza nemmeno rendersene conto si era perso ad osservarla: aveva sorriso al suo sorriso, provando una sensazione simile alla felicità nel vedere gli angoli della sua bocca all'insù, poi il suo sguardo era andato ai suoi occhi, luminosi come un intera costellazione, alle sue mani che gesticolavano, all'inclinazione del suo volto, alla posizione delle sopracciglia, ai capelli che si muovevano al ritmo dei suoi movimenti.

Aveva distolto lo sguardo Leonardo, scottato quasi, piccoli brividi si era sparsi sulle sue braccia, sulla sua schiena, le mani gli si erano gelate e la testa aveva preso a fargli di nuovo male. Veronica, inconsciamente, si era girata verso di lui proprio in quel momento, Giada però non le aveva nemmeno dato il tempo di pensare, a qualsiasi cosa, e l'aveva richiamata con l'attenzione verso di sé, per questo quando si era girata di nuovo minuti dopo, e il posto del castano era risultato al suo sguardo vuoto, aveva percepito la frustrazione logorarle lo stomaco. Leonardo, in quel lasso di minuti, si era diretto verso il tavolo dove stavano mangiando i professori e, con tono e parole cortesi, aveva chiesto al professore di Italiano se avesse qualcosa per il mal di testa.

«Non ti sei portato nulla dietro?» Leonardo aveva sorriso ironico, sollevando dopo le sopracciglia

«Non che fosse mia intenzione avere un mal di testa in gita.» Il professore aveva sospirato, portandosi le mani al ponte del naso per poi alzarsi.

«Maria -Si era rivolto alla professoressa di inglese, sul volto un piccolo sorriso- Riesci ad occuparti tu dei ragazzi della terza AA? Porto Leonardo nella farmacia qui vicino»

«Certo, vai tranquillo.» Il professore aveva annuito e poi si era girato verso il ragazzo, facendogli segno con le mani di muoversi verso il primo piano, dove c'erano le stanze maschili.

Veronica, che aveva cercato il biondo con gli occhi per tutta la stanza, aveva sentito un piccolo vuoto allo stomaco quando lo aveva visto salire le scale con il professore. Giada, che era curiosa, aveva seguito con lo sguardo gli occhi di Veronica e, quando aveva individuato la fonte delle emozioni che le si stavano palesemente mostrando sul volto, aveva sospirato. La ragazza l'aveva rassicurata con tono calmo, quasi piatto e Veronica aveva annuito, anche se l'inclinazione delle sue sopracciglia faceva pensare che, in realtà, non fosse del tutto convinta.

Leonardo aveva recuperato il giubetto e il portafoglio dalla valigia, avrebbe potuto anche prendere solo la tessera sanitaria ma ormai che c'era aveva preso tutto, per essere sicuro. Il professore, nel frattempo, lo aveva aspettato nel corridoio. Il ragazzo era uscito dalla stanza e l'aveva chiusa, si era messo le chiavi di questa in tasca e, dopo uno sguardo al professore, lo aveva seguito prima giù per le scale e poi in strada.

«Villa.» Lo aveva chiamato al un certo punto mentre camminavano lungo la strada in ciottoli.

«Sì?»

«Sta mattina, quando sono venuto a svegliarvi, ho notato che Lisi stava dormendo nel tuo letto, riesci a darmi una spiegazione?»

Il ragazzo aveva alzato le mani in aria, uno sguardo sbarazzino sul volto «Io? Che ne so io, dormivo! Sarà arrivata da sola, ha le gambe dopo tutto.» Aveva visto il professore alzare gli occhi al cielo e guardarlo di sbieco da sotto le lenti degli occhiali. 

«Villa.» Il tono di rimprovero, fatto per nascondere la punta di ironia della conversazione che aveva provato ad inserire Leonardo, lo aveva scoraggiato dal rispondergli nuovamente in tono ironico. Leonardo aveva alzato gli occhi verso il cielo azzurro e le nuvole bianche.

«Le sembrerebbe una bugia se le dicessi la verità.» «Prova, potrei crederti.» «Mi sono svegliato questa mattina all'alba, sono andato fuori sul balcone e ho trovato Veronica che, evidentemente, aveva avuto la mia stessa idea. L'ho fatta venire in stanza e siamo stati un po' sul balcone, poi siamo rientrati e ci siamo coperti perché avevamo freddo, ci siamo riaddormentati insieme. Tutto qui.» «Veronica vive a casa tua da quello che ho capito, no?» «Mia madre ha il suo affidamento.» «Che rapporto avete?» «Che sta cercando di dire?»

Il professore aveva scosso la testa, facendogli anche un segno con le mani di non pensarci «Lascia perdere, più che altro cerca di fare in modo che non ricapiti. Non voglio darvi note in gita.» «La professoressa di inglese credo ne sarebbe felice.» «Insegno inglese e sto per andare in meno pausa, per caso?»

Leonardo aveva sorriso e poi la conversazione non aveva più ripreso. Prendere qualcosa per il mal di testa era stato abbastanza facile, la farmacia era praticamente vuota e il ragazzo sapeva già ciò che doveva prendere, quindi non si erano trattenuti più di tanto, il ritorno, di base, era stato silenzioso e veloce. Non che fosse silenzioso di un silenzio spiacevole o pensante, come quelli che si creavano nelle situazioni difficili, uno di quei silenzio che era ben voluto, un silenzio che di imbarazzante non aveva nulla.

Leonardo, all'entrata dell'hotel aveva visto tutti i proprio compagni radunati in quello che era un cerchio disordinato, mentre ascoltavano la professoressa di inglese parlare di qualcosa. Il ragazzo aveva cercato con lo sguardo i propri amici e Veronica, i primi erano stati più facili di trovare, principalmente grazie ad Alessandro che, non stando fermo un secondo, turbava Damiano e questo cercava di riportare l'altro alla compostezza. Veronica, invece, che in quel momento stava ascoltando interessata la professoressa, mentre Giada sbuffava di tanto in tanto accanto a lei, era stata un po' più complicata da individuare perché coperta dalla statura alta di altri ragazzi. Aveva sorriso, però, quando anche lei si era voltata verso di lui, le aveva fatto un segno con in capo al quale lei aveva risposto cercando di venirgli incontro ma era stata bloccata sia da Giada sia dalla professoressa che, con tono scortese e gracchioso le aveva chiesto dove volesse andare. Aveva visto Veronica bloccarsi delusa e il suo sguardo quasi si era spento.

Leonardo, quasi di fretta, costretto alla velocità dal professore di italiano, aveva preso l'antidolorifico e poi aveva raggiunto i suoi compagni, inserendosi nel semicerchio e avvicinandosi poi ai suoi migliori amici, i quali gli avevano chiesto subito che cosa avesse. Lui gli aveva dato una risposta sbrigativa, tanto per, sentendo il peso dello sguardo truce dei professori addosso, che gli intimavano di stare in silenzio per poter a loro volta parlare.

«Allora, a causa di un contrattempo la nostra tabella di marci si e spostata di qualche minuto -LA professoressa di inglese aveva guardato lui, sollevando le sopracciglia in modo inequivocabile, ritendolo il colpevole di un ritardo minimo.- L'altra classe ci ha preceduto ed è già partita, noi ci muoveremo ora. Cercate di non cadere nel fiume o di non farvi male in generale che di prendermi la colpa non ne ho nessuna voglia.» 

«Ah beh, grazie.» «Cosa hai detto Villa?» «Che disgrazie!» «Mh»

La professoressa di inglese si era mossa, come capocoda, e aveva instaurato un andamento lento, che, come Leonardo aveva previsto, aveva stufato dopo poco tutti quanti. Alcuni dei suoi compagni, quelli più esuberati, come Alessandro, avevano sorpassato la professoressa facendola dannare, la sua voce probabilmente era stata sentita anche dalle persone che abitavano i piani più alti dei palazzi che li circondavano. Leonardo aveva sorriso sbieco alla faccia infastidita di Damiano quando un altro urlo della donna, invocante uno dei nomi dei suoi compagni, aveva raggiunto forte le loro orecchie già stanche. Aveva lanciato uno sguardo di comprensione al suo migliore amico che gli aveva risposto con uno irritato.

Damiano aveva sospirato, irritato fino al midollo dalla voce gracchiante della donna che, in quel momento, sbracciava a destra e manca con il viso rosso e i capelli crespi che si muovevano ad ogni movimento che faceva. Lui la odiava, dal profondo del suo cuore, la detestava e non riusciva a provare nessuna emozione positiva verso di lei, non riusciva a vederla come una brava persona e nemmeno era in grado di riuscire ad ascoltarla durante le lezioni. C'era chi diceva che l'odio, come l'amore, parallelamente all'amore, era un sentimento fin troppo complesso perché dei semplici ragazzi, adolescenti nel pieno della pubertà e della scoperta del mondo, fossero in grado di provarlo. Damiano, di suo, era sicuro che il sentimento che provava verso la sua insegnate fosse proprio odio, completo, assoluto, complesso e profondo odio, del quale si potevano trovare le ragioni nel carattere e nelle convinzioni che aveva la professoressa. Era una donna scaltra, manipolatrice, egoista, egocentrica e incurante dei sentimenti altrui, a cui importava solo la facciata delle cose e non del contenuto e dalle idee discutibili; lo aveva dimostrato più volte in classe e ai colloqui con i genitori. Affermava, nel complesso delle cose, che gli unici studenti con il diritto di essere seguiti da lei fossero solo quelli con una media superiore al buono e che non erano pro a qualsiasi tipo di amore che non fosse quello tra uomo e donna, e che gli uomini e le donne in questione dovessero essere vere donne e veri uomini, e non "donneuomini" o "uominidonne", come li chiamava lei, anche perché, nel caso la seconda convinzione non fosse rispettata, abbassava di un voto la media. Nella classe quindi si erano formate alcune categorie, due principali, quelli che per salvarsi facevano finta di avere le stesse idee della professoressa e chi, invece, si opponeva. Damiano capiva tante cose, come il periodo in cui era nata e crescita l'insegnate, il genere di insegnamenti che le erano stati dati, e ne prendeva in considerazione altrettante, come i genitori di alcuni dei suoi compagni che non ammettevano fallimenti, tuttavia, anche comprendendo quel genere di cose, non poteva fare a meno di guardare con astio sia i suoi compagnia sia la donna che, durante le ore di inglese, si trovava davanti.

«Vianello potresti aiutarmi un attimo? Come rappresentante, anche se provvisorio, dovresti almeno dirgli di stare attenti! -Il ragazzo aveva chiuso gli occhi e si era passato una mano tra i capelli, cercando di non strapparseli, chiedendosi perché, quando gli era stato proposto di sostituire Sartori aveva accettato. Che aveva nel cervello, pigne? Truccioli? Un intera vegetazione che impediva ai suoi neuroni di connettere tra loro?- Vianello!» Aveva urlato poi la donna, alzando il tono della voce di almeno un paio di ottave.

«Sì!» Aveva guardato Leonardo, in cerca di aiuto, ma come aveva immaginato il ragazzo aveva alzato le spalle, facendogli capire che non poteva fare nulla. Anche perché non era rappresentate e l'unica persona che avrebbe potuto aiutarlo sarebbe stata l'altra rappresentate che, tuttavia, in quel momento era impegna a parlare con il professore di italiano. Si era dovuto occupare quindi, poi, di riportare "all'ordine" chi si era mosso e, tempo di riuscire a farlo senza far scendere  qualche santo, erano ormai arrivati alla casa di Romeo e Giulietta. 

Leonardo aveva sospirato, sentendosi spinto da una parte e anche dall'altra da compagni e persone che non conosceva. Si era spostato verso il professore di italiano, affiancandolo e cercando si farsi scudo con lui. Non si faceva nemmeno abbracciare da sua madre, figuriamoci se si faceva toccare da sconosciuti.

[..]Il bisogno fisico di un contatto con lei stava andando oltre il sopportabile.[...]l'aveva fatta distendere sul letto delicatamente, portandosi sopra di lei mentre le lasciava i polsi liberi, le mani ora possibilitate a toccarlo in qualsiasi momento volessero. L'aveva baciata, ancora e ancora e ancora, fino a perdere il conto di quante volte le loro labbra si erano scontrate e staccate per poi rincorrersi, alla ricerca di un contatto che era diventato estremamente importante[...]Le aveva sorriso, baciandole prima la fronte, poi gli zigomi, le guance, un angolo della bocca, di poco sollevato, e successivamente le labbra.[...]Dove prima passavano le labbra piene dopo passavano le mani calde, lasciando scie diverse, causandogli brividi più intensi.

Aveva scosso la testa, facendo muovere il capelli da una parte all'altra, impedendosi di ricordare e immaginare altro. Sbagliato, completamente sbagliato. Era sbagliato. Non perché era lui, non perché era lei, non perché fossero loro, ma non era giusto. Si era passato le mani sul viso, respirando pesantemente.

«Qualcuno di voi conosce qualche citazione da Romeo e Giulietta?» Aveva proferito l'insegnate che poi gli aveva lanciato uno sguardo apprensivo a cui lui aveva risposto scuotendo la testa, facendogli capire che era tutto a posto.

Certo, come no, aveva pensato mentre, mentalmente, si sforzava di ricordare qualcosa dal libro che aveva lasciato a metà più di un paio di sei mesi prima. In ogni caso, si era detto, ci sarebbe stato qualcun altro che sarebbe intervenuto, quindi lui poteva anche stare in silenzio, senza per forza dover intervenire.

«L'amore corre ad incontrare l'amore con la gioia con cui gli scolaretti fuggono dai loro libri; ma l'amore che deve separarsi dall'amore ha il volto triste degli scolaretti quando tornano a scuola» Era intervenuta la rappresentate di classe che, senza alzare la mano, aveva parlato ricordandosi la frase di colpo.

«Giusta, altri?»

«Dubita che le stelle siano fuoco; dubita che il sole si muova; dubita che la verità sia mentitrice: ma non dubitare mai del mio amore» aveva detto qualcun altro

«Questa è da Amleto, qualcuno sa qualcosa sulla storia in generale? -Il professore si era guardato intorno ed aveva sospirato, sopraffatto da un silenzio che sapeva di ignoranza- Dio mio non ci posso credere... Quando lo sguardo di Romeo incrocia quello della dolce Giulietta, è amore a prima vista. La loro è una passione divorante e profonda, ma proibita: le loro famiglie, sono nemiche e loro non possono stare insieme. Il destino fa di tutto per separarli, solo l'ombra della notte e la luce della luna permette l'incontro dei due giovani amanti. È l'incanto assoluto che li unisce in segreto su un balcone, quello che, se sollevate gli occhi, trovate sopra le nostre teste, in una profumata notte veronese, un paradiso, destinato però a non conoscere eternità. Romeo e Giulietta sono diventati il simbolo dell'amore con la A maiuscola, dell'amore ideale, del vero amore che tutti sognano: sincero, profondo, impossibile, tragico. Un amore che sceglie di vivere nel tempo e oltre la vita, oltre la morte. Un amore che sopravvive a tutte le barriere. Così, da questa ricerca di un amore assoluto e unico, nascono frasi come "Spero nel mio Romeo" o "Sei la mia Giulietta", con anche controparte al femminile, rivolte alla speranza nel vero amore o nella consapevolezza, o speranza, di averlo davanti. Deplorevolmente sdolcinate e zuccherose tanto da carie ma sentite fin troppo.» La classe aveva riso e poi era intervenuta la professoressa di inglese, raccontando vita, morta e miracoli, letteralmente, di Shakespeare.

Leonardo non aveva mai pensato all'amore, forse perché non ne aveva mai avuta una dimostrazione concreta, forse perché non si era mai innamorato, più probabilmente perché non ne aveva avuto la forza o perché non aveva dato possibilità a nessuno di avvicinarsi. Ma amare, amare qualcuno sul serio, cosa significava? Quale era il tipo di amore giusto? Quale era l'emozione da provare? E, soprattutto, cosa costruiva l'amore?  Nel suo immaginario, per come l'aveva sempre visto, l'amore era direttamente proporzionale al dolore: le persone amate valevano tante quante erano le lacrime che si era disposti a piangere per loro; perché alla fine di una relazione, parentale, amicale o sentimentale, si soffriva perché si aveva amato (anche quando qualcuno muore si verifica questo, anche se, aveva pensato, il caso è un po' diverso). Il momento in cui il dolore diventava sbagliato in una relazione era solo quando questo si provava con molta intensità, tanto da diventare ossessivo, e nel mentre della relazione, in quel caso si definiva un rapporto come tossico.

Più si ama più ci si mette a rischio, non tanto perché si diventi deboli o altro ma perché si è disposti a tutto per un'altra persona, anche a soffrire.

L'insegnante di italiano gli aveva fatto cenno di muoversi e, quindi, di entrare nella casa. Avevano visitato la casa di Giulietta ed aveva dovuto fare delle foto a Veronica, che erano entrata dopo di lui, alcune da mandare a sua madre e altre ad Angela, altre per Lucrezia e per chi altro sapeva solo lei, fatto sta che a Leonardo faceva male il pollice. Aveva anche dovuto aspettare la ragazza perché aveva voluto fare delle foto al muro di entrata, dove c'erano frasi d'amore e di devozione scritte su biglietti, post-it o direttamente sul muro. Rimasti indietro avevano dovuto correre, ovviamente, per riuscire a tornare dalla classe. Leonardo era stato anche rimproverato, nonostante non fosse lui il problema centrale e non si fosse fermato lui, ma oltre ad alzare lo sguardo verso il cielo e pregare di essere fulminato non aveva potuto fare altro. Erano poi andati verso la casa di Romeo, un palazzo imponente che non avevano potuto visitare essendo una proprietà privata. Erano poi andati a visitare un piccolo monumento che si trovava in un punto più distante a quello dove erano loro.

Erano tornati in albergo per pranzo e Leonardo si era ritrovato a cercare di non farsi vedere da Caterina che, di suo, non aveva capito nulla. Il ragazzo, all'ennesima volta in cui si era ritrovato a coprirsi con il menù, aveva deciso che si era letteralmente stufato della situazione. Si era quindi alzato, guadagnandosi gli sguardi di alcuni suoi compagni, dei suoi migliori amici, di Veronica e di qualche altra persona.

«Dove vai?» Gli aveva chiesto proprio la sua coinquilina. Si era girato verso di lei con un sorriso sghembo, sorridendo sarcastico

«A levarmi un peso dalle palle.» Poi, giratori verso la castana scuro, che già, inquietamente, lo guardava, le aveva fatto segno di seguirla e, di suo, girato di schiena, non aveva visto lo sguardo chiaro di Veronica farsi buio. 

Leonardo, con le mani in tasca, si era ritrovato davanti alla ragazza che, con fare imbarazzato, guardava per terra, contemplando il pavimento come una bellissima opera d'arte. 

«Senti... -Aveva cominciato lei, come se lui non sapesse quello che voleva dirgli, tuttavia l'aveva lasciata parlare e illudersi da sola- Tu mi piaci.»

«Si, lo so» «E?» lui l'aveva guardata con irritazione visto che non gli aveva nemmeno fatto finire la frase, quindi aveva deciso di farle sperare in qualcosa ancora un pochino, come vendetta personale per l'ansia che gli aveva fatto provare.

«Cosa?» «Mi ricambi? Mi hai chiamato qui per questo?» «No. L'ho per caso detto o hai letto nelle righe sbagliate di una conversazione mai avvenuta?» La ragazza aveva sgranato gli occhi e aveva cercato di prendere un lembo del suo maglione, in un ultimo gesto di speranza e un disperato tentativo, ma si era scostato

«Credevo...»

Lui aveva alzato un sopracciglio «Credevi?» «Ti piace qualcun altro?» «Non mi piace nessuno, nemmeno tu.» «Ho una possibilità?» «Ti sto per caso dicendo che ti amo?» «No...» «Esattamente. No è la risposta a tutte le tue domande da ragazza innamorata. Ora torno a mangiare senza il tormento della tua speranza in qualcosa che non accadrà mai.» 

Si era seduto di nuovo, sospirando, e si era seduto comodo. Aveva raccontato ciò che era accaduto solo in un secondo momento a Damiano e Alessandro, durante il tempo che avevano per stare in camera prima di decidere cosa fare nel pomeriggio. I professori in gita erano otto, quattro per ogni classe (per loro, oltre alla professoressa di inglese e l'insegnante di italiano c'erano quello di storia e quello di storia dell'arte) e, divisi in coppie si sarebbe preso in carico un numero preciso di alunni per portarli in una differenze zona della città, facendo fare loro un giro in differenti zone della città. Leonardo non sapeva ancora dove sarebbe andato, anche se la zona del ponte di Castelvecchio non sembrava male. I due ragazzi, in ogni caso, erano rimasti sollevati dalla cosa, Alessandro perché almeno da quel momento in poi avrebbero potuto mangiare tranquillamente e Damiano perché lo aveva visto più stressato e ansioso del solito durante quella giornata e quella appena passata.

Il pomeriggio, quindi, era trascorso tranquillo, Leonardo era andato con il professore di arte a Castelvecchio insieme a Veronica, Damiano e altri della loro classe. Avevano trascorso lì, e nei dintorni, il tempo e poi si erano spostati, come era prevedibile, verso i luoghi di cultura artistica più elevata. Avevano fatto una lezione di arte dal vivo, praticamente, con le opere, o riproduzioni, davanti e non viste attraverso uno schermo o una foto. Il professore aveva dato loro modo anche di comprare qualcosa, così si era ritrovato fuori ad una pasticceria mentre aspettava Veronica e Giada, visto che avevano insistito per compare dei macaron.

La cena e la sera, a quel punto, erano arrivati velocemente, e, ancora più velocemente, Leonardo si era ritrovato nel piccolo giardino dell'hotel composto principalmente da piante in fiore. Il giubbotto gli faceva caldo e, con la testa verso l'alto, guardava le stelle. Non c'era nulla che lo appassionare di più che astronomia, non sapeva perché, non era a conoscenza del motivo logico per il quale si era sempre ritrovato a voler conoscere di più su ciò che stava in cielo, ma lo stesso concetto che ci fosse altro lo affascinava. Soli, lune, stelle e pianeti erano cose di cui si era sempre interessato, che aveva sempre amato e che, di suo, aveva sempre studiato. Era l'unica materia di scienze che fin dalle elementari gli era sempre piaciuta e che aveva continuato a piacergli, quella per cui aveva scoperto una passione e che non si era mai stancato di studiare. La sua stessa home di Google era piana di articoli astronomici riguardanti scoperte di pianeti, galassie, stelle, buchi neri, soli.

«Hey» la voce di Veronica gli era giunta vicina, e quindi si era girato. La ragazza, stretta nel proprio cappotto, si era seduta di fianco a lui.

«Hey.»

«Come è andata oggi, con quella ragazza?» Leonardo si era girato verso di lei, osservando il suo profilo, partendo dai suoi occhi, sulla curva del naso, e per arrivare alle labbra, su cui il suo guardo si era soffermato.

[...]Il ragazzo aveva lasciato baci freddi, segni delebili su quella pelle pallida, fino alle sue labbra che, già aperte, avevano accolto prontamente il bacio che lui era intenzionato a darle fin dall'inizio.[...]

«Tu cosa credi sia sucesso?»

«Non lo so, te lo sto chiedendo.»

«L'ho rifiutata, perché io le piaccio ma lei non piace a me.»

Veronica si era voltata verso di lui, l'opacità della sera rendeva la sua pelle luminosa, gli occhi chiari lo guardavano sorpresi e le labbra erano schiuse, le guance rosse dal freddo.
In quel momento, lei era come un sole forte e luminoso e Leonardo una luna che brillava della sua luce, che ne rifletteva la bellezza; seduto al proprio posto il ragazzo la osservava splendere e si illuminava di conseguenza.

