Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli: Capitolo 1: *** prologo: Greg e James *** Capitolo 2: *** Tornare a vivere *** Capitolo 3: *** Ti abbiamo tenuto stretto *** Capitolo 4: *** Il passato e il suo prezzo *** Capitolo 5: *** Il fratello perfetto *** Capitolo 6: *** Niente è per sempre ***
Buongiorno,
eccomi qui con il mio nuovo racconto, spero vi regali una piccola
emozione. Buona lettura.
Ringrazio
con affetto @nooianooia per avermi seguito e sostenuto nella stesura di
questa storia. Condivido con lei la gioia di vederla realizzata.
-------------------------------------
Lo
sparo improvviso squarciò la quiete di quel
giovedì pomeriggio. Gregory si aggrappò a James
che lo tenne stretto, più stretto che poteva. La macchia di
sangue si allargò sul suo petto imbrattando la camicia
bianca.
"James..."
Mormorò Greg incredulo e lo fissò chiedendogli
aiuto ma lui, impietrito non sapeva che fare. Poteva solo tenerlo
stretto, abbracciato a sé.
"Non
mollare fratello. Non lasciarmi solo." Singhiozzò e le
lacrime gli rotolarono copiose sul volto, mentre gli occhi di Gregory
lo abbandonavano. In quel momento si rese conto di quanto suo fratello
contasse per lui ora che lo stava perdendo.
Sollevò
il volto e guardò il cielo, urlò tutta la sua
rabbia imprecando e maledicendo la sorte bastarda che si stava portando
via il suo unico fratello.
Non
riuscì a capacitarsi di doverlo perdere in quel modo
assurdo.
Gregory
osservò attento la sua immagine riflessa allo
specchio. Era dimagrito in quegli ultimi due mesi e il volto segnato
dalla
lunga degenza, era pallido. Strinse le labbra e si abbottonò
il gilet azzurro.
Passò la mano, eccessivamente magra e segnata dai lividi, tra i capelli neri. Erano troppo corti per
come la vedeva lui,
ma in clinica le infermiere lo avevano quasi rasato a zero, per
prevenire le
infezioni. Si consolò osservando quanto fossero
già ricresciuti e si ritenne
soddisfatto.
Rabbrividì
al ricordo di quei primi, dolorosi giorni in
rianimazione. Ora era fuori e quella era una bella giornata di sole.
Il
colonnello Gregory Devon, di stanza nella base militare londinese High
Wycombe, si avviò camminando
lentamente.
Aveva
strappato al suo amico John Roberts, il medico del presidio militare,
il
permesso di fare una passeggiata e aveva tutta l’intenzione
di godersela. Si
era vestito con la solita cura, anche se non indossava né la
divisa né i gradi,
era ancora in riabilitazione, e dopo aver annodato la cravatta, prese
la giacca
ed uscì.
Non
doveva sforzarsi troppo, John era stato chiaro: “Il permesso
di muoverti un po'
non significa che devi correre.” Scosse la testa, mentre
scendeva le scale, il suo amico era
un medico scrupoloso, forse
anche troppo.
Però
su una cosa aveva proprio
ragione, doveva dosare le forze, da quando lo avevano dimesso, erano
diventati
tutti moltoapprensivi.
Ma quel
pomeriggiosi sentiva
bene, pieno di vogliadi
vivere edi
recuperare il tempo perduto in quel letto d’ospedale
attaccato ai monitoraggi e
al respiratore, soprattutto a quello:emetteva
quel rumore fastidioso, che gli ronzava ancora nelle orecchie.
Incrociò
alcuni ufficiali che lo
salutarono con cordialità, felici di vedere che il loro
comandante si stava
riprendendo. Arrivò ai campi di allenamento e vide suo
fratello.
Quel
pazzo di James correva, incitando le reclute, sudato e pieno di vita.
Ne aveva
del fiato, non come lui che già ansimava per pochi passi.
Appena lo scorse
si fermò di botto,
come se fosse stato artigliato per le caviglie. Gregory sorrise,
vedendo il
volto del fratello minore, sorpreso e allo stesso tempo preoccupato nelvederlo lì.
James
arrivò trafelato fino alla rete
metallica che delimitava il campo, ci si aggrappò con le
dita e cominciò subito
a urlagli contro.
“Che
ci fai qui? Lo sa John? Non ti stai
affaticando troppo?”
Il sudore
gli gocciolava sugli occhi. Si asciugò la fronte e
tossì fissandolo preoccupato
ma Gregory lo tranquillizzò subito.
“Ho il
permesso del medico! Posso fare
due passi.” James, sospettoso respirò
più volte, gli occhi chiari che
scrutavano il fratello maggiore, il corpo asciutto teso per
l’emozione di
trovarselo davanti.
Sospirò,
poi annuì. “Va bene, ma vai a
sederti, congedo
le
reclute e ti raggiungo.”
“Fa
con comodo, ho tutto il tempo.”
Gregory fece i pochi passi che lo separavano dallapanchina
e si lasciò andare, soddisfatto di essere riuscito ad
arrivare fin lì.Faceva
caldo, il tepore
primaverile lo pervase, sentì il sole scaldargli il volto e
il corpo fino al
centro del petto, dove aveva la cicatrice. Gli avevano fatto un bel
buco nel
polmone.
Si tolse la
giacca e rimase con la
camicia e il gilet. Chiuse gli occhi e si sentì in pace,
respirando adagio e con
parsimonia, senza
rendersi conto del tempo che passava.
