Una lunga estate

di ONLYKORINE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Springfield non si smentisce mai ***
Capitolo 2: *** Inviti ***
Capitolo 3: *** L'uscita con Milhouse ***
Capitolo 4: *** Segreti ***
Capitolo 5: *** Problemi ***
Capitolo 6: *** Confidenze fra estranei ***
Capitolo 7: *** Birra per Maggie, grane per Nelson ***
Capitolo 8: *** Sorelle ***
Capitolo 9: *** Niente per il verso giusto ***
Capitolo 10: *** Incomprensioni ***
Capitolo 11: *** Pungoli e pungiglioni ***
Capitolo 12: *** Stecche e stoccate ***



Capitolo 1
*** Springfield non si smentisce mai ***


***Metto le note all'inizio perché mi sembra d'obbligo. Non so come andrà questa storia, non so come sarà, se sarà un flop oppure no, se ne sarò contenta o se deciderò di abbandonarla. PErò... Sono qui. E l'ho iniziata a scrivere, non so dove mi porterà (né tantomeno se il titolo è proprio il suo, devo ancora decidere) ma non ho trovato ff su questa coppia e allora, conscia del fatto che cadrò in una miriade di cliché e diventerà così OOC da diventare quasi un'originale... Io la scrivo. Grazie per l'attenzione. E, se vi va, leggete. 😊
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Springfield non si smentisce mai

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Lisa girò la chiave nel quadro dell’auto e non successe niente. Niente. La macchina di sua madre non dava segni di vita.
Sbuffò prima di posare il capo sul volante: era tornata a Springfield da poche ore e già quell’orribile città le stava dando il tormento. Si pentì di essere tornata: perché non era rimasta anche quell’estate a Cambridge a frequentare i corsi estivi? Eh, perché si era laureata e aveva promesso a sua madre di tornare almeno per un po’. E soprattutto perché non poteva permetterselo: se voleva frequentare il corso di veterinaria per la cura di animali selvatici, doveva risparmiare ogni dollaro.
Scese dall’auto, parcheggiata lungo la via davanti al piccolo fruttivendolo, e diede un calcio alla ruota anteriore. “Stupida auto!”
“Serve aiuto?”
Lisa si voltò verso la voce che l’aveva interpellata, pronta a ringraziare. “Sì, grazie. L’auto non si accende…” Si interruppe quando dovette alzare lo sguardo per guardare l’autista del carro attrezzi sulla corsia opposta. Quel ciuffo di capelli castani e quella smorfia sul viso giallo le erano familiari, ma non riusciva a inquadrare il ragazzo in questione: un bel ragazzo, fra l’altro.

 

“Lisa, Lisa Simpsons? La piccola Lisa è tornata a Springfield…” La ragazza sbarrò gli occhi e sbuffò, alzando poi lo sguardo al cielo. Il ragazzo pensò che l’avesse riconosciuto solo in quel momento.
“Nelson… Che piacere vederti” disse lei, ironica. Nelson non ci fece neanche caso e scese dal suo mezzo, lasciandolo nel bel mezzo della strada.
“Che succede?” chiese, avvicinandosi all’auto.
Lei si riscosse da qualcosa che le aveva preso i pensieri e, sorpresa, gli rispose: “Oh… Non lo so. La chiave gira, ma non si accende…”
“Posso?” Il ragazzo non aspettò che lei rispondesse, ma aprì la portiera e si accomodò sul sedile del guidatore. Girò la chiave e guardò il quadro: spento. “Mi sa che si è scaricata la batteria” spiegò a una Lisa ancora stranita.
“E come si fa?”
“Posso accenderti la macchina con i cavi, ma devi controllare la batteria. Potrebbe essere da cambiare.”

 

Lisa annuì alle parole di Nelson senza ascoltarle bene. Cosa doveva fare con la batteria?
“Ci sei? Hai capito?” Il viso del ragazzo era un po’ corrucciato e una ruga si era disegnata sulla sua fronte.
“Sì… Sì, ho capito. Va comprata nuova ma puoi accendere la macchina. Giusto?” Lui annuì ma lei ebbe il dubbio che non fosse troppo convinto che lei avesse capito davvero. Cosa verissima, comunque. Lisa si guardò intorno e poi si passò una mano fra le corte ciocche di capelli mentre sospirava.
“Esatto. Io te la accendo ma se non si ricarica conviene sostituirla. Stai andando a casa?” Lisa annuì ancora. Cosa gli interessava a Nelson se stesse andando a casa o no? “Se torni a casa, non c’è problema. Spiega a tuo padre o a Bart della batteria e loro sapranno cosa fare”.
“So anch’io comprare una batteria nuova!” esclamò, indignata.
Nelson rise scuotendo la testa in un modo che a Lisa fece mordere le labbra, e mise mano sotto al volante, facendo aprire il cofano dell’auto. “Va bene, va bene. Intanto vediamo di accenderla.”
Si spostò davanti all’auto e aprì il cofano. “Sembra vecchiotta… Io la cambierei. Vedete voi se…”
“Ho detto che…” Nelson rise ancora e alzò le spalle. “Allora valla a comprare tu, ma stai attenta, perché è possibile che la prossima volta che spegni l’auto poi non si accenda più, come è successo adesso”. Oh, e cosa sarebbe successo se non avesse trovato una batteria nuova?
Il ragazzo attraversò la strada e salì sul carro attrezzi. “Dove vai?” chiese, spaventata, Lisa. La stava lasciando lì? Lì con un auto in panne e… il cofano aperto?
“Prendo l’avviatore con i cavi e arrivo.”
Lisa si sentì un po’ stupida e annuì, osservandolo mentre parcheggiava il mezzo per lasciare libero il passaggio. Lui tornò con quello che le sembrò un trolley e iniziò, notò impressionata, con gesti sicuri, a snodare dei cavi elettrici.
“Sali in macchina e quando te lo dico metti in moto.”
Lei non pensò neanche a contraddirlo: aveva la patente ma non un’auto e non si era mai trovata in quella situazione.
“Vai!” Lisa girò la chiave e la macchina sussultò, prima di accendersi. Sì! Il rumore del motore le riempì le orecchie e lei si sentì vittoriosa. Anche se non aveva fatto niente.
“Grazie” disse, scendendo dall’auto e raggiungendolo vicino al cofano, improvvisamente più propensa nei confronti del ragazzo.

 

Nelson le fece segno di stare indietro e dopo un po’ iniziò a staccare le pinze: non doveva farsi distrarre, una volta era scattata una grossa scintilla e ci aveva quasi rimesso il naso e le sopracciglia.
“Ok, fai un giro lungo e lasciala accesa almeno per venti minuti, così magari si ricarica. Ma io la sostituirei lo stesso” le spiegò.
Lei annuì e guardò il cofano mentre Nelson gli dava il colpo per richiuderlo.
“Dove la compro una batteria qui a Springfield? E come si fa a sostituirla?” chiese poi, abbassando lo sguardo e guardandosi le scarpe. Nelson seguì il suo esempio e percorse con gli occhi il corpo della ragazza, forse guardandola veramente per la prima volta da quando aveva fermato il carro attrezzi. I capelli portati corti le lasciavano scoperta la curva del collo e lui continuò a scendere nonostante il brivido che provò a vedere la pelle gialla sparire sotto l’orlo della maglietta rossa. Una gonna marrone le copriva le cosce e le sue gambe, snelle e tornite, finivano dentro a due scarpette rosse dalla punta quadrata e il tacco grosso. Sospirò silenziosamente e guardò da un’atra parte per non dare l’impressione di volerla spogliare.
“Posso montarti una batteria usata per venti dollari.”

 

Lisa alzò lo sguardo improvvisamente: sarebbe stato perfetto! E gliela avrebbe data subito? La macchina le serviva per potersi spostare e comunque si sarebbe fatta ridare i soldi da sua madre.
“E… ce l’hai qui?” chiese infatti, guardando verso il carro attrezzi.
Il ragazzo si passò una mano fra i capelli. “Ehm, no. Ce l’ho in officina. Però, non è molto lontano, appena fuori Springfield”.
“Ok. Vengo a prenderla: fai strada.” Salì in macchina velocemente, si allacciò la cintura e guardò fuori dal finestrino, in attesa che lui si desse una mossa.

 

Nelson, che non si era neanche accorto di averle fatto quella proposta, si riscosse e raggiunse velocemente il carro attrezzi. Ma cosa aveva fatto? Perché le aveva detto che le avrebbe montato la batteria invece di dirle di andare in un supermercato o da un meccanico? Mise in moto e si immise sulla carreggiata, controllando che lei lo stesse seguendo. Quando vide l’auto lasciare il posteggio, si passò ancora una volta una mano fra i capelli: che Lisa Simpson fosse già tornata non andava bene. Che lui si fosse fermato a parlare con lei, neanche. Che stesse andando a casa sua, poi, non andava bene per niente.

***

-

Lisa seguì il mezzo per tutta la cittadina e continuò a seguirlo anche quando lasciarono il centro. Per tutto il tempo ebbe paura che improvvisamente l’auto si potesse spegnere, ma non accadde mai. Quando svoltò per una via laterale deserta e oltrepassò un grosso cancello, capì il perché l’officina di Nelson fosse fuori da Springfield: era uno sfasciacarrozze. Un enorme sfasciacarrozze.
Continuò a seguire il carro attrezzi lungo la strada ghiaiosa, in mezzo a macchine accatastate l’una sull’altra. Un grosso topo si fermò sul bordo e si raddrizzò sulle zampe posteriori, come per osservarla: chinò anche la testa di lato, come faceva il Piccolo aiutante di Babbo Natale tanti anni prima. Lisa rabbrividì. Dov’era capitata?

 

Nelson posteggiò e scese proprio davanti al portone dell’officina. Si voltò a guardare se la ragazza lo avesse effettivamente seguito e quando vide la macchina fermarsi dietro al mezzo, un po’ si sorprese: pensava che lei sarebbe scappata e che non avrebbe neanche oltrepassato il cancello.
Il cimitero delle macchine era una cosa obbrobriosa, sia da vedere che da tenere in cortile. Non era ancora riuscito a organizzare lo sgombero. Fece cenno a Lisa di venire più avanti e lei seguì le sue istruzioni. Strano: non aveva mai ubbidito in quella maniera. Mai e a nessuno. O la piccola Lisa era cambiata o aveva capito che non poteva fare diversamente.

 

Lisa scese dall’auto e non riuscì a non guardarsi intorno: l’odore del metallo era nauseante, le riempiva le narici e le dava un senso di vertigine, mentre le carcasse delle auto erano orribili da vedere, tutte schiacciate, con le lamiere a pezzi e i vetri infranti: sembrava una discarica. Per non parlare dell’altezza di quei rottami: superavano il tetto della struttura che c’era in mezzo al piazzale, dandole la sensazione di esserne sommersa.
Vide Nelson sparire oltre una saracinesca e continuò a osservare l’abitazione: era una casa. Una casa di quelle vecchie, con il porticato e le colonne a reggere la tettoia, probabilmente una volta era stata una fattoria. Poco lontano, nascosto dall’accumulo delle macerie, c’era una costruzione che ricordava un fienile. Probabilmente ora fungeva da garage.
“È casa tua?” gridò verso la saracinesca.
La risposta di Nelson fu un po’ strana, ma comunque affermativa.
Si avvicinò alla porta d’entrata quando sentì il forte abbaiare di un cane. Si guardò intorno, senza riuscire a capire da dove arrivasse il rumore, finché non vide arrivare, dal cortile laterale, un grosso cane nero. Lui abbaiava e il suo latrato rimbombava nelle orecchie di Lisa che indietreggiò. Le zampe del cane raschiavano la terra da tanto il suo correre era veloce e pesante. Di taglia media, sembrava un grosso bufalo impazzito e abbaiava così forte che la ragazza sentì vibrare lo orecchie e il petto. I suoi denti erano ben visibili e per un attimo lei si chiese se l’avrebbe morsa davvero.
Leggermente impaurita, ma conscia del fatto che non dovesse temere un animale, poiché aveva intenzione di curarli, Lisa si fermò a guardarlo arrivare.
E lui stava arrivando bello carico.

Lisa era ferma ad osservare il cane che correva verso di lei.
Un topolino corse, anche lui spaventato, per scappare dal cane e le passò sulla punta delle scarpe. Lisa gridò inorridita e sorpresa, facendo un saltello e un altro passo indietro, ma inciampò e cadde sul sedere, riuscendo solamente a osservare il topo che scappava e il cane che arrivata abbaiando. La sua non era una posizione favorevole. Trovarsi così in basso non aiutava il fatto di convincersi a non avere paura. Anzi… Osservò ancora il cane correrle incontro. Cosa sarebbe successo una volta che l’avesse raggiunta? L’avrebbe morsa? L’avrebbe attaccata e tenuta ferma?
Al suono di un fischio, forte, lungo e fastidioso, il cane si fermò, a due metri da lei, guardandosi intorno. Quando vide Nelson avvicinarsi a loro sorridendo, si infuriò ma non voleva darlo a vedere, così cercò di rialzarsi, ma si accorse che le gambe le tremavano un pochino.

 

Nelson aveva visto Batman scattare dalla sua cuccia appena la macchina di Lisa si era fermata nel cortile, non aveva pensato che il cane sarebbe corso all’impazzata così, abbaiando e spaventandola. Non lo teneva legato, che era un cane docile, nonostante il latrato pesante.
Probabilmente lei non lo sapeva, ma Batman era abituato a ‘far le feste’ a chiunque arrivasse, soprattutto se arrivava insieme a lui, ma lei doveva aver frainteso l’atteggiamento del cane.
Fischiò per richiamarlo, lo stesso rumore che gli aveva insegnato quando si allontanava troppo e per cui di solito veniva sgridato, così, quando si avvicinò lo fece sorridendo e con andatura rilassata: i cani capivano il linguaggio del corpo, in quella maniera gli avrebbe trasmesso serenità.
Si avvicinò a Batman, gli fece una carezza sulla testa e poi si diressero insieme verso Lisa, che era ancora in terra. Allungò una mano verso di lei e approcciò una scusa: “Non è abituato alle ragazze con i tacchi, lui non…”
Lei si tirò su e lo interruppe: “Di solito vengono con gli stivali impermeabili e la tuta protettiva?”

 

Lisa si pentì di aver detto quella brutta frase quando il sorriso sparì dal viso del ragazzo. Il cane nero, che si era avvicinato al suo fianco, le mise il muso vicino alla coscia e le leccò una mano. Lei abbassò lo sguardo e il suo cuore si intenerì quando vide i suoi occhioni. “Oh, come sei dolce!” Fece un po’ di carezze al cane e notò la targhetta con il nome: “Batman”.
“Batman! Hai un nome bellissimo!” Si chinò un po’ e, ridendo, continuò a strapazzarlo come faceva con il loro cane e il cuore le si strinse un po’, al pensiero che non ci fosse più da qualche anno. Si rialzò e, imbarazzata, prese a spolverarsi la gonna a pieghe. “Scusa, non avrei dovuto dire…”

 

“Lascia stare” la interruppe Nelson “qua non viene mai nessuno…”
Il ragazzo si girò e tornò verso l’entrata dell’officina. Così non vide che lei era veramente dispiaciuta.
“Dentro c’è il bagno, se vuoi…” disse, indicando la porta d’entrata di casa sua, ma non si girò per vedere se lei avesse accettato il suo invito o meno. Entrò nell’officina e si diresse velocemente verso l’armadio in fondo, dove sapeva di avere almeno un paio di batterie ancora funzionanti. Prima avesse fatto il lavoro, prima lei se ne sarebbe andata.

 

Lisa entrò dalla porta che lui aveva indicato e si trovò in un lungo corridoio. Curiosò in giro: le piaceva osservare i dettagli e le cose delle altre persone: si capiva tantissimo di loro anche solo guardando di cosa si circondavano.
La prima porta portava in una graziosa cucina. Era modesta e con il minimo essenziale: una cucina economica con il forno era accanto a un piccolo lavello, mentre un piano di lavoro ben attrezzato era sotto la finestra che dava sul cortile. Un tavolo e due sedie erano appoggiati alla parete da dove era entrata la ragazza. C’erano persino delle tende alla finestra. Era piccola, ma molto, molto carina. E in ordine. E pulita. Non si era aspettata nessuna delle due cose. Quindi Nelson viveva lì? Oltrepassò la porta della cucina e andò in cerca del bagno. Anche lì rimase sorpresa: piccolo e pulito.
Si lavò le mani e si inumidì la gonna, pulendola dalla polvere. Quando ebbe finito, prima di andarsene, si guardò intorno: amava i particolari. Aprì gli sportelli di fianco allo specchio e trovò il tubetto di dentifricio e uno spazzolino blu, afferrò il barattolo della schiuma da barba e poi il contenitore della lametta, li osservò e poi li rimise giù, prendendo un boccetto in vetro che doveva essere il dopobarba. Lo aprì e lo annusò. Quando chiuse gli occhi si rese conto di quello che stava facendo e lo rimise via velocemente. Doveva uscire subito.
Si girò velocemente: vide il box doccia e dietro la porta, appeso, un accappatoio grigio scuro. Passò le dita contro il vetro, mentre usciva, e cercò di immaginarsi la spugna avvolgere il corpo del ragazzo che stava aggiustando la sua macchina. La sua macchina! Era lì per quello! Non per curiosare nel bagno di un ragazzo! Uno come Nelson, poi!
Uscì dal bagno e dalla casa più velocemente di come era entrata e subito si diresse verso l’auto: lui stava trafficando dentro il vano motore, aveva metà del corpo coperto dal cofano e lei poteva benissimo vedere l’altra metà.
Indossava degli stivali che andavano di moda dieci anni prima ma che, notò Lisa, gli stavano effettivamente molto bene e i jeans erano attillati sulle cosce e sul sedere, forse per via della posizione che aveva assunto, ma non era assolutamente una brutta visione. Il cane era accucciato ai suoi piedi. Quando lui imprecò, spostando la testa, colpendo il metallo e imprecando ancora, si riscosse; lo aveva fatto di nuovo: si era scordata che fosse Nelson!
“Ci sei riuscito?” chiese lei avvicinandosi. Questa volta il cane non si mosse.

 

Nelson sbucò da sotto il cofano e sventolò una mano.
“Sì sì, mi sono solo scottato” disse. Era un idiota. Lo sapeva che la macchina era appena stata spenta, quindi il motore era caldo, perché aveva fatto la stupidata di toccare proprio lì?
“Comunque è a posto. Sali e prova ad accenderla.”
Lisa ubbidì e salì in macchina senza chiudere la portiera. Girò la chiave e il motore non sussultò neanche, si accese immediatamente. Scese sorridendo e tornò verso di lui, che stava cercando di darsi sollievo alla mano con uno straccio.
“Grazie!”
“Ti ho dato quella messa meglio. Cosa faccio di questa? La butto io o…” le chiese, indicando con la punta della scarpa la vecchia batteria. Lei annuì, guardando dentro al vano motore. Lui si passò di nuovo lo straccio sulla mano e si avvicinò, indicandole la batteria e spiegandole come funzionasse.
Non l’aveva mai vista sorridere così tanto in sua presenza.

 

Lisa vide l’interesse negli occhi del ragazzo mentre le spiegava come la batteria dell’auto si ricaricasse da sola mentre la macchina andava e quando non si caricava più, era inservibile. Notò anche la smorfia mentre si toccava la mano dove si era bruciato. “Dovresti metterla sotto l’acqua” suggerì. Lui annuì e disse che lo avrebbe fatto presto.
Lisa si riavvicinò alla macchina e prese la borsetta, ci frugò dentro, ma non trovò il portafoglio. Dov’era? Non lo aveva lasciato dal fruttivendolo, vero? Forse era caduto in auto. Guardò in macchina ma non c’era neanche sul tappetino. Dannata Springfield! Lo sapeva, lo sapeva, lei, che era una cattiva idea tornare lì.
“Non ho il portafogli…” iniziò a scusarsi, ma Nelson non c’era. Lo vide uscire dall’officina con uno straccio bagnato a coprirgli le dita scottate e gli andò incontro. “Scusami, non ho…”
“Ho sentito. Posso farmeli dare domani da Bart.”
“Bart?” chiese Lisa.
“Sì, passo in città, domani, vado al Jet Market e me li faccio dare da lui, ok? Ma digli che sono trenta dollari.”
Oh. Era vero. Bart lavorava per Apu. Sospirò. Ehi, un attimo, ma perché…
“Perché trenta dollari? Avevi detto venti!”
“Venti da te. Da Bart, trenta” spiegò, ridendo, il ragazzo.
“Allora te li porto io!”
“Va bene, dolcezza. Di sicuro, è meglio vedere te che Bart!” Nelson ammiccò e Lisa non seppe ribattere. Lui la osservò per un momento e Lisa si sentì trasparente. Trasparente ma desiderabile. Non era mai successo, neanche quando Milhouse le rivolgeva i suoi soliti complimenti.

 

Nelson si girò subito dopo aver detto quella sciocchezza e la salutò con la mano per non doverla guardare più. Non era riuscito a spiegarle che Bart avrebbe tirato sul prezzo e alla fine gli avrebbe dato comunque venti dollari. E l’aveva chiamata dolcezza! E ora era fregato: aveva appena fatto un lavoro per niente: non sarebbe mai andato da Bart a farsi prendere in giro per quello che aveva detto a sua sorella e lei non sarebbe mai tornata a portargli i soldi.
La guardò dal fondo dell’officina mentre, con la borsetta in mano e guardandosi intorno, risaliva in macchina e se ne andava.

 

***

Quella sera, dopo essere passata dal fruttivendolo e aver scoperto che il suo portafoglio era lì, ma senza più soldi, Lisa tornò a casa arrabbiata e, dopo aver salutato a malapena, si rifugiò in camera sua e si coricò sul letto.
Il suono della chiamata in arrivo sul cellulare le impedì di pensare, ancora una volta, di aver fatto un errore madornale.
“Kristen” rispose al telefono, dopo aver visto il nome della sua compagna di stanza del college, nonché unica migliore amica da tanto tempo.
“Lisa, tesoro, com’è andata? Come è stato tornare a casa?”
“Una merda. Ho perso dei soldi, la macchina mi ha lasciato a piedi e sono stata aggredita da un topo” spiegò, esagerando. Non voleva dire che era stata spaventata da un cane, perché si era sempre vantata di non averne paura.
“Oh, mamma mia, deve essere proprio un postaccio, questa Springfield! Ecco perché non volevi tornarci. E la tua famiglia? Che ha detto?”
“Riguardo a cosa, del topo?” E cosa avrebbe detto la sua famiglia quando avesse saputo che a casa di Nelson aveva annusato il suo dopobarba?
Dall’altro lato della comunicazione Kristen rise. “Ma no! Che ha detto la tua famiglia del lavoro?”
Lisa spalancò la bocca: si era completamente dimenticata di dire alla sua famiglia del lavoro!

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*** e niente... grazie di essere arrivati fino a qui.

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Capitolo 2
*** Inviti ***


Inviti
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Nelson si coprì con l’accappatoio e si guardò la mano: era rossa, dannazione. Ci mancava solo quello. Imprecò e si diresse verso la camera da letto, strofinandosi i capelli con una salvietta e la mano buona.
Il cellulare, posato poco prima sul comodino, suonò e vibrò e il ragazzo guardò il display prima di rispondere: Ellie.
“Pronto!”
“Ciao, tesoro!” Nelson sorrise: non c’erano guai in vista.
“Ciao, Ellie. Tutto bene?”
“Sì. Stasera ceniamo insieme”. Non era una domanda. Ellie era un terremoto.
“Davvero?”
“Sì. O hai altro da fare?”. Nelson sentiva chiaramente che stava facendo qualcosa mentre era al telefono con lui.
“No, assolutamente. E dove mangiamo?” chiese, anche se sapeva già la risposta.
“Da te!”
“E chi cucina?” Sapeva che Ellie adorava quel giochino fra di loro.
“Se cucino io dobbiamo chiamare i pompieri, lo sai”. Ellie rise mentre si muoveva. Nelson immaginò che avesse il telefono incastrato fra la spalla e il viso. L’aveva vista truccarsi così un sacco di volte. Chissà se anche Lisa lo faceva quando era al telefono. Ma forse lei non si truccava…
“Chi?” chiese la ragazza al di là della conversazione. Nelson capì di aver parlato senza riflettere e tossì.
“Cosa? Non ho detto niente, deve essere stata un’interferenza. Allora, vieni qui?” chiese, per deviare l’argomento. Sperò di non aver nominato Lisa chiaramente come lo aveva pensato.
“Sì. Vengo lì e mi cucini qualcosa di buono, ok?”
“Ok. Come vieni?”
Nelson non vide Ellie alzare le spalle, ma se la immaginò benissimo e sorrise. “Vengo con l’auto del vecchio. Stasera…”
“Ellie! Avete litigato ancora?” Nelson sospirò: ogni volta che Ellie litigava con suo padre, lo chiamava sempre ‘il vecchio’.
“Poi ti spiego. Vengo alle sette, ciao!”
Nelson appoggiò il telefono sospirando. Il guaio era che di solito era d’accordo con Trevor e doveva subirsi lo stesso tutte le lamentele della ragazza.
Si alzò dal letto e continuò ad asciugarsi i capelli. Cosa avrebbe potuto cucinare?

 

***

 

“Mamma?” Lisa si affacciò in cucina e guardò sua madre china sul piano di lavoro. Quando si voltò verso di lei vide chiaramente il suo viso invecchiato, le rughe vicino agli occhi, quelle sulla fronte e come la pelle gialla avesse perso la luminosità che la ragazza pensava indelebile. Ma poi Marge sorrise e tornò giovane come Lisa la ricordava.
“Tesoro, sei tornata!” esclamò, come se il fatto che fosse tornata a casa solo dopo quattro anni le dava la possibilità di sparire tutte le volte che varcava la soglia di casa.
“Sì. Avevo detto che sarei tornata, quando sono uscita.”
Si avvicinò a lei e la guardò tagliare le verdure per la cena. Per fortuna si era ricordata che non mangiava carne. Lisa sorrise.
“Richard verrà? Quando ce lo farai conoscere?” Lisa si bloccò di colpo: aveva allungato una mano per prendere delle noci dal portafrutta, ma si immobilizzò con il braccio in aria.
“Mamma… Devo dirti una cosa…”
“No! Vi siete lasciati? Mi dispiace!” Sua madre non la fece neanche finire di parlare e Lisa non riuscì a contraddirla. Non avrebbe detto niente. Non c’era differenza fra un ‘essersi lasciati’ e un ‘non essere mai stati insieme’ se alla fine il risultato era lo stesso, giusto? Marge continuò a tarolare di amori passati e perduti, di porte e portoni e di pesci nel mare mentre continuava ad affettare le verdure.
“…E poi chi lo sa, magari troverai un bel ragazzo proprio qui, a Springfield!” finì il suo monologo la madre. Lisa non disse niente: Springfield non le aveva riservato un buon bentornato per pensare di rimanerci, ma non voleva ancora discutere con sua madre.
In quel momento, dalla finestra del salotto si vide una macchina sportiva parcheggiare sul vialetto di casa Simpson e buttare giù la cassetta delle lettere. Homer si alzò dal divano senza quell’agilità che tanto non aveva mai posseduto neanche da giovane e aprì la porta urlando: “Milhouse! Brutto idiota, hai di nuovo rotto la cassetta della posta!”
“Mi scusi, Homer…” rispose il ragazzo scendendo dall’auto e guardando sconsolato il danno.
“Chiamami Signor Simpson!” gridò Homer prima di sbattere la porta e ritornare a sedersi sul divano.
“Speriamo solo che non sia Milhouse, ne siamo scampati una volta…” sussurrò sua madre più a se stessa che a Lisa, mentre osservava la scena dalla porta della cucina.
Lisa sospirò. Era stata con Milhouse al liceo. Aveva praticamente odiato il liceo, dopo il primo anno, quando ancora non aveva capito come funzionasse davvero. Era odiata da tutti, era definita la secchiona della scuola e qualche volta aveva fatto la spia quando qualcuno infrangeva le regole. Solo le lezioni erano interessanti, ma la maggior parte dei professori insegnava senza impegno né voglia e questo si sentiva benissimo. Lei ce l’aveva messa tutta, aveva organizzato corsi extrascolastici, manifestazioni e aveva lavorato per il giornalino scolastico. Ma gli altri studenti non apprezzavano il suo impegno nel sociale o il suo essere insistente, così alla fine, la lasciavano sola. Aveva fatto un sacco di cose, ma la sua mancanza di socializzazione aveva reso quegli anni un po’ pesanti.
O forse la odiavano perché stava con Milhouse? Poteva essere. Lisa ridacchiò portando la mano davanti alla bocca e cercò di rassicurare sua madre: “È bastata una volta anche per me, mamma”. Una volta durata un anno e mezzo e la sua verginità, ma una volta sola.
“Vai da tuo fratello e digli che sta arrivando Milhouse. Che non scappi detto a Bart cosa c’è per cena o quel piccolo scroccone tenterà di invitarsi: sua madre gli fa mangiare surgelati e non li scongela sempre!”
Lisa annuì spalancando gli occhi e salì le scale per tornare al primo piano. Passò davanti alla camera di Bart e lo sentì imprecare mentre giocava ai videogiochi. Bussò, ma non gli rispose, bussò ancora, ma lui non la invitò a entrare.
“Babi…” Lisa aprì piano la porta della stanza di suo fratello e lo chiamò, prima di fare irruzione, ma lui le dava le spalle, aveva le cuffie nelle orecchie e stava giocando alla play mentre dava ordini a qualcuno. “Babi…” Bart sobbalzò quando la sorella gli toccò la spalla e imprecò ancora.
“Lisa, diamine! Mi hai fatto morire!” Bart la guardò malissimo e poi toccò qualcosa vicino all’orecchio. “J-red, mi spiace, c’è quella rompiballe di mia sorella, ci becchiamo domani. Stessa ora”.
“Cavolo, Lisa, sei tornata oggi e già mi hai fracassato la…”
“Bart! Ma ti sembra il modo di darmi il bentornato?” esclamò Lisa, contrariata dal suo comportamento.
“Ma ti ho salutato stamattina! Quando sei tornata, no?” Lisa sbuffò. Ma era impensabile che suo fratello non fosse maturato neanche un pochino? Poco pochino? “Dai, siediti qui e guardami mentre gioco… ma stai zitta!” Lisa alzò gli occhi al cielo, ma si sedette sul piccolo divanetto accanto al fratello.
“Sta arrivando Milhouse” gli comunicò, mentre Bart riniziava a giocare, questa volta da solo.
“Cosa c’è per cena?” chiese lui, come se le cose fossero collegate.
“Non lo so. Cos’è che non piace a Milhouse? Surgelati?” Bart scoppiò a ridere e le diede una pacca sulla coscia. “Ascolta…” riniziò a parlare, subito dopo, sussurrando. “Oggi la macchina della mamma non si accendeva più e…”
“È la batteria che inizia a fare le bizze. Papone ha detto che la settimana prossima la va a comprare. No, lo ha detto due settimane fa…” Bart non la guardò e alzò il joypad come se dovesse accompagnare il protagonista del videogame nella sua corsa.
“Ecco! Beh, l’ho cambiata io. Ne ho presa una usata.”

