The Heirs of Hogwarts (Parallels-1)

di Christine Cecile Abroath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Faccio questa piccola introduzione perché è dovuta. Mi sento in dovere di avvisare i miei lettori che la fan fiction che ho deciso di pubblicare è ambientata sì nel Potterhead, ma alterna momenti volutamente presi dai libri -con piccoli passaggi che sono letteralmente "rubati" dagli stessi- misti a momenti del tutto nuovi ed originali in cui si inseriscono i miei personaggi.

 

Forse non sarà la più grande delle avventure o dei misteri, ma qui dentro c'è davvero un pezzo della mia vita e non parlo solo della mia passione smisurata per Harry Potter e del mio alter ego (Christine Cecilie Aborath) che in esso si muove, ma per ben altro...

 

I personaggi citati al lato del mio personaggio sono anch'essi avatar di persone che mi sono state care, alcune delle quali non ci sono più. Rimembro così le emozioni con loro vissute di quegli amici che per motivi diversi ho perso di vista o che purtroppo hanno lasciato il mio fianco troppo presto…

Non tutti sono legati a tristi ricordi, altri sono invece persone che sono entrate in punta di piedi nella mia vita e ad oggi ne fanno parte in modo saldo.

 

Questa fan fiction dunque non sarà forse una delle più belle o avvincenti ambientate nel mondo magico che la Rowling ci ha donato, ma sicuramente è un dono prezioso e pieno d'amore che faccio a tutti loro.

 

Ovunque voi siate, vivrete sempre nel mio cuore ed in questa incantata realtà parallela che mai nessuno potrà portarci via.


𝒞𝓇𝒾𝓈𝓉𝒾𝓃𝒶 𝒫𝑒𝓉𝓇𝒾𝓃𝒾

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


SETTEMBRE 2001

L’espresso di Hogwarts, un treno a vapore di un rosso lucente, era già là, sputando nuvole di fumo, da cui i molti studenti di Hogwarts e i loro genitori sulla banchina emergevano come cupi fantasmi.

«Ancora 2 anni… sono troppi, voglio venire anche io! Sai quanto è triste stare così tanti mesi senza di te?»

«Ma a Natale vengo sempre a casa per le vacanze!»

«E pensi mi basti?»

Due ragazzine di 13 e 9 anni parlavano tra loro. La prima aveva corti capelli rossi, tuttavia questo non la faceva venir meno al suo aspetto estremamente femminile. Amava prendersi cura di sé e seppur era alta appena un metro e sessanta e le sue forme erano morbide, risultava comunque proporzionata e si vedeva che faceva il possibile per tenersi in forma. I suoi occhi profondi e bruni erano identici a quelli della sorellina che, a differenza di lei, aveva un corpo longilineo e atletico. Era poco più bassa, il viso era lungo e i capelli castani erano lunghi e lisci ed arrivavano fino alle spalle. Ancora troppo giovane per pensare all’estetica, make up e affini non sarebbero stati per lei.

La più grande, Christine, indossava una minigonna scozzese color grigio. Al di sopra una maglietta a maniche lunghe nere, collo a barca e uno stile semplice ma glam. Indossava collant nere trasparenti ed un paio di stivali bassi neri con tacchetto. Non mancavano mai nel suo look, anche quando indossava la divisa di Hogwarts, riferimenti alla sua casata: Serpeverde. In quel caso era una collana con due serpenti, uno d'argento e l'altro d'oro, che si incrociavano a formare il nodo marinaro detto carrick.

La più piccola, Ariane, indossava invece un paio di pantaloni da ciclista neri, una t-shirt oversize anch'essa nera ma con sopra la stampa della loro squadra preferita di Quidditch: le Holyhead Harpies. Ai piedi un paio di All Star consunte e seppur non fosse da ammennicoli, anche lei indossava un riferimento a Serpeverde con un braccialetto d'argento che rappresentava un piccolo serpente dagli occhi di smerlando.

«E poi non vedo l’ora di affrontare lo Smistamento, sempre sperando che mi faccia finire in Serpeverde

Ariane pronunciò quelle parole toccandosi con un gesto involontario il polso con il braccialetto, mentre la sorella le posava una mano sulla spalla e le sorrideva radiosa. I loro genitori erano appena scesi dall’Espresso per Hogwarts, dopo averci sistemato al di sopra il baule e la gabbia con il gufo di quest’ultima.

«Sono sicura che andrà esattamente così e se non fosse… alla fine staremo comunque sempre insieme!»

Le due sorelle si salutarono con un forte abbraccio. Avevano età diverse, ma erano legatissime. I loro genitori erano entrambi purosangue. Il padre, un Abroath, discendeva da un ramo dell’antica famiglia dei Rosier, mentre la madre, una Dubois, era anch’essa una famiglia di stregoni purosangue francesi. Tuttavia, non era la loro discendenza, il loro ceto agiato e tanto meno la casata di Hogwarts a contraddistinguerli. Erano una famiglia aperta, simpatica, cordiale, che nonostante tenesse alle proprie origini e tradizioni non ne faceva motivo di discriminazione, al contrario.

Il padre, Drew Phineas Abroath, lavorava al Ministero della Magia presso l’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. Era un uomo colto, che sapeva molte lingue e che svolgeva importanti incarichi di tipo diplomatico. La madre invece, Eloïse Hesper Dubois, lavorava all’Ospedale San Mungo presso il reparto Avvelenamento da Pozioni e Piante Velenose; il suo dono era un retaggio per via della sua famiglia che in antichità aveva vantato grandissimi pozionisti e alchimisti. Entrambi i genitori erano fieri purosangue che avevano trasmesso alle figlie le loro conoscenze e l’amore per le tradizioni di famiglia, ma che le spingevano in egual misura a trovare la loro strada e a coltivare le loro passioni.

I due avevano appena raggiunto le figlie, che il treno prese a fischiare, motivo per cui Christine dovette congedarsi velocemente dalla famiglia e correre sull’Espresso.

Una volta sopra, rimase più tempo possibile al finestrino a salutarli fin quando il treno non voltò l’angolo e la banchina sparì.

Fu allora che Christine prese posto nello scompartimento ove i suoi genitori e quelli dei suoi amici avevano portato i bauli per assicurarsi che gli stessi stessero insieme.

Era felice di dire che il suo gruppo era formato dall’assortimento più strano che si potesse vedere, non poteva dire di non avere amici tra i membri della sua casata, ma se si parlava di migliori amici era tutt’altra storia.

C’era Sonia Milena Thornton, purosangue e Grifondoro, dal carattere acceso e un entusiasmo pari a pochi. Era un vulcano in continua eruzione e quando entrò nello scompartimento, gli altri suoi amici erano già tutti lì. La pioggia fitta spruzzava i finestrini e rendeva molto difficile guardare fuori. Sbuffò a quel paesaggio e si lasciò cadere accanto a Margaret. Davano vita a un contrasto immenso.

Sonia aveva capelli castani e mossi, occhi scuri e pelle olivastra. Margaret aveva occhi color nocciola, capelli biondo cenere e pelle chiara. Il suo nome completo era Margaret Charlotte Porter, sua madre era una strega e suo padre un babbano. Era in Corvonero e questo era per via della sua naturale propensione per lo studio. Inutile dire che era colei che più volte aveva salvato gli amici da eventuali pessimi voti. Tuttavia, era una secchiona anomala, che amava divertirsi e, perché no, anche infrangere qualche regola con il suo gruppo di tanto in tanto.

Il carrello del pranzo passò in quel momento, mentre la pioggia diveniva sempre più fitta e il treno avanzava verso nord. Il cielo era così cupo e i finestrini così appannati che le lanterne furono accese seppur fosse solo mezzogiorno.

I quattro amici comprarono il pranzo e presero a parlare delle loro vacanze, quando come sempre si creò quella lieve, ma simpatica, rivalità tra Margaret e Daniel. La prima era scozzese e il secondo irlandese e quando descrivevano i propri luoghi facevano a gara su quale fosse il più bello o il più fascinoso.

Christine e Sonia, che abitavano in Inghilterra, si tiravano fuori da tali diatribe e osservavano i due amici sempre profondamente divertite.

Daniel Pawdeen era figlio di genitori babbani, Tassorosso. Era un ragazzino gracile dalla pelle diafana e i capelli scurissimi. Gli occhi erano piccoli e scuri, mentre il carattere era remissivo e leale. Era preso facilmente in giro, sia perché era decisamente poco abbiente e poi, perché non era un gran studente. I suoi voti erano sempre al limite dell’accettabile, seppur facesse il possibile per dare il suo meglio. Tra gli altri motivi per cui Daniel era preso di mira c’era che faceva parte di un gruppo tutto al femminile, ma oggettivamente a lui non importava.

Fu così che, tra una chiacchiera e l’altra, il viaggio si concluse e l’Espresso di Hogwarts finalmente rallentò, per poi fermarsi nel buio impenetrabile della stazione di Hogsmeade.

«Ci siamo ragazzi, che il nostro 2° Anno abbia inizio!» dichiarò Sonia, le braccia spalancate al cielo nero e un sorriso a trentadue denti, mentre osservava in lontananza la sagoma inconfondibile della scuola che sarebbe stata la loro casa per i mesi a venire.

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


LUGLIO 2001

Milford Heaven era un porto naturale usato sin dal Medioevo, si trattava infatti di una ría, cioè una valle fluviale in cui si insinuava il mare.

La piccola cittadina era situata nella contea di Pembrokeshire e contava a malapena tredicimila abitanti. Collocata a sud-ovest del Galles, la piccola cittadina era stata anche menzionata da William Shakespeare nell'opera teatrale "Cymbeline, King of Britain".

