Momenti nel tempo

di DonutGladiator
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Se parte Shakira... ***
Capitolo 2: *** Immerso nell'oscurità ***
Capitolo 3: *** Gocce del passato ***
Capitolo 4: *** Il portafortuna ***
Capitolo 5: *** L'influenza dello spazio ***
Capitolo 6: *** Nostalgia ***
Capitolo 7: *** Ologrammi ***
Capitolo 8: *** Sul tetto ***
Capitolo 9: *** Keith ***
Capitolo 10: *** Sentimenti discordanti ***
Capitolo 11: *** Fuori dall'oblò ***
Capitolo 12: *** Vincere ***
Capitolo 13: *** Una partenza sofferta ***
Capitolo 14: *** Il giovane malinconico ***
Capitolo 15: *** Fantasmi ***
Capitolo 16: *** Tornare a casa ***
Capitolo 17: *** Quel momento ***



Capitolo 1
*** Se parte Shakira... ***


Questa storia partecipa al COWT8
 

"Se parte Shakira..."



Tutto quello che voleva era un po’ di tranquillità.
E invece il cubano gli stava togliendo anche quel poco di quiete che era rimasta nella loro stanza. Eppure gli aveva chiesto quel favore con il cuore in mano e l’altro sembrava avesse capito che quella cosa era veramente importante.
In biblioteca avevano esaurito tutti i posti disponibili, così l’unica scelta che gli era rimasta era finire quel maledetto progetto in camera loro.
Unico inconveniente era che Lance non doveva fare niente e si era quindi messo a smanettare sul proprio portatile, ascoltando musica pop di dubbio gusto.
Sembravano aver risolto dopo che si era messo le cuffiette, ma c’era comunque qualcosa che non andava. Probabilmente, nel vocabolario di Lance Mcclain la parola “quiete” non esisteva.
-Lance. Per favore, sto cercando di finire, potresti evitare di cantare a squarciagola?- domandò il ragazzo passandosi una mano sul viso, distrutto dall’ennesima nota alta dell’altro che parlava di amori dimenticati e appassiti.
Il progetto era per il giorno dopo, e lui era ancora anni luce lontano dalla sua fine. Lance però, con le cuffiette nelle orecchie, non lo aveva sentito. Hunk, dopo aver cercato di attirare inutilmente la sua attenzione, si alzò dalla scrivania e si avvicinò al letto a castello, togliendogli stizzito una delle cuffiette.
Quando era troppo era troppo.
-Ohi, Hunk, che è successo?- domandò il ragazzo, sinceramente sorpreso.
-Lance stai facendo troppo casino. Quando ti ho chiesto se potevi mettere le cuffie perché la musica era troppo alta speravo evitassi anche di cantarmi in diretta tutte le canzoni.- disse con tristezza, sperando che l’altro capisse che stava cercando di impegnarsi veramente in quel progetto e cercasse veramente di concentrarsi.
-Amico, scusami, è più forte di me. È che se parte Shakira non so proprio come non seguirla nel suo ritmo latino.- rispose accennando a una risata, tagliandola subito dato che Hunk non sembrava propenso a unirsi a lui.
-Dammi due ore ok? Penso di potercela fare.- tagliò corto l’altro, ritornandosene a sedere alla scrivania, sperando di recuperare i pensieri di quanto stava facendo.
Lance annuì e portò una mano a simulare una zip che si chiudeva sulle labbra: -Certo. Sarò più muto di una tomba. Nulla uscirà dalle mie labbra.- Hunk quella volta sperò che avesse effettivamente capito.
Effettivamente, per circa dieci minuti Lance stette completamente in silenzio, poi, come trascinato da chissà quale canzone, iniziò a canticchiare a bassa voce, cosa che era ancora sopportabile, fino a quando, altri cinque minuti dopo, un urlo acuto non aleggiò di nuovo nella stanza, facendo quasi venire un infarto a Hunk, completamente preso nella stesura.
-LANCE!- urlò Hunk, questa volta facendosi sentire dal ragazzo che alzò le spalle mimando qualcosa che poteva apparire come “è più forte di me”.
Il si portò le mani sul viso, esausto nel dover combattere con quella calamità ambulante che gli era toccata come compagno di stanza.
Si alzò dalla sedia recuperando portatile e libri e poi disse a un Lance che ora iniziava anche a mimare mosse di qualcosa simile alla bachata: -Vado in biblioteca, sperando si sia liberato qualche posto.-
Lance sorrise, si alzò dal letto, mimò una mossa sperando che l’altro si unisse a lui, e vedendo che Hunk aveva ormai quasi richiuso la porta dietro di lui, lo salutò con un adios, continuando a scuotere le spalle come se niente fosse.
Hunk sbuffò, e si appoggiò alla porta.
Già solo fuori da quella stanza c’era tutto il silenzio e la quiete di cui aveva bisogno.

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Capitolo 2
*** Immerso nell'oscurità ***


Immerso nell'oscurità


Quanto tempo era passato da quando lo avevano rinchiuso in quella cella buia?
Ore. Forse addirittura giorni.
Lì, in quello spazio vuoto, dove il tempo non aveva più una vera e propria continuità, non poteva fare a meno di tenere un calcolo mentale del suo passaggio, mentre si trovava nel silenzioso buio della cella.
Le cose per passare il tempo non erano tante, quindi aveva incominciato a riflettere. Aveva pensato a tutto quello che l’aveva portato lì, in quel preciso momento. Poi, il pensiero era andato a quello che aveva lasciato sulla Terra. A coloro che attendevano il suo ritorno.
Sapeva quale fosse la procedura della Garrison quando, dopo un determinato numero di ore non avevano notizie dell’esplorazione.
Aveva quindi pensato alla sua famiglia, che ormai lo credeva morto.
E a Keith, che, se lo conosceva bene quanto credeva, si era sicuramente impuntato per cercare un modo per arrivare su nello spazio, e capire cosa fosse successo al suo gruppo. Gli si strinse lo stomaco al solo pensiero che anche lui credesse che fosse morto.
Scosse la testa, sperando di scacciare quei pensieri.
Ripensò a quanto accaduto nell’arena, chissà quanto tempo prima.
Aveva vinto; ma a che prezzo? E cosa aveva sacrificato per farlo?
Forse con la sua mossa aveva messo nei guai Matt, era una contraddizione ma, piuttosto che farlo andare contro a morte certa, attaccarlo era sembrata la cosa più ovvia da fare per salvarlo.
Forse però aveva preso una decisione sbagliata. O forse quanto aveva fatto gli aveva salvato la vita. Di certo, qualcosa nella sua era cambiata.
Vincere nell’arena lo aveva portato a essere conosciuto come uno che aveva foga di combattere, ed era stato nominato come Campione tra i Galra.
Gli avevano medicato le ferite più profonde e poi lo avevano buttato in una cella a marcire.
Completamente da solo.
Immerso nell’oscurità.
La cosa peggiore era che si era quasi abituato a quella prigione.
All’inizio, non avere nemmeno una fonte di luce lo aveva destabilizzato. Aveva urlato ripetutamente che qualcuno gli desse delle spiegazioni, che lo facesse uscire, che gli dicesse come stavano i suoi amici.
Ma nessuno era venuto per Shiro.
Almeno nessuno di amico. In realtà anche troppa gente veniva per lui. L’avevano preso e buttato ancora nell’arena. Poi erano iniziati gli esperimenti e qualcosa che era oscurato nella sua testa. L’avevano quindi portato in una nuova cella, diversa dalla precedente, più luminosa, ma forse più soffocante della precedente.
Nella solitudine, si era adagiato al suolo, con le mani che coprivano il volto e aveva fatto l’unica cosa che poteva fare.
Resistere.
Aveva resistito alla voglia di gridare ancora, di piangere, di prendere quelle sbarre e distruggerle con quel maledetto braccio di cui gli avevano fatto dono.
Nell’oscurità, immerso in un tempo che pareva infinito, l’unica cosa che Shiro aveva fatto era resistere. Anche quando erano venuti di nuovo per lui, aveva alzato la testa e li aveva guardati con disprezzo, non dandogli alcuna soddisfazione di vederlo cedere a quel vuoto che in cui lo avevano buttato.
Ma la sua tenacia vacillava.
Sarebbe bastata una piccola spinta per farlo cadere nel baratro dell’oscurità più totale e della disperazione. Per un tempo che sembrava ormai non avere più fine, aveva combattuto battaglie nell’arena. Troppe.
Aveva visto troppe guardie passare davanti la sua cella, prima di capire cosa poteva effettivamente fare.
In quel tempo che era sembrato infinito, era rimasto abbastanza lucido da poter evadere. Capendo il loro ritmo, aveva calcolato i tempi delle guardie meccaniche. Di quelle macchine che non sforavano mai il secondo, che facevano lo stesso numero di passi ogni volta che passavano davanti alla sua porta.
Una volta sull’astronave, dopo essere fuggito dalla sua prigionia, ringraziò di essere rimasto lucido abbastanza per riuscire a scappare da quella prigione, dopo un tempo che gli era sembrato infinito.
O almeno, questo era quello che credeva.

