Heartstrings

di sidphil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Massa Dell'Acqua ***
Capitolo 2: *** Fammi Da Tutor ***
Capitolo 3: *** Mani Delicate ***
Capitolo 4: *** L'Acqua Fa Miracoli ***
Capitolo 5: *** Non Affondare Come I Sassi ***
Capitolo 6: *** Violenza Sugli Animali ***
Capitolo 7: *** Non Dormo Nei Cassonetti ***
Capitolo 8: *** Barche A Vela E Comete ***
Capitolo 9: *** Illuminami ***
Capitolo 10: *** Calore ***
Capitolo 11: *** Cicatrici E Chitarre ***
Capitolo 12: *** Guardando Te ***
Capitolo 13: *** Se Ne Vanno Tutti Alla Fine ***
Capitolo 14: *** Vicino, Ancora Più Vicino ***
Capitolo 15: *** Al Tuo Fianco ***
Capitolo 16: *** Sorridi ***
Capitolo 17: *** A Nessuno Importa Davvero ***
Capitolo 18: *** Qualcuno Che Non Vuole Farti Del Male ***
Capitolo 19: *** Buon Natale, Mickey ***
Capitolo 20: *** Le Luci Toccano Il Cielo ***
Capitolo 21: *** Sparsi Frammenti Di Realtà ***
Capitolo 22: *** Promettere Per Sempre ***
Capitolo 23: *** Candele Nell'Oscurità ***
Capitolo 24: *** Sbrigati E Ringraziami ***
Capitolo 25: *** Ti Voglio ***
Capitolo 26: *** È Il Tuo Ragazzo? ***
Capitolo 27: *** Buona Vita ***
Capitolo 28: *** Sai Perché ***
Capitolo 29: *** Un Sussurro ***
Capitolo 30: *** Sei Al Sicuro Qui ***
Capitolo 31: *** Resta ***
Capitolo 32: *** Togliersi Un Peso ***
Capitolo 33: *** C'è Solo Uno Per Me ***
Capitolo 34: *** Vivi Come Se Dovessi Morire Oggi ***
Capitolo 35: *** La Decisione È Mia ***
Capitolo 36: *** Non Si Torna Indietro ***
Capitolo 37: *** Ladro Di Cuori ***
Capitolo 38: *** Ti Meriti Tutto ***
Capitolo 39: *** Sostituire I Brutti Ricordi ***
Capitolo 40: *** Non è Così Male Quando Non Sei Solo ***
Capitolo 41: *** Libertà -Parte 1 ***
Capitolo 42: *** Libertà - Parte 2 ***
Capitolo 43: *** Molto Più Che Un Ti Amo ***



Capitolo 1
*** La Massa Dell'Acqua ***


Ciao a tutti! È passato un bel po' di tempo, più di un anno dall'ultima volta che ho cominciato a pubblicare una nuova storia. Purtroppo, da Marzo in poi, quindi da quando ci siamo lasciati, ci sono state parecchie cose in ballo. In primis lo studio all'università, ma poi anche tante altre cose. Ho preferito non pubblicare niente perché volevo essere sicura di finire di tradurre la storia che mi ha impegnato in questi mesi ed ora finalmente ce l'ho fatta. È stata la storia più lunga che abbia mai tradotto finora e mi ha impegnata parecchio. Conserva anche un posto speciale nel mio cuore perché tra tutte é forse la mia preferita assoluto.
 
Per quanto riguarda il sequel di Watch Me Baby, quella che in teoria dovrebbe essere l'ultima parte della Age Gap Series, purtroppo non si hanno ancora notizie. L'autrice non ha più detto niente al riguardo e quindi non ho aggiornamenti da darvi. Spero che presto si muova qualcosa e in tal caso vi farò sapere.
 
Questa storia verrà come al solito pubblicata su Wattpad, Efp e per la prima volta anche su Archive Of Our Own. Vi ricordo che non è possibile scaricare la storia e stamparla per fini commerciali o pubblicarla in cartaceo, cosa per cui serve il consenso dell'autrice/autore originale. Lo specifico perché ci sono stati diversi casi su Wattpad di persone che l'hanno fatto. So che non è una cosa che posso controllare ma confido nel buon senso delle persone che leggono le storie che altr* hanno scritto con tento impegno e dedizione.
 
Spero che anche questa nuova storia possa appassionarvi. Per il momento avrete un aggiornamento settimanale visto che i capitoli sono abbastanza lunghi. Buona lettura! 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Se ci provo possiamo andarcene? –
 
Mandy si girò indietro e guardò storto suo fratello. Era la terza volta che “sussurrava” ad alta voce i suoi pensieri. – No, chiudi quella cazzo di bocca, Mickey. È il primo giorno e ti stai già lamentando –. Nemmeno i suoi sussurri erano particolarmente silenziosi quindi si guadagnarono entrambi qualche occhiata apprensiva dai compagni, che non capivano perché avessero avuto la sfortuna di avere entrambi i fratelli Milkovich in classe. L’orologio ticchettava, era sempre peggio ogni secondo che passava e Mickey era sul punto di lanciare il banco addosso al ragazzino di fianco a Mandy che non la smetteva di fissarle il seno. A lei non sembrava dispiacere e si abbassò la zip della giacca, rivolgendogli un sorriso complice. 
 
- Perché cazzo devo restare qui? Il test l’ho finito –
 
- Stai zitto Mickey. Giuro su Dio che… -. 
 
Prima che potesse terminare l’insegnante aveva sollevato lo sguardo da dietro gli occhiali, in attesa di sentire altre voci, ma Mickey si accasciò sulla sedia. Non è che avesse paura di quei coglioni con il moccio al naso o degli insegnanti con i loro righelli talmente su per il culo da camminare come robot; è che non poteva permettersi di essere sbattuto fuori da scuola un’altra volta se voleva tenersi quella meraviglia appoggiata contro al suo ginocchio. 
 
La chitarra era nella sua custodia, leggermente sporta verso il corridoio tra i banchi, e ogni tanto Mickey giocherellava con la tracolla con la maniglia, qualsiasi cosa pur di distrarsi da quel dannato orologio. Certo, la scuola non faceva molto per la musica, figurarsi per il suo cervello, ma suo padre aveva minacciato mani rotte al punto di non riuscire più a suonare se si fosse fatto buttare fuori di nuovo. 
 
Quando la campanella suonò, Mickey fu fuori dalla classe in un secondo e Mandy lo seguì dopo aver buttato il compito sulla scrivania del professore. I corridoi si riempirono in fretta e Mickey dovette prendere un respiro profondo per non esplodere e spingere via ogni studente. Per qualche fottuta ragione lo avrebbero sospeso. 
 
- Aspettami, stronzo. Dov’è la prossima lezione? –
 
- Devo fumare – le gridò di rimando Mickey senza voltarsi. Mandy si era persa da qualche parte dietro di lui quando aprì con un calcio la porta verde d’uscita, senza curarsene minimamente quando colpì un ragazzino sul ginocchio. 
 
- Cazzo, Mickey, vai in classe! Papà darà di matto! –
 
- Buona giornata, sorellina mia -. Si diresse in cortile e proseguì finché non fu sul retro della palestra, dove non c’era nessuno in vista. A mano a mano che il vociare si affievoliva sempre di più, tirò fuori un accendino lucente. Fuoriuscirono alcune scintille quando fece scattare la rotella con il pollice, la fiamma cominciò a danzare e non attese un secondo in più per avvicinarla all’estremità della sigaretta. Porca puttana, era fantastico. Dopo una giornata di stupidi esami che avrebbe potuto fare ad occhi chiusi, finalmente si prendeva un po’ d’aria fresca. O meglio, fumo. 
 
Picchiettò la sigaretta, facendo cadere la cenere sull’erba accanto ai suoi anfibi, e chiuse gli occhi. In qualche modo era arrivato all’ultimo anno anche se tecnicamente aveva perso i primi due anni; suo padre aveva smosso un po’ le acque e gli avevano permesso di saltare il penultimo anno grazie ai suoi punteggi alti nei test. Questo significava però un altro anno a perdere tempo in quel buco. Come avrebbe fatto a mantenere la sanità mentale se non poteva nemmeno fumare in classe? Schifava totalmente quel posto, forse poco meno di suo padre, ma il suo amore per la musica era più forte. Sedendosi sull’erba, appoggiò la custodia contro alla gamba e aprì la sua piccola. Eccola lì, in legno scuro, con robuste corde d’acciaio, ed era tutta sua. 
 
Senza offrire nient’altro che soldi ai figli che maltrattava continuamente, suo padre gliel’aveva comprata dicendogli che non avrebbe avuto come figlio un rinunciatario, quindi se avesse finito la scuola Mickey avrebbe potuto suonare a casa e lui non avrebbe cercato di strangolarlo. 
 
Tirò fuori la chitarra e diede una lieve strimpellata alle corde, mormorando al suono dolce che ne uscì. C’era qualcos’altro per cui valeva la pena vivere? Tutto lo stress sembrò svanire attraverso la musica e quando la campanella suonò non se ne accorse nemmeno. I suoi occhi si chiusero e continuò a suonare tranquillamente. Il tempo passò lentamente e Mickey si dimenticò di dover andare in classe. 
 
 
 
 
 
- Ian! – lo chiamò Mandy agitando le mani come una matta in mezzo al corridoio. Quando lui la vide, sorrisero entrambi e si abbracciarono. Mandy gli schioccò un bacio fugace sulla guancia e sistemò la borsa sulla spalla. – È uno shock vederti da solo. Nessun ragazzo fico accanto a te il primo giorno? – chiese sollevando un sopracciglio e Ian scosse solo la testa con una risatina. 
 
- Nessun fico, Mandy. Lo sai, ci siamo visti solo ieri sera. Ti sei già dimenticata della nostra pizza? –
 
- Già – concordò lei e si avviarono verso l’uscita. – ma mi sei mancato –
 
- Ah sì? Come mai non ti ho vista stamattina? Avresti dovuto aspettarmi all’armadietto -. Non se l’era davvero presa ma mise su il broncio migliore che poté e lei lo colpì con un libro, sorridendo. 
 
- Ero con quell’idiota di mio fratello. Non sapeva dove andare così ho dovuto fargli da guida –
 
- Tuo fratello? Vuoi dire Mickey? –
 
- Ovviamente. Tuti gli altri sono in prigione o morti da qualche parte, chi lo sa. Il fatto è che… -. Alzò un dito per enfasi. – non mi farò trascinare nei suoi casini proprio al mio ultimo anno. Sarà meglio che non combini qualcosa che ci faccia odiare ancora di più da papà –
 
Ian rimase in silenzio. Era amico di Mandy da un paio d’anni ma parlava raramente della sua famiglia. Sapeva solo che erano pieni di soldi e che non gli era permesso andare da lei, quindi passavano la maggior parte delle serate a casa Gallagher. – Non dovrebbe essersi già diplomato? –
 
- È stato bocciato due volte al secondo anno e ha saltato il terzo, qualcosa del genere. Papà lo sta obbligando ad andare a scuola solo ora, quindi non ha diritto di incazzarsi. Non ha dovuto farsi il culo per tre anni per arrivare fino a qui –
 
- Non ha un anno in più di te? – 
 
- Sì, si è preso un anno di pausa dalla scuola ma papà l’ha fatto tornare dopo i casini in cui ha messo il nome di famiglia. Sinceramente non sopporto nessuno dei due –
 
Ian non disse nulla finché non furono vicini alla fermata dell’autobus. – Non dovresti tornare a casa con lui, Mandy? –
 
- Non ho intenzione di fare la babysitter per tutto l’anno. In ogni caso, eccolo lì – rispose dopo aver controllato i messaggi sul cellulare, indicando il campo dietro alla palestra. Ian si girò e strinse la mano intorno alla cintura della borsa. Capelli scuri come la notte tirati indietro con il gel che cadevano poco sopra alle orecchie e occhi blu argentei, che ti perforavano come quelli di un lupo. Indossava un lungo cappotto nero e anfibi, fumo di sigaretta che fuoriuscitv dalle labbra screpolate e una chitarra a tracolla. Era difficile togliere gli occhi di dosso a Mickey MIlkovich, anche se faceva un po’ paura guardarlo. Ricordava di averlo incontrato un paio di volte negli anni precedenti ma succedeva sempre quando Ian era con Mandy. Si trattava solo di una coincidenza per strada, dove Mickey e Mandy si intrattenevano in un rumoroso e a volte scherzoso diverbio ed era difficile avvicinarglisi visto che era sempre in compagnia di un gruppetto di ragazzi. 
 
Quando Mickey si avvicinò, buttò la sigaretta sul marciapiede, la schiacciò e squadrò Ian da capo a piedi. – Questo tizio ci sta provando con te? –
 
- È Ian, Mickey – rispose Mandy incrociando le braccia, ma sembrava divertita. – Il mio migliore amico. Non vi siete mai incontrati prima? –
 
- No – fece spallucce Mickey e si girò per guardarsi intorno, come se stesse cercando qualcuno. 
 
- In realtà sì – tentò di dire Ian ma Mickey non ci fece molto caso e sollevò il mento annuendo ad un ragazzo con un berretto lì nelle vicinanze. 
 
- Va beh, ci vediamo – replicò Mickey in tono asciutto e se ne andò con l’altro ragazzo, il cappotto scuro che volteggiò dietro di lui. 
 
- Stronzo – mormorò Mandy e cinse il braccio di Ian con il proprio. – Non farci caso, Ian. Gli importa solo della droga e della sua stupida chitarra. Andiamo a prenderci un hamburger? -. Mentre lo trascinava via, non potè evitare di girarsi a guardare la figura di Mickey che si allontanava. 
 
 
 
 
 
 
- Ian, abbiamo finito il latte – sospirò Fiona rovistando in frigo. – Devo davvero fare quei cupcake per domani. Merda, come ho fatto a dimenticare il latte? –
 
Ian alzò la testa dai compiti di chimica che stava cercando freneticamente di terminare in salotto e si alzò. – Va ben, vado io –
 
- Scusami, andrei io ma devo andare a cambiare Liam – 
 
Sapeva che aveva qualche difficoltà a lasciare i bambini da soli a meno che non dovesse assolutamente andare a lavorare, quindi la rassicurò con un sorriso e uscì dalla porta principale, udendola spostare in giro padelle e ingredienti alle sue spalle. Sapeva che quel lavoro era importante per lei siccome aveva ricevuto un aumento e Fiona era troppo orgogliosa per ammettere ai suoi colleghi di non avere abbastanza per portare qualcosa per il “venerdì ghiotto”, il giorno in cui era richiesto a tutti di portare qualcosa da mangiare. 
 
Portò i compiti con sé nel tentativo di risolvere i problemi a mente così sarebbe potuto andare a dormire prima delle tre del mattino. 
 
La strada in cui viveva era piena di case in stato di abbandono ma in un modo o nell’altro tutte erano abitate. Casa sua traboccava anche se Lip ormai andava al college. Dopo un maledetto tentativo di risolvere il terzo problema, tirò un calcio a un sasso e svoltò un ultimo angolo per raggiungere il negozio dall’altra parte della strada. Era tardi, quindi il parcheggio era vuoto, fatta eccezione per una macchina, che molto probabilmente apparteneva all’uomo che lavorava alla cassa. Ian si sentì nervoso mentre entrava, avvertendo i suoi occhi su di sé mentre si avvicinava al frigo. Prese il cartone ghiacciato di latte e avvertì il calore emanato dal proprio corpo mentre ritornava al bancone. L’uomo, indiano e di mezza età, sorrise e chiuse la rivista che aveva tra le mani per parlare. – Ehi Ian, è da un po’ che non ci vediamo –
 
- Ehi Kash – replicò Ian con la gola asciutta. Tamburellò con le dita contro al cartone di latte e fece scivolare una mano sul retro del collo.
 
- 4 dollari e 60 – disse Kash dopo aver scannerizzato il prodotto. Guardò Ian e incrociò le braccia per sporgersi in avanti. 
 
- Non ho soldi – disse Ian e sapevano entrambi cosa sarebbe successo, così come sapeva ciò che stava per suggerire. – Ehm, potrei prenderne due e io e te potremmo… -
 
Kash raddrizzò la schiena, illuminandosi come un albero di Natale. – Oh sì, certo va bene – esalò in una risata leggera e fu piuttosto imbarazzante quando Ian corse a prenderne un altro con gli occhi bassi. Quando entrambi i cartoni di latte furono sul bancone, Kash aveva già chiuso a chiave la porta d’ingresso, girato il cartello con la scritta “chiuso” e abbassato le luci. Seguì Ian sul retro, richiudendosi entusiasta la porta alle spalle. 
 
 
 
 
 
 
Ian uscì dal negozio prendendo un pacchetto di mentine e se ne mise una in bocca. Si sentiva sudato e non vedeva l’ora di farsi una doccia a casa. I lampioni sfarfallavano, accendendosi e spegnendosi come in un fottuto film dell’orrore. Fischiettò per rompere il silenzio e cadde praticamente all’indietro quando una figura incappucciata sbucò da dietro l’angolo. Con il cuore a mille, fu sul punto di cominciare a correre finché non riconobbe un paio di occhi famigliari che lo guardavano da sotto il cappuccio. – Mickey? – chiese un po’ insicuro, perché gli occhi del moro erano vitrei e aveva del sangue incrostato sotto uno dei due. 
 
- Chi cazzo vuole saperlo? – replicò rabbioso Mickey e Ian si sentì nuovamente impaurito. Mickey teneva le mani in tasca e odorava di liquore e tabacco. 
 
- Ehm, sono l’amico di Mandy, Ian –
 
Mickey lo ispezionò, si tolse il cappuccio per vedere meglio e annuì pigramente. – Ah sì? Eri il tizio che ci provava con mia sorella? Perché cazzo giri in questo quartiere? –
 
- Ci vivo – rispose Ian, senza preoccuparsi di correggerlo sulla parte di sua sorella, e si fermò. – E tu? Vieni dalla parte bella della città, no? –
 
- Ho bisogno di un cazzo di permesso per venire qui? -sbuffò Mickey tirando fuori dalla tasca una lattina di birra per poi aprirla. La appoggiò per un secondo sulla ferita e poi ne bevve un sorso. 
 
- Hai un aspetto… -. Ian fu sul punto di mordersi la lingua ma a Mickey probabilmente non importava delle formalità quindi continuò. – schifoso –
 
- Ah sì? Sei proprio perspicace – replicò Mickey prendendo un altro sorso. Tese la lattina ad Ian, che non sapeva se esserne lusingato o disgustato, quindi andò sul sicuro e bevve a sua volta. – Cosa diavolo hai lì, la spesa? Ma che cazzo –  continuò il moro guardando la borsa di plastica che Ian teneva nell’altra mano. – Chi cazzo va a fare la spesa? –
 
- Sì fa quel che si deve – rispose Ian e gli restituì la birra. 
 
- E cos’è quella, la lista della spesa? –
 
- Compiti – spiegò Ian agitando il foglio a mezz’aria. – Mai sentiti? –
 
- Sei un sapientone, eh? – commentò Mickey me c’era un sorriso sarcastico sulle sue labbra quando prese i fogli per guardarli. Sorseggiò la birra e appoggiò i fogli contro al petto di Ian, asciugandosi l’angolo della bocca dove era rimasta qualche goccia di alcool. – Hai fatto un casino nel primo e hai dimenticato le parentesi nel secondo –
 
Ian lo guardò per un momento, poi rigirò i fogli per controllare. Sì, aveva dimenticato le parentesi. – Beh, non scoparti mia sorella – lo avvertì Mickey, sebbene non completamente serio, e si girò nella direzione da cui era arrivato. Ian lo rincorse e prese la matita dallo zaino. – Aspetta, e il terzo? –
 
- Sei serio? – chiese il moro accartocciando la lattina e lanciandola nel cortile di una casa vicina. Le sue mani erano ritornate nelle tasche e non guardò nemmeno i fogli quando rispose. – Usa il cazzo di numero di Avogadro –
 
- Sta chiedendo la massa dell’acqua – spiegò Ian e Mickey girò il capo.
 
- Sei sordo? Prendi la massa di due atomi di idrogeno e un ossigeno. Il numero di Avogadro è una mole d’acqua, e tu lo converti in grammi. Hai la tua massa proprio qui -. Indicò la tavola periodica colorata che Ian aveva incollato sulla copertina del quaderno. – È un fottuto arcobaleno, ma è lì – aggiunse Mickey, gli occhi di nuovo sulla strada. 
 
- Oookay – disse lentamente Ian, continuando a non capire. 
 
- Oh porca puttana… -. In un lampo, Mickey si era messo a scrivere sui compiti di Ian con i fogli nuovamente sul suo petto. Ian cercò di sbirciare cosa stava facendo ma era troppo buio per vedere. – Tieni quella roba – mormorò Mickey continuando a scrivere sul foglio, solleticandogli gli addominali. Ian osservò Mickey lavorare; era strano, davvero strano. Sembrava perso nel suo mondo, non proprio alticcio ma in un certo senso neanche completamente lucido. 
 
Mickey era attraente in un modo insolito. I suoi occhi erano chiari eppure velati, decisi e sinceri. I suoi capelli sembravano morbidi al tocco e Ian fu tentato di fare proprio questo mentre lui scriveva, ma decise che non voleva farsi staccare una mano. C’era qualcosa in Mickey che ti avvertiva che se non stavi attento te ne saresti pentito, quindi indugiò semplicemente con lo sguardo sul suo viso. 
 
Quando ebbe finito, Mickey si passò il pollice sul labbro e Ian sentì lo stomaco contrarsi. Rimise la penna in mano ad Ian e fece un passo indietro. – Ecco la tua spesa – disse mentre Ian controllava rapidamente i compiti. 
 
- Li hai finiti? Mi prendi in giro? –
 
Gli occhi di Mickey scattarono nei suoi ed ebbe uno spasmo all’angolo delle labbra. – Sì…? –
 
- Cazzo, è incredibile, Mickey. Sei fuori dal comune – rise Ian leggendo i problemi. Dopo aver esaminato il lavoro disordinato di Mickey, vide chiaramente le risposte. Naturalmente, Mickey aveva scritto i risultati anche nei rispettivi riquadri. 
 
Mickey rimase in silenzio per tutto il resto della sua lettura e poi guardò altrove, portandosi la mano sul retro del capo. – Com’è che ti chiami, di nuovo? –
 
- Ian – rispose istantaneamente mentre cercava di memorizzare la formula che Mickey aveva scritto a lato del foglio. Quegli esercizi avevano senso ora, guardandoli era scattato qualcosa che non c’era stato quando il professore li scriveva alla lavagna. Era euforico perché ora poteva usarla per risolvere gli altri problemi che aveva tralasciato quella settimana. 
 
- ‘Notte, Ian –
 
Quando Ian alzò la testa, Mickey se ne stava già andando, la testa bassa mentre spariva nell’oscurità oltre la luce emanata dai lampioni. 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Fammi Da Tutor ***


Ian non credeva a ciò che vedeva davanti ai suoi occhi. Era rimasto in piedi tutta la notte pensando al test e vedere quella “A” lo aveva scioccato. Passò il dito sull’inchiostro rosso per un momento, chiedendosi se il professore non fosse stanco e avesse quindi sbagliato ad assegnare il voto. La classe si stava svuotando quando qualcuno lo riportò alla realtà. 

- Sono venuta a riprenderti – sbadigliò Mandy accanto a lui, ma quando i suoi occhi si posarono sul suo foglio, quasi le fuoriuscirono dalle orbite. – Non ci posso credere! –

- Già, non dirlo a me – disse Ian, ancora stordito. Prese la borsa e uscì insieme a lei. Suonò l’ultima campanella e Ian si morse il labbro per trattenersi dal continuare a sorridere. 

- Come hai fatto a prendere questo voto? Alla fine hai ceduto e hai copiato, eh? – fece un sorrisetto Mandy e lo colpì in testa con i fogli. Ian li riprese e li ritirò nella borsa. 

- No, ho studiato. Ho fatto i compiti per questa settimana, li ho capiti –

- Ian – sorrise lei. – In questo momento ce l’avrei di marmo se fossi un ragazzo –

- Già – rise Ian e la guardò timidamente. – Ma sono stato aiutato –

Mandy si piantò davanti a lui e si mise una mano sul fianco. – Ah, quindi c’è davvero qualcuno? E magari pure con un cervello? –

- Ehm – tossicchiò Ian e si interruppe quando vide il suddetto qualcuno camminare nella loro direzione. Gli occhi di Mickey erano sfuggenti e tra le mani teneva la tracolla della chitarra che teneva in spalla. 

- Stai da schifo. La prima settimana è stata dura? – gli chiese Mandy; il suo tono sembrava sincero davanti allo sguardo fulminante di Mickey. 

- Non torno stasera quindi non dimenticarti di dare da mangiare al gatto -. Era bizzarro sentire quelle parole pronunciate da una voce così burbera e gli angoli delle labbra di Ian furono sul punto di incurvarsi in un sorriso. Mandy sembrava meno divertita. 

- Dove diavolo vai? Da uno dei tuoi stupidi am… oh scusa, amici di erba? –

- Non sono cazzi tuoi – sputò Mickey e finalmente rivolse un’occhiata veloce ad Ian. Non disse niente e se ne andò. 

- Dove cazzo stai andando, Mick? – gli urlò dietro Mandy, ma Mickey non rispose. 

- Se ne va sempre così di solito? – chiese Ian senza mai spostare lo sguardo dal retro del suo cranio. 

- Odia stare a casa, quindi sì. Penso che lui e papà abbiano litigato di nuovo -. Si girò verso Ian. – Ehi, non posso venire oggi –

- Come mai? Devi dare da mangiare al gatto? – scherzo Ian e lei lo colpì delicatamente con un pugno. 

- Alex vuole venire da me oggi e potrebbe essere la sua giornata fortunata – rispose alzando e abbassando rapidamente le sopracciglia. 

- Va bene, divertiti con il tuo toy boy –

- Senti chi parla – fece un sorrisetto Mandy e si separarono. 

Ian aspettò che sparisse dalla sua vista, fingendo di aspettare l’autobus, ma in realtà continuò a guardare nella direzione opposta. Non appena lei se ne fu andata, si mise a correre e non ci volle molto per raggiungere Mickey che si muoveva a passo svelto. Gli si avvicinò e Mickey si girò di scatto, pronto a reagire con i pugni. – Calma –. Ian indietreggiò con un salto. 

- Ma che caz… - disse Mickey e si guardò intorno. – Ti serve qualcosa? -. I suoi movimenti erano tesi quindi Ian alzò le mani in segno di difesa.

- Volevo solo ringraziarti per a settimana scorsa, tutto qui –

Mickey lo guardò e si girò completamente verso di lui, socchiudendo gli occhi. – Ti ho venduto della coca? –

- Cosa? No, perché do… -. Ian si grattò gli occhi e sorrise. – No, intendevo per i compiti di chimica. Mi hai salvato –

- Di cosa stai parlando? – 

- Di quando ci siamo incontrati l’altra sera e tu ti sei trasformato in Einstein -

Mickey ci pensò su per un momento e poi sembrò ricordarsi. – Ah giusto, la spesa –

Ian corrugò le sopracciglia ma annuì. – Sì okay. Comunque, grazie mille. Ho preso il massimo grazie a te –

- Vuoi una medaglia? -. Mickey fissò Ian per un secondo per poi girarsi. Inizialmente questo colse Ian alla sprovvista ma si riprese subito. 

- Ehi, stavo solo cercando di farti un complimento –

- Hai finito? – chiese Mickey, chiaramente più infastidito che lusingato. 

- Ma che cavolo, perché sei così incazzato? –

- Nel caso non te ne fossi accorto, sto cercando di andare da qualche parte e tu mi stai rallentando –

- Ah sì? Cosa devi fare di così importante da comportarti da stronzo? – 

- Senti – sospirò Mickey, fermandosi per squadrare Ian, per nulla disturbato dalla differenza di altezza. – Se non ti levi dalle palle avremo un problema –

- Ah sì? – replicò in tono di scherno Ian. – Mi sa che ce l’abbiamo già –

- Credi di essere mio amico o cazzate simili solo perché ti scopi mia sorella? Levati dai coglioni –

Perché Ian non lo faceva e basta? Non è che sarebbe riuscito ad ottenere qualcosa. Ripensò alla pila di domande di ammissione per l’università sparpagliate sul suo letto e al luccichio negli occhi di Mickey la sera in cui gli aveva fatto i compiti, una mano che reggeva delicatamente la matita e l’altra che teneva i fogli premuti contro al suo petto. – Non mi scopo Mandy e non lo farò mai. So solo che ho preso il massimo nel compito di chimica, il corso in cui sono stato bocciato l’anno scorso, e non voglio che succeda di nuovo. Per non parlare di fisica, analisi… sono pieno fino al collo con la scuola in questo momento. Pensavo che magari tu potessi farmi vedere qualcosa visto che sembri piuttosto bravo -. 

Quando finì di spiegare, Mickey sembrava un cervo impalato davanti ai fari di un’auto, come se non fosse sicuro se attaccarlo o ignorarlo. – Cosa credi che sia questo, “Stand and Deliver”? –

- Dai – provò a convincerlo Ian. – Cosa devo fare per avere un po’ del tuo tempo? –. Quelle parole uscirono più maliziose del dovuto ma di solito era così che andava. I ragazzi erano facili da persuadere se offriva sé stesso. Mickey lanciò un’occhiata intorno e incrociò di nuovo il suo sguardo. 

- Stai offendo soldi? –

Ian si raggelò. Quelli non li aveva di sicuro. E poi, Mickey non era straricco? Per cosa avrebbe mai potuto averne bisogno? – No – rispose sfacciatamente. – Intendevo… sai… -. SI interruppe e Mickey semplicemente lo fissò, in attesa della grande rivelazione. Persino i ragazzi etero ci arrivavano ma non Mickey a quanto pare. – Sesso…? – buttò fuori alzando di più la voce. L’aria intorno a loro sembrò farsi più densa e quella luce ostile negli occhi di Mickey svanì sul momento, sostituita da qualcosa che Ian non riuscì a decifrare. Ian aspettò una risposta trattenendo il respiro ma Mickey batté solo le palpebre un paio di volte e se ne andò. – Aspetta, Mickey! –

- Toccami e puoi dire addio alla tua mano –

- Scusami, non volevo farti incazzare –

- Che cazzo di problemi hai? – lo guardò storto il moro aumentando la velocità. – Perché cazzo ti è venuto in mente di venire da me per questa stronzata? Anzi, sai una cosa, non rispondere nemmeno e sparisci prima che ti spezzi la schiena –

La sua speranza per l’università si stava affievolendo e Ian aumentò il passo. Okay, aveva esagerato un po’ ma era convinto in qualche modo che seguire Mickey fosse la cosa giusta. Cazzo, doveva pensare in fretta. Era stato così ridicolo menzionare anche solo l’idea, chiaramente Mickey non era dello stesso avviso, ma non aveva nient’altro da offrire. Un lampione si spense e Ian gli si affianco per l’ultima volta. – Ehi, poco fa hai detto che non saresti tornato a casa. Hai bisogno di un posto dove stare? –

- Mi prendi per il culo? –

- E poi non hai soldi dietro, no? –

- L’unica cosa che mi interessa è che tu chiuda quella fottuta bocca perché non sai di cosa stai parlando – rispose Mickey acido e si sistemò la chitarra sulla schiena. 

- La settimana scorsa bazzicavi nel South Side come un barbone. Vuoi davvero dormire di nuovo per strada? – chiese Ian, ma gli si mozzò il fiato quando venne spinto improvvisamente contro a una rete di ferro, faccia a faccia con gli occhi sempre più cupi di Mickey. – So cosa vuol dire – esalò – non avere un posto dove andare. È all’ordine del giorno nel South Side -. Mickey rimase in silenzio e anche se Ian sapeva che avrebbe potuto affrontarlo fisicamente, non lo spinse via. – Cavolo, mio padre è un esperto –

- Non sai un cazzo – lo avvertì Mickey. Il suo respiro era caldo sul suo viso e sapeva vagamente di vaniglia. Ian deglutì.

- Abbastanza da sapere che litighi con tuo papà e che non tornerai a casa stasera -. Quando si ritrovò spinto ancora di più contro alla recinzione, sentì il metallo cominciare a piegarsi sotto al suo peso. 

- Chi cazzo sei per dirmelo? –

- Scusa, l’ho saputo da Mandy –

- Dovrebbe tenere la bocca chiusa – ringhiò Mickey. 

- Dove andrai, eh? – chiese piano Mickey. Non aveva idea di cosa stesse facendo ora. Che cosa gli era preso di offrire un posto a casa sua, al fratello di Mandy oltretutto? Era davvero così disperato solo per un bel voto? 

Mickey fece un sorrisetto, uno sguardo minaccioso. – Ti ammazzo di botte finché non impari a farti gli affari tuoi, Ian –

Le mani di Ian furono scosse da uno spasmo e il suo viso si addolcì per la gioia al suono del proprio nome sulle sue labbra, anche se si trovava in una brutta posizione. – Pensi che io non sia abituato alle minacce di tipi come te? –. Raccolse coraggio, ma quel profumo di vaniglia lo distraeva. – Credevo che non sarebbe stata una cattiva idea se entrambi ci avessimo guadagnato qualcosa –

Mickey lo fissò e indietreggiò. – Cosa cazzo vuoi? Ormai penso che a questo punto mi seguirai ovunque come uno stalker –

Sollevato, Ian si passò le mani sui vestiti e si raddrizzò. – Fammi da tutor e stasera puoi restare da me -. Eccolo lì. Gli era scappato per sbaglio ma per fortuna Mickey non sembrò accorgersene. 

- Pensi che io non sappia dove andare? –

- Se non fosse così, perché dovresti essere ancora qui altrimenti? – ribatté Ian e l’espressione di Mickey crollò. – Solo per stasera. Io ho un test la settimana prossima, tu puoi dormire in un letto caldo e ti preparerò persino la cena. Quest’anno devo davvero passare e da quanto ho visto l’altra sera non mi sembri bravo solo in chimica - . Cazzo, sembrava una pessima battuta di rimorchio. Doveva trovarsi davvero un altro hobby oltre a vendersi ai ragazzi. 

- Piantala di rendere questa situazione così imbarazzante – disse rabbioso Mickey; Ian non era sicuro che si fosse reso conto dei suoi accidentali doppi sensi. 

- Cosa c’è, non vuoi che cucini per te? Se vuoi morire di fame prego, fai pure, ne abbiamo a malapena per noi – disse in tono leggero.

- Fammi strada e basta prima che cambi idea – 

A quelle parole, Ian sorrise più di quanto avrebbe voluto. Mickey si infilò le mani in tasca ed evitò il suo sguardo. – Diamoci una mossa – aggiunse impaziente e Ian obbedì, girandosi per essere sicuro che Mickey fosse dietro di lui. 

Durante il tragitto non parlarono poiché Ian temeva che Mickey se ne sarebbe andato se lo avesse fatto. Avrebbe dovuto dirlo a Mandy? Che cosa avrebbe pensato? Probabilmente in quel momento stava facendo sesso e non voleva disturbarla. Già, non voleva rovinarle l’appuntamento. 

Mickey sembrava ugualmente nervoso, se non di più. Continuava a spostare il peso da una gamba all’altra ogni volta che dovevano fermarsi ad un semaforo e una volta giunti a destinazione non entrò finché non ricevette l’okay. 

- Fiona? Debs? – le chiamò Ian dopo aver richiuso la porta principale. Non ottenne risposta, quindi prese due bibite dal frigo e accompagnò Mickey al piano di sopra. Mickey posò delicatamente la chitarra in un angolo, spingendo da un lato dei vestiti abbandonati per terra con il piede e curiosò in giro. Fu in quel momento che Ian si pentì di non pulire più spesso. Non solo viveva in un quartiere fatiscente ma la sua stanza era persino stretta, disordinata e strapiena come il resto della casa. Mickey sarebbe stato meglio per strada. E non aiutava affatto che continuasse a restare appoggiato al muro, pensando probabilmente che il pavimento e il letto fossero troppo sporchi per posarci sopra i suoi jeans costosi. 

- Scusa – borbottò Ian buttando per terra libri e fogli sparsi per liberare un po’ di spazio sul letto. Ora che Lip era al college il suo letto era diventato praticamente una mensola e Carl lo aveva riempito di oggetti di vario tipo, perlopiù molto pericolosi probabilmente, nascosti sotto al cuscino e tra le lenzuola. 

- Perché cazzo ti stai scusando? –

- Non è proprio quello a cui sei abituato -spiegò Ian imbarazzato; quando il letto fu libero, Mickey non si sedette comunque. 

- Cosa ti ho detto riguardo alle cose di cui non sai un cazzo? – brontolò Mickey. 

- Beh e allora com’è la tua stanza? -. Mickey non rispose e Ian annuì con un sorrisetto. – Come pensavo –. Batté il palmo della mano sul posto vuoto accanto a lui e indicò con un cenno del capo il fondo del letto. – Puoi sederti –

Mickey sembrò esitante quindi, quando Ian ebbe tirato fuori le sue cose, lo guardò con un sopracciglio inarcato. – Non è così sporco, sai, a volte le lavo le lenzuola –

- Non me ne frega niente di quello che fai – lo fulminò con lo sguardo Mickey. Si sedette sul letto, restando vicino al bordo. Sembrava non sapere dove muoversi, quindi lasciò dondolare una gamba e piegò l’altra sulla coperta. Il letto non era molto grande ma Mickey fece in modo di mantenere abbastanza spazio tra di loro, la mano che stringeva l’angolo del letto come se fosse sul punto di cadere giù. 

- Ehi, credevo che mi avresti aiutato – disse in tono interrogativo Ian, ritrovando i problemi che gli avevano dato difficoltà. 

- Ma comunque, cosa ti fa pensare che io sia bravo in questa roba? – chiese in tono acido Mickey, ignorando le sue parole. Era abbastanza ironico che lo chiedesse solo dopo tutto quel tempo e Ian rise mentre passava ad un'altra pagina. Passò i problemi a Mickey per fargli dare un’occhiata. 

- Questi mi hanno creato davvero difficoltà. Ho passato tre ore sul libro per cercare di capirli –

Mickey prese gli esercizi e durante la lettura il suo corpo si rilassò, appoggiando la schiena contro al muro. – Ci hai almeno provato? – chiese, ma non in tono scontroso, bensì curioso. Ian si avvicinò. 

- No, me lo sono tenuto in mano per tre ore. Certo che ci ho provato, Mickey –

Mickey si staccò dal muro quando udì la sua voce così vicina. Ci fu un momento di tensione e Ian indietreggiò. 

- Che c’è? Non riesco a leggerli da là –

- Provaci di più, cazzo –

- Fammi vedere come si fanno e basta –

Mickey sembrava sul punto di fare un commento, ma invece prese la matita accanto al ginocchio di Ian e cominciò a scrivere sul foglio appoggiato al proprio. – Okay, vedi questa parte qui? Devi aggiungere questa formula nel passaggio o non andrai molto lontano. Ci sono vari modi per risolverlo ma con questo vai sul sicuro –

Quando Mickey ebbe finito di spiegare, Ian rimase esterrefatto. – Il ragazzo che ha mollato la scuola per tre anni sa fare tutte queste cose come se fosse niente. È così ingiusto –

- Ehi, sono stato bocciato due volte – disse Mickey con un certo orgoglio. – E ho saltato un anno –

- Sì e sei stato bocciato perché non venivi mai a scuola, ora ricordo –

- Ah sì? – chiese Mickey, già al secondo problema. 

- Beh sì – fece spallucce Ian. – Sono sicuro che ormai ti conoscano tutti a scuola. E poi Mandy parla di te ogni tanto. Non mi aspettavo che fossi così bravo –

- Non si tratta di essere bravi -replicò Mickey come se fosse un concetto ovvio mentre cancellava dei numeri. – Sono solo cose che ho imparato in passato. Mi ricordo cose che ho letto e le applico. Non bisogna essere per forza Newton –

- Beh, io non sono capace – disse Ian alzando gli occhi al cielo, seppure ugualmente impressionato. Osservò in silenzio la mano di Mickey che si muoveva sul foglio, ascoltando Mickey spiegare con calma ogni passo come se stesse parlando più con sé stesso che con lui. – Leggi tanto? – gli chiese con curiosità dopo un paio di minuti, spostandosi appena un po’ di più vicino a lui e rilassandosi quando Mickey non si agitò. 

- Direi di sì –

- Riviste scientifiche? –

- Tutto quello che trovo –

- Oh okay, fico – rispose Ian e spostò gli occhi sul suo viso. Mickey era concentrato ma sembrava annoiato allo stesso tempo e Ian cominciò a chiedersi cosa facesse per tutto il tempo quando non era a scuola. Beh, leggere era già una cosa… 

- Cosa c’è? – chiese Mickey improvvisamente, spostandosi verso il bordo del letto quando Ian si incantò sulla sua faccia. 

- Vorrei essere bravo come te e non dovermi preoccupare di tutta questa roba – sospirò Ian indicando le domande di ammissione all’università sul pavimento. Mickey le guardò per un secondo e continuò a scrivere. 

- Perché cazzo dovresti voler continuare ad andare a scuola dopo che te ne sei finalmente liberato? –

- Non ho intenzione di vivere qui per sempre – rise piatto Ian. – Me ne vado non appena mi sarò diplomato –

- Il college è inutile. Vogliono solo farti indebitare per il resto della tua vita –

- Sì beh, è l’unico modo per trovare un lavoro al giorno d’oggi –

Mickey non disse niente e dopo aver tracciato un punto, posò il foglio. Un porta sbattè al piano di sotto e Mickey saltò per lo spavento, spostando rapidamente lo sguardo tra Ian e la finestra, come se stesse per buttarsi fuori. – Calmati Mickey, probabilmente è solo mia sorella –

Noncurante delle sue parole, Mickey scese dal letto e afferrò il davanzale della finestra. Sembrava una reazione così automatica, come se fosse un’abitudine. Ian si alzò. – Ehi, è tutto okay -. Mickey guardò il vetro e non rispose. – Vado giù a parlare con Fiona, puoi venire se vuoi –. Quando Mickey rimase dov’era, Ian se ne andò e trovò Fiona che girava per la cucina. 

- Ehi, posso preparare la cena? C’è un ospite – lo salutò Ian. 

- Mandy? Certo –

- Non è Mandy – tossicchiò e tornò sulle scale. – È suo fratello –

Fiona sembrò estremamente confusa ma Ian corse al piano di sopra prima che lei potesse rispondere. Chiuse la porta e trovò Mickey sdraiato a pancia in sotto sul letto che scriveva rapidamente sui suoi compiti.  Aveva le labbra lievemente socchiuse e il suo cappotto era sul pavimento in mezzo ai vestiti di Ian; questo dettaglio lo fece accaldare in qualche modo. Un po’ a corto di fiato, disse: - Ehi, devo capirli. Non voglio che me li risolvi tu, fammi solo vedere come si fanno –

- Così facciamo più in fretta. Fattelo andare bene, altrimenti arrangiati – protestò Mickey senza rallentare. 

Ian raccolse le bibite per terra e ne porse una a Mickey, che la prese senza alzare la testa. Era strano avere Mickey lì. In effetti, tutti i suoi amici maschi erano solo delle scopate facili e non tornavano mai con Ian nella sua stanza, quindi avere un amico maschio a cui non interessava farselo succhiare era insolito. 

Mickey ora occupava tutto il letto, quindi Ian si inginocchiò sul pavimento e appoggiò i gomiti sul letto di fianco a lui. C’era una bella atmosfera ora che il sole stava tramontando fuori. I muri erano illuminati da una tenue luce aranciata e Ian sentì le palpebre calargli mano a mano che Mickey rallentava. Abbandonò la bibita da qualche parte per terra e lasciò crollare la testa sulle coperte. 

 

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Capitolo 3
*** Mani Delicate ***


Quando Ian aprì gli occhi, la stanza era illuminata solo dalla luce bianca della luna. Emise un lamento, le ginocchia rigide e doloranti. Come cavolo aveva fatto a dormire così? Quando cercò di alzarsi sentì male anche alla schiena. Allungò una mano sul letto ma lo trovò vuoto quindi si girò verso il letto a castello. Carl non era a casa, ma c’era Mickey al suo posto con la schiena appoggiata al muro di fianco al letto e un’espressione indecifrabile sul viso. - Mickey? – lo chiamò con voce assonnata. Mickey non si mosse ma i suoi occhi si spostarono sulla figura di Ian che si stiracchiava. Ian si trascinò sul letto e sospirò di sollievo. – Che ore sono? –

- È tardi – rispose Mickey facendo tamburellare le dita sul ginocchio. 

- Oh merda, non ho preparato la cena –

- Me ne sono accorto –

- Cazzo, mi dispiace Mickey. Ero stravolto per questa settimana, devo essere crollato. Hai fame? –

- Non molto –

Quando lo stomacò di Ian gorgogliò, si alzò dal letto e sbattè le palpebre per riprendersi dal sonno. – Sto morendo di fame. Vuoi mangiare qualcosa? -. Allungò la schiena un’ultima volta e si avviò lentamente alla porta, udendo i passi leggeri di Mickey dietro di sé. – Non sveglierai Fi – sussurrò Ian quando si rese conto di quanto facesse attenzione a camminare per non farsi sentire mentre scendevano le scale. Sembrava che Mickey volesse dire qualcosa ma rimase in silenzio. 

- Non abbiamo molto – sbadigliò Ian aprendo il frigo. – Ti piace il formaggio grigliato? –

- È uguale – rispose Mickey sedendosi sul divano in soggiorno mentre Ian cominciava a tirare fuori il formaggio, sfruttando l’occasione per dare un’occhiata a cosa faceva mentre lui cucinava. Mickey sfogliò le riviste sul tavolino ma non sembrò trovare qualcosa che valesse la pena di essere letto. 

Lo sfrigolio del formaggio nella padella riempì il silenzio è una volta finito di preparare il sandwich, Ian prese un piatto di carta e lo posò sul tavolo davanti a Mickey. Si era confinato contro al bracciolo del divano come se stesse attento a non prendere troppo spazio quando Ian sprofondò tra i cuscini divorando il proprio panino. L’orologio di fianco alla TV segnava le tre del mattino e il cibo quasi gli andò di traverso. – Non stavi scherzando quando hai detto che era tardi. Ma poi, tu perché eri sveglio? –

Mickey prese il suo panino da piatto e si appoggiò al bracciolo del divano. 

- Non riuscivi a dormire? – chiese Ian tra un morso e l’altro mentre Mickey addentava il suo panino. 

- Diciamo di sì –

Ian non ci mise molto a finire e si abbandonò contro al divano. – Sai, la cosa bella del vivere in una casa schifosa è che nessuno si disturberebbe a derubarci. Non devi preoccuparti che qualcuno ti punti una pistola alla testa, puoi dormire sonni tranquilli –

- Fanculo – ringhiò Mickey in tono quasi rabbioso. 

Ian si passò le mani sui pantaloni, chiedendosi cosa in ciò che aveva detto aveva toccato un nervo scoperto. – Perché non riuscivi a dormire? – ci riprovò; ora si sentiva in colpa per averlo innervosito. 

- Cazzo, se avessi saputo che mi avrebbero fatto il terzo grado sarei andato a dormire sotto a un ponte –

Il viso di Ian crollò e così il suo corpo, sconsolato. – Scusa, volevo solo assicurarmi che stessi bene –. Quando si alzò e buttò il piatto vuoto nella spazzatura, rivolse un’ultima occhiata a Mickey, che teneva lo sguardo fisso sul proprio grembo. Ian lo lasciò lì dov’era. 

 

 

La mattina dopo la chitarra di Mickey era scomparsa insieme a lui. Carl non era ancora tornato e a quanto pare Debbie era a casa di un’amica, lasciando dunque Ian sol con Liam. Trascorse il resto del fine settimana a riguardare i compiti che gli aveva svolto Mickey, prese altri appunti e studiò nel pomeriggio. All’ultima pagina del libro di fisica, Ian si bloccò. In fondo, in una calligrafia ben più leggibile, c’erano scritte quattro parole: 

“GRAZIE PER IL PANINO” 

Sorrise di più. Quindi Mickey non lo odiava per aver ficcato il naso o espresso giudizi. Questo, oppure sapeva semplicemente esprimere gratitudine. Si sentiva in colpa perché non aveva avuto l’occasione di ringraziare Mickey per l’aiuto visto che si era addormentato e intanto chissà quanto tempo aveva passato Mickey a risolvere i suoi problemi. Scosse la testa e girò il foglio per risolvere da solo i problemi e rimettersi in carreggiata. 

 

 

Lunedì, a scuola andò magnificamente. Ian si sentiva sicuro di sé durante il quiz di fisica e non solo, un ragazzo carino del suo stesso anno gli aveva chiesto il numero. Sorrise guardando lo scarabocchio e andò a sbattere contro qualcuno. 

- Guarda dove cazzo… oh, Ian -. Era Mandy, che indossava un top pieno di lacci abbinato a dei jeans skinny scuri e faceva scoppiare un’enorme gomma da masticare. – Chi è il fortunato? – gli chiese adocchiando il biglietto con il numero che teneva in mano e Ian rise. 

- È del mio corso di inglese, ho dimenticato come si chiama –

- Ahia – rispose lei con una smorfia e si avviarono insieme in mensa. 

Solitamente Ian era molto più contento quando un ragazzo, soprattutto se carino, flirtava con lui ma quando aveva preso in mano il pezzo di carta, quel numero non era riuscito a renderlo felice come le parole che Mickey aveva lasciato sui suoi compiti. 

Dalla mensa, Ian vide la custodia di cuoio della chitarra di Mickey, ed era naturalmente sull’erba canto al suo proprietario, circondato da un gruppo di ragazzi. Stavano fuori a bighellonare, dall’altra parte della finestra. Sentì il battito accelerare quando Mickey sorrise con il volto completamente illuminato e anche a quella distanza riuscì a vedere la sua dentatura bianco brillante e le rughe sulle sue guance, il modo in cui si piegò appena nel bel mezzo della risata.  A quella vista si girò dall’altra parte, sentendosi non solo imbarazzato ma anche un idiota per aver anche solo guardato il fratello di Mandy in quel modo, con Mandy a pochi centimetri da lui. 

Qualcosa sembrò scattare dentro di lui. Mickey era stoico, serio e arrabbiato la sera prima. Ian lo aveva forse irritato? Magari avrebbe dovuto andarci piano con la proposta di sesso e la richiesta pressante di dargli ripetizioni. Cazzo, voleva scusarsi ora. 

Il pranzo con Mandy fu abbastanza piacevole, finché il suo ultimo toyboy non si sedette al tavolo con loro. Era carino ma si comportava malissimo. A Mandy non sembrava importare più di tanto e continuò a scrivere sul suo cellulare mentre lui cercava di raccontare una storia su una festa a cui si era ubriacato. Ian annuì quando serviva, sebbene quello dovesse essere il compito di Mandy probabilmente, ma non voleva essere scortese, e gettò uno sguardo dietro di lui dove erano seduti Mickey e il suo gruppetto. Quando il ragazzo sembrò aver terminato la sua storia, Ian si rivolse a Mandy. – Ehi, come mai tuo fratello non è tornato a casa ieri? –

Mandy alzò gli occhi dal cellulare, sorpresa, e sorseggiò il latte al cioccolato sul vassoio. – Non va d’accordo con papà quindi sgattaiola via. Succede sempre –

- E dove va di solito? –

- Con uno dei suoi amici con cui fuma erba – rispose mentre mandava un altro messaggio. – Perché questo improvviso interesse per Mickey? –

- Non sono interessato – rispose Ian sulla difensiva. Rimase in silenzio per un po’ prima di proseguire. – Penso solo che sia strano che Mickey non vada a scuola per anni e improvvisamente si ripresenti per l’ultimo anno. Perché disturbarsi? –

- Papà non vuole un figli rinunciatario. Non giova alla sua reputazione – rispose Mandy e sorrise appena. – È sempre in giro a fare cazzate quindi papà lo odia ma ha finalmente trovato il modo per riportare il suo culo qui –. Ian e il suo scopamico rimasero in attesa e Mandy fece spallucce. – Mickey adora la musica, soprattutto suonare la chitarra e papà ha minacciato di rompergli le dita se non viene a scuola. Fine della storia –

- Ma che cazzo… stai scherzando? –

- Sono stupita che abbia funzionato. Mickey non gli aveva mai dato retta finora –

Ian era così scioccato che non riuscì a digerire il resto del cibo quindi si alzò. Anche Mandy saltò in piedi, ignorando l’altro ragazzo per seguire Ian. – Ehi, che ti succede? –

- Sei seria, Mandy? Tuo padre è violento –

- Beh, in un certo senso sì. Non te l’avevo mai detto eh? Ci trascura, in sostanza è un pezzo di merda, gli importa solo della sua azienda e ci odia. Però non mi becca fare cazzate e quindi non mi rompe le palle come fa con Mickey. È così e basta –

- “È così e basta” – sbottò Ian rigirandosi. – Cazzo, Mandy. Pensi davvero che se vostro padre vi minaccia così vada bene? –

- Mi dispiace – rispose Mandy; sembrava confusa. – Non so cosa vuoi che ti dica, Ian –

- Niente. Ho lezione –

- Sei arrabbiato? –

- No – esalò, senza nemmeno capire perché fosse così agitato. – Devo solo andare a lezione –

 

 

 

La lezione durò un’infinità è quando finalmente terminò, Ian corse praticamente fuori. Ignorò l’incontro con Mandy e uscì in cortile, trovando un posto tranquillo sotto un albero di corniolo. Era contento di non avere più lezione e restare qualche ora lontano da casa magari era la boccata d’aria fresca si cui aveva bisogno. Si spostò i capelli dal viso e cominciò a recuperare i vocaboli per il corso di francese. 

- Ma non smetti mai di studiare? –. La voce giunse dall’alto e quando alzò la testa, Mickey era seduto su un ramo con le gambe a penzoloni. In una mano teneva un libro e nell’altro una sigaretta. 

- E tu non smetti mai di leggere? – ribattè Ian e Mickey fece un vero sorriso, tornando al suo libro. Ian sentì di dover continuare in qualche modo la conversazione ma scelse invece di tornare a immergersi nel suo studio e rilassò la schiena contro al tronco dell’albero. Fu in quel momento che notò la custodia della chitarra dall’altro lato dell’albero e allungò la mano per toccarla. 

- Che cazzo stai facendo? – chiese tranquillo Mickey dopo un tiro di sigaretta, ma non mosse un muscolo per fermare Ian, che ora stava aprendo la custodia. 

- Sto solo guardando la mercanzia –. La chitarra era carina, molto meglio di quanto si aspettasse. Era ricoperta da un rivestimento lucido ed era in legno scuro. Sembrava nuova di zecca e Ian non potè trattenersi da far scorrere il dito sulle corde. – Cavolo, l’hai appena ritirata dal negozio? –

- Un regalo di papino – sputò Mickey aspirando un altro tiro. –.  Ian ricordò la precedente conversazione con Mandy ma non riuscì a fare nessuna domanda questa volta. Era evidente che Mickey odiasse le domande personali quindi pizzicò semplicemente le corde, divertito.

Non si scambiarono alcuna parola e Mickey continuò a leggere, ad un ritmo disumano secondo l’opinione di Ian, mentre lui giocherellava pigramente con la chitarra, raccogliendo persino il coraggio di tirarla fuori dalla custodia e portarsela in grembo. Alzò lo sguardo sopra di lui ma a Mickey non sembrava importare, quindi cercò di strimpellare senza esagerare. 

- Ehi, Mick! – gridò una voce dall’altra parte del cortile. Mickey socchiuse gli occhi per vedere chi fosse ma non rispose. Ian vide tre persone vicino all’edificio ma sembravano troppo grandi per essere dei liceali. – Vuoi uscire stasera? –

- Chi lo vuole sapere? – urlò di rimando Mickey ritornando al suo libro. 

- Mike!-

Mickey fece schioccare la lingua e girò la pagina. – Okay – disse a voce troppo bassa per farsi sentire. I tre ragazzi rimasero a chiacchierare per un momento poi decisero di avvicinarsi all’albero. Quando li raggiunsero rivolsero ad Ian uno sguardo duro. Uno di loro alzò il braccio per colpire la scarpa di Mickey. – Ehi, ci sei per stasera? –

- Ho già detto di sì. Non vedi che sono impegnato, cazzo? –

- Ah, quei libri da gay… - borbottò il tizio con la barba e Mickey lo colpì alla testa con il piede. Ian smise di toccare la chitarra e cercò di evitare lo sguardo degli uomini. 

- Chi cazzo è questo qui? – chiese uno di loro guardando Ian con sospetto. 

- Tu non preoccuparti. Non sei in libertà vigilata? Che cazzo ci fai nella mia scuola? –

- Sai che non abbiamo di meglio da fare che romperci le palle a vicenda – disse un altro e cominciarono a spintonarsi. Ian si sentì a disagio quando uno di loro si chinò a guardarlo. 

- Non è la tua chitarra quella che sta toccando il rosso? Ma che cazzo, Mickey! Non lasci neanche che qualcuno ci aliti sopra, figurarsi suonarla – 

- Non la sta suonando e il tuo alito fa schifo quindi stai indietro – lo guardò storto Mickey saltando finalmente giù dal suo trespolo. Spinse indietro il ragazzo di fianco a Ian e prese il suo posto seduto per terra, allungando le gambe vicino a quelle di Ian. – Potete smammare? Sono impegnato –

I tre alternarono lo sguardo tra i due e se ne andarono. Il corpo di Ian gli sembrò ancorato al suolo quando il piede di Mickey gli sfiorò il polpaccio e un silenzio tranquillo calò in mezzo a loro. 

- Oggi ho passato il test – mormorò Ian toccando di nuovo la chitarra. Mickey non spostò gli occhi dal libro ma emise un suono lieve, indicando che aveva sentito. – Grazie mille, per essere venuto e tutto il resto… Cioè, avresti potuto scegliere di andare da un’altra parte ma non l’hai fatto.. quindi grazie –

- Balbetta ancora una volta e smetto di ascoltarti – rispose Mickey passandogli la sigaretta, che Ian accettò con piacere. Gli dava un’idea di intimità fumare qualcosa che aveva toccato le labbra di Mickey, anche se Ian fumava con la sua famiglia e con Mandy un sacco di volte. 

- Ehm, allora -. Ian avrebbe voluto darsi una botta in testa per aver balbettato di nuovo. Aspirò una boccata veloce e restituì la sigaretta a Mickey; le loro dita si sfiorarono e gli si strinse lo stomaco. – È vero che non lasci toccare  a nessuno la tua chitarra? –. Mickey ora lo stava guardando, gli occhi azzurri calmi, e aveva un’aria rilassata il modo in cui stava seduto appoggiato contro al tronco. Sembrava un ragazzo d’altri tempi, come se il fumare, i capelli scuri e il modo in cui teneva una certa distanza tra loro anche se erano seduti vicini appartenessero ad un’altra epoca. 

- C’è qualche problema? – chiese abbassando appena le palpebre mentre aspirava dalla sigaretta, l’estremità che si colorò di arancione per un momento per poi tornare scura. 

Ian lo guardò senza sapere cosa dire Stava per ritirare la chitarra nella custodia quando la mano di Mickey fu improvvisamente sulla sua. Sentì il respiro corto e le pupille dilatarsi alla lieve pressione sulla sua mano e gli tremarono le gambe quando Mickey si sporse verso di lui, il suo respiro caldo contro all’orecchio.

- Sai perché, Ian? –

Ian era così immobile, schiacciato contro al tronco, da non riuscire neanche ad emettere un suono. 

- Le tue mani non sono fatte per rompere le cose – disse piano Mickey. Poi il calore del suo corpo svanì e Mickey si alzò, infilando il libro sotto al braccio e buttando la sigaretta sull’erba. Prese la chitarra dalle mani di Ian e la ritirò nella custodia caricandosela poi in spalla. Quando se ne andò, Ian rimase semplicemente a fissare stordito il prato, il cuore che batteva così forte nel petto che credeva che sarebbe esploso da un momento all’altro.  

 

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Capitolo 4
*** L'Acqua Fa Miracoli ***


L’aria era nebbiosa e Ian aveva la gola secca per il calore che impregnava la stanza. Diversi corpi vagavano ammassati gli uni contro gli altri e alcuni si strusciavano su di lui, che cerca di restare attaccato a Mandy. – Mandy, aspettami –. Lei lo prese per mano e lo trascinò in mezzo alla folla ridacchiando e agitando la mano verso alcuni ragazzi che le stavano facendo una radiografia. - Mandy, dove stiamo andando? –

- A incontrare il tuo ragazzo – rise lei è Ian sbuffò, rassegnato. Finalmente, si fermarono al limite della stanza dove Ian riuscì ad avere un po’ di spazio. Si sentiva appiccicoso per tutti i corpi sudati che si erano strusciati su di lui. Una coppia limonava su un divanetto nelle vicinanze, un’altra si stava spogliando contro al muro. 

- Non era proprio quello che immaginavo quando avevi detto che ci saremmo divertiti stasera – disse Ian ad alta voce, cercando di farsi sentire sopra alla musica martellante. Mandy gli sorrise mentre ondeggiava a ritmo. 

- Alex voleva che ci vedessimo qui e anche quel fico del tuo corso di inglese voleva vederti, quindi rilassati –

Rilassarsi era difficile quando tutto ciò che le persone facevano intorno a lui era strusciarsi come conigli arrapati. Ian non era estraneo al sesso, tutt’altro, ma stare in una stanza piena di gente arrapata, ubriaca e strafatto gli faceva venire il voltastomaco. 

- Ehi – udì dietro di lui. Era il ragazzo del corso di inglese. Ian cercò di ricambiare il sorriso. – Ti ricordi di me? Josh – rise il ragazzo e Ian annuì. 

- Oh già, come potrei dimenticarmi -. Queste parole sembrarono lusingarlo e continuarono a chiacchierare pigramente. Arrivò anche il ragazzo con cui usciva Mandy e si sedettero immediatamente vicini, baciandosi con le labbra permute le une contro le altre. 

Ian percepiva le intenzioni del ragazzo con cui stava parlando. Voleva scoparsi Ian, non c’era dubbio. Di solito scopava per soldi e per avere altri benefici, ma quel tizio non era male e non c’era nulla di strano nello scopare ogni tanto per divertimento, no?

- Vado a prenderci qualcosa da bere – sorrise il ragazzo e scomparve in mezzo alla folla. Mandy non si vedeva da nessuna parte e Ian si sentiva coperto da un velo di sudore, quindi uscì di casa per prendere una boccata di fresca aria notturna. Alcune persone erano sdraiate sul prato e altre cantavano a squarciagola ma Ian riuscì a trovare un posto più tranquillo dopo essersi spostato più in là nel cortile. Alcuni ragazzi lanciavano bottiglie di birra e ridevano ma scapparono per strada quando qualcuno urlò contro di loro. Ian non aveva idea di come si fosse lasciato convincere da Mandy a venire a quella festa, non era il tipo da eventi sociali. C’erano due altalene coperte da graziosi rampicanti e Ian spostò il fogliame per potersi sedere sul legno bianco. Lì era piuttosto tranquillo, fatta eccezione per le occasionali urla dei ragazzi dall’altra parte del cortile. 

- Non ti facevo un festaiolo – 

Ian alzò la testa e vide Mickey camminare verso di lui. Era più elegante del solito, con dei jeans scuri e una camicia color borgogna. Ian si alzò e si irrigidì quando Mickey si avvicinò. – Sono venuto con Mandy –

- Quella stronza è già incinta? -chiese Mickey. Ian congiunse le mani. 

- Uhm, non penso –

Mickey si sedette di fianco a lui, il che era ironico visto che a quanto ricordava Ian evitava sempre di sedersi troppo vicino. I suoi occhi sembravano velati e Ian realizzò che doveva essere piuttosto ubriaco, visto che comunque si trovava ad una festa. I rumori sembravano più lontani e Ian si sentì meno solo lì seduto con Mickey. 

- Sono stanco morto, cazzo – gemette Mickey lasciando cadere la testa contro all’altalena. Spinse con il piede sulla pietra e l’altalena cigolò lentamente avanti e indietro. I rampicanti aggrovigliati attorno alle corde diffondevano un buon odore e l’aria fresca aiutò Ian a riprendersi dalla nausea di poco prima. Mickey aveva gli occhi chiusi e respirava lentamente, come se stesse per addormentarsi. 

- Stai bene? – gli chiese esitante e Mickey mormorò una risposta sommessa. Ian arrossì; non era il momento di avere pensieri spinti. – Beh, c’è qualcuno che mi sta aspettando, dovrei tornare dentro – disse Ian, a disagio, e Mickey aprì gli occhi per guardarlo. Era come quel pomeriggio, seduti sotto all’albero. Lo stesso sguardo quasi bramoso, carico di parole non dette, segreti che Ian non avrebbe mai scoperto. 

- Non devi andare per forza –

Anche se naturalmente non lo aveva fatto a mente lucida, Mickey parlò chiaramente e Ian lo sentì forte e chiaro. Fu il suo tono a sbalordirlo; era fondamentalmente dolce. Ian deglutì; sapeva di essere ridicolo a cercare di vederci troppo lungo su ogni cosa che faceva Mickey. Se voleva scopare poteva farlo con il ragazzo visibilmente arrapato che lo aspettava dentro. Non aveva senso sprecare la sua serata con Mickey, il quale non solo non sembrava per niente gay, ma nemmeno interessato al sesso e a tutte quelle cose prima di tutto. Magari era solo Ian che stava di nuovo elargendo giudizi. La cosa strana era che Ian era attratto da Mickey, non voleva soltanto andarci a letto. Era come se volesse avvicinarsi a lui in un modo che non aveva mai provato per nessuno prima. 

- Non ho davvero un incentivo per restare – esalò Ian molto più seriamente di quanto avrebbe voluto. Si interruppe quando i suoi occhi incrociarono quelli di Mickey. Pensò al sesso con il ragazzo che lo aspettava e a quanto sarebbe stato bello concedersi perché lo voleva davvero e non perché doveva. La prospettiva di un ragazzo che lo desiderava e di un corpo caldo avrebbero dovuto farlo correre da lui seduta stante. Solo che il ginocchio di Mickey ora stava sfiorando il suo, i suoi occhi sembrano il cielo azzurro e Ian avrebbe voluto toccarlo con amore e non come aveva toccato altri ragazzi o altri ragazzi avevano toccato lui, ma in un modo che significasse qualcosa. Voleva sapere tutto del suo passato, sentire il battito del suo cuore, allungare la mano e afferrare la sua. Era molto meno intimo del sesso, eppure molto di più. 

Wow, e da dove arrivavano tutti quei pensieri? Ian schizzò in piedi, confuso dalla sua stessa mente. Da quando era diventato normale provare quelle cose per il fratello di Mandy? Lo conosceva appena ed era inquietante. 

- Vuoi andare da qualche parte? – 

Ian abbassò la testa e Mickey alzò la sua; nei suoi occhi solitamente indifferenti c’era una sorta di tenerezza quando gli sfuggì quella domanda. Per Ian era meglio che Mickey non andasse da nessuna parte se non a dormire, e si alzò in piedi. Non sapeva nemmeno se quella domanda implicasse “casa tua o mia”, ma ne dubitava, siccome Mickey non mandava nessun segnale di tipo sessuale, considerando anche il suo rifiuto quando aveva offerto il proprio corpo in cambio di ripetizioni. – Ehm, sembri quasi un cadavere – disse scherzoso per alleggerire l’atmosfera, ma Mickey non rise. 

- Cazzo – sospirò con una smorfia e la testa gli crollò di nuovo. Ian si guardò intorno ma c’erano solo loro due. Decise di tentare la sorte e appoggiò il dorso della mano sulla su fronte, avvertendo una lieve febbre. 

- Vuoi dell’acqua? – chiese lentamente e Mickey  rispose con un mormorio incomprensibile. 

- Ian! Ti stavo cercando – lo chiamò una voce dietro di lui. Ritirò la mano di scatto e si girò trovando Josh che correva verso di lui. Aggrottò le sopracciglia quando vide Mickey. – Quello è il fratello di Mandy? –

- Già – fece spallucce Ian. 

- Diamine, è ubriaco marcio – rise Josh e Ian guardò verso il basso dove la testa di Mickey stava scivolando dall’altalena. Quando il suo corpo di sbilanciò da un lato, Ian lo prese al volo e lo ritirò su. Si aspettava di sentire puzza di alcool ma quando avvicinò il viso ai suoi capelli odorò qualcosa di fresco, come sapone e limone. Mickey gli respirava sul collo e Ian cercò di metterlo in una posizione comoda ma i versi lievi che emetteva lo distraevano. 

- Scotta, potrebbe sentirsi male – disse Ian cercando di ignorare quanto fossero solidi i muscoli delle sue braccia sotto al tessuto della camicia. Josh lo guardò come se fosse arrabbiato e gli rivolse un sorriso sbilenco.

- Amico, probabilmente è solo sbronzo. Lascialo lì a farsi una dormita –

Ian lo stava ancora tenendo su ma quando si accorse che Josh non smetteva di fissarlo si staccò. – Non so, forse dovrei avvertire Mandy –

- Mandy? È sua sorella, non sua madre. Vieni a divertirti, è noioso senza di te – insistette Josh on un sorrisetto e fece per toccargli il braccio. 

Ian si ritrasse e guardò altrove, avvertendo una certa tensione nell’aria. – Tanto me ne sarei andato presto comunque –

Calò un silenzio imbarazzante, poi Josh se ne andò senza una parola. Merda, cosa gli era saltato in mente? Ora doveva occuparsi del corpo incosciente di Mickey… - Ehi? – cercò di chiamarlo scuotendogli la spalla. Mickey aprì gli occhi per qualche secondo per poi richiuderli. – Vado a dire a Mandy di accompagnarti a casa, okay? –

Anche se fu poco più che un borbottio, udì un “no” ben definito questa volta. Cos’altro poteva fare? 

- Ehm Mickey, devo portarti a casa -. Quando si voltò dall’altra parte Mickey gli afferrò il polso scuotendo pigramente la testa. Ian sospirò e si liberò. – Sì, Mandy sa dove vivi, io no –

- Casa tua – biascicò Mickey e poi fu sul punto di cadere di nuovo. Quanto aveva bevuto? 

Casa sua non era una cattiva idea. Distava solo due isolati e aveva abbastanza forza per portarci Mickey. Quanto poteva essere brutto portare in spalla un tizio addormentato fino a casa sua? Beh, Mickey non era proprio uno sconosciuto… e poi aveva bisogno di un posto in cui riprendersi dalla sbornia, magari anche qualche medicina per il mal di testa. Non capiva perché Mickey non volesse dirlo a Mandy ma non poteva farci molto. Decise che per il momento avrebbe rispettato il suo volere, anche se i voleri di una persona ubriaca di solito erano stupidi. Si portò il braccio di Mickey intorno alle spalle e se lo sollevò sulla schiena, ringraziando che non fosse troppo pesante. Mickey gli strinse mollemente le spalle e abbandonò la testa nell’incavo del suo collo, facendolo arrossire. 

Ci impiegò meno tempo possibile per arrivare a casa, cercando di evitare lo sguardo delle persone che passavano di fianco. Quando arrivò, Fiona era fuori con uno dei suoi ragazzi e Debbie dormiva. Carl naturalmente non c’era di nuovo quando salì al piano di sopra. Le ginocchia gli stavano cedendo dopo aver portato il peso morto di Mickey sulla schiena per tutto quel tempo. Lo posò il più gentilmente possibile sul letto e dopo aver fatto una pausa per riprendere la capacità di camminare andò in cucina. Ritornò in camera con un bicchiere d’acqua e un po’ di antidolorifici che prendeva di solito Fiona per i crampi. 

Mickey si stava muovendo nel letto; prese il cuscino di Ian e lo abbracciò tirandolo a sé e Ian non riuscì a trattenere un sorriso. Lo picchiettò sulla spalla ma Mickey seppellì ancora di più il viso nel cuscino, respirando pesantemente. 

- Ehi Mick, stai bene? -. Non ottenne risposta, quindi Ian posò acqua e medicine accanto al muro e si sedette sul pavimento. Prese i compiti di Analisi e girò la lampada verso il basso così da non disturbare Mickey. Un attimo prima stava per fare sesso e un secondo dopo faceva da infermiere a un rinunciatario mentre faceva i compiti di matematica. Che razza di mondo era? 

Passarono un paio d’ore in cui Ian si abbioccò di tanto in tanto, talmente annoiato da dimenticarsi quasi del ragazzo che dormiva sul suo letto finché non lo sentì girarsi. 

- Ma che cazzo… - borbottò Mickey sottovoce e quando si mise a sedere Ian gli porse istintivamente bicchiere e antidolorifici. Mickey lo guardò con gli occhi assonnati e cercò di rifiutare ma Ian insistette. 

- Prendile – 

- Che cazzo è successo? –

- Hai i postumi, prendile e basta  -. Mickey aveva un’aria scontrosa ma alla fine accettò, ingoiandone due. Quando fu a posto, Ian prese il bicchiere e lo posò. 

- Mi hai drogato per trascinarmi qui e aiutarti a fare altri compiti? – chiese il moro passandosi una mano sul viso. Ian appoggiò il gomito vicino a lui e sorrise. 

- Oh certo, come se non avessi potuto scoparmi il genio del mio corso di Analisi per farmeli fare da lui –

Mickey si stava ancora stropicciando gli occhi e lo guardò come se fosse pazzo. – Ma che… non dirmi queste stronzate –

- Beh, visto che sono un dottore così bravo, già che ci sei potresti guadagnarti la pagnotta aiutandomi -. Ian gli mise in grembo i compiti e Mickey li guardò, senza parole. 

- Non ti ho chiesto di trascinarmi a casa tua a notte fonda per queste cazzate –

- Ah no? -. Ian si raddrizzò un po’ di più e fece un sorrisetto. – Ricordo distintamente di averti sentito dire, oh no, mi correggo, pregare “casa mia” perché non volevi che ti portasse a casa Mandy –

Mickey sembrò ancora più confuso e sfogliò i compiti. – Vuoi dire quando ero brillo? Io non prego niente e nessuno, che sia chiaro –

- Eri ubriaco –

- Sì beh e tu tecnicamente mi hai portato qui senza il mio consenso. Non si può acconsentire a qualcosa quando si beve, stronzo – sorrise sarcastico Mickey.

- Avrei potuto lasciarti lì e basta – ribattè Ian sulla difensiva e Mickey si abbandonò sulle coperte, scrivendo sui suoi compiti con la matita che Ian aveva lanciato sul letto. – E farti palpeggiare da qualche adolescente viscido – concluse Ian, avvicinandosi per vedere cosa stesse scrivendo. 

- Meglio essere paleggiato da te, eh? – rispose Mickey in tono annoiato.

- Non ti ho palpeggiato –

- Peggio per te perché questo è il miglior culo che tu possa mai avere –

Questo lo fece arrossire. – Riesci a fare comunque i compiti con i postumi? – chiese salendo sul letto; tirò un sospiro di sollievo quando vide che Mickey non si spaventò e si mise comodo. 

- L’acqua fa miracoli – sbadigliò Mickey. – E poi io sono un fottuto genio –

Ian sorrise divertito mentre lo guardava scrivere, il cuore cominciò a palpitargli e gli sembrò un sogno quando Mickey cominciò effettivamente ad elencare i suoi errori e spiegargli come correggerli. 

Cazzo, Ian si stava davvero innamorando… 

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Capitolo 5
*** Non Affondare Come I Sassi ***


FROCIO.

Fu la prima cosa che Ian vide mentre andava in classe quella mattina, scritto con la vernice rossa sul suo armadietto. Rimase a fissarlo per qualche secondo, poi tirò fuori i libri e andò in classe. Alcuni studenti si sussurrarono all’orecchio al suo passaggio e fu questa la cosa che lo fece arrabbiare, non il fatto che qualcuno lo avesse dichiarato. Cosa cazzo aveva fatto per ritrovarsi quei graffiti sull’armadietto? Non era proprio un segreto, soprattutto tra la popolazione maschile che sembrava non essere in grado di togliergli gli occhi di dosso, anche se erano etero. La maggior parte dei ragazzi che si scopava erano gay loro stessi, di solito non ancora allo scoperto, o volevano solo una botta e via in cui potevano fingere che non fossero attratti dai maschi, scoparselo, pagarlo e poi passare oltre. Ora c’era un enorme riflettore puntato su di lui e avrebbe dovuto sopportare gli sguardi degli studenti per il resto della giornata.

 

La lezione di francese cominciò bene, a parte qualche risatina, ma a questo era abituato, visto che aveva una testa piena di capelli rossi. Ripassò alcuni vocaboli prima del test e sentì un compagno appoggiare i piedi sulla sua sedia. – Scommetto che preferirebbe qualcos’altro alla francese… - disse a voce non proprio bassa uno dei ragazzi dietro di lui. Ian tenne semplicemente la testa bassa.

La campanella trillò  e fece finta di niente; non poteva credere a ciò che stava succedendo. A quanto pare avrebbe potuto scrivere qualsiasi cosa su un armadietto e la scuola intera ci avrebbe creduto.

Quel giorno Mandy non si trovava da nessuna parte, probabilmente si stava riprendendo dalla festa. A pranzo mangiò da solo e si riposò finché non fu ora di tornare in classe. Parecchie persone parlavano alle sue spalle ma nessuno di loro ebbe il coraggio di dirgli le cose in faccia. Ripensò alla nottata con Mickey; quando si era assopito era ormai tardi, sdraiato di fianco al moro che questa volta non si era spostato e che se n’era andato la mattina dopo quando Ian si era svegliato. Era stato piacevole ascoltare la sua voce calma e il leggero grattare della mina sulla carta. Non si era mai sentito così vicino nemmeno a Mandy, che era la sua migliore amica. Mentre studiavano ogni tanto avevano riso di cose che probabilmente Mandy non avrebbe trovato divertenti ed era bello perché da quando Lip se n’era andato gli sembrava di non avere nessun amico maschio con cui chiacchierare. Avevano mantenuto la conversazione leggera, Ian che aveva cercato di non tirare fuori qualcosa di troppo personale per non suscitare l’ostilità di Mickey, e questo sembrava averlo messo molto più a suo agio rispetto alla sua ultima visita.

Ian rigirò il cibo nel piatto con la forchetta e si schiarì la gola, pronto per andare ad allenarsi. Il ROTC fu un inferno quel pomeriggio. Normalmente, per lui rappresentava una scappatoia ma quel giorno sembrava che tutti facessero del loro meglio per evitarlo. Quando finì l’allenamento non si disturbò ad andare a cambiarsi la divisa, sapendo che qualcuno avrebbe fatto qualche commento sui gay, e prese le sue cose per tornare a casa.

Il cortile cominciò a svuotarsi quando gli studenti se ne andarono ma alcuni rimanevano sempre a gironzolare nei paraggi dopo la fine delle lezioni, quindi Ian fece il possibile per non farsi notare mentre andava alla fermata dell’autobus.

- Ehi – lo chiamò una voce baritona alle sue spalle e si girò. Era il giocatore di hockey che si era scopato un paio di settimane prima per avere in cambio un po’ di soldi da dare a Fiona per la bolletta della luce. Ian agitò la mano ma il ragazzo gli rivolse un sorriso falso che gli fece contorcere le viscere. – Esibisci la divisa degli eroi del nostro Paese mentre ti scopi gli uomini, frocio? –

Ian era abituato a tipi come lui che volevano una scopata veloce e poi fingevano che non fosse mai successo. Non avevano mai avuto il coraggio di rivelare la sessualità di Ian, timorosi di una possibile associazione. Guardò il ragazzo negli occhi, irritato dal fatto che ora anche altre persone li stessero circondando.

- È meglio che lasci perdere l’esercito, non abbiamo bisogno di mandare dei finocchi a combattere. Stai a casa a farti le unghie – continuò ridendo il ragazzo, guadagnandosi l’incoraggiamento di alcuni amici.

Il cappello militare oscurava gli occhi di Ian, che lo stava fulminando con lo sguardo. Avrebbe potuto menzionare di esserci andato a letto ma a quel punto non gli avrebbe creduto nessuno, quindi si girò per andarsene. Gli studenti dietro di lui non lo lasciarono passare, elettrizzati all’idea di una possibile rissa. – Posso andare ora? – chiese Ian, la mano ancorata alla tracolla della borsa, ma nessuno si spostò. Il giocatore di hockey lo tirò indietro e si ritrovarono faccia a faccia. Ian ricordava a malapena come fosse stato fare sesso con quel tizio ma doveva essere uno di quei tipi violenti. Si mordeva il labbro, probabilmente nel tentativo di nascondere un’erezione mentre guardava Ian. Gridò un altro paio di battute e lo spinse indietro mentre Ian si sistemava l’uniforme.

- Hai finito di fare il duro, ragazzone? – gli chiese Ian, ormai al limite. Il sole gli bruciava la testa e cercò di andarsene in fretta. Non poteva permettersi una sospensione. Fu in quel momento che notò Mickey con il suo gruppetto in lontananza vicino all’albero di corniolo che osservava la scena con accennato interesse. Incontrò lo sguardo di Mickey per un secondo; celava qualcosa di più che una semplice noia, qualcosa di indecifrabile, e poi avvertì lo spostamento d’aria provocato dal pugno che il ragazzo cercò di tirargli e che Ian schivò all’ultimo momento. Non esitò a ricambiare, colpendolo di santa ragione sotto all’occhio.

Il ragazzo incespicò all’indietro momentaneamente e si gettò in avanti per afferrare Ian, che invece lo colpì sotto al mento con un gancio, facendolo cadere in ginocchio sul cemento. Il ragazzo gridò di dolore e Ian si massaggiò le nocche, risistemandosi il cappello. – Mettici un po’ di ghiaccio – gli disse quando l’altro si rialzò dalla sua posizione accovacciata. Nessuno disse una parola quindi Ian raccolse lo zaino che gli era caduto e guardò gli altri studenti che si erano messi in mezzo. Questi lo lasciarono passare e lo seguirono con lo sguardo mentre se ne andava fino alla fermata dell’autobus.  

 

 

Ian si svegliò di soprassalto quando udì qualcosa sbattere contro alla sua finestra quella sera. Si mise a sedere e controllò l’ora; erano solo le otto, chissà quanto in fretta si era addormentato dopo essere tornato a casa. Il rumore si ripetè quindi Ian scalciò via le coperte e andò alla finestra. Lì, sotto ad un lampione, c’era Micky con un braccio alzato pronto per lanciare un’altra pietra, ma quando vide Ian la lasciò cadere. Aveva un lieve sorriso sulle labbra e sollevò a mezz’aria un paio di lattine di birra, come un’offerta di pace. Ian si allacciò le scarpe e corse al piano di sotto, chiudendo piano la porta dietro di lui per non disturbare Fiona addormentata sul divano.

- Che ci fai qu, Mick? – gli chiese, incapace di trattenere a sua volta un sorriso. Mickey gli porse una birra e sorseggiò quella già aperta.

- Pensavo che potesse servirti un po’ di tempo lontano da quelle stronzate a scuola – rispose agitando vagamente la mano che teneva la lattina. Ian non capì se intendesse la mezza rissa o i compiti e fece spallucce.

- In realtà stavo dormendo –

Mickey finì la birra e fece per buttare la lattina nel suo cortile ma all’ultimo fece qualche passo in più per gettarla nei rifiuti, rivolgendo ad Ian uno sguardo che sembrava dire “Vedi che brava persona che sono?”

- Seriamente, perché sei qui? –. Ian sorrise quando Mickey inarcò un sopracciglio.

- Ti faccio uscire per un po’. Perché, hai il coprifuoco? –

- No – rise Ian bevendo la propria birra.

- Allora andiamo, soldato. Questa volta ho un po’ di soldi con me, quindi scegli un posto –

Ian lo guardò in silenzio e deglutì per impedire alla sua voce di incrinarsi. – Anche se fosse un bar per gay? –

Cadde di nuovo un silenzio carico di parole non dette tra loro, Ian che voleva sapere se Mickey capiva davvero cosa gli stesse chiedendo e Mickey che non spostò gli occhi dai suoi nemmeno per un secondo. Infilò le mani in tasca e il suo viso si rilassò. – Mi prendi in giro? Scopati i ragazzi quanto vuoi, ma non potremmo fare qualcosa di divertente invece? –

Quando disse queste parole, un sorriso illuminò il volto di Ian e sentì il cuore molto più leggero, e fu in quel momento che Mickey indirizzò un sassolino verso il suo viso. Fu così improvviso che Ian poté solo rimanere immobile, incredulo, finché Mickey non gli fece un sorrisetto e corse via. Quando si fu ripreso, Ian raccolse il sasso e cominciò a inseguirlo, correndo entrambi per la strada, urlandosi scemenze.

Ian qualche modo, Ian seppe che non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte.

 

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Capitolo 6
*** Violenza Sugli Animali ***


Un pomeriggio, Ian trovò Mickey che si rilassava sotto all’albero nel cortile, noncurante del resto del mondo. Ian non si disturbò a salutarlo, vedendolo troppo immerso nella sua lettura per rispondere. Invece, cominciò immediatamente a scrivere e passò un’ora senza che si dicessero neanche una parola. Alla fine fu Mickey a parlare, spaventandolo a morte. 

- Cavolo, amico, se si tratta di formule ti va in pappa il cervello, ma quel tema di inglese è tutta un'altra storia per te –

Ian smise di scrivere e arrossì, chiedendosi quanto fosse riuscito a leggere Mickey da lì sopra. 

- Scrivi spesso? Non sei male – continuò Mickey. Ricevere dei complimenti per la prima volta nella sua vita, fatta eccezione per i suoi professori di inglese, gli provocò una gioia immensa e non riuscì a far altro se non continuare a sorridere e a scrivere. 

Il cielo era nuvoloso e una tiepida brezza soffiava tra le foglie dell’albero. Non c’era nessuno in cortile e Ian si chiese da quanto tempo Mickey avesse rivendicato quel posto come suo. Si metteva lì a leggere anche durante il primo anno? C’erano tante cose che avrebbe voluto chiedere ma aveva troppa paura. 

Mickey tornò a leggere per altri venti minuti e poi saltò giù atterrando senza sforzo accanto ad Ian. Stava per prendere la chitarra ma si fermò quando Ian lo afferrò per il polso e lo tirò in una posizione accovacciata così che fossero uno di fronte all’altro. Forse si sentiva più sicuro di sé dopo quel complimento e forse il sole gli aveva un po’ dato alla testa ma in ogni caso sapeva che si stava avventurando in sentieri pericolosi. Mickey aveva un’aria calma e paziente, come se fosse quasi pronto a suonargliele per averlo toccato così bruscamente ma perlopiù affascinato da ciò che aveva intenzione di fare. 

- Puoi leggere se mi lasci sentirti suonare – raccolse coraggio Ian e i suoi occhi caddero sulla custodia della chitarra. L’espressione di Mickey si tramutò da calma in ostile nel giro di un secondo e si liberò con rabbia dalla sua presa.

- Non montarti troppo la testa – ringhiò e scomparve. 

Ian rimase sotto shock per un momento e poi sentì gli occhi riempirsi di calde lacrime; sapeva che qualsiasi legame si stesse formando tra loro poteva esseri appena rotto. Aveva rovinato tutto con la sua avidità di avvicinarsi a Mickey quando invece avrebbe dovuto andarci leggero. Si rifiutava di piangere; si morse l’interno della guancia per trattenere le lacrime e continuò a scrivere l’ultimo paragrafo del tema. 

Fu in quel momento che una mano fredda gli prese il mento, gli sollevò il viso e i suoi occhi si ritrovarono incatenati a quelli di Mickey, selvaggi e feroci, ma che quando si posarono sul viso di Ian sembrarono acquietarsi. Fu come guardare un lupo diventare in un attimo estremamente docile e Ian batté le palpebre, sentendo una lacrima scivolargli sul viso. 

- Non suono per nessuno, Ian – mormorò Mickey in un respiro e se ne andò di nuovo, lasciando andare il suo viso umido. 

A rigor di logica, Mickey stava esagerando, ma Ian sapeva che c’era un motivo dietro a quella rabbia. C’era della paura, qualcosa che voleva capire della sua natura difensiva, ma ora aveva oltrepassato il limite. Si asciugò la scia bagnata lasciata dalla lacrima, frustrato per il proprio comportamento, finché non udì Mickey, il suono pizzicato della chitarra provenire dall’altro lato dell’albero. – Sarà meglio che tu abbia scritto un capolavoro – lo sentì borbottare e Ian raggelò quando Mickey cominciò a suonare. La sua musica era calda, carica, sciolta e libera. Era delicata, estrosa, e cullò Ian in uno stato sognante. Ian appoggiò la testa contro al tronco, chiuse gli occhi e potè quasi sentire il calore del corpo di Mickey dall’altra parte. 

Non sapeva per quanto tempo fosse rimasto ad ascoltare ma sapeva che fosse la musica più bella e più triste che avesse mai sentito. 

 

 

 

 

- Perché non posso mai venire, Mandy? –. Quando Ian fece questa domanda, Mandy lo guardò come se si fosse fatto di crack. Erano in mezzo al corridoio e gli studenti che passavano di fianco a loro li guardarono storto.

- Di cosa parli? –

- Di casa tua. Inviti sempre i tuoi scopamici ma io non ci sono mai stato. È perché sono del South Side? –

Lei sospirò e gli prese la mano, ignorando il via vai del corridoio. – Ian, sai che non mi importa di questo –

- E a tuo padre? A lui sì? – chiese Ian stringendo le labbra in una fessura sottile. Lei lasciò la sua mano e alzò gli occhi al cielo. 

- Per favore, lascia perdere. Non puoi venire e basta –

Ian si allontanò da lei, ferito dal fatto che Mandy non volesse nemmeno spiegargli il motivo. Era la sua migliore amica, eppure ammetteva che altre persone potevano andare a casa sua senza problemi. – Perché voi Milkovich credete di essere così inarrivabili? –

Mandy lo guardò confusa e fece per rispondere ma Ian se ne andò senza guardarsi indietro. 

 

 

 

 

Ian teneva le braccia incrociate; si sentiva totalmente fuori luogo in quel quartiere. Le macchine eran piuttosto belle e al posto di senzatetto e ragazzini drogati c’erano persone anziane che portavano il cane a passeggi, senza preoccuparsi di essere in giro di notte siccome il tasso di criminalità doveva essere piuttosto basso in quel posto. 

La recinzione della residenza dei Milkovich era spessa, alta e circondava l’intera proprietà. Beh, scappare dalla polizia da quando aveva imparato a camminare era un vantaggio dell’essere del South Side. Si tirò una pacca sulla spalla dopo aver scavalcato con successo il muro ed essere atterrato dall’altra parte. Il buio della notte lo copriva, ma rimase sorpreso quando scoprì che non c’era nessun allarme, guardia del corpo o cane rabbioso ad accoglierlo. Dovette solo salire su una collinetta coperta di alberi ed ecco la casa. Era meravigliosa, ancora più grande di quanto sospettasse e c’erano delle luci nei cespugli e lungo il sentiero di pietra, illuminandolo come se fosse un’esposizione divina. 

Sapeva di non poter semplicemente bussare alla porta ed entrare quindi cercò un altro possibile ingresso, sorvegliando quella terra sacra con lo sguardo. 

C’erano davvero tante luci accese, probabilmente non dovevano preoccuparsi delle bollette, pensò Ian con invidia. Si avvicinò all’imponente edificio e decise che a quel punto sarebbe stato meglio mandare un messaggio a Mandy. Una volta fatto, si sentì quasi uno stalker e si chiese come avrebbe reagito. Non era particolarmente geloso del fatto che invitasse altre persone a casa sua ma doveva scoprire cos’avesse da nascondere perché era stufo di essere tenuto all’oscuro. Tre anni dovevano pur valere qualcosa. 

La risposta di Mandy arrivò in fretta e fu proprio sconvolta come si aspettava Ian. Gli disse di attenderla vicino alla fontana. Fontana? Guardò a destra e a sinistra ma non riuscì a trovarla. Decise di provare sul retro ed eccola lì, enorme e illuminata. Ian non voleva neanche più immaginare le loro bollette. Si sedette sul bordo di avorio levigato  e guardò meravigliato il leone con le ali scolpito che sputava acqua. 

Dopo un paio di minuti udì qualcuno urlare e l’ampia porta di legno davanti a lui si spalancò. Cadde quasi nella fontana per lo spavento, non sapendo se qualcuno potesse vederlo o no, ma si rilassò quando vide Mickey e Mandy spingersi sulla scalinata di marmo. 

- È venuto qui per me, Mick! Non stavi per uscire? Levati dalle palle! –

- Ah davvero? E allora perché cazzo si stava nascondendo in giardino? Le tue puttanelle non entrano dalla finestra di solito? –

Lei cercò di tirargli un pugno ma lui la schivò e Ian diede un forte colpo di tosse. Si voltarono e Mandy corse giù per gli ultimi gradini per abbracciare Ian, che ora era rimasto interdetto. – Non sono la sua puttanella – decise infine di dire, muovendosi nell’abbraccio. Mickey si appoggiò al muro e incrociò le braccia. 

- Ah no? C’è un posto libero se sei interessato – replicò e Ian sorrise anche se lui non lo stava facendo. 

- Stai zitto, Mickey. Ian, cosa cazzo ti avevo detto? –

- Credevo che fosse qui per vederti, sorellina –

- Fottiti, Mickey! – sbottò Mandy e si staccò da Ian. 

- Scusa Mandy, ero curioso – ammise e abbassò gli occhi. 

- Senti Ian, non voglio che tu venga qui perché se mio padre ti becca ti farà del male –

- Che cosa stai dicendo? – chiese Ian alzando la testa. Riuscì a vedere la paura negli occhi di Mandy, la stessa paura che a volte velava gli occhi di Mickey. Guardandoli, ora vedeva la somiglianza. 

- Sì, invito quei ragazzi a casa, ma è diverso. Non mi importa così tanto di loro, Ian. Se succedesse qualcosa a te io… - si bloccò e scosse la testa, asciugandosi le lacrime. - …se ti facesse del male potrei davvero ucciderlo-

Ian non seppe come rispondere a questo ma ci pensò Mickey per lui.

- Fallo allora, cazzo. Facciamolo stasera e basta. Conosco un tizio che ci può procurare dell’acido, così possiamo disintegrare quello stronzo – disse Mickey prendendo una sigaretta dai pantaloni e accendendosela. – Poi possiamo bruciare la casa e sparire, facciamolo ora – mormorò contro alla sigaretta tra le labbra. Ian sapeva che non stava scherzando e questo lo terrorizzò. 

- Sei serio? E dove cazzo andremo? Torna dentro, vai dai tuoi amici o vai per strada, non mi interessa. Ma vattene via, sto parlando con Ian – ribattè Mandy. 

In quel momento udirono una voce profonda gridare dentro casa e Mickey la guardò. – Cazzo! – lo guardò arrabbiata Mandy e cominciò a far indietreggiare Ian spingendolo verso gli alberi. 

- Ehi, ma che cazzo fai? Perché non posso restare? – chiese lui cercando di togliersela di dosso; Mickey fece cadere un po’ di cenere sui gradini. 

- Mio papà pensa che io sia una puttana e ucciderebbe ogni ragazzo che porto a casa – spiegò Mandy con una tale semplicità che Ian si girò e se la tolse di dosso. 

- Okay, e quindi? Non avresti potuto dirmelo tre anni fa? Non è un problema entrare di nascosto –

- Ian, non è uno scherzo. Non intendo “ti ucciderà” come qualsiasi altro padre farebbe per la figlia. Lui ti punterà sicuramente una pistola alla gola e premerà il grilletto. E non finirebbe nemmeno in prigione, ha troppe amicizie nella polizia – 

- Non mi interessa – sospirò Ian afferrandola per le spalle. – Ho avuto a che fare con cose peggiori, credo. Tuo papà può cercare di controllare te se vuole, ma non potrà impedire a me di vedere la mia migliore amica –

- No Ian, basta – replicò Mandy; più le urla si avvicinavano più sembrava spaventata. Anche Mickey si stava innervosendo. Scese dalle scale. 

- Va’ dentro – le ordinò, dividendoli. – Indico io ad Ian la strada per uscire –. 

Mandy e Ian si scambiarono uno sguardo e Mandy tornò in casa. Mickey si inoltrò in mezzo agli alberi e disse: - Andiamo – con un tono talmente serio che Ian lo seguì subito. Non molti minuti dopo udirono altre urla. 

- Stanno solo litigando, non preoccuparti – borbottò Mickey quando vide Ian girarsi, pronto a tornare indietro di corsa. – Non la picchia spesso, quindi non si farà niente –

Ian rimase in silenzio ma a metà strada sulla collina non riuscì più a trattenersi. – “Non la picchia spesso”, eh? Quindi è così? Avete un padre violento e quindi è per questo che non vi fidate di nessuno? –

Mickey lasciò cadere la sigaretta e la schiacciò sotto alla scarpa, guardandolo storto. – Vaffanculo –

- Tu vuoi uccidere tuo padre e lui vuole uccidere te, e voi non fate niente? Che ne so, andare dalla polizia, dirlo a qualcuno –

- Hai sentito mia sorella, conosce i poliziotti, quindi chiudi la bocca –

- No – ribattè Ian. Era agitato, le scarpe che pestavano rabbiose il fogliame caduto. Stava esercitando tutto il proprio autocontrollo per non correre verso la casa. 

- Vattene – ordinò Mickey minaccioso e si avvicinò a Ian, che stava cominciando ad ansimare. – Vattene e basta. Tutto questo non ha niente a che fare con te –

Ian piantò i piedi a terra e strinse i pugni, le unghie che scavavano così profondamente nel palmo della mano da penetrare quasi nella pelle, ma non gli faceva male, non come tutto il resto. – Non è giusto, Mickey. Cos’altro fa, eh? C’è sicuramente qualcosa perché ogni volta che mi guardi vedo un animale che cerca di sopravvivere. Sei sempre pronto ad attaccare e a difenderti. Che c’è, è l’unica vita che conosci per colpa di tuo padre? È per questo che la prima volta che sei venuto a casa mia stavi per saltare fuori dalla finestra? È perché devi essere pronto a scappare quando le cose si mettono male a casa? Cosa cazzo succede là dentro, eh? –

Ian non si era nemmeno reso conto di piangere finché non fu troppo tardi, prevedendo che cosa sarebbe successo. Mickey lo avrebbe picchiato per aver parlato troppo e aver cercato di mettersi in mezzo. Questa volta sarebbe tornato a casa sanguinante ma non gliene importava più. Si sentiva come isterico e respirava profondamente per cercare di riprendere un po’ di fiato. 

- Ti sposti quando qualcuno  si siede troppo vicino e hai paura di fidarti troppo. È per questo che leggi e suoni? Così puoi sopportare di restare da solo perché non pensi di meritar… -. La sua schiena sbattè sul terreno duro e Ian si ritrovò improvvisamente ricoperto di foglie secche. Provò un dolore lancinante a sentire il respiro mozzarsi in quel modo e quando smise di vedere le stelle, Mickey era chino su di lui con una mano intorno al suo colletto. Gli alberi sembravano aprirsi nel cielo scuro dietro di lui. Sembrava completamente vulnerabile. 

- Smettila – sussurrò Mickey. – Smettila di fare questo –

Ian non era sicuro di ciò a cui si riferiva ma non ebbe il tempo di pensarci perché Mickey si abbassò di pochi centimetri e premette le labbra sulle sue. Non era uno di quei baci che ti mandano in orbita o esplodere il cuore, era lento e triste, quasi come se Mickey gli stesse dicendo addio, e anche se fermò un poco le sue lacrime si sentì spezzare ancora di più. E poi Mickey sparì lasciandogli una sensazione di freddo sulla pelle e il suono delle foglie schiacciate svanì lentamente nella notte. 

Ian non si mosse per un bel po’. 

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Capitolo 7
*** Non Dormo Nei Cassonetti ***


Ian voleva evitare Mandy, visto che si vergognava per essersi immischiato nei suoi affari, ma fu proprio lei a cercarlo e quando finalmente lo trovò, fu sorpreso di scoprire che non si era arrabbiata neanche un po’. La prima cosa che fece fu abbracciarlo e dirgli che era tutto okay; Ian sapeva che era una cazzata, perché nulla di ciò che aveva detto la sera prima era okay, ma si morse la lingua. Sapeva che stava solo cercando di proteggerlo; gli spiegò che c’erano stati alcuni incidenti in passato con altri ragazzi ed erano finiti in ospedale oppure avevano dovuto lasciare lo Stato. Ian era così infuriato che potè solo annuire in silenzio. Era il padre di Mandy, non il suo. Era lei a voler lasciar perdere, non lui, ma avrebbe voluto urlare al mondo quanto odiasse tutto questo, che l’avrebbe portata via da lì o che si sentiva patetico perché anche essendo al corrente di questa situazione non poteva fare niente.

Mandy smise di uscire con i ragazzi per un po’ e trascorse più tempo con Ian, a casa sua, al cinema, qualcosa per distrarsi da ciò che era successo per almeno un po’ di tempo. Si sentiva uno stupido per non aver mai chiesto e non essersi interessato prima d’ora, era questo a fargli più male. Le voci che a scuola dicevano che i due fratelli Milkovich erano solo dei coglioni viziati che si comportavano da duri perché paparino li tirava fuori dai guai, quando la realtà era ben peggiore, lo faceva sentire male al pensiero di non essersene accorto prima, che Mandy si nascondesse dietro all’eyeliner scuro, che andasse con ragazzi che non volevano niente di più da lei perché probabilmente la sua autostima era talmente bassa per gli abusi verbali e le botte subiti da credere di non meritarsi amore.

E poi c’era Mickey.

Ian abbassò la testa e inalò profondamente. Mickey non era venuto a scuola per tre giorni dopo la sua piccola visita. Ciò che lo tormentava di più era stata la sua espressione poco prima che lo baciasse; la dura maschera che Ian era abituato a vedere era crollata dal suo viso.

E un’altra cosa che Ian non riusciva a capire: Mickey lo aveva baciato. Erano presi dal momento, Ian l’aveva capito, e sapeva di non doversela prendere a cuore e vederci più di quanto ci fosse, ma significava comunque qualcosa. Magari non voleva dire che Mickey provasse qualcosa per Ian, no, niente del genere, ma era comunque importante e non poteva dimenticare l’emozione che Mickey gli aveva lasciato dopo che era finito tutto.

Fu scosso da un lieve tremore al pensiero, seduto per terra vicino al letto, e lanciò il raccoglitore dall’altra parte della stanza con un respiro pesante. Prima di rendersi conto di cosa stesse facendo, ne lanciò un altro, poi rovesciò lo zaino con tutte le sue cose e lanciò anch’esse contro al muro. Quando gli oggetti da lanciare finirono, rimase seduto immobile fissando il disastro causato dalla sua furia mentre cercava di riprendere fiato.

La porta si spalancò e comparve Fiona in divisa da cameriera; guardò il pavimento e poi Ian. – Ian, cos’è successo? – chiese preoccupata.

- Non è giusto – borbottò Ian. – Tu mi chiedi se sto bene quando distruggo la camera e loro non possono nemmeno… -. Si bloccò e nascose la testa tra le braccia. Fiona rimase in silenzio e si inginocchiò per accarezzargli dolcemente la spalla.

- Ian, cosa succede? –

- Niente Fi, scusami. Mi sono solo innervosito, sto bene – disse e disincrociò le braccia. Ma non si sentiva affatto meglio. Fiona sembrò sul punto di chiedergli qualcosa per poi ripensarci all’ultimo; sapeva che se Ian non gliene parlava ancora, non l’avrebbe fatto per un po’.

- Sto andando al lavoro, potresti fare un po’ di spesa? – gli chiese invece; sembrava spossata. Ian cominciò a raccogliere matite ed evidenziatore e annuì con scarso entusiasmo. Probabilmente era il momento peggiore per chiederglielo. Il suo turno sarebbe cominciato presto anche se mancava poco a mezzanotte, quindi lui non aveva scelta. – Mi dispiace ma io non ho soldi, Ian. Tu hai qualcosa? –

- Sì, ne ho qualcuno – mentì; ormai gli veniva così naturale. Fiona sorrise e dopo aver dato un’ultima occhiata alla stanza uscì richiudendosi la porta alle spalle.

Odiava doverle mentire ma sapeva che non sarebbe stata d’accordo a sapere che vendeva il suo corpo in cambio di soldi e non voleva nemmeno che lo scoprisse. Da un bel po’ di tempo ormai le raccontava ogni genere di storia su come si procurasse i soldi e fortunatamente era diventato bravo: aiutare i ragazzi a scuola, pulire il giardino di qualche signora anziana, sistemare i giornali in biblioteca; che ironia.

Dopo la storia dell’armadietto, gli “affari” andavano male, molti ragazzi avevano paura di farsi vedere con lui ed essere definiti gay per associazione, anche se era la verità. Non poteva biasimarli completamente. Non tutti volevano dichiararsi, soprattutto al liceo, avevano troppa paura di essere bullizzati o rifiutati dalla società.

Prese una giacca e lasciò perdere la stanza, per ora. La passeggiata fino al negozio fu quasi confortante, se non che aveva un lieve mal di testa per la sua esplosione di rabbia di poco prima e aveva la nausea al pensiero di cosa avrebbe dovuto fare per la spesa.

Ecco Kash dietro al registratore, che sorrise immediatamente quando vide Ian. Ad essere sinceri, inizialmente non era così male con Kash. Ian non riteneva l’età un problema ma dopo un po’ aveva cominciato a sentirsi sbagliato. Non solo Kash era sposato, ma aveva anche dei figli e Ian odiava far questo a loro. Ma non aveva soldi e andò dritto al bancone con un sorriso educato, chiedendo segretamente perdono a qualche divinità.

- Come va, Kash? –

- Ian? Per poco non ti riconoscevo – sorrise a sua volta Kash più amichevole che mai. Mentre gli faceva una radiografia, e nemmeno così discreta, disse: - Cosa posso fare per te? –

- Devo comprare qualcosa da mangiare e sono al verde – rispose facendo spallucce, andando dritto al punto. Mostrò a Kash le tasche vuote. – Vuoi aiutarmi? –

- Okay – annuì Kash è guardò intorno al negozio per assicurarsi che fosse vuoto. Siccome non c’era anima viva fece il giro del bancone. – Quanto ti serve? –

- Ehm, solo un po’ di cose per questa settimana –

- Potrei aver bisogno anche io di un paio di cosette per questa settimana – replicò Kash leccandosi il labbro e Ian rabbrividì interiormente. – Ti sta bene? – aggiunse, come se fosse rilevante.

- Sì, certo – rise Ian e cominciò a percorrere i corridoi tra gli scaffali per prendere ciò che gli serviva. Merda, avrebbe dovuto scoparsi Kash per tutta la settimana solo per poter mangiare. La vita era incredibilmente crudele.

Riempì il cestino fino all’orlo e lo posò sul bancone; voleva solo finirla in fretta. Kash sembrava più che pronto e fece per andare a chiudere a chiave la porta per avere un po’ di privacy. Quando stava per inserire la chiave, la porta si spalancò ed entrò Mickey che guardò Ian dritto negli occhi quando spinse Kash contro all’angolo del bancone.

- Vieni, Ian – tuonò prendendolo per la manica della giacca. Ian si dimenticò di Kash e della spesa; riusciva solo a sentire la pressione sul suo braccio mentre Mickey lo trascinava verso l’uscita.

- Ian? – lo richiamò Kash, preoccupato. Ian sussultò ricordandosi improvvisamente della spesa e si liberò bruscamente dalla presa di Mickey. – Chi è questo? – chiese Kash e Mickey si girò di scatto per guardarlo, preparandosi a suonargliele, ma Ian si mise in mezzo.

- Smettila, Mickey. Vattene e basta, okay? –

- Credi che non sappia cosa cazzo fate qui? Sei un fottuto libro aperto – sputò Mickey e Ian abbassò gli occhi.

- Ti ho detto di andartene, okay? Per favore, vai e basta, Mickey –

- Non vado da nessuna parte perché nel momento esatto in cui lo farò ti scoperai questo sacco di merda –

- E quindi? Non sono affari tuoi – ribattè Ian un po’ più duramente.

Mickey si passò il pollice sul labbro e si guardò intorno, sorridendo con gli occhi spalancati. – Cazzo, mi prendi in giro? TU vuoi dire a ME di stare fuori dagli affari tuoi? Seriamente? –

- Questo non è un giro alle giostre, si tratta di sopravvivenza – spiegò Ian debolmente e Mickey lo afferrò di nuovo tirandolo in avanti. Guardò Kash è si posizionò davanti a Ian con fare quasi protettivo.

- Se lo tocchi ancora, questo negozio diventerà un bagno di sangue -. Mickey gli strappò di mano il cestino e Kash non si oppose quando trascinò Ian fuori sul marciapiede.

- Non puoi fare così! – urlò Ian liberandosi dalla sua presa salda per la seconda volta. Mickey lo guardò, buttò a terra il cestino e infilò le mani in tasca.

- Ti scopi la gente per soldi e cibo e dici a me che non dovrei rubare da un negozio? –

- No, intendo che non puoi presentarti così e… - si interruppe ma Mickey intercettò le sue parole.

- E cosa? Salvarti il culo? Volevi davvero andare con quello schifoso? Se è così allora non te lo impedirò, fai pure –

- È la via più facile per adesso – rispose Ian e si sentì patetico, come se Mickey lo stesse giudicando con il suo sguardo duro.

- Per cosa, per fare soldi? Vai a spacciare come fanno tutti gli adolescenti –

Che Mickey scherzassi pure in quella situazione. Normalmente Ian lo avrebbe trovato divertente ma era troppo arrabbiato e scosse la testa. – Non sai cosa si prova, Mickey –

Mickey rise a quelle parole, una risata vuota che gli provocò brividi che avvertì fin dentro le ossa. – Sono stato in mezzo alla strada in pieno inverno, senza coperte, senza giacca. Solo io, la strada e una bottiglia a farmi compagnia. Non parlarmi della tua vita difficile quando puoi tornare a casa nel tuo letto ogni sera –

Quando Ian non disse niente, Mickey tirò fuori una mazzetta di soldi dalla tasca. – Non lo faccio per pietà, non è niente di che, d’accordo? Sono per il cibo, così non devi scoparti ogni quarantenne segretamente gay dell’isolato -. Lanciò i soldi ad Ian, che li prese d’istinto e si mise a sfogliare lentamente le banconote. Erano parecchie centinaia, abbastanza da procurarsi cibo per un anno senza dover razionare.

- Quindi non prendi soldi da tuo padre per stare in un hotel ma li prendi per me? –

- Non glieli ho rubati. Sono miei -. Si fermò e poi continuò. – Okay, se vogliamo dirla tutta non è proprio così ma quel pezzo di merda non sa la differenza e non è lo stesso se li do a qualcuno. Non mi sento come se gli dovessi qualcosa se non li uso –

Ian li ritirò in tasca. Sapeva che per Mickey ciò che aveva fatto era una cosa importante e non voleva discuterne. – Grazie, Mick. Non hai idea di quanto ci saranno utili. Dovresti rubare di più da quello stronzo, ti meriti ogni centesimo, così non dovresti dormire nei cassonetti dell’immondizia –

- Sì, beh… -. Sembrava fare fatica a trovare le parole e si girò dall’altra parte. Ian avrebbe potuto chiedergli che cosa stesse facendo lì, a girovagare ad un paio di isolati da casa sua; avrebbe potuto parlargli di qualche sera prima, magari anche del bacio, ma non lo fece e sorrise semplicemente con riconoscenza, per poi andarsene lasciandolo ai suoi pensieri. Non era neanche a metà strada quando sentì Mickey urlargli dietro.