Il villaggio aveva dato i natali a Anne e Sydney, due gemelle, figlie di babbani. Il padre era il proprietario del pub più vecchio della città, ove gli abitanti più anziani erano soliti rifugiarsi per quattro chiacchiere e una buona pinta di birra, mentre la madre, casalinga, arrotondava il bilancio familiare con piccoli lavori di sartoria.

Le due ragazze amavano quei luoghi, ma crescendo, avevano iniziato a sentirli stretti. Non si poteva dire che navigassero nell’oro, ma non si lamentavano del loro status sociale, più che altro lo facevano della monotonia della vita che vivevano.

Per fuggire, dunque, le due avevano ben scoperto la gioia del leggere. Le pagine dei libri, infatti, erano per loro l’unico modo per vivere avventure incredibili o visitare posti lontani. Il loro posto preferito era Conduit Beach, una spiaggia poco frequentata di ciottoli e scogli, ove erano solite andare per guardare il mare. Osservando l’orizzonte, sognavano il loro futuro molto più simile alle avventure vissute dai loro zii Malcom e Ruth, che alla vita piatta e noiosa dei loro genitori.

Di fatto, non erano cattive persone, ma rifiutavano tutto ciò che non riuscivano a capire. Forse anche per quello loro padre George aveva perso ogni contatto con suo fratello Malcom. Lui era stato l’unico della famiglia a dimostrare di possedere poteri magici e quando aveva ricevuto la lettera per Hogwarts era stato letteralmente diseredato dalla famiglia, da cui non tornava nemmeno nelle vacanze estive. Sì, perché nonostante tornasse a Milford Heaven passava il suo tempo a casa della nonna, considerata una pazza gattaiola che, in realtà, nascondeva un gran segreto: era una magonò. Durante gli anni delle scuole aveva fatto conoscenza con Ruth, una divertente strega e i due si erano innamorati. Finito Hogwarts erano divenuti Auror e questo li portava costantemente in giro per il mondo a vivere mille avventure.

Contro il volere di George, Malcom e Ruth avevano comunque fatto la conoscenza di Anne e Sydney. Ogni volta che passavano per Milford Heaven si vedevano di nascosto e oltre a fargli grandi doni, gli raccontavano dei loro viaggi e avventure.

«Ci siamo, Anne. O succede quest’anno o mai più!»  esclamò con tono serio Sydney.

Sarà pure stata una bambina, ma la sua voce era profonda e ferma. Si teneva le ginocchia, mentre con la sorella scrutavano il tramonto. Erano entrambe in carne, portavano gli occhiali da vista ed il loro sorriso era decisamente il più bello che si fosse mai visto. Era gioioso e trasognante nonostante la vita dura, chiusa e retrograda che erano costrette a vivere. Entrambe avevano i capelli a caschetto, ma se quelli di Sydney erano di una tonalità castano rossiccia, quelli di Anne erano più castano cioccolato.

«Meglio non farci illusioni Syd!»

Anne era decisamente la più calma e posata delle due, certo immaginare di ricevere un gufo da Hogwarts pareva l’occasione di una vita per fuggire e vivere finalmente la vita che avevano sempre sognato, ma…

«Aspettati una delusione e vedrai che non sarai mai deluso!» mormorò sconsolata mentre il sole, pigramente, si inabissava nel mare.

«Eh no, Anne, così non va bene! Ci vuole positività!» e decretando ciò con impeto e decisione le due si diressero verso casa, ignare di ciò che aspettava loro.

Quella sera, esattamente quella del 15 Luglio, si trovarono a dover presenziare a una delle tante e terribili riunioni di famiglia ove tutti si ostinavano a chiamarle “Gemella 1” e “Gemella 2” e parevano alquanto contrariati se non le vedevano vestite uguali.

Nel modesto, ma accogliente giardino della loro umile casa, la famiglia cenava sotto il cielo stellato, chiacchierando e mangiando, mentre Anne e Sydney avrebbero desiderato ardentemente essere altrove.

«Allora, quest’anno iniziate la 5° Elementare giusto?» chiese loro una delle numerosissime zie. Erano così annoiate e sovrappensiero che Anne rispose per entrambe con un flebile “Sì”.

«Dovevate dirlo in coro! Syd non fare l’ingrata!» ringhiò contro di loro la donna corpulenta. La piccola chiamata in causa stava già serrando i pugni, se non fosse stato per la sorella che – da sotto il tavolo con una mano sulla gamba – l’aveva invitata a calmarsi.

«I vostri genitori sono maledettamente gentili a non mettervi più spesso in punizione. Io lo avrei fatto più e più volte, forse così sareste state più educate! Non apprezzate i regali fatti e sembra sempre che ci stiate facendo un favore a godere della vostra presenza… sempre che godere sia la parola giusta!»

In quel momento, il marito della donna assentì vigorosamente, mentre il figlio alle spalle della madre faceva la linguaccia alle cugine.

«Come se ricevere ogni anno lo stesso identico regalo, nemmeno fossimo una stessa identità fosse un dono apprezzato! Non sapete nemmeno i nostri nomi e ci trattate con sufficienza solo perché siamo curiose, amiamo leggere e non vivere nell’ignoranza come tutti voi!»

Questo fu quello che Syd pensò, ma non disse, prima di alzarsi e furibonda andarsene. Si sarebbe chiusa in camera e non ci sarebbe uscita fino al giorno dopo. Anne cercò di coprire la sorella, si congedò educatamente dai genitori e dal resto dei parenti, per poi seguire il suo esempio.

La mattina dopo, quando le gemelle entrarono in cucina, la madre era ad attenderle con la colazione. Aveva su un terribile broncio e temevano già quale fosse il motivo.

«Buongiorno» disse seccamente mettendo di fronte alle due una ciotola di pudding. Le due si scambiarono un’occhiata, ma preferirono non fiatare.

«Vostro padre è a pesca con i vostri zii e cugini. Essendo domenica, vi avrei chiesto di accompagnarmi in chiesa, sapete… dopo con le vostre zie e cugine andremo in campagna, ma… credo non sia una buona idea visto quanto accaduto ieri. Dunque, rimarrete a casa tutto il giorno da sole, guai a voi se uscite!»

Syd avrebbe voluto rispondere un “Oh sai che punizione! Ci fai un favore!”, ma se lo tenne per sé e si gettò sul suo pudding.

Una volta sole, le due presero a lavare i piatti della mattina, che la madre aveva lasciato a loro da sistemare, quando improvvisamente udirono lo scatto della cassetta delle lettere e il lieve tonfo della posta che cadeva sullo zerbino.

Con fare distratto Anne si diresse alla porta e raccolse quella che parve una cartolina di zio Malcom e zia Ruth, una busta contenete una bolletta e infine…

«Una lettera per noi? Syd! Syd! SYD!» prese a urlare a perdifiato, mentre la gemella, seccata, la raggiungeva.

«Che c’è, che urli?»

Ancora incredula, Anne le mostrò la busta che era spessa e pesante, di pergamena giallastra, e l’indirizzo era scritto con inchiostro verde smeraldo. Non c’era francobollo. Girando la busta videro un sigillo di ceralacca color porpora con uno stemma araldico: un leone, un corvo, un tasso e un serpente intorno a una grossa “H”.

«È lei?»

«Cos’altro sennò?»

«Su su su su, aprila!»

Eccitate le due sorelle raggiunsero il piccolo salotto anni ’70 e si gettarono sul divano consunto di velluto marrone.

Con emozione lessero:

SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS

Direttrice: Minerva McGranitt

 

Care Signorine Rachelle,

siamo lieti di informarVi che avete il diritto di frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverete l’elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.

I corsi avranno inizio il 1° Settembre. Restiamo in attesa della Vostra risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.

Con ossequi,

Filius Vitious

Vicedirettore

 

SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA

DI HOGWARTS

Uniforme

Gli studenti del primo anno dovranno avere:

Tre completi da lavoro in tinta unita (nero)

Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno

Un paio di guanti di protezione (in pelle di drago o simili)

Un mantello invernale (nero con alamari argento)

N.B. Tutti gli indumenti degli allievi devono essere contrassegnanti da una targhetta con il nome

Libri di testo

Tutti gli allievi dovranno avere una copia dei seguenti testi:

Manuale degli Incantesimi, volume I, di Miranda Gadula

Storia della Magia, volume I, di Bathilda Bath

Teoria della Magia, di Adalbert Incant

Guida pratica alla trasfigurazione per principianti, di Emeric Zott

Mille erbe e funghi magici, di Phyllida Spore

Infusi e pozioni magiche, di Arsenius Brodus

Gli animali fantastici: dove trovarli, di Newt Scamander

Le Forze Oscure: guida all’autoprotezione, volume I, di Dante Tremante

Altri accessori:

1 bacchetta magica

1 calderone (in peltro, misura standard 2)

1 set di provette di vetro o cristallo

1 telescopio

1 bilancia d’ottone

Gli allievi possono portare anche un gufo, OPPURE un gatto, OPPURE un rospo.

SI RICORDA AI GENITORI CHE AGLI ALLIEVI DEL PRIMO ANNO NON È CONSENTITO L’USO DI MANICI DI SCOPA PERSONALI.

 

Dopo aver finito di leggere l’intera lettera le due si sentirono come inghiottite in una spirale di gioia, estasi e confusione. Certe cose accadevano ai protagonisti dei libri che leggevano non a loro e invece? Era appena successo. Tuttavia, il ritorno alla realtà fu brusco e immediato.