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Non ho le forze, e il tempo, di correggere il capitolo, quindi lo farò uno di questo giorni, perdonate gli errori.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Bouquet di fiori rossi ***


Le variabili, nel loro significato comune, sono ciò che può modificarsi o può essere modificato, possono, inoltre, in matematica (e in informatica) anche assumere, o per meglio dire contenere, valori. Molte cose nella vita sono variabili, le più significative, però, sono i sentimenti. Esplosioni di sensazioni e alleanze di fattori che portano a vuoti nel petto, quel tipico momento in cui si perde un battito e si ha l'impressione di morire per pochi secondi, alle farfalle nello stomaco, agli occhi che pizzicano, al brivido che passa lungo la schiena. I sentimenti, forgiati dall'unione di episodi frammentari e a volte non coordinati tra loro, sono più duraturi delle emozioni e perfino più intensi. E le parole, spesso, non gli esprimono bene. Perché sono cose astratte, che si possono sentire solo sentimentalmente, e che sono impossibili da percepire con uno dei cinque sensi. Leonardo guardava il cielo, le stelle, le costellazioni e pensava a quanto distanti fossero, per lui, le definizioni di alcuni sentimenti, quanto non avesse una grande quantità di parole e quanto, in realtà, dimostrasse poco di quello che provava. Non che si preoccupasse di quanto in realtà provasse, ma di per sé si stava domandando, nella gelida sera in cui stavano tornando da Verona, quanto dimostrasse e quanto ferisse le persone, persone a cui evidentemente teneva, con il suo modo di fare sempre apparentemente distaccato. Spesso si sentiva tremendamente in colpa verso i suoi familiari, verso i suoi amici e di recente anche verso Veronica, in quanto di rado, quasi mai, esternava i propri sentimenti, a meno che questi non fossero disgusto, rabbia o preoccupazione, anche se in ogni caso quest'ultima l'aveva espressa si e no due o tre volte. Il rimorso di poter allontanare quelle persone, la paura di rimanere da solo, lo consumavano fino a renderlo nervoso, nevrotico ed impaziente. Ciò era cominciato da quando, nel giorno appena trascorso, aveva sentito parlare Veronica al telefono con diverse persone, con la madre di lei, Lucrezia, amici di Bergamo, e le aveva sentito dire, in quelle telefonate, almeno uno o due tre volte la frase "ti voglio bene", l'aveva riferita più volte a sua madre che a tutte le altre, ed era sembrata anche esser venuta a conoscenza di fatti importanti, cose di cui, anche se glielo aveva chiesto vedendo la sua fronte corrucciata, Veronica non aveva voluto parlare. Così aveva provato a mettersi un po' nei suoi panni, identificarsi in qualcuno che esprimeva il proprio affetto con molta più semplicità rispetto a quanto era per lui, e non si era riconosciuto. Ancor prima di fare la valigia quel pomeriggio il proprio cuore aveva cominciato a contrarsi ai pensieri di perdere chi aveva vicino, privandosi immaginariamente di sua madre, di suo fratello, dei propri amici e di Veronica, oltre che di suo zio e di sua nonna, si era sentito privo e spoglio di tutto, intrappolato in una gabbia tanto più stretta tante più erano le persone che immaginava andarsene. Non ci aveva mai pensato, prima di allora, a quanto fosse triste e desolata la sua vita senza le persone che ne facevano parte, non lo aveva capito e lo comprendeva solo in quel momento. Quello di cui aveva paura Leonardo, più di ogni altri sentimento, era la solitudine. Ma lui se ne rendeva conto solo in quel momento, mentre pensava ad un sé solo, come era in quel momento. La solitudine induce la psiche a pensare, non essendo influenzata da fattori esterni, o da distrazioni, quali inducono la persona a confrontarsi con altri e prendere spunto dai loro pensieri per definire e rivalutare i propri, induce la persona a riflettere su quello che è, su cosa sta facendo, su come lo sta facendo. È un sentimento che fa bene se lo si prende come momento per sé stessi, o almeno Leonardo la pensava così, per distaccarsi da ciò che è il mondo di tutti i giorni, per elaborare lutti o situazioni complicate, per il resto avrebbe semplicemente indotto la persona a guardarsi attorno e a non vedere nessuno, a sentirsi completamente abbandonata e sola, e sola la mente, senza stimoli, si deteriora, e anche il fisico comincia a subirne gli effetti, che, in proporzione alla durata dell'isolamento, peggiorano.

Quello che si potrebbe provare durante la solitudine è qualcosa di quasi inaccettabile, l'uomo non è mai solo essendo stato creato per essere una macchina di comunicazione, un animale sociale, che lavora col sociale; la solitudine porta le persone a chiudersi, ad estrarsi da quel complesso meccanismo che fa andare avanti la vita per come è. Chi è solo, e non per scelta volontaria, quasi si ferma nella sua solitudine, privo di stimoli intellettuali e sociali.

Quando la condizione di solitudine e il sentimento stesso si risolvono, quando si ricomincia ad entrare nel sociale, la mente rifiorisce, come una pianta a cui non dai l'acqua da troppo tempo, la psiche e il fisico si beano di quella che è la socialità riacquistata in quel momento.

Leonardo tuttavia sapeva che se e quanto la persona sarebbe tornata a stare sola, la solitudine l'avrebbe divorata, come un serpente con la sua preda, facendo scivolare quella persona nella gola, iniettandole il proprio il veleno che non farà altro se non farla morire lentamente. Perché la solitudine è un sentimento sadico, privo di tatto o empatia umana. Ma un sentimento come la solitudine si presenta dopo, perché ci sono dei momenti nella vita in cui si perde il controllo, in cui non si sa cosa si prova e in cui si vive tanto per vivere, il distaccarsi dagli altri, vivere di solitudine, in quei momenti è automatico, se non forse necessario. Perché, come detto prima, la solitudine non è solo un male ma anche un bene, un bene diverso da quelli comunemente conosciuti ma comunque un bene. Leonardo si era passato le mani sul viso fino ad arrivare ai capelli, tirandoli indietro in cui gesto nervoso. Sapeva che non c'era niente di male in quello che provava, in quella paura che si era manifestata in cui, però, a tratti, era anche completamente spaventato dalle proprie stesse emozioni. Non ne voleva esserne soffocato. Si era appoggiato al vetro freddo dell'autobus, osservando le luci della città che pian piano si stava avvicinando sempre di più. Stava per arrivare il natale e Treviso, anche un po' troppo presto per i suoi gusti, si era predisposta con gli addobbi: l'albero che si trovava a fianco la stazione dei treni era stato illuminato, sul Botteniga* erano state poste, sospese ad un filo dall'acqua, delle stelle illuminate lungo tutto il suo corso che si estendeva fino nel centro della città e che, poi, ad un certo punto si divideva. Avevano percorso tutto il put, quindi Leonardo aveva avuto anche modo di notare che, invece, il Sile (che percorre la parte esterna della provincia, e si affianca alla restera**) era buio, primo di illuminazione, come tutti gli anni. La corriera era passata davanti alla via dove c'era la casa di Cecilia, avrebbe quasi potuto giurarci che Francesco fosse lì. A dire la verità, quando era più piccolo, era stato geloso di Cecilia. L'aveva vista, nella sua mente di bambino, come colei che gli avrebbe portato via il fratello, la vedeva praticamente come un nemico che avrebbe rotto il loro rapporto e che avrebbe fatto in modo che Francesco pensasse solo a lei. Più andava avanti la loro relazione più Leonardo aveva paura, almeno fino a quando, nel evolversi di quel sentimento corrosivo, non era maturato, riuscendo a vedere e comprendere che Francesco non era andato da nessuna parta e che si trovava lì con lui, per lui, in una strada parallela che il maggiore non avrebbe mai voluto far dividere. Si era abituato a lei, e un po' aveva continuato a non sopportarla, ma più per un incongruenza caratteriale che altro. Anche perché di certo non poteva continuare ad essere geloso come un bambino che ne vedeva un altro giocare con il proprio giocattolo preferito.

Leonardo aveva distolto lo sguardo dalla strada per portarlo sulle altre persone che occupavano la corriera. Veronica e Giada stavano dormendo le une appoggiate alle altre, Alessandro stava parlando con un loro compagno e Damiano, di fianco a lui, stava apparentemente dormendo. Non che fosse strano. Il suo migliore amico aveva la capacità di addormentarsi in qualsiasi momento, che fosse in aula, in autobus, in macchina, su una nave, il dove era superfluo, sembrava fosse capace di farlo a comando. Ricordava ancora, durante il primo anno di superiori, quando era in videolezione*** perché stava male, come si fosse palesemente addormentato durante l'ora di informatica, il professore alla fine lo aveva anche chiamato più volte, sbuffando un "vabbè" per poi uscire dalla chiamata, lasciando lui dentro. Cinque minuti dopo, durante la ricreazione, era arrivato un messaggio sul gruppo che avevano insieme ed erano tutti scoppiati a ridere, Alessandro aveva finito per cadere e sedersi nel mezzo delle scale.

La verità era che, per quanto Leonardo a volte fosse non del tutto l'amico perfetto, avrebbe sfidato chiunque ad esserlo (perché la condizione del perfetto non esiste e se esiste è solo frutto di una società malata o della mente altrui), lui amava i propri amici. Più di qualsiasi altra cosa.

«Ti sei incantato a guardare le mosche?» Damiano gli aveva buttato il proprio giubbotto in faccia, e lui aveva imprecato quando la cerniera aveva battuto sul collo. Si era messo una mano su quel punto, mentre con l'altra si toglieva l'indumento di dosso

«Cosa?» L'amico l'aveva guardato con un sopracciglio alzato, poi gli aveva fatto cenno di guardare fuori dal finestrino e tutto aveva preso circa un senso. Si trovavano alla stazione delle corriere. Aveva sospirato alzandosi, stando attento a non sbattere la testa, e si era infilato il giubbetto di conseguenza.

Erano scesi in fila indiana per via delle porte strette e Veronica, dopo aver salutato Giada ed aver recuperato la propria valigia, gli si era avvicinata nel posto isolato che si era trovato lui, un po' fuori dalla portata di tutti, appoggiandosi alla sua spalla.

«Sei stanca?»

Si era girato verso di lei, ignorando la chiamata della propria madre che vibrava nella tasca dei suoi pantaloni e lasciando il manico della valigia che prima stava stringendo. Le aveva preso il viso con entrambe le mani, poggiando i palmi sulle tempie e i pollici sull'attaccatura dei capelli sulla fronte. Veronica aveva annuito, alzando di più il volto verso di lui e circondandogli il busto con le braccia. Il freddo della sera, non era così tardi perché venisse considerata notte, penetrava nei vestiti e gli faceva venire la pelle d'oca, anche se dubita che fosse solo per quello. Le aveva accarezzato le guance rosse per il gelo e l'imbarazzo, l'aveva avvicinata di più a sé e aveva cercato di scaldarla un po'.

«Tra poco potrai dormire»

«Stai con me 'sta notte?»

A Leonardo era passato un brivido lungo la schiena ricordando il sogno che aveva fatto l'ultima volta che avevano dormito insieme, quel brivido si era poi espanso, andando a raggiungere la bassa schiena, le braccia e la nuca «No.»

«Ti prego, per stanotte, poi non te lo chiedo più» Si era scostato da lei, scocciato, imbarazzato, turbato.

«No! Ma di che cazzo hai paura? Non hai più cinque anni, non devi più dormire con i tuoi genitori perché se no ci sono i mostri che ti mangiano i piedi cazzo! Cresci.»

«Tu potresti anche evitare certe risposte sai? Non puoi pensare che ci siano dei motivi?» Veronica si era visibilmente arrabbiata, lo sguardo era diventato più affilato e lui non aveva retto il confronto, avrebbe potuto sbriciolarsi se l'avesse guardata negli occhi, non sarebbe più riuscito a dire nulla. Aveva puntato quindi il proprio sul Botteniga che scorreva lento sotto le stelle .

«Non venire a rompermi le palle, hai capito? Tu non parli -aveva lui detto scandendo ogni parola come se non fossero in una frase singola- Ti chiedo cosa c'è e tu non mi rispondi, alzando quelle cazzo di spalle come se niente ti preoccupasse quando ti si vede in faccia che stai pensando ad altro. Sei un libro aperto Lisi, per me e per tutti, anche se provassi a nascondere quello che provi non ci riusciresti perché sei trasparente. E non è un difetto, ma non fare finta se sai che non sei in grado di farlo.»

Le aveva puntato un dito contro dandole un ultimo sguardo, che era stato della stessa intensità emotiva di un tuono che riusciva a far vibrare le finestre durante un temporale, e non le aveva dato possibilità di ribattere perché aveva risposto a sua madre che non si era stufata nemmeno un attimo di chiamarlo. Avevano parlato almeno tre minuti, se non di più. Si era accordati sul posto in cui sarebbe venuta a prenderli, perché lì non c'erano parcheggi, e poi Leonardo aveva chiuso, rimettendosi il telefono in tasca sbuffando. Aveva guardato Veronica di fianco a lui e gli era tremato il cuore quando l'aveva vista con la testa bassa. L'istinto di abbracciarla era stato forte, le mani avevano cominciato a tremargli ed era sicuro di non essere in grado di non chiederle scusa se le avesse parlato. Se avesse pianto sarebbe stata decisamente la fine, perché era consapevole di non riuscirle a rimanere indifferente. Per un motivo o quell'altro. Si era schiarito la gola e lei aveva alzato lo sguardo, gli occhi chiari lucidi avevano incontrato i propri, azzurri come il ghiaccio ma non freddi altrettanto. Le aveva fatto un segno e lei aveva preso la propria valigia, anche perché, o almeno immaginava, non voleva tornare a casa a piedi e da sola. Leonardo non l'aveva guardata nemmeno una volta, concentrandosi principalmente sulla strada, accertandosi solo di sentire ancora il rumore delle ruote dalla valigia di lei dietro di sé. Non era un fatto di orgoglio ma di coerenza, se le aveva detto quelle cose era perché si era stancato di quei comportamenti, e benché era stata un po' crudo, anche se nemmeno così tanto, secondo il suo parere, almeno le aveva detto la verità e quello che pensava. Odiava non poter dire la propria opinione. Odiava non poter essere schietto. Non sarebbe mai potuto stare vicino ad una persona che non accettava quella parte di sé. A volte tuttavia, se si parlava di Veronica, aveva la sensazione di essersi espresso nel modo sbagliato, oppure che avrebbe dovuto comportarsi in modo diverso. Gli si formava nel petto un piccolo senso di colpa simile a quello che gli si formava con Francesco e sua madre, quando anche con loro si esprimeva troppo duramente. Tutte le volte ignorava quel piccolo fuoco che gli si accendeva nel letto e lo soffocava, cercando di non dargli importanza. Erano passati a fianco a Piazza Borsa, poi avevano girato dentro una vietta laterale che li avrebbe portati più avanti, lungo la stessa strada nella quale c'era anche la casa di Andrea. Erano passati a fianco alla scuola che si trovava lì, i negozi e le case, poi Leonardo aveva girato in una via ad U in cui c'era un parcheggio. Pochi metri più avanti sua madre li aspettava fumando una sigaretta. Avrebbe voluto dileguarsi in quel momento, conscio che sua madre si sarebbe accorta subito del fatto che Veronica non stesse bene e che fosse proprio lui la causa di tutto quanto.

«Ragazzi! Tutto bene?» «Sì.» Aveva sbuffato lui aprendo il bagagliaio e mettendo dentro la sua valigia. Aveva preso anche quella di Veronica senza che lei glielo chiedesse, anche se era stato fatto solo per non parlarle. Aveva incontrato i suoi occhi quando aveva poggiato la mano sulla sua per prendere il bagaglio, dire che si era sentito morire era troppo, ma il senso di colpa cominciava piano a farsi sentire.

«Veronica amore, che succede?»

Veronica aveva scosso la testa e le spalle, al che Leonardo aveva alzato gli occhi al cielo «Niente» aveva mentito lei

«È per domani o centra quello lì» Leonardo aveva alzato le sopracciglia con una faccia che esprimeva solo un "ma sul serio?", capendo che sua madre si riferiva a lui. In più, per domani che?

«Lui non c'era niente, è per domani»

«Che succede domani?» Sua madre lo aveva guardato, poi aveva lanciato un'occhiata a Veronica che aveva scosso la testa

«Niente, andiamo a casa dai.»

Leonardo era salito davanti come al solito, mentre Veronica si era seduta dietro e non aveva smesso di scrivere al telefono nemmeno un attimo. L'aveva guardata due o tre volte dallo specchietto e l'aveva sempre vista infervorata, nemmeno stesse litigando pesantemente con qualcuno. Quando erano arrivati a casa, una quindicina di minuti dopo, Leonardo aveva preso la propria valigia, aveva salutato suo fratello velocemente ed era salito in camera sua, non aveva messo a posto la valigia e non si era cambiato, si era semplicemente disteso, la testa piena di pensieri e di dubbi e lo stomaco che gli si stava attorcigliando. Si era addormentato così, con le scarpe ancora addosso e una smorfia sul viso.

Per le ore che aveva dormito Leonardo non aveva sognato, o per meglio dire non aveva sognato cose che fossero memorabili, o che avessero un significato profondo, fino a quel momento. Solo il suo corpo si era mosso e nel buio che vedeva, all'interno di quel sogno assente di dimensione, aveva cominciato a percepire, qualsiasi cosa ovvimente riuscisse a percepire, come se stesse tornando a galla dopo essere andato in profondità, e allora quella sensazione si era trasformata in visione, il sé minuscolo aveva sbracciato nuotando nel nero di quel mare senza fondo, alla ricerca di ossigeno, alla ricerca del risveglio. Il senso di vuoto nel petto si era fatto pesante, la mancanza di qualcosa evidente e invece di andare verso l'altro si stava trascinando verso il basso, nuotando nella direzione sbagliata. Un sussulto e si era ritrovato all'inizio di una scala che scendeva verso un punto oscuro, e per quanto anche dove si trovava lui, in cima ai gradini, fosse tutto completamente buio, quasi gli sembrava che una lampadina sopra di sé lo illuminasse. Aveva portato una gamba davanti all'altra, muovendo il primo passo lungo quella scala, gradino dopo gradino si avvicinava alla fine, messo l'ultimo passo era stato trascinato verso il basso, illuso che in quell'oscurità ci fosse un pavimento, il vuoto nel petto si era fatto maggiore, insopportabile. Cadeva di schiena Leonardo, le braccia rivolte verso l'alto, la bocca serrata nonostante la paura, le gambe piegate, gli sembrava quasi di essere in un film. Poi, l'impatto con il terreno, il sussulto del suo corpo, reale e non solo idilliaco e finalmente gli occhi che si aprivano, lo sguardo che vagava a destra e a sinistra della camera, una fessura della porta che lasciava passare un minimo di luce proveniente dal corridoio e belconi aperti delle finestre lasciavano che la luna illuminasse un minimo la stanza. Si era portato una mano alla maglietta, stringendola abbastanza forte sulla pancia e tirandone il tessuto come uno sfogo, poi, senza nemmeno guardare l'orario, si era alzato, aveva barcollato nel buio ed aveva raggiunto la porta, aprendola con delicatezza, in modo da non svegliare nessuno. Si era tolto le scarpe rimanendo in calzini e si era messo a passi lenti lungo il corridoio, percorrendolo in silenzio. Trovandosi davanti alla stanza di Veronica la sua mano aveva avuto l'impulso di bussare, capire come stava, ma il suo stomaco che esigeva del cibo e la sua coscienza si erano sovrapposti a quell'impulso. Abbassata la mano aveva sceso le scale gradino dopo gradino in quel silenzio che stava reggendo bene, aveva osservato il salotto e la vetrata che dava sul giardino, la porta, la cucina e il corridoio che portava alla porta del garage, illuminato solo da una luce a led. Leonardo aveva aperto il frigo, facendo cigolare un poco la porta (successivamente l'aveva guardata male), aveva preso da lì l'affettato, poi aveva preso il pane da dentro il cesto apposito e, aperto e chiuso un cassetto, aveva tirato fuori un coltello. Si era fatto un panino con calma, mentre lo faceva però gli era venuto in mente di metterci della lattuga, poi i pomodori, poi ancora del formaggio, e poi gli era venuto in mente che avrebbe potuto prendere della maionese. Insomma, aveva aperto almeno una decina di volte il frigo e sparso gli ingredienti per tutto il piano. Le porte del frigo avevano sempre cigolato e lui le aveva sempre guardate male, inveendo mentalmente contro di loro e tirando, ogni tanto, giù qualche santo, giusto per avere un po' di compagnia. Non si era accorto, però, che tutto quel cigolare, sbattere, aprire e chiudere (perché ovviamente non poteva usare lo stesso coltello usato sia per il pane sia per il pomodoro nella maionese, sarebbe stato forse ucciso anche da sua madre se lo avesse fatto, e quindi aveva aperto e chiuso un paio di volte il cassetto il cui si trovavano le posate) si era fatto sentire fino alla stanza di Veronica che, incuriosita, e anche spaventata, come la classica protagonista dei film horror, era andata a vedere cosa stava succedendo. Quando aveva visto Leonardo girato di spalle che si preparava da mangiare il suo cuore aveva fatto una capriola, si era quindi asciugata le guance passandocisi i palmi delle mano contro e aveva tirato su con il naso, anche se lui non l'aveva sentita. Veronica non aveva voglia di litigare, non quel giorno, non a quell'ora, ma era pronta a farlo, era pronta anche a chiedergli scusa, perché se aveva reagito in quel modo probabilmente c'era anche stato qualcosa che lo aveva turbato, e prima si prendeva la responsabilità prima avrebbero chiarito. Leonardo nel frattempo aveva finito il panino, aveva messo via tutto ciò che aveva tirato fuori dal frigo e aveva messo nel lavello le posate che aveva usato, poi, prendendo il primo morso si era girato, e per poco non gli era andato di traverso il boccone. Non avendo sentito Veronica scendere le scale si era spaventato, e lo ammmettava, perchè a non ammettere di avere paura ci si fa solo del male. Per un momento aveva quasi avuto il terrore che le entità soprannaturali esistessero davvero, poi aveva sbattuto gli occhi e si era accorto che era solo Veronica. Anche se non era solo Veronica. La ragazza si era avvicinata velocemente a lui quando lo aveva visto in difficoltà.

«Volevi farmi venire un infarto?» Aveva esclamato lui quando, finalmente, aveva mandato giù quel primo, e stava cominciando a prendere in considerazione l'idea di anche ultimo, boccone.

Veronica aveva riso, portandosi una mano davanti alla bocca e piegandosi leggermente su se stessa. La maglietta che portava era grande, non tanto grande, ma abbastanza da farle da vestito, e se non avesse avuto dei pantaloncini che le arrivavano alle ginocchia si sarebbe anche potuto credere che non avesse nient'altro. Leonardo l'aveva presa tra le braccia, abbandonando il proprio pasto sopra la cucina, e aveva cominciato a farle il solletico, la sua risata aveva cominciato a riecheggiare più forte nelle pareti e lui l'aveva praticamente seguita a ruota.

«Cosa c'è, ti diverte mettermi paura? È così divertente?»

«No, no! Aspetta, fermo!» Veronica aveva continuato a ridere fino alle lacrime, ogni tanto sembrava anche che smettesse di respirare. Leonardo aveva riso ancora, leggermente piegato in avanti, con lei tra le braccia che si teneva alle proprie spalle mentre rideva e cercava di divincolarsi quando le veniva troppo da dire. Si era sbilanciato all'indietro, appoggiandosi con la schiena al frigo, le gambe leggermente aperte, e aveva portato il viso all'indietro mentre il suo ridere si calmava. Anche quello di Veronica, pian piano, andava scemando, fino a quando, entrambi con il respiro ansante, non si erano guardati. Leonardo le aveva accarezzato un fianco sentendo ancora il suo respiro pesante e aveva continuato a fissarle il viso rosso illuminato dalla luce della cucina.

«Stai bene?» Le aveva chiesto, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Non era bassa, quindi non aveva difficoltà a guardarla negli occhi. Aveva fatto un risolino lei, come se trovasse tutto molto ironico.

«Massì, ho solo perso un polmone!» Leonardo aveva alzato un poco gli angoli della bocca, sorridendo

«Con un solo polmone si può vivere, è senza cuore che sei morto, consolati»

«Sto parlando con un morto, quindi?» Leonardo l'aveva guardata male, facendole, per pochi secondi, il solletico sui fianchi.

«Simpatica.» «Disse lui.» «Pure spiritosa, come siamo in vena sta sera.»

Veronica aveva sorriso sbieca, e poi aveva imitato la sua voce: «Non avevo niente di meglio da fare e ti infastidisco, in fondo sei tu che risulti noioso con questo tuo non capire l'ironia e il sarcasmo!»

