Il mistero del libro scomparso

di eddiefrancesco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5 Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6 Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7 Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8 Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9 Capitolo ***
Capitolo 10: *** 11 Capitolo ***
Capitolo 11: *** 10 Capitolo ***
Capitolo 11: *** 12 Capitolo ***
Capitolo 13: *** 13 Capitolo ***
Capitolo 14: *** 14 Capitolo ***
Capitolo 15: *** 15 Capitolo ***
Capitolo 16: *** 16 Capitolo ***
Capitolo 17: *** 17 Capitolo ***
Capitolo 18: *** 18 Capitolo ***
Capitolo 19: *** 19 Capitolo ***
Capitolo 20: *** 20 Capitolo ***
Capitolo 21: *** 21 Capitolo ***
Capitolo 22: *** 22 Capitolo ***
Capitolo 23: *** 23 Capitolo ***
Capitolo 24: *** 24 Capitolo ***
Capitolo 25: *** 25 Capitolo ***
Capitolo 26: *** 26 Capitolo ***
Capitolo 27: *** 26 Capitolo ***
Capitolo 28: *** 27 Capitolo ***
Capitolo 29: *** 28 Capitolo ***
Capitolo 30: *** 29 Capitolo ***
Capitolo 31: *** 30 Capitolo ***
Capitolo 32: *** 31 Capitolo ***
Capitolo 33: *** 32 Capitolo ***
Capitolo 34: *** 33 Capitolo ***
Capitolo 35: *** 34 Capitolo ***
Capitolo 36: *** 35 Capitolo ***
Capitolo 37: *** 36 Capitolo ***
Capitolo 38: *** 37 Capitolo ***
Capitolo 39: *** 38 Capitolo ***
Capitolo 40: *** 39 Capitolo ***
Capitolo 41: *** 40 Capitolo ***
Capitolo 42: *** 41 Capitolo ***
Capitolo 43: *** 42 Capitolo ***
Capitolo 44: *** 43 Capitolo ***
Capitolo 45: *** 44 Capitolo ***
Capitolo 46: *** 45 Capitolo ***
Capitolo 47: *** 46 Capitolo ***
Capitolo 48: *** 47 Capitolo ***
Capitolo 49: *** 48 Capitolo ***
Capitolo 50: *** 49 Capitolo ***
Capitolo 51: *** 50 Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1 Capitolo ***


Inghilterra, 1806 Hero guardò fuori dal finestrino della carrozza, ma nell'oscurità incombente non riuscì a capire se fossero o meno in vista di Oakfield Manor, la loro destinazione. A causa delle strade dissestate, il viaggio era durato più del previsto e lei non ne poteva più di stare rinchiusa lì dentro. Sul sedile di fronte, la sua compagna teneva lo sguardo fisso davanti a sé, impassibile, apparentemente indifferente allo spazio angusto e soffocante del vecchio veicolo e ai fastidiosi sobbalzi che le sballottavano come bambole di pezza. Come tante altre volte in passato, Hero si domando' se Mrs. Renshaw fosse stata mandata con lei come chaperon oppure come spia, con il compito di accertarsi che portasse a termine con successo l'affare per conto di Raven. Un'ondata di risentimento la pervase prima che Hero riuscisse a soffocarla sul nascere, come ogni volta. Era consapevole di ciò che ci si aspettava da lei. Christopher Marchant doveva essere l'ennesimo vecchio rugoso, calvo e maleodorante. Ah, stava dimenticando un ultimo aggettivo: vizioso. Si sarebbe aspettato che si chinasse spesso verso di lui per sbirciare nell'ampia scollatura del suo vestito. Con qualche lusinga e un po' di astuzia, lei era sempre uscita da quegli incontri con la virtù intatta, anche se non poteva dire altrettanto della propria autostima. Del resto, aveva imparato da tempo che l'orgoglio era un lusso che solo i ricchi potevano permettersi, certo non la gente come lei. Se poi avesse avuto dei dubbi circa il fatto che la vita fosse una faccenda squallida, le sarebbe bastato guardare la brughiera flagellata dal vento, gli alberi spogli e i nuvoloni neri che si stavano ammassando nel cielo. Quasi quasi, avrebbe giurato che Raven fosse riuscito a dominare le condizioni atmosferiche, come faceva con qualsiasi altra cosa, e quel pensiero la rendeva oltremodo nervosa. La carrozza rallento' per imboccare una strada ghiaiata in condizioni vagamente migliori di quella che avevano percorso nell'ultimo tratto. Hero fece appena in tempo a domandarsi se stessero per giungere finalmente a destinazione quando ci fu un violento scossone. Mentre cercava un appiglio, l'imperturbabile Mrs. Renshaw le piombo' addosso con un'esclamazione di sconcerto, mentre il suo considerevole peso minacciava di soffocare Hero. Quando la giovane riuscì a liberarsi dell'opprimente fardello, la carrozza era ormai ferma, leggermente inclinata su un fianco. Hero maledisse Raven e il suo vetusto mezzo di trasporto. Con ogni probabilità avevano perso una ruota, proprio là, nel bel mezzo del nulla. Hero aprì lo sportello e scese con un balzo, atterrando in mezzo all'erba. Non c'era niente di incoraggiante là fuori, a parte il sollievo di trovarsi all'aria aperta. Si tirò il cappuccio sulla testa per proteggersi dal vento che soffiava a raffiche, dopodiché si guardò intorno con un profondo senso di sconforto. Avevano lasciato la strada maestra, il cielo era affollato di nuvole nere e un rombo di tuono ancora lontano annunciava l'arrivo di una tempesta. Scosse la testa per scacciare un triste presentimento e si diresse verso la parte posteriore della carrozza, dove il cocchiere e il lacchè si stavano scambiando dei borbottii poco rassicuranti. Non ci voleva un esperto per capire che la ruota era rotta e, siccome i due uomini si limitavano a fissarla con aria ottusa, lei si preparò al peggio. «Se non siete in grado di ripararla, dovrete andare a cercare aiuto sulla strada maestra» affermò Hero, alzando la voce per farsi sentire al di sopra dell'ululato del vento. Gli uomini si voltarono verso di lei, visibilmente restii ad allontanarsi. Avevano superato da un bel pezzo l'ultimo centro abitato. «Non è molto frequentata, signorina.» Il cocchiere si gratto' la testa, dubbioso. «Senz'altro più di questa» ribatte' Hero osservando la carreggiata costellata di erbacce. Era poi quella giusta? Non ne aveva la più pallida idea. Però avrebbe potuto mandare gli uomini in avanscoperta. Se uno avesse proseguito e l'altro fosse tornato indietro, avrebbero raddoppiato le possibilità di trovare aiuto. Però lei e Mrs. Renshaw sarebbero rimaste sole, due donne su una carrozza fuori uso, nel bel mezzo della tetra, infida brughiera, e per di più con una bufera in arrivo. Quell'insieme di circostanze la fece esitare. A pensarci bene, quale minaccia poteva mai nascondersi in quel territorio dimenticato da Dio? Qualsiasi essere umano con un briciolo di buonsenso doveva essersi chiuso in casa da un pezzo per evitare il temporale. Hero teneva una pistola nella borsetta e Mrs. Renshaw non era certo stata scelta come accompagnatrice per le sue qualità femminili. Alta e massiccia come un uomo, portava sempre con sé un bastone. Hero dubitava che le servisse soltanto per appoggiarsi quando andava a passeggio. Tuttavia, la parola d'ordine di Hero era "prudenza" e così, alla fine, decise di mandare avanti il lacchè mentre il cocchiere avrebbe montato la guardia. Quindi risali' in carrozza e si appresto' a una lunga attesa. A poco a poco il vento si rafforzo', intonando uno spaventoso concerto di ululati e lamenti, e lei cominciò a preoccuparsi che la carrozza si rovesciasse del tutto, schiacciando i suoi occupanti. Mentre Mrs. Renshaw rimaneva imperterrita al suo posto, Hero scese di nuovo per scrutare la zona circostante, pensando alla longa manus di Raven. Le sembrava improbabile che la sua influenza arrivasse così lontano, ciononostante quello era il genere di situazione che lui avrebbe potuto benissimo congegnare. Che si trattasse dell'ennesimo esperimento? Come ormai le succedeva sempre più spesso, Hero si chiese se sarebbe mai riuscita a sfuggire a quella sorta di incubo gotico che era la sua vita. Tutto ad un tratto le sembrò di distinguere un suono. Tese l'orecchio. Non era il rombo ancora distante del tuono, no, e nemmeno il mugghiare del vento impetuoso. Si voltò a guardare la carrozza e vide che ondeggiava; il cocchiere sonnecchiava a cassetta, i cavalli, invece, avevano drizzato le orecchie. Scruto' la strada che scompariva in distanza davanti a loro, ma la luce stava per svanire del tutto e non vide niente. Con l'impressione che il suono venisse dall'altra parte, si girò di nuovo. Doveva essere il vento che le giocava degli strani scherzi, perché non vide nulla neanche in quella direzione e udì invece un tonfo di zoccoli dal senso opposto. Fece il giro della carrozza, passò davanti ai cavalli che si agitavano inquieti e scruto' nel buio. Per essere una che era stata svezzata a storie di eventi prodigiosi e di presenze misteriose, provò un inaspettato senso di trepidazione. Alla fine lo vide. Trattenne il respiro, chiedendosi se quella scena fosse un parto della sua immaginazione, perché sembrava uscita dritta da uno dei romanzi gotici preferiti da Raven. Una figura tenebrosa in sella a un cavallo nero, con la cappa che le svolazzava dietro, cavalcava come se fosse stata generata dalla bufera stessa e puntava proprio verso di lei. Lo sbigottimento causato da quell'apparizione fu tale che Hero rimase immobile e sarebbe stata investita in pieno dal cavallo, se il misterioso cavaliere non l'avesse fermato con una manovra perfetta. La sagoma scura balzo' a terra e solo allora lei pensò che, dopotutto, doveva essere una persona in carne e ossa e non un personaggio fantastico, anche perché il cavaliere le si avvicinò con un mormorio di apprensione. Forse per la prima volta nella sua vita, Hero rimase senza parole, ammutolita dall'inattesa apparizione. Alto, con le spalle larghe e i capelli scuri che frustavano il viso più bello che lei avesse mai visto, lo sconosciuto incarnava il salvatore ideale di qualsiasi fanciulla. Nondimeno, lei non era più ingenua e sapeva che nessuno avrebbe potuto salvarla, a meno che non si trattasse soltanto di offrirle un riparo dalla tempesta. In effetti, il cavaliere le stava gridando qualcosa al riguardo e, prima che Hero potesse capire le sue intenzioni, la prese per un braccio.

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Capitolo 2
*** 2 Capitolo ***


Il cavaliere risali' in sella, si chino' per sollevarla di peso e la mise davanti a sé. Con una piccola esclamazione di sgomento, Hero pensò che il suo mondo così ordinato stava sfuggendo del tutto al suo controllo. Senza darle il tempo di parlare, il misterioso cavaliere se la strinse contro il petto ampio, le passò un braccio intorno alla vita e sprono' il cavallo. Hero aprì la bocca per protestare contro la sfacciataggine dello sconosciuto, che non aveva neppure pensato di consultarla sul da farsi. Il contatto fisico la metteva a disagio e il calore del tocco di lui aveva un effetto sgradito sui suoi sensi. Ma poi l'uomo le sorrise e lei ammutoli' per la seconda volta. Mentre osservava, a bocca aperta, il bellissimo viso virile, Hero si rese conto di non essere mai stata tanto vicina a qualcuno. Quella prossimità le causava una profonda inquietudine, eppure lei dovette resistere all'impulso di toccare il ricciolo che gli era ricaduto sulla fronte, bruno come gli occhi del cavaliere. Rimasero a fissarsi per qualche istante, poi lui distolse il viso ed Hero, seguendo la direzione del suo sguardo, vide i primi goccioloni di pioggia. Per quanto ci avesse provato, il misterioso cavaliere non era riuscito a salvarla dalla tempesta, che pure era del tutto insignificante in confronto al tumulto interiore che la squasso' quando lui la strinse a sé. Con il cuore che batteva a un ritmo selvaggio, stordita e disorientata, Hero ebbe l'inspiegabile certezza che a quell'uomo non sarebbe riuscita a negare niente. Un pensiero inconsulto, più terrificante di qualsiasi orrore gotico. Appena venne affidata alle mani capaci di Mrs. Osgood, un'allegra governante dalle guance rosse come mele, Hero recuperò almeno in parte il dominio di sé. Doveva essere stato l'incidente alla carrozza, in quel luogo e in quel momento, a scuoterle i nervi, tanto che aveva immaginato che il suo soccorritore fosse un essere superiore di qualche genere, capace di dominarla. Nonostante Hero non fosse un tipo impressionabile, l'alternativa era troppo tremenda anche solo per pensarci. Apprese con sollievo, grazie alle chiacchiere inesauribili di Mrs. Osgood, di avere raggiunto la propria destinazione. Per concludere l'affare che l'aveva portata lì non le restava altro che incontrare Mr. Marchant. Quanto all'identità del suo soccorritore, aveva deciso di non porsi domande e di dimenticarsene. Anche se quest'ultimo pensiero la fece rabbrividire come se il suo corpo fosse deciso a smentirla. Cercò di non pensare alla sensazione che le aveva causato il contatto con il suo corpo vigoroso, agli indumenti resi viscidi dalla pioggia che erano scivolati contro quelli di lei quando l'aveva aiutata a smontare e l'aveva accompagnata in casa. L'edificio, una piccola dimora gotica con tanto di merlature e la facciata tetra, le aveva ricordato Raven al punto che Hero si era domandata di nuovo che cosa avesse escogitato stavolta. Poi aveva accantonato con fermezza quel sospetto. Augustus Raven era un uomo dalle notevoli risorse, ma non tanto da riuscire a controllare le forze della natura. Hero non rimase neppure sorpresa dalla singolare architettura dell'edificio, poiché conosceva bene quello stile, prediletto da Raven. Molti suoi amici collezionisti di antichità condividevano la stessa passione per tutto ciò che era vecchio, freddo e ammuffito, forse perché loro stessi erano vecchi, freddi e ammuffiti. Oakfield non era così, però aveva un estremo bisogno di riparazioni. Per fortuna, il fuoco acceso nel camino spandeva un piacevole calore ed Hero fu contenta di vedersi assegnare una stanza tutta per sé, accanto a quella di Mrs. Renshaw. Fece il bagno, indossò degli abiti asciutti e, mentre si spazzolava i capelli davanti al fuoco, l'incredibile impressione lasciata dall'incontro con l'affascinante sconosciuto a poco a poco svani'. Quando fu pronta per raggiungere Mrs. Renshaw al piano di sotto, era di nuovo concentrata sul compito che l'aspettava. La governante la condusse in una biblioteca, alquanto in cattivo stato, che richiamò subito la sua attenzione. Hero esamino' gli scaffali quasi vuoti e le casse da trasloco sparse un po' ovunque. Mrs. Marchant stava vendendo tutta la sua raccolta di libri? Se era vero, Raven avrebbe potuto decidere di acquistare l'intero blocco. I piccoli tesori potevano essere nascosti ovunque, ignorati e sottovalutati dai loro proprietari. Hero si avvicinò a una cassa e ne esamino' il contenuto: testi classici greci e latini, disposti senza un ordine particolare. Si stava chinando per leggere i titoli quando udì un rumore di passi. Con un sorriso stampato in faccia, si girò per salutare il nuovo venuto... e rimase pietrificata a guardare il giovane sulla soglia. Senza il mantello era perfino più bello di come lo ricordava. Hero sbatte' le palpebre, confusa. Non era lui il padrone di casa, vero? «Do... dov'è Mr. Marchant?» domandò, odiandosi per aver balbettato. «Christopher Marchant, per servirvi» si presentò l'uomo, accompagnando le parole con un inchino. Dopodiché le rivolse lo stesso sorriso seducente che lei aveva già avuto modo di ammirare. Hero si sentì di colpo le gambe molli. Lo stereotipo del collezionista di antichità vecchio e avido non sempre corrispondeva al vero, questo lo sapeva, eppure le capitava di rado di trattare con uomini eleganti e generosi come per esempio il Duca di Devonshire. E di sicuro nessuno di quelli che aveva incontrato avrebbe potuto reggere il confronto con il proprietario di Oakfield Manor. Solo in quel momento si accorse di essere rimasta a bocca aperta e si affretto' a ricomporsi. In preda al panico, si domando' come avrebbe fatto a condurre la trattativa con il cuore che le martellava nel petto e i pensieri sparsi come uccellini nel cielo. D'altronde, non aveva alternative. Gli rivolse un cenno con la testa. «Io sono Miss Hero Ingram e questa è la mia accompagnatrice, Mrs. Renshaw. Ho con me una lettera di mio zio, Mr. Augustus Raven. Credo che in passato lo zio e vostro padre abbiano avuto uno scambio di corrispondenza.» Avanzò verso di lui e gli porse la missiva, chinandosi un poco per permettergli di affondare lo sguardo nell'ampia scollatura del vestito. A differenza degli uomini che incontrava di solito, però, Christopher Marchant non era vecchio, non aveva rughe e non sembrava neppure vizioso. Inoltre, Hero dubitava che un uomo tanto affascinante sarebbe rimasto impressionato dal suo seno tutt'altro che abbondante, nonostante la scollatura al limite della decenza. «Vi chiedo perdono per essermi presentata così a casa vostra, senza il minimo preavviso» esordì Hero, fedele al suo consueto approccio. I vecchi solitari con i quali aveva sempre avuto a che fare erano talmente lusingati dalle sue attenzioni che non si risentivano affatto che fosse lei, una donna, a condurre gli affari per conto dello zio. Per loro non erano neppure affari, anzi, consideravano la transazione alla stregua di uno scambio tra amici, o conoscenti, accomunati dalla passione per i libri antichi. Eppure Mr. Marchant era... diverso ed Hero si domando' se si sarebbe insospettito di vederla arrivare come un fulmine a ciel sereno nella sua remota dimora. «Mi trovavo a passare da queste parti e mi è sembrato opportuno fare tappa qui. Mi perdonate?» chiese con uno studiato pizzico di civetteria. Stranamente, la frase trita e ritrita rischiò di restarle in gola . «Ma naturalmente. Sedete, vi prego» rispose lui con un gesto amabile. I suoi modi schietti e accattivanti la confondevano, perché gli uomini con i quali era abituata a trattare erano spesso impenetrabili come Raven e nascondevano i loro pensieri dietro a labbra serrate e palpebre socchiuse. «Temo che la casa sia ancora piuttosto sottosopra» borbotto' Mr. Marchant con un sorriso esitante. Per un istante Hero pensò che avrebbe aggiunto qualche spiegazione, invece si limitò a guardarsi intorno come se si fosse appena reso conto del deplorevole stato della biblioteca.

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Capitolo 3
*** 3 Capitolo ***


Non parve accorgersi di Mrs. Renshaw seduta nell'angolo più buio della stanza ed Hero se ne rallegro', perché date le circostanze non poteva impiegare la sua solita tattica. Dopo una rapida, quanto frenetica riflessione, scelse l'approccio più diretto. «Intendete vendere parte della vostra raccolta?» domandò al padrone di casa. Mr. Marchant la fissò con espressione vacua prima di guardarsi di nuovo intorno. «Oh! Intendete dire i libri? No, ci siamo stabiliti qui di recente, mia sorella e io, e non abbiamo ancora avuto il tempo di sistemarci.» «Se volete risparmiarvi parte del lavoro, conosco qualcuno che potrebbe liberarvi di queste» dichiarò Hero indicando le casse. Mr. Marchant annuì, ma, cosa strana, non sembrò minimamente interessato alla proposta. Lì, in casa sua, sembrava distratto ed Hero si accorse delle ombre scure intorno ai suoi occhi. Che fosse ammalato? A prima vista pareva un uomo forte, della sua stessa età o poco più vecchio, ma forse aveva trascorso la notte a far baldoria e ne portava i segni sul viso. Del resto, i passatempi dei giovanotti non erano forse gioco, bevute e donne? Hero immaginava che fosse così, perché le sue esperienze in fatto di uomini giovani erano poche e distanziate nel tempo. «Se è per i libri che siete venuta qui, temo di dovervi deludere» replicò Mr. Marchant. «Vedete, in queste casse c'è tutta la collezione di mio padre.» Un'espressione mesta gli offusco' lo sguardo ed Hero maledisse la avidità di Raven. Quante volte era piombato come un avvoltoio su persone in lutto approfittando del loro dolore per convincerle a vendergli i preziosi volumi che il defunto aveva collezionato con amore per tutta la vita? «Mi spiace» disse Hero, sincera. Ma quando gli occhi dell'uomo incontrarono i suoi, le parve che il padrone di casa le stesse leggendo dentro. Distolse lo sguardo. Nessuno, in particolare quest'uomo, doveva capire chi fosse. D'un tratto si chiese se Mr. Marchant avesse intuito l'effetto che le faceva, allora si raddrizzo', decisa a non rivelargli nulla. «Capisco i vostri sentimenti, naturalmente.» Con quelle poche parole spicce infranse la connessione che si era instaurata fra di loro. Se l'attaccamento di Christopher Marchant per la collezione del padre era solo affettivo, allora non doveva tenere a nessuno di quei volumi in particolare e questo facilitava parecchio il suo compito. «Non vorrei mai separarvi da una raccolta così importante per voi, ma sareste disposto a cedere un volume solo?» Gli domandò. L'espressione schietta di Mr. Marchant si incupi' di colpo e lei si chiese se fosse meno indifferente di quanto sembrasse. Era consapevole di quello che possedeva e del suo potenziale valore? Qualunque collezionista avrebbe dovuto sapere che un libro da tempo considerato introvabile avrebbe scatenato una guerra di offerte d'acquisto, portando il prezzo alle stelle. Hero non tradì alcuno di quei pensieri, nonostante il cambiamento di Mr. Marchant la mettesse a disagio. Si era accorto che lei aveva sperato di raggirarlo? L'aveva accolta in casa sua con calore apparentemente sincero, ma ora c'era un che di circospetto nel suo atteggiamento, e lei doveva stare in guardia. Le era capitato di trattare con collezionisti vecchi e raggrinziti, ma del tutto immuni al suo fascino. Creature avide che si tenevano stretto anche il libercolo più meschino a costo di digiunare. Ma Hero non intendeva tornare da Raven a mani vuote, per cui scelse con cura le parole successive. «Forse siete al corrente di un certo interesse per il volume al quale alludevo, un libro di Ambrose Mallory.» Il bel viso di Christopher Marchant divenne una maschera di ira, che la lasciò sbigottita. Hero dovette trovare in fretta un diversivo per evitare uno scoppio di collera che avrebbe cancellato qualsiasi possibilità di mettere le mani sul libro. «Quando una voce comincia a circolare, temo che non ci sia più modo di arrestarla» soggiunse, stringendosi nelle spalle con aria contrita. Ma quelle parole non furono sufficienti a placare il padrone di casa. Anzi, lui assunse un'aria sbalordita. «Vorreste per caso dire che ci sono in circolazione degli altri druidi votati al male?» Druidi? Hero mantenne un'espressione neutra. Il suo ospite doveva avere qualche rotella fuori posto. Del resto, per quanto orribile, Raven non si sarebbe fatto scrupolo di mandarla lì sapendo che il padrone di Oakfield non era sano di mente. Anzi, sarebbe stato proprio il genere di macchinazione che Raven amava, anche perché gli avrebbe di sicuro procurato un tornaconto. Hero cercò disperatamente una risposta da dare, ma riuscì soltanto a rivolgergli un sorriso cospiratorio. «Non druidi, signore, ma qualcosa di infinitamente più pericoloso» mormorò, chinandosi in avanti. «Bibliomani.» A Mr. Marchant non piacque il suo scherzo. Alzandosi in piedi, si diresse verso la porta e, per qualche terribile istante, Hero temette che volesse sbatterla fuori di peso. Ebbe un fremito di paura - o di eccitazione? - ma subito il padrone di casa riprese il dominio di sé e andò verso una delle finestre profondamente incassate nella parete. La pioggia sferzava i vetri, allo stesso ritmo incalzante del cuore di Hero, e l'aria scoppiettava come se stesse per scatenarsi un temporale. Era seduta sul bordo della sedia, pronta a darsela a gambe, se fosse stato necessario. Eppure, doveva anche lottare contro l'inspiegabile impulso di correre da lui perché le sembrava che avesse un estremo bisogno di essere confortato. Quando finalmente Mr. Marchant si decise ad aprire bocca, lo fece senza voltarsi verso di lei, lo sguardo sempre fisso sul paesaggio piovoso. «Il libro che cercate non c'è più, è bruciato nell'incendio che ha distrutto il giardino e le scuderie. Non posso aiutarvi.» Era un congedo definitivo, ma Hero lo ignoro'. Il suo cervello era troppo occupato a lavorare. Le aveva detto la verità? Capitava spesso che dei libri andassero distrutti a causa di un incendio o un allagamento, ma non sarebbe stata la prima volta che le veniva rifilata una fandonia per distoglierla dal suo obiettivo... o per strappare una cifra più alta da un altro offerente. Forse Mr. Marchant conosceva qualche bibliomane che avrebbe fatto qualsiasi cosa, sborsato somme favolose pur di acquisire quel libro introvabile. Si diceva che Snuffy Davie avesse pagato due pence un libro che, passato poi di mano in mano, alla fine era stato acquistato dal Principe Reggente per centosettanta sterline. I collezionisti più ricchi, come il Duca di Devonshire, riempivano intere stanze - interi castelli! - con le loro acquisizioni. Era una vera e proprio mania che Hero non sarebbe mai riuscita a comprendere appieno. Mr. Marchant sulle prime si era dimostrato indifferente, pensò, ma forse soffriva anche lui di bibliomania. La stava ingannando, come aveva cercato di fare anche lei? Hero lo scruto' con attenzione. «Se è vero, il mondo dei collezionisti ha subito una grave perdita. Oltre a voi, naturalmente.» «Non la considero affatto una perdita» ribatte' lui con asprezza. «Mia sorella ha rischiato di morire, a causa di quel libro maledetto.» I loro occhi si incontrarono ed Hero degluti' con uno sforzo. Si sentiva di nuovo fuori dal suo elemento. Il dolore e la rabbia di quell'uomo minacciavano di raggiungerla e di toccarla. E lei non poteva permetterlo. Distolse lo sguardo e cercò di riacquistare il controllo della situazione. «Mi dispiace» mormorò. «Tuttavia credo di essere in possesso di informazioni che potrebbero interessarvi, se siete disposto ad ascoltarmi.» Christopher Marchant riprese a guardare la pioggia che non accennava a smettere. Si passò le dita tra i capelli neri ed Hero si ritrovò a fissare le ciocche folte e lucide, che avevano bisogno di un buon taglio. I suoi abiti erano quelli di un gentiluomo, anche se non di stoffa particolarmente pregiata, ma con la figura alta, snella e ben fatta che si ritrovava Mr. Marchant non avrebbe sfigurato neanche vestito di stracci.

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Capitolo 4
*** 4 Capitolo ***


Mr. Marchant non replicò e lei decise di continuare a perorare la propria causa. «Vedete, se la vostra copia del libro è andata distrutta, questo significa che ne esisterebbe soltanto un'altra al mondo. Un esemplare di inestimabile valore. Mio zio ha motivo di ritenere che quest'altra copia ci sia davvero e che potrebbe anche essere qui...» Christopher Marchant la interruppe. «Spero proprio di no.» Si voltò a guardarla con aria inquisitoria. «Sapete almeno quello che state cercando? Il libro in questione spiega come predire il futuro interpretando gli spasmi dell'agonia di esseri umani innocenti. E mia sorella era stata prescelta da alcuni pazzi assassini per diventare una di queste vittime.» Hero sussulto'. Era la verità o Mr. Marchant stava cercando di ingannarla? Maledisse Raven per essere stato così avaro di informazioni, ma il pensiero del suo committente la indusse a concentrarsi di nuovo sulla delicata missione. Druidi e vaticini, reali o inventati, avevano poco a che fare con il motivo per cui si trovava lì. «A mio zio non interessa il testo del Mallory, ne sono sicura. È la rarità del volume che lo rende tanto appetibile per un collezionista.» Senza aspettare la risposta di Mr. Marchant, prese dalla borsa il documento che Raven le aveva affidato e glielo tese. «Mio zio ha trovato questo tra le pagine di un libro che aveva appena acquistato. E dato che fino a poco tempo fa si riteneva che tutte le copie del Mallory fossero andate perdute, il suo interesse si è subito destato.» Attese per un minuto buono, la mano tesa, tuttavia Mr. Marchant non accenno' a muoversi. «Forse non mi sono spiegato» disse invece.«L'unico scopo per cui potrei essere interessato a trovare qualsiasi copia ancora in circolazione di questo libro è distruggerla.» Era davvero pazzo. «Non posso credere che voi, figlio di uno studioso, caldeggiate lo scempio della parola scritta.» Hero aveva sperato di suscitare nel suo interlocutore un moto di vergogna, invece Mr. Marchant non abbocco'. Ormai disperata, stava per balbettare una protesta, ma si trattenne all'ultimo momento. Fece un respiro profondo e lo guardò negli occhi. «Vi assicuro che Augustus Raven non permetterebbe a chicchessia di avvicinarsi al libro, men che meno di leggerlo. Lo custodira' in una bacheca, chiuso a chiave. Mio zio possiede una vasta e varia collezione, ma predilige le copie uniche e non gliene importa niente di ciò che è scritto nelle pagine, gli basta che siano integre.» Mr. Marchant scosse la testa e lei si sentì sprofondare. «Mr. Raven sarebbe disposto a pagare una somma molto alta» insistette. Neppure quell'argomento riuscì a scalfirlo ed Hero cercò di capire che cosa si celasse dietro il suo rifiuto. Con la sua fortuna, aveva trovato l'uomo più intransigente di tutta l'Inghilterra? Di solito era un buon giudice di caratteri, ma non riusciva proprio a capire Christopher Marchant. Era pazzo? Stupido? Era un esemplare praticamente unico di uomo senza prezzo? O più semplicemente aveva ricevuto un'offerta migliore? Lo osservò con attenzione, cercando qualsiasi segno che le indicasse come procedere. Impossibile. Mr. Marchant sembrava non nascondere foschi segreti che potessero essere usati contro di lui né debolezze da sfruttare e neppure le forniva qualche appiglio per poter portare avanti la trattativa. Oppure era lui che la confondeva? Alla fine, Christopher Marchant si staccò dalla finestra e le si avvicinò. «Non manderei mai via un altro essere umano con questa tempesta. Stanotte resterete qui.» Hero non sapeva se essere sollevata o avvilita. L'istinto le diceva di rinunciare a quella missione subito, finché era in tempo, e di fuggire da un uomo che aveva su di lei un effetto tanto singolare. Ma la volontà di Raven era più forte della sua e lui l'aveva mandata là con uno scopo ben preciso. Hero annuì. Avrebbe fatto un altro tentativo durante la cena o, al più tardi, la mattina dopo a colazione. E se niente avesse funzionato, ebbene, avrebbe trovato qualche pretesto per... esplorare Oakfield Manor. Kit si tolse la cravatta con uno strattone, la gettò da parte e si lasciò cadere su una sedia, lo sguardo cupo perso nel buio. Passava decisamente troppo tempo guardando nel buio, pensò, e con uno sforzo si rialzo' e si allontanò dalla finestra. Dall'altra parte della camera da letto c'era un cassettone e sopra il vassoio con una bottiglia di liquore. Che male c'era a bere un bicchiere o due, se lo aiutava a dormire? Si chiese. Sua sorella Sydony non sarebbe stata d'accordo. Non avrebbe approvato il suo comportamento, le solitarie bevute notturne e tutto quel rimuginare che, gli avrebbe detto, non era da lui. Il fatto era che Kit non si sentiva più se stesso. E questo andava avanti dalla notte dell'incendio. Era stato lui a portare Sydony a Oakfield Manor, sostenendo che la proprietà ereditata da una defunta prozia gli avrebbe portato fortuna. Si era compiaciuto del nuovo ruolo di agricoltore gentiluomo, ignorando i cupi presentimenti e i sospetti della sorella. Aveva perfino dubitato della sua sanità mentale quando lei aveva cominciato a blaterare di druidi e di luci misteriose. E, alla fine, aveva rischiato di perderla. Se non fosse stato per il loro vecchio amico Barto, che aveva dato ascolto e condiviso i sospetti di Sydony, Kit avrebbe trascorso la notte in un fosso, istupidito e inutile, per poi trovare sua sorella morta e la sua proprietà usurpata da una banda di assassini incappucciati. Kit scosse la testa. Si era comportato come uno stupido. Tra lui e Sydony, era sempre stato lui il più allegro. Non che Syd fosse malinconica, tutt'altro, eppure era più seria, forse perché aveva dovuto cominciare a occuparsi della loro casa molti anni prima, dopo la morte della madre. Nel frattempo Kit aveva veleggiato nella vita, spensierato e contento... fino alla sera dell'incendio. Da allora era come se i giorni si fossero fermati. Neppure la tanta agognata ristrutturazione di Oakfield Manor riusciva a strapparlo al suo torpore. Si sentiva come se avesse ricevuto un calcio in pieno stomaco e, furioso e dolorante, dubitava di tutto, a partire da se stesso. Andò a versarsi un bicchiere di vino. Solo per quella sera, si disse. Solo perché lei era lì. Trangugio' un lungo sorso. Il destino gli aveva fatto uno strano scherzo, portandogli lì un'ospite. A Oakfield i visitatori erano scarsi, per non dire inesistenti, di conseguenza lui era rimasto molto sorpreso quando Mrs. Osgood gli aveva riferito che uno sconosciuto lacchè aveva bussato alla loro porta. Era giunto a piedi a cercare aiuto per una carrozza che aveva avuto un incidente. Siccome stava per scatenarsi una bufera, Kit aveva galoppato come il vento per precederla e alla fine si era trovato davanti una creatura bellissima, che affrontava impavida il vento impetuoso, stringendosi intorno al collo il mantello mentre i lunghi capelli si agitavano dietro di lei come lingue di fuoco. Gli era sembrato che lei lo stesse aspettando. E Kit era stato così avido di compagnia che aveva immaginato... All'inferno, non sapeva che cosa avesse pensato vedendola, probabilmente che lei fosse la soluzione di tutti i suoi crucci. Quando l'aveva messa in sella davanti a sé e aveva sentito il corpo morbido della sconosciuta modellarsi contro il proprio come se quello fosse da sempre il suo posto, le speranze di Kit erano state confermate. Scosse la testa. Le sue conquiste amorose erano rimaste nel luogo dove aveva trascorso tutta la vita prima di trasferirsi lì, mentre ora la popolazione femminile si teneva alla larga da Oakfield Manor e dai suoi abitanti, più che altro per abitudine. Non c'era da stupirsi se la sua fantasia aveva preso il volo al cospetto di una giovane donna arguta, intelligente e capace di ragionare con la propria testa... un tipetto che gli ricordava parecchio Syd. Ma poi aveva scoperto il motivo che aveva condotto a Oakfield Miss Ingram. Hero... Kit assaporo' quel nome e lo trovò dolceamaro.

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Capitolo 5
*** 5 Capitolo ***


Se Hero fosse andata lì da lui, per qualsiasi altra ragione, l'avrebbe accolta a braccia aperte in casa sua, forse addirittura nella sua vita. Invece aveva evitato con cura la sua compagnia. Non era facile per un uomo che viveva isolato rinunciare a un'opportunità tanto ghiotta, anche perché la sua ospite era una donna fuori dal comune. No, definirla così era riduttivo. Insolita e seducente, Miss Ingram era un mistero che andava studiato da vicino. Più ancora, lei era riuscita chissà come a restituirgli l'interesse per la vita. Kit non poteva dimenticare il primo momento in cui l'aveva vista: gli era sembrata un faro nell'oscurità, come se avesse il potere di tenere lontano le tenebre. Vuoto' il bicchiere e rabbrividi'. L'aspetto era ingannevole, si rammento', infatti la ragione che aveva condotto lì Miss Ingram era strettamente connessa al momento più buio della sua vita. Bussarono alla porta e Kit alzò la testa di scatto. Per un folle istante si chiese se la bella sirena avesse scelto quel momento per perorare la propria causa. Fece un respiro profondo, si alzò in piedi e si passò una mano tra i capelli. Invece, quando aprì la porta si trovò davanti la nuova governante. «Chiedo scusa, signore, ma il cocchiere chiede di parlare con voi. Gli ho detto che vi eravate già ritirato, ma lui insiste che è importante» gli spiegò Mrs. Osgood con aria di disapprovazione. Aveva scarsa stima della servitù che aveva la sfacciataggine di importunare il padrone di casa a quell'ora. Kit, all'opposto, non ebbe la minima esitazione, perché Hob era l'aiutante del suo amico Barto e la mansione di cocchiere era più che altro una copertura. Posò in fretta il bicchiere sul tavolino e seguì la governante al piano di sotto. Se Hob insisteva per parlargli così tardi, doveva essere successo qualcosa di grave. Già, ma cosa? Si domando' Kit. Gli assassini che avevano dato fuoco al giardino e alle scuderie erano morti tutti nell' incendio che aveva distrutto anche il labirinto e il libro che li avevano attirati a Oakfield Manor. Eppure Barto aveva voluto a tutti i costi lasciare Hob a Oakfield e Kit aveva accettato, se non altro per accontentare il vecchio amico. Con uno strano presentimento, attraverso' la casa deserta. Doveva per caso convincersi che Oakfield Manor era davvero maledetta? Non aveva mai creduto a simili sciocchezze, ma del resto non aveva neppure mai creduto che certi culti prevedessero dei sacrifici umani. Fu quindi con l'animo decisamente oppresso che entrò in cucina, dove Hob lo stava aspettando. Kit congedo' la governante con un cenno del capo e la donna imbocco' il corridoio che portava alle stanze della servitù. «Potrebbe non essere importante» esordì Hob senza preamboli, come se avesse intuito la disposizione d'animo del padrone di casa. Kit però sapeva che Hob non sarebbe stato lì senza un valido motivo. «Andate avanti.» «Be', si tratta della carrozza, signore. Quella che è arrivata oggi.» «La carrozza di Miss Ingram?» Hob annui. «È di proprietà di suo zio, Mr. Raven, ma di solito la usa lei per i suoi spostamenti. Questo me l'ha detto il cocchiere.» Fece una pausa e guardò Kit con aria grave. «Abbiamo cambiato la ruota senza difficoltà, ma quando abbiamo esaminato quella rotta... be', non è una rottura normale.» «Spiegatevi meglio.» «Era stata segata.» «Che cosa? Intendete dire che qualcuno ha segato parzialmente la ruota in modo che si rompesse durante il tragitto?» Anche suo padre era morto in un incidente di carrozza, quindi Kit era ben consapevole di ciò che sarebbe potuto accadere. Fu pervaso da una collera improvvisa. «Perché avrebbero dovuto fare una cosa del genere? E chi? Un garzone di stalla che sperava in una lauta ricompensa?» Hob scosse la testa. «È una vecchia carrozza, sciupata e scomoda. Certo non il veicolo che ci si aspetterebbe da un personaggio ricco come Mr. Raven.» «Ho sentito dire che è un tipo eccentrico» osservò Kit prima di lanciare un'occhiata penetrante a Hob. «Forse non era Miss Ingram la vittima designata, bensì suo zio.» Hob scosse nuovamente la testa. «La ruota è stata manomessa di recente, signore, e qui siamo lontani da Raven Hill, la loro residenza.» «Ma se chi ha fatto questo non mirava a impadronirsi della carrozza, che cosa poteva mai volere?» riflette' Kit ad alta voce. Le altre eventualità non gli piacevano per niente, meno di tutte la risposta che ricevette da Hob. L'altro lo guardò con la fronte corrugata. «Forse volevano qualcuno che era "dentro" la carrozza.» Le candele che aveva lasciato accese danzavano selvaggiamente quando Kit richiuse la porta della camera da letto dietro di sé. D'impulso allungò la mano per prendere il bicchiere, ma non era dove l'aveva lasciato. Si guardò intorno e vide che era caduto sul pavimento. Tanto meglio, perché in quel momento aveva bisogno di essere lucido. Raccolse il bicchiere, lo mise sul tavolo e si sedette. Nel silenzio della stanza, il suo sguardo si posò sul posto vuoto di fronte a lui. Peccato che non ci fosse qualcuno con cui confrontarsi. I consigli del suo amico Barto gli sarebbero stati molto utili, e anche quelli di Syd. Fratello e sorella erano stati separati altre volte in passato, ma questa era la prima volta che Kit si trovava a vivere da solo. E avrebbe fatto meglio ad abituarsi, perché presto Syd avrebbe sposato Barto e si sarebbe stabilita definitivamente ad Hawthorne Park. Era stato così contento del loro fidanzamento che non aveva minimamente pensato a quando sua sorella l'avrebbe lasciato per sempre e lui sarebbe stato lontano miglia e miglia da lei e da Barto. Quel giorno era ormai imminente. Kit lanciò un'occhiata al bicchiere vuoto, ma non cedette alla tentazione. Aveva una casa grande e solida che progettava di ristrutturare, dei terreni da rendere di nuovo produttivi e denaro più che a sufficienza per tutto quanto. Che cosa importava se era solo? Avrebbe dovuto sforzarsi di più di frequentare i vicini di casa e un po' alla volta si sarebbe fatto una cerchia di amicizie. Nella zona vivevano diversi giovani più o meno suoi coetanei, li aveva visti in Chiesa, alla funzione della domenica. Peccato che le donne nelle quali si era imbattuto non potessero neanche lontanamente reggere il paragone con colei che ora alloggiava sotto il suo tetto. Come mai una creatura tanto bella e seducente non era sposata? Forse era fidanzata, riflette' Kit. Subito dopo si chiese quale uomo avrebbe permesso alla sua promessa sposa di viaggiare da sola anche in lande remote per concludere affari per conto di uno zio. Di norma, le donne non si occupavano di affari. C'erano sempre state delle donne ricche e potenti che amavano esercitare la loro autorità, spesso dietro le quinte, eppure era insolito che una fanciulla andasse a trattare con dei gentiluomini, accompagnata soltanto da uno chaperon. Era possibile che Miss Ingram stesse semplicemente attraversando quel territorio fuori mano, come gli aveva raccontato. Però parlava degli affari di suo zio con tanta competenza da fargli sospettare che non fosse la prima volta che si occupava di un'acquisizione per conto di Mr. Raven. Cercò di ricordare tutto quello che aveva sentito dire riguardo a quell'uomo, ma non era molto. Raven era un epigono di Horace Walpole, lo scrittore che nel secolo precedente aveva pubblicato il romanzo gotico Il castello di Otranto. Per quanto ne sapeva Kit, Raven non si era mai cimentato con la scrittura, ma, siccome Walpole era stato famoso per Strawberry Hill, la sua stravagante residenza dall'architettura gotica, per non essere da meno lo zio di Miss Ingram si era fatto costruire una vera e propria fortezza nello stesso stile e l'aveva battezzata Raven Hill. A differenza della dimora di Walpole, il castello di Raven era ammantato di mistero, come il suo proprietario. Augustus Raven era un collezionista, questo lo sapevano tutti, ed evidentemente non si faceva scrupolo di mandare in giro la giovane nipote a concludere le compravendite di libri. .

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Capitolo 6
*** 6 Capitolo ***


Kit si acciglio'. Un tempo le informazioni che gli aveva riferito Hob gli sarebbero entrate da un orecchio e uscite dall'altro, ma aveva imparato a sue spese che era rischioso ignorare gli avvertimenti. Il fatto che qualcuno avesse deliberatamente manomesso la carrozza di Miss Ingram perché la ruota si rompesse a così poca distanza da Oakfield Manor non poteva essere una coincidenza. A quel punto, la conclusione era una sola. La causa di tutto era di nuovo quel maledetto libro. Il libro l'aveva attirata lì, come era successo con altri prima di lei e in particolare con un uomo di nome Malet, un druido dell'ultima ora che voleva mettere le mani sul testo per trovarvi la formula di un arcano rituale che doveva essere compiuto nel labirinto dietro casa. Oakfield Manor e il labirinto erano stati costruiti da Ambrose Mallory, una sorta di mago autore di scritti che, a distanza di oltre un secolo dalla sua morte, continuavano a provocare dei terribili danni. Qualcuno dei suoi seguaci era forse sopravvissuto all'incendio? Oppure là fuori ce ne erano altri che non erano stati nel labirinto quella orribile notte? Barto aveva i mezzi e le conoscenze per investigare al riguardo, ma finora non aveva scoperto niente di più di ciò che già sapevano e Kit aveva cominciato a credere che la faccenda fosse definitivamente conclusa. Fino a quel giorno. Ma perché proprio Miss Ingram? Kit scosse la testa. Dovevano esserci in giro dei loschi individui che, se ritenevano che lei avesse la copia superstite del libro, o che fosse in possesso di informazioni che avrebbero potuto condurre al maledetto testo di magia, non si sarebbero fermati davanti a niente pur di mettere le mani sul funesto volume. Nessuno lo sapeva meglio di lui. Quella gente aveva ucciso suo padre. E siccome anche Sydony aveva rischiato di morire, Kit non era disposto a permettere che Miss Ingram andasse incontro allo stesso destino. Nonostante avesse parecchio da fare a Oakfield Manor e l'ultima cosa che desiderava fosse trovarsi di nuovo coinvolto nei fatti misteriosi e nefandi che perseguitavano la sua nuova dimora, non aveva scelta. Già una volta non aveva prestato attenzione e non aveva intenzione di ripetere l'esperienza. Quando scese a fare colazione, Kit scoprì che le sue ospiti avevano già finito e lo stavano aspettando in biblioteca. Mrs. Osgood doveva averle accompagnate in quella stanza per abitudine, ma Kit non poté fare a meno di domandarsi se Miss Ingram ne avesse approfittato per rovistare in mezzo ai volumi di suo padre. Quel pensiero lo colmo' di aspettativa, un valido antidoto alla malinconia che negli ultimi tempi era stata sua costante compagna. Ma Kit si era quasi affezionato a quello stato d'animo, per quanto poco piacevole, e si disse che di sicuro, alla luce del giorno, la sua ospite si sarebbe rivelata meno seducente che nella benevola penombra delle lampade notturne. Nessuna donna poteva essere bella e interessante come se l'era immaginata la sera prima. Invece, entrato in biblioteca, provò la stessa piacevole impressione del giorno precedente. La luce pallida sembrava circondarla di un'aura splendente, come la prima volta che l'aveva vista dritta e fiera lungo la strada dissestata che portava a Oakfield Manor. Qualcosa nell'atteggiamento della giovane, seduta modestamente vicino alla finestra, le mani intrecciate in grembo, gli fece incurvare le labbra. Non era una posa naturale. Aveva già rovistato tra i libri o aveva indovinato che lui si sarebbe insospettito? Kit si domando' per l'ennesima volta che cosa celassero quegli occhi. Il loro colore gli ricordava lo zucchero caramellato, insolito come lo era lei, e l'espressione non gli raccontava niente della loro proprietaria. Provava anche lei le sue stesse emozioni ogni volta che lo guardava? I suoi lineamenti impassibili sembravano negarlo e gli riportarono alla mente la serietà della discussione che avevano avuto la sera prima. Si guardò intorno e vide Mrs. Renshaw seduta a una distanza che avrebbe reso difficile coinvolgerla nella conversazione. Gli parve che la robusta accompagnatrice sonnecchiasse, per cui non si preoccupò di rivolgerle la parola. Si concentrò invece su Miss Ingram, prendendo la parola prima che lei cominciasse con la sequela di convenevoli previsti per situazioni del genere. «Mostratemi quello che avete» la invitò, andando a sedersi vicino a lei. «Riguardo al Mallory, voglio dire.» Nel suo sguardo Kit colse un lampo di sorpresa, subito dissimulato, e si chiese come avesse fatto una donna così giovane ad acquisire un simile autocontrollo. Sydony era trasparente, lasciava capire in qualsiasi momento quello che pensava, invece Miss Ingram parlava soltanto della propria missione e non rivelava altro. Quasi a conferma dei suoi pensieri, lei gli porse un foglio di carta strappato con aria del tutto imperturbabile. «È il frammento di una lettera che Mallory scrisse a uno dei suoi seguaci» gli spiegò. Il frammento era molto vecchio e lui lo prese con cautela. Nonostante la calligrafia fosse vigorosa, l'inchiostro era sbiadito al punto da rendere difficile la lettura. Con un po' di fatica Kit riuscì a decifrare il testo. - Affido a voi questa copia del mio lavoro di tutta la vita, affinché la custodiate con cura. Non parlatene ad alcuno, anzi, tenetela al riparo dagli sguardi curiosi, di modo che le verità storica che essa contiene non finiscano in pasto a chicchessia. Un'altra copia l'ho nascosta qui, i rimanenti volumi, invece, come forse già saprete, sono stati sequestrati e distrutti. Maledetto quel tipografo che ha deciso di...- «Verità storiche» borbotto' Kit, sdegnato. «A giudicare da queste poche righe, tutte le altre copie del testo furono distrutte perché ritenute sacrileghe, e Mallory stesso venne accusato di praticare la magia» aggiunse Hero. «Morì poco tempo dopo aver scritto questa lettera, avvelenato, si dice, da uno dei suoi seguaci.» Kit corrugo' la fronte al pensiero di quel delitto. Sperava che non fosse stato perpetrato sotto il suo tetto, per quanto Mallory se lo fosse meritato. «A chi era indirizzata la lettera?» volle sapere, cercando invano di decifrare il nome. Miss Ingram si protese verso di lui con espressione intenta. «A Martin Cheswick. Raven ha trovato il frammento in un libro proveniente dalla biblioteca dell'attuale Conte di Cheswick.» Per poco Kit non fischio' tra i denti. Un personaggio tanto in vista era stato in qualche modo legato a Mallory? Bah, ogni famiglia aveva la sua pecora ners; il Principe Reggente non ne era forse un esempio? «Allora è a Cheswick che dovreste cercare il libro, non qui» Osservò, restituendo a Miss Ingram il frammento di carta. Lei si acciglio'. «Qui parla di due copie.» «Ma quella che era nascosta qui è andata bruciata» le ricordò Kit. E la storia sarebbe finita lì, se non fosse stato per la ruota manomessa. Avrebbe potuto gridare a gola spiegata che il volume era stato distrutto, ma evidentemente certe menti malate pensavano che Miss Ingram avesse delle informazioni diverse. Tuttavia, cosa stavano cercando veramente: il resto della lettera o il libro? «Chi sapeva che stavate venendo a Oakfield?» le chiese. Di nuovo un lampo di stupore attraverso' gli occhi color caramello. «Raven, naturalmente» rispose Miss Ingram. «E magari anche qualcuno dei suoi amici o soci in affari?» A suo credito, Miss Ingram non tradì la minima esitazione, anzi, rispose con un accenno di ironia: «Mr. Marchant, vi assicuro che Raven non parla delle trattative non ancora andate in porto con chicchessia. Ecco perché qui a Oakfield Manor ci sono soltanto io e non un esercito di bibliomani che si fanno la guerra a suon di offerte per aggiudicarsi il Mallory.» «Siete stata fortunata ad arrivare qui a Oakfield» commento' Kit. «Una ruota della vostra carrozza è stata manomessa in modo da causare l'incidente.» Stavolta lo stupore della giovane fu genuino. E perfino l'indifferente Mrs. Renshaw si riscosse dal suo sonnecchiare.

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Capitolo 7
*** 7 Capitolo ***


Hero lo guardò incredula. «Che cosa state dicendo?» «Il mio cocchiere ha sostituito la ruota, ma non c'è alcun dubbio che quella vecchia è stata manomessa con una sega.» Kit era talmente avvezzo a parlare con Syd che solo all'ultimo momento si rese conto che non tutte le giovani donne di buona famiglia avrebbero preso bene una notizia come quella, e si preparò ad affrontare come minimo uno svenimento o un attacco isterico. Invece Miss Ingram dimostrò una volta ancora di essere un esemplare atipico del suo sesso. Senza traccia di spavento o di orrore, lo guardò con aria solenne. «Perché qualcuno dovrebbe desiderare un simile incidente?» «Per la stessa ragione per cui siete qui» le rispose Kit. «Forse hanno sentito parlare dell'interesse di vostro zio per il Mallory e ritengono che voi potreste rintracciarlo, oppure che siate al corrente di qualcosa che li porterebbe dritti al libro, come il frammento di lettera che mi avete appena mostrato.» Miss Ingram si rabbuio'. «Non vedo come qualcuno potrebbe esserne a conoscenza, se è stato nascosto per tanti anni.» Kit si strinse nelle spalle. «Forse vostro zio ne ha accennato a qualche amico, oppure ne avrà parlato il precedente proprietario del libro nel quale era stata infilata questa lettera.» «Mr. Marchant, Raven non rivela facilmente i suoi... segreti» puntualizzo' Miss Ingram. La leggera esitazione nel suo discorso fece riflettere Kit, anche perché lei si rifiutò di incontrare il suo sguardo penetrante. Augustus Raven era di sicuro un uomo misterioso, ma, come tutti i collezionisti, doveva essersi vantato della propria collezione. Una vanteria caduta nelle orecchie sbagliate, concluse Kit. «Resta il fatto che qualcuno si sta dando molto da fare per fermarvi, e se non foste stata in prossimità di Oakfield, avreste potuto ritrovarvi in poco piacevole compagnia.» Quelle parole ebbero il potere di farla sbiancare e Kit ne approfitto' per rincarare la dose. «Miss Ingram, per esperienza personale posso affermare che la gente che cerca questo libro non è disposta ad accettare un insuccesso. Se ritiene che voi abbiate quello che cerca, vi ucciderà pur di impadronirsene.» Adesso Miss Ingram era pallida da far paura, ma non cedette. «Mi sembra alquanto esagerato, persino per dei bibliomani.» «Vi riaccompagnero' io stesso a Ravenna Hill. Voglio essere sicuro che arriviate a casa sana e salva.» La giovane piegò un poco la testa, come se stesse valutando la sua sincerità. «È molto gentile da parte vostra, ma, se qualcuno è davvero alla ricerca della lettera o del libro che vi è menzionato, non sarà contento finché non se ne sarà impadronito.» Senza ombra di dubbio. «Una volta tornata a Raven Hill, sarete al sicuro» le garantì Kit, nonostante non ne fosse del tutto convinto. La sua tenuta era stata invasa, sua sorella aggredita. Che altro avrebbe potuto fare, e poi per una donna che non era neppure sua parente? In ogni caso, Augustus Raven era molto più ricco e influente di lui e la sua famosa casa era quasi una fortezza. Miss Ingram scosse la testa. «Se queste persone sono pericolose come dite, abbiamo una sola possibilità.» Si chino' in avanti, gli occhi color caramello scintillanti mentre lo fissava con espressione intenta. «Dobbiamo trovare l'ultima copia esistente. Una volta che sarà nelle mani di Raven, nessuno avrà più motivo di prendersela con me.» Quell'affermazione, unita alla risolutezza della giovane donna, lo lasciò senza parole. In pratica, Miss Ingram gli stava proponendo una folle avventura del genere che lui, Syd e Barto avrebbero potuto concepire da ragazzi. Tuttavia, non era affatto ciò che due adulti responsabili, oltre che perfetti estranei, avrebbero dovuto mettere in pratica. Kit non era mai stato particolarmente rispettoso delle regole di comportamento approvate dalla società, però attraversare il paese con una giovane donna che non era sua parente, sia pure accompagnati dalla sonnacchiosa Mrs. Renshaw, sarebbe stata un'iniziativa tutt'altro che accettabile. «Non credo che vostro zio sarebbe d'accordo» dichiarò. Un argomento decisamente insufficiente per l'energica Miss Ingram. Infatti lei raddrizzo' la schiena e lo guardò dritto negli occhi. «Raven giustifica qualsiasi mezzo, basta che gli permetta di ottenere quello che vuole.» La sfida che le scintillava negli occhi lo fece esitare. Invece di restare nascosto, immerso nel suo tormento personale, avrebbe finalmente fatto qualcosa; meglio ancora, avrebbe dato la caccia a dei delinquenti in qualche modo legati ai pazzi criminali che avevano assassinato suo padre e minacciato sua sorella e che ora perseguitavano Miss Ingram. Una bella tentazione, Kit sapeva tuttavia che non sarebbe stato in grado di rintracciare e affrontare dei probabili assassini e contemporaneamente proteggere la sua ospite. E non si sarebbe neppure abbassato a usare una donna come esca per farli uscire allo scoperto. «Non ci vorrà molto» disse lei. «Cheswick è nei pressi di Raven Hill.» «Cheswick?» le fece eco Kit, debolmente. La dimora dei potenti conti? «Si, come avete detto voi.» «Io l'ho detto?» Kit era abituato ad ascoltare i ragionamenti contorti di Sydony, ma doveva riconoscere che Miss Ingram aveva sviluppato all'estremo il talento della sorella. «Avete suggerito voi di cercare il Mallory presso il destinatario della lettera.» Kit gemette. Ecco un altro esempio di logica stringente. «Intendevo dire semplicemente che la seconda copia del libro non era più qui, che era stata spedita altrove. Non potete precipitarvi a Cheswick sulla base del frammento di una lettera indirizzata oltre un secolo fa a un antenato del conte, morto da chissà quanti decenni.» «Perché no? Da dove dovremmo partire, secondo voi?» Gli domandò lei, seria e compunta come una brava bambina. Kit la fissò allibito. «Avete idea di quante volte potrebbe aver cambiato proprietario da allora?» «Se fosse successo, la voce si sarebbe sparsa tra i collezionisti» insistette lei. Kit scosse la testa. «Il destinatario della lettera potrebbe averlo nascosto o mandato da qualche altra parte. Se poi avesse avuto un briciolo di buonsenso, gli avrebbe dato fuoco. Oppure potrebbe essere stato sequestrato e distrutto come le altre copie.» Miss Ingram stava riflettendo. «Può darsi. O forse no. L'unico modo per scoprirlo è cercare il libro.» Di nuovo Kit provò un fremito di eccitazione per la sfida che gli si prospettava: l'opportunità di lottare contro la fosca minaccia che incombeva sulla sua casa. Ciononostante, non riusciva a capire in quale modo bussare di punto in bianco alla porta del Conte di Cheswick avrebbe potuto risolvere la faccenda. Forse, una volta affidata Miss Ingram alla protezione dello zio, avrebbe potuto chiedere a Barto di presentarlo al conte. Il vecchio amico, che aveva ereditato il titolo di Visconte Hawthorne, frequentava l'alta società e magari conosceva di persona Cheswick. Avrebbero fatto qualche ricerca, con molta discrezione, anche se Kit dubitava che il libro sarebbe mai saltato fuori. Lui ne sarebbe stato felicissimo. Scosse la testa. «Io sono solo un agricoltore gentiluomo, non uno di quei bibliomani fuori di testa che mi avete descritto, pazzi per i libri.» O peggio ancora. «Riguardo al Mallory, siete la persona che ne sa di più» protesto' Miss Ingram. «Non so neppure che aspetto abbia, perché non l'ho mai visto... Nessuno di noi l'ha visto» puntualizzo' Kit. «Quindi, cercare questo libro sarebbe un'impresa inutile, oltre che pericolosa. Potreste provare a ricostruire la storia della lettera attraverso i canali convenzionali, se lo desiderate, una volta che sarete a casa vostra, dove vostro zio potrà custodire con ogni cura la lettera... e proteggere voi.» Nonostante fino ad allora Miss Ingram avesse sostenuto con vibrante passione la tattica che avrebbe preferito, ora parve accettare serenamente la sua decisione. Gli rivolse un lento cenno di rassegnazione e Kit fu felice di vedere che alla fine aveva ceduto.