«Una risposta entro il 31 Luglio? Via gufo? E come facciamo a comprare tutte queste cose? Dove? Mamma e papà non ci lasceranno mai andare!»

Anne era un fiume in piena, si torturava la manica del pigiama che indossava, mentre Sydney si mordeva le labbra. Si guardava intorno come a voler cercare una risposta, poi si ricordò della cartolina di zio Malcom che aveva scorto tra le lettere ritirate dalla sorella. La prese. La lesse ed esclamò: «Guarda! Gli zii dicono che per il 18 Luglio saranno qui, chiederemo a loro!»

Anne sospirò, incerta, ma alla fine assentì. Ciò che accade in seguito fu un disastro.

Se da una parte i loro zii furono entusiasti, quando questi cercarono di parlarne con i loro genitori ne uscì una litigata a dir poco epocale nella quale, ovviamente, considerate troppo piccole, le bambine non avevano voce in capitolo.

«Non se ne parla nemmeno!» sentirono esclamare da loro padre.

«Le mie figlie non le mando a studiare sciocchezze e poi, così tanti mesi lontano da casa!» aggiunse loro madre.

La litigata proseguì tutta la sera e si concluse con i loro genitori che mettevano una pietra su quella sciocchezza (trovare sinonimo). I loro zii, però, non parevano della stessa idea, infatti quella notte stessa, “rapirono” letteralmente le due ragazzine.

Syd sembrava eccitata, Anne spaventata. Gli zii le amavano e da sempre le avevano capite come nessuno aveva mai fatto, non potevano infatti dire di avere amici e i rapporti in famiglia erano pessimi.

Anne temeva che quella situazione avrebbe messo gli zii in cattiva luce più di quanto non fossero, ma questi la rassicurarono. Dissero che NON potevano perdere tale opportunità e che ai loro genitori ci avrebbero pensato in seguito.

Tutta la preoccupazione cessò il giorno successivo, quando camminando per le strade di Londra con Malcom e Ruth si guardavano intorno cariche di adrenalina. Non erano mai state nella capitale, come da nessun’altra parte in vita loro. I loro zii parevano non aver problema alcuno a mischiarsi con i babbani e infatti sopraggiunsero con l’auto a un pub chiamato “Il Paiolo Magico”.

Dall’aspetto sordido, pareva invisibile agli occhi di chiunque. Gli sguardi dei passanti infatti andavano dalla grossa libreria su un lato della strada al negozio di dischi sull’altro. Anne e Syd avevano la stranissima sensazione che solo loro e gli zii lo vedessero.

Al suo interno il pub era molto diverso da quello di loro padre, era molto buio e dismesso. Alcune vecchie erano sedute in un angolo a sorseggiare un bicchierino di sherry. Una di loro fumava una lunga pipa. Un omino col cappello a cilindro stava parlando al vecchio barman, completamente calvo, che sembrava una noce di gomma.

Qualcuno salutò lo zio, mentre loro proseguivano a camminare lungo il locale per poi uscire da una porta che dava in un piccolo cortile circondato da un muro, dove non c’era altro che un bidone della spazzatura e qualche erbaccia.

«Oh mamma, non mi ricordo mai, sono due verticali e tre orizzontali o viceversa?» chiese improvvisamente Malcom alla moglie, che senza rispondere scosse il capo con fare amorevole. Poi, tirò fuori la bacchetta, toccò con la punta tre mattoni verticali e poi due orizzontali del muro. L’ultimo mattone colpito vibrò, si contorse e al centro apparve un piccolo buco che si fece sempre più grande. Un attimo dopo si trovarono di fronte un arco abbastanza largo da passarci tutti e tre.

«Benvenuti a Diagon Alley!» esclamò radiosa la donna.

Era la prima volta che avevano visto una bacchetta magica e usarla, i loro zii erano sempre stati attenti a raccontargli tutto, ma non mostrar nulla. Questo aveva dunque mostrato la piena fiducia e fede delle ragazzine nel credergli.

Anne e Sydney sorrisero dallo stupore, per poi gettare una rapida occhiata alle loro spalle e vedere l’arco rimpicciolirsi, ridiventando un muro compatto.

Il sole splendeva illuminando una pila di calderoni fuori del negozio più vicino. Un’insegna appesa sopra diceva: Calderoni. Tutte le dimensioni. Rame, ottone, peltro, argento. Autorimestanti. Pieghevoli.

Le piccole facevano correre i loro sguardi pieni di meraviglia da una parte all’altra della strada via via che camminavano. I negozi, le cose esposte all’esterno, la gente che faceva le spese.

«Ora ci occuperemo di fare shopping! Avete bisogno di tutte le cose che c’erano nella lista!»

Alle parole di loro zio le sorelle si guardarono preoccupate e Anne così prese timidamente la parola.

«Ma ehm, come facciamo con i soldi? E la risposta che dovevamo mandare?»

«Ci ho pensato io appena siamo arrivati a casa! Per il resto non preoccupatevi ok? Io e lo zio ci occuperemo di tutto…»

«Ma…»

La zia Ruth non permise alla nipote di controbattere che si fermarono di fronte al negozio di Madama McLan: abiti per tutte le occasioni.

«Iniziamo con le uniformi che ne dite? Entriamo!»

Una volta dentro, una strega tarchiata e sorridente andò incontro loro.

«Siete qui per Hogwarts?»

«Sì! Le mie nipoti saranno al primo anno!» esclamò lo zio, gonfio d’orgoglio.

«Perfetto. Andate per di là, io vi raggiungo subito. C’è già un’altra ragazzina che sta provando l’uniforme!»

Anne e Syd, curiose, si incamminarono e in effetti una volta arrivate, notarono una bambina un poco più grande di loro. Aveva corti capelli rossi e un sorriso contagioso. Guardandole attraverso lo specchio le salutò.

«Anche voi a Hogwarts?»

«Sì! Primo anno!» rispose senza remore Syd entusiasta di fare nuove amicizie.

«Sapete già in che casata vorreste essere?»

Fu allora che le due sorelle si guardarono, i loro zii avevano parlato loro della scuola, ma non così approfonditamente da sapere o sognare o pensare in che casata essere smistate.

«Qualsiasi sarà siatene entusiaste!» decretò infine la ragazza andando incontro loro e presentandosi.

«Piacere! Mi chiamo Christine Cecile Abroath e quest’anno frequenterò il secondo anno!»

«Io sono Sydney Y. Rachelle e lei è mia sorella Anne Louise!»

Le tre ragazze stavano ridacchiando e parlando, quando Madame McClan le raggiunse, finì di sistemare la divisa di Christine e quando questa uscì dallo spogliatoio la strega era già a prendere le misure su una delle due sorelle.

«Beh, che dire, allora ci vediamo a Hogwarts! Ciao!»

Le gemelle salutarono la giovane e si guardarono confuse, ma felici. 11 anni di vita a Milford Haven e non avevano mai fatto amicizia tanto velocemente!

Rincuorate ed emozionate, dopo l’uniforme passarono dal Il Ghirigoro ove acquistarono i libri di testo e non solo. Era una libreria in cui gli scaffali erano stipati fino al soffitto di libri grossi come lastroni di pietra e rilegati in pelle; libri delle dimensioni di un francobollo, foderati in seta; libri pieni di simboli strani e alcuni con le pagine bianche. Era un paradiso, tanto che furono ben liete quando i loro zii gli concessero di comprarsi anche qualche lettura, sicuramente diversa da quelle che erano solite fare.

Successivamente, passarono all’acquisto dei calderoni di peltro, delle graziose bilance per pesare gli ingredienti delle pozioni, e un telescopio pieghevole in ottone. Poi andarono in farmacia, luogo talmente interessante da ripagare del pessimo odore che vi regnava, un misto di uova fradice e cavoli marci. Per terra c’erano barili di roba viscida; vasi di erbe officinali, radici secche e polveri dai colori brillanti erano allineati lungo le pareti; fasci di piume, di zanne e artigli aggrovigliati pendevano dal soffitto. Mentre gli zii delle giovani si occupavano degli acquisti, le due esaminavano alcuni corni di unicorni in argento, che costavano ventuno galeoni ciascuno, e minuscoli occhi di coleottero di un nero lucente (a cinque zellini la manciata).

Una volta fuori dalla farmacia il piccolo gruppo puntò al Serraglio Stregato, l’interno era piccolo e tutte le pareti erano tappezzate di gabbie. C’era uno strano odore e un gran fracasso, ma questo era dovuto al numeroso tipo di animali che il negozio vendeva.

«Iniziamo da qui! Poi se vorrete un gufo andremo all’Emporio del Gufo che dite?»

«Aspetta, vuol dire che sia io che Anne possiamo comprare un animale a testa?» a Syd non parve vero. Aveva perso il conto di quante volte avevano cercato di convincere i loro genitori ad avere un gatto o un cane.

«Ma certo! Dovete! Povere nipoti mie, ma come vi hanno fatto vivere finora?» chiese zio Malcom scuotendo il capo, ma velocemente ritrovando il sorriso mentre guardava le due correre da una gabbia all’altra.

Syd ci mise poco a tornare con in braccio un gatto norvegese marrone/rossiccio e bianco, con striature qua e là nere. Le orecchie a punta e lo sguardo altero. Faceva le fusa, mentre si stringeva nell’abbraccio di quella che già sentiva essere la sua padrona.

«È una femmina!» La voce era quella della proprietaria, una strega magra e ossuta.

«Ha un carattere davvero difficile, ma fiuta meglio di chiunque altro di chi si può fidare o meno. Il fatto che tu le piaccia è una cosa strana, finora ha graffiato chiunque volesse tentare di avvicinarla!»