 

Bart smise di giocare e si voltò verso la sorella. “Cosa hai fatto? E l’hai montata tu?”
Sua sorella lo aveva fatto davvero? Lisa si morse le labbra e guardò da un’altra parte.
“No, Babi… Mi hanno aiutato… L’ha fatto un tipo…” Bart tornò a giocare: aveva molto più senso.
“Quanto ti ha preso? Ti ha fregato?”
“Non lo so, io penso di no… Ha voluto venti dollari” rispose.
“Se te ne ha chiesti venti vuol dire che potevi tranquillamente tirare a dieci! Devo andare a farmeli ridare?“

 

Lisa rise: un po’ per l’atteggiamento del fratello e un po’ perché aveva capito perché Nelson pensava di chiedere di più a Bart.
“Penso che venti fosse il prezzo giusto” rispose. Ma tanto Bart aveva alzato le spalle come per dire ‘come vuoi’ e aveva ripreso a giocare, senza calcolarla più di tanto.
“Dove sei andata a fartelo fare?”
Lisa si morse di nuovo il labbro inferiore, indecisa se dirglielo o meno. “Da Nelson Muntz”.
Bart non staccò gli occhi dallo schermo. “Nelson è bravo. Hai fatto bene”.
Oh. Davvero? Lisa si incuriosì: non si era neanche voltato verso di lei come prima. “Lo pensi davvero?”
Suo fratello alzò le spalle. “Penso sia il meccanico migliore, qui a Springfield”. La ragazza aprì la bocca, ma non disse niente.
“Ma… Da quand’è che sei amico di Nelson?”
Bart alzò di nuovo le spalle. “Ci siamo trovati alla Springfield University insieme. Non lo vedevo dalle elementari… Ti ricordi che ha frequentato la Middle Town e non quella dove siamo andati noi?” Lisa annuì: loro gli anni delle medie e del liceo li avevano fatti in una scuola diversa da quella di Nelson. “Ecco, poi ci siamo trovati all’università. Abbiamo fatto amicizia lì. Lui era… diverso. Non so bene… Non mi sono fatto tante domande. Ora ci tiriamo pugni sul ring in palestra invece che nel cortile della scuola. È ancora più forte di me, ma almeno adesso è divertente”. Bart sorrise e Lisa si meravigliò ancora. Tirarsi pugni era divertente? Doveva essere una cosa da maschi, visto che non la capiva.

 

“Sei amico di Nelson!” La voce lagnosa di Milhouse fece girare Bart verso la porta.
“Milhouse, stai origliando?”
“Perché sei amico di Nelson? Sono io, il tuo migliore amico! Non è lui il tuo migliore amico, vero, Bart?”
“Beh, Milhouse, non è che tu sia proprio…” Il colpo che Bart ricevette da Lisa lo mise in guardia e cercò di cambiare strategia. “È che quando se  andato al college non c’era più nessuno che…” Questa volta, invece, venne interrotto direttamente dall’amico.
“Ma non dovevi sostituirmi! Sono io il tuo amico…”
Bart sbuffò: come odiava Milhouse quando faceva così la femminuccia. Era proprio odioso.

 

Milhouse aveva quel tono che a Lisa non era proprio mancato. Sembrava avesse ancora dieci anni invece di ventiquattro.
“Milhouse, sono sicura che tu sia ancora un caro amico di Bart, vero Bart?” Milhouse spalancò gli occhi, probabilmente non si era accorto che c’era anche lei. Lisa non lo vedeva dalla fine del liceo. Così come non aveva visto nessun altro.
“Lisa! Sei tornata! Come sei bella!” Il ragazzo, totalmente scordatosi del problema ‘miglior amico di Bart’, ora la stava guardando con uno sguardo un po’ viscido. Lisa ebbe un brivido.
“Già…”
“Posso baciarti?” chiese, avvicinandosi e sporgendo le labbra verso di lei.
“Oddio, Babi, aiutami” sussurrò.

“Hei, Milhouse, prendi un joypad, se vinci contro di me, puoi fermarti a cena.”
Il ragazzo dai capelli blu sorrise e annuì. I suoi occhiali si spostarono nel movimento e dovette sistemarseli. Lisa si alzò dal divanetto per far posto all’amico, ma lui riuscì a fermarla prima che riuscisse a scappare dalla camera.
“Però potremmo uscire insieme, cosa dici, Lisa? Sono passati tanti anni…” buttò lì la proposta, bloccandole la strada.
Lei non riuscì a negargli anche quello e sospirò. “Da amici, però” concesse.
“Certo, da amici. Una chiacchierata e basta. Domani?”
Lisa, pensando che lui volesse invitarla fuori a mangiare, cercò di far morire subito qualsiasi iniziativa che implicava l’impegno di troppo tempo.
“Ok, domani dopo cena. Da amici” chiarì. Milhouse non era di certo il tipo di ragazzo a cui avrebbe annusato il dopobarba nel mobiletto del bagno.
Si sentì le guance rosse, di nuovo, al pensiero di quello che aveva fatto nel pomeriggio e, con una scusa, uscì velocemente dalla stanza.
Entrò in camera sua e prese in mano il sax. O amico sax. Lo accarezzò e lo avvicinò alla bocca. Quando chiuse gli occhi e iniziò a soffiare, però, nessuna melodia uscì dallo strumento. O dal cuore di Lisa.

 

“Hai visto?” chiese Milhouse, eccitato, a Bart.
“Cosa?”
“È diventata rossa: le piaccio ancora!”
“Sarai diventato daltonico”. Il rumore dello scapaccione che gli rifilò Bart si sentì anche in cucina.

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***Eccomi! Come dicevo, non so se sto andando nella direzione giusta, quindi spero che la storia non sia uno schifo... Grazie a tutti quelli che leggono!

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Capitolo 3
*** L'uscita con Milhouse ***


L’uscita con Milhouse

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“Te lo ripeto: solo da amici, va bene?” Lisa cercò di mettere le cose in chiaro un’ultima volta prima di salire sull’auto sportiva di Milhouse.
“Certo, certo, come vuoi tu, mia principessa.”
Lisa sbuffò alzando gli occhi al cielo, già pentita di aver accettato, quando, una volta seduta, guardò l’auto dall’interno: era una macchina sportiva di ultimo modello, probabilmente. Non che lei ci capisse molto, ma sapeva ancora come giravano alcune cose.
“Bella macchina” si complimentò.
“Sì. Me l’ha regalata la mamma” spiegò lui.
Come? Lisa dovette trasformare una risata in un colpo di tosse. “Uhm… Tua madre?”
“Sì. Adesso lavoro con lei, sai?”
“Oh, bella cosa”. O no?
Milhouse alzò le spalle mentre metteva in moto l’auto e si spostarono dal marciapiede.
“Penso di sì, ma non la vedo mai. Facciamo orari diversi e mi ha messo a lavorare in un altro piano. Non posso dire che sono suo figlio e non possiamo mangiare insieme.”
Lisa spalancò gli occhi e fece un sorriso tirato per l’imbarazzo di quello che aveva detto. Uno di quei sorrisi che mettono in mostra solo i denti. Tutti. Sembrava un emoticon. Richiuse la bocca appena se ne accorse.
Dopo un po’ di giri per le vie serali di Springfield, il ragazzo prese la strada per PineHill, dove le coppiette andavano a imboscarsi nella pineta sulla collina, e Lisa si agitò.
“Milhouse, ho detto che uscivamo da amici…”
“Non preoccuparti, Lisa. Vedrai che sarà bello.”
Cosa? Cosa sarebbe stato bello? “Cosa?”
“Chiacchieriamo, dai” concesse lui.
Lisa non era del tutto convinta, ma non disse niente. Quando spense la macchina, allineata nel parcheggio della collina insieme alle altre, la ragazza non seppe più cosa dire. Cosa poteva raccontare a Milhouse? Niente. Assolutamente niente. Ma come al solito lui le aveva fatto pena e aveva accettato di uscirci. Ora se ne stava pentendo.
“Non mi dici niente?” le chiese lui dopo un po’.
Lisa, pensando che se non avesse aperto bocca lui ci avrebbe provato, disse la prima cosa stupida che le venne in mente. E il guaio è che non ci mise molto.
“Ieri ho avuto un problema con la macchina e Nelson mi ha aiutato”. La ragazza si sarebbe voluta strozzare da sola.
“Nelson? A quanto pare non è che abbia fatto molto da quando andavamo a scuola! Vive in quel posto orribile e pieno di ogni schifezza immaginabile. Sai che ha un cane cattivissimo che scatena contro la gente?” Lisa spalancò gli occhi: ma chi, Batman? Poteva sembrare un cane cattivissimo, ma in verità era molto dolce, pensò. Si guardò la mano, che il cane di Nelson aveva annusato e leccato con dolcezza e con cui lei gli aveva fatto le coccole.
“Non penso che…” cercò di interromperlo, ma Milhouse, forse reduce dal giorno prima, ce l’aveva a morte con il ragazzo e continuò la sua tiritera.
“Mia madre ha detto che hanno firmato una petizione, prima della fine del mese gli sequestreranno tutto se non ripulisce il cortile. Tu non sai quante cose ha davanti a casa sua: vecchie lavatrici, macchine, vecchi trattori, ha anche la carrozza di un treno. Ci fa i festini di notte, invita i suoi amici criminali e giocano d’azzardo insieme alle prostitute!”
Lisa non riusciva a crederci. Stava quasi per ridere, perché lei non aveva visto né trattori né vagoni e la tiritera dell’amico le sembrava un gran chiacchiericcio da bar, però aveva detto anche una cosa interessante…
“Che petizione?” chiese.
Milhouse, contento di avere l’attenzione della ragazza, continuò sulla sua strada. “Una petizione per cui gli porteranno via tutto: l’immondizia, la casa, anche il carro attrezzi e l’officina!”
Lisa sgranò gli occhi: gli avrebbero portato via tutto? Davvero? E quando? Ma poi… “Ma la casa è sua?” Milhouse alzò le spalle come se la cosa non gli interessasse e disse solamente: “Basta che lo buttino fuori dalla città…”
“Perché? Bart dice che non dà più fastidio a nessuno…”
“Bart!” La voce di Milhouse si fece carica di rabbia e il corpo gli vibrò di indignazione. Lisa capì il vero motivo per cui ce l’avesse a morte con Nelson. “Sei geloso di Bart? Perché ha detto che si frequentano?”
“Loro non si frequentano!” urlò il ragazzo, innervosito. Lisa decise di non infierire ulteriormente e stette zitta, un po’ preoccupata per l’amico e un po’ per il futuro dell’officina di Nelson.
Dopo poco il braccio del ragazzo si posò sul suo poggiatesta e lui si sporse pericolosamente verso di lei. “Milhouse, cosa stai facendo?”
Le labbra del ragazzo si arricciarono e si avvicinò ancora, sempre di più. Lisa si appiattì contro la portiera della macchina e cercò di tenerlo a bada. “Ascolta, io…”
“Sì, anch’io!” gridò Milhouse saltandole addosso. Lisa si bloccò nella posizione in cui era perché non si aspettava una cosa simile e il ragazzo ne approfittò per prenderla per le spalle e spingerla verso il finestrino. Si avvicinò ancora e le sue labbra si posarono violentemente su quelle di Lisa, mentre la sua lingua la invadeva.
“Milhouse, no. Avevamo detto che…”
“Dai, Lisa, diamine! Ti prego, solo qualche bacio!” Lisa scosse la testa e sospirò quando lui la baciò ancora, ma venne scossa da un brivido di disgusto quando la sua saliva le imbrattò le labbra. “No, no. Non…” disse lei, scostandolo e pulendosi le labbra con l’orlo della maglietta.
“Ma allora cosa siamo venuti a fare? Dai, dolcezza, ti ricordi quando abbiamo fatto l’amore? Quanto è stato bello, eh?”
Lisa, che al termine ‘dolcezza’ pensò a un altro ragazzo, si spazientì e lo ammonì: “Milhouse, è stato un disastro! Tu hai pianto e non è stato… sì, ecco un granchè…”
“Allora rifacciamolo! Ti giuro che stavolta…”
“Milhouse, ti prego, basta, non voglio far l’amore con te, siamo usciti da amici!”
“Ma quali amici, Lisa, io ti voglio!” Il ragazzo si sporse ancora e quando Lisa capì che non sarebbe riuscita a farlo smettere, aprì la portiera e scese dalla macchina. “Ma dove vai? Non puoi tornare a Springfield a piedi!” gridò lui.
“Oh, sì che posso!” borbottò Lisa, stringendosi nel golfino e guardandosi intorno: c’erano un sacco di macchine, in fila sulla collina, con la vista delle luci notturne della città, in alcune poteva vedere distintamente le ombre dei ragazzi avvinghiati a baciarsi. Qualche macchina aveva tirato dritto sulla piccola piazzola e si era avventurata nella pineta, dove c’era più privacy e i ragazzi facevano di più che scambiarsi qualche bacio.
La ragazza si voltò e si incamminò lungo la strada che scendeva verso la città: quante miglia erano? Sicuramente non troppe.

 

***

 

Dannati ragazzini che si imboscavano nella pineta dopo la pioggia! Nelson risalì sul suo automezzo e sbuffò. Ma poi sorrise quando contò le banconote che aveva in tasca: aveva quasi trecento dollari.
Non era la prima volta che qualcuno di quei mocciosi neopatentati si impantanasse nel fango e chiamasse il suo servizio per farsi aiutare. E capitava spesso che fossero ricchi figli di papà, a cui non andava di essere presi in giro da genitori e amici, o non volessero far sapere dov’erano o con chi, e gli chiedessero di tenere la bocca chiusa. E allora lì iniziava il suo momento.
Nelson mise in moto il carro attrezzi e abbassò il finestrino per godersi l’aria della sera: di solito non adorava particolarmente l’estate, non da quando non era più un adolescente, ma le ultime sere erano state serene e lui si era sentito bene, come quando la sera stappava una bottiglia di Duff sotto il portico di casa sua.
Fuori dalla pineta, oltrepassò il parcheggio pieno di macchine sportive e imboccò la strada buia che tornava a Springfield. Si strofinò un occhio quando vide qualcosa sul ciglio della strada e rallentò: non c’erano lampioni lì, infatti era per questo che Pinehill piaceva molto a chi preferiva discrezione. Quando notò che la creatura che camminava sul bordo della strada era una ragazza, di cui si distingueva nella notte solo la gonna che le sbatteva contro le gambe a ogni passo, rallentò ancora e tirò giù il finestrino dalla parte del passeggero. Chi diavolo poteva essere che scendeva a piedi dalla collina degli amori? Qualcuna che aveva sorpreso il fidanzato con un’altra? No, immaginò Nelson, altrimenti ci sarebbero state grida e schiamazzi e lui non aveva sentito niente. Forse… Una che aveva cambiato idea?
Mentre faceva queste supposizioni la ragazza inciampò e si sporse troppo verso la carreggiata, tanto da costringerlo a frenare bruscamente per non investirla e a suonare il clacson.

 

Lisa aveva sentito il rumore del motore e aveva visto le luci dei fari già da un po’ ma, immaginando che fosse Milhouse che la stesse cercando, aveva deciso di non girarsi. Fu quella maledetta radice che sporgeva fuori dal terreno a farla inciampare e lei per poco non cadde per terra.
Il suono del clacson la colse comunque di sorpresa e si ritrovò a gridare, girandosi verso la strada. Voleva farle avere un infarto?
“Lisa!” gridò una voce che riconobbe bene.
“Nelson?” chiese, di nuovo nel giro di due giorni, ma questa volta si scoprì molto più felice del giorno prima.
“Tutto… a posto?” Nelson si sporse verso il finestrino dal lato passeggero e lei annuì, abbracciandosi le spalle, nel fresco della sera.

 

“Vuoi un passaggio?” le chiese, quando lei fece quel gesto con le braccia. Cosa diavolo ci faceva lì? Con chi era venuta? Lisa annuì ancora e lui, allungando il braccio, le aprì la portiera, invitandola a salire.

 

Lisa ci pensò forse un secondo, o forse due, ma quando vide i fari di un’auto scendere la strada dal parcheggio, preferì accettare il passaggio e salire, tirandosi dietro lo sportello. “Grazie” disse solamente. Sperò che lui non le chiedesse cosa ci facesse lì, perché si sentiva un’emerita stupida ad aver creduto che Milhouse avesse accettato di uscire come semplici amici. Così preferì parlare lei. “A qualcuno si è scaricata la batteria dell’auto?” chiese, tentando di essere simpatica.
Il sorriso che si disegnò sul viso del ragazzo non aveva niente a che fare con il ghigno che lui aveva da ragazzino e lei si sentì un po’ strana, in quel momento. Forse era colpa della poca luce che c’era, che le faceva immaginare cose che non c’erano.

 

“A volte qualcuno rimane impantanato nel fango.”
Nelson non disse nient’altro. Non disse che di solito lo chiamavano alle ore più disparate o con pretese più o meno assurde. Non disse che lui li guardava tutti con sufficienza, loro, le loro macchine costose e i loro soldi.
“Mi spiace, quindi lavori sempre?” Come? Nelson si voltò verso la ragazza. Lei non lo aveva ancora guardato con sufficienza. Eppure era l’unica che potesse. O l’unica a cui lui lo avrebbe lasciato fare. Ma non voleva dire che i soldi guadagnati così erano i più facili, si sentiva… un ingannatore.
“E tu che facevi? Di solito non si torna a piedi da PineHill…” Nelson, che aveva imparato che l’attacco è la miglior difesa, decise di sviare la domanda, ma aveva sottovalutato la ragazza, che non si scompose minimamente.
“Se non vuoi rispondere, basta che non rispondi, Nelson”. Il suo naso si arricciò mentre parlava e lui pensò che c’era ancora quella ragazzina di otto anni che ricordava benissimo, lì sotto da qualche parte.

 

“Anche tu” rispose Nelson e Lisa sentì le guance calde.
Non prestò attenzione a dove stessero andando e quando si fermarono, vedendo che non erano nella via di casa sua, dove i suoi abitavano da sempre, un po’ si agitò: cosa aveva pensato Nelson quando le aveva offerto il passaggio? Lei aveva pensato che lui l’avrebbe riaccompagnata a casa e invece… Oddio, possibile che tutti i ragazzi fossero uguali? Possibile che ci fosse un altro posto come PineHill? La tristezza un po’ le fece male. Era troppo ingenua?
“Dove siamo?” chiese, sporgendosi verso il finestrino per guardare fuori: ma era tutto buio e non riusciva a vedere niente.

“Dove siamo?”
Il tono di voce della ragazza era sospettoso e Nelson non seppe se esserne contento o meno. Ma decise di non dar corda a certi pensieri e disse solamente: “Sembra che tu abbia bisogno di un gelato”.
“Gelato?” Lisa si voltò verso di lui e, probabilmente, vide il diner al di là della strada solo in quel momento, a giudicare dalla sua faccia.
“Sì” continuò Nelson, indicando il locale. “Sai, stamattina ho trovato questi sotto la porta di casa e ho pensato che il modo migliore per spenderli sia proprio il gelato…” Mostrò una banconota da venti dollari piegata.

 

Lisa aggrottò le sopracciglia riconoscendo il denaro che lei gli aveva infilato, con un biglietto, sotto la porta quando quella mattina era andata da lui per pagarlo e non lo aveva trovato.
“E quindi?” chiese, ancora stranita.
“Non vuoi una coppa di gelato con panna montata e noccioline? Ok, ti porto a casa…” La sua mano scattò alla chiave per riaccendere il carro attrezzi, quando Lisa si sentì smarrita.
“No, ok. Va bene il gelato. Ma la panna deve essere tanta” disse lei, indicandolo con il dito. Stava già pregustando il freddo del cioccolato sulla lingua, socchiudendo gli occhi all’idea delle righe che avrebbe mostrato il ricciolo di panna montata, mentre si vedeva già con il cucchiaino a rompere la crosticina bianca che si formava quando era a contatto con il freddo del gelato.

 

Nelson scese e aspettò che lei lo raggiungesse da quel lato del mezzo, prima di attraversare. Cercò comunque di non toccarla, non sfiorarla, non fare… niente. Si infilò le mani in tasca e lì le tenne fino a quando non entrarono nel locale.
Il ragazzo conosceva benissimo il diner: ci aveva lavorato sua madre, lo conoscevano tutti ed Ellie ci faceva il turno del pranzo, ora che non andava a scuola.
Il bancone lungo e lucido, con gli sgabelli e le tovagliette, i contenitori di condimenti e lo zucchero in barattolo lo fecero subito sentire a casa. Alle medie, quando sua madre aveva iniziato a frequentare Trevor e aveva iniziato ad avere un’esistenza equilibrata, Nelson ci aveva passato interi pomeriggi, su quel bancone. Ed era proprio lì che aveva conosciuto Trevor. E anche Ellie. Voltò lo sguardo e riconobbe con gli occhi della mente i tavoli e i divanetti rossi, la plastica rumorosa e consumata, i menù infilati con cura dietro ai barattoli di maionese e ketchup.
“Sicuro che qui ci sia il gelato?” gli chiese la sua accompagnatrice e Nelson dovette ammettere che forse non era stata una buona idea portarla lì, ma Lisa aveva quella faccia triste e lui aveva pensato subito a quando sua madre gli preparava la Happy Cup, come la chiamava lei, per risollevargli il morale quando era particolarmente giù.

 

“Sì, certo” rispose lui e le fece cenno di sedersi. Lisa si strinse nelle spalle e si avvicinò a un tavolo, strisciando sul divanetto di finta pelle e andando a sedersi vicino alla vetrina.
“Come va la mano?” gli chiese.
Lui alzò una spalla, si sedette di fronte a lei e poi si guardò la mano: non era messa malissimo, però, dopo il lavoro alla pineta, tutte e due non sembravano molto pulite. “Vado in bagno”.
Lisa non disse niente e guardò di nuovo fuori dalla vetrina.

 

Nelson uscì dal bagno e per un attimo pensò che lei non ci sarebbe stata. E invece era ancora lì. Lisa era seduta esattamente dove era dieci minuti prima, stava guardando il menù e sorrideva da sola. Era cambiata, dall’ultima volta che l’aveva vista o che le aveva parlato. Era più alta, più formosa, più… bella. Diavolo, Lisa Simpson era bella. MA questo, Nelson lo aveva sempre saputo. Lei era bella e intelligente. Sapeva anche che se ne sarebbe andata, un giorno, e aveva pensato che non sarebbe tornata più. E invece eccola lì. Lì, al diner di Springfield. Con lui. Ma che gli era venuto in mente? Doveva portarla a casa! Ecco cosa avrebbe dovuto fare: portarla a casa. E invece no.
“Nelson!” La voce di Ellie lo fece girare e quando vide la ragazza che usciva dalla stanza sul retro del bancone, tornò indietro di due passi.
“Ellie. Che fai qui?” La ragazza, con ancora il camice addosso, stava lavorando, ma di solito finiva alle quattro del pomeriggio.
“Sto coprendo anche il turno di Trisha. Tu, invece?” Scrollò le spalle: non sapeva bene cosa dire. “Beh, mi va benissimo, mi dai un passaggio a casa? Finisco fra quaranta minuti”.
Lui stava per risponderle qualcosa quando lei continuò, ma alzando la voce di un’ottava, come minimo. “Ma sei qui con una ragazza!” Nelson si voltò verso il tavolo dove era seduta Lisa, l’unico occupato nel locale e notò che lei li stava guardando tutti e due.
“Non è come pensi… Non è un…”
“A me sembra proprio una ragazza, Nelson!” Ellie ridacchiò e a Nelson ricordò molto la bambina che era stata anni prima.
“Non intendevo…”
“Oddio, che ottuso che sei! Ho capito cosa intendevi!” disse lei, avvicinandosi al tavolo, ma girando la testa verso di lui per sorridergli. “Non preoccuparti, faccio da sola!”

 

Lisa aveva sentito quella ragazza gridare il nome di Nelson con gioia e aveva alzato la testa, incuriosita, ma poi loro avevano parlato sottovoce e non aveva sentito cosa si fossero detti. Aveva continuato a osservarli, ma poi quando si erano voltati verso di lei, lui l’aveva beccata a guardarli e si era sentita un’intrusa. Chi era quella ragazza? E perché era così contenta di vedere Nelson?
Ma a lei cosa interessava? Erano fatti loro! Ma non riuscì a non guardarli. E a non sentire un po’ di emozione che le stringeva il petto.
Quando la ragazza si incamminò verso di lei, con un’andatura baldanzosa e gioiosa, Lisa notò che Nelson aveva una faccia preoccupata. Che fosse la sua ragazza e andasse da lei a chiederle cosa ci faceva al tavolo con lui? Un po’ preoccupata, anche se innocente, la guardò avvicinarsi.
“Ciao! Sono Ellie, Ellie Reed!” si presentò la ragazza, porgendole la mano. Lisa rimase un po’ stupita e guardò Nelson prima di stringerla. Lui alzò le spalle e si sedette di nuovo davanti a lei.
“Io sono Lisa Simpson…”
“Lisa Simpson? Lisa? Simpson? Davvero?” La ragazza impazzì alla notizia: i suoi occhi si spalancarono e anche la sua bocca fece lo stesso. Si voltò prima verso Nelson e poi ancora verso di lei e poi di nuovo verso il ragazzo.
Lisa, che ancora stringeva la sua mano, spalancò gli occhi preoccupata: che era successo? Perché quella ragazza conosceva il suo nome? E perché gridava contenta in quel modo?
“Sì, l’ultima volta che ho controllato era ancora il mio nome…”
“Oh, Nelson, perché non mi hai mai detto che conoscevi Lisa Simpson?” la ragazza si girò verso di lui e lui si strinse nelle spalle.
“Non pensavo fosse così importante.”
Lisa cercò di non rimanerci male: per un attimo aveva sperato che fosse stato proprio Nelson a parlare di lei alla ragazza. A… Ellie. C’era da dire che era simpatica, comunque. Suo fratello le aveva dato un bentornato molto più contenuto.
“Non pensavi fosse importante? Ma… Tu sai chi è lei?” chiese ancora Ellie.
“La sorella di Bart Simpson?” provò a dire.
Lisa si morse un labbro. Forte. Lei era la sorella di Bart Simpson per Nelson? Eh, sì, effettivamente, lei era proprio quello. Cos’altro avrebbe potuto essere? La fidanzatina di quando aveva dieci anni? Una storia durata un battito di ciglia? Chissà se Nelson sapeva di essere stato il suo primo bacio…
“Forse intendi Maggie Simpson? Comunque… Lei è la leggenda dello Springfield West High!” La ragazza, no, Ellie, perché dopo una presentazione del genere, da quel momento in poi sarebbe stata Ellie, continuò a raccontare con gli occhi spalancati. “Lei è la prima studentessa a essere uscita con il massimo dei voti dal liceo di Springfield West. Attiva in tantissime attività extrascolastiche, ha manifestato contro la vivisezione di rane e altri animali, ha fondato un club per i diritti delle donne, ha scritto per il giornalino della scuola e il giorno del ballo scolastico si è rifiutata di…”
“Ok, basta, basta…”
Lisa interruppe la ragazza quando arrivò al fatto che avesse saltato il ballo scolastico per protesta. Sua madre le aveva detto di non farlo. Aveva rifiutato tre inviti al ballo, anche se solo uno degno di nota, ed era rimasta ferma sulla sua decisione di protesta. Ma era stata l’unica. L’unica a non essere andata al suo ultimo ballo. E le altre ragazze, al College, avevano parlato tutte del ballo, nessuna non c’era andata per protesta. Neanche quelle che non avevano ricevuto nessun invito. C’erano andate da sole o in compagnia di altre amiche e si erano divertite.
Anche Kristen parlava ancora del Prom.

 

Nelson vide lo sguardo triste di Lisa e intervenne per fermare l’uragano Ellie. “Ellie, puoi farci portare una Happy Cup e una coca?”
Il ragazzo avrebbe preferito prendere una birra, una pinta di birra, se avesse potuto scegliere, vista la situazione in cui si era cacciato, ma alla fine aveva deciso per la coca cola. Qualcosa gli suggeriva che avrebbe dovuto essere lucido.
“Una Happy Cup? Perché? Che è successo?” chiese la ragazza, alzandosi dal divanetto e guardando verso le cucine. “Se è per te, Lisa, la faccio io. Sarò un onore. Vedrai che funzionerà!”
Ellie scappò via, tornò dietro il bancone e si intrufolò nel retro.
Nelson la guardò sparire e poi riposò lo sguardo su Lisa.
“Che voleva dire?” chiese lei, con la fronte aggrottata.
“La Happy Cup era un’invenzione di mia madre. Una grossa coppa di gelato quando la tua giornata è andata male o sei triste. Ti aiuta a farti tornare il sorriso”. Nelson alzò le spalle.

 

Lisa formò un cerchio perfetto con le labbra, ma non disse niente. Nelson pensava che lei avesse bisogno di un po’ di gelato. Perché pensava che fosse triste. Sentì le guance arrossarsi: lui aveva capito che era successo qualcosa di spiacevole? Tipo tutta la sua vita? Annuì e decise di tacere. Decise anche di tacitare il suo petto che implorava spiegazioni su quella giovane ragazza bellissima e ultra intraprendente che sembrava avere con Nelson una confidenza che lei gli invidiò tantissimo, così deviò l’argomento su qualcosa che per lei era molto più sicuro e stabile.
“Tua madre?” chiese soltanto: la madre di Nelson era abbastanza famosa a scuola, era stata abbandonata dal marito e faceva la spogliarellista per mantenere lei e il figlio. E anche se poi si era saputo che lui non l’aveva veramente abbandonata, non era cambiato molto e lei non sembrava proprio un esempio di materna virtù.

 

Nelson immaginava quello che tutti pensavano di sua madre quindi la domanda non lo stupì più di tanto. Ma si sentì in dovere di dare onore alla sua memoria.
“Quando avevo undici anni mia madre iniziò a frequentare un tipo. Io non lo capii subito, ma era una brava persona, uno a posto. In poco tempo lei mollò il suo lavoro e iniziò a servire qui, in questo diner e la nostra vita si normalizzò un po’. Non molto, ma un po’…”

 

Lisa ascoltava Nelson parlare di sua madre e della sua infanzia senza dire niente. Lui non la guardava negli occhi, ma raccontava solo quello che era successo. Senza grandi discorsi, senza cerimonie, solo… come accaddero le cose. La sua vita era cambiata una volta finite le elementari e quando aveva cominciato le medie, sua madre si era trovata un compagno. Un compagno vero, non come gli altri, aveva chiarito lui. Ecco quando Nelson era cambiato. Era bastata una vita normale.
“Così sei cambiato…” disse lei.
“Chi? Io? No, non sono cambiato per niente. Mi sono adeguato. Mia madre mi costringeva a stare qui il pomeriggio e controllava che facessi i compiti. La odiavo. Non ero più libero di andare in giro con gli altri e…”
Gli altri… Lisa li ricordava, gli altri bulli con cui lui girava: Patata, Secco e Spada. Erano tutti più grandi di Nelson. Chissà che fine avevano fatto.