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Capitolo 8
*** 8 Capitolo ***


Stavolta fu Kit a protendersi verso la giovane donna. «Bene. Il mio piano è questo» annunciò. Il piano di Christopher Marchant richiedeva un'organizzazione abbastanza elaborata ed Hero ne approfittò per esplorare di nuovo la casa. Lo stile era indubbiamente gotico, tuttavia sarebbero bastati pochi interventi per trasformarla in un'abitazione confortevole e accogliente. Mentre passava da una stanza all'altra, cominciò a immaginare delle migliorie, non certo del genere preferito da Raven, bensì qualcosa che avrebbe reso la casa un luogo caldo e invitante... Scosse la testa. Le sue erano fantasie senza scopo. Quello che Mr. Marchant avrebbe deciso di fare in casa sua non la riguardava. A lei interessava soltanto trovare il Mallory per suo zio ed era di quello che si stava occupando, no? Ignoro' ostinatamente la vocina che la incitava a fuggire da quella casa, rifiutando l'offerta di Mr. Marchant di accompagnarla a Ravenna Hill. Accogliendo la proposta, stava dimostrando che l'apprensione provata al primo sguardo era fondata. Lei non avrebbe potuto negargli nulla. Hero scosse la testa. Quella era un'eventualità che non voleva neppure prendere in considerazione. Stava facendo soltanto il proprio dovere e, visto che lui insisteva per accompagnarla, perché non convincerlo a collaborare? Entrò nel salotto sul retro della casa, probabilmente un'aggiunta posteriore alla struttura originaria della casa. Le alte portefinestre si aprivano su una terrazza. La pioggia sferzante del giorno prima aveva ceduto il posto a una sottile nebbiolina che le permise comunque di vedere bene il giardino. Che paesaggio tetro! Resti di arbusti anneriti dal fuoco testimoniavano il recente incendio di cui Mr. Marchant le aveva parlato. Hero aveva rivolto qualche domanda ai domestici, ma tutti lavoravano a Oakfield Manor da poco ed erano all'oscuro di ciò che era successo. Era stato lì che il libro era andato distrutto? Aveva soltanto la parola di Mr. Marchant al riguardo e lei aveva imparato molto tempo prima a non fidarsi di nessuno. Compreso l'uomo che con una sola occhiata le faceva salire le pulsazioni alle stelle. Sulle prime Christopher Marchant poteva sembrare un libro aperto, invece Hero aveva già scoperto che la sua aria scanzonata era ingannevole. Lui era molto più scaltro di quanto apparisse. Sotto le palpebre spesso socchiuse si nascondeva un acuto osservatore, al quale niente sfuggiva. Sebbene subisse intensamente il suo fascino, lei non poteva permettersi di abbassare la guardia per un solo istante. In quel momento percepi', più che udire, che lui si stava movendo alle sue spalle e il cuore cominciò a martellarle nel petto. Quei passi silenziosi potevano essere il risultato di un lungo esercizio, rammento' a se stessa mentre cercava di calmare il tumulto dei sensi. «Che cosa pensate della casa?» le domandò Mr. Marchant. La domanda non era quella che si sarebbe aspettata ed Hero si voltò a guardarlo prima di rispondere di impulso: «È molto bella.» Lui le scocco' una delle sue occhiate inquisitorie che la mettevano a disagio, ma stavolta Hero non dissimulo' i propri pensieri. «Una mano di pittura, un po' di carta da parati e qualche rivestimento vivace per rallegrare l'atmosfera non ci starebbero male. Sono sicura che vostra sorella la trasformerà in una dimora deliziosa» aggiunse in tono sincero. Mr. Marchant si guardò intorno, come se fosse disorientato. «Non credo che Sydony abbia dei progetti riguardo a questa casa. Non vive più qui perché si sposerà presto.» «Oh. Congratulazioni.» mormorò Hero. Mr. Marchant non fece commenti perché stava ancora esaminando la stanza, con i tendaggi pesanti e il mobilio perfino più opprimente. «C'è bisogno di un tocco femminile» confermò. Chissà perché, il cuore di Hero saltò un battito. Non alludeva al suo tocco, doveva tenerlo presente. Lei non incarnava certo l'ideale femminile, non sapeva usare gli acquerelli né disegnare e non aveva mai suonato il pianoforte. Quanto ai suoi talenti... be', un gentiluomo non avrebbe saputo davvero cosa farsene. «Non lo trovate un posto irrimediabilmente tetro? Infestato dalla storia del suo primo proprietario? Di gran lunga troppo sinistro per poter mai diventare veramente vivibile?» Hero soffoco' una e risata. «Sinistro? Non credo che conosciate a fondo il significato di questo aggettivo. Avete dimenticato che io vivo a Ravenna Hill?» commento'. «Già, scusate. Vostro zio ha fama di essere piuttosto eccentrico.» Eccentrico era una definizione caritatevole, pensò Hero. Tuttavia, non aveva intenzione di discutere di Raven e della sua dimora e si affretto' a cambiare argomento. «Partiremo presto?» Mr. Marchant annuì, ma era accigliato, come se fosse rimasto deluso dalla piega presa dalla conversazione. Aveva sperato di ricevere altre informazioni, più personali? Tutti gli uomini che Hero aveva conosciuto erano interessati esclusivamente a loro stessi o a incrementare le loro collezioni. Il comportamento del padrone di Oakfield Manor era talmente insolito che non poté fare a meno di domandarsi quale ne fosse la causa. Christopher Marchant era semplicemente curioso o dietro il suo interesse si celava qualche proposito più sinistro? Adesso che stavano per mettere in atto la prima parte del piano - erano infatti partiti da Oakfield - Kit si sentiva più a suo agio. Se le cose fossero andate come sperava, chiunque stesse seguendo Miss Ingram ormai sarebbe stato lontano da lì, in viaggio nella direzione opposta sulle tracce dell'antiquata carrozza di Augustus Raven. Hob aveva accettato di mettersi alla guida della carrozza per fare un lungo giro attraverso la brughiera fino a Burrell, dove l'avrebbe lasciata in custodia a un tizio di sua conoscenza, proprietario di una locanda. Hob avrebbe preferito proseguire ancora, almeno fino a Piketon, dove lui e Kit avrebbero potuto scambiarsi i veicoli, ma il giovane Marchant aveva rifiutato perché voleva portare avanti la messinscena il più a lungo possibile. Miss Ingram e il suo chaperon avrebbero viaggiato a bordo della carrozza di Kit, molto più comoda, fino a Raven Hill, con il loro cocchiere e il lacchè a cassetta. Raven avrebbe poi incaricato qualcuno di recuperare la propria carrozza a Burrell e, se non avesse voluto privarsi di un domestico, avrebbe pensato Kit a fargliela riportare. A lui interessava soltanto proteggere Miss Ingram e, siccome questo gli avrebbe consentito di trascorrere ancora un po' di tempo con lei, tanto meglio. Una volta che l'avesse affidata alla protezione dello zio, Kit non avrebbe però avuto ulteriori pretesti per cercare di approfondire la loro conoscenza, visto che frequentavano ambienti tanto diversi. Miss Ingram non era una ragazza di campagna da corteggiare alle feste di paese, con la quale amoreggiare in occasione di lunghe passeggiate con altri giovani o da invitare a pranzo o a cena con la famiglia. Senza dubbio il celebre collezionista Augustus Raven avrebbe guardato con sospetto un agricoltore gentiluomo proprietario di una distesa di terra brulla come Kit. La prospettiva era abbastanza scoraggiante, ma Kit avrebbe potuto rifletterci con calma se il rumore di un altro veicolo non l'avesse strappato alle sue fantasticherie. D'un tratto notò che la nebbia si era infittita e che solo all'ultimo momento avrebbe potuto individuare chiunque si stesse avvicinando. Nonostante avesse percorso più volte senza la minima difficoltà quel tratto di strada, ora gli alberi che fiancheggiavano la carreggiata gli sembravano incombere minacciosi sulla carrozza. Mise una mano sulla pistola che aveva infilato nella borsa della sella e sprono' Bay, il suo stallone, con l'idea di sorpassare la carrozza per andare incontro a... qualunque cosa ci fosse là davanti. Un carro e non una carrozza. La tensione di Kit si attenuo', tuttavia lui rimase vigile, anche perché un carro simile a quello aveva causato la sua rovina prima dell'incendio. Scruto' con attenzione il misero contadino e il suo carico: una coppia di vecchie, innocue scrofe. Appena il pesante veicolo si fu allontanato, gli giunse però la sua eco rumorosa. Troppo tardi Kit si rese conto che non era il carro a produrre quel rumore, bensì qualcosa di completamente diverso. Quando si voltò indietro, il contadino era alle prese con degli uomini a cavallo sbucati dalla nebbia, i visi coperti da fazzoletti e armati di pistole. Con l'aiuto del cocchiere e del lacchè di Miss Ingram, Kit avrebbe ancora potuto sgominare gli assalitori. Ma, invece di difendersi, i due si strinsero l'uno all'altro come bambini impauriti; più spaventati, in effetti, di Miss Ingram, alla quale uno degli uomini mascherati ordinò di scendere dalla carrozza. Lei non si mise a singhiozzare, a lamentarsi o a gridare. Anzi, scese dal veicolo con una compostezza che Kit trovò ammirevole e che tuttavia gli impedì di gettarsi addosso agli assalitori. Non voleva che lei finisse in mezzo ai cavalli che, innervositi dal parapiglia, avrebbero potuto calpestarla. «Voi restate lì dentro» ordinò uno dei due uomini all'accompagnatrice di Miss Ingram, la quale sarebbe stata un avversario ben più temibile dei due pavidi domestici. «Vogliamo solo lei.» Quelle parole confermarono i peggiori timori di Kit. Il tempo dei briganti era finito da un pezzo e ormai capitava di rado che dei viaggiatori venissero derubati per strada. Certo, quello era un punto poco frequentato, ma allora perché non avevano preteso che Mrs. Renshaw consegnasse loro i suoi gioielli e non avevano neppure aperto i bagagli? L'ipotesi più probabile era che quei due fossero i responsabili del primo incidente e che non fossero lì per cercare informazioni o piuttosto oggetti preziosi, bensì per portare a termine un rapimento. «Qual è la vostra?» chiese l'uomo più alto, accennando con la testa alle borse legate sul tetto della carrozza. Quando Miss Ingram indicò il suo bagaglio, l'uomo ordinò al lacchè di buttarlo giù. Dopodiché indietreggio', forse per evitare di essere colpito dalla pesante borsa da viaggio. Precauzioni inutili, visto che lo stolto domestico non ebbe la prontezza di sfruttare l'occasione che gli si presentava. Miss Ingram, invece, la colse al volo. Lanciò a Kit un'occhiata eloquente, prima di chinare la testa in atteggiamento apparentemente remissivo. Quegli uomini non dovevano conoscere affatto la loro vittima, pensò Kit, altrimenti l'avrebbero tenuta d'occhio, invece di puntare le pistole contro di lui e i due imbelli domestici seduti a cassetta. E così, quando Miss Ingram si chino' per prendere la valigia, Kit era pronto. Appena la borsa della giovane fendesse l'aria verso il cavallo dell'uomo più alto, Kit sprono' Bay, allungò un braccio, afferrò Miss Ingram e la sollevò di peso mettendola dietro di sé mentre l'uomo alto cadeva a terra. In mezzo alle grida e alla confusione che seguirono, Kit galoppo' a rotta di collo verso il bosco che si estendeva dall'altra parte della strada; sperava che la nebbia che aveva favorito gli aggressori ora proteggesse la loro fuga. Un proiettile passò fischiando vicino al suo orecchio e lui si chino' sul collo del cavallo, tirando giù anche Miss Ingram. «Non sparate alla donna, idiota!» Quella esclamazione fece voltare Kit, con Miss Ingram aggrappata alla sua schiena e la valigia di lei che sbatteva contro le gambe di tutti e due. Kit avrebbe voluto dirle di lasciarla cadere, ma la tenacia con cui lei la teneva stretta gli fece pensare che dentro ci fosse qualcosa di importante da cui Miss Ingram non voleva separarsi. Eppure per loro costituiva un intralcio che i loro inseguitori non avevano e Kit si guardò attorno cercando un posto per nascondersi. Davanti a loro, vide sbucare dalla nebbia delle pietre. Erano giunti a un cimitero abbandonato, alle cui spalle sorgeva anche una chiesa. Senza la minima esitazione, Kit spinse il cavallo verso gli alti portali di legno ormai vecchi e pieni di fessure, si sporse di lato, li aprì ed entrò nell'antico edificio. Senza una parola di protesta, Miss Ingram si lasciò scivolare a terra e, mentre smontava a sua volta, Kit la vide nascondere la borsa sotto uno dei banchi, malridotti ma ancora in piedi.

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Capitolo 9
*** 9 Capitolo ***


Dopo aver nascosto Bay dietro la tramezza di legno traforato che celava l'abside, Kit tornò indietro per esaminare l'interno buio del piccolo edificio. A un primo sguardo sembrava deserto, ma se qualcuno avesse deciso di perlustrarlo avrebbe scoperto in fretta il cavallo. Lui però non aveva intenzione di arrivare a quel punto. Si apposto' vicino a una delle finestre alte e strette, la pistola in pugno. La nebbia era ancora più fitta di prima e questo poteva essere un vantaggio... oppure no, riflette' Kit stringendo gli occhi per cercare di distinguere qualcosa. L'aria pesante ammantava la zona e soffocava i rumori. Nonostante aguzzasse l'orecchio, lui non riuscì a distinguere altro che il respiro affannato di Miss Ingram, ben udibile nel silenzio della chiesa. Voltandosi verso di lei, Kit si preparò a una reazione ritardata all'aggressione dei due uomini. Invece di svenire, come si sarebbe aspettato, lei abbassò un poco le palpebre sugli occhi caramello e lo guardò attenta. La sua voce era poco più di un sussurro quando gli domandò: «Dove diamine avete imparato a farlo?» «Che cosa?» Dopo un istante di confusione, Kit si strinse nelle spalle. «A una fiera, mia sorella e io vedemmo dei cavalieri eseguire delle bellissime acrobazie e ci esercitammo finché non fummo in grado di ripeterne alcune. Naturalmente, è passato molto tempo da allora.» «Eppure poco fa siete riuscito a sollevarmi di peso, insieme alla valigia, e con un braccio solo mi avete messa on sella dietro di voi.» «Be', non tutte le donne sarebbero state disposte a collaborare» commento' Kit con un sorriso di apprezzamento. Anzi, la maggioranza delle donne sarebbe svenuta vedendo degli uomini mascherati, invece di aggredirli con una borsa da viaggio. Del resto, lui aveva la sensazione che Miss Ingram avesse altri trucchetti nascosti nella manica. Lo scricchiolio di un ramoscello spezzato richiamò Kit presso la finestra. Uno degli assalitori stava sbucando dalla foresta. Sarebbe stato un bersaglio facile e Kit fu tentato di prendere la mira attraverso un vetro rotto. Meglio ancora, gli sarebbe piaciuto tirarlo di peso giù dal cavallo e prenderlo a pugni per estorcergli le risposte che voleva, però non poteva certo lasciare Miss Ingram da sola e senza protezione. Uno sparo avrebbe inoltre attirato l'attenzione del suo compare. Purtroppo, le alternative erano penosamente poche e Kit sollevò la pistola mentre l'uomo si avvicinava alla chiesa. «Ehi, voi! Via di qui!» Kit trasali'. Da dove veniva quella voce? In mezzo alla nebbia, vide un uomo anziano spuntare da dietro una lapide inclinata. Fu tentato di gridargli un avvertimento, ma poi vide che il nuovo arrivato imbracciava un fucile e sembrava pronto a servirsene. «Questo è un luogo di sepoltura, non un parco pubblico! Andatevene immediatamente o vi metto una pallottola in corpo» gridò ancora l'uomo anziano. Il cavaliere fece una pausa, come se fosse indeciso, poi sprono' il cavallo e sparì tra gli alberi. Quando non udì più il rumore degli zoccoli, Kit fu pervaso da un immenso sollievo... finché non colse lo scalpiccio dei passi dell'uomo armato di fucile che si stava avvicinando alla chiesa. Forse stava soltanto venendo a chiudere i portali, pensò Kit mentre cercava di affondare il più possibile nell'ombra. I cardini scricchiolarono, un rumore spettrale nel silenzio assoluto. Kit sollevò la pistola mentre il vecchio entrava strascicando i piedi. Con quegli abiti logori e i capelli lunghi e scarmigliati che gli circondavano la testa canuta come un'aureola, aveva l'aria di un pazzo pericoloso. Ecco perché il cavaliere se l'era data a gambe senza discutere. Per quanto Kit avesse sperato che il vecchio fosse entrato solo per dare una rapida occhiata alla chiesa, il nuovo arrivato si diresse senza esitare alla finestra presso la quale Kit e Miss Ingram si erano accucciati per nascondersi. Kit era pronto a tuffarsi davanti a lei per farle scudo, se mai il vecchio avesse imbracciato il fucile. Invece l'uomo si limitò a socchiudere gli occhi e si schiari' la gola. «Siete voi, Mr. Marchant?» Kit non aveva mai visto quel vecchio in vita sua, quindi si tenne sulla difensiva finché l'ultimo arrivato abbassò il fucile e gli rivolse un sorriso sdentato. «Mi chiamo John Sixpenny, signore» si presentò. «Questa cappella fa parte dei possedimenti di Oakfield da tempo immemorabile e io sono il custode. Ho pensato subito che foste il nuovo padrone.» «John Sixpenny, sono felicissimo di fare la vostra conoscenza» dichiarò Kit alzandosi in piedi. Non sapeva se l'uomo vivesse degli oboli destinati alla cappella o se avesse qualche altra fonte di reddito, ma di sicuro lui gli avrebbe fatto avere una congrua ricompensa per il servizio che gli aveva reso quel giorno. «La mia casa è qui vicino» spiegò Sixpenny, facendo un cenno col capo. «Sarei onorato se veniste a rifocillarvi da me.» Kit lo ringraziò. La visita a casa del custode avrebbe assicurato loro un ulteriore vantaggio sugli inseguitori. E un uomo in più, specie se armato di fucile, avrebbe potuto far comodo. Per sicurezza, lanciò un'occhiata in direzione di Miss Ingram. Ma la giovane donna era già corsa a recuperare la sua borsa e lui si affretto' a condurre Bay fuori dalla chiesetta. Il vecchio custode aggrotto' le sopracciglia alla vista del cavallo e Kit gli mise in mano qualche moneta, casomai gli zoccoli ferrati avessero danneggiato il pavimento. Seguirono il custode in silenzio lungo un sentiero a malapena visibile. Kit portava il bagaglio di Miss Ingram, mentre lei stringeva forte la sua borsetta. Ci vollero solo pochi minuti per arrivare a un piccolo edificio interamente ricoperto di rampicante. Lì intorno si vedevano i resti di altre costruzioni, ma la foresta aveva ormai inghiottito quello che un tempo doveva essere stato un insediamento umano, risparmiando soltanto la cappella e la casa di John Sixpenny. La piccola costruzione aveva un aspetto bizzarro, con la base di pietra che sosteneva le pareti di legno e il tetto di paglia. Su un lato era stato aggiunto, chissà quando, un ricovero per gli animali ora vuoto, e Kit vi condusse Bay, legando le redini a un anello di ferro, lontano da sguardi curiosi. Anche l'interno non era come ci si sarebbe aspettati. Nonostante l'aspetto un po' selvaggio, Sixpenny doveva essere un manico dell'ordine e della pulizia e nel camino ardeva un fuoco vivace. Miss Ingram ignoro' le semplici sedie di legno e andò a mettersi accanto alla finestra, come per stare di guardia. Sembrava che non si fidasse troppo del loro ospite e, a causa della sua reticenza, anche Kit rifiutò con gentilezza quando John Sixpenny offrì loro cibo e bevande. Era sicuro che il custode della cappella non stesse nascondendo niente di losco, tuttavia, dopo la terribile esperienza che aveva avuto con del sidro drogato era diventato molto diffidente quando gli veniva offerto qualcosa. «Ebbene, signore, c'è altro che posso fare per voi?» chiese Sixpenny, guardandolo con occhi penetranti mentre attizzava il fuoco. «Non ho potuto fare a meno di notare che vi stavate nascondendo nella mia chiesa, quando ho cacciato quel briccone dal mio cimitero.» «La nostra carrozza è stata assalita» gli spiegò Kit, sorvolando sul possessivo usato dall'uomo. «Ah, i soliti delinquenti! Non si è più sicuri in casa propria, figurarsi per strada.» Il vecchio si sfogò con una sfilza di imprecazioni smozzicate. «Volete restare qui?» La stessa domanda che Kit si stava ponendo. La casa di John Sixpenny era ben nascosta, ma se i loro assalitori avessero deciso di perlustrare la zona, prima o poi sarebbero arrivati anche lì e lui non voleva trovarsi con le spalle al muro né mettere in pericolo il vecchio. Sarebbe stato opportuno tornare alla carrozza, eppure lì avrebbero potuto trovare uno o più inseguitori rimasti ad aspettarli. E quelli non erano comuni briganti che se la sarebbero svignata sentendo arrivare qualcuno. Non si erano lasciati ingannare dallo scambio delle carrozze e Kit non poteva contare sull'aiuto del cocchiere. Anzi, era probabile che il domestico di Raven se la fosse data a gambe senza aspettare il loro ritorno. Esisteva però una terza possibilità. Kit guardò Miss Ingram, chiedendosi se sarebbe stata d'accordo. La presentazione di John Sixpenny gli aveva ricordato che non erano lontani da Oakfield. Se fossero passati per la campagna, avrebbero raggiunto la sua casa schivando la strada principale. Però Bay avrebbe dovuto trasportare entrambi. Come se gli avesse letto nel pensiero, Miss Ingram ricambio' lo sguardo e la sua espressione calma gli assicurò che avrebbe fatto qualsiasi cosa le avesse chiesto. E così Kit ringraziò il vecchio prima di rifiutare con garbo la sua ospitalità. «Dobbiamo proprio rimetterci in viaggio» spiegò, senza accennare alla loro destinazione. L'impercettibile cenno di approvazione di Miss Ingram gli disse che aveva preso la decisione giusta... per il momento. A Raven piaceva ripetere che negli anni le aveva fornito un addestramento eccellente, ma niente l'aveva preparata ad affrontare la sua attuale situazione: montava a cavallo dietro Christopher Marchant, le braccia strette intorno alla vita dell'uomo. Dato l'effetto singolare che il padrone di Oakfield aveva su di lei, non era certo la posizione più opportuna. Eppure Hero aveva rifiutato di montare all'amazzone e si era messa a cavalcioni, sistemando il mantello sotto le gambe. Se Mr. Marchant era rimasto traumatizzato dalla sua audacia, non l'aveva dato a vedere. In effetti, sembrava che niente lo stupisse né i briganti armati di pistola né gli eremiti dagli occhi stralunati. Le sue capacità la affascinavano ed Hero dovette soffocare l'impulso di posare la testa contro la sua schiena muscolosa e di appoggiarsi a lui, non solo fisicamente. Il calore del suo corpo le arrivava anche attraverso il tessuto pesante dei loro mantelli e, per una come lei che aveva perennemente freddo, era come starsene rincantucciata accanto a un fuoco acceso, però ancora più piacevole. Solo, non sarebbe stato difficile bruciarsi. Nonostante il tumulto mentale che lui le causava, confondendola, Hero si era resa conto che Mr. Marchant non era quello che sembrava. Di primo acchito poteva essere preso per un semplice gentiluomo di campagna, al quale si leggeva facilmente in faccia quello che pensava, invece si era comportato in modo sorprendente troppe volte perché lei continuasse a crederci. Ed Hero non amava le sorprese, perché troppo pericolose. Chi era in realtà l'uomo al quale stava avvinghiata? I piccoli proprietari terrieri di solito non avevano dei possedimenti così estesi da includere perfino una cappella abbandonata. Né erano capaci di sollevare di peso una donna con un braccio solo mentre cavalcavano a rotta di collo. E neppure nascondevano sotto indumenti di foggia semplice e modi rilassati un corpo muscoloso come quello di un vigoroso atleta. Ormai la sua diffidenza si era destata ed Hero si chiese se Mr. Marchant la stesse portando via per uno scopo noto solo a lui. Eppure, in quella posizione avvinghiata alla sua schiena, non provava il benché minimo timore. Aveva a disposizione una pistola per difendersi, anche se non sarebbe mai riuscita a usarla contro di lui. E l'altra arma in suo possesso era l'istinto, affinato nei lunghi anni passati a eseguire gli ordini di Raven. Era questo che Raven aveva in mente quando l'aveva mandata alla ricerca del Mallory? No, neppure lui avrebbe potuto prevedere come lei avrebbe reagito all'affascinante Mr. Marchant. Nondimeno, quello era il genere di situazione che Raven avrebbe trovato divertente, per giocare con lei o per metterla alla prova, sicuro com'era che non ne sarebbe nato niente. «Torniamo a casa» annunciò di punto in bianco Kit Marchant. La sua voce bassa la ricondusse alla realtà e le causò un brivido lungo la schiena. «E poi?» «Manderò qualcuno a prendere la carrozza, ma intanto a Oakfield sarete al sicuro. Poi farò recapitare un messaggio a vostro zio e reclutero' degli altri uomini per ricondurvi a casa appena possibile.» Si voltò un poco verso di lei mentre parlava. Vedere il suo viso così vicino le fece battere forte il cuore. A differenza degli antiquari che Hero era solita incontrare, Mr. Marchant non aveva una carnagione smorta per mancanza di sole, bensì un colorito sano e leggermente abbronzato che parlava di ore trascorse all'aria aperta. I suoi capelli erano scuri come i suoi occhi... e lei moriva dalla voglia di allungare una mano per scostare la ciocca bruna che gli era caduta sulla fronte. Invece di quel gesto intimo, scosse la testa. «Devo raggiungere lo scopo del mio viaggio. Trovare il libro.» Mr. Marchant gemette. «Ancora questa storia? Che cosa ne dite della carrozza, del cocchiere, della vostra accompagnatrice?» «Sappiamo benissimo tutti e due che non possiamo tornare alla carrozza e che loro non hanno fatto niente per difendermi.» ribatte' Hero. «Ce la caveremo meglio da soli.» Mr. Marchant le lanciò un'occhiata interrogativa. «Non possiamo metterci in viaggio noi due soli. Non siamo marito e moglie... e non siamo neppure parenti!» «Se rifiutate di aiutarmi, dovrò proseguire da sola.» «Da sola non andrete proprio da nessuna parte» protesto' lui con improvvisa ferocia, tanto che Hero dovette reprimere un brivido. «Non vi accusero' di avermi compromessa» gli assicurò. «Non è per me che mi preoccupo!» «Ebbene, non avete ragione di preoccuparvi per me» insistette Hero. «Io non sono nessuno e non ho davvero niente da rovinare.» «Se escludiamo la vostra reputazione e il vostro futuro» puntualizzo' Mr. Marchant. «Secondo me, vostro zio sarebbe d'accordo.» «A Raven non importa niente della mia reputazione» mormorò lei. Il suo buon nome e il suo futuro non avevano alcuna importanza. Per nessuno. «Ma siete sua nipote» protesto' ancora lui. «Più o meno» replicò Hero, vaga. La natura del rapporto tra lei e Augustus Raven doveva restare un segreto tra di loro. «Per lui le collezioni sono molto più importanti delle persone, ecco perché dobbiamo andare a Cheswick.» Mr. Marchant prese la stessa aria scrutatrice di prima. «Fatemi capire bene. In base al frammento di una vecchia lettera che potrebbe non essere mai stata spedita, voi vorreste dare la caccia a un libro che potrebbe essere andato perduto, distrutto o nascosto Dio solo sa dove più di un secolo fa?» «Proprio così.» Seduto a tavola di fronte alla sua ospite, Kit la osservava piluccare il cibo che aveva nel piatto. Che cosa doveva pensare di lei? Si domando'. Miss Ingram sembrava perfettamente padrona di sé e aveva esposto senza batter ciglio il suo folle progetto. Come avrebbe potuto definire altrimenti una proposta del genere? Nondimeno, lui era stato tentato di accettare, di piegarsi al desiderio urgente di combattere contro un nemico ignoto, invece di starsene rintanato a Oakfield come aveva fatto negli ultimi tempi, inquieto e impotente. Dopo i fatti avvenuti nella sua nuova dimora, aveva giurato a se stesso che sarebbe diventato più responsabile, non meno. E gettarsi in una caccia al tesoro armato soltanto di un frammento di lettera, insieme alla nipote di Augustus Raven, non era esattamente un comportamento responsabile, anche perché dopo la cavalcata fino a Oakfield lui si sentiva un po' troppo vicino alla giovane donna per essere del tutto tranquillo. Prese il calice di vino, rosso di imbarazzo al ricordo di come Miss Ingram gli si era aggrappata, il corpo snello di lei premuto contro la propria schiena, le cosce che rimbalzavano contro le sue, la voce roca che gli sussurrava all'orecchio. Quante volte aveva cavalcato lo stesso animale con Sydony quando erano ragazzini, ma l'esperienza di quel giorno era stata molto diversa.

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Capitolo 10
*** 11 Capitolo ***


La nebbia, che confondeva il paesaggio intorno alla casa con il suo velo impalpabile, rese più disagevole la traversata della parte bruciata del giardino, dove resti di cespugli carbonizzati sbucavano dal terreno simili a braccia che cercavano di catturare chi aveva l'ardire di attraversare quella zona. Ma Kit si disse che qualsiasi ostacolo avessero incontrato loro due avrebbe intralciato ancor di più i loro nemici. Più ci pensava, più si convinceva che non poteva essere nessuno degli abitanti del luogo, che mai e poi mai si sarebbero avventurati con il buio entro i confini di Oakfield, una proprietà da tempo guardata con sospetto, se non addirittura con terrore. Si incammino' di buon passo e Miss Ingram, non intralciata dalle gonne, lo seguì senza difficoltà. Invece di tempestarlo di domande, si accodo' a lui in silenzio, fino a quando giunsero al fienile temporaneamente adattato a stalla. Jack aveva sellato due cavalli e Kit lo mandò fuori, di guardia, mentre lui aiutava Miss Ingram a salire sul cavallo di Sydony. Non avendo visto il travestimento della giovane donna, Jack non avrebbe potuto riferirlo, casomai qualcuno lo avesse interrogato riguardo alla loro partenza. Kit non perse tempo a riflettere sui perché e percome della loro situazione. In quel momento voleva soltanto mettere la maggior distanza possibile tra loro e il gruppo di uomini che Jack aveva visto avvicinarsi alla casa. Sprono' Bay e si immerse nella notte. Nonostante avesse preso con sé un lume, non voleva accenderlo finché non fossero stati abbastanza lontani dal fienile. Il mistero che avvolgeva Oakfield avrebbe tenuto alla larga i locali, ma chiunque altro non si sarebbe lasciato spaventare tanto facilmente. Quando lui e Sydony erano arrivati nella loro nuova casa, Kit non aveva sentito subito l'urgenza di esplorare la campagna circostante. Dopo l'incendio, invece, era uscito a cavallo ogni giorno finché non aveva imparato a conoscere quella terra come il palmo della sua mano; in quel momento, individuando al buio il piccolo sentiero che portava ai campi coltivati, fu grato di tale accortezza. Quando ebbero raggiunto una fattoria abbandonata, Kit decise che avevano entrambi bisogno di una sosta. Non potevano continuare a cavalcare al buio. I druidi avevano usato non molto tempo prima quell'edificio, ma nessuno era più stato là dal giorno dell'incendio. Lo sapeva perché Hob l'aveva fatto sorvegliare per un bel pezzo. Portò i cavalli nel piccolo fienile. Quando li ebbe legati, si voltò per aiutare Miss Ingram a scendere e, nel buio, le sue mani incontrarono una sagoma umana. Il cuore gli accelerò di colpo e lui si chiese se fosse meglio prendere la pistola da sotto il mantello o sbattere la figura contro la parete. «Sono io.» La voce familiare, di gola, gli strappò un sospiro di sollievo. Miss Ingram era scesa senza il suo aiuto, quindi nel fienile non c'era nessuno oltre a loro. Né druidi né bibliomani. Rendendosi conto che la stava ancora toccando, Kit lasciò ricadere la mano, poi però entrambi si irrigidirono udendo un rumore all'esterno. Rimasero immobili mentre una civetta emetteva il suo verso nel buio. Il suono svani' in lontananza e Kit si rese conto di un pericolo molto più immediato e più personale. Era solo con Miss Ingram, vicinissimo a lei, nell'oscurità più completa. La mancanza di luce acui' i suoi sensi e Kit percepi' il profumo della giovane donna, delicato e inebriante. «Possiamo trascorrere la notte qui e ripartire domattina all'alba» sussurro' aspettandosi che lei si spostasse. Miss Ingram invece rimase dov'era e, nel silenzio che seguì, Kit ebbe l'impressione che stesse trattenendo il respiro. Provava anche lei le medesime sensazioni? Proprio quando lui stava per fare il passo che avrebbe portato i loro corpi a contatto, un basso nitrito di Bay li separò. Era probabilmente un lapidario commento alla sua follia, un rimprovero per un gesto che non sarebbe stato gradito neppure nel momento più opportuno, figurarsi adesso che erano in pericolo. E Kit ripeté tra sé e sé il ritornello che avrebbe dovuto accompagnarlo in ogni istante. "Ricordati che sei un gentiluomo." Tenendo bene a mente quelle parole, guardò fuori per accertarsi che non ci fosse nessuno prima di portare Miss Ingram in casa, dove furono accolti da un odore di chiuso e di polvere. Però l'edificio era solido e le spesse pareti di pietra li avrebbero riparati dal freddo della notte. Di fianco alla porta c'era una lampada e lui l'accese, avendo cura di tenere la fiamma bassa anche se le imposte erano sigillate. «Vado a occuparmi dei cavalli» annunciò, sforzandosi di ignorare la vista della giubba di Miss Ingram che si era aperta mostrando le gambe snelle fasciate nei calzoni. »Starete bene?» Che domanda idiota! Come c'era da aspettarsi, infatti, Miss Ingram annuì. Kit si sbrigo' in fretta. Tornò in casa con i loro bagagli e un po' di legna e, mentre chiudeva la porta, si accorse che la sua compagna aveva già acceso il fuoco. Per qualche istante rimane come paralizzato a fissarla: i calzoni evidenziavano audacemente le gambe lunghe e ben modellate, eppure lei nascondeva il seno sotto un farsetto da ragazzo. Un paradosso che ebbe il potere di accendere la sua fantasia. Grazie al cielo Miss Ingram non dava segno di essere vittima delle stesse emozioni. «In un angolo c'era un po' di legna già pronta. Ho pensato che il fuoco ci avrebbe fatto comodo, stanotte» si giustifico'. «A meno che non pensiate che potrebbero vederci.» Kit depose i bagagli sul pavimento. «Io dubito che le guardie decidano di proseguire le ricerche a quest'ora, e nessuno conosce questo posto oltre a me e a Hob.» In effetti era contento di essere uscito dalle tenebre, con relative tentazioni, anche perché sospettava che il precedente momento di intimità fosse stato un parto della sua fantasia. Jack gli aveva dato una coperta, presa dal fienile, e lui la distese sul pavimento per Miss Ingram. La invitò a coricarsi lì sopra mentre lui si sedeva sul pavimento, la schiena appoggiata contro la porta. Il legno duro e il pavimento gelido contribuirono a restituirgli il dominio di sé... e dei propri sensi. E visto che almeno per il momento erano al sicuro, Kit si concesse il tempo di riflettere sugli eventi che l'avevano condotto lì. Quando guardò di nuovo la sua compagna, gli parve di vedere per la prima volta la persona che si celava dietro l'apparenza incantevole. Fino a un'ora prima, Kit aveva giudicato Miss Ingram una donna indipendente e spavalda, dello stampo di sua sorella. Poi, nel corso della serata, lei aveva dimostrato di essere molto più stravagante di Syd. Miss Ingram non era una giovane donna comune. Ma chi era esattamente? «Come mai la nipote di Augustus Raven mette in valigia degli abiti da uomo quando viaggia per conto dello zio?» Le domandò di punto in bianco. Se rimase sorpresa da quella domanda, Miss Ingram non lo diede a vedere. Si voltò verso di lui, ma il suo viso era in ombra e Kit non poté cogliere la sua espressione. «Mi piace essere pronta per affrontare qualsiasi evenienza» «E quale genere di evenienza vi aspettavate, se è lecito?» Lei alzò le spalle. «Il problema non è quello che mi aspetto... Ciò che mi preoccupa è l'imprevisto, Mr. Marchant.» «È questo giustifica anche la necessità di travestirsi da uomo?» Lei annuì senza ulteriori spiegazioni, come suo solito. Dopodiché, come se la conversazione fosse terminata allungò le mani verso il fuoco e gli voltò le spalle. Stavolta però Kit non era disposto a lasciarsi liquidare così. «Io sono un uomo semplice» cominciò a dire. «Un agricoltore che aspira soltanto a vivere una vita tranquilla nella sua tenuta. Nonostante questo, negli ultimi mesi, ho sperimentato tante minacce e tanti raggiri da parte di tutti - dagli amici a dei perfetti sconosciuti incappucciati - più che sufficienti per una vita intera.» Lei si voltò di scatto, forse colpita dal suo tono amaro, ma Kit non era esperto nell'arte della dissimulazione.

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Capitolo 11
*** 10 Capitolo ***


Il breve tragitto fino alla chiesa abbandonata era stato tanto rischioso per entrambi che Christopher non aveva avuto l'opportunità di soffermarsi sulla loro vicinanza, invece durante quello successivo, molto più lungo, per tornare a Oakfield, la differenza gli era saltata agli occhi. Una ragione in più per non viaggiare da solo con Miss Ingram, nonostante le rassicurazioni della giovane. Oh, certo, agli occhi della società il danno era già stato fatto. Avevano trascorso da soli una quantità di tempo sufficiente per rovinare la reputazione di qualsiasi donna perbene. La maggioranza di loro avrebbe dato in smanie o sarebbe svenuta al solo pensiero, invece Miss Ingram, come suo solito, era rimasta imperturbabile. Kit la scruto' di sottecchi. Non c'era traccia di rossore imbarazzato sulle sue guance. Durante la cena aveva parlato poco, confermando quello che lui già sapeva: Miss Ingram giocava tenendo le carte ben coperte. Kit corrugo' la fronte, meditabondo. Non era mai stato un tipo diffidente; aveva lasciato volentieri quel compito a Sydony. Ma dopo che tutte le insensate teorie di sua sorella si erano dimostrate fondate, aveva cominciato a guardare il mondo con occhi diversi. Invece di accettare qualsiasi cosa per come si presentava, ora si chiedeva che cosa si nascondesse dietro l'apparenza. E, mentre guardava la sua ospite dall'altra parte del tavolo, provò un fremito di dubbio. Hero Ingram poteva essere la donna più controllata che avesse mai conosciuto, oppure poteva avere avuto altri motivi per non scomporsi quando la sua carrozza era stata assalita. Non si era spaventata perché sapeva di non aver niente da temere. Gli inseguitori erano uomini di suo zio che avevano ideato l'assalto per forzargli la mano? Kit scosse la testa; non poteva negare che una pallottola era passata fischiando vicino alla sua spalla. Molto vicino. Un'altra ipotesi, perfino più inquietante, continuava a tormentarlo. In fondo, che cosa sapeva di quella giovane donna? Era davvero colei che sosteneva di essere? Alcuni commenti che aveva fatto sulla sua parentela con Augustus Raven avevano avuto un che di... forzato. La lettera che gli aveva mostrato avrebbe potuto essere un falso, no? Inoltre i suoi accompagnatori - Mrs. Renshaw, il cocchiere e il lacchè - che definire strani sarebbe stato molto generoso, si erano dileguati insieme alla carrozza. Kit aveva mandato Jack, il giovane aiutante di Hob, a perlustrare la strada, ma il ragazzo non aveva trovato traccia del veicolo e dei domestici. Neppure Hob era tornato, a dire il vero. Kit osservò accigliato che fuori dalla finestra era del tutto buio. In una notte simile a quella, gli abitanti di Oakfield Manor erano stati messi fuori combattimento. Uno dopo l'altro, erano stati allontanati dalla casa con l'inganno o drogati, finché c'era rimasta soltanto Sydony. Kit guardò il pezzo di montone che aveva ancora nel piatto: di colpo non aveva più appetito. Un rumore provenienti dalla soglia gli fece alzare gli occhi con circospezione. Seminascosto nell'ombra, Jack lo guardava con urgenza. «Scusate» disse Kit alzandosi in piedi. Senza aspettare il permesso di Miss Ingram, si affretto' a raggiungere il ragazzo e lo fece entrare nella stanza accanto. «Che cosa succede?» gli sussurro'. «Hob è tornato?» Il ragazzo scosse il capo, gli occhi sgranati. «No, signore. Ma, mentre stavo facendo il mio giro di perlustrazione, ho visto diverse persone che venivano verso Oakfield.» «Diverse persone?» ripeté Kit. La sua immaginazione, di solito torpida, si risvegliò di colpo presentandogli il suo incubo più terrificante: un gruppo di sedicenti druidi incappucciati, che si accingeva a compiere un sacrificio umano uccidendo una vergine. Solo che stavolta ci sarebbe stata Miss Ingram al posto di sua sorella. «Le avete riconosciute?» ondago'. «Ho visto il gendarme del paese con un paio di aiutanti, signore. Saranno qui tra poco» gli spiegò Jack, agitato. Kit sentì la tensione allentare un poco la presa. Era ora che le autorità locali, che fino a quel momento avevano brillato per assenza, si decidessero a prestare il loro aiuto. Tuttavia, qualcosa nell'espressione del ragazzo lo impensieri'. «Che cosa c'è che non va?» Se possibile, gli occhi di Jack si spalancarono ancora di più. «Li ho sentiti parlare di un mandato di arresto firmato dal magistrato. Siete accusato di aver rapito una giovane donna!» In altre circostanze, Kit sarebbe scoppiato a ridere per l'assurdità dell'accusa, ma in quel momento, con il rischio che avevano appena corso, non ci trovò niente di divertente. Se anche lui fosse finito in prigione, dopo che tutti quelli che erano con lei erano scomparsi, non sarebbe rimasto nessuno a proteggere Miss Ingram. Proprio come era successo a Sydony. Diede alcune rapide istruzioni a Jack, prima di tornare nella sala. «Miss Ingram» la chiamò a bassa voce, dalla soglia. «Temo che cu sia un cambiamento di programma.» Se poco prima la capacità di autocontrollo della giovane donna gli era parsa inquietante, ora invece fu bene accetta. Senza tradire la minima apprensione, Miss Ingram si alzò in piedi e andò verso di lui a passi rapidi, le sopracciglia appena inarcate con fare interrogativo. «Ho saputo che le autorità stanno venendo qui ad arrestarmi con l'accusa di rapimento. Il vostro, presumo. Ora, possiamo cercare di chiarire la situazione con la gente di qui, che da sempre ritiene che Oakfield e chiunque vi risieda siano posseduti dal demonio. Oppure possiamo andarcene prima del loro arrivo.» Miss Ingram accolse la notizia senza scomporsi. «Eviteremo qualsiasi confronto, non c'è dubbio. Soprattutto perché l'accusa potrebbe essere stata architettata per distruggere la nostra alleanza» osservò. «Il tempo di prendere le mie cose e sono pronta.» «Se vi serve qualcosa per il viaggio, vi autorizzo ad andare nella stanza di mia sorella, la prima a sinistra in cima alle scale, e prendere tutto quello che vi occorre» le suggerì Kit mentre lei stava già salendo. Il suo bagaglio, invece, era ancora nelle borse da sella e gli ci vollero solo pochi minuti per avvisare Mrs. Osgood della situazione. L'imperturbabile governante restò un po' più colpita dalla notizia di Miss Ingram, tuttavia accettò di raccontare a eventuali visitatori che, dopo la partenza della carrozza di Mr. Marchant nella tarda mattinata, nessuno dei viaggiatori era più tornato a casa. Dopodiché Mrs. Osgood ordinò alla cameriera di sparecchiare la tavola e di cancellare qualsiasi traccia della cena e andò in cucina. Poco dopo ricomparve con un pacchetto che consegnò a Kit, quindi andò ad aiutare la cameriera, resa maldestra da quel trambusto. Kit si accingeva a salire le scale per sollecitare la sua ospite, ma rimase a bocca aperta vedendo la figura di uno sconosciuto sul pianerottolo. Dovette guardarlo bene per capire che si trattava di Miss Ingram. Una Miss Ingram molto diversa da come la conosceva. Al posto del mantello aveva indossato una giubba lunga e pesante, un indumento da viaggio che le donne portavano di rado. Da sotto l'orlo sbucavano dei robusti stivali un po' sformati invece delle sue graziose scarpette, e i riccioli erano stati raccolti sotto un berretto da ragazzo che le nascondeva i lineamenti. Sembrava davvero un ragazzo. Si era anche sporcata il viso? Miss Ingram gli rivolse un cenno mentre scendeva per andargli incontro. «Con questo travestimento ingannero' chiunque cerchi una donna scomparsa... o l'uomo accusato di averla rapita» gli spiegò, evitando di incontrare il suo sguardo. Il suo imbarazzo era comprensibile: la maggioranza degli uomini sarebbe inorridita davanti a un simile travestimento, invece Kit ammiro' la sua ingegnosita', pur imponendosi di non immaginare cosa portasse Miss Ingram sotto la giubba. «Non facciamoci vedere dalla servitù» suggerì lui. «Meno persone saranno al corrente del vostro travestimento, meglio sarà per tutti.» Avviandosi verso il salotto, e aperte le portefinestre, uscirono nel buio.

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Capitolo 11
*** 12 Capitolo ***


Con una fitta di apprensione, Kit pensò che quella donna poteva anche essere una ladra che era andata a cercarlo per motivi che non riusciva davvero a immaginare. Miss Ingram avrebbe potuto negarlo, certo, eppure lui doveva chiederglielo lo stesso. «Mi perdonerete, quindi, se non sono disposto a farmi menare per il naso, Miss Ingram» riprese. Si interruppe per fissarla con aria inquisitoria. «Voi siete proprio la persona che dite di essere?» Lei era in controluce e Kit non riuscì a leggere nei suoi occhi. In ogni caso Miss Ingram non distolse lo sguardo e questo lo colmo' di sollievo. Invece di rispondere con vibrante proteste o lacrimose confessioni, lei si limitò ad annuire. Poi piegò la testa su una spalla, come se lo stesse esaminando. «Se dubitate di me, come mai ci troviamo qui?» gli domandò. Kit avrebbe potuto darle diverse risposte, alla fine, però, scelse la più semplice. «Perché, Miss Ingram, sono un gentiluomo.» Avvolta nella pesante giubba da viaggio, Hero si distese sulla coperta che Mr. Marchant aveva dispiegato per lei davanti al fuoco. Neanche avesse saputo che lei era tormentata da un freddo perpetuo, pensò, prima di respingere quell'ipotesi assurda. La ragione vera del comportamento di Mr. Marchant era molto più banale e non comportava alcuna conoscenza personale della sua situazione. Era semplicemente il gesto di un gentiluomo. La parola veniva usata di solito per descrivere quasi tutti gli esseri umani di sesso maschile, eccetto i poveri, i servi e i nuovi ricchi. Eppure, Hero si chiese se avesse mai conosciuto un gentiluomo nel vero senso del termine, una persona retta, gentile, premurosa... Sono un uomo semplice, aveva affermato lui. Ciononostante, lei non pensava affatto che Christopher Marchant fosse semplice. Con la schiena rivolta verso il fuoco, Hero lo guardò da sotto le palpebre socchiuse. Doveva essersi messo a sedere contro la porta in modo che, se si fosse appisolato, avrebbe sentito chiunque avesse tentato di entrare. Non doveva stare molto comodo, con le braccia conserte e le lunghe gambe distese. Anche se di norma non si preoccupava di simili dettagli, Hero si scoprì a pensare agli spifferi, alla superficie dura della porta, alla posizione scomoda... Avrebbe potuto invitarlo a sistemarsi davanti al camino. Quel pensiero strampalato era nato dal calore che induceva al sonno e il suo cuore cominciò a martellare di aspettative e di timore. Di colpo sveglia, comprese che non avrebbe potuto abbandonarsi a una falsa sensazione di sicurezza solo perché il suo compagno la trattava meglio di quanto avesse mai fatto chiunque altro. Un bello sfoggio di buone maniere, niente da dire, ma che cosa sapeva lei di Christopher Marchant? Per quanto sentisse fortissimo il bisogno di accettare la protezione di quello sconosciuto, Hero sapeva di non poter contare su nessuno a parte se stessa. Lui non le aveva forse dimostrato molte volte di non essere ciò che sembrava? Di conseguenza, poteva anche non essere un gentiluomo che affermava di essere. Ormai la sua diffidenza si era destata ed Hero stabilì che non avrebbe ceduto al sonno. Da sempre dormiva poco e male; non le sarebbe stato difficile tenere alta la guardia ora che si trovava da sola con quell'uomo, per quanto fosse difficile. Ben presto, invece, il calore del fuoco la rilasso', le palpebre si appesantirono e dopo un poco si chiusero del tutto. La tensione abbandonò il suo corpo, facendole rammentare la cavalcata di quel giorno, quando si era aggrappata all'energia e alla forza di Mr. Marchant. Cercò di scacciare il ricordo, ma i pensieri continuarono a tornare a quando aveva posato la guancia contro la schiena muscolosa, appoggiandosi a lui. E su quell'immagine si addormento'. Un gallo cantò, lontano, ed Hero si sveglio' di soprassalto. Udì un tonfo e aprì gli occhi. Anche Mr. Marchant si era destato con un sussulto e si stava strofinando la nuca. Il suo sguardo si soffermo' sulle lunghe dita che passavano tra i capelli scuri e folti, sull'inclinazione della testa, sulle labbra piene. Mr. Marchant aveva la fronte corrugata, come se qualcosa lo infastidisse. Se Hero non avesse avuto il cuore che martellava fino a farle male, avrebbe sorriso di quella reazione. Semplice. Naturale. Seducente. Percependo lo sguardo di lei, Mr. Marchant la scruto' da sotto le ciglia, inchiodandola con la sua espressione penetrante. Tutto quello che Hero sentiva per lui, e anche di più, lei lo vide riflesso nei suoi occhi come uno specchio. Turbata, fece un respiro profondo. Solo in quel momento realizzò che era ancora distesa davanti al camino e che le forcine che avevano fermato la sua acconciatura erano sparite, lasciandola con i capelli sciolti in lunghe ciocche folte. In breve, era rilassata, calda, languida e sonnacchiosa. Hero si affretto' a rettificare quella situazione. Non che si aspettasse di destare la passione di un uomo vestita così, come un ragazzo; figurarsi poi se l'uomo in questioni era l'affascinante Mr. Marchant, eppure negli occhi di lui aveva visto qualcosa che l'aveva resa cauta... ed esaltata. Distolse in fretta lo sguardo e si alzò in piedi, stringendosi addosso la giubba. «È giorno. Dobbiamo rimetterci in cammino.» borbotto'. Gli voltò la schiena e udì un brontolio di assenso mentre anche lui si sollevava da terra. Il suono dei suoi movimenti le fece rizzare i capelli sulla nuca. Aspetto' tesa, finché non lo sentì aprire la porta e uscire. Solo allora riprese a respirare - non si era neppure accorta di avere smesso di farlo - e raccolse di nuovo i capelli sotto il berretto. Le tremavano le mani, notò con irritazione. E dopo? Che cosa le sarebbe successo? Avrebbe cominciato a balbettare? Hero maledisse la capacità di quell'uomo di sconvolgere i suoi sensi e di confonderle la mente proprio quando aveva maggior bisogno di lucidità. Si inginocchio' davanti al camino per spegnere le ultime braci. Rabbrividi'. Meglio avere freddo che essere intontiti dal caldo. Quando ebbe finito, Mr. Marchant era già rientrato in casa ed Hero si girò a guardarlo con un sorriso freddo. Lui parve non accorgersene. Fecero rapidamente colazione con il pane e il formaggio che Mrs. Osgood aveva avuto la premura di preparare prima che partissero. Dopodiché lui andò a sellare i cavalli mentre Hero cercava di cancellare le tracce della loro presenza nella casa. Infine, sulla soglia, si voltò a guardare per l'ultima volta quel posto. Era un'angusta casa di contadini, vecchia e polverosa, ma la piccola stanza era più confortevole della sua camera da letto a Raven Hill. Il suo sguardo indugio' sul caminetto, davanti al quale aveva dormito profondamente forse per la prima volta in tutta la vita. Un'ondata di emozioni sconosciute la inchiodo' lì dove si trovava fino a quando una corrente d'aria fece tremare le imposte. Quel rumore la riscosse. Hero uscì e richiuse la porta dietro di sé. La chiara luce del mattino era filtrata dalla fischia che sembrava essere una presenza costante in quelle lande. Un'atmosfera che Raven avrebbe trovato di suo gusto, senza dubbi. Hero invece non vedeva l'ora di ripartire. Con quella nebbia, Mr. Marchant avrebbe potuto condurla ovunque e sarebbe stato difficile mantenere l'orientamento. «Cercheremo il più possibile di evitare le strade maestre» annunciò Christopher Marchant mentre la aiutava a salire a cavallo. «E ci dirigeremo a est.» «A Cheswick.» «A Raven Hill» la corresse lui. «Cheswick è più vicino» puntualizzo' Hero. Il suo compagno di viaggio gemette e lei represse un sorriso, perché aveva imparato che Mr. Marchant aveva quella reazione ogni volta che si sentiva contraddetto o pressato. Cominciavano a piacerle quei grugniti, quasi più dei suoi sorrisi. Che erano molto più pericolosi. Hero non poteva permettersi alcuna distrazione. Si impose di concentrarsi sulla strada che stavano percorrendo, invece che sul suo compagno di viaggio. Purtroppo c'era ben poco da osservare. Le stradine che Mr. Marchant prendeva erano sentieri a malapena indicati, senza alcuna traccia di vita, soltanto brughiera spoglia e sempre uguale. La nebbia non la preoccupava, perché Hero non era mai stata incline alle fantasie morbose. Non si poteva vivere tutta la vita a Raven Hill e lasciare briglia sciolta all'immaginazione... perlomeno se si voleva conservare la sanità mentale. Ciononostante, mentre attraversavano una valletta, la nebbia li avvolse del tutto, traendo una strana eco dai loro movimenti. Ed Hero cominciò a chiedersi se quei suoni fossero prodotti dai cavalli o da qualcos'altro, forse perfino dai loro inseguitori. All'improvviso qualcosa sbuco' dalla nebbia, una sagoma alta, cupa e minacciosa. Hero soffoco' un'esclamazione di paura e cercò la pistola che portava nella giubba, mentre Mr. Marchant continuava tranquillamente a cavalcare davanti a lei. Allarmata, Hero si sentì ghiacciare e il respiro le si bloccò in gola. Poi però i contorni della sagoma si manifestarono, prendendosi gioco delle sue paure. Come si sarebbe divertito Raven se l'avesse vista spaventarsi per una pietra, per quanto grossa e di forma così insolita che Hero si domando' come avesse fatto a finire in quel punto preciso, nel bel mezzo del nulla. Sprono' il cavallo e chiamò Mr. Marchant. «Cosa rappresenta questa roccia? Un segnale?» «È un menhir» le spiegò lui. «Ne ho scoperti parecchi qui intorno. Isolati, come questo, oppure disposti a cerchio, a file o a tumulo. Si pensa che siano opera dei druidi che un tempo abitavano in questa regione. Forse Mallory decise di costruire qui la sua casa proprio perché gli antichi druidi si erano stabiliti nella zona, ricca di querce e di corsi d'acqua che per loro erano sacri.» Hero lo scruto': l'espressione di Mr. Marchant era indecifrabile. All'inizio, non sapendo come interpretare i suoi riferimenti ai druidi, li aveva ignorati. Ma ora l'argomento si ripresentava e lei non lo trovava affatto rassicurante. «Credete che i druidi rivogliano indietro il libro?» domandò. «Gli uomini che collocarono qui i menhir sono morti da secoli e la loro storia e le loro tradizioni sono ormai dimenticate. Quelli che attualmente si definiscono druidi perlopiù si riuniscono con scopi sociali o filantropici. Tuttavia ce ne sono altri che hanno abbracciato solo la componente oscura e brutale della religione dei loro predecessori.» Dopo aver pronunciato quelle parole Kit si chiuse in un silenzio assorto che impedì a Hero di porgli ulteriori domande, nonostante la sua spiegazione non l'avesse per nulla rassicurata. Mentre lo seguiva passivamente, non poté fare a meno di pensare di nuovo che lui avrebbe potuto condurla ovunque. E per qualsiasi scopo. Non si spaventava facilmente, ma la prospettiva di trovarsi nella brughiera nebbiosa, sola con un uomo forte e ossessionato dai druidi, le diede i brividi. Secondo Christopher Marchant, il testo di Mallory aveva ispirato omicidi e perversioni... Continuò a seguirlo. Che cos'altro avrebbe potuto fare? Per quanto fosse a disagio, Hero pensò di nuovo che quella fosse la tipica situazione che Raven avrebbe potuto orchestrare. Lui non aveva mai scritto romanzi gotici, tuttavia gli piaceva vivere come i protagonisti di quelle storie, con relativo corredo di orrori e di tragedie. Era stato lui ad architettare l'incontro con Christopher Marchant, apparentemente così galante, che si era offerto di accompagnarla? Peggio ancora, Raven aveva convinto un pazzo, Christopher Marchant, a rapirla? Il suo compagno aveva ammesso che un mandato di cattura era stato spiccato contro di lui e, nelle attuali circostanze, l'informazione assumeva un nuovo significato. Mr. Marchant era il gentiluomo che sosteneva di essere o qualcosa di completamente diverso? Hero aveva trascorso tutta la sua vita adulta a dare la caccia a libri rari e a contrattarne l'acquisto per conto di Raven, trascurando tutti gli altri aspetti della vita, ma ora sentiva la propria risolutezza venire meno. In che razza di pasticcio si stava cacciando?

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Capitolo 13
*** 13 Capitolo ***


La giornata volgeva al termine quando entrarono nel cortile della locanda Long Man. Era un locale semplice, nel centro di Longdown, un villaggio grande a sufficienza perché il loro arrivo non venisse notato. O, almeno, era ciò che Kit si augurava quando aveva cercato un alloggio per la notte. La sala era affollata e quando lui chiese una camera per sé e per suo fratello nessuno prestò loro particolare attenzione. Gli indumenti che aveva scelto per il viaggio non erano certo raffinati, ciononostante lui non era il genere di uomo al quale rifiutare l'ospitalità. E visto che pagava con moneta sonante, il locandiere gli assicurò che un garzone avrebbe governato i cavalli. «Volete cenare, signore?» gli domandò poi. «Si, potete mandarci la cena in camera? Mio fratello è molto stanco e anch'io desidero andare subito a riposare.» Il locandiere parve sul punto di offrirgli - a pagamento, ovviamente - l'uso di una saletta privata, ma poi annuì, forse temendo di perdere del tutto l'affare, quando vide il fratello del gentiluomo appoggiato al muro, vicino alla porta, come se aspettasse di capire se avrebbero alloggiato lì. Una volta concordata la cena, Kit chiamò con un cenno Miss Ingram e il padrone della locanda li accompagnò al piano di sopra. La stanza era abbastanza pulita e ordinata, con una finestra e un ampio letto davanti al caminetto, dove la legna era già sistemata. «Mando subito una cameriera accendere il fuoco, signori» annunciò l'oste prima di scomparire nel corridoio. Kit annuì con aria assente intanto che si guardava intorno. Avrebbe potuto chiedere due camere, ma non gli andava a genio di lasciare Miss Ingram sola e senza protezione, nonostante il suo travestimento. Il proprio desiderio di restare in sua compagnia non aveva nulla a che vedere con quella decisione. O perlomeno era quello che si disse mentre osservava il letto matrimonio. Nessuno avrebbe trovato strano che due fratelli dormissero nello stesso letto, ma per quella notte Kit avrebbe dovuto trovarsi un'altra sistemazione. Purtroppo l'unica sedia aveva lo schienale rigido e dritto, quindi Kit guardò il pavimento di legno e si rassegno': non poteva essere più scomodo di quello della casetta nella brughiera. Miss Ingram stava già tirando le tende e lui allungò la mano verso la candela: non voleva restare al buio in attesa che la cameriera venisse ad accendere il fuoco. Un conto era dividere una stanza con Miss Ingram, un altro era stare da solo con lei nell'oscurità più totale, come aveva scoperto la notte precedente. Una parola pronunciata a bassa voce gli fermò la mano a mezz'aria. Kit alzò la testa, sorpreso, e vide che lei gli faceva cenno di raggiungerla vicino alla finestra: qualcosa doveva aver attirato la sua attenzione. Si mise dietro di lei e guardò, da sopra la sua spalla, il cortile sottostante. Il Long Man non era una locanda di posta e il cortile era relativamente tranquillo; nonostante fosse quasi buio, lui individuò quasi subito due uomini appoggiati a un muro. Kit percepi' la tensione di Miss Ingram e lottò contro la tentazione di attirarla a sé per rassicurarla. «Non vedo in che modo avrebbero potuto seguirci fin qui. Avrebbero dovuto essere nei pressi della fattoria quando siamo partiti stamattina, invece noi non abbiamo visto nessuno.» sussurro' lui. «Forse ci aspettavano lungo la strada.» «Per quanto tempo ci avrebbero aspettato? E in quale strada?» «Quella per Londra. Se andassimo a Cheswick, forse riusciremmo a far perdere le nostre tracce.» spiegò lei. Il ritornello era ormai familiare e Kit soffoco' un gemito. In fondo non era sorpreso. Una persona determinata come Miss Ingram non rinunciava facilmente. E non gli aveva forse detto che, se necessario, avrebbe proseguito da sola? Il ricordo di quella minaccia, unito all'espressione impassibile della giovane donna e alla presenza dei due uomini nel cortile, per quanto innocenti potessero essere, lo mise decisamente a disagio. Se in passato era stato cieco ai segnali del pericolo incombente, ora era più attento e le sue osservazioni gli dicevano che Miss Ingram sarebbe potuta uscire dalla camera appena lui le avesse voltato le spalle, passando da un pericolo a un altro. Da sola. In quel momento la verità lo colpì come una mazzata. Non contava se quella Hero era una caccia infruttuosa, senza nessun tesoro, e non contavano neppure i propri sentimenti riguardo alla possibile esistenza di un'altra copia del Mallory. Non importava se Miss Ingram non era del tutto sincera con lui. L'unica cosa importante era proteggerla. E siccome non poteva costringerla a tornare a casa, l'unico modo per farlo era andare con lei. Kit dovette riconoscere che c'erano altri, meno nobili motivi per restare con lei, tra i quali i propri desideri egoistici. Ma la sua protezione era il compito che si era assunto quando la ruota della carrozza di Miss Ingram si era rotta lungo la strada per Oakfield. Non aveva avuto l'accortezza di proteggere la sorella, ma ora si sarebbe riscattato prendendosi cura di questa donna. «D'accordo. Andremo a Cheswick» annunciò. Se lei rimase stupita dalla sua inattesa capitolazione, Kit non se ne accorse, perché era intento a osservare i due uomini nel cortile. Forse sarebbe stato meglio cercare di capire per quale scopo si trovavano lì, pensò. Mentre li guardava, il più alto si staccò dal muro e la luce di una lampada cadde sui suoi indumenti: non erano gli abiti comuni dei loro assalitori, bensì una livrea. E anche molto elegante. Per fortuna non era andato fuori ad affrontarli, visto che c'era già un mandato di arresto a suo carico. «Questi uomini hanno più o meno la stessa statura dei nostri assalitori, però sono vestiti diversamente.» spiegò. Lei si voltò come per ribattere, ma in quel momento bussarono alla porta e Miss Ingram si scosto' in fretta da lui. Andò a rintanarsi in un angolo buio, come se si aspettasse che i due uomini irrompessero nella stanza. Secondo Kit era altamente improbabile, tuttavia impugno' la pistola per sicurezza mentre la porta si apriva per lasciar entrare una cameriera dall'espressione timorosa. La ragazza depose il vassoio carico, accese il fuoco e uscì, lasciandoli liberi di cenare. Kit cedette l'unica sedia a Miss Ingram e spostò la scaletta del letto in mezzo a loro in modo che lei potesse posare il piatto sullo scalino più alto mentre lui, seduto sul pavimento, usava il gradino inferiore come tavolino. Nella stanza illuminata soltanto dalle fiamme del camino, mangiarono per qualche minuto nel silenzio rotto dal crepitio della legna che bruciava. La differenza tra quella sera e la precedente, pensò Kit, era che la stanza dove si trovavano ora era più piccola e meglio arredata e l'atmosfera sembrava più intima. Forse perché stavano condividendo un pasto, o forse perché c'era più luce rispetto a quando erano arrivati alla fattoria. La sera precedente lui si era appoggiato alla porta, da dove poteva soltanto intravedere una sagoma scura decisamente poco riconoscibile. Invece, quella sera, il riflesso del fuoco danzava sul viso di Miss Ingram, sottolineando la curva dolce delle sue guance e il profilo della bocca. La sua pelle aveva assunto uno splendore dorato e Kit avrebbe tanto voluto che si togliesse quel dannato berretto da ragazzo per poter ammirare i suoi capelli... «Che cosa c'è?» Alla domanda della giovane, Kit si rese conto che la stava fissando e subito abbassò lo sguardo sul piatto. Era tentato di dirle che non aveva bisogno di tenere in testa il berretto anche lì, dove c'erano soltanto loro due, ma forse non sarebbe stata una buona idea. «Niente» borbotto'. Doveva avere maggior controllo dei propri pensieri, soprattutto perché la sua compagna non sembrava minimamente toccata dalla loro vicinanza, dalla luce del fuoco e dalla notte. Eppure, quando Miss Ingram prese il vino, Kit avrebbe giurato che le tremava la mano. Ah, dunque non era tanto distaccata...