Syd sorrise compiaciuta, mentre la stringeva a sé.

«Ti chiamerò Astryd ti piace?» il gatto le passò il capo contro il viso, era chiaro che era assai soddisfatta del nome.

Anne, dal canto, suo continuava a passare da una gabbia all’altra, ma nessun animale la colpiva. Era sconsolata, mentre osservava la sorella intenta a coccolare il suo gatto e mostrarlo agli zii, perché per lei tutto era sempre più difficile?

Stava per perdere le speranze, quando un falco dal piumaggio azzurrino le volò sulla spalla. In un primo momento rimase pietrificata, ma quando quello iniziò a darle dei buffetti con il becco, si trovò ad avere il desiderio di accarezzarlo.

«È un falco smeriglio, vive solitamente nell'emisfero boreale. Nel dettaglio questo è un maschio, posato, leale e un ottimo postino oltre che cacciatore.» Anche in quel caso la strega del negozio aveva spillato informazioni circa l’animale in questione.

«Allora prendi quello?» le chiese la sorella avvicinandosi e guardando con estasi il rapace.

«Sì! E… lo chiamerò Shadow!»

Gli acquisti ormai occupavano le mani di tutti i componenti della famiglia quando si diressero nell’ultimo negozio.

«Eccoci da Olivander! Nonostante la morte del suo storico proprietario, il negozio non ha cambiato nome. L’attuale proprietario è un artigiano spagnolo. Mai più nessuno sarà come Olivander, ma Mr. Corrados è comunque eccezionale!»

Mentre lo zio raccontava loro tale informazione, il gruppo entrò nel negozio che si scoprì essere un luogo molto piccolo, vuoto, tranne che per una sedia dalle zampe esili. La zia prese posto, mentre le sorelle osservavano le migliaia di scatoline strette strette, tutte impilate in bell’ordine fino al soffitto.

Poco dopo, un uomo anziano dai capelli grigi stretti in una coda e la pelle scura, venne loro incontro. Il sorriso stampato in faccia e l’emozione pura che provava ogni volta che aiutava un fanciullo nella scelta della sua prima bacchetta.

Salutò cortesemente i presenti e poi, tirando fuori dalla tasca un lungo metro a nastro con le tacche d’argento si preparò a prendere le misure, non prima però di sapere dalle due sorelle… «Con quale braccio userete la bacchetta?»

«Destra!» risposero in coro, senza volere, le due gemelle.

«Perfetto! Alzate le braccia prego!» e quando sia Anne che Syd lo fecero misurò il loro braccio d’uso dalla spalla alla punta delle dita, poi dal polso al gomito, dalla spalla a terra, dal ginocchio all’ascella e poi prese anche la circonferenza della testa. E intanto diceva: «Ogni bacchetta ha il nucleo fatto di una potente sostanza magica. Usiamo peli di unicorno, penne della coda della fenice e corde del cuore di draghi. Non esistono due bacchette che siano uguali, così come non esistono due unicorni, due draghi o due fenici del tutto identici. E naturalmente, non si ottengono mai risultati altrettanto buoni con la bacchetta di un altro mago.»

All’improvviso Anne per poco non saltò in alto quando si accorse che il metro a nastro, che le stava misurando la distanza fra le narici, stava facendo tutto da solo. Mr. Corrados, infatti, volteggiava tra gli scaffali, tirando giù scatole.

Le gemelle provarono in rapida successione parecchie bacchette, tant’è che a un certo punto lo zio si afflosciò su uno dei braccioli della poltrona e la zia si trovò a sonnecchiare. Entrambi sussultarono quando Mr. Corrados esclamò: «Trovata!» e Syd volteggiava con la sua bacchetta in Legno di Abete con nucleo di Corde di Drago, 12" e flessibilità ragionevolmente elastica in mano.

Anne come al suo solito ci mise un poco di più, ma l’emozione che provò fu immensa. Era come se improvvisamente stringesse tra le mani un prolungamento di sé stessa. La sua bacchetta era fatta di Legno di Vite con nucleo di Piuma di Fenice, 10" e flessibilità elastica.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


SETTEMBRE 2001

Le carrozze avanzarono attraverso i cancelli, fiancheggiati da statue di cinghiali alati, e su per il ripido viale, oscillando pericolosamente in quella che stava diventando in fretta una tempesta. La fronte contro il finestrino, Christine vide Hogwarts avvicinarsi, le molte finestre illuminante confuse e tremolanti al di là della fitta cortina di pioggia. Un fulmine dardeggiò nel cielo mentre la loro carrozza si fermava davanti ai grandi portoni di quercia, in cima alla rampa di gradini di pietra. Chi era a bordo delle carrozze davanti a loro già si affrettava a salire e a entrare nel castello; anche Christine, Sonia, Margaret e Daniel balzarono giù e sfrecciarono per gli scalini. Insieme, alzarono lo sguardo solo quando si trovarono al riparo nell’imponente Salda d’Ingresso, illuminata dalle torce con la sua grandiosa scalinata di marmo.

La Sala Grande era magnifica come sempre, decorata per il banchetto d’inizio anno. Piatti e calici d’oro scintillavano alla luce di centinaia e centinaia di candele che galleggiavano a mezz’aria sopra i tavoli. Le quattro lunghe tavolate delle case erano affollate di studenti vocianti; in fondo alla Sala, gli insegnanti sedevano lungo un solo lato di un quinto tavolo, di fronte ai loro allievi. Lì dentro faceva molto più caldo.

I quattro amici furono costretti a salutarsi, mentre ognuno raggiungeva la tavola della propria casata, il tempo che tutti presero posto che le porte della Sala Grande si aprirono, e cadde il silenzio.

Il piccolo professor Vitious guidò una lunga fila di ragazzini del primo anno fino all’altro capo del salone. Se i più grandi arrivati in carrozza erano bagnati, non era nulla a confronto dei più piccoli che erano zuppi da capo a piedi. Sembrava che invece di arrivare in barca avessero attraverso il lago a nuoto. Tutti tremavano di freddo e nervosismo mentre sfilavano lungo il tavolo degli insegnanti e si fermavano davanti al resto della scuola.

Il professor Vitious posò uno sgabello a quattro gambe davanti alla fila e vi sistemò sopra un cappello da mago estremamente vecchio, sporco e rattoppato. I ragazzini lo fissarono. Così tutti gli altri. Per un attimo calò il silenzio. Poi uno strappo vicino all’orlo si spalancò come una bocca ed il cappello prese a cantare.

Or son mille anni, o forse anche più,

che l’ultimo punto cucito mi fu:

vivevano allor quattro maghi di fama,

che ancora oggi celebri ognuno qui chiama.

Il fier Grifondoro, di cupa brughiera,

e Corvonero, beltà di scogliera,

e poi Tassorosso, signor di vallata,

e ancor Serpeverde, di tana infossata.

Un solo gran sogno li accomunava,

un solo progetto quei quattro animava,

creare una scuola, stregoni educare.

E Hogwarts insieme poteron fondare.

Ciascuno dei quattro una casa guidava,

ciascuno valori diversi insegnava:

ognuno stimava diverse virtù

e quelle cercava di accrescer vieppiù.

E se Grifondoro il coraggio cercava

Ed il giovane mago più audace premiava,

per Corvonero una mente brillante

fu tosto la cosa davvero importante.

Chi poi nell’impegno trovava diletto

Del buon Tassorosso vinceva il rispetto,

e per Serpeverde la pura ambizione

contava assai più di ogni nobile azione.

I quattro, concordi, gli allievi diletti

sceglievan secondo criteri corretti.

Ma un giorno si dissero: chi li spartirà

quando ognuno di noi defunto sarà?

Così Grifondoro un modo trovava

E a me dal suo capo veloce sfilava:

poi con i tre maghi una mente mi fece

capace di scegliere in loro vece.

E se sulle orecchie mi avrete calato,

voi state pur certi, non ho mai sbagliato:

nelle vostre teste un’occhiata darò

e alla Casa giusta vi assegnerò!

Il Cappello Parlante finì e la Sala Grande risuonò d’applausi.

«Tutto molto bello, ma spero si muovano! Ho fame e sto gelando!» bofonchiò Syd all’orecchio della sorella che però pareva non ascoltarla. Con tutti quegli occhi puntati su di lei, avrebbe voluto sprofondare. Odiava essere al centro dell’attenzione!

Il professor Vitious srotolò una pergamena che era il doppio di lui e dopo di che disse: «Quando vi chiamo dovete mettervi il Cappello e sedervi sullo sgabello. Quando il Cappello proclama la vostra Casa, andrete a posizionarvi al tavolo giusto».

Anne si trovò ad assentire senza motivo, per poi capire che era solo un tic dovuto all’ansia.

Lo smistamento sembrò infinito, i cognomi con la A e la C erano tantissimi e la R pareva solo un miraggio lontano, fu solo quando iniziarono a sentire McDonald e Pritchard, che si ridestarono e perfino Syd che, fino a quel momento, era sembrata del tutto indifferente, iniziò a provare una punta di panico. Nessuna delle due aveva vere aspettative, ma forse la paura in comunque era quella di essere divise. Non erano mai state davvero lontane, anche all’asilo e all’elementari erano sempre state in classe insieme, ma qua era diverso. Si trattava di dover vivere molti mesi in cui… sì, avrebbero potuto comunque stare insieme, ma in altri momenti no. La Sala Comune, la Camerata… era da condividere con estranei e loro, che si erano sempre ritrovate ad essere un rifugio l’una per l’altra, non sapevano cosa avrebbero fatto da sole.

