Non sono pronto a lasciarti andare

di coopercroft
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo: Greg e James ***
Capitolo 2: *** Tornare a vivere ***
Capitolo 3: *** Ti abbiamo tenuto stretto ***
Capitolo 4: *** Il passato e il suo prezzo ***
Capitolo 5: *** Il fratello perfetto ***
Capitolo 6: *** Niente è per sempre ***



Capitolo 1
*** prologo: Greg e James ***


Buongiorno, eccomi qui con il mio nuovo racconto, spero vi regali una piccola emozione. Buona lettura.

Ringrazio con affetto @nooianooia per avermi seguito e sostenuto nella stesura di questa storia. Condivido con lei la gioia di vederla realizzata.

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Lo sparo improvviso squarciò la quiete di quel giovedì pomeriggio. Gregory si aggrappò a James che lo tenne stretto, più stretto che poteva. La macchia di sangue si allargò sul suo petto imbrattando la camicia bianca.

"James..." Mormorò Greg incredulo e lo fissò chiedendogli aiuto ma lui, impietrito non sapeva che fare. Poteva solo tenerlo stretto, abbracciato a sé.

"Non mollare fratello. Non lasciarmi solo." Singhiozzò e le lacrime gli rotolarono copiose sul volto, mentre gli occhi di Gregory lo abbandonavano. In quel momento si rese conto di quanto suo fratello contasse per lui ora che lo stava perdendo.

Sollevò il volto e guardò il cielo, urlò tutta la sua rabbia imprecando e maledicendo la sorte bastarda che si stava portando via il suo unico fratello.

Non riuscì a capacitarsi di doverlo perdere in quel modo assurdo. 


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Capitolo 2
*** Tornare a vivere ***


Gregory osservò attento la sua immagine riflessa allo specchio. Era dimagrito in quegli ultimi due mesi e il volto segnato dalla lunga degenza, era pallido. Strinse le labbra e si abbottonò il gilet azzurro. Passò la mano, eccessivamente magra e segnata dai lividi, tra i capelli neri. Erano troppo corti per come la vedeva lui, ma in clinica le infermiere lo avevano quasi rasato a zero, per prevenire le infezioni. Si consolò osservando quanto fossero già ricresciuti e si ritenne soddisfatto.

Rabbrividì al ricordo di quei primi, dolorosi giorni in rianimazione. Ora era fuori e quella era una bella giornata di sole.

Il colonnello Gregory Devon, di stanza nella base militare londinese High Wycombe, si avviò camminando lentamente.

Aveva strappato al suo amico John Roberts, il medico del presidio militare, il permesso di fare una passeggiata e aveva tutta l’intenzione di godersela. Si era vestito con la solita cura, anche se non indossava né la divisa né i gradi, era ancora in riabilitazione, e dopo aver annodato la cravatta, prese la giacca ed uscì.

Non doveva sforzarsi troppo, John era stato chiaro: “Il permesso di muoverti un po' non significa che devi correre.” Scosse la testa, mentre scendeva le scale, il suo amico era un medico scrupoloso, forse anche troppo.

Però su una cosa aveva proprio ragione, doveva dosare le forze, da quando lo avevano dimesso, erano diventati tutti molto apprensivi.

Ma quel pomeriggio si sentiva bene, pieno di voglia di vivere e di recuperare il tempo perduto in quel letto d’ospedale attaccato ai monitoraggi e al respiratore, soprattutto a quello: emetteva quel rumore fastidioso, che gli ronzava ancora nelle orecchie. 

Incrociò alcuni ufficiali che lo salutarono con cordialità, felici di vedere che il loro comandante si stava riprendendo. Arrivò ai campi di allenamento e vide suo fratello.

Quel pazzo di James correva, incitando le reclute, sudato e pieno di vita. Ne aveva del fiato, non come lui che già ansimava per pochi passi.

Appena lo scorse si fermò di botto, come se fosse stato artigliato per le caviglie. Gregory sorrise, vedendo il volto del fratello minore, sorpreso e allo stesso tempo preoccupato nel vederlo lì. 

James arrivò trafelato fino alla rete metallica che delimitava il campo, ci si aggrappò con le dita e cominciò subito a urlagli contro.

 “Che ci fai qui? Lo sa John? Non ti stai affaticando troppo?” Il sudore gli gocciolava sugli occhi. Si asciugò la fronte e tossì fissandolo preoccupato ma Gregory lo tranquillizzò subito.

“Ho il permesso del medico! Posso fare due passi.” James, sospettoso respirò più volte, gli occhi chiari che scrutavano il fratello maggiore, il corpo asciutto teso per l’emozione di trovarselo davanti.

Sospirò, poi annuì. “Va bene, ma vai a sederti, congedo le reclute e ti raggiungo.”

“Fa con comodo, ho tutto il tempo.” Gregory fece i pochi passi che lo separavano dalla panchina e si lasciò andare, soddisfatto di essere riuscito ad arrivare fin lì. Faceva caldo, il tepore primaverile lo pervase, sentì il sole scaldargli il volto e il corpo fino al centro del petto, dove aveva la cicatrice. Gli avevano fatto un bel buco nel polmone. 

Si tolse la giacca e rimase con la camicia e il gilet. Chiuse gli occhi e si sentì in pace, respirando adagio e con parsimonia, senza rendersi conto del tempo che passava.