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Capitolo 14
*** 14 Capitolo ***


«Come fate a essere sicuro che quei due non sono i nostri assalitori?» gli chiese Hero all'improvviso. Kit scoppiò a ridere. Ora aveva la prova che Miss Ingram non si era lasciata ammaliare dalla loro cenetta intima, a differenza di lui. Era concreta come al solito, e lui avrebbe fatto meglio a imitarla. «Perché indossano la livrea del Duca di Montford» rispose. «Ebbene?» «Dubito che gli uomini del duca stiano dando la caccia a un libro di rituali druidici» osservò Kit, infilzando un pezzo di manzo con la forchetta. «E perché no? Il Principe Reggente è un grande collezionista, per dirne uno, e anche il Duca di Devonshire. Ho sentito dire che Montford possiede una raccolta magnifica. La bibliomania può colpire chiunque, indipendentemente dalla posizione sociale. Un personaggio autorevole come il reverendo Thomas Dibin sostiene che dura tutto l'anno e riguarda tutta la popolazione umana.» «Forse» riconobbe Kit, «Ma non ce lo vedo proprio un aristocratico come il Duca di Montfort ad assoldare dei tagliagola o a progettare un rapimento.» «Neppure per entrare in possesso di un libro tanto raro?» «Neppure per questo» confermò lui. Sospettava che i loro inseguitore non fossero guidati dalla smania di mettere le mani sul Mallory, bensì da qualche altro motivo più oscuro. «Non so. Ho sentito dei racconti che voi non immaginereste neppure» commento' Miss Ingram disincantata. «Storie di furti e di contraffazioni, di collezionisti che hanno ricomprato i loro libri dopo averli venduti o regalati, di disperati che si sono tolti la vita per aver perso la loro raccolta. Una volta un collezionista ha acquistato una vecchia proprietà che era appartenuta all'astrologo John Dee nella speranza di trovarvi seppelliti dei libri pregiati.» Kit avrebbe riso, se non fosse stato che la storia era troppo simile a quella della sua casa. E anche se il libro di Mallory non era seppellito a Oakfield, i folli seguaci del sedicente druido avevano messo sottosopra il suo giardino per cercarlo. «I più accaniti hanno persino fondato una società, il Roxburghe Club, dopo che la raccolta del Duca di Roxburghe è stata messa in vendita. Oh, e avrete senz'altro sentito parlare di Richard Heber, che riempì una casa dopo l'altra di libri, dalle cantine alla soffitta. Si dice che ne possiede oltre centomila.» «E io che pensavo che mio padre fosse un appassionato bibliomane!» Kit scosse la testa. Miss Ingram fece una pausa per scrutarlo. «Mi sorprende che non abbiate ereditato la sua passione» osservò. In cuor suo, aveva il sospetto che Kit nascondesse il proprio sapere. «Non ho mai condiviso quella per lo studio. Gli volevo molto bene e gli sono profondamente grato per i suoi insegnamenti e per la sua pacata saggezza, tuttavia lui preferiva i libri al mondo esterno. E questo non faceva per me né per Syd» le spiegò lui con un sorriso. «Syd?» «Mia sorella Sydony.» «Un nome poco comune.» «Per una donna poco comune.» puntualizzo' Kit. Le lanciò un'occhiata obliqua. «A dire il vero, trovo che le assomigliate.» Miss Ingram curvo' un poco la testa come per schermirsi. «E vostra madre? Anche lei era una lettrice accanita?» Kit trasse un profondo respiro. «Non lo so. Morì quando ero bambino.» «Oh, mi dispiace. Forse vostro padre si immerse negli studi proprio a causa di questa tragedia.» Un suggerimento così sentimentale uscito dalle labbra di Miss Ingram lo lasciò di stucco. Come sempre, il viso di lei chino sul piatto non lasciava trapelare niente. «Forse.» Della madre conservava un'immagine sfuocata, e non riusciva davvero a ricordare se prima della sua morte il padre fosse stato più aperto e partecipe delle vicende del mondo, tuttavia sapeva che aveva sofferto moltissimo per la perdita della moglie. Miss Ingram poteva aver colto nel segno: suo padre, che era sempre stato uno studioso, una volta rimasto vedovo aveva trovato sollievo al proprio dolore tra le pagine dei libri. «E i vostri genitori?» le chiese. «Sono anche loro dei collezionisti?» «Sono morti» rispose lei, spiccia. Posò la forchetta e spinse da parte il piatto. «Mi spiace» disse Kit. «Sono scomparsi da molto tempo?» «Abbastanza» Taglio corto Miss Ingram. «In previsione di arrivare a Cheswick, domani, ci sono alcune cose che dovreste sapere.» L'improvviso passaggio a un nuovo argomento lo colse di sorpresa. La conversazione aveva preso una piega troppo personale, oppure Miss Ingram detestava parlare di se? «Come probabilmente sapete» proseguì lei, «Di norma una biblioteca viene organizzata secondo i criteri stabiliti dal proprietario.» Dal suo tono distaccato, Kit si rese conto che l'intimità che avevano condiviso poco prima non sarebbe ricomparsa. «Un collezionista può raggruppare i suoi tesori per soggetto, per data di pubblicazione o di acquisizione o secondo qualsiasi altro metodo venga in mente a lui o a chiunque si occupi in sua vece dell'acquisto e della catalogazione dei libri.» «Questo facilita molto le cose» ironizzo' Kit. Le labbra di Miss Ingram si incresparono e Kit si rese conto di quanto fosse raro il suo sorriso. Lì, alla luce del fuoco, la curva delicata delle sue labbra appariva deliziosa e invitante... Che cosa l'aveva resa così seria? E come avrebbe potuto strapparle più sorrisi, in quella situazione non certo allegra? «Un noto collezionista ha chiuso i suoi volumi in teche decorate con i personaggi dell'antica Roma, e così non c'è modo di sapere dove trovare qualcosa senza passare per il sistema imperiale, come lo chiama lui» raccontò Hero. «Samuel Pepys, invece, li ha disposti per altezza.» Le sue descrizioni confermarono l'opinione di Kit che la loro ricerca sarebbe stata infruttuosa. Tuttavia sapeva che lei non sarebbe stata soddisfatta finché non avesse capito la verità: non avrebbero mai trovato la copia del Mallory. Se lui non avesse saputo quanto fosse pericoloso il libro, avrebbe desiderato che lei riuscisse a ottenerlo, anche solo come ricompensa per la sua perseveranza. «Come potete aspettarvi di trovare un volume che nessuno vede da oltre un secolo?» le chiese. «Valuterò quando arriveremo là'» Kit non perse tempo a chiederle come avrebbero fatto ad accedere alla biblioteca del Conte di Cheswick. Forse l'indomani Miss Ingram avrebbe capito da sola che si era fissata su una missione impossibile. Allora lui, da quel gentiluomo che era, l'avrebbe riconsegnata sana e salva a suo zio. Intatta. Avrebbe potuto pentirsi di quel proposito, ma anche se in casa Marchant non si era discusso molto dell'onore, suo padre aveva messo bene in chiaro le proprie aspettative e Kit e Sydony avevano fatto del loro meglio per dimostrarsene all'altezza. Non che avessero dovuto sforzarsi molto. Kit aveva sempre disprezzato i vizi che una volta avevano minacciato il futuro di Barto, e la sfida più impegnativa della vita dei due fratelli era stata quella di restare uniti dopo la morte dei loro genitori. Ora, invece, solo in una stanza quasi del tutto buia insieme alla donna più straordinaria che avesse mai conosciuto, Kit cominciò a sudare freddo. Quello era il genere di prova che suo padre non avrebbe mai potuto prevedere. Kit arrestò Bay in cima alla collina e guardò la casa sottostante, annidata nella vallata. Il sole del pomeriggio conferiva uno splendore dorato alla struttura di pietra e faceva risplendere le finestre dei tre piani. Cheswick non era una delle più imponenti dimore patrizie del paese, ma era grande abbastanza perché lui si sentisse piuttosto restio alla prospettiva di introdurvisi di nascosto. «Ci siamo» disse, voltandosi verso la sua compagna. «Come suggerite di procedere?» Si era aspettato che Miss Ingram recedesse dal suo proposito iniziale dopo aver visto la dimora del Conte di Cheswick. Invece, senza dare segno di dubbio o di smarrimento, lei si limitò a scrutare la tenuta con la calma riflessiva che era la sua caratteristica. Dopodiché, si guardò intorno e corrugo' la fronte. «Prima di tutto devo trovare un posto per cambiarmi.» Kit la osservò.

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Capitolo 15
*** 15 Capitolo ***


Kit soffoco' un'esclamazione di stupore. Il suo desiderio di togliersi gli abiti maschili era comprensibile, ma in che modo Hero, l'avrebbe fatto? Sperava soltanto che non avesse intenzione di bussare all'ingresso principale di Cheswick chiedendo il permesso di usare uno spogliatoio. Il cielo esaudi' la sua preghiera. E Miss Ingram non tentò neppure di usare uno dei tanti edifici di servizio. «Troppi servitori in giro. E troppi occhi» gli spiegò. Voltando le spalle alla casa, si diresse verso un boschetto e scese da cavallo. Kit la seguì, incerto sulle sue intenzioni fino a quando lei non srotolo' la coperta e la fece passare sopra un ramo. Pochi istanti dopo, il suo berretto e la giacca erano appesi a un ramo. Kit fisso' allibito la testa e le spalle visibili al di sopra dell'improvvisato paravento. Dopodiché lasciò andare il respiro e si voltò in fretta. Aveva dormito a pochi passi da lei le ultime due notti, ma non era preparato ad assistere mentre lei si toglieva uno dopo l'altro i vestiti, con un sottile strato di tessuto come unica barriera tra di loro. Siccome le voltava la schiena, Kit non poteva vedere quello che succedeva, tuttavia i rumori gli giungevano distinti. E lui dovette cercare di non immaginare quale altro indumento si stesse togliendo. La camicia? I calzoni? Che cosa portava sotto? Doveva avere freddo e la prevedibile reazione di certe parti del suo corpo fece reagire altre parti di quello di Kit. Con il respiro affannoso, Kit si concentrò sulla necessità di montare la guardia, invece di voltarsi a guardare. Solo perché i due uomini che avevano visto a Long Man erano due domestici al servizio di un duca, non voleva dire che potesse permettersi di distrarsi. E il timore che qualcuno scoprisse Miss Ingram svestita ebbe l'effetto di tenere desta la sua attenzione. «Sono pronta.» Aveva impiegato davvero pochissimo tempo. Lui si girò e rimase a bocca aperta. Nessuna donna si era mai cambiata così in fretta... né si era trasformata tanto drasticamente. Il ragazzo con il berretto era sparito e al suo posto c'era una giovane donna, con le mani inguantate intrecciate davanti a sé e gli occhi bassi. Si aspettava una delusione, essendosi ormai abituato a vedere le lunghe gambe snelle avvolte nei calzoni. Invece bastò un lembo di corpetto, visibile sotto i nastri del mantello, per cancellare i suoi timori. In effetti, avrebbe potuto indugiare ad ammirarla ancora per qualche minuto, se non che Hero si era già avviata per uscire dal boschetto. Di colpo Kit rammento' dove si trovavano e si rese conto che non avevano ancora risolto il problema di entrare a Cheswick, indipendentemente dall'abbigliamento di Miss Ingram. Le lanciò un'occhiata interrogativa. «E adesso?» La risposta della giovane fu immediata e sicura. «Chiederemo di visitare la casa. Che altro?» Come aveva sperato Hero, la governante di Cheswick era autorizzata ad accogliere i visitatori che desideravano fare il giro della grande dimora. Del resto, chi avrebbe potuto respingere la richiesta di Mr. Marchant e di sua sorella, due giovani evidentemente di buona famiglia che stavano trascorrendo un periodo di riposo in campagna? Mr. Marchant non aveva protestato, però parlò poco e toccò a Hero commentare con ammirazione l'elegante mobilio e le opere d'arte, tenendo al tempo stesso gli occhi bene aperti. Ciononostante, mentre passavano da una stanza all'altra - tutti ambienti spaziosi e ben illuminati - non vide traccia di libri. Si era sbagliata? Pur sapendo che l'attuale conte non era un collezionista, le sembrava impossibile che avesse venduto la biblioteca di famiglia. Ma se la raccolta non era lì, dov'era? Cercò di richiamare alla mente ciò che sapeva del conte, comprese le altre tenute di sua proprietà. Forse Cheswick era stata costruita troppo di recente e non aveva mai ospitato il Mallory. A quando risaliva la nomina a conti e dove avevano vissuto prima di Cheswick? Hero fece un frenetico sforzo di memoria. Se il volume non era lì, avrebbe dovuto cercarlo altrove, poiché Raven - anche se fosse stato lui l'orchestratore della sua avventura - si sarebbe aspettato che lei tornasse a casa con il tesoro. Nonostante il disagio crescente, Hero continuò a chiacchierare ininterrottamente a beneficio della governante. Ma in qualche modo dovette tradirsi, perché Mr. Marchant le lanciò un'occhiata interrogativa. Lei la ignoro', eppure il dubbio ricominciò a tormentarla. Christopher Marchant era forse al corrente di qualcosa di cui lei era all'oscuro? Era per questo che non sarebbe voluto andare a Cheswick? Mentre Hero cercava di farsi venire in mente qualche idea, Mrs. Spratling si fermò davanti a una porta, la aprì e si scosto' per farli entrare. «Sua Signoria non usa spesso questa sala, quindi di solito è chiusa. La biblioteca è comunque molto bella.» E lo era davvero. Le quattro pareti erano rivestite di scaffali gremiti di libri. Eppure la sala era ugualmente ampia e ariosa, come il resto del castello, un edificio relativamente recente molto diverso dall'arzigogolata dimora di Raven. Inalando il profumo così familiare di rilegature, carta e cera d'api, Hero sentì allentarsi la tensione. Avrebbe potuto trascorrere settimane a sfogliare i libri, ma purtroppo non avevano tanto tempo a disposizione. Mr. Marchant le lanciò un'occhiata eloquente e lei indicò con un cenno quasi impercettibile del capo il fondo della sala, in quel modo avrebbero potuto esaminare più scaffali. Com'era successo fin da quando si erano conosciuti, il suo compagno colse al volo la sua indicazione. E quando lui si allontanò, perfettamente rilassato e a proprio agio, Hero si voltò a guardare gli scaffali. Si fermò, le mani dietro la schiena, come se fosse sopraffatta dalla ricchezza di quella raccolta. In realtà stava cercando di scoprire in quale ordine fossero disposti i libri. Quando lo capì, dovette mordersi le labbra per non prorompere in un grido di sgomento. I libri della biblioteca di Cheswick erano sistemati con grande cura, ma secondo un criterio che non sarebbe stato loro di alcuna utilità. Hero maledisse tra sé e sé il conte o il suo arredatore o chiunque altro avesse deciso che sarebbe stato elegante disporre i libri in base al colore della copertina. E siccome Hero non aveva mai visto il Mallory, l'unica possibilità era esaminare i volumi più vecchi. Naturalmente, le condizioni di un libro dipendevano non solo dall'età, bensì da diversi altri fattori: se fosse stato conservato in un posto asciutto e al buio per buona parte della sua vita, sarebbe apparso in buono stato, se invece fosse stato gettato in una cantina, o peggio ancora, sarebbe stato irrimediabilmente danneggiato. Sconfortata, continuò a esaminare gli scaffali. Pur non essendo una collezione particolarmente ricca, c'erano comunque troppi volumi per poter effettuare una ricerca rapida. E la governante stava già cominciando a dare segni di impazienza perché doveva tornare al lavoro. «Oh, i libri sono tutti così interessanti» osservò Hero sorridendo alla donna. Dopodiché si avvicinò a Mr. Marchant che stava controllando la parete in fondo alla biblioteca. «Guardate con quanta intelligenza sono sistemati» disse ad alta voce. Il messaggio che gli sussurro' invece, era di tono molto diverso: «Abbiamo bisogno di più tempo.» «E come pensate di riuscire a ottenerlo?» le chiese sottovoce Mr. Marchant. «Corrompiamo la governante?» Non era un segreto che la maggioranza dei domestici delle grandi residenze era sottopagata e costretta a lavorare un numero incredibile di ore, tuttavia Mrs. Spratling non aveva la faccia lunga e l'aria disperata. Valeva comunque la pena di fare un tentativo. Hero si allontanò da Mr. Marchant e percorse il perimetro della stanza, controllando i ripiani alla ricerca di un volume vecchio o un poco nascosto rispetto agli altri. Nel frattempo continuò a blaterare riguardo al proprio amore per i romanzi nella speranza di distrarre la donna. E siccome Mr. Marchant continuava il suo esame in silenzio, Hero capì che non era del parere di offrire del denaro alla governante, o forse stava solo aspettando il momento propizio. Ben presto però divenne chiaro che il tempo era scaduto. Con uno sbuffo di irritazione, la massiccia Mrs. Spratling andò a piazzarsi davanti a Mr. Marchant. «Sono spiacente, signori, ma dobbiamo assolutamente concludere il giro» dichiarò. «Oh, vi prego, siamo appena arrivati» la supplico' Hero con aria afflitta. «Non potremmo restare ancora un po' ad ammirare questa bella biblioteca? Christopher, date a questa brava donna qualcosa perché ci conceda qualche minuto di più. Non avevo mai visto una biblioteca tanto bella.» Ma la governante fu irremovibile. «Sua Signoria non permette che i visitatori si trattengano nelle sale» dichiarò a labbra serrate. «Stasera darà un ballo e presto gli ospiti cominceranno ad arrivare.» «Un ballo!» Hero batte' le mani, rapita. «Avete sentito, Christopher?» Da dietro le spalle della donna, Mr. Marchant le lanciò un'occhiata esasperata che lei ignoro' bellamente. «Che genere di ballo?» domandò. «In maschera» spiegò Mrs. Spratling, un po' raddolcita. «Sua Signoria ama molto le farse e questo genere di cose.» «Oh, chissà quanti costumi meravigliosi!» Stampandosi in viso la sua espressione più accattivante, Hero si rivolse a Mrs. Spratling. «Voi siete tanto efficiente, immagino che vi occuperete anche dei costumi.» La governante scosse la testa, poi però sorrise, lusingata. «Sua Signoria tiene pronti dei costumi per gli ospiti che non hanno portato i loro, però io mi limito a mantenerli in buono stato. È del ballo, piuttosto, che devo...» Hero la interruppe con un movimento grazioso del capo. «Oh, per favore, fateceli vedere! Soltanto un'occhiata. Scommetto che avete i vostri preferiti.» «Be', io...» Mrs. Spratling sorrise di nuovo. «Ce ne sono alcuni che raccomando... solamente nel caso qualche signora o qualche gentiluomo richieda la mia assistenza.» «Dovete assolutamente farceli vedere. Solo un momento, poi ce ne andremo» la supplico' Hero. Quando Mrs Spratling annuì, lei emise uno strillo delizioso e corse da lei. Grazie al cielo Mr. Marchant ebbe l'accortezza di non dire niente e, appena la governante uscì a passo di marcia dalla biblioteca, Hero rimase indietro e lo afferrò per un braccio. «Stasera verremo al ballo» gli sussurro'. Quando lui si voltò a guardarla con aria dubbiosa e con una protesta pronta a erompere, Hero scosse la testa per zittirlo. «Distraetela, mentre io prendo i costumi.» Prima che lui potesse obiettare, Hero raggiunse Mrs. Spratling per blandirla ancora. Sapeva per esperienza che in generale la gente amava mostrare ciò a cui più teneva. La governante era chiaramente orgogliosa della grande casa che dirigeva, ma aveva anche un debole per le frivolezze, i gusti estrosi del suo padrone e la propria opinione, ed Hero approfittò di ognuna di quelle debolezze per ottenere l'accesso allo spogliatoio dove venivano conservati i costumi. Mrs. Spratling spalanco' la porta ed Hero entrò nello spogliatoio proprio mentre dietro di lei risuonava un tonfo sordo. Senza fermarsi, si inoltro' nella stanza e si guardò intorno per individuare qualche indumento da poter nascondere sotto il mantello. Disgraziatamente la maggior parte dei costumi era appesa nei grandi armadi e lei non sapeva quanto tempo avesse a disposizione. Mr Marchant era un tipo ingegnoso, però la governante non si sarebbe lasciata distrarre a lungo. Un domino con una maschera bizzarra che poteva essere ripiegata era posato sul bracciolo di un divano in stile egizio, forse per essere rammendato, ma sarebbe servito allo scopo. Hero lo arrotolo' in fretta, ben stretto, e lo nascose sotto il mantello. Su un tavolo c'erano altri indumenti dai colori vivaci. Prese a casaccio alcuni di quelli che si trovavano in cima al mucchio, poi ne mise uno sul divano al posto del domino. In quel momento udì i passi pesanti di Mrs. Spratling che si avvicinavano. «Guardate questi. Li avete cuciti voi stessa?» domandò. Ma l'umore della governante era stato guastato dalla caduta di Mr. Marchant e dalle sue lamentele riguardo ai pavimenti troppo scivolosi. «No di certo. Sua Signoria li fa confezionare da sarte esperte» rispose Mrs. Spratling. Le mani sui fianchi, osservò la stanza con l'aria di un generale che passa in rassegna le sue truppe. Hero si accosto' un poco al divano, sperando che la donna non si accorgesse della scomparsa del domino. Trattenne il respiro, con il cuore in gola, fino a quando l'ingresso di Mr. Marchant distrasse di nuovo la governante. «I costumi sono qui dentro?» chiese lui ad alta voce, mentre si avvicinava zoppicando a un armadio. «Non toccate niente» ordinò la governante. Passò accanto a Mr. Marchant e aprì le ante dell'armadio per mostrarne il contenuto: una gran quantità di indumenti appesi e relativo corredo di maschere e parrucche. «Ecco. Come potete vedere, Sua Signoria tiene a disposizione una certa quantità di costumi, in particolare per i suoi amici preferiti» spiegò con un gesto della mano. Aveva chiaramente cambiato idea sul fatto di mostrare loro i costumi, dopo che Mr. Marchant era, letteralmente, caduto in disgrazia. «Adesso però ho del lavoro da fare e voi dovete andarvene.» Hero annuì, ma aspetto' che la donna uscisse dalla stanza prima di muoversi a sua volta. Con gli occhi socchiusi Mrs. Spratling si voltò indietro, come se cercasse qualcosa. La giovane donna trattenne il respiro. «Credevo che dovessimo uscire» disse Mr. Marchant andando di nuovo in suo aiuto. «Purtroppo devo chiedervi assistenza, signora, perché non riesco quasi a camminare. Posso appoggiarmi al vostro braccio? Sorella cara, volete assistermi anche voi?» La messinscena avrebbe fatto sorridere Hero, se il cuore non le avesse martellato così furiosamente nel petto. Stringendosi addosso il mantello, emise un basso sospiro di sollievo per essere uscita senza danni dallo spogliatoio. Aveva conservato la padronanza di sé in situazioni perfino più pericolose, senza nessuno su cui contare a parte se stessa. Ma non era sicura che anche stavolta ce l'avrebbe fatta e sospettava che l'espediente di Mr. Marchant avesse impedito alla governante di smascherarla. Quando gli prese il braccio, Hero fatico' molto a mantenere la facciata frivola e svagata, perché l'effetto che Christopher Marchant aveva su di lei era tutt'altro che fraterno. Lottando contro l'impulso di stringersi a lui, ricordò a se stessa che il suo compagno non era ciò che sembrava. Almeno apparentemente, niente lo toccava: banditi, gendarmi che volevano arrestarlo, viaggi e alloggi disagevoli. E neppure l'imprevista necessità di mentire e raggirare. Al contrario, sembrava capace di travolgere qualsiasi cosa si trovasse lungo il suo cammino, e magari si stava anche divertendo! Gli lanciò un'occhiata di sottecchi. Le occhiaie scure che aveva notato quando l'aveva conosciuto erano sparite. Il dolore e l'amarezza di allora erano stati autentici oppure soltanto una posa? Mr. Marchant stava recitando una parte? Come Sydony amava ripetere, poche cose avevano il potere di scalfire Kit, ma aggirarsi come un ladro per il parco del castello di Cheswick era una di quelle. Dopo essere stati praticamente sbattuti fuori dalla governante, Kit era ansioso di allontanarsi. Invece Miss Ingram insistette per esplorare gli edifici di servizio e ammirare i giardini, nonostante in quella stagione non ci fossero fiori. «Non avete visto abbastanza, "sorella"?» chiese Kit, sotto lo sguardo perplesso di un ragazzo di stalla. Miss Ingram gli spiegò sottovoce che voleva controllare tutti gli edifici che sarebbero potuti tornare utili in seguito. «Quanto "in seguito"?» volle sapere Kit. «E "utili" a chi?» Lei si limitò a scuotere la testa, sorrise al ragazzo e proseguì. Quando, finalmente, le parve di aver ottenuto tutte le informazioni che le servivano, Kit la convinse a tornare ai cavalli, ansioso di andarsene prima che il conte e i suoi ospiti cominciassero ad arrivare... o che il furto di Miss Ingram venisse scoperto. Quando imboccarono il viale d'accesso al castello, coperto di ghiaia, Kit emise un sospiro di sollievo. Dietro di loro non si erano levate grida di allarme e neppure di domestici che li inseguivano. «Non abbiamo già abbastanza gente alle costole? Che cosa vi salta in mente di derubare il Conte di Cheswick?» Le domandò guardandola di traverso. «Come avremmo fatto altrimenti a venire al ballo?» Kit gemette. «Ci serve del tempo per trovare il libro.» Come se farsi passare per fratello e sorella, raggirare la governante di Cheswick e rubare delle maschere non fosse abbastanza, Miss Ingram voleva anche tornare sulla scena del delitto? Kit scosse la testa. La sua compagna compiva inganni e raggiri con sconcertante disinvoltura e questo lo metteva a disagio, perché, se riusciva a menare per il naso chiunque altro, avrebbe potuto fare altrettanto con lui. Se quello a cui si dedicava era un gioco di qualche genere, avrebbe potuto avere delle conseguenze letali e del tutto impreviste. Tuttavia, il compito di Kit era ancora più difficile: come avrebbe fatto a proteggere Miss Ingram da se stessa? Con Hero di nuovo in abiti maschili, fu semplice ottenere una sola camera alla locanda. Per quanto gli risultasse difficile trascorrere la notte con lei, Kit non era disposto a lasciarla senza protezione. E insistette perché si concedessero il tempo di consumare un pasto decente. Appena tramontato il sole, tuttavia, tornarono a Cheswick. Ormai conoscevano il luogo e trovarono facilmente un boschetto dove legare i cavalli, abbastanza fuori mano da non essere frequentato da valletti, lacchè e ospiti del Conte. Con il favore del buio, corsero verso il castello e Miss Ingram sospinse il suo compagno verso un piccolo capanno. Ecco che cosa intendeva per edifici che si sarebbero potuti rivelare utili "in seguito"! Miss Ingram aprì la porta e scivolo' dentro, chiamandolo con un cenno. Kit si astenne dal protestare, perché capiva che tale trasgressione sarebbe stata probabilmente la minore delle sue preoccupazioni prima che quella notte terminasse. Tuttavia esitò, scorgendo nell'oscurità del capanno le sagome di un ampio tavolo e di diversi attrezzi da giardinaggio. Avrebbero anche dovuto farsi passare per i giardinieri del conte? «Speravo che ci fosse più spazio» osservò Miss Ingram, avanzando in modo che lui potesse entrare a sua volta. «Per che cosa?» si informò Kit. L'interno del capanno era buio e polveroso, e c'era odore di terra e di concime. Stava aspettando che i suoi occhi si abituassero alla mancanza di luce, quando Miss Ingram chiuse la porta e si ritrovarono immersi nelle tenebre. «Per vestirci» gli spiegò lei. «Ci cambieremo qui, poi andremo a piedi fino al castello.» Kit sbatte' le palpebre. «Che cosa?!» «Ecco il vostro costume.» Hero gli spinse qualcosa contro lo stomaco e lui gemette. Prese il fagotto, ma la sua mente continuava a protestare alla prospettiva di cambiarsi d'abito lì dentro. Al buio. Da soli. Insieme. «È meglio che vi aspetti fuori» disse Kit, schiarendosi la gola divenuta di colpo secca. «Qui dentro non c'è spazio.» «Sciocchezze» commento' Miss Ingram, brusca. «Non possiamo permetterci che vi vedano in giro per il parco.» La sua indifferenza era irritante, certo, ma se lei non ci vedeva niente di male, perché avrebbe dovuto preoccuparsi lui? Ebbene, avrebbe fatto finta che Hero Ingram fosse sua sorella e... Prima quella storia fosse finita, meglio sarebbe stato per tutti e due.

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Capitolo 16
*** 16 Capitolo ***


Il disagio di Kit aumentò ulteriormente quando, esaminando a tentoni il costume che lei gli aveva praticamente conficcato nello stomaco, si rese conto che non si trattava di un domino, il classico mantello con cappuccio che si portava con una mezza maschera e che costituiva il più semplice dei travestimenti. «Che cosa diavolo mi avete preso?» le chiese, pentito di non aver esaminato il costume alla luce. Quando era ancora alla locanda. Da solo. «Un costume da Arlecchino» gli comunicò Miss Ingram. «Era l'unico a portata di mano. Ce n'era una pila, calzoni con casacca abbinata, e io ho afferrato quello in alto.» «Non posso indossarlo.» Gli era bastato saggiarlo alla cieca e sapeva già che era troppo piccolo per lui, non sarebbe riuscito a infilarlo sopra i vestiti. Non aveva certo intenzione di spogliarsi in quel capanno buio, con o senza Miss Ingram. «D'accordo» borbotto' lei. «Potete prendere voi il domino e io mi vestiro' da Arlecchino.» «Neanche per idea!» Il pensiero che Miss Ingram andasse in giro con quel costume addosso era addirittura più ripugnante che indossarlo lui stesso. Almeno, travestita da ragazzo, lei portava calzoni pesanti e tutto considerato era coperta da diversi strati di stoffa: camiciola, camicia, farsetto e giubba... I costumi di Arlecchino invece erano notoriamente aderenti, tanto da essere i preferiti dei bellimbusti che amavano mettere in mostra i loro... pregi. «Perché non lasciate a me il domino e voi non vi tenete semplicemente il vostro solito travestimento da ragazzo?» Le suggerì Kit, speranzoso. «Le donne spesso si mascherano da uomini e viceversa, ai balli in costume.» «Non voglio farmi vedere nel mio solito abbigliamento.» «Quindi indosserete due costumi? Uno sopra l'altro?» Di nuovo lei gli conficco' il domino nello stomaco. «Ecco, scambiamoceli.» «No.» Kit tenne il costume di Arlecchino fuori della sua portata, nonostante gli piacesse il tocco della mano di Miss Ingram che brancolava nel buio, contro il suo petto. Se non fosse stato così freddo e se le circostanze fossero state diverse, avrebbe afferrato quella mano e... «Allora sbrigatevi» gli sussurro' lei con urgenza. «Abbiamo bisogno di restare il più a lungo possibile in biblioteca.» Con un gemito, Kit si girò. Avevano abbandonato i voluminosi mantelli da viaggio preferendo le giubbe, più pratiche. Eppure lui non riusciva a sfilarsi la sua, aderente, e non voleva farsi aiutare da Miss Ingram. Quando erano in compagnia femminile, gli uomini non mostravano mai in maniche di camicia. Miss Ingram si rendeva conto di cosa stava pretendendo da lui? Kit cominciava a chiedersi se per caso non fosse cresciuta in mezzo ai lupi o in qualche tribù di selvaggi che ignoravano le più elementari regole di comportamento delle società civili. Con una serie di contorsioni, riuscì a togliersi la giubba e la ripiego' alla bell'e meglio, quindi cercò invano di infilarsi la casacca sulla camicia. Era così stretta che avrebbe dovuto portarla sulla pelle. Comunque, ora aveva più caldo rispetto a quando era entrato nel capanno. E, più vestiti si toglieva, più si scaldava... Cercò di concentrarsi sugli indumenti da togliere e ripiegare con cura, ma l'operazione divenne molto difficile quando un dolce profumo femminile gli solletico' le narici e lui udì il fruscio dei movimenti della sua compagna, troppo vicino per la sua tranquillità d'animo. Si scosto' un poco, per evitare che Miss Ingram sfiorasse la sua pelle nuda. Ma lo spazio era davvero esiguo e lui andò a sbattere contro un oggetto non meglio identificato, appeso a un gancio. L'oggetto prese a oscillare con un rumore metallico, che nel silenzio sembrò assordante. «Ssh!» sussurro' Miss Ingram. Prima che Kit se ne rendesse conto, le mani di lei gli furono addosso per sostenerlo. Era addirittura peggio del contatto accidentale che aveva temuto, perché le dita della giovane donna, che si era levata i guanti, erano sul suo petto nudo. «Che... che cosa state facendo?» gli chiese Miss Ingram, con una voce che non sembrava affatto la sua. «Cerco di mettermi una casacca che è stata fatta per qualcuno grosso la metà di me» le sussurro' di rimando Kit. Figurarsi! Non si sarebbe mai spogliato per qualsiasi altra ragione. Se anche l'avesse fatto, di sicuro non sarebbe successo nel vivaio del Conte di Cheswick. «Avrei dovuto prendere io il costume di Arlecchino. Sono più piccola di voi.» «Sì... no...» Kit cercò di non pensare a Miss Ingram che si spogliava del tutto. Nel silenzio che seguì, rimase semplicemente dov'era, riluttante a sottrarsi alla sua carezza. Nello spazio angusto, l'aria sembrava crepitare per la tensione generata dai loro due corpi, e Kit ebbe la tentazione di scoprirle le mani con le proprie. Dato che entrambi stavano trattenendo il respiro, il silenzio era rotto soltanto dal suono distante delle carrozze e dall'andirivieni dei domestici, finché Kit non udì un altro rumore. Era un topo che si muoveva nel capanno o lì fuori c'era qualcuno? Anche Miss Ingram doveva averlo udito, perché d'un tratto lui non sentì più le sue mani. Rimasero entrambi immobili, le orecchie tese, ma lo scalpiccio cessò. Era stata comunque un'esortazione a proseguire con il loro piano invece di indugiare in un luogo e in una situazione irti di pericoli. La posta in gioco era troppo alta, non ultima la reputazione di Miss Ingram, che sarebbe stata irrimediabilmente rovinata se fossero stati scoperti insieme in un capanno buio. Quando si fu infilato la casacca dalla testa, Kit si chino' per togliersi i calzoni e indossare quelli del costume. Doveva muoversi adagio, per timore di strappare la stoffa. In vita sua non aveva mai portato niente di tanto stretto. Si raddrizzo' e inspiro' a fondo, per accertarsi di riuscire ancora a tirare il fiato, dopodiché cercò con discrezione di sistemare i calzoni aderentissimi nella zona più delicata della propria anatomia. «Forse dovremmo farci passare per marito e moglie.» Kit raggelo'. «Sarebbe una scusa più credibile, casomai venissimo colti in fragrante» proseguì Miss Ingram, imperterrita. «Fratello e sorella non si darebbero appuntamento in biblioteca per un incontro galante.» Stava parlando della loro messinscena, naturalmente. Kit si diede dell'idiota per aver immaginato altre possibilità. Probabilmente lei aveva ragione. Non ci sarebbe stato niente di strano se una coppia si fosse incontrata in biblioteca, anche se di solito non erano marito e moglie che si davano appuntamento. Tuttavia, un certo grado di intimità sarebbe stato d'obbligo. «Kit» disse lui di punto in bianco. «Che cosa?» «Nessuno mi chiama Christopher.» «Va bene... Kit.» Miss Ingram doveva essersi voltata verso di lui perché Kit avrebbe giurato che l'alito caldo della giovane l'avesse sfiorato quando aveva pronunciato il suo nome. «Hero» sussurro' lei. «Il mio nome è Hero.» «Come nella commedia di Shakespeare?» Kit la sentì stringersi nelle spalle, senza replicare. «A dire il vero, mi ricordate più Beatrice» le spiegò, riferendosi all'esuberante eroina di Molto rumore per nulla. Era estremamente sconveniente che due persone non legate da vincoli di parentela usassero i nomi di battesimo, ma anche spogliarsi in un luogo buio lo era. Peggio ancora, comunque, era intrufolarsi senza invito al ballo in maschera del Conte di Cheswick. «Andiamo» disse lei, come se gli avesse letto nel pensiero. Muovendosi a tentoni, Kit trovò un secchio asciutto e ci infilò dentro i propri abiti. Li avrebbe ritrovati lì al ritorno? Pensando a quello che indossava al momento, si avvolse nel mantello. Aprì la porta - appena uno spiraglio - e sbircio' fuori. Lo scalpiccio riprese immediatamente e lui rimase immobile, aspettandosi che qualcuno sbucasse dalle tenebre per aggredirlo. Ma quando vide uno scoiattolo che sfrecciava velocemente su per un albero vicino, lasciò andare il respiro e uscì dal capanno, seguito a poca distanza dalla sua compagna.

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Capitolo 17
*** 17 Capitolo ***


Mentre lui richiudeva la porta, Miss Ingram... Hero si incammino' decisa verso la casa e Kit dovette correre per raggiungerla. Oltrepassarono le scuderie, illuminate e brulicanti di attività. Per tutto il tempo lui tenne gli occhi ben aperti per controllare che nessuno li stesse osservando. Raggiunsero indisturbati le alte portefinestre dalle quali, nelle giornate più calde, il conte e i suoi ospiti uscivano a cercare la frescura del giardino. Ora invece faceva freddo e loro avrebbero potuto dire che erano andati a rubare qualche momento di intimità in giardino, complice l'oscurità appena rischiarata dalla luna, lontano dalle figure variopinte che si muovevano nelle sale illuminate a giorno. Per sicurezza, entrarono dalla portafinestra più lontana dalla folla degli invitanti, cercando di non farsi notare. All'interno, l'immensa sala che avevano visitato con la governante poche ore prima era scintillante di candele e di attività, e Kit sbatte' gli occhi per abituarsi a quel cambiamento improvviso. Tutt'intorno c'erano invitati che sfoggiavano costumi più o meno scandalosi, intenti a bere e a spettegolare, mentre il centro della sala era occupato dai ballerini che danzavano accompagnati dall'orchestra. Hero sentì una voce bassa vicino all'orecchio. «Fa un po' freddo fuori, non è vero?» L'uomo, con un ingombrante costume a forma di casa, si chino' verso di lei, gli occhi scuri che la fissavano attraverso la finestra aperta sul suo viso. «Ma qui dentro ho un bel fuoco che vi scaldera'». Ignorandolo, lei continuò a immergersi nella folla, e insieme a Kit, passò di fianco a una strega, a un monaco e a un antico romano. «È meglio che ci separiamo. Ci ritroveremo in biblioteca» sussurro' Hero, ma Kit scosse la testa. Non aveva partecipato a molti balli in maschera, ma gli era rimasto impresso il comportamento insolito delle persone, rese più audaci dal travestimento. E questa non era di sicuro una simpatica riunione campestre allietata da piaceri innocenti. Kit aveva saputo da Barto che l'alta società spesso scendeva ai più bassi livelli di moralità. «No» disse Kit mentre lei sfrecciava via, dietro a un alto personaggio con un turbante torreggiante. Fece per gettarsi all'inseguimento, ma una mano gli si posò sul braccio, fermandolo. «Vi conosco?» cinguetto' una Colombina. Il costume da servetta aveva una scollatura al limite dell'indecenza. Stava cercando il suo Arlecchino, ma Kit non era quello giusto. «No» rispose, cercando di passare oltre. «Ma forse mi piacerebbe.» La donna faceva le fusa, le dita serrate sul suo braccio. Aveva il viso coperto dalla maschera, il che significava che probabilmente i seni abbondanti che debordavano dal corpetto aderentissimo erano quelli di una femmina che aveva superato da un pezzo la giovinezza. Kit era un gentiluomo, non avrebbe mai insultato una donna. Si tolse la mano di lei dal braccio e le bacio' le dita. «Forse un'altra volta, bella Colombina» la salutò. Passò rapidamente di fianco a una pastorella accompagnata dalla sua pecora - una pecora vera - per evitare che la donna lo agguantasse di nuovo. Finalmente libero, pensò con un sospiro di sollievo, prima di accorgersi che Hero era scomparsa. Cominciò a cercarla, ma ben presto si sentì prendere dalla frustrazione. I domino neri erano molto numerosi, ma quello che cercava lui sotto calzava stivali pesanti. Nessuno però portava la maschera rosso scuro con cui Hero si era coperta il viso. «Ehi! Salute a voi.» Una suora di almeno sei piedi d'altezza e la voce baritonale gli si avvicinò. «Scusate.» Kit si allontanò prima che il tipo diventasse troppo importuno. Passò accanto a una coppia di quaccheri dall'aria disorientata e si rese conto che più tempo passava più rischiava di ricevere delle attenzioni sgradite. Di Hero, però, neppure l'ombra. Non gli restava altro da fare che andare a cercarla in biblioteca... sperando che fosse là. Hero attraverso' senza difficoltà le sale e arrivò alla biblioteca. Anche se non veniva utilizzata abitualmente, come aveva raccontato Mrs. Spratling, il fuoco era acceso nel camino e spandeva caldi riflessi sulle altre scaffalatura. Hero si richiude la porta alle spalle, accese una candela e la mise su un tavolo per poter leggere meglio i titoli dei libri. Quando la porta si aprì e si richiuse quasi senza far rumore, pensò che non ci fosse motivo di voltarsi a salutare Mr. Marchant. Kit. Si erano appena separati dopo essere stati rinchiusi troppo a lungo nel capanno angusto e le sembrava di sentire ancora la sua pelle nuda sotto le dita. Liscia e calda, molto calda... Udì i passi silenziosi che si avvicinavano e il cuore cominciò a martellarle nel petto. Che cosa voleva da lei Kit Marchant? Avrebbe dovuto dedicarsi alla ricerca del Mallory, invece di sbirciare da sopra la sua spalla. Eppure era proprio quello che stava facendo. Anzi, le si era appoggiato, il respiro caldo sulla sua guancia... Strano, sapeva di vino. Con un sussulto, Hero si voltò a guardare... Invece di Kit Marchant c'era uno sconosciuto vestito di verde, con una piuma enorme che gli pendeva dal cappello. Stava allungando le braccia per afferrarla, ma Hero riuscì a evitarlo pestandogli con forza un piede. L'uomo emise un'esclamazione di dolore. Sembrava un ospite piuttosto ubriaco e non particolarmente pericoloso, tuttavia lei si allontanò in fretta. Aveva capito che sotto il domino si nascondeva una donna, oppure non aveva preferenze di sesso? Lei non lo sapeva e neppure le interessava scoprirlo. «Chiedo scusa. Credevo che non ci fosse nessuno qui» disse Hero con voce profonda. Guardò la porta chiusa e si domando' dove fosse finito Kit, al tempo stesso maledicendosi per aver fatto affidamento su di lui. L'esperienza le aveva insegnato diversamente. E, siccome era stata sciocca e distratta, ora ne subiva le conseguenze. Questo significava che doveva sbarazzarsi dello sconosciuto per poter riprendere le ricerche. Lanciò un'occhiata alla porta. Avrebbe preferito non uscire dalla biblioteca per paura di non riuscire a ritornarci. Guardò di nuovo l'uomo per cercare di determinare quanto fosse pericoloso. Non era molto alto, però massiccio. E come fare a capire quanto era ubriaco? «Eccovi qui, Messer Scarlet» dichiarò lo sconosciuto con voce strascicata. «Che razza di benvenuto è mai questo?» Probabilmente si riferiva alla sua maschera scarlatta, o forse l'aveva scambiata per qualcun altro, visto che lui era vestito come uno degli allegri compagni di Robin Hood. «Deve esserci un errore» obietto' Hero. «Io non vi conosco, signore.» L'uomo si slancio' in avanti. «Vorrà dire che rimedieremo subito.» Li separava un elegante divano in legno di palissandro, che come barriera era decisamente scarso. Hero non aveva intenzione di prendere parte a una farsa, tuttavia non voleva neppure ricorrere alla pistola che portava sempre con sé. Il successo della sua impresa dipendeva tutto dalla segretezza e non voleva richiamare l'attenzione degli altri invitati. Girò intorno al divano per mettere ancora più distanza tra di loro, ma lo sconosciuto vestito di verde non si lasciò confondere dalla sua manovra. Anzi, sembrava che si stesse divertendo, a giudicare da come sorrideva dietro la maschera. I calzoni che portava sotto la corta tunica lasciavano ben poco all'immaginazione ed Hero fu allarmata da ciò che vide. «Mi avete scambiato per qualcun'altro, signore» disse, indietreggiando verso la porta. «Io non sono Will Scarlet. Adesso andatevene, prima che vi spacchi qualcosa sulla testa.» Alle sue spalle, la porta si aprì e il cuore le balzo' nel petto. Se qualcuno era arrivato a bloccarle l'unica via di fuga, era davvero in trappola. L'uomo vestito di verde gridò al nuovo venuto: «Siamo occupati, qui!» «Non è vero!» lo contraddisse Hero. Voltò un poco la testa e, con un misto di sollievo e di gioia, riconobbe Kit Marchant. Al solito, lui non si scompose. «Scusate, Sir Robin, ma questo è il "mio" appuntamento galante. Ho preso accordi in precedenza» annunciò. Per un istante Hero pensò che l'intruso si sarebbe messo a discutere. Anche Kit doveva essere della stessa opinione, perché fece un passo avanti, sollevando su un braccio la cappa perché non gli fosse di intralcio, come se si preparasse a sguainare una spada, nonostante Hero sapesse che non l'aveva. Ciò che aveva, invece, era un aderentissimo costume che la fece trasalire per la sorpresa. Il tessuto lucido a vivaci rombi rossi, gialli e blu sembrava incollato al corpo ben modellato di Kit e ne evidenziava ogni particolare, soprattutto nella zona dell'inguine, dove una stella rossa era posizionata strategicamente per richiamare l'attenzione su quel punto. Un'ondata di rossore altrettanto vivace le salì alle guance. Per quanto non avesse esperienza in materia, le sembrava che l'uomo vestito di verde non fosse altrettanto... dotato. Come se le avesse letto nel pensiero, l'uomo sbuffo' spazientito prima di avviarsi barcollando alla porta. «Ora capisco perché avete scelto quel costume, amico mio» disse con un cenno del capo. «E mi ritiro in buon ordine davanti a chi mi supera.» Quando Robin Hood fu uscito dalla stanza, Kit si voltò di nuovo a guardarla. «Almeno questo costume maledettamente stretto ha prodotto qualcosa di buono» osservò. Dopodiché abbassò gli occhi esaminandosi per la prima volta e, involontariamente, anche Hero rivolse lo sguardo nella stessa direzione. Per un istante le sembrò che il suo cuore smettesse di battere, si sentì la testa vuota e fu consapevole soltanto del rigonfiamento che, tirando a indovinare, doveva essere la manifestazione del suo desiderio. «È la mia immaginazione o c'è una stella sul... sul...?» Prese a dire Kit. Il gemito soffocato di Hero lo fece tacere di botto. Alzò la testa e nei suoi occhi scuri lei lesse lo scintillio di una promessa seducente che le tolse il fiato. Quel semplice sguardo era molto più pericoloso di qualsiasi arma dell'arsenale di Robin Hood ed Hero dovette compiere uno sforzo immane per ripristinare un minimo di controllo sui propri sensi in tumulto. Mentre si aggrappava con mani tremanti allo schienale del divano, cercò di pensare a dove si trovava, al compito che doveva portare a termine e, soprattutto, a chi era. Un forte colpo alla porta e una risata sguaiata proveniente dal corridoio la salvò da se stessa, distraendo da lei l'attenzione di Kit. Lui attraverso' la stanza, i passi attutiti dal tappeto, prese una sedia di legno massiccio e la colloco' davanti alla porta; in quel modo avrebbero avuto più intimità e, in caso di interruzione, almeno sarebbero stati avvisati. Hero arrossi', ma ignoro' il fremito di aspettativa che il gesto di Kit le aveva provocato e voltò le spalle con decisione al suo seducente compagno. Non era altrettanto facile, però, scacciarlo dai propri pensieri.

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Capitolo 18
*** 18 Capitolo ***


Mentre esaminava con metodo gli scaffali alla ricerca del Mallory, Hero continuò a essere consapevole della presenza di Kit Marchant: una consolazione, certo, ma anche un pericolo molto più grave di una schiera di ospiti ubriachi e mascherati. Kit tenne d'occhio le lancette dell'orologio dorato, non sapendo fino a che ora sarebbe andata avanti la festa. Di solito i balli si concludevano solo alle prime luci del mattino, ma lui non aveva il minimo desiderio di farsi scoprire in biblioteca dopo che tutti gli altri ospiti erano ripartiti o andati a dormire. Era stanco di quella ricerca che si stava rivelando infruttuosa, inoltre non vedeva l'ora di togliersi il costume. Cominciava ad avere la sensazione che il sangue non circolasse più in certe parti che, un giorno, avrebbe potuto volere perfettamente funzionanti... Respinse quel pensiero e tutto ciò che comportava per concentrarsi sul modo più sicuro di portare via Hero da Cheswick. «Il libro di Mallory che si trovava a Oakfield era stato camuffato con una copertina diversa, per questo la sua presenza era stata ignorata tanto a lungo» le spiegò, sperando in quel modo di porre fine alle ricerche. Ma, come ormai avrebbe dovuto sapere, Hero non desisteva. «Non abbiamo alcuna prova che Martin Cheswick abbia adottato lo stesso stratagemma.» Forse perché ci manca almeno la metà delle istruzioni che aveva ricevuto, pensò Kit, ma non disse nulla. Anche se il libro fosse stato lì, cosa di cui dubitava, avrebbero dovuto estrarre dagli scaffali ogni singolo volume ed esaminarlo per cercare di capire se fosse il testo in questione. E un tale compito avrebbe richiesto ben più di qualche ora. Ciononostante, Kit passò la mano sul dorso dei libri, alla ricerca di qualsiasi dettaglio insolito, mentre l'orologio scandiva lo scorrere del tempo. A parte il suo ticchettio, l'unico altro rumore nella stanza era il crepitio delle fiamme. Per questo sussultarono entrambi quando un altro suono ruppe il silenzio. Kit guardò la porta, dove la sedia reggeva nonostante venisse scossa con forza dall'esterno. Hero lo stava fissando, accucciata davanti a uno scaffale in fondo alla biblioteca. Così non sarebbero mai riusciti a farsi passare per innamorati! Kit corse verso il divano, invitandola a gesti a raggiungerlo. Senza la minima esitazione, la fece adagiare sui cuscini e si chino' su di lei, lo sguardo fisso sulla porta. Chiunque avesse cercato di entrare aveva anche desistito subito, perché non si udiva più alcun rumore. Kit rimase ad aspettare, l'orecchio teso. Niente. Forse qualche altro ospite, in cerca di un luogo per un incontro galante, aveva capito che la biblioteca era già occupata e aveva tirato diritto. Kit trasse un sospiro di sollievo e girò la testa per guardare la sua compagna. Hero si era tolta la maschera. Se avesse visto il proprio sollievo riflesso nei suoi lineamenti, lui si sarebbe alzato in piedi e avrebbe ripreso le ricerche. Invece, alla luce della candela, il viso delizioso della giovane era luminoso, proprio come la prima volta che l'aveva vista, simile a un faro nell'oscurità. Il cappuccio della sua cappa di raso era gettato indietro e alcune ciocche bionde sfuggite all'acconciatura catturavano la luce. Scomparsa l'espressione solitamente distaccata, aveva le palpebre pesanti, le labbra socchiuse e le guance arrossate. D'un tratto Kit si rese conto che era chino su di lei, il petto che sfiorava i suoi seni, la bocca a un soffio dalla sua. Senza concedersi il tempo di riflettere su ciò che stava per fare, abbassò la testa e le sfiorò le labbra con le proprie, assaporando, esplorando, godendo della loro morbidezza. Udì il mormorio di sorpresa e di piacere di Hero e sorrise. Per un lungo istante condivisero una perfetta sintonia, gustando la delizia di quella scoperta e il calore sublime che scaturiva dai loro corpi. Nonostante la vertigine, Kit comprese che una tempesta di fuoco sarebbe potuta scoppiare da un momento all'altro e si tirò indietro. Le mise una mano sul collo e passò il pollice sul contorno della guancia morbida, stuzzicandole l'angolo della bocca fino a quando Hero la dischiuse. Con le palpebre abbassate, la sua compagna gli appariva stranamente vulnerabile e un'emozione sconosciuta gli dilago' nel petto. Si chino' di nuovo e la bacio' , stavolta più profondamente, come se volesse assorbirla dentro di sé. Stavolta non ci furono sospiri di piacere, solo i rintocchi della mezzanotte scanditi dall'orologio sulla mensola del caminetto. Come la Cenerentola della favola, a quel suono Hero si trasformò. Nessun oggetto della biblioteca si tramuto' in zucca, ma la donna calda e ricettiva che lui teneva fra le braccia si sollevò di scatto, battendo la testa contro la sua nella fretta di liberarsi dell'abbraccio. Kit si rialzo' a sua volta strofinandosi la fronte. «State bene?» le chiese. Hero si stava di nuovo dedicando ai libri, la maschera e il domino perfettamente in ordine. Le mani che tremavano erano l'unico indizio di nervosismo per ciò che era accaduto tra di loro. A lui ci volle più tempo per riprendere il domino di sé, ma non per rendersi conto delle implicazioni del proprio comportamento. Si alzò in piedi e riprese la ricerca, maledicendosi. Quante volte erano stati insieme, da soli, separati soltanto dalla freddezza di lei e dalla propria capacità di autocontrollo? Ma quando il distacco di Hero aveva vacillato, l'autocontrollo di Kit era svanito e non poteva biasimare altri che se stesso. Era o non era un gentiluomo? «Mmh, molto interessante.» Kit si voltò di scatto. Guardò Hero: anche lei si era irrigidita. Un'occhiata alla porta gli disse che era chiusa come prima, con la sedia a barricarla. Socchiuse gli occhi ed esamino' la stanza. Finalmente, in un angolo buio intravide una sagoma. Qualcuno era stato là per tutto il tempo senza che loro se ne accorgessero? «Bloccate pure la porta della mia biblioteca per impedirmi l'accesso. Quello che non sapete e che io conosco più di un modo per entrare in ciascuna stanza del mio castello.» La figura avanzò nella sala. Un pannello ornamentale si richiuse con uno scatto alle sue spalle, indicando il passaggio segreto. Kit provò un fugace sollievo al pensiero che l'uomo fosse appena entrato, ma la sua compagna era terribilmente intempestiva e le parole del padrone di casa lo costrinsero a ragionare febbrilmente. «Milord» disse con un inchino. «Potete chiamarmi Vostra Maestà, poiché almeno per questa sera sono Re Enrico» dichiarò il Conte di Cheswick con un regale cenno del capo. Indossava un'enorme tunica porpora bordata di pelliccia, portava in testa una corona, presumibilmente non di oro massiccio, e lo osservava con sospetto. «E voi chi sareste?» «Sono un semplice domino, Vostra Maestà» disse Hero con voce profonda. «E lui è Arlecchino.» Il conte scoppiò a ridere mentre si spostava verso la luce. «Mia cara fanciulla, vi assicuro che so distinguere tra un uomo e una donna» ribatte', agitando lo scettro che teneva in mano intanto che li osservava attentamente. «Una coppia davvero deliziosa, devo riconoscerlo.» «Siamo fratelli.» «Siamo sposati.» Hero e Kit avevano parlato simultaneamente e non c'era modo di correggersi, soprattutto davanti all'espressione divertita del Conte. Almeno non aveva chiamato a gran voce un paio di valletti robusti per farli sbattere fuori di peso da casa sua. «Molto interessante» ripeté sottovoce il conte. Si avvicinò ancora di più e sollevò il monocolo per esaminare Kit dalla testa ai piedi. Quando il suo sguardo insistette sulla stella rossa che sembrava collocata di proposito per attirare l'attenzione su una certa parte del corpo, Kit corrugo' la fronte. Il Conte lasciò ricadere la lente e sbuffo'. «Viene da domandarsi come mai un uomo che non sembra smanioso di richiamare l'attenzione indossi un costume come questo.» «È colpa mia» intervenne Hero. «L'ho scelto senza rendermi conto che sarebbe stato troppo piccolo per lui.»

