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di Mnemosine__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Coniglio! ***
Capitolo 2: *** Respira ***
Capitolo 3: *** Uova e formaggio bruciato ***
Capitolo 4: *** Un braccio d'acciaio? Fichissimo, amico! ***



Capitolo 1
*** Coniglio! ***


Coniglio!

Peter si perse nelle pozze marroni che erano gli occhi della piccola Morgan Stark, così ricolmi di aspettativa. Probabilmente prometterle che Tony si sarebbe ripreso non era stata una delle sue idee migliori quel giorno, visto che il mentore era appeso alla vita con un filo.
Ma cos’altro avrebbe potuto fare, per tranquillizzarla? Certamente non avrebbe potuto ripetere quello che aveva sentito uscire dalle labbra del dottor Banner o condividere con lei il turbinio dei propri pensieri.
Oddiooddiooddio.

Peter cercò di bloccare un respiro tremolante mentre portava lo sguardo verso Hulk che avvertiva Pepper che il dottor Strange era insieme alla principessa Shuri. Il chirurgo avrebbe supervisionato l’intera operazione non potendo, però, aiutarli manualmente.
Vide Pepper annuire, le guance rigate di lacrime, mentre il dottor Bruce si voltava per raggiungere il laboratorio.
Riportò lo sguardo su Morgan e unì le labbra, allungando la propria mano per stringere quella della figlia di Tony. Anche Morgan, come lui, aveva lo sguardo fisso su Bruce Banner ma, a differenza sua, non aveva idea di cosa stesse accadendo.

“Ma…” balbettò, alternando lo sguardo tra Rhody e Pepper, che stavano discutendo animatamente con le lacrime agli occhi dall’altra parte della stanza.
“Starà bene.” Ripeté Peter, molleggiando sulle proprie caviglie per scacciare la tensione. Gli adulti terrorizzati presenti in quella stanza non aiutavano. Non si era sentito in grado di dirle nessun’altra cosa, mentre guardava il viso impaurito della bambina.
“Perché non gli danno la medicina?” Morgan si guardò i piedi, scuotendo la testa. Peter si affrettò a spostarle una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso dietro un orecchio. Sussultò, fissando la propria mano che si era mossa in modo involontario verso il viso della bambina.
È la figlia di Tony.

Si appoggiò con entrambe le mani a terra, le nocche sul pavimento, cercando di stabilizzare quella posizione che, grazie a tutto il tempo passato come Spider-man, non gli creava alcun incomodo. Riportò le mani sulle proprie ginocchia ed ingobbì la schiena, facendo saettare lo sguardo tra Morgan e Pepper.
Forse non era suo compito dare alla piccola la notizia. Lui chi era, per lei? Uno sconosciuto. Lo stagista di Tony Stark.
“Tony – il tuo… il tuo papà, lui – ha – ha avuto un…” Scosse la testa, socchiudendo gli occhi per un paio di secondi. Come poteva spiegare cos’era successo ad una bambina di cinque anni che nemmeno conosceva?
Lui non era nessuno, per lei.
Bugia.
Strinse gli occhi. Le orecchie fischiavano ed aveva una sensazione di vuoto alla base del collo. A volte il senso di ragno era fin troppo preciso.
Deglutì, cercando di dare fine a quel fischio infernale. Automaticamente girò la testa verso l’altro lato della sala, dove era sicuro si trovasse anche Tony.
Fratellone?”

Peter sobbalzò sul posto, mentre un’ondata di nausea si faceva largo dal suo stomaco fino alla base della gola, minacciando di far uscire qualunque cosa avesse mangiato prima di salire sull’astronave di Thanos.
Deglutì, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte, prima di tornare a guardare gli occhi imploranti di Morgan.
Era la seconda volta che la bambina lo chiamava in quel modo. E la prima, mentre gli mostrava i disegni, Peter credeva di averla solo immaginata.
Morgan lo chiamava fratello. La figlia di Tony lo chiamava fratello. Cosa voleva dire?
“Non credo che basti la medicina, questa volta.” Soffiò piano Peter, alzando gli occhi per poter incrociare quelli di Morgan. Si morse un labbro, cercando le parole giuste.
Probabilmente la piccola era sveglia quanto i propri genitori, e dirle una bugia sarebbe stato inutile, ma avrebbe comunque potuto alleggerire la verità.
“Lui…” Si interruppe, vedendo Morgan stringere le mani, carica di aspettativa. Peter espirò rumorosamente, cercando di mettere in fila le parole giuste. “Ha utilizzato il potere più grande dell’universo, ci ha salvati tutti. Ha salvato te.” Le toccò il petto con l’indice, per poi indicare con il mento gli adulti. “La tua mamma, il signor Rhods, Happy…”
“E ti ha riportato qui.” Concluse la bambina. “Lo aveva promesso.”
Peter la guardò, interdetto. Cosa le aveva raccontato il signor Stark?

“In – in realtà, credo sia stato il signor Bruce.” Balbettò Spider-man. “Anche lui aveva il braccio fasciato, hai visto?” chiese.
“Mhm.” Morgan prese tra le dita uno dei due cordoncini della felpa, quelli che le permettevano di stringere il cappuccio, ed iniziò ad attorcigliarselo attorno all’indice.
“Ci vorrà del tempo e… e anche molte medicine, ma sono sicuro che il tuo papà si rimetterà.” Sussurrò Peter, mordicchiando l’interno della guancia. Tornò a guardare Pepper che, insieme a May, si era seduta su una delle poltroncine ai lati della porta che dava sul laboratorio, il più vicino possibile al signor Stark.
“Al papà non piacciono molto le medicine.” Mugugnò la piccola. “Starà bene anche senza?”
Peter sospirò. “Temo di no ma… sai – potremmo mascherarle – possiamo infilare le pastiglie e gli sciroppi dove… dove non se li aspetterebbe mai, che dici?” cercò di sorridere.

“Mettiamoli nei ghiacciol… – ouch!” Morgan strinse entrambi i cordoncini della felpa con le mani, tirandoli davanti al viso e stringendo il cappuccio intorno alla testa, scompigliandosi i capelli.
Peter sorrise, stringendo le labbra per non ridacchiare e si affrettò ad aprire il cappuccio e riposizionarlo sulla schiena della bambina, cercando poi di appiattire e sistemarle i capelli sulla testa. “Direi che è un’ottima idea, così lo inganneremo di sicuro.”
Morgan sorrise alzando il mento, orgogliosa della propria trovata.

“Mamma!” chiamò, voltandosi verso la donna.
Il viso di Peter scattò immediatamente verso la rossa, preso in contropiede. Pepper alzò lo sguardo, cercando di passarsi una mano sul viso per asciugare le lacrime. “Si?”
May le mise una mano sulla spalla, provando a sorriderle.
“Non essere triste. Petey ha detto che papà prenderà le medicine e starà bene.” Disse, saltellando sul posto. “E se non le vuole le nascondiamo nei ghiaccioli! Così non si accorge.”
Peter sentì un’ondata di gelo sulle spalle. Cristo, e se Tony non fosse sopravvissuto all’operazione?
Cercò di sostenere lo sguardo di Pepper e Rhody, che lo guardavano, insicuri.

“Sapete, quando ero piccolo Loki si trasformò in un serpente – lui sa – sapeva quanto mi piacciono i serpenti– e zang! Mi pugnalò con uno dei suoi coltelli.” Intervenne Thor mimando il gesto con la bottiglia ormai vuota che teneva stretta tra le dita. “Madre ha nascosto quell’orrendo e nauseabondo intruglio di guarigione nell’idromele.” Raccontò. “Lei disse che era una ricetta speciale, ma io – io scoprii l’inganno.” Annuì, allisciandosi la barba.
Peter ruotò la testa e strinse gli occhi, mentre Rhody li alzava al cielo. “Thor…”
Il dio appoggiò la bottiglia a terra. “Ora riconosco tutti gli imbrogli.” Asserì. “Sicuramente imparerà anche Stark.”
Happy schioccò la lingua sul palato, scuotendo la testa.
Peter vide Morgan rabbuiarsi ed incurvare le spalle, sospirò cercando di fulminare il dio del tuono con lo sguardo, sempre che fosse possibile fulminare il dio dei fulmini.

“Lo sai che stai bevendo birra analcolica da quando siamo arrivati, vero?” chiese Rhody, notando lo sguardo di Morgan.
Thor rise, scuotendo la testa ed alzando le mani. “No, no… so cogliere la differenza. Io ho un intelletto superiore.” Ridacchiò. “Oh, ecco, ecco… vediamo...” borbottò chinandosi per raccogliere la bottiglia ai suoi piedi “Mhmm dove – oh sì. Dice birra cento per cento an…” si bloccò.
Peter ridacchiò, notando le spalle di Morgan singhiozzare su e già mentre cercava di premersi le mani sulla bocca per mascherare la risata.
Thor scattò in piedi e attraversò con ampie falcate la stanza fino a raggiungere il cestino dove erano impilate una decina di altre bottiglie vuote. “Impossibile.”
“Intelletto superiore, eh?” chiese Happy.