“Greg stai bene? Che hai?” La voce ansiosa del fratello gli fece riaprire gli occhi riportandolo indietro, a un tempo indefinito, forse a quando erano bambini. Lo vide spaventato e gli dispiacque.

“Sto bene, mi stavo godendo il sole.” 

Scapigliato e sudato, aveva fatto in fretta per raggiungerlo, si sedette al suo fianco e lo studiò con apprensione. Gregory vide tutta la sua paura, tatuata in quel volto fraterno che tanto amava.

James era un ottimo istruttore militare. Un ufficiale rispettato dai suoi sottoposti ma spesso lo aveva osteggiato, criticando le sue decisioni nel gestire la base. Lui ne aveva sofferto, perché quelle beghe erano come un veleno che li allontanava. Molte volte aveva sopportato in silenzio, sperando che svanissero, e invece c’era voluta una revolverata in pieno petto.

Quel giovedì, di due mesi prima James si era letteralmente imbrattato nel suo sangue, non riusciva a fermarlo, tanto usciva copioso da quel buco in pieno petto. Gli avevano sparato in quel modo devastante e improvviso che sembrava non lasciargli tempo. Suo fratello minore lo teneva in braccio, incapace di fare qualsiasi cosa. Per fortuna John era lì con loro.

Gregory avvertiva ancora il suo dolore, lo percepiva, incastrato sotto pelle, sapeva che non gli sarebbe mai passato.

Le rughe che solcavano la sua fronte erano un marchio indelebile.

Si tirò su e James, con gentilezza, lo prese per il braccio e lo aiutò a sedersi meglio.

“Cosa c’è? Sono vivo. E sono qui.” Il fratello minore tentennò, strinse le labbra e lo fissò serio.

“Non è niente, forse mi preoccupo troppo. Lo vedo che stai bene.” Replicò abbassando lo sguardo.

Gregory cercò di cambiare argomento. “Quanti chilometri hai fatto? Sei tutto sudato e... puzzi.”

“Non ho mai trovato nessuno che fosse profumato dopo aver corso e dato anche l’anima.” James rise e lasciò che la mano calda di suo fratello gli stringesse il polso. Greg sapeva che aveva temuto di perderlo e averlo vicino lo rasserenava.

“Se faccio una doccia, di quelle potenti, ceniamo insieme stasera” Gregory lo fissò divertito, e scosse la testa.

“Certo che sì, ma devo avere il permesso di John.”

“E lo avrai, usciamo fratello. Ho voglia di hamburger e patatine, mentre tu mangi una triste insalata.” Lo canzonò, battendogli benevolmente sulla spalla.

“Potrei fare un’eccezione? Chiedo a John se posso straviziare anch’io.”

“Ci sgriderà ma se prometto che ti controllerò forse ti darà il permesso. Un po' di carne non ti farebbe male, sei ancora debole.”

Prese il cellulare dalla tasca e si allontanò. “Lo chiamo io, tu rimani a goderti il tramonto.”

Gregory annuì lasciando la sicurezza della mano di James, si appoggiò allo schienale. Lo sentì parlottare.

“È fatta. Vado a farmi la doccia. Si esce! Il nostro buon dottore ci ha dato il consenso.” Lo travolse con la sua allegria contagiosa. Era un piccolo passo in avanti nella via della guarigione e per ora andava bene. 

Mentre usciva dal campo e andava allo spogliatoio, James gli gridò impaziente.

“Non ci metto molto, Greg, fa il bravo.” Gli rispose con un gesto di assenso agitando la mano.

Lo guardò allontanarsi commosso e la ferita gli rimandò una fitta fastidiosa.

Un solo maledetto colpo a distanza ravvicinata, così inaspettato e improvviso che né James né John, che erano presenti, erano riusciti ad evitarlo.

Era nato tutto da una stupida vendetta. Un affare di corruzione di cui si era occupato in passato. L’ufficiale che aveva degradato, aveva coltivato un odio folle nei suoi confronti, che era sfociato nell’attentato, che gli era quasi costato la vita. 

James era sconvolto, dopo l’impatto del proiettile lo aveva afferrato e lo aveva tenuto stretto, poi aveva dovuto adagiarlo sul terreno.

Gli gridava nelle orecchie che non doveva mollare e lo stringeva da fargli male ma Gregory non riusciva a reagire. Il dolore devastante gli toglieva il fiato poi la bocca gli si era riempita di sangue facendolo tossire: stava soffocando.

Voleva urlare il dolore sordo che gli disintegrava il petto, e non gli usciva nulla se non dei rantoli.

James aveva smesso di piangere, seguiva gli ordini di John, lui era il più lucido dei tre. Suo fratello gli aveva premuto le mani sul petto dolorosamente, cercando di fermare l’emorragia del polmone perforato.

Se non fosse stato per John, che era fortunatamente insieme a loro, ora non sarebbe stato lì. Era intervenuto subito, il buon dottore, l’ufficiale medico della base, l’amico che gli aveva salvato la vita.

Non si ricordava molto di quello che era successo, ma il volto di suo fratello, quello sì, le lacrime che gli cadevano addosso, mentre lo abbracciava, lo cullava. Soprattutto la forza di John, che non smetteva di adoperarsi. Non aveva mai perso la speranza, cercando di espandergli il polmone e farlo respirare.