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Capitolo 19
*** 19 Capitolo ***


Il Conte rivolse il monocolo verso di Hero. «Una moglie non dovrebbe commettere certi errori di valutazione» commento' ironico. Kit gemette. «Avete ragione, milord... Vostra Maestà» ammise Hero, fingendosi imbarazzata. «Noi siamo sposati, si, però con altre persone e sono stata io a suggerire di incontrarci qui per un appuntamento galante. Vi supplico di non divulgare il nostro segreto.» Evidentemente il Conte non era disposto a compromessi, poiché alzò una mano come per interromperla. «Dovreste fare di meglio, bambina. Ma, prima di tutto, lasciatemi dire che io adoro i balli in maschera... Li amo al punto che scelgo personalmente i costumi da far indossare ai miei ospiti. Potete immaginare come sono rimasto sorpreso vedendo due miei costumi preferiti indosso a degli sconosciuti.» Fece una pausa per guardare Kit. «Non mi sto lamentando, badate bene. Gli intrighi mi divertono moltissimo.» Hero fece un respiro profondo, come se stesse per fornirgli una nuova spiegazione, ma il Conte la fermò con un cenno. «Vorrei sentire che cos'ha da dire il nostro virile Arlecchino. E non cercate di farmi bere la storiella dell'incontro galante, perché quando sono entrato qui voi due non stavate certo amoreggiando.» Era giunto il momento di mettere le carte in tavola, stabilì Kit. Si girò verso il padrone di casa, la testa alta. «Stavamo cercando un libro» ammise. Alle sue spalle, Hero si lasciò sfuggire una sorta di lamento, ma lui non era il tipo da inventarsi chissà quali storie. «Un... libro?» gli fece eco il Conte, incredulo. «Venne affidato a un vostro antenato, Martin Cheswick, perché lo conservasse al sicuro» aggiunse Hero. Voleva far capire al Conte, senza girarci troppo attorno, che accampava dei diritti sul libro in questione. Il padrone di casa abbassò il monocolo con aria annoiata. «Sono deluso. Avevo sperato in qualcosa di più... interessante. Uno scandalo, una truffa, un menage a trois...»dichiarò poi, speranzoso. Kit scosse la testa. Con un sospiro, il Conte fece un gesto come per abbracciare l'intera biblioteca. «Ebbene, servitevi. Io non me ne faccio niente, anche se sono abbastanza graziosi da vedere. E poi, che altro potrei usare per riempire tutti questi scaffali, se non dei libri?» «Dalle vostre parole, deduco che non siate un collezionista» «Buon Dio, no!» Il Conte rabbrividi'.«I libri sono così vecchi e polverosi che mi deprimono. Però ho un costume da collezionista piuttosto divertente.» A quel punto, era chiaro che il Conte non aveva la minima idea di cosa contenesse la sua biblioteca e, nonostante la sua offerta generosa, Kit non ci faceva molto affidamento. Un uomo tanto volubile doveva andare soggetto a improvvisi capricci e prima che loro potessero portare a termine la ricerca avrebbe anche potuto buttarli fuori, o peggio, perché semplicemente aveva cambiato idea. «Sono catalogati?» gli chiese Hero, come se avesse avuto lo stesso pensiero di Kit. «Buon Dio, no!» esclamò il Conte di Cheswick. «Credo che mio padre avesse assunto un impiegato... un certo Richard Poynter, credo. Soldi buttati, ve lo dico io. E non ho affatto intenzione di sprecare del denaro buono per uno scopo che non lo è.» Si guardò intorno. «Non mi interessa il contenuto di questa sala, mi basta che abbia un bell'aspetto. Anzi, credo addirittura che l'architetto abbia fatto realizzare secondo le proprie indicazioni parecchi volumi con le pagine del tutto bianche. Non avevo nessuna voglia di conservare quegli orribili, puzzolenti, ammuffiti libri di mio padre. Ecco perché li ho venduti tutti.» «Avete venduto la collezione di famiglia?» trasecolo' Hero. «E perché no?» Per il Conte, si trattava evidentemente di un argomento poco interessante. «Non significavano niente per me.» Kit comprese che quella conversazione lo stava annoiando e si affretto' a porgli la domanda più importante. «È stata fatta una vendita all'asta? Avete tenuto un registro dei compratori?» «Non ho bisogno di un registro» replicò il Conte. «Posso dirvi anche subito dove sono finiti i libri. Li abbiamo suddivisi in quattro lotti. Semplice, no? E li ho venduti soltanto a coloro, tra le mie conoscenze, che vanno pazzi per quella roba.» Fece una pausa, come se fosse orgoglioso del proprio acume. «I classici greci sono andati al Duca di Devonshire e, aggiungo, per una somma quasi ridicola. Quelli latini li ho dati a Chauncey Jamison, un tipo abbastanza a posto che conosco dai tempi della scuola. Pare che si sia iscritto alla società dei collezionisti di libri antichi e che ora si faccia passare per uno studioso» spiegò, concludendo con una risata beffarda. «E il resto?» si informò Hero. «I libri in francese li ho venduti a Claude Guerrier, come si fa chiamare dopo la precipitosa fuga dal suo paese, e quelli in inglese a Marcus Featherstone.» «In pratica li avete suddivisi in base alla lingua del testo?» Gli domandò Kit, cercando di non lasciar trapelare la propria sorpresa. Il padrone di casa fece un regalo cenno di assenso; era estremamente compiaciuto della propria intelligenza. «Una vendita all'asta sarebbe stata una noia mortale, con disordine dappertutto e tempo perso su ogni singolo volume.» «Io avevo pensato...» cominciò a dire Hero, ma poi si interruppe come se avesse avuto un ripensamento. «Avevo sentito dire che uno dei lotti era andato ad Augustus Raven.» «Quel pesce lesso? Oh, niente affatto!» protesto' Cheswick. «Raven non ha un minimo di gusto. Avete visto quella casa mostruosa che si è fatto costruire, Raven Hill? Lungi da me i fanatici del gotico!» concluse con un brivido plateale. «Vi sono molto grato dell'aiuto... Vostra Maestà» si affretto' a dire Kit prima che Hero potesse tradire la propria identità. «Abbiamo approfittato fin troppo del vostro prezioso tempo. Gli ospiti vi staranno aspettando.» «Si, dobbiamo proprio andare» aggiunse Hero, cogliendo al volo il suggerimento di Kit. «Niente affatto! Dovete assolutamente restare. Come sovrano di tutto il paese, ve lo ordino. E a voi, mio misterioso Arlecchino, concedo l'onore di un'udienza privata» dichiarò il Conte, fissando Kit. «Forse vi farà piacere togliervi quel costume così attillato. Sono preoccupato per voi, lo ammetto. Costrizione del sangue... Non vogliamo che subiate qualche danno.» «Vi ringrazio, Vostra Maestà, ma temo di non poter lasciare sola mia... sorella.» «Peccato» sospirò il padrone di casa, scrutandoli attraverso il monocolo. Sebbene non si sentisse minacciato, Kit era consapevole del tempo che lui ed Hero avevano trascorso nella biblioteca da intrusi. Chi poteva sapere che cosa li aspettava là fuori? Hero era già davanti all'uscita e, quando spostò la sedia, la porta si spalanco'. «Milord, state bene?» Un uomo entrò di corsa, affannato. Kit non avrebbe saputo dire se fosse il maggiordomo o se il suo fosse un semplice travestimento, e non aveva intenzione di trattenersi ancora lì per scoprirlo. «Certo che sto bene» rispose il Conte, brandendo lo scettro. «Stavo intrattenendo i miei nuovi sudditi.» Ma Hero era già uscita e Kit si affretto' a seguirla. Attraversarono a passo spedito la folla, sperando di confondesi in mezzo alle maschere prima che il Conte ordinasse ai valletti di bloccarli. Dopo un poco, non udendo alcun grido dietro di loro, rallentarono il passo per evitare di attirare l'attenzione. Si diressero verso le portefinestre affacciate sul giardino, dove fecero una breve sosta per essere sicuri di potersi allontanare inosservati. Pochi istanti dopo respiravano a pieni polmoni l'aria notturna. Kit sbatte' le palpebre per adattare gli occhi all'oscurità, un sollievo dopo essere stati nelle sale illuminate ed eccessivamente dense di profumi e odori. Nessuno fece caso a loro mentre attraversavano il prato tenendosi a distanza dalle scuderie affollate di cocchieri. Il piccolo capanno sembrava un porto sicuro, eppure Kit si avvicinò furtivamente e spinse cauto la porta, per timore che qualcuno fosse lì in agguato.

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Capitolo 20
*** 20 Capitolo ***


L'interno del capanno era buio e silenzioso, come quando erano usciti. Per guadagnare tempo, indossò i propri vestiti sopra il costume. Stavolta non diede importanza al fatto di essere solo lì dentro con la sua compagna e non bado' neanche ai calzoni infilati alla rovescia, tanto era ansioso di allontanarsi da Cheswick. Hero, che si era tolta soltanto il domino, era già pronta e stava aspettando in silenzio, mentre Kit era alle prese con la giacca aderente, quando udirono delle voci. Lui non ebbe bisogno di sentire la mano di Hero sul braccio per restare immobile. Con una manica infilata e l'altra no, trattenne il respiro. «Non sono qui, date retta a me.» Non fu tanto la voce dell'uomo, quanto le parole che aveva pronunciato a raggelare Kit, che tese l'orecchio. «E come fate a saperlo, visto che sono tutti mascherati?» Domandò una seconda voce. I due stavano camminando, infatti Kit udì lo scricchiolio dei passi sulla ghiaia che si avvicinavano e si irrigidi'. Se degli uomini perlustravano gli edifici di servizio cercando Miss Ingram, lui non sarebbe stato di nessuna utilità con la giacca infilata a metà. «Perché ho parlato con i domestici, ecco come lo so. Tutti gli ospiti compaiono nella lista degli invitati.» «E quelli che non soggiorneranno al castello?» Indago' la seconda voce. Stavano rallentando? Kit incurvo' le dita, stringendo la mano a pugno. «Ho parlato con ciascun cocchiere. Non penserete che siano arrivati a cavallo o guidando loro stessi una carrozza?» Il tono era beffardo e Kit sentì l'imprecazione del secondo uomo prima che i due riprendessero a camminare. «Niente è impossibile. Quei due sono capaci di qualsiasi cosa. Non hanno forse cavalcato fino...» Nonostante trattenesse il fiato, Kit non riuscì a sentire il resto della frase, e non osava neppure accostare l'orecchio alla parete del capanno, nel timore di urtare qualcosa al buio, richiamando l'attenzione dei due uomini. Continuò ad aspettare, teso come una corda di violino, ma alla fine le voci e i passi si allontanarono e svanirono. Quando Hero tolse la mano dal suo braccio, Kit si infilò l'altra manica e andò a socchiudere la porta. La notte era buia e silenziosa e lui non distinse altre presenze umane nei dintorni del capanno. «Laggiù! Verso le scuderie» bisbiglio' Hero, di fianco a lui. Kit guardò in quella direzione e vide due uomini che si avvicinavano all'edificio di legno, nei pressi del quale si distinguevano cocchieri, garzoni e altri servi. Non poteva essere certo che i due individui che Hero aveva notato nel cortile della locanda fossero gli stessi che avevano appena sentito parlare. Tuttavia Kit capì subito perché lei glieli avesse indicati. Anche con quella luce fioca, le livree che indossavano erano chiaramente identificabili. Kit avrebbe riconosciuto ovunque le insegne familiari del Duca di Montford. Il senso di esaltazione che Kit aveva provato riuscendo a fuggire indenne dalla biblioteca ebbe vita breve. Infatti, bastarono la strana conversazione udita al capanno e la preoccupazione di Hero riguardo ai due uomini in livrea per cancellarlo. Lei non sarebbe neppure voluta tornare alla locanda, ma Kit la convinse che avevano bisogno di recuperare il loro bagaglio e di far riposare i cavalli. Era troppo tardi per partire per Londra e troppo freddo per passare la notte all'addiaccio. E nonostante Hero sostenesse che era perfettamente sveglia, Kit non voleva che cadesse da cavallo lungo la strada buia per una distrazione dovuta alla mancanza di sonno. Avevano bisogno entrambi di un bel fuoco, di cibo e di riposo. A quell'ora non c'era nessuno per la strada e Kit arrivò alla locanda ragionevolmente sicuro che nessuno li avesse seguiti. Dopo aver svegliato un ragazzino assonnato perché si occupasse dei cavalli, ispeziono' il cortile e l'area circostante, ma non vide nessuna figura minacciosa acquattata fra le ombre. Anche la sala era tranquilla, solo pochi viaggiatori e qualche avventore del luogo che gustavano l'ultima birra prima di andare a dormire. Tuttavia, appena furono nella loro stanza, Hero si apposto' davanti alla finestra come se avesse intenzione di stare di vedetta tutta la notte. «Non sappiamo se quegli uomini stessero cercando proprio noi» le fece notare Kit. Il viso di lei era in ombra quando si voltò a guardarlo. «Allora chi è che ci dà la caccia?» Neppure lui lo sapeva con certezza, però dubitava che dietro quella storia ci fosse davvero il Duca di Montford. Solo che Hero sembrava così sicura che le lanciò un'occhiata interrogativa. «Credete che lo sappia?» gli chiese lei, come se fosse sorpresa. Kit si strinse nelle spalle. Anche se non le aveva mosso alcuna accusa, perfino il più sprovveduto degli uomini si sarebbe posto delle domande riguardo alla sua compagna, che si era dimostrata un'autentica esperta in fatto di macchinazioni. «Voi pensate che tutto questo faccia parte di un "mio" piano?» Il tono di Hero era aspro. Ma Kit non si lasciò intimidire dalla sua collera, sempre che fosse quella l'emozione che la turbava. «Mettiamola così... Se sapete qualcosa che potrebbe esserci di aiuto, ora è il momento giusto per dirmelo.» «Potrei porvi la stessa domanda.» Kit soffoco' una risata. «Non vi fidate di me?» «Dovrei?» Lui sbuffo' «Allora siamo a un punto morto.» Eppure, per qualche oscuro motivo non gli sembrava che fosse così. La loro schermaglia aveva ottenuto l'effetto di far salire la tensione tra di loro, e Kit fu pervaso da un desiderio così prepotente che gli parve di non riuscire a contenerlo. Rimase immobile. Sarebbe bastato un solo movimento e lui avrebbe attraversato la stanza, l'avrebbe presa tra le braccia e avrebbe ripreso dal punto in cui erano stati interrotti in biblioteca. Come se avesse intuito la direzione dei suoi pensieri, Hero trattenne il respiro e si voltò di nuovo verso la finestra. Quando riprese a parlare, lo fece da sopra la spalla e con un tono talmente distante che sembrò erigere un'ulteriore barriera tra di loro, oltre a quella costituita dalla sua schiena «Non potete negare che gli uomini del Duca fossero a Cheswick, esattamente come erano alla prima locanda dove abbiamo pernottato.» Questa volta la freddezza di lei prevalse e Kit ne fu grato, nonostante tutti i suoi sensi urlassero per protesta. Si passò una mano tra i capelli e ignoro' le richieste del proprio corpo, concentrandosi sui pensieri. «Non possiamo sapere se quei due uomini stessero parlando di noi» le disse. «E se fossero gli stessi due che avevamo visto con indosso la livrea del Duca. Non sappiamo neppure se fossero davvero uomini del Duca. E se avessero indossato dei costumi?» «Di sicuro gli ospiti del Conte non andavano in giro per le scuderie» gli fece notare Hero. «E quei due erano gli stessi della locanda. La livrea era identica.» «Può darsi. Ma il Duca potrebbe essere stato invitato al ballo in maschera di Cheswick.» concesse Kit. «Non credo nelle coincidenze» obbietto' Hero. Neppure lui ci credeva più, però non sapeva quale significato attribuire a quegli incontri. «D'accordo. Supponiamo che quei due siano i nostri inseguitori. Perché mai il Duca di Montford dovrebbe incaricare un paio dei suoi scagnozzi di rapirvi? Lo conoscete?» «Di fama. È noto come collezionista, quindi presumo che sia anche lui un bibliomane disposto a tutto pur di ottenere un prezioso tesoro su cui ha messo gli occhi.» Hero si voltò e guardò Kit negli occhi. «E questo rende ancora più indispensabile che troviamo il Mallory.» Kit scosse la testa. La cocciutaggine di quella donna lo esasperava. Un conto era fare tappa a Cheswick mentre erano in viaggio per Londra, un altro proseguire la folle ricerca di qualcosa che probabilmente non esisteva neppure. «Mi è già successo di trovare un ago in un pagliaio» dichiarò Hero come se gli avesse letto nel pensiero. Kit non ne dubitava. «Ma questa è una faccenda diversa, a meno che non sia vostra abitudine vagare per l'Inghilterra insieme a un uomo a voi, del tutto sconosciuto.» osservò lui.

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Capitolo 21
*** 21 Capitolo ***


«Certo che no. Non è mia abitudine viaggiare con sconosciuti» ribatte' Hero. «Bene. In tal caso, più portiamo avanti questa messinscena, più la vostra scomparsa solleverà un polverone.» «Forse» ammise Hero. «O forse no» «Il vostro chaperon è scomparso, è stato emesso un ordine di cattura nei miei confronti e voi non credete che vostro zio si preoccuperà e denuncerà la vostra sparizione?» «Non mi aspetta di ritorno tanto presto, quindi, a meno che qualcuno non lo tenga informato sugli ultimi avvenimenti, Raven non perderà tempo a pensare a me» gli spiegò lei. «E anche se dovesse accorgersi che la mia situazione è cambiata, si guarderà bene dal sollevare un polverone. L'unica sua preoccupazione sono le nuove acquisizioni e non gli interessa dove mi trovo o cosa faccio, ma solo che la mia ricerca abbia successo.» Kit cercò di assimilare quella spavalda dichiarazione e le sue implicazioni. Non tutti avevano avuto il privilegio di essere allevati ed educati come lui e Sydony. In un mondo dove esisteva la compravendita dei bambini poveri e perfino i rampolli reali venivano promessi dalla nascita a dei perfetti sconosciuti senza la minima considerazione dei loro desideri, la situazione di Hero non era certo anomala. Eppure lui si sentiva sconvolto e oltraggiato. Se Augustus Raven si occupava così poco della nipote, lui che cos'avrebbe dovuto fare? Nonostante avesse cercato di non lasciar trapelare le proprie emozioni, Hero doveva aver intuito qualcosa, poiché si rimise a guardare fuori. E, quando parlò di nuovo, il suo tono gli disse che l'argomento era chiuso. «Quello che dobbiamo fare adesso è cercare il lotto di libri in lingua inglese che Cheswick ha venduto a Marcus Featherstone.» Kit gemette. «Almeno lo conoscete?» «Di fama. Un altro collezionista, naturalmente. Ha una residenza a Londra.» «Ma se tutti i libri in inglese sono stati venduti a lui, come ha fatto vostro zio a entrare in possesso di quel frammento di lettera?» Hero si limitò a scrollare le spalle. «Può darsi che in un secondo tempo Featherstone abbia venduto il volume o che l'abbia perso al gioco. È un giocatore incallito.» Oppure, data l'opinione sempre più bassa che Kit aveva di Augustus Raven, c'erano anche altre possibilità. Un uomo che non si prendeva cura di sua nipote poteva benissimo non avere scrupoli nel condurre i propri affari con altre persone. Aveva rubato il frammento di lettera? Di colpo, la prospettiva di continuare la loro ricerca non gli sembrò più così folle. Almeno lui avrebbe potuto continuare a proteggere Hero da chi si serviva senza scrupoli di lei, mettendola in pericolo. «D'accordo» disse. «È meglio che dormiamo, adesso, se vogliano andare a cercare Featherstone a Londra. Però adesso basta travestimenti, per favore.» Le labbra di Hero si incurvarono appena. Sollievo o divertimento?, si domando' Kit. «Mi dispiace» si scuso' lei. «Non sono abituata a lavorare con altre persone.» Kit non fece commenti sull'uso del verbo "lavorare". Del resto confermava l'opinione che si era formato su Augustus Raven. «Molto bene. Allora stringiamo un'alleanza.» Le sopracciglia delicate si abbassarono, come se lo stesse studiando con più attenzione del solito. «Mi rendo conto che voi potreste essere d'aiuto a me. Però non vedo in che modo la nostra alleanza potrebbe essere utile a voi.» Kit sorrise. «Ve l'ho detto. Sono un gentiluomo.» La spiegazione non la soddisfece particolarmente, ma lui non avrebbe saputo cos'altro dirle. Evidentemente Hero riteneva che lui avesse altre ragioni per restare al suo fianco, ed era vero, ma in quel momento non intendeva confessarglielo. E se a quel punto non l'aveva ancora convinta della propria sincerità, non avrebbe saputo come farlo altrimenti. Cominciò allora a pensare all'indomani, mentre si sdraiava su uno dei due letti gemelli, grato per quel morbido giaciglio dopo la scomodità delle ultime notti. Cercando di non ascoltare i movimenti di Hero, si concentrò sul tragitto migliore da percorrere per non attirare l'attenzione dei loro inseguitori, di chiunque si trattasse. L'incertezza era frustrante, e Kit ebbe la sensazione che lui e Hero stessero brancolando nel buio senza sapere che cosa ci fosse davanti e dietro di loro. Tagliato fuori da qualsiasi fonte di informazioni, non sapeva se la voce del suo mandato di cattura si fosse sparsa o se il mandato fosse stato ritirato senza troppo clamore, rimanendo una faccenda circoscritta. Inoltre, nonostante le affermazioni di Hero, Raven poteva aver dato l'allarme quando lei era scomparsa. Per strada Kit non aveva visto dei manifesti con le loro facce, tuttavia non aveva la minima voglia di essere caricato su un carro e portato in prigione da qualche ceffo con lo sguardo troppo acuto che si guadagnava da vivere dando la caccia ai ricercati. Per avere notizie avrebbe dovuto mettersi in contatto con qualche suo conoscente, qualcuno di cui si fidava, e la cosa sarebbe stata comunque pericolosa. Certo, era tentato di rivolgersi al suo vecchio amico Barto, un aristocratico carico di denaro e di risorse che avrebbe potuto facilmente aiutarlo. Kit ed Hero avrebbero potuto oziare tranquillamente ad Hawthorne Park mentre la faccenda veniva risolta da altri. Ma come avrebbe fatto a convincere Hero, che già dubitava di lui, ad abbandonare la ricerca a cui teneva tanto? E nonostante Kit morisse dalla voglia di convocare una seduta dei cavalieri della tavola rotonda - lui, Syd e Barto - come quando era un ragazzo, che cosa avrebbe potuto raccontare al vecchio amico, in particolare riguardo a Hero? Lui e la sorella gli avrebbero fatto un sacco di domande alle quali non poteva rispondere. E, nonostante i sentimenti che provava per Hero, Kit non era del tutto sicuro che non fosse coinvolta fino al collo in qualche colossale raggiro. Era così che voleva presentarla a sua sorella e al futuro cognato? Indipendentemente da quale fosse la verità, Kit non voleva che si facessero una cattiva opinione di Hero. Dopotutto, cercò di convincersi, Syd e Barto dovevano essere molto presi dai preparativi del matrimonio e lui non voleva turbare quel momento felice che i due fidanzati avevano dovuto differire tanto a lungo. Esclusa Hawthorne Park, dove si sarebbero potuti rifugiare? Aveva solo qualche parente alla lontana e i suoi amici vivevano tutti nei paraggi della tenuta di Barto. Corrugo' la fronte, riflettendo. Non potevano tornare a Oakfield, ma lungo la strada per Londra c'era un altro posto dove avrebbero potuto trovare delle risposte. «Hero?» sussurro'. Se stava già dormendo, non voleva svegliarla. «Che cosa c'è?» Il suo tono era cauto, quasi allarmato. Del resto, chi avrebbe potuto darle torto, dopo quello che era successo nella biblioteca di Cheswick? Fino a quel momento il loro era stato un rapporto incentrato sugli affari, mentre ora tutti i loro incontri erano permeati di reciproca consapevolezza. «Stavo pensando che potremmo fermarci a Piketon»Spiegò «Che cosa?» «È là che inizialmente il mio cocchiere e io avevamo deciso di incontrarci.» «Ma non avrebbe dovuto lasciare la carrozza a Burrel?» «Hob voleva che ci trovassimo a Piketon, dove avremmo potuto scambiarci le carrozze, ma a me non andava di concludere così presto la nostra commedia. Non che abbia avuto importanza» soggiunse lui in tono mesto. «Tuttavia, se qualcosa è andato storto nel nostro piano o se lui è tornato a Oakfield e ha trovato la casa sottosopra, potrebbe aver deciso di recarsi a Piketon sperando di mettersi in contatto con noi.» Kit fece una pausa e guardò verso l'altro letto, ma era troppo buio e non vide niente. «Hob è più di un semplice cocchiere.» «Così come voi siete più di un semplice agricoltore.» L'affermazione di Hero aveva tutto il tono di un'accusa e Kit sbuffo'. «Magari. Almeno sarei riuscito a impedire il rapimento di mia sorella.» «Che cos'è successo?» chiese lei sottovoce. Nel silenzio che seguì, Kit udì uno scricchiolio nella stanza accanto e alzò la testa.

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Capitolo 22
*** 22 Capitolo ***


Una volta tanto, era Kit a non aver voglia di intavolare una conversazione così personale, eppure in qualche modo le parole cominciarono a traboccare dalle labbra. «Cominciò tutto con la morte di nostro padre. Lui e il nostro vicino, il Visconte Hawthorne, rimasero uccisi in un incidente di carrozza. Successivamente scoprimmo che si era trattato di un sabotaggio, perché papà aveva ricevuto diverse casse di libri che gli erano stati spediti dalla mia prozia e fra questi c'era il Mallory.» Kit la sentì trattenere il fiato, ma siccome Hero non disse nulla, proseguì. «Papà non era al corrente del suo valore per certe canaglie, e l'aveva offerto al visconte sapendo che era membro di una moderna società druidica, più che altro un pretesto per dei rappresentanti dell'aristocrazia terriera di radunarsi per organizzare delle iniziative benefiche. C'era però una seconda società druidica, guidata da un individuo di nome Malet, non altrettanto innocua. Malet era già stato a Oakfield a cercare il Mallory e i suoi metodi di ricerca, che comprendevano delle incursioni notturne nel labirinto che si trovava dietro casa, avevano fatto impazzire la mia prozia. Naturalmente noi non sapevamo niente di tutto questo. La prozia morì qualche tempo prima di papà e io ereditai Oakfield.» Fece una smorfia ricordando la gioia provata nell'apprendere di essere diventato un proprietario terriero. «Fin dal momento del nostro arrivo a Oakfield Manor si verificarono degli avvenimenti strani, ma io ignorai i timori di Sydony. Grazie al cielo Barto non fu altrettanto cieco ed è solo grazie a lui se Syd e ancora viva.» «Non vi ci vedo a comportarvi in modo ottuso e sconsiderato» obietto' Hero. «Be', alla fine le credetti, quando anche Barto ci mise a parte dei suoi sospetti» disse Kit, non troppo orgoglioso della parte che aveva avuto in quella drammatica vicenda. «E che cosa accadde?» «Malet ci prese uno alla volta. Sapeva che nessuno dei domestici di Oakfield sarebbe rimasto in casa per le celebrazioni di Samhain e, da parte mia, io feci ben poco per trattenerli. Coloro che restarono furono messi fuori combattimento con del sidro drogato che Malet aveva fatto consegnare a Oakfield. Barto mi trovò lungo la strada, addormentato in un fosso.» «Se il vostro amico Barto è stato così astuto, come mai non ha impedito a chi si trovava a Oakfield di bere il sidro?» Kit fece una pausa. Non aveva mai chiesto al suo amico dove si trovasse la sera della tragedia. «Non era a casa.» «Forse fu semplicemente più fortunato di voi.» «Forse.» Eppure Kit non ce lo vedeva proprio Barto a tracannare del sidro fatto in casa, neanche se fosse stato a Oakfield. Perché era troppo intelligente per farlo. Più cauto. Più vigile. Kit si sentì riprendere dalla rabbia e dalla frustrazione di quel giorno. «O forse erano stati i suoi sospetti a renderlo più prudente e non vi aveva messo al corrente delle informazioni in suo possesso e delle conclusioni che ne aveva tratto» osservò Hero. Aveva ragione, tuttavia Kit avrebbe dovuto prestare maggior attenzione a ciò che avveniva intorno a lui. «E così Barto salvò vostra sorella?» «No. Si.» rispose Kit. «Mentre noi tornavamo a Oakfield a spron battuto, Syd, che era stata catturata da quei pazzi fanatici, riuscì ad appiccare il fuoco alla quercia secolare che sorgeva al centro del labirinto. Da lì l'incendio si propago' alle scuderie.» «Si direbbe una donna piena di risorse... che si è salvata da sola.» «Se io le avessi creduto fin dall'inizio, mia sorella non sarebbe stata là, spaventata a morte da druidi incappucciati che volevano usarla come vittima sacrificale» Kit aveva la gola serrata per il rimorso. «Che cosa ne fu dei druidi?» «Credevamo che fossero rimasti tutti uccisi nell'incendio, ma ora non ne sono più tanto sicuro.» Quella ammissione era anche un modo per ricordare a se stesso la necessità di stare in allerta, se voleva proteggere Hero da quei criminali, e anche per redimersi, almeno ai propri occhi. «State prendendo su di voi il biasimo che invece deve ricadere sui veri responsabili» disse Hero. Una sorta di assoluzione impartita nel suo solito modo sbrigativo. «La vostra rabbia si è incancrenita, forse perché non siete riuscito ad affrontare personalmente gli uomini che hanno fatto questo alla vostra famiglia.» Probabilmente aveva ragione, ma a che cosa serviva rendersene conto? Kit non poteva certo resuscitare Malet dal regno dei morti. «Magari non avrete mai occasione di affrontarli» soggiunse Hero, intuendo i suoi pensieri. «Potreste accontentarvi di occuparvi dei nostri inseguitori.» Kit increspo' le labbra alla prospettiva di quella sorta di risarcimento. Oh, sì, se lo sarebbe concesso, se soltanto avesse potuto mettere le mani addosso a quei furfanti! Via via che si avvicinavano a Piketon, Hero si guardava attorno alla ricerca di indizi insoliti. La cittadina sorgeva lungo la strada per Londra, eppure l'idea di dover deviare dal proprio obiettivo non le piaceva e la rendeva diffidente. C'erano troppe variabili e troppe sorprese in agguato. Dato che non era ancora pronta a separarsi da Kit né a rinunciare alla sua compagnia, non aveva potuto rifiutare di fare tappa a Piketon. Le strade presentavano troppi pericoli per un ragazzo che viaggiava da solo e, pur possedendo delle capacità ignote alla maggioranza delle donne, Hero era troppo intelligente per sopravvalutarsi. D'altra parte non poteva neppure ingannare se stessa, ammise tra sé e sé con amarezza. Poteva cercare ogni pretesto possibile, ma in realtà voleva restare con Kit Marchant perché non sopportava il pensiero di non vederlo più. Lui era pericoloso, esattamente come Hero aveva temuto fin dall'inizio, perché esercitava su di lei un potere che Raven, per esempio, non aveva mai avuto. Arrossi al ricordo dell'episodio che più di ogni altro avrebbe voluto dimenticare: la biblioteca di Cheswick, Kit sdraiato su di lei, la bocca premuta sulla sua. L'aveva colta di sorpresa e lei non si era ribellata, come se fosse stata vittima di un incantesimo, sopraffatta da quelle sensazioni inaspettate, l'innata prudenza dimenticata nel delirio del momento. Se quello fosse stato l'unico effetto che le faceva, Hero avrebbe potuto liquidare l'incidente come una momentanea debolezza femminile. Tuttavia, Kit Marchant era insidioso, la stregava con il suo tocco gentile, il suo calore, il suo senso dell'umorismo... Tutto in lui la stregava. E niente sembrava avere il potere di turbarlo. In qualsiasi situazione, anche la più rischiosa, manteneva la calma e conservava la lucidità necessaria per decidere la mossa più adeguata, tutto forza e razionalità. Era un uomo così fuori dall'ordinario che le risultava facile considerarlo come colui che l'aveva salvata, e non solo dalla bufera, quando la ruota della sua carrozza si era rotta. Ma non avrebbe potuto cercare presso di lui un rifugio duraturo, lo sapeva. Raven non l'avrebbe permesso, naturalmente. E, cosa ancora più importanti, lei per prima non se lo sarebbe concessa. Nella sua situazione non avrebbe mai potuto stabilire una relazione con un uomo: il rischio sarebbe stato troppo grosso. Per tutti. Quando quel pensiero minacciò di sopraffarla, Hero si disse che Kit Marchant non poteva essere ciò che sosteneva. Nessuno l'avrebbe aiutata a meno che non avesse un motivo personale per farlo. Neppure un gentiluomo. Nonostante ciò... pensò a quello che le aveva raccontato la notte precedente, nell'intimità della stanza che avevano condiviso. Per un momento, nell'oscurità, le era sembrato di scorgere di nuovo l'uomo che aveva visto a Oakfield, pieno di dolore e di rabbia. E nonostante fosse animata dalle migliori intenzioni, ne era rimasta colpita. Senza dubbio era stato quello lo scopo di Kit. Hero aggrotto' le sopracciglia, confusa e incapace di liquidare i propri sospetti. Forse un'altra al posto suo avrebbe accettato l'aiuto di Kit Marchant e le sue spiegazioni senza porsi domande. Ma lei era stata allevata diversamente, addestrata per diventare una pedina sulla scacchiera di Raven. Gli intrighi dell'uomo avevano modificato a tal punto il suo modo di vedere le cose che, perfino in quel momento, lei si domandava quale parte avesse Raven in tutto quello che le stava accadendo. Hero scosse la testa. Non poteva fare altro che proseguire verso il suo obbiettivo e sperare di essere sulla strada giusta. Nient'altro aveva importanza, si ripeté. Eppure, quando Kit voltò la testa verso di lei, Hero sentì il cuore accelerare di colpo e il suo sguardo si posò sul bel viso dell'uomo con avidità. «Ecco, siamo arrivati» annunciò lui, indicando un alto edificio in mattoni davanti a loro. Su una grossa insegna c'era scritto il nome della locanda, The Crowned Head, e solo all'ultimo momento lei si ricordò di guardarsi attorno per verificare che non ci fosse qualcosa di sospetto. Era una locanda grande e questo significava che loro due avrebbero potuto confondersi in mezzo ai viaggiatori, ma anche altri avrebbero potuto farlo. Nel cortile, affidarono i cavalli a un ragazzo di stalla e si immersero nella moltitudine di stallieri, postiglioni, cocchieri e servi che si occupavano delle carrozze, dei cavalli e dei passeggeri. Lo sguardo di Hero passò da quella ressa al suo compagno. «Dov'è il vostro uomo?» gli domandò. Kit si strinse nelle spalle, anche se Hero dubitava che fosse indifferente come sembrava. «Daremo un'occhiata qui intorno.» Per quanto lei si sentisse abbastanza al sicuro travestita da ragazzo, non scordo' la prudenza, perché Kit era più alto e più muscoloso della media e chiunque fosse stato con lui sarebbe quindi stato scrutato con attenzione. «Che ne dite di separarci?» gli suggerì, ma si attirò un'occhiata cupa. Voleva proteggerla o le stava tendendo una trappola? Hero rallento' il passo, restando un po' indietro. Avevano quasi completato il giro del perimetro, quando Kit si fermò. «L'ho visto. Eccolo là, vicino alla porta della cucina.» Hero guardò in quella direzione e vide un uomo robusto, con il berretto calato sulla fronte, la schiena appoggiata contro il muro di mattoni. «Mi terrò a distanza» disse sottovoce a Kit. «È meglio che non mi veda vestita così.» Lui le rivolse un cenno di assenso ed Hero si diresse con indifferenza verso un carro che si stava fermando lì vicino. «Badero' io al vostro carro, signore» disse al carrettiere, tenendo la testa china. «Molly non ha bisogno di essere legata, ragazzo. Mi basta che teniate d'occhio il carico, che nessuno me lo rubi.» Rispose il contadino. Saltò a terra e scarico' una grossa cassa di mele che portò in cucina, passando accanto a Kit. Presa la briglia del cavallo, Hero tenne la testa voltata dall'altra parte mentre si avvicinava passo passo all'uomo che Kit le aveva indicato. Voleva ascoltare la conversazione tra lui e Kit senza farsi notare. E se quei due non avessero bisbigliato, da lì ci sarebbe riuscita. «State bene?» chiese l'uomo che Kit aveva chiamato Hob. «Sì. E voi?» Con la coda dell'occhio, Hero vide il cenno di assenso del domestico. «Ho lasciato la carrozza a Burrell» proseguì questi. «Là non c'era traccia dei due uomini, e ho cominciato a pensare che forse erano solo due ladruncoli che cercavano qualcosa da rubare.» Hob fece una pausa. «Poi sono tornato a Oakfield. Vi stanno cercando. C'è una taglia sulla vostra testa.» «Le autorità mi stanno ancora cercando per arrestarmi?» «Non lo so. Quando ho sentito dire che c'era un mandato di cattura a vostro nome, non sono certo rimasto lì a fare domande. Dopo aver mandato un messaggio a Sua Signoria il Visconte, ho deciso di venire qui. Non avrei saputo dove altro cercarvi.» «È chiaro che non si sono lasciati ingannare dallo scambio di carrozze.» «Infatti. E sembra che facciano proprio sul serio. E la giovane signora? Sta bene?» «È al sicuro» confermò Kit. «Ah, davvero? E dove sarebbe questo posto sicuro?» Udendo una nuova voce, Hero non si voltò, anzi, tenne la faccia ostinatamente rivolta verso terra. «Ehi, mettete via quella roba prima che qualcuno si faccia male» sbotto' Hob. Solo allora Hero arrischio' un'occhiata di sottecchi in direzione di Kit. Lui e Hob erano inchiodati contro il muro, affrontati da un uomo che le voltava le spalle. Evidentemente impugnava un'arma, pistola o coltello che fosse, con cui li teneva alla sua mercé, e lei sentì il cuore martellare con violenza nel petto. Le era già successo di essere minacciata, ma prima di conoscere Kit Marchant. In effetti, l'assalto alla carrozza sembrava risalire a chissà quanto tempo prima, a un passato nel quale lui - almeno lo sperava - non aveva avuto alcuna parte. Ora la vita di Kit era in pericolo a causa sua ed Hero si sentì colmare da un orrore che neppure i più perfidi artifici di Raven le avevano mai suscitato. Per un istante fu incapace di reagire e riuscì soltanto a guardare. «Ditemi dov'è la ragazza e nessuno si farà del male» intimo' l'uomo. Quelle parole le restituirono la capacità di reagire. Non poteva vederlo in faccia, ma aveva sentito il suo tono maligno, la falsità della sua promessa, e capiva che, assecondandolo, nessuno di loro tre sarebbe uscito indenne da quella situazione. «Se può aiutarvi a decidere, il mio amico è dall'altra parte del cortile, pronto a intervenire» soggiunse lo sconosciuto. «E siccome non si è ancora ripreso dalla caduta da cavallo, se fossi in voi non lo farei arrabbiare.» Hero si calo' ancora di più il berretto sull fronte prima di alzare gli occhi. Un uomo alto, con il cappello che gli nascondeva buona parte del viso, si stava avvicinando. Non aveva il tempo di estrarre la propria arma, inoltre carro e cavallo stavano tra lei e Kit. D'impulso, diede una pacca sulla groppa di Molly, che partì di gran carriera in direzione della porta. Kit e Hob balzarono di lato, mentre l'altro individuo, che evidentemente si sentiva al sicuro per la presenza del complice, fu colto di sorpresa. Il cavallo gli fece perdere l'equilibrio e Kit fece il resto, esibendo una tecnica di pugilato del genere che gli appassionati pagavano per vedere. Dopo un istante di rapita ammirazione per il suo talento, Hero riportò indietro carro e cavallo, posizionandoli tra la porta della cucina e il secondo uomo, che nel frattempo si era messo a correre. Una veloce spinta al carro lo spedì verso di lui. «Ehi, che cosa succede qui?» gridò il contadino, furioso, uscendo dalla cucina. «Quest'uomo è andato a sbattere contro il vostro carro! Esclamò Hero. Il contadino si sarebbe mostrato più comprensivo se l'uomo per terra si fosse scusato. Invece il furfante si rimise in piedi e, con uno spintone al contadino che si stava avvicinando, corse verso il compagno. Il padrone del carro non gradi' quel trattamento e l'abbranco', scatenando una zuffa in piena regola. Quando Hero raggiunse Kit, lui teneva stretto per il bavero il suo aggressore e cercava di ottenere delle risposte. Nonostante la sua insistenza, il farabutto scivolo' a terra, privo di conoscenza. Era l'occasione che lei aspettava. Hero si lanciò in avanti e afferrò il braccio di Kit. Lui si voltò di scatto, pronto a colpire, prima di riconoscerla. A quel punto richiamò Hob, ma un folto gruppo di uomini e giovani garzoni, usciti dalle scuderie per godersi la rissa, lo spinsero verso la porta. Hob gli fece segno di allontanarsi mentre indietreggiava, incolume, fino alla cucina. Hero tirò Kit per la manica, trascinandolo sotto il carro. Muovendosi carponi, uscirono dall'altra parte, schivarono la folla sempre più numerosa e corsero ai cavalli per filarsela.

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Capitolo 23
*** 23 Capitolo ***


Hero non conosceva Piketon, quindi fu costretta a seguire Kit, che fece un giro tortuoso per le strade della cittadina. Forse si orientava in base alla posizione del sole, perché presto lei si rese conto che stavano andando a nord, invece che a est. Doveva aver cambiato direzione per sfuggire ai loro inseguitori, che di sicuro, appena si fossero riavuti, avrebbero tenuto d'occhio la strada per la capitale. Una volta tanto a lei non importava dove la stesse portando. Era semplicemente contenta che fosse incolume, in sella al suo cavallo, una sagoma familiare a pochi passi di distanza. Nonostante avesse imparato da molto tempo a nascondere i propri timori, le mani le tremavano ancora dopo quello che era successo nel cortile della locanda. Fino a pochi giorni prima aveva avuto paura soltanto per se stessa, per la propria sicurezza, per la propria sanità mentale; aveva temuto di non essere capace di uscire da una situazione difficile o di portare a termine una missione. Quando aveva visto Kit in pericolo, Hero era stata sopraffatta da un panico del tutto sconosciuto. E che le restava ancora appiccicato, facendola sentire intirizzita e con lo stomaco stretto dalla nausea. Tenne lo sguardo fisso sulle spalle larghe dell'uomo, come temendo che potesse scomparire dalla sella. Dalla sua vita. Quando finalmente Kit abbandonò la strada maestra e devio' verso un piccolo corso d'acqua che scorreva lento, lei tirò un sospiro di sollievo. Smonto' in fretta, spinta dal bisogno impellente di toccare il suo compagno, come se sentire la forma solida sotto le mani potesse assicurarle che era incolume. Tuttavia, non sapendo come fare ad avvicinarsi, rimase dov'era, incerta, intanto che lui abbeverava i cavalli. I suoi gesti erano sicuri ed eleganti e lei sentì la gola serrata da un'emozione violenta. Eppure l'atteggiamento disinvolto di Kit Marchant non sembrava anticipare alcuna dichiarazione drammatica. Non che lei fosse abituata a farne... Hero preferì ricorrere a un commento meno personale. «Per essere... un proprietario terriero, tirate dei gran pugni» dichiarò. Ed era vero. Anche se lei era riuscita a vedere solo di sfuggita la scena, era sicura che pochi gentiluomini di campagna sarebbero stati in grado di trarsi di impaccio con tanta abilità. «Diciamo che conosco un poco il pugilato. Quel tanto che serve per difendersi da qualcuno che invece non lo conosce affatto» replicò Kit, sempre modesto. Voltò la testa e le sorrise. «Avevate ragione. Mi sento molto meglio adesso che ho preso a pugni uno di loro, anche se mi dispiace non avergli cavato qualche informazione, prima.» Hero avrebbe dovuto sentirsi gratificata dalla dichiarazione di Kit, ma la vista del sangue sulla sua bocca la sgomento'. «Siete ferito?» Lui si toccò le labbra con cautela. «C'era da aspettarselo, immagino, ma almeno quel tipo non mi ha fatto assaggiare la lama del pugnale che aveva in mano.» Hero sentì la terra ondeggiare sotto i piedi. Kit aveva corso un grave pericolo ed era rimasto ferito. Le era sempre apparso tanto capace che aveva finito per considerarlo invulnerabile; scoprire adesso che non lo era la colmo' di apprensione. «Non ditemi che l'imperturbabile Miss Ingram sviene alla vista del sangue» scherzo' lui. Hero, occupata a cercare un fazzoletto, scosse la testa. Non era il sangue che la metteva a disagio, bensì il fatto che appartenesse a Kit. Lui avrebbe potuto essere accoltellato, perfino ucciso, e questa eventualità la terrorizzava, serrandole la gola in una stretta spasmodica. Aveva allegramente viaggiato con quell'uomo, servendosi di lui come di un mezzo qualsiasi per raggiungere il proprio obiettivo. E aveva giustificato le proprie azioni con la convinzione che Kit la stesse usando nello stesso modo. D'un tratto, però, tutto questo non aveva più importanza. Contava soltanto che lui stesse bene. Hero immerse il fazzoletto nell'acqua fredda e andò verso di lui. Sollevò la mano per pulirgli la ferita, ma erano così vicini che il ricordo del loro bacio la travolse, minacciando il suo tenue equilibrio. Le dita tremanti scivolarono e il pollice gli sfiorò il labbro. Kit gemette, almeno così le parve. Gli aveva fatto male? All'improvviso lui le serro' il polso con dita forti ed Hero incontrò il suo sguardo tenebroso. Per un lungo istante rimase immobile, il polso impazzito sotto il suo tocco, prima che Kit la lasciasse andare. «Grazie per il vostro tempestivo intervento» disse roco. «Sono felici che non ve ne siate andata.» La credeva così senza cuore da lasciarlo in balia dei suoi aggressori? Hero era sgomenta. «Gli uomini non potevano sapere chi eravate, vestita da ragazzo. Avreste potuto benissimo allontanarvi, visto che cercavano proprio voi» proseguì lui. «Ma per quanto desiderassi che ve ne andaste sana e salva, mi chiedevo se sarei mai riuscito a ritrovarvi.» Nel silenzio che seguì quella confessione, Hero sentì il cuore che le martellava nel petto. La voce sorda di Kit le sembrava un'eco di ciò che provava lei, tanto che non riuscì a guardarlo negli occhi per timore che scoprisse i suoi pensieri. Rimase inchiodata dove si trovava, incapace di spostarsi, lottando contro il bisogno di toccarlo che stava rapidamente diventando una folle urgenza di gettarsi tra le sue braccia. E di restarci. Da quel desiderio non sarebbe potuto nascere niente di buono. Iniziare una relazione di qualsiasi genere sarebbe stato impossibile, a causa di ciò che lei era, delle sue origini e di quello che il futuro avrebbe potuto comportare. Quella terribile consapevolezza, finalmente, le diede la forza di voltarsi dall'altra parte. Tutto ciò che non gli aveva raccontato doveva restare segreto, per il bene di entrambi. Era ora di riprendere il viaggio e la ricerca, di tornare a una vita dove non c'era posto per uomini come Kit Marchant. Hero monto' a cavallo e vide che lui faceva altrettanto; apparentemente, l'interludio carico di emozione era già stato dimenticato. Eppure le tremavano le mani quando prese le redini, e lei si rese conto con sgomento che in realtà non sarebbe stato facile lasciarselo alle spalle. Quando cominciò a piovere, Kit si incupi'. Dopo diverse giornate di tempo buono, quel cambiamento non era certo inaspettato, però ciò non serviva a rendere più gradevole la pioggia fredda che penetrava sotto i vestiti. Hero rialzo' il bavero della sua giubba pesante e si calco' in testa un cappello a tesa larga al posto del solito berretto, tuttavia Kit non poté fare a meno di preoccuparsi per lei e, quando finalmente giunsero a una casa privata che era stata trasformata in locanda di campagna, lui era più che pronto a concludere la giornata davanti a un camino acceso. Purtroppo, non tutte le locande erano uguali. Certune servivano un vitto disgustoso, avevano dei proprietari insolenti e dei servi incapaci, in altre il servizio era inesistente e i prezzi esorbitanti. Altre ancora erano sporche e infestate da parassiti oppure fredde e umide, senza alcuna comodità. Kit avrebbe dovuto riconoscere il destino che li aspettava quando scoprì soltanto un magro focherello nella saletta privata dove venne servito loro un pasto a base di patate dure, montone poco cotto e vino annacquato. Mentre sorseggiavano la scoraggiante bevanda, lui cercò di non pensare a ciò che invece l'avrebbe aspettato a Oakfield: una cena semplice ma gustosa e un bagno caldo. Fu soprattutto l'ultimo pensiero che lo fece sospirare con la faccia sul piatto. «Che cosa vi prende?» domandò Hero. Kit scosse la testa. Miss Ingram doveva essere gelata fino alle ossa, ciononostante non si era lasciata sfuggire neanche un lamento. Con che coraggio lui avrebbe potuto esprimere le proprie lagnanze? «Vi sentite bene? Come va il labbro?» Era la preoccupazione per lui che le incupiva il viso? Kit sorrise tra sé e sé mentre si toccava il labbro con la punta delle dita. «È tutto a posto.» In effetti, stava davvero bene. Nonostante i disagi, si rese conto che la prostrazione che l'aveva oppresso dopo l'incendio a Oakfield era sparita, cancellata dal tempo, dai pugni che aveva dato al suo aggressore o dalla stessa Hero Ingram. Ora che si sentiva tornato quello di un tempo, Kit era pronto a vivere una vita meno eccitante. E la dimora che fino a una settimana prima gli era sembrata così tetra, ora gli pareva un rifugio sicuro, dove avrebbe potuto costruire la sua vita... se avesse avuto accanto a sé qualcuno come Hero. Quel pensiero lo indusse a concentrarsi di nuovo sulla sua compagna e Kit si acciglio' notando le macchie di umidità sulle maniche di lei. «Se avete finito, dovremmo fare qualcosa per i vostri vestiti» suggerì. Le parole gli uscirono dalle labbra con un tono diverso da quello che aveva in mente e Kit si affretto' a scostare la sedia e ad alzarsi in piedi per non affrontare la reazione di Hero. Andò verso la finestrella, che lasciava entrare le ultime luci del giorno, e vide che la pioggia continuava a cadere con insistenza. «Non voglio che vi buscate un malanno» spiegò. L'idea che lei potesse ammalarsi gli causò una fitta allo stomaco. «Sono robusta» replicò lei, cauta. Kit si voltò a guardarla. Certo, era di statura superiore alla media e sembrava capace di affrontare praticamente qualsiasi situazione, ma questo non voleva dire che fosse immune alle malattie che potevano colpire chiunque. «Forse dovremmo prendere una carrozza.» «Tutti sanno che chi viaggia sulle carrozze di posta rischia di morire di freddo» obietto' Hero, spavalda. «Quelli che stanno fuori dall'abitacolo, certo, ma io pensavo di noleggiare una carrozza solo per noi, così saremmo al riparo dalla pioggia.» «E i cavalli?» indago' Hero. «Non mi piace l'idea di dover dipingere da altri.» Kit si rabbuio'. In effetti, solo i due animali garantivano loro la possibilità di fuggire alla chetichella quando era necessario, e anche di occuparsi delle loro faccende senza che qualcuno si accorgesse di loro o di dove si trovavano, un dettaglio tutt'altro che trascurabili dopo l'incidente di Piketon. «D'accordo. Ma se il tempo dovesse peggiorare ancora faremo sosta da qualche parte» insistette lui. «Prima arriveremo a Londra, prima potremo trovare il Mallory e far perdere le tracce ai nostri inseguitori» gli fece notare Hero. Kit provò un moto di fastidio vedendola così ansiosa di concludere il loro viaggio, ma lo soffoco' con decisione. Ora aveva delle preoccupazioni ben più urgenti e c'era ancora una cosa a cui nessuno dei due aveva accennato. «Quei due, a Piketon, non portavano la livrea» le disse. Pur non avendo mai creduto che ci fosse una relazione tra i loro inseguitori e i domestici del Duca di Montford, doveva ammettere che almeno questi ultimi sarebbero stati riconoscibili. «Forse se le erano tolte per non essere riconosciuti» azzardo' Hero. Kit sbuffo', poco convinto. «O magari gli uomini in livrea ci stanno aspettando qui fuori.» Lui sarebbe scoppiato a ridere se Hero non avesse avuto un'aria tanto seria. Anzi, la sua espressione calma era così allarmante che le pose la domanda alla quale sapeva già che lei non avrebbe risposto. «Quanti sono esattamente i nostri inseguitori?» Hero inalo' l'odore di umidità che aleggiava nell'angusta camera da letto e fece un sospiro. Avevano chiesto due letti invece ce ne era solo uno e il fuoco che bruciava sulla piccola grata non riusciva certo a scaldare l'ambiente. Le era capitato di alloggiare in ostelli perfino più inospitali di quello, ma non molto spesso. Eppure non avevano avuto alternative, tranne che proseguire il cammino di notte, sotto la pioggia. Mentre Kit andava a chiamare una cameriera, Hero seguì il suo consiglio e indossò calze e calzoni asciutti. Non aveva una giubba di ricambio, perciò dovette accontentarsi di appendere la propria, fradicia, anche se l'umidità della stanza le faceva temere che durante la notte le loro giacche e i vari altri indumenti che si erano tolti si sarebbero asciugati ben poco. Aveva appena finito di rivestirsi quando Kit tornò con una ragazza dall'aria riottosa che, evidentemente, non aveva intenzione di darsi da fare. Teneva in mano un attizzatoio per il fuoco e lo usò per smuovere un poco le braci, ma accettò di aggiungere della legna solo quando Kit le promise del denaro. Purtroppo, l'umidità e il freddo erano tali che neppure le fiamme più vigorose riuscirono a scacciarli. In quella notte da lupi, Hero sarebbe stata giustificata se si fosse lasciata andare a un attacco di umor nero. Invece lei ebbe l'impressione che qualcosa di duro le si spezzasse dentro, liberandola dalla sua stretta. E neppure lo scomodo alloggio riuscì a cancellare la sensazione di leggerezza che per la prima volta le si allargava in petto. Erano vivi, stavano bene e, almeno per il momento, erano insieme, pensò lei. Guardò di sottecchi il suo compagno. Studiò la sua bocca, con il labbro inferiore spaccato. Moriva dalla voglia di toccarlo, invece si limitò ad aiutare Kit a levarsi la giacca. «Vi siete messa dei vestiti asciutti?» le domandò lui. Il suo modo di fare protettivo la riscaldo' più del fuoco del camino. Nessuno si era mai preoccupato del suo benessere e, pur non sapendo per quale motivo avesse deciso di aiutarla, lei si godeva quelle attenzioni. Hero fece un cenno di assenso e lui cominciò a frugare nel proprio bagaglio. «Allora è meglio che andiamo a dormire. Staremo più caldi sotto le coperte che qui e io non voglio che prendiate un raffreddore.» Senza chiedersi come mai gli interessasse tanto il suo benessere, Hero si rallegro' che lo facesse e scivolo' sotto le coperte cercando di non pensare alla pulizia del letto. Ah, che cosa avrebbe dato per un bagno caldo! Invece di raggomitolarsi come faceva sempre per prendere sonno, si girò a guardare Kit che, seduto sull'unica sedia, si stava togliendo gli stivali. Per educazione, avrebbe dovuto voltarsi dall'altra parte, ma dopo quello che era successo a Piketon le risultava difficile perderlo di vista, perfino quando erano soli come ora. Vederlo così, in maniche di camicia, la stoffa tesa sulle larghe spalle, le tolse il respiro. Sotto il suo sguardo, lui mise da parte gli stivali e si tolse le calze. Chissà perché, la vista dei suoi piedi nudi le fece balzare il cuore nel petto. Quando Kit ebbe infilato un paio di calze asciutte, Hero si domando' se si sarebbe cambiato anche i calzoni. E, pur arrossendo, non distolse gli occhi quando lui si voltò dall'altra parte.

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Capitolo 24
*** 24 Capitolo ***


Sotto i calzoni di pelle scamosciata, Kit indossava un corto indumento bianco che aderiva al suo fondoschiena e alle cosce muscolose e che venne subito coperto dai calzoni asciutti. Avevano sempre dormito vestiti ed Hero si chiese che cosa indossasse kit quando era solo. Camicia da notte? Niente di niente? Una risata isterica minacciò di proromperle dalla gola per quei dubbi che appena una settimana prima le sarebbero sembrati inconcepibili. Kit, che stava facendo il giro della stanza, forse alla ricerca di un'area asciutta di pavimento, doveva aver udito qualcosa perché si fermò di colpo. «Che cosa c'è?» le domandò. Senza riflettere sul pensiero impulsivo che le era venuto in mente, Hero scosto' le coperte. «Venite qui» lo invitò. «Come avete detto voi, questo è l'unico posto caldo.» Una volta tanto, il disinvolto Kit rimase sbalordito. «Non ce n'è bisogno. Starò benissimo davanti al fuoco.» Hero scosse la testa. «È l'unica soluzione accettabile, lo sapete anche voi» gli sussurro' seria. Lui la guardò negli occhi. Nei suoi scintillava una luce cupa e pericolosa. «Non credo che sia una buona idea dormire nello stesso letto.» Il suo tono basso e carico di promesse la fece rabbrividire. Quello era un terreno pericoloso. Non era il caso di incoraggiare l'intimità tra di loro, eppure non poteva lasciarlo morire di freddo su quel pavimento lurido. «Stare vicini potrebbe essere il solo modo per evitare di ammalarci. E poi non ci saranno problemi perché voi siete un gentiluomo, no?» Kit storse le labbra a quell'affermazione e subito si premette le dita sul labbro ferito con una smorfia. «Anche un gentiluomo ha dei limiti.» Hero rabbrividi' di nuovo per quella cupa ammissione. Nonostante fossero tutti e due completamente vestiti, la luce nello sguardo di Kit suggeriva qualcosa di molto intimo, casomai avesse deciso di raggiungerla sul letto. Per un istante lei desidero' offrirgli tutta se stessa senza negargli nulla. E poi? Ogni azione aveva delle conseguenze e solo la consapevolezza di quali avrebbero potuto essere le impedì di cedere alla tentazione che portava il nome di Kit Marchant. Soffoco' un gemito, si tirò le coperte sulla testa e giro' la faccia verso il muro, di colpo depressa. Subito dopo il materasso si abbassò e lei sentì un improvviso calore vicino ai piedi. Voltò un poco la testa per sbirciare con la coda dell'occhio e vide che Kit si era sistemato dall'altra parte del letto. Era seduto con la schiena appoggiata alla testiera, le lunghe gambe tese verso di lei e l'ultima coperta gettata su entrambi. «Ma così siete scomodo!» protesto' lei. «Sto bene» le assicurò lui. Hero avrebbe continuato a discutere, ma la vicinanza di Kit le trasmetteva un calore tanto piacevole che di colpo sentì che gli occhi le si chiudevano. «Parlatemi di vostro zio» le propose lui, la voce bassa nel buio. «Perché manda voi a comprare i libri che gli interessano? È così che riesce ad ampliare la raccolta?» «Lui non si allontana mai da Raven Hill» gli spiegò Hero. Come un ragno al centro della sua ragnatela, manda degli scagnozzi a eseguire i suoi ordini. «Legge i cataloghi delle aste e conosce tutti i librai, anche se secondo lui hanno dei prezzi imperdonabilmente alti. Quindi preferisce incaricare qualcuno di andare a rovistare nelle bancarelle e nei negozietti oscuri e poi valutare ciò che gli viene riferito.» «Non risparmierebbe tempo permettendo ai suoi incaricati di concludere direttamente le acquisizioni?» «Raven non si fida di nessuno.» «Di voi invece sì?» Hero si sarebbe stretta nelle spalle se non fosse stata schiacciata contro la sagoma solida di Kit. «Fino a un certo punto» borbotto'. Si occupava abbastanza spesso degli acquisti, ogni volta che Raven riteneva che il suo aspetto e i suoi modi seducenti potessero incantare qualche vecchio collezionista. E poi le ripeteva che lei era più scaltra di chiunque altro, anche se detto da Augustus Raven non era esattamente un complimento. Intelligenza e scaltrezza vincono sempre, ragazza mia, le ripeteva spesso. Tuttavia lui disponeva di molte altre risorse. «A volte manda mio... uhm... cugino, Erasmus Douthwaite Raven» gli rispose. Augustus Raven giudicava Erasmus troppo stupido e troppo ingordo per essere sicuro che non si lasciasse tentare dalla possibilità di ricavare una fetta per sé negli affari portati a termine per conto dello zio. E questo tratto non deponeva certo a favore di Erasmus. «Era destinato a diventare avvocato, anche se avrebbe preferito essere un ricco gentiluomo dedito esclusivamente ai propri svaghi, come Raven. Purtroppo per lui, non dispone dei mezzi necessari.» «E Raven come è entrato in possesso del suo patrimonio?» «Non lo so. Suppongo che l'abbia ereditato parecchi anni fa, prima di far costruire Raven Hill. Potrebbe aver venduto altre proprietà per poterselo permettere. Ha un uomo che segue i suoi affari, quindi immagino che possieda altri beni.» «Però spende tutto quello che ha in libri rari.» «Nel corso degli anni ha fatto eseguire molti lavori a Raven Hill.» Le cosiddette migliorie che rispecchiavano le fantasie di Raven. «Non ha ancora finito, ma il suo principale interesse ora sono i libri e altri oggetti che gli piace collezionare. È membro della società degli antiquari.» Non era diventato socio per scrivere saggi o assistere a conferenze, ma solo per esibire gli oggetti che possedeva e trovava il modo di assicurarsi quelli che desiderava. Il collezionismo era la malattia di Raven. A volte Hero pensava che lui la considerasse parte della sua collezione, un grazioso gingillo che valeva quanto il più comune degli oggetti in suo possesso. Quelle considerazioni le fecero corrugare la fronte ed Hero simulo' uno sbadiglio per chiudere la discussione. Purtroppo non riuscì a ritrovare il benessere di prima e il sonno le sfuggì a lungo. La conversazione con Kit aveva avuto un pessimo effetto sul suo umore, come se Raven, simile al corvo cui corrispondeva il suo nome, avesse spiegato le sue ali nere su di lei persino lì e allungasse le zampe predatrici per strapparla dal suo comodo nido. La mattina dopo Hero fu svegliata dal ticchettio della pioggia contro i vetri. Si raggomitolo' sotto le coperte e a poco a poco si rese conto che non era nella sua camera a Raven Hill. Là non dormiva mai così bene e a lungo, e non riusciva mai a scaldarsi del tutto. Il motivo della sua soddisfazione le divenne chiaro ben presto, poiché non appena aprì gli occhi Hero scoprì che era praticamente appiccicata a un grosso mucchio di coperte. No, emanavano un calore troppo intenso ed erano troppo solide per essere solo coperte. Lì sotto, da qualche parte, doveva esserci Kit. Con il cuore in gola, osservò la stanza. Durante la notte doveva essersi spostata dall'altra parte del letto alla ricerca del calore di Kit. Le coperte erano aggrovigliate ed Hero lottò per liberarsi. Alla luce del giorno, i rischi di condividere il letto con un uomo erano molto più evidenti che nella seducente oscurità della notte. Il pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere - con le sue abominevoli conseguenze - le tolse il respiro. Hero tirò con forza la coperta che la bloccava e sentì distintamente il rumore di uno strappo. L'istante successivo si trovò a fissare due occhi scuri e allarmati e sentì il peso del corpo di Kit sopra il proprio. «Che cosa diavolo...» mormorò lui. L'ultima cosa a cui riusciva a pensare mentre giaceva sotto il suo corpo caldo e muscoloso erano le spiegazioni da dargli, per cui si liberò meglio che poteva, cercando di non pensare all'aspetto di Kit, al suo profumo, alle sensazioni che le procurava averlo sopra di sé. Con una certa fatica si alzò in piedi e si strinse le braccia intorno alla vita come per difendersi dal potente fascino del suo compagno. «Io... io temo di avervi strappato la camicia» balbetto'. Una volta sicuro che nessuno li minacciasse dall'esterno, Kit si sollevò, appoggiandosi ai cuscini con un sorriso pigro sul bel viso. «Mi sono perso qualcosa?» «No!» Stava reagendo in modo esagerato, si ammoni' Hero, quindi cercò di riprendere il dominio di sé. Dov'era la sua cuffia? Cominciò a raccogliere i capelli con gesti concitati e li legò in un nodo stretto. «Abbiamo sprecato metà mattinata dormendo.» Quelle parole minacciarono di soffocarla. «Dovremo recuperare il tempo perso.» Una serie di rumori le disse che Kit si stava finalmente alzando. La giovane evito' accuratamente di guardare verso di lui. Si finse occupata a calzare gli stivali e a indossare gli indumenti maschili, nonostante vi si sentisse sempre più a disagio. «La mia camicia è a posto. Avete strappato la federa del cuscino» puntualizzo' Kit e lei trasse un sospiro di sollievo. Non voleva perdere tempo a cercare qualcuno disposto a rammentargli la camicia in quel posto orrendo, dato che le sue conoscenze di cucito erano praticamente nulle. Ora voleva soltanto uscire, allontanarsi dai confini soffocanti della stanza, ben sapendo che il pericolo non era relegato lì, bensì avrebbe viaggiato con lei, sempre presente, sempre tentatore... Si voltò per incitare Kit ad affrettarsi e lo vide in piedi, fermo, un'espressione pensierosa sul viso. «Che cosa c'è?» Hero non riusciva a intuire il suo stato d'animo. Kit, di solito così rilassato, appariva teso e a disagio. Lei si preparò al peggio. «Ho una proposta da farvi.» Hero sussulto'. Che cosa poteva mai significare? Kit stava finalmente per confessare il vero motivo per cui aveva deciso di accompagnarla nella sua ricerca? Magari aspirare a un tornaconto economico dalla trattativa per l'acquisto del libro. Bah, pensò, Raven non avrebbe mai accettato e lei non poteva tornare a mani vuote a Raven Hill. «Quale?» gli chiese con voce soffocata dal panico. «Una proposta» ripeté Kit, come se quella parola fosse sufficiente a spiegare tutto. Si schiari' la voce. «Di matrimonio.» La stanza riprese a girare e stavolta Hero rimase così sbalordita che dovette appoggiarsi alla parete per non cadere. Doveva aver capito male. «Che... che cosa?» Lui sorrise. «Non è esattamente la reazione che mi aspettavo. So che avrei dovuto parlare prima con vostro zio, ma date le circostanze alquanto... insolite e conoscendo voi, immagino che preferiate un approccio più diretto.» Il problema era proprio quello. Lui non la conosceva. Allora perché le stava chiedendo di sposarlo? Fin troppo presto intuì la risposta. Perché era ciò che ci si aspettava da un gentiluomo. «Lo fate per via della scorsa notte? Perché abbiamo dormito nello stesso letto?» gli domandò. Ma prima che lui potesse rispondere, a Hero venne un'altra idea. Durante la loro sonnacchiosa conversazione gli aveva forse rivelato troppi particolari riguardo a sé stessa... e a Raven? «Non voglio la vostra pietà, grazie tante» concluse voltandosi dall'altra parte. «E io non ve la sto offrendo» protesto' il suo compagno. Nonostante non gli credesse, le ragioni che l'avevano spinto a farle quella proposta non contavano più di tanto. Lei non poteva sposarsi, né con lui né con nessun altro, per cui Hero rispose meccanicamente: «Vi sono grata dell'onore che mi fate, ma devo respingere la vostra proposta.» «Posso chiedervi perché?» La voce di Kit era stranamente piatta. Hero avrebbe voluto spiegargli i motivi del proprio rifiuto, ma come? Pensò che il giorno prima doveva essersi presa davvero un malanno, perché di colpo provò la stessa sensazione di nausea e sentì la gola tanto stretta che le riusciva difficile parlare. Alla fine, si limitò a scuotere la testa. Un altro uomo sarebbe probabilmente uscito a passo di carica dalla stanza, indignato e furioso, tuttavia Kit non era un uomo come gli altri e forse perfino la sua proposta di matrimonio era diversa dalle solite. Come se il suo rifiuto non l'avesse in alcun modo colpito, lui le rivolse un piccolo cenno con la testa e si girò per infilarsi la giacca. Hero si disse che la proposta era stata un atto di pietà o forse un trucco per mettere le mani sul Mallory. Eppure l'idea di sposare Kit Marchant le serro' il cuore e le fece bruciare gli occhi. Infilò la porta prima di lui, per evitare che si accorgesse della sua debolezza. Soffoco' uno starnuto. Stava davvero male. Niente a che vedere con il raffreddore, però. Era il cuore che le doleva. Un disturbo del quale non avrebbe mai immaginato di poter soffrire, ma del resto non aveva neppure mai immaginato che potessero esistere un Kit Marchant e il potere che quell'uomo esercitava su di lei. Un potere che rivaleggiava con quello di Raven. Il tempo non accenno' a migliorare e per quasi tutto il giorno dovettero cavalcare sotto una pioggerella impietosa.