 

Nelson si agitò un po’ sul divanetto. Lei non aveva capito. Pensava che lui fosse cambiato. E più le spiegava che lui non era cambiato per niente, più continuava a guardarlo con quel sorriso. Bellissimo, fra l’altro. I suoi denti bianchi brillavano e lui non era neanche sicuro che una cosa del genere potesse accadere.
“Frequentavo gli altri di nascosto e mia madre mi sgridava quando se ne accorgeva. E poi mi presentò Trevor. All’inizio odiavo Trevor. Pensavo fosse come tutti gli altri: che volesse far colpo su mia madre e fingesse di interessarsi a me. Ma poi ho capito: lui… ci teneva. Loro erano insieme da un po’ e quando andammo ad abitare insieme, mi insegnò a stare al mondo.”
Nelson fece una pausa pensando a quando, a quindici anni, lui e gli altri avevano rotto una gamba a un ragazzino e Trevor, che lo aveva scoperto, aveva promesso di non parlarne con sua madre soltanto a determinate condizioni. Nelson aveva accettato, sua madre lo aveva minacciato con l’iscrizione a una scuola militare e pensava che sarebbe stato più facile stare alle condizioni di Trevor.
Invece se n’era pentito: Trevor lo aveva obbligato a presentarsi a casa del ragazzo che avevano pestato, a scusarsi davanti ai suoi genitori e lo aveva obbligato ad andare a casa sua ogni giorno finché lui non aveva tolto il gesso e ripreso a camminare da solo. Aveva dovuto servire il ragazzo, aiutarlo e obbedirgli. All’inizio era stato umiliante, i primi due giorni erano stati una lezione amara, in quanto lui si era voluto vendicare, ma poi, avevano iniziato a farsi compagnia a vicenda e ora, Nelson, poteva tranquillamente sostenere che Steve Sprike fosse uno dei suoi migliori amici. Era stata una lezione di vita, ma Nelson non lo aveva capito subito.
“E ora?”
Nelson ritornò al presente e non seppe cosa gli stava chiedendo la ragazza. “Ora cosa?”
“Tua madre. Lavora ancora qui?”
“No, mia madre è morta qualche anno fa…”

 

Oh, cavolo. La madre di Nelson era morta. “Oh, mi spiace, io…”
“Non preoccuparti” disse lui, scuotendo le spalle. Ma poi il suo sguardo si voltò verso il bancone del locale.
Non sapendo più cosa dire chiese di Trevor. Che fine aveva fatto, almeno lui? Era ancora in zona?
La voce di Ellie, che reggeva un vassoio con una grossa coppa di gelato e una coca, interruppe i suoi pensieri, rispondendo alla sua domanda: “Trevor? Il vecchio è a casa che guarda il baseball, ci scommetto. Anzi, di sicuro dormirà e quando lo sveglierò mi dirà che non stava dormendo!”
Come? Lisa non riusciva a concentrarsi mentre la mano esperta di Ellie le appoggiava davanti la più bella coppa gelato che avesse mai visto, intanto che la ragazza parlava.
]

 

“Ellie…” Nelson cercò di sgridare la ragazza, ma non riuscì ad andare avanti.
“Sì, Nelson, lo so, lo so… ‘Ellie non chiamare tuo padre vecchio solo perché non vuole che ti faccia un tatuaggio o il piercing sulla lingua…’ ne abbiamo già parlato, dai, lasciami sfogare…”
“Padre?” La voce di Lisa arrivò un po’ stranita da dietro la coppa gelato. Nelson la guardò e cercò di scusarsi con un’occhiata che comunque lei non poté vedere.
“Non parlavate di Trevor Reed, fratellone?” Ellie si fece graziosamente curiosa mentre gli rivolgeva la domanda.

 

Il padre di Ellie. Il compagno della madre di Nelson era il padre di Ellie. Mentre la ragazza continuava a guardarla stranita, Lisa prese il cucchiaino e lo affondò nella panna fino a rompere la famosa crosticina a contatto con il gelato. Sorrise mentre portava il suo bottino alle labbra: buonissimo.
“Quindi siete fratelli?” chiese, mentre affogava il cucchiaino nel gelato.
Oh, la Happy Cup stava funzionando davvero.


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***Eccomi! La storia va avanti, anche se io sono ancora insicura... Spero che a qualcuno piaccia. :-)

 

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Capitolo 4
*** Segreti ***


Segreti

 

 

In quel momento un uomo entrò al diner facendo suonare il campanello appeso alla porta, un regalo degli anni ottanta probabilmente, ed Ellie gli andò incontro.
Una volta rimasti al tavolo da soli, Lisa disse: “Non ricordavo che avessi una sorella. Forse i vostri genitori si sono messi insieme dopo le elementari?”
Nelson annuì. “Sì, ero alle medie”.
Lisa gli sorrise, ma lui non la vide perché era concentrato sulla sua coca.
“Allora sei cambiato per Ellie…” disse, affondando di nuovo il cucchiaino: quel gelato era buonissimo.

 

Nelson sbuffò. Perché lei continuava con quella storia che fosse cambiato? Perché voleva a tutti i costi pensarlo?
“Non sono cambiato.”
La sua voce era un po’ sostenuta, se ne rese conto da solo, ma l’argomento lo stava facendo innervosire.
“Non sei cambiato, dici… Quindi picchi ancora i ragazzini?” Nelson si agitò sul divanetto e guardò verso Ellie, che stava facendo accomodare il nuovo cliente in fondo al locale.
“Non sono più un ragazzino.”
“Quindi picchi quelli della tua età?” Lo sguardo di Lisa era tremendo, proprio come lei: petulante e smanioso di particolari.
“Non picchio nessuno perché al prossimo arresto finisco dentro.”
Sperò che quella frase le facesse capire che non era un argomento di cui gli piacesse parlare. Ma lei era la piccola Lisa Simpson e non si fermò.
E Nelson aveva anche immaginato che sarebbe potuto succedere.

 

Lisa pensava che lui avesse detto quella frase per infastidirla, ma non si fece ingannare, quando si metteva in testa qualcosa ci arrivava fino in fondo, così pensò di provocarlo.
“Ah, e ti hanno arrestato parecchie volte?”

 

Nelson guardò ancora verso Ellie, che stava tornando verso di loro, sperando che lei potesse dare un freno alla lingua della sua amica. Ma la ragazza non si risedette e tirò dritto per raggiungere la cucina.
Si girò a guardare Lisa e lei sostenne il suo sguardo. Nelson lo abbassò e tracannò un lungo sorso.

 

Lisa pensò di aver fatto una gaffe. Lo avevano arrestato davvero? Aveva pensato che lui avesse esagerato apposta. Decise di cambiare argomento e alzare la bandierina della pace. “Bart mi ha detto che vi siete incontrati all’università di Springfield”.
“Già. Cos’è, sai già tutto e volevi una conferma da me?” Lisa sbarrò gli occhi. Sapere cosa?
“Come? Io… Volevo cambiare argomento. Forse…” Si guardò intorno, e poi pensò che forse sarebbe stato il caso di uscire e tornare a casa. Da sola.

 

Nelson riconobbe, sul viso di Lisa, la sincerità. Lei non lo aveva detto apposta. Sospirò.
“Forse sono suscettibile sull’argomento. È che sono stato espulso dalla Springfield University proprio perché sono stato arrestato e pensavo che avessi domandato per…” si interruppe e lei scosse la testa.
“Scusami, no, non lo sapevo.”

 

Lisa si dispiacque. Così Nelson non aveva continuato l’università? Se c’era arrivato, non era uno stupido anche se lei sapeva già che non lo fosse. Era proprio un peccato. Una cosa simile a Bart. Solamente che Bart aveva lasciato l’università perché era stato bocciato.
Finì tutto il gelato in silenzio senza chiedere più nulla e poi appoggiò il cucchiaino. Lo guardò mentre finiva la coca. Cercò di ricordarsi qualcosa che gli aveva detto Bart e che avrebbe potuto usare.
“Bart dice che vi prendete ancora a pugni, però.”
Cercò di dare alla frase l’intonazione giusta e capì di aver fatto centro quando vide un piccolo ghigno, quasi un sorrisetto, comparire sulle labbra del ragazzo.

 

Nelson sorrise senza accorgersene. Bart intendeva il ring della palestra. Se non ci fosse stata la palestra Nelson non era sicuro che sarebbe riuscito a tirare avanti. Trevor lo aveva portato in palestra la prima volta quando aveva tredici anni. E Nelson aveva iniziato a tirare pugni al sacco invece che agli altri ragazzi. Era meglio in quanto poteva andare avanti finché non ce la faceva più e si trovava esausto e non fino a quando arrivavano i genitori o la polizia e lui doveva scappare.
Tornare a casa con le ossa rotte e la stanchezza sulle spalle era terapeutico. Tutte le volte.
Logicamente aveva continuato a fare qualche cazzata, ma frequentando Patata, Secco e Spada molto meno di prima, le occasioni erano diminuite parecchio. Anche se a volte se l’era andata a cercare.
La voce di Ellie lo riportò al presente. “Eccomi qui! Cavolo, sono stanchissima…” disse, sospirando.
“A che ora sei arrivata?” le chiese Nelson guardando l’orologio che aveva al polso: erano le dieci.
“Ho iniziato al solito orario, ma non c’era nessuno oggi al turno del pomeriggio e mi sono fermata.”
“Perché non c’era nessuno? Trisha è malata?”
La ragazza alzò le spalle.
“Trisha è andata a PortLand da sua madre, che non sta bene. Il problema è che anche un’altra ragazza è rimasta a casa. Domani il capo dovrebbe mettere il cartello per cercare personale, non possiamo andare avanti così, anche facendo un giorno per uno è impossibile…”

 

Lisa drizzò le orecchie: poteva essere una buona occasione. “Cercate personale? Posso candidarmi?”
Ellie annuì. “Aspetta” disse quando il cliente in fondo aveva alzato la mano. “Torno subito e ti spiego”.
“Perché vuoi venire a lavorare qui?” le chiese Nelson, una volta rimasti soli, aggrottando la fronte.
“Perché no?” rispose lei.

 

Nelson alzò un sopracciglio praticamente senza accorgersene. Perché Lisa voleva servire al diner? Non avrebbe dovuto fare… qualsiasi cosa per cui avesse studiato?
“Non mi sembra una cosa adatta a te…” rispose un po’ impacciato. Non voleva dire che lei non doveva lavorare lì, per non mancare di rispetto alla madre e alla sorella, ma non capiva proprio perché lei volesse farlo.
“È un lavoro. E io ho un prestito studentesco da pagare.”
Come? Lei aveva cosa?
“Ma non ti avevano dato una borsa di studio?”

 

Lisa spalancò la bocca. E lui come faceva a saperlo?
“E te che ne sai?”
Il ragazzo alzò le spalle. “Se non l’hanno data a te, la borsa di studio, non vedo proprio chi avrebbe potuto meritarselo”.
Le sue parole, dette di getto e, probabilmente, senza rifletterci su tanto, fecero uno strano effetto su di Lisa. Lui pensava che lei fosse intelligente e una persona degna di una borsa di studio.
“Bhe, Nelson, diciamo che non sei l’unico a nascondere segreti: la borsa di studio non copriva tutto e valeva solo nel caso ci fossero stati determinati requisiti. E uno di questi era avere una media alta. Molto alta. Purtroppo il mio terzo anno non è stato proprio…” Lisa si interruppe e cercò le parole per spiegare meglio la situazione.

 

Nelson osservò il viso di Lisa intristirsi e capì che la cosa la infastidiva particolarmente, così decise di intervenire. “Spero che tu ti sia divertita, allora, al tuo terzo anno!” Alzò il bicchiere come in un brindisi e si dissetò.
Lisa alzò le spalle. Mmm. Qualcosa diceva a Nelson che non aveva avuto una media bassa perché impegnata in qualcosa di divertente.
Alzò un sopracciglio quasi senza accorgersene: Lisa Simpson non aveva imparato l’arte del divertimento neanche al college. E quindi che aveva fatto? Aveva solo studiato? Davvero?

 

Lisa riconobbe un’espressione di pena e di scherno sul volto di Nelson, che le ricordò tantissimo il bulletto di dieci anni che faceva dispetti nei corridoi della scuola, e si arrabbiò mentalmente.
Forse non si era divertita come gli altri, e Lisa lo sapeva benissimo, ma non voleva dire che lei non fosse una persona che sapeva come divertirsi. Improvvisamente, avrebbe voluto che Nelson pensasse che lei fosse una che passava il tempo a divertirsi. O che fosse divertente.
Si morse il labbro. Lei era comunque una persona divertente, giusto? Appena fosse arrivata a casa avrebbe mandato un messaggio a Kristen e glielo avrebbe chiesto: lei era sempre sincera, anche quando doveva dire le cose brutte.
Per un attimo valutò l’idea di raccontarle della sua serata.

 

Nelson stava per dire qualcosa per consolare la ragazza, qualcosa di cui si sarebbe pentito, probabilmente, ma che magari l’avrebbe fatta sorridere, quando Ellie tornò da loro, dicendosi pronta per andare.

 

***

 

“Ciao, Bart.”
Nelson entrò, il giorno dopo, al market di Apu. Prese due bottigliette d’acqua e si avvicinò al bancone.
“Nelson!” Bart, seduto dietro al bancone, sollevò una mano dal joypad e salutò l’amico sventolando la sigaretta. Nelson alzò un sopracciglio e sul suo viso si fece strada un ghigno sorridente. “Apu ti permette di fumare qui?” chiese, alzando la voce.
Apu, che era appena entrato nel retro dalla porta che dava sul vicolo, arrivò a passo veloce verso di loro, passò l’uscio che divideva il negozio dal locale retrostante e si mise le mani sui fianchi. “Bart Simpson! Spegni subito sigaretta! Non si può fumare dentro al negozio!”
Nelson rise e si beccò un’occhiataccia da Bart che, scusandosi con Apu, buttò la sigaretta per terra e la schiacciò con la scarpa, prima di riportare il piede sullo scaffale vicino alla tv. “E tira giù tue gambe da scaffale!”

 

Bart sbuffò: Apu sembrava sua madre quando entrava nella sua stanza quando era un adolescente. Beh, forse anche adesso: non è che lui fosse molto cambiato con il tempo.
Guardò Nelson che ghignava e gli lanciò una brutta occhiata, ma non se la prese particolarmente.
Quando Apu se ne andò, dicendo che sarebbe andato via, gli ordinò di spegnere la tv e di servire i clienti.
Bart mise in pausa il videogioco e si alzò per far pagare Nelson.
“Potrei avere una buona notizia…” gli disse, mentre prendeva le sue banconote.

 

Nelson alzò di nuovo un sopracciglio e chiese: “Del tipo?”
“È stato fissato un incontro per il mese prossimo. Ti interessa? Potrei presentarti io.”
Il ragazzo prese il resto e lo infilò in tasca meccanicamente, poi afferrò una delle bottigliette e svitò il tappo, portandosela alla bocca.
Un incontro? Quando si rese conto di pensarci su troppo, smise di bere e richiuse la bottiglia. Scosse la testa. “No” rispose soltanto.
Bart lo guardò con la coda dell’occhio e alzò le spalle. “Ok”.
“Ehi, Bart, hai della cioccolata?” Tutti e due i ragazzi si girarono verso l’entrata del negozio dove Milhouse aveva appena fatto il suo ingresso.
“Oh, Nelson, ci sei anche tu…” disse, squadrandolo e allargando il percorso per non passargli vicino.
“Tieni un bounty coockie…” Nelson prese uno snack dal bancone e glielo porse, senza dire niente per le parole e l’atteggiamento del ragazzo.
“Sono allergico al cocco! Volevi uccidermi?” esclamò Milhouse, sbarrando gli occhi. Bart alzò i suoi al soffitto. “Milhouse, datti una calmata, nessuno vuole ucciderti…”
Nelson si morse un labbro facendo un brutto ghigno, ma non disse niente. Riappoggiò lo snack e ne prese un altro, porgendolo al ragazzo dai capelli blu.
Milhouse allungò la mano per prendere il cioccolato, e quindi avvicinarsi al bancone, quando Nelson piegò il braccio prima che lui potesse afferrarlo. Il ragazzino sbuffò e Nelson rifece quel giochetto due volte, prima di ridere.

 

Bart non riuscì a trattenere la risata: Milhouse stava facendo la figura dello stupido. Non che fosse diversa da quella che faceva normalmente, però sbuffò e i suoi occhiali si appannarono mentre il suo ciuffo svolazzava.
Quando alla fine Nelson lasciò che Milhouse prendesse lo Snickers, Bart sospirò prima di dire: “Lisa dice che ieri è stata bene”.
“Davvero?”
Bart alzò lo sguardo su Nelson, che non si era reso conto di aver risposto sottovoce e poi guardò Milhouse che invece, non aveva sentito.
“Davvero? Bene! Non ero sicuro, ma se lo dice Lisa…” Lo sguardo di Milhouse era trasognato e lui iniziò a giocherellare con lo Snickers sul bancone.
Bart aveva incrociato Lisa sulle scale e lui, sapendo che era uscita con il suo amico, le aveva chiesto com’era andata, visto che la serata era durata anche molto di più di quello che aveva immaginato. Lei aveva risposto sorridendo e dicendo che era andata bene e Bart un po’ si era preoccupato: non avevano intenzione di tornare insieme, vero? Sperò proprio di no.

 

“Sei uscito con Lisa, ieri? Ieri sera?” Nelson si girò verso Milhouse dopo aver ricambiato l’occhiata strana di Bart.
Il ragazzino si gonfiò di orgoglio mentre rispondeva: “Sì!”
“E fammi indovinare: siete andati a Pinehill.”
Milhouse strabuzzò gli occhi, sorpreso. “E tu come lo sai?”
“Milhouse, i tipi banali come te portano sempre le ragazze a Pinehill…”

 

Bart osservò Nelson prendere le bottigliette d’acqua con troppa forza, stringendo i pugni e poi lo guardò quando, alzando una mano per salutare, uscì dalla porta.
“Hai portato mia sorella a Pinehill?” chiese seccato a Milhouse.
Quando lui non rispose, Bart si sbagliò con i calcoli dei dolcetti che aveva comprato e lo fece pagare di più.


 

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Capitolo 5
*** Problemi ***


Problemi

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Lisa appoggiò il vassoio sul ripiano e iniziò a sistemare i piatti sporchi nel retro del diner. Non era il lavoro dei suoi sogni di sicuro, ma era un buon posto e le mance non erano male.
Verso le undici il campanello suonò e lei finì velocemente per andare ad accogliere i clienti. Si pulì le mani prima di tornare nel locale e poi si bloccò: la nuova postina stava consegnando a Ellie qualcosa, dicendole che forse avrebbe preferito vederla subito. La ragazza sorrise e annuì, ringraziandola.
Lisa osservò la scena e poi, all’arrivo di un nuovo cliente, disse a Ellie di prendersi una pausa e lo accompagnò lei al tavolo, prendendo al volo la caraffa del caffè e servendolo.
Appena ebbe un attimo libero, Lisa andò a cercarla e la trovò nel piccolo locale dove si cambiavano. La ragazza stava leggendo una lettera e aveva le lacrime agli occhi.
“Tutto bene, Ellie?”
Ellie si tirò su e, come se fosse appena tornata al presente, annuì, asciugandosi il viso.
“Cattive notizie?” le chiese, quando la vide così scossa. Forse la postina avrebbe dovuto portarle la posta a casa, invece di consegnargliela lì, sul posto di lavoro.
“No, no, sono bellissime” mormorò, con la voce roca. Lisa si avvicinò a lei e le mise un braccio sulla spalla. Lei sembrava contenta davvero, solo molto emozionata. Forse la postina ci aveva visto giusto.
“Lui è Seth” le disse, facendole vedere una foto: un bambino di quattro o cinque anni, biondo, sorrideva alla macchina fotografica. Lisa annuì e, non sapendo bene cosa dire, disse: “È molto carino”.
Il viso di Ellie si illuminò. “È anche molto intelligente, sai?” Lisa, non rispose niente, perché la domanda non era veramente rivolta a lei, visto che la ragazza continuava a guardare la foto. “È mio figlio e ha già quattro anni…”
Lisa sbatté forte gli occhi. Chi era? Guardò ancora la foto e, effettivamente, notò qualche somiglianza nelle linee del viso con Ellie. Aveva la sua stessa attaccatura di capelli, che sembravano dello stesso colore e gli occhi chiari sembrano possedere la stessa luminosità. “Tuo figlio?”
Lei sospirò. “Sono rimasta incinta il mio primo anno di liceo… Il mio ragazzo… vabbè... Non ho abortito e abbiamo preferito darlo in adozione. Un’adozione aperta. Sai come funziona?”
Lisa sbatté di nuovo gli occhi. Come, come, come? Scosse la testa e tornò a guardare ciò che la ragazza aveva in mano oltre alla foto: una lettera con una grafia elegante e fitta, un disegno fatto con i pastelli e altre immagini del bambino non in primo piano.
“Ho qualche vaga idea…” ammise, senza esserne del tutto convinta.
“I suoi genitori sono meravigliosi, sai? Sono persone dolcissime che hanno deciso di aiutarmi in un momento difficile. Hanno una bambina di otto anni adottata anche lei...” Ellie iniziò a raccontare e, dalla velocità con cui spiegava le cose, Lisa capì che lo raccontava più per se stessa che a lei. Adozione aperta voleva dire che quando il bambino viene dato in adozione, la madre naturale può chiedere sue notizie e informarsi. Ma Ellie non aveva mai dovuto fare niente di tutto ciò, perché i genitori che avevano adottato Seth le spedivano foto e lettere regolarmente e lei poteva seguire la crescita del bambino. E lui stava crescendo benissimo. Quando arrivò in fondo alla storia, Lisa le sorrise.
“Sei stata molto brava anche tu. Hai fatto una scelta consapevole. Hai bisogno che ti copra per il resto del turno? Vuoi andare dal padre del bambino?”
Ellie spalancò gli occhi e scosse la testa. “Assolutamente no! Lui neanche sa di Seth!”
Lisa sentì le guance scaldarsi: che gaffe!
“Scusami, quando hai detto ‘abbiamo preferito’ pensavo che aveste preso la decisione insieme. Non avevo capito.”
“Abbiamo preferito noi. Io e la mia famiglia. Mio padre e la mamma di Nelson. Mary mi è stata vicina, mi ha aiutato tantissimo, io…” La voce della ragazza si incrinò e Lisa si sentì ancora più colpevole.
“Scusami ancora, non volevo essere invadente…”
“Sei stata molto gentile, invece. Grazie. E comunque non lo vedo da quando gli ho detto che ero incinta. Fra noi… sì, insomma, lui era ciò che mia nonna definiva ‘un mascalzone’.”
Lisa annuì, comprendendo ciò che intendeva.
“Ti copro per un po’, prenditi il tempo che ci vuole.”
Lisa tornò nel salone e si apprestò a tornare in servizio.

 

***

“Nelson, sei venuto a prendermi?”
Lisa si voltò verso Ellie e guardò nella direzione in cui stava guardando lei: Nelson era appena entrato nel diner e aveva uno zainetto sulla spalla. Annuì alla sorella e poi lanciò un cenno di saluto a Lisa. Lei si sentì arrossire e non capì bene perché. Ricambiò il suo saluto, mentre Ellie diceva ad alta voce: “Ma sei in anticipo. Perché non ti siedi? Ti porto qualcosa?”
Nelson annuì e si guardò intorno. Lisa lo osservò scegliere un tavolo in fondo, uno di quelli davanti alla vetrina da cui si vedeva la strada e dirigersi lì. Era uno dei suoi tavoli. Uscì da dietro al bancone e andò a pulire il tavolino vicino a quello del ragazzo, stupendosi ancora del proprio atteggiamento scostante. Perché si sentiva nervosa?
Osservò Nelson tirare fuori una carpetta dallo zainetto, una calcolatrice, un blocco e una penna. Quando lui alzò lo sguardo verso di lei, gli chiese: “Che fai?”
“Controllo i conti. È la parte più noiosa di tutte, ma bisogna farla. Come i compiti a scuola…” Lisa sorrise e annuì.
“Ti porto una birra?”
Lui guardò l’orologio in alto sulla parete e annuì. Lisa immaginò che lo avesse fatto per controllare che non fosse troppo presto per bere. Ma poi ci ripensò: Nelson non sembrava il tipo che stava attento a certe cose.
“Una Duff, allora?”
Nelson fece un cenno con il capo e portò l’attenzione sui fogli che aveva tirato fuori dalla carpetta.
Lisa scrisse la comanda sul foglietto e lasciò una copia sul tavolo, ma prima di girarsi per tornare al bancone, però, il suo sguardo corse fuori dalla vetrina e la sua bocca imprecò sottovoce.

 

Nelson alzò lo sguardo verso Lisa quando la sentì indistintamente dire: “Merda!”. Lei stava guardando fuori dalla vetrata e il ragazzo si girò per capire cosa avesse visto.
L’auto sportiva di Milhouse, appena oltre al marciapiede, si muoveva avanti e indietro, in maniera scomposta e mal funzionale. Probabilmente quell’idiota non riusciva a parcheggiare.
Tornò a guardare verso la ragazza che aveva lo sguardo incollato fuori e vide i suoi occhi spalancati. La sua tasca del grembiule vibrò e lei prese il telefono abbassando lo sguardo sullo schermo.
“Non riesco a venirti a prendere. Ti mando Miloser” mormorò, leggendo il messaggio. “No, Bart, non puoi farmi questo. Miloser no…”
Nelson non riuscì a trattenere una risatina sciocca. Lei non voleva andare via con lo sfigato. E sembrava che Bart gli avesse dato un soprannome adatto.
Miloser? Carino. E quella è la stessa macchina che c’era a PineHill la sera che ti ho…” Nelson stava per dire ‘rimorchiato’ perché era la parola che avrebbe usato normalmente per via del carro attrezzi, ma si interruppe, perché in quel momento gli sembrava la parola sbagliata e lo metteva stranamente in imbarazzo.
“Sì, lascia stare va…” rispose lei, iniziando a digitare sul telefono. “Bart? No, no, ascoltami tu! Richiamalo subito. Non torno a casa con quel troglodita, ok? Vengo a piedi, piuttosto. No. No…” La voce di Lisa si affievolì, mentre si dirigeva verso il bancone e abbassava la voce per non farsi sentire.
Nelson la vide varcare la soglia della cucina, così tornò a guardare il ragazzo che stava ancora tentando di parcheggiare.
Si mosse avanti e indietro altre due volte, ma poi dovette rinunciarci perché scese dalla macchina, nonostante fosse tutta storta e la ruota posteriore fosse un bel po’ fuori dal parcheggio.
Nelson continuò a guardarlo e, quando il ragazzino scese dall’auto, lo osservò mentre rispondeva al telefono. Milhouse non era troppo lontano dalla vetrina e Nelson riuscì a sentire tranquillamente quello che diceva. “Bart! Sì, sono arrivato”. Lo sfigato guardò verso l’entrata del diner ma non lo vide in vetrina. “Perché devo venire via? No, no, dai… Ah, ok. Non… Lisa ha un altro passaggio? Ah, va bene…”
In quel momento Nelson si sentì carico e picchiettò sul vetro per attirare l’attenzione del ragazzo. Quando Milhouse lo vide, Nelson gli sorrise e lo salutò con la mano. Il suo sorriso si fece ancora più ampio quando lui lo riconobbe e rimase a bocca aperta. Mosse le sopracciglia su e giù al gesto di saluto che lui gli fece in risposta: sembrava che il braccio del ragazzo si muovesse di volontà propria e in modo scoordinato.
Lo osservò salire in macchina e ripartire. Ridacchiò quando il paraurti dell’auto sportiva strusciò contro la corteccia dell’albero del viale.

 

Lisa portò la birra a Nelson e lanciò un’occhiata fuori. Sospirò: lui se n’era andato.
“Andrai a casa a piedi, quindi?” gli chiese il ragazzo, pagando la consumazione. Lei alzò le spalle.
“Me la sarei fatta a piedi comunque. Come l’altra sera.”
“L’altra sera ti ho portato a casa io, non sei andata a piedi.”
“Vero. Ma avevo già scelto.”
Lisa si chiese se lui le avrebbe offerto un passaggio anche quel pomeriggio o se l’avrebbe obbligata a chiederglielo. Non aveva problemi a camminare, ma qualcosa dentro di lei suggeriva che le sarebbe piaciuto molto di più farsi accompagnare da lui.
Lo guardò, ma lui ghignò e non disse niente, guardandola di proposito. Lisa si morse il labbro. Ecco dov’era finito il vero Nelson. Aveva ragione: non era cambiato per niente.
“Immagino che chiederti…”
“Va bene, accompagno anche te” disse, senza lasciarla finire.
Lisa si infastidì e sbuffò, mentre si girava e andava alla cassa a depositare i soldi: lui aveva spettato che lei glielo chiedesse. No, non era cambiato per niente.

 

***

“Salutami Maggie” esclamò Ellie quando Lisa scese dal carro attrezzi una volta arrivata a casa. Un po’ la ragazza si stranì: conosceva sua sorella? Beh, erano andate allo stesso liceo, quell’anno.
Ellie le aveva confidato di aver perso un anno di scuola e di aver cambiato liceo quando era rimasta incinta, così aveva frequentato l’istituto vicino a casa di Lisa invece che quello dove avrebbe dovuto andare per stradario. Per un caso del destino non avevano frequentato il liceo insieme.
“Lo farò senz’altro” le disse, sorridendo.
“E dille che mi mancherà fare le lezioni del coro insieme!”
Il coro? Maggie era nel coro scolastico? Maggie sua sorella? Scosse le spalle un po’ confusa e ringraziò Nelson che le fece un cenno con il capo.
Entrò in casa, salutò i genitori e salì le scale per andare al piano superiore. Stava per aprire la porta della sua camera, quando ci ripensò e ci passò davanti, per andare verso la stanza di Maggie.
Bussò, ma non ricevette risposta. Eppure sentiva dei rumori, era sicura che Maggie fosse dentro. Bussò ancora. “Maggie? Ci sei?” Quando non ricevette risposta, abbassò la maniglia ed entrò. “Maggie?” la chiamò ancora.
Sua sorella era sdraiata sul letto a leggere una rivista, quando l’abbassò vide che aveva gli auricolari delle cuffie nelle orecchie e quindi non poteva sentirla. Maggie si tolse una cuffietta per prestarle attenzione e Lisa buttò lì: “Ti va di fare una chiacchierata?”
La ragazza scosse le spalle e indicò le cuffie, rigirandosi verso la finestra. Oh. Lisa ci rimase malissimo, ma chiuse la porta e tornò in camera sua.
Una volta entrata guardò il sax nell’angolo e si avvicinò. Lo guardò per quella che le sembrò un’eternità, poi il suo pc, posato sulla scrivania, iniziò a suonare.
Si voltò e osservò lo schermo che si stava illuminando: Kristen la stava video chiamando su skype. Per fortuna qualcosa di buono esisteva ancora, pensò accettando la chiamata.
“Ciao Kristen, come stai?”
“Non sai cosa mi è successo oggi, Lisa!”

 

***

 

“Cosa sta succedendo con mia sorella?”
Nelson mancò il colpo successivo e la faccia di Bart divenne strana.
“Con Lisa? Niente, perché?”
Bart riprese posizione e Nelson continuò ad allenarsi. Ma fece più fatica.
“E l’altra sera?”
Nelson sospirò e colpì ancora i paracolpi che il ragazzo reggeva su ogni mano. Non aveva voglia di giocare, voleva sfiancarsi di pugni e stancarsi fisicamente, non mentalmente.
“L’altra sera sono andato a PineHill a togliere dal fango il nipote del sindaco e l’ho vista sulla strada che tornava a piedi.”
Si trattenne dal chiedere se e cosa gli avesse raccontato Lisa, su quella sera.
“Ah! Bene!”
“Bene?” Nelson si fermò e rimase con i pugni puntati verso il soffitto. Bart ghignò e gli fece cenno di continuare.
“Era uscita con Milhouse, ma la cosa non mi piace. Se lei era da sola allora hanno litigato subito e vuol dire che non torneranno insieme di sicuro.”