Perché era l’aria quella che gli mancava.

Il resto era adesso, era vivo, acciaccato, con un buco che si stava rimarginando nel polmone, dopo più di due mesi di ospedale, di sofferenza e di dolore.

Ora poteva camminare anche se il fiato era ancora corto, John gli aveva garantito che sarebbe guarito perfettamente, ma doveva avere pazienza. Molta.

Ma c’era qualcosa che non si rimarginava, il ricordo del volto devastato di James che non si rassegnava a perderlo. No, quella era un’immagine che non avrebbe dimenticato mai. 

Lui, il comandante affidabile e sicuro di sé, quel giovedì, aveva ceduto, aveva chiuso gli occhi stremato, al limite, rassegnato ad andarsene in quel modo assurdo, con il rimpianto di non riuscire a consolare suo fratello e dirgli che andava bene anche così.

James singhiozzava e ripeteva il suo nome come una litania. 

Gregory si era rassegnato al fatto che fosse finita, che non lo avrebbe più rivisto, non avrebbe più litigato con lui, più scherzato, più condiviso la sua vita. Lo dava per scontato di avere tempo e invece il tempo aveva chiuso la borsa.

Rabbrividì stringendosi nelle braccia ma, avvertì una presenza rassicurante alle sue spalle, non era difficile capire che James era lì. Si sollevò e si ritrovò il suo volto davanti.

“Niente pensieri cattivi Gregory, lo avevi promesso. Ora andiamo, sono pulito, profumato e affamato… anche per te.” 

Lo guardava come fosse un miracolo, come se lui fosse un dono, una seconda possibilità. Aveva un sorriso schietto che gli riempiva il cuore.

Si sollevò adagio, senza sforzarsi, si lasciò aiutare dalle mani forti di James. Si appoggiò a lui. Sapeva che ora ci sarebbe stato sempre e comunque.

Suo fratello scherzò sorridendo, lo aiutò a infilarsi la giacca e accarezzò con noncuranza la sua mano ancora segnata dagli ematomi degli aghi.

“Ho fame, James spero che potrò mangiare qualcosa. Non voglio guardare te rimpinzarti.” Risero complici, come non facevano da tempo, persi nella fretta della vita che richiedeva i suoi ritmi.

Si lasciò condurre a braccetto, solo per pochi metri, poi proseguì da solo. Gregory si voltò a guardare il volto serio del fratello minore, si fece intimo.

“Smetterai mai di preoccuparti per me?”

“Mai. Non dopo lo scherzo che ci hanno fatto.” James inspirò forte infilando le mani nelle tasche, gli occhi accesi dai raggi del sole che tramontava. Gregory si rese conto di quanto la sua vicinanza fosse importante, non era scontata e ora ne aveva un assoluto bisogno.

Lo affiancò, camminavano vicini, James adeguava il passo al suo, non lo urtava con inutili raccomandazioni. Si sentì protetto, non disse nulla, prese un lungo respiro, quello che il suo polmone malandato gli consentiva e pregustò la serata in compagnia di suo fratello.

 

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Capitolo 3
*** Ti abbiamo tenuto stretto ***


Il ristorante dove cenarono era anche un fast food, James ingurgitò tutto quello che si trovava nel piatto. Gregory invece seguì le direttive di John, prese mezza porzione di carne e dell'insalata. Non poteva appesantirsi troppo, forse più avanti quando il polmone si fosse stabilizzato e avesse funzionato a pieno regime.

"Jemy, ti sei mangiato di tutto, mai visto uno con una fame come la tua." Si appoggiò allo schienale della sedia. Era contento della sua prima uscita e suo fratello sembrava sereno.

"Beh, però anche tu ne avevi di appetito, non facevi altro che assaggiare dal mio piatto. Per fortuna non c'era John, altrimenti chi lo sentiva." Ridacchiarono, James bevve un altro sorso di birra, ne aveva un bel boccale. Vide la faccia contrariata del fratello che lo fissava.

"Solo un sorso. Prendi ancora troppe medicine." James intuendo i suoi pensieri gli allungò il boccale e lui bevve assaporando con calma.

"Mi ero dimenticato quanto fosse buona. Bevo solo acqua da un bel po'."

Suo fratello mugugnò scuotendo la testa, Greg sapeva che aveva promesso al dottore di tenerlo d'occhio e che non avrebbe dovuto concedergli troppo.

"Sei stanco?" Gli chiese all'improvviso. Gregory arricciò le labbra, e scosse la testa. Era diventato troppo apprensivo.

"No, stai tranquillo. Mi piace stare in mezzo alla gente. Restiamo ancora un po'?"

Si sentiva bene, più in forze ora che, finalmente, poteva vedere altre persone. Sorrise a suo fratello e lui, per un istante, lo ricambiò sereno.

Ma durò poco, lo vide cambiare espressione, una profonda ruga gli solcava la fronte, il volto era teso, gli occhi velati che non si staccavano da lui.

Lo stesso sguardo che aveva quel giovedì. James stava rivivendo nuovamente quell'inferno.
"Forse è meglio che torniamo Greg. Io domani devo allenare le reclute."

