Come madre e figlio

di Jeremymarsh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il significato della parola madre ***
Capitolo 2: *** Indispensabile ***
Capitolo 3: *** Rimorso ***
Capitolo 4: *** Conoscere e Amare ***
Capitolo 5: *** Gelosia ***
Capitolo 6: *** A modo mio ***
Capitolo 7: *** L'esame ***
Capitolo 8: *** Nessuna Notizia ***



Capitolo 1
*** Il significato della parola madre ***


Il significato della parola madre

 
 
Thorn era già un bambino troppo alto per la sua età la sera in cui la madre lo abbandonò fuori casa di Berenilde; troppo alto e troppo magro, troppo cagionevole. Era tutto ciò che lei non aveva desiderato in un figlio, ciò che non avrebbe potuto sfruttare per i suoi scopi e la sua scalata verso il potere.

Quando si rese conto di non sopportarlo più, di non volersene prendere cura, decise di lasciarlo alla sorella del padre, l’unica donna che sapeva non lo avrebbe additato come il bastardo che era, l’unica persona che avrebbe potuto essere una famiglia per lui. Quello era probabilmente l’unico gesto d’amore che avrebbe davvero mai fatto per Thorn.

La sera in cui Berenilde trovò quel bambino alto e magro di fronte casa sua, i suoi vestiti erano già da tempo logori, i capelli biondi bagnati e il viso troppo pallido anche per lui il cui incarnato non era mai stato scuro. Ai suoi piedi una piccola borsa il cui contenuto era rovesciato a terra e non ammontava nemmeno a un cambio; dalle impronte su di essa capì che probabilmente era stato proprio Thorn l’artefice del gesto, anche se ora sembrava il ritratto della tranquillità.

Per quanto quella donna avesse detto di aver tentato, ciò che Berenilde aveva davanti agli occhi non era il risultato delle cure di una madre. E con la perenne temperatura gelida del Polo, si stupì di non vedere il nipote tremare.

Si affrettò a raggiungerlo e mentre le sue mani percorrevano il suo viso e corpo, gli stringevano i vestiti ancora più addosso, Thorn rimase impassibile. Era sempre stato un bambino che molti avrebbero definito perfetto: era tranquillo, non creava problemi, seguiva ogni raccomandazione. Ma non era quello che una famiglia di Draghi avrebbe voluto – non che qualcuno della sua famiglia avesse mai desiderato accogliere un bastardo – e, sicuramente, non era ciò che quella donna aveva avuto in mente quando aveva sedotto suo fratello.

In breve, per tutti Thorn era un errore, una macchia sull’onore di famiglia e Berenilde aveva già capito, appena aveva scorto la sua figura sulla soglia, che lei era la sua ultima speranza: sarebbe toccato a lei prendersene cura. A cominciare da ora. Se ne fosse all’altezza, quello era un altro paio di maniche.

Gli toccò un’ultima volta la fronte e poi lo cinse per le spalle, spingendolo dentro. Ebbe cura di lavarlo ed asciugarlo, si assicurò che il bambino indossasse un cambio perfettamente asciutto – un pigiama che era appartenuto a un figlio da tempo sparito – e che la sua temperatura scendesse prima di preparargli una bevanda calda.

Durante tutto il processo Thorn non fiatò, se non per alcune risposte automatiche, e rimase il ritratto della compostezza. Per lo meno, si disse un’ultima volta per non avere la mente affollata da pensieri più inquietanti, il nipote non gli avrebbe dato grandi fastidi – se non si considerava quanto la famiglia avrebbe avuto da ridire su quella sua scelta. Ma a Berenilde non importava: forse lei e Thorn avrebbero potuto guarirsi a vicenda.

La piccola borsa preparata da chi madre non lo era stata e non aveva mai veramente voluto esserlo, invece, giaceva dimenticata fuori dalla porta di casa. Al mattino un domestico avrebbe ripulito l’ingresso e non ve ne sarebbe stata più traccia.


 
N/A: Salve a tutti, avrei voluto pubblicare il capitolo della Long questo giovedì, ma causa problemi di salute non è ancora scritto. Per farmi perdonare, ho deciso di pubblicare questo Missing Moment che avevo da un paio di mesi nella mia cartella WIP. Ovviamente, dato il poco che sappiamo sull'infanzia di Thorn e su questo momento in particolare, la maggior parte di ciò che è narrato è di mia invenzione. Spero vi sia piaciuto e di leggervi nei commenti. 

Questa storia partecipa agli Oscar della Penna 2023 indetti dal forum Ferisce la penna.



Un abbraccio virtuale e a presto! ❤
 

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Capitolo 2
*** Indispensabile ***


N/A: Salve a tutti e buon giovedì! 
Era un po' che contemplavo l'idea di esplorare maggiormente il rapporto tra Thorn e Berenilde perché c'è davvero tanto da dire e scritta quest'altra piccola shottina ho pensato sarebbe stato più carino unirla alla precedente per farne una raccolta. Non so ancora quanti altri pezzi simili scriverò, anche se il prossimo che ho in mente di pubblicare vorrei fosse dal pov di Berenilde. 
Spero vi piaccia!
Come noterete leggendo, la storia si ricollega al quarto libro verso la fine, esattamente al momento in cui Thorn e Vittoria si incontrano. 
Ci leggiamo settimana prossima per la long! Un bacio! 💖





Indispensabile  

 

C’erano momenti in cui era chiaro più che in altri: nei sospiri di lei, nei suoi sorrisi falsi in mezzo alla folla, negli sguardi colpevoli che gli riservava, quando i suoi occhi si posavano sui ricordi della famiglia che aveva perso. 

