Di Luce e d'Ombra

di Elis_Alike
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Faglia d'Ombra ***
Capitolo 2: *** L'incontro ***
Capitolo 3: *** Il Piccolo Palazzo ***
Capitolo 4: *** Moi Tsar ***
Capitolo 5: *** Il Vecchio, il Maestro e la Strega ***



Capitolo 1
*** La Faglia d'Ombra ***


Da bambina avevo paura del buio. Una volta grande ho imparato che il buio è un luogo e che è pieno di mostri. 
“È vera?”
“Certo che è vera. La Faglia ha mangiato i tuoi genitori. È per questo che qui ci sono tanti orfani. La gente l'attraversa sfidando i Santi.”
“Allora perché attraversarla? Perché non aggirarla?”
“Guarda la mappa: il Nord ci vuole morti perché difendiamo i Grisha, il Sud protegge i suoi Monti. Non sappiamo dove altro andare. Ora lavora sulle sfumature. Dai retta a me piccola peste. Tieni in mano una matita prima che qualcuno ci metta un fucile.”
Vivo a Ravka Est. Ma qui non mi hanno mai accettata perché assomiglio a mia madre e lei assomiglia al nemico. Ho passato anni a pensare che avrei trovato un modo per aggirare la Faglia d’Ombra e andare là dove a nessuno importava da dove venissi. Ma ora ho l'età per sapere che l'unico modo è attraversarla.
“Come fai a disegnare qui dentro?” Mi chiese Josh. Il volto paffuto reso pallido dalla nausea.
“Le buche danno un bell'effetto” risposi, aggiustando una sfumatura. La verità era che disegnare era l’unico modo che avevo per prepararmi a ciò che ci attendeva al nostro arrivo. 
L’avevo disegnata tante volte, senza averla mai vista di persona, rifacendomi semplicemente ai disegni di altri. Adesso l’avrei vista con i miei occhi. La Faglia d’Ombra. Non sarebbe più stata un semplice squarcio sul foglio. La linea nera che tracciavo sulla mappa a dividere in due il nostro paese sarebbe divenuta tangibile.
Ci eravamo messi in cammino una mattina di fine estate. Ci avevano caricati tutti su quel grosso carro in legno, coperto da un ampio telone sorretto da sostegni in ferro, in modo che non dovessimo soffrire le avversità del tempo.
 Da giorni viaggiavamo stretti in quel carro, fermandoci solo per svuotare la vescica. La nostra unità cartografa era stata richiamata al campo di Kribirsk, in prossimità della Faglia.
“La Faglia è diversa sulla mia. Forse mi serve una vista migliore dal tuo paese.” Bofonchiò Nikolai guardandomi con fare bellicoso. Lo ignorai.
“È cresciuta qui idiota” mi difese Alexei, squadrandolo con i suoi occhi chiari.
“Neanche a Shu Han la volevano?” replicò Nikolai, le labbra sottili arricciate in un ghigno.
“Cartografi ascoltate. - Intervenne Petya Ivanova, la nostra capo reparto, facendo capolino dalla testa del carro, dove sedevano lei e il soldato posto a scorta della nostra unità. - Siamo quasi arrivati. Prendete la vostra roba e preparatevi a scendere. Se perdete qualcosa non verrà sostituito.”
Obbedimmo. Sollevati che quel viaggio da incubo fosse giunto al termine. Cercando di trattenere la frenesia, ripiegai con cura la mappa a cui stavo lavorando e riposi i carboncini nell’astuccio. Finalmente avrei rivisto Mal. Da settimane ormai non avevo più sue notizie. Ci eravamo separati a Balkirev. I Tracciatori avevano avuto ordine di setacciare i boschi di Sikursk a sud, in cerca di possibili infiltrati. Mentre la mia unità si era diretta a Nord di Ryevost. Adesso che entrambe le nostre unità erano state chiamate a far rapporto a Kribirsk, ci saremmo riuniti. 
Il carro si fermò e finalmente i nostri piedi toccarono terra. Non avemmo il tempo di rallegrarcene. La vista di ciò che si trovava di fronte a noi ci ammutolii. Ci eravamo lasciati le dolci colline di Balkirev alle spalle. La piana desolata che ora si stendeva davanti a noi non avrebbe potuto essere più diversa. Il terreno su cui sorgeva l’accampamento era arido e polveroso e l’unica erba che vi cresceva era gialla e spenta. I boschi nelle vicinanze erano stati abbattuti per far spazio alle tende. I campi, che un tempo dovevano esser stati rigogliosi, giacevano abbandonati in balia dei corvi. Appezzamenti bruciati da cui si levavano tronchi carbonizzati. In mezzo a quella desolazione sorgeva l’accampamento di Kribirsk. Un’accozzaglia di tende e torrette di guardia malmesse. Nell’aria il silenzio era interrotto solo da un rombo cupo e sordo, che sembrava scuotere le fondamenta stessa della terra. Mi girai dando le spalle all’accampamento.
Una spessa muraglia di tenebre pulsava minacciosa davanti ai miei occhi. Nera come un abisso. Nel guardarla rimasi senza fiato. Ipnotizzata dalla sua ineluttabilità. Al suo interno ruggivano rombi di tuono senza che vi fossero lampi. Sembrava che tutta l’oscurità del mondo si fosse addensata a creare quel luogo inviolabile. Davanti alla sua immensità realizzai che nessuna mappa, nessun racconto, le rendevano giustizia. Si ergeva inesorabile a rubare l’orizzonte, espandendosi in altezza e in lunghezza fin dove l’occhio riusciva a guardare. Provai come un senso di vertigine e non potei fare a meno di sentirmi minuscola. Cos’eravamo noi se non inutili insetti davanti al suo cospetto?
“Muovetevi forza! Voglio vedere le vostre tende montate entro un’ora.” Petya ci richiamò all’ordine facendoci trasalire. Reprimendo quel senso di angoscia che mi attanagliava lo stomaco, recuperai la mia sacca dal carro e mi apprestai a seguire gli altri verso l’appezzamento di terra che ci era stato assegnato. Non era la prima volta che vedevo un accampamento, erano anni ormai che viaggiavo spostandomi da un campo all’altro di quella terra maledetta dalla guerra. Ma questo era diverso da tutti gli altri. Non vi erano mura ne barricate a proteggerne i confini, solo qualche sparuto drappello di guardie. Questo perché eravamo nell’entroterra e nessun esercito Shu o Fierdiano che fosse aveva mai raggiunto quella zona. Il nemico che qui si affrontava non era fatto di carne e non attaccava con spade o lance. In effetti, più che un accampamento militare, Kribirsk era un porto di terra. L’unico luogo da cui partivano le Velasabbia, immense navi costruite all’unico scopo di attraversare la Faglia. Il nostro unico collegamento con Ravka ovest.
 “Non la vedremo mai scomparire, eh? quell'abominio resterà qui per sempre.” Mormorò Dubrov più tardi. Lo guardai, era intento ad armeggiare con i lacci della sua tenda, il viso contratto in una smorfia di disappunto davanti a quel groviglio di nodi.  
“Un Santo che evoca la luce la distruggerà” asserì Reisa. Ma la voce le tremava ed era priva di convinzione. 
“Vorrei vedere se c'è qualcuno che non ha paura di quella cosa” borbottò Alexei piantando a terra l’ultimo picchetto e andando a dar manforte a Dubrov la cui tenda era ancora un groviglio di stoffa sul terreno. 
“Mal non ne ha - intervenni io, parlando più a me stessa che agli altri- Lui non ha paura di niente.” 
Gli altri si scambiarono uno sguardo scettico ma li ignorai e presi a sistemare il mio bagaglio nella tenda che avevo appena finito di issare. 
“Mal? Chi è lo svitato? Un altro mangiariso come te?” sussurrò maligno Nikolai alle mie spalle. 
Il mio pugno lo sorprese in pieno volto.
“Ah, bastarda. Mi hai rotto il naso!” ringhiò, cercando con le mani di arginare il fiotto di sangue che gli usciva copioso dalle narici. “Questa me la paghi…”. 
Ma prima che potesse dar seguito alle sue minacce Petya Ivanova si mise in mezzo. “Che succede qui?” 
“Questa lurida sgualdrina mi ha attaccato!”
“Modera il linguaggio Vasilich … e tu Starkov, dovresti sapere che non tollero le risse da taverna nella mia unità.”
“Se l’è meritato!” risposi a denti stretti.
“Non sentirò ragioni. Il tuo comportamento è intollerabile Starkov e non è la prima volta.”
“Ma, lui…” cercai di protestare.
“Basta! Forse una notte in cella ti schiarirà le idee.”
Cominciamo bene mi dissi, mentre venivo scortata nella parte più a sud del campo.
La guardia mi trascinò in quella che doveva essere l’unica costruzione dell’accampamento. Una semplice struttura di pietra, grande abbastanza da ospitare quattro cubicoli delimitati da sbarre. Una branda malconcia e un catino sudicio completavano l’arredo. Nell’aria aleggiava un odore di muffa e stantio. 
“Per stanotte dormirai qui” disse la guardia aprendo una cella e facendomi entrare. Guardai l’insieme con un misto di disgusto e scoramento. “Non c’è aria…” 
“Ti aspettavi una reggia?” rise quello chiudendo le sbarre a doppia mandata. “Vengo a riprenderti domani mattina all’alba.” Concluse prima di allontanarsi senza degnarmi di uno sguardo.
“Perfetto” sussurrai. L’oscurità opprimente di quel luogo mi angosciava. Mi sdraiai rassegnata sulla branda cercando una posizione comoda. Molte ore più tardi sprofondai finalmente in un sonno agitato.
La Faglia si stagliava immensa davanti a me. Forti venti contrari mi spettinavano i capelli e alzavano mulinelli di polvere dal terreno arido. Ero in preda al terrore. Mi sembrava che la cosa davanti a me pulsasse e si muovesse come fosse viva. Poi lo sentii, prima ancora di vederlo. Una presenza alle mie spalle. Una sorta di calore. Mi girai a guardarlo. Un cervo di luce si ergeva, maestoso. Il suo manto candido sembrava emanare bagliori. Camminava tranquillo verso la Faglia d’ombra, incurante del pericolo. Cercai di urlare per avvertirlo ma non parve sentirmi. O forse non avevo voce. Quando giunse in prossimità della Faglia la luce che emanava si fece più intensa e….
“Sveglia cartografa. È l’alba. Sei libera di andare.”
La voce della guardia mi riportò bruscamente alla realtà.
Sbattei gli occhi un paio di volte prima di ricordare dove mi trovavo. Allora mi alzai, massaggiandomi le membra doloranti. Quella brandina era proprio scomoda. Senza aggiungere altro la guardia aprì la serratura e si fece da parte per farmi passare. Uscendo, la debole luce del giorno mi ferii gli occhi e d’istinto mi parai il volto col braccio.
“Guarda un po’ chi si vede. Cosa hai combinato stavolta, piccola peste?” 
La voce di Mal mi raggiunse e alzai lo sguardo. Lo vidi che mi aspettava a pochi passi da me, appoggiato a un barile. Le braccia muscolose incrociate sul petto e il volto severo atteggiato a rimprovero. Non era cambiato in quei mesi che ci avevano visti lontani. Era ancora lo stesso uomo di mezza età. Alto e massiccio, la barba sfatta, i capelli brizzolati sempre in disordine. Gli sorrisi correndogli incontro e mi gettai tra le sue braccia. 
“Sei qui!” strillai, felice come non mai. 
“Ehi tu, vacci piano col tuo vecchio. È passato il tempo in cui potevi saltarmi al collo in questo modo!” Borbottò lui. Nonostante i suoi modi bruschi però sapevo che anche lui era felice di rivedermi.
Lo lasciai andare solo per osservarlo con più attenzione, in cerca di qualche nuova ferita. Ma sembrava sano e salvo.
“Quando sei arrivato?” Chiesi infine.
“Mezz’ora fa. Giusto il tempo di piantare la tenda e mi dicono che ti eri messa nei guai. Di un po’, che hai combinato stavolta?” Disse squadrandomi dall’alto in basso.
“Niente, davvero, è stato solo un malinteso.” Sorrisi innocente.
“Un malinteso eh? - sbuffò lui, cercando di trattenere una risata- Come mi giro ti metti nei guai.”
“Non capisco cosa insinua Caporale Oretsev. Sono perfettamente in grado di cavarmela da sola, del resto dovresti saperlo, me l’hai insegnato tu” dissi tirandogli un pugno scherzoso.
Per tutta risposta lui mi cinse le spalle con un braccio e prese a scompigliarmi i capelli in una rude dimostrazione d’affetto. 
                  “A quel che ho sentito pare che non sia riuscito ad insegnarti a non attaccar briga col primo che capita” Mi divincolai, sfuggendo alla sua stretta.
“Se ti riferisci a quello stronzo di Nikolai Vasilich sappi che se lo meritava. E se ti avessero informato bene, sapresti anche che ho reso onore alle tue lezioni di lotta. Non fa più tanto il furbo adesso che gli ho rotto il naso.”
“Se lo meritava eh? E valeva la pena di passare una notte in cella per questo?”
Lo guardai con occhi ingenui. “Sì”
Lui scoppiò in una sonora risata “Cosa devo fare con te, piccola peste! Muoviti dai. Stanno arrivando le assegnazioni, penso che la cartografia tornerà a sud.”
“Di già?”  mormorai imbronciata guardandomi i piedi. Non mi andava l’idea di dovermi separare da Mal dopo averlo appena ritrovato.
“Tra qualche giorno, sì, il tempo di far riposare i cavalli e organizzare la spedizione. - rispose lui camminando tranquillo al mio fianco- E pare che la mia unità tornerà con la tua cercando un passo tra i Monti”
Mi girai a guardarlo “Quindi torniamo insieme!” Il mio entusiasmo gli strappò un sorriso.
“Beh, ti serve qualcuno che si prenda la colpa dei tuoi misfatti, piccola peste.”
Continuammo a camminare, raccontandoci tra una risata e l’altra, le reciproche novità. Mi disse dei boschi di Sikursk, degli alberi immensi che la popolavano, alcuni alti come palazzi. E di come avevano scacciato una squadra di ricognizione Fierdiana al di là del confine. Io da parte mia avevo poco da raccontare, il mio viaggio era trascorso placido e privo di insidie.
“Ma dove sono le nostre tende?” chiesi a un certo punto guardandomi intorno, confusa.
“Le hanno spostate laggiù” m’informò Mal indicando un punto indefinito nelle retrovie.
“Il grande e valoroso primo esercito… sembriamo un centro di accoglienza che accetta le donazioni” sentenziai osservandomi intorno con occhio critico. 
“Parla per te, io non accetterò nessuna donazione, perché ho vinto queste in una scommessa” disse sventolandomi davanti agli occhi una banconota stropicciata.
“Ma guarda, hai vinto ben 5…Krughe? Questi non valgono qui, non siamo a Ketterdam” 
“Scommetti che invece li trasformo nella cena di stasera?”
Non feci in tempo a rispondere. Un rumore alle nostre spalle attirò la nostra attenzione. 
“Di nuovo: Inferni!” 
Là dove fino alla sera prima si trovavano le nostre tende, ora sorgeva uno spazio di addestramento dove i Grisha del Secondo Esercito si stavano allenando. Un ragazzo si impegnava per dar fuoco a un fantoccio mentre una giovane donna accanto a lui spegneva di volta in volta le fiamme, scatenando, con un fluido movimento delle dita, un potentissimo getto d’acqua.
“Ecco perché hanno spostato le tende: i Grisha volevano più spazio” Sbuffò Mal
“Di nuovo!” 
A dar ordini era un’altra giovane Grisha, dai lunghi capelli neri e lo sguardo impettito. Si muoveva per il campo avvolta da una Kefta blu e da un’aria di regale superiorità.
“Cani bastardi. Fanno gli sbruffoni quando non c'è il loro Generale a tenerli in riga. Si dimenticano che non sono nient’altro che scherzi della natura.” Ringhiò Mal osservando la scena con disgusto.
“Abbassa la voce, potrebbero sentirti” lo supplicai in un sussurro.
“E allora? Sai che ho ragione. Tutta questa situazione è colpa loro! Non scordarlo mai. Dovrebbero tornare strisciando nel buco da cui sono usciti e invece guardali: trattati con tutti gli onori perché impegnati a combattere ciò che la loro stessa razza ha creato” e così dicendo sputò per terra “A loro va il cibo migliore, le tende migliori e tutti i lussi che quest’arida terra ha da offrire. Mentre a noi non resta altro che mangiare fango e sputare sangue.”
Mentre parlava, la Grisha dai lunghi capelli neri si voltò a guardarci con disprezzo. Per fortuna era impossibile che ci avesse sentiti da quella distanza. Insultare i Grisha era ormai un crimine duramente punito, anche se questo non era sufficiente a fermare le malelingue su di loro, anzi, semmai il contrario.
“Dai vieni, cerchiamo le nostre tende” dissi prendendogli il braccio e tirandolo lontano.
Per un po’ camminammo in silenzio, la Faglia d’Ombra si stagliava coprendo l’orizzonte a pochi passi da noi. Oscura ed imponente. Rabbrividii.  Da quando, il giorno prima, l’avevo vista per la prima volta non ero riuscita a togliermela dagli occhi. Ma adesso che tornavo a guardarla mi rendevo conto che era, se possibile, ancora più minacciosa di come la ricordavo. Distolsi lo sguardo avvicinandomi a Mal, finché eravamo insieme non avevo niente di cui aver paura.
Più avanti un gruppo di soldati era intento ad equipaggiare una Velasabbia.
“Sembra nuova” dissi a Mal indicandola.
“Nuovissima. I cani Grisha la chiamano Ultraleggero. Ovviamente è opera dei loro stessi Fabbrikator, dovrebbe essere più veloce”
“Che ne è stato dell’ultima?”
“Non era abbastanza veloce. Vieni, il nostro accampamento è da questa parte.”
E senza aggiungere altro si addentrò nel labirinto di tende che si apriva alla nostra desta. 
Mentre passavamo davanti alla tenda medica notai un’infermiera che si attardava all’ingresso. Guardava a Mal con occhi sognanti e quasi scoppiai a ridere.
“Quella donna ti sta facendo gli occhi dolci, non l’hai notato?” gli chiesi tirandolo per il braccio. Mal si voltò a guardare in direzione dell’infermiera che subito arrossii e si affrettò a rientrare. 
“Mph, probabilmente le era andato qualcosa nell’occhio”
“Sei senza speranza lo sai? - replicai scuotendo la testa- Non hai mai pensato di metter su famiglia?”
Lo sentii irrigidirsi accanto a me. “Come ti vengono in mente certe cose?” borbottò allungando il passo. Mi affrettai a raggiungerlo.
“Beh è solo… vedo come ti guardano le donne e tu beh…Non sei così vecchio, no?” chiesi imbarazzata. Mal scoppiò in una fragorosa risata e prese ad arruffarmi i capelli con le sue manone callose.
“E invece sì, sono vecchio e stanco, quindi portami rispetto piccola peste!”
“Dico sul serio! - strillai divincolandomi- Insomma, cosa te lo impedisce? Sappiamo già che saresti un padre fantastico e a me piacerebbero dei fratellini o una sorellina!”
La risata gli si spense in gola e d’un tratto si incupì. Sul suo volto apparvero i segni di un dolore antico e il suo sguardo parve perdersi nei ricordi. In quel momento mi sembrò vecchio di mille anni. Ma prima che potessi chiedergli cosa avesse, lui sembrò tornare in sé. Si schiarì la voce e tirò le labbra in un sorriso.
“Fratellini eh? Mi sembra di aver già il mio bel da fare ad occuparmi di te, ragazzina” disse dandomi una sonora pacca sulle spalle.
“Ma io non sono più una bambina. L’hai detto anche tu, no?” e imitando il suo tono ruvido presi a scimmiottarlo: “Ormai sei quasi una donna, Alina.”
“Quasi, appunto. E lo dissi solo per convincerti a comprarti una stramaledetta gonna, non puoi continuare ad andare in giro vestita come un ragazzino.”
“E perché no? A me piacciono i miei vestiti, e poi le gonne sono scomode, si impigliano dappertutto e…”
“si, si okay. Come vuoi. Penso solo che non troverai mai un ragazzo se continui a vestirti come un maschiaccio.”
“Tanto non mi guarderebbero comunque.”
Per tutta risposta Mal alzò gli occhi al cielo. “Va bene, mi arrendo.” Sospirò mentre giungevamo nei pressi delle nostre tende. Vidi Reisa e Josh farmi cenno di raggiungerli qualche tenda più in là. “Ci vediamo dopo, vecchietto.” dissi a Mal avviandomi di corsa verso i miei compagni. “Vedi di non combinare altri guai, mi hai sentito?” urlò di rimando lui. Sorrisi.
Più tardi venimmo chiamati a rapporto nella tenda principale. A quanto pare l’ordine di radunarsi era stato esteso a tutte le unità del Primo Esercito, il che aveva creato non poca confusione. Nella baraonda della folla cercai Mal con lo sguardo. Se ne stava in disparte con un gruppo di suoi commilitoni. Quando mi vide mi fece cenno di raggiungerlo e così feci. 
“Allora: ascoltate!” 
La voce del Capitano tuonò nella tenda. Il brusio di voci si fece attento. “Lo so che alcuni di voi sono in marcia da una settimana quindi sarò breve. Molti di voi proseguiranno a Nord per le prime linee Fierdiane o a Sud verso il confine di Shu Han.” 
Qualcuno sbuffò. A nessuno piaceva l’idea di rimettersi in marcia così presto, ma era sempre preferibile al rimanere di stanza alla Faglia. Su quello concordavano tutti.
“Il Secondo Esercito, tuttavia, ha una nuova brillante soluzione per la carenza di cibo e salperà domani per Novokribirsk. – continuò il Capitano - Se questo nuovo modello di Velasabbia funziona significa un pasto completo per tutti in questa tenda tra una settimana. Significa munizioni per le armi e zucchero per il tè”
“E un po’ di Whisky?”  
La domanda generò uno scoppio di risa generale.
“Sì, non sarebbe male ma non contateci troppo” sentenziò con un sorriso tirato il Capitano prima di riportare la folla all’ordine. “Come stavo dicendo, è chiaro che avranno bisogno del nostro aiuto per riportare le provviste. Perciò, alcuni verranno riassegnati…” 
 Un brusio si sparse, accompagnato da un collettivo brivido di paura. Attraversare la Faglia d’Ombra era un pensiero che atterriva anche i più coraggiosi.
“La lotteria da incubo” Sussurrò scherzoso Mal al mio orecchio. Trattenni a stento una risata.
“Silenzio! Per la missione di rifornimento al di là della Faglia…Sergente: Yure Teplov. Tracciatore: Malyen Orestev. Caporale: Masyelentov…”
Il cuore mi salì in gola. Guardai Mal con gli occhi spalancati dal terrore. 
 No.
“Mal…Cosa…? Tu sei...tu sei nella nostra unità… giusto?”
Balbettai mentre sentivo il freddo gelido del panico attanagliarmi le viscere.
“Fuciliere: Valek Tapenyov…” continuava imperterrito il Capitano, ma ormai la sua voce non era che una eco lontana. Continuavo a guardare Mal, incapace di controllare il mio cuore impazzito.
“Dev’essere un errore…”
“Calmati Alina.”
“E infine, Dottore: Nolech Barenovsky. È tutto. La cena è tra un’ora. Dopo mettetevi in fila per grado. Potete andare.”
“Mal…”
“Beh, se mi va bene potrò vedere Ketterdam. Hai visto? Quelle cinque Krughe alla fine mi torneranno utili” Sorrise lui cercando di rassicurarmi.
“Non scherzare!”
“Non preoccuparti, piccola peste. Ho la pelle dura io, andrà tutto bene, vedrai.”
“Ma…”
“Ci vediamo dopo” sorrise lui, allontanandosi.
Avrei voluto replicare ma venni richiamata al mio reparto per riesaminare delle carte. Nonostante lo sguardo rassicurante di Mal, avevo un groppo in gola che quasi mi toglieva il respiro. Per tutto il tempo della riunione io rimasi distratta. Cercando, invano, di scacciare quel senso di vuoto e paura che mi attanagliava lo stomaco.
Non posso perderlo, lui non può morire. Devo fare qualcosa. Ma cosa?
Non c’era modo di contraddire all’ordine diretto di un superiore senza che venisse considerato alto tradimento. 
                  Potremmo scappare…
Ma anche quella era una pessima idea. Saremmo stati etichettati come disertori e braccati come animali. Non si sfugge alla guerra. Tuttavia, non riuscivo a rassegnarmi all’idea di perdere in quel modo l’unico straccio di figura paterna che avessi mai avuto. Il mio mondo iniziava e finiva con Mal. Senza di lui….
                  …morirei.
Immersa in quel groviglio di pensieri mi diressi verso la tenda della mensa e mi misi in fila ad aspettare il mio turno per il pasto, ignorando i brusii che mi seguivano a causa del mio aspetto.
Ero mezza Shu, come la gente non smetteva mai di ricordarmi. Ma ormai mi ero abituata alle loro occhiate sprezzanti e ai loro commenti sarcastici. 
“Alina! Eccoti, ti teniamo il posto, okay?” 
Alzai lo sguardo, a parlare era stato Josh, un collega cartografo con cui avevo stretto una specie di amicizia. Sorrisi vedendolo agitare la mano indicando il tavolo dove era seduta la mia unità. 
Reisa, Alexei, Dubrov e Josh.
Le uniche quattro persone al mondo, oltre a Mal, con cui avessi un legame. A loro non importava niente che io fossi…diversa.
“E una Shu che ci fa qui?”
La voce unticcia dell’inserviente mi riportò alla realtà. Lo osservai cercando di non lasciar trapelare alcuna emozione. 
“Sono di Ravka, al tavolo dei cartografi.” 
Qualcuno dalla fila dietro di me ridacchiò.
“Qui non c’è cibo per quelli come te. Sparisci, mangiariso” ringhiò l’inserviente prendendo il piatto al ragazzo dopo di me.
Deglutii cercando di ingoiare la rabbia che sentivo crescermi dentro.
“C’è qualche problema?” Intervenne Mal arrivando alle mie spalle.
“Nessuno Mal, lascia stare”
“E tu chi saresti eh?” bofonchiò l’inserviente 
“Qualcuno che non vorresti vedere arrabbiato” sussurrò Mal minaccioso, tirandomi da parte per fronteggiare l’oste.
“Lascia stare, ti prego” sussurrai cercando di tirarlo via.
Mi ignorò.
“La mia protetta vorrebbe mangiare. Ne ha diritto quanto chiunque altro qui dentro. Quindi, te lo chiederò di nuovo: hai qualche problema in proposito?”
“La tua protetta eh?” sibilò quello di rimando, soppesando con lo sguardo la stazza imponente dell’uomo che aveva davanti. Al confronto con Mal lui sembrava un sorcio denutrito.
“Già, è così. E ha fame.”
Con un motto di coraggio che aveva dell’ammirevole, l’omuncolo raddrizzò la schiena e sostenne lo sguardo di Mal. 
“Io non servo la feccia Shu” e così dicendo sputò per terra.
Nella sala calò un silenzio irreale.
“Risposta sbagliata” mormorò Mal. E con un gesto fulmineo gli conficcò una forchetta sul dorso della mano, inchiodandolo al bancone. L’uomo urlò cercando di liberare la mano ferita, ma Mal gli afferrò la testa e lo tenne fermo schiacciato contro il banco.
“Ti chiami Gona, vero?” chiese, la voce tremante di rabbia “Bene Gona. Dì un po', quante mani ti servono per servire la mia amica?” Un gemito di dolore fu l’unica risposta “Quante mani?!” urlò Mal minaccioso
“Due!” Piagnucolò l’uomo.
“Beh, diciamo che oggi te ne farai bastare una, si? Senti adesso che faremo: Tu chiederai scusa alla mia amica e le servirai una doppia razione, sei d’accordo vero?”
“S…sì” 
“Sì? Io però ancora non sento le tue scuse, Gona.”
Con occhi pieni di odio Gona borbottò qualche parola incomprensibile. Con la mano libera Mal afferrò allora la forchetta e diede uno strattone. Gona urlò.
“Non ti sento, Gona. E devono sentirti tutti qui dentro.”
“Mi…mi dispiace!” Urlò l’uomo disperato.
“Molto bene, molto bene. E adesso: servila.”
Con l’unica mano che gli restava Gona prese il mestolo e riempì il mio piatto con una porzione decisamente abbondante. “Sei stato bravo Gona. La prossima volta cerca di ricordarti le buone maniere. Come ho detto, non ti conviene vedermi arrabbiato.” e così dicendo lo lasciò andare. Mi prese per il braccio e mi trascinò fuori dalla mensa, tra gli sguardi allibiti di tutti i presenti.
“Non avresti dovuto farlo” 
Gli dissi mentre mangiavamo appollaiati su una delle torri di vedetta. La Faglia d’Ombra era una lunga lingua di tenebre difronte a noi. Spiccava ancora più nera nel buio della sera. Mal sbuffò.
“Lui non avrebbe dovuto mancarti di rispetto.”
“Potresti essere punito per questo”
Per tutta risposta scoppiò in una risata “Per aver dato una lezione ad un insulso insetto? No Alina, non credo proprio. Scoppiano risse per molto meno tutti i giorni.”
“Solo…lascia che sia io a combattere le mie battaglie, d’accordo?”
Sentii il suo sguardo paterno su di me e presi ad armeggiare con il cucchiaio. “D’accordo, piccola peste”
Sorrisi, nessuno al mondo mi avrebbe mai capito come lui. Per un po’ rimanemmo in silenzio, godendo della reciproca compagnia. Alzai lo sguardo verso l’orizzonte, verso la Faglia d’Ombra che si stagliava minacciosa davanti a noi. Le tenebre che la componevano sembravano pulsare come fossero una cosa viva. 
“Hai…hai visto il Capitano?” chiesi infine, dando voce alle mie preoccupazioni
“Sì.”
“E…?” insistetti, trattenendo il fiato.
Mal prese un boccone e masticò lentamente prima di rispondere
“E hanno bisogno di me. Quindi…”
La voragine che avevo nel petto si aprì 
“Quindi…?” Cercai di parlare ma mi mancava l’aria.
“Andrà tutto bene vedrai” 
“Potrei spararti a un piede” dissi in preda all’angoscia. Lui rise. “Non scherzo Mal!”
“La tua mira è pessima! No grazie, preferisco andare a Ketterdam e spendere le mie cinque Krughe in qualche taverna di Ravka Ovest.” Cercava di apparire disinvolto, ma sapevo che persino lui, l’uomo più coraggioso che avessi mai conosciuto, non poteva non aver paura di ciò che lo aspettava.
“Ti prego, non andare.” Ormai avevo ceduto alle lacrime.
Mal si voltò a guardarmi, intenerito.
“Sai, quando ero bambino quella cosa mi dava gli incubi” disse indicando la Faglia con un cenno del capo. “Sognavo di entrarci e di trovare i miei genitori, già morti, che mi aspettavano.” Scosse la testa per scacciare quell’immagine. “Ma non sono più un bambino da molto tempo Alina, e anche tu stai diventando grande ormai. È mio compito fare ciò che devo…gli ordini sono ordini, lo sai.”
“Ma io ho bisogno di te”
“Tu, mia piccola peste? No. Ti ho insegnato bene. Tu non hai più bisogno di nessuno.”
“Ascoltami! Se andrà male, giurami che tornerai indietro!”
“Mi chiedi di scappare come un codardo?”
“Ti chiedo di sopravvivere. Hai perso già abbastanza. Io ho perso abbastanza!” singhiozzai.
Mal mi prese tra le braccia e mi cullò come quando ero bambina.
“Troverò il modo di tornare da te Alina, promesso. Ma, prima, credo proprio che andrò a giocare d’azzardo a Ketterdam!” 
Mio malgrado scoppiai a ridere.
“Eccola qui, la mia piccola peste.” Sorrise asciugandomi le lacrime. “Sii forte anche per me, d’accordo?”
 