«Mi avrai contagiato con la tua noiosità, mi hai infettato... Pensa, tra poco diventerò come te!» Veronica gli aveva sorriso, sorriso veramente, non per imitarlo, e messe le braccia attorno al suo collo lo aveva abbracciato, spingendosi sulle punte. Il respiro di lui le solleticava la spalla mentre le sue mani la stringevano e la avvicinava a sè sulla schiena.

«Perché volevi che dormissi con te, stanotte?» Veronica aveva sospirato, la partecipa nervosa attraverso i vestiti, irrequieta.

«Domani torna mia madre...» A Leonardo era parso che gli si sciogliesse il cuore in una valle di acido; c'era qualcosa in quella frase, qualcosa che presumeva che, forse, si sarebbero divisi proprio in quella giornata.

«Vai via? Dico, torni lì?»

«No, si, no! Cioè...»

«Respira, spiegati con calma» non voleva che se ne andasse, non lo voleva. Era egoista, tremendamente egoista, ma la voleva con sé ancora, per i giorni, per i mesi a venire, per qualche ragione sconosciuta.

«Per solo un giorno, torniamo a Bergamo un solo giorno» il cuore di Leonardo aveva sussultato ancora, la sensazione era stata come quella di quando cadeva nel sogno «Oh... -Aveva preso a ridere, e allo sguardo leggermente torvo di Veronica aveva certo di parlare- No io, no, niente»

«Comprensibile quanto me, insomma» Leonardo l'aveva stretta, smettendo di ridere poco a poco

«Come mai sei agitata? Dovrebbe essere una cosa bella no, passare del tempo con la propria famiglia...»

«Sì, io... Dire che mi fa piacere rivederla è riduttivo però non so come altro dirlo, però domani è un giorno particolare. Se lo si può definire così» Leonardo aveva inclinato la testa, confuso «Cosa succede domani di così sconvolgente?»

Veronica avrebbe potuto dire molte cose, avrebbe potuto dire una cosa come "oggi è il giorno in cui mio padre e mia sorella sono morti, lo sapevano tutti tranne te, perfino tuo fratello!" ma non era sicura che Leonardo l'avrebbe presa bene. Non era sicura di nulla. Nemmeno di volergli dire. Si era interrogata più volte, in quei giorni, se farlo o meno, dirgli tutto del proprio passato, rivelargli ciò per cui lui la vedeva strana. Dirgli cosa era quella cosa che le creava un espressione rammaricata sul volto. Si era persino fatta film mentali su come poterglielo dire. Spesso però la realtà non è all'altezza delle aspettative, quindi non arrivava mai il momento giusto, la situazione appropriata, l'attimo in cui si sentisse sicura. Nemmeno quello che stava vivendo lo era, lo sentiva sulla pelle, lo sentiva tramite i brividi e la voce nella propria testa che si interrogava.

«No niente in realtà, solo una cosa fam...»

«Hey! -La voce di Francesco aveva spaventato entrambi, Leonardo l'aveva lasciata andare e Veronica gli aveva stretto la maglia- Perchè siete svegli?»

Leonardo aveva sospirato, portandosi una mano al cuore «Certo che oggi volete farmi finire tutti in obitorio.»

Francesco lo aveva guardato tra l'allibito, lo sconvolto e il confuso. «Non riuscite a dormire?» «Io avevo solo fame, lei è scesa perché ho fatto troppo casino.»

Francesco si era avvicinato ad entrambi, gli occhi fissi sul modo in cui Veronica stringeva la maglietta del fratello. Il suo sguardo quindi si era sollevato proprio su di lui e aveva alzato le sopraciglia con fare inequivocabile e Leonardo, prima confuso e poi illuminato dal significato di quel gesto e dell'espressione di suo fratello gli aveva mimato con le labbra un "fanculo" di cortesia. Francesco aveva sorriso, conscio che Veronica e Leonardo si stessero avvicinando, cosa che a lui non creava nessun tipo di problema, anzi, e poi aveva scompigliato i capelli ad entrambi.

«Andate a dormire, e tu lasciala dormire!» Leonardo l'aveva guardato male

«Ma che centro io, è lei che non lascia dormire me» «Faccio finta di crederci fratellino... andate in ogni caso, che domani non credo sarà una giornata facile per nessuno...» Francesco aveva sorriso ad entrambi, e poi si era dileguato.

«Io...»

«Vuoi che stiamo un po' insieme? Ho capito che non ne vuoi parlare, ho capito che non è qualcosa di semplice» Veronica era arrossita, le guance piene erano diventate rosse e gli occhi avevano brillato di qualcosa.

Leonardo sapeva che era solo una giornata, sapeva che non sarebbe stato così a lungo, ma saperla distante gli dava in qualche modo un insicurezza che, anche se non dimostrava, c'era. Persisteva. Un vuoto nel petto che pian piano formava una crepa che era paragonabile, quasi, al buco dell'ozono. Leonardo a tratti odiava quelle sensazioni, il modo in cui quei sentimenti lo facevano sentire, eppure non accennavano a cambiare, non accennavano a variare. Non lo avrebbero fatto per nulla al mondo probabilmente.

Si erano seduti sul divano, vicini, spalle contro spalle, capelli che si sfioravano e, abbassando il volume della televisione, avevano cominciato a vedere un qualsiasi film che girava in una delle rete secondarie. Non era un film recente, lo si poteva vedere e constatare dalla qualità di nitidezza che c'era. Non era tuttavia così vecchio da non avere una trama o un contesto gradibile. A dire la verità, dopo un po' di quella pellicola, avevano girato, entrando in un qualsiasi sito di streaming e avevano scelto di rivedere Star Wars. A metà del film si erano addormentati entrambi. Leonardo aveva sognato, un sogno dai colori chiari, splendenti, vivi, vividi, Veronica aveva sognato qualcosa a che fare con un pupazzo e i libri. Lei, quel pomeriggio, gli aveva chiesto di dormire insieme per il semplice fatto che, se dormiva con lui, non faceva incubi e sogni dove moriva, o dove qualcun altro che amava moriva. La sua presenza la liberava da quei sogni che la mettevano in difficoltà, da quei sogni dove soffriva, da quei sogni in cui faceva soffrire. La liberava dagli incubi Leonardo, la faceva sentire libera, spensierata.

Veronica aveva una teoria tutta propria sull'amore, o meglio: sull'affetto in generale. Non sapeva per quale motivo avesse concepito quel pensiero, ma una volta, dopo un'altra delle tante rotture di Lucrezia, mentre erano insieme a casa della sua migliore amica questa le aveva chiesto: «Secondo te come si fa a capire se si ama davvero una persona?»

Veronica, senza pensarci troppo, aveva risposto: «Non lo so. Personalmente credo che tutto dipenda dalla sofferenza. -Lucrezia l'aveva guardata basita e Veronica si si era girata, distendendosi in una posizione tale da guardare il soffitto- Penso che l'amore sia direttamente proporzionale al dolore e che le persone che amiamo valgano tante quante sono le lacrime che siamo disposti a piangere per loro. Alla fine di una relazione, parentale, amicale o sentimentale, si soffre perché si ha amato. Il momento in cui il dolore diventa sbagliato in una relazione è solo quando questo si prova con molta intensità e nel mentre della relazione, in quel caso si definisce un rapporto come tossico. Anche quando qualcuno muore si verifica questo... In ogni caso: più amiamo più ci mettiamo a rischio, non tanto perché diventiamo deboli o altro ma perché siamo disposti a tutto per un'altra persona, anche a soffrire. Credo che ne siamo tutti un po' consapevoli inconsciamente, ma non ci pensiamo mai» Lu aveva solo annuito, e poi entrambe erano rimaste in silenzio per un po', distese entrambe sul letto dal lenzuolo verde a guardare un soffitto che di particolare non aveva nulla.

Veronica lo pensava ancora, forse ci credeva con molta più intensità di prima. L'affetto, in tutte le sue forme, un po' la spaventava. Non tanto per il provare affetto, era della convinzione che amare non fosse sbagliato, anzi, ma quanto per la sofferenza che ne derivava la perdita della persona per cui lo si provava. Quando aveva poi letto "La verità sul caso Harry Quebert"**** non aveva saputo se essere più o meno sorpresa che lo stesso suo pensiero lo avesse avuto anche qualcun altro, non era certo così egocentrica da pensare di poter fare solo lei pensieri del genere o di essere l'unica a pensarla così ma non avrebbe mai pensato di trovare proprio quel pensiero scritto in un libro pochi giorni dopo averlo scritto. Coincidenze, aveva pensato, niente che fosse impossibile.

Quando quella mattina si era alzata, con Leonardo che ancora dormiva, il suo primo pensiero era stato ripensare a quel concetto, a quanto fosse applicabile in quelle giornata, a quanto semplicemente fosse vero in quella giornata, e poi tutto era deviato, come se i suoi pensieri fossero stati come un treno che cambiava binario, così si era messa a pensare a sua madre. Perdere un figlio, perdere un marito. Non aveva mai dubitato della forza di sua madre, di come si fosse reinventata, di come fosse cambiata dopo quel momento, però allo stesso tempo aveva paura che in giorni come quelli, quando i ricordi erano più forti, potesse cadere in un dolore che non si era mai permessa di vivere del tutto. Un po' come lei. Angela era stata a fianco a Greta, ma quest'ultima non aveva lasciato vedere alla figlia nemmeno un briciolo del proprio malessere. Veronica aveva sempre pensato che fosse la fotografia il suo modo di sfogarsi, poiché tutto quello che sua madre fotografava era tremendamente reale, inconsapevolmente emotivo. Un attimo catturato in un immagine spesso può dire tanto quanto mille parole.

Leonardo le aveva accarezzato un braccio, gli occhi ancora assonnati e un principio di sbadiglio che poi aveva soffocato nelle guance. Veronica si era girata verso di lui, e non era mai apparsa tanto bella agli occhi di qualcuno come appariva a lui.

«Stai meglio?»

«Un po'» Leonardo aveva annuito, sorridendo leggermente.

«Cosa vuoi per colazione?»

«Va benissimo un caffè.»

«Vuoi anche i biscotti? Quelli con le gocce di cioccolato che ti piacciono?» Veronica aveva annuito mentre lui la guardava e si alzava per andare in cucina. Veronica aveva controllato i messaggi, per vedere se sua madre aveva risposto, non lo aveva fatto, anzi, non le era arrivato il messaggio. Aveva risposto in ogni caso a Lu che le aveva chiusto come stava, per non farla preoccupare, avevano parlato un po' del più e del meno, e quando Leonardo aveva messo il caffè e i biscotti sopra il tavoli che si trovava tra la televisione e il divano Veronica aveva semplicemente appoggiato il telefono altrove, lasciando che lo schermo diventasse nero, mentre la conversazione con Lu rimaneva sospesa quasi a metà. Ma d'altronde quello era il modo che avevano adottato involontariamente di sentirsi. Le così dette conversazioni infinite. Non c'era un argomento base su cui la conversazione si fondava, non c'era un "Buongiorno" o una "Buonanotte", un "Hey", non c'erano giorni in cui non si sentivano o un occasione in cui avessero notato la scritta "Oggi", "Ieri", o un qualsiasi giorno del mese. Perché in quel genere di conversazioni non servivano, e i giorni andavano persi, non venivano né contati né considerati. Erano di certo più fondamentali altre cose. Quel genere di conversazione non aveva un inizio o una fine, aveva l'abilità di protrarre le conversazioni per giorni, settimane, mesi, e il tempo passava e la conversazione si allungava. Veronica non sapeva quando avevano cominciato, ma sapeva che forse era ad inizio novembre, o a metà, in ogni caso se ne era accorta solo di recente scorrendo la chat per ritrovare un messaggio in particolare: i messaggi scorrevano, scorrevano e scorrevano, senza fine, senza inizio, come se avessero fatto per tutto il tempo una chiacchierata infinita.

Veronica aveva fatto colazione con calma, la tv accesa che occupava il silenzio lasciato dall'atto di mangiare, Leonardo di fianco a lei che ogni tanto, perché lo vedeva, le lanciava occhiate furtive. Come ad assicurarsi che stesse ancora bene. A loro si era aggiunto anche Francesco, che, mettendosi a fianco di suo fratello, aveva cominciato a conversare.

«Ragazzi!» Sua zia era scesa in soggiorno, vestita, truccata, la borsa sulla spalla.

«Ma, oggi non eri libera? Vai in ospedale?» Si era premurato di chiudere Francesco, leggermente scocciato e irritato del fatto che sua madre dovesse lavorare anche in quei giorni in cui era in pausa.

«Ma no tranquillo! -Il tono che aveva usato Angela era stato rassicurante, come se stesse dicendo ad un bambino con la febbre che pensa di star per morire che non stava assolutamente per morire- Vado solo a prendere la madre di Veronica in Aeroporto.» La ragazza aveva alzato le sopracciglia, leggermente confusa.

«Ma, ti ha mandato un messaggio?» Angela le aveva sorriso, le fossette che le si creavano ai lati.

«Ha riacceso il cellulare da poco, probabilmente, anche non probabilmente ma sicuramente, ha risposto anche a te. Ora vado, se no faccio tardi!» Angela li aveva salutati tutte e tre con un bacio, a Francesco aveva baciato la fronte, a Leonardo il naso e a Veronica la guancia. Poi, dopo aver preso il cappotto, era uscita di casa e era partita con la macchina.

Francesco e Veronica, che sapevano per quale ragione sua madre stava arrivando, si erano lanciati uno sguardo e lui le aveva arruffato i capelli, in una carezza fraterna di comprensione, poi si era rimesso al suo posto e aveva ignorato, proponendo di guardare un film o una serie, lo sguardo confuso e affilato del fratello. Francesco avrebbe voluto che Veronica fosse stata più aperta con lui, o che Leonardo fosse stato meno teatrale nei confronti di lei lasciando che si fidasse un po' di più fin dall'inizio, perché veramente non sopportava più la sensazione di essere sotto esame ogni volta che suo fratello sembrava capire che lui sapeva qualcosa su di lei, qualcosa che Leonardo non sapeva. Certo comprendeva e giustificava Veronica, perché nemmeno lui le aveva raccontato di suo padre, anche se nel suo caso non si trattava di quanta fiducia riponesse nei suoi confronti. Francesco si fidava di Veronica, le voleva bene, sperava nel meglio per lei, ma sapeva che se qualcuno avesse dovuto dirle qualcosa del loro passato allora sarebbe stato Leonardo, non lui. Perché Francesco una persona che lo aveva compreso, cullato e curato, e con cui aveva fatto altrettanto, l'aveva già trovata. Leonardo invece era ancora nel suo bilico, nella sua dimensione a sé che qualche volta si scontrava con quella degli altri ma che rimaneva isolata, solitaria. Francesco lo aveva visto però come con Veronica Leonardo fosse diverso, anche quella notte quando li aveva trovati in cucina: Leonardo non aveva scacciato le mani della ragazza, strette sul tessuto della sua maglietta, anzi, l'aveva lasciata fare, come se con lei fosse più che naturale. Per questo considerava Veronica la persona giusta. Spesso ci scherzava su loro due, e come quella sera lo aveva fatto fin dall'inizio, ma non considerava solo l'idea che si potessero mettere insieme, perché del tipo di comprensione, quello che serviva per cose del genere, non si generava solo tra due semplici amanti, non si creava solo tra persone che provavano reciprocamente amore romantico. In fondo, per quanto lui e Cecilia si fossero innamorati dopo, entrambi si erano aiutati quando erano ancora amici. Ma nessuna storia, per quanto simile, può essere uguale all'altra, come non lo potrebbe essere nessuna persona e nessun sentimento. Quindi Francesco sperava solo che quei due fossero le persone giuste per entrambi, e che non facessero l'errore di perdersi. Soprattutto che Veronica raccontasse la verità a Leonardo il prima possibile, così almeno suo fratello avrebbe smesso di guardarlo come un nemico.

Alla fine avevano guardato metà puntata di una serie tv qualsiasi mentre aspettavano, tutti insieme, seduti sul divano. Francesco si era anche prodigato a fare i pop corn per sgranocchiare qualcosa nel mentre. Poi, quasi inaspettatamente, Veronica si era girata verso entrambi, un'espressione strana in volto.

«Lo so che magari non è l'occasione più bella del mondo -Veronica aveva sospirato per la situazione in cui si trovava, con un fratello che capiva e l'altro che semplicemente era confuso- Ma vi va di venire con noi? La zia ci accompagna fino a Bergamo in macchina, in quanto mia madre non ha la sua qui - "e la questione tocca anche lei", non lo aveva detto, solo pensato, però era vero. Riguardava anche Angela. Suo padre era un amico di un ragazzo che faceva parte del gruppo degli amici di Angela e sua madre quando abitavano entrambe a Treviso, si erano conosciuti così. Per amici di amici di amiche. Angela era una delle amiche ed era stato brutto anche per lei quando suo padre era morto, si conoscevano ed erano amici dal Liceo, quindi, per quanto meno dolorosa, era comunque stata una morte sofferta anche da lei.- Rimarreste da soli a casa... -Veronica sapeva che quella era una questione familiare, ma quei due erano la sua famiglia, lo erano- ...e io ho bisogno di voi.»

Quattro braccia l'avevano abbracciata, circondandola, tenendola stretta, coccolandola e dondolandola come un bambino. Leonardo e Francesco erano circa alti uguali, anche se il maggiore superava di circa cinque centimetri il minore, in ogni caso non avevano avuto difficoltà ad abbracciarla insieme. Si erano semplicemente incastrati tutti quanti in un braccio in cui Veronica era sostenuta da entrambi, in cui a nessuno importava di sé stesso se non degli altri. Non sapeva per quanto fossero rimasti così, stretti tutti insieme in un abbraccio a tre, ma quando si erano staccati Veronica sapeva che quella sensazione le mancava. Non sapeva per quanto tempo fossero rimasti abbracciati, ma quando si erano lasciati andare la porta d'ingresso si era aperta, lasciando che Angela, sorridente e sorniona, entrasse parlando seguita da sua madre. Veronica aveva stretto la mano a Leonardo prima di precipitarsi da sua madre che, dopo averla vista, aveva semplicemente aperto le braccia e aspettato. Veronica le aveva circondato il busto con le braccia e schiacciato le guancia contro il suo petto, mentre inspirava il suo profumo

«Ciao mamma»

«Amore -sua madre l'aveva stretta a sé per un paio di minuti, mentre Francesco e Leonardo si chiedevano come mai la donna fosse bionda naturale se sua figlia aveva i capelli praticamente neri- Sembra che non mi vedi da un anno» aveva detto poi in tono scherzoso, guardando a come la figlia la stesse stritolando. La sdrammatizzazione era una delle arti a cui ricorreva spesso, anche se non sempre era appropriata.

Veronica le aveva mostrato un broncio scherzoso, anche se nei suoi occhi c'era più tristezza di quanta ce ne si potesse immaginare. Sua madre, dopo averla guardata negli occhi ed averle accarezzato i capelli scuri, l'aveva stretta a sè, cullandola e sorridendo leggermente. «Mi sei mancata mamma...» «Anche tu amore, veramente tanto.»

Veronica avrebbe potuto giurare di aver sentito Angela singhiozzare, ed andare ad abbracciare i suoi figli, questo lo aveva dedotto dai rumori che c'erano stati dopo. Il pensiero stesso di separarsene, dopo che aveva fatto di tutto per proteggerli, faceva sentire ad Angela un opprimente dolore al petto, che seppur non derivava da un'esperienza accaduta si premurava di guardare ad un evenienza futura quando entrambi se ne sarebbero andati e lei sarebbe rimasta sola.

Veronica si era scostata da sua madre dopo non sapeva quanti minuti, e quando si era messa dritta (essendo stata tutto il tempo con le ginocchia leggermente piegate per poter mantenere la posizione dell'abbraccio) sua madre aveva sgranato gli occhi, guardando il punto a cui arrivava la sua fronte.

«Oddio, ma ti sei alzata? Mi mangi i risi in testa tra poco! -Veronica aveva sorriso, cercando di non essere imbarazzata mentre dua madre confrontava le loro spalle- Santo mio, sono passati quanti mesi... quattro? Sei già così cresciuta...»

«Tre mesi.»

Avevano risposto in contemporanea Leonardo e Veronica, uno che teneva il conto per un motivo e l'altra per un altro

«Non esattamente tre, ma quasi.» Aveva aggiunto poi lui come se niente fosse, rilassato, mentre Angela gli teneva stretto un braccio e sua madre lo squadrava. Anzi, Greta squadrava esattamente entrambi i fratelli, almeno da quando si era ricordata che loro erano lì e non da qualche altra parte. Si era sorpresa, quando aveva messo gli occhi su di loro, di vedere quanto fossero cresciuti. Avevano entrambi dei tratti caratteristici di entrambi i genitori: la mascella evidente, gli occhi grandi, gli zigomi leggermente accentuati. Si era sorpresa di quanto quello che aveva parlato assomigliasse a suo padre. Probabilmente, aveva pensato, quella era una cosa che molte persone gli dicevano spesso, e di cui probabilmente non andava per nulla fiero, per questo non aveva voluto calcare la mano ma si era solo avvicinata a loro sorridendo, pronta da brava zia quale era a stritolare ad entrambi le guance e a fargli le solite domande che erano probabilmente d'obbligo.

«L'ultima volta che vi ho visti eravate dei bambini... -poi si era rivolta a Francesco, che l'aveva guardata con un sorriso gentile in volto- Tu sei praticamente un uomo ormai -aveva spostato lo sguardo su Leonardo, che invece aveva uno sguardo che le suscitava il nulla, come se vederla non portasse nessun cambiamento nella sua vita, come se non volesse che lei ne portasse qualcuno- e tu lo stai per diventare, siete veramente alti! E belli! Avrete di sicuro una ragazza, o un ragazzo, entrambi»

«Una ragazza zia» aveva detto Francesco, e quindi Greta ne aveva approfittato per parlare un po' con lui, perché aveva capito che prima di arrivare ad avere una conversazione normale con Leonardo ci sarebbe voluto del tempo. Anche tutta la giornata probabilmente, guardando al modo in cui le si rivolgeva. Non era maleducato, solo estremamente diffidente.

«Zia?» Si era girata verso Francesco, con cui stava parlando da un paio di minuti insieme a Veronica, mentre Angela e il minore dei suoi figli erano rimasti più in disparte.

«Dimmi.» Gli aveva sorriso calorosa, spostandosi una ciocca dei biondi capelli dietro l'orecchio

«Vuoi qualcosa da mangiare? Da bere? Il viaggio non deve essere stato facile con così tante ore -e qui si riferiva a quando, durante quei minuti di conversazione, gli aveva raccontato della durata del viaggio- passate in aereo...»

«Oh beh, un bicchiere d'acqua.» Sapeva di essere a casa della sua migliore amica, ma le sembrava di essere tornata ai tempi del liceo quando, passando i pomeriggi a casa dei genitori di Angela, la madre di questa le chiedeva ogni dieci minuti circa se le andasse qualcosa e per non disturbare diceva sempre di no. Estremamente timida con i conoscenti e gli estranei come era al tempo anche se conosceva quelle persone da veramente tanto tempo non riusciva mai a non sentirsi in imbarazzo. Ma quella era una sensazione che ogni adolescente provava almeno una volta nella vita. Spesso la gentilezza inaspettata e costante sembrava tanto un obbligo da farla diventare inopportuna e imbarazzante.

«Prendile uno dei bigné avanzati ieri!» Aveva aggiunto Angela quando aveva visto Francesco alzarsi «Va bene mamma.»

«Scusaci, c'erano dei bigné e non ci hai detto niente?» Era intervenuto Leonardo quando aveva sentito, girandosi verso il fratello che si trovava ormai quasi in cucina

«Ma se a te nemmeno piacciono i dolci!» Gli aveva ribattuto contro il maggiore, mentre apriva il frigorifero e tirava fuori una piccola scatolina dove erano riposti ordinatamente i bignè, alla crema, incriminati.

«Dettagli! Magari a Veronica piacevano»

«Ve ti piacciono?» Le aveva chiesto quindi il maggiore dei fratelli «A dire la verità no...»

«Tutti coalizzati siete oggi.» Francesco aveva riso mentre rimetteva la scatolina di plastica ne frigo e portava a Greta il piattino con due bigné e il bicchiere d'acqua

«Grazie.»

