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Faccio questa
piccola introduzione perché è dovuta. Mi sento in dovere di avvisare i miei
lettori che la fan fiction che ho deciso di pubblicare è ambientata sì nel
Potterhead, ma alterna momenti volutamente presi dai libri -con piccoli
passaggi che sono letteralmente "rubati" dagli stessi- misti a momenti
del tutto nuovi ed originali in cui si inseriscono i miei personaggi.
Forse non
sarà la più grande delle avventure o dei misteri, ma qui dentro c'è davvero un
pezzo della mia vita e non parlo solo della mia passione smisurata per Harry
Potter e del mio alter ego (Christine Cecilie Aborath) che in esso si muove, ma
per ben altro...
I personaggi
citati al lato del mio personaggio sono anch'essi avatar di persone che mi sono
state care, alcune delle quali non ci sono più. Rimembro così le emozioni con
loro vissute di quegli amici che per motivi diversi ho perso di vista o che
purtroppo hanno lasciato il mio fianco troppo presto…
Non tutti
sono legati a tristi ricordi, altri sono invece persone che sono entrate in
punta di piedi nella mia vita e ad oggi ne fanno parte in modo saldo.
Questa fan
fiction dunque non sarà forse una delle più belle o avvincenti ambientate nel
mondo magico che la Rowling ci ha donato, ma sicuramente è un dono prezioso e
pieno d'amore che faccio a tutti loro.
Ovunque voi siate, vivrete sempre nel mio
cuore ed in questa incantata realtà parallela che mai nessuno potrà portarci
via.
L’espresso di Hogwarts,
un treno a vapore di un rosso lucente, era già là, sputando nuvole di fumo, da
cui i molti studenti di Hogwarts e i loro genitori
sulla banchina emergevano come cupi fantasmi.
«Ancora 2 anni… sono troppi, voglio venire anche
io! Sai quanto è triste stare così tanti mesi senza di te?»
«Ma a Natale vengo sempre a casa per le vacanze!»
«E pensi mi basti?»
Due ragazzine di 13 e 9 anni parlavano tra loro. La
prima aveva corti capelli rossi, tuttavia questo non la faceva venir meno al
suo aspetto estremamente femminile. Amava prendersi cura di sé e seppur era
alta appena un metro e sessanta e le sue forme erano morbide, risultava
comunque proporzionata e si vedeva che faceva il possibile per tenersi in
forma. I suoi occhi profondi e bruni erano identici a quelli della sorellina
che, a differenza di lei, aveva un corpo longilineo e atletico. Era poco più
bassa, il viso era lungo e i capelli castani erano lunghi e lisci ed arrivavano
fino alle spalle. Ancora troppo giovane per pensare all’estetica, make up e affini non sarebbero stati per lei.
La più grande, Christine, indossava una minigonna
scozzese color grigio. Al di sopra una maglietta a maniche lunghe nere, collo a
barca e uno stile semplice ma glam. Indossava collant
nere trasparenti ed un paio di stivali bassi neri con tacchetto. Non mancavano
mai nel suo look, anche quando indossava la divisa di Hogwarts,
riferimenti alla sua casata: Serpeverde. In quel caso
era una collana con due serpenti, uno d'argento e l'altro d'oro, che si
incrociavano a formare il nodo marinaro detto carrick.
La più piccola, Ariane, indossava invece un paio di
pantaloni da ciclista neri, una t-shirt oversize anch'essa nera ma con sopra la
stampa della loro squadra preferita di Quidditch: le HolyheadHarpies. Ai piedi un
paio di All Star consunte e seppur non fosse da
ammennicoli, anche lei indossava un riferimento a Serpeverde
con un braccialetto d'argento che rappresentava un piccolo serpente dagli occhi
di smerlando.
«E poi non vedo l’ora di affrontare lo Smistamento,
sempre sperando che mi faccia finire in Serpeverde!»
Ariane pronunciò quelle parole toccandosi con un
gesto involontario il polso con il braccialetto, mentre la sorella le posava
una mano sulla spalla e le sorrideva radiosa. I loro genitori erano appena
scesi dall’Espresso per Hogwarts, dopo averci
sistemato al di sopra il baule e la gabbia con il gufo di quest’ultima.
«Sono sicura che andrà esattamente così e se non
fosse… alla fine staremo comunque sempre insieme!»
Le due sorelle si salutarono con un forte
abbraccio. Avevano età diverse, ma erano legatissime. I loro genitori erano
entrambi purosangue. Il padre, un Abroath, discendeva
da un ramo dell’antica famiglia dei Rosier, mentre la
madre, una Dubois, era anch’essa una famiglia di
stregoni purosangue francesi. Tuttavia, non era la loro discendenza, il loro
ceto agiato e tanto meno la casata di Hogwarts a
contraddistinguerli. Erano una famiglia aperta, simpatica, cordiale, che
nonostante tenesse alle proprie origini e tradizioni non ne faceva motivo di
discriminazione, al contrario.
Il padre, Drew Phineas Abroath,
lavorava al Ministero della Magia presso l’Ufficio per la Cooperazione Magica
Internazionale. Era un uomo colto, che sapeva molte lingue e che svolgeva
importanti incarichi di tipo diplomatico. La madre invece, EloïseHesperDubois, lavorava
all’Ospedale San Mungo presso il reparto Avvelenamento da Pozioni e Piante Velenose;
il suo dono era un retaggio per via della sua famiglia che in antichità aveva
vantato grandissimi pozionisti e alchimisti. Entrambi
i genitori erano fieri purosangue che avevano trasmesso alle figlie le loro
conoscenze e l’amore per le tradizioni di famiglia, ma che le spingevano in
egual misura a trovare la loro strada e a coltivare le loro passioni.
I due avevano appena raggiunto le figlie, che il
treno prese a fischiare, motivo per cui Christine dovette congedarsi
velocemente dalla famiglia e correre sull’Espresso.
Una volta sopra, rimase più tempo possibile al
finestrino a salutarli fin quando il treno non voltò l’angolo e la banchina
sparì.
Fu allora che Christine prese posto nello
scompartimento ove i suoi genitori e quelli dei suoi amici avevano portato i
bauli per assicurarsi che gli stessi stessero insieme.
Era felice di dire che il suo gruppo era formato
dall’assortimento più strano che si potesse vedere, non poteva dire di non
avere amici tra i membri della sua casata, ma se si parlava di migliori amici
era tutt’altra storia.
C’era Sonia Milena Thornton, purosangue e Grifondoro, dal carattere acceso e un entusiasmo pari a
pochi. Era un vulcano in continua eruzione e quando entrò nello scompartimento,
gli altri suoi amici erano già tutti lì. La pioggia fitta spruzzava i
finestrini e rendeva molto difficile guardare fuori. Sbuffò a quel paesaggio e
si lasciò cadere accanto a Margaret. Davano vita a un contrasto immenso.
Sonia aveva capelli castani e mossi, occhi scuri e
pelle olivastra. Margaret aveva occhi color nocciola, capelli biondo cenere e
pelle chiara. Il suo nome completo era Margaret Charlotte Porter, sua madre era
una strega e suo padre un babbano. Era in Corvonero e questo era per via della sua naturale
propensione per lo studio. Inutile dire che era colei che più volte aveva
salvato gli amici da eventuali pessimi voti. Tuttavia, era una secchiona
anomala, che amava divertirsi e, perché no, anche infrangere qualche regola con
il suo gruppo di tanto in tanto.
Il carrello del pranzo passò in quel momento,
mentre la pioggia diveniva sempre più fitta e il treno avanzava verso nord. Il
cielo era così cupo e i finestrini così appannati che le lanterne furono accese
seppur fosse solo mezzogiorno.
I quattro amici comprarono il pranzo e presero a
parlare delle loro vacanze, quando come sempre si creò quella lieve, ma
simpatica, rivalità tra Margaret e Daniel. La prima era scozzese e il secondo
irlandese e quando descrivevano i propri luoghi facevano a gara su quale fosse
il più bello o il più fascinoso.
Christine e Sonia, che abitavano in Inghilterra, si
tiravano fuori da tali diatribe e osservavano i due amici sempre profondamente
divertite.
Daniel Pawdeen era figlio
di genitori babbani, Tassorosso.
Era un ragazzino gracile dalla pelle diafana e i capelli scurissimi. Gli occhi
erano piccoli e scuri, mentre il carattere era remissivo e leale. Era preso
facilmente in giro, sia perché era decisamente poco abbiente e poi, perché non
era un gran studente. I suoi voti erano sempre al limite dell’accettabile,
seppur facesse il possibile per dare il suo meglio. Tra gli altri motivi per
cui Daniel era preso di mira c’era che faceva parte di un gruppo tutto al
femminile, ma oggettivamente a lui non importava.
Fu così che, tra una chiacchiera e l’altra, il
viaggio si concluse e l’Espresso di Hogwarts
finalmente rallentò, per poi fermarsi nel buio impenetrabile della stazione di Hogsmeade.
«Ci siamo ragazzi, che il nostro 2° Anno abbia
inizio!» dichiarò Sonia, le braccia spalancate al cielo nero e un sorriso a
trentadue denti, mentre osservava in lontananza la sagoma inconfondibile della
scuola che sarebbe stata la loro casa per i mesi a venire.
Milford Heaven era un porto naturale usato sin dal
Medioevo, si trattava infatti di una ría, cioè una valle fluviale in cui si
insinuava il mare.
La piccola cittadina era situata nella contea di
Pembrokeshire e contava a malapena tredicimila abitanti. Collocata a sud-ovest
del Galles, la piccola cittadina era stata anche menzionata da William
Shakespeare nell'opera teatrale "Cymbeline, King of Britain".
Il villaggio aveva dato i natali a Anne e Sydney,
due gemelle, figlie di babbani. Il padre era il proprietario del pub più
vecchio della città, ove gli abitanti più anziani erano soliti rifugiarsi per
quattro chiacchiere e una buona pinta di birra, mentre la madre, casalinga,
arrotondava il bilancio familiare con piccoli lavori di sartoria.
Le due ragazze amavano quei luoghi, ma crescendo,
avevano iniziato a sentirli stretti. Non si poteva dire che navigassero
nell’oro, ma non si lamentavano del loro status sociale, più che altro lo
facevano della monotonia della vita che vivevano.
Per fuggire, dunque, le due avevano ben scoperto la
gioia del leggere. Le pagine dei libri, infatti, erano per loro l’unico modo
per vivere avventure incredibili o visitare posti lontani. Il loro posto
preferito era Conduit Beach, una spiaggia poco frequentata di ciottoli e scogli,
ove erano solite andare per guardare il mare. Osservando l’orizzonte, sognavano
il loro futuro molto più simile alle avventure vissute dai loro zii Malcom e
Ruth, che alla vita piatta e noiosa dei loro genitori.
Di fatto, non erano cattive persone, ma rifiutavano
tutto ciò che non riuscivano a capire. Forse anche per quello loro padre George
aveva perso ogni contatto con suo fratello Malcom. Lui era stato l’unico della
famiglia a dimostrare di possedere poteri magici e quando aveva ricevuto la
lettera per Hogwarts era stato letteralmente diseredato dalla famiglia, da cui
non tornava nemmeno nelle vacanze estive. Sì, perché nonostante tornasse a
Milford Heaven passava il suo tempo a casa della nonna, considerata una pazza
gattaiola che, in realtà, nascondeva un gran segreto: era una magonò. Durante
gli anni delle scuole aveva fatto conoscenza con Ruth, una divertente strega e
i due si erano innamorati. Finito Hogwarts erano divenuti Auror e questo li
portava costantemente in giro per il mondo a vivere mille avventure.
Contro il volere di George, Malcom e Ruth avevano
comunque fatto la conoscenza di Anne e Sydney. Ogni volta che passavano per
Milford Heaven si vedevano di nascosto e oltre a fargli grandi doni, gli
raccontavano dei loro viaggi e avventure.
«Ci siamo, Anne. O succede quest’anno o mai
più!»esclamò con tono serio Sydney.
Sarà pure stata una bambina, ma la sua voce era
profonda e ferma. Si teneva le ginocchia, mentre con la sorella scrutavano il
tramonto. Erano entrambe in carne, portavano gli occhiali da vista ed il loro
sorriso era decisamente il più bello che si fosse mai visto. Era gioioso e
trasognante nonostante la vita dura, chiusa e retrograda che erano costrette a
vivere. Entrambe avevano i capelli a caschetto, ma se quelli di Sydney erano di
una tonalità castano rossiccia, quelli di Anne erano più castano cioccolato.
«Meglio non farci illusioni Syd!»
Anne era decisamente la più calma e posata delle
due, certo immaginare di ricevere un gufo da Hogwarts pareva l’occasione di una
vita per fuggire e vivere finalmente la vita che avevano sempre sognato, ma…
«Aspettati una delusione e vedrai che non sarai mai
deluso!» mormorò sconsolata mentre il sole, pigramente, si inabissava nel mare.
«Eh no, Anne, così non va bene! Ci vuole
positività!» e decretando ciò con impeto e decisione le due si diressero verso
casa, ignare di ciò che aspettava loro.
Quella sera, esattamente quella del 15 Luglio, si
trovarono a dover presenziare a una delle tante e terribili riunioni di
famiglia ove tutti si ostinavano a chiamarle “Gemella 1” e “Gemella 2” e
parevano alquanto contrariati se non le vedevano vestite uguali.
Nel modesto, ma accogliente giardino della loro
umile casa, la famiglia cenava sotto il cielo stellato, chiacchierando e
mangiando, mentre Anne e Sydney avrebbero desiderato ardentemente essere
altrove.
«Allora, quest’anno iniziate la 5° Elementare
giusto?» chiese loro una delle numerosissime zie. Erano così annoiate e
sovrappensiero che Anne rispose per entrambe con un flebile “Sì”.
«Dovevate dirlo in coro! Syd non fare l’ingrata!»
ringhiò contro di loro la donna corpulenta. La piccola chiamata in causa stava
già serrando i pugni, se non fosse stato per la sorella che – da sotto il
tavolo con una mano sulla gamba – l’aveva invitata a calmarsi.
«I vostri genitori sono maledettamente gentili a
non mettervi più spesso in punizione. Io lo avrei fatto più e più volte, forse
così sareste state più educate! Non apprezzate i regali fatti e sembra sempre
che ci stiate facendo un favore a godere della vostra presenza… sempre che
godere sia la parola giusta!»
In quel momento, il marito della donna assentì
vigorosamente, mentre il figlio alle spalle della madre faceva la linguaccia
alle cugine.
«Come se
ricevere ogni anno lo stesso identico regalo, nemmeno fossimo una stessa identità
fosse un dono apprezzato! Non sapete nemmeno i nostri nomi e ci trattate con
sufficienza solo perché siamo curiose, amiamo leggere e non vivere
nell’ignoranza come tutti voi!»
Questo fu quello che Syd pensò, ma non disse, prima
di alzarsi e furibonda andarsene. Si sarebbe chiusa in camera e non ci sarebbe
uscita fino al giorno dopo. Anne cercò di coprire la sorella, si congedò
educatamente dai genitori e dal resto dei parenti, per poi seguire il suo
esempio.
La mattina dopo, quando le gemelle entrarono in
cucina, la madre era ad attenderle con la colazione. Aveva su un terribile
broncio e temevano già quale fosse il motivo.
«Buongiorno» disse seccamente mettendo di fronte
alle due una ciotola di pudding. Le due si scambiarono un’occhiata, ma
preferirono non fiatare.
«Vostro padre è a pesca con i vostri zii e cugini.
Essendo domenica, vi avrei chiesto di accompagnarmi in chiesa, sapete… dopo con
le vostre zie e cugine andremo in campagna, ma… credo non sia una buona idea visto
quanto accaduto ieri. Dunque, rimarrete a casa tutto il giorno da sole, guai a
voi se uscite!»
Syd avrebbe voluto rispondere un “Oh sai che
punizione! Ci fai un favore!”, ma se lo tenne per sé e si gettò sul suo pudding.
Una volta sole, le due presero a lavare i piatti
della mattina, che la madre aveva lasciato a loro da sistemare, quando
improvvisamente udirono lo scatto della cassetta delle lettere e il lieve tonfo
della posta che cadeva sullo zerbino.
Con fare distratto Anne si diresse alla porta e
raccolse quella che parve una cartolina di zio Malcom e zia Ruth, una busta
contenete una bolletta e infine…
«Una lettera per noi? Syd! Syd! SYD!» prese a
urlare a perdifiato, mentre la gemella, seccata, la raggiungeva.
«Che c’è, che urli?»
Ancora incredula, Anne le mostrò la busta che era
spessa e pesante, di pergamena giallastra, e l’indirizzo era scritto con
inchiostro verde smeraldo. Non c’era francobollo. Girando la busta videro un
sigillo di ceralacca color porpora con uno stemma araldico: un leone, un corvo,
un tasso e un serpente intorno a una grossa “H”.
«È lei?»
«Cos’altro sennò?»
«Su su su su, aprila!»
Eccitate le due sorelle raggiunsero il piccolo
salotto anni ’70 e si gettarono sul divano consunto di velluto marrone.
Con emozione lessero:
SCUOLA DI
MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS
Direttrice: Minerva McGranitt
Care Signorine Rachelle,
siamo lieti di informarVi che avete il diritto di frequentare
la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverete l’elenco di
tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio il 1° Settembre. Restiamo in
attesa della Vostra risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
Con ossequi,
Filius Vitious
Vicedirettore
SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA
DI HOGWARTS
Uniforme
Gli studenti del primo anno dovranno avere:
Tre completi da lavoro in tinta unita (nero)
Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno
Un paio di guanti di protezione (in pelle di drago o
simili)
Un mantello invernale (nero con alamari argento)
N.B. Tutti gli indumenti degli allievi devono essere
contrassegnanti da una targhetta con il nome
Libri di testo
Tutti gli allievi dovranno avere una copia dei seguenti
testi:
Manuale degli Incantesimi, volume I, di Miranda Gadula
Storia della Magia, volume I, di Bathilda Bath
Teoria della Magia,
di Adalbert Incant
Guida pratica alla trasfigurazione per principianti, di Emeric Zott
Mille erbe e funghi magici, di Phyllida Spore
Infusi e pozioni magiche, di Arsenius Brodus
Gli animali fantastici: dove trovarli, di Newt Scamander
Le Forze Oscure: guida all’autoprotezione, volume I, di Dante Tremante
Altri accessori:
1 bacchetta magica
1 calderone (in peltro, misura standard 2)
1 set di provette di vetro o cristallo
1 telescopio
1 bilancia d’ottone
Gli allievi possono portare anche un gufo, OPPURE un
gatto, OPPURE un rospo.
SI RICORDA AI GENITORI CHE AGLI ALLIEVI DEL PRIMO ANNO
NON È CONSENTITO L’USO DI MANICI DI SCOPA PERSONALI.
Dopo aver finito di leggere l’intera lettera le due
si sentirono come inghiottite in una spirale di gioia, estasi e confusione.
Certe cose accadevano ai protagonisti dei libri che leggevano non a loro e
invece? Era appena successo. Tuttavia, il ritorno alla realtà fu brusco e
immediato.
«Una risposta entro il 31 Luglio? Via gufo? E come
facciamo a comprare tutte queste cose? Dove? Mamma e papà non ci lasceranno mai
andare!»
Anne era un fiume in piena, si torturava la manica
del pigiama che indossava, mentre Sydney si mordeva le labbra. Si guardava
intorno come a voler cercare una risposta, poi si ricordò della cartolina di
zio Malcom che aveva scorto tra le lettere ritirate dalla sorella. La prese. La
lesse ed esclamò: «Guarda! Gli zii dicono che per il 18 Luglio saranno qui,
chiederemo a loro!»
Anne sospirò, incerta, ma alla fine assentì. Ciò
che accade in seguito fu un disastro.
Se da una parte i loro zii furono entusiasti,
quando questi cercarono di parlarne con i loro genitori ne uscì una litigata a
dir poco epocale nella quale, ovviamente, considerate troppo piccole, le
bambine non avevano voce in capitolo.
«Non se ne parla nemmeno!» sentirono esclamare da
loro padre.
«Le mie figlie non le mando a studiare sciocchezze
e poi, così tanti mesi lontano da casa!» aggiunse loro madre.
La litigata proseguì tutta la sera e si concluse
con i loro genitori che mettevano una pietra su quella sciocchezza (trovare
sinonimo). I loro zii, però, non parevano della stessa idea, infatti quella
notte stessa, “rapirono” letteralmente le due ragazzine.
Syd sembrava eccitata, Anne spaventata. Gli zii le amavano
e da sempre le avevano capite come nessuno aveva mai fatto, non potevano
infatti dire di avere amici e i rapporti in famiglia erano pessimi.
Anne temeva che quella situazione avrebbe messo gli
zii in cattiva luce più di quanto non fossero, ma questi la rassicurarono.
Dissero che NON potevano perdere tale opportunità e che ai loro genitori ci
avrebbero pensato in seguito.
Tutta la preoccupazione cessò il giorno successivo,
quando camminando per le strade di Londra con Malcom e Ruth si guardavano
intorno cariche di adrenalina. Non erano mai state nella capitale, come da
nessun’altra parte in vita loro. I loro zii parevano non aver problema alcuno a
mischiarsi con i babbani e infatti sopraggiunsero con l’auto a un pub chiamato
“Il Paiolo Magico”.
Dall’aspetto sordido, pareva invisibile agli occhi
di chiunque. Gli sguardi dei passanti infatti andavano dalla grossa libreria su
un lato della strada al negozio di dischi sull’altro. Anne e Syd avevano la
stranissima sensazione che solo loro e gli zii lo vedessero.
Al suo interno il pub era molto diverso da quello
di loro padre, era molto buio e dismesso. Alcune vecchie erano sedute in un
angolo a sorseggiare un bicchierino di sherry. Una di loro fumava una lunga
pipa. Un omino col cappello a cilindro stava parlando al vecchio barman,
completamente calvo, che sembrava una noce di gomma.
Qualcuno salutò lo zio, mentre loro proseguivano a
camminare lungo il locale per poi uscire da una porta che dava in un piccolo
cortile circondato da un muro, dove non c’era altro che un bidone della
spazzatura e qualche erbaccia.
«Oh mamma, non mi ricordo mai, sono due verticali e
tre orizzontali o viceversa?» chiese improvvisamente Malcom alla moglie, che
senza rispondere scosse il capo con fare amorevole. Poi, tirò fuori la
bacchetta, toccò con la punta tre mattoni verticali e poi due orizzontali del
muro. L’ultimo mattone colpito vibrò, si contorse e al centro apparve un
piccolo buco che si fece sempre più grande. Un attimo dopo si trovarono di
fronte un arco abbastanza largo da passarci tutti e tre.
«Benvenuti a Diagon Alley!» esclamò radiosa la
donna.
Era la prima volta che avevano visto una bacchetta
magica e usarla, i loro zii erano sempre stati attenti a raccontargli tutto, ma
non mostrar nulla. Questo aveva dunque mostrato la piena fiducia e fede delle
ragazzine nel credergli.
Anne e Sydney sorrisero dallo stupore, per poi
gettare una rapida occhiata alle loro spalle e vedere l’arco rimpicciolirsi,
ridiventando un muro compatto.
Il sole splendeva illuminando una pila di calderoni
fuori del negozio più vicino. Un’insegna appesa sopra diceva: Calderoni. Tutte le dimensioni. Rame,
ottone, peltro, argento. Autorimestanti. Pieghevoli.
Le piccole facevano correre i loro sguardi pieni di
meraviglia da una parte all’altra della strada via via che camminavano. I
negozi, le cose esposte all’esterno, la gente che faceva le spese.
«Ora ci occuperemo di fare shopping! Avete bisogno
di tutte le cose che c’erano nella lista!»
Alle parole di loro zio le sorelle si guardarono
preoccupate e Anne così prese timidamente la parola.
«Ma ehm, come facciamo con i soldi? E la risposta
che dovevamo mandare?»
«Ci ho pensato io appena siamo arrivati a casa! Per
il resto non preoccupatevi ok? Io e lo zio ci occuperemo di tutto…»
«Ma…»
La zia Ruth non permise alla nipote di
controbattere che si fermarono di fronte al negozio di Madama McLan: abiti per tutte le occasioni.
«Iniziamo con le uniformi che ne dite? Entriamo!»
Una volta dentro, una strega tarchiata e sorridente
andò incontro loro.
«Siete qui per Hogwarts?»
«Sì! Le mie nipoti saranno al primo anno!» esclamò
lo zio, gonfio d’orgoglio.
«Perfetto. Andate per di là, io vi raggiungo
subito. C’è già un’altra ragazzina che sta provando l’uniforme!»
Anne e Syd, curiose, si incamminarono e in effetti
una volta arrivate, notarono una bambina un poco più grande di loro. Aveva
corti capelli rossi e un sorriso contagioso. Guardandole attraverso lo specchio
le salutò.
«Anche voi a Hogwarts?»
«Sì! Primo anno!» rispose senza remore Syd
entusiasta di fare nuove amicizie.
«Sapete già in che casata vorreste essere?»
Fu allora che le due sorelle si guardarono, i loro
zii avevano parlato loro della scuola, ma non così approfonditamente da sapere
o sognare o pensare in che casata essere smistate.