- Non dormo nei fottuti cassonetti! –

E poi udì che lo raggiungeva, con un’espressione quasi timida, i passi sempre più incerti mano a mano che si avvicinava. Ian non nascose un sorriso sornione quando Mickey cercò di camminare al suo ritmo invece di mantenere distanza tra loro. Rimasero in un tranquillo silenzio fin sulla scalinata del portico di Ian, mentre attraversavano la cucina e oltre la porta chiusa della sua stanza, e non parlarono, sussurrando invece, finché Ian non entrò nel suo letto e Mickey invece si sdraiò pigramente sul tappeto.

Ian si addormentò e Mickey rimase sveglio fino all’alba, quando sgattaiolò fuori silenziosamente e inosservato com’era arrivato.

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Capitolo 8
*** Barche A Vela E Comete ***


Luci stroboscopiche viola e bianche coprivano il soffitto del fienile e si riflettevano sui volti dei ragazzi che ballavano sotto di esse. Sulle soglie delle porte erano stati appesi pipistrelli di plastica e teschi dondolanti e streghe, vampiri e zombie vi passavano sotto per entrare, facendo un gran chiasso in preda all’euforia della festa.

Quella sera Ian aveva accettato di accompagnare Mandy, che indossava un abito luccicante nero e viola che la fasciava in tutti i punti giusti. Tenne Ian a braccetto e non appena entrarono gli indicò subito il punch e gli stuzzichini.

- Hai sete? – le chiese Ian. Quella festa gli piaceva già di più di quella precedente. La musica non era assordante e c’era abbastanza spazio per riuscire a camminare.

- Dovresti già sapere la risposta a questa domanda – ammiccò Mandy e risero come bambini al loro doppio senso.

Ian non aveva mai avuto il lusso di festeggiare Halloween dal momento che nel suo quartiere non ci si poteva permettere di comprare abbastanza caramelle da dare ai bambini e si riusciva a comprarne solo per i propri. Rovistarono nelle ciotole di caramelle, che a quanto par contenevano alcool, o almeno così era stato detto loro discretamente all’entrata. La musica aumentò e Mandy cominciò ad andare su di giri mentre raccoglieva un po’ di punch con un bicchiere.

- Dov’è il ragazzo con cui eri prima? – chiese Ian bevendo il proprio punch. Mandy accartocciò lievemente il bicchiere quando rispose.

- Era una noia mortale. Voglio passare a qualcuno di meglio –

Due ragazzi si avvicinarono e uno piantò lo sguardo su Mandy. Era carino ma Ian stava guardando il moro al suo fianco. – Ehi – disse il biondo a Mandy con un sorriso. Lei arrossì e dopo aver bevuto un po’ di punch rispose.

- Ciao, qualcosa di meglio -. Lui sembrò confuso ma cominciarono a chiacchierare, lasciando quindi Ian con l’altro ragazzo, il quale non sembrava convinto di dove si trovasse. Immaginava che fosse etero quindi non si disturbò nemmeno a provarci, ma decise che un po’ di conversazione non avrebbe fatto male.

- Ehi, non vedi l’ora di andare in pista? Sei tutto agitato –

Il ragazzo sussultò, per l’appunto, e sorrise. – A dire il vero sì, volevo andare a ballare. Posso farti vedere che so fare se ti va –

- Okay, vediamo – rispose amichevolmente Ian facendo un passo indietro, ma il ragazzo indicò invece con il pollice le folla che ballava. Ian arrossì e si guardò intorno, chiedendosi se gli stesse suggerendo proprio ciò che pensava.

- Che c’è? Non vuoi ballare con me o non ti va proprio in generale? – rise il moro e Ian piegò la testa per sorseggiare il proprio drink. Il ragazzo era attraente e ci stava provando con lui. Non aveva esattamente esperienza in questo tipo di situazione. Di solito faceva sempre tutto a porte chiuse.

Posò il bicchiere e andò insieme a lui in pista, la quale era copperta di fieno; era un po’ nervoso perché non era abituato a stare con qualcuno che non si preoccupava di flirtare con un ragazzo in pubblico. Magari era o solo un’offerta amichevole e basta ma il ragazzo aveva un sorriso malizioso che lasciava capire che ci fosse qualcosa di più.

All’inizio ballarono tranquillamente nei rispettivi spazi e Ian finì con il rilassarsi quando  si rese conto che nessuno li stava davvero guardando. Non è che gli dispiacesse avere attenzioni ma non era sicuro che l’altro ragazzo fosse d’accordo invece. Ma poi, ancora una volta, il modo in cui stava ballando stava attirando gli sguardi di un gruppetto di ragazze nelle vicinanze e Ian cominciò ad ondeggiare un po’ di più, impressionato anche dalle movenze dell’altro ragazzo.

La canzone cambiò è quest’ultimo smise di ballare per avvicinarsi di più a Ian, chiedendo il permesso con gli occhi. Ian si guardò nervosamente intorno; non era un ballerino provetto ma l’adrenalina data da ritmo della musica cominciò a pompargli nelle vene e il suo corpo si mosse da solo. Ora era elettrizzante avere così tante persone intorno e Ian si rese conto che quando si caricava in quel modo riusciva a ballare davvero. Ballare con quel moretto era la cosa più divertente che faceva dopo mesi.

Quell’esplosione di energia si chetò quando passarono ad un’altra canzone ma loro due erano ancora in preda all’euforia mentre si facevano strada tra la folla per andare a bere ancora. Ian vide Mandy e il ragazzo biondo chiacchierare appoggiati al muro e lei sembrava davvero presa dal suo discorso. Buon per lei, pensò Ian; era fantastico vederla avere una conversazione decente con un ragazzo piuttosto che la solita botta e via.

- Io ti ho detto che sapevo ballare – gli disse il moro con un sorrisetto, porgendo a Ian il suo punch. – ma non sapevo che fossi capace anche tu –

Ian sorrise timidamente e tracannò il drink con un bel sorso; tutti cominciarono a pompare il pugno in aria quando il ritmo della musica salì di nuovo e la pista si riempì ancora di più.

- Secondo round? – chiese il ragazzo.

- Sì, okay – rispose Ian e ritornarono in pista.

 
 

La serata passò in un batter d’occhio e alla fine Ian era stanco per il gran ballare. Lasciò la pista a fatica e trovò un posto libero contro al muro per riposarsi un momento. Il moro si divertiva anche senza di lui quindi Ian non si sentì come se l’avesse lasciato lì in sospeso. Il cuore gli batteva a mille; era piacevole fare qualcosa come quello ogni tanto. L’alcool era entrato abbastanza bene in circolo e lo aveva reso perlopiù brillo e di buon umore, perché rise un po’ troppo forte quando gli passò davanti una ragazza vestita da infermiera sexy, ma lei non ci fece caso quindi si piantò una mano davanti alla bocca per soffocare le risate.

Girovagò per la stanza, sentendosi in qualche modo perso, e si imbattè negli stupidi amici di Mickey, quelli che lo avevano chiamato “pel di carota” quel giorno, sotto all’albero. Era stranamente felice di vederli, più che altro per via dell’alcool, ma anche perché quindi significava che c’era qualcuno che conosceva.

- Ehi ragazzi! – li salutò agitando la mano; loro lo guardarono estremamente confusi quando lo videro.

- Che cazzo vuoi? –

Ian scalciò il fieno sotto ai suoi piedi è fece spallucce come un bambino. – Ho solo salutato –

- Yo, è il rosso che era con Mickey, me lo ricordo – disse uno di loro e Ian soffocò una risata. Il ragazzo fu improvvisamente davanti a lui, fissandolo dall’alto al basso. – Cosa cazzo c’è di così divertente? –

- Siete troppo vecchi per essere qui – rise Ian e quello con la barba lo prese per il colletto andandogli muso a muso.

- Cosa hai appena detto? –

L’uomo sparì dalla sua vista e Ian sorrise stordito senza capire cosa stesse succedendo. L’unica cosa che sapeva era che Mickey ora era lì; spinse via l’uomo e i due si scambiarono qualche epiteto offensivo ma poi finì con Mickey che trascinò Ian in mezzo alla fiumana di persone e lo portò fuori. Quando uscirono Ian aveva ancora un sorriso gioioso sulle labbra, anche quando Mickey si girò e lo guardò con un’espressione cupa. Dire che non sembrava proprio contento era un eufemismo.

- È una festa – sbuffò Ian improvvisamente sulla difensiva. Mickey non aveva il diritto di giudicarlo. – Io ti ho trasportato per due isolati quando eri ubriaco – protestò e poi scoppio a ridere. Era molto più ubriaco di quanto pensasse. Mickey sembrava ancora furioso ma quando parlò aveva un tono premuroso.

- Ti porto a casa – concluse e Ian aggrottò la fronte e scosse la testa indietreggiando.

- Mi sto divertendo, Mick –

- La festa è finita, ti porto a casa –

- No, stavo ballando e mi stavo divertendo, non capisco perché fai così – borbottò Ian in tono infantile. Mickey si passò una mano sul viso; sembrava frustrato e improvvisamente afferrò la mano di Ian.

- Hai bevuto troppo, Ian. Andiamo a dormire –

- Anche tu bevi! – ribattè Ian alzando di più la voce. – Anche tu ti ubriachi! Posso farlo anche io! –

- No, non è la stessa cosa. Tu ti farai trascinare via da qualche viscido –

Ian si liberò bruscamente dalla sua presa e sentì le lacrime bruciargli gli occhi. Perché doveva sempre piangere davanti a Mickey? – Tu non sai niente! Non puoi respingermi tutto il tempo e poi fare finta che te ne freghi qualcosa! -. Corse dentro prima che Mickey potesse reagire; era tutto sfuocato intorno a lui, le persone, la voce di Mandy e poi il ragazzo con cui stava ballando poco prima che gli parlava.

Non aveva bisogno che Mickey si preoccupasse per lui, non quando non gli era concesso di fare lo stesso.

 

Quando Ian si svegliò era a torso nudo. All’inizio non ricordò niente ma tutto ritornò lentamente quando vide una testa di capelli castani spuntare da sotto le lenzuola di fianco a lui. Oh, merda.

Era in una stanza che non conosceva e questo gli provocò un po’ di nausea. Si mise a sedere e controllò di avere i pantaloni – almeno aveva i boxer-, poi si alzò dal letto facendo attenzione. Con tutti i ragazzi con cui era stato non era mai rimasto durante la notte e soprattutto non in un letto che sembrava quello di un hotel a cinque stelle.

Trovò i pantaloni buttati su una sedia in un angolo e li infilò, poi si massaggiò le tempie che pulsavano. Cavolo, era stata davvero una stupida idea ubriacarsi in quel modo; aveva finito con lo scoparsi uno sconosciuto.

- Ehi – sbadigliò il ragazzo nel letto; gli mostrò i pollici in su, emise un lamento e tornò sotto alle coperte. Ian non sapeva come comportarsi ora. Doveva svegliarlo e salutarlo prima di andarsene? Doveva andarsene e basta? Non sapeva nemmeno dove fosse, quindi lo scosse per svegliarlo.

- Ehi, dove diavolo mi trovo? –

- A casa mia - borbottò il ragazzo con la voce roca e si girò dall’altra parte.

- Okay e dove si trova esattamente casa tua? –

Il ragazzo non rispose e tornò a dormire russando. Ian sospirò e infilò le scarpe e la camicia che spuntava da sotto il letto. Si aggirò silenziosamente per la casa, incerto su cosa aspettarsi. Sembrava che non ci fosse nessuno nei paraggi quindi uscì dalla porta principale indenne.

Ispezionò la strada cercando di riconoscere qualcosa di famigliare e trovò un cartello. Okay, bene, almeno sapeva dove si trovava; era solo ad una fermata da casa sua. Il viaggio in metro gli diede il tempo di pensare a ciò che era successo. Si era divertito un mondo la notte prima a ballare e a bere. Il problema era che, sebbene si stesse ricordando la maggior parte del post-coito, non riusciva a ricordare se gli fosse almeno piaciuto. Era almeno attratto da quel ragazzo? Appoggiò la testa contro al finestrino e sospirò. Era divertente, prima d’ora non si era mai chiesto se gli piacessero i ragazzi con cui andava a letto.

Fu in quel momento che si ricordò di aver urlato addosso a Mickey. Mickey stava cercando di portarlo a casa per il suo bene e Ian non ci aveva più visto. Che stronzo… Avrebbe voluto almeno avere il suo numero per potersi scusare di essersi comportato così.

Quando il treno si fermò controllò l’orologio e scese. Era quasi mezzogiorno e se avesse davvero voluto avrebbe potuto passare da casa Milkovich e scusarsi di persona. Come avrebbe reagito Mickey se lo avesse fatto? Si sarebbe incazzato e lo avrebbe cacciato di nuovo? Provò una sensazione amara a quel pensiero. Non poteva incolpare Mickey e Mandy se loro padre era fatto così, ma la cosa lo faceva incazzare comunque.

Invece di prendere il treno e recarsi dall’altra parte della città fino alla dimora dei Milkovich, Ian cambiò direzione e scese per le scale, fermandosi alla piccola caffetteria dall’altra parte della strada. Era uno dei locali più carini della zona e non era nemmeno costoso. Si sentì in colpa quando usò i soldi che gli aveva dato Mickey per prendersi una cioccolata calda. Non l’avrebbe aiutato molto per i postumi ma il suo stomaco si sentì meglio quando il liquido denso e caldo scivolò in gola e giunse a destinazione.

Era indeciso se andare semplicemente a casa e riposarsi un po’ o magari prepararsi per il test di Analisi imminente, ma qualcosa gli diceva che quello era il suo giorno libero. Finì la cioccolata e buttò il bicchiere, salutando con la mano la signora anziana alla cassa mentre usciva. Cosa poteva fare ora? Non si prendeva praticamente mai del tempo per sé stesso, né per girare per la città né per fare qualcosa di divertente nel tempo libero. Le strade erano poco trafficate quel pomeriggio e l’aria era tiepida anche se il cielo sembrava freddo. Per ora voleva spendere un po’ di soldi visto che li aveva dati quasi tutti a Fiona. Dopotutto era stato lui a scoparsi dei ragazzi per anni per poter pagare le bollette. Non che Fiona non avesse fatto lo stesso ad un certo punto.

La sala giochi era aperta e fortunatamente per lui era vuota come i marciapiedi. Inserì qualche moneta e giocò finché non si stufò. Dopo un paio di partite a “Shoot The Monster”, uscì e passeggiò ancora un po’. Non c’era niente che lo attirasse e quasi quasi avrebbe voluto che ci fosse qualcuno insieme a lui con cui godersi la giornata. Probabilmente Mandy stava dormendo nel letto del biondo e, anche se era molto triste da dire, non aveva nessun altro vero amico. Era piuttosto patetico passare tre anni di liceo e avere solo una persona da considerare con cui passare la domenica.

Si stava facendo buio quindi Ian decise di interrompere la sua ricerca spirituale per il momento e di andare a casa. Quando arrivò nelle vicinanze ripensò preoccupato alla scopata da ubriaco e alla discussione, senza sapere come risolverla.

Come se l’universo avesse udito i suoi pensieri, ecco Mickey seduto all’angolo della strada che fumava una sigaretta. Aveva i capelli spettinati e sembravano morbidi sotto ai caldi raggi del sole. La luce lo illuminava da dietro, dando l’impressione che la sottile linea di fumo della sigaretta brillasse, e la sua ombra si allungava sempre i più fino a sparire da qualche parte sul cemento. Vederlo così era come guardare un film; era mozzafiato, qualcosa che non si sarebbe dovuto vedere nella vita reale. I suoi passi rallentarono istintivamente.

Quando Mickey si voltò, si guardarono e il vento soffiò tra i suoi capelli spettinati; sembrava quasi volerlo invitare a toccarli. Ian avanzò con più sicurezza finché non fu davanti a lui. Si mosse d’impulso, come se avesse il pilota automatico, abbassò la mano e fece scorrere le dita tra i suoi capelli setosi. Constatò con soddisfazione che erano ancora più morbidi di quanto sembrasse. Quando Mickey fece per alzarsi ritirò la mano di scatto, ma lui non sembrava furioso. Invece, buttò via la sigaretta, prese la stessa mano che gli stava accarezzando i capelli e lo trascinò per la strada senza dire una parola. Una parte di Ian era preoccupata perché un Mickey silenzioso era quasi come un Mickey che urlava. Ma la mano che teneva la sua era così delicata che Ian si fidò di lui.

Non sapeva quanto tempo avessero passato senza parlare, ma fu condotto in mezzo alla radura, lontano dal quartiere caotico. Camminarono per un po', accompagnati solo dal fruscio delle foglie che ora stavano assumendo un colore ramato e si stavano rinsecchendo con l’arrivo dell’autunno.

Mickey si fermò ma non gli lasciò la mano. Confuso, Ian aspettò pazientemente e dopo un momento, Mickey fece un respiro profondo e si girò verso di lui; lo guardò solo una volta, gli occhi blu cristallino che si alzarono brevemente. E poi posò delicatamente la mano sul fianco di Ian in un tocco così leggero da non sembrare nemmeno reale, mentre l’altra mano tremò appena nella sua quando strinse un po’ di più la presa, lasciando comunque il contatto piuttosto sciolto. Le pulsazioni diventarono più ritmate nella mano di Ian nel punto in cui i loro palmi si toccavano e aumentarono risalendo lungo il braccio, arrivando fino alla vita.

Ian alzò gli occhi sul suo viso dopo aver guardato le loro mani intrecciate, ma sembrò incapace di ritrovare la voce. Mickey non lo stava più guardando, teneva gli occhi bassi, e indietreggiò lentamente portando Ian con sé.

Ci fu un breve attimo in cui Ian si sentì frastornato, ma restò in silenzio lasciando che qualsiasi cosa fosse, accadesse semplicemente e basta. Continuò a fissare Mickey per notare un qualsiasi cambiamento nella sua espressione ma era difficile da capire, soprattutto poiché era così concentrato.

Mickey fece un passo avanti, facendo indietreggiare Ian a sua volta di un passo, e si spostò di lato insieme a lui in un movimento fluido. Inizialmente Ian non seppe come reagire ma decise di seguire ciò che stava facendo lui. Mickey si mosse di nuovo portando Ian con sé e la pesantezza dei passi di Ian lasciò spazio alla leggerezza; per un momento gli sembrò di volteggiare nell’aria. Era come camminare sulle nuvole, immerso nella luce dorata che brillava in mezzo ai rami aggrovigliati e anche se nella foresta tirava la tipica aria di Ottobre, insolitamente tiepida, tutto sembrava più vivo.

Il sole stava tramontando dietro agli alberi sinuosi e loro sembravano scivolare sul suolo; Ian migliorava sempre di più a stare dietro al ritmo di Mickey. I loro respiri diventavano più leggeri, poi più pesanti e poi si spezzavano, seguendo i loro movimenti. Ora la mano di Mickey era molto più sicura sul suo fianco e fu Ian a chiudere la distanza tra le loro mani unite, premendo il palmo contro al suo, usurato da anni di chitarra.

Se dall’esterno Mickey appariva piuttosto placido, le braccia gli tremavano ogni volta che i loro corpi si sfioravano e faceva attenzione a non avvicinarsi troppo durante gli spostamenti. Passarono parecchio tempo a ondeggiare insieme, come barche a vela sulla superficie dell’oceano o comete che viaggiavano nella galassia. Era così naturale e libero, come se la gravità non li tenesse più ancorati a terra.

Alla fine, Ian avanzò per avvicinarsi ancora di più, interrompendo il ritmo che avevano creato. Annusò il profumo di Mickey e lo tenne stretto apprendo appena gli occhi per riuscire a guardarlo davvero. Mickey si immobilizzò e finalmente incontrò il suo sguardo. Sembrò risvegliarsi da un sogno quando Ian abbassò le loro mani intrecciate, senza interrompere il contatto.

I deboli raggi di sole si insinuarono in mezzo al fogliame illuminandoli e poi svanirono sempre di più nell’oscurità insieme al sole. Il cielo stava scomparendo in una distesa color pesca e rame, ma l’unica cosa che importava d Ian erano gli occhi cristallini davanti a lui e le emozioni che celavano. Mickey non era senza fiato come lui ma sembrava molto più esausto quando ruppe il silenzio.

- Questo – mormorò evitando ancora una volta i suoi occhi. – è un vero ballo –

Ian continuò ad avvertire il calore del suo tocco sulla pelle e sui vestiti anche quando Mickey si staccò con un’espressione quasi di scuse mentre se ne andava per poi sparire nella radura ombrosa.

Ian non si mosse. Era troppo meravigliato, il cuore gli batteva troppo forte nel petto, o forse era perché doveva riabituarsi a stare sulla terra dopo aver viaggiato nell’aria. Si toccò il fianco dove poco prima c’era stata la mano di Mickey e finalmente espirò.

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Capitolo 9
*** Illuminami ***


Ian fece traballare nervosamente le dita sul braccio. Aveva una presentazione di Francese entro meno di un’ora e aveva il sentore che sarebbe andata male nonostante avesse fatto pratica davanti allo specchio per un’ora. Mandy aveva dovuto andarsene via presto dopo pranzo per vedersi con il ragazzo con cui si stava impegnando seriamente, il biondo della festa di Halloween. Ad Ian non dispiaceva più di tanto e poi era convinto che il suo unico amore in quel momento fossero i libri di scuola. 

Decise di uscire dov’era meno affollato per ripassare e ripetere tra sé e sé l’imminente discorso, dimenticando un paio di parole e vergognandosi sempre di più della sua pronuncia. Dopo ulteriori tentativi abbandonò il libro, sconfitto. 

- Ehi, Pel di carota! –

Riconosceva quella voce, era uno egli idioti che uscivano con Mickey. Alzò la testa e li vide riuniti sotto all’albero intorno a Mickey, seduto per terra. 

- Perché lo stai chiamando? – chiese Mickey corrugando le sopracciglia. L’altro lo guardò; Ian non capiva perché degli uomini adulti come loro dovessero violare la proprietà scolastica per uscire con un liceale. 

- Volevo sapere cosa ne pensa il tuo fidanzatino -. L’uomo fece un sorrisetto scrocchiando le nocche. 

- Secondo me volevi solo sentire la tua voce del cazzo – sogghignò Mickey. Ian non sapeva se tornare al suo libro o no. 

- Vieni qui, ragazzino – lo chiamò un altro e Mickey lo guardò in attesa di vedere cos’avrebbe fatto ma spostò rapidamente lo sguardo quando Ian raccolse le sue cose e camminò nella loro direzione. Lo divertiva vedere come Mickey cercasse di fingere che non gli importava che lui fosse lì ora. 

- Cosa c’è? – chiese Ian atono e inarcò un sopracciglio a quello che non smetteva di chiamarlo “pel di carota”. 

- Da quanto lo conosci? – gli chiese puntando il pollice verso Mickey, il quale alzò gli occhi al cielo. 

- Non saprei. Direi non da tanto. Perché? – rispose Ian, curioso di scoprire dove fosse diretta quella conversazione. 

- Questo bastardo dice di non essere dipendente dalle sigarette – spiegò l’uomo mentre gli altri due ridevano sotto ai baffi. Ian li studiò per un minuto: uno aveva i capelli neri pettinati all’indietro e indossava vestiti da biker. L’altro aveva un paio di piercing ed era pelle e ossa. Quello che parlava con lui aveva la pelle scura e i capelli tinti sd un rosso scuro che sbiadiva verso il nero. 

- È un fottuto tossico – concordo Ian e gli altri si voltarono verso Mickey, che cominciò a ridere. 

- Ah! Avete visto che non capisce un cazzo, proprio come vi avevo detto –

Ian sorrise nonostante l’insulto e tutti osservarono Mickey prendere una sigaretta dalla tasca sul retro dei pantaloni, per poi bloccarsi un attimo prima di toccarla con le labbra. – Ah, non capisco un cazzo eh? – chiese Ian gonfiando il petto è Mickey disintegrò la sigaretta tra le dita. Si alzò in piedi e spinse via i suoi amici per ritrovarsi faccia a faccia con lui. 

- Va bene, allora facciamo una scommessa –

Ian incrociò le braccia e annuì con un sorrisetto perché Mickey era semplicemente… non sapeva come descriverlo ma adorava vederlo irritarsi – Okay, che tipo di scommessa? –

- Beh, tu non sai tenerti l’uccello nei pantaloni per più di un giorno o sbaglio? – chiese Mickey schiacciando la sigaretta con il piede. 

Ian lanciò uno sguardo al suo gruppetto ma nessuno sembrò dare peso a quelle parole quindi piegò la testa e chiese: - Qual è la scommessa? Che te lo darò se smetti di fumare? Mi sembra una buona ragione per smettere subito, ma io cosa ci guadagno? –

Mickey sembrò divertito e inclinò il capo a sua volta. – Facciamo finta per un secondo che tu non sia un egocentrico arrogante così possiamo andare avanti. Scommettiamo che tu non ti scopi nessun ragazzo per una settimana, neanche toccarlo, e io non fumo per una settimana. Chi di noi due cede per primo, perde –

- “Niente sesso” – lo prese in giro Ian e poi rise. – Sono fregato, faccio prima ad arrendermi già adesso. Sicuramente riuscirai a non fumare per i prossimi due minuti –

- Vedremo, cacasotto – rispose a tono Mickey, anche se sembrava emozionato. Sfiorò Ian mentre gli passava di fianco e se ne andò con il suo seguito, senza degnarlo di un’altra parola. 

 

 

Erano passate ventiquattro ore dall’inizio della scommessa con Mickey e Ian non sentiva alcun bisogno di fare sesso. Era già esausto per la scuola, non aveva comunque il privilegio di scopare più di tanto. E poi non scopava perché gli piaceva, ma soprattutto per soldi. Beh, il più delle volte. C’erano dei bei ragazzi che non gli sarebbe dispiaciuto vedere in quel momento. Era vero, gli piaceva il sesso, non lo disprezzava di certo, ma stava comunque benissimo a masturbarsi e basta per tutta la settimana. 

Era di nuovo ora di pranzo e Mandy doveva andare in biblioteca per un test che aveva saltato. Ian era contento di vederla preoccuparsi per i suoi voti la maggior parte delle volte e che non volesse vivere con i soldi di suo padre per tutta la vita. 

Rimasto solo, Ian andò a cercare Mickey e non fu sorpreso di trovarlo appollaiato sull’albero. Si chinò per toccare la custodia della chitarra come una vecchia amica e sollevò la visiera del cappello della divisa del JROTC per guardare Mickey, assistendo alla scena più comica che avesse visto in quella giornata: lanciava e riprendeva in continuazione una pallina seguendola con lo sguardo; chissà come faceva a non provocarsi il mal di testa. – Che fai, Mick? –

Mickey lo ignorò e continuò a lanciare la pallina rossa, concentrandosi più di quanto fosse necessario. 

- Cerchi di distrarti, eh? Va così male? – chiese Ian, per poi prendere la chitarra e cominciare a giocarci, ma Mickey non mosse un muscolo. 

 

 

Era mercoledì, terzo giorno della scommessa, e Ian stava andando in classe quando si imbatté in uno dei fichi della squadra di baseball. – Oh, ehi Ian – lo salutò fermandosi ad osservare il modo in cui la maglietta di Ian aderiva al suo petto e ai bicipiti. Ian era abituato a quel tipo di attenzione e ricambiò il sorriso. 

- Ehi, amico –. A quanto ricordava, era apertamente gay quindi non poteva non piacergli. Oltre al fatto che fosse una gioia per gli occhi. 

- È passato un po’ dall’ultima volta che abbiamo parlato – disse il ragazzo in tono suggestivo e appoggiò il braccio all’armadietto. – Vuoi uscire uno di questi giorni? –. Con “uscire” intendeva chiaramente “fare sesso”. 

- Mi dispiace, non posso in questo momento. Ma la settimana prossima sono libero –

- Ah, sei molto richiesto. Va bene, mi prenoto per la settimana prossima allora – rispose ridendo e prima di andarsene aggiunse: - Non vedo l’ora –

Okay, era stato difficile dire di no. Una parte di lui avrebbe voluto non aver accettato quella scommessa con Mickey perché gli mancava una bella scopata. Avrebbe potuto farlo di nascosto senza problemi ma non voleva tradire la fiducia che si era guadagnato con tanta fatica. Era bello vedere anche Mickey impegnarsi così tanto per rispettarla. Ma cavolo, anche farlo con quel giocatore di baseball sarebbe stato bello. 

 

 

Anche giovedì arrivò e fu dopo scuola che Ian vide Mickey aspettare all’entrata. Sembrava in ansia, nervoso, e si guardava intorno rapidamente. Ian gli si avvicinò furtivamente e gli toccò il fianco, assicurandosi di schivare il colpo quando Mickey sollevò il braccio di scatto. Quando vide Ian piegato in due dalle risate si ricompose, irritato. 

- Ma che cazzo fai? Piantala con queste stronzate – sbottò e si grattò il collo. 

- Stai masticando una gomma? – chiese Ian senza nemmeno nascondere la sua ironia. Mickey non rispose e masticò più discretamente, seccato. 

- Non ho intenzione di tornare a casa quindi vengo da te – annunciò Mickey, o meglio, ordinò, e cominciò a camminare. 

- Come volete, vostra maestà – sorrise divertito Ian e trotterellò dietro di lui. 

Quando arrivarono nella sua stanza, Mickey cominciò a grattarsi aggressivamente i polsi e sputò la gomma nella spazzatura, per poi ficcarne un’altra in bocca. Ian si accomodò sul letto con il suo libro di chimica e sorrise al pensiero dell’effetto della scommessa su quel poveretto. Mentre il suo sguardo scorreva sulla pagina, Mickey borbottava tra sé e sé camminando avanti e indietro per la stanza. - Calore… pressione del gas… carica elettronica… - mormorava rapidamente insieme ad altre cose che Ian non afferrava. Si sostenne sul gomito e gli sorrise. 

- Ehi pazzoide, mi puoi aiutare con questa cosa? –

Mickey corse praticamente dall’altra parte della stanza e si chinò sul libro. Lesse in pochi secondi è riprese la sua camminata. – È etanolo, non ci va il doppio legame con l’ossigeno – biascicò, come se fosse deluso. Cominciò poi a curiosare tra gli cianfrusaglie sul letto di Carl, girandole e rigirandole per esaminarle. 

- Grazie – rise Ian e proseguì con altri esercizi. Si allungò e appoggiò la testa sul libro, scarabocchiando mentre leggeva.- Una sigaretta potrebbe rilassarti – disse quando Mickey cominciò a giocherellare con i coltellini a serramanico di Carl. Se non fossero stati chiusi, Ian sarebbe intervenuto. 

- E chi la vuole? Ci sono mille cose migliori di quella –

L’eccessiva allegria nella sua voce cominciava a spaventarlo, quindi chiuse il libro e appoggiò il mento sul palmo della mano, osservando la sua iperattività. – Stai cercando di vincere una scommessa, non di non farti di crack –

- Vai a farti fottere –

- Okay, vieni tu a farlo, così vinci – suggerì Ian tirando un sospiro quando Mickey lasciò i coltellini e lo guardò torvo. 

- Non sono così disperato –

- Ah davvero? Da qui non sembra –

- Vaffanculo –

- Ehi, non abbiamo neanche deciso cosa deve fare chi perde – disse Ian e si girò sulla schiena, tamburellando con le dita contro al muro, pensieroso. Mickey prese un’altra gomma e si spostò davanti al suo letto. – Sembri piuttosto deciso a vincere quindi dovresti ricevere una ricompensa. Anche se non la vedrai naturalmente -. Ian sbadigliò è lanciò un’occhiata a Mickey, che lo fissava intensamente. 

- E va bene, stronzo. Che cosa vuoi darmi? –

- Oh – esclamò Ian raggiante. – Non avresti potuto fare domanda migliore –

- Ti ho già detto di smetterla con questa roba –

- Che roba? Roba da gay? – rise Ian e Mickey ridusse gli occhi a due fessure. 

- Quelle battute del cazzo. Tienile per quei coglioni che ti scopi –

- Ti piacciono i ragazzi, Mick? – chiese Ian, realmente curioso. Mickey sembrò colpito da quella domanda e incroci le braccia al petto, sulla difensiva. 

- Fottiti –

Non era un no e Ian si sentì improvvisamente felice. – Okay, fammi pensare – disse e cercò di farsi venire in mente qualcosa che avrebbero desiderato in caso di vittoria, ma era difficile da trovare, Mickey non sembrava molto collaborativo. Soldi e qualsiasi altro oggetto materiale erano fuori questione. Cosa interessava a Mickey a parte i libri e la musica? Prima di poter uscirsene con qualche idea, parlò Mickey. 

- Se perdi, non ti scopi più gente a caso –

Ian si mise a sedere e sgranò gli occhi; il battito accelerò nel petto, senza che ne capisse nemmeno il perché. – Kash non era uno a caso – ribattè sul difensiva; chissà perché a Mickey importava così tanto. 

- Non intendevo… -. Mickey si interruppe e disincrociò le braccia. – Il ragazzo con cui ballavi l’altra sera, te lo sei scopato no? Una scemata, se mi posso permettere –

Mickey se l’era presa? Ecco perché aveva ballato con lui nella foresta. Ian non seppe cosa pensare e la voce che uscì dalla sua bocca non sembrava nemmeno la sua. – E allora? Il sesso è sesso, chi se ne frega -. Sembrava una frase così fatta che nemmeno lui credeva di averla detta. Forse era colpa dell’influenza di Frank e Monica che non erano capaci a non ficcarsi la lingua in bocca ogni due secondi, oppure di tutte le volte  che aveva colto in flagrante Kevin e Veronica o Fiona con i suoi ragazzi. Tutti facevano sesso. Non c’era niente di speciale, quindi perché Mickey doveva fare tutte quelle storie? 

Mickey non rispose e, prima che Ian potesse rendersene conto, appoggiò il ginocchio sul materasso di fianco alla sua coscia e si sporse verso di lui. Il suo braccio era accanto alla testa di Ian e lo guardava dall’alto, sbattendo le palpebre in uno sguardo freddo e cupo. Il cuore di Ian aumentò il ritmo e si irrigidì sotto allo scrutinio irremovibile di Mickey. 

- Se vinco io, non ti scopi più degli sconosciuti – disse piano Mickey. Ian emise un respiro e si ritrasse, a disagio. Cosa diavolo stava facendo Mickey? Le sue dita artigliavano le coperte e metà del suo corpo era schiacciata contro al muro, siccome Mickey lo stava praticamente intrappolando. 

- E va bene – buttò fuori, per poi aggiungere nel tono più fermo che riuscì: - Se vinco io, posso dormire a casa tua –

Mickey rimase in silenzio e si chinò per respirare contro all’orecchio di Ian, che sussultò e lo guardò con le palpebre mezze abbassate. – Se tocchi un ragazzo, perdi – continuò lentamente e indietreggiò appena per guardare Ian. 

- Stai imbrogliando – sussurrò Ian, realizzando che faceva tutto parte della scommessa. 

- Se vinci tu puoi restare da me – disse con un sorrisetto Mickey, accettando la sua proposta. Ian spalancò gli occhi. 

- Davvero? –

- SE vinci – gli ribadì Mickey abbassandosi di nuovo per sfiorargli casualmente il collo e il pomo d’Adamo con le labbra. La pelle gli bruciava dove Mickey lo aveva toccato e chiuse gli occhi, stringendo le coperte tra le mani per trattenersi dal toccarlo. 

- Mi stai prendendo per il culo? – esalò. – Vuoi farmi smettere di scopare con altri ragazzi solo per cedere e scopare con te invece? –

- Ecco che pensi sempre a scopare – rispose Mickey rabbioso. – Non te ne frega proprio nulla di chi ti scopi e perché lo fai, eh? –

Ian si zittì mentre quelle parole gli vorticavano nel cervello. Aprì gli occhi e guardò Mickey; era incredibilmente serio. Ian sentì il proprio corpo sprofondare nel letto, appesantirsi sempre di più. – Che cosa vuoi dire? –

- Provi almeno qualcosa, Ian? – chiese Mickey arrabbiato e si ritrasse. – Quando tocchi qualcuno? – Quando qualcuno ti tocca? Non provi niente? –

Ian rimase attonito, incapace di rispondere. Qualcosa si impossessò di lui, alzò la mano e toccò il viso di Mickey. Fu come se una scossa elettrica fosse partita dai polpastrelli e lo avesse attraversato fino allo stomaco che si contorceva per l’emozione; era accaldato ed euforico. Toccare Mickey era una sensazione stordente, insolita, che non aveva mai provato prima, questo poco ma sicuro. 

– Di solito no – rispose sinceramente e Mickey si liberò bruscamente da quel contatto e si rialzò dal letto. Improvvisamente, Ian fu colto da quella sensazione di panico che gli capitava spesso con Mickey e avvertì l’inspiegabile bisogno di piangere. – E tu invece? Di sicuro non sei tanto diverso – disse, sentendosi umiliato. – Non ti fai nessun problema a baciarmi, ballare con me in quel modo o a illudermi, vero? -. Si alzò di scatto e si fermò a pochi centimetri dal suo naso, il volto in fiamme. – Mi giudichi perché vado a letto con chi voglio ma tu puoi fare quello che vuoi con i sentimenti altrui e fare come se nulla fosse? –

- Non so di cosa cazzo stai parlando –

- Oh sì certo, perché gli amici di solito fanno queste cose, no? –

Mickey sembrò sul punto di ricambiare con altrettanta ostilità ma la sua aggressività svanì e lui andò alla porta, borbottando:  – La scommessa è finita – per poi uscire sbattendola dietro di sé. 

All’inizio Ian rimase immobile in uno stato di pietrificazione causata dal miscuglio di emozioni provocate dal moro. Questa volta però, aprì la porta e corse giù per le scale. L’aria tiepida lo rinfrescò e sotto il cielo di mezzogiorno vide Mickey che se ne andava, già a metà isolato. Lo seguì; la sua testa sembrava sprofondata tra le spalle, i suoi passi erano svelti ma deboli e si stava già accendendo una sigaretta. Quando lo raggiunse, non sapeva nemmeno da che parte cominciare a dire tutto ciò che aveva dentro. Non sapeva nemmeno perché lo avesse rincorso. Sapeva solo di aver allontanato, di averlo ferito in qualche modo e non voleva. 

- Mi dispiace – buttò fuori, fermandosi davanti a Mickey che stava armeggiando con l’accendino. Quest’ultimo alzò gli occhi e la luce della fiamma brillò nelle sue pupille. 

- Non devi scusarti di niente – rispose Mickey lasciando morire la fiamma. 

- A quanto pare ti ho fatto incazzare –

- Lascia perdere. Non hai fatto niente di sbagliato –

Ian lo ascoltò ma era ancora più confuso di prima. – Perché te ne stai andando allora? –

- È un problema mio, okay? Devo fumare –

Ian scosse la testa; sapeva che c’era altro sotto. Mickey gli sfuggiva come faceva sempre ogni volta che Ian  cercava di trovare un senso a ciò che c’era tra loro. Si stava formando un legame indefinito che Mickey era troppo testardo per ammettere e che stava invece facendo impazzire Ian. 

- Okay – disse con voce flebile, poiché non aveva diritto a forzarlo a dire altro. Avrebbe già dovuto saperlo dopo aver scoperto i problemi di fiducia di Mickey e Mandy, che non potevano essere risolti in quattro e quattr’otto per via del padre. Ora era in confidenza con Mandy, anche se a volte aveva il sentore che non si aprisse del tutto, ma questo era stato possibile solo dopo anni di lavoro e non poteva pretendere che Mickey confidasse i suoi sentimenti nel giro di pochi giorni.  Forse era questo che intendeva Mickey con “problema mio”.

– Solo ancora un po’ – aggiunse gentilmente Ian e posò la mano su quella di Mickey che stava per accendere la sigaretta. Avrebbe potuto significare tante cose; ancora un po’ affinché tu ti apra con me; ancora un po’ perché tu possa fidarti di me; ancora un po’ prima che tu mi dica cosa siamo uno per l’altro. – Non andrò a letto con nessuno, quindi non fumare ancora per un po’, okay? – disse invece.

E accadde una cosa strana. Invece di spingerlo via o deliziare le sue orecchie con qualche colorita espressione, Mickey gli porse l’accendino senza pensarci neanche per un momento e rispose con voce quasi tremante. – Okay -

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Capitolo 10
*** Calore ***


Era difficile concentrarsi sui compiti quando il battito della pioggia creava quel rilassante sottofondo. Ian continuava ad appisolarsi mentre scriveva e la cosa lo stava mettendo a dura prova. Non c’erano tuoni o lampi, solo il picchiettare della pioggia sul tetto e sulle finestre. 

Gli si chiusero gli occhi per la millesima volta e gli ciondolò la testa; la risollevò di scatto e si alzò. Una buona bibita lo avrebbe risvegliato. 

In cucina, aprì una lattina e la bevve tutta d'un sorso, senza fare caso a quanto gli pizzicasse la gola perché almeno il liquido lo stava riattivando, poi la buttò nella spazzatura. Fiona non aveva bisogno di altre preoccupazioni quando sarebbe tornata dal lavoro, quindi prese il sacco dell’immondizia e uscì sotto alla pioggia. Tirò su il cappuccio e attraversò un pezzo di strada per buttare il sacco nel bidone. 

La pioggia non era così fredda, anzi, era piacevole sentirla sul viso quando alzò lo sguardo verso il cielo cupo. Una coltre di nubi grigie si estendeva per chilometri, come una cortina di fumo che copriva la Terra. Quando riabbassò la testa, distinse una figura che si muoveva verso di lui. L’aria era brumosa e rendeva difficile vedere bene e il suo primo istinto fu quello di andare a chiudere a chiave la porta perché c’era la possibilità che fosse quell’ubriacone di suo padre. Era triste scambiare sempre il proprio padre per un ladro.

Tornò davanti a casa ma si bloccò con la mano sul pomello della porta quando riuscì a capire meglio chi fosse. – Mick? – chiamò Ian ma la sua voce si perse nella pioggia. Mickey indossava solo una canotta nera e dei jeans strappati e solo quando si fu avvicinato capì perché era a braccia scoperte. Teneva la giacca appallottolata e stretta al petto; Ian era ancora più confuso.

I passi di Mickey proseguirono sul marciapiede e lo portarono fino al cortile di casa Gallagher; quando arrivò ansimava pesantemente e alzò la testa. Ian non l’aveva mai visto così perso e disperato come in quel momento. Mickey non disse nulla e Ian si fece da parte per farlo entrare. Chiuse la porta e lo seguì in soggiorno. 

- Tienila – gli disse Mickey e gli passò con cautela la giacca, come se fosse fatta di vetro. Ian la guardò, perplesso. Quando la prese in mano sentì che in mezzo c’era qualcosa e vi trovò un gattino bagnato, raggomitolato su sé stesso con gli occhi chiusi. Aveva la schiena sporca di sangue e tremava violentemente. Quando Ian alzò di nuovo gli occhi, Mickey era sparito, ritornando poco dopo con un asciugamano. Riprese il gatto e lo liberò dalla giacca per asciugarlo gentilmente. Il gatto non emise un suono e tremò ancora di più sotto al suo tocco. Ian lo osservò passargli il panno sulle zone insanguinate per pulirle, senza mai togliere gli occhi di dosso all’animale. 

- È ferito? – chiese Ian esitante, timoroso di interromperlo ma incapace di trattenersi. Mickey finì di pulirlo e poi lo riavvolse con cura in un secondo asciugamano pulito che teneva sottobraccio. Il modo in cui lo coprì, con fare protettivo e ordinato, gli suggerì che probabilmente non era la prima volta che si occupava di questo genere di cose. 

- Il sangue è mio – rispose semplicemente Mickey, atono. Ian ricordò improvvisamente che Mickey aveva menzionato di avere un gatto a casa una volta; doveva essere quello. Avrebbe voluto chiedere cos’era successo ma invece chiese altro. 

- Ti sei fatto male? –

Mickey cullò il gatto in silenzio per alcuni minuti; Ian non lo aveva mai visto guardare qualcosa in quel modo. Nemmeno lui, nemmeno la sua chitarra. Non aveva mai mostrato così tanta passione e devozione come in quel momento. 

Non ci voleva un genio a capire che a casa sua doveva essere successo qualcosa di terribile, altrimenti non si sarebbe presentato lì da lui con quella preziosa parte della sua vita. Ian avvertì un’improvvisa tristezza. Era solo un altro ombroso angolo del cuore di Mickey che non gli sarebbe mai stato permesso di toccare e il pensiero era troppo da sopportare. Mickey non avrebbe mai ammesso di soffrire. Non si sarebbe mai aperto o ammesso che dentro di lui era in corso una tempesta. No, sarebbe semplicemente rimasto in silenzio e l’avrebbe affrontata da solo. 

Ian lo lasciò in soggiorno, usando delle scuse per convincersi a non tornare al piano di sotto.  Si lavò i denti, il viso e riordinò la stanza; sapeva che non sarebbe riuscito a concentrarsi sullo studio. Dopo un paio di minuti di necessario respiro, tornò in soggiorno come se il suo corpo si muovesse in automatico. Finalmente, Mickey spostò lo sguardo dal fagotto tra le sue braccia e guardò Ian. - Hai bisogno di qualcosa? – gli chiese lui lentamente, incerto se insistere o meno. Non avrebbe nemmeno dovuto preoccuparsi di una domanda come quella, ma con Mickey non era così semplice. Temeva che se si fosse avvicinato troppo sarebbero rimasti scottati entrambi e quindi rimase immobile sull’ultimo gradino, la mano saldamente ancorata al corrimano per essere pronto a scappare. 

Il dolore che Ian aveva visto poco prima nei suoi occhi lasciò posto a qualcosa di più duro e deciso, che Ian era più abituato a vedere. Era quello sguardo pungente che gli faceva dimenticare tutte le cose belle che aveva fatto. - Posso dormire qui? – chiese Mickey, il tono di pietra. Ian annuì senza sapere cos’altro dire. I suoi occhi scesero sulla pelle nuda di Mickey e vide il sangue sulle sue nocche, la pelle squarciata sulla mano, i tagli sulle braccia. Chissà se era stato suo padre; probabilmente sì a giudicare dai segni. Quelli più lunghi sembravano opera del gatto ma quest’ultimo non sembrava ferito, solo raffreddato e bagnato. 

Non cercò di occuparsi di Mickey come lui si stava occupando del gatto. Non gli chiese se aveva bisogno di una coperta o se voleva medicare le ferite; non gli chiese se voleva dei vestiti asciutti o qualcosa per asciugarsi perché sapeva già quale sarebbe stata la risposta. Ritornò nella sua stanza, sapendo che Mickey sarebbe rimasto sul divano, chiuse la porta e si infilò a letto. Era in momenti come quello che ringraziava che nell’ultimo periodo Carl non fosse mai a casa. La pioggia non lo confortata più. Aveva lo stesso suono, cadeva fitta come poco prima, ma era un suono aspro, come se da un momento all’altro potesse scavare una breccia nel muro. 

 

 

Aprì gli occhi di scatto. Non si era reso conto di essersi addormentato. Fuori diluviava ancora ma non era così buio come prima. Fissava il muro e dava le spalle alla porta, che si aprì piano piano, e udì deboli passi entrare e poi la porta richiudersi. 

Ian non si mosse né si girò dall’altra parte mentre ascoltava il sommesso respiro di Mickey. Era difficile dire cosa stesse succedendo ma poco dopo calò il silenzio. Ian si girò quel tanto che bastava a distinguere la sua figura rannicchiata sul pavimento. Il sangue sulle mani e sulle braccia si era seccato e anche se i suoi vestiti erano ancora umidi non era più fradicio. Il gattino si era addormentato sulla sua pancia, il petto che si alzava e si abbassava al ritmo del respiro di Mickey. Mickey lo accarezzava con gli occhi semi aperti che fissavano il letto vuoto di Carl. 

La luce aumentò sempre di più e Ian continuò a fissare il muro, incapace di riaddormentarsi. Non sapeva se Mickey fosse ancora sveglio o no, ma un fruscio proveniente dalla sua direzione fu una chiara riposta. 

Ecco, quello era il momento in cui Mickey sgattaiolava via. Se ne andava senza salutare, sempre mentre lui dormiva. Una parte di Ian avrebbe voluto che lo svegliasse almeno, o che gli sussurrasse qualcosa prima di andarsene. Ma non lo faceva mai. Richiese gli occhi quando sentì scricchiolare il pavimento e capì che Mickey se n’era andato. 

Accadde all’improvviso, Ian non se lo aspettava, ma un gemito gli risalì la gola e fuoriuscì dalle labbra. Poi un altro e anche se cercò di trattenere il respiro, un altro ancora. Gli era stato insegnato che piangere era normale, mentre a Mickey probabilmente no. Le cose stavano così e basta, lo sapeva. Ma perché faceva così male guardare nei suoi occhi travagliato e sapere che le lacrime non li avrebbero mai bagnati? Mickey soffriva ma non piangeva e non ne parlava, non permetteva a nessuno di prendersi cura di lui. Faceva terribilmente male. 

Le lacrime gli rigarono il viso. Tirò su col naso e sussultò quando sentì il materasso infossarsi dietro di lui. 

- Stai zitto, okay? – disse sottovoce Mickey. Non sembrava arrabbiato, bensì preoccupato, premuroso. Ian non si voltò nemmeno quando sentì il calore di Mickey mescolarsi con il suo e capì che era sdraiato a pochi millimetri da lui. Continuò a non voltarsi quando le dita di Mickey si infilarono tra i suoi capelli, tracciarono il retro del suo collo e lungo la sua schiena. Durò pochi secondi, Ian non era nemmeno sicuro che fosse successo. Le lacrime smisero di cadere quando Mickey intrecciò la mano nella sua maglia, stringendo per un momento per poi allentare la presa, ma senza ritirare la mano questa volta. 

La striscia di luce che entrava dalla finestra si allungò sempre di più nella stanza e Ian sentì qualcosa di piccolo e caldo rannicchiarsi contro alla sua schiena dove riposava la mano di Mickey, per poi udire un flebile mormorio di fusa. Il gatto sembrava stare bene e non molto dopo anche il respiro di Mickey si era fatto più regolare. Probabilmente stava anche bagnando le coperte ma a Ian non importava. Sapeva che Mickey non voleva parlare di niente, non per il momento almeno. Magari stare vicino ad Ian gli dava già abbastanza conforto. Come il gattino che prima si era accoccolato a Mickey perché era ciò di cui aveva più bisogno. 

Sentendosi più coraggioso, Ian si girò appena per avere uno scorcio del suo viso. Il suo braccio era disteso quanto bastava pe afferrare la maglia di Ian e le ciglia erano dolcemente adagiate sulle sue guance. Sul suo viso piegato leggermente verso il cuscino non c’era traccia di rabbia o frustrazione. La gattina dormiva contro alla sua mano, premuta contro alla schiena di Ian. Sorrise affettuosamente, guardandoli entrambi. 

Era la prima volta che vedeva Mickey addormentato. 

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Capitolo 11
*** Cicatrici E Chitarre ***


Quella mattina faceva freddo e le foglie ormai erano cadute tutte dai rami. In mensa l’atmosfera era triste e desolata e rispecchiava l’aria tetra data dal cielo grigio. Ian staccò un morso dal panino nella mano di Mandy e parlò mentre masticava.
- Quello che voglio dire è che il tuo ragazzo sembra un coglione da quello che mi hai raccontato di lui negli ultimi dieci minuti –
- Non è così male – fece spallucce Mandy e finì il panino, pulendo si le mani sui pantaloni. – È figo –
- Sì, ma mi hai appena detto che ha toccato il culo di un’altra. Pensavo che non sopportassi questo genere di cose –
- Non è una cosa così seria – borbottò Mandy. Ian sospirò è si alzò.
- Non capisco perché ti piacciano dei ragazzi così – disse Ian burbero e Mandy schioccò la lingua. Era più preoccupato del solito per lei visto che stava cominciando a provare qualcosa per quel ragazzo. Come poteva convincerla che si meritava di meglio?
Quando la campanella suonò e i due attraversarlo il cortile per andare in classe, Mickey si avvicinò a loro.
- Che cazzo vuoi? – gli chiese Mandy con una smorfia e Mickey le mostrò il dito medio.
- Hai da fare stasera? – chiese il moro  e Ian infilò le mani in tasca guardandosi intorno mentre parlavano. Si chiese perché Mandy non rispondeva e alzò lo sguardo trovando Mickey che lo guardava impaziente con un sopracciglio inarcato.
- Io? – balbettò; Mandy sembrò altrettanto sorpresa. Mickey lo guardò in un modo che sembrò dirgli “Mi prendi per il culo?”
- No, la principessa qui presente –
- Fottiti – sogghignò Mandy, ma li guardò incuriosita. Chissà cosa stava pensando. Ian fece per rispondere ma Mickey lo precedette.
- Sì, sei libero. Vengo per le sei –
Mickey se ne andò e Mandy fissò Ian in attesa di una spiegazione, ma scosse semplicemente la spalle fingendo di essere confuso mentre in realtà era davvero emozionato.
 
 
Ian non toccò lo zaino quando arrivò a casa. Si dimenticò completamente dei compiti e prese una ciotola di latte da portare a piano di sopra. Quando richiuse la porta dietro di sé, ispezionò la stanza e trovò la gatta di Mickey che faceva le fusa in un angolo. Sembrava a suo agio quindi le lasciò semplicemente la ciotola accanto. Come Mickey fosse riuscito a far sì che arrivasse ad occuparsi di una palla di pelo, andava oltre la sua immaginazione.
Era ancora abbastanza presto ma continuò a chiedersi di cosa avesse bisogno Mickey. Non solo gli aveva dato un orario specifico entro cui tenersi pronto come per un appuntamento, ma ne aveva parlato tranquillamente davanti a Mandy. Per qualche ragione, Ian aveva sempre pensato che le stessero nascondendo la loro amicizia, ma forse era solo la sua immaginazione. SI fece una doccia e cercò qualcosa di carino da indossare in mezzo ai vestiti puliti. Quando trovò qualcosa che lo soddisfaceva si vestì e si spostò i capelli dal viso. Sorrise guardandosi allo specchio ma quel sorriso svanì in pochi secondi e spostò lo sguardo dal proprio riflesso.
Mickey si fermava mai a guardarlo? Non sapeva perché si stesse preoccupando così tanto del proprio aspetto. Probabilmente non sarebbe stato affatto un appuntamento e Mickey voleva solo assicurarsi che Ian fosse a casa per dare da mangiare al suo gatto.
Chiuse la porta del bagno e scivolò sul pavimento accanto al gatto, accarezzandolo per un minuto per poi rialzarsi. Sospirò; si sentiva stupido per aver cercato di farsi carino senza motivo. Si sfilò il maglione tirandolo dal colletto e slacciò la camicia di flanella che aveva messo sotto, quando la porta si spalancò.
Era Mickey. Sembrava particolarmente fresco di doccia, i capelli sbarazzini ma acconciati più del solito, e indossava una giacca di jeans con una maglietta bianca che ricadeva morbida. Bevve un sorso di Sprite che teneva in mano e si appoggiò casualmente allo stipite. Ian arrossì, riabbottonò la camicia e si rimise il pullover, infilando le mani nelle tasche dei jeans. – Gesù, bussa la prossima volta –
- Non sei abituato a stare nudo davanti ai ragazzi? – chiese Mickey con un sorrisetto; se fosse stato un’altra persona Ian avrebbe pensato che stesse flirtando con lui. Nonostante l’imbarazzo, Ian rubò un’occhiata a Mickey che stava bevendo di nuovo. Il suo pomo d’Adamo si mosse rapidamente e Ian deglutì nello stesso momento. Mickey gli offrì da bere con uno sguardo misterioso e Ian temette per un momento che potesse leggergli la mente e tutti i pensieri che la affollavano in quel momento. Prese la lattina e sorseggiò la Sprite mentre Mickey andava a prendere la gatta per coccolarla.
Era un pensiero stupido, ridicolo, ma Ian arrossì all’idea di aver bevuto dove poco prima si erano posate le labbra di Mickey, anche se non era niente di speciale. – L’hai presa dal mio frigo? – chiese distrattamente con un sorriso e Mickey emise un mormorio burbero, senza degnarsi di dare una risposta.
- Grazie per esserti occupato di lei – disse invece il moro lasciando che la gatta gli mordicchiasse la mano meno martoriata dai suoi graffi. Il sangue secco era quasi sparito ma graffi irregolari e lividi scuri erano ancora ben visibili; chissà quanti altri lividi c’erano sul suo corpo. Era raro che Mickey mostrasse così tanta pelle nuda.
- Di nulla – rispose Ian guardando poi l’orologio. – Sei persino in anticipo –
- Volevo vedere la mia gatta – spiegò Mickey come se fosse ovvio e la fece rotolare gentilmente da una parte all’altra. La gatta si affannò rannicchiandosi intorno alla mano ferita e cercò di prenderla. Mickey glielo permise per quei pochi secondi che bastavano a farla contenta per poi toglierla prima che potesse graffiarlo.
- Vuoi che faccia qualcosa per i tuoi graffi? – chiese Ian appoggiato al muro mentre beveva. Si aspettava che Mickey lo ignorasse o lo mandasse a quel paese, invece tese ansiosamente la mano. Ian rimase sbalordito. – Davvero? – quasi non gli andò di traverso la Sprite.
- La Sprite – specificò Mickey e Ian sospirò. Ma certo. Passò la lattina a Mickey che la bevve è poi esalò un respiro. – Okay – aggiunse tornando ad accarezzare la gatta. – Se non brucia, fallo –
Ad Ian ci volle un momento per realizzare quelle parole, poi corse in bagno prima che Mickey cambiasse idea e ritornò con del Neosporin in un battibaleno, si sedette a gambe incrociate accanto a Mickey e svitò il tappo. Il fatto che Mickey stesse accettando che qualcuno si occupasse di lui era sorprendente. Stava per passargli il tubetto ma Mickey aveva girato la mano verso il basso, tesa verso di lui, e lo guardava in attesa. – Ehm – balbettò Ian è Mickey chiuse la mano.
- Beh? Hai intenzione di darti una mossa o no? –
Ian diede un colpo di tosse e gli prese la mano facendo scivolare le dita lentamente sul suo palmo, fino al polso. Mickey non mosse un muscolo quando Ian usò l’altra mano per versare la crema sulle ferite rosse e gonfie sparse sul dorso della mano. Alzò lo sguardo attraverso le ciglia ma lo abbassò quando i suoi occhi  incontrarono quelli di Mickey. – Fa male? –
- No – rispose quella testa ottusa del moro. Poteva anche essere una bugia ma Ian continuò a massaggiare ugualmente l’area interessata, premendo gentilmente e poi rilasciando quando la crema sparì. Mickey non gli tolse gli occhi di dosso per tutto il tempo e fu snervante. – Che musica ti piace? – chiese improvvisamente e Ian si fermò di colpo.
- Eh? –
- Cosa ti piace? – sbottò Mickey in tono più acido.
- Un po’ di tutto direi – rispose Ian perplesso. Le dita di Mickey spasimarono quando raggiunse le ferite più gravi. – Scusa – borbottò.
- Ho detto che non fa male –
- Okay -. Come faceva Mickey ad essere così calmo mentre Ian era emozionato solo perché si stavano toccando le mani? Si trattava solo di un amico che stava aiutando un altro amico, dovette ricordarsi Ian. Anche se il suddetto amico avrebbe potuto medicarsi da solo, lasciando invece che fosse Ian a farlo. Arrotolò fino al gomito la manica della sua giacca e Mickey ritirò il braccio, fulminandolo con gli occhi.
- Cosa stai facendo? –
- Hai dei graffi anche sulle braccia, no? – disse Ian, ricordando vividamente i graffi che aveva visto qualche sera prima. Mickey sembrava sul punto di fermarlo ma allungò di nuovo il braccio e gli permise di arrotolare di nuovo la manica, rivelando altri segni. Ian abbassò tristemente lo sguardo, sentendo il cuore spezzarsi. C’erano più ferite di quanto ricordasse, alcune erano più sbiadite, meno recenti. Chissà quante cicatrici nascondeva sotto quei vestiti, e non solo cicatrici visibili.
- Puoi sbrigarti? –
Trasalì al tono seccato di Mickey e capovolse il tubetto per versare il composto sulle ferite, mordendosi il labbro per trattenersi dal dire qualcosa che non avrebbe dovuto.
- Mio padre le ha tirato un calcio –. Ian alzò la testa. Mickey stava guardando il gatto. – Non ricordo molto di quello che è successo dopo, so solo che l’ho colpito in faccia, c’era sangue e poi mi ha afferrato, abbastanza forte, ma l’ho colpito così forte che era troppo stordito per ricambiare. Poi l’ho presa ma era troppo spaventata e non smetteva di graffiarmi. Faceva un male cane ma non l’ho lasciata e quando me ne sono andato in qualche modo sono finito qui – concluse.
Ian aveva finito con la crema ma non lasciò comunque il braccio di Mickey. Tracciò la pelle con il pollice fino alle nocche e poi lo rigirò, indugiando sul suo palmo. Che cosa avrebbe dovuto dire? Una parte di lui era arrabbiata nell’udire quelle parole, sapendo di non poter fare niente, ma dall’altra era vergognosamente felice che Mickey glielo avesse raccontato. Mickey si spostò bruscamente e si alzò, nascondendo la mano nella giacca. – Aspetta, e l’altra? – chiese Ian alzandosi a sua volta.
- Non fa niente. Dobbiamo andare -. Mickey uscì dal stanza e Ian non potè far altro che posare la crema e seguirlo. Avrebbe voluto menzionare ciò che aveva appena raccontato ma decise che era meglio di no, a Mickey ci era voluta già abbastanza forza di volontà per riuscire anche solo a parlarne.
 
 
Dopo aver camminato in silenzio per un paio di isolati, Ian notò che Mickey si stava toccando il braccio che gli aveva medicato. – Dove andiamo? – chiese piano.
 -A un concerto – rispose il moro e tirò giù la manica quando si ritrovarono in una strada più affollata.
Anche se continuava a ripensare alle ferite di Mickey, Ian cominciò a sorridere. Stavano andando ad un fottuto concerto. Mickey stava uscendo con lui di sua spontanea volontà.
- Un tizio che conosco suona stasera e continuava ad insistere che venissi. A te non dispiace il rock e a me piace – spiegò Mickey attraversando la strada, Ian non lontano da lui.
Non riusciva a smettere di sorridere; forse non era così pazzo a pensare che fosse un appuntamento.
- Perché cazzo sorridi in continuazione? È inquietante – chiese Mickey.
- Non sono mai stato ad un concerto –
- Non è niente di che, non esserne troppo entusiasta –
“Ma sono con te” avrebbe voluto rispondere Ian, ma si tirò mentalmente uno scappellotto.
Giunsero ad un bar di motociclisti, l’insegna al neon che proiettava luce blu e arancione sulle persone in coda. Mickey passò davanti a tutti e il bodyguard fu sul punto di dirgliene quattro ma quando lo riconobbe gli battè il pugno e Mickey entrò. Ian, vergognandosi di aver scavalcato l’intera coda, passò davanti alla coppia che li stava fulminando con lo sguardo e fece scorrere il proprio sul bar gremito di persone. La maggior parte dei presenti erano più grandi di loro e Ian non potè che chiedersi se agli adolescenti fosse permesso entrare.
Un velo di fumo si levava nell’aria. Mickey si fermò, respirò profondamente con un’aria contenta e proseguì. In fondo alla sala c’era un palco largo dove alcune persone stavano sistemando degli strumenti. Il bar era completamente pieno quindi Mickey si sedette ad un tavolo con i divanetti neri, gli occhi puntati su Ian mentre lo raggiungeva.
- Quindi è qui che esci di solito? – sorrise Ian continuando a ispezionare il locale, completamente intrigato dalle luci e dall’arredamento in stile western. C’era un’atmosfera famigliare, non come l’aria fatiscente dell’Alibi. Era vivace e accogliente.
- Dio, no. Sono gli stronzi che i rompono sempre le palle a uscire qui – rispose beffardo Mickey mentre e prendeva il menù.
- Non sono tuoi amici? –
- Definisci “amici” – borbottò Mickey, leggendo rapidamente le offerte per poi posare il menù.
- Per esempio… io e te? – chiese Ian speranzoso. Gli occhi di Mickey schizzarono su di lui ma furono interrotti da una cameriera.
- Mickey! – trillò lei; l’accento del Sud era piacevole all’orecchio. Posò un cesto di pane fumante davanti a loro e Ian sentì lo stomaco gorgogliare immediatamente.
- Ehi – ricambiò Mickey e la donna sorrise a Ian, come una madre amorevole.
- È un tuo amico? Dove sono i ragazzi stasera? –
- A quegli scemi piace ubriacarsi, ubriacarsi ancora e poi venire qui – rispose sprezzante Mickey e Ian si abbandonò contro al divanetto, deluso di scoprire che non sarebbero stati soli tutta la sera. – Ho voglia di una fetta di torta – grugnì Mickey e la donna gli sorrise con dolcezza.
- Alla ciliegia, giusto? Vuoi anche una bibita? – chiese contenta e Mickey annuì giocherellando con un pezzo di pane, strappandone distrattamente dei piccoli pezzi. Ian lo guardò e poi spostò lo sguardo rapidamente sulla cameriera.
- Una birra e un hamburger, grazie – sorrise graziosamente porgendole il menù. Quando furono di nuovo soli, Ian si sporse leggermente sul tavolo e prese un pezzo di pane. – È gratis? -. Mickey non mangiava ancora, gli occhi che ispezionavano di nuovo il menù dei dolci di poco prima.
- Sì, prendi pure –
Ian divorò il pane, amando ogni secondo di quella consistenza morbida e burrosa tra i denti. Non era abituato a pane che non fosse raffermo. – Quindi non bevi? – chiese. In ogni altro loro incontro Mickey non sembrava in grado di stare lontano dall’alcool.
- Non beve mai quando ascolta musica – rise la cameriera, ritornata per posare le loro bevande sul tavolo. Mickey arricciò appena le labbra e prese un sorso della sua bibita scura, senza incontrare ancora il suo sguardo.
- Quindi la band di questo tizio deve essere importante per te – fece un sorrisetto Ian annuendo quando la cameriera se ne andò.
- Non sono male. Non è che adesso devo giustificare tutte le cose che faccio? –
- No, affatto –
Mickey bevve di nuovo, come se stesse cercando di ubriacarsi con una bibita gassata, poi sbattè il bicchiere vuoto sul tavolo, incrociando le braccia al petto. – È un tipo datato di rock, magari non ti piacerà così tanto – disse in tono asciutto.
- Ehi – lo interruppe Ian bevendo un sorso di birra; non era così male. – Non sono così pignolo –
Mickey stava sprofondando così tanto nel divanetto che Ian si chiese come fosse riuscito a non finire ancora sul pavimento. Teneva la testa bassa e continuava ad alternare lo sguardo tra il palco, il bar e a volte il tavolo.
- Grazie per avermi lasciato venire con te stasera – continuò Ian cercando di stimolare qualche parola da parte sua. Non alzava lo sguardo e la luce fioca rendeva difficile decifrare il suo viso; non che ci riuscisse più di tanto in ogni caso.
- Mi fai sembrare uno stronzo, come se fosse un onore farti stare seduto qui. Non ti sto “lasciando”, non hai bisogno di essere invitato – rispose Mickey e Ian rise appena.
- Quindi vuol dire che posso venire con te tutte le volte che voglio? –
- Fottiti –
Qualcuno avrebbe potuto considerarla una rispostaccia ma quella semplice frase sarebbe stata la sua morte. Era sempre un modo pe evitare di oltrepassare il limite da parte di Mickey, ma anche il suo modo di dire “Sì, puoi venire con me”, il suo modo per fargli capire che non ci sapeva fare con queste cose e che non sapeva come dirle nel modo giusto.
In sala calò ancora di più l’oscurità e si udirono delle voci rumorose sul palco. SI voltarono in quella direzione e videro dei tizi che stavano già caricando le casse. La musica partì e tutti cominciarono a ridere e a divertirsi davvero. Era quella chiassosità in cui era cresciuto Ian, quel sentimento di “casa” che aveva provato quando era entrato.
Quando la cameriera portò i loro ordini Mickey non toccò cibo, troppo intento a guardare la band sul palco. Ian mangiò il suo hamburger mentre ascoltava la musica passare da melodie tranquille a melodie più aggressive a mano a mano che si cambiava da una canzone all’altra. Era piacevole, non era troppo rabbiosa o triste, era ravvivante e ritmata. Ma era troppo concentrato su Mickey per prestare attenzione; Mickey che si era estraniato completamente e si stava concentrando intensamente sui musicisti. Aveva raddrizzato la schiena appoggiando un braccio sul divanetto per vedere meglio dalla loro posizione. Probabilmente si sarebbe alzato da un secondo all’altro per avvicinarsi.
- Possiamo spostarci – mormorò Ian sporgendosi verso di lui per farsi sentire. Mickey si voltò e abbassò di nuovo gli occhi. Perché non lo guardava? – Va tutto bene, Mick? –
Mickey si passò una mano sul viso poi alzò lentamente la testa per incrociare il suo sguardo. Sembrava sul punto di dire qualcosa ma non lo fece e un gruppo di uomini si avvicinarono al loro tavolo, sghignazzando.
- Mickey! – gridarono all’unisono. Cercarono di buttarglisi addosso ma lui li spinse via e si spostò dall’altra parte del tavolo, fissandoli minacciosamente. – Ehi, fratello, come sta andando lo spettacolo di Rick? – biascicò il bianco con i capelli untuosi.
- Da paura. Non che voi foste qui a vederlo –
- Rosso! – sorrise invece il tizio nero avvolgendo tra le braccia e Ian si irrigidì; odoravano si alcool e sudore e continuano a buttarsi uno addosso all’altro. Mickey si allungò e liberò Ian dall’uomo.
- Tieni quelle mani sporche a posto, coglione –
- Oops – ridacchiò e sparirono in mezzo alla folla per avvicinarsi al palco.
- Rick? – chiese con cautela Ian. Si passò le mani sulla camicia ma non riuscì a liberare le narici dall’odore. Mickey non disse niente e dopo un po’ la band finì di suonare. Si alzò, lasciò sul tavolo i soldi per entrambi e Ian prese al volo la torta, mangiandola mentre uscivano visto che Mickey non l’avrebbe fatto.
- È stato piuttosto fico – confessò Ian a bocca piena. – Anche questa torta. Grazie per aver pagato –
- Nessun problema – fece spallucce Mickey e quando furono vicino a casa Ian finì l’ultimo pezzo e buttò il piatto nel bidone di una casa lì vicino.
- Okay, allora, cos’hai? Sembravi uno zombie per tutto il tempo –
- Sto bene –
- È per quel Rick? Volevi parlargli o qualcosa del genere? –
Mickey rimase in silenzio e giunsero sotto al portico di casa Gallagher. – È mio zio – buttò fuori. Ian spalancò gli occhi.
- Merda, davvero? – ripetè Ian sentendosi più sollevato di quanto avrebbe dovuto. Rise e si appoggiò al parapetto del portico. Mickey sembrava non avere idea di cosa fare con sé stesso e calci distrattamente il bordo del gradino.
- Sì, è il fratello di mio padre –
- Perché non sei andato a parlargli? –
- Non so, non è che lo conosca così bene. Cioè, lo conosco, ma non lo vedo spesso. Non posso biasimarlo, qui fa tutto schifo –
- Mi avevi detto che un tuo amico voleva che andassi a vederlo suonare. Non sapeva che eri lì? – chiese Ian sostenendosi con la schiena contro al parapetto.
- Sì, beh, non ha importanza – rispose Mickey scendendo le scale verso il cortile.
- Ehi, Mick, non c’è niente di male. Volevi vederlo suonare, no? Non c’è niente di male –
Mickey giocherellò con la manica e guardò Ian, che si staccò dalla balaustra e gli sorrise calorosamente, parlando poi in tono gentile.
- Suona la chitarra e anche molto bene. Non dovresti sentirti in colpa per ammirarlo -. Aprì la porta e il fascio di luce inondò Mickey, che aveva un’espressione sorpresa e pensierosa. – Grazie per l’appuntamento – aggiunse; era solo mezzo serio e sperò di non aver osato troppo ma Mickey non lo corresse. Anzi, si rigirò completamente e trotterellò su per le scale, facendogli salire il cuore in gola. SI fermò a pochi passi da lui e rimasero in piedi nella fresca aria notturna, ascoltando il suono dei passanti e il brusio delle macchine.
- Mi medichi l’altro braccio? – chiese piano Mickey alzando lo sguardo.
Ian deglutì. Voleva baciarlo e assaporare quelle parole, che lasciavano trapelare fiducia. Si fidava a lasciare che In toccasse le sue cicatrici, si occupasse di lui, facesse qualcosa di importante per lui. Mickey entrò prima di ricevere risposta. Magari era solo un’illusione data dalla luce, ma Ian avrebbe giurato che stesse sorridendo.

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Capitolo 12
*** Guardando Te ***


- Fa un freddo cane – protestò Ian soffiandosi aria calda sulle mani.
- Te l’avevo detto di portare dei guanti – ribattè Mandy porgendogli i pattini. Ian guardò gli scarponi neri e le lame scintillanti.
La pista a pattinaggio era affollata di bambini e adulti che scivolavano da una parte all’altra come in un flipper e il profumo di pizza e hot dog riempiva l’aria, insieme al chiacchiericcio e alla musica pop che proveniva dalle casse.
- Non vengo a pattinare da anni – disse Ian con il fiato che si condensava davanti al suo naso e seguì Mandy fino a una delle panche di metallo per mettersi i pattini. Mandy infilò i capelli nel berretto di lana e si ritoccò il trucco prima di allacciare i pattini. – Aw, sei già bellissima Mandy, non devi farti carina per me – sorrise alzando e abbassando le sopracciglia e lei ricambiò dandogli una spinta. Udirono qualcuno che sgranocchiava rumorosamente e alzarono lo sguardo, trovando Mickey che si avvicinava leccandosi un po’ di salsa al formaggio dal pollice. Mandy allungò la mano per rubargli una patatina ma Mickey allontanò il contenitore di cartone.
- Qual è la parola magica, stronza? – chiese agitando giocosamente i nachos a mezz’aria.
- Coglione – rispose lei con un sorrisetto e saltellò per cercare di toglierglieli dalle mani. Lottarono tirando a destra e a sinistra per circa un minuto finché Ian non si mise in mezzo di soppiatto e gli rubò i nachos infilandosene subito una manciata in bocca.
- Che maiale – rise Mickey e Mandy gli diede uno scappellotto.
- Senti chi parla, sei venuto qui solo per poter mangiare quei fottuti nachos –
- Puoi dirlo forte – rispose con un sorrisetto Mickey riprendendo i nachos per continuare a mangiarseli. Dei ragazzini gli passarono di fianco rischiando di farglieli cadere e Mickey si girò verso di loro. – Andate piano, cazzo – disse con la voce soffocata dalla bocca piena.
- Hai bisogno di aiuto per i pattini? – chiese Mandy voltandosi verso Ian che stava disfacendo i lacci. Scosse la testa e finì di legarli per poi alzarsi in piedi. – Andiamo in pista prima che arrivino altri bambini – sorrise Mandy e gli prese la mano con la sua coperta dai guanti. – Merda, ti si congeleranno le mani, Ian –
- Lo so, sono stato stupido a dimenticarli –
Mickey era seduto sulla panchina che sorseggiava una bibita extra large mentre si guardava intorno annoiato. Quando Ian si girò a guardarlo mentre Mandy lo trascinava verso la pista, gli sorrise dolcemente e si indicò il viso, sperando che Mickey afferrasse. Mickey spostò lo sguardo e si pulì l’angolo delle labbra da un po’ di salsa, irritato ma con il viso arrossato.
- Porca puttana, è bellissimo – esclamò Mandy non appena entrarono in pista. Le persone sfrecciano di fianco a loro e quasi non cadde per la sorpresa. Avanzarono insieme, muovendo lentamente i piedi. Dopo poco tempo presero un buon ritmo e finirono con il pattinare in mezzo alla pista con il resto della folla. – Prendimi se ci riesci! – gridò Mandy è Ian si fermò per poi inseguirla tra le risate. Riuscì a raggiungerla e la afferrò da dietro, facendo cadere entrambi.
- Ah! – rise divertita Mandy pulendosi i guanti tra i suoi capelli. Ian scosse la testa e la spinse via, aiutandola poi a rialzarsi con lui. Dopo altri giocosi inseguimenti, Ian pattinò fino all'uscita della pista e trovò Mickey sdraiato sulla pancia che guardava il cellulare con gli auricolari nelle orecchie. Abbassò distrattamente la mano per prendere la bibita ma Ian fu più veloce e sorseggiò dalla cannuccia. Mickey tolse un auricolare e alzò gli occhi al cielo. – Stupido ragazzino… -
- Ehi, mi sto solo divertendo, al contrario di qualcuno che se ne sta comodamente sdraiato sul divano –
- È una panchina – ribattè in tono beffardo Mickey riprendendosi la bibita.
- Vieni a pattinare con noi, ti divertirai –
- Pensi davvero che verrò a rompermi il culo, a bagnarmi e a congelare? Sai che divertimento –
- Sai pattinare? – chiese Ian chinandosi così che fossero faccia a faccia. Mickey si mordicchiò il labbro e fece spallucce.
- Non deve essere così difficile se ci riescono tutti quei mocciosi –
- Okay, allora non dovresti preoccuparti di romperti il culo, no? – lo sfidò Ian piegando la testa da un lato.
- Fottiti – rispose sprezzante Mickey cercando una nuova canzone e rimettendosi l’auricolare. Ian lo guardò fino a quando Mandy non arrivò con un paio di pattini e si scambiarono uno sguardo complice, poi Ian afferrò Mickey per i polsi, spostando il peso su di essi per bloccarlo mentre Mandy gli toglieva le scarpe. Successe tutto così in fretta che Mickey non ebbe il tempo di opporsi, i pattini ormai legati ai piedi.
- Ma che caz… - buttò fuori cercando di togliersi di dosso Ian, che indietreggiò con un’aria realizzata ma al contempo colpevole per averlo tenuto fermo, siccome non gli piaceva essere toccato in quel modo.
- Scusa Mickey, ma era l’unico modo –
- Fanculo, “l’unico modo”… come cazzo faccio a muovermi adesso? Ridatemi le scarpe – ringhiò guardando storto Mandy che le sollevava con aria trionfante.
- Puoi venire qui a riprendertele, Mick. Sei venuto a pattinare e quindi pattinerai –
- Col cazzo – rispose con una risata vuota, barcollando nella sua direzione. Non riuscirono a trattenersi dal ridere, era troppo comica la scena.
- Mi dispiace, non riesco a prenderti seriamente .- ribattè Mandy tenendosi il fianco per le risate mentre indietreggiava appena. Sembrava così arrabbiato e imbarazzato mentre cercava di prenderla, aprendo le braccia per mantenere l’equilibrio. Ian rise tra sé e sé.
- Me li tolgo e basta – decise Mickey zoppicando verso la panca, ma Ian non glielo permise e lo indirizzò invece verso la pista, la mano ferma nella parte bassa della sua schiena.
- Dobbiamo portarti lì, Mick. Non possiamo certo perdere l’occasione di vedere quanto sei bravo, no? –
- Levati dalle palle! – gli urlò Mickey tirandogli una ginocchiata nella pancia ma Mandy lo prese dall’altro lato e riuscirono a portarlo all’entrata della pista. – Vi ho detto di lasciarmi –
- Non è tanto diverso da quando abbiamo ballato, Mickey – gli mormorò Ian contro all’orecchio. – È solo un po’ più veloce e sei sui pattini. Andrà bene –
Mickey arrossì e questo lo fece sorridere. Si irrigidì quando riuscirono a fargli toccare il ghiaccio con i pattini e cominciarono a scivolare sulla pista senza lasciarlo andare. – Cazzo – ansimò. Mandy lo lasciò immediatamente e Mickey si sbilanciò da un lato, allungando il braccio alla cieca per afferrare la giacca di Ian. Persero l’equilibrio ma Ian riuscì a restare in piedi, al contrario di Mickey, e scoppiò a ridere quando il moro cadde sul sedere, fulminandoli con lo sguardo. – Siete morti, cazzo –
- Provaci, Mickey – ululò Mandy pattinando all’indietro con le mani dietro alla schiena. Scivolò via con naturalezza e si immerse nella folla che pattinava intorno a loro.
- È normale Mickey, poi diventa più facile – sorrise Ian offrendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi. Mickey lo ignorò e cercò di farcela da solo, ma le sue gambe tremavano e sarebbe caduto di nuovo se Ian non gli avesse preso le mani. – Ehi, rallenta – lo blandì in tono rassicurante. Le mani di Mickey erano calde e Ian avvertì un formicolio.
- Sei congelato, lasciami – sibilò Mickey ma Ian non obbedì e lasciò che si appoggia se a lui per stabilizzarsi.
- Anche tu se continui così – sorrise Ian intrecciando le loro dita. Mickey si guardò intorno ma non si ritrasse e finalmente recuperò l’equilibrio. L’aria fredda sollevata dalle persone che sfrecciano ai loro lati era una bella sensazione sulla pelle, una brezza fresca che si insinuava tra i suoi capelli.
- Ma guarda se dovete obbligarmi a fare questa cazzata… - bofonchiò Mickey e ispirò quando Ian cominciò a pattinare all’indietro portandolo con sé. – Cosa cazzo fai? – chiese agitato, guardando i propri pattini mentre cercava di stare al suo passo. Inciampò e si stortò la caviglia ma Ian lo tirò a sé senza lasciargli le mani e aspettò che ritrovasse di nuovo l’equilibrio. – Come vi ho già detto, quando usciamo siete morti – continuò minacciosamente Mickey, ma era una minaccia a vuoto, Ian lo sapeva.
- Mi piace tutto questo – sorrise gentilmente Ian e Mickey tenne gli occhi bassi per vedere dove stavano andando.
- Bene, mi fa piacere che uno dei due si stia divertendo, buon per te – ribattè Mickey seccato.
- No, voglio dire, sono contento di farlo con te. Tu spunti sempre all’improvviso e mi aiuti con i compiti e ora sono io a saper fare qualcosa che tu non sai, così posso insegnarti io – spiegò Ian accarezzandogli distrattamente il dorso della mano con il pollice.
- Che ne dici di insegnarmi di più e parlare di meno dei tuoi fottuti sentimenti? -. Dopo quelle parole, Mickey scivolò e fece cadere entrambi. Rimasero aggrovigliati uno all’altro finché Ian non si spostò ridendo. Era sdraiato sul ghiaccio e il freddo penetrava nei jeans ma era una bella sensazione. Mickey non sembrava altrettanto felice mentre si sedeva e si puliva le mani sulle ginocchia. Socchiuse minacciosamente gli occhi guardando Ian e cercò di rialzarsi ma scivolò di nuovo. – Fammi sapere quando comincia il divertimento –
- Che noioso che sei – mise il broncio Ian rialzandosi e prendendolo per mano. Non diede a Mickey il tempo di stabilizzarsi troppo e cominciò a pattinare trascinando con sé. Passarono pochi secondi e i ritrovarono di nuovo per terra ma almeno Mickey sembrava meno arrabbiato. – Visto? Se ci provi ci riesci anche tu – lo incoraggi Ian mentre si rialzava un’altra volta. – Proviamo ancora –
Quando furono di nuovo in piedi, Ian lo tirò di più a sé. Mickey evitò di incrociare il suo sguardo ma ad Ian non sfuggì la sua espressione imbarazzata. – Concentrati su un punto fisso così non rischierà di cadere troppo. Cerca qualcosa su cui puntare lo sguardo mentre pattini e non staccare gli occhi. Aiuta, fidati di me – spiegò Ian e Mickey cominciò a guardarsi intorno in risposta. – Puoi guardare me se vuoi – suggerì Ian e Mickey diede un colpo di tosse.
- Fottiti -. Continuò a cercare un punto intorno alla pista e i suoi occhi alla fine incrociarono quelli di Ian ma dopo un po’ li abbassò sul logo sulla sua maglietta.
- Okay, va bene comunque – rise Ian e quando lasciò le sue mani gli occhi del moro schizzarono sul suo viso.
- Perché cazzo mi hai lasciato? –
- Così puoi provare a stabilizzarti da solo – rispose con un sorrisetto Ian, felice che Mickey volesse affidarsi a lui. – Rilassati – aggiunse indietreggiando di un paio di passi. Le mani di Mickey si alzavano e abbassavano e gli tremavano le gambe. – Devi respirare Mick, lasciati andare, andrà tutto bene –
- Ho capito Ian, cazzo – sbottò Mickey respirando profondamente. Guardò Ian con uno sguardo d’attesa e Ian sentì il desiderio di abbracciarlo. Era troppo adorabile, con gli occhi blu spalancati per la paura di essersi ritrovato in mezzo ad una pista di ghiaccio ma calmo al contempo, in attesa che Ian lo aiutasse.
In quel momento, Mandy comparve accanto a Mickey facendo stride le lame dei pattini sul ghiaccio e  distolse Mickey dalla sua tranquillità per l’improvvisa interruzione. Guardò Ian come a chiedergli perché fosse ancora lì a perdere tempo con suo fratello ma quando Mickey perse l’equilibrio e cadde a quattro zampe scoppiò a ridere. Ian percorse quei pochi passi che li separavano e si piegò. Quando Mickey alzò la testa stava sorridendo quindi Ian ricambiò, raggiante.
- Che stronzata, chi ha pensato che attaccare un fottuto pezzo di metallo a delle scarpe e usarlo per scivolare fosse una buona idea? – rise piano Mickey e Ian ridacchiò a sua volta divertito. Mandy smise di ridere e guardò prima uno poi l’altro, perplessa.
- Beh, sono sicuro che durante l’Era Glaciale non avessero le macchine quindi dovevano pur arrangiarsi in qualche modo – suggerì Ian.
- Ti prego, dimmi che non lo credi davvero – sospirò Mickey scuotendo la testa è lasciò che Ian lo aiutasse.
- No, non ci credo, grazie tante -. Si spintonarono finché Mickey quasi non cadde e si aggrappò al braccio di Ian. Ridevano come bambini, tirandosi pugni a vicenda e Mandy si avvicinò a loro ancora seduti sul ghiaccio.
- Ehi, sto andando a prendere un po’ di pizza – annunciò e Ian si ripulì i pantaloni mentre si rialzava.
- Arrivo –
- La fila è abbastanza lunga, vi faccio un cenno quando ho finito – lo rassicurò Mandy. Guardò Mickey e i suoi occhi si addolcirono, felici. Sfrecciò via e Ian la seguì con lo sguardo, pensieroso.
- Porca puttana, mi sa che non è così facile –
- Volteggerai come una fatina in men che non si dica, vedrai – disse Ian in tono convincente, pattinando con movimento fluidi intorno a lui.
- Egocentrico del cavolo… - fece un sorrisetto Mickey, gli occhi che non persero di vista Ian neanche per un momento.
- Ehi, guarda che ti mollo qui da solo – lo avvertì Ian passando gli di fianco e sfiorandogli il braccio, applicando una lieve pressione per sbilanciarlo.
- Stronzo – ribattè Mickey voltandosi. Sembrava essersi stabilizzato abbastanza da non cadere mentre stava in piedi. Ian pattinò un paio di volte in cerchio e si fermò di nuovo davanti a lui. Due ragazze passarono lì vicino agitando la mano nella loro direzione e Mickey spostò lo sguardo quando Ian ricambiò.
- Come sei antipatico – lo riproverò docilmente Ian. Quando si rigirò, Mickey gli prese improvvisamente le mani.
- Hai intenzione d guardare le ragazze tutto il giorno o vuoi farmi vedere come si fa questa roba? – chiese con l’accento di un sorriso sulle labbra e Ian abbassò gli occhi. Il suo respiro si spezzò e ammirò le iridi blu di Mickey brillare, più belle di qualsiasi altra cosa su cui avesse mai posato gli occhi.
- Non sto guardando nessun’altro a parte te, Mickey – sussurrò in tono serio. L’espressione di Mickey crollò e le sue dita spasimarono tra le sue. C’era la possibilità che Mickey lo respingesse dopo quel gesto, quindi trascinò entrambi rapidamente sul ghiaccio, guadagnandosi una cacofonia di insulti da Mickey, ma presto ritornarono ai loro movimenti leggeri.
A Mickey non ci volle molto per riuscire a muoversi sul ghiaccio, anche se non riusciva a farlo senza l’aiuto di Ian, ma ad Ian non dispiaceva, trovava conforto nel vedere che ora il moro si stava divertendo.
Mandy comparve al limite della pista quindi scivolarono nella sua direzione, anche se Mickey non con particolare grazia, ma riuscì a non cadere. I tre si ritrovarono presto a chiacchierare animatamente e a litigare per le fette di pizza. Ian non si era mai sentito di poter ridere così genuinamente, di essere poter essere sé stesso all’infuori della sua famiglia fino a quel momento. Mentre guardava Mandy rubare un morso di pizza a Mickey e scatenare un’altra giocosa discussione, si rese conto di tenere a loro più di quanto avrebbero mai potuto immaginare.






Nota di Sidphil: vi chiedo scusa se avete visto che ho pubblicato oggi il capitolo della settimana scorsa, insieme a quello previsto per oggi. Purtroppo, utilizzando il tablet, alcune funzioni di EFP non vengono supportate e quindi ho dovuto trovare un metodo alternativo che ha ritardato i tempi. Spero che non succeda più e vi ringrazio della pazienza. 
 

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Capitolo 13
*** Se Ne Vanno Tutti Alla Fine ***


Mandy e Ian erano seduti sull’erba mentre aspettavano l’autobus quando arrivò Mickey. – Ehi, Mick – lo salutò Ian e Mandy li guardò sospettosa.
- Come sta? – chiese automaticamente Mickey e Ian si sporse sulle le gambe di Mandy allungate sulle sue.
- Era tutta bella comoda nel mio letto stamattina, Sai, dove dormo di solito. Non è che tossirò tutta la notte per il pelo quindi non preoccuparti –
- Più tardi passo a portarle da mangiare – replicò Mickey e se ne andò. Ian lo seguì con lo sguardo e Mandy gli tirò uno scappellotto sul braccio. Sembrava seccata e incuriosita allo stesso tempo.
- Che c’è? – chiese massaggiandosi la spalla mentre lei incrociava le braccia.
- Cosa succede tra te e mio fratello? –
Ian si lasciò ricadere all’indietro sostenendosi sui gomiti. – Cosa intendi? –
- Non so, è che… -. Arricciò le labbra e piegò la testa. – È il modo in cui vi guardate. Non viene mai a parlare di sua spontanea volontà on i miei amici così come fa con te –
Ian rise nonostante la tensione che avvertiva. – Come ci guardiamo?? Spiegami meglio, Mandy –
- Come… -. Strinse di nuovo le labbra. – Non lo so. Mio fratello non si comporta così. Non è proprio socievole, ne caso non lo avessi notato –
- Mi ha parlato per due secondi e sei riuscita a vederci qualcosa di più? –
- Lo conosco – rispose lei sulla difensiva. – È un grandissimo stronzo e si comporta sempre da duro, sai, deve mettere su questa facciata per sopportare mio padre, ma… -. Si fermò e si avvicinò a lui abbassando la voce. – Non ha mai abbassato la guardia con qualcun altro a parte me per troppo tempo –
Ian cominciò ad ascoltare più attentamente. Da un lato avrebbe voluto che non dicesse altro perché si vergognava un po’ di dove stava andando a parare quella conversazione ma era troppo curioso di scoprire qualcosa in più di Mickey di quanto forse avrebbe dovuto.
- Ho solo guardato come ti parla. Lui non è spesso in questo modo. Non sembra che ti voglia prendere a calci nel culo alla minima parola sbagliata. In più, ti lascia occuparti della sua gatta –
Ian si girò dall’altra parte e fece spallucce ma era felice di sentire quelle parole. – Ah sì, a proposito, lo ha solo lasciato nella mia stanza con del cibo. Non penso ci sia qualcos’altro sotto, Mandy –
- Sai, quella gatta è l’unica cosa che considera più importante della sua chitarra. La scorsa settimana le cose si sono messe male, quindi capisco perché non vuole tenerla a casa, ma è pazzesco che si fidi a lasciarla a qualcun altro –
- E quindi? – sospirò Ian cercando di non tra dirsi troppo e si sdraiò sull’erba. Mandy si sporse su di lui con un sorrisetto.
- Oh, non fare il finto tonto con me, Ian Gallagher. Ti piace mio fratello –
Si tirò su così in fretta che sbattè la fronte contro alla sua e Mandy cadde all’indietro con un sibilo di dolore.
- Ahia, Ian! –
- Scusa – si affrettò a rispondere e si massaggiò la fronte. – È solo che… dai, Mandy! Non mi sto scopando tuo fratello –
- Non ho detto questo – grugnì Mandy sistemandosi i capelli. – Sto solo dicendo che sembrate molto intimi –
Arrivò l’autobus e Ian scattò in piedi con la borsa dei libri, aiutando poi Mandy a fare lo stesso. – Anche se volessi fare qualcosa con lui, non succederà -. Salirono e si sedettero sui sedili in fondo. Quando l’autobus ripartì Mandy si girò verso di lui.
-  Allora vuoi farci qualcosa? –
- Sembra che tu lo vigilia a tutti i costi, Gesù… -
- Ian, mio fratello ha smesso di fumare –. Ian giocherellò distrattamente con la tracolla della borsa e cercò di non guardarla negli occhi. – Adesso beve a malapena. Per non parlare del fatto che nell’ultimo periodo non torna più a casa conciato come un barbone –
- Fantastico, magari si è trovato una ragazza – ribattè. Non sapeva perché udire quelle cose lo rendesse così ansioso. Era come se sentendo menzionare tutto questo avrebbe cominciato a vedere oltre e a crederci troppo e non poteva permetterselo.
- Ieri ha dormito da te, vero? –
Ian si girò di scatto. – Te l’ha detto lui? – chiese con la voce tremolante.
- Continuavo ad insistere e alla fine ha sputato il rospo – sorrise lei trionfante e si guardò le unghie aspettando una sua risposta.
- Okay, siamo amici, e quindi? Ne ha anche altri, li ho visti –
- Quei biker da due soldi? No, non sono proprio suoi amici, ogni tanto fumano erba insieme solo per il gusto di farlo, non gli piacciono nemmeno così tanto. E mio papà fa di tutto per impedirci di avere degli amici, ricordi? –. La sua espressione si tramutò in uno sguardo più debole e triste ma tornò immediatamente impassibile. I Milkovich erano troppo bravi a nascondere il loro dolore. Strinse la tracolla.
- Sì ed è una gran stronzata –
- Lo sai, Ian – sorrise Mandy radiosa e posò la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi. Il motore dell’autobus rombava gentilmente e Ian si rilassò e le spostò I capelli dal viso. Mandy rise piano. – Sai che ti voglio bene. Sei l’unica persona di cui mi importa qualcosa all’infuori di quel coglione ossessionato dalla musica Mi fido di te e con te mi sento al sicuro, con gli altri ragazzi non è la stessa cosa, alla fine se ne vanno tutti oppure ho troppa paura di restare con loro.
Ian si sentì stringere il petto e annuì, incapace di formulare una risposta coerente poiché gli si chiudeva la gola. Mandy non esprimeva spesso quel tipo di sentimenti.
- Credo che mio fratello stia cominciano a sentirsi così, sai. Credo che sappia che non gli farai niente, ma è davvero problematico, Ian. Tu sei così delicato e questo probabilmente lo spaventa in qualche modo –
Ian abbassò la testa, i loro corpi che dondolavano a destra e a sinistra per i movimenti dell’autobus. Mandy si sistemò in una posizione più comoda e lo abbracciò. Cominciò a tremare e Ian si irrigidì quando vide delle lacrime scendere sul viso.
- Grazie per avermi parlato il primo anno invece di prendermi in giro – singhiozzò. Prese un respiro e aggiunse: - Grazie per non abbandonarmi ogni volta che faccio quche cazzata e grazie per essere il mio migliore amico -. Tirò su col naso e non riuscì a proseguire quindi nascose il viso contro alla sua maglia. Ian le accarezzò le accarezzò la spalla e le diede una stretta rassicurante.
- Ehi Mandy, non andrò da nessuna parte – rispose piano.
- Mandy annuì e lo abbracciò più forte. – Lo so –
 
 
 
Quando udì un colpetto alla finestra, Ian perse la propria concentrazione e saltò su dal letto e spostò la tenda. Micky era lì fuori con una mano in tasca e una che teneva una borsa di quello che Ian immaginava essere per gatti. Gli rivolse i pollici in su e scese al piano di sotto. Fiona era di nuovo al lavoro, chissà se avrebbe mai incontrato Mickey a quel punto. - Ehi – salutò quando Mickey gli passò accanto per entrare.
- Ehi – ricambiò Mickey fermandosi in fondo alla scala e voltandosi come se avesse dimenticato qualcosa. Si guardarono per un momento e Ian non poté evitare di pensare a ciò che gli aveva detto Mandy sull’autobus. Aveva un radar speciale per i sentimenti di Mickey? Era riuscita ad esporgli un intero saggio su ciò che provava solo dopo aver assistito ad un’unica interazione tra loro e Ian non riusciva nemmeno a capire se Mickey fosse seccato o felice di vederlo in quel momento.
I suoi occhi cristallini erano inespressivi, né arrabbiati né sereni, questo si capiva. Okay, sembrava calargli un po’ la palpebra e sotto agli occhi aveva due cerchi scuri e le sue sopracciglia erano alzate quindi probabilmente non era infastidito… Si sentì stupido ad analizzare tutti quei dettagli. Non era Sherlock Holmes, poco ma sicuro.
- Che cazzo c’è? – chiese Mickey dopo un minuto e Ian abbassò lo sguardo timidamente.
- Ehm, niente –
Mickey non disse altro e salì in camera sua, Ian dietro di lui. Vide la gatta e la prese in braccio, posando per terra la borsa con il cibo. – Come va, McMuffin? –
Ian richiuse la porta è nonostante il tentativo di trattenersi scoppiò a ridere. Mickey lo guardò storto e posò il gatto sul letto. – L’hai davvero chiamata così? Porca troia! – gridò Ian lasciandosi cadere sul letto e tenendosi la pancia per le risate.
- Piantala, è stata Mandy a chiamarla così –
- Ah sì? Certo, ci credo, Mick Muffin –
- È stupido, non ascoltarlo – ringhiò Mickey riprendendola di nuovo per grattarla dietro all’orecchio. Lei miagolò felice e gli leccò la mano. I graffi sulla mano di Mickey erano praticamente guariti ormai, lasciando solo cicatrici sbiadite.
- Prima ha pisciato sul letto – disse Ian e indicò una macchia sulla coperta. Mickey la guardò.
- Se ti spaventa così tanto la pipì di gatto se vuoi te la porto in lavanderia –
- Stronzo – sorrise Ian e si piegò per raccogliere le lenzuola, uscendo poi dalla stanza. Quando ritornò, Mickey stava dando alla micia dell’erba gatta. Ian si mise sul letto e riprese i compiti che aveva lasciato a metà ma continuò a lanciare sguardi fugaci a Mickey per guardarlo mentre egiocava. Sorrideva mentre stuzzicava la gatta e gli brillavano gli occhi; era una cosa stupida ma Ian era geloso all’idea che quei sorrisi non fossero mai rivolti a lui. – Sei davvero carino, Mickey – gli uscì per sbagli, ma desiderò potersi rimangiare quelle parole immediatamente. Perché diavolo doveva dire quelle cose?
Mickey lasciò cadere la mano e il gatto smise di correre intorno, perplessa. – Ti ho detto… -
- Sì scusa, troppo gay – lo precedette Ian scrivendo aggressivamente con il cuore a mille. La gatta si arrangiò da sola strusciandosi contro al ginocchio di Mickey e poi vagò sul letto di Carl, esplorando in mezzo a tutto il disordine/rumenta. Ian cercò di ignorare il battito martellante nel petto mentre scriveva. Aveva I crampi alla mano ma la cosa non lo aiutò. Si stava solo arrabbiando sempre di più ad ogni movimento della matita sulla carta. Dopo un po’ lasciò perdere e si tirò su. – Anzi no, non mi scuso, Mickey. Mi rimangio le mie scuse perché le mie parole erano vere. Fattene una ragione –
Mickey non si girò ma Ian immaginava la smorfia sul suo viso. – Ma che cazzo…? –
Ormai era tardi per tornare indietro quindi Ian buttò fuori tutto quello che pensava, noncurante di cosa avrebbe fatto Mickey. – Sei così convinto di non valere niente che ti arrabbi per qualsiasi complimento e io sono stanco di fingere. Sei carino, cazzo, e non mi interessa se tu pensi di dover essere aggressivo così le persone avranno una bassa opinione di te. Tu vali, Mickey, quindi stai zitto e accetta questo fottuto complimento –
Mickey continuò semplicemente a guardare la gatta che giocava ma Ian notò come il suo corpo si sciolse visibilmente. Si sdraiò su un fianco e Ian pensò che la conversazione fosse finita lì, invece Mickey rispose. – Perché non segui tu il tuo cazzo di consiglio? –
Ian aggrottò la fronte è si spostò in fondo al letto. – Cosa? –
- Come se tu fossi tanto diverso – sputò Mickey fissando il soffitto, inespressivo. – Se tu avessi un po’ di autostima non avresti passato tutto il liceo a fare porcate nei bagni e sotto alle gradinate –
Ian cercò di convincersi che fosse il suo lato difensivo a parlare, ma faceva comunque male. – Mi piaceva, stronzo – ribattè. Mickey lo stava facendo incazzare davvero ora.
- Da quello che scrivi non mi pare – rispose Mickey e Ian sussultò, il battito che accelerava.
- Cosa? –
- Le tue storie – spiegò Mickey spostando pigramente lo sguardo verso lo scomparto pieno di raccoglitori accanto al letto. Ian non riusciva a respirare e si spostò sul pavimento afferrando il braccio di Mickey per girarlo dalla sua parte, costringendolo a guardarlo.
- Mickey – ansimò. – Di cosa stai parlando? –
- Dei tuoi fottuti diari. Ti avevo detto che sei bravo a scrivere quindi leggo le tue cose quando non ho più niente di bello da leggere per la settimana –
L’aria nella stanza sembrò diminuire e tutto cominciò a girare al rallentatore. Ian non riusciva più a pensare razionalmente. Agì d’istinto è colpì Mickey con un pugno alla mascella. Non molto forte, abbastanza da scuoterlo, ma tirò immediatamente indietro la mano e si rialzò, sedendosi sul letto e indietreggiando verso il muro perché Mickey scattò in piedi con un luccichio pericoloso negli occhi.
- Sei impazzito? – lo guardò Mickey, il tono di una calma sinistra.
- Sono cose personali, Mickey – gridò Ian senza lasciare il suo posto contro al muro. Mickey avanzò con passi lenti e pesanti. Ian non aveva mai pensato di poter provare così tanta paura. – Non puoi prendere le mie cose solo perché ti va, non ne hai diritto – continuò acido ma era troppo spaventato per urlare. – Scrivo perché a volte ho bisogno di far uscire quello che provo. Non puoi fare quello che vuoi con… -
Mickey salì sul letto e Ian si immobilizzò; voleva scappare ma non riusciva a muoversi. Nel momento in cui aveva colpito Mickey era cambiato qualcosa in lui, qualcosa che non andava.
- “Perché non mi toccano mai gentilmente?” – recitò Mickey, gli occhi cupi. Ian scosse la testa, riconoscendo le sue stesse parole.
- Smettila, Mickey –
- “Perché sono così violenti? Credevo che avrei provato felicità, amore, serenità. Non c’è niente di tutto questo” –
Ian si coprì gli occhi e scosse la testa; conosceva troppo bene quelle parole e avrebbe voluto non sentire più niente, ma la voce di Mickey era così vicina.
- “Non vogliono me, vogliono solo quello che posso dare e poi mi buttano via come spazzatura. Forse è proprio questo che sono, solo un altro frocio che non vale niente, solo un'altra bocca calda” -. Mickey smise di parlare quando Ian cominciò a piangere. Era troppo sentire le sue stesse parole ad alta voce.
- Basta – boccheggiò premendo le dita sugli occhi e sentendo lacrime calde sui polsi tremanti. Era ridicolo piangere in quel modo davanti a Mickey ma non riusciva a smettere di singhiozzare mentre tutte le emozioni che aveva represso scuotevano il suo corpo. Le aveva messe su carta così che non rimbombassero tutto il giorno nella sua testa ma ora si stavano riversano tutte su di lui come se Mickey avesse aperto una breccia. – Vattene via – continuò a piangere, sentendo bruciare gli occhi dove le unghie premevano sempre di più. Seppellì il viso sulle ginocchia, cercando di nascondere l’umiliazione che provava. Voleva ripeterli di andare via di nuovo ma non riusciva più a esprimere nessun pensiero coerente.
Mickey restò li seduto senza andarsene e senza dire niente e questo gli faceva solo ancora più male. Si raggomitolò ancora di più su sé stesso; gli sembrava di avere un continuo nodo in gola e un peso nauseante sullo stomaco ma non riusciva a vomitarlo fuori. Singhiozzò e strusciò il viso contro ai pantaloni per asciugare un po’ di quel dolore. Mickey gli aveva fatto rivivere tutto ciò che aveva odiato di sé per anni in pochi secondi.
- Cazzo –
Fu tutto ciò che udì da Mickey, seguito dalla porta che sbatteva facendo quasi tremare le pareti. La gatta era ancora lì e miagolò forte alla porta, ma quando Mickey non tornò salì sul letto e si rannicchiò accanto a lui, facendo le fusa fino ad addormentarsi.

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Capitolo 14
*** Vicino, Ancora Più Vicino ***


Ian evitò Mickey per due settimane di fila.
Anche se il mondo non smise di girare, Mickey non smise di andare a scuola e Ian non smise di studiare, il tempo sembrava essersi fermato. Per Ian era tutto confuso, come avvolto in una nebbia in cui si faceva strada a bracciate per cercare di arrivare dall’altra parte. Era difficile concentrarsi su libri di scuola perché la sua mente non riusciva a rilassarsi, ritornava sempre a quei momenti con Mickey. Dopo essersi perso nei suoi pensieri spesso trovava delle gocce sulle pagine e le guance bagnate. Era frustrante piangere come un bambino mentre Mickey andava avanti con la sua vita. Ciò che peggiorava ancora di più la situazione era che Ian soffriva da matti invece di lasciarsi tutto indietro. Mickey lo considerava a malapena un amico, chi se ne importa se conosceva tutte le sue insicurezze, chi se ne importa di cosa pensava o provava Mickey Milkovich nei suoi confronti.
Che andasse al diavolo.
Ian emise un lamento, visto che non riusciva a concentrarsi, e lasciò cadere la testa sui fogli. Inspirò ed espirò ma questo non alleviò il mal di testa.
 
 
- Cosa cazzo è successo? –
Ian non alzò la testa per guardare Mandy che torreggiava su di lui con le braccia incrociate al petto. Sembrava più incazzata che mai, ma Ian era troppo impegnato a memorizzare le flashcards che teneva in mano per rispondere. Mandy gliele strappò di mano e lo costrinse a guardarla. – Ma che cazzo, Mandy? Devo finire di ripassare, il mio test è tra dieci minuti –
- Bene, dieci minuti bastano e avanzano per spiegare, perché non ci sto capendo niente – rispose Mandy in tono fermo e nascose le carte nel reggiseno. Ian alzò gli occhi a cielo e si alzò in piedi.
- Di cosa parli, Mandy? –
- Di te e Mick. Ultimamente è più stronzo e irritante del solito e so che è così perché avete litigato –
- E cosa dovrei centrare io con quello che fa lui? – sbottò Ian. Di solito non si arrabbiava mai con Mandy, non importa quanto potesse diventare schietta, ma ora si stava innervosendo.
- Ian, avrei dovuto avvertirti più spesso. Mickey è fuori di testa, avrei dovuto dirtelo così non avresti finito per soffrire. Cazzo, mi dispiace Ian. Cosa cazzo ha fatto? –
- Non è successo niente – mentì. – Ho solo bisogno che Mickey si riprenda il gatto, non è passato a prenderla. Ora posso riavere le mie carte? –
- Ian, sei stato giù di morale per tutta la settimana. Non ridi e non sorridi e io sto cominciando a preoccuparmi –
- No – disse piano quando Mandy posò la mano sul suo braccio. Si sentì rompere in mille pezzi sotto al suo tocco, incapace di respingerla.
- Ian, ascoltami. Qualsiasi cosa tu provi per mio fratello deve finire qui. Non è quel tipo di ragazzo che ti abbraccerà quando ti sentirai giù o ti darà la luna. Mickey non è in grado di avere una relazione stabile, okay? Non è capace e basta –
Ian sbuffò; avrebbe voluto dirle che stava esagerando ma si sentì crollare a quelle parole. Era come se gli stesse dicendo qualcosa che già sapeva ma a cui non voleva credere.
- Non è stato solo nostro padre a ridurlo così – sussurrò Mandy. – Quando Mickey era alle scuole medie aveva un gruppo di amici, tizi del South Side con cui rubava macchine, si faceva di droghe pesanti, tutte cose stupide, ma erano suoi amici. Prendeva a botte chiunque osasse toccarli, era leale, era fatto così. Una notte lo hanno convinto a farli entrare di nascosto a casa nostra e quando hanno visto che nostro papà non era a casa lo hanno assalito, lo hanno davvero conciato male. Poi hanno rubato un sacco di cose e gli hanno sputato addosso, dicendogli che era solo un rifiuto del North Side e sono scappati –
Mandy tirò fuori le carte dal reggiseno quando suonò la campanella disse: - Mickey non può prendersi cura di te perché non sa neanche come prendersi cura di sé stesso. Non dimenticarlo e risparmiati il cuore spezzato. Te lo dico perché ti meriti tutta la felicità del mondo – spiegò in tono triste. Quando Ian restò in silenzio se ne andò, voltandosi per rivolgergli uno sguardo gentile.
Ad Ian sembrava di non avere più aria nei polmoni ma alla fine mise in tasca le flashcard e prese lo zaino, avviandosi intontito verso la classe.
 