Quando Francesco si era allontanato di nuovo, andando vicino a sua madre per chiederle una cosa, Veronica si era fatta coraggio per avvicinarsi ancora un po' di più alla propria, cercando di trovare le parole giuste da utilizzare per quel genere di cosa. Non che fosse difficile, in fondo si trattava solo di dirle che aveva chiesto ai due fratelli di venire insieme a loro perché sentiva la necessità che ci fossero, aveva solo paura che sua madre lo potesse trovare inopportuno e che le dicesse di no, privandola di un sostegno del quale lei aveva evidentemente ed effettivamente bisogno.

L'aveva chiamata, e questa le aveva rivolto un veloce sguardo mentre finiva di masticare. Una volta che la sua bocca era stata vuota si era girata verso di lei e le aveva detto di continuare pure a parlare, che anche se mangiava l'ascoltava comunque. Così Veronica glielo aveva detto, le aveva fatto presente quanto quei due fossero importanti per lei, quanto importante sarebbe stato se ci fossero stati anche loro, quale grande favore e gesto di amore le avrebbe dimostrato lasciando che venissero. All'inizio la risposta di Greta era stata no, non pensava sinceramente di voler condividere una cosa tanto personale con due ragazzi, non aveva delle particolari considerazioni negative, anzi, però si trattava comunque di una cosa che massimo aveva considerato di poter condividere con Angela e altre sue amiche. Non era una semplice cosa familiare, si trattava anche di una cosa personale, qualcosa di intimo, qualcosa per il quale la sua vecchia sè, rigida e impostata, prendeva il sopravvento a volte, imponendo rigidità e freddezza. Poi, guardando Veronica parlarne, guardando gli stessi ragazzi guardarla con apprensione, si era convinta di sì, che forse per sé non era importante, che non le contava niente se fossero venuti o meno, ma per sua figlia lo era, e se lo era per Veronica lo era anche per lei. Perché vedere sua figlia serena era sinceramente la cosa che più di tutte le scaldava il cuore e che la metteva in pace con sé stessa. Perché si sensi di colpa Greta ne aveva, per molto tempo, dopo la morte di suo marito e di sua figlia, era stata più distante, anche se forse Veronica non se ne era accorta per il semplice motivo che lei era sempre distante. Rigida nelle proprie regole non capiva a volte il mondo dei bambini, la loro imprevedibilità, il loro modo di giocare, il loro modo di comportarsi così estroverso, così lontano da come era lei un tempo... Aveva lasciato tutta quella parte al marito, aveva lasciato che lui si prendesse più cura delle proprie bambine di quanto lo aveva fatto lei. Anche il semplice fatto che andasse spesso lui agli incontri con gli insegnati o che prendesse lui la partecipazione alle partite di Veronica o ai Saggi di danza di Alice. Quelle erano cose in cui la sua mancanza era evidente. Aveva spesso pensato che magari se lei non fosse stata così in passato adesso Veronica sarebbe stata una persona meno rigida, che se si fosse mostrata più aperta Alice si sarebbe confidata più spesso con lei, che magari avrebbero potuto smettere di mangiare solo cose che riscaldavano quindici minuti in forno e che avrebbe potuto cucinare una cena decente per una volta, che se avesse avuto più tempo sarebbe andata lei a prenderla quella sera a danza, magari se ci fosse stata lei in quella macchina, prudente come era sempre stata e come tutt'ora in quel momento era, magari lui e Alice non sarebbero andate a schiantarsi contro un Camion guidato da un autista ubriaco, che forse sarebbero ancora entrambi vivi e che quella giornata non sarebbe mai esistita. Se solo fosse stata da prima diversa. Con i se e con i ma però non si fa la storia, non la si è mai fatta e Greta lo sapeva. A volte reputava i propri pensieri come troppo bui, a volte pensava che non fossero giusti per sé, come non erano ovviamente giusti per loro. Perché ipotizzare non li avrebbe portati indietro, e ormai lo aveva accettato, aveva fatto i conti con sé stessa e le andava bene, per quanto bene potesse andarle si intendeva.

Greta aveva guardato la propria bambina, con i capelli più corti, l'aria più matura, un'espressione più sciolta in viso e decisamente qualcosa di diverso nel complesso. Quei mesi lì la stavano cambiando in meglio. Sotto il suo sguardo curioso della sua risposta aveva detto di si, annuendo vigorosamente, facendole intendere che aveva capito quanto in realtà era importante per lei che loro ci fossero. Poi le aveva chiesto se entrambi sapessero, per capire quanto si fosse avvicinata ai due ragazzi nel corso di quei mesi, perché sapeva che Veronica era stata estremamente fredda all'inizio, che non aveva lasciato trasparire quasi nulla e che ci avesse messo abbastanza tempo per cominciare a comportarsi anche solo come una persona che riponeva una fiducia al minimo normale verso gli altri. Veronica le aveva risposto che spesso, nell'ultimo periodo, aveva pensato di rivelarlo a Leonardo, ma che non c'era mai riuscita in quanto sentiva che non era mai il momento giusto, mentre con Francesco il momento opportuno lo aveva trovato, era stato un attimo, una sensazione inaspettata e lei si era aperta con lui, lasciandogli vedere quanto dolore in realtà portasse dentro. Greta aveva annuito, i capelli che dondolavano con la sua testa e una mano sul mento, come se stesse pensando a qualcosa. Non aveva semplicemente detto più nulla riguardo quello, aveva semplicemente riferito che sì, per lei andava più che bene che ci fossero entrambi i ragazzi se lei si trovava più a suo agio ad averceli attorno quel giorno, e poi si era semplicemente alzata, procedendo a passo medio vero Angela con cui stava per avere un confronto. Non era durato molto, si e no una decina di minuti o poco meno.

Leonardo, che aveva capito cosa era successo, si era avvicinato a Veronica che, nel frattempo, era andata posare le cose, il piattino e il bicchiere usato la sua madre, nel lavello così che poi fosse tutto pronto per metterli in lavastoviglie

«Che ti ha detto quindi?» Le aveva chiesto, appoggiandosi al piano della cucina con le mani dietro alla schiena per sostenersi. Veronica aveva alzato lo sguardo verso di lui sorridendo mentre sciacquava il piattino

«Ha detto che le va bene se io sono più sicura ad avervi con noi.»

«Che brava bambina... -aveva sospirato e guardato in alto, mentre aspettava che lei finisse- Quando hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo? Per cosa stiamo andando a Bergamo?»

Veronica gli aveva sorriso con un sorriso imbarazzante e finto come lui che diceva di capire sempre fisica al primo colpo.

«Gita familiare?» Leonardo l'aveva guardata con un cipiglio leggermente nervoso, non nervoso perché si stesse arrabbiando, nervoso perché sentiva il bisogno di capire il motivo per il quale Veronica fosse così.

«Chatte Noire sono giorni, giorni, che ti comporti in modo strano -le si era messo davanti, le mani nelle tasche e la testa leggermente piegata, lo sguardo che chiedeva verità- io capisco che siano fatti tuoi e che tu possa avere i tuoi tempi per dire qualcosa a qualcuno, ma mi sembrava che qua tutti sappiano tranne me, e il fatto che tua madre sia tornata momentaneamente da quel lavoro che tu una volta hai difeso con le unghie mi fa capire che è una cosa importante. Posso anche non saper guardare, ma non sono stupido.»

Veronica aveva abbassato lo sguardo, sentendosi quasi in colpa. Lui si preoccupava e l'unica cosa che sapeva fare lei era starsene zitta?

«Io... Lo so, ma appena saremo a Bergamo te lo dirò, probabilmente appena saremo a Bergamo capirai da te.»

Non aveva avuto il coraggio di alzare la testa, quindi era rimasta a fissare un punto indefinito sulla maglietta che stava portando Leonardo ancora dal giorno prima. Aveva sentito il suo volto venir sollevato, così i propri occhi avevano incontrato quelli di Leonardo, azzurri come il più limpido dei cieli, così diverso dal proprio che invece era sporco di altri colori. Le aveva accarezzato una guancia con fare quasi indifferente, anche se, per come lo aveva interpretato lei, quello era un modo per dirle che andava tutto bene, o almeno lei si era sentita così quando lui l'aveva fatto, poi si era semplicemente voltato e girato completamente verso la madre.

«Va bene! Andate tutti a vestirvi e prendetevi anche un cambio che non torneremo a casa prima di stanotte Francesco era stato il primo a salire, Leonardo lo aveva seguito a ruota e Veronica si era prodigata verso le scale con più calma.

«Mamma?» «Dimmi tesoro?» «Quando riparti?» «Sta sera stessa... -Veronica aveva annuito ed aveva fatto per andare in camera, quando sua madre l'aveva richiamata ancora una volta- Se potessi resterei di più» «Mamma, qualsiasi cosa che ti faccia stare bene mi fa stare bene -sua madre l'aveva guardata evidentemente scoraggiata- Non preoccuparti. Sul serio. C'è la Zia, ci sono gli altri, io sto bene.» Sua madre le aveva sorriso e Veronica era salita su per le scale, andando poi in camera sua e chiudendosi la porta dietro le spalle.

Veronica avrebbe voluto risciaquarsi, non che puzzasse o avesse i capelli presi in uno stato tale da doverli lavare, si era fatta una doccia dopo aver mangiato la sera prima, però si sentiva addosso un'agitazione tale che solo una doccia sarebbe riuscita a calmarla, a portarle via lo stress della pelle. Si era guardata allo specchio dell'armadio e, aprendone un anta, aveva cominciato a spogliarsi. Appena si era cambiata l'intimo aveva messo il profumo (dietro al collo, davanti, suoi polsi, sugli avambracci, sul seno, sul retro delle ginocchia) e poi il deodorante, quindi si era prodigata a guardare dentro l'armadio. Alla fine, dopo una decina di minuti in cui era rimasta ferma a guardare l'interno dell'armadio come se stesse pregando, aveva preso una canottiera, un maglione verde pastello, leggermente più scuro di un verde pastello normale, con dei bottoni in legno chiaro, un paio di mom jeans neri e le dr martens, perché se non aveva idea di coma mettere prendere i primi vestiti che le capitavano sotto mano era la scelta più adeguata. Almeno quella volta non era venuto fuori un abbinamento come quello di un paio di settimane prima, quando tirando fuori delle cose a caso per vestirsi si era ritrovata in mano dei pantaloni a scacchi stretti, marroni e grigi, con una maglia viola, una felpa verde fluo con cerniera e le vans nere, e le uniche cose che aveva tenuto poi veramente in ciò che aveva indossato erano state le vans e i pantaloni. Veronica, dopo aver deciso un cambio di maglia che stesse bene con i pantaloni, aveva preso il cellulare che aveva abbandonato sopra il letto e lo aveva messo dentro alla borsa di tela nera, nessuna stampa sopra a questa, che aveva deciso di utilizzare quel giorno, insieme al portafoglio, il suddetto cambio e altre cose che c'erano già dentro la borsa (chiavi, fazzoletti, burrocacao, alcuni trucchi). L'unica cosa che aveva fatto prima di scendere di nuovo in salotto era stata quella di andare in bagni e truccarsi. Non che ci avesse messo molto nemmeno a fare quello, si era semplicemente applicata un po' di correttore dove serviva, il mascara, un eyeliner fino, perché non era esattamente il giorno giusto per trucchi troppo eccessivi o particolari, non si era messa nemmeno un rossetto e quindi, dopo aver spento la luce, era semplicemente uscita dalla stanza, si era chiusa la porta dietro le spalle ed era scesa in soggiorno, dove tutti aspettavano lei.

«Sei come sempre lenta come una lumaca.»

Aveva scherzato Leonardo, e Veronica gli aveva sorriso come a dirgli di starsene in silenzio. Pochi minuti dopo si erano ritrovati tutti in macchina, Angela e Greta davanti, Leonardo, Veronica e Francesco dietro. Non stavano stretti perché comunque la macchina di Angela era grande, ma Veronica si ritrovava comunque a tendersi contro il finestrino, non ancora del tutto sicura di quello che stava per succedere. Ovviamente sapeva quello che stava per succedere, ama la verità più semplice era quella che aveva paura di come avrebbe potuto reagire Leonardo. Perché era vero, si conoscevano da ormai tre mesi, ma non sapeva ancora come reagisse a cose del genere, e per quanto si fidasse di lui allo stesso tempo aveva una remota e incontrollabile paura. Si era appoggiata tutto al finestrino, la fronte contro il vetro freddo e le mani incrociate sulla pancia. Leonardo, di fianco a lei, aveva visto il suo modo nervoso di stringere le dita tra loro e, per calmarla, le aveva preso una mano ed aveva fatto intrecciare le proprie dita con le sue, facendole delle carezze sul dorso della mano con il pollice. Veronica, da che era con il volto verso la strada, si era voltata verso di lui e gli aveva sorriso, poi era tornata nella sua posizione iniziale ed era rimasta in silenzio, gli occhi che pian piano si chiudevano. Leonardo le aveva tenuto la mano tutto il tempo percependo il suo nervosismo, e svariate volte, tra una chiacchiera e l'altra in cui suo fratello e sua madre lo coinvolgevano, girava il volto verso Veronica, assicurandosi che stesse dormendo pacificamente, giustificando il proprio comportamente guardando poi fuori sia da un finestrino sia dall'altro. Si era trattenuto dall'esporsi troppo verso di lei con tutte quelle persone di fianco, che avrebbero potuto vederlo entro due secondi, ma aveva continuato ad accarezzare il dorso della sua mano, aveva perfino utilizzato l'altra mano ad un certo punto, disegnando forme immaginarie lungo il suo palmo e il suo avambraccio. Le due ore e mezza di viaggio, così, erano trascorse abbastanza tranquillamente. Si era addormentato anche lui per certi brevi periodi di tempo, non stimolato intellettualmente da niente. Si erano fermati solo una volta quando sua madre aveva avuto voglia di caffè, ma in ogni caso lui e Veronica erano rimasti in macchina. Lei perché dormiva e lui perché di scendere o del caffè non aveva proprio nessuna voglia.

Quando erano arrivati a Bergamo avevano fatto una strada che Leonardo, per quella volta c'era venuto, non ricordava di aver percorso. Tuttavia ricordava in maniera abbastanza dettagliata il quartiere in cui si trovava la casa di Veronica, ed era quasi sicuro al cento per cento che entro poco si sarebbero ritrovati proprio lì. Era un quartiere carino, tranquillo, da quello che aveva capito, un po' per le indicazioni che gli aveva dato Veronica quella volta un po' per i cartelli che aveva visto quel giorno, si trovava verso Città Alta, in ogni caso le case lì non erano per nulla male così, quando avevano oltrepassato il cancello della casa, Leonardo non si era affatto stupito che la casa di Veronica non fosse considerabile come piccola. Leonardo, mentre sua madre parcheggiava la macchina nel garage, aveva svegliato Veronica scuotendola dolcemente dalle spalle. La ragazza si era svegliata abbastanza velocemente, si era guardata intorno per almeno cinque secondi ed, quando aveva capito che erano arrivati, era scesa quasi di corsa, sgranchendosi le gambe e le braccia. Leonardo aveva sorriso guardandola mentre anche lui scendeva dalla vettura. Sua zia gli aveva condotti fuori dal garage e poi alla porta di ingresso che, come si ricordava, si trovava lì poco distante. La struttura della casa era leggermente più complicata della propria: appena entrati si vedeva la media vetrata che dava sul piccolo giardino che avevano, se si voltava il volto a sinistra prima c'era il tavolo da pranzo, composto da sei sedie e un telo bianco momentaneamente messo per non far impolvevare il mobile, poi c'era un muretto, alto circa un metro e venti forse, e dietro a questo un divano ad L, con la parte più lunga appoggiata su tutta la lunghezza del muretto e davanti alla parte corta stanziava la televisione a muro, di fianco a questa una piccola libreria ad angolo che conteneva però solo cd e vinili. Guardando invece a destra si poteva vedere la cucina, ampia e illuminata da una finestra che puntava proprio sul tavolo da pranzo, il piano cottura era ad angolo e si trovava proprio affianco alla sopra citata, affianco a questo il piano della cucina era lungo almeno due metri ed era in marmo rosa, si interrompeva poi perché c'era il frigo. Nessun mobile sulla parete opposta ma solo un quadro raffigurante un lago con una persona girata di spalle. Continuando poi, sulla parete opposta a quella della tv c'era una credenza e affianco a questa una porta scorrevole che portava ad un corridoio, la prima stanza a sinistra era la stanza di Veronica, quella a destra era di sua Zia e infine, proprio alla fine, il bagno. Essendo ad un piano, per quanto grande, sembrava più piccola della sua, ma in realtà erano circa grandi uguali. Si erano fermati un po' a casa prima di ripartire, anche se non ci erano rimasti a lungo e soprattutto erano andati via a piedi.

Veronica, appena aveva avuto modo di rimettere piede in casa sua, si era sentita felice, appagata, tranquilla. Perché quello era il suo posto e nessuno avrebbe mai potuto cambiare quella cosa. Si era distesa sul suo letto per almeno dieci minuti dopo aver tolto il lenzuolo bianco che gli era stato messo sopra. Poteva perfino ancora sentire il profumo dell'ultimo ammorbidente che aveva usato per profumare le lenzuola. Aveva abbracciato il proprio cuscino, stringendosi a lui come si sarebbe potuta stringere a suo padre, come alice avrebbe potuto stringere lei, ed aveva versato solo una lacrima prima di tirarsi in piedi, sistemarsi un attimo, controllare nello specchietto che aveva sopra la scrivania, anche quello prima coperto da un telo che aveva precedentemente tolto, se il trucco era a posto e poi era uscita, chiudendosi la porta alla spalle e trovando Francesco che tornava dal bagno.

«Tutto bene?» Il ragazzo moro l'aveva guardata con un cipiglio interessato sul volto

«Sì, è solo strano essere qui dopo tanto.» Francesco aveva sorriso, arruffandole i capelli per poi stringerla in un abbraccio

«È normale che tu ti senta così considerando anche che giorno è oggi» Veronica aveva annuito contro la sua maglietta per poi stringere le mani a pugno su questa

«Vorrei esser potuta essere migliore...» «Quello che siamo stati ci insegna come dobbiamo essere in futuro, e non c'è niente di male in questo, i sensi di colpa ovviamente sono scontati ma non puoi abbassarti a viverci con no? Se no non è più vivere, è torturarsi.» Veronica aveva annuito e Francesco le aveva dato un'ultima carezza prima di riaccompagnarla in salotto, dove c'erano anche tutti gli altri.

C'erano voluti pochi minuti da quel momento in poi perché uscissero di casa e la chiudessero a chiave. Avevano fatto tutta la strada a piedi, quindi oltrepassato il cancelletto sua madre si era messa come capo fila. Quella camminata era stata più come un piccolo viaggio turistico, perché se Veronica era stata più in silenzio sua madre non si era trattenuta dal parlare nemmeno una volta ed aveva spiegato ogni cosa tra quelle che incontravano filo per segno, fino a quando, dopo spiegazioni su spiegazioni e una trentina di minuti di camminata, non erano arrivati davanti al cimitero. Veronica aveva guardato Leonardo e quasi gli era parso di poter vedere le rotelle che gli giravano nella testa e che, circa ogni cinque secondi, scattavano per riuscire a collegare tutto. La ragazza aveva fatto segno a sua madre che voleva compare lei i fiori e a Leonardo di rimane con lei; quindi, mentre Greta, Angela e Francesco andavano dentro, lei e il ragazzo si avviavano verso il signore che gestiva la vendita dei fiori, l'uno di fianco all'altra.

Veronica aveva preso con calma i fiori, un mazzo di garofani rossi e un mazzo di orchidee, sempre rosse. Poi, dopo aver pagato il mazzo di fiori, con i loro familiari più avanti, lei aveva avuto il coraggio di parlare.

«Avevo una sorella, quando ero piccola. L'opposto di me. Completamente diversa. Lei aveva fisicamente preso tutto da mia madre sai, i capelli chiari, gli occhi, il naso, la forma del viso, eppure sembrava avere solo i suoi tratti negativi, o quelli che noi, io, meglio io, identificavo come negativi. Litigavamo sempre per una cosa o l'altra, e finiva che non ci parlavamo per giorni, entrambe troppo testarde. -Veronica aveva sospirato, l'aria nei polmoni le si faceva pesante- Eravamo troppo diverse per riuscire ad andare d'accordo, e gli unici momenti in cui mi sentivo libera era quando non c'era. Alice, si chiamava Alice, aveva tutte quelle caratteristiche che io non trovavo giuste, tutte quelle cose che per me erano eccessive e che quando era in casa non sopportavo. Non ho mai cercato veramente di essere una brava sorella, forse all'inizio, quando ancora buona parte del suo carattere non si era formato. Una sera, di un giorno qualsiasi in cui aveva danza, mio padre è andato a prenderla, io ho preso tutto da lui, i capelli, l'azzurro sporco, persino le occhiaie. -Aveva riso nervosa- Non sono tornati quella sera, erano in macchina e un autista ubriaco, senza nessun faro accesso, gli è andato addosso. Nessuno dei due è morto nell'impatto, mio padre mi aveva perfino chiamata poco prima, era deconcentrato perché mi stava chiamando, e io ho sentito tutto. Il rumore dell'impatto era... Era... È stato semplicemente orribile, ho sentito quello e poi nient'altro. Quando è arrivata a casa dal lavoro mia madre è stata chiamata e siamo andate in ospedale. Mia sorella era in coma, mio padre si stava dissanguando, e nessuno poteva fare niente. Sono stata portata via, mi hanno messo in una stanzetta che doveva essere isolata e invece, ore dopo, ho sentito da alcune infermiere che erano morti. Entrambi. Quel giorno era oggi di quando avevo dodici anni, quattro anni fa. -Ad un certo punto Veronica si era fermata, così aveva fatto anche Leonardo, lateralmente dietro di lei. Il ragazzo aveva guardato le tombe che Veronica stessa stava guardando, entrambe di marmo grigio erano grandi, una fin troppo grande per una bambina, i nomi scritti sopra erano "Davide Lisi" e "Alice Lisi". La fotografia del padre era leggermente consumata, a differenza di quella della sorella, ma si poteva ancora vedere la luminosità degli occhi e la somiglianza con quelli della ragazza che aveva di fronte, il colore scuro dei capelli, i tratti del viso.- Io vi invidio te e tuo fratello, perchè siete uniti, e sembrate volere solo il meglio per l'altro. Io vorrei solo che mia sorella ci fosse ancora per avere un rapporto così con lei, recuperare gli anni che ho lasciato andare e non perderli ancora.»

Veronica aveva appoggiato il mazzo di orchidee rosse sulla tomba di suo padre e quello di garofani su quello di sua sorella, poi si era semplicemente girata e Leonardo l'aveva presa tra le braccia, stringendo contro di sé, appiccicando ogni millimetro di corpo l'uno all'altra. Le braccia della ragazza erano corse a stringersi intorno al suo collo e Leonardo l'aveva continuata a stringere. Il ragazzo poi le aveva alzato il viso, il modo che si trovassero fronte a fronte.

«Guardami, io sono qui. -Le aveva detto, accarezzandole il volto con le mani, passando i pollici sulle sue guance, dove un velo di lacrime si stava ormai asciugando- Non me ne andrò, per nessun motivo. Io sono qui, puoi piangere, puoi ridere, puoi urlare, e puoi sbraitarmi contro, io rimarrò qui, con te. Sono qui e rimango qui.»

Il garofano rosso rosso simboleggiava l'ammirazione, l'affetto e l'amore profondo. Nel linguaggio dei fiori, il garofano voleva dire "Il mio cuore soffre per te".
L'orchidea invece rappresentava l'amore come gratitudine.

*Corso d'acqua
**Percorso lungo il Sile
***La storia è ambientata anni dopo la fine della pandemia, le date sono basate sul calendario dell'anno appena iniziato (anche se non si svolge in questo). Tuttavia, razionalmente, ho pensato che le Videolezioni sarebbero rimaste comunque nella vita di tutti, in quanto l'opportunità di non fare giorni di assenza e di seguire nella comodità di casa non è da sottovalutare se non si ha un malessere grave.
****Citazione dal libro "Marcus, sai qual è l' unico modo per misurare quanto ami una persona?" "No." "Perderla.".