“Greg
stai bene? Che hai?” La voce
ansiosa del fratello gli fece riaprire gli occhi riportandolo indietro,
a un
tempo indefinito, forse a quando erano bambini. Lo vide spaventato e
gli
dispiacque.
“Sto
bene, mi stavo godendo il
sole.”
Scapigliato
e sudato, aveva fatto in fretta per raggiungerlo, si sedette al suo
fianco e lo
studiò con apprensione. Gregory vide tutta la
sua
paura, tatuata in quel volto fraterno che tanto amava.
James era un
ottimo istruttore
militare. Un ufficiale rispettato dai suoi sottoposti ma spesso lo
aveva
osteggiato, criticando le sue decisioni nel gestire la base. Lui ne
aveva
sofferto, perché quelle beghe erano come un veleno che li
allontanava. Molte
volte aveva sopportato in silenzio, sperando che svanissero, e invece
c’era
voluta una revolverata in pieno petto.
Quel
giovedì, di due
mesi prima James
si era letteralmente imbrattato nel suo
sangue, non riusciva a fermarlo, tanto usciva copioso da quel buco in
pieno
petto. Gli avevano sparato in quel modo devastante e improvviso che
sembrava
non lasciargli tempo. Suo fratello minore lo teneva in braccio,
incapace di
fare qualsiasi cosa. Per fortuna John era lì con loro.
Gregory
avvertiva ancora il suo
dolore, lo percepiva, incastrato sotto pelle, sapeva che non gli
sarebbe mai
passato.
Le rughe che
solcavano la sua fronte
erano un marchio indelebile.
Si
tirò su e James, con gentilezza, lo prese per il
braccio e lo aiutò a sedersi meglio.
“Cosa
c’è?
Sono vivo. E sono qui.” Il fratello minore
tentennò, strinse le labbra e lo
fissò serio.
“Non
è niente, forse mi
preoccupo troppo. Lo vedo che stai bene.” Replicò abbassando lo
sguardo.
Gregory
cercò di cambiare argomento. “Quanti chilometri
hai fatto? Sei tutto sudato
e... puzzi.”
“Non
ho mai
trovato nessuno che fosse profumato dopo aver corso e dato anche
l’anima.”
James rise e lasciò che la mano calda di suo fratello gli
stringesse il polso.
Greg sapeva che aveva temuto di perderlo e averlo vicino lo
rasserenava.
“Se
faccio una doccia, di quelle
potenti, ceniamo insieme stasera” Gregory lo fissò
divertito, e scosse la testa.
“Certo
che sì, ma devo avere il
permesso di John.”
“E lo
avrai, usciamo fratello. Ho
voglia di hamburger e patatine, mentre tu mangi una triste
insalata.”Lo
canzonò, battendogli benevolmente sulla spalla.
“Potrei
fare un’eccezione? Chiedo a
John se posso straviziare anch’io.”
“Ci
sgriderà ma se prometto che ti
controllerò forse ti darà il permesso. Un po' di
carne non ti farebbe male, sei
ancora debole.”
Prese il
cellulare dalla tasca e si
allontanò. “Lo chiamo io, tu rimani a goderti il
tramonto.”
Gregory
annuì lasciando la sicurezza
della mano di James, si appoggiò allo schienale. Lo
sentì parlottare.
“È
fatta. Vado a farmi la doccia. Si
esce! Il nostro buon dottore ci ha dato il consenso.” Lo
travolse con la sua
allegria contagiosa. Era un piccolo passo in avanti nella via della
guarigione
e per ora andava bene.
Mentre usciva
dal campo e andava allo
spogliatoio, James gli gridò impaziente.
“Non
ci
metto molto, Greg, fa il bravo.” Gli rispose con un gesto di
assenso agitando la mano.
Lo
guardò allontanarsi commossoela
ferita gli
rimandò una fitta fastidiosa.
Un solo
maledetto colpo a distanza
ravvicinata, così inaspettato e improvviso che né
James né John, che erano
presenti, erano riusciti ad evitarlo.
Era nato tutto
da una stupida
vendetta. Un affare di corruzione di cui si era occupato in passato.
L’ufficiale che aveva degradato, aveva coltivato un odio
folle nei suoi
confronti, che era sfociato nell’attentato, che gli era quasi
costato la
vita.
James era
sconvolto, dopo l’impatto del proiettile lo aveva afferrato e
lo aveva tenuto
stretto, poi aveva dovuto adagiarlo sul terreno.
Gli gridava
nelle orecchie che non
doveva mollare e lo stringeva da fargli male ma Gregory non riusciva a
reagire.
Il dolore devastante gli toglieva il fiato poi la bocca gli si era
riempita di
sangue facendolo tossire: stava soffocando.
Voleva urlare il
dolore sordo che gli
disintegrava il petto, e non gli usciva nulla se non dei rantoli.
James aveva smesso di piangere, seguiva gli
ordini di John, lui era il
più lucido dei tre. Suo fratello gli aveva premuto le mani
sul petto dolorosamente, cercando di
fermare l’emorragia del polmone perforato.
Se non fosse
stato per John, che era fortunatamente insieme a loro, ora non sarebbe
stato
lì. Era intervenuto subito, il buon dottore,
l’ufficiale medico della base,
l’amico che gli aveva salvato la vita.
Non si ricordava
molto di quello che
era successo, ma il volto di suo fratello, quello sì, le
lacrime che gli
cadevano addosso, mentre lo abbracciava, lo cullava. Soprattutto la
forza di
John, che non smetteva di adoperarsi. Non aveva mai perso la speranza,
cercando
di espandergli il polmone e farlo respirare.