Mormorò, toccandogli il braccio e lui capì, annuì rassegnato augurandosi che la smettesse di torturarsi perché di sicuro, non poteva continuare così.

Tornarono a casa in silenzio, mentre suo fratello guidava accorto, Greg osservava dal finestrino quanto fosse bella la campagna inglese. Riusciva ad amare anche la foschia che avvolgeva i campi.

James ridacchiò. "Beh, ti sembra tutto così bello adesso? Prima odiavi la lontananza da Londra."

Lui rimase con la testa rivolta alla strada. "Le cose le apprezzi di più quando stai per perderle."

"Sei diventato un filosofo o è stata la birra?" James cercò di stemperare la sua tristezza ma la sua voce lo aveva tradito.

Greg si girò a fissarlo. "Pensavo di non farcela, molte volte mi sono chiesto perché mi sono salvato."

"Perché ti abbiamo tenuto stretto Gregory, con tutta la forza che potevamo." Un nodo alla gola non gli permise di dire altro. La mano di Greg si appoggiò sulla sua spalla.

"Sei stato paziente e coraggioso, fratellino io stavo per mollare."

"Sei tu che mi hai insegnato come proteggere la persona che ami. Sei stato un fratello maggiore attento e io uno stupido ragazzino." Gli si spezzò la voce. "Se non fosse stato per te mi sarei perso."

Il silenzio fu il terzo compagno fino a quando arrivarono alla base militare.

Salirono le poche scale che portavano ai dormitori e raggiunsero le loro stanze. John aveva accettato di dimetterlo a patto che non fosse stato solo la notte.

Lo giudicava ancora troppo pericoloso, se fosse stato male, nessuno se ne sarebbe accorto fino al mattino. Così dormivano nella stanza di James, anche se Greg aveva più volte protestato.

"Fino a che la saturazione non sarà accettabile non resterai da solo. A casa tornerai quando ti sarai rimesso completamente." John era stato perentorio, perché il suo respiro non era ancora regolare e qualche apnea notturna c'era ancora.

Gregory si era sottomesso alla decisione e aveva accettato di buon grado di condividere la stanza. Così suo fratello minore era diventato un provetto infermiere e prima di coricarsi gli somministrava tutte le medicine, controllava il saturimetro che gli aveva fornito il medico e, se tutto era in ordine, lo lasciava dormire.

Anche quella sera tutto era nella norma.

"Ottimo, fratello l'ossigenazione va bene. Si dorme."

Greg sbuffò avvilito, mentre James gli sfilava dal dito quell'aggeggio infernale. Si sentiva come un invalido che aveva bisogno di assistenza. L'irritazione gli crebbe dentro e sbottò verso il fratello.

"State diventando maniaci! Mi controllate continuamente. Anche se vi dico che sto bene." Si abbottonò il pigiama, con le mani tremanti.

"lo so che è pesante Greg, ma devi seguire le indicazioni del medico. Sei vivo per miracolo, non farmelo ricordare."

Gregory si ficcò sotto le coperte, mordicchiava il lenzuolo con le labbra, chiuse gli occhi e rimase silenzioso

"Avanti non fare il bambino, Gregory. Lo sai che mi sono preso l'impegno con John e lo porterò a termine. Anche a costo di legarti a quel letto."

Lo rimbeccò mentre lo fissava, risentito dal suo atteggiamento infantile.

Greg aprì gli occhi pronto a litigare, ma quando lo vide in volto, sbollì di colpo. Soffriva, gli si leggeva in faccia che continuava a pensare a quel giorno.

"Senti James, prima passavamo il tempo a litigare, io da una parte e tu dall'altra, mi contestavi in tutto. Ora sei diventato una vera ossessione. Cerca di calmarti, sono vivo per Dio!" Rimase in silenzio, James torceva la stoffa del pigiama. Si versò dell'acqua e la bevve tutto d'un fiato.

Rispose, con lo sguardo basso.

"Lo so che abbiamo passato buona parte della nostra vita a discutere, anche sulla più piccola cosa ma, quando ho pensato di perderti, tutto è cambiato. Sei mio fratello e non voglio correre rischi." Alzò la testa e gli puntò contro l'indice. "Tu devi stare bene. Devi guarire. Quindi ora smettila e dormi. Non ci saranno litigi tra noi, mai più."

Greg brontolò. Gli uscì "Sei un testardo."

Si girò di fianco, stanco per quella giornata diversa e, in breve, si addormentò. 

 

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Capitolo 4
*** Il passato e il suo prezzo ***



Greg si addormentò non appena la sua testa toccò il cuscino, ma James, non pago, lo controllò, lo studiò ancora, poi visto il suo respiro regolare, si lasciò andare sotto le coperte e riuscì a dormire fino alle prime luci del giorno.

Ma alle sei, James era già sveglio, da quando dormivano insieme, riposava poco. Era teso, temeva che Greg avesse delle apnee. Ma suo fratello dormiva tranquillo, il respiro regolare. Ne fu lieto, quasi felice. Soddisfatto che stesse migliorando, si voltò a fissare il soffitto.