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Alla lettera L e alla lettera V ***


Leonardo non aveva mai pensato alla morte come a qualcosa di vicino a sé, non si era mai interrogato su quale dolore avrebbe provato se qualcuno di a lui caro fosse deceduto e nemmeno si era mai trovato nella condizione di essere quel tipo di supporto morale per chi era lui vicino. Tutti i parenti morti che aveva, i suoi nonni materni e suo nonno paterno, erano semplicemente passati quando lui era troppo piccolo per capire o, addirittura, quando lui non c'era. Ogni tanto ci pensava, si addolorava al pensiero di non averli mai conosciuti, ma ringraziava di non aver vissuto quel tipo di dolore, consapevole, anche solo perché osservatore talvolta di vite altrui, che sarebbe potuto essere insopportabile. D'estate, quando il sole era cocente, la casa altrettanto nonostante ventilatori e condizionatori, andava a farsi un giro in bicicletta e, più di qualche volta, passava per i cimiteri. Non aveva una particolare passione per quei luoghi, semplicemente c'era quel silenzio esasperante che gli dava tranquillità. In quei posti, quando capitava, aveva visto le più svariate scene strazianti: bambini piccoli che portavano fiori sulla tomba dei genitori, genitori che baciavano tombe di neonati, anziani che andavano a trovare il proprio compagno defunto, persone che venivano seppellite, donne, uomini, infanti o ragazzini che piangevano tutte le proprie lacrime. Eppure mai, mai nella propria vita, si era ritrovato nella condizione di essere uno di quegli accompagnatori di supporto che ogni tanto aveva visto, mai si era immaginato che ne sarebbe stato uno, e nemmeno gli era passato per la testa che avrebbe sofferto vedendo Veronica, o qualsiasi ragazza, piangere. Non era mai stato un ragazzo con amici con genitori morti, il massimo che aveva vissuto erano amici con famiglie disastrate, con genitori omofobi o divorziati da prima che nascessero. Non aveva mai dovuto consolare un amico in quel senso, non poteva di certo fare nessun tipo di battuta, non poteva fare del sarcasmo, non poteva, e non sapeva nemmeno cosa fare. Così si era lasciato andare, aveva guardato Veronica negli occhi e le aveva detto semplicemente quello che gli era venuto da dire, non che avesse pronunciato le prime parole che gli erano venute in mente, mentre incrociava le dita o che avesse mentito, semplicemente per una volta non ci aveva ragionato troppo sopra, non aveva pensato che quella frase sarebbe andata bene mentre quell'altra no. Così, da quel momento in poi, anche se non era persona da quel genere di movimenti, aveva continuato a osservare Veronica per tutto il restante giorno, aveva continuato a tenerle la mano, ad accarezzarne il dorso, a far in modo che le loro spalle si toccassero quando camminavano, e anche quando si sedevano; a pranzo aveva tenuto una mano sul suo ginocchio, e anche il quel caso, quando sentiva che cominciava a tremare, soppesava la presa, la rinvigoriva e la guardava, e lei si girava sempre verso di lui, e per tre secondi, li aveva contati ogni volta, gli occhi di una si perdevano in quelli dell'altro. Non la guardava con lo sguardo strano di una persona che provava una sorta di compassione, semplicemente la guardava, la guardava e pensava che non sarebbe mai stato il grado di allontanarla da sé, la guardava e il suo cuore batteva, la guardava e la sua rabbia, quella per cui era spesso sarcastico e indisponente con la maggior parte delle persone, si attenuava. Era successo anche altre volte che si sentisse meglio quando lei gli era vicino, che in qualche modo contorto, anche se nemmeno così tanto, riuscisse ad affievolire tutte quelle parti che per molti erano sbagliate di lui. Non si era mai tuttavia posto un vero interrogativo del perché succedesse, aveva semplicemente fatto finta di nulla, come se niente accadesse, anche se era palese che in realtà qualcosa cambiasse. Non si definiva una cattiva persona Leonardo, antipatico forse, non pienamente empatico o poco comunicativo, distante e talvolta freddo, ma mai cattivo, eppure gli altri lo vedevano così; ma lei, fin dall'inizio, non aveva mai tentato, o almeno gli era sembrato, di dargli un'etichetta precisa e questo gli aveva lasciato libero spazio di essere con lei per come si sentiva con lei. Le reazioni sono spesso una diretta conseguenza di quello che si prova e lo stesso era per Leonardo, non che fosse diverso in quel senso da qualsiasi essere umano presente sulla terra. Però, c'era comunque un però, con qualsiasi altra persona che non fosse lei, che non fossero i suoi amici o la sua famiglia, Leonardo si dimostrava semplicemente per quello che era in prima facciata, senza mostrare anche le proprie gentilezze. Spesso le persone dopo aver ricevuto gesti di gentilezza si aspettavano altri gesti di gentilezza, come se fosse scritto da qualche parte che mostrarsi una volta gentile con qualcuno fosse una firma su un trattato che deliberava che una persona dovesse essere gentile per sempre. Non era così, Leonardo non voleva che fosse così, perché in quel caso avrebbe dovuto mettere una maschera, nascondersi e non essere sé stesso, perché lui sapeva essere gentile ma solo con chi se lo meritava. Quindi non tentava nemmeno di mostrarsi gentile con chi lo categorizzava come una "cattiva" persona, a esempio Giada, perché era palese ciò che lei pensava di lui, ed era quindi logico che si fosse lasciato andare con qualcuno che non gli aveva messo etichette. Dopo il pranzo Veronica e Greta avevano passato un po' di tempo madre-figlia, come era giusto che fosse, e infatti Angela aveva trascinato via entrambi i suoi figli fino a circa l'orario di cena, quando Greta aveva l'aereo. Quando erano tornati a casa di Veronica quella stava dormendo sulle gambe di sua madre, che, con una sguardo addolorato, lo sguardo di chi era consapevole del dolore degli altri tanto quanto era a conoscenza del fatto che non fosse in grado di attenuarlo, le accarezzava un sopracciglio in maniera regolare. A Francesco era stato dato il compito di svegliare Veronica, Leonardo doveva chiudere tutte le porte e le finestre di casa che erano state aperte, oltre a rimettere i teli bianchi per la polvere sopra ai mobili da cui li avevano tolti, Angela e Greta avevano caricato le valigie di quest'ultima in macchina. Il sole era ormai calato da un pezzo quando Leonardo, seduto di fianco a Veronica nella macchina di Angela, mentre erano in viaggio per tornare a Treviso, aveva continuato a stringerle una mano, senza mai lasciarla. Un po' per riprendersi indietro il tempo in cui non aveva potuto starle a fianco. Non che ne facesse la colpa a qualcuno, ovviamente. Le cose quel giorno, nonostante che giorno fosse, erano andate abbastanza bene.

Quando erano arrivati a casa era notte fonda, circa l'una del mattino, e Leonardo, scacciando anche malamente Francesco, aveva preso in braccio Veronica per portarla in camera sua, visto che si era addormentata di nuovo. Aveva fatto le scale con estrema calma, suscitando anche una risata da parte di sua madre che, quando lui si era girato a guardarla, aveva fatto finta di nulla mente metteva a posto alcune cose in soggiorno, Leonardo provava in realtà paura riguardo al poter perdere l'equilibrio. L'aveva messa sotto alle coperte, coprendola bene, per via del freddo stagionale, e poi era andato in camera sua senza dire una parola. Si era cambiato, mettendosi dei vestiti adatti per dormire, e si era disteso sul letto nel buio della sua camera. I minuti erano passati e i suoi occhi non si erano chiusi, anzi, appena le proprie ciglia superiori incontravano quelle inferiori il senso di sonno che pensava aver percepito di estingueva, spegnendosi veloce come la fiamma d'una candela lasciata sotto alla pioggia. Non c'era niente di più pericoloso della notte per pensare, Leonardo lo sapeva, ma per quanto provasse, tentasse e si perdesse nel tentativo di spegnere la propria mente quella rimaneva lì, accesa. La mente del ragazzo era volta sul sogno fatto in gita. Leonardo non sapeva molte cose su situazioni come quella. Anzi, avrebbe anche potuto dire di non saperne nulla: non era mai stato infatuato, innamorato o devoto a qualcuno, nessuno aveva suscitato il suo interesse e lui non aveva mai avuto nessun tipo di relazione o rapporto, fisico mentale che fosse. Si era accorto da un po' di tempo di preoccuparsi per Veronica più del normale e che ogni volta che succedeva aveva bisogno di una conferma fisica del fatto che lei ci fosse. Aveva notato come il proprio sguardo la cercasse ogni volta che non erano soli o quando si allontanava. Dentro si sé aveva percepito qualcosa che non aveva mai conosciuto, e quelle sensazioni che lui provava erano cose talmente profonde che aveva paura persino nel provare a capirle. Poi, in aggiunta, anche quel sogno, tipologia che non aveva mai affrontato. Da una parte Leonardo avrebbe voluto allontanarsi, mettere le distanze, cercare di non avvicinarsi a lei, avere il minimo di contatto possibile come era stato all'inizio, anche se, a ricordare gli episodi del primo mercoledì di scuola e quella volta in cui le aveva fatto fare le chiavi, nemmeno in quel periodo ci riusciva, dall'altra avrebbe voluto semplicemente avvicinarsi ancora di più a lei; sapeva poco, e quel poco che sapeva gli era stato rivelato dopo mesi e mesi di conoscenza, di quello che era stata perché l'aveva conosciuta solo per come era, era cambiata in quei mesi quel giusto per avere un rapporto abbastanza aperto con tutti coloro che considerava amici e, se era il caso, tornava fredda con chi non conosceva. La prima domanda che aveva provato a porsi era stata domandarsi perché il primo giorno non fosse andato con sua madre e Francesco a prenderla, perché avesse deciso di organizzare su due piedi un'uscita di cui aveva già accennato tante volte per mettere delle basi e non farla sembrare campata per aria, si era dato la risposta piuttosto rapidamente, anche perché in realtà l'aveva già pensata mesi prima: non la voleva nella propria vita, e non andarla a prendere significava già imporre un muro. Aveva sorriso ironico a sé stesso mentre si tirava convulsamente una ciocca di capelli. Quel muro, che non era un muro ma era sempre stato solo un segno di gesso bianco per terra, ad indicare dove avrebbe dovuto esserci quella struttura forte per dividersi, era stato distrutto ancora prima che lui potesse anche solo cominciare a costruirlo. Sua madre gli aveva imposto di stare vicino a Veronica, di non lasciarla, di prendersi cura di lei e di non trattarla come trattava sempre la maggior parte delle persone. Leonardo lo aveva fatto e quello aveva portato soltanto ad un avvicinamento, dal giorno in cui le aveva fatto fare le chiavi di casa, quello stesso in cui aveva avuto per la prima volta un contatto fisico prolungato con lei, a pochi minuti prima, al loro, momentaneo, ultimo contatto prolungato. La verità però, si era reso conto, era che lui aveva cominciato a sentire veramente qualcosa da quando lei lo aveva aiutato in fisica, qualcosa di ingiusto, sbagliato, irrisolvibile, e lo aveva sentito di nuovo, in modo più forte e intenso, da sua nonna quando lei era stata male e poche settimane prima, quando si era fatto mezza città a piedi per lei. Momenti, istanti, frammenti che al susseguirsi l'uno dell'altro avevano portato nuovi sentimenti. Avrebbe potuto rendersene conto anche prima di quale direzione stava perseguendo, di quali rischi avrebbe portato ignorare tutto. Probabilmente era in quell'occasione, quando aveva pensato di voler conoscere la ragazza più di quanto non la conoscesse in quel momento, che avrebbe dovuto interrogarsi, chiedersi perché lo volesse così tanto e rendersi conto di dove sarebbe arrivato. Tuttavia non lo aveva fatto, e ora si ritrovava in quella condizione scomoda. Leonardo aveva sospirato, tirandosi i capelli indietro in un gesto nervoso e si era distaccato dalla parete alla quale si era appoggiato, respirando pesantemente dal naso. C'era qualcosa che scattava nell'aria quando erano insieme, solo solo due, come se qualcosa, simile ad un nastro trasportatore, li portasse avanti senza la loro volontà, contro i loro stessi pensieri, beffeggiandosi dei loro sentimenti, e Leonardo se ne era accorto solo in quel momento, mentre ripercorreva tutte le giornate e tutte le ore che avevano passato insieme solo loro due. Si era sentito tremendamente caldo, scottante, e la testa aveva cominciato a girargli ricordando un particolare che non aveva preso in considerazione: l'aveva quasi baciata, volontariamente. Gli si era annebbiata la mente quella volta, da sua nonna, quando se l'era quasi vista svenire davanti, e il suo intero raziocinio era andato a farsi benedire, probabilmente dal vescovo di Venezia. Si era appoggiato alla parete sentendo la testa duolergli e il corpo raffreddarsi immediatamente, coinvolgendolo in un gelo pari a quello che c'era solo il primo dell'anno. Non era doloroso ammettere che c'era qualcosa che lo univa a lei, che c'erano dei veri e propri sentimenti in ballo, anche se erano sconosciuti, eppure c'era qualcosa, qualche consapevolezza o paura recondita, che gli stava facendo male.

Leonardo, inoltre, covava altri timori. Che più che timori non erano altro che la diretta conseguenza della scoperta di un fatto tragico da chi aveva vissuto eventi scandalizzanti a propria volta. Un po' alla pari di come si era stata tormentata Veronica, tra la voglia di raccontargli quella parte della propria vita e l'irrefrenabile timore della sua reazione. Leonardo sentiva la spiacevole sensazione di essere in obbligo morale, da quel giorno in poi, di raccontarle di sé più di quanto non avesse già fatto, anche se non aveva fatto molto nella concretezza dei fatti. Si era un po' arrabbiato con sé stesso, dicendosi che se lei gli aveva raccontato quelle cose non significasse che lui non potesse prendersi altro tempo per potergliene parlare. Non era obbligato in modo concreto, e i sensi di colpa erano fasulli. Aveva cercato di convincersene mentre questi, nella realtà dei fatti, gli facevano venire dei brividi sulle braccia. Aveva provato a non pensarci, si era messo sotto le coperta, coprendosi fino alle spalle. Quello che in realtà non ammetteva, quello che in realtà non voleva ammettere, era che aveva paura che Veronica vedesse la sua persona, la personalità, come l'emblema di ciò che era capitato a lui e alla sua famiglia, temeva, in modo indipendente da Veronica stessa ma dipendente da ciò che sentiva per lei, che lo vedesse come la derivazione dei maltrattamenti. Leonardo, quindi, aveva paura che Veronica snaturasse la sua natura e la percepisse come la derivazione di un trauma. Era ovvio che Leonardo avesse avuto un trauma, che questo avesse inciso sul suo essere e sul suo modo di comportarsi, come la paura di farsi toccare e di toccare le persone con cui non avesse confidenza, ma il suo trauma non era lui. Certe sue azioni, alcuni suoi comportamenti, potevano certo derivarne, anche se non era una giustificazione adatta per continuare ad avere quei modi di fare. Voleva solo che lei lo vedesse come lo aveva sempre visto, anche se molto probabilmente non sempre era stata positiva o eccelsa, e che lo trattasse come lo aveva sempre trattato. Pensare a suo padre, pensare alla sua famiglia, in ogni caso, era stata una diretta conseguenza e tra lo scorrere dei momenti sereni passati insieme Leonardo si era fissato su un ricordo in particolare: erano al mare, lui nuotava in mezzo alle onde per raggiungere suo fratello che si trovava più a largo, sua madre li osservava dalla spiaggia e suo padre se ne stava nel mezzo della distanza che divideva i due fratelli, tenendoli sott'occhio nel caso uno dei due avesse avuto, in uno sfortunato caso, bisogno del suo aiuto in qualsivoglia modo. Era stato inevitabile, per lui, pensare a come poter sostituire quel ricordo con uno che gli causasse meno tristezza, con uno che, negli anni, non avrebbe rimpianto o con cui non si sarebbe sentito nostalgico in quel particolare modo, perché la sensazione che gli attanagliava lo stomaco era di pura agonia per la perdita di un qualcosa che non sembrava essere nemmeno cominciato, così gli era venuta in mente Veronica, il suo sorriso gentile, i suoi occhi azzurri e i suoi capelli neri, la sua intera figura gli si era palesata nella mente, scacciando qualsiasi sensazione sentisse e rimpiazzandola con un sentimento che sapeva di affetto. Nello stesso modo anche un'idea, forse per nulla geniale, aveva fatto capolino tra i suoi pensieri: avrebbe portato Veronica al mare, e se ne infischiava se fosse Lunedì, Mercoledì o Sabato, non gli importava se sua madre se la sarebbe presa e lo avrebbe sgridato e non gli interessava nemmeno di Francesco. Avevano raggiunto un certo rapporto strano quei due, un rapporto che era al pari di quello di un fratello e di una sorella, Francesco aveva saputo addirittura prima di lui quello che Veronica aveva passato, quello che le era successo, aveva guadagnato un tipo di fiducia che lei non aveva palesato nei confronti di Leonardo, ed era assurdo quanto inqualificabilmente squallido il fatto che, fino il giorno prima, Leo fosse stato irritato, innervosito e invidioso di quei tipo di rapporto. In quel momento, però, preso atto di sé stesso, si rendeva conto che essere visto da lei come un fratello era una delle cose che avrebbe potuto fargli forse più male. Si era girato, guardandosi attorno per trovare l'orologio, quello, sopra il comodino, segnava le tre di notte passate. Leonardo non restava mai sveglio fino a notte fonda, capitava quando usciva la sera, quando andava alle feste, quando si fermava a casa dei suoi migliori amici, ma se era a casa sua, in periodo scolastico, tendeva sempre a volersi un po' più bene che male, per quanto quel male potesse essere relativo, così si era dato come limite l'una o massimo l'una e mezza per andare a dormire. Per questo quella era, per lui, un orario fin troppo attardato. Si era sistemato meglio tra le coperte, mettendosi a pancia in giù, le braccia dietro al cuscino per sollevarlo un po' di più, aveva chiuso gli occhi e tutto era scomparso, la luce, i rumori, il suono stesso del suo respiro, il tatto. Tutto si era appiattito fino a scomparire. Era solo lui, in quel momento, con i propri incubi. C'erano periodi un cui erano più frequenti, subito dopo che i suoi genitori avevano divorziato ne faceva moltissimi, ogni volta che chiudeva gli occhi e la sua mente si rilassava tutto quello che vedeva erano scene di quella che era stata la sua vita ma storpiate in peggio: ogni volta suo padre era più alto, più brutto, più cattivo. Dopo un po' aveva smesso di farne, si svegliava non ricordandosi cosa aveva sognato (e stava bene così), ma l'inverno successivo erano tornati, e quello dopo ancora, e quello dopo ancora, tornavano ogni inverno e smettevano ad ogni primavera. Non cambiavano mai veramente, erano sempre gli stessi. Quello che ogni volta lo stordiva di più però non era uno in cui suo padre faceva del male a lui, a Francesco o a sua madre, non era uno in cui gli urlava contro quando fossero tutti inutili, o quando sua madre fosse una poco di buono, per non usare le sue stesse parole, non era uno che lo aveva turbato nell'immediato, ma uno che gli aveva regalato una paura che pian piano era andata crescendo: quella di essere simile a lui non solo come corpo ma anche come persona.

Leonardo si era svegliato ore dopo, la camera immersa nel buio, e per questo quando si era messo in piedi si era riscoperto tremendamente irritato. Per lui avere i balconi aperti era una regola tacita che tutti in casa conoscevano, Leonardo si svegliava meglio se c'era luce, e soprattutto si svegliava prima. In verità avrebbe potuto anche comparsi una sveglia o metterla semplicemente sul cellulare, ma odiava i rumori forti, motivo per il quale aveva il telefono in silenzioso da quando gli era stato comprato. Aveva camminato alla cieca per trovare la porta di camera e poi l'aveva aperta. Il silenzio lo aveva accolto. Fuori era mattina inoltrata, lo poteva vedere dalla finestra del bagno, ma in casa sembrava esserci solo lui. Era più che possibile, in realtà. A volte era capitato che fosse così stanco che nessuno era riuscito a svegliarlo e quindi era semplicemente rimasto a casa. Il problema, quella mattina, era che aveva un piano, e il piano era appena andato a finire nel cestino della spazzatura. Era sceso in cucina controvoglia e gli era quasi venuto un infarto quando aveva visto Veronica seduta sul tavolo della cucina. Quando era passato davanti camera sua aveva cercato di vedere se lei ci fosse, ma gli era sembrato tutto come quando era agli allenamenti quindi non gli era nemmeno passato per l'anticamera del cervello che lei potesse essere a casa. Anche perché non se la immaginava Veronica a saltare un giorno di scuola con quel suo perfezionismo che ostentava. Si era avvicinato piano, le aveva sfiorato un avambraccio per farle intuire che c'era anche lui e lei si era appoggiata a lui. Non che ne fosse sorpreso.

«Andiamo al mare?» Leonardo era rimasto un attimo spaesato, come se qualcuno gli avesse detto una frase per poi contraddirla. Le sopracciglia gli erano scattate verso l'alto.

«Eh?» Veronica aveva fatto spallucce e si era allontanata leggermente

«No niente, una cosa stupida»

«No, non è vero, possiamo andarci -lei si era girata verso di lui, gli occhi illuminati- Ci sono le corriere per Caorle, basta controllare gli orari, prepararci, comprare i biglietti e andare. Dobbiamo rientrare prima delle nove però, Francy non può reggere per molto tempo alle domande di nostra madre se non ha una via di scampo» Veronica aveva riso, e a Leonardo era passato di mente il pensiero di baciarla. Si era rifiutato mentalmente di approfondire quel pensiero, anche se più lei gli stava appiccicata più lui si doveva sforzare. Si era allontanato di un passo, poi di due, fino a quando non era arrivato al bancone della cucina.

«Controllo gli orari, allora -lui aveva annuito, intendo a farsi un caffè- la prima corriera dopo adesso che sono le nove è alle nove e trenta»

Lei gli si era avvicinata per mostrargli gli orari, ma lui si era leggermente spostato.

«Credevo l'avessimo superata...» e Leonardo si era sentito in colpa.

«Mi stavi per pestare un piede -lo aveva detto un po' a caso, cercando di sviare il discorso e non farla sentire a disagio- guarda» aveva guardato in basso, facendole notare che gli avrebbe sul serio pestato un piede. Avrebbe voluto ridere, perché una scusa migliore l'avrebbe potuta trovare anche un bambino di cinque anni, ma Leonardo non sapeva come altro fare. Che doveva dirle? Scusarsi perché aveva capito di provare qualcosa e che voleva solo che quel qualcos'altro che avevano non andasse perduto? Sarebbe stato peggio che confessarsi, che poi cosa c'era da confessare se nemmeno lui capiva bene cosa provava, veramente o gridarglielo direttamente in faccia.

Avevano parlato per altri minuti, poi Veronica era andata al piano superiore per cambiarsi e sistemarsi, lui invece era rimasto lì, a contemplare le mille ragioni per cui cominciava a dubitare di sé stesso. Quando aveva sentito l'acqua della doccia quasi aveva voluto darsi un pugno in faccia. Era vero, il tempo con lei era il tempo più leggero che riuscisse a vivere, quello con meno pensieri che gli frullavano nella mente, ma allo stesso tempo c'era un incoerenza su come si sentiva quando voleva smettere di pensare a lei. Voleva riuscire ad essere come era sempre stato, ma sapeva che non fosse facile perché con lei non era mai stato, anche se non da subito, come era stato con gli altri. Probabilmente non sarebbe riuscito ad essere nemmeno come era prima dopo quella notte. Si era imposto di smettere di pensare a lei, aveva preso il telefono ed aveva giocato fino a quando lei non lo aveva avvertito che il bagno fosse libero. Leonardo era andato in bagno, cercando di non pensare che quel posto profumasse di lei e che non solo il suo olfatto lo avesse percepito.

Meno di dieci minuti dopo Leonardo era sceso vestito, profumato e con i capelli biondi bagnati, quindi più scuri. Veronica era seduta sul divano e non sapeva bene che cosa fare. Aveva detto quella proposta a caso, pensando che lui non avrebbe mai accettato, certa che le avrebbe riso in faccia e lasciata sul tavolo nemmeno non l'avesse vista, ma aveva accettato e stavano davvero per andare al mare.

Erano usciti di casa tardi, avevano corso per arrivare in orario, riuscendo per il rotto della cuffia a comprare due biglietti e poi erano saliti.