Perché
era l’aria quella che gli
mancava.
Il resto era
adesso, era vivo,
acciaccato, con un buco che si stava rimarginando nel polmone, dopo
più di due
mesi di ospedale, di sofferenza e di dolore.
Ora poteva
camminare anche se il fiato
era ancora corto, John gli aveva garantito che sarebbe guarito
perfettamente,
ma doveva avere pazienza. Molta.
Ma
c’era qualcosa che non si
rimarginava, il ricordo del volto devastato di James che non si
rassegnava a
perderlo. No, quella era un’immagine che non avrebbe
dimenticato mai.
Lui, il
comandante affidabile e sicuro
di sé, quel
giovedì, aveva ceduto, aveva chiuso gli occhi stremato, al
limite, rassegnato
ad andarsene in quel modo assurdo, con il rimpianto di non riuscire a
consolare
suo fratello e dirgli che andava bene anche così.
James
singhiozzava
e ripeteva il suo nome come una
litania.
Gregory si era
rassegnato al fatto che
fosse finita, che non lo avrebbe più rivisto, non avrebbe
più litigato con lui,
più scherzato, più condiviso la sua vita. Lo dava
per scontato di avere tempo e
invece il tempo aveva chiuso la borsa.
Rabbrividì
stringendosi nelle braccia ma,
avvertì
una presenza rassicurante alle sue spalle, non era difficile capire che
James
era lì. Si sollevò e si ritrovò il suo
volto davanti.
“Niente
pensieri cattivi Gregory, lo
avevi promesso. Ora andiamo, sono pulito, profumato e
affamato… anche per
te.”
Lo guardava come
fosse un miracolo,
come se lui fosse un dono, una seconda possibilità. Aveva un
sorriso schietto
che gli riempiva il cuore.
Si
sollevò
adagio, senza sforzarsi, si lasciò aiutare dalle mani forti
di James. Si
appoggiò a lui. Sapeva che ora ci sarebbe stato sempre e
comunque.
Suo fratello
scherzò sorridendo, lo
aiutò a infilarsi la giacca e accarezzò con
noncuranza la sua mano ancora
segnata dagli ematomi degli aghi.
“Ho
fame, James spero che potrò
mangiare qualcosa. Non voglio guardare te rimpinzarti.”
Risero complici, come
non facevano da tempo, persi nella fretta della vita che richiedeva i
suoi
ritmi.
Si
lasciò condurre a braccetto, solo
per pochi metri, poi proseguì da solo. Gregory si
voltò a guardare il volto
serio del fratello minore, si fece intimo.
“Smetterai
mai di preoccuparti per
me?”
“Mai.
Non dopo lo scherzo che ci hanno
fatto.” James inspirò forte infilando le mani
nelle tasche,gli
occhi accesi dai raggi del sole che tramontava.
Gregory si rese conto di quanto la sua vicinanza fosse importante, non
era
scontata e ora ne aveva un assoluto bisogno.
Lo
affiancò,
camminavano vicini, James adeguava il passo al suo, non lo urtava con
inutili
raccomandazioni. Si sentì protetto, non disse nulla, prese
un lungo respiro,
quello che il suo polmone malandato gli consentiva e
pregustò la serata in
compagnia di suo fratello.
Il ristorante dove cenarono era
anche un fast food, James
ingurgitò tutto quello che si trovava nel piatto. Gregory
invece seguì le
direttive di John, prese mezza porzione di carne e dell'insalata. Non
poteva
appesantirsi troppo, forse più avanti quando il polmone si
fosse stabilizzato e
avesse funzionato a pieno regime.
"Jemy, ti sei mangiato di
tutto, mai visto uno con una fame come la tua." Si appoggiò
allo schienale
della sedia. Era contento della sua prima uscita e suo fratello
sembrava
sereno.
"Beh, però anche tu ne
avevi
di appetito, non facevi altro che assaggiare dal mio piatto. Per
fortuna non
c'era John, altrimenti chi lo sentiva." Ridacchiarono, James bevve un
altro sorso di birra, ne aveva un bel boccale. Vide la faccia
contrariata del
fratello che lo fissava.
"Solo un sorso. Prendi ancora
troppe medicine." James intuendo i suoi pensieri gli allungò
il boccale e
lui bevve assaporando con calma.
"Mi ero dimenticato quanto
fosse buona. Bevo solo acqua da un bel po'."
Suo fratello mugugnò
scuotendo la
testa, Greg sapeva che aveva promesso al dottore di tenerlo d'occhio e
che non
avrebbe dovuto concedergli troppo.
"Sei stanco?" Gli chiese
all'improvviso. Gregory arricciò le labbra, e scosse la
testa. Era diventato
troppo apprensivo.
"No, stai tranquillo. Mi
piace stare in mezzo alla gente. Restiamo ancora un po'?"
Si sentiva bene, più in
forze ora
che, finalmente, poteva vedere altre persone. Sorrise a suo fratello e
lui, per
un istante, lo ricambiò sereno.
Ma durò poco, lo vide
cambiare
espressione, una profonda ruga gli solcava la fronte, il volto era
teso, gli
occhi velati che non si staccavano da lui.
Lo stesso sguardo che aveva quel
giovedì. James stava rivivendo nuovamente quell'inferno.
"Forse è meglio che torniamo Greg. Io domani devo allenare
le
reclute."