«Rachelle, Anne Louise.»

A sentirsi chiamare Anne fece un piccolo passo, camminò con una lentezza da bradipo verso lo sgabello e deglutendo il vuoto indossò il cappello. Chiuse gli occhi, non che sarebbe servito realmente a qualcosa, ma per qualche ragione la faceva sentire lievemente più tranquilla anziché fissare migliaia di paia d’occhi che la fissavano a loro volta.

«Corvonero!»

Il Cappello urlò il nome della casata quasi immediatamente, tant’è che Anne ne rimase stupita. Quando camminò verso la propria tavolata, Margaret l’accolse al suo lato, presentandosi e iniziando entusiasta a raccontarle un po’ come la loro Sala Grande l’avrebbe fatta impazzire.

«Vanta una delle viste più belle sul parco del castello!» ammise emozionata, ma immediatamente si zittì. Era il turno della gemella di Anne e quest’ultima era attenta più che mai.

«Rachelle, Sydney Yogh.»

A sentirsi chiamare non con la Y puntata, fece una smorfia, ma alla fine si avvicinò allo sgabello più sicura e veloce della gemella o almeno fece finta di apparire tale. Anne aveva già preso posto alla sua tavolata e la osservava speranzosa, ma considerando la canzone dello stesso poco prima e i loro caratteri assai diversi… era quasi matematicamente certo che non sarebbero state nella stessa casata.

«Tassorosso!»

Il cappello con Sydney ci mise di più. Fino all’ultimo era convinto per Grifondoro, aveva tutte le caratteristiche del caso: forte, irrequieta, coraggiosa, impulsiva… e seppur la pazienza non fosse proprio la sua virtù, doveva ammettere che il cuore puro e leale che aveva letto dentro di lei non lasciava adito a dubbi di sorta.

Camminando verso la sua tavolata per un attimo si sentì triste, ma ben presto le due gemelle capirono che non erano state divise. Sì, avrebbero avuto momenti in quell’avventura da sole, ma era giusto così. Avevano passato la vita intera a desiderare di essere considerate, giustamente, due identità a sé ed ora ne avevano l’opportunità. Ognuna avrebbe scritto il proprio destino, percorrendo due strade parallele, ma che in questo caso qui e là si sarebbero più e più volte incrociate.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


SETTEMBRE 2004

Molti ragazzi salutavano dai finestrini aperti dell’Espresso per Hogwarts, mentre questo cominciava a muoversi. Il treno prese velocità; le case fuori dal finestrino sfrecciavano via e i ragazzi in piedi nei corridoi iniziarono a barcollare.

«Andiamo a cercarci uno scompartimento?» chiese Ariane con voce eccitata. Era al suo secondo anno ormai, mentre solo quello prima era finita orgogliosamente in Serpeverde insieme alla sorella. Gli amici di Christine erano i suoi, fin da quando era piccola li frequentava e gli stessi non avevano fatto fatica a far amicizia con quella ragazzina un po’ stramba, ma decisamente divertente. Era la solita sportiva di sempre, fanatica delle Holyhead Harpies e caricata a molla al pensiero che quell’anno avrebbe potuto provare a entrare nella squadra di quidditch della sua Casata.

Anche Daniel ci aveva provato durante il terzo anno, nel ruolo di portiere, ma nonostante la sua effettiva bravura era stato snobbato preferendo al suo posto un ragazzo ben più bello, attraente e muscoloso. Daniel ci era rimasto molto male, forse anche perché sia Christine che Sonia erano Cacciatrici delle rispettive squadre delle loro Casate. Quest’anno Ariane ci avrebbe provato nel ruolo di Cercatore, il capitano di Serpeverde giocava in quel ruolo ma l’anno appena finito era stato il suo ultimo ad Hogwarts, ed era certo che se ci fosse riuscita sicuramente ci sarebbe rimasto molto male.

I ragazzi presero a muoversi, in cerca di un posto libero, quando Margaret fece presente agli amici di non poter andare con loro.

«Devo andare nella carrozza dei prefetti in cima al treno, tuttavia non dovrei rimanerci tutto il viaggio. La lettera diceva che dobbiamo ricevere istruzioni dai Capiscuola e poi sorvegliare i corridoi ogni tanto…»

«Sì sì tranquilla, ti teniamo comunque il posto, a dopo!»

le rispose Christine. Mentre Margaret si allontanava il piccolo gruppo avanzò a fatica lungo il corridoio, trascinando i bauli e sbirciando oltre i vetri delle porte degli scompartimenti, già pieni.

Nell’ultima carrozza trovarono uno scompartimento occupato solo da due ragazze, che Christine riconobbe come le gemelle incontrate quattro anni prima al negozio di Madame McClan. Durante gli anni a Hogwarts avevano scambiato qualche parola a lezione, ma nulla di più.

«Ehi ciao, possiamo entrare?» ovviamente con l’ingresso di loro quattro non ci sarebbe stato più spazio per Margaret, ma erano sicuri di potersi stringere un po’ pur di averla insieme a loro.

Syd salutò Daniel e di buon grado invitò il gruppo a entrare, mentre velocemente si presentavano. Il treno intanto continuava a sferragliare, portandoli in aperta campagna. Era una strana giornata, dal tempo incerto; un momento la carrozza era inondata di sole, un attimo dopo passavano sotto minacciose nuvole grigie.

«Che ci fate qui tutte sole?» chiese Sonia addentando il suo panino, era l’ora di pranzo e il carrello era appena passato.

«Non condividendo la stessa Casata, approfittiamo del viaggio per passare del tempo insieme…»

«Ah che peccato! Io credo che sarei impazzita se non fossi finita in Serpeverde con mia sorella! Lei dice che sarebbe stato lo stesso, ma no, non lo sarebbe stato!» esclamò Ariane che stava addentando il suo panino assai con passione. Tutti ridacchiarono.

«È raro vedere gruppi di amici formati da studenti di Casate diverse…» fece presente Anne che si stringeva nella felpa bianca che indossava.

«Raro, ma non impossibile! Se penso a come ci siamo conosciuti poi…» ridacchiò Sonia, mentre gli altri le facevano eco.

«Io e Sonia andavamo alla scuola elementare insieme, prima di ricevere la lettera per Hogwarts… eravamo migliori amiche. Daniel lo abbiamo conosciuto durante la traversata in barca del primo anno… cadde in acqua per colpa della piovra gigante e tutto d’un pezzo nuotò e risalì senza problemi. Tutti lo prendevano in giro…»

«Tranne voi! Siete state le uniche a rivolgermi poi successivamente la parola e preciso, le uniche a farlo per il chiaro intento di sapere come stessi e non per dirmi qualche cattiveria!»

Daniel aveva interrotto il discorso di Christine che poi venne concluso da Sonia.

«Margaret l’abbiamo conosciuta qualche giorno dopo, l’unica in grado di sopportare le lezioni di Storia della Magia senza addormentarsi! Le avevamo chiesto di darci ripetizioni e ci sono voluti pochi pomeriggi prima che entrasse a far parte del gruppo!»

«Io non faccio testo, non mi sono mai trovata con quelli della mia età. Mia sorella mi bastava e avanzava come amica, e poi i suoi mi piacevano, dunque… il resto è venuto da sé!» concluse Ariane, mentre le gemelle li ascoltavano incuriosite. Anne si sentiva a disagio a non avere una storia altrettanto entusiasmante, dopo i primi due anni di continui litigi per proseguire gli studi, alla fine avevano preso la decisione di trasferirsi dai loro zii. I loro genitori non ne erano stati contenti e dunque i rapporti erano un po’ tesi, ma loro avevano iniziato a sentirsi meglio. Più rilassate e felici finalmente di abbracciare la loro natura senza più remore o giudizi di sorta.

«Comunque nuovi acquisti sono sempre ben accetti!» concluse Sonia con un occhiolino.

Il gruppo continuò a parlare per circa un’ora, nella quale Margaret non si fece viva. Quando la porta dello scompartimento sì aprì e la giovane entrò, immediatamente salutò Anne e si sedette di fianco a un piccolo spazio che Daniel e Ariane le aveva ricavato stringendosi un pochino di più.

«Stavamo facendo amicizia!»

«Oh ma io e Anne già ci conosciamo!» disse allegramente Margaret ed in effetti era vero: andavano anche molto d’accordo.

«Comunque ci sono due prefetti del quinto anno per casa… ed indovinate chi è il prefetto di Serpeverde

Christine si morse un labbro scuotendo il capo.

«Michael Zabini

«Il single desiderato dell’intera scuola?» le fece eco Sonia.

«Esattamente! Inutile dirvi che i prefetti sono un maschio e una femmina. Tolta la sottoscritta le altre tre invece di ascoltare i Capiscuola sbavano!» esclamò alquanto contrariata. Zabini era proprio carino ma anche simpatico e gentile, considerata la famiglia da cui veniva; tuttavia, vedere lo stato in cui si riducevano solo per fargli il filo era patetico.

«E vogliamo parlare delle Principesse? Gli hanno fatto la posta fuori dallo scompartimento!»

«No aspetta, le Principesse?» chiese improvvisamente Syd sgranando gli occhi e pareva che il suo pensiero fosse quello delle altre.

«Le sorelle Sutton? Quelle che raccontano in giro di essere imparentate con i Windsor?»

«Cento punti a Tassorosso!» ironizzò Margaret per farle capire che aveva ragione.