Il mattino dopo i preparativi per l’imminente partenza scuotevano il campo. Tutti sembravano indaffarati in qualcosa, chi smontava le tende, chi preparava i bagagli. Alcuni si aggiravano in cerca degli amici per un ultimo saluto, mentre altri si attardavano a fare colazione. 
In quel clima di gran concitazione, una piccola folla seguì l’ingresso nel campo di un drappello di Grisha posti a scorta di un’imponente carrozza nera.
“Su col morale Dubrov!” disse Alexei mandando giù l’ultimo sorso dalla sua tazza di caffè. “Guarda, il Generale Nero è arrivato a salvarci” 
“Dici che distruggerà la Faglia?” Mormorò Joshua ammirato.
“No, idiota era solo sarcastico” rise Dubrov dandogli uno spintone.
“Ah”
“È solo un Grisha. Sai, non fa miracoli” continuò Dubrov con tono sprezzante mentre la carrozza li superava dirigendosi verso la tenda principale.
“È davvero lui…?” intervenne Reisa uscendo in quel momento dalla tenda che condividevamo.
“Oh, sì. Il famigerato Generale Kirigan.” Annunciò Alexei, tra le risate.
“Alina!”
Mal
Mi girai verso di lui. Attraversava l’accampamento armato di tutto punto. Il passo sicuro, nonostante zoppicasse appena. Una vecchia ferita di guerra, una delle tante. La spada che gli tintinnava al fianco rifletteva i deboli raggi del sole. Una folata di vento alzò la polvere costringendolo a socchiudere gli occhi e ingrigendo ancora di più i suoi capelli già brizzolati. Lasciai che mi raggiungesse. Incapace di muovermi. 
 “Hai visto? Persino il leader del Secondo Esercito ci onora della sua presenza” disse quando mi fu vicino.
“Già, ci stavamo giusto chiedendo a cosa dovessimo quest’onore” rise Dubrov
 “Crederà nel grande successo della nuova Velasabbia” Rispose Mal guardandomi fissa negli occhi e abbozzando un sorriso. Non risposi, limitandomi a stringere i denti.
“O nel suo colossale fallimento…Ahi” 
“Alexei!” 
Reisa gli aveva tirato una gomitata.
“Che c'è?! che ho detto?... Scusate Caporale …io…non intendevo…” Balbettò incrociando lo sguardo minaccioso di Mal.
“Oh, sta zitto” sbottai io dandogli le spalle e rivolgendomi a Mal 
“Secondo te verrà con voi?”
Lui sbuffò. A Mal i Grisha non piacevano affatto e il Generale Kirigan, o l’Oscuro, come veniva soprannominato, gli piaceva meno di tutti. 
“In tal caso…farà meglio a starmi alla larga.”
“Mal…” cominciai con una nota di supplica nella voce. Ma prima che potessi continuare il Capitano fece il suo ingresso sbraitando ordini.
“Siamo bambini o soldati?! Forza femminucce! Hai vostri posti, preparatevi! Si parte tra venti minuti. Sergente, prepara l’equipaggio!”
“Sì signore! Caporale Oretsev?!”
“Sergente?”
“Tu sei con me. Saluta la tua pupilla e prepara le tue cose.” Ordinò con voce secca. 
“Coraggio piccola cartografa- aggiunse rivolgendosi a me con un sorriso beffardo - io l’ho attraversata tre volte senza problemi.” e così dicendo si tirò su la manica per mostrarmi tre linee sottili all’altezza del polso. “Vedrai che tra poco il tuo paparino avrà un tatuaggio come il mio” 
E senza aggiungere altro si allontanò ad impartire ordini al resto dell’equipaggio.
Mal si girò a guardarmi, lo sguardo duro di chi si prepara ad affrontare l’inferno. 
“Tornerò presto” disse. Mi morsi le labbra annuendo nel tentativo di non tradire alcuna emozione.
“A presto” sussurrai. 
Rimasi per un attimo a guardarlo mentre si allontanava. Poi mi girai e mi avviai nella direzione opposta. Ero rimasta sveglia tutta la notte a pensarci, ed ero arrivata alla conclusione che non avrei corso rischi. Sarei andata con lui. 
         Se moriremo, moriremo insieme.
Corsi verso la tenda principale dei cartografi, là dove venivano conservate tutte le mappe che io e i miei colleghi tracciavamo con cura. La tenda non era sorvegliata. I turni di guardia si concentravano perlopiù ai margini dell’accampamento o fuori dal deposito armi. Nessuno badava alle mappe.
Frugai tra le diverse carte in cerca di quelle utili alla navigazione. Mi muovevo come in preda ad una febbre, le mani sudate, il respiro affannato. Sapevo che se mi avessero scoperta probabilmente non si sarebbero limitati a rinchiudermi in una cella. Ma non ebbi esitazioni. Era la mia unica possibilità di salire a bordo di quella maledettissima nave. L’unico modo di stare con Mal. 
Le trovai accatastate in un angolo, in attesa di essere caricate a bordo. Buttai le carte in un contenitore di peltro e accesi il fiammifero che mi ero portata dietro. Rimasi come incantata ad osservare il crepitio delle fiamme. Giusto il tempo di assicurarmi che il fuoco le rendesse inutilizzabili. Nemmeno per un momento mi fermai a domandarmi cosa stessi facendo.  
Una decina di minuti più tardi il Capitano entrò furente nella tenda delle mappe.
“Petya, come è successo?”  sbraitò
“Non lo sappiamo, Capitano. Siamo stati così attenti a fissare tutte le lanterne” La caporeparto si era fatta piccola piccola sotto lo sguardo minaccioso del Capitano. 
“E quali sono i danni?”
“Niente di grave, davvero. Solo alcune carte della costa occidentale, Os Kervo e la rete fluviale che l'attraversa, niente di…”
“…cruciale? I Dati geografici del territorio dall'altra parte di quella dannata Faglia? Quelle carte?!”
 “Sì.” 
Il Capitano lanciò un’imprecazione 
“Ma…ma sono sicura che il primo esercito dall'altra parte ha…” balbettò Petya 
“Pensi che mi fidi delle informazioni di altri?! Ora qualcuno dovrà attraversare la Faglia e ridisegnare le mappe!” la interruppe il Capitano alzando improvvisamente la voce.
“Vado io – dissi facendomi avanti nella tenda- mi imbarchi. Vado io” 
Il Capitano mi squadrò dall’alto in basso sovrastandomi con la sua statura. “Sì, andrai tu. Con tutta la tua unità” Aggiunse uscendo con rabbia dalla tenda.
Cosa ho fatto?
 
“Io non capisco, dovevamo andare a sud e ora andiamo a ovest?” piagnucolò Josh trascinandosi dietro il suo borsone. Ci eravamo preparati in tutta fretta, non appena l’ordine era arrivato. La mia unità si sarebbe imbarcata sulla nuova Velasabbia. Avremmo attraversato la Faglia.
Se dovesse accadere qualcosa…
Rabbrividii 
Quel che è fatto è fatto.
“Che cosa hai fatto?” mi aggredì Reisa
“Niente” sussurrai cercando di sembrare sincera ma mi tremava la voce.
“Lasciala stare Reisa! Dai sempre la colpa a lei!” Intervenne Dubrov
“E di solito ho ragione” borbottò lei mentre salivamo a bordo.
La Velasabbia era una nave magnifica. Con i suoi tre alberi maestri aveva un aspetto imponente, che tuttavia non bastava a rassicurare il suo equipaggio che si affrettava nei preparativi in una trepidazione dettata più dalla paura che dalla premura.
“Che diavolo ci fai qui?” Mal mi si pose innanzi sul ponte, sbarrandomi la strada.
“Ci hanno assegnati a voi” risposi senza aver il coraggio di guardarlo in faccia.
“No! Torna subito indietro” Disse, una nota di panico nella voce.
Deglutii e lo superai tenendo gli occhi fissi a terra. “Gli ordini sono ordini”
“Potrei spararti al piede” 
“Non ci provare” e con una mossa fulminea lo superai, salendo a bordo. Mal cercò di acchiapparmi ma fui più veloce. 
“Digli che stai troppo male” 
“Non sto mai così male”
“Dì una bugia!”
“E qual è la tua? Io vengo con te” gli dissi con rabbia guardandolo dritto negli occhi.
“Scendi da questa nave, Alina o ti porto giù io” tuonò severo. Sostenni il suo sguardo cocciuta. Non lo avrei abbandonato. “Su il portello. Pronti a partire!” A quell’ordine il portello della nave si alzò. 
Era fatta.
“Maledizione!” Imprecò Mal stringendo i pugni
“Ce la farò. Promesso” gli dissi cercando di trasmettergli tutta la mia determinazione. Mi superò furente, soffocando un ringhio. “Sergente quali sono gli ordini?” 
“Ce lo dirà la Grisha” rispose il soldato, indicando una donna alle nostre spalle. Camminava con la schiena dritta, aveva un incedere calmo e autorevole. Al suo passaggio l’equipaggio si dispose in due file ordinate. Attento. “Ecco come faremo.” Cominciò. “Entreremo nella Faglia. Si farà buio ma noi piace il buio perché ci permette di non attirare l'attenzione. L'unica luce che useremo è quella blu sull'albero. È fioca, ma sicura.”
“Ma tu sei un’Inferno, giusto? - la interruppe Alexei- perché sei qui se dobbiamo rimanere al buio?” 
Lei lo guardò come si guarda un insetto.  “Per quando il buio non vi sarà più d'aiuto…” rispose lei lasciando aleggiare la minaccia. Alexei sbiancò. “Dov'è il Generale Kirigan?” provò a chiedere Reisa con voce tremante. Venne ignorata. Il suono di un corno riempì l’aria.
“Ecco il nostro segnale.” Disse la Inferno e senza più degnarli di uno sguardo si diresse verso la vela maestra e cominciò a dare ordini a una ChiamaTempesta dai capelli neri.
“Allora ascoltatemi cartografi!” Il Sergente del Primo Esercito prese la parola “Finché non arriviamo ai moliterra occidentali dovete rimanere dove siete e non, ripeto, e non lasciate la nave durante la traversata. Tutto chiaro?”
Ci fu un breve mormorio generale. Il momento era giunto.
Con un fluido movimento delle mani, la ChiamaTempesta dai capelli neri generò una folata di vento che andò ad ingrossare le vele. La Velasabbia si mosse.
Calò il gelo. Nessuno osò parlare. E per un po’ il ribollire dell’enorme massa di Tenebre che si stagliava davanti a noi dettò il ritmo dei nostri cuori impazziti. Man a mano che ci avvicinavamo alla Faglia il vento aumentava. Il ribollire divenne un rombo sordo che inghiottì ogni altro suono. Una raffica di vento mi strappò via il foulard che avevo al collo. Mi voltai per afferrarlo, ma era ormai alle spalle. Dietro di noi, sul molo, la figura di un uomo in nero osservava la scena. Rabbrividii e mi costrinsi a tornare a guardare l’enorme massa che stava per inghiottirci tutti.
 “Si va, ora.” Mormorò qualcuno. 
Trattenni il respiro. Chiusi gli occhi.
Poi il buio ci inghiottì.