 

Nelson annuì meccanicamente, e riprese a picchiare, ma i suoi colpi persero un po’ di intensità e Bart lo notò con facilità; ghignò un pochino, ma il pugile non se ne accorse.
“Lisa e Milhouse sono stati insieme?” gli chiese Nelson, con quella che a Bart sembrò una finta noncuranza.
“Sì, al liceo. Penso che siano stati a letto insieme.”
Bart, che aveva voluto provocare Nelson apposta, per studiarne la reazione, non calcolò che effettivamente era riuscito nel suo intento e abbassò la guardia senza prestare attenzione ai colpi del ragazzo, così un pugno non fermato dal paracolpi lo colpì in pieno viso.

 

“Merda!” gridò Bart, lasciando cadere i paracolpi.
“Cazzo! Perché ti sei spostato?” esclamò invece Nelson, sbarrando gli occhi e cercando, con lo sguardo, aiuto intorno a lui.
Uno di quei vecchi che non avevano niente da fare e giravano per la palestra a curiosare, si avvicinò a loro per aiutarli ma Bart si agitò. “Non mi sono spostato! Mi hai colpito tu!”
“Ti sei spostato, sì!” sostenne Nelson, ma capì lui stesso di non esserne convinto del tutto. Possibile che lo avesse colpito apposta? Per quello che aveva detto?
Ma poi, cosa gli interessava se Lisa e Miloser erano stati a letto insieme o no? Niente. A lui non interessava niente.
“Ti vado a prendere del ghiaccio” disse il vecchio, prima di allontanarsi.
Bart lo guardò male. “Se mi viene un occhio nero mi offri una Duff”. L’altro annuì distrattamente. “Adesso?” chiese, contento di scroccargli una birra.
Nelson lo guardò alzando un sopracciglio. “Finito l’allenamento” ordinò e Bart annuì, andandosi a sedere.
Nelson fece un cenno a uno degli aiutanti per farsi tenere il sacco e decise di pensare ad altro altrimenti avrebbe pestato anche il nuovo ragazzo e dopo non avrebbe avuto più nessuno sano con cui allenarsi.

 

***

“Puzzi come una puttana.”
Bart aveva ancora il sacchetto del ghiaccio premuto contro il viso, anche se, secondo Nelson non c’era più bisogno: ormai ciò che era fatto era fatto.
“Si chiama lavarsi con il sapone, in verità. Dovresti provare” rispose Nelson, facendo cenno a una delle cameriere del pub, mentre si sedevano a un tavolino con due divanetti.
La ragazza si avvicinò sorridendo, ma quando vide Bart il suo viso si dipinse di preoccupazione. “Ma cosa hai fatto, Bart?”
Bart fece un sorriso tirato e Nelson capì che lo stava facendo apposta, visto che stava bene fino a poco prima. “Sono stato aggredito da un bandito” spiegò.
La bocca della ragazza di allargò in un cerchio perfetto. “Un bandito?”
“Sì, una vecc… signora è stata aggredita da uno scippatore e io l’ho salvata” sussurrò Bart, all’indirizzo della ragazza che, per sentire cosa stesse dicendo, si era chinata su di lui. “Ma non dirlo a nessuno, sai, non mi piace vantarmi…”
“Oh, Bart, ma che bella cosa! Sei stato molto coraggioso!” Quando la ragazza fece il gesto di alzarsi per rivolgersi a Nelson, Bart, con un gesto calcolato, abbassò il ghiaccio sintetico e lei si trovò di nuovo sorpresa. “Mamma mia, hai tutta la guancia viola! Deve farti malissimo”.
Nelson sbuffò quando vide Bart fare gli occhi dolci alla cameriera. “Ci puoi portare due Duff?” chiese quindi, cercando di attirare l’attenzione della ragazza.
Lei annuì nella sua direzione e tornò a guardare Bart; allungò una mano verso il viso del ragazzo e lui appoggiò la guancia alle sue dita, facendo una smorfia di dolore.
“Mi aiuteresti a tenerci su il ghiaccio, dopo? Io sono così stanco… Sai tutto quel trambusto…”
“Bart…” Nelson ne aveva abbastanza di quella scenetta.
“Ma c’eri anche tu, Nelson?” gli chiese la ragazza, voltandosi verso di lui. Non si stupì che lei lo avesse chiamato per nome, visto che lui e Bart andavano in quel pub spesso dopo gli allenamenti e quindi li conoscevano.
“Sì, io ero lo scippatore.”
La ragazza ora era confusa. Nelson gettò un occhio alla targhetta appuntata sul suo petto: Stacy, la cameriera si chiamava Stacy. A giudicare dal suo sguardo, non doveva essere molto più intelligente di Stacy la bambola di plastica con cui sua sorella giocava quando era piccola.
“Stacy, in cucina!” gridò una voce dal retro.
“Solo due Duff, allora?” chiese la ragazza, prima di fare un passo indietro per obbedire all’ordine.
“Anche una porzione di chips & chicken!” gridò Bart e Stacy annuì con il capo.

 

Bart ridacchiò, gettando il ghiaccio sintetico sul sedile accanto a lui.
“Sei un idiota” lo accusò l’amico. Bart rise più forte. “Avrà diciotto anni…”
Bart alzò le spalle. “Li ha di sicuro, se lavora qui. E questa è l’unica cosa importante. Hai visto che lato b?” Bart vide Nelson lanciare un’occhiata verso la porta della cucina e scuotere la testa.
“Idiota.”
“Parliamo dell’incontro” esordì.
Nelson sbuffò.
“Ti ho detto che non mi interessa.”
“Neanche se ti dicessi che so chi è il tuo avversario?” Bart notò il guizzo negli occhi di Nelson. Lo aveva incuriosito. “Neanche se ti dicessi che ti piacerebbe pestarlo per bene?”

 

Ora Nelson era incuriosito davvero. Chi era il suo avversario? Per un attimo, il viso di Miloser apparve nei suoi pensieri, ma scosse il capo per scacciarlo.
Bart dovette interpretare male il suo gesto, perché alzò le spalle. “Ok. Anche se sarebbe un’occasione perfetta”.
“Tutti quelli che voglio pestare non li voglio affrontare sul ring. Preferisco prenderli a pugni in vicoli bui e maleodoranti.”
Bart sorrise e gli puntò contro l’indice, guardandolo fisso. “Ma non puoi. Soprattutto questo qui”.
Come? Nelson si mosse sul divanetto: di chi parlava? Guardò l’amico ma lui, capendo di aver avuto la sua attenzione, ghignò e guardò verso il locale.
Nelson sbuffò e cercò di fare finta di niente, ma Bart dovette intuire il suo gesto e sorrise ancora.
Dopo dieci minuti Bart, a bruciapelo, gli fece un nome. Quel nome. Nelson digrignò i denti: aveva ragione, lo avrebbe pestato volentieri. Ma, come aveva detto poco prima, avrebbe preferito farlo a mani nude e senza spettatori. Però non poteva.
Arrivarono le birre e si alzò anche la musica.
“Potresti pensarci” disse Bart, prendendo un lungo sorso e poi iniziando a muovere le braccia come se fosse in pista a ballare.
“Potrei” rispose Nelson, con sguardo serio.

 

***

Lisa guardò il sax, sul suo piedistallo nell’angolo della camera, vicino alla vecchia scrivania che aveva usato in tutti gli anni scolastici, e sospirò. Non riusciva a suonare. Al liceo suonare la calmava e la riempiva di serenità e adrenalina, ma poi… niente. Non le faceva più effetto. Era convinta di non riuscire più a suonare decentemente. Per i quattro anni passati al college non era riuscita a tenersi in allenamento tanto quanto avrebbe voluto, ma lì aveva dato la colpa a svariate cose: lo studio impegnativo, la sua compagna di stanza, il dormitorio… Ogni scusa era buona. Ogni scusa per non dover dire che non riusciva più a suonare. O che suonare non le riusciva più bene perché non era in grado di farlo.
Avrebbe voluto liberare la mente e suonare un po’ di blues con il sax l’avrebbe aiutata. Di sicuro quattro anni prima lo avrebbe fatto.
Ora era impegnata a tenere i pensieri sotto controllo. Il pensiero di Maggie, che sembrava così distante, anche se Lisa aveva pensato che la passione per la musica avrebbe potuto unirle e invece non era successo, e il fatto che quella sera era uscita con dei ragazzi più grandi per andare a una festa e non era ancora tornata.
I suoi genitori erano usciti, ma lei era sicura che non avrebbero comunque controllato Maggie come Lisa si aspettava che facessero dei genitori. Doveva essere perché lei era la terza dei figli e quindi le concedevano più libertà. Sì, sua madre aveva detto una cosa del genere. È che Lisa non riusciva a togliersi dalla mente il bambino di Ellie e il fatto che lo avesse avuto proprio all’età di Maggie…
Il pensiero di Ellie, poi, le faceva venire in mente Nelson e lei si sentiva ancora confusa pensando a lui.
Doveva pensare ad altro. Doveva fare assolutamente qualcosa per non pensare a niente.
Camminò lungo il corridoio e quando sorpassò la camera di Bart, si fermò: il giorno prima aveva beccato suo fratello che fumava in camera. E non una sigaretta!
Aprì la porta ed entrò nella tana di Bart. Il letto disfatto e il disordine per terra facevano pensare alla stanza di un adolescente. Lisa storse il naso e andò dritta verso il comodino: fondamentalmente suo fratello era banalmente prevedibile.
Non dovette neanche cercare tanto: una busta trasparente e un pacchetto di sigarette si fecero trovare subito. Guardò il sacchetto, trattenuto da un elastico, da cui le verdi foglie si notavano a occhio nudo. Aprì il pacchetto sperando di non dover fare molto e fu subito ricompensata: sorrise mentre tirava fuori una canna già rollata infilata insieme a due sigarette. Rimise tutto a posto, afferrò un accendino con il testimonial della Duff dalla mensola sopra il letto e si avviò verso la finestra, ma poi ci ripensò: meglio andare fuori.
Scese le scale e uscì dalla porta principale di casa: se doveva controllare quando sua sorella fosse tornata, non poteva stare nel giardino sul retro.
Il vialetto e la poca erba del prato non nascondevano la strada, ma Lisa andò dritta verso la finestra squadrata del bovindo e si sedette sopra l’asse di legno che suo padre aveva adagiato su quattro mattoni chiamandola ‘panchina’, e tirò fuori il suo peccato. Ridacchiò come una bambina scema e poi si calmò, accendendo la canna come se fosse stata un’esperta in materia. Aspirò e dovette trattenere due colpi di tosse: non c’era abituata, ma poi la seconda volta, fu molto meglio.
Quando il carro attrezzi si fermò davanti a casa sua, strabuzzò gli occhi e per la sorpresa fece cadere la canna per terra. Quando Nelson scese e la guardò con uno sguardo strano, divenne rossa, come se fosse stata scoperta a rubare al supermercato.
“Lisa!” esclamò Bart, scendendo dal lato del passeggero.
“Bart! Ma cosa…” Lisa spalancò la bocca quando vide suo fratello scendere dall’automezzo in modo poco stabile: doveva essere ubriaco.
“Lisa, la mia cara sorellina!” Si avvicinò verso di lei e Lisa gli andò incontro. Quando furono vicini, lui le mise un braccio sulle spalle e l’attirò a sé. “Nelson! Sai che Lisa preferisce andare al polo nord a guardare il cielo piuttosto che stare qui a Springfield con la sua famiglia? Non odia solo questo posto, odia proprio tutti noi!” Poi il ragazzo inciampò e cadde per terra, trascinandosi dietro la sorella.

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Capitolo 6
*** Confidenze fra estranei ***


Confidenze fra estranei

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“Aspetta, ti aiuto.”
Nelson le fu subito accanto e l’aiutò ad alzarsi, porgendole una mano, esattamente come aveva fatto il primo giorno che lei era tornata a Springfield.
“Grazie” disse, imbarazzata, stringendogli la mano e dopo, una volta in piedi, facendo finta di togliersi della polvere dai jeans.

 

Nelson guardò Bart che, sdraiato per terra, rideva. Si passò una mano fra i capelli e sospirò. “Ci sono i tuoi in casa?” chiese a Lisa, guardandola.
Lei scosse la testa. “Sono sola”.
Ok. Il ragazzo si chinò e prese un braccio di Bart portandoselo sulla spalla e tirandoselo sulla schiena. “Fammi strada” disse, rivolto al Lisa.

 

Lisa osservò stupita Nelson che si caricava addosso Bart e rimase imbambolata a guardarlo. Quando lui le chiese di indirizzarlo scrollò le spalle e annuì, entrando in casa e salendo le scale meccanicamente davanti a loro.
“Lisa… Lisa…” la chiamava suo fratello.
“Bart, ma cosa hai combinato? Perché hai bevuto così tanto?”
“Oh, Lisa, non mi hai visto? Nelson mi ha dato un pugno, ho tutta la faccia nera…”
“Cosa?” Lisa si girò di colpo e per poco Nelson non le finì addosso. “Cosa gli hai fatto?”
“Non è andata proprio così…” si giustificò lui.
La risata roca e biascicosa di Bart tranquillizzò un po’ Lisa, che cercò di vedere con i propri occhi il danno.
“Facciamo che lo metto sul letto e lo guardi lì? È un po’ pesante…” Lisa divenne rossa, annuì alle parole di Nelson e aprì la porta della stanza di Bart, facendogli cenno di entrare.

 

Nelson raggiunse il letto e ci lasciò cadere, forse un po’ troppo pesantemente, un Bart ridacchiante e ciarliero.
“Cosa avete combinato?” Il tono di rimprovero di Lisa lo fece imbarazzare, ma poi si riprese quasi subito.
“Non abbiamo combinato niente. Bart voleva far colpo sulla cameriera e ha continuato a ordinare da bere…”
“E perché non lo hai fermato?” Lei aveva ancora quel tono.
“Perché non sono la sua balia, forse? È grande abbastanza” disse, alzando le spalle.
Ma Nelson si sentì in colpa quando Lisa guardò il fratello con occhi preoccupati.
“Ma starà bene?” Quando lei si morse il labbro, Nelson dovette fare un passo indietro e togliere lo sguardo.
“Certo. Vero, Bart, che starai bene?” gli chiese, toccandogli un piede con la punta della scarpa. Per tutta risposta, lui scalciò le scarpe e si mise su un fianco, blaterando di metodi per la buonanotte.
Quando Bart frugò nel comodino, vide Lisa trasalire e se ne stupì.
“Sì, starò bene dopo che avrò fumato qualcosa per addormentarmi… Ehi, ma dov’è il mio spliff? Non lo trovo… Cavolo, pensavo di averlo lasciato qui… Ehi, Nelson me ne rolli uno?”
“Te sei fuori… Non ti rollo niente!”
“Allora devo cercare dov’è…” disse Bart, cercando di mettersi seduto per alzarsi.
“Adesso è il caso che tu dorma…”
“No, voglio trovare il mio…”
“Bart, mettiti giù, non c’è più la tua… canna…” La voce di Lisa era quasi un sussurro, mentre si avvicinava al fratello e cercava di spingerlo a sdraiarsi.
Bart la guardò in viso e si lasciò cadere mentre rideva. “Oddio, me l’hai fumata tu? Grande sorellina! Allora non sei noiosa…”
Nelson vide chiaramente Lisa bloccarsi e rimarci male per le parole del fratello.
“Bart, fai meno l’imbecille, dai. Mettiti giù e smettila di parlare” intervenne lui, spostando la ragazza e pigiando una mano sul petto di Bart. Lui annuì e non fece resistenza.
“Ok… Finché non si ferma la stanza, rimango sdraiato.”
“Ecco, bravo…” Nelson vide Lisa avviarsi verso il corridoio e, una volta che lei ebbe varcato la soglia della stanza, si chinò su Bart. “E smettila di dire certe cose a tua sorella, c’è rimasta male, idiota”. Gli diede un pugno su una spalla ma cercò di non fargli male.
Si alzò, ma prima che riuscisse a rimettersi dritto, Bart gli afferrò un braccio con un gesto preciso, come se fosse diventato sobrio tutto d’un tratto.
“Ti piace Lisa?” Scosse il capo.
“Sei stato stronzo.”
“Lei ci odia. Odia tutto di Springfield. Forse odia anche te.”
“Me ne farò una ragione.”
Bart lo guardò con l’ultimo barlume di lucidità e poi chiuse gli occhi sospirando.

 

Lisa, dal corridoio, dove si era rifugiata quando Bart aveva detto quello che aveva fatto, osservò Nelson sospirare e raggiungerla subito dopo. Senza dire una parola percorsero a ritroso il tragitto di poco prima e, una volta fuori, lui disse: “Ti giuro che non ho fatto apposta, è stato un incidente in palestra”.
Lei annuì: di sicuro, se si fossero picchiati, Nelson non  avrebbe riaccompagnato a casa Bart e, sicuramente, non lo avrebbe messo a letto!
“Grazie per averlo riportato, allora.”
Si avviò verso la panchina artigianale di suo padre e si sedette. Mentre cercava quel che era rimasto della canna, lanciò qualche occhieta verso Nelson che era rimasto sul vialetto e la guardava con uno strano cipiglio.

 

Nelson la guardò sedersi e poi, quando lei si voltò verso di lui, si sentì in imbarazzo: forse lo stava invitando ad andarsene. Quando Lisa raccolse qualcosa da terra e rabbrividì, appoggiandosi al muro della casa, le chiese perché stesse fuori.
“Sto aspettando mia sorella. È uscita con dei tipi che non conosco e…” Nelson sorrise, mettendosi le mani in tasca.
“Capisco perfettamente” disse. Ellie lo aveva fatto preoccupare svariate volte e non aveva ancora smesso.
“Vero, anche tu hai una sorella…” La voce di Lisa era stanca, ma sorrise quando lo disse.
“E non sai quanto mi ha fatto dannare!”
“Aspetti con me?” Quando Lisa lo interruppe, Nelson non seppe cosa rispondere, così si voltò verso il carro attrezzi come per trarne ispirazione.
Poi, lentamente, annuì. “Va bene. Ma sposto il mostro” disse, indicando il mezzo.

 

Lisa osservò il ragazzo salire sul carro attrezzi e si chiese perché gli avesse domandato di rimanere con lei. Quando tornò, dopo pochi minuti, camminando sul marciapiede, pensò di aver fatto un errore madornale. Ma poi lui, senza dire niente, si sedette di fianco a lei sulla panchina e, quando la guardò, Lisa provò una sensazione bellissima.
Non dissero niente per qualche minuto, ma il loro silenzio era così pieno di serenità, che Lisa pensò che fosse un peccato infrangerlo.

 

Lei tirò fuori un accendino dalla tasca della felpa che indossava e accese una canna che era apparsa magicamente nella sua mano, secondo Nelson. “Allora ce l’avevi tu davvero!” esclamò Nelson, sorpreso: non lo avrebbe mai detto.
“Pensavi anche tu che fossi noiosa, eh?” disse, un po’ triste. “E invece vi sbagliate. Vi sbagliate tutti…” La sua voce si affievolì subito prima di aspirare un tiro e poi iniziò a tossire.

 

Lisa si diede della stupida: aveva fatto la grande, mostrando la canna e tutto il resto e poi aveva iniziato a tossire come una tredicenne! Sarebbe sembrata proprio quello che era: non noiosa, ma stupida. Lei aveva fumato forse due volte in tutta la sua vita, al college, con Kristen, e di sicuro, non era la grande esperta che voleva far credere.
Tossiva come se avesse un polmone in gola e dovesse sputarlo per sopravvivere. Nelson le tolse di mano la canna e le batté delicatamente la mano sulla schiena. Oddio.
Lisa smise di tossire e lui aveva ancora in mano la canna che, stranamente, non si era ancora spenta. “Non sei noiosa” disse, prima di fare un tiro anche lui. “Sei saputella, precisina, perfezionista e pignola. Ma non sei noiosa”.
Aveva ancora la mano sulla sua schiena. La mosse su e giù e Lisa ci mise un attimo di più a rendersi conto di cosa le aveva detto.

 

La ragazza lo guardò con un’occhiataccia. Nelson pensò che gli avrebbe detto di andarsene. Appoggiò la mano sulla panchina, pronto ad alzarsi e diede un altro tiro alla canna: se doveva andarsene subito, tanto valeva approfittare della situazione.
“Nient’altro?”
Nelson trattenne una risata. “No. Nient’altro”.
“Sicuro di non esserti scordato niente?”
Lui annuì, dopo aver fatto finta di pensare e sorrise: si stava divertendo. “Sicuro”.
Vide chiaramente quanto lei cercasse di non dire ciò che stava pensando. “Puoi dire anche tu quello che pensi di me. Mi sa che ormai siamo in confidenza: offendimi pure” concesse, divertito.

 

“No.”
La risposta di Lisa lo stupì, lei lo capì benissimo. Si allungò verso di lui, si riprese la canna e ci riprovò: tossì solo una volta e riuscì a inspirare il fumo senza morire soffocata. Lo prese come un traguardo e sorrise, guardando quella piccola ciminiera di veleno. “Ci sono riuscita”.
Quello che non disse era che non sapeva cosa pensasse di lui, non aveva ancora le idee chiare. Tornare dopo quattro anni e trovarselo davanti aveva scombussolato la sua mente.
Si ricordava benissimo quando lo incontrava per le vie di Springfield gli anni passati, soprattutto quando erano al liceo: Nelson girava con gente che a lei piaceva poco e la guardava sempre facendola sentire insicura. A volte l’aveva presa in giro, incontrandola da Apu o da qualche altra parte, a volte lei si nascondeva per non essere vista e lo guardava quando era con gli altri. Forse una di quelle volte che lo aveva visto con delle ragazze, c’era in mezzo anche Ellie.

 

“Cos’è la storia del polo nord?” Nelson si decise a chiedere quando lei non parlò più.
“È un lavoro che ho trovato.”
Il ragazzo annuì come se fosse una cosa normale, per lui, andare a lavorare al polo nord.
“Te lo ha trovato l’università? Per… quello che hai studiato? Cosa hai…”
“Veterinaria.”
Nelson annuì ancora, come se dovesse dimostrare di essere d’accordo.
“Quindi vai per studiare gli orsi…” Nelson cercò di pensare velocemente: al polo nord c’erano gli orsi polari o i pinguini? Perché confondeva sempre le cose? E perché ci teneva così tanto a dire la cosa giusta?
“No”. Il tono risoluto di Lisa lo mise al suo posto.
“Oh, ho sbagliato? I pinguini, allora.”
“No. Non hai sbagliato: è giusto, ci sono gli orsi polari. Io però vado in Groenlandia e sarò in una stazione per l’osservazione metereologica.”
Nelson si stupì. “E cosa ci vai a fare?” Lei alzò le spalle.
“Francamente poco, da quel che ho capito. Saremo in tre. Bastava avere la laurea e ti prendevano, ma non ci voleva andare nessuno. Infatti è pagato molto bene…”
“Lo fai per pagare il prestito universitario?” le chiese lui.

 

Lisa si sorprese della sua domanda. Gli aveva detto del prestito la sera che erano andati al diner e lui se lo ricordava ancora. Si sentì le guance in fiamme a scoprire che la cosa le faceva un enorme piacere.
“Voglio pagarmi un corso extra per curare le specie selvatiche dell’Africa e dell’Asia… Ma non posso aprire un altro prestito, né chiedere i soldi ai miei genitori.”
“Africa e Asia? Quindi è vero che odi Springfield e vuoi andartene.”
“Beh, non mi sembra che Springfield sia così bella!”
“Ma c’è la tua famiglia. I tuoi genitori, i tuoi fratelli…”
Lisa alzò le spalle.

 

Nelson avrebbe dato un occhio della testa per poter rivedere sua madre, nonostante tutto. E aveva sacrificato l’università per Ellie, la sua sorellastra. E ora stava curando Trevor che dopo il primo infarto aveva problemi seri. Per un attimo si innervosì: le persone che avevano così tanto non se ne accorgevano mai.
“Sei mai andato fuori da Springfield, Nelson?” Ora il tono di Lisa non gli piaceva più: sembrava accondiscendente, come quando parli a un bambino stupido cercando di farlo ragionare. Lei doveva pensare che lui fosse un povero provincialotto. Si stupì del fatto che fosse più deluso che offeso dalla cosa.
“Certo che sono andato fuori da Springfield. Non conosco solo le mura di casa mia. Ho visto anche altri posti. Mio padre mi ha anche portato in Europa. È solo che mi piace stare qui. A casa.”
Nelson si alzò.

Lisa capì di averlo offeso e si vergognò di come avesse posto la domanda. “Non intendevo…”
“Veramente immagino proprio che tu lo intendessi. Ma posso capire, sai? Probabilmente lo avrei pensato anch’io. Devo essere molto diverso da quei ragazzi che escono dall’università e indossano camicie e cravatte.”
Quando sentì il suo tono rassegnato, Lisa si sentì una stupida. “No, scusami, non dovevo…” Allungò una mano verso di lui e gli afferrò il braccio, la parte più vicina a lei.

 

Nelson abbassò lo sguardo sulla mano della ragazza e vide le sue piccole dita stringergli il braccio poco più su del polso. Il suo contatto era una carezza lieve e capì che lei era veramente dispiaciuta perché la sua mano tremava un pochino mentre cercava di trattenerlo dall’andarsene. Quando spostò lo  sguardo su di lei, Lisa lo guardò negli occhi e Nelson non riuscì a dire più niente. Si risedette e lei fece un piccolo sorriso.
“Ti va una birra?” gli chiese, ma il ragazzo scosse la testa. “Una coca?” insistette.

 

Lisa sperò che dal suo tono non si capisse la voglia che aveva di rimediare all’errore e rimase ad aspettare con ansia la sua risposta. Quando lui annuì, sorrise e si alzò per andare in casa.
Cercò di fare il più presto possibile e quando tornò, dopo pochi minuti, con due lattine, Lisa si stupì che non se ne fosse andato lo stesso.

 

Nelson voleva andarsene, ma non gli piaceva l’idea di farlo quando lei era in casa. Gli sembrava di nascondersi e invece non doveva più farlo. E non voleva.
Quando lei tornò fuori, gli porse la lattina e si risedette, aprendo la sua e bevendo un lungo sorso.
“Quando mia madre è morta, mio padre mi portò via per un po’. Sai, lui non aveva problemi di soldi e mi chiese se volessi vivere con lui. Per un po’ ci andai. Lui viaggiava un sacco e io non sapevo cosa fare della mia vita. Ma non mi piaceva neanche la sua. Sono stato in posti diversi, ho conosciuto do… persone diverse…” Nelson si interruppe e un po’ si vergognò quando aveva voluto censurare la parte sulle donne. “La sua era una vita fantastica: viaggi, culture, cibi totalmente diversi. Ma io sono tornato qui. A Springfield. E sai perché?”

 

Lisa ascoltò Nelson parlare e gli rispose annuendo con il capo: stava capendo. “Sei tornato per Ellie?”
Il ragazzo si avvicinò la lattina alle labbra e guardò verso la strada. Anche mentre parlava non aveva mai guardato verso di lei. Quando finì di bere si passò la lingua sulle labbra e disse: “Sì, proprio per Ellie. Per Ellie e Trevor. Se mio padre e mia madre erano la famiglia che mi è capitata, Ellie è la sorella che mi sono scelto…” Bevette ancora.
“È una cosa molto bella quella che hai detto, Nelson” sussurrò. Lui si voltò verso di lei, ma non disse niente. “E lo sfasciacarrozze?”
“Me lo ha lasciato mio padre l’anno scorso, quando è morto.”
“E chi ti ha insegnato ad aggiustare le auto?” gli chiese Lisa, ancor prima di pensare la frase.
“Trevor. Aveva un’auto degli anni ’60 in garage, l’abbiamo ristrutturata insieme. Ho imparato da lui tutto quello che so.”
La ragazza sorrise e lui non disse più niente. Passarono pochi minuti di silenzio e poi Lisa, memore di ciò che le aveva detto Milhouse, disse: “Tu sai che è stata fatta una petizione…”, ma si interruppe quando vide passare davanti a casa proprio la macchina di Milhouse con il ragazzo che guardava verso di loro. “Ma cosa cav…”
La macchina sportiva sbandò, quasi finendo sull’altro marciapiede.

 

Nelson si alzò di nuovo. “Forse dovrei andare…” Ma Lisa lo guardò con uno sguardo così brutto che si bloccò.
“Non puoi aspettare che torni indietro?” gli chiese.
“Come?”
“Milhouse abita di là” disse, indicando con il braccio la direzione opposta a quella dove era andata l’auto del ragazzo. “Tornerà indietro e se mi vedrà da sola, si fermerà e…” Lisa sospirò e si passò una mano fra le ciocche di capelli.
Nelson però non si risedette. “Lisa, vai in casa se ti dà fastidio Miloser, io me ne vado” disse.
“Grazie, sei molto gentile” borbottò ancora, ironica. Nelson rise, ma non cambiò idea.
Possibile che lei non capisse? Se Milhouse fosse tornato veramente indietro e li avesse visti ancora lì, cosa avrebbe pensato? Un conto era dare fastidio allo sfigatello facendogli paura, un conto era tirare in ballo Lisa.
“Fidati, ti sto facendo un favore” disse.

 

Lisa alzò lo sguardo su di lui, senza capire le sue parole. Alzò un sopracciglio e, senza accorgersene, arricciò il naso. Si alzò in piedi, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa lui abbassò lo sguardo sulla lattina che ancora teneva in mano. “Potrebbe pensare che noi…”
Lisa sentì le guance arrossarsi. Non aveva pensato che far sedere Nelson in giardino avrebbe potuto dar adito a certe voci. Poi aggrottò la fronte. “Sei un amico di Bart. Lo hai appena portato a casa perché era ubriaco e stai aspettando con me mia sorella. Perché Milhouse dovrebbe pensare qualcosa di diverso?”
“Perché è un idiota” rispose lui, alzando le spalle, ma sorridendo. Rise anche Lisa. “Giusto.”
Fece due passi e gli prese la lattina dalle mani. “Vai pure a casa, Nelson. Non attenterò alla tua reputazione” disse la ragazza, ma prima di entrare in casa a gettare le lattine si voltò e, mentalmente, aggiunse: “Non stasera”. Appena lo pensò si scoprì a ridacchiare e le sembrò di essere tornata al liceo. Al primo anno, quando il liceo era ancora una cosa simpatica.

 

Il rumore di una frenata brusca fece alzare a Nelson lo sguardo, ma si scoprì sorpreso quando notò che non era Miloser: era un’auto grigia, decapottabile e, al volante, un ragazzino troppo giovane per essere l’idiota dai capelli blu.
Maggie, la sorella di Lisa e Bart, scese dal sedile posteriore, salutando i ragazzi seduti davanti e parlando di qualcosa che avrebbero dovuto fare l’indomani. Senza accorgersene, Nelson si alzò e si avvicinò all’auto: conosceva sia la macchina che l’autista.