 
 
 
- Oh, alla fine sei tornato – disse Mandy in tono freddo quando Mickey entrò. Era seduta sul divano vicino alla porta principale e quando Mickey si richiuse la porta alle spalle posò il cellulare. Lui la ignorò e attraversò il soggiorno, dirigendosi verso la scala a chiocciola. Mandy saltò in piedi e si frappose tra lui e la scala. – Puzzi come una distilleria – lo squadrò Mandy con una smorfia. Aveva le labbra screpolate e due occhiaie scure.
- Vuoi perdere tutti i denti? – la minacciò Mickey e fece per oltrepassarla ma Mandy alzò il braccio per bloccargli il passaggio.
- Sei ubriaco e hai fatto a botte -notò lei tirandogli indietro i capelli per rivelare il sangue ancora fresco che scendeva sulla fronte.
- È così insolito da queste parti, eh? – ringhiò Mickey, biascicando per l’alcool. Le scacciò bruscamente la mano e cercò di nuovo di proseguire ma lei non si schiodò. – Mandy, se non ti levi finisci in ospedale –
- Dovresti già sapere che con me è meglio non cominciare con queste stronzate, sai che non funziona -. Si avvicinò ancora di più a lui e Mickey spostò lo sguardo. – Dimmi quello che vuoi, ma non fare cazzate con Ian. Qualsiasi cosa tu abbia fatto è meglio che la sistemi. Si merita molto di più di ciò che ha passato e se non fai altro che rendergli la vita ancora più difficile allora sei una persona di merda –
Mickey la spinse da un lato è salì sulle scale ma Mandy lo seguì. – Non ti importa di nessuno all’infuori di te stesso? –
Mickey raggiunse la propria stanza è chiuse la porta con un calcio ma Mandy la riaprì e se la richiuse alle spalle. – Esci dalla mia stanza – disse lui in tono stanco, barcollando verso il letto. La stanza si muoveva troppo e gli faceva girare la testa. -
- Sì, bravo, dormi e dimentica tutto, stronzo. Fai finta che vada tutto bene e ignora tutto quello che sta succedendo così non dovrai preoccupartene. Un giorno ti pentirai davvero di averlo fatto soffrire –
Richiuse la porta sbattendola e Mickey inciampò, rigirandosi sul letto. Anche se era molto più grande e con molti più cuscini di quello di Ian, gli sembrava duro come la pietra a confronto. Allungò il braccio alla cieca, come se si aspettasse di trovare qualcosa o qualcuno accanto a lui e lo lasciò cadere quando trovò il posto vuoto. Gemette e si strofinò gli occhi con i palmi delle mani. Sentì qualcosa di caldo sulle dita e quando riaprì gli occhi vide che era sangue.
Si girò dall’altra parte e si guardò intorno. Ecco la chitarra in un angolo, dove la lasciava sempre, poi la libreria, il computer, tutto era al suo posto. La stanza era pulita e in ordine e non ingombra come quella dei Gallagher, ma Mickey avrebbe voluto che lo fosse. La sua stanza era vuota e scura, una bugia che celava tutto il casino che portava suo padre nelle loro vite.
Si spostò ma non si ea accorto quanto fosse vicino al bordo del letto perché si ritrovò improvvisamente sul pavimento con un dolore lancinante al retro del cranio. – Cazzo – esalò e cercò di sedersi, solo per sbilanciarsi di nuovo all’indietro. Sbattè le palpebre guardando il soffitto e il suo respiro si fece più corto. – Mi dispiace – mugolò pulendosi le mani sul viso. – Non andartene –
Era talmente ubriaco da non Rendersi nemmeno conto di cosa stesse dicendo o a chi. Stava solo riempiendo lo spazio vuoto della stanza con la sua voce. Quando toccò di nuovo il sangue sulla fronte ricominciò a borbottare tra sé e sé. – Sistemare le cose… - farfugliò mentre la sonnolenza è lo stordimento avevano la meglio su di lui. Gli doleva dappertutto, forse per colpa della rissa di quel giorno, qualunque esso fosse. – Mi sistemerai tu? – biascicò e la sua voce sembrò disperata mentre tendeva la mano verso il nulla. Cercò sul pavimento e quando non riuscì più a tenere gli occhi aperti, tutto cominciò a diventare buio. – Ian? – mormorò e pochi secondo dopo che quel sussurrò ebbe lasciato le sue labbra, perse conoscenza.
 
 
 
Passarono vari giorni e Ian ancora non era in grado di non pensare a Mickey. Era tutto ciò che riempiva la sua mente per tutto il giorno, tutti i giorni. Era patetico. Era Mickey ad averlo tradito e fatto soffrire, rovistando tra le sue cose. Come poteva comportarsi sempre come se Ian fosse troppo insistente senza lasciarlo mai avvicinarsi troppo a lui, mentre lui invece annunciava ad alta voce i suoi segreti come se nulla fosse? Aveva letto parole che nessuno avrebbe mai dovuto vedere e le aveva trattate come uno scherzo. Come aveva potuto fare una cosa del genere?
Si alzò dal pavimento della sua camera e si infilò giacca e anfibi con il sangue che ribolliva. Gli ci volle un secondo per salire sulla L e arrivare nel North Side. Questa volta non ebbe bisogno di chiedere indicazioni e camminò a passò svelto e pesante per la strada; probabilmente doveva sembrare un criminale agli occhi delle persone che gli passavano di fianco.
Strinse le mani a pugno nelle tasche della giacca e dovette ricordarsi di restare calmo mentre scavalcava la recinzione intorno alla casa dei MIlkovich, trascinando su per la collinetta. Aveva il fiatone quando giunse in cima, più per la rabbia che per altro, e non sapeva esattamente cosa fare per entrare. Proprio in quel momento, una Escalade entrò nel vialetto. Ian si sentì così coraggioso da essere pronto ad avvicinarsi e tirare fuori quello stronzo lui stesso dalla macchina. Se era Mickey bene, se era suo padre ancora meglio. Ma quel pensiero svanì quando qualcuno lo afferrò da dietro.
Si ritrovò nel cortile sul retro davanti alla fontana. Il luccichio dell’acqua sul fondo gli infuse una sensazione di calma finché il suo sguardo non si posò su Mickey che indietreggiava, lasciandolo andare. Il suo viso era costellato di tagli e aveva gli occhi rossi.
- Cosa cazzo stai facendo? – ringhiò il moro, gli occhi scuri come un mare in tempesta. – C’era mio padre –
- Che si fotta tuo padre e fottiti anche tu – ribattè Ian ma la sua rabbia si era affievolita ora che si trovava davvero davanti a lui.
- Se ti avesse visto… -
- E lascia che mi veda! – rise Ian gettando le mani in aria. – Qualsiasi cosa vogli farmi non può essere peggio di quello che mi hai fatto tu! –
- Ian – sospirò Mickey grattandosi il collo. – Sbrigati e via via prima che.. –
- “Prima che” cosa, Mickey? Prima che mi prendi a calci in culo? Quante stronzate –
- Vattene via, porca puttana! – gridò con voce rauca Mickey e lo spinse. Ian barcollò appena.
- Ti fai gli affari miei, leggi i miei pensieri e TI INCAZZI? Ma guarda un po’ – rispose Ian in tono acido, arrabbiato.
- Hai un gran bel fegato a venire qui con queste cazzate – urlò a scua volta Mickey, cominciando a scaldarsi. – Ti fai gli affari miei ogni volta che ne hai l’occasione, mi chiedi di mio padre, di cosa succede a casa mia, cerchi continuamente di farmi uscire cose che non ci sono. Non me ne frega niente di cosa sperassi di trovare qui, ma è meglio che ti rassegni. Non me ne frega un cazzo i te, stronzo, quindi cosa fai ancora qui? –
Tutta la rabbia di Ian svanì in un istante, sprofondando in un abisso. Le parole di Mickey sembravano una continua pugnalata.
Mickey si girò dall’altra parte, stanco di starsene lì e si portò una sigaretta alle labbra mentre saliva per le scale. Prima che la fiamma potesse toccare l’estremità della sigaretta, Ian lo raggiunse e lo girò verso di lui spingendolo contro alla porta, incapace di respirare e sull’orlo di una crisi di panico. La sigaretta gli cadde dalle mani.
- E allora perché sembra che tu stia cercando di convincere te stesso? – esalò Ian appoggiando la man sula porta, di fianco alla sua testa, sbarrandogli così la strada. – Avevamo detto che non avresti fumato – continuò fissando nei suoi occhi scioccati. – Ti ricordi perché? Volevi che smettessi di andare a letto con chiunque. Odi l’idea che mi tocchino in quel modo, non è così? Ora so che è così perché hai letto che cosa provavo. Sai che nel profondo lo odio anche io, mi odio davvero per quello che faccio e per ciò che lascio che gli altri mi facciano –
Gli occhi di Mickey si spostavano tra quelli di Ian ma non si mosse. Ian prese un paio di necessari respiri e si chinò ancora di più su di lui, pochi centimetri a separarli.
- Non avrei dovuto colpirti e mi dispiace. Probabilmente ne ricevi già abbastanza e ti ho fatto incazzare –
Mickey evitò il suo sguardo, fissandolo invece sugli alberi che li circondavano. Ecco, si chiudeva di nuovo in sé stesso visto che la conversazione si era spostata su di lui.
- Ci tieni a me, Mickey, è troppo tardi per dire il contrario – mormorò Ian. Lo sguardo di Mickey non vacillò è continuò a fissare un punto lontano, come se il suo corpo fosse lì ma non la sua mente. Tremava appena, schiacciato contro al muro sotto alla vista sfuocata di Ian. – Quando sono con te non mi sento una nullità – aggiunse Ian; un peso si levò dalle sue spalle insieme a quelle parole. – E so che anche tu non ti senti così con me -. Si udì a malapena ma erano così vicini che Mickey lo aveva sicuramente sentito. Aveva la mascella contratta e si capiva che avrebbe solo voluto allontanarsi da lui dalla rigidità del suo corpo, ma Ian rimase dov’era.
- Qualsiasi cazzo di cosa tu voglia… - replicò infine Mickey, la voce dura e svuotata da ogni emozione. - …è uno spreco di tempo. Quelle stronzate sull’amore e sulla felicità? Non le troverai qui, quindi stai lontano da me -. Indietreggiò e gli sbattè la porta in faccia.
Ian fissò lo spazio vuoto lasciato da Mickey e poi guardò gli alberi. Scese le scale e immerse la mano nell’acqua della fontana, ma non era tiepida come si aspettava. Era gelida e gli trafiggeva le ossa.
 
 
Era notte fonda e Ian si svegliò di soprassalto. Era sudato, probabilmente stava avendo un incubo. Si stropicciò gli occhi annebbiata per assicurarsi di essere ancora nella sicurezza della propria stanza.
Gli mancava avere Lip e Liam, persino Carl, nella stessa stanza, almeno in quel momento. Era solo in quello spazio piccolo, scuro e soffocante. Il gatto di Mickey dormiva russando debolmente dall’altro lato della stanza, a suo agio sotto al letto di Carl e il suo mormorio era in qualche modo rilassante. Ian sprimacciò il cuscino e si risistemò sotto alle coperte cercando di seppellirsi il più possibile tra le lenzuola. Voleva dormire e basta, era l’unica cosa che voleva ultimamente.
Qualcuno bussò piano alla porta ma Ian non rispose, non aveva voglia di parlare con Fiona in quel momento, aveva bussato lei, no? La porta si aprì e si rinchiuse scricchiolando e Ian aprì gli occhi e li socchiusa per cercare di capire al buio cosa stesse succedendo. Non poteva crederci.
C’era Mickey lì in piedi nella sua stanza, gli occhi che brillavano per la luce della luna che entrava dalla finestra, le mani ai fianchi che tormentava il tessuto della camicia. Ian doveva essersi addormentato di nuovo e stava sognando oppure la sua mente si stava prendendo gioco di lui. Dopo aver sbattuto un paio di volte le palpebre, Mickey era ancora lì.
- Grazie per avermi svegliato – disse in tono freddo e chiuse di nuovo gli occhi. Non aveva proprio voglia di pensare a quella situazione in quel momento. Mickey gli aveva detto di stargli lontano e lui l’aveva fatto. Si sarebbe allontanato una volta per tutte. – Ti infili semplicemente così nelle case degli altri? – aggiunse assonnato, pulendosi il viso con la manica della maglia. – Entri, prendi e usi quello che vuoi, ma del resto sei bravo in questo –
Ad Ian girava così tanto la testa che stava crollando di nuovo nel sonno. Emise dei versi incomprensibili e nascose ancora di più la faccia nel cuscino.
- La tua gatta è là se vuoi. Non ho smesso di darle da mangiare visto che non è colpa sua se è stata abbandonata. Immagino sia facile per te lasciati tutto indietro quando El cose si fanno difficili senza preoccuparti di ciò che lasci, eh? I miei genitori erano bravi in questo quindi ci sono abituato – esalò; le emozioni stavano cominciando a prendere il sopravvento. Inalò un respiro tremolante per calmarsi. – Ma tanto starò lontano da te quindi non preoccuparti, non devi dirmelo un’altra volta –
- Ci tengo a te –
Ian lasciò scivolare la mano dal viso e aprì gli occhi. Il sussurro di Mickey sembrava riecheggiare nella stanza, ormai intrappolato tra quelle quattro pareti. Non erano delle scuse, non era un’implorazione, non era una richiesta di perdono, ma era così onesto, non si era nascosto dietro all’odio per sé stesso o alla paura.
Mickey non si mosse dal suo posto accanto al letto di Ian. I suoi occhi erano imploranti e Ian ricordava cosa gli aveva detto quando l’aveva appena incontrato: che non pregava mai nessuno. Ian pensò ai lividi sui suoi polsi, a com’era stato tradito dai suoi amici, al modo in cui cercava sempre d non sedersi troppo vicino, al suo istinto di respingere ogni cosa che potesse renderlo felice. Il desiderio di dirgli di andarsene fu sostituito dal bisogno di confortarlo. Forse non era proprio salutare e forse Mandy aveva ragione su suo fratello ma Ian era già troppo partito per pensare razionalmente.
Mickey stava aspettando un qualsiasi segnale da parte sua che gli dicesse cosa fare. Questa volta stava lasciando scegliere a Ian se potesse restare o no. Ian si sollevò appena e tese la mano. La stanza era silenziosa, ad eccezione del mormorio del gatto, e Mickey fissò il suo palmo, incredulo; tutta la sua dura scorza sembrò dissolversi. Ma poi Mickey lasciò andare la camicia e quando allungò a sua volta la mano e sfiorò le sue dita, Ian lo tirò sotto alle coperte e lo prese tra le braccia tirandolo a sé, ancora più vicino, perché non gli sarebbe mai bastato.
 

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Capitolo 15
*** Al Tuo Fianco ***


Ian non sapeva proprio quando il suo cuore avrebbe smesso di martellargli nel petto. Stava facendo un test, Cristo Santo. Anche quando ebbe consegnato il foglio, il suo cuore non si calmò.
Quella mattina si era svegliato con Mickey stretto al petto, il profumo del suo shampoo tra le lenzuola, il morbido tessuto dei suoi vestiti tra le dita. Lo aveva abbracciato tutta la notte e si era chiesto come fosse anche solo riuscito ad addormentarsi. Era un miracolo che si fosse svegliato prima di lui e se fosse stato per Ian sarebbero rimasti attaccati tutto il giorno.
Così era stato finché Fiona non aveva aperto la porta per dirgli di andare a scuola. Mickey si era vegliato di soprassalto e in un secondo aveva preso la gatta ed era uscito di casa così velocemente che Ian cominciò a chiedersi se non fosse meglio che cominciasse a darsi all’atletica piuttosto che a suonare la chitarra.
Questo però non gli faceva dimenticare il fatto che Mickey non se n’era veramente andato, perlomeno non volontariamente, e questo lo faceva sentire mille volte meglio. Sapeva che considerare quelle parole di Mickey come una vera e propria confessione fosse azzardato. Non erano un “ti amo” o qualcosa del genere ma non poteva evitare di vedere uno spiraglio di luce in mezzo al loro nebuloso rapporto.
Ciliegina sulla torta, Mickey gli si avvicinò dopo la lezione come faceva di solito Mandy. – Ehi – lo salutò il moro, ma sulla sua faccia non c’era alcun segno che ciò che era successo la notte prima avesse cambiato qualcosa tra di loro. Ian arrossì comunque è proprio quando le farfalle nello stomaco avevano iniziato a diminuire, eccole che ritornavano.
- Ehi – ricambi balbettando. Cercò qualcosa negli occhi di Mickey, senza sapere realmente cosa, m voleva che ci fosse.
- Allora, devo fare questo compito con mia sorella – disse Mickey andando dritto al punto. Ian continuò a cercare un segno, qualsiasi cosa che gli confermasse di non aver immaginato l’implorazione della sera prima. – Oceanografia, una roba del genere, e sabato dobbiamo andare ad una gita all’acquario nel North Side. Se non hai niente da fare potresti passare anche tu. Mandy mi ha detto di chiedertelo perché è dovuta andare via prima –
- Sta bene? – lo interruppe prima che potesse finire e Mickey annuì.
- Ha fato finta di stare male per poter passare la giornata con il suo toy boy. Comunque, se ti annoi costa solo tre dollari. Hai bisogno di soldi? –
Ian non riuscì ad impedire ad un sorriso di formarsi sulle sue labbra e non appena Mickey se ne accorse, si girò dall’altra parte. – Fammi sapere se vieni o no più tardi allora, e che cavolo -. Se ne andò spingendo via le persone dalla sua strada. Ian lo seguì con lo sguardo e lo stomaco sottosopra. Era fottuto.
 
 
 
Non ci volle molto per trovare il gruppo di adolescenti che bighellonavano davanti alla vasca delle mante. Ian si sistemò i capelli, ricordando di aver bisogno di una spuntatina, e cercò i due MIlkovich. Quel giorno c’erano davvero tante persone all’acquario, quindi non era facile trovarli. Ian si infilò in mezzo ai ragazzi in gita e si fece strada finché non trovò Mandy. Stava parlando con Mickey invece che con un ragazzo qualsiasi, il che era abbastanza sorprendente, e a giudicare dai loro occhi ridenti stavano avendo una conversazione divertente.
Si avvicinò, Mickey lo vide per primo e si spostò verso le mante. Quando Mandy si girò, gli corse incontro per abbracciarlo. – Sei venuto! –
- Questo posto è enorme – commentò Ian staccandosi. Mandy lo prese a braccetto e quando la classe ebbe finito di scattare foto alle mante, si spostarono verso l’entrata buia di una galleria lì vicino. Mickey si sposò nello spazio rimasto vuoto davanti alla vasca delle mante e si accovacciò. Si sporse sull’acqua limpida e guardò. Mandy e Ian comparve ro dietro di lui e lo imitarono. Le mante sembravano dei grandi pipistrelli e volteggiavano sul fondo, salendo occasionalmente verso la superficie.
- Dai, Mick, dobbiamo restare con gli altri – gli ricordò Mandy. Ian si staccò da lei e si inginocchiò accanto a Mickey. Osservarono le mante sfiorarsi l’una con l’altra, immergersi e scivolare nell’acqua.
- Sembra che stiano ridendo – rise a sua volta Ian quando una di loro salì in superficie mostrando la bocca. Allungò la mano ma l’animale non si avvicinò abbastanza da essere toccato. Mickey immerse la mano e aspettò pazientemente. Quando una di loro finalmente si avvicinò, si sporse così tanto che Ian dovette tenerlo per i fianchi per evitare che cadesse nella vasca. Mickey la toccò e tirò fuori la mano, sorridendo compiaciuto come se avesse appena raggiunto un grande traguardo.
- Stai cercando seriamente di provarci adesso? – chiese a Ian lanciando un’occhiata alle sue mani e Ian lo lasciò.
- Avrei dovuto lasciarti cadere dentro – replicò Ian con una nota di sarcasmo nella voce, girandosi per immergere a sua volta la mano. Una manta si avvicinò ma non riuscì a toccarla. – Ehi, tienimi così riesco ad accarezzare una anche io –
- Hai sentito, stronza? – chiese divertito Mickey.
- Parlava con te, cretino – lo fulminò Mandy. Sembrava sollevata nel vederli finalmente andare d’accordo ma nel suo sguardo c’era anche preoccupazione, come se aspettasse di veder succedere qualcosa di brutto.
- Penso che tu ce la faccia da sa solo – rispose Mickey e si alzò. Ian si sporse più di quanto avrebbe voluto e sfiorò il dorso della manta. Quando si sbilanciò, Mickey lo afferrò per la maglia e lo tirò verso di lui. – Cristo, Ian – sospirò lasciandolo andare. Ian si sentì più sollevato di quanto avrebbe dovuto quando Mickey si allontanò.
Entrarono nel tunnel è si ritrovarono circondati da una luce blu. Dietro alle vetrate nuotavano delle meduse. Sembravano sfere di luce arancione, rosa e viola. Ian le guardò meravigliato e Mandy si fermò un momento per prendere appunti sul suo quaderno. Mickey proseguì mostrando un’aria particolarmente interessata a una piccola medusa vicino al vetro.
- Avete fatto pace? – sussurrò improvvisamente Mandy scattando velocemente una foto ad un banco di meduse sopra di loro.
- Cosa? Ah, sì – borbottò imbarazzato Ian. Non era sicuro di volerle dire tutto. Magari poteva aiutarlo con Mickey ma qualche giorno prima aveva reso chiaro che cosa pensasse di loro due insieme.
- Quindi hai intenzione di portare avanti questa cotta per mio fratello? Devi stare attento –
- Mandy, stai tranquilla. Non è che mi sia innamorato –
- Ian non posso starmene qui seduta a guardare questo treno deragliare! Pensavo che mi andasse bene, ma Mickey non è il tipo per te. Non hai idea… -
- Mandy, lascia perdere, okay? – sussurrò Ian con urgenza e si guardò intorno. Per fortuna Mickey non era lì. Lei rimase in silenzio fino alla fine del tunnel.
Nell’area seguente trovarono vasche di pesci tropicali e tartarughe. La stanza era buia e il riflesso delle increspature dell’acqua danzava sul soffitto, dando l’illusione di essere sott’acqua. Mandy analizza i pesci con aria annoiata e Ian attraversò la stanza per raggiungere Mickey. Stava osservando una grande tartaruga di mare che nuotava lentamente davanti alla vetrata. Le ombre e i raggi di luce illuminavano il volto di Mickey e l’atmosfera era così serena che Ian avrebbe potuto sdraiarsi per terra e schiacciare un pisolino.
- Hai seriamente intenzione di continuare a seguirmi? – chiese Mickey ma il suo tono era calmo, non sembrava irritato.
- Beh mi hai chiesto di venire e non voglio che tu ti senta ignorato – sorrise Ian appoggiando un dito sul vetro. La tartaruga probabilmente lo scambiò per del cibo e schizzò un paio di volte verso esso ma poi si allontanò nuotando.
- Ti ho detto che è stata Mandy – replicò Mickey con le mani in tasca.
- Non sembravi così contrario – ribatté con sicurezza Ian. Mickey lo guardò in tralice e sorrise sarcastico per poi andarsene.
Ian esalò un sospiro. I suoi tentativi di avvicinarsi a Mickey non lo stavano portando da nessuna parte, sembravano continuamente sospesi in un limbo. Forse Mandy aveva ragione  e avrebbe dovuto dimenticare di poter essere qualcosa di più per Mickey. Avrebbe dovuto smettere di sperare che un giorno Mickey si aprisse così che potessero andare oltre quella sfuggente amicizia.
 
 
Per tutto il resto del tempo esplorarono le attrazioni dell’acquario. Mickey sembrava interessato a tutto, molto più di Ian e Mandy. Si trovavano in un tunnel di vetro circondati da pesci, squali e altre creature marine. Mandy era assorta in un’animata conversazione con un ragazzo della loro classe quindi Mickey si concentrò su alcuni pesci pagliaccio che nuota vano sopra di lui. C’erano pesci ovunque, alcuni erano molto graziosi e colorati, altri luminosi, altri ancora più grandi e dopo un po’ si ritrovò completamente affascinato dalla loro bellezza.
Mickey comparve accanto a lui, piegando il capo per guardarli meglio. Una manta nuotò vicino a loro seguita da uno squalo, la pinna che faceva avanti e indietro lentamente. Era rilassante guardare quelle creature che nuotavano insieme sotto alla luce che filtrava dall’acqua. - Non ti da’ fastidio che mia sorella ti pianti così? -  chiese Mickey e Ian fece spallucce.
- Ha anche altri amici –
- Non gliene frega un cazzo di loro –
- Lo so – replicò tristemente Ian; conosceva fin troppo bene le compagnie di Mandy. – Magari vuole solo più di quello che ha già – ammise voltandosi verso di lui.
- Che stupida –
- Non lo pensi davvero. Credo che tu e Mandy vi preoccupiate uno per l’altra molto più di quanto vogliate ammettere –
- Non sai proprio niente –
- E invece penso di sapere molto più di quanto credi – replicò piano Ian e Mickey lo guardò.
- Sì certo, So-tutto-io, non sai neanche risolvere un normalissimo problema di matem… -
- Conosco te e Mandy – lo interruppe Ian tornando a guardare i pesci sopra di lui. Vide un pesce martello color rame seguito da un banco di pesci angelo. – Non vuoi che io ti segua eppure ora sei qui a parlare con me, perché hai paura che io ci rimanga male se Mandy mi lascia da solo e tu non vuoi farlo, giusto? Visto, ti conosco – sorrise Ian osservando una tartaruga avvicinarsi e far scappare tutti gli altri pesci.
Mickey rimase in silenzio ma non se ne andò. Rimasero lì per un paio di minuti e presto la folla cominciò a diradarsi sempre di più. Dopo aver osservato un altro paio di squali nuotare nell’acqua cristallina, fu Ian ad andarsene questa volta.
Quando Ian e Mickey uscirono, l’autobus noleggiato per la gita se ne stava andando. Anche Mandy era sparita. Mickey guardò il suo foglio per gli appunti intonso e lo buttò via, avviandosi nella direzione opposta.
- Hai perso l’autobus – gli fece notare Ian e lo seguì.
- Perspicace come sempre – rispose Mickey rallentando il passo.
- Quindi vai a casa? –
- Chi lo sa –
- Okay – rispose Ian quando giunsero alla fermata dell’autobus in fondo alla strada. Si sedette sulla panchina di fianco a Mickey, colpendogli il ginocchio con il proprio. Mickey guardò in basso e poi guardò Ian, che faceva finta di non essersene accorto, appoggiandosi contro allo schienale di plastica dura.
- C’è un sacco di spazio – disse Mickey riferendosi allo spazio vuoto accanto a Ian.
- Oh, ma guarda un po’ – mormorò Ian in risposta.
- Che sbruffone che sei – ribatté Mickey ma sulle sue labbra si vedeva l’ombra di un sorriso appena accennato. Continuarono a chiacchierare sull’acquario e di altre cose per un po’ ma Ian non ricordava molto. Era troppo felice perché durante quella mezz’ora in cui parlarono, prima che l’autobus arrivasse, Mickey non si spostò mai.

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Capitolo 16
*** Sorridi ***


Non avrebbe dovuto dargli così fastidio, per niente. Eppure, Ian non riusciva ad ignorare quella sensazione insistente mentre guardava Mickey dalla vetrata della mensa. Era seduto fuori su un sottile strato di neve sotto all’albero ma non c’era la sua solita compagnia, gli amici che calcolava a malapena quando leggeva. Invece, c’era un altro ragazzo con lui. La cosa che lo turbava era vedere il suo libro chiuso e l'attenzione di Mickey completamente rivolta al ragazzo.
- Pronto? Terra chiama Ian – lo interruppe Mandy agitandogli la mano davanti agli occhi. – Sembri posseduto –
- Eh? Oh no, è che questo pranzo ha qualcosa che non va – fece spallucce punzecchiando il cibo pastoso nel piatto.
- E continui a mangiarlo comunque? Che furbizia – rise lei e Ian fece lo stesso.
Quando suonò la campanella si avviarono verso le rispettive lezioni ma Ian fu sorpreso di trovare Mickey in corridoio insieme all’altro ragazzo. Erano impegnati in una conversazione e Ian non poté evitare di provare quella punta di gelosia che cercava di ignorare. Dopotutto, non è che Mickey fosse totalmente disinteressato alle situazioni sociali o evitasse le persone come se potessero passargli qualche malattia e che Ian dovesse farsi in quattro anche solo per avere un sorriso da parte sua, no naturalmente non era così… Se non che in realtà le cose stavano proprio in quel modo e ora Mickey stava parlando e ridendo con quel ragazzo come se fossero amici da anni. I suoi occhi non lasciavano mai il volto dell’altro e ad un certo punto sorrise, uno di quei meravigliosi sorrisi che Ian aveva visto sulle sue labbra per caso solo quando era nel mezzo di una bella lettura o quando giocava con la sua gatta. Cazzo, perché doveva sorridere così adesso?
Ian avrebbe voluto cambiare direzione ma la sua lezione era nella classe a pochi metri da loro quindi cercò di Rendersi il più invisibile possibile in mezzo agli altri studenti mentre passava di fianco a loro. Ma non servì a molto visto che Mickey non lo notò nemmeno.
 
 
 
Era Dicembre, quindi vedere un lieve manto bianco sul suolo non era una sorpresa, ma la neve era arrivata totalmente all’improvviso. Ian era sul marciapiede davanti ad un negozi di vestiti a basso costo ad aspettare che Mandy finisse di restituire un acquisto. Sbattè il piede contro al bordo del marciapiede per ripulire le scarpe dalla neve e quando rialzò la testa Mandy stava tornando. Non era molto coperta, indossava un vestito aderente che lasciava le gambe quasi interamente nude e quando Ian la squadrò da capo a piedi si sentì come un padre. – Siamo sotto zero, Mandy –
- A Michael piace vedere un po’ di pelle – spiegò facendo una giravolta. – E poi già che c’ero dovevo pur comprare qualcosa –
- “Dovevi”? Shopping-dipendente – rispose con un sorrisetto Ian. – Di’ a questo tizio di guardarsi un porno se vuole vedere gente nuda, perché tra un po’ diventerai tu un ghiacciolo -. Lo frustrava vedere fino a che punto Mandy si spingesse per le sue “avventure”. Dentro di lui sapeva che mentiva a sé stessa e che in realtà voleva un ragazzo, non solo delle avventure occasionali. Capiva troppo bene quel sentimento.
Mandy lo prese per mano e camminarono lungo il marciapiede. Anche se era in ritardo non andò di fretta.
- Ti piace davvero questo ragazzo? Sembri felice – chiese Ian e lei scosse la testa.
- Sono felice di avere un migliore amico così dolce che si preoccupa tanto per me –
- E non dimenticarlo – ridacchiò Ian stringendole la mano. – Dove vi dovete vedere? –
- Al “Pizza Place”, è a due isolati da qui – sorrise lei indicando con un cenno della mano la strada.
- Ed è un ragazzo per bene? –
- Sì, è un ragazzo per bene –
- Okay – replicò Ian anche se avrebbe voluto dire di più. Voleva potare a casa Mandy, guardare film insieme e portarla lui stesso in un bel ristorante, anche con il portafoglio vuoto. Per tre anni l’aveva guardata passare da una relazione all’altra e inizialmente era sempre entusiasta ma poi erano sempre finite male. Sfortunatamente, I suoi consigli le erano entrati da un orecchio e usciti dall’altro. Chissà se quella testa dura l’avrebbe aiutata a sopportare la presenza di quei rifiuti umani che si portava a letto. Ian si bloccò all’improvviso senza lasciare la sua mano e Mandy sobbalzò, guardandolo confusa.
- Ian? –
- Non andare con questo ragazzo, Mandy – fu l’unica cosa che riuscì a dire. Alcuni fiocchi di neve si infilano tra i capelli di Mandy e si posarono sul suo naso. Lo guardò sbattendo le palpebre e Ian non poté evitare i pensare che fosse più carina di ogni altra ragazza del mondo.
- Che c’è, Ian? – chiese lei posando la mano sulla sua, intrecciata all’altra.
- Non andare e basta, okay? – ripeté Ian con la voce più debole Forse era perché voleva che si rendesse conto di essere migliore di quei ragazzi. Forse si sentiva solo perso dopo averla vista adulare uno sconosciuto. Forse aveva davvero bisogno di qualcuno che lo mettesse al primo posto questa volta.
Mandy esitò e fu sul punto di parlare ma poi gli rivolse un lungo sguardo e sorrise gentilmente; si voltarono dall’altra parte e camminarono nella direzione opposta al luogo dell’appuntamento.
 
 
 
Stanco morto per il ROTC, an uscì da scuola con uno sbadiglio, lasciano indietro Mandy che aveva un test di recupero. Quando si avvicinò alla fermata dell’autobus, sorrise a trentadue denti. C’era Lip, che fumava una sigaretta dall’altra parte della recinzione che circondava la scuola. Si girò e fece un sorrisetto, quel sorriso pigro, arrogante abbastanza da far incazzare qualcuno ma sghembo quel tanto che bastava a fargli capire che fosse felice di vedere Ian.
- Che cazzo ci fai qui? – esplose Ian correndogli incontro. Gli rubò la sigaretta e aspirò un tiro e Lip la riprese lasciandola dondolare tra le labbra mentre parlava.
- Ho il mese di pausa invernale –
- Beato te – protestò Ian. – A me manca ancora una settimana –
- Liceo… - rispose beffardo Lip, il fumo che fuoriuscita attraverso le labbra. – Come se Chicago non fosse già un inferno anche senza quello –
Il viso di Ian crollò quando video Mickey in cortile. Era con lo stesso ragazzo di qualche giorno prima e dalla sua espressione si vedeva che erano impegnato in un’altra conversazione profonda. Scavalcarono la recinzione con un salto e, pur avendo la chitarra con sé, Mickey non si sbilanciò. Lip sembrò notare il cambiamento di umore di Ian e seguì il suo sguardo. – È il tuo ragazzo? –
- Neanche lontanamente – rispose Ian. Voleva sembrare una risposta casuale ma uscì in tono più nostalgico di quanto avrebbe voluto.
- Ma vorresti? – continuò Lip ma Ian non rispose perché Mickey è il suo amico si avvicinarono.
- Come va? – gli chiese Mickey lanciando uno sguardo momentaneo a Lip. Ad Ian non venne in mente nessuna risposta particolarmente arguta quindi annuì e basta. Mickey lo fissò, colto di sorpresa, e guardò di nuovo Lip.
- Mio fratello, Lip – lo presentò Ian. Lip gli rivolse un vago cenno con la mano, non un vero e proprio saluto, evidentemente non molto interessato a Mickey e al suo amico. Mickey fissò intensamente il fumo c’è gli usciva dalle labbra e poi guardò altrove, come se quella vista gli facesse fisicamente male.
- Devi proprio fumare adesso? –
- Se con “devi proprio” mi stai chiedendo di smetterla, no, fottiti –
Ian sorrise appena al commento di suo fratello e Mickey gli rivolse il dito medio. – Mickey si sta disintossicante – intervenne Ian con un sorrisetto diretto a Mickey, che si girò a guardarlo.
- Sì e di chi è la colpa? –
- Mi ringrazierai quando non starai morendo di cancro come il resto di noi – gli assicurò Ian prendendo la sigaretta di Lip e aspirando un’altra volta. Mickey non ne sembrò molto contento ma il ragazzo di fianco a lui lo precedette.
- Ehi Mickey, dovremmo andare –
Fu strano e in un certo senso confortante che Mickey non lo presentò prima che se ne andassero. Quando furono abbastanza lontani, Lip guardò Ian e riprese la sigaretta. – Te Ii scegli proprio bene, Ian –
- Senti chi parla –
 
 
 
 
Ian face traballare la matita contro alla pagina del libro finché non si arrese. Alzò lo sguardo verso Lip che dormiva  nel letto a castello e poi guardò il letto sotto, vuoto. Se non fosse stato per il fatto che ogni tanto lo vedeva al pomeriggio dopo la scuola, avrebbe pensato che Carl fosse scappato di casa.
Era bello avere Lip a casa. Avevano passato circa due ore a parlare e Ian ne aveva apprezzato ogni secondo. Con Lip sentiva che ogni sua parola veniva davvero ascoltata e riceveva una risposta, come se ogni cosa che diceva o non diceva contasse allo stesso modo. Per quanto Lip potesse essere stronzo, Ian trovava che tra loro ci fosse un reciproco rispetto e vicinanza che Ian non sentiva con nessun altro.
Uscì di casa, felice di prendere un po’ di aria fresca  dopo essere rimasto chiuso in camera con i suoi libri da quando Lip era andato a letto. Ciò di ci aveva bisogno era un hobby. Era stanco di tornare a casa e studiare oppure affidarsi ad altre persone per sentirsi meno solo. Il sesso aiutava fino a un certo punto ma aveva promesso di non ritornare mai a fare quelle cose, indipendentemente da quanto si sentisse giù di morale.
Poteva sempre chiamare Mandy ma era mezzanotte passata quindi ci ripensò. Vagò per le strade per un po’ finché non si svuotarono quasi del tutto, aumentando il suo senso di solitudine. I viali vuoti e coperti di neve bagnata rendevano l’atmosfera fredda e ostile quindi Ian tornò indietro. La settimana era finita e il giorno dopo poteva svegliarsi tardi.
Ma poi vide Mickey con il ragazzo della scuola e altre persone. Sembrava che si stessero divertendo, ridendo come matti. Se prima Ian non si sentiva depresso per la solitudine, adesso lo era. Non volendo attirare l’attenzione, si voltò nella direzione opposta e cercò di farsi piccolo piccolo, proprio come si sentiva dentro di lui.
- Ian! –
Era la voce di Mickey. Quella voce che pronuncia va il suo nome, che gli faceva provare certe cose, cose che lo tranquillizzavano e gli facevano male allo stesso tempo. Tuttavia non si girò e aumentò il passo. Non voleva distrarlo dal suo divertimento. Immaginando che Mickey l’avrebbe lasciato perdere, svoltò l’angolo e prese un respiro profondo. Perché si comportava così? Solo perché Mickey aveva qualcuno con cui uscire il venerdì sera e lui no.
- Ian –
Si girò e Mickey rallentò, camminando a passo svelto verso di lui. Le risate dei suoi amici ora erano lontane.
- Non mi hai sentito? – chiese Mickey, non in tono accusatorio, bensì curioso.
- Ehm, sì – rispose Ian, incapace di mentire. – È che mi sembravi impegnato –
- Non stavamo facendo niente di che – fece spallucce Mickey. Il respiro gli morì in gola quando Mickey si avvicinò di più. Era quella sensazione di panico, quel panico che provava quando i suoi polmoni non riuscivano a stare dietro al resto del corpo e gli bruciavano gli occhi per il bisogno di piangere. Voltò le spalle a Mickey e riprese a camminare, cercando di calmare il respiro; faceva male ma non sarebbe crollato davanti a lui.
- Ian, aspetta, che cazzo ti prende? – lo chiamò Mickey correndogli dietro. – Ho fatto qualcosa che non va? –
- Sai di erba – rispose Ian ma non riuscì e controllare la rabbia e il dolore nella sua voce.
- E quindi? – sbuffò Mickey.
Ian avrebbe solo voluto andarsene senza che Mickey lo seguisse perché se avesse cominciato  spiegarsi non sarebbe riuscito a non oltrepassare il limite e a rompere l’equilibrio che avevano stabilito. – Erba, quindi hai fumato – rispose acido Ian; non gli importava se avrebbe capito o meno. Mickey lo seguì fino all’isolato seguente, le mani in tasca.
- Okay, sì, ho fumato erba –
- Bravo – commentò sarcastico Ian e questa volta Mickey lo afferrò bruscamente girandolo verso di lui, ritrovandosi quindi faccia a faccia.
- Perché cazzo ti comporti così? –
- Beh se tu puoi fumare erba allora che ne dici se io vado a succhiarlo a qualcuno? Non è sesso, quindi non dovrebbero esserci problemi –
Mickey si passò il pollice sulle labbra e sollevò le sopracciglia. Ian non incrociò il suo sguardo perché stava immaginando Mickey che divideva uno spinello con quel ragazzo, a  come inalavano uno il fumo dell’altro e a come Mickey fosse probabilmente strafatto e felice perché quel ragazzo non gli rompeva le palle se voleva fumare.
Perché se la prendeva così tanto? Il loro piccolo accordo no sesso-no fumo non avrebbe dovuto essere così importante. O almeno era quello che voleva credere, ma per lui era un promemoria che a Mickey importava di lui.
- Vuoi fumare anche tu? Ne hanno un po’ – chiese Mickey.
- Perché dovrei? Non mi interessa quello che fai con i tuoi amici –
Calò un silenzio carico di tensione e Mickey sospirò. – Allora cosa cazzo vuoi? –
-  Non voglio niente da te – sbottò Ian con le lacrime agli occhi. Se ne andò di nuovo, risparmiando a Mickey l’orrore di doversi occupare anche delle sue emozioni.
- Ehi – lo chiamò un’altra volta il moro in tono più gentile e si mise davanti a lui per bloccargli il passaggio. – Non lo farò più, okay? Non andare a succhiarlo a qualche sconosciuto –
- Ti ho già detto che sei libero di fare quello che vuoi – replicò duro Ian abbassando la testa. – Non ho intenzione di impedirtelo io. Torna dai tuo amici, probabilmente si stanno chiedendo dove sei finito –
Ian si ritrovò improvvisamente a fissare Mickey negli occhi, poiché la mano del moro era sulla sua guancia che gli sollevata dolcemente il viso. – Non mi importa di loro… - disse cauto, come se stesse cercando di non dire troppo di più o troppo meno del necessario, e poi tolse la mano come se non dovesse neanche essere lì prima di tutto.
Quando Mickey disse quelle parole, Ian cercò un significato nascosto e forse si stava solo illudendo, ma aveva percepito qualcosa di più.
Non mi importa di loro, non come di te.
 
 
- Allora, chi è quel ragazzo? –. Ian era sdraiato sulla gelida panchina del parco e osservava Mickey che disegnava delle figure nella neve con un bastoncino. Non alzò nemmeno la testa.
- Di chi parli? –
- Il ragazzo con cui ti vedi – ripeté Ian come se fosse ovvio. Si girò a guardare il cielo, timoroso di vedere gli occhi di Mickey brillare di felicità alla menzione del ragazzo.
- Intendi mio cugino? –
Ian si voltò così rapidamente da farsi male al collo. – Tuo cugino? –
- Sì, questa settimana sta facendo assistenza a scuola quindi ogni tanto usciamo insieme –
- Assistenza? – continuò Ian; più Mickey spiegava più si sentiva ridicolo.
- Sì, è assistente didattico, studia al cazzo di college e sta facendo tirocinio. Non so perché diavolo abbia scelto la nostra scuola, ha detto che voleva lavorare con i ragazzi meno fortunati che hanno bisogno di una spinta o qualcosa del genere -. Spostò un po’ di neve con il bastone mischiandola con il fango sottostante e sporcandone il bianco candore. – Parliamo di musica e di mio zio, sai, suo padre – concluse Mickey punzecchiando il suolo.
Ian scoppiò a ridere; quella sensazione di vuoto svanì mentre il suono della sua risata riempiva la notte. Mickey, che era accovacciato, si rialzò e lasciò cadere il bastone nella neve. – Siamo sicuri che sono io quello strafatto? –
- Scusa – esclamò Ian coprendosi gli occhi con il braccio. – È solo che è bello saperlo -. Quando tolse il braccio, Mickey si era spostato vicino alla panchina e si era piegato per guardarlo.
- E perché? –
Anche se Mickey non era grazioso come Mandy, sotto alle stelle e alla neve toglieva il fiato mentre e guardava Ian attraverso le ciglia scure., le labbra appena socchiuse e rosse per il freddo. In quel momento, Ian avrebbe potuto dirglielo. Avrebbe potuto dirgli tutto ciò che provava, cavolo, avrebbe dovuto semplicemente baciarlo e farla invita visto che Mickey gli stava dando inconsapevolmente la possibilità di farlo. Ma non ebbe il coraggio, aveva troppa paura delle conseguenze.
- Sei davvero affezionato a tuo zio, eh? – chiese invece, indirizzando la conversazione altrove per non fare qualcosa di cui si sarebbe pentito.
- Se questo lo definisci “essere affezionato”, allora sono affezionato a un sacco di cose –
- Non direi proprio, è davvero complicato farti piacere qualcosa –
Mickey si bloccò e si fissarono finché un sorriso non si allargò sulle labbra di Ian. Mickey sorrise a sua volta, quel sorriso felice, dolce, che Ian adorava. Quando era rivolto a lui era ancora più bello e Ian pensò che forse Mickey non era l’unico ad avere una dipendenza.

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Capitolo 17
*** A Nessuno Importa Davvero ***


Quella notte, Mickey sgattaiolò in casa ancora strafatto di erba e forse anche un po’ per essere stato con Ian. Chiuse piano la porta come d’abitudine a quell’ora della notte, poiché il più piccolo rumore poteva infastidire suo padre. Ma il suo cuore smise all’istante di battere quando trovò Terry seduto in soggiorno con altri due uomini in giacca e cravatta. Cazzo, Mickey in quel momento aveva gli occhi iniettati di sangue e puzzava come un cartello messicano probabilmente.
- Mickey? – chiese uno di loro finendo il resto del bicchiere di vino. La loro interessante conversazione si interruppe mentre Mickey si avviava verso le scale, voltandosi appena. Gli occhi di suo padre erano freddi e calcolatori e aveva arricciato le labbra, facendogli capire chiaramente di aver scelto il momento sbagliato per tornare a casa.
- Mio figlio, - rise Terry, una risata vuota, sollevando il bicchiere di vino. – deve essere stato fuori con una bella ragazza per essere tornato a casa così tardi, vero figliolo? –
Mickey non capiva quale fosse il problema per essere tornato a casa tardi tanto per cominciare. Aveva appena compiuto diciotto anni, a chi cavolo importava dov’era stato e con chi? Ma quegli uomini erano i suoi colleghi d’affari e Terry non sopportava di fare brutta impressione. Mickey, che non si vestiva da ricco, che non era educato e dalle buone maniere come un ragazzo di buona famiglia, era sempre la sua delusione più grande e questa volta non avrebbe fatto eccezione. – Non mi lasciava più – replicò casualmente provocando una risata ai due uomini, ma non a Terry. Sorrise solo per fingere che fosse tutto a posto ma era tutt’altro che felice. Era impossibile che non avesse sentito l’odore di marijuana a quella distanza, soprattutto con un naso allenato come il suo a sentire quando i suoi figli facevano qualche cazzata.
A quel punto Mickey avrebbe dovuto scappare di casa perché sapeva che cosa lo aspettava più tardi, ma continuò a camminare e si scusò per andare al piano di sopra. Una parte di lui voleva fingere che fosse tutto a posto. Riusciva a sentirli parlare dalla cima delle scale.
- Non sapevo che tuo figlio si drogasse, Terry. Succede questo quando lo mandi a scuola nel South Side in mezzo all’immondizia di Chicago – rise di gusto uno di loro, ma Mickey se ne andò prima di poter sentire le scuse inventate da suo padre. No, Terry li mandava a scuola nel South Side per tenerli lontani dal North Side, dalla sua rete di conoscenze e di affari.
 
Più tardi, quella sera Mickey era all’ultimo capitolo di un vecchio libro, uno di quelli che si trovavano solo nella libreria di un insegnante di inglese, quando la porta si aprì. Tenne lo sguardo sul libro, ripetendosi di non avere paura mentre Terry si avvicinava al letto. Mandy non era a casa quindi non doveva preoccuparsi che sentisse, sapendo di essere solo un ragazzino impaurito quando si trattava di questo.
Voleva reagire, ma Terry era molto più grande e più forte di lui e perse conoscenza prima del solito quando le mani di Terry si strinsero attorno al suo collo, togliendogli il respiro. Era troppo stanco per sopportare più di tanto.
 
 
Mandy e Ian girarono per un po’ per la libreria, visto che Ian aveva espresso un improvviso interesse ad andarci. Mandy non si interessò molto ai libri ma aveva adocchiato un barista e non sprecò altro tempo per avvicinarsi a lui. Ian era sollevato nel vedere che non sembrava importare più di tanto sapere perché lui si fosse improvvisamente interessato alla biblioteca. Gli rese più facile esplorare in tutta tranquillità.
Che tipo di libri leggeva Mickey? Ce n’erano migliaia  e non sapeva da dove iniziare. Non avrebbe saputo ricordare neanche un titolo dei libri che gli aveva visto tra le mani. L’unica cosa che sapeva era che a Mickey piaceva leggere i suoi pensieri privati e non sapeva dire se fosse una cosa positiva o no.
Magari gli piaceva leggere quel tipo di cose, storie dolorose, lotte interiori. Lo inquietava un po’ ma ognuno aveva i suoi gusti. Era ridicolo scervellarsi così tanto per Mickey, al quale probabilmente non importava nemmeno delle vacanze. Natale era alle porte e questa poteva essere la sua occasione per mostrare  Mickey che gli prestava attenzione,. Ma più pagine sfogliava, più si sentiva distante da lui. Alla fine ci rinunciò e trascinò via Mandy dal commesso per uscire. Non aveva comunque un soldo in tasca.
Le loro strade si separarono per tornare a casa. Ian sollevò il bavero del cappotto poiché il freddo diventa sempre più ostile mano a mano che si inoltravano nel mese di Dicembre. Ma poi si fermò perché dei ragazzi uscirono da un vicolo davanti a lui. Successe tutto così in fretta che la Terra sembrò essersi rigirata. Gli si mozzò il fiato e si ritrovò per terra con tre ragazzi sopra di lui che urlavano e lo prendevano a calci dappertutto. Non fece troppo male ma lo stordiva e lo soffocata e ogni volta che cercava di alzarsi veniva ributtato a terra. Udì qualche parolaccia e degli insulti omofobi ma Ian isolò il proprio cervello finché non fu tutto finito. Le gambe e le braccia sopra di lui scomparvero, le voci si affievolirono e si fecero meno rabbiose e poi i ragazzi corsero via. Riconobbe la giacca di uno di loro, era il giocatore di hockey che aveva steso a scuola qualche mese prima.
Quando si rialzò tenendosi il fianco, incrociò lo sguardo di suo fratello minore. In quel momento, Carl sembrava più grande di Ian con gli occhi in fiamme, pronto ad uccidere come un vecchio soldato tornato dalla guerra. Aveva tirato fuori il coltellino a serramanico ma ritirò la lama e aiutò Ian a rialzarsi. – Basta solo un coltellino a spaventare quegli sfigati – disse con un sorrisetto, anche se non lo trovava divertente, e lasciò la mano di Ian.
- Merda, Carl, grazie – esalò Ian cercando di dimenticare ciò che era appena successo. Esser preso a botte e farsi difendere dal fratello undicenne era imbarazzante. Carl non sembrava pensarla così perché lo abbracciò come se non vedesse Ian da anni e ad essere sinceri, per Ian sembrava davvero così. Ricambiò l’abbraccio, cercando di trattenere la rabbia per quello che era appena successo. – Dove sei stato? – mormorò tra i suoi capelli mentre si staccava.
- In giro – rispose Carl e spaventò molto Ian il fatto che un bambino potesse parlare in quel modo. Il South Side li rendeva tutti più forti, più duri di quanto avrebbero dovuto essere, ma Carl in particolar modo sembrava aver preso una brutta strada.
- Beh, magari che ne dici di farti vedere un po’ di più? Fi si preoccupa –
Carl annuì e Ian sapeva che qualsiasi cosa gli stesse succedendo negli ultimi mesi, toccava a lui decidere se parlarne o no. Sapeva cosa si provava a tenersi le cose dentro. Si diressero a casa insieme, ridendo, scherzando e spintonandosi e quando arrivarono a casa Lip si unì a loro. Ian non si era reso conto di quanto gli mancassero i suoi fratelli finché non si ritrovarono a giocare insieme ai videogiochi mentre mangiavano spaghetti sul divano fino all’ora di andare a letto. Ian ripulì il divano quando Lip e Carl salirono in camera; Fiona non doveva preoccuparsi di altro quando tornava dal lavoro. Dopo aver sistemato i piatti, si lavò il viso nel bagno  piano di sotto per essere presentabile il giorno dopo per la scuola.
Uscì a buttare la spazzatura e fuori c’era Mickey, seduto sui gradini del portico sul retro come se fosse casa sua. Non si scambiarono una parola quando Ian lo oltrepassò per buttare il sacco e poi tornò per sedersi vicino a lui. Mickey si accorse di lui nonostante il suo sguardo perso ma Ian non parlò per primo, avrebbe aspettato. Perlomeno finché non notò i segni sul collo di Mickey, lividi scuri, come le impronte di due mani.
- Mickey? – lo chiamò lentamente Ian e il moro si reclinò sui gradini e chiuse gli occhi appoggiandosi il dorso della mano sulla fronte. Sembrava così stanco che avrebbe potuto addormentarsi in quel preciso istante anche sulle assi di legno duro. Invece di fare domande sui lividi, Ian alzò lo sguardo verso il cielo nuvoloso.
- Oggi mi hanno picchiato, sai, perché sono gay – rise ironico. – È stato quel ragazzo a cui ho tirato un pugno all’inizio del semestre, quello che mi voleva fare il culo perché sono frocio, ti ricordi? Già, ha portato i suoi amichetti –
Mickey rimase in silenzio e Ian non era sicuro se stesse ascoltando o no, ma proseguì comunque; se Mickey leggeva i suoi pensieri senza permesso avrebbe fatto prima a confidarglieli di persona.
- Mio fratello più piccolo è spuntato con un coltellino e sono scappati. E poi sarei io la femminuccia perché mi piacciono i ragazzi, no? Dicevano che sono buono solo per stare piegato a novanta e non mi lasciavano rialzare -. Attese che Mickey si prendesse gioco di lui  gli dicesse che avrebbe dovuto reagire, qualsiasi cosa, ma non disse una parola. – Chissà, magari la vita sarebbe più facile se mi piacessero semplicemente le ragazze e basta –
- Fanculo – replicò burbero Mickey. – Non è colpa tua se degli stronzi non hanno niente di meglio da fare se non fare i bulletti con un ragazzo che cammina per i fatti suoi. Non importa se sei gay o etero, ricco o povero, intelligente o stupido, troveranno sempre qualcosa per cui odiarti quindi si fa prima a fare quel cazzo che si vuole e cercare semplicemente di sopravvivere –
Ian si stava praticamente sciogliendo alle sue parole, aveva già gli occhi lucidi. Cazzo, Mickey non doveva vederlo.
- Non vedo neanche il motivo per cui la gente debba sempre etichettare tutto. Sono arrapati e vogliono scopare ma nel momento in cui etichettato le loro preferenze, basate solo su cosa una persona ha in mezzo alle gambe, hanno già limitato le loro opzioni a metà della popolazione Se sei gay vuoi un uccello, no? Quindi se ti piace un ragazzo ma non ha l’uccello improvvisamente non lo vuoi più? Che stronzata –
- Se non ha l’uccello non è davvero un ragazzo, Mick – sorrise Ian.
- Non hai bisogno di un uccello per essere considerato un uomo, c’è molto di più – replicò Mickey in disaccordo. – L’unica cosa che vogliono tutti è scopare. Ecco cosa c’è di sbagliato in questo mondo, a nessuno importa davvero degli altri. Nessuno proverà qualcosa per te per ciò che hai dentro invece di ciò che hai tra le gambe –
Ian non seppe più cosa dire perché quei pensieri non l’avevano mai attraversato. Guardò Mickey ed era empire lo stesso, gli occhi chiusi e l’espressione impassibile. Era sempre Mickey, il Mickey che si allontanava da qualsiasi emozione, eppure eccolo lì, con un sermone sulle emozioni come se si fosse preparato il discorso ancora prima di arrivare lì.
- Che si fotta essere gay o essere etero. Le persone devono piacerti perché ti piacciono e basta, e che cavolo – borbottò Mickey assonnato. Ian ripensò a lungo alle sue parole.
 
 
La mattina dopo, le lezioni furono cancellate per un’imminente tempesta di neve. Il mondo lì fuori era diventato una distesa bianca congelata ma non era insolito per quel periodo dell’anno. Fiona fece capolino nella stanza per annunciare che quel giorno non c’era scuola prima di andare a lavorare. Era ancora buio fuori quindi Lip e Carl si riaddormentarono senza una parola.
- Allora – disse Fiona, la mano sulla maniglia della porta. Ian si stropicciò gli occhi e la guardò. – Chi è il ragazzo sul divano? Ha già dormito qui, vero? –
- È un amico di scuola, il fratello di Mandy – sbadigliò Ian. Fiona sembrava voler chiedere di più ma dopo aver controllato l’orologio si affrettò a uscire, dicendogli che la colazione era già pronta per qualsiasi ora si sarebbero svegliati. Ian si sentì grato e in colpa al tempo stesso, sapendo che Fiona doveva aver dormito al massimo quattro ore tra i turni di lavoro della sera prima. Doveva trovarsi un lavoro anche lui così l’avrebbe aiutata con le spese.
Ormai troppo sveglio per tornare a dormire, Ian scivolò fuori dal letto e scese al piano di sotto senza far rumore per non svegliare Mickey. Era scioccante che fosse anche solo ancora lì. Sul tavolo c’erano toast imburrati e gelatina. Il suo stomaco brontolò mentre ne prendeva uno. Prese il giornale per cercare qualche annuncio ma sarebbe stato difficile trovare qualcosa senza un diploma di scuola superiore. Non trovando nulla di promettente, lasciò perdere il giornale e fece per tornare al piano di sopra, visto che non poteva certo andare a cercare lavoro con quel tempo. Era ingiusto che Fiona fosse dovuta uscire lo stesso.
Si fermò in fondo alla scala e diede uno sguardo alla figura di Mickey addormentata sul divano. Sembrava in  coma profondo tanto che Ian si chiese se fosse ancora vivo. Non riuscì a trattenersi quando abbassò la mano, sfiorandogli la guancia. Nell’esatto momento in cui lo toccò, quella specie di scossa elettrica si propagò dalla punta delle dita al resto del corpo ma durò poco perché Mickey gli afferrò il polso in una presa così stretta che Ian temette che potesse rompergli l’osso. Aveva uno sguardo disorientato che vagava intorno alla stanza come se non sapesse dove si trovava. Ian cercò di non imprecare per il dolore quando Mickey lo lasciò.
- Scusa – trasalì Ian con una smorfia mentre Mickey si sedeva, respirando pesantemente. Si toccò istintivamente il collo, la paura visibile nei suoi occhi blu.
Ian non fece domande, per quanto doloroso. Ma decise che non gli importava se Mickey gli avrebbe fatto male e infilò la mano tra i suoi capelli scuri. Mickey si spaventò ma poi le sue palpebre calarono e inalò contro alla sua mano fino a che i suoi occhi non si chiusero completamente. Portò la mano al polso di Ian e lo massaggiò in segno di scuse, poi si spostò e si sdraiò di nuovo tra le coperte che Ian aveva sistemato per lui la sera prima.
- Non si va a scuola oggi, le strade sono troppo ghiacciate – lo avvertì Ian on il cuore che palpitava ancora per quel piccolo evento.
- Okay – rispose burbero Mickey stringendo uno dei cuscini, con l’aria ancora più esausta di prima.
- Hai fame, o qualsiasi altra cosa? –
- No – rispose in tono pesante Mickey, il petto che si alzava è si abbassava rapidamente.
- Hai bisogno di qualcosa? – ritentò Ian; non voleva lasciarlo in quello stato.
- Sì, okay – esalò Mickey. Ian si illuminò immediatamente e si spostò dall’altra parte del divano.
- D cosa hai bisogno? – chiese chinandosi su di lui.
- Resta… -. Mickey prese un respiro, lungo e profondo. – Resta solo sulla poltrona –
Ian udì la parola “Resta” e non dovette farselo ripetere due volte. Si sedette sulla poltrona, appoggiò i piedi sul tavolino e accese la TV abbassando completamente il volume. Non si mosse finché Mickey non si riaddormentò.

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Capitolo 18
*** Qualcuno Che Non Vuole Farti Del Male ***


- Devo cercare un lavoro Mandy, mi dispiace – si scusò Ian passano si una mano tra i capelli. Stava leggendo il giornale di quel mattino al tavolo della cucina, portandosi occasionalmente alle labbra una tazza i caffè. Mandy mise il broncio e si sedette accanto a lui versandone una tazza anche per sé.

- Ma ho già preso i biglietti –

- Hai un sacco di ragazzi con cui andare – la liquidò Ian.

- Voglio andarci con te, Ian – si lagnò Mandy bevendo il suo caffè. Ian le sorrise. Ultimamente si stava impegnando molto di più per metterlo al primo posto. Si era reso conto che stava cercando di rispettarsi molto di più.

- Oggi non posso, Mandy. Se continuo a rimandare non ce la farò mai. E poi chi è che organizza un concerto al pomeriggio? –

- Pensaci su – cercò di convincerlo Mandy. – Che peccato non poter usare le tette per convincerti –

- Mi dispiace – ridacchiò Ian. Lip scese dalle scale e andò dritto verso il frigo per versarsi un bicchiere di succo.

- Ehi, hai trovato lavoro alla fine? – chiese a Ian chiudendo il frigo.

- No e tu? –

- Niente – rispose Lip appoggiandosi sull’isola è rivolgendo la propria attenzione a Mandy. – Allora, tu e tuo fratello non avete una casa vostra? –

- Ehi, non fare lo stronzo – lo redarguì Ian. Finì il caffè e cambiò pagina.

- Il nostro cibo non si paga da solo – continuò Lip con le labbra contro al bordo del bicchiere, occhieggiando Mandy. Ian stava per dirgli di tacere ma Mandy fu più rapida.

- Potrei contribuire un bel po’ ma Ian non me lo permette –

- E perché mai? – protestò Lip rivolgendogli uno di quei sorrisi da stronzo e Ian alzò gli occhi al cielo.

- Diamoci una mossa e troviamoci un lavoro prima che questa casa cada a pezzi –

- Arrivi tardi – disse con una smorfia Lip. Quando Ian e Mandy furono sul punto di andarsene gli venne un’idea

- Ehi, cosa fai oggi Lip? –

- Non fare un bel niente mi sembra un buon piano –

- E magari cercare lavoro? –

- No, sono sicuro che non fare niente fosse il piano per oggi Ho appena finito di fare lo schiavo al college e non vengo nemmeno pagato per farlo. Cercherò qualcosa nl weekend –

- Okay, quindi oggi pomeriggi sei libero. Mandy, Lip è un grande fan di quella band per cui hai preso i biglietti – esclamò invece Ian.

- Cosa? -. A Lip andò di traverso l’ultimo sorso di succo e poi posò il bicchiere nel lavandino.

Mandy alternò lo sguardo tra i due. – Davvero? –

- Che band… -

- Gli piacerebbe molto venire con te – assicurò Ian con una pacca sulla schiena di Lip e un occhiolino non troppo discreto. Il karma era uno stronzo. Lip lo fissò pigramente, non arrabbiato o confuso, ma semplicemente annoiato.

- Sì, certo, perché no – sospirò e Ian li lasciò soli.

 

 

Ora, in che cosa sarebbe stato bravo? Ian continuò a rifletterci su mentre vagava tra decine di strade, scrivendo e cancellando titoli di negozi su un post-it appiccicoso. C’erano alcuni posti che aveva dovuto escludere perché si era scopato il loro manager in passato. Cavolo, chi l’avrebbe mai detto che fosse andato a letto con così tanti uomini? Non sapeva se darsi una pacca sulla schiena o non tirare più fuori l’uccello per il resto della sua vita.

Rallentò quando giunse al bar dove lo aveva portato Mickey qualche tempo prima. L’insegna al neon era spenta siccome era giorno ma il locale era comunque pieno. All’entrata vi era un altro cartello che vietava l’ingresso ai minori di ventuno anni. A quanto pare aveva ragione a sospettare che Mickey avesse delle conoscenze l’ultima volta, visto che non avevano dovuto mostrare un documento nemmeno quando Ian aveva ordinato una birra. Magari Mickey poteva raccomandarlo come lavapiatti. Diamine, a quel punto avrebbe lavato anche i cessi.

Prese il cellulare e chiamò Mandy, che rispose dopo un paio di squilli. “Ehi Ian, ti manco già?”

- Mi manchi sempre. Dove sei?-

“Sto aspettando di entrare con tuo fratello, cominciano tra poco. Come va la ricerca?”

- Non bene, nessuno assume. Ti sai divertendo? –

Ci fu un attimo di silenzio e poi udì una risatina. “Certo”

Bene, quindi Lip non si stava comportando come un totale stronzo con lei. Si leccò le labbra, sperando che ciò che stava per chiederle non le guastasse l’umore. – Ehi, hai il numero di Mickey?-

Mandy non rispose subito e Ian udì il vociare delle persone intorno a lei. “Uhm, sì, perché?”

- Volevo chiedergli se può aiutarmi a farmi assumere in un posto –

“Ian, lo sai che… “

- Senti, è solo per il lavoro, okay? Non ho intenzione di farci sesso per telefono o altro –. Questo sembrò averla divertita e finì con il dargli il numero. – Divertiti con Lip –

“Grazie” disse felice Mandy, “Davvero, grazie Ian”

Riattaccarono e Ian fissò il cellulare, il pollice che indugiava sulla tastiera. Ora o mai più. Digitò il numero di Mickey e aspettò, teso, mentre il telefono squillava dall’altra parte. Da un lato Ian sperava che non rispondesse ma poi udì un “click”.

“Chi cazzo è?”

- Siamo allegri oggi, eh? – rispose Ian in tono leggero.

“Ian? Vederci tutti i fottuti giorni e notti non ti basta? Ora dobbiamo anche sentirci nel weekend?”

Ian si illuminò anche se Mickey era serio. – Mandy mi ha dato il tuo numero visto che sono bandito da casa tua. Volvo solo chiederti se potevi aiutarmi a trovare un lavoro nel bar dove abbiamo visto suonare tuo zio –

“Devi essere maggiorenne” rispose beffardo Mickey.

- La cosa non ci aveva fermati in passato –

“Farsi una birra ogni tanto e lavorare lì non sono proprio la stessa cosa, genio”

- Grazie lo stesso – replicò deluso Ian, aspettando che Mickey riattaccasse, ma non accadde.

“Da quanto stai cercando?” chiese il moro.

-Tutta la mattina e tutto il pomeriggio, ma questo solo oggi. È tutta la settimana che cerco –

“Okay, vediamoci da qualche parte”

Ian ringraziò che Mickey non potesse vederlo perché non gli sarebbe piaciuto il rossore sul suo viso in quel momento. – Vuoi che ci vediamo? E perché? Sto ancora cercando –

“Conosco qualcuno che può darti un lavoro”

- Non ho intenzione di spacciare – chiarì fin da subito Ian. Lip lo aveva già fatto abbastanza per entrambi e Ian non poteva mettere a rischio le sue possibilità di andare al college on una fedina penale sporca.

“Di sicuro, pensi che qualcuno vorrebbe comprare da te?”

- Cosa vuoi dire? – chiese Ian, anche se non realmente offeso.

“Sei troppo…” Mickey si fermò in cerca delle parole giuste. “Sembri Raggedy Andy. Non comprano dai boy scout”

- Gesù, grazie tante – rispose Ian con finta irritazione. -  Almeno non mi hai chiamato Raggedy Ann -. Mickey rise in risposta e si misero d’accordo su un punto di incontro.

 

 

Quando si incontrarono, Ian lo guardò ammirato. Indossava un cappotto corto nero con bottoni d’argento, jeans strappati grigi e aveva i capelli ancora umidi, quindi probabilmente doveva essersi fatto la doccia prima di uscire. Sentiva il profumo di shampoo al limone e arancia e di sapone alla vaniglia, o perlomeno questo rilevava il suo olfatto. L’unica cosa che lo fermava dal voler sentire anche il suo sapore era una ferrea e dolorosa autodisciplina.

- Peccato che tu ti sia vestito elegante per niente – gli disse Mickey con un sorrisetto mentre si avvicinava.

Era vero. Ian aveva indossato un maglione che, a detta sua, stava bene con i suoi occhi e una giacca fresca di stiro da mettere per i suoi inesistenti colloqui. Chissà se Mickey gli stava facendo una radiografia come Ian aveva fatto con lui, ma la parte logica del suo cervello gli suggeriva di non indagare troppo.

- Ah sì? Beh, a me sembra invece che tu ti sia tirato a lucido per il nostro incontro e questo era intenzionale –

- Fottiti – ribatté Mickey scherzoso. – Intendevo per questo lavoro. Al mio socio non importa delle formalità e delle buone maniere. È un tipo alla mano –

- Il tuo socio, eh? –

- Sei geloso di ogni ragazzo a cui dò un minimo di attenzione? –

Ian non poteva credere che Mickey avesse sottolineato proprio questa cosa. A quanto pare non era bravo a nascondere la sua gelosia come pensava. – Ehm no, non volevo dir… -

- Ragazzo, ti sto solo prendendo per il culo – lo interruppe Mickey camminando accanto a lui e facendogli cenno di seguirlo.

Ian ora aveva paura a parlare. Non per il lavoro, bensì per il commento eclatante di Mickey. Aveva capito quanto piacesse realmente ad Ian? Aveva anche solo una minima idea oppure era stata solo una battuta? Forse trovava fastidioso che Ian fosse così asfissiante, anche se lui pensava di aver nascosto bene i suoi sentimenti.

- Eccoci qua – annunciò Mickey mentre si avvicinavano sempre di più ad uno studio di tatuaggi dall’aspetto trascurato. L’insegna pendeva da un cardine solo è poco ci mancava che le finestre fossero coperte di ragnatele.

- Ehm, sei sicuro? – chiese cauto Ian ma Mickey non rispose ed entrò, quindi lo seguì. Gli interni erano molto meglio dell'esterno ma non sembravano comunque tenuti bene. Al bancone principale c’era un ragazzo dalla pelle scura e i capelli di un rosso sbiadito che parlava con una donna, ma quando la conversazione si concluse finalmente li notò.

- Mick? Rosso? Che cazzo ci fate qui voi due? –

- Non posso passare di qua? – chiese Mickey fingendo di essersi offeso.

- Puoi ma non lo fai mai. I tuoi genitori dovrebbero chiamarti “stronzo”, non “Mickey” –

- Vance, Ian sta cercando lavoro – tagliò corto Mickey sfogliando le pagine di un raccoglitore pieno di disegni.

- Il rosso vuole un lavoro? –

- Sai che hai anche tu i capelli rossi, vero? – si intromise Ian e Vance ridacchiò.

- Cristo, mi piace già questo ragazzo –

- Prima non ti piacevo invece? – protestò e Mickey giunse alla fine del raccoglitore.

- Sai tatuare? – gli chiese Vance sporgendosi sul bancone.

- Dio, ringrazia di saper disegnare almeno visto che fai pena in tutto il resto –

- Mickey, Ian non può parlare se continui a farlo tu, no? Vuoi venire nel mio ufficio, Ian? –

- Credevo di chiamarmi “Rosso” – disse Ian e Vance fece un sorrisetto, accompagnandolo sul retro. – Non so disegnare – ammise quando furono comodi nello studio dove evidentemente Vance di solito tatuava. Gli sembrava strano essere lì per un colloquio di lavoro.

- Cosa sai fare? – chiese pigramente Vance pulendo alcuni strumenti sul tavolo. Ian avrebbe potuto rispondere un bel po’ di cose, decisamente inappropriate, ma decise di non fare stupidaggini.

- Ci so fare con le persone, con i clienti. So anche gestire bene i soldi –

- Beh, uno dei miei ragazzi se n’è andato la scorsa settimana e sto cercando un sostituto. Se Mickey è venuto a raccomandarti lui stesso o devi essere bravo o è definitivamente uscito di testa –

- Potrebbero essere entrambe le cose – rispose Ian e Vance sorrise di nuovo a trentadue denti.

- Ehi, pensi che dovrei tatuarmi questo sulle nocche? – chiese a voce alta Mickey entrando nella stanza con il raccoglitore aperto.

- “Fuck U-Up”? Che rozzo – rise divertito Ian ma un’occhiata di Vance lo fece correggere in fretta. – In senso buono –

- Salvataggio in corner – sorrise Vance e prese il raccoglitore dalle mani di Mickey. – Quand’è che mi lascerai davvero tatuarti, fratello? –

- Lo chiedi come se fosse il tuo obiettivo di vita. Tienilo nei pantaloni – rispose disinteressato Mickey e tornarono tutti e tre all’ingresso.

- Quando ti cresceranno i coglioni ne riparleremo – ribatté Vance. Chiuse il raccoglitore, lo posò sul bancone e si girò verso Ian. – Puoi cominciare lunedì. Vai ancora a scuola, giusto? Quindi farai il turno serale –

- Davvero? Grazie – sorrise Ian; il suo umore era notevolmente migliorato.

- Non esaltarti troppo, dovrai stupirmi –

- Mettilo fuori davanti all’entrata e ti vedrai arrivare più gay di quante persone puoi permetterti con quell’insegna del cazzo – cercò di convincerlo Mickey.

Ian decise di prenderlo come un complimento  e seguì Mickey fuori salutando Vance con un cenno. Non dissero nulla per un po’ mentre camminavano finché Ian non cedette sotto a quella pressione. – Sei fantastico, Mick –

- Sì, okay – rispose Mickey ma non sembrava averlo preso molto a cuore.

- No, davvero – ripeté. – Non ti ringrazierò mai abbastanza –

La manica di Mickey gli sfiorò la pelle e il moro lo guardò. – Devo dire anche a te di tenerlo nei pantaloni? –

- Non preoccuparti, è lì tranquillo. Hai fatto in modo di assicurartene per bene, ricordi? –

- Puoi scommetterci – rispose Mickey con un largo sorriso. Dio, Ian avrebbe voluto che gli sorridesse sempre così. Mickey tornò a guardare davanti a sé aumentando il passo. – Penso che chiederò anche io a Vance di lavorare al negozio. Non voglio vivere con mio padre fino a trent’anni –

- Mi sembrava che avessi detto che ci vediamo troppo durante la settimana. Era tutto un tuo piano per potermi vedere di più? – flirtò Ian alzando e abbassando le sopracciglia.

- È il mio piano per andarmene affanculo da mio padre – rispose serio Mickey e Ian percepì il cambiamento nel suo tono di voce. Era aspro e piatto. Passarono altri due minuti di silenzio e Ian si schiarì la gola.

- Vuoi andare a rompere le palle a mio fratello e a tua sorella per un po’? – suggerì nel tentativo di rallegrarlo in qualche modo. – Possiamo rovinargli l’appuntamento e in più ci sarà anche della musica –

Mickey lo guardò e si mordicchiò il labbro, pensieroso. – Mandy e tuo fratello? Lo stronzo dell’altro giorno? Scopano? –

- Non ancora – dichiarò Ian. – Ma potrebbero se non interveniamo –

- Che cazzo di problemi avete voi Gallagher? –

- Che c’è, solo perché non sappiamo stare lontano dai famigerati Milkovich? O era una domanda retorica? –

Prima che Mickey potesse rispondere Ian lo spinse giocosamente, una spinta cauta e leggera. Ci fu un momento di tensione quando Mickey si girò a guardarlo. Invece di buttarlo a terra, Mickey cominciò ad inseguirlo liberando una risata. Si punzecchiarono in mezzo alla strada, come facevano dei normali adolescenti. Era bello vedere Mickey così. Non era sulla difensiva, in modalità sopravvivenza. Stava comprendendo la differenza tra chi voleva fargli del male e chi invece no e Ian non avrebbe dimenticato i suoi occhi che brillavano di felicità.

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Capitolo 19
*** Buon Natale, Mickey ***


Ian rigirò distrattamente i cereali e si girò quando udì dei passi sulle scale dietro di lui. Era Lip, con i capelli più spettinati del solito e due cerchi scuri sotto agli occhi stanchi. – Lunga nottata con Mandy? – gli chiese divertito, prendendo una cucchiaiata di cereali.

- Lunga nottata con Mickey? – ribatté prontamente Lip prendendo la sua tazza e il latte.

- Ehi, Mickey ha dormito per terra. Mandy invece nel tuo letto – protestò Ian per avere la ragione dalla sua, anche se una parte di lui avrebbe segretamente voluto che non fosse così.

- Non voleva russare di fianco a suo fratello – fece spallucce Lip, che si era già tuffato nella sua colazione. Il sole era sorto a malapena ma era piacevole essere seduti al tavolo della cucina a fare colazione nella quiete mattutina, come se i problemi del mondo non fossero esistessero.

- Non fare cazzate con lei, Lip. Davvero, se vuoi esserci per lei fallo, altrimenti non farlo. Ma non farla soffrire –

- Sto ricevendo consigli amorosi proprio da te? – chiese Lip con un sorriso arrogante.

- Hai qualche ragazza al college? –

- Niente di serio –

- Perché, hai mai avuto qualcosa di serio? – lo schernì Ian mettendo la tazza nel lavabo quando finì di mangiare. Tornò al piano di sopra e trovò Mandy ancora addormentata nel letto di Lip. Mickey invece dormiva sul pavimento e le coperte erano spostate da un lato. Doveva essersi agitato e rigirato parecchio per averle ridotte in quel modo. Ricordava com’era andata l’ultima volta che aveva toccato Mickey quindi cercò di ricoprirlo senza rifarlo. Quando tirò le lenzuola fin sotto il suo mento, Mickey si alzò a sedere di scatto e Ian indietreggiò sussultando.

– Gesù – trasalì facendo piano per non svegliare Mandy, che si girò dall’altra parte con un lamento. Gli occhi di Mickey si spostarono nei suoi e si liberò dalle coperte. – È domenica, puoi tornare a dormire – disse Ian, guardandolo mentre si riprendeva.

- Non sono stanco –

- Amico, dovresti dormire di più –

- È un invito a restare nella tua stanza tutto il giorno, lo sai? –

- Sì e quindi? Voglio solo vederti dormire tranquillo per un volta – rispose in tono asciutto Ian e Mickey lo guardò. Dopo un paio di minuti di silenzio, Ian decise di parlare. – Okay, non riesci a dormire a casa tua, ma qui con noi sei al sicuro quindi non farti problemi e riposati. Stanotte siamo andati a dormire alle tre, Mickey, torna a dormire –

Mickey evitò il suo sguardo ma non ribatté. – Tu sei sveglio – rispose invece, ottuso.

- Ma di notte non resto sveglio a fissare il soffitto per ore come te. Poi quando ti addormenti sembri talmente morto che ho paura che non ti sveglierai davvero, almeno fino a quando non ci provo e tu salti su… -

- Okay, dacci un taglio con le osservazioni, detective – brontolò Mickey ritornando sotto alle coperte.

- Puoi usare il mio letto se vuoi – suggerì Ian cercando di non sembrare troppo suggestivo.

- Pensi davvero che dividerò il letto con te? –

- Non ho mai detto che anche io sarei tornato a letto – sospirò Ian. Guardò Mandy che dava loro le spalle. – Ma se vuoi lo dividiamo, non è un problema –

- Puoi chiudere la bocca? Qui c’è qualcuno che vuole dormire – borbottò Mickey e si girò dall’altra parte, finendo quasi sotto al letto di Ian, scoprendosi nuovamente.

Ian lo lasciò lì e quando scese al piano di sotto trovò Lip che fumava sul divano. – Facciamo qualcosa per Natale quest’anno? –

- Con quali soldi? – bofonchiò Lip con la sigaretta tra le labbra.

- Non esistono solo i soldi – osservò Ian sedendosi accanto a lui

- Servono solo per pagare cibo, elettricità, indipendenza, riscaldamento, acqua, ma no, i soldi non sono tutto – replicò Lip spegnendo il mozzicone nel posacenere sul tavolino. Quanto avrebbe voluto non dovergli dare ragione… Era la vigilia di Natale ma per Ian era un venerdì qualsiasi. Quella settimana, con il lavoro il tempo passava più lento di quanto credesse possibile. Vance gli stava simpatico e il lavoro gli piaceva ma passare mezza giornata a scuola per poi andare a lavorare per altre sei ora lo stava trasformando in uno zombie. E come se non bastasse doveva anche fare i compiti e occuparsi delle faccende domestiche.

Gli mancava avere un po’ di tempo per sé stesso, ma questo non gli impediva di essere di buon umore al lavoro. Era piacevole stare con Vance, soprattutto sapendo che non avrebbe dovuto scoparselo, e presto anche Mickey avrebbe cominciato a lavorare lì.

Si rese conto che i suoi sentimenti per Mickey c’erano ancora. Ogni momento che aveva per pensare a Mickey gli ricordava quanto gli piacesse. Era bello pensare a qualcuno ed essere felice, ma faceva comunque schifo ricordare che era stata solo una perdita di tempo. Immaginare i sorrisi accecanti di Mickey e pensare a quei piccoli gesti che significa vano tutto per lui ma niente per Mickey non lo avrebbe portato da nessuna parte.

Cristo Santo, era stato Mickey a baciare LUI. Era ingiusto che fosse Ian a provare tutte quelle emozioni quando era stato Mickey a provocarle, anche se non intenzionalmente. Ma non riusciva a fargliene una colpa, sapendo ciò che sapeva di lui; semplicemente non ci riusciva.

Ian finì il proprio turno a lavoro e desiderò poter avere cominciato prima, così per Natale avrebbe avuto qualche soldo in tasca. Sarebbe stato un altro Natale senza regali e a malapena una cena meritevole di festeggiamenti. Naturalmente amava la sua famiglia e almeno durante le vacanze tutti facevano in modo di essere liberi per stare tutti insieme.

Guardò l’orologio; quattro ore dopo sarebbe stato Natale. Poteva ammazzare il tempo come voleva visto che sarebbe stato in vacanza per le seguenti due settimane e non sarebbe dovuto correre a casa per fare i compiti. Gli si chiusero gli occhi; avrebbe recuperato un po’ di sono finché avrebbe potuto.

Avvertì una vibrazione nella tasca e sussultò, non essendo abituato a ricevere chiamate, ma rispose comunque. – Pronto? –

- Ehi –

Era Mickey. Con una sola parola aveva risvegliato quei sentimenti nella sua testa e nella pancia. – Che c’è, Mick? -

- Dove sei ora? –

- Sono appena uscito da lavoro, perché? -. Non udì niente dall’altra parte ma poi parlò di nuovo.

- Quindi sei vicino allo studio? –

- Due strade più avanti, più o meno. Sto per arrivare alla fermata dell’autobus –

- Aspettami lì – ordinò Mickey e poi riattaccò.

Ian fissò il cellulare confuso e lo ritirò, sedendosi sulla panchina della fermata. Giocherellò con l’orologio cambiando continuamente le impostazioni per distrarsi dalla noia, finché non arrivò Mickey. - Ehi – esalò il moro.

- Ehi – ricambi Ian e fece spazio per farlo sedere.

- Ero al bar – disse Mickey mentre si sedeva. – Ho pensato che non sarebbe stato male farti un saluto veloce visto che stavi uscendo –

Ian rimase a bocca aperta ma la rinchiuse in fretta prima che Mickey lo notasse; non voleva che si accorgesse quanto fosse in estasi per quelle parole. – Grazie – rispose con voce tremante, sopraffatto dall’emozione. Mickey si guardò intorno e appoggiò i gomiti sulle ginocchia congiungendo le mani.

- Sì beh, questa settimana sei stato pieno di cose da fare, ma almeno ci sono le vacanze, così puoi respirare fino al prossimo semestre –

No, non riusciva affatto a respirare, avrebbe voluto dirgli, perché lui era così carino con le guance arrossate e la voce dolce come il miele, non dura come la pietra e con un tono difensivo.

- Mio papà è in viaggio – continuò Mickey senza incontrare il suo sguardo. – Sarà via per tutto il weekend –

Ian rimase in attesa di vedere se sarebbe andato a parare da qualche parte prima di montarsi la testa. Mickey diede un colpo di tosse, apparentemente a disagio, e abbandonò la testa contro allo schienale della panchina, rassegnato. – Vuoi venire a casa mia? –

Qualsiasi proposito di arrendersi e dimenticarsi dei suoi sentimenti per Mickey volò via con il vento. Poco ci mancò che gli saltasse addosso ma si trattenne, consapevole che avrebbe potuto rovinare il momento. Deglutì e annuì semplicemente. Mickey annuì a sua volta e calò il silenzio tra loro fino a quando non si alzarono per avviarsi in silenzio verso casa sua.

 

 

- Gran bella casa – commentò imbambolato Ian quando entrarono a villa MIlkovich. Il soggiorno era grande come l’intero piano terra di casa sua; le pareti erano coperte da quadri di valore e dal soffitto pendeva un lampadario a bracci. – Non posso credere che ora sia tu il cliché – rise Ian toccando il tessuto dell’arredamento e facendo scivolare la mano sull’isola di marmo della cucina mentre seguiva Mickey.

- Casa mia è una fogna rivestita d’oro – rispose Mickey prendendo una larga bottiglia di vetro dalla credenza.

- Puoi darmene un po’ se vuoi – ridacchiò ironico Ian vagando per la cucina per guardare le porcellane sugli scaffali.

- Vuoi questa roba raffinata o preferisci una birra? – gli urlò dietro Mickey quando Ian finì in un’altra stanza.

- Le pareti avrebbero bisogno di un po’ di colore – gridò in risposta Ian guardandosi intorno. Al centro della stanza in cui si trovava c’era un tavolo enorme di legno lucido che poteva dare posto ad almeno venti persone. Era coperto da una tovaglia color crema lunga un miglio ma a parte questo  non c’era molto altro da vedere.

- Allora, raffinato o no – chiese nuovamente Mickey facendo capolino sulla soglia.

- Sì, va bene raffinato -. Mickey sparì di nuovo e Ian si spostò in un’altra stanza. In questa trovò una grande scrivania con una poltrona di pelle e tre monitor. Sulla parete c’era una TV a schermo piatto e vari tavolini con figurine e foto incorniciate.

- Esci dallo studio di mio padre – lo avvertì Mickey e Ian obbedì all’istante, ritornando in cucina dove il moro stava riempiendo i loro bicchieri.

- Ops – sorrise timidamente Ian ma non era arrabbiato come sembrava. Ian stava per dirgli che era fortunato a vivere lì ma si trattenne. No, Mickey non era fortunato a stare lì. Era Ian ad avere una famiglia su cui poteva contare, mentre Mickey invece era costretto a stare n un posto dove non poteva sentirsi al sicuro o anche solo addormentarsi tranquillo.

Mickey si accorse che lo stava fissando e le sue sopracciglia schizzarono in alto, ma Ian gli prese semplicemente il bicchiere dalle mani. – Grazie per avermi invitato – disse bevendo. Era frizzante e il gusto forte gli bruciò la gola.

- Sei sicura di non avere impegni con la tua famiglia? – buttò fuori Mickey bevendo a sua volta.

- Domani sì, stasera no –

- Okay –

Quando i loro occhi si incrociarono, Ian si rese conto che non andava per niente bene. Desiderava Mickey più d quanto avrebbe dovuto. Doveva controllarsi quella sera se voleva avere altre occasioni come quella. - Dov’è Mandy? – chiese spostando il bicchiere dalle labbra.

- Stasera non torna, è andata a trovare nostra madre –

- Woah, cosa? Vostra madre? – esclamò Ian posando il bicchiere.

- Mandy è ancora convinta che a nostra madre importi qualcosa di noi. Convinzione errata – commentò con una risata di scherno. – Compra a Mandy bei vestiti e gioielli ogni luna nuova e poi la rimando a casa come una sorta di caritatevole gesto materno. Capisco perché se ne sia andata da mio padre ma non le interessa davvero avere qualcosa a che fare con noi. Che si fotta –

Ian non sapeva cosa dire ma per quanto quella cosa fosse orribile almeno stava parlando della sua vita. – Cosa vuoi fare? – chiese improvvisamente cercando di distrarlo dai pensieri della sua famiglia. Mickey si rilassò e finì il proprio bicchiere, riempiendolo poi di nuovo.

- Credi che sia abituato a fare queste cose? –

- Hai molta più vita sociale di me – ribatté Ian svuotando anche lui il proprio bicchiere.

Mickey lo riempì di nuovo e ebbe uno spasmo all’angolo delle labbra. – Non sei così perspicace come pensavo –

- È solo quello che penso – fece spallucce Ian bevendo di nuovo.

- Andiamo – sospirò Mickey prendendo con sé bicchiere e bottiglia. I battiti di Ian aumentano quando si alzò dal bancone su cui era appoggiato e andarono al piano di sopra.

La camera di Mickey non era da meno rispetto al resto della casa, ma non era molto arredata; c’era solo un letto esotico, probabilmente il letto dall’aria più comoda che Ian avesse mai visto, e scaffali pieni di libri. Vicino alla chitarra c’erano alcuni album da disegno e Ian riuscì sa intravedere dei disegni apparentemente intricati che spuntavano assieme ad alcuni spartiti musicali. Il portatile di Mickey era chiuso per terra di fianco al letto e davanti alla finestra era tirate delle tende scure.

- Non sapevo che fossi capace a disegnare – disse Ian a bocca aperta, prendendo l’album. Mickey sembrò lievemente scontento ma non disse niente e si sdraiò sul pavimento, nascondendosi per metà sotto al letto mentre scriveva sul computer. – È stupefacente vedere quanto sia immacolata la tua stanza, Mick –

- Sì, beh… -. Mickey continuò a scrivere ma non finì la frase. Ian ne approfittò per curiosare tra i suoi libri, cercano dei riferimenti per quando avrebbe avuto qualche spicciolo. Dopo aver memorizzato più informazioni che poteva, scivolò sotto al letto accanto a Mickey, lasciando solo pochi centimetri a separarli. Le mani di Mickey si fermarono per qualche secondo e lanciò uno sguardo ad Ian con la coda nell’occhio ma quando Ian sorrise innocentemente continuò a scrivere. – Scegli qualcosa da guardare -  borbottò il moro spostando il computer verso di lui.

- Probabilmente penserai che ho dei gusti da gay –

- Scegli e basta – ripeté Mickey posando i mento sul palmo della mano. Ian sentì le sue gambe muoversi nervosamente accanto a lui; rise, prese il portatile e cercò qualche film, girando di nuovo lo schermo verso di lui. – Vuoi guardare quel fottuto “Notebook”? – chiese Mickey non molto convinto. – Non credevo che potessi essere così gay –

- Ehi, potrebbe anche commuoverti –

- Boh, vedremo –

E finirono a guardarlo davvero, con grande incredulità di Ian. Mickey era davvero preso e staccava a malapena gli occhi dallo schermo. Ian cercò di non commuoversi nelle scene più emozionanti e sbirciò per guardare Mickey, trovando i suoi occhi asciutti anche più del solito. Quando il film volse al termine, si accorse che la testa del moro ciondolava. – Ehi Mick, è già ora di dormire? -. Era quasi mezzanotte e Ian si chiese come facesse a essere così stanco quando di solito era bello arzillo fino ad un’ora molto più tarda. Gli tirò una leggera spallata e Mickey brontolò.

- È noiosissimo –

- Scusa – sorrise Ian girandosi per guardarlo. – Vuoi andare a dormire? –

- No – rispose Mickey ma faticava a tenere gli occhi aperti.

- Forza – asserì invece Ian uscendo da sotto il Leto per aiutarlo ad alzarsi. Mickey sembrò riluttante ma si alzò e salì sul letto, buttandosi prima di faccia. Ian cercò di non pensare troppo a quanto fosse compromettente quella posizione e si sedette per giocare al suo computer, visto che lui invece non era così stanco.

Dopo aver giocato ad alcuni mini giochi per un’ora buona, sentì Mickey muoversi. Alzò la testa quel tanto che bastava e vide il moro girato verso di lui, rannicchiato e con gli occhi chiusi. Stringeva le lenzuola e stava tremando. Ian spense il computer e si inginocchiò, allungando il braccio per toccarlo e scuoterlo leggermente. – Mick, svegliati –

L’espressione sul suo viso lo spaventò. Strizzava talmente tanto gli occhi che si erano formate delle piccole rughe e dalle labbra socchiusa emetteva respiri rapidi e corti.

- Mickey – lo chiamò Ian, più deciso, salendo sul letto e prendendoli il viso tra le mani. Mickey spalancò gli occhi e si rigirò sulla schiena, guardando Ian senza fiato. – Hai avuto un incubo? – chiese gentilmente. Mickey non disse nulla, nemmeno quando Ian gli toccò dolcemente il viso per cercare di confortarlo dal panico di poco prima. – Scusa, posso… ehm – balbettò e deglutì togliendo le mani. Si era lasciato trasportare. – Volevo solo sapere se posso prendere delle coperte da mettere sul pavimento per dormire –

Quella sensazione di spossatezza fu sostituita dall’allegria quando notò l’ora. – Oh guarda, è Natale. Buon Natale, Mickey –. Mickey si mise a sedere e lo fissò. Quando Ian si rese conto di quanto fossero vicini pensò davvero di farsi indietro per non metterlo a disagio. Si ricompose. – Quindi dove sono le coperte? – chiese di nuovo.

- Resta qui – rispose Mickey e annullò la breve distanza tra loro avvolgendogli le braccia intorno e nascondendo il viso sulla sua spalla.

Ian avvertì il corpo di Mickey tremare contro al proprio e si sciolse nell’abbraccio, cingendogli la vita. Gli accarezzo gentilmente la schiena e tutte le emozioni risalirono in superficie quindi lo baciò tra i capelli, lento e affettuoso. Mickey non si allontanò, anzi, si avvicinò ancora di più e Ian riuscì a sentire le sue ciglia sbattere contro al collo in fiamme e il suo respiro solleticargli le clavicole. Gli sembrò di avere il cuore in gola mentre Mickey scivolava di nuovo nel sonno.

Quella notte, Mickey non si svegliò più e il suo respiro non si spezzò neanche una volta. Il suo corpo si rilassò, senza mai tremare mentre Ian lo stringeva. Anche quando Ian si sdraiò insieme a lui, facendo attenzione a non disturbarlo, Mickey mantenne un’espressione pacifica sul viso e non lo lasciò per tutta la notte.

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Capitolo 20
*** Le Luci Toccano Il Cielo ***


Quando Mickey riaprì gli occhi si sentì totalmente rinvigorito, come se avesse recuperato in una sola notte anni di tanto desiderato sonno. Non appena i suo occhi si furono riabituati alla luce, si immobilizzò. Stava fissando la maglietta che copriva il petto di Ian e una delle sue mani ne stringeva il tessuto. Alzò appena lo sguardo è vide che Ian era sveglio e digitava qualcosa sul cellulare. Mickey non sapeva nemmeno da dove iniziare.

Doveva fare finta di essere addormentato finché Ian non si sarebbe alzato? A quanto pare però non sembrava avere intenzione di spostarsi tanto presto. Mickey sentiva il bisogno di dire qualcosa ma non aveva la voce per farlo, era troppo confuso.

- Sei sveglio? – chiese Ian senza togliere gli occhi dallo schermo. Probabilmente doveva aver trovato qualcosa con cui tenersi occupato apposta per risparmiare a Mickey l’imbarazzo di affrontare direttamente la situazione. Quel pensiero lo rese nervoso, in un certo senso.

- Sì – deglutì pesantemente Mickey, ancora incapace di muoversi. Ian abbassò il telefono quel tanto che bastava per sorridergli dolcemente e ritornò a scrivere. Mickey sussultò quando Ian si sistemò in una posizione più comoda ma senza comunque lasciarlo, tenendo i loro corpi vicini. Il ginocchio di Mickey premeva contro al suo e una delle sue mani, quella che non teneva in mano il cellulare, cingeva pigramente il suo fianco.

- Sono contento che tu sia riuscito a dormire un be po’- mormorò Ian e Mickey poté giurare che quelle parole celassero di più.

- Sì – ripeté, sentendosi ridicolo per quell’agitazione. Svegliarsi accanto a Ian non era niente di che, ma ricordava di essersi attaccato a lui come una fidanzatina appiccicosa e quello era umiliante. Non era colpa sua se Ian lo aveva svegliato nel bel mezzo dei suoi incubi notturni e in quel momento aggrapparsi a lui sembrava l’idea migliore.

- Devo tornare a casa tra un paio d’ore – disse casualmente Ian; la felicità nel suo tono di voce si percepiva ancora in modo evidente.

- Okay – rispose stupidamente Mickey e si irrigidì quando Ian posò il cellulare, il suo braccio si strinse ancora di più attorno al suo fianco e appoggiò il viso proprio di fronte al suo. Quando gli rivolse un sorriso sognante, Mickey ebbe un brivido.

- Avrò pazienza – disse coraggiosamente il rosso accarezzandogli il fianco con il pollice.

- Come? – chiese balbettando Mickey, sentendo di nuovo quel nodo alla gola. Porca puttana, da quando non era più neanche in grado di formulare una frase?

- Sarò sempre paziente con te, Mick. Se non vuoi parlarne…  - rise piano, - non dobbiamo farlo per forza –

Mickey non rispose ma si sentì accaldare sempre di più nel punto in cui Ian lo stava toccando. Avrebbe potuto spingerlo via ma non lo fece. Era una cosa stupida, ma non voleva che Ian smettesse di accarezzarlo.

- Puoi almeno dirmi se questo significa qualcosa per te? Voglio solo avere un’idea più chiara, ma di solito non mi dai molti segnali – chiese Ian, gli occhi luminosi.

Mickey inalò un respiro spezzato quando il viso di Ian si avvicinò al suo.

- Significa qualcosa, Mick? –

Le palpebre di Mickey calarono per un momento; la mano di Ian che lo toccava lo faceva impazzire e fu pervaso dallo sgradevole desiderio di avvinghiarsi di nuovo a lui per tornar a dormire. Si ridestò bruscamente da quei pensieri e si rigirò liberandosi dalla sua presa, coprendosi gli occhi. Si vergognava così tanto.

- Mickey? – ripeté Ian. Sapendo che Ian avrebbe lasciato perdere se lui non avesse dato una risposta, prese un respiro profondo. Ian aveva detto la verità, era sempre Mickey ad avere segnali da parte sua, quindi buttò fuori la sua risposta.

- E va bene, cazzo – gemette contro al palmo delle mani. – Sì, significa qualcosa -. Non sapeva cosa cazzo avrebbe concluso Ian con questo. Significava qualcosa? E cosa cavolo doveva significare? Il suo cuore palpitò quando Ian gli tolse le mani dal viso.

- Vuoi venire a festeggiare il Natale da me? – chiese gentilmente con un largo sorriso. Mickey si girò dall’altra parte, troppo imbarazzato per le mani di Ian nelle sue. Perché doveva toccarlo così tanto?

- No, vado a trovare mio zio e mio cugino. Ho pensato che fosse ora di crescere un po’ e andare a trovarlo. Vivono a circa tre ore di distanza ma passa a prendermi mio cugino –

- Ben, spero che passerai un buon Natale – borbottò Ian in tono ancora inspiegabilmente felice.

- Grazie – grugnì Mickey e Ian scese dal letto e si infilò le scarpe. Finalmente poteva respirare. Non immaginava nemmeno di poter restare così tanto tempo senz’aria.

- Vediamoci all’ultimo dell’anno allora – decise Ian allungando le braccia sopra alla testa.

- Okay, d’accordo – accettò Mickey senza muoversi dalla sua posizione sdraiata sul letto. – Vuoi che ti accompagno alla porta? –

- No, nessun problema. Ti chiamo tra qualche giorno. Ci vediamo, Mick – disse raggiante Ian e per un secondo Mickey pensò che sarebbe ritornato nel letto, ma non lo fece e se ne andò fischiettando lungo il corridoio. Mickey si passò le mani sul viso e gemette un’altra volta. Che cavolo di problemi aveva?

 

 

Ian non aveva specificato quando lo avrebbe chiamato, quindi Mickey si ritrovò a portarsi dietro il cellulare per tutto il tempo. Lo faceva arrabbiare essere così ansioso di sentire la sua voce.

Si erano coccolati e basta, non era chissà che cosa. Mickey non se n’era nemmeno reso conto perché dormiva, quindi che problema c’era? Si mordicchiò il labbro facendo traballare il piede mentre si trovava alla fermata dell’autobus. Era la vigilia di capodanno e si chiese se non dovesse semplicemente presentarsi a casa Gallagher senza invito visto che tecnicamente Ian gli aveva già dato l’okay.

Il cellulare vibrò nella tasca e Mickey si prese interiormente a pugni per la velocità con cui rispose. – Che c’è? – brontolò.

- Ehi, Mickey. Stasera facciamo i fuochi d’artificio se vuoi venire – cinguettò Ian dall’altra parte.

- Non ho niente di meglio da fare – mormorò Mickey con voce roca e Ian rise mentre riattaccava.

 

 

Quando arrivò a casa Gallagher, erano tutti in cortile che chiacchieravano. Il cielo si stava colorando di un grigio bluastro, illuminando a malapena l’ambiente circostante. Scorse Ian seduto sui gradini del portico vicino a Mandy, Lip in piedi davanti a loro con una birra in mano.

- Sei in ritardo, stronzo – lo accolse Mandy quando si avvicinò.

- È colpa mia, l’ho chiamato all’ultimo minuto – confessò Ian guardandolo. Mickey si pentì immediatamente di aver incrociato il suo sguardo quindi cercò subito altro da guardare.

- Mi aiuti a prendere i fuochi, Mickey? – chiese Lip sorseggiando la birra è Mickey fece spallucce, agitando le mani nelle tasche.

- Facciamolo, cazzo –. Andarono sul retro e trovarono un tizio con la barba che caricava dozzine di fuochi d’artificio sul furgone. Si presentò come Kevin, il loro vicino, e continuarono a caricare tutti e tre insieme.

- Dove cazzo avete trovato tutta questa roba? – chiese Mickey; voleva fare conversazione per essere almeno un po’ educato. Dopotutto lo avevano accolto bene.

- Cosa pensi, che non possiamo permetterceli e che li abbiamo rubati solo perché siamo del South Side? – chiese Lip in tono beffardo e Mickey lo guardò in cagnesco.

- O magari li hai rubati perché sei uno stronzo? –

Lip fece un sorrisetto come in una sorta di strana approvazione e batté la porta del furgone. – Sì, forse –

Quando ritornarono nel cortile davanti con gli altri, Lip si infilò una sigaretta in bocca e cominciò a fumare apposta vicino a lui. – Comunque sì, li abbiamo rubati davvero –

- Dimmi qualcosa che non so – ribatté Mickey scacciando con la mano il fumo davanti al suo viso. – Levati dalle palle –

- Dai Mick, accetta un po’ di fumo passivo come pagamento per il tuo aiuto -. Ian e Mandy riservo e Mickey fece un verso sprezzante, spostando gli occhi da Lip per vedere che a Ian non sembrava importare molto al momento.

Tutta la famiglia si ammucchiò nel furgone e Mickey si ritrovò schiacciato in un angolo dei sedili posteriori con Mandy e Lip che si spogliavano con gli occhi. Dio, non voleva proprio assistere a quella scena. Ian si girò dai sedili anteriori e quando si guardarono gli si contorsero le viscere. – Vuoi accendere qualche fuoco, Mickey? –

- Non importa – fece spallucce, disinteressato. Ian restò a guardarlo e il furgone sobbalzò, passando sopra ad una buca. Ian strinse le labbra che minacciava di aprirsi in un sorriso ma poi si rigirò davanti a sé.

Il furgone accostò e uscirono tutti. Si trovavano in un parco vicino al lago e in giro non c’era un’anima che avrebbe potuto assistere a ciò che stavano per fare. Il fratello e la sorella minore di Ian corsero verso la riva, seguiti dai due vicini di casa, mentre Lip e Mandy si appartarono dietro al furgone, probabilmente in cerca di un po’ di privacy per limonare. Ian saltò giù e trotterellò vicino a lui con le mani dietro alla schiena. – Sono contento che non faccia troppo freddo – commentò guardano il lago.

- Per te magari, io ho dimenticato il cappotto – fece una smorfia Mickey ma almeno la neve della settimana prima era perlopiù scomparsa. Si era sciolta con la stessa velocità con cui era arrivata.

- Vuoi il mio? – chiese Ian un po’ troppo in fretta, già sul punto di toglierlo.

- No, tienilo pure tu – rispose Mickey con urgenza. Non capiva perché l’idea non lo entusiasmasse così tanto, ma c’era qualcosa nell’idea che Ian gli desse la sua giacca che lo faceva accaldare.

- Sei sicuro? – ritentò Ian, che aveva già sfilato una manica.

- Sì, sto bene così – annuì, riportando l’attenzione su qualsiasi cosa che non fossero loro due.

Raggiunsero gli altri che stavano giocando con l’acqua e Mickey si ritrovò in una conversazione profonda con Lip. Mandy e Ian si schizzavano con il piccolo, Liam, mentre gli altri Gallagher si stavano ubriacando.

- Immagino tocchi a noi accendere questi stronzetti – mormorò Lip. – Altrimenti loro manderanno tutto in fiamme –

- Sarebbe un bello spettacolo – concordò Mickey.

- A proposito di accendere – interruppe Lip facendo scattare la fiamma dell’accendino contro alla sigaretta che si portò alla bocca. Quando aspirò un tiro guardò Mickey con un sorrisetto. – Perché diavolo hai smesso? Ian ha detto che eri praticamente dipendente. Ti perdi qualcosa, amico –

- Fottiti – borbottò Mickey e gli strappò la sigaretta di mano aspirandone un rapido tiro come se fosse una naturale reazione corporea per lui.

Mandy e Lip li raggiunsero; Mandy si accoccolò a Lip, a cui non sembrava importare più più tanto, e Ian si accovacciò davanti a Mickey. Incrocio le braccia sulle ginocchia e inarcò un sopracciglio quando vide la sigaretta tra le sue dita.

-No aspetta – balbettò Mickey guardando Lip che rideva, comprendendo un po’ di più la situazione. Siccome non trovò nessuna scusa lo guardò storto e si arrese. – Beh… merda –

- Tranquillo – sorrise Ian. Quando Lip e Mandy ripresero a parlare, avvicinò il viso a quello del moro. – Ma più tardi mi dovrai un favore –

Mickey non seppe come interpretarlo ma almeno non sembrava arrabbiato. Fece cadere un po’ di cenere. – Quindi posso continuare a fumare? –

-Sì – rise Ian, rubandogli un tiro per poi restituirgliela. Prese un accendino dalla tasca e ravvivò la sigaretta. Era l’accendino di Mickey. – Dovremmo fare un nuovo patto – continuò Ian alzando gli occhi nei suoi. Come se una nuova scommessa dovesse essere più complicata.

- Ah – rispose Mickey con un sorrisetto. Il viso di Ian era proprio bello sotto alla luce della fiamma. Quel pensiero svanì in fretta perché Mickey cominciò a tossire per lo shock.

- È passato troppo tempo? – lo prese in giro Lip e Mickey lo guardò in cagnesco.

- Comunque puoi riaverlo – disse Ian infilando l’accendino nella tasca dei suoi jeans.

- È inquietante che te lo porti in giro così – disse beffardo Mickey. Ian posò la testa sulle ginocchia tirate al petto.

- Lo custodisco gelosamente –

Fortunatamente, Mickey aveva già sbuffato fuori il fumo, così non rischiò di soffocare un’altra volta. – Pensi mai prima di parlare? – chiese; non era sicuro di voler sapere la risposta.

-Non ne ho bisogno, penso davvero le cose che dico – replicò Ian scuotendo le spalle con un sorriso. Mickey si sdraia sull’erba, rassegnato. Un fuoco d’artificio spuntò nel cielo sopra di loro, salì in alto, esplose e le scintille scomparvero tra le nuvole.

- Oh cazzo, hanno già cominciato – gridò Lip saltando in piedi. Mandy lo seguì dove gli adulti stavano ridendo incontrollabilmente, accendendo i razzi.

Mickey fissò il cielo percorso da altri fuochi d’artificio. Esplodevano illuminando la notte di mille colori. Riusciva praticamente a sentire il calore che emanavano toccarli il viso e le braccia. Udì il fruscio di Ian sull’erba, il quale si stava avvicinando per sedersi e sdraiarsi accanto a lui. Lo sconvolgeva pensare come il solo guardare delle luci alzarsi nel cielo lo lasciasse senza fiato. Era bellissimo.

Udì la voce di uno dei Gallagher cercare di fare il conto alla rovescia in fondo alla distesa erbosa e poi altre risate. Sbattè le palpebre, senza capire perché le persone sprecassero tempo a tenere il conto. Sapeva che ogni anno era uguale all’altro e quello in arrivo non sarebbe stato diverso.

Ian si spostò appena e appoggiò una mano sul prato di fianco alla sua testa. Guardò Mickey sotto di lui mentre il conto alla rovescia continuava dietro di loro. Altri fuochi d’artificio schizzarono sopra di loro in uno scoppio forte ma piacevole. I suoi occhi si spostarono dalle luci a quelli di Ian e il suo respiro sussultò davanti a quella vista. Quando le urla dei Gallagher arrivarono a “Uno”, Ian si chinò, senza tuttavia toccarlo con la parte superiore del suo corpo, ma il suo naso sfiorò quello di Mickey e poi lo baciò amorevolmente sulle labbra. Ci furono forti applausi in sottofondo ma nessuno prestava la minima attenzione a loro due.

Dopo un paio di battiti, Ian indietreggiò, lo sguardo pesante ma felice. – Ora siamo pari – sussurrò e se non fosse stato in grado di leggerli il labiale Mickey non lo avrebbe neanche sentito con tutto il rumore intorno a loro.

Ian saltò in piedi e scomparve, probabilmente per andare ad abbracciare la sua famiglia e augurarle buon anno, quindi Mickey rimase semplicemente dov’era, guardando altre luci toccare il cielo.

C’era qualcosa quell’anno, uno sconvolgimento temporale che non c’era mai stato prima. Di certo c’era che non si era assolutamente pentito di aver rubato la sigaretta a Lip. Per niente.

 

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Capitolo 21
*** Sparsi Frammenti Di Realtà ***


Mickey era appoggiato contro alla recinzione che circondava la scuola che finiva una sigaretta quando il ragazzo che ava aspettando uscì dal cancello. – Ehi – lo chiamò buttando il mozzicone per terra. Il ragazzo lo guardò compiaciuto, come a fargli capire che doveva avere un buon motivo per sprecare il suo prezioso tempo. – Facciamo due passi – disse Mickey con un sorriso vuoto, facendogli un cenno con il capo. Il ragazzo non sembrava volerlo seguire ma lo fece comunque. Dopo un paio di minuti entrarono in un vicolo deserto. 

- Che cazzo vuoi? Tu non sei quello del North Side? – chiese sprezzante il ragazzo senza tanti giri di parole, fissando lo come se fosse un insetto sotto alle sue scarpe. Mickey posò con cautela la custodia della chitarra contro al muro e si voltò. 

- E tu saresti del South Side, eh? – ribatté squadrandolo da capo a piedi e arricciando le labbra. Il primo pugno colpì il ragazzo dritto nello stomaco e quest’ultimo cadde sulle ginocchia, tossendo contro ai palmi sbucciati. Mickey si accovacciò vicino a lui e gli appoggiò gentilmente una mano sulla spalla, uno sguardo selvatico negli occhi blu. – Ma per favore, non hai proprio niente del South Side –

Il ragazzo cercò di colpirlo, rabbioso, ma Mickey gli afferrò il polso e lo piegò finché non si udì uno schiocco e l’altro urlò di dolore, pregandolo di smetterla. Mickey lo lasciò, si alzò e si ripulì i jeans. 

- Ehi, porta i tuoi amichetti la prossima volta, così mi diverto di più, South Side. Anche tu ti diverti di più quando ci sono loro vero? -. Lo prese per i capelli e gli sollevò il viso. – Se lo farai come hai fatto quando hai picchiato Ian Gallagher, non avrai neanche più un osso –

Mickey lo lasciò e lo guardò piegarsi a terra a gattoni, gemendo per l’agonia mentre si fissava il polso slogato. – Non facevi sport? Dovresti essere abituato a un po’ di stiramento muscolare. Falla finita – gli disse con una smorfia e riprese la chitarra. L’idiota mugolò una risposta incomprensibile senza muoversi. – Guarda un po’ chi è a novanta adesso – aggiunse Mickey tetro scrocchiando le nocche e gli passò accanto per uscire dal vicolo. 

 

 

- Non sapevo si studiasse davvero per queste cose – commentò Mandy. Si stava lamentando con Ian, il quale era immerso nella lettura di un libro dalla vivace copertina arancione. Non rispose, troppo concentrato su ciò che stava scrivendo finché il libro non venne sollevato dal tavolo. 

- Una guida per quel SAT del cazzo? Sei serio? Che bastardo ambizioso –

- Mickey – sospirò Ian ma sorrise comunque quando il moro rimise il libro al suo posto. Mickey posò la chitarra sotto al tavolo e cominciò a leggere il suo libro. – Fammi indovinare, anche se siamo venuti in biblioteca per studiare tu stai comunque leggendo per i fatti tuoi? – borbottò Ian, tornato a concentrarsi sullo studio. 

- E quindi? Che c’è? –

- Nello scorso semestre hai ottenuto il massimo dei punteggi senza aver praticamente studiato, ecco cosa c’è – protestò Ian, irritato. 

- A me sembra più un complimento – rispose con un sorrisetto Mickey, sfogliando una pagina. 

- Dove cazzo dovevi andare dopo le lezioni? Sei troppo fico per farti vedere con noi in biblioteca? – si intromise Mandy rivolgendogli un’occhiata di ghiaccio. 