Jasmine, Lucy e Camille Sutton erano tre Serpeverde del sesto, quinto e quarto anno. Si erano date l’appellativo Principesse, con le quali ora tutta la scuola le chiamava ma solo per prenderle in giro, poiché vantavano legami di parentela con la famiglia reale inglese, tanto lontani quanto falsi.

Jasmine, la più grande, appariva come quella più responsabile, ma in realtà tirava avanti facendo pietà agli altri e facendo parlare di sé per i pali che prendeva dai ragazzi. Lucy, la mezzana, era la più viziata. Per tirarsi fuori dai pasticci faceva sempre la vittima e vantava inesistenti attacchi di panico. Camille era la più piccola e la più altezzosa delle tre, attaccava brighe con chiunque e si credeva chissà chi.

«Quelle sono degne del loro retaggio! La madre non si sa chi sia, alcuni dicono perfino che sono figlie di donne diverse, e il padre sarebbe stato un degno mangiamorte. Vivono ancora con le false credenze che la purezza della razza sia tutto e cercano disperatamente un buon partito per sposarsi, vivere nel lusso e farsi mantenere!» sputò lì Christine disgustata.

Il tempo rimase incerto anche più a nord. La pioggia spruzzava i vetri di malavoglia, poi il sole faceva una debole comparsa prima che le nuvole lo coprissero di nuovo. Quando calò il buio e le lampade si accesero negli scompartimenti, il loro si aprì facendo apparire due ragazzi.

Entrambi del quinto anno e di Grifondoro si distinguevano per il corpo allenato e l'alta statura.

Oliver Baston Jr. era il figlio dell'omonimo padre e come lui era portiere e capitano di quidditch della sua Casa. Aveva però capelli così rossi da farlo confondere con un Weasley, in effetti sua madre discendeva dal ramo dei Prewett. Gli occhi color mogano e la mascella squadrata lo rendevano sexy, quanto il suo miglior amico

Sirius Finn Abercrombie. Capelli castani chiaro corti e spettinati, viso largo e labbra carnose. Anche lui giocava nella squadra di quiddicth nel ruolo di battitore.

«Ehilà, che si dice gruppo buffamente assortito?» esclamò ironicamente Oliver mentre tutti lo salutavano e Sonia si alzava per andargli incontro e baciarlo. Si erano messi insieme l’anno precedente, durante il Ballo del Ceppo, un po’ come era accaduto a Christine con James Tuckett: un Tassorosso del settimo anno che attualmente aveva deciso di provare a intraprendere la carriera da auror. Lui e Christine stavano ancora insieme e parevano molto poco intenzionati a lasciarsi.

Sonia fece le presentazioni dei due alle gemelle Rachelle, le uniche che non li conoscevano, mentre Ollie già stava squadrando Syd, ma non per i motivi che si potevano pensare, infatti tutti scoppiarono a ridere quando la videro a disagio.

«No, tranquilla non ci sto provando!» si scusò subito il ragazzo.

«Sì, tranquilla è una deformazione di famiglia, a parte me, pensa solo al quidditch!» disse Sonia prendendo in giro il fidanzato che le fece l’occhiolino.

«No, vedevo che hai un bel fisico, mai pensato a fare la cacciatrice? Lo dico contro i miei interessi, ma è indubbio che dovresti almeno provarci. L’anno scorso ha lasciato Mcmillian, dunque quest’anno i Tassorosso faranno i provini!»

Syd fu presa alla sprovvista, non ci aveva mai pensato. Lei e Anne erano anomale, non seguivano il quidditch e non ne erano così fan, anche se ovviamente andavano a vedere quando giocavano le loro case.

«Ehi, ma che fai avvantaggi le squadre avversarie?» esclamò Ariane lanciandogli addosso qualche Gelatina Tutti i Gusti +1, mentre Ollie fingeva di essere colpito a morte.

«Non te la prendere Daniel, ma tu non sei adatto. Tassorosso ha sbagliato di grosso a non prenderti due anni fa come portiere, sei eccezionale!»

Era difficile comprendere come il giovane potesse essere costantemente considerato un perdente e sfigato quando di fatto era amico tra i ragazzi più popolari della scuola. C’era perfino chi andava in giro a dire che lui li tenesse sotto maledizione Imperius!

«Sì, sono stati ingiusti e poi per cosa? Hanno preso quel Flanders solo perché assomiglia a Diggory, che riposi in pace! Peccato che non sia né bravo né simpatico come lui!»

«E non è poi nemmeno così bello!» aggiunse Margaret all’esclamazione di Sonia, fu allora che un apparente Sirius si sentì toccato sul vivo.

Tutti, a parte le gemelle Rachelle ovviamente, sapevano che lui aveva una cotta per la ragazza, ma Margaret non solo pareva non essersene accorta, ma era alquanto critica verso ogni ragazzo. Non giudicava le relazioni delle amiche e anzi era felice per loro, ma lei voleva starne fuori. Diceva di non aver il tempo per quelle cose.

«Ehm ok… ora ce ne andiamo, ci vediamo dopo…»

«No e dai amico… provaci…»

Ma Sirius non colse l’invito spassionato di Ollie che dopo aver fatto spallucce, aver baciato la propria ragazza e salutato gli altri, si allontanò in compagnia dell’amico.

Il viaggio proseguì lento e tranquillo, sicuramente non mancava molto all’arrivo, ma fu proprio mentre l’intero compartimento del gruppo di amici era sprofondato in una vaga sonnolenza, che Astryd decise di balzare in piedi e approfittare dello spiraglio lasciato aperto dal passaggio poco prima di Sirius ed Ollie, per scappare nel corridoio. Syd se ne accorse con la coda dell’occhio e nel tentativo di non disturbare il sonnellino dei compagni, li scavalcò lentamente e corse dietro il gatto che poco dopo trovò acciambellato tra le braccia di un ragazzo. Sydney si sistemò gli occhiali sul naso perché non credeva ai propri occhi: finora Astryd aveva ridotto in poltiglia chiunque avesse tentato anche lontanamente di toccarla. La “bisbetica domata” era solita chiamarla per il carattere aspro che si trovava.

Il giovane dai capelli neri e gli occhi profondi, accarezzava la gatta divertito, mentre quest'ultima pareva davvero godere di tali attenzioni. Se non fosse stato un animale, Syd avrebbe quasi detto che ci stava provando.

Fu solo quando il giovane, alto e muscoloso, alzò il volto che lei ebbe un mancamento. Non era certo come le oche che Margaret aveva descritto, ma non poteva dire di essere indifferente al fascino di Michael Zabini.

«Questa deve essere tua!» le disse lui con un sorriso a trentadue denti, quando si accorse che la ragazza lo stava fissando.

«Ehm sì, alla signorina sono venuti i cinque minuti ed è scappata via!» rispose con il suo solito piglio ironico e alla mano.

«Ha un pessimo carattere?»

«Oh non immagini quanto!» disse tra i denti e alzando gli occhi al cielo.

«Ha preso dalla padrona?» le chiese lui per pungolarla e lei punta sul viso gli strappò la gatta dalle braccia, che non parve gradire. Dopo averlo fulminato con lo sguardo gli diede le spalle per tornare nel suo scompartimento.

«Ehi, scherzavo!» le urlò dietro lui, ma lei non si voltò.

«Ah-Ah molto divertente…» mugugnò invece tra sé e sé continuando a camminare.

Zabini incrociò le braccia al petto, poggiò una spalla al finestrino del corridoio e la osservò con un ghigno stampato in volto. Non sapeva chi era, ma era deciso a scoprirlo!

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


OTTOBRE 2004

Arrivò ottobre, che stese una coltre di freddo umido sui campi e nel castello. Per giorni e giorni, gocce di pioggia grosse come pallottole picchiarono sulle finestre del castello; il livello del lago salì, le aiuole divennero rigagnoli fangosi e le zucche di Hagrid raggiunsero le dimensioni di capanni da giardino. Ma l’entusiasmo del capitano della squadra di quidditch di Tassorosso nell’organizzare i provini per il nuovo cacciatore della squadra era alle stelle.

Seppur non si trattava della propria casa, ogni scusa era buona per Ollie per assistere a una qualsivoglia cosa che avesse a che fare con il quidditch. E poi, con l’epidemia di raffreddore che aveva colpito la scuola, alcune lezioni erano saltate per via dell’assenza dei professori, motivo per cui, pur riparato sotto un grosso ombrello rosso e giallo si era accomodato sugli spalti deciso ad assistere ai provini. Ancor più quando aveva scoperto che sia Daniel che Sydney, a cui aveva consigliato di provarci, avevano deciso di presentarsi.

I Tassorosso erano al completo e dopo qualche giro di prova e qualche tiro in porta, il capitano aveva deciso di testare la capacità dei provinati nello schivare i bolidi.

«Dove c’è il quidditch c’è un Baston!» una voce odiosa e sottile risuonò all’orecchie del ragazzo, non ebbe bisogno di voltarsi per scoprire che si trattava di Camille Sutton che, con fare felino, si accomodava al suo fianco stretta sotto il suo ombrello verde e grigio.

«E dove ci sono dei buoni partiti c’è una Sutton! Solo che pensavo che un Tassorosso, per quanto purosangue, fosse un po’ troppo poco per voi…»  la beffeggiò il giovane dai capelli rosso vivo. Lo sguardo seducente e un sorriso che faceva impazzire ogni ragazza.

In effetti, in campo c’erano uno o due purosangue, ma con entrambi Camille si era già divertita. Non era ancora così desiderosa, come le sorelle, di accasarsi. Lei era la più piccola delle tre. La sua pelle era leggermente ambrata, il viso tondo, il corpo sottile e i capelli castano chiaro avevano shatush biondo grano. L’eyeliner marcato e le labbra sottolineate con un rossetto accesso, forse fin troppo, come i suoi gioielli pacchiani per quanto preziosi.