“Per gli dei! Che ignominia. Perché nessuno di voli mi ha avvisato?” Thor si voltò verso i diretti interessati, con un paio di bottiglie per mano, gesticolando come per mostrare un disastro di qualche tipo.
“Le ha lasciate Rocket la settimana scorsa.” Aggiunse Pepper, distendendo il viso.
“Coniglio…” ringhiò Thor, guardando il cestino con rabbia.
“Ehi, Morgan.” Peter sorrise, notando come l’espressione della bambina fosse più serena. “Se il grande Thor non capisce la differenza tra le birre, che conosce benissimo, il tuo papà non si accorgerà delle medicine. Le nasconderemo.” Garantì.
“Papà è super intelligente.” Morgan strinse le labbra.
“Anche noi e siamo due contro uno.” Le mostrò il pugno, che la bambina si affrettò a colpire con il proprio, ridacchiando.
Peter si alzò in piedi, cercando di distogliere lo sguardo dal dio norreno che continuava a borbottare insulti contro un certo coniglio. Non sapeva chi fosse Rocket, ma finché Morgan era distratta, non sarebbe stato un problema.
 

Il senso di ragno impazzì all’improvviso. Sentì le orecchie fischiare e d’istinto fece un passo davanti a Morgan. Certo, scalzo e in pigiama non si sentiva molto minaccioso, ma era comunque più forte e agile di qualsiasi cattivo.
Il campanello dell’ascensore trillò e le porte si aprirono proprio mentre Peter poggiava il primo piede davanti alla bambina.
“Dov’è Tony?” Captain America fece il proprio ingresso, seguito da James Barnes e Sam Wilson. Steve Rogers era a capo scoperto, il casco in una mano e Mjöllnir nell’altra, ed indossava ancora la tuta da combattimento. Insieme, i tre camminarono spediti verso Pepper, superando Peter e Morgan, che si trovavano ancora nell’angolo più nascosto della sala.

Alle loro spalle, Wanda Maximoff scivolò, silenziosa, sulla poltrona più vicina all’uscita. Peter si soffermò per un secondo sul suo viso, notando gli occhi gonfi ed il grosso taglio sulla fronte. Doveva essere stravolta, pensò, notando come si fosse rannicchiata tra i cuscini, portandosi le ginocchia al petto e chiudendo gli occhi.
“Con mia sorella, lo stregone ha portato la nostra tecnologia nel laboratorio.” Rispose l’uomo vestito da gatto nero con cui Peter aveva combattuto due anni prima, in Germania.

“Rhody, come sta andando?” Chiese una donna – ragazza – aliena… ragazza dalla pelle interamente blu, rivolta a War Machine.
“Quell’uomo non è un pirata né un angelo, probabilmente non sopravvivrà.” Stabilì con voce profonda uno degli strani alleati con cui Peter aveva combattuto su Titano, ma di cui non ricordava il nome.
“Drax!” Lo sgridò la ragazza insetto.
“Se quell’egomaniaco morirà mi dichiaro il più intelligente di questo pianet… Groot, per l’amor del cielo, posa quell’affare!” Peter abbassò lo sguardo e cercò di non aprire la bocca in un grande OH, mentre fissava con occhi sgranati un procione – sì, quello era indubbiamente un procione – strappare di mano un game boy ad un… ragazzo-albero?

“Io sono Groot!” borbottò l’albero. Peter scosse la testa, interdetto. L’albero aveva appena fatto il verso al procione?
Droga. Probabilmente durante i controlli fatti dai due infermieri qualcuno gli aveva somministrato della droga così potente da inibire anche la sua guarigione potenziata.
“Woo! Modera i termini, ragazzino!” Lo sgridò il signor Lord, puntandogli contro il dito e guardandolo male.

“Guarda, Groot, ci sono due ragazzini. Vai a fare le cose da ragazzini.” Bofonchiò il procione, sospirando ed indicando Peter e Morgan con una mano.
I borbottii presenti in quella stanza si bloccarono di colpo e Peter si sentì improvvisamente osservato. Non gli piaceva stare al centro dell’attenzione o, almeno, quando non aveva la maschera. Senza costume era solo Peter Parker, Peter Parker che veniva fissato da tutti e non poteva nascondersi.
Tutti gli occhi dei nuovi arrivati lo stavano fissando, interdetti.
“Ehm…” Peter guardò, Rhody, in cerca di una via d’uscita da quella situazione.
Non riuscì nemmeno a razionalizzare il movimento, ma Steve Rogers lasciò cadere a terra il casco ed il martello e con tre lunghe falcate lo raggiunse. Peter non capì esattamente come, ma si ritrovò stretto nell’abbraccio di Captain America.

“Ragazzino.” Sussurrò, mentre Spider-man cercava di non assumere una colorazione degna del proprio costume.
Peter sentì le braccia di Steve allentare la stretta e in pochi secondi gli occhi azzurri del capitano lo stavano squadrando da capo a piedi, emozionati. “Tony… Tony ha sofferto molto per averti perso, si è preso la colpa ma… era anche nostra. Eri una responsabilità della squadra – sei… fai parte della squadra.”
Peter aveva le guance in fiamme. Probabilmente aveva assunto il colore della sua tuta, in quel momento.
“Io…” Balbettò, non sapendo esattamente cosa dire. “È un – capitano, si… io.”  Risucchiò un respiro tremolante cercando di non pensare al fatto che il grande Captain America lo aveva appena abbracciato lì, davanti a tutti.

“Dio, è così bello poterti rivedere Peter.” Sospirò Steve.
“Io – Signore – “ Peter si passò le mani sudate sui pantaloni, rendendosi conto solo in quel momento di essere davanti a tutti quegli eroi mentre, scalzo e spettinato, indossava un pigiama ispirato al proprio alter ego: la maglietta rossa con al centro un ragnetto simile a Drony, il suo ragno-drone, ed i pantaloni blu ricoperti da sottili ragnatele.
“Aspetta.” Sam Wilson alzò una mano, indicandoli e spostando l’attenzione degli atri su di lui. “Chi è il ragazzino?” incrociò le braccia. “Anzi, chi sono i ragazzini.” Aggiunse, spostando lo sguardo su Morgan, stretta alla gamba di Peter.
Spider-man aprì la bocca un paio di volte, guardando Steve Rogers, e allungando una mano verso Morgan.
Il Capitano si voltò verso Sam e Bucky che, come il re di Wakanda e lo strano procione, si erano appena resi conto di essere in compagnia di due semplici ragazzini.

“Peter e Morgan.” Li presentò Pepper, facendo voltare gli eroi verso di lei. “Morgan è nostra figlia… mia e di Tony. Peter è…” Guardò May ed Happy, seduti al suo fianco.
“Suo fratello. È – lei è sua zia, May – è complicato ma… sì. Peter è suo fratello.” La bloccò Rhody guardando deciso i tre adulti al suo fianco, mentre poggiava una mano sulla spalla di May.
Di nuovo, Peter si impietrì sul posto, sentendo il proprio cuore battere all’impazzata.
Cosa diamine era successo durante quei cinque anni? Lui era stato via pochi secondi. Ricordava come Tony e Pepper lo tenessero a distanza, prima, Rhody lo aveva incontrato solo un paio di volte e gli aveva sempre dato del lei. Ma ora, ora anche Rhody lo chiamava fratello di Morgan.
Avrebbe voluto fare tante domande, in quel momento. Magari negare quell’appellativo. Lui non era nessuno. Era solo un amichevole Spider-man di quartiere.
La mano tremolante della bambina che stringeva i suoi pantaloni fu l’unica cosa che lo fece riscuotere.
Non poteva cedere, in quel momento, non ancora.

“Stark si è dato da fare.” Commentò Sam, mentre l’angolo della sua bocca si alzava per accennare un sorriso.
Il signor Barnes, a differenza sua, continuava a rimanere a braccia conserte, lo sguardo sulla bambina, seminascosta dietro la gamba di Peter.
Peter non capiva quale fosse il problema, ma il Soldato d’Inverno iniziava a farlo sentire nervoso. L’uomo sembrava avvolto nei propri pensieri,
“Ehi, Morgan.” Si voltò verso la bambina, piegando le ginocchia e rimanendo in equilibrio sulle punte dei piedi, per poter essere alla stessa altezza della piccola. “Non aver paura, loro sono gli Avengers.”
“Mhmm.” Mugugnò la bambina a bassa voce, avvicinandosi ancora di più a Peter.

Peter si guardò intorno, non sapendo esattamente cosa fare. Effettivamente essere circondati da super soldati, alieni e persone dalle abilità speciali non doveva essere facile, soprattutto se si trattava di sconosciuti. A pensarci bene, essere in una stanza con il signor Barnes e Wanda Maximoff non rendeva tranquillo nemmeno lui. Sapeva che cosa avevano fatto a Tony. Certo, il Soldato d’Inverno non aveva agito di sua volontà e la strega scarlatta era stata fuorviata dalle parole dell’Hydra, ma questo non li rendeva meno pericolosi per Morgan.

“Ti va se prendiamo i cheeseburger?” chiese Peter, indicandole con il pollice i sacchetti che lei ed Happy avevano portato.
Il viso della bambina si illuminò ed annuì.
Peter sorrise, sollevato, e ruotò leggermente il busto per puntare con il braccio il sacchetto più vicino.
Dopo aver fatto la doccia e finito i controlli, ormai quattro ore prima, aveva insistito per indossare gli spara-ragnatele. Avrebbe potuto di nuovo averne bisogno, per qualunque evenienza. Indossarli lo faceva sentire più sicuro.
Schiacciò il palmo con medio e anulare e tirò la busta di carta verso di sé.