E intorno a me covava sempre la stessa oscurità, 
quella stessa eternità nera e imperscrutabile,
 contro la quale si inalberavano i miei pensieri incapaci di afferrarla. 
Con che cosa potevo paragonarla? 
Feci sforzi disperati per trovare una parola abbastanza grande 
per definire quel buio,
una parola così crudelmente nera 
da annerire la mia bocca quando l'avessi pronunciata.
-Knut Hamsun-
 

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Capitolo 2
*** L'incontro ***


Alina 
 Tutto intorno a me c’era un gran baccano. Qualcuno da qualche parte urlava. Il fragore di passi mi rimbombava nelle orecchie. Mi scoppiava la testa. 
Perché non stanno zitti?
Cercai di muovermi ma mi accorsi con ansia che non sentivo più il mio corpo. Provai ad aprire gli occhi. Il mondo mi apparve sfuocato. 
Dove sono? Cos’è successo?
Sbattei più volte le palpebre cercando di rimettere in ordine i pensieri. 
“È viva!” gridò qualcuno sopra di me. Strinsi gli occhi e soffocai un gemito, la testa mi doleva da impazzire. “Portate qui un Guaritore” continuò la voce. 
“Mal?” riuscii a mormorare, cercai di girarmi. Un dolore acuto mi opprimeva il petto. Mi mancava l’aria. “Mal..” Boccheggiai di nuovo. 
“Sono qui, Alina. Andrà tutto bene” riuscii a girarmi e lo vidi steso accanto a me sul ponte della Velasabbia. Il volto trasfigurato dal dolore, una lunga ferita gli percorreva il fianco e una chiazza di sangue si allargava sotto di lui. Respirava a fatica ma era vivo. 
“Sta ferma adesso.” mi intimò una voce dall’alto. La guardai. A parlare era stata una Grisha dalla pelle scura, portava la Kefta rossa dei Guaritori e ricambiò il mio sguardo con piglio sicuro. “Ti sei rotta le clavicole. Adesso le riparo, okay? Farò in fretta ma farà comunque male. Però ho bisogno che stai ferma d’accordo?” 
Annuii senza fiato. Accanto a me Mal venne issato di peso su una lettiga. “No…No…Mal…dove lo portano?” Mormorai nel panico.
“Il Primo Esercito va nella tenda medica. Ora sta Ferma”
L’assurdità di quella frase mi lasciò più confusa di prima. Io ero del Primo Esercito, perché non andavo con lui? Feci per alzarmi, convinta che mi stesse mentendo. In fondo perché mai fidarsi di un Grisha?
“Ferma!” mi sgridò la Guaritrice costringendomi nuovamente a terra. Il dolore mi lasciò stordita.
La vidi compiere uno strano movimento con le dita e fui travolta da uno spasimo mentre una fitta di dolore acuta mi attraversava. Sentii distintamente le mie ossa rimettersi in asse, svuotandomi i polmoni della poca aria rimasta. 
Scattai a sedere boccheggiando. “Meglio no?” sorrise la Grisha che mi aveva guarito. “Si…si…io...grazie” balbettai confusa. 
“Alzati adesso, ti aspettano nella tenda nera” disse tirandomi su per un braccio. Mi teneva stretta, forse per paura che potessi cadere. Ma improvvisamente mi sentivo bene. Ero solo…frastornata. Chiusi gli occhi. Venni assalita da un vortice indistinto di immagini confuse: un Volkra che si abbatteva sulla nave. I suoi artigli che afferravano Mal. Fu come uno schiaffo. Li riaprii guardandomi attorno nel panico. 
“Va tutto bene, è finita. Sei stata convocata nella tenda del Generale. Sei al sicuro.”
“Cos...?...No io, devo trovare Mal, lasciatemi” provai a sottrarmi ma due guardie sopraggiunsero a darle manforte.
In men che non si dica mi trascinarono di peso nella tenda del Generale Kirigan. Cercai di divincolarmi ma senza successo, mi tenevano stretta. Non capivo cosa fosse appena accaduto. Gli orrori appena vissuti continuavano a balenarmi davanti agli occhi a sprazzi, confusi.
Gli artigli di quel mostro che mi ghermivano la schiena, mancandomi di un soffio, il viso di Mal, le urla e poi quell’esplosione di luce. Quella strana sensazione, come una vibrazione, un formicolio in tutto il corpo, e gli occhi di Mal, Mal improvvisamente impaurito. 
 Devono aver scoperto che ho bruciato io le mappe- pensai in preda al delirio - Ecco perché mi stanno portando dal Generale - Cercai di scacciare quelle immagini mentre la tenda nera si faceva sempre più vicina. Vogliono punirmi.
Entrando credetti di essere diventata cieca. All’interno regnava un’oscurità pressoché assoluta, resa più lieve solo da pochi flebili raggi di luce che si facevano largo tra le cuciture degli spessi tendaggi. Sbattei le palpebre finché i miei occhi non si abituarono a quella penombra.
“Portatela più vicino”.  Una voce calma, bassa, suadente. La voce autorevole di chi è abituato a dare ordini. Veniva da un punto indefinito in fondo alla tenda. Socchiusi gli occhi riuscendo a stento ad intravedere la sagoma di un uomo alto, in piedi di spalle di fronte a me.  Quando le guardie eseguirono l’ordine non opposi resistenza. All’improvviso ero come in trance. Sentivo il loro timore ma c’era qualcosa in quella figura che mi chiamava.
 Devo aver battuto la testa
 Le guardie avanzarono di qualche passo e, non osando proseguire oltre, mi lasciarono lì, in mezzo a quella tenda, immersa in una semi oscurità.
La figura si voltò lentamente. Sentii i suoi occhi su di me prima ancora di vederli. Fece un passo avanti e un raggio di luce gli illuminò il volto. Allora lo vidi: Un uomo sulla trentina dai lineamenti delicati, i capelli neri lunghi fino alle spalle, una corta barba ben curata gli incorniciava la mascella. E poi quegli occhi, neri anch’essi, come il fondo di un pozzo, imperscrutabili come un cielo senza stelle. 
Il Generale Kirigan. Capo del Secondo Esercito. L’Oscuro. L’uomo più temuto e più potente di tutta Ravka, secondo solo al Re. Colui che aveva riscattato con le sue gesta eroiche il nome dei Grisha.  
Prima di lui i Grisha erano apertamente odiati in tutta Ravka, braccati come animali, uccisi, talvolta solo per divertimento, e adesso, grazie a lui, vivevano al sicuro tra i lussi del Piccolo Palazzo. Protetti dal re in persona. All’odio si era sostituito il rispetto, una sorta di timore reverenziale. Certo il popolo aveva continuato a guardarli con diffidenza, ma a nessuno in tutta Ravka Est saltava in mente di criticare apertamente l’operato di un Grisha, non in pubblico almeno.
Era alto, elegante. Sulla sua Kefta nera non figuravano medaglie o inutili fronzoli, ma da tutta la sua persona emanava un senso di austera autorità che non lasciava dubbi sul suo ruolo di leader. Eppure, c’era qualcos’altro. Una sorta di celata malinconia, come se si portasse addosso tutto il peso del mondo. 
“Avvicinati” disse, era un ordine che non ammetteva repliche reso in qualche modo vellutato dalla sua voce, profonda come le tenebre dei suoi occhi. Rabbrividii ma feci un passo in avanti. C’era qualcosa di magnetico nella sua figura. Qualcosa che mi attirava in un modo che non riuscivo a comprendere. Devo aver battuto la testa mi ripetei.
“Ebbene?” chiese dopo una breve pausa, gli occhi neri piantati su di me.
Cercai di riscuotermi. Alzai il mento e ricambiai il suo sguardo con sfida. Avrei affrontato le conseguenze delle mie azioni a testa alta. Mi meritavo una punizione. I miei amici erano morti, ed era colpa mia, ma a lui non avrei dato alcuna soddisfazione. Non mi sarei fatta umiliare. 
“Ebbene cosa? - replicai decisa - … Signore” aggiunsi subito dopo, temendo di essere stata troppo impudente. 
Meglio non esagerare. 
Se il mio tono irriverente lo sorprese non lo diede a vedere. Il suo viso rimase disteso, rilassato, le mani incrociate dietro la schiena, si appoggiava appena alla scrivania alle sue spalle con la grazia di una pantera pronta al balzo. 
“Cosa sei tu?” chiese addolcendo la voce.
“Alina Starkov, apprendista cartografa, corpo reale dei topografi” risposi d’un fiato, senza alcuna esitazione. 
Il suo sguardo si fece più profondo e il peso degli avvenimenti appena accaduti mi fu addosso come un macigno. Avevo bruciato le mappe per seguire Mal, uno stupido capriccio. 
Se non fosse per me i miei compagni sarebbero ancora vivi
“Sono tutti morti…è colpa mia…non è per questo che sono qui?” continuai con un groppo in gola, ma il Generale alzò una mano ad interrompermi.
“Rispondi alla domanda- disse, sempre con studiata dolcezza- Cosa sei tu?” 
Non capivo.
“Una…Mappatrice, Signore” un brusio di risate sommesse sciamò da tutti i lati della tenda, e improvvisamente mi resi conto di essere attorniata da diversi Grisha. 
Non li avevo notati fino a quel momento, come se la presenza del Generale avesse cancellato ogni altra cosa. 
Che stupida
Mi maledii mentalmente per aver abbassato la guardia. 
Il Generale alzò nuovamente la mano riportando il silenzio.
“Chi ha davvero visto cosa è successo?” 
I suoi occhi che fino a quel momento non mi avevano abbandonata un istante vagarono per la tenda.
“Zoya? Tu eri alla vela maestra” Chiese rivolto ad una Grisha dai lunghi capelli neri che prontamente rispose: “Ci hanno attaccati a meno di due segnavia. Qualcuno ha acceso una lanterna.” 
Josh, Josh ha acceso la lanterna, ha sempre avuto una paura folle del buio
 “E.…?”  
“I Volkra hanno assalito prima i fucilieri e la nostra Inferno - continuò Zoya -…e poi, poi c’è stata una violenta esplosione di luce”
Un’esplosione di luce, quella strana sensazione, come di un formicolio in tutto il corpo.  
“È stata lei” intervenne indicandomi un Grisha col volto macchiato di sangue. Lo riconobbi, era sulla nave. Aveva urlato anche lui quando i mostri erano piombati su di noi.
Lo sguardo del Generale tornò a posarsi su di me “La nostra mappatrice” disse, un velo di scherno nella voce. 
“È la verità? - continuò tornando serio - Tu puoi evocare la luce?” Scossi la testa, incapace di rispondere, deve esserci un errore. 
“Dove sei cresciuta?” la sua voce era di nuovo gentile 
“…Keramzin” risposi con l’amaro in bocca. Avevo odiato quell’orfanotrofio, il modo in cui mi guardavano gli altri bambini, e ancor di più come mi avrebbero guardato tutti da allora – con quel misto di pietà e disprezzo - una volta scoperto che, oltre ad essere mezza Shu, ero anche una misera orfana. 
Tutti, tranne Mal.
Gli occhi spaventati di Mal sulla nave, mentre era accaduto. 
Deve esserci un errore
“E quando ti hanno esaminata?” 
Non lo hanno mai fatto, non ho mai voluto, deve esserci un errore.
Aprii la bocca per parlare ma le parole mi morirono in gola.
“Tu …non lo rammenti? ...Bene, allora vediamo di scoprirlo”
Pronunciò ogni parola con lentezza, e altrettanto lentamente si avvicinò a me, rigirandosi un anello con uno strano artiglio appuntito tra le dita affusolate.
Deve esserci un errore, devo andarmene da qui, devo trovare Mal, e scappare, fuggire via da questa tenda, dagli sguardi altezzosi di questi Grisha, lontano da questi occhi di tenebra.  
Avrei voluto muovermi, correre ma qualcosa in quegli occhi continuava a tenermi ferma lì, al centro di quella tenda buia. 
“Tirati su la manica” Nonostante il tono gentile avvertì una nota di urgenza nella sua voce. Si era fermato ad un passo da me, in attesa. 
Esitai.
Lunghe ombre cominciarono a strisciare tutto intorno a noi, tenebre ancora più scure del buio che già riempiva la tenda. Rabbrividii improvvisamente terrorizzata. 
“C…che succede?” balbettai, ma ancora non riuscii a muovermi.
“Su la manica”. 
Il suo sguardo si fece minaccioso quanto le tenebre che continuavano ad ammassarsi tutt’intorno, la voce fremeva di una qualche emozione indefinita, a metà tra la brama e la rabbia. 
“Per favore” aggiunse e la minaccia scomparve, sostituita da una malinconia antica, suonava quasi come una supplica. 
Il cambio repentino mi diede le vertigini. Presi un respiro, abbassai lo sguardo e mi tirai su la manica, scoprendo appena il polso.
Lui lo prese colmando con un passo la distanza che c’era tra noi mentre con l’altra mano mi tirò su la manica fin quasi alla spalla. Sentii di nuovo quella strana vibrazione provata sulla nave, come un formicolio, emergere da qualche angolo remoto di me stessa. 
La pelle scottava là dove lui la stava toccando, mi fischiavano le orecchie.
Cosa sta succedendo?  
Alzai lo sguardo fino ad incrociare gli occhi neri del Generale che mi fissavano con una sorta di velato stupore. 
La sente anche lui?
Fu un attimo. L’uncino dell’anello che portava al pollice affondò nella mia pelle come un lungo artiglio tracciandomi una linea sottile sull’avambraccio. Nello stesso istante dalla ferita sgorgò una lama di luce. La vibrazione si acuì fino a diventare concreta. Mi sembrava che il mio intero essere cantasse. Era una nenia antica come il mondo. Mentre guardavo quella lama di luce che mi usciva dal braccio fui travolta da un totale senso di beatitudine e sollievo, come se qualcosa che da tempo languiva imprigionato dentro di me si fosse d’improvviso liberato. 
Alzai gli occhi a guardare il Generale, le sue mani mi tenevano ancora. Ricambiò il mio sguardo con un tale trasporto da farmi arrossire. 
Una gioia irrefrenabile sembrava aver aperto un varco in quei due pozzi di tenebra. La bocca socchiusa in un sorriso appena visibile. 
“Ti ho trovata” mormorò, ma fu poco più di un sussurro e credetti di averlo immaginato. Intanto la lama di luce che sgorgava dal mio braccio bucò il tetto della tenda e si riversò verso il cielo riempiendo l’accampamento col suo etereo, acuto canto. 
Il Generale mi lasciò il braccio e la luce scomparve, insieme a quel formicolio, insieme alla musica, e il buio sembrò tornare ad inghiottire ogni cosa. Poi l’aria si rischiarò, assumendo per la prima volta dei toni più tenui. Barcollai sul punto di cadere. 
Deve esserci un errore.
Non riuscivo a smettere di fissarmi il braccio. Nel punto da cui la luce era uscita ora non si vedeva che un lieve graffio, ma là dove lui mi aveva toccata sentivo la pelle pulsare lievemente. 
“Portatela al Piccolo Palazzo, partite subito e fate in fretta. Non è al sicuro qui, non più” la voce del Generale mi arrivò come un’eco lontana, i contorni stessi delle cose apparivano sfuocati. 
Deve esserci un errore.
A malapena sentii le mani di due Grisha prendermi e condurmi fuori dalla tenda. 
Cos’è successo? Cos’era quella luce? Per questo Mal era così spaventato? Mal! Dov’è Mal? 
“Mi hai sentito? Andiamo! Sali!” i due Grisha che mi scortavano si erano fermati davanti a una carrozza, e un terzo teneva la porta aperta, era stato lui a parlare. Tornai in me.
“No! C’è stato un errore, devo trovare Mal!”
“Il Generale non commette mai errori. Ha dato ordine di portarti al Piccolo Palazzo immediatamente. Ora sali in carrozza!” lo odiai.
“Tutti commettono errori. Guardami, ho una faccia importante forse?” gli dissi con sprezzo, i piedi ben piantati per terra. Non mi sarei mossa di un centimetro. 
Lui si avvicinò a me ricambiando il mio sguardo con altrettanto disprezzo.
“Hai una faccia da guai che è la stessa cosa per me, e adesso muoviti!”. 
Cambiai tattica.
“Aspetta! - lo supplicai - Malyen Oretsev…è nella tenda medica, devo parlargli!” 
Feci per andare ma lui fu più veloce e afferrandomi per un braccio mi disse “Senti ragazzina, tutte le spie in zona sapranno presto cosa hai fatto e i nemici verranno a cercarti. L’unica speranza è condurti ad Os Alta dietro le mura del Palazzo prima che ti uccidano, lo capisci?” Mi teneva stretta e all’improvviso sentii tutta la verità delle sue parole. Approfittò della mia esitazione e mi sollevò di peso. 
“Andiamo” disse e la carrozza già si muoveva. 
Com’era potuto succedere tutto così velocemente? Mi sembrava di essere stata catapultata nella vita di qualcun altro. 
Forse sto sognando. Adesso mi sveglierò e scoprirò che è stato solo un brutto sogno, Mal mi prenderà in giro e la mia vita continuerà come prima. Deve essere così, deve esserci un errore. 
Chiusi gli occhi.
Sì, è solo un sogno, un brutto sogno.  
Ma quando li riaprii ero ancora in quella carrozza. Davanti a me i due Grisha che mi avevano scortato fuori dalla tenda si scambiavano tra loro sguardi preoccupati. Guardai fuori dal finestrino, l’accampamento era ormai alle mie spalle. 
Mal, non l’ho neanche salutato.
Fuori il paesaggio correva veloce e i primi alberi della foresta di Ryevost già prendevano il posto dei campi in cui si trovava il nostro accampamento.
“Lui è Feydor, e io sono Ivan” disse uno dei due con voce secca. Alzai appena lo sguardo, Ivan aveva un viso duro e la mascella serrata, Feydor invece mi sorrideva. 
“È un onore conoscerti, tieni - disse porgendomi un involto - Si chiama Kefta. È a prova di proiettile. È l’uniforme del Secondo Esercito. Ti conviene indossarla finché non saremo al sicuro, e forse anche dopo” aggiunse con una strizzata d’occhi.
 Continuava a sorridermi gentile, cercando il mio sguardo. 
“E il Primo Esercito?” chiesi di getto “a Kribirsk, mille soldati che marciano con noi non è più sicuro di…questo?” dissi lanciando un occhio critico alla piccola carrozza dove viaggiavamo.  
“Più lento, non più sicuro” Intervenne Ivan con la sua voce dura.
Mi feci coraggio e tornai all’attacco “Se mi riportaste all’unità dei cartografi non ci degnerebbero di uno sguardo” Ivan sbuffò e si mise a guardare fuori dal finestrino, per lui quella conversazione finiva lì. Feydor invece, dopo un attimo di esitazione chiese “Perché mai? - era sinceramente incuriosito - Tu hai evocato la luce del sole, il tuo tipo di Etherealki era solo un mito, un disegno in un libro di fiabe…fino ad oggi- sprizzava entusiasmo da ogni poro -Tu sei molto speciale quindi…perché non ti degnavano mai di uno sguardo?” 
Feci una smorfia “Stai scherzando? - ma dove vive questo qui?  - Forse si sta meglio tra le mura del Piccolo Palazzo, ma qui fuori se sei diverso, se hai una faccia diversa, qualunque cosa rischia di finire in rissa” Feydor abbassò lo sguardo, mortificato e quasi mi dispiacque di essere stata così dura. 
“Tu sai perché il Piccolo Palazzo è dotato di mura innanzitutto? - Intervenne allora Ivan con voce dura - Mh? Perché per anni essere Grisha era una condanna a morte! - abbassai lo sguardo. Non ci avevo mai pensato - Già, ora grazie al Generale Kirigan siamo protetti, temuti, ecco come sopravviviamo. Non venendo ignorati, ma facendo sì che ci guardino e sappiano che siamo potenti” c’era una rabbia trattenuta nella sua voce, non rabbia verso di me, ma verso quel mondo che lo aveva sempre guardato con odio e disprezzo. 
Improvvisamente lo capii. Non aveva mai ricevuto nient’altro dalla vita e aveva finito per fare di quell’odio la sua corazza. Lo capivo perché ero come lui, almeno in parte. Ma questa nuova consapevolezza non fece altro che accrescere la mia rabbia. Non volevo aver niente a che fare con lui o con il suo mondo. 
“Sopravvivo anche senza la vostra protezione, grazie” sibilai, i pugni stretti. 
“Ma…non dureresti un minuto ora che tu sei…tu” s’intromise Feydor con la sua voce gentile. 
Mi morsi la lingua per non replicare.
Forse ha ragione, ma non voglio che ce l’abbia. 
“Tutta Ravka stava aspettando te” continuò incoraggiato dal mio silenzio. 
Mi guardai le mani ancora strette in grembo. 
“Chiaro, tutti vogliono che la Faglia sparisca” sbuffai. 
Feydor sorrise “Ma è molto più di questo, non capisci? - Lo guardai. No, non capivo - Tu sei la speranza del paese, sì, ma… - s’interruppe lanciando una breve occhiata ad Ivan prima di continuare - un mito si è avverato per un Grisha… è stato un Grisha a creare la Faglia…se un Grisha la distruggerà, forse…” lasciò cadere la frase, e lanciò nuovamente un’occhiata ad Ivan che era tornato a guardare il paesaggio. 
“Forse non ci serviranno più alte mura per proteggerci” concluse per lui Ivan in un sussurro. 
 