- Avevo delle cose da fare, fatti i cazzi tuoi –

- Questo è sempre un buon segno – ribatté Mandy e ritornò ai suoi compiti. 

- Perché fai finta di studiare? Ian non sa già che sei analfabeta? -. Mandy fece per colpirlo ma Mickey la schivò e Ian cominciò a borbottare tra sé e sé per concentrarsi meglio. Lei alternò lo sguardo tra loro due e abbassò il braccio. 

- Ragazzi, dovreste trascorrere il vostro giorno libero dal lavoro facendo qualcosa di divertente, no? Quel fico del vostro capo sicuramente non sente la vostra mancanza – mormorò Mandy scrivendo con la matita. 

- Non ti piace stare seduta in silenzio e tenere chiusa quella cazzo di bocca? – chiese Mickey e indietreggiò per schivare nuovamente sua sorella. Rimasero tutti e tre a leggere in silenzio finché Mandy non andò in bagno. Mickey guardò Ian, troppo concentrato per accorgersene, ma Mickey aveva notato che i suoi occhi continuavano a rileggere lo stesso paragrafo. 

- Che c’è? – chiese Ian alzando la testa. 

- Niente – fece spallucce Mickey facendo finta di leggere. Dopo un breve attimo la sua mente cominciò a vagare, un evento raro quando si trovava nel mezzo di una buona lettura. 

Fuochi d’artificio, il calore che Ian irradiava contro al suo corpo e le labbra di Ian sulle sue. Mickey arrossì; quel sentimento gli era così estraneo ma non cercava più di rifiutarlo come prima. Se il suo corpo voleva farlo reagire come un idiota allora faceva prima ad accettarlo e passare oltre. 

Non ne avevano praticamente parlato, siccome erano tornati alla loro normale disinvoltura, ma Mickey non sapeva come l’avesse presa Ian. Se c’era una cosa che aveva imparato di Ian negli ultimi mesi era che Ian si prendeva tutto a cuore. Non prendeva le cose con leggerezza, o almeno non completamente, non come faceva, o cercava di fare, Mickey. 

Ma la cosa peggiore era che quel bacio, il loro secondo bacio, non ne voleva proprio sapere di uscirgli dalla testa. Non era come quello che gli aveva dato Mickey secoli prima, quello era stato diverso, un fugace istinto di chiuderli la bocca. Lì aveva voluto suggellare il patto con Ian per sbrigarsi e dimenticare il suo discorso sentimentale, allontanarsi da lui prima di sperare troppo che ci potesse essere avverto luce in quel mondo, in fin dei conti. 

Ma non aveva funzionato. Mickey era finito a vagare vicino a casa sua, mosso da qualcosa di irreale e dai piedi che lo conducevano dove volevano loro. Poi era piombato dentro al negozio e aveva tolto Ian dalle mani di quel pedofilo, provando più rabbia di quanto non gli succedesse da anni. E da lì era partito tutto, il suo bisogno di proteggere Ian. Lo terrorizzava la sensazione delle viscere che si contorcevano ogni volta che vedeva qualcuno avvicinarglisi troppo o toccarlo. All’inizio voleva credere che fosse perché nessuno c’era mai stato per lui a proteggerlo dagli “uomini cattivi”, quindi si era stupidamente ripromesso di assicurarsi che ci fosse qualcuno a farlo per lui. Questo però si era tramutato in qualcos’altro e la cosa lo spaventava. 

Non poteva legarsi a lui e non voleva. Ma c’erano quelle corde invisibili e sovrannaturali che lo attiravano verso la soglia di Ian, verso le sue braccia, il suo cuore. 

Avrebbe smesso di mentire a sé stesso. Aveva qualcosa di davvero speciale con quel ragazzo. Qualsiasi cosa fosse lo spaventava ed emozionata allo stesso tempo e anche se sapeva che avrebbe dovuto allontanarsi, non riusciva a smettere di tornare da lui. 

- Tutto bene, Mick? – chiese improvvisamente Ian in tono preoccupato, interrompendo il suo treno di pensieri. 

- Eh? Sì, damerino – fece spallucce Mickey tornando con gli occhi sul libro che gli stava scivolando dalle mani. Ian annuì convinto e abbassò di nuovo la testa. Dopo un minuto, il suo ginocchio si mosse appena per toccare quello di Mickey, nascosti sotto al tavolo. Mickey si irrigidì e cominciò ad accaldarsi. Mantenne un’espressione stoica a colpì leggermente il ginocchio di Ian in risposta, alzando lo sguardo quel tanto che bastava a notare il sorriso che abbellì il volto di Ian.  

 

 

- Tieni – disse Ian porgendo la mano a Mickey che era appollaiato sul suo solito albero. Mickey chiuse il libro e guardò in basso. Ian teneva in mano un libro dalla copertina lucida. 

- Che c’è? Hai bisogno di aiuto per i compiti? – chiese istintivamente prendendo il libro. 

- È per te – rise Ian quindi Mickey controllò meglio. 

- Che cazzo dici? – chiese guardando la copertina. Non ci mise molto a riconoscere il titolo, visto che aspettava la sua pubblicazione da sei mesi. Con il pollice accarezzò il nome dell’autore, che aveva scritto la serie che seguiva da quattro anni. – Che diavolo è questo, Ian? – chiese cauto, sentendo il cuore gonfiarsi nel petto. 

- È uscito ieri. Non l’hai già preso, vero? Mandy mi ha detto che ieri sera non sei uscito quindi sono corso a comprarlo – rispose Ian scuotendo le spalle come se la faccenda non fosse niente di che. 

- Ieri ero troppo stanco per ricordarmene – rispose onestamente Mickey e sfogliò il libro, tenendolo stretto per assicurarsi che non sparisse da un momento all’altro. – Lo hai preso con i soldi dello stipendio? Dovresti usare quei soldi per te –

- Visto che io non voglio ridarti l’accendino e hai dovuto comprartene un altro, credo sia più che lecito – rispose Ian. Si grattò il collo e si voltò dall’altra parte. – Comunque ho lezione tra un minuto. Forse dovresti andare anche tu –

- Ehi – si affrettò a richiamarlo Mickey quando Ian fece per andarsene, ma quando il rosso si rigirò con aria ansiosa perse il coraggio. – Ehm – deglutì vedendo i suoi occhi brillare. Non ricordava l’ultima volta che qualcuno gli aveva regalato qualcosa, soprattutto qualcosa a cui teneva davvero ed era per questo che non era molto bravo a mostrare la sua gratitudine. – Se non hai impegni nel weekend ti do una mano con quella guida per il SAT – decise invece di dirgli, ma avrebbe voluto dire qualche parola in più. 

- Okay – sorrise Ian, più felice che mai per la sua offerta e poi andò in classe. Mickey esalò un respiro e si diede una botta in testa con il regalo appena ricevuto da Ian, ma se ne pentì immediatamente e ripulì la copertina, assicurandosi che non fosse rovinata. 

 

 

Venerdì pomeriggio arrivò e il negozio di tatuaggi si riempì. Ian rimase all’ingresso poiché così portava una maggiore clientela, a detta di Vance, mentre Mickey era relegato a pulire gli strumenti dopo che Vance finiva di tatuare. Passò svogliatamente la scopa sul pavimento, troppo stanco per impegnarsi più di tanto. 

Si stava facendo tardi e Vance andò a contare i soldi nel registratore del suo ufficio, quindi Mickey girò l’angolo e andò all’ingresso dove Ian faceva l’inventario. – Hai mai pensato di farti un tatuaggio? – gli chiese rigirandosi la scopa tra le mani. Ian lo guardò brevemente e sistemò i flaconi con le soluzioni per i piercing.

- Non saprei, so che me ne pentire due secondo dopo –

- Questo è perché pensi troppo – ribatté Mickey spazzando il pavimento vicino a lui. Vagò distrattamente nei paraggi e osservò i disegni appesi ai muri. 

- Se deve essere speciale allora non mi scriverò di scio delle parolacce sulle nocche – rise Ian e Mickey fece lo stesso, nonostante la frecciatina. 

- Ehi, le persone devono sapere cosa le aspetta, così non potranno dire di non essere state avvisate dopo –

- Vuoi davvero farti quel tatuaggio sulle nocche, Mick? – 

- Chi lo sa – rispose Mickey lasciandosi crollare sulla poltrona di pelle per i clienti in attesa senza finire di pulire la stanza. 

- Hai mai disegnato un tatuaggio? Mi ricordo di aver visto alcuni dei tuoi disegni – rifletté Ian ad alta voce dietro alla vetrina del bancone, la voce lievemente sommessa. 

- No, ma penso che ogni disegno vagamente artistico possa diventare un tatuaggio, no? – fece spallucce Mickey con la testa che cadeva da un lato per il sonno. 

- Okay – concluse Ian alzandosi e gettando via lo straccio con cui stava pulendo il bancone. – Disegnami qualcosa e me lo farò tatuare da Vance –

- Ian, ma che cavolo… - sbottò Mickey raddrizzando la schiena. – Mi prendi in giro? – 

- Te l’ho detto, se sarà un tatuaggio speciale non me ne pentirò – scosse le spalle Ian e andò sul retro. Quando ritornò in mano aveva una mazzetta di banconote; una parte le ritirò in tasca e l’altra la porse a Mickey. 

- Sono contento che non faccia assegni – commentò Mickey infilando in tasca le banconote. Uscirono ed emise un grugnito lamentoso vedendo che pioveva a catinelle. 

- Puoi disegnare quello che ritieni sia meglio per me ma rendilo un po’ sentimentale -. Ian riprese la conversazione di poco prima senza badare alla pioggia. Mickey invece giocherellò con la manica del cappotto per distrarsi. 

- Non ti disegnerò un tatuaggio, Ian. I miei disegni non sono tutto questo granché – 

Ian sorrideva come se avesse già vinto e gli cinse le spalle con il braccio, trascinando sotto alla pioggia. Era piuttosto pesante ma non era così fredda come ci si poteva aspettare a metà Gennaio. – Siamo senza ombrello quindi dovremo tener duro – disse tirando Mickey più vicino. La pioggia penetrava nel tessuto della giacca di Mickey ma Ian lo teneva piuttosto al caldo, anche se si stavano bagnando sempre di più. Mickey non protestò, già che c’erano potevano riscaldarsi a vicenda, e si lasciò condurre fino alla fermata dell’autobus. Ma questo non fermò l’emozione che provava ad essere così attaccato al corpo di Ian. 

Pestò una pozzanghera e gli schizzò addosso per calmare in qualche modo il battito impazzito del suo cuore, temendo che potesse accorgersene se si fossero avvicinati ancora di più. Si schizzarono a vicenda e corsero per il marciapiede, ridendo sotto al cielo scuro. Mickey scivolò e Ian lo prese al volo per non farlo cadere sulla strada; scoppiarono entrambi a ridere quando una macchia sfrecciò vicino a loro. 

- Va bene, lo farò – annunciò improvvisamente Mickey tra un respiro e l’altro e Ian piegò la testa per sentire meglio sopra al frastuono della pioggia. – Intendo il tatuaggio, sempre se eri serio –

- Te ne farai uno anche tu – disse Ian, arrossato e felice. 

- E va bene, stronzo. Almeno ammetti che non sono io quello difficile da accontentare – gridò Mickey divertito. 

Ian lo guardò e infilò la mano tra i capelli umidi di Mickey, scendendo fino al suo viso. Indugiò insieme al suo sguardo e così anche Mickey, anche con la pioggia che gocciolava sui loro visi. Un tuono esplose sopra di loro e scosse Mickey da capo a piedi, ma era sicuro che  farlo tremare in quel momento non fosse il temporale. Ian sembrava cauto, gli occhi che si spostavano indecisi e incerti tra quelli di Mickey. E Mickey capì che quell’esitazione era solo per lui, quindi abbassò le palpebre e si abbandonò alla delicatezza di Ian. La sua mano gelida si mosse con cautela sul suo viso e ritornò tra i suoi capelli e Ian chiuse la distanza tra loro finché non respirarono la stessa aria. E improvvisamente si stavano baciando in mezzo ai lampi e ai tuoi, diventando un tutt’uno con la pioggia. 

Mickey non aveva paura, non proprio, ma rabbrividiva a quel contatto, pervaso dall’istinto di allontanarsi. Ciò che non riusciva a spiegarsi era come il suo cervello stesse sopraffacendo quell’istinto e beh, non voleva davvero allontanarsi da Ian. 

La pioggia li ricopriva come una cascata e Ian lo tirava a sé, contro al suo corpo, toccandogli il viso e i capelli, dolce ma aggressivo. Sembrava che stesse cercando di controllarsi, trattenersi, e questo lo allarmava e confondeva allo stesso tempo. 

Il momento fu rovinato dal suono stridente di pneumatici e Mickey si staccò, il suo sguardo che incontrò i fari luminosi di una macchina che passò in quel momento. Quando li superò, gli ricordò dove si trovavano e cosa stavano facendo. Proseguì per la strada e sparì nella foschia, lasciandoli di nuovo soli. Ian ansimava e lo guardava ma nessuno dei due parlò.  Il panico velò i suoi occhi quando Mickey si liberò dal suo abbraccio e se ne andò, troppo impaurito per affrontare ciò che era appena successo. Non si girò a guardarlo e svoltò l’angolo. Mentre spariva dalla vista di Ian, afferrò il tessuto della propria maglietta e ne inalò il profumo, chiudendo gli occhi per calmare il suo cuore. 

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Capitolo 22
*** Promettere Per Sempre ***


Mickey era sdraiato sul pavimento e connetteva punti immaginari sul soffitto mentre ascoltava Ian elencare alcune sequenze di matematica della sua guida per il SAT. Stava per intervenire e aiutarlo a risolvere il problema ma Ian l precedente emettendo un gridolino di entusiasmo. 

- Questo l’ho capito – disse scrivendo. Mickey incrociò le braccia dietro alla testa e piegò un ginocchio sollevando appena dal pavimento. 

- Cristo, ancora un po’ e ti sarebbe uscito quasi il vapore dalle orecchie. Stai diventando bravo – borbottò Mickey, sinceramente sorpreso. 

- Se diventa tropo difficile te lo dico – rispose Ian continuando a scrivere. Mickey arricciò le labbra cercando di farsi venire in mente qualcosa da fare. Era rilassante oziare mentre Ian studiava ma fremeva dalla voglia di fare qualcosa di produttivo. 

- Hai già finito i libri da leggere? – chiese discretamente Ian, cancellando qualcosa. 

- Sì. Il libro che mi hai preso era fantastico, l’ho riletto tre volte –

- Cosa…? Ce l’hai a malapena da una settimana – rimase a bocca aperta Ian. Mickey si girò su un fianco e appoggiò la testa sull’avambraccio, scervellandosi per trovare qualcosa da fare. Lip era tornato al college e l’altro fratello, il piccolo teppista, poteva anche essere in giro ad accoltellare qualcuno per quanto ne sapeva. Erano soli ed essere solo con Ian dopo aver limonato sotto alla pioggia era come avere un sacchetto di plastica in testa che gli toglieva sempre di più l’aria. 

- Perché stai facendo tutto questo, Ian? – chiese piano cercando di alleggerire un po’ la tensione. Chissà se Ian gli avrebbe detto di stare un po’ zitto così avrebbe potuto continuare con i suoi compiti. Invece, Ian non lo fece naturalmente e alzò gli occhi. 

- Cosa intendi? –

- Volevo dire, perché ti importa così tanto del SAT? Vuoi davvero passare altri quattro anni di schiavitù al college come alle superiori, seguire le orme di Lip? –

- Voglio avere qualcosa di più di questo posto – rispose Ian, il tono pacato. – Non voglio restare nel ghetto e pulire banconi per sempre –

- Quindi vuoi farlo davvero? – mormorò Mickey e Ian annuì.

- Sì, ho già compilato alcune domande di ammissione ma prima di mandarle devo passare il SAT. Quest’anno i miei voti vanno abbastanza bene e ho una buona media. E poi non mi dispiace più di tanto avere dei debiti se significa poter andarmene da qui per un po’-

Mickey sbirciò oltre il proprio braccio e vide che era tornato a scrivere. Si perse tra i propri pensieri per un po’ e poi ruppe di nuovo il silenzio. – Quanto distano i posti che hai scelto? –

- La maggior parte un paio d’ore – rispose piano Ian. 

- Quattro anni lontano da questo inferno, eh? – bofonchiò Mickey e avvertì un peso sul petto. Non sapeva perché ma l’energia di poco prima era svanita. Sbattè le palpebre un paio di volte e la testa continuò a fargli sempre più male quindi si alzò. – Buona fortuna allora – disse a voce bassa. – Io vado –

Ian alzò lo sguardo, confuso, ma Mickey richiuse la porta e se me andò in fretta; non voleva disturbare Ian più di quanto avesse già fatto. 

 

Mickey era stanco di sentirsi così giù di morale. Da quando aveva avuto quell’ultima conversazione con Ian non si sentiva così attivo. Ian era impegnato con lo studio per il SAT e al lavoro le loro conversazioni erano minime per via delle loro mansioni, anche se Mickey non le svolgeva come avrebbe dovuto. 

Non era niente di che. Un paio di mesi dopo Ian sarebbe andato al college e lui no. Probabilmente sarebbe rimasto a pulire lo schifo degli altri per sempre. Non gli importava molto, preferiva fare quello che restare in quella casa per l’eternità. Almeno era un po’ migliorato rispetto a quando dormiva sulle panchine, ubriaco e privo di sensi, come poco tempo prima.         

Scuola e lavoro, scuola e lavoro ti tenevano la testa impegnata, questo si ripeteva continuamente. Quando avrebbe finito la scuola si sarebbe concentrato sul trovare un altro lavoro. Non tutti avevano questo desiderio di andare in una cazzo di università per drogarsi, ubriacarsi e pagare migliaia di dollari solo per stare sveglio tutta la notte e saltare le lezioni il giorno dopo. Poteva già farlo, non Ave a bisogno di andare a college. 

Perché cavolo Ian voleva andarci? Certo, sarebbe uscito dal ghetto, forse avrebbe avuto migliori opportunità di vita, ma cosa c’era di così grandioso ad aspettarlo là fuori che non poteva trovare anche lì? Imprecò ad alta voce e tirò un calcio al cestino della spazzatura, dimenticando di essere in pubblico visto che alcune persone nell’area di attesa lo guardarono storto. Ian lo guardò dal bancone mentre era nel bel mezzo di una conversazione con un anziano e incurvò un sopracciglio. Mickey lo ignorò e andò sul retro per sterilizzare gli strumenti. 

- Tutto bene? – chiese il rosso facendo capolino nella stanza. Mickey annuì e spolverò alcune delle pistole per tatuare per sfogare il suo nervosismo. Quando Ian tornò all’ingresso, posò la pistola e si massaggiò le tempie. Non aveva mai pensato a queste cose prima d’ora e non c’era motivo di farlo in quel momento. 

 

Quando finì il suo turno uscì e Ian lo seguì. – Ehi, vai di fretta? – chiese cercando di stare al passo. 

Mickey non aveva voglia di parlare. Ian colse il segnale e non cercò di costringerlo a rispondere ma lo seguì lungo il marciapiede finché Mickey non si fermò cambiando bruscamente direzione e girando in un vicolo. Lo percorse fino in fondo, poi si inerpicò su una scala nera attaccata al muro dell’edificio. Inizialmente pensava che Ian non si sarebbe disturbato a seguirlo ma poi sentì la scala tremare e Ian salì dietro di lui. Mickey posò i piedi sulla piattaforma metallica dell’uscita antincendio esterna e salì la rampa di scale fino al tetto. Era un palazzo di circa dodici piani, quindi parecchio alto, e aveva una vista decente della città. Ian lo raggiunse  si fermò. 

- Mick, che cazzo stai facendo? – urlò quando Mickey cominciò a scavalcare le sbarre pericolanti che lo separavano da morte certa. 

- Calmati, mi sto solo sedendo – rispose con uno sguardo torvo sedendosi sulla ringhiera e lasciando penzolare una gamba nel vuoto mentre l’altra premeva contro la sbarra per mantenere l’equilibrio. Prese rabbiosamente l’accendino, un accendino merdoso che aveva raccattato non appena Ian gli aveva dato l’okay per ricominciare a fumare, e accese una sigaretta, sostenendosi in quella posizione solo con la forza delle gambe. Ian si avvicinò e posò una mano di fianco alla sua coscia, rivolgendogli un’occhiata scoraggiata. – Avevi detto che ti andava bene – fece spallucce Mickey inalando più fumo possibile. Cazzo, non avrebbe mai smesso di fumare di nuovo. 

- Sai cosa non mi va bene? Essere ignorato per giorni interi – replicò Ian in tono duro. Mickey mordicchiò la sigaretta e emise un verso sprezzante. 

- Se qualcuno ti ignora, che si fotta – rispose semplicemente. 

- Quindi vuoi che ti ignori anche io? – 

- Cosa cazzo centro io adesso? – 

- Non mi parli, non mi guardi e io non so cosa ti ho fatto – ritentò Ian; si sentiva che non avrebbe voluto alzare la voce ma lo fece comunque. Mickey inspirò e sbuffò un paio di cerchi di fumo, guardandoli mentre si alzavano nel cielo violaceo. – Sai – disse Ian con la voce tremolante. – Io non ti forzo mai. Sono sempre cauto, sto sempre attento ai tuoi segnali, che sia tutto a posto, non faccio niente per infastidirti. E non mi merito questo – concluse con un tono misto tra il dolore e la rabbia. 

Mickey percepì le vibrazioni nella voce di Ian rimbalzare sul tetto del palazzo e penetrarlo nel profondo. Strinse le dita attorno alla sigaretta ma tenne la testa alta, rivolta verso la città. 

- Sarà sempre così, neanche una parola? Non te ne importa niente? – continuò Ian indietreggiando. – Fammi sapere quando avrai finito di tenermi sulle spine, Mickey. Dammi un segno così magari non brancolerò nel buio per sempre, eh? – 

- Stai scherzando? Dove cazzo credi di essere, in un fottuto film d’amore? -. Sbuffò è osservò altri cerchi di fumo volteggiare lontano da lui. 

- D’accordo, va bene. Giriamoci intorno per tutto il tempo che vuoi. Di certo non voglio starti tra i piedi – rise Ian, una risata triste, come se si stesse arrendendo. 

- Non capisco che problemi hai – ringhiò Mickey, le nocche bianche per la forza con cui stringeva la ringhiera. Il ginocchio cominciava a fargli male a forza di sostenere il suo peso. 

- Okay Mickey – rispose Ian. Non era arrabbiato, era solo sconfitto e addolorato. – Ti lascio in pace –

Udì i suoi passi ridiscendere rapidamente la scala di emergenza, facendola tremare e facendo riecheggia il rumore nell’aria. Mickey aspirò e cercò di ridere, sollevato di essere finalmente da solo per non doversi preoccupare di quelle cazzate. Ma non lo fece; il fumo fuoriuscì irregolare dalle sue labbra ed esalò un respiro. 

- Mi stai già lasciando – mormorò debolmente grattandosi l’occhio con la mano che reggeva la sigaretta. Grandioso, ora il mondo poteva vedere quanto fosse impotente di fronte alle proprie emozioni. Si passò nuovamente la mano sull’occhio e sentì lacrime umide sul pollice. Merda, merda, merda. 

Lasciò cadere la sigaretta senza nemmeno guardarla, dimenticata. Saltò giù dalla ringhiera e posò i palmi sugli occhi. – Smettila, cazzo – sbuffò premendoli sul viso nel tentativo di non piangere. Non aveva versato una lacrima quando suo padre gli aveva sbattuto la faccia contro al muro la settimana prima; nemmeno quando suo zio aveva cancellato la visita a Natale per via di un tour con la sua band e neanche quando sua madre gli aveva lasciato un messaggio vocale in cui, ubriaca, gli diceva quanto lui le mancasse e quanto lei gli volesse bene. 

Quindi perché diavolo doveva piangere ora? Tolse le mani dagli occhi, visto che comunque le lacrime non avrebbero smesso di scendere. Avrebbe pianto e poi basta, doveva andare così, nessuno lo avrebbe visto, a nessuno sarebbe importato. Gli andava bene così. 

Emise un gemito gutturale quando vide Ian appoggiato contro al muro a braccia incrociate, il volto cupo. – Chiedimi di non andarmene – sussurrò ed era chiaro che stava cercando di controllare la voce e di restare solido contro al muro, lontano da Mickey. 

Mickey si vergognava profondamente; evitò i suoi occhi e asciugò i propri ma questo non gli impedì di singhiozzare un’altra volta. 

- Fallo – continuò Ian in tono fermo ma Micky percepiva che era tutta una facciata e che anche lui stava soffrendo. Forse intendeva che Mickey avrebbe dovuto chiedergli di non andarsene e lasciarlo lì da solo a piangere, di non andarsene al college, di non andarsene da lui per avere di meglio. In ogni caso, Mickey mandò giù il propri orgoglio e ritrovò la voce. 

- Mi dispiace – balbettò con un filo di voce. – Non andartene –

Ian si staccò al muro e si avvicinò veloce. Tirò Mickey a sé e lo baciò tra i capelli, gli baciò le lacrime, lo baciò in mezzo agli occhi. – Dovresti aver già capito che non ci riesco – disse dolcemente. Quelle parole lo spaventarono a morte. 

Gli stava promettendo un per sempre così facilmente, gli stava promettendo lealtà e gli stava promettendo anche di più che nessuno dei due avrebbe detto ad alta voce. 

 

 

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Capitolo 23
*** Candele Nell'Oscurità ***


- Fai il SAT con me – 

Mickey non guardò Ian quando udì quelle parole. Si abbandonò ancora di più alla rete metallica, l’unica cosa che gli impediva di cadere dal tetto. Ian era in piedi e guardava l’orizzonte, il viso rivolto dall’altra parte. 

- Figurati se faccio il SAT – rispose e cercò di accendere una sigaretta ma l’accendino non funzionava più. Fece scattare la fiamma un paio di volte ma non successe niente. – Merda, dannazione –

- Non sto scherzando, Mickey. Vieni a farlo con me. Non devi nemmeno studiare, quindi che problema c’è? –

- Non lo farò, Ian. Il college è una perdita di tempo –

- Allor anche restarsene seduti qui è una perdita di tempo – ribatté Ian tirando un debole calcio alla rete, ma abbastanza forte da piegarla e farla ritornare a posto. 

- Invece trovo che sia un ottimo passatempo – disse invece Mickey; aveva davvero bisogno di fumare quindi cercò di infilare la mano nella tasca di Ian. Ian sobbalzò per la sorpresa, non aspettando d essere toccato in quel modo, ma la sua espressione crollò quando capì cosa stava facendo. Mickey prese il suo vecchio accendino e quando la fiamma bruciò la punta della sigaretta fece un sorrisetto. 

- Perché non farlo al college allora? Non ti farebbe male – continuò Ian, gli occhi puntati sul sole che tramontava. 

- Non esiste che io vada al college, ho finito a malapena le superiori. È stato mio padre a far ripulire la mia carriera scolastica, ricordi? – 

- Quest’anno sei andato benissimo e loro guardano solo l’ultimo anno. È poi hai dei voti perfetti, Mickey, gli altri ucciderebbero per questo Tu e Lip siete proprio bravi a mandare a puttane le opportunità – sospirò Ian, irragionevole. – Pagherei per poter dare un esame senza averci dovuto perdere tutta la notte –

Mickey non disse niente, troppo preso dalla sigaretta. Rilasci un gemito soddisfatto mentre si riempiva i polmoni di nicotina, sapendo che la sigaretta in qualche modo sembrava più buona dopo aveva accesa on il suo accendino. Improvvisamente si ritrovò Ian davanti, le mani appoggiate ai lati della sua testa contro alla rete, le dita intrecciate tra i fili metallici. 

- Che cosa faremo allora, Mick? Sono quattro anni –

Mickey aveva appena aspirato un tiro quindi sbuffò il fumo in faccia a Ian, lentamente, per guadagnare tempo per la risposta. Ian lo fissò in trance e si avvicinò ancora di più per inspirare. Mickey lo guardò inalare il fumo, calmo, ma il suo cuore cominciò a palpitargli nelle orecchie quando Ian avanzò ancora di più con uno sguardo negli occhi che voleva molto più di quello. 

- Mi crei dipendenza, Mickey –. Lo disse con le palpebre abbassate e Mickey riuscì a vedere un desiderio molto più profondo, che andava oltre il fumo. Finì di esaltare e le labbra di Ian si ritrovarono a pochi millimetri dalle sue, il suo respiro freddo e pulito in contrasto con il fiato caldo e l’alito di fumo di Mickey. Le sue pupille si dilatarono e il suo primo istinto fu quello di chiudere gli occhi. 

E poi Ian lo baciò. Una delle mani sulla rete si spostò ad accarezzargli il collo. Ian sentì Mickey reagire, non con urgenza, ma ricambiò comunque il bacio. C’era una sorta di incertezza nei suoi movimenti ma Ian sapeva che questo per lui era ancora tutto nuovo. Ian cercò di tenere sotto controllo i suoi ormoni impazziti, Sentendosi un po’ in colpa per essergli praticamente saltato addosso in quel modo, rallentò per non spaventarlo troppo. Quando indietreggiò, le punte dei loro nasi si sfioravano ancora e aprirono gli occhi contemporaneamente. 

- Penseremo a qualcosa – rispose Mickey senza fiato, riferendosi probabilmente al college. E questa volta fu lui a baciare Ian, ancora dubitante, ma Ian percepiva che stava cercando di dimostrargli qualcosa di importante. Cercava di comunicargli tutte le parole non dette e questo aumentò ancora di più il suo desiderio per Mickey. 

Era stata un’agonia trattenersi per così tanto tempo quindi non c’era da sorprendersi che ora Ian avesse tutta questa voglia incontenibile di sentire il suo sapore. A differenza degli altri loro baci, quello era più intimo e lo diventava sempre di più ad ogni secondo. Ian emise un gemito di piacere e si perse tra le labbra di Mickey, posando la mano sulla sua coscia. Mickey si irrigidì ma poi si rilassò. Era una tortura non poterlo toccare troppo, perché Ian avrebbe voluto toccare ogni parte di lui, vestita o non, ma sapeva che c’erano dei limiti. Mickey si fidava abbastanza di lui da lasciarlo prendere le redini, quindi Ian ora non sapeva dove fermarsi. 

Ma non dovette preoccuparsi di questo perché fu Mickey a ritirarsi, le labbra e le guance arrossate, abbassando gli occhi imbarazzato. A Ian non importava neanche che avessero smesso di baciarsi, troppo felice per ciò che era riuscito ad ottenere. Probabilmente era questo che sentiva Mickey quando fumava, ma, al contrario di Mickey, Ian non poteva accendere ogni volta che voleva. Baciarsi doveva essere mille volte meglio, doveva esserlo per forza. 

I loro occhi si incrociarono e Mickey nascose il viso nel braccio appoggiato sul ginocchio, la sigaretta che penzolava tra indice e medio. – Dove e quando cazzo si fa questo test? –

Ian sorrise e si sedette di fianco a lui con la schiena contro alla rete, togliendo la mano dalla sua gamba. – Tra un paio di settimane. Devi iscriverti ma puoi farlo a scuola –

- Cristo… - borbottò Mickey e spense la sigaretta sul tetto anche se non era finita. Ian si sentiva esaltato, sperando che a Mickey piacesse di più quello che facevano. Il moro brontolò qualcosa sottovoce e poi i suoi occhi spuntarono da sopra il braccio, trovando Ian che gli sorrideva. – Facciamolo, allora – 


E dunque, ecco Mickey in camera di Ian che guardava la guida del SAT che orami era diventata un tutt’uno con Ian. Sfogli le pagine, leggendo e controllando tutto quello che il test gli avrebbe richiesto. Non era molto difficile ma cercò di non pensare in quel modo quando vedeva quanto si stava impegnando Ian per superarlo. 

- Quanto vorrei essere intelligente come te – borbottò a un tratto Ian. Era evidente quanto fosse frustrato per i problemi quindi posò il libro. Sembrava sul punto di un esaurimento nervoso, seduto sul letto con la testa appoggiata al muro e gli occhi chiusi. Mickey si alzò dal suo posto sul pavimento e appoggiò i gomiti sul letto. 

- Ci sono nove tipi di intelligenza. Due sono stupidaggini, quindi contiamone solo sette – esordì. 

- E quali sono? – chiese Ian ancora stanco e irritato. 

- Intelligenza linguistica; conoscere tante parole e sapere come usarle. Tu scrivi, quindi sei piuttosto linguisticamente intelligente – spiegò Mickey. 

Ian aprì un occhio. – Continua – disse piano, I tratti del viso più distesi. Mickey fece un sorrisetto. 

-  Intendi continuare a dirti quanto sei intelligente o continuare con gli altri tipi? – 

- Con gli altri tipi – rise Ian divertito. 

- Poi c’è l’intelligenza matematica, quelli bravi con i numeri e tutte queste cose – 

- Questo sei sicuramente tu – sorrise Ian piegando la testa per guardarlo meglio. Mickey gli rivolse un sorriso impertinente ma non disse nulla.

- L’intelligenza spaziale invece è tipica degli artisti e degli architetti che pensano in tre dimensioni. Penso che questo potrebbe essere il tuo capo. Anche la musica ha un suo tipo di intelligenza ma penso che si spieghi da sola –

- Hai entrambe allora – sospirò Ian. – E Vance è anche il tuo di capo –

Mickey si buttò sul suo letto. – Io sono il capo di me stesso – ribatté, i palmi delle mani rivolti verso il materasso. Ian non disse niente e si morse il labbro per trattenersi dal dargli una risposta sarcastica, attendendo invece che proseguisse. 

- Intelligenza cinestetica significa essere bravi nelle cose fisiche, tipo danza o altri sport. Non mi sembra che rispecchi me, no? In questo mi batti –

- Io non ballo – ridacchiò Ian. Mickey si tirò un ginocchio al petto e colpì il suo piede con la scarpa. – Ehi, giù le scarpe dal mio letto – lo sgridò Ian in tono gentile. Mickey lanciò via le scarpe e continuò. 

- È vero ma a scuola ti ad destri in quella roba dei soldati. Non dovete muovere da una parte all’altra i fucili o qualcosa del genere? Bisogna essere bravi –

- Okay, cos’altro? – chiese Ian chinandosi in avanti. 

- Interpersonale e intrapersonale – rispose Mickey tamburellando con le dita sulla coperta. – La prima significa conoscere le persone e sapere a cosa cazzo pensano, quando sai davvero entrare nella testa degli altri e fottere con il loro cervello se ti va –. I loro occhi si incontrarono in un attimo sfuggente, ma Mickey ruppe immediatamente il contatto visivo. – E poi c’è quella intrapersonale… -

- Non mi hai detto se in questa sono bravo o no – lo interruppe Ian con un sorriso timido. 

- Decidi tu – replicò burbero Mickey ma il sorriso di Ian non si spense. Mickey si grattò il labbro, seccato, e continuò. – Allora, intrapersonale. Si tratta di un’intelligenza rivolta verso sé stessi, ad esempio sapere cosa vuoi nella vita e come gestire te stesso, cose così – 

- In questa vinco di sicuro – sorrise Ian dolcemente e Mickey rispose con un verso beffardo. 

- Io mi conosco bene – 

- Questa frase prova ulteriormente che ho ragione – rise a crepapelle Ian, tenendosi lo stomaco.

Mickey arrossì e gattonò per dare a sedersi contro al muro di fianco a lui. – Tu non sai niente –

- A quanto pare sì. Ho vinto quattro volte su sette rispetto a te – replicò Ian con un lieve sorriso, continuando poi a ridere. – E gli altri due tipi? – aggiunge dopo un paio di respiri. 

- Uno si ha quando ti interessi alla natura. Ma, voglio dire, a chi cazzo importa che cosa significa una pietra? È una pietra –

- Magari importa alle pietre – fece spallucce Ian, perplesso. 

- Ma smettila con queste cazzate interpersonali – ribattè Mickey con un sorriso. – L’altro riguarda la bravura a contemplare il significato dell’esistenza. Cristo, viviamo e moriremo tutti, non c’è bisogno di chissà quale potere cerebrale per capirlo –

- Non è che si vive, si muore e basta, Mick – mormorò Ian guardando il soffitto.

- Cazzo, Ian, ma devi sempre essere così ottimista? Mi esaurisci –

- Ah sì? Io invece sarei stanco di svegliarmi senza che mi importi di qualcosa nella vita – ribatté Ian ma sembrò pentirsene e chiuse la bocca, girandosi precipitosamente verso di lui. – Non intendevo… -

- Tranquillo – lo precedette Mickey. – Non che tu non abbia ragione – 

- No invece, non ho ragione. So che tu non pensi solo alla morte, Mickey – 

- Non ho nessun obbiettivo – rispose acido Mickey e appoggiò la testa contro al muro. 

- Io voglio andarmene da questa parte di Chicago e cominciare a fare quello che voglio fare, ma questa è una mia intenzione, non il mio obbiettivo di vita – esclamò Ian cambiando posizione sul letto. Prese un respiro e si girò, fissando davanti a sé. – Chi lo sa dove sarò tra un paio di anni? Il college sembrava l’idea migliore, ma poi? Domani può succedere qualsiasi cosa, anche già stasera, non si sa mai. Voglio solo svegliarmi e sapere che mi sto muovendo verso qualcosa anche se non sembra una cosa così grande. È pur sempre qualcosa ed è tutto ciò che ho bisogno – 

- La fai sembrare una passeggiata – rise beffardo Mickey e Ian fece lo stesso. 

- È dura solo se la rendi tu così. Devi sol porti un obiettivo e impegnarti per raggiungerlo. Se non ti arrendi, anche quando sarà dura, in qualche modo ce la farai. Con me finora ha funzionato –

Quel peso che Mickey avvertiva costantemente sulle proprie spalle sembrò finalmente levarsi seguendo la voce calma di Ian. Improvvisamente si sentì leggero come l’aria, come se avesse potuto volteggiare fino al soffitto in pochi secondi. 

- Vieni con me – disse Ian, colpendo la spalla di Mickey con la propria. Mickey sbattè le palpebre guardando il muro e poi lanciò uno sguardo ad Ian, che non sembrava mai stato più serio di quel momento. Deglutì. 

- Perché devi essere sempre così… -. SI fermò a metà frase e il suo cuore perse un battito. Gli occhi del rosso brillavano pieni di speranza ma erano anche fragili, come se qualsiasi parola di Mickey potesse renderlo la persona più felice del mondo o spezzarlo definitivamente. – Sei sempre… -. SI fermò di nuovo, incapace di parlare. Le parole gli si fermavano semplicemente in gola, quindi Mickey abbassò la testa sul braccio. Il calore di Ian accanto a lui gli ricordava di non essere più solo e che Ian gli stava donando una luce per poter camminare nel buio. Per tutto quel tempo, Ian era come una lanterna che guidava Mickey in una nebbia infinita, conducendo verso aria buona che poteva respirare. Mickey era contento di non essere scappato da quella luce. Ian era la sua direzione. 

Inalò un respiro nella piega del gomito, insicuro se ridere o piangere. – Cazzo, Ian – sospirò. – Ti seguirò ovunque -







NB: la prossima settimana sarò in vacanza quindi è probabile che non riesca a pubblicare il consueto capitolo settimanale ma la settimana successiva ne avrete due! 

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Capitolo 24
*** Sbrigati E Ringraziami ***


Mickey l’avrebbe seguito ovunque. 

Ian si mise a sedere, gli occhi pesanti per la mancanza di sonno. Mickey se n’era andato da ore, ma riusciva ancora a sentirlo nel letto, come se i punti che aveva à toccato irradiassero calore. Non riusciva ancora a credere che lui e Mickey fossero… non aveva ancora trovato il nome ma era qualcosa che bramava da tempo. Non aveva solo bisogno di Mickey ma anche di tutto ciò che erano insieme. Non era solo un'avventura di una notte e via per riempire il vuoto; stare con Mickey era come riemergere dall’acqua e realizzare di aver dimenticato cosa volesse dire respirare. 

Ian chinò la testa e sorrise tra sé e sé. Mickey aveva subito dei danni profondi, su questo Mandy aveva ragione, ma quelle cicatrici potevano guarire con un piccolo aiuto. Ian non vedeva l’ora di vedere Mickey e il solo pensiero lo fece sentire al settimo cielo perché ora sapeva che anche lui lo voleva. Si ributtò tra le coperte con un sorriso che gli doleva i muscoli facciali. Non riusciva a dormire, si sentiva troppo vivo. 

 

 

Il giorno dopo a scuola Mickey andò subito da lui, appoggiandosi al suo armadietto con le mani in tasca. – Ehi – lo salutò Ian, perdendosi nei suoi occhi. Mise un paio i libri nella borsa e richiuse lo sportello. 

- Ehi – rispose piano Mickey. Ad Ian non sfuggì il rossore che color il suo viso. Era tropo carino lì in piedi senza dire nulla, troppo timido. – Mia sorella riferisce il suo rammarico, ma doveva vedere qualcuno – lo informò Mickey, incapace di stare fermo. 

- Sta bene?- chiese Ian e Mickey annuì. 

- Penso abbia uno nuovo. Credevo ci fosse qualcosa con quell’idiota del college –

- Niente di ufficiale – fece spallucce lui. – Lip non è in grado di impegnarsi ed è un peccato perché a Mandy comincia a piacere davvero, più di quanto lui si meriti –

- Mah – grugnì Mickey, non molto interessato alle avventure di sua sorella. Rimasero lì in piedi in mezzo alla confusione del corridoio quando suonò la campanella che ricordava loro che tra pochi minuti sarebbero stati in ritardo per la lezione.

- Vuoi sostituirla a pranzo? – chiese Ian, notando come gli occhi di Mickey schizzarono mediata mente nei suoi. 

- Non verrò sicuramente in mensa –

- Sì, lo so – rise Ian. – Sei rimasto fuori anche quando stava per arrivare l’era glaciale – 

- Potrebbero arrivare quegli stronzi se ci sediamo fuori – brontolò pensieroso Mickey, riferendosi ai suoi soliti amici. Ian piegò la testa per essere alla sua altezza. 

- Che c’è, hai paura che non saremo soli?-

Mickey arrossì visibilmente e indietreggiò, colto di sorpresa. Ian rise quando si girò dandogli la schiena. – vediamoci in biblioteca e basta, tu devi studiare –

La biblioteca della scuola non era proprio il suo posto preferito, non era nemmeno paragonabile alla biblioteca civica, ma avrebbe accettato lo stesso visto che ci sarebbe stato Mickey. -Okay – rispose allegramente. – Anche se non credo che studierò molto, on il poco tempo che abbiamo per la pausa pranzo sembra di stare in prigione qui –

Le spalle di Mickey si irrigidirono. – Ci vediamo – esalò e sparì. 

 

La biblioteca era gremita di studenti ma Ian trovò Mickey in un angolo nascosto, per terra, dietro ad una libreria. – Non puoi essere davvero comodo così – rise vedendolo accovacciata per terra con un libricino in mano. – Hai mangiato almeno? 

Micky fece spallucce e non alzò la testa quando Ian si sedette accanto a lui. – Il cibo della mensa fa schifo – gli ricordò e Ian rise di nuovo. 

- Okay, ora sono proprio convinto che tu riesca a sopravvivere solo di ossigeno, quando vieni da me ti devo obbligare a mangiare. Ti ho preso qualcosa così per una volta puoi fare un pasto completo –

Mickey sembrava annoiato da ogni cosa che gli stava dicendo, finché non sentì il calore della patatina fritta fumante che Ian gli agitò sotto al naso. Era spessa e un granello di sale cadde quando Ian la spinse contro alle sue labbra. Mickey la morse di impulso, imbronciato, e lo guardò torvo. – Questo per te è un pasto completo? –

- Com’è stata la tua prima esperienza col cibo, Mickey? – chiese Ian ignorandolo. 

- Vai a farti fottere –

- Prego – rispose con un sorrisetto Ian e finì la patatina al posto suo, leccandosi il sale dalle labbra. Fu solo quando notò che Mickey lo fissava con gli occhi spalancati che si rende conto di ciò che aveva detto e scoppiò a ridere. – Scusa, mi è uscita male –

- E come cazzo doveva uscire secondo te? –

- Non lo so. Prendine un’altra – sorrise Ian imboccandolo lui stesso, senza che Mickey si opponesse. Posò il libro sulle gambe e mangiò le patatine dalla sua mano come se fosse una cosa che facevano tutti i giorni. Udirono un fruscio e videro un ragazzino con un cappello da baseball che rovistava tra i libri sullo scaffale. Si interruppe quando notò la loro presenza e si raddrizzò. 

- Ian? – chiese quando ebbe guardato meglio, riponendo un libro in mezzo agli altri. – Ehi, come va amico? –

- Ehi – ricambiò Ian abbassando la mano, siccome Mickey aveva finito. Era il ragazzo con cui Ian non era mai andato a letto dopo la scommessa con Mickey. 

- Perché vi nascondete lì? – chiese e Ian sollevò suggestiva mente le sopracciglia, sperando che cogliesse il messaggio. Il ragazzino era dichiaratamente gay e non capiva il motivo di dover nascondere la propria sessualità, ma per Ian era abbastanza ovvio, a giudicare dal linguaggio del loro corpo, il motivo per cui non erano all’aperto. Se fosse stato per lui, Ian lo avrebbe messo in mostra davanti all’intera scuola, ma sapeva che non sarebbe successo. 

- Oh – annuì il ragazzo dopo aver finalmente capito, al contrario di Mickey che continuava a spostare lo sguardo da uno all’altro. Il ragazzo ispezionò brevemente Mickey e poi si abbassò davanti a Ian. Mickey apparve improvvisamente più affamato, rubando un’altra patatina dalla scatola di cartone in grembo a Ian. Quest’ultimo arrossì violentemente visto che la sua mano era pericolosamente vicina alla zip. 

- Alcuni miei amici conoscono quel cretino con cui hai fatto a botte lo scorso semestre – cominciò a raccontare il ragazzo cercando di attirare la sua attenzione. 

- Sì e allora? – rispose Ian. Avrebbe voluto fregarsene ma reagì automaticamente sentendo menzionare quel tizio, ancora arrabbiato per essere stato picchiato in mezzo alla strada. 

- A quanto pare non ha potuto allenarsi ad hockey dall’inizio del semestre per una rissa. Qualcuno gli ha rotto un polso e qualche costola. Se proprio devo dirlo, quello stronzo ha avuto ciò che si meritava. Deve aver fatto incazzare la persona sbagliata – sorrise e poi aggiunse malizioso: - Gli hai dato filo da torcere un po’ di tempo fa però, eh? –

- Sono contento che gli abbiano fatto il culo – si rallegrò Ian. Il ragazzo stava chiaramente flirtando con lui quindi cercò di non assecondarlo troppo. Non voleva dare un’idea sbagliata, soprattutto davanti a Mickey. 

- Gli sta bene – borbottò Mickey con gli occhi incollati al libro, non completamente dimenticato a quanto pare. Ian lo guardò per un momento finché il ragazzo non si rialzò. 

- È stato bello rivederti, Ian. Passa a trovarmi a campo ogni tanto – lo salutò con un sorriso perverso e Ian deglutì. Se fosse stato l’anno prima avrebbe colto l’occasione al volo. Mickey emise un verso gutturale, come se avesse capito, ma non disse niente. 

Non appena il ragazzo se ne fu andato, Ian si voltò verso Mickey, il quale stava davvero leggendo, naturalmente distratto. Aspettò che dicesse qualcosa ma i suoi occhi fissavano la pagina vuoti e immobili. – Mi prendi per il culo?- sbottò Ian e Mickey grugnì in risposta. – Di solito non te ne frega niente degli altri e tutto a un tratto ritieni che questo stronzo si meriti di essere picchiato? Andiamo, Mick –

- Così mi offendi – cominciò a sorridere furbescamente Mickey mentre Ian cominciava a realizzare. 

- Non è passato così tanto tempo da quando ti ho raccontato che i suoi amici mi hanno aggredito, Mickey. Hai fatto a botte con lui? – 

- Definisci “fare a botte” – ribatté compiaciuto Mickey. – Quello stronzo di sicuro non ne ha date –

- Quindi gli hai rotto le ossa? – rimase sbalordito Ian e Mickey si alzò con il libro sotto al braccio, guardandolo con aria tranquilla. Aveva sollevato le sopracciglia, come se non potesse credere alle sue orecchie. 

- Ma scherzi? Certo, gli ho slogato il polso, ma le costole sono state un incidente – 

- “Rotto” il polso – lo corresse Ian saltando in piedi a sua volta con il cartone di patatine fritte. – Come fai a rompere per sbaglio le costole a qualcuno? –

- Probabilmente l’ho colpito più forte di quanto pensassi – alzò le spalle Mickey, oltrepassando la libreria e avviando si verso l’uscita. Ian lo seguì divorando una manciata di patatine. 

- Non ci posso credere, Mickey – farfugliò tra un boccone e l’altro, scuotendo la testa. 

- Vuoi che vada a scusarmi e pagargli il conto dell’ospedale? – chiese sarcastico Mickey e Ian ridacchiò con la bocca piena. Mickey aprì distrattamente la porta e uscirono. – Credevo che saresti impazzito per questa mossa da eroe – borbottò Mickey mentre percorrevano il corridoio vuoto. 

- Secondo te perché mi sto ingozzando di patatine? Sto impazzendo dalla voglia di saltarti addosso, se solo potessi – rispose sincero Ian; nel contenitore restava solo una patatina. 

Mickey si fermò e si girò. Osservò Ian passarsi la lingua sul labbro inferiore e sorridergli. Quando ebbe finto l’ultima patatina spostò lo sguardo.  – Allora sbrigati e ringraziami prima che suoni la campanella – 

Ian lo guardò imbambolato finché non capì realmente cosa intendeva. Calò un breve silenzio e Mickey cominciò ad agitarsi, impaziente. Ian sentì le viscere contorcersi, avanzò dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno in corridoio e girò il viso di Mickey verso di lui. Mickey arrossì e chiuse gli occhi quando le labbra di Ian sfiorarono le sue. Fu salato, rapido e ancora estraneo ma Mickey non poté evitare di pensare che fosse molto meglio delle patatine. E forse anche di una buona sigaretta. 

Ian stava per approfondire il bacio ma la campanella trillò è Mickey si spostò bruscamente, grattandosi le labbra con le nocche. Ian sorrise a quella vista mentre il corridoio si riempiva, senza lasciarli più soli. 

Che cosa lo aveva portato a dirgli questo? Qualsiasi cosa fosse, Ian avrebbe voluto che non fossero a scuola per potersi abbandonare a Mickey. Sperò dentro di lui che magari quella piccola confessione di poco tempo prima sul fatto di essere intimi gli attivasse qualche campanella nel cervello o che magari lo facesse il ragazzino che ci aveva provato con lui poco prima. In ogni caso, il desiderio di Ian aumentava sempre di più, il bisogno di avvicinarsi a Mickey cresceva di giorno in giorno. 

- Studiamo insieme dopo la scuola? – propose , ancora sorridente per il loro bacio.

- Sì, okay – rispose Mickey abbassando le mani ancora sul suo viso. – Ci vediamo allora -. Se ne andò e Ian ripensò alla prima volta che lo aveva guardato mentre si allontanava il primo giorno di scuola. Mickey era insieme ad un tizio, probabilmente qualcuno con cui andare a fumare erba, e sembrava così rozzo, così lontano da tutti, così irraggiungibile. Ora invece i suoi passi erano più sicuri e teneva la testa alta. Ian lo guardò camminare in mezzo al mare di studenti e entrare in classe senza spingerli o sbattere contro di loro, muovendosi semplicemente in mezzo alla folla come aveva sempre fatto. 

Ma Mickey si girò a guardarlo, sorridendo gli prima di sparire e Ian sapeva che quel sorriso gli stava dicendo che questa volta aveva una destinazione. 

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Capitolo 25
*** Ti Voglio ***


Il sole stava tramontando e le ombre proiettate dagli alberi si allungavano sempre di più, ancora spogli visto che erano solo i primi di Febbraio. Ian non riusciva a smettere di fissare lo spazio tra di loro e soprattutto lo spazio fra le dita di Mickey. Era qualche passo davanti a lui mentre camminavano per la strada in una sorta di deviazione e Ian lo seguiva e basta; non gli importava di quanto sarebbe stato lungo il viaggio perché sarebbe potuto andare ovunque con lui, finché Mickey avesse voluto. 

Ciò di cui non riusciva a capacitarmi era che Mickey lo avesse invitato da lui senza motivo o spiegazione, chiedendogli semplicemente se avesse voglia di venire. Naturalmente Ian aveva accettato, pur conoscendo le possibili conseguenze, perché se Mickey era disposto a rischiare allora lo avrebbe fatto anche lui. La prima cosa che chiese fu se ci sarebbe stato anche suo padre e Mickey aveva risposto che non ne era sicuro e che non gli importava. 

- Sei sicuro di volermi invitare, Mickey? Non saranno guai se tuo padre dovesse scoprirlo? – ricominciò Ian mentre si avvicinavano alla via di casa sua. 

- Te l’ho detto, ci penserò se dovesse succedere ma non accadrà. No che non accadrà – rispose Mickey, anche se sembrava che stesse cercando di convincere perlopiù sé stesso.

- Sei sicuro di essere sicuro? –

- Ian, se me lo chiedi ancora una cazzo di volta… -. Si fermò e si girò a guardarlo. Il suo sguardo si addolcì ma si rigirò per non frasi vedere. Erano nella via di casa sua e Mickey si guardò intorno nervosamente, aumentando il passo. Mentre Ian lo seguiva su per la collinetta, entrambi guardinghi, Mickey disse qualcosa sottovoce. – Non gli permetterei di farti del male –

Ian non seppe come rispondere, quindi continuò semplicemente a seguirlo e il suo desiderio crebbe ancora di più. Voleva prenderlo per mano, così tanto, sin da quando avevano lasciato il negozio di tatuaggi. 

Dopo che Mickey ebbe controllato che non ci fosse la macchina di suo padre nel vialetto, svoltarono l’angolo e andarono sul retro. La fontana zampillava ma le luci erano spente visto che fuori era ancora chiaro. Mickey aprì il largo portone e controllo che la via fosse libera prima di farlo entrare. 

La prima cosa che fece Mickey fu rubare una bottiglia di Gin dalla credenza in cucina, poi fece un altro giro di ricognizione per la casa. Andarono al piano di sopra e chiuse la porta buttando fuori un respiro profondo con la schiena contro la porta per un momento. Ian, in piedi vicino al letto, lo guardò passarsi una mano sul viso e poi aprire la bottiglia buttandone giù un sorso. – Non puoi chiudere a chiave? – chiese aprendo la giacca.

- Secondo te ci è permesso chiudere a chiave? – rispose sorridendo Mickey, am quel sorriso svanì immediatamente; sapevano entrambi cosa volesse dire. 

Ian si lasciò cadere sul letto e cercò di non pensare a tutte le cose orribili che potevano essere successe in quella stanza. Invece, si concentra su quello che sarebbe successo in quella stanza tra lui e Mickey. 

- Sì, fai pure come se fossi a casa tua, qualcuno dovrà pur farlo – brontolò Mickey bevendo ancora. 

- Ehi, non ubriacarti troppo – lo mise in guardia Ian, siccome Mickey non voleva saperne di lasciare la bottiglia. Il moro si staccò finalmente dal Gin e tossì, prendendo poi un agognato respiro. 

- Non mi lasci bere, non mi lasci fumare, cosa cazzo posso fare? – rise pulendosi la bocca con la manica. 

- Se vieni qui ti faccio vedere – rispose coraggiosamente Ian mettendosi a sedere. Anche se non aveva toccato neanche un goccio di alcool, ma bastava la consapevolezza di essere da solo sul letto con Mickey a inebriarlo. Era pronto a far esplodere quella voglia che aveva sempre dovuto tenere dentro quando era con Mickey al lavoro, a scuola, a casa e dopo tutto quel tempo cosa aveva ottenuto? Un paio di baci. E un paio di baci di breve durata, per giunta. 

Mickey fu colto talmente alla sprovvista che non seppe cosa dire. Rimase semplicemente immobile come un cervo davanti ai fari di un’auto e quanto pare gli serviva altro alcool visto che finì il Gin rimasto. 

- Potevi anche offrire – sorrise Ian sdraiandosi di nuovo e togliendosi le scarpe. Mickey posò la bottiglia vuota per terra vicino ai suoi album da disegno e mentre si accovacciava si perse nei propri pensieri. Ian stava per chiedergli a cosa stesse pensando ma invece lo raggiunse e aprì uno degli album. 

- Cosa cazzo stai facendo? – sbottò Mickey allungando il braccio per toglierglielo di mano. 

- Tu puoi leggere le mie cose ma io non posso vedere le tue? – ridacchiò Ian e Mickey si zittì. I suoi disegni erano a dir poco incredibili, molto dettagliati e si evinceva quanto tempo gli avesse dedicato. Anche se non sembravano incentrati su un tema particolare, erano affascinanti. Una cosa che notò fu che non erano colorati, tutti in bianco e nero. 

- Perché non cominci a tatuare insieme a Vance? Guadagneresti molto di più – commentò Ian ammirato. - Pagherebbero un sacco per queste cose –

- No, se sapessero cosa significano – sospirò Mickey inginocchiandosi per cambiare posizione. – È per questo che non voglio disegnarti un tatuaggio. Queste cose non sono fiori o dragoni – 

- Cosa significano? – chiese Ian lanciando un’occhiata a Mickey che si grattava la testa e sorrideva, un sorriso indotto probabilmente dall’alcool. – Mickey, cazzo, ti sei scolato l’intera bottiglia, come faccio ad avere una conversazione seria con te ora? – . Mickey si spostò in avanti, più vicino di quanto Ian fosse abituato, quindi rimase in silenzio e si godette la mano di Mickey sul suo ginocchio. 

- Questo l’ho fatto quando avevo sei anni – disse piano, chiudendo gli occhi per un momento mentre si massaggiava il collo. Ian guardò il disegno che stava indicando; era costituito da diversi elementi che ricoprivano l’intero foglio. Non erano proprio definiti ma non si trattava di una persona o di altro, erano solo tante linee che si intrecciavano in cerchi, muovendosi insieme. Era comunque molto bello, in qualche modo. Non riusciva a distinguere chiari oggetti ma tra le linee c’erano delle storie, tutte annodate tra loro e diventavano intrecci più fluidi mano a mano che ci si avvicinava al bordo del foglio. – L’ho disegnato dopo che ho visto mio padre attorcigliare il cavo del telefono al collo di mia madre – spiegò Mickey, come se Ian gli avesse semplicemente appena chiesto l’ora. 

- Come scusa? – esclamò Ian, lasciando immediatamente il disegno come se bruciasse. 

- Li ho visti in cucina – continuò Mickey con il respiro pesante, faticando a tenere gli occhi aperti. L’alcool forse cominciava a fare effetto, visto che l’aveva bevuto così di fretta. 

- Cristo Santo – ringhiò Ian, talmente arrabbiato da voler strappare il disegno in mille pezzi, ormai incapace di vederne la bellezza. 

- Qui è quando mi ha bruciato – rise pesantemente Mickey, o perlomeno, emise una sorta di gemito che sembrava una risatina, e tolse il primo disegno, rivelandone un altro sotto. Se non avesse sentito le sue parole, Ian l’avrebbe trovato stupendo. Lingue di fuoco danzavano sulla carta, come se le fiamme potessero toccarlo se avesse continuato a fissarle. Era l’unica cosa che riusciva a vederci mentre le parole “Mi ha bruciato” si ripetevano nella sua testa. – Che stai dicendo, Mickey? – 

- Le bruciature – sbuffò il moro e si tolse la giacca. In qualsiasi altro momento Ian sarebbe stato felice di vederlo pogliarsi ma non ora, troppo spaventato da ciò che gli avrebbe mostrato. 

Mickey sbottonò la camicia quanto bastava per abbassare il colletto. Sopra le clavicole c’erano dei segni, come delle bruciature di sigaretta. La pelle era gonfia e di un colore rossastro, scuro, ma probabilmente in passato doveva essere stata molto peggio e a Mickey non sembrava importare più di tanto, trattandole come se niente fosse. 

- Non posso cr… -. Le sue parole furono interrotte quando si portò la mano alla bocca, sentendosi sul punto di vomitare. 

- Che c’è, Ian? – chiese Mickey, gli occhi annebbiati. 

- Sei ubriaco – tossì Ian chiudendo gli occhi. Dovette mordersi la mano per trattenersi dall’urlare. Avrebbe voluto più che mai che quella porta si aprisse per riempire di botte il padre di Mickey. 

Le sue preghiere furono evidentemente ascoltate perché la porta si spalancò e Ian saltò in piedi, indietreggiando contro al letto per mantenere una certa distanza. A dire il vero non aveva paura, era pronto a scontrarsi con quel bastardo. Ma non era lui, bensì Mandy, che lo guardò fisso per poi guardare Mickey sul pavimento, la camicia ancora mezza sbottonata. 

- Ma che cazzo… - disse lentamente Mandy e aggrottò la fronte. – Ian? Cosa cavolo ci fai qui? –

- Esci dalla mia stanza – biascicò Mickey cercando di alzarsi ma i suoi sforzi fallirono. Mandy vide i fogli per terra e si portò una mano sul fianco, raccogliendo la bottiglia vuota. 

- Ian, ti ho già avvertito – lo rimproverò, ma stava fissando Mickey preoccupata. 

- Non è come sembra – sospirò Ian. Avrebbe voluto riformulare la frase perché sembrava troppo una bugia. Mandy si avvicinò e lo prese per mano per trascinarlo fuori dalla stanza, richiudendo poi la porta. 

- È ubriaco marcio – disse immediatamente non appena furono in corridoio. Ian le strinse le mano ma lei la lasciò andare, arrabbiata e ferita. 

- Tu non vuoi che io venga qui, ma lui sì, chi se ne importa – disse lui, non capendo nemmeno perché avrebbe dovuto giustificarsi. 

- Perché a lui non importa di te come importa a me. Non fare favoritismi, Ian –

- Stai scherzando, Mandy? –

- Se mio padre ti scopre, farà del male a te e poi a Mickey. L’ho visto e l’ho vissuto. Fai finta di non vedere ciò che ha fatto passare a Mickey? –

- No, anzi, non riesco a smettere di pensarci! – gridò Ian è Mandy trasalì, certamente non abituata a vederlo così. Ian guardò la porta chiusa e poi di nuovo l’amica. – Se potessi tornare indietro nel tempo vi porterei via da qui, ma non è possibile. Non ti ho mai abbandonata, nemmeno quando mi hai messo da parte per tutti quei ragazzi a cui non importava niente di te. Non ti ho mai lasciata a pezzi dopo che ti hanno spezzato loro il cuore, perché sei la mia migliore amica. E ora mi stai chiedendo di farlo con Mickey? –

Lei rimase allibita, gli occhi sgranati per la sorpresa. Ian abbassò lo sguardo, senza fiato, senza sapere come riprendersi dopo essersi sfogato in quel modo davanti a Mandy. 

- Scusami – deglutì lei. – Scusami, Ian –. Ian stava per risponderle ma lei proseguì. – Hai ragione. Io e Mickey facciamo del male agli altri perché non amiamo abbastanza noi stessi e non sappiamo come lasciarci amare. Volevo solo proteggerti da Mickey ma non sono stata capace di proteggerti nemmeno da me stessa. Mi dispiace – concluse, triste. 

Ian la abbracciò accarezzandole i capelli e le bracca. Mandy deglutì un paio di volte e singhiozzò. – Quando la scuola sarà finta vi porto via da qui. Prenderò te e Mickey e non ci tornerete mai più – promise deciso Ian. – Troverò un modo –

- Grazie, Ian – mormorò Mandy anche se non gli credeva. Si staccarono e lei gli sorris tra le lacrime, aschiugandosele poi con la mano e indicando la camera di Mickey. – Vai dal tuo ragazzo –

Ian le sorrise a sua volta e abbracciò le braccia ridendo. – Quindi ho la tua approvazione per uscire con Mickey? –

- Sì, perché no? –

- Beh, non è che stiamo proprio uscendo… Non so cosa siamo in realtà – fece spallucce Ian. 

- Allora datti una mossa e fai in modo di scoprirlo – disse con aria minacciosa, anche se non capì bene a chi fosse rivolta. Quando si girò, Mandy lo richiamò. – Mickey è fortunato che tu tenga a lui, Ian. E anche io –

- Vale lo stesso per me – replicò Ian ritornando nella stanza. Quando ebbe richiuso la porta cercò Mickey e lo trovò in un angolo, rannicchiato contro a muro. Lo raggiunse e si abbassò vicino a lui; Mickey gemette piano, come per salutarlo. 

- Mickey? – mormorò passando gli una mano sul viso per girarlo verso di lui. Era caldo. 

- Mh. Ian? – sorrise pigramente il moro è le sue dita trovarono quelle di Ian, intrecciandole contro al suo palmo. Ian rimase semplicemente seduto lì, lasciando che Mickey lo tenesse per mano, emettendo occasionalmente un respiro profondo. Dovette ricordarsi di respirare, non perché si sentisse particolarmente romantico per Mickey che aveva intrecciato le loro mani, ma perché altrimenti sarebbe svenuto. – Scusa – borbottò Mickey portandosi la sua mano al viso. – Scusami, mi dispiace –

- Non devi scusarti di niente – strinse le labbra Ian. Non voleva sentire quelle cose in quel momento o sarebbe finito a tirare pugni al muro, magari rompere tutte le bottiglie di vetro al piano di sotto. 

- Ho letto i tou pensieri senza permesso – gemette piano Mickey. – Ti faccio sempre soffrire -. Seguì una risata ubriaca che si tramutò in un rapido ansito, un suono doloroso. 

Ian lo sollevò fino a metterlo seduto e quando i loro occhi si incrociarono Mickey lasciò cadere la testa sulla sua spalla. – Non hai fatto niente di sbagliato – disse Ian con la voce soffocata, le braccia intorno a Mickey. Rimasero in silenzio per un po’ e Ian pensò che Mickey si fosse addormentato perché i suoi ansiti si erano tra mutati in un respiro calmo. Ma poi le mani di Mickey cominciarono a cercare alla cieca, trovarono il corpo di Ian e cinse le braccia intornoal suo collo. 

- Sei felice, Ian? – mormorò, probabilmente troppo ubriaco per ricordarselo il giorno dopo. Ian non aveva bisogno di pensarci o anche solo rispondere perché Mickey non l’avrebbe sentito, non l’avrebbe saputo e probabilmente non ci avrebbe creduto anche se fosse stato sobrio. 

- Non immagini quanto – rispose stringendo la presa e premendo il viso sulla sua spalla. Rimasero in quella posizione finché Ian non avvertì un nodo alla gola e le lacrime agli angoli degli occhi. Mickey aveva dovuto sopportare così tanto, tanti segreti oscuri che Ian non avrebbe mai saputo. I suoi disegni e le cicatrici erano solo piccoli scorci dell’inferno celato tra quelle mura. 

Improvvisamente udì un rumore dal piano di sotto, come un’esplosione di risate e un tintinnio di biccheri, come se fosse incominciata una festa. La porta della stanza si spalancò e Mandy comparve sulla soglia, pallida in viso, la man che stringeva la maniglia. – Papà è tornato. Nasconditi, subito – lo implorò e richiuse la porta. Ian la sentì scendere al piano di sotto, per chissà quale motivo. 

Ian si irrigidì. Nascondersi? E dove? Non poteva sgattaiolare fuori dalla finestra, era troppo alto. Ma quel pensiero svanì all’istante quando le labbra di Mickey gli sfiorarono il collo, un tocco leggero e affettuoso. Ian cercò di protestare, siccome non era proprio il momento di perdere tempo e Mickey non era proprio lucido. Mickey lo spinse con una mano sul suo petto, intrecciata nel tessuto della maglietta, cosa che ormai doveva essere diventata un’abitudine, e cercò di farlo indietreggiare contro al muro. 

Ian si sentì accaldare. Per quanto leggero, il suo tocco era pressante e insistente, insolitamente bisognoso. La sua schiena sbattè contro al muro e gli cedettero le ginocchia per un istante quando Mickey continuò a baciarlo sul collo, trovando proprio quel punto che lo fece ansimare. Avrebbe voluto davvero cedere e godersi quel momento ma l’arrivo di Mandy che l’aveva avvertito dle loro padre psicopatico aveva rovinato il momento. Cercò di togliersi Mickey di dosso, anche se non in modo molto deciso, ma Mickey gli cinse le spalle con il braccio per baciarlo più intensamente. 

- Aspetta – esalò Ian Sentendosi accaldare in tutti i punti giusti. Era solo il collo ma non sapeva di essere così sensibile prima d’ora. Di solito andavano tutti dritti alla cintura dei pantaloni quindi era qualcosa di completamente diverso da ciò a cui era abituato. – Mick – ci riprova abbassando lo sguardo sui suoi capelli neri mentre Mickey succhiava gentilmente la pelle dell’incavo della sua spalla, sordo ai suoi richiami. 

- Mi vuoi? – mormorò dolcemente il moro sulla sua pelle, accarezzando il retro della testa di Ian dove i capelli incontravano il collo. 

Ian combatte contro sé stesso per rispondere a quella domanda perché ciò che Mickey stava facendo era molto di più, era tutto ciò che desiderava da mesi. Era stordito mentre si cercava di concentrarsi sul fuoco  che sembrava incendiargli la spalla ad ogni bacio di Mickey. – Ti voglio – ansimò, ormai tropo eccitato per negarlo. Voleva Mickey, tutto di lui, il suo tocco, la sua fiducia, il suo affetto, le sue paure, i suoi difetti, voleva tutto ciò che Mickey gli avrebbe dato. 

Il suono dei baci di Mickey sopra al colletto della sua maglia e sul suo petto silenziò i problemi al paino inferiore, dove gli scoppi di risate si udivano chiaramente. I capelli di Mickey gli solleticarono la mascella e Ian sorrise, abbassando il mento per baciarlo tra i capelli, sulla tempia e indugi sulla sua guancia, assaporandone la morbidezza. Mickey alzò la testa è la piegò finché le loro labbra non si incontrarono, muovendosi le une contro alle altre, staccandosi e ritrovandosi tra timidi gemiti. Ian gli avvolse le braccia intorno alla vita e lo tirò a sé, concentrandosi sulla sua bocca mentre le sue mani gli circondavano i fianchi ed esploravano la parte bassa della sua schiena. 

Mickey sembrò sorpreso ma poi si sistema sul suo grembo, baciandolo con tutta l’intensità che poteva. Era ubriaco ma sapeva ancora cosa faceva e cosa Ian stesse facendo, anche se sembrava tutto un sogno. – Anche io sono felice – ansimò contro alla sua bocca, afferrandogli con più decisione i capelli e aderendo ancora di più contro al suo corpo. Ian arrossì di più, incapace di rispondere perché stava cominciando a non capire più niente, stordito dal vedere Mickey così aperto, così vicino a lui. – E anche io ti voglio – continuò il moro approfondendo ancora di più il bacio, le braccia che tremavano sulle spalle di Ian. 

E fu in quel momento che la porta si aprì e Ian aprì immediatamente gli occhi. Oltre l’espressione stralunata di Mickey vide un uomo alto in giacca e cravatta che barcollava all’interno della stanza. Si fermò per guardare il letto di Mickey ma i suoi occhi stretti a due fessure non ci misero molto a trovarli sul pavimento. Calò un silenzio mortale, era tutto talmente calmo che gli fischiavano le orecchie e il cuore gli martellava nel petto, più forte della musica e del chiacchiericcio al piano inferiore. 

- Ma allora – disse l’uomo, gli occhi sprezzanti. – mia figlia non è l’unica troia qui –

Ian si tolse Mickey di dosso e si alzò in piedi per posizionarsi tra lui e l’uomo, che doveva essere quel bastardo del loro “padre” in carne e ossa. Era come trovarsi davanti il mostro che pensavi esistesse solo per impedirti di dormire la notte. E poi impari che i mostri non ci sono solo nelle favole ma esistono davvero e sono peggio di quello che si immagina. 

- Papà, dai, ti cercano giù – ansimò Mandy comparendo di fianco a lui con il terrore negli occhi. Era rossa in viso e le era colato il mascara ma Ian era troppo allibito per accorrere in suo aiuto. 

- Chi cazzo sei tu? – biascicò Terry, ancora più ubriaco di Mickey, cercando di oltrepassare Mandy e puntando contro a Ian un dito accusatorio. Ci mancava poco che Ian gli facesse rientrare quegli occhi vuoti nelle orbite ma rimase fermo dov’era perché Mandy stava scuotendo la testa furiosamente, pregandolo di non intervenire. – Chi cazzo è? – gridò di nuovo Terry, la voce che rimbombò in tutto il piano di sopra. Ian non si mosse, continuando a bloccarli la vista di Mickey più che poteva. Terry li guardava cercando di capire cosa centrasse Ian con lui. 

- Papà, hai avuto il tuo grande anticipo, ricordi? Ti stanno aspettando per brindare – esclamò Mandy. Il suo entusiasmo era così falso che ad Ian si rivoltò lo stomaco. 

Terry avanzò in fretta e cercò di afferrare Mickey per il colletto ma prima che potesse anche solo toccarlo, Ian gli afferrò il polso e lo fissò, facendogli capire che se si fosse avvicinato troppo a Mickey se ne sarebbe pentito. 

- Ian, no – sussurrò Mandy mettendosi in mezzo. Spinse suo padre verso la porta mentre agitava i pugni alla cieca, colpendo l’aria mentre barcollava. Riuscì a farlo uscir e lanciò uno sguardo ad Ian, implorandolo di fare qualcosa perché non sarebbe riuscita a trattenerlo per sempre. 

Quando se ne furono andati, Ian sfogò la sua rabbia tirando un pugno contro al muro e la mano pulsò per il dolore. Si piegò e tirò su Mickey, lasciando che si abbandonasse contro di lui, e ansimò sulla sua spalla mentre lo sollevava. Quando si sentì abbastanza stabile per trasportare il suo peso morto, uscì dalla stanza e rimase in piedi in cima alle scale, gli occhi puntati sulla porta principale. Mickey emise un lamento e gli avvolse le braccia intorno al collo per baciargli timidamente il viso e poi sembrò perdere completamente i sensi. Troppo teso per accorgersene, Ian sgattaiolò al piano di sotto, il cuore che batteva all’impazzata. Mandy era in fondo alle scale e si guardava furiosamente intorno, finché nonagitò il braccio per indicargli che la via era libera. Ian quasi non saltò giù dai gradini per raggiungerla e si guardarono brevemente prima che Mandy aprisse la porta per farli uscire. Gli stampò un bacio fugace sulla guancia e fece sorprendentemente la stessa cosa a Mickey, per poi spingerli fino alla scalinata d’ingresso. Con un cenno sfuggente e la promessa di parlarne più tardi, richiuse la porta e lo lasciò solo enl silenzio del North Side. 

Ian riuscì a scendere dalla collinetta  e arrivare fino al cancello senza nessuna preoccupazione fino a quando non si ritrovò davanti all’altro cancello di ferrò e realizzò che quello sarebbe stato un problema. Spostò Mickey e se lo mise sulla schiena ma il moro era troppo assonnato per tenersi aggrappato a lui quindi non sarebbe mai riuscito a scavalcare il cancello. 

Rassegnato alla sconfitta, Ian decise invece di trovare un posto isolato tra gli alberi che circondavano la casa, lontano da possibili sguardi, e posò Mickey sul terreno freddo. Si tolse la giacca per coprirlo, assicurandosi che fosse ben imbacuccato e al caldo e si rannicchiò accanto a lui. 

Tirò Mickey a sé stringendolo per cercare di calmare anche i propri tremori. Aveva paura per Mickey, per sé stesso, per Mandy, per tutti gli orrori che li attendevano nell’ombra. Tutto ciò che non poteva prevedere è che avrebbe potuto togliergli Mickey e Mandy, sconvolgendo il suo mondo. Ma quella sera vevano avuto la fortuna di schivare un vero e proprio proiettile, o meglio, una bomba, ed erano sfuggiti dalle grinfie del mostro prima che succedesse qualcosa di orribile. Ian era pronto a commettere un omicidio e finire in prigione per il resto della sua vita ma era così felice di non averlo fatto, altrimenti non sarebbe stato con Mickey in quel momento. 

Sospirò di sollievo contro alla figura raggomitolata di Mickey, lasciando che il calore del suo corpo lo calmase; non riusciva ancora a credere di essere così contento di essere scappato da qualcosa in tutta la sua vita, così come non riusciva a rendere di poter essere così grato e felice di avere qualcosa, o meglio, qualcuno nella sua vita. 

Anche se Mickey era ubriaco, era felice e voleva Ian, quetso aveva detto. Ian cercò di ricomporsi per non piangere, nascondendo il viso e facendo aderire il proprio corpo a quello di Mickey, lasciando che il proprio corpo rilasciasse le sue paure e la sua felicità in silenzio, dando riposo alla sua anima fino all’ultima goccia di energia rimasta, promettendo di non lasciare mai Mickey. E si addormentò. 

 

 

Ian schiuse gli occhi e vide che era mattina presto. Gli faceva male dappertutto dopo aver dormito per terra tutta la notte. L’umidità mattutina gli ricopriva il viso e lo avvolgeva in quel piccolo nascondiglio in mezzo alla foresta fuori dalla proprietà dei Milkovich. Si mise a sedere e si asciugò gli occhi, grattandosi poi il retro del collo e ricordando la sensazione delle dita di Mickey che lo accarezzavano proprio lì la sera prima.   

A proposito di Mickey, era seduto a pochi metri da lui che fumava girato dall’altra parte, ma lo guardò quando si sedette. – Stai bene? – gli chiese, facendo scorrere gli occhi lungo il braccio di Ian fino fermarsi alla sua mano livida. Ah già, giusto, aveva tirato un pugno al muro. Ian rise piano e si raddrizzò completamente, massaggiandosi le nocche. 

- È solo una sbucciatura – sorrise; il fumo della sigaretta di Mickey saliva verso il cielo pallido. – E tu? Non eri messo tanto bene ieri sera – aggiunse, cercando di decidere se menzionare o meno ciò che era successo. 

Mickey continuò a fumare per qualche minuto e poi schiacciò il mozzicone con la scarpa, lo sguardo perso tra gli alberi. – Mi ricordo – disse trovando lentamente Ian con i suoi occhi blu. – Te l’avevo detto che mio padre non avrebbe fatto niente –

- Questo grazie a Mandy – replicò beffardo Ian. – Tu eri troppo sbronzo per fare qualcosa, eh? –

- Sì, ma tu no – ribattè Mickey. 

Ian sbattè le palpebre confuso, cercando di capire cosa significasse. Mickey attraversò i pochi metri che li separavano e si sedette accanto a lui, sdraiandosi sull’erba coperta di rugiada. Tirò Ian per la mancia e quando lui lo guardò, Mickey lo fissava con uno sguardo così pensieroso e pieno di emozioni che ina lasciò che il moro lo tirasse a sé. Arrossì e posò la testa sul petto di Mickey, ascoltando il suo cuore. Batteva all’impazzata sotto alla camicia. 

- Sapevo che non gli avresti permesso di fare qualcosa – grugnì il moro. 

- Mai – sorrise Ian, ancora nervoso al pensiero di essere accoccolato a Mickey, sobrio. Deglutì e si rannicchiò ancora di più contro di lui. – Sei ancora ubriaco? – gli chiese. 

- No – borbottò Mickey accarezzando gli la schiena con movimenti circolari. Ian alzò gli occhi in quelli chiari e tranquilli di Mickey e arrossì ancora di più. 

- Ti ricordi tutto, vero? – chiese in tono cauto e Mickey emise un mormorio in risposta. Ian annuì lentamente, il viso poggiato contro al tessuto della camicia di Mickey, e si mordicchiò il labbro inferiore. Alzò la testa, e lo guardò di nuovo, balbettando incerto. – Sei sicuro? Voglio dire, sicuro-sicuro? Eri abbastanza ubriaco, non che fosse così importante, ma beh immagino… - . SI fermò quando video lo sguardo sognante che gli stava rivolgendo Mickey, un timido sorriso che si allargata sulle labbra prima che alzasse gli occhi al cielo e si mettesse a sedere. 

- Ti serve un cazzo di promemoria? – chiese piano Mickey smettendo di accarezzarlo, il braccio molle intorno alla sua schiena. Ian guardò tra i suoi occhi misteriosi cercando di bofonchiare qualcosa ma non successe niente, quindi Mickey rise e si sporse per dargli un tenero bacio sul collo. – Col cazzo che non era importante – borbottò gentilmente Mickey rialzano la testa, ancora sorridente. Ian credette di poter svenire con quello sguardo, lo sguardo più spensierato e amorevole che Mickey gli avesse mai rivolto, rilassato e completamente fiducioso. 

- Posso baciarti?- esalò, faticando ancora a trovare la voce. Mickey lo guardò continuando a sorridere e poi sfiorò le labbra di Ian con le proprie, chiudendo gli occhi. Ian sentì come una scossa elettrica attraversargli il corpo mentre abbracciava Mickey tirandolo a sé, sempre più vicino per incontrare la sua bocca, ancora e ancora. 

Si baciarono avvinghiati l’uno all’altro finché la foschia mattutina non si diradò e l’aria si riscaldò mentre il cielo si schiariva sopra di loro dando inizio ad un nuovo giorno. 

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Capitolo 26
*** È Il Tuo Ragazzo? ***


Quando Ian finì di consegnare la domanda di ammissione al suo tutor, si precipitò a cercare Mandy. Aveva ricevuto i risultati degli esami quella settimana e li aveva inviati immediatamente insieme alla domanda. Mentre la cercava lo accompagnava un sorriso perché aveva fatto meglio di quanto credesse possibile. Doveva ringraziare Mickey e il caffè espresso.

Mandy era seduta in mezzo ad un paio di ragazzi ma li abbandonò non appena vide Ian, senza curarsi del fatto che le stessero guardando il sedere mentre se ne andava.

- Anche tu li hai avuti? – le chiese quando Mandy gli corse incontro e lo abbracciò. Lei annuì e si diedero il cinque avviando si verso la fermata dell’autobus con le braccia uno intorno alle spalle dell’altro.

- Ma il risultato del mio SAT fa abbastanza schifo – aggiunse imbronciata.

- Non importa, non è che stiamo andando a Princeton –

- Facile dirlo per te, hai avuto un buon punteggio –

- Mi sono anche fatto il culo per averlo – replicò Ian; non voleva sminuire il suo successo. Quando scorse Mickey parlare con i suoi amici al cancello, si tolse il braccio di Mandy dalle spalle.

- Ti vergogni all’idea che ti veda il tuo ragazzo? – chiese con un sorrisetto Mandy e Ian la spintonò leggermente. Lei guardò il fratello per un minuto e poi tornò a guardare Ian. – Com’erano i risultati di Mickey? –

- Impeccabili come al solito – sbuffò Ian mentre si avvicinavano a Mickey e i suoi amici li guardarono come se si fossero persi. Erano in quattro e tutti sui trent’anni e visto che Ian non ne riconobbe nessuno agitò la mano imbarazzato in segno di saluto. Mandy invece no e si portò le braccia al petto.

- Ehi, faccia da culo – disse lei non appena furono abbastanza a vicini. Inizialmente Ian credeva che stesse parlando con Mickey ma poi notò che stava fissando uno dei quattro, che indossava una giacca di pelle.

- Stronza – rispose quello prontamente, fulminandola con gli occhi.

- Sono contento di vedere che ci conosciamo tutti – commentò Mickey mentre fumavano. Ian spostò il peso da una gamba all’altra, a disagio, consapevole che Mickey non gli avrebbe sorriso e non lo avrebbe baciato per salutarlo davanti ai suoi amici. Non che lo facessero quotidianamente ma sapeva di non dover attirare l’attenzione su di loro in queste situazioni.

- Piacere, Derek -. Il ragazzo che aveva appena fatto incazzare Mandy senza motivo gli tese la mano. Aveva un forte profumo di colonia, una di quelle fragranze che di solito non si sentivano addosso ai ragazzini. A questo punto Ian si chiese se Mickey conoscesse qualche adolescente oltre a lui e a Mandy.

– Siamo nella band di tuo zio – disse un altro a Mandy, stringendo la mano anche a lei. Lei gli sorrise educatamente sbattendo maliziosamente le ciglia e Derek spostò lo sguardo, ancora più arrabbiato.

- Ci conosciamo? – chiese lei e il ragazzo rise.

- No, ma so che sei la nipote di Rick. Parla di te e Mickey tutto il tempo –

- Davvero? Wow, non lo sapevo – esclamò Mandy cercando naturalmente di dare una buona impressione di brava ragazza anche se l’aveva già rovinata con il suo piccolo sfogo di poco prima.

- Questo è il tuo ragazzo? – chiese l’altro in tono curioso, lanciando un’occhiata a Ian. Ian era abbastanza agitato e ancora più imbarazzato, colto alla sprovvista da quella domanda, perché onestamente ora on sapeva che cosa dire. Non avevano pensato a nulla per questo tipo di situazioni. Guardò stancamente Mickey e Mandy fece per rispondere ma Mickey la precedette.

- No, è il mio – rispose incrociando lo sguardo di Ian e passandogli poi la sigaretta. Quando Mickey lo guardò, fu come se ci fosse solo lui e nessun altro intorno. Agitò la mano per incoraggiarlo a prendere la sigaretta e Ian si affrettò a farlo. I suoi occhi luccicavano e l’angolo delle labbra era sollevato in un sorriso, ma poi si rigirò verso gli altri ragazzi, rindossando la propria corazza.

- Fico – disse uno di loro dopo un momento di realizzazione. Nessuno ne parlò più e si persero in chiacchiere casuali e discussione sulla musica.

- È meglio che stasera veniate a sentirci – disse uno dei ragazzi della band dieci minuti dopo.

- Contaci – rispose Mickey passando di nuovo la sigaretta a Ian. Si salutarono battendosi il pugno e se ne andarono. Mandy trascinò Ian per andare a prendere l’autobus in tempo e Mickey li seguì poco dopo aver buttato via la sigaretta.

Camminarono tutti e tre in silenzio, Ian troppo felice per riuscire anche solo a parlare e Mandy impegnata a pensare a quanto fosse carino quello con gli occhi verdi. Mickey guardava Ian facendo attenzione a non essere visto, perso nella vista del rosso con la testa tra le nuvole che sorrideva come se non gli importasse se il mondo fosse finito in quel momento.

Aveva annunciato praticamente all’intero isolato che lui e Ian stavano insieme, persino davanti a Mandy. Non è che odiasse l’idea di essere legati l’uno all’altro, anche se pensava che le etichette fossero stupide. Ma quando aveva colto lo sguardo insicuro di Ian alla domanda sul ragazzo, Mickey aveva capito di doverlo stabilire in quel preciso momento, altrimenti Ian ci sarebbe rimasto male.

Dio, non poteva credere che stesse succedendo davvero. Si stava affezionando così tanto a lui ed era qualcosa per cui non era mentalmente preparato. Come funzionava una relazione stabile? Che cosa si aspettava o di cosa aveva bisogno Ian da lui? Cosa doveva fare per funzionare le cose? Sbattè le palpebre e si distanzia leggermente da loro, perso tra i propri pensieri.

Cazzo, non riusciva a smettere di pensare di come avrebbe dovuto essere cauto con ciò che doveva fare per Ian. Se fosse stato per lui avrebbe detto a tutti di farsi gli affari loro perché ciò che erano lui e Ian non erano affari di nessuno. O almeno questo pensava finché non aveva visto l’estrazione di Ian in biblioteca quando il giocatore di baseball li aveva trovati uno attaccato all’altro o la sua agitazione quando gli era stato chiesto se fosse il ragazzo di Mandy. Erano tutti quei piccoli gesti che gli indicavano che Ian non voleva mettergli pressione. Non poteva permettere che Ian continuasse a pensare questo. La loro conversazione sul palazzo era la chiara prova che Ian era stanco dei suoi tentennamenti. Anche se Ian non l’avrebbe mai detto ad alta voce e non l’avrebbe mai pressato, di questo ne era sicuro, Mickey sapeva di dover fare qualcosa. Doveva fare qualcosa cazzo, prima che Ian decidesse che Mickey non ne valesse la pena.

Sospirò sonoramente, guadagnandosi un’occhiata da sua sorella e dal suo ragazzo. Dio, il suo ragazzo… uccidetelo ora.

 

 

 

- Allora, cos’hai intenzione di studiare? – chiese Mandy tirando un calcio allo stinco di Mickey sotto al tavolo della cucina. Avevano preso l’abitudine di mangiare insieme di tanto in tanto, giusto per ricordarsi che stavano benissimo anche senza cenare con dei fottuti genitori.

- Io non studio – sbottò Mickey senza capire di cosa stesse parlando.

- Intendo al college, deficiente – ribattè lei pungendo la pasta nel piatto.

- Chi se ne frega cosa studierò –

- Beh, io dopo il diploma spillerò un sacco di soldi a papà. Non se ne accorgerà nemmeno – disse Mandy con un sorrisetto, masticando gli spaghetti al pomodoro. – Così non avrò nessun debito scolastico –

- Che si fotta – disse invece Mickey, acido. – Non ho bisogno di un centesimo da quello stronzo –

- Sei troppo orgoglioso, Mick. Ti ha picchiato per anni e penso che il minimo che tu possa fare per ripagarlo, ma proprio il minimo, sia rubare dal suo conto in banca così non sarai costretto a pagarti per sempre da solo le bollette –

Non aveva proprio tutti i torti, anzi, e Mickey cominciò a considerare davvero l’idea. In passato le avrebbe detto di farsi gli affari suoi e lasciarlo in pace, qualsiasi cosa per tenerla lontana, ma ora la guardava attentamente.

- E poi hai bisogno di qualche soldo per portare fuori il tuo ragazzo ogni tanto, no? –

Gli occhi di Mickey scattarono nei suoi e la sorella gli sorrise con spavalderia. Calò un breve silenzio in cui il suo cervello cercò disperatamente una risposta adeguata ma non ci riuscì. Si alzò semplicemente dal tavolo per lavare i piatti, mordendosi nervosamente il labbro.

- Al college potrebbe trovare qualcuno più fico di te, Mickey. Comportati bene con lui – aggiunse Mandy; sembrava più sera anche se il suo tono era scherzoso. Mickey non parlò mentre risciacquava i piatti lasciando scorrere l’acqua calda sulle mani per un minuto. E se Ian avesse trovato qualcun altro? Il college pullulava di idiota a cui non sarebbe dispiaciuto farsi una bella scopata con Ian, probabilmente qualche buon partito con i soldi e buone maniere che potevano farlo divertire un po’. Avrebbero potuto dare a Ian quello che non poteva dargli lui, quello era un dato di fatto. Magari lo avrebbero inondato di regali e affetto, lo avrebbero baciato in pubblico, tutte quelle romanticherie che Mickey non avrebbe mai avuto il coraggio di fare.

L’acqua era diventata così bollente da arrossargli tutta la pelle, quindi chiuse il rubinetto e mise i piatti ad asciugare.

- Oggi sei stato carino, Mickey – gli disse Mandy prima che se ne andasse. Le lanciò uno sguardo e poi guardò altrove. – Quando hai ammesso che Ian è il tuo ragazzo. Significa molto per lui, sai. So che ti stai impegnando, Mickey –

Era come se gli avesse letto il pensiero e avesse capito tutte le sue insicurezze. Era sempre brava in questo, a ricordargli sempre che doveva spingersi un po’ ma anche che nessuno lo incolpava per le volte in cui non ci riusciva. Mickey la guardò storto, pronto a dire qualcosa, ma non lo fece. Le parole difensive che stavano per uscire gli morirono in gola.

Una volta Ian gli aveva detto che doveva smetterla di respingere le gentilezza, smetterla di prendersela con gli altri solo perché non credeva alla loro bontà. Ora capiva. Invece di controbattere, prese il piatto di Mandy e lo lavò aggressivamente mentre calava una serena quiete. Ed era una bella sensazione mostrare di aver apprezzato le sue parole invece di combatterle. Non c’era tensione, nessuno litigava, c’era solo un calmo silenzio che gli diceva che Mandy aveva ragione, che Ian aveva ragione e che avrebbe continuato a provarci ancora di più se questo significava poter continuare ad avere quella piacevole calma. La tempesta che di solito infuriava dentro di lui si stava chetando. Mandy doveva essersene accorta perché gli accarezzo la spalla prima di salire al piano di sopra.

 

 

Le foglie stavano spuntando di nuovo sugli alberi e rispondevano di un verde rigoglioso. Petali bianchi cadevano qua e là e coprivano il suolo mentre Ian attraversava il cortile. Erano i primi di Marzo ed era ora, visto che Ian era stanco di imbacuccarsi tutte le mattine per andare a scuola.

Era ora di pranzo ed ecco Mickey seduto sotto al suo albero preferito con un’espressione pensierosa. Non stava leggendo e non aveva la chitarra, era solo seduto con le ginocchia al petto mentre accarezzava qualche petalo tra le dita.

- Ehi – lo salutò allegro, girandosi poi dall’altra parte. – Hai visto Mandy? –

- È uscita con il tipo della band – rispose Mickey, anche se sembrava distratto,

- Quale, Derek? Mi sembrava che fosse sul punto di tirargli una bastonata in testa ieri –

- No, l’altro – replicò Mickey, lo sguardo fisso. Ian si sedette di fronte a lui e posò la borsa dei libri per terra. Gli occhi di Mickey erano ancora più belli quel giorno, rispecchiavano il vivido blu del cielo sopra di loro e tra i capelli aveva qualche petalo color crema. Ian sorrise e allungò la mano per farli cadere, felice di vedere che Mickey non si spostò e lasciò indugiare le dita tra le ciocche morbide per un momento prima di ricordare che erano in pubblico e quindi tolse la mano. Quel giorno tanti studenti pranzavano all’aria aperta visto che il tempo stava migliorando,  ma per Ian c’era solo Mickey lì fuori con lui. Se solo anche Mickey si fosse sentito così e avesse dimenticato tuti gli altri. Lasciò cadere la mano sul suo ginocchio e accarezzò la pelle con il pollice dove i jeans erano strappati. Attese una reazione da parte sua ma Mickey fissava semplicemente il vuoto. Quando parlò, Ian fece scivolare via la mano.

- Tu e mia sorella andrete allo stesso college? – Mickey non lo guardava, girato dall’altra parte mentre continuava a rigirarsi i petali caduti tra le dita. Ian rifletté per un minuto e fece spallucce.

- Alcuni dei college a cu mandato la domanda sono gli stessi ma non so ancora dove andrò, dipende quali mi rispondono –

Mickey si girò e annuì.

- Ti ho dato la mia lista – sorrise Ian; decise che voleva toccarlo di nuovo e gli sfiorò il ginocchio con le nocche un’altra volta. – Devi solo scegliere dove vuoi andare –

- L’ho già fatto – rispose Mickey senza prestare ancora particolare attenzione alle sue carezze.

- Davvero? – chiese rapidamente Ian appoggiando completamente la mano sulla sua gamba ora.

- Sì – rispose piano Mickey ma la sua voce era distante. Ian avvertì qualcosa cambiare nell’aria, come s qualcosa li stesse separando invece di unirli.

- Ehm – diede un colpo di tosse. – È fantastico, Mick. Immagino che ora dobbiamo solo aspettare e vedere dove ci accettano.

Mickey evitò la sua mano e si alzò senza nemmeno guardarlo. – Ci vediamo, devo andare –

- Dove vai? – scattò in piedi Ian. Mickey non rispose e gli rivolse un rapido cenno continuando a camminare. Ian rimase lì in piedi immobile e alla fine raccolse la sua borsa. Se la portò in spalla ma non pesava neanche lontanamente come il suo cuore in quel momento.  

 

 

Una volta fuori dal raggio di Ian, Mickey esalò e si passò una mano sul viso. Cosa diavolo stava facendo? Perché si sentiva così giù di morale? Era sempre coi dubbioso, così diffidente in ogni aspetto della sua vita. Non voleva che Ian fosse uno di questi ma ogni volta che ripensavo a questa faccenda del college si sentiva sempre peggio. Più si avvicinava al diploma, più si rendeva conto di non voler continuare ad andare a scuola, non faceva proprio per lui. Poteva sicuramente cavarsela al college ma non voleva starsene segregato in classe per altri quattro anni. Non poteva più sopportare quella merda.

Più vedeva l’emozione di Ian all’idea di andare insieme al college, meno aveva il coraggio di farsi indietro. Certo, voleva andare con Ian e voleva andarsene da suo padre, era tutto vero, ma non voleva spendere le sue giornate tra una lezione e l’altra in un campus in mezzo a coglioni arrapati con la puzza sotto al naso. I primi due anni sarebbero stati solo storia, matematica e tutte le stronzate delle scuole superiori e ne aveva abbastanza.

Si grattò la testa e decise che avrebbe saltato il resto della giornata. Non aveva più voglia di fare test o ascoltare voci robotiche di insegnanti a cui non importava niente s egli studenti li superavano o meno finché venivano pagati. Gli veniva la nausea al solo pensiero.

Come avrebbe fatto a dirlo a Ian? Per lui era praticamente un sogno e portare Mickey con sé sembrava renderlo infinitamente felice. Cristo, non aveva idea di come avesse fatto a lasciare che accadesse tutto questo. Dopo aver scavalcato la rete he lo teneva prigioniero della pubblica istruzione, Mickey fece l’unica cosa che gli venne in mente. Non aveva molte persone con cui parlare ad accezione di suo zio. Gli tremavano le dita mentre digitava il numero perché suo zio sembrava sempre occupato, troppo impegnato per Mickey, ma fu la prima cosa che gli passò per la testa. Quando l’uomo rispose era nel bel mezzo di una risata.

- Pronto? Mickey –

- Ehi – mormorò Mickey cercando di nascondere il tremolio. Non voleva mostrargli quanto fosse giù di morale.

- Mickey? Tutto okay? –

Merda, forse non era stato così bravo come pensava. Allontanò il cellulare dal viso e inalò un respiro profondo prima di parlare di nuovo. – Posso passare da te per un po’, Rick? –

- Certo – si affrettò a rispondere l’uomo, udendo probabilmente l’urgenza nel suo tono di voce. – Passo a prenderti io, sei ancora a scuola giusto? –

- La sto saltando – rispose senza mezzi termini e suo zio rise.

- Finisci le lezioni. Arriverò comunque tra un’oretta –

Eccolo lì. Per quanto fosse una persona tranquilla e tollerante (cavolo, fumava erba con suo figlio), diceva sempre che la scuola era al primo posto. Forse era per questo che aveva portato suo figlio a studiare per diventare insegnante, visto che era cresciuto con un padre che non perdeva occasione per metterlo in cima a tutto il resto. Perché lo assillavano tutti con la scuola? Perché si preoccupavano così tanto che ci andasse o meno? Per un breve secondo ripensò a Lip, l’arrogante fratello di Ian; adesso era al college ma Ian aveva detto che si era opposto all’idea per un certo periodo. Forse quel periodo era arrivato per Mickey. – Va bene – decise di rispondere. Non aveva voglia di discussioni inutili visto che tanto suo zio sarebbe venuto.

- Perfetto. Ci vediamo dopo, figliolo – ridacchiò suo zio e quando Mickey stava per chiudere la chiamata, suo zio lo interruppe. – Sei sicuro che sia tutto okay? -  

- Come? – chiese Mickey riportando il cellulare all’orecchio.

- Volevo dirti che sarei dovuto venire a prenderti a Natale. È stata davvero una stronzata da parte mia, Mickey. Mi dispiace di averti deluso –

Fu così improvvisa che Mickey non riuscì a trovare una risposta. Suo zio sospirò.

- Mio fratello è un pezzo di merda, so che non era con te e Mandy a Natale. Non avrebbe dovuto AR dei figli solo per metterli da parte –

Mickey lo lasciò continuare senza sapere cosa dire.

- Avrei voluto prendervi con me come figli miei. Tu e tua sorella siete davvero dei bravi ragazzi, Mick. Se mai dovessi avere bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi, okay? Ti prometto che non ti lascerò solo come ho fatto in passato. Mi dispiace se non ci sono stato… -

- Smettila – lo interruppe Mickey arrossendo all’impazzata. Era strano sentire un adulto compatirlo e scusarsi per qualcosa che non era nemmeno colpa sua. C’erano così tante cose che voleva chiarire ma non sapeva da che parte cominciare. Prese un respiro e continuò. – Non sei mio padre quindi non prenderti le colpe di quello stronzo –

- Sì, scusa. Pensavo solo che dovresti sapere che ci sono se hai bisogno. Grazie, figliolo – rise suo zio. Mickey rabbrividì.

- “Figliolo” usalo per il tuo di figlio –

- Sì, scusa. Vengo a prenderti a casa allora –

- Grazie – e riattaccò. Si voltò a guardare la scuola; si stava perdendo la terza lezione ma non gliene importava davvero. Che cosa ci guadagnava a ritornarci? Mandy, suo padre, suo zio, Ian, cercavano tutti di obbligarlo. No, suo padre lo faceva per i suoi egoisti motivi, cosa che non facevano Ian, Mandy e suo zio. Era arrivato il momento di ricordarlo.

Dopo essere rimasto con lo sguardo fisso per un paio di minuti, Mickey scavalcò di nuovo la recinzione e attraversò il cortile per andare in classe. Quando entrò, l’insegnante lo guardò brevemente e non disse nulla quando si sedette in fondo alla classe. Per tutta l’ora seguente Mickey avrebbe solo voluto andarsene ma non lo fece e quando la lezione finì corse fuori. I corridoi si stavano riempiendo ma continuò a cercare finché non trovò Ian. Camminava lentamente verso l’uscita con la testa bassa e le spalle infossate. Micky si morse il labbro e corse per il corridoio, scambiato certamente per un maniaco dagli altri studenti, ma in quel momento non gli importava. Nessuno importava in quella dannata scuola.

Raggiunse Ian e la prima cosa che fece fu cingergli le spalle con il braccio, arruffandogli i capelli con tutta la dolcezza che riuscì a trovare, animando mentre Ian lo guardava sorpreso. Forse volevano cose diverse, avevano sogni diversi, anche se Mickey non ne aveva ancora trovati, ma in quel momento tutto ciò che poteva fare era almeno mostrargli di voler stare con lui. Cavolo se lo voleva.

- Tutto bene? – chiese Ian. L’espressione imbronciata di poco prima fu sostituita dalla curiosità e la tristezza svanì dai suoi occhi quando sentì il respiro caldo di Mickey sul suo viso. Mickey sapeva che se lo avesse baciato e avesse attirato l’attenzione su di loro avrebbero ricominciato a infastidire Ian, cosa che sicuramente non avrebbero fatto con lui, quindi decide di accarezzargli semplicemente il labbro inferiore con il pollice. Sembrò andare bene comunque perché il viso di Ian si color di un rosso acceso.

- Vuoi andare a vedere un film domani? Sai, visto che non sei più sposato con quel cazzo di libro arancione – buttò fuori Mickey togliendo la mano. Abbassò lo sguardo, un po’ imbarazzato dopo aver corso per il corridoio solo per dirgli questo. – Offro io – aggiunse impacciato.

Ian sbattè gli occhi per quel gesto chiaramente inaspettato. Sembrava che volesse chiedergli qualcosa, lasciando un peso nel petto di Mickey poiché non riusciva a far uscire quello che voleva dire realmente, ma alla fine Ian rise semplicemente. In men che non si dica si guardavano sorridendo mentre uscivano, il braccio di Mickey ancora intimamente intorno alle spalle di Ian.

Per il momento, Mickey sarebbe andato avanti sperando che i loro sentieri non si separassero lungo il percorso e avrebbe continuato a cercare un modo affinché non accadesse, più di quanto avesse mai fatto nella sua vita.

 

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Capitolo 27
*** Buona Vita ***


Mickey non poté non notare quanto brillassero gli occhi di Ian mentre chiacchiera vano in coda al cinema. Sembrava stupirsi per ogni minima cosa come se non fosse mai andato a vedere un film in vita sua. Era più o meno la terza volta che ci andavano quella settimana. Ma in ogni caso Ian era emozionato per i popcorn, per i posti in cui si sarebbero seduti e suggerì persino di riusare lo stesso biglietto più di una volta. A Micky non dispiaceva più di tanto. Lo ascoltava semplicemente chiacchierare tutta la sera, felice di vedere che si divertiva. Ma nel frattempo non riusciva a smettere di pensare a come si stessero avvicinando sempre di più all’estate e al diploma e a come il loro futuro sembrasse la torre di Jenga, sul punto di crollare in ogni momento.

Ma poi si ricordò che era con Ian ora e non avrebbe dovuto abbattersi per qualcosa di cui non era nemmeno ancora sicuro. Anche se non voleva andare al college, avrebbe potuto avere Ian lo stesso, no? Cazzo, Mickey non riusciva a credere che stesse facendo un tale dramma per questo. Stava arrivando al punto in cui i suoi pensieri erano totalmente consumati da come sarebbe finita quella faccenda del college.

Sapeva che Ian non gli apparteneva, non era lui a dover decidere cosa volesse fare nella sua vita, ma non riusciva a mettere di immaginare a come sarebbe andata male se Mickey gli avesse detto di non voler andare al college. Anche se si stava abituando troppo all’idea di stare con Ian… si godeva troppo ciò che avevano ora ma aveva paura che gli venisse tolto da sotto il naso, lasciandolo solo e rovinato com’era prima.

Finirono con scegliere un film horror, visto che Mickey non avrebbe sopportato un’altra commedia romantica, e si sedettero in ultima fila. Ian si stava già ingozzando con i popcorn facendoli cadere tutti in grembo e per terra senza curarsene più di tanto. Mickey aveva il sospetto che crescere in una casa con un milione di fratelli gli avesse fatto dimenticare le buone maniere. C’era una sorta di naturalezza in questo che Mickey apprezzava, anche se sporcava dappertutto.

- Ehi, conosci qualche attore di questo film? – chiese Ian a bassa voce, avvicinandosi per sussurrargli all’orecchio.

- No – fece spallucce Mickey prendendo un paio di popcorn.

- Lei è carinissima– commentò Ian durante la scena di apertura, Quando proseguì è fu introdotto un altro attore sussurrò: - Anche lui non scherza –

Mickey rise appena, apprezzando l’onestà. Cavolo, adorava vedere quanto Ian fosse aperto e diretto perché lui sicuramente non ne era capace. La sua risata scemò quando vide Ian sorridergli e affondò nella poltrona appoggiando i piedi sullo schienale del posto vuoto davanti a lui. Più il film andava avanti più erano assorti, o almeno fu quello che provò a fare Mickey. Lo divertiva di più Ian che rabbrividiva e si spaventava nelle scene più prevedibili. Le sue labbra si incurvavano in un sorriso ogni volta che sussultava. Condiviso un’enorme granita e quando stava per finire e Mickey si alzò per andare a prenderne un’altra, Ian gli afferrò il bordo della camicia. – Ti perderai il film –

- Non importa – scosse le spalle Mickey sul punto di uscire ma Ian non lo lasciò.

- Resta qui – si lagnò appena Ian. – Potrebbe diventare ancora più spaventoso –

- Hai sei anni per caso? – chiese Mickey incredulo con un sorrisetto. Ian lo guardò con uno sguardo da cucciolo e Mickey non poté resistere. Che fingesse o no, Mickey si risiedette al suo posto; non poteva credere quanto si stesse rammollendo. Cosa diavolo gli stava succedendo?

Ian si mordicchiò le unghie per tutta la durata della scena, premendo la schiena contro alla poltrona come se la cosa potesse tenerlo il più lontano possibile dall’assassino sullo schermo. Mickey era molto più interessato  lui che a qualsiasi cosa stesse succedendo nel film. Continuava a sorridere tra sé e sé ogni volta che Ian si spaventava ma quando se ne accorgeva ritornava subito serio così Ian non lo avrebbe scambiato per un lunatico che si divertiva ad assistere a tutti quegli omicidi.

E poi successe una cosa. Ian calò in un silenzio mortale e impallidì come un lenzuolo. Mickey guardò lo schermo: una delle attrici, rimasta emotivamente disturbata dopo aver visto uccidere l’amica davanti ai suoi occhi si stava tagliando i polsi per suicidarsi. Mickey guardò Ian con la coda nell’occhio restare perfettamente immobile durante le scene seguenti. Tutte le sue precedenti espressioni erano svanite.

- Ian? – sussurrò. Ian non rispose, gli occhi vacui incollati allo schermo anche se non sembrava che stesse continuando a seguire il film. Mickey raddrizza la schiena senza sapere come aiutare Ian o quale fosse il problema. Lo afferrò per gli avambracci e lo scosse. – Stai bene? -. Ian sbattè le palpebre un paio di volte, registrando la sua presenza e poi scosse la testa. Mickey abbandonò bevanda e popcorn e lo aiutò ad alzarsi per andarsene.

Una volta usciti dalla stanza buia nel corridoio illuminato, Mickey socchiusa gli occhi per la troppa luce e vide Ian dirigersi verso il bagno. Decise di lasciargli il tempo di cui aveva bisogno e aspettò fuori. Quando Ian uscì gli andò incontro. – Stai bene? – gli chiese e Ian fece spallucce.

- Scusa, ho rovinato… -

- Non ti ho chiesto questo – lo interruppe Mickey. Lui evitò il suo sguardo e poi esalò un lento respiro.

- È che mia mamma… - deglutì. – Una volta si è tagliata i polsi il giorno del Ringraziamento e quando ho visto quella scena mi ha riportato alla mente dei brutti ricordi -. Sembrava a disagio mentre ne parlava ma poco dopo essersi liberato di quel peso sembrò risollevarsi. Guardò Mickey come se si aspettasse qualche ritorsione e Mickey si rese conto in quel momento che di solito era sempre stato Ian a confortare, era lui che si preoccupava sempre che tutti stessero bene e non fossero sul punto d un esaurimento nervoso.

Mickey deglutì e non riuscì a trovare nessuna buona parola, nessun consiglio per risollevarlo da quel tipo di dolore, da quel tipo di brutto ricordo, quindi gli afferrò gentilmente il polso e lo tirò a sé. Ian lo guardò brevemente e sospirò di sollievo un’altra volta, avvolgendogli le braccia intorno alla vita. Si crogiolarono nel conforto di quell’abbraccio e Ian esalò alcuni respiri profondi sulla sua spalla. Mickey si sentì pervadere da un’insolita felicità, anche se sapeva che Ian stava soffrendo per un brutto ricordo; si stava abituando alla sensazione di toccare Ian in un modo che gli faceva capire di poter contare su di lui. Ma poi dovette rovinare tutto per la sua incapacità di tenere dentro i pensieri che lo assillavano da giorni.

- Ultimamente ho cominciato a suonare con mio zio – buttò fuori, mordendosi immediatamente la lingua. Ormai era un mese che andava da suo zio quasi ogni giorno e non sapeva esattamente perché lo stesse tenendo segreto.

- È fantastico, Mick – rispose rapidamente Ian, in tono ancora triste ma che cercava comunque di mostrare entusiasmo. Continuò ad abbracciare Mickey parlando sulla sua spalla. – Suoni la chitarra? –

- No, il tamburo – replicò sarcastico Mickey ma non riuscì a fingere un sorriso come stava facendo Ian.

- Okay, quindi stai suonando la chitarra con tuo zio – ridacchiò Ian staccandosi da lui, preparandosi a qualsiasi cosa gli volesse dire.

- Già – replicò Mickey spostando lo sguardo mentre si separavano. Quella piccola confessione gli stava dando filo da torcere.

- Prima te la facevi addosso al solo pensiero di fargli i complimenti per il concerto quindi sono contento che vi stiate avvicinando – disse Ian in tono incoraggiante, continuando a non sorridere; probabilmente doveva ancora riprendersi dal piccolo incidente in sala.