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Capitolo 3
*** Gocce del passato ***


Gocce del Passato

 

Ama la sua città.
Sin da quando ha memoria, Varadero è sempre stata immersa nei colori vivaci e nei raggi del sole, che filtrano attraverso ogni piccolo buco che riescono a trovare, anche e - qualcuno avrebbe detto - soprattutto, nei vicoli più poveri. Nelle case di quelle persone che faticavano ad arrivare a fine mese, ma erano sempre pronte a regalare un sorriso per tutti quelli che incontravano.
Varadero è sempre stata così. Caotica, colorata e a volte puzzolente, ma nonostante questo è una città speciale, e che lei ama chiamare “casa”.
Una città in cui aveva messo radici, trovato un uomo che amava profondamente e che le aveva dato moltissime altre cose da amare, tra cui i suoi preziosi figli.
Una madre non dovrebbe avere un figlio preferito, ma era stato inevitabile condividere un legame più stretto con l’ultimo nato. Forse perché era arrivato inaspettato, quando pensava di non poter più essere benedetta da un altro bambino.
Lance era stato quello che le aveva dato più gatte da pelare tra tutti i suoi figli ma quello che l’aveva fatta più ridere. Era quello che amava rimanere alzato fino a tardi a giocare ai video game, che la faceva urlare quando non voleva mangiare le verdure, che usciva di casa sorridendo e dandole un bacio sulla guancia, che non amava troppo studiare ed era perso nei suoi sogni di gloria.
Era anche quello che ballava senza alcun contegno le canzoni latine, e da piccolo voleva diventare un ballerino.
Lei gli aveva sorriso e dato una carezza sul viso, per poi accettare di ballare con lui, anche se aveva la schiena che le lanciava fitte micidiali e un ginocchio malandato.
Ballavano fino a quando entrambi non erano esausti e allora lei lo stringeva forte al petto e gli diceva che sarebbe potuto diventare chiunque avesse voluto.
E lui ridendo aveva continuato a ballare, dentro casa, e a cantare a squarciagola.
La sua casa si era riempita di vita con quel bambino così energico, che era più luminoso del sole e le riempiva la testa di mille domande, incurante della sorella maggiore che iniziava ad avere i primi problemi con i ragazzi, facendo ridere anche lei tra un sospiro e l’altro.
Quando poi il suo desiderio era cambiato, lei aveva continuato ad appoggiarlo. Era rimasta al suo fianco quando aveva dovuto prepararsi per gli esami finali della scuola e aveva dovuto separarsi dalle sue amate canzoni per rimanere più concentrato; quando aveva mandato il modulo per l’iscrizione e quando alla fine la Garrison aveva mandato la sua lettera di risposta.
Era stata la prima che Lance aveva abbracciato, quando aperto la lettera, aveva scoperto di essere stato ammesso alla scuola dei suoi sogni e che sarebbe infine potuto diventare un pilota e andare nello spazio, a scoprire nuovi mondi.
E poi, quando era andato via, era come se il sole se ne fosse andato con lui.
Guarda fuori dalla finestra e sospira, sbirciando lo schermo del proprio cellulare.
Varadero quel giorno è grigia. Le nuvole coprono il sole, e la pioggia scende fitta sulle strade. Ama quella città ma ora, senza di lui le sembra solo un guscio vuoto.
Solo quando lo schermo s’illumina e le appare il volto del figlio ritrova il sorriso, sperando che quel giorno la sua chiamata duri un po’ di più.


NdA:
Volevo farla più cupa in realtà ma poi mi è presa una stretta al cuore e ho deciso che no, non volevo addentrarmi nel dolore di quella povera donna che aveva perso il suo bambino, e mi sono fermata. A prima che Lance scomparisse dalla Terra senza avvisare nessuno, e... basta perchè non ce la faccio T_T
Grazie a chi arriverà a leggere fin qui e ha letto anche le precedenti.
Mi dispiace se non sono granché, o forse troppo introspettive e poco a livello di trama, spero di creare qualcosa migliore prima o poi.
 

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Capitolo 4
*** Il portafortuna ***


Il portafortuna
 
-Fratellone, guarda!- aveva urlato Katie, mostrando al ragazzo la sua ultima opera, piena di sgargianti colori pastello che dovevano unirsi per formare qualcosa di sensato.
-Ma che belli questi… - si fermò, cercando di identificare quello che effettivamente una bambina di sette anni potesse aver disegnato e che al momento sembravano rampicanti e qualcosa dai colori stranissimi e variopinti che spuntavano fuori, sospesi nell’aria: -… ehm, fiori?- disse, quasi domandandoglielo per essere sicuro di non aver preso un abbaglio.
-Sì! È un parco botanico con tanti fiori!- aveva esclamato Katie, sorridendogli e mostrando una finestrella sui denti davanti che la rendeva ancora più adorabile di quanto non fosse: -Oggi a scuola abbiamo letto di un signore che si prendeva cura di un parco botanico e la maestra ha detto di disegnarlo a casa come più ci piaceva!-
Matt sorrise e le fece una carezza tra i capelli, sperando che quel sorriso non si spegnesse mai sul volto della sorellina.
-È bellissimo Pidge.- mormorò, restituendole il disegno: -Posso avere anche io un tuo disegno? Sai, devo studiare alcune cose importanti, e mi farebbe comodo avere un portafortuna.-
La bambina era arrossita e poi gli aveva fatto un altro sorriso, entusiasta dalla richiesta, urlandogli che gli avrebbe fatto un disegno bellissimo.
-Entrerai sicuramente nella scuola di papà!- aveva mormorato, per poi sgambettare fino al tavolo in salone, su cui vi erano sparsi tutti i colori. Quindi si era messa all’opera, disegnando il più bel portafortuna che suo fratello potesse chiedere.
Ci aveva lavorato per più di due giorni, con perizia millimetrica, e solo quando era stata completamente soddisfatta del suo operato, aveva mostrato al fratello quello che aveva fatto.
-Ti piace?- aveva chiesto, con forse una timidezza che Matt non si sarebbe aspettato da lei, veramente preoccupata che il fratello potesse non apprezzare quel regalo.
Lui, quella volta, aveva riconosciuto subito il soggetto raffigurato nel disegno la sorellina aveva realizzato per lui. Aveva utilizzato tutto il suo autocontrollo per non scoppiare a piangere davanti a lei.
-È il disegno più bello che abbia mai visto.- aveva risposto Matt, per poi stringerla in un abbraccio e darle un bacio sulla fronte: -Quando sei diventata così brava?- le aveva quindi chiesto, tornando a guardare il disegno, che lo ritraeva sopra una dolcissima astronave rotondeggiante insieme alla sorella, circondati da tante luminose stelle e pianeti, su uno sfondo blu che doveva rappresentare lo spazio.
-Avevo detto che ti avrei fatto il portafortuna più bello di sempre!- aveva esclamato lei, tutta contenta che il fratello avesse apprezzato il suo regalo.
E Matt aveva portato con sé quel disegno per anni, ripiegato e infilato dentro il porta schede in cui teneva i documenti. Non era una persona superstiziosa, credeva nell’impegno e nel duro lavoro, però, quel disegno era diventato quasi un monito nel fare sempre meglio, per non deludere la sorellina, che lo guardava sin da piccola con gli occhi pieni di ammirazione.
Anche in quel momento, sul ponte di comando prima della partenza della nave che lo avrebbe portato per la prima volta nello spazio, il disegno di Katie era con lui, nascosto con perizia in una tasca all’interno dei suoi abiti. Non se l’era sentita di separarsene, soprattutto non per un evento così importante.
Shiro gli poggiò una mano sulla spalla, distraendolo dai suoi ricordi.
-Sei pronto?- chiese, per poi sorridergli fiducioso.
-Ci puoi scommettere.- Matt l’aveva guardato negli occhi e aveva ricambiato quel sorriso, poi, l’astronave aveva iniziato il conto alla rovescia.