 

Lisa sentì le gomme fischiare sull’asfalto fin dalla cucina e corse verso il salotto per guardar fuori dalla finestra e controllare se per caso Miloser, come lo aveva chiamato Nelson, fosse effettivamente tornato e si fosse fermato davanti a casa loro. Ma la macchina che vide non era quella del perdente e vide scendere sua sorella da un’auto decapottabile e abbastanza nuova.
Quando uscì per assicurarsi che Maggie stesse bene, la vide che osservava Nelson, che si era avvicinato al lato del volante e aveva appoggiato la mano sullo sportello, parlando con il ragazzo che guidava.
“Che succede?” chiese alla sorella, una volta fuori.
“È un amico tuo, lui?” le rispose Maggie, indicando Nelson.
“Perché?” Lisa non sapeva cosa rispondere. Era un suo amico? E se avesse detto di sì, Nelson se la sarebbe presa?
“Cosa sta dicendo a Cory?” Lisa alzò le spalle. Non sapeva chi fosse Cory, anche se immaginava che fosse il ragazzo al posto di guida. E non aveva la più pallida idea di cosa si stessero dicendo.
Le ragazze si avvicinarono all’auto, ma questa se ne andò e loro rimasero sul marciapiede, insieme a Nelson.
“Che hai detto a Cory?” chiese Maggie, un po’ sostenuta, al ragazzo.
“Niente. Cose nostre.”

 

La ragazzina lo stava guardando male. Aveva nello sguardo la determinazione di Lisa e un po’ dell’arroganza di Bart. Doveva essere un peperino.
“Cosa vuol dire cose vostre?”
Nelson scosse la testa e le spalle.
“Ma te lo scopi questo qui?” chiese la piccoletta rivolgendosi alla sorella.
Lisa divenne rossa sulle guance prima di esclamare: “Maggie!”, stupita da quello che aveva detto.
“Ehi, ragazzina!” la sgridò lui.
“Ehi, tu! Ma chi cazzo sei?”

 

Lisa fece un passo avanti e cercò di salvare la situazione, anche se nessuno dei due sembrava a disagio.
“Lui è Nelson, Maggie. Andava a scuola con Bart…” Maggie non poteva ricordarselo, ma alle elementari avevano parlato spesso di Nelson e della sua banda. E di solito non ne parlavano bene, in famiglia.
Sua sorella continuò a guardarlo male e sbuffò senza dire niente.

 

“Visto che tua sorella è tornata, vado a casa. Buonanotte.”
Nelson aveva ignorato la ragazzina, così come lei stava facendo nei suoi confronti e salutò direttamente Lisa.
“E dov’è che abiti tu?” chiese Maggie, guardandosi intorno. “Non hai una macchina, quindi sei venuto a piedi?”
Nelson ghignò: fondamentalmente lei gli piaceva, era sveglia. Non era una di quelle che avrebbe trovato in una macchina infangata a Pinehill che ridacchiava o piagnucolava, esattamente dove aveva trovato Cory Dowson la settimana prima. Nelson gli aveva solo detto che la prossima volta non avrebbe voluto trovarlo nella stessa situazione e in compagnia della sorella di Lisa.
“Ho il carro attrezzi lì dietro” disse, indicando con il pollice la strada alle sue spalle.
“Il carro attrezzi? Sei Nelson il fratello di Ellie Reed?”
Nelson si fece attento e strinse un po’ gli occhi.

 

Lisa sentì il tono di voce della sorella cambiare: sembrava quasi impressionata e il suo modo arrogante di parlare era svanito.
“Sì” rispose Nelson. Anche lui sembrava incuriosito dal cambio di atteggiamento.
“Allora dovresti essere un tipo a posto. Buonanotte”. Maggie si girò e si incamminò verso la porta di casa, alzando il braccio senza voltarsi quando augurò la buona notte.
Loro la guardarono entrare e poi Lisa disse, voltandosi verso Nelson: “Avevi ragione, hanno pensato male”.
“Lei non è un’idiota. Sono sicuro che capirà se glielo spiegherai.”
Lisa annuì alle sue parole, contenta del fatto che lui non se la fosse presa.

 

Nelson le fece un cenno con il capo e si girò per incamminarsi verso il carro attrezzi, quando notò per terra qualcosa che prima non c’era. Si chinò e raccolse quella che sembrava una catenina. Si tirò su, tenendola in mano e osservando il dondolio di un piccolo ciondolo a forma di plettro.
“Cos’è?” gli chiese Lisa avvicinandosi.
“Penso sia un ciondolo.”
“Un ciondolo a forma di plettro!” esclamò lei, avvicinandosi.
“Sarà di Maggie” le disse lui, porgendoglielo e notando che era nello stesso posto dove prima era la ragazzina.
“Oh, non ho visto chitarre in camera sua…”
“Potrebbe essere un regalo, allora.”
“Forse.”
“Tieni, portaglielo.”

 

Lisa si avvicinò e prese la catenina dalle mani di Nelson. Quando le loro dita si toccarono lei sentì un brivido percorrerle la pelle e si morse un labbro.
Anche lui dovette sentire qualcosa, perché la guardò in modo strano.

 

Nelson pensò per un attimo di fare un passo avanti e di stringere Lisa fra le braccia. Quando lei aveva preso il ciondolo, le sue dita lo avevano sfiorato e lui aveva sentito una carezza molto più intensa di quello che c’era stato veramente e gli era mancanto il respiro, come quando un colpo lo colpiva all’improvviso. Poi lei si era morsa il labbro inferiore e lui aveva iniziato a non ragionare più.
Per fortuna in quel momento il rumore di un’auto che strusciava contro il marciapiede li fece voltare e ruppe quel momento di incanto.
Nelson si girò e, per la prima volta in vita sua, ringraziò il cielo che Miloser non fosse un bravo pilota e che, per guardare cosa stessero facendo loro, fosse finito di nuovo contro il marciapiede.

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***Eccomi con un altro capitolo! Grazie a chi legge!

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Capitolo 7
*** Birra per Maggie, grane per Nelson ***


birra per Maggie, grane per Nelson

Birra per Maggie, grane per Nelson

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A Lisa mancava un’ora prima della fine del turno. Quel giorno Ellie avrebbe fatto il pomeriggio e la mattinata sembrava non passare più.
“Scusa…”
Lisa si girò verso il nuovo cliente, che si era seduto su uno sgabello al bancone del bar e l’aveva chiamata cercando di attirare la sua attenzione.
“Ciao” lo salutò lei, vedendo che era un ragazzo e che le aveva dato del tu. “Posso portarti qualcosa?”
Lui le guardò il petto e poi tornò a guardala in viso. Lisa sentì il nervosismo salirle sulle spalle quando lui la sorprese e disse: “Sì, Lisa, mi potresti una tazza di caffè macchiato?”
La ragazza abbassò lo sguardo e capì che lui le aveva guardato la targhetta per poterla chiamare per nome e arrossì per aver pensato male.
“Arriva subito!” esclamò, improvvisamente molto vivace. Si voltò e afferrò la caffettiera, tornando a versargli un’abbondante dose di liquido nero e poi si allungò a prendere il bricco del latte.
“Allora, quali novità ci sono qui a Springfield?” le chiese lui, dopo aver bevuto un sorso di caffè e aver allungato una mano al menù.
“Sei tornato da poco?”
Il ragazzo annuì e lei rimase a chiacchierare con lui un altro po’, fra un cliente e l’altro. Quando se ne andò, dopo un’ora, Lisa si stupì che il tempo fosse volato via tanto velocemente.

 

***

Bart era al bancone del market e giocava con il cellulare; Apu gli aveva portato via la televisione e lui non aveva nient’altro da fare se non servire i clienti.
Quando entrò Milhouse, nel tardo pomeriggio, fu contento: almeno avrebbe avuto qualche distrazione.
“Milhouse! Prendi due birre dal frigo” lo invitò. Milhouse obbedì e Bart lo fece pagare prima di stappare le due Duff. Sbatté la bottiglietta contro quella dell’amico e gli chiese come fosse andata la giornata.
Milhouse alzò le spalle. “Il solito. Però la mamma mi ha salutato quando l’ho incontrata in ascensore!”
Bart espirò forte dal naso, come a contenere una risata. “Guarda, c’è mia sorella!”
Gli occhi di Milhouse brillarono quando iniziò a guardarsi intorno: “Dove? Dove?”
Bart rise più forte e indicò la porta del locale con la bottiglietta. “Lì!”
Milhouse si avvicinò al vetro per guardare fuori, quando la porta venne aperta verso l’interno e gli sbatté sul naso. “Ahia!” piagnucolò il ragazzo.
“Mi scusi…” iniziò a scusarsi la ragazza che aveva aperto la porta, ma poi lo riconobbe. “Oh, Miloser, sei tu!”
“Non chiamarmi Miloser, Maggie!” la sgridò Milhouse, guardando male Bart. Ma lui rise. “Oh, scusa Milhouse, pensavi ci fosse Lisa?”
“Bart! Shhhh… vuoi farlo sapere a tutti? E poi, non sgridi tua sorella per quello che mi ha detto?”
Bart annuì e si voltò verso Maggie. “Non dovresti scusarti quando entri in un negozio. Se la porta si apre verso l’interno, deve fare attenzione chi c’è dietro la porta, non tu!”
“Ma Bart…” piagnucolò ancora il ragazzo quando notò i due fratelli ridere alle sue spalle.
“Ok: scusami Miloser se non sono Lisa” lo prese in giro ancora la piccola Simpson. Bart rise e batté il pugno chiuso contro quello della sorella.
“Dammene un goccio” disse Maggie al ragazzo, indicando la sua Duff.
“No. Questa è mia.”
Maggie alzò gli occhi al soffitto, ma non insistette.
“Guarda, Milhouse, c’è Lisa!” disse Bart, indicando la porta da dove stava entrando una signora di mezza età seguita dai figli e da altre persone.
“Molto spiritoso, Bart, bravo…” Milhouse non si voltò neanche e prese un lungo sorso di birra solamente per fare un dispetto a Maggie che lo stava guardando.

 

“Hei, ciuccellona!”
“Ciao, Babi…” salutò Lisa entrando nel Market e tenendo la porta aperta per Ellie.
“Cavolo! Lisa! Couff….” Milhouse iniziò a tossire e si diede dei colpi al petto da solo quando nessuno lo aiutò. “C’era davvero Lisa!” esclamò, una volta finito, con le lacrime agli occhi dallo sforzo e guardando male Bart che alzò le spalle in risposta.
“Ciao, Maggie” salutò Lisa, lanciando un’occhiataccia al ragazzo dai capelli blu.
“Maggie! Ci sei anche tu!” Ellie fece due passi verso di lei e le ragazze si scambiarono due baci sulle guance.
“Ellie” disse Bart, con un cenno del capo e la ragazza ricambiò, avvicinandosi al bancone con un foglietto.
“Ciao, Lisa… Come stai?” Mentre Ellie chiedeva informazioni a Bart su alcune cose che le servivano, Milhouse fece qualche passo avanti per affiancare Lisa, ma lei fece un passo indietro.
“Milhouse, guarda che non ho scordato l’altra sera!” lo rimproverò lei, ma a bassa voce. Lui non disse niente e incassò il colpo. Ma poi, come se si fosse ricordato qualcosa in quel momento, esclamò: “Ti ho visto l’altra sera con Nelson!”
Lisa lo fulminò con lo sguardo e lo ignorò avvicinandosi a Bart, rimasto solo al bancone. “Mamma dice di non fare tardi che ci sono zia Patty e zia Selma stasera a cena.”
Bart alzò gli occhi al soffitto e annuì, continuando a bere. Tutti e due continuarono a ignorare Milhouse. La signora entrata poco prima, portò due bottiglie di latte sul bancone e sgridò i figli quando tentarono di prendere dei dolci vicino alla cassa. Bart la fece pagare e allungò delle caramelle sfuse al bambino più piccolo mentre gli altri stavano uscendo.

 

Mentre Milhouse si avvicinava ancora a Lisa, cercando di parlarle ed Ellie si avventurò lungo la corsia delle bibite, Maggie si avvicinò di nuovo al bancone e mise due banconote da venti dollari sul bancone, vicino alla mano del fratello.
“Per cosa sono, Maggie?” chiese Bart sospettoso, quando notò che Maggie si era sporta verso di lui.
“Mi serve della birra per la festa di stasera…” iniziò lei, ma Bart la interruppe subito. “No” disse, prima di tornare a bere, ma continuando a guardarla.
“Dai, Bart, non devi vendermela. Non rischi niente, basta che la porti a casa. Poi stasera quando…”
“Forse stasera non dovresti uscire, Maggie”. Bart continuò a bere e a guardarsi intorno. Ma Maggie non la prese bene.

 

Lisa stava cercando di scrollarsi di dosso Milhouse, così, quando sentì Maggie rispondere a Bart con un verso strano e strabuzzando gli occhi, si avvicinò a loro.
“Che succede?” chiese, una volta essere riuscita a staccarsi dal ragazzo.
“Niente” rispose Maggie.
“Maggie vorrebbe portare della birra a una festa…” disse Bart e la sorellina gli scagliò un’occhiataccia come se l’avesse tradita.
“Birra? Ma Maggie non…” iniziò Lisa, scuotendo la testa.
“Oh, piantala Lisa!” La ragazzina la ignorò dopo averla interrotta e si rivolse di nuovo al fratello. “Dai, Bart, tu di sicuro sai come funziona, lei che ne sa…”
“Ehi!” esclamò Lisa quando si rese conto che sua sorella la stava ignorando e probabilmente anche denigrando.
Maggie si voltò di nuovo verso di lei e sbuffò. Forte. “Dai, Lisa fatti un giro sto…”
“Maggie, smettila tu. Non dovresti bere, né tantomeno portare alcolici a una festa!”
Sua sorella la guardò divertita e, con una smorfia che a Lisa non piacque per niente, le chiese: “Sei mai stata a una festa, Lisa?”
“Certo che sono stata a una festa!” esclamò, quasi scandalizzata, la ragazza. Ma quando Maggie rise ancora, pensò di non aver dato la risposta giusta.
“E avevi più di dodici anni, l’ultima volta che ci sei andata?”

 

“Maggie, ora basta…” Bart si era intromesso fra le ragazze. Era una cosa strana, non gli era mai successo che loro litigassero. Neanche quando erano più piccole, quando Lisa era ancora a casa.
Maggie lo guardò, ancora, e l’occhiata che gli lanciò lo macchiò di tentato tradimento, come se avesse scelto Lisa invece che lei. Per un attimo Bart si sentì malissimo, ma poi gli passò. “Ho detto di no. Questione chiusa, Maggie” le disse, ma abbassò gli occhi. Non poteva aiutarla. Non quella volta.
“Sei…” Ma non finì la frase e per Bart fu peggio che se lo avesse insultato.

 

Maggie guardò malissimo Lisa, pensando che se non ci fosse stata lei, sicuramente Bart non avrebbe fatto storie. Lo aveva visto fumare Marijuana in camera sua! Non era di sicuro un bacchettone come la sorella.
“Perché non sei rimasta a Cambridge? Qui si stava meglio senza di te!” E corse fuori dal market.
Corse e corse ancora, con le lacrime che le scivolavano sulle guance fino a quando non pensò di scoppiare per lo sforzo.
Si fermò e si premette la mano sul fianco, dove sentiva un male allucinante.
“Maggie! Tutto bene?”
Christopher Logan, bellissimo in tenuta da jogging, le si fermò accanto. Maggie, se era senza fiato già prima di vederlo, con la maglietta tirata sul petto e i capelli lucidi e spettinati dalla corsa, ora non sarebbe riuscita più a dire niente.
“Sì, ho solo litigato con i miei fratelli” disse, dopo un po’, asciugandosi le guance di nascosto.
“Oh, mi spiace. Qualcosa di grave?” Maggie alzò una spalla.. “Oh, anch’io litigo spesso con i miei fratelli. Noioso, vero?” la consolò lui, ma dovette trovarla piuttosto triste, perché le propose: “Che fai? Ti va di fare due passi insieme?”, e in quel momento Maggie si sentì la persona più fortunata del mondo.

 

***

“Sei stato bravo, Babi.”
Lisa toccò il braccio al fratello quando notò che era un po’ giù di morale dopo la frecciatina di Maggie.
“È stato difficile.”
Lisa sorrise tristemente e gli accarezzò il braccio. “Ma hai fatto bene”. Bart annuì e poi riportò lo sguardo per il negozio. Era rimasta solo Ellie da servire, mentre Milhouse era appoggiato al frigorifero dei gelati e guardava il bancone senza dire niente e continuando a bere dalla bottiglietta.
“Oh, dì a mamma che stasera non so a che ora arrivo, passo dalla palestra, convincere Nelson a fare un incontro e…" Bart venne interrotto dal ragazzo con i capelli blu che si staccò dal frigorifero andando verso di loro.
“Ancora Nelson? Ma cosa ci troverete in lui? Ma vi ricordate quando faceva il bullo con tutti? Quante volte mi ha picchiato? Non capisco proprio perché lo frequentate!”
Ellie, che si stava avvicinando al bancone dopo aver finito la spesa fra gli scaffali, alle spalle di Milhouse spalancò occhi e bocca. “Mio fratello era un bullo?”

 

Tutti si girarono verso di lei. Bart vide Milhouse diventare rosso e lo sentì balbettare. “Tuo… fratello?” Milhouse si voltò verso di lui e Bart fece una smorfia e alzò le spalle. Ma Milhouse non capì. “Quel bastardo di Nelson è tuo fratello?” chiese alla ragazza che lo guardava con gli occhi lucidi. “Ah, gran bella famiglia! Tu invece cosa fai? Rubi nei negozi? Bart, io controllerei la sua borsa, dalla sorella di Nelson non mi aspetterei niente di meno!”
Ellie fece cadere il cestino con i suoi acquisti e guardò Bart con gli occhi terrorizzati. “Ti giuro, Bart, che non ho mai rubato niente…” Il ragazzo uscì dal bancone per andarle incontro, mentre notò che anche Lisa cercò di raggiungerla.
“Ma figurati! Avete sentito che Nelson è stato anche arrestato? È un criminale! E le mele non stanno mai lontane dall’albero!” Milhouse si dondolò sui talloni e gongolò delle sue parole, soprattutto quando parlò dell’arresto di Nelson.
Ellie non si era ancora ripresa, ma Lisa era riuscita ad affiancarla e a metterle un braccio sulle spalle, mentre Bart si era chinato a prendere il cestino.

 

“Nelson è stato arrestato per colpa mia” sussurrò la ragazza a nessuno in particolare, ma Lisa la sentì benissimo.
“Sono sicura che ti sbagli. Vieni, non ascoltare questo stupido…”
“Perché sono stupido secondo te?” esclamò Milhouse, arrabbiato. “Perché dico la verità sul quel mostro?”
Ellie si mosse fra le braccia di Lisa e scappò via dal market, più velocemente di come aveva fatto l’amica poco prima.
“Si dice ‘Perché sarei stupido?’, Milhouse” lo ribeccò Lisa. “E sei uno stupido perché…”
“Perché sì!” intervenne Bart, dandogli uno scapaccione. “Dammi venti dollari!”
“Perché?” chiese il ragazzo.
“Perché sei uno stupido!” gli rispose Bart.
Milhouse borbottò e brontolò a bassa voce, ma tirò fuori il portafoglio e diede una banconota all’amico. Bart la prese e allungò il cestino con la spesa di Ellie a Lisa, dicendole di portargliela.
“Tanto in settimana gli portano via tutto” disse Milhouse quando Lisa stava per uscire.
“Quando?” chiese la ragazza, girandosi prima di aprire la porta.
Milhouse alzò le spalle e fece un brutto ghigno. “Non lo so. Ma la mamma dice che questa settimana sarà tutto pulito. E lei ha contatti con il comune, non so se capisci cosa intendo… Noi non siamo come certe famiglie che…” Lo scappellotto che si beccò da Bart lo interruppe e Lisa ringraziò il fratello con gli occhi, prima di uscire.

 

***

Lisa guidava controllando tutti i marciapiedi, ma non vedeva Ellie da nessuna parte. Si era guardata intorno appena uscita dal market, ma lei non c’era, così era salita in macchina e aveva percorso la strada per andare verso casa della ragazza.
Guidò forse per dieci minuti prima di notarla: una piccola furia arrabbiata che camminava veloce lungo il marciapiede. Notò qualcuno scansarsi quando le arriva davanti, come se fosse spaventato. Un piccolo sorriso le si disegnò sul viso: era un vero uragano.
“Ellie!” la chiamò, ma lei non si girò, così Lisa accelerò, accostò al margine del marciapiede, poco più avanti, e scese di corsa, per bloccarle la strada.
“Ellie” disse, quando riuscì a raggiungerla e a fermarsi davanti a lei. La ragazza la guardò ed esclamò, arrabbiata: “Mio fratello era un bullo!”
Eh, sì. Era proprio quello. Ma Lisa non disse niente. “E ruba nei negozi?” chiese, improvvisamente.
“Scommetto che lo faceva solo da ragazzino. Sai, si può essere molto stupidi quando si è piccoli…” rispose Lisa, sperando di non mentire.
“Quando ero alle elementari i bulli mi prendevano in giro… Lui… è come loro…” La ragazza si guardò intorno, senza vedere niente veramente, tanto era accecata dall’ira. “Ecco perché avevano iniziato a lasciarmi stare! Perché lui li aveva picchiati! Aveva fatto quello che loro facevano a me!” Nervosa, alla ragazza tremavano fin le spalle, da tanto era agitata.
“Vieni, ti accompagno a casa, vuoi?” Ellie annuì e la seguì docilmente fino all’auto. Una volta seduta in macchina, la ragazza si riprese.
“Sono una stupida… Devi pensare che io sia proprio una stupida…”
“Non penso che tu sia una stupida, Ellie.”
“Tu non eri sorpresa dalle parole di quel ragazzo… quel Miller…”
Lisa rise quando lei tentò di ricordarsi il nome di Milhouse. Probabilmente aveva sentito il suo soprannome, Miloser. “Milhouse? Già, non ero sorpresa. Nelson era in classe con Bart, mio fratello. Lo… conoscevo”.
“Che idiota che sono! Solo io non ci ho mai pensato? Fammi indovinare, era uno di quei bambini che tua madre ti proibiva di frequentare?” Lisa continuò a guardare davanti a sé, mentre guidava verso casa di Ellie. Annuì e non disse niente.
“Ha picchiato il mio ragazzo, quando mi ha lasciato perché ero incinta. Pensavo lo avesse fatto per me… E ha anche picchiato i ragazzini che mi infastidivano alle medie. Avrei dovuto capirlo, non era quello il modo di comportarsi. Sono una stupida. Quelli che reagiscono così non sono brave persone. E il suo amico, quel tipo con cui usciva sempre, Secco, lo sapevo che non era un tipo per bene…” Fece un profondo sospiro e guardò fuori dal finestrino. “Nelson non era…” disse, interrompendosi subito dopo. Lisa immaginò che parlare male del fratello la facesse soffrire. “Ma lo sai che quando ero piccola lo adoravo? Pensavo fosse il più bravo fratello del mondo…”
“Ellie, ciò che tuo fratello ha fatto, non cambia ciò che prova per te. E lo ha dimostrato nel modo che conosceva. Ti ha difeso e vuol dire che ti vuole bene.”
La ragazza sbuffò, arrabbiata e a Lisa ricordò molto Maggie.
“Perché ho una visione diversa di lui da quella che hanno tutti?”
Lisa sorrise, cambiò marcia e le accarezzò la mano posata sul sedile. “Perché è tuo fratello e lo avevi idealizzato. Prima o poi ci si scontra contro il fatto che in verità sono persone con i propri limiti e difetti. E che ci possono deludere…”
Mentre parlava si rese conto di dover parlare con Maggie e quando parcheggiò davanti a casa della ragazza, disse: “Devo assolutamente scappare. Mi sono ricordata di dover fare una cosa. Sicura di stare bene?”
Ellie annuì, molto più tranquilla di quando l’aveva fatta salire in macchina. “Dovrò fare una bella chiacchierata con Nelson!”
Lisa guardò la ragazza scendere dall’auto con una strana energia e per un attimo, solo per un attimo, ebbe pietà di Nelson. Non immaginava che lei non sapesse del suo passato, ma il fatto che non ne fosse a conoscenza, faceva pensare a Lisa che lui non fosse più il teppista che era e che se era riuscito a tenere nascoste le cose che faceva, probabilmente non aveva più fatto niente di grave. A parte picchiare il ragazzo che l’aveva abbandonata mentre era incinta.
Quello Lisa poteva quasi capirlo, però… Cavolo, se il bimbo aveva quattro anni, voleva dire che Nelson si era messo a picchiare un ragazzino quando già andava all’università?

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Capitolo 8
*** Sorelle ***


Sorelle

 

“Ciao, Maggie, posso entrare?”
Lisa questa volta non aveva bussato e non aveva aspettato che la sorella rispondesse alla sua domanda, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
“Cosa vuoi?” Maggie, che era di nuovo sdraiata sul letto con le cuffie del cellulare, si mise seduta e, senza togliere la musica dalle orecchie, le aveva fatto quella domanda con tono sostenuto.
“È tua, questa?” Le chiese Lisa, mostrando nella mano la catenina che Nelson aveva raccolto sul vialetto qualche sera prima.
Maggie si alzò dal letto velocissimamente e Lisa fece appena in tempo a lasciare andare il ciondolo che la sorella glielo strappò dalle dita. “Ce l’avevi tu!” gridò la ragazzina.
“L’abbiamo trovata sul vialetto. Non te l’ho di certo rubata. E un ‘grazie’ sarebbe carino, sai?” Maggie continuava a guardarla male e sbuffare, ma Lisa non cedette e sostenne il suo sguardo.
“Ok… Grazie. Pensavo me l’avessero fregata alla festa…”
Lisa sorrise. “Però non è stato merito mio. L’ha trovata Nelson”.
Maggie si rigirò il plettro fra le dita e poi alzò lo sguardo su di lei, annuendo. “Il fratello di Ellie…”
Annuì anche Lisa. “A proposito di fratelli…” Maggie sbuffò e a Lisa sembrò ancora la bambina che giocava con Stacy Malibù insieme a lei. “Se volevi comprare la birra per far colpo su un ragazzo…”
“Io non ho bisogno di far colpo su nessuno. Non sono una sfigata!” Lisa capì di aver sbagliato approccio.
“Ok, scusami. Non intendevo che tu fossi una sfigata. Ma…”

 

“È che delle stronze mi hanno ingannato e…” Maggie sospirò e spiegò alla sorella ciò che era successo: il gruppetto di Ashley, la biondina capo delle Cheerleaders, le aveva fatto uno scherzo e le ragazze le avevano detto che per rimediare avrebbe dovuto portare della birra quella sera per la festa che Ashley aveva organizzato per il suo compleanno.
Quando aveva incontrato Chris, nel pomeriggio, lui le aveva raccontato che l’anno prima, per il compleanno di Janine, un’altra delle cheerleaders, avevano fatto lo stesso  con un’altra ragazza, ma lei non era riuscita a trovare la birra e le avevano imposto una punizione imbarazzante alla festa. L’avevano derisa pesantemente davanti a tutti e lei aveva cambiato scuola. Sembrava lo facessero con le ragazze del primo anno per divertirsi alle loro spalle e deriderle davanti a tutti.
Maggie ancora non sapeva se lui fosse a conoscenza del fatto che lei aveva subito lo stesso scherzo, ma era contenta di averlo saputo prima. Strinse forte la catenina a forma di plettro e la infilò nella tasca dei jeans.
“Ho appena scoperto che avevano organizzato tutto per farmi fare una figuraccia e ora non posso tirarmi indietro senza sembrare…”
Sospirò e alzò gli occhi verso sua sorella, interrompendosi. In fin dei conti, cosa poteva interessare a lei? Alla perfetta Lisa, che al liceo aveva il massimo dei voti ed era andata a studiare lontano, in una prestigiosa università per diventare la veterinaria più brava del mondo e di cui sua madre tesseva le lodi a ogni persona che le chiedesse della figlia.

 

Lisa sentì una rabbia nel petto come non le era mai successo: aveva subito scherzi anche lei, essere una secchiona (e sì, la chiamavano proprio così, sia alle medie che al liceo) non portava punti nel club della popolarità. E avere idee anticonformiste non l’aveva mai aiutata a stringere amicizie, ma sua sorella non andava toccata.
Era buffo, perché da quando Lisa aveva smesso di difendersi con accanimento, anche gli altri non l’avevano più considerata interessate come vittima di scherzi, ma la rabbia che sentiva dentro per l’ingiustizia subita da Maggie, per non parlare dello scherzo, la faceva tremare di indignazione.
“Devi andare dal preside! Devi…”

 

La risata di Maggie, bassa e nervosa, scattò senza che lei lo volesse. Non voleva offendere Lisa, ma non era riuscita a trattenersi.
“Lisa… La scuola è finita e al preside non interessa niente! E tirare in ballo gli adulti peggiorerebbe le cose. Devo risolverla da sola.”
Maggie si risedette pesantemente sul letto e sospirò: si sentiva in trappola. Da un lato non aver capito che lo avevano fatto apposta e non perché volessero invitarla nel loro gruppo, la faceva sentire stupida e dall’altra il pensiero che volessero prendersi gioco di lei, la riempiva di ira. Purtroppo le due cose insieme le impedivano di escogitare una soluzione per uscirne indenne. Non voleva non presentarsi alla festa, perché loro non l’avrebbero più lasciata stare, ricordandole il debito, anche se ingiusto, e dall’altro non voleva che pensassero che lei avrebbe sempre fatto ciò che loro le ordinavano. E Maggie non voleva più avere a che fare con loro.
Toccò in tasca il ciondolo: quello che aveva comprato perché le ricordava Chris, che suonava la chitarra nel coro della scuola. Sognava di regalarglielo ma non aveva ancora avuto il coraggio. Pensava di farlo la sera della festa, ma non sapeva che ci sarebbe stato anche Cory, così l’aveva messa in tasca. Quando poi era arrivata in camera e non l’aveva trovata, aveva pensato di averla persa a casa del capitano di football o addirittura che gliela avessero rubata. Era contenta di averla ritrovata.
Anzi, che lei l’avesse ritrovata: guardò Lisa, ma sua sorella la guardava con uno sguardo strano.

 

Lisa stava pensando. Anche lei aveva avuto una spina nel fianco, al liceo: una ragazza popolare, con un gruppetto di amiche stronzette e il trucco sempre perfetto. Ragazze che avevano fatto finta di essere amiche solo per poi prenderla in giro davanti a tutti. Solo che la sua si chiamava Britney. Si ricordò di quando la riempiva di frecciatine in classe e in tutta la scuola, verso la fine del primo anno, quando Lisa aveva capito che il liceo non era tutta manna dal cielo.

 

“Sono sicura che Bart saprà consigliarmi un modo per fargliela pagare” disse, dopo un po’ di silenzio, Maggie.
“Sì, Bart ha ottime idee. Ma serve un tocco in più.”
Maggie osservò Lisa tirare fuori il telefono, guardarsi intorno e andare alla scrivania della sorella, prendere una penna e un foglio di carta colorata e iniziare a scrivere. Poi disse al cellulare: “Babi, ti ricordi quando abbiamo fatto lo scherzo delle birre a papone?”
Maggie ascoltò, con occhi sgranati, Lisa parlare al telefono con Bart e lanciarle ogni tanto qualche occhiata vincente, sorridendo. Che stava succedendo? Lisa interruppe la chiamata dopo cinque minuti e l’ultima frase che disse fu: “Portaci due casse di bottiglie piccole di birra”.