- Immagino di sì. Sempre meglio che rigirarmi i pollici a casa – fece spallucce Mickey girando gli intorno per avviarsi verso la porta; si pentiva di aver tirato fuori l’argomento. Ian lo seguì blaterando qualcosa sul film, nel probabile tentativo di riempire l’imbarazzante silenzio e Mickey fece del suo meglio per ricordarselo, così Ian non avrebbe scoperto che era stato impegnato a guardare… beh, lui, per tutto il tempo. Quando salirono sulla L presero posto vicino alle porte e Ian continuò a parlare del film.

- Perché cazzo si è nascosto sulla barca? Non sapeva nemmeno nuotare – protesta Ian rubando gli il posto vicino al finestrino.

- Non hai visto quando quel coglione stava guardando la ragazza che si spogliava vicino al lago? Perché lì non è salito sulla barca? –

- Allora neanche tu eri in grado di togliere gli occhi dal suo balcone – lo prese in giro Ian e Mickey rise.

- A quanto pare tuo fratello non è l’unico che merita una borsa di studio –

- Lo spero – mormorò Ian appoggiandosi al finestrino.

Mickey allungò le gambe e posò le mani in grembo, guardandosi intorno nel vagone vuoto. Fuori il sole stava tramontando colorando il cielo di Aprile in un miscuglio di rosa e arancione. Il suo battito aumentò quando sentì Ian avvicinarsi facendo aderire il ginocchio e il braccio contro ai suoi, gli occhi che vagano ancora fuori dal finestrino. Mickey abbassò i propri sulle mani che tremavano sempre di più.

- Mick? – lo chiamò piano Ian anche se c’erano solo una o due persone sedute dall’altro lato del vagone.

- Eh? – cercò di rispondere ma la voce faticò a fuoriuscire dalla sua bocca.

- Sono contento di averti conosciuto – mormorò il rosso tracciando distrattamente il bordo del finestrino con la mano. Guardava le macchine, le strade, i binari e gli edifici, tutto ciò su cui posava il suo sguardo. – Tu e Mandy siete praticamente l’unica cosa bella che mi sia capitata in questo posto. Beh, anche i miei fratelli, ma penso tu abbia capito cosa intendo –. Mickey restò in silenzio, ancora concentrato per cercare di fermare il tremore delle mani. – Non so come andranno le cose dopo l’estate ma sono solo contento di averti conosciuto, Mickey. Mi… -

- Perché? -. Cercò di stringere la presa sulle proprie mani e scosse la testa dopo aver detto quella parola. Ian si girò a guardarlo e Mickey proseguì. – Perché sei così felice di avermi incontrato, Ian? Cosa cazzo ho mai fatto per te? -. Si stava innervosendo sempre di più, le parole che gli uscivano in quel modo che odiava. – Cristo Santo, non sei stufo di sopportare le mie stronzate? Faresti meglio ad andare all’università e tagliare i ponti con tutto lo schifo del South Side –. Non sapeva nemmeno che cosa volesse fargli capire con questo. Di inseguire i suoi sogni senza mai guardarsi indietro? Di dimenticarsi di tutto e di essere felice mettendosi al primo posto per una volta?

- Che cosa stai dicendo, Mickey? – chiese Ian cercando di venirne a capo. Ian aveva detto che non sapeva che cosa sarebbe successo dopo l’estate e a dire il vero nessuno lo sapeva, ma questo l’aveva fatto riflettere. Non c’era un per sempre per loro.

- Sto suonando con mio zio perché è questo che voglio fare. Voglio la musica, l’ho sempre voluta – insistette Mickey, le mani che ora tremavano incontrollabilmente anche se le stringeva più che poteva. – Tu vuoi andare al college, io no. So che ho mandato la domanda insieme a te ma è stato uno sbaglio. Non ho intenzione di continuare a seguire delle fottute lezioni per ricevere un pezzo di carta che dovrebbe rendermi la vita più facile quando in realtà non mi servirà a niente. Posso trovare le stesse cose in biblioteca, su internet, non fa nessuna differenza. Non mi va di avere di nuovo qualcuno attaccato al culo che controlli che io venga in classe, intrappolato in un cazzo di edificio con… -

- Mickey, aspetta – lo fermò Ian. Mickey obbedì e si grattò furiosamente per la frustrazione. – Se non vuoi andare al college è una tua scelta. So che forse ho esagerato ma non voglio forzarti ad andare da qualche parte o fare qualcosa che non ti piace . Non dobbiamo fare per forza le stesse cose, sai – concluse in tono dolce Ian e questo agitò Mickey ancora di più.

L’aveva sempre saputo. Non potevano funzionare davvero. Ian non aveva più bisogno di preoccuparsi per lui, aveva cose più importanti a cui pensare per il suo futuro. Non poteva preoccuparsi di rimettere insieme i suoi pezzi; non era compito suo e di certo Mickey non voleva che facesse questo per il resto della sua vita.

Fece un respiro e sentì il sapore metallico del sangue sulla lingua dopo essersi morso con troppa violenza l’interno della guancia. – Chiederò a mio zio se posso stare da lui. Non so, mi troverò un lavoro e pagherò l’affitto – disse rabbioso. Ormai gli facevano male le braccia con tutta la pressione che metteva nelle mani.

- Mi sembra una bella idea – rispose Ian con un sorriso triste. Tornò a guardare fuori dal finestrino e tra loro calò il silenzio. Mickey chiuse gli occhi e gli tornò in mente l’immagine di Ian che lo spingeva contro alla rete del tetto di quel palazzo.

“Che cosa faremo, eh? Saranno quattro anni, Mickey”

- Conosci i ragazzi della band, no? – chiese Ian, sempre più spostato verso la parete piuttosto che stare vicino a Mickey. – Sono certo che ti piacerà lì, uscire con loro. Probabilmente troverai un lavoro decente o magari comincerai a suonare a qualche serata, farai qualcosa di fico –

Sentire le sue parole genuine e il suo tono che non vacillava mai gli spezzò il cuore. – Forse – ribattè, irrigidendosi. – E tu invece passerai le notti a studiare, andare alle feste, a strafarti e magari ti farai anche qualche bella scopata già che ci sei, probabilmente avrai più… -

- Vaffanculo, Mickey – sbottò Ian raddrizzando la schiena.

- Troverai un sacco di uccelli lì – continuò Mickey faticando a respirare.

- Stai scherzando – rise Ian rivolgendogli uno sguardo sfuggente. – Mi prendi in giro? –

- Tu hai le tue cose, io ho le mie, è così e basta – concluse Mickey prendendo una sigaretta dalla tasca del cappotto. In quel momento non gliene fregava niente del regolamento dei trasporti. Il rumore di sottofondo della metropolitana che correva sui binari non era così piacevole, era troppo forte e non lo sopportava.

- Ah, è così e basta – ripeté Ian con un’espressione dura. La L rallentò per fermarsi. Non erano neanche vicini a casa di Ian ma lui scattò in piedi e andò davanti alle porte, aspettando impaziente che si aprissero. Mickey lo guardò sentendo la nicotina scendere nei polmoni che stavano per cedere, la mano che cadeva da suo grembo e Ian che gli scivolava via. Le porte si aprirono e Ian si girò a guardarlo. – Cazzo, avremmo potuto almeno provarci – disse in tono pesante e la voce che si spezzava. – Avrei potuto accettare se tu non avessi voluto ma non posso più sopportare la tua rabbia e la tua acidità, Mickey -. SI fermò con la mano sulla maniglia della porta, incatenando gli occhi cupi a quelli di Mickey. – Buona cazzo di vita –

Scese dal treno e lo sguardo di Mickey restò fisso sullo spazio vuoto. Guardò la sigaretta, la mano percorsa da linee bianche dove avevano scavato le unghie poco prima, e prese un altro tiro. Ma chi voleva prendere in giro? Come se Ian Gallagher avrebbe mai potuto essere felice con lui. In quale mondo avrebbero mai potuto funzionare? Rise mentre aspira va e quasi non tossì per aver inalato troppo fumo. Poi il treno ripartì e si alzò per avvicinarsi alle porte chiuse e appoggiare la mano sul vetro, separando le dita in un gesto fluido mentre guardava fuori.

Ian ormai se n’era andato da tempo.




 

Nota di Sidphil: si conclude così quello che possiamo definire il primo arco narrativo di questa storia. Ma non preoccupatevi, presto scopriremo tante altre cose nuove che non immaginate neanche sui nostri protagonisti!

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Capitolo 28
*** Sai Perché ***


- Credevi davvero di poterlo sistemare, Ian? –

Ian fece traballare la matita contro alla superficie della scrivania cercando di ignorare Mandy che si era buttata sul letto del suo compagno di stanza. Si tolse giacca e scarpe mettendosi comoda. – Mandy, sono passati mesi, possiamo smettere di parlarne? – rispose Ian sfogliando un raccoglitore di compiti che aveva accidentalmente accumulato. Era solo la seconda settimana di college ma era già in ansia per tutto il carico di lavoro.

Mandy alzò gli occhi al cielo e buttò per terra la borsa, spaparanzandosi sul letto con nochalance. Sbuffò e si girò a guardarlo.- Mesi in cui hai ignorato tutti i ragazzi che ci provano con te, ti salvi messaggi che non invierai mai e ti ubriachi. Come ieri sera alla festa, ad esempio. Hai scaricato i ragazzo che ho cercato di appiopparti e ti sei sbronzato. Quando ti ho riaccompagnato al dormitorio borbottavi in continuazione il nome di Mickey, Ian. Vuoi ancora fare finta di averlo superato? –

Ian scosse la testa è cercò di finire l’ultimo paragrafo del tema che doveva consegnare entro mezzanotte, facendo il possibile per ignorare la presenza di Mandy.

- Non mi ascolti nemmeno quando cerco di parlarti. Perché non vuoi parlarne per una volta, Ian? – continuò Mandy spostandosi sul fianco.

- Non c’è niente da dire. Lui è passato oltre, io pure, fine della storia – la assecondò Ian, così magari lo avrebbe lasciato in pace una volta per tutte.

- Ah davvero? Allora perché sei un totale relitto? –

- Io non s… -

- Santo cielo -. Mandy lo guardò torva e attraversò la stanza per richiudergli il raccoglitore in faccia. – Guardami, Ian –

Ian tenne lo sguardo fisso e serrò la mascella. Mandy guardò il soffitto e poi di nuovo lui. – Con tutto il tempo che hai trascorso con mio fratello non hai mai capito come funziona con lui? Gesù, piantala di torturati per qualcosa di cui non hai colpa –

- Devo finire entro stasera – replicò duramente Ian guardando il raccoglitore chiuso dalla mano ostinata di Mandy.

- Mickey crede che tu stia meglio senza di lui. Non ha detto una stronzata simile e poi ha deciso di rinunciare a provare a far funzionare le cose? È perché vuole che tu vada avanti così non dovrai più preoccuparti dei suoi problemi. Non lo sto difendendo… -

- A me sembra di sì invece – sbottò Ian spostandole la mano per continuare a scrivere.

- Non è così – ribattè Mandy. – E non ti sto incolpando. Voglio solo che ti riprendi, vedere che ti importa di nuovo di qualcosa. Sapevi che Mickey ha dei comportamenti distruttivi, lo sapevi bene, perché ti compiti come se fosse il contrario? –

- Come cazzo faccio a dimenticarmi di Mickey se continui a tirarlo fuori ogni due secondi? – gridò Ian portandosi la mano alla fronte. Mandy lo fissò per qualche minuto, poi riprese la borsa e si avviò alla porta.

- Siete due idioti ad aver rovinato tutto solo per la vostra mancanza di comunicazione – mormorò e se ne andò richiudendosi la porta alle spalle. Ian sbattè la mano sulla scrivania e poi se la riportò al viso. Prese il cellulare e lesse i numerosi messaggi archiviati, tutti indirizzati a Mickey. Non lo aveva più visto a scuola DOP quel giorno sulla metro e non aveva avuto il coraggio di andare a casa sua. Sapeva che Mickey lo aveva allontanato per le solite ragion per cui lo respingeva sempre, logicamente parlando ne era più che consapevole. Ma non era nemmeno giusto che sfogasse le sue insicurezze e l’odio che provava per sé stesso su Ian. Non era salutare stare con una persona così, non più. Quel tira e molla non lo faceva stare bene, no? Quindi non aveva senso continuare. Era meglio per entrambi e è in questo modo Mickey non avrebbe più dovuto sopportare il suo continuo assillo. Dopotutto, Mickey sembrava odiare l’idea di stare insieme.

Ian non si era nemmeno reso conto di aver scritto un altro messaggio a Mickey finché non si ritrovò a indugiare con il dito sul tasto “INVIA”. Si fermò, le lacrime che gli bagnarono gli angoli degli occhi. Mandy era davvero brava a riportare tutte quelle emozioni in superficie. Alla fine decise di ritirare il cellulare nel cassetto e ritornò al suo saggio.

Il ragazzino pallido davanti a Mickey armeggiò goffamente con la chitarra ì, a malapena in grado di formare le note che Mickey gli aveva insegnato due secondi prima. Mickey lo fissò profondamente frustrato ma cercò di essere paziente. Dopo un paio di altri dolorosi minuti, cedette e scivolò vicino al ragazzo per pizzicare la corda nel modo giusto con il pollice. – Guarda, le dita vanno qui – ordinò indicando il maledetto punto esatto sul collo della chitarra dove doveva sistemare la mano.  

- Ehm, è quello che stavo facendo – rispose il ragazzo corrugando le sopracciglia.

- Porca troia – replicò Mickey con una smorfia, alzandosi in piedi. – Il tempo è scaduto. Dammi trenta dollari e vai, ci vediamo la settimana prossima –

- Oggi hai la luna storta – disse con un sorrisetto il ragazzino, schiaffandogli alcune banconote in mano, non proprio delicatamente. – Perché hai deciso di insegnare se non hai voglia di vedere la gente imparare? –

- Perché ti sei preso il tempo per farlo, ecco perché – disse beffardo Mickey ritirando i soldi in tasca.

- Mi si è fuso il cervello con tutto quell studio, dovresti provare – rise il ragazzo. – O forse è colpa dello spinello che mi sono appena fumato –

- L’erba non ti frigge il cervello, idiota –

- Ma l’erba del college, fratello… non sai cosa ti perdi –

- Levati dalle palle – ringhiò Mickey mandandolo a quel paese. Il ragazzo sorrise e se ne andò.

Mickey era seduto ad un tavolo da picnic che contava i guadagni delle lezioni di chitarra di quella settimana, quando alcune ragazze agtarono la mano nella sua direzione dall’altra parte del prato. Le ignorò e continuò a sfogliare le banconote, assicurandosi che ci fosse abbastanza da dare a suo zio quella sera.

- Suoni la chitarra? – Alzò la testa è una ragazza bionda abbastanza carina si sedette davanti a lui. Si leccò le labbra coperte di gloss e indicò lo strumento appoggiato al tavolo.

- Questi tizi delle confraternite adorano mettersi in mostra quindi sì, si fanno buoni affari qui intorno – le rispose finendo di contare.

- Studi musica? -  continuò lei appoggiando il mento sulla mano. Mickey emise un verso sprezzante.

- No, non vado al college –

- Oh, quanti anni hai? – chiese dunque lei, confusa.

Prima che lui potesse rispondere, qualcuno sbattè una borsa piena di libri sul tavolo e rivolse alla ragazza un’occhiata severa. – Devo parlare con lui, smamma – ordinò Mandy, naturalmente di cattivo umore. La ragazza guardò prima uno e poi l’altra, immginando che fossero una coppia, e colse il messaggio.

- Che cazzo vuoi? – grugnì Mickey alzandosi per prendere la chitarra.

- Non hai ancora detto a Ian che lavori al campus, vero? Non ha idea che tu vivi con zio Rick a solo dieci minuti da qui – andò subito dritta al sodo Mandy. E qui Mickey fece per andarsene ma lei aumentò il passo e lo seguì. – Tu e Ian avete rotto perché tu pensavi che il college vi avrebbe separati. Vivi in un appartamento praticamente dietro l’angolo e non glielo dici nemmeno? Che diavolo di problemi hai? –

- Non hai biologia o qualche cazzata del genere? – replicò Mickey attraversando il prato per fare prima invece di usare il marciapiede.

- Si merita di sapere almeno che il suo ex ragazzo respira la sua stessa aria ogni giorno. SI merita qualcosa da parte tua, stronzo. Gli hai fatto davvero male, Mickey –

- Sentila, la bocca della verità – borbottò scontroso Mickey scansano una pila di bicicleyte incantenate ad un albero –

- Capisco che tu voglia che lui ti dimentichi ma lui non lo sta facendo. Hai idea di cosa significhi passare un’estate intera a vedere il tuo migliore amico in depressione? –

- Puoi andare a lezione o da qualche altra parte? Devo lavorare –

- Ah giusto, che idiota, dai ripetizioni di scrittura adesso. Sai, ultimamente Ian ha dei problemi con i suoi temi, vuoi sapere perché? Forse perché continua a pensare allo stronzo che gli ha spezzato il cuore –

Mickey si fermò e si passò una mano tra i capelli. – Stai zitta, Mandy. Devi piantarla di metterti in mezzo a situazioni che non ti riguardano –

- Solo perché tu pensi che Ian stia meglio senza di te non significa che sia così. Metti la testa a posto e vai da lui -lo fulminò Mandy spingendolo via per entrare nell’edificio alla sua destra. Prima però si rigirò verso di lui. – Te l’avevo detto che ti saresti pentito di averlo fatto soffrire, Mickey, e quel momento è arrivato -. Scomparve dentro l’edificio e Mickey si scompigliò di nuovo i capelli. Passò di nuovo dal prato finché non arrivò a destinazione.

Mettere la testa a posto era proprio quello che stava facendo. Doveva rimettersi in carreggiata, questo era sicuro. Da quando era iniziata l’estate non se la cavava male in quanto a  sistemazione, per il momento. Quel giorno, quando Ian era sceso dal treno, l’ultima volta che lo aveva visto, Mickey aveva raccolto tutti i suoi pochi averi la sera stessa e aveva preso ogni treno e autobus possibile per arrivare da suo zio con l’idea di non tornare mai più indietro. Suo zio lo aveva accolto, anche se un po’ riluttante all’inizio. Quando gli aveva detto che non sarebbe tornato né a scuola né a casa, suo zio aveva capito che non avrebbe mai cambiato idea e che se non l’avesse lasciato restare con lui probabilmente sarebbe stato l’ultimo loro incontro.

Da quel momenti in poi, Mickey aveva fatto i lavori più disparati. Inizialmente aiutava la band di suo zio con gli strumenti, poi aveva lavorato come tuttofare per varie persone, ricavandone una buona paga per l’affitto. E poi era stato intorno a Luglio che suo cugino gli aveva menzionato la possibilità di dare ripetizioni al college in cui studiava lui. Lo aveva presentato ad un paio di persone e lo aveva fatto assumere in quattro e quattr’otto.

Era solo il primo girono di lavoro e si era pentito di aver cominciato a lavorare in un campus perché naturalmente il destino voleva dargli un calcio in culo e infatti ecco Mandy che si era presentata in cerca di un tutor. Nel momento esatto in cui i loro occhi si erano incrociati aveva capito di essere fottuto. Figurati se non finiva nello stesso college di Ian e Mandy. Mickey aveva sentito quella sensazione quando Mandy gli aveva urlato addosso davanti ad una stanza piena di tutor e studenti. Sapeva di meritarselo ma questo non gli aveva impedito di cercare comunque di levarsela di torno. Gli aveva fatto una lavata di capo per averla lasciata sola con suo padre, per avere fatto stare male Ian e per non aver finito la scuola, tutte cose che Mickey non voleva sentire perché sapeva che erano vere.

Ma prima di poter stare con Ian doveva prima rimettere a posto sé stesso. Doveva sentirsi meglio con sé stesso, con chi era e con cosa voleva fare, doveva avere una mentalità normale che non avrebbe cercato di distruggere Ian. Era più facile a dirsi che a farsi.

Una volta arrivato alla scuola di scrittura posò la chitarra dietro alla scrivania e firmò per le seguenti due ore. Alcuni degli studenti con cui lavorava lo salutarono agitando la mano e lui ricambiò con un cenno; era già stravolto dopo lo sfogo di Mandy di poco prima.

- Ehi amico – lo salutò un ragazzo avvicinandosi al banco.

- Come posso aiutarti? – chiese stancamente Mickey sperando che le due ore passassero il più velocemente possibile. Almeno, quando doveva risolvere ei problemi, cioè problemi concreti a cui poteva trovare una soluzione, faceva qualcosa per distrarsi.

- Credo che in questo tema la mia sintassi faccia un po’ pena – ammise il ragazzo porgendogli un paio di fogli pinzati insieme. Mickey li prese e il ragazzo prese posto mentre lui leggeva.

- Grazie a Dio sai già in cosa hai bisogno una mano. La maggior parte di voi viene qui aspettandosi che io faccia tutto il lavoro – mormorò sottovoce Mickey mentre i suoi occhi scorrevano sulla pagina. Il ragazzo sorrise e restò in silenzio quando Mickey rimosse il tappo della penna rossa con i denti. – Okay, ecco il primo problema – esordì Mickey cerchiando alcune frasi nel primo paragrafo. – Questo attira la mia attenzione ma i punti seguenti non sono ben collegati. Se vuoi spiegare perché pensi che l’abuso infantile renda violento il bambino anche in età adulta, devi elencare alcuni argomenti che supportino questa tesi. Dai un’opinione, qualcosa del genere. Non so cosa cazzo centrino queste statistiche buttate a caso –

- Descrivono quanti bambini subiscono violenza domestica negli Stati Uniti ogni anno – si affrettò a spiegare il giovane.

- Mettici un po’ di emozione, cavolo, mi sta facendo addormentare -. Mickey agitò la mano davanti a lui per enfatizzare il punto.

- L’ho fatto, qui – indicò verso il fondo della pagina. – “L’esposizione all’abuso durante l’infanzia può tradursi in scarsi rapporti sociali, incapacità di regolazione delle proprie emozioni come rabbia e terrore, sconforto e sensazione di impotenza… -

- Sì, ho capito – tagliò corto Mickey scrivendo una X su ciò che aveva cerchiato poco prima.

- E qui invece? – chiese il giovane girando la pagina e citando la parte di testo interessata. – “Se l’abuso viene trascurato, i bambini avranno più probabilità di non essere capaci a esprimere le loro emozioni in modo sano. Quetso può portare a delinquenza giovanile, insonnia, nel rapporto con gli altri…” –

- Ho detto che va bene – lo interruppe Mickey pizzicandosi il naso. – Se non ci credi fattelo controllare da qualcun altro –

IL ragazzo non sembrò convinto ma riprese il tema e annuì in segno di ringraziamento per poi andarsene. Mickey tenne lo sguardo fisso verso il baso e lasciò cadere la mano sul tavolo, incapace di togliersi dalla testa ciò che aveva appena letto.

 

Ian si stava addormentando sula scrivania quando la porta della stanza che si apriva lo svegliò per poi rinchiudersi gentilmente.

- Scusa, non volevo svegliarti -. Il suo coinquilino sorrise e buttò le chiavi sulla scrivania.

- Ehi Sean, non preoccuparti – mormorò Ian stropicciandosi gli occhi. – Tanto dovrei andare a letto. Non sto concludendo niente con questi compiti –

Sean si tolse i pantaloni e li appallottolò lanciandoli verso il cesto della biancheria ma lo mancò di qualche metro. – Merda – rise e si avvicinò per rimetterli dentro. Fatto questo, si buttò nel letto con un sospiro. – Dovresti chiedere a qualcuno, amico. Ci perdi del sonno ogni sera –

- Non penso mi aiuterebbe più di tanto – scosse le spalle Ian ammucchiando i compiti così poteva infilarsi nel letto.

- Invece sì se trovi il tutor giusto. Beh a volte trovi degli stronzi in giro ma altri sanno il fatto loro –

- Sono studenti pieni di lavoro come noi. Dubito che gli importi davvero se ciò che dicono è giusto o no – rise Ian e si tolse la maglietta per mettersi sotto alle coperte. Sean riflettè per un momento e poi rispose.

- Oggi sono andato a chiedere dei consigli per il mio tema ma il tutor non ha quasi corretto niente. Sono troppo forte –

Ian gli sorrise. – O magari ho ragione io e non gliene frega niente del tuo tema perché è troppo occupato a pensare di finire il suo una volta finito di lavorare –

- Sembrava un fantasma quando ha finito di leggerlo. Dev’essere rimasto folgorato –

- Lo scoprirai quando lo consegnerai domani, immagino – replicò pigramente Ian già sul punto di crollare. Sean spense la lampada vicino al letto e sbadigliò sonoramente.

- Già. Se ti capita vai. È sempre meglio che doverti tenere gli occhi aperti con lo scotch ogni sera. E poi magari ti capita di trovare qualcuno là, devi scopare un po’ fratello –

- Sono gay, non disperato – replicò Ian con una lieve risata.

- Ehi, ho conosciuto la mia ultima ragazza quando avevo bisogno di un tutor per Anatomia. Non per usare un clichè, ma dopo quella volta ti assicuro che l’anatomia l’abbiamo studiata bene –

- Ah quindi la soluzione è innamorarsi del tutor – mormorò Ian è spalancò gli occhi. Le sue stesse parole gli riecheggiano nella testa e tutto a un tratto non si sentì più così stanco.

- Innamorarsi^ Cosa ti sei fumato? Ho detto “scopare”, non sposarsi e fuggire insieme. Non so, non ti vedo mai cercare di conoscere qualcuno. Siamo al primo anno, è il momento giusto –

Ian non rispose quindi Sean si girò verso il muro e dopo un paio di minuti stava già russando lievemente. Anche Ian si girò e guardò il soffitto. Sembravano passate ore e probabilmente era così visto che il sole stava sorgendo fuori riversano la sua luce nel dormitorio e Ian era ancora sveglio. Chiuse gli occhi ma le voci non volevano saperne di abbandonare la sua testa.

Puoi tornare a letto.

Era la sua voce. E poi udì quella di Mickey.

“Non sono stanco”

“Puoi dormire, stai tranquillo. Sei al sicuro qui da noi, quindi non farti problemi, riposati”

“Tu sei sveglio”

“Però io non resto sveglio a fissare il soffitto per ore a notte fonda come te”

Quindi doveva essere per questo che mickey restava sveglio tutta la notte. Probabilmente non riusciva a calmare i pensieri di suo padre nella testa, tutti gli insulti, quello che era successo con sua madre. Non solo non si sentiva al sicuro dove si trovava ma anche nella sua stessa mente.

Prese il cellulare ma non c’era nessuna chiamata persa. Sospirò, lasciò cadere il cellulare sul letto e si girò verso il muro cercando di dormire il più possibile prima che suonasse la sveglia.
 

- Hai bisogno di qualcosa dal negozio? – chiese Rick appena Mickey riaprì gli occhi dopo il suo sonnellino sul divano. Si stropicciò gli occhi e allungò le gambe tirando poi su le ginocchia per sedersi.

- McMuffin ha bisogno di cibo e, uhm, potresti prendermi altre sigarette? –

- Certo – rispose suo zio richiudendosi la porta alle spalle. Mickey controllò l’orario sul tv e poi raccolse le sue cose per andare a lavorare al campus. Era venerdì quindi il campus era percorso da zombie che probabilmente sarebbero andati a dormire dopo le lezioni per potersi devastare quella sera. Mickey vagò insieme a loro fumando una sigaretta prima di entrare e sentì vibrare il telefono in tasca. Era suo zio che gli chiedeva che marca di cibo per gatti dovesse prendere. Digitò una risposta veloce e finì la sigaretta.

Qualcuno lo afferrò per la camicia e lo girò nella direzione opposta. Stava per dare una lezione a chiunque fosse lo sventurato ma poi vide che era Mandy.

- Staera porto Ian ad una festa – lo informò, lasciandolo andare. – E ho intenzione di trovargli qualcuno con cui scopare –

- E che cazzo me ne importa. Devo lavorare – Sospirò oltrepassandola.

- Non ha nemmeno baciato un ragazzo da quando avete rotto ma sono sicura di riuscire a svegliarlo un po’, ci sono un sacco di ragazzi arrapati. Voglio dire, guardalo –

- Bene, fantast… -

- No, intendo, guardalo davvero – sbottò Mandy elo girò dall’altra parte. Ecco Ian che camminava con un ragazzo mentre rideva per qualche motivo. Sorrideva e sembrava divertito da quello che diceva l’altro. Ma ciò che lo preoccupò furono i suoi occhi rossi e il vis cupo, come se non dormisse da giorni. Mickey si immobilizzò, il battito che aumentò è diminuì con la stessa velocità perché l’amico di Ian guardò nella loro direzione e agitò la mano. Oh merda, era lo studente che aveva scritto quel fottuto tema sull’abuso infantile. Mickey fece per andarsene ma Mandy gli afferrò con fermezza il braccio e, prima che se ne rendesse conto, Ian e il suo amico erano davanti a loro.

- Ehi amico, grazie per ieri, sto per consegnare il tema – lo salutò il giovane insieme a Ian. Mickey non alzò lo sguardo e Mandy gli infilò le unghie nel braccio. Ian sembrava distratto ma i suoi occhi si posarono finalmente su Mickey e si allargarono, sbalorditi. Stava per dire qualcosa ma l’amico lo precedette. – Mi vedrai spesso questo semestre. Ah, non sapevo fossi amico di Mandy –

- Siamo fratelli – rispose Mandy con un sorriso amaro. Cercò di tirare ancora di più Mickey vicino al gruppo ma lui si voltò bruscamente, arrabbiato.

- Lasciami, cazzo – gridò e si liberò dalla sua presa per poi andarsene senza rigirarmi indietro.

- Ho detto qualcosa che non va? -. Mickey udì chieder ela voce dell’altro ragazzo. Mandy sembrava arrabbiata quando rispose.

- No, è solo uno stronzo –

- Perché era…? -. Era la voce di Ian, flebile e incredula.

- Sì, Mickey lavora qui. Ah sì, vive anche con mio zio in fondo alla strada –

Dopo quest’ultima frase Mickey era già troppo lontano visto che aveva camminato il più velocemente possibile verso il centro, ormai senza fiato.
 

Ian era seduto sul letto quando Mandy entrò nella stanza. Si era vestita elegante per la festa e i suoi capelli e il trucco erano anche più belli del solito. – Dov’è Sean? – chiese sedendosi sul letto del suddetto.

- Sta prendendo il bucato – mormorò Ian grattandosi il polso.

- Viene stasera, vero? –

- Sì, ci viene –

- E tu anche – dichiarò Mandy attraversando in un lampo la stanza per sedersi di fianco a lui e avvolgergli un braccio intorno.

- Vai con Sean e basta, Mandy. Sai che ci vuole provare con te, vero? –

- Ti ho già detto che non mi scoperò il tuo coinquilino, Ian. Sarebbe troppo strano –

Ian rise e la guardò. – Da quando ti fai scrupoli? –

- Sta zitto – rispose lei con un sorrisetto baciandolo sulla guancia e saltando giù dal letto. La porta si spalancò e Sean entrò con un cesto pieno di vestiti che posò senza sforzo in un angolo per sistemarli più tardi.

- Andiamo, ragazzi – disse pettinandosi i capelli e cambiandosi la maglia. Mandy lo guardò mentre si cambiava senza alcun riserbo; lui se ne accorse e le rivolse un sorrisetto.

- Divertitevi – sbadihliò Ian ma quello sbadiglio si tramutò in un sussulto quando Mandy lo tirò su dal letto.

- Lo faremo con te, scemo –

- Mandy… -

- Dai, fratello. Almeno fallo per bere gratis – cercò di persuaderlo Sean alzando e abbassando le socpracciglia. Uscì dalla stanza e agitò le chiavi agganciate al dito, incoraggiando a seguirlo.

- Voglio uscire un po’ con te, Ian, per favore – fece il broncio Mandy e Ian alzò gli occhi al cielo.

- Allora mi farai i compiti di Antropologia? –

- Certo – si affrettò a rispondere Mandy e scoppiarono a ridere insieme.

- E va bene – concluse riluttante Ian, seguendo li in corridoio. Sean chiuse a chiave la stanza e agitò il pugno in aria.

- I tre moschettieri sono pronti! –

- Ti prego, non farlo mai più -. Mandy rabbrividì per la vergogna, accollandosi al braccio di Ian.

- Come fa Ian a scopare se tu gli stai attaccata tutto il tempo, Mandy? Datti una controllata – la riproverò Sean mentre uscivano dal dormitorio.

- Nessuno scoperà qui – sospirò Ian ma ormai lo stavano già assillando.

- Pensi che dovremmo trovargli un biondo? – mormorò Mandy a Sean.

- I biondi non sono tutti stupidi? – chiese il ragazzo inarcando un sopracciglio mentre uscivano dal parcheggio.

- Tu sei biondo, idiota – ribattè Mandy con una risatina.

- Biondo sporco, è diverso – puntualizzò Sean aprendo la portiera della sua Lexus. Mandy si sedette sul sedile passeggero e Ian su quello posteriore.

- Mmh, sporcaccione eh? – fece un sorrisino Mandy, che lui ricambiò.

- Non hai idea –

- Possiamo partire prima che vuoi due vi mettiate a scopare qui in macchina? – esalò Ian. I due scoppiarono a ridere e Sean partì alla volta degli alloggi fuori dal campus.

 

Mickey contò i soldi nel registratore per la fine del turno serale e salutò il gestore con un cenno della mano mentre usciva. Quel giorno la farmacia era stata deserta quindi il tempo non era mai passato così lentamente. Si sentiva fiacco per il turno lento mentre camminava verso casa, infilandosi gli auricolari. Non appena la musica cominciò a rimbombargli nelle orecchie dandogli un po’ più di energia, il cellulare gli vibrò nella tasca. Invece di un messaggio di suo zio, aveva ricevuto una foto da Mandy.

“Questo tizio vuole entrare nei pantaloni di Ian, io e Sean gli stiamo dando una mano, non è fico?”

Mickey si accigliò e ritirò il cellulare, alzando poi il volume dell’Ipod. Una macchina gli passò di fianco e degli idioti lanciarono fuori dal finestrino una lattina di birra vuota davanti a lui. Mickey rivolse loro un dito medio e il cellulare vibrò di nuovo. Avrebbe voluto davvero ignorarlo ma non resistette e controllò. Mandy gli aveva mandato un’altra foto con il ragazzo che aveva visto con Ian quella mattina e l’altro biondo della foto precedente. C’era anche Ian è questa volta stava fumando uno spinello.

“Dovresti venire Mickey, so che ti piace l’erba gratis”

Mickey serrò la mascella, gli occhi fissi sul viso di Ian. Stava sbuffando il fumo e il suo sguardo era rivolto verso il ragazzo con la testa rasata della foto precedente. Rispose, inalando un respiro profondo.

“Piantala di scrivermi”

Lei gli mandò un altro messaggio insieme a diverse foto. “Allora vieni a divertirti con noi”. Nella prima foto c’erano Mandy e il ragazzo con i capelli biondo scuro che si facevano un selfie, mentre in quella seguente c’erano Ian e l’altro ragazzo più chiaro che salutavano l’obiettivo. Guardare Ian lo rendeva nervoso e lo faceva sentire in colpa e guardare il suo sorriso invece lo fece sorridere a sua volta. Ore prima era corso via prima di essere riuscito a guardarlo almeno per un secondo ma ora non riusciva a distogliere gli occhi da lui. Scrisse un ltro messaggio a Mandy.

“Perché cazzo gli hai detto che lavoro al campus?”

Lei ci mise tre secondi a rispondere. “Haha, già è piuttosto incazzato, più tardi magari potrebbe sfogarsi un po’ con questo zuccherino che è uscito con noi stasera. Faresti meglio a venire a scusarti”

Mickey si grattò il retro del collo, scosse la testa e spense il cellulare per poi cambiare canzone sull’Ipod, mettendone una heavy metal e cercando di calmarsi prima di arrivare a casa.
 

Quando Mickey arrivò alla scuola di scrittura lunedì, fu sul punto di girarsi e andarsene immediatamente perché Ian era seduto ad uno dei tavoli che ascoltava attentamente uno dei tutor. Fu il momento più strano della sua vita mentre decideva se quel lavoro ne valesse davvero la pena oppure no. Alla fine capitolò e si avviò il più discretamente possibile al suo posto ma urtò accidentalmente un altro tavolo e lo stridio metallico delle gambe costrinse tutti a girarsi nella sua direzione. Ian lo vide mentre attraversava rapidamente la stanza e cercava di farsi piccolo dietro alla propria scrivania. Tenne la testa bassa e imprecò sottovoce ma era comunque agitato.

- Ehi –

Mickey deglutì e alzò con circospezione la testa ma era solo un ragazzo che aveva bisogno di aiuto con una ricerca. Dopo qualche consigliò si alzò e se ne andò raggiante. – Grazie amico, qui mi fanno sentire tutti stupido, non mi spiego davvero in cosa sbaglio –

Mickey lo fissò per un momento con le labbra socchiuse e fece spallucce. – Ehm, okay, grazie –

Il ragazzo gli rivolse un saluto militare e se neandò. Mickey si sentì strano dopo quel complimento ma sorrise tra sé, stravaccandosi sulla sedia. Ma non potè godersi il momento ancora per molto perché arrivò un’altra persona, quindi mordicchiò la penna rossa e sospirò. – Ehi, in cosa posso aiut… -. Si bloccò quando si ritrovò davanti a Ian, il viso severo. Rimasero in silenzio e Ian continuò a fissarlo a labbra strette. Mickey evitò il suo sguardo è si posò il pollice sul labbro, sentendosi costringere il petto.

- Non mi stavi chiedendo in cosa puoi aiutarmi? – chiese Ian in tono irritato e posò un plico di fogli sul tavolo. Mickey non alzò la testa. – Il mio compagno di stanza e il ragazzo di poco fa pensano che tu sia piuttosto bravo con queste cose. La ragazza laggiù non era proprio di buon umore e non c’è nessun altro, quindi… -

- Tu pensi che io sia bravo? – raccolse il coraggio Mickey alzando gli occhi. Ian si ritrovò colto alla sprovvista quindi Mickey prese i fogli sul tavolo. – Stai avendo problemi a scrivere? Sei troppo in gamba per avere… -

- Non sono in forma ultimamente – lo interruppe Ian.

- A me sembri a posto – ricambiò Mickey sfogliando le pagine senza prestare particolare attenzione.

- Infatti sono una favola – replicò sarcastico Ian appoggiando i gomiti sul tavolo.

- Ah sì? Sembri appena uscito dal letto – osservò Mickey cercando di leggere quanto più poteva dai fogli tra le mani, ma era tutto confuso perché non riusciva ad ignorare la rigidità nelle labbra di Ian, gli occhi vacui e la stanchezza dipinta sul volto.

- Ho saltato la prima ora per dormire – spiegò Ian burbero. Mickey sentì la preoccupazione, quella preoccupazione soffocante per Ian, impossessarsi di lui. La precedente conversazione con Mandy gli tornò in mente.

- Posso prenderti qualcosa dalla farmacia in cui lavoro, ti aiuterà se non riesci a dormire – rispose serio Mickey.

- Non ho proprio il tempo di dormire. Ho un sacco di compiti e di studio ogni giorno –

- Forse devi solo organizzare meglio il tuo tempo. Allora – cominciò Mickey. Voleva farla finita in fretta dato che Ian non sembrava avere voglia di chiacchierare tanto per cominciare. Fece scivolare il foglio verso di lui per fargli vedere. – qui non hai mess… -

- Non tutti riescono a dormire la notte e far finta che vada tutto bene – lo interruppe Ian. Mickey si irrigidì e cercò di andare avanti.

- Ehm, quindi, qui hai… -

- “Ho” cosa? Cos’ho fatto, Mickey? – chiese cauto Ian chinandosi verso di lui. Sapeva che si ruferiva chiaramente a qualcosa di più ma Mickey non se lo meritava.

- Hai… non hai parlato di quello che hai menzionato nel paragrafo precedente…-

- Se ti dico quello che devo dirti, te ne fregherebbe qualcosa? – lo sfidò Ian. Mickey fissò le parole scritte sul foglio e sospirò.

- Hai scopato con quel ragazzo venerdì? –

Ian restò in silenzio e poi scoppiò a ridere. – Adesso mi spii? –

- L’hai fatto? – ripetè con urgenza Mickey. Ian si sporse ancora di più verso di lui.

- Che cazzo te ne importa? –

- Lo sai perché – replicò Mickey, il cuore che gl sprofondava nel petto.

- E come cazzo faccio a saperlo? Ti piace scappare sempre quindi non so mai niente -. Ian sorrise come se fosse una battuta. Mickey sbattè le palpebre e la sua voce vacillò quando parlò.

- Non voglio che tu vada… -. Tovò a fatica le parole e si passò una mano tra i capelli Credeva di essere migliorato nella comunicazione ma in quel momento si sarebbe detto il contrario. Ian rise divertito e scosse la testa.

- Fottiti. Posso fare quello che voglio e non sono affari tuoi, Mickey –

- Ian, sto provando… -

- Non ho intenzione di perdere altro tempo con te. Mi farai credere che significhi qualcosa e alla fine non è mai così. Sono venuto solo per dirti di andare affanculo, Mickey -. Ian riprese il suo tema e scosse la testa per poi andarsene.

Mickey si sistemò meglio sulla sedia. Credeva di aver fatto progressi, negli ultimi mesi si stava aprendo di più con suo zio, non stava migliorando? E allora perché era ancora più difficile mostrare i suoi sentimenti per Ian? Ripensò al tema di qualche giorno prima, quello sugli abusi infantili e sulle conseguenza che portava trascurarli. Scarse relazioni sociali, incapacità di mostrare le proprie emozioni, tutt equelle cose lo rispecchia vano totalmente. Voleva riprendersi e stare bene, e prima stava bene, con Ian. A quanto pare doveva continuare a provarci.

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Capitolo 29
*** Un Sussurro ***


Era tardi e Mickey era pronto a uscire dalla farmacia e da quella fottuta polo e andare a casa a dormire. C’era solo un’anziana che cercava in fondo a negozio e purtroppo non poteva dirle di andarsene anche se ormai era passato l’orario di chiusura. Dopotutto ai gestori interessava molto soddisfare i clienti. Mickey la osservò con lo sguardo più omicida che poté ma l’anziana continuò semplicemente a vagare tra gli scaffali senza prendere una singola cosa. 

Con sua sorpresa, la porta della farmacia i aprì ed entrò Mandy con un ragazzo. Oh, c’era anche Ian, che bel modo di finire il turno. 

- Come va amico? Ma lavori dappertutto? – lo salutò il ragazzo che stava spingendo Ian mentre passava dopo essersi accorto della sua presenza. Mickey non aveva proprio voglia di vederli in quel momento. 

- Fai tipo sette lavori Mickey, ma che cazzo? Stai pagando l’affitto di un attico? – chiese Mandy incredula, avvicinandosi al bancone ridacchiando divertita. Le sue guance erano rosate. 

- Non tutti usano i soldi di paparino – ribatté secco Mickey.

- E quelli sono solo problemi tuoi – rise Mandy. Inciampò sghignazzando e urtò il naso di Mickey dall’altra parte del bancone. Mickey indietreggiò infastidito è l’altro ragazzo le diede una pacca amichevole sulla schiena. 

- Scusa, è un po’ brilla. Comunque io sono il compagno di stanza di Ian, mi chiamo Sean –

Mickey guardò trovo sua sorella e poi Sean. – Hai qualcosa per il mal di testa? Quando beve le vengono delle emicranie piuttosto forti –

- No – rispose Sean. 

Mickey lanciò d’impulso un’occhiata a Ian ma se ne pentì immediatamente e prese dei soldi dal proprio portafoglio. – Prendilo dallo scaffale sette e portalo qui – ordinò a Sean. – Non finirà più di lamentarsi se non può prendere qualcosa per il dolore più tardi -. Mandy sorrise e cercò di prendergli i soldi ma Mickey le scacciò via la mano. – Vai a sederti, ubriacona –. Sean le cinse la vita con il braccio e la portò con sé lungo il corridoio ridendo per la sua camminata barcollante sui tacchi alti. 

- Non sapevo che a Mandy venisse mal di testa solo dopo un paio di bicchieri –

Era Ian. Stava in piedi in maniera goffa vicino al bancone, le mani in tasca e la schiena appoggiata al bordo, guardando Sean e Mandy invece di guardare lui. Mickey oltrepassa il bancone e lo guardò invece. 

- Già, anche se beve solo una birra. Stasera ride, ma domani si lagnerò tutto il giorno se non ha niente da prendere. Dio, non sa proprio sopportare il dolore -. Lasciò Ian e andò a sistemare gli scaffali anteriori per renderli più ordinati. Non sopportava quell’atmosfera tesa per più di due secondi. Inizialmente Ian rimase dov’era ma poi andò a prendere una bibita gassata dal frigo, vicino a dov’era accovacciato lui. 

- Sei preoccupato per Mandy? – gli chiese il rosso rovistando tra le bibite. Mickey si tormentò il labbro inferiore e si rilassò; doveva rimediare al loro incontro di qualche giorno prima e dimostrargli che potevano parlare. 

- Penso di sì, ma ci sei tu con lei quindi neanche più di tanto – rispose sincero Mickey rimettendo in piedi alcune scatole cadute e allineandole sullo scaffale. 

- Anche lei c’è per me – replicò Ian. E successe di nuovo, quella sensazione come se stessero alludendo a qualcosa di più. Mickey si alzò e lo oltrepassò per dirigersi verso la corsia seguente. 

- Ti… ehm, ti serve qualcosa? – gli chiese Mickey guardandolo da sopra la propria spalla fingendo nonchalance, ma in realtà si sentì teso dopo essergli scappata quella domanda. Inizialmente Ian non rispose e rimase semplicemente nei paraggi, osservandolo  sistemare i prodotti. Mickey non poteva vederlo ma finalmente lo udì rispondere. 

- Come? Intendi medicine per il mal di testa? – 

- Sì – rispose Mickey affrettandosi in mezzo agli scaffali. L’anziana stava ancora consultando la sezione make-up e gli ricordò quanto fosse frustrante quel lavoro. Finì anche quella parte e passò alla successiva. – O qualsiasi altra cosa – aggiunse passando di fianco a Ian. Era già un bel traguardo che Ian gli stesse parlando di sua spontanea volontà senza mandarlo a quel paese. 

Non ricevette risposta quindi si diresse anche lui verso la sezione trucco dove si trovava l’anziana, fulminandola il più possibile con lo sguardo mentre puliva. Lei continuò ad ignorarlo e prese due rossetti, pesandoli sul palmo della mano come se questo potesse aiutarla a decidere quale scegliere. – Rubali e basta, non guarderò nemmeno – sibilò tra i denti ma lei non parve averlo sentito. 

Mickey finì di controllare tutti gli scaffali e tornò al bancone dove lo attendevano Mandy, Sean e Ian. Sean posò un botticino di pillole e dopo che Mickey le ebbe scannerizzate e fu sul punto di pagare con i propri soldi, Sean aggiunse un pacchetto di patatine e due barrette al cioccolato con un colpo di tosse imbarazzato. 

- Mi prendi in giro? Non ti pago le patatine – disse sprezzante Mickey aprendo il registratore per prendere il suo resto. 

- Dai, sono al verde – protestò Sean. 

- Trovati un lavoro allora – replicò con un sorrisetto Mickey e poi il suo sguardo cadde su Ian che fissava l’entrata con una Coca Cola in mano. – Ehi, prendi quella? – gli chiese. Ian si girò di scatto. – Dai qua – ordinò gentilmente Mickey tamburellando con le nocche sul bancone accanto al flacone delle pillole. 

- Ma scusa amico, e le mie patatine? – esplose Sean. Mickey gli rispose con un dito medio. 

- Non preoccuparti – intervenne con calma Ian, chiaramente infastidito da quell’offerta. 

- Lascialo fare, Ian – cinguettò dolcemente Mandy, abbracciando Sean per qualche motivo. – Sta cercando di essere gentile. Mi piace Mickey quando è gentile – 

- Okay, mi sa che la passerotta qui presente ha bevuto un po’ di più di un paio di birre. Mia sorella non è un peso piuma come sembra –

- No, non è vero – ridacchiò Mandy lasciando Sean per cercare di inerpicarsi sul bancone. 

- Portatela a letto per favore, prima che cominci a strusciarsi anche sugli estranei – insistette Mickey cercando di staccarla dal bancone. Quando Sean afferrò Mandy per portarla via, lei cominciò a tirare su col naso. 

- No, lasciami restare con Mickey. È mio fratello, lasciami stare con lui –

- Pago questa così possiamo andare – disse con urgenza Ian, posando la bottiglietta sul bancone. 

- No, lasciami. Voglio stare con Mickey, non mi vuoi più Mickey? – piagnucolò Mandy cercando di liberarsi dalle braccia di Sean. Mickey la guardò e si passò le mani sul viso. Scansionò anche la Coca Cola e la mise in una borsa con le pillole, passandole poi a Ian. 

- Mickey, perché mi hai lasciata sola? Sono una cattiva sorella? – balbettò Mandy inerme, il viso contratto come se stesse per piangere. 

- Forza, sbrighiamoci e andiamo a casa -sbottò Ian cercando di prenderla per il braccio. Sean sembrava estremamente a disagio ma cercò comunque d aiutarlo a guidare Mandy verso la porta. Lei cercò di ribellarsi ad entrambi come in preda ad una crisi isterica. 

- Voglio mio fratello – gridò Mandy scuotendo convulsamente braccia e gambe. Ian le accarezzò il braccio, sorpreso di vedere come una persona così minuta come Mandy potesse essere così forte. Sean non rideva più e lo guardava preoccupato, come a chiedere “che cazzo facciamo ora?”. Si ritrovarono davanti a Mickey che prima guardò Mandy e poi Ian. 

- Può restare con me stasera –

- No – replicò automaticamente Ian cercando di stringere di più Mandy ma lei continuava a dimenarsi. 

- Mandy ha bisogno di te ma anche di me. Stasera resta con me – concluse Mickey. Prima che Ian potesse obiettare, Mandy si liberò e abbracciò Mickey, seppellendo il viso nella sua maglietta. Mickey le avvolse le braccia intorno con fare protettivo, continuando a fissare Ian. – Anche io ho bisogno di lei –

Ian raddrizzò la schiena, esterrefatto, e lo fissò per un minuto di fila. Sembrava riluttante, scioccato e arrabbiato tutto insieme e lo oltrepassò a testa bassa. Sean sembrava un pesce fuor d’acqua invece; passò rapidamente le medicine a Mickey e seguì Ian. Mickey sospirò e lasciò che Mandy continuasse a singhiozzare abbracciata a lui. Quando alzò la testa, l’anziana signora di poco prima  era al bancone e sorrideva dolcemente. Posò un paio di banconote da venti dollari e se ne andò solo con un pacchetto di gomme da masticare. 

 

 

Quando Mickey si svegliò sul divano udì delle risate provenire dalla cucina. Borbottò dei versi incomprensibili e improvvisamente si ritrovò un piatto di pancake sulla pancia. – Ma che cos… -

- Buon compleanno – gli urlò in faccia Mandy soffiando una stella filante a spirale che lo colpì dritto in un occhio. 

- Ahia, merda, ma che succede? –

- So che ti piace lo sciroppo al mirtillo, Mick, quindi li ho inzuppati il più possibile -squittì allegramente Mandy soffiando di nuovo la stella filante. Mickey gliela tolse di mano e la lanciò dall’altra parte della stanza urtando una foto incorniciata su un comodino, che cadde per terra. 

- Cristo, Mandy, lo sai che odio ques… - 

- No, oggi no – protestò fermamente lei è raccolse un pancake per infilarglielo in bocca. Lo sciroppo gli colò sulla maglietta e Mickey tossì, sputando. 

- Ehi, ti sei svegliato – annunciò suo zio Rick comparendo dalla cucina. Gli passò una bottiglietta d’acqua e Mickey la prese volentieri per mandare giù lo sciroppo ai mirtilli. – Che cosa fai oggi, Mickey? –

- Non lo so, pensavo di andare a vedere se c’è qualcosa da fare in officina o al tuo studio – rispose finendo di bere. 

- Prenditi un giorno libero, è il tuo compleanno – rise divertito Rick. 

Mickey si mise a sedere e si grattò un braccio, guardando torvo Mandy. – Perché gliel’hai detto? –-

- Perché sono stufa di autocommiserarci sempre. Ci meritiamo anche noi qualcuno a cui frega qualcosa del nostro compleanno – ribatté Mandy con insolenza. 

- Oggi non devi venire a lavorare, Mickey. Prenditi il giorno libero – sorrise Rick. – Gesù, ti ammazzi di lavoro. Farò in modo che nessuno ti lasci entrare se cerchi di andare allo studio -. Prese il bicchiere di Mickey e tornò in cucina. 

Mickey fece per obiettare ma poi decise “chi se ne frega” e cominciò a mangiare, sapendo che avrebbero rotto canora di più le scatole se non l’avesse fatto. 

Mandy si buttò improvvisamente sul divano, dandogli una spallata amichevole. – Oggi mi sento bene grazie agli antidolorifici –

- Da quando sei così allegra di prima mattina? -chiese Mickey beffardo, il piatto già vuoto. 

- Sono davvero felice con me stessa oggi e non c’è papà a rovinare tutto, quindi perché non dovrei esserlo? –

- Grazie per la colazione – sbadigliò Mickey. Mandy gli prese il piatto e si alzò. 

- Oggi devo andare a pulire un fottuto fiume per una lezione, ma ehi – fece un sorrisetto e indietreggiò di un passo. – Ian è libero tutto il pomeriggio –

- Ah è così quindi? Stai cercando di rallegrare pure me per farmi …-. Si coprì la faccia con le mani ed emise un gemito lamentoso. - …fare cosa esattamente? Cosa cazzo ti aspetti dopo avermi detto questo? –

- Siete due povere anime solitarie che si appartengano a vicenda e devono ritrovarsi prima che il sole inghiotta il mondo. Alza il culo, io gli dico di prepararsi –

- Quella farse l’hai presa da un libro di John Green? – chiese Mickey con il viso nascosto per metà sul cuscino, la voce ovattata. 

- Tu leggi John Green? – scoppiò a ridere Mandy, le unghie smaltate che ticchettavano sullo schermo del cellulare. 

- Certo che no. Piantala di far finta di sapere chi è – ribatté Mickey sedendosi un’altra volta. 

- Tranquillo, dirò a Ian di portarti ad un bel pic nic per il tuo compleanno, Hazel Grace –

- Stai un po’ zitta Mandy, fai talmente tanto casino… - 

- Oh, Ian è sveglio, ha già risposto… -

- Mi ha mandato a quel paese, Cristo Santo. Non disturbarti con le tue stronzate… - 

- Okay, ha detto che vi incontrerete alla fermata dell’autobus davanti alla scuola – esclamò gioiosamente Mandy infilando il cellulare nella borsa che si mise immediatamente in spalla. Si avviò dritta alla porta ma Mickey scavalcò il divano è le bloccò il passaggio con il braccio davanti alla porta. 

- Ma che cazzo, Mandy! –

- Mi dispiace, Mick. Tu piaci a Ian e forse non sapremo mai il perché ma almeno avrai una seconda possibilità. Ora levati così posso andare a questa cazzata di volontariato –

Mickey non tolse il braccio ma Mandy gli rivolse un largo sorriso, consapevole che si sarebbe arreso presto. La guardò storto e si fece da parte, furioso. 

- È il mio regalo per te, Mick – rise lei chiudendo già la porta alle sue spalle, ma fece capolino ancora un secondo con un’espressione più seria. – Non fare cazzate stavolta, Mickey –

Mickey si prese un momento per assimilare il tutto poi andò all’armadio in corridoio per mettersi qualcosa di decente. Magari Mandy aveva mentito e si trattava solo di uno scherzo idiota per prenderlo in giro e ripagarlo per quello che aveva fatto ad Ian. 

- Oggi devo fare un sacco di cose per la nostra registrazione – disse suo zio ritornando in soggiorno. Osservò Mickey che prendeva una camicia scura e un paio di jeans neri. – Hai un appuntamento? – chiese ridendo e Mickey arrossì. 

- No, non ho idea di cosa sto facendo… -

Suo zio rise divertito e uscì per fumare una sigaretta. Mickey invece andò nel bagno in fondo al corridoio per farsi una doccia e lavarsi i denti. Cercò di darsi una pettinata a capelli, una cosa che non si era mai disturbato di fare prima, e non sembrò servire più di tanto quindi lasciò perdere. Si guardò allo specchio e sospirò; cosa diavolo stava cercando di fare? 

Quando stava per uscire fu sul punto di prendere un pacchetto di sigarette dalla mensola ma si trattenne. Lo fissò per una ventina di secondi buoni e decise di lasciarlo dov’era, affrettandosi a raggiungere suo zio fuori di casa. – Ehi, sto uscendo – gli disse avvicinandosi. Suo zio aspirò l’ultimo tiro e spense il mozzicone sul marciapiede. 

- Divertiti e non dimenticare quello che ti ho detto. Non andare a lavorare oggi, Mickey, non sto scherzando –

- Sì, okay – fece un sorrisetto Mickey anche se in realtà lo apprezzava molto. Decise di prendere l’autobus che conduceva al campus invece di andare a piedi così Ian non avrebbe dovuto aspettare troppo se era già arrivato al loro punto di incontro. Avrebbe dovuto mandargli un messaggio pe sapere esattamente quando avrebbero dovuto incontrarsi ma non trovò il coraggio. 

Scese dall’autobus e si guardò intorno nervosamente. Ian era sul marciapiede con le mani in tasca. Quando Mickey si fece forza per avvicinarsi, stava giocando con il cellulare. – Ehi – lo salutò in tono sorpreso Mickey, anche se non era esattamente sorpreso di vederlo. 

- Ehi – ricambiò Ian in tono un po’ più disponibile rispetto ai giorni precedenti, il che era un buon segno, Ma Mickey non sapeva davvero che cavolo fare. Un ragazzino passò di fianco a loro ascoltando dell’assordante musica rap con gli auricolari e quando li ebbe superati, Ian esalò: - Tieni -, cercando qualcosa in tasca. 

Mickey corrugò le sopracciglia incapace di calmare la tensione. Cercò di concentrarsi su altro per pensare a qualcosa da dire a Ian ma non c’era niente. 

- Prendi – interruppe i suoi pensieri il rosso e tese la mano senza avvicinarsi. Confuso, Mickey avanzò lentamente per o rendere qualsiasi cosa gli stesse porgendo. Quando toccò la sua mano, solo per un secondo, prese l’oggetto che teneva e Ian ritirò immediatamente la propria, guardando altrove. 

Mickey abbassò la testa e si sentì come se gli avessero appena tolto l’aria dai polmoni. Era il suo vecchio accendino. Calò il silenzio tra loro. Ian evitava di guardarlo e aveva rimesso le mani in tasca. Mickey strinse l’accendino tra le dita e alzò gli occhi. – Non mi serve –

- È tuo – replicò Ian girandosi verso una coppia a spasso con il cane che attraversava la strada. 

- Non lo voglio – ribatté Mickey avvertendo quella famigliare tempesta interiore risalire in superficie. 

- Beh, neanche io –

Mickey non poteva crederci. Aveva ancora il braccio a mezz’aria come un idiota quindi infilò in fretta l’accendino in tasca e fece spallucce. – Bene, grazie – decise di rispondere cercando di mantenere la calma. Ian continuò a evitarlo e si girò dall’altra parte. 

- Sì, beh, ci vediamo –

Mickey lo lasciò andare, troppo deluso e furioso per ciò che era appena successo per fermarlo. Ma poi ricordò che doveva calmarsi e fare qualcosa invece di restare lì immobile senza impedire che le cose peggiorassero. Si incoraggi con un breve discorso motivazionale e poi seguì Ian. – Devi fare dei compiti? Posso darti una mano se vuoi, non ho niente da fare –

- Dio, sembra che non resisti dalla voglia di uscire con me – rispose in tono asciutto Ian. 

- Scusa se voglio passare il mio fottuto giorno libero con te – grugnì Mickey. Abbassò lo sguardo e sbuffò; doveva controllare la rabbia. 

- Probabilmente non hai afferrato la parte in cui ho detto che non ci sto più in questo tira e molla – replicò Ian mantenendosi un passo davanti a lui mentre si dirigevano verso il campus. 

- Se magari volessi parlarmi per un maledetto minuto… - 

- Come se tu lo avessi mai fatto, da che pulpito, Mickey –

- Okay, l’ho capito, sono un deficiente. Non devi perdonarmi, non devi nemmeno uscire con me. Puoi solo smettere di trattarmi come se mi volessi morto? –

- Sei serio? – sbottò Ian voltandosi bruscamente. – Cerchi di farmi sentire in colpa perché non voglio più passare quello che ho passato? –

Mickey cercò una risposta che non fosse minacciosa o cercasse di giustificarlo. Riuscì a trovarla e mantenne un tono calmo. – Allora non deve per forza essere come prima, qualsiasi cosa fosse. Possiamo solo fare due chiacchiere e uscire un po’ ogni tanto? Non lo so, qualsiasi cosa è meglio di quello che stiamo facendo adesso –

- Okay, va bene – concluse Ian. La sua espressione era illeggibile quindi Mickey non era sicuro se fosse arrabbiato o se fosse davvero d’accordo. 

- Okay – concluse Mickey in tono lento. Ian gli sorrise, un sorriso strano che non gli piacque. 

- Quindi vuoi venire nella mia stanza per un po’? Io farò i compiti e tu puoi fare quello che ti pare –

- Sì va bene – alzò le spalle Mickey, in preda all’ansia. 

- Bene – annuì Ian è si girò nella direzione opposta. Mickey lo seguì in mezzo al campus e non parlarono mai durante il tragitto. 

 

 

- Allora la tua vecchia stanza era un caos per colpa dei tuoi fratelli – commentò Mickey quando entrò nel dormitorio di Ian. La parte di Sean non era così ordinata ma quella di Ian era splendente. 

- Già, a parte sotto al letto – borbottò il rosso è Mickey gettò un’occhiata. Attraverso la fessura lasciata dalle lenzuola del letto che sfioravano il pavimento si intravedevano fogli sparsi dappertutto. Si guardò intorno senza sapere dove sedersi poiché Ian si sedette alla sua scrivania e la sedia di Sean non si trovava da nessuna parte. 

- Dove cazzo è la sedia del tuo coinquilino? –

- Lui e i suoi amici hanno fatto i cretini lo scorso weekend. Hanno preso tutte le sedie delle scrivanie e le hanno impilate in ascensore, così se l’è dimenticata su un altro piano. Non ho idea di come abbia fatto né di come riuscirà a pagarla – spiegò Ian, sorridendo genuinamente al ricordo. 

Mickey prese posto sul pavimento intrecciando le dita sulle ginocchia e guardando fuori dalla finestra. C’era una bella vista. 

- Sia io che Sean abbiamo dei libri per Inglese se vuoi leggere qualcosa – lo informò Ian che stava già ammucchiando dei fogli sulla scrivania insieme ad un computer portatile che doveva aver preso con un prestito. Mickey lanciò un’occhiata allo scaffale di fianco a Ian e curiosò tra i titoli. 

- Tu e mia sorella sembrate molto vicini a questo tizio – osservò Mickey, rabbrividendo internamente quando lesse i titoli. 

- Sì, è simpatico – rispose Ian aprendo un documento vuoto su Word. 

- Mia sorella se lo scopa? –

- No, pensa che sarebbe strano dato che vivo con lui –

- Adesso si fa scrupoli? – rise divertito Mickey leggendo la trama di uno dei libri. 

- Le ho chiesto la stessa cosa – rise a sua volta Ian ma smise immediatamente. Tornarono in silenzio e finalmente Mickey scelse un libro che non sembrava penoso come gli altri. 

Passò il tempo e la storia stava cominciando ad avere un effetto soporifero. Anche il ticchettio della tastiera di Ian non aiutava. Era vero , Mickey era tropo stanco per il carico di lavoro ma poteva sopportarlo visto che era abituato alla carenza di sonno da una vita. Non era niente di che. Guardando Ian, però, si rese conto dell’effetto che la mancanza di sonno stava invece avendo su di lui, di quanto sembrasse stanco. Le sue palpebre si stavano abbassando lentamente, solo per rialzarsi di scatto ogni due minuti. Ian si stropicciava gli occhi con un sospirò e tornava a scrivere furiosamente. 

La luce fuori dalla finestra si affievoliva sempre di più e Mickey ormai non stava più neanche leggendo. Era perso nei propri pensieri che ritornavano ai mesi precedenti passati nella vecchia camera di Ian, quando ridevano durante il pomeriggio o facevano quello che stavano facendo in quel momento, dedicandosi alle proprie cose l’uno nella silenziosa compagnia dell’altro E poi di notte parlavano a bassa voce, sussurrando persino anche se nella stanza c’erano solo loro due. Mickey faceva sempre un mezzo sorriso quando Ian smetteva di rispondergli perché significava che si era addormentato. E quando il suo respiro si faceva più profondo, riempiendo il silenzio della stanza, aiutava Mickey a sentirsi in pace visto che il silenzio di casa sua era insopportabile. 

Mentre ripensavo a quei ricordi, poté quasi sentire il suo lieve russare. Gettò un’occhiata all’altro lato della stanza e vide Ian  stava dormendo davvero con la testa appoggiata sulle braccia.              Mickey chiuse il libro e lo rispose al suo posto per poi andare ala porta. Si girò per guardare l’espressione riposata d Ian, gli occhi chiusi nascosti per metà dietro al braccio, il corpo rilassato e libero da qualsiasi tensione, e si sentì pervadere da una sorta di tristezza. 

- Ciao, Ian – sussurrò nella stanza che si scriva sempre di più, anche se sapeva che Ian non poteva sentirlo. Non lo sentiva mai, non si svegliava mai prima che lui se ne andasse. 

A casa di Ian, Mickey gli mormorava sempre qualcosa prima di andarsene, prima di sgattaiolare via al mattino. A volte era un “ciao”, altre “scusami”, altre ancora “grazie” e poi c’erano delle volte in cui le parole gli morivano in gola e combatteva contro al desiderio di toccargli i capelli o il viso prima di andarsene, come se facendo questo potesse confortarlo in qualche modo, perché lui era troppo codardo per farlo quando era sveglio. 

Rimase a fissarlo per un altro paio di secondi  e si girò per uscire così lo avrebbe lasciato dormire. Stava già provando una marea di emozioni tutte insieme, riportate da quei ricordi, quindi lasciò che quella marea si riversasse su di lui e si rigirò. SI avvicinò ad Ian, la mano che torreggiava sulla sua testa rossa. Cercò di trattenere il fiato mentre sfiorava appena i capelli anche se sentiva già di oltrepassare un limite dopo il loro precedente accordo. Ian non reagì e la sua schiena continuò ad alzarsi e abbassarsi sotto il tessuto della maglia leggera, indisturbato. 

Ritirò la mano è si affrettò a uscire, chiudendo il più silenziosamente possibile la porta e poi buttò fuori il respiro che stava trattenendo. Solo nel corridoio desolato tirò fuori l’accendino dalla tasca e gli sorrise appena, un sorriso sghembo. 

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Capitolo 30
*** Sei Al Sicuro Qui ***


Mentre usciva per andare in classe quella mattina, Ian trovò Mandy fuori dal dormitorio vicino ad un sentiero sul lato dell’edificio. Aveva lo sguardo perso e non sembrava nemmeno prestare attenzione ad un paio di ragazzi che le fischiavano o al cellulare che fischiava nella borsa. 

- Ehi, Mandy, tutto bene? – la chiamò Ian raggiungendola. Erano all’ombra ma l’aria era umida e il viso di Mandy brillava. Quando le fu di fronte lei non lo baciò e abbracciò come al solito. Alzò invece gli occhi e parlò in tono calmo. 

- Sai, magari Mickey non è stato il ragazzo migliore del mondo ma nessuno ti ha obbligato a uscirci per forza, nessuno ti ha obbligato a corrergli dietro tutto l’anno, Ian –

- Aspetta, cosa? – chiese Ian senza capire perché tutto a un tratto se ne fosse uscita con questo. 

- Non penso che lui si debba prendere tutta la colpa per quello che è successo tra voi quando ti ho avvertito fin dal primo giorno di stargli lontano –

- Mandy – balbettò Ian. – non sai cosa significa quando qualcuno ti fa sentire speciale, ti fa credere di essere importante e poi fa come se nulla… - 

- Ah, non lo so? – lo interruppe. – Tu dici proprio questo a me? A me, che ho cambiato ragazzo ogni due secondi alle superiori? Ho perso la verginità a tredici anni con un ragazzo solo perché mi ha detto che ero bella. Penso proprio di saperlo invece – 

- Okay, bene, ma anche se sapevi che ti avrebbero fatta soffrire ci sei andata comunque o sbaglio? – ribatté Ian improvvisamente sulla difensiva. 

- Ma non mi vedi piangere per nessuno di loro, o sbaglio? – replicò Mandy. – Non mi vedi prendermela con loro o incolparli per i problemi che abbiamo avuto. Questo perché ho fatto l’errore di andare dietro sempre allo stesso tipo di ragazzi, mi ripetevo che la volta dopo sarebbe stata diversa e quindi era una ruota che continuava a girare. Quello era anche colpa mia – 

Ian non disse nulla e strinse la tracolla tra le dita. 

- Sono stanca di vedere due persone importanti per me farsi del male a vicenda – concluse Mandy e poi se ne andò lungo il sentiero dietro di loro e Ian la seguì con lo sguardo. Quando sparì sulla collina si avviò nella direzione opposta per andare in classe. 

 

 

Ian si appisolò durante la lezione di quella mattina ma si svegliò di soprassalto quando finì. Uscì immergendosi nell’aria umida e attraversò il campus verso i dormitori. 

Era vero che anche se provava qualcosa per Mickey, e molto più di una semplice cotta verso la fine dell’anno, sapeva fin dall’inizio che Mickey non era bravo a mostrare i suoi sentimenti. È solo che Mickey lo aveva baciato, lo guardava con occhi dolci e gli diceva delle cose che a volte gli facevano pensare il contrario. E poi si allontanava di nuovo e quando le loro strade si erano separate sul treno era come se fosse stato Mickey a buttarlo fuori, come se niente avesse avuto importanza fin dall’inizio. 

Ma forse Mickey non voleva fare questo, così come non aveva intenzionalmente voluto fargli del male in passato. Non era mai stato così. Mickey non si sbilanciava mai solo con lo scopo di farlo soffrire, ma questo non significa che non facesse comunque male. 

Emise un gemito lamentoso tra sé e sé è attraversò il centro del campus. Lo sguardo gli cadde sull’enorme fontana al centro di uno spiazzo creato dal sentiero che si apriva, accanto alla torre dell’orologio. Seduto sul bordo c’era Mickey che fumava da solo vicino all’acqua zampillante. Sembrava spaesato lì seduto con le gambe che dondolavano e i capelli umidi per gli schizzi, vestito con un paio di jeans scuri e una camicia grigia a maniche lunghe, nonostante il caldo. Ian rimase a debita distanza solo per vedere cosa faceva e dopo alcuni minuti finì la sigaretta, solo per riprendere un’altra dal pacchetto. Quando la accese, Ian rimase sorpreso di vedere che stava usando un accendino monouso e non quello ricaricabile che gli aveva restituito. 

Non gli era piaciuto ridargli l’accendino, neanche un po’, ma credeva che almeno in questo modo avrebbe potuto lasciar andare Mickey e continuare con la sua vita. Ma naturalmente Mickey aveva dovuto corrergli dietro e dirgli che voleva che restassero amici, ritirarlo indietro come faceva sempre. 

Okay, forse allora il problema era anche Ian non sapeva essere suo amico e basta. Forse avevano bisogno di questo, imparare ad essere amici senza aspettarsi altro. 

- Ehi – disse avvicinandosi alla fontana grattandosi il retro del collo. Mickey non sembrò averlo sentito, forse per il rumore dell’acqua o perché non si aspettava che qualcuno gli parlasse. Era pensieroso, con lo sguardo rivolto verso la torre dell’orologio nella direzione opposta. 

Ian non avrebbe dovuto essere lì, era davvero una pessima idea, un pessimo inizio per ciò che volevano cominciare ad avere, ma lo fece comunque perché Mickey sembrava così solo e Ian non resistette al bisogno di ricordargli che non lo era. Scivolò accanto a lui e diede un colpetto al suo ginocchio con il proprio. Fu un gesto appena accennato ma Mickey si girò di scatto per lo spavento. 

- Ehi – ci riprovo Ian. Mickey sembrava un ladro colto con le mani nel sacco ed era troppo divertente. 

- Ehi – esalò Mickey dopo una lunga pausa, come se stesse cercando di capire perché Ian fosse lì. 

- Aspetti qualcuno? -. Mickey lo fissò ma poi evitò di incrociare il suo sguardo cercando una risposta. – No, per oggi ho finito di essere socievole, dirò a tutti i miei amici di levarsi dalle palle finché non me la sento i nuovo – rispose con un sorrisetto.

- Quindi dovrei levarmi dalle palle? – chiese Ian incapace di trattenere a sua volta un sorriso. Si sporse all’indietro per sentire la frescura della fontana e capì perché Mickey se ne stava seduto lì con tutto quel caldo. 

- Dipende – rispose calmo il moro lanciando gli uno sguardo misterioso. Ian arrossì e desiderò buttarsi nella fontana dato che non avrebbe davvero dovuto continuare ad arrossire per lui. 

- Da cosa? Se valgo la pena del tuo tempo? – replicò beffardo cercando di non oltrepassare il limite dell’amicizia. Mickey mantenne lo stesso sguardo e inarcò un sopracciglio. 

- Beh, ormai di tempo non ne ho più ma… - 

- A me sembri libero – osservò Ian. Mickey sorrise intorno alla sigaretta che si era messo tra le labbra. Sbuffò il fumo lontano da Ian e si girò nuovamente verso di lui. 

- Sono in pausa e volevo fumarmi una sigaretta – 

- Pausa dal lavoro? – chiese Ian. Mickey annuì e lo guardò sbattendo le palpebre un paio di volte, poi piegò il capo riportando la sigaretta alle labbra. 

- Ma… - continuò; il sorrisetto compiaciuto si tramutò in un vero e proprio sorriso. - …tu vali il mio tempo –

Ian si spostò dal getto freddo della fontana e abbassò lo sguardo. Il cuore cominciò a palpitargli, si sentiva felice, triste e confuso. – Dovrei tornare in classe e tu dovresti tornare al lavoro – sviò Ian giocherellando con i lacci delle scarpe. 

- Okay – rispose Mickey aspirando. 

- Allora, ehm, ci vediamo più tardi – annuì Ian alzandosi in piedi. Mickey non rispose quindi Ian annuì una seconda volta e si girò per andarsene. 

- Dico sul serio – disse improvvisamente Mickey a voce abbastanza alta per farsi sentire, ma abbastanza bassa perché restasse tra loro. Ian si immobilizzò, il battito ancora agitato. – Non sarà come prima, Ian – 

Avrebbe dovuto voler dire che erano amici e che quindi le cose non sarebbero cambiate con i sentimenti di mezzo come prima, ma in qualche modo Ian sapeva che Mickey intendeva qualcos’altro. Era troppo. – Ciao – chiuse rapidamente la conversazione e se ne andò senza voltarsi indietro. 

 

 

Quando Mickey finì di lavorare, entrò in casa e trovò Rick seduto sul divano con un’espressione cupa. – Sei una gioia per gli occhi – gli disse scherzosamente, togliendosi la camicia e gettandola nel cesto della biancheria nell’armadio del corridoio. Si infilò subito una canotta, sapendo che suo zio non avrebbe fissato troppo a lungo le sue cicatrici. 

- È arrivato questo per te – disse Rick guardandolo da sopra il divano, Aveva un’espressione affaticata come l’espressione di un genitore preoccupato per il figlio. 

- Ah sì, che cos’è? – chiese Mickey facendo il giro del divano. Sul tavolo c’era una grossa scatola avvolta in una carta con stampa floreale e adornata da un fiocco di seta. Mickey la fissò per un momento poi la prese e andò dritto in cucina. 

- Mickey! -. Rick lo seguì ma Mickey stava già aprendo il bidone dell’immondizia. Prima che potesse buttare via la scatola, Rick lo afferrò e lo girò verso di lui. 

- Ehi ragazzo, so che vuoi buttarlo, ma almeno aprilo –

- Lo fa tutti gli anni – sputò fuori Mickey scavando con le dita nel cartone spesso della scatola. 

- Anche tua mamma ha dovuto sopportare Terry – cercò di farlo ragionare suo zio ma Mickey buttò fuori una risata amara. 

- E allora perché non ha chiesto la custodia e non ci ha portati con lei? Non cascarci anche tu, Rick. Lei sa solo chiamarci quando ha bevuto troppo e mandarci i suoi soldi invece di prendere un aereo e venire qui per una volta. Però è una santa, giusto? –

- No, non dico questo – disse Rick lasciando ricadere le mani dalle sue spalle. – Ti meriti di più, Mickey. Ma odiarla per il resto della tua vita non ti aiuterà – 

- Aiutarmi? Non ho bisogno di nessun aiuto – ribatté aprendo di nuovo il bidone. 

- I sentimenti che provi nei confronti dei tuoi genitori non sono sani. Ti stai facendo il sangue amaro mentre loro fanno avanti con la loro vita. Sono certo che entrambi abbiano i loro problemi a cui pensare, quindi… -

- E i loro fottuti figli non contano niente? – chiese rabbioso Mickey fissando l’immondizia. 

- No, ascoltami. Sono sicuro che abbiano entrambi i loro problemi ma sono loro a perdersi qualcosa se non vi hanno mai messi al primo posto. Vi hanno persi e allora lascia che continui a farlo. Non lasciarti divorare dalla rabbia per il resto della tua vita e smetti di odiarli, Mickey. Se loro non si preoccupano per te, nemmeno tu dovresti farlo per loro –

Mickey avrebbe voluto dirgli di farsi gli affari suoi ma non ci riuscì. Suo zio aveva ragione, gli importava qualcosa di lui e gli importava davvero, non stava solo dicendo due parole a caso tanto per calmarlo. Lasciò rinchiudersi il coperchio del bidone è oltrepassa suo zio per aprire il regalo sul tavolo. La prima cosa che trovò fu una cartolina con il suo nome scritto in corsivo elegante e riconobbe la scrittura di sua madre. La buttò da parte e guardò il resto del contenuto. Dentro c’era un set di cuffie, un sacchetto enorme di caramelle assortiti che provenivano da diversi Paesi, una foto di sua madre con il suo nuovo marito e due gemelli, una console palmare con alcuni videogiochi incartati nella plastica trasparente e poi in mezzo al tessuto della scatola in un angolo c’era una scatolina con scritto sopra “Buon Compleanno” in gel dorato. Siccome voleva farla finita la prese e la aprì. 

C’erano due biglietti aerei. 

Lasciò cadere la scatolina, questi scivolarono in mezzo al tessuto della scatola più grande e Mickey aprì la lettera. Era la solita lettera che riceveva ogni anno, le solite scuse per non essere andata a trovarli, le solite giustificazioni e poi un sacco di chiacchiere sulla sua nuova famiglia e su cosa facesse nella vita. Faceva anche un sacco di domande su di lui, se lui e Mandy stavano bene, come aveva passato il compleanno, cos’è che non si era mai preoccupata di chiedere alzando la cornetta del telefono. E poi, alla fine, gli chiedeva di andare a trovarla e di portare Mandy. 

- Ora posso buttare via tutto? – chiese avvertendo la presenza di suo zio sulla sua spalla. 

- Quelli non sono biglietti per Miami, Mickey? – 

- Sì e quindi? – borbottò ributtando tutto nella scatola. 

- Vuole che vai a trovarla – sospirò Rick posando di nuovo la mano sulla sua spalla. Mickey resistette all’impulso di scuotere bruscamente le spalle perché nessun adulto gli aveva mai dato così tanta attenzione o aveva mai cercato di alleviare il dolore che cercava di non lasciar uscire. 

- Perché cazzo devo essere io? Perché devo essere io ad andare da lei? Fanculo – 

- Ehi stai tranquillo, nessuno ti sta obbligando, Mick –

- E allora perché mi manda questa roba ogni anno? Sono stufo di vederla sempre fare la vittima – 

Rick non cercò di replicare e gli strinse la spalla, lasciandolo poi andare. – Che ne dici se tengo io il pacco per un po’ nella mia stanza e intanto tu ci pensi sopra? Non devi andare per forza, nessuno vuole che tu faccia niente, okay? Prenditi un po’ di tempo per rifletterci –

Mickey sentì il petto appesantirsi sempre di più e deglutì profondamente, incapace di trovare le parole. Prese un respiro, rovistò nella scatola per rimettere dentro i biglietti in quella più piccola e richiuse tutto. – Okay – accettò, giungendo ad una tregua con la sua battaglia interiore. Passò la scatola a suo zio e lui la prese sorridendo. 

- Prendi sempre cura di te stesso prima di chiunque altro, okay?  E non dimenticare che io ci sono, figliolo –

- Ancora? Credevo avessimo detto di riservarlo a tuo figlio – cercò di idee Mickey e Rick sembrò contento di vedere che si sentiva meglio. 

- Ehi, non sarai mio figlio biologicamente, ma… -. Si bloccò e sembrò intimidirsi. – Penso che tu abbia capito cosa voglio dire –

- Non diventare tutto sentimentale adesso – alzò gli occhi al cielo Mickey ma non riuscì comunque a trattenere un sorriso. Dentro di lui era immensamente grato per la presenza di suo zio. Il mero fatto che fosse lì in piedi vicino a lui aveva impedito l’insorgere di un crollo emotivo pochi minuti prima. 

- A volte mi sembra di essere tuo padre. Dio, mi somigli molto più di Lucas – ridacchiò Rick. 

- È meglio che io esca prima che tutto questo si trasformi in un episodio di Brady Bunch – sbuffò Mickey tornando in soggiorno per prendere chiavi e cellulare. 

- Lo sai che sto mettendo i tuoi saldi da parte, vero? Più della metà di quello che mi dai non lo uso per l’affitto, va a finire in banca – ammise a un tratto Rick, seguendolo. 

- Perché? – chiese Mickey girandosi oltre la propria spalla mentre allacciava le scarpe. 

- Perché non appena ricevi lo stipendio lo dai subito a me. Vivi su un cazzo di divano e la tua stanza è uno sgabuzzino, Mickey. Pensi davvero che ti farei pagare per questo? –

Mickey fece spallucce e finì di allacciare le scarpe. – Facci quello che vuoi, non mi importa. Non ho comunque nessun motivo per usarli, mi hai accolto in casa tua e basta, prendili tutti –

- È questo il problema – sospirò Riappoggiandosi allo stipite della porta. – Non devi niente a nessuno. Non ti butterò fuori di casa, Mickey, nemmeno se non potessi pagarmi l’affitto. Non lo faccio per pietà, capisci? Io voglio che tu stia qui –

Micky arrossì e gli lanciò uno sguardo, la mano sulla maniglia della porta d’ingresso. Suo zio buttò fuori una risatina quando vide la sua espressione scioccata e poi il suo viso si addolcì.

- È così difficile credere che qualcuno ti voglia davvero nella sua vita e non si aspetti niente in cambio? – disse in tono serio. – Accettalo, Mick –

Mickey abbassò la maniglia e uscì in corridoio. – Ti credo, grazie – rispose, perché era l’unica cosa che poteva fare. Non riusciva a dirgli quanto peso gli avesse tolto dalle spalle con quelle parole, non riusciva a spiegargli cosa significasse per lui sentire che qualcuno lo voleva. – Davvero – aggiunse e suo zio annuì, comprensivo. 

- Stai attento e se ti fai di qualche droga portamene un po’ – disse Rick provocandogli una risata mentre chiudeva la porta. 

 

 

Mickey non aveva idea di cosa diavolo stesse facendo lì in piedi davanti al dormitorio di Ian come uno stalker. La chiacchierata con suo zio lo aveva portato lì precipitosamente in qualche modo. Intorno a lui passavano varie persone e a quanto udiva dalle loro conversazioni si intuiva che ci sarebbe stata una festa di lì a poco. Siccome serviva una tessera per entrare, Mickey era tentato di sgattaiolare nel dormitorio mentre qualcuno usciva ma si sentiva già abbastanza inquietante ad essere lì. 

Forse Ian si era sentito così tempo prima, la notte in cui si era presentato senza invito a casa sua e lo aveva aspettato fuori. Quel pensiero lo sollevò; non era l’unico a fare quel genere di cose. Ma allora le cose erano state diverse. Prese il cellulare e cercò il numero di Ian ma qualcosa lo fermò prima di chiamarlo. Rimase a fissare le proprie dita, incerto se fosse ciò che doveva fare davvero oppure no. 

- Mickey? –. Alzò la testa di scatto è sì ritrovò davanti Sean, il coinquilino di Ian. – Come va, fratello? Vivi anche tu qui? –

- Non seguo le lezioni e non vivo al campus – si affrettò a rispondere, peggiorando probabilmente la situazione. 

- Davvero? Cavolo, che ci fai qui allora? – rise Sean. 

- Fottiti, stavo solo passeggiando per il campus –

- Sei venuto fin Qi solo per vedermi? Sono commosso – esclamò raggiante Sean. Mickey lo mandò a quel paese mentre Sean apriva la porta con il proprio pass e gli faceva segno di entrare. Inizialmente aveva di tornare a casa ma poi cambiò idea ed entrò. Era meglio che Ian lo vedesse direttamente all’idea che Sean gli raccontasse di aver visto Mickey lì fuori. 

Quando arrivarono alla stanza, Sean aprì la porta e trovarono Ian seduto sul suo letto con la schiena contro al muro che guardava qualcosa al computer. – Ho trovato un randagio mentre tornavo – annunciò Sean raccogliendo alcune cose dalla scrivania. Ian non sembrò entusiasta all’idea ma poi vide Mickey che entrò con una smorfia. 

- Non sono un fottuto gat… -

- Un po’ sì in realtà – lo interruppe Sean prendendo un Gatorade dal frigo vicino al letto. 

- Ma che cosa… -

- Sì, è vero – concordo Ian ritornando a fissare lo schermo. Mickey rimase come uno stoccafisso vicino alla porta, senza sapere come prendere quelle parole ma Sean stava già cambiando discorso. 

- Sto per uscire con i ragazzi. Vuoi venire, Ian? Anche tu sei invitato, Mickey –

- No, sto guardando un film – scosse le spalle il rosso. 

- Allora immagino che restiamo solo io e te – disse malizioso Sean guardando Mickey, bevendo poi un altro sorso di Gatorade. 

- Rifiuto l’offerta – replicò tranquillamente Mickey cercando di non dare a vedere che voleva solo stare con Ian per un po’. 

- Che?! Dai, ci sarà anche dell’alcool –

- Se sei così insistente da sobrio, non voglio neanche vederti da ubriaco –

- Non preoccuparti, il mio cuore è già di Ian – rise Sean lasciando la bottiglia vuota sulla scrivania. Ian sorrise e continuò a guardare il film. Anche se Mickey sapeva che era solo una battuta, non gli piacque comunque. Sean diede uno schiaffo alla scarpa di Ian e uscì dalla stanza, girandosi a guardare Mickey. – Tu resti qui? –

Mickey lanciò uno sguardo ad Ian, che alzò gli occhi. C’era così tanto imbarazzo che Mickey desiderò quasi andarsene prima che le cose peggiorassero. 

- Posso rimettere il film da capo – disse Ian lentamente, in tono quasi insicuro. Mickey infilò le mani in tasca e cercò una risposta soddisfacente. 

- È meglio che voi due non facciate qualcosa alle mie spalle, ci rimarrei così male – ridacchiò Sean e uscì. 

Quando la porta fu richiusa, Ian si spostò sul letto premendo ancora di più la schiena contro al muro e tirando le ginocchia contro al corpo per alzare di più il computer in attesa che Mickey facesse qualsiasi altra cosa che non fosse stare in piedi vicino alla porta. Mickey cercò di non deglutire e si avvicinò con nonchalance salendo sul letto di fianco a Ian e assicurandosi di non sedersi troppo vicino. Ian riportò il film all’inizio è cliccò su “Play”. - Non è un film per ragazzine, quindi non preoccuparti – 

- Okay – mormorò Mickey in tono più basso di quanto avrebbe voluto. 

Un paio di minuti dopo la scena iniziale comparve un stronzo con una maschera da hockey che inseguiva un ragazzino nella foresta con un machete. Ian cominciò a muoversi, agitato, - Vedi bene? – chiese a Mickey continuando a guardare lo schermo. Mickey lanciò un’occhiata al suo viso e guardò la luce del computer riflettersi nei suo occhi per un paio di secondi. Decise poi che questa volta non lo avrebbe costretto a dirlo ad alta voce e si spostò di sua iniziativa, avvicinandosi il più possibile a lui senza toccarlo. 

Nessuno dei due parlò e continuarono a guardare il film mentre Mickey cercava di non sentire quanto fossero vicini. Cercò anche di seguire la storia ma non succedeva niente di grandioso e gli effetti speciali facevano piuttosto pena. - Le persone non hanno neanche così tanto sangue – borbottò quando una parete coperta di sangue riempì lo schermo. 

- Se Hollywood seguisse la fisica della vita reale I film farebbero schifo – sorrise Ian. Cominciò un flashback  che spiegava la storia dell’uomo con la maschera e Ian sembrò irrigidirsi. In quella scena l’assassino era solo un bambino con una deformazione ed era in un campo estivo. Veniva maltrattato dagli altri ragazzini e poi, in una scena al lago, nel tentativo di mostrare loro di saper nuotare, era sparito sotto la superficie e rischiò quasi di annegare, senza che nessuno lo soccorresse. 

- Forse Hollywood mostra davvero la vita reale dopotutto – commento a bassa voce Mickey mentre la scena finiva. 

- Quel tizio è immortale, cavolo – obiettò Ian. 

- Beh, nel mondo reale quei trami possono trasformarti in un vero psicopatico. Dei ragazzini arrivano a fare le sparatorie a scuola perché dei pezzi di merda come quelli gli hanno reso la vita un inferno – 

- Questo non li giustifica dal fare una cosa del genere però – ribatté Ian. 

- Sì, lo so – concordo Mickey sentendo una stretta allo stomaco. 

Dei ragazzi stavano per fare sesso quando l’assassino saltò fuori da cespugli e infilò il machete proprio in mezzo al petto della ragazza. Il ragazzo scappò urlando come un pazzo ma non aveva scampo perché si ritrovò davanti l’assassino con il machete sollevato 

- Ma che cazzo, usa il teletrasporto? – rise Mickey; stava diventando sempre più ridicolo. Lanciò un’occhiata a Ian, che si mordeva le unghie mentre tratteneva il fiato, e si ricordò in quel momento che aveva davvero paura di quei film. Intanto, nel film la testa del ragazzo fu tagliata a metà nella peggior rappresentazione di una decapitazione che Mickey ricordava di aver mai visto, ma Ian sussulto appena. – Sai che non è reale – gli sussurrò. 

- È più forte di me – sussurrò a sua volta Ian, gli occhi incollati allo schermo. – da qualche parte deve essere stato reale, un tizio che uccide qualcuno in una baracca, deve essere successo una volta – 

- Qui sei al sicuro – 

- Ma il pensiero è sempre lì – concluse Ian tremando quando cominciò a salire la tensione nel film. 

Mickey rifletté sulle sue parole. Suo padre avrebbe potuto prendere il treno in ogni momento e strapparlo da suo zio, da Ian, dalla vita che stava costruendo per sé stesso. Quel pensiero lo terrorizzò a morte e gli fece capire che cosa intendesse Ian, perché era così spaventato. Solo perché qualcosa non stava succedendo in quel momento non significa che non potesse succedere un giorno. Quindi Mickey appoggiò la mano sul suo braccio per qualche secondo per poi spostarla nella piega del gomito. Tutti i suoi nervi sembrarono attivarsi istantaneamente. Ian non tolse gli occhi dal film quindi non era nemmeno sicuro che se ne fosse accorto ma non lo sentì più sobbalzare ogni volta che successe qualcosa di pauroso per il resto della serata. 

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Capitolo 31
*** Resta ***


Il film giunse al termine e Ian ne cominciò immediatamente un altro. Mickey non protestò perché significava che Ian non lo stava ancora buttando fuori. Il nuovo film aveva come trama un’evasione ed era pieno di azione, come avrebbe potuto piacere Mickey. Un paio di minuti dopo una scena in cui due detenuti stendevano un paio di guardie, Mickey si sistema più vicino a Ian, lasciando che le loro braccia si toccasse ro senza prestarci troppa attenzione. Il film aveva anche una nota di commedia quindi Mickey e Ian riservo entrambi per la metà del tempo, piegandosi occasionalmente uno contro l’altro per le troppe risate.

Mentre Mickey era nel bel mezzo di una risata, Ian guardò la mano poggiata sul suo braccio da quasi un’ora e poi il suo viso. Aveva un sorriso talmente largo da risaltare le sue fossette e se Mickey fosse stato un personaggio famoso, sarebbe rimasto folgorato da lui seduta stante.

Dopo un paio di scene esplosive, le cose cominciarono a mettersi male per i due attori principali. Uno dei due prigionieri fu chiuso in una cella e una guardia entrò nel cuore della notte. Tenne fermo l’uomo e si capì subito cosa stava per succedere. Né Ian né Mickey riservo mentre la guardia si slacciava i pantaloni e tratteneva il prigioniero sul pavimento di pietra, ascoltando i suoi lamenti.

- Possiamo saltare questa parte – disse a disagio Mickey con un colpo di tosse ma non lo disturbava tanto quanto la preoccupazione che potesse avere conseguenze su Ian. Dopotutto, Ian aveva passato anni a reprimere i suoi sentimenti sul sesso, vedendolo più come un dovere che un atto di affetto e Mickey era sicuro che una scena come quella potesse suscitargli dei brutti ricordi.

- Hai mai fatto sesso, Mickey? – chiese Ian invece di fermare il film.

- Come? È davvero il momento di chiedere questo? –

- Gli amici parlano di queste cose, no? – replicò casualmente Ian guardandolo con la coda nell’occhio. I gemiti disturbanti dell’uomo continuavano in sottofondo.

- Okay, beh, sì – rispose Mickey guardando in basso invece di guardare il film. Ian si raddrizza e si voltò di scatto verso di lui.

- Cosa, davvero? –

- Dovrei offendermi? – chiese beffardo Mickey e fortunatamente la scena finì lasciando posto ad un monologo del protagonista.

- Ma tu… -. Ian si bloccò in cerca delle parole. – Quando? Con chi? Perché diavolo non lo sapevo prima? –

- Ci sono tante cose che non sai – ammise Mickey facendo spallucce e poi rise. – No, okay, in effetti sai un bel po’ di cose ma c’è un periodo di merda di cui non sai nulla. Immagino che valga per entrambi, no? –

- Sì, penso di sì – dovette ammettere Ian, ancora sconvolto. – Però… ma che cazzo? Non ho mai saputo che tu fossi… merda –

- A differenza tua, non andavo con gente a caso –

- Come scusa? –

- A quel tempo scopavo solo con persone vicine a me – spiegò Mickey come se fosse la cosa più ovvia del mondo. – Non mi fidavo, né mi fido tuttora così facilmente, o sbaglio? –

- Hai paura a sederti vicino a me ma hai fatto sesso con altre persone? – esclamò Ian, rivolto più che altro a sé stesso.

- Scusa se anche io sono stato un adolescente arrapato – alzò gli occhi al cielo Micky. – Solo che io andavo con le stesse persone nell’arco di un lungo periodo di tempo –

- Okay, e questo quando è successo? – rimase a bocca aperta Ian guardando il film ma senza registrare quello che avveniva sullo schermo.

- Durante i miei anni bui – rispose ironico Mickey e poi scosse la testa. – Verso la fine delle scuole medie e l’inizio delle superiori. Ho fatto un sacco di cazzate, sai, non andando nemmeno a scuola –

- Okay, okay – cominciò a capire Ian passandosi le mani sul viso. – Quindi andavi tipo con la stessa persona ma più di una volta? –

- La maggior parte delle volte sì – rispose Mickey. -Anche se al tempo non me ne fregava così tanto di cosa implicasse. Scopavamo perché non avevamo nient’altro da fare, fine della storia –

- Hai fatto storie a me perché scopavo senza vincoli e perché il sesso non significava niente per me –

- Non è la stessa cosa –

- Ah e perché? – chiese Ian mette da parte il computer per rivolgere totale attenzione a Mickey.

- A me non fregava niente di scopare quelle persone e a te sì, cosa c’è di difficile da capire? – ribatté Mickey sfidandolo a contraddirlo. Ian non sembrò aver qualcosa da ribattere Ian non sembrò avere qualcosa da ribattere quindi spostò lo sguardo per poi riportarlo su Mickey.

- Okay, mi sembra giusto. Quindi ti scopavi ragazze o ragazzi? –

- Entrambi – rispose Mickey sperando che essendo il più sincero possibile potesse riacquistarsi la sua fiducia.

- Oh – rifletté Ian, ancora senza parole. – Quindi scopavi solo con i tuoi amici ma era solo per piacere fisico? –

- Sì, era perlopiù così – rispose semplicemente Mickey.

- Mi sembra di non sapere così tante cose di te come pensavo –

- Beh, nemmeno io – fece spallucce Mickey senza sapere dove fosse diretta quella conversazione.

- Non hai mai cercato di scoprirle – ribatté Ian con aria di sfida.

- Mah, ho letto i tuoi diari –

- Questo perché non hai avuto il coraggio di chiedermi direttamente – sospirò Ian. Mickey lasciò cadere la testa contro al muro.

- Cristo, ci sto provando Ian –

- Sì lo so – dovette riconoscere lui e Mickey lo guardò con la coda nell’occhio.

 - Cosa dovrei sapere di te che non so? –

Ian rise e ci pensò per un momento avvicinandosi di più a Mickey, posando il braccio quasi sopra al suo ma nessuno dei due disse niente al riguardo. – Così fai fare tutto il lavoro a me. Perché non chiedi direttamente se vuoi sapere? –

- Dio, scusa – rise Mickey riflettendo. – Okay, restiamo sul leggero o…? –

- Chiedi tutto quello che vuoi Mick, spara –

- Era solo per chiedere – replicò Mickey sulla difensiva strofinando la mano sul ginocchio. – Okay, allora, raccontami della volta in cui ti sei ubriacato di più –

- La volta in cui mi sono ubriacato di più? È una domanda bizzarra –

- Vuoi rispondere o no? –

- Okay – rispose Ian. – Quando avevo quattordici anni sono andato ad una festa e mi sono fatto qualche shot pesante, più di quanto volessi. Qualcuno mi ha filmato mentre giravo per la casa mentre facevo il saluto militare, marciavo e cantavo come un matto. Poi sono svenuto nella vasca da bagno al piano di sopra, è stato troppo imbarazzante –

- Ora voglio vederti ubriaco – commentò sollevando un angolo delle labbra.

- Io ho visto te ubriaco, eri davvero appiccicoso – disse Ian sinceramente. Mickey arrossì.

- Ah già, è successo quando mio padre… - borbottò, ma cambiò rapidamente discorso. – Una volta hai menzionato che i tuoi genitori  vi hanno lasciati soli. Come mai? –

Ian rimase in silenzio per un attimo e incrociò le braccia intorno alle ginocchia. – Mio padre è letteralmente la definizione del pezzo di merda. Considerati fortunato a non aver assistito quando è entrato in casa ubriaco marcio e strafatto, come un rifiuto… -

-Che cosa fa? – lo incoraggiò Mickey, era contento di poter sbirciare nella vita di Ian per una volta.

- Lui… non so neanche dove cominciare È un parassita, mette tutti ne guai, dice bugie, fa tutto quello che può rendere la vita facile a sé stesso. L’unica cosa che mi ha fermato dal ridargliele indietro… -

- Ridargliele indietro? – chiese con una smorfia Mickey girandosi a guardarlo.

- Ha cercato di prendermi a pugni quando gli ho tenuto testa. Ma non è riuscito a far molto, è solo un vecchio ubriacone. Ma la cosa peggiore è sapere che potrebbe arrivare in ogni momento, prendere quello che vuole, dire quello che vuole e per la metà del tempo sembra che non siamo in grado di farci nulla. Non so come faccia a scamparla sempre –

- Cavolo, non ne avevo idea – confessò Mickey sentendosi in colpa. Per tutto quel tempo si era lamentato di suo padre della merda che affrontava ogni giorno, ma a quanto pare anche Ian era sulla stessa barca. Non aveva nemmeno mai pensato di chiedergli dei suoi genitori  e in quale ambiente infernale era cresciuto.

- Me lo sono lasciato alle spalle ormai. Io sono qui e lui probabilmente sarà da qualche parte in Messico senza un soldo in tasca – replicò Ian ma non era così sincero come voleva far sembrare.

- Merda, mi dispiace di non aver mai chiesto – esalò Mickey con la testa bassa Ma prima che Ian potesse pensare che si trattasse di senso di colpa e che potesse confortarlo, perché sfortunatamente faceva parte della sua natura altruista, Mickey si affrettò ad aggiungere: - Voglio dire, ora posso chiedere no? –

Ian emise un lieve gemito, come una sorta di sospiro. – Certo che puoi chiedere –

- Come fai ad essere sempre felice come se il mondo non potesse mai finire? – chiese Mickey mordendosi il labbro.

- Quando finirà, finirà e basta. Il giorno arriverà quando deciderà di arrivare -rispose semplicemente Ian e Mickey emise un grugnito lamentoso.

- Come ho già detto, il tuo ottimismo m sfinisce –

- Ti sta contagiando, vero? – disse Ian colpendogli delicatamente il ginocchio e la spalla, trattenendosi un po’ di più.

- Ma sì, perché no? – esalò Mickey sorridendo e chiuse di nuovo gli occhi con la testa contro al muro. Rimasero in silenzio, un silenzio piacevole, il più sereno che ci fosse mai stato tra di loro. E non era strano, non sembrava mettere in difficoltà il loro nuovo accordo di amicizia, essere appoggiati uno contro l’altro mentre si intrattenevano in una conversazione in cui cercavano di scoprire di più uno dell’altro. Mickey desiderò averlo fatto in passato piuttosto che tenersi lontano, tenere Ian lontano.

- Ho mentito, non sono sempre così ottimista – sbuffò Ian rompendo la quiete. – Sono solo bravo a fingere –

Mickey lo guardò attraverso le palpebre mezze abbassate, osservando il modo in cui sembrò sconfortarsi, la stanchezza dipinta sul suo viso. – Questo perché sei talmente occupato ad aiutare gli altri con le loro vite di merda che ti dimentichi della tua – replicò piano Mickey. Ian non ribatté e affondò tra le spalle.

- Sono abbastanza sicuro che Lip sia l’unica persona con cui parlo davvero. Però penso sia perché è mio fratello, è un ruolo che ha da quando è nato praticamente – spiegò Ian cercando di sorridere ma allargò e restrinse semplicemente le labbra nervosamente.

- Beh, adesso hai me se vuoi – suggerì Mickey. Fu difficile dirlo ma lo fece, lo aveva detto davvero. Finalmente aveva messo Ian al primo posto per un dannato minuto dopo aver lasciato sfuggire quelle parole, voleva solo continuare a rifarlo ancora e ancora. Voleva restare alzato tutta la notte e fare quello che stava facendo, ascoltare tutto quello che Ian si teneva dentro.

- Sì? – sorrise Ian; naturalmente aveva sentito bisogno di assicurarsene dato che Mickey aveva spezzato al fiducia che c’era tra loro ormai.

- Puoi contarci – rispose Mickey, un po’ esitante e incapace di incrociare il suo sguardo poiché la sua spavalderia stava cominciando a venire meno.

- Non andrai da nessuna parte? – chiese ancora Ian, senza aggiungere “come prima” per non fargli venire i sensi di colpa. Non era previsto dal loro piccolo accordo, ma Ian non poté evitare di sentirsi sopraffatto da quel momento e fece scivolare la mano sul suo polso, le dita che sfioravano quasi il palmo. Era come se volesse vedere se si sarebbe ritirato da quel contatto o no, vedere come avrebbe reagito, se potevano semplicemente condividere i loro dolori e darsi conforto a vicenda senza complicare le cose.

- Solo se tu lo vorrai – rispose Mickey, il viso accaldato, e preso anche lui dal momento alzò il braccio in modo che la mano di Ian scivolasse nella sua, per poi guardare Ian come per chiedere approvazione.

- Okay – disse Ian. Provava una miriade di sentimenti tutti insieme.

Mickey non riuscì più a mantenere lo sguardo nel suo quindi abbassò la testa ma intrecci le dita con le sue e si rannicchiò su sé stesso per restare stabile. A quel punto nona aveva più importanza se erano amici o se erano qualcos’altro. Dio, chi aveva bisogno di etichettare tutto per forza? Ciò che importava era che Mickey voleva essere almeno qualcuno a cui Ian poteva affidarsi per una volta, che poteva fare qualcosa per lui anche se era solo stare seduto lì con lui, mano nella mano.

- Non devi smettere di parlare – grugnì Mickey; si sentiva così nervoso solo per il fatto di tenerlo per mano, anche se pochi secondi prima stava parlando del suo periodo di gloria in cui andava a letto con vecchi amici.

- Cosa vuoi che dica? – chiese Ian in tono sommesso.

- Qualsiasi cosa, basta che, insomma, hai capito –

- Grazie – rispose Ian; il suo respiro si faceva sempre più pesante. – Però forse preferisco tenermelo per un altro momento e restare così per un po’ se ti va bene –

Mickey non rispose, ascoltò semplicemente il suo respiro regolare riempire la stanza. Era il rumore di sottofondo più piacevole che poteva sperare di udire. La mano di Ian si rilassò nella sua e poi si sistemò in una posizione più dinoccolata per poter appoggiare la testa sulla sua spalla. Mickey si irrigidì istintivamente ma cercò di restare immobile e di non spostarsi. I suoi occhi caddero sul volto di Ian; aveva un’espressione stravolta come se potesse crollare addormentato da un momento all’altro ,a quando si abbandonò a quel contatto Ian fece lo stesso e il suo viso si distese.

Chiuse gli occhi e la posizione divenne sempre più confortevole, poi ascoltò il respiro del rosso cambiare di nuovo ritmo, distinguendo immediatamente il momento esatto in cui si addormentò, quando il suo capo si rilassò e si abbandonò completamente su di lui. Il sonno ebbe lentamente il sopravvento anche su di lui e Mickey si assopì contento, perché nessun padre avrebbe fato irruzione nella stanza e avrebbe fatto loro del male e questo gli infuse una tale pace da farlo addormentare più velocemente di quanto gli fosse mai successo prima.

 

 

Quando Mickey si svegliò si sentiva dolorante, la schiena incurvata in una strana posizione contro al muro e le gambe allungate sul letto di Ian. Ian era appoggiato a lui, la mano ancora nella sua e la testa che ciondolava sulla sua spalla.

Mickey socchiuse gli occhi in direzione della finestra da cui entrava il sole riversandosi nella stanza e, porca miseria, come avevano fatto a dormire in quel modo per tutte quelle ore? Controllò il letto di Sean ma lui non c’era. Si liberò dalla presa di Ian più lentamente che poté e lo fece sdraiare delicatamente sul letto. Ian emise un gemito di protesta quando Mickey lasciò la sua mano e si rigirò sulla pancia. – Resta qui – mormorò con voce assonnata.

- Devo andare a lavorare – rispose Mickey alzandosi.

- È sabato – obiettò Ian con gli occhi ancora chiusi sollevando una mano nella sua direzione.

- Il lavoro non si ferma solo perché è il weekend – rise divertito Mickey arrotolando le maniche solo per un momento per il troppo caldo, prima di ricordarsi perché di solito non lo faceva, quindi le abbassò di nuovo.

- Fammi vedere – mormorò Ian, gli occhi appena aperti quando prese il braccio di Mickey e lo tirò più vicino. Sbattè le palpebre ma i suoi occhi erano comunque annebbiati. Gli sollevò la manica e diede un’occhiata al suo braccio esposto. – Non nasconderle – disse con voce roca e strofinò il viso  contro al suo bicipite percorso da cicatrici di tagli, bruciature e altre ferite ormai sbiadite ma che non sarebbero mai andate via. Mickey rimase senza parole quando Ian si allontanò e si girò sospirando verso il muro.

- Ehm… ci vediamo più tardi. Devo andare – balbettò.

- ‘Kay – rispose la voce soffocata di Ian, attutita dal muro.

- Ciao bello – salutò Mickey avviando si verso la porta.

- Quale lavoro? – chiese improvvisamente Ian in tono meno stordito, costringendolo a fermarsi in mezzo alla stanza e a girarsi verso di lui.

- Devo fare alcune cose con mio zio –

- Devi proprio andare? – chiese piano Ian, inalando un respiro.

- Beh, non è che sono obbligato, ma devo guadagnarmi la mia parte per stare a casa sua -. Ma poi Mickey ci ripensò; dopo la conversazione della sera prima sapeva che suo zio lo avrebbe preso a calci se si fosse presentato in studio quel giorno quindi si passò una mano tra i capelli, cercando di capire cosa fare. – Tu vuoi che resti? – chiese con il cuore che batteva più forte. Ian fece qualche verso ma non diede una risposta precisa quindi Mickey attraversò la stanza è si sedette sul bordo del letto con gli occhi fissi sul pavimento. – Va bene, posso restare – deglutì congiungendo le mani in mezzo alle gambe aperte.

Ian si girò sulla schiena, più sveglio che mai. Siccome non disse nulla di ciò che pensava, Mickey parlò ad alta voce per lui. – Tranquillo, non vado da nessuna parte – concluse scalciando via le scarpe e si sdraiò sul letto con un sonoro sbadiglio.

Dopo un breve silenzio si girarono entrambi uno verso l’altro fissandosi per qualche secondo. Ian sorrise e allungò le braccia dietro alla testa, richiudendo gli occhi per tornare a dormire. Mickey incrociò le braccia sull’addome e guardò il soffitto anche se solo per un minuto perché non gli ci volle molto per crollare addormentato a sua volta.

 

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Capitolo 32
*** Togliersi Un Peso ***


Sapere che Mickey non era vergine gli stava dando alla testa. Per tutto quel tempo non si era mai chiesto se Mickey avesse mai fatto sesso o no. Riuscire a condividere lo spazio con lui era già abbastanza difficile quindi era incredibile pensare che avesse permesso a qualcuno di toccarlo così intimamente.

Probabilmente quello non era il momento migliore per pensare alla vita sessuale passata di Mickey visto che era seduto di fronte a lui che mangiava un gelato, muovendo la lingua in un modo che gli faceva contorcere le viscere. Erano all’ombra di una quercia e nessuno dei due lo disse ma essere seduti sotto a quell’albero, il più grande al centro del campus, ricordava il loro posto esclusivo alle superiori.

- Ho sempre pensato che tu fossi allergico al cibo ma hai preso la coppa più grande nel menù – rise Ian osservandolo portarsi alla bocca una cucchiaiata di gelato alla vaniglia.

- Se fossi stato al sole per quattro ore anche tu vorresti la coppa più grande –

- O magari sei sempre stato segretamente una fogna per tutto questo tempo –

- Vai a farti fottere – rispose con un sorrisetto Mickey. – Chi è che ha voluto prendersi a tutti i costi uno yogurt alla pesca, mango, quel cazzo che è, prima di andare in classe? –

- Se avessi saltato la colazione anche tu vorresti uno yogurt alla pesca, mango, quel cazzo che è – rise a sua volta Ian gustandosi il suo yogurt ai frutti tropicali.

- Amico, dare lezioni di chitarra ai ragazzi del college è più stancante di tutte le altre cose che faccio – protestò Mickey leccandosi il cioccolato dal labbro inferiore. Gli occhi di Ian rimasero fissi in quel punto per un momento e dovette trattenere un gemito per quella tale ingiustizia.