E Thorn ne soffriva.  

Ogni volta che se ne accorgeva rivedeva nella zia l’ombra della madre per cui non era stato abbastanza, il modo in cui si era liberata di lui e, soprattutto, il suo essere solo uno strumento (inutile). Forse era crudele accostare le due figure l’una all’altra; razionalmente tra le due donne vi era un abisso: una era genitore per davvero, l’altra lo aveva solo messo al mondo – e per fini puramente egoistici. 

Allora gli tornava alla mente la sera in cui Berenilde lo aveva accolto ed era nata in lui la speranza di poter soddisfare almeno il cuore di quella madre. Sapeva che Berenilde lo amava – logicamente; altrimenti perché accogliere un bastardo come lui attirandosi di conseguenza l’ostilità dell’intera famiglia? – eppure quegli istanti lo rendevano consapevole del fatto di non essere ancora abbastanza.  

Voleva esserle indispensabile nonostante la sua scandalosa natura, il suo essere illegittimo, la sua assenza di marchi che non lo proclamavano Drago a tutti gli effetti; voleva che il suo sorriso tornasse a essere vero e dedicato solo a lui.  

D’altronde, nonostante l’espressione sempre seria, la compostezza e l’intelligenza fuori dal comune, Thorn era pur sempre un bambino a cui era stato negato amore e lo cercava nell’unica donna che glielo aveva dato.  

E quando le dimostrazioni di lei apparivano contaminate dal rimorso e dal ricordo di chi non c’era più, la sua corazza si induriva e il suo proposito si faceva sempre più audace. Se lui non le bastava, allora bisognava migliorarsi ancora, puntare più in alto, dimostrarle di essere degno del suo affetto, diventarle a tutti gli effetti indispensabile.  

Quei sentimenti lo avevano suo malgrado forgiato nell’adulto che era, lo avevano spinto a ricoprire una delle più alte cariche della società e a essere intransigente – e spesso stupido – nei confronti della donna che amava. E, crescendo, aveva visto nei gesti e nell’espressioni della zia proprio ciò che aveva sempre ricercato: orgoglio, soddisfazione; questi sentimenti lo aveva indotto a volere sempre più, anche l’impossibile, fino a fare a patti con Faruk.  

Ora, davanti alla cugina dalla quale era inconsapevolmente scappato, vedendo per la prima volta l’oggetto del suo odio e la prova di non essere mai stato davvero abbastanza per Berenilde, tanto da farle desiderare un altro figlio, si rese conto di quanto fosse stato stupido e irrazionale 

La guardò bene in faccia, incrociando i suoi occhi neri che sembravano scrutarlo nell’anima e rivelargli risposte che aveva sempre avuto ma non era mai stato in grado di vedere, e capì che la bambina non era mai stata sua rivale né la sua nascita un ostacolo alla sua relazione con Berenilde.  

Con quella nuova consapevolezza addosso, Thorn interruppe il contatto visivo e piegò la lunga schiena dorsale per prenderla in braccio. L’ansia e la fretta erano tornati e con quelle la paura di non fare in tempo: dovevano andar via, alla svelta.  

Thorn aveva un eco anticipatore da acchiappare, una moglie da salvare e Vittoria una madre da cui tornare.  

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Capitolo 3
*** Rimorso ***


Rimorso
 
 
Thorn chiuse di scatto il libro che stava leggendo fino a un secondo prima e lo rinfilò nello spazio vuoto tra gli altri con perfetta cura. Aveva sentito la porta aprirsi alle sue spalle, ma non si girò. Invece, aprì l’orologio da taschino e controllò le lancette: 7 minuti e 13 secondi di ritardo. Detestava i ritardatari.

Avrebbe dovuto essere di ritorno all’Intendenza a breve e odiava ancora di più l’idea di essere lui quello in ritardo; non era mai accaduto né voleva ci fosse una prima volta.

“Vi aspettavo,” mormorò prima ancora che l’altra persona potesse annunciarsi. Infine, si voltò e posò gli occhi sulla figura perfettamente agghindata di sua zia. Era ormai passata l’ora del tè ed era sicuro che oltre ad essersi intrattenuta in qualche fumoir, Berenilde avesse fatto anche cose che presupponessero un po’ meno ordine, ma ora, davanti a lui, nemmeno uno dei suoi capelli biondi era fuori posto.

“Thorn, sei sicuro di tutto ciò?” La sua facciata composta crollò dopo aver pronunciato quelle parole e non bastarono tutti i suoi forzi per ricomporla.

“Non è stata solo una mia idea, giusto? Vi volete forse tirare indietro?”

“No, ma, se i piani non andassero come previsto ci sarebbe molto in ballo. E io, Thorn, non vorrei che ti accadesse nulla; non per mano sua.” Ormai, non riusciva più a nascondere l’agitazione.

“Imparerò a leggere il suo libro e ristabilirò in questo modo il nome della famiglia,” tagliò corto lui che non aveva tempo né voglia di discutere oltre l’argomento. Era tutto deciso e aveva anche già trovato la candidata adatta per aiutarlo durante il processo.

La donna si avvicinò piano al nipote e posò una mano pallida e tatuata sulla quella di lui priva di marchi – emblema del suo stato di bastardo – ma piena di cicatrici. I suoi occhi chiari riflettevano chiaramente la paura e la preoccupazione che, allo stesso tempo, erano sintomo dell’amore che Thorn ancora, a volte, faticava a riconoscere.