Veronica non amava particolarmente il mare, preferiva di gran lunga la montagna, però era decisamente troppo distante per poterci andare così, su due piedi. Non sapeva nemmeno bene perché glielo avesse proposto, sapeva solo di voler passare del tempo con lui. Si era stupita del modo in cui Leonardo si era comportato nella giornata appena passata, come si fosse preso cura di lei tutto il giorno di come non l'avesse lasciata nemmeno un attimo, facendole sentire la propria presenza in qualunque momento. Non era qualcosa che si sarebbe aspettata, Veronica non si aspettava niente in realtà, anche se sperava che lui non avrebbe provato pietà. La pietà era il peggior sentimento che qualcuno potesse provare nei confronti di qualcun altro, e scaturirlo era forse peggio ancora. Era una partecipazione sterile al dolore altrui, una compassione dura, che non aveva nulla a che vedere con l'empatia o con il riuscire a capire come qualcun altro si sentisse. Un sentimento del genere, così privo di affetto o reale interesse verso gli altri, era disgustosamente diffuso, perché le persone non si preoccupavano più di come gli altri si sentissero, di quello che provavano, di come lo provavano, con quale intensità, bastava solo esprimere una comprensione cruda e superficiale per far sentire la persona capita, un interesse che non aveva nulla che vedere con il vero interessarsi, con il cercare di capire, comprendere. Veronica ne aveva conosciute di persone così, persone che apparivano svogliate nella comprensione altrui e che effettivamente lo erano, sue stesse compagne di classe o compagne di pallavolo lo erano state quando suo padre e sua sorella erano morti. Pietosi mi dispiace privi di una comprensione logica che andavano a sfociare nel inappropriata scarsità di empatia, ovvio che non potevano capirlo, ovvio che non tutti fossero dotati di quell'abilità nei confronti degli altri, ma erano state superficiali anche nel chiederle nei giorni successivi come stava. Ovviamente ognuno la pensava come preferiva, ma Veronica non era il tipo di persona che si accontentava, perché lei stessa cercava di trattare le persone al meglio delle sue possibilità, stando loro vicino in qualsiasi tipo di momento si trovassero, per questo spesso si aspettava delle cose dagli altri. Come era naturale e classico della natura umana. Si era aspettata anche da Leonardo qualcosa, in un primo momento, cioè che sarebbe stato prettamente antipatico per tutto il tempo in cui sarebbe rimasta a Treviso, poi qualcosa in lui era migliorato, anche se non smetteva di essere come Veronica lo aveva conosciuto nei primi giorni, anzi, però lei aveva smesso di aspettarsi le cose, che fossero belle, che fossero brutte o che non fossero né l'una nè l'altra, aveva semplicemente smesso. Aveva fatto un eccezione alcune volte, cercando di prevedere le mosse di lui, le sue reazioni, il modo in cui avrebbe fatto qualcosa, ma non si era mai riuscita. Leonardo sembrava sfuggire alla sua comprensione ma comprenderla guardandola in pochi secondi, anche se non in un modo empatico classico. Leonardo non cercava di mettersi nei suoi panni, non si personificava in lei come aveva fatto Giada, no, lui semplicemente l'aveva letta come se fosse stata un libro, aperta, compresa e richiusa in un modo che nessuno aveva fatto. Ed era per questo che, negli ultimi tempo, Leonardo la incuriosiva. Voleva capire come facesse, come riuscire anche lei a capire lui nello stesso modo, anche se sapeva che non sarebbe stato del tutto possibile, forse nemmeno solo in parte possibile. La curiosità era forse ciò che portava Veronica a fare qualsiasi cosa, che fosse leggere, studiare o stare con le persone. Era come una forza invisibile che mandava avanti la sua vita di tutti i giorni. Per questo gli aveva fatto quella proposta, voleva capire, ne era curiosa, di vedere Leonardo in vari ambienti. Di conoscerlo in tutte le sue sfaccettature, perché se non poteva leggerlo poteva conoscerlo, e per farlo doveva vederlo, ascoltarlo, capirlo e appuntare nella sua mente tutto. Si era girata verso di lui, guardandolo mentre, con gli occhi chiusi, se ne stava appoggiato al sedile morbido della corriera. Avevano dovuto quasi lottare per il posto vicino al finestrino, ma dopo un po' la pazienza di Leonardo si era esaurita e l'aveva lasciato a lei senza troppe storie. Si era poi seduto, avevano parlato per un po' di tempo e poi pian piano si era addormentato, una cuffia sola nelle orecchie perché l'altra la condivideva con lei. Non le dispiaceva affatto. Veronica gli aveva spostato una ciocca di capelli da sopra agli occhi con un gesto veloce della mano, ma poi aveva appoggiato quest'ultima sulla sua guancia calda. Lo aveva sentito rabbrividire, prima allontanarsi leggermente e poi spingersi verso il suo palmo. Era sveglio, Veronica lo sapeva, il suo respiro era cambiato e lui stesso aveva cambiato leggermente postura, e quella che aveva in quel momento non era per nulla comoda. Lei aveva fatto finta di nulla, gli aveva accarezzato la guancia, la mano che le tremava un po' e quando lui aveva aperto gli occhi era stata come congelata. Leonardo le aveva sorriso, gli occhi quasi socchiusi, e si era semplicemente spinto contro la sua mano, intimandole di continuare. Lei lo aveva fatto fino a quando non si era addormentato di nuovo, cadendo in sonno più profondo di quello che era stato il precedente. Aveva spostato la mano poco dopo essersi assicurata che stesse dormendo. Il palmo era caldo e quasi le pulsava, ma era una bella sensazione. Veronica si era appoggiata con la fronte al finestrino, aveva guardato fuori, poi si era messa a leggere sul telefono e non si era nemmeno resa conto che il tempo fosse passato velocemente quando, finalmente, avevano raggiunto Caorle. Erano state due ore di viaggio abbastanza brevi per quel che la riguardava. Probabilmente per Leonardo lo erano state anche di meno. Lo aveva visto guardarsi intorno quasi spaesato, prima che gli occhi gli scintillassero come se avesse appena visto l'acqua dopo tre giorni nel deserto.

«È il tuo posto speciale, questo? -Veronica lo aveva detto quasi scherzando- Quello in cui porti le ragazze che vuoi conquistare?» L'ultima parte l'aveva proprio detta scherzando. Lo aveva detto un po' perché aveva scelto lui il posto e un po' perché battute del genere erano il loro tema preferito.

Leonardo l'aveva guardata con un guizzo di sfida: «Se anche fosse credo che tu lo renderesti più speciale di quanto non lo sia già e di quanto lo hanno reso speciale fantomatiche 'altre', no?» Veronica era arrossita.

Una nuova vampata di curiosità si era instaurata in lei, e alcune domande, a cui non avrebbe sicuramente trovato tutte le risposte quel giorno, si erano instaurate in lei. Perché quel posto era speciale? Era vero quello su cui lei aveva scherzato o Leonardo era solo ironico? Non sembrava il tipo di persona che avrebbe portato delle persone a caso in un posto che considerava speciale, non lo era di certo, quindi, con molte probabilità stava facendo ironia su quella cosa. Ovviamente Veronica non poteva sapere che in realtà una parte di quella frase fosse più vera di quanto aveva pensato.

Caorle era una città colorata, tutti i negozi e case avevano un colore diverso e splendente, anche se quella era una stagione grigia quel giorno in solo splendeva alto nel cielo e dava giustizia a quei colori che, se fosse stato un giorno nuvoloso, sarebbe apparsa come una semplice città marittima spoglia del turismo. Era così in realtà, per le strade non c'era quasi nessuno ed erano aperti solo i negozi di prima necessità a qualche ristorante. Non era come Venezia che, in un modo e nell'altro, era sempre piena di persone in qualsiasi stagione e con qualsiasi meteo, Caorle era un città che viveva di mare e il mare d'inverno non piaceva a molti. Anche se in realtà, come le aveva detto poi Leonardo, in quel periodo c'era un'attrazione che attirava molti visitatori nel pomeriggio, e alla sera, cioè una sottospecie di luna park, una fiera con le giostre. Veronica aveva pregato quasi in ginocchio Leonardo di portarcela e, infatti, era quello che, svariati minuti dopo,Leonardo le aveva accordato. Aveva poca pazienza lui, quindi era stato facile corromperlo essendo insistente oltre il sopportabile. Veronica e Leonardo erano entrati nel primo supermercato che avevano trovato, un negozio piccolo ma abbastanza fornito, avevano fatto una spesa veloce che comprendeva pane, affettato, tramezzini, bibite; nulla di che insomma. Per il posto in cui avevano deciso di mangiare avevano optato per la spiaggia, lo avevano già deciso a casa, infatti si erano portati via due teli da mare che poi avevano steso vicino, uno per loro due e uno per gli zaini e il cibo.

Avevano passato il primo pomeriggio a gironzolare senza una meta precisa, a farsi foto con le sculture incise sulla pietra degli scogli nella lunga camminata che proseguiva alla spiaggia, poi per le vie di Caorle. Poi, quando Veronica aveva ricominciato ad insistere, verso le quattro del pomeriggio, Leonardo l'aveva accontentata.

Leonardo non amava le giostre, soprattutto quelle molto veloci, però allo stesso tempo il vuoto che gli lasciavano nello stomaco era emozionante, per questo aveva voluto partire con giostre che fossero più leggere per poi passare a cose più pesanti. In primo luogo Veronica lo aveva tirato dentro la casa degli specchi, aveva voluto farsi qualche foto che aveva ritenuto bella e poi si erano persi li dentro. Non proprio il vuoto nello stomaco che Leonardo avrebbe voluto sentire, insomma. Veronica lo teneva per mano, dietro di lui, mentre lui camminava in avanti con un braccio leggermente propenso in avanti, a evitare che si schiantasse con il naso su uno specchio che non aveva pensato esserci, come, tra l'altro, era già successo.

«Maledetta quella volta che hai deciso di venire qui dentro chattenoire»

«Smettila con sto soprannome» Leonardo si era girato verso di lei, vicinissimo a lei con il corpo e la bocca in prossimità del suo orecchio

«Lo so che in fondo ti piace -le aveva detto con tono calmo- in più non posso smettere di chiamarti così: porti sfortuna e hai i capelli neri, è il nomignoli più azzeccato che potessi trovare» Aveva riso piano mentre lei sbuffava, e poi si era voltato di nuovo. Avevano avanzato ancora e, dopo svariati minuti, erano usciti. Veronica aveva rinvigorito la stretta sulla sua mano, e lo aveva strascinato in un'altra casa.

Probabilmente era una ripicca per il nomignolo con cui continuava a chiamarla, perché l'aveva portato nella casa degli orrori. Voci, rumori e cose erano sbucate ogni cinque minuti mentre erano lì dentro, e se Veronica aveva una buona sopportazione Leonardo sembrava un bambino che vedeva un horror vietato ai minori di diciotto anni. Quando erano usciti era tremante.

«Ti ha davvero spaventato quella roba?» Leonardo le aveva sorriso sbieco

«Ad ognuno i propri difetti si dice, no? Adesso andiamo dove voglio io»

Avevano camminato per metà giostra a piedi prima di trovare gli autoscontri, che per giunta era la giostra in cui in quel momento c'erano più persone. Era la giostra in cui c'erano stati per più tempo, un po' perché quando guidava Veronica sembrava un incapace, per quanto fosse stata in diversi Luna Park gli autoscontri erano una giostra che Veronica evitava come la peste quindi non aveva mai imparato, un po' perché a Leonardo piaceva davvero troppo quella giostra.

Si erano spostati poi lì vicino ed avevano fatto il tagadà, la nave pirata e il top spin, Veronica si era sentita così male, dopo quella giostra, che avevano dovuto stare mezz'ora nella sala giochi che c'era nel mezzo della fiera.

Francesco sapeva, sapeva che sua madre lo avrebbe ucciso, che avrebbe ucciso Leonardo e che Veronica l'amava quasi più di loro quindi l'avrebbe solo sgridata. Quando aveva letto il messaggio di suo fratello era ancora a scuola però nessuno gli aveva tolto la voglia che gli era passata nelle vene di urlare quanto quel ragazzo fosse deficiente. Quello che gli aveva impedito veramente di farlo era il fatto che non voleva fare scenate e aveva ancora il professore in classe nonostante la campanella fosse suonata da più di cinque minuti. Francesco, in ogni caso, sapeva anche che suo fratello, un giorno di quelli o un giorno nel possibile futuro prossimo, lo avrebbe fatto morire, e con molte probabilità di infarto. A quel punto sperava quasi che lo ammazzasse prima sua madre per non aver controllato la persona che si trovava come fratello, lo amava ma sinceramente lo odiava anche molto, soprattutto per quelle sue idee. Come gli era venuto in mente di portare Veronica a Caorle, a due ore di strada da lì? Se volevano passare del tempo insieme non lo potevano fare a casa? Era così difficile? Potevano guardarsi un film, fare una maratona di una saga a loro piacimento, andare a fare colazione dove volevano, andare a mangiare qualsiasi cosa dove volevano. Invece no. Avevano deciso di andare a Caorle e a lasciare a lui lo spiacevole compito di intrattenere sua madre dalle otto di sera in poi, cioè l'orario in cui sarebbe dovuta, con tutte le teorie, tornare dal lavoro. Peccato che fossero le diciotto e nessuno gli rispondeva a nessun messaggio, il punto in realtà era che nessuno aveva visualizzato. Si era quasi sentito offeso, ma poi aveva semplicemente cercato di tranquillizzarsi, di respirare e di non farsi venire una crisi di nervi.

Veronica e Leonardo, nel frattempo, avevano fatto altre giostre, tra cui il The king, una giostra che aveva fatto girare loro di trecentosessantacinque gradi più volte. Inutile dire che Veronica non si era sentita molto bene, anche se si era divertita molto. In quella giornata aveva visto Leonardo sorridere più volte che in quattro mesi di fila, ed era stata una sensazione molto bella, qualcosa che le aveva riscaldato lo stomaco e il cuore in un colpo solo, per poi farla rabbrividire. Veronica amava vedere gli altri felici, perché provava felicità a sua volta e in modo molto maggiore. In quel momento, però, non era molto felice. Erano circa le sette di sera, Francesco le aveva scritto molti messaggi, l'aveva chiamata un paio di volte e sembrava davvero troppo preoccupato. Il problema era che erano bloccati sulla ruota panoramica, e l'ultima corriera per casa sarebbe partita di lì a meno di mezz'ora.

«Cosa facciamo con Francesco?» Leonardo aveva fatto spallucce

«È preoccupato per niente, siamo vivi, dopo tutto»

«E con la corriera?» Il ragazzo aveva sorriso, per poi guardandola sorridendo

«Ecco, se la perdiamo non saremo più molto vivi perché ci toccherà chiamare mia madre» Veronica aveva sorriso preoccupata, e aveva alzato le sopracciglia

«Forse non è stata un ottima idea fare la ruota panoramica, io lo avevo detto, prima» Leonardo l'aveva guardata sottintendendo che non si aspettava una frase diversa da lei in un momento come quello.

«Non puoi andare in un luna park e non fare la ruota panoramica!»

«Non si muore mica!» Leonardo aveva incrociato le braccia al petto nello stesso momento in cui la ruota si era azionata ancora

«No, certo, ma è d'obbligo come per te sono di obbligo le foto nella casa degli specchi» Veronica gli aveva lasciato un occhiataccia e poi era stata zitta, perché sapeva che la comparazione era stata giusta.

Quando erano scesi avevano corso, corso fino a quando i polmoni non avevano fatto loro male, ma, per quanto ci avessero provato, avevano perso l'ultima corriera. Non che Leonardo ne fosse felice, visto tutto quello che sua madre gli avrebbe rimproverato quando sarebbe arrivata a prenderli, a meno che non decidesse si lasciarli li. Anche se non credeva proprio, essendoci la sua protetta, però c'erano altre probabilità di una punizione, o più punizioni, che non lo consolavano affatto.

Ma Leonardo non si sarebbe pentito di nulla, perché per quanto si fosse lamentato quella era stata una bella giornata. I ricordi che aveva coltivato quel giorno sarebbero per sempre rimasti impressi nella sua mente, come un incisione fatta a fuoco sulla pelle. Il ricordo del suo sorriso, degli occhi splendenti di eccitazione, paura, tragicità, preoccupazione, divertimento. Erano emozioni che aveva provato con un qualcosa in più, come se fossero state di un livello superiore, probabilmente perché le aveva provate con lei. Aveva sorriso in un primo momento, ma poi il sorriso gli era morto quando aveva visto la chiamata di sua madre. Aveva respirato profondamente e poi aveva risposto

"Ciao ma-"

"Dove siete?" Il tono di voce di sua madre era apparentemente calmo, ma Leonardo sapeva che lei sapeva, lo aveva capito.

"A Caorle" Aveva avuto timore a pronunciare quella frase, e quasi gli era sembrato che la rabbia di sua madre potesse raggiungerlo

"E quando tornate?"

"Beh, ecco-"

"Cosa?"

"Abbiamo perso l'ultima corriera perché c'era stato un inconveniente alle giostre"

"Vi lascerei lì, se non fossi responsabile per le vostre vite, lo sai vero?"

"Si mamma, lo so, grazie di volerci così bene" e non lo aveva detto ironicamente

"Bon, arrivo, mandami poi un messaggio di dove siete" e la chiamata era stata chiusa pochi minuti dopo, in cui si erano accordati per il posto di incontro.

Si erano diretti di nuovo verso la spiaggia, in un punto ben illuminato e vicino alle giostre. Avevano mangiato ciò che avevano avanzato dal pranzo e si erano infilati su i cappotti e Veronica si era spiaccicata su di lui in cerca di calore.

«Come hanno deciso il tuo nome?» Gli aveva chiesto lei, ad un certo punto della conversazione, uscendosene con una domanda che non era comprensibile per quello di cui stavano parlando fino a poco prima. A Leonardo era venuto da ridere, ma si era trattenuto ed aveva semplicemente sorriso.

«Hanno fatto a sorte... tutte le lettere dell'alfabeto in una cesta e poi le hanno estratte due, L e E, una era la prima e l'altra la seconda. Stesso avevano fatto con Francesco, al tempo. Hanno ignorato in sesso di entrambi, fino a quando non siamo nati. Se Francesco non fosse nato maschio sarebbe stato Francesca, invece se io fossi stato una femmina mi avrebbero chiamato Eleonora. Fa abbastanza ridere, ma i miei non avevano molta immaginazione» Veronica aveva sorriso.

«Alla lettera L, allora» Veronica aveva appoggiato il capo alla sua spalla.

Quella ragazza stava alzato una lattina di Monster al suo nome, alla sua nascita, alla sua esistenza. Cosa che nessuno aveva mai fatto, stava esaltando cose che suo padre aveva sempre screditato, cose che aveva sempre messo in secondo piano e di cui lui stesso, troppo tempo addietro perché fosse pensiero anche di quel tempo, si era convinto. Leonardo, dal canto suo, voleva solo che lei fosse sua. Gli veniva quasi da piangere, ma non lo aveva fatto, aveva sbattuto le palpebre velocemente, raccogliendo sulle ciglia lacrime che non sarebbero state viste da nessuno, e non perché fosse maschio, la cazzata dei maschi che non piangono era fin superata per lui, ma solo perché non si sentiva di distruggere un momento come quello. Aveva alzato anche lui la propria lattina all'aria, entrambi puntavano a qualcosa di sconosciuto.

«E alla lettera V, che senza di lei non saresti tu» Veronica gli si era schiacciata contro

«Alla lettera L e alla lettera V»

«Alla lettera L e alla lettera V» aveva ripetuto lui.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Come un gatto nero ***


A Leonardo era già partita male la giornata dalle prime luce dell'alba, quando si era svegliato dopo nell'ennesimo ricordo tramutato in sogno, e, in quel momento, aveva la netta sensazione che di lì a poco le cose sarebbero peggiorante, non tanto perché era lui, non tanto perché era lei, ma tanto di più perché erano loro. Quel loro che nella mente di lui stava assumendo molteplici significati, molteplici immagini, ricordi, sensazioni, emozioni. Leonardo non sapeva come prenderlo, quel loro. Metterli insieme per un progetto di coppia non era stata una scelta intelligente da parte del professore di italiano, decisamente no. Eppure, a volte, a Leonardo sembrava quasi che lui lo facesse apposta, che avesse intuito cose che non doveva affatto intuire. Ecco perché Leonardo, quel sabato mattina del quindici di dicembre, guardava Veronica e il suo compagno per il progetto con uno sguardo che aveva fatto rabbrividire un po' tutti nella classe. I suoi amici, in particolare, si erano lanciati uno sguardo di intesa, e gli si erano avvicinati come se avessero paura. Leonardo, però, aveva addosso una calma glaciale in completa contraddizione con i suoi occhi, in cui infervorava un fuoco che nessuno gli aveva mai visto. Damiano e Alessandro, comunque, lo avevano affiancato e allora avevano notato cosa in realtà il ragazzo guardasse. Leonardo, dacché non si era mai interessato a nessuna persona che non rientrasse in una cerchia di pochi eletti, stava guardando il sorriso di Veronica come se volesse divorarlo. In realtà, dentro di sé, voleva solo che lei si girasse e gli sorridesse così, che le sue attenzioni fossero per lui, non per il loro compagno di classe, che la sua bocca pronunciasse il suo nome, chiamandolo, che le sua mani sfiorassero le sue di braccia per attirare la sua attenzione. Leonardo era geloso, e lo aveva ammesso a sé stesso solo in quel momento. Non era geloso perché possessivo, era geloso perché lei, solo lei, gli era entrata nella testa al pari dei ritornelli delle canzoni estive, e per quanto provasse, per quanto si sforzasse, Leonardo aveva il sorriso di Veronica impresso nella mente come un magnete era attaccato a un frigo, la leggerezza del suo tocco sulla pelle, i suoi occhi luminosi come monito per come dovevano sempre essere, e non poteva farci nulla se non desiderare che lei gli rivolgesse sempre il suo sorriso, che lo guardasse sempre con gli occhi luminosi e che non smettesse di toccarlo, di abbracciarlo senza il suo permesso, di sfiorarlo quando ne sentiva il bisogno, come ad assicurarsi che lui fosse lì. Sapeva che non poteva esser la stessa cosa con qualcun altro, ma spesso si domandava se invece per lei avrebbe potuto esserlo, se lui fosse sostituibile, cambiabile. Era quasi del tutto certo di no, che anche per lei lui fosse qualcuno di importante. Solo che provava un immenso e inqualificabile fastidio a vederla insieme ad qualcun altro. Sapeva anche che era ingiusta quella gelosia, Leonardo lo sapeva, Veronica aveva il diritto di parlare con chi volesse, quando volesse, che questa persona fosse maschio o femmina non importava, e lui non glielo avrebbe mai impedito, anche perché in un caso o nell'altro lui non aveva nessun diritto su di lei, però lo sguardo che aveva Luca quando guardava Veronica era fin troppo simile a quello che aveva Caterina quando guardava lui. Gli dava fastidio, e non ci poteva fare nulla se non stare in silenzio e sperare che Veronica non guardasse mai il loro compagno di classe come lui guardava lei. Se avesse ammesso a sé stesso la completa verità si sarebbe anche detto che in realtà era lui non voleva che lei guardasse qualcuno così perché desiderava, in modo ardente, che guardasse lui in quella maniera, che era, ad essere sinceri, lo stesso modo in cui lui guardava lei, sempre.  Leonardo, seduto sul proprio banco con una gamba a penzoli, continuava a guardare Veronica e il petto gli faceva male, lo stomaco gli bruciava e aveva la gola secca, nessuna sensazione che riuscisse a riconoscere come qualcosa che aveva già provato. Era diversa dalla gelosia che aveva provato per suo fratello, era qualcosa di più viscerale e profondo, qualcosa che non dipendeva del tutto dal fatto che qualcuno cercasse l'attenzione di una persona di cui Leonardo stesso voleva attenzione, ma dipendeva più dal fatto che fosse a rischio qualcosa che non era nemmeno cominciato, qualcosa che lui nemmeno sapeva di volere se non in modo inconscio. Aveva smesso di guardarli, concentrandosi su qualcos'altro, cercando di non girarsi. Più li guardava più il petto gli doleva. Era sceso dal banco, aveva acciuffato da terra zaino e sacca da ginnastica, e aveva avvisato Alessandro e Damiano che sarebbe andato da Andrea, e così aveva fatto. Avrebbero avuto educazione fisica nelle due ore successive che correvano a Italiano, come ogni altro sabato, ma a nessuno importava veramente di arrivare in orario o meno, anche perché la maggior parte delle volte era lo stesso professore più in ritardo di loro.