 

Maggie la stava guardando ammirata e Lisa lo vedeva benissimo. La cosa la faceva sentire come se si fosse laureata un’altra volta. Una laurea con il titolo di miglior sorella del mondo.
“Una volta abbiamo fatto uno scherzo a papà e gli abbiamo svuotato una confezione di bottigliette di birra. In garage abbiamo una macchina che serve per tappare le bottiglie di vetro: le avevamo richiuse e messe in frigo. Papà è andato giù di testa quando, ogni volta che ne apriva una, la trovava vuota. Ha minacciato di denunciare Apu, pensando che gli avesse venduto aria confezionata. Quando gli abbiamo svelato di essere stati noi ha quasi strangolato Bart. Tranne quella parte, per il resto è stato divertente.”
Lisa raccontò la storia con aria sognante, come se fare quello scherzo con suo fratello le avesse dato un brivido.
“Vorresti vuotare le bottiglie che devo portare a casa di Ashley?” chiese Maggie, un po’ confusa.

 

Maggie non dubitava che lo scherzo che avessero fatto a Homer fosse venuto bene, ma non le sembrava quello adatto alla sua situazione. Loro avrebbero potuto immaginare chi avesse vuotato le bottiglie e ne avrebbero bevute altre mentre la prendevano in giro.
Ma Lisa la sorprese. “No” disse, mentre strappava una parte di foglio e gliela porgeva. “Ci metteremo dentro questo, lo vendono al supermercato”.
Maggie lesse la parola scritta sul foglietto e aggrottò la fronte. “Cos’è?”
“Un potete lassativo insapore.”
A Maggie si illuminarono gli occhi: quello sì che andava bene per Ashley e le sue amiche! Poi Lisa disse qualcos’altro sul fatto di stappare bene le bottiglie senza piegare il tappo di metallo e continuò a parlare da sola.

 

Lisa iniziò a scrivere tutto ciò che dovevano fare e poi sorrise a Maggie che la guardava con la fronte aggrottata.
“Cosa c’è?”
“Chi cavolo è Britney?”
Lisa non disse niente e scosse le spalle, ridendo.

 

***

“Eri un bullo?”
Nelson aprì la porta di casa e sospirò alle parole della sorella, che lo aspettava lì fuori, nel buio, sotto il piccolo portico laterale.
“Vieni dentro, Ellie” disse solamente. Sapeva che lei non aveva mai capito quello che lui faceva prima di conoscerla e ora era arrivato il momento in cui chiedeva spiegazioni. Sapeva che sarebbe successo, solamente non era il momento giusto. Non quella sera.
Bart gli aveva dato buca dicendo che doveva fare qualcosa con sua sorella e Nelson aveva pensato a Lisa per tutto il tempo dell’allenamento e Blackwall, il vecchio pugile amico di Trevor, lo aveva preso in giro chiedendogli perché fosse così scarso quella sera. Nelson aveva dovuto richiamare tutto il suo autocontrollo per non tirargli un pugno sul naso.
È che sapeva che aveva ragione: sul ring si sale senza pensieri. Trevor glielo aveva detto un sacco di volte: non portare sul ring nient’altro che concentrazione e resistenza. Sii più tenace dell’avversario e lascia in tribuna le donne.
Donne! Come se a lui potesse interessare Lisa Simpson! Come se lui avesse possibilità con una come lei. Come se… Come niente!
Entrò in casa, seguito dalla sorella e andò direttamente al frigorifero: prese una Duff porgendo a lei una coca. Ellie la prese in silenzio e si voltò, andando verso il portico sul retro.

 

Era una serata magnifica, Ellie riusciva a vedere le stelle perché il giardino sul retro della casa di suo fratello era tutto buio. Un’enorme distesa di erba, l’orto recintato, qualche albero, cespugli e un cielo infinito: quasi il paradiso. Stappò la sua lattina e si sedette su una delle sedie sdraio che c’erano sotto il portico.
Quando Nelson la raggiunse, si sedette su una sdraio vicino a lei, ma non disse niente.
“Allora? Non dovremmo parlare del fatto che io non sapessi che eri un bullo?” gli chiese.
Alla luce della luna Ellie vide chiaramente le spalle di suo fratello alzarsi e abbassarsi, mentre beveva un lungo sorso di birra.
Sbuffò. “Non avevi pensato di dirmelo?”
“Per quale motivo avrei dovuto farlo?” le chiese lui, sorpreso, alzando un sopracciglio.
“Perché lo sono venuta a sapere da Miller e ho fatto la figura della sciocca! E non mi piace fare la figura della sciocca, lo sai!”
Suo fratello, come tutti i maschi, ascoltò solo quello che voleva e le chiese: “Chi è Miller?”
Ellie sbuffò ancora. “Quel tipo con i capelli blu che ci prova sempre con Lisa, ma non è di questo che volevo parlare! Io…”
“Miloser?” domandò ancora lui. Ellie scosse le spalle, perché effettivamente non era importante e continuò: “Eri un bullo? Uno di quelli che ruba i soldi per il pranzo ai ragazzini e li picchia? Come…” Guardò per un attimo il prato e poi riportò lo sguardo verso di lui. “Come facevano gli altri con me?”

 

Nelson non rispose. Non sapeva cosa dire. Poi annuì.
“E perché?” gli chiese lei, ma la sua voce si affievolì un pochino. Scosse le spalle.
“Ero un ragazzino. Ero stupido e incazzato con il mondo; gli unici amici che avevo erano dei delinquenti e pensavo fosse divertente fare quello che facevano loro. Ero un delinquente. Ma questo lo sapevi già, no? Non ti ricordi le urla di mia madre?”
Ellie sorrise al pensiero di sua madre, Nelson sapeva che lei le aveva voluto molto bene, un affetto che sua madre aveva ricambiato sinceramente.
“Sì, mi ricordo. Ma sai… L’idea che tu facessi qualcosa di sbagliato agli occhi di tua madre non mi rende inquieta come sapere che picchiavi gli altri ragazzi…”
“È grazie a tuo padre se ho smesso di picchiare gli altri: mi ha insegnato che il sacco da boxe non si lamenta, non si contorce e non mi avrebbe denunciato. Posso dire di non essere più un bullo dalle scuole medie. È un bene, no?” tentò di scusarsi lui.
Ellie annuì, ma poi divenne triste.
“Quindi non era la prima volta che picchiavi qualcuno quando hai picchiato…” La sua voce divenne di nuovo sottile e Nelson dovette bere ancora.

 

Ellie sapeva che Nelson aveva picchiato Speek, il suo ragazzo, quando lei si era ritrovata incinta e lui l’aveva accusata di averlo fatto apposta e di voler tentare di affibbiargli un figlio non suo. Lei aveva pianto tantissimo e quando suo fratello lo aveva scoperto, era successo quello che era successo.
Non poteva dire niente, perché era stata colpa sua: non avrebbe mai dovuto dire a Nelson chi era il padre del bambino. Lui lo aveva picchiato a scuola ed era stato espulso dall’università.
“No” rispose Nelson.
“Mi dispiace, però. Avevi smesso e per colpa mia…”
“Non è stata colpa tua. Ero in grado di prendere le mie decisioni. Avrei potuto… gestire la cosa diversamente. Meglio, probabilmente. Ma sono stato io. È stata una scelta mia.”
Ellie si ricordò di quando Lisa le aveva detto: ‘Ti ha difeso nell’unico modo che conosceva’, e il suo viso si intenerì. Si allungò verso il fratello e gli mise una mano su un ginocchio. “Grazie” disse, cercando di guardarlo negli occhi.
Lui tirò su la testa di scatto. “Non devi neanche dirlo, lo sai!” Ellie annuì. Ma quel discorso lo avevano già fatto.
“Almeno è stata l’ultima volta che ti sei messo nei guai? Qualsiasi tipo di guai?”

 

Nelson scosse la testa e basta: non disse niente. Non riuscì a guardare in faccia la sorella. Nonostante la poca luce della luna rendesse tutto più scuro e lei non potesse vederlo bene, non riuscì a guardarla. Così guardò il prato anche lui.
Si era messo nei guai un’altra volta, l’ultima. E sapeva che non era fuori del tutto neanche da quel casino. Ci sono cose che non se ne andranno mai e te le porterai sulle spalle come uno zaino ingombrante e troppo pesante per la strada della vita.
Pregò che lei non gli chiedesse niente su quella faccenda e, forse per la prima volta in vita sua, fu accontentato.
“Sai che penso del tuo giardino, Nelson?”
“Che pensi del mio giardino, Ellie?” chiese lui in risposta, sospirando, sapendo già che sarebbe stata una punizione per il suo desiderio di poco prima.
“Che sarebbe il posto ideale dove organizzare un party per il mio compleanno, la settimana prossima!”
Nelson finì la birra e non disse niente mentre si voltava verso una Ellie molto sorridente, capendo di essere stato fregato.

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Capitolo 9
*** Niente per il verso giusto ***


niente per il verso giusto

Niente per il verso giusto

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“Com’è andata?”
Lisa aspettava in macchina da dieci minuti. Aveva parcheggiato e aspettato il messaggio di Maggie e quando l’aveva vista arrivare aveva sospirato di sollievo. Un conto è esserci e sapere cosa fare, un conto era spiegare a qualcun altro e non poter gestire il tutto. Così un po’ aveva avuto paura che potesse andare male.
“Benissimo! Ho chiuso due dei tre bagni, come mi avevi suggerito. Ho mangiato la torta e poi ho detto che stavo troppo male, che sarei andata a casa. Hanno iniziato a ridere, penso che fosse il momento in cui avevano previsto di fare lo scherzo a me, ma poi Ashley ha fatto una faccia strana ed è corsa in bagno. Quando anche Tamara si è alzata, sono uscita. Forse avrei dovuto aspettare per godermi un po’ la scena…”
Maggie era salita in macchina sorridendo. Lisa le batté il cinque a mano aperta e le indicò la cintura, prima di accendere il motore.
La sorellina sbuffò. Ma poi obbedì e Lisa fece partire l’auto.

 

Quando tornarono a casa, ridacchiando, incrociarono Marge in salotto che copriva, con una coperta, un Homer addormentato sul divano. La madre sorrise alle figlie e chiese loro se andasse tutto bene. Maggie guardò Lisa ridacchiando e annuì, salendo le scale di corsa. Marge lanciò un’occhiata a Lisa e la vide sorridente. Contenta per le sue figlie, si sedette sul divano vicino al marito.

 

Maggie entrò in camera carica come una molla.
Aveva dato pan per focaccia a quelle oche che volevano soltanto prenderla in giro e, sorridendo, si lanciò sulla sedia a rotelle della scrivania e la spinse verso il muro prima di farla girare. Girò ancora un po’ e poi guardò Lisa.
“Oh, Lisa, è stato fantastico! Mi sono sentita… come Bart!” Rise ancora e ridacchiò verso la sorella. “Grazie. Non mi divertivo così da…” Poi divenne triste.
Sapeva da quanto tempo non si divertiva così tanto. Ma non voleva dirlo: era stato prima che sua sorella partisse.
Lisa le venne vicino e si sedette sul suo letto.
“Mi dispiace” iniziò. Maggie scosse la testa e sentì le lacrime pungerle gli occhi: doveva aver capito. “So che non…"
Ma Maggie non aveva intenzione di scusarla. Neanche per averla aiutata a fare quello scherzo strepitoso ad Ashley e alle altre.
“Tu non sai niente, Lisa: non c’eri.”

 

Lisa strabuzzò gli occhi alle parole della sorella e si interruppe, incapace di andare avanti.
“Non c’eri, non chiamavi, non ti facevi viva. Con tutti gli strumenti che abbiamo adesso…” La sua mano si sollevò a indicare il computer sulla sua scrivania, sotto le foto di quando era piccola appese al muro.
Lisa abbassò lo sguardo: era vero. Aveva ignorato tutti. Infatti non aveva raccontato a nessuno dei suoi compagni di loro, solo Kristen era a conoscenza della sua famiglia e da che città venisse lei.
“Sì, ma io…”
“Non penserai mica che quello che è successo oggi basti a sistemare tutto, vero?”
“Come?” Lisa sbarrò gli occhi: cosa intendeva Maggie?
“Mi hai aiutato, sei stata carina, sì… Ma non è che basta che tu torni per qualche settimana e noi siamo di nuovo amiche, ci mettiamo a giocare con Malibù Stacy e non è successo niente…”
“No, Maggie, hai ragione, ma…”
“Ma niente, Lisa. Tanto a settembre te ne andrai di nuovo, no? Dov’è che vai? Ah, sì, al Polo Nord…”
“Veramente è la Groenlandia…” Lisa non riuscì a stare zitta e sua sorella le scoppiò a ridere in faccia.
“Come se ci fosse differenza, precisina Lisa! Sarai sempre lontano da qui e farai finta di non conoscerci! Come se noi non fossimo veramente la tua famiglia!” La voce della sorella si incrinò un po’ e Lisa si sentì in colpa.
Quando Maggie si buttò sul letto, Lisa si avvicinò e provò a sedersi vicino a lei.
“Senti, perché non te ne vai nella tua stanza? Siamo uno schifo di famiglia ma almeno non dobbiamo dividere la camera per dormire…”
Lisa sentì la tristezza nel cuore e non disse niente, ma si alzò e uscì dalla stanza.

 

Maggie appoggiò la faccia sul cuscino e tirò su con il naso. Non voleva piangere. Quando sentì la porta chiudersi alle spalle della sorella, si girò sulla schiena, prese il cellulare dalla tasca della felpa e mandò un messaggio.
‘Che si fa quando i fratelli maggiori ti fanno girare le scatole?’
La risposta non tardò ad arrivare.
‘Si esce con un amico e si sparla di loro.’
Maggie sentì il cuore batterle forte. ‘Dove lo trovo un amico disponibile adesso?’
‘Io sono disponibile. Usciamo insieme?’
La ragazza sorrise, digitò sullo schermo la risposta, poi si asciugò le lacrime, aprì la finestra e sparì nella notte.

 

Quando chiuse la porta della stanza di Maggie, Lisa era devastata. Andò nella sua stanza trascinando i piedi, come se avesse sulle spalle il peso del mondo. Voleva suonare per tirarsi su, ne aveva estremo bisogno. In quella famiglia, in quella città, niente le dava serenità come il suonare il sax. E, dopo la discussione con la sorella, doveva assolutamente trovare il modo per estraniarsi e lasciar vagare la mente. O almeno provarci, visto che non ci riusciva da troppo tempo.
Entrò nella sua stanza e si diresse verso il sax, decisa a riprovarci, quando notò che lo strumento non era al suo posto, ma era vicino alla finestra. Probabilmente sua madre aveva pulito la stanza e si era scordata di rimetterlo vicino al letto. Lisa sbarrò gli occhi e sperò che il sax non fosse stato sotto il sole tutto il giorno. Si avvicinò e lo toccò: dannazione, non era freddo come doveva essere il metallo.
Lo tirò giù dal piedistallo e controllò le chiavi una a una. Sembravano rigide, e si muovevano con sforzo. Troppo. Avvicinò le labbra al bocchino e provò a suonare, soffiò e le sue dita si animarono magicamente sui tasti, ma quasi le scoppiarono i polmoni: il sax era muto. Dannazione!

 

***

 

La mattina dopo Lisa uscì dal ‘King's Toot's music store’ il negozio di strumenti musicali di Springfield, dove il nuovo proprietario le aveva consigliato qualche piccolo trucchetto per rimediare al danno dei tamburi secchi delle chiavi delle sax.
Secondo lui sarebbero bastate delle clamp sulle chiavi, ma ci sarebbe voluto qualche giorno, così le aveva anche consigliato di tenere il sax nella custodia da viaggio con uno straccio bagnato nella campana per qualche ora, poi avrebbe dovuto riprovare a suonare.
Lisa era scettica ma lui le aveva assicurato che le sue chiavi non erano rovinate e che avrebbe potuto farlo tranquillamente, così era uscita dal negozio alleggerita di cinquanta dollari e con il pensiero di tornare al più presto a casa per sistemare il danno.
Quando uscì dal negozio si diresse verso l’auto di sua madre e appoggiò la custodia del sax nel bagagliaio sopra alla coperta che vi aveva steso a casa: il suo povero strumento aveva già le chiavi in quello stato, l’ultima cosa che doveva succedere era che prendesse troppe vibrazioni. Chiuse piano il portellone del baule e fece qualche passo per salire in auto, quando vide un poliziotto dall’altra parte della strada parlare con un uomo vicino a un grosso escavatore, di quelli con un braccio mobile davanti, per raccogliere le cose di grosse dimensioni e spostarle. Quando il poliziotto indicò la strada e mosse la mano per intendere di proseguire la via l’uomo annuì e risalì sul suo macchinario e Lisa osservò altri due camion seguirlo.
“Lisa!” si sentì chiamare, così tornò con lo sguardo verso la strada, verso il poliziotto ancora fermo sull’altro marciapiede. Poi, lentamente, lo riconobbe e un sorriso le si dipinse sul viso.
“Ralph!” gridò, tentando di attraversare la strada. Ralph, il ragazzino pacioccone con cui aveva condiviso insegnanti, merende e lezioni!
Quando riuscì ad arrivare dall’altra parte della via lo abbracciò stretto: Ralph era un ragazzo d’oro, molto ingenuo e bersaglio facile per tutti, era stato un ottimo amico per Lisa.
“Avevo sentito dire che eri tornata” disse lui, sorridendo. Lisa abbassò lo sguardo, sentendosi un po’ in colpa: mentre era lontano era stato facile dimenticarsi di tutti, ma tornare lì, voleva dire affrontare tutte le sue mancanze.
“Eh sì… Sono tornata qui…” affermò, guardandosi intorno. Purtroppo il traffico mattutino non era una scusa valida per non tornare a guardare il ragazzo, ma lui era sempre il solito Ralph, infatti sorrise in modo dolce.
“Hai visto?” le chiese, indicando il distintivo.
“Sei un poliziotto!” Lisa sorrise felice. Sapeva che Ralph voleva fare il poliziotto fin dalle scuole medie, quindi esserci riuscito doveva dargli molta soddisfazione. “Ma che bravo!”
Lui arrossì e poi guardò la strada. Lisa ebbe l’impressione che le volesse dire dell’altro ma, avendo capito tempo indietro che la cotta per lei non gli era passata, decise di cambiare argomento, nel caso lui volesse farle qualche proposta a cui avrebbe faticato a dire di no. “Cosa voleva quell’escavatorista?”
“Oh, chiedeva indicazioni. Non era di qui.”
“Cercava qualcosa in particolare?” chiese Lisa. Una brutta sensazione la colpì, ricordandosi delle parole di Milhouse e della storia della petizione firmata per far chiudere lo sfasciacarrozze di Nelson.
“Sì, cercava l’officina di Muntz. Sai che adesso ha aperto…”
Lisa trattenne il respiro e lo interruppe subito dopo. “Oh, Ralph, mi sono scordata di una cosa importantissima, devo scappare, scusami tanto. Magari un giorno di questi passo a trovarti. Oppure vieni tu, ora lavoro al diner sulla West Hickory, ci prendiamo un caffè insieme!”
Appena il tempo dei saluti e Lisa salì in macchina per cercare di raggiungere al più presto la proprietà di Nelson. Non si preoccupò del sax nel baule né delle vibrazioni che stava prendendo mentre lei schiacciava il pedale dell’acceleratore, pensando solo al fatto che se avesse avuto il suo numero di telefono ora avrebbe potuto avvisarlo che gli escavatori stavano andando a casa sua per espropiargli tutto.

 

***

Quella mattina Steve sapeva che non ci sarebbe stata Lisa al diner sulla West Hickory, glielo aveva detto lei proprio il giorno prima, ma aveva deciso di andarci lo stesso. Sapeva che lei ci sarebbe stata. Anche quello glielo aveva detto Lisa, solo che lui non le aveva detto che lui la conosceva già. E che lei conosceva lui.
Davanti alla porta vetrata fece un sospiro profondo e spinse forte sulla maniglia; il campanello attaccato al soffitto suonò e la ragazza, quella per cui era tornato lì a Springfield, alzò gli occhi sulla porta.

 

Ellie stava togliendo le stoviglie pulite dal cestello della lavastoviglie, quando la porta si era aperta, lasciando entrare un cliente. Con un gesto meccanico alzò gli occhi sull’uscio e lo vide lì, immobile.
“Che ci fai qui?” gli chiese con la fronte aggrottata.

 

***

 

Lisa arrivò a casa di Nelson proprio nel momento in cui la prima ruspa stava per oltrepassare il cancello automatico. Accelerò, pigiando sul pedale con tutta la sua forza e passò fra il palo del cancello di ferro e il mezzo pesante, fermandosi di traverso proprio sulla sua traiettoria.
“Fermi!” gridò, scendendo velocemente dall’auto con le braccia aperte. Si sentì carica e piena di vita: non le succedeva da una vita. Dall’ultima manifestazione a cui aveva partecipato, probabilmente.
“Ma che succede? Chi sei, tu?” L’uomo che scese dall’escavatore era basso e tozzo, con un accento marcato. “Dobbiamo lavorare, ragazzina, spostati” rimarcò, con esasperazione.
“Non potete entrare!” Lisa, con la voce grossa, mantenne la sua posizione. L’uomo guardò dietro di lei e chiese ad alta voce: “Figliolo, potresti dire alla tua ragazza di spostarsi? Già siamo in ritardo, se vuoi il lavoro finito entro la settimana, ci conviene iniziare al più presto…”
Lisa non si voltò. Aveva imparato da tempo a non distrarsi in quelle occasioni. “Non potete…” esclamò ancora, ma questa volta venne interrotta da una voce alle sue spalle: “Lisa… Lisa…” La mano di Nelson le prese il braccio e lei l’abbassò prima di voltarsi.
“Nelson, so come funziona: non devi farli entrare!”
“Ehm…” Nelson alzò una mano verso l’uomo e disse: “Calvin, dammi un attimo”, poi prese Lisa per mano e si allontanò di qualche passo.

 

Nelson si era allontanato da Calvin e gli altri perché aveva già visto sulle loro facce qualcosa che non gli piaceva, ma prima doveva risolvere il problema davanti a lui, vestito di jeans e con una maglietta rossa a pois troppo accollata per essere estiva. Sospirò quando Lisa continuò a guardare verso gli operai. Cosa ci faceva lì? E perché diamine non voleva che Calvin portasse via tutto?
“Lisa… Che stai facendo?” sussurrò.
La ragazza si voltò verso di lui e i suoi occhioni lo immobilizzarono sul posto. “Milhouse mi ha detto della petizione. Non puoi farti portare via tutto!”
Nelson scoppiò a ridere. “Milhouse? Petizione? Cosa dice quell’idiota?”

 

Lisa si bloccò nel momento in cui lui rise. Sentì le guance prendere fuoco: stava ridendo di lei? Di lei che voleva aiutarlo?
“Diceva che volevano buttarti fuori…”
“Buttare fuori me? Me?” chiese lui, smettendo di ridere. Quando lei annuì, lui sospirò. “Ok. Ascolta, ho chiamato io Calvin. Lui e i suoi porteranno via tutto il ciarpame. Li… li ho chiamati io…”
Oh. Lisa sbarrò gli occhi e arricciò le labbra imbarazzata. Oddio. Guardò velocemente verso gli operai e poi portò di nuovo lo sguardo su Nelson.
“Li hai chiamati per… ripulire?”
“Già. Ti ricordi i topi?” Il viso di Nelson ora era strano. Lisa annuì senza dire niente.

 

“Se avete risolto, noi dovremmo iniziare i lavori…” Calvin fece un passo e Nelson vide chiaramente Lisa voltarsi verso di lui.
“Sì, potete entrate” disse, con il tono di una regina e il disappunto di chi ha perso un incontro di pugilato.
Calvin rise un po’ sguaiatamente e indicò l’auto di Lisa. “Allora, tesoro, dovresti spostarci la macchina, il mio escavatore ancora non vola!” E rise ancora, voltandosi verso gli altri che gli fecero cenni d’assenso.
“Non mi chiami ‘Tesoro’!” gridò Lisa, aggrottando la fronte e facendo un passo verso di loro.
Calvin rise ancora e disse, salendo sul mezzo: “Va bene, amore, che ne diresti allora di portarci un bel caffè?”
Lisa, che stava per salire in macchina, si voltò verso l’uomo e gridò: “Il caffè lo può venire a prendere al diner per un dollaro e cinquanta la tazza!”
Nelson soffocò una risata, mentre Calvin rimase a occhi spalancati fermo sul gradino della ruspa.
“Lo faccio io il caffè, Calvin!” gridò e l’uomo fece una smorfia di assenso.

 

Lisa chiuse la portiera e girò la macchina verso il cancello, ma questo era bloccato dall’escavatore che era venuto verso di lei, bloccandole l’uscita. Aspettò che l’uomo maleducato che guidava si spostasse per lasciarla passare, ma lui ghignò nella sua direzione e non si mosse.
Il colpo che Nelson diede sul tettuccio della macchina per attirare la sua attenzione e farle segno di retrocedere fino all’abitazione, la stupì come se le avesse dato uno schiaffo sul sedere.
Lisa ingranò la retro e si girò per percorrere la strada verso il piazzale davanti alla casa. Quando scese, Nelson l’aveva quasi raggiunta. “Vuoi un caffè anche tu?” le chiese e lei annuì. Se doveva rimanere lì, tanto valeva bersi un caffè.
Il frastuono del ragno meccanico che sollevava una carcassa la fece incassare la testa fra le spalle e le vibrazioni del terreno quando l’auto cadde per terra, le fecero sbarrare gli occhi. Guardò il baule dell’auto: il sax!

 

“Non è che hai uno straccio bagnato?”
Alla domanda di Lisa, Nelson si chiese se per caso fosse finito su candid camera. “Un… che?”

 

***

 

“Che ci fai qui?”
Ellie aveva sentito il cuore rimbalzare nel petto appena Steve era entrato dalla porta. Lui, con i capelli scuri che si arricciavano sul collo, il viso abbronzato e il sorriso più bello del mondo, stava lì, con lo sguardo incerto.
“Ciao, Ellie, cercavo proprio te.”
Oh. La ragazza pensò per un attimo di averlo sognato. Poi si riscosse e prese la caffettiera, uscendo da dietro il bancone. “Mi spiace, sto lavorando” disse.
“Posso aspettare” rispose lui, annuendo e sedendosi su uno degli sgabelli. Ellie non disse niente, lo guardò con la coda dell’occhio e annuì, dirigendosi in fondo al locale per servire un cliente vicino alla vetrina.

 

Steve guardò la ragazza e seguì tutti i suoi movimenti: sembrava che danzasse. Si allungava e le sue braccia volteggiavano verso il tavolo, accarezzando l’aria, si spostava e seminava nel mondo suoni e profumi, svegliando i sensi di tutte le persone presenti. Questo, perlomeno, era quello che sentiva Steve. Ma lei era la sorella di Nelson e Steve sapeva quando Nelson fosse protettivo nei suoi confronti. E cavolo, Nelson tirava di boxe da dieci anni.
Non che per Ellie non ne valesse la pena, eh. Lei era speciale e Steve non la vedeva da due anni. Due anni in cui si era ripromesso di non cercarla. E sapeva che lei sarebbe stata arrabbiata con lui.
“Chi non muore si rivede, eh?” Ellie era tornata al bancone e si era sporta per appoggiare la caffettiera, ma Steve non rispose alla sua provazione.

 

Ellie un po’ ci rimase male quando lui non disse niente. Il bello, fra di loro, era che si erano sempre detti tutto, Steve frequentava casa sua da quando lei era piccola e, da che lei ne avesse memoria, lui l’aveva sempre stuzzicata e trattata come una sorellina piccola. Beh, fino a due anni prima.
“Sono tornato la settimana scorsa” disse solamente. Nient’altro.
“Buon per te”. Ellie girò intorno al bancone, per mettere almeno quella distanza fra di loro. Se lui era tornato una settimana prima, perché lei non lo aveva saputo? “Nelson lo sa che sei tornato?”
Lui annuì. “Gli ho scritto stamattina: vado da lui stasera. Ha detto che è impegnato con lo sgombero del cortile”.
Ellie scosse la testa su e giù: era vero, suo fratello era impegnato. Sentì il cuore in gola mentre caricava i bicchieri sporchi nel cestello e chiese, senza guardarlo: “E allora perché sei qui?”
“Per te.”
Il bicchiere le cadde di mano, ma prima di fracassarsi contro il piano, lui lo afferrò al volo. Ellie alzò lo sguardo e Steve le sorrise.

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***Eccomi! Sono tornata! Spero di trovarvi ancora tutti qui!

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Capitolo 10
*** Incomprensioni ***


Incomprensioni

Incomprensioni

“Certo che Calvin è veloce.”
Lisa osservava i movimenti dell’escavatore e dovette ammettere che quel tipo odioso era veramente bravo nel suo lavoro. Nelson la raggiunse sotto al portico, bevendo un sorso dalla sua tazza di caffè. “Ho chiamato lui anche per questo. È un amico di Trevor”.
Lisa annuì e abbassò lo sguardo sulla sua tazza. “Mi dispiace di essere arrivata qui e aver pensato che…”
“Volevo liberarmi di tutto questo da un po’, ma ho dovuto aspettare. Le autorizzazioni, il denaro… Dava fastidio anche a me. Non è che volessi allevare ratti…” la interruppe lui e Lisa apprezzò che non le avesse fatto finire la frase.
Il ragno meccanico accartocciò una carcassa, la fece sparire nel cassone di un camion e, quando la lasciò cadere, il terreno tremò. Lisa sobbalzò e pensò al suo sax, al sicuro nella custodia sopra il letto di Nelson. Si era sentita molto in imbarazzo quando gli aveva chiesto se poteva metterla sul materasso, ma lui non si era fatto problemi e aveva alzato le spalle, indicandole una stanza.
Così Lisa era entrata nella camera da letto di un ragazzo che non era suo fratello e che non frequentava il suo dormitorio, per la prima volta. Si era guardata intorno affamata di particolari e aveva guardato quel letto, più grande di quello che lei aveva in camera, chiedendosi un sacco di cose. Aveva notato che il letto non era stato rifatto, ma che era ancora in ordine per metà e questo voleva dire che Nelson aveva dormito da solo. Si era pentita subito per averlo pensato e aveva tirato la coperta a coprire tutto, materasso e pensieri scottanti e ci aveva appoggiato sopra la custodia del sax.
Nelson era venuto a cercarla quando si era persa a guardare fuori dalla finestra aperta che dava sul giardino posteriore e lei si era, di nuovo, sentita una ficcanaso.
Il suo caffè, ormai freddo, non le era mai sembrato così interessante come in quel momento. Quando Batman le venne vicino, allungò meccanicamente la mano e accarezzò il cane come se fosse suo e lo conoscesse da una vita.