«Non capisco la tua acidità sai? Ma se vuoi io sono più che disponibile a togliertela…» disse allungando una sua mano dagli artigli affilati. Tra tutte e tre le sorelle esageravano oltre misura con la manicure. Ollie fece scivolare via velocemente il braccio dalla sua presa e si alzò entusiasta a battere le mani e fischiare quando vide che era il turno di Sydney. Sua sorella non c’era perché a lezione, come gli altri, e dunque voleva farle sentire tutto il suo supporto. I due si scambiarono un ampio sorriso e poi Sydney iniziò la sua prova.

Aveva appena fatto in tempo a levarsi da terra che un pesante bolide nero le si scagliò contro; lei lo evitò per un pelo, tanto che si sentì scarmigliare i capelli al suo passaggio. La ragazza si abbassò prontamente per schivarlo e poi con uno scatto di velocità, si precipitò verso l’estremità opposta del campo. Dietro di sé sentiva il sibilo del bolide. Aveva cominciato a piovere e la giovane sentì alcune gocce pesanti cadergli sul viso e schizzarle gli occhiali. Mantenne tuttavia la concentrazione e quando i battitori entrarono in campo per liberarla dalla presa ferrea del bolide, la sua prova si poté dire conclusa.

«WOOOOO! BRAVA! VAI SYD! WOOOOOOOOOOOOOOO!» Ollie urlava come un pazzo, mentre Camille alzando gli occhi lo guardava annoiata. Nessuna delle sue tecniche per ammaliare stava funzionando e sinceramente si era anche stancata!

Syd, dal canto suo, toccò terra e si sbracciò per salutare l’amico, ma al contempo esultare per la sua prova. In quel momento le passò accanto Daniel, toccava a lui!

«Fagli vedere!» gli sussurrò all’orecchio dandogli una pacca sulla spalla.

Ora, la pioggia cadeva più fitta. Daniel fece in tempo a librarsi in aria che subito udì il sibilo che tradiva la presenza del bolide alle sue spalle. Il ragazzo volò sempre più in alto. Descrisse ampie curve e scese a capofitto, si mosse a spirale e a zig-zag. Cominciò a salire e scendere in picchiata lungo tutto il perimetro dello stadio, un sibilo vicino all’orecchio gli disse che il bolide era vicino, ma prima che potesse cambiare di nuovo rotta quello lo colpì facendolo precipitare. Daniel si strinse alla scopa e riuscì ad atterrare più o meno bene, mentre i battitori si occupavano del bolide.

Ollie non mancò di applaudire anche all’amico, ben sapendo però che la sua prova era stata meno solida. La sua tecnica era meno precisa e confusionaria e quello lo aveva infatti portato a confondersi e perdere di vista il bolide che lo aveva colpito. Il capitano di Tassorosso fu della sua stessa idea; perché a prove concluse, dopo essersi velocemente consultato con il resto della squadra, decretò che all’unisono avevano scelto Sydney Y. Rachelle come nuova cacciatrice.

Ci fu un boato, tutti le fecero i complimenti nonostante fossero suoi avversari, anche Oliver corse da lei incurante della pioggia, mentre Camille disgustata da tanta banalità si allontanò. Daniel era da parte, stringeva il manico di scopa con aria affranta. Non voleva sentirsi in quel modo, in cuor suo era davvero felice per Syd, ma era stanco di non essere mai scelto. Di non essere mai il migliore in nulla.

Affranto si allontanò senza che nessuno lo vedesse, solo dopo pochi minuti Ollie e Sydney si guardarono intorno per cercarlo e preoccupati si scambiarono uno sguardo, immaginando come potesse sentirsi. I due si salutarono ripromettendosi l’un l’altro di cercarlo e parlargli, ma fu una volta negli spogliatoi che Sydney trovò nella tasca del mantello della divisa un pezzo di pergamena.

Senza pensarci lo lesse e rimase interdetta «Ritrovarvi voi dovevate e così insieme il viaggio intraprendevate.

Uno dalla nobiltà d'animo è caratterizzato, ma il coraggio gli viene meno perché innamorato.»

Immediatamente si guardò intorno come a chiedersi chi dei suoi compagni avrebbe mai potuto metterglielo addosso, ma poi scosse il capo rileggendolo. Non aveva la minima idea di cosa fosse, ma si ripromise di parlare con sua sorella appena ne avrebbe avuta la possibilità.

 

L’arrivo di Halloween ogni anno significava un’incredibile decorazione e festa all’interno della Sala Grande che era stata abbellita con i soliti pipistrelli vivi. Un migliaio di pipistrelli si staccò in volo dalle pareti e dal soffitto, mentre un altro migliaio sorvolò i tavoli in bassi stormi neri, facendo tremolare le candele dentro le zucche.

Anne doveva ammettere di non essersi ancora abituata a quello spettacolo, mentre servendosi delle patate arrosto appena apparse sulla tavola, con molte altre pietanze, sussultò appena quando una Margaret concitata si sedette al suo fianco.

«Scusa il ritardo, ho fatto tardi in biblioteca! Stavo facendo delle ricerche sulle proprietà della Pietra di Luna per il compito di Pozioni, poi mi stavo portando avanti su altre materie per i G.U.F.O. e poi mentre stava venendo qui prima Sirius mi ha fermato nel tentativo di dirmi non so che cosa e subito dopo siamo stati interrotti da due ragazzini del primo anno della nostra casata che lanciavano cacca bombe nel corridoio! Da prefetto sono dovuta intervenire!»

La giovane dai lunghi capelli biondo cenere parlò tutta d’un fiato, mentre velocemente si riempiva il piatto. Era a dir poco esausta, stressata e affamata.

Anne la stava ancora guardando con sguardo allucinato e probabilmente le avrebbe fatto presente che il povero Sirius stava solo cercando una scusa per scambiare due parole con lei da soli, quando improvvisamente il suo sguardo fu attirato da un pezzettino di pergamena a terra. Diede per scontato che per via della concitazione dell’amica doveva esserle caduta dalla borsa stracolma di libri e così senza pensarci si piegò per raccoglierlo.

«Marge mi sa che nella frenesia ti è caduto questo!» disse sorridendole e porgendogli il pezzo di pergamenina. Anne fece in tempo a sistemarsi gli occhiali sul naso quando notò l’amica corrucciarsi nella lettura del foglietto.

«Ehm… questo… questo non è mio!»

«Ma l’ho trovato accanto alla tua borsa dei libri… era a terra!»

«Giuro che se è uno degli scherzi di Sirius e Ollie li metto in punizione, anche se non sono della mia casa!»

In realtà non avrebbe potuto farlo, ma Anne dava per scontato che la facesse sentire bene dirlo. Ridacchiò pensando dunque a un bigliettino d’amore o qualcosa per attirare l’attenzione dell’amica, ma quando si sporse a leggerlo anche il suo cipiglio si incupì.

«P-Posso vedere?» le chiese per non sembrare inopportuna. Margaret le porse immediatamente il pezzettino di pergamena senza remore.

«A te che sembra?» le chiese sinceramente incuriosita di avere una sua opinione in merito.

«L’altra nel cuore cela il segreto, è sì furba ma dall’animo inquieto. Anche lui che dalla lealtà è mosso, deve fare i conti con la gelosia che gli sta addosso.»

Lesse ad alta voce. In effetti poteva essere un indovinello, un gioco di parole che descriveva Margaret e Sirius. Sapendo quanto fosse una ragazza arguta e intelligente, magari aveva capito che per attirare la sua attenzione ci voleva qualcosa di più di due semplici parole sdolcinate.

«Io non so te Marge, ma lo trovo simpatico…»

«Simpatico?» chiese quasi come se Anne avesse appena detto una parolaccia. Quest’ultima ridacchiò, l’amica doveva decisamente rilassarsi.

«Senti so che i G.U.F.O. stanno facendo disperare tutti voi del quinto anno e siete tesi come corde di violini, ma davvero non ci arrivi?» le chiese sapendo di pungolare la sua curiosità. Quella incrociò le braccia e la guardò sinceramente incuriosita.

«Mmm… continua…»

«L’altra nel cuore cela il segreto, è sì furba ma dall’animo inquieto. Ok furba non la userei come parola per definirti, più che altro arguta. Ma in fondo in fondo nel tuo cuore sai che ti piace Sirius, ma non lo vuoi ammettere e per questo sei inquieta»

«A me non piace S…»

«Anche lui che dalla lealtà è mosso, deve fare i conti con la gelosia che gli sta addosso. Sappiamo entrambe che Sirius è un bravo ragazzo, leale e gentile, forse vuole dirti che è geloso perché le attenzioni che poni allo studio le vorrebbe anche per lui?»

«C-Cioè tu mi stai dicendo che Abercrombie mi ha fatto scivolare questo bigliettino nella borsa per… per dirmi cosa esattamente? Che mi fa la corte o per beffeggiarmi che io la faccio a lui?»

«Vedi come sei! Scatti subito! Sta solo cercando di attirare la tua attenzione, non so cosa ne pensi, ma io lo trovo carino…»

«Ehm… sì… ok ammetto che è un modo originale e anche intrigante… oh ma cosa mi fai dire! Su su pensiamo a mangiare sennò tra un po’ sparisce tutto!» tagliò corto Marge con le gote arrossate. Anne la guardò, ridacchiò e poco dopo seguì il suo esempio, dedicandosi al gustare le prelibatezze di quella cena.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


NOVEMBRE 2004

La sala comune dei Serpeverde era un sotterraneo lungo e basso con le pareti e il soffitto di pietra, da cui, appese a delle catene, pendevano lampade rotonde e verdastre. Di fronte ad Ariane, in un camino, dalle sculture elaborate, scoppiettava un fuoco contro cui si stagliava il profilo di molti ragazzi, seduti tutt’intorno su sedie scolpite.