Leonardo era uscito dall'aula senza guardare in faccia nessuno, con la sacca da ginnastica e lo zaino in spalla, e si era diretto a passo svelto verso il secondo piano, non gli importava se qualcuno di sarebbe chiesto se fosse pazzo, e nemmeno degli occhi azzurri che sentiva bruciare sulla schiena.

Veronica non sapeva cosa Leonardo avesse quella mattina. Lei si era svegliata come tutte le mattina con Francesco che la spronava a fare in fretta, anche se in realtà non ce ne era affatto bisogno perché l'aveva svegliata talmente presto che lei si sarebbe potuta fare due docce e sarebbe andato comunque tutto bene. Anzi, sarebbero comunque arrivati in anticipo. Veronica si era comunque alzata cinque minuti dopo e, ancora con il pigiama, era scesa in cucina per fare colazione. Leonardo era già vestito e profumato, i capelli biondi erano bagnati e tirati all'indietro, in un modo che lui non utilizzava mai quando erano asciutti. Non le aveva parlato, o almeno: l'aveva salutata, ma senza degnarla veramente di uno sguardo e quella era stata tutta loro conversazione, perché poi lui era tornato a scrivere sul cellulare un messaggio e aveva ripreso a discutere con chicche fosse, non che le importasse ovviamente. Era passata una settimana e qualcosa di più da quando loro erano andati al mare, e in quella settimana non era accaduto nulla di sconcertante: nessun passo avanti, nessun passo indietro; da parte di nessuno dei due. Veronica non si era avvicinata a lui più di quanto non fosse già e a lui sembrava che avvicinarsi di più l'avrebbe solo fatta scappare via. Quindi era rimasto nella sua situazione di indecisione e introspezione. Dal canto suo Veronica sapeva solo che voleva Leonardo vicino a se, fisicamente, emotivamente e psicologicamente, in qualsiasi modo fosse possibile e in ogni situazione che lasciasse loro la possibilità di essere insieme. Per questo, quando il professore di italiano, che aveva sostituito quello di religione, aveva detto loro che avrebbero fatto dei lavori a coppie e trii veronica aveva subito puntato lo sguardo su Leonardo, e aveva scoperto che lui stesso la stava già guardando. Poi, tuttavia, era stato il professore a decidere chi doveva stare con chi e così Veronica si era trovata insieme a Luca, che non aveva conosciuto più di tanto in quei mesi in cui era lì, e Leonardo era finito con Anna. Veronica aveva provato fastidio allo stomaco, la stessa sensazione che anche quella volta, prima della partenza per la gita a Verona, quando aveva visto Leonardo insieme a quella ragazza che poi le aveva detto di aver rifiutato. Non capiva cosa fosse e aveva anche completamente ignorato la sensazione, mettendosi al lavoro con Luca per finire il progetto entro l'ora. Era un semplice power point sulla dipendenza dal fumo di sigaretta, e, aggiungendo anche alcuni effetti, erano riusciti a finire la prima stesura proprio prima che la campanella suonasse. Lei era rimasta a parlare un po' con il ragazzo che, facendo qualche battuta, l'aveva fatta ridere. Inconsciamente, o anche in minima parte consciamente, aveva voluto che Leonardo provasse quello che provava lei, quello che aveva provato lei, e quando lo aveva visto andarsene si era rimasta abbastanza male. Anche perché, a conti fatti e guardando anche le prime due ore di scuola, quelle in cui avevano avuto storia dell'arte, e solo storia dell'arte per fortuna e non anche disegno tecnico, lui l'aveva ignorata tutto il giorno, senza mai guardarla. Lei però voleva che lui la guardasse.

Era una cosa reciproca, anche se nessuno dei due lo sapeva.

Leonardo aveva fatto le scale con abbastanza calma: era sceso al secondo piano, dacché si trovava al terzo, e aveva atteso, vicino al bagno, che Andrea uscisse dalla proprio aula. In quel frangente il ragazzo castano aveva latino, ma era una materia per cui era portato, come le lingue in generale, e quindi anche se saltava quindici minuti nessuno avrebbe realmente fatto caso alla cosa o di certo lui avrebbe comunque capito a casa, messa la testa sui libri, quello che il professore aveva spiegato in classe senza nessuna difficoltà, e, anche se ce l'avesse avuto, aveva conosceva comunque abbastanza gente al liceo classico da poter chiedere, almeno ad uno, o una, un favore. Quando Andrea era arrivato Leonardo non gli aveva detto nulla delle sensazioni che aveva provato pochi minuti prima perché sapeva che, trai due, quello ad aver più bisogno dell'altro era proprio il castano e quindi si era concentrato su ciò che gli stava raccontando Andrea. A quanto pareva sua madre aveva avuto pochi contatti, se non nessuno, con suo padre, ma con i figli non si era mai fatta sentire, nemmeno una volta, cosa che aveva reso Andrea ancora più arrabbiato e nervoso. Capiva che sua madre potesse essere una donna senza istinto materno o che in realtà non avesse davvero voluto i propri figli, poiché, spesso, nella generazione X, per una donna essere madre era una condizione socialmente imposta che probabilmente, per far felici a loro volta le loro di madri, rispettavano. Andrea era quasi sicuro che sua madre rientrasse in quella categoria di "mamme", quelle che pensavano che solo il sostegno economico potesse vale anche come amore, che il portare a casa qualcosa da mangiare equivalesse anche al calore di un abbraccio. Tralasciando poi il fatto che avesse usato come collante i propri figli per una matrimonio che, in una maniera o nell'altra, era comunque finito male. Suo padre, che aveva appena trovato un lavoro, gli aveva chiesto la gentilezza di occuparsi dei fratelli e lui aveva accettato. Andrea doveva sempre fare buona faccia a cattivo gioco con i suoi fratelli, doveva calmarli quando li lasciava a scuola dicendo loro che sarebbe certamente tornato a prenderli, rassicurarli quando usciva con gli amici o quando portava loro dagli amichetti, anche se nessuno, se non Leonardo, Damiano e Alessandro si assicurava di fare lo stesso per lui. Dall'altro canto Andrea sapeva bene quanto sua padre stesse facendo per loro, anche se quando tornava a casa era stanco chiedeva comunque ai figli se avessero bisogno di aiuto per i compiti e se c'era bisogno li aiutava, lo chiedeva anche ad Andrea che però non dai mai, in nessuna occasione, una risposta positiva. Leonardo, a quelle rivelazioni, si era chiesto se non fosse stato anche lui una sorta di peso per sua fratello, qualcosa che non gli facesse comprendere quello che stava passando e subendo, mentalmente palando, se fosse stato, in qualche modo, causa di ulteriori malesseri. Leonardo aveva tuttavia ignorato quei pensieri, cercando di essere il più oggettivo possibile e di pensare al suo amico e non a sé stesso; aveva confortato e cercato di rassicurare Andrea come meglio aveva potuto, lo aveva abbracciato, una delle poche volte che lo faceva, e poi, solo nel momento in cui si era assicurato che andasse tutto bene, che fosse tranquillo e un po' meno pieno di tutte quelle emozioni che si stava portando dentro, e dietro, da troppo tempo, lo aveva lasciato, anche perché si sarebbero visti sia nella ricreazione che interrompeva le due ore di educazione fisica sia dopo, alla fine della scuola, in autobus.

Leonardo era sceso con tutta calma in palestra, arrivando circa una quindicina di minuti dopo, il tempo di scendere fino agli spogliatoi, cambiarsi e salire in palestra, aveva notato subito che Veronica e Luca, con cui era prima, non c'erano. Si era avvicinato a Damiano e Alessandro che, nel frattempo, erano in piedi e appoggiati con la schiena al muro che guardavano gli altri fare degli esercizi o il proprio telefono.

«Dove eri?» Damiano si era girato verso di lui quando la distanza tra di loro era ancora di due o tre passi

«Da Andrea» Lo sguardo di Alessandro era subito passato dal cellulare a lui

«Come sta?» Leonardo aveva fatto spallucce se si era portato i capelli biondi indietro con una mano

«Stanco, stressato, non compreso, cerca di essere il meglio ma non si sente abbastanza» Alessandro aveva annuito, lo sguardo basso e un po' rammaricato.

«Sabato prossimo c'è una festa a casa di Gianluca Franchetti, potremmo portarcelo -Leonardo aveva annuito ad Alessandro- tanto saremmo comunque invitati, devo solo dargli la conferma» Franchetti era un compagno di squadra di Alessandro, ed era un rappresentate di istituto (la scuola superava i cinquecento studenti, e quindi c'erano quattro rappresentati: due ragazze e due ragazzi), e spesso organizzava feste a cui invitava chiunque conoscesse, e ogni persona poteva portare un più uno, quindi la quantità di persone che c'erano alle sue feste erano ingenti. Ma era quel tipo di persona che se lo poteva permettere.

«Bon, così lo facciamo svagare un po'. Magari portiamo anche Veronica e Giada, no?» Il corpo di Leonardo aveva tremato sentendo il nuove della ragazza.

«Ad Andrea Giada piace, quindi direi che siamo a cavallo.» Alessandro aveva guardato Damiano con sguardo convinto e complice.

«Non credete che portare Giada sarebbe troppo? Dovrebbe svagarsi, non morirle dietro» Damiano lo aveva guardato male

«Magari si svaga con lei» «Faccio finta di non aver sentito» «Non è che se a te sta sul cazzo debba essere antipatica a tutti quanti, Leo. Tu puoi considerarla una stronza e Andrea fantastica. È il princio dei rapporti alla fine.» Leonardo aveva annuito distrattamente al moro, mentre con lo sguardo seguiva Veronica rientrare, e con lei anche Luca. Stavano portando dei materiale che, pensando in modo logico, avrebbero usato quello stesso giorno quel qualsiasi cosa il loro professore avesse voluto far loro fare. .

Damiano e Alessandro avevano seguito i suoi occhi e si erano guardati stralunati.

«Cosa c'è che non va?» Alessandro aveva appoggiato unaa mano sulla spalla dell'amico, che però si era discostato.

«Nulla. Assolutamente nulla.» E aveva smesso di guardare la ragazza, concentrandosi, o cercando di concentrarsi, su altro in questo caso il riscaldamento che il professore, appena arrivato, stava dicendo a tutti loro di fare.

Leonardo non era un patito di sport, farne o meno non gli interessava, ma, nella sua breve vita, ne aveva fatti molti. Aveva giocato a basket per oltre quindici anni, smettendo di giocare solo a giugno di quell'anno, e nel mentre aveva provato pallavolo, karate, arrampicata e tennis. Calcio non gli era mai interessato veramente, suo padre non lo aveva mai introdotto a quel mondo, non che lo avesse introdotto a qualcosa, e suo fratello non aveva mai tifato nulla, aveva giocato alle elementari, ma principalmente perché se no non sapeva che fare. D'estate spesso o faceva dei giri in bicicletta o andava a correre, oppure si ritrovavano in un parco qualsiasi lui e i suoi amici a giocare a basket o calcio, dipendeva un po' sempre dagli altri che da lui. Non sapeva bene perché non avesse di nuovo fatto l'iscrizione a Basket, era bravo e non aveva nulla da competere con nessuno, però in ogni caso era come se gli fosse passata la voglia, come se ci fosse stato uno squarcio. Magari l'anno successivo avrebbe ripreso, ma quello non era sicuro, anche perché il campionato, ormai, era già cominciato e lui non si allenava in modo serio da troppo tempo. Avrebbe potuto andare in palestra, nel frattempo, ogni tanto, per mantenere il fisico, ma al momento faceva esercizi a casa quando gli andava.

Il professore, quando aveva visto che era arrivato, lo aveva chiamato in disparte per parlargli e Leonardo si era inventato, a caso, che fosse stato male. Una scusa pessima che aveva funzionato per modo di dire, però poi il professore lo aveva lasciato andare e aveva detto a tutti di iniziare a correre. Veronica e Luca, nel frattempo, continuavano a parlare, e lui continuava ad essere geloso. Che cosa avevano tanto da dirsi poi? Aveva pensato lui, anche se aveva cercato di non concentrarsi su loro due ma più sulla spinta che si dava sulle gambe per correre. Non si era nemmeno accorto di aver aumentato velocità fino a quando non aveva sentito Damiano annaspare, nemmeno fosse sott'acqua, per stargli dietro. Lui no che non aveva mai fatto nessuno sport. Damiano non amava sudare, nemmeno quando era piccolo. Motivo per il quale non aveva mai voluto fare nulla. Anche solo il concetto di dover fare fatica, sudare, puzzare per poi lavarsi e ripetere la cosa due o tre giorni a settimana gli dava fastidio. Aveva fatto nuoto per un po' di tempo, perché almeno l'acqua nella piscina era fredda, ma appena gli avevano chiesto di entrare in agonistica si era tirato indietro come un riccio. La competizione non gli piaceva mai. 

«Sei sicuro che vada tutto bene? -Leonardo aveva guardato lui per non guardare Veronica e Luca e aveva annuito, anche se la tensione dei muscoli facciali e lo sguardo cupo ammettevano tutt'altro- Se lo ammettessi sarebbe più semplice sai?» Anche Alessandro si era unito a loro due

«Se ammettessi cosa?»

«Che ti da fastidio vederli insieme» Damiano sapeva che era la verità, ma sapeva che Leonardo gli avrebbe riso in faccia. Era quello che stava per fare, se l'insegnate non lo avesse preso in contropiedi. 

«In cerchio!» Aveva urlato il professore, fermando i quasi dieci minuti di corsa che avevano fatto.

Avevano fatto stretching e esercizi di riscaldamento muscolare per almeno quindici minuti, e in quei quindici minuti almeno quattro volte a Leonardo era venuto da alzarsi, prendere Luca per la cottola, nemmeno fosse Akimi da piccola che gli mordicchiava i libri mentre li leggeva, e dargli un pugno in faccia assestato su quegli occhi castani. Capiva che Luca fosse un maschio sessualmente attivo o che avesse degli istinti, ma almeno che la smettesse di guardare Veronica, o comunque la curva delle sue natiche, come se non stesse solo facendo un piegamento in avanti ma si stesse spogliando davanti a lui. Era una cosa che a Leonardo dava moltissimo fastidio, perché lo sguardo di Luca non era lo sguardo di una persona a cui piaceva la persona di Veronica nel suo complesso ma solo il suo corpo, e Leonardo stava veramente per prendere e alzarsi per andare da lui con nessuna buona intenzione in mente. 

«Lo guardi come se lo volessi ammazzare» «Magari è proprio quello che voglio fare...» Damiano lo aveva guardato con uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Avevano lasciato perdere l'argomento entrambi. Leonardo non sapeva come giustificare ai suoi amici quello che provava e i suoi amici non volevano assolutamente farlo arrabbiare più di quanto già non fosse.

Dopo il riscaldamento aveva aiutato alcuni suoi compagni a mettere a posto le reti per volano, anche se in realtà non capiva perché stessero facendo proprio quello sport, non dubitava comunque del fatto che, anche andando a chiedere, non avrebbe avuto una risposta sufficiente, come del resto tutto quello che quel professore diceva loro. Aveva spiegato loro poco o niente del gioco e poi li aveva messi a fare esercizi preparatori come far rimbalzare il volano sulla racchetta, prima camminando in avanti e poi indietro con la mano destra, dopo lo stesso esercizio ma con la mano sinistra. Dopo dieci minuti di esercizi del genere, come far rimbalzare il volano ma ruotando la racchetta prima in un verso e poi nell'altro, sempre camminando, li aveva messi a fare delle piccole partire. Alessandro e Damiano si erano messi contro di lui e Anna, che era una delle amiche di Veronica nella sua classe.

Leonardo si era spostato all'indietro, alzando la racchetta per colpire il volano e farlo andare dall'altra parte, ma lo aveva colpito con troppa forza e Alessandro, competitivo fin oltre l'immaginabile, era corso per prenderlo, Damiano, intercettato il volando in aria, lo aveva colpito come se fosse una schiacciata di pallavolo e Anna non era riuscita a prenderlo in tempo che la piccola pallina era a terra. Damiano si era avvicinato a lei, che era seduta a terra un po' sconfortata, per dirle che andava tutto bene, e Leonardo avrebbe seguito la loro conversazione, davvero, ma un urlo, o quello che sembrava, proveniente da una voce che conosceva gli aveva fatto gelare lo stomaco. I muscoli degli addominali si erano contratti e la dita delle mani avevano avuto uno spasmo. Gli era sembrato di non vedere niente mentre si girava verso Veronica, stesa a terra, che si teneva una mano sulla nuca.

Damiano gli si era avvicinato rapido, perché aveva capito che il suo sguardo era passato dalla ragazza a Luca che, oltrepassata la rete, si stava dirigendo verso di lei, insieme a Giada.

«Leonardo, non fare nulla di stu-» ma lui non lo stava affatto ascoltando. Giada doveva aver sentito che qualcuno stava guardando da quella parte, perché aveva alzato lo sguardo verso di lui. A Leonardo non capitava spesso di arrabbiarsi sul serio, tratteneva la rabbia perché sapeva quanto poteva essere distruttiva da come la utilizzava suo padre, ma la sentiva sempre e comunque dentro di sé anche se non la esprimeva mai. Come suo fratello, da arrabbiato, era terrificante. Il quel momento, mentre Luca non guardava affatto Veronica distesa ai suoi piedi con nessuna preoccupazione in volto, come se non fosse appena caduta sbattendo la testa per terra, Leonardo aveva avuto la certezza di odiarlo, odiarlo quasi come aveva odiato suo padre.

Veronica, distesa a terra, si era rialzata in fretta quando aveva visto che troppe persone stavano cominciando ad avvicinarsi, e, semplicemente, aveva mimato a Luca e Giada che era tutto a posto. Anche se, in realtà, non lo era affatto. Sentiva la testa girarle, vedeva ancora le stelle e, infatti, per quei pochi minuti di partita che rimanevano, poiché mancavano solo due punti a Luca per vincere, lei non aveva fatto nulla. Quando il moro dall'altro lato della rete aveva esultato si era diretta in bagno, il passo un po' instabile e incerto, rassicurando Giada di non aver bisogno di lei. Era stata stupida a cercare di recuperare un lancio del genere, lo aveva capito tardi quando aveva colpito il volano ma le scarpe erano scivolate sul pavimento liscio della palestra. Era caduta come una pera, sbattendo la testa proprio sulla nuca, dove, per giunta, avrebbe potuto fare più male. Veronica aveva sentito qualcuno discutere fuori, ma non ci aveva fatto caso, intenta a mettere la testa sotto l'acqua fredda, cercando di far passare il dolore. Odiava perdere, quello era il motivo per cui si era buttata così, ma non credeva certo che avrebbe tentato di raggiungere i suoi parenti per un gioco a scuola. Si era rialzata, guardandosi allo specchio e sciacquandosi il viso un'altra volta, quando aveva alzato lo sguardo dal lavabo e aveva incontrato gli occhi di Leonardo, più scuri, arrabbiati, e poi aveva fatto passare lo sguardo sul suo viso teso, i muscoli della faccia in tensione e la mandibola, leggermente squadrata, serrata. Le mani del ragazzo avevano trovato la sua vita, e lui se la era stretta addosso, il viso nei suoi capelli. L'avrebbe quasi abbracciato a sua volta se non le fosse venuto in mente che Leonardo non l'aveva quasi considerata per tutto il giorno; e ora si permetteva di essere arrabbiato e preoccupato?

«Ma fai sul serio? -Veronica si era divincolata e, nonostante il giramento di testa, si era tenuta al bordo del lavandino. Ora erano faccia a faccia.- Non mi guardi per tutto il giorno, sparisci prima della lezione, non mi consideri, non mi rivolgi la parola da ieri sera e ora fai l'arrabbiato e il preoccupato? Come se ne avessi qualche diritto?» Leonardo aveva appoggiato i palmi delle proprie mani appena un po' più in la delle sue, e quindi si era ritrovata tra lui e il lavabo.

«Ti ho guardata per tutto il giorno.» Aveva detto lui, il tono basso, e lo sguardo nel suo.

«Ma davvero?» «Non sarei qui, non credi?» Veronica era avvampata, il calore si era sparso dalle orecchie fino alle guance. Leonardo amava quando arrossiva, Leonardo amava qualsiasi cosa facesse lei: dall'accarezzare il gatto al guardarlo da sotto le ciglia scure.

«Non hai... non hai -aveva balbettato, la lingua incastrata- Non hai comunque il diritto di arrabbiarti! Io avrò anche fatto una cazzata ma tu chi cazzo sei Leonardo? O chi cazzo ti credi di essere?»

Aveva sentito il petto fargli male quando aveva ascoltato quelle parole, era arrabbiato, preoccupato, terrorizzato e ora era anche ferito, ferito di uno squarcio che Veronica, solo guardandolo, aveva capito di aver fatto. Si era allontanato da lei, aveva riposto le mani nelle tasche dei pantaloni ed aveva sostenuto il suo sguardo. Le dispiaceva, lo vedeva, lo sentiva, lo percepiva ma lui aveva fatto un passo indietro.

«Io non... Non volevo dire...» Leonardo, alle parole di lei, aveva fatto un altro passo indietro, poi ancora uno, e ancora, fino a cinque passi. Il numero delle parole che lei aveva detto.

«Sai quale è la verità Veronica? È che se non sai usare le parole dovresti anche smettere di farlo. Tu avrai anche fatto una cazzata ma io sono venuto a vedere se stavi bene, non quella sottospecie di lumaca che oggi hai attaccata al culo, io. Entrando nello spogliatoio femminile, per giunta. Rischio di prendere una nota disciplinare, io per te. Ma tranquilla, posso anche non farlo più, non preoccuparmi più per te, se proprio non mi consideri o non mi vuoi.»

«Leonardo no, aspetta. Per favore.» Veronica si era mossa verso di lui. La testa le girava in una maniera che non comprendeva, e per giunta lui indietreggiava. Ma la porta dello spogliatoio era chiusa, erano bloccati lì e lui poteva solo ascoltarla.

Odiava vederla stare male, ma lei gli aveva fatto altrettanto male e non avrebbe fatto un passo verso di lei, non lo avrebbe fatto per nessun motivo. L'orgoglio glielo impediva nonostante il cuore, perché sfortunatamente ne aveva uno, gli stesse dicendo di andare da lei e prenderla tra le braccia, sostenerla. Aveva cercato di aprire la porta, ma questa rimaneva bloccata.

Lui l'aveva fulminata mentre lei camminava verso di lui.

«Che cazzo significa?»

Veronica aveva fatto un mezzo sorriso, anche se sbieco e dolorante «È il motivo per cui ho fatto tardi quella volta, mesi fa, al primo allenamento, con Cecilia. Ti ricordi no? Avevamo litigato giorni prima, quasi come ora. La porta, se si chiude, dall'interno non si apre. -Leonardo aveva sentito il cuore mancargli di un battito quando lei aveva finito la frase e gli si era appoggiata contro- Dovremmo stare qui fino a quando Giada non verrà, e spera che non decida di darti un pugno.»

«Sono morto. Stai scherzando, vero? Lo sai cosa succede se non viene Giada, che per quanto possa starmi sulle palle è abbastanza intelligente da stare zitta, ma qualcun altro?» Veronica gli aveva sorriso, male, per via del dolore, e si era aggrappata alla sua maglietta.

«Ti mettono una nota?»

«Possono anche sospendermi. Sono un ragazzo, chiuso nello spogliatoio femminile, con te così. Cosa pensi che penseranno?»

«Cosa intendi con così?» «Ti stai aggrappando a me perché non ti tieni in piedi, è pure fraintendibile come situazione.» «Non mi stai toccando tu, però» «E non credi però che potrebbero pensare che lo abbia fatto?»

Veronica lo aveva guardato male.

«Sei venuto tu qui, con quella tua faccia da incazzato. Non ti ho di certo chiamato io.»