«Qualsiasi sarà siatene entusiaste!» decretò infine
la ragazza andando incontro loro e presentandosi.
«Piacere! Mi chiamo Christine Cecile Abroath e
quest’anno frequenterò il secondo anno!»
«Io sono Sydney Y. Rachelle e lei è mia sorella
Anne Louise!»
Le tre ragazze stavano ridacchiando e parlando,
quando Madame McClan le raggiunse, finì di sistemare la divisa di Christine e
quando questa uscì dallo spogliatoio la strega era già a prendere le misure su
una delle due sorelle.
«Beh, che dire, allora ci vediamo a Hogwarts!
Ciao!»
Le gemelle salutarono la giovane e si guardarono
confuse, ma felici. 11 anni di vita a Milford Haven e non avevano mai fatto
amicizia tanto velocemente!
Rincuorate ed emozionate, dopo l’uniforme passarono
dal Il Ghirigoro ove acquistarono i
libri di testo e non solo. Era una libreria in cui gli scaffali erano stipati
fino al soffitto di libri grossi come lastroni di pietra e rilegati in pelle;
libri delle dimensioni di un francobollo, foderati in seta; libri pieni di
simboli strani e alcuni con le pagine bianche. Era un paradiso, tanto che furono
ben liete quando i loro zii gli concessero di comprarsi anche qualche lettura,
sicuramente diversa da quelle che erano solite fare.
Successivamente, passarono all’acquisto dei
calderoni di peltro, delle graziose bilance per pesare gli ingredienti delle
pozioni, e un telescopio pieghevole in ottone. Poi andarono in farmacia, luogo
talmente interessante da ripagare del pessimo odore che vi regnava, un misto di
uova fradice e cavoli marci. Per terra c’erano barili di roba viscida; vasi di
erbe officinali, radici secche e polveri dai colori brillanti erano allineati
lungo le pareti; fasci di piume, di zanne e artigli aggrovigliati pendevano dal
soffitto. Mentre gli zii delle giovani si occupavano degli acquisti, le due
esaminavano alcuni corni di unicorni in argento, che costavano ventuno galeoni
ciascuno, e minuscoli occhi di coleottero di un nero lucente (a cinque zellini
la manciata).
Una volta fuori dalla farmacia il piccolo gruppo puntò
al Serraglio Stregato, l’interno era
piccolo e tutte le pareti erano tappezzate di gabbie. C’era uno strano odore e
un gran fracasso, ma questo era dovuto al numeroso tipo di animali che il
negozio vendeva.
«Iniziamo da qui! Poi se vorrete un gufo andremo
all’Emporio del Gufo che dite?»
«Aspetta, vuol dire che sia io che Anne possiamo
comprare un animale a testa?» a Syd non parve vero. Aveva perso il conto di
quante volte avevano cercato di convincere i loro genitori ad avere un gatto o
un cane.
«Ma certo! Dovete! Povere nipoti mie, ma come vi
hanno fatto vivere finora?» chiese zio Malcom scuotendo il capo, ma velocemente
ritrovando il sorriso mentre guardava le due correre da una gabbia all’altra.
Syd ci mise poco a tornare con in braccio un gatto
norvegese marrone/rossiccio e bianco, con striature qua e là nere. Le orecchie
a punta e lo sguardo altero. Faceva le fusa, mentre si stringeva nell’abbraccio
di quella che già sentiva essere la sua padrona.
«È una femmina!» La voce era quella della
proprietaria, una strega magra e ossuta.
«Ha un carattere davvero difficile, ma fiuta meglio
di chiunque altro di chi si può fidare o meno. Il fatto che tu le piaccia è una
cosa strana, finora ha graffiato chiunque volesse tentare di avvicinarla!»
Syd sorrise compiaciuta, mentre la stringeva a sé.
«Ti chiamerò Astryd ti piace?» il gatto le passò il
capo contro il viso, era chiaro che era assai soddisfatta del nome.
Anne, dal canto, suo continuava a passare da una
gabbia all’altra, ma nessun animale la colpiva. Era sconsolata, mentre osservava
la sorella intenta a coccolare il suo gatto e mostrarlo agli zii, perché per
lei tutto era sempre più difficile?
Stava per perdere le speranze, quando un falco dal
piumaggio azzurrino le volò sulla spalla. In un primo momento rimase
pietrificata, ma quando quello iniziò a darle dei buffetti con il becco, si
trovò ad avere il desiderio di accarezzarlo.
«È un falco smeriglio, vive solitamente
nell'emisfero boreale. Nel dettaglio questo è un maschio, posato, leale e un
ottimo postino oltre che cacciatore.» Anche in quel caso la strega del negozio
aveva spillato informazioni circa l’animale in questione.
«Allora prendi quello?» le chiese la sorella
avvicinandosi e guardando con estasi il rapace.
«Sì! E… lo chiamerò Shadow!»
Gli acquisti ormai occupavano le mani di tutti i
componenti della famiglia quando si diressero nell’ultimo negozio.
«Eccoci da Olivander! Nonostante la morte
del suo storico proprietario, il negozio non ha cambiato nome. L’attuale
proprietario è un artigiano spagnolo. Mai più nessuno sarà come Olivander,
ma Mr. Corrados è comunque eccezionale!»
Mentre lo zio raccontava loro tale informazione, il
gruppo entrò nel negozio che si scoprì essere un luogo molto piccolo, vuoto,
tranne che per una sedia dalle zampe esili. La zia prese posto, mentre le
sorelle osservavano le migliaia di scatoline strette strette, tutte impilate in
bell’ordine fino al soffitto.
Poco dopo, un uomo anziano dai capelli grigi
stretti in una coda e la pelle scura, venne loro incontro. Il sorriso stampato
in faccia e l’emozione pura che provava ogni volta che aiutava un fanciullo
nella scelta della sua prima bacchetta.
Salutò cortesemente i presenti e poi, tirando fuori
dalla tasca un lungo metro a nastro con le tacche d’argento si preparò a
prendere le misure, non prima però di sapere dalle due sorelle… «Con quale braccio
userete la bacchetta?»
«Destra!» risposero in coro, senza volere, le due
gemelle.
«Perfetto! Alzate le braccia prego!» e quando sia Anne
che Syd lo fecero misurò il loro braccio d’uso dalla spalla alla punta delle
dita, poi dal polso al gomito, dalla spalla a terra, dal ginocchio all’ascella
e poi prese anche la circonferenza della testa. E intanto diceva: «Ogni
bacchetta ha il nucleo fatto di una potente sostanza magica. Usiamo peli di
unicorno, penne della coda della fenice e corde del cuore di draghi. Non
esistono due bacchette che siano uguali, così come non esistono due unicorni,
due draghi o due fenici del tutto identici. E naturalmente, non si ottengono
mai risultati altrettanto buoni con la bacchetta di un altro mago.»
All’improvviso Anne per poco non saltò in alto
quando si accorse che il metro a nastro, che le stava misurando la distanza fra
le narici, stava facendo tutto da solo. Mr. Corrados, infatti, volteggiava tra
gli scaffali, tirando giù scatole.
Le gemelle provarono in rapida successione
parecchie bacchette, tant’è che a un certo punto lo zio si afflosciò su uno dei
braccioli della poltrona e la zia si trovò a sonnecchiare. Entrambi
sussultarono quando Mr. Corrados esclamò: «Trovata!» e Syd volteggiava con la
sua bacchetta in Legno di Abete con nucleo di Corde di Drago, 12" e
flessibilità ragionevolmente elastica in mano.
Anne come al suo solito ci mise un poco di più, ma
l’emozione che provò fu immensa. Era come se improvvisamente stringesse tra le
mani un prolungamento di sé stessa. La sua bacchetta era fatta di Legno di Vite
con nucleo di Piuma di Fenice, 10" e flessibilità elastica.
Le carrozze avanzarono attraverso i cancelli,
fiancheggiati da statue di cinghiali alati, e su per il ripido viale,
oscillando pericolosamente in quella che stava diventando in fretta una
tempesta. La fronte contro il finestrino, Christine vide Hogwarts avvicinarsi,
le molte finestre illuminante confuse e tremolanti al di là della fitta cortina
di pioggia. Un fulmine dardeggiò nel cielo mentre la loro carrozza si fermava
davanti ai grandi portoni di quercia, in cima alla rampa di gradini di pietra.
Chi era a bordo delle carrozze davanti a loro già si affrettava a salire e a
entrare nel castello; anche Christine, Sonia, Margaret e Daniel balzarono giù e
sfrecciarono per gli scalini. Insieme, alzarono lo sguardo solo quando si
trovarono al riparo nell’imponente Salda d’Ingresso, illuminata dalle torce con
la sua grandiosa scalinata di marmo.
La Sala Grande era magnifica come sempre, decorata
per il banchetto d’inizio anno. Piatti e calici d’oro scintillavano alla luce
di centinaia e centinaia di candele che galleggiavano a mezz’aria sopra i
tavoli. Le quattro lunghe tavolate delle case erano affollate di studenti
vocianti; in fondo alla Sala, gli insegnanti sedevano lungo un solo lato di un
quinto tavolo, di fronte ai loro allievi. Lì dentro faceva molto più caldo.
I quattro amici furono costretti a salutarsi,
mentre ognuno raggiungeva la tavola della propria casata, il tempo che tutti
presero posto che le porte della Sala Grande si aprirono, e cadde il silenzio.
Il piccolo professor Vitious guidò una lunga fila
di ragazzini del primo anno fino all’altro capo del salone. Se i più grandi
arrivati in carrozza erano bagnati, non era nulla a confronto dei più piccoli
che erano zuppi da capo a piedi. Sembrava che invece di arrivare in barca
avessero attraverso il lago a nuoto. Tutti tremavano di freddo e nervosismo
mentre sfilavano lungo il tavolo degli insegnanti e si fermavano davanti al
resto della scuola.
Il professor Vitious posò uno sgabello a quattro
gambe davanti alla fila e vi sistemò sopra un cappello da mago estremamente
vecchio, sporco e rattoppato. I ragazzini lo fissarono. Così tutti gli altri.
Per un attimo calò il silenzio. Poi uno strappo vicino all’orlo si spalancò
come una bocca ed il cappello prese a cantare.
Or son mille anni, o forse anche più,
che l’ultimo punto cucito mi fu:
vivevano allor quattro maghi di fama,
che ancora oggi celebri ognuno qui chiama.
Il fier Grifondoro, di cupa brughiera,
e Corvonero, beltà di scogliera,
e poi Tassorosso, signor di vallata,
e ancor Serpeverde, di tana infossata.
Un solo gran sogno li accomunava,
un solo progetto quei quattro animava,
creare una scuola, stregoni educare.
E Hogwarts insieme poteron fondare.
Ciascuno dei quattro una casa guidava,
ciascuno valori diversi insegnava:
ognuno stimava diverse virtù
e quelle cercava di accrescer vieppiù.
E se Grifondoro il coraggio cercava
Ed il giovane mago più audace premiava,
per Corvonero una mente brillante
fu tosto la cosa davvero importante.
Chi poi nell’impegno trovava diletto
Del buon Tassorosso vinceva il rispetto,
e per Serpeverde la pura ambizione
contava assai più di ogni nobile azione.
I quattro, concordi, gli allievi diletti
sceglievan secondo criteri corretti.
Ma un giorno si dissero: chi li spartirà
quando ognuno di noi defunto sarà?
Così Grifondoro un modo trovava
E a me dal suo capo veloce sfilava:
poi con i tre maghi una mente mi fece
capace di scegliere in loro vece.
E se sulle orecchie mi avrete calato,
voi state pur certi, non ho mai sbagliato:
nelle vostre teste un’occhiata darò
e alla Casa giusta vi assegnerò!
Il Cappello Parlante finì e la Sala Grande risuonò
d’applausi.
«Tutto molto bello, ma spero si muovano! Ho fame e
sto gelando!» bofonchiò Syd all’orecchio della sorella che però pareva non
ascoltarla. Con tutti quegli occhi puntati su di lei, avrebbe voluto
sprofondare. Odiava essere al centro dell’attenzione!
Il professor Vitious srotolò una pergamena che era
il doppio di lui e dopo di che disse: «Quando vi chiamo dovete mettervi il
Cappello e sedervi sullo sgabello. Quando il Cappello proclama la vostra Casa,
andrete a posizionarvi al tavolo giusto».
Anne si trovò ad assentire senza motivo, per poi
capire che era solo un tic dovuto all’ansia.
Lo smistamento sembrò infinito, i cognomi con la A
e la C erano tantissimi e la R pareva solo un miraggio lontano, fu solo quando
iniziarono a sentire McDonald e Pritchard, che si ridestarono e perfino Syd che,
fino a quel momento, era sembrata del tutto indifferente, iniziò a provare una
punta di panico. Nessuna delle due aveva vere aspettative, ma forse la paura in
comunque era quella di essere divise. Non erano mai state davvero lontane,
anche all’asilo e all’elementari erano sempre state in classe insieme, ma qua
era diverso. Si trattava di dover vivere molti mesi in cui… sì, avrebbero
potuto comunque stare insieme, ma in altri momenti no. La Sala Comune, la
Camerata… era da condividere con estranei e loro, che si erano sempre ritrovate
ad essere un rifugio l’una per l’altra, non sapevano cosa avrebbero fatto da
sole.
«Rachelle, Anne Louise.»
A sentirsi chiamare Anne fece un piccolo passo,
camminò con una lentezza da bradipo verso lo sgabello e deglutendo il vuoto
indossò il cappello. Chiuse gli occhi, non che sarebbe servito realmente a
qualcosa, ma per qualche ragione la faceva sentire lievemente più tranquilla anziché
fissare migliaia di paia d’occhi che la fissavano a loro volta.
«Corvonero!»
Il Cappello urlò il nome della casata quasi
immediatamente, tant’è che Anne ne rimase stupita. Quando camminò verso la
propria tavolata, Margaret l’accolse al suo lato, presentandosi e iniziando
entusiasta a raccontarle un po’ come la loro Sala Grande l’avrebbe fatta
impazzire.
«Vanta una delle viste più belle sul parco del
castello!» ammise emozionata, ma immediatamente si zittì. Era il turno della
gemella di Anne e quest’ultima era attenta più che mai.
«Rachelle, Sydney Yogh.»
A sentirsi chiamare non con la Y puntata, fece una
smorfia, ma alla fine si avvicinò allo sgabello più sicura e veloce della
gemella o almeno fece finta di apparire tale. Anne aveva già preso posto alla
sua tavolata e la osservava speranzosa, ma considerando la canzone dello stesso
poco prima e i loro caratteri assai diversi… era quasi matematicamente certo
che non sarebbero state nella stessa casata.
«Tassorosso!»
Il cappello con Sydney ci mise di più. Fino
all’ultimo era convinto per Grifondoro, aveva tutte le caratteristiche del
caso: forte, irrequieta, coraggiosa, impulsiva… e seppur la pazienza non fosse
proprio la sua virtù, doveva ammettere che il cuore puro e leale che aveva
letto dentro di lei non lasciava adito a dubbi di sorta.
Camminando verso la sua tavolata per un attimo si
sentì triste, ma ben presto le due gemelle capirono che non erano state divise.
Sì, avrebbero avuto momenti in quell’avventura da sole, ma era giusto così.
Avevano passato la vita intera a desiderare di essere considerate, giustamente,
due identità a sé ed ora ne avevano l’opportunità. Ognuna avrebbe scritto il
proprio destino, percorrendo due strade parallele, ma che in questo caso qui e
là si sarebbero più e più volte incrociate.
Molti ragazzi salutavano dai finestrini aperti
dell’Espresso per Hogwarts, mentre questo cominciava a muoversi. Il treno prese
velocità; le case fuori dal finestrino sfrecciavano via e i ragazzi in piedi
nei corridoi iniziarono a barcollare.
«Andiamo a cercarci uno scompartimento?» chiese
Ariane con voce eccitata. Era al suo secondo anno ormai, mentre solo quello
prima era finita orgogliosamente in Serpeverde
insieme alla sorella. Gli amici di Christine erano i suoi, fin da quando era
piccola li frequentava e gli stessi non avevano fatto fatica a far amicizia con
quella ragazzina un po’ stramba, ma decisamente divertente. Era la solita
sportiva di sempre, fanatica delle HolyheadHarpies e caricata a molla al pensiero che quell’anno avrebbe
potuto provare a entrare nella squadra di quidditch
della sua Casata.
Anche Daniel ci aveva provato durante il terzo anno,
nel ruolo di portiere, ma nonostante la sua effettiva bravura era stato snobbato
preferendo al suo posto un ragazzo ben più bello, attraente e muscoloso. Daniel
ci era rimasto molto male, forse anche perché sia Christine che Sonia erano
Cacciatrici delle rispettive squadre delle loro Casate. Quest’anno Ariane ci
avrebbe provato nel ruolo di Cercatore, il capitano di Serpeverde
giocava in quel ruolo ma l’anno appena finito era stato il suo ultimo ad
Hogwarts, ed era certo che se ci fosse riuscita sicuramente ci sarebbe rimasto
molto male.
I ragazzi presero a muoversi, in cerca di un posto
libero, quando Margaret fece presente agli amici di non poter andare con loro.
«Devo andare nella carrozza dei prefetti in cima al
treno, tuttavia non dovrei rimanerci tutto il viaggio. La lettera diceva che
dobbiamo ricevere istruzioni dai Capiscuola e poi sorvegliare i corridoi ogni
tanto…»
«Sì sì tranquilla, ti teniamo comunque il posto, a
dopo!»
le rispose Christine. Mentre Margaret si
allontanava il piccolo gruppo avanzò a fatica lungo il corridoio, trascinando i
bauli e sbirciando oltre i vetri delle porte degli scompartimenti, già pieni.
Nell’ultima carrozza trovarono uno scompartimento
occupato solo da due ragazze, che Christine riconobbe come le gemelle
incontrate quattro anni prima al negozio di Madame McClan.
Durante gli anni a Hogwarts avevano scambiato qualche parola a lezione, ma nulla
di più.
«Ehi ciao, possiamo entrare?» ovviamente con
l’ingresso di loro quattro non ci sarebbe stato più spazio per Margaret, ma
erano sicuri di potersi stringere un po’ pur di averla insieme a loro.
Syd salutò Daniel e di buon grado invitò il gruppo
a entrare, mentre velocemente si presentavano. Il treno intanto continuava a
sferragliare, portandoli in aperta campagna. Era una strana giornata, dal tempo
incerto; un momento la carrozza era inondata di sole, un attimo dopo passavano
sotto minacciose nuvole grigie.
«Che ci fate qui tutte sole?» chiese Sonia
addentando il suo panino, era l’ora di pranzo e il carrello era appena passato.
«Non condividendo la stessa Casata, approfittiamo
del viaggio per passare del tempo insieme…»
«Ah che peccato! Io credo che sarei impazzita se
non fossi finita in Serpeverde con mia sorella! Lei
dice che sarebbe stato lo stesso, ma no, non lo sarebbe stato!» esclamò Ariane
che stava addentando il suo panino assai con passione. Tutti ridacchiarono.
«È raro vedere gruppi di amici formati da studenti
di Casate diverse…» fece presente Anne che si stringeva nella felpa bianca che
indossava.
«Raro, ma non impossibile! Se penso a come ci siamo
conosciuti poi…» ridacchiò Sonia, mentre gli altri le facevano eco.
«Io e Sonia andavamo alla scuola elementare
insieme, prima di ricevere la lettera per Hogwarts… eravamo migliori amiche.
Daniel lo abbiamo conosciuto durante la traversata in barca del primo anno…
cadde in acqua per colpa della piovra gigante e tutto d’un pezzo nuotò e risalì
senza problemi. Tutti lo prendevano in giro…»
«Tranne voi! Siete state le uniche a rivolgermi poi
successivamente la parola e preciso, le uniche a farlo per il chiaro intento di
sapere come stessi e non per dirmi qualche cattiveria!»
Daniel aveva interrotto il discorso di Christine
che poi venne concluso da Sonia.
«Margaret l’abbiamo conosciuta qualche giorno dopo,
l’unica in grado di sopportare le lezioni di Storia della Magia senza
addormentarsi! Le avevamo chiesto di darci ripetizioni e ci sono voluti pochi pomeriggi
prima che entrasse a far parte del gruppo!»
«Io non faccio testo, non mi sono mai trovata con
quelli della mia età. Mia sorella mi bastava e avanzava come amica, e poi i
suoi mi piacevano, dunque… il resto è venuto da sé!» concluse Ariane, mentre le
gemelle li ascoltavano incuriosite. Anne si sentiva a disagio a non avere una
storia altrettanto entusiasmante, dopo i primi due anni di continui litigi per
proseguire gli studi, alla fine avevano preso la decisione di trasferirsi dai
loro zii. I loro genitori non ne erano stati contenti e dunque i rapporti erano
un po’ tesi, ma loro avevano iniziato a sentirsi meglio. Più rilassate e felici
finalmente di abbracciare la loro natura senza più remore o giudizi di sorta.
«Comunque nuovi acquisti sono sempre ben accetti!»
concluse Sonia con un occhiolino.
Il gruppo continuò a parlare per circa un’ora,
nella quale Margaret non si fece viva. Quando la porta dello scompartimento sì
aprì e la giovane entrò, immediatamente salutò Anne e si sedette di fianco a un
piccolo spazio che Daniel e Ariane le aveva ricavato stringendosi un pochino di
più.
«Stavamo facendo amicizia!»
«Oh ma io e Anne già ci conosciamo!» disse
allegramente Margaret ed in effetti era vero: andavano anche molto d’accordo.
«Comunque ci sono due prefetti del quinto anno per
casa… ed indovinate chi è il prefetto di Serpeverde?»
Christine si morse un labbro scuotendo il capo.
«Michael Zabini?»
«Il single desiderato dell’intera scuola?» le fece
eco Sonia.
«Esattamente! Inutile dirvi che i prefetti sono un
maschio e una femmina. Tolta la sottoscritta le altre tre invece di ascoltare i
Capiscuola sbavano!» esclamò alquanto contrariata. Zabini
era proprio carino ma anche simpatico e gentile, considerata la famiglia da cui
veniva; tuttavia, vedere lo stato in cui si riducevano solo per fargli il filo
era patetico.
«E vogliamo parlare delle Principesse? Gli hanno fatto la posta fuori dallo scompartimento!»
«No aspetta, le Principesse?»
chiese improvvisamente Syd sgranando gli occhi e pareva che il suo pensiero
fosse quello delle altre.
«Le sorelle Sutton?
Quelle che raccontano in giro di essere imparentate con i Windsor?»
«Cento punti a Tassorosso!» ironizzò Margaret per
farle capire che aveva ragione.
Jasmine, Lucy e CamilleSutton erano tre Serpeverde del
sesto, quinto e quarto anno. Si erano date l’appellativo Principesse, con le
quali ora tutta la scuola le chiamava ma solo per prenderle in giro, poiché vantavano
legami di parentela con la famiglia reale inglese, tanto lontani quanto falsi.
Jasmine, la più grande, appariva come quella più
responsabile, ma in realtà tirava avanti facendo pietà agli altri e facendo
parlare di sé per i pali che prendeva dai ragazzi. Lucy, la mezzana, era la più
viziata. Per tirarsi fuori dai pasticci faceva sempre la vittima e vantava
inesistenti attacchi di panico. Camille era la più
piccola e la più altezzosa delle tre, attaccava brighe con chiunque e si
credeva chissà chi.
«Quelle sono degne del loro retaggio! La madre non
si sa chi sia, alcuni dicono perfino che sono figlie di donne diverse, e il
padre sarebbe stato un degno mangiamorte. Vivono
ancora con le false credenze che la purezza della razza sia tutto e cercano
disperatamente un buon partito per sposarsi, vivere nel lusso e farsi
mantenere!» sputò lì Christine disgustata.
Il tempo rimase incerto anche più a nord. La
pioggia spruzzava i vetri di malavoglia, poi il sole faceva una debole comparsa
prima che le nuvole lo coprissero di nuovo. Quando calò il buio e le lampade si
accesero negli scompartimenti, il loro si aprì facendo apparire due ragazzi.
Entrambi del quinto anno e di Grifondoro
si distinguevano per il corpo allenato e l'alta statura.
Oliver Baston Jr. era il
figlio dell'omonimo padre e come lui era portiere e capitano di quidditch della sua Casa. Aveva però capelli così rossi da
farlo confondere con un Weasley, in effetti sua madre
discendeva dal ramo dei Prewett. Gli occhi color
mogano e la mascella squadrata lo rendevano sexy, quanto il suo miglior amico
SiriusFinn Abercrombie. Capelli castani chiaro corti e spettinati,
viso largo e labbra carnose. Anche lui giocava nella squadra di quiddicth nel ruolo di battitore.
«Ehilà, che si dice gruppo buffamente assortito?»
esclamò ironicamente Oliver mentre tutti lo salutavano e Sonia si alzava per andargli
incontro e baciarlo. Si erano messi insieme l’anno precedente, durante il Ballo
del Ceppo, un po’ come era accaduto a Christine con James Tuckett:
un Tassorosso del settimo anno che attualmente aveva
deciso di provare a intraprendere la carriera da auror.
Lui e Christine stavano ancora insieme e parevano molto poco intenzionati a
lasciarsi.