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Capitolo 5
*** L'influenza dello spazio ***


L'influenza dello spazio


Sarebbe stato più facile infilarlo dentro una di quelle capsule per un minuto, lui l’aveva detto fin da subito, Coran però si era opposto alla cosa e Allura era stata dalla sua parte, dicendo che per una simile cosa le capsule non erano adatte e tutti si erano schierati con loro, dato che nessuno conosceva il loro esatto funzionamento. Quando poi Keith aveva spiegato che intendeva metterlo in una capsula per finta, gli altri lo avevano persino guardato storto, come se avesse detto una delle cose più cattive al mondo, persino per uno come lui. Solo Pidge aveva accennato a una risata, subito smorzata per via della visione delle facce degli altri.
Alla fine però non erano Coran e Allura che si era ritrovati a essere la balia di Lance, ma con suo enorme sconforto, lui.
Il ragazzo si trovava a letto con quello che aveva descritto come un male atroce allo stomaco e che Keith aveva semplicemente liquidato come troppi frullati ingurgitati che avevano scombussolato il metabolismo del cibo dello spazio.
Aveva dato il cambio a Pidge e Hunk che prima di lui avevano badato che Lance non avesse bisogno di niente ma per suo enorme rammarico, si era ritrovato in una situazione che avrebbe volentieri evitato.
All’inizio, entrando nella stanza la malattia di Lance gli era sembrata essere più grave di quanto avesse all’inizio sospettato, il ragazzo si era arrotolato nella coperta e aveva semplicemente alzato un po’ la testa quando aveva sentito la porta aprirsi.
-Keith.- aveva sussurrato con una voce che non sembrava nemmeno la sua, come se tutta la sua forza fosse stata risucchiata.
-Ti serve qualcosa Lance? Come stai?- gli aveva chiesto, stranamente preoccupato per lui.
-Malissimo.- aveva risposto l’altro con anche troppa enfasi, che aveva allertato il paladino rosso, iniziando a insospettirlo.
Keith si però era avvicinato al letto e gli aveva passato il bicchiere d’acqua che aveva richiesto.
-Ti hanno mandato a dirmi che sto per morire, vero?- aveva chiesto, con voce lamentosa e melodrammatica.
-Lance, non stai per mo- ma Lance non gli aveva dato il tempo di concludere la frase che aveva ripreso a parlare.
-Non mentire. Ho preso l’influenza dello spazio, lo so! Non avete voluto farmi entrare nella capsula nel momento del bisogno. Non deve esserci più speranza ormai per me.- da zero a dieci in un nanosecondo, Lance era riuscito a sparare anche troppe cazzate, persino per lui.
-Lance!- urlò Keith spazientito, interrompendolo: -Non stai per morire e non hai l’influenza. Uno con l’influenza non è così attivo, tra le altre cose. Hai preso un’indigestione, sicuramente a causa di tutti quei frullati.-
-Mi avete avvelenato per sbarazzarvi di me.- la voce si era di nuovo ridotta a un sussurro e per avvalorare quelle parole si era portato la coperta sulla testa per rifugiarsi sotto di essa, come se si trovasse in un bozzolo.
-Ma che? Nessuno ha fatto una cosa del genere!- Keith non sarebbe riuscito a sopportare un altro minuto in compagnia di un Lance che aveva intenzione di comportarsi come un bambino a cui fosse caduto il leccalecca per terra.
Irritato, si avvicinò alla porta e fece per uscire, avendone abbastanza di quel comportamento e stando bene con se stesso in quanto aveva svolto il compito di portare quel bicchiere d’acqua.
E diciamocela tutta, a Lance non serviva qualcuno che guardasse come stava, anzi, forse sarebbe stato più utile qualcuno che gli tirasse un pugno quando iniziava a dire quelle stupidaggini, piuttosto che qualcuno che badasse a lui.
Proprio mentre la porta si apriva, la voce flebile dell’altro lo chiamò.
-Keith…-
-Cosa?-
-Mi porteresti un frullato? Ho fame.-

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Capitolo 6
*** Nostalgia ***


Questa storia partecipa al COWT8
Prompt: Lontananza
Nostalgia

Stringe i comandi del leone rosso e abbassa lo sguardo.
È contento che non ci sia nessuno con lui, nell’abitacolo di Red, probabilmente l’espressione che sta facendo in quel momento porterebbe solo a domande scomode.
Chiude gli occhi e cerca di ritrovare la calma.
Si sfila il casco e lo getta a terra, poi si porta le mani al volto.
 
Nessuno sa quanto è successo quando lo vedono finalmente entrare nella sala di comando del Castello dei Leoni. La sua espressione sembra quella di sempre, un sorriso, una battutina infilata qua e là, ed è sempre lo stesso Lance di sempre.
Almeno in apparenza.
Lui non si sente lo stesso Lance di sempre da troppo tempo.
Gli manca la sua famiglia.
Gli manca parlare con loro. Gli manca l’affetto di sua madre, poterle dare un bacio e sentire il suo caldo abbraccio stringerlo.
Sul ponte di comando, vicino a Shiro e a Coran, non può fare a meno di domandarsi come mai si trova lì in quel momento, e quando finalmente riuscirà a tornare a casa.
È quasi sorpreso quando sente il braccio di Shiro sulla sua spalla, stringersi in un gesto affettuoso che raramente il paladino gli riserva.
-Tutto ok Lance?- domanda il ragazzo, mentre Coran si allontana da loro, per andare a interessarsi di qualcosa fuori dal loro raggio visivo, probabilmente rimproverare qualcosa a Pidge e Hunk che parlottano tra loro poco più avanti.
Lance annuisce, mascherando ancora una volta le sue reali emozioni.
-Sai che puoi parlare con me, vero?- chiede il paladino nero.
Lance abbassa lo sguardo, titubante.
Non sa se potersi fidare di Shiro, ma una parte di lui vorrebbe farlo. Vorrebbe buttarglisi contro e iniziare a urlare che gli manca tutto della terra, dalla sua famiglia, alle piccole cose, come la pioggia e la possibilità di farsi una nuotata in una piscina con il giusto punto di gravità.
Apre la bocca come per dirgli qualcosa, ma poi si blocca, decidendo di fargli un sorriso ed evitare il discorso. Non si sente pronto a condividere quelle informazioni con Shiro.
-Non è niente.- liquida il discorso come se niente fosse. Non vuole far preoccupare Shiro soprattutto in un momento come quello, in cui il suo leone non vuole ubbidirgli.
Il ragazzo gli lancia uno di quegli sguardi che riescono a comunicare qualsiasi cosa, facendogli intendere che crederà a quanto gli ha appena detto, ma che in realtà non ci crede per nulla.
Lance trattiene una risata a quell’espressione, mentre lo guarda allontanarsi per andare a parlare con Allura e Keith.
Nonostante non riesca ancora ad aprirsi completamente, nei momenti in cui la lontananza dalla sua famiglia si fa insopportabile, Lance sa che può contare sui suoi amici. Anche senza confidargli tutti i suoi problemi, loro riescono a capire che cosa c’è che non va, e in qualche modo, farlo sentire apprezzato, e, in qualche modo, amato.
-Non so cosa sia accaduto, ma Keith, sicuramente la colpa è tua.- urla agitando un dito davanti la faccia del paladino, avvicinandosi al terzetto, dando un’opinione sicuramente non richiesta, iniziando dopo pochi istanti, l’ennesimo litigio.