- Davvero? Credevo che tu avessi detto che la musica è la tua vita e tutto ciò di cui hai bisogno –

- Sì ma non vuol dire che mi piaccia insegnarle –

- Qualcosa di buono dovrai pur farlo se continuano a pagarti – rise Ian tra una cucchiaiata e l’altra.

- Non so, devo trovarmi qualcosa per cui lavorare davvero. Faccio le stesse cose tutti i giorni –

- Potresti cominciare con il prenderti una macchina – suggerì Ian.

- Non mi serve – fece spallucce Mickey raccogliendo alcuni pezzi di banana nascosti sul fondo.

- Ti servirà se vuoi andare da qualche parte che non sia qui –

- Non devo andare da nessuna parte – cercò di cambiare discorso Mickey; non aveva voglia di parlare del futuro. Lasciò vagare la mente per un minuto e ad un tratto gli venne in mente una cosa.

- Intendo che magari un giorno potresti… -

- Aspetta – lo interruppe Mickey guardandosi intorno. – Hai visto Mandy ultimamente? –

- L’ho vista stamattina quando ha perso la prima ora – rispose Ian sollevando le sopracciglia.

- Devo dirle una cosa –

- Ah sì, che cosa? –

- Non sono affari tuoi, ecco cosa – rispose beffardo Mickey e Ian sorrise.

- Mandy è la mia migliore amica, gli affari suoi sono anche miei –

- Probabilmente finirà a dirlo anche a te quindi faccio prima a dirtelo io – sospirò Mickey tornando a rigirare il cucchiaio nel gelato. – Mia mamma ci ha mandato dei biglietti per Miami, dove vive con la sua nuova famiglia da copertina, e vuole che passiamo a trovarla. Ha un bel coraggio –

- Ci vai? – chiese Ian con il naso nello yogurt. Quando vide la faccia da “Mi prendi per il culo?” di Mickey alzò gli occhi al cielo. – Se non vuoi andare allora dallo a me cazzo, ci vado io con Mandy –

- Cosa? Perché dovresti… -

- È un viaggio gratis a Miami – rispose Ian. – Non sono mai uscito da Chicago, figurati dall’Illinois. Puoi rifiutare il viaggio, ma almeno dallo a me –

- Fa tutto schifo come qua, non aspettarti chissà che cosa –

- Solo se sei tu a vederla così – dissentì Ian.

- E va bene, vai con la tua maledetta migliore fottuta amica – borbottò Mickey irritato posando il gelato sulla gamba. Ian gli lanciò un’occhiata divertita da quel turpiloquio di parolacce.

- Pensi che Mandy voglia andare? –

- Se lo sapessi non ti avrei chiesto dove cazzo è –

Si stavano inoltrando nel mese di Settembre e il campus brulicava di energia visto che splendeva il sole e l’aria era tiepida, non umida. Mickey guardò le persone che giocavano nella fontana, sdraiato che prendevano il sole, altre che si lanciavano dei frisbee e altre che parlavano in gruppo. – Cosa c’è da fare qui intorno? – chiede senza capire perché tutti andassero a destra e a sinistra.

- Non saprei, il campus offre diverse attività se sai dove andare. Di solito vado dove vuole Mandy –

- Segui l’istinto eh? – disse con un sorrisetto Mickey e raccolse un po’ di gelato. – Non hai lezione? –

Ian controllò l’orologio e poi finì l’ultima cucchiaiata di yogurt. Si grattò la guancia e giocherellò con il bordo della maglietta. – Sì ma preferirei… -

- Ian! –

Ian sollevò la testa di scatto e Mickey fulminò chiunque avesse emesso quella voce odiosa. Era Sean, insieme ad un altro ragazzo; sembravano due idioti lì in piedi con il loro pranzo cinese che li guardavano dall’alto. – Fate spazio – disse Sean cercando di infilare il piede nello spazio minuscolo in mezzo ai loro corpi.

- C’è un sacco di spazio, proprio là – ringhiò Mickey indicando l’altro lato del campus.

- Come va, Ian? – salutò l’altro ragazzo con un sorriso sghembo. Ian ricambi con un sorriso incerto.

- Ehi, Riccioli d’oro, che ne dici se tu e il tuo amico vi levate dalle scatole? – sbottò Mickey. Non aveva proprio vogli di parlare con quei due. Sean gli diede un calcetto.

- Sono biondo cenere, non dorato – ribatté infilandosi una mano tra i ricci. – Chi ti ha cagato nella colazione stamattina? –

Mentre Mickey lo guardava minaccioso, si rese conto che l’altro biondo era il ragazzo nella foto che Mandy gli aveva mandato qualche sera prima, il ragazzo che voleva fare finire a letto con Ian.

- Fratello, lo finisci quel gelato? – chiese il biondo in questione. – Ti mancano tre o quattro cucchiaiate –

- Cristo, Blake, puoi essere più scroccone di così? – chiese Sean con una smorfia. Mickey raddrizzò la schiena.

- Parla quello che ha cercato di farsi pagare le patatine da uno che non conosce nemmeno – intervenne Mickey e guardò torvo Blake. – Tu chi cazzo sei? Col cavolo che ti lascio mangiare… -. Ian gli prese la coppa di mano e si mise in bocca tutto il gelato rimasto in un unico boccone. Lo fissarono tutti quando sospirò soddisfatto, buttando la coppa sua e di Mickey, ormai vuote, e si girò verso di loro.

- Ci vediamo più tardi ragazzi, devo andare a lezione. Grazie, Mick – sorrise furbescamente e se ne andò senza dare a Mickey il tempo di dire qualcosa.

- Diavolo, Ian è una scheggia – rise Sean. Blake fece un sorrisetto.

- Chissà cos’altro sa fare con quella bocca… -

- Che schifo, tieniti queste fantasie per te, è un mio amico – rabbrividì Sean, sinceramente disturbato. Mickey dovette nascondere in tasca i pugni chiusi per la rabbia che ribolliva dentro di lui. Era cambiato, non era più violento e stava bene; ecco cosa continuava a ripetersi. Non appena si fu alzato, Blake e Sean si se dettero per terra. Sean alzò la testa per guardarlo mentre separava le bacchette.

- Vuoi venire ad una festa con noi stasera? Viene anche Mandy –

- Sono certo che Mandy sarà felicissima di vedere suo fratello lì con lei mentre si struscia su di te e suoi tuoi amici del cazzo – rispose Mickey, lo sguardo furioso ancora puntato sul ragazzo biondo ossigenato.

- Beh, ci sarà Ian e naturalmente anche io – aggiunse malizioso Sean. – So che non puoi resistere a questo invito –

- Hai certamente passato troppo tempo intorno e mia sorella e a Ian –

- Penso sia solo un bastardo presuntuoso – intervenne Blake. Sean sorriso e incrociò le braccia.

- Non posso farci niente se sono irresistibile e visto che adesso anche Mickey conosce questa geniale testolina, lo sto solo informando che è normale desiderarmi –

- Geniale? La tua testa di cazzo semmai – replicò Mickey ma desiderò aver tenuto la bocca chiusa perché Blake scoppiò a ridere. Gli occhi di Sean scintillarono quindi Mickey aggiunse: - Non so, forse dovrò lavorare con mio zio stasera –

- Dagli buca – disse Blake senza mezzi termini. Ancora una parola dalla bocca di questo tizio e Mickey sarebbe esploso.

- Dirò a Ian di mandarti il mio numero così puoi dirmi se vieni – concluse Sean rigirando le bacchette nei noodles.

- Col cavolo che voglio il tuo numero –

- Mi piace quando fai il prezioso – sorrise Sean risucchiando un po’ di lo mein.

- Fai un po’ troppe battute per essere etero – grugnì Blake sembrando comunque impressionato.

- Sì, okay, vediamo – replicò disinteressato Mickey e i due lo salutarono agitando la mano mentre si allontanava.
 

Mandy irruppe nella stanza di Ian e di Sean quella sera e la prima cosa che fece fu saltare addosso a Ian per abbracciarlo.

- Perché a me non dai mai un abbraccio? – protestò Sean dalla scrivania e Mandy gli fece la linguaccia. Ian rise e ricambi l’abbraccio.

- Sbrigati Sean, mettiti una maglia – lo rimproverò Mandy battendo le mani.

- Che c’è, pensi di non riuscire a trattenerti davanti a Ian? –

- Ho avuto una lunga giornata e sono pronta per andare a ballare stronzo –. Mandy cercò di farlo sbrigare correndo alla porta.

- Mi usi solo perché sono bello – sospirò Sean raccogliendo una maglia dal pavimento.

- E per la tua macchina – aggiunse Mandy guadagnandosi un dito medio. Quando Ian si fu infilato le scarpe, uscì in corridoio con Mandy e si appoggiò al muro.

- Mickey doveva parlarti –

- Di cosa? – chiese lei arricciando il naso, incerta su cosa aspettarsi.

- Qualcosa su tua madre – rispose cauto ma Mandy non ebbe alcuna reazione.

- Ah sì, che cosa? –

- Beh, non ha detto che non dovevo dirtelo, quindi… vuole che voi due andiate a trovarla a Miami, vi ha mandato i biglietti –

- Davvero? – rise Mandy mentre Sean chiudeva a chiave.

- Sì, non so per quanto –

Scesero le scale tutti  tre e uscirono nel parcheggio avviandosi alla macchina di Sean.

- Mickey non accetterà mai e nemmeno io – replicò Mandy ridendo di nuovo.

- Oh, okay – disse piano Ian un po’ sorpreso da quella risposta. Mandy non aveva mai manifestato odio nei confronti dei suoi genitori come faceva Mickey ma era anche vero che lei non parlava mai di loro in generale.

- Hai scritto a Mickey? Devo passare a prenderlo? – chiese Sean facendo retromarcia.

- Non mi ha risposto – mormorò Ian. Abbandonò la testa contro al finestrino, pensieroso. Ultimamente Mickey si faceva vedere di più e la loro conversazione di qualche giorno prima ne era la prova. In realtà Ian non aveva diritto di aspettarsi nulla da parte sua ma era felice di vederlo uscire dal guscio. A volte Mickey gli chiedeva di pranzare insieme quando non stava lavorando e Ian non aveva lezione. Okay, forse era Ian a vederci più di quello che era nella sua testa ma era perlopiù Mickey a prendere l’iniziativa quindi doveva pur contare qualcosa. Parlavano del più e del meno e Ian non si sentiva mai come se dovesse trattenersi troppo. Forse era perché erano amici e mantenevano il rapporto in una zona sicura, senza rovinarle oltrepassando quella linea invisibile.

Quando giunsero dall’altra parte del campus e uscirono dalla macchina, alcuni ragazzi raggruppati davanti alla casa li salutarono agitando le mani e si spintonarono insieme a Sean mentre entravano.

- Che cos’abbiamo qui? – chiese uno dei ragazzi a Mandy squadrandola da capo a piedi.

- Non pensarci nemmeno fratello, lei è mia – intervenne Sean dandogli una leggera spinta.

- Non sono di nessuno se non me stessa. Vieni, Ian – ribatté lei sprezzante prendendo il braccio di Ian e trascinando dentro. C’erano parecchie persone alla festa. Fortunatamente Ian non provò quella sensazione di ansia che lo pervadeva quando andava in quei posti, non come in passato. Anzi, si sentiva persino euforico, caricato dalla musica. Mandy gli fece fare una giravolta con una risatina e Ian rise a sua volta, lasciando che le sue gambe si muovessero vivaci intorno a lui. Ballarono giocosamente insieme per un secondo finché non comparve Blake con un bicchiere di plastica in mano, facendo immediatamente una radiografia ad Ian.

- Ehi Blake – lo salutò Mandy lasciando il braccio di Ian e sorridendo in mezzo ai due ragazzi. Ian le lanciò un’occhiata di avvertimento; non era un segreto che volesse farli finire a letto insieme.

- Da quanto siete arrivati? – chiese il biondo guardando direttamente lui.

- Proprio adesso – li precedette Sean infilandosi in mezzo a Mandy e Ian. In mano teneva due drink che passò a entrambi. Ian ringraziò ma Mandy lo tracannò immediatamente spostando lo sguardo seccata, forse dal commento di poco prima.

- Nell’altra stanza stanno facendo i body shot, volete venire? – suggerì Blake a voce più alta visto che la musica era cambiata e faceva vibrare le pareti con il rimbombo dei bassi.

- No grazie – rispose Ian guardandosi intorno.

- Sembra divertente – replicò invece Mandy porgendo il bicchiere vuoto a Sean che aveva puntato gli occhi su di lei senza staccarli neanche per un secondo dal momento in cui si era avvicinato.

- Mandy, io vado di là – la informò Ian a voce alta spostandosi per riuscire a vederla dietro a Sean.

- Okay, ci vediamo tra un po’. Se esagero sai già cosa fare –

- Venire da te, lo so – replica Ian beffardo bevendo la sua birra.

- Vuoi socializzare? Non ci credo – esclamò Sean e Ian alzò gli occhi al cielo lasciandoli soli per andare a curiosare un po’ in giro. Forse era il momento di staccarsi un po’ e soprattutto smettere di seguire Mandy e farsi un po’ gli affari suoi.

Andò nella stanza accanto senza trovare qualcosa o qualcuno di interessante. Una ragazza era in piedi su un tavolo che si spogliata ormai già in reggiseno, con un capannello di gente intorno che la acclamava. Totalmente disinteressato, Ian si girò per cambiare direzione e andò a sbattere contro una persona.

- Scusa – disse timidamente quest’ultima, indietreggiando. Era una voce maschile piuttosto delicata e quando Ian alzò la testa vide che non rispecchiava le fattezze del suo proprietario. Zigomi pronunciati, carnagione pallida, diversi piercing alle orecchie, una testa di capelli neri corvini e occhi color giada. Quando vide Ian sorrise, sfoggiando un paio di canini brillanti. Prima che Ian potesse scusarsi a sua volta, il ragazzo gli puntò un dito contro al petto. – Ehi, ma tu non sei Ian Gallagher? –

- Uhm… sì? – balbettò sbattendo le palpebre.

– Questo “sì” non mi sembra molto sicuro –

- No, voglio dire, sì, sono io – si impappinò Ian senza capire a dove arrivasse tutto quell’imbarazzo. Era sempre stato sicuro di sé quando si trovava di fronte a dei bei ragazzi, ad eccezione di Mickey.

- Wow, qui intorno c’è più South Side di quanto credessi possibile - esclamò raggiante il giovane. – Sono Colt. Sei la terza persona del South Side che incontro quest’anno –

- Davvero? – chiese Ian sorseggiando la propria birra solo per tenere sotto controllo quello stupido balbettio.

- Sì, credimi. Prima Angie Zago, sempre una panterona, poi Wayne Du Shan, che continua con il suo laboratorio di anfetamine come attività extracurriculare e poi un tizio che viveva nella mia stessa strada, ora non ricordo il suo nome, dannazione –

Quando Ian si fu ripreso, ancora nervoso per quanto lo avesse destabilizzato quel ragazzo, esalò profondamente. – Quindi hai dimenticato il nome di un tuo vicino di casa ma ricordi il mio? –

- Ehi a mia discolpa posso dirti che andavamo alla stessa scuola superiore – rise Colt dandogli un gentile colpetto sulla spalla. – Facevamo ginnastica insieme al secondo anno. Mi ricordo quei capelli rossi. Ah, quello e anche che una volta mi hai parato il culo –

- Sei sicuro che fossi io? – buttò fuori Ian confuso. Si sarebbe sicuramente ricordato di un ragazzo così ma non gli veniva in mente nessun ricordo.

- Quanti rossi c’erano nella nostra classe? Sì, avevi detto a quello stronzo del coach che ero in spogliatoio quando invece stavo fumando erba vicino alla pista. Così ho sentito dire ma se non sei stato tu sarà stato sicuramente qualcun altro –

- Aspetta un minuto – lo interruppe Ian, realizzando lentamente. – Colton? Ah, merda, sì, dormivi sempre sulle gradinate così il coach non ti vedeva –

- Bei tempi, cazzo – sorrise Colt. – Dai amico, non posso credere che anche tu sia qua –

Ian rise finché non vide qualcuno fari largo in mezzo alla folla, camminando incerto verso di loro. Era Mickey, con i capelli scompigliati, le palpebre pesanti per la mancanza di sonno e il viso arrossato come se avesse appena fatto una corsa. La reazione iniziale di Ian a Colton non fu niente in confronto ala reazione del suo corpo a Mickey. Gli si mozzò il fiato, il sangue sembrò pompargli nelle vene a velocità supersonica, gli si seccò la gola e perse la capacità di pensare razionalmente.

- Volevo risponderti ma a mio zio non piace quando usiamo il cellulare sul lavoro – disse Mickey burbero, sistemando la felpa smessa dalla folla tutt’intorno. Ian non rispose, troppo occupato a trattenersi dal saltargli addosso all’istante.

- Mickey MIlkovich? Porca puttana – esplose Colt ancora più scioccato di prima. Mickey lo guardò ugualmente sorpreso ma anche molto più sprezzante. – Che cazzo ci fai tu qui? – chiese in tono acido. I suoi occhi si spostarono su Ian in cerca di una silenziosa spiegazione ma ritornarono subito su Colt.

- È questo il modo di salutare un vecchio amico, Mick? Vengo a scuola qui –

- Tu vieni a scuola qui? Ma non prendermi in giro –

- Sì, al cento per cento un fighettino del college – fece un sorrisetto Colt; il sorriso che rivolse a Mickey non era carino come quello diretto a Ian. – E tu? L’ultima volta che ci siamo visti il college per te avrebbe anche potuto bruciare all’inferno –

- Cristo Santo – ringhiò Mickey ispezionando la stanza con lo sguardo.

- Cerchi qualcuno? – chiese Colt, più compiaciuto che mai ora. Quando Mickey non rispose, Colt chiuse il loro piccolo cerchio e incrociò le braccia al petto. – Beh, non c’è. Ci siamo solo io e Davey. Però vive qui vicino, potresti chiamarlo se vuoi vederlo –

- Non so di chi cazzo stai parlando – . Questo era proprio tipico di Mickey, il suo modo di evitare la situazione mentre il tono della risposta celava una latente paura.

- Stai attento con questo qui – rise Colt rivolgendosi a Ian con lo stesso tono amichevole di poco prima. – È meglio non farselo nemico –

- Chiudi quella bocca – sputò minaccioso Mickey ma questo provocò solo una risata a Colt, che guardò Mickey senza scomporsi.

- Sei sempre lo stesso, fratello. Se più tardi vuoi fare un salto, tra un’ora esco con David. Sai chi ci sarà, se vuoi venire –

Mickey si girò dall’altra parte e fu sul punto di andarsene ma non lo fece. Quando si ricordò che Ian era lì in piedi insieme a loro, Ian alternò lo sguardo tra i due sentendo la tensione crescere sempre di più.

- Ehi, non so se conta qualcosa per te, ma mi manca averti intorno – disse sincero Colt ma questo sembrò far arrabbiare Mickey ancora di più, quindi si girò di nuovo verso Ian. – Mi ha fatto piacere vederti, Ian. Magari puoi venire a cercarmi se non hai niente da fare. Qual è il tuo dormitorio? –

Ian guardò Mickey che continuava a restare un silenzio con la testa bassa in quel modo che lasciava capire che fosse a disagio e nervoso. Se Mickey si sentiva così Ian non poteva rincarare la dose e andare con quel ragazzo. – Ehm, magari un’altra volta – declinò gentilmente. Colt rise leggermente, cogliendo il segnale.

- Beh, se ti va di solito sono vicino al campo da baseball con i miei amici. Puoi venire  a fare un giro se ti annoi, non mordiamo –

- Mh, okay – replicò ansiosamente Ian, avvertendo quasi la tensione emanata da Mickey. Quando Colt se ne andò, Ian non attese oltre per girarsi verso di lui. – Mick? –

- Sì, che c’è? – replicò Mickey alzando la testa con un’espressione vuota. Ian stava per chiedergli che cosa fosse appena successo e chi diavolo stesse cercando quando si era guardato intorno m invece la sua parte ansiosa di vederlo ebbe la meglio. – Sei venuto –

- Ma dai, menomale che te ne sei accorto Nancy Drew –

Ian sorrise, contento di rivederlo ritornare di buon umore. – Quindi hai appena finito di lavorare? –

- Già, mio zio mi ha fatto sistemare alcune cose nello studio. Dove cazzo è la birra in questo posto? –

- Andiamo a scoprirlo – sorrise allegramente Ian e partirono alla ricerca della cucina. Non ci volle molto per trovarla e un paio di bicchieri più tardi incrociano Mandy in soggiorno. Quando vide Mickey, urlò a squarciagola per la felicità e gli saltò addosso. Ian era geloso, lui non aveva avuto lo stesso coraggio di farlo poco prima; beh forse con un tono di qualche tacca più basso.

- Okay, ora levati di dosso – la fulminò Mickey liberandosi dalla sua presa.

- Vi somigliate proprio – commentò Ian indicando Mandy che si appiccicava a Mickey e Mickey lo guardò socchiudendo gli occhi, arrossendo.

- Fottiti –

- Ragazzi, oh mio dio – rise Sean con una bottiglia vuota in mano. – Qualcuno deve assolutamente fare sesso con me, adesso -. Quando i suoi occhi si posarono su Mandy, Mickey se ne accorse e sorrise pericolosamente, allargando i suoi occhi blu.

- Se cerchi un buco in cui ficcarlo, il tritarifiuti del lavandino può fare al caso tuo, vuoi che ti aiuti a trovarlo? –

- Ugh – Sean rabbrividì all’idea e si girò dall’altra parte. Cercò di vomitare ma non uscì nulla se non gemiti strozzati. Arrivò anche Blake, naturalmente sbronzo come lui perché cadde addosso a Ian ridendo.

- Tu, sì, proprio tu – singhiozzo e afferrò la maglia di Ian. – Sei fico, davvero davvero fico –. Ian annuì a disagio e gli diede una leggera pacca sulla spalla, incerto su come reagire.

- Potete scopare voi due – suggerì Mickey a Blake e Sean tenendo su Mickey mentre teneva Mandy in piedi, siccome stava barcollando. – Cazzo, quante volte devo portare a casa mia sorella per questa roba? –

Ian accarezzò la spalla di Mandy e seguì Mickey fuori dall’appartamento, in corridoio. Mickey sembrava incazzato a morte e controllava in continuazione gli occhi annebbiata di Mandy, il suo battito e la fronte. Lei emise un gemito di protesta e si scostò dal suo tocco, ridendo senza motivo. – Prima di quest’anno non si era mai ridotta così – ammise Ian mentre Mickey cercava di tenerla su. Si avvicinarono al parcheggio e Mickey grugnì per l’esasperazione.

- È sempre stata così, beve fino a svenire –

- Alle superiori sembrava… -. Ian si bloccò perché non ricordava di essere mai tornato a casa con lei dopo alle feste alle superiori visto che Mandy trovava sempre qualcuno con cui andare a letto prima della fine della serata. Mickey imprecava sottovoce cercando di farle scendere le scale, impresa difficile visto i tacchi alti che continuavano a farla scivolare.

- Sì beh, fidati di una persona che l’ha vista scolarsi i liquori di nostro padre come se fossero acqua negli ultimi cinque anni. Se pensi che io si dipendente dalle sigarette, non hai mai visto una dipendenza –

- Mandy è alcolizzata? – si immobilizzò Ian. Mickey si girò a guardarlo e la testa di Mandy gli crollò sulla spalla.

- Non lo sapevi? –. Ian non riuscì a trattenersi e si sentì crollare mentre guardava Mandy aprire gli occhi e scivolare lentamente sull’asfalto. Mickey la tirò su prima che potesse cadere e la sollevò istintivamente tra le braccia. - Cazzo non riesco a portarla così da mio zio –

Quando arrivarono nel parcheggio Ian cominciò a mordicchiarsi il pollice e alternò lo sguardo tra i due. Mickey sospirò profondamente e adagiò con cautela Mandy per terra sostenendo le la testa con la mano e assicurandosi che fosse appoggiata a lui mentre prendeva il cellulare. Digitò un numero e parlò. – Ehi Lucas, potresti passare a prendermi? -. Ci fu una breve pausa in cui Ian continuò a mordersi il pollice quasi fino a sanguinare. Mickey dettò l’indirizzo è riattacco, guardando lui. – Tutto okay? –

Ian scosse la testa e si strinse tra le proprie braccia, aggrappandosi ai gomiti.

- Ehi, Mandy si riprenderà, deve solo dormire un po’ – lo rassicurò Mickey.

- Non lo sapevo nemmeno – disse Ian con una risata amara, gli occhi già colmi di lacrime. Imprecò tra sé e sé ma non osò sbattere le palpebre così sarebbero svanite.

- Senti, non è un problema tuo, lei… -

- Sì, lo è – ribatté debolmente Ian spostando la mano dal braccio alla bocca tremante.

- Ian, cazzo – esalò Mickey cingendo le spalle di Mandy per tenerla dritta. – Smettila, questa cosa non è una tua responsabilità. È Mandy che sceglie di bere e tu non puoi… -

- Sì che posso! – gridò Ian e cedette, avvicinandosi a loro. Si chinò e le tolse i capelli che le si appiccicavano al viso. – Se avessi saputo che è alcolizzata avrei potuto fare qualcosa, parlarle, fermarla. Lei non me l’ha mai detto e io non ci ho fatto caso, merda –

Mickey non rispose, guardò semplicemente Ian che nascose il viso e si portò le nocche alle labbra, parlando di nuovo.

- Bevevamo tutti, lo so, ma se lei è davvero così tanto dipendente è un’altra cosa che si tiene dentro – proseguì Ian. – Mandy non parla mai dei vostri genitori, non mi dice mai cosa succede a porte chiuse con i ragazzi, fa come se niente fosse. Avrei voluto sapere questo, almeno questo -. Usando sentì una lacrima scivolargli lungo la guancia, la asciugò bruscamente con la manica.

- Allora dovresti prendertela con me – osservò Mickey con gli occhi rivolti al cielo. – Non faccio mai niente per impedirglielo –

- Lo stai facendo adesso! – crollò Ian asciugando un’altra lacrima.

- Ha capito cosa voglio dire – ribatté Mickey. Si tolse il cappotto e lo usò per coprire Mandy quando il suo corpo cominciò a tremare.

- Sono un amico di merda – mormorò Ian con la mano sul ginocchio di Mandy, avvicinandosi sempre di più a lei e Mickey.

- Un amico di merda non starebbe piangendo ora, – rispose serio Mickey, abbassando la testa per guardarlo negli occhi. – perché si incolpa per il dolore di un’amica –

Ian lo fissò a sua volta metabolizzato quelle parole. Una folata di leggero venticello passò in mezzo a loro facendogli finire i capelli negli occhi ma nessuno dei due osò sbattere le palpebre. – Può dirmi perché lo fa? -  bisbigliò sperando che Mickey avesse una risposta, qualsiasi cosa che alleviasse quel peso che lo opprimeva.

Mickey esitò, la reazione automatica dei Milkovich ogni volta che qualcuno cercava di invadere la loro vita privata, ma quando si rese conto che era Ian a fissarlo con tutta la preoccupazione del mondo, rispose piano: - Perché vuole dimenticare –

Questo gli bastò a crollare definitivamente. Nascose di nuovo il viso contro alla manica del braccio appoggiato sul ginocchio e cercò di soffocare il proprio dolore, perché sapeva che cosa volesse dire. Mandy non voleva parlare dei suo genitori, dei suoi ragazzi, della scuola, di qualsiasi cosa facesse schifo nella sua vita. Non doveva nemmeno farlo, poteva tranquillamente berci sopra e fingere di vivere in un mondo dove il dolore non esisteva.

- Quando mia mamma le compra cose costose, cerca di confortarla con il lusso invece che con l’amore. Mandy sorride sempre, mi racconta quanto è fantastico stare con la mamma, quanto è fantastico essere sua figlia – spiegò Mickey. Ian si sentiva più calmo ad ascoltare la sua voce, anche se faceva tutto così male da aver solo voglia di urlare. Mickey emise un gemito di sarcasmo e poi continuò. – Mi dice che non è così male stare intorno agli amici di papà quando vengono a casa nostra e servire loro il vino. Odia nostro padre, su questo non c’è dubbio, ma coglie ogni occasione per dimostrare di essere una figlia trofeo –

La manica di Ian si inumidì sempre di più quindi nascose il viso sull’altro braccio, ascoltando attentamente tra le lacrime.

- Esce con degli stronzi e tollera le loro cazzate ma vuole essere una brava partner. Sorride e mi racconta quanto sono meravigliosi questi coglioni tutte le volte -. Mickey sembrava distante mentre parlava, come se quello fosse un territorio sconosciuto, e il suo risentimento crebbe sempre di più mano a mano che parlava. – E di sera, non importa come sia andata la giornata, apre la vetrinetta e beve fino a collassare sul divano. E io la porto di sopra prima che papà la veda. E il giorno dopo rifà la stessa cosa – concluse sprezzante lasciando intendere come si sentisse al riguardo.

Ian non sapeva se questo dovesse farlo sentire bene o meno, era travolto da mille emozioni nei confronti di ciò che pensava e che aveva sentito. Dopo aver finito di piangere, anche se il dolore gli costringeva ancora il petto, alzò la testa e si spostò più vicino a Mandy, le mise un braccio intorno e calmò il proprio respiro. Dopo essere rimasto semplicemente lì seduto facendo l’unica cosa che poteva fare in quel momento, finalmente riuscì a parlare. – Mickey? – chiese asciugando il viso un’ultima volta.

- Sì? – rispose gentilmente il moro.

- Posso restare anche io stanotte? – chiese timoroso di ricevere un no; ora più che mai non voleva stare lontano da Mandy.

- Se senti il bisogno di doverlo chiedere allora forse sono io l’amico di merda – esalò Mickey. Quando ud’ “amico” le labbra di Ian si allargarono in un sorriso appena accennato, un sorriso di cui aveva bisogno.

Una macchina nera lucida accostò a pochi metri da loro. – È mio cugino – annunciò Mickey sollevando di novo Mandy e aiutandola ad alzarsi. Ian si alzò e lo seguì con gli occhi puntati sul retro del suo cranio. Lo osservò trasportare Mandy tenendola stretta al petto con fare protettivo impedendo alla sua testa di ciondolare. Ogni tanto le lanciava un’occhiata con un’espressione persa, addolorata, colpevole, scossa.

Il cugino di Mickey sporse la testa fuori dal finestrino quando furono abbastanza vicini e Mickey si ricompose. Ian aveva frainteso quella durezza e quel distacco. Credeva che Mickey le usasse per nascondere le sue emozioni e tenere gli altri lontani, per salvaguardarsi. Ma ora, guardandolo, forse quell’espressione, quegli occhi mai umidi di lacrime, erano il modo che usava Mickey per restare forte non solo per sé stesso, ma anche per gli altri.

Quando si avvicinarono alla macchina, Mickey fece sdraiare Mandy sui sedili posteriori ma invece di entrare con lei si rialzò. – Resta tu con lei – disse a Ian, dandogli l’impressione di fidarsi di lui con una cosa in cui di solito non si fidava di nessun altro. Quando Mickey fece per andare a sedersi sul sedile passeggero, Ian gli prese il braccio costringendolo a girarsi.

- Mandy non è la mia unica migliore amica – disse, sperando che cogliesse il messaggio, ma non riuscì a dire altro. Mickey si immobilizzò, colto di sorpresa. Lucas abbassò il finestrino è urlò loro di darsi una mossa, per poi alzare il volume della radio.

- Tu non sei come me e mia sorella, tu dici quello che vuoi – rispose infine Mickey. Ian non seppe come prendere quelle parole ma Mickey sorrise rassicurante, rispondendo alla sua frase precedente. – Pensi che non lo sappia ormai? –

- In effetti non penso – replicò rapidamente Ian. Mickey rimase interdetto un’altra volta. Rise e aprì la portiera.

- Cazzo, stai diventando troppo bravo in questa roba – sospirò sistemando i capelli spettinati. Lo guardò con la coda nell’occhio e si addolcì. – Okay, immagino di sì ora –

Ian annuì. Sapeva che se non fosse stato per le parole di Mickey, che si era aperto sulla situazione di Mandy poco prima, non avrebbe saputo cosa fare durante il suo crollo. Mickey scosse la testa m le sue guance si stavano colorando di rosso quindi salì in macchina e richiuse la portiera. Ian salì dietro e si portò gentilmente in grembo la testa di Mandy, abbassando lo sguardo sul suo viso addormentato.

- Dov’è il tuo dormitorio? – chiese Lucas alzando la voce sopra alla musica, accelerando per immettersi in strada.

- Stasera resta con noi – lo precedette Mickey cambiando stazione alla radio.

- Ehi, lo sai che questa la odio, Mickey –

- Infatti – rispose con un sorriso compiaciuto Mickey, poi guardò fuori dal finestrino e vide il riflesso di Ian nello specchietto. Quando Ian alzò lo sguardo catturò anche lui l’immagine di Mickey, sorrise involontariamente e quando Mickey ricambiò, il sorriso crebbe ancora di più e così anche il suo, come se condividessero un segreto solo per loro.

 

 

Nota mia: ho notato che manca un capitolo da inserire prima di "Sai perché". Lo avevo pubblicato ma non so perché non compare. Lo inserirò appena possibile e chiedo scusa. Buona lettura! 

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Capitolo 33
*** C'è Solo Uno Per Me ***


Ian dormì sul pavimento vicino a Mandy, lei dormì invece nel letto di Lucas, che dopo averli scaricati era andato a dormire a casa della sua ragazza. Quando arrivò la mattina, Mandy si alzò con un sussulto e Ian scattò per sedersi, completamente sveglio, sedendosi di fianco a lei in un lampo. – È tutto okay, Mandy, siamo a casa di tuo zio – la rassicura Ian accarezzandole cautamente il fianco.

- Ho mal di testa – gemette lei premendo il polso sulla tempia. Lui le porse un bicchiere d’acqua e una medicina che lei prese senza una parola, poi quando ebbe svuotato il bicchiere, lo abbracciò debolmente. – Mi dispiace, Ian –

- Non dire niente – sussurrò dolcemente Ian lasciandola sdraiare sul cuscino vaporoso. Attese che lei si risvegliasse bene prima di parlare. – Non ti permetterò mai più di ridurti così -. Non si preoccupi di aggiungere che sapeva dell’alcolismo, di come sapesse cosa fosse capace di fare una persona alcolizzata, come quell’ubriacone di suo padre; le rivolse semplicemente un sorriso bizzarro che la fece ridere e scuotere la testa. – Torna a letto, è ancora buio fuori – ordinò gentilmente e funzionò, perché Mandy si riaddormento in un batter d’occhio, russando contro al cuscino.

Ian ormai non aveva più sonno quindi si infilò i jeans e andò in soggiorno dove si aspettava di trovare Mickey a dormire sul divano. In realtà non c’era ma sentì dei rumori in cucina quindi fece capolino e trovò lo zio di Mickey che prendeva uno strudel tostato richiudendo poi il frigo con il piede. Aprì una bottiglia di vetro di latte al cioccolato con la mano libera e fece per uscire dalla cucina finché non vide Ian. - ‘Giorno – salutò calorosamente. Ad Ian ricordava un leone, con i capelli arruffati e spettinati sulle spalle e il viso era coperto da un lieve strato di barba, dando l’impressione che fosse appena uscito da un’ibernazione, mentre gli occhi erano di un azzurro cristallino, come Mickey, ma così privi di aggressività che Ian faticava a credere che facessero parte della stessa famiglia. -

- Buongiorno – ricambiò cercando di mantenersi sintetico perché stava cercando disperatamente di non scoppiare a ridere di fronte a quanto fosse buffo un uomo con uno strudel e un bicchiere di latte al cioccolato in mano.

- Prendi quello che vuoi se hai fame – gli disse lo zio indicando il frigo e il forno. Gli rivolse un piccolo sorriso e andò in soggiorno raccogliendo alcune cose dal tavolino.

- Grazie. Sai dov’è Mickey? – chiese Ian girando si a guardarlo.

- Probabilmente sta fumando sul retro, è la sua abitudine mattutina – ridacchiò l’uomo borbottando “voilà” quando rovistò in mezzo ai cuscini e infilò in tasca qualsiasi cosa avesse trovato. Andò alla porta e si rigirò verso di lui. – Grazie per esserti occupato di mia nipote. Mickey mi ha detto che siete come due gemelli siamesi – sorrise. – Dovreste andare a farvi una nuotata o in palestra oggi, svagarvi un po’ e lasciare da parte la scuola. Se stasera sei ancora qui allora ci rivediamo più tardi, altrimenti è stato un piacere conoscerti, Ian – aggiunse quando Ian arrossì.

- Anche per me – annuì Ian ricordando all’ultimo momento il suo nome. – Rick, signore -. Lo zio se ne andò e Ian rimase a rimuginare se prepararsi la colazione o andare a cercare Mickey. Non dovette restare molto a pensarci visto che era ovvio fin da subito che cos’avrebbe fatto, quindi uscì dall'appartamento, scese le scale e uscì immergendosi nella tiepida aria mattutina, corse intorno all’edificio ma le sue energie non si esaurirono visto che ogni volta che vedeva Mickey ogni fibra del suo corpo vibrava per l’adrenalina.

I raggi del sole ancora basso emanavano fasci di luce opaca coloro crema, illuminando il parcheggio sul retro, infilandosi tra le foglie degli alberi che si scrivano sempre di più e depositandosi sulla figura tranquilla di Mickey, spaparanzato contro un tavolo di legno da pic nic sul lato dello spiazzo. La sigaretta dondolava dimenticata tra le dita della mano sul ginocchio piegato fino al petto.

Ian salì sul tavolo e si sedette di fianco a lui, guardandolo meglio ora che era più vicino. Mickey non si girò nemmeno a guardarlo e gli passò semplicemente la sigaretta mentre guardava un paio di uccellini che volarono sopra alle loro teste e sbuffando il fumo tra le labbra socchiuse. Ian aspirò e gli restituì la sigaretta tenendo gli occhi puntati su di lui. – Grazie per avermi detto quelle cose di Mandy – mormorò sperando che capisse che in realtà si trattava di un implicito “Grazie per avermi lasciato entrare nella tua vita” e incrociò le braccia per riscaldarsi siccome faceva più freddo di quel che si aspettasse.

 - Comunque credevo che vi diceste tutto – rispose Mickey sfiorando la sigaretta con le labbra.

- A quanto pare no – borbottò Ian desiderando che fosse così. Si tormentò distrattamente la manica di flanella, ansioso per il bruciore allo stomaco che gli provocava ripercorrere gli eventi della sera prima, alcuni dei quali includevano Mickey che si apriva all’idea di essere il suo migliore amico. Questo bastava, insieme agli altri tipi di legame che si stavano instaurando tra di loro, a mandarlo in quello stato di fibrillazione che provava nei confronti di Mickey mesi prima, quel desiderio di avere di più.  

- Lo fai sempre quando sei nervoso – osservò Mickey guardando le dita irrequiete di Ian. Se fosse stato Ian a far notare questa cosa, Mickey avrebbe negato fino alla morte ma visto che era lui quello trasparente dei due, Ian lo guardò semplicemente negli occhi e continuò a tirarsi la manica.

- Forse è perché lo sono – disse in tono delicato, il cuore che batteva all’impazzata. Sembrò scattare qualcosa dietro alla facciata di Mickey qualcosa che venne celato immediatamente, ma Ian lo colse comunque è avrebbe voluto tirarlo fuori ma non lo fece; non voleva rovinare tutto di nuovo.

- Cosa ti rende così nervoso? – indagò Mickey continuando a guardarlo. Okay, adesso era Mickey che lo incoraggiava. Non poteva credere che non stesse ignorando quel momento di tensione crescente e continuando con la sua mattinata senza problemi. Voleva sapere che cosa pesava, anche se c’era la possibilità che quella domanda lo conducesse in un territorio pericoloso.

- Starti così vicino – sorrise cautamente Ian rallentando persino il movimento delle dita. Lo terrorizzava fisicamente, mentalmente, psicologicamente il pensiero della fossa che si stava scavando solo perché non riusciva ad essere solo amico di Mickey. Anche se Mickey stava finalmente abbattendo i suoi muri, non significava necessariamente che volesse la stessa cosa. Ma sfortunatamente questo non lo fermava dal cercare una giustificazione continua per i propri sentimenti.

Mickey rimase in silenzio ma non si allontanò, non spostò nemmeno lo sguardo, i suoi occhi azzurro quasi disperati e pieni di rammarico. – Anche io – rispose, anche se si poteva udire dall’apprensione nel tono di voce. E fu lì che Mickey si ritrasse, quando saltò giù dal tavolo; succedeva sempre l’inevitabile alla fine. Ian era rimasto così senza fiato da quella confessione che non udì il colpo di tosse di Mickey che manifestava il suo disagio, troppo occupato a cercare di riprendersi. Il moro spense la sigaretta sul bordo del tavolo.

- Ehi, cosa ti ha detto ieri Colt? –

- Eh? Cosa… - balbettò Ian ancora più agitato di prima.

- Come lo conosci? – insistette Mickey, non tanto curioso quanto amareggiato.

- Non è che lo conosco, non ci conoscevamo, cioè, facevamo ginnastica insieme credo ma non… -

- Stai lontano da lui – lo avvertì Mickey. – Porta solo problemi –

- Non era la stessa cosa che volevi farmi credere di te? – ribatté in tono acceso Ian, ancora su di giri per quello che era successo poco prima, qualsiasi cosa fosse.

- Beh, sei troppo ingenuo per stare lontano da me, ma almeno fallo con lui –

- Ingenuo? Forse volevi dire infatuato – esalò Ian tentando una nuova tattica.

- Cazzo -. Mickey sembrò ribollire, borbottando delle parole incomprensibili prima di aggiungere: - Che cosa vuoi da me? –

- Non… non lo so – rispose con voce incerta Ian, intrecciando le dita tra loro. – Voglio te e basta, Mickey, voglio davvero tutto di te Sto diventando pazzo di te -. Era la cosa più stupida che potesse venirgli in mente per alleviare un po’ la tensione. Gli sembrava di aver corso una maratona saltando ostacoli in dieci secondi dopo aver dato voce ai propri pensieri.

- Credevo avessimo stabilito come dovesse essere tra noi – sviò Mickey.

- Possiamo rivedere i dettagli – sospirò nervosamente Ian.

Mickey saltò sul tavolo, la camicia che ondeggiava dietro di lui, le suole delle scarpe permute sul tavolo di fianco alle gambe di Ian. Prese il viso di Ian tra le mani, chiuse la distanza tra loro e lo baciò, leggero come il tocco di una farfalla, provocandogli una scossa elettrica in tutto il corpo teso, e prima che Ian potesse ricambiare, Mickey indietreggiò ma senza lasciarlo.

- Non posso essere più di questo. Semplicemente, non posso – disse sbrigativo. – Perché è così difficile da capire? –

Ian percepì il tocco precario di Mickey ancora sul suo viso, sommerso dal profumo di biancheria fresca e fumo dei suoi vestiti e osservò il debole ritmo del suo respiro incontrollato, le screziature nei suoi occhi colmi di panico, e si ritrovò incapace di dare una risposta.

- Se Colt ti cerca, stai lontano da lui. So che lo farà – gli ricordò Mickey cambiando in fretta discorso e saltò giù dal tavolo senza problemi. Ian si sentiva il corpo di melassa e cercò di scendere a sua volta dal tavolino, vacillando per seguirlo dentro. Non aveva neanche idea di chi diavolo fosse Colt in quel momento, seguì semplicemente Mickey con la mente annebbiata, in qualunque posto fossero diretti, che naturalmente era casa sua.

Quando entrarono, Mandy era sul divano che borbottava tra sé e sé con un panino in mano. – Dove siete spariti? – sorrise furba attorno al panino ma fu di breve durata perché Ian la strinse in un abbraccio, sollevato. – Ian, ehi – sorrise lei ricambiando.

- Tu stai bene? –

- Sì – rispose onestamente lei mentre si staccava.

- Mickey me l’ha detto –

- Ah sì? Che cosa? –

- Dell’alcool –

L’atteggiamento di Mandy divenne impaurito e si spostò sulla difensiva, proprio come faceva Mickey, ma vanì così come era arrivato. Per un momento Ian si aspettò che negasse tutto e desse del bugiardo a suo fratello, facesse finta di nulla e si chiudesse in sé stessa, ma invece lei sorrise tristemente. – Mi dispiace –

- È tutto okay Mandy, possiamo affrontarlo insieme – le assicurò Ian, alzandole il viso con il pollice sotto al mento. – Okay? –

- Grazie Ian – replicò timidamente Mandy. – Per la milionesima volta. Credo che il girono in cui smetterò di ringraziarti sarà il giorno in cui mi dovrai sparare –

- Non ringraziare me, è Mickey che ti ha tenuta su mentre stavi male – sorrise Ian. Lanciò uno sguardo dietro al divano ma Mickey non c’era più.

- Crede che io non mi accorga che lui si preoccupa per me – mormorò triste Mandy. – E invece me ne accorgo -. Rimasero in silenzio per qualche minuto e Mandy prese il cellulare. – Sai, stava cominciando a piacermi davvero Sean, ma mi sa che è un’idiota come tutti gli altri che incontro –

- Qui non posso aiutarti – rise Ian osservando la mentre fissava un selfie di lei e Sean alla festa. – Forse ne vale la pena, forse no –

- Mi costringo a sopportare tutto quanto perché voglio che qualcuno ne valga la pena – sospirò cancellando la foto. Quando comparve la notifica che confermava l’eliminazione della foto oppure no, il suo dito indugi sullo schermo, indeciso.

- E che ne dici magari di trovare qualcuno che fa questo per te, sai, che cerca di conquistarti e che ti rende importante –

- Io lo faccio se lo fai tu – ribatté Mandy.

- Cosa? –

- Insegui un ragazzo che abbia bisogno di te quanto tu di lui, Ian, fallo per te –

Ian abbassò lo sguardo e giocherellò di nuovo con la manica, ridendo quando se ne rese conto, cosa che prima non aveva mai notato finché non era stato Mickey a dirlo. Era vero, non si era mai sentito desiderato da un ragazzo, nessun ragazzo con cui era uscito o aveva scopato. In fondo, ma molto in fondo, sapeva che Mickey aveva bisogno di lui anche se non voleva ammetterlo; a suo modo aveva bisogno di Ian. Ian sicuramente aveva bisogno di Mickey, più di quanto potesse ignorare ormai, ma era davvero un bene andare avanti in quel modo?

Mickey gli aveva detto di non potergli dare più di così, per qualsiasi motivo fosse, e non aveva bisogno di altro, non come Ian. Quel bacio e quel breve confronto di poco prima gli avevano solo ricordato che a Mickey non piaceva sentirsi in gabbia, non sopportava di essere una proprietà di qualcuno.

- Sì, penso che tu abbia ragione – sbuffò Ian schiaffando le mani sui jeans. Mandy lo guardò raggiante e confermò l’eliminazione della foto con Sean. – Ma non siamo costretti a uscire per forza con qualcuno, stiamo bene anche da soli – aggiunse mordendosi l’interno della guancia.

- Ma non c’è nulla di sbagliato nemmeno nel volersi sentire amati – replicò Mandy. Ian tamburellò con le dita sul divano e rise.

- Allora magari è meglio non andare a cercare ragazzi alle feste. Sono sicura che ci aggiunga solo problemi –

- Buona idea – replicò lei beffarda. – Allora facciamo un giro per il campus e cerchiamo qualche bocconcino, giusto per divertirci

- È proprio una pessima idea – rise Ian scuotendo la testa. In realtà tutto ciò che voleva fare era buttare giù la porta che lo separava da qualsiasi stanza in cui si trovasse Mickey in quel momento e liberare tutto ciò che provava, baciarlo e fare anche di più, mormorargli all’orecchio parole amorevoli, dimostrargli che non sarebbe stato così male abbandonarsi all’uno e all’altro. Forse doveva fare proprio questo, doveva interrompere quel “e se?” prima che fosse troppo tardi, prima che gli venisse in mente di lasciarsi Mickey alle spalle oppure no. Se Mickey lo avrebbe rifiutato, almeno avrebbe potuto lasciarlo andare, sarebbe stato obbligato.

Quindi Ian si inventò di dover andare in bagno e attraversò il corridoio dietro di loro, trovò una porta aperta in fondo e sgattaiolò dentro. Era la stanza di Lucas e Mickey era lì in piedi vicino al letto con lo sguardo fisso sulle chiavi che teneva in mano, assorto nei propri pensieri. – Ehi, tutto bene? – ridacchiò Ian chiudendo la porta facendo il minor rumore possibile per non spaventare Mickey o insospettire Mandy in soggiorno. Mickey fece roteare l’anello metallico delle chiavi dell’appartamento alzando gli occhi.

- Le ho dimenticate qui ieri sera –

Ian non rispose e andò dritto al punto. Fece qualche passo e fece scivolare le mani sul suo viso, guardandolo negli occhi con la sua espressione più pacifica. Mickey non si spostò quindi risparmiò le parole e si sporse verso il suo viso. Lo baciò, lo assaporò baciandolo con tutto sé stesso, tenendosi a lui per restare solido, mentre riversava dentro di lui cose da cui Mickey sarebbe fuggito per evitare di ascoltarlo  che quindi Ian gli avrebbe invece mostrato. Stava chiedendo il permesso, chiedendo un rifiuto, chiedendo qualcosa che non fosse un forse. Indietreggiò per vedere la sua reazione, la sua espressione, qualsiasi cosa che gli dicesse se tutto questo doveva finire in quel momento oppure no.

Mickey non sprizzava gioia da tutti i pori. I suoi occhi si spostarono verso il basso e le sue spalle crollarono come se fosse sconfitto, senza insistere o allontanarsi.

- Mi hai baciato tu fuori, Mickey, sei stato tu a farlo okay? Dimmi solo se lo hai fatto per pietà o no, ti prego – lo implorò Ian; aveva già la nausea per la razione di Mickey a ciò che aveva appena fatto.

- Un giorno – disse Mickey in tono disperato. – sarai felice di avermi lasciato perdere - . Si rifiutava di alzare lo sguardo, nemmeno quando Ian lo scosse per avere un’ulteriore spiegazione, perché quando Mickey diventava così era peggio della sua rabbia.

- Non voglio farlo. Voglio solo capire come potermi comportare con te. Dimmi chiaro e tondo che non sarò mai niente per te o che non ho una possibilità così posso smettere di essere sempre così agitato –

- Cristo, Ian – borbottò Mickey con la voce contratta.

- Di cos’hai paura? Tuo padre non c’è, non può farti del male e io non ho intenzione di fartene. Hai già avuto rapporti intimi con altre persone, hai già avuto degli amici stretti, perché io non posso essere importante come loro? C’è qualcosa che non so? –

- Tu sei più importante di qualsiasi altra persona – ringhiò Mickey con il respiro tagliente, liberandosi da lui. – Ma non posso farlo, fidati di me –

- Mi avevi detto che non te ne saresti andato, Mickey – replicò Ian, il battito che aumentava. – Non dirmi che sono importante, non dirlo se non lo pensi davvero. Dimmi solo cosa devo fare –

- Non è che c’è sempre una risposta che posso tirare fuori dal cilindro magico. Non posso dire tutto quello che sento ogni fottuto minuto –

Ian si girò dall’altra parte, il viso percorso da lievi spasmi. – Quindi devo continuare a mentire a me stesso per sempre? Sai, riuscirei a smettere di provare qualcosa per te se tu non mi facessi pensare che c’è una possibilità che tu… -. Dovette interrompersi per non rischiare di finire in un mare di lacrime nella stanza del cugino di Mickey. Indietreggiò verso la porta e scosse furiosamente la testa. – Se mi trovassi un ragazzo te ne fregherebbe qualcosa? – chiese invece con le labbra tremanti contro alle nocche.

- Cosa diavolo dovrei rispondere a questo? –

- Non lo so – sospirò Ian. – Scusa, sto continuando a metterti pressione. È che non sono bravo a rispettare i paletti senza sapere che cosa va bene e cosa no, okay? Ho bisogno di risposte più precise così non continuerò a comportarmi da stronzo egoista mettendoti alle strette –

- Tu sei uno stronzo – ribatté Mickey con un sorriso che si allargava sulle labbra, le emozioni che tornavano violentemente in superficie. – Ma non sei egoista –

- Mi troverò un ragazzo così potrò lasciarti in pace – rifletté Ian, sapendo di doversi inventare qualcosa. Non era giusto tartassare Mickey, che non era pronto ad essere qualcosa di più, solo perché lui lo voleva.

- Quindi ti scoperai un altro solo perché non puoi scoparti me? – ribatté Mickey in tono pungente.

- Non lo so – lo imitò Ian; detestava quanto sembrasse drammatico e disperato. – Perché ricambi i miei baci se non vuoi che ci sia qualcosa tra noi? –

- Smettila di saltare alle conclusioni – ringhiò Mickey. Ian si girò e andò di nuovo davanti a lui.

- Mi troverò un ragazzo e non ti in seguirò più come vuoi tu. Avrò una relazione dove ci impegneremo entrambi cento per cento come voglio io così andrà bene ad entrambi, no? Così non dovrai più preoccuparti dei nostri ba… -

Mickey lo tirò bruscamente a se è schiantò rabbiosamente le labbra contro alle sue, scavando con le dita nei suoi fianchi. Ian si sentì come percorso da una scossa lungo la spina dorsale per la sorpresa mentre il respiro di Mickey si univa al suo, gemendo per i segni che Mickey gli avrebbe probabilmente lasciato. Dopo aver ritrovato l’equilibrio ricambiò famelico, dimenticando completamente la loro discussione e i contorni indefiniti del loro rapporto, raccogliendo tuta la rabbia che Mickey riversava nei suoi gesti furiosi.

Ian Indietreggiò e cadde sul letto poiché Mickey si ea lanciato con una tale foga su di lui da far perdere la stabilità ad entrambi. Questo non sembrò fermare Mickey dal continuare ad esplorare furiosamente le labbra, i denti e la lingua di Ian con i propri provocandogli ripetuti gemiti e ansiti, tirando su le braccia per toccare tutto quello che riusciva.

- Alla fine di tutto, ti farò del male – ansimò il moro baciandolo con più fervore, arricciando le dita tra i suoi capelli. E Ian sapeva che non stava parlando solo del sesso, che si riferiva a tutto ciò di cui lo avvertiva sempre con le sue parole, con il linguaggio del corpo, con ogni respiro e contatto visivo. Sava avvertendo Ian di stargli lontano perché aveva paura di non valere abbastanza per lui.

- Potrei fartene anche io – obiettò Ian con la voce soffocata, senza staccarsi da lui. Afferrò il viso di Mickey, più deciso, mordicchiandogli e labbra mentre sentiva l’adrenalina bruciarli lo stomaco.

Era così surreale, la pelle accaldata di Ian sotto alle sue dita che toccavano e accarezzavano, fuori controllo, troppo prese dal desiderio per trattenersi. Non gli importava dei segni che gli stava lasciando Mickey e dei morsi sulle labbra perché Mickey lo stava facendo davvero e Ian ne bramava ogni secondo.

Quando si rese conto dell’ormai evidente erezione di Mickey che premeva contro alla sua stretta nei jeans, Ian esalò un singhiozzo involontario che dovette fare qualche strano effetto a Mickey, che gli sollevò frettolosamente la maglietta. Dopo essere riuscito a togliergliela, ritornò subito sulla sua bocca ma Ian la evitò e lo baciò lungo la mascella e sul collo, sbottonandogli la camicia.

- Non capisci – ansimò Mickey assaltando di nuovo le sue labbra quando anche la sua camicia fu rimossa. Affondò i denti nel labbro inferiore di Ian e passò la lingua sopra alla morbida carne; Ian sospirò e il suo corpo reagì in automatico incontrando i movimenti di Mickey, incapace di fermarsi, bisognoso. Non era solo il fatto che Mickey lo stesse toccando dappertutto. Non si trattava solo di contatto fisico, quello poteva averlo con chiunque. Era il fatto che proprio Mickey, il ragazzo di cui Ian si era innamorato un anno prima, a toccarlo, facendo dissolvere i propri limiti per lui, andando contro la sua stessa paura e i suoi istinti per dimostrare a Ian che nonostante quella paura non voleva perderlo.

- Non devi farlo per forza, scusami – mormorò Ian temendo improvvisamente che forse Mickey si stava forzando. Magari lo aveva fatto per paura, paura che Ian potesse abbandonarlo, per paura che questa potesse essere la sua ultima possibilità prima che Ian tagliasse definitivamente i ponti con la loro amicizia, relazione, tutto. Dopotutto, fino a pochi secondi prima Ian continuava a dire che si sarebbe trovato un ragazzo, solo perché era disperato, insistendo e facendo venire a Mickey i sensi di colpa fino a costringerlo a prendere una decisione. – Non ti lascerò – promise piano Ian accarezzandogli il collo con le labbra, allentando la presa sulla sua schiena. – Mi dispiace, non devi sentirti costretto Mickey –

Mickey si immobilizzò, il respiro pesante contro al suo orecchio, sfiorandogli il braccio nel tentativo di calmarsi. Dopo un paio di secondi, saltò giù dal letto, si riabbottonò la camicia e lanciò ad Ian la sua maglia, per poi ricadere sul letto con gli occhi rivolti al soffitto. – Cazzo – esalò; non era felice o arrabbiato. Fu quel tanto che bastò per riprendere fiato. Ian si infilò la maglia e si sdraiò sul letto, girando si verso Mickey per vedere il suo bellissimo viso rosso per l’intensità dei loro baci. – Menomale che non abbiamo scopato nel letto di mio cugino – rise e i nervi di Ian si distesero, sollevato nel vedere che non aveva rovinato tutto completamente. Mickey sbattè gli occhi e inalò un respiro profondo, coprendosi gli occhi con il braccio, stanco e senza forze.

- Scusami – ci riprovò Ian. – Ti prometto che non ti forzerò più, non ti farò credere… -

- Non mi hai mai forzato – lo interruppe con una smorfia Mickey e poi si addolcì. – Cioè, sì, sono andato contro ciò che mi ero prefissato, ma non è che io non voglia stare con te –

Il cuore di Ian vibrò nel petto, volò via dalla finestra e sparì al settimo cielo, tra le nuvole. – Stare con me? –

- Oh mio dio – arrossì Mickey con le mani nei capelli. – Ian, nel caso non ti fossi ancora accorto quanto mi sono spinto oltre per te, non ti sto solo illudendo per poi scaricarti. Non è ciò che voglio fare. Non sei l’unico che sta lottando contro le sue emozioni, okay?  Sto cercando di mettere la testa a posto il meglio possibile ma non è facile e non lo sarà neanche per te, è tutto quello che posso dirti –

Ian spostò lo sguardo perché naturalmente aveva le lacrime agli occhi, proprio da mollaccione e ultrasensibile romanticone qual era. Si asciugò le lacrime, che non tentò nemmeno di nascondere, visto che probabilmente Mickey le avrebbe percepite anche senza guardare; era contento che per una volta fossero lacrime di felicità.

- Sono una persona instabile – ammise Mickey rilasciando un respiro un respiro che aveva trattenuto fino a quel momento. Lo stava ammettendo per la prima volta ad alta voce e ad Ian non sfuggì il modo in cui le sue dita scavarono ancora di più tra i suoi capelli, diventando bianche per lo sforzo.

- Mickey – disse Ian, soddisfatto per essere riuscito a non fa tremare la voce nonostante le lacrime.

- Ci sono un po’ di cose che non sai, Ian. Non sai da cosa sto cercando di proteggerti e se posso evitarlo, non lo saprai mai. Ecco perché una parte di me sarà sempre in conflitto. Non puoi capire, fidati di me –

Ian si asciugò altre lacrime e posò la mano sopra a quella stretta a pugno di Mickey. I suoi occhi erano chiusi stretti ma perse un po’ di quella rigidità quando Ian gli accarezzo il dorso della mano con il pollice e si rilassò. – Io ci sarò, Mickey, che tu abbia bisogno di me o no, io ci sarò –

 - Dai, non dire così. Non restare ad aspettare –

- Beh, non ho intenzione di lasciarti –

- Non so dire se quella testa dura sia un bene o un male – lo prese in giro Mickey.

- Quindi saresti felice se io uscissi con un altro ragazzo? Vuoi sentire questo? –

- Non lo so, sono un relitto in questo momento –

Ian non sapeva cosa dire, quindi infilò le dita tra i suoi capelli e gli accarezzò affettuosamente le ciocche corvine nel tentativo di tranquillizzarlo. Mickey tolse il braccio dagli occhi e guardò Ian con le palpebre pesanti.

- Scusa se sono così –

- Anche io ho i miei problemi, non preoccuparti – ricambiò il sorriso Ian. Sapeva di volere che Mickey si confidasse di più ma aveva già fatto più di quanto Ian si meritasse giornalmente. Anche se erano ancora presi dai loro sentimenti, che fossero d’amicizia, che fossero qualcosa di più, anche se si trattava solo di aver bisogno uno della compagnia dell’altro, almeno stavano chiarendo tutti i possibili fraintendimenti. – Puoi parlarmi quando ti sentirai pronto, Mickey – disse seriamente Ian. Non voleva altro che confortare Mickey per qualunque tristezza fosse seppellita dentro di lui. – L’hai detto tu a me e ora sono io che lo dico a te –

- Non mi abituerò mai a questa sitcom drammatica da adolescenti – replicò beffardo Mickey. Ian rise e scosse giocosamente la mano tra i suoi capelli.

- Almeno nessuno di noi due finirà incinto a sedici anni –

- Quel ruolo può prenderlo Mandy – disse con un sorrisetto Mickey e scoppiarono a ridere entrambi. L’ansia che avevano accumulato sembrò finalmente liberarli dalla sua morsa e liberarsi nell’aria mentre Mickey gli prendeva la mano e si girava per soffocare la risata contro al suo polso. La porta si spalancò e Mandy incurvò un sopracciglio, portandosi una mano sul fianco.

- Ian, ma che cavolo, ti ho aspettato tipo per un quarto d’ora –

- Scusa – ridacchiò Ian coprendosi il viso. – Non è colpa mia –

- Quando mai è colpa tua? – replicò sarcastico Mickey lasciando la mano di Ian e spingendo sua sorella verso il corridoio. Mandy sembrava scettica ma non disse niente su ciò che aveva visto mentre anche Ian si alzava sistemando si maglia e capelli.

Quando furono tutti e tre in soggiorno Mandy lanciò un’occhiata a Mickey poi guardò In con un sorrisetto. – Quindi andiamo ancora a caccia di ragazzi? –

Ian arrossì e i suo occhi scattarono su Mickey, che sembrò reagire con totale nonchalance. Fece per aprire la porta dell’appartamento e vi si appoggiò contro, in attesa.

- Penso che vi accompagnerò, fate schifo a scegliere ragazzi –

- Ehm – balbettò Ian, non molto convinto che fosse una buona idea che Mickey lo aiutasse a trovare qualcuno con cui uscire. Ma Mickey sembrava avere quell’aria sicura di sé, come se la cosa non lo infastidisse affatto e fosse invece emozionato all’idea; una sorta di contorto divertimento, se proprio doveva dirlo. Mickey aveva detto di non essere pronto per una relazione ma voleva anche impegnarsi a non sparire nell’immediato futuro e di restare al fianco di Ian mentre nel frattempo affrontava i suoi problemi interiori. Già questo doveva probabilmente significare che quel vincolo senza vincoli forse era il rapporto più sano che potevano avere, per il momento.

- Beh, questa è una vera sorpresa – rimase a bocca aperta Mandy, questa volta spingendo lei Mickey per uscire pe prima in corridoio. – Dubito che tu sia tanto meglio, sfigato -. Prese il cellulare e scrisse qualcosa. Quando Ian si alzò, si avviò alla porta arrossendo perché Mickey era davvero attraente con le labbra gonfie di baci e i capelli spettinati e il pensiero di aver lasciato il suo segno su di lui in quel senso gli dava una tale soddisfazione da non crederlo nemmeno possibile.

- Mi chiedo che tipo di ragazzi ti piacciano – mormorò Mickey a voce abbastanza bassa da essere sentito solo da Ian quando gli passò accanto.

- A dire il vero, solo uno – sussurrò Ian in risposta raggiungendo Mandy in corridoio; avrebbe voluto vedere anche solo per un momento l’espressione di Mickey.

- Magri possiamo trovare qualcuno che faccia le coccole anche a te Mick o, nel tuo caso, con cui fare una bella scopata – rifletté Mandy mentre attraversavano il corridoio.

- Vai a farti fottere –

I loro sguardi si incrociano e sorrisero. Ian gli diede una spinta senza farsi vedere da Mandy e Mickey ricambiò con un calcio alla caviglia. Mandy non si accorse mai, per strada, quanto si stavano silenziosamente mostrando le loro emozioni.



Nota mia: ho inserito anche il capitolo mancante che si intitola "Buona Vita" e si trova prima del capitolo "Sai Perché". Contiene alcune informazioni importanti per la storia e vi darà delucidazioni sul perché il rapporto tra Ian e Mickey è cambiato così tanto in questi ultimi capitoli. Chiedo ancora scusa per il disguido, vi auguro una buona lettura e come al solito se avete delle domande o anche solo commenti sentitevi liberi di scrivere!

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Capitolo 34
*** Vivi Come Se Dovessi Morire Oggi ***


Quando Mickey scivolò nel posto di fronte a Ian ad uno dei tavoli nel cortile del campus, Ian non si scompose. Continuò a scrivere al computer senza disturbarti nemmeno a salutarlo. Nemmeno Mickey lo fece; appoggiò semplicemente le braccia sul tavolo con un’espressione tagliente.

- Mi prendi in giro? Sto diventando matto, Ian. Se non scrivi il prossimo capitolo non usciamo più -. Per fargli capire che non scherzava affatto, sbattè sul tavolo un plico di fogli tenuti insieme da una graffetta, proprio sotto al naso di Ian. – Hai idea di cosa significhi leggere tutto quel climax e poi, bam, rimani sulle spine perché si interrompe tutto lì? Gran bella storia, stronzo –

- Ah sì? Sono contento che ti sia piaciuta, Mickey – sorrise invece Ian divertito nel vedere quanto Mickey fosse preso dalla sua storia e lo stesse adulando senza nemmeno rendersene conto, seppur irritato.

- Scusa se sono incazzato perché dopo aver letto il tuo capitolo fenomenale sono dovuto tornare a quell’incubo de “Il Giovane Holden”. Hai anche solo una minima idea? –

- È ironico che sia io a specializzarmi in Inglese ma tu finora hai letto probabilmente quello che qualsiasi abitante di Chicago leggerebbe in dieci anni. E comunque quello è un bel romanzo, ci sono un sacco di temi interessanti –

- È questo che ti insegnano al college? – brontolò Mickey ma si calmò e si staccò da tavolo, aprendo poi il libro dalla copertina rigida che aveva portato con sé. Non disse niente per qualche minuto e si mise comodo, chiaramente ancora infastidito. – Lei morirà? – buttò fuori con gli occhi sul libro. Ian finse di non aver sentito. – Dannazione, Madison morirà? – ripeté Mickey rabbioso.

- Pensavo che sapessi prevedere da solo la trama – sorrise Ian continuando a digitare sulla tastiera.

- Non la tua – sbottò Mickey e Ian si rallegrò cercando di nascondere che era proprio ciò che voleva. Mickey alzò gli occhi da sopra il libro e li socchiuse. – Ehi, stai continuando a scriverla ora? –

- Non lo so, forse – fece spallucce Ian mordicchiando la penna per poi continuare a scarabocchiare qualche appunto. Furono interrotti da qualcuno che si sedette accanto a Ian, facendogli alzare la testa dal quaderno.

- Ehi – salutò il ragazzino, chiaramente a disagio.

- Ehi Tommy – lo riconobbe Ian ignorando lo sguardo compiaciuto di Mickey, il viso che spuntava per metà da dietro il libro.

- Cosa stai scrivendo? – balbettò Tommy stringendo nervosamente le bretelle dello zaino.

- Un breve racconto, così tanto per passare il tempo – rispose Ian facendo traballare la penna contro al tavolo. Tommy sembrava impressionato e cominciò a far tremare la gamba.

- Fico, io non sono molto bravo a scrivere. Magari puoi darmi qualche consiglio – arrossì di nuovo. – Se hai tempo naturalmente –

- Certo – rispose tranquillamente Ian e Tommy prese la stessa sfumatura di un pomodoro. Scattò in piedi, sorrise e corse via, probabilmente per andare a lezione o per nascondere l’erezione.

- Mh – si lasciò sfuggire volontariamente Mickey da dietro il libro.

- Devi dire qualcosa, Mick? –

- Non mi ero accorto che il tuo tipo fossero angioletti dodicenne con la fedina penale talmente immacolata da potertici specchiare –

- Non è il mio tipo – sospirò Ian. – Cretino –

- Gli hai dato il tuo numero ieri, c’ero anche io –

- Mi dispiaceva – si giustifica Ian e poi sorrise lievemente allungando il piede e toccando il suo sotto al tavolo. – O magari potrei cominciare ad avere la fantasia del ragazzo timido –

- Davvero? Che sarebbe l’esatto contrario di quelli che hai ora – grugnì Mickey ricambiano il calcio.

- Che sarebbero? – lo sfidò Ian strusciando la scarpa contro alla sua caviglia e abbassandogli lentamente la calza. Mickey sbirciò da sopra il libro e fece un sorrisetto.

- Tutti i ragazzi su cui sbavi sono atleti stronzi –

- Mi piace essere in forma quindi probabilmente apprezzo chi fa la stessa cosa – ribatté Ian continuando a massaggiargli scherzosamente la caviglia.

- Se ti piace uscire con un mattone che cammina… - grugnì nuovamente Mickey cercando visibilmente di non farsi distrarre da Ian anche se il rossore sul suo viso lo tradiva.

- Essere appassionati di sport e allenarsi non ti rende stupido, Mickey – rispose Ian cominciando a infastidirsi.

- Okay, ma non puoi dirmi che mentre sbavavi su quegli atleti senza maglietta con Mandy hai pensato “Sembrano proprio intelligenti” –

- No, non è stato il mio primo pensiero – ridacchiò Ian disegnando un cerchio con la punta della scarpa sulla pelle esposta della caviglia di Mickey dopo essere riuscito a sollevare i jeans. Mickey lo fulminò con lo sguardo, chiuse il libro e spostò bruscamente la gamba, saltò sul tavolo e vi si sedette sopra passandosi il pollice sul labbro inferiore. Ian sorrise con aria innocente e posò la penna; incrociò le braccia sul tavolo accanto alla coscia di Mickey e lo guardò sbattendo le palpebre. Rimasero a fissarsi per un breve tempo finché Ian non si arrese e scoppiò a ridere. – Io e Mandy abbiamo un appuntamento stasera ma non abbiamo ancora deciso dove andare, hai qualche idea? –

- Con quali numeri uscite? – chiese sprezzante Mickey.  

- Numeri^ Vuoi dire che ti ricordi tutti i numeri dei ragazzi che abbiamo preso ieri ma non i loro nomi? Li consideri così? – rise Ian gettando in aria le mani.

- E come altro li dovrei considerare? Te l’ho detto, tu e Mandy fate schifo in fatto di uomini –

- Dai, hai bocciato ogni ragazzo che abbiamo visto, Mick. Hai immaginato un sacco di cose assurde per ognuno di loro, come faccio ad andare ad un appuntamento con la tua voce in testa che continua a ripetermi  “questo qui probabilmente passa la giornata a guardare i bambini che giocano al parco?” –

- Non mi fido – fece spallucce Mickey. – Devono avere qualcosa che non va –

- Che c’è, pensi che debbano avere qualche problema per uscire con uno come me? – ribatté Ian voltandosi dall’altra parte, sentendo bruciare lo stomaco a quelle parole.

- No, cretino – disse Mickey abbassando gli occhi. – Non sto dicendo questo –

- Beh e allora cosa vuoi dire? Non valgo abbastanza per uscire con un fottuto bravo ragazzo che vuole davvero conoscermi invece di voler entrarmi solo nei pantaloni? –

- Cristo, no, sei tu che mi metti in bocca parole che non ho detto – obiettò in tono grave. Ian non disse niente e non alzò nemmeno la testa poiché ci era rimasto male, quindi Mickey sospirò. – Ian, nessuno sarà mai alla tua altezza e quella di Mandy – spiegò passandosi una mano tra i capelli.

Ian alzò lo sguardo; Mickey sembrava a disagio ma ricambiò comunque. Ian restò in attesa ma non riuscì a trattenere un sorriso dopo un minuto. – Allora vuoi seguirci di nascosto in mezzo ai cespugli? Puoi travestiti e venire a controllare che questi tizi siano cittadini modello – suggerì. Mickey alzò gli occhi al cielo.

- È meglio che facciate pagare tutto a quegli stronzi. Andate in un ristorante e succhiategli anche l’anima –

- Mh, sei davvero sicuro di volerlo? – chiese Ian con un sorrisetto e Mickey lo colpì con una spinta alla spalla, ridendo.

- Taci –

Ian gli prese la mano e gli sfiorò le nocche con le labbra, alzando gli occhi in uno sguardo diabolico. – Penso che non ti importi di questo appuntamento perché sai che preferirei andarci con te -. Mickey arrossì e la sua risata si affievolì. – Preferirei… - disse Ian tirandolo per il polso così che si abbassasse al suo livello. – fare le equazioni di matematica con te piuttosto che andare a letto con questo ragazzo, lo sai vero? –

L’immagine di Mickey in quel momento era troppo dolce, con il rossore sulle guance, gli occhi sgranati, perplesso e imbarazzato.

- Seriamente, le equazioni di matematica? Non ricordo di averti aiutato a studiare ultimamente –

- Sì, perché la maggior parte dei corsi che seguo ora sono generici, cose che abbiamo fatto alle superiori. Grazie a te sto andando benissimo –

- Hai di nuovo Chimica? – chiese beffardo Mickey stringendogli distrattamente la mano per poi rilasciarla.

- Sì, anche Fisica. Devo seguire due materie scientifiche e poi me le levo di torno – rispose Ian. Non si sarebbe mai abituato a vedere Mickey ricambiare i suoi gesti affettuosi.

- Fammi sapere se hai bisogno allora – rispose tranquillamente Mickey e Ian arrossì come non mai. In qualche modo Mickey riusciva sempre a ribaltare la situazione ed essere lui a disarmare Ian e renderlo nervoso. Per un secondo credette che Mickey stesse per baciarlo perché si avvicinò fino ad avere solo un respiro a separarli, alzò lo sguardo con fare seducente e con un pigro sorriso sulle labbra. – Divertiti al tuo appuntamento – disse ma prima che potesse andarsene, Ian strinse la sua mano e avvolse quella libera intorno al suo braccio, guardandolo amorevolmente. Mickey alternò lo sguardo in mezzo ai suoi occhi e un migliaio di cose non dette aleggiarono tra loro.

- Dovrei andare a lezione – esalò nervosamente Ian ma quell’idea fu rapidamente cancellata da Mickey che piegò la testa e lo baciò, indugiando per più tempo del necessario sulle sue labbra, toccandogli per un secondo il collo e provocandogli un brivido lungo il corpo. Ian era sul punto di tirarlo giù e portarselo in grembo ,a Mickey Indietreggiò e saltò giù dal tavolo prendendo il libro al volo.

- Come ho detto prima, fai in modo di spendere tutti i soldi del tuo Channing Tatum prima della fine della serata – gli ribadì Mickey e se ne andò a passo leggero, molto più brioso del solito. Gli rivolse un sorriso furbo sopra alla spalla e sparì.

 

 

- Sembra carino questo posto – borbottò Mandy a Ian quando scesero dalla BMW bianca. Il locale era raffinato ed elegante a tal punto da farlo sentire un po’ fuori luogo nel proprio abbigliamento. I due ragazzi che scesero dal sedile passeggero e dalla parte dell’autista erano coinquilini, due tizi che Mandy e Ian avevano incontrato il giorno prima al campus. Quando era saltato fuori che uno dei due era gay, avevano suggerito un doppio appuntamento, pensando che sarebbe stato divertente uscire tutti insieme.

- È un jazz club – mormorò in risposta Ian quando raggiunsero l’entrata. Stava per aprire la porta ma il ragazzo he lo accompagnava insistette per essere lui a farlo, giocando strategicamente la carta le gentiluomo, ma era una novità per Ian visto che i ragazzi del South Side non lo invitavano mai nemmeno ad un appuntamento, quindi annuì in segno di ringraziamento ed entrarono.

– Chic – commentò ad alta voce quando furono tutti dentro in attesa di essere accompagnati al tavolo. Sapeva che Mandy era abituata a questo tipo di cose, a partecipare a cene lussuose, ma lui no di certo. L’unica volta che si era avvicinato di più ad un’aragosta era strato guardandola dall’acquario ne negozio.

Un cameriere li accompagnò al loro posto in fondo alla sala, attraversando il pavimento vellutato. Il locale era gremito di persone che chiacchieravano a bassa voce e nell’aria si diffondeva la melodia suonata da una band sul palco davanti a loro. Una volta seduti, il ragazzo che era con Mandy, Ben, cominciò a chiedere a entrambi da dove venivano, che cosa gli piacesse fare, i classici convenevoli.

Ben era decisamente uno schianto, proprio il tipo di Mandy, e anche il ragazzo che accompagnava Ian, Jake, gli faceva concorrenza. Per ora nessuno dei due faceva una strana impressione e Ian se lo annotò mentalmente per rinfacciarlo poi a Mickey; ridevano tutti insieme e si divertivano, ascoltando la buona musica e godendosi la conversazione.

Ian si scusò per andare in bagno prima che i loro ordini arrivassero, cercando di attraversare la stanza buia senza disturbare la vista della band a nessuno. Quando si avvicinò all’ingresso del locale, vicino al corridoio sul retro con il bagno, si immobilizzò. Inizialmente credette di avere le allucinazioni e si stropicciò gli occhi, ma quando si accorse che non era così, rimase a bocca aperta. Seduto ad un tavolo, alla destra del palco, c’era Mickey con un lungo frock bianco a bottoni e un borsalino a falda larga di feltro che batteva la scarpa di cuoio verniciata di nero a tempo di musica, muovendo anche la testa mentre leggeva il menù.

Ian non sapeva se essere scioccato, infuriato o emozionato di vederlo. Lanciò un’occhiata al proprio tavolo e vide Mandy che rideva con i due ragazzi. Si fece strada in mezzo ai tavoli dall’altra parte della sala e si sedette davanti a Mickey. Quest’ultimo rimase tranquillamente nel personaggio, continuando a ondeggia a ritmo senza alzare gli occhi.

- Guarda che hanno chiamato gli anni Venti e rivogliono i vestiti – esordì Ian gesticolando, cercando di sembrare irritato, ma il suo tono uscì più dispettoso.

- Hai suggerito tu di travestirmi – replicò Mickey facendo traballare le dita sul tavolo a tempo con il pianoforte dietro di loro.

- Stai davvero spiando me e Mandy? Non hai niente di meglio da fare? –

- Mi piace la musica jazz, altrimenti perché dovrei essere qui? – chiese incredulo Mickey e l’angolo delle sue labbra si incurvò appena rivelando le fossette sul suo viso.

- Mi prendi per il culo? –

- Ehi, ci sono gli hamburger. Grazie a dio, non mi andavano proprio quelle lumache viscide –

- Intendi le escargot? –

- Ah già scusami, avevo dimenticato che hai studiato francese – borbottò Mickey. – L’anno scorso quando ripetevi sottovoce prima dei test a volte pensavo fosse latino. Sembravi posseduto, cazzo, ero lì lì per chiamare un esorcista –

- Mickey – sospirò Ian; avrebbe voluto essere arrabbiato con lui ma sorrise comunque. Anche se era vestito come un boss mafioso era stupendo.

Il gruppo cambiò canzone e gli occhi di Mickey si illuminarono, le dita che presero a muoversi più rapidamente seguendo il basso e le percussioni. Prese un sorso di acqua ghiacciata e la fece scivolare automaticamente sul tavolo verso Ian, come faceva di solito quando condivideva tutto con lui.

- Devo andare in bagno e poi devo tornare dal mio ragazzo – disse Ian dopo aver bevuto senza nemmeno avere sete, incapace di rifiutare qualsiasi cosa che gli offrisse Mickey.

- Vai allora – rispose con un sorrisetto Mickey, alzando finalmente lo sguardo su di lui. Anche nella penombra riusciva a vedere tutte le sfumature nelle sue iridi profonde e sapeva che se fosse rimasto troppo a fissarli si sarebbe totalmente perso con la testa tra le nuvole.

- Ti diverti? –

- Sì, è sempre piacevole ascoltare un bravo gruppo. Quei tizi spaccano – sviò Mickey girandosi per guardarli. Ian si chiese cosa sarebbe successo se non fosse tornato a tavola con gli altri se fosse invece rimasto con Mickey per il resto della serata ad ascoltare la musica leggera, bevendo acqua gratis e mangiando hamburger giganti fino all’ora di chiusura. Era così sbagliato pensare di scaricare tutto e tutti per Mickey, per questo ragazzo che non era esattamente il tipo più romantico del mondo, ma Ian l’avrebbe fatto, sapeva che l’avrebbe fatto in ogni secondo.

La melodia cambiò e assunse un tono più delicato e lento, tocchi leggeri di piano e il sassofono che sovrastava gli altri strumenti. Mickey si girò e  scosse le spalle piegando la testa da un lato. – Credevo che dovessi andare da qualche parte –

- Cos’hai in mente, Mickey? Non puoi semplicemente presentarti al mio appuntamento in questo modo -. Mickey lo fissò per un momento e poi si girò quando arrivò la cameriera per prendere l’ordinazione. Ian attese che se ne andasse. – Devo tornare dagli altri. Sei venuto con la L? –

- Beh, non è che io abbia un BMW- rispose il moro, lo sguardo rivolto immediatamente verso il tavolo di Mandy e gli altri due ragazzi.

Ian drizzò le orecchie e si morse l’unghia, riconoscendo la canzone che la band aveva cominciato a suonare. Non stava cantando nessuno ma si era accorto di aver già sentito quel pezzo, le parole erano da qualche parte nel retro del cranio. – Ehi, stanno suonando Bon Iver. E… diamine, che cos’era… Ah sì, “I can’t make you love me…”. Cazzo, adoro questa canzone –

Mickey sembrava divertito e prese un altro sorso d’acqua mentre Ian mormorava sottovoce a tempo degli strumenti che improvvisa vano mescolandosi magnificamente con la melodia romantica del piano e della tromba che sfumava verso un tono più malinconico, incantevole.

- I can’t make you love me if you don’t… - borbottò Ian incerto quando arrivò il ritornello, ricordando poi il resto della canzone. – You can’t make your heart feel something it won’t . La cover era molto bella, chissà se sarebbe riuscito a trovarla online più tardi, così l’avrebbe scaricata sul cellulare. Mentre la canzone volgeva al termine, si voltò di scatto verso Mickey, che lo guardava ma non sorrideva più come prima. – Devo andare davvero in bagno prima di farmela addosso qui -. Tossì, a  disagio, e si alzò imbarazzato per andare in bagno.

Quando tornò al tavolo tutti lo presero in giro per averci messo così tanto e dopo un paio di battute continuarono a chiacchierare casualmente; Mandy almeno sembrava divertirsi. Ian sapeva che anche lui avrebbe potuto farlo se non fosse stato per l’immagine di Mickey che lo fissava durante la canzone di Bon Iver che si ripeteva in continuazione nella sua testa.

A quanto pare, proprio come Ian e Mandy, Ben e Jake si conoscevano dal primo anno di scuola superiore e ora erano al secondo anno di college e bazzicavano insieme per il campus. Mandy e Ben non smettevano di flirtare ma Jake sembrava più timido, preferendo una conversazione più amichevole con Ian visto che era il primo appuntamento. Era piuttosto interessante e avevano molto in comune, almeno per quanto riguardava opinioni e cose che gli piacevano. Suggerì di andare in palestra insieme e magari a vedere qualche partita di rugby, cosa che Ian non vedeva l’ora di fare.

Quando finirono di mangiare, Ian cercò Mickey mentre se ne andavano ma non era più al suo tavolo. Fuori, il cielo serale era quasi accecante, colorato di un viole a un rosa fluorescenti.

- Volete venire da noi? – chiese Ben quando si ritrovarono tutti fuori davanti al locale.

- Sì – rispose Mandy senza pensarci neanche un secondo, senza nascondere il proprio entusiasmo. Guardò rapidamente Ian sorridendo, cercando di comunicargli solo con l’espressione facciale quanto le fosse piaciuta quella serata.

- Tu Ian? – chiese speranzoso Jake. Il suono ovattato della musica che arrivava da dentro riportò Ian a Mickey e in quel momento lo vide davvero che si allontanava sul marciapiede oltre un Capannelle di gente dietro a Jake.

- Ehm, magari la prossima vota – rispose Ian in tono di scuse. – C’era un posto che volevo vedere in questa zona -. Era una scusa talmente stupida che Mandy gli lanciò un’occhiata confusa in cerca di una spiegazione. – Scusate, mi sono divertito davvero, devo solo andare in un posto – mentì con i nervi a fior di pelle mentre il cappotto di Mickey spariva svolazzando dietro l’angolo.

- Possiamo accompagnarti – suggerì preoccupato Jake. Ben aveva già il braccio intorno a Mandy e la stava conducendo alla macchina. Ian scosse rapidamente la testa sperando di non destare troppo sospetto anche se sapeva di stare sicuramente fallendo.

- Ti chiamo poi. Grazie per la cena – concluse in fretta. E poi sparì in mezzo alla folla, sentendosi come uno stronzo, ma questo non gli impedì di svoltare l’angolo, cercando dappertutto. Con sua grande sorpresa, Mickey era appoggiato al muro di mattoni che fumava e lo guardava, in attesa.

- Dream as if you’ll live forever. Live as if you’ll die today – disse abbassando la sigaretta. Risaltava con la sua mise bianca e nera in mezzo alle insegne al neon che si confondevano sullo sfondo e la folla variopinta che camminava intorno a loro.

- Come? – chiese Ian esterrefatto, infilando le mani in tasca e cercando di far finta di niente, come se non avesse appena scaricato il ragazzo con cui aveva un appuntamento per seguire lui.

- È una frase di James Dean – fece spallucce Mickey. – Mi sembrava perfetta per l’occasione –

- È il tuo modo di flirtare con me? – chiese Ian rubandogli la sigaretta e aspirando un tiro con una risata. – Chi è ancora fan di James Dean alla nostra età? –

- Se a te piacessero ragazzi normali della nostra età a cui piacciono cose normali, non staremmo avendo questa conversazione, no? – disse Mickey riprendendo la sigaretta.

Ian deglutì e rifletté su quelle parole. Fissò Mickey che finiva il resto della sigaretta e la buttava per terra. Mickey rivolse gli occhi verso il cielo e fece ombra con la mano per guardare il cielo luminoso, poi abbassò di nuovo la testa e le sue labbra si aprirono in un sorriso. Ian avrebbe dovuto rimproverarsi per aver di nuovo scelto Mickey al posto di un altro ragazzo, quando c’era la possibilità che Mickey non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti, eppure eccolo lì al suo fianco in un batter d’occhio, come si aspettava.

Mickey spostò il cappello dagli occhi mantenendo il suo sorriso da stregato e lo guardò. – Non ho una Mercedes ma ho due biglietti per il treno, posti vip e tutto il resto – suggerì. Ian scoppiò a ridere.

- Ma smettila, non esistono biglietti speciali per la L –

- Vale la pena provare – ricambiò Mickey. Ian gli diede una spinta e Mickey lo imitò, dando inizio ad un’accesa lotta. Quando si avvicinarono alla fermata del treno, continuando a punzecchiarsi mentre salivano per le scale, improvvisamente Mickey lo prese per mano. Ian arrossì come un pomodoro e si lasciò trascinare. – Questa volta non dovrai mollarmi lì, okay? Non dirò niente di stupido – disse Mickey indietreggiando vero I binari e portando Ian con sé. Mentre il treno si avvicinava sbuffando sui binari, Mickey si addolcì e Ian capì a cosa si riferiva. L’ultima volta che avevano preso la L insieme era finita male.

- Se mi dirai qualche cazzata ti ascolterò e ne parleremo invece di andarmene – promise Ian sperando che Mickey capisse che la colpa era di entrambi.

- Va bene – rispose il moro, riconoscente. Lasciò la sua mano quando le porte si aprirono e si tolse il cappello. – Non posso credere di aver indossato questa roba tutta la sera –

- Forza, Sinatra – rise Ian gettandogli il braccio intorno alle spalle per trascinarlo sul vagone. Si sedette ro e Mickey lo fissò severo.

- Hai preso in giro James Dean e mi menzioni Sinatra? Cretino –

- La tua stramberia è contagiosa – ribatté Ian senza togliergli il braccio dalle spalle, ma Mickey non sembrava avere qualcosa in contrario; non disse niente e guardò fuori dal finestrino solo per un paio di minuti, per poi guardarsi intorno e scoprire che il vagone era vuoto. Abbandonò la testa sul braccio di Ian e sbadigli silenziosamente, chiudendo gli occhi.

- Svegliami quando arriviamo – disse sistemando comodamente la testa nell’incavo del suo gomito. – Oppure no, non me ne frega niente –

Ian sorrise e si avvicinò un po’ di più mentre il treno partiva. Quando Mickey si addormentò davvero, dimostrando quindi di fidarsi davvero di Ian se l’aveva fatto in pubblico, la sua testa cadde verso la sua spalla e il collo ed esalò un grugnito. Ian valutò se svegliarlo quando arrivarono a destinazione ma non lo fece. Si infilò un paio di auricolari e ascoltò la musica mentre il treno proseguiva, senza preoccuparsi se si sarebbe mai fermato oppure no.

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Capitolo 35
*** La Decisione È Mia ***


- Sono carinissimi, vero? – chiese Mandy accovacciandosi accanto a Mickey sotto all’albero vicino alla torre dell’orologio e alla fontana. Mickey la guardò infastidito e riportò gli occhi sul prato dove Ian e Jake giocavano a rugby con altri studenti. – Dovresti unirti a loro – proseguì Mandy con un sorrisetto e Mickey abbassò lo sguardo sui fogli che teneva in grembo, annotando qualcosa ai margini. Mandy sorrise ancora di più e incrociò le braccia sulle ginocchia. – Jake è davvero fico, ci proverei sicuramente con lui se non ci fosse Ben – 

- E se non gli piacesse l’uccello – ringhiò Mickey scrivendo furiosamente. 

- Cosa scrivi? – 

- Roba per il tutoraggio – rispose lui e, lasciando da parte il buon senso, guardò di nuovo Ian che correva sul prato prendendo al volo la palla da rugby e che rise quando Jake lo placcò. 

- Chissà se a breve cominceranno a uscire insieme o se si sono già baciati – rifletté Mandy guardandoli a sua volta. Quando Ian e Jake rotolarono sul prato e si rialzarono, Mickey spostò lo sguardo.

- Non sono affari tuoi – ribatté tirando delle righe sul foglio. Stava per aggiungerne altre ma saltò per lo spavento e lasciò cadere la penna quando qualcuno si appollaiò accanto a lui. 

- Abbiamo vinto – dichiarò Ian premendo si contro al suo fianco e facendosi aria con la maglietta mentre ansimava senza fiato. 

- Di un punto solo – precisò Jake avvicinandosi e passando la sua bottiglietta d’acqua a Ian. Mickey era ben conscio del calore emanato dal corpo di Ian e dal fatto che non stava nemmeno nascondendo di essersi appoggiato a lui. Ian bevve un lungo sorso e restituì la bottiglietta, sospirando soddisfatto, poi si voltò verso Mickey. 

- Ehi, stai lavorando? – 

- Già – replicò brevemente Mickey incapace di parlare decentemente, dato che Ian stava completamente invadendo il suo spazio con il viso quasi contro al suo mentre cercava di sbirciare il tema suo grembo. 

- Posso giocare anche io al prossimo round? – chiese Mandy alzandosi e allungando le braccia sopra alla testa. 

- Vuoi ballare il tango con i ragazzi più grandi? – chiese Jake sorridendo. – Ci sto –

- Non voglio ballare il tango, voglio prenderti a calci in culo – ribatté lei scrocchiando le nocche e Jake fischi compiaciuto. 

- E va bene allora, dirò a Jake cosa saprai fare – 

- Lo sa già, non preoccuparti – ammiccò Mandy e Jake scoppiò a ridere mentre ritornava dagli altri ragazzi per una nuova partita. 

- Vieni Ian? – lo chiamò Jake voltandosi indietro. 

- Gioco la prossima partita, ora faccio una pausa veloce – gridò in risposta Ian. Jake gli rivolse I pollici in su e se ne andò. Mickey si sentiva in trappola, cercando di fare del suo meglio per concentrarsi sul suo lavoro, ma la presenza di Ian che gli stava letteralmente col fiato sul collo lo confondeva totalmente. 

– Hai sbagliato a scrivere – gli disse Ian piano e quando Mickey ispezionò il foglio per vedere di cosa stesse parlando, Ian scoppiò a ridere divertito e Mickey lo guardò con una mezza smorfia. 

- Ehi, non ho scritto io questa roba –

- Però questo sì, vero? – insistette Ian guidando gentilmente la sua mano verso l’inchiostro rosso al margine inferiore e disegnò una X su una parola, scrivendo sopra la correzione. – Penso volessi scrivere “inno”, non “Ian” –

- Dannazione – borbottò Mickey incapace di spiegare; il rosso lo stava distraendo troppo in quel momento.

- Mi stavi pensando? – lo provocò appena Ian e Mickey socchiuse gli occhi, scegliendo di non rispondere per non inoltrarsi in qualcosa di più intimo. Ma alla fine non resse più il sorrisetto di Ian e si arrese. 

- Dove vuoi arrivare con questo? – chiese girandosi verso di lui ma fu un errore perché Ian aveva la testa piegata e il viso molto vicino al suo. 

- Lo sappiamo entrambi – alluse scherzosamente Ian. 

- Non hai un’altra partita di calcio, rugby, o chi per loro? – 

- Sì ma ora sta giocando Mandy e mi fa paura – rise Ian. Mickey si arrotolò le maniche della camicia e spinse Ian per terra con un sorriso. 

- Sei sicuro di dover avere paura di lei, ragazzone? -. Ian si rialzò e gli afferrò i polsi cercando di immobilizzare ma Mickey si liberò dalla sua presa e riguadagnò il dominio. I fogli di Mickey si sparpagliarono sul prato intorno a loro mentre si afferravano e si liberavano, carichi di energia per l’emozione. 

- Sei piuttosto forze per essere uno che non va in palestra – lo stuzzicò Ian quando Mickey si ritrovò sopra di lui con le mani nelle sue. 

- Ricordatelo la prossima volta che penserai che non posso farti il culo – 

- Beh, non ricordo di averlo mai pensato – disse piegando le gambe per fare leva e scambiare le loro posizioni. Mickey si dimenò ma Ian non si arrese. – Ma forse ora sì –

- Fottiti – sorrise Mickey cercando di liberarsi. 

Quando Ian lo guardò, non poté evitare di pensare che le cicatrici sulle sue braccia erano bellissime alla luce del sole. Certo, erano un terribile promemoria di tutto io che aveva passato, ma vederlo mostrarle volontariamente alla luce del giorno invece di nasconderle per la vergogna, per lui era bellissimo. Era la prova che sì, aveva sofferto, ma era ancora vivo, respirava e aveva un cuore che batteva, ancora capace di sorridere, ad essere LÌ. 

- Non ero i quello che si addestrata per diventare un militare alle superiori – si difese Mickey, faticando a toglierselo di dosso. 

- Forse avresti dovuto – ribatté Ian immobilizzato le sue mani. Ma poi gli si mozzò il respiro quando Mickey si rigirò, si liberò e fu lui, in pochi secondi, a immobilizzarlo, lo sguardo trionfante mentre gli intrappolata e gambe. 

- Credi che io non abbia imparato a difendermi da quelli più grandi d me crescendo? – chiese Mickey. Ian non cercò nemmeno di ribellarsi, si sentiva stranamente orgoglioso, anche se aveva perso. Poi si rese conto che era ovvio che Mickey sapesse lottare, che sapesse come sgusciare via da prese strette, come fuggire quando si trovava in pericolo; era evidente. 

- Dovresti vedere Mick quando è arrabbiato, non si sta nemmeno impegnando – udì la voce di Mandy che trotterellava verso di loro, rivolgendogli un’occhiata complice quando li vide insieme. Mickey si spostò rapidamente e le rivolse un’occhiata mortale; il suo disagio ritornò quando vide arrivare anche Jake. 

- Hai detto che avresti giocato la prossima partita – disse il giovane, indifferente a ciò che aveva appena visto. Tese la mano a Ian per aiutarlo ad alzarsi. 

- Sì, andiamo – cinguettò Ian e quando Jake cominciò ad avviarsi, si girò a guardare Mickey. – Non è finita qui – 

- Quando vuoi, sai dove vivo –

- È una minaccia o un invito? -. Si guardarono con le sopracciglia alzate e quando Mickey si passò il pollice sul labbro inferiore, Ian dovette andarsene prima di saltargli di nuovo addosso. Quando se ne fu andato, Mandy si portò una mano sul fianco. 

- Allora, state scopando? – 

- A questo punto dovrei comprarti una museruola – commentò Mickey raccogliendo I fogli sparsi per finire di lavorare. – A quanto pare faceva male chiederlo gentilmente – 

- Secondo te dirmi di chiudere la bocca così è gentile? – 

- Per come siamo abituati, sì – rispose Mickey, quasi offeso che non lo avesse ancora capito. Lei sospirò e scosse la testa. 

- Allora, le cose stanno così: io e Ian seguiamo entrambi Psicologia Generale e dobbiamo fare un esperimento nel weekend. È un problema se stiamo dallo zio Rick stasera e sabato? Sean e quella stronza della mia coinquilina romperebbero troppo le palle. 

- Cosa dovete fare? – brontolò Mickey, finendo finalmente di ammucchiate tutti i fogli sulle ginocchia. 

- Dobbiamo restare svegli per tre giorni di fila e annotare tutti i nostri pensieri e sentimenti ogni ora – 

- Voi due? Siete matti? Fate pena entrambi e restare svegli quando siete stanchi – lo prese in giro Mickey. 

- Ecco perché lo facciamo insieme, così ci teniamo svegli a vicenda – spiegò Mandy arricciando il naso. – Dì solo a Rick che veniamo da lui – 

- Sì, okay – fece spallucce Mickey e Mandy strinse le labbra, esitando prima di aprire un nuovo discorso. Alla fine decise di farlo e basta. 

- Ieri ho incontrato Colt – 

- Cosa? – esclamò Mickey. A quel punto voleva tirargli direttamente uno schiaffo. 

- È spuntato dal nulla mentre stavo andando da Ben – grugnì rabbiosa Mandy. – Quello stronzo voleva rompere le scatole appena gli ho detto che stavo andando dal mio ragazzo, quindi l’ho mandato all’inferno. Non riesco a credere che quel bastardo venga a scuola qui, mi viene la nausea solo a pensarci –

- L’ho già incontrato, in qualche modo conosce Ian – replicò sprezzante Mickey. 

- Se prova a parlare con Ian gli taglio le palle – sogghignò Mandy. A Mickey confortata sapere che la pensassero allo stesso modo su questo. Mandy si grattò la testa e fece per andarsene ma prima si morse il labbro. – Ehi, pensi che ci siano anche Davey e Parker con lui? – 

- Non lo so, non me ne frega niente – rispose Mickey, facendole capire chiaramente di chiudere la questione prima di dire troppo. Lei annuì e gli rivolse il loro solito dito medio per poi andare a guardare la partita di rugby. 

 

 

 

Quando Mickey arrivò a casa, si tolse la camicia he indossava sopra alla t-shirt, la gettò sul divano e andò dritto in cucina quando sentì il clangore di pentole e padelle. – Ehi Rick, va bene se… -. Si pietrificò quando vide Rick ai fornelli che metteva della carne condita con delle spezie a sfrigolare in padella usando uno straccio per scacciare il fumo dal viso mentre appoggiato all’isola dietro al fornello c’era un ragazzo della sua età che beveva da una tazza con una maglia blu con scollo a V, i capelli tinti di un colore fulvo e larghi occhi verdi da mosca. Non appena vide Mickey posò la tazza, scioccato quanto lui, come se non avesse idea che Mickey vivesse lì, come se dovesse essere lui quello sorpreso. 

- Ehi Mick, sono uscito da lavoro e indovina chi ho trovato davanti a casa? – esclamò raggiante suo zio rigirando la carne con una spatola di legno. Mickey non proferì parola e continuò a fissare la scena davanti a lui cercando di capire se fosse uno scherzo o una punizione. 

- Ehi Mickey – disse piano il ragazzo rigirandosi sullo sgabello come se volesse saltare in piesi ma sapeva che fosse meglio non farlo. 

- Non è incredibile, Parker vive a un paio di isolati da qui. Erano anni che non lo vedevo – disse Rick scuotendo la testa incredulo, continuando a rigirare la carne nella padella. 

- Mandy e Ian vogliono restare qui nel weekend, è un problema? – buttò fuori Mickey mordendosi la lingua per trattenere tutte le parolacce e le urla che non poteva lasciar uscire. Rick lo guardò con aria interrogativa, chiedendosi chiaramente perché si comportava come se non avesse nemmeno visto il suo amico, ma a Mickey non importava è aspettò semplicemente una risposta ì, senza guardare Parker che scendeva dallo sgabello. 

- Ehm, sì, okay. Dio, fai più soldi di me, ormai questa potrebbe essere casa tua – replicò ironico Rick cercando di alleggerire la tensione dopo essersi reso conto del disagio che permeava nell’aria. 

- Grazie. Io ora devo uscire, ci vediamo stasera a cena – 

- Sei appena tornato, non vuoi pranzare? – chiese Rick piegando la testa verso Parker e cercando di capire silenziosamente perché Mickey si stesse comportando in quel modo. 

- Grazie, ma devo andare – chiuse il discorso Mickey precipitando in soggiorno per riprendere la camicia, per poi andarsene sbattendo così forte la porta da rischiare di far saltare i cardini. 

Una volta fuori cercò di calmarsi tentando di ricordare come si respirasse normalmente, guardandosi intorno per decidere dove andare per non avere un crollo in mezzo al parcheggio. 

- Mickey – lo chiamò Parker correndo per le scale dietro di lui. Oh cazzo, no, no, assolutamente no. Avrebbe voluto davvero correre via, cosa cazzo aveva fatto per meritarsi questo adesso? I suoi piedi si inchiodarono al suolo quando si ritrovò davanti Parker con gli occhi verdi spalancati e un’espressione tesa. – Non scappare per favore Mickey, voglio parlarti – 

- Devo andare, devo… ehm -. Si bloccò perché stava diventando tutto confuso. Non poteva farlo; non era come con Colt, non poteva affrontare Parker. Era facile esplodere davanti a Colt, ma con Parker non poteva, letteralmente, non era in grado. 

- Perché mi eviti? Non ti vedo da quasi due anni, Mickey – 

- Devo andare in un posto, io… - 

- Colt mi aveva detto che avresti fatto così – mormorò con voce scommessa il ragazzo. – Non mi importa di tutto quello che è successo prima, non adesso. Voglio solo parlarti – 

Quando Mickey continuò a spostare lo sguardo verso il parcheggio, verso il cielo, verso le persone che camminavano, Parker si avvicinò cercando disperatamente i suoi occhi. 

- Ti conosco da quando abbiamo dodici anni, Mick. Puoi fare finta di non volermi vedere ma non ti lascerò sparire. Sei troppo importante per me –

Mickey si sentì sull’orlo  di un attacco di panico quando non disse nulla e alla fine, finalmente, riuscì a sconfiggere la gravità che lo incollava all’asfalto e a incamminarsi sul marciapiede, fuori dal complesso residenziale. Continuò a camminare e il panico sembrò svanire un po’ di più quando vide che Parker non lo seguì. 

 

 

Quella sera Mickey ritornò finalmente a casa, felice di non dover lavorare quel weekend visto che si era fatto il culo durante la settimana. Entrò con i crampi alle gambe per essere stato seduto da solo al parco dietro all’edificio per cinque ore. Fu sollevato di vedere Ian e Mandy sul divano invece di Parker, impegnati in un gioco di parole. 

- Ti ho chiamato almeno sei volte – lo riproverò Mandy quando richiuse la porta. 

– Dov’è lo zio? – chiese Mickey senza disturbarsi a salutare. 

- Pensi che ci siamo intrufolati di nascosto? – rise Ian. – È sul balcone che fuma – 

Mickey si avviò rapidamente verso il corridoio dove si trovavano le camere da letto, senza notare lo sguardo che si scambiarono Ian e Mandy. Bussò educatamente alla porta della camera di suo zio e quando non ottenne risposta la aprì facendo lentamente capolino. La porta a vetro scorrevole che conduceva al balcone era dall’altro lato della stanza ma si vedeva suo zio fuori in piedi che fumava sbattendo la punta della scarpa seguendo un silenzioso ritmo. Di fianco a lui c’era Parker che fumava a sua volta, appoggiato alla balconata di pietra come se quello fosse suo zio e quella fosse casa sua. Quando scorse Mickey attraverso la vetrata, Mickey si precipitò fuori e andò in soggiorno, pronto a sparire di nuovo. 

- Mickey? – 

Si fermò alla porta e si voltò quando udì Ian. Mandy sbattè le palpebre con uno sguardo molto più duro di quello di Ian e capì che l’unico motivo per cui si stava trattenendo era il fatto che non era lei a dover raccontare di Parker. 

- Non vuoi restare alzato tutta la notte con noi? – sorrise Ian. Si vedeva che avrebbe voluto chiedergli di quel ragazzo in casa con loro. Forse Mandy aveva detto qualcosa, forse no, ma in ogni caso sembrava che Ian volesse che Mickey rimanesse con loro. 

- Figurati se uno di voi due resiste una notte sola, per non parlare di tre – replicò con un sorrisetto Mickey lasciando la maniglia e andando a sedersi sul bracciolo del divano accanto a Ian. 

- Vedremo – lo sfidò Ian tirando fuori un gioco da tavolo da una scatola polverosa sul tavolo. 

- Cosa diavolo è tutta questa roba? – 

- Dobbiamo tenere attivo il cervello. Un film ci farebbe venire sonno – spiegò Ian. Mickey scosse la testa è tirò verso di sé una scatola per guardarci dentro. 

- Non siete svegli da neanche ventiquattro ore, siete narcolettici per caso? - . Un allarme suonò sull’orologio di Ian e lui e Mandy si misero automaticamente a scrivere qualcosa su dei fogli sul tavolo. Mickey inarcò un sopracciglio. – Sembra di vedere dei topi da laboratorio – 

Udirono una porta chiudersi e Rick entrò nella stanza seguito da Parker, che restò in piedi a disagio vicino al corridoio dietro al divano, come se non fosse sicuro di avere il permesso di entrare ora che Mickey era lì. – Posso parlarti per un secondo, Mick? – chiese Rick indicando la cucina e avviandosi in quella direzione senza attendere una risposta. Mickey si alzò dal bracciolo del divano per seguirlo, incapace di guardare Parker. Quando entrò in cucina, suo zio aveva l’aria stanca. – Allora, Parker e il suo coinquilino hanno litigato pesantemente. Ti va bene se resta qui? Ho notato un po’ di tensione tra voi – 

- Allora sai già la mia risposta – replicò Mickey. 

- Mick, non so cosa sia successo di preciso tra voi due ma non posso voltare le spalle a quel ragazzo. So di non essere stato abbastanza presente per te quando eri piccolo, ma quando c’ero ricordo che c’era anche Parker –

- Mi prendi in giro? Vuoi farti ingannare dalla sua vocina e dagli occhi da cerbiatto? – 

- Non è lo stesso ragazzo per cui sei tornato a casa coperto di sangue e di lividi? Mi ricordo quel giorno, tu e Parker avete preso l’autobus alle quattro di mattina per venire qui. Due ragazzini di tredici anni sporchi e lividi – 

- Dove vuoi arrivare con questo?  - ringhiò Mickey; ora si stava arrabbiando davvero. Suo zio non aveva il diritto di dirgli proprio niente sulla sua relazione con Parker. 

- Due ragazzini del North Side – continuò Rick – che venivano da famiglie di merda e che si supportano a vicenda. Non ho mai visto due ragazzi così vicini come voi. È successo chiaramente qualcosa tra di voi ma gli diresti davvero di andare a dormire in un cespuglio stanotte? 

- Rick, tu non sai niente – sputò Mickey. Quando suo zio sembrò fare un passo indietro a quelle parole e si appoggiò al bancone, Mickey si sentì in colpa. Suo zio non poteva farci niente se non sapeva com’erano andate le cose ma a Mickey non piaceva sentirsi costretto a dover dare spiegazioni per sé stesso o per una situazione a qualcuno che non era presente e che non poteva capire, che non avrebbe mai potuto capire. 

- Può restare ma non aspettarti che ci comportiamo da migliori amici – ribatté Mickey ritornando in soggiorno e trovando Parker ancora in piedi vicino all’entrata del corridoio, anche se stava parlando con Ian e Mandy con un’aria nervosa ma al contempo felice di poter parlare con loro.

- Se il mio coinquilino cercasse di buttarmi fuori gli darei fuoco alle tende – dichiarò Mandy rivolgendosi a Parker, che sorrise appena. Quando Mickey si sedette in mezzo a Ian e Mandy, qualsiasi cosa pur di non essere vicino a Parker. Mandy si spostò infastidita. 

- Di solito è simpatico, ma ha un brutto carattere – fece spallucce Parker. Le unghie di Mickey scavavano nei pantaloni, la gamba che traballava per l’ansia. Sentì qualcosa premere sul piede e spostò lo sguardo, trovandovi il palmo della mano di Ian che lo teneva fermo. Ian gli rivolse uno sguardo preoccupato e pieno di domande ma Mickey non aveva niente da dargli. 

- Dove cazzo dormirete? – sbottò.

- Quindi posso restare? – esclamò Parker così emozionato che Mickey dovette trattenersi dal nascondere il viso tra le man per l’esasperazione. 

- Noi non dormiamo, ricordi? – ribadì Mandy tirandogli uno scappellotto. Mickey strinse i denti e si passò una mano tra i capelli. 

- Non dormite? – chiese timidamente Parker e lo fece incazzare così tanto per quella voce insicura, per il modo in cui si poneva, che non era porsi affatto, il modo in cui stava stretto nelle spalle vicino alla porta; non lo sopportava. 

- Ehi Mickey, io stasera sto da Elena e Lucas non torna quindi la casa è tutta per voi – lo informò Rick entrando in  soggiorno con uno zaino in spalla. – Se avete fame c’è da mangiare in cucina e sul bancone ho lasciato dei soldi se volete ordinare la pizza – 

Mandy e Ian agitarono la mano in segno di saluto a suo zio e Parker abbassò la testa quando gli passò accanto arruffandogli i capelli per poi uscire. Mickey saltò oltre il divano e lo seguì in corridoio, chiudendo la porta per non farsi sentire. 

- Rick, non puoi scaricarmi questa roba addosso – sbottò. Fu in quel momento che si sentì davvero arrabbiato con lui, tradito. Rick si girò, aveva un’aria più stanca del solito, meno spensierata, come se quella sera avesse un peso sulle spalle. 