“Non dovete dubitare di me, zia. Vi ho mai deluso?” le chiese tagliente, incontrando il suo sguardo. Non poteva sapere come avrebbe reagito a seguito di una risposta negativa, ma aveva sempre portato a termine ogni suo compito e raggiunto ogni obiettivo che si era posto, anche il più difficile; Berenilde non aveva motivo di tentennare. Leggere il libro di Faruk sarebbe solo stato il passo più grande che avesse mai compiuto.

“No, però…” Si bloccò nell’osservare il sopracciglio di lui alzarsi, poi riprese: “Questo intero piano cambierà per sempre la tua vita, più quella di un’altra persona, una che per giunta non ha nulla a che fare con gli inganni di questa corte o i meccanismi della nostra arca.”

“Non dovete preoccuparvi,” la rassicurò ancora mentre metteva finalmente via l’orologio che aveva tenuto stretto nel pugno fino a quell'istante. “È una mia responsabilità prendermi cura di voi e della famiglia ora; rimedierò a ciò che è accaduto a causa della mia nascita e delle azioni di mia madre,” concluse prima di superarla e dirigersi verso l’uscita a grandi falcate.

Non vide gli occhi pieni di timore – e rimorso – che seguirono ogni suo movimento o le labbra che si aprirono e chiusero meccanicamente in cerca di parole che non sarebbero mai state pronunciate. E mentre Thorn tornava ai suoi impegni da Intendente, Berenilde riprendeva la sua vita di corte, chiedendosi in cuor suo se ciò che avevano fatto non aveva, in realtà, rovinato ancor di più il rapporto complicato tra lei e colui che aveva sempre considerato un figlio.





 
N/A: Buon giovedì a tutti 💖. Questa volta ho cercato di raccontare un momento subito precedente all'arrivo di Ofelia al Polo. Spero vi sia piaciuto e se avete in mente qualche scena tra Thorn e Berenilde che non è mai stata raccontata ma vi piacerebbe leggere accolgo con piacere qualsiasi suggerimento. L'ispirazione di un fanwriter lavora su tutto 😆. 

Vi abbraccio tutti, a presto 💖.

 

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Capitolo 4
*** Conoscere e Amare ***


 

Conoscere e Amare




“Del resto, non si ama mai così bene come quando ci si conosce male.”

Non era stata proprio lei, un giorno, non molto prima, a pronunciare quelle parole? E cosa dicevano di lei e del suo rapporto, suo malgrado sempre dannatamente complicato, con il nipote? Quanto davvero parlava dell’amore che provava per lui?

Era consapevole di non avere un carattere particolarmente amabile e gestibile, era una donna molto orgogliosa e fiera e aveva dovuto lottare parecchio, quando anche la sua stessa famiglia le era andata contro. Ma, anche se poche, c’erano alcune cose delle quali nessuno avrebbe mai potuto dubitare. La più importante era il suo affetto per Thorn, che considerava come un figlio, e aveva colmato un vuoto che, un tempo, aveva minacciato di ucciderle il suo forte spirito.

Dove aveva sbagliato, dunque? Perché non riuscivano a comunicare, perché lui era sempre schivo e lontano, ma soprattutto, perché non riusciva a fargli arrivare l’intensità del sentimento che nutriva? Berenilde glielo leggeva negli occhi, oltre la maschera glaciale che aveva tatuata in volto al posto di qualsiasi altro marchio di famiglia: il dubbio che lo logorava, l’insicurezza che si accompagnava alla volontà di affermarsi e renderla fiera, l’instancabile istinto a migliorarsi.

Un tempo quella determinazione l’aveva considerata positiva, quando Thorn era ancora piccolo aveva predetto che lo avrebbe condotto in alto nonostante gli ovvi ostacoli – e ci aveva visto bene –, ma non la pensava più così, non quando quegli stessi tratti lo tenevano lontano e la facevano quasi sentire come se avesse perso un altro figlio.

Si posò una mano sul ventre gonfio e pensò a quanto ancora le cose sarebbero peggiorate perché, da che aveva annunciato la gravidanza, Thorn aveva cominciato a star via di più e non solo per i tanti cambiamenti di cui il Polo era vittima o a causa del suo imminente matrimonio. Era come se, con l’arrivo di quel che lui considerava erroneamente un rivale, dovesse rimarcare il suo valore per non essere dimenticato e non avesse tempo per altro – nemmeno per lei.

Scosse la testa e, di nuovo, le parole che aveva detto alla giovane animista le risuonarono nella mente. Forse era lì il problema? Forse lei e Thorn non erano mai riusciti a dimenticare le apparenze che mantenevano per beneficio degli altri, a volersi bene davvero, conoscersi per coloro che erano dentro. Fu colpita da quella possibile verità, ma ancora di più dalla consapevolezza che il tutto era colpa sua e che era stata lei, per prima, a non riuscire a far cadere la maschera davanti a un bambino solo – la stessa che aveva indossato per proteggersi dalle bestie lì fuori pronta a sbranarla e che, senza volerlo, aveva usato come arma contro il figlio.

Lo amava come tale anche se non lo aveva dato alla luce, ma per certi versi non lo conosceva come una madre avrebbe dovuto e, probabilmente, era proprio quello il motivo per cui non lo riconosceva più in quel periodo di crisi e disturbi.

Non era troppo tardi per rimediare, ma, si chiese – osservando il cielo scuro che rifletteva il suo umore dalla finestra –, quanto ancora la loro arca avrebbe aspettato prima di ostacolarla e strapparle l’uomo una volta per tutte. 