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Capitolo 7
*** Ologrammi ***


Questa storia partecipa al COWT8
Prompt: Lontananza (dal gelato o da casa? Questo è il problema XD)


 
 
Ologrammi



-È fantastico Hunk, grazie.-
Hunk abbassò appena gli occhi, grattandosi una guancia: -Non è stato tutto merito mio, Pidge ha fatto la maggior parte del lavoro.- fece una piccola pausa, posando nuovamente lo sguardo sulla figura di Lance che gli dava le spalle e continuò: -Io ho solo dato qualche aiuto nel scegliere il panorama e sistemato alcune parti elettriche.-
Quando Lance gli aveva detto che c’era una piscina nel castello dei leoni, Hunk era rimasto subito incuriosito e aveva deciso di fare una piccola sorpresa al suo amico, ben sapendo quanto sentisse la mancanza da casa.
Era andato da Pidge, che aveva prima sistemato il senso della vasca – stranamente sottosopra – e poi programmato degli ologrammi simili a quelli che Allura aveva nella sala con i ricordi del re di Altea. Questo gli aveva quindi permesso di costruire un panorama artificiale che somigliava alle spiagge di Cuba.
O meglio, Hunk non aveva mai visitato Cuba e si era ispirato alle sue spiagge ma Lance adesso avrebbe potuto rendere tutto più familiare.
E quelle spiagge sarebbe infine diventate come le spiagge dei suoi ricordi.
-Dovrò ringraziare anche lei allora.- Lance si allontanò dalla perfetta riproduzione di una sabbia dorata e si voltò verso l’amico, sfoderando un sorriso a trentadue denti.
Hunk sorrise a sua volta, titubante. Quel sorriso non gli era piaciuto. Sembrava tutto tranne che un sorriso.
Perché Lance non sembrava essere felice come aveva immaginato sarebbe stato?
Con un movimento veloce, mise un braccio intorno alle spalle di Lance stringendo lievemente la presa: -Puoi fare anche tu qualche modifica se vuoi. Magari potresti programmare un paio di palme, qualche albero di noci di cocco e un chioschetto di gelati… magari il chioschetto no, sennò poi mi viene voglia di gelato.- Hunk si incupì appena: - E qui non ci sono modi per preparare gelato…-
Lance sorrise di nuovo, questa volta veramente e si staccò dall’altro, assumendo un’espressione che non preannunciava niente di buono.
-Sai, qual è il prossimo passo, vero?- domandò, alzando un sopracciglio.
Hunk lo guardò perplesso, aveva sempre odiato quelle domande, non poteva mica sapere cosa passasse per la testa di Lance, giusto?
-Andiamo a mangiare qualcosa?- domandò titubante, ben sapendo di sbagliare.
-Pool party, Hunk. – rispose Lance, come se fosse un’ovvia conseguenza a quella riproduzione olografica.
-Oh.- dapprima ci fu la delusione per il rifiuto ad andare in cucina, ma poi, quando realizzò le parole di Lance, un successivo “oh” gli scappò dalle labbra, solo che questa volta più entusiasta.
-E il gelato possiamo prepararlo. Abbiamo una mucca del resto. Niente è impossibile.- Lance sorrise e si passò una mano sotto il naso, cercando di assumere una posa fica.
Hunk lo squadrò per bene. Non sapeva se fidarsi o meno di quel Lance. Ancora non era riuscito a inquadrarlo per bene, nonostante lo conoscesse da tempo, Lance era un libro che doveva essere letto fino all’ultima pagina prima di comprendere veramente ciò che gli passasse per la testa.
Sperava che quel gesto gli avesse un minimo sollevato il morale, facendogli per un momento smettere di pensare alle cose che erano lontane, sulla Terra, per concentrarsi su quello che avevano lì, nel Castello dei leoni.
Dal canto proprio, la scoperta che il gelato poteva essere effettivamente preparato, grazie a Kaltenecker, gli aveva, stranamente, risollevato la giornata.

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Capitolo 8
*** Sul tetto ***


Questa storia partecipa al COWT8
Prompt: Crepuscolo
Pairing: Sheith preKerberos

 
Sul tetto

 
Sul tetto dell’Accademia, Keith guardava il sole scendere sempre più in basso, mescolandosi con l’orizzonte e lanciando bagliori rossastri che si mescolavano con il cielo blu poco più in alto. Venere era già spuntata in cielo, ma dell’altro ancora nessuna traccia.
Gli aveva detto di vedersi sul tetto quando il sole sarebbe stato completamente nascosto nel cielo e il crepuscolo avrebbe offuscato l’orizzonte.
Shiro era sempre impegnato.
Non lo turbavano più i suoi ritardi. Non come prima.
Affondò il volto nelle ginocchia e sospirò, sapendo che non avrebbe potuto continuare in quella maniera, soprattutto quando sarebbe partito, di lì a breve, lasciandolo da solo alla Garrison, ad aspettare notizie della missione, a sbrigarsi per diplomarsi e seguirlo nello spazio, per stare di nuovo insieme.
Almeno per quello che lo riguardava. Magari Shiro non vedeva l’ora di liberarsi di lui, che lo seguiva ovunque con lo sguardo e che non vedeva l’ora che l’altro avesse un minuto di tempo per raggiungerlo sul tetto, teatro dei loro molteplici incontri.
Il suo posto preferito grazie alla presenza dell’altro.
Mentre il sole era ormai sparito e l’arancione di questo si faceva sempre più fievole lasciando una indefinitezza propria del momento crepuscolare, la porta si spalancò.
-Da quanto sei qui?- chiese il ragazzo, avvicinandosi con un sorriso sul volto, nascondendo il fiatone, per non far capire a Keith che aveva corso facendo le rampe di scale per raggiungerlo in tempo.
-Un po’.- liquidò il cadetto, posando le mani sul pavimento freddo, alzando la testa verso Shiro, che si abbassava verso di lui sfiorandogli i capelli con la mano destra, in un gesto che ormai era divenuto anche troppo familiare: -Non è un problema. So che saresti venuto. Aspettare non mi disturba.-
Shiro sorrise e si sedette accanto a lui.
-Quindi, raccontami. Come è andata oggi?- chiese, mentre anche il crepuscolo lasciava spazio alla notte e le altre stelle si accendevano nel cielo, sopra i due, che rimasero seduti l’uno accanto all’altro, raccontandosi le giornate trascorse dall’ultima volta che avevano avuto occasione di parlare.

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Capitolo 9
*** Keith ***


SPOILER S5
Questa storia partecipa al COWT8
Prompt: Dolcezza
Keith

 
 