 

Nelson osservava la ragazza con la coda dell’occhio. Era una situazione strana. Lei era arrivata lì e sembrava aver messo radici. Quando aveva capito che non sarebbe potuta andare via finché Calvin e gli altri non avessero fatto la pausa per il pranzo non aveva detto niente, ma aveva messo il sax in camera sua e aveva girato per casa come un gatto che controllava un nuovo territorio. E ora, come un gatto, si arruffianava il cane. E la cosa più strana era che a Nelson non dava per niente fastidio.
Non desiderava che andasse via, ma non riusciva a capire come mai si fosse presentata lì, tentando di fermare l’escavatore come la leader di qualche gruppo green che impediva il disboscamento. Era una cosa che Nelson si immaginava tranquillamente: Lisa avrebbe potuto farlo benissimo, soltanto, non avrebbe mai pensato che avrebbe difeso lui. Visto che non ce n’era bisogno.
Avevano chiacchierato un po’ e, anche se all’inizio era stato un po’ forzato, la loro conversazione era poi diventata naturale, come se non avessero smesso mai di frequentarsi e fossero sempre stati amici. A Nelson non era dispiaciuto per niente, ma che lei fosse una persona interessante, lui lo sapeva già.
“Cosa ci farai quando sarà tutto vuoto?” La voce della ragazza lo distolse dai suoi pensieri e Nelson si girò verso di lei alzando le spalle.
“Ancora non lo so. Trevor dice che una volta ripulito il terreno si potrebbe coltivare. Ma non sono convinto. Faccio fatica anche a seguire l’orto…”
“Hai un orto?” esclamò Lisa, subito incuriosita.
Nelson rise e si grattò il retro della nuca.

 

“Sì, ma ho poco tempo, quindi non è molto grande. È sul retro” spiegò, indicando con il pollice l’abitazione dietro di lui.
Lisa si voltò verso la porta aperta e guardò oltre al corridoio che portava alla camera da letto. “Il giardino che si vede dalla tua camera? Posso vederlo?” Per un attimo Nelson pensò cose sbagliate. Troppo sbagliate.
Quando Lisa inclinò la testa, in attesa, si rese conto di non aver risposto. “Sì, sì.  Ma come dicevo non è un…” si interruppe e mosse il braccio per invitare la ragazza a entrare in casa. Una volta si poteva passare anche girando intorno all’abitazione, ma Nelson aveva chiuso il giardino con una rete quando si era trovato i ratti sul prato. Sperava di poter togliere tutto una volta vuotato il cimitero delle macchine.

 

Quando Lisa si avvicinò alla porta, Batman, che si era accucciato ai suoi piedi, si alzò di corsa e le passò vicino per superarla ed entrare in casa prima di lei. La ragazza vacillò e, se non fosse stato per la mano di Nelson che l’aveva afferrata per un braccio, sicuramente sarebbe caduta.
“Stavolta ho fatto in tempo” disse, lasciandola andare così velocemente che Lisa pensò si fosse scottato.
“Mi faccio sempre fregare. Non è carino che una veterinaria si faccia mettere le zampe in testa dai suoi pazienti, eh?” cercò di scherzare lei quando vide che il ragazzo si era fatto serio.
“È che pensa che stiamo andando in cucina. Guarda…” Il viso di Nelson si distese e si girò verso l’abitazione, dove il cane attendeva in corridoio, aspettandoli. “Batman, lo vuoi un biscotto?” A quelle parole Batman scodinzolò e tornò indietro qualche passo verso la cucina, fermandosi davanti all’entrata e abbagliando verso di loro.
Lisa sorrise alle feste che il cane stava facendo per un biscotto e, insieme, entrarono in casa. In cucina Nelson prese un contenitore di metallo, sfilò un biscotto e lo fece vedere al cane, che si sedette, in attesa. Quando il ragazzo glielo lanciò, Batman lo prese al volo.
“Vuoi?” le chiese, porgendole il contenitore, mentre con l’altra mano ne aveva preso uno anche lui.
“Biscotti per cani?”
“No, biscotti per tutti” rispose, mangiando il suo biscotto.
“Non dovresti dare a Batman i biscotti che mangi tu. Sono pieni di zucchero e conservanti e…”
Nelson ritirò il braccio e fece un sorriso strano, alzando un sopracciglio.
“Non hanno conservanti. E non ci metto tanto zucchero. Batman ha sempre mangiato i biscotti, basta non esagerare.”
Lisa lo sentì chiaramente dire a bassa voce ‘saputella’, ma il suo tono la fece sorridere invece di farla arrabbiare. “Fai tu i biscotti?”

 

Nelson alzò le spalle. Pensò che la sua domanda avesse un altro scopo in quanto gliela aveva fatta subito dopo la sua frecciatina. “Perché?”
“Non pensavo cucinassi” fu la risposta della ragazza, che continuava a guardarlo in un modo strano.
“Mangio, quindi cucino”. Nelson alzò le spalle, non capendo dove lei volesse arrivare.
“Giusto. Giusto. Immagino che funzioni così.”
Nelson la guardò incuriosito. “Tu non cucini?”
Lei scosse le spalle. “Non mi fa impazzire”.
“Ecco perché sei così. Mangia un biscotto che ti fa bene.”

 

Lisa allungò la mano verso la scatola di metallo che lui le porgeva senza neanche accorgersene. Cosa intendeva? “Così come?” chiese, guardando il biscotto che aveva in mano.
Uno degli operai gridò il nome di Nelson per chiamarlo fuori e lui uscì dalla cucina, seguito da Batman che abbaiava, lasciandola lì da sola, con un biscotto, una tazza di caffè freddo e una domanda senza risposta in testa.
Quando sentì le voci del ragazzo e degli altri operai, si rassegnò e mangiò il biscotto, facendo due passi per uscire dalla cucina. Ma, dopo il primo morso, tornò indietro e prese un altro biscotto dalla scatola prima di uscire.

 

Nelson tornò in casa e attraversò l’abitazione fino ad arrivare sul retro. Lisa era lì sotto il portico e guardava verso il recinto dell’orto.
“Sono buonissimi” disse lei, alzando una mano e mostrando un pezzo di pasta frolla. Il ragazzo non rispose, ma si avvicinò. “E qui è bellissimo. Non lo avrei mai detto…”
Nelson sbuffò. “Già, non lo direbbe nessuno”.
“Non intendevo offenderti.”
Stavolta il ragazzo rise. “Questa volta no?”
“No. Lo farò la prossima!” Sorrise, camminò nel prato, si guardò intorno e poi si avvicinò al piccolo orto. Lui la raggiunse e rimasero a parlare un po’. Nelson si sentiva così bene che si dimenticò anche di Calvin e gli altri. Batman correva dietro agli uccelli e portava la sua pallina a Lisa che lei gli lanciava lontano rendendolo un cane felice.
Quando gli sembrò che il tempo non sarebbe potuto essere più bello di così, Lisa sospirò. “Dici che andranno in pausa, adesso? Dovrei proprio andare…”
E Nelson si sentì un po’ perso.

 

“Sì, sì, penso che ormai sia ora.”
Lisa si era sentita una guastafeste a rovinare così quel momento. Sarebbe rimasta lì per sempre, ma aveva detto la verità, si era fatto tardi e doveva proprio andare.
Tornarono dentro casa e Lisa passò a prendere il sax.
Aprì la custodia, staccò tutte le protezioni e lo guardò: sembrava tornato a posto. Guardò fuori dalla finestra, dove Batman correva ancora dietro ai passerotti che gli tendevano trappole senza mai farsi prendere e, senza neanche pensarci, chiuse gli occhi, infilò il bocchino e lo avvicinò alle labbra.

 

Lisa non era più uscita, proprio come quando aveva portato il sax in camera. Nelson tornò in casa per dirle che Calvin aveva deciso di fare la pausa e si bloccò quando sentì la musica.
Camminò lentamente verso la sua camera, come se il fatto di arrivarci velocemente potesse cambiare la sensazione del suono che sentiva e si avvicinò senza fare rumore alla porta della stanza da cui proveniva la musica.
Lisa aveva gli occhi chiusi e il suo corpo dondolava seguendo lo strumento, cullato dalla melodia. Nelson non riusciva a staccare lo sguardo. Lei era ipnotica. E dannatamente bella.
Rimase lì a guardarla per qualche giorno o mesi d’estate, con il calore del sole sulle spalle e consapevolezza di non voler mai andarsene da quella sensazione. Ma in verità furono una manciata di minuti. Una decina, forse, in cui il tempo si era fermato e il cuore aveva iniziato a rimbombare ritmicamente come le onde di un mare agitato sugli scogli.
Nelson toccò senza volere la maniglia della porta, questa cigolò e lei si fermò, interrotta da quel rumore, girandosi verso di lui.

 

“Scusa… Io…” cercò di scusarsi lei, avvicinandosi al letto e rimettendo il sax nella custodia. Non doveva mettersi a suonare lì. Si accorse di non aver smontato il bocchino ma, imbarazzata, pensò di farlo una volta rimasta sola. Doveva andarsene. Non avrebbe dovuto farlo.
“È stato…” disse invece lui, come se fosse incredulo, scuotendo la testa.
“Devo andare.”
Nelson non disse niente, per fortuna, mentre lei gli passava accanto con la custodia e raggiungeva il corridoio. Non riusciva a suonare da tanto tempo e l’unico posto dove era riuscita a mettere insieme qualcosa era la stanza di Nelson Mutz? Lisa pensò di avere qualcosa che non andasse. Qualcosa che non funzionava a dovere. Non poteva esserci un’altra spiegazione. Non poteva essere diversamente.

 

Nelson vide Lisa scappare via e la raggiunse prima che uscisse dalla porta. Se ne stava andando perché l’aveva interrotta? Doveva scusarsi?
“Lisa…” la chiamò, mentre uscivano insieme dall’abitazione.
“Scusami davvero. Non so cosa mi sia preso.”
“Non…”
La ragazza mise la custodia del sax in macchina e ci girò intorno per raggiungere il lato guida. “Devo andare”.
Nelson rimase a guardarla mentre cercava le chiavi della macchina e poi, non sapendo bene che dire per non lasciarla andare, propose: “La settimana prossima è il compleanno di Ellie. Facciamo un barbeque. Magari potresti venire anche…”
Lisa lo interruppe quando mise in moto. “Non mangio carne, Nelson, sono vegetariana”. Lui la guardò andare via, lungo lo stradello che portava al cancello, pensando che finché erano rimasti in giardino era andato tutto bene e invece ora lei era proprio scappata, e si sentì un idiota. Un idiota a cui avevano appena dato picche.

 

***

“Tutto bene, Lisa?” le chiese Marge quando tornò a casa.
Lisa era nervosa perché aveva preso due volte il marciapiede venendo via da casa di Nelson e le tremavano ancora le mani per ciò che aveva fatto.
Nervosa per ciò che era successo e per quello che lei aveva risposto al ragazzo quando l’aveva invitata al compleanno di Ellie, si rivolse alla madre con più durezza di quanto meritasse.
“Se non mi avessi prosciugato il sax, andrebbe molto meglio!” esclamò, salendo le scale con rabbia, reggendo il peso della custodia dello strumento.

 

“Come?” chiese Marge alla schiena di Lisa, che non le rispose, e si voltò verso Homer, in cucina davanti alla porta del frigorifero aperta.
Lui alzò le spalle e la moglie sospirò. Poi guardò di nuovo le scale e poi la cucina. Si tolse il grembiule che le copriva il vestito e lo appoggiò sul primo pomolo del corrimano e iniziò a salire i gradini, per raggiungere la figlia.
“Lisa…” Marge bussò allo stipite della porta e la socchiuse per mettere la testa dentro la camera della figlia. “Lisa…”
La donna vide la ragazza seduta alla scrivania, davanti al pc ancora chiuso; il sax riposava nella sua custodia appoggiata sul letto.

 

Lisa si voltò verso la madre e sospirò. “Mamma… Volevo videochiamare Kristen, ti dispiace?” disse, aprendo il coperchio del pc e schiacciando il tasto di accensione.
La donna entrò nella stanza e si avvicinò a lei. “Lisa, mi dispiace tantissimo per il sax, mi sono dimenticata. Si è… rotto definitivamente?”
Lei sbuffò e girò sulla sedia con le rotelle: sapeva che sua madre non lo aveva fatto apposta. “No, mamma, non preoccuparti. Ora il sax funziona bene”. Il pensiero che fosse riuscita a suonare solo a casa di Nelson, ancora, la fece vibrare di vergogna. Ma perché, poi? Non era stata colpa sua. Ma il fatto che fosse successo, che lui avesse dovuto andare in camera a cercarla perché lei aveva perso il senso del tempo, la faceva fremere di imbarazzo.
“Sono contenta, allora”. Marge sorrise e si sedette in fondo al letto, girata verso di lei. “Allora cos’è che ti rende così… inquieta?”
Lisa scosse le spalle. Non lo sapeva neanche lei, come poteva spiegarlo a qualcun altro?

 

Marge allungò una mano alla testa della figlia. “Oh, tesoro, sono questioni d’amore?”
Ma Lisa si scrollò dal suo contatto. “Mamma, non c’è solo quello, sai? Ci sono anche altre cose…”
“Ma non hai altri problemi, Lisa. Ti sei laureata, non ti manca il lavoro e andrai a fare il mestiere che desideri, stai bene di salute, cosa vorresti di più? È solo l’amore che ti manca. Forse pensi ancora a Richard?”

 

Lisa sbuffò forte. Aveva raccontato di Richard alla madre solo perché continuava a farle domande pressanti sui ragazzi. E lei con Richard non c’era neanche stata, erano soltanto usciti insieme tre volte. “Mamma, non mi interessano i ragazzi adesso, ho intenzione di puntare su di me. Voglio fare un percorso ben studiato e riuscire a prendere il master in…”
“Ma non starai esagerando, Lisa? La perfezione non esiste… E poi non è che il tempo si fermi, lo sai, vero? Fra un po’ ti ritroverai a rimpiangere…”
“Mamma! Basta con queste cazzate! Si può essere felici anche senza sposarsi e avere figli, sai?”
Sua madre fece un verso strano con la bocca e poi si alzò, probabilmente quando capì che lei era molto arrabbiata.
“Ma si può essere felici da soli?”
Lisa si voltò quando sul pc apparve il desktop e disse alla madre che aveva bisogno di rimanere da sola.

 

Marge uscì dalla stanza e sua figlia non si girò a salutarla.
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Capitolo 11
*** Pungoli e pungiglioni ***


pungoli e pungiglioni


Pungoli e pungiglioni

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Nelson era appoggiato al cofano di una Ford parcheggiata proprio davanti all’entrata del diner e osservava la porta da dieci minuti, pensando se fosse il caso di entrare o meno. Sbuffò e scalciò un sasso che rotolò verso il centro della strada.
“Non devi venire qui!” Nelson si alzò dalla macchina e si voltò al richiamo di quella voce fastidiosa e petulante, guardò quello che sembrava ancora un ragazzino smunto e alzò un sopracciglio.
“Che cosa?”
“Ho detto che non devi più venire qui” disse ancora lui. La sua voce, però, aveva perso un po’ di sicurezza da quando gli si era parato davanti e aveva dovuto alzare gli occhi per guardarlo.
“Altrimenti che succede, Van Houten?” rispose Nelson con tono stanco. Il ragazzino doveva aver inteso male, perché vide sul suo volto passare un lampo di paura.
“Io… Io…” iniziò a balbettare Milhouse, ma non andò avanti.
Nelson sospirò, scocciato dalla sua presenza come un adolescente che deve uscire con gli amici trascinandosi dietro il fratello piccolo.
“Non devi venire a prendere Lisa!” gridò il ragazzo dai capelli blu.
Nelson alzò un sopracciglio e la sua bocca si spalancò sorpresa. Lisa? Al ragazzo venne in mente l’ultimo incontro avuto con Lisa, il giorno prima, e fece una smorfia.
“Devi lasciarla stare!” esclamò ancora.
Nelson iniziò a stufarsi. “Ascolta, Van Houten, non scocciarmi…” disse, dondolando la mano cercando di liquidarlo, e voltandosi verso il diner.
“Lo so che vuoi provarci con lei! Ma Lisa è la mia ragazza e devi starle lontano…”
Nelson si spazientì e si rigirò verso di lui. Il suo viso cambiò espressione e si avvicinò, prendendo il ragazzo per la maglietta. “Non ho intenzione di provarci con lei!” sussurrò sul suo viso, quasi ringhiando, sperando di non mentire. Aveva imparato a stare al suo posto.
“Ti conviene!” esclamò Milhouse. Nelson spalancò gli occhi dal nervoso e digrignò i denti. Strinse la mano sulla maglietta del ragazzo e la spinse contro il torace del nanerottolo, prima di sollevarlo da terra. “Altrimenti?” chiese, più per dispetto nei suoi confronti che per aver campo libero con Lisa.
Il piccolo Van Houten strabuzzò gli occhi mentre faceva oscillare i piedi cercando un appiglio. Quando cambiò colore e sussurrò qualcosa, Nelson si sentì chiamare.

 

Ellie era uscita dal diner quando aveva visto dalla vetrina Nelson strattonare Miller o come si chiamava il tipo dai capelli blu, e, pensando che si sarebbe messo nei guai, era corsa fuori per fermarlo.
“Nelson!” gridò, praticamente senza accorgersene. Il fratello si girò verso di lei e il suo braccio si abbassò, facendo toccare i piedi del ragazzo al suolo.
Appena ne ebbe l’occasione, Miller scattò indietro e si liberò dalla stretta di Nelson che, distratto dalla sorella, aveva allentato la presa.
“Se mi tocchi ancora ti denuncio. E allora ti arresteranno!” gongolò, dondolando sui talloni.
“Non ho intenzione di picchiarti se mi stai lontano. Tu stammi lontano e non ti sfregerò il tuo brutto muso.”
“E tu stai lontano dalla mia ragazza!”
Ellie, che non aveva ancora detto niente, lo guardò stranita: quel tipo aveva una ragazza? E perché continuava a chiedere a Lisa di uscire?
“Hai una ragazza, Miller?”
Il ragazzo si voltò verso di lei e, squadrandola da capo a piedi, disse: “Come mi hai chiamato?”
“Scusa, pensavo che ti chiamassi…” Si voltò verso Nelson, in cerca d’aiuto.
“Milhouse” le venne incontro lui.
“Milhouse, se hai una ragazza, perché sei sempre qui a dare fastidio a Lisa?”

 

Nelson dovette soffocare una risata e sbuffò. L’esile Van Houten gemette come se gli avesse dato quel pugno che sognava di propinargli nel bel mezzo dello stomaco e precisò: “È Lisa la mia ragazza”, ma il suo tono fu così tremolante che ne venne fuori un mormorio confuso.
“Ma Lisa si nasconde negli spogliatoi quando ti vede arrivare. Sicuro che lei sappia di essere la tua ragazza?”
Quando il ragazzo dai capelli blu balbettò ancora qualcosa, Ellie lanciò un’occhiata divertita a Nelson e lui non riuscì a trattenere una risatina.

 

Ellie fece fatica a non ridergli in faccia quando quello stupido disse che Lisa era la sua ragazza. Ma non lo fece. Un po’ perché capiva di avercela con lui per averle detto del passato di Nelson e Ellie capiva perfettamente che non era colpa sua, e un po’ perché quando insisteva tanto con Lisa, un po’ le faceva pena.
Ma quando il ragazzo, arrabbiato per la loro reazione, diede un calcio alla macchina a cui era appoggiato poco prima Nelson, Ellie spalancò gli occhi: cosa stava facendo?
“Ehi, aspetta, cosa…” Anche suo fratello era venuto in aiuto.
“Così impari, brutto… bullo!” esclamò lui, colpendo con il piede il fanale posteriore e fracassando il vetro.

 

Nelson si avvicinò al ragazzo e tentò di fermarlo, ma lui si divincolò e passò alla parte anteriore della macchina, e lui riuscì a bloccarlo solo dopo che aveva lasciato un altro segno sulla carrozzeria della fiancata.
Nelson non vide uscire il proprietario del diner, né notò il poliziotto che si stava avvicinando alle sue spalle, finché lui non disse: “Ci sono problemi?”
“Sì, agente, mi sta picchiando! Lo arresti!” gridò Milhouse mentre lui lo teneva fermo.
Nelson si voltò e riconobbe Winchester, il tipo strano che faceva le elementari nella loro scuola.
“No, Ralph, questo idiota sta prendendo a calci la mia macchina e Nelson lo ha solo fermato, per fortuna!” intervenne Bob, il proprietario della tavola calda.
“Come? Non è tua questa macchina?” Miloser si agitò e Nelson lo lasciò andare.
“No” rispose lui, secco.
Milhouse si afflosciò e capì di aver perso quell’incontro. Guardò prima Bob e poi l’agente e scoppiò a piangere, parlando di ingiustizie e di imbrogli. Alla fine, dopo qualche tentativo di riappacificamento, il ragazzo dai capelli blu decise di non mettere in mezzo la burocrazia e diede il suo consenso per pagare i danni all’auto del proprietario del diner, che tirò giù gli estremi dei suoi documenti sotto la supervisione di Winchester.

 

Ellie osservò un attimo la situazione e chiese a Bob se ci fosse bisogno che lei rimanesse, ma lui le disse di andare tranquillamente a casa. Così si voltò verso Nelson e gli disse: “Vado a cambiarmi, torno subito”.
Lui annuì. “Che idiota… A momenti si prende due cazzotti… per niente!” disse, mentre controllava ancora la situazione vicino all’auto, dove Bob si era messo a scrivere appoggiato al cofano. “Di’ a Lisa che porto a casa anche lei, se vuole” aggiunse subito dopo. Non si era ancora girato verso di lei.
“Lisa è andata via un’ora fa. È venuto un ragazzo a prenderla.”
Finalmente  Nelson si voltò a guardarla ed Ellie rise della sua espressione, quando aprì la bocca per chiedere qualcosa e la richiuse capendo che voleva solo metterlo alla prova. “Ancora sicuro che Miller sia venuto per niente?”

 

Nelson guardò la sorella dirigersi verso il locale ed entrare. Non aveva capito se fosse vero o no quello che aveva detto. Voleva prenderlo in giro o cosa? Lisa era davvero andata via con qualcuno? E se sì, con chi?
In quel momento avrebbe voluto poter colpire Miloser al viso. Due volte. O anche di più. No, no. Doveva andare in palestra.
‘Allenamento extra?’ scrisse in un sms mentre aspettava che sua sorella si cambiasse.
Bart rispose immediatamente.

 

***

 

“Bowling o biliardo?”
Steve si girò verso il bancone, alla domanda di Lisa. “Come?”
Lisa alzò lo sguardo su di lui e mise via il telefono. “Scusami. Stavo parlando da sola… E non dovrei neanche usare il cellulare…”
Steve prese la sua tazza e indicò la ragazza mentre lei caricava di nuovo la caffettiera. “Non c’è nessuno, tanto…” disse, guardandosi intorno.
“Sì, ma non è bello da vedere” ammise lei, con un sorriso.
“Allora, devi scegliere fra bowling o biliardo per cosa?” le chiese.
“Devo uscire con un’amica. Mi ha detto di scegliere. E non so cosa risponderle.”
“Non so. Cosa ti piace di più?”
“Eh, e chi lo sa” rispose lei, ridendo. “Non ho mai giocato a nessuno dei due”. Lisa uscì dal bancone al cenno di un cliente e lo lasciò da solo.
Quella ragazza non aveva mai giocato a biliardo o a bowling? Era una cosa strana.
Lisa tornò e diede l’ordinazione del tavolo 18 alla cucina, prima di tornare al bancone per caricare i contenitori delle salse.
“Allora? Suggerimenti?” chiese al ragazzo.
“Direi biliardo. E andate al Pool’s, che la birra è buona.”
Lisa aggrottò le sopracciglia. “Birra?”
“Non dirmi che non hai neanche mai bevuto la birra!” Lisa sentì le guance diventare rosse, ma per fortuna non dovette mentire.
“No, no, ho assaggiato la birra” ammise ridendo un po’ nervosamente. “E mi piace, anche. Non sono così…” si interruppe prima di dire ‘noiosa’, ma effettivamente, anche ai suoi occhi, sembrava proprio noiosa. Pensò di dire che il suo pensiero era andato a Ellie, che non aveva l’età per bere alcolici, ma poi stette zitta.
Prese il telefono e digitò un messaggio per l’amica, proponendo il biliardo. La sua risposta fu un emoji che suonava la trombetta. Pensò che anche a lei piacesse di più del bowling.
Per un attimo si sentì carica e sorrise: fra due giorni avrebbe giocato a biliardo!

 

***

 

Nelson guardava Calvin andarsene alla fine del quarto giorno di lavoro e si sentì soddisfatto: avevano praticamente finito. Il giorno dopo avrebbero soltanto ripulito dagli ultimi scarti e il lavoro sarebbe stato a posto.
Batman gli si avvicinò con una pallina e la fece cadere ai suoi piedi. Nelson abbassò lo sguardo.
“Andiamo dietro a giocare, Batman.”
Raccolse la pallina ed entrò in casa per uscire nel giardino sul retro. Lanciò la pallina e Batman corse per andarla a prendere.
Non si accorse del cespuglio di fiori selvatici blu che c’era in fondo al prato, ma notò che il cane, invece di raccogliere il gioco, gli si era avvicinato e aveva iniziato ad abbaiare.
Lentamente si avvicinò, richiamando Batman, ma il cane non ubbidì, continuando ad abbaiare contro il piccolo cespuglio.
Quando vide una vespa volare fra le foglie, accelerò il passo, chiamando il cane più forte. Batman si voltò verso di lui, ma poi fu di nuovo distratto dall’insetto e gli abbaiò ancora, avvicinandosi di più al cespuglio.
Nelson vide altre tre vespe uscire dal cespuglio e il cane tentare di mangiarne una. Capì che erano troppe e corse verso la canna dell’acqua attaccata alla fontana.
Batman uggiolò e iniziò a strofinarsi il muso con le zampe anteriori, mentre il ragazzo ormai correva verso il cespuglio. Quando ci fu davanti aprì il getto dell’acqua verso la pianta e vide due vespe volare via, oltre la rete di recinzione.
Si chinò sul cane e gli spostò le zampe dal muso: le guance erano gonfie e tendenti al rosso e Batman piangeva cercando di grattarsi.
Nelson tirò fuori il telefono e chiamò sua sorella.
“C’è Lisa lì con te?” esordì, senza neanche salutarla, quando Ellie rispose.

 

***

Lisa sbuffò e appoggiò il sax al suo sostegno. Aveva fatto la doccia dopo il lavoro, aveva meditato e ora voleva soltanto suonare un po’ di jazz e invece…
Non riusciva a suonare. Il sax funzionava perfettamente, ma lei non riusciva a trovare il giusto spirito per riuscire a mettere insieme le note e creare la solita magia.
Tranne tre giorni prima quando aveva suonato in camera di Nelson. Sbuffò più forte e si sedette pesantemente sul letto, buttandosi poi indietro con le braccia spalancate. Non poteva sicuramente andare da Nelson a suonare! Oh, santo cielo, come avrebbe dovuto fare? Quasi pregò di avere un segno quando il suo telefono squillò.
Si allungò a prenderlo sul comodino e guardò il display: il numero non era salvato. Lo prese e sospirando, rispose.
“Ehm… Lisa, sono Nelson.”
Nelson? Lisa scattò in piedi, come se lui fosse stato lì nella sua stanza. “Nelson?”
“Sì… Mi ha dato il tuo numero Ellie, io… Ho un’emergenza. Penso… penso che Batman sia stato punto da una vespa. Ce ne erano un po’ in giardino e lui ha tentato di mangiarle… Ora ha tutto il muso gonfio e sta iniziando a respirare male…”
Lisa non lo fece neanche finire. “Ci vediamo davanti allo Springfield Center, ho visto una farmacia sul lato ovest. Devo vederlo”.
Quando Nelson aveva chiuso velocemente la chiamata, Lisa si era messa a cercare le scarpe sotto al letto e aveva aperto la porta per gridare alla madre che avrebbe preso la macchina.
“Esco io con la macchina di mamma” disse Bart, davanti alla sua porta spalancata, un minuto dopo, mostrandole le chiavi.

 

“Portami allo Springfield Center” ordinò Lisa e Bart capì, dal suo tono, che non si poteva contrattare. Per fortuna non era un grosso problema. Doveva andare al negozio di fumetti e il centro commerciale era sulla strada.
Bart annuì e scese le scale, aspettando la sorella, che scese dopo poco.
“Che è successo?” chiese lui, quando salirono in macchina.
“Il cane di Nelson è stato punto da delle vespe. Lo sta portando al centro commerciale, ci vediamo lì.”
Bart annuì, mentre lei smacchinava con il cellulare. “Secondo te è grave?” le chiese.
“Se Nelson si è scomodato a chiamarmi, penso di sì.”
Bart alzò un sopracciglio alle parole di Lisa, ma lei non lo stava guardando. “Dici?”
“Mi sa che non gli piaccio molto” ammise lei, alzando le spalle.
Oh. Bart aggrottò la fronte: e sì che lui aveva avuto un’altra impressione.
“Dici che il Pool’s sia un buon posto per giocare a biliardo?” gli chiese Lisa, cambiando totalmente argomento.
“Oh, direi che è il migliore. E hanno anche la birra a doppio malto.”
Lisa annuì guardando avanti, come se non lo stesse ascoltando e Bart si chiese quanto avesse ascoltato veramente.

 

Allora doveva essere vero, pensò Lisa: quel posto era famoso sia per il biliardo che per la birra. Doveva essere un segno. Annuì e tornò a guardare la strada, sperando di fare presto: se Batman fosse stato allergico alle vespe non si poteva aspettare troppo.
Bart arrivò al parcheggio ovest del centro commerciale e Lisa scese al volo, vedendo Nelson sul retro di un Pick-up scuro, mentre osservava la strada.
Si diresse direttamente verso di lui, che osservava Batman sul cassone, mentre il povero cane si strofinava il muso con le zampe. Non sembrava un’allergia, però, constatò, prendendogli il muso fra le mani, facendogli aprire la bocca e osservandolo bene. Forse era stato punto da più di una vespa e basta.
“Aspetta qui, vado in farmacia” disse, verso il ragazzo, senza neanche salutarlo; lo vide annuire distrattamente ed entrò nel locale, per comprare una siringa, antibiotico e cortisone.

 

Nelson guardò una Lisa serissima visitare il suo cane e, una volta che lei ebbe varcato l’entrata della farmacia, dicendogli di non preoccuparsi, lasciò andare il respiro che non si era accorto di trattenere.
“Ohi, ti va se domani ci facciamo un biliardo?” Bart si era materializzato al suo fianco e Nelson lo guardò, girando la testa.
“Pool’s?” chiese solamente e Bart annuì.

 

Bart sapeva perfettamente che aveva promesso a Milhouse di uscire con lui, quel venerdì, ma stava scoprendo che era sempre più difficile sopportarlo.
Non disse all’amico che aveva appena parlato con Lisa proprio dello stesso locale.

 

Quando Lisa uscì, fece un’iniezione al cane e diede gli ultimi suggerimenti a Nelson su cosa fare. Gli disse che secondo lei non ci sarebbero stati altri problemi e che il cane avrebbe dovuto fare un’altra puntura di antibiotico dopo qualche giorno.
Mentre parlava il suo telefono squillò e quando vide il nome di Kristen sullo schermo, Lisa rispose, ma poi tranquillizzò Nelson dicendo che aveva il suo numero e poteva chiamarla tranquillamente se avesse avuto bisogno.
Lo sguardo che si scambiò con Bart mentre lo diceva la fece arrossire, ma poi si concentrò e rispose all’amica, allontanandosi da loro.
“Sì, scusami Kristen, ma il cane di Nelson è stato punto da una vespa e sono venuta a visitarlo, non ti ho chiamato…”

 

Bart osservò la sorella camminare lungo il parcheggio mentre parlava al telefono gesticolando e poi si girò verso l’amico. “La porti a casa tu? Io ho un impegno” disse a Nelson e lui annuì, alzando le spalle e guardando il cane.
Nessuno dei due gli aveva chiesto dove stesse andando, così Bart non ne parlò con nessuno, ma mise in moto e guidò fin davanti al negozio di fumetti.
Jeffrey Albertson lo salutò appena Bart entrò nel negozio, senza neanche alzare gli occhi dall’ultimo numero della Marvel, e il ragazzo gli rispose con una battuta su un supereroe.