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Capitolo 25
*** 25 Capitolo ***


Kit cercò strenuamente di procedere sempre verso est, ma le strade seguivano un tracciato tortuoso e, quando la luce cominciò a scemare, la strada era ridotta a una pista fangosa che sembrava non condurre a niente. Nell'ultimo decennio le locande si erano moltiplicate, cancellando quasi del tutto l'antica tradizione di cercare riparo in case private, eppure, quando vide una luce in distanza, Kit non ebbe esitazioni. Presto sarebbe stato buio, era impossibile proseguire lungo quella strada infame. Il difficile trafitto avrebbe dovuto fargli dimenticare la delusione, eppure lui non riusciva a scrollarsi l'umore nero che gli era calato addosso dopo la disastrosa conversazione di quella mattina. Evidentemente non aveva imparato nulla dal comportamento sconsiderato di Syd e Barto, perché aveva combinato un pasticcio pari al loro. Era stato troppo precipitoso. Se avesse avuto il tempo di riflettere, avrebbe gestito diversamente la situazione. Ma quando si era svegliato nel letto di una donna, il gentiluomo che era in lui aveva sentito la necessità di... raddrizzare le cose. E nonostante non fosse successo nulla di sconveniente, qualunque persona ragionevole avrebbe giudicato inaccettabile, perfino scandalose quelle circostanze. Kit aveva delle ragioni buone e altruistiche per agire in quel modo, ma quel mattino perfino lui si era accorto che le cose si erano spinte troppo in là e che doveva seguire la strada che l'onore gli imponeva. Naturalmente l'idea gli si era insinuata nei pensieri fin dalla prima volta che aveva posato gli occhi su Hero Ingram, dunque il suo cuore era perfettamente in sintonia con la mente. E anche il resto di lui non era affatto contrario... Solo che si era esposto troppo presto, calando le carte che invece avrebbe dovuto tenere coperte ancora per un po', considerando quanto poco conoscesse quella donna misteriosa. Lei lo aveva rifiutato per una ragione precisa, Kit ne era sicuro, a meno che il suo intuito non si fosse volatilizzato; con tutto quello che era successo a Oakfield, non ci sarebbe stato da stupirsi... Kit scosse la testa e l'acqua che si era raccolta sulla falda del cappello gli schizzo' sul viso. Era gelato fino al midollo, quindi poteva soltanto immaginare come si sentisse Hero. Sprono' Bay e al galoppo attraversarono campi, saltarono steccati e finalmente giunsero in vista di un fienile. Poco più avanti c'era una piccola fattoria, con le finestre illuminate e spirali di fumo che salivano dai camini. Smontarono da cavallo e percorsero un sentiero lastricato di pietre scivolose. Kit busso' forte alla porta per farsi sentire al di sopra dello scroscio della pioggia. Venne ad aprire un uomo alto e massiccio, dall'espressione gioviale, e Kit si tolse il cappello, spiegando che lui e suo fratello si erano smarriti. Aveva appena finito di parlare quando arrivò una donna robusta che si asciugava le mani nel grembiule. «Oh, Bert, fa' entrare subito questi poveri signori. Devono essere mezzi annegati, se non addirittura morti di freddo.» Con un cenno della testa, l'uomo cordiale li invitò a entrare e Kit avanzò, cercando di sgocciolare il meno possibile sul pavimento di legno. «Tad, tu pensa ai cavalli» ordinò la donna. Un ragazzino smilzo sfreccio' accanto a loro come un lampo. Altri due fecero per seguirlo, ma la donna allungò un braccio. «Per caso ho detto anche Luke e Bill?» chiese decisa ai figli, più piccoli dello svelto Tad. I bambini scossero la testa. «Allora sparite!» I ragazzini, incuriositi dai nuovi arrivati, si misero in un cantuccio, gli occhi sgranati. «Vi siete smarriti, è certo. Da queste parti non passano molti viaggiatori» proseguì la donna voltandosi verso gli ospiti. «A proposito, il sono Min Smallpeace e questo è mio marito Bert.» «Christopher Marchant» si presentò Kit. «E questo è mio fratello Sid.» «Sid» disse Bert con un cenno del capo. Min, invece, lanciò a Hero un'occhiata penetrante prima di aggiungere: «Per una fortunata coincidenza, nostro nipote Clyde non è a casa.» «È partito per cercare di conquistare una leggiadra fanciulla» puntualizzo' Bert con una risata. «Quindi la sua camera è libera, per il momento.» «Forse per sempre» suggerì Bert. «Sciocchezze. Gli ho detto che avrebbe potuto portare qui Sal» protesto' Min. «Voi due, piuttosto, andate a togliervi questa roba bagnata mentre cerco qualcosa da mettervi addosso. Dov'è Cassie?» «Sono qui, signora.» Una giovanetta, probabilmente la serva, guardò Kit ed Hero a bocca aperta, sorpresa di vedere due forestieri. «Porta qualcosa da mangiare a questi signori. Devono esserci ancora dello sformato di carne e delle patate. E non dimenticarti la torta di mele.» «Oh! Non vogliamo abusare della vostra ospitalità» protesto' Kit. «Non ditelo neanche per scherzo. Sarebbe un peccato salvarvi dall'annegamento per farvi morire di fame, non credete?» Prima di rendersene conto, i due viaggiatori si ritrovarono in una confortevole stanzetta all'ultimo piano, con un allegro fuoco nel camino e una pila di indumenti puliti e asciutti in mano. «Datemi tutta la roba bagnata. La lavero' subito e la appendero' in cucina ad asciugare.» Min allungò una mano verso la sacca di Kit. Per un istante lui temette che volesse frugare in mezzo alle loro cose. Sarebbe stato imbarazzante, se non peggio. «Ve la portiamo fuori» dichiarò Hero, mettendosi davanti alla robusta padrona di casa. Min non se la prese e andò ad aprire uno stipo. «Ci conto. Intanto dirò ai ragazzi di pensare all'acqua calda.» Prese una piccola vasca di legno e si voltò a scrutare Kit con aria critica. «Non è abbastanza grande per un uomo della vostra statura, giovanotto, ma con le ginocchia piegate...» Kit scoppiò a ridere, estasiato. «Signora, se non foste già maritata, vi chiederei in moglie senza pensarci due volte. Siete la donna migliore del mondo» dichiarò con un profondo inchino. «Oh, andiamo.» Min lo zitti' ridendo, però era arrossita e uscì in fretta, chiudendosi la porta alle spalle. Alla prospettiva di un bel bagno caldo, Kit emise un sospiro di piacere, mentre Hero era meno entusiasta. Forse era preoccupata per la sua presenza, giudico' Kit. Anche il suo corpo reagì raffigurandosi lei dentro la vasca. Non che avesse intenzione di restare nella stanza... Il suo autocontrollo aveva limiti e assistere al bagno di Hero li avrebbe superati tutti. Le lanciò un'occhiata scrutatrice. Hero stava frugando nella propria sacca, la schiena rivolta verso di lui, insolitamente silenziosa. Quando parlò, lo fece lanciando le parole da sopra la spalla con un'indifferenza smentita dal tono della voce. «Oggi vi siete dato parecchio da fare con le proposte di matrimonio, mi pare.» «Già. E sono stato respinto per ben due volte. Non devo essere un buon partito.» replicò lui. Per qualche istante pensò che lei avrebbe aggiunto qualcosa, invece Hero scosse la testa come se avesse preferito una colossale sciocchezza. Aveva decisamente bisogno di maggiore leggerezza nella sua vita, e Kit sarebbe stato felice di fornirgliela. Se lei glielo avesse permesso. «Chiunque mi offra cibo, vestiti asciutti, un letto puliti e un bagno caldo, merita tutta la mia devozione» aggiunse Kit. «Non mi fido di lei» annunciò di punto in bianco Hero, che si era voltata a guardarlo.«Di sicuro non le consegnero' tutti i miei vestiti da uomo.» Kit sbuffo', gli occhi al cielo. «Oh, si che glieli darete» la contraddisse, avvicinandosi con aria minacciosa. «A costo di doverveli togliere io stesso.» Per fortuna - o per disgrazia - non dovette arrivare a tanto. Quando giunse l'acqua per il bagno, trasportata da una truppa di ragazzini di varie età, Kit volle a tutti i costi che Hero approfittasse dell'acqua calda mentre lui aspettava davanti alla porta. Dopo un po' lei riapparve, vestita con gli abiti smessi di qualcuno - berretto pulito compreso - e con il fagotto dei vestiti sporchi sottobraccio. Kit si abbassò per varcare la soglia troppo bassa per lui e si accerto' che Hero non avesse dimenticato nulla. Dopodiché si spoglio' e tese un braccio fuori dalla porta per consegnarle anche i propri indumenti bagnati. La piccola vasca era sufficiente per un bagno piuttosto sommario, ma gli fornì l'ispirazione di far installare una stanza da bagno a Oakfield, più piccola e meno ricercata di quella che aveva visto a Cheswick, ma comunque dedicata in esclusiva alla più rilassante e piacevole delle operazioni di toeletta. Quando ebbe finito, versò l'acqua sporca dalla finestra. Fuori l'oscurità era totale e continuava a piovere. I vestiti che Mrs. Smallpeace gli aveva mandato erano logori e un po' stretti per lui, ma puliti e asciutti, e Kit sospirò di sollievo. Ci voleva anche un po' di fortuna, no? La fattoria confortevole e ben tenuta e i suoi gentili abitanti contribuirono ad allentare la tensione che l'aveva tormentato per la maggior parte della giornata. Gli ricordava la casa della sua infanzia. Questa, con i pavimenti irregolari e i corridoi angusti, non era arredata altrettanto bene, tuttavia la trovava comoda e accogliente.

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Capitolo 26
*** 26 Capitolo ***


Quasi a conferma delle proprie considerazioni, Kit trovò un paio di bambini ad aspettarlo fuori dalla stanza sotto il tetto per accompagnarlo in cucina. Sulle prime non vide Hero e provò un'improvvisa fitta di panico. Aveva avuto ragione lei a sospettare persino di quella gente semplice che viveva fuori dal mondo? Prima che potesse agire, Min lo fece sedere su una sedia dura e gli indicò un angolo dell'ampia cucina dove Hero stava aiutando Cassie ad appendere i loro indumenti lavati a un filo teso fra due pareti. «Vostro fratello è molto disponibile a dare una mano nelle faccende domestiche» osservò la padrona di casa. Kit si limitò ad annuire. Avrebbe potuto inventarsi sul momento qualche spiegazione per l'attitudine domestica di Sid, ma poi Min gli mise davanti un piatto fumante e lui si dimentico' di tutto mentre gustava un pasto caldo al cui confronto quelli serviti nelle locande sembravano brodaglie. «Vostro marito è un uomo fortunato» disse tra un boccone e l'altro. «Oh, smettetela» ribatte' Min. Dal letto, Hero guardava la finestra. Un debole chiarore annunciava il nuovo giorno, il rumore della pioggia però non era cessato. Vicino al caminetto, Kit russava piano, come aveva fatto tutta la notte, e lei sentì un improvviso pizzicore sotto le palpebre. Non aveva dormito bene come la notte precedente e lo imputava all'ambiente per lei insolito. Le locande, eleganti e modeste, erano comunque impersonali e ci era abituata, mentre quel posto e la placida vita della fattoria le erano estranei quanto una dimora nel cuore dell'India. La piccola stanza accogliente era calda e asciutta, il letto pulito e lei pure, ma nonostante questo non era riuscita a chiudere occhio. Sospettava che la causa della sua agitazione fosse più che altro ciò che le mancava. Lì, nel buio che si faceva sempre meno denso, doveva ammettere che nessuna coperta, per quanto pesante, sarebbe mai riuscita a infonderle lo stesso calore generato dal corpo di Kit Marchant, che quella notte aveva deciso di dormire sul pavimento. Non poteva biasimarlo, nondimeno Hero deplorava quella situazione. Era tentata di raggiungerlo sul pavimento, anche solo per stargli accanto, un folle impulso che le fece accelerare le pulsazioni al pensiero che ciò che aveva tanto paventato stesse finalmente per verificarsi. Stava perdendo il cuore o la testa? Un colpo alla porta la fece sussultare e lei prese la pistola nascosta sotto il cuscino. Nessuno però tentò di intrufolarsi nella stanza. «La colazione è pronta» gridò una voce femminile. Era la servetta, Cassie? «Scendete finché è ancora caldo» Con la pistola stretta in pugno, Hero continuò a guardare la porta per un lungo istante, prima di spostare l'attenzione verso la figura davanti al camino. Il rumore aveva svegliato Kit, che si era girato supino. Anche così scarmigliato era terribilmente affascinante, pensò Hero. I capelli scuri gli ricadevano sugli occhi e lei sentì di colpo la gola stretta. Persino la camicia lisa che gli aveva prestato Min Smallpeace contribuiva a dargli un aspetto più virile. O era soltanto la sua immaginazione a vederlo tale? «Ah, la colazione del contadino» disse lui, la voce ispessita dal sonno. «Che altro si potrebbe desiderare?» Lei scosse la testa. Personalmente aveva molti altri desideri, quasi tutti irrealizzabili, e perlopiù provocati dall'uomo che in quel momento si stava alzando in piedi con movimenti eleganti. Si domando' inquieta se lui potesse udire i battiti disordinati del suo cuore, invece Kit non sembrava essersene accorto. «Sbrigatevi! Non voglio perdermi neppure un boccone» la esorto' Kit, scostandosi un ricciolo scuro dalla fronte. «La torta di ieri sera è stata la cosa migliore che abbia mangiato da quando ci siamo messi in viaggio.» Il cibo era l'ultimo dei suoi pensieri, tuttavia non era il caso di restare ancora a letto. Scivolo' fuori da sotto le coperte e si ravvio' i capelli con le dita, grata di avere un berretto con cui coprirli. Se qualcuno le avesse chiesto per quale motivo lo portasse anche in casa, avrebbe risposto che aveva un problema al cuoio capelluto, sperando che il timore di un eventuale contagio avrebbe zittito la famiglia. Kit uscì rapidamente dalla stanza, senza lasciarle il tempo di infilarsi gli stivali. Lo seguì saltellando su un piede solo, e poi correndo per non farsi distanziare, mentre lui si faceva guidare dal suono delle voci. Trovarono la famiglia Smallpeace al completo già seduta intorno alla lunga tavola ed Hero si arrestò sulla soglia a guardare i bambini che mangiavano insieme agli adulti. Madre, padre e uno dei ragazzi più grandi aiutavano i piccoli; tutti e sei i figli parlavano contemporaneamente, almeno così le parve sulle prime, e sembravano dotati di una incontenibile vivacità. Senza la minima esitazione, Kit entrò nella stanza mentre Hero restava sulla soglia, incerta. Per conto di Raven, era stata parecchio in viaggio e aveva avuto a che fare con molti estranei, ma non si era mai trovata davanti a una famiglia al completo con tanti ragazzini. «Qui, vicino a me, signore!» «No, qui!» Dopo qualche istante Hero si rese conto che i bambini si stavano rivolgendo a lei. Si guardò intorno cercando Kit, ma lui si era già seduto, schiacciato tra due dei figli più grandi. «Adesso calmatevi, ragazzi» ordinò Bert. «Sid è capace di trovarsi una sedia anche senza il vostro aiuto.» Sid? Ci volle un minuto buono prima che Hero si ricordasse che stavano parlando di lei, allora si sedette in fretta nel più vicino posto libero, tra due bambini piccoli. Con il cuore in gola, si rese conto che forse era la prima volta che dimenticava il proprio ruolo. Non era mai stata travestita da uomo per molto tempo, ma in ogni istante aveva avuto ben chiari in mente la propria situazione e il proprio obiettivo. Sempre. Senza quella concentrazione costante, avrebbe corso il rischio di commettere degli errori, con effetti potenzialmente pericolosi. Si concentrò dunque sul momento presente per poter uscire al più presto dall'abitazione degli Smallpeace e sfuggire così allo sguardo acuto della padrona di casa. I bambini dovevano essere però di tutt'altro avviso, poiché continuavano a riempirle il piatto e lei dovette fermarli perché stavano spargendo il cibo su tutta la tavola. Max, seduto alla sua destra, nella foga lasciò addirittura cadere un pezzo del proprio pane tostato nel latte di Hero. Lei cercò di seguire la conversazione degli adulti, ma c'era troppa confusione, troppe voci cercavano di sovrastarsi l'una con l'altra. Riuscì a captare qualcosa a proposito di abiti non del tutto asciutti e della pioggia che continuava a cadere. Kit stava per caso mettendosi d'accordo con gli Smallpeace per trattenersi ancora lì? «Dobbiamo proseguire, fratello» disse Hero, spostandosi per schivare un proiettile di cibo uscito dalla bocca di Ty che stava chiacchierando animatamente di fianco a lei. «Figurarsi! Non andreste molto lontano con questo tempaccio. È meglio che per oggi vi riposiate» osservò Min. Hero le lanciò un'occhiata carica di sospetto. Non si fidava di quella gente apparentemente innocua, nonostante le riuscisse difficile immaginare un qualche tipo di connessione tra loro e il libro di Mallory. «Signore? Signore? Signore!» Hero trasali' sentendosi tirare forte per la manica. Era Max. Per fortuna, tra i vestiti asciutti che le aveva procurato Min Smallpeace, c'era un vecchio farsetto che le nascondeva il seno, anche se meno bene del suo solito travestimento, mentre Kit era in maniche di camicia. Se però i bambini si mettevano a tirarla per i vestiti, il suo segreto avrebbe avuto vita breve. Si liberò gentilmente della manina appiccicosa. «Che cosa c'è?» gli chiese chinandosi sulla sua testolina. «Se restate, vi farò conoscere Harold e George.» In un lampo, Hero immagino' due individui con la livrea del Duca di Montford, nascosti nel fienile, che aspettavano il momento giusto per assalirli.

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Capitolo 27
*** 26 Capitolo ***


Quasi a conferma delle proprie considerazioni, Kit trovò un paio di bambini ad aspettarlo fuori dalla stanza sotto il tetto per accompagnarlo in cucina. Sulle prime non vide Hero e provò un'improvvisa fitta di panico. Aveva avuto ragione lei a sospettare persino di quella gente semplice che viveva fuori dal mondo? Prima che potesse agire, Min lo fece sedere su una sedia dura e gli indicò un angolo dell'ampia cucina dove Hero stava aiutando Cassie ad appendere i loro indumenti lavati a un filo teso fra due pareti. «Vostro fratello è molto disponibile a dare una mano nelle faccende domestiche» osservò la padrona di casa. Kit si limitò ad annuire. Avrebbe potuto inventarsi sul momento qualche spiegazione per l'attitudine domestica di Sid, ma poi Min gli mise davanti un piatto fumante e lui si dimentico' di tutto mentre gustava un pasto caldo al cui confronto quelli serviti nelle locande sembravano brodaglie. «Vostro marito è un uomo fortunato» disse tra un boccone e l'altro. «Oh, smettetela» ribatte' Min. Dal letto, Hero guardava la finestra. Un debole chiarore annunciava il nuovo giorno, il rumore della pioggia però non era cessato. Vicino al caminetto, Kit russava piano, come aveva fatto tutta la notte, e lei sentì un improvviso pizzicore sotto le palpebre. Non aveva dormito bene come la notte precedente e lo imputava all'ambiente per lei insolito. Le locande, eleganti e modeste, erano comunque impersonali e ci era abituata, mentre quel posto e la placida vita della fattoria le erano estranei quanto una dimora nel cuore dell'India. La piccola stanza accogliente era calda e asciutta, il letto pulito e lei pure, ma nonostante questo non era riuscita a chiudere occhio. Sospettava che la causa della sua agitazione fosse più che altro ciò che le mancava. Lì, nel buio che si faceva sempre meno denso, doveva ammettere che nessuna coperta, per quanto pesante, sarebbe mai riuscita a infonderle lo stesso calore generato dal corpo di Kit Marchant, che quella notte aveva deciso di dormire sul pavimento. Non poteva biasimarlo, nondimeno Hero deplorava quella situazione. Era tentata di raggiungerlo sul pavimento, anche solo per stargli accanto, un folle impulso che le fece accelerare le pulsazioni al pensiero che ciò che aveva tanto paventato stesse finalmente per verificarsi. Stava perdendo il cuore o la testa? Un colpo alla porta la fece sussultare e lei prese la pistola nascosta sotto il cuscino. Nessuno però tentò di intrufolarsi nella stanza. «La colazione è pronta» gridò una voce femminile. Era la servetta, Cassie? «Scendete finché è ancora caldo» Con la pistola stretta in pugno, Hero continuò a guardare la porta per un lungo istante, prima di spostare l'attenzione verso la figura davanti al camino. Il rumore aveva svegliato Kit, che si era girato supino. Anche così scarmigliato era terribilmente affascinante, pensò Hero. I capelli scuri gli ricadevano sugli occhi e lei sentì di colpo la gola stretta. Persino la camicia lisa che gli aveva prestato Min Smallpeace contribuiva a dargli un aspetto più virile. O era soltanto la sua immaginazione a vederlo tale? «Ah, la colazione del contadino» disse lui, la voce ispessita dal sonno. «Che altro si potrebbe desiderare?» Lei scosse la testa. Personalmente aveva molti altri desideri, quasi tutti irrealizzabili, e perlopiù provocati dall'uomo che in quel momento si stava alzando in piedi con movimenti eleganti. Si domando' inquieta se lui potesse udire i battiti disordinati del suo cuore, invece Kit non sembrava essersene accorto. «Sbrigatevi! Non voglio perdermi neppure un boccone» la esorto' Kit, scostandosi un ricciolo scuro dalla fronte. «La torta di ieri sera è stata la cosa migliore che abbia mangiato da quando ci siamo messi in viaggio.» Il cibo era l'ultimo dei suoi pensieri, tuttavia non era il caso di restare ancora a letto. Scivolo' fuori da sotto le coperte e si ravvio' i capelli con le dita, grata di avere un berretto con cui coprirli. Se qualcuno le avesse chiesto per quale motivo lo portasse anche in casa, avrebbe risposto che aveva un problema al cuoio capelluto, sperando che il timore di un eventuale contagio avrebbe zittito la famiglia. Kit uscì rapidamente dalla stanza, senza lasciarle il tempo di infilarsi gli stivali. Lo seguì saltellando su un piede solo, e poi correndo per non farsi distanziare, mentre lui si faceva guidare dal suono delle voci. Trovarono la famiglia Smallpeace al completo già seduta intorno alla lunga tavola ed Hero si arrestò sulla soglia a guardare i bambini che mangiavano insieme agli adulti. Madre, padre e uno dei ragazzi più grandi aiutavano i piccoli; tutti e sei i figli parlavano contemporaneamente, almeno così le parve sulle prime, e sembravano dotati di una incontenibile vivacità. Senza la minima esitazione, Kit entrò nella stanza mentre Hero restava sulla soglia, incerta. Per conto di Raven, era stata parecchio in viaggio e aveva avuto a che fare con molti estranei, ma non si era mai trovata davanti a una famiglia al completo con tanti ragazzini. «Qui, vicino a me, signore!» «No, qui!» Dopo qualche istante Hero si rese conto che i bambini si stavano rivolgendo a lei. Si guardò intorno cercando Kit, ma lui si era già seduto, schiacciato tra due dei figli più grandi. «Adesso calmatevi, ragazzi» ordinò Bert. «Sid è capace di trovarsi una sedia anche senza il vostro aiuto.» Sid? Ci volle un minuto buono prima che Hero si ricordasse che stavano parlando di lei, allora si sedette in fretta nel più vicino posto libero, tra due bambini piccoli. Con il cuore in gola, si rese conto che forse era la prima volta che dimenticava il proprio ruolo. Non era mai stata travestita da uomo per molto tempo, ma in ogni istante aveva avuto ben chiari in mente la propria situazione e il proprio obiettivo. Sempre. Senza quella concentrazione costante, avrebbe corso il rischio di commettere degli errori, con effetti potenzialmente pericolosi. Si concentrò dunque sul momento presente per poter uscire al più presto dall'abitazione degli Smallpeace e sfuggire così allo sguardo acuto della padrona di casa. I bambini dovevano essere però di tutt'altro avviso, poiché continuavano a riempirle il piatto e lei dovette fermarli perché stavano spargendo il cibo su tutta la tavola. Max, seduto alla sua destra, nella foga lasciò addirittura cadere un pezzo del proprio pane tostato nel latte di Hero. Lei cercò di seguire la conversazione degli adulti, ma c'era troppa confusione, troppe voci cercavano di sovrastarsi l'una con l'altra. Riuscì a captare qualcosa a proposito di abiti non del tutto asciutti e della pioggia che continuava a cadere. Kit stava per caso mettendosi d'accordo con gli Smallpeace per trattenersi ancora lì? «Dobbiamo proseguire, fratello» disse Hero, spostandosi per schivare un proiettile di cibo uscito dalla bocca di Ty che stava chiacchierando animatamente di fianco a lei. «Figurarsi! Non andreste molto lontano con questo tempaccio. È meglio che per oggi vi riposiate» osservò Min. Hero le lanciò un'occhiata carica di sospetto. Non si fidava di quella gente apparentemente innocua, nonostante le riuscisse difficile immaginare un qualche tipo di connessione tra loro e il libro di Mallory. «Signore? Signore? Signore!» Hero trasali' sentendosi tirare forte per la manica. Era Max. Per fortuna, tra i vestiti asciutti che le aveva procurato Min Smallpeace, c'era un vecchio farsetto che le nascondeva il seno, anche se meno bene del suo solito travestimento, mentre Kit era in maniche di camicia. Se però i bambini si mettevano a tirarla per i vestiti, il suo segreto avrebbe avuto vita breve. Si liberò gentilmente della manina appiccicosa. «Che cosa c'è?» gli chiese chinandosi sulla sua testolina. «Se restate, vi farò conoscere Harold e George.» In un lampo, Hero immagino' due individui con la livrea del Duca di Montford, nascosti nel fienile, che aspettavano il momento giusto per assalirli.

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Capitolo 28
*** 27 Capitolo ***


«Chi sono Harold e George?» chiese Hero. Il bambino borbotto' una risposta, con la bocca piena, e lei fu costretta a chinarsi ancora di più. «I miei gattini» ripeté Max. Aveva la faccia vicinissima a quella di lei ed Hero, per cui i bambini erano sempre stati creature strane e vagamente minacciose, si accorse con stupore che il piccolo Smallpeace aveva invece l'aspetto di un angelo dagli occhi luminosi. «Gattini» gli fece eco, senza quasi accorgersene. «Sono così carini. Vi piaceranno, vedrete.» Max alzò una mano e le toccò una guancia, come per rassicurarla, ed Hero sentì per l'ennesima volta un'insolita pressione sotto le palpebre. Solo che ora non aveva niente a che vedere con Christopher Marchant. Forse stava davvero impazzendo. Dopotutto non era una sensazione tanto spaventosa. Hero diede un goffo colpetto sulla testa del bambino. Quando alzò gli occhi, incontrò lo sguardo di Kit che la stava fissando con un'espressione così bramosa che lei sbatte' le palpebre. Lui puntò l'indice verso la sua guancia. «Uhm... avete della marmellata...» Imbarazzata, Hero si puli' con il tovagliolo, sul quale rimase una macchia rossa. «Ci sapete fare con i bambini. Quando ne avrete dei vostri non farete nessuna fatica» dichiarò Min Smallpeace in tono di approvazione, ma Hero trasali', allarmata. Questo non sarebbe mai successo. Non doveva succedere. Per nascondere la propria reazione, ricominciò a mangiare. La colazione era abbondante e appetitosa come Kit aveva previsto. Quando ebbero finito di mangiare, i bambini più piccoli la trascinarono nella stanza principali della casa, ingombra di vestiti e giocattoli e oggetti di ogni genere, nessuno dei quali avrebbe potuto far gola a un collezionista, eppure per quella gente ciascuno di essi era più importante di qualsiasi pezzo raro posseduto da Raven. Di nuovo Hero ripenso' al proprio incarico e si rese conto che doveva parlare con Kit della partenza. Lui però aveva promesso di giocare con i bambini, i quali gli saltellavano intorno come se fosse stato il pifferaio magico, con grida così allegre che non ci sarebbe stato verso di farsi udire. Mentre Kit e i ragazzini cominciavano un gioco con le biglie, Hero ne approfittò per osservare il suo compagno di viaggio, ammirando la scioltezza dei movimenti, le spalle larghe sotto la semplice camicia, le piccole rughe agli angoli degli occhi, testimonianza di quanto gli piacesse ridere. Anche in quell'occasione la risata di Kit risuono' spesso, insieme a quelle dei bambini, finché Hero non ebbe l'impressione di essere finita, per un bizzarro scherzo del destino, dentro una favola, dove la vita era semplice e festosa. Certo, la vita di una famiglia di contadini non doveva essere solo facile e piacevole come sembrava, condizionata dai capricci del tempo e fondata sul duro lavoro. Tuttavia in quella casa non si udivano parole aspre, non c'erano intrighi, inganni o lotta per il potere. Lì si veniva apprezzati per il carattere, la bontà e la disponibilità a svolgere anche i lavori più noiosi, non per oggetti il cui valore veniva determinato da avidi vecchi che passavano il tempo a contare il loro denaro. I forestieri, invece di essere giudicati per la loro sagacia in campo finanziario, venivano accolti con calore e trascinati nel fienile per essere presentati ad Harold e George. I due cuccioli, recentissime aggiunte alla cospicua popolazione felina della fattoria, erano i preferiti di Max, uno tigrato rossiccio e uno pezzato, i più piccoli della cucciolata. Danny le mostrò come prenderli in braccio con le cautele del caso. «È facile fare loro del male» le disse. «Ma se sarete gentile con loro, loro saranno gentili con voi.» Una perla di saggezza da parte di un bambino così piccolo, pensò Hero, e un consiglio che avrebbe dovuto seguire più spesso. Nonostante Raven sostenesse il contrario, non tutti gli esseri umani agivano esclusivamente per il proprio tornaconto. E lei doveva riconoscere che Kit poteva benissimo essere uno di coloro che vivevano secondo dei principi altruistici e non per egoismo. Forse era ora di accantonare i sospetti e di accettarlo per quello che era: un gentiluomo. Assorta in quei pensieri, Hero rimase sorpresa quando Danny le accosto' alla guancia un gattino. Il pelo morbido le solletico' la pelle e il leggero ronfare della bestiola le causò uno strano palpito all'altezza del cuore. A Raven Hill c'erano dei gatti, ma Augustus Raven non amava molto gli animali, per cui Hero non aveva mai fatto amicizia con loro. Del resto, anche se ci avesse provato Raven glielo avrebbe impedito. Hero riflette' a lungo mentre tornava verso casa. Quando furono entrati, Danny le chiese che cosa volesse vedere ora e automaticamente lei si informò se la famiglia possedesse dei libri. Eccitatissimo, il ragazzino la accompagnò nell'angolo della cucina dove si trovavano una comoda sedia e un mobiletto con diversi libri. «Calore, fumo e umidità danneggiano la carta, sai?» spiegò Hero al bambino. «Questo non è l'ambiente adatto per conservare i libri.» «Ma noi non li conserviamo» fu l'ingenuo commento di Danny. «Noi li leggiamo.» Hero sorrise. Non era quello lo scopo per cui i libri venivano stampati? Si accuccio' davanti al mobiletto. Aveva appena cominciato a scorrere i volumi che Kit la raggiunse. Si chino' su di lei e le sussurro' all'orecchio: «Non avrete intenzione di portar via qualche rara edizione a questa gente?» Sbalordita, Hero sollevò la testa di scatto, rischiando di scontrarsi con lui. Aveva davvero un'opinione così bassa di lei? Ma Kit stava sorridendo con aria maliziosa e lei scosse la testa. Si sarebbe mai abituata alle sue punzecchiature? Lui si allontanò. Hero rimase con uno dei volumi più vecchi in mano e mentre lo guardava le venne un'idea così audace che per poco non cadde a sedere. Eppure, valeva la pena di tenerla in considerazione. Lei sapeva bene quanto Raven fosse disposto a pagare per il Mallory. Il quesito era se avrebbe potuto usare il libro come merce di scambio e, per la prima volta nella vita, ottenere qualcosa per sé. Mentre i ragazzi correvano fuori, Kit rimase sulla soglia per allungare con discrezione a Min una piccola somma in cambio dell'ospitalità ricevuta. Sulle prime la donna fu restia ad accettare, però lui insistette che nessuna locanda avrebbe potuto offrire un'ospitalità lontanamente paragonabile a quella degli Smallpeace. La conquista più importante era che i dubbi che l'avevano tormentato fin dalla prima volta che aveva visto Hero Ingram erano scomparsi nell'abbraccio caloroso dell'allegra famiglia di contadini. Subito Hero si era dimostrata un po' impacciata, ma ora che stava abbracciando a uno a uno tutti i bambini non gli riuscì affatto difficile immaginarla con un fanciullino dai capelli scuri - figlio loro, naturalmente - tra le braccia. «La sposerete, vero?» Quelle parole, l'eco esatta dei suoi pensieri, lo fecero trasalire. Kit si voltò. Lo sguardo penetrante di Min non gli permetteva di svincolare. «Naturalmente» rispose con semplicità. «Quando?» domandò Min. «Be', lei è un po'... recalcitrante.» L'eufemismo dell'anno, pensò Kit. A volte gli sembrava di essere un domatore di cavalli selvaggi, che aveva bisogno di tanta pazienza e mano gentile per riuscire a cavalcare anche gli animali più riottosi. «E perché mai?» volle sapere la padrona di casa. «A me sembra che siete un partito adatto anche alle fanciulle più esigenti.» Kit scruto' l'insolita creatura poco distante, vestita come un ragazzo e immersa in un mare di bambini. Non avrebbe potuto immaginare un ambiente più diverso da quello in cui lei era abituata a vivere, eppure non l'aveva mai vista comportarsi con tanta spontaneità. «Non lo so» borbotto''. «Ma vi giuro che lo scoprirò.» Hero prese un boccone del pasticcio di carne che si erano portati nella loro stanza, augurandosi di poter mangiare in silenzio.

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Capitolo 29
*** 28 Capitolo ***


Nelle ultime ore Kit le aveva rivolto ogni genere di domande riguardo alla sua infanzia e ai suoi interessi; le aveva chiesto quale musica preferisse e quali libri avesse letto. Ma, fatta eccezione per i libri, sul resto lei aveva avuto ben poco da dire. Quella sera, con ogni probabilità l'ultima prima che raggiungessero la loro destinazione, Hero anelava a godere semplicemente della sua compagnia, sapendo che presto si sarebbero separati. Invece, com'era diventata sua abitudine, Kit le rivolse un'occhiata incuriosita. «Siete mai stata all'Almack's?» Per poco Hero non si strozzo' con il pasticcio di carne. L'idea che Raven frequentasse un circolo mondano tanto esclusivo era addirittura farsesca. E così pure la possibilità che ci mandasse lei. A meno che non intravedesse la possibilità di farle concludere una delicata transazione d'affari in qualche alcova al riparo da sguardi indiscreti, mentre il fiore dell'alta società danzava a pochi passi da lei, perché mai avrebbe dovuto inviarla in mezzo a quella gente? «No» fu la laconica risposta della giovane, che non si avventuro' però in spiegazioni. «E voi?» Kit scosse la testa. «Per entrare serve l'invito di un socio del circolo, e io ho frequentato pochissimo la buona società.» L'immagine di Kit alle prese con una moltitudine di fanciulle a caccia di un marito la fece rabbrividire, però Hero pensò anche al figurone che avrebbe fatto, vestito da sera, volteggiare per la sala da ballo con l'abilità e l'eleganza che dimostrava in qualsiasi situazione. «Vostra sorella sposerà presto un Visconte, quindi immagino che non vi sarà difficile ottenere un invito.» Lui scoppiò a ridere. «Non me la immagino proprio la mia esuberante sorellina in mezzo a tutti quei boriosi che si sono inventati delle rigide quanto assurde regole sociali. Avrei detto che lo scopo dei balli fosse offrire la possibilità alle giovani donne di conoscere dei giovanotti con cui contrarre felici unioni. Non è forse per questo che si parla di mercato matrimoniale?» «Non ne ho idea, credetemi.» «Già. Non avete bisogno di questo genere di servizio. Una giovane donna bella e intelligente come voi può scegliere tra uno stuolo di corteggiatori. Scommetto che vi seguono docili come cagnolini... quando non siete vestita così.» «No.» Lei sorrise davanti alle sopracciglia inarcate di Kit. In società, nessuno avrebbe approvato il suo travestimento e neppure il suo stile di vita. D'altra parte lei non aspirava a frequentare quell'ambiente. «No cosa?» chiese Kit, che non era disposto a rinunciare all'interrogatorio. «Non ho neanche un corteggiatore» specifico' lei. «Dove potrei mai trovarne qualcuno?» Non voleva confessare che Kit era il primo giovanotto decente che avesse conosciuto. «Volete dire che non frequentate balli e feste? Non scambiate visite con i vicini di casa che hanno figli della vostra età?» Kit era smarrito. A quanto pareva, l'agricoltore gentiluomo aveva un'idea assai poco realistica della posizione di Hero. Perfino nelle case più nobili, le parenti povere dovevano ricambiare l'ospitalità lavorando come dame di compagnia, governanti o istitutrici e, in definitiva, sgobbando più della servitù. Almeno la sua era un'occupazione più interessante e, frequentando antiquari e collezionisti, Hero aveva avuto modo di conoscere delle donne dal destino molto più disgraziato del suo: mogli, sorelle e zie relegate al ruolo di serve non retribuite. Ma a lei non interessava approfondire l'argomento della condizione femminile. Bastava dire che Kit aveva torto a pensare che Raven fosse il tipo di persona che amava frequentare i circoli mondani o che intrattenesse rapporti amichevoli con il vicinato. «Raven ritiene superfluo socializzare. Il prossimo non gli interessa, a meno che non possegga qualcosa che lui desidera acquistare» dichiarò lei. «Quindi vi lascia uscire di casa solo quando ha una missione da affidarvi?» trasecolo' Kit. Forse si era confidata un po' troppo. «A sentirvi parlare, si direbbe che mi considerate una prigioniera» protesto' Hero in tono leggero. «Lo siete?» Kit non era più scanzonato, d'un tratto appariva cupo e pericoloso. Con il cuore in gola, Hero pensò che non intendeva affatto coinvolgere ancora di più quell'uomo nei suoi problemi. Raven era molto potente e aveva contatti ovunque; lei non voleva che i suoi intrighi coinvolgessero anche Kit. «Sono molto grata a Raven per avermi dato una casa» disse quindi prima di alzarsi in piedi per indicare che considerava conclusa la conversazione. Kit sembrò sul punto di aggiungere ancora qualcosa, ma rispetto' come sempre il suo desiderio. Hero ne fu sollevata. Sperava con tutto il cuore che Raven non avesse idea di dove si trovasse e con chi. Una speranza, al pari delle altre, molto probabilmente vana. Giunti a Londra, Hero e Kit si ritrovarono immersi nel traffico cittadino, con le strade affollate di veicoli, cavalli e passanti. «Eccoci arrivati. Questa è la casa di Featherstone» annunciò Kit, accennando con la testa a un alto edificio con la facciata di mattoni. L'ubicazione era centrale, ma non particolarmente elegante. Le parole di Kit le sembrarono tristemente profetiche. Forse erano arrivati davvero alla fine della loro ricerca... e di tanto altro, pensò. Degluti' a stento, la gola serrata, e si impose di concentrarsi sul compito che doveva portare a termine e che avrebbe richiesto tutto il suo talento, se voleva che avesse successo. Il piano prevedeva che lei non si mettesse in contatto con Raven, come invece avrebbe fatto in passato, per chiedergli ragguagli riguardo a Featherstone. Ma senza le informazioni di Raven, senza i segreti e i pettegolezzi che avrebbe potuto usare a proprio vantaggio, Hero avrebbe dovuto procedere alla cieca. Rimase appoggiata alla recinzione di ferro battuto, incerta sul passo successivo, poiché aveva la sensazione che Featherstone si sarebbe dimostrato meno superficiale di Cheswick. «Una volta che avremo parlato con lui, si spargera' la voce che stiamo cercando qualcosa» riflette' ad alta voce. «E allora avremo alle calcagna non soltanto gli uomini del Duca, ma anche tutti i collezionisti della città.» Kit la guardò dubbioso, non troppo convinto della virulenza della bibliomania, tuttavia non fece commenti. Accigliata, lei si staccò finalmente dalla recinzione e andò a bussare alla porta d'ingresso per chiedere del presunto proprietario del Mallory. Un maggiordomo dall'aria stanca aprì la porta e li informò che Mr. Featherstone non era in casa. «Ma noi veniamo da Cheswick» disse Hero, mettendo un piede oltre la soglia per impedirgli di chiudere la porta. «Il Conte in persona ci ha mandato qui per una commissione.» Il maggiordomo li scruto' da capo a piedi e scosse la testa. «Potete entrare, se volete, però Mr. Featherstone non c'è.» E Marcus Featherstone non sembrava neppure essere l'unico elemento assente da quella casa, riflette' Hero guardandosi attorno. Il vestibolo era vuoto, senza mobilio e dipinti alle pareti, e dalle porte aperte si vedevano altre stanze all'incirca nello stesso stato. Marcus Featherstone stava per traslocare? Si domando' con una fitta di panico. Fu Kit a intervenire. «Possiamo almeno parlare con il suo uomo di affari?» «Tutti i creditori devono presentare un prospetto dettagliato delle somme loro dovute» annunciò il maggiordomo. «Se voi l'avete già preparato, potete darlo a me» «Non siamo creditori» protesto' Hero. «Siamo qui per una questione importante, per conto del Conte di Cheswick.» L'esausto maggiordomo non rimase particolarmente colpito dalla notizia. «Si tratta di un libro della collezione del Conte» aggiunse Hero. «Se volete condurci in biblioteca...» Il maggiordomo scosse la testa.« La biblioteca è vuota, signore.» «Vuota? E dove sono finiti tutti i libri?» «Non saprei, mi dispiace.» Hero allora capì. Creditori!

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Capitolo 30
*** 29 Capitolo ***


Marcus Featherstone doveva aver venduto la sua raccolta di volumi per pagare i debiti, pensò con una stretta al cuore. Subito, però, si raddrizzo' e assunse un'aria molto professionale. «In tal caso è ancora più importante che parliamo subito con Mr. Featherstone, perché la somma che posso offrirgli per un libro in suo possesso gli permetterebbe di saldare eventuali debiti ancora esistenti.» Il maggiordomo si strinse nelle spalle. Con ogni probabilità non veniva pagato da mesi e ormai la sorte del suo datore di lavoro gli era indifferente. «Se volete, potete cercarlo al Three Aces» rispose. «Il Three Aces?» Il maggiordomo sporse le labbra. «Una casa da gioco. Immagino si trovi in St. James's Street.» «Grazie dell'informazione. «Lo cercheremo là.» disse Hero. «Non se ne parla proprio» le sussurro' Kit mentre si allontanavano. «Le case da gioco non sono posti per le signore. Sono inferni nati per spennare gli ingenui e i disperati. Non si può vincere giocando onestamente e, anche se qualcuno ci riesce, ci sono sempre dei figuri assoldati per denunciarli come bari e rimettere il denaro in cassa.» Quando arrivarono al cancello di ferro battuto, Hero si fermò. «Avete senz'altro ragione, e in circostanze normali io non entrerei mai in una casa da gioco. Ma questa potrebbe essere la nostra unica possibilità di parlare con Featherstone.» «Possiamo aspettare qui il suo ritorno» le propose Kit. «Se ritornerà» puntualizzo' lei, voltandosi a guardarlo. «Potremmo passare chissà quanti anni seduti su questo muretto a far dondolare i piedi. Featherstone, braccato com'è dai creditori, potrebbe imbarcarsi per il Continente o per chissà dove, non ci avete pensato? E potrebbe farlo oggi stesso.» «Insisto. Non potete entrare come se niente fosse al Three Aces e chiedere di parlare con lui» obietto' Kit con foga del tutto insolita. «Nelle case da gioco, le chiacchiere inutili non sono bene accette. Là si va per giocare e basta.» «Vuol dire che giocherò, se è il solo modo per parlare con Mr. Featherstone.» Ora Kit era esasperato. «E che cosa metterete sul piatto? Le tasche vuote non sono gradite in quei luoghi infernali.» «Ho del denaro che Raven mi ha dato per le spese.» «D'accordo. Allora al Three Aces andrò io mentre voi mi aspetterete da qualche altra parte, al sicuro. Le giovani donne di buona famiglia non frequentano St. James's Street. Parlerò con Featherstone.» Come sempre, la sollecitudine di Kit la commosse. Il fatto che, dopo tutto quello che avevano passato, la considerasse ancora una giovane donna di buona famiglia, le diceva lunga su di lui. Hero scosse il capo. Erano troppo legati e lei non poteva permettersi di rinunciare al piano che aveva congegnato. Per qualche istante temette che lui avrebbe continuato a protestare, invece, alla fine, Kit capitolo' con un gemito ed Hero fu confortata dalla certezza che avrebbe avuto ancora un po' di tempo da trascorrere insieme a lui. «Potrebbe andare peggio, lo sapete» gli disse, avviandosi in direzione di St. James's. «Esiste forse qualcosa di peggio che avventurarsi in un posto del genere con voi travestita da uomo?» Sospirò Kit. Hero gli lanciò un sorriso da sopra la spalla, per dimostrargli che non era l'unico dotato di senso dell'umorismo. «Pensate alla nostra fortuna. Almeno non è un bordello.» Kit era davanti al Three Aces e osservava l'edificio con aria ostile. Seppure non elegante come, per esempio, Crockford's, sembrava abbastanza distinto e per questo attirava membri della buona società come Marcus Featherstone. I due massicci gentiluomini che stavano a guardia del portone li guardarono dall'alto in basso con un'aria così sfrontata che d'istinto Kit si avvicinò a Hero, temendo che il suo travestimento fosse stato scoperto. Un conto era cavalcare per le strade di campagna nei panni di un ragazzo, un altro avventurarsi per le strade di Londra, dove circolavano malintenzionati di ogni sorta, pronti ad assalire donne e ragazzi senza distinzione. «Siete soci?» chiese uno dei giganti. Kit soffoco' un grugnito. C'era bisogno di essere soci per andare a perdere la propria fortuna al tavolo verde? «Mr. Featherstone ci ha dato appuntamento qui» intervenne Hero. «La direzione non permette che i creditori vengano a infastidire qui i nostri soci» intervenne l'altro lacchè, scrutando i due improbabili clienti con gli occhi socchiusi. «Siamo qui per rifarci delle perdite» lo informò Kit in tono annoiato. «Mr. Featherstone deve essere al piano di sopra. Una partita privata» disse finalmente uno dei due al collega mentre li faceva entrare. All'interno, il Three Aces si rivelò molto spazioso, con diverse sale dagli alti soffitti, candelieri e specchi che riflettevano tutto ciò che accadeva. Gli uomini si affollavano intorno ai tavoli verdi del faraone e di altri giochi decisamente illegali, mentre i camerieri servivano tè e bevande più forti. I giocatori più impegnati indossavano strane giacche, oppure protezioni di pelle sulle maniche e bizzarri cappelli per nascondere lo sguardo e i pensieri. Quando udì un botto provenire dal piano superiore, Kit si chiese che genere di partita privata si stesse tenendo là sopra. Alcuni di quei posti erano gestiti da famose maitresses, che come intrattenimento offrivano, oltre ai giochi di carte, anche compagnia femminile. Il pensiero di aver portato Hero, alla fine, proprio in un bordello lo fece rabbrividire. Prima avessero concluso quella faccenda, meglio sarebbe stato. «Sapete quale aspetto abbia Featherstone?» le sussurro'. «No. Ma quell'uomo non ha detto che gli avevano organizzato una partita privata al piano di sopra?» chiese lei di rimando, guardando verso la scala che formava un'ampia curva. Lui scosse la testa. «Oh, no! Scordatevi di salire quella scala.» Ma Hero si era già avviata e andava dritta verso un ubriaco che scendeva barcollando gli ultimi gradini. «Marcus Featherstone è di sopra?» gli domandò. «Si è appena fatto saltare le cervella» annunciò l'uomo prima di dare di stomaco. Kit spostò Hero praticamente di peso. Quell'ubriaco aveva detto tanto per dire o Featherstone si era ucciso per davvero? Si domando'. Un cameriere accorse a ripulire il pavimento, anche se quasi tutti i presenti erano troppo assorbiti dai loro vizi per accorgersi di quello che succedeva intorno a loro. Una carta rovesciata, i dadi che rotolavano, la roulotte che girava vorticosamente, quelli erano gli incantesimi che li tenevano avvinti. Un'autentica follia, pensò Kit mentre si guardava intorno. Quando si voltò verso Hero, lei stava tornando verso le scale, che due soci terrei in viso stavano scendendo a passi malfermi. Al Three Aces doveva circolare della roba molto forte. O magari quei due avevano continuato a bere per ore, perché, quando Hero li interrogo', si limitarono a scuotere la testa affrettandosi all'uscita. Kit la raggiunse e la prese per un braccio prima che si precipitasse di sopra. E fu contento di averlo fatto perché in quel momento apparvero altri due uomini i quali, invece di essere istupiditi dall'alcol e dal gioco, avevano gli occhi penetranti e l'aria infida. Udita la domanda di Hero, le si avvicinarono in fretta, la fronte corrugata e l'espressione attenta. «Non credo che sia uno di loro» riuscì a dire Hero prima che Kit la trascinasse via. Fecero appena in tempo a raggiungere il portone che già il nome di Featherstone stava volando da una sala all'altra del circolo, e certe voci cominciavano a levarsi sopra il brusio della conversazione e del gioco. E i due uomini che li seguivano avevano accelerato l'andatura. I muscolosi buttafuori avevano abbandonato il loro posto davanti al portone, forse perché richiamati altrove, per cui Kit ed Hero spalancarono il portone e cominciarono a correre nel tentativo di far perdere le loro tracce in mezzo alla folla dei passanti. «Ehi, voi due! Fermatevi!» Quel richiamo aggiunse ulteriore foga all'andatura di Kit, il quale maledisse la propria statura, che lo rendeva facilmente riconoscibile. Avanzò tenendosi il più curvo possibile, intanto cercava un carro sul quale saltare con Hero per affrettare la fuga. Ma prima che potesse individuarne uno adatto, lei lo superò, diretta verso due giovanotti fermi accanto ai loro velocipedi. Ne spinse da parte uno, si arrampico' sul bizzarro veicolo e partì a tutta velocità. Kit non ebbe altra scelta che imitarla: si sbarazzo' del proprietario del secondo velocipede, intento a protestare vivacemente per il furto dell'insolito mezzo di trasporto dell'amico, quando si ritrovò vittima a sua volta. «Perdonatemi, lo prendo in prestito solo per qualche minuto» si scuso' Kit prima di balzare sul sellino e cominciare a pedalare come un forsennato. Avanzò sbandando, allontanandosi dai loro inseguitori, e in pochi istanti si lasciò dietro i due uomini del circolo e i proprietari dei velocipedi. Non che lui avesse esperienza di quel mezzo. Ne aveva visti alcuni l'ultima volta che era stato a Londra e sapeva che i giovanotti organizzavano delle vere e proprie gare in sella a quei veicoli nelle strade più trafficate della città. Tuttavia, scoprì subito che non era affatto facile da guidare. Senza redini, non c'era modo di cambiare direzione, inoltre le due ruote non rispondevano ai comandi impartiti con i movimenti del corpo, a differenza dei cavalli. Fece del suo meglio per non cadere e contemporaneamente continuare ad avanzare finché non incappo' in un dosso e si rovescio' di lato. Con una gamba riuscì a fermare il velocipede, ma finì lo stesso per terra, su un fianco, piuttosto ammaccato. Si rialzo' subito. Doveva reputarsi fortunato di non avere causato danni peggiori né a se stesso né ad altri. Durante la corsa in velocipede era stato troppo occupato a mantenere l'equilibrio per rendersi conto di quello che gli succedeva intorno, ma ora si voltò da ogni lato cercando Hero. Non c'era traccia di lei, però vide l'altro veicolo a due ruote appoggiato contro l'edificio di fronte a lui, di fianco a un negozio. Kit sistemo' il proprio velocipede accanto all'altro esemplare, in modo che i proprietari potessero recuperarli facilmente, ed entrò nel negozietto, ma Hero non c'era. Uscì di nuovo e scruto' senza successo la folla. Dopo qualche minuto dovette ammettere che i suoi peggiori timori erano diventati realtà. Hero era svanita. Kit tornò di gran carriera alla locanda, paventando ciò che avrebbe potuto trovarvi... o non trovarvi. In previsione di non riuscire ad avere subito un abboccamento con Mr. Featherstone, avevano preso una stanza in una locanda appena fuori città, un alloggio abbastanza curato da vantare una clientela di buon livello e al tempo stesso troppo fuori mano per essere frequentato da eventuali conoscenti. Non che Hero ne avesse molti, a quanto pareva. Kit si corresse immediatamente. Hero non aveva certo l'esperienza delle giovani donne che frequentavano abitualmente l'alta società, quindi in caso di necessità non aveva amicizie su cui contare. Non che altre fanciulle di buona famiglia si sarebbero rivelate particolarmente utili, se un'amica travestita da uomo avesse bussato alla loro porta in pieno giorno chiedendo aiuto. Tuttavia, Hero avrebbe potuto avere altri contatti in città: collezionisti, librai e perfino personaggi meno raccomandabili, eppure molto più utili in caso di bisogno. Lui si augurava soltanto che fosse in qualche luogo sicuro e che non fosse stata rapita. Per quanto fosse una giovane piena di risorse, era pur sempre una donna sola in una città pericolosa, inseguita da almeno due loschi individui. Kit salì le scale della locanda il più rapidamente possibile, ma senza correre, per non dare troppo nell'occhio. Quando fu davanti alla porta, busso' per precauzione prima di aprirla. Non ricevette alcuna risposta ed, entrando, ebbe la conferma che la stanza era deserta. Ispeziono' la camera da cima a fondo, imprecando tra i denti, come se Hero potesse essere nascosta dietro le tende o sotto il letto. Dopodiché, incapace di sopportare quel deserto, ridiscese le scale e andò a controllare la sala e il cortile, cercando con gli occhi un ragazzo con il berretto calato sugli occhi. Gli bastarono pochi minuti per rendersi conto che lì Hero non c'era né vestita da uomo né in abiti femminili. Pensò di tornare a cercarla nella strada dove l'aveva vista l'ultima volta, ma poi riflette' che doveva essersi allontanata subito, come aveva fatto anche lui, sapendo di essere inseguita. Certo, avrebbe potuto cercarla a Raven Hill, eppure aveva avuto la sensazione che non avesse fretta di tornare a casa, e Kit non aveva nessuna voglia di spiegare a Raven il perché lei fosse scomparsa. La locanda era il loro unico punto di riferimento e non avrebbe avuto molto senso mettersi a girare Londra in lungo e in largo. Alla fine, dovette riconoscere che non c'era altro da fare che sedersi e aspettare. Hero pedalò senza voltarsi indietro. Quando il suo velocipede andò a sbattere contro la parte posteriore di un carro in movimento, lo lasciò cadere a terra e si arrampico' nel mucchio di fieno che aveva davanti. Augurandosi che il velocipede venisse recuperato dal legittimo proprietario, si nascose in mezzo al fieno e cercò una posizione comoda. Solo quando ebbe ripreso a respirare normalmente si rese conto che Kit non l'aveva raggiunta sul carro. Si aprì uno spiraglio nel fieno, ma di Kit neppure l'ombra. Perfino gli edifici sembravano diversi e lei ne dedusse che il carro doveva aver svoltato, imboccando una strada che l'avrebbe allontanata sempre di più dal suo compagno di viaggio. Colta da un subitaneo moto di panico, fu sul punto di balzare giù, abbandonando il suo momentaneo riparo, ma la prudenza che le aveva evitato tanti problemi in passato la spinse a restare dov'era. In primo luogo, anche se avesse abbandonato il suo rifugio non era garantito che avrebbe ritrovato Kit, il quale poteva benissimo averla superata nel traffico o essere rimasto indietro. Inoltre, il rischio di essere individuata dai due ceffi che li avevano inseguiti fuori dal Three Aces era molto, troppo alto. No, tornare indietro era assolutamente fuori discussione. Quando si fosse procurata una mappa della città, avrebbe potuto noleggiare una carrozza o qualche altro mezzo per farsi portare alla locanda. Ma prima di tutto aveva bisogno di capire dove si trovava. E così, appena il carro rallento', si lasciò scivolare giù e corse a nascondersi all'ombra dell'edificio più vicino. Il suo primo pensiero fu quello di tornare alla locanda, anche solo per accertarsi che Kit stesse bene. Il timore che fosse rimasto ferito le causò una stretta allo stomaco, uguale a quella che le serrava la gola. La sua priorità era scoprire delle informazioni e se fosse rientrata alla locanda non avrebbe fatto passi avanti in tal senso, anche perché il tempo cominciava a stringere. Per la prima volta dopo molti anni - non avrebbe neppure saputo dire quanti - Hero scoprì la speranza. Una scintilla debole e vacillante, ma pur sempre il barlume di una vita alternativa, al di fuori delle mura di Raven Hill. E quella speranza, insieme al piano dal quale dipendeva, le diede forza e determinazione. Fermò un ragazzino e gli offrì una moneta perché corresse al Three Aces e tornasse a riferirle cos'era successo, promettendogli che ne avrebbe ricevuta un'altra al ritorno. Siccome il sole stava per tramontare, esorto' il ragazzino a sbrigarsi. Dopodiché si guardò intorno per cercare un posto dove nascondersi mentre teneva d'occhio la via in attesa del suo ritorno. Per uno degli strani casi del destino, dall'altro lato della strada c'era una libreria, William Strong's. Vi si diresse senza esitazioni. In quel periodo, il cuore del commercio dei libri si trovava nella zona compresa tra Piccadilly, Pall Mall e St. James's, con nuovi negozi che spuntavano come funghi per servire i clienti che vivevano nei nuovi quartieri alla moda di Londra. Di rado le era capitato di condurre affari in quelle librerie, troppo pubbliche, per cui ne conosceva soltanto alcune. Eppure, appena ebbe aperto la porta della libreria, il suo olfatto fu assalito da un odore familiare: inchiostro, carta e rilegature di cuoio.