“Ma che diavolo?” vide Sam Wilson saltare sul posto, mentre passava l’involucro di un panino a Morgan, che lo scartò il più veloce possibile e lo addentò entusiasticamente.
“Quello cos’era?” continuò Falcon, indicando Peter ancora accovacciato.
“Una ragnatela.” Rispose Bucky, alzando le sopracciglia. “Credo sia il tipo che non la smetteva di parlare in Germania.”
“Il ragazzino?” Sam Wilson si voltò verso il capitano “Vuoi dire che ci siamo fatti fare il culo da un quindicenne?”
Steve strinse le labbra, reprimendo un sorriso. “Beh, se la metti così…”
“Ho diciassette anni, ora.” Lo corresse Peter, mentre scartava il proprio panino. “Cheeseburger?” chiese, stringendo un altro involucro tra le mani e guardando gli altri, in attesa.
“Io ne gradirei uno, ragazzo-ragno.” Annuì Thor, prendendo al volo il doppio hamburger che Peter gli aveva lanciato. “Sempre che ci siano birre alcoliche, da qualche parte.” Aggiunse, scoccando un’occhiataccia al procione.
“Non so di cosa tu stia parlando. Lancia qui, ragazzo.” Sghignazzò Rocket, ricevendo prontamente altri due panini, mentre anche gli altri iniziarono ad allungarsi verso i sacchetti rimasti sul pavimento.
 

Ben presto, tutti avevano tra le mani cheeseburger e patatine.
Peter rimase con Morgan e il ragazzo-albero, felice di aver trovato qualcun altro di giovane con cui giocare ai videogiochi. Scoprì in pochi minuti che si chiamava Groot e che parlava l’Io sono Groot, una lingua aliena che utilizzava quei semplici tre vocaboli e intonazioni diverse per comporre frasi complesse.
Stava addentando una patatina quando Pepper, rimasta a parlare con Steve Rogers e la strana aliena blu, Nebula, riguardo le condizioni di Tony scoccò un’occhiata all’orologio.
“Morgan Stark!” Peter saltò sul posto, così come ogni altro super eroe presente in quella stanza.
Morgan, al suo fianco, si fece piccola piccola.
Pepper si alzò in piedi, le braccia incrociate e l’espressione severa. “Sai che ore sono?”
“Presto.” Rispose la bambina, accartocciando il contenitore delle patatine.
“È mezzanotte passata, signorinella. Solo perché mi sono distratta non significa che tu possa rimanere sveglia.” Intimò.
“Ma mamma!” Morgan strinse le mani a pugno, arricciando il labbro. “Voglio sapere quando si sveglia papà.”
Pepper addolcì lo sguardo, fermandosi di fronte ai tre più giovani. “Ti prometto che se papà si sveglierà verrò subito a chiamarti. Ma ora è tempo di andare a dormire.”
“Ma Pete e Groot non vanno a dormire. Non è giusto.” Mugugnò Morgan, stringendo il braccio di Peter.
“Ehm…” Peter tentennò davanti allo sguardo della signora Stark. “Noi siamo un po’ più grandi di te…”
“Oh no. Anche Groot andrà a dormire, vero Groot?” lo bloccò Rocket.
“Io sono Groot.” Borbottò il giovane alieno.
“E dammi quel gioco maledetto, ti si bruceranno gli occhi prima o poi.” Aggiunse il procione allungando la mano.
“Vedi?” disse Pepper alla figlia, mentre Groot si alzava borbottando per andare a poggiare il game boy sul palmo di Rocket. “Dai la buona notte a Peter.”
Morgan gonfiò le guance, sconfitta.
“Notte, Morgan.” Salutò Peter, sorridendole.
Pepper aprì le braccia verso Morgan e Groot. “Andiamo, ragazzi.”
“Non è giusto.” Ripetè la bambina, gridando un buona notte rivolto a tutti gli eroi e pestando i piedi ad ogni passo mentre seguiva la madre fuori dal salottino insieme al suo nuovo amico.
“Ehi, ehi, ehi. Aspettate un momento! Groot! Dammi anche l’altro!” Scattò Peter Quill verso la porta.
Peter strinse le labbra, cercando di non ridere mentre Star Lord inciampava su una delle bottiglie vuote di Thor.

“Credo che…” Per la prima volta quella sera Peter sentì la voce di Wanda. La ragazza non aveva toccato cibo, era rimasta sulla poltrona a piangere in silenzio tutto il tempo. Si alzò, incerta delle proprie gambe, cercando di sistemarsi i capelli. “Credo che andrò anch’io.” Disse con voce roca.
Non aspettò una risposta. Velocemente sparì oltre la porta.
I Guardiani della Galassia che erano spariti con lo schiocco di Thanos la seguirono poco dopo, così come il signor Barnes e Sam Wilson.

“May, forse dovresti andare anche tu.” Commentò Rhody notando lo sbadiglio trattenuto della donna, quando Thor cominciò a russare sul proprio divano.
“È stata una giornataccia e meriti un paio di buone ore di sonno.” La bloccò Happy, quando lei aprì la bocca per ribattere.
Peter si alzò in piedi, annuendo alle parole di Happy. “Sto bene, zia May. Vai.”
May era la donna dal carattere più forte che avesse mai conosciuto, insieme a Pepper e MJ. Come lui, ne aveva passate tante. E Peter si domandava ancora, dopo più di due anni, come facesse a cercare di sorridere dopo aver perso Ben.

Ora, May aveva perso la propria casa, era stata catapultata in un mondo di super eroi di cui, prima, aveva solo sentito parlare al telegiornale o dai racconti di Peter.
“Ma…” Peter le prese la mano e la attirò tra le proprie braccia, respirando a pieni polmoni il suo profumo che sapeva così tanto di casa. “Ti chiamo per qualsiasi cosa. Te lo prometto.”
Non ci volle molto tempo per convincere la donna che, sfinita, dopo aver fatto promettere a tutti di svegliarla entro un paio d’ore, si diresse verso le scale.
 
Peter sospirò, stringendo le braccia al petto. Si guardò intorno, prima di camminare rapidamente verso uno dei divanetti ancora liberi e lasciarcisi scivolare sopra.
Era rimasto insieme a Rhody ed Happy, sul divano vicino alla porta del laboratorio, Steve e T’challa, seduti su due poltrone sul lato lungo della sala e Thor che, probabilmente, era svenuto per la quantità di cibo e birra ingurgitati in quelle ultime quattro ore.
Sentì il sollievo dei suoi muscoli, stanchi di stare sul pavimento o in posizioni statiche per troppo tempo.

“Queens.” Lo chiamò il Capitano.
Alzò lo sguardo, incrociando degli occhi azzurri.
“Prova a chiudere gli occhi anche tu.” Suggerì, notando le mani tremolati di Peter.
Spider-man scosse la testa, deciso a rimanere lì, vigile, per qualunque evenienza. “No se – se il signor Stark avesse bisogno… o se qualche cattivo dovesse entrare – devo…”
“I poteri non ci rendono invincibili, ragazzo.” Lo interruppe il re del Wakanda. “Hai solo diciassette anni.”
Peter portò le mani sui propri spara-ragnatele. In effetti, anche se si fosse addormentato, il Peter-prurito lo avrebbe avvertito di qualunque minaccia. Forse avrebbe potuto chiudere gli occhi per un paio di minuti così, giusto per recuperare un po’ le forze.
“Cinque minuti.” Annuì, dopo qualche minuto passato a riflettere. “E per qualunque cosa…”

“Sarai il primo ad essere svegliato.” Aggiunse Pepper, appoggiata allo stipite della porta con la spalla.
Ottimo, pensò Peter. Non l’aveva sentita arrivare. Forse i sensi di ragno erano difettosi.
“Mhmm. Cinque minuti.” Ripetè, prima di piegare le gambe ed appoggiare la testa sul bracciolo del divano.
“Contaci.” Assicurò Rhody.
Solo cinque minuti. Sarebbero bastati, pensò. Chiuse gli occhi, ed in pochi secondi tutto si fece buio.  


Ehi!
Come avevo promesso, eccomi qui con una raccoltina per ampliare ciò che è successo tra i capitoli 2 e 3 della storia principale. Credo sia facile da capire ma preferisco esplicitarlo anche qui, i capitoli saranno in ordine cronologico e racconteranno cosa succede esattamente dalla fine del cap. 2 fino alla doccia di Peter nel cap. 3, tre mesi dopo (Peter nella doccia sembra qualcosa di scandaloso, detto così, ma vabbè ahaha voi sapete a cosa mi riferisco.
Prima che lo chiediate, sì, sono stata veloce perchè questa settimana sono in vacanza, quindi ho avuto tempo di scrivere. 
L'idea principale è quella di aggiornare ogni martedì - non la prossima settimana perchè ho in programma di pubblicare una nuova one shot (sempre nell'MCU, sempre con Peter e Morgan) che devo finire di sistemare - ma non prometto nulla perchè sono impagnata anche con un'altra storia nel fandom di Percy Jackson. 
Sì, questa settimana non ho avuto proprio nient'altro da fare se non mettermi a scrivere cose varie. 
Quindi, diciamo che i buoni propositi per stare nei tempi stabiliti ci sono tutti, l'effettivo riuscire ad aggiornare una volta a settimana... probabilmente non ci riuscirò, ma speriamo di sì, dai. Bisogna pensare in positivo. 
Grazie per essere arrivati fin qui, ci vediamo tra due settimane! 