Sonia fece le presentazioni dei due alle gemelle Rachelle, le uniche che non li conoscevano, mentre Ollie già stava squadrando Syd, ma non per i motivi che si potevano
pensare, infatti tutti scoppiarono a ridere quando la videro a disagio.
«No, tranquilla non ci sto provando!» si scusò
subito il ragazzo.
«Sì, tranquilla è una deformazione di famiglia, a
parte me, pensa solo al quidditch!» disse Sonia
prendendo in giro il fidanzato che le fece l’occhiolino.
«No, vedevo che hai un bel fisico, mai pensato a
fare la cacciatrice? Lo dico contro i miei interessi, ma è indubbio che
dovresti almeno provarci. L’anno scorso ha lasciato Mcmillian,
dunque quest’anno i Tassorosso faranno i provini!»
Syd fu presa alla sprovvista, non ci aveva mai
pensato. Lei e Anne erano anomale, non seguivano il quidditch
e non ne erano così fan, anche se ovviamente andavano a vedere quando giocavano
le loro case.
«Ehi, ma che fai avvantaggi le squadre avversarie?»
esclamò Ariane lanciandogli addosso qualche Gelatina Tutti i Gusti +1, mentre Ollie fingeva di essere colpito a morte.
«Non te la prendere Daniel, ma tu non sei adatto.
Tassorosso ha sbagliato di grosso a non prenderti due anni fa come portiere,
sei eccezionale!»
Era difficile comprendere come il giovane potesse
essere costantemente considerato un perdente e sfigato quando di fatto era
amico tra i ragazzi più popolari della scuola. C’era perfino chi andava in giro
a dire che lui li tenesse sotto maledizione Imperius!
«Sì, sono stati ingiusti e poi per cosa? Hanno
preso quel Flanders solo perché assomiglia a Diggory, che riposi in pace! Peccato che non sia né bravo
né simpatico come lui!»
«E non è poi nemmeno così bello!» aggiunse Margaret
all’esclamazione di Sonia, fu allora che un apparente Sirius
si sentì toccato sul vivo.
Tutti, a parte le gemelle Rachelle
ovviamente, sapevano che lui aveva una cotta per la ragazza, ma Margaret non
solo pareva non essersene accorta, ma era alquanto critica verso ogni ragazzo.
Non giudicava le relazioni delle amiche e anzi era felice per loro, ma lei
voleva starne fuori. Diceva di non aver il tempo per quelle cose.
«Ehm ok… ora ce ne andiamo, ci vediamo dopo…»
«No e dai amico… provaci…»
Ma Sirius non colse
l’invito spassionato di Ollie che dopo aver fatto
spallucce, aver baciato la propria ragazza e salutato gli altri, si allontanò
in compagnia dell’amico.
Il viaggio proseguì lento e tranquillo, sicuramente
non mancava molto all’arrivo, ma fu proprio mentre l’intero compartimento del
gruppo di amici era sprofondato in una vaga sonnolenza, che Astryd
decise di balzare in piedi e approfittare dello spiraglio lasciato aperto dal
passaggio poco prima di Sirius ed Ollie,
per scappare nel corridoio. Syd se ne accorse con la coda dell’occhio e nel
tentativo di non disturbare il sonnellino dei compagni, li scavalcò lentamente
e corse dietro il gatto che poco dopo trovò acciambellato tra le braccia di un
ragazzo. Sydney si sistemò gli occhiali sul naso perché non credeva ai propri
occhi: finora Astryd aveva ridotto in poltiglia
chiunque avesse tentato anche lontanamente di toccarla. La “bisbetica domata”
era solita chiamarla per il carattere aspro che si trovava.
Il giovane dai capelli neri e gli occhi profondi,
accarezzava la gatta divertito, mentre quest'ultima pareva davvero godere di
tali attenzioni. Se non fosse stato un animale, Syd avrebbe quasi detto che ci
stava provando.
Fu solo quando il giovane, alto e muscoloso, alzò
il volto che lei ebbe un mancamento. Non era certo come le oche che Margaret
aveva descritto, ma non poteva dire di essere indifferente al fascino di
Michael Zabini.
«Questa deve essere tua!» le disse lui con un
sorriso a trentadue denti, quando si accorse che la ragazza lo stava fissando.
«Ehm sì, alla signorina sono venuti i cinque minuti
ed è scappata via!» rispose con il suo solito piglio ironico e alla mano.
«Ha un pessimo carattere?»
«Oh non immagini quanto!» disse tra i denti e alzando
gli occhi al cielo.
«Ha preso dalla padrona?» le chiese lui per
pungolarla e lei punta sul viso gli strappò la gatta dalle braccia, che non
parve gradire. Dopo averlo fulminato con lo sguardo gli diede le spalle per
tornare nel suo scompartimento.
«Ehi, scherzavo!» le urlò dietro lui, ma lei non si
voltò.
«Ah-Ah molto divertente…» mugugnò invece tra sé e
sé continuando a camminare.
Zabini incrociò le
braccia al petto, poggiò una spalla al finestrino del corridoio e la osservò con
un ghigno stampato in volto. Non sapeva chi era, ma era deciso a scoprirlo!
Arrivò ottobre, che stese una coltre di freddo
umido sui campi e nel castello. Per giorni e giorni, gocce di pioggia grosse
come pallottole picchiarono sulle finestre del castello; il livello del lago
salì, le aiuole divennero rigagnoli fangosi e le zucche di Hagrid raggiunsero
le dimensioni di capanni da giardino. Ma l’entusiasmo del capitano della
squadra di quidditch di Tassorosso nell’organizzare i provini per il nuovo
cacciatore della squadra era alle stelle.
Seppur non si trattava della propria casa, ogni
scusa era buona per Ollie per assistere a una qualsivoglia cosa che avesse a
che fare con il quidditch. E poi, con l’epidemia di raffreddore che aveva
colpito la scuola, alcune lezioni erano saltate per via dell’assenza dei
professori, motivo per cui, pur riparato sotto un grosso ombrello rosso e
giallo si era accomodato sugli spalti deciso ad assistere ai provini. Ancor più
quando aveva scoperto che sia Daniel che Sydney, a cui aveva consigliato di
provarci, avevano deciso di presentarsi.
I Tassorosso erano al completo e dopo qualche giro
di prova e qualche tiro in porta, il capitano aveva deciso di testare la
capacità dei provinati nello schivare i bolidi.
«Dove c’è il quidditch c’è un Baston!» una voce
odiosa e sottile risuonò all’orecchie del ragazzo, non ebbe bisogno di voltarsi
per scoprire che si trattava di Camille Sutton che, con fare felino, si
accomodava al suo fianco stretta sotto il suo ombrello verde e grigio.
«E dove ci sono dei buoni partiti c’è una Sutton!
Solo che pensavo che un Tassorosso, per quanto purosangue, fosse un po’ troppo
poco per voi…»la beffeggiò il giovane
dai capelli rosso vivo. Lo sguardo seducente e un sorriso che faceva impazzire
ogni ragazza.
In effetti, in campo c’erano uno o due purosangue,
ma con entrambi Camille si era già divertita. Non era ancora così desiderosa,
come le sorelle, di accasarsi. Lei era la più piccola delle tre. La sua pelle
era leggermente ambrata, il viso tondo, il corpo sottile e i capelli castano
chiaro avevano shatush biondo grano. L’eyeliner marcato e le labbra
sottolineate con un rossetto accesso, forse fin troppo, come i suoi gioielli
pacchiani per quanto preziosi.
«Non capisco la tua acidità sai? Ma se vuoi io sono
più che disponibile a togliertela…» disse allungando una sua mano dagli artigli
affilati. Tra tutte e tre le sorelle esageravano oltre misura con la manicure.
Ollie fece scivolare via velocemente il braccio dalla sua presa e si alzò
entusiasta a battere le mani e fischiare quando vide che era il turno di Sydney.
Sua sorella non c’era perché a lezione, come gli altri, e dunque voleva farle
sentire tutto il suo supporto. I due si scambiarono un ampio sorriso e poi Sydney
iniziò la sua prova.
Aveva appena fatto in tempo a levarsi da terra che
un pesante bolide nero le si scagliò contro; lei lo evitò per un pelo, tanto
che si sentì scarmigliare i capelli al suo passaggio. La ragazza si abbassò
prontamente per schivarlo e poi con uno scatto di velocità, si precipitò verso
l’estremità opposta del campo. Dietro di sé sentiva il sibilo del bolide. Aveva
cominciato a piovere e la giovane sentì alcune gocce pesanti cadergli sul viso
e schizzarle gli occhiali. Mantenne tuttavia la concentrazione e quando i
battitori entrarono in campo per liberarla dalla presa ferrea del bolide, la
sua prova si poté dire conclusa.
«WOOOOO! BRAVA! VAI SYD! WOOOOOOOOOOOOOOO!» Ollie
urlava come un pazzo, mentre Camille alzando gli occhi lo guardava annoiata.
Nessuna delle sue tecniche per ammaliare stava funzionando e sinceramente si
era anche stancata!
Syd, dal canto suo, toccò terra e si sbracciò per
salutare l’amico, ma al contempo esultare per la sua prova. In quel momento le
passò accanto Daniel, toccava a lui!
«Fagli vedere!» gli sussurrò all’orecchio dandogli
una pacca sulla spalla.
Ora, la pioggia cadeva più fitta. Daniel fece in
tempo a librarsi in aria che subito udì il sibilo che tradiva la presenza del
bolide alle sue spalle. Il ragazzo volò sempre più in alto. Descrisse ampie
curve e scese a capofitto, si mosse a spirale e a zig-zag. Cominciò a salire e
scendere in picchiata lungo tutto il perimetro dello stadio, un sibilo vicino
all’orecchio gli disse che il bolide era vicino, ma prima che potesse cambiare
di nuovo rotta quello lo colpì facendolo precipitare. Daniel si strinse alla
scopa e riuscì ad atterrare più o meno bene, mentre i battitori si occupavano
del bolide.
Ollie non mancò di applaudire anche all’amico, ben
sapendo però che la sua prova era stata meno solida. La sua tecnica era meno
precisa e confusionaria e quello lo aveva infatti portato a confondersi e
perdere di vista il bolide che lo aveva colpito. Il capitano di Tassorosso fu
della sua stessa idea; perché a prove concluse, dopo essersi velocemente
consultato con il resto della squadra, decretò che all’unisono avevano scelto Sydney
Y. Rachelle come nuova cacciatrice.
Ci fu un boato, tutti le fecero i complimenti
nonostante fossero suoi avversari, anche Oliver corse da lei incurante della
pioggia, mentre Camille disgustata da tanta banalità si allontanò. Daniel era
da parte, stringeva il manico di scopa con aria affranta. Non voleva sentirsi
in quel modo, in cuor suo era davvero felice per Syd, ma era stanco di non
essere mai scelto. Di non essere mai il migliore in nulla.
Affranto si allontanò senza che nessuno lo vedesse,
solo dopo pochi minuti Ollie e Sydney si guardarono intorno per cercarlo e
preoccupati si scambiarono uno sguardo, immaginando come potesse sentirsi. I
due si salutarono ripromettendosi l’un l’altro di cercarlo e parlargli, ma fu
una volta negli spogliatoi che Sydney trovò nella tasca del mantello della
divisa un pezzo di pergamena.
Senza pensarci lo lesse e rimase interdetta «Ritrovarvi voi dovevate e così insieme il
viaggio intraprendevate.
Uno dalla
nobiltà d'animo è caratterizzato, ma il coraggio gli viene meno perché
innamorato.»
Immediatamente si guardò intorno come a chiedersi
chi dei suoi compagni avrebbe mai potuto metterglielo addosso, ma poi scosse il
capo rileggendolo. Non aveva la minima idea di cosa fosse, ma si ripromise di
parlare con sua sorella appena ne avrebbe avuta la possibilità.
L’arrivo di Halloween ogni anno significava un’incredibile
decorazione e festa all’interno della Sala Grande che era stata abbellita con i
soliti pipistrelli vivi. Un migliaio di pipistrelli si staccò in volo dalle pareti
e dal soffitto, mentre un altro migliaio sorvolò i tavoli in bassi stormi neri,
facendo tremolare le candele dentro le zucche.
Anne doveva ammettere di non essersi ancora
abituata a quello spettacolo, mentre servendosi delle patate arrosto appena
apparse sulla tavola, con molte altre pietanze, sussultò appena quando una
Margaret concitata si sedette al suo fianco.
«Scusa il ritardo, ho fatto tardi in biblioteca!
Stavo facendo delle ricerche sulle proprietà della Pietra di Luna per il
compito di Pozioni, poi mi stavo portando avanti su altre materie per i
G.U.F.O. e poi mentre stava venendo qui prima Sirius mi ha fermato nel
tentativo di dirmi non so che cosa e subito dopo siamo stati interrotti da due
ragazzini del primo anno della nostra casata che lanciavano cacca bombe nel
corridoio! Da prefetto sono dovuta intervenire!»
La giovane dai lunghi capelli biondo cenere parlò
tutta d’un fiato, mentre velocemente si riempiva il piatto. Era a dir poco
esausta, stressata e affamata.
Anne la stava ancora guardando con sguardo
allucinato e probabilmente le avrebbe fatto presente che il povero Sirius stava
solo cercando una scusa per scambiare due parole con lei da soli, quando
improvvisamente il suo sguardo fu attirato da un pezzettino di pergamena a
terra. Diede per scontato che per via della concitazione dell’amica doveva
esserle caduta dalla borsa stracolma di libri e così senza pensarci si piegò
per raccoglierlo.
«Marge mi sa che nella frenesia ti è caduto
questo!» disse sorridendole e porgendogli il pezzo di pergamenina. Anne fece in
tempo a sistemarsi gli occhiali sul naso quando notò l’amica corrucciarsi nella
lettura del foglietto.
«Ehm… questo… questo non è mio!»
«Ma l’ho trovato accanto alla tua borsa dei libri…
era a terra!»
«Giuro che se è uno degli scherzi di Sirius e Ollie
li metto in punizione, anche se non sono della mia casa!»
In realtà non avrebbe potuto farlo, ma Anne dava
per scontato che la facesse sentire bene dirlo. Ridacchiò pensando dunque a un
bigliettino d’amore o qualcosa per attirare l’attenzione dell’amica, ma quando
si sporse a leggerlo anche il suo cipiglio si incupì.
«P-Posso vedere?» le chiese per non sembrare
inopportuna. Margaret le porse immediatamente il pezzettino di pergamena senza
remore.
«A te che sembra?» le chiese sinceramente
incuriosita di avere una sua opinione in merito.
«L’altra nel
cuore cela il segreto, è sì furba ma dall’animo inquieto. Anche lui che dalla
lealtà è mosso, deve fare i conti con la gelosia che gli sta addosso.»
Lesse ad alta voce. In effetti poteva essere un
indovinello, un gioco di parole che descriveva Margaret e Sirius. Sapendo
quanto fosse una ragazza arguta e intelligente, magari aveva capito che per
attirare la sua attenzione ci voleva qualcosa di più di due semplici parole
sdolcinate.
«Io non so te Marge, ma lo trovo simpatico…»
«Simpatico?» chiese quasi come se Anne avesse
appena detto una parolaccia. Quest’ultima ridacchiò, l’amica doveva decisamente
rilassarsi.
«Senti so che i G.U.F.O. stanno facendo disperare
tutti voi del quinto anno e siete tesi come corde di violini, ma davvero non ci
arrivi?» le chiese sapendo di pungolare la sua curiosità. Quella incrociò le
braccia e la guardò sinceramente incuriosita.
«Mmm… continua…»
«L’altra nel
cuore cela il segreto, è sì furba ma dall’animo inquieto. Ok furba non la
userei come parola per definirti, più che altro arguta. Ma in fondo in fondo
nel tuo cuore sai che ti piace Sirius, ma non lo vuoi ammettere e per questo
sei inquieta»
«A me non piace S…»
«Anche lui
che dalla lealtà è mosso, deve fare i conti con la gelosia che gli sta addosso.
Sappiamo entrambe che Sirius è un bravo ragazzo, leale e gentile, forse vuole
dirti che è geloso perché le attenzioni che poni allo studio le vorrebbe anche
per lui?»
«C-Cioè tu mi stai dicendo che Abercrombie mi ha
fatto scivolare questo bigliettino nella borsa per… per dirmi cosa esattamente?
Che mi fa la corte o per beffeggiarmi che io la faccio a lui?»
«Vedi come sei! Scatti subito! Sta solo cercando di
attirare la tua attenzione, non so cosa ne pensi, ma io lo trovo carino…»
«Ehm… sì… ok ammetto che è un modo originale e
anche intrigante… oh ma cosa mi fai dire! Su su pensiamo a mangiare sennò tra
un po’ sparisce tutto!» tagliò corto Marge con le gote arrossate. Anne la
guardò, ridacchiò e poco dopo seguì il suo esempio, dedicandosi al gustare le
prelibatezze di quella cena.
La sala comune dei Serpeverde
era un sotterraneo lungo e basso con le pareti e il soffitto di pietra, da cui,
appese a delle catene, pendevano lampade rotonde e verdastre. Di fronte ad
Ariane, in un camino, dalle sculture elaborate, scoppiettava un fuoco contro
cui si stagliava il profilo di molti ragazzi, seduti tutt’intorno su sedie
scolpite.
Avrebbe dovuto concentrarsi sui compiti che le
mancavano, ma era così eccitata all’idea della sua prima partita che faticava a
farlo. Sua sorella era impegnata, assieme agli altri del quinto anno del loro
gruppo, con Margaret che come sempre si dimostrava disponibile a dargli una
mano fuori dall’orario delle lezioni in classi di recupero, per aiutarli lì
dove avevano dei deficit.
La giovane stava osservando da quasi mezz’ora le
fiamme del camino immaginando sé stessa a volare come GinnyWeasley, suo idolo nella sua squadra di quidditch preferita. Era nella stessa da pochi anni, ma già
si era distinta per le sue capacità tattiche.
Era una cacciatrice esattamente come lei e
possedeva tutte le qualità che lei cercava di emulare. Le piaceva il suo stile
di gioco sinuoso, ma d’attacco. Veloce, ma pulito. La venerava oltre ogni
misura, anche quando rispondeva ai giornalisti sempre con il suo piglio sicuro
e spesso sarcastico. Probabilmente sarebbe rimasta in quella trance se non
fosse stato per un’improvvisa discussione che la costrinse a ridestarsi dai
suoi sogni ad occhi aperti.
Scivolò prima sulla mano su cui era appoggiata e
dopo aver sbattuto gli occhi uno o due volte si guardò intorno per capire da dove
quel chiasso provenisse. Poco distante, vicino ai gradini posti dopo l’ingresso
alla Sala Comune, Jasmine Sutton e Soleil Anastasia
Strange stavano discutendo.
La prima era famosa per parlare alle spalle di
tutti. Considerata la meno peggio delle Princesse,
era indubbiamente la più patetica. Dalla pelle chiara, rispetto alle sorelle,
era anche la maggiore. Era sempre costretta a sopportare i capricci di Lucy e Camille e fare da paciere tra le due. Era indubbiamente
meno frivola delle altre, andava meglio a scuola, ma con i ragazzi era una vera
frana. La sua popolarità era legata ai pali che aveva preso, tutti che
preferivano sempre le sorelle a lei o qualsiasi altro essere di sesso
femminile. L’anno precedente, al Ballo del Ceppo era stata l’unica dell’intera
scuola che si era presentata da sola e non per scelta, come tanti altri, ma
perché nessuno l’aveva voluta accompagnare né d’accompagnatore né d’amico.
Dai capelli castani lunghi e mossi aveva gli occhi
marrone talpa e la faccia leggermente rovinata dall’acne, nonostante tentasse
di nasconderlo con chili di fondotinta. A differenza sua Soleil, del sesto anno
come lei, era una ragazza alta, longilinea e atletica. Poco seno e pancia
piatta, capelli biondi sporco lunghi fino a metà schiena e occhi color castagna.
Truccata era a dir poco perfetta, ma lo era anche quando rimaneva acqua e
sapone, scelta che spesso prendeva e che per questo aveva sempre incontrato
l’ammirazione di Ariane e Christine. Era sicura di sé per cui se si truccava
era perché le andava per sé stessa non per ostentare qualcosa.
Come loro era solita indossare monili che
richiamassero lo stemma della loro casa, il serpente, ma nonostante fosse
invidiata da molte e corteggiata da molti, era incredibilmente tenuta a
distanza da tutti.
Era molto sincera, forse troppo, e uno scandalo
dell’anno precedente – delle voci dicevano che aveva avuto una relazione con il
professore di Difesa delle Arti Oscure, motivo per cui l’avevano cacciato –
l’avevano resa lo zimbello della scuola.
Le facevano sempre terribili battute, i ragazzi la
trattavano come una facile e le ragazze le davano della poco di buono.
Giocavano a farle lo scherzo peggiore e nonostante lei ostentasse sempre una
certa sicurezza, Ariane l’aveva sentita piangere una volta o due, ma non si era
mai palesata, convinta che così l’avrebbe fatta sentir peggio.
A quanto pareva le due si stavano fronteggiando
perché nonostante le Sutton “giocassero” ad essere
amiche, Soleil aveva scoperto che non solo erano come tutte le altre, ma che la
persona che l’anno prima aveva fatto uscire lo scandalo, per cui aveva anche
rischiato l’espulsione, era stata lei!
«Te lo sei inventato di sana pianta!»
«Oh ma smettila! Lo avevamo notato tutti che eri la
sua preferita e vogliamo parlare di tutte le volte che ti fermavi oltre
l’orario di lezione?»
«Non c’è mai stato nulla! Eravamo amici! È
proibito!?»
«Tra studentessa e professore? Amici? Ma per favore!»
Si urlavano addosso l’un l’altra, Jasmine in un
primo momento aveva tentato di negare di fronte alle accuse di Soleil, ma alla
fine aveva preso coraggio. Notando come tutta la Sala Comune le guardava, e la
fiancheggiava, si gonfiò il petto come un tacchino e affondò un colpo dopo
l’altro.
«Sai che vi dico? Ma pensate quello che vi pare!»
sbottò infine Soleil dando le spalle a tutti, per poi, con grandi falcate,
oltrepassare il buco nel muro e il ritratto,andando via.
Ariane non era intervenuta, ma non aveva niente
contro Soleil. Lei e Christine ci avevano parlato ogni tanto e non sarebbe
dispiaciuto loro di tentar di approcciarsi a lei, ma era sempre molto schiva e
diffidente. Jasmine intanto era stata circondata da molti Serpeverde
e a lei non parve vero, per potersi pavoneggiare. Era sempre tanto in ombra
rispetto alle sorelle, che doveva essere un sogno esser così considerata, ancor
più, visto che Zabini le stava parlando.
Ciò forse fu un bene, perché Ariane notò qualcosa
per terra e non ci pensò due volte ad avvicinarlo e prenderlo. Era un pezzo di
pergamena, probabilmente caduto dalla borsa di Soleil. Lo stesso recitava: «Nelle segrete stanze essi son celate, le
antiche reliquie che si credevan cancellate.
Siete voi
forse in grado, di riportar lustro ove vi è stato degrado? La sfida è lanciata
e la missione vi è stata assegnata.»
Ariane rilesse per tre volte, si dicevano così
tante cose sulla Strange che non sapeva bene cosa pensare, ma non l’aveva mai
giudicata e non avrebbe iniziato ora. Si ficcò il pezzo di pergamena in tasca e
con noncuranza tornò ai suoi compiti ripromettendosi di riconsegnarle il
bigliettino appena ne avrebbe avuto occasione.
Storia della Magia era per opinione comune la
materia più noiosa mai concepita dal mondo magico. Il professore Rüf, il loro insegnante fantasma, aveva una voce
affannosa e monotona che dava la garanzia quasi assoluta di una pesante
sonnolenza entro dieci minuti, cinque quando faceva caldo. Non variava mai la
forma delle sue lezioni, ma parlava senza interrompersi mentre gli allievi
prendevano appunti, o piuttosto fissavano il vuoto insonnoliti. Sonia e Christine
fino ad allora erano riuscite a strappare la sufficienza copiando gli appunti
di Margaret prima degli esami, solo lei sembrava capace di resistere al potere
soporifero della voce di Rüf.
Quel giorno sopportarono tre quarti d’ora di borbottii
sulle guerre dei giganti. Christine ascoltò per i primi dieci minuti abbastanza
da intuire che, affidata a un altro insegnante, la materia avrebbe potuto
essere vagamente interessante. Tuttavia, a quel punto, il suo cervello si
scollegò e trascorse la restante ora e venti a giocare con Sonia a tris su un
angolo della pergamena.
L’accoppiata Grifondoro e
Serpeverde del quinto anno era fissa il lunedì, non
solo il peggior giorno della settimana in assoluto, ma quell’anno un vero
inferno. Dopo il sonno di Storia della Magia proseguirono con Pozioni.