Restammo in silenzio mentre la foresta intorno a noi si faceva più fitta. Riflettei sulla conversazione appena avuta. Per tutta la vita ero stata un’emarginata per colpa dei miei occhi a mandorla e della mia carnagione troppo chiara. Ero mezza Shu e nessuno si era mai fidato di me, nessuno tranne Mal. Ma per i Grisha era diverso, per quanto mi disprezzassero apertamente nessuno aveva mai tentato di uccidermi per via di quello che ero. Picchiata, sì, derisa e bullizzata certo, ma per loro era stato peggio. Avevo studiato la storia delle persecuzioni contro i Grisha, di come le loro case erano state bruciate, i villaggi rasi al suolo, gli orrori degli anni bui.  Tuttora i nemici al nord, i Fierdiani con i loro Druskeller, s’infiltravano di continuo nelle nostre terre solo per il gusto di ucciderli.
 
Aleksander
L’ho trovata. 
Camminavo avanti e indietro nella mia tenda colto da un’irrefrenabile frenesia. 
L’ho trovata!
Ancora non riuscivo a crederci. 
Questo cambiava tutto. Lei cambiava tutto. 
Avevo sentito il potere scorrere potente in quella ragazzina spaventata, ma c’era qualcosa. Un blocco, come se fosse schermato. 
Non ha importanza, qualunque cosa sia Baghra troverà una soluzione, c’è speranza.
A quel pensiero l’euforia che provavo m’invase. Dopo anni passati a cercare un rimedio avevo finalmente trovato la soluzione.
Insieme affronteremo la Faglia, i Grisha saranno al sicuro, nessuno oserà contrastarci.
Ripensai al modo in cui i suoi occhi si erano spalancati quando il raggio di luce era scaturito da lei.
Come poteva non saperlo? Davvero fino a quel momento era stata all’oscuro delle sue capacità? Stava fingendo?
Eppure, avevo visto autentico stupore in quegli occhi verdi.
Nel ripensare al suo viso fui colto da un fremito. Non mentiva decisi, cercando di ignorare il ricordo di ciò che avevo provato nel prenderle il polso. 
Era come un senso di familiarità, di appartenenza.
Scossi la testa e scacciai il pensiero. 
Una cosa era certa: quel lampo di luce si vedeva a miglia di distanza. Con la Faglia così vicina, chissà quanti occhi indiscreti l’avevano notato.
Cos’è questa sensazione di Pericolo?
 L’ansia mi travolse. Imprecai uscendo di corsa dalla tenda. Dovevo raggiungerla, assicurarmi che fosse al sicuro.
 
 
Alina
La carrozza si fermò bruscamente.
 “La strada è bloccata!” gridò qualcuno da fuori. Ivan e Feydor si scambiarono un’occhiata, improvvisamente tesi.
“Stai qui e non ti muovere” m’intimò Ivan prima di scendere.
“È a fin di bene” aggiunse Feydor con un largo sorriso tranquillizzante, prima di seguirlo.
Rimasi sola nella carrozza. 
Potrei fuggire
Pensai di farlo ma non mi mossi. C’era una tensione strana nell’aria. Poi qualcuno gridò: “Druskeller!” e la tensione esplose in caos. Sentivo le urla, gli spari. D’istinto mi accovacciai sul pavimento della carrozza appena in tempo prima che una raffica di proiettili mi raggiungesse. Indossai la Kefta in fretta e furia.
Speriamo che questa cosa funzioni davvero.  
Del fumo iniziò ad insinuarsi nella carrozza, qualcuno doveva aver lanciato dei lacrimogeni. Iniziai a tossire.
Devo uscire.
Da fuori sentii la voce di Ivan gridare ordini: “Dove sono i ChiamaTempesta? Qualcuno vada a prendere la ragazzina!”
Poi la porta si aprì e qualcuno mi afferrò per le caviglie trascinandomi fuori in malo modo. Gli occhi mi lacrimavano per il fumo e avevo la vista annebbiata. Quando riuscii a scorgere il volto dell’uomo barbuto che mi aveva agguantato, ero ormai fuori dalla carrozza. 
Un Fierdiano
“No!” urlai e scalciai ma per quanto mi divincolassi quello non mollava la presa. In preda alla disperazione mi aggrappai al terreno con le unghie e scalciai ancora più forte cercando di impedire che mi trascinasse via. 
“No, no non sono una Grisha sono una mappatrice, ti prego” ma non mi diede ascolto. 
Mi rivoltò sul terreno e colsi l’occasione per tirargli un calcio che andò a segno, ma quando stavo per rialzarmi lui mi assestò un pugno dritto in testa rispedendomi a terra. Il colpo mi lasciò stordita. 
“Lurida strega”. Mi teneva ferma, schiacciandomi col peso del suo corpo, gli occhi pieni d’odio. Alzò la sua accetta…sono morta pensai.
Poi lo sentii, prima ancora di vedere le tenebre addensarsi intorno a noi. La sua figura mi appariva sfuocata. Saltò giù dal cavallo ancora in corsa atterrando a una decina di passi da noi, alle spalle del Fierdiano che mi minacciava e cominciò a richiamare il suo potere. Le tenebre tra le sue mani si addensarono a formare una sorta di lama. Il Druskeller alzò lo sguardo e lo vide “L’Oscuro” borbottò. 
Ci fu uno schiocco secco, e il suo sangue mi schizzò addosso. 
Osservai atterrita il corpo del mio assalitore dividersi in due e cadermi accanto con orribile lentezza. 
Avrei voluto gridare ma non avevo aria nei polmoni. Rimasi a terra a fissare il cielo sopra di me, terrorizzata. Il Generale Kirigan entrò nel mio campo visivo, imponente, si guardava intorno in cerca di altri Fierdiani. Ma un improvviso silenzio era sceso sul campo. 
“Sei ferita?” chiese, sembrava calmo ma la sua voce tradiva l’ansia che provava. Si chinò a guardarmi. Non riuscivo a muovermi. In bocca sentivo il sapore metallico del sangue e un ronzio nelle orecchie rendeva il mondo ovattato. 
“Sei ferita?” ripeté, più lentamente.
“N..n..no, no…credo di no” tremavo, e la mia voce con me.  
“Gli altri saranno fuggiti ora che ci sono io- disse con un guizzo di rabbia negli occhi - Tu vieni con me” continuò, e porgendomi la mano mi aiutò ad alzarmi. Appena fui in piedi venni colta da un capogiro e rischiai di finire nuovamente a terra, la testa mi doleva da impazzire. 
Le sue braccia corsero a sostenermi “Ce la fai?” mi chiese, sempre più preoccupato.
                  “Io ...s.… sì” risposi ansante, tenendomi la testa. 
“Vieni” mi mise un braccio attorno alla vita e mi condusse verso il suo cavallo. 
Quell’improvviso contatto col suo corpo riaccese in me tutte le sensazioni provate nella tenda. Uno strano assoluto bisogno di stargli vicino. La pelle mi bruciava ma il dolore alle tempie annebbiò tutto il resto. 
Mi issò sul cavallo, sollevandomi come se non pesassi più di una piuma e montò dietro di me.
 “Reggiti” mi sussurrò all’orecchio e partimmo al galoppo. 
Sentivo il suo respiro caldo sulla nuca e il battito forsennato del suo cuore mentre teneva le braccia intorno a me per impedirmi di cadere. 
Mi gira la testa.
 
Nonostante le sue premure dopo qualche miglio cominciai a sentirmi veramente male. 
“Fermati, per favore” sussurrai a fatica
 “Perché?” chiese lui preoccupato continuando a spronare il cavallo 
“Sto per vomitare”. 
“Resisti” disse virando verso una radura e rallentando la corsa.
Una volta fermi mi aiutò a scendere con delicatezza, toccandomi come se avesse paura di rompermi. Quando fui certa che le gambe mi avrebbero retto mi allontanai da lui, barcollando verso un tronco divelto.  Mi appoggiai per riprendere fiato. Sentivo il suo sguardo seguirmi attento mentre legava il cavallo. Respirai a fondo, una, due, tre volte per schiarirmi le idee ed attenuare la nausea. 
Continuavo a rivedere il corpo del mio assalitore mozzato in due. Il modo in cui il busto si era aperto. La lentezza con cui mi era scivolato accanto. 
Morto. 
Chiusi gli occhi e serrai i denti trattenendo a stento un gemito. Il Generale fece per avvicinarsi e d’istinto mi ritrassi impaurita. Si fermò subito e restammo a guardarci per qualche istante, a distanza. 
Vidi nei suoi occhi quanto il mio gesto lo avesse addolorato. 
“Per il tuo viso” disse, porgendomi un fazzoletto nero. Si muoveva con estrema lentezza come volesse tranquillizzarmi. 
Mi toccai il volto e senti qualcosa di viscido.
                  Sangue  
Mi sporsi a prendere il fazzoletto che mi porgeva e tornai ad allontanarmi subito dopo. 
Sì, avevo paura di lui. Mi pulii e rimasi ad osservare in trance il modo in cui il rosso di quel sangue spiccava sul nero della stoffa.
 Il sangue del mio nemico.
 Ripensai a come Lui lo aveva ucciso e brivido freddo mi percorse la schiena. Gli lanciai un’occhiata carica di orrore. Lui distolse lo sguardo, incapace di sostenere il mio e si avvicinò al cavallo dandomi le spalle. 
“Cos’è successo prima?” chiesi alzando la voce per raggiungerlo 
“Druskeller, soldati di élite dell’esercito Fierdiano, addestrati a infiltrarsi dietro le nostre linee e a uccidere o rapire i Grisha” continuava a darmi le spalle, la voce piatta. 
“Volevo dire come hai fatto a tagliare in due uno di loro da una decina di passi?” Mi sorprese la rabbia nella mia stessa voce, in fondo mi aveva appena salvato la vita, ma il modo in cui lo aveva fatto…mi faceva accapponare la pelle.
“Preferivi che usassi una spada?” Chiese di rimando con aria di sfida girandosi a guardarmi.
C’era rabbia nei suoi occhi, ma anche dolore. Dolore per l’orrore che provavo, per il disgusto che mi aveva dato quella morte e perché prima mi ero allontanata da lui. Da lui che mi aveva salvata. Stavolta fui io a non sostenere il suo sguardo “Non lo so”.
“Non sono un mostro signorina Starkov. A dispetto di quello che puoi aver sentito” 
“Non intendevo questo- borbottai confusa guardandomi la punta delle scarpe- Solo…non so bene cosa aspettarmi da te…”
“A parte il peggio?”
Il tono di accusa nella sua voce mi fece adirare. 
“E non ne avrei ragione forse? – sbottai guardandolo con odio - Perché non dovrei temerti? Ti temono tutti! L’Oscuro, ti chiamano e ho appena visto perché: hai tagliato un uomo in due senza neanche sporcarti il mantello! E adesso sono qui in una radura in mezzo al niente, mentre lascio che la persona più temuta e potente di tutta Ravka mi trascini non so dove per non so quale motivo! – aggiunsi tirando un calcio al tronco divelto su cui ero seduta. - Dimmi, esattamente cos’altro dovrei aspettarmi se non il peggio?”
“Non lo so…- rispose calmo lui, il volto impassibile. Aveva accettato quella sequela d’insulti senza sottrarsi. – Forse potresti aspettarti che, in quanto comandante del Secondo Esercito, io non sia un perfetto idiota che ti salva la vita solo per ucciderti un’ora dopo in un bosco. Magari potresti provare a credere che se ti ho salvato vuol dire quantomeno che non voglio che tu muoia e questo potrebbe bastarti.” 
Silenzio
 “Mi dispiace” mormorai dopo un attimo guardando a terra. 
“Non importa” Sospirò lui.
“Come hai fatto?” chiesi, incapace di trattenermi.
Lui esitò ma poi prese ad avvicinarsi lentamente, dosando ogni movimento, come si fa davanti a un animale selvatico per paura che questo fugga via. 
“C’è…materia, in ogni cosa, anche nell’aria…o nell’ombra…impercettibile, ma c’è. - Si era fermato. Continuava a mantenere una certa distanza osservandomi come se aspettasse il mio permesso per avvicinarsi oltre. Sembrava combattuto. - Il Taglio è una facoltà dell’evocatore, ma richiede straordinaria abilità… e vi ricorro solo come ultima risorsa…come nell’imboscata” sembrava quasi che volesse giustificarsi, l’ultima frase gli uscii in un sussurro.
“Sarà questa la mia vita? Sarò braccata ovunque?” tremavo e la mia voce con me. 
“Ti ci abituerai” rispose con un sorriso amaro.
“Come facevano a sapere di me?” Lui fece un passo in avanti prima di rispondere 
“Il tuo gioco di luci nella Faglia si vedeva da un miglio di distanza - c’era una nota di orgoglio nella sua voce - Qualunque fosse la loro missione hanno deviato per venire a cercarti… Ecco perché sto viaggiando con te”.
Gli lanciai un’occhiata truce “Perché hanno tutti paura di te” conclusi ma mentre lo dicevo già mi pentivo. 
Mi ha salvato la vita.  
Lui rimase impassibile, esitò per un momento prima di rispondere
 “Credo che abbiano più paura di te”
Lo guardai spiazzata. Un lieve sorriso gli si apriva in volto illuminando anche gli occhi. 
Paura di me? 
Era una sensazione strana. Ero abituata al disprezzo che i miei occhi a mandorla suscitavano nella gente, ma nessuno aveva mai avuto paura di me.
“Perché?” chiesi consapevole della nota di supplica nella mia voce. Prese ad avvicinarsi, guardandomi con quei suoi occhi neri, carichi di emozione.
 “Ciò che il tuo potere significa per noi…Tu potresti essere la prima del tuo genere…ma abbiamo da sempre un nome per te, per ciò che speriamo tu sappia fare: entrare nella Faglia. Distruggerla dall’interno.” 
Aveva soppesato ogni parola, come se ancora temesse di spaventarmi ma il mio silenzio lo rese audace. Fece ancora un passo in avanti e fummo di nuovo vicini come nella tenda. Potevo sentire il suo odore. La sua presenza era un qualcosa di potente, s’imponeva nella mia mente rendendomi difficile mettere in ordine i pensieri. 
“Con un addestramento adeguato e una buona amplificazione potresti essere la…” 
“No!” lo interruppi facendo un passo indietro. Fu come se gli avessi tirato uno schiaffo. Per un attimo rimase interdetto, la bocca aperta, poi un’ombra gli passò sul volto. 
“No? - disse in un sussurro minaccioso - No cosa?” i suoi occhi dardeggiavano, ed ebbi di nuovo paura di lui ma mi feci coraggio e sostenni il suo sguardo. 
“Io non voglio niente di tutto ciò - sibilai - Perché non te ne liberi tu?” 
Una smorfia di disprezzo gli incrinò le labbra
“Pensi che non ci abbia provato, signorina Starkov? Se entro nella Faglia sono un faro per i Volkra! - abbassò lo sguardo e girò il capo, frustrato - Peggiorerei solamente le cose” aggiunse, la sua voce traboccava di angoscia. 
Nonostante fosse praticamente un estraneo per me sentii lo strano impulso di consolarlo, di alleggerire almeno in parte quel peso che sembrava portarsi dentro. 
Scossi la testa che idiozia
“Ma allora…non puoi usare la magia Grisha per trasferirlo a qualcun altro che poi possa usarlo? – chiesi, addolcendo i toni- Ci deve essere un modo, qualcun altro che…” 
“Tu rinunceresti al tuo dono?” mi guardava incredulo come se la sola idea gli facesse orrore. Era esasperante 
“Dono? - Scoppiai in una risata isterica - Tu mi hai separata dai miei unici amici e ora stando a te sarò un bersaglio per il resto della mia vita! - la rabbia tornò montarmi dentro - Sai perché non hai mai trovato nessuno con questo potere? Forse è perché non vogliono farsi trovare!” gli urlai in faccia. Il suo viso era a un palmo dal mio e vidi con chiarezza un miscuglio di emozioni contraddittorie passargli negli occhi: rabbia, angoscia, frustrazione, incredulità e…desiderio? Mi ritrassi prima che la consapevolezza del suo corpo tornasse ad annebbiarmi i pensieri. Lui non fece niente, restò immobile, teso come la corda di un arco. Poi parlò trapassandomi con lo sguardo, la sua voce anche se calma tradiva lo sforzo che faceva per trattenersi.
“Te lo chiederò di nuovo… da bambina sei stata esaminata?”
Non riuscendo sostenere l’esame di quegli occhi neri distolsi lo sguardo e presi a guardare la foresta che ci circondava.
Ripensai a quel giorno di tanti anni fa, quando i Grisha erano venuti all’orfanotrofio per esaminare tutti i bambini in cerca di altri piccoli Grisha da addestrare. Ricordai di come Mal mi aveva aiutata a scappare nei campi, quando era accaduto.  Sentii le lacrime salirmi agli occhi ma le ricacciai indietro.
“Mi nascondevo. Ero già abbastanza diversa…non volevo essere ancora più sola” 
In un attimo lui mi fu di nuovo vicinissimo. Lo guardai, sembrava quasi che volesse abbracciarmi ma che si sforzasse di mantenere il contegno. Il suo sguardo era carico di comprensione e la voce gli tremò dall’emozione quando disse: “Tu sei una Grisha, tu non sei sola”.
Suonava come una promessa e per un attimo volli credergli. Sentii con chiarezza quanto lui fosse vicino a me e venni presa dall’impulso di annullare ogni distanza. Di perdermi in quegli occhi neri che mi guardavano come se anche lui non desiderasse altro che prendermi tra le braccia. 
E per un attimo, per un attimo pensai che sarebbe stato bello, perfino giusto, che le sue braccia mi cullassero cacciando via ogni timore. Ma fu un attimo. Lui fece un passo indietro e distolse lo sguardo allontanandosi. Tornò al cavallo, montò in sella evitando accuratamente di guardarmi. Si scostò il mantello e tendendomi il braccio m’invitò a salire. 
Non ci furono altre soste e non parlammo per il resto del viaggio. L’improvviso moto di prima aveva lasciato il posto ad un freddo silenzio carico di imbarazzo. 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Il Piccolo Palazzo ***