 

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Capitolo 2
*** Respira ***


Respira


Lo sentiva. Sentiva il proprio corpo trasformarsi in polvere.
Il senso di ragno stava trillando all’impazzata. Non che sapere per certo che presto sarebbe morto fosse di aiuto in qualche modo.
Sentì le dita formicolare, ma quando spostò lo sguardo sulle sue mani vide con orrore la cenere staccarsi dai propri polsi. Non aveva più le dita. Quello che rimaneva delle sue mani stava volteggiando nell’aria, trasportato dal vento.
Nulla. Sarebbe diventato nulla. Piccole particelle sparse nell’atmosfera di quel pianeta desolato. Lontano dalla sua famiglia, dalla sua casa, dalla sua galassia.
Era in un luogo deserto, in un pianeta così lontano dalla Terra, sconosciuto.
Nessuno lo avrebbe trovato, laggiù. O lassù. Peter non sapeva esattamente dove collocare Titano, nella grande immensità dello spazio.
Il cuore gli martellava nel petto, all’impazzata. Risucchiò un respiro tremolante mentre cercava con lo sguardo il Signor Stark.

“Signor Stark?” chiamò, cercando di mantenere la voce più ferma che poteva per non allarmare Iron-Man.
Ma chi voleva prendere in giro, si stava dissolvendo. Cosa avrebbe potuto fare il Signor Stark per salvarlo?
Vide con la coda dell’occhio la figura sfuocata del mentore camminare verso di lui tenendo le braccia aperte.
“Non – non so che cosa… Signor Stark, non voglio morire, non voglio morire.” Le parole gli uscirono a stento dalla bocca, mentre le gambe si dividevano in pezzettini sempre più piccoli.

“Peter!”
Il senso di ragno non gli dava tregua. Morto. Stava morendo. Aveva solo diciassette anni e stava morendo.
Si accorse di non riuscire più a respirare, mentre ripeteva con il poco fiato che aveva parole sconnesse, rivolte al suo mentore. Non aveva più i polmoni. Non poteva respirare. Si stava dissolvendo.

“Peter, svegliati!”
Peter aprì gli occhi di scatto e d’istinto portò le dita sul meccanismo dello spara-ragnatele, mentre con l’altra mano afferrò il braccio del suo assalitore.
Aria. Gli mancava l’aria.  Cercò di inspirare ma quello che entrò nella sua gola fu un fischio soffocato.
“Pete!”
Dov’era? Non su Titano. E allora perché non riusciva ancora a respirare?

“Peter, lasciala!” Si sentì scuotere per le spalle. Boccheggiò, aprendo e sbattendo gli occhi più volte, mentre metteva a fuoco la figura di Pepper, un’espressione sofferente sul volto, inginocchiata davanti a lui.
Era su un divano. Qualcuno gli aveva messo una coperta di lana per scaldarlo.
Era sulla Terra. Sulla Terra.
Captain America gli stringeva le spalle, cercando una risposta nel suo sguardo vuoto. “Ragazzino, lasciala!”
Boccheggiando, Peter si accorse di stringere il polso della donna.
Scottato, lasciò immediatamente la presa. “Odd – mi disp – iace.”

Non riusciva a respirare. Il cuore batteva all’impazzata e lui non riusciva a respirare. Come poteva non riuscire a respirare? Lo aveva sempre fatto, sapeva farlo. Distendi i polmoni e fai uscire l’aria, poi la fai rientrare. Era un meccanismo semplice e automatico. Il corpo poteva farlo da solo. E allora perché non ci riusciva?
Allungò lo sguardo oltre il signor Rogers e vide Happy intrappolato sulla parete da una delle sue ragnatele, mentre il re del Wakanda era intento a tagliarle con gli artigli di vibranio.
Tornò a guardare Pepper con lo sguardo, notando con orrore il segno violaceo sul polso della donna. Lo aveva fatto lui. L’aveva ferita lui.
Un rantolo soffocato si fece largo dalla sua gola.
“Aiuto! Serve aiuto!”

Si guardò intorno, terrorizzato, mentre il salottino della sala d’aspetto si materializzava intorno a lui. Poltrone e divanetti erano sparsi lungo il perimetro della stanza, alcuni occupati da cuscini e coperte spiegazzate.
“È di nuovo il ragazzo?”
Peter girò di scatto la testa verso quella voce estranea e automaticamente piegò medio e anulare verso il proprio polso. Qualcuno gli strinse il braccio e lo spinse verso l’alto, deviando la ragnatela e facendola appiccicare sul soffitto.
“Queens!” il signor Rogers lasciò la presa per inginocchiarsi velocemente di fianco a lui.
Solo in un secondo momento Peter si accorse di aver mirato all’uomo che il giorno prima lo aveva aiutato a calmarsi.
Non ce la faceva più, sentiva i polmoni spingere nel petto, alla ricerca di un po’ di ossigeno.
  
“Peter!”
Due braccia gli circondarono le spalle e Peter si ritrovò stretto nell’abbraccio di zia May. “Respira, piccolo, respira.” Sentì sussurrare la voce di sua zia, supplicante, mentre lo stringeva.
Peter inspirò, il viso appoggiato sulla spalla della donna.
Era zia May. Che era viva, lì con lui. L’aveva vista il giorno prima. E profumava. Profumava di casa. Il profumo della donna era l’unico odore che lo faceva tranquillizzare, fin da quando era piccolo.
Zia May profumava sempre di buono.
“Sto – è passato. Sto bene.” Balbettò dopo svariati minuti passati ad inalare l’odore della donna, mentre lei gli accarezzava la testa e sussurrava parole di conforto. “Sto bene.” Ripeté, anche se ci vollero altri cinque minuti per riuscire a svincolarsi dall’abbraccio.
Espirò forte con la bocca, mentre ritornava ad appoggiare la schiena sul bracciolo del divanetto su cui si era disteso la notte precedente.

Alle sue spalle c’era la signora Stark, affiancata da Rhody e T’Challa. Zia May e il Capitano erano inginocchiati davanti a lui, la preoccupazione dipinta sul loro volto. Peter vide Happy in piedi, poco lontano dalla porta, con le mani appoggiate sulle ginocchia per riprendere fiato dopo la corsa su per le scale.
L’infermiere del giorno prima era alla sua sinistra, in borghese, con le mani ben visibili tenute davanti a sé. “Peter, era solo un brutto sogno. Sei al sicuro, qui.” Garantì.

Peter fece un altro forte respiro. Si guardò le mani, aprendo e chiudendo i pugni un paio di volte. Mosse le dita dei piedi e chiuse gli occhi, sollevato di sentire che ogni parte del proprio corpo era al suo posto. Era al sicuro. Era sulla Terra. Ed era tutto intero.
“Mi… Scusate, io – non volevo.” Balbettò.
Si girò verso Pepper, guardando il polso che la donna si stava massaggiando. “Oddio – io – mi dispiace. Non volevo, non –“
Pepper abbassò di scatto le braccia, cercando di sorridergli. “Era un incubo, Pete. Non è successo niente. Non mi hai fatto nulla che non guarisca in un paio di giorni. Non ti preoccupare.” Cercò di tranquillizzarlo la donna.
Peter scosse la testa. “No, io non dovevo, non – non voglio fare del male a nessuno.”
“Era un brutto sogno, piccolo. Solo un brutto sogno.” Garantì la zia, mentre gli stringeva le mani nelle sue.

“I tuoi sensi hanno amplificato il senso di pericolo del sogno. Ma ora sei sveglio e al sicuro.” Ripetè l’infermiere, abbassando le mani.
“Sarebbe meglio fare un paio di esami, per controllare che sia tutto a posto. Giusto?” chiese il signor Rogers all’uomo.
Peter guardò l’infermiere annuire e tendere una mano verso di lui. “Controlliamo la pressione.”

Riluttante, il ragazzo fece di sì con la testa. “Va bene.” Si tolse la coperta dalle gambe e si alzò in piedi. Vide gli altri continuare a guardarlo, preoccupati, mentre con gli occhi seguivano ogni suo movimento. “Sto – sto bene. Non serve che mi guardiate tutti così.” abbassò lo sguardo.
“Scusaci, ragazzino.” Rispose Happy per tutti.

Peter fece per seguire l’infermiere verso la stanzetta in cui anche il giorno prima avevano eseguito una serie di esami per controllare che tutto fosse a posto, quando si ricordò che il suo mentore era dall’altra parte del muro.
“Aspettate, il Signor Stark? Sta bene?” si girò verso Pepper. La donna abbassò lo sguardo, mortificata, mentre stringeva le braccia al petto. “Non lo sappiamo. Non è ancora uscito nessuno da lì.”
Peter tornò a guardare la porta del laboratorio.

“Ti chiamiamo appena sappiamo qualcosa. Qualsiasi cosa. Promesso.” Garantì Rhody, facendogli segno di seguire l’infermiere che lo stava aspettando nell’altra stanza.
Peter rimase fermo qualche secondo di troppo, forse, perché Steve Rogers fece alcuni passi verso di lui e gli mise le mani sulle spalle, spingendolo piano verso l’ambulatorio. “Vuoi compagnia, ragazzo?”