«Prima di cominciare la lezione di oggi» disse il
professor Lumacorno, raggiungendo la cattedra e
facendo scorrere lo sguardo su tutti gli studenti, «ritengo opportuno
ricordarvi che il prossimo giugno affronterete un esame importante, durante il
quale dimostrerete quanto avete imparato sulla composizione e l’uso delle
pozioni magiche. Mi aspetto che strappiate un Accettabile al vostro G.U.F.O… conoscete la mia bonarietà e
desiderio che tutti facciate del vostro meglio, ma cari ragazzi poco posso di
fronte ad evidenti insufficienze! Questo ovviamente non conta per Miss Abroath, l’unica che padroneggia senza alcuna difficoltà la
materia…»
«Non conta, la madre è una pozionista!
Lei e la sorella sono avvantaggiate!» mugugnò Zabini,
mentre Christine si voltava per lanciargli un’occhiataccia.
«Ma che c’entra? Mio padre conosce non so quante
lingue e io è già tanto se padroneggio il francese che è la lingua di mia
madre!» rispose lei infastidita sottovoce rivolta a Sonia che scosse il capo
come ad invitarla a lasciar perdere.
«Dopo quest’anno, naturalmente, molti di voi
smetteranno di studiare con me… e lo ammetto cari ragazzi, mi spiacerà molto!»
Come se la mattina non fosse stata abbastanza
pesante, la giornata si concludeva nel pomeriggio con due ore di Incantesimi
seguite da due ore di Trasfigurazione. Sia il professor Vitious
che la professoressa Morrigan passarono i primi
undici minuti della loro lezione a fare una predica alla classe sull’importanza
dei G.U.F.O.
«Quello che dovete ricordare» disse il piccolo
professore Vitious con voce gracchiante, appollaiato
come sempre su una pila di libri per riuscire a vedere oltre la cattedra, «è
che questi esami possono influenzare il vostro futuro per molti anni a venire! Se
non avete ancora pensato seriamente alla vostra carriera, ora è il momento di
farlo. E nel frattempo, temo che lavoreremo più che mai per garantire che tutti
voi siate all’altezza del vostro talento!»
Poi passarono più di un’ora a ripassare gli
Incantesimi di Appello, che secondo il professor Vitious
sarebbero senz’altro venuti fuori all’esami di G.U.F.O, e lui completò la
lezione assegnando loro il più grande quantitativo di compiti mai dato per
Incantesimi. A Trasfigurazione fu lo stesso, se non peggio.
«Non potete superare un G.U.F.O.» disse la
professoressa Morrigan minacciosa, «senza una seria
applicazione, esercizio e studio. Non vedo ragione per cui qualcuno di questa
classe non dovrebbe ottenere un G.U.F.O. in Trasfigurazione, a patto che lavori
sodo.»
Quando le lezioni finirono, la giornata era
diventata fresca e ventosa, mentre i ragazzi erano in agonia per il carico di
compiti che li aspettava.
«Se siamo messi così a Novembre… io inizio a temere
per la mia salute mentale…» bofonchiò Sirius a Sonia
e Christine. La campanella era appena suonata e Lucy aveva già messo in scena,
per l’ennesima volta quel giorno, il suo show.
«Oh no, guardate la drama
queen!» fece notare Zabini e questa volta a ben
vedere.
Il copione era sempre lo stesso. Raggiungeva il
professore, iniziava a piagnucolare dei suoi problemi di salute, della sua
instabilità emotiva e di come uno stress così grande ne peggiorasse la
situazione e supplicava per un trattamento di favore. Era pessima! Lucy era la
mezzana delle Sutton, quella con la pelle più scura,
come se fosse perennemente abbronzata, capelli neri che teneva sempre raccolti
in due odango sulla testa e make
up oltre modo esagerato con sprazzi di viola e fucsia. Era anche quella che
prendeva più richiami per la divisa che personalizzava troppo, tagliandola o
mettendoci lustrini ed altre strane aggiunte.
«Comunque me lo aspettavo, l’anno scorso Ollie era praticamente un fantasma…»
«Ed io che dicevo che faceva l’esagerato!»
bofonchiò Sonia in risposta a Sirius, mentre
Christine si massaggiava le tempie.
Il piccolo gruppo si stava dirigendo fuori
dall’aula se non fosse stato che accorgendosi che Sonia era ancora ferma
accanto al suo banco la raggiunsero. Stringeva tra le mani un pezzo di
pergamena e lo leggeva confusa.
«Ehi tutto bene?»
«Sì è che… mi è caduto dal libro di Trasfigurazione
quando l’ho preso per metterlo in borsa!» esclamò lei mostrandolo ai due amici.
Christine lo prese e con Sirius
lo lesse: «Infine lei che dall'intelletto
fine sottovaluta le sue capacità adamantine. Voi gli eredi delle antiche nobili
casate siete e gli indizi di questo indovinello cogliete.»
«Non è che è uno degli scherzi di Zabini?» chiese il ragazzo guardando le altre due, tutti e
tre sapevano come era fatto ed in effetti era plausibile.
«L’anno scorso nella Sala Comune di Serpeverde aveva perfino messo in giro la voce che la
Camera dei Segreti era stata riaperta…» fece notare la Abroath
con il tono di chi ormai non credeva a più nulla di ciò che veniva dalla sua
bocca.
Alla fine non era un cattivo ragazzo, tutti loro
più o meno ci andavano d’accordo, ma diceva sempre quella parola in più che non
doveva dire e i suoi scherzi erano il più delle volte di pessimo gusto.
«Mah! Sarà!» disse Sonia e senza pensarci
stropicciò il pezzetto di pergamena e se lo cacciò in tasca, uscendo poi con
gli amici dalla classe.
Il mese di dicembre portò a Hogwarts vento e
nevischio, Ariane si svegliò di soprassalto la mattina prima di Natale e
immediatamente si mise a cercare con lo sguardo i regali ai piedi del letto.
Aveva fatto un terribile sogno in cui era ancora al suo primo anno ed era solo
settembre. Scosse immediatamente il capo e cercò di darsi una calmata,
poggiandosi una mano sul petto. Il suo pigiama verde e oro delle Holyhead
Harpies fece bello sfoggio su di sé e le bastò ricordarsi che era davvero una
Cacciatrice per calmarsi. Prendeva un po’ troppo sul serio quella cosa del
Quidditch e del frequentare orgogliosamente la scuola di Hogwarts facendo parte
della casa di Serperverde, ma cosa ci poteva fare se per lei era una cosa tanto
importante?
Con un sorriso a trentadue denti si dette
velocemente una sistemata, non vedeva l’ora di scendere nella Sala Comune,
incontrare Christine e raggiungere tutti gli altri!
Dall’anno prima si era unita alla piccola
tradizione del gruppo di amici che erano soliti aprire i regali di Natale tutti
insieme nella Stanza delle Necessità. L’aveva scoperta Ollie durante il suo
quinto anno quando, disperato, era alla ricerca di una stanza in cui imboscarsi
con Sonia per pomiciare. Era divertente come storia, ma di fatto da allora il
gruppo di amici la usava spesso per le loro piccole feste private come quelle
legate alle festività o ai loro rispettivi compleanni. Era un modo per avere
sempre la location perfetta con tutto il necessario al suo interno, senza dover
portare nulla.
Era ancora molto presto quando si incontrarono di
fronte all’arazzo di Barnaba il Babbeo
bastonato dai Troll, su al settimo piano, tanto che tutto il castello
ancora dormiva. Ognuno era giunto facendo ben attenzione a non incrociare Gazza
e MrsPurr, mentre con i
numerosi pacchetti di regali al seguito, grazie all’incanto Locomotor, erano in attesa che
Margaret passasse tre volte davanti alla parete vuota per farvi apparire la
porta che li avrebbe condotti al loro personale angolo di Natale.
«Ma che sta facendo?» sussurrò Sydney confusa,
dopotutto lei e sua sorella non erano a conoscenza di niente. Erano state
invitate a una “sorpresa” e nessuna delle due era stata in grado di declinare.
«Ora vedrete…» le sussurrò Ollie con un ghigno
stampato sul viso.
Quando la porta apparve, Anne si portò le mani
sulla bocca e poi velocemente entrarono. La porta sparì e loro si trovarono
immersi in quello che pareva un enorme salone tutto in legno. Dai vetri
nevicava e si vedevano perfino le montagne, era come stare in uno chalet dal
tetto a volta. Un albero di Natale di almeno due metri troneggiava addobbato di
tutto punto, mentre la stanza era arredata con mobilio e soprammobili stile
nordico. C’era un grande divano a elle di fronte al camino acceso, calze appese
con i loro nomi ricolmi di dolci e perfino un intero tavolo apparecchiato per
la colazione. Sulle sedie, perfettamente del numero quale erano loro, degli uglysweatersfacevano bella mostra di sé e tutti li
guardarono ridendo.
«Io quello non lo metto!» disse contrariata Sydney fissandolo
di traverso. Sul suo c’era un orribile elfo con un cappello di Natale.
«Mi spiace Rachelle, questa è la tradizione, tutti
indosseremo quei terribili maglioni! Apriremo i regali insieme e poi faremo
colazione!» disse Oliver che già si era spaparanzato sul divano. Fu velocemente
raggiunto da Sonia e Christine alla sua sinistra e Sirius, Anne e Daniel alla
sua destra. Sedute per terra vicino al pouf centrale che fungeva da tavolino
c’erano Ariane, Margaret e Sydney.
Ariane come al solito aveva ricevuto qualsivoglia
regalo avesse a che fare con le Holyhead Harpies… che fossero miniature,
abbigliamento o qualsiasi altra cosa. Idem per Oliver che fece il pieno di cose
relative al Quidditch dal libro “Squadra
di Quidditch della Gran Bretagna e dell’Irlanda” da parte delle sorelle
Abroath a “Kit di manutenzione per manici
di scopa” da parte di Sonia. Quest’ultima ricevette molte cose diverse, da
un libro raro di leggende anglosassoni dalle gemelle Rachelle,
a una collana personalizzata il cui ciondolo riportava al suo interno il
profilo del castello di Hogwarts, con il volto di un
gran leone che ruggiva da parte di Margaret, in cambio questa ricevette ogni
qual tipo di libro esistesse: romanzo, saggio, etc…
Sirius apprezzò moltissimo tutti i calzini assurdi
che ricevette da parte di ognuno di loro, Anne era stata confusa quando le era stato
suggerito quello strano dono, ma lui parve apprezzare oltremisura. Le gemelle
ricevettero invece varie cose inerenti alle loro case, che fosse un monile
d’argento che ritraeva l’animale di rappresentanza o un oggetto con i colori
corrispondenti. Per Christine invece ci fu una carrellata di piccoli gioielli
in oro bianco, abbigliamento e anche delle adorabili action figure in vinile di
cui era una pazza collezionatrice. In conclusione, Daniel come sempre ricevette
molte cose tra l’utile e l’affascinate come una ricordella,
uno spioscopio portatile e qualche scherzo dei Tiri
Vispi Weasley.
Fu però a colazione che chiacchierando tra loro i
ragazzi portarono alla luce uno strano fenomeno che, in modo diverso e
scomposto aveva colpito ognuno di loro: il ritrovamento di strani pezzetti di
pergamena. Siccome ognuno aveva con sé il proprio, seppur nessuno ricordava
effettivamente di averlo messo in tasca quella mattina, si trovarono ad essere
così sopraffatti dalla curiosità che finirono ben presto tutti intorno al pouf
di fronte al divano. In ginocchio li guardavano continuando a spostarli per
forzare una filastrocca e con loro somma sorpresa in effetti ne uscì fuori una
di senso compiuto.
Ritrovarvi voi dovevate e così insieme il viaggio
intraprendevate.
Uno dalla nobiltà d'animo è caratterizzato, ma il
coraggio gli viene meno perché innamorato.
L'altra nel cuore cela il segreto, è sì furba ma
dall'animo inquieto.
Anche lui che dalla lealtà è mosso, deve fare i conti con
la gelosia che gli sta addosso.
Infine lei che dall'intelletto fine sottovaluta le sue
capacità adamantine.
Voi gli eredi delle antiche nobili casate siete e gli
indizi di questo indovinello cogliete.
Nelle segrete stanze essi son celate, le antiche reliquie
che si credevan cancellate.
Siete voi forse in grado, di riportar lustro ove vi è
stato degrado? La sfida è lanciata e la missione vi è stata assegnata.
Anne e Sydney sentirono di provare lo stesso
brivido che ebbero il giorno che avevano ricevuto la lettera per Hogwarts,
mentre Ariane strofinava le mani emozionata all’idea di un’avventura, Sonia che
amava gli indovinelli lo rilesse più volte e Margaret con il suo solito senso
critico analizzava attentamente il tutto.
«Non so voi ma tutto è davvero molto interessante.
A prescindere di ciò che ognuno di noi ha pensato all’inizio, tutti abbiamo
trovato questi bigliettini per caso. Abbiamo dato per scontato che fossero di
qualcun altro e messi insieme formano davvero quella che sembra una caccia al
tesoro?» analizzò e domandò Christine.
«O una specie di profezia!» aggiunse Sirius.
«Come ben sapete sono sempre pronto per buttarmi in
una nuova avventura!» esclamò Oliver che sembrava già pregustare l’idea.
L’unico incerto parve Daniel che dopo un primo
momento di entusiasmo nel tentativo di riunire i bigliettini, si era poi alzato
e seduto sul divano. Aveva incrociato le braccia al petto e si era limitato a
fissare tutti con quello che sembrava un broncio ben marcato.
«A me pare solo una sciocchezza!»esclamò poi, annoiato.
«Potrebbe…» esclamò Christine, ma la frase pareva
voler proseguire e così fu: «Sono stata la prima a suggerire in un primo
momento, al ritrovamento del pezzo di pergamena con Sirius e Sonia, che poteva
essere uno scherzo, magari di Zabini… ma non lo so, mi sembra troppo articolato
a essere sincera!»
«Non ce lo vedo poi a mettersi lì a fare un lavoro
così di fino!» aggiunse Sydney che pareva avere l’orticaria al solo sentirlo
nominare.
«Mah! Credete quello che vi pare!» tagliò corto
Daniel. Tutti si sentirono a disagio per il suo strano comportamento e per non
volerlo ulteriormente infastidire pensarono per il momento di mettere da parte
la cosa. Anne si offrì di conservare i frammenti di pergamena e nessuno ebbe da
ridire.
La mattina fu davvero un’apoteosi di gioia e
divertimento. Certo, Natale sarebbe stato solo il giorno successivo, ma
considerando che tutti sarebbero stati a casa per le feste, era un modo per
viverlo tra loro e potersi guardare in faccia mentre si aprivano i pacchetti, alcuni
finemente incartati e altri un po’ meno. Mancava ancora qualche ora prima della
partenza e tenendo conto che il baule era già pronto, uscirono nel parco. La
neve era intatta, eccetto i profondi solchi tracciati dagli studenti per salire
e scendere dal castello. Daniel decise di assistere alla battaglia a palle di
neve degli altri invece di prendervene parte e dopo poco meno di un’ora
annunciò che tornava nella Sala Comune di Tassorosso.
«Ehi dove vai? Ci abbandoni?»
«Voi mi abbandonate comunque, no? Ciao e Buon
Natale…» si limitò a dire e sventolando la mano si allontanò. Risalì i gradini
di pietra e sparì nel castello.
Solo Sydney e Oliver avevano sentito la sua
risposta, visto che la prima gli aveva posto la domanda e il secondo era
accanto a lei.
«Dici che ce l’ha ancora con me per via del provino?»
«Secondo me non è solo questo… Lo vedo strano da un
po’… anche stamattina nella Stanza delle Necessità era…»
«Freddo? Distaccato? In Sala Comune è già tanto che
mi saluta quando mi incrocia…»
La distrazione momentanea dei due costò a Oliver
una palla di neve in pieno volto da Sirius che, con le mani alla pancia, rideva
a crepapelle nel vedere l’espressione scioccata del fratello. Presto la guerra
riprese, anche se alla fine tutti ci rimasero molto male quando al momento dei
saluti Daniel non si presentò. Era l’unico che sarebbe rimasto al castello e la
cosa pareva averlo punto parecchio sul vivo.
Da quando Anne e Sydney erano andate a vivere con
gli zii, dopo il loro primo anno a Hogwarts, stavano
a Bristol. Una città sviluppatasi su entrambe le rive del fiume Avon e ubicata
nell'Inghilterra sud-occidentale.
La casa degli zii delle ragazze era proprio vicina al
porto, leggermente in posizione rialzata rispetto al mare, e faceva parte di un
nuovo complesso di costruzioni composto da cubotti
tutti di un colore diverso dall'altro, con ampie vetrate rivolte verso il porto
e una parete di cemento nel loro caso di color giallo vivo.
Su due piani, vantava un comodo e accogliente open
space al piano terra che comprendeva salotto, soggiorno e cucina, più un bagno
di servizio con balcone su cui nei giorni estivi pranzavano; mentre al secondo
piano vi erano due camere da letto, con il bagno in comune e la patronale con
bagno in camera più un'ampia vetrata a tre finestre uguale a quella al piano di
sotto che però, a differenza della prima, era priva di balcone.
Quel luogo era molto diverso da dove avevano sempre
vissuto, più moderno e in un certo qual modo anche più lussuoso, ma non era
quello che le faceva impazzire e nemmeno l’affaccio sul mare – seppur fosse una
componente importante – ma lo era il dividere quella casa con due persone che
le capivano e a cui loro volevano un bene dell’anima.
Purtroppo, i rapporti con i genitori erano ancora
molta tesi, loro non le avevano completamente diseredate e ancora si sentivano
ogni tanto, a Natale e in estate, in una chiamata per raccontarsi come andava e
mantenere i contatti, ma… nominare gli zii con cui vivevano o ancor peggio
qualsiasi altra cosa che avesse a che fare con la magia era fuori discussione.
Era un argomento tabù, uno che era meglio evitare se non si voleva entrare in
uno dei soliti loop da cui era impossibile uscire. Ahimè i loro genitori non
avrebbero mai cambiato opinione in merito e le due, ormai, lo avevano capito.
La mattina di Natale, dopo aver aperto i regali, Sydney
e sua zia erano in cucina intente a cucinare. Anne e lo zio, come sempre, erano
in salotto a giocare a scacchi. Era tradizione che a cucinare fossero loro due,
mentre gli altri filosofeggiavano o scherzavano, guardandole.
La giovane Anne non riusciva a smettere di pensare alla
filastrocca che insieme al gruppo avevano trovato. Prima di partire, con un
incanto Reparo, aveva reso i pezzetti di pergamena un
foglio unico e da che era a casa la leggeva e la rileggeva senza sosta. La sera
prima perfino allo zio l’aveva fatta vedere, ma questo dopo averle rivolto uno
strano sorriso compiaciuto gliela aveva ridata senza proferire parola. Anne
ancora ci pensava, quando si fece mangiare – in modo del tutto banale – il
cavallo.
«Qualcuno ha la testa altrove?» le chiese l’uomo
bonariamente togliendo il pezzo dalla scacchiera e sostituendolo con la sua
torre.
«Pensavo a quello che ti ho fatto vedere ieri…»
«Oh quello…» disse lui mentre i suoi occhi azzurro
cristallino si illuminavano con fare per nulla sorpreso.
«Continui a fare così!»
«Così come?»
«Così! È come se volessi dirmi qualcosa, ma alla
fine non me lo dici!» rispose esasperata Anne. Adorava suo zio, ma era così
enigmatico, ci teneva sempre che a qualsiasi cosa le sue adorate nipoti ci
arrivassero per conto loro. Era un uomo non solo molto colto, ma che tanto
aveva visto e tanto sapeva. La sua conoscenza, tuttavia, era un dono prezioso e
non lo “vendeva a poco prezzo”. Anche con loro spillava sempre le cose a
piccoli bocconi e sempre in modo criptico.
«Al ritorno delle vacanze pensavamo di indagare, di
capirci di più… prima di partire non siamo riusciti a parlarne molto, Daniel
sembrava infastidito dalla cosa…» disse lei più esprimendo un pensiero ad alta
voce che altro.
«Mi fa molto piacere che tu e Sydney vi siate fatti
tutti questi amici. Mi fa sentire più tranquillo…»
Anne che stava guardando le fiamme del camino,
improvvisamente lo fissò con sguardo corrucciato. Era strana la sua frase, ma
prima che potesse indagare oltre lui proseguì: «Conosci la serendipità?» le
chiese poi prendendola alla sprovvista.
«Ehm… sì… più o meno…» aveva in effetti letto al
riguardo, ma non ci aveva capito granché.
«Credo che quei messaggi che abbiate ricevuto non
siano casuali, motivo per cui per comprenderne la loro vera natura dovete agire
in modo contrario…»
Anne guardò lo zio in modo assai concentrato, era
chiaro che le stava fornendo una lezione importante e sapeva anche che non
gliela avrebbe spiegata. Toccava a lei comprenderne il significato.
«Vuoi dire dunque che dovremmo lasciare che il caso
ci faccia trovare la risposta alla sfida che questo indovinello pare volerci
lanciare? Semplicemente non cercando, facendo altro e sperando così di
trovarla?»
«Esattamente!» rispose l’uomo sorridente. Anne
ricambiò il sorriso un po’ meno sicura e più confusa che mai.
Un anno poteva portare molti cambiamenti e non solo
di classe. I G.U.F.O. erano stati un incubo proprio come avevano previsto, le
lezioni erano divenute se possibile sempre più difficili e i compiti avevano
moltiplicato il loro numero dopo le festività natalizie.
Alla fine, Christine, Sonia e Sirius erano passati
con una O, Margaret ovviamente con una E, mentre Zabini e Lucy Sutton ce l’avevano
fatta per il rotto di una cuffia con A. Purtroppo, Daniel aveva preso S nonostante
gli sforzi e dunque si era ritrovato a ripetere l’anno: così adesso era in
quinta insieme ad Anne e Sydney.
Questo, se possibile, incrinò ancor più i suoi
rapporti con il resto gruppo, infatti, dopo aver condiviso il viaggio di andata
con gli altri a settembre, con il passare dei mesi divenne sempre più
invisibile fino a passare ancora meno tempo con i suoi amici. Continuava a
essere bersagliato e preso in giro, ma ora pareva subire la cosa come mai
prima. Tutti tentarono di approcciarlo, ma nessuno ottenne un risultato,
nemmeno Sydney che era perfino sua compagna di casata.
Queste e tante altre cose avevano portato dunque i
ragazzi a mettere da parte l’indovinello fino a dimenticarselo e, nonostante
Anne lo custodisse ancora nel suo diario, si ricordava le parole di suo zio e
per questo non tirava mai fuori l’argomento.
Per Christine non avere più i G.U.F.O. era una
benedizione, ciò non toglieva che gli argomenti divenissero più complessi e i
compiti più difficili. Per questo lei, Sonia e Sirius avevano fatto un patto da
cui Margaret ovviamente si era del tutto dissociata. Considerato che l’anno
successivo ci sarebbero stati i M.A.G.O. in quello avrebbero fatto il minino
indispensabile per passare, così facendo si sarebbero vissuti quel periodo
appieno. Avrebbero saltato delle classi, rimandato compiti e fatto tutto ciò
che gli sarebbe saltato in mente; poi, l’anno successivo sarebbero stati
studenti modello.
Stava ancora ridacchiando tra sé e sé ripensando
alla ramanzina che Margaret aveva fatto loro a tal proposito, quando uscendo da
Trasfigurazione nel corridoio del primo anno assistette all’ennesima angheria
nei confronti di Soleil. Lei era una tosta, non si lasciava certo intimidire
dai loro stupidi scherzi o battutacce, ciò non tolse che di fronte all’involontario
danno appena causato non poteva far nulla. Lucy Sutton, tutta agghindata e
truccata in modo ridicolo come sempre, le era andata volutamente contro. Lo
scopo di ciò era farle cadere le pergamene dei temi che teneva in braccio nella
pozza d’acqua proveniente dal bagno di Mirtilla Malcontenta. Il suo piano andò
a segno se non fosse che Soleil aveva in mano anche una fialetta di Puzzalinfa,
che le sarebbe servita per una pozione. Questa cadde con tutto il resto
sporcando Lucy e finendole addirittura in faccia.
La Sutton iniziò a urlare isterica e a sbraitare
con il suo solito carnet di parole formato da offese, parolacce e insulti.
Siccome l’attenzione attirata stava divenendo troppa, Soleil si ficcò le
pergamene fradice in mano e si lasciò scivolare nel bagno delle femmine, da
sempre fuori uso. La verità è che non le andava minimamente di affrontare
l’ennesima stupida litigata e ben sapendo che nessuno avrebbe osato entrare lì
dentro vi si rifugiò.
Christine osservò la scena e mentre un piccolo
gruppetto si formava intorno alla Sutton, che aveva iniziato ad avere uno dei
suoi inesistenti attacchi di panico, lei entrò nel bagno e si guardò
velocemente intorno. Soleil era seduta in fondo su un piccolo basello sotto la
finestra che mal illuminava la stanza, per l’ennesima volta allagata. Ben
felice che nonostante ciò Mirtilla pareva non essere nei paraggi, la ragazza
dai corti capelli rossi si avvicinò alla compagna di casata. Questa stava
valutando lo stato delle sue pergamene e constatò che erano da buttare.
«Se vuoi ti dico dove Jasmine tiene le sue, l’ho
vista ieri sera farsi aiutare a fare i temi da Gilles…» disse Christine con
voce gentile. Gilles era un secchione dello stesso anno di Soleil a cui tutti i
Serpeverde si rivolgevano per essere aiutati nei compiti, alcuni lo pagavano
pure affinché li facesse al posto loro.