 


N/A:  

La citazione a inizio capitolo è tratta dal Libro 1, pag. 221

 

Salve a tutti 💕 spero stiate tutti bene e che questo piccolo viaggio nella mente di Berenilde vi sia piaciuto. Per chi sta leggendo la mia long, sono consapevole che avrei dovuto pubblicare il capitolo nuovo, ma non ho letteralmente avuto il tempo di concluderlo 🥺 e quindi ho pensato di compensare aggiornando questa raccolta.

Se non si fosse ancora capito, mi sono ispirata a una delle ultime conversazioni che Berenilde e Ofelia hanno prima di trasferirsi a Chiardiluna, quando Berenilde le chiede cosa prova per il nipote. Se consideriamo che Thorn e Berenilde si vogliono immensamente bene (come madre e figlio, per l'appunto) ma non riescono a dimostrarlo mai come si deve nell'intera saga, questo è per me uno scenario abbastanza plausibile per la dama che - sebbene nel primo libro ci appare sempre sicura di sé, forte e anche un po' insopportabile - cela più di un'insicurezza. Potremmo considerare questi i suoi pensieri un po' uno specchio del capitolo 2 e 3 di questa raccolta, dove invece mi sono soffermata più sulle insicurezze di Thorn.

Vi ringrazio, come sempre, per essere arrivati fin qui ed avermi letta. Spero di sentirvi e ci leggiamo prestissimo. Un abbraccio 💖.

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Capitolo 5
*** Gelosia ***


Gelosia
 

 




Thorn non ricordava di aver faticato mai così tanto nel mantenere un’espressione impassibile e il contegno gelido che lo precedeva. Eppure, l’agonia di quelle ore buie, il dolore nella parte sinistra del petto che non accennava a smettere e, infine, l’averla vista tornare ferita in quel modo lo avevano condizionato al punto che ora doveva imporsi di restare calmo e inespressivo all’esterno. Il pugno era così stretto attorno all’orologio da taschino che temette di spaccarlo e lo sguardo gelido e duro che aveva rivolto alla ragazza non era in realtà diretto a lei, quanto a quelle ferite che le macchiavano la pelle e a coloro che gliel’avevano procurate.

Credeva di essere stato abbastanza cauto, che l’aiuto della zia fosse abbastanza – d’altronde, non si poteva dire che quest’ultima fosse una dama poco severa, anzi –, ma evidentemente aveva sottovalutato l’animista e questa, in cambio, l’aveva fatta sotto il naso a tutti, a discapito della propria salute.

Una rabbia cieca lo invase – questa volta rivolta proprio ad Ofelia – nel comprendere quanto lei avesse ignorato i suoi avvertimenti, nel vedere le prove degli Artigli su di lei e, in seguito, nello scoprire che la stessa Berenilde ne faceva uso pur di applicare la sua punizione alla giovane.

Qualche giorno dopo aver discusso con Ofelia – cercando di nascondere la furia mista a dolore che provava nel vedere il suo viso sfigurato –, si incontrò con la zia e questa volta non si sforzò di celare i propri sentimenti. Ma anche se avesse tentato, lei lo avrebbe letto come un libro aperto.

Berenilde sorrise sardonica quando vide lo stato in cui il nipote era.

“Non credete che sia un po’ esagerato?” pretese lui quando furono passati dei minuti.

Lei per un attimo lo ignorò, agitando il polso e poi tirando dalla propria pipa. “Tu credi?” Sbuffò quasi impercettibilmente. “Pensavo fossi stato tu a chiedermi di temprarla per ciò che sarà la sua vita qui al Polo. Sto solo seguendo la tua richiesta.”

A quel punto Thorn girò la testa di scatto, gli occhi carichi di una fiamma che sciolse il ghiaccio che solitamente li riempiva, e dovette trattenere i suoi di Artigli, perché non li aveva mai usati sulla zia né avrebbe cominciato ora. Però, lei lo stava deliberatamente testando e ciò lo mandava su tutte le furie.

“E siete stata brava finora a dimostrarle quanto dura sarà la sua vita qui, ma pensavo che almeno per qualche ora avreste potuto andarci più piano.”

“Suvvia, Thorn, non mi dirai che è per questo che sei tanto di malumore. È proprio adesso che la bambina deve imparare la lezione e sarebbe controproducente se ci andassi piano, qualunque cosa tu intenda.” Ancora, agitò il polso con indifferenza e aspirò dalla pipa, ignorando gli sguardi insolitamente caldi di lui. Nel frattempo, dentro di sé, avrebbe voluto che tutta quell’agitazione, per una volta, fosse rivolta a lei per un altro motivo, non per quella ragazza; la riempiva di gioia sapere che il nipote avrebbe passato più tempo da lei – soprattutto ora che era rinchiusa tra quelle mura –, ma si era aspettata delle attenzioni diverse da parte sua.

“Ebbene, zia, seguirò il vostro consiglio. Quest’oggi mi occuperò io della sua lezione, siete scusata.”

Berenilde fu presa così in contropiede che la pipa rimase per qualche istante in più a mezz’aria, essendosi bloccata mentre stava per fare un altro tiro. Ma non ebbe modo di ribattere, perché subito dopo Thorn la lasciò lì da sola e a lei non rimase altro che osservare la sua figura alta andar via, come aveva fatto tante altre volte.