 

“E ora?” chiese Nelson.
Lisa buttò via la siringa vuota e guardò il cagnolone accucciarsi sul cassone del pick-up. Allungò una mano e gli fece una carezza, controllandogli gli occhi. "Aspettiamo un po' e se non succede niente, mi porti a casa". Lui annuì senza dire altro.
Lisa notò, dall’altra parte della strada, un bar, e si voltò verso il ragazzo.  “E potresti prendere due caffè, nell'attesa”. E gli indicò il locale.
Lui annuì di nuovo e la lasciò sola con Batman.

 

Nelson guardava Lisa accarezzare il suo cane dalla vetrina del bar, mentre una cameriera di mezz’età di nome Mandy gli preparava due caffè con latte.
Non sapeva perché avesse chiamato proprio lei. Aveva il numero di un altro veterinario, anche se era di Shelbyville, ma appena si era reso conto di aver bisogno di aiuto, aveva chiamato Lisa. E lei non si era tirata indietro.
E ora cosa avrebbero fatto? Dopo che lei era scappata da casa sua e dopo la sua infelice proposta? Sospirò e si voltò verso il bancone quando Mandy lo chiamò.
Pagò e uscì per raggiungere il marciapiede reggendo due bicchieroni di carta.
“Grazie” disse Lisa, prendendo quello che lui le porgeva. “Guarda” continuò, mostrandogli una vespa morta fra le zampe del cane. “È molto probabile ce ne fosse più di una e che sia stato punto più volte…”

 

Lisa controllò che l’insetto fosse effettivamente morto e lo lasciò cadere sull’asfalto. “Può essere che siano state troppe anche per un soggetto non allergico…”
Alzò gli occhi su Nelson, che la stava osservando, tolse il coperchio al caffè e ne prese un sorso. Il ragazzo abbassò il portello del cassone e le fece un cenno del capo, indicandolo. Quando lei si sedette, lui si accomodò di fianco a lei.
“Perché non stai facendo pratica con gli animali?” le chiese.
Come? “Eh?”
“Perché lavori al diner? Non dovresti assistere un veterinario o una cosa così…” Lisa prese un altro sorso e poi disse, guardando lungo la strada: “Al liceo facevo volontariato presso i rifugi degli animali. Mi sono anche occupata più volte della salvaguardia di animali colpiti da disastri climatici. Non sai quante piume ho pulito dal petrolio… Così ho scelto veterinaria.
"Ho lavorato tutte le estati che sono rimasta al campus universitario. I primi due anni ho aiutato a lavare cani e gatti in un negozio per animali, mentre l’anno scorso sono stata assistente di un ‘vero’ veterinario…” Si girò verso di lui e poi continuò. “Sai, io adoro gli animali, davvero. Mi piace curarli quando sono malati, salvarli, vederli stare bene…”
Notò Nelson stringere gli occhi e vide due linee sulla sua fronte mentre cercava di capire dove volesse arrivare.
“Io vado d’accordo con tutti gli animali. Ma non sopporto molti dei loro padroni” ammise, alla fine.
Lui rise. Lisa si bloccò e continuò a osservarlo. “Per questo hai intenzione di fare il corso per gli animali esotici?” le chiese, quando finì di ridere. “Perché non hanno padroni?”
Lisa alzò una spalla, sorridendo. “Mi sembrava una buona idea”.
“Ti ci vedo.”
“Nella giungla a rincorrere le scimmie?” gli chiese lei, cercando di non ammettere quando la sua frase le avesse fatto piacere.
“A fare qualcosa di straordinario”. Nelson avvicinò il bicchiere del caffè al suo in una sorta di brindisi e Lisa sentì le guance prendere colore.

 

Nelson si voltò a guardare Batman, ma lui continuava a stare accucciato sul fondo del cassone. Allungò una mano e gliela posò sulla testa, posata fra le due zampe anteriori, accarezzandolo delicatamente.
“Non è peggiorato. Sta andando bene” disse Lisa e lui annuì.
“Come vanno i lavori di sgombero?”
Nelson alzò gli occhi dal cane e si sentì un po’ imbarazzato, al ricordo di come fosse finita qualche giorno prima.
“Calvin ha quasi finito. Manca veramente poco. Domani sarà tutto pulito. Pronti per il barbecue di domenica. Ellie non… Oh!” Il ragazzo si interruppe.
Lisa sorrise. “Possiamo parlare di barbecue, Nelson. Non è un tabù”. Il ragazzo annuì.
“Ellie dice che vuole che venga anche tu.”
“Sai che faccio una fatica bestiale a frenare tua sorella? È cocciuta quasi quanto Bart!” Lisa fece ciondolare le gambe nello spazio vuoto sotto l’auto.
“Dovresti venire, allora” disse Nelson. Non aggiunse che gli avrebbe fatto piacere, perché sembrava strano anche a lui. “Potrei grigliare verdure o comunque cucinare anche altre cose…”

 

“E lo faresti per me?” La voce di Lisa si era fatta un po’ stridula, ma lei era veramente sorpresa. Guardò Nelson come se le avesse appena detto che aveva adottato un elefante. Lui alzò le spalle.
“Mi piace cucinare” ammise, come se si trattasse di un segreto.
“Lo so”. Le parole di Lisa lo stupirono e lei se ne rese conto dalla sua espressione. “Me lo ha detto Ellie” svelò l’arcano lei.
“Mia sorella parla troppo, mi sa” disse Nelson, dopo un po’ di silenzio.
“Oh, la mia non parla per niente. Ecco perché vanno così d’accordo!” Lisa tentò di sdrammatizzare, ma poi divenne seria. “Ma almeno Ellie ti stima…”
“Maggie è in un’età difficile. E tu sei stata via tanto…”
Lisa si girò verso di lui e lo guardò negli occhi: lei non aveva capito subito che il problema di sua sorella fosse proprio il fatto di essere stata lontano da casa. Nelson invece aveva afferrato subito il problema. Più passava tempo con lui più iniziava a condividere il pensiero di Ellie nei suoi confronti.
Lisa sospirò, guardò verso la strada, ormai il sole stava calando e presto avrebbe fatto buio.  Saltò giù dal cassone, si chinò a controllare Batman e poi si rivolse direttamente al ragazzo. “Torniamo a casa”.

 

Nelson annuì, sistemò il cassone e la fece salire sul pick-up. “Comunque dicevo davvero, prima: potresti venire. A Ellie farebbe piacere”.
Mise in moto e partì, immettendosi in strada. “E a te, farebbe piacere?” chiese Lisa dopo un po’, mentre lungo la strada sorpassavano madri in bicicletta con i figli e minivan parcheggiati davanti alle gelaterie.
Nelson si voltò verso di lei, osservandola: il suo braccio penzolava fuori dal finestrino e lei apriva e chiudeva la mano al contatto con l’aria, muovendo le dita in una carezza al vento. Poi si voltò verso di lui, guardandolo direttamente e chiedendo una risposta alla sua domanda. Cosa voleva sapere?
Il ragazzo non rispose niente e lei continuò: “È casa tua in fin dei conti, no?”
Ma mentre lo diceva i suoi occhi vacillarono e tornarono a guardare fuori dall’abitacolo. Ah. Intendeva quello. “Ma certo”.
Fu con sollievo, comunque, che vide casa Simpson in fondo alla via.

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Capitolo 12
*** Stecche e stoccate ***


Stecche e stoccate
Stecche e stoccate
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Lisa entrò in casa e si diresse velocemente in camera sua per accendere il computer e chiamare Kristen: era una cosa stupida che la risposta di Nelson l’avesse messa in crisi così? E poi, perché le interessava così tanto sapere se a lui avrebbe fatto piacere o no? Forse era il caso di accettare la cosa e di essere sincera con se stessa: a lei piaceva Nelson. E doveva assolutamente chiamare l’unica persona che le avrebbe consigliato cosa fare. L’ultima volta non aveva gestito bene la cosa, vero che aveva solo otto anni, ma la sua capacità di gestire i sentimenti non era cresciuta molto in quegli anni. Bastava guardare Miloser.
Passò davanti alla cucina salutando velocemente la madre, che stava preparando la cena, e che la guardò cogliendo ogni sua espressione, sorridendo senza dire niente.
Dopo pochi minuti di preparazione del pc e di tentativi di connessione, Kristen apparve sul suo schermo in tutto il suo splendore: era una bellissima ragazza con capelli biondo scuro e gli occhi chiari e Lisa sapeva che aveva un cuore grandissimo.
Quando le raccontò tutto quello che era successo quella sera, Kristen arrivò alla conclusione a cui lei era arrivata poco prima ed esclamò: “Ti piace!”
Lisa rise e guardò verso la porta chiusa: finché non era sicura dei propri pensieri, non doveva saperlo nessun altro. Kristen, però, aveva iniziato a supporre situazioni e a darle troppi consigli campati in aria per poter continuare quella conversazione, così preferì cambiare argomento.
“Lo sai che domani vado a giocare a biliardo?” le confidò, mentre sistemava delle cose sulla scrivania.
“Che stronza! Quando ci venivi insieme a me, non hai mai giocato!” Lisa rise ancora, perché sapeva che Kristen era una vera amica e le voleva bene, anche se era maledettamente diretta e non ti mandava a dire niente.
“Imparerò così quando ci rivedremo andremo a giocare insieme” dichiarò, ma subito dopo divennero tristi tutte e due perché sapevano che sarebbe passato molto tempo prima che fosse possibile rivedersi.

 

***

"Ok, allora, ricapitoliamo: tu entri con un documento falso, ma non bevi."
Ellie sbuffò all'ennesima frase di Lisa. "Sì, mamma. Al Pool's non posso entrare se non ho ventun anni, ma prometto di non bere".
"Forse dovremmo andare da un'altra parte…"
"E impedirti di bere la birra? Dai, non succederà niente, vedrai. E poi io guido per tornare a casa, ricordi? Non bevo comunque. Un posto vale un altro."
Ellie aveva avuto meno problemi a convincere suo padre a farle fare un tatuaggio due anni prima. Cercò di mantenere un atteggiamento rilassato, ma aveva il terrore che Lisa potesse far saltare la serata.
"Va bene" acconsentì dopo un po'. Ellie le avrebbe buttato le braccia al collo.

 

"Perfetto! Vedrai che il biliardo ti piacerà!" le disse ancora la ragazzina. Lisa sorrise: lei era veramente contenta della situazione. E iniziava anche a essere un po' eccitata.
"Chi ti ha insegnato a giocare a biliardo?"
"Come, chi? Nelson!" rispose prontamente la ragazza, aprendo la portiera della macchina. "Prego, fanciulla, sarà una serata bellissima!"
Lisa salì al lato passeggero e aspettò che Ellie si mettesse al volante. Avrebbe dovuto immaginarlo: anche Bart aveva tentato di portarla a giocare a biliardo, ma alla fine non lo avevano mai fatto. Quand'è che si era allontanata anche da suo fratello? Per fortuna l'allegria di Ellie era contagiosa, pensò sorridendo.
Parcheggiarono davanti all'entrata del Pool's e mostrarono i documenti prima di entrare, anche se Lisa guardò da un'altra parte quando il buttafuori controllò quello di Ellie.
"Niente birra, eh!"
"Niente birra, promesso" confermò Ellie e si avvicinò alla cassa chiedendo un tavolo, una Duff e una coca.
In men che non si dica Lisa si ritrovò con una birra in una mano e una stecca da biliardo nell'altra. Ellie ammiccò nella sua direzione quando sistemò le palle nel triangolo.

 

***

 

Bart era in ritardo, ma non se ne curava mai tanto. Stava cercando qualche spicciolo prima di andare a giocare a biliardo con Nelson e notando che la stanza di Lisa era aperta, si avventurò dentro, per vedere se avesse monetine sparse sotto il letto.
Si chiuse la porta alle spalle e si avventurò vicino al comodino, ma Lisa era troppo ordinata per cercare qualcosa per terra, così si avvicinò alla scrivania. Sulla mensola c'erano diversi barattolini, magari in uno di questi potevano esserci dei quarti di dollaro.
Prese contro la sedia che colpì il pc aperto sulla scrivania e lo schermo si illuminò, come se lei lo avesse solo messo in pausa e Bart lo avesse riavviato. Merda. Doveva spegnerlo?
Provò a vedere come rimetterlo in standby, quando il pc iniziò a suonare, mentre l'immagine di una ragazza lampeggiava davanti allo schermo. Bart si chinò per guardare meglio la foto: era una gran gnocca. Si avvicinò di più e qualcosa dentro uno dei barattoli cadde sulla tastiera, rimbalzando e facendo cambiare la schermata: ora la ragazza era in tutto lo schermo, non solo in un quadrato.
"Lisa? Ci sei? Non sai cosa ho scoperto!"
Bart osservò quella ragazza che gesticolava e parlava, senza riuscire a emettere alcun suono. "Lisa? Non ti vedo, sei in piedi?"
Il ragazzo capì ormai di essere stato scoperto, così si chinò davanti allo schermo, spostandosi finché in un quadratino in basso a destra riuscì a vedere la sua faccia.
"Chi sei?" gli chiese lei.
"Eh… Ciao, sono il fratello di Lisa…"
"Oh, devi essere Bart, allora!" Bart alzò un sopracciglio. Sua sorella aveva parlato di lui a quella splendida ragazza? Si sedette sulla sedia.
"Sì, che ti ha detto Lisa di me?" tastò il terreno lui.
"Oh, non molto a dir la verità. Ma… Lisa non c'è?"
"No, è andata a giocare a biliardo" la informò.
"Oh, è vero… Vabbé niente, magari le telefono dopo, allora…" E subito dopo aver detto questo, tirò su con il naso. Oh. No, le belle ragazze non dovrebbero piangere.
"Stai bene? È successo qualcosa?" Si sentì in dovere di chiedere, mentre un po' di curiosità iniziava a fare capolino.
"A parte il fatto che ho appena beccato il mio ragazzo a letto con un'altra, per il resto sì."
"Oh. E l'idiota è ancora vivo? O hai bisogno di aiuto per nascondere il cadavere?"
Lei rise di quella battuta e Bart appoggiò le cose che aveva in mano a lato del pc, sistemandosi meglio sulla sedia.
"Sì, è ancora vivo…" Lei però sorrise e il ragazzo capì di aver detto la cosa giusta. Che culo, almeno per una volta…
"E allora dimmi cosa vorresti fargli. Potrei darti delle idee niente male."
La ragazza rise ancora e Bart si tolse le scarpe.
"È venerdì sera, Bart, sicuro di non aver niente da fare che testare omicidi via Skype con una sconosciuta?"
"Non ho programmi per stasera" mentì, "e se magari mi dici come ti chiami, potresti non essere più una sconosciuta…"
Lei rise ancora mentre gli diceva il suo nome: Kristen. Bart non aveva mai pensato che esistesse un nome così bello.

 

***

 
"Una Duff doppio malto, grazie."
"Vuoi anche un tavolo?" gli chiese il cassiere.
"Dopo, sto aspettando un amico."
Il cassiere alzò il pollice in segno affermativo e gli passò un bicchiere pieno di birra. Nelson lo prese e si girò per andare a cercare un posto dove aspettare Bart.
Il pool's era un grosso open space, dove i tavoli da biliardo erano ordinati in file da due come i letti di una caserma. Su ogni tavolo due lampade che pendevano dal soffitto illuminavano il panno verde con precisione, dando anche la giusta atmosfera. Fra una postazione e l'altra erano posizionati tavolini e alti sgabelli, così da permettere a chi non giocava, una tribuna di tutto rispetto.
"Dai, ok, allora, riproviamo…" La voce di Ellie lo fece voltare di scatto: cosa ci faceva sua sorella lì? Si incamminò velocemente fino al tavolo dove la ragazza stava sistemando le palle nel triangolo, ma prima di chiamarla si bloccò: c'era anche Lisa.
Nelson non se lo aspettava.

 

"Nelson!" Ellie alzò la mano quando vide suo fratello fermo impalato poco lontano da loro.
Il ragazzo si avvicinò appena lei si fece un po' più rumorosa ed Ellie batté la stecca ai suoi piedi. "Non sapevo venissi anche tu! Non me lo hai detto!"
"Veramente pensavo che tu non potessi neanche entrare…"

 

Lisa vide Nelson avvicinarsi e prese un lungo sorso di birra quando lui le fece un cenno del capo per salutarla. Alzò una mano per ricambiare ma le cadde la stecca per terra.
"Tutto a posto?" le chiese lui, avvicinandosi mentre la raccoglieva.
"Sì, siamo venute perché Lisa deve imparare a giocare a biliardo. Ma è proprio negata…" ammise Ellie e Lisa sentì le guance diventare rosse per l'imbarazzo.
"Ma non è vero…" Ma poi rise.
Nelson la guardò e alzò un sopracciglio. "Mi sa che quella non è la prima birra che bevi" le disse, indicando il suo bicchiere.
"A dir la verità è la seconda. Ha scoperto stasera che le piace la doppio malto…" precisò Ellie, ma sorrise all'amica.

 

Nelson scosse il capo. "Ellie, hai bevuto anche tu?" chiese alla sorella.
"No. Io guido" rispose lei e, almeno su quello, Nelson fu tranquillo. Ma Lisa era brilla. Non ubriaca, ma era strana. E i suoi occhi brillavano divertiti. Mmm si sarebbe fermato lì con loro intanto che aspettava Bart. Guardò l'orologio: in fin dei conti era in ritardo solo di mezz'ora. Per fortuna lui era arrivato solo dieci minuti prima, conoscendo la puntualità dell'amico. Gli mandò un messaggio chiedendo se si fosse perso e poi rimise il cellulare in tasca.
"Ok" disse, appoggiandosi a uno sgabello sotto a un tavolino alto, "fatemi vedere cosa le hai insegnato". Lisa appoggiò il bicchiere sul tavolino di fianco a lui.
"Non è che abbia imparato molto fino a ora. Anzi, diciamo proprio che Ellie mi ha stracciato fin da subito."
Nelson osservò sua sorella preparare il triangolo e spostare le palle con gesto esperto, per poi andare dall'altra parte del tavolo, spaccare con la stecca e fare un passo di lato. Ellie si avvicinò a Lisa e le fece notare alcune biglie che era più facile colpire di altre, tipo la tre, che era proprio davanti alla buca.
Notò sua sorella aiutare Lisa a mettersi in posizione, ma le ragazze erano veramente inguardabili e quando colpì la bianca con la stecca, questa scivolò un po'sulla superficie liscia della palla.
No, no. Quelle ragazze avrebbero ucciso il buono sport. Avrebbero ammazzato il biliardo prima della fine della serata. Doveva intervenire.
Appoggiò la birra e oltrepassò il tavolino per raggiungere le ragazze. Nel farlo dovette lanciare un'occhiataccia a due individui che si erano appostati vicino a loro e le stavano guardando con uno sguardo che a Nelson non piaceva per niente. Per fortuna capirono e si spostarono a un altro tavolino.

 

"Non posso lasciartelo fare… Vieni qui" disse a Lisa, appena toccò di nuovo a lei.
La ragazza si voltò verso di lui. "Come?"
"Avvicinati" iniziò. Le fece scegliere quale palla cercare di mandare in buca e le spiegò dove colpirla per far sì che procedesse nella giusta direzione. "Dovresti ricordarti la geometria, no?" le disse e Lisa annuì quando capì la sua spiegazione. Le piaceva anche, la geometria. "Prendi il gesso, lì sulla sponda. Ti faccio vedere come strofinarlo sulla punta" spiegò ancora e la ragazza ubbidì, prese il quadratino blu e glielo porse. Nelson le fece vedere come ingessare la stecca e lei riuscì a farlo nello stesso modo.
"Brava. Ora vieni qui. Appoggia la mano qui, e ti chini. Allarga le gambe. Ok, sì così…"
Nelson le si era avvicinato e la stava aiutando a posizionarsi. Quando si piegò sul tavolo, iniziò a sentirsi in imbarazzo per averlo così vicino, ma lui sembrava veramente intenzionato solo a mostrarle la posizione più adatta. Non aveva osato, non si era allargato troppo. Lisa quasi se ne dispiacque. E, forse un po' per colpa della birra, decise di posizionare male la stecca.
"No, come ti ho fatto vedere prima…" Nelson dovette sporgersi sopra di lei, per prenderle la mano e Lisa inalò profondamente il suo profumo.

 

Ellie stava osservando Nelson che si era avvicinato a Lisa perché aveva posizionato male la mano su cui appoggiare la stecca per colpire la biglia e sentì il suo telefono vibrare in tasca: lo aveva messo silenzioso, ma non aveva tolto del tutto la possibilità di ricevere telefonate. Lo tirò fuori dalla tasca dei jeans e guardò il numero: sconosciuto. Cosa fare? Alzò gli occhi sui ragazzi, ma li scoprì a discutere su qualcosa, così non la sentirono mentre diceva che si spostava in un punto meno chiassoso per rispondere.
"Pronto?"

 

Nelson sentì la spalla di Lisa contro il petto e si rese conto di esserle troppo vicino. Dannazione! Prima ancora che lui riuscisse a spostarsi, lei girò il viso e lui ne ebbe la conferma: il suo viso era a pochi pollici da lui. Poteva sentire il calore del suo respiro.
"Nelson" lo chiamò lei in un sussurro.

No. No. Spostati.
"Nelson…" disse ancora e la sua voce sembrava provenire da molto lontano.
"Lisa…" Il ragazzo si tirò su e lei lo seguì, forse perché ancora le teneva la mano e la stecca. Lasciò andare tutte e due le cose e tentò di fare un passo indietro, ma lei, con la mano libera, lo bloccò, posandola sul suo fianco. "Baciami, Nelson" mormorò.
Nelson sentì un colpo al cuore. No, lei non lo aveva detto. No, lei non lo pensava. Quando Lisa si avvicinò di più, diede la colpa alla birra: doveva essere ubriaca. Non c'era un'altra spiegazione. Non era il tipo da baciare qualcuno nel bel mezzo della sala del Pool's. Anche se il Pool's aveva visto anche di peggio.

 

"Ragazzi…" La voce della ragazza arrivò a Lisa come se fosse stata sott'acqua. Si girò verso di lei e lasciò il fianco di Nelson, portando la mano sulla stecca.
Lui fece un altro passo indietro e si passò la mano fra i capelli, lanciandole strane occhiate.
"Ragazzi... Stanno portando papà in ospedale…" Lisa realizzò il significato di quelle parole nello stesso momento in cui lo fece anche Nelson, se ne rese conto perché lo stava ancora osservando.
"Cosa?" Lui fu velocissimo e la raggiunse, mentre Lisa faceva il giro dall'altra parte del tavolo. Ellie era impallidita e il suo sguardo faceva paura.

 

 

"Papà ha avuto un infarto…" sua sorella alzò su Nelson uno sguardo così spaesato che lui si sentì quasi in colpa. "Andiamo…" Ellie si voltò, lanciando occhiate alla sala, ma senza sapere bene cosa fare, probabilmente.
Nelson osservò Lisa metterle un braccio sulle spalle e dirle che sarebbe andato tutto bene. Si guardò intorno anche lui: dovevano andare da Trevor.
"Lisa…" la chiamò e anche se il suo tono era molto diverso da poco prima, si sentì lo stesso in imbarazzo per quello che era successo. Quando lei lo guardò, continuò. "Porta le palle in cassa, e fatti ridare la caparra. Andiamo via".
Lisa annuì, lanciando un'ultima occhiata a Ellie. "Non penso che lei sia in grado di guidare…" disse, prendendo il triangolo e il contenitore delle biglie.
"Ho il pick-up, venite con me. Ti porto a casa e poi andiamo in ospedale."

 

Ellie non riusciva a pensare, figuriamoci a ragionare! Suo padre, l'ultimo genitore che le era rimasto, aveva avuto un infarto. Come stava? Stava bene? Era… No, non voleva neanche pensarlo.
Vide Lisa tornare dalla cassa e si lasciò prendere sottobraccio. "Vengo con voi" disse lei a suo fratello. Oh, sì, Lisa le sarebbe stata vicino. E poi Ellie voleva vedere Trevor subito. Doveva assolutamente assicurarsi che stesse bene.

 

Lisa dovette discutere con Nelson mentre uscivano dal Pool's, perché lui voleva accompagnarla a casa prima di andare in ospedale, mentre lei invece voleva andare con loro. "Lasciamo qui la mia macchina?" chiese una stralunata Ellie.
"Certo, domani ti accompagno io a prenderla, va bene?" la tranquillizzò Lisa e la ragazza annuì, salendo sul pick-up del fratello.
Lisa lanciò uno sguardo a Nelson e lui sospirò, ma annuì e lei capì che si era rassegnato e sarebbe riuscita ad andare con loro.

 

***

 

Il viaggio fino all'ospedale fu silenzioso e pesante, perché non sapendo bene cosa aspettarsi, ognuno di loro aveva pensato a dei possibili scenari. E nessuno ammise di aver pensato anche a quello più brutto.
Per fortuna riuscirono ad arrivare in poco tempo e, dopo aver chiesto a un infermiere e a due dottori, entrarono nel reparto giusto.
"Parenti del signor Reed?" chiese loro un'infermiera e loro annuirono tutti e tre: sarebbe stato complicato spiegare chi fossero, a parte Ellie.
"Venite…" Fece loro strada verso un corridoio cieco e spiegò quello che era successo: Trevor aveva avuto un infarto, ma si era reso conto della cosa mentre stava succedendo, così aveva chiamato i paramedici.
"Sì, ne ha avuto uno anche tre anni fa, deve aver capito cosa gli stava succedendo" disse Nelson e Ellie si girò verso di lui, con gli occhi sgranati.
Lisa pensò che lei non lo sapesse perché il ragazzo non incrociò il suo sguardo ed evitò di guardarla apposta.
"Sta bene?" chiese Ellie, tornando a guardare il medico.
L'uomo annuì. "Sì e potete vederlo, ma per poco, non deve affaticarsi…" Dopo poche altre raccomandazioni, i ragazzi riuscirono a entrare nella stanza dove era ricoverato Trevor e a parlargli.

 

Alle prime luci del mattino riuscirono a tornare a casa, dopo aver parlato con dottori e infermieri, aver compilato scartoffie e moduli incomprensibili e burocraticamente estenuanti, ed essersi assicurati che lui non avrebbe avuto bisogno di altro fino alla prossima visita.

 

"Non voglio festeggiare, domani, Nelson" disse la ragazza, mentre in macchina tornavano verso il centro città.
"Certo che festeggerai, Ellie. Lo ha detto anche Trevor" cercò di convincerla Nelson, ma anche lui era stanco e forse il suo tono non era molto convincente.
"È stata colpa mia se ha avuto l'infarto, non voglio festeggiare niente…" Ellie sospirò e guardò fuori dal finestrino.
"Dubito che sia stata colpa tua" mormorò Lisa, mentre le metteva un braccio intorno alle spalle e la stringeva con fare materno. Nelson le lanciò un'occhiata e fece un cenno del capo per ringraziarla. Se non ci fosse stata lei, forse loro si sarebbero persi nei meandri della burocrazia e del panico.
"Sono stata accettata all'Accademy of Art di San Francisco. Lui ha detto che era contento per me, ma ho paura di avergli dato un dispiacere... San Francisco è così lontano, in fin dei conti… Ma tanto rimarrò qui, andrò all'Università di Springfield e…"

 

"Sai perché non ha voluto dirti niente quando ha avuto il primo infarto? Aveva paura che tu reagissi così, Ellie" spiegò Nelson, con un sospiro.
"Così, come? Preoccupandomi per mio padre?" Il tono di Ellie era un misto fra l'arrabbiato e il deluso. "Mi trattate sempre come una bambina…" sbuffò. Era una cosa che le dava totalmente sui nervi: secondo loro lei non doveva sapere le cose perché altrimenti avrebbe reagito male.
"È successo tre anni fa. Tu eri in vacanza con mia madre, ricordi?" Ellie annuì alle parole del fratello, ma era ancora nervosa. "Lui non voleva che voi tornaste a casa prima o che cambiaste i vostri programmi. Diceva che non sarebbe stato giusto. Ho solo rispettato i suoi desideri" spiegò ancora.
"Ma quindi non lo sapeva neanche Mary?" chiese, stupendosi della cosa.
Nelson scosse la testa senza mai staccare gli occhi dalla strada ed Ellie guardò Lisa che però, osservava anche lei suo fratello.
Sospirò: Mary era stata portata via da un cancro veloce e letale e quella vacanza era stato un regalo che si erano concesse dopo tutte le cose brutte che erano successe: il dolore del dare il suo bambino in adozione, la malattia di Mary… Non disse niente perché la madre di Nelson era morta poco dopo quella vacanza.

 

 

Nelson non osò spostare lo sguardo dalla strada: se non le avesse guardate non si sarebbe sentito in colpa e avrebbe continuato a pensare che assecondare Trevor fosse stata la cosa migliore.
"Per questo non sei andato via con tuo padre quando te l'ha proposto?" gli chiese Ellie e lui si ammutolì subito dopo aver aperto la bocca per parlare: era stanco e aveva bisogno di controllare il traffico, si disse, sapendo di mentire. Non voleva voltarsi. Non voleva incrociare lo sguardo con la sorella o, peggio, con quello di Lisa. Si sentiva in colpa e pensava di aver sbagliato tutto. Senza considerare il fatto che non sapeva come comportarsi con Lisa, in quel momento. Dovevano parlare di quello che era successo prima, al Pool's. O forse dovevano stare zitti e non parlarne mai. Forse quella era la soluzione migliore.
"Trevor è contento che tu sia stata ammessa all'Accademia delle Arti, Ellie. Sarebbe molto dispiaciuto se sapesse che stai pensando di non andarci. Non devi preoccuparti per lui: ci sono io" tentò di rassicurarla un'ultima volta.
"Io…" Ellie sospirò e Nelson capì benissimo la guerra che lottava dentro di lei.

 

"Non si prendono decisioni quando si è tristi, Ellie" la interruppe Lisa. "Sai che facciamo? Adesso vai a casa a riposarti e oggi pomeriggio torniamo a trovare tuo padre. Sono sicura che ti dirà le stesse cose che ti sta dicendo Nelson e tu sarai più tranquilla. Sei solo stanca e, dato quello che è successo, è normale che tu veda tutto nero. Vedrai che domani Trevor starà  meglio e anche tu vedrai le cose diversamente."
Ellie, stranamente, annuì. "Posso dormire da te, Nelson? Non voglio andare a casa…" Quando suo fratello fece un cenno con il capo, tornò a guardare fuori.

 

Lisa scese dal pick-up che ormai si era fatto chiaro ed entrò in casa dirigendosi in camera. Mandò un messaggio a Bob, dicendo che avrebbe coperto il turno di Ellie e impostò la sveglia dopo due ore. Si addormentò quasi subito e non si accorse che le cose sulla sua scrivania non erano posizionate allo stesso modo di quando era uscita.

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