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Capitolo 31
*** 30 Capitolo ***


Inspirando profondamente, Hero fece un giro per il negozio, fingendo di osservare le pubblicazioni più recenti e le numerose ristampe di volumi più antichi. Intanto teneva d'occhio le vetrine per poter avvistare il ragazzino. A un primo sguardo, sembrava che lì non ci fosse niente che potesse interessare un serio collezionista, a meno che il proprietario non tenesse in disparte i volumi più rari. Hero resistette alla tentazione di fare qualche domanda. Meno contatti aveva con degli sconosciuti fintanto che era sotto mentite spoglie, meglio sarebbe stato per tutti. Quei pensieri le causarono una tale agitazione che, quando udì il rumore di una porta che si apriva, lei sobbalzo'. Ma poi si rese conto che il campanello all'entrata non aveva suonato e alzò lo sguardo con molta cautela. L'ingresso del negozio era pressoché deserto e tranquillo, allora Hero si voltò a guardare da sopra la spalla. Dietro il lungo bancone si era aperta una porta che conduceva al magazzino o magari al locale dove venivano conservati i volumi più preziosi. L'ultima ipotesi le parve più probabile, perché vide uscire un uomo che si stringeva al petto un pacchetto avvolto nella carta. Era basso, con i capelli scuri e unti che gli ricadevano a ciocche intorno al viso e gli occhi sfuggenti. Hero ebbe l'impressione di averlo già visto. Girò di scatto la testa dall'altra parte e si finse assorta nella lettura di un libro per evitare di essere notata. Quell'uomo era un tirapiedi di Raven oppure un compratore come lei, nel quale si era casualmente imbattuta in passato? In entrambi i casi, vestita da uomo com'era, difficilmente avrebbe potuto riconoscerla. Nondimeno, Hero sentì su di sé il suo sguardo. Tenne la testa ostinatamente bassa e si tirò il berretto sugli occhi. Con il fiato mozzo, aspetto' che il rumore dei passi si allontanasse. Invano. All'improvviso venne urtata con violenza. «Scusate... signore.» L'uomo aveva parlato con uno strano tono di voce. Senza rispondere, Hero si accuccio' per prendere il libro che le era caduto e si trovò a fissare un paio di stivali piuttosto consumati. «Che sbadato!» aggiunse il tizio. «Spero che non vi siate fatto male.» lei scosse la testa, maledicendo la decisione improvvisa di entrare lì dentro. Sarebbe dovuta stare più attenta, perché il mondo dei libri era simile a un'isola dove tutti si conoscevano per nome, per reputazione e, spesso, anche di persona. Quando l'uomo si allontanò strascicando un po' i piedi, Hero aspetto' senza alzare gli occhi il suono della campanella sulla porta. Solo allora arrischio' un'occhiata da sopra il volume che teneva sollevato davanti al viso. In tempo per vedere di schiena l'uomo dagli occhi sfuggenti mentre usciva, confermando così i suoi sospetti che fosse stato proprio lui a urtarla. L'aveva fatto di proposito? Rimise il libro sullo scaffale e andò verso la vetrina, ma l'uomo era già sparito. Il loro era stato un incontro fortuito? Si interrogo' Hero, oppure in quel momento l'uomo correva come una lepre ad avvisare Raven che l'aveva vista in città? Non poteva più permettersi di restare lì, dove era stata notata. Uscì dal negozio e si guardò intorno, prestando particolare attenzione agli anditi bui, dove due occhi sfuggenti potevano osservarla di nascosto. Dell'uomo non c'era traccia, vide invece il ragazzino che aveva incaricato di raccogliere informazioni, il quale si stava dirigendo verso il punto dove si erano dati appuntamento. Di nuovo Hero scruto' con cura la via per verificare che nessuno li stesse tenendo d'occhio, poi attraverso' di corsa la strada per andargli incontro. «Mi dispiace di aver tardato, signore, ma non sono abituato a cercare notizie, solo a venderle. Quando ci siamo incontrati, avevo appena finito tutte le copie della Gazette. Adesso però sto pensando che un giorno potrei diventare un giornalista.» Hero era troppo nervosa per sorridere di quello spavaldo annuncio. «Perché no? ... Che cos'hai scoperto?» «Un gentiluomo si è ucciso dentro la casa da gioco. Non una delle più eleganti, badate bene, ma comunque un locale dove non sono avvezzi a quel genere di cose. Qualcuno ha detto che aveva perso tutto al gioco.» Hero provò una fitta di panico. «Si è ucciso? Sei sicuro che sia morto?» «L'ho visto con i miei occhi, signore» confermò il ragazzino. «O perlomeno ho visto quello che restava di lui quando hanno portato fuori il corpo. Il sangue deve aver imbrattato tutte le pareti della stanza dove si è sparato. E scommetto che è schizzato anche addosso ai presenti.» Hero sentì la morsa della nausea. Forse gli esseri umani di sesso maschile, perfino giovani come quel ragazzino, riuscivano a trattare con molta naturalezza certi argomenti cruenti, invece lei aveva lo stomaco sottosopra e la bile le chiudeva la gola. «State bene?» si preoccupò il ragazzino. Hero annuì. Doveva a tutti i costi cacciare indietro la nausea, insieme alle emozioni che, secondo Raven, lei era incapace di provare. Naturalmente Raven si sbagliava. Aveva soltanto imparato a mascherarle e ora si aggrappo' a quello per allontanare da sé l'immagine di Marcus Featherstone, un uomo nel fiore degli anni, finito a brandelli sugli specchi del Three Aces. Non lo aveva mai incontrato di persona, però di lui sapeva che era stato un amante dei libri, un collezionista, amico di qualcuno, parente di qualcun'altro, e in cuor suo ne pianse la tragica perdita. Lottò contro la costrizione della gola, ritrovando il respiro solo quando la sua perdita le si manifestò con lampante chiarezza. Senza Featherstone, come avrebbe fatto a ritrovare le tracce del Mallory? La pena per la morte dell'uomo si tramuto' in disperazione: tutti i progetti e le speranze degli ultimi giorni erano stati annientati dal gesto estremo di Marcus Featherstone. Era dunque condannata a riprendere la vecchia vita, perennemente a caccia di pezzi rari per conto di Raven, costretta a piegarsi ai suoi capricci, sempre più stravaganti a mano a mano che il tempo passava? Il cuore di Hero cominciò a martellare alla prospettiva di tornare in quel mondo fatto di oscurità, cupidigia e insidie. Inerme. Senza speranze. Dopo quei pochi giorni di libertà, sarebbe stato ancora più difficile da sopportare. Per non parlare di come avrebbe reagito Raven alla notizia del suo insuccesso. Riguardo al Mallory, probabilmente aveva ragione Kit. Sembrava proprio che il libro portasse sfortuna a tutti coloro che lo possedevano, a cominciare dall'autore, morto assassinato, per finire con il povero Marcus Featherstone, suicida. In tal caso, Raven, sarebbe stato il proprietario perfetto per l'infausto volume, pensò Hero, pentendosene subito dopo. Nonostante tutto, non gli augurava alcun male; voleva soltanto liberarsi dal giogo che lui le imponeva. Se solo fosse esistito un modo per compiacerlo, senza consegnargli il libro... Se il Mallory era stato in possesso di Featherstone, prima o poi, chissà dove, sarebbe saltato fuori. A meno che Kit non avesse ragione e non ne esistesse in realtà un'altra copia. In tal caso... D'un tratto le venne in mente Thomas Laytham, rinomato commerciante di libri e collezionista, che Raven disprezzava con tutto il cuore. Non che il suo nome fosse mai stato macchiato da qualche scandalo, tutt'altro, eppure Raven non si fidava di Laytham e neppure dei libri vecchi di almeno un secolo che il commerciante riusciva immancabilmente a procurare ai suoi facoltosi clienti. È un furbacchione, questo glielo concedo, le aveva detto Raven una volta. E fintanto che non mi danneggera' personalmente, terrò per me i miei sospetti. Ma tra simili ci si riconosce, mia cara, e scommetto che un giorno la verità sullo stimato Mr. Laytham salterà fiori. L'idea che le venne ora era così audace che Hero rimase senza fiato. Tanto pazzesca che probabilmente non ne sarebbe venuto niente di buono, eppure sentiva un prepotente bisogno di attuarla e non avrebbe potuto accantonarla come se non le fosse mai passata per la mente.

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Capitolo 32
*** 31 Capitolo ***


«State bene, signore?» Presa com'era da quei pensieri, Hero si era dimenticata del ragazzino, che la stava osservando con preoccupazione. «Sì» rispose, quindi gli consegnò la moneta promessagli. «Avete ancora bisogno di me?» Hero alzò lo sguardo. Il giorno stava declinando e di colpo le venne fretta. «Sì. Mi serve una carrozza.» Mentre osservava il giovane strillone che si allontanava di corsa, si rese conto che non avrebbe avuto il tempo di tornare alla locanda. Tanto meglio così, ragiono', perché aveva il sospetto che Kit non avrebbe approvato il suo piano. Non era degno di un gentiluomo. Certo, Kit non poteva capire cosa significasse per lei quella opportunità. Non era mai stato disperato e, anche quando aveva rischiato di perdere il suo patrimonio, aveva comunque avuto altre possibilità. Sarebbe potuto entrare nell'esercito, avrebbe potuto avviare un'attività commerciale, farsi aiutare da un amico o un parente. Tutte alternative a lei precluse. Ciononostante non voleva perdere la stima di Kit né che lui la vedesse per come era... per come Raven l'aveva plasmata. In un istante prese una decisione: avrebbe messo in atto il suo piano da sola, nonostante il pensiero le faceva salire il cuore in gola. Raven era stato onnipresente nella sua vita, un'ombra cupa e sofferente, eppure la consapevolezza di non avere nessuno al proprio fianco - chaperon, lacchè o compagno di viaggio che fosse - era più un'angoscia che un sollievo. Se fosse stata saggia, avrebbe mandato un messaggio a Mr. Laytham, tuttavia Hero non poteva rischiare che il suo piano venisse scoperto. Non poteva neppure sprecare tempo prendendo un appuntamento con il libraio. Se l'uomo che aveva visto da William Strong's l'aveva riconosciuta e aveva informato Raven della sua presenza a Londra, ben presto i suoi uomini avrebbero cominciato a darle la caccia. Hero esitò, lo stomaco stretto per l'apprensione, ma la posta in gioco era troppo alta perché lei potesse permettersi di soccombere alle proprie paura. Quando la carrozza accosto' al marciapiede, Hero si raddrizzo' in tutta la sua statura e diede al cocchiere l'indirizzo di Thomas Laytham, libraio in Londra. Mr. Laytham non aveva l'abitudine di servire i clienti dietro il banco del suo negozio, quindi Hero dovette per prima cosa parlare con un commesso. Gli abiti che indossava non erano eleganti come quelli dei ricchi acquirenti che venivano ricevuti da Laytham in persona e lei fu costretta a raccontare al commesso che si trattava di una faccenda importantissima e della massima urgenza, relativa a una delle edizioni centenarie per le quali il titolare della libreria aveva una particolare predilezione. La tattica funzionò. Hero venne subito ammessa nell'ufficio dove il titolare della libreria trattava i propri affari. Mr. Laytham era un uomo piuttosto anziano, con il ventre prominente e una folta chioma candida. Nel complesso, aveva l'aria dello studioso. Davanti al suo atteggiamento solenne, Hero sentì svanire parte della sua determinazione che l'aveva sostenuta fin lì e dovette fare un respiro profondo. «Quale sarebbe questa faccenda così importante, di grazia, Mr...?» Lo sbalordimento di Laytham nel trovarsi davanti un ragazzo era evidente. «Sid Marchant» fu la risposta automatica di Hero. «Vi ringrazio per avermi ricevuto subito, signore.» Sotto tutti gli aspetti, Mr. Laytham corrispondeva esattamente a ciò che sosteneva di essere, un gentiluomo, un collezionista e un procacciatore di libri rari, eppure Hero non riusciva a dimenticare che i giudizi di Raven riguardo alle persone di rado erano inesatti. E nonostante Mr. Laytham la stesse scrutando con un'aria altezzosa e di blanda irritazione, lei ebbe l'impressione di scorgere delle goccioline di sudore sulla sua fronte. Ebbene, aveva a disposizione un solo modo per giocare le proprie carte. «A dire il vero, sono venuto a chiedervi un favore» esordì Hero in tono che si augurava sufficientemente professionale. «Sto cercando un libro di Ambrose Mallory.» Laytham la guardò, sorpreso. «Non è forse quello che mezza Londra sta facendo?» Lei sorrise e si chino' in avanti, i gomiti appoggiati sulla scrivania del libraio, le punta delle dita che si toccavano. «Sì, ma a me basta una imitazione del Mallory.» L'uomo aveva avuto un rapido sussulto? Hero fece in tempo a cogliere un lampo nei suoi occhi, prima che le sopracciglia candide si inarcassero, e pensò con gratitudine alla lunga esperienza che anche in quel momento le consentì di mantenersi impassibile. «Non capisco» replicò Mr. Laytham. «Si tratta di uno scherzo.» Hero si appoggiò allo schienale della sedia imbottita. «Il libro non sarà venduto, ovvio, ma deve apparire abbastanza credibile da superare un esame superficiale.» Le sopracciglia di Laytham rischiarono di staccarsi dalla faccia, divenuta di un intenso color ruggine. «Mi state chiedendo... di procurarvi un falso? Un imbroglio, in definitiva.» Lei annuì. «Non dovrebbe essere difficile.» Anzi, se avesse avuto accesso a una libreria antiquaria avrebbe potuto preparare il facsimile con le proprie mani. Sarebbe stato necessario l'intervento di un tipografo solo per la copertina e il frontespizio. A parte qualche druido morto da chissà quanto tempo, chi era a conoscenza del contenuto del libro? «Dato che non esistono fonti attendibili circa gli argomenti trattati nel testo di Mallory, qualunque vecchio libro di occultismo andrà bene.» Ora Laytham era rosso come una barbabietola. «E perché diamine dovrei prestarmi a uno scherzo tanto oltraggioso?» Hero non ebbe il benché minimo tentennamento. «Credo che il motivo lo conosciate bene.» Il libraio sostenne il suo sguardo per un lungo istante prima di distogliere gli occhi. «Se avete scelto Laytham's perché siamo famosi per procurare i libri più rari e soddisfare le richieste dei clienti più esigenti, sono d'accordo con voi. Ma ciò che mi chiedete non rientra nel nostro campo, mi dispiace.» Sotto lo sguardo impassibile di Hero, l'uomo giocherello' per un po' con l'orologio da taschino, dopodiché grugni' come se giunto a una decisione. «Ecco... Se mi assicurate che la riproduzione sarà usata soltanto come scherzo, posso incaricare uno dei miei contatti di prepararvi qualcosa.» Fece una pausa e la guardò dritto negli occhi. «Naturalmente, per questo servizio non pretendero' alcun compenso e voi dovrete assicurarmi che neanche un penny passerà di mano.» «Naturalmente» replicò Hero, pur non avendo previsto quella presa di posizione. Aveva già deciso di usare una parte del denaro ricevuto da Raven per ingannarlo, e non le era certo sfuggita l'ironia della situazione. Evidentemente, Laytham si preoccupava del vero committente del lavoro, e non erano né Raven né altri collezionisti a tenerlo in ansia. Qualche personaggio potente o un ricco acquirente avrebbero benissimo potuto organizzare la messinscena del falso per incastrarlo. «Il volume mi serve prestissimo» puntualizzo' Hero. Laytham ebbe un sussulto, tuttavia fece un cenno di assenso. «A quale indirizzo devo farlo consegnare?» «Verrò a ritirarlo io stesso» tagliò corto Hero, che non si azzardava a fornirgli neppure il nome della locanda. «Domani.» «Ma... Ma è impossibile» balbetto' Mr. Laytham. «Potrebbero volerci settimane, perfino mesi, per trovare un testo adatto.» Io non ho né settimane né mesi, forse neanche giorni, avrebbe voluto gridare lei. Invece mantenne un'espressione distaccata per non tradire il panico. «Dopodomani, allora.» «Non ci sarà neppure il tempo di far asciugare l'inchiostro!» «Andrà bene anche sbavato» replicò Hero con indifferenza. «Neppure voi desiderate condurre trattative lunghe ed estenuanti per una faccenda come questa, ne sono sicuro.» Il libraio rimase a bocca aperta e scosse la testa. Dopodiché si alzò e la accompagnò alla porta senza tanti riguardi, ansioso di liberarsi della sua presenza. Uscita dal negozio, Hero scoprì che le ginocchia le tremavano e dovette appoggiarsi a uno steccato per non cadere. Aveva iniziato un gioco pericoloso, che avrebbe potuto costarle molto caro; con un brivido, pensò alla reazione di Raven se l'avesse smascherata. Lo sgomento minacciava di sopraffarla, ma lei reagì, dicendosi che avrebbe usato la copia di Laytham solo se fosse stato assolutamente necessario. Nel frattempo, avrebbe continuato le ricerche della collezione di Featherstone. Così, riepilogo' mentalmente tutte le tappe che avevano condotto al punto dove si trovava ora, riflettendo su ogni singola tessera del mosaico che poteva esserle sfuggita. Purtroppo non trovò risposte, solo un dettaglio alquanto inspiegabile: come mai Raven possedeva un frammento di lettera dove era citato il Mallory, ma non il libro stesso? Forse solo Raven possedeva la chiave di quel mistero, eppure... Doveva esserci qualcun altro che avrebbe potuto aiutarla. Colma di nuove energie, Hero si raddrizzo' si allontanò dallo steccato e andò a cercare una carrozza. Ormai era buio e lei non aveva intenzione di camminare per le strade di Londra da sola, sebbene fosse travestita. Oltre ai vari uomini che le avevano dato la caccia da quando era partita da Oakfield, intendeva sfuggire a coloro che potevano averla seguita fuori dalla libreria Laytham's. Non era così sciocca da assaporare il trionfo riportato sul libraio. L'abitudine alla prudenza le diceva che, nonostante l'apparente facilità con cui avevano concluso l'accordo, lei poteva essersi fatta un nuovo nemico molto potente... da aggiungere agli altri che già le stavano alle costole. Kit misurava la stanza a grandi passi. Avanti e indietro, avanti e indietro. Quell'atteggiamento sarebbe stato più adatto a Barto, mentre lui in circostanze normali l'avrebbe osservato di sottecchi, comodamente disteso in poltrona, senza una sola preoccupazione che lo turbasse. Ora invece capiva il bisogno di movimento, l'urgenza di fare qualcosa per alleviare il tormento che lo schiacciava come una pressa d'acciaio: Aveva paura per Hero. Con il senno di poi, Kit rimpianse di essersi allontanato da St. James's invece di setacciare il quartiere alla ricerca della giovane. Aveva ritenuto che il velocipede abbandonato costituisse la prova della sua fuga, invece chiunque avrebbe potuto prenderlo e appoggiarlo contro quella casa perché il proprietario andasse a riprenderselo... Persino i due uomini che li avevano inseguiti fuori dal Three Aces. Bastò il pensiero che Hero fosse finita nelle mani dei due loschi individui e che il suo travestimento fosse stato scoperto a fargli gelare il sangue nelle vene. Magari quella gente cercava solo dei soldi, nient'altro, eppure le cose avrebbero potuto facilmente prendere una brutta piega. Ed ecco che lui si ritrovava nella stessa situazione vissuta a Oakfield: impotente e inutili. Imprecando tra i denti, Kit sferro' un pugno alla parete vicina. Udì un colpo e si guardò la mano, come se ne fosse la causa. Poi si diresse verso la porta. Doveva essere una cameriera venuta ad accendere il fuoco. Quando aprì la vecchia porta di legno e si trovò davanti Hero, di impulso Kit la prese tra le braccia e la strinse a sé con forza tale da farle scricchiolare le ossa. L'avrebbe addirittura baciata, se non fosse stato per un colpo di tosse proveniente dal corridoio. Una rapida occhiata gli rivelò la presenza di un uomo massiccio, con dei baffi davvero eccezionali, che li stava osservando con disapprovazione. «Quanto tempo è passato, fratello!» esclamò Kit a suo beneficio, prima di trascinare Hero nella stanza. Finalmente poteva baciarla. Sbatte' la porta, spinse Hero contro la superficie di legno lucido e si impadroni' della sua bocca per la prima volta dopo i brevi istanti condivisi nella biblioteca di Cheswick. Stavolta però non fu un'esplorazione incerta, bensì un'ardente dichiarazione di possesso, resa ancora più intensa dal sollievo per il suo ritorno. Hero era lì, sana e salva.

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Capitolo 33
*** 32 Capitolo ***


Quando le loro labbra si incontrarono, Kit percepi' la sorpresa della giovane, eppure bastarono pochi istanti perché Hero ricambiasse il suo incandescente benvenuto. Gli passò le braccia attorno al collo, e ancora vestita da ragazzo, aderì con tutto il corpo a quello di Kit. Lui la bacio' finché furono entrambi senza fiato e sentì il sangue correre rapidamente e rombante nelle orecchie. Neppure allora si fermò. La stanza fredda, senza lume né fuoco acceso nel camino, scomparve e rimasero soltanto calore e profumo e sensazioni. Il buio della notte era sempre stato il momento più rischioso per lui, da quando aveva incontrato Hero, perché gli sembrava che al mondo ci fossero solo loro due e gli era più facile ignorare gli ammonimenti della coscienza. Le passò una mano dietro la nuca e fece scivolare via il berretto per sciogliere i capelli. Finalmente poté affondare le mani nella morbidezza di seta della lunga chioma, mentre con il corpo sembrava quasi volerla assorbire dentro di sé. Avrebbe probabilmente cercato di portarla a letto, spostandosi alla cieca sul pavimento poco familiare fino alla morbida consistenza del copriletto, se non fosse stato per il colpo alla porta che li strappò a quel momento di abbandono. Kit sarebbe stato del parere di ignorarlo, invece Hero si irrigidi tra le sue braccia e gli mise una mano sulle labbra, ammonendolo senza parole a non dimenticare la loro situazione. Kit fece un passo indietro, pronto ad assalire chiunque stesse cercando di entrare nella stanza. La forza della passione che aveva dovuto tenere sotto controllo con Hero si era trasformata di colpo in furia. Per fortuna era solo la cameriera con la cesta della legna per il camino. La ragazza borbotto' qualcosa, a disagio, e lanciò uno strano sguardo alla stanza buia apparentemente occupata da due uomini, dato che Hero si era messa alle spalle di Kit dopo aver raccolto precipitosamente i capelli sotto il berretto da ragazzo. Se solo Kit fosse stato capace di riprendere il dominio di sé altrettanto in fretta! Quando la cameriera fu uscita, si rivolse a Hero. «Dove diavolo eravate finita?» l'apostrofo' prima di passarsi una mano tra i capelli. «Sono quasi impazzito per l'ansia.» «Volevo scoprire che cosa ne era stato davvero di Marcus Featherstone.» «Featherstone!» Perché non la strangolava subito e la faceva finita?, si domando' Kit. «Non ditemi che siete tornata da sola in quella maledetta casa da gioco.» Lei fece un cenno di diniego. «Ho dato una moneta a un ragazzino perché desse un'occhiata in giro e venisse a riferirmi quello che aveva saputo.» Collera e sollievo gli salirono dentro come un'onda incontrollabile. «Sareste dovuta tornare qui subito» La redargui', pur sapendo che le sue rimostranze sarebbero cadute nel nulla. Hero aveva fatto di testa sua, rischiando la vita per qualcosa che a lui sembrava del tutto inutile. Con il suo sapore ancora sulle labbra, Kit si domando' se lei si sarebbe mai accontentata di stare a guardare, lontano dalle situazioni rischiose, senza più trattative da condurre in porto, senza misteri da svelare, senza tesori da scovare. Quel pensiero ebbe l'effetto di sgonfiarlo come se lui fosse stato un pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier, svuotandolo di qualsiasi emozione. Forse la risposta che stava cercando era stata davanti ai suoi occhi per tutto il tempo e quella scoperta lo lasciò attonito. Intanto Hero continuava a parlare di Featherstone senza che lui ascoltasse una sola parola. «Che cosa?» le domandò dopo un poco Kit, la voce tesa, mentre tentava di riacquistare un minimo di lucidità. «Pare che Featherstone si sia ucciso dopo aver perso al gioco tutti i suoi averi.» «I soci del circolo lo giudicheranno male perché ha sporcato i tavoli verdi» borbotto' Kit. Non aveva conosciuto personalmente Featherstone, ma né un patrimonio dissipato né, addirittura, la morte contavano qualcosa in un mondo in cui il gioco veniva incoraggiato senza pensiero alcuno per le conseguenze. «Probabilmente» ammise Hero. Davanti alla sua espressione ostinata, che lui conosceva ormai fin troppo bene, Kit soffoco' un grugnito di disappunto. «Che cosa?» «Ritengo che il ragazzino abbia riferito fedelmente quello che ha sentito dire dalla gente fuori dalla casa da gioco. E se Featherstone non si fosse ucciso?» ipotizzò Hero. «Forse sono stati gli uomini che inseguivano noi e lo hanno fatto a causa del Mallory.» «In una sala affollata di giocatori?» Kit era molto scettico. «Non sappiamo chi altri ci fosse là dentro.» «Il tipo che ha vomitato davanti a noi, credo» osservò lui in tono aspro. Hero si acciglio'. «Ma se Featherstone si è sparato, perché quei due uomini si sono messi a darci la caccia?» «Dobbiamo avere un cartello sulla testa con su scritto che due uomini - non uno o tre, badate bene - devono inseguirci in ogni momento.» Hero rimase seria e lui sospirò. A volte la logica della giovane era più macchinosa che razionale. Kit non riusciva proprio a capire quale relazione potessero avere due loschi frequentatori di una bisca con un vecchio libro che probabilmente non esisteva neanche. Si strinse nelle spalle. «Ci avranno sentito chiedere di Featherstone e avranno pensato che fossimo suoi amici o parenti ai quali estorcere il denaro di cui erano creditori.» «Che cosa?» «Alcuni usurai sono capaci di gesti assai scorretti» specifico' Kit. «Non mi riferisco all'omicidio, che a loro non porterebbe alcun tornaconto, tuttavia immagino che, quando disperano di rivedere il loro denaro, arrivino a rivalersi sugli eredi delle loro vittime. Certe case da gioco dispongono addirittura al loro interno di strozzini privi di scrupoli per meglio spennare i loro clienti.» Hero sembrava poco convinta. «Ho capito. Ma perché avrebbero dovuto inseguirci?» «Per ottenere un nome, un indirizzo, del denaro, un pagherò. Se Featherstone non possedeva più niente, hanno ben poche possibilità di recuperare il denaro che gli avevano prestato, però potrebbero rivolgersi ai suoi conoscenti per convincerli a riabilitarne il nome. Il mondo non ruota esclusivamente intorno alla vostra ricerca, sapete?» concluse Kit con un'involontaria nota di asprezza. «No, ma a volte penso che tutto il mondo ruoti intorno a Raven» brontolo' Hero. «E adesso?» chiese Kit, rendendosi conto subito dopo che alle sue parole potevano essere attribuiti diversi significati. Hero si lasciò cadere sull'unica sedia presente nella camera e lui realizzò soltanto in quel momento che doveva essere esausta. Era stato talmente preso dalle proprie ansie e frustrazione da dimenticare che Hero, nonostante tutto il suo stoicismo, non era certo invincibile. Con un gesto stanco, lei si chino' in avanti, verso il fuoco, lo sguardo fisso sulle fiamme. «Featherstone non può più rivelarci il destino dei sui libri. Potremmo passare intere settimane cercando di rintracciarli, parlando con i suoi domestici, gli amici...» Stava davvero rinunciando alla ricerca? Dapprima Kit rimase sbalordito, ma presto il viso di Hero riprese l'espressione che lui ben conosceva. «Stavo pensando che deve esserci qualcuno in grado di verificare dove sono andati a finire quei lotti. E che, prima di procedere, dovremmo parlare con questo qualcuno.» Alzò gli occhi, lo sguardo intento. «Solo i battitori e gli addetti delle aste sanno dove finiscono i volumi venduti.» «Credete che Featherstone abbia affidato a qualcun altro la responsabilità di vendere la sua collezione?» volle sapere kit, dubbioso. «No.» Hero lo liquido' con un cenno della mano, tuttavia lo stava scrutando con aria intenta. «Mi riferisco a Richard Poynter.» «L'uomo stipendiato dal vecchio Conte di Cheswick per occuparsi della biblioteca, con disapprovazione del suo erede?» Hero annuì. «E come farete a rintracciarlo?» «Il mondo dei libri è un circolo alquanto ristretto. Più spesso di quanto non si pensi, i bibliomani lo abbandonano soltanto per entrare nella tomba.» Dopo essersi sfilata uno stivale, Hero si massaggio' il piede.

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Capitolo 34
*** 33 Capitolo ***


«Mr. Poynter lavora per la London Institution.» Dichiarò Hero. Kit scosse la testa, stupido ma non più di tanto, dalla determinazione di Hero. Non c'era modo di fermarla, mai, e questo significava che, se lei voleva davvero qualcosa, avrebbe cercato di ottenerlo con ogni mezzo e con la stessa determinazione dimostrata nella ricerca del Mallory. Un pensiero poco confortante. «Qui, lasciate fare a me» si offrì Kit. Si inginocchio' davanti a lei e, sordo alle sue proteste, le sfilò la calza. Il piede di Hero era candido e liscio, di forma delicata e freddo al tatto. Dapprima lo strofino' energicamente, poi cominciò a massaggiarlo con più delicatezza. «Un altro talento?» chiese sottovoce Hero. Si schiari' la gola. «Per essere un agricoltore, ve la siete cavata molto bene con il velocipede.» «Ne deduco che non avete assistito all'infelice conclusione della mia corsa!» esclamò lui ridendo. «E voi dove avete imparato a guidare quella... strana bestia?» «Da un antiquario» rispose lei con un debole sorriso. «Un socio del Roxburghe Club ne diede uno a Raven il quale, ovviamente, non sapeva cosa farsene.» «Mentre voi avete imparato subito la tecnica per guidarlo.» «Non mi è costato un grande sforzo, ve l'assicuro.» replicò Hero. Il tocco di Kit la fece gemere e lui dovette ricordare a se stesso che la stava massaggiando come terapia, non con intenzioni erotiche. Le tolse anche il secondo stivale e si dedicò all'altro piede. «Immagino che sia molto più difficile cercare di cavalcare all'amazzone.» Il risolino di Hero si tramuto' in gemito. «Non mi interessa scoprire come abbiate acquisito questa tecnica, agricoltore gentiluomo, ma vorrei sapere se esiste qualcosa che non sappiate fare.» Si, pensò Kit. Non riesco a ottenere l'unica cosa che desidero! Tuttavia evito' di esprimere quel pensiero a voce alta. Hero inclino' la testa all'indietro e sospirò. «Oh, Kit...» «Mmh?» «Non c'è bisogno che vi ricordi che siete un... un gentiluomo, vero?» «No» le assicurò lui, continuando a massaggiarla. Anche se poco prima l'aveva dimenticato, si era trattato di una distrazione momentanea, un errore che lui si sarebbe guardato dal ripetere. Che sollievo non dover più indossare i calzoni! In abiti maschili aveva goduto di maggiore libertà, tuttavia Hero fu felicissima di vestirsi di nuovo da donna. E la sorpresa e l'ammirazione che lesse negli occhi di Kit davanti alla sua trasformazione contribuirono non poco alla sua gioia. Per qualche istante Hero si sentì quasi normale... finché non dovette uscire di soppiatto dalla loro stanza, ufficialmente occupata da due fratelli di origini campagnole. Una volta fuori, poté rilassarsi di nuovo e prese il braccio che Kit le offriva. «A che cosa devo il piacere della vostra compagnia, signorina?» le domandò lui. Hero arrossi per quel gesto galante. Avevano trascorso parecchio tempo insieme, ben poco del quale con lei in abiti femminili; meno ancora ne avevano trascorso nelle caratteristiche schermaglie tra giovanotti e fanciulle. «Dove andiamo oggi? A visitare i monumenti di Londra?» chiese ancora Kit, chinandosi un po' verso di lei. Hero scoppiò a ridere, nonostante avesse il sospetto che lui fosse serio. Del resto, la ricerca del Mallory era una sua missione, nella quale Kit era stato coinvolto suo malgrado. E gli era riconoscente per essere stato al suo fianco tutto quel tempo. «Io vivo poco distante da Londra, per cui non mi considero una forestiera in visita nella capitale.» «Allora mettiamola così. Sareste disposta a mostrarmi la città?» Hero scosse la testa, il diniego smentito da un sorriso incontenibile. Era così contenta di aver ritrovato lo scanzonato incantatore che aveva conosciuto a Oakfield Manor! La sera precedente Kit era stato cupo e scontroso, uno stato d'animo insolito del quale si era sentita responsabile. Hero non aveva alcuna esperienza riguardo a ciò che succedeva tra uomini e donne, eppure intuiva che non avrebbero dovuto baciarsi. Si sentì di colpo le guance in fiamme al ricordo del meraviglioso, selvaggio interludio, quando lei aveva gettato al vento ogni cautela... e buona parte del buonsenso. Non avrebbe potuto permettersi di cascarci un'altra volta. E siccome avrebbero camminato per le strade della città, dove chiunque avrebbe potuto seguirla, aveva bisogno di tutta la propria lucidità. Da molto tempo aveva scoperto che Raven aveva contatti a ogni angolo non solo di Londra, ma addirittura di tutto il paese. «Sarò felicissima di mostrarvi la London Institution, l'associazione culturale che ha sede in quella che un tempo era la dimora di Sir William Clayton» rispose, concentrandosi sul proprio obiettivo. «Quanto alla ricomparsa di Miss Ingram, la dovete a Richard Poynter. Spero proprio di poter approfittare della mia... parentela con Raven.» Era una scommessa rischiosa, naturalmente, perché Raven avrebbe scoperto presto che lei era a Londra. Sempre che non ne fosse già stato informato, pensò Hero, con il ricordo dell'ometto dallo sguardo sfuggente incontrato da William Strong's ancora fresco in mente. Tuttavia, ora che Featherstone era morto, lei contava sull'aiuto di Richard Poynter, ed era assai più verosimile che il bibliotecario accettasse di incontrare Miss Ingram invece di Sid Marchant. Lanciò un'occhiata al suo compagno. «Come vi presenterò? Non posso farvi passare per mio fratello.» «Potrei essere vostro cugino Erasmus.» Il pensiero di Kit, affascinante, alto e forte, che impersonava l'avido, ingobbito e precocemente calvo Erasmus la fece scoppiare a ridere forte. L'unica speranza era che Mr. Poynter non avesse mai incontrato il vero Erasmus e che quest'ultimo non venisse mai a conoscenza di quella farsa. Certo, se fosse riuscita a mettere le mani sul Mallory, la cosa non avrebbe più avuto tanta importanza... Hero fece un busco respiro. Se fosse riuscita a mettere le mani sul Mallory... Non voleva neanche pensare al possibile insuccesso. Con quell'obbiettivo in mente, entrò disinvolta nella sede della London Institution, come se Richard Poynter aspettasse la sua visita. Non era vero, ma lei e Kit furono fatti accomodare in una saletta ed Hero si concesse di sperare che il bibliotecario li avrebbe ricevuti. Innervosita, rimase seduta sul bordo di una poltroncina mentre Kit vagabondava per la stanza, esaminando i libri sparsi un po' dappertutto. Hero si chiese oziosamente se per caso si fossero scambiati i ruoli, di solito era lei che non si lasciava sfuggire l'occasione per cercare qualche edizione rara da acquistare per Raven. E poi si meraviglio' di quanto fosse cambiata nelle ultime settimane. Prima di arrivare a Oakfield Manor, avrebbe sospettato di chiunque mostrasse interesse per i libri, attribuendogli la mira di un tornaconto personale. Eppure Kit non era un bibliomane e, quando le rivolse la parola, non fu per esprimere stupore davanti alla scoperta di un'edizione rara, bensì per citarne un brano. In greco antico. Hero lo fissò a bocca aperta. «Siete realmente un letterato.» Lui scoppiò a ridere. «Non direi. Ho solo avuto un ottimo insegnante.» «Leggete ancora?» «Naturalmente ho abbandonato quasi del tutto i testi antichi che appassionavano tanto mio padre. Sono più interessato alle nuove invenzioni e scoperte, soprattutto nel settore dell'agricoltura» le spiegò Kit con un sorriso. «Questo non vi sminuisce affatto come studioso» commento' Hero. L'ammirazione per lui si gonfio' a dismisura, fino a trasformarsi in qualcosa di diverso e così intenso da spaventarla. E siccome lei non era mai stata un tipo timoroso, non si sarebbe certo lasciata spaventare adesso. «L'avevo capito. Siete un gentiluomo e un letterato» si ostino', la voce stridula per la forza delle emozioni che l'avevano pervasa. Kit dovette accorgersene. Infatti le lanciò un'occhiata interrogativa. Tuttavia, l'arrivo di un uomo di mezza età risparmio' a Hero l'imbarazzo di dover rispondere a eventuali domande.

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Capitolo 35
*** 34 Capitolo ***


Il nuovo arrivato, magro e con i capelli brizzolati, si presentò come Richard Poynter e li accolse con gentilezza. Dopo che ebbe rivolto un'occhiata distratta a Kit, concentrò l'attenzione su Hero. I suoi occhi di un azzurro sbiadito indugiarono su di lei con interesse. Hero sostenne il suo esame senza mostrare il minimo turbamento, abituata com'era alla curiosità degli antiquari. Le donne che aspiravano a essere ammesse nel Roxburghe Club erano ostacolate dalla mancanza di istruzione e dall'impossibilità di viaggiare liberamente per visitare biblioteche o siti archeologici. Le eccezioni, come per esempio la stimata collezionista di libri Dorothy Richardson, erano molto rare ed Hero aveva avuto quasi sempre a che fare con i loro omologhi maschi, perlopiù insolenti e presuntuosi. Per fortuna Richard Poynter sembrava di tutt'altro stampo. Indicò ai due visitatori le poltroncine e si mise a sedere a sua volta dopo aver spostato una pila di fogli. «Vi prego di perdonare la mia precaria sistemazione, ma sono qui solo di passaggio per dare una mano all'attuale bibliotecario.» Guardò di nuovo Hero, con intenzione. «Un mandato temporaneo noto a pochi.» «A Raven piace tenersi aggiornato.» «Oh, immagino.» commento' l'uomo in tono vago. «Ho sentito dire che negli ultimi tempi vi incarica sempre più spesso di negoziare gli acquisti in sua vece, Miss Ingram. Mi auguro che Mr. Raven non sia ammalato.» «Anzi! Gode di ottima salute. Solo che non ama allontanarsi da casa.» «Ah.» Poynter annuì. Il suo monosillabo le disse che conosceva Raven più di quanto fosse disposto ad ammettere. «A dire il vero, sono venuta a cercarvi per un motivo personale. Spero che siate in grado di darmi un chiarimento.» gli spiegò Hero. Il bibliotecario non dissimulo' la sorpresa, tuttavia annuì per invitarla a proseguire. «Stavamo cercando di rintracciare dei lotti di libri provenienti dalla biblioteca di Cheswick e ci siamo imbattuti in una incongruenza. L'attuale Conte di Cheswick ci ha raccontato di aver dato istruzioni affinché i volumi della biblioteca di suo padre venissero suddivisi tra alcuni acquirenti in base a determinati criteri. Invece sembra proprio che Raven, che non era tra i prescelti, sia venuto in possesso di almeno un libro proveniente da Cheswick.» Hero aveva assunto un'espressione adeguatamente perplessa, augurandosi che Poynter non conoscesse Raven al punto da sospettare che avesse ottenuto il libro con metodi poco ortodossi. Poynter sospirò. «E così mi avete scoperto.» Lei si era aspettata una reazione molto diversa, e cioè che il bibliotecario accennasse al fatto che Marcus Featherstone aveva venduto o perso al gioco la sua parte della raccolta di Cheswick. Compì quindi uno sforzo notevole per mascherare il proprio sbalordimento. «Il Conte aveva stabilito la suddivisione della raccolta in base a un criterio alquanto eccentrico» prese a raccontare il bibliotecario. Dietro la sua aria pacata, Hero intuì che stava ingentilendo una decisione che personalmente aveva deplorato. Lei stessa aveva conosciuto il Conte di Cheswick: un uomo senza dubbio gioviale, ma senza alcun rispetto per i libri. Un appassionato come Richard Poynter doveva aver disapprovato profondamente non solo la vendita della preziosa collezione, ma soprattutto le disinvolte istruzioni in merito alla ripartizione dei volumi. Poynter fece una pausa e guardò i due visitatori. «Presumo siate al corrente della tragica scomparsa di Mr. Featherstone.» Hero e Kit fecero un cenno di assenso. Il bibliotecario scosse la testa. «Il Conte voleva che i libri fossero acquistati solo da pochi collezionisti scelti da lui personalmente, ma mi sono accorto subito che Featherstone non aveva la disponibilità economica per acquisire la sua parte. E, siccome non volevo scontentare Sua Signoria, ho suggerito a Mr. Featherstone di agire da intermediario. Lui avrebbe finto di comprare la sua parte della raccolta, mentre in realtà avrebbe agito per conto di un altro collezionista. Così avrebbe anche potuto guadagnare una piccola percentuale sulla transazione.» Fece una breve pausa, come per verificare l'interesse dei due interlocutori. «Immagino vi rendiate conto che il Conte sarebbe molto dispiaciuto se venisse a saperlo.» Quando Hero e Kit gli rivolsero un breve cenno di assenso garantendogli il loro silenzio, Poynter scruto' di nuovo la giovane donna con la stessa espressione incuriosita di poco prima. «Il povero Mr. Featherstone aveva accettato volentieri la commissione per la cessione dell'intero lotto di libri a... ad Augustus Raven» concluse. Hero trasali'. Il libro di Mallory era già nelle mani di Raven? Molti collezionisti impiegavano parecchio tempo a organizzare e catalogare i loro acquisti, ma non Raven, meticoloso al punto di aver trovato tra le pagine di un libro il frammento di lettera che aveva dato il via alla ricerca. Che tutta questa storia fosse uno strano scherzo o l'ennesima montatura orchestrata da Raven? Oppure l'uomo era definitivamente impazzito e l'aveva inserita in un capitolo di un romanzo gotico che esisteva soltanto nella sua testa? «Siete stupita» osservò Poynter. «Non è questo il mistero che stavate cercando di risolvere? La ragione per cui Raven è entrato in possesso dei lotti inizialmente destinati a Featherstone?» Smarrita, Hero si limitò a un cenno di assenso. «Ritenete possibile che qualcun altro abbia acquistato una parte dello stesso lotto?» interloqui' Kit. Richard Poynter scosse la testa. «Ho condotto la trattativa esclusivamente con Raven. Non è il tipo da accettare di dividere il bottino con qualcun altro.» Si interruppe per riflettere. «Ora che mi ci fate pensare, in quel periodo ero stato contattato anche dal Duca di Montford, ma era troppo tardi. L'accordo con Raven era già stato concluso.» Con la coda dell'occhio Hero vide che Kit era trasalito udendo il nome dell'uomo che, secondo lei, li stava facendo seguire. Si concentrò quindi sul bibliotecario, sperando che potesse fornirle altre informazioni interessanti. Nonostante lei avesse sempre visto il Duca di Montford come una minaccia, l'espressione di Richard Poynter lasciava intendere senza ombra di dubbio che avrebbe preferito trattare con il Duca piuttosto che con Raven. L'uomo aveva corrugato la fronte con aria di disapprovazione. «Ero quasi sicuro che Raven sarebbe stato disposto a cedergli il suo lotto per lealtà nei confronti del vecchio datore di lavoro, invece mi sbagliavo.» «Datore di lavoro?» gli fece eco Kit, mentre Hero era ammutolita dallo stupore. «Si, certo.» Richard Poynter li osservò con curiosità. «Vostro zio e io un tempo eravamo entrambi alle dipendenze del Duca. Parlo di parecchi anni fa, quando Sua Grazia aveva appena cominciato a subire il fascino dei libri e a sviluppare quella particolare affezione nota come bibliomania. Ovviamente questo avveniva prima che vostro zio cambiasse il nome in Raven.» «Che cosa?» sbotto' Kit. «Oh, sì.» Richard Poynter gli rivolse un leggero sorriso. «Allora si chiamava Augustus Tovell, o perlomeno questo era il nome con cui si presentava. Poco tempo dopo si appassiono' allo stile gotico in tutte le sue forme, cambiò nome e acquistò il castello dove vive tuttora.» «E quando avvenne tutto questo?» indago' Kit. Hero avrebbe voluto fermarlo, tapparsi le orecchie, ma la curiosità la costringeva a restare immobile e muta. Il bibliotecario riflette' sulle date, poi però scosse la testa. «Mi spiace, non posso essere più preciso, perché all'epoca non ero più alle dipendenze del Duca.» Le sue labbra increspate raccontarono a Hero un altro pezzo della storia. Il suo allontanamento non doveva essere stato volontario. Probabilmente era stato il suo collega, Augustus Tovell, a fare in modo che se ne andasse. Era stata quella la prima volta che Raven aveva assaporato l'ebbrezza del potere e ne aveva abusato, oppure era già esperto nella manipolazione del destino altrui?

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Capitolo 36
*** 35 Capitolo ***


«Deve essere successo qualche anno più tardi, quando neppure lui era più al servizio di Sua Grazia» soggiunse Poynter. «Avevano avuto qualche dissidio, che voi sappiate? Chiese Kit. «Non lo so. In ogni caso, Raven non cercò un altro impiego. Immagino che sia stato il periodo in cui morì suo fratello maggiore. Augustus ereditò il patrimonio di famiglia, vendette la tenuta che i Tovell possedevano nel Surrey, acquistò Raven Hill e cominciò a isolarsi dal mondo.» Il bibliotecario sorrise ai due giovani con aria di scusa. «Ma immagino che conosciate già tutta la storia. Anche voi dovete aver cambiato il vostro nome in Raven» disse a Kit. «Infatti» rispose Hero, vedendo che il suo compagno di viaggio era rimasto sbigottito. «Entrambi siamo parenti alla lontana e Raven è stato così generoso da provvedere al nostro futuro.» «Ah.» Poynter sembrava soddisfatto. «In effetti mi stavo chiedendo quale fosse il vostro grado di parentela. Augustus Raven aveva soltanto quel fratello, morto senza figli.» Non era affatto insolito che i membri più benestanti di una famiglia si prendessero cura dei parenti meno fortunati. Coloro che non avevano eredi potevano perfino adottare coloro a cui erano più affezionati, parenti o amici che fossero. Era stato per questo motivo che il vero Erasmus aveva cambiato il proprio nome, sperando di accattivarsi con quella mossa il favore di Raven. Lui anelava ad accaparrarsi Raven Hill e tutti gli altri beni, nonostante Hero fosse sicura che Erasmus non nutrisse per Raven più affetto di lei. E la posizione di Erasmus non era affatto sicura, il che spiegava come mai si offrisse con sempre maggior disperato servilismo di eseguire qualsiasi ordine di Raven. «Ebbene, Augustus deve essere molto orgoglioso di avere come nipoti due così bei giovani.» Poynter sorrise. Per un pelo Hero non si lasciò sfuggire uno sbuffo sprezzante, perché Raven non era orgoglioso di niente, a parte se stesso e le sue acquisizioni. Del resto, lei ed Erasmus non erano forse poco più che pupazzi, aggiunte umane alla sua collezione sempre più vaste? «Vi siamo molto grati» disse Kit, accorgendosi che Hero era rimasta senza parole. «A quanto pare, non gli portate rancore.» Di nuovo il bibliotecario increspo' le labbra. «La vita è troppo breve, e la passione per il collezionismo troppo trascinante per sprecare il tempo a covare dei risentimenti. Nel corso degli anni, la mia strada si è incrociata spesso sia con Raven sia con Montford.» Scosse il capo, rattristato. «Mi ha addolorato molto sapere che Sua Grazia è gravemente malato.» «Che cosa?» Di nuovo fu Kit che ebbe la presenza di spirito di parlare, mentre Hero fissava l'uomo a bocca aperta. «Sì. Uno dei più grandi collezionisti del nostro tempo sta per intraprendere l'ultimo viaggio, anche se io continuo a pregare Dio che ce lo conservi ancora a lungo.» «Mi dispiace. Questa cattiva notizia non ci era ancora giunta all'orecchio. Anzi, mentre eravamo a Cheswick, ho avuto l'impressione di vedere degli uomini con la livrea del Duca.» Disse Kit. Poynter scosse la testa, anche lui stupito. «Forse stavano compiendo un'ultima missione per ordine di Sua Grazia» dichiarò infine con un sorriso malinconico. «È toccante pensare che il Duca di Montford stia ancora dando la caccia alla preda più ambita, il più raro dei volumi. Collezionista fino all'ultimo respiro.» Hero era talmente confusa che si lasciò condurre fuori dalla sede della London Institution senza curarsi di chi avrebbe potuto vederli. La sua mente era un tumulto di pensieri mentre cercava di assorbire le informazioni ricevute da Richard Poynter e dare a esse un senso. «Volete che cerchiamo un posto per sederci?» La sollecitudine di Kit, almeno, era una certezza immutabile. La giovane scosse la testa. «No. Preferirei camminare.» Kit le prese una mano e se la passò sotto il braccio, dandole un colpetto come se volesse confortarla. «Come volete. A questo punto è chiaro che il libro non ha mai fatto parte della collezione del vecchio conte. Martin Cheswick lo seppelli' in giardino oppure lo bruciò o se ne sbarazzo' in qualche altro modo. Il Mallory è perduto e non posso certo dire che mi dispiaccia.» «Forse» mormorò Hero. «O forse no.» Kit le lanciò un'occhiata interrogativa. «L'unica altra possibilità è che vostro zio possieda già il libro. Vi avrebbe dunque affidato questo incarico sapendo che alla fine avreste dovuto cercarlo proprio presso di lui?» Hero aveva già preso in considerazione quella eventualità, tuttavia non osava mettere Kit a parte dei propri pensieri. Gli occhi dell'uomo si fecero penetranti quando si accorse che Hero non rispondeva. «Vorreste introdurvi furtivamente a Raven Hill e cercare il Mallory?» ipotizzò. «Mi pare l'unico modo per scoprire la verità sulla sua esistenza.» «Entrare di nascosto nel castello di Raven è un'impresa impossibile» dichiarò lei. «E perché mai? Credevo che esistesse la possibilità di visitare tutte le grandi residenze, soprattutto una costruita nello stesso stile di Strawberry Hill.» Il sorriso di Hero era privo di allegria. «A differenza di Sir Horace Walpole, che aveva fatto stampare una guida della sua casa e addirittura faceva pagare il biglietto d'ingresso, Raven non ha l'abitudine di accogliere dei visitatori. Questo atteggiamento misterioso scatena la curiosità della gente, tanto che lui ha dovuto assumere diversi lacchè per scacciare i ficcanaso dalla sua proprietà.» In stile con le fantasie gotiche di Raven, i lacchè erano armati di spada. La giovane scosse la testa. «Nonostante Raven abbia sempre avuto la mira di superare Walpole, le somiglianze tra le due dimore sono poche. Strawberry Hill è progettata secondo un criterio molto innovativo, con tappezzerie eccentriche e un uso molto originale del colore e della luce. Al contrario, Raven non è un visionario.» A differenza di Walpole, gli interessava soltanto alimentare la propria immaginazione distorta, mentre Walpole aveva creato una sorta di fiera del gotico. «In entrambi gli edifici, gli archi a sesto acuto si sprecano e così pure i passaggi segreti. Però Strawberry Hill sembra un castello delle fiabe, con guglie, finestre di pietra con motivi a quadrifoglio ed elaborate scale in legno. Raven Hill è più simile a un castello, con tanto di segrete e cammino di ronda. Inoltre è costruita in pietra solida e intagliata, laddove Walpole ha preferito affidarsi alle tappezzerie, magistralmente realizzate, che riproducono tale materiale.» Non parlava mai della sua casa, ma una volta cominciato sembrava che non riuscisse più a fermarsi. «È come una tomba: fredda, buia e scomoda. Oltre che terrificante» concluse in un sussurro. «Che cosa?» Lei annuì. Aveva perso il conto delle volte che, da bambina, era incappata in qualche falso orrore aggiunto da Raven per il proprio divertimento. «Ho imparato molto tempo fa a non gridare davanti a una scure che cala e a non sussultare per qualche suono spettrale che esce dal nulla. Continuo a mangiare in silenzio e fingo che non sia successo niente.» «Che cosa?!» ripeté ancora Kit, fermandosi. «Non c'è una sedia comoda in tutto il castello, non esiste un angolino dove poter leggere un libro al caldo, ma soltanto teche traboccanti di volumi e intere casse di medaglie e di altre follie da collezionista.» Hero riprese fiato per proseguire, ma poi si avvide che Kit era in piedi davanti a lei e la guardava con aria turbata. «Quel demonio si merita di essere frustato» ringhio' lui, facendola pentire della propria sincerità. Non voleva assistere a uno scontro fra Kit e Raven, né ora né mai. La consapevolezza che il comunissimo cognome di quell'uomo era Tovell non sminuiva affatto il suo potere. Per tutto il resto Raven corrispondeva esattamente al significato del nome che si era scelto: corvo. Scosse la testa come per dissentire dalla condanna di Kit. «Si merita senz'altro una tale punizione, ma per crimini verso altre persone, molto più gravi della mancanza di un arredamento adeguato.»

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Capitolo 37
*** 36 Capitolo ***


«E io dico sul serio.» Rincaro' Kit con tanta ferocia da farla trasalire. «Non voglio che torniate laggiù. Ho l'impressione che siate trattata poco meglio di una serva senza stipendio alla mercé di un pazzo.» Non era molto lontano dalla verità, eppure Hero non era disposta a confermare i suoi sospetti. Meno ancora voleva la sua pietà, in particolare se avesse portato a un'altra proposta di matrimonio. Perché stavolta lei non avrebbe avuto la forza di rifiutare. «Forse non ci ritornerò» rispose con semplicità, senza però riuscire a incontrare il suo sguardo scrutatore. E non ebbe neppure il coraggio di metterlo al corrente del piano disperato che sperava potesse garantirle la libertà. Di colpo si rese conto che una discussione in mezzo alla strada avrebbe finito per attirare l'attenzione dei passanti e si rimise a camminare, obbligando Kit a seguirla. E decise anche di cambiare argomento. «Se il Mallory è andato perduto come sostenete voi, per quale motivo il Duca di Montford sta dando la caccia al libro... e a noi?» gli domandò. Lui si lasciò sfuggire un grugnito di esasperazione. «Il Mallory è perduto. E poi non sappiamo se quegli uomini - li abbiamo visti soltanto una volta, badate bene! - fossero davvero mandati dal Duca.» Hero gli rivolse un'occhiata perplessa. «D'accordo, due volte» si corresse Kit. «Ma questo non vuol dire che stessero inseguendo proprio noi.» «Il Duca potrebbe aver sentito dire che il Mallory è ricomparso» osservò lei. «Abbiamo appreso da Poynter che Montford conosce bene Raven. Deve aver capito che è interessato al libro e ha incaricato degli uomini di seguire me, sapendo che Raven mi incarica di fargli da compratore.» Kit scosse la testa. «Non riesco davvero a immaginare i domestici di un Duca che cercano di rapirvi. E quelli che ci hanno assalito quando siamo partiti da Oakfield non portavano la livrea.» «Avrebbero potuto indossare abiti comuni per non farsi riconoscere» fu l'aspro commento di lei. «E allora che cosa suggerite? Ci presentiamo alla residenza di Montford chiedendo di vedere un moribondo per poterlo accusare di tentato rapimento?» Il tono spazientito di Kit la colpì. Certo, quando lui la metteva così, l'idea sembrava assurda, tuttavia Poynter aveva capito. Lui sapeva che i bibliomani erano consumati dalla loro follia, fino all'ultimo penny, all'ultimo pensiero o addirittura all'ultimo respiro. «Se Montford ritiene che siamo sulla strada giusta, dovremmo proseguire le ricerche. Potremmo parlare con i domestici e con gli amici di Featherstone e cercare di scoprire dove sono finiti i suoi libri.» «Ma Poynter ha detto che sono stati venduti a Raven.» Kit era perplesso. Hero fece una pausa, colta da un pensiero improvviso. «Si, ma sono stati consegnati direttamente a Raven o sono passati prima per le mani di Mr. Featherstone? Quest'ultimo potrebbe essersi tenuto qualche gemma preziosa, non credete?» «Aprendo le casse ed esaminando i libri uno per uno? No, era già oppresso dai debiti. Non ce lo vedo proprio.» «Avrebbe potuto tenersi i volumi più preziosi. Io l'avrei fatto di sicuro.» affermò Hero. «Ma Featherstone era ormai affondato fino al collo nella vita dissoluta che l'ha rovinato» insistette Kit. «Probabilmente era più interessato al denaro che a uno qualsiasi dei libri.» «La bibliomania è una forma di dipendenza altrettanto grave del gioco.» Lui scosse la testa. «Secondo voi i lotti provenienti da Cheswick sarebbero passati prima per le mani di Featherstone. Una semplice supposizione. È più probabile che siano stati trasportati direttamente al vero acquirente, vale a dire vostro zio.» Hero stava per proibirgli di riferirsi a Raven come a un suo parente, ma si trattenne appena in tempo. Disse invece: «C'è solo un modo per scoprirlo». A differenza del solito, la sua affermazione non ebbe in risposta un gemito e lei trattenne il respiro, perché il legame con Kit era molto fragile. Dopotutto, per quale ragione avrebbe dovuto continuare ad aiutarla? Eppure... Alla fine lui si fermò di nuovo e si voltò a guardarla. «Non rinunciate mai, vero?» le domandò. Hero non avrebbe saputo dire se ci fossero sgomento o pietà nel suo sguardo. «No.» rispose. La posta in gioco era ormai troppo alta per tirarsi indietro. Quando tornarono alla London Institution, Richard Poynter era già andato via e loro non avevano molto altro da fare per impiegare il resto della giornata. Kit rifiutò di chiudersi nella loro stanza alla locanda, che sarebbe stata la soluzione migliore, memore di ciò che vi era successo. Il pensiero che lui le massaggiasse di nuovo i piedi o qualsiasi altra parte del corpo fece arrossire Hero. Dopo aver posto la condizione che non facessero niente per attirare l'attenzione, lei si lasciò trascinare al British Museum e a Covent Garden. Tenendosi alla larga dalle librerie e dalle biblioteche circostanti, passeggiarono per le vie affollate di negozi, ammirando tessuti raffinati sapientemente drappeggiati nelle vetrine, giocattoli e preziose stampe. Visitarono la bottega di un orologiaio e perfino una profumeria. Nel negozio di un fornaio gustarono dei pasticcini di sublime raffinatezza e comprarono anche del panpepato da un venditore ambulante. A Hero sembrava di sognare. Dopo una vita di doveri e una settimana di viaggio in abiti maschili, il pomeriggio trascorso nei panni di Miss Marchant, passeggiare per Londra insieme al suo premuroso fratello, rappresentava la prima vacanza della sua vita. Solo che Kit non era suo fratello e, anche se si comportava come tale, la luce che gli brillava negli occhi quando la guardava le diceva che per lei provava dei sentimenti tutt'altro che fraterni. A un tratto, Hero sentì qualcosa nascerle dentro in risposta a quegli sguardi, un desiderio ardente che minacciò di toglierle il respiro prima di affievolirsi, così che lei poté godersi la piacevole compagnia di Kit. Quando infine si avviarono verso la locanda, era quasi il tramonto e anche l'euforia della giovane cominciava ad affievolirsi insieme alla luce del giorno. Riportata alla realtà, Hero ricordò a se stessa che non era la sorella di Kit. Né sarebbe mai stata altro per l'uomo dal quale presto si sarebbe separata. Dovette attendere in un angolo buio dell'ingresso mentre Kit andava a prendere la sua giubba in modo che, così camuffata, lei potesse raggiungere in fretta la loro stanza senza farsi notare. Non fu necessaria alcuna spiegazione: lei non voleva essere scambiata per una prostituta né finire in prigione per un simile malinteso. Una volta in camera, Kit accese il lume mentre Hero tremava di freddo. Aveva gli stivali bagnati, ma prima di chiamare la cameriera per accendere il fuoco doveva cambiarsi d'abito. Prese la sua sacca e vi infilò una mano cercando la camicia, solo che questa non era in cima al resto dei vestiti, dove era sicura di averla lasciata, piegata con cura e pronta per essere indossata in tutta fretta. Con un sussulto di sorpresa, Hero si guardò intorno. Non avevano lasciato molte cose in giro, tuttavia gli stivali da uomo che lei aveva usato non erano dove li aveva collocati. Più o meno nello stesso punto, ma non precisamente in quello dove li aveva messi. La scoperta le fece battere forte il cuore. «Qualcuno è stato qui» disse piano. «Che cosa?» «Qualcuno ha perquisito la nostra stanza.» Kit si guardò intorno. La camera gli sembrava in ordine. Guardò Hero, sorpreso. «Forse la cameriera ha...» azzardo'. Lei scosse la testa. «La cameriera potrebbe avere spostato gli stivali, ma non avrebbe frugato nella mia sacca.» «A meno che non sia una ladra» borbotto' Kit. «Cercate di ricordare esattamente dove avete messo ogni cosa. Vedrete che ciascuna è all'incirca nella stessa posizione, ma non proprio dove l'avete posata voi.» Kit, accorgendosi che lei era troppo stanca per continuare a discutere, si dedicò al controllo che gli era stato suggerito e alla fine si voltò a guardarla con aria cupa.