Avevano passato gli ultimi anni a scontrarsi, reduci da incomprensioni dovute all'autorità paterna, che li aveva messi spesso in competizione. Erano eredi di un casato blasonato, pieno di rigide regole, cresciuti in una villa imponente e austera con il padre, Sir Anthony, e Mary la governante, che li accudiva da quando la loro delicata madre era morta troppo giovane.

Lui non ne ricordava né il volto né l'aspetto e spesso, quando erano bambini, era Greg che glielo raccontava con una maestria che lo incantava. Gregory era più grande di cinque anni ed era molto maturo per la sua età, mai gli aveva fatto pesare di doversi prendere cura di lui.

Quando la madre era morta, il loro padre si era lasciato andare insieme a lei, non era mai riuscito ad amarli, soffocato dal rimpianto di non averla potuta salvare dalla malattia.

Ma Greg c'era sempre stato.

Spesso James finiva nelle mire di sir Anthony perché era troppo irruente e indisciplinato.

Papà ricorreva alla cinghia. Se lo ricordava bene il volto addolorato di Greg che cercava di sostenerlo mentre il padre lo picchiava.

"Giù i calzoni, mascalzone meriti una lezione." Gridò forte Sir Anthony mentre si sfilava la cinghia. Lui piagnucolava, Greg lo teneva stretto per mano.

"Papà non lo farò più, non voglio, la cinghia fa male." Pianse disperato e Greg lo abbracciò.

"Padre, mi prendo la responsabilità io di tenerlo a freno. Lascialo stare, sta già imparando a essere giudizioso." Papà lo guardò seccato, e lui annuì nella speranza di evitare le frustate. Ma valeva a poco.

"Zitto Greg, o le prendi anche tu." Furente sir Anthony spinse via suo fratello che finì a terra, ma si rialzò con fare minaccioso e rimase al suo fianco, mentre lui tremava di paura e stringeva il braccio a Greg, conscio dell'imminente punizione.

Era quello che spaventava così tanto James, non essere all'altezza di Greg! Di suo fratello che si adoperava per difenderlo e che per lui c'era sempre stato. Quel fratello che era il figlio perfetto e che fissava il loro padre con odio represso. James non capiva per quale motivo fosse tanto arrabbiato, visto che era sempre lui che finiva nei guai.

"Papà, è piccolo, non lo farà più." Se li ricordava bene gli occhi lucidi di Greg, che imploravano il perdono per lui. Quella volta prese un sonoro ceffone e rimase zitto a massaggiarsi la guancia.

James si calò i calzoncini rassegnato e pianse con le mani appoggiate alla scrivania, guardando disperato il fratello, che si mordeva le labbra per non gridare. Le sue mani sottili erano strette a pugno mentre cercava di sostenerlo con lo sguardo, e a ogni cinghiata che prendeva sussultava anche Greg. Fino a quando lui non resse più e cadde a terra, sotto la scrivania.

Fu allora che Greg si infilò tra lui e il padre, gli si buttò sopra e lo tenne al sicuro sotto al suo corpo.

"Basta papà. Non fargli del male, è piccolo. Non è così che cambierà." Gridava Greg, con tutto il fiato che aveva in gola. Singhiozzava e quella fu l'unica volta che lo sentì piangere. Lo proteggeva, le avrebbe prese al suo posto.

Sir Anthony infastidito e sorpreso da tanta veemenza, ebbe un moto di istinto paterno e li abbandonò lì, a terra, uscendo dallo studio, sbattendo la porta. E fu un miracolo, perché poteva finire nel peggiore dei modi.

L'abbraccio di Greg fu pieno di amore fraterno, lo sentiva tremare mentre lo consolava e lo stringeva al suo corpo, attento a non aggravargli il male che aveva subito. Lo aiutò a rivestirsi con una cura che non avrebbe mai più provato.

"Vieni, ti porto da Mary lei ti farà stare meglio. Vedrai, non sentirai dolore." Lo trascinò letteralmente dalla vecchia nutrice che era la loro unica famiglia. Greg gli asciugò le lacrime e, mano nella mano, lo portò al sicuro.

 

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Capitolo 5
*** Il fratello perfetto ***


James si scosse si voltò a guardare Gregory che dormiva ancora. Contò i suoi respiri e si tranquillizzò.

Quel bastardo che gli aveva sparato, aveva straziato non solo lui ma tutti quelli che gli volevano bene.

Tornò a fissare il soffitto, in realtà senza vederlo. Si chiese se sarebbe sopravvissuto se Greg se ne fosse andato. La parola morto non riusciva a pronunciarla.

Morto era una parola pesante senza via di uscita. Definitiva. E invece Greg era lì vicino a lui. Doveva molto a suo fratello maggiore, era stato il suo sostegno in tutti i più importanti momenti della sua vita. La mancanza della madre era stata una sofferenza costante per entrambi e il padre non era stato tenero con loro. Li aveva lasciati crescere con Mary. Inevitabilmente soli.

Era l'amore quello che gli era sempre mancato. Quello che cercava disperatamente in suo fratello maggiore, e lui si era prodigato per crescerlo anche se era poco più grande.

Gregory era stato perfetto.

Sempre, perfino quando si era ritrovato alle prese con una sessualità che non conosceva, che nessuno gli aveva spiegato.

Sorrise, mentre si ricordava la faccia spaventata e imberbe di suo fratello quando, una mattina, si era svegliato con il suo pene di bambino, a cui avevano scherzosamente dato il nome di Gigi, che era rigido e turgido.