E così com’era successo in precedenza, dubbi, paure e rimorsi la inghiottirono.
Sospirò; se solo per una volta le cose fossero andate diversamente tra loro due. Le sarebbe bastato anche che avessero smesso di fraintendersi e magari iniziato a dire ciò che davvero passava loro per la testa. Ma Berenilde non si faceva illusioni né faceva colpe al nipote; sapeva, dopo tutto, che quella situazione era tutta colpa sua.

Se avesse cresciuto Thorn diversamente o se gli avesse mostrato più apertamente il desiderio che portava nel cuore, forse anche quel loro ultimo incontro si sarebbe concluso in modo differente.




 


N/ADevo dire che non mi dispiace l'idea di una Berenilde gelosa di Ofelia in questa parte del libro. Dopo tutto, sappiamo che lei stessa ammette di aver notato un certo cambiamento in Thorn ed essendo una persona scaltra, è plausibile che abbia compreso a un certo punto cosa davvero legava il nipote a Ofelia. 

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Capitolo 6
*** A modo mio ***


 

A modo mio



 

“Siete stati più spericolati oggi mentre giocavate?” chiese Berenilde al bambino di nemmeno sei anni mentre gli medicava il taglio sopra il sopracciglio. Cercò di non mostrare la propria preoccupazione e di mantenere il tono calmo e impassibile, ma non dovette poi faticare molto perché era abitudine per lei. Ciò nonostante, la piega che stavano prendendo gli eventi non le piaceva affatto e avrebbe voluto poter far di più. Sapeva di non potersi intromettere nei loro giochi, che padre Vladimir avrebbe trovare un’altra scusa per definire Thorn un debole bastardo e, soprattutto, che il piccolo fosse felice di poter giocare con il fratellastro e la sorellastra – anche se questi gli stavano chiaramente provocando le ferite di proposito.

“Sì, zia,” pronunciò atono Thorn, la schiena innaturalmente rigida e composta. Lei fece finta di non sentirlo tirare su con il naso o di non vedere lo strano luccichio nei suoi occhi visto che stava cercando di nasconderle il suo stato d’animo, ma anche la sua eccessiva serietà la preoccupava. Allora, prima di rimandarlo fuori, si premurò di passargli un altro fazzoletto, accennando solo al fatto che era buona maniera portarne sempre uno in più e tenerlo a portata di mano. Thorn, in risposta, lo posò nel taschino in alto del suo vestito – anche questo troppo serio per i suoi anni – e si incamminò adagio per tornare dai fratelli. Non corse né mostrò alcun segno di eccitazione e ciò provocò l’ennesima morsa al petto di Berenilde che, però, all’esterno rimaneva la dama impassibile che conoscevano tutti.

E mentre lo guardava andar via sperò soltanto che il suo cuore già duro rimanesse tale solo per coloro che lo meritavano e che aprendolo a quelli che considerava i suoi primi veri amici non rimanesse in seguito scottato nello scoprire i loro reali sentimenti.

 

***

 

“Godefroy e Freya ti stanno insegnando di nuovo a usare gli artigli?” Berenilde chiese a un Thorn un po’ più grande mentre gli medicava quella che sarebbe diventata un’altra cicatrice.

“Sì, zia,” pronunciò atono Thorn, lo sguardo inespressivo puntato sul muro dietro di lei. Questa volta non dovette fingere alcunché perché il bambino non stava tirando su con il naso né aveva lacrime da nascondere. A quel punto, sapeva che Thorn doveva essersi accorto di ciò che davvero il fratellastro e la sorellastra pensavano di lui o degli sguardi disgustati della loro madre, ma a lei non lo avrebbe mai rivelato né sarebbe mai venuto in cerca di consolazione. Non funzionava così con dei Draghi e né lei glielo avrebbe offerta perché sapeva che doveva crescerlo così che potesse indurire la sua corazza e imparare a resistere alla vita ricca di soprusi e pregiudizi che lo aspettava.

Eppure, mentre copriva il taglio con una garza sentì lo strano impulso di stringerlo al petto prima di lasciarlo andare e ricordargli che lei ci sarebbe stata sempre per lui. Invece, si assicurò che la ferita fosse ben coperta e poi gli impartì una lezione che sperava potesse aiutarlo nell’affrontare Godefroy e Freya. “Solo perché loro ti stanno mostrando come usare gli Artigli al meglio non vuol dire che tu debba trattenere i tuoi. Molto spesso la lezione teorica coincide con quella pratica. Fa vedere loro quanto hai imparato; ringraziali per quanto hanno fatto.”

E mentre lo guardava andar via, sperò che avesse letto tra le righe e compreso il vero significato di ciò che aveva voluto dirgli.

 

***

 

“Anche oggi hai dovuto trattenerti più a lungo degli altri?” Berenilde chiese a un Thorn adolescente mentre tornava dall’Intendenza ben oltre l’ora di cena. Cercò di non concentrarsi troppo sui cerchi scuri sotto gli occhi, le guance scavate o sulla schiena curvata che tradiva la sua stanchezza.

“Sì, zia,” pronunciò lui atono senza fermarsi né aspettare mentre proseguiva lungo il corridoio. “Sapete che è quello che devo fare per potermi assicurare un posto all’Intendenza; quello che tutti hanno dovuto fare.”

Berenilde dovette mordersi la lingua per non ribattere acidamente che chiunque altro avrebbe già conquistato il posto senza fare quegli orari; non voleva discutere con il nipote né stancarlo ulteriormente dopo la giornata che aveva avuto. Allora, allungando il passo, lo raggiunse e si offrì di chiamare una domestica per preparare un pasto caldo, ma il tentativo fu inutile.