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Capitolo 38
*** 37 Capitolo ***


«La cameriera non è una ladra. Avevo lasciato un po' di denaro nascosto in una vecchia calza. È ancora lì, però è stato spinto più in fondo.» Kit scosse la testa. «Chi mai potrebbe aver frugato ovunque per poi rimettere tutto al suo posto?» «Qualcuno che sta cercando il Mallory» affermò Hero. Una volta tanto Kit non replicò. Discussero sul da farsi, dopodiché chiamarono la cameriera perché accendesse il fuoco e si comportarono come al solito. Chiunque si fosse introdotto nella loro stanza, aveva fatto di tutto perché la sua visita passasse inosservata e loro avevano deciso, almeno per il momento, di stare al gioco. Tuttavia, Kit passò la notte su una sedia davanti alla porta, mentre Hero si rigiro' a lungo nel letto. La gioiosa, spensierata giornata che aveva trascorso con Kit era stata rovinata. Nelle ore buie della notte anche i pensieri di Hero si fecero cupi e lei si chiese quanto le sarebbero costati quei momenti preziosi. La mattina dopo Hero indossò di nuovo i panni di Sid Marchant. Era così silenziosa che Kit maledisse le circostanze che avevano cospirato contro di lui. Il giorno precedente lei era stata una compagna deliziosa e arguta, oltre che bellissima nei suoi abiti femminili. Una donna forte e indipendente, ma con un fondo di dolcezza che aspettava soltanto di essere scoperto. I silenzi erano stati piacevoli, le conversazioni stimolanti. Oltre che di libri, avevano parlato di case, di politica e perfino di agricoltura. E Kit aveva concluso che il carattere energico e passionale di Hero si amalgamasse alla perfezione con il proprio. In definitiva, lei era tutto ciò che avrebbe potuto desiderare in una compagna. Una moglie. Kit scosse la testa. Aveva praticamente rinunciato a sperare di trovare la donna giusta fino al giorno prima, quando tutto, fra di loro, era stato delizioso e spontaneo. Purtroppo la situazione era cambiata in un lampo. Adesso era fredda e distante e loro due avrebbero dovuto affrontare nuovi, oscuri pericoli. La priorità di Kit era la sicurezza di Hero, per cui tenne le pistole a portata di mano mentre finiva di riporre i pochi oggetti personali nella sacca da viaggio. Per sfuggire a occhi indiscreti, sarebbero scivolati fuori prima dell'alba, e nel frattempo si parlavano sussurrando. Kit suggerì di andare a cercare un appartamentino in affitto, per potersi meglio confondere tra la moltitudine di persone che vivevano nella capitale, ma lei scosse la testa. «Il tempo stringe» replicò con un tono che gli diede i brividi. «Preferirei spostarmi in un'altra locanda, magari più grande e più vicina al centro della città.» Anche se negli ultimi giorni Hero si era aperta un po' di più, rivelandogli qualcosa di sé, Kit non possedeva ancora elementi a sufficienza per risolvere il mistero che lei rappresentava. «Siamo inseguiti fin da quando abbiamo lasciato Oakfield Manor. Perché adesso affermate che abbiamo poco tempo?» volle sapere. Lei sollevò la sua sacca. «Perché qui siamo sul terreno di Raven e lui deve essere sempre più impaziente di mettere le mani sul tesoro.» «Che cosa? Non penserete che sia stato vostro zio a perquisire la nostra stanza?» «Lui in persona di sicuro no, però potrebbe aver ordinato a qualcun altro di farlo.» Anche dopo le rivelazioni che Hero gli aveva fatto riguardo a Raven, Kit la guardò sbalordito. «Ma perché?» Hero aprì la bocca. La richiuse. Alla fine tirò un profondo sospiro. «Non lo so. Raven è l'uomo più imprevedibili che si possa immaginare.» Questa è follia, pensò Kit. Un modo insano di condurre i propri affari e una condotta di vita ancora più delirante. Per sua natura, non si arrabbiava facilmente, ma l'ira nei confronti di Augustus Raven aveva cominciato a salirgli dentro già da un po'. «Dovremmo smetterla di correre per tutta Londra in questa specie di gioco e andare direttamente a Raven Hill.» Guardò Hero con espressione dura. «Ho voglia di fare due chiacchiere con vostro zio.» Lei incurvo' le spalle e scosse la testa in silenzio. Kit, però, non era disposto a lasciar correre. Fino a quel momento l'aveva accontentata in tutto, dando per scontato che Hero conoscesse la situazione meglio di lui, adesso invece era venuto il momento di farle capire che non era la sola capace di impuntarsi. Inoltre, se fosse dipeso da lui, Hero non sarebbe mai tornata sotto il controllo di Raven. Anche se avesse frainteso l'interesse di Hero, anche se lei non avesse accettato la sua proposta, le avrebbe trovato una sistemazione diversa. Barto aveva conoscenze ovunque. Un posto come dama di compagnia presso una gentildonna di buon carattere sarebbe stato comunque preferibile. E, di sicuro, quando Syd l'avesse conosciuta... Tutto ad un tratto gli venne in mente che da un pezzo non aveva notizie della sorella. Ricordava vagamente di aver sentito parlare di una cerimonia nuziale a Natale e, un campanello d'allarme cominciò a risuonare nella sua testa. Era straordinario come il tempo volasse. Le feste natalizie si approssimavano a grandi passi e lui non aveva la più pallida idea di cos'avesse organizzato Syd e di quanto si aspettasse da lui. Quel giorno stesso avrebbe dovuto mandarle un messaggio, con o senza l'approvazione di Hero. Sarebbe stato anche tentato di portarla di nascosto ad Hawthorne Park, ma, a meno che non l'avesse trascinata di peso, dubitava che lei avrebbe accettato. Come se avesse percepito il suo umore, Hero si voltò verso di lui, la sacca già pronta in mano. «Sarebbe meglio che ci separassimo qui.» «No.» Kit aveva replicato con tanta foga che Hero rimase in silenzio. Tuttavia, quando la vide avviarsi per lo stretto corridoio, la seguì senza perderla di vista. Uscirono dalla locanda in punta di piedi, dopodiché si immersero nelle ombre della notte scegliendo i percorsi più tortuosi. Per il momento avevano deciso di lasciare i cavalli nelle stalle della locanda, quindi procedettero a piedi e, per un tratto, facendosi trasportare da un carro sul quale erano saliti al volo, di nascosto dal conducente, per poi saltare giù e immergersi in un labirinto di veicoli finché Kit non perse del tutto l'orientamento. Alle prime luci dell'alba Hero gli indicò Maple's Inn, una locanda affollata diversissima da quella che avevano appena lasciato, piccola e fuori mano. Veicoli di ogni tipo andavano e venivano continuamente, per cui il loro arrivo sarebbe passato inosservato. Quando ebbero spazzato via una lauta colazione fino all'ultima briciola, presero possesso di una stanza pulita e spaziosa, con due letti comodi e un bel fuoco acceso. Kit guardò la sua compagna con aria interrogativa. Hero non aveva accennato a togliersi gli abiti da uomo. «Non dobbiamo tornare alla London Institution?» «Non ancora.» Lei evitava il suo sguardo. «Prima devo fare una commissione.» «E quale, di grazia?» si informò Kit. Hero non rispose e lui si piantò a braccia conserte davanti alla porta, deciso a non muoversi finché non avesse ricevuto una risposta. Un tempo sarebbe tornato alla sua vecchia vita senza discutere e senza preoccuparsi, ma quei giorni erano finiti per sempre. Ora era deciso a lottare per ottenere quello che desiderava. Nonostante avesse deciso di andarci da sola, Hero fu grata della solida presenza di Kit quando entrò da Laytham's. Non l'avrebbe mai ammesso, ma scoprire che la loro stanza era stata perquisita l'aveva profondamente turbata. Lei e Kit avevano fatto di tutto per nascondersi e ora venivano a sapere che i loro inseguitori non erano mai stati tanto vicini. Inoltre, il pensiero che qualcuno avesse frugato tra le sue cose personali era addirittura più devastante che essere minacciati con una pistola. Era un'invasione, una dolorosa violazione della sua intimità. A dire il vero, più ci pensava più Hero si convinceva che il modo subdolo utilizzato per perquisire la stanza portava la firma di Raven. Di sicuro uomini come quelli che avevano assalito la carrozza o come gli altri, a Piketon, che avevano affrontato Kit e Hob, sarebbero stati più rozzi.

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Capitolo 39
*** 38 Capitolo ***


Raven riteneva che lei avesse già il Mallory, oppure aveva impiegato quello stratagemma per accertarsi che lei non abbassasse mai la guardia? Hero sospirò. Sapeva per esperienza quanto fosse inutile cercare di scoprire i pensieri di Raven. Ma forse non avrebbe dovuto preoccuparsene ancora a lungo... Con il cuore che batteva forte, si avvicinò al banco di vendita. Non riusciva a smettere di pensare a quello che si stava giocando. Eppure, quando chiese di vedere Mr. Laytham, riuscì a mantenersi del tutto inespressiva. «Mr. Laytham non è in negozio» rispose il commesso, fissando con aria sprezzante il suo abbigliamento dimesso. Hero trasali'. Non se l'aspettava, nondimeno ora capiva che la capitolazione di Laytham era stata simulata. Lui poteva essere già da qualche parte sul Continente o, peggio ancora, a denunciarla a un magistrato. «Non ha per caso lasciato un pacco per me?» domandò con la forza della disperazione. «A che nome?» la interrogo' il tipo sprezzante. «Marchant.» Kit, vedendola in difficoltà, aveva assunto il controllo della situazione con tranquilla disinvoltura ed Hero gliene fu immensamente grata. «Ah, sì. Un momento solo.» Il commesso aprì la porta dell'ufficio di Laytham mentre Hero stava in attesa con il cuore in gola. In realtà, non sapeva di preciso cosa aspettarsi, forse un esercito di guardie che usciva dal retro bottega della libreria per arrestarla, oppure il commesso che tornava con un paio di pistole e gliele puntava contro. Le sembrava però alquanto improbabile, con il negozio pieno di clienti. Laytham's era una libreria rispettabile, nonostante il proprietario si fosse prestato a soddisfare la sua insolita, oltraggiosa richiesta. Quando l'uomo tornò con un pacchetto avvolto in carta da imballaggio e legato strettamente, Hero rimase a fissarlo per un lungo istante. Nella sua lunga attività come compratore per conto di Raven non aveva mai preso in consegna qualcosa di tanto importante. Ed era quasi assurdo che se lo fosse procurato senza spesa. «Grazie» disse soltanto, imponendosi di non strappargli il pacco dalle mani. Al contrario, lo prese con molta cura e se lo tenne stretto al petto mentre usciva dal negozio. Quando furono sul marciapiede, si sbottono' la pesante giubba e lo infilò in una capiente tasca interna, predisposta proprio per contenere pacchi anche voluminosi. Ora non poteva esserle strappato di mano e neppure finire per disgrazia in una pozzanghera. E lei continuava ad avere l'aspetto di un ragazzo imbacuccato in panni pesanti per difendersi dal freddo; nessuno avrebbe sospettato quale tesoro portasse addosso. Si avviarono senza indugio verso la relativa sicurezza della Maple's Inn. Hero non vedeva l'ora di esaminare il falso. Durante la lunga camminata l'euforia di Hero ebbe il tempo di scemare mentre lei si interrogava sul contenuto del pacco. Nonostante Kit le avesse trasmesso almeno in parte il proprio ottimismo, lei era diffidente per natura e si domando' se sotto tutti quegli strati di carta marrone ci fosse veramente un libro. In realtà poteva esserci qualsiasi cosa. Un pezzo di legno, un libro di nessun valore messo lì al solo scopo di liberarsi di lei, con Laytham che si era fatto negare per essere sicuro di non incontrarla mai più. Quel timore la torturo' al punto che il panico erose la sua consueta presenza di spirito, rendendola sbadata. Fu solo quando Kit si fermò davanti alla loro porta in modo da controllare la stanza prima di entrare che lei si accorse della propria disattenzione. Innervosita, vide un uomo che percorreva il corridoio; la sagoma le parve vagamente familiare, ma quando si fermò davanti a un'altra porta lei tirò un sospiro di sollievo. Tuttavia, mentre Kit le faceva segno di entrare, Hero pagò il prezzo della propria distrazione con la canna di una pistola premuta sulla schiena. «Tenete la bocca chiusa e andate dentro. Non volete guai, vero?» Hero riconobbe la voce. Era uno dei due uomini che avevano assalito la carrozza e minacciato Hob. Per maggior chiarezza, l'uomo le premette più forte la pistola contro la schiena, spronandola a muoversi. Appena si accorse che Hero non era sola, Kit cercò di infilare una mano nella giubba, ma l'uomo lo fermò. «Non muovetevi o sparo alla ragazza» gli intimo' senza alzare la voce. «Tenete le mani bene in vista.» Hero sentì dietro di sé passi che si avvicinavano e poi la porta si chiuse con un tonfo minaccioso. Un altro uomo era entrato e puntava la pistola verso Kit. E siccome era il più alto dei due, ne dedusse che quello basso doveva essere dietro di lei. Non si aspettava invece la comparsa di un terzo personaggio, per cui trasecolo' quando la figura che le era sembrata familiare nel corridoio entrò nel suo campo visivo. «Erasmus! Che cosa ci fate voi qui?» domando' al suo cosiddetto cugino, allibita. Era stato Raven a congegnare il tutto? «Ci è voluto un po', lo riconosco» dichiarò Erasmus. I suoi occhi - piccoli, neri e rotondi come quelli di un uccello - scintillavano nel viso di un pallore innaturale. «Siete stata piuttosto brava, Hero, a cercare di far perdere le vostre tracce. Per vostra sfortuna, uno degli informatori di Raven gli ha riferito che eravate a Londra. E, per mia fortuna, è rimasto così sorpreso di vedervi in abiti maschili che vi ha seguito.» Lei lo guardò. Era stata tanto attenta... «Oppure ha pagato un ragazzino perché vi pedinasse» puntualizzo' Erasmus. «Non lo so e non mi interessa. Non mi sono preoccupato neppure quando siete sparita, stamattina. Perché, vedete, ho interrogato un commesso di Laytham, l'affidabile Mr. Ridealgh, il quale era al corrente che voi, o per meglio dire Mr. Marchant, come adesso vi fate chiamare...» Fece una piccola pausa per rivolgerle un sogghigno beffardo. «... sareste dovuta tornare oggi alla libreria. E così mi è bastato aspettarvi al varco.» Hero si concesse non più di un paio di secondi per rammaricarsi del fatto che tutte le precauzioni che aveva adottato non fossero servite a nulla. Nonostante i suoi sforzi, non avrebbe mai potuto controllare le persone al di fuori della sua influenza, come quel Mr. Ridealgh, sia che fosse il braccio destro di Laytham sia un umile commesso ansioso di intascare un po' di denaro extra in cambio di informazioni. «E se non aveste nascosto il pacco dentro la giubba, avremmo addirittura potuto evitare tutto questo.» Erasmus scosse la testa. «Uno spintone per farvi perdere l'equilibrio e io me ne sarei andato con il Mallory.» «Perché?» gli chiese Hero. «Se pensate di sottrarlo a Raven, avete decisamente sottovalutato il vostro avversario.» «Oh, Raven avrà il suo volume, non dubitatene. Quando io deciderò di consegnarglielo. Mentre voi, dopo aver sprecato tanto tempo e tanto denaro, ritornerete a mani vuote.» «E quando gli racconterò la verità su come ve lo siete procurato?» Un altro sogghigno. «Non so di cosa stiate parlando, cugina.» «Siete stato voi a frugare nella nostra roba, non è così?» gli chiese Hero. Il sorriso che stiro' le labbra sottili di Erasmus fu una risposta sufficiente. «Ancora voi avete assoldato questi bruti per rapirmi o comunque ostacolarmi in qualsiasi modo. Tutto questo per impedirmi di portare a termine il mio incarico, cosa di cui Raven non sarà molto soddisfatto.» «Non so di cosa stiate parlando» ripeté Erasmus, le labbra increspate in una smorfia di disprezzo. «Io posso rendere conto di dove mi trovavo, ma voi? Sembra proprio che vi siate concessa una bella vacanza, dedicando più tempo al vostro amante che alla vostra missione.» Schiocco' la lingua on segno di disapprovazione. «Raven non ne sarà soddisfatto» concluse facendole il verso. Hero trattenne il respiro. Inutile discutere con lui, poiché entrambi conoscevano l'esito della partita. La parola di lei contro quella di Erasmus, davanti al loro giudice: Raven. Ed Erasmus sapeva che colui che tornava a casa con dei doni veniva ricompensato. Già, ma qual era il dono che suo cugino avrebbe presentato al padrone di casa?

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Capitolo 40
*** 39 Capitolo ***


Solo Hero sapeva cosa c'era nel pacco e quello era il suo asso nella manica. E così, invece del timore dal quale avrebbe potuto a buon diritto lasciarsi sopraffare, provò una fredda collera verso l'inetto usurpatore che avrebbe potuto rovinare la sua unica occasione di conquistarsi la libertà. Hero lo guardò con freddezza. «Non ve ne verrà niente di buono» affermò sottovoce. «Raven non si fida di voi. Sa quanto siete avido ed egoista.» Gli occhietti di Erasmus lasciarono trapelare un odio profondo. «Ebbene, allora siamo della stessa pasta. E voi? Non so neppure chi siete veramente. Non ho mai capito perché siete sempre stata la prescelta mentre ero io quello che si faceva in quattro per compiacerlo, rinunciando persino al mio nome per prendere il suo. Raven e io abbiamo lo stesso sangue nelle vene. Ma voi?» Hero non reagì alla provocazione. E neppure si soffermo' a pensare a Kit, lontano soltanto pochi passi, che di sicuro stava ascoltando con la massima attenzione il loro dialogo. Si concentrò invece sulle capacità che sapeva di possedere e sull'esperienza che le aveva tanto spesso fornito un vantaggio sugli antagonisti, mentre Erasmus... Come al solito lui si stava lasciando guidare dalle emozioni invece che dalla razionalità e quello era uno dei motivi per cui Raven non gli aveva mai affidato gli incarichi più delicati. «Lo sanno tutti che non siete sua parente e che vi comprò, né più né meno come gli oggetti della sua collezione. Anche se, nel vostro caso, la spesa fu assai più modesta.» Hero si mantenne impassibile, come se lui stesse parlando del tempo e non di una realtà così drammatica. Erasmus non poteva conoscere tutta la storia, si disse. Perlomeno, non ne conosceva il capitolo più penoso. «Dove vi trovò, eh?» chiese Erasmus avvicinandosi di un passo, i lineamenti affilati distorti da anni di delusioni, invidia e soprusi. «Ho frugato dappertutto, libri e corrispondenza personale di Raven, eppure non ho trovato niente. Questo dimostra che il vostro valore è pari a zero.» Fece ancora un passo. Ormai era così vicino che Hero vedeva le goccioline di saliva sulle sue labbra. «Vi trovò in mezzo alla strada? Una mendicante? Una ladruncola?» Sorrise. «No, non credo. C'è solo un posto dove può aver comprato una come voi, a poco prezzo. E questo posto è un bordello, dove vostra madre era una sgualdrina che vendeva il suo miserabile corpo.» Erasmus la guardava tanto fissamente da dimenticarsi di Kit e dei due uomini che aveva assoldato, i quali assistevano con gli occhi sgranati a quella singola conversazione. Alla parola sgualdrina, Kit si gettò in avanti. Colse Erasmus così di sorpresa che questi, più basso di lui, cadde a terra sotto l'impeto del suo assalto, mentre Hero conficcava il gomito nello stomaco dell'uomo che le teneva la pistola puntata alla schiena. Il terzo li prese di mira con la sua arma, e al rumore di uno sparo, Hero si lasciò cadere sul pavimento. «Fermo, idiota! Volete uccidere me?» L'uomo che aveva tenuto sotto tiro Hero strillo' infuriato contro il compagno. Il proiettile era finito chissà dove, ma lo sparo avrebbe attirato l'attenzione. Hero approfittò del suo panico per precipitarsi a spalancare la finestra, felice di aver scelto una stanza che dava su una bassa tettoia. Con una giravolta, si accuccio' e sfilò dallo stivale la propria arma, decisa a tenere a distanza il suo assalitore. L'uomo era però impegnato ad aiutare il suo compagno che stava lottando con Kit. Erasmus, invece, era disteso sul pavimento; il suo livore era scomparso e ora guardava la scena con gli occhi dilatati dalla paura. Ignorandolo, Hero prese una sedia e la usò per colpire con forza alla schiena l'uomo più basso. Questi cadde con un grugnito e lei fu svelta ad afferrare la pistola che era finita a terra. «Ah!» Il grido di dolore proruppe dalla bocca del compagno più alto mentre anche la sua pistola cadeva sul pavimento. L'uomo si teneva stretto un braccio, dove una macchia rossa si allargava sulla manica. In un baleno Kit corse alla finestra e asciugo' la lama insanguinata del suo pugnale sulla tenda. «Dove lo tenevate?» gli chiese Hero. «Nello stivale.» Lei gli lanciò un'occhiata stupita. «E dire che siete un semplice agricoltore.» Uno scalpiccio nel corridoio li avviso' che stava per arrivare qualcuno, richiamato dallo sparo. I due giovani salirono sul davanzale. Non c'era tempo per recuperare le loro cose, solo per un'ultima occhiata alla stanza, dove i due scagnozzi giacevano doloranti sul pavimento. La porta che dava sul corridoio era aperta. Erasmus si era dileguato. Tenendosi curvi, più che camminare scivolarono sulla tettoia sdrucciolevole che copriva l'ingresso della cucina. Kit saltò agilmente a terra e si voltò per prendere Hero. Ancora una volta lei si sentì grata per la sua forza tranquilla. Purtroppo non ebbe il tempo di assaporarla, perché lui la trascino' verso le scuderie e da lì raggiunsero la strada. Quando finalmente furono su un marciapiede affollato, Kit rallento' il passo per non farsi notare, tuttavia Hero dovette ugualmente affrettarsi per non essere distanziata. Aveva la mente in tumulto e non riusciva a decidere dove andare, perché sembrava che ovunque ci fosse qualcuno che la teneva d'occhio. Sentiva l'urgenza di affrontare Raven, ma non voleva presentarsi davanti a lui così travestita. E i suoi abiti femminili erano rimasti alla locanda. Tutto ad un tratto ebbe la sensazione di essere uscita sconfitta dalla battaglia, ammaccata e ferita dalle implicazioni dell'intervento di Erasmus. Senza il Mallory, la sua posizione, già precaria, sarebbe stata resa ancora più difficile dall'odio di Erasmus. Come se Raven li avesse messi uno contro l'altra in una lotta senza fine per conquistare il suo favore. Era così assorta in quei deprimenti pensieri che sbatte' appena le palpebre quando Kit la infilò quasi a forza in una vettura di piazza. Si accosto' al conducente per pronunciare un indirizzo a bassa voce e quando ebbe finito salì a sua volta e si sedette di fianco a lei. «Dove andiamo?» indago' Hero. «In un posto sicuro.» Kit le diede un colpetto sul braccio. Fino a non molto tempo prima, lei avrebbe accolto quelle parole con sospetto, ora invece appoggiò la testa contro lo schienale e chiuse gli occhi, troppo sfinita per protestare. I pensieri si inseguivano in un folle girotondo nella sua testa, ma la mancanza di riposo e il calore del corpo di Kit vicino al suo le indussero uno stato di sonnolenza che proseguì fino a quando la carrozza si arrestò e Kit l'aiuto a scendere. Hero si guardò intorno, senza aveva la minima idea di dove si trovassero. Lui la fece entrare in un negozio che attraversarono per poi uscire dalla porta sul retro, percorsero un'altra strada e bussarono alla porta di una bella casa. Kit sussurro' qualche parola al domestico venuto ad aprire e furono fatti accomodare in un accogliente salotto dove pochi istanti dopo entrò un giovanotto piuttosto attraente che Kit le presentò come Charles Armstrong. «Kit, amico mio! Che piacere rivedervi!» fu la cordiale accoglienza del padrone di casa. Era biondo tanto quanto Kit era bruno e sembrava possedesse la medesima affabilità. «Quante volte vi ho invitato a venirmi a trovare qui in città? Ma adesso che siete diventato un proprietario terriero immagino che non abbiate tempo per la mondanità.» Hero per poco non scoppiò a ridere, perché Kit era l'unico individuo di sua conoscenza che contemporaneamente possedeva una vasta conoscenza letteraria, andava in giro con un coltello infilato in uno stivale ed era in grado di sopraffare due delinquenti alla volta. Eppure il suo aspetto non differiva da quello dell'elegante Charles Armstrong, nonostante in quel momento Kit fosse un po' più scarmigliato dell'amico. Possedeva un'eleganza disinvolta e una tranquilla padronanza di sé che potevano ingannare riguardo alla sua natura, giacché la forza interiore e i molteplici talenti rendevano Christopher Marchant un uomo davvero formidabile. Anzi, decisamente pericoloso. Pervasa da un'improvvisa ondata di emozioni, degluti' con forza prima di concentrarsi sul dialogo tra i due uomini. «E come sta la vostra deliziosa sorella?» stava chiedendo Armstrong, con un tono pigro che tradiva qualcosa di più di un ozioso interesse. «È fidanzata e sposerà presto il nostro vecchio vicino, che ora è diventato il Visconte Hawthorne.» «Oh, questa è... una buona notizia, naturalmente. Vi prego di riferirle che le auguro di cuore ogni felicità.» «A dire il vero, speravo di poter approfittare di questo nostro incontro per farle avere un breve messaggio. Vi prego di perdonarmi se mi sono presentato così a casa vostra senza avvisarvi prima, ma abbiamo avuto qualche... seccatura qui in città» spiegò Kit. Prese da parte il padrone di casa e i due si immersero in una conversazione appena sussurrata e punteggiata di esclamazione da parte di Armstrong e di occhiate furtive verso di lei. Di nuovo Hero pensò che un tempo avrebbe diffidato di ciò che non poteva udire, ma Kit sembrava avere tutto perfettamente sotto controllo mentre lei sentiva di aver raggiunto e forse superato i propri limiti, fisici e mentali. Quando ebbero finito di parlare, una cordiale ed efficiente governante li condusse al piano di sopra e mostrò a Hero una deliziosa camera da letto prima di accompagnare Kit in un'altra. Per un lungo istante la giovane donna rimase immobile a osservare la stanza luminosa e allegra, con le tappezzerie fiorite e i mobili leggeri e raffinati. La luce entrava a fiotti dalle ampie finestre e velate da tende di garza ed Hero pensò che forse avrebbe dovuto tirarle, ma le mancava il coraggio. Kit busso' alla porta ed entrò e di colpo Hero non si sentì più stanca, bensì spaventata. Aveva sperato di poter uscire alla chetichella dalla vita di lui, ma le accuse di Erasmus avevano reso impossibile quella soluzione indolore. Era venuto il momento della verità, pensò, con il cuore in tumulto e le tempie pulsanti. Sarebbe voluta fuggire, ma era impossibile, quindi prese a camminare per la stanza, ammirando la brocca e il catino di fine porcellana e tutte le piccole comodità che un perfetto sconosciuto aveva messo generosamente a sua disposizione. «Ho spiegato ad Armstrong che siete sotto mentite spoglie» esordì Kit. Senza tante cerimonie, si lasciò cadere su una sedia imbottita. «Ha chiesto a una cameriera di portarvi dei vestiti di sua sorella. Nel caso vogliate cambiarvi.» Hero soffoco' una risata. Adesso che erano nel mondo di Kit, si accorgeva delle proprie lacune. Una bizzarra giovane donna, con indosso degli abiti da ragazzo, in una casa come quella era fuori posto. Sarebbe stato il caso di... «Volete che gli diamo un'occhiata?» Per un istante lei lo fissò senza capire. Di che cosa diamine stava parlando? E poi rise quando si accorse di quanto i suoi pensieri fossero distanti dall'obiettivo della sua missione. Sembrava impossibile, eppure si era completamente dimenticata del Mallory, la cosa più importante della sua vita. O perlomeno così si disse. Hero si sbottono' la giubba e sfilò il pacchetto dalla tasca interna. «Non è il vero libro» spiegò a Kit. «Ho fatto preparare un facsimile.» «Che cosa?!» «Proprio così» Hero prese a camminare per la stanza. «Raven ha sempre messo in dubbio l'autenticità dei libri di Laytham e io ho puntato su questo.» A quel punto non c'era più motivo di misurare le parole. «Ho usato il ricatto per convincere Laytham ad assemblare un volume che, almeno a un primo esame, ingannera' Raven.» «Una mossa molto astuta» commento' Kit. Hero lo guardò sorpresa, ma sul suo viso non lesse la disapprovazione che si sarebbe aspettata. Appoggiò il pacco sul tavolino, di fianco alla sedia di lui. «Vedremo» disse semplicemente. Il successo del suo piano era tutto da dimostrare. Raven era molto intelligente e lei non sapeva di preciso cosa contenesse il pacco. Cominciò ad armeggiare con lo spago, le dita incerte, finché Kit non prese il coltello dallo stivale e lo tagliò di netto. Hero cominciò a tremare mentre spostava la carta per scoprire il contenuto del pacco. Un libro. Hero tirò un sospiro di sollievo. La rilegatura era antica, doveva risalire ad almeno un secolo prima, e il titolo a malapena leggibile. Che fosse un caso o una mossa deliberata, era comunque un tocco di classe, pensò picchiettando sulla copertina con la punta dell'indice. Le pagine interne erano altrettanto antiche, come osservò Kit che si era messo dietro di lei. «Che ne pensate? A me sembra autentico» le disse. «Non lo è, credetemi» ribatte' lei. «Altrimenti Laytham non se ne sarebbe mai separato.» Un colpo alla porta la fece trasalire ed Hero avvolse in fretta il volume nella carta mentre una vivace cameriera entrava nella stanza con le braccia cariche di vestiti. «Mr. Armstrong ha detto che vi servivano degli indumenti... signori» annunciò la ragazza. «Sì. Grazie» rispose Kit. La cameriera depose il fardello. «E vi porterò anche un vassoio con qualcosa da mangiare. Desiderate qualcos'altro?» «Un bagno?» suggerì Kit. «Subito, signore.» Con un cenno del capo, la cameriera uscì dalla stanza e chiuse la porta. Un bagno. Abiti puliti. Del buon cibo, non come quello delle locande. Pensare ai piaceri che Kit apprezzava tanto consentì a Hero di rimandare l'inevitabile. Almeno per un poco. Riavvolse con cura il libro nella carta da pacco e lo ripose in fondo a un capiente armadio, di fianco a un vaso da notte che non avrebbe mai usato, così come non avrebbe mai dormito nel grazioso letto. «Vostro zio si lascerà ingannare?» le domandò Kit. «Non chiamatelo così.» Le parole le sfuggirono prima che potesse trattenerle. Per un lungo istante Kit non disse nulla. «Non crederete alla storia che quel miserabile di vostro cugino ha cercato di darvi a bere? Veleno puro, ne sono sicuro, sputato da un poveraccio roso dalla gelosia.» «No» mormorò Hero. «La verità è perfino peggio di quanto crediate.» Si girò a guardarlo. Kit si era seduto di nuovo sulla sedia imbottita ed era così a proprio agio in quell'ambiente raffinato ed elegante che lei si sentì un'intrusa. Quello che era in realtà. «Raven mi ha comprato in un manicomio. Mia madre era pazza.» Chiuse gli occhi per un istante, cercando di farsi forza, ma l'orrore e il biasimo che si era aspettata di leggere nell'espressione di Kit non apparvero. Al contrario, lui si limitò a scuotere la testa. «Non ci credo. In base a quello che mi avete raccontato di Raven, questo è proprio il genere di storia che deve essersi inventato per spaventarvi e tenervi legata a sé.» Fece una pausa e la guardò dritto negli occhi. «Forse lui è vostro padre.» Una teoria che le causò un brivido, perché anche in quel caso lei sarebbe stata la figlia di un malato di mente. Forse di due malati di mente. Al tempo stesso, non riusciva proprio a immaginare Raven in atteggiamento intimo con... con chiunque. Hero scosse la testa. «Non riesco a credere che Raven abbia potuto generare un figlio con qualcuno. Nel modo più assoluto.» «Neanche in un impeto di passione?» «La passione che Raven può provare non è del genere che porta alla nascita di un bambino.» «Glielo avete mai chiesto?» Hero rise, ma senza allegria. «Mettere in dubbio la sua parola? Voi non capite. Con lui i dialoghi consistono in allusioni e misteriose trame, mentre le contestazioni vengono accolte da un silenzio gelido.» Kit inarco' le sopracciglia scure, come se lei gli avesse appena dato ragione. «Se lui parla per indovinelli ed è noto per i suoi intrighi, come potete credere a quello che vi ha raccontato sulla vostra origine?» Perché Raven godeva nel ricordargliele, alludendo subdolamente alla pazzia che con il passare del tempo avrebbe distrutto anche la sua mente. Kit la incalzo', vedendo che non rispondeva. «E perché sarebbe dovuto andare a cercare dei bambini da adottare proprio in un manicomio? È assurdo.» «Immagino che ne volesse uno che nessun altro sarebbe andato a reclamare, sconosciuto, senza legami. E che gli sarebbe stato grato...» «Avrebbe potuto farlo in qualsiasi strada, senza spendere tempo e denaro per qualcuno che avrebbe potuto non rivelarsi né utile né riconoscente.» «Forse l'idea gli piaceva» riflette' Hero. «Di sicuro si sposa perfettamente con il suo amore per i drammi gotici. Si sarebbe servito di me finché non fossi impazzita, dopodiché mi avrebbe rinchiusa nella torre di Raven Hill, dove i miei gemiti e le mie grida avrebbero fornito un pregevole contributo all'atmosfera del castello» concluse, rabbrividendo al solo pensiero della fine che avrebbe potuto toccarle in sorte.

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Capitolo 41
*** 40 Capitolo ***


«Ammetto che l'idea potrebbe averlo allettato, ma ve lo immaginate un misantropo come lui che entra in un manicomio e che lascia entrare nel suo rifugio - del quale mi avete detto che è gelosissimo - un perfetto sconosciuto che potrebbe non essere facile da manovrare come lui desidera?» Kit scosse la testa. «Io ritengo che Raven si sia inventato di sana pianta la storia delle vostre origini.» Hero aprì la bocca per argomentare, poi però la richiuse e rimase a fissare in silenzio il viso schietto di Kit. Le aveva parlato con tanta sicurezza che per la prima volta sentì il dubbio insinuarsi nelle proprie convinzioni. Raven non le aveva mai spiegato le sue origini apertamente, bensì in toni sibillini, lasciando che fosse lei a trarre le conclusioni. Neppure Erasmus aveva indovinato la sua vera storia ed Hero si era tenuta stretta il segreto, oscuro e infetto come una cancrena che distrugge dall'interno. Fino a quel momento. Tuttavia, ora si chiedeva se, con la sua mente contorta, Raven non avesse lasciato cadere certe allusioni di proposito, perché lei giungesse alle conclusioni sbagliate. Ma se tutta quella storia era una menzogna, allora lei da dove veniva? E, soprattutto, che erano i suoi genitori? Quando ebbe indossato degli abiti puliti, Kit ringrazio' mentalmente Charlie per la sua generosità. E dire che non erano neppure amici intimi, in quanto Charlie era cugino degli Armstrong, i vicini che avevano avuto prima di trasferirsi a Oakfield Manor. Nondimeno il giovanotto aveva generosamente offerto cibo e un bagno caldo in un'enorme, lussuosa vasca di rame ai due che si erano presentati inaspettatamente in casa sua. Inoltre aveva fornito loro un rifugio sicuro, perché Kit non riusciva proprio a immaginare Erasmus e i suoi scagnozzi che si avventuravano in quel quartiere elegante. Lasciò andare un lungo respiro; era un bel sollievo avere scoperto che i loro inseguitori non erano i seguaci di Mallory, di nuovo alla ricerca del libro che conteneva la spiegazione di antichi, efferati riti magici, bensì un cugino frustrato e i suoi sgherri. Certo, non si poteva negare che il cugino di Hero fosse pericoloso, perché le sue farneticazioni lasciavano parecchi dubbi circa la stabilità della sua mente. E gli uomini che aveva assoldato avevano brandito le pistole con l'aria di essere davvero pronti a usarle. Ma una volta che Hero si fosse allontanata dall'orbita di Erasmus, lui non avrebbe più avuto motivo di minacciarla. E Kit aveva tutte le intenzioni di sottrarla alla nefanda influenza di quei due figuri, Raven ed Erasmus. Non aveva avuto il tempo di dirglielo - glielo aveva impedito l'arrivo della cameriera con l'acqua per il bagno - ma si augurava di ricevere una risposta diversa quando le avesse rivolto di nuovo la sua proposta di matrimonio. Finalmente l'ultima tessera del mosaico si era incastrata al suo posto e il cupo segreto che lei aveva custodito con tanto zelo si era rivelato per ciò che era: un racconto gotico uscito dalla fantasia contorta del padrone di Raven Hill. Kit era sicuro che Hero non era stata adottata in manicomio e altrettanto certo che Raven aveva voluto farglielo credere. In fondo era la strategia più azzeccata per tenerla legata a sé. Con quella storia le aveva impedito di avere amicizie, vita sociale, rapporti con le coetanee o con potenziali corteggiatori. E se per caso lei avesse sviluppato un attaccamento per qualcuno, l'orrenda bugia che le aveva raccontato le avrebbe vietato di realizzare il sogno di formarsi una famiglia. Mentre chiudeva la porta della propria stanza, scosse la testa. Spesso le donne avevano poche possibilità di scelta, ma Raven aveva fatto in modo che lei non ne avesse alcuna. Avviluppandola in una ragnatela di minacce, menzogne e isolamento, l'aveva tenuta prigioniera, corpo e mente. E solo grazie all'incredibile forza interiore di Hero, Raven non era riuscito nell'intento di piegare anche il suo spirito. Mentre pensava a lei aveva rallentato il passo, ma l'incontro con una cameriera nel corridoio lo indusse ad affrettarsi. Adesso che erano ospiti di Charlie, non sarebbe stato prudente recarsi sfacciatamente nella camera da letto di una fanciulla che non era sua parente. Nelle ultime settimane, le circostanze gli avevano fatto tenere un comportamento che era diventato di fatto un'abitudine, ma che la buona società avrebbe apertamente condannato. Era stato necessario informare il padrone di casa della vera identità di Hero, tuttavia Kit gli aveva raccontato poco altro. Per esempio, Charlie non sapeva che loro due avevano viaggiato da soli. I domestici potevano avere dei sospetti, tuttavia la versione ufficiale fornita a tutti era che in quella camera da letto avrebbe soggiornato un ospite di sesso femminile. Charlie aveva addirittura chiesto a una zia vedova di trasferirsi temporaneamente in casa sua per fungere da chaperon, un gesto che Kit aveva molto apprezzato. Per il bene di Hero, non voleva che la sua reputazione fosse rovinata agli occhi del mondo. Barto e Syd non avrebbero mai dato importanza alle chiacchiere, eppure i pettegolezzi avevano un modo tutto loro di restare appiccicati all'interessato, fino agli angoli più remoti della campagna, chiudendo le porte dell'alta società. Con ogni probabilità la zia di Charlie era arrivata ed Hero le era già stata presentata. Kit scese in fretta le scale e trovò Charlie nel salotto al pianoterra, seduto allo scrittoio. «Salute! Se non sbaglio volevate mandare una lettera a vostra sorella» esordì Charlie, alzandosi in piedi. «Proprio così. Grazie per avermelo ricordato. E grazie per tutto quello che state facendo per noi.» Il padrone di casa lo liquido' con un gesto della mano. «La prossima volta che avrò bisogno di respirare un po' d'aria di campagna, basterà che mi apriate le porte della vostra nuova casa.» Kit scoppiò a ridere. «Temo che sarà meno divertente di quando state dai vostri cugini.» «Ma comunque sempre meno logorante di Londra.» Charlie rise a sua volta. «Quiete e riposo in mezzo alla natura, eh?» Per la prima volta dalla notte dell'incendio, Kit cominciò a pensare al panorama che, sparito il tetro labirinto, si era aperto dietro la sua casa. Non aveva la minima intenzione di ripristinare le minacciose siepi del labirinto, gli sarebbe piaciuto invece un giardino accogliente, con l'atmosfera che Charlie aveva appena evocato. Vialetti, alberi e aiuole fiorite. Forse avrebbe chiamato un paesaggista... Si riscosse. Stava correndo troppo. Prima aveva altri affari da sistemare, il più urgente dei quali era Syd. Si sedette sulla sedia che Charlie aveva occupato fino a pochi istanti prima e scrisse una lettera alla sorella e a Barto per informarli che stava bene e che desiderava presentare loro una persona. Per evitare malintesi, Kit non spiegò il motivo, ma promise che si sarebbe recato ad Hawthorne Park appena avesse concluso alcune faccende a Londra. Non menziono' il fatto che una di esse riguardava Augustus Raven. Aveva appena affidato la missiva a un valletto quando il maggiordomo annunciò la zia di Charlie. Bassa e tozza, avvolta in una montagna di scialli e sciarpe di pelliccia, entrò nel salotto accompagnata da un fiume ininterrotto di chiacchiere riguardanti il tragitto da casa sua a quella del nipote. Mentre il maggiordomo prendeva in consegna il mantello e gli altri indumenti pesanti, Charlie lanciò a Kit un'occhiata rassegnata. Doveva essere ancora più grato all'amico, riflette' Kit, perché sospettava che la zia non fosse una frequentatrice abituale di quella casa, per ragioni che diventavano sempre più evidente con il passare dei minuti. Quando si fu sbarazzata delle numerose sciarpe, la donna afferrò uno scialle dai colori vivaci. «E poi ha cominciato a piovere. Una pioggerellina gelida, le condizioni peggiori per la gente della mia età» continuò a raccontare. «Devo proprio dire, Charlie, che non mi sarei mai avventurata fuori casa se non fosse stato per voi e per la vostra richiesta.»

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Capitolo 42
*** 41 Capitolo ***


Quando fu finalmente soddisfatta di come aveva sistemato i propri indumenti, la zia di Charlie Armstrong si voltò a esaminare la stanza. «Ah, siete laggiù, Charlie!» esclamò, salutando il nipote con il fazzolettino di pizzo. Strizzo' gli occhi in direzione di Kit e si diede un colpetto sul seno enorme, dalle cui misteriose profondità estrasse un paio di occhiali. «E costui chi sarebbe?» «Vi presento Mr. Christopher Marchant» annunciò Charlie con un'occhiata di scusa a Kit. «È un mio amico. Per molti anni è stato vicino di casa di William ed Elizabeth.» «William ed Elizabeth! Oh!» La zia si lasciò cadere su un'ampia poltrona. «Quante volte ho detto alla loro madre di avere più polso con quei ragazzi. E quante volte il più giovane si è messo nei guai! Un vero briccone.» Nonostante Kit conoscesse molto bene tutta la famiglia degli Armstrong, non gli ci volle molto a perdere il filo della conversazione, se così la si poteva definire. Charlie fece del suo meglio per mostrarsi interessato, mentre Mrs. Armstrong continuava a chiacchierare senza sosta. Non sembrava maligna, solo ansiosa di esprimere la propria opinione riguardo a tutto e a tutti. Probabilmente avrebbe portato Hero all'esasperazione, pensò Kit, mentre lui era stato costretto tanto spesso ad ascoltare suo padre e i suoi amici letterati da riuscire a sviluppare l'arte di annuire ogni tanto, al momento opportuno, mentre ascoltava un discorso aggrovigliato. Quel giorno, tuttavia, stava quasi per addormentarsi quando un'improvvisa nota stridula nel tono di Mrs. Armstrong lo riportò bruscamente alla realtà. «Mrs. Marchant! Mi chiedo, questa giovane donna su cui devo vegliare... dov'è?» «Sta riposando, zia» rispose Charlie. «Ha chiesto di non essere disturbata.» Le parole di Charlie, unite alle ombre lunghe che si cominciavano a vedere fuori, fecero balzare in piedi Kit, di colpo allarmato. «Vado a controllare.» Mrs. Armstrong emise un suono strozzato e Charlie chiamò subito una cameriera per affidarle il compito di andare da Hero, ma Kit si trattenne a stento dal precipitarsi di sopra. «Davvero, giovanotto, se fate delle affermazioni tanto oltraggiose non potete aspettarvi che io funga da chaperon. E come mai siete tanto pallido?» L'anziana signora sollevò gli occhiali per esaminare Kit. «La fanciulla non sarà ammalata, vero?» Il nuovo argomento le diede l'occasione per dilungarsi in un dettagliato resoconto di una giovane donna che aveva sofferto di un violento attacco di gotta. «Ma data l'età sembra strano, non è vero?» chiese a nessuno in particolare. La cameriera che era stata mandata a bussare alla porta di Hero ricomparve in salotto. «Nella stanza non c'è nessuno» riferì scuotendo la testa. «Non capisco» disse Charlie. «Nessuno l'ha vista uscire?» «No, signore» rispose la ragazza. «Posso chiedere al personale in cucina, ma se la giovane signora fosse passata da quella parte l'avrebbero riferito alla governante.» «Come ha fatto a sparire, allora?» Charlie si rivolse a Kit. D'un tratto sembrava turbato. «Non penserete che qualcuno possa essersi introdotto in casa per... portarla via, vero?» Davanti alla sua espressione inorridita, Kit scosse la testa. «Deve essere uscita dalla finestra.» «Dalla finestra? In pieno inverno?» La voce di Mrs. Armstrong si levo' stridula nel salotto e la donna fissò a bocca aperta prima il nipote, poi il suo ospite. Senza replicare, Kit uscì in fretta dalla stanza, ma fece in tempo a udire l'anziana signora che proseguiva, rivolta al nipote: «Mio caro ragazzo, devo dire che mi avete affidato un compito davvero complicato. Non so proprio se...» Salì in camera di Hero e una rapida perlustrazione gli confermò che lei era fuggita con indosso gli abiti femminili presi in prestito. Ma perché? Andò ad aprire l'armadio dove l'aveva vista nascondere il libro: il pacco era sparito. I dubbi che un tempo l'avevano tormentato ripresero vita, alimentati dal ricordo della scarsa capacità di giudizio di cui lui aveva dato prova appena arrivato a Oakfield Manor. Quell'esperienza l'aveva portato a diffidare del proprio istinto e ora Kit si chiese se si fosse sbagliato anche riguardo a Hero. Forse lei l'aveva menato per il naso per tutto il tempo e, avendo trovato l'autentico Mallory, stava correndo a incassare la ricca ricompensa. Quei pensieri gli attraversarono la mente in un baleno, ma subito Kit li cancellò. Giusto o sbagliato che fosse, il suo cuore prevaleva sulla ragione e lui non era disposto a lasciare andare Hero prima di avere chiarito la faccenda con lei una volta per tutte. Imprecando tra sé e sé, si disse che non avrebbe mai dovuto lasciarla sola. In futuro, avrebbe potuto addirittura legarla a sé con una catena e un lucchetto. Se ci fosse stato un futuro. Quel pensiero lo spinse ad agire. Avrebbe chiesto in prestito un cavallo a Charlie e poi... Già, dove sarebbe andato? L'istinto gli diceva che lei era tornata a casa. E questo significava che lo aspettava una missione impossibile: introdursi come un ladro a Raven Hill. La pioggerellina gelida, di cui Mrs. Armstrong si era tanto lamentata, aveva smesso di cadere e si era lasciata dietro qualche pozzanghera fangosa. Al tramonto, con la nebbia che era calata, la prima immagine che Kit ebbe di Raven Hill avrebbe indotto chiunque a tornare sui propri passi. In fondo al lungo viale che aveva appena imboccato, scorse la casa di Hero, un vecchio castello che sbucava tra la nebbia, con l'oscurità della notte che simile a un mantello si raccoglieva intorno a esso. Non era un edificio imponente, sembrava piuttosto un maniero al quale un architetto un po' fuori di testa avesse fatto delle aggiunte stravaganti. Lo circondava un alto muro di pietra nel quale si apriva il massiccio cancello di ferro battuto con accanto la casa del custode, la cui finestra illuminata ammiccava nella notte incombente. Per fortuna, pensò Kit, niente fossato. La luce nella casa del custode poteva significare una presenza umana e lui si allontanò dal viale, casomai Raven avesse delle sentinelle appostate sugli spalti, nonostante fosse ancora a una certa distanza dal castello. Gli alti alberi rendevano il paesaggio decisamente tetro e Kit vi si inoltro' sotto, approfittando di quel riparo per nascondere la propria presenza agli abitanti del maniero. Era tardi per rimpiangere di non avere preteso da Hero altre informazioni riguardo al castello nel quale, secondo lei, nessuno avrebbe potuto introdursi furtivamente, pattugliato da guardie e difeso addirittura da trappole predisposte per i malaccorti. Non gli aveva forse parlato di scuri che calavano all'improvviso dal soffitto? Kit legò le redini del cavallo di Charlie a un alto sicomoro e si apposto' al limitare del bosco per esaminare il proprio obiettivo. Mentre osservava la scoraggiante struttura di pietra che incombeva a poca distanza da lui, cercò di discernere ciò che si nascondeva dietro l'apparenza. E si rese conto che la fortezza di Raven era progettata per mettere soggezione, per trasmettere la drammatica atmosfera gotica tanto amata dal suo proprietario, che gli permetteva di tenere alla larga i curiosi. Come la facciata che Augustus Tovell aveva assunto, si trattava più di un'illusione che della realtà. Il patrimonio di Raven gli aveva consentito di realizzare molti suoi sogni, tuttavia doveva essere insufficiente a mantenere un esercito che pattugliasse costantemente la proprietà e degli operai che si occupassero della manutenzione dell'antico edificio. Raven Hill dimostrava tutti i suoi anni e le crepe nei muri e le pietre pericolanti, che aggiungevano un fascino sinistro all'insieme, avrebbero fornito a Kit gli appigli di cui aveva bisogno per entrare nel castello. Che cosa ci avrebbe trovato dentro, invece, nessuno poteva saperlo. Era molto meglio così.

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Capitolo 43
*** 42 Capitolo ***


Hero si ripeté quelle quattro parole per tutto il tragitto dalla casa di Charlie Armstrong alla gran sala di Raven Hill. Non avrebbe voluto lasciare Kit senza una spiegazione, eppure aveva bisogno di affrontare Raven da sola, per cercare di negoziare il proprio futuro in cambio del libro che portava con sé. Non aveva bisogno della distrazione che Kit avrebbe costituito per lei... o per Raven. Il proprietario di Raven Hill sarebbe stato oltraggiato dalla presenza di un estraneo nel suo rifugio, il che non avrebbe costituito un buon inizio per qualsiasi trattativa, figurarsi la più importante di tutta la vita di Hero. Indispettito, Raven non le avrebbe concesso ciò che lei desiderava. Quella considerazione era stata senza dubbio il fattore decisivo, nondimeno lei aveva avuto un'altra ragione, più egoistica, per tornare a casa senza Kit. Lui apparteneva a un mondo diverso, dove esistevanlo gentiluomini e sconosciuti gentili e rifugi ospitali; un mondo che Hero voleva tenere separato da quello dominato da Raven. Inoltre, a Raven Hill lei non avrebbe avuto bisogno della protezione di Kit. Raven avrebbe gestito senza difficoltà la presenza di Erasmus, se quest'ultimo fosse arrivato in tempo per crearle dei problemi. In effetti, l'unico suo timore era l'eventualità di non riuscire a liberarsi per sempre di quel luogo. Una preoccupazione schiacciante, che tuttavia lei tenne celata dietro una maschera di impassibilità, per evitare che venisse notata. Poiché Augustus Raven era lì; Hero ne percepiva la presenza. Probabilmente nascosto in una delle gallerie superiori, l'avrebbe spiata durante la lunga attesa che le avrebbe imposto per minare la sua compostezza. Tuttavia, lei non cerco' neppure di individuarlo. La semioscurita' che regnava dentro il castello in ogni momento della giornata le permetteva di vedere ben poco e la torcia accesa in fondo alla sala rischiarava soltanto l'area immediatamente circostante la pedana rialzata dove Raven amava tenere corte. Hero non vedeva quasi niente di ciò che la circondava, eppure conosceva a menadito la sala. Il pavimento di piastrelle, le pareti con gli arazzi consunti, gli usberghi vecchi di oltre un secolo. Spade, scuri e altre armi erano esposte in bella vista, anche se non era lì che Raven conservava le collezioni di maggior valore. Troppo pubblico, era solito dire, nonostante i visitatori nel castello fossero rari, e mai di basso rango. Insieme alle armi c'erano altri segni di guerra, come le armature complete che stavano in piedi, sostenute da strutture invisibili, come se davvero ci fossero stati dei cavalieri in carne e ossa. Sistemate strategicamente in angoli bui, potevano essere scambiate per sagome minacciose. La nicchia riservata ai sarcofaghi era la più spaziosa, mentre ce n'erano parecchie altre più piccole occupate da arredi di foggia strana o da statue di marmo. Altre ancora, le più buie, nascondevano dietro tendaggi le porte segrete aggiunte negli anni da Raven. Neppure lei conosceva tutti i misteri del castello. Al piano superiore, poi, c'erano i nascondigli dai quali Raven era solito osservare, senza essere visto, il risultato dei suoi intrighi. Un pannello di legno traforato si ergeva alle spalle della piattaforma rialzata, dal pavimento fin quasi al soffitto, e poteva agevolmente mascherare la presenza del padrone di casa consentendo al tempo stesso di vedere la sala sottostante. Simili a quello, c'erano altri stratagemmi sapientemente occultati lungo pareti, gallerie e alcove. Mentre stava in attesa del padrone di casa, Hero si aspetto' di veder cadere dall'alto dei batuffoli di seta o di udire un assordante rombo di cannone: il cervellotico benvenuto di Augustus Raven, congegnato per vedere la sua reazione. Invece, nessun oggetto cadde dal soffitto buio e nessun suono ruppe il silenzio, solo il ticchettio del massiccio orologio a pendolo che segnava inesorabile il trascorrere del tempo. E proprio mentre lei cominciava a domandarsi quando il padrone di casa si sarebbe degnato di mostrarsi, Raven apparve all'improvviso, uscendo dalle ombre della sala come se fosse stato parte di esse. Certo, faceva del suo meglio per fondersi con l'oscurità: alto, scarno, avvolto in un mantello nero, gli occhi e le guance come buie cavità, l'immancabile canna di ebano. «Non vi siete messa fretta» esordì Raven, a mo' di bentornato. Salute anche a voi. Sto bene, grazie. «Ho incontrato qualche difficoltà» rispose Hero. «Ne deduco che Marchant non avesse il libro.» «Quella copia è andata distrutta.» «Una sfortunata circostanza.» «Tuttavia la lettera parlava di un'altra copia ed è quella che sono riuscita a trovare» dichiarò Hero con voce priva di intonazione. «Oh, davvero? Brava.» Nel tono dell'uomo c'era forse un'inflessione che lasciava intendere qualcosa di più del compiacimento? Hero sentì le pulsazioni accelerare di colpo. Non si fidava della propria voce, ma la sua opportunità era lì, che l'aspettava. «È... è stato un incarico difficile... pericoloso. E dato che il libro è tanto prezioso, ora desidero qualcosa in cambio.» Davanti al viso pallido e scarno di Raven, alla sua aria lugubre, Hero sentì affievolirsi la propria determinazione. «E quale sarebbe il vostro desiderio?» Raven dava le spalle all'unica fonte di luce, la torcia, ed Hero non riusciva a vedere la sua espressione. Il tono della voce non rivelava né rabbia né fastidio e neppure divertimento. «Un nuovo nastro per i capelli? Un abito? Magari... un nuovo costume da ragazzo?» Hero trasali. Del resto, non avrebbe certo potuto concludere gli affari che lui le affidava con gli abiti che indossava ora, soprattutto dopo quello che era capitato alla sua carrozza. Al ricordo dell'incidente e delle circostanze che l'avevano fatta finire alla mercé di un perfetto sconosciuto, lei raddrizzo' la schiena. «Non mi basta» dichiarò con voce ferma. «Non solo ho dovuto fare un lungo giro per trovare il volume, che non era in possesso di Mr. Marchant come pensavate voi, ma sono stata continuamente minacciata e ostacolata da Erasmus.» «Un vero fastidio» osservò Raven con indifferenza. «I suoi scagnozzi mi hanno aggredito e sparato più di una volta» proseguì Hero, a voce più alta. «Avrebbero potuto uccidermi. In cambio di tutto quello che ho passato, voglio la mia libertà.» L'ultima parola restò sospesa nell'aria come una sorta di oscenità. Prima che Raven potesse reagire, lei proseguì. «Vi chiedo soltanto una piccola rendita che mi consenta di vivere altrove. Per voi sarebbe un ben piccolo fastidio.» Alzò una mano come per indicare Raven Hill e tutte le preziose collezioni che Augustus Raven vi aveva ammassato, spesso grazie a lei. «Se avessi voluto essere derubato, Erasmus l'avrebbe fatto con maggior discrezione... e cupidigia» commento' Raven. La voce era bassa, la collera quasi palpabile. «Almeno lui non è un ingrato. Avete scordato da dove venite? Ah, forse desiderate tornarci?» «Tornare dove?» chiese Hero. «Avete l'abitudine di mentire sempre, su qualsiasi cosa. Perché dovrei credere alle vostre allusioni riguardo alle mie origini?» Il silenzio che seguì quelle parole vibrava della collera di Raven, che fece un passo avanti. «Non vi conviene sottovalutare il mio potere.» sibilo'. «Posso farvi rinchiudere in qualsiasi momento in un posto come quello e nessuno riuscirà più a trovarvi.» «Permettete di contraddirvi.» Il suono in quella voce familiare che arrivava dall'alto rafforzo' la fiducia di Hero, mentre Raven trasaliva, sorpreso. Nonostante tutto, il suo agricoltore gentiluomo era riuscito laddove tutti gli altri avevano fallito. Aveva raggiunto senza farsi notare, superando chissà quali ostacoli, il centro del regno di Augustus Raven. Ed Hero, che aveva trascorso tutta la vita in soggezione davanti ai poteri apparentemente soprannaturali di Raven, ora aveva l'impressione che questi impallidissero in confronto alle capacità reali di Kit.