Mormorò, toccandogli il
braccio e
lui capì, annuì rassegnato augurandosi che la
smettesse di torturarsi perché di
sicuro, non poteva continuare così.
Tornarono a casa in silenzio,
mentre suo fratello guidava accorto, Greg osservava dal finestrino
quanto fosse
bella la campagna inglese. Riusciva ad amare anche la foschia che
avvolgeva i
campi.
James ridacchiò. "Beh,
ti
sembra tutto così bello adesso? Prima odiavi la lontananza
da Londra."
Lui rimase con la testa rivolta
alla strada. "Le cose le apprezzi di più quando stai per
perderle."
"Sei diventato un filosofo o
è stata la birra?" James cercò di stemperare la
sua tristezza ma la sua
voce lo aveva tradito.
Greg si girò a fissarlo.
"Pensavo di non farcela, molte volte mi sono chiesto perché
mi sono
salvato."
"Perché ti abbiamo
tenuto
stretto Gregory, con tutta la forza che potevamo." Un nodo alla gola
non
gli permise di dire altro. La mano di Greg si appoggiò sulla
sua spalla.
"Sei stato paziente e
coraggioso, fratellino io stavo per mollare."
"Sei tu che mi hai insegnato
come proteggere la persona che ami. Sei stato un fratello maggiore
attento e io
uno stupido ragazzino." Gli si spezzò la voce. "Se non fosse
stato
per te mi sarei perso."
Il silenzio fu il terzo compagno
fino a quando arrivarono alla base militare.
Salirono le poche scale che
portavano ai dormitori e raggiunsero le loro stanze. John aveva
accettato di
dimetterlo a patto che non fosse stato solo la notte.
Lo giudicava ancora troppo
pericoloso, se fosse stato male, nessuno se ne sarebbe accorto fino al
mattino.
Così dormivano nella stanza di James, anche se Greg aveva
più volte protestato.
"Fino a che la saturazione
non sarà accettabile non resterai da solo. A casa tornerai
quando ti sarai
rimesso completamente." John era stato perentorio, perché il
suo respiro
non era ancora regolare e qualche apnea notturna c'era ancora.
Gregory si era sottomesso alla
decisione e aveva accettato di buon grado di condividere la stanza.
Così suo
fratello minore era diventato un provetto infermiere e prima di
coricarsi gli
somministrava tutte le medicine, controllava il saturimetro che gli
aveva
fornito il medico e, se tutto era in ordine, lo lasciava dormire.
Anche quella sera tutto era nella
norma.
"Ottimo, fratello
l'ossigenazione va bene. Si dorme."
Greg sbuffò avvilito,
mentre James
gli sfilava dal dito quell'aggeggio infernale. Si sentiva come un
invalido che
aveva bisogno di assistenza. L'irritazione gli crebbe dentro e
sbottò verso il
fratello.
"State diventando maniaci! Mi
controllate continuamente. Anche se vi dico che sto bene." Si
abbottonò il
pigiama, con le mani tremanti.
"lo so che è pesante
Greg, ma
devi seguire le indicazioni del medico. Sei vivo per miracolo, non
farmelo
ricordare."
Gregory si ficcò sotto
le coperte,
mordicchiava il lenzuolo con le labbra, chiuse gli occhi e rimase
silenzioso
"Avanti non fare il bambino,
Gregory. Lo sai che mi sono preso l'impegno con John e lo
porterò a termine.
Anche a costo di legarti a quel letto."
Lo rimbeccò mentre lo
fissava,
risentito dal suo atteggiamento infantile.
Greg aprì gli occhi
pronto a
litigare, ma quando lo vide in volto, sbollì di colpo.
Soffriva, gli si leggeva
in faccia che continuava a pensare a quel giorno.
"Senti James, prima passavamo
il tempo a litigare, io da una parte e tu dall'altra, mi contestavi in
tutto.
Ora sei diventato una vera ossessione. Cerca di calmarti, sono vivo per
Dio!" Rimase in silenzio, James torceva la stoffa del pigiama. Si
versò
dell'acqua e la bevve tutto d'un fiato.
Rispose, con lo sguardo basso.
"Lo so che abbiamo passato
buona parte della nostra vita a discutere, anche sulla più
piccola cosa ma,
quando ho pensato di perderti, tutto è cambiato. Sei mio
fratello e non voglio
correre rischi." Alzò la testa e gli puntò contro
l'indice. "Tu devi
stare bene. Devi guarire. Quindi ora smettila e dormi. Non ci saranno
litigi
tra noi, mai più."
Greg brontolò. Gli
uscì "Sei
un testardo."
Si girò di fianco,
stanco per
quella giornata diversa e, in breve, si addormentò.
Greg si addormentò non appena la sua testa toccò
il cuscino, ma James, non
pago, lo controllò, lo studiò ancora, poi visto
il suo respiro regolare, si
lasciò andare sotto le coperte e riuscì a dormire
fino alle prime luci del
giorno.
Ma alle sei, James era
già
sveglio, da quando dormivano insieme, riposava poco. Era teso, temeva
che Greg
avesse delle apnee. Ma suo fratello dormiva tranquillo, il respiro
regolare. Ne
fu lieto, quasi felice. Soddisfatto che stesse migliorando, si
voltò a fissare
il soffitto.
Avevano passato gli ultimi anni a
scontrarsi, reduci da incomprensioni dovute all'autorità
paterna, che li aveva
messi spesso in competizione. Erano eredi di un casato blasonato, pieno
di
rigide regole, cresciuti in una villa imponente e austera con il padre,
Sir
Anthony, e Mary la governante, che li accudiva da quando la loro
delicata madre
era morta troppo giovane.