“No, mi recherò direttamente nelle mie stanze. Buonanotte, zia.”

E mentre lo osservava andar via si chiese se si sarebbe mai fermato in quell’infinita corsa che si era prefissato, anche solo quel che bastava per accorgersi che a lei era sempre andato bene così com’era, anche solo quel poco per leggere l’amore che provava per lui in ogni suo gesto.

 

***

 

“Ieri notte sei rimasto di nuovo all’Intendenza?” Berenilde chiese a un Thorn ormai uomo quando lo incontrò quella sera a tavola. Il suo aspetto non era trasandato nonostante avesse dormito nel suo ufficio – o, piuttosto, non dormito –, ma lei lo conosceva abbastanza da poter riconoscere i segni della sua stanchezza così come quelli della rabbia che, però, mal celava. 

“Sì, zia,” pronunciò Thorn atono mentre si sfilava il pesante cappotto e lo porgeva a una domestica insieme a una ventiquattrore. Controllò l’orologio da taschino mentre prendeva posto davanti a lei e poi cominciò a tagliare metodicamente i ravanelli nel suo piatto senza tradire alcuna espressione. “I compiti di un Intendente non finiscono mai.”

Non se sei tu quell’Intendente,” pensò lei tra sé e sé bevendo dal calice che aveva in mano. Sapeva benissimo quanto gli abitanti del Polo gli dessero filo da torcere o cercassero di ottenere favori su favori senza alcuna considerazione verso la sua persona. Dopo tutto, anche se aveva conquistato una delle cariche più alte, Thorn rimaneva il figlio bastardo di suo fratello e di una traditrice e, come tale, non meritava alcun riguardo. “E per ciò che concerne quel compito?” chiese poi, riprendendo a mangiare.

“Tutto prosegue come previsto,” aggiunse solamente lui.

E mentre lo guardava tagliare le verdure crude senza mai mangiarle, mille pensieri e preoccupazioni per la testa, Berenilde non si rese conto che, questa volta, il suo amore e le sue buone intenzioni nascosti dietro gesti indiretti lo avrebbero portato su una via ancora più pericolosa di quella che aveva percorso finora.

 

***

 

“Vi sentite bene, zia?” chiese un Thorn ormai diverso alla zia, notandola distratta, mentre aiutava la moglie a infilarsi il pesante cappotto. Il tempo lì al Polo era sempre particolarmente freddo e anche se molte cose erano cambiate da quando il vecchio mondo si era riunito al loro, il clima su quell’arca non era una di quelle.

“Sto bene, Thorn, ero solo sovrappensiero.” Gli sorrise osservando ancora con gioia tutti i cambiamenti a cui era andato incontro da quando era tornato da lei – da loro. Poi si avvicinò per salutare entrambi, prese il viso di Ofelia a coppa prima di abbracciarla come non avrebbe mai osato fare un tempo e ripeté il gesto con Thorn che la lasciò fare con riluttanza.

“E poi hai anche il coraggio di dire che sono io la svampita,” bofonchiò Roseline lì accanto mentre si apprestava a sistemare la sciarpa al collo della nipote come se fosse ancora una bambina; l’indumento in cambiò la schiaffeggiò per aver osato e allora se ne andò via offesa, preferendo concentrare le sue attenzioni su Vittoria che le accettava sempre silenziosa.

Quando se ne andarono, Berenilde osservò la coppia attraversare il vialetto dalla finestra e sorrise, la mente per una volta libera dalle preoccupazioni, sicura ora che Thorn riconoscesse il significato di tutti i gesti del passato. E lei, invece, non dubitava che anche lui, da sempre, l’avesse amata a modo suo.





 



Questa One-shot è probabilmente una delle mie preferite della raccolta insieme alla prima, quindi spero davvero vi sia piaciuta ❤.

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Capitolo 7
*** L'esame ***


 

L’esame

 

Era già buio – più del solito – quando Berenilde sentì la porta di casa aprirsi e chiudersi e dei passi risuonare nell'entrata. Si precipitò immediatamente verso di essi e ciò che vide la lasciò a bocca aperta: quelli che una volta erano vestiti puliti e caldi erano zuppi e sporchi, appiccicati al corpo del nipote come una seconda pelle; i capelli chiari sembravano ora scuri così grondanti d'acqua, ma non nascondevano il suo sguardo tagliente; le mani leggermente tremanti stringevano così forte quello che doveva essere stato il manico di un ombrello da essere bianche.

Nell'insieme era un'immagine agghiacciante che spaventò non poco le domestiche che erano accorse con lei, le quali sembravano indecise tra il soccorrerlo ed evitare di incorrere nella sua furia.

Eppure, Berenilde non faticò a guardare al di là di quella prima impressione, di quella maschera già collaudata. Vide l'adolescente che Thorn ancora era, la vulnerabilità che aveva imparato troppo presto a nascondere, la rabbia mista a dolore nella palpebra che tremava o nelle dita strette attorno all'orologio che gli aveva regalato.

Sospirò chiedendosi cosa mai fosse accaduto e perché si fosse mischiato a quell'alta società che aveva sempre detto di odiare e di cui lei stessa faceva parte anche solo per qualche ora.

“Cos'è accaduto?“ gli chiese infine.

Per un attimo Thorn considerò l'idea di non risponderle, ma sapeva che avrebbe solo peggiorato la situazione e il suo umore. Berenilde non avrebbe tollerato un simile atteggiamento.

“Vi spiegherò a cena,” rispose allora e pensò che fosse accettabile, comunque il massimo delle spiegazioni che era intenzionato a fornire per il momento.