Alina

Il giorno volgeva quasi al termine quando il Piccolo Palazzo comparve davanti a noi. Nonostante il nome, era un edificio imponente, circondato da alte mura su cui svettavano due torrette di guardia per ogni lato. Una prigione. Ci trovavamo ormai a pochi metri dal portone principale ma Kirigan non accennò a rallentare la corsa. Le pesanti porte si aprirono all’ultimo momento lasciandoci passare e fu solo quando raggiungemmo la corte interna che tirò le redini riportando il cavallo al passo. 
Lanciai uno sguardo alle mie spalle appena in tempo per vedere le porte chiudersi sulle colline. Sono in trappola. 
Il cortile era ampio. Attorno al piazzale che fungeva da ingresso al palazzo vero e proprio si apriva un giardino rigoglioso e ben curato, pieno di alberi e fiori di vario genere ed adornato da alte fontane che rappresentavano Grisha intenti a far sgorgare acqua dalle loro mani di pietra. C’era persino un lago, grande abbastanza da contenere una piccola barca, che galleggiava placida. 
Non riuscivo a smettere di guardarmi attorno a bocca aperta. Sembrava di essere entrati in un libro di fiabe. La nebbia della sera non faceva che rendere l’atmosfera che aleggiava in quel luogo ancora più surreale. Il Piccolo Palazzo non era da meno, con le sue alte guglie arabeggianti e le sue ampie vetrate. 
Mentre ci avvicinavamo vidi che la facciata era interamente adornata da un intricato groviglio di mosaici, basso rilievi e fregi che gli conferivano un’aria ancora più maestosa. 
Ci fermammo nel piazzale e smontammo da cavallo. Con un cenno del capo il Generale mi intimò di precederlo. 
“Qui sarai al sicuro - mi disse mentre superavamo l’arcata dell’ingresso principale - Il Palazzo è l’edificio più protetto di tutto il paese, me ne sono assicurato”. Fu allora che notai la moltitudine di guardie che sostavano attente ai lati di ogni porta e nei pressi di ogni colonna. “Per di qua” e sempre senza guardarmi mi indicò una porta alla nostra sinistra, anch’essa sorvegliata da due guardie armate di tutto punto che nel vederci si misero subito sull’attenti. Feci ancora qualche passo prima di accorgermi che aveva smesso di seguirmi. Mi girai smarrita a guardarlo. “Dove vai?” non mi rispose né mi degnò di uno sguardo. 
“Conducetela alla suite Vezda” diede ordine alle guardie e fece per andarsene ma io fui più veloce e lo trattenni afferrandogli il braccio.
“Sono forse tua prigioniera?” chiesi con rabbia. Per un momento quel mio gesto sembrò scuoterlo dalla sua indifferenza e un lampo attraversò i suoi occhi ma riprese subito il suo contegno. Raddrizzò le spalle “Tutta Ravka lo è, finché tu ed io non avremmo distrutto la Faglia” nella sua voce vi era un tale distacco che subito ritrassi la mano, vergognandomi di quel gesto tanto affettato. 
“Nessuna pressione eh?” borbottai. 
Non rispose e fece per superarmi ma poi si fermò “Finché rimarrai qui mi aspetto che tu ti rivolga a me chiamandomi Generale o Signore, sono stato chiaro?” Mi sussurrò all’orecchio. Rimasi di stucco.
“…Sì Generale” risposi impregnando di odio e disprezzo ogni sillaba. Ignorando la mia sfida fece un cenno alle guardie che subito mi furono attorno, si voltò e se ne andò, lasciandomi lì. 
 
Rimasi per un momento a guardarlo mentre si allontava. Solo quando svoltò l’angolo scomparendo alla vista mi rassegnai a seguire le guardie. Mi scortarono attraverso un lungo labirinto di corridoi fino a quella che sarebbe divenuta la mia stanza. Una volta lì uno di loro ne aprì la porta per poi richiuderla con un tonfo sordo alle mie spalle. Sono sola. A quel pensiero i molti avvenimenti della giornata piombarono su di me con la loro gravità. Ero sola, rinchiusa tra le mura dell’edificio più sorvegliato di tutta Ravka, lontana da qualunque cosa potesse essermi familiare. Mi sentii perduta. 
Quando cresci in un orfanotrofio la prima regola è non lasciare mai che qualcuno ti veda fragile. Ma adesso non c’era nessuno che potesse approfittarsi delle mie debolezze. 
Caddi a terra e prendendomi il viso tra le mani mi abbandonai al pianto, riuscendo a stento a soffocare i singhiozzi.
Piangevo per i miei compagni, morti a causa mia, per la paura che avevo avuto io stessa di morire, prima nella Faglia e poi nella radura. Per l’orrore provato nel sentire il sapore del sangue di quel Druskeller quando il Generale lo aveva fatto a pezzi per difendermi. Per l’ingiustizia che mi vedeva catapultata in un mondo a me estraneo. Ma soprattutto piangevo per Mal. Non l’ho neanche salutato, non ho avuto il tempo di parlargli, di spiegargli… Spiegare cosa? Come spiegare qualcosa che per primi non si è in grado di comprendere? 
Perché io?
 
Un rumore nel corridoio mi fece trasalire, ricacciai indietro le lacrime e trattenni il respiro. Silenzio. Maledissi i Santi a denti stretti e mi alzai asciugandomi il viso. Devo restare lucida.
Mi costrinsi ad esplorare l’ambiente circostante. Mi muovevo con circospezione, pronta a scattare al minimo rumore. 
La stanza in cui mi trovavo era ampia e sontuosa, illuminata da piccole lanterne bianche sparse lungo le pareti. Sulla sinistra, accanto all’ingresso, si trovava un’elegante scrittoio in legno chiaro la cui struttura saliva ad incorniciare uno specchio. Arricchito sui bordi da fitti intarsi sottili. 
La seconda regola è trovare un’arma e tenerla sempre a portata mi dissi ricordando le lezioni di Mal e cominciai a cercarne una. Frugando nei cassetti trovai tutto l’occorrente per scrivere lettere. Un sigillo, della ceralacca e… un tagliacarte. Questo può andare, mi affrettai a mettermelo in tasca. Gli altri cassetti contenevano invece articoli per la cura dei capelli e delle mani, vasetti con creme e boccette di profumo, niente di utile. 
Al centro della stanza troneggiava un enorme letto a baldacchino, circondato da morbidi tendaggi di stoffa leggera che cadevano con grazia fino a terra.  Sulla destra, invece, si apriva un’ampia finestra che dava sul cortile interno. Mi sporsi a guardare fuori ma il sole era ormai tramontato e del giardino s’intravedevano solo i contorni. È Troppo alto per saltare giù. Pensai, mentre cercavo di calcolare quanti metri mi separavano dal terreno …forse se facessi una corda con le tende del letto…
Una figura si mosse nel vialetto sottostante e mi ritrassi in fretta per paura d’esser vista. Qualcuno camminava da solo nell’ombra, ma era troppo buio per riuscire a decifrare se fosse una semplice guardia o un altro ospite del palazzo. Forse è il Generale. L’assurdità di quel pensiero quasi mi strappò un sorriso, si certo il potente e valoroso Generale Kirigan che si diverte a passeggiare da solo di notte sotto la tua finestra.
Tornai ad esplorare la stanza e scoprì di avere a disposizione anche un’immensa sala da bagno con una vasca in rame, un elaborato tinello e perfino un armadio pieno di asciugamani talmente candidi che non osai toccarli. 
Mi aggiravo in mezzo a tutto quel lusso come un animaletto selvatico, sentendo crescere in me un profondo disagio. Da piccola avevo dormito in un giaciglio per terra, nell’angolo di una stanza grande come quella, insieme ad altre trenta bambine. Il bagno era un lusso che arrivava solo una volta al mese: in una tinozza di legno a gruppi di cinque.  Più tardi, una volta cresciuta, ero stata reclutata come cartografa nelle file dell’esercito e per anni la mia casa era stata una semplicissima tenda logora che dovevo smontare e rimontare in fretta all’occorrenza. Insomma, niente a che vedere con lo sfarzo che adesso mi circondava. 
Mi abituerò mai a tutto questo? No, decisi alla prima occasione utile troverò il modo di scappare da qui. 
Non riuscendo a capire da dove arrivasse l’acqua rinunciai all’idea di lavarmi e caracollai verso il letto. Per stanotte la fuga è rimandata, sono troppo stanca pensai.
Nascosi con cura il tagliacarte sotto il cuscino, se ne avessi avuto bisogno sarebbe stato a portata di mano. Improvvisamente ero talmente esausta che riuscii a malapena a togliermi  di dosso la divisa logora. Mi arrampicai sul letto, era morbidissimo, sprofondando rannicchiata tra i cuscini come un animale nella tana. Le dita strette intorno al tagliacarte. 
Non avevo neanche più le forze per piangere. 
Chiusi gli occhi e il mio ultimo pensiero fu per Mal.  Chissà cosa direbbe di tutto questo, probabilmente mi prenderebbe in giro, mi chiamerebbe principessa e finiremmo per azzuffarci come sempre. Sorrisi e cullata dal ricordo delle nostre scorribande caddi in un sonno tormentato, in cui il viso di Mal che mi guardava spaventato sul ponte della nave si alternava a quello del Generale quando nella foresta mi aveva promesso che non sarei mai stata sola.
 
Aleksander
 
Qui sarà al sicuro. Pensai, mentre passeggiavo distrattamente lungo i corridoi del Piccolo Palazzo. 
Era bello essere di nuovo lì. Il posto più simile a una casa che avessi mai conosciuto. 
C’erano tante cose a cui pensare. Avevo mandato Ivan ad avvertire Baghra. L’Evocaluce avrebbe iniziato il suo addestramento non appena il Re avesse dato la sua approvazione. 
Il Re… pensai con una smorfia. Già immaginavo i contorti giochi di potere che avrebbe messo in atto per controllare la signorina Starkov. Dovevo impedire che venisse tirata in mezzo a quel ridicolo teatrino politico fino a quando non sarebbe stata pronta. Premere affinché rimanesse nel Piccolo Palazzo ad addestrarsi, dove l’influenza del Re non l’avrebbe raggiunta. 
È così giovane mi dissi passandomi una mano tra i capelli. Ripensai al suo viso pallido nella radura. Al modo in cui i suoi occhi verdi mi avevano guardato, pieni di orrore e paura. 
Dovrei esserci abituato ormai. Eppure, qualcosa mi aveva turbato nel profondo. Non sapevo perché mi ero ritrovato a desiderare che mi guardasse in modo diverso. Avevo provato lo strano impulso di abbracciarla, di dirle che non avrebbe più dovuto avere paura di niente, che io l’avrei protetta. Che stupido scacciai quel pensiero. La fresca brezza della sera mi scompigliò i capelli. Respirai a fondo l’odore del giardino, il profumo dei suoi fiori. Senza rendermene conto ero finito a passeggiare nel cortile internoAlzai lo sguardo verso il Palazzo. Una luce era ancora accesa. Strano che ci fosse qualcuno ancora in piedi a quell’ora. La vita di un Grisha nel Piccolo Palazzo comincia all’alba. Quella è la sua camera. A quel pensiero un’onda di desiderio mi travolse. Sarebbe stato così semplice arrampicarmi fin lassù, entrare e stringerla a me. 
Che cosa diavolo ti salta in testa?! La stanchezza del viaggio mi giocava brutti scherzi. 
Affrettai il passo e tornai dentro. Continuai a vagare per i corridoi, obbligandomi ad evitare la sua stanza. Dovrei andare a dormire. Ma non avevo sonno, il fantasma di quel desiderio continuava a muoversi dentro di me. 
 
Bussai
“Avanti” disse una voce dall’interno.
“Ancora sveglia” dissi entrando.
“Ti aspettavo”
Zoya era seduta davanti allo specchio intenta a pettinarsi i lunghi capelli neri. Indossava una camicia da notte in seta che lasciava poco spazio all’immaginazione. 
Mi avvicinai e senza dire una parola le presi la spazzola dalle mani e la posai sullo scrittoio.
 “Vedo che non hai sonno” disse lanciandomi uno sguardo ammiccante dallo specchio. 
“No” sussurrai. Con una mano le scostai i capelli. Fu scossa da un brivido quando le mie labbra si posarono nell’incavo del suo collo. Il desiderio che provavo urlava per uscire.
L’afferrai per la vita, la girai attirandola a me e la baciai con foga. 
“Il viaggio ti ha messo appetito” mi sussurrò provocante all’orecchio mentre le mie mani cercavano fameliche il suo corpo.
“Zitta” ordinai baciandola con rabbia. Lei rispose al mio bacio con foga e si affrettò a slacciarmi i pantaloni. La sollevai appoggiandola al tavolino. Entrai dentro di lei, affogando nel suo corpo i miei pensieri. 

Alina

La neve cadeva soffice e vellutata, coprendo il bosco con il suo manto candido. Ero in una strana foresta. Nonostante fosse pieno inverno la vegetazione era a tratti ancora rigogliosa, come fosse piena estate. I raggi del sole sembravano provenire da ogni dove. Filtravano tra i rami degli alberi creando strani giochi di luce. Un grosso cervo bianco pascolava indisturbato. Sul suo capo troneggiava un enorme paio di corna. Era un animale splendido. Si muoveva lento e maestoso a pochi passi da me. Quando si voltò a guardarmi vidi il simbolo tra le sue corna, una sorta di sole con mille raggi. Di nuovo sentii quella strana vibrazione risvegliarsi in me. Un canto, antico come il mondo. Ci fu un lampo di luce e…. Mi svegliai guardandomi intorno ansante. 
All’inizio faticai a ricordare dov’ero. La stanza del Piccolo Palazzo era dolcemente illuminata dalle prime luci dell’alba e fuori dalla finestra gli uccelli cinguettavano allegri. Respirai a fondo. È stato un sogno, solo un sogno.
Mi sfregai gli occhi per scacciare la stanchezza e provai ad evocare la luce schioccando maldestramente le dita. Stupidapensai  se fosse stato così facile… ma i miei pensieri vennero interrotti dall’ingresso di una donna elegante. Aveva aperto le porte della mia stanza e camminava austera verso di me. D’istinto le mie mani corsero al tagliacarte.
“Per tutti i Santi!” Esclamò scostando le tende del letto “ Hai mai fatto il bagno?” Chiese guardandomi inorridita. Rimasi di stucco. In effetti ero decisamente lurida. Sentivo le croste di sangue rappreso miste a terra sulla pelle e probabilmente i miei lunghi capelli ramati dovevano somigliare più a un nido di rondini. “E che ti è successo al viso?” continuò sempre più inorridita. Mi portai una mano al volto, avevo un labbro spaccato e una grossa tumefazione dolente sulla fronte, là dove il Fierdiano mi aveva colpita.
“Ci vorrà più lavoro di quanto avessi previsto- decretò studiandomi con aria critica e schioccando le dita ordinò - Portatemi l’occorrente”. Una decina di cameriere fecero il loro ingresso nella mia stanza trasportando una serie di strani oggetti. 
In tutto quel frangente io ero rimasta ferma, seduta nel letto guardandomi intorno smarrita. 
Una cameriera mi fece alzare e mi condusse nella sala da bagno dove azionò uno strano meccanismo che fece sgorgare acqua calda da degli strambi tubi ricurvi, mentre un’altra prese a sciogliermi i nodi che avevo tra i capelli “Ahi!” Incuranti delle mie deboli proteste mi spogliarono e mi aiutarono ad entrare nella vasca di rame ormai colma di acqua calda e profumata. Era una sensazione stupenda, non avevo mai provato la dolcezza di un bagno caldo e quasi mi venne da piangere, era così rilassante… ma ecco che quelle cominciarono a strofinarmi e insaponarmi, lavandomi da capo a piedi come se fossi una bambola, ero scioccata.
“Minch spraa stis” fece una all’altra “Stis ska vulsro ah?” rispose quella con un sorriso maligno. “Ferme!” intimai loro “Sono perfettamente in grado di lavarmi da sola e sì, puzzo come un cavallo, ho cavalcato per duecento miglia dopo che mi hanno quasi uccisa, due volte, e capisco il Rafkiano antico. Siete state molto scortesi”. Strappai la spugna dalle mani di quella che mi stava più vicina e cominciai a lavarmi da sola. 
“Quanto meno hai spirito!” rise la donna elegante che poco fa aveva fatto irruzione così bruscamente in camera mia. Si era accomodata su una poltrona e osservava la scena chiaramente divertita. “Sbrigati – continuò - tra un’ ora sarai presentata a Re Pyotr, e il Generale Kirigan mi ha chiesto di renderti…presentabile” . La spugna mi scivolò dalle mani cadendo nell’acqua con un sonoro pluf .
“Devo incontrare il Re?” balbettai Assurdo! “Fra un’ora” rispose tranquilla lei mettendosi a frugare in uno dei bauli che erano magicamente comparsi nella stanza. Ne tirò fuori un paio di vesti eleganti che soppesò con aria critica. “Mmm..forse questo” decretò scegliendone infine un terzo. Era una semplice veste chiara, lunga fino ai piedi. “Cos’ hanno che non va i miei vestiti?” Chiesi offesa, sarei stata più a mio agio con un paio di pantaloni “Intendi forse quegli stracci che ho trovato ai piedi del letto?” L’enfasi della frase era esplicita. Arrossi e presi a strofinarmi con più forza. 
 