Soleil sollevò lo sguardò e vedendo la compagna
sorrise, non erano amiche, ma poteva dire che quanto meno né lei né sua sorella
si erano mai unite agli altri per prenderla di mira.
«Considerando che è colpa di sua sorella, non mi
sentirei in colpa a rubarle i compiti!» rispose spiccia. Mollò l’ammasso
informe di carta e si passò una mano tra i capelli con fare stanco.
Christine prese posto al suo fianco. A differenza
sua, era truccata. Un bell’ombretto verde metallico le colorava le palpebre e
il mascara nero le metteva in risalto le ciglia lunghe. Al collo aveva una
piccola catenina d’oro con una “C” e un piccolo serpente a fianco. Lo smalto
era neutro e la manicure corta e curata. Al contrario, Soleil aveva i lunghi
capelli biondi raccolti sulla testa anche grazie a un foulard, il viso era
truccato in modo naturale e alle dita portava numerosi anelli di varia fattura
e grandezza.
«Sai, ho sempre voluto approcciarti, più di così intendo…»
«Tranquilla, nessuno vuole essermi amico…»
«No! Non è che non l’ho mai fatto per questo, me ne
frego di quello che pensano gli altri. Mi piaci, ti ho sempre considerato una
tosta. Una che non ha paura di dire quello che pensa… Il problema in realtà è
mio. Non lo so, non mi sono mai vista amica di una ragazza dieci centimetri più
alta di me, magra e bellissima… è da scemi vero? Posso considerarmi una che ha
autostima di sé e si ama, eppure, a quanto pare ho ancora qualche pregiudizio
verso me stessa, che mi fa sentire inferiore in confronto a ragazze come te.
Per l’aspetto… non so…» Christine aveva parlato tutto d’un fiato senza pensare,
scuoteva il capo e riflettendoci in effetti le faceva rabbia. Insomma, aveva
solo sprecato tempo così facendo no?
«Beh, forse la colpa è anche mia. In effetti se
penso agli amici che ho sempre avuto, rientrano tutti in questo immaginario.
Non so perché… sempre i più glam e popolari della scuola… e ora ne pago le
conseguenze…» concluse lei amareggiata. Si torturava le mani con capo chino. Un
sorriso sarcastico sul volto.
«Tutti facciamo degli errori di valutazione, il tuo
è stato credere in persone che probabilmente riconoscendo in te il tuo carisma
si sono messi sulla tua scia per emergere e quando hanno sentito di farcela,
hanno capito che l’unico modo per riuscirci era “toglierti dai giochi”. Ma solo
persone che non hanno una luce interiore lo fanno, perché è da meschini e da codardi!»
La giovane dai corti capelli rossi osservava il
profilo di Soleil che a quelle parole si commosse, seppur cercò di non darlo a
vedere. Poi, mordendosi le labbra, si voltò a guardarla.
«Io non so cosa sia realmente successo, ma sono
sicura che quella che è uscita non era la verità…»
Sull’ultima frase Soleil si torturò l’interno della
guancia ed alzò gli occhi al soffitto. Non aveva mai parlato a nessuno di
quella storia.
«All’epoca avevo un ragazzo, andava all’Ilvermorny.
Come sai io sono mezza americana e noi eravamo amici fin da bambini.
Quell’anno, durante le vacanze di Natale, ho deciso di non tornare a casa… i
miei erano in mezzo a un divorzio complicato ed io non me la sentivo di passare
quei giorni di festa sentendoli litigare. Ero a Hogwarts quando ho ricevuto un
gufo che mi comunicava che Brian era morto. Un incidente…»
Ora Soleil non faceva nulla per trattenere le
lacrime che asciugava con la manica della divisa, mentre lanciava ogni tanto
delle occhiate furtive a Christine che commossa l’ascoltava.
«Non c’era praticamente nessuno ed io avevo bisogno
di sfogarmi... Credo che l’errore è stato lasciare che tra noi nascesse una
grande e intima amicizia. Dopotutto, non è opportuno in effetti avere un
rapporto di tale confidenza e affetto. Non c’è mai stato nulla… nulla di
romantico. Solo tante chiacchierate e abbracci… Quando è stato licenziato, in
verità, non mi sentivo male per lo scandalo che ne era derivato e quello che
tutti avevano iniziato a pensare di me, ma per lui… Per colpa mia aveva perso
il lavoro, la moglie…»
Sbuffò a quel ricordo, mentre si toccava la fronte
come nel tentativo di voler cancellare da essa una macchia invisibile.
«Dopo un po’ ho iniziato a pensare che me lo
meritavo… gli insulti… e tutto il resto…»
D’istinto Christine fece scattare la mano in avanti
e l’appoggiò su quelle di Soleil.
«Mi spiace… per tutto. Per quello che hai passato,
per non aver mai fatto nulla… avrei potuto prendere le tue parti tutte le volte
che ti ho vista presa di mira dagli altri… parlarti… ascoltarti…»
«E perché avresti dovuto? Non puoi rimproverarti
nulla…»
«Lo so, ma fa schifo! Mi sono sentita così per
tanti anni… e quando una persona subisce e prova determinate cose dovrebbe
empatizzare con chi passa lo stesso e fare qualcosa.»
«Le persone non hanno più questi principi!»
«Io sì!» rispose prontamente Christine e poi in
modo del tutto naturale ci fu uno slancio che la portò ad abbracciare Soleil
che, si lasciò stringere. Le mancava così tanto sentirsi compresa, amata. In
effetti, ora che ci pensava, dispiaceva anche a lei di non averla approcciata
prima, assieme a sua sorella, l’aveva sempre trovata carina e disponibile.
Erano ancora abbracciate, quando Christine notò
qualcosa di particolare inciso su uno dei rubinetti di rame sullo scarico alle
spalle di Soleil. Lo stava ancora osservando quando si staccarono e poi glielo
indicò.
Un piccolo serpente faceva capolino.
Presto le due ragazze si guardarono con gli occhi
strabuzzati. Ovviamente entrambe sapevano della Camera dei Segreti, ma il bagno
era interdetto e chi tentava di entrarci non aveva mai trovato alcun indizio in
merito.
La cosa strana fu che quando le due si alzarono per
guardarlo da vicino, Soleil lo sfiorò con le dita e improvvisamente il
rubinetto iniziò a brillare di una luce bianca vivida, poi prese a girare. Un
attimo dopo il lavandino cominciò a muoversi. Sprofondò e scomparve alla vista lasciando
scoperto un grosso tubo, un tubo largo abbastanza da lasciar passare un uomo.
«Che hai fatto?» chiese Christine alla compagna,
era stupefatta, ma oggettivamente anche eccitata.
«L’ho solo toccato!» rispose quella quasi si
sentisse offesa da tale osservazione.
«La logica dice che dovremmo andarcene…»
«Ed è quello che dovremmo fare!»
All’improvviso Soleil sembrava essere diventata
fredda e distaccata.
«E dai diamo un’occhiata, quando ci ricapita?»
La verità era che nonostante la bionda volesse
starne fuori era difficile resistere alla tentazione e così dopo Christine
infilò le gambe nel tubo. Fu come scivolare lungo una pista viscida e senza
fondo. Vide altri tubi diramarsi in tutte le direzioni, ma nessuno era grosso
come il loro, ripido, tutto curve e giravolte. Capì che stavano sprofondando
sotto il livello della scuola, addirittura oltre quello dei sotterranei. Dopo
un po’ il tubo torno piano e lei fu catapultata fuori atterrando sul pavimento
bagnato di un buio tunnel di pietra, abbastanza spazioso da permetterle di
stare in piedi.
«Dobbiamo trovarci a centinaia di metri sotto la
scuola.»
«Probabilmente siamo sotto il lago.»
Entrambe le ragazze si voltarono a scrutare
l’oscurità che si spalancava di fronte loro.
«Lumos!» bisbigliò Christine alla sua bacchetta che
si accese.
Superarono una curva e poi un’altra ancora, dopo
l’ennesima si trovarono di fronte a una parete su cui erano scolpiti due
serpenti attorcigliati, che al posto degli occhi avevano smeraldi scintillanti.
Di nuovo a Soleil bastò sfiorarli con la punta
delle dita e quelli si sciolsero dal loro groviglio e la parete cominciò a
spalancarsi, dividendosi in due metà.
Si ritrovarono nell’ingresso di una sala molto
lunga, debolmente illuminata. Pilastri di pietra torreggianti, formati da altri
serpenti avvinghiati, si levavano fino al soffitto, perdendosi nel buio e
gettando lunghe ombre nere nella strana oscurità verdastra che avvolgeva il
luogo.
Giunte all’ultima coppia di colonne torreggianti
contro la parete di fondo, si ritrovarono davanti una statua alta fino al
soffitto. Dovettero piegare indietro il collo per riuscire a intravedere il
miesco di un vecchio mago, con una lunga barba rada che gli arrivava quasi fino
all’orlo della veste scolpita, lunga fino a terra, e due enormi piedi grigi che
poggiavano sul pavimento levigato della stanza.
«Sai, mi chiedo perché l’hanno chiamata la Camera
dei Segreti. Alla fine, conteneva solo il Basilisco, no? Dunque Camera del
Segreto?» fece presente Christine, la bacchetta ancora levata per far luce.
Soleil ridacchiò. «Cioè con tutto ciò che sta
succedendo tu pensi a questo?»
«È un’osservazione logica!»
Soleil continuò a ridere quando si accorse che tra
i piedi della figura di pietra vi era una specie di altare sopra il quale campeggiava
uno scrigno. Subito le due si avvicinarono ed esaminandolo scoprirono che non
aveva nessuna serratura.
Soleil iniziò ad armeggiare per capire se c’era un
modo per aprirlo, ma la testa di Christine continuava a far girare
all’impazzata le rotelle.
«Stavo pensando che la Camera dei Segreti, da quel
che si sa, può essere aperta solo dal suo Erede. Se l’unico fu Tom Riddle, che
proveniva dalla famiglia Gaunt… da lì la discendenza… l’unica altra famiglia
collegata ai Gaunt e dunque a Salazar Serpeverde erano i Lenstrange…» Nel
dirlo, la giovane notò Soleil immobilizzarsi.
«Lenstrange… Strange…» ripeté Christine questa
volta a mezza voce. Gli occhi sbarrati e un’espressione di puro terrore sul
volto di Soleil mentre si voltava a guardarla.
«T-Ti prego… N-Non dirlo a nessuno… Mio padre è un
discendente alla lontana, ma si vergogna del suo nome... Per questo lo ha
cambiato! Mia sorella ci ha combattuto tutta la vita…»
Soleil aveva ripreso a tremare, era strano vederla
così. Christine era così abituata a vederla fronteggiar tutti con grinta e
sicurezza che anche lei aveva fatto l’errore nel credere che fosse invincibile
e immune a qualsiasi sentimento.
«M-Ma certo… E non ti preoccupare. Che poi
chissenefrega, no?»
Soleil non si aspettò quella reazione, stava già
sorridendole quando improvvisamente il piccolo scrigno si aprì da solo e rivelò
il suo contenuto. Si scoprì essere un medaglione in oro massiccio con una S
serpentina fatta di smeraldi sul davanti.
Entrambe sapevano bene cosa fosse, ma la storia
insegnava: tutti gli horcrux erano andati distrutti e quello era uno di essi…
dunque: come era possibile?
Guardandosi stupite e ammaliate, con mani tremanti Christine
lo prese in mano e lo soppesò prima di scrutarne la bellezza.
«Dai vieni, te lo metto!»
«No, macché, sei pazza!»
«Perché dovrei esserlo? Sei l’Erede di Serpeverde,
è tuo!»
«Devo ricordarti chi lo sono stati l’ultima volta?
E poi ti ho detto chi sono!»
«E allora? La storia non deve ripetersi, la storia
non si ripeterà! Tu sei Soleil Anastasia Strange! Una ragazza intelligente,
scaltra, bella e che ha un segreto nel cuore è vero… ma che adesso non dovrà
più portare da sola. Io credo in te Soleil…»
La ragazza giocò con una sua ciocca di capelli, poi
si voltò, si piegò sulle ginocchia e permise a Christine di mettergli la
collana. Quando tornò a guardarla dovette ammettere che era molto pesante.
Si sentiva in un modo che non sapeva descrivere,
era forse più emozionata per tutto ciò che con Christine aveva condiviso che
per l’avventura assurda in sé che stavano vivendo.
«Beh, allora dopo tutto questo…» disse dopo un
momento di silenzio, indicando il posto e la situazione assurda che stavano
vivendo. «Mi sa che ci tocca essere amiche!»
«Eh già!» rispose con semplicità l’altra e scoppiarono
a ridere.
Due settimane prima della fine del secondo trimestre,
il cielo si illuminò all’improvviso di un candore opalino e abbagliante. Seppur
la primavera era ancora lontana sembrava lentamente far capolino, almeno a
livello di luce perché l’aria era ancora parecchio fredda.
Come era accaduto l’anno precedente, Daniel era totalmente
immerso nei G.U.F.O. motivo per cui tutti diedero per scontato che parte del
suo comportamento distaccato e della sua freddezza era dovuto a ciò. I suoi
genitori avevano preso molto male la bocciatura e lo avevano minacciato che se
non fosse passato, lo avrebbero ritirato da Hogwarts. I suoi genitori erano
babbani, seppur a differenza di quelli di Anne e Sydney condividevano che loro
figlio fosse un mago, erano decisi più che mai a iscriverlo a un liceo babbano
se non si fosse mostrato all’altezza. Magari era un magonò e se così fosse avrebbero
dovuto accettare la cosa. Questo pareva aver stressato il ragazzo ancor più del
solito, rendendolo sempre schivo e di cattivo umore, dunque, non si sorpresero
quando nel fine settimana che precedeva San Valentino lui decise di non
seguirli nell’uscita a Hogsmeade.
Come sempre, Mielandia
era affollato di studenti di Hogwarts. I numerosi scaffali erano ricchi di
dolci e caramelle: blocchi di torrone cremoso, quadrotti rosa lucenti coperti
di glassa al cocco, mou color miele; centinaia di tipi diversi di cioccolato
disposti in pile ordinate; c’era un barile di Gelatine Tuttigusti +1, e un
altro di Api Frizzole e lungo un’altra parete c’erano le caramelle Effetti
Speciali; la SuperPallaGomma di Drooble (che riempiva una stanza di palloni
color genziana che si rifiutavano di scoppiare per giorni interi), i curiosi
frammenti di Fildimenta Interdentali, le minuscole Piperille nere («sputate
fuoco davanti ai vostri amici!»), i Topoghiacci («per far squittire i vostri
denti!»), i Rospi alla Menta («saltano nello stomaco come se fossero veri!»),
fragili piume di zucchero filato e bonbon esplosivi.
Nell’angolo più lontano del negozio, sotto il cartello
Sapori Insoliti, c’erano Christine,
Ariane e Sonia intente ad esaminare un vassoio di leccalecca al gusto sangue.
«Non credo che a Daniel possano piacere…» esclamò
Ariane analizzandone uno, poco convinta.
«E questi?» chiese Sonia infilando un barattolo di
Scarafaggi a Grappolo sotto il naso delle amiche.
Erano così dispiaciute per come il loro amico stesse
vivendo male tutta quella situazione che volevano a modo loro mostrargli
affetto e dargli un regalo che gli potesse addolcire le giornate.
«Quelli vanno bene per Oliver che ama il rischio!»
concluse Christine ridacchiando.
Il gruppo si era sparpagliato dopo il suo arrivo al
villaggio, che era decorato tutto con cuori giganti e putti che svolazzavano
lanciando qua e le frecce a ventosa o canticchiando serenate ai fidanzatini a
passeggio.
Anne aveva accompagnato Margaret all’Ufficio Postale, che accolse le due
ragazze nel suo classico e famoso fragore; mentre Sirius e Oliver erano
all’interno del Negozio di piume di
Scrivenshaft perché le loro avevano messo le gambe e si erano date alla
fuga dopo aver tentato di trasfigurarle in gnomi.
Sydney si era così proposta di dirigersi ai Tre Manici di Scopa e lì prendere un
tavolo per tutti in attesa di essere raggiunta. Christine aveva detto loro che
sarebbero stati in compagnia anche di Soleil e che le avrebbe fatto molto
piacere presentargliela. Nell’ultimo mese aveva iniziato a frequentarla, e così
anche Ariane, ed entrambe le sorelle Abroath avevano concordato che sarebbe
piaciuta anche agli altri e sarebbe stato bello averla nella loro compagnia.
Il vento era tagliante e Sydney aveva le mani gelate,
se le stava strofinando quando entrò nella locanda che come sempre era molto
affollata, rumorosa, calda e fumosa. La giovane si fece strada fino in fondo al
locale dove c’era un tavolino libero tra la finestra e il camino.
Sydney si tolse il cappello, la sciarpa e i guanti con
i colori della sua casata e cercò lentamente di ambientarsi. Madama Rosmerta si
avvicinò al tavolo chiedendo se volesse ordinare e lei prese tempo dicendo che
a momenti sarebbero arrivati i suoi amici, poi lo avrebbero fatto. Le stava
ancora sorridendo mentre la guardava allontanarsi che qualcuno scivolò al suo
fianco. Solo che quando si voltò non era chi si aspettava di vedere.
«Zabini…» mormorò in modo secco a mo’ di saluto.
«Rachelle… Yogh, vero? Che poi mica ho capito cosa
significa… sarebbe un nome?»
Le chiese lui abbandonandosi con la schiena contro la panca e appoggiandoci un
braccio sopra, lo stesso che si avvicinò pericolosamente alla schiena di Syd.
«E tu sicuro di chiamarti Zabini o forse era zerbini?» le chiese lei facendo finta di
rifletterci, posando un dito sul mento.
«No perché considerando come ti fai inzerbinare dalla
Sutton piccola ho iniziato a chiedermelo…»
Da dopo il loro primo incontro, i due non facevano
altro che punzecchiarsi a vicenda. Sydney sembrava l’unica ragazza immune al
fascino del giovane, che continuava a vantare numerose conquiste e ultimamente
si diceva che uscisse addirittura con Camille. Probabilmente decisa ad
aggiungere una tacca alla sua lunghissima lista.
Fu proprio parlando di lei che una forte corrente di
aria fredda scompigliò i capelli di Sydney. La porta del locale si era riaperta
e gettando uno sguardo in quella direzione era possibile osservare la procace
Serpeverde camminare con fare spocchioso proprio verso il loro tavolo.
«Ah, ecco dov’eri finito!» esclamò quella con fare
annoiato. Syd parve nemmeno vederla.
«Mi hai mollato come una scema da Mielandia, che poi lo sai che certe cose io non le mangio!» esclamò
lei disegnandosi con le mani la figura esile, come a dire che altrimenti la
facevano ingrassare.
«Ma lo sai come è fatta Lucy, rimane affascinata da
tutte quelle stranezze… anche se poi finisce per farle mangiare tutte al
fidanzato!» bofonchiò cantilenante.
Sydney sapeva che un ragazzo di Corvonero dell’ultimo
anno se l’era presa e non sapeva come avesse fatto. Aveva la pazienza di un
santo e seguiva Lucy ovunque, pareva la sua ombra. Si comportava nemmeno
fossero già sposati, il che sembrava una convinzione della Serperverde
nonostante la poca convinzione della famiglia. Sarà stato anche un mago
purosangue, ma non era del ceto sociale che si aspettavano.
«Anyway dear, vogliamo andare? Mi avevi promesso una
bella Burrobirra fumante e tante coccole!» squittì quella, ma Michael si grattò
il capo, lanciando uno sguardo a Sydney e poi a lei. Solo allora Camille parve
accorgersene e iniziò a indispettirsi del suo non dargli corda.
«Cam, forse ti sei persa dei passaggi, ma… ehm, ti
ricordi quando una settimana fa ti dissi che era stato divertente, ma non ero
interessato a una storia?»
«Sì e allora?» chiese lei a braccia conserte.
«Voleva dire esattamente il contrario di ciò che stai
facendo ora!»
Ma quella sgranò gli occhi e lo guardò come a volere
un’ulteriore spiegazione in merito, fu allora che Sydney non ce la fece più e
sbottò: «Vuol dire che non gliene frega un bel niente di passare del tempo con
te! Dunque, vai a cercartene un altro!»
«Tu, piccola insolente, insulsa e patetica… cosa!»
Camille si era voltata di scatto, gli occhi ridotti a
due fessure e una mano con le unghie ad artiglio puntate contro di lei. La
Tassorosso non era per niente oltraggiata né tanto meno interessata alle sue
offese, ma con suo grande stupore Zabini sì. Si alzò con uno scatto e
fronteggiando la Serpeverde con tutta la sua statura le disse che l’insulsa e
patetica era lei, che non aveva una personalità e che era una Principessa come lui era Silente. Fu
allora che quella strabuzzò lo sguardo profondamente offesa e, fumante, si
allontanò a grandi falcate.
Quando Michael riprese posto al fianco di Sydney lei
lo stava fissando confusa.
«Che c’è?» gli chiese lui tornando lo solito sbruffone
di sempre.
«E questo cos’era?»
«Cosa?»
«Questo!»
«Niente…»
«Senti, sei stato carino, ma mi so difendere da sola!
Grazie!»
Lui la guardò e scoppiò a ridere, ma quello se
possibile fece andare più ancora su tutte le furie Sydney.
«Ma che ti ridi!»
«Sei incredibile… Non riesci proprio a capire quando
uno ti fa il filo, vero?» lo disse con tutta la tranquillità del mondo, mentre
lei iniziava a deglutire il vuoto.
Non era sciocca. Si vedeva allo specchio ogni giorno e
sapeva benissimo che le ragazze formose, semplici e forse sì insulse come lei
non finivano con tipi come lui. Se fossero stati nel mondo dei babbani avrebbe
detto che lui era lo stereotipo del quarterback alto, figo, atletico e popolare
e si sa, no? Quelli così finiscono con le cheerleader, con tipi come le Sutton!
«Se devi prendere in giro puoi imboccare la stessa
strada che ha preso la tua amichetta prima di te!» disse in tono sbrigativo e
sarcastico.
«Non sei la ragazza che pensavo, se sei una che dà
adito agli stereotipi…» la pungolò lui facendosi improvvisamente serio. Il
braccio era tornato sulla panca dietro la schiena, ma lui le si era avvicinato,
così che lei quando si girò a guardarlo si trovò con il viso vicinissimo al
suo.
Syd non rispose. Non gli andava certo di mostrargli
che anche lei aveva delle debolezze e che non era proprio così sicura di sé su
tutto. Ma sostenne il suo sguardo apparentemente indifferente, anche quando lui
sfoderò uno dei suoi sorrisi magnetici e avvicinandosi le posò un lieve bacio
sulle labbra, che lei si trovò a ricambiare senza troppe remore.
«Se scopro che è una presa per il c… giuro che ti
trasformo in uno scarafaggio…»
«Oh, su questo non ho dubbi…» rispose lui
ridacchiando, prima che i due si scambiassero un altro profondo e sentito
bacio.
La finale di Quidditch era arrivata. Grifondoro era in
testa di duecento punti esatti. Il che voleva dire, come Ariane ricordava
costantemente alla squadra nemmeno fosse il capitano, che dovevano vincere la
partita con un vantaggio maggior per conquistare la Coppa.
Negli spogliatoi di Serpeverde la più giovane della
squadra era caricata a molla, solo l’anno prima – nel suo primo da membro della
squadra – la sua casa non aveva vinto la Coppa del Quidditch, dunque, era molto
contrariata. Inutile che Christine le ricordasse che aveva ancora quattro anni
davanti e tante altre vittorie, lei doveva vincere quella di quell’anno. Poi
avrebbe pensato al successivo.
«Tua sorella mi fa paura…» le sussurrò nell’orecchio
Soleil, la terza Cacciatrice della squadra, mentre si allacciava le scarpe.
Zabini arrivò dall’ufficio del capitano pronto a fare il discorso alla squadra
prima di scendere in campo.
I prati erano calmi e tranquilli. Nemmeno un alito di
vento sfiorava le cime degli alberi delle Foresta Proibita, pareva che le
condizioni per la partita sarebbero state perfette.
Il fischio d’inizio andò perso nell’urlo della folla
mentre quattordici scope si libravano a mezz’aria.
«Serpeverde in possesso di palla.
Christine Abroath di Serpeverde ha la Pluffa e si dirige verso la porta di
Grifondoro. Pluffa intercettata da Sonia Thornton, Thorton di Grifondoro
attraverso il campo e… Bel colpo di Bolide per Micheal Zabini, Thorton perde la
Pluffa, la prende Soleil Strange, Serpeverde è di nuovo in possesso… bel dribbling
su Abercrombie e… segna! Dieci a zero per Serpeverde!»
Soleil alzò il pugno mentre filava a bordo campo.
«Grifondoro in possesso, no, è Serpeverde
in possesso… no! Grifondoro torna in possesso ed è Sirius Abercrombie e…
colpito dal Bolide, perde la Pluffa! Viene recuperata da Thorton e… segna!
Venti a dieci per Grifondoro!»