- Il coinquilino di Parker ha minacciato di sgozzarlo stamattina solo perché Parker ci ha messo troppo per farsi la doccia – disse Rick in tono grave. Mickey rimase senza parole e Rick si passò la mano malferma sul viso. – Mickey, dopo aver saputo cosa avete passato tu e Mandy, non lo rimando lì –

- Non sei tu a dover decidere – gracchiò Mickey girandosi verso l’entrata per nascondere il viso. – Non è un problema tuo –

- Perdonami Mickey, ma se avessi ragionato così mesi fa e avessi deciso che tu non eri un mio problema, non avrei mai conosciuto il ragazzo meraviglioso che sei. Lasciarti stare con me è stata una delle decisioni migliori che io abbia mai preso e finché Parker vorrà restare qui non posso dirgli di no, non dopo quello che mi ha raccontato –

- Fai come vuoi – rispose Mickey. Sentì suo zio che cercò di allungare una mano verso di lui ma ritornò in casa e andò direttamente nella stanza di Lucas. Richiuse la porta e vi si appoggiò contro. Tremava per i dolorosi singhiozzi che non volevano uscire ma cercò di non far rumore, rannicchiato per terra, e nascose il viso sulle ginocchia. Gli facevano male le costole per lo sforzo di dover stare in silenzio e la testa perché non inalava abbastanza ossigeno, troppo impegnato a non lasciarsi andare. Quando la porta si aprì e si richiuse si maledisse per non averla chiusa a chiave. 

- Stai lontano da me, Parker, te lo chiedo per favore – chiese implorante con la testa sulle ginocchia perché se gli avessero lasciato anche solo un momento di solitudine sarebbe riuscito a calmare il tornado di emozioni che scuoteva il suo corpo. Un paio di braccia lo avvolsero gentilmente intorno alle spalle e Mickey sussultò alzando la testa incredulo. 

- Non devi spiegare niente – disse dolcemente Ian avvicinandosi a lui per stringerlo in una presa sciolta e affettuosa, senza opprimerlo. Mickey lo fissò sconvolto, arrabbiato con se stesso per quello che Rick gli aveva detto di Parker; troppi ricordi gli erano tornati in mente nel momento in cui lo aveva trovato seduto in cucina. 

- Non è quello che pensi – sussurrò Mickey incapace di usare un tono normale, perché aveva visto gli occhi addolorati di Ian. 

- Non importa quello che penso, non sono saltato a nessuna conclusione – lo rassicurò Ian tirandolo a sé. – Chiunque sia questo ragazzo, qualunque sia il motivo per cui vederlo qui ti fa stare così, non è tanto importante come tirarti su di morale, no? – 

- Ho dei problemi a gestire la rabbia – buttò fuori Mickey come se questo spiegasse tutto ciò che stava succedendo in quel momento. Gli pulsava terribilmente la testa, gli sembrava di vedere doppio e il dolore che sentiva in tutto il copro lo rendeva così debole che si appoggiò a Ian e chiuse gli occhi, respirando profumo d’estate, perché era l’unico modo in cui poteva descrivere il profumo di Ian. Ringraziò che non gli avesse risposto “Non preoccuparti” oppure “va tutto bene, le cose si aggiusteranno” o ancora “spiegami meglio”. Lo stringeva e basta. Non gli chiese niente né pretese delle risposte, cercò solo di offrire la propria presenza per alleviare qualsiasi cosa Mickey stesse affrontando. 

- Non ti stanchi mai? – chiese Mickey con il viso contro al suo petto, gli occhi quasi completamente chiusi. 

- Non mi capita tutti i giorni di abbracciarti – rispose ironicamente Ian accarezzandogli la schiena è le braccia con le dita. 

- Intendo, non ti stanchi mai di cercare di assicurarti che io non vada fuori di testa? Non è estenuante? – 

- Tanto per cominciare, se fossi esausto adesso mi sentiresti russare e poi ad essere sincero vorrei che tu mi permettessi di prendermi più cura di te – 

Mickey non riuscì a trattenersi e quasi non gli sfuggì un mugolio che lo costrinse a premere ancora di più il viso contro di lui per soffocarlo; Ian lo strinse ancora di più. Voleva dirgli che era una brava persona, la persona migliore che gli fosse capitata, una persona di cui tutti avevano bisogno, ma non gli uscì niente. 

- Vorrei dirti che è tutto okay ma so che non lo è – cercò di confortarlo Ian. – quindi dimmi solo quando vuoi che me ne vada o cosa potrei fare per te, Mickey. Farò qualsiasi cosa tu abbia bisogno – 

Mickey lo abbracciò a sua volta avvolgendogli le braccia intorno al collo e scosse la testa cercando di comunicargli in qualche modo tutta la merda intrappolata dentro di lui. – Vorrei dirlo – disse finalmente. – ma non posso – 

- Okay – lo rassicurò affettuosamente Ian. – Sarò sempre qui quando riuscirai – 

Mickey era dolorante, gli faceva male la testa, ma rimase aggrappato a lui e ispirò profondamente. Ian emise un lieve suono, come un mormorio, e poi ridacchiò. 

- Una volta Lip ha preso a mazzate delle macchine – 

Mickey inalò il suo profumo è lo sentì sorridere per ciò che aveva appena detto, come se dovesse essere uno scherzo, ma invece era tutto vero. 

- Mia sorella minore Debs ha cercato di annegare una sua compagna di classe in piscina – continuò come se stesse raccontando la favola della buonanotte. – E Carl, mio fratello minore, credo che se ci fosse un giorno in cui non ha sbattuto qualche testa contro un armadietto o mandato qualcuno in infermeria, lo faremmo vistare da un dottore per controllare che sia tutto a posto – 

Stranamente, Mickey si ritrovò ad ascoltare tutte quelle storie assurde e la mano di Ian si insinuò tra i suoi capelli mentre lui continuava a parlare in tono leggero. 

- Ah già, Fiona è anche finita in prigione perché Liam ha trovato la sua cocaina per sbaglio, quello è stato davvero brutto. È stata in libertà vigilata per un po’ ma sai, da allora sta andando benissimo. E anche Liam non ha avuto conseguenze, grazie a Dio –

Come facevano a tranquillizzarla quelle storie? E la sua voce, come faceva a cullarlo? E invece, la ragione per cui gli raccontava tutto questo che cominciava ad emergere? 

- Come già sai, ero minorenne e mi prostituivo. Bei tempi, eh? – annuì Ian nostalgicamente; sembrava quasi una scena comica. – C’è stato anche un periodo, al secondo anno mi sembra, in cui sono scappato per entrare nell’esercito – aggiunse Ian. Mickey restò in silenzio per un momento e capì finalmente cosa stava cercando di fare il rosso. Si ritrasse e lo guardò, scoprendo che in effetti stava proprio sorridendo. 

- Sì? E cosa è successo poi? – 

- Non ci sono riuscito perché Lip mi ha trovato con la sua tessera sanitaria – rise Ian, per nulla imbarazzato. – Divertente, no? – 

- Che cretino – lo prese in giro Mickey, le braccia ancora intorno alle sue spalle. Non si sentiva più così male. – Perché diavolo hai cercato di entrare nell’esercito? Lip non ti ha preso a calci nel culo? –

- Ero stufo di tutta la merda a scuola e a casa, volevo solo lasciare la città per un po’ – scosse le spalle Ian. Sorrise ripensando alla seconda domanda. – Lip mi ha trovato pe strada a soli due isolati dalla fermata dell’autobus e quando mi ha visto si è messo a correre, mi ha preso per la giacca e quando pensavo che mi avrebbe preso a botte, invece mi ha abbracciato così forte che credevo che mi avrebbe sbriciolato –

- Ah sì?- chiese lentamente Mickey comprendendo perfettamente cosa volesse dirgli ora. 

- Già – rispose Ian. – E abbiamo pianto, da quei due veri uomini che siamo –

- Ah, taci – replicò beffardo Mickey, ormai incapace di trattenere un sorriso. Ian piegò il capo e lo fissò così intensamente negli occhi, come se volesse che Mickey non si perdesse neanche un momento di quello che stava per dire, che Mickey si ritrovò costretto a deglutire. 

- Quando le cose si fanno difficili e ti lasciano tutti, quando pensi di essere solo, ricorda che potresti sbagliati – disse dolcemente Ian. – Fai errori, fai cazzate, fai del male alle persone, ma poi rimedia e cerca di fare meglio la volta dopo. È meglio che lasciarsi travolgere e impazzire, no? –

Cavolo se quelle non erano le parole che Mickey avrebbe voluto sentire anni prima. Fu pervaso da una sensazione così improvvisa che scoppiò a ridere e si liberò accidentalmente dall’abbraccio di Ian con una mano sulla pancia e l’altra sulla fronte. – Cristo Ian, non puoi fare lo psicologo invece di scrivere? –-

- Se lo faccio, non scoprirai mai come finirà la mia storia – 

- Okay, lascia perdere allora – si corresse rapidamente Mickey. – Resta sulla scrittura -. Ian rise  Mickey si sentì sollevato quando un’altra risata fuoriuscì dalle sue labbra. 

- Ti prego dimmi… - disse Mickey quando riuscì a riprendere fiato. – che non passa giorno in cui tu non ti rendi conto di quanto tu sia incredibile – 

- Sei sarcastico? – chiese scettico Ian sbirciando oltre la sua figura allungata. 

- No – rispose Mickey alzando gli occhi su di lui. – Anche se mi fa incazzare che tu sia così – 

- Così come? –

- Come… - ci pensò per un momento. – Come un vecchio saggio mischiato a un cane – 

Ian inarcò un sopracciglio. – Seriamente? Un cane? -

- Leale, altruista, che ti dà conforto – elencò Mickey. – Che rende felici tutti quelli che gli stanno intorno – 

- Non vedo perché questo dovrebbe fare incazzare – sorrise Ian crogiolandosi in tutti quei complimenti. Mickey sospirò. 

- Resti attaccato alle persone, indipendentemente da quanto ti abbiano preso a calci, ed è questo che mi fa incazzare -. Si guardarono per un po’ finché Mickey non si mise a sedere, obbligando Ian a indietreggiare. – Parker ne sa qualcosa – concluse in tono triste. Ian lo fissò confuso, cercando di capire cosa volesse dire. Quando Mickey si alzò e afferrò la maniglia anche Ian saltò in piedi e gli toccò istintivamente il braccio. 

- Sta a me decidere se restare o no –

Mickey lo guardò con la coda nell’occhio e abbassò la maniglia. – E allora sta a me assicurarmi che tu non venga preso a calci –

Ian sapeva che quello era solo un altro modo di Mickey per dirgli che non gli avrebbe fatto del bene e ci rimase davvero male dopo tutto ciò di cui avevano parlato. 

- Non restare ad aspettarmi Ian, davvero, perché se esplodo… -. Sospirò. – Non voglio che tu sia in mezzo – 

- Mickey, ma che cazzo, non dire così. Ci siamo già passati. Non sei mai andato così fuori di testa come continui a… - 

- Parker è cieco dall’occhio destro – disse in tono piatto Mickey aprendo la porta e uscendo in corridoio. – Indovina chi è stato? –

Ian sentì come se gli avessero rovesciato in testa una secchiata d’acqua fredda. Mickey lo guardò mentre realizzava parola per parola e si ricoprì di sudore freddo. Alla fine, Ian scosse la testa come un bambino, improvvisamente non voleva più sentire niente di ciò che Mickey gli stava dicendo liberamente. Si udiva no chiacchiere e risate provenire dal soggiorno, mentre Mickey lo guardava addolorato

- Ti conosco da un anno e ti vedo al massimo un paio di ore al giorno – spiegò Mickey sperando che Ian stesse cominciando a farsi un’idea. – Conosco Parker da almeno otto anni e stavamo insieme tutti i giorni per tutto il giorno. Capisci ora? – 

- Mickey… - 

- Trovati un ragazzo migliore con cui stare perché quella merda non succederà di nuovo – decise Mickey per entrambi, gli occhi che sembravano piangere senza versare nemmeno una lacrima. 

Il mondo sembrò crollare addosso a Ian come se due meteoriti avessero sfondato il soffitto e, per la prima volta, non aveva idea di cosa dire per migliorare la situazione, come riuscire anche solo ad assimilare ciò che aveva appena scoperto. Mickey si girò e andò in soggiorno, lasciandolo con il cuore spezzato. 

 

 



Nota mia: stiamo cominciando ad addentrarci nel perché di tanti comportamenti di Mickey, così come ci stiamo avviando verso la fine della storia. Finalmente si avranno delle risposte in più.
Voglio anche scusarmi se in questo periodo vedete della variazioni nel calendario settimanale della pubblicazione ma purtroppo i capitoli sono diventati più lunghi e il tempo per scrivere si è ridotto, quindi cerco di fare il possibile!

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Capitolo 36
*** Non Si Torna Indietro ***


Ian non sarebbe riuscito a dormire neanche volendo. Non aveva niente che fare con l’esperimento con Mandy, c’entrava suo fratello che era fuori sul balcone da ore mentre lui, Mandy e Parker giocavano a migliaia di giochi da tavolo. In mezzo a loro aleggiava una domanda non fatta visto che tutti si stavano chiedendo di Mickey, ma nessuno dava una risposta. Alla fine, Ian si arrese; sapeva troppe cose, ogni volta che guardava Parker gli tornava in mente quello he gli aveva detto Mickey circa venti ore prima. 

Parker era simpatico, davvero una bella persona ma sapere quella cosa di lui gli rendeva difficile guardarlo. Qualsiasi storia ci fosse dietro lo stava distruggendo e ogni volta che Mickey rientrava, passava qualche minuti in casa e poi usciva di nuovo, gli faceva ancora più male. 

Problemi a gestire la rabbia, ecco come Mickey definiva tutto questo. Per Ian quelle erano urla, ostinati silenzi, cose di quel tipo, non accecare un migliore amico. Cosa diavolo poteva fare ora che aveva scoperto questa cosa? Come poteva sistemare le cose? 

- Ian, tutto okay? Hai sonno? – chiese lentamente Mandy un po’ stordita visto che entrambi non dormivano da quasi due notti. No, non era tutto okay, niente era okay. Si alzò tremante e andò in bagno in fondo al corridoio richiudendo la porta con un colpo secco. Afferrò il lavandino ed ebbe un conato di vomito ma non uscì nulla, solo un gran bruciore alla gola e un peso sullo stomaco. Era tutto così assurdo. Proprio quando aveva cominciato a pensare che le cose sarebbero andate bene, Mickey aveva scaricato una bomba così potente su di lui che non si sarebbe ripreso velocemente questa volta. Mickey aveva qualcosa che non andava, qualcosa più grave di quanto avesse immaginato. Mickey aveva accecato una persona. 

Scosse la testa e uscì dal bagno correndo a grandi passi verso la camera da letto di Rick per aprire la porta scorrevole di accesso al balcone e fissò Mickey, furioso. Mickey era seduto sulla ringhiera illuminata dalla luna, senza fumare o altro, era semplicemente lì seduto. Era come un quadro, qualcosa che avresti dipinto se fossi rimasto da solo chiuso in una stanza per anni. 

- Spiegami, adesso – ordinò rabbioso, lacrime amare che si stavano già formando agli angoli degli occhi. Mickey non sembrava nemmeno sorpreso di vederlo esplodere in quel modo. – Come cazzo si può accecare una persona? Come cazzo hai… -. Dovette fermarsi e coprirsi la bocca perché questa volta avrebbe vomitato davvero. E invece no, quindi prese una boccata d’aria Quando Mickey non disse niente, Ian se ne andò. Le sue urla dovevano aver attirato Parker e Mandy perché li ritrovò in corridoio accanto alla porta. Li oltrepassò e corse fuori dall’appartamento, tenendosi la pancia per la nausea. 

Quando uscì dall’edificio, si chinò in avanti e si afferrò le ginocchia, mordendosi il labbro con una tale forza da tagliare la pelle, sentendo il sapore ferroso del sangue sulla lingua. Si rialzò con la schiena dolorante e trovò Parker che lo guardava comprensivo. 

- Sei arrabbiato con Mickey? – chiese abbassando gli occhi. 

- Cosa? – 

- Ti ha detto del mio occhio? –

Ian lo lasciò lì dov’era e si allontanò lungo il marciapiede; non aveva voglia di affrontare qualsiasi conversazione Parker stesse avviando tra loro. Ormai non era più lucido per formulare un pensiero coerente o ascoltare qualsiasi cosa su Mickey in quel momento. Fottuto Mickey. 

- Mi hanno clinicamente diagnosticato un disturbo di personalità – continuò Parker raggiungendolo e ignorando le sue silenziose proteste. – Devo essere tenuto costantemente sott’occhio, questo ha detto il mio dottore. Sono davvero appiccicoso e dipendo esageratamente dagli altri – 

Ian scosse la testa ancora più violentemente, desiderando di poter spegnere l’udito. Era già stordito e con la testa appesantita dalla mancanza di sonno, non poteva pensare anche a quella roba. 

- Ci ha pensato Mickey visto che la mia famiglia non voleva, sapendo che ho una malattia mentale e tutto il resto – 

- Per favore, vattene – disse Ian in tono stanco, acido e frustrato. 

- Mickey non mi ha fatto niente all’occhio – risolse Parker; sembrava agitato. – Pensa che sia colpa sua, ma non è stato lui – 

Ian si fermò e si girò riavvicinando a Parker, che si lisciò la maglietta, rifiutandosi di guardare Ian negli occhi. – Perché mi stai dicendo questo? – chiese in tono tagliente Ian ma si raddolcì quando vide il modo in cui Parker si spaventò visibilmente. 

- È perlopiù colpa mia se Mickey è così – rispose debolmente Parker. L’insicurezza era dipinta sul suo viso. – Penso di averlo esaurito, capisci? Mi attacco alle persone ed esaurisco le loro energie, ecco perché mi abbandonano tutti –

Non esisteva, Ian non avrebbe ascoltato qualsiasi storia strappalacrime che sarebbe uscita dalla bocca di quel ragazzo, non quella sera. Non poteva, non l’avrebbe sopportato dato che in quel momento era come una spugna e avrebbe assorbito qualsiasi emozione. 

- Ora capisco perché Mickey ti ha raccontato di me – continuò Parker. – Devi tenerci davvero tanto a lui per esserci rimasto così male – 

Come diavolo faceva quel ragazzo a dedurre questo solo da ciò che Ian aveva appena detto? Quando fu sul punto di mandarlo a quel paese, Parker lo precedette.

- Mickey sa cosa si prova a prendersi cura di una persona problematica , quanto sia estenuante, quanto ti distrugga.  Rovino ogni persona a cui mi attacco, soprattutto Mickey. Quindi credo che lui non voglia che accada anche a te visto che ti importa così tanto di lui – 

Ian si infuriò di nuovo e prese il cellulare per scrivere a Jake. Doveva andare in qualsiasi posto che non fosse lì e la strada verso il campus sembrava troppo lunga in quel momento. 

- Te lo sto dicendo perché in tutto il tempo che sono stato con Mickey non l’ho mai visto guardare nessuno come guarda te – 

Le dita di Ian si immobilizzarono, il cellulare tra le mani, e alzò la testa. 

- Ho passato due giorni con te – continuò Parker. – E non so molto di te, ma so tutto di Mickey, so cosa significa ogni suo battito di ciglia, ogni respiro che trattiene, ogni significato tra le righe, tutto. Mickey sembrava più felice nell’ultima ora a guardarti occasionalmente mentre leggeva e noi giocavamo che in tutti gli anni in cui l’ho conosciuto –

- Un bel modo di definirlo “felice” – sbottò Ian stringendo il cellulare tra le dita. 

- Mickey era sempre violento e aggressivo, faceva sempre risse, perlopiù a causa di suo padre. Era arrabbiato tutto il tempo ma quando si arrabbiava con me non mi ha mai toccato. Si scusava sempre, ma credo che tra il fatto che lui non riuscisse a controllare la rabbia, che io avessi bisogno di lui e che lui non sapesse lasciarmi da solo, fosse un’amicizia molto instabile – 

Ian non capiva cosa avrebbe dovuto fare ora che sapeva tutto questo. Emise un verso di scherno e si morse l’interno della guancia. 

- Non avrei mai potuto rendere Mickey davvero felice – ritentò Parker. – Si è ucciso lentamente pensando la stessa cosa quindi quando ho visto come ti guardava, ero… -

- Non me ne frega più ormai – lo zittì Ian. Calò il silenzio e alzò gli occhi per essere sicuro che se ne fosse andato ma invece c’era Mickey lì in piedi con le mani in tasca e la stessa espressione solenne che aveva sul balcone. 

- Ehi Parker, posso parlare un minuto con Ian? – chiese con una voce quasi melodiosa, sconosciuta alle orecchie di Ian. Era il tipo di voce che si potrebbe usare con un bambino. Parker sorrise come se la sola esistenza di Mickey lo sciogliesse. – Possiamo parlare io e te quando ritorno – gli promise Mickey. Parker annuì e abbassò la testa. 

- Sei arrabbiato con me? –

- No – rispose Mickey. – Davvero, no. Vai dentro e aspettami, d’accordo? – Parker obbedì e sparì dentro all’edificio. Mickey chiuse un po’ della distanza tra loro ma si fermò quando ci furono pochi metri a separarli. 

- Questa è la parte in cui mi racconti tutto quello che non va in te, tutte le cose che hai fatto in passato, probabilmente droghe pesanti, piromania e altre cose squilibrate che ti hanno portato a odiare tutti? – chiese Ian cupo. 

- Che cattiveria – rispose calmo Mickey. – Anche se ci hai azzeccato sulle droghe pesanti, no, non sono venuto a dirti questo – 

- E cosa allora? Vuoi ricordarmi che avrei già dovuto aspettarmi tutto fin dall’inizio? Che continuo a non ricordarmi quanto sei problematico? – Mickey scosse la testa è striscia la scarpa sul cemento. Ian ripartì. – Credi che solo perché hai fatto da badante ad una persona malata di mente per anni allora se giustificato? Mia mamma bipolare, credi che io non sappia che cosa significhi? –

- Sì e com’è andata alla tua famiglia? – chiese piano Mickey ancora cupo, ricordando ciò che gli aveva raccontato del Giorno del Ringraziamento. 

- Lei non ha preso le medicine, non ha voluto essere aiutata, non è la stessa cosa che avere un brutto carattere – rispose Ian rabbioso. Mickey annuì, assimilando le sue parole. 

- Stai chiamando Jake? – chiese guardando il cellulare di Ian. 

- Sì – rispose piano Ian ma le dita non volevano funzionare.

- Ehi Ian, riesci a dirmi anche solo una qualità decente di me? – chiese Mickey improvvisamente, alzando lo sguardo verso il cielo. Ian non disse nulla, quindi Mickey sorrise. – Vedi, nessuna, giusto? -. Quando Ian rimase ancora in silenzio, Mickey prese la chitarra che teneva in spalla cogliendo Ian di sorpresa dato che non l’aveva nemmeno notata. La posò a terra è si rimise le mani in tasca. 

- Allora, c’è questo ragazzo che va a fare la spesa a notte fonda – cominciò a raccontare Mickey, il tono calmo e dolce. – Voglio dire, chi lo farebbe? Non so te, ma io non esco nel South Side nel cuore della notte solo per un filone di pane – 

Ian tenne gli occhi fissi sul cellulare, la tentazione di chiamare Jake che si affievoliva sempre di più udendo la dolcezza nella voce di Mickey, che inspirò ed espirò. 

- Ma una sera questo ragazzo mi viene quasi addosso e io sono ubriaco marcio, mio padre me le ha appena date e questo tizio mi sbatte quasi addosso. Che diavolo faccio? Devo fargli vedere in che casino si è messo perché se l’è cercata, no? Sì, decisamente – 

Non passava neanche una macchina in giro, non c’era un’anima, c’erano solo loro due mentre Mickey proseguiva. 

- O almeno questo è quello che pensavo finché questo tizio non ha detto il mio nome, come se mi conoscesse. Ho pensato “ma che cazzo?” perché io sono praticamente cresciuto nel South Side anche se casa mia è nel North Side e nessuno mi aveva mai incontrato per strada  detto il mio nome, non così. Quindi ho guardato questo tizio cercando di capire se fosse qualcuno che mi doveva dei soldi perché sembrava che avesse paura di me, e fa bene ad averla. Dopotutto ho una reputazione e mi ci è voluto un po’ per capire che era solo un ragazzo che conosceva mia sorella – 

Ian si sforzò di non respirare troppo profondamente per non rompere il silenzio quando Mickey si interruppe e si preparò per proseguire. 

- E poi ho visto che questo ragazzo si era seriamente portato dietro i compiti. Non avevo mai visto nessuno del South Side fare una cosa del genere. Era da un po’ che non andavo a scuola ma quando ho visto tutti quei problemi sul foglio mi è mancata per un attimo. Non la scuola, ma risolvere i problemi, quelli con una risposta definita, una fine; quelli mi mancavano. Quindi li ho risolti nella mia testa riprendendomi un po’ di libertà. Era l’unica volta in cui potevo avere controllo su qualcosa e indovina un po’? Questo tizio era tutto emozionato e mi ha chiesto di aiutarlo, non scherzava nemmeno. Tutti gli altri mi criticavano sempre per le cose che sapevo quindi mi tenevo sempre tutto per me, ma questo ragazzo invece mi ha chiesto di risolvere anche il resto dei problemi, di fargli vedere come si facevano –

Ian osservò lo schermo del cellulare che si spegneva e ascoltò Mickey spostando lo sguardo su di lui. Le labbra di Mickey si erano allargate in un sorriso, gli occhi rivolti al cielo mentre parlava.

- Quando ho finito di risolvere i problemi come mi aveva chiesto ho alzato la testa e questo tizio si era trasformato nella persona più felice del mondo. Quel tipo di felicità che io non avevo mai causato a nessuno. Quindi me ne sono andato prima di rovinare quella felicità, cosa per cui sono terribilmente noto, ma proprio quando stavo per liberarmene, preso da uno sconosciuto egoismo, gli ho chiesto come si chiamasse. Perché l’ho fatto? Non è che gli avrei parlato di nuovo, è stata un’idea stupida . Il ragazzo non ha sprecato un secondo e sai una cosa? Non mi è mai improntato di un nome, ma quello me lo sono segnato nel cervello in un battibaleno, come se fosse un mio tesoro, qualcosa che nessuno poteva portarmi via – 

Ian sbattè le palpebre e la vista gli si offuscò per le lacrime che gli riempivano gli occhi, ma era letteralmente in trance per l’intensità con cui ascoltava Mickey da non sentirle nemmeno. 

- Dopo quella volta ho continuato a imbattermi in questo ragazzo – sospirò Mickey. – Come se l’universo stesse continuando a offrirmi possibilità, possibilità di rovinare quella felicità che ero riuscito a provocargli la prima sera. Cristo, abbastanza stronzo da parte del destino darmi una possibilità con qualcosa di buono. Dopo quello che ho fatto agli altri non mi sarei meritato niente, non con questo ragazzo –. Si fermò a riflettere per un momento e poi continuò, passandosi una mano tra i capelli e lanciando uno sguardo alla strada. – Non sono riuscito a proteggere Parker da un sacco di cose, quindi dopo che si è preso una bottiglia in faccia… -. Esitò con un respiro pesante, faticando a continuare. – Ero… ehm… ero ubriaco , lo eravamo tutti, ma sono stato io a provocare la persona che l’ha fatto anche se Parker era di fianco a me, l’ho messo in pericolo per colpa della mia rabbia. Si è tagliato l’occhio con una bottiglia di vetro per colpa mia, ha perso la vista e io non sono più riuscito a guardarlo allo stesso modo. È stato egoista da parte mia, ma non ci riuscivo, quindi non l’ho più fatto, l’ho evitato finché non ha colto il segnale -. Si raddrizza e strinse le mani nelle tasche, guardando finalmente Ian. Cercò i suoi occhi per un momento prima di andare avanti. 

- È stato Colt a rompergli la bottiglia in faccia e indovina un po’? Parker l’ha perdonato e io non potevo sopportarlo, non potevo… -. Singhiozzò quindi si accovacciò e prese la chitarra dalla custodia. – Non voglio più trovare scuse. Tutta questa merda è affare mio, è la mia vita, non ho motivo di scaricare la responsabilità ad altri. Hai ragione, se sono così arrabbiato dovrei chiedere aiuto, prendere delle medicine, qualsiasi cosa; non che tu non mi abbia già aiutato più di quanto io possa mai ripagare -. Pizzicò alcune corde e alzò di nuovo gli occhi. – Non so come esprimere ciò che sento ad alta voce e mi dispiace, non so se ciò che ho detto abbia senso o abbia solo peggiorato le cose. Ti… ehm, ti lascerò andare con Jake ma posso suonare per te solo una volta prima che tu vada, Ian? – 

Ian non trovò la voce; avrebbe potuto dire di no e andarsene, uscire da quel ciclo continuo. Alla fine, dopo un lungo silenzio, ritirò il cellulare, attraversò la distanza che li separava e si sedette sul marciapiede di fronte a Mickey che prese immediatamente la chitarra, gli occhi incollati ai suoi. Gli tremavano le mani e il suo petto si alzava e si abbassava rapidamente perché era nervoso, così nervoso che gli ci volle qualche minuto per riuscire ad iniziare. Nel momento in cui il suo pollice scattò sulle prime corde è le vibrazioni si propagarono in mezzo a loro, cominciò a cadere la pioggia. 

Si fissarono, inzuppandosi entrambi, ma nessuno fece nulla a riguardo. La pioggia coprì qualsiasi altro rumore e Mickey sembrò spaesato, come se il fatto che stesse accadendo questo fosse segno di fermarsi. 

- Tanto me l’aveva data mio padre – disse sopra allo scroscio della pioggia mettendo da parte la chitarra, come se ora non fosse più così importante. Aveva un sorriso quasi folle, come se si stesse rassegnano alla crudeltà di qualsiasi essere sovrannaturale gli stesse facendo questo. 

- Mickey? – disse Ian; non si udì molto perché il rumore era talmente pesante da far disperdere il suo nome. – Non l’hai accecato tu, vero? Ma gli hai fatto male – 

Mickey lo fissò, l’acqua che gocciolava dai suoi capelli, occhi, naso e guance e Ian ricordò le parole di Parker. Lo stava guardando con tutto sé stesso, con il cuore in mano, dando a Ian il potere di fare ciò che voleva, perdendosi nei suoi occhi, incontrollabilmente felice di essere anche solo seduto lì con lui. – Sì, gli ho fatto male. Ma rimedierò – promise e Ian gli credette. 

Se Ian ci pensava, Mickey aveva fatto male anche a lui, tanto, ma era anche vero che Mickey aveva vissuto per quasi vent’anni in un posto freddo e oscuro senza aver visto la luce, senza aver avuto la possibilità di crescere e avvicinarsi agli altri. Cosa si provava a non poter avere una voce, sogni, speranze? Cosa si provava a sentire solo rabbia, tristezza, paura e basta? 

- Sono egoista, lo sarò sempre quando si tratta di te, Mickey – ammise Ian cercando di coprire la pioggia con la sua voce. – Mi dispiace, non sei l’unico che deve rimediare a qualcosa – . Continuarono a fissarsi e Mickey si sporse verso di lui, intrecciando le mani come ad assicurarsi che non agissero d’istinto. 

- Se non odiare me stesso e chiedere aiuto è ciò che devo fare, allora… - esalò con uno sguardo dolce. – Non voglio che tu debba ancora aspettare – 

Il cuore di Ian gli crollò nel petto e calde lacrime minacciano di rigargli il viso perché alla fine, a quanto pare, Mickey sembrava davvero troppo chiuso per potersi mai più aprire con qualcuno. Non voleva che Ian aspettasse, voleva che passasse oltre e a quel punto sarebbe stato molto meglio per entrambi. Ringraziò che stesse piovendo quando cominciò a piangere. Il sorriso di Mickey vacillò è allungò la mano per asciugargli una lacrima; come se ne fosse accorto era un mistero. 

- Non voglio che aspetti perché voglio stare con te – spiegò Mickey cercando il suo sguardo. In quell’unico sguardo bramoso Ian si calmò e sprazzi di memoria gli affollarono la mente. Mickey che lo rallegrava dopo che lo avevano bullizzato a scuola, Mickey che gli impediva di vendersi per i soldi, Mickey che gli permetteva di vedere le sue cicatrici e di disinfettarle solo perché lui voleva farlo, Mickey che lo abbracciava a Natale, Mickey che gli sorrideva al parco sotto alle stelle, che lo baciava nell’umida foschia mattutina, che lo baciava sotto la pioggia, che lo baciava allo scoppio dei fuochi d’artificio, che ballava con lui nella foresta, che pattinava sul ghiaccio, che gli teneva la mano solo perché Ian glielo aveva chiesto, Mickey che combatteva continuamente con il suo passato, presente e futuro incolpandosi per ogni problema, addossandosi ogni peso anche se ammirava Ian per essere lui quello “premuroso”. 

Ian continuò a fissarlo ancora è ancora sotto alla pioggia battente ma il sangue che gli scorreva in corpo e gli rimbombava nelle orecchie era più forte. – Anche io voglio stare con te, Mickey – balbettò con le lacrime che continuavano a cadere. 

Ci fu solo un breve attimo in cui entrambi realizzarono. E fu lì che Mickey si sporse e lo baciò con tutto sé stesso, aggrappandosi ai suoi vestiti, infilandogli le dita tra i capelli fradici. E Ian fece lo stesso, tirandolo la giacca per assicurarsi che non sparisse. Questa volta Mickey diceva davvero, non si tornava più indietro, faceva sul serio perché Ian era tutto ciò che li importava. 

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Capitolo 37
*** Ladro Di Cuori ***


L’autunno stava cominciando a sembrare avverso autunno invece che estate visto che Ian aveva dovuto indossare un doppio strato di vestiti per affrontare la furia ventosa della natura di quel giorno. Prima di uscire svegliò Sean, così non avrebbe saltato la lezione, e corse al centro del campus.

Mickey stava fumando sul bordo della fontana pericolosamente sul punto di caderci dentro e quando vide Ian avvicinarsi sorrise lievemente. Non dissero niente quando Ian si sedette e gli rubò la sigaretta per avere anche lui la sua dose di nicotina. Dopo un paio di tiri In lo guardò con la coda nell’occhio e ammirò i suoi capelli mossi dal vento, le labbra ancora abbastanza incurvate da dare l’idea di un sorriso ancora presente.

Era così da una settimana, da quando avevano avuto il loro confronto a cuore aperto sotto alla pioggia. Le cose erano perlopiù normali, non era cambiato molto, se non che Ian sapeva che qualcosa di diverso c’era perché di tanto in tanto i loro occhi si incontravano e Ian si sentiva travolto da un’esplosione di emozioni. Sperava che anche Mickey lo sentisse e Ian ne era quasi sicuro dal modo in cui si girava dall’altra parte per non farsi beccare a sorridere. Ma Ian se ne accorgeva sempre.

- Ehi, devo fare un paio di commissioni oggi – disse Mickey. – Non posso pranzare –

- Commissioni? – chiese Ian aspirando un altro tiro.

- Per prima cosa devo dare un’occhiata alla situazione in casa di Parker. Mio zio mi ha detto che un problema con un coinquilino che a quanto pare vuole morire giovane e visto che Parker aveva paura a raccontarmi di più andrò a vedere io stesso –. Ian inarcò un sopracciglio e quando Mickey se ne accorse sospirò. – Dopo tutto quello che ci siamo detti nel weekend pensi davvero che gli farei qualcosa? –

- Sei tu che vai in giro a minacciare di morte tutto il tempo, dimmelo tu – ribatté beffardo Ian.

Mickey ci rifletté un momento e rise. – Okay, penserò a un modo per rivoltare questo tizio senza, sai, squartarlo fisicamente. Dio, mi servirà un sacco di forza di volontà –

- Ecco, cosi va bene – rispose Ian – Anche se sarebbe davvero attraente vederti prendere a pugni uno stronzo che se lo merita –

- Allora avresti dovuto incontrarmi anni fa – disse Mickey riprendendo la sigaretta. – Se prendo a botte questo tizio a Parker non piacerà –

- Chissà cos’avresti pensato di me quando ero più piccolo – disse Ian. Mickey si sporse e si girò per guardarlo meglio.

- Ah sì? Che mi sono perso? –

- Un derelitto – rise divertito Ian. Mickey sembrava voler chiedere di più ma finì la sigaretta e la pestò con il piede, riprendendone un’altra dal pacchetto. Prima di poter accenderla, Ian posò la mano sul l’accendino prendendoglielo gentilmente. Mickey rimase in attesa di sapere per quale santa ragione Ian avesse interrotto il suo momento-tabacco. – Prova questo – disse il rosso rivelando un altro accendino dalla giacca.

L'accendino era a forma di jukebox nero lucido cromato con dei tubi al neon nella parte superiore e ai lati. Ian glielo porse e Mickey lo prese con aria scettica, ispezionandolo. Aprì il coperchio fece scattare il pollice sul metallo, osservando fiamme verdi e acqua marina illuminarsi. – Che fico – esclamò ammirato Mickey guardando delle onde azzurre danzare nei tubi finché la fiamma non si spense. La riaccese e i tubi si illuminarono di nuovo.

- È tuo – fece spallucce Ian e Mickey spalancò gli occhi. Ian giocherellò con il suo vecchi accendino tra le mani. – Voglio dire, ti avevo ridato questo, una mossa da vero stronzo farlo proprio il giorno del tuo compleanno, quindi… -

- Aspetta, quindi questo è mio? – lo interruppe Mickey facendo scattare di nuovo la fiamma, ammaliato.

- Già – annuì Ian sorridendo alla vista del moro che sembrava incapace di smettere di accendere la fiamma in continuazione, il pollice che sfiorava i lucidi tubicini.

- Cazzo, ieri sera mio zio mi ha dato una chitarra visto che l’altra è rimasta danneggiata dalla pioggia – rise Mickey. – E adesso ricevo questo accendino da paura, ma che diavolo? –

- Hai ricevuto un’altra chitarra? – esclamò Ian e Mickey accese finalmente la sigaretta ancora in attesa e richiuse il coperchio di fronte allo stupore di Ian.

- È davvero bella – continuò Mickey raggiante. – Dio, avrei dovuto rovinare quella di mio padre molto tempo prima –

- Posso venire a vederla? – sorrise Ian. Mickey battè le palpebre rigirandosi l’accendino tra le dita. Anche se aveva uno sguardo compiaciuto nei suoi occhi c’erano barlumi di felicità.

- Beh, hai appena professato il tuo infinito affetto nei miei confronti quindi penso di sì – sorrise sincero Mickey alzando l’accendino e scuotendolo a mezz’aria per enfasi. Ian arrossì e si sentì improvvisamente accaldare ma almeno ci pensò il vento a rinfrescarlo.

- Stronzo – commentò dandogli un calcetto alla caviglia.

- È una novità? –

- Neanche un po’ – rise Ian e Mickey lo imitò.

 

 

Il vento soffiava forte e siccome il sole era nascosto dietro alle nuvole l’aria stava diventando considerevolmente più fredda. Mickey infilò le mani nelle tasche spesse del cappotto grigio e attraversò il campo da baseball, socchiudendo gli occhi quando trovò chi stava cercando. Passò sul prato pulito, in mezzo alle panchine coperte di polvere, fermandosi una volta giunto alle gradinate di ferro.

- Alzati, tu vieni con me -. La sua voce tagliò l’aria mentre fissava Colt e la sua combriccola sotto alle gradinate. Colt si girò da dov’era accovacciato e si alzò, scambiando uno sguardo con gli altri per poi allargare le braccia in segno di benvenuto.

- Ehilà Mick – lo salutò calorosamente Davey alzandosi dal suo trespolo sul terreno. – Che fine avevi fatto? –

- A cosa devo la sorpresa? – chiese colt con finto entusiasmo.

- L’appartamento di Parker, andiamo – ordinò Mickey senza tanti complimenti. – Mentre andiamo facciamo una bella chiacchierata –

- Perché non ti fermi un minu… -

- Camminiamo e parliamo – lo interruppe Mickey avviandosi già nella direzione da cui era arrivato. Colt scambi uno sguardo incredulo con i suoi amici ma seguì comunque Mickey senza una parola.

- C’è un vero motivo per cui sei venuto qui? – lo richiamò Colt trotterellando dietro di lui. Micky non emise un suono finché non furono a debita distanza al limite del campo, vicino ad una delle strade che conducevano fuori dal campus. – Sempre di molte parole, vedo – rise Colt. Dopo aver attraversato la strada si ritrovarono sotto ad un nido di fogliame in una zona boschiva. – Mi hai portato fin qui per assassinarmi o cos’altro? – chiese seguendo Mickey giù per la terrosa collina. Guardò le foglie che volteggiavano al vento, ammirando la serena atmosfera di quel luogo isolato. – Bel posto in cui farlo –

- È una scorciatoia – spiegò atono Mickey. – Ma ci sei andato vicino a quello che vorrei farti –

- Che paura – sorrise compiaciuto Colt seguendo il ritmo dei corti passi di Mickey. Mickey si girò e lo prese per il colletto, non molto forte, ma abbastanza da costringerlo a fermarsi.

- Questa non è una gita scolastica, pezzo di merda. Ci sono solo due motivi per cui non ti metto le mani addosso quindi ringrazia i tuoi santi protettori –

- E quali sono? Perché se no Parker ci rimane male? – chiese Colt, le spalle rigide e gli occhi che sorridevano.

Mickey non gli avrebbe mai dato ragione e non esisteva che gli avrebbe detto che il secondo motivo era Ian.

- Pensi di essere così superiore -. Colt lo guardò dall’alto al basso, divertito dalla loro differenza di altezza. – di essere migliore di tutti noi –

- Di te sicuramente – ringhiò Mickey lasciandolo andare.

- Ah sì? È questo che ti ripeti ogni giorno? Sono io che ho raccolti i pezzi dopo che te ne sei andato perché non sei capace di gestire le cose. Non c’eri ad aiutare Parker… -

- Aiutarlo? Per te spaccargli una bottiglia in un occhio significa aiutarlo? Figlio di puttana… -

- Ero ubriaco e mi sono scusato più di quanto tu abbia mai fatto dopo – concluse Colt, non più così tanto allegro.

Mickey dovette girarsi è chiudere gli occhi, respirare per mantenere la calma. Era sul punto di esplodere, ma senza pensarci fece scivolare il pollice contro all’accendino che gli aveva dato Ian e questo alleviò la tensione. – Andiamo – sbottò calpestando la terra che si sbriciolata sotto le loro scarpe. Colt incrociò le braccia e lo seguì.

 

 

I lampioni che illuminavano il bar erano di un nebuloso colorito arancione, proiettando a malapena la loro luce sulle strade nella notte, anche se si potevano a malapena definire “luci” con quella nebbia. Sembrava ricoprire il bar creando un muro che compete va con il muro di fumo all’interno. L’orologio ticchettava ben oltre la mezzanotte e l’unico movimento nel bar era un gruppo di adolescenti che giocavano a biliardo.

- Quell’asta è un po’ troppo grande per te, vero? – disse con un sorrisetto Colt quando Parker barcollò verso il tavolo con la preoccupazione dipinta sul viso.

- Stai zitto, così riesce a concentrarsi – gridò Mickey dal bancone, bussando con le nocche sulla superficie per attirare l’attenzione del barista e farsi portare ancora da bere.

- Voi mocciosi tra un po’ dovete sloggiare, mio padre mi farà già il culo per aver lasciato bere dei ragazzini – sospirò il giovane prendendo il suo bicchiere vuoto.

- Non fare la fighetta – biascicò Mandy seduta sul pavimento vicino al tavolo da biliardo. Aveva il rossetto sbavato dopo aver limonato con Colt dieci minuti prima.

- Fatti crescere le palle e tieni testa a tuo padre – suggerì Colt incoraggiando Parker a darsi una mossa. Parker mise in equilibrio l’asta e socchiuse gli occhi leccandosi le labbra. – Non re brutte figure davanti al tuo ragazzo – lo pressò ancora di più Colt.

- Mickey, vieni a vedere – lo chiamò debolmente Parker cercando di ignorare Colt. Mickey aspettò la birra è quando il suo bicchiere fu pieno raggiunse Parker, provocandogli uno sguardo esageratamente entusiasta.

- Non strozzarti, mi raccomando – continuò Colt. Mickey lo spinse con violenza lontano dal tavolo e diede a Parker un leggero pugno di incoraggiamento sulla spalla. Parker socchiuse di nuovo gli occhi guardando la palla bianca e la colpì per metà, spedendola dritta davanti a lui. Quando tutte le altre si furono sparpagliate sul campo, una finì in buca e Parker corse dall’altro lato per tirarla fuori.

- Buona! – annunciò entusiasta mostrando la palla rossa.

- Bel lavoro – si complimentò Mickey, poi guardò Colt. – Muoviti, sfigato –

Colt si posizionò con fatica visto che aveva già sette birre in corpo e piegò le braccia per prendere la mira. Chiuse un occhio e tutti lo osservarono fare la sua mossa. Colpì la palla bianca e tutte le altre si mossero intorno. Quando una entrò in buca Mickey soffocò una risata. – Che talento innato – disse osservando Parker riprendere la sua.

- È l’unico sobrio, sta barando – protestò Colt.

- A dire il vero, secondo me sei tu che bari. Stai andando meglio di quando sei sobrio –

- Stai zitto Mickey o userò te come stecca la prossima volta –

- E non riusciresti comunque a colpire le tue palle – rise Mickey senza spostarsi quando Colt lo urtò. Mandy si stava per addormentare sul pavimento, passandosi svogliatamente le mani tra i capelli con uno sbadiglio. Colt la guardò e si spostò per fare posto a Parker

- La prossima è per te, piccola – le disse Colt schioccandole un bacio. Mickey sbirciò con la coda nell’occhio, odiava il fatto che sua sorella se la facesse davvero con quello stronzo.

- Mickey, guarda – lo richiamò con urgenza Parker e Mickey distolse lo sguardo da Mandy per accontentarlo. Parker colpì la palla bianca e due caddero in buca. Il ragazzo si voltò immediatamente verso di lui e si diedero il pugno.

- Levati – sbottò Colt spingendo via Parker. Mickey lo spinse istintivamente a sua volta.

- Se vuoi ancora usare le mani tienile al tuo posto –

- Tieni a bada il tuo cagnolino – disse Colt a Parker, piegandosi sul tavolo. Quando finì il suo turno in buca finirono una palla a strisce e una colorata. – Ma cazzo, scherziamo? – gridò e questa volta Mickey rise anche più forte. Parker non disse nulla e fece il giro del tavolo per prendere tutte le sue palle, per poi posizionare di nuovo la stecca. Mentre si chinava sul tavolo, Colt guardò Mickey. – Che lui vinca o no, stasera mi scopo tua sorella –

Mickey smise immediatamente di ridere. – Piantala. Mandy torna a casa con me, si regge a malapena in piedi –

- Questo renderà ancora più facile farmela – replicò con un sorrisetto Colt. Mickey si lanciò in avanti e lo colpì con un pugno talmente forte che si udì un terribile schiocco. – Cazzo! – urlò Colt afferrandosi la mascella. Fece per colpire Mickey ma lui lo evitò, finendo addosso a Parker.

- Ragazzi, smettetela – cercò di calmarli Parker, prendendogli il braccio. Mickey sussulto e quando si rigirò Colt lo placcò fino a buttarlo a terra, spingendo via Parker. Mickey si liberò e gli tirò un calcio allo stomaco più forte che poté, evidentemente mozzandogli il fiato perché Colt rimase stordito per un minuto buono.

- Mickey, basta! – urlò furiosamente Parker mettendosi in mezzo.

- Prova a violentare mia sorella e ti uccido, cazzo! – esplose Mickey.

- Che bisogno c’è di violentarla quando quella zoccola la da’ via così facilmente? – sghignazzò Colt, rialzandosi con precario equilibrio. Mickey oltrepassò Parker è sbattè Colt contro al tavolo, colpendolo con dei pugni alla bocca e al naso. Quando cominciò a sanguinare, Parker guardò con orrore, insicuro su cosa fare.

- Andatevene da qui! – ringhiò il barista facendo il giro del bancone per dividerli. Parker si immischiò per aiutare ma Colt scattò in avanti e colpì Mickey sulla guancia con un rapido movimento. Mickey sputò sangue per terra e cercò di prenderlo di nuovo mentre Colt raggiungeva barcollando il bancone, dove c’era il bicchiere vuoto di Mickey. In un battibaleno, vacillò in avanti e lo lanciò con tutta la sua forza. Il clangore del vetro che si rompeva in mille pezzi e il grido spezzato di Parker riecheggiarono tra gli ansiti di Mickey e Colt. Quando tutti realizzarono cos’era successo, Mickey raggelò, gli occhi puntati sul sangue che colava dall’occhio di Parker, lungo il viso, fino a scendere sul collo. Non immaginava che il tempo si potesse fermare ma stava succedendo davvero, rallentava sempre di più, finché i movimenti di Colt che cercava di alzarsi, la voce del barista che chiamava la polizia, Parker che cadeva a terra con le convulsioni, tutto… si interruppe in quel momento.

 

 

- Vuoi almeno sapere cos’abbiamo fatto per un anno? Perché Parker si è trasferito qui? –

Mickey continuò a camminare, la rabbia che cresceva ad ogni provocazione di Colt. La boscaglia si diradò e giunsero al parco dietro al complesso di appartamenti dove abitava Parker. Mickey sospirò di sollievo. Colt aveva parlato per tutti quei venti minuti di camminata, la sua bocca non si stancava mai.

- Come sai, Parker non va al college. Ha incontrato questo ragazzo, hanno cominciato a scopare e ora vive con lui. Ho cercato di dirgli di non venire qui ma sai com’è Parker, ha sempre bisogno di qualcuno che gli guardi gli culo –

- Credevo che avessi detto di averlo fatto tu quando me ne sono andato – grugnì Mickey fermandosi quando raggiunsero il retro del condominio.

- Sì, certo che l’ho fatto, lo sai – rispose sincero Colt. – Voglio bene a quel ragazzo, cavolo, Parker è come se fosse mio fratello, lo sai –

- Vaffanculo – rispose Mickey e Colt lo afferrò violentemente da dietro. Mickey si liberò e lo guardò minacciosamente. – Non ti azzardare a fare questo errore –

- So che ho fatto un casino ma ho cercato di rimediare ogni secondo dopo che te ne sei andato – esalò disperatamente Colt. – Credi che io fossi contento di sapere che fosse colpa mia? Credi che non me ne freghi niente di essere stato io? Non ci provare neanche, Mickey –

Mickey spostò lo sguardo, il viso che spasimava per il nervoso. – Allora, come diavolo ci è finito Parker in questa situazione? Dimmi un po’ –

- Ho smesso di farmi di droghe pesanti, Mickey. Ho smesso per lui, così da potermi ripulire un po’ come stavi facendo tu. Conosci Parker, si sminuisce e ha sempre bisogno di sicurezze, Cristo! Non so come facessi tu a gestirlo, era fottutamente difficile continuare a stargli dietro tutto il tempo, soprattutto mentre cercavo di rimettermi in carreggiata. Ho fatto quello che ho potuto –

- Ah sì? – rise Mickey, una risata vuota e amara.

- Voleva te, Mickey, nessun altro – continuò Colt. – Ecco perché è caduto sempre più in basso. Cazzo, ha cercato di uccidersi! –

Mickey lo fissò in silenzio mentre il suo cuore rallentava. Colt si passò le nocche sulle labbra e continuò.

- Quando son arrivato qui al college ho incontrato Lucas e mi ha detto che stavi da tuo zio. Parker l’ha sentito per caso e mi ha seguito fino a qui, si è trasferito da questo tizio del cazzo. Ma non ne so molto, avevo gli affari miei per la testa, i miei problemi –

- Che grande eroe, eh? – commentò Mickey attraversando il parcheggio finché non raggiunsero l’entrata sul retro. – Qual è la casa di Parker? –

- È al piano di sopra, il 232 –

Quando ebbero salito le scale, Mickey lo guardò brevemente prima di bussare. Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto , hai capito? –

- Capito – rispose stancamente Colt.

- Sei sicuro? – chiese Mickey incrociando le braccia in vita, gli occhi sulla porta.

- Sì, davvero –

La porta si spalancò e comparve Parker con i capelli sparati e macchi scure sotto agli occhi. Il suo guardò si rallegrò immediatamente quando li vide. – Ehi – salutò raggiante. – Che ci fate qui, ragazzi? -. Guardò timidamente Mickey, che sorrise ed entrò dirigendosi immediatamente in soggiorno, ispezionando la stanza. Dopo qualche secondo si rigirò.

- Ehi Park, hai dell’alcool? Cazzo, ho una sete… - esalò Colt togliendo la giacca mentre Parker chiudeva la porta.

- A Gavon non piace che qualcuno tocchi la sua scorta… - scosse le spalle Parker. – Mi dispiace –

- Gavon può succhiarmelo – ridacchiò Colt. – Dov’è il suo alcool? –

- No, non penso… -

- Dov’è Gavon? – si intromise Mickey, straniamento più cortese rispetto a pochi minuti prima. Colt lo guardò dalla testa ai piedi mentre Parker arrossiva.

- È in centro da qualche parte con i suoi amici –

- Bene e immagino che se guida non beve, giusto? Sono passati a prenderlo? – chiese Mickey camminando in cerchio. Parker scambiò un’occhiata con Colt, indeciso su come rispondere. Mickey applaudì con inquietante allegria. – Vieni a casa mia tra tre ore più o meno. Sono impegnato fino a quell’ora ma tu porta tutta la tua roba per restare per il resto della settimana –

- Davvero? – squittì Parker senza fare domande. Mickey annuì.

- Sì, arrivo tra un po’. Devo andare – disse Mickey uscendo dall’appartamento, lasciando Parker e Colt ancora più confusi. – Prendi l’alcool – gridò una volta uscito. Colt dimenticò in fretta il suo scetticismo e svuotò immediatamente il frigo nonostante le proteste di Parker. Quando salutò andandosene con la scorta di costosi alcolici, Mickey era già a metà strada sulle scale. – Sei ancora in contatto con quel rivenditore di auto? – chiese improvvisamente Mickey fermandosi nel parcheggio per aspettarlo. Colt sistemò meglio le bottiglie tra le braccia e si guardò intorno per controllare che non ci fossero poliziotti.

- Certo, lavora ancora nel South Side. A cosa ti serve? –

- Ritira quella roba dietro, devi essere sobrio per andare ai 150 allora – lo avvertì Mickey e si udì un segnale acustico a poche auto di distanza. Colt fissò Mickey e abbassò gli occhi sul mazzo di chiavi che teneva in mano con la bocca spalancata.

- Mick, quelle sono… -

- È un bene che quel coglione abbia lasciato qui le chiavi. Forse si fida un po’ troppo di Parker, non credi? –

- Portiamo questa stronza dal rivenditore! – esultò Colt dirigendosi verso la lussuosa Porsche parcheggiata con le luci accese.- Questa troia è in ottime condizioni, varrà più di casa mia –

- Anche un sacco di patate vale più di casa tua – rise beffardo Mickey scivolando sul sedile passeggero della loro nuova vettura. – Guida tu, stronzo. Eri sempre il più bravo in GTA –

- Sì, così ho sentito – rispose con un sorrisino Colt buttando l’alcool nel baule e mettendosi alla guida. Mickey gli tese le chiavi e alzò lo sguardo, in attesa. Colt esitò e incrociò il suo sguardo.

- Prova mi che posso fidarmi di te – sbottò Mickey cedendo le chiavi.

- Se vendere la macchina di questo moccioso del cazzo serve a riguadagnarmi la tua fiducia Mick, consideralo fatto –

Mickey lasciò le chiavi e Colt avviò il motore portando la macchina in strada, sorridendo per la scarica di adrenalina durante il viaggio verso il South Side.

 

 

“Cambio di programma, ho delle cose da fare, scusa “

Ian fissò il messaggio di Mickey arrivato due minuti prima. Corrugò le sopracciglia deluso, perché sperava di avere un po’ di tempo da solo con Mickey dopo le loro reciproche confessioni. A quanto pare avrebbe dovuto aspettare ancora un po’. Si rigirò sul cuscino; voleva almeno recuperare un po’ di sonno.

Dopo essersi appisolato il cellulare trillò di nuovo e Ian si stropicciò gli occhi, realizzando lentamente di essere ancora nel suo dormitorio. Doveva essersi addormentato per sbaglio perché Sean era ritornato ed era crollato sul pavimento invece di mettersi sul letto, ancora completamente vestito e impregnato dell’odore di birra. Ian sbloccò il cellulare scoprendo di aver dormito per quattro ore e che era quasi mezzanotte. Controlla le notifiche e trovò un altro messaggio di Mickey.

“Fontana”

Ian lo rilesse cercando di capire se fosse un messaggio in codice finché non capì cosa intendeva. Saltò in piedi e non fu mai così veloce a prendere cappotto e scarpe al volo mentre usciva.

Trovò Mickey facilmente nonostante il buio, siccome la fontana era illuminata da luci bianche sul fondo che restavano accese fino al mattino, creando quello che poteva sembrare una sorta di stella polare per gli studenti che risiedevano al college. La luce danzante si rifletteva sul viso di Mickey, rivolto verso la superficie della fontana. Ian deglutì e lo raggiunse sedendosi sul bordo di pietra con lui e guardando a sua volta nell’acqua.

- Mi ricorda casa mia – disse Mickey. – Se non che questa è decente, non è così sfarzosa con la statua di un leone in mezzo –

- A me piaceva – rise Ian.

- Perché a te piacciono tutte quelle cose raffinate –

- E allora, c’è qualche problema? Mi piacciono le cose belle – gli ricordò Ian in tono basso.

Mickey si voltò e lo guardò con un sorrisetto, infilandogli qualcosa nella mano. – Chiedi e ti sarà dato – disse mentre Ian ammirava l’enorme mazzetta di banconote che teneva in mano.

- Cosa diavolo sono questi? Hai rapinato una banca? –

- Preoccupati meno del “come” e più di in cosa deciderai di spenderli – rispose Mickey distraendo Ian quando aprì la custodia della chitarra poggiata a terra. Dopo averlo fissato per un momento, in attesa, Ian tornò sui soldi.

- No davvero, che cosa sono questi? –

- Devi essere fiero di me – rise Mickey. – Sto usando metodi non aggressivi e privi di violenza per fare il culo allo stronzo che picchia Parker. Ha quel che si merita –

- Hai intenzione di spiegare meglio? –

- Sei cresciuto nel South Side e non hai mai rubato una macchina? Non ne hai mai riveduta una? La parte migliore è che non ho dovuto nemmeno accenderla senza chiavi –

- Okay, ora è più chiaro – sospirò Ian sfogliando le banconote. – Porca puttana, ci saranno cinquemila dollari qui. Quanto ci avete ricavato, ladroni? –

- La tua parte è quasi niente – rispose onestamente Mickey. – La macchina di quell’idiota valeva di più di una dozzina di rottami del South Side. Darò la maggior parte dei soldi a mio zio per convincerlo a far restare Parker da noi per un po’, anche se non ci metterà molto a convincersi. Parker è da lui ora nel caso quel coglione abbia voglia di prendere a pugni qualcuno quando si accorgerà che gli hanno rubato la macchina –

Ian non trattenne un sorriso; c’era  qualcosa di affascinante nel vedere Mickey proteggere il suo amico, lasciando da parte le vecchie tendenze per farlo in modo più furbo. – Sai, fai sempre il duro ma più ti conosco più penso il contrario – ammise Ian ritirando i soldi nel cappotto. – Tenerone –

- Vai a farti fottere – borbottò Mickey schizzandogli l’acqua della fontana addosso e bagnandogli la giacca a vento con il cappuccio. Ian ripulì la giacca, mostrandogli la facilità con cui l’acqua scivolava via.

- Se vuoi posso tornare nella mia stanza e chiudere un po’ gli occhi come stavo facendo prima che tu mi sveglias… -

- Chiudi la bocca – lo interruppe Mickey prendendo la chitarra dalla custodia. Non era lucida come la precedente, non aveva l’aria costosa, ma si adattava molto di più a Mickey. Il legno era scuro al centro e sfumava verso il nero ai bordi, la forma sembrava più simile a quella di una chitarra elettrica anche se era acustica, non era rudimentale come l’altra. – Non canto – lo avvertì il moro guardandosi intorno per eventuali curiosi. Il campus sembrava un villaggio fantasma, tranne per quelle poche persone che passavano circa ogni dieci minuti.

- Nemmeno io – replicò ironico Ian e Mickey rise divertito, pizzicando alcune corde distrattamente. Si rilassò visibilmente dopo aver guardato Ian e pizzico altre corde, le dita che scattavano fluide come se fosse la loro seconda natura. Poi cominciò a suonare con gli occhi chiusi e le punte delle dita che si muovevano lentamente. Sembrava quasi che non le stesse toccando e questo era impossibile perché il suono era così vibrante e risuonava tra gli edifici di pietra e mattoni intorno a loro. Ian osservò la sua mano sinistra muoversi lungo il collo della chitarra, in su verso le note più alte e poi di nuovo verso il basso, la melodia talmente leggera da essere udibile soltanto da lui.

Le sue dita rimasero leggere come piume per un po’ finché non sembrò stancarsi di quel ritmo e accelerò pizzicando le corde un po’ di più, aggiungendo note che sembravano improvvisate. La musica scese verso un tono più grave mentre Mickey muoveva la mano avanti e indietro con scioltezza sul manico. Ian non riusciva a concepire come quei movimenti così rapidi ma discreti riuscissero a creare un suono così accattivante e intenso, lasciandolo senza fiato. Mickey toccava le corde e le note uscivano fondendosi luna nell’altra, poi faceva scorrere le dita della mano destra sulla parte vuota della chitarra aggiungendo alcune note più leggere, mentre la mano sinistra scivolava sul metallo e la melodia si addolciva.

Ian si sentì stringere il petto mentre la musica passava dal tono pesante ad uno più leggero, da incantevole a commovente; Mickey era incredibile a stabilire la velocità, restando sulla giusta rapidità ma fermandosi perfettamente al momento giusto. Alcune parti erano come un temporale che rimbombava nel petto di Ian facendolo tremare, altre invece gli davano la sensazione di essere sott’acqua perché perdeva il senso dello spazio che li circondava, crollando in una profonda calma.

Mickey toccò gentilmente un paio di note alte, scendendo lentamente e facendo scattare il polso per strimpellare due volte, poi si fermò e riaprì lentamente gli occhi. Per quanto sembrasse sicuro di sé mentre suonava, ora appariva perso mentre guardava Ian, le guance che arrossivano. Prima che Ian potesse anche solo cominciare a descrivere quanto fosse stato emozionante la sua performance, Mickey parlò con voce dolce.

- Vuoi venire a Miami con me? –

La luce della fontana ricadeva su di lui, illuminandolo. Sembrava quasi sorpreso da se stesso, come se non sapesse nemmeno cos’avesse detto finché non gli era uscito. Ian arricciò le dita sulla pietra fredda e il rumore dell’acqua scrosciante accanto al suo orecchio lo riportò alla realtà. – A trovare tua mamma? – balbettò cercando ancora di riprendersi dal viaggio musicale in cui l’aveva portato Mickey.

- Possiamo passare da lei se vuoi incontrarla – propose Mickey richiudendo la custodia con la chitarra – Ma io, ehm, volevo solo andarmene per un po’ -. Si interruppe e sbattè le palpebre, portandosi nervosamente la mano tra i capelli, ritrovando poi il suo sguardo. – Con te –

Alcune ragazze passarono vicino a loro e li guardarono ma non si videro ricambiare quando Mickey spostò gli occhi dai suoi. Ian rimase senza parole per un po’, ancora in preda al ricordo della musica di Mickey ma quando le sue parole si unirono a quella musica, acquistò coraggio e gli afferrò la mano, sorridendo gentilmente. – Sì, possiamo andare dove vuoi –

Mickey arrossì di nuovo e abbassò la testa. Non avrebbe mai smesso di trovarlo adorabile. – Okay – rispose intrecciando le dita con le sue. Ian le accarezzo a sua volta sentendo quelle estremità di ossa che avevano prodotto quella musica così mozzafiato, che avevano sfogliato le pagine di mille storie. Erano ruvide per le impronte lasciate dalle corde della chitarra ma sembravano così fragili.

- Sei bello, Mickey – mormorò Ian incapace di trattenersi. Mickey alzò lo sguardo su di lui, le pupille dilatate, e tolse le mani imbarazzato. Prima che Ian se ne rendesse conto, Mickey lo spinse giocosamente e Ian cadde nella fontana agitando le braccia. Non era profonda, quindi la caduta fu di breve durata e Ian si mise a sedere con il corpo fuori dall’acqua. Scosse volutamente la testa, inzuppando anche lui.

- Ehi – rise divertito Mickey. – Come avevo detto, sembri proprio un cane –

Ian non gli diede il tempo di prenderlo ancora in giro perché avvolse le braccia intorno alla sua vita e lo trascinò con sé.

- Maledizione – esalò Mickey quando Ian lo bloccò contro il lato della fontana.

- Te l’ho detto che mi sarei vendicato – rise Ian menzionando la loro precedente gara di wrestling. Mickey spostò lo sguardo in mezzo ai suoi occhi e sorrise. Desideroso di sentire davvero quel sorriso, Ian posò le labbra sulle sue premendo appena è allenando la presa su di lui. Quando si ritrasse, Mickey abbassò timidamente la testa e sorrise. Ripresero in fretta la loro lotta, spingendosi e spruzzandosi l’acqua addosso, senza pensare a quanto dovessero sembrare pazzi o quanto freddo avrebbero avuto dopo, visto che in quel momento erano troppo felici per preoccuparsene.

 

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Capitolo 38
*** Ti Meriti Tutto ***


Mancava solo una settimana alla pausa per il Giorno del Ringraziamento e Ian non stava più nella pelle. Mickey aveva già comprato i biglietti per il Florida per quel sabato. Doveva solo superare quella dolorosa settimana piena di cose d affare e poi sarebbe stato più che bene.

Quando uscì dal dormitorio per la colazione si fermò domandando se fosse ancora mezzo addormentato, perché suo fratello seduto vicino al sentiero laterale al dormitorio catturò la sua attenzione.

- Ti avrei chiamato – esordì Lip con una sigaretta tra le dita. – Ma il mio cellulare è mezzo distrutto –

- Che cavolo ci fai qui? – rise Ian raggiungendolo. – Le vacanze iniziano tra una settimana –

- Non posso venire a trovare il mio fratellino? – chiese Lip passandogli la sigaretta.

- Le tue visite di solito significano brutte notizie – rispose beffardo Ian aspirando un tiro.

- Quindi per te va bene se resto nel tuo dormitorio stasera? – chiese Lip andando dritto al punto. Ian gli restituì la sigaretta.

- Sì, certo. Dimmi solo se devo preoccuparmi che dei federali vengano a bussare alla mia porta –

- Nah, solo una bionda psicopatica – esalò Lip scalciando un po’ di ghiaia con gli scarponi.

- Hai una ragazza? –

- Neanche lontanamente –

Ian rise e cominciarono a parlare della loro scuola e dei fratelli a casa. Quando la sigaretta si consumò, Lip si alzò. – Vuoi mangiare qualcosa? Hai lezione? –

- Tra un’ora, stavo andando a fare colazione – fece spallucce Ian alzandosi a sua volta. Lip annuì e si avviarono verso la caffetteria chiacchierando ancora.

- Quella stronza ha lanciato la mia roba contro al muro come se stesse giocando a frisbee – grugnì Lip gesticolando pigramente. – Non capisco perché, è impazzita solo perché le ho detto che non volevo incontrare i suoi cazzo di genitori –

- Magari perché le interessa davvero uscire con te – ipotizzò Ian. – E perché tu sei uno stronzo –

- Ah ah, divertente – ribatté Lip. – Non sto cercando una moglie –

- Hai permesso a Karen di fotterti – gli ricordò Ian spostandosi per lasciar passare sul marciapiede un gruppo di ragazze. Quando Lip non lo imitò, sospirò. – Magari potresti anche lavorare sulle tue buone maniere –

- Se incontri i genitori, ecco improvvisamente un neonato e un matrimonio – rifletté Lip guardandosi intorno per poi tornare a fissare davanti a sé. – Come sta Mandy? –

- Finalmente si sta liberando dei coglioni come te – rispose Ian socchiudendo gli occhi. Un sorriso si allargò sulle sue labbra quando l’espressione di Lip crollò.

- Sì sta davvero impegnando con uno di quei ragazzi pomposi? –

- Da come ho visto, questo si sta comportando bene con lei –

Prima che potessero continuare, ecco che comparve Mandy seduta in grembo a Ben vicino alla torre dell’orologio.

- Molto carini – borbottò Lip sarcastico accendendo frettolosamente un’altra sigaretta. Ian osservò i suoi occhi annebbiata scattare su Mandy con uno sguardo quasi malinconico.

- Mandy, vuoi fare colazione? – a chiamò Ian sopra al vociare degli studenti che passavano in quel momento. Quando Mandy lo vide saltò giù da Ben e si avvicinò per un abbraccio. Quando si staccò i suoi occhi caddero su Lip e si fissarono senza dirsi niente.

- Sto cominciando a pensare che tu in realtà esca con Ian, Mandy – sorrise Ben avvicinandosi. Ian percepiva il giudizio nello sguardo di Lip quando si fermò ad osservare la polo e i pantaloni color kaki del ragazzo.

- Allora mi sa che non siamo proprio discreti – scherzo Ian tirando una gomitata ironica a Mandy ma lei non sembrò prestargli attenzione.

- Spero che qui il cibo non faccia schifo come da me – brontolò Lip sbuffando il fumo e avviandosi verso la mensa.

- Volete venire? – chiese Ian agli altri due, indietreggiando per seguire Lip.

- Magari più tardi – rispose Mandy; ad Ian non sfuggirono i suoi occhi che si attardarono su Lip finché Ben non le mise il braccio intorno e la indirizzò nella direzione opposta.
 

Mickey si risvegli sul divano con la mente annebbiata, allungando il braccio nel buio senza alcun motivo particolare. Aveva la tachicardia quindi doveva essersi svegliato da un altro brutto sogno a giudicare dai palmi sudati. Si mise a sedere, ringraziando di non ricordare cosa lo avesse portato a quel risveglio e praticamente saltò per lo spavento quando vide una figura in piedi nell’oscurità.

- Scusa – si affrettò a mormorare Parker. – Hai urlato quindi stavo solo… -

- È tutto okay – sbuffò Mickey grattandosi gli occhi. Quando sentì che si stava calmando schiarì la gola. – Puoi tornare a letto, io sto bene –

- Sicuro^ - chiese Parker preoccupato.

- Sì – rispose pesantemente Mickey. – Ma se vuoi puoi prendermi dell’acqua – . Parker si illuminò e si girò finché Mickey non gli afferrò il braccio. – Questo è il momento in cui mi dovresti dire “Prenditela da solo”- lo rimproverò Mickey lasciandolo andare. Parker abbassò la testa per la vergogna e Mickey sbuffò di nuovo – Ti ho già detto che devi farti valere – continuò strofinando le mani sulle ginocchia. – Sai, sono costantemente sull’orlo di far finire il tuo coinquilino sottoterra. Continuo a pensare di andare a casa tua e mettergli un cuscino in faccia finché non si muove più –

Parker sembrò ancora più preoccupato, come se non capisse in che modo potessero essergli utili quelle parole, e si rigirò l’orlo della maglietta tra le dita nervosamente.

- Ma sto cercando di non cedere a queste fantasie – grugnì stancamente Mickey. Si appoggiò contro al divano e chiuse gli occhi. – Provaci. Ogni volta che pensi che qualcuno voglia qualcosa da te, dì “Fanculo” e convinciti che non devi fare piacere a nessuno. Che tu mi prenda o no un bicchiere d’acqua, non cambierà il modo in cui ti vedo –

- E come mi vedi? – chiese Parker con la voce piccola piccola. Sollevò la testa, acquisendo coraggio.

- Torna a dormire – chiuse il discorso Mickey girandosi dall’altra parte e premendo il viso contro al cuscino nell’angolo.

- Posso restare a dormire qui?- sussurrò Parker con urgenza.

- Sai che non puoi, torna in camera di Lucas –

- E se Lucas non vuole che io dorma nella sua stanza? –

- Chi se ne frega, ormai vive praticamente con la sua ragazza –

- Voglio stare qui con te, Mickey –

- Devo trascinarti nella tua stanza come se avessi cinque anni? – sbottò Mickey in tono volutamente autoritario. Il modo migliore per aiutare l’ansia di Parker era contrastandola.

- No – rispose lentamente il ragazzo, rialzandosi. – Vado, se vuoi –

- Non perché lo voglio io, ma perché devi – lo corresse Mickey sistemandosi per trovare una posizione comoda tra i cuscini. Parker non disse nulla per un po’ e se ne andò.
 

Mercoledì Lip tornò di nuovo. Scorse Ian e Mandy che mangiavano fuori insieme e quando si sedette di fronte a Mandy lei evitò il suo sguardo. – Sai vengo anche io a Miami con te e Mickey – disse Mandy ad Ian improvvisamente, masticando il suo taco.

- Credevo che non volessi – replicò Ian finendo il proprio e cedendo l’altro a Lip, che lo addentò contento.

- Vai a Miami? – s’intromise quest’ultimo. – Come hai fatto a comprare il biglietto? –

- Mickey ha guadagnato un bel gruzzolo vendendo la macchina di un tizio. Ho già mangiato la maggior parte di quello che mi ha dato a Fiona per le bollette –

- Che tizio? – chiesero contemporaneamente Mandy e Lip. I loro occhi si incrociano e Mandy sorrise appena.

- Uno stronzo che alzava le mani sul suo amico – fece spallucce Ian.

- Gesù – deglutì Lip. Dopo un paio di minuti di silenzio cambiò argomento. – Fiona mi ha chiamato prima che il mio cellulare si rompesse. Vuole che andiamo a trovarla durante le vacanze –

- Ho il volo sabato, ma venerdì sera potrei fermarmi a dormire lì – accettò Ian accartocciando i rifiuti.

- Penso che si stia sistemando con un della tavola calda, sembra una cosa seria –

- Bene – annuì Ian. – Dopotutto forse essere dei Gallagher non è una maledizione e possiamo anche noi avere una vita normale –

- Non contarci troppo – rispose sarcastico Lip mangiando l’ultimo pezzo di taco. Quando ebbero finito di mangiare, Ian prese lo zaino e se lo mise in spalla.

- Ho lezione. Siamo ancora d’accordo per quella festa, Mandy? –

- Ho mai saltato un impegno con te? – replicò Mandy buttando l’immondizia.

- Lip, vuoi venire? – chiese Ian per controllare la reazione di Mandy; lo guardò un po’ troppo speranzosa.

- Mi sa che ho di meglio da fare – rispose ispezionando il campus desolato.

- Ti va di accompagnare Mandy a lezione? Quegli stronzi la infastidiscono sempre – chiese Ian indicando un gruppo di ragazzi poco lontano. – Io vado da questa parte quindi ci vediamo stasera -. Lip sembrò voler obiettare ma bastò un’occhiata a Mandy e infilò semplicemente le mani in tasca avvicinandosi al suo fianco.
 

Mickey aveva i piedi distrutti dopo aver chiuso la farmacia quella sera e l’unica cosa che lo fermava dallo svenire sul marciapiede era il rischio che qualche universitario pensasse che fosse divertente pisciare su un tizio collassato per terra. Barcollò fino a casa, registrando a malapena quanto stesse passando velocemente a settimana, anche se non si poteva dire lo stesso della camminata verso casa.

Quando il suo cellulare squillò controllò il numero, pronto a spegnerlo all’istante, finché non vide il viso di Ian. – Chi cazzo è?- chiese scherzoso e sorrise quando Ian rimase in silenzio per qualche secondo prima di rispondere.

- Il tuo fottuto ragazzo -. Anche Ian stava sorridendo a giudicare dal tono di voce.

- Hai proprio zero filtri – replicò Mickey siccome non gli venne altro in mente.

- Credevo che non ti piacessero i giri di parole. E ricordo che sei stato tu quello che mi ha definito il tuo ragazzo per primo, oltretutto davanti ad altre persone –

Mickey arrossì e attraversò la strada desolata stringendo la mano intorno al cellulare. Era strano sentire la voce di Ian dall’altra parte sapendo che ciò che aveva con lui era reale. – Bello, mi hai chiamato per decantarmi i tuoi sentimenti? – chiese cercando di sembrare scherzoso ma il martellio nel petto lo tradiva.

- Sto per andare a questa festa con Mandy e Lip… - esalò. Tacque prima di continuare. – Ma parlare con te sembra un’idea migliore in questo momento –

Mickey si fermò sul marciapiede e guardò una Camaro passargli di fianco ai 120 km all’ora; quando i fari scomparvero in fondo alla strada inalò un respiro. – Che succede? – chiese cogliendo la nota grave nel tono di Ian. Non diceva nulla quindi Mickey si passò una mano sul viso e si morse il labbro. – Ian? –

- Niente – rispose a bassa voce Ian. – È arrivata Mandy, devo andare. Vuoi venire?

- Ho bisogno di riposarmi – rispose Mickey ripensando a quanto sembrasse debole la voce di Ian. – Sei sicuro di stare bene? –

- Non vedo l’ora che arrivino le vacanze, questo è certo – rise Ian e si udì un rumore in sottofondo.

- Mandy si sta scopando di nuovo tuo fratello? – chiese Mickey giusto per non farlo ancora riattaccare.

- Eh no, esce con Ben ora, ricordi? –

- E quindi? – fece spallucce Mickey riprendendo a camminare. – Non importa, no? –

- Ciao, Mick – ridacchiò Ian mentre altre voci urlavano dietro alla sua.

- Sicuro che va tutto bene? – ci riprova Mickey ma era troppo tardi perché Ian ormai aveva riattaccato.
 

- Tu e Mickey scopate? –

Ian esplose in un attacco di tosse mentre beveva il suo punch, gli occhi che schizzarono su Mandy che teneva le mani sui fianchi e l’espressione interrogativa. Sul viso aveva della pittura fosforescente sbavata che rendeva difficile prenderla sul serio. Bevve il punch è la osservò sbuffare, divertita.

- Non fare come quel coglione di Lip – lo avvertì lei.

- E tu ti scopi Lip? – la imitò Lip, lo sguardo che navigava sulla folla in cerca di suo fratello. – Perché non hai detto al tuo ragazzo che venivamo qui stasera –

- Perché diavolo dovrei tradire Ben con Lip? – grugnì Mickey prendendo un bicchiere e versandoci un po’ di punch. – Non è il mio tipo, è troppo pieno di sé –

- Mi ricordo che dicevi diversamente la scorsa estate – rise Ian con le labbra sul bordo del bicchiere. – Ma Lip è uno stronzo, evita di andarci a letto –

- Contaci – rispose lei. – Ora, hai intenzione di darmi notizie di mio fratello? –

- Non scopiamo – rispose tranquillamente Ian senza aperto celare il suo tono nostalgico.

- Ma che cazzo stiamo combinando? – sbottò Mandy. – Alle superiori scopavamo tutti i giorni! Non ricordo di aver mai passato così tanto tempo senza farlo –

- L’amore fa questo – sorrise Ian ma quel sorriso svanì lentamente. Aveva detto “amore”, non intendeva quello, ma lo aveva appena fatto. Oh merda. Mandy gettò in aria le braccia, la frustrazione che oscurava ogni tipo di divertimento che avrebbe potuto avere alla festa.

- Non scopo perché Ben è un bravo cristiano e vuole andare con calma, magari restare persino vergine fino al matrimonio. Mi lascia a malapena fargli una sega! – protestò Mandy. Prima che si potesse versare un altro drink Ian le toccò la mano con il bicchiere.

- Ti ho detto che non te l’avrei lasciato fare – le ricordò accarezzandole la mano tremante che reggeva l’alcool con il pollice. Alla fine allentò la presa e lasciò il bicchiere. – Senti, non forzarti a stare con questo ragazzo solo perché pensi che sia bravo. Se non ti piace il fatto che non voglia fare sesso, lascialo perdere –

- Lui È bravo, a parte per una cosa – disse Mandy con frustrazione. – È davvero bravo e fa sempre qualcosa per gli altri, va in chiesa, fa pure il volontario in casa di riposo, Cristo Santo! –

- Vuoi trascorrere la prossima estate in ritiro spirituale? – borbottò Lip sbucando dalla folla con macchie di pittura sui vestiti. I suoi occhi rivelavano chiaramente che fosse strafatto.

- È un ragazzo fantastico – ribatté Mandy facendo di nuovo per prendere l’alcool ma Ian le tolse di nuovo la mano gentilmente.

- Sì, se ti piacciono gli sfigati che non ci sanno fare con le ragazze –

- Va bene per me – sputò Mandy ritornano in mezzo alla folla. Lip osservò per un momento la scodella del punch è Ian temete per un momento che stesse per infilarci la testa dentro ma invece prese il precedente bicchiere di Mandy e lo finì. Ian disincrociò le braccia.

- Sai, non è  che puoi comportarti come se fossi il ragazzo di Mandy per tutta l’estate e poi tornare a scoparti altre al college -. Ian disse finalmente quello che voleva dire, trovando il momento giusto. Lip si asciugò un po’ di sudore dalla fronte.

- Non ho mai detto di essere il suo ragazzo, quello è un problema suo –

- Riesci a non essere uno stronzo egocentrico per un secondo? Karen ti avrà anche trattato da schifo, ma Mandy no, non dovresti comportarti da schifo con lei – sospirò Ian spostandosi dal tavolo. Lip finì di bere e posò il bicchiere lanciandogli un’occhiata.

- Okay – disse semplicemente come se ci fosse solo quello da dire. Ian non seppe dire se fosse un bene o un male ma non ebbe il tempo di chiederselo perché Lip era già tornato in mezzo alla folla.

Ian avrebbe voluto ballare ma non era dell’umore e si ritrovò con un gran mal di testa per tutta la musica techno e l’alcool. Barcollò fuori dal seminterrato e uscì all’aria aperta. Alcuni ragazzini che fumavano erba lo guardarono avviarsi verso la strada ma Ian li ignorò, prendendo invece il cellulare. Chiamò Mickey, anche solo per sentire la sua voce o chiedergli di passare a fare un salto, qualsiasi cosa. Dopo un paio di squilli senza risposta riattaccò.

-        Ehi, vuoi uno spinello? – gli chiese uno dei ragazzini dietro di lui sollevandone uno a mezz’aria con una risata. – Sembra che tu ne abbia bisogno –

Ian toccò il cellulare un’ultima volta e si rigirò per raggiungere il gruppetto.
 

I colpi alla porta svegliarono Mickey di soprassalto, che cominciò freneticamente a cercare d’istinto la pistola sotto al divano. Sapeva che suo zio e Lucas non bussavano. Si avviò alla porta, la mano sul grilletto, guardando l’orologio che segnava le cinque del mattino. Aprì la porta e sollevò la pistola, facendo scattare Ian all’indietro.

- Che cazzo fai? – gli chiese ancora disorientato, abbassando la pistola. Sì sentì improvvisamente un pazzo, lì in piedi in mutande con una pistola puntata su Ian.

- Credi che un ladro busserebbe? – osservò Ian calmo, abbassando le mani alzate.

- Credevo fossi il coinquilino di Parker, gli ho rubato altre cose ieri – spiegò Mickey facendosi da parte per farlo entrare. – Magari aveva capito dove si trova ora Parker –

- Comunque da quant’è che avete una pistola? Non siamo nel South Side -. Ian andò verso il divano e si sdraiò senza preoccuparsi nemmeno di togliersi le scarpe.

- Sai di erba e di birra – notò Mickey buttando la pistola sul tavolino. Alquanto divertito, osservò Ian che si rannicchiò chiudendo gli occhi e respirando pesantemente. Si guardò intorno e attese che gli dicesse perché fosse lì ma Ian infilò e mani sotto al mento e si avvolse nel cappotto. – Vuoi un po’ d’acqua? Antidolorifici? Una fottuta coperta? – gli chiese senza altre idee su cosa fare se non lasciarlo dormire.

- Sei davvero bravo a prenderti cura delle persone, Mickey – esalò Ian così piano che Mickey non l’avrebbe nemmeno sentito se la casa non fosse stata così silenziosa. Mickey rimase lì in piedi senza alcuna reazione e Ian si raggomitolò ancora di più contro al divano, respirando profondamente. – Ti ho assillato così tanto senza sapere quanto facessi per gli altri. Sei davvero una bella persona Mickey, e ti meriti tutto –

La sua voce era ormai assonnata e Mickey avrebbe voluto chiedergli il motivo di quelle parole, che cos’avesse Ian quella sera ma non sapeva come quindi andò a prendere delle medicine e un bicchiere d’acqua. Quando tornò Ian si era addormentato e il suo respiro riempiva la quiete della stanza mentre Mickey posava tutto sul tavolino, avvicinandolo poi al divano. Ricordava quando non molto tempo prima si era risvegliato nel letto di Ian, scoprendo che lo aveva trasportato per diversi isolati, aveva portato a braccia un ragazzo che conosceva a malapena senza nessun motivo se non dargli un po’ d’acqua e delle medicine per il post sbronza. Era stata la prima volta che qualcuno si era occupato di lui, la prima volta che a qualcuno era importato qualcosa. E non molto tempo dopo, Ian aveva medicato le sue ferite pregandolo praticamente con gli occhi di poterlo fare e Mickey glielo aveva permesso perché nessuno gli aveva mai chiesto di curarlo. Nessuno gli aveva mai chiesto se stesse bene, se le sue cicatrici facessero male, nessuno se n’era mai preoccupato

E nessuno aveva mai detto a Mickey di essere una bella persona. Mickey valutò l’idea di lasciare lì Ian e sistemare un paio di coperte per dormire sul pavimento, ma prima di rendersene conto si sdraiò dietro di lui sul divano facendo attenzione a non disturbarlo. Dopo aver fissato per un po’ il retro della sua giacca, si avvicinò di più. Stava per avvolgere la mano nel suo cappotto ma alla fine spostò il braccio intorno alla sua vita. Ian non si mosse e il suo corpo continuò ad alzarsi e abbassarsi serenamente quindi Mickey si rilassò e premette il viso contro alla sua giacca, chiudendo gli occhi. – Anche tu sei una bella persona – sussurrò affondando le dita nei suoi fianchi mentre si assopiva di nuovo.
 

Mickey schiuse gli occhi vedendo che il sole stava appena sorgendo e che dovevano essere a malapena le otto. Stava per mettersi a dormire, finché non sentì Ian muoversi e rigirarsi, ritrovandosi così uno di fronte all’altro. Era piuttosto imbarazzante essere beccato accoccolato a lui ma decise di non spostarsi, ormai troppo comodo e al caldo.

Ian sembrava esitate e Mickey si domandò se gli avrebbe detto qualcosa, ma restò in silenzio. Portò la mano al viso di Mickey e si avvicinò, le palpebre pesanti. Non si scambiarono una parola mentre Ian lo baciava dolcemente accarezzandogli la guancia, come se avesse paura che fosse troppo per lui, e quando indietreggiò per guardarlo con uno sguardo dolce, Mickey chiuse lo spazio tra loro premendo si contro di lui e trattenendo lo per i fianchi.

Si separarono quel tanto che bastava per permettere a Mickey di vedere la luce del sole fare capolino dalla finestra, illuminando l’incavo in mezzo agli occhi di Ian e lo spazio sopra alle sue labbra socchiuse, e Ian aspettò le dita che si insinuavano lentamente tra i capelli di Mickey, fissando lo con uno sguardo che gli diceva che se anche fosse crollato il mondo non si sarebbe mosso di un millimetro. Mickey si fidò di quello sguardo e tirò Ian a sé il più possibile, incontrando le sue labbra una terza volta, aggrappandosi disperatamente al retro del suo cappotto.

Ian ci andò piano e lo baciò come se avesse timore di rovinare quel momento se avesse fatto qualsiasi altra cosa. Mickey gli cinse il collo con l’altro braccio infilando la mano tra i suoi capelli rossi, ricordando quando Ian gli aveva detto di doverseli andare a tagliare. Approfondì il bacio cercando di fargli capire di volerlo tanto quanto lui, quindi Ian reagì positivamente e si concesse completamente, accarezzando dolcemente sul viso con entrambe le mani.

Il resto della casa sembrò dissolversi quando Mickey tirò Ian su di sé, trovando conforto nella sensazione del suo peso sopra di lui, senza rompere il contatto tra di loro, e il suo viso si accaldò dove Ian lo toccava, scendendo fino al collo e facendo scivolare le mani sotto alla sua canotta nera per accarezzarlo appena sopra il bordo dei boxer. Mickey non riuscì più a concentrarsi per baciarlo perché Ian abbassò ancora di più la mano fino a tastarlo attraverso il tessuto di cotone mentre l’altra mano risaliva lungo il suo corpo, fino al viso.

- Va bene? – sussurrò Ian contro al suo orecchio, adagiandovi poi sopra un tenero bacio.

- Sì – esalò Mickey; fu in grado di dire solo quello perché stava perdendo la testa. Ian premette ancora di più facendolo dimenare per poi baciarlo di nuovo e insinuare la mano oltre l’elastico. Trovò il suo membro già duro e strofinò il pollice sulla punta sensibile, muovendolo con movimenti circolari. Mickey sussulto è strinse gli occhi chiusi mentre Ian afferrata l’asta.

Il condizionatore si accese diffondendo nella stanza un lieve ronzio, quindi Mickey non dovette preoccuparsi troppo quando gli sfuggì un gemito ora che non c’era più tutto quel silenzio. Nascose istintivamente la testa nell’incavo del collo di Ian stringendo il braccio intorno a lui mentre Ian muoveva la mano su e giù è lo baciava sulla tempia e tra i capelli. Era come se migliaia di farfalle stessero danzando dentro di lui, questo provava Mickey, e il pensiero lo faceva accaldare ancora di più.

Ian pompò l’asta più rapidamente stringendola di più, continuando a baciargli gentilmente la mascella e il collo e Mickey avrebbe voluto ricambiare ma era troppo concentrato sul modo in cui Ian lo toccava. Gettò una rapida occhiata e vide le sue guance rosate, i suoi respiri rapidi che rivelavano che era quasi stimolato almeno quanto lui, se non di più.

Successe tutto in fretta; Mickey non si rese nemmeno conto di aver affondato le unghie nella sua giacca e di aver animato profondamente contro al suo collo mentre veniva sopraffatto dal bisogno di venire. Ian tolse la mano e lo baciò completamente sfilandosi il cappotto e buttandolo sul tappeto mentre spingeva il corpo contro a quello di Mickey

Anche dopo essere venuto, Mickey era ancora eccitato e voleva toccare Ian quindi spostò le mani sui suoi fianchi e gli slacciò la cintura e abbassò la cerniera dei suoi pantaloni, provocandogli un gemito, soffocato dalle loro labbra che si toccavano.

Mickey si mise a sedere, scambiò le loro posizioni mettendosi sopra di lui e lo spinse indietro per farlo sdraiare, affrettandosi sempre di più visto che la sua cintura richiedeva più sforzo del previsto, ma una volta completata l’impresa gli abbassò i jeans, protestando per il tempo che ci stava impiegando. Ian rise e scalciò con le gambe per dargli una mano, osservandolo annaspare.

Mickey gli mostrò il medio e riuscì a togliergli quei dannati pantaloni, risistemandosi sopra di lui. – Non è colpa mia se indossi pantaloni da ragazza – sibilò senza reale malizia.

- Ma smettila, sono jeans skinny – rise divertito Ian zittendosi immediatamente quando la mano di Mickey si infilò nei suoi boxer e afferrò la sua erezione. Chiuse gli occhi e sollevò i fianchi, dimenticandosi immediatamente qualsiasi cosa stessero dicendo. Era decisamente più rumoroso e reattivo di Mickey e le sue mani viaggiavano ovunque riuscissero a toccare, ansimando imprecazioni sottovoce mentre Mickey lo masturbava. La sua mano si muoveva su e giù e Mickey era affascinato nel vedere quanto Ian non riuscisse a trattenersi sotto al suo tocco e nell’udire il suo respiro, che fosse eccitato, addormentato, assorto nello studio; non avrebbe mai smesso di essere musica per le sue orecchie.

Si udì un rumore alla porta d’ingresso e Mickey si fermò, come se qualcuno gli avesse rovesciato un secchio d’acqua fredda addosso. Quando sentì la chiave girare nella toppa, realizzò e saltò giù da Ian nello stesso momento in cui suo zio Rick entrò. Ad Ian ci volle un secondo per realizzare cosa stava succedendo perché aprì gli occhi con uno sguardo chiaramente confuso.

Rick si rinchiuse gentilmente la porta alle spalle come faceva sempre quando non voleva svegliare Mickey e buttò le chiavi sulla mensola alla sua sinistra. – Scusate… - fece per dire ma si fermò quando comprese la scena davanti a lui.

Mickey avrebbe potuto tranquillamente prendere la pistola e spararsi un colpo in testa per la paura. Siccome per qualche divina ragione Terry odiava i gay, suo zio poteva avere la stesa tendenza anche se non l’aveva mai esternato. Non c’era modo di spiegare quello che aveva appena visto.

Rick si grattò la barba incolta e fece un sorrisetto – ebbe davvero il coraggio di sorridere – per poi andare dritto in cucina. Mickey aspettò ma udì solo la macchinetta del caffè e ante che si aprivano e si chiudevano. Ian non sembrava molto preoccupato di essere stato colto in flagrante, non stava cercando nemmeno di rimettersi i pantaloni; appoggiò semplicemente con fare pigro il braccio sulla pancia e alzo le sopracciglia.

- Mickey, volete del caffè tu e Ian? – chiese suo zio dalla cucina. Mickey saltò visibilmente per lo spavento.

- Sì! – rispose Ian notando quanto fosse allibito Mickey. Si mise a sedere e batté il palmo della mano sul posto vuoto accanto a lui ma Mickey non si mosse di un millimetro. – Mickey? Che c’è che non va? –

- È incazzato – rispose con voce tremante. – È entrato mentre stavamo… porca puttana! –

- Non penso che gli importi qualcosa – sorrise Ian allungando il braccio per prendergli la mano, ma Mickey indietreggiò. Andò rapidamente all’armadio, rovistò e si infilò un paio di jeans e delle Vans. Ian non si immaginava nemmeno che qualcuno potesse vestirsi così velocemente. – Davvero, Mickey, penso sia tutto okay –

- Appena sarà pronto il caffè ce lo rovescerà addosso, ce lo tirerà in testa. Dobbiamo andarcene – esplose Mickey. Dopo aver messo le scarpe prese una giacca e corse alla porta d’ingresso ma Ian oltrepassò il divano è lo fermò.

- Devi calmarti, Mickey – lo tranquillizza gentilmente Ian mettendosi tra lui e la porta. – Ti rendi conto di quello che dici? –

Rick tornò in soggiorno con due tazzine e Mickey si immobilizzò, osservandolo come una preda nervosa mentre si avvicinava al tavolino e posava le tazze senza nemmeno guardare verso di loro. Scavalcò il cappotto e i pantaloni di Ian e si fermò sulla soglia della cucina. – Mick, vieni un attimo – disse prima di sparire.

Mickey cercò di spostare Ian ma lui non si mosse di un millimetro, ma anzi, lo spinse indietro senza troppa forza. – È tutto okay – gli ripeté il rosso. Mickey non sembrava così convinto, ma alla fine cedette, desiderando di non essere così spaventato, e guardò Ian un’ultima volta prima di entrare in cucina, dove suo zio stava accendendo il fornello.

- Vanno bene uova e toast? – chiese l’uomo imburrando una padella color carbone. La prima cosa che immagino Mickey fu suo zio che gli prendeva la mano e gliela posava sulla sua superficie bollente, provocandogli un’ustione di terzo grado. - Vieni qui, Mickey – ordinò pazientemente Rick allontanandosi dal fornello per lasciarlo riscaldare.

Cosa cazzo poteva fare ora? Fece il giro dell’isola e si fermò di fronte a lui con i polmoni a rischio collasso. Quando Rick alzò la mano si aspettò un pugno che gli avrebbe rotto le ossa ma ricevette solo una mano tra i capelli che gli accarezzò energicamente la testa. Mickey attese che scattasse la trappola ma suo zio finì di scompigliargli i capelli e ritornò a cucinare come faceva tutti i giorni, non prima di averli dato dei buffetti affettuosi. Se non gli fossero tremate le ginocchia per la paura Micky avrebbe sbottato con un “Ma che ho, dodici anni?”, magari anche qualche perla scaturita dall’imbarazzo, ma se ne andò senza parole invece, trovando Ian sul divano completamente rivestito.

- Tuo zio non è tuo padre – disse Ian con un’espressione apprensiva. Mickey guardò la cucina e poi di nuovo Ian, quasi senza fiato. Non si oppose quando Ian si alzò e lo avvolse in un confortante abbraccio, indugiando quanto bastava affinché Mickey si sciogliesse, e indietreggiò, l’angolo delle labbra incurvato in un mezzo sorriso. -Va tutto bene –

Mickey annuì e ci credeva davvero. Si abbandonò sul divano, stravolto, e chiuse gli occhi visto che ora poteva davvero tornare a dormire. Non avrebbe più dovuto preoccuparsi di svegliarsi coperto del proprio sangue questa volta.

 

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Capitolo 39
*** Sostituire I Brutti Ricordi ***


Ian si buttò il borsone in spalla con uno sbadiglio, pronto a lasciare il dormitorio. Si ea svegliato tardi e si era perso la partenza di Sean quella mattina; non che gliene importasse così tanto mentre chiudeva a chiave la stanza, non vedendo l’ora di uscire da quel posto infernale. Una volta fuori si riparò gli occhi dalla luce intensa del sole che stonava in quel pomeriggio di Novembre.
Ciò che non si immaginava fu di trovare Mandy che lo aspettava senza borse o altro, ma con un paio di occhi rossi e le braccia strette intorno al copro per ripararsi dal freddo. Non gli corse incontro per abbracciarlo quindi fu lui ad avvicinarsi, posandole una mano sul viso umido. Voleva chiederle che cosa fosse successo perché aveva le lacrime agli occhi ma scelse invece di abbracciarla, sapendo che il contatto fisico era molto più efficace per farle uscire ciò che provava. Infatti funzionò perché appena posò il borsone e la toccò, lei scoppiò a piangere.
- Gliel’ho detto – singhiozzo Mandy. Ian le accarezzò la schiena con movimenti circolari e indietreggiò per guardarla.
- Cosa? –
- Ho detto a Lip che lo amavo – disse tirando su col naso, le spalle tremanti. – E lui se n’è andato? –
Ian la abbracciò di nuovo perché era tutto ciò che poteva fare e che poteva offrirle. Avrebbe potuto dirle un sacco di cazzate su come le cose sarebbero andate meglio, su come presto l’avrebbe superata, ma se c’era una cosa che Mandy non sopportava erano i bugiardi. La strinse semplicemente a sé mentre piangeva perché sapeva che era troppo orgogliosa per lasciare vedere a qualcuno questo lato di lei, se non a Ian. Prima di chiedere aiuto a chiunque altro piuttosto sarebbe annegata nelle sue stesse lacrime.
- Scusami se piango – disse lei asciugandosi gli occhi. Era triste che lei e Mickey fossero cresciuti con l’idea che piangere significasse fallimento e debolezza; era così sbagliato. La lasciò andare e scosse la testa.
- Allevia lo stress e ti fa sentire meglio. Non trattenerti Mandy, lascia uscire tutto, te lo devi – Mandy deglutì e sorrise cercando di ascoltare le sue parole. Anche lui ricambiò. – Non dimenticarti che è uno stronzo e che puoi avere di meglio. Stai già facendo di meglio -. Lip era suo fratello e aveva passato l’inferno con Karen con tutto il tornado di emozioni che si era ritrovato a provare alla prospettiva di diventare padre quando neanche lo era; ne aveva passate tante, essendo il maggiore dei maschi Gallagher, cercando di tenere insieme la sua disastrata famiglia invece di accettare il brillante futuro che aveva davanti. Anche al college non riusciva a smettere di voltarsi indietro, a lasciarsi alle spalle il South Side e la sua casa. Si rifiutava di fare promesse alle ragazze di cui si innamorava perché se lo faceva allora voleva dire avere un futuro e lui era troppo legato al suo passato per credere in un futuro. Tutti i Gallagher avevano avuto una vita dura, così immersi nei loro problemi da non accorgersi nemmeno di crearsene altri in ogni momento. Lip non si meritava ciò che gli aveva dato il South Side, ciò che gli avevano fatto passare Frank e Monica, le conseguenze di essere cresciuto troppo in fretta.
Ma nemmeno Mandy lo meritava.
 
 
Mickey si accucciò e accarezzò McMuffin, sentendo crescere un sorriso quando lei fece le fusa contro il suo braccio inarcando la schiena. – Ci vediamo tra una settimana – le disse grattandola dietro alle orecchie morbide.
- Te ne vai di nuovo –
Non si voltò quando udì la voce di Parker. Era strano essere sotto lo stesso tetto dopo tutto quel tempo passato senza parlarsi, soprattutto dal momento che Mickey ora aveva altre cose di cui preoccuparsi. – Devo andare a trovare mia madre – gli ricordò accarezzando la pancia della micia.
- Non andartene di nuovo, Mickey. Ho bisogno di te – mormorò Parker con la voce incrinata. Assecondare quella dipendenza in tutti quegli anni non aveva fatto altro che male a entrambi. Se Mickey ora si fosse voltato indietro e l’avesse fatto ancora sarebbero tornati al punto di partenza.
- Torno la settimana prossima, ce la puoi fare. Ci sarà mio zio e ti porterà lui dal tuo dotto… -
- Mi odi davvero, è così? Non mi guardi nemmeno – mormorò piano Parker con la voce tremante. Mickey detestò la rabbia che gli montò in corpo a quelle parole, sapendo che non era colpa di Parker se si comportava così.
- Non ti odio. Devo solo… -
- Allora resta! – gridò Parker. – Avevo bisogno di te allora e ho bisogno di te adesso, ma a te non importa più nulla di me. Non era mia intenzione diventare cieco e… -
- Non dire queste stronzate – ringhiò Mickey. – Sai che non è per niente vero –
- Farò quello che vuoi, ma non andartene Mickey, ti scongiuro –
- Ho sbagliato ad abbandonarti lì e mi dispiace – disse finalmente Mickey, mordendosi la lingua. – Ma le cose non possono tornare più come prima. Stai facendo come ti ha detto il dottore? –
Parker attraversò la stanza e gli afferrò la manica con le sopracciglia corrugate. “Combatti il senso di colpa” si ripete Mickey. “Non cedere”. – Devo andare – si affrettò a dirgli aprendo la porta del corridoio e prendendo la sua borsa di libri. – Bada alla mia gatta, okay? Mi fido di te -. E anche se sapeva che Parker riusciva a malapena a badare a sé stesso, doveva fargli credere il contrario.
- Tornerai? – chiese debolmente il ragazzo mentre Mickey indietreggiava in corridoio.
- Sì, tanto starai benissimo anche senza di me -. Immaginarlo piantarsi un coltello in gola o buttarsi giù dal balcone gli rendeva davvero fottutamente difficile andarsene. Alla fine Mickey chiuse comunque la porta e prese un respiro di cui aveva davvero bisogno Stava per andare a Miami con Ian e Mandy, stava andando a trovare sua mamma, l’avrebbe fatto davvero. Lasciò la maniglia della porta e attraversò il corridoio senza voltarsi indietro.
 
 
Quando Mickey raggiunse Ian e Mandy entrambi stavano aspettando alla fermata dell’autobus davanti a scuola chiacchierando del più e del meno. La prima cosa che notò fu il rossore sul naso di Mandy e poi l’aspetto assonnato di Ian che teneva pigramente in mano la borsa con le palpebre pesanti. – Come va? – salutò assicurando meglio sulla spalla il proprio borsone.
- Con calma eh, faccia da culo – disse in tutta risposta Mandy; il tono la rispecchiava meglio rispetto al viso stravolto.
- L’autbus arriva tra dieci minuti, chi è lo stupido che perde tempo ad aspettare ora? –
- Stai insultando anche Ian, lo sai? –
- Non me ne frega niente –
Ian sorrise appena e Mickey fece lo stesso, poco prima che una Nissan turchese accostasse vicino al marciapiede e il conducente abbasase il finestrino. – Ehi voi, sfigati senza patente, volete un passaggio? –
Mickey stava per rispondergli di girare al largo ma poi vide chi era.  Non stavamo aspettando l’autobus, quindi lo stupido sei tu – lo informò Mandy salendo sui sedili posteriori, seguita da Ian che la imitò con uno sbadiglio.
- State scherzando? – commentò Mickey in tono quasi lamentoso.
- Forza fratello, voglio partire prima che il traffico peggiori – disse suo fratello maggiore Iggy con un sorrisetto, dando un colpetto al volante per enfasi. Mickey salì dal lato passeggero e sbattè la portiera.
- Diamine, vivi a Miami, che cazzo ci fai qui? –
- Sono venuto a Chicago per una settimana, avevo delle cose da fare –
- Stasera stiamo da Ian – disse Mandy mentre Iggy partiva. – Sai come arrivare nel South Side? –
- No, non ne ho idea– ammise Iggy lanciando un’occhiata alla testa di Ian nello specchietto retrovisore. – Fai strada, Scarlett Johansson –
- Questa non l’avevo mai sentita – sospirò Ian alzando gli occhi al cielo per il soprannome.
- O stai a Miami o stai qui, deciditi, Cristo Santo! –
- Dai Mick, sono morto dalla voglia di vederti per tutta la settimana –
- Chiudi la bocca Mickey, hai sempre qualcosa da dire. Alza il volume Iggy! –
Ian ascoltò i fratelli Milkovich che battibeccavano per un po’, cercando di essere emozionato all’idea di vedere i propri. Era passato un bel po’ da quando era andato a trovarli a casa, la evitava come la peste perché gli riportava alla mente troppi brutti ricordi. Fiona doveva conviverci e così anche i suoi fratelli minori, si sentiva in colpa ad addossare loro tutto quanto senza prendersi un po’ di quel peso da quando se n’era andato.
- Sei passato con il rosso – rise Mandy. Iggy girò il volante con una mano superando il limite di velocità e rise insieme a lei.
- Gesù – protestò burbero Mickey stravaccandosi con una smorfia. – Impara a guidare, cazzo –
- In quanto meccanico mi reputo offeso, fratellino -. Quando cominciò a sfrecciare in mezzo al traffico beccandosi anche qualche strombazzata di clacson, non si scomposte nemmeno.
- Al prossimo incrocio gira a destra – disse Ian dai sedili posteriori indicando davanti a lui.
- Mamma adora quando la porto in macchina con me, le sale l’adrenalina – spiegò Iggy cambiando bruscamente direzione e facendo finire Ian addosso a Mandy.
- Lei però è anche una stronza fuori di testa – esplose Mickey mentre la macchina frenava all’improvviso. 
- Non parlare così di lei – sbottò Mandy sporgendosi dal suo posto. Mickey si voltò, sfidandola a dire altro. Ian si schiarì la gola.
- Qui devi girare a sini.. –
- L’unico che sta rompendo le palle qui sei tu Mickey, te ne sei reso conto? –
- E tu ti sei accorta che sei solo una zoccola? –
Iggy girò a sinistra e cominciò a fischiettare premendo qualche tasto finché una canzone hip-hop non cominciò a pompare dalle casse. Ian si grattò la testa, stanco, ma continuò a indicare la strada a Iggy meglio che poteva in mezzo ai bisticci dei fratelli MIlkovich.
Finalmente arrivarono davanti a casa Gallagher e an saltò fuori così velocemente che quasi non finì per terra, con la musica che gli rimbombava ancora nelle orecchie.
- Domani passo a prendervi per andare all’aeroporto – cinguettò Iggy quando furono usciti tutti.
- Sarebbe meglio di no – commentò Mickey avviando si verso l’ingresso come se fosse casa sua.
- Grazie Iggy – sorrise Mandy agitando la mano.
- Ehi -. Iggy richiamò Ian mentre gli altri due continuavano la loro discussione sulle scale. Ian si avvicinò al finestrino. – Mandy mi ha detto eh ti frequenti con mio fratello –
- Oookay..? – rispose incerto Ian, chiedendosi dove volesse arrivare con questo.
- Volevo solo darti ufficialmente il benvenuto nell’inferno dei MIlkovich – disse con un sorrisetto. – Sai, visto che questa settimana ci vedremo spesso –
- Beh, grazie – replicò Ian, non troppo convinto. Iggy annuì e ripartì sommando quando svoltò l’angolo. Ian oltrepassò Mickey e Mandy mentre il loro battibecco andava scemando e bussò alla porta. Ci volle una vita prima che qualcuno andasse ad aprire ma poi comparve Carl; la sua dura facciata esteriore crollò quando vide Ian.
- Merda! – esclamò senza nemmeno lamentarsi quando Ian gli arruffò I capelli.
- Perché sei coperto di lividi? – gli ceise Ian osservando i segni che costellavano il suo viso incavato.
- Ho preso a botte dei tizi sull’autobus, non sapevano tenere la bocca chiusa –
- Finirai in riformatorio se continui così – sospirò entrando Ian. Mickey e Mandy lo seguirono e andarono al piano di sopra, continuando a discutere. Carl osservò la scena, non particolarmente interessato, e chiuse la porta.
- Mandy e Mickey? –
- Già. Fiona ha detto che possono restare stanotte. Hanno una situazione famigliare abbastanza disastrata –
- Lasci stare qui i Milkovich stanotte? – si intromise Lip arirvanod dalla cucina con un’espressione indecifrabile.
- C’è qualche problema? – chiese sulla difensiva Ian; Lip nn aveva il diritto di lamentarsi visto eh aveva rovinato lui le cose con Mandy.
- Hanno anche loro una casa, perlopiù molto più grande della nostra –
- È solo per una notte, fattelo andare bene – chiuse il discorso Ian salendo al piano di sopra. Quando arrivò Mandy era al cellulare e Mickey era seduto sul suo letto con aria annoiata.
- Ragazzi, siete proprio senza vergogna – rise Ian andando sul suo letto per sdraiarsi e osservando Mickey che gli faceva posto. – Fiona dovrebbe arrivare tra poco con la cena, intanto io mi riposo un po’ –
- Devo vedere delle persone – cinguettò Mandy andando alla porta. – Ci vediamo tra un paio d’ore –
- Stai attenta – la avvertì Ian, ormai troppo stanco pr tenere gli occhi aperti. Sentiva il calore irradiato dal corpo di Mickey seduto di fianco a lui. Voleva dirgli di sdraiarsi con lui ma si stava già addormentando.
- Non hai dormito stanotte? – lo schernì Mickey.
- Sì – mugolò Ian seppellendo il viso nel cuscino. Mickey sembrò perdersi nei propri pensieri per un po’ ma poi parlò di nuovo all’improvviso, facendogli prendere un colpo.
- Ti stava bene quello che stavamo facendo l’altro giorno? –
Ian sollevò il capo, pensando a ciò che aveva appena udito. – Che cosa? –
- Quando eravamo sul divano e… uhm, sai… - grugnì Mickey indietreggiando ancora di più contro al muro come se questo potesse rendere la conversazione meno imbarazzante.
Improvvisamente interessato, Ian si girò per guardarlo, notando il colorito sul suo viso, ma quando incrociò il suo sguardo Mickey guardò un punto fisso in mezzo alla stanza, imbronciato. – Perché non dovrebbe andarmi bene? – sorrise pigramente Ian.
- Non capisci? – chiese Mickey tirando si un ginocchio al petto.
- Ti sembrava che non mi piacesse? Possiamo riprovare se non sei convinto –
Mickey cambiò posizione e alzò gli occhi al cielo sbattendo le palpebre. – Non intendevo questo. Voglio solo assicurarmi che sia tutto okay dopo che, sai, dopo tutta la merda del passato. Eri una specie di relitto quando scopavi al liceo con quei pedofili e… -
- Ma che cazzo? – sbottò Ian mettendosi a sedere. – Perché stai tirando fuori questa storia? Non ho malattie, se è questo che ti preoccupa –
- Non è quello che… - fece per dire Mickey ma si interruppe per prendere un respiro. – Fai sempre così. Se si tratta di me e Mandy sei in prima linea per farti gli affari nostri, ma se si tratta di te allora è un’altra storia –
- Cosa stai cercando di dire? – chiese in fretta Ian.
- Hai un sacco di traumi accumulati che non sai come affrontare, è evidente. Vuoi risolvere i problemi degli altri ma non sai gestire i tuoi –
- Sto bene – rispose Ian incredulo. – Non capisco nemmeno perché mi attacchi così –
- Forse perché l’altra sera eri a malapena lucido e hai cominciato… come se magari ti sentissi in dovere di… -
- Vaffanculo – disse con una smorfia Ian alzandosi dal letto. – Se non avessi voluto fare qualcosa con te, Mickey, non l’avrei fatto –
- Arrivi a casa mia a notte fonda, brillo e strafatto, non dici niente e dopo aver dormito un po’ volevi scopare così dal nulla. Ti sembra normale? –
- Non ci proverò più se ti disturba così tanto – protestò Ian dirigendosi verso la porta.
- Mi prendi per il culo? – sputò Mickey. – Vuoi fare la parte dello psicologo da quando ci siamo conosciuti ma se lo faccio io te ne vai –
Ian uscì dalla stanza e di casa, pentendosene immediatamente visto che aveva lasciato il cappotto in camera sua. E chissà dov’era finita Mandy, non l’avrebbe trovata di sicuro. E non era finita qui visto che quello era proprio il momento peggiore per scorgere Frank da lontano che procedeva a stenti, quindi lo prese come segno che doveva allontanarsi subito. Quando si avviò nella direzione opposta udì dei passi dietro di lui ed esalò un sospirò affranto. – Vattene. Frank –
- Fottiti – rispose Mickey. – Puoi rallentare? –
- Non ti ho chiesto di seguirmi –
Mickey lo afferrò e lo voltò bruscamente verso di lui. Era tornato quello sguardo scuro, quello che aveva quando era davvero arrabbiato. – Sai che cosa mi hai chiesto tu? Mi hai chiesto di affrontare i miei demoni per non uscire di testa. E io lo sto facendo, perché tu hai avuto fiducia in me –
- Lasciami in pace e basta, Mickey – sbuffò Ian dimenandosi.
- So che c’è qualcosa che ti tormenta e non vuoi dirmi cosa, non lo fai mai. Segui il tuo consiglio e comincia a preoccuparti di cosa TU hai – continuò Mickey con aria di sfida, lasciandolo poi andare. Ian abbassò gli occhi desiderando di non sentirsi così stanco e in colpa in quel momento.
- Non seguirmi, okay? – chiese in tono debole senza guardarlo in faccia. Tenne gli occhi fissi sul marciapiede mentre se ne andava, sentendosi più isolato di quanto credeva fosse possibile.
 