Peter boccheggiò. “Cosa?” soffiò fuori dalle labbra.
“Ti accompagno. Sai, ho fatto tantissimi controlli ed esami medici, prima di arruolarmi. E anche dopo, a dire il vero.” Gli sorrise. “E poi, magari, per quando avremo finito gli altri avranno preparato una super colazione, cosa ne dici?” chiese lanciando uno sguardo veloce a May.
Peter vide la donna annuire. “Uova e formaggio, come piace a te.”
Lo sguardo di Peter si illuminò al solo pensiero di poter mangiare di nuovo la colazione preparata dalla zia. Non che fosse una cuoca provetta, ma le uova con il formaggio erano una delle poche cose che avevano continuato a fare anche dopo la morte di zio Ben. Era una tradizione dei Parker, fare colazione con uova, formaggio bruciacchiato e pancake.
“E i pancakes?” chiese, speranzoso.
Vide May sorridergli da dietro gli occhiali, mentre annuiva. “Certo. Un sacco di pancakes. Pancakes e uova per tutti quanti.” Disse prendendo Rhody ed Happy sottobraccio e camminando veloce verso la porta dell’ascensore.
Solo in quel momento Peter notò il re di Asgard su una poltrona laterale, nell’esatta posizione in cui l’avevano lasciato la sera prima.
“O-ok.” Disse, facendosi spingere dal Capitano verso l’ambulatorio.
 

 
 Si. Lo so. 
Avevo detto due settimane ed è passato tipo un anno. 
Probabilmente avevate anche perso tutti le speranze. Beh, ho tutta l'intenzione di concludere questa storia.  Lo giuro. E' che ho avuto un po' da fare e si sono susseguiti problemi dopo problemi. 
Ma giuro che 
prima o poi sarà completa. 
Quindi... scusate. Ecco, ci vediamo al prossimo capitolo.
:) 

 

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Capitolo 3
*** Uova e formaggio bruciato ***


Uova e formaggio bruciato 


Peter non l’avrebbe mai detto. Ma entrare nella grande cucina al piano di sopra per fare colazione insieme a tutti i più grandi super-eroi dell’universo fu quasi confortante.
Aveva passato l’ultima ora nell’ambulatorio per fare le analisi del sangue, misurare la pressione e tante altre cose che l’infermiere, che si chiamava Jhon, tra parentesi, gli aveva anche spiegato, ma a cui lui non aveva prestato molta attenzione in quanto era concentrato ad ascoltare di quando il signor Steve e il signor Barnes avevano marinato la scuola per andare al circo.
Avere il grande Captain America al proprio fianco, a tenergli compagnia, lo faceva sentire al sicuro. Innanzitutto, perché era il grande Captain America. Ma anche perché era una persona calma, rassicurante e tranquilla. Peter non aveva ben chiaro il motivo per cui Steve Rogers si fosse offerto di tenergli compagnia in quel momento, ma era felice che il capitano fosse lì con lui.
Si era stupito di sé stesso, addirittura, per il solo fatto di aver smesso di balbettare dopo solamente mezz’ora di conversazione con il capitano.

Finiti i controlli e dopo che l’infermiere Jhon gli aveva assicurato che fisicamente stava bene, Peter e il signor Rogers si erano diretti verso le scale che portavano al piano superiore.
Ancora prima di mettere piede in cucina, Peter aveva sentito odore di casa, il che voleva dire odore di uova e formaggio bruciato, ma per lui quello era il profumo più buono del mondo.
Passata la porta, Peter si guardò intorno, stringendo i pantaloni del pigiama tra le dita.
La sala da pranzo era abbastanza grande da ospitare un lungo tavolo, una decina di sedie per lato, su cui molti degli eroi che aveva visto la sera precedente erano ora seduti a fare colazione. Solamente Wanda Maximoff dava le spalle all’insolito gruppo, era in piedi, intenta a sorseggiare da una tazza e stava  appoggiata alla grande finestra.
Sulla sinistra, erano seduti i Guardiani insieme a Carol Danvers, mentre il signor Barnes e Sam Wilson si erano sistemati al centro insieme a T’challa, Pepper e Morgan. In fondo alla stanza, Peter vide zia May, il signor Rhodes ed Happy vicini ai fornelli, mentre giravano le i pancake sulla padella.

“Petey!” Gridò Morgan appena lo vide, sorridente. Peter vide la bambina rovesciare il bicchiere di latte mentre spingeva la sedia all’indietro per poi correre verso di lui.
Il grido della bambina fece voltare molte delle persone a tavola verso di lui e Peter si sentì sommerso dai “Buongiorno” e “Stai bene?”. Cercò di non arrossire a causa di tutti quegli sguardi rivolti verso di sé, non gli piaceva stare al centro dell’attenzione senza maschera. Peter Parker era un ragazzo del Queens. Spieder-man era quello che ci sapeva fare con le persone. Più o meno. Beh, almeno quando era Spider-man aveva la maschera.
“Ehi, Morgan.” La salutò, mentre la piccola gli abbracciava le gambe. “Sto bene.” Assicurò rivolto agli adulti che avevano assistito al suo attacco di panico di quella mattina.
Captain America li sorpassò, non prima di aver appoggiato una mano sulla spalla di Spider-man ed avergli sorriso incoraggiante, e si diresse verso la sedia libera vicino al signor Barnes. “Sarebbe meglio evitare altri fonti di stress per un po’, però.” Ribadì agli altri quello che Jhon gli aveva ripetuto almeno sei o sette volte nell’ultima ora.
“Zia May ha fatto le uova! Dice che sono le tue preferite!” raccontò la bambina, stringendo la mano di Peter e tirandolo verso gli altri. “Sono buonissime.” Decretò.
“Lo so, le uova di May sono le migliori.” Peter si fece guidare fino al posto che la piccola Stark aveva tenuto per lui, rigorosamente di fianco alla sua sedia.

Mentre prendeva posto vicino alla bambina, spostò lo sguardo verso Pepper. Un livido violaceo era comparso sul polso della donna e Peter riusciva quasi a distinguere il segno delle dita sulla pelle. Probabilmente la stava guardando un po’ troppo esplicitamente, perché la signora Stark cercò di nascondere il segno con l’altra mano. “Peter, non è successo nulla. Davvero.” Disse.
“Non è vero. È colpa mia. Mi dispiace tanto, signora Stark.” Peter scosse la testa.
“Pepper.” Lo corresse lei. “Andrà via in un paio di giorni. Non è niente di grave, Pete.” ripeté la donna, mentre gli sorrideva incoraggiante.
“È viola.” Ribatté lui. “E gonfio.” 
“Niente che un po’ di ghiaccio e crema non possano sistemare”. Disse zia May alle spalle di Pepper, mentre posava davanti a Peter un piatto pieno di uova e formaggio.

“Mamma dice che hai preso paura perché hai fatto un incubo.” Disse Morgan. “Cosa hai sognato?” chiese.
Peter sobbalzò sul posto e smise di masticare le uova che si era appena portato alla bocca.
Rivivere quel momento, riprovare la sensazione di gelo e di terrore che aveva vissuto su Titano non era stato piacevole, anzi. Aveva sentito tutto, per la seconda volta, come se lo stesse vivendo di nuovo sulla propria pelle. I pezzi di sé che si volatilizzavano nell’aria, che si staccavano dal suo corpo e sparivano nel nulla, quell’orribile e spaventosa sensazione di morte imminente.
Era rimasto passivo, lassù, mentre spariva.
E il signor Stark, impotente, lo aveva visto morire. Lo aveva visto dissolversi nell’aria.
Non si era potuto opporre alla immensa forza delle gemme.
Spider-man deglutì. Non poteva raccontarlo a Morgan.
Con la coda dell’occhio vide che Steve e i due soldati con cui stava chiacchierando smisero improvvisamente di parlare, attenti al discorso della bambina. 

Darth Vader mi trafiggeva con la sua spada laser.” Mentì, mimando il gesto con il pugno chiuso verso il petto della più piccola. “Facevo parte della Resistenza e mi ero infiltrato nella Morte Nera. Ma lui mi ha scoperto e poi ha sguainato la spada!” raccontò. Zia May si morse un labbro, stringendo a sé il vassoio che aveva in mano, mentre Pepper intrecciò le dita delle mani appoggiate sul tavolo.
Peter vide anche Sam annuire, dall’altro lato del tavolo, verso il signor Rogers, dopo che il Capitano lo aveva indicato a Falcon con un cenno della testa.
Morgan guardò la mano di Peter, chiusa vicino al suo cuoricino. “Cos’è una spada laser?” chiese.
La bocca del più grande si aprì, mentre lui alzava le sopracciglia. “Come, cos’è una spada laser?” Le fece eco Spider-man, dimenticandosi per un momento della precedente domanda. “Non hai mai visto Star Wars?”
“Cos’è Star Wars?” chiese ancora Morgan, con occhi curiosi.
Peter non credeva alle sue orecchie. Morgan Stark non aveva mai visto uno delle migliori serie cinematografiche di tutti i tempi? Come aveva potuto il Signor Stark non averglielo mai mostrato? Dopo tutte le volte che avevano visto insieme L’impero colpisce ancora sugli schermi del laboratorio del vecchio Complesso.
Peter si girò verso Pepper, incredulo. “Mai visto? Come fa a non averlo mai visto?”
La donna balbettò, in evidente difficoltà “Non – Morgan ha cinque anni. E – quello non è proprio un cartone animato, non – non lo abbiamo mai guardato.”
“Oddio. Oddio. Questo sì, che è un problema. Cavolo.” Disse Peter, alternando lo sguardo tra le due Stark. “Dobbiamo assolutamente rimediare a questo problema, Morgan. Non è possibile che tu non sappia cosa sia Star Wars. È – è tipo il – è una cosa pazzesca.”