Lui non ne ricordava né
il volto
né l'aspetto e spesso, quando erano bambini, era Greg che
glielo raccontava con
una maestria che lo incantava. Gregory era più grande di
cinque anni ed era
molto maturo per la sua età, mai gli aveva fatto pesare di
doversi prendere
cura di lui.
Quando la madre era morta, il loro
padre si era lasciato andare insieme a lei, non era mai riuscito ad
amarli,
soffocato dal rimpianto di non averla potuta salvare dalla malattia.
Ma Greg c'era sempre stato.
Spesso James finiva nelle mire di
sir Anthony perché era troppo irruente e indisciplinato.
Papà ricorreva alla
cinghia. Se lo
ricordava bene il volto addolorato di Greg che cercava di sostenerlo
mentre il
padre lo picchiava.
"Giù
i calzoni, mascalzone meriti una lezione." Gridò forte Sir
Anthony mentre
si sfilava la cinghia. Lui piagnucolava, Greg lo teneva stretto per
mano.
"Papà
non lo farò più, non voglio, la cinghia fa male."
Pianse disperato e Greg
lo abbracciò.
"Padre,
mi prendo la responsabilità io di tenerlo a freno. Lascialo
stare, sta già
imparando a essere giudizioso." Papà lo guardò
seccato, e lui annuì nellasperanza
di evitare le frustate. Ma valeva a
poco.
"Zitto
Greg, o le prendi anche tu." Furente sir Anthony spinse via suo
fratello
che finì a terra, ma si rialzò con fare
minaccioso e rimase al suo fianco,
mentre lui tremava di paura e stringeva il braccio a Greg, conscio
dell'imminente punizione.
Era
quello che spaventava così tanto James, non essere
all'altezza di Greg! Di suo
fratello che si adoperava per difenderlo e che per lui c'era sempre
stato. Quel
fratello che era il figlio perfetto e che fissava il loro padre con
odio
represso. James non capiva per quale motivo fosse tanto arrabbiato,
visto che
era sempre lui che finiva nei guai.
"Papà,
è piccolo, non lo farà più." Se li
ricordava bene gli occhi lucidi di
Greg, che imploravano il perdono per lui. Quella volta prese un sonoro
ceffone
e rimase zitto a massaggiarsi la guancia.
James
si calò i calzoncini rassegnato e pianse con le mani
appoggiate alla scrivania,
guardando disperato il fratello, che si mordeva le labbra per non
gridare. Le
sue mani sottili erano strette a pugno mentre cercava di sostenerlo con
lo
sguardo, e a ogni cinghiata che prendeva sussultava anche Greg. Fino a
quando
lui non resse più e cadde a terra, sotto la scrivania.
Fu
allora che Greg si infilò tra lui e il padre, gli si
buttò sopra e lo tenne al
sicuro sotto al suo corpo.
"Basta
papà. Non fargli del male, è piccolo. Non
è così che cambierà." Gridava
Greg, con tutto il fiato che aveva in gola. Singhiozzava e quella fu
l'unica
volta che lo sentì piangere. Lo proteggeva, leavrebbe
prese al suo posto.
Sir
Anthony infastidito e sorpreso da tanta veemenza, ebbe un moto di
istinto
paterno e li abbandonò lì, a terra, uscendo dallo
studio, sbattendo la porta. E
fu un miracolo, perché poteva finire nel peggiore dei modi.
L'abbraccio
di Greg fu pieno di amore fraterno, lo sentiva tremare mentre lo
consolava e lo
stringeva al suo corpo, attento a non aggravargli il male che aveva
subito. Lo
aiutò a rivestirsi con una cura che non avrebbe mai
più provato.
"Vieni,
ti porto da Mary lei ti farà stare meglio. Vedrai, non
sentirai dolore."
Lo trascinò letteralmente dalla vecchia nutrice che era la
loro unica famiglia.
Greg gli asciugò le lacrime e, mano nella mano, lo
portò al sicuro.
James si scosse si voltò
a guardare Gregory che dormiva ancora.
Contò i suoi respiri e si tranquillizzò.
Quel bastardo che gli aveva
sparato, aveva straziato non solo lui ma tutti quelli che gli volevano
bene.
Tornò a fissare il
soffitto, in
realtà senza vederlo. Si chiese se sarebbe sopravvissuto se
Greg se ne fosse
andato. La parola morto non riusciva a pronunciarla.
Morto era una parola pesante senza
via di uscita. Definitiva. E invece Greg era lì vicino a
lui. Doveva molto a
suo fratello maggiore, era stato il suo sostegno in tutti i
più importanti momenti
della sua vita. La mancanza della madre era stata una sofferenza
costante per
entrambi e il padre non era stato tenero con loro. Li aveva lasciati
crescere
con Mary. Inevitabilmente soli.
Era l'amore quello che gli era
sempre mancato. Quello che cercava disperatamente in suo fratello
maggiore, e
lui si era prodigato per crescerlo anche se era poco più
grande.
Gregory era stato perfetto.
Sempre, perfino quando si era
ritrovato alle prese con una sessualità che non conosceva,
che nessuno gli
aveva spiegato.
Sorrise, mentre si ricordava la
faccia spaventata e imberbe di suo fratello quando, una mattina, si era
svegliato con il suo pene di bambino, a cui avevano scherzosamente dato
il nome
di Gigi, che era rigido e turgido.