La vide annuire, le labbra tese in una linea dritta, prima di scostarsi e lasciarlo passare mentre si portava dietro una scia bagnata che le avrebbe fatto storcere il naso.

O almeno così credeva lui.

In realtà, per quanto tenesse alle apparenze, la moquette sporca era l'ultimo dei pensieri di Berenilde quella sera. Era infatti sicura che qualsiasi cosa Thorn avesse intenzione di raccontarle avrebbe stravolto la loro vita come la conoscevano – di nuovo.

 

*

 

Qualche tempo dopo, a tavola, la tensione si sarebbe potuta tagliare con il coltello che Thorn stava usando per la carne, il silenzio rotto solo dall'inusuale stridio della forchetta sul piatto di ceramica e la distanza tra zia e nipote anche più grande di quel che il lungo tavolo sembrava suggerire.

Dopo aver servito la cena, le domestiche erano scappate in cucina, riconoscendo l'atmosfera pesante – anche più del solito – e dopo un po' Berenilde si scocciò di stare a quel gioco.

“Thorn, sai bene quanto non mi piaccia attendere se non è necessario né tu sei il tipo da tergiversare.“ Anzi, il fatto che non fosse ancora andato al punto era preoccupante.

Lui non alzò lo sguardo e continuò a tagliare metodico quel cibo che non aveva ancora mangiato e che restava a pezzi sul bordo del piatto, abbandonato. “Mi sono recato agli uffici dell'Intendenza per iscrivermi ai prossimi esami di ammissione,” proclamò come se fosse la cosa più normale del Polo – se mai ce ne fosse stata una.

Berenilde non riuscì a nascondere la sorpresa e la seguente agitazione quasi le costò la manica a palloncino del suo vestito elegante quando si avvicinò un po' troppo alla candela posizionata tra di loro. Tuttavia non rispose, era sinceramente senza parole, e il silenzio divenne più opprimente e tagliente.

Non ricevendo alcuna risposta, Thorn alzò lo sguardo, arcuando un sopracciglio. Quella reazione era l'ultima cosa che si era aspettato.

Aveva immaginato che avrebbe avuto da ridire, che non avrebbe apprezzato la mancanza di preavviso o consultazione, ma non il silenzio. Di conseguenza l'espressione che le mandò fu più intimidatoria del previsto e Berenilde, nel vederla, si sconvolse della persona che il nipote era diventata, prima del tempo, e che la serietà del bambino che aveva accolto nemmeno dieci anni prima si era trasformata nella durezza di un uomo fatto.

Quando fosse accaduto non avrebbe saputo dirlo. Eppure solo un'ora prima aveva intravisto un adolescente vulnerabile; dov'era finito?

“Avete da ridire?” la sfidò abbandonando del tutto le posate e accentuando l'espressione dura.

Poteva immaginare cosa passasse per la testa di Berenilde al momento, magari una versione solo un po' edulcorata di ciò che aveva sentito non appena aveva messo piede negli uffici dell'Intendenza quel mattino – di ciò che aveva sentito per tutta la vita.

Sapeva, da quando aveva deciso di intraprendere quel percorso, che non sarebbe stato semplice e aveva anche contemplato un piano di riserva nel caso in cui avrebbero rifiutato la sua iscrizione, ma le voci maligne e derisorie ancora gli rimbombavano nella mente e si aggiungevano ai mille ricordi sgradevoli che la sua mente non gli avrebbe mai permesso di scordare. La loro incisione era tanto profonda e dolorosa quanto i decori che il fratellastro e la sorellastra avevano intagliato sulla sua pelle, ma sapeva anche che quella parole scivolavano poi via lungo sulle sue spalle ricurve con facilità, cosa che invece non sarebbe accaduta con quelle della zia.

Non era abituato a essere disprezzato da lei perché era stata l'unica ad accoglierlo, l'unica persona di cui poteva fidarsi e perché sperava che in fondo avesse cominciato a considerarlo anche solo un po' alla stregua dei figli che aveva perso.

Per questo, se le sue labbra si fossero lasciate scappare parole come “bastardo“ o “traditore“ avrebbero avuto un effetto molto più deleterio delle tante ingiurie che aveva sopportato da che era a malapena un neonato quasi soffocato dalla nonna paterna.

Per questo e perché aveva puntato così in alto solo per lei, per renderla fiera di lui – per lei e per il suo amore per la logica e i numeri.

Infine, quando ormai i suoi nervi cominciavano a essere logorati dall'attesa, vide i contorni del suo viso ammorbidirsi com'era accaduto solo poche altre volte, solo in sua presenza, con nessun altro – né con le dame di corte né con gli altri Draghi. Aveva sempre pensato che dovesse significare qualcosa per il loro rapporto, ma sapeva anche che non ne sarebbe uscito nulla di buono se vi avesse letto qualcosa che non c'era e, quindi, ora non sapeva se fosse giusto trarne anche solo un minimo conforto.

Inspirò profondamente, stringendo i denti, mentre diventava sordo ai rumori della cucina e cieco alla luce della candela, i suoi occhi di ghiaccio fissi solo su Berenilde.

La dama allungò la mano e coprì infine quella chiusa a pugno di Thorn, il quale sembrava aver dimenticato che per poter respirare correttamente avrebbe dovuto lasciare andare il fiato, espirare. Poi, con una voce gentile che Thorn ricordava aver sentito solo in un'altra occasione, disse: “Sono sicura che ce la farai. Hai una mente invidiabile e una determinazione ferrea.“

Bastò quel tanto affinché la tensione che gli aveva irrigidito in modo anormale le spalle lo lasciasse, le voci nella sua testa sparissero e lui rilasciasse quel respiro trattenuto.