Era corso da Gregory piangendo. Lo aveva scosso e svegliato.

"Che hai? Mi lasci dormire?" Lo fissò arrabbiato con gli occhi assonnati.

"Greg, sto male."

"Male? Cosa hai?" Singhiozzò, pensando che papà si sarebbe arrabbiato per l'ennesima volta. Non capiva bene cosa gli stesse succedendo ed era convinto che fosse colpa sua.

"Gigi è diventato lungo e grande e non riesco a fare pipì." Frignò sbattendo i piedini nudi sul pavimento.

James soffocò una risata ricordando la faccia sconvolta che aveva fatto Greg.

Era allibito, ma poi lo tirò nel suo letto e lo avvolse nella coperta, stringendolo sé. "Non è niente stupido, sei diventato un ometto."

"Ometto? Cioè, dovrò girare con un Gigi così grande? Ma sarò ridicolo."

Scoppiò a ridere, suo fratello, benché fosse più grande solo di cinque anni e avesse risolto spesso quelle situazioni da solo. Le sue mani gli accarezzarono i capelli mossi. "Ma no, Gigi si allarga e poi ritorna com'era prima non preoccuparti." Gli spiegò con naturalezza.

"E perché, dovrebbe fare questa cosa stupida?" Chiese, curioso, non capendo cosa fosse quella sensazione strana che sentiva nell'inguine.

Greg cercò di essere rassicurante. "Perché se un giorno vorrai avere dei figli Gigi dovrà comportarsi così"

"E cosa devo fare per avere figli?" Il bel volto di Greg era contrariato. "Ma non sai niente di come nascono i bambini?'"

Si sedette con l'autorità da fratello maggiore e si appoggiò alla spalliera del letto.

"No, perché dovrei?" Era proprio un bambino ingenuo allora. Era per quello che amava così tanto Greg.

"Ti ricordi nostra cugina? Lei insomma, hai visto che è diversa, mentre facevamo il bagno da piccoli?"

"Sì. E allora?"

Greg sospirò rassegnato e decise che era meglio rimandare ulteriori spiegazioni.

"Magari andiamo da Mary, lei ti dirà tutto. Temo di confonderti, è più esperta. Va bene?"

Suo fratello lo fissò speranzoso, e lui accettò. "Va bene chiederemo a Mary."

Greg respirò profondamente forse convinto che fosse finita lì, e invece...

Gigi era ancora lì ingombrante nei suoi slip, che reclamava attenzione.

"Greg, ma mi fa prurito e non torna come prima."

La faccia sconvolta e imbarazzata del fratello maggiore era unica, la ricordava ancora. Ridacchiò divertito, mentre suo fratello dormiva inconsapevole di quei ricordi.

"Non ti sei mai toccato Jemy? Cioè non hai mai sentito il bisogno di accarezzarti lì?" Gli indicò gli slip.

"No, perché dovrei?'"

Greg sbuffò al limite, doveva aver finito la pazienza.

"Ne riparliamo, sei piccolo non capisci ancora." Ma lui prese a piagnucolare e a singhiozzare.

"Non voglio restare così, aiutami. Se mi scopre papà, lo sai come finisce."

Greg gli tappò la bocca.

"Va bene, va bene. Ma bada a tenerlo per te quello che ti spiego."

E prese la decisione che solo un fratello amorevole come Greg poteva prendere.

"Ascolta ora ci giriamo di spalle e ti dico cosa fare." Si voltarono con le schiene appoggiate una contro l'altra, sotto la coperta, in modo da non potersi vedere in volto.

"Jemy, accarezza Gigi, fai scivolare la mano lungo di lui, piano. Sentirai del calore e ti sembrerà sempre più bello. Lasciati andare, Gigi si bagnerà, ma non avere paura, si chiama sperma è il seme che ha l'uomo per regalarlo alla donna e farle avere dei figli." Lui si guardò gli slip perplesso.

"E la donna dove lo mette?"

"Nella pancia."

"E come fa?"

Greg borbottò qualcosa di incomprensibile.

"Quello te lo spiega Mary ora pensiamo a fare scendere Gigi."

Cominciò a toccarsi, a fare come diceva. Lui brontolava di schiena, si malediva per avere un fratello così ignorante e troppo ingenuo.

Piano, successe qualcosa e prese ad agitarsi. "Sento dei brividi, ma mi piace. Mi fa sentire una cosa strana, che mi parte da Gigi. Greg mi pare che... mi succede una cosa... sta scoppiando." Strillò in preda al panico.

"Sta zitto! Non urlare hai capito? Se ci trovano così ci ammazzano tutti e due." Fu così che arrivò il primo avventuroso orgasmo di James, ma urlò per davvero.

Greg, da vero contorsionista gli tappò la bocca con la mano senza girarsi. Finché si calmò, visto che ansimava come un cavallo.

"Zitto Gesù! Stai buono, va tutto bene. È una cosa normale."

"Ma sono tutto bagnato, cosa faccio? Però Gigi è sceso."

"E meno male perché sennò ti sentivano tutti, e avrei dovuto dire che ti stavo picchiando."

Greg rise, una bellissima risata che trattene a stento.