«Infatti dovevo farmi i cazzi miei e lasciare che la sanguisuga ti seguisse. Anzi no lo avrei-» Leonardo si era interrotto perché le gambe di Veronica avevano ceduto, e lui, per quanto arrabbiato e ferito, si era prodigato a circondarle il corpo con le braccia, per poi scivolare lungo la parete con lei tra le gambe.

«Sai perché mi piace essere abbracciata da te? -Leonardo aveva scosso la testa, nemmeno sicuro di volerlo sapere.- Perché mi sento al sicuro, tra le tue braccia. Dalla prima volta che mi hai abbracciata provo sempre le stesse emozioni: sollievo, benessere, tranquillità, euforia anche. Scompare tutto quando mi abbracci, scompare che non sono a casa mia, scompare che non sono nella mia città, che mia madre sia dall'altra parte del globo e che la mia migliore amica sia a tre ore di treno da qua. Scompare il pensiero di non essere stata una brava sorella e una brava figlia. Scompare tutto ed esisti solo tu. Tu con tutti i difetti che hai, tu.»

Il cuore di Leonardo aveva mancato non sapeva quanti battiti e gli era quasi venuto un infarto. Non se lo aspettava, non se lo aspettava proprio. Lei stava abbattendo una ad una tutte le sue insicurezze e lui glielo stava facendo fare, forse perché voleva che lo facesse. Leonardo, in quel momento, moriva dalla voglia di baciarla. Perché era tutto troppo intimo e un abbraccio non bastava, avere lei tra le sue braccia non bastava. Leonardo la voleva in un modo disperato e urgente, come non gli era mai successo, ma aveva paura che si stesse solo facendo troppi fil mentali, che stesse volando di fantasia. Lui non ne era il tipo, ma ormai aveva capito che Veronica, anche solo la sua vicinanza, lo faceva cambiare. Aveva scosso la testa, le avrebbe risposto dopo, non poteva certo rimanere seduto per terra con lei sopra. Aveva fatto passare un braccio sotto le ginocchia di Veronica e l'altro sotto le sue spalle, l'aveva avvicinata al proprio petto e si era alzato senza nessuna fatica. Le braccia di lei gli avevano circondato il collo, e una mano era finita tra i suoi capelli biondi, attorcigliandosi ciocche intorno alle dita. L'aveva distesa su una panca e poi si era messo di fianco a lei, la testa della ragazza appoggiata ad una sua gamba. Aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca, e aveva provato a vedere se c'era campo, ma nulla era servito e, per quanti messaggi, circa cinque, avesse provato a mandare a Damiano e Alessandro, nessuno di quelli era stato inviato. Nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio.

«Non sei lucida.»

«Sono abbastanza ludica da sapere quello che dico.» Leonardo aveva roteato gli occhi al cielo.

«Hai sbattuto la testa per terra in modo violento, e mi sei caduta davanti, addosso. Non ti reggevi in piedi, e scommetto che avevi anche la visione alterata. Sai cosa sono? I sintomi di un bel trauma cranico. E non mi importa quello che dici, appena qualcuno arriva, e prega sia Giada, ti porto in ospedale.» Veronica aveva annuito, e Leonardo aveva preso ad accarezzarle i capelli, cercando di darle sollievo.

«Ho mal di testa» «È un sintomo anche questo, spero solo non sia un trauma grave.» «Mi dispiace per quello che ho detto prima, non lo intendevo sul serio, però comunque non puoi arrabbiarti per una cosa del genere.»

Leonardo aveva sospirato, si era passato una mano tra i capelli e aveva lasciato a Veronica l'altra, che ne frattempo teneva stretta.

«Non ero arrabbiato con te, non lo sono, non così tanto come pensi almeno. Tu sei competitiva, Luca lo ha capito e pensava di fare impressione, e ti ha fatto solo male. Sono arrabbiato con lui perché è una testa di cazzo.»

Veronica non aveva detto nulla, aveva solo annuito, poi aveva intrecciato le loro dita e aveva strusciato il naso contro il suo stomaco piatto. Leonardo aveva desiderato solamente che Giada, o chiunque, a questo punto, arrivasse il prima possibile. Capiva che Veronica non fosse completamente in sè al memento, ma Leonardo era comunque un ragazzo. Voleva spostarsi lui, allontanarsi e mettersi il più lontano possibile per non pensare al volto di Veronica così vicino alla pata dei suoi pantaloni. Poteva anche non avere nessuna esperienza lui personalmente, ma alle feste si sentiva e si vedeva più di quanto, a volte, si desiderava, e lui ne aveva frequentate abbastanza da aver visto e aver sentito molto più di quanto lui stesso voleva. Non era ingenuo, inesperto sulla pratica forse, ma teoricamente sapeva tutto meglio di quanto volesse. Aveva preso di nuovo il cellulare dalla tasca dei pantaloni, e, per la prima volta da quando aveva il suo numero, aveva scritto a Giada. Il messaggio era stato inviato, ricevuto, la ragazza era entrata online e poi ne era uscita. Leonardo aveva capito che era salvo, certo, Veronica e la sua semi-erezione no, ma era un altro discorso. L'aveva presa in braccio di nuovo, e, appena due secondi dopo, la porta dello spogliatoio si era aperta, rivelando una Giada sconvolta e terrorizzata. Leonardo aveva risposto a tutte le due domande nel modo più calmo possibile, cercando, per una volta, data la situazione, di essere comprensivo verso i sentimenti che la ragazza stava provando.

Perché, per una volta, poteva riconoscere nel suo sguardo ciò che anche lui provava in quel momento.

Il professore, tanto era stupido e concentrato su qualcosa al telefono, non si era nemmeno accorto della mancanza dei due ragazzi, o della caduta di lei, e quando si era ritrovato Leonardo davanti con Veronica tra le braccia, cosciente ma frastornata e non del tutto lucida, la prima cosa che aveva fatto era stata chiamare la tutrice legale della ragazza. Era entrato in panico, aveva fatto portare due buste del ghiaccio ed aveva permesso ai tre ragazzi, e successivamente anche a Damiano e Alessandro, che avevano portato loro zaini e sacche (quel sabato era uno dei pochi in cui non avevano dovuto portarsi anche la cartellina da disegno, visto che il professore aveva deciso di fare due ore di storia dell'arte perché erano indietro con il programma), si andare ad attendere vicino alla segreteria dove c'era una piccola sala d'aspetto. In realtà altro non era che una stanza quadrata, non molto grande, dalle pareti grige e con due divani da due, quattro poltrone e una macchinetta per le bevande. Leonardo si era seduto, Veronica in braccio a lui. Giada si era seduta vicina, ma non lo aveva toccato e aveva conversato solamente con Veronica per un po', accarezzandole il viso o tenendole una mano mentre aspettavano. Poco dopo era arrivato anche Francesco che, da bravo pseudo-fratello maggiore quale era le fatto tutte le domande del caso a Veronica che gli aveva risposto. Gli occhi della ragazza erano un po' lucidi, come se avesse pianto, e Leonardo odiava immensamente vederli così. L'istinto di andare da Luca e strozzarlo era fin troppo forte e, se lei avesse continuato a guardarlo, l'avrebbe lasciata a suo fratello e avrebbe preso a pugni il suo compagno di classe. Sarebbe stata la prima volta che lo faceva? Si sarebbe beccato una nota? Non gli importava, nulla, nulla, era più importate di lei. Leonardo non lo aveva fatto solo perché era arrivata sua madre che, firmati i due permessi di uscita di entrambi i ragazzi, si era trattenuta molto dall'urlare contro a Leonardo. Era ancora arrabbiata per un il lunedì prima quando erano andati al mare, il fatto che Veronica ora si fosse fatta male l'aveva fatta alterare ancora di più.

«Possibile che quando è con te faccia cose stupide?» Gli aveva detto ad un certo punto, mentre guidava veloce.

«Non era con me sta volta, io non l'ho istigata mai a nulla. Mi ha chiesto lei, per la vent'esima volta, di andare al mare Lunedì e oggi mica le ho detto "cadi", anzi, ero da tutt'altra parte.»

«E perché?»

Perché sono geloso del ragazzo che le va dietro, lo aveva pensato ma non lo aveva detto. Anche perché a sua madre sarebbe venuto un infarto e Veronica era sveglia, sentiva il suo sguardo addosso. Era curiosa, voleva sapere anche lei, e Leonardo stava cercando una mezza verità, una bugia bianca, che fosse quantomeno convincente.

«Perché stavo parlando con Alessandro e Damiano di Andrea, sai no, la situazione...»

Negli occhi di Angela era passato un guizzo di dispiacere, di pietà.

«Certo, la madre... Io non avrei avuto il coraggio. Ma suo padre come fa?» Leonardo aveva alzato le spalle «Ha già lavorato per tipo venticinque anni quindi soldi ne ha ancora, adesso ha trovato un lavoro e Andrea sta dietro ai fratelli»

Veronica gli aveva stretto la maglietta

«Che è successo ad Andrea?»

«La madre è una...» «Leonardo!» «...poco cortese donna. Li ha abbandonati, Andrea e gli altri due figli..» «Esattamente -Angela aveva annuito- Tranne che se ne è andata quando Andrea era in casa no? Un gesto pessimo, povero ragazzo.»

«È bruttissimo...» «Lo so chatte noire, lo so» Veronica aveva cercato la mano di Leonardo, e lui gliela aveva fatta trovare, le loro dita si erano intrecciate e lei aveva stretto forte la presa, appoggiandosi meglio alla sua spalla.

«Andrea sta molto male?» «Meno male di quanto starebbe se non avesse noi. Per questo oggi non c'ero in al cambio dell'ora, sono andato da lui.»

Veronica aveva annuito con la testa bassa. Lui le aveva accarezzato la testa, sistemandole i capelli che si erano arruffati. Sapeva che sua madre, dallo specchietto retrovisore, lo stava guardando e che stava giungendo alle proprie conclusioni, ma a Leonardo non importava. Lui pensava solo a lei, al fatto che stesse bene, che stesse comoda, che si sentisse al sicuro.

«Non devi preoccuparti di quello che hai detto prima...» Glielo aveva sussurrato all'orecchio, se no sua madre avrebbe fatto loro un sacco di domande e lui avrebbe dovuto rispondere a tutte quante.

«Eri da Andrea che passa un brutto periodo e io come una stupida...» Veronica aveva lasciato andare un singhiozzo, e Angela si era messa in allerta.

Leonardo si era allontanato un po'. Erano troppo, troppo, troppo vicini. La tentazione di baciarla era sempre più presente, ed era più forte più piccola era la distanza tra i loro corpi. In più c'era sua madre, che, in ogni caso, prima lo avrebbe picchiato e poi gli avrebbe dato modo di spiegarsi.

Leonardo le aveva raccolto una lacrima, l'unica che era scesa, e le aveva accarezzato una guancia.

«Come ti senti?» Aveva cambiato argomento.

«Ho mal di testa, ma vedo abbastanza bene...» Leonardo aveva annuito, e anche Angela.

Erano arrivati pochi minuti dopo. Leonardo aveva lasciato che Veronica si reggesse a lui per camminare dentro al pronto soccorso, poi, quando avevano avuto il codice di emergenza erano andati a sedersi. Angela era arrivata poco dopo con altro ghiaccio visto che quello che era stato dato loro a scuola si era anche totalmente sciolto nel frattempo. Avevano aspettato un po' di tempo prima che Veronica facesse degli esami, circa due ore. Poi un'infermiera era venuta a chiamarli, Veronica era stata messa su una carrozzina ed era stata portava via, Angela era, ovviamente, andata con lei. Leonardo era dovuto rimanere fuori, impaziente camminava avanti e indietro come se fosse un marito apprensivo che aspettava la nascita di suo figlio. Una signora, li a fianco, gli aveva pure detto di stare tranquillo per la sua ragazza, che sarebbe andato tutto bene e che lei sarebbe tornata da lui. Leonardo questo lo sapeva, non ne dubitava. Veronica sarebbe tornata da lui, oppure lui sarebbe andato a cercarla, semplice. Facile. Il cuore gli era comunque sprofondato nel petto quando la nonnina aveva pronunciato le parole "la tua ragazza". Leonardo, in quella situazione, non aveva voglia di farsi un esame di coscienza e capire per quale motivo sentirla definire così fosse stato un sollievo e il sapere che non lo fosse la distruzione del proprio cuore. Angela era tornata circa quaranta minuti dopo, quaranta minuti in cui Leonardo, pur di non pensare, aveva fatto sul serio amicizia con la nonnina la di fianco, ed aveva detto a Leonardo che Veronica sarebbe rimasta quella notte in osservazione, per essere sicuri che fosse tutto a posto visto che la caduta e la botta erano state considerevoli. Era stato costretto da sua madre a tornare a casa; era rimasto tacito, silenzioso e imbronciato per tutto il viaggio di ritorno. L'unica volta che aveva pronunciato parola era stata quando sua madre gli aveva fatto delle domande specifiche, e allora lui aveva risposto bonariamente ma in modo veloce, senza sprecare troppe parole. Appena erano arrivati a casa Leonardo era stata assalito dal fratello che, ovviamente, gli aveva fatto circa un milione di domande, evidentemente quello era il giorno in cui si erano messi tutti d'accordo per farlo parlare il più possibile, alle quali lui aveva risposto, nonostante volesse solo distendersi a letto e dormire, non gli importava nemmeno dei compiti per il giorno dopo. Sua madre, nel frattempo, era entrata e uscita di casa con uno zainetto contenente il cambio per la notte di Veronica. Quando Francesco lo aveva lasciato andare Leonardo aveva prima portato il proprio zaino, con relativa sacca, in camera e poi le cose di Veronica in camera sua. Lì dentro, ovviamente, tutto profumava di lei. Di cioccolato e caffè, quel maledetto profumo che la ragazza si metteva sempre, in qualsiasi posto della casa. All'inizio, come ogni cosa di lei, non lo sopportava, poi, piano piano, aveva cominciato ad apprezzarlo, probabilmente perché aveva cominciato ad apprezzare lei, e poi aveva cominciato a piacergli. Leonardo si era disteso sul letto di Veronica cinque minuti, giusto il tempo affinché la sua mente si rilassasse, quando però aveva intuito che stava per addormentarsi si era tirato su, era uscito da quella camera chiudendo la porta e si era diretto veloce in camera sua. Una volta lì si era disteso a letto, ed aveva chiuso gli occhi.

Il bambino di quattro anni aveva guardato fuori dal finestrino, le macchine gli passavano a fianco, suo padre guidava, sua madre si truccava e suo fratello faceva i compiti, non capiva come riuscisse a leggere e a scrivere in macchina, lui non faceva niente e gli veniva da vomitare! Il bambino guardò i cartelli stradali

«To ri no -aveva detto, leggendo piano il nome della città -mamma cos'è Torinio?- la donna si era girata verso di lui, un occhio aveva le ciglia nere e l'altro le aveva ramate.

«Torino, tesoro, è la città dov'è nata tua madre, andiamo a trovare i nonni, amore»

«Sperando che tua madre abbia fatto le lasagne, le vengono bene, a lei» Suo padre aveva preso la strada per Torino, mentre sua madre sbuffava.

«Stai mettendo in discussione le mie capacità cullinari?» «Mai e poi mai».

Il bambino di dieci anni aveva guardato il palazzo davanti a lui, lo stabile era completamente bianco e l'unica cosa colorata erano i balconi, di un azzurro brillante, una di quegli azzurri che si potevano vedere in quelle giornate senza nuvole, in quelle mattine in cui il sole filtrava indisturbato nella sua camera, attraversando i vetri e le tende bianche. La madre gli aveva stretto la mano quasi ad assicurasi che lui fosse li, poi lo gli aveva spiegato che quello non era un palazzo qualunque, quella era un biblioteca, e le biblioteche erano quei posti dove si potevano trovare i libri, ma non era una biblioteca per bambini come lui, era una biblioteca per persone più grandi, una biblioteca dove si trovavano libri più difficili rispetto a quelli a cui era abituato lui. «Sai i ragazzi che vedi uscire dalla scuola di fianco alla tua? -gli chiese la madre, lui annuì, con gli occhi che gli brillavano- ecco, loro vengono a fare le ricerche qui, quando ne hanno bisogno.» Era stata sua madre ad insegnargli a leggere, gli aveva insegnato lettera per lettera, dalla A alla Z.

«C'è posto per una persona in più?» Francesco era apparso davanti al suo letto.

«Si, c'è posto». Il bambino di dieci anni si era spostato leggermente più in là mentre quello di undici era salito sul letto e era messo sotto le coperte. «Fra?»

«Si?»

«Mamma non si è rifatta una vita. Lui è in Francia, beato, e mamma ha ancora quella cicatrice.»

«Non sempre le cose vanno come vogliamo che vadano noi, Leo, non tutto andrà come vuoi tu, non tutto andrà sempre bene, ci saranno anche dei momenti in cui dovrai capire che hai sbagliato e risolvere gli errori che hai fatto. Papà non ha mai avuto intenzione di risolverli, per questo è lì. Ma la mamma fa del suo meglio».

«Vorrei solo che fosse felice...»

«Anche io». Leonardo fissò le stelle sul soffitto , erano decisamente meglio le stelle della faccia di suo fratello in quel momento.

Leonardo odiava sognare ricordi, odiava quei ricordi. Erano le quattro di mattina quando si era svegliato, sudato, con i vestiti del giorno prima attaccati alla pelle e i capelli incollati alla fronte. Era andato in bagno, aveva aperto l'acqua della doccia e, dopo essersi spogliato, ci si era buttato dentro senza curarsi se fosse già calda o meno. Odiava quell'emozione che provava nel petto, quella preoccupazione che tanto era vera, tanto era profonda, che quasi sembrava tangibile. Era uno di quei sentimenti che Leonardo non provava spesso e soprattutto non così intensamente. Non sapeva per cosa fosse preoccupato, o meglio: sapeva alcune delle cose per le quali era preoccupato ma il resto era una sensazione generale che si diffondeva uniformemente per tutto il suo corpo, come se nella preoccupazione ci stesse annegando. Era preoccupato per Veronica, per Andrea, per quello che provava e non capiva, e forse era proprio quel non capire, quel non mettere in chiaro ciò che sentiva, che lo portava a quella sensazione di irrisolto che poi gli metteva ansia. Si era passato convulsamente le mani nei capelli, tirando qualche ciocca in avanti e facendoli cadere piatti sulla fronte, poi aveva recuperato un asciugamano, se lo era legato alla vita ed era andato in camera a vestirsi. Tanto, in ogni caso, anche se ci avesse provato, non sarebbe comunque riuscito ad addormentarsi. Si era infilato dei semplici pantaloni di tuta neri, una maglia e una felpa al buio, tanto chi diavolo doveva vederlo? In più non aveva capi eccessivamente colorati in armadio, quindi il massimo era che si fosse preso una felpa blu o grigia, o, se proprio era, beige o marrone chiaro. Leonardo aveva passato le successive ore al cellulare, guardando video o stando sui vari social. Ad un certo punto si era messo a guardare una serie che lo aveva anche particolarmente incuriosito, e infatti per poco non gli era venuto un infarto, quando, quasi per sbaglio, aveva buttato l'occhio sull'orario che segnava il computer, e aveva visto che erano le sette e quaranta. Aveva già immaginato suo fratello ucciderlo, però, poi, si era ricordato che fosse domenica e che, quindi, nessuno sarebbe stato ucciso da nessuno, il che era stata una grande consolazione. Leonardo era comunque sceso in cucina per mangiare qualcosa, e infatti aveva rubato tre biscotti dal loro sacchetto, e poi era tornato in camera sua. Durante la mattinata nessuno era venuto a disturbarlo, a parte Francesco che lo avvertiva che sarebbe andato al supermercato e gli chiedeva se volesse accompagnarlo, ovviamente la risposta era stata no, e sua madre che gli diceva di essere tornata. Leonardo, preso dal desiderio di non pensare assolutamente a nulla, si era guardato la serie nelle ore della mattinata, finendo gli episodi, circa dieci, entro le dieci di quella mattina. Si era quindi alzato dal letto e aveva quindi rimesso il computer nel suo posto originale, quindi la scrivania davanti al letto, aveva ripreso il cellulare e, risposto a Damiano, Alessandro e Andrea, si in privato sia nel gruppo, aveva aperto la chat con Veronica. Non si scrivevano spesso, perché non avevano il concreto bisogno di farlo, insomma: vivano nella stessa casa, erano in classe insieme e avevano anche gli stessi amici, non era quasi mai necessario scrivere un messaggio per parlarsi l'un l'altro, anche solo il fatto di vivere nella stessa casa rendeva la cosa sinteticamente inutile, essere nella classe la rendeva una cosa stupida da fare. Quindi, tralasciando per quelle volte in cui Veronica lo avvisava che sarebbe tornata dopo da allenamento, che l'avrebbe accompagnata a casa Cecilia perché i suoi avevano deciso di darle un passaggio o che gli chiedeva di venirla a prendere, la cosa succedeva spesso nell'ultimo periodo quando il sole scendeva prima e alle nove era già tutto buio, non c'erano particolari o memorabili conversazioni. In più Leonardo scriveva per primo raramente agli altri, quasi mai, quindi, quel semplice "come stai?" che le aveva mandato era stato il primo in assoluto che inviava alla ragazza. Non era servito nelle ore precedenti perché o erano insieme oppure Leonardo sapeva che sua madre era in ospedale e che Veronica avesse qualcuno di vicino lì, in quel caso, però, sua madre era a casa e Veronica era lì da sola, e conoscendo le sue scarse capacità amicali e la sua freddezza iniziale non credeva che si fosse fatta qualche amico, o amica, nel giro di meno di ventiquattro ore. Aveva lasciato il cellulare sul letto ed era sceso in salotto dove sua madre stava parlando con Francesco che era appena rientrato. Quando era arrivato lui entrambi lo avevano guardato e gli avevano semplicemente detto:

«Guarda che tra cinque minuti andiamo in ospedale.»

Esattamente cinque minuti dopo si trovavano in macchina, l'unica cosa che aveva dovuto fare Leonardo era stata mettersi i calzini e le scarpe. Ci avevano messo una decina di minuti ad arrivare e una decina di minuti a raggiungere la camera di Veronica. L'ospedale di Treviso era grande, dopo il check in posto fuori si doveva scendere una rampa di scale non molto lunghe, in cui i gradini erano bassi e distanziati tra loro di almeno sessanta centimetri (c'era anche la rampa in discesa, che diventava in salita quando si usciva, per coloro che erano in carrozzina), dopo quello le porte della struttura, alta e divisa in piani per specialistica, c'erano al lato sinistro degli uffici per il pubblico e al lato destro i bagni e un bar, poi il corridoio di divideva in due e cominciava la suddivisione. Avevano dovuto salire circa quattro piani prima di raggiungere neurologia. In realtà era stata Angela a chiedere che Veronica rimanesse lì almeno un giorno, per farsi dire con sicurezza se fosse tutto a posto oppure se ci fossero ripercussioni da tenere sotto controllo, il collega aveva accettato solo perché doveva ad Angela un favore, ma era stato meglio così. La donna, in ogni caso, aveva fatto un saluto veloce alla ragazza ma solo perché non erano passate nemmeno sei ore dall'ultima volta che l'aveva vista, e poi aveva lasciato spazio ai suoi figlia, andando a parlare in corridoio con il collega.

Leonardo aveva visto Francesco scompigliare i capelli di Veronica in modo affettuoso, e lei gli aveva sorriso. Lui stesso aveva sorriso sbieco.

«Hanno detto che è tutto a posto, posso anche tornare a casa con voi anche adesso. Non ho mostrato segni di perdita di memoria, nessun danno alle funzioni cognitive o sensoriali.» Lei e Francesco avevano parlato per un po', fino a quando il ragazzo non si era allontanato per andare in bagno. C'erano stati alcuni attimi di silenzio.

«Chatte-noir ti sta proprio bene come nomignolo, sei sfortunata come un gatto nero.» Veronica aveva sospirato divertita, poi gli aveva affettato la felpa e lo aveva trascinato verso di sé. Lui aveva soppesato il peso sulle braccia per non gravarle addosso, ma si era lasciato abbracciare e aveva ricambiato, portando il braccio destro sotto la sua vita e spingendosela addosso.

«Sarei ancora più sfortunata se non ci fossi tu al mio fianco.» E a Leonardo erano mancati più battiti di quanti avesse voluto.

 

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