Guardò il frugoletto che dormiva sereno stretto tra le sue braccia e un sorriso le si allargò sul viso stanco.
Non avrebbe potuto dire che fosse come i piccoli della sua razza, ma quello era il suo piccolo e questo le faceva provare un amore che non aveva mai sentito prima di allora, nemmeno per l’uomo che sorrideva gentile al suo fianco.
Si voltò verso di lui e poi guardò il piccolo, che aveva preso i colori dei terrestri ma i suoi lineamenti delicati del viso. Senza alcun preavviso, le scappò una lacrima che scese su una guancia, subito intercettata dal dito dell’altro.
-Va tutto bene?- domandò stringendosi alla donna e a suo figlio, mentre sfiorava le manine paffutelle del piccolo.
Lei annuì.
Sembrava che tutti i problemi che avrebbe potuto avere fossero semplicemente stati accantonati da quando aveva preso il piccolo tra le braccia.
-Non riesco ancora a crederci. È bellissimo.- sussurrò mentre continuava a guardarlo pisolare stretto alle sue braccia.
-Siete entrambi bellissimi.- rispose l’uomo, posando un bacio sulla fronte di entrambi, con gli occhi traboccanti d’amore.
Krolia amava la sua dolcezza e la schiettezza nelle sue espressioni, una delle cose che l’aveva spinta verso di lui seppur fossero due popoli completamente diversi.
Il pensiero del suo popolo la colpì all'improvviso dritta in un punto in cui faceva ancora troppo male pensare al futuro suo e di quel bambino meticcio.
-Io…- sussurrò, incupendosi all’improvviso. I problemi erano ritornati quando aveva pensato al suo popolo e al fatto che quel bambino era così diverso da loro: -… non potrò crescerlo.- aggiunse, abbassando lo sguardo e stringendosi al bambino, triste per quanto aveva appena realizzato.
-Shh…- mormorò l’uomo, invitandola a non pensare a cose in quel momento non necessarie, abbracciandola con trasporto, cercando di trasmetterle tutto l’amore che provava per lei e quel piccolo miracolo che gli aveva donato: -Non devi pensarci adesso, Krolia. Goditi il suo calore tra le braccia e guarda la sua faccina paffuta. Il resto può aspettare. Troveremo una soluzione che riesca a tenerti con noi.-
Ma più la Galra lo guardava, più i pensieri su come avrebbe potuto rimanere accanto a entrambi si affollavano nella sua mente, non trovando soluzioni.
Le unioni tra Galra e altre razze non erano ben viste. Se si fosse scoperto che quel bambino era in parte umano, una razza considerata inferiore e indegna, cosa gli sarebbe accaduto?
La giovane strinse i denti e cercò per il momento di accantonare quei pensieri, come l'altro le stava suggerendo.
-Vorrei chiamarlo Keith.-
La voce dell’uomo le giunse lontana e l’altro dovette ripetere la frase un’altra volta per farle effettivamente sentire quanto avesse detto.
-Keith…- sussurrò Krolia pensando a quel nome mentre guardava il piccolo esserino che sbadigliava tra le sue braccia per poi sbattere le palpebre e guardarla con quei due pozzi scuri, come se l’avesse sentita pronunciarlo.
Nonostante somigliasse all’umano, gli occhi erano chiaramente i suoi, e Krolia fu felice che avesse ereditato anche qualcosa di lei. Con un dito gli sfiorò una guancia, facendosi afferrare il dito dal piccolo, che sembrava incuriosito da quello strano oggetto che gli sventolava davanti al nasino.
-Sembra gli piaccia.- disse, cercando di accantonare quei pensieri il più a lungo possibile e godersi ogni piccolo momento con i due umani a cui ormai teneva più della sua stessa vita.
-Keith…- sussurrò di nuovo, avvicinandosi a quella piccola guancia e strofinando il naso su di essa, in un gesto d'affetto, innamorata più che mai di una creatura che ai suoi occhi di Galra era tutt’altro che inferiore.

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Capitolo 10
*** Sentimenti discordanti ***


SPOILER S5
Questa storia partecipa al COWT8
Prompt: Indifferenza
Coppia: Lotura
Sentimenti discordanti
 

Cercare di restare indifferente al fascino dell’altro stava cominciando a diventare difficile.
Allura sbirciò con la coda dell’occhio il Galra al suo fianco, sperando che non si accorgesse che da qualche giorno aveva iniziato a guardarlo con occhi diversi.
Aveva tentato di rimanergli indifferente, di non cadere nella trappola che erano i suoi occhi, il suo sorriso e il suo corpo, ma non ce l’aveva fatta.
Nonostante non si fidasse minimamente dei Galra, detestasse la loro presenza e il fatto che avessero sterminato tutta la sua gente, qualcosa l’aveva spinta a guardare Lotor con occhi diversi da quelli iniziali di nemico.
Aveva scoperto che sua madre era Honerva e questo l’aveva chissà come fatta rilassare. Era sì un Galra, ma anche un Alteano.
Non aveva idea se queste due nature avrebbero mai potuto coesistere dentro di lui, ma voleva assolutamente scoprire qualcosa di più sul suo conto, conoscerlo meglio.
I loro occhi si incontrarono e lei facendo finta di niente spostò lo sguardo su un altro punto della stanza ma riuscì a vedere con la coda dell’occhio il suo sorrisetto.
La mattinata successiva alla proclamazione di Lotor come reggente in carica dell’Impero dei Galra, Allura aveva deciso di staccare per un attimo la spina, provata da tutte quelle nuove informazioni, confusa più di prima. Aveva quindi deciso di osservare Coran nella sala di controllo del Castello dei Leoni, mentre giocava con i topini.
-Coran, tu che ne pensi di Lotor?- aveva poi chiesto alla prima occasione utile, quando lui aveva smesso di parlare di quanto difficile fosse trovare un determinato pezzo di ricambio per la nave. Aveva cercato di non mostrarsi troppo interessata all’argomento, ma era cerca che Coran avrebbe sentito che c’era un reale interesse per quella faccenda e che la sua domanda era molto importante per lei.
-Beh… Per farla breve, non mi fido di lui.- aveva risposto l’uomo, gettandole un’occhiata dura, per avvalorare quel giudizio: -Ha qualcosa che non mi convince, non so spiegarmi bene, ma quel modo di fare…- sospirò abbassando lo sguardo.
-Ricordo che suo padre aveva il suo stesso carattere, persuasivo, affascinante… Il re Alfor, anche lui era completamente affascinato da quella personalità, e…- Coran si fermò notando lo sguardo della principessa, improvvisamente incupito: -Mi dispiace principessa, non volevo tirare fuori questo discorso. Ho solo paura che lei possa affezionarsi a qualcuno che non sta rivelando veramente chi è in realtà.-
Allura allungò una mano verso il topino azzurrino, dandogli una carezza con il dito.
-Non rivela la sua vera natura…- bisbigliò tra sé, pensando a quanto aveva visto di Lotor. Non era nemmeno lei sicura di potersi fidare di lui, altrimenti non avrebbe fatto quella domanda a Coran. La sua risposta non l’aveva rassicurata neanche un po’.
Una parte di lei, in verità una parte troppo grande dentro di lei, avrebbe voluto che l’altro le avesse risposto che di Lotor aveva piena fiducia e che anche lei poteva fidarsi di lui.
La ragazza ripensò alle parole di Coran per tutta la giornata, cercando di decidere cosa pensava lei di Lotor, se le sue parole erano effettivamente degne della sua fiducia.
Ma la cosa più importante era che doveva decidere se voleva tentare di passare sopra al fatto che lui fosse un Galra, la razza che aveva decimato la propria e soprattutto, il figlio del loro acerrimo nemico e ormai il nuovo imperatore.
Qualcosa dentro di lei non voleva ancora dimenticare le parentele dell’altro e il suo ruolo passato all’interno dell’impero ma un’altra parte non vedeva l’ora di poterlo fare.
Trattarlo con indifferenza non era più una possibilità perché, volente o nolente, c’erano dei sentimenti che provava nei confronti dell’altro.
Doveva solo decidere quale dei due fossero stati più intensi e quali assecondare.
-Allura!-
La ragazza sussultò al suono di quella voce, dall’accento così simile al proprio.
-Volevo parlarti di una cosa importante.- aggiunse Lotor, sorridendole.
Allura tentò di non arrossire, ma dal calore che provava, seppe che non c’era riuscita.
-A essere sincera, anche io.-
Lotor sembrò sorpreso a quelle sue parole.
-Ti va di fare due passi?- domandò l’altro con un gesto della mano, invitandola.
-Siamo nel mezzo dello spazio, dove vorresti andare?- chiese la ragazza sarcastica.
-Sono sicuro che all’interno del castello ci sia un posto in cui potremmo avere un po’ di privacy e parlare in tranquillità.- disse lui con una voce stranamente seducente.
O forse aveva solo immaginato quel tono così sensuale da parte dell’altro?
-In effetti, c’è un posto che vorrei farti vedere.- disse lei, ben sapendo dove voleva portare l’altro e facendo strada.
-Non vedo l’ora.- aggiunse Lotor, seguendola.
Allura non poté vederlo, ma il sorriso che comparve sul suo volto era tutt’altro che degno di fiducia.