Era corso da Gregory piangendo. Lo
aveva scosso e svegliato.
"Che
hai? Mi lasci dormire?" Lo fissò arrabbiato con gli
occhi assonnati.
"Greg,
sto male."
"Male?
Cosa hai?" Singhiozzò, pensando che papà si
sarebbe arrabbiato per
l'ennesima volta. Non capiva bene cosa gli stesse succedendo ed era
convinto
che fosse colpa sua.
"Gigi
è diventato lungo e grande e non riesco a fare
pipì." Frignò sbattendo i
piedini nudi sul pavimento.
James soffocò una risata
ricordando la faccia sconvolta che aveva fatto Greg.
Era
allibito, ma poi lo tirò nel suo letto e lo avvolse
nella coperta,
stringendolo sé. "Non è niente stupido, sei
diventato un ometto."
"Ometto?
Cioè, dovrò girare con un
Gigi così grande? Ma sarò ridicolo."
Scoppiò
a ridere, suo fratello, benché fosse più grande
solo di cinque anni e avesse
risolto spesso quelle situazioni da solo. Le sue mani gli accarezzarono
i
capelli mossi. "Ma no, Gigi si allarga e poi ritorna com'era prima non
preoccuparti." Gli spiegò con naturalezza.
"E
perché, dovrebbe fare questa cosa stupida?" Chiese, curioso,
non capendo
cosa fosse quella sensazione strana che sentiva nell'inguine.
Greg
cercò di essere rassicurante. "Perché se un
giorno vorrai avere dei figli
Gigi dovrà comportarsi così"
"E
cosa devo fare per avere figli?" Il bel volto di Greg era contrariato.
"Ma non sai niente di come nascono i bambini?'"
Si sedette
con l'autorità da fratello maggiore e si appoggiò
alla spalliera del letto.
"No,
perché dovrei?" Era proprio un bambino ingenuo allora. Era
per quello che
amava così tanto Greg.
"Ti
ricordi nostra cugina? Lei insomma, hai visto che è diversa,
mentre facevamo il
bagno da piccoli?"
"Sì.
E allora?"
Greg
sospirò rassegnato e decise che era meglio rimandare
ulteriori spiegazioni.
"Magari
andiamo da Mary, lei ti dirà tutto. Temo di confonderti,
è più esperta. Va
bene?"
Suo
fratello lo fissò speranzoso, e lui accettò. "Va
bene chiederemo a
Mary."
Greg
respirò profondamente forse convinto che fosse finita
lì, e invece...
Gigi
era ancora lì ingombrante nei suoi slip, che reclamava
attenzione.
"Greg,
ma mi fa prurito e non torna come prima."
La faccia sconvolta e imbarazzata
del fratello maggiore era unica, la ricordava ancora.
Ridacchiò divertito,
mentre suo fratello dormiva inconsapevole di quei ricordi.
"Non
ti sei mai toccato Jemy? Cioè non hai mai sentito il bisogno
di accarezzarti
lì?" Gli indicò gli slip.
"No,
perché dovrei?'"
Greg
sbuffò al limite, doveva aver finito la pazienza.
"Ne
riparliamo, sei piccolo non capisci ancora." Ma lui prese a
piagnucolare e
a singhiozzare.
"Non
voglio restare così, aiutami. Se mi scopre papà,
lo sai come finisce."
Greg
gli tappò la bocca.
"Va
bene, va bene. Ma bada a tenerlo per te quello che ti spiego."
E
prese la decisione che solo un fratello amorevole come Greg poteva
prendere.
"Ascolta
ora ci giriamo di spalle e ti dico cosa fare." Si voltarono con le
schiene
appoggiate una contro l'altra, sotto la coperta, in modo da non potersi
vedere
in volto.
"Jemy,
accarezza Gigi, fai scivolare la mano lungo di lui, piano. Sentirai del
calore
e ti sembrerà sempre più bello. Lasciati andare,
Gigi si bagnerà, ma non avere
paura, si chiama sperma è il seme che ha l'uomo per
regalarlo alla donna e
farle avere dei figli." Lui si guardò gli slip perplesso.
"E
la donna dove lo mette?"
"Nella
pancia."
"E
come fa?"
Greg
borbottò qualcosa di incomprensibile.
"Quello
te lo spiega Mary ora pensiamo a fare scendere Gigi."
Cominciò
a toccarsi, a fare come diceva. Lui brontolava di schiena, si malediva
per
avere un fratello così ignorante e troppo ingenuo.
Piano,
successe qualcosa e prese ad agitarsi. "Sento dei brividi, ma mi piace.
Mi
fa sentire una cosa strana, che mi parte da Gigi. Greg mi pare che...
mi
succede una cosa... sta scoppiando." Strillò in preda al
panico.
"Sta
zitto! Non urlare hai capito? Se ci trovano così ci
ammazzano tutti e
due." Fu così che arrivò il primo avventuroso
orgasmo di James, ma urlò
per davvero.
Greg,
da vero contorsionista gli tappò la bocca con la mano senza
girarsi. Finché si
calmò, visto che ansimava come un cavallo.
"Zitto
Gesù! Stai buono, va tutto bene. È una cosa
normale."
"Ma
sono tutto bagnato, cosa faccio? Però Gigi è
sceso."
"E
meno male perché sennò ti sentivano tutti, e
avrei dovuto dire che ti stavo
picchiando."
Greg
rise, una bellissima risata che trattene a stento.
"Prendi."