"Prendi." Gli buttò il fazzoletto da dietro. "Asciugati e vatti a lavare, non dirlo a nessuno capito?"

"Va bene. Ma allora Greg ho sprecato il mio seme?" Si asciugò frettolosamente prima di scendere dal letto e andare in bagno.

"Ne hai tanto non ti preoccupare, poi andiamo da Mary che è brava a spiegarti, ma prima le parlo io."

Gli batté sulla spalla curioso. "Greg, è stato bello. Mi è piaciuto, mi succederà di nuovo? Lo potrò fare ancora?"

"Tutte le volte che vorrai, ma non in pubblico e senza strillare come hai fatto."

Greg si innervosì, erano troppe le domande a cui rispondere.

"Basta che mi tocco Greg?" Suo fratello sbuffò e minacciò con la mano per aria.

"Sì, ma non esagerare, solo qualche volta."

Greg si girò, si appoggiò alla spalliera e lo fissò con gentilezza, gli scompigliò i capelli.

"Stupido, ti sei appena masturbato. Si dice così, lo si fa di nascosto, ma non chiedermi perché. Gli adulti non vogliono. Queste sono le regole."

"Tu lo fai?" La domanda lo sorprese, ma fu sincero.

"Sì a volte, ma non mi piace farlo spesso, non mi piace abusarne, anche se a volte mi fa stare meglio." Si era fatto triste. Ma James allora non capì perché lui era il maggiore ed era sopra l'infelicità.

"Ma Gigi può scendere da solo?"

"Imparerai a comandare tu e non lui" Lo accarezzò sulla fronte segnata da uno schiaffo del padre. Il suo volto si contrasse. "Va a lavarti per bene, pulisci gli slip, e mettili nella lavatrice. Non vorrai che tutti lo sappiano."

"Certo che no! Ora sono un uomo, vero? Sarò come te?" Allora si sentì pieno di orgoglio e lo guardò con gli occhi che vedevano la bellezza di quel fratello paziente, che andava oltre agli schemi e che era padre, madre e amico allo stesso tempo.

"Ti tratto come sempre fratellino. Forza dopo parliamo con Mary." Sospirò rassegnato ma sorridendogli pieno di orgoglio.

James guardò di nuovo Gregory, che russava, il respiro regolare, la fronte distesa.

Gli bruciarono gli occhi e una lacrima gli scese lenta, bagnando il cuscino.

Si rese conto di quanto era stato importante, di quanto tempo aveva sprecato a litigare, spinto da una assurda rivalità che gli aveva inculcato il padre e che Gregory non aveva mai provato.

Sir Anthony Devon era morto da tre anni, mentre tornava a casa da Londra, dopo essere stato all'ambasciata. Lui e anche il suo autista.

E Gregory si era caricato anche del peso di portare avanti la villa ereditata dagli avi. I Devon Yorkshire

Avevano continuato a lavorare insieme nella Base militare, dove Gregory era diventato un comandante apprezzato e amato.

Era lui che lo criticava spesso e lo riprendeva per le sue decisioni, ma Greg non si era mai lamentato, limitandosi ad aspettare pazientemente che lui maturasse. Sapeva di averlo ferito inutilmente molte volte, dimenticandosi di tutto quello che Gregory aveva fatto per lui.

Quanto tempo perso in inutili stupide beghe d'orgoglio.

Non sarebbe l'uomo che era diventato se non fosse stato per la pazienza di Gregory Devon, suo fratello maggiore.

 

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Capitolo 6
*** Niente è per sempre ***



Gregory aprì un solo occhio e studiò suo fratello minore, si era svegliato sentendosi osservato.

"Che fai?" Biascicò, sbadigliando e stirandosi. "Mi controlli anche mentre dormo?"

James gli sorrise. "Non credere di essere così importante, mi sono solo svegliato prima di te, riflettevo prima di uscire."

"E a cosa pensavi di grazia, che ti svegli all'alba?"

"Beh, a come eravamo, anzi a come ero io. Uno stupido ragazzino scombinato che non faceva altro che infastidirti." Gregory brontolò, suo fratello stava diventando un sentimentale senza scampo.

"Eri un ragazzino curioso, e pieno di energia. E bisognoso di affetto."

Si liberò dalle coperte, il pigiama si aprì e lasciò intravvedere la cicatrice della ferita sul torace.

James rabbrividì, abbassò lo sguardo per non vederla.

"Sei dimagrito, non mi ero reso conto quanto." Mormorò sollevando lo sguardo, poi proseguì con convinzione. "Sei stato il fratello perfetto, quello a cui ricorrere in caso di bisogno."

Gregory alzò gli occhi al cielo e brontolò.

"Di un po' hanno sparato a me? O sulla tua testa? Che razza di discorsi fai?"

"Probabilmente dritto al mio cuore, da come soffro quando ti guardo." Greg si sedette sul letto e lo studiò con apprensione.

"Non riesci a superare quel giorno, vero? Eppure sono qui, dovresti mettere fine alla tua ansia. Io dovrei preoccuparmi, non tu!"

James, il viso addolorato, si alzò e a piedi scalzi si avvicinò al fratello, si sedette al suo fianco, sul bordo del letto sfatto. Erano vicini, i gomiti si sfioravano.