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Capitolo 11
*** Fuori dall'oblò ***


Questa storia partecipa al COWT9
Prompt: Neve


Pidge ricordava perfettamente tutte le cose belle che aveva condiviso con la sua famiglia, in particolare le marachelle che lei e Matt combinavano sin da bambini.
Sua madre li sgridava a ogni minima cosa, dal nascondere le carte da collezione di loro padre, a mangiare di nascosto la marmellata che nascondeva nel ripiano più alto in cucina, sperando che quel vecchio trucco fermasse i propri figli.
Ovviamente nulla aveva mai fermato i due fratelli.
Erano una piccola squadra, sempre pronta a cacciarsi nei guai e a creare confusione in casa e fuori.
Alla ragazza la sua famiglia mancava terribilmente.
Anche ora, dopo aver ritrovato suo padre e suo fratello e sapendo che entrambi erano salvi sentiva una forte nostalgia, non solo dei membri della sua famiglia ma anche del pianeta Terra, che sembrava distante anni luce dal punto in cui si trovavano.
Quel giorno la nostalgia era più forte che mai e guardando volteggiare le piccole sfere bianche dalla finestra dell’oblo del Castello dei leoni, non poté fare a meno di pensare a un episodio che sembrava accaduto infiniti anni prima.
Si trovavano per la prima volta lontano da casa, suo padre veniva premiato per un’importante lavoro che aveva svolto e tutta la sua famiglia era stata invitata alla cerimonia, cosa che aveva reso i due piccoli fratelli euforici per la trasferta che li aspettava.
Per entrambi era il primo vero viaggio fuori dalla città dov’erano cresciuti, e l’idea dell’ignoto, la ragazza lo ricordava ancora adesso, la spaventava ed entusiasmava allo stesso tempo.
A detta della madre, la città in cui dovevano andare non era un granché e le cose da fare erano poche, ma il penultimo giorno, quando la cerimonia era da poco avvenuta e tutti erano ancora nel grattacielo dove si era svolta, iniziò a nevicare.
Fu la prima neve che videro i due fratelli, cresciuti in un luogo prevalentemente desertico e la reazione fu di immediata sorpresa.
Qualsiasi altra cosa passò in secondo piano, c’era solo la necessità di uscire fuori e provare a toccare quei fiocchi bianchi che cadevano dal cielo.
- Mamma, voglio andare a giocare fuori!- fu la prima reazione della più piccola, che aveva appiccicato il nasino al vetro della finestra e guardava con ammirazione i fiocchi di neve che cadevano lentamente su tutte le cose all’aperto.
- Voglio uscire anch’io!- esclamò Matt, più grande di qualche anno rispetto la sorella ma ugualmente curioso e desideroso di sperimentare quel nuovo gioco.
La donna, che osservava anche lei con stupore i fiocchi cadere, fece un segno negativo con la testa, per poi spiegare perché non potessero uscire, almeno per il momento.
Dovevano aspettare che la neve si posasse bene sul manto di strade e altri oggetti esterni, poi, li avrebbe accompagnati lei stessa al parco e avrebbero potuto giocare quanto desiderassero.
I fratelli non furono molto concordi nell’accettare l’imposizione della madre ma, dato che non c’era alternativa, decisero di attendere.
Pidge rimase per più di un’ora con le manine premute sulla finestra, guardando i fiocchi che cadevano sempre più fitti, riempiendo la madre di domande che per una bambina di quell’età richiedevano risposte troppo dettagliate.
Ogni tanto chiedevano entrambi se fosse il momento giusto per andare, ma ogni volta la donna rispondeva che bisognava aspettare ancora un pochino.
Fu quando uscirono dal grattacielo per tornare in albergo che Pidge riuscì a toccare la neve per la prima volta.
Aprì la bocca e alzò il viso verso l’alto, aspettando che i fiocchi le cadessero sulla lingua, divertendosi con una piccolissima cosa, che anche il fratello scimmiottò poco dopo.
- Shembra acqua…- borbottò Matt, mentre teneva ancora la bocca aperta per recuperare i fiocchi di neve.
- È buona…- aggiunse la sorellina, mentre vedeva chiudersi la portiera dell’auto davanti a lei e il divertimento le fu purtroppo strappato via.
I due riuscirono a giocare con la neve solo il giorno dopo, quando la madre li portò, come promesso, al parco vicino dove si era svolta la cerimonia di premiazione.
Pidge e Matt giocarono interrottamente per quasi tre ore, rincorrendosi, facendo forme a terra, lanciandosi palle di neve e qualsiasi altro gioco che veniva loro in mente.
La ragazza, appoggiata sul bordo dell’astronave, lo sguardo ancora rivolto all’esterno ma la mente completamente altrove, ricordava ancora la bruttezza del suo primo pupazzo di neve.
Rise appena e poi sentì dei passi dietro di lei.
- A cosa pensi?- le domandò Shiro entrando nella sala sentendo la sua risata, trovandola a guardare qualcosa che per lui era diventata ormai normale.
- A casa mia…- sussurrò Pidge, un velo di tristezza che si percepiva nella sua voce.
Shiro non rispose.
C’erano molti dei paladini che sentivano nostalgia per la propria dimora, ma non si sarebbe aspettato che Pidge lo rivelasse come se nulla fosse.
Si limitò a sorridere e si sedette vicino a lei, guardando anche lui fuori dall’oblo.
Si potevano dire molte cose di Shiro, ma non che provasse nostalgia della Terra.
Lì per lui non era rimasto nulla e anzi, l’idea che stessero tornando a casa non lo entusiasmava per niente, terrorizzato dalle reazioni che avrebbe trovato ad attenderlo.
La sua mente vagò per un breve istante verso Adam, per poi scacciare la sua immagine dai ricordi e focalizzarsi sulla ragazza, che in quel momento aveva bisogno di lui più che mai.
Le posò una mano sulla spalla e le sorrise dolcemente.
- Manca poco e potrai riabbracciare tutti, Pidge.- mormorò con dolcezza, giocherellando appena con i suoi capelli corti.
La ragazza gli sorrise e si appoggiò alla sua spalla, puntando poi un dito all’oblò: - Non sembra neve?- chiese, smorzando il momento d’intimità che si era creato tra loro.
Shiro osservò quegli oggetti bianchi che galleggiavano nello spazio e annuì.
 

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Capitolo 12
*** Vincere ***


Questa storia partecipa al COWT10
M2: Giappone

Coppia: Shance



Shiro si sporse verso di lui e gli diede un bacio sulla guancia.

-Sono sicuro riuscirai a prenderlo.- disse, cercando di fargli forza. Lance accennò a un sorriso e poi osservò il peluche all’interno del marchingegno.

-Ce la posso fare. Vincerò quel peluche per te Shiro.- disse cristallino mentre metteva finalmente la monetina e si preparava a guidare l’artiglio fino all’agognata preda.

Erano A Tokyo da quasi due giorni e Lance ancora non era riuscito nell’intento ma non demordeva. Un piccolo pikachu, quello che Shiro aveva detto essere terribilmente carino, aspettava ancora di essere vinto dalla coppia, ormai al ventesimo tentativo.

Mosse l’artiglio con estrema maestria, ormai conosceva abbastanza trucchi che gli avrebbero permesso di uscire vittorioso.

Ma ancora una volta, il pikachu sfuggì alla sua presa e Lance si ritrovò con un nulla di fatto tra le mani. Il volto imbronciato, si voltò verso Shiro, deluso.

-Mi dispiace.- sussurrò, come se dipendesse da quell’oggetto la felicità del ragazzo.

Shiro, colpito al cuore da quell’espressione, sorrise e gli portò una mano ad alzargli il mento e far incontrare il loro sguardo: -Non dispiacerti. Ce la farai.- sussurrò, sporgendosi verso di lui e lasciandogli un leggero bacio sulle labbra.