Quando fui pulita, probabilmente più pulita di quanto non fossi mai stata in tutta la mia vita, venni avvolta in uno di quei candidi asciugamani che avevo visto nell’armadio la sera prima. Era così soffice e profumato.
Le cameriere tornarono all’attacco e presero a strofinarmi i capelli e il corpo, mentre un’altra mi cospargeva di creme “è tutto un po’ troppo sai? Non ho bisogno di tutto questo” dissi ma a nessuno parve importare. Quando fui completamente asciutta, pettinata e vestita mi riportarono nella stanza da letto.
“Inizierei con il renderle gli occhi meno Shu, signorina Safin” disse una di quelle vipere alla donna elegante che per tutta risposta alzo gli occhi al cielo. Io abbassai lo sguardo mortificata e stringendo i pugni la maledissi mentalmente.
“Ora uscite avanti” sbuffò la signorina Safin battendo le mani e quelle obbedirono uscendo tutte in fila. Le sentii ridacchiare lungo il corridoio e strinsi i pugni con più forza. 
“ Grazie, signorina Safin” mormorai  quando fummo rimaste sole. “Felice di liberarmi di misere megere- rispose lei aprendo un cofano pieno di strane ampolle- non scelgo il mio personale, è la Regina ad assegnarlo. Soprattutto per spiarmi. E chiamami Genya, a proposito, pretendo certe formalità solo da quelle vipere”.
“Non cambiarmi gli occhi” chiesi in un sussurro. A quelle parole si voltò a guardarmi con tenerezza posando gli oggetti che aveva preso sullo scrittoio per avvicinarsi “Non m’interessa che tu sia in parte Shu - disse con voce dolce – mi interessa che tu non sia orribile” concluse la frase con un sorriso incoraggiante. Feci una smorfia “Beh allora credo proprio che dovrai rassegnarti” mi schernii io. “E io credo che tu non sappia ancora quanto sei bella” concluse lei con una strizzata d’occhi. Mi prese il viso tra le mani e iniziò ad osservarmi con attenzione. “Una parte è in superficie - disse assorta - un’altra è in profondità” e con un gesto del pollice mi sfiorò il labbro ferito, al suo tocco sentii la pelle rimarginarsi. “Sei una Guaritrice!” mormorai esterrefatta toccandomi la pelle e scoprendola nuovamente intatta. Lei sorrise “Una Plasmaforme, posso riparare, ma posso anche modificare” e con un altro gesto cancellò la ferita alla fronte 
“Non avevo mai incontrato una Plasmaforme” le sorrisi di rimando.
“Sono rara quasi quanto te- disse girandomi intorno in cerca di altre ferite – anche se non direi che ritoccare le tette della Regina mi renda altrettanto importante- sorrisi incerta -Importante per la regina, ovvio – continuò con una smorfia di disappunto- e a lei non piace vedere crepe nelle sue porcellane”. Mi sollevò la manica e con un altro gesto cancellò il taglio che il Generale mi aveva fatto nella tenda. Mi guardai il braccio, aspettandomi di vedere un altro lampo di luce, ma niente. La mia pelle intatta era semplicemente resa più lucida dalle creme da bagno. Pazzesco.
La guardai ammirata mentre continuava a riparare i vari tagli, graffi e lividi che mi ero fatta la sera prima e nel corso della mia vita sul campo di battaglia. Ma quando mi prese la mano per guarirmi la cicatrice a mezzaluna che avevo sul palmo mi ritrassi. 
“No…ehm, questo è un ricordo…di casa” le lanciai uno sguardo imbarazzato ma lei mi sorrise gentile. 
“Sentimentale…lavorerò anche su questo- disse facendomi l’occhiolino - Ma per adesso: siedi” continuò indicandomi lo scrittoio. Obbedii titubante, evitando accuratamente di guardare allo specchio. Non mi era mai piaciuta l’immagine che mi rimandava. “Questo ti donerà” sentenziò passandomi una sorta di collana sui capelli, li senti vibrare per un momento “Fa il solletico” protestai “Ferma” fu la risposta e prese ad acconciarmeli. Quando fu soddisfatta mi disse: “Che ne pensi? Coraggio Guardati!”.
Ma quando lo feci stentai a riconoscermi. La donna che ricambiò il mio sguardo non potevo essere io. I verdi occhi a mandorla erano i miei ma lei era bella, indubbiamente più bella di me. La pelle chiara era la mia ma più brillante. Mi sporsi a guardare meglio: le ciglia erano più lunghe di come le ricordavo e le labbra erano in qualche modo più rosee. Mi aveva raccolto i capelli ramati sollevandoli in una morbida crocchia, lasciando fuori qualche ciocca che scendeva ad incorniciarmi il volto. Li toccai stupita, erano lucidi e morbidi. “C..cosa hai fatto al mio viso?” balbettai inorridita. “Non ti piace?” chiese preoccupata “Mi hai cambiato la faccia, ti avevo detto di non farlo!” sbottai e per tutta risposta lei proruppe in una risata “Ti ho solo acconciato i capelli, la faccia è la tua solo che adesso è finalmente pulita!” e continuò a ridere di gusto mentre sistemava le forcine avanzate in uno dei cassetti. La sua allegria mi contagiò sono…bella pensai e risi imbarazzata dai miei stessi pensieri.
“A che età l’hai saputo?” chiesi incuriosita.
“Lavoro su me stessa da quando avevo tre anni, mi divertivo a cambiarmi il colore dei capelli, da piccola avevo una sfrenata passione per il fucsia” aggiunse con un sorriso complice. 
“E da allora hai sempre vissuto qui?” chiesi esterrefatta 
“Certo che no! Mi esaminarono quando ne avevo undici. Fu allora che il Generale Kirigan mi prese sotto la sua protezione affidandomi alla Regina”. 
“Ma tu odi la Regina” la interruppi ripensando ai toni che aveva usato per descriverla. Fece una smorfia “Diciamo che non la venero come vorrebbe credere. Ma sono viva e al sicuro e direi che questo è più importante. Non credi?” Ma non sei libera. Lo pensai ma non lo dissi. In fondo il Generale aveva ragione, nessuno di noi sarebbe stato libero fintanto che la Faglia esisteva. 
“Hai detto che ti eserciti da quando avevi tre anni” dissi, più che altro per cambiare argomento.
“Esatto - rispose lei accostandomi al volto un paio di orecchini - Mmm no, decisamente meglio senza- decretò - Alzati” obbedii docile lasciando che mi guidasse davanti a uno specchio più grande. Questa sicuramente non sono io. Non mi ero mai messa un vestito in vita mia, già da piccola mi ero sempre ribellata all’idea. Non ci si può arrampicare ne correre con un vestito addosso.  Rimasi a guardarmi con aria critica. Per quanto semplice era un bel vestito. Il corpetto che mi avvolgeva il petto esaltava quelle forme che la divisa militare al contrario nascondeva così bene. La gonna era ampia ma non troppo e mi arrivava fino ai piedi. 
“Cade bene non trovi?” Chiese
 “Sinceramente preferirei un paio di pantaloni” Lei rise credendo scherzassi ma quando vide la mia faccia seria replicò “Non puoi presentarti davanti al Re vestita come un maschiaccio. Sua Maestà si aspetta di vedere un’umile fanciulla di Keramzin strappata dai ranghi del suo esercito e sicuramente vorrà prendersi il merito di aver salvato l’Evocaluce. Una volta che avrà visto il tuo potere sarai libera di indossare ciò che vuoi” 
Cosa?! Vedere il mio Potere?
 “Ma…ma… io non…non posso presentarmi davanti al Re - replicai con angoscia - Non so come devo comportarmi né cosa ci si aspetta da me, ho bisogno di tempo. Potere? Quale potere? Insomma io sono una Grisha da appena un giorno! Non so evocare proprio un bel niente!” Genya mi prese le mani tra le sue e sistemò con dolcezza una ciocca dietro l’orecchio.
 “Forse è solo da un giorno che lo sai, ma tu sei una Grisha da tutta la vita e adesso sei qui per distruggere la Faglia - Aprì la bocca per protestare - Dobbiamo muoverci, non si può far aspettare il Re” mi interruppe avviandosi verso la porta ma poi si fermò.
“Quasi dimenticavo!” e tornò indietro a prendere un velo che mi sistemò sul capo a coprirmi il volto.
“È proprio necessario?” Protestai io mentre mi trascinava lungo il corridoio 
“Nessuno può vederti prima del Re Pyotr” 
“Ma sono io che non ci vedo!” 
“La cosa è irrilevante”.
“E se dovessi uscire dal Piccolo Palazzo?” le chiesi mentre ripercorrevamo a ritroso il percorso che avevo fatto la sera prima, cercando di mandarlo a mente. Poteva tornare utile per fuggire da lì.
“ E perché mai? Tutto quello che ti serve è qui”
 “Senti…ho…ho dimenticato delle cose al campo, potrei tornare a prenderle” Azzardai 
“Non essere ridicola - mi avvertì lei - Di qua” aggiunse girando bruscamente in un corridoio laterale. Affrettai il passo per seguirla. Era difficile persino camminare con quella maledetta gonna che mi si impigliava sotto i piedi. 
“Smettila di tormentarti il vestito, stai benissimo!” Mi redarguì mentre scendevamo una lunga scala in legno massiccio. “Allora – continuò - a quanto pare ci saranno il Re Pyotr, la Regina, il principe ereditario Vasily  e il consigliere spirituale del re: l’Apparat. È un viscido figuro…” “Quella è una biblioteca? È accessibile a tutti noi?” la interruppi, eravamo a metà della scalinata e alla nostra sinistra si apriva un corridoio che portava ad un enorme sala piena di libri “Non mi stai ascoltando vero? - sbuffò seccata - Comunque sì e sì, qui tutto è accessibile a tutti noi. Il Generale ha voluto questo palazzo per arricchirci” 
“Un Grisha è mai fuggito da qui?” domandai mentre uscivamo nel cortile, sforzandomi di mantenere tono vago.
“Stai pensando di fuggire?” chiese una voce profonda alla mia destra, la sua voce. Mi girai di scatto. Da dove è spuntato? 
“Io non…non intendevo…” balbettai arrossendo dietro il velo. Cercai Genya con lo sguardo ma era sparita. 
“Da questa parte” disse il Generale indicando il sentiero che costeggiava il lago. Lo seguii a testa bassa, stando ben attenta a non inciampare.
 
Per un po’ camminammo in silenzio. Il gracidio delle rane riempiva quello che, a tutti gli effetti, era un silenzio imbarazzato. 
Ci eravamo ormai lasciati il Piccolo Palazzo alle spalle quando decisi che ne avevo abbastanza di quel velo. Lo vidi sorridere con la coda dell’occhio quando con un sospiro di sollievo me ne liberai ma appena mi girai a guardarlo era tornato serio.  
“Hai fatto un buon sonno?” chiese ostentando un cortese distacco. Mi camminava affianco, guardando il paesaggio. Ripensai alla notte trascorsa e ai sogni che mi avevano tormentata. “Agitato - glissai, cercando di adattarmi al suo tono sostenuto- nonostante la magia di Genya abbia…” 
“ Non è magia, è scienza- mi interruppe con voce piatta, incrociando le braccia dietro la schiena-  o meglio piccola scienza. Noi non evochiamo dal niente, manipoliamo ciò che già esiste intorno a noi”. 
“Lo fai sembrare facile” sbuffai 
“L’uccello fa sembrare facile volare, ma è nato per farlo” rispose lui calmo. 
Camminava a qualche passo da me, osservando il lago. Sembrava determinato a non incrociare il mio sguardo. 
“ Quando è pronto” borbottai di rimando. 
“Allora vedi di esserlo” Concluse lui brusco. 
Mi fermai a guardarlo sentendo crescere la rabbia
“Mi chiedi di fare una cosa che nemmeno sapevo di poter fare fino a qualche giorno fa!” sbottai esasperata incapace di mantere quella farsa.  Per tutta risposta mi si parò dinnanzi e per la prima volta dal bosco mi guardò dritta negli occhi
“Credi che ti abbia portata qui per metterti in ridicolo? – chiese- Per mettere in ridicolo tutt’e due?” alzai gli occhi al cielo, frustrata “Penso che non so perché tu ti sia dato così tanto disturbo visto che chiaramente non ti importa un acc…” 
“ Tu concentrati su di me e andrà tutto bene- m’interruppe lui, trapassandomi con i suoi occhi neri- Quando il Re vedrà cosa sai fare e darà il suo benestare resterai qui ad addestrarti”
“ Il suo benestare?- stavolta fui io ad interromperlo- Tz…Ti credevo a capo dei Grisha” lo schernì, la voce mi tremava dalla rabbia. 
“Comanderò anche il secondo esercito, ma il Re è sempre il Re” rispose secco. Fece per voltarsi ma d’impulso allungai una mano a trattenerlo “Aspetta!- dissi, affrettandomi a ritirare la mano tra le pieghe del vestito prima che potesse notare il gesto – Cosa ti ho fatto?” 
Il suo volto si fece di pietra “Non capisco di cosa stai parlando”. 
“Parlo del fatto che da quando siamo arrivati qui mi hai a malapena degnata di uno sguardo, mi chiedi di fidarmi di te ma non me ne dai adito! Parlo del fatto che mi tratti come se…” mi interruppi imbarazzata abbassando lo sguardo a terra in cerca delle parole giuste. Come se ci conoscessimo appena e in effetti è così ma mi hai salvato la vita e nella foresta ho avuto come la sensazione di conoscerti da sempre e sono sicura che l’hai provata anche tu e…maledizione. Lo pensai ma non lo dissi. Mi sentivo così stupida.
“Perdonami se ti ho offesa- la sua voce era gentile ma distaccata interruppe i miei pensieri. Lo guardai fissava il lago in tralice– I miei molti doveri mi tengono impegnato e di questo non credo io debba rendere conto a voi, signorina Starkov. Tuttavia mi scuso se i miei modi vi hanno turbata.”
“Turbata?! Beh si diciamo che sono alquanto turbata, non so cosa diavolo ci faccio qui e…”
“Ti fidi di me?”
“Fidarmi di te? Perché dovrei? Io non ti conosco!”
“Ti ho salvato la vita” rispose lui calmo.
“Non prima di averla messa in pericolo! Se mi avessi lasciata in pace a quest’ora sarei ancora all’accampamento con il mio Maestro a piangere la scomparsa dei miei amici, a vivere la mia vita!”
“Se tu fossi rimasta all’accampamento saresti morta, dove credi fossero diretti i Druskeller che ci hanno assalito nel bosco?”
“Questo non puoi saperlo, sono stata perfettamente in grado di difendermi da sola fino ad ora”
“Non eri una Grisha fino ad ora”
“Allora non voglio essere una Grisha! Non voglio avere niente a che fare con questo, con te o con i tuoi grandi progetti!”
“Una Grisha è quello che sei, mettiti l’anima in pace ragazzina, non è qualcosa che si sceglie. Credi che io, o chiunque altro al Piccolo Palazzo, abbia scelto di essere ciò che è? Credi che abbiamo scelto di essere quelli braccati, temuti e odiati? Nessuno di noi ha scelto, siamo nati così, questo è ciò che siamo!” La sua calma distaccata andò in frantumi e la sua voce s’infiammò di rabbia.
“Io non sono come te! Io non sono un mostro!” Le parole mi uscirono di getto e subito me ne pentii.
Ci fu una breve pausa, lui si ritrasse guardandomi con disprezzo.
“Hai ragione, tu non sei come me, e a conti fatti signorina Starkov, non sei l’unica a non fidarsi.” 
E senza aggiungere altro mi superò, diretto al Palazzo Reale.
Per un attimo pensai di fuggire.
Ma rimasi ferma dov’ero, tremante di rabbia. 
 
“Puoi anche non fidarti” aggiunse dandomi le spalle “odiami pure se vuoi, resta il fatto che non sei al sicuro là fuori. Ti sto offrendo la possibilità di vivere un altro giorno e magari di scoprire chi sei veramente. Cosa vuoi fare Signorina Starkov? La scelta è tua.”
“No, non lo è” Sospirai prima di decidermi a seguirlo. 

 

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Capitolo 4
*** Moi Tsar ***


Alina

Il Palazzo Reale era sontuoso fino all’opulenza. Non aveva niente dell’eleganza del Piccolo Palazzo che al confronto sembrava quasi un’umile cascina. Quel tripudio di ori e broccati era quasi asfissiante e cominciò a mancarmi l’aria sotto quel dannatissimo velo. Mi sforzai di mantenere la calma ma ero tesa come una molla. Il cuore mi batteva impazzito.
Scendemmo una sontuosa scalinata che conduceva alla sala del trono. Lì, ordinatamente disposti ai lati della sala, ci attendeva una piccola folla di cortigiani. Uomini pomposi e donne imbellettate, avvolte da vesti talmente sfarzose da farmi rivalutare l’eleganza del mio abito.
Davanti a noi, sull’apice di un’altra imponente scalinata si stagliava il Trono. Era così in alto rispetto al resto della sala che per guardarlo dovevi torcerti il collo. 
Seguì il Generale che avanzava tranquillo. Sembrava perfettamente a suo agio mentre camminava guadagnando il centro della sala. Ci fermammo e il nostro seguito di guardie e Grisha si allargò a farci da sfondo. 
Il Generale mi fece un lieve cenno del capo e mi tolsi il velo con dita tremanti.
“Pensavo che fosse più alta” sentenziò il Re 
“Pensavo che fosse Shu - commentò di rimando la Regina- beh credo sia abbastanza Shu” aggiunse lanciando un’occhiata critica ai miei occhi a mandorla. 
Abbassai lo sguardo. Coraggio mi dissi hai subito umiliazioni peggiori.
Accanto a me sentii il Generale irrigidirsi 
“Dille…non so…Buongiorno” continuò la Regina rivolta a una delle ancelle che la circondavano. 
Questo è troppo. 
Ebbi un sussulto e strinsi i pugni non dar loro soddisfazione, non lasciarti intimidire.
 “In realtà non parlo Shu, Altezza” replicai sforzandomi di contenere i toni. 
“Allora che cosa sei?” Chiese con finta cortesia. 
Boccheggiai, rendendomi conto di non sapere la risposta, mi guardai attorno, smarrita.
                  Già, che cosa sono?
“Lei è Alina Starkov- intervenne in mio aiuto il Generale, alzando la voce così che tutti nella stanza potessero sentirlo- l’Evocaluce. Moya Tsaritsa” aggiunse chinando il capo in segno di rispetto. Segui il suo esempio e mi affrettai in un breve inchino. 
“Lei cambierà il futuro – continuò Kirigan in tono solenne– a cominciare da ora” e così dicendo allungò una mano dinnanzi a sé. Con un elegante gesto del polso richiamò le tenebre che corsero ad oscurare l’intera sala. 
Ci siamo, pensai, ora devo fare qualcosa. Già, ma cosa?
Ero nel panico. Lui mi si mise innanzi. Lo guardai spaurita, in cerca di aiuto. 
La sua voce era tranquilla quando si avvicinò a sussurrarmi all’orecchio “Ora, evoca la Luce” 
Le sue labbra mi sfiorarono la pelle ed ebbi un brivido. 
Come?! 
Ma guardandolo negli occhi sentii il panico acquietarsi e la calma m’invase. Ripensai a quella volta nella tenda. Alla sensazione che avevo provato, quello strano formicolio. La sentii nascere di nuovo dentro di me. Una sorta di musica che affiorava dal centro del mio essere. Potevo sentirla vibrare sotto la pelle. Senza smettere di guardarmi lui mi prese il polso e la vibrazione crebbe fino ad esplodere. Chiusi gli occhi e lasciai che quel canto mi travolgesse. 
Quando li riaprì un’aurea di luce accecante ci circondava avvolgendo in gran parte anche il centro della sala in cui ci trovavamo. Per quanto abbagliante fosse i miei occhi non ne furono infastiditi anzi, vedevo tutto con estrema chiarezza. Il Generale davanti a me sorrideva trionfante, neanche lui sembrava infastidito da quella luce. Mi ritrovai a sorridergli di rimando. 
Ubriaca di beatitudine guardavo estasiata come sul suo viso luci e ombre si combinavano in strane forme, rincorrendosi senza annullarsi ma, al contrario, esaltandosi a vicenda. La rabbia per la lite di prima era solo un lontano ricordo. Lì in quel momento, provai di nuovo quella strana sensazione. La ferrea certezza che era giusto, così giusto che fossimo insieme. 
Tornò al mio fianco. La sua mano continuava a stringere la mia. Per un attimo lo seguii con lo sguardo, incantata dalla sua figura ma poi tornai a prendere coscienza di ciò che ci accadeva intorno. Il Re si era alzato dal suo trono e stringeva gli occhi cercando di vedere al di là di quel bagliore accecante, e così facevano tutti gli altri nella sala. Rimanemmo così per qualche istante, le mani intrecciate. Un flusso di energia che scorreva da me a lui e viceversa. Poi lui sciolse la presa e la luce scomparve così come l’ombra e l’aria tornò normale. Mi senti improvvisamente esausta ma l’euforia mi impedì di cadere. 
Ce l’ho fatta
La folla scoppio in un applauso scrosciante.
“Quanto tempo le occorrerà?” Domandò il Re richiamando l’ordine.
 Si era rivolto al Generale, ma il suo sguardo avido era fisso su di me. 
“Distruggere la Faglia non sarà un’impresa facile - rispose lui, avanzando calmo - Da sola potrebbe non essere in grado di farlo. - continuò fermandosi ai piedi della scalinata che conduceva al trono - Lei rimarrà con me, al Piccolo Palazzo per addestrarsi. Indisturbata” enfatizzò l’ultima parola mettendo un piede sul primo gradino. Un brusio percosse la sala, nessuno aveva mai osato tanto. Per un attimo sembrò che il Re volesse ribattere ma poi annui e la sala tirò un sospiro di sollievo. 
“Allora fallo alla svelta – ordinò – le nostre guerre sono state una nobile causa, ma queste voci dall’Ovest riguardo la creazione di una nazione sovrana…- scosse la testa come a voler scacciare un brutto pensiero- dobbiamo impedirlo! Prima torneremo ad essere un'unica nazione meglio sarà!” Concluse tornando a sedersi. 
“Sarà fatto, moi Tsar” rispose il Generale in un inchino di commiato. Mi raggiunse e prendendomi per mano mi guidò verso il fondo della sala. Stavolta nessuno scoppio di luce improvvisa, solo il mio cuore che batteva all’impazzata. 
Ce l’ho fatta!
“Sei stata perfetta” mi sussurrò euforico
“Non so da dove sia venuta” gli risposi lasciandomi andare ad un sorriso raggiante.
Lui si girò a guardarmi “È venuta da ogni parte… perché tu l’hai evocata - i suoi occhi erano pieni di orgoglio e per la prima volta vidi una luce in fondo a quel nero. Lo guardai ammirata. Rimanemmo così in silenzio a guardarci. La sala era sparita, insieme ai sovrani e alla loro corte. Per un attimo fummo soli, occhi negli occhi. 
“Riguardo a quello che ho detto prima…” cominciai con voce incerta
 “Avremmo modo di parlarne - m’interruppe lui, leggero - ma per adesso: benvenuta a casa, signorina Starkov” pronunciò l’ultima frase con un sorriso giocoso che mi fece saltare qualche battito. Poi si girò e scomparve tra la moltitudine di Grisha che erano rimasti in fondo alla sala, in attesa di potersi venire a complimentare con me. 
Prima che me ne rendessi conto fui circondata da una piccola folla. Chi mi abbracciava, chi mi sussurrava benvenuta, chi semplicemente mi sorrideva. Fu bellissimo, non avevo mai provato una simile esperienza e per un attimo mi sentii davvero a casa. 
“È un tale onore conoscerti” disse una voce alle mie spalle. Mi girai e vidi Zoya, la ChiamaTempeste dai capelli neri che era con me sulla nave il giorno in cui era accaduto tutto. Mi guardò con un sorriso fintamente gentile mentre si avvicinava per sussurrarmi all’orecchio: “Puzzi ancora di orfanotrofio lurida mezzosangue” 
Genya si fece largo venendomi incontro prima che avessi il tempo di replicare. 
“Sei veramente unica nel tuo genere – mi disse prendendomi sotto braccio per guidarmi verso l’uscita- adesso parleranno di te in ogni angolo del paese”.
La felicità che avevo provato mi abbandonò mentre prendevo coscienza delle implicazioni di ciò che era appena accaduto. Avevo appena segnato il mio destino. Prima che l’angoscia potesse sopraffarmi la nascosi dietro un sorriso tirato e lasciai che Genya continuasse a parlare di quanto stupefacente fosse il mio potere e di quanto tutti adesso potessero tornare a sperare in un futuro migliore. 
 