Gli buttò il fazzoletto da dietro. "Asciugati e vatti a
lavare, non dirlo
a nessuno capito?"
"Va
bene. Ma allora Greg ho sprecato il mio seme?" Si asciugò
frettolosamente
prima di scendere dal letto e andare in bagno.
"Ne
hai tanto non ti preoccupare, poi andiamo da Mary che è
brava a spiegarti, ma
prima le parlo io."
Gli
batté sulla spalla curioso. "Greg, è stato bello.
Mi è piaciuto, mi
succederà di nuovo? Lo potrò fare ancora?"
"Tutte
le volte che vorrai, ma non in pubblico e senza strillare come hai
fatto."
Greg
si innervosì, erano troppe le domande a cui rispondere.
"Basta
che mi tocco Greg?" Suo fratello sbuffò e
minacciò con la mano per aria.
"Sì,
ma non esagerare, solo qualche volta."
Greg
si girò, si appoggiò alla spalliera e lo
fissò con gentilezza, gli scompigliò i
capelli.
"Stupido,
ti sei appena masturbato. Si dice così, lo si fa di
nascosto, ma non chiedermi
perché. Gli adulti non vogliono. Queste sono le regole."
"Tu
lo fai?" La domanda lo sorprese, ma fu sincero.
"Sì
a volte, ma non mi piace farlo spesso, non mi piace abusarne, anche se
a volte
mi fa stare meglio." Si era fatto triste. Ma James allora non
capì perché
lui era il maggiore ed era sopra l'infelicità.
"Ma
Gigi può scendere da solo?"
"Imparerai
a comandare tu e non lui" Lo accarezzò sulla fronte segnata
da uno
schiaffo del padre. Il suo volto si contrasse. "Va a lavarti per bene,
pulisci gli slip, e mettili nella lavatrice. Non vorrai che tutti lo
sappiano."
"Certo
che no! Ora sono un uomo, vero? Sarò come te?" Allora si
sentì pieno di
orgoglio e lo guardò con gli occhi che vedevano la bellezza
di quel fratello
paziente, che andava oltre agli schemi e che era padre, madre e amico
allo
stesso tempo.
"Ti
tratto come sempre fratellino. Forza dopo parliamo con Mary." Sospirò
rassegnato ma sorridendogli pieno di
orgoglio.
James guardò di nuovo
Gregory, che
russava, il respiro regolare, la fronte distesa.
Gli bruciarono gli occhi e una
lacrima gli scese lenta, bagnando il cuscino.
Si rese conto di quanto era stato
importante, di quanto tempo aveva sprecato a litigare, spinto da una
assurda
rivalità che gli aveva inculcato il padre e che Gregory non
aveva mai provato.
Sir Anthony Devon era morto da tre
anni, mentre tornava a casa da Londra, dopo essere stato
all'ambasciata. Lui e
anche il suo autista.
E Gregory si era caricato anche del
peso di portare avanti la villa ereditata dagli avi. I Devon Yorkshire
Avevano continuato a lavorare
insieme nella Base militare, dove Gregory era diventato un comandante
apprezzato e amato.
Era lui che lo criticava spesso e
lo riprendeva per le sue decisioni, ma Greg non si era mai lamentato,
limitandosi ad aspettare pazientemente che lui maturasse. Sapeva di
averlo
ferito inutilmente molte volte, dimenticandosi di tutto quello che
Gregory
aveva fatto per lui.
Quanto tempo perso in inutili
stupide beghe d'orgoglio.
Non sarebbe l'uomo che era
diventato se non fosse stato per la pazienza di Gregory Devon, suo
fratello
maggiore.
Gregory aprì un solo occhio e studiò suo fratello
minore, si era svegliato
sentendosi osservato.
"Che fai?" Biascicò,
sbadigliando e stirandosi. "Mi controlli anche mentre dormo?"
James gli sorrise. "Non
credere di essere così importante, mi sono solo svegliato
prima di te,
riflettevo prima di uscire."
"E a cosa pensavi di grazia,
che ti svegli all'alba?"
"Beh, a come eravamo, anzi a
come ero io. Uno stupido ragazzino scombinato che non faceva altro che
infastidirti." Gregory brontolò, suo fratello stava
diventando un
sentimentale senza scampo.
"Eri un ragazzino curioso, e
pieno di energia. E bisognoso di affetto."
Si liberò dalle coperte,
il
pigiama si aprì e lasciò intravvedere la
cicatrice della ferita sul torace.
James rabbrividì,
abbassò lo
sguardo per non vederla.
"Sei dimagrito, non mi ero
reso conto quanto." Mormorò sollevando lo sguardo, poi
proseguì con
convinzione. "Sei stato il fratello perfetto, quello a cui ricorrere in
caso di bisogno."
Gregory alzò gli occhi
al cielo e
brontolò.
"Di un po' hanno sparato a
me? O sulla tua testa? Che razza di discorsi fai?"
"Probabilmente dritto al mio
cuore, da come soffro quando ti guardo." Greg si sedette sul letto e lo
studiò con apprensione.
"Non riesci a superare quel
giorno, vero? Eppure sono qui, dovresti mettere fine alla tua ansia. Io
dovrei
preoccuparmi, non tu!"
James, il viso addolorato, si
alzò
e a piedi scalzi si avvicinò al fratello, si sedette al suo
fianco, sul bordo
del letto sfatto. Erano vicini, i gomiti si sfioravano.