“Cosa è una cosa pazzesca, ragazzo-ragno?”
Peter si voltò di scatto, per assistere all’entrata del dio del tuono in tutta la sua possenza. Non indossava più l’armatura, al suo posto aveva un cappellino da baseball, gli occhiali da sole, una felpa rossa scolorita e che probabilmente avrebbe avuto bisogno di una bella lavata, un paio di pantaloni della tuta e… erano crocs verdi, quelle che Thor indossava?
“Un – ahem – un film. Cioè, una serie di film. Sullo spazio. Fantascienza.” Balbettò, mentre Thor lo raggiungeva e si allungava sul tavolo per prendere un pancake. “Ottimo. Ci vorrebbe un bel film. Per rallegrare gli animi dopo la battaglia.”
Peter aprì e chiuse la bocca un paio di volte, mentre dall’altra parte del tavolo qualcuno, forse Rocket aggiungeva “E una doccia.” mescolato ad un colpo di tosse.
“Naah, sto benissimo. Allora? Questo film?” chiese il dio addentando un secondo pancake.
Seguì qualche secondo si silenzio, mentre gli adulti alternavano lo sguardo tra i più piccoli e il dio norreno.

“Star Wars. È sulla mia lista.” Prese la parola Steve, mentre Falcon  rifilava un calcio al signor Barnes da sotto il tavolo. “Nemmeno io l’ho mai – visto. Piantala!”
“È come Footloose?”
“Ma perché ti sei fissato con quel Footloose?” 
“Perché è il miglior film di tutti i tempi, imbecille.” Star Lord voltò la propria sedia verso la televisione appesa alla parete.
“Accendo la tv.” Disse Happy poggiando un altro piatto pieno di pancake il mezzo al tavolo.
“Noi giriamo le sedie.” Lo seguì Rhody.
“Portate i pancake!” aggiunse qualcuno, nel mormorio che si era creato tra gli eroi che, indaffarati, stavano muovendo le sedie e i tavoli per riuscire a fare in modo che tutti avessero una buona visuale della televisione.

Peter non credeva ai suoi occhi e, probabilmente, se qualcuno gli avesse detto la settimana prima che la cosa più assurda che gli sarebbe mai capitata sarebbe stata fare colazione con uova e pancake con gli Avengers, in pigiama, davanti ad Una nuova speranza – e nella lista di cose assurde degli ultimi due giorni c’erano: il viaggio nello spazio, l’essersi dissolto e ricomposto nel giro di pochi minuti, un’assurda battaglia contro degli alieni che avevano viaggiato nel tempo – mentre cercava di spiegare chi fossero i vari personaggi, non ci avrebbe creduto.
Eppure era lì, seduto su un cuscino, tra Morgan e il signor Barnes, mentre sullo schermo C-3PO veniva riparato da Chewbecca.
Si allungò quando il signor Barnes gli fece segno di passargli il piatto di bacon che Morgan aveva appoggiato davanti a lei e diede al soldato la pancetta rimasta. L’uomo lo accetto e prese il pancake con la mano di vibranio, per poi portarselo alla bocca, soddisfatto.  
Peter tornò a guardare il film, ma poi si bloccò e batté gli occhi un paio di volte, concentrato sui pezzi del droide dorato, mentre il Wookiee sistemava i cavi per poter riattaccare tutti i pezzi di metallo al corpo del suo amico.

Guardò alla propria destra, mentre l’ex Soldato d’inverno seguiva con concentrazione i personaggi in televisione. Si girò verso la seconda fila, dove il re del Wakanda guardava il film a braccia conserte.
Peter deglutì, guardando la collana della Pantera nera, i cui ciondoli contenevano i piccoli nano bot di vibranio della tuta.
“Signor Barnes, posso…” si decise a sussurrare verso il soldato al suo fianco.

Si bloccò, quando il senso di ragno si accese improvvisamente e gli indicò la porta del corridoio che dava sulle scale. Tre secondi dopo, Hulk spalancò la porta e si precipitò nella stanza, seguito da una stanca dottoressa Cho, la principessa Shuri e il signor dottor Strange.
“Ce l’abbiamo fatta!” annunciò, per poi bloccarsi dopo aver superato l’ingresso, mentre fissava il gruppo ammucchiato davanti alla televisione. “Mi sono perso qualcosa?”
Il dottor Banner non ottenne risposta, perché venne immediatamente attaccato da un coro di domande, con le voci che si facevano via via più forti e insistenti per riuscire a prevalere sulle altre.
“Papà è vivo?”
 Peter, così come tutti, si zittì all’improvviso, aspettando una risposta alla domanda della più piccola.
“L’operazione è stata un successo, ma ci vorrà del tempo per la ripresa.” Rispose Stange.
Peter notò l’espressione della principessa, che intanto si era avvicinata insieme alla dottoressa Cho al tavolo su cui erano rimaste le ultime uova e la spremuta. Vide la signorina Danvers allungarsi verso il telecomando lasciato vicino alla caraffa di caffè per poter spegnere la televisione e ascoltare i medici senza alcuna distrazione.
“Sta dormendo, ora. I tessuti della spalla si devono cicatrizzare ed è comunque stato un grande stress per il corpo di Tony.” Aggiunse la dottoressa mentre prendeva posto su una sedia.

Peter deglutì, sentendo improvvisamente gli occhi pizzicare. Il signor Stark era vivo. Ce l’avevano fatta. Lo avevano salvato.
Dietro di lui, si alzarono un gran numero di sospiri, frasi di felicitazioni, pacche sulle spalle e una serie di abbracci felici. In un momento la grande cappa di ansia e paura per la vita di Tony Stark, fino a quel momento appesa ad un filo, si volatilizzò. Peter sentì solo in quel momento di riuscire a tornare a respirare serenamente, senza fatica e in modo automatico.
“Possiamo vederlo?” chiese Pepper, mentre si stringeva le mani al petto.
“Solo la famiglia. Dieci minuti.” Acconsentì Strange, annuendo verso la donna.
“Mezz’ora.” Lo corresse la dottoressa Cho “Tre alla volta.”

Peter si sorprese quando quel groppo in gola che non lo aveva lasciato dal primo attacco di panico che aveva avuto era rimasto lì, latente, a ricordargli che qualcosa poteva ancora accadere. Sentì la mano di Morgan stringere la sua, mentre la bambina saltava verso di lui stringendogli le braccia attorno al collo, dicendogli quanto era felice che il loro papà fosse vivo.
Peter si schiarì la voce, cercando di sovrastare le parole degli altri. Guardò il dottor Banner, che si era accomodato su una sedia più resistente delle altre, mentre si serviva le ultime uova in una grande insalatiera. Girò la testa verso il mago, che si era avvicinato alla strega scarlatta.
“Morgan, aspetta un momento che – che ne dici se mi alzo… alziamoci un secondo.” Balbettò, stringendo a sé la piccola per riuscire ad alzarsi in piedi. “Ok, fratellone. Poi andiamo a vedere papà?”
“Certo. Sì. Un – un momento.” Tony stava bene, era vivo. Tutti stavano festeggiando. E allora perché il senso di ragno non gli dava tregua?
“Dottor Banner.” Chiamò Peter, mentre sistemava la bambina tra le braccia.
Hulk alzò la testa verso di loro, cercando di sorridergli. “Sta bene? Voglio dire…” si bloccò, guardando Shuri ed Ellen Cho, visibilmente esauste, sbocconcellare quello che era rimasto della colazione. “È tutto ok?”
“È stato un lavoro lungo, siamo solo stanchi. Ma il tuo papà” rispose Hulk rivolgendosi a Morgan “È ancora vivo.”

La piccola ridacchiò felice, tra le braccia di Spider-man. “Posso portargli il mio nuovo disegno?” chiese, mentre indicava il foglio lasciato sul tavolo quella mattina. Shuri si allungò per prenderlo e porgerlo alla bambina. “Wow, qui abbiamo una futura artista.”
“È Iron-Man?” chiese il re pantera.
“È papà.” Lo corresse Morgan. “E voliamo con la mamma e Petey nel cielo perché quando avrò una tuta tutta mia potremo volare tutti quanti insieme.” Sentenziò.
“Che ne dici di volare di sopra e appendere il disegno nella camera di papà?”. Chiese Pepper, porgendo la felpa alla bambina.
Morgan si dimenò e Peter la fece scivolare a terra. “Lo mettiamo davanti. Così è la prima cosa che vede quando si sveglia.”
“D’accordo.” Le sorrise Pepper, tendendole la mano. “Peter, vieni con noi?”

Sussultò, quando sentì chiamare il proprio nome. Si voltò, lentamente, non certo che Pepper stesse parlando proprio con lui.
Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi della signora Stark, che lo guardava, in attesa. Indicò la porta verso l’ascensore con il capo. “Non vuoi venire?”
Peter sentì un’ondata di nausea minacciare di fargli rimettere la colazione che si era concesso quella mattina. All’improvviso si sentì la lingua di cemento, impossibilitato dal poterla muovere. Lui, poteva andare? Strange aveva decretato che solo la famiglia poteva far visita al signor Stark. E lui non faceva parte di quella famiglia. Era uno stagista.  
“Petey?” lo chiamò Morgan. “Non vieni a vedere papà?”
Peter deglutì, certo che se avesse provato a dire qualcosa non sarebbe uscito nulla dalle sue labbra.
“Non…” Guardò Rhody ed Happy. “Non volete andare prima voi?” chiese, con la lingua impastata.
Vide i due scambiarsi uno sguardo deciso, per poi scuotere il capo. “Vai con loro, ragazzino.”