Lance lo strinse a sé con decisione e poi gli sfilò una moneta dalla tasca.
-Provo un’altra volta.- esclamò, tornando a fronteggiare l’acerrimo rivale.

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Capitolo 13
*** Una partenza sofferta ***


Questa storia partecipa al COWT11
M1: Litigio



-Ti odio!- gli aveva urlato, arrabbiatissima con lui.
-Ti ho detto che mi dispiace, prometto che ti porterò un regalo.-
-Cosa me ne faccio di un regalo?- chiese continuando a piangere, il volto rigato dalle lacrime e il naso che cominciava a gocciolare: -Volevo andarci anche io!-
-Pidge, dai, non piangere...-
-Ti odio! Ti odio! Ti odio!- urlò ancora la piccola, dandogli un colpo con i piccoli pugni senza volergli fare male ma solo per sfogare la rabbia che provava nel petto.
-Cercherò di farti venire quando avrai finito le scuole elementari.- disse Matt dandole una carezza sulla testa.
La sorella alzò lo sguardo verso di lui, goccioloni che ancora scendevano lungo le guance.
-Sei un bugiardo! Non avrei ancora l'età giusta per entrarci!- gli urlò di nuovo, per poi staccarsi e chiudersi dentro la propria stanza sbattendo la porta, buttandosi sul letto e affondando la testa sul cuscino.
Matt si era limitato a sospirare, indeciso sul momento se entrare oppure no, per poi tornare nella sua stanza e aspettare che la sorella sbollisse un po' la rabbia.
Quando Kate era arrabbiata era meglio non intromettersi o la discussione sarebbe andata avanti per giorni, ormai era abituato. Se quella sera l'idea di recuperare un dolce dalla sua scorta segreta non avesse funzionato, avrebbe chiesto a suo padre di farle capire che anche se fosse andato all'Accademia dal prossimo anno, non l'avrebbe mai abbandonata e sarebbe tornato il più spesso possibile a casa per trovarla e passare tantissimo tempo in sua compagnia.
Sì, era sicuro che se ci avesse messo una buona parola l'avrebbe sicuramente convinta.
Il ragazzo rovistò tra i dolciumi e poi scelse quello che entrambi adoravano, sapendo che se voleva avere una chance doveva offrire qualcosa di pari valore in cambio.
Con un sorriso uscì dalla sua stanza e bussò alla porta di sua sorella.

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Capitolo 14
*** Il giovane malinconico ***


Questa storia partecipa al COWT11
M3 - Galleria d'arte senza visitatori
Avverntimenti: Modern!AU


Lo vedeva sempre in quella stanza, ad ammirare i suoi quadri, come se cercasse di scrutarli nel profondo, cercando ogni più piccola discrepanza che potessero nascondere.
Nella galleria d'arte che gestiva con la sua famiglia venivano ben pochi visitatori, specialmente in quell'ala, dove erano contenute le sue opere di artista in erba, ancora senza un vero e proprio nome tra il pubblico.
Quel ragazzo però ogni settimana arrivava il venerdì pomeriggio e si sedeva davanti a un quadro, immerso nel silenzio, a osservare ogni volta un dipinto differente.
Certe volte lo vedeva scribacchiare qualcosa su un taccuino, ma non faceva altro.
Lei lo guardava di soppiatto, nascosta nella sua stanza rialzata e oscurata al pubblico, e si domandava chi potesse essere quel ragazzo dai lunghi capelli bianchi e gli occhi malinconici.
Prima che riuscisse ad accorgersene, stava già catturando la sua sagoma sulla sua tela, incurante che non avrebbe mai potuto mostrare quegli schizzi ad anima viva, riprendendo vari momenti della sua permanenza, spesso aiutandosi con un piccolo binocolo.
Aveva scoperto che in alcuni momenti sorrideva in maniera magnifica, lasciando scoperti i canini leggermente più lunghi del normale, che la facevano impazzire.
Lo aveva disegnato così tante volte che non riusciva nemmeno più a contare tutti gli schizzi sui suoi blocchi da disegno.
Così, un giorno, decise di fare una pazzia.
Era un venerdì pomeriggio e come al solito nella galleria non c'era nessuno, ma quando il ragazzo arrivò trovò la giovane ad aspettarlo.
-Buon pomeriggio.- disse, sorridendo gentile.
-Magistra Allura.-
La giovane si sorprese nel sentirlo pronunciare il suo nome con quel titolo accanto.
-A cosa devo l'onore della vostra presenza?- domandò, avvicinandosi a lei facendole un baciamano.
-Volevo chiederle di posare per me.-
Gli occhi dorati del giovane si illuminarono.
-Sarebbe un onore, magistra.-
Allura arrossì: -La prego, mi chiami solo Allura, non c'è bisogno di essere così formali.- richiese per poi guidarlo fino al suo studio, facendolo entrare e prendere posto in un punto rialzato e illuminato dalla luce naturale del sole.
-Vuole che mi tolga i vestiti?- domandò con semplicità, come se le avesse fatto una domanda sul tempo atmosferico.
La giovane, sebbene avesse visto molti corpi nudi posare per lei, decise che per quella volta non sarebbe servito. Voleva fargli un ritratto del volto, catturare l'energia dei suoi occhi e la passione.
-No, vorrei farle un ritratto se me lo permette.-
-Ne sarei deliziato.-
Passarono due ore nel completo silenzio, con Allura che continuava a dipingere i colori dell'altro, cercando di replicare la giusta sfumatura di questo e quell'altro dettaglio che vedeva nel suo volto.
Lo aveva esaminato da vicino, aveva chiesto di potergli toccare una guancia e lo aveva osservato come fosse un medico alla ricerca di una possibile malattia.
-Le ho rubato fin troppo tempo.- disse, posando il pennello e passando una mano tra i capelli legati disordinatamente.
Il giovane prese l'orologio dal taschino e annuì.
-Devo invero allontanarmi, ma mi piacerebbe posare ancora per lei.- disse, ammirando il risultato di quelle due ore di fatica: -E' riuscita a catturare una parte di me che non credevo di possedere.- aggiunse, mentre notava il velo di tristezza che l'artista aveva inserito nel suo ritratto.
-Le piace?- domandò.
-Assolutamente.- rispose lui con un sorriso sincero, che fece sorridere a sua volta l'altra.
-Gradirei che posasse di nuovo per me.- gli disse.
-Con estremo piacere, magistra. Mi troverà ancora qui il prossimo venerdì alla stessa ora.- disse il giovane banciandole di nuovo una mano e allontanandosi dalla galleria: -Credo che potremmo avere una magnifica collaborazione noi due.-
La giovane lo guardò allontanarsi, poi tornò a guardare il quadro che aveva appena finito di dipingere e sorrise, contenta di aver trovato il coraggio di parlargli.
Il giorno dopo, nella galleria d'arte come sempre deserta, Allura espose la sua nuova opera.
Era il ritratto di un giovane uomo vestito con eleganza, con i lunghi capelli bianchi, gli occhi dorati e i canini appena sporgenti che sorrideva con uno sguardo malinconico.