"È vero, non faccio che
vederti
soffocare nel sangue. È successo tutto così in
fretta, come se il destino mi
avesse presentato il conto per tutte le volte che sono stato un
fratello
bastardo e irriconoscente."
Gregory si stizzì e si
alzò di
scatto, agitò la mano in aria e camminò fino al
centro della stanza.
"Basta, stai diventando
paranoico! La devi smettere! Cresci James, non sono così
buono, ti ho
strigliato spesso e redarguito anche nel tuo lavoro."
Entrambi sapevano che non era
propriamente così, Greg lo aveva incitato più che
sgridato. Era James che,
spesso, andava oltre, arrivando anche ad offenderlo.
"Oh avanti! Potresti
addossarti la colpa di qualsiasi cosa, ma in realtà sei
stato il fratello più
generoso, più disponibile che potessi desiderare, mi hai
praticamente cresciuto
e io non facevo che pretendere la tua attenzione, ti tormentavo."
Greg in piedi davanti a lui, si
portò la mano al centro del petto massaggiandosi la ferita,
non riusciva a
comprendere l'apprensione di James.
"Non sono un santo! Non so
cosa ti prende, sono sempre lo stesso e fino a poco tempo fa mi
detestavi!"
Il fratello minore lo raggiunse e
lo prese per il braccio.
"Ho sbagliato tanto con te,
solo ora vedo quanto sei stato presente, anche se non riuscivo ad
ammetterlo."
Greg si scostò e lo
fissò, i suoi
occhi illuminati da una nuova consapevolezza. Sentiva la sua paura,
forte e
violenta che lo scuoteva da dentro, la sensazione del dolore della
perdita. Fu
gentile e protettivo come lo era sempre stato.
"Sei un uomo, fratello, hai
la tua vita, la tua strada. Non siamo più bambini."
James rimase immobile, si
portò le
mani alla testa massaggiandosi le tempie e mormorò, con un
filo di voce.
"Non posso, non senza di te!
Niente avrebbe più senso."
Abbassò il capo,
sembrava
improvvisamente stanco e vinto.
Gregory sentì la stessa
sensazione
di abbandono e solitudine che aveva provato quando erano ragazzini.
Istintivamente ripeté quel gesto che faceva spesso per
consolarlo, lo prese per
le braccia e gli fece appoggiare la testa sulla sua spalla, la fronte
gli
scaldava la pelle.
"Ho fatto quello che dovevo,
fratellino ma ora sei consapevole che non sarò sempre al tuo
fianco. Niente è per
sempre James. Se ti
ritrovi a dipendere da me in questo modo, vuol dire che ho fallito."
Il più giovane rimase
fermo, le
braccia inermi lungo i fianchi, respirava con affanno.
"Ho avuto paura, Gregory, il
terrore di restare da solo."
Singhiozzò, e si
lasciò andare a
un pianto liberatorio. Gregory lasciò che sfogasse la sua
angoscia, le sue
lacrime gli bagnarono la spalla, per la prima volta si accorse di
essere
impotente e di quanto gli volesse bene.
La vita li aveva messi alla prova,
stava a loro trovare una nuova strada da percorrere insieme.
Lo allontanò con
delicatezza da
sé.
"Anch'io pensavo di non
vederti più, razza di stupido! Eppure siamo qui. Ora
ricomponiti, fammi vedere
che sei il fratello grintoso che mi piace così tanto. Va
dalle tue reclute e
strigliale, sei un bravo ufficiale."
Mantenne la calma, ma era solo
apparente,
dentro si sentiva morire.
"Forza, ti faccio contento,
vado da John per la solita visita medica, che vi farà stare
tranquilli
tutti."
James annuì lentamente,
si passò
la manica sul volto per asciugarsi gli occhi. Esattamente come quando
era bambino.
Gregory sentì crescere la voglia di combattere per loro e
soprattutto per lui.
Gli pulsò dentro come una linfa rigenerante.
Si vestirono, consapevoli di aver
fatto un passo in avanti. James in tuta mimetica, allacciò
gli scarponi
pesanti, prese il berretto. Ma prima che uscisse Greg lo
fermò.
"Sai fratellino, c'è una
cosa
che ho avuto paura di non poterti dire quel giorno."
James si voltò facendosi
serio,
infilò le mani nelle tasche per nascondere l'insicurezza e
tormentò la stoffa
dei calzoni mimetici.
"Cosa?" Mormorò con poca
forza.
"Che ti voglio bene, che te
ne ho sempre voluto tanto e che desideravo continuassi la tua vita
anche senza
di me." Riprese a voce più bassa, senza guardarlo. "Il
sangue mi
soffocava e me lo impediva." Gregory sospirò. "Ora lo sai."
Gli occhi di James brillarono
acquietati, fece due passi in avanti.
"L'ho sempre saputo. Sapevo
cosa volevi dirmi quel giorno."
La voce era quasi afona, il
fratello maggiore si avvicinò e lo avvolse in un abbraccio
riconoscente. Lo
sentì rilassarsi fra le sue braccia come se il peso di
quella giornata
devastante stesse scivolando via lentamente, insieme a tutta la rabbia,
il
rimpianto, il dolore e l'orgoglio ferito. Non c'era nulla di
così forte che
potesse guarire le ferite nell'animo del suo fratellino, come il calore
di quel
contatto.
Rimasero stretti, tremando e
singhiozzando insieme, come se fossero tornati i bambini che erano
stati.
Consapevoli che niente era per
sempre.
Ma che l'amore che provavano
valeva più di qualsiasi altra cosa al mondo.