Non riusciva a capire, Peter, cosa fosse successo in quei cinque anni di nulla che, per lui, non erano stati altro che pochi attimi, per far sì che la famiglia Stark al completo – Rhody ed Happy compresi – lo considerassero parte integrante del gruppo.
L’ultima volta che aveva visto Pepper, a cena insieme al signor Stark e zia May, lei era stata gentile; Peter, però, era sicuro che negli occhi della donna, prima, non ci fosse l’affetto che aveva visto rivolgergli nelle ultime ore. Pepper, come anche il colonnello Rhodes ed Happy, lo avevano guardato in modo diverso per tutto il tempo che aveva passato lì. Si erano rivolti a lui con una tale premura che, davvero, Peter non riusciva a comprendere. Lui era solo un amichevole Spider-man di quartiere.
E poi c’era Morgan. La bambina, i pochi momenti in cui Peter se n’era accorto, lo guardava con entusiasmo, oltre che con timore. Ma, Peter lo aveva visto, non era un timore pauroso, il suo, sembrava quasi che Morgan lo guardasse come lui era certo di guardare Tony. L’espressione carica di aspettative della bambina sembrava riflettere lo stesso sguardo che Peter rivolgeva al Signor Stark ogni volta che aveva paura di deluderlo.
“Ma tu sei il mio fratellone. Andiamo!” decretò Morgan, prendendolo per mano e tirandolo verso la porta. Peter si lasciò guidare, non sapendo bene cosa dire o fare, mentre incassava il mento sul petto per cercare di nascondere il rossore che era comparso sulle sue orecchie.
 
  

Ehilà.
Sarò breve e concisa. Al prossimoo weekend :) 

 
 
 
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Un braccio d'acciaio? Fichissimo, amico! ***


Un braccio d'acciaio? Fichissimo, amico!

 

Peter strinse tra le dita il pastello, mentre lo passava sul foglio. Davanti a lui Morgan faceva lo stesso, concentrata sulla propria opera. Alzò lo sguardo verso il trio di soldati, seduti su uno dei due divanetti vicini alla televisione, impegnati a guardare il sesto episodio di Star Wars.
Lo sapeva, lui, che i tre si erano offerti di fargli compagnia per controllarli. Pepper e Rhody, insieme alla Pantera Nera, ed aiutati da Happy e zia May, si erano chiusi in un’altra stanza per cercare di gestire le telefonate dei capi di stato, dei giornalisti e delle organizzazioni militari di tutto il mondo che da quella mattina avevano iniziato a chiamarli senza sosta.
 
Effettivamente, come lui, probabilmente moltissime persone erano ricomparse il giorno prima proprio dove erano sparite, e di sicuro avevano trovato le famiglie, le case, tutto diverso. Forse sarebbe dovuto scendere per le strade di New York per dare una mano alle forze dell’ordine ma, da quello che aveva capito quando aveva cercato di origliare da dietro la porta, la prima cosa da fare sarebbe stata decidere cosa dire al mondo e mettere d’accordo tutti gli enti, le istituzioni e le agenzie mondiali.
L’esercito aveva già predisposto molti capannoni, tende, assistenza medica nei grandi spiazzi, nei parchi, per accogliere i nuovi sfollati.
Scosse la testa. I governi non conoscono le persone. Come Spider-man, Peter era sempre in contatto con la gente, specialmente chi aveva bisogno di aiuto. E sapeva perfettamente che in quel momento sarebbe servito un aiuto tempestivo e una risposta chiara e veloce a tutte le domande che chi era tornato di sicuro si stava facendo, senza aspettare che i governanti si mettessero d’accordo.
 
Sbuffò, tornando al proprio lavoro. Doveva capire come poter attualizzare l’idea che gli era venuta quella mattina, prima di proporla agli altri.
Il signor Stark li aveva salvati, ma ci aveva rimesso il proprio braccio e probabilmente, da quello che gli aveva spiegato il signor Stange prima di andare a riposare con gli altri, anche parte delle funzioni motorie di tutto il lato destro del corpo. Se ci fosse stata una possibilità di ridargli almeno il braccio, così da permettergli di abbracciare sua figlia come prima, Peter l’avrebbe trovata.
“Se la forza di questo… mhmm, non resisterebbe così…” borbottò Spider-man guardando i segni che aveva tracciato sulla carta. Strinse le labbra, accartocciando il foglio in uno scatto di stizza e lanciandolo nel cestino, insieme a tutti gli altri disegni che aveva fatto nelle due ore precedenti.

I Guardiani si erano ritirati nelle loro camere ed erano usciti solamente per prendere i panini del pranzo.
Carol Denvers era volata via dopo una telefonata privata mentre loro visitavano il Signor Stark e, a detta di Rocket, la donna era visibilmente scossa.
Peter tamburellò il pastello sulla mano, cercando di riflettere.

Quando erano entrati nella stanza dove il signor Stark riposava, Peter non aveva potuto fare a meno di buttare l’occhio sul moncherino fasciato del mentore, cercando di imprimere nella memoria fino a dove i medici avevano tagliato e dove lui avrebbe potuto appendere o attaccare il braccio meccanico.
Anche quando Morgan era salita sul letto e aveva mostrato al padre il disegno, fiera della sua opera, e aveva chiesto a Peter di attaccarlo alla parete con una ragnatela, la mente del più grande stava già iniziando ad impostare un progetto di base.
Un braccio non era un robottino come quelli che aveva costruito in laboratorio. Doveva rispondere agli impulsi nervosi del mentore, non doveva essere troppo grande o pesante e soprattutto non avrebbe dovuto rischiare di rompere o fare del male a qualcuno stringendo le dita della mano. Certo, il signor Stark gli aveva fatto riparare Ferrovecchio, ma un droide era molto diverso da quella che, in sostanza, era una protesi ad alta tecnologia.

Era così assorto nei propri pensieri che quando Steve lo chiamò dal divano, Peter saltò sul posto e ruppe il pastello “Ehi, Peter.” 
“Oh. Scusa Morgan.” Disse verso la bambina, prendendo le due metà della matita tra le dita. “Non volevo.”
“Non importa. Ne ho un sacco.” Rispose la bambina, porgendogli una matita rossa. “Tieni questa.”
Peter sorrise riconoscente e si voltò verso il capitano.
Vide Steve tentennare, quindi Sam Wilson prese la parola. “Tornare deve essere stato difficile.” Spense la televisione. Peter non si era accorto che il film si era concluso e che ormai i titoli di coda stavano scorrendo sullo schermo da dieci minuti. “Se vuoi qualcuno con cui parlare, di qualsiasi cosa… Steve ha lavorato con le persone che erano rimaste dopo lo schiocco ed io mi occupo – mi occupavo dei soldati che tornano dal fronte.”
“Quando ti sentirai pronto, potremmo parlarne.” Aggiunse il capitano. “Con chi preferisci.”

Peter batté le palpebre un paio di volte. “Oh.” Di che cosa avrebbe dovuto parlare? Era tornato in un mondo che era il suo, ma che in realtà non lo era più. La sua famiglia si era inspiegabilmente allargata, aveva perso la casa, aveva una sorellina più piccola e il suo mentore era addormentato nella stanza di un reparto ospedaliero. E lui voleva costruirgli un braccio nuovo. Di metallo. Perfettamente funzionante. 
“Non adesso.” Si premurò di dire Sam “Con calma, più avanti.”
Peter arrossì fino alla punta delle orecchie, probabilmente sulla sua testa era spuntato un fumetto come quello dei cartoni animati che mostrava il gran macello presente nella sua testa.

“Però per qualsiasi altra cosa, anche solo per discutere di Star Wars, puoi venire da noi. Non credo di riuscire a fare discorsi complessi su questi film, perché non ho capito molto, ma posso provarci.”
Peter si mordicchiò l’interno della guancia, per poi prendere coraggio.
“Signor Barnes… posso – posso chiederle una cosa?” sbalordì tutti.

“Lui… vuoi… lascia perdere.” Balbettò Farcon.
Vide il soldato sbattere gli occhi, sorpreso di quella richiesta. Si schiarì la voce. “Ehm… certo.”
Peter si alzò in piedi, stringendo il foglio e la matita rossa che Morgan gli aveva prestato e camminò velocemente verso il divanetto.
“Io – potrei vedere il suo braccio?” chiese, stringendo le labbra e cercando di mascherare il rossore sulle guance.
“Il mio… Ok.” James Barnes si voltò a guardare gli amici, visibilmente stupito, mentre si sfilava la felpa.
“Ecco… io stavo pensando – potrei costruire un braccio come il suo per il signor Stark, ma non so esattamente come fare – sempre che non voglia lei, perché userei il suo come modello e…”

“È a questo che stavi lavorando nelle ultime due ore, Peter? È una cosa meravigliosa.” Lo bloccò Steve, girando la testa per adocchiare il cestino pieno di fogli scarabocchiati.
“Concentrarti su un lavoro potrebbe farti bene.” Aggiunse Sam.
“Si, ma non riesco a capire come poter creare dei recettori di metallo e fare in modo che captino gli impulsi nervosi organici e…”
“Va bene, certo. Ma io non so niente di questo.” lo bloccò l’ex soldato d’inverno picchiettando il dito buono sul braccio di vibranio. “Dovresti chiedere ai wakandiani. Alla principessa, magari.” 
“Alla principessa Shuri?” fece eco Spider-man.
Il signor Barnes annuì. “Se vuoi dare un’occhiata a questo… beh sono qui.” Propose dopo un’eloquente occhiata di Steve.
“Io… ok. Grazie.” Stese il foglio sulle proprie gambe. “Wow.”