 
 
- Dov’è Ian? – chiese Lip trovando proprio Mickey Milkovich solo nella stanza.
- E che ne so io? – rispose il moro, di pessimo umore. Calò un’insolita quiete e Lip guardò altrove.
- È arrivata la cena, quindi… hai idea di dove sia andato? –
- Non sono la sua badante – sbottò Mickey alzandosi dal pavimento. Oltrepassò Lip senza una parola e scese al piano di sotto, chiudendo la porta con una forza tale da far capire che se n’era andato. Lip ispezionò il resto del piano superiore chiamando Carl e Debbie, prese in braccio Liam e tornò in cucina. Che emozione avere tutta la famiglia riunita…
 
 
Mickey era così incazzato che ebbe l’impulso di prendere a caldi un bidone dell’immondizia ma non lo fece, riuscendo invece a mantenere la calma. Forse non avrebbe dovuto essere così insistente, o almeno questo li piaceva pensare, ma quella settimana Ian non gli era sembrato molto in sé; a volte sembrava cadere in trance e non diceva mai perché. Come poteva Ian tartassare lui tutto l’anno rimproverando di tenersi tutto dentro e poi fare la stessa cosa chiudendosi a riccio e respingendo Mickey come se ne avesse ogni diritto? Era una cazzata.
Mickey avrebbe potuto andarsene tranquillamente a dormire in un parco, sotto un ponte, fare come un senzatetto visto che tecnicamente lo era davvero. Neanche al massimo della disperazione sarebbe tornato da Terry, nemmeno se avesse avuto una bomba addosso e suo padre fosse l’unico a poterla disinnescare. Ma avrebbe detto una bugia se avesse negato di essere in cerca di Ian come se stesse cercando un cucciolo invece di un pel di carota di un metro e ottanta. Di lui non c’era traccia nei vicoli dell’isolato ma trovò Mandy insieme a delle ragazze del South Side che si mostrarono subito interessate quando Mickey si avvciinò. – Hai visto Ian? –
- Non è con te? – rispose Mandy picchiettando la sigaretta per far cadere la cenere.
- Sì è qui di fianco a me in realtà, volevo solo vedere come ti va la vita –
- Stronzo, non so dove sia – lo guardò storto sua sorella.
- La cena è pronta dai Gallagher – la avvertì Mickey. Fu strano parlare in quel modo come se fosse la loro famiglia ad aver preparato la cena del Ringraziamento. Ma così non era, non era nemmeno destinata a loro due anche se Ian li aveva invitati.
- Ci vediamo, ragazze – salutò Mandy cercando di raggiungere Mickey che stava sfrecciando via. – Aspettami, ti aiuto a cercarlo –
Mickey avrebbe voluto un po’ di tempo da solo più di qualsiasi altra cosa, ma avere Mandy ad accompagnarlo non doveva essere così male, lei non gli rompeva troppo le scatole se non era dell’umore giusto. Capiva quando era il momento di parlargli o no e quello non lo era, quindi non lo provocava.
Vagarono nei meandri del South Side finché non trovarono Ian un paio di isolati più avanti, seduto sul marciapiede con una bottiglia di Bud Light vuota accanto a lui.
- Ehi – si inginocchiò Mandy davanti a lui. – Che cosa ci fai qui? –
- Niente – rispose Ian senza alcuna emozione e con un’aria completamente sconfitta. Almeno non era troppo ubriaco.
Mandy gli accarezzò il braccio. – Andiamo a casa a mangiare un po’ di tacchino –
- Pollo, più che altro – cercò di sorridere Ian, esausto. Quando si alzò inciampò sulla bottiglia e i suoi occhi caddero su Mickey. Si sentì uno schifo quando spostò lo sguardo e lasciò che fosse Mandy a prenderlo sotto braccio, ignorando Mickey.
Quando arrivarono a casa Gallagher, Ian si fermò alla porta. – Puoi darci un secondo? – chiese e Mandy sembrò sorpresa ma entrò semplicemente in casa obbedendo. Mickey rimase in fondo alla scalinata; non era nemmeno sicuro di poter restare ancora a dormire lì dopo la loro discussione.
- Non mi sono sentito molto bene questa settimana. Ero sempre stanco – confessò Ian, la mano sul corrimano. – Scusa se ti ho urlato addosso –
- “Scusa”? Non voglio delle fottute scuse – sbottò Mickey.
- E cosa vuoi allora? – chiese Ian sconcertato, infilando le mani in tasca.
- Dimmi solo se mi sto immaginando le cose o no perché mi sto incazzando – borbottò Mickey. Detestava che questo fosse l’unico modo in cui riusciva a mostrare la sua preoccupazione a Ian. Voleva solo che si aprisse, si sfogasse, assicurarsi che i solchi stanchi sul suo volto e i movimenti letargici fossero solo la conseguenza di una dura settimana di scuola. Ripensando alla mattina in cui si erano masturbati a vicenda, anche lì Ian era stato strano. Gli era piaciuto ma era stato molto cauto, c’era una fragile latenza nel suo sguardo e solo dopo mIckey si era chiesto la possibile motivazione.
– Non c’è problema se mi dici che è tutto a posto, ma se lo dici pensandolo davvero – continuò visto che Ian restava in silenzio. Passarono un paio di agonizzanti minuti prima che Ian si girasse.
- Quando entreremo a festeggiare il Ringraziamento, dovrò pensare a tutte le cose belle per cui sono grato – esordì in tono grave. Giocherellò con la manica per un secondo e proseguì riducendo la voce quasi ad un sussurro, muovendo ansiosamente le dita. – Ma non riuscirò perché starò pensando a qualcos’altro –
Mickey pazientò; non gli piaceva vedere come il corpo di Ian sembrasse perdere sempre più forze, il tono debole.
- Stavo pensando a quando Monica ha cercato di uccidersi davanti a noi ed è scappata via per la milionesima volta, a come non abbiamo avuto un soldo per tutta la nostra fottuta vita. Quando sarò seduto di fianco a Fiona e Lip penserò a quando sono andato a letto con tutti quei ragazzi per poter pagare le bollette e quanto io sia un pezzo di merda per cercare di fuggire per non doverlo più fare –
L’aria era stagnante, priva di vento, di suono, e Ian cambiò posizione, a disagio, sotto la luce del portico.
- Nessuno ha mai scoperto cosa facevo con quei ragazzi, neanche Lip se n’è accorto e Mandy pensava che lo facessi solo perché ero un adolescente. Non si facevano mai domande quando tornavo a casa tardi, senza aperte che l’avevo appena succhiato a qualcuno, che mi avevano appena preso in un vicolo per soldi, a nessuno importava perché tutti qui sono troppo presi da sé stessi –
Se questo non era una confessione, Mickey non sapeva cos’altro potesse essere. Quando Ian non diede segno di voler continuare, Mickey non chiese altro. Prese solo Ian per il polso, lo portò con sé lungo la strada ed entrarono in unvicolo deserto, ringraziando che Ian non si opponesse.
- Quindi non torni spesso a casa perché odi che la tua famiglia non si fosse accorta che stavi soffrendo? – chiese piano Mickey lasciandogli il braccio.
- No, cioè, non proprio… Ma va bene, abbiamo tutti i nostri… -
- Se andasse veramente bene, non avresti la faccia di uno che vorrebbe sotterrarsi –
- Scusa -. Ian si abbandonò contro al muro, girandosi dall’altra parte.
- Ora siamo in un vicolo – disse Mickey guardando in ogni direzione. Ian lo guardò, scettico. – È qui che facevi quelle cose di cui non vai fiero, no? Probabilmente cose che vuoi dimenticare –
- Penso di sì… -
- Beh – continuò Mickey. – Quei ricordi bruceranno sempre, sono troppo difficili da cancellare. Un giorno però non faranno più così male. Non sei più lì, -. Spinse gentilmente Ian contro al muro, - immobilizzato da qualche maniaco. Non ti costringere a mettersi in ginocchio per me –
Ian allargò gli occhi a quelle parole, il respiro spezzato e la gola che pizzicava. Mickey indietreggiò e piegò la testa da un lato.
- Se ripensi a tutto quello che è successo con tua mamma e la tua famiglia e ti senti male, è ora di smetterla di fingere che sparira tutto in un baleno. Questo metodo non funziona -. Si stava facendo buio ma nessuno dei due ci badò e rimasero impiantati lì nel vicolo stretto e desolato.
- Volevo toccarti davvero, non stavo fingendo – buttò fuori Ian a voce bassa. – Ma mi sono ubriacato e ho fumato erba prima di venire a casa tua perché mi stavo perdendo nella mia autocommiserazione all’idea di tornare a casa. E non facevo sesso solo per soldi, lo usavo anche per canalizzare le mie emozioni quindi… penso che non avrei dovuto toccarti senza prima aver gestito queste sensazioni -. Mickey sembrò sorpreso e scoppiò a ridere. Ian arrossì e si staccò dal muro. – Cosa c’è di divertente? –
- Non è che mi dispiacesse così tanto, eh – rispose ironico Mickey. – Almeno finché non ti forzi a farlo perché senti di dovermi qualcosa –
- No, non lo farei mai – mormorò Ian arrossendo di nuovo quando Mickey si avvicinò di nuovo.
- Avrei dovuto farti parlare quando sei arrivato a casa mia – grugnì Mickey. – Non farò più questo errore –
Ian evitò il suo sguardo, sentendosi stranamente timido e vulnerabile.
- Posso rimpiazzare i tuoi brutti ricordi qui, se vuoi – suggerì Mickey, il fiato caldo sul collo di Ian, mosso da una sicurezza che Ian non era abituato a vedere. Ian era tentato e girò la testa, strofinando il naso contro alla sua mascella. Il cuore cominciò a palpitargli nel petto quando mIckey vi appoggiò sopra la mano, come se lo stesse proteggendo.
- Scusa – sospirò, così stanco da non riuscire a stare in piedi. – Va bene se andiamo a casa? Sono stravolto –
Mickey indietreggiò e sorrise, per nulla offeso. – Sicuro che stai bene? –
- Sì – rispose Ian, desiderando non essere così stanco in quel momento. Mickey si voltò, uscì dal vicolo e si girò nuoavemhte quando Ian non lo seguì. – Ehm… - fece per parlare Ian, staccandosi dal muro cercando di ricordarsi come si usavano le gambe. – L’anno scorso hai letto le mie cose, quelle che avevo scritto… ma so che l’hai fatto perché hai visto che stavo male, vero? –
Mickey fece un sorrisetto, si girò e rise divertito. – Fanculo -

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Capitolo 40
*** Non è Così Male Quando Non Sei Solo ***


Era ancora difficile per Ian credere di essere a migliaia di chilometri da terra che volava nella stratosfera a due ore da Miami. Mandy era seduta alla sua sinistra e fissava fuori dall’oblò con una mano sul vetro per sentire le vibrazioni. 

- Ci sono ancora nuvole, esattamente come un’ora fa – disse apposta Iggy dietro di lei, sporgendosi verso il suo sedile. 

- Non tutti vanno avanti e indietro in aereo come se fosse la L – ribatté Mandy imperterrita, continuando a guardare fuori. 

- Mi piace volare – sorrise Iggy guardando poi Ian. – Peccato che non sembra che qui siano tutti della stessa idea – 

Ian stava facendo il possibile per distrarsi leggendo le riviste di Mandy, giocando con la console di Iggy,  ma era tutto inutile. Anche dopo un’ora di volo continuava a guardarsi convulsamente intorno durante le turbolenze, controllando per vedere se ci fosse stata qualche combustione improvvisa o in cerca di segni che l’aereo stava per andare in pezzi, risucchiando i passeggeri come in un tunnel d’aria. 

- Non ha mai preso l’aereo – spiegò Mandy accarezzandogli il braccio. 

- Ho visto un sacco di incidenti stradali – disse Iggy. – Guidare è molto più rischioso che volare – 

- Così non aiuti comunque – sbottò Mandy. Iggy si riappoggiò al proprio sedile e rise divertito. Ian deglutì, le braccia rigide per la tensione  lo stomaco sottosopra. Mancavano solo due ore. 

- Ho detto a Ben della mia confessione a Lip – disse improvvisamente Mandy in tono grave. – Non era nemmeno arrabbiato, non ha urlato o altro. Aveva una faccia che sembrava che gli avessi appena rubato l’anima e questo è stato anche peggio – 

- Vi siete lasciati? – chiese Ian, trasalendo quando guardò fuori e ricordando quanto fossero in alto. 

- No, non mi ha lasciata – sospirò lei. – Ma da una parte vorrei che l’avesse fatto. Sono stata una persona di merda –

- Hai fatto un errore Mandy e se Ben è disposto a cercare di far funzionare le cose dovresti prenderlo come un insegnamento – 

Lei annuì e si morse un’unghia, tornando a guardare fuori. Probabilmente aveva gli occhi lucidi e non voleva farsi vedere, quindi Ian si voltò dall’altra parte verso i passeggeri. Mickey tornò dal bagno proprio in quel momento, tastandosi le tasche con un’espressione accigliata. Continuò finché non fu tornato al suo posto dietro ad Ian e finalmente grugnì quello che Ian identificò come un soddisfatto “Ah-ah!”. Si girò e sbirciò cosa stava facendo, restando mezzo nascosto dietro al braccio. 

- Cosa diavolo stai facendo? – chiese Iggy quando vide il fratello portarsi una sigaretta alle labbra. 

- Gioco a carte. Secondo te cosa cazzo sto facendo? – 

- Non si può fumare qui, Mick – 

- La FAA* può andare a farsi fottere – 

- E chi cazzo è? Ehi… smettila! – 

Mickey fece scattare la fiamma dall’accendino-jukebox e Ian rise quando Iggy gli schiaffeggiò la mano. Mickey si voltò bruscamente togliendosi la sigaretta dalla bocca per urlargli addosso. 

 - Ti sei bevuto il cervello, Iggy? L’hai lasciato a casa? – 

- Non mi farò buttare giù dall’aereo perché tu fumi come una ciminiera! –

- Quando scendiamo da qui ti prendo  calci nel culo – lo minacciò Mickey ma Ritirò comunque l’accendino e la sigaretta. Iggy sembrò soddisfatto e prese la sua console, infilò gli auricolari e cominciò a borbottare imprecazioni verso il videogioco. 

Ian stava ancora sorridendo quando Mickey si accorse che lo stava fissando. – Ehi – lo salutò come se lo vedesse per la prima volta quel giorno, un sorriso sulle labbra. 

- Ehi – rispose lentamente Ian arrossendo alla vista dell’ostilità di poco prima che svaniva dal volto di Mickey. Mickey lo ispezione per un paio di secondi ed emise un lieve mormorio. 

- Sei nervoso? – 

Ian ringraziò che il suo viso fosse per metà nascosto così che Mickey non potesse vederlo arrossire. Stava scherzando? Solo guardare Mickey lo agitava e gli faceva contorcere le viscere. 

- Intendo per l’aereo – aggiunse piano Mickey come se gli avesse letto nel pensiero. 

- Oh, ehm… - tossicchiò Ian. – Mi sto abituando -. A dire il vero se la stava facendo addosso ma vedere Mickey così placido lo aiutò a calmare i nervi. Mickey laniò uno sguardo a Iggy e si sporse verso Ian. 

- Allora perché ti tremano le mani? – gli chiese piano, le labbra schiuse e lo sguardo furbo. Ian si nascose ancora di più e guardò i palmi delle proprie mani. Mickey aveva ragione, stava tremando. Anche se con Mickey così vicino non sapeva con certezza se fosse colpa della paura dell’aereo. Mickey lanciò un’altra occhiata a suo fratello, che era talmente assorto nel gioco da non prestare nessuna attenzione intorno, e allungò la mano per toccargli le nocche con le dita. La pelle sembrò quasi pizzicargli sotto al tocco leggero d Mickey, come una scossa che si propagava in tutto il corpo, e per un momento Ian dimenticò di essere a migliaia di metri d’altezza, distratto dal pollice del moro che sfiorava il dorso della sua mano. Anche sospesi nell’aria Mickey era l’immagine dell’impavidità e solo questo gli fece pensare che magari l’aereo non sarebbe caduto e se anche fosse successo almeno non sarebbe stato solo. 

- Quando ti farò questo segnale… - disse improvvisamente Mickey coprendogli la mano con la propria e portandosi l’altra alla testa in un breve saluto a due dita, - cominciamo a correre – 

- Come? – chiese Ian, confuso. 

Mickey sbirciò sua sorella, intenta a messaggiare con il suo ragazzo, e controllò un’ultima volta suo fratello per poi tornare a guardare Ian. – Fidati di me e comincia a correre a questo segnale –

Ian non capiva quindi Mickey rise e la sua mano scivolò via dalla sua mentre si riappoggiava al sedile. Quando notò la delusione sul volto del rosso sorrise. – Le mani non ti tremano più – 

Ian le guardò; diamine. 



Quando l’aereo atterrò Ian non credeva di non essere mai stato così felice di essere sulla terraferma. Corse giù dall’aereo, tentato di baciare il suolo, ma non era una buona idea quindi seguì i fratelli Milkovich fuori dall’aeroporto. Una volta uscito, il sole splendeva alto nel cielo, riversano calore e luce sulla città. Ian si tolse immediatamente il cappotto vedendo gli altri fare lo stesso e si crogiolò nell’aria tiepida. Ammirò gli edifici torreggianti, l’acqua brillante sulla costa e tutta l’ansia del volo svanì. 

- Cavolo, ci saranno quasi trenta gradi, Chicago è il Polo Nord a confronto. Non dovrebbe essere inverno? – 

- Siamo più vicini all’Equatore, che ti aspetti? – replicò Mickey beffardo, schivando u pugno di Mandy. 

- Sta’ zitto – 

- Uno dei miei amici dovrebbe passare a prenderci tra poco – li informò Iggy guardando l’orologio. – Cazzo, ho bisogno di bere qualcosa – 

- Vai a comprare qualcosa e portalo qui – ordinò Mickey evitando di nuovo Mandy. – Ma che cazzo hai? – 

- È come in TV – commentò Ian con aria ancora trasognata. Ripensando al suo quartiere merdoso è persino al North Side, quella città gli sembrava uno spettacolo. 

- È perché siamo in una zona turistica – spiegò Mickey, sprezzante. – Non è così dappertutto – 

- Dio, ho davvero bisogno di bere – continuò a lamentarsi Iggy avvicinandosi di più alla strada e picchiettando l’orologio. Mandy prese il cellulare e lo sollevò per scattare delle foto, probabilmente per Ben. Ian richiuse finalmente la bocca ancora spalancata per lo stupore e raggomitolò il cappotto sotto l braccio, saltellando per sistemare meglio il borsone sulla spalla. – Spero che venga con la Mustang e non con quella fottuta Volvo. Se devo ancora salire ancora su quella macchina verde vomito… -. Iggy si interruppe e si lasciò andare ad una serie di insulti aggressivi e incoerenti prima di aggiungere: - Cazzo, è venuto con la Volvo! – 

Una vettura verde accostò davanti a loro con della musica da Salsa che proveniva dall’interno. Un uomo con un fisico scolpito stretto in una canotta e la pelle molto più abbronzata della loro fece segno di salire in fretta. 

- Se pensi che io non sappia guidare, non hai ancora visto niente, Mickey – ridacchiò Iggy andando alla macchina. Mandy scattò un’ultima foto e aspettò gli altri due. Mickey avanzò, urtandola apposta, e andò all’altro lato della vettura, fermandosi davanti alla portiera mentre Ian raggiungeva il lato opposto. Attese che Mandy salisse dietro e guardò Mickey da sopra il tettuccio, chiedendosi perché non stesse salendo. 

Mickey fece un sorrisetto e fece il segnale prestabilito per poi cominciare a correre per la strada. Ad Ian ci vollero un paio di secondi per ricordare e lo seguì lasciandosi la Volvo verde alle spalle. L’adrenalina gli pompava nelle vene mentre attraversava la strada trafficata correndo dietro a Mickey. Girò l’angolo di un ristorante e sorrise come un pazzo usando lo raggiunse. Mickey sembrò contento di vederlo e per dimostrarglielo lo afferrò bruscamente per il colletto della camicia e lo baciò. 

Con il cuore che gli martellava nel petto, Ian reagì con la stessa urgenza. Come se l’umidità non fosse già abbastanza, ci pensarono le labbra di Mickey a togliergli il fiato. Era una sensazione soffocante, Mickey che gli afferrava i fianchi, assaporando la sua stessa aria, soli all’ombra nel parcheggio dell’edificio. Quel bacio era molto meno composto del solito e molto meno riservato. Mickey indietreggiò e si passò una mano tra i capelli come se fosse lievemente imbarazzato di ciò che aveva appena fatto, ma certamente non se ne vergognava. 

- Sto cominciando a sospettare che non sopporti di dovermi condividere con gli altri – esalò Ian riprendendo fiato per la corsa e per il bacio.

- Okay e questo è il momento in cui devi smettere di pensare – arrossì Mickey, colto di sorpresa. Prese l’accendino e si accese una sigaretta così velocemente che Ian non ebbe neanche il tempo di sbattere le palpebre. 

- Allora perché abbiamo appena scaricato i tuoi fratelli? – sorrise Ian desiderando più che mai almeno un litro d’acqua. 

- Vogliono andare in qualche hotel da fighetti, bere fino a perdere i sensi, svegliarsi domani e poi andare a casa di Medusa –

- Medusa? – 

- Mia madre – spiegò Mickey con un cenno disinteressato, sollevando momentaneamente la sigaretta. -  Col cavolo che passerò così la ma vacanza – 

- Allora cosa facciamo? – si rallegrò Ian. – Visto che sei così pratico dl posto – 

- Venivo solo qualche volta quando ero piccolo, tutto qui – grugnì Mickey sbuffando anelli di fumo. Gli rivolse un timido sorriso. – Spero che tu non sia stanco, staremo fuori fino a tardi – 



Più si avvicinava il crepuscolo più l’aria si rinfrescava ma era comunque più calda di Chicago. Tanto per cominciare andarono a pranzo in un ristorante di pesce dove ordinarono granchio e gamberi finché non furono completamente pieni e poi vagarono per i vari parchi e vie, saltando su e giù dalla metro come facevano con la L. Quando il sole di mezzogiorno cominciò ad abbassarsi andarono allo zoo. Ian aveva infilato la giacca nella borsa da ore quindi aveva le mani libere per poter accarezzare gli animali, ma alla fine non lo fece. 

Mickey invece stava accarezzando la pelliccia intorno al collo di un cucciolo di tigre come faceva con il suo gatto. Ian non smetteva mai di meravigliarsi di vedere quanto Mickey diventasse più felice intorno agli animali, come all’acquario. Il tigrotto cercò di mordicchiargli le mano quindi prese ad accarezzargli i fianchi. Ian si inginocchiò per vedere meglio da vicino ma non cercò di toccarlo. Una bambina si avvicinò con la madre e Mickey la lasciò giocare per un minuto con il cucciolo. 

- Andiamo a vedere i serpenti ora – disse Mickey. – O hai paura anche di quelli? – 

- Non ho paura – arrossì Ian. Il cucciolo si sdraiò passandosi le zampe sul muso e Ian sorrise, trovandolo piuttosto tenero. Allungò la mano e lo toccò esitate sulla testa, ritirandola immediatamente quando lo guardò. Mickey rise e gli prese la mano per metterla sulla schiena dell’animale, che scosse la coda avanti e indietro, per nulla infastidito. 

- Vedi? Gli piace -. Ian trascinò la mano in mezzo alla pelliccia e sorrise quando il cucciolo fece le fusa.  

- Quindi, serpenti ora? – sorrise. Mickey fece un sorrisetto compiaciuto. 

Fu terrificante guardare un bambino fare una foto con un serpente dei ratti del Texas avvolto intorno alle spalle, o almeno questo secondo Ian. Mickey era completamente a suo agio con un altro serpente che gli risaliva lungo il braccio. Usò l’altra mano per sostenere il suo corpo, impressionato dalla sua velocità. L’animale pallido fece scattare la lingua così vicina al collo di Mickey che Ian sussulto per lo spavento. 

- Probabilmente è stressato dopo essere stato toccato tutto il giorno – borbottò Mickey mentre il serpente cercava di infilarsi nella sua maglietta. La allargò e inarcò un sopracciglio a Ian. 

- No grazie, sto bene così – rabbrividì Ian sospirando di sollievo quando Mickey lo restituì all’addestratore. 

- Quel serpente ha più paura di te di quanto tu ne abbia di lui – 

- Sì beh, non lo avrei detto –

- Potresti sorprenderti – 

Uscirono dallo zoo e ritornarono nelle strade di Miami, mentre Ian ripensava in silenzio a ciò che aveva detto Mickey. Quando lo aveva appena conosciuto, Ian era sempre cauto intorno a lui, pensando che sarebbero stati solo guai, ma se anche Mickey fosse stato intimidito da lui? Magari anche lui aveva paura a modo suo.

- Decidi tu ora, dove andiamo? – disse il moro. 

- Non ho mai visto l’oceano, ti va di fare una nuotata? – cinguettò Ian. La cosa che vi si avvicinava di più era la piscina dietro casa. Pensare alla spiaggia di Miami gli fece venire un’altra idea. – Oppure potremmo fare un’immersione. Sarebbe fico, no? – 

- Vuoi fare apnea? – chiese Mickey storcendo il naso. 

- Sì, andiamo – sorrise Ian. Mickey non sembrava entusiasta all’idea e il sorriso di Ian crollò. – Che c’è? Voglio vedere i coralli e il fondale, cos’è che a Chicago non ci sono –

- Ti ci porto ma io non lo faccio – disse Mickey svoltando un angolo. 

Ian lo seguì sconcertato. – Perché no? –

- Merda, la metro sta arrivando – disse Mickey camminando più in fretta per non perderla. Entrarono, presero posto e Mickey guardò la mappa sul cellulare per sapere a quale fermata scendere. 

- Possiamo fare qualcos’altro – suggerì Ian notando il pallore sul volto di Mickey. 

- Col cavolo, farai la tua immersione – 

- Ma non mi va di farlo se tu non vuoi. E poi credo che questo tipo di attività vada prenotato prima – 

Mickey ci rifletté per un momento e appoggiò i piedi sul sedile davanti a lui. – Allora puoi andarci un altro giorno in settimana – 

- Lo farai anche tu? – 

- Assolutamente no – 

- Dai Mick, sarà divertente – 

- Cristo, falla finita – sbottò Mickey voltandosi verso il finestrino, silenzioso. Questo spazzò via tutto il buon umore di Ian e decise di non insistere più. Quando scesero dalla metro, Mickey controllò l’ora e guardò il cielo che si scuriva sempre di più mentre camminavano. 

- Che facciamo ora? – mormorò Ian un po’ stanco ma principalmente giù di morale per la conversazione di poco prima. Mickey continuò a camminare pensieroso, poi incontrò per un secondo il suo sguardo prima di voltarsi verso la costa. Non rispose e proseguì, Ian dietro di lui. Vagarono in silenzio per mezz’ora finché Ian non notò con sorpresa che erano diretti in spiaggia. Visto che era il tramonto non c’erano molte persone ad affollare la spiaggia di sabbia bianca e Mickey si assicurò di trovare un posto isolato. Le luci blu e arancioni della città si riflettevo sull’acqua, creando lo spettacolo più bello che Ian avesse mai visto. Si allontanò da Mickey per avvicinarsi al mare, attirato dalle onde placide. Chicago aveva un lungolago, il suo bel bacino d’acqua, ma solo quando si fu avvicinato capì quanto fosse diverso dall’oceano. 

Mickey si sedette sulla sabbia non molto lontano e guardò anche lui Ian che si accovacciava e immergeva la mano nell’acqua salata chiudendo gli occhi alla sensazione sulla pelle. Ma alla fine non riuscì più a sostenere la tensione tra loro e fu colto dal bisogno di sistemare le cose. Doveva esserci un motivo dietro alla reazione del moro quindi Ian ritornò da lui per scoprirlo. – Non sai nuotare? – chiese inginocchiandosi davanti a lui. Mickey evitò il suo sguardo e fece spallucce, come se quello bastasse a dare spiegazioni. – È per questo? Non sai davvero nuotare? – 

- Devo raccontarti ogni mia storia strappalacrime? – lo guardò storto Mickey. – Perché non ci provi tu a parlare di qualsiasi cazzo di problematica che non vuoi che si sappia, magari giro anche un po’ il dito nella piaga – 

Anche se le sue parole erano taglienti, Ian non ci rimase troppo male. Non aveva proprio torto, Ian era solito preoccuparsi troppo di Mickey tutto il tempo facendo troppe domande senza capire quando smettere di insistere. Raccolse un po’ di sabbia e la lasciò scivolare tra le dita. 

- Sai che ultimamente ero sempre stanco, no? – disse piano, sperando di non perdere coraggio. Mickey non rispose e tutto a un tratto il corpo di Ian si irrigidì e un’incredibile ansia si impossessa di lui. Chissà se era così che si sentiva Mickey ogni volta che parlava del suo passato o gli rivelava dei segreti. Prese un altro agognato e profondo respiro e lasciò cadere il resto della sabbia. Ora o mai più. – Ho il disturbo bipolare – confessò, desiderando in qualche modo di potersi rimangiare quelle parole immediatamente. Si alzò la brezza marina e abbassò timoroso lo sguardo. – Cioè prendo le medicine – si affrettò a spiegare balbettando. – A volte ho degli effetti collaterali, ecco perché dormo spesso, mi rende stanco –

Mickey continuava a non dire nulla e l’ansia di Ian crebbe. Il suo silenzio poteva significare qualsiasi cosa. Era incazzato perché Ian non gliel’aveva detto? Sapeva cos’era il disturbo bipolare? –

 - Fammi capire – lo interruppe Mickey, stoico. – Tu vuoi sapere ogni singolo dettaglio della mia vita, ti aspetti che io mi fidi di te ma non ti è mai passato per l’anticamera del cervello di dirmi questa cosa? Stai scherzando? –

In quel momento Ian credette che Mickey lo avrebbe piantato lì o qualcosa di anche più drastico, ma invece lo stava fissando con uno sguardo glaciale, il che era anche peggio. 

- Non credevo fosse così rilevante – si giustificò Ian, non totalmente sincero, e questo fece esplodere Mickey. 

- Ma che cazzo stai dicendo? Ti ho rivelato ogni cazzo di mio problema come se piovesse e non pensi che questo sia rilevante? Non me ne hai parlato perché TU hai deciso che non fosse rilevante? Vaffanculo – 

Ian avrebbe voluto prendersi a schiaffi o sotterrarsi da solo a quelle parole e si mise ancora di più sulla difensiva. – Non è che io ne vada fiero – continuò a balbettare. – Non volevo che mi trattassi da pazzo come fa la mia famiglia. Più ci stavamo avvicinando, più diventava diffici… - 

- Tu SEI pazzo – ringhiò Mickey. – a uscirtene con una cosa del genere – 

- Mi dispiace, Mickey – singhiozzo Ian, tremando fin dentro le ossa. – Avrei dovuto dirtelo prima, è stato stronzo da parte mia tenertelo nascosto. Mi dispiace davvero, Mickey, per favore, non… -. SI bloccò e si rannicchiò su sé stesso, desiderando di non essere un tale casino. Aveva pensato innumerevoli volte di parlare a Mickey della sua malattia ma aveva anche trovato altrettante scuse per non farlo e la cosa si stava ritorcendo contro di lui. 

- Non sono arrabbiato perché non me l’hai detto, non eri tenuto a dirmelo – replicò Mickey, rabbioso. – Ma sarebbe stato carino avere un po’ di fiducia da parte tua visto che tu piagnucoli ogni volta che io non ti dico qualcosa – 

- Hai ragione, scusami, avrei dovuto dirtelo – si affrettò a rispondere Ian facendo del suo meglio per trattenere le lacrime. – Cercavo sempre dei motivi per non farlo e non è giusto, mi dispiace – 

- Credi che non sappia cosa significa? Lo facevo tutto il tempo prima che arrivassi tu ma con te mi sono aperto, stronzo, e tu non hai potuto neanche dirmi che avevi la depressione maniacale? Cos’hai nel cervello? – continuò Mickey passandosi continuamente le nocche sulle labbra, visibilmente ferito. 

- So di aver fatto una cazzata, mi dispiace così tanto Mickey. Io voglio che tu ti fidi di me, è che odio quella parte di me stesso. Prendo quei farmaci ogni giorno fingendo di non essere pazzo… -

- Tu NON sei pazzo – sospirò Mickey abbassando e scuotendo la testa. – È che semplicemente a volte tu non pensi –

E in qualche strano modo questo lo fece sentire meglio perché Mickey non lo stava trattando diversamente, non stava attento a scegliere le parole giuste come se una mossa falsa potesse turbare il suo equilibrio. Dopo un paio di minuti seduti circondati dalla brezza serale ad ascoltare le onde, Mickey parlò di nuovo. – Quando l’hai scoperto? – 

- Un paio di anni fa – ammise Ian. – Solo la mia famiglia lo sa –

Rimasero nuovamente in silenzio, i loro animi che si assestavano, e Mickey alzò la testa. – Non avevo idea che stessi lottando con una cosa del genere. Sei più bravo di me a gestire le cose, questo è certo –

Ian non poté trattenere un sorriso nella sua devastazione. Mickey stava elogiando i suoi sforzi contro il bipolarismo piuttosto che intimidirsi e questo per lui significava il mondo. Si spostò più vicino a lui e posò la fronte sul suo ginocchio coperto dai jeans, le paure che svenivano un po’ di più. – Ti prometto che non ti mentirò più – sussurrò, esausto. Mickey non commentò né si ritrasse. – È che a volte cerco solo di dimenticare di averlo. Non voglio dare l’impressione di essere questo o che tu pensi che io sia questo -. Giocherellò con il laccio delle scarpe di Mickey pe non rischiare di crollare. – Frank morirà con una bottiglia in mano – continuò chiudendo gli occhi. – Fiona con una collezione di tutti i cuori che ha spezzato. Fa parte di loro. Io invece morirò con questa malattia, sai, come Monica. Lo odio –

Mickey gli sollevò il viso, rilassando il proprio. – Credi che io sia come mio padre? – si accigliò Mickey. – Sono violento e sconsiderato, non dovrei essere un mostro come lui? – 

Ian scosse immediatamente la testa. – No, certo che non… - provò a dire con voce spezzata. 

- E allora tu non sei Monica – concluse Mickey. – Tu sei tu, Ian –

Le lacrime scesero come una cascata sulle guance di Ian ma non cercò di nascondersi dallo sguardo di Mickey, anche se si vergognava. 

- Quando ero piccolo mio padre mi ha tenuto la testa sott’acqua finché non sono svenuto – confessò improvvisamente Mickey. – Ecco perché non so nuotare, non vado nell’acqua alta. Terry ha fatto un sacco di cose orribili e anche tua mamma ti ha fatto del male, no? Che si fottano, non dovremmo vivere nella paura a causa loro. Mi fa comunque incazzare che tu non mi abbia detto niente, ma penso di poter chiudere un occhio – E poi Mickey scattò in piedi e trascinò Ian con sé sulla spiaggia sabbiosa senza altre spiegazioni. Si avvicinarono all’acqua e Ian sussulto per la sorpresa quando Mickey lo tirò fino alla riva dell’oceano, entrandovi con scarpe e pantaloni ancora addosso. 

- Aspetta – trasalì quando un’onda si infranse contro alla sua caviglia, inzuppandogli la calza. Mickey proseguì, determinato. Almeno l’acqua non era molto fredda ma Ian rimase scioccato quando si immersero ancora di più, arrivando con l’acqua fino alla pancia. 

- Non lasciarmi affogare e forse potrò perdonarti – disse Mickey indietreggiando un po’ di più. Per quanto tosto cercasse di sembrare, ad Ian non sfuggì quanto fosse guardingo. Un’onda lo colpì da dietro sulla schiena e lo congelò completamente, cancellandogli il sorriso dalle labbra. 

- Tranquillo – ridacchiò Ian riuscendo a controllare di nuovo le proprie emozioni; ora era lui che stava trascinando Mickey nell’acqua alta. 

- Porca puttana – esalò Mickey come se si rendesse conto solo in quel momento di quanto fossero sommersi. Le onde non erano aggressive quindi era facile evitarle ma Mickey sicuramente temeva che si potessero alzare da un momento all’altro. 

- Vuoi che ci immergiamo insieme? – lo incoraggi Ian con l’acqua fino alle spalle, consapevole che Mickey lo avesse portato lì per questo, per provargli qualcosa. Saltò quando un’onda li raggiunse, portando Mickey con sé. 

- Cazzo, potevamo almeno parlarne prima, eh? – esalò Mickey in un lamento rannicchiandosi più vicino a Ian. – Immergerci… cazzo… qual è il segnale? – 

Ian piegò la testa e lo baciò perché non riusciva più a trattenersi. Era così felice con lui, anche quando le cose non andavano a gonfie vele. Mickey si aggrappò a lui, probabilmente perché ora ci toccavano a malapena, ma ad Ian andava più che bene. Non si baciarono a lungo poiché un’onda li sommerse quasi completamente. Si staccarono e salutarono per evitarla. Mickey guardò Ian ansimando. – Andava abbastanza bene come segnale? – sussurrò Ian. Mickey emise un verso nasale, come a dirgli “Bastardo”. Ian sorrise e chiuse gli occhi per un secondo, assaporando la sensazione dello spazio intorno a lui e di quel momento che aveva l’opportunità di condividere con Mickey. – Grazie, Mickey – gli disse dolcemente. 

- Penso che tu abbia avuto a che fare abbastanza con le mie cazzate da averne abbastanza – disse beffardo Mickey e Ian credette di poter ricominciare a piangere per la felicità. Quando si avvicinò un’altra onda, si guardarono, presero fiato e si immersero insieme. Essere sott’acqua non era così terrificante come ricordava Mickey. Forse perché Mickey gli prese le mani e gli ricordò he sarebbero risaliti in superficie, insieme. 





NB: *Federal Aviator Administration


Nota mia: come al solito chiedo scusa per i ritardi di questi giorni ma come avevo annunciato il tempo per scrivere si è ridotto notevolmente. In ogni caso, vi avviso che mancano solo due capitoli alla fine!

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Capitolo 41
*** Libertà -Parte 1 ***


Mickey non mentiva quando diceva che sarebbero stati fuori tutta la notte. Dopo essere usciti dall’acqua bagnati fradici si sdraiarono sulla spiaggia per un po’ semplicemente a parlare. Era di notte nell’isolamento e nella calma del silenzio, che Mickey sembrava parlare più liberamente. Facevano così nella stanza di Ian, prima dell’estate, quando Mickey si fermava a dormire da lui; parlavano sottovoce finché Ian non si addormentava.

- Okay ma, seriamente, ti hanno mai sparato? Non hai mai fatto incazzare qualcuno oppure te la sei cavata perché hai un bel visino? – chiese Mickey in tono più curioso che invidioso. Ian sorrise e girò la testa per guardare il suo profilo.

- Evidentemente non sono abbastanza un cattivo ragazzo –

Mickey ci rifletté un momento e si portò il braccio dietro la testa. – Mi hanno sparato almeno quattro volte. Erano dei ragazzini che mi dovevano dei soldi ed erano così strafatto che hanno sparato alla cieca perché erano in paranoia, cose così –

Ian era distratto siccome invece i ascoltare si stava sorgendo di più per osservare l’espressione colorita di Mickey.

- Ho preso il mio primo proiettile nella spalla, faceva un male cane –

- Sei andato all’ospedale? – chiese Ian cercando tracce di quella cicatrice sul braccio nudo.

- Dio no, hai idea di cos’avrebbe fatto mio padre se avessero denunciato che suo figlio era in ospedale? No grazie, non volevo rischiare –

- Cristo, Mickey – mormorò tristemente Ian. Mickey tenne gli occhi puntati al cielo, nero come l’inchiostro e senza stelle ma con qualche sfumatura colorata dovuta all’inquinamento luminoso della città. Ian allungò la mano è coprì la vista di Mickey con il palmo, ridendo. – Non ho cicatrici di armi da fuoco ma una volta ho fatto a botte con un tizio. Lip ha parlato troppo con la persona sbagliata, quindi immagina. Si è buttato su Lip con un coltello, io mi sono messo in mezzo e mi ha tagliato la mano –

Mickey osservò la linea sbiadita sul suo palmo, poi guardò lui. – E dopo cos’è successo? –

- Sono tornato a casa con la maglia piena di sangue – sospirò Ian. Quando notò la faccia di Mickey rise. – Il suo, non il mio –

- Diamine – replicò Mickey facendo navigare lo sguardo lungo il suo corpo. – Non immaginavo fossi così –

Si guardarono; il tempo avrebbe potuto fermarsi e Ian non se ne sarebbe nemmeno accorto.

- Ho una domanda da farti ma non sei costretto a rispondere – disse piano Mickey. Ian deglutì e annuì, apprensivo. – Cosa ti ha fatto Monica? –

Ian rimase sorpreso da quella domanda e si rigirò sulla schiena per pensare ad una risposta. Come poteva spiegare che cos’aveva fatto Monica? Come avesse fatto a passare l’inferno ad ogni persona nella sua vita? Quanto avesse fatto del male ai suoi figli? – Più che altro cosa non ha fatto – rispose, rivolgendosi più a sé stesso.

- Ah sì? E cosa? – chiese gentilmente Mickey, girato verso di lui.

- Da una parte è colpa della sua malattia, ma… -. Ian deglutì di nuovo cercando di formare il meglio possibile le parole. – Ma è lei che ha scelto di essere così com’era.  È lei che ha scelto di non scusarsi e di andarsene, capisci? Finalmente l’ho capita in un certo senso, quando ho scoperto di essere bipolare. Mi odiavo così tanto, volevo convincermi che non fosse cambiato niente, che fossi sempre io e che stessi bene, anche se gli altri pensavano di no -. Si interruppe e si morse il labbro. – Con il bipolarismo è come se un secondo prima fossi così pieno di vita che sento davvero tutto in una volta ed è incredibile. Fai tutte queste cose perché ami la vita, no? E poi crolli -. Abbassò la voce pensando a come continuare e dopo alcuni secondi proseguì. – È come se ti crollasse il mondo addosso e non ti importasse di vivere o meno quando succede. È mortificante cadere così in basso dopo essere stato in cima al mondo perché durante l’adrenalina ti senti bene, ti senti di essere semplicemente tu -. Sospirò e alzò la mano al cielo come per cercare di afferrare la luna. – Ma durante i “bassi” sei di nuovo depresso e ti ricordi che dopotutto non sei davvero tu. Il ricordo degli errori che hai fatto durante gli “alti” ha un impatto talmente forte che stare meglio sembra un obiettivo irraggiungibile –

Mickey non lo interruppe ma continuò a fissarlo senza alcuna espressione. Ian chiuse la mano a pugno poi la lasciò cadere, sorridendo.

- Una volta sono scappato con Monica per un po’. Era mia mamma, l’avevo perdonata, mi sono fidato, volevo stare con lei anche se ci aveva feriti. Era l’unica ad avermi detto “ti voglio bene” sapendo che ero malato, l’unica che mi guardava come se fossi un tesoro prezioso -. Si girò verso Mickey e incrociò le braccia dietro alla testa. – Ma alla fine Monica non riesce a stare per troppo tempo con qualcuno e nessuno riesce a stare per troppo tempo con lei. Quando me ne sono reso conto sono tornato a casa –

Mickey non replicò e le sue palpebre calarono appena ma non interruppe il contatto visivo tra loro. Stava assimilando la storia che gli aveva appena raccontato. Un sospirò fuoriuscì dalle sue labbra. – Ti piace proprio correre dietro alle persone che potrebbero deluderti , eh? –

Ian rise e si avvicinò ancora di più. – Se dobbiamo proprio trovarmi un difetto, allora potrebbe essere quello –

Mickey fece un sorrisetto. – Coglioncello presuntuoso, riesci sempre a vedere l’arcobaleno in mezzo alla tempesta, ecco i tuoi difetti –

Smosso da un impeto di desiderio, Ian abbassò la testa e premette le labbra sulla sua guancia, avvertendo il sapore dell’acqua salata che si stava asciugando sul suo viso, residuo della nuotata di poco prima. Si ritrasse e vide che gli occhi di Mickey erano chiusi, in attesa, e questo aumentò il battito di Ian, che gli chiuse a sua volta. Gli sfiorò l’altra guancia scendendo lentamente lungo la mascella sbarbata, le dita che toccavano il bordo della maglietta. Incapace di trattenersi, Ian lo baciò completamente, afferrando lo stretto come se il solo lasciarlo potesse porre fine a quella giornata, e Mickey reagì portando al suo viso e tirandolo a sé.

Ian alzò la gamba e salì a cavalcioni su di lui, le ginocchia che scavavano nella sabbia, spostando il peso per non intralciare troppo. Il respiro di Mickey si spezzò appena a quel movimento e Ian colse l’occasione per avvolgere la lingua alla sua, assaporando quella dolcezza che contrastava con l’acqua salata. Fu pervaso da un brivido quando Mickey emise un gemito sotto di lui e gli tirò indietro i capelli, infilando le dita tra le ciocche rosse.

Ian aprì gli occhi solo per un secondo per vedere il volto di Mickey brillare sotto alla luce lunare ed era bellissimo, un’immagine che avrebbe sempre arso nei suoi ricordi. Sollevò la mano dalla sabbia fredda e la fece scorrere sul suo bicipite, sulla spalla e sul suo petto, ossessionato dalla sensazione che provava quando lo toccava in quel modo.

Il battito di Ian impazzì definitivamente, ogni palpitazioni solo per Mickey mente si stringevano uno contro l’altro, I loro respiri mescolati insieme, i corpi intrecciati. La sabbia si infilò tra i capelli di Mickey e scivolò via quando si sollevò per afferrare Ian intorno alla vita e baciarlo più profondamente.

- Andiamo in hotel – ansimò Ian in un caldo respiro contro alla sua bocca, stringendo ciocche di capelli umidi e continuando a baciarlo disordinatamente.

- Mmh – mormorò Mickey ma non fece nulla per staccarsi. La sua lingua sfregò contro a quella di Ian un’altra volta, eccitato dai suoi singulti, mentre abbassava le mani sui suoi fianchi.

- Per avere un po’ di privacy – cercò di spiegare Ian ricordandogli di essere ancora in pubblico, con il rischio di essere interrotti, e col cavolo che si sarebbe fatto interrompere un’altra volta. Dovevano andarsene in fretta e continuare in un posto più recluso.

Mickey lo ignorò, gli alzò la maglia e gli accarezzò l’addome, sul fianco e lungo la schiena, risalendo fino alle scapole. Un’ondata di piacere attraversò Ian dalla spina dorsale alle gambe e quasi si dimenticò dove si trovavano.

Non fu difficile tornare alla realtà quando si udirono da lontano le risate sguaiate di un gruppo di adolescenti che correvano sulla spiaggia verso di loro. Ian si preparò silenziosamente ad essere spinto via da Mickey ma non accadde. Mickey interruppe il bacio e guardò i ragazzini passare, senza spostare le mani dai suoi fianchi.

Mentre i giovani si avvicinavano, Ian si preparò anche ai probabili insulti omofobi ma in qualche modo non arrivarono neanche quelli. Uno dei ragazzi a torso nudo ebbe addirittura l’audacia di salutarli per poi correre verso l’oceano con gli amici, mentre un altro rivolse loro un sorriso di scuse per averli colti in un momento di intimità. Alcune ragazze ridacchiarono divertite barcollando una addosso all’altra e mandarono loro dei baci per poi seguire gli altri. Quando furono tutti abbastanza lontani, nell’oceano scuro, Ian e Mickey si guardarono.

- Ehi, hai visto, l’arcobaleno invece della tempesta – commentò Ian baciando di nuovo dolcemente Mickey. Si spostò di scatto quando Mickey sembrò quasi posseduto, come se qualcosa avesse preso il controllo del suo corpo e avesse sostituito il suo lato “Non faccio sconcerie in pubblico”; dovete spostarsi prima che si spingessero troppo oltre. – Ci sono altre persone lì – sorrise timidamente. – Dobbiamo tornare in hotel e ripulirci da tutta questa sabbia -. Ma rivalutò quell’opzione per alcuni secondi quando incrociò gli occhi di Mickey, che gli dicevano che non gliene fregava nulla di cosa ci fosse intorno all’infuori di loro due e questo lo mandò su di giri. Dio, avrebbe dovuto stare zitto e lasciare che Mickey gli facesse tutto quello che quello sguardo gli suggeriva.

Era troppo tardi. Mickey si staccò, spolverandosi via di dosso la sabbia bagnata, e si alzò infilando poi le mani in tasca, il desiderio di poco prima svanito dal suo viso. Mentre anche Ian si sistemava, Mickey prese il cellulare e chiamò Mandy. Allontanò il cellulare dall’orecchio, sapendo cosa lo aspettava, e circa tre secondi dopo la voce di Mandy tuonò dall’altra parte. “Dove cazzo hai portato Ian?”

- Portato? Non l’ho mica rapito – protestò Mickey posando brevemente lo sguardo su Ian mentre si ripuliva i pantaloni.

“Siamo all’ospedale, Mickey “ sghignazzò Mandy a voce abbastanza alta da essere udita anche da Ian, che spalancò la bocca e allungò la mano verso il cellulare, colto dalla preoccupazione e al senso di colpa, ma Mickey indietreggiò.

- Cazzo – esalò il moro impallidendo improvvisamente. Guardò Ian con la coda nell’occhio. – Lo porto in un hotel, non in quella merda di posto –

“Vieni subito qui Mickey, non essere così menefreghista!”

Si stavano ormai urlando addosso e Ian riusciva a malapena a capire perché fossero così arrabbiati ma Mickey sembrava riluttante all’idea di andare in ospedale. – Sta bene? – chiese Ian morendo dalla voglia di parlare con Mandy. Ci era rimasto male a essere tenuto all’oscuro per tutto quel tempo.

“Sbrigati e vieni qui, Mickey” mormorò Mandy abbassando il tono di voce. Mickey grugnì e riattaccò. L’ansia di Ian aumentò solo di più quando lo osservò raccogliere la borsa e girarsi per uscire dalla spiaggia.

- Cos’è successo? Mandy sta bene? Mickey? -. Sputava fuori una domanda dietro l’altra cercando di capire perché qualcuno fosse all’ospedale ma Mickey non parlò per tutto il viaggio in metro e fino all’entrata in ospedale. Fece entrare Ian e si avviò alla reception, scambiò qualche parola insolitamente gentile e si avviò all’ascensore, Ian dietro di lui. – Mickey? – provò a richiamarlo, i suoi tentativi ormai sempre meno insistenti.

L’ascensore giunse al terzo piano e quando Mickey uscì si sedette immediatamente su una sedia in corridoio incrociando le braccia. Ian attese qualche spiegazione ma Mickey indiò verso il corridoio con un cenno del capo, come per indicargli dove andare.

- Non… -

- Senti – sospirò Mickey. – Vai a consolare Mandy e basta, okay? Hai un dono per questa roba –

Ci fu un momento di tensione in cui Ian avrebbe voluto fare delle domande o scuoterlo ma invece attraversò il corridoio e trovò la stanza, aspettandosi il peggio. Mandy era seduta con un’aria estremamente più stanca della sua, ma si alzò e lo abbracciò non appena lo vide entrare.

 -Ti odio così tanto per essere scappato via – si sfogò contro al suo petto e Ian le accarezzò la schiena.

- Mi dispiace Mandy, è stato irrispettoso da parte nostra –

- Sì – sbottò Mandy ritraendosi, gli occhi gonfi. – Cazzo Ian, è stata una giornata dura –

Gli occhi di Ian si posarono sulla figura nel letto dove si era aspettato di trovare Mandy; vide invece una donna dalla somiglianza impressionante. Aveva gli occhi chiusi ma non era difficile immaginarne il colore dopo aver notato la carnagione lattiginosa e i capelli corvini setosi appiccicati al suo viso. – È tua mamma? – chiese gentilmente, senza parole. Mandy annuì lentamente, lasciando ricadere le mani dal suo corpo.

- Iggy è andato a prendere qualcosa da mangiare, dove cazzo è invece l’altro mio fratello? –

- Sta aspettando in corridoio –

- Maledizione, lo rifà un’altra volta -. Uscì dalla stanza lasciandolo solo con la donna addormentata. Ian si sentì alquanto a disagio mentre si avvicinava al letto, siccome la curiosità ebbe il sopravvento. Aveva delle flebo infilate nelle braccia e un’aria così pacifica che era difficile credere che fosse su un letto di ospedale e non nel proprio.

- Ehi Mandy, non… -. Iggy era ritornato e si fermò sulla porta quando vide Ian. Posò degli snack su un tavolino nell’angolo e si sedette, infilando le mani tra le ginocchia.

- È carina – commentò Ian con le mani sui fianchi. – Cosa le è successo? –

Iggy non apprezzò la domanda e si grattò il lato del viso, controllando l’entrata prima di rispondere. – A volte, quando vengono a trovarla Mandy e Mickey viene un po’ travolta dall’emozione, tutto qui. Si ricorda di quando viveva a Chicago e non riesce a gestirlo quindi semplicemente non lo fa, capisci che intendo? –

Ian scosse la testa. Cosa significava? Non capiva affatto. Iggy passò le mani sulle ginocchia e strinse le labbra.

- Non capita sempre ma se sta tanto male trova il modo per dimenticare tutto. Non preoccuparti, si riprenderà, stai tranquillo –

- Continuo a non capi… -

- Vaffanculo! – si udì urlare Mandy da corridoio. Iggy scattò in piedi e fece capolino fuori dalla porta per vedere cosa stesse succedendo. – Sei un cacasotto del cazzo, non riesci neanche a venire a vedere la tua fottuta madre! –

Ian non si mosse dal suo posto accanto alla donna mentre sentiva le infermiere intimare a Mandy di uscire. Poco dopo lei ritornò nella stanza, fumante di rabbia. – Non gli farebbe male mostrare un po’ di empatia per una volta nella su maledetta vita – sputò acida andando all’altro lato del letto.

- Le persone hanno modi di affrontare queste cose, Mandy – cercò di blandirla Iggy dirigendosi alla porta. – Anche se sembra una scusa ridicola –

- È sua madre, non gli servono scuse -. Iggy se ne andò senza una risposta e lei si spostò accanto a Ian, guardando sua madre. – Non so che cosa si è calata questa volta – disse in tono rigido, toccando la sua mano esangue.

Questo sembrò accendere la lampadina nel cervello di Ian e indietreggiò. – È andata in overdose? –

- Prende un sacco di medicine e a volte esagera, dimentica il dosaggio – spiegò semplicemente Mandy. Sembrava che stesse più che altro cercando di convincere se stessa. Le parole di Iggy gli rimbombarono nel cervello e acquisirono più senso, ma avrebbe preferito di no.

- Tu stai bene? – le chiese accarezzando il braccio.

- Certo – sospirò Mandy – So che sembrò un relitto ma ho una corazza dura. Lo devi fare per sopravvivere in questa merda, no? –

- Mi dispiace, Mandy –

- Non devi, erano solo un paio di antidolorifici in più, niente di vitale – rise, riferendosi a sua madre. Era questo il fatto, non pensavano mai a loro stessi. Colto dall’emozione, Ian si scusò e uscì dalla stanza, trovando Mickey seduto in corridoio con la testa reclinata contro al muro bianco. Cosa poteva dirgli? Mi dispiace che tua madre si faccia del male quando vi vede? Dev’essere difficile, capisco perché non venite qui spesso? Almeno lui aveva Fiona e Lip, due semi-adulti che si prendevano cura di lui, a modo loro. Avevano fatto il possibile nel coro degli anni, schiavi delle circostanze del loro buco di casa senza due figure di riferimento. Almeno lui aveva avuto una sorta di guida durante la crescita, cure e protezione. Cosa diavolo avevano avuto Mandy e Mickey?

Ian rimase in piedi davanti a lui e lo guardò con il cuore spezzato. Mickey aprì gli occhi e alzò lo sguardo sfidando la luce bianca dell’ospedale, fissando quelli annebbiati di Ian. – Iggy deve imparare a stare zitto – commentò dopo aver messo insieme i pezzi. Questa volta Ian non disse nulla, fisicamente incapace di formare anche solo una sillaba.

- Ehi – li chiamò Iggy camminando verso di loro. – Voi potete andare in hotel, state sporcando dappertutto. Resto io qui –

Mickey non se lo fece dire due volte e schizzò verso l’ascensore, premendo frettolosamente i tasti per far aprire le porte. Ian lo seguì rapidamente e aspettò tenendo Mickey sott’occhio mentre salivano.

- Mickey? – lo chiamò esitante come se il moro fosse un pezzo di vetro che si sarebbe rotto se avesse alzato troppo la voce.

- Che c’è? – rispose Mickey, in tono per nulla fragile. In non seppe come continuare quindi uscirono dall’ospedale senza un’altra parola. Non doveva insistere, cercare di fargli raccontare qualcosa, era Mickey a dover decidere cosa dire.

Probabilmente Mickey aveva segnato l’indirizzo dell’hotel prima di partire o doveva essere un’abitudine dei Milkovich ogni volta che venivano in Florida. Era a due fermate di metro di distanza e ci andarono direttamente. Se non fosse stato per l’atmosfera pesante, Ian avrebbe riso alle facce probabilmente scioccate degli ospiti alla vista del loro aspetto così disastrato in un albergo così immacolato.

Salirono fino all’ultimo piano e Mickey aprì con la tessera la stanza in fondo al corridoio, entrando per primo. Ian chiuse la porta e sbattè le palpebre, non sorpreso, ma comunque meravigliato dalla bellezza della stanza. La vista era perfetta e dominava quella che sembrava l’intera costa oceanica, delimitata dalle luci della città.

Mickey sparì in bagno e Ian udì lo scroscio dell’acqua che scorreva quindi rimase nel sontuoso salotto leggendo il menù del servizio in camera sul tavolino. Era già mezzanotte passata ma voleva lavarsi prima di sdraiarsi sulle sedute dall’aria costosa, anche se il divano color crema era piuttosto accattivante. Andò alla finestra di vetro che copriva quasi l’intera parete e guardò fuori, abbagliato.

Mickey ritornò dopo qualche minuto lavato e profumato e si appollaiò sul divano. – Non volevo prenderti il posto – si scusò. – Dovevo solo togliermi tutta quella cazzo di sabbia dai capelli –

- Non preoccuparti – rispose Ian tentato di accoccolarsi accanto a lui; sembrava quasi di poterlo vedere ancora emanare il vapore caldo della doccia. Anche se rimaneva calmo, Ian poteva praticamente percepire nel suo respiro che c’era qualcosa di diverso nel modo in cui sollevò gli occhi e Ian capì che togliersi la sabbia dai capelli non era l’unico motivo per cui aveva voluto restare un po’ solo. Ma Ian non avrebbe tirato fuori il discorso, questa volta avrebbe lasciato che fosse Mickey a farlo se ne aveva bisogno, perché Iggy aveva ragione, ognuno affrontava le cose in modo diverso.

La doccia era un sogno e Ian ci restò per almeno venti minuti, non abituato ad avere una pressione dell’acqua decente. Il sapone aveva un profumo fantastico e qualunque fosse lo shampoo che forniva l’hotel stava facendo magie alla sua testa. Dopo aver alleviato tutto lo stress accumulato all’ospedale con quel massaggio, si infilò un paio di pantaloncini, una maglia larga e raggiunse Mickey, che era ancora sul divano.

Si era appisolato con la testa seppellita nell’incavo del gomito, girato verso lo schienale. Ian si accovacciò accanto al divano e lo osserva per un momento, giusto per assicurarsi che stesse bene. Sentiva il profumo del bagnoschiuma Irish Spring, non quello dell’hotel; Mickey doveva essere portato da casa. Era così tipico di lui portarsi le sue cose e non fidarsi nemmeno delle coccole offerte dall’hotel. Ian si rattristò a questo pensiero e si alzò. Forse Mickey non aveva bisogno o non voleva che lo facesse ma Ian si sarebbe preso cura di lui. Chi altro l’avrebbe fatto?

 

 

Nota mia: Buon anno a tutti! Spero che abbiate passato bene le vacanze. Le mie sono state piene, non mi sono fermata un attimo, ma ora che sono finite tornerò a dedicarmi sicuramente di più alla storia. Questo capitolo in realtà è stato diviso in due visto che molto più lungo degli altri e se avessi dovuto pubblicarlo intero avreste dovuto aspettare ancora troppo per leggerlo. Perciò questa è la prima parte, a breve vi pubblicherò la seconda.

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Capitolo 42
*** Libertà - Parte 2 ***


La mattina dopo Ian si svegliò nel lussuoso letto della camera matrimoniale in cui si era intrufolato al notte precedente. Era l’unica stanza vacante quindi immaginava che Iggy e Mandy l’avessero lasciata per lui. Dopo essersi vestito andò in salotto e trovò Mickey e Mandy che facevano colazione sul divano.

- Era ora – sbuffò Mickey spingendo un piatto verso di lui. Ian si sedette nel posto vuoto accanto a Mandy e guardò la colazione sul tavolo. Si tuffò senza perdere tempo sui toast deliziosamente farciti, sulle uova strapazzate, sul bacon croccante e sui croissant fumanti, mai così grato come in quel momento per del cibo.

- Sbrigatevi, oggi andiamo a casa a trovare mamma, è stata dimessa – annunciò Mandy impilando i piatti e mettendoli da parte per farli portare via dai camerieri. Ian guardò con la coda nell’occhio Mickey, che era completamente a suo agio mentre continuava a mangiare la colazione, inarcando le sopracciglia. Quando finirono di mangiare lasciarono l’hotel e Iggy arrivò nel parcheggio con un’elegante muscle car.

- Io preferisco sfidare la fortuna camminando – borbottò Mickey oltrepassando la macchina.

- Ma dai, Mickey – lo guardò di traverso Mandy correndogli dietro e allargando le braccia per la frustrazione. – Non fare il coglione, Sali in macchina e chiudi la bocca. Sai che mamma vuole vederti –

- Ah sì, davvero? Vuole vedermi, eh? – rise Mickey, una risata vuota. – Magari potrei crederci se quella stronza non avesse cercato di uccidersi – . Uno schiocco secco riempì l’aria e comparve un’impronta rossa nel punto in cui Mandy lo aveva colpito in faccia. Fu così rapido che nessuno si mosse per qualche istante.

- Ti importa solo di te stesso -tirò su col naso Mandy ritornando alla macchina. Salì sui sedili posteriori e nascose il viso. Ian guardò con orrore Mickey alzare la testa, girarsi e andarsene da solo. Ian voleva seguirlo ma c’era come un’ancora invisibile che lo tratteneva insieme alle voci di Iggy e Mandy che lo chiamavano per tornare in macchina. Quindi Ian si sedette sul sedile passeggero e partirono, lasciando Mickey indietro.

 

La casa che raggiunsero sembrava una di quelle di Teen Cribs , esattamente il posto in cui ci si aspettava di veder vivere una persona piena di soldi. Dominava la costa e si affacciava sull’oceano lucente e quando si avvicinarono Ian notò che quasi tutte erano fatte di vetro che lasciavano entrare la luce del sole a illuminare gli interni. Cespugli di fiori colorati adornavano il sentiero che portava alla porta principale e una donna con i capelli scuri che le ricadevano sulle spalle e un cappello in testa li stava annaffiando.

- Quella è la mia futura moglie – gli sussurrò Iggy quando si avvicinarono e prima che Ian potesse chiedergli se fosse uno scherzo, la donna tirò a Iggy uno scappellotto dietro alla testa, gridando in un’altra lingua. – Sono dovuto andare a prendere i ragazzi, piccola! Sai che non ti saresti fidata a lasciarmi andare a prendere la mamma – protestò Iggy indicando Mandy e Ian. Lei non sembrò credergli e sputò altre strane parole per poi ritornare ai fiori. Mandy le sorrise ed entrò in casa seguita da uno sconfitto Iggy. Quando Ian la oltrepassa, lo sguardo della donna lo seguì, tagliente, e lei mormorò altre parole straniere. Improvvisamente Ian riconobbe la lingua e si girò.

- Privet – esclamò allegro ricordando quel poco di russo che gli aveva insegnato un compagno di classe alle superiori. Lei raddrizzò la schiena e sorrise.

- Privet, pel di carota – . Ian annuì timidamente; il soprannome non gli dispiaceva visto che l’aveva usato affettuosamente.

Una volta entrato in casa, vide che la signora Milkovich era una bellezza, ancor di più ora che stava accogliendo i suoi figli in un vestito color lavanda, piena di vita. Proprio come aveva previsto Ian, i suoi occhi erano azzurri e limpidi, come quelli dei suoi figli. Mandy e Iggy le parlavano, raggianti, come se l’incidente all’ospedale fosse stato solo un brutto incubo già finito nel dimenticatoio. Ian cercò di non restare in disparte, non gli sembrava giusto interrompere quel momento di intimità, ma invece Mandy spinse sua madre verso di lui.

- È lui – sorrise Mandy indicando Ian con un cenno del capo. Sua madre avanzò con un’espressione premurosa, da madre amorevole, il contrario di ciò che si aspettava lui. Tese la mano pallida verso di lei e le sue labbra si incurvarono in un sorriso spontaneo.

- Sono Katrya. Mandy mi ha parlato di te -. La sua voce sembrava il suono melodico di una campana. Ian le strinse la mano e ricambiò il sorriso.

- Piacere, Ian -

– Fai come se fossi a casa tua, Ian – replicò lei in tono genuino. Si girò e so diresse dall’altro lato della stanza. – Se volete farvi una nuotata la piscina è pulita –

Quando se ne fu andata, Mandy prese Ian per mano e lo trascinò per l’enorme casa, attraversando vari corridoi fino ad un’ampia camera da letto. Tutta la casa sembrava immacolata, senza una singola cosa fuori posto, e Ian aveva paura di starnutire o fare qualsiasi cosa che potesse disturbare quella perfezione.

- Qui ci sono alcuni dei costumi di Iggy – cinguettò Mandy tirando fuori dal cassetto del mobile di ciliegio un paio di pantaloncini blu elettrico. Lo portò poi in un’altra stanza, agghindata graziosamente come la stanza di una principessa. – E il mio bikini – continuò rivelando il costume dal cassetto di una toeletta dall’aria regale, sistemata accanto a delle tende tenute aperte da un laccio. Chissà se quella era la sua stanza, magari la stanza in cui stava da bambina. L’aveva detto Mandy stessa, ogni tanto venivano lì quando erano bambini.

Mandy si cambiò, senza sentirsi a disagio per la sua presenza, ma lui si voltò comunque per lasciarle un po’ di privacy. – Non vuoi farti una nuotata? – gli chiese lei.

- Sì, è solo che… -. Non sapeva come dirlo ma era tutto molto strano. Solo poche ore fa la loro madre era sdraiata su un letto all’ospedale e ora stavano per fare il bagno in piscina come se nulla fosse. Ma avrebbe dovuto aspettarselo visto il modo in cui Mandy e Mickey imbottigliavano tutti i problemi della loro vita.

- Ieri sera sei andato a fare una nuotata con Mickey, no? Io non sono abbastanza sexy da essere guardata? – lo prese in giro Mandy, ma Ian percepì che ci era rimasta male.

- Scusa Mandy, non è quello – rispose lui ancora girato verso il muro. – È che probabilmente io non sono così bravo a fingere che vada tutto bene. Quello che è successo a tua mamma ieri mi ha spaventato, sai? Fare finta di niente non mi sembra giusto –

Mandy rimase in silenzio e si udì lo schiocco del tessuto del costume che aveva appena infilato. Attraversò la stanza è si appoggiò al muro accanto a lui. – Ian, ai nostri problemi famigliari ci pensiamo noi. Lascia perdere, okay? –

Ian annuì, anche se non l’avrebbe fatto. Forse doveva imparare proprio questo. – Vuoi uno spogliarello o cos’altro? – prese in giro Mandy in tono malizioso, slacciando i pantaloni mentre alzava e abbassava le sopracciglia. Lei si leccò le labbra con fare accattivante e risero insieme.

- Non voglio che Mickey mi rompa le palle anche per questo, me le romperà già per quello che è successo prima –

Ian non seppe cosa dire; non voleva scegliere da che parte stare. Lei gli diede una stretta rassicurante e uscì.

 

 

 

Rimasero in piscina per un paio d’ore e poi tornarono in casa. Il sole stava già sparendo dietro alle nuvole e il cielo si stava colorando di sfumature rosa e oro. Katrya era incredibilmente gentile con Ian, molto educata e ospitale e la cena che offrì avrebbe potuto riempirlo per giorni. Quando si scusò e uscì dalla porta della cucina, anche Mandy si alzò.

- Sesso via Skype con Ben – spiegò a Ian mentre usciva. Ad Iggy andò di traverso il boccone.

- Potresti almeno risparmiare questi dettagli a tuo fratello –

- E da quando? – replicò Mandy dall’altra stanza. Iggy guardò Ian è si grattò il mento.

- Non preoccuparti per Mickey, non è da qualche parte in fin di vita –

Ian rimase sorpreso dall’interessamento di Iggy, dal fatto che notasse il suo umore meglio di Mandy. – Quel ragazzo è di marmo. Tra un paio d’ore sarà come nuovo, probabilmente ora è in un bar e se la gode finché si trova lì –

E forse era vero che ognuno affrontava le cose a modo suo, ma cavolo se faceva male, nessuno dei fratelli ne parlava. Forse era come i Gallagher avevano imparato ad affrontare Frank e Monica. I fratelli Milkovich erano arrivati al punto di non aver bisogno di dire più niente perché ormai Le cose si ripetevano e diventava stancante. Forse la loro madre li aveva esauriti psicologicamente a tal punto che ormai si dissociavano al dolore, proprio come loro con Monica.

- Dio, ho bisogno di uscire – cambiò discorso Iggy posando i bicchieri nel lavandino. – Se volete passo più tardi a prendervi, o dormite qui? –

- Non lo so –

- Fatemi sapere – concluse Iggy uscendo dalla cucina. Rimasto solo, Ian si sentì un intruso ora che non c’era nessuno con lui. Quando stava per alzarsi, qualcuno comparve dietro di lui e andò dall’altro lato del tavolo.

- Pel di carota – sorrise la giardiniera di prima raccogliendo i piatti dal tavolo e portandoli nel lavandino per pulirli. Per qualche motivo la sua presenza lo faceva sentire a suo agio come non gli era mai capitato con persone più grandi di lui. Non si alzò dalla sedia ma rimase semplicemente a guardarla.

- Come ti chiami? – le chiese sperando di non essere invadente. Lei sembrò onorata dalla domanda e si girò mentre grattava con la spugna.

- Vuoi sapere nome di donna che lava piatti? – sorrise facendo colare il detersivo sui piatti. – Chiamami Svetlana se vuoi, se sei creativo anche un altro nome. Sei amico di Mandy vero? –

Ian mormorò in una risposta affermativa e si alzò – Hai bisogno? Posso dare una mano –

- È il mio lavoro – rise lei. Quando ebbe asciugato i piatti erano come nuovi e il suo viso s addolcì. – Ma sei gentile. Sai russo? –

- Non proprio – ammise Ian a fatica avvicinandosi per passarle il resto dei piatti. – Solo qualche parola –

- Va bene – replicò lei prendendo i piatti vuoti. – I ragazzi Milkovich sono ucraini ma neanche loro parlano. Forse il piccoletto sempre incazzato sa un po’ –

- Mickey? – chiese Ian appoggiandosi al bancone.

- Mi dice qualche insulto, troppa paura che gli parlo alle spalle – rise lei risciacquandosi le mani.

- È proprio da lui -. Ian era rapito da Svetlana, dalla curva del suo naso alle labbra color ciliegia, dal suo atteggiamento orgoglioso e tosto. Era come un nuovo genere di donna, uno che non aveva mai conosciuto prima d’ora.

Si udì un rumore all’esterno e la porta scorrevole si aprì, rivelando proprio l’oggetto del loro discorso. Ian scorse Katrya in piedi dietro a Mickey sotto al portico esterno con un bicchiere di vino in mano e gli occhi lucidi, ma Mickey le chiuse la porta in faccia e guardò Ian. Svetlana lo salutò nella sua lingua e Mickey serrò la mascella per poi ribattere nella stessa lingua, provocandogli una risata. Ian non sapeva assolutamente se Mickey parlasse bene o no, o se avesse anche solo senso ciò che aveva appena detto, ma doveva aver comunque divertito Svetlana.

- Sono venuto a prenderti – gli disse Mickey prendendo una bottiglia di liquore dalla credenza accanto alla testa di Svetlana.

- A madre non piacerà – lo avvertì la donna è Mickey rise sprezzante.

- Perché fai finta di non conoscermi, putt-ana? – La vedi, questa è la mia faccia che ti dice quanto me ne frega –

- Se tu ti… - si guardò intorno in cerca del termine giusto.  …sbronzi, no? Ti sdrai, vomiti e io devo pulire. Bere fa male a ragazzi piccoli e con brutto carattere, metti via –

- Sto bene, cazzo, continua a farti gli affari tuoi. Leviamoci dalle palle prima che succeda un casino, Ian –

- Magari testa rossa vuole restare – lo riproverò Svetlana. Ian si grattò le braccia e guardò nervosamente Mickey. Riusciva a vedere i capillari nei suoi occhi arrossati. – Fermiamoci a dormire qui, Mickey. Ci ha invitati tua mamma –

- Ti stai facendo ingannare da questa facciata da Madre Teresa? – ringhiò Mickey togliendo il tappo dalla bottiglia verde scuro che teneva in mano. – Andiamo –

- Dai Mick, non dire così –

- Non riesco a credere che tu stia facendo storie per questo – sbottò Mickey e uscì dalla cucina lasciando lì la bottiglia nonostante le sue parole di poco prima. Ian si sentì come se avesse un buco al centro del petto e s abbandonò al bancone –

- Non ti preoccupare. È settanta chili di fichetta ucraina – sorrise Svetlana. – Abbaia ma non morde, non ha denti –

- Grazie, Svetlana – mormorò Ian, inspiegabilmente confortato da quella analogia. Ritornò nella stanza principale è lì non trovò Mickey. Prima di poter continuare la ricerca, Katrya arrivò da dietro di lui e gli sfiorò il braccio mentre passava.

- Sembri un ragazzo così bravo – sorrise gentilmente andando a sedersi sul divano color perlato al centro della stanza. Aveva evidentemente bevuto molto più di quel bicchiere; si lasciò andare ad una risatina divertita, incrociando le lunghe gambe sul divano. Ian si grattò il retro del collo, a disagio.

- Grazie per avermi ospitato. Hai una casa adorabile – le disse.

Quando lei gli sorrise e basta, uno di quei sorrisi ubriachi esageratamente affettuosi, si scusò per andare in bagno. Una volta uscito, andò in corridoio e scorse Mickey tornare nella stanza principale, proseguire e fermarsi di colpo all’ingresso. Attraversò il pavimento di parquet e Ian si chiese se se ne sarebbe andato di nuovo. Mickey si girò verso destra e guardò sua madre ora sdraiata, il viso che aveva perso l’allegria e il calore di poco prima. Borbottava felicemente tra sé e sé e, con sorpresa di Ian, Mickey le si avvicinò, le sollevò le braccia e le sistemò addosso una coperta, assicurandosi che fosse al caldo.

- Mickey – sorrise lei muovendosi sotto alla coperta. – Sei venuto a trovarmi –

- Ci siamo appena visti fuori – replicò Mickey, tagliente.

- Mickey, non lasciare di nuovo la tua mamma, okay? Resterai questa volta? -. Le sue parole erano stanche e indotte dall’alcool ma sembrava ansiosa che Mickey la capisse. – Questa è casa tua, Mickey. Sei il mio bambino, lo sai vero? Sai che ti ho sempre amato tanto. Odio ogni momento in cui sei lontano da me –

Ian sbattè le palpebre, colpito da ciò che stava insinuando.

- Non tornare a Chicago da quell’uomo malvagio – mormorò Katrya in tono dolce amaro. – Posso occuparmi io di te, Mickey. Voglio la possibilità di rimediare nei tuoi confronti, nei confronti di Mandy. Posso migliorare se tu sarai qui e lo farò, okay? –

Mickey si immobilizzò per un po’ ma poi distolse lo sguardo da quello carico di promesse di sua mare e uscì di casa. Ian lo rincorse il più silenziosamente possibile e lo raggiunse una volta fuori, sul sentiero di pietra del cortile. – Ehi – lo chiamò esasperato, afferrandolo per lo zaino che portava sulle spalle. – Dove stai andando? –

Mickey non disse niente e le viscere di Ian si contrassero. Sua madre lo aveva pregato di non tornare a Chicago. Neanche Mickey poteva restare impassibile di fronte a una madre che pregava suo figlio di restare con lei. – Mi fumo una sigaretta – rispose Mickey bruscamente, continuando a camminare.

- Aspetta Mickey, hai sentito tua madre? Ti ha chiesto di vivere qui -. Lì, dove poteva restare con la sua vera madre e costruire un rapporto con lei, magari avere la possibilità di avere una famiglia normale.

Mickey si voltò di scatto, l afferrò per la maglietta e lo spinse lungo il lato della casa. Ian vide un giardino fiorito ancora più grande e si chiese come facesse Svetlana a curarlo tutto da sola. C’erano dei lumini accanto ai cespugli e alte viti, fiori potati di ogni colore e tipologia che coivano i bordi della vegetazione e inebrianti profumi che si diffonde vano ad ogni passo. Sembrava quasi un pezzo di paradiso. Mickey lo condusse verso una zona isolata dove potevano stare soli e lo guardò in mezzo alla luce colorata delle lanterne.

- Credi che dopo anni di abbandono io salti di gioia all’idea di vivere qui? Mi prendi in giro? –

- Non lo so, se Frank e Monica diventassero dei genitori decenti non so cosa farei. Credo che dopo non averli avuti vicini per così tanto tempo forse li perdonerei e ripartirei da zero –

- Non importa il legame di sangue – liquidò il discorso Mickey. – Importa solo chi c’è stato e chi no –

- Potrebbe cambiare – disse Ian; non sapeva perché sentisse il bisogno di proteggere quella donna. Vederla su quel letto in ospedale gli aveva fatto avverto impressione e aveva generato quel senso di pietà nei suoi confronti.

- Sai quante promesse non ha mantenuto? – ribattè Mickey con rabbia. Era vero Monica aveva promesso di riprendere in mano la sua vita una marea di volte ma non l’aveva mai fatto. Forse Katrya non era diversa.

 Mickey stava ribollendo, stringendo la maglietta di Ian nei pugni chiusi. – Metti il caso che io voglia restare – ringhiò. – Saliresti da solo su quell’aereo tra due giorni dopo avermi augurato una buona vita? È facile per te? –

Questo lo colpì come una manciata di mattoni sulla testa. Troppo preso dall’immaginare la possibilità che Mickey potesse avere una vita adulta piena di amore, non aveva calcolato cos’avrebbe fatto dopo averlo perso. Ian lo osservò quando Mickey lo lasciò andare e indietreggiò con il respiro tremante, ricominciando a parlare furiosamente.

- Non posso restare qui a impedirle di ingoiare tutte quelle pillole quando devo già preoccuparmi che Mandy non svenga in qualche vicolo, che Parker non si faccia ammazzare di botte e che Rick abbia abbastanza soldi per mandare Lucas a scuola per via dei suoi problemi economici del cazzo che… -

Ian lo baciò, le mani che gli prendevano il viso tirandolo a sé. Sentì Mickey irrigidirsi a quel contatto e si ritrasse accarezzandogli il viso con la fronte appoggiata alla sua. – Hai ragione, devi preoccuparti di te stesso, Mickey. Mi dispiace, non ho riflettuto. Credevo che sarebbe stata la cosa migliore per te, ma… -

Mickey si gettò su di lui e unì le loro labbra, facendolo indietreggiare nei cespugli mentre cercava di sbottonargli la camicia. Ian fu percorso da un brivido e fece scorrere le mani sui pantaloni neri di Mickey, guardandolo attraverso le palpebre socchiuse. – Fanculo – ansimò Mickey contro alle sue labbra. – Non hai ancora capito che sei tu, eh? Che sei tu la cosa migliore per me? –

Il cuore di Ian sembrò balzargli fuori da petto e strinse le braccia intorno alla sua vita, tirandolo a sé. Mickey lo baciava mordace, imprecando mentre armeggiava con i suoi vestiti mentre Ian faceva il possibile per stargli dietro. Prima che potesse togliergli qualsiasi indumento, Ian trascinò Mickey via dal giardino, ignorando la confusione e la delusione sul suo viso. Si intrufolarono nella casa buia finché Mickey non colse il messaggio e fece strada, spingendolo verso quella che doveva essere la sua stanza.

Dopo aver chiuso la porta, Mickey riprese a baciarlo come se non si fossero mai fermati e lo guardò sul tappeto blu marino verso il letto soffice come una nuvola. Si lasciò cadere all’indietro, Ian salì a cavalcioni su di lui e gli afferrò il viso baciandolo con foga senza seguire un ritmo particolare. Ian gemette e si staccò per prendere fiato e togliergli la maglia. Mickey ricambi il favore e sbottonò la sua camicia con più facilità di prima, buttandola poi casualmente sul pavimento. Erano impegnati degli aromi del giardino, che ora si stavano diffondendo in tuta la stanza illuminata dalla luna. Le lenzuola erano fresche ma Ian riusciva solo a concentrarsi sul calore che avvertiva in tutto il corpo e alla pelle di Mickey che bruciava sotto alle sue mani. Ondeggiò sopra di lui, in preda al bisogno di avere un po’ di sollievo e Mickey rispose con un lamento. Abbassò le mani sui jeans e su dimenò sempre di più mentre Ian gli toccava disperatamente le braccia e il petto depositandogli leggeri baci sulle clavicole e sul collo.

- Zaino – sussurrò tremolante Mickey. Ian ci mise un po’ a capire il messaggio nella sua mente annebbiata ma poi ci arrivò. Trovò lo zaino di Mickey per terra vicino alla porta e dopo una rapida ricerca trovò il lubrificante. Mickey finì di svestirsi e Ian lo seguì per poi buttarsi di nuovo uno sull’altro, ansimando profondamente. Affondarono tra le lenzuola e Ian si staccò momentaneamente solo per lubrificarsi insieme alle dita, posando poi il tubetto sul comodino. Infilò una mano tra i capelli di Mickey e fece scorrere l’altra lungo la sua coscia, sempre più verso il basso finché non arrivò a destinazione e lo penetrò lentamente con un dito.

- Va bene? – gli chiese Ian con la voce roca, spingendo il dito con delicatezza.

- Non fermarti – rispose Mickey in tono debole, inarcando la schiena per permettere a Ian di aggiungere altre dita.

Ian non riusciva a capacitarmi di come Mickey potesse togliergli così tanto il fiato, con i capelli scuri spettinati e un’espressione seducente sul viso. Premette più a fondo e assaporò i gemiti che fuoriuscivano dalle sue labbra, le stesse labbra che aspiravano fumo di sigaretta e spuntavano un’imprecazione dietro l’altra, quelle bellissime labbra che Ian si chinò ad accarezzare con le proprie.

Finì di prepararlo e si chiese com’era possibile che sapessero già chi avrebbe fatto cosa in quel momento. Ricambiando lo sguardo ardente di Mickey lo penetrò avvertendo un’ondata di piacere in ogni centimetro del suo corpo. Si mossero, esitanti, e poi aumentano il ritmo, abituandosi l’uno all’altro. Mickey reclinò la testa all’indietro e soffocò un gemito chiudendo gli occhi. Ian si abbassò e spinse più in profondità afferrando le mani di Mickey sul cuscino, sentendo lo tremare per il piacere. Si chinò per catturare di nuovo le sue labbra, stringendogli le mani, quelle mani che non voleva lasciar andare mai più. Quella voce che non voleva mai smettere di sentire. Non riusciva ad averne abbastanza di Mickey, totalmente rapito da lui.

Non ci volle molto per raggiungere il culmine tremando, quasi contemporaneamente, e quando accadde Ian lo baciò un’ultima volta. Si calmarono, ancora uno tra le braccia dell’altro, I movimenti sempre più deboli, e finalmente Ian uscì da dentro di lui e si sdraiò al suo fianco, senza fiato. Per un po’ non parlarono né mossero un muscolo, ancora in preda ai postumi dell’orgasmo. La testa di Ian viaggiava ma era troppo stanco per pensare.

Quando il corpo di Mickey riprese a funzionare, scivolò sotto alle lenzuola, mettendosi una vita per spostare tutti gli strati di tessuto mentre malediceva silenziosamente chiunque avesse messo le coperte in quel modo. Vi si infilò sotto ed esalò un respiro, arrossendo quando Ian si coprì insieme a lui. I loro occhi si incrociano brevemente e Mickey li chiuse, calmando il battito del suo cuore. Sentì le dita di Ian sfiorargli il viso e i capelli finché il loro respiro non divenne più regolare.

- Ti porto via con me – promise dolcemente Ian, le labbra che si incurvarono in un sorriso. Mickey sollevò le palpebre pesanti, colto da mille emozioni.

- Lo fai solo perché hai bisogno che ti distragga dalla paura di volare –

- Un po’ – confessò Ian avvicinandosi ancora di più a lui anche se quel letto era chilometrico. – E perché anche tu hai bisogno di me –

Mickey si dimenò sul cuscino, a disagio. Era la prima volta in cui sentiva che era davvero così. Lui non aveva bisogno di nessuno e tutti avevano bisogno di lui, di solito andava così. Ma Ian aveva ragione, forse Mickey aveva bisogno di lui. Fino a quel momento era stato come un uccello in gabbia, aspettando il momento che alcun la aprisse per lasciarlo volare via. E quel qualcuno era Ian, una boccata d’aria fresca un raggio di sole che non si spegneva mai. Ian era la sua libertà.

- Sì – confermò chiudendo di nuovo lo spazio tra loro e lasciando un dolce bacio sulle sue labbra. E poi si mossero di nuovo sotto alle coperte, dimenticando per un altro po’ cosa ci fosse oltre quelle mura, persi nel loro mondo, in un luogo dove erano solo legati uno all’altro.

 

 

NB: Questo era il penultimo capitolo della storia, a breve pubblicherò definitivamente l’ultimo!

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Capitolo 43
*** Molto Più Che Un Ti Amo ***


Nel tentativo di alleviare un po’ la tensione per gli esami imminenti, Ian andò in palestra. Finì di allenarsi verso sera e fu lì che scorse Mickey seduto sul bordo della balconata del complesso in cui si insegnava Storia, il viso nascosto da un giornale, ma questo non impedì comunque a Ian di riconoscerlo. Era nella sua figura, nel modo in cui si vestiva, in cui era in grado di stare comodo nonostante fosse quasi sul punto di cadere da un’altezza di quasi cinque metri, il modo in cui era semplicemente Mickey, che lo rendeva così facile da riconoscere.

- Ehi – lo chiamò quando arrivò sotto di lui. – La prossima volta che cercherai di farmi credere che non sei un gatto, ti ricorderò questo momento. Mickey non rispose quindi Ian entrò, salì le scale e aprì la porta di accesso al balcone. Mickey non si era mosso di un millimetro né aveva detto una parola, totalmente preso dal giornale. - Ehi, che succede? – ci riprovò Ian appoggiandosi alla ringhiera con un tale scatto che Ian dovette fare un passo indietro.

- Non può essere, sto allucinando – disse in tono teso, mettendogli il giornale sotto al naso.

- Ehi aspetta, con calma – rise Ian prendendo il giornale per leggere. Ispezione la pagina per trovare il motivo dell’agitazione di Mickey; aveva gli occhi talmente spalancati che Ian cominciava ad aver paura ma alla fine trovò la ragione di tutto quell’entusiasmo e rimase a bocca aperta. – Porca troia. È… oh mio dio, Mickey –

- Leggi, leggimelo ad alta voce, cazzo –

- “In seguito a precedenti accuse… molte vittime dello stesso fenomeno si sono fatte avanti per confermare atti di estorsione, ricatto e corruzione da parte della compagnia, riportando che tali avvenimenti sono piuttosto frequenti e si sono protratta per un lungo periodo di tempo. Recenti testimonianze stanno portando nuove prove al caso che sostengono l’accusa di crimine organizzato…” –

- La parte più importante – lo rimproverò Mickey afferrandolo per i polsi, come se avesse bisogno di sostenersi a lui per restare in piedi. Gli occhi di Ian tornarono sulla pagina e la sua voce riecheggiò nel vuoto terrazzo.

- “Anche con un avvocato del calibro di Raven Segal, ci sono così tante testimonianze contro Terry Milkovich che…” –

- “Sara difficile che riesca a cavarsela senza conseguenze” – continuò Mickey, la voce sottile per il freddo e le dita che scavavano così tanto nei suoi polsi da lasciare dei segni rossi prima di lasciarli andare, le pupille dilatate. Ian riflesse tutta la pagina, per essere sicura anche lui di non aver immaginato nulla.

Molte persone stavano testimoniando contro Terry Milkovich, perlopiù compagnie minori che esponevano i piccoli e sporchi segreti della sua attività. Qualsiasi cosa Terry avesse fatto o stese facendo, stava saltando fuori tutto dalle fondamenta del suo impero, facendolo crollare qualche gradino più in basso dalla sua posizione privilegiata in cima alla scala gerarchica.

Mickey si sentiva come se un vulcano di energia fosse esploso dentro di lui e non sapeva cosa fare. – Nero su bianco, stronzo – sussurrò, ancora incredulo all’idea che finalmente Terry si stesse scontrando con la giustizia. L’uomo che si credeva invincibile stava per essere fermato, il suo mondo stava andando in frantumi e poteva solo continuare a crollare sempre di più.

 - Mickey – disse Ian raggiante. – È fantastico, cazzo. Quello stronzo finalmente… -. Lasciò cadere il giornale perché Mickey gli si lanciò addosso, mozzandogli il fiato con un abbraccio mentre rideva come un pazzo. Fu così scioccante che inizialmente Ian non seppe cosa fare, se ridere insieme a lui o no. Ascoltò la sua risata genuina e sentì un nodo alla gola quando qualcosa cambiò nel suo tono, che divenne più rauco e dopo poco aveva lasciato da parte le risate per essere sostituito da un lieve ansito. Ian lo strinse e lo baciò sulla testa, rassicurandolo che non c’era niente di male nello sfogarsi.

Mickey non si preoccupò di coprire le lacrime che stavano bagnando la camicia di Ian perché tanto lo avrebbero comunque tradito il tremolio delle spalle e delle ginocchia, quindi che senso aveva? Chi avrebbe mai cercato di soffocare quel tipo di felicità? Quel tipo di felicità che si prova quando si scopre che l’incubo in cui hai vissuto, che credevi non sarebbe mai finito, può sparire, non può più tornare a tormentati e riportarti all’inferno. Terry sarebbe finto in prigione , sarebbe sparito e avrebbe perso tutta la sua protezione, quindi qualcosa di terribile gli sarebbe successo, no? Questo era il segno che il karma era davvero una puttana, no? Anche se fosse stata un’illusione, per Mickey era come se gli avessero appena tagliato una corda attaccata alla sua gamba che lo trascinava giù con il suo peso e quella paura continua nella sua testa svanì, anche solo per un secondo.

 

 

 

Il silenzio della libreria lo distraeva, era tutto troppo calmo e Ian riusciva a concentrarsi a stento per studiare. Ma non era l’unica distrazione. Non riusciva a smettere di guardare Mickey ogni dieci secondi da quando erano arrivati due ore prima. Avrebbe dovuto vergognarsi, arrivato a quel punto rasentava l’inquietudine, ci mancava solo che cominciasse a sbavare, ma ormai non gliene importava più.

L’unica cosa c’è gli ricordava di dover studiare gli appunti invece della faccia di Mickey era Mandy che continuava ad alzare gli occhi al cielo, controllandolo. Non era estranea all’euforia data dal sesso, che faceva con Mickey ogni sera dal loro ritorno da Miami; era più il fatto che lei ne fosse al corrente ad essere sia imbarazzante che rassicurante. Almeno non aveva dovuto dirle ad alta voce che entrava nei pantaloni di suo fratello in ogni occasione possibile.

Mickey sembrava totalmente ignaro, troppo immerso nel romanzo che aveva scelto al volo quando erano entrati, completamente distante da resto del gruppo. In effetti, Ian era abbastanza sicuro che l’unico motivo per cui avesse accettato di unirsi a loro nel suo giorno libero era che aveva esaurito le cose da fare a casa.

Sorrideva tanto, incapace di nascondere l’immensa felicità alla notizia su suo padre. E anche Mandy. Il suo ragazzo era seduto in silenzio che studiava accanto a lei e Ian si era accorto che si stavano perlopiù mandando messaggi romantici, quindi non avrebbe dovuto sentirsi troppo in colpa per aver fissato Mickey invece di studiare, anche se non veniva ricambiato.

E poi c’era Sean, che non smetteva neanche per un secondo di parlare di qualsiasi cosa non centrasse con lo studio, incluse le sue soffocate esultanza per la partita di basket che stava guardando sul portatile. L’unico motivo per cui esultava sottovoce era un livido sulla caviglia, cortesia di un calcio ben assestato di Mickey.

La parte peggiore di quel gruppo di studio era Blake che si era presentato senza invito e si era seduto proprio accanto a Ian, provandoci con lui proprio sotto il naso di Mickey, che in quel momento non doveva funzionare molto dato che era totalmente preso dal libro che teneva in mano.

Ma ad Ian non importava più di tanto, era troppo distratto a guardare Mickey leccarsi la panna della cioccolata calda dall’angolo della bocca. Quando si alzò per andare in bagno, Blake invase immediatamente lo spazio di Ian. Non sembrava disturbato dal suo visibile disagio.

- Vuoi che ti legga ad alta voce quelle flash card? È più facile memorizzarle così -. Il suo ginocchio sfiorò quello di Ian sotto al tavolo e Ian lo spostò con un sussulto, fingendo un sorriso educato.

- No, tranquillo –

- Non è un problema, faremo piano, non daremo fastidio agli altri -. Fu così suggestivo che ad Ian quasi finì il caffè di traverso è questo provocò un sorriso soddisfatto a Blake. Fantastico, proprio ciò che ci voleva.

- Un sinonimo di inquietudine? – lesse Blake sporgendosi ancora di più verso di lui. Ina guardò altrove, sperando che cogliesse il messaggio.

- Turbamento – sospirò Ian facendo traballare il dito sul proprio braccio.

- Che paroloni – commentò con un sorrisetto Blake sfogliando le carte. – Ti piacciono le cose grosse? –

Ian non sapeva neanche come diavolo rispondere a una cosa del genere ma spostò con cautela la sedia più lontano da Blake, verso l’estremità del tavolo. Blake non sembra notarlo e lesse un’altra carta.

- Sinonimo di bestiale? –

- Disumano, selvaggio – rispose Ian lentamente, mentre la definizione gli tornava in mente poco a poco. Blake avanzò con la sedia, avvicinandosi di nuovo alle gambe di Ian.

- Mi sento un po’ selvaggio in questo momento se ti va di andare a fare un giro – suggerì Blake a voce bassa e fu in quel momento che qualcuno lo tirò in piedi alzandolo dalla sedia.

- Porta quella faccia da culo fuori di qui, pervertito del cazzo – sbraitò Mandy trascinandolo per il colletto e spingendolo lontano da tavolo. – La prossima volta preparati ad essere preso a calci nel culo –. La bocca di Sean sfiorava quasi il pavimento per lo stupore a quella reazione e Ben non era da meno, con la faccia d’uno che si stava chiedendo cosa diavolo fosse appena successo. Alcuni studenti nelle vicinanze osservarono la scena mentre Blake si risistemava la maglia alternando lo sguardo tra uno e l’altra.

Mickey tornò giusto in tempo e si sedette al suo posto cercando Ian con gli occhi e alzò le sopracciglia in uno sguardo interrogativo. – Sembra che abbiate appena visto un fantasma, cos’è successo mentre pisciavo? –

- Credo che anche Blake se la sia appena fatta sotto – sorrise Ian lanciando un’occhiata a Mandy che si stava sedendo di nuovo vicino a Ben. Sorrise e tornò a studiare mentre Mickey invece si alzava e faceva il giro del tavolo per andare a sedersi nel posto occupato poco prima da Blake. Rimase incollato al libro quando parlò.

- Stavo cercando di comportarmi da signore per rispetto tuo – disse beffardo. – Lo avrei preso a calci quando avremmo finito qui, ma la giornata è ancora lunga e il campus non è così grande –

- Mick – lo rimproverò Ian senza troppa convinzione; si sentiva stranamente contento. – Non ti preoccupare, ormai so gestire i pervertiti –

- Ma non dovresti trovarti nella situazione di doverlo fare – replicò deciso Mickey alzando gli occhi. – La prossima volta se non sarai tu a fare qualcosa lo farò io – aggiunse dopo un attimo di silenzio. Si fissarono per qualche secondo e Ian si affrettò a tornare allo studio, arrossendo. Era il modo in cui Mickey lo guardava, come se riuscisse a penetrarlo con i suoi occhi. Era tutto il giorno che lo guardava di nascosto e nel momento in cui Mickey ricambiata il suo sguardo si voltava imbarazzato? Grugnì contro al palmo della mano e non alzò più la testa.

 

 

Passò un’altra ora al termine della quale Ian stava rosicchiando la penna, nervoso per il tema che doveva scrivere siccome stava facendo fatica a mettere insieme i risultati delle sue ricerche. Le palpebre cominciavano a calargli e aveva la vista annebbiata. Fece traballare ripetutamente il piede sul pavimento per restare sveglio e si rialzò di scatto quando gli ciondolò la testa.

- Ehi – lo chiamò gentilmente Mickey, sfiorandogli il piede con il proprio. – Hai bisogno di un sonnellino? –

- No, devo finire qui – borbottò copiando gli appunti dal computer sul quaderno. Si stropicciò gli occhi e bevve un sorso di caffè mentre Mickey lo guardava storto.

- È il quarto che bevi da quando siamo qui e a quanto pare non sta facendo niente per tenerti in piedi. Vai a casa e dormi un po’ –

- Non posso, devo finire – fece spallucce Ian scuotendo la testa. Quando gli si chiusero di nuovo gli occhi, gli sembrò che la stanza stesse girando in un vortice di colori e che l’unica cosa che lo teneva ancorato al pianeta terra era il gusto amaro del caffè e il profumo dello shampoo di Mickey. Gemette e cercò di trovare il pavimento, aprendo finalmente gli occhi e respirando a malapena. Mickey gli teneva il viso tra le mani e stava dicendo qualcosa, ma era tutto distorto, proprio come le figure sfuocate delle persone dietro di lui. Ian scosse la testa, cercando di dirgli che non capiva e improvvisamente la terra sotto i suoi piedi svanì.

 

 

 

 

Ian si sedete e cominciò a tossire, cercando freneticamente con lo sguardo intorno alla stanza. Non era più in biblioteca ma nella quiete della sua stanza al dormitorio, nel letto. I suoi occhi si poggiarono su Mickey spaparanzato alla scrivania e che si avvicinò a lui in un lampo. – Cosa… - cerco di chiedere Ian, incapace di formulare la frase che voleva dire.

- Sei svenuto – rispose Mickey. – Hai bisogno di più riposo –

- Potrebbero essere le medicine – spiegò Ian grattandosi la guancia con il dorso della mano.

- Ti ho riportato nella tua stanza, Mandy ha detto he odi il dottore –

- Grazie –

- Hai bisogno di qualcosa da bere o da mangiare? Hai male da qualche parte? –

- Sono già svenuto in passato, non è niente di che, stai tranquillo – sorrise Ian sdraiandosi di nuovo comodamente sul cuscino. – Scusami –

- Ti stai seriamente scusano per questa cosa? – lo riproverò in tono beffardo Mickey sedendosi sul letto.

- Sai come sei fatto – rispose serio Ian. – Ti preoccupi più di qualsiasi altra persona io abbia mai incontrato –

Le sopracciglia di Mickey schizzarono vero l’alto e incrociò le braccia. – Ma sei sicuro di conoscermi bene? –

- Per esempio – continuò Ian. – Hai finto di non essere preoccupato per tua mamma in ospedale pure le hai rimboccato le coperte quand’era ubriaca –

- …okay? –

- E Mandy – proseguì. – Ti preoccupi sempre per lei. Per non parlare del tuo vecchio migliore amico e di tuo zio. Ti preoccupi costantemente per gli altri, soprattutto quando non c’è nessun altro per loro –

- Nel caso non l’avessi notato, o scelto volontariamente di lasciare la donna che mi ha partorito da sola in Florida – ribatté Mickey girandosi verso la finestra. – Perché non me ne fregava proprio di avere a che fare con le sue cazzate –

- Sei bravo a mentire – ridacchiò Ian mettendosi di nuovo a sedere. – Una parte di te vorrebbe star con tua madre, Mickey, e non sei davvero lo stronzo senza cuore che cerchi di sembrare –. Mickey non disse nulla quindi Ian gli posò il più dolcemente possibile una mano sulla schiena. – Penso che tu eviti di andare da lei perché hai paura che si farà del male quando ci sei tu. Magari, sai, un giorno non sarai più capace di andartene e cederai, resterai con lei –

- Non ti stanchi mai di trasformare sempre tutto in una soap opera? Sei tu quello che è svenuto, pensiamo a quello – rispose con una smorfia Mickey spostando il viso dall’altra parte, ponendo qualche centimetro di spazio tra loro.

- Non mi stancherò mai di elencare le cose che mi piacciono di te – sussurrò Ian facendo risalire le mani lungo la sua schiena finché non arrivarono al suo collo. La luce dorata che sbiadiva sempre di più nella stanza creava anelli dorati nelle iridi di Ian mentre percepiva il battito di Mickey sotto alla sua pelle, le pupille dilatate.

- Una lista breve? – chiese piano Mickey, il battito che aumentava.

- Tu che dici? – lo prese in giro Ian.

- Fottiti – sorrise debolmente il moro finché Ian non si chinò su di lui facendolo irrigidire.

- Sei protettivo – cominciò a elencare Ian sfiorandogli la mascella con le labbra mentre le dita si insinuavano tra i suoi capelli. – Generoso –. Credeva di non aver mai sentito Mickey accaldarsi così rapidamente. – Sorprendentemente delicato – ridacchiò lasciando sul suo collo il bacio più legger che avesse mai dato, rapito dal suo respiro soffocato proprio in quel punto.

- E tu invece parli troppo – lo interruppe Mickey spingendolo sul letto. – Questo è in cima alla mia lista –

- E quindi? Mi piaci davvero – si difese Ian sorridendo e incrociando le braccia dietro alla testa. – Non riesco a stare zitto quando ho intorno un bel ragazzo -. Se solo avesse avuto una videocamera per riprendere il rossore di Mickey, non aveva prezzo. Chiese gli occhi e si sistemò comodamente sul cuscino, rapito dal profumo di Mickey. – Sto dicendo queste cose perché non voglio che ti preoccupi per me. Ti fai sempre carico dei problemi degli altri. Riposiamoci un po’ e vedrai che il sonno se ne andrà e non sverrò più, sarò come nuovo –

Quando disse questo, Mickey si chinò e gli diede un lungi e lento bacio che Ian ricambi immediatamente, avvolgendogli le braccia intorno al collo e tirandolo a sé. Si baciarono per un tempo interminabile, abbracciati, e Ian temete di svenire ancora visto che era senza fiato.

Il sole riversava la sua luce indorando le ciglia e la pelle di Mickey mentre stava sopra di lui e gli slacciava la giacca; non protestò quando Ian si intromise per affrettare il tutto e togliergli la camicia. Una volta rimossa lo baciò lungo la clavicola e si staccò quanto bastava affinché Mickey gli sfilasse anche la felpa.

- Tu non mi piaci e basta, provo molto, molto di più – buttò fuori Mickey trascinando le dita sulla sua schiena nuda, baciandolo di nuovo. Ian rabbrividì e si mise sopra di lui, pronto a togliergli i jeans, quando Mickey scambiò le loro posizioni e posò le mani sulle sue.

- Ian – disse in tono disperato, sbattendo ansiosamente le palpebre come se dovesse assicurarsi che ciò che voleva dire uscisse davvero prima che fosse troppo tardi. Ian alzò gli occhi per guardarlo, la voce che gli morì nella gola completamente secca. Si sentiva febbricitante, forse aveva davvero la febbre ed era per questo che era svenuto, ma sotto a quello sguardo si sentiva bruciare. Mickey era a disagio ma mantenne gli occhi nei suoi e abbassò appena la testa, osservando Ian attraverso le ciglia scure. Le labbra erano socchiuse e gonfie di baci e le sue guance erano di una sfumatura più scura, lo sguardo nei suoi occhi luminosi inquieto. Ian avrebbe voluto essere in grado di usare la propria voce per rompere quel silenzio perché lo stava uccidendo.

Il tempo passò finché Mickey non pass dalla timidezza alla disperazione, al coraggio e si chinò per baciare cautamente Ian, prendendoli il viso tra le mani. – Ti amo –

Fu solo un mormorio contro alle sue labbra, solo tre parole, tutto lì, ma Ian inalò ogni sussurrò di Mickey e lo fece proprio come se fosse qualcosa di davvero prezioso, voleva assaporarlo, custodire quel messaggio e assicurarsi che non fosse un sogno. Nessuno gliel’aveva mai detto, non così, non in quel modo.

Mickey non smetteva di baciarlo, probabilmente per nascondere l’imbarazzo, ma Ian rigirò i loro corpi un’altra volta e intrecciò le loro dita. I loro respiri si mescolarono insieme, alla ricerca di qualcosa. Ian credeva di poter cominciare a piangere perché Mickey non se lo stava rimangiando, non stava scappando o cercando di nascondersi, restava semplicemente lì, pronto a prendere qualsiasi cosa Ian gli avrebbe dato. Riusciva a vedere quanto fosse difficile per lui sul suo viso, gli si leggeva in faccia quanto fosse terrorizzato dalle sue stesse parole perché non si era mai concesso, non lo aveva ma detto a nessuno prima, probabilmente da quando era piccolo, prima di essere risucchiato nell’universo infernale di odio intorno a lui.

Quindi Ian lo baciò di nuovo, promettendogli il proprio futuro in ogni respiro, tenendogli le mani per ricordargli di essere prezioso per qualcuno e che non l’avrebbe lasciato andare e dopo pochi secondi si ritrovarono avvolti l’uno all’altro, persi l’uno nell’altro così com’erano sempre stati.

- Io non ti amo e basta, molto, molto di più –

 

 

 

FINE




 

Nota mia: Cari/e lettori e lettrici, come sempre anche questa storia è giunta al termine. Sono molto contenta di essere riuscita a tradurla e pubblicarla per voi perché è in assoluto una delle mie fanfiction preferite. Spero che voi abbiate potuto amarla come l'ho amata io, anche se forse è leggermente diversa dalle altre che ho tradotto.

Con quest'ultima fanfiction, vi voglio salutare. Non per sempre forse, ma per un periodo di tempo indeterminato. Purtroppo, come avrete notato dagli ultimi aggiornamenti sempre in ritardo, non ho più lo stesso tempo di prima per poter scrivere e mi dispiacerebbe troppo portarvi delle storie lasciate poi incompiute. Non è l'unico motivo per cui mi assenterò senza sapere quando tornerò, magari un giorno vi svelerò anche gli altri, ma per ora la ragione principale è questa.

So che manca ancora il sequel di Watch Me Baby, che vi avevo detto vi avrei tradotto e pubblicato, ma purtroppo non ho aggiornamenti da darvi a riguardo siccome non ho più saputo nulla neanche io dall'autrice originale. Se mai dovesse uscire, farò in modo di riuscire a lavorarci sopra così la serie non resterà inconclusa.

Magari mi vedrete ancora pubblicare qualcosa nel frattempo, anche se la vedo difficile, ma non saranno traduzioni di fanfiction. Per ora mi prenderò una pausa, che sarà un po' più lunga delle altre.

Vi voglio ringraziare tutti di cuore, tutti quelli che hanno letto, seguito, commentato, votato, condiviso le mie storie e mandato un messaggio, anche voi lettori più silenziosi ma che so che ci siete. Ognuno di voi ha un posto speciale nel mio cuore per aver reso questo possibile e per avermi sempre lasciato un sorriso. È sempre bello vedere apprezzato il proprio lavoro, vedere il vostro interesse e sapere le vostre opinioni. Quando ho cominciato a pubblicare queste traduzioni non ero nemmeno sicura di volerlo fare perché pensavo di non essere abbastanza brava e che nessuno l'avrebbe lette. E invece non è stato così. Per questo vi dico che se avete un'idea in mente, un progetto, qualcosa che volete davvero fare, buttatevi. Non abbiate paura di sbagliare, anzi, accogliete gli errori, perché sono sempre un grande insegnamento che vi aiuterà a migliorare. So che è più facile a dirsi che il a farsi, ma... Provateci, con i vostri tempi. Arrivederci a tutti e grazie ancora!

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