Fu solo a tarda sera, dopo un’estenuante giornata di strette di mano e sorrisi forzati che, con la scusa del sonno, riuscii finalmente a ritirarmi nelle mie stanze. 
Sola, finalmente!
 Tirai un sospiro di sollievo e presi ad armeggiare con l’infinità di lacci del corpetto. Quando mi fui liberata di quell’abito mi misi a frugare nell’armadio. Lo trovai pieno di pantaloni e camicie dal taglio androgino e mi sfuggi un sorriso 
Grazie Genya!
Sicuramente era stata lei a scegliere quei vestiti per me, azzeccando in pieno i miei gusti. 
Nell’ultimo cassetto trovai una semplice camicia da notte e un paio di pantaloni leggeri con cui abbinarla. Li indossai con un sospiro di sollievo.
Finalmente qualcosa di comodo.  
Corsi ad aprire la finestra e respirai a pieni polmoni. L’aria fresca della sera mi schiarì le idee. 
Avevo bisogno di mettere in ordine i pensieri. La velocità con cui era accaduto tutto mi faceva venire le vertigini. Il mio sguardo si posò sullo scrittoio.
 
Caro Mal,
non so neanche come cominciare questa lettera.
Se ti raccontassi tutto ciò che è accaduto probabilmente mi crederesti pazza. O forse già lo sai. Forse la voce dell’esistenza dell’Evocaluce è già giunta al campo. 
E tu faticherai a crederci, come me del resto. 
La tua piccola peste… cerco di pensare a cosa mi diresti. Hai sempre avuto qualche perla di saggezza pronta all’uso. Mi prenderesti in giro come fai sempre? Una parte di me continua a sperare che sarà così, che questo non sia che uno strano lungo sogno di cui presto rideremmo insieme. Adesso aprirò gli occhi e correrò a raccontartelo e ci faremo delle grosse risate…
Ciò che cerco di dirti Mal, quello che sto cercando di scriverti in mezzo a tutte queste parole confuse è che ho paura. 
Ho paura, Mal. 
Sono cresciuta leggendo di un Santo che un giorno avrebbe compiuto un miracolo di luce e risolto i problemi del paese e sapevo che era una bugia. Me l’hai insegnato tu. Nessuno straniero avrebbe mai risolto i problemi al posto nostro, nessun grande miracolo stava arrivando. Ecco perché avevamo l’un l’altra. Il mondo è duro e crudele, ma avevamo l’un l’altra e ciò bastava. Questo era tutto. Se una volta i santi esistevano ci hanno abbandonati da tempo, dicevi. Eppure, ora tutti mi guardano come se fossi io la risposta, come se fossi il miracolo che il mondo stava aspettando. O forse sanno che sono un inganno, un’impostora. Sono terrorizzata dal pensiero di deludere le aspettative di cui mi ritrovo improvvisamente investita. Cosa sarà? Un fallimento o un trionfo? Se davvero ho questo potere, chi sono? Sarei tutto ciò che abbiamo deriso e rifiutato. Una sconosciuta a me stessa e a te. Non potrei sopportarlo. Non so cosa pensare Mal, una parte di me continua a dubitare che tutto questo possa essere reale, ma un’altra…Io l’ho sentita Mal, so che può sembrare assurdo, credimi, lo so, ma ho sentito la Luce. Era come se fosse sempre stata lì.
Posai la penna incapace di continuare, rilessi più volte quella lettera prima di accartocciarla. 
Non c’è niente che abbia un senso!  
Mi alzai e presi a camminare avanti e indietro per la stanza sentendomi un animale in gabbia. Lo stomaco stretto dall’ansia. 
Tutti si aspettano qualcosa da me, a sentire Genya sembra meraviglioso ma a me pare più una condanna. 
Non volevo tutto questo. Non avevo chiesto niente di tutto questo. Mi ritrovai a piangere disperata. Pensai di nuovo di calarmi dalla finestra e fuggire. Controllai il nascondiglio del tagliacarte, per accertarmi che fosse ancora lì. 
C’era. 
Sto delirando, devo calmarmi.  
Se anche fossi riuscita a raggiungere il cortile senza farmi vedere, cosa assai improbabile, non c’era comunque modo di scavalcare le mura che circondavano il palazzo. E se anche allora non mi avessero vista, restava il problema della scalata in sé. 
E poi dove sarei potuta andare? Da Mal? 
Mal era con l’esercito e non era sicuro per me tornare all’accampamento, non più. Quanto ci avrebbero messo a scoprire che ero fuggita? E quanto a ritrovarmi? Per non parlare dei cacciatori Fierdiani, o degli altri mille e più nemici che inevitabilmente avrei incontrato sulla mia strada ora che la notizia che ero l’Evocaluce era stata divulgata in tutto il paese. No, nessun posto era più sicuro ormai. 
Kirigan ha ragione, pensai amareggiata. 
Tutta Ravka continuerà ad essere prigioniera finché esisterà la Faglia, io compresa. 
Il pensiero del Generale Kirigan accese nuovi interrogativi. 
Il suo comportamento era un enigma che non riuscivo a decifrare. Come potevo fidarmi di quell’uomo? E cos’era quella strana sensazione che provavo in sua presenza? Non avevo mai provato niente di simile. Era affascinante, certo, ma c’era di più. Un richiamo che andava aldilà della semplice attrazione fisica.
Ripensai a come luci e ombre avevano interagito nella sala del trono, a come l’una sembrava non poter esistere senza l’altra. 
C’entrano qualcosa i nostri poteri?
 Scossi la testa. 
Che idiozia
Conoscevo a malapena quell’uomo e già mi ritrovavo a fantasticare su di lui. 
Ti piace solo perché è alto… e bello e ha degli occhi che…basta! 
Dovevo smetterla di pensare a lui, c’erano problemi decisamente più urgenti di una stupida cotta. Cercai di rimettere in ordine le idee ma una fitta alla tempia mi disse che era tempo di andare a dormire. 
È inutile starmene qui a rimuginare come se avessi il controllo su quello che sta accadendo, resta il fatto che non ce l’ho.
 
Mal

Aprii gli occhi. 
Il mondo mi apparve in un primo momento sfuocato.
Dove sono? 
Sbattei le palpebre per cercare di scacciare il torpore che mi annebbiava i sensi, avevo la testa pesante.
Mi resi conto che ero sdraiato su una branda di fortuna, sentivo le coperte ruvide sulla pelle. La poca luce proveniva da una rozza candela alla mia sinistra. Cercai di muovermi ma era tutto troppo confuso. Chiusi gli occhi nel tentativo di schiarirmi le idee. 
Il ponte della nave. Le urla. Gli artigli del mostro che mi affondavano nella carne. Dolore. La consapevolezza della morte. E poi quel lampo di luce. Il viso di Alina sopra di me. 
Alina!
Scattai a sedere ma fui travolto da una fitta lancinante al fianco e ricaddi con un gemito.
“È sveglio!” 
Sentii una voce di donna vicino a me.
Cercai nuovamente di alzarmi. La ferita mi doleva da impazzire. Era come se una scarica di dolore mi attraversasse il corpo.
“Fermo! Va tutto bene”
“A…Alina” tentai di parlare ma la mia voce era ridotta a un rantolo
“Fermo ho detto! Giuro sui Santi che se ti strappi i punti ti lascio a morire dissanguato dopo tutta la fatica che ho fatto per ricucirti! E tu non startene lì impalato aiutami a tenerlo fermo” Qualcuno si mosse. Braccia forti su di me mi costrinsero a rinunciare ai miei deboli tentativi di alzarmi. 
Il mondo vorticava frenetico.
“Alina?” chiesi disperato cercando la donna con lo sguardo.
“Sta bene, è al sicuro, e lo sei anche tu, ma adesso ho bisogno che tu stia fermo, non è un graffio quello che hai al fianco”
Come a dar ragione alle sue parole una seconda fitta mi attraversò, così forte che fui colto da un conato di vomito.
“Do…dove…Alina”
Cercai di parlare ma il dolore era troppo, mi sentivo svenire
“È al sicuro, il Generale Kirigan l’ha portata al Piccolo Palazzo, sta bene” la voce della donna mi raggiunse come un eco lontano.
“No!” cercai disperatamente di alzarmi, nonostante le fitte.
“Basta! Sedatelo se continua a muoversi in questo modo le ferite si apriranno”
Movimenti confusi attorno a me. E poi il mondo tornò buio. 

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Capitolo 5
*** Il Vecchio, il Maestro e la Strega ***


Alina
Quella notte sognai ancora il cervo poi il sogno si trasformò in incubo e correvo a perdifiato tra le tenebre della Faglia che inghiottiva ogni cosa. 
Hai fallito
Mi svegliai di soprassalto che era ancora l’alba.
Mi vestii in fretta, ancora turbata da quello strano incubo ma decisa ad esplorare il Palazzo prima che facesse completamente giorno. 
A quest’ora non dovrebbe esserci ancora nessuno in giro 
Mi resi subito conto che mi sbagliavo. Per i corridoi incontrai molti Grisha, già vestiti di tutto punto, intenti alle loro faccende. Indossavano tutti abiti semplici che, per quanto diversi tra loro, avevano gli stessi toni chiari. L’unica differenza sostanziale nell’abbigliamento consisteva in piccole spille d’oro bianco meticolosamente appuntate all’altezza del cuore. All’inizio, queste mi erano parse tutte uguali, ma dopo un esame più approfondito mi resi conto che ognuna portava inciso un diverso stemma. 
Narvalo per gli Scuotiacque. Salamandra per gli Incendi. Aquila per i ChiamaTempesta. Tasso per i Fabbrikator e Colibrì per gli Spaccacuori
Presi nota mentalmente. 
Nessuno sembrava far troppo caso a me. Nessuno mi rivolse più di qualche parola se non per salutarmi cordialmente quando mi incontravano. La loro deferenza nei miei confronti era qualcosa di nuovo per me
 È snervante
Camminai seguendo un flusso di folla che si dirigeva verso quella che, una volta arrivata mi fu chiaro, era la sala adibita alla colazione. Cercando di confondermi in mezzo alla gente ne osservai i movimenti, per imparare come muovermi senza dover far domande.
Presi una tazza di tè fumante da una strana brocca e agguantai rapida un pasticcio di mele, prima di sedermi con fare circospetto in un angolo della sala. Mi sistemai con la schiena contro il muro di modo da poter osservare l’ambiente circostante senza che nessuno potesse sorprendermi alle spalle. Un senso di pericolo incombente mi attanagliava lo stomaco.
Ma nella sala c’era un vociare allegro, mangiavano seduti attorno ai tavoli in piccoli gruppi. Alcuni si esercitavano con i loro poteri. Altri erano già chini sui libri. Immersi nei loro studi. 
Mi piacerebbe vedere la biblioteca
Con quel pensiero finì di mangiare il mio pasticcio e uscii, intenzionata a ritrovare il corridoio che avevo intravisto il giorno prima. 
Continuavo a muovermi circospetta, trasalendo ad ogni rumore improvviso. Non ero certa di dove stavo andando, né di potermi muovere liberamente a quel modo.
Sono una prigioniera in fondo…
Ma quando incrociai un drappello di guardie, queste non mi degnarono di uno sguardo, allora mi fu chiaro che a nessuno importava dove andassi e mi rilassai. 
Deviai a destra e scorsi il corridoio che, ne ero quasi certa, portava all’uscita. 
La mia occasione di fuga 
Avevo fatto appena qualche passo quando una voce mi chiamò
 “Alina!” 
Mi girai allarmata. La mano corse al tagliacarte che portavo nascosto alla cintura. 
“Eccoti qui!” sbuffò ansante una ragazza dai capelli castani e il viso rotondo, trotterellandomi incontro “Ti cerco da un’ora! Ma dove ti eri cacciata?”
La guardai con espressione interrogativa
“Sei in ritardo per la tua prima lezione!” 
Mi rispose lei con un sorriso smagliante, e, prendendomi sottobraccio, mi condusse, con mio grande disappunto, nella direzione opposta all’uscita. 
“Che sciocca, non mi sono neanche presentata, io sono Marie e tu ora dovresti essere all’addestramento, ti eri persa?” 
“Veramente io…- esitai- sì… è così mi sono persa” conclusi con un sorriso. 
A quel punto Marie comincio ad assillarmi con una sfilza di domande 
“Sei davvero una mappatrice? Hai già visto l’aula di disegno? No?! Allora dovrò assolutamente portartici al più presto, la adorerai! Ho sentito che vi hanno attaccato i Fierdiani mentre venivate qui, dev’essere stato orribile, quanti ne hai uccisi?” 
“Uccisi? Ne ho a malapena colpito uno” ebbi appena il tempo di balbettare, travolta dal suo entusiasmo 
“Allora il mio arrivo è provvidenziale! - cantilenò allegra- benvenuta nella prima parte del tuo programma giornaliero!”
 “Ho un programma giornaliero?” Chiesi esterrefatta. 
“Certo, ognuno di noi ce l’ha, viene deciso sulla base delle tue capacità e dei tuoi desideri ovviamente. Abbiamo un insegnante per tutto. Ti interessi di botanica? Hai già visto la serra? Oh, ti piacerà vedrai!” 
Continuò così per tutto il tragitto finché non raggiungemmo un campo laterale dove diversi Grisha erano intenti ad addestrarsi. C’era chi si allenava con l’arco, chi con la spada e alcuni in fondo esercitavano i loro poteri nel combattimento dando fuoco a fantocci di paglia o alzando mulinelli di polvere fino a creare piccoli uragani. 
“Evocaluce! - tuono una voce dal fondo del campo - i nemici di Ravka vogliono ucciderti prima che tu distrugga la Faglia, è un grande onore avere molti nemici!”.
A parlare era stato un uomo massiccio, dalla statura imponente. 
Il maestro d’armi
“Lui è il maestro Aemon e, sì, è sempre così.” sussurrò Marie rivolgendomi un’occhiata d’intesa prima di allontanarsi con una piroetta. 
“Il mio nome è Aemon Shaltergate, e sono qui per insegnarti a difenderti - si era avvicinato e troneggiava imponente a pochi passi da me – sai fare a pugni?” Chiese studiando con aria critica il mio fisico gracile. 
I miei pensieri corsero a Mal. 
Avevo 6 anni e le avevo prese da un bambino più grande. Mi ero azzuffata con lui perché mi chiamava mezzosangue e quello mi aveva rotto il labbro. 
Mal mi asciugava il sangue con un panno bagnato. “Quante volte te lo devo dire: devi fare più attenzione! - mi rimproverava- se non fossi intervenuto io poteva andarti peggio!” aveva scosso il capo guardandomi con i suoi severi occhi azzurri 
“Allora insegnami a fare a pugni, così saprò difendermi la prossima volta!” gli avevo chiesto implorante.
“Con il caratteraccio che ti ritrovi finiresti per gettarti in ogni mischia che incontri! Meglio se ti insegno come arrampicarti sugli alberi per nasconderti, piuttosto” 
“Ma quello lo so già fare! -avevo protestato io- insegnami a fare a botte, ti prego!” 
“Oh e va bene! - aveva ceduto lui con un mezzo sorriso- dai su, fammi vedere cosa sai fare.” 
Mi ero subito messa in posizione di attacco e avevo preso a colpire nemici immaginari 
“No, no, non ci siamo proprio- mi aveva fermato subito lui, vedendomi agitare i pugnetti per aria con fare maldestro- guarda questo pollice, che ci fa qui? Lo devi tenere sotto sennò lo rompi, e vedi queste due dita qui? Devi colpire con queste, queste due ti faranno vincere”.
Da quel momento aveva cominciato ad allenarmi di nascosto ogni volta che veniva in paese.
Sorrisi a quel ricordo e annuii guardando il maestro Aemon 
“Ho fatto pratica” dissi con un’alzata di spalle. 
“Fammi vedere- replicò col suo vocione- scegli un avversario”. 
Avanzai al centro del campo e mi guardai intorno, diversi Grisha si erano radunati incuriositi. Tra loro vidi Zoya che sorrideva beffarda. 
“Lei” dissi, ricordando con rabbia quello che mi aveva detto il giorno prima. 
“Addestro Zoya da quando aveva dieci anni” mi informò perplesso il maestro Aemon mentre Zoya avanzava raggiungendomi al centro del cerchio che andava formandosi intorno a noi. 
“Ci vuoi ripensare?” Mi chiese lei con un sorriso di scherno sulle labbra 
“E tu?” le risposi con tono di sfida.
“In posizione- tuonò Aemon- e…via!” 
Zoya attaccò di slancio ed ebbi a malapena il tempo di schivarla. 
“Dove scappi, mezzosangue?” rise lei vedendomi indietreggiare. 
La ignorai e cominciai a girarle intorno. Osservandola in cerca di una qualche debolezza. 
Attaccò di nuovo e di nuovo la schivai, aspettando l’ultimo secondo per farle credere di essere in vantaggio. Era arrogante: ecco il suo punto debole. 
Ci scambiammo qualche colpo e subito finsi di essere in difficoltà, aspettando il momento giusto per contrattaccare.
La pazienza è spesso l’arma migliore Mal lo diceva sempre. 
E il momento giusto arrivò. 
Nel tentativo di colpirmi aveva caricato tutto il peso sulla gamba destra, rendendosi pericolosamente instabile. Aspettai l’ultimo minuto per schivare il suo pugno e mi abbassai, colpendola al costato. La gamba tesa a toglierle l’appoggio. 
Un secondo dopo era a terra. I suoi occhi traboccavano di odio, con un balzò tornò in piedi e prese a colpirmi con furia. Parai quasi tutti i suoi colpi, rispondendo con altrettanta ferocia. Nessuna delle due sembrava riuscire a prevalere sull’altra. Poi d’improvviso fece uno strano gesto con le dita e della sabbia mi finì negli occhi accecandomi. Lei ne approfittò e stavolta fui io a finire a terra. 
Ha barato
Mi rialzai sputando un grumo di polvere e sangue.
“Ancora” le dissi guardandola con odio e mi rimisi in posizione. Senza aspettare il segnale di Aemon mi attaccò, cercando di prendermi alla sprovvista. Scartai di lato, ma fu come se avesse previsto le mie mosse, roteò così velocemente su sé stessa che quasi non vidi arrivare il colpo. Cercai di pararlo alzando le braccia ma lei deviò assestandomi un calcio dietro al ginocchio. Caddi in avanti e rotolai via appena in tempo da evitare il colpo successivo. Era sopra di me in netto vantaggio 
“Tutto qui quello che ti ha insegnato il tuo paparino umano, piccola mezzosangue?” disse facendo in modo che gli altri non sentissero. Il riferimento a Mal mi fece infuriare. Facendo leva sulle braccia inarcai la schiena e mi rimisi in piedi sferrandole un calcio allo sterno così potente da farla cadere dieci passi più in là. 
“Si- risposi ansante- perché non ti basta?” 
Feci per andarmene, per quanto mi riguardava finiva lì. 
“Attenta!” gridò qualcuno. Mi girai appena in tempo per vedere Zoya ancora a terra, compiere un altro strano gesto con le mani che stavolta generò una folata di vento così forte da farmi volare dall’altro lato del campo. Il colpo mi fece perdere i sensi.
 Maledizione pensai prima di svenire. 
 
Il cervo era sopra di me mi annusava, potevo sentire il suo fiato caldo sul viso...
 