Le tre ore successive, Peter le passò a chiedere al signor Barnes di muovere il braccio meccanico, stringere e aprire le dita, spostare oggetti. E Peter copiava su ogni foglio, al primo se ne erano aggiunti molti altri, qualsiasi variante di movimento delle placche di metallo.
Mentre loro erano intenti a ricopiare, con l’aiuto di Captain America – che si occupava solo del disegno, mentre Peter annotava dati numerici – ogni cambiamento, Sam si era seduto per fare compagnia alla bambina ed i due erano finiti per prendere il tè insieme.
 
“Abbiamo fissato una conferenza stampa per domani.”
Peter alzò lo sguardo per vedere Pepper e Rhody sbucare dal corridoio.  “E invitato le maggiori testate giornalistiche del mondo, ma non possiamo garantire che saranno gentili.”
Pepper si rivolse a Steve, guardando con sguardo curioso la miriade di fogli sparsi sul pavimento. “Dovresti parlare anche tu.”
“Farò tutto il possibile per aiutare.” Garantì il capitano.
“Alcuni di noi dovranno mostrarsi al pubblico. Dobbiamo rimanere uniti.” Spiegò Rhody. “Sam, Barnes, Banner quando si sarà svegliato, Strange, magari i Guardiani. Carol è sparita. Wanda, dovremo avvertirla, è ancora di sopra?” elencò.
“Non è scesa.” Rispose Steve.
“Ottimo.” Aggiunse Happy.
“Dov’è Thor?” chiese May, guardandosi intorno.
“Gira per il palazzo.” Rispose Sam, mentre muoveva il cucchiaino nella tazzina. “Il procione gli ha nascosto le birre.”

Peter si morse un labbro “Ed io?” Spider-man era uno dei pochi eroi che era rimasto ad occuparsi di furti, incendi, i problemi della gente normale. Le persone di lui si fidavano, forse perché era quello che si occupava davvero di loro. Certo, fermare alieni viola con la mania per le gemme e cyborg pazzoidi era un lavoro da Avengers, ma forse in quel momento lui poteva veramente dare una mano, anche solamente per portare speranza agli sfollati.
Pepper scosse la testa. “Meglio di no. I giornalisti sanno essere delle carogne, a volte.” 
Peter scarabocchiò un piccolo ragnetto sul foglio davanti a lui. Effettivamente, lui ci sapeva fare con le persone, ma ogni volta che qualcuno lo fermava per fare un’intervista, lui iniziava a balbettare cose senza senso.

“Io e mia sorella torneremo nel Wakanda questa sera.” Li informò T’Challa. “Mia madre… è rimasta da sola, per tutti questi anni. Ed ora è da sola ad affrontare tutto questo nel nostro paese. Dobbiamo tornare.”
“Avete bisogno di un passaggio?” chiese Happy.
“Non serve.”
Zia May si sedette vicino a Morgan, mentre la bambina offriva del tè immaginario anche a lei, cosa che Sam interpretò come occasione per alzarsi e sgranchirsi le gambe.

Peter guardò il braccio di vibranio del Signor Barnes. “T’Challa, Signor Pantera, posso – non so come chiamarla, signore ma… Posso parlarle?” chiese rivolto all’uomo.
“Cosa ti serve, ragazzo?” il sovrano gli andò incontro, facendo attenzione a non calpestare i fogli sparsi sul pavimento.
“Ecco… signore – io ho…” Guardò Pepper e Rhody, che erano rimasti al di là del tavolo ma che lo guardavano, curiosi.  “Potete venire anche voi?” chiamò.
“Il signor Stark ha perso il – sa…” balbettò, abbassando la voce perché Morgan non lo sentisse. La Pantera si inginocchiò al suo fianco, mentre Steve e Bucky si spostavano per far vedere i disegni agli altri tre.
“È da stamattina che ci penso, se – potrei provare a creargliene un altro. Il signor Barnes ha – e lo posso usare come modello, se solo riuscissi a capire come collegare il braccio al corpo.” Disse sottovoce, mentre guardava Pepper maneggiare i fogli.

“E lo so che i wakandiani sono – cioè sono i vostri segreti e le vostre scoperte ma – della tecnologia, ma se potessi sapere come avete fatto – beh, forse potrei costruirne uno per il signor Stark.” Prese in mano un foglio dove aveva scarabocchiato, con l’aiuto di Steve, il primo braccio a cui avevano lavorato. “Credo di aver capito la struttura di base di quello del signor Barnes, ma…”
“Pete… hai… lo faresti davvero?” chiese Pepper, un foglio per mano, mentre lo guardava con gli occhi lucidi.
Peter arrossì. “Beh… probabilmente il signor Stark se ne potrebbe fare uno da solo, però, ecco – avevo pensato che potesse fargli piacere averne uno subito.”
Pepper si allungò verso di lui, scompigliandogli i capelli con la mano. “Grazie, Pete. Grazie.”

“Io non conosco questa tecnologia. Ma puoi parlare con Shuri.” Disse T’Challa. “È lei che si occupa della ricerca tecnologica in Wakanda. Ti lascio il suo numero, anzi.” Si sfilò il braccialetto che teneva al polso. “Prendi questo, così potrete passarvi tutti i dati.” Mise le perle in mano a Spider-man.
“Quando avrai bisogno del vibranio per Iron-man, non esitare a chiederlo. Lo porterò personalmente.” Aggiunse, mentre Peter lo guardava con occhi brillanti, cercando di razionalizzare quello che il sovrano gli aveva appena detto. Il signor Stark avrebbe avuto un braccio nuovo. E se ne sarebbe occupato lui.
“Che ficata!” si lasciò scappare, mentre guardava le perle kimoyo.

T’Challa rise, insieme a Steve e Rhody. Peter notò Bucky cercare di nascondere un piccolo sorriso.
La Pantera gli mise una mano sulla spalla. “Iron-man se lo merita. E tu sei un bravo ragazzo. Ti chiamerà mia sorella quando ci saremo sistemati.” Sorrise, per poi alzarsi in piedi ed avvertire che sarebbe andato a controllare se Shuri si fosse svegliata.
Effettivamente, la principessa e i tre medici avevano lavorato per una notte intera, per salvare la vita al signor Stark. Era giusto che avessero passato la giornata a riposare.
“Hai bisogno di noi, Queens?” chiese il capitano, indicando i fogli. “Altrimenti daremmo un occhio al frigorifero per la cena.” 
“Posso farlo io.” si offrì May.
“Non serve!” e “No, grazie!” dissero in coro Peter ed Happy verso l’offerta della donna. 
“Ok, Ok. Allora largo agli uomini.” Rispose lei alzando le mani e additando Steve, Sam e Bucky.
Peter scosse la testa, ridacchiando.

 “Ehi, Peter.” Lo chiamò Pepper, che stava raccogliendo i fogli sparsi in un plico ordinato. “Non sarebbe meglio andare nel laboratorio di Tony, senza fare tutto a mano?”
Peter la guardò intensamente. “Ma è del signor Stark. Non ho mai – senza di lui…” 
“Tony avrebbe voluto che ne avessi uno tutto tuo. Intanto puoi usare quello che c’è qui. Friday potrebbe darti una mano e puoi riattivare Karen, che dici?”
Peter sussultò. Un laboratorio tutto suo. Era abituato a lavorare insieme al signor Stark, nel vecchio laboratorio del Complesso Avengers, ma era lo spazio del signor Stark, con le cose del signor Stark e soprattutto con la supervisione del signor Stark. E Karen. La sua Lady Costume era spenta da… da quando aveva lasciato la Terra sull’astronave aliena. Accidenti.

“Chi è Karen?” chiese Morgan, mentre versava il tè immaginario in due tazzine e le sistemava su un piccolo vassoio.
“È come Friday di papà, tesoro, ma aiuta Peter.”  Spiegò Pepper, porgendo tutti i fogli a Spider-man.
“Capito.” Disse Morgan, mentre camminava concentrata verso i due cecando di non far cadere le tazze dal vassoio.
“Abbiamo preparato il tè.” Sentenziò. 
“Oh. Grazie, Morgan.” Ringraziò il più grande, accettando la tazzina. Fece finta di bere facendo rumore. “È ottimo!”
“Non si fa rumore quando si beve, fratellone.” Lo rimbeccò lei, mentre Pepper si portava la tazzina alla bocca e faceva lo stesso, ma senza effetti sonori. “Non è da vere signorine fare rumore.” Annuì.

“Ah, quindi non sono una vera signorina?” chiese lui, rivolto verso la bambina.
Lei rise e scosse la testa, dondolandosi sui talloni. “Tu non puoi essere una signorina, Peter. Puoi essere un gentiluomo.” Spiegò. “Però prima devi imparare le buone maniere.” 
“Ah, ho capito. Giusta osservazione.” Rise Peter. “Allora mi dovrai invitare la prossima volta che farai il tè.”
 
 
Buona domenica a tutti :) 
Avviso di servizio: siccome la prossima settimana ho l'ultimo esame non so se riuscirò ad aggiornare come al solito sabato o domenica, quindi al massimo il prossimo capitolo arriverà la settimana dopo. 


 

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