Zabini e Nott, i Battitori di Serpeverde,
direzionarono due Bolidi verso il Cercatore di Grifondoro che, con capacità e
velocità riuscì a liberarsene per continuare nella sua ricerca.
«Serperverde è di nuovo in possesso,
ecco la piccola Abroath che prende la Pluffa, Thorton la segue… Ne entra in
possesso, ma Christine Abroath la recupera… va verso la rete di Grifondoro e…
il Capitano Oliver Baston Jr. la para!»
La partita proseguì in modo equilibrato. La compagnia
osservava tutti insieme, nonostante le casate diverse, e tifavano per tutti in
egual misura senza tenere una squadra di preciso. Il boccino pareva uccel di
bosco, mentre Christine segnava. Cinquanta a venti per Serperverde. Zabini e
Nott le sfrecciarono intorno, le mazze levate. I Battitori di Grifondoro
approfittarono dell’assenza dei due per sparare i Bolidi verso il Cercatore
della squadra avversaria. Un attimo dopo Thorton segnò. Cinquanta a trenta per
Serpeverde.
La casa aveva bisogno di un’altra rete per aver il
vantaggio necessario, se il Cercatore avesse preso il Boccino d’Oro, per
vincere la Coppa delle Case. Il gol decisivo arrivò dopo circa un quarto d’ora
a opera di Ariane Abroath.
Il Cercatore di Serpeverde accelerò bruscamente; il
vento gli fischiava nelle orecchie; tese la mano e…
«SERPEVERDE HA VINTO!»
Il boato che esplose fu immenso e la festa proseguì tutto
il giorno fino a notte tarda nella Sala Comune di Serpeverde. Nonostante questo,
nel pomeriggio la compagnia aveva fatto una piccola festicciola nella Stanza
delle Necessità ove perfino Oliver, Sirius e Sonia brindarono alla vittoria
degli amici. Come sempre tutti erano presenti, tranne Daniel… la sua assenza
diventava ogni giorno che passava sempre più pesante e i primi veri dubbi e
preoccupazioni popolarono la mente dei suoi amici.
La vita di Daniel era stata costantemente costellata
di sconfitte. Si sentiva un perdente dal primo giorno che, uscito dal nido
familiare, si era affacciato al mondo.
All’asilo non si era mai distinto per fantasia o
qualche dote particolare che fosse disegnare o colorare, all’elementari era
praticamente l’unico della sua classe tra i maschietti a non potersi iscrivere
a calcio perché i suoi genitori non potevano permetterselo e prima di ricevere
la lettera per Hogwarts era bersagliato da tutti i
suoi compagni per le merendine stantie e scadenti che tirava fuori
all’intervallo. Quando aveva ricevuto la lettera per Hogwarts
gli era parsa una benedizione. Veniva da una famiglia babbana
e vedere l’orgoglio sul volto dei suoi genitori e sapere che per una volta si
era distinto per una cosa che era capitata solo a lui tra tutte le persone che
conosceva lo aveva mandato in brodo di giuggiole. L’entusiasmo durò poco perché
i costi per frequentare la scuola erano elevati e seppur con il cambio
sterlina-moneta magica ci guadagnava un po’ ciò non toglieva che per la sua
famiglia, già di ceto basso, era davvero un sacrificio di non poco conto, ma lo
fecero lo stesso e lui sì sentì il bambino più felice del mondo!
Tuttavia, le difficoltà con cui si era scontrato nel
mondo babbano lo perseguitarono anche in quello
magico. A scuola faticava oltre misura per prendere una semplice A. Non è che
non si impegnasse, perché stava attento alle lezioni e dava il massimo nei
compiti, ma era come se le cose non volessero entrargli in mente.
Per gli amici poi, nemmeno a parlarne, per tutti era
uno sfigato oltre misura. Mingherlino, basso, poco attraente, ci vedeva peggio
di una talpa e le sue battute non facevano ridere mai nessuno. I libri e la
divisa era di seconda mano e la scopa e il gufo che usava erano quelli in
dotazione alla scuola. A Quidditch era bravo, un
ottimo portiere, ma nessuno gli dava adito.
Fu una specie di miracolo per lui quando aveva
conosciuto Christine. Ricordava che era a Erbologia e
nessuno voleva fare coppia con lui e così lei si era proposta. Ben presto lo aveva
presentato alle sue amiche Sonia e Margaret e in poco tempo aveva iniziato a
far parte del gruppo. Si trovava bene con loro al punto che riusciva a
dimenticare la delusione che era per tutti o la vergogna che provava per la sua
povertà. Ma poi c’erano sempre quei momenti in cui tutto tornava a galla. A
Natale, quando riceveva solo oggetti fatti a mano dai suoi genitori e lui se la
cavava regalando pacchi di caramelle, mentre tutti venivano presi nelle squadre
di Quidditch delle loro case e lui no, quando si
innamoravano e venivano ricambiati (lui aveva avuto una cotta per Christine per
due anni, quando si era decisa a dirglielo e invitarla al Ballo del Ceppo lei
ci era andata con un altro compagno della sua casata) e infine agli esami
venivano promossi. La bocciatura era stata la goccia che aveva fatto traboccare
il vaso, seppur già il provino di Sydney lo avesse portato al limite.
Sapere poi che rischiava seriamente di non tornare mai
più a Hogwarts lo destabilizzava. Forse per quello da
un po’ di tempo frequentava la Stanza delle Necessità. Anche la Sala Comune gli
andava stretta e qualsiasi altro luogo era sempre a rischio, in nessuno poteva
mai stare davvero solo. Lì sì.
Era appena uscito dalla stessa, quando incrociò niente
meno che la strada di Oliver e Sydney. I due erano di ritorno dalla Sala Comune
di Corvonero, non che ci fossero entrati, ma entrambi
erano fuori. Una per aspettare la sorella e darle gli appunti delle lezioni che
aveva saltato, aveva preso l’influenza, e l’altro per ricevere da Margaret la
correzione del tema che gli aveva chiesto di controllare.
Trovandosi e andando molto d’accordo, erano diventati
molto amici, avevano deciso di approfittare della bella giornata per scendere
ad allenarsi un po’, ma quando incrociarono la strada con quella di Daniel
furono davvero felici.
«Ehi chi non muore si rivede!» esclamò gioioso il
ragazzo dai capelli rossi andando incontro all’amico e scompigliandogli la
chioma inesistente, Daniel era rasato.
«Io e Ollie andavamo a fare
due tiri giù al campo, vieni con noi?» gli chiese allegramente Sydney.
C’era d’ammetterlo, da quando stava con Zabini sembrava più radiosa del solito, tutti erano
increduli ancora della cosa, ma erano certi che se uno avrebbe potuto tenerlo
per… quelle… ecco, era sicuramente lei!
«Ehm no! Ho molti compiti e devo…»
Daniel si era già divincolato dall’abbraccio
amichevole di Baston, che gli aveva passato un
braccio intorno alle spalle, e con passo veloce aveva già oltrepassato la
compagna di casata, quando proprio questa lo afferrò per un polso e lo
costrinse a voltarsi.
«E no adesso mi sono rotta! Adesso tu ci dici che ti
prende!»
Sydney non era famosa per la sua pazienza, ancor meno
quando vedeva una persona a cui teneva costringersi a tutti i costi a mostrare
di stare bene quando non era così. Lei era una maestra in quello, dunque poteva
ingannare tutti se voleva, ma non lei.
«È dal giorno del mio provino che non sei più lo
stesso. Certo, dopo sono venute un sacco di cose, la bocciatura, la minaccia
dei tuoi di ritirarti e tanto altro, ma… Daniel per l’amor del cielo siamo i
tuoi amici!»
Oliver aveva incrociato le braccia al petto e, nonostante
fosse ben più alto dei due, li guardava assentendo al fianco di Sydney come a
voler sottolineare che lui concordava con ogni singola cosa detta dall’amica.
«E che volete che vi dica eh!? Lo vedete anche voi
ogni giorno! La mia vita fa schifo e non migliorerà! Ora l’ho capito, caput. Ci
ho solo messo una pietra sopra e mi spiace se non riesco più a fingere di
essere felice per voi. Perché lo sono in realtà, ma mi fa male. È snervante
vedere che tutti fate passi avanti tranne me!»
Sydney e Oliver si guardarono, avevano intuito che il
problema dovesse essere quello, ma non avevano mai voluto realmente affrontare
il problema. In realtà, ne avevano parlato anche con gli altri e nessuno se la
sentiva di fronteggiarlo, avevano tutti concordato che al momento opportuno lui
sarebbe venuto da loro e glielo avrebbe detto.
«Beh, benvenuto nel club!» disse improvvisamente Sydney
per spezzare quella tensione.
«DinDlon
informazione di servizio: la vita fa schifo. È così che va, ma cosa possiamo farci?
Sai benissimo la mia situazione con i miei genitori, i problemi che ha Sirius a casa per la malattia della madre o la delusione di
Christine per aver rotto con James, ma… succede! Ognuno di noi ha un motivo per
essere arrabbiato o frustrato…»
Messa in quella prospettiva, Daniel si sentiva, se
possibile ancora peggio. Iniziò a mordersi il labbro inferiore senza sapere
cosa dire. Fece un passo verso di loro, poi ci ripensò e tornò sui suoi passi
per andarsene. Ripeté quel gesto per tre volte con fare nervoso e quasi a
sorpresa di tutti, che si erano dimenticati dove fossero, la porta della Stanza
delle Necessità apparve sul muro.
La guardarono e senza pensarci entrarono. Se dovevano
continuare a discutere meglio farlo lì che in mezzo al corridoio.
Tuttavia, nessuno dei tre si aspettò ciò che vide, era
come se le quattro Sale Comuni di Hogwarts fossero
state miscelate tra loro e avessero dato origine a quella ove si trovavano in
quel momento. Alle pareti vi erano gli stendardi con i quattro animali simbolo,
il fuoco scoppiettava nel camino, qui e là vi erano foto e oggetti come se la
sala fosse stata vissuta, quasi come capitava in quelle reali dove i ragazzi
lasciavano in giro quaderni, oggetti ed etc…
Troppo curiosa per resistere, Sydney si avvicinò al
camino e iniziò a scorgere alcune foto che le sorridevano da sopra di esso.
C’erano Ron ed Hermione con
in mezzo Harry che teneva sul braccio Edvige, c’era Diggory
circondato da alcuni ragazzi di Tassorosso e foto più
vecchie riguardanti altri gruppi di amici in epoche diverse.
«No! Non ci posso credere! Guardate!» esclamò Oliver
super emozionato. Su una poltrona aveva trovato una pergamena completamente
bianca, sedendosi l’aveva aperta e picchiettandoci su con la bacchetta aveva
pronunciato: «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!» e quella si
rivelò come la fantomatica Mappa del Malandrino che si pensava essere andata
persa.
Sydney si era seduta su un bracciolo e la fissava in
estasi insieme all’amico, mentre Daniel pareva essere stato attratto da uno
strano luccichio sotto una pila di abiti accanto a un massiccio tavolo di
legno.
«Ma questa stanza è fantastica, a cosa stavi pensando
Dan?» gli chiese improvvisamente Oliver, ma fu quando alzò lo sguardo per
cercarlo che lo vide piegato nell’intento di raccogliere qualcosa.
Ora lo fissava anche Sydney, mentre quello dandogli le
spalle un oggetto stringere qualcosa in mano.
«Ehi cosa hai trovato?» ma il ragazzo non si mosse né
pronunciò alcuna parola. Confusi, i due si guardarono, per poi alzarsi e andargli
incontro. Sbarrarono gli occhi quando scoprirono cosa stava sorreggendo.
«M-Ma quella è…»
«Sì Oliver… è lei! È la Coppa di Tassorosso!»
«Ma non era andata distrutta?»
«Così ci hanno insegnato a Storia della Magia!»
Ora tutti e tre fissavano la reliquia a bocca aperta.
Era d’oro massiccio e brillava quasi come se qualcuno l’avesse lucidata.
«Non è possibile…»
«No che non lo è!»
«Eppure la stringe tra le sue mani!»
«Grazie Oliver, lo vedo!»
Fino a quel momento Daniel non aveva ancora parlato,
fissava solo la reliquia come inebetito e pareva incapace di parlare.
«Daniel a cosa stavi pensando quando sei passato
davanti alla stanza prima?»
La domanda era venuta da Sydney, perché era anche
probabile che non fosse la vera coppa, come quella trovata da Baston non fosse la vera Mappa del Malandrino… Erano pur
sempre nella Stanza delle Necessità no?
«I-Io… io non lo so… stavamo discutendo e volevo solo
andarmene, ma al contempo non potevo… non dopo quello che mi avevi detto… mi hai
fatto riflettere, mi hai fatto pensare a quanto sono stato cieco, egoista…»
La ragazza aveva appoggiato una mano sulla spalla
dell’amico e lo stesso fece Oliver, mentre Daniel sentiva la testa pesante. Si
guardò intorno e parve vedere per la prima volta gli oggetti e le foto della
stanza. Ora che ci faceva caso tutti i gruppi rappresentati nelle stesse erano
studenti di Hogwarts, in varie epoche era vero, ma
uniti da un argomento comune: l’amicizia che li legava gli uni agli altri.
Non gli parve vero di ricordare un aneddoto storico
relativo alla coppa della sua casa, ma come se fosse stata un’epifania gli era
appena venuto in mente che si diceva che essa aveva la capacità di rispondere
ad ogni dubbio o domanda. Bisognava solo riempirla di un liquido e bervi con
intenzione.
Si guardò dunque intorno con fare frenetico, tanto che
i suoi amici lo guardarono strano. Notò una bottiglia di Burrobirra
abbandonata sul primo gradino di una scala a chiocciola che portava a dormitori
inesistenti, la prese e senza pensarci si sedette sul divano di fronte al
fuoco. L’aprì e verso il contenuto nella coppa. I suoi due amici presero posto
al suo lato.
«Che stai facendo?»
«Un piccolo test! Se questa coppa è solo frutto della
Stanza delle Necessità non potrà mai avere i poteri dell’originale giusto?»
Entrambi i ragazzi assentirono colpiti dal lampo di
genio dell’amico, non che lo considerassero stupido, ma non era una bugia dire
che non fosse brillante.
Soffermandosi sui volti sorridenti di quei numerosi
ragazzi che lo guardavano dalle finestre poste nelle cornici della stanza,
Daniel pensò intensamente a cosa avrebbe voluto sapere e poi chiudendo gli
occhi si portò la coppa alla bocca bevendo un sorso ambrato di Burrobirra. In un primo momento non successe nulla, ma poi
dentro di sé iniziò a sentire un calore che gli partiva dal centro del petto.
Delle lacrime iniziarono a solcargli le guance mentre
rivedeva, tante immagini di piccoli momenti che dava per scontati e che solo
adesso comprendeva quanto gli mancassero.
I pomeriggi nel parco a ripassare per gli esami
distratti dal sole e dal caldo per riuscire a farlo per più di un’ora, i mille
progetti messi in piedi e mai finiti come quando con le altre si era messo in
testa di fare un documentario su Hogwarts, i
gavettoni estivi poco prima della ripartenza per casa, le confidenze a notte
tarda in un pigiama party improvvisato nella Stanza delle Necessità e tutte le
volte in cui si era sentito amato, accettato, compreso e felice quando era in
compagnia di quegli amici da cui si era allontanato e che il solo pensiero di
non rivedere mai più lo faceva star male…
Quando riaprì gli occhi ormai stava piangendo,
stringendo la coppa con mani tremanti. Era possibile sentirsi tanto felice e
triste nello stesso momento?
Le due emozioni lo dilaniavano, come se due forze
invisibili lo tirassero in senso opposto.
«Ehi Dan, tutto bene?» chiese preoccupata Sydney
passandogli un braccio lungo le spalle. Lui assentì appena senza guardarla e
allora lei gli chiese «E-Ehm… C-Che cosa hai chiesto?»
Facendo vagare lo sguardo intorno a lui un largo
sorriso si disegnò sul suo viso magro, prima che i suoi occhi piccoli e scuri
si soffermassero prima su Oliver, poi su Sydney e infine sulla coppa.
«Credo la stessa cosa che ho pensato quando sono
passato di fronte alla Stanza delle Necessità. Dovevo capire di cosa avessi
bisogno, ero così cieco e disperato di cercare qualcosa che mi facesse bene.
Qualcosa in cui non avessi fallito per non accorgermi che era l’unica cosa da
cui mi ero allontanato: voi»
Disse ridendo sentendosi improvvisamente un’idiota.
Anche Sydney si era commossa, ma non voleva darlo a vedere, mentre Oliver di
nascosto si asciugò con la manica della divisa gli occhi. Rimasero lì in
silenzio, tutti stretti contro Daniel che ancora stringeva la Coppa di Tassorosso a sé.
Un giorno anche loro sarebbero stati fotografie su
quei ripiani. Lontani, magari senza più contatti e ognuno con la propria vita,
ma nel cuore il ricordo indelebile di ciò che insieme avevano vissuto e tutto
quello che uno all’altro si erano dati.
Quella mattina Margaret fu la prima del suo dormitorio
a svegliarsi. Rimase sdraiata a guardare la polvere vorticare nel raggio di
sole che passava dalle tende del baldacchino, e assaporò il pensiero che era
sabato. Per quanto amasse studiare doveva ammettere che l’anno dei M.A.G.O.
era, se possibile, ancora più duro di quello dei G.U.F.O.
L’anno precedente Oliver li aveva salutati
congedandosi con un Oltre Ogni Previsione,
anche grazie al suo aiuto, e attualmente si allenava come riserva della squadra
di Quidditch dei PuddlemareUnited, come suo padre prima di lui.
Sonia, che era ancora la sua ragazza, era diventata Capitano di Grifondoro. Anche Daniel aveva superato brillantemente i
G.U.F.O. e adesso condivideva le classi con Sydney, essendo allo stesso anno.
Nel loro gruppo poi, l’anno precedente si era unita la Serpeverde
Soleil Anastasia Strange, che attualmente stava ripetendo l’anno. Il precedente
era stato pesante per lei, ma grazie all’amicizia con Christine, con la quale
sembrava ogni giorno che passava sempre più unita, le cose erano migliorate;
ormai era troppo indietro per riuscire a recuperare.
A giudicare dal silenzio sonnacchioso della stanza e
dalla luce acerba del raggio di sole, era appena passata l’alba. Scostò le
tende attorno al letto, si alzò e cominciò a vestirsi. Il solo rumore, a parte il
cinguettio remoto degli uccelli, era il lento, profondo respiro delle sue
compagne di Corvonero. Aprì la borsa dei libri con
cautela, prese piuma e pergamena e uscì dal dormitorio, diretta alla Sala
Comune.
Era il compleanno di sua mamma e ci teneva che oltre
il regalo che le aveva preso a Hogsmeade ricevesse
anche un piccolo augurio scritto di suo pugno. Sigillò con cura la pergamena e
uscì dalla Sala Comune, mentre la porta alle sue spalle si richiudeva. La
stessa non aveva una maniglia, ma un batacchio incantato in bronzo a forma di
aquila. La caratteristica era che, quando si bussava, quello poneva una domanda
e solo se si forniva una risposta corretta l’accesso alla Sala Comune era
consentito.
Il sole era ormai alto nel cielo e quando Margaret
entrò nella Guferia le finestre prive di vetri
l’abbagliarono; spessi raggi dorati s’incrociavano nella stanza circolare in
cui centinaia di gufi erano appollaiati sulle travi, un po’ irrequieti nella
luce del mattino; alcuni erano appena tornati dalla caccia. Il pavimento
coperto di paglia scricchiolò un po’ mentre Margaret calpestava ossicini di
animali, tendendo il collo per cercare Shadow.
L’anima con cui era arrivata a Hogwarts era stato un
gatto persiano bianco di nome Sybil, motivo per cui
quando doveva spedire messaggi usava i gufi della scuola e ogni tanto quelli
dei suoi amici. Una volta aveva perfino usato Morgause,
il corvo di Ariane, l’unica in tutto il castello ad avere tale rapace al posto
di un gufo. Era una scelta insolita, ma svolgeva comunque egregiamente il suo
lavoro. In realtà anche Shadow, che Anne le aveva
detto la sera prima di usare senza problemi quando glielo aveva chiesto, era un
falco smeriglio. Bellissimo con il suo piumaggio azzurrino che parve di un
colore ancor più intenso nella luce del mattino.
«Eccoti qui» dissi, individuandolo in un punto molto
vicino al soffitto a volta. «Anne mi ha dato il permesso di usarti. Ho una
lettera e un piccolo pacchetto per te.»
Con un fischio sommesso, Shadow
aprì le ampie ali e planò sulla spalla della ragazza.
«Grazie ancora per il tuo aiuto! Buon volo, allora!»
disse dopo avergli legato alla zampa il piccolo dono e la pergamena, per poi
portarlo a una finestra; con una breve pressione sul suo braccio Shadow decollò nel cielo accecante. Lei lo guardò finché
non divenne un puntino nero e sparì.
La porta della Guferia si
aprì dietro di lei. Sobbalzò spaventata, si voltò di colpo e vide Sirius che reggeva una lettera tra le mani.
«Ciao…» disse Margaret un po’ freddamente.
«Oh… ciao…» rispose lui, senza fiato. «Non pensavo che
ci fosse qualcuno quassù così presto. Mi sono ricordato solo cinque minuti fa
che la prima partita di Ollie è oggi e non domani,
sono qui per spedirgli la lettera che tutti insieme gli abbiano scritto e
firmato…»
«Ho capito» mormorò Margaret con fare distratto.
Avrebbe voluto sgridarlo per la sua mancanza, ma poi evitò.
Sirius
chiamò il proprio gufo, gli legò la pergamena e poi lo liberò nel cielo.
Un silenzio tombale era sceso tra di loro. Nessuno dei
due sembrava intenzionato a parlare, ma nemmeno ad andarsene. Quella tensione
si protraeva tra loro dall'inizio dell'anno, quando Sirius
aveva deciso di non pensare più a lei tentando di aprirsi con altre ragazze.
Caduto nella rete di CamilleSutton,
quando Margaret aveva saputo di loro aveva avuto una reazione inaspettata. Si
era arrabbiata da morire e aveva riempito Sirius
d'insulti, non rivolgendogli più la parola.
Tutti i loro amici, per quanto non apprezzassero Camille, le avevano fatto notare che Sirius
non aveva fatto nulla di male. Lei non stava con lui e dunque non aveva avuto
ragioni per trattarlo in quel modo, ma Margaret non aveva voluto sentir ragioni
e così i due erano finiti a evitarsi.
«Non capisco» sbottò improvvisamente Margaret. L’aria
era più calda e dunque quella mattina indossava un semplice paio di jeans blu
con sopra un cardigan grigio. Sotto una semplice camicia bianca dal bordo
ricamato con le sue iniziali, i capelli legati in una coda alta e degli
orecchini argento con un piccolo corvo con l’occhio di sodalite che gli
pendevano dalle orecchie.
«Sei stato in grado di affrontarmi per via di quello
che è successo con la Sutton, ma non per dirmi che ti
piacevo…»
La ragazza, che ormai era molto più una giovane donna,
esclamò quelle parole con molta calma, ma in egual misura un pizzico di
delusione.
«Guardaci come ci siamo ridotti, è ridicolo non
trovi?» chiese osservando le spalle che Sirius ancora
le dava.
«Non riesco a credere che tu lo stia dicendo per
davvero…» sbottò lui, ma non era arrabbiato quanto più deluso.
Voltandosi aveva puntato i suoi occhi scuri in quelli
castani di lei. I suoi capelli dello stesso colore erano più spettinati che
mai, mentre indosso aveva un semplice pantalone della tuta nero e una t-shirt
della squadra di Quidditch di Grifondoro.
«Sei tu quella che mi ha trattato come il peggiore
degli individui solo perché ho avuto una mezza storia con qualcuna che non eri
tu. Tu che hai sempre bene messo in chiaro quanto non volessi lasciarti
coinvolgere in nessuna relazione amorosa!»
«Ehm sì… è vero, ma… La Sutton!?
Davvero!?» si rianimò lei avanzando con fare minaccioso verso di lei, non gli
importava di arrivargli a malapena alle spalle.
«Ricominci? Lo vuoi rifare, ancora? Giuro Porter se
non fossi una ragazza staresti parlando con il mio pugno in bocca… se solo
ripenso a come mi hai trattato, mi va il sangue al cervello!» disse lui
stringendo i denti così forte che la mascella già quadrata pareva di marmo.
«Se fossi io un ragazzo incapace di gestire la sua
rabbia, come te, ora mi staresti guardando con un occhio nero!» grugnì lei
fuori di sé prendendolo per il collo della t-shirt.
«Davvero? Beh allora fallo, chissà che così non rilasci
un po' della tua frustrazione e diventi meno acida!»
Lei si morse la lingua, si preparò a controbattere e
invece quello che fece fu attirarlo a sé e baciarlo. Fu inaspettato, ma Sirius le cinse immediatamente la vita e quando fece per
baciarla di nuovo lei si era già allontanata con le mani sul viso e lo sguardo
incredulo.
«Devo sapere se hai mollato solo perché... perché non
eri più innamorato di me...»
Disse improvvisamente lei facendosi piccola piccola.