 “Alina! Alina mi senti?! - Aprii gli occhi, Marie mi guardava con aria preoccupata – Stai bene? Oh, ti prego dimmi che stai bene!” 
“S…si, sto bene” risposi incerta tirandomi a sedere. 
“Oh, meno male, vieni ti aiuto ad alzarti! Non riesco a credere che l’abbia fatto – e senza smettere di parlare cominciò a togliermi la paglia dai capelli e dal vestito – è solo gelosa sai? Non sopporta il modo in cui ti guarda il Generale Kirigan” 
“C…cosa?” balbettai confusa 
“Beh, sì, sai… il modo in cui ti guarda, non lo sopporta” continuo lei come se fosse un’ovvietà.
“E che modo sarebbe scusa?” chiesi senza capire, ancora stordita dalla caduta. 
Per tutta risposta mi lanciò un’occhiata eloquente “Ti accompagno in infermeria se vuoi”
“Non serve - risposi cercando di non sembrare brusca - so farmi strada da sola”
E presi la via del ritorno. Alle mie spalle il maestro Aemon era intento a dare una bella strigliata a Zoya che mi lanciava occhiate d’odio puro. La ignorai e continuai a camminare.  Non sapevo dove fosse l’infermeria e non mi importava. Vagai per un po’ senza una meta precisa, sentendomi più persa che mai. 
Per certi versi è simile all’orfanotrofio, neanche qui puoi abbassare la guardia.
Decisi di andare in biblioteca, avevo bisogno di silenzio e solitudine e poi chissà, magari avrei trovato qualcosa su quel cervo che continuavo a sognare. Iniziavo a pensare che dovesse significare qualcosa. 
La biblioteca del Piccolo Palazzo era enorme, piena zeppa di libri di ogni genere e su ogni argomento. Dalla botanica alla fisica, passando per l’astrologia. C’era persino una sezione dedicata alle fiabe per bambini. Sorrisi riconoscendo la copia di un libro che Mal mi aveva regalato per il mio ottavo compleanno: “Miti e Leggende Fierdiane”. Lo aprii accarezzando le pagine con nostalgia. Ripensandoci in quel libro si parlava dei Grisha come di streghe e stregoni malvagi che cospiravano per impossessarsi delle terre degli uomini. Mi chiesi cosa ci facesse lì un libro del genere. Lo posai a malincuore sullo scaffale ripensando a come Mal era solito leggermelo nelle sere d’estate. Continuai a guardarmi intorno vagando tra gli scaffali, senza sapere bene cosa cercare. 
“Ti piacciono i libri?” 
Una voce roca alle mie spalle mi fece trasalire, mi girai di scatto e mi ritrovai davanti l’Apparat, il consigliere spirituale del Re. L’avevo intravisto il giorno della mia presentazione a corte e ricordavo che Genya non si era sprecata in lodi su di lui.
 “Tu sei molto colta non è così? Istruita…” Insistette.
“La direttrice dove sono cresciuta diceva che non possedendo alcuna bellezza dovevo possedere almeno il sapere” risposi in un sorriso tirato. 
“Non molto gentile da parte sua. Non credo ci abbiano presentati ufficialmente- continuò dopo una breve pausa- sono il consigliere spirituale del Re… Io vorrei che fossimo amici, tu ed io- continuò avvicinandosi con passo trascinato- sì è importante che siamo amici” borbotto rivolto a sé stesso. Sembrava un po’ tocco, di sicuro la vecchiaia non era stata clemente con lui. 
“Io…facevo solo…ricerche” risposi indietreggiando 
“Su cosa? Magari posso esserti di un qualche aiuto, sai conosco questa biblioteca a memoria” insistette lui 
“Oh…no, grazie, non ce n’è bisogno, stavo giusto per…” cercai di glissare 
“Sei curiosa di sapere la leggenda del cervo immagino” m’ interruppe lasciandomi di sasso. 
Come fa a sapere del cervo?  
“Permettimi di consigliarti alcune letture” e si mise a tirare fuori alcuni vecchi tomi da uno scaffale lì vicino.
“Mm vediamo…ah sì, ecco” disse prendendone uno particolarmente vecchio e polveroso e dirigendosi verso una delle scrivanie che adornavano la sala. Camminava con passo lento e trascinando i piedi. 
“Tutto cominciò da lui” sentenziò aprendo il tomo più vecchio e indicando con fare solenne la miniatura di un uomo che vi era riportata
Mi avvicinai incuriosita 
“Uno dei primi Grisha che la storia ricordi. Il Fabbro delle Ossa si chiamava. Sapeva che i Grisha sarebbero stati perseguitati e quindi studiò un modo per accrescere il loro potere” mentre parlava aprì a fatica un altro dei tomi che aveva preso poco prima 
“Scusi…ehm, signore…ha detto che si chiamava il Fabbro delle Ossa?” chiesi 
“L’ho detto? Ah sì! Sì, dava vita alle creature con le sue stesse dita” rispose enfatizzando le parole con i gesti come per assicurarsi di essere compreso. 
Di sicuro è un po’ tocco pensai. 
 “Oh sì, mitici animali – continuò sfogliando il secondo tomo - traboccanti di potere, in sintonia solo con i Grisha…ah ecco” e mi indicò la pagina che aveva cercato. Era un’altra miniatura dove l’uomo di prima compariva al centro di un disegno più grande, attorniato da una mano umana, una fenice, uno strano pesce e…il mio cuore ebbe un balzo. Il cervo! 
“I Grisha scoprirono che, uccidendo una di queste creature e assorbendone un pezzo nel loro corpo esso amplificava le loro abilità. - mi guardava sopra i suoi occhiali sottili – a volte l’incremento era minimo ma…con il giusto legame…- girò la pagina a mostrarmi un’altra miniatura che raffigurava Morosova intento a creare il suo esercito – l’aumento del potere era…straordinario!”
Guardavo quelle immagini, ascoltando senza capire. 
“Uccidono gli animali per avere il loro potere?” chiesi inorridita 
“Solo il Grisha che toglie la vita alla creatura può prenderne il potere- spiegò – Ecco, tieni, un dono per la nostra nuova amicizia” aggiunse porgendomi l’ultimo dei libri che aveva tirato fuori dallo scaffale.
“Le vite dei santi” Lessi ad alta voce
“Oh si, lettura molto interessante a mio modesto avviso, ma non voglio trattenerti oltre, Baghra ti attende.” 
“Baghra?” domandai incerta 
“Oh si, vieni, ti mostro la strada”.
 
“Tutti i Grisha vengono addestrati da Baghra all’utilizzo del loro potere” mi spiegò mentre attraversavamo una parte del cortile interno che non avevo ancora mai visto. Lì gli alberi crescevano più fitti rispetto al resto del giardino, il che dava al luogo un’aria selvatica. 
“È una cosa piuttosto brutale, il modo in cui quasi tutti i popolani odiano i Grisha ma penso che sia perché sono convinti che i Grisha non soffrano ma… tu hai sofferto, non è così?” chiese fermandosi a guardarmi da sopra i suoi occhiali a mezzaluna. 
Non risposi.
“Sì, temo che tu soffrirai ancora” aggiunse indicandomi l’ingresso di una piccola capanna. 
Era alquanto strano che una costruzione del genere stesse lì. A prima vista sembrava una semplice catapecchia ma guardando meglio vidi che era intagliata direttamente nella roccia. In effetti più che una casa sembrava l’ingresso di una caverna. 
“Cosa...?” 
Ma quando voltai lo sguardo l’Apparat non c’era più.
Che strano…pensai quando se n’è andato?
Rigirandomi il libro che mi aveva dato tra le mani, mi feci coraggio ed entrai. La grotta si sviluppava in un lungo corridoio per poi scendere nelle profondità della terra. Più mi addentravo più l’aria si faceva densa e pesante. 
“Ehilà? C’è qualcuno?” domandai incerta.
“Sei in ritardo” rispose una voce e dall’ombra spuntò una donna. 
Era vecchia, o almeno lo erano i suoi lunghi capelli grigi e le rughe sottili sul suo volto ma l’espressione e la postura sembravano quelli di una giovane donna nel pieno delle sue forze. Rabbrividii 
Sembra proprio una strega.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Aleksander
“Cosa diavolo ti è saltato in mente?” Chiesi minaccioso non appena entrò nella mia stanza.
Zoya socchiuse gli occhi atteggiando le labbra a un broncio, con fare seduttivo.
“È così che mi accogli?” chiese avvicinandosi per accarezzarmi il bavero della giacca.
Feci una smorfia e con un gesto secco scacciai la sua mano “Smettila”.
Mi girai dandole le spalle e tornai alla scrivania con la scusa di sistemare alcune carte.
 “Wuhu pare che qualcuno sia di cattivo umore…” continuò in tono provocante. 
“Cosa ti aspettavi?” chiesi freddo, girandomi a guardarla.
“Credevo volessi vedermi, visto che mi hai mandato a chiamare.”
Le lanciai un’occhiata carica di disprezzo prima di indossare una maschera di assoluta indifferenza. 
“Ed è così infatti. Ti informo che partirai seduta stante per il fronte. Ho fatto preparare il tuo cavallo.”
 Sgranò gli occhi dalla sorpresa “Cosa?”
“Credo che un viaggio alla Faglia possa servire a ricordarti cosa combattiamo e perché.”
Continuai, sforzandomi di dare alla mia voce un tono calmo e noncurante. 
“So bene cosa combattiamo.” Mormorò lei contrita
“A quanto pare no invece, visto come ti sei scagliata contro la nostra unica speranza di vittoria.” Strinsi i pugni lungo i bordi del tavolo cercando di frenare la rabbia. 
“È dunque di questo che si tratta? Vuoi preservare il tuo nuovo fragile fiorellino?”
“Voglio proteggere l’Evocaluce, Zoya! E con lei tutti noi! Possibile che tu non lo capisca?” sbottai esasperato. 
“Davvero mi credi così stupida? Mi mandi via solo perché la tua preziosa piccola orfana si è fatta la bua ed è venuta a piagnucolare da te. Perché io so combattere e lei no. È debole e ...”
“Attenta a come parli” 
Le tenebre cominciarono a vibrare intorno a noi, sottolineando la minaccia.  
“La verità è che ti sei stancato di me.” 
Sbuffai “La gelosia non ti dona Zoya.” dissi tornando a riordinare le carte, senza degnarla di uno sguardo.
“Vedo come la guardi!”
“Non so di cosa tu stia parlando”
“Ah, non lo sai? Dimmi che mi sbaglio allora. Guardami negli occhi e dimmi che non la desideri.”
“È solo un mezzo per un fine, nient’altro.” Replicai in tono piatto
“Ti conosco. Tu la vuoi. La Faglia non c’entra.”
“La Faglia è tutto Zoya! - la mia rabbia esplose e un lampo di tenebre oscurò la stanza. - Sono stanco di queste tue scenate. Partirai come ti ho ordinato. E questo è tutto. Spero che il viaggio ti schiarisca le idee.” Conclusi richiamando le ombre. 
Aprì la bocca per replicare ma poi parve ripensarci. Strinse i pugni e s’incamminò impettita verso la porta. Ma arrivata sulla soglia si fermò.
“Menti pure a te stesso se vuoi. Ma non scordarti cosa c’è in gioco. Il futuro di Ravka dipende da questo.” Sibilò senza guardarmi. 
“Lo so bene. Non serve che me lo rammenti” mormorai tra i denti. Ma era già uscita.
 
 
Alina
La caverna era illuminata debolmente solo da poche candele poste in diverse nicchie lungo le pareti, la cui fioca luce era a malapena in grado di contrastare il buio che avvolgeva ogni cosa. Sbattei le palpebre, cercando di abituare gli occhi. 
La donna che doveva essere Baghra si avvicinò 
“Fatti dare un’occhiata- disse girandomi intorno, studiandomi – una Evocaluce eh? Perché perdi tempo ad addestrarti con Aemon? Vuoi farti strada a suon di pugni nella Faglia d’Ombra? - chiese con freddezza - Dov’è il resto di te?” continuò squadrandomi dall’alto in basso. Mi guardai attorno senza capire 
“Sei forse muta ragazzina?” mi rimproverò
 “…no” risposi esitante.
 “È già qualcosa immagino” concluse con disappunto e si avviò verso il fondo della grotta dove erano disposte due sedie, una difronte all’altra. Su una di queste prese posto lei, facendomi cenno di accomodarmi sull’altra. Obbedii. Il resto dell’ambiente era spoglio, una semplice mobilia lasciava intuire che lì ci abitasse effettivamente qualcuno. Un tavolo di legno, una stufa incassata in una parete su cui sibilava piano un bollitore. Più in fondo un’altra nicchia lasciava intravedere l’ingresso a un’altra stanza. Forse la camera da letto, difficile a dirsi in quell’oscurità.
“I tuoi genitori?” chiese secca, sporgendosi verso di me, gli occhi ridotti a due fessure sembravano intenti ad esaminare ogni centimetro di me.
“Morti, presumo” risposi sistemandomi meglio sulla sedia, a disagio. 
“Dove sei cresciuta?” Continuò lei imperterrita 
“…Keramzin” risposi cercando di dare alla mia voce un tono neutro.
“Sei stata dimenticata in un posto dove non dovevi stare. Qual è il tuo posto?” Chiese guardandomi negli occhi. Sostenni il suo sguardo 
“Con Mal- risposi - nell’esercito”
“A disegnare la tua casetta sull’album degli schizzi? - replicò lei beffarda - Il tuo posto non è qui?” 
“Mi hanno detto di sì” cominciavo a trovare tutta quella situazione insopportabile 
“E devi farti dire le cose per crederci?” mi provocò, le lanciai uno sguardo di sfida 
“Non sempre” risposi a denti stretti.
“Allora cosa sei tu?” Chiese sporgendosi ancora di più verso di me. 
Deglutii. “L’Evocaluce” risposi cercando di dare alla mia voce un tono fermo
“Ma davvero? E dimmi sai evocare la luce senza che il Generale ti stringa il polso? Il suo sangue e le sue ossa amplificano gli altri Grisha, lo sapevi?” 
“Non esistono amplificatori umani” affermai ripensando alla conversazione appena avuta con l’Apparat 
“Oh e tu sei un’esperta di tali cose- mi schernì – rispondi alla domanda: sai evocare il potere da sola?” La guardai con rabbia 
“Da sola no” 
“E adesso?” chiese colpendomi all’improvviso al braccio con uno stecco. Fu talmente veloce che non riuscii ad evitarlo. Trasalì massaggiandomi là dove mi aveva colpito. 
“Tutti credono che tu sia quella vera- si era alzata in piedi e mi guardava dall’alto in basso con i suoi occhi severi- torna qui quando ci crederai anche tu!” sibilò e senza aggiungere altro se ne andò lasciandomi sola, dolorante e confusa più che mai. 
Tornai nelle mie stanze e passai il resto della giornata chiusa nella mia camera a leccarmi le ferite. Era ormai buio quando in preda all’angoscia scrissi a Mal l’ennesima lettera che non avrei mai spedito.
Caro Mal
So che dovrei essere grata, i vestiti, il cibo, è molto più di quanto abbia mai immaginato di ricevere dalla vita. Eppure, vorrei essere con te e con il Primo Esercito, in una squallida tenda piena di muffa a disegnare un mondo in cui il Piccolo Palazzo è solo uno schizzo sulla carta, un disegno. Niente di vero…niente di cattivo. 
Oggi saresti stato fiero di me, ho reso onore alle tue lezioni di lotta. Ricordi quanto ti dovetti supplicare all’inizio? Ma poi sei diventato il mio Maestro ed io la tua apprendista, la tua piccola peste. Mi hai insegnato a lottare. A riconoscere quando era giusto farlo. Avevi sempre la risposta giusta ad ogni domanda. Cosa mi diresti ora? Vedendomi così? Vedendomi qui? In questo posto che tanto odiavi? Vorrei avere il coraggio di chiedertelo. Vorrei che fossi qui a dirmi cosa fare. Ho bisogno di te e dei tuoi consigli. Senza mi sento persa. 
Qualcuno bussò interrompendo i miei pensieri. [AF1] 
“Chi è?” chiesi scattando in piedi, il tagliacarte in mano.
“Sono io, Marie, posso entrare?”
Tirando un sospiro di sollievo rimisi al sicuro la mia arma improvvisata sotto la camicia e andai ad aprire.
                  “Che vuoi?” la accolsi brusca
                  “Io…sono venuta a vedere se stavi bene, non sei scesa per la cena e ho pensato che potessi aver fame quindi…” e così dicendo mi porse un piccolo involto con uno sformato di verdure dall’aspetto invitante.
Restai a bocca aperta, lo sguardo che passava da lei all’involto, senza capire.
“È per me?”
“Beh, sì, certo che è per te…e ti posso assicurare che è delizioso” mi sorrise incoraggiante.
Senza saper bene cosa dire presi il pacchetto e mi feci da parte per farla entrare. Marie entrò saltellando nella stanza e andò a stravaccarsi su una delle poltrone, perfettamente a suo agio.
“Oddio quanto ho mangiato! Mi sento piena come un tacchino arrosto! Queste poltrone sono proprio comode sai? Beh? Che fai lì impalata?”
Chiese rivolgendomi uno sguardo divertito. In effetti ero rimasta in piedi accanto alla porta, impacciata davanti a quella situazione assurda.
                  “Mangia, no? Avrai fame”
In quel momento il mio stomaco rispose per me con un sonoro brontolio. Marie scoppiò in una risata così sguaiata che mi ritrovai a ridere insieme a lei. Presi posto sulla poltrona accanto alla sua e diedi un piccolo morso circospetto.
                  Per tutti i Santi!
Improvvisamente realizzai quanta fame avessi addentai un altro morso, con foga.
“È buonissima!” bofonchiai, la bocca piena.
“Certo che è buonissima, te l’ho portata apposta!” 
Più tardi, quando ebbi finito di leccarmi via dalle dita anche l’ultima briciola di quella prelibatezza, mi ritrovai stravaccata sul letto a chiacchierare allegramente con Marie. Sentendomi per la prima volta leggera, nonostante la pancia piena. 
 Marie sembrava aver sempre la battuta pronta e la sua allegria era contagiosa. Intuendo che non amavo parlare di me o del mio passato, evitava di farmi troppe domande e per questo le fui ancora più grata. In compenso lasciai che mi raccontasse di lei, della sua vita, ascoltando divertita di come aveva scoperto i suoi poteri solo a undici anni quando un bambino che le piaceva le aveva regalato un fiore e lei, in preda all’emozione gli aveva dato fuoco. “Per sbaglio ovviamente” aggiunse 
“Per tutti i santi e poi?” chiesi io senza riuscire a smettere di ridere 
“E poi mi hanno mandata qui ad addestrarmi, ma ero talmente traumatizzata che per mesi non riuscii neanche a scaldare un cerino!” 
Risi ancora più forte.
“Una volta Baghra mi lanciò addosso uno sciame di api.” 
Mi confidò guardando il soffitto senza vederlo.
“Cosa?!”
“La cosa peggiore è che funzionò”
“Sul serio?” la guardavo allibita, cercando di immaginarmi la scena.
“Oh sì, evocai a volontà da allora”
“Anche se Baghra mi tirasse addosso un intero alveare non credo servirebbe…” mormorai. 
Marie fece per appoggiarmi una mano sulla spalla, in un gesto di conforto a cui mi sottrassi rapida.
“Non fa niente, comunque, quando Mal sarà qui andrà meglio. Lui saprà che cosa dire per aiutarmi” dissi alzandomi
“Mal? Chi è Mal? È attraente? È attraente, vero? L’ho capito da come ne parli” 
“No, non è così. Lui…- esitai, indecisa se confidarmi con lei -È come un padre per me, mi ha cresciuta. È stato lui ad insegnarmi a fare a pugni. Mi ha insegnato tutto quello che so in effetti. Non so come sarei sopravvissuta senza di lui.” Spiegai infine, incoraggiata dal suo viso simpatico.
“E quando arriva?”
“Io…non lo so, non ho ancora trovato il coraggio di scrivergli” dissi con una scrollata di spalle. Lo sguardo mi cadde sulle lettere abbandonate sullo scrittoio.
“…non so neanche se sta bene” mi lasciai sfuggire in un sospiro.
All’improvviso sentivo le lacrime pizzicarmi gli occhi. Sbattei le palpebre cercando di controllarmi.
“Ma…allora, perché non lo fai, scusa?” chiese gentile
“…Non è così semplice…”
E non ho voglia di parlarne
“Cosa c’è di complicato? Non sai dove si trova? Non ti ricordi il suo indirizzo?”
“No, non è quello” cercai di tagliar corto, non mi piaceva la piega che aveva preso la conversazione.
Perché ho dovuto tirare in ballo Mal
“E allora cosa? Ha finito la carta per caso? Perché non è un dramma sai, nella…”
“Mal odia i Grisha! D’accordo?! Li odia, e adesso che anche io sono…beh, ho paura che odierà anche me” Sbottai. E in quel momento sentii le lacrime rigarmi le guance.
Imprecando a denti stretti mi girai affrettandomi ad asciugarmi il volto con la manica. Odiandomi per quella confessione. 
Dietro di me sentii Marie avvicinarsi con cautela. 
“Se ti odia per ciò che sei, allora non è degno dell’affetto che provi per lui.” Disse con semplicità 
“So che ti sembra tutto difficile ora, e che probabilmente credi di non poterti fidare di niente e nessuno. Credimi, lo capisco. Ma…se hai bisogno di qualcuno con cui parlare, o non parlare, io ci sono.” 
E senza aggiungere altro uscì dalla stanza. Nonostante il nodo che avevo nel petto, le fui grata di aver capito che volevo restare sola.
Forse ho trovato un’amica

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