"È vero, non faccio che vederti soffocare nel sangue. È successo tutto così in fretta, come se il destino mi avesse presentato il conto per tutte le volte che sono stato un fratello bastardo e irriconoscente."

Gregory si stizzì e si alzò di scatto, agitò la mano in aria e camminò fino al centro della stanza.

"Basta, stai diventando paranoico! La devi smettere! Cresci James, non sono così buono, ti ho strigliato spesso e redarguito anche nel tuo lavoro."

Entrambi sapevano che non era propriamente così, Greg lo aveva incitato più che sgridato. Era James che, spesso, andava oltre, arrivando anche ad offenderlo.

"Oh avanti! Potresti addossarti la colpa di qualsiasi cosa, ma in realtà sei stato il fratello più generoso, più disponibile che potessi desiderare, mi hai praticamente cresciuto e io non facevo che pretendere la tua attenzione, ti tormentavo."

Greg in piedi davanti a lui, si portò la mano al centro del petto massaggiandosi la ferita, non riusciva a comprendere l'apprensione di James.

"Non sono un santo! Non so cosa ti prende, sono sempre lo stesso e fino a poco tempo fa mi detestavi!"

Il fratello minore lo raggiunse e lo prese per il braccio.

"Ho sbagliato tanto con te, solo ora vedo quanto sei stato presente, anche se non riuscivo ad ammetterlo."

Greg si scostò e lo fissò, i suoi occhi illuminati da una nuova consapevolezza. Sentiva la sua paura, forte e violenta che lo scuoteva da dentro, la sensazione del dolore della perdita. Fu gentile e protettivo come lo era sempre stato.

"Sei un uomo, fratello, hai la tua vita, la tua strada. Non siamo più bambini."

James rimase immobile, si portò le mani alla testa massaggiandosi le tempie e mormorò, con un filo di voce.

"Non posso, non senza di te! Niente avrebbe più senso."

Abbassò il capo, sembrava improvvisamente stanco e vinto.

Gregory sentì la stessa sensazione di abbandono e solitudine che aveva provato quando erano ragazzini. Istintivamente ripeté quel gesto che faceva spesso per consolarlo, lo prese per le braccia e gli fece appoggiare la testa sulla sua spalla, la fronte gli scaldava la pelle.

"Ho fatto quello che dovevo, fratellino ma ora sei consapevole che non sarò sempre al tuo fianco. Niente è per sempre James. Se ti ritrovi a dipendere da me in questo modo, vuol dire che ho fallito."

Il più giovane rimase fermo, le braccia inermi lungo i fianchi, respirava con affanno.

"Ho avuto paura, Gregory, il terrore di restare da solo."

Singhiozzò, e si lasciò andare a un pianto liberatorio. Gregory lasciò che sfogasse la sua angoscia, le sue lacrime gli bagnarono la spalla, per la prima volta si accorse di essere impotente e di quanto gli volesse bene.

La vita li aveva messi alla prova, stava a loro trovare una nuova strada da percorrere insieme.

Lo allontanò con delicatezza da sé.

"Anch'io pensavo di non vederti più, razza di stupido! Eppure siamo qui. Ora ricomponiti, fammi vedere che sei il fratello grintoso che mi piace così tanto. Va dalle tue reclute e strigliale, sei un bravo ufficiale."

Mantenne la calma, ma era solo apparente, dentro si sentiva morire.

"Forza, ti faccio contento, vado da John per la solita visita medica, che vi farà stare tranquilli tutti."

James annuì lentamente, si passò la manica sul volto per asciugarsi gli occhi. Esattamente come quando era bambino. Gregory sentì crescere la voglia di combattere per loro e soprattutto per lui. Gli pulsò dentro come una linfa rigenerante.

Si vestirono, consapevoli di aver fatto un passo in avanti. James in tuta mimetica, allacciò gli scarponi pesanti, prese il berretto. Ma prima che uscisse Greg lo fermò.

"Sai fratellino, c'è una cosa che ho avuto paura di non poterti dire quel giorno."

James si voltò facendosi serio, infilò le mani nelle tasche per nascondere l'insicurezza e tormentò la stoffa dei calzoni mimetici.

"Cosa?" Mormorò con poca forza.

"Che ti voglio bene, che te ne ho sempre voluto tanto e che desideravo continuassi la tua vita anche senza di me." Riprese a voce più bassa, senza guardarlo. "Il sangue mi soffocava e me lo impediva." Gregory sospirò. "Ora lo sai."

Gli occhi di James brillarono acquietati, fece due passi in avanti.

"L'ho sempre saputo. Sapevo cosa volevi dirmi quel giorno."

La voce era quasi afona, il fratello maggiore si avvicinò e lo avvolse in un abbraccio riconoscente. Lo sentì rilassarsi fra le sue braccia come se il peso di quella giornata devastante stesse scivolando via lentamente, insieme a tutta la rabbia, il rimpianto, il dolore e l'orgoglio ferito. Non c'era nulla di così forte che potesse guarire le ferite nell'animo del suo fratellino, come il calore di quel contatto.

Rimasero stretti, tremando e singhiozzando insieme, come se fossero tornati i bambini che erano stati.

Consapevoli che niente era per sempre.

Ma che l'amore che provavano valeva più di qualsiasi altra cosa al mondo.

 

 

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