«No» mugugnò improvvisamente lui cercando di ritrovare
la lucidità. Scosse il capo e riprese. «No, io... io ero solo stanco. Della mia
codardia, della mia incapacità di esprimermi e al contempo di sentirmi male,
perché tu mi vedevi solo come un amico!»
Lei iniziò a guardare in modo insistente la punta
delle polacchine marroni che indossava, mentre Sirius
faceva un passo verso di lei.
«Che cos'è questo Marge? Mi
sto illudendo o... tu... Perché non voglio nessuna
dichiarazione che poi dovrai rimangiarti più tardi davanti agli altri!»
Lei finalmente alzò lo sguardo e nel farlo adesso lui
era di nuovo vicinissimo, i loro sguardi uno nell’altro e le mani di lui che
avanzavano verso il suo viso che prese dolcemente tra esse.
A quel punto anche Margaret fece un passo verso di
lui, adesso le distanze erano annullate. Le loro fronti una contro l’altra.
«Non lo farò! Non voglio più mentire! A te, agli
altri… a me… I-Io…»
«Io sono innamorato di te!» disse lui tutto d’un
fiato, era da così tanto tempo che lo voleva dire che non poteva lasciarsi
sfuggire quel momento. Ora entrambi stavano sorridendo ed erano già prossimi a
darsi un nuovo bacio, quando tutti i gufi parvero improvvisamente impazzire.
Alcuni volarono, altri gracchiarono e guardandosi intorno confusi i due ragazzi
scoprirono un’apertura nel muro, si guardarono e incuriositi non poterono fare
a meno di entrarvi…
L’apertura si era scoperto che conduceva a una piccola
stanza ricolma di quelli che in un primo momento parevano tesori, ma
successivamente a uno sguardo più attento capirono essere armi. Tra le molte
seppellite in quello spazio angusto una attirò immediatamente l’attenzione dei
due, ma quando Margaret tentò di raccoglierla questa le scivolò tra le mani,
quasi fosse impalpabile, a differenza di Sirius che
invece riuscì a impugnarla: era la spada di GodricGirfondoro.
Inutile dire che immediatamente Margaret convocò un
incontro segreto con gli altri nella Stanza delle Necessità, che prese
l’aspetto di un salone molto simile a quello ove passavano il Natale, ma senza
tutte le decorazioni del caso. Il gruppo, ben nutrito, era adesso radunato
intorno al pouf vicino al divano e osservava con occhi increduli la spada
elegantemente forgiata con il suo bel rubino in bella mostra, che brillava alla
luce del sole.
«Abbiamo pensato, naturalmente fosse un falso. Tutti
conosciamo la storia degli Horcrux di Voldemort, ma quando sono stata impossibilitata a
raccoglierla ho avuto i miei dubbi…» espresse Margaret ad alta voce. Era seduta
sul divano accanto a Sirius e le loro ginocchia si
toccavano. Nessuno aveva detto nulla, ma tutti si erano accorti della loro
improvvisa complicità e intimità.
«E non sei l’unica, abbiamo provato tutti a prenderla
in mano, io che sono una Grifondoro anche e… nulla!»
osservò Sonia, che era seduta dal lato più corto del divano a elle con accanto
Daniel.
Christine e Soleil erano invece accanto a Margaret e Sirius, entrambe si guardarono con fare complice e lo
stesso accadde tra Sydney e Daniel che erano in ginocchio sul tappeto con Anne
e Ariane.
«Non c’è dubbio che dovremo portarla dalla McGranitt, ma io e Margaret volevamo farvela vedere prima…
anche il fatto della stanza segreta che si è aperta all’improvviso in guferia ci ha lasciato interdetti…»
«E voi che ci facevate di preciso in guferia all’alba, di sabato mattina e da soli?» la domanda impertinente
di Ariane fece venire un sorrisino sul volto a tutti i presenti, mentre Sirius si grattava il capo in imbarazzo e Margaret
arrossiva.
«Non mi pare questo l’argomento di discussione!»
tagliò corto lei, ma a venirle in soccorso fu Daniel che senza dir nulla tirò
fuori dalla borsa dei libri, una coppa d’oro massiccio e la posò accanto alla
spada sul pouf imbottito.
«Quando ho ricevuto il tuo messaggio ho pensato di
portarla…» tutti la guardarono con occhi sbarrati, solo Sydney pareva non
sorpresa e la sorella se ne accorse.
«Tu lo sapevi?»
«Ehm… sì…»
«Da quanto?»
«L’anno scorso…?!» mormorò a voce così bassa che fu
quasi difficile ascoltarla per bene.
Tutti guardarono i due con sguardo accusatorio e
subito quelli si prodigarono a spiegarne le ragioni o per lo meno quello che
era accaduto. L’impressione generale fu improvvisamente di grande commozione,
con un pizzico di colpa nei confronti di Daniel.
«Scusaci, siamo stati amici terribili…» disse tra i
denti Christine, la frangetta rossa a nasconderle lo sguardo affranto. Soleil
le cercò immediatamente la mano stringendogliela. Tuttavia fu proprio di fronte
a quella confessione, che l’avvenente Serpeverde
sentì di dover far lo stesso. Si erano dimostrati tutti estremamente gentili
con lei, aveva trovato amici inaspettati e doveva loro la stessa sincerità.
Si portò una mano sotto la leggera felpa primaverile
bianca che indossava e ne tirò fuori il medaglione di Serpeverde.
Se lo slacciò e lo posò accanto alle due reliquie.
Ora gli sguardi di incredulità e curiosità erano su di
lei e Christine, Ariane parve davvero contrariata quando seppe che la sorella
ne era a conoscenza, ma l’arrabbiatura le passò appena Soleil condivise con
loro la sua storia.
Il silenzio regnò sovrano, ogni singolo ragazzo e
ragazza osservava le reliquie e lo facevano con un misto di emozione e timore.
Il tutto unito ai piccoli segreti che si erano tenuti gli uni con gli altri e
che ora erano stati svelati avevano portato una strana elettricità nell’aria
che parve essere la miccia dell’intuizione. Gli occhi di Margaret si erano
infatti illuminanti.
«Anne hai ancora la filastrocca/indovinello che
avevamo trovato?» era passato così tanto tempo che tutti se ne erano
dimenticati, ma non la Corvonero che non solo l’aveva
dietro, ma la rileggeva spesso.
La tirò fuori e fu rileggendola che molte cose
divennero chiare.
«Non può essere vero…»
«Abbiamo capito bene?»
«Direi che qui lo spiega abbastanza bene!»
Il piccolo gruppo si era tutto stretto intorno al
pouf, ora tutti erano in ginocchio sul tappeto e si guardavano senza che
nessuno avesse il coraggio di dire chiaramente quale era la rivelazione a cui
erano giunti.
«Oh basta girarci intorno! Tra di noi ci sono gli
Eredi di Tassorosso, Grifondoro
e Serpeverde. Daniel, Sirius
e Soleil!» disse senza mezzi termini Sonia, i capelli mossi che si muoveva convulsi
ad ogni gesto del suo capo.
«Se così fosse allora manca quello di Corvonero, non sono così presuntuosa che sia tra me o Anne,
ma magari qualcun altro che frequenta Hogwarts in
contemporanea con noi!»
«Bè allora dobbiamo trovarlo! Potrebbe trovare così il
Diadema di Corvonero e… insomma sarebbe stupendo, una
rivelazione e una bellissima notizia per tutto il mondo magico!»
Anne che era rimasta in silenzio tutto quel tempo
ascoltando prima Margaret e poi sua sorella, scosse il capo con fare deciso. Tutti
la notarono e la guardarono confusi.
«No! Non possiamo e non dobbiamo!»
«Perché?» chiese a dir poco contrariata Soleil.
«Sentite, ognuno di voi ha trovato la stanza
contenente la reliquia, sulla strada per cercare altro. Soleil voleva fuggire
all’ennesimo scontro per trovare un po’ di pace, Daniel non voleva confrontarsi
con Sydney e Oliver sui propri che (cosa volevi dire?) lo affliggevano e tu, Sirius, volevi solo far chiarezza con Margaret su cosa
c’era realmente tra voi! Oh non mi guardare così, lo abbiamo capito tutti
appena vi abbiamo visto entrare sorridenti e affiatati!» tagliò corto a fronte
dello sguardo smaliziato dei due.
«Gli eredi si sono rivelati nel momento in cui hanno
affrontato l’ostacolo del loro cuore, ma non lo avete fatto perché lo sapevate,
ma perché lo sentivate…» proseguì la giovane con fervore. Ora le parole di suo
zio le erano chiare.
«Uno dalla
nobiltà d’animo è caratterizzato, ma il coraggio gli viene meno perché
innamorato. Sappiamo che la caratteristica di un Grifondoro
è il valore e tu lo hai sempre avuto Sirius. Da che
ti conosco posso dire che sei sempre stato leale ai tuoi principi e le giuste
cause, non ti è mai mancato il valore di fare o dire ciò che pensi… ma i tuoi
sentimenti per Margaret ti limitavano, ti frenavano… fino a oggi…»
Il ragazzo si sentì in imbarazzo, ma poi strinse la
mano di Marge, intrecciando le dita con le sue quando
gliela porse.
«L'altra nel
cuore cela il segreto, è sì furba ma dall'animo inquieto. La tua eredità Soleil ti spaventava. Questo ti
ha portato a essere sempre sul chi va là e sulla difensiva con tutti, non hai
mai permesso a nessuno di conoscerti per davvero e lo facevi perché temevi che
se qualcuno avesse saputo il tuo segreto, non ti avrebbe mai accettata per
quello che sei. Temevi che il tuo cognome fosse un ostacolo, per poi scoprire
che la verità non era una maledizione, non quando hai trovato chi ha deciso di
non farci caso e volerti bene per chi sei tu e non per il nome che porti!»
Soleil assentì guardando negli occhi tutti quei
ragazzi che forse, sì, se non avesse subìto lo scandalo e quello che ne era
derivato, non li avrebbe mai approcciati. Non li avrebbe mai visti come
possibili amici. Si sentì un attimo in colpa e poi appoggiando il viso sulla
spalla di Christine fu lieta di sentirla darle il suo supporto come sempre.
«Anche lui che
dalla lealtà è mosso, deve fare i conti con la gelosia che gli sta addosso. Sei tu Daniel! Uno dei ragazzi più buoni e
puri che ognuno di noi abbia mai incontrato. Non ti sei mai tirato indietro, ci
sei sempre stato e hai sempre dato a ognuno di noi tutto quello che potevi. La
gelosia e l’invidia per un attimo ti hanno accecato, ti hanno impedito di
ricordare la bellezza di cui eri circondato. Hai cercato sempre qualcosa che
valesse di più, ma eri già in possesso del dono più prezioso, dovevi solo
ricordartelo!»
Daniel arrossì, la pelle chiarissima non gli
permetteva di nascondersi, ma fu abbastanza forte da non versare alcuna
lacrima. Assentiva fiero, prima che Sonia intervenisse e leggesse l’ultima
definizione.
«Infine lei che
dall'intelletto fine sottovaluta le sue capacità adamantine. Sappiamo che è
una ragazza, chiunque sia è davvero strana come descrizione. Nessun Corvonero sottovaluterebbe mai il suo intelletto…»
Tutti si trovarono ad assentire, prima di provare
l’adrenalina della consapevolezza di essere testimoni di un piccolo grande miracolo
frutto della speranza, una promessa per il domani.
La primavera avanzava portando con sé bellissimi cieli
azzurri e temperature sempre più alte. Anche per questo motivo i ragazzi
passavano sempre più tempo fuori, quando non erano a lezione, preferendo
studiare nel grande parco del castello piuttosto che al suo interno.
La circolare, ampia e ariosa, Sala Comune era inondata
di luce anche grazie alle maestose finestra arco, ma la stessa era smorzata – per
la gioia degli occhi di Anne – dai pesanti drappi di seta blu e bronzo appesi
alle pareti.
Arredata con moltissime librerie e scaffalature,
traboccanti di libri e tomi, oltre che da lunghi tavoli di legno scuro e come bèrgere, era ciò che più di ogni altra cosa aveva colpito
Anne la prima volta che vi aveva messo piede. Da quando era a Hogwarts grazie alla Sala Comune della sua casa aveva
potuto fare letture altrimenti impossibili e apprendere moltissime cose, eppure
adesso tutto ciò pareva non aver più alcun significato.
Osservava come in trance, semi sdraiata sul divanetto
della Sala Comune deserta, il soffitto a cupola. Lo stesso era decorato da un
affresco raffigurante il cielo notturno, punteggiato di stelle di bronzo, le
stesse che si ripetevano anche sulla moquette blu notte posta sul pavimento.
Era come era essere immersi nel cosmo, lo stesso di
cui suo zio le aveva rivelato così tante verità e tanto altro ancora le stava
insegnando. Erano passati trenta giorni esatti dalla sua dipartita e dopo il
ritorno a casa, suo e di sua sorella per il funerale,
riprendere la vita al castello era sembrata un’utopia.
Loro zia aveva incassato il colpo con grande
difficoltà e nonostante avesse insistito che le ragazze non lasciassero Hogwarts pur di starle accanto, con fatica le aveva
lasciate andare. Aveva una sorella a Ilvermorny,
insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure e capo casa di Thunderbird,
che aveva raggiunto e questo faceva sentir un poco
meglio le gemelle perché almeno sapevano che non sarebbe rimasta sola.
Dal canto suo, Sydney era una furia, si era buttata
nello studio come mai prima, seguiva il Club dei Duellanti e aveva deciso di
iniziare anche il corso di Alchimia e nonostante il Campionato del Quidditch fosse concluso si allenava spesso con Daniel e Sirius. Anne invece stava affrontando il lutto in
tutt’altro modo. Era divenuta letteralmente un bradipo.
Andava a lezione volteggiando per i corridoi come un
fantasma, poi si chiudeva in Sala Comune e rimaneva lì a non fare assolutamente
nulla se non fissare con sguardo vacuo il vuoto.
I loro amici erano stati tutti molto presenti e gentili,
ognuno a loro modo. Christine si era dimostrata tra le più disponibili e
accondiscendenti, era una brava ascoltatrice. Margaret non mancava di
controllare ogni volta come stesse, come Daniel faceva con Sydney, e Ariane e
Sonia con i loro modi di fare un po’ particolari cercavano sempre di strappargli
un sorriso. Michael si era rivelato una spalla fondamentale per Syd, mentre Sirius un amico
inaspettatamente importante per Anne.
La giovane sospirò per l’ennesima volta e poi
mettendosi a sedere si passò una mano tra i capelli a caschetto color mogano.
Si tolse gli occhiali solo per massaggiarsi il naso e poi sconsolata si sedette
composta stringendo il bordo del divanetto con le dita.
Da lontano sentiva le risa dei ragazzi fuori e il loro
vociare e lei si chiedeva se sarebbe stata mai più così felice. Sapeva che era
egoistico pensarlo, non sarebbe mai stata né la prima né l’ultima persona al
mondo a dover soffrire una perdita, ma in quel momento anche se ci avesse
voluto provare non ce la faceva proprio a essere empatica.
Inforcò di nuovo gli occhiali e stiracchiandosi lanciò
uno sguardo al tema di pozioni abbandonato sul tavolo, aveva trenta centimetri
di pergamena che l’aspettavano. Doveva scrivere le proprietà della pietra di
luna, ma nonostante ci avesse provato almeno tre volte a iniziarlo, la
pergamena bianca era ancora lì che la guardava.
Gli esami erano vicini e lei non era certa che sarebbe
riuscita superarli, non che ripetere un anno, a questo punto, fosse poi una
tragedia, era chiaro che le tragedie fossero ben altre.
Come se non bastasse nella tasca dei pantaloni di tuta
sentiva ancora il rigonfiamento della lettera ricevuta dai suoi genitori, gli
stessi che invitavano calorosamente lei e Sydney a tornare a casa per l’estate.
Erano stati gentili a presentarsi al funerale e mettere da parte i loro
dissapori e remore, ma ciò non toglieva che ad Anne suonava tanto come una
scusa per riuscire a convincerle a restare. Come se la Scuola di Magia fosse
stato un capriccio e una volta finita sarebbero tornate alla “vita vera”.
Anne prese la lettera, aprì la pallottola che della
stessa aveva fatto e poi con uno scatto d’ira e frustrazione la strappò in
mille pezzi.
«Ma che ne sanno loro?»
Si chiese tra sé e sé. Gli occhi erano tornati a
pizzicare e quel macigno sul petto che impediva di respirare si stava
riproponendo più pensante che mai.
«Perché? Perché lui? Aveva ancora così
tanto da insegnarci, così tanto da dirci… avevamo così tanto da fare insieme…» pensò ancora.
Le mani si strinsero come una morsa contro il divanetto,
le nocche bianche e le lacrime che silenziose le solcavano le gote arrossate.
Scosse violentemente il capo.
No. Abbandonare la magia, voleva dire abbandonare ciò
per cui suo zio aveva combattuto, per lei e per Sydney. Nelle ultime feste di Natale,
proprio con lui aveva parlato dei loro progetti futuri ed entusiasta le aveva
indirizzate incoraggiando i loro sogni.
A Hogsmeade Anne si era
accorta che mancava una bella libreria e i locali di Zonko
erano ancora vuoti. Finita Hogwarts lei e Sydney
volevano aprire un caffè letterario. Sua sorella era un’ottima pasticcera e
dunque si sarebbe occupata della cucina, mentre lei di rifornire la grande
libreria. I tomi all’interno potevano essere comprati, presi in prestito o letti
sul posto. Voleva che l’offerta fosse variegata, ma si concentrasse
principalmente sulla letteratura magica e perfino babbana.
Loro zio era impazzito all’idea e gli aveva confidato che con la moglie aveva
aperto un conto alla Gringott, a loro nome, e che vi
avevano accumulato una piccola somma affinché una volta diplomate vi avrebbero
potuto accedere per dar vita ai loro progetti.
A quel ricordo Anne si morse un labbro sorridendo e
poi riprese a piangere più sommessamente che mai. Si era trattenuta così tanto
per non farlo con sua zia, sua sorella e i suoi amici, che una volta sola si
sfogava crollando totalmente.
Cercò di respirare per non sentirsi affogare, ma i
singhiozzi erano così violenti da scuoterla. Velocemente si strinse le braccia
al petto per darsi calore e forza, mentre nella sua mente continuavano a
formarsi domande e periodi circa tutti i motivi per cui la morte di suo zio
fosse ingiusta. Voleva solo che qualcuno gli spiegasse il contrario, che
cercasse di farle capire il perché… Era la sua costante necessità di aver
risposte che non le dava tregua…
Era così chiusa e persa nel suo dolore, che nemmeno si
accorse del CLACK che si produsse
quando il camino prese a spostarsi e, lentamente, anche le mattonelle alle sue
spalle rivelando quello che parve un lungo e buio corridoio. Anne ci mise un
po’ ad accorgersene, gli occhi erano annebbiati dalle lacrime, ma quando lo
fece dovette sbatterli più e più volte per essere certa di non star avendo
un’allucinazione.
La sua mente brillante le fece capire subito cosa
tutto ciò significasse e rimanendo completamente immobile si chiese se davvero
ne fosse degna.
«Troverai ciò che cerchi sulla strada per cercare
qualcos’altro…» sussurrò tra sé e sé, guardandosi intorno, quasi aspettandosi
che il fantasma di suo zio uscisse all’improvviso da uno dei muri.
«No! Non lo credo… non credo proprio!» perché in quel
momento il suo pensiero era solo su di lui e nient’altro. Forse per questo non
si alzò e guardò quasi con il broncio il passaggio. Poi si sentì così ingrata,
che mandò al diavolo il nulla e si alzò, cercando di darsi un contegno… alla
fine cercò di capire dove l’avrebbe condotta.
Il passaggio era così stretto che ci passava a
malapena, le mura erano umide e il piccolo tunnel puzzava d’umido. Non ci
vedeva molto, tanto che doveva tenere gli occhi ridotti a due fessure, ma poi
eccola… “l’immensa biblioteca a cui solo i
veri assetati di sapere potevano accedere” si aprì di fronte ai suoi occhi.
Era circolare e le grandi librerie alte fino al
soffitto, che sarà stato cinque metri, erano intervallate da colonne doriche.
Al centro, un immenso leggio e sopra lo stesso un pesante tomo alto almeno settanta
centimetri.
Nonostante il suo stato d’animo aprì la bocca per lo
stupore, seppure era certa che in un altro momento e in un altro contesto
sarebbe stata decisamente più febbricitante. Stanca e affranta mosse pochi
passi verso il centro e improvvisamente il grande tomo si aprì. Sulle pagine
ingiallite comparve una scritta: «Qualsiasi
sia la tua domanda o problema, qui troverai la soluzione. Non devi fare altro
che chiudere gli occhi e pensarci intensamente…»
Con le labbra che le tremavano e il pianto che
minacciava di tornare strinse i pugni come a volersi trattenere dal fare qualcosa
che sapeva sarebbe stato sbagliato, ma poi mandando al diavolo la prudenza e la
saggezza, chiuse gli occhi e pensò a un’unica cosa: «Voglio riaverti al mio fianco zio! Ho bisogno di te! Abbiamo bisogno
di te… cosa devo fare? Ti prego dimmelo, cosa devo fare?»
Si concentrò così tanto che le venne il mal di testa,
non voleva riaprire gli occhi perché aveva paura di ciò che avrebbe visto. E se
non fosse successo nulla? O ancor peggio se avesse creato un danno
irreparabile?
Ingoiò la propria saliva, così tanto che le venne il
buco allo stomaco, ma quando riaprì gli occhi notò immediatamente che sul libro
la domanda antecedente era scomparsa e qualcos’altro si stava auto-scrivendo.
«Il dono più grande che un essere umano
può ricevere è quello della conoscenza…»
Ad Anne mancò un battito. Si poggiò la mano sul cuore
e sorrise tra le lacrime, ben sapendo che quella era una frase che suo zio
ripeteva sempre.
«La conoscenza rende liberi!» aggiunse lei,
ricordandosi l’insegnamento dietro a quella frase.
Fu a fronte di quello scritto che un libro uscì da
solo dalla grande libreria alla sua sinistra e librandosi in aria verso di lei
si aprì, solo per rivelare che non era affatto un libro, ma più che altro un
contenitore. Al suo interno, il Diadema di Corvonero
brillava argentato con il suo grosso zaffiro blu, lo stesso uscì dal suo
nascondiglio e con la leggerezza di una piuma si posò sul capo della giovane.
«Infine lei che dall'intelletto fine
sottovaluta le sue capacità adamantine.»
Chiudendo gli occhi, la voce che sentì pronunciare la
frase del fantomatico indovinello, fu proprio quella di suo zio. Solo che ora
non si sentiva come si era sentita fino a quel momento. La sua voce non la fece
sentire più triste, più arrabbiata o più persa, al contrario. Era come se
adesso tutto le fosse chiaro, come se anche quell’evento nefasto facesse solo
parte di uno schema più grande. Come la serendipità insegnava era l’insieme di
un determinato numero di eventi, del tutto casuali, a dar forma invece al
disegno complesso e preciso del destino. In esso ogni azione e momento era
necessario per essere portarti a un altro. Per Anne fu come aver osservato
finora un imponente quadro troppo da vicino e solo facendo qualche passo
indietro ne poté ammirare la bellezza in tutta la sua totalità, apprezzandolo e
capendolo.
Iniziò improvvisamente a ridere tra sé e sé, una
risata sempre più forte e pura e vera.
«O-Ora capisco… O-Ora capisco tutto…» disse lei in
piena epifania.
Quando riaprì gli occhi non solo si trovò seduta sul
divanetto della sua Sala Comune, il diadema tra le mani e il passaggio
sigillato come se mai fosse esistito; ma sì sentì diversa. Si sentì completa.
Si sentì finalmente consapevole e completa.
L’anno precedente Daniel e Sydney, con loro somma
sorpresa, erano divenuti Prefetti di Tassorosso.
Ovviamente ne erano stati onorati e felici, se non fosse che ben presto avevano
compreso la mole di lavoro che comportava. Margaret ogni volta che li sentiva
lamentarsi alzava un dito e con fare perentorio ripeteva: «E non avete idea di cosa voglia dire essere Caposcuola, ringrazio sia
al mio ultimo anno!»
Con le vacanze prossime, e l’addio di molti di loro, pareva
impossibile trovare un po’ di tempo da passare assieme. Ariane non faceva altro
che lamentarsi: «E meno male che sono
solo in quarta, manca un solo anno ai G.U.F.O., ma i professori sembrano
esserselo dimenticati!» sbuffava ogni volta immersa nelle pergamene e nei
libri dei compiti. Ma nessuno era al livello di Margaret, era quella che
seguiva più materie di chiunque altro e con i M.A.G.O. imminenti era di solito
l’ultima a lasciare la Sala Comune di Corvonero la
sera e la prima a scendere in biblioteca la mattina dopo. Anche Christine e
Soleil erano oberate, soprattutto quest’ultima non poteva permettersi in alcuna
maniera di perdere di nuovo l’anno. Christine quel giorno stava scrivendo una
lunga pergamena, riempiendone già mezzo rotolo e Soleil era distesa sul
tappetto della Sala Comune nel tentativo di finire la simulazione di Pozioni.