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Capitolo 44
*** 43 Capitolo ***


In quel momento, Hero era convinta che non esistesse niente che quell'uomo non fosse in grado di fare. Prima che potesse gioire della scoperta, Raven chiamo' le guardie e subito ne apparve una, in costume, con tanto di spada ed elmo. «Occupatevi di quell'intruso.» ordinò Raven. «Non è un intruso. È mio ospite» obietto' Hero. Ma la guardia non era disposta a obbedirle e Raven disse all'altro soldato, apparso nella galleria superiore per accendere le torce, dove era nascosto Kit. Il grido di avvertimento di Hero fu seguito da un leggero scalpiccio - senz'altro di Kit - che si concluse con un tonfo. Maledetto buio! Impreco' tra sé e sé Hero, allungando il collo per cercare di distinguere qualcosa. Una delle torce fissate alla parete si accese di colpo, illuminando due sagome armate di spada. Lei ne riconobbe facilmente una. Stava cominciando a capire che il piccolo esercito personale di Raven era più decorativo che efficace, infatti, Kit brandiva una spada che doveva avere strappato alla prima guardia. E ora, con quella, minacciava il secondo uomo. Davanti allo sguardo allarmato di Hero, Kit eseguì una serie di affondi e di parate, spingendo la seconda guardia in fondo alla galleria, fin contro il muro. Dopo tutte le vicissitudini che avevano condiviso e superato assieme, Hero non fu affatto sorpresa che Kit si rivelasse anche uno spadaccino di prim'ordine. E siccome era evidente che il suo avversario stava per soccombere, Raven non dovette ricorrere a poteri soprannaturali per prevedere l'esito dello scontro. «Bloccatelo!» ordinò allo sbalordito maggiordomo. «Rinchiudetelo lassù! Che non ci sfugga!» Mentre l'anziano servitore si affrettava a eseguire gli ordini, dall'alto giunsero un gemito e il suono di qualcosa di metallico che cadeva al suolo. Kit aveva disarmato la guardia. Allontanando l'arma dell'avversario con un calcio, Kit lo inchiodo' al pavimento, facendolo scomparire dal campo visivo di coloro che si trovavano nella sala sottostante. Dopodiché, per evitare di trovarsi intrappolato dietro delle porte chiuse, Kit saltò sulla balaustra di legno, afferrò il lembo di un immenso arazzo sbiadito e si lanciò nel vuoto, aggrappato alla stoffa. Hero emise un gemito di protesta, temendo che il tessuto consunto gli si disfacesse tra le mani e che lui si schiantasse sul pavimento di piastrelle. Invece, Kit atterro' con la consueta elegante agilità. Hero non sapeva se ridere o svenire per l'arrivo del suo paladino, che affrontò con decisione Raven, la spada in mano. Il padrone di casa lo ignoro', quasi fosse un insetto fastidioso e niente di più, e fissò Hero da sotto le palpebre. «Voi siete mia, ricordatevelo, e non vi lascerò andare, né ora né mai» dichiarò. Lei dominò un brivido, ma era troppo tardi e il sapore della libertà troppo eccitante. «Non faccio parte della vostra collezione, Raven» mormorò. «Vi ho comprata, lo sapete.» Hero trasali, ma Kit fece un passo avanti. «Può darsi che sia vero. E se è così siete stato ampiamente ripagato dell'investimento. Ora lei è adulta e sta per sposare me. Dovrete trovare qualcun altro cui affidare i vostri affari.» Hero non si sogno' neanche di smentire l'affermazione di Kit riguardo al loro fidanzamento, pur non desiderando la sua commiserazione. Semplicemente, non riusciva a pensare al proprio futuro, dato che il presente era tanto incerto. «Lei non andrà da nessuna parte con nessuno, figurarsi con uno spiantato come voi» sbotto' Raven, furioso. Subito però riprese il dominio di sé e si rivolse a Hero, la voce bassa e canzonatoria. «Forse questo giovanotto... Mr. Marchant, immagino... è all'oscuro del vostro... retaggio familiare.» Prima che Hero potesse replicare, Kit fece un passo avanti. «Non mi interessa sapere da dove viene Hero, e senz'altro non intendo credere alla vostra versione dei fatti, Mr.Tovell.» Fece ruotare la spada in aria, mentre si rivolgeva a Hero da sopra la spalla. «Non vi ha mai picchiata, spero. Ma se mi dite che l'ha fatto, sarò felicissimo di passarlo senza indugio da parte a parte.» «Non fatelo, Kit» disse Hero. Una volta le sarebbe piaciuto che qualcuno si divertisse a giocare con Raven come questi aveva fatto così spesso con tante persone, lei compresa. Kit, però, era troppo gentiluomo per usare le tattiche ambigue di Raven. «Non voglio guai» dichiarò. «Siete già nei guai» lo minacciò Raven, aspro. «Violazione di proprietà privata, minacce e aggressione, tanto per cominciare. Mi assicurero' che trascorriate un lungo periodo in cella.» Hero sentì il cuore in gola per le minacce di Raven. Costui aveva talmente tante risorse... Per la prima volta in vita sua, si sentì sul punto di svenire. Tutti gli orrori di quella casa non erano nulla in confronto al potere spaventoso che Raven deteneva sull'uomo di cui lei era innamorata. Fino a quel momento aveva evitato di ammettere il sentimento che provava per Christopher Marchant, tuttavia ora non poteva più negarlo e rimase in piedi, tremante e incerta. E così spaventata che avrebbe potuto perfino gettarsi ai piedi di Raven, implorando la sua pietà, nonostante sapesse che il significato di quella parola gli era del tutto sconosciuto. Ma Kit doveva aver intuito il suo stato d'animo, poiché si mise tra lei e Raven. «L'accusa di sequestro di persona non è da meno. Questa giovane donna non è neppure vostra parente» osservò. Evidentemente, a lui il coraggio non era venuto a mancare. «In questo paese ci sono delle leggi contro la schiavitù.» La risata di Raven risuono' agghiacciante nello spazio vuoto della sala. «Non potete toccarmi. Io sono al di sopra della legge.» In quel momento, quasi a testimonianza delle sue parole, dei passi risuonarono lungo uno dei tanti corridoi. Hero si voltò di scatto, non sapendo cosa aspettarsi. Come minimo, altre guardie che erano state richiamate da fuori. Invece, la figura solitaria che apparve le fece tirare un tremulo sospiro di sollievo. «Erasmus, liberate la sala da questo intruso» ordinò Raven, alzando un braccio per indicare Kit con un dito ossuto. Sbalordito da quell'ordine, Erasmus si fermò per fissare Kit che teneva ancora la spada in mano, tuttavia non accenno' a buttarlo fuori. Aveva affrontato un'altra volta il gentiluomo in questione e ne era uscito alquanto malconcio. «Non sono venuto qui per lui» dichiarò Erasmus in tono sbrigativo. «Io voglio soltanto il Mallory.» Raven scoppio' a ridere. «Ah, il Mallory. A quanto pare, ho avuto un'idea sciagurata quando mi sono messo in testa di ottenere quel libro.» Fece una pausa drammatica, come per accertarsi di avere catturato l'attenzione di tutti i presenti, prima di continuare. «Ammetto di essere stato guidato dalla mia passione per tutto ciò che è arcano, insolito, eccentrico. Non avrei mai potuto resistere al fascino di un libro dato per scomparso. In particolare se il libro in questione tratta - come posso dire? - un argomento... gotico.» «Non gotico. Druidico» puntualizzo' Kit. «Sì. L'ho sentito dire» ammise Raven. Conoscendolo, Hero fu allarmata dalla sua improvvisa loquacita'. Aprì la bocca per avvisare Kit di non ascoltarlo, ma Raven aveva già ripreso a parlare. «Trovai quel frammento di lettera appena venuto in possesso del lotto di libri che sarebbe dovuto andare a Featherstone. Ero consapevole dell'importanza di una simile scoperta, per cui cominciai a fare qualche indagine discreta.» Fece una breve pausa, fissando Kit da sotto le palpebre socchiuse. «Scrissi perfino alla proprietaria della casa dove Mallory aveva abitato ed era morto, ma senza successo. Oakfield, mi sembra si chiami. Oh, che sbadato. Avete ereditato voi Oakfield Manor, non è vero, Mr. Marchant?» Le parole di Raven ottennero l'effetto desiderato e, prima che Hero potesse intervenire, l'uomo sollevò di scatto il bastone di ebano disarmando il distratto Kit. Fino a quel momento aveva pensato che la canna fosse solo un vezzo, ora invece Hero si domandò se non nascondesse una lama.

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Capitolo 45
*** 44 Capitolo ***


Hero, furtivamente, infilò la mano nella borsetta, afferrando la pistola. Non aveva però immaginato che la minaccia più grave fosse rappresentanta da Erasmus, il quale raccolse la spada da terra senza dare a Raven o a Kit il tempo di fare una sola mossa. «Adesso, da brava, il Mallory lo date a me» ordinò a Hero, avvicinandosi a lei. La risata di Raven lo indusse a voltarsi verso di lui ed Erasmus brandi' la spada selvaggiamente. La mancanza di esperienza lo rendeva ancora più pericoloso. «Ho sprecato abbastanza anni lavorando come uno schiavo senza alcuna ricompensa, sempre pronto a eseguire i vostri ordini.» I suoi lineamenti erano contratti per la rabbia. «È venuto il momento di cominciare a costruirmi una reputazione. E il Mallory sarà un inizio perfetto.» L'inattesa defezione di Erasmus strappò a Hero una esclamazione di sorpresa. Il piano precedente dell'uomo era fallito e lui ora stava scommettendo tutto - il proprio presente e il proprio futuro - su un libro inesistente. No, non sarebbe stata lei a disilluderlo. Gli tese il volume che aveva avvolto con cura nella carta da pacco. Erasmus glielo strappò di mano, gli occhietti piccoli e scuri scintillanti di cupidigia, ma il suo trionfo ebbe vita breve. «Godetevelo» lo sbeffeggio' Raven. «Il libro è un falso.» Il rossore dell'eccitazione svani di colpo dal viso di Erasmus. «Voi mentite.» «Ecco perché mi sono sempre fidato della ragazza e non di voi, idiota.» Raven gli rise in faccia. «Siete troppo stupido per capire i ragionamenti complessi. Lei, invece, li afferra al volo.» Hero non desiderava altro che essere lasciata fuori da tutto questo, per cui fece un passo indietro e si accorse con sollievo che Erasmus puntava la spada verso Raven. «Mettete giù quell'aggeggio» gli ordinò il padrone di casa, annoiato. «Non sapete usarlo, così come non avete mai saputo servirvi delle informazioni che avevate sotto gli occhi.» Fece una pausa e puntò il bastone verso Hero, che strinse più forte l'impugnatura della pistola che aveva nascosto nella borsetta. «È stata vista mentre ritirava il libro nel negozio di Laytham» aggiunse. «Non l'ha ottenuto a Oakfield o a Cheswick, e neppure da Featherstone o da Poynter. L'ha preso da Laytham, capite?» «Ebbene?» domandò Erasmus. «Ebbene...» Raven sogghigno'. «Se Laytham avesse messo le mani su un libro così raro, l'avrebbe gridato ai quattro venti, da quel borioso che è. Il vostro prezioso volume è autentico quanto il resto dei suoi libri antichi. Una truffa, una imitazione adatta solo a menare per il naso gli idioti par vostro.» A quelle parole, Erasmus ruoto' su se stesso per affrontare Hero, la lama che fendeva con violenza l'aria. «È vero?» domandò, gettandole addosso tutta la forza dell'odio che lo muoveva. Se non fosse stato tanto imprevedibile, Hero avrebbe trovato divertente quel capovolgimento di ruoli. Perché in quel momento, dei due, era Erasmus che sembrava portare il marchio della pazzia. Con la coda dell'occhio, vide Kit che si avvicinava. Ma no, non poteva permettergli di rischiare la vita. «Fermo lì» intimo' a Erasmus, sollevando la mano che teneva ancora dentro la borsetta. «Non costringetemi a rovinare questa graziosa reticella di seta.» Erasmus si bloccò, raggelato, e nel silenzio che seguì Hero si accorse di uno strano rumore scoppiettante. Piegò la testa per ascoltare, ma il rumore fu subito coperto dagli schiamazzi di Erasmus. «È tutta colpa vostra! Avete giocato con me, vi siete preso gioco di me!» gridò, scagliandosi contro di Raven. Sgomenta, Hero pensò che l'avrebbe infilzato con la spada, ma Raven fu lesto a sollevare il bastone per deviare il colpo. «Fermi! Guardate laggiù!» esclamò Kit. Dapprima lei pensò che volesse semplicemente fermare i due che lottavano, invece lui stava indicando un angolo della vasta sala. Quello che Hero vide la fece impallidire. L'arazzo che Kit aveva usato per scendere dalla galleria era finito contro la torcia accesa e il fuoco aveva attaccato la vecchia stoffa, finendo per appiccare il fuoco anche agli altri arazzi e, per ultimo, al pannello di legno intagliato che rivestiva quasi tutta la parete in fondo alla sala. Il fumo che saliva in quel vasto spazio ora era ben distinguibile, alla vista e... all'olfatto. Ci vollero altre grida per catturare l'attenzione di Erasmus e di Raven, che si stavano rotolando avvinghiati sul pavimento. Quando finalmente si separarono, i due uomini rimasero a bocca aperta accorgendosi delle fiamme che a quel punto divampavano, divorando gli arredi. «I miei libri!» gridò Raven, alzandosi in piedi. «Dobbiamo salvare le mie collezioni!» Cominciò a correre verso la nicchia, con Erasmus che lo tallonava. «No! Salvatevi la vita, piuttosto!» li richiamò Kit. Loro non gli diedero ascolto ed Hero vide scomparire in un corridoio buio, inseguiti dalle fiamme, i due uomini che erano stati tanto meschini con lei. Follia ed avidità sarebbero state la loro morte, ne era sicura, eppure non se ne rallegro'. Si coprì la bocca con una mano, senza sapere neppure lei se per soffocare un singhiozzo o un colpo di tosse. «Svelta!» Avendo rinunciato a cercare di salvare gli altri due, Kit la prese per un braccio e la trascino' verso la porta d'ingresso. La pesante sbarra era al suo posto e, mentre lui lottava per farla scorrere, Hero si chiese quale altra via d'uscita avrebbero potuto cercare nel labirinto di corridoi, poiché il fumo era già denso e alle sule spalle udiva gli schianti preoccupanti dei primi crolli. «Kit, sul retro!» suggerì, cercando di valutare quanto velocemente si stessero propagando le fiamme e in quale direzione. Ma in quel momento lui riuscì a spingere via la sbarra e spalanco' la porta. Corsero fuori, respirando grandi boccate d'aria pulita. Nell'oscurità pesante di nebbia, Hero intravide delle figure spettrali che correvano nella notte e, per un istante, si chiese se dopotutto Raven fosse riuscito a fuggire. Subito però si accorse che, come i topi abbandonano la nave in procinto di colare a picco, i pochi domestici di Raven Hill stavano fuggendo dal loro padrone e dal suo incubo gotico. Kit trascino' Hero lontano da Raven Hill. Il paesaggio spettrale che li circondava rifletteva il temperamento del suo proprietario: la luna spandeva un tenue chiarore sulla distesa di terra che si apriva davanti a loro, mentre bioccoli di fischia offuscavano qualsiasi possibile sentiero... o trappola. Kit si augurava che Hero lo avvisasse per tempo di eventuali trabocchetti per gli intrusi. Ecco, finalmente erano arrivati al cancello. Non c'era nessun custode in vista e il massiccio manufatto di ferro battuto era aperto. L'uomo di guardia doveva essere corso in aiuto di Raven... o più probabilmente era fuggito al primo segnale di sventura. Kit si fermò a riprendere fiato; Hero, invece, come se non avesse la forza di proseguire, entrò nella casa del custode e si lasciò cadere stancamente su una panca di legno. Doveva essere sconvolta, perché bene o male Raven Hill era stata la sua casa e i suoi abitanti l'unica famiglia che lei avesse avuto. Kit si voltò a guardare il castello: le alte finestre illuminate di bagliori rossastri lo facevano assomigliare a una zucca ghignante, consumata dall'interno. E lui ebbe l'improvvisa, devastante sensazione di rivivere il passato. Non sapeva se l'interesse di Raven per il Mallory avesse attirato l'attenzione di Malet e dei suoi seguaci o se per una bizzarra coincidenza le ricerche di entrambi avessero avuto lo stesso obiettivo: il prezioso libro di occultismo. Comunque fosse, il risultato era il medesimo. Così come il labirinto era stato divorato da un incendio, causando la morte di coloro che si erano riuniti al suo centro con lo scopo di uccidere, ora anche Raven Hill stava bruciando, e probabilmente aveva già reclamato le sue vittime.

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Capitolo 46
*** 45 Capitolo ***


Kit scosse la testa. Gli riusciva difficile credere che una maledizione potesse trasmettersi anche a un falso, tuttavia doveva ammettere che in quel momento, in quel luogo, non si sentiva particolarmente lucido. Prima si fossero allontanati da lì, meglio sarebbe stato, riflette'. Hero era allo stremo delle forze e la piccola costruzione disabitata costituiva comunque un punto di riferimento in mezzo a quella nebbia. Si mise in ginocchio davanti a lei. «Vado a prendere il cavallo di Charlie. Voi restate qui ad aspettarmi. Non muovetevi, d'accordo?» Lei alzò la testa. «E dove potrei mai andare? Non ho più niente.» «Avete me» rispose dolcemente Kit. Le prese il viso tra le mani e la costrinse a guardarlo negli occhi. «Vi amo e credo che anche voi mi amiate.» Hero non negò. Per una volta, tutto ciò che provava era ben visibile sul suo viso. Sopraffatto dalla sua espressione intensa, Kit la bacio' con tutto l'impeto di una presa di possesso. Hero gli si aggrappo' e, quando lui si staccò dalle sue labbra, lo fece soltanto perché non c'era tempo da perdere. «Restate qui» ripeté. Uscì dalla casetta del custode e seguì il perimetro delle mura che delimitavano il cortile interno di Raven Hill, sollevato di non doverle scavalcare di nuovo. Mentre si dirigeva verso il bosco, cercando di orientarsi, udì uno schianto improvviso tra gli alberi e si nascose dietro un tronco. Era un cervo, spaventato dal fumo, e Kit riprese a correre, rallentando solo quando si trovò nel folto del bosco, dove fu costretto a procedere a tentoni. Alla fine udì un nitrito poco distante. Anche il cavallo di Charlie doveva aver sentito l'odore del fumo ed era irrequieto. Gli si avvicinò con cautela, temendo che qualcun altro avesse individuato l'animale, qualcuno che cercava di sfuggire all'incendio. Invece il cavallo era ancora dove l'aveva lasciato e lui lo slego' e lo condusse per le briglie verso il muro di cinta del castello. L'imponente barriera grigia rappresentava l'unico segno tangibile nel mondo sempre più avvolto dalla nebbia e Kit la seguì, anche se davanti a lui la massiccia parete sembrava scomparire nel nulla. Ora la nebbia era tanto fitta che Kit si ritrovò di fronte alla casa del custode quasi senza rendersene conto. Con un sospiro di sollievo, portò il cavallo di Charlie fin davanti alla porta aperta e chiamò: «Hero!» Quando non la vide comparire, si chiese se fosse tanto stanca da non riuscire neppure ad alzarsi in piedi. In effetti, non l'aveva mai vista tanto esausta. Si tirò dietro l'animale ed entrò in casa. Subito dovette soffocare un grido d'allarme. L'oscurità era quasi totale, ma non c'erano dubbi: sulla panca non c'era nessuno e una rapida ricerca gli confermò che la minuscola portineria era deserta. Come se Hero fosse svanita nella nebbia. Confuso, Kit scrollo' la testa. Chissà che non gli restituisse un po' di lucidità. Oh, certo, la tentazione di attribuire la scomparsa della giovane all'atmosfera soprannaturale di quel luogo era forte, tuttavia lui era sicuro che non si trattasse di un trucco di stampo gotico. Doveva per forza esserci una spiegazione logica se Hero non era rimasta lì dove lui le aveva chiesto di aspettarlo, e Kit cancellò subito l'ipotesi più ovvia, e cioè che Hero fosse voluta fuggire un'altra volta da lui. E poi lo udì. Uscì dalla portineria, una mano posata sul collo del cavallo per tenerlo fermo, e tese l'orecchio, il capo piegato su una spalla. Nel silenzio, distinse senza fatica un cigolio di ruote e tonfi soffocati di zoccoli. Strizzo' gli occhi per scrutare il viale d'accesso al castello, ma la nebbia era troppo fitta e Kit si rese conto che la sorgente del rumore poteva essere ovunque, tanto sulla strada che portava alle scuderie quanto in un punto qualsiasi della vasta tenuta che circondava Raven Hill. Forse Raven o Erasmus, se non entrambi, riacquistato un minimo di controllo, avevano abbandonato l'edificio in fiamme ed erano andati in cerca di Hero. Oppure un domestico si era offerto di soccorrerla... o l'aveva perversamente riportata indietro, verso l'incendio. Kit aveva solo pochi istanti per decidere, per fare la scommessa della vita. Monto' in sella e, in un baleno, si lanciò lungo il viale d'accesso lasciandosi dietro Raven Hill. Nella lussuosa carrozza che la trasportava, Hero era talmente stremata che avrebbe potuto perdere conoscenza da un momento all'altro. Gli eventi delle ultime ore, assommati alle settimane di tensione, di pericolo e di mancanza di sonno, avevano assorbito le sue ultime forze. E la sua capacità di riflettere. La razionalità l'aveva abbandonata completamente, altrimenti non si sarebbe trovata lì, a bordo di quel veicolo. Mentre era seduta nella portineria di Raven Hill, cercando di venire a patti con quello che era successo, la circospezione che l'aveva sempre supportata le era venuta meno. Anche se non fosse stata così sconvolta, Hero non avrebbe sentito il bisogno di essere prudente, con Erasmus e Raven entrambi... scomparsi. E così, quando delle figure in abiti scuri erano entrate nella casetta e l'avevano esortata gentilmente ad alzarsi, Hero aveva creduto che fossero dei domestici o dei vicini che avevano visto l'incendio. Stordita, si era lasciata condurre alla carrozza. A un certo punto aveva avuto la presenza di spirito di informarsi su Kit e la vaga risposta che aveva ricevuto aveva destato i suoi sospetti. Troppo tardi. Ormai era a bordo di una vettura eccessivamente elegante per appartenere a Raven, e lo sportello si era richiuso dietro di lei. Il responsabile avrebbe potuto essere Erasmus, riflette', se non che l'avido nipote di Raven aveva trovato la morte nel rogo del castello. O no? Se avesse lasciato che il suo mentore morisse bruciato per reclamare l'eredità, di sicuro non avrebbe esitato a sbarazzarsi anche di lei. Tuttavia, l'ultima immagine che Hero aveva di lui, quella di una figura inseguita dalle fiamme, era troppo fresca nella sua mente per poter pensare che l'uomo che per tanti anni aveva chiamato cugino fosse riuscito a scampare all'incendio. Per un attimo si domandò se Kit avesse avuto sempre ragione e le figure vestite di scuro fossero i presunti druidi che erano andati a rapirla. Ma neppure quella ipotesi agghiacciante riuscì a riscuoterla. Era troppo stanca per mantenere la facciata impassibile che Raven l'aveva obbligata a costruirsi, meno ancora poteva attingere alla propria riserva di energie, ormai esaurita. L'unico suo desiderio era di strisciare tra le braccia di Kit e restarci per sempre. Il pensiero dell'uomo che amava la colmo' di disperazione, perché Raven aveva portato con sé nella tomba la verità sulle sue origini. Non avrebbe mai saputo con certezza se i suoi genitori erano stati due dementi che l'avevano venduta a un forestiero di passaggio. E nonostante Kit avesse dichiarato che non gliene importava niente, per lei era indispensabile essere certa. Come avrebbe potuto sposarlo, sapendo che un giorno avrebbe potuto rivoltarsi contro di lui? Christopher Marchant, gentiluomo e letterato, meritava il meglio di ogni cosa, il che non comprendeva l'eventualità di diventare il tutore di una pazza. Hero abbassò le palpebre sugli occhi che bruciavano, soffocando un gemito. Non poteva correre il rischio di renderlo infelice o di diventare violenta con lui. Peggio ancora, un giorno avrebbe potuto vendere il proprio bambino in un attacco di follia, replicando la propria sordida storia. Degluti a fatica; avrebbe dovuto rallegrarsi che il destino l'avesse allontanata da Kit e dalla tentazione che lui rappresentava. Se Raven le avesse concesso una piccola rendita, se le avesse assicurato un futuro appena decente, lei avrebbe potuto cercare di costruirsi una vita da sola. Invece, non avendo altri al mondo che Kit, lei sarebbe stata tentata di cedere. Meglio così, di disse, anche se non aveva idea di come avrebbe fatto a trovare la propria strada nel mondo. Ma forse la sua preoccupazione sarebbe durata poco, pensò.

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Capitolo 47
*** 46 Capitolo ***


Fuori dal finestrino, la notte era così buia che Hero non poteva avere la minima idea di dove si trovasse. Ma... ecco, ora riusciva a scorgere delle luci in lontananza. Provenivano da una delle grandi dimore patrizie che Raven aveva desiderato ardentemente possedere e che non avrebbe mai potuto permettersi. Raven Hill era stata quanto di più simile alle residenze dei nobili avesse potuto acquistare, ma, anche se gli aristocratici avevano fatto affari con lui, non l'avevano mai accolto nella loro cerchia. Nebbia e oscurità rendevano difficile capire dove si trovassero esattamente, ma quando il veicolo imbocco' un lungo viale che portava a una dimora sfarzosa, con diversi piani di finestre illuminate, Hero comprese quale fosse la meta del suo viaggio. E scoppiò in una risata. Non era mai stata là, tuttavia sapeva che l'elegante residenza era stata costruita nel secolo precedente secondo lo stile classico, con quattro piani di pietra color crema e snelle colonne di marmo di fianco all'ingresso. Quando i cavalli si fermarono davanti alla scalinata, Hero non tentò neppure di prendere la pistola o di darsi alla fuga. Rimase semplicemente dov'era, mentre un valletto scendeva di corsa gli scalini. L'uomo aprì lo sportello della carrozza, si inchino' e le offrì la mano per aiutarla a scendere. Un'accoglienza talmente diversa da quella ricevuta a Raven Hill che per poco Hero non rise di nuovo. A differenza del vecchio castello, trascurato e quasi lasciato andare in rovina perché Raven preferiva spendere tutto il proprio denaro per arricchire le sue collezioni, lì tutto era ordinato e ben tenuto e la servitù era chiaramente di altissimo livello. Del resto il proprietario di quel luogo era immensamente ricco. Nel vestibolo illuminato a giorno, in acuto contrasto con l'eterna penombra di Raven Hill, si respirava però un'atmosfera di malinconia. Il valletto affidò Hero a un maggiordomo dall'espressione grave, che la fece entrare in uno studio, una vasta stanza circolare con il soffitto a cassettoni e una porta che sembrava scomparire nel rivestimento di legno. Arazzi di seta a tinte pastello decoravano le pareti e perfino a quell'ora l'ambiente appariva chiaro e arioso. Diverse lampade accese scacciavano le ombre e l'arredamento era costituito da preziosi mobili francesi bianchi e dorati che nel complesso dovevano valere più di parecchie biblioteche messe insieme. Siccome Hero non era un'esperta di arredamento, invece di esaminare i mobili dello studio si avvicinò a una specchiera. Esamino' con occhio critico il proprio aspetto, concludendo che tutto sommato non sembrava appena sfuggita a un incendio. Per fortuna, a Raven Hill non si era mai tolta il mantello e anche ora lo tenne indosso, incerta su cosa le riservasse l'immediato futuro. Aveva gli stivali bagnati per aver corso nell'erba, per cui sistemo' davanti al caminetto di marmo una sedia dalla linea leggera ed elegante, si sedette e avvicinò al fuoco le estremità intirizzite. Rispetto a Raven Hill, con i suoi miserabili orrori e le perpetue scomodità, questa dimora era tutta opulenza e buongusto. Eppure, la propria presenza lì le confermava che il proprietario non poteva essere migliore di Raven. Come prigione sarebbe stata preferibile, certo, e l'assenza di guardie avrebbe facilitato la fuga. In effetti, Hero fu tentata di avvicinarsi a una delle alte finestre per controllare quanto distasse il suolo, ma non aveva la forza di alzarsi. E poi era troppo curiosa di scoprire che cosa mai potesse volere da lei il padrone di casa. L'attesa fu abbastanza breve. La porta celata nella pannellatura di legno si aprì e un gentiluomo sottile, piuttosto anziano, entrò nello studio. Era vestito di nero da capo a piedi e, nonostante il suo abbigliamento non avesse niente che non andava, non era neppure della qualità che Hero si aspettava. Le ci volle qualche istante per capire che non si trattava del padrone di casa. «Miss Ingram» esordì l'uomo con un inchino formale. «Mi scuso per avervi dovuto far prelevare in circostanze un po'... insolite. Si è svolto tutto in maniera precipitosa, ma vi assicuro che tanta fretta era giustificata.» Si voltò per avvicinarsi al grande scrittoio dorato che troneggiava al centro della stanza. Con gesti precisi, lo sconosciuto scosto' la sedia, si mise a sedere, posò i gomiti sul ripiano e congiunse la punta delle dita. Alla luce, Hero vide che era pallido, con ombre scure sotto gli occhi. Sembrava sotto l'effetto di un dispiacere recente. Quando riprese a parlare, la voce gli si spezzò e dovette interrompersi per schiarirsi la gola. «Vedete, avevamo sperato, ma...» Di nuovo fece una pausa, come per riacquistare il dominio di sé. «Vi prego di scusarmi, devo sembrarvi sconclusionato. Mi chiamo Fiskerton e sono il segretario del... defunto Duca di Montford.» «Defunto?» ripeté Hero. Fiskerton fece un cenno di assenso. «Sua Grazia è passato a miglior vita un'ora fa.» Lei scosse la testa. «Mi dispiace molto.» Non l'aveva mai incontrato di persona, però il duca era stato un appassionato collezionista dai gusti molto raffinati e il mondo della carta stampata avrebbe sentito la sua mancanza. Nonostante i suoi domestici in livrea l'avessero braccata nelle ultime settimane e, infine, l'avessero fatta salire praticamente a forza nella sua carrozza, Hero lo perdonava. Come le aveva raccontato Poynter, il duca doveva essere stato a caccia di un ultimo, grande tesoro. Poteva biasimarlo? Fiskerton tossicchio' un'altra volta. «Purtroppo il tempo non è stato benigno con Sua Grazia. Il suo ultimo desiderio, infatti, era parlare con voi.» Fece un respiro profondo. «Devo dire che siete una giovane donna molto... sfuggente.» Hero sbatte' le palpebre, sorpresa. «Quando Sua Grazia mi mise al corrente delle sue intenzioni» riprese a dire il segretario, «Scrivemmo ripetutamente a casa vostra... Raven Hill, se non sbaglio.» Hero sentì un brivido gelido lungo la schiena. Annuì, poi scosse la testa. «Ma io non ho mai ricevuto una missiva di Sua Grazia.» «Come sospettavo.» Fiskerton aveva la fronte corrugata. «Mandai anche un mio incaricato sperando che potesse incontrarvi di persona. Purtroppo, non gli fu permesso di entrare.» Sospirò. «Intanto il tempo passava e le condizioni di salute di Sua Grazia si aggravavano. Io divenni più insistente, ma Mr. Raven finì per dichiarare che non vivevate più sotto il suo tetto.» Hero emise un'esclamazione soffocata. «Malauguratamente, passò molto tempo prima che ci rendessimo conto che Mr. Raven non ci avrebbe fornito delle informazioni esatte. Solo allora cominciammo a cercarvi attraverso altri canali e scoprimmo che eravate in viaggio. Di nuovo, però, ci riuscì difficile scoprire il vostro itinerario. Arrivammo perfino a... ehm... incaricare qualcuno di sorvegliare Raven Hill, per informarci di un vostro eventuale ritorno.» Quel racconto lasciò Hero a bocca aperta. Ecco perché la carrozza l'aveva prelevata con tanta tempestività. «Disgraziatamente, il tempo stringeva e i nostri incaricati devono essere stati un po'... spicci. Avevano l'ordine, se fosse stato necessario, di fare addirittura irruzione nel castello» ammise Fiskerton, storcendo un poco le labbra con aria di disapprovazione. «Grazie a Dio non è andata così... ma mi sembra di capire che ci sia stato un incendio a Raven Hill.» Hero annuì in silenzio, stordita. «Spero che perdonerete i loro modi. Volevano portarvi al sicuro e naturalmente condurvi qui.» Fu quel "naturalmente" che alla fine le restitui la parola. «Ma per quale motivo?» si decise a chiedere, disorientata. Davanti a quella domanda, Fiskerton assunse un'aria più professionale. «Questo avrebbe dovuto spiegarvelo Sua Grazia, ma, quando ha compreso che non saremmo riusciti a rintracciarvi in tempo, ha incaricato me di rendervi nota... ehm... la situazione.» Il segretario abbassò lo sguardo sulla pila di documenti che aveva sullo scrittoio e cominciò a spostarli come per prendere tempo.

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Capitolo 48
*** 47 Capitolo ***


Il segretario del Duca di Montford riprese il suo discorso. «A giudicare dalla curiosità che dimostrate, è evidente che Mr. Tovell... cioè... Mr. Raven ha mantenuto la promessa, tenendovi all'oscuro del vostro rapporto con Sua Grazia.» Hero sbatte' le palpebre, senza comprendere. Fiskerton si schiari' di nuovo la voce. «Voi siete... eh... figlia naturale del Duca» fu l'annuncio inaspettato. «Naturalmente, le leggi sulla successione e sui beni inalienabili dovranno essere applicate in quanto Sua Grazia non aveva intenzione di... riconoscervi legalmente. Il titolo e le proprietà andranno a un suo cugino, tuttavia il duca voleva essere sicuro che anche voi diventaste sua erede.» A Hero sembrò di aver ricevuto un colpo in testa. Cercò di inalare aria, tuttavia aveva lo stomaco sottosopra e i polmoni che rifiutavano di funzionare. «Miss Ingram? Vi sentite bene?» Fiskerton si alzò in piedi e girò intorno allo scrittoio per avvicinarsi a lei. «Abbassate la testa sulle ginocchia» le suggerì, visibilmente agitato. «Meglio che chiami una cameriera o Mrs. Ferguson. Lei saprà... Devo far portare i sali?» Hero scosse la testa, soffocando una risata isterica. Aveva visto e sentito di tutto, orrori gotici che avrebbero fatto fuggire a gambe levate, urlando, qualsiasi donna sana di mente e adesso rischiava di svenire per qualcosa che di terrificante non aveva proprio niente. «Siete sicura?» le chiese il segretario. Quando lei annuì, le diede un goffo colpetto sul braccio. «Sono molto addolorato che non abbiate potuto parlare di persona con Sua Grazia, perché... So per certo che, quando ha compreso di essere arrivato alla fine dei suoi giorni, ha molto rimpianto la decisione che prese un tempo.» Hero alzò la testa così di scatto che per poco non mandò a gambe all'aria Fiskerton. «Il Duca mi consegnò a Raven!» esclamò. Esclamò. Di colpo, aveva capito tutto. O quasi. Il segretario aggrotto' le sopracciglia. «A dire il vero, allora si chiamava Augustus Tovell ed era il bibliotecario del Duca. Un ottimo bibliotecario, devo dire. Solo in seguito assunse una... diversa personalità.» «Come mai?» chiese Hero. Si sentiva quasi istupidita. Anche se la nascita legittima aveva molto peso in società, parecchi padri, compresi i rampolli della famiglia reale, mantenevano dei figli naturali, fornendo loro una sistemazione adeguata pur senza riconoscerli ufficialmente. Fiskerton scosse il capo. «Soltanto Sua Grazia avrebbe potuto rispondervi. Non mi confidò mai i motivi della sua decisione.» Hero fissò l'uomo con uno sguardo insistente e duro, finché lui non distolse gli occhi. «Credo che avesse subito forti pressioni da parte della vecchia duchessa.» Il duca era stato influenzato dalla madre, pensò Hero con sgomento, prima di sussultare. «Ma chi era mia madre?» Il segretario scosse il capo. «Sua Grazia non ne fece mai il nome.» Di nuovo Hero lo guardò con espressione severa, perché in qualsiasi casa i domestici erano sempre al corrente di quello che succedeva e nessuna voce, nessun pettegolezzo sfuggiva alle loro orecchie. E, come lo sapeva lei, lo sapeva anche Fiskerton. Alla fine, sia pure con aria corrucciata e molto riluttante, il segretario rispose: «Si parlò di una principessa di sangue reale. Tuttavia non so niente per certo e vi assicuro che, se mai voleste fare delle indagini in quella direzione, non approdereste a nulla.» Hero si raddrizzo' di scatto, offesa da quella insinuazione. Come se temesse di aver detto troppo, Fiskerton tornò a sedersi allo scrittoio, mettendo il pesante mobile tra sé e quella singolare giovane donna, e riprese un contegno professionale. Ricominciò anche a spostare i documenti e, quando riprese a parlare, lo fece senza alzare lo sguardo. «Come ho detto, l'ultimo desiderio di Sua Grazia era di parlare con voi. Non ha fatto in tempo, però ha avuto l'accortezza di dare delle disposizioni che vi riguardano. Era rimasto molto compiaciuto scoprendo che condividete i suoi interessi, di conseguenza il suo lascito riflette la passione di entrambi.» A Hero girava la testa. Che cosa stava dicendo quell'ometto pomposo? Come se avesse parlato ad alta voce, Fiskerton la guardò negli occhi con aria grave. «Sua Grazia vi ha lasciato la sua collezione di libri» annunciò. Un nuovo colpo che la stordi'. Hero non riusciva a comprendere appieno il significato di ciò che aveva appena udito. «Che... che cosa?» «Avete ereditato la biblioteca di Sua Grazia, un bene dal valore quasi inestimabile» cominciò a dire Fiskerton, ma venne interrotto da un clamore proveniente da fuori. Hero udì delle esclamazioni soffocate prima che la porta si spalancasse davanti a una sagoma familiare seguita - o per meglio dire inseguita - dal maggiordomo e da un valletto, che avevano tutta l'aria di essere usciti sconfitti da un diverbio di qualche genere. «Che cosa succede qui? Hero state bene?» Mentre parlava, lei era già balzata in piedi per correre tra le braccia del nuovo venuto. Ecco il suo rifugio, la protezione che non le sarebbe mai venuta meno, pensò, prima di gridare: «Oh, Kit! I miei genitori non erano due pazzi!» Quando Hero ebbe spiegato che l'intruso era il suo fidanzato, Mr. Christopher Marchant, i domestici sciamarono fuori dalla studio, lasciandoli soli con Fiskerton. Nondimeno, il segretario del Duca continuò a scrutare Kit con aria sdegnosa, come se dubitasse della rettitudine del nuovo arrivato. Hero dovette soffocare una risata isterica al pensiero che Fiskerton giudicasse Kit un cacciatore di dote. Fino a poche ore prima lei non aveva avuto né casa né denaro, solo delle origini molto dubbie, per non dire angoscianti, eppure Kit l'aveva corteggiata senza la minima esitazione. E ora lei moriva dalla voglia di gettarsi tra le sue braccia. Solo che Fiskerton avrebbe di sicuro disapprovato un simile comportamento, per cui Hero si trattenne, almeno per il momento, e cercò di mostrarsi impassibile. Peccato che la maschera di imperturbabilita' che era riuscita a mantenere per tanto tempo ora fosse scomparsa. Nonostante i suoi sforzi, lei sentì che le labbra le si incurvavano in un sorriso e di sicuro era anche arrossita. La felicità negata tanto a lungo ora la colmava così completamente che minacciava di traboccare. Naturalmente Fiskerton non poteva sapere che tanta esultanza era dovuta alle notizie che le aveva dato sui suoi genitori e non all'eredità, perché adesso lei avrebbe potuto accettare senza riserve la proposta di Kit. Se fino ad allora non aveva acconsentito a sposarlo, era stato solo per il bene di lui, oltre che per il proprio, ma era venuto il momento di cancellare quella distanza. «Forse non vi rendete conto, Miss Ingram, di quanto sia preziosa la vostra eredità» le rammento' il segretario, contrariato dalla sua espressione inebriata. «La collezione di libri di Sua Grazia è una grande responsabilità e farà di voi una donna ricchissima, se deciderete di metterla in vendita.» «Mi sembra già di vedere i membri del Roxburghe Club che spasimano al pensiero di una simile opportunità, ma io non intendo mettere all'asta la raccolta di Sua Grazia» dichiarò Hero. Accenno' con il capo a Kit. «Mr. Marchant ha in progetto dei lavori di ristrutturazione nella sua tenuta. Vuole dire che dovrà prevedere anche un ampliamento della biblioteca.» Pur non essendo al corrente della conversazione che aveva avuto luogo in precedenza tra Hero e il segretario, come al solito Kit si dimostrò all'altezza e fece un cenno di assenso, mentre Fiskerton continuava ad avere un'aria dubbiosa. «Oh, sì, Mr. Fiskerton» insistette Hero con un largo sorriso. «Il suo arrivo un po' vivace deve avervi fatto una cattiva impressione, ma vi assicuro che Mr. Marchant è un gentiluomo e un letterato.» Per quanto scettico, il segretario decise saggiamente di tenere per sé la propria opinione e da quel momento coinvolse anche Kit nella conversazione.

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Capitolo 49
*** 48 Capitolo ***


C'erano dei dettagli da sistemare e dei documenti da firmare, oltre naturalmente al resoconto dell'incendio a Raven Hill. Ma siccome Augustus Raven era stato noto per il carattere eccentrico e solitario, non fu necessario approfondire troppo l'accaduto. Poi c'erano le dichiarazioni dei domestici del Duca di Montford che erano stati appostati nei pressi di Raven Hill e, infine, la presenza di Hero nella residenza di Sua Grazia a confermare che la causa dell'incendio era stata del tutto accidentale. Quando tutto fu finito, era molto tardi e Fiskerton, non volendo che si trovassero per strada a quell'ora, propose a Hero e al suo fidanzato di passare la notte nella casa della duchessa vedova, che sorgeva in mezzo al bosco, a poca distanza dal castello. «Non ci sono domestici residenti, al momento, perché Sua Grazia è deceduta qualche anno fa, però ho chiesto alla governante di preparare delle stanze e di accendere il fuoco» annunciò il segretario, dando un'ultima sistemata ai fogli. Anche se Hero avrebbe desiderato visitare la dimora di suo padre, il legittimo erede sarebbe arrivato da un momento all'altro e, comprensibilmente, Fiskerton voleva evitare qualsiasi motivo di imbarazzo. Siccome l'alternativa era tornare a Londra, a casa di Charlie, sfinita com'era Hero avrebbe accettato di dormire anche sul pavimento. Non era tuttavia preparata al lusso che si trovò davanti. La casa della vedova non era imponente come la residenza principale, eppure era più grande di Oakfield Manor e splendidamente arredata. Mentre la cameriera finiva di accendere il fuoco nei caminetti, Hero esploro' il salotto, passando il dito sulla superficie impolverata di uno scrittoio dorato e sullo schienale ovale di una poltroncina. Trovarsi lì, nella dimora della donna che, secondo il racconto di Fiskerton, era stata responsabile del suo allontanamento quando era ancora in fasce, le causava un certo malessere. Forse non era stata la duchessa a decidere di affidarla a Raven, tuttavia aveva fatto in modo che Montford non conoscesse mai sua figlia. E dire che era stata sua nonna! Il pensiero era sconcertante, certo, ma poi Hero riflette' sulla possibile identità dei suoi nonni materni e di nuovo soffoco' una risata isterica. Non si diceva forse che il re fosse pazzo? Sembrava che lei non potesse sfuggire a quella macchia, ma era già abbastanza che non fosse stata comprata in un manicomio... e che non fosse in alcun modo imparentata con Raven. Essere cresciuta da lui era stato angosciante, ma le riusciva difficile immaginare un destino diverso per la figlia illegittima di un Duca. Vista da fuori, la sua situazione poteva sembrava la realizzazione del sogno di ogni orfana che si interrogava sulle proprie origini, ma riflettendoci Hero provò un disagio molto diverso da quello causato da Raven e dalle sue ossessioni gotiche. In effetti non le sarebbe piaciuto vivere con la macchia dell'illegittimità, nonostante potesse vantare dei genitori tanto illustri. Che razza di vita avrebbe avuto? Non avrebbe comunque potuto abitare con nessuno dei suoi genitori e di sicuro non avrebbe mai conosciuto sua madre, dato che le figlie del re potevano sì essere argomento di pettegolezzi, ma mai di scandali. E il suo tutore sarebbe stato migliore di Raven? Forse. Ma poi lei quale ambiente avrebbe frequentato? Sarebbe stata ricercata solo per le sue presunte origini e per la sua influenza? Hero non riusciva a immaginare di poter incontrare una persona come Kit in un ambiente del genere, qualcuno altrettanto gentile e onesto, che la desiderasse per ciò che era, senza nome e senza mezzi. Tutto ad un tratto i suoi genitori le sembrarono molto poveri, nonostante la loro ricchezza, perché si erano preoccupati soltanto della propria posizione sociale, senza curarsi dell'amore o di ciò che era giusto. Guardò Kit, che stava parlando sottovoce con la governante, e si rese conto che il suo agricoltore gentiluomo valeva molto più di tutti gli aristocratici inglesi messi insieme. Come se si fosse sentito osservato, Kit alzò gli occhi e le rivolse un sorriso che scaccio' il gelo dell'aria. La casa della duchessa era fredda sotto tanti aspetti, pensò Hero, stringendosi nel pesante mantello. Per quanto di un lusso inimmaginabile, non c'erano né vita né calore e tutti i costosi arredi erano altrettanto scintillanti e inutile delle elaborate collezioni di Raven. «Avete freddo, signorina» osservò la governante. «Venite, vi accompagno nella vostra stanza, e anche voi, signore. Se avrete bisogno di qualcosa, vi basterà suonare il campanello. Lascio qui una cameriera, che dormirà nelle stanze della servitù.» La governante condusse Hero in una stanza da letto con il caminetto acceso e chiuse la porta, lasciandola sola al centro di quello spazio smisurato, dominato dall'imponente letto a baldacchino chiuso da pesanti tendaggi. Anche lì, come nel resto della casa, era evidente che la duchessa vedova era stata irrimediabilmente innamorata del più ridondante stile francese e delle doratura in generale. Nondimeno, con tutta la sua eleganza, quel posto non aveva il fascino della casa di Charlie Armstrong, e neppure dell'ospitale fattoria degli Smallpeace. Be', per una notte ci si sarebbe adattata, pensò, stanca morta, togliendosi il mantello. L'aveva appena deposto su un divano quando la porta si spalanco' e Kit entrò come suo solito senza tante cerimonie, un'espressione decisa sul bel viso. «Che cosa c'è?» gli domandò Hero mentre lui lanciava un'occhiata eloquente in direzione delle tende tirate. Per un istante lei ricadde nell'antica abitudine alla prudenza, ma poi si chiese chi mai potesse seguirli adesso. «Voglio soltanto verificare che non steste progettando un'altra fuga» le rispose Kit con un'occhiata scrutatrice. Hero gli sorrise e il disagio che l'aveva oppressa da quando era entrata nel territorio della vedova si dissolse. «Non intendo andare da nessuna parte.» «In ogni caso sono venuto ad accertarmene» insistette Kit, avvicinandosi a lei con un sorriso malizioso. Hero fece un passo indietro. La stanchezza era dimenticata e un brivido di eccitazione le corse lungo la spinta dorsale. All'improvviso si rese conto che erano praticamente soli in quella casa estranea, senza uno stuolo di domestici che avrebbero diffuso pettegolezzi per ogni dove. «Dovrete imparare a fidarvi di me, a costo di impiegarci tutta la vita.» «Ci conto, ma tanto per cominciare avrei pensato di legarvi a me con una catena. E un lucchetto, naturalmente» le spiegò Kit. Ormai era così vicino che Hero si ritrovò immobilizzata contro il baldacchino. Come poteva aver giudicato quella casa fredda e senza vita? Kit portava calore ed energia con tanta intensità che l'aria sembrava vibrare tutt'intorno a loro ed Hero fu pervasa da un'ondata di eccitazione. Kit la guardava da sotto le palpebre socchiuse mentre continuava ad avanzare. Ormai il suo corpo muscoloso era quasi a contatto con quello della ragazza. «Ma temo che, mentre cerco di procurarmi catena e lucchetto, voi ne approfittiate per sparire.» Quando Hero aprì la bocca per protestare che non c'era bisogno di nessuna catena per convincerla a restare con lui, Kit le posò un dito sulle labbra. E la sensazione provocata da quel contatto le fece smarrire del tutto il filo del ragionamento. «Potrei anche cercare di farmi rilasciare una licenza speciale, in modo che possiamo sposarci immediatamente, ma anche per questo mi manca il tempo. Dobbiamo partire al più presto per assistere al matrimonio di mia sorella» aggiunse lui. Con una leggera spinta fece cadere Hero sul materasso morbido e si chino' su di lei. «E così temo che dovrò ricorrere a una soluzione più drastica per essere sicuro che non mi lascerete mai più.» «Avete in mente qualcosa di preciso?» sussurro' Hero, nonostante avesse riconosciuto perfettamente l'espressione che gli incupiva lo sguardo.

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Capitolo 50
*** 49 Capitolo ***


Con un sogghigno pieno di malizia, Kit si allungò sopra di lei. «Già. Ho intenzione di compromettervi irrimediabilmente.» Hero aprì la bocca come per protestare e invece emise solo un sospiro carico di aspettativa. «Quando è così, non andrò proprio da nessuna parte.» L'arrivo di Hero a casa di Charlie Armstrong fu molto più elegante rispetto alla prima volta: a bordo della sontuosa carrozza con le insegne del Duca di Montford, una scorta di lacchè in livrea, e Kit che cavalcava di fianco al raffinato veicolo, in sella al cavallo di Charlie. Il padrone di casa era fuori, ma loro vennero prontamente condotti nelle rispettive stanze dove avrebbero trascorso la notte, prima di lasciare Londra. Stavolta Kit minacciò di restare nella camera da letto di Hero mentre faceva il bagno, ma quando ricevette l'invito a raggiungerla nella vasca, lui uscì borbottando qualcosa a proposito della zia di Charlie. Intanto che Hero si concedeva il primo bagno profumato della sua vita, lui diede disposizioni perché qualcuno andasse a ritirare i loro bagagli in una locanda e i cavalli in un altra. Era tutto finito, eppure lei sentiva come se la sua vita fosse appena all'inizio. Aveva anche discusso con Kit riguardo ai vestiti da ragazzo. Hero avrebbe voluto gettarli via, lui invece aveva insistito che le sarebbero tornati utili, casomai avesse deciso di infangarsi lavorando con i giardinieri alla realizzazione del nuovo parco di Oakfield Manor. Ripensando a quella conversazione, Hero sorrise tra sé e sé, sicura che dietro l'insistenza di Kit ci fossero ben altre intenzioni. Non le aveva forse sussurrato qualcosa al riguardo la notte prima, parlando dell'effetto che gli faceva vedere le sue gambe tornite fasciate nei calzoni? Hero arrossi', pervasa dai ricordi della sua lunga, lenta seduzione, meticolosa ma allegra, dell'intreccio di membra e di pelle nuda e della bocca di Kit sul suo corpo. Lui le aveva ripetuto all'infinito il proprio amore in roventi mormorii e alla fine anche Hero si era pronunciata, dapprima balbettante, soffocata dalla forza delle emozioni, poi deliziosamente sicura. Mentre metteva da parte gli indumenti maschili per qualche futura ruzzolata con suo marito, si sentì di nuovo sopraffatta dall'intensità delle sensazioni che lui le aveva fatto provare. Nonostante Hero avesse insistito che, in cambio, anche lui avrebbe dovuto conservare il costume da Arlecchino, Kit si era impuntato, sostenendo che l'aveva già affidato a un valletto di Charlie perché venisse restituito al Conte di Cheswick. Ma, siccome lei non aveva ceduto, alla fine aveva dovuto accettare di indossare qualcosa di simile a condizione che fosse soltanto Hero a confezionarlo e che non venisse coinvolto nessun altro. Lei sentì di colpo le guance roventi a quel pensiero. Realizzare il costume per Kit sarebbe stato un modo come un altro per migliorare la sua scarsa perizia con ago e filo. Quel pensiero continuò a frullarle in testa, ma non disse niente a Kit mentre lui la scortava nel salotto al pianoterra per uno spuntino a base di biscotti e cioccolata. La bevanda calda era una delizia che non aveva mai gustato ed Hero vuoto' con immensa soddisfazione la propria tazza e metà di quella di Kit, occupato a lamentarsi dell'assenza di Mrs. Armstrong. «Il vostro chaperon non deve essersi sentito all'altezza della situazione» osservò lui, accomodandosi con un sospiro soddisfatto sulla poltrona davanti al fuoco. «Dovremo procurarcene un altro.» Appoggiò i piedi su uno sgabello e le parve che avesse intenzione di appisolarsi. Niente di sorprendente, riflette' Hero, se si pensava a quanto poco avessero dormito la notte prima. Con il viso in fiamme, lei si disse che ormai non c'era più bisogno di uno chaperon. Stavano discutendo in proposito quando udirono delle voci nel vestibolo. Il maggiordomo entrò in salotto precedendo dei visitatori che non fece in tempo ad annunciare perché una donna lo superò di slancio, precipitandosi dentro. «Kit!» esclamò la nuova arrivata. Lui si alzò in piedi e Hero provò un brivido di apprensione. Ma quando la giovane si gettò tra le braccia di Kit, la straordinaria somiglianza tra i due fu più eloquente di qualsiasi spiegazione. Doveva essere Sydony, sua sorella. L'apprensione di Hero si trasformò in una sensazione di nausea che non aveva niente a che vedere con la quantità di cioccolata che aveva appena bevuto. «Dove diavolo eri finito?» strillo' Sydony Marchant. Per un istante Hero si chiese se avrebbe preso a schiaffi Kit o se l'avrebbe abbracciato fino a soffocarlo. «Ero preoccupata a morte!» proseguì sua sorella. «Te l'ho scritto nella lettera. Abbiamo avuto... qualche avventura» rispose lui, mesto. «Qualche avventura!» sbuffo' sua sorella. Accenno' con la testa all'uomo bruno e silenzioso che era rimasto sulla soglia. «Barto e Hob ti hanno cercato per tutta Londra! E stavano per prendere d'assedio Raven Hill quando hanno scoperto che ieri notte è stata distrutta da un incendio!» Kit assunse un'aria contrita. «Hob! Mi ero completamente scordato di lui.» «Già, Hob. È venuto da noi a raccontarci di aggressori armati di coltello, di rapitori e di mandati di cattura...» Sydony fece una pausa per riprendere fiato. «Non sapevo se continuare i preparativi delle nozze, se tu ci saresti stato... non sapevo dove eri, se eri ferito...» Si interruppe di nuovo. Il suo bellissimo viso era ancora contratto per l'ansia e Kit le diede dei colpetti sulla schiena per confortarla. Hero comprendeva l'ansia della giovane donna, ma la sua nausea non accennava a placarsi. Era stata lei, una perfetta sconosciuta, a mettere in pericolo Kit e a portare tanto scompiglio nella vita di tutti loro. L'avrebbero ritenuta responsabile? Come se avesse indovinato il filo dei suoi pensieri, la donna si staccò da Kit per rivolgersi a lei. Niente sfuggiva ai suoi occhi scuri, era evidente. «E voi dovete essere Hero» dichiarò. «State bene?» Non era la domanda che Hero si sarebbe aspettata, quindi impiegò qualche istante per rispondere. Quando lei annuì con aria cauta, Sydony andò a stringerle le mani. «Bene. Benvenuta nella nostra famiglia.» «Che cosa?» borbotto' Kit. «Come hai fatto a scoprirlo?» «Deve averlo letto tra le righe della tua lettera.» L'uomo bruno entrò nella stanza. Il suo tono era vagamente beffardo. «Permettete che mi presenti. Sono il Visconte Hawthorne.» «Potete chiamarlo Barto» interloqui' Sydony, spiccia. Prese Hero per un braccio e la fece sedere su una sedia, mettendosi poi di fianco a lei. Ora che aveva visto il fratello vivo e vegeto, appariva decisamente più rilassata. Hero invece continuava a essere sulle spine. Il suo stomaco si era placato, tuttavia non era abituata a trovarsi al centro dell'attenzione, inoltre le era capitato molto di rado di avere contatti con delle donne, in particolare della sua età. E la sua ansia non si placo' certo quando, tutto a un tratto, le venne in mente che la futura viscontessa sarebbe diventata sua cognata. Quando Sydony si chino' verso di lei con aria di aspettativa, a Hero venne meno il respiro. Era del tutto digiuna di occupazioni femminili, non aveva mai dipinto un acquerello e non sapeva suonare il pianoforte. E non sarebbe neppure stata in grado di sostenere una conversazione sugli argomenti che interessavano tanto alle donne, pensò con sgomento. Sentì il panico aumentare finché Sydony non le rivolse un sorriso e una sola, inaspettata, richiesta. «Adesso, raccontatemi tutto.»

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Capitolo 51
*** 50 Capitolo ***


Kit, sulla soglia del fienile dal quale una volta lui ed Hero erano dovuti fuggire, sorrideva. Allora era stato freddo e buio, con la nebbia che avvolgeva il paesaggio devastato dall'incendio che aveva distrutto il labirinto e le scuderie. Ora, invece, il sole dell'estate illuminava i prati ben tenuti che arrivavano fino alla terrazza ricostruita di Oakfield Manor. La tenuta aveva un aspetto completamente diverso rispetto a quando Kit l'aveva ereditata. I terreni abbandonati erano stati arati e le fattorie disabitate ora erano in piena attività. Le pecore stavano brucando l'erba tenera lì vicino, mentre in lontananza si distingueva un contadino con cavallo e aratro. I terreni di Oakfield si erano rivelati fertili e redditizi, anche grazie alle moderne tecniche agricole introdotte da Kit, e i prodotti dei campi arricchivano la sua tavola di buon cibo. La casa che un tempo gli era sembrata maledetta era illuminata dalla luce del pomeriggio che faceva risaltare la pietra chiara, del tutto libera della cupa edera che la rivestiva quando lui aveva ereditato la tenuta. Le scuderie erano state ricostruite, più grandi e funzionali di prima, e i resti carbonizzati del labirinto erano stati rimossi e sostituiti da un prato molto curato e da nuovi alberi e arbusti fioriti. Kit aveva voluto partecipare alla progettazione del giardino e siccome le aiuole formali non gli piacevano aveva voluto delle macchie di arbusti dai fiori variopinti accanto ai vialetti ricoperti di ghiaia. Il parco era diventato un luogo dove passeggiare, meditare e riposare sulle panchine all'ombra degli alberi. Certi giorni non riusciva quasi a credere alla propria buona sorte. Dopo l'incendio, non avrebbe mai immaginato di poter realizzare un simile paradiso ma, da uomo onesto qual era, sapeva bene chi doveva ringraziare per tutto questo. Se Hero non fosse capitata sulla sua strada, forse lui sarebbe stato ancora immerso nella depressione, sempre più attaccato al vino e ai liquori, mentre la casa andava a poco a poco in rovina. Ora invece poteva guardare al passato senza sgomento. L'incendio l'aveva trasformato senza lasciargli cicatrici e a distanza di tempo era soltanto un brutto ricordo. Grazie agli eventi di quel periodo, il ragazzo scanzonato era diventato un uomo responsabile e con l'aiuto di Hero si era liberato del senso di colpa e della inquietudine fino a sentirsi di nuovo se stesso, un uomo maturo e consapevole, oltre che soddisfatto, del proprio posto nel mondo. Nonostante Hero sostenesse che lui aveva avuto bisogno soltanto di prendere a pugni qualcuno, c'era ben altro. Proteggendo lei, Kit si era riscattato e ora si sentiva capace di affrontare praticamente qualsiasi situazione. Aveva smesso di voltarsi indietro per controllare che non ci fossero dei druidi che lo seguivano, eppure continuava a tenere gli occhi aperti, deciso com'era a proteggere ciò che gli apparteneva. Le passate esperienze gli avevano insegnato ad assaporare ogni istante della vita, e anche in quel momento Kit fece un respiro profondo, inalando la fragranza dei fiori e dell'erba verde chiaro che pervadeva l'aria. Poco più avanti, lungo uno dei vialetti, Sydony, Barto e il loro piccolo Max giocavano con i cani, felici e spensierati, e lo era anche lui. Alle sue spalle udì i passi leggeri di Hero e, quando lei gli si mise al fianco, Kit le passò un braccio intorno alla vita. Quasi fosse dotata di volontà propria, la sua mano si posò sulla dolce rotondità del ventre della moglie, dove cresceva il bambino che sarebbe arrivato presto. «Come stanno Harold e George?» le chiese. «E Missy e Clyde e Thomas e Toby...» gli ricordò Hero, concludendo l'elenco con una risata. «Gatti e gattini stanno tutti bene. In effetti, c'è qualcun altro che vorrebbe venire a casa con me.» Kit gemette quando lei gli mostrò un batuffolo di pelo rossiccio, che ronfava contento nella sua mano. «Spero che questo non vorrà dormire nel nostro letto.» dichiarò. «Ti amo» sussurro' lei, assolutamente sicura che la sua dichiarazione, che aveva impiegato tanto tempo ad arrivare, l'avrebbe convinto ad accontentarla anche in quel caso. «Anch'io ti amo» rispose Kit, che non si stancava mai di sentirglielo ripetere. Affondò il viso nei suoi capelli morbidi, rassegnandosi all'arrivo dell'ennesimo esemplare felino nella loro casa. Come avrebbe potuto negare qualcosa a sua moglie, che continuava a stupirlo e a deliziarlo? Quando l'aveva conosciuta, Hero era tanto distaccata e misteriosa quanto poi si era dimostrata solare e generosa, e le loro giornate erano punteggiate dalle sue frequenti risate. Dopo aver vissuto tutta la vita in un tetro castello, lei aveva trasformato Oakfield Manor in una casa accogliente e confortevole, un paradiso per tutti coloro che andavano a trovarli, non soltanto Syd e Barto. L'ultima volta che era andato in visita lì, Charlie Armstrong li aveva addirittura minacciati di restare per sempre. La spaziosa biblioteca era zeppa fino al soffitto dei libri che il Duca di Montford aveva lasciato a Hero, la quale era stata nominata anche erede di Raven. Dopo aver venduto in blocco il poco che era rimasto di Raven Hill, Hero aveva utilizzato il denaro sporco che suo padre doveva aver pagato a Raven in tutti quegli anni per ristrutturare e arredare Oakfield Manor. Hero aveva catalogato il lascito del padre e ne aveva venduto un piccola parte, dopodiché si era praticamente disinteressata dei libri che avevano occupato gran parte della sua vita precedente e ogni tanto Kit si domandava... Lanciò alla moglie un'occhiata scrutatrice. «Non ti mancano le avventure di un tempo?» indago'. Lei sbatte' le palpebre, sorpresa. «Quali? Le uniche avventure della mia vita le ho vissute con te.» «E tutti i viaggi e le trattative per l'acquisto di libri antichi?» Hero scosse la testa, poi si accosto' il gattino alla guancia. «Quelle erano transazioni noiose con vecchi antiquari pomposi. Niente di divertente, credimi.» Alzò lo sguardo su di lui con un sorriso. «Vorresti forse dire che la vita con te non è un'avventura?» Suo marito si strinse nelle spalle. «Be', sono soltanto un agricoltore gentiluomo.» Hero scoppiò a ridere. «Non sono affatto d'accordo.» Gli passò le braccia intorno alla vita. «Puoi darla a bere al resto del mondo, Kit Marchant, ma non a me.» Con gli occhi scintillanti d'amore, gli rivolse un sorriso divertito. «Tu sei il mio gentiluomo letterato.» ---------------------------------------FINE---------------------------------------------

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