Berenilde lo osservò afflosciarsi, anche se di poco, e il dubbio sparire anche se non le disse nulla né le fornì alcun cenno.

Non c'era nulla da aggiungere, dopo tutto.

Nonostante fosse ancora sconvolta dalla notizia, non dubitava delle capacità del nipote e le sue parole erano intrise di sincerità.

Così, soddisfatta e rincuorata, lo lasciò desinare e si permise anche di ridacchiare vedendo la smorfia che fece nel provare infine la carne ormai fredda e secca.

Non si era sbagliata prima quando aveva pensato che qualunque cosa fosse successa avrebbe cambiato la loro vita, ma avrebbero superato anche quell'ostacolo. E chissà, magari stavolta avrebbe potuto dichiarare con orgoglio chi fosse l'uomo che aveva cresciuto come un figlio, senza minacce di scherno, e gioire delle smorfie gelose e oltraggiate degli altri clan.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Nessuna Notizia ***


N/A: 
Questa missing moment è ambientato tra il secondo e il terzo libro, per la precisione poco dopo la nascita di Vittoria. 
Partecipa inoltre alla ToBeWritingChallenge indetta da BellaLuna sul forum Ferisce la Penna. 





 

Nessuna Notizia

 

 

Sentiva il battito insistente del suo cuore rimbombarle nelle orecchie, mentre le chiacchiere che la circondavano perdevano senso e voce. La mascella le doleva e la pelle tirava a causa dei lunghi e falsi sorrisi protratti troppo a lungo per il bene delle apparenze. Il braccio era pesante e desiderava poterlo abbassare e abbandonare la pipa, ma fumare era un gesto così naturale in quell'ambiente che non vi riuscì; agiva come una macchinetta, una perfetta, agli occhi delle dame che le facevano compagnia.

Lo stomaco si contraeva, spasmi e fitte si diffondevano in tutto il suo corpo, ma mai ruppe il sorriso tirato con il quale gratificava ogni persona che le chiedeva incessantemente come stesse o cosa significasse essere madre. Come se quella sensazione le fosse nuova o l'infante dai capelli argentei fosse la sua primogenita.

Un'altra fitta.

Un'altra ancora.

Una per ogni figlio che aveva partorito.

Qualcuna in più per quello che non aveva portato in grembo.

Non ricordava i dolori del parto così forti e diffusi.

Il cuore batteva più forte, più velocemente, e i muscoli del viso e delle braccia tiravano, tiravano, senza che lei potesse far nulla. Non le era concesso abbandonare quella farsa.

Uno spasmo ancora, uno per ogni bambino che aveva perso.

Distese il sorriso aprendo le labbra in una piccola 'o' e cacciando una sottile nuvoletta di fumo dalla bocca, dando, così facendo, un po' di sollievo al viso.

Un dolore lungo e straziante le attorcigliò le viscere, mettendola a dura prova; dovette interrompere l’ennesimo tiro della pipa e non riuscì ad allungare la mano verso la tazzina di caffè. Fu così forte da renderle per un istante lo sguardo vitreo.

Pelle d'oca sulle braccia bianche e un rivolo di sudore che le scendeva lungo la colonna vertebrale mentre i brividi la percorrevano tutta.

Sperò che nessuno l'avesse notato.

Questo, si disse con certezza non appena si riprese, era proprio per colui che non aveva partorito ma che aveva perduto allo stesso modo, trafiggendola con la sua assenza improvvisa in modo ancora più crudele.

Colui che aveva cresciuto tanto da vederlo diventare un uomo, che era rimasto così a lungo da farsi amare più di ogni altro.

Le orecchie divennero sorde alle chiacchiere vuote mentre le sue viscere continuavano quella danza dolorosa e le ricordavano l'effetto che, ogni giorno, le faceva la mancanza di notizie. Ma in mezzo a quel silenzio totale riconobbe i gorgoglii provenienti dalla culla e il velo che l’aveva ricoperta fino a quell’istante si dissolse.

Raddrizzò la schiena mentre del dolore ora scomparso rimanevano i fantasmi che le lasciavano formicolii in tutto il corpo e allungò infine la mano per assaggiare la bevanda ormai tiepida.

“Oh, anche la sua voce è perfetta,” pronunciò qualcuno alla sua destra.

“Non potevamo aspettarci diversamente dalla figlia di un Dio,” concordò una seconda dama.

Berenilde si chiese quanto ancora sarebbero andati avanti, quando e se la novità che la figlia rappresentava sarebbe scemata e chi avrebbe avuto il coraggio di cominciare a elencare i difetti che la bambina aveva ereditato esclusivamente da lei.

E intanto mentre il mignolo alzato le vibrava per mezzo secondo, considerò le bugie di quelle donne: Vittoria non era perfetta, ma lo era per lei.

Così come lo era stato un bambino che le era valso l'odio di sua madre, della sua famiglia, ma che con i suoi silenzi era riuscito a riempire il vuoto che la morte del marito e dei figli le aveva scavato dentro.

No, il perfetto non esisteva davvero, ma mentre il caffè esacerbava il suo mal di stomaco e le provocava nuovi spasmi, si trovò comunque a desiderare di poter discutere almeno un’ultima volta con il nipote prima di aggiungerlo alla sua lunga lista di rimpianti.

 

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