Il tutto mentre gli altri ridevano e scherzavano fuori dalle finestre nella
bellissima giornata mite di sole che annunciava l’estate ormai imminente.
Michael era a far loro compagnia, mentre anche nella Sala Comune di Grifondoro la scena era la stessa, ma con Sonia e Sirius.
Intanto, i doveri di prefetto di Sydney e Daniel non
erano diminuiti nonostante la fine della scuola ormai alle porte. Furono
infatti incaricati di sovraintendere all’allestimento delle classi per gli
esami («Che poi non ho capito perché le
classi per gli esami dobbiamo prepararle noi Prefetti, non esiste un
incantesimo con il quale possono spostare banchi e sedie?» chiedeva in
continuazione Daniel sudato fradicio. Ovviamente sapeva che la domanda era
retorica, ma aveva bisogno di lamentarsi!), di sorvegliare gli allievi del
primo e del secondo anno che con la scuola delle belle giornate cercavano di
farei i furbi oltrepassando i limiti della Foresta Proibita («E fanno anche gli arroganti, quei mocciosi,
noi non eravamo così maleducati al primo anno» osservò Sydney) e di
pattugliare i corridoi a turno con Gazza, che sospettava che lo spirito
vacanziero potesse esprimersi in improvvisi duelli di magia.
Nel frattempo, come gli insegnati e Margaret
continuavano a ripetere, i M.A.G.O. erano sempre più vicini. Chi più chi di
meno, tutti gli studenti dell’ultimo anno erano tesi, ma Lucy Sutton fu la prima ad andare in crisi. Era scoppiata in
singhiozzi durante Trasfigurazioni, gemendo che non era in grado di sopportare
il peso psicologico degli esami e per la sua salute mentale avrebbe dovuto
essere esonerata. Intanto Christine viveva con la Pozione Rilassante nella
borsa, per cercare di non crollare sotto il peso dell’ansia, mentre Sonia e
Soleil cercavano di comprendere le lezioni di Divinazioni. Fiorenzo era
indubbiamente un grande insegnante, molto preparato e particolare. Non era
interessato a insegnare quelle che lui definiva assurdità umane come il malocchio o la predizione del futuro,
preferendo di gran lunga passare ai propri studenti il concetto per cui nulla
era infallibile, nemmeno la conoscenza dei centauri. Il problema era che così
facendo non avevano dei veri argomenti su cui studiare e cercare di comprendere
quale potesse essere l’argomento d’esame era impossibile.
«Io ci rinuncio! Come va… va! Insomma è impossibile
studiare per il M.A.G.O di Divinazione!» sbottò Soleil abbandonando gli appunti
che stava leggendo.
Il sole era alto nel cielo e il caldo era così
insopportabile che tutti avevano la divisa scompigliata. Chi aveva arrotolato
le maniche della camicia, chi aveva rinunciato ai calzettoni sotto la gonna o
chi aveva proprio abbandonato l’idea di indossare la cravatta. Seduti in riva
al lago, sotto un maestoso faggio, c’era tutta la compagnia comprensiva perfino
di Zabini.
Michael e Sirius erano in
piedi e invece di ripassare si passavano la pluffa,
con la complicità di Ariane, mentre Daniel proteggeva una porta invisibile
cercando di parare i loro tiri.
«Non eravate tu e Sonia che decantavate le lodi di
Divinazione!?» la prese in giro Margaret guardandoli dall’alto del suo librone
di Artimanzia, classe che seguivano anche Christine,
la sorella di quest’ultima e Anne.
«No vabbè le ragazze hanno ragione, è figa come
materia e perfino il prof. Fiorenzo è un mito, ma è alquanto nebuloso nelle sue
spiegazioni…» disse Sydney per dar manforte alle amiche, in quanto seguiva
anche lei Divinazione.
A pancia in giù stava leggendo un romanzo, non
invidiando per nulla gli amici, solo l’anno prima con i G.U.F.O. avrebbe voluto
morire e non voleva soffermarsi a pensare che quella tortura l’anno successivo sarebbe
toccata a lei.
Christine, che era stesa con il capo appoggiato sulle
gambe di Soleil, guardò l’orologio e strabuzzò gli occhi quando notò l’ora.
«Ragazzi manca solo mezz’ora al M.A.G.O. di Difesa Contro
le Altri Oscure!» esclamò alzandosi di scattò e guardando tutti. Sonia si fece
improvvisamente nervosa.
«E voi siete ancora a giocare con la pluffa!? Ma che vi dice il cervello, a ripassare ora!» La
ragazza dai capelli castani e mossi, arruffati per l’umidità, fulminò il
piccolo gruppo. Ariane e Daniel fecero orecchie da mercante e continuarono a
giocare, mentre Sirius e Micheal
si sedevano con la coda tra le gambe.
«Non mi guardare così l’esame è tuo, sono fatti tuoi,
ma scordati che io ti aiuti a ripassare!» rispose laconica Sydney, sogghignando
a Zabini che già le si era avvicinato per chiederle
aiuto.
«Anzi sai che ti dico? Vado a rinfrescarmi con le
gambe nel lago!»
«Tua sorella è un mostro!» esplose il Serpeverde mettendo il broncio, mentre Anne alzava gli
occhi esasperata.
«Se ti accontenti ti aiuto io?»
«Vedi!? TU SÌ CHE SEI GENTILE, UNA PERSONA DAVVERO
MOLTO RISPETTOSA E ATTENTA, NON COME QUALCUN’ALTRA!» esclamò Michael
volutamente a voce alta. Sydney non parve per nulla colpita e Anne si toccò la
fronte scuotendo il capo sconsolata.
«Ragazzi… ehm…» Christine aveva preso la parola e dal
suo tono tutti capirono che aveva qualcosa d’importante da dire.
«Quando andiamo dalla Preside?»
La domanda rese tutti improvvisamente seri. Avevano
deciso che quando sarebbe arrivato l’ultimo mese di scuola avrebbero portato
alla professoressa McGranitt le reliquie che avevano
trovato. Avevano concordato, dopo una riunione nella Stanza delle Necessità,
che non potevano tenerle. Esse appartenevano alla scuola ed era giusto
riconsegnarle alla stessa.
«I M.A.G.O. sono iniziati l’altro ieri, e oggi è
mercoledì. Venerdì dovremmo finire… ci sarà il weekend e poi l’ultima settimana
che sarà quella dei responsi. Facciamo sabato mattina dopo colazione?» chiese
Margaret che aveva già recuperato dalla sua agenda gli orari degli esami.
«Sì ma è inutile che andiamo tutti, direi che devono
andarci solo gli Eredi!» esclamò Christine con sicurezza. Ora anche Daniel e
Ariane avevano raggiunto il gruppo e Sydney era tornata quando li aveva visti
tutti seduti sull’erba, molto vicini a confabulare.
«Concordo! Altrimenti saremmo una delegazione fin
troppo vistosa!» disse proprio la Tassorosso
sedendosi, le gambe nude ancora bagnate.
«Solo che come andiamo nel suo ufficio? Non c’è dove
bussare!» fece notare Daniel, forse era sciocca come osservazione, ma logica.
Anche perché ora che ci pensava, e lo fece poggiandosi un dito sul mento, lui
nemmeno sapeva dove fosse l’ufficio del preside.
«È al secondo piano, in un corridoio ci sono due
imponenti e massicci gargoyles, basta dire la parola
d’ordine e una scala a chiocciola conduce fino alla porta dell’ufficio…»
intervenne Ariane.
«E tu come fai a saperlo?» chiese la sorella colpita,
ma questa si scambiò un’occhiata furba con Sonia e alla fine lo rivelò a tutti.
«Sapete quando Oliver, Sydney e Daniel hanno trovato
quella strana stanza? Quella apparsa nella Stanza delle Necessità con la Coppa
di Tassorosso!? Dentro c’era anche la Mappa del Malandrino
e Oliver l’ha regalata a me!»
«Bel fidanzato mi trovo! No dai, scherzo, sono
felicissima che ce l’abbia tu, fanne buon uso!» ironizzò Sonia dandole una
spinta giocosa.
«Hai capito! Brava sorellina, poi però devi farmela
vedere, non mi hai detto nulla! Questa non te la perdono!»
«Ehi ma ho scoperto solo da poco come aprirla, Oliver
non ci è mai riuscito. C’è bisogno di una formula apposta…»
«E quale sarebbe?» chiese Sirius
sporgendosi verso Ariane, sempre estremamente maschiaccia,
ma anche ironica e divertente. Era la più piccola, ma nel gruppo nessuno ci
faceva caso. Anzi spesso era più adulta di tutti loro messi insieme, c’era
sempre stata a suo modo. Era così leale che era difficile capire perché non
fosse un Tassorosso.
«Giuro
solennemente di non avere buone intenzioni.»
«E direi che questo dice già tutto!» ironizzò Margaret
ridacchiando insieme agli altri.
«Comunque tornando al tema della discussione, sappiamo
dove è l’ufficio, ma la parola d’ordine?»
«Zenzerotto! Scomettete?» e conoscendo Zabini
lo avrebbe fatto, ma ora tutti lo guardavano assai incuriositi.
«E tu come lo sai?» fu Sydney a chiederglielo curiosa,
mentre si sporgeva verso di lui con sguardo indagatore. Lui le baciò la punta
del naso, si passò una mano tra i capelli neri e poi li guardò con il suo
solito fare fascinoso.
«Non posso rivelare le mie fonti!» e come tutta
risposta si prese un pizzicotto dalla propria ragazza, mentre tutti ridevano.
Tuttavia, si ripromisero che tanto valeva provarci, in caso contrario un modo
per parlare con la preside lo avrebbero trovato.
L’ultimo giorno di esami fu se possibile il giorno più
afoso dell’anno. C’era così tanta umidità che era impossibile tenere in mano la
piuma per scrivere, Sonia doveva appoggiarla sul banco ogni tre per due per
asciugarsi le mani. Christine si era fatta un ventaglio di pergamena con cui si
sventolava e Margaret non sapeva più come raccogliere i capelli per non
soccombere al calore.
Nella Sala Grande non vi erano le solite quattro
lunghe tavole delle Case, ma circa un centinaio di tavoli più piccoli, tutti
rivolti nella stessa direzione e ciascuno occupato da uno studente chino a
scrivere un rotolo di pergamena. L’unico suono era il raspare delle piume e il
raro fruscio di una pergamena smossa.
I raggi del sole si riversavano dalle alte finestre
sulle teste ricurve. Tra queste vi era anche quella di Sirius
che aveva praticamente il naso appiccicato alla pergamena. Aveva riletto almeno
tre volte la stessa domanda e siccome la risposta non gli veniva la rileggeva
sempre più da vicino quasi sperando che improvvisamente avrebbe saputo cosa
scrivere.
Soleil stava rileggendo nervosa quello che aveva
scritto, si torturava un’unghia ove ormai tutto lo smalto era sbeccato. Quattro
tavoli dietro di lei c’era Zabini che fingendo di stiracchiarsi
cercava invano di leggere la pergamena del compagno vicino.
«Giù le piume!» la voce squillante del loro professore
di Pozioni riempì l’aria. Era andata. Era l’ultimo M.A.G.O. L’ultimo esame.
«Sutton ho detto giù le
piume!»
Lucy lo guardò quasi fosse stata ferita a morte da
quelle parole, la pergamena era praticamente in bianco, mentre Christine
alzandosi le gettava un’occhiata. Subito Soleil la raggiunse prendendola per
mano e le due ridacchiarono del compito svolto dalla loro compagna.
Michael, Sirius, Sonia e
Margaret le raggiunsero e insieme uscirono dalla Sala Grande.
«Comunque ci sono rimasta male, mi aspettavo qualcosa
di più complesso!» la Corvonero aveva esclamato con
fare quasi annoiato.
«Ma stai scherzando? Più complesso? E quello come lo
chiami!?»
«Sai Zabini, bastava
studiare!»
Micheal
scosse il capo contrariato, mentre Soleil camminava con le braccia sulle spalle
di Christine e Sonia.
«Io mi sento che è andata bene!»
«Vabbé Chris è un mito in
pozioni, i tuoi appunti sono stati provvidenziali senza credo che avrei
dimenticato tutte le formule!»
«Beh come i tuoi di Trasfigurazione! Posso dire con
certezza che Sonia ci ha salvato tutti con i suoi riassunti! Sei riuscita a
semplificare concetti complessi e studiare è stata una passeggiata!»
«Ma io e te abbiamo fatto un esame diverso?» chiese
improvvisamente Sirius al Serpeverde,
perché i ragazzi non concordavano con la leggerezza delle ragazze. Loro tutta
questa semplicità non l’avevano vista.
«Comunque alla fine avete deciso che fare dopo?»
Dopo l’orientamento professionale non avevano ancora
parlato dell’argomento, ma fu inevitabile che uscisse. Era strano come
nonostante l’inevitabile, cioè il fatto che si sarebbero divisi, tutti fossero
estremamente tranquilli nel credere che avrebbero continuato a frequentarsi.
Riponevano grande fiducia nel loro legame.
«Io ho ricevuto conferma da Oliver qualche giorno fa
via gufo e stavo aspettando il momento giusto per dirvelo! Lo raggiungo al PuddlemereUnited!» la voce di Sirius era raggiante, mentre tutti si congratulavano con
lui.
«Anche io ho ricevuto la risposta che aspettavo dalle
Vepse di Winbourne e dovrei essere dentro, come
riserva!» Sonia lo disse stringendo i pugni vittoriosa. Era abbastanza scontato
che i loro amici avrebbero seguito la strada sportiva.
«Io inizierò uno stage al San Mugo, reparto Lesioni da
Incantesimo!» disse fieramente Margaret, mentre stringeva più forte la tracolla
a sé.
«Io e Sole abbiamo inviato alcuni nostri articoli,
della rubrica che teniamo per il giornale della scuola, al Il Salotto di Shimplinge che dire… a
loro sono piaciuti davvero molto! Sarà divertente perché seguiremo gli eventi
più importanti all’interno delle Scuole Magiche del Mondo!»
«Pensavamo fosse un’idea innovativa una rubrica che
porti a conoscere usi e costumi del mondo magico attraverso le scuole sparse
nel mondo. Le materie che insegnano, le attività e per non parlare delle
iniziative…»
«Wow concordo è davvero un’idea originale, già vi
leggo con piacere non mancherò di continuare a farlo!» esclamò Margaret con gli
occhi che le brillavano. Ora tutti guardavano Zabini,
l’unico che non aveva ancora parlato e lui si passò
nuovamente la mano tra i capelli, ma questa volta con fare nervoso.
«Oh io niente di così entusiasmante rispetto a voi…»
«Sì vergogna perché lavorerà con suo padre alla Gringott come spezza incantesimi!» esclamò improvvisamente
Sydney stringendo il braccio del fidanzato che subito si irrigidì. Con lei
erano arrivati anche gli altri.
«E che c’è di male in questo?»
«È quello che gli dico io Sonia, ma questo capoccione
si è messo in testa che non è abbastanza figo
come lavoro!»
«Perché è così! Mio padre ha solo messo una buona
parola, ma non sono sicuro che è quello che voglio fare. Sapete la Preside mi
ha detto che l’anno prossimo l’insegnante di Volo va in pensione e… che se ero
interessato…»
«Oh no! No no no no, come mio insegnante no!» adesso
era Sydney quella a disagio, aveva parlato così ad alta voce che tutti la
guardavano, mentre ferma in mezzo al corridoio fissava in cagnesco il proprio
ragazzo. Adesso era lui a ridersela.
«E che c’è di male in questo?» chiese lui facendole il
verso e presto i due ripresero a battibeccare, mentre tutti scuotevano il viso
con un sorrisino sulle labbra, ormai abituati al loro singolare modo di stare
insieme.
Una promessa era debito e così sabato mattina Soleil, Sirius, Daniel e Anne uscirono dalla Sala Grande e salirono
la scalinata di marmo diretti al secondo piano. La Serpeverde
e il Grifondoro erano i più alti della piccola
delegazione, sembravano quasi due Torri che muovendosi su una scacchiera
scortavano i due alfieri, la Corvonero e il Tassorosso, che tra loro camminavano. Soleil indossava la
collana, Sirius aveva infilato la spada nella
tracolla sulla quale Margaret aveva lanciato un incantesimo di estensione,
mentre Anne e Daniel avevano fatto stare senza problemi i loro monili nella
propria. Arrivati a metà corridoio, vuoto a quell’ora, si fermarono di fronte
ai due gargoyle pronti a provare la parola d’ordine
suggerita loro da Zabini e incredibilmente la stessa
funzionò.
Il mascherone improvvisamente prese vita e fece un
balzo di lato, mentre la parete si apriva. Dietro di essa c’era una scala a
chiocciola che si muoveva dolcemente verso l’alto, come una scala mobile.
Guardandosi i quattro ragazzi vi salirono e a quel punto udirono il tonfo della
parete che si richiudeva alle loro spalle. Salirono a spirale, su su, sempre più in alto, fin a che non videro di fronte a
loro una porta di quercia lucente con un batacchio di rame a forma di grifone.
Nervosi lasciarono che Anne bussasse, avevano
aspettato di vedere la preside lasciare la Sala Grande per poi, dopo averle
dato un po’ di vantaggio, incamminarsi per incontrarla.
La porta si aprì senza fare rumore e una volta entrati
si guardarono intorno colpiti dallo studio della McGranitt.
Era una stanza circolare, grande e bella, piena di soprammobili inerenti al quidditch. Su alcuni tavoli dalle gambe lunghe e sottili,
vi erano posati eleganti strumenti magici che i ragazzi non avevano mai visto,
ma che Anne riconobbe come appartenenti alla cultura celtica e druida. Le
pareti erano ricoperte di ritratti di vecchi e vecchie presidi, che li
osservavano curiosi. C’era anche un’enorme scrivania con le zampe ad artiglio,
e dietro, su uno scaffale, era poggiato un cappello da mago, frusto e
stracciato… il Cappello Parlante.
Improvvisamente un rumore fece sobbalzare i quattro,
scorgendo nella penombra dietro la scrivania una figura avanzare: era la
preside. Con il suo solito cipiglio austero li guardò tra la sorpresa e il
rimprovero.
«Il più strano assortimento di ragazzi che avrei mai
immaginato di trovare nel mio ufficio. La prima domanda che dovrei porvi e come
avete fatto a entrare, ma considerando la singolarità dell’evento credo che
chiederò qualcos’altro: cosa ci fate qui?» e chiedendolo avanzò dolcemente fino
alla scrivania per poi lasciarsi cadere sulla propria poltrona. Indicò ai ragazzi di sedersi di fronte a lei,
mentre delle sedie comparivano dopo che lei mosse piano la bacchetta.
I quattro ragazzi si guardarono nervosi e poi Anne,
dopo aver deglutito il vuoto, cercò nella sua borsa e ne trasse fuori la
pergamena con la filastrocca che porse alla professoressa.
«Ehm quasi tre anni fa… abbiamo trovato questa, o
meglio ognuno di noi ne ha trovato un pezzo. Non abbiamo idea di come possa
essere giunta in nostro possesso, ma… diciamo che è stato l’inizio di eventi…
singolari…»
Anne aveva parlato con lentezza, mentre la
professoressa McGranitt leggeva la pergamena davvero
incuriosita, erano parole che avevano un non so che di familiare nel modo in
cui erano porte e nel messaggio celato che volevano inviare. Per un attimo si
voltò a fissare il Cappello Parlante e poi tornando a guardare i ragazzi li
invitò a continuare.
«Nessuno di noi ha dato peso a ciò. Non abbiamo
intrapreso cacce al tesoro né ci siamo soffermati
davvero sul valore di queste parole…»
Alla McGranitt sfuggì un
sorriso malinconico, improvvisamente gli erano venuti in mente Potter e i suoi
amici: Weasley e Granger.
Tutt’altra pasta, avrebbero fatto esattamente il contrario eppure qualcosa le
diceva che quei ragazzi non erano lì solo per raccontarle una storia.
«Vede Preside, in questi anni ognuno di noi ha dovuto
superare momenti difficili…» Soleil aveva preso la parola e con lo sguardo
fiero parlava, non mancando di rivolgere un sincero sorriso agli amici al suo
fianco. «Ma per quanto per ognuno ha significato qualcosa di diverso, siamo riusciti
ad andare avanti grazie all’amicizia che tra noi, e gli altri, ragazzi di
casate diverse, è intercorsa…»
La McGranitt era infatti
colpita, in tanti anni di insegnamento ed ora da direttrice non aveva mai visto
un gruppo formato da così tanti ragazzi diversi tra loro. Che erano andati
perfino oltre alle loro differenze relative alle case di appartenenza.
«Solo che mentre affrontavamo le nostre paure e
ostacoli… ecco, come dire… scatenavamo una serie di eventi che ci ha portato a
scoperte incredibili!» dicendo questo Sirius allungò
una mano nella propria tracolla e ne sfilò una lunga custodia di velluto nero,
che si scoprì essere il panno che avvolgeva la Spada di Grinfondoro.
La McGranitt la osservò stupita, non era stata tra le
reliquie andate distrutte perché un Hocrux, ma dopo
tali eventi era scomparsa e più nessuno l’aveva vista.
La stava ancora osservando, mentre anche gli altri
avevano poggiato i propri tesori sul tavolo.
«Questi oggetti sono venuti a noi senza cercarli. Li
abbiamo trovati nel momento in cui ci rivelavamo essere i protagonisti
dell’indovinello che stringe tra le mani. Ognuna è “venuta” a noi quando ci
trovavamo ad affrontare la sfida per noi più difficile. In stanze che credevamo
mitiche e invece sono reali…»
La McGranitt ora osservava
gli oggetti con gli occhi fuori dalle orbite, teneva le mani intrecciate
davanti al viso con i gomiti sulla scrivania. Quando tornò a guardarli tuttavia
nel suo sguardo non c’era severità, ma solo profonda commozione.
«Signor Abercrombie, Signorina Rachelle,
Signor Pawdeen e Signorina Strange…» li chiamò ad uno
ad uno fissando prima la reliquia e poi la persona di cui pronunciava il nome.
«A noi di Hogwarts e tutti i suoi illustri Presidi
voglio ringraziarvi. Queste sono una scoperta incredibile, ma più di tanto sono
un segno di speranza. La guerra è finita, è vero, ma in questo periodo di pace
c’è ancora tanto da ricostruire. Dopo un lungo periodo di conflitto, in cui
famiglie e amici si sono messi l’uno contro l’altro, per pura e semplice paura…
la vostra unione e quello che ha generato è un segno che non può essere
ignorato!»
Con quelle parole, un cospicuo numero di punti a
ognuno di loro per quell’importante gesto e la promessa di una grande festa per
celebrare l’evento oltre che la fine dell’anno, li congedò. Non prima di aver
regalato ad ognuno una scatola di latta di zenzerotti.
La porta si era appena chiusa, quando voltandosi verso uno dei quadri notò due
grandi occhi azzurri, nascosti dietro due lenti a mezzaluna, guardarla
sorridente.
«Te lo avevo detto Minerva!»
«Non riesco ancora a crederci Albus,
ma come è possibile! Quegli oggetti non dovrebbero più esistere…»
«Oh mia cara amica, credi davvero che il coraggio, la
sapienza, la lealtà e l’astuzia siano qualcosa che si possano distruggere?»
A quella domanda retorica la donna scosse il capo e
guardando il Cappello Parlante prima e il ritratto di Albus
Silente poi, comprese cosa doveva essere successo.
«Siete stati voi vero?»
«Oh su su, è stato solo un
piccolo aiutino… che… devo dire, hanno saputo leggere meglio di quanto sperassi!»
«In altri tempi altri studenti avrebbero dato vita a
un’avventura!»
«E questa forse non lo è stata? Semplicemente quali
sono i canoni per cui definiamo un’avventura tale? Ogni viaggio è unico a suo
modo!»
Silente era seduto sulla sua elegante poltrona di
velluto rosso e mangiava allegramente una cioccorana.
«Quindi, sono davvero gli Eredi?» chiese la preside
tornando a fissare le reliquie e poi di nuovo il suo caro amico.
«Certo! Sono gli Eredi dell’insegnamento più
importante che questa scuola, con i suoi Fondatori, hanno voluto lasciarci. Uno
che per vari motivi, abbiamo perso di vista da molti anni. Harry lo ha capito
alla fine, ma durante i suoi anni scolastici lo ha osteggiato come suo padre
prima di lui…»
«Da che ricordo non avevo mai visto un Grifondoro e un Serpeverde andare
così d’accordo…» esclamò la McGranitt pensando ai
molti di entrambe le casate che in quel gruppo si erano uniti, ma non si trattava
solo di loro.
«Ragazzi di quattro casate diverse che senza indugi,
pregiudizi o remore sono diventati amici. Il tutto instaurando un forte legame
di fiducia reciproca. È l’avvertimento che il Cappello Parlante da anni lancia:
state vicini, restate uniti. Questa unità tra le case va oltre Hogwarts Minerva, è una promessa per il domani…»
«E una nuova speranza che nasce!» concluse lei che,
ormai vicino alla finestra, sorrideva osservando nel parco il gruppo di amici
ridere e scherzare, seduti all’ombra del grande faggio.