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Capitolo 15
*** Fantasmi ***


Questa storia partecipa al COWT11
M3: Scuola d'estate
Avvertimenti: ModernAU


-E se poi spuntano veramente i fantasmi?-
-Non esistono i fantasmi.-
-Ma se esistessero e spuntassero fuori?- chiese per l'ennesima volta stringendosi alla sua spalla, mentre attendevano il loro turno per fare quella stupida prova di coraggio.
-Hunk. Non esistono i fantasmi, stai tranquillo, non succederà niente, ci sarà qualcuno degli altri nascosto in qualche punto più buio che uscirà fuori cercando di spaventarci e basta... su, smettila.-
Hunk rabbrividì al pensiero che qualcuno dei loro compagni di classe potesse uscire nell'oscurità e cercare di mettergli paura, cosa che sapeva, sarebbe riuscita in pieno.
-Lance, non voglio andare.-
Il cubano sbuffò.
-Hai veramente paura di entrare nella nostra scuola? Salire fino al tetto e poi scendere per la scala antincendio?-
Hunk ci pensò un attimo. Non aveva di certo paura della scuola, ma il fatto che durante le vacanze estive, di notte, fosse deserta non aiutava il suo ben tiepido coraggio a uscire fuori.
-Ma i fantasmi...-
Lance esplose: -Non esistono i fantasmi!- esclamò, mentre notava il segnale dal tetto di procedere ed entrare.
-Dobbiamo andare, se ti tiri indietro dimmelo, che vado da solo.-
Hunk guardò la scuola deserta immersa nell'oscurità di quella notte estiva e poi tornò a fissare Lance. Gli si leggeva negli occhi che non voleva entrare, ma non avrebbe abbandonato da solo il suo amico.
-Arrivo.- disse, attaccandosi al suo braccio.
Lance sorrise ed entrambi entrarono nella scuola.
Al contrario dei giorni in cui c'era lezione non si sentiva volare una mosca, c'era solo un leggero fruscio di vento che proveniva dai piani superiori, dove alcune delle aule erano state aperte.
-Visto? Non è niente di così spaventoso.- sussurrò Lance mentre puntava la torcia a terra e l'accendeva, non sapendo nemmeno lui perchè parlasse a voce così bassa dato che erano da soli. Hunk deglutì, pensando esattamente l'opposto.
Salirono senza intoppi i primi due piani, recuperarono i fogli per la prova e poi evitarono le varie trappole messe per spaventarli. Sagome di cartone senza effettivamente nessuno dei loro compagni a sbucare dal nulla, sangue finto sul pavimento e maniglie bagnate di acqua. Sopratto il fatto che non ci fosse nessuno dei loro compagni fu una cosa di cui Hunk fu grato, perchè un conto era venire informati da Lance che poco più avanti c'era un manichino senza organi ad attenderlo e un conto era vedersi sbucare qualcuno all'improvviso.
-Un gioco da ragazzi.- sussurrò Lance, mentre salivano con tranquillità al terzo piano, il tono della voce quasi tornato alla normalità mentre, salito sull'ultima rampa erano in vista del corridoio per andare nell'ultima classe della prova di coraggio.
TUMP
Nel corridoio deserto, quel rumore risuonò con violenza.
Hunk si strinse di nuovo a lui, facendosi scappare un gridolino: -Cos'è stato?- chiese con un sussurro.
TUMP
Di nuovo un altro suono identico al precedente.
-Chiaramente stanno battendo su qualcosa. Tranquillo Hunk.- rispose l'altro, abbassando però il tono della voce.

TUMP
Il cuore di entrambi iniziò a battere più velocemente. Le porte delle aule erano aperte e dall'interno non sembrava esserci nessuno.
TUMP
Presero l'ultimo pezzo di carta nell'ultima aula e poi si diressero nuovamente verso le scale, il cuore ancora veloce e il rumore che risuonava nelle loro orecchie.
TUMP
Una goccia d'acqua arrivò sulla guancia di entrambi, che, guardandosi prima negli occhi, alzarono poi lo sguardo lentamente verso l'alto.
Un'orrida creatura era appesa al soffitto e con la coda faceva quel rumore ritmico.
TUMP
Un grido echeggiò per tutto il corridoio e i due corsero alla velocità della luce fin verso le scale per risalire rapidissimamente al tetto.
-Te l'avevo detto che c'erano i fantasmi!- piagnucolò Hunk mentre faceva le scale a due a due per essere più veloce.
-Risparmia il fiato e corri!- esclamò Lance, mentre il TUMP si faceva rapido dietro di loro.
Arrivati alla porta del tetto, la spalancarono senza troppe cerimonie e poi si fiondarono all'interno, richiudendola dietro di loro, espirando grandi boccate d'aria.
Due loro compagni li guardavano mentre ridevano a crepapelle e accanto a loro c'era anche una ragazza del primo anno, Pidge, che anche lei piegata dalle risate, teneva in mano uno strano telecomando.
Lance capì subito di essere stato fregato da chissà quale attrezzatura robotica quella ragazzina avesse utilizzato contro di loro, rimpiangendo di essere stato così stupido da cascare in un simile e banale trucchetto.

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Capitolo 16
*** Tornare a casa ***


La drabble (200 parole) partecipa al COWT12
M3 Riunione


Rivederli dopo così tanto tempo era strano.
La riunione  con gli altri membri di Volton, con cui non si vedeva da ormai più di tre anni, lo metteva in agitazione.
Forse perchè lui era l'unico a mancare all'appello da così tanto tempo e tutti gli altri in qualche modo si erano rivisti in varie occasioni. Il suo lavoro tra i ribelli di Marmora invece non gli aveva permesso di esserci così come forse avrebbe dovuto.
Ma solo l'idea di vedere Shiro...
Avrebbe portato anche suo marito alla riunione? Oppure sarebbe stato da solo?
Keith non avrebbe potuto saperlo a meno che di non presentarsi.
Fece un grande respiro e poi aprì la porta che lo separava dagli altri, venendo investito dalle urla di varie persone, molte più di quelle che si aspettava.
Avevano radunato tutti quelli che pochi anni prima avevano liberato la galassia.
Sorrise nel vedere il gruppetto dei suoi amici, riconoscibilissimi nonostante il tempo passato.
Lui fu il primo ad accorgersi della sua presenza e un sorriso radioso gli comparve sul viso mentre lo sentiva pronunciare il suo nome e corrergli incontro, come se non fosse passato nemmeno un istante.
Keith sorrise, finalmente era tornato.

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Capitolo 17
*** Quel momento ***


COWT13
M6: 400 parole
Sheith


"Stiamo commettendo un errore?"
"E se anche fosse?"
Non gli diede modo di rispondere, la distanza tra le loro labbra era stata nuovamente chiusa dall'altro, spintosi contro di lui.
Ricambiò quel bacio e quella volta fece incontrare le loro lingue, quindi, gli mise le mani dietro la nuca, passando le sue dita tra il collo e i capelli corti dell'altro.
Nonostante fossero passati più di cinque anni, il più grande non era cambiato di una virgola, forse aveva qualche capello bianco in più, ma era rimasto lo stesso di sempre.
Shiro gli mise le mani sui fianchi e si fece strada sotto la sua maglietta, toccandogli la pelle nuda con le mani gelide. Keith sorrise sulle labbra dell'altro.
Era così familiare e accogliente.
Nemmeno quegli anni passati separati, lui a combattere su altri pianeti e l'altro a lottare per la Terra dalla stazione militare, avevano cancellato quello che entrambi conoscevano dell'altro.
Keith riprese un breve respiro con la bocca e poi tornò di nuovo su quelle labbra, percepiva il sapore di alcool da quattro soldi e il profumo di sigaretta che qualcun altro gli aveva fumato contro la pelle...
Kurtis, probabilmente.
Il pensiero dell'altro gli arrivò come un macigno sullo stomaco.
"Mh, aspetta..." disse di nuovo, scansandosi appena, guardandolo negli occhi ma non sciogliendo le mani dal suo collo.
L'altro lo baciò un'ultima volta prima di separarsi da lui.
"Non dire niente Keith." le sue mani salirono lungo la sua schiena, toccandogliela con delicatezza ma, allo stesso tempo, con desiderio.
"Non dovremmo..." provava a opporsi agli istinti e ai ricordi che il suo corpo stava in quel momento provando: "... non posso farti questo." provava a resistere alla passione che solo Shiro sapeva scatenare dentro di lui e che la sua mancanza aveva reso insopportabile.
Ma il suo tentativo era già perso in partenza, lo sapeva bene Keith così come Shiro.
"Non mi stai facendo niente. Sono io che ho scelto." le sue mani quella volta scesero nei suoi pantaloni: "Ti voglio, Keith. E questa è una scelta di cui non potrei mai pentirmi, né ora né in futuro."
Keith si avventò nuovamente su quelle labbra.
Non gli importava di quello che avrebbe provato la mattina dopo e dentro di lui sapeva che le parole che stava dicendo Shiro non nascondevano bugie.
Al resto ci avrebbero pensato in seguito.
Voleva solo godersi il momento.

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