Avrebbe dovuto concentrarsi sui compiti che le mancavano, ma era così eccitata all’idea della sua prima partita che faticava a farlo. Sua sorella era impegnata, assieme agli altri del quinto anno del loro gruppo, con Margaret che come sempre si dimostrava disponibile a dargli una mano fuori dall’orario delle lezioni in classi di recupero, per aiutarli lì dove avevano dei deficit.

La giovane stava osservando da quasi mezz’ora le fiamme del camino immaginando sé stessa a volare come Ginny Weasley, suo idolo nella sua squadra di quidditch preferita. Era nella stessa da pochi anni, ma già si era distinta per le sue capacità tattiche.

Era una cacciatrice esattamente come lei e possedeva tutte le qualità che lei cercava di emulare. Le piaceva il suo stile di gioco sinuoso, ma d’attacco. Veloce, ma pulito. La venerava oltre ogni misura, anche quando rispondeva ai giornalisti sempre con il suo piglio sicuro e spesso sarcastico. Probabilmente sarebbe rimasta in quella trance se non fosse stato per un’improvvisa discussione che la costrinse a ridestarsi dai suoi sogni ad occhi aperti.

Scivolò prima sulla mano su cui era appoggiata e dopo aver sbattuto gli occhi uno o due volte si guardò intorno per capire da dove quel chiasso provenisse. Poco distante, vicino ai gradini posti dopo l’ingresso alla Sala Comune, Jasmine Sutton e Soleil Anastasia Strange stavano discutendo.

La prima era famosa per parlare alle spalle di tutti. Considerata la meno peggio delle Princesse, era indubbiamente la più patetica. Dalla pelle chiara, rispetto alle sorelle, era anche la maggiore. Era sempre costretta a sopportare i capricci di Lucy e Camille e fare da paciere tra le due. Era indubbiamente meno frivola delle altre, andava meglio a scuola, ma con i ragazzi era una vera frana. La sua popolarità era legata ai pali che aveva preso, tutti che preferivano sempre le sorelle a lei o qualsiasi altro essere di sesso femminile. L’anno precedente, al Ballo del Ceppo era stata l’unica dell’intera scuola che si era presentata da sola e non per scelta, come tanti altri, ma perché nessuno l’aveva voluta accompagnare né d’accompagnatore né d’amico.

Dai capelli castani lunghi e mossi aveva gli occhi marrone talpa e la faccia leggermente rovinata dall’acne, nonostante tentasse di nasconderlo con chili di fondotinta. A differenza sua Soleil, del sesto anno come lei, era una ragazza alta, longilinea e atletica. Poco seno e pancia piatta, capelli biondi sporco lunghi fino a metà schiena e occhi color castagna. Truccata era a dir poco perfetta, ma lo era anche quando rimaneva acqua e sapone, scelta che spesso prendeva e che per questo aveva sempre incontrato l’ammirazione di Ariane e Christine. Era sicura di sé per cui se si truccava era perché le andava per sé stessa non per ostentare qualcosa.

Come loro era solita indossare monili che richiamassero lo stemma della loro casa, il serpente, ma nonostante fosse invidiata da molte e corteggiata da molti, era incredibilmente tenuta a distanza da tutti.

Era molto sincera, forse troppo, e uno scandalo dell’anno precedente – delle voci dicevano che aveva avuto una relazione con il professore di Difesa delle Arti Oscure, motivo per cui l’avevano cacciato – l’avevano resa lo zimbello della scuola.

Le facevano sempre terribili battute, i ragazzi la trattavano come una facile e le ragazze le davano della poco di buono. Giocavano a farle lo scherzo peggiore e nonostante lei ostentasse sempre una certa sicurezza, Ariane l’aveva sentita piangere una volta o due, ma non si era mai palesata, convinta che così l’avrebbe fatta sentir peggio.

A quanto pareva le due si stavano fronteggiando perché nonostante le Sutton “giocassero” ad essere amiche, Soleil aveva scoperto che non solo erano come tutte le altre, ma che la persona che l’anno prima aveva fatto uscire lo scandalo, per cui aveva anche rischiato l’espulsione, era stata lei!

«Te lo sei inventato di sana pianta!»

«Oh ma smettila! Lo avevamo notato tutti che eri la sua preferita e vogliamo parlare di tutte le volte che ti fermavi oltre l’orario di lezione?»

«Non c’è mai stato nulla! Eravamo amici! È proibito!?»

«Tra studentessa e professore? Amici? Ma per favore!»

Si urlavano addosso l’un l’altra, Jasmine in un primo momento aveva tentato di negare di fronte alle accuse di Soleil, ma alla fine aveva preso coraggio. Notando come tutta la Sala Comune le guardava, e la fiancheggiava, si gonfiò il petto come un tacchino e affondò un colpo dopo l’altro.

«Sai che vi dico? Ma pensate quello che vi pare!» sbottò infine Soleil dando le spalle a tutti, per poi, con grandi falcate, oltrepassare il buco nel muro e il ritratto,  andando via.

Ariane non era intervenuta, ma non aveva niente contro Soleil. Lei e Christine ci avevano parlato ogni tanto e non sarebbe dispiaciuto loro di tentar di approcciarsi a lei, ma era sempre molto schiva e diffidente. Jasmine intanto era stata circondata da molti Serpeverde e a lei non parve vero, per potersi pavoneggiare. Era sempre tanto in ombra rispetto alle sorelle, che doveva essere un sogno esser così considerata, ancor più, visto che Zabini le stava parlando.

Ciò forse fu un bene, perché Ariane notò qualcosa per terra e non ci pensò due volte ad avvicinarlo e prenderlo. Era un pezzo di pergamena, probabilmente caduto dalla borsa di Soleil. Lo stesso recitava: «Nelle segrete stanze essi son celate, le antiche reliquie che si credevan cancellate.

Siete voi forse in grado, di riportar lustro ove vi è stato degrado? La sfida è lanciata e la missione vi è stata assegnata.»

Ariane rilesse per tre volte, si dicevano così tante cose sulla Strange che non sapeva bene cosa pensare, ma non l’aveva mai giudicata e non avrebbe iniziato ora. Si ficcò il pezzo di pergamena in tasca e con noncuranza tornò ai suoi compiti ripromettendosi di riconsegnarle il bigliettino appena ne avrebbe avuto occasione.

 

Storia della Magia era per opinione comune la materia più noiosa mai concepita dal mondo magico. Il professore Rüf, il loro insegnante fantasma, aveva una voce affannosa e monotona che dava la garanzia quasi assoluta di una pesante sonnolenza entro dieci minuti, cinque quando faceva caldo. Non variava mai la forma delle sue lezioni, ma parlava senza interrompersi mentre gli allievi prendevano appunti, o piuttosto fissavano il vuoto insonnoliti. Sonia e Christine fino ad allora erano riuscite a strappare la sufficienza copiando gli appunti di Margaret prima degli esami, solo lei sembrava capace di resistere al potere soporifero della voce di Rüf.

Quel giorno sopportarono tre quarti d’ora di borbottii sulle guerre dei giganti. Christine ascoltò per i primi dieci minuti abbastanza da intuire che, affidata a un altro insegnante, la materia avrebbe potuto essere vagamente interessante. Tuttavia, a quel punto, il suo cervello si scollegò e trascorse la restante ora e venti a giocare con Sonia a tris su un angolo della pergamena.

L’accoppiata Grifondoro e Serpeverde del quinto anno era fissa il lunedì, non solo il peggior giorno della settimana in assoluto, ma quell’anno un vero inferno. Dopo il sonno di Storia della Magia proseguirono con Pozioni.

«Prima di cominciare la lezione di oggi» disse il professor Lumacorno, raggiungendo la cattedra e facendo scorrere lo sguardo su tutti gli studenti, «ritengo opportuno ricordarvi che il prossimo giugno affronterete un esame importante, durante il quale dimostrerete quanto avete imparato sulla composizione e l’uso delle pozioni magiche. Mi aspetto che strappiate un Accettabile al vostro G.U.F.O… conoscete la mia bonarietà e desiderio che tutti facciate del vostro meglio, ma cari ragazzi poco posso di fronte ad evidenti insufficienze! Questo ovviamente non conta per Miss Abroath, l’unica che padroneggia senza alcuna difficoltà la materia…»

«Non conta, la madre è una pozionista! Lei e la sorella sono avvantaggiate!» mugugnò Zabini, mentre Christine si voltava per lanciargli un’occhiataccia.

«Ma che c’entra? Mio padre conosce non so quante lingue e io è già tanto se padroneggio il francese che è la lingua di mia madre!» rispose lei infastidita sottovoce rivolta a Sonia che scosse il capo come ad invitarla a lasciar perdere.

«Dopo quest’anno, naturalmente, molti di voi smetteranno di studiare con me… e lo ammetto cari ragazzi, mi spiacerà molto!»

Come se la mattina non fosse stata abbastanza pesante, la giornata si concludeva nel pomeriggio con due ore di Incantesimi seguite da due ore di Trasfigurazione. Sia il professor Vitious che la professoressa Morrigan passarono i primi undici minuti della loro lezione a fare una predica alla classe sull’importanza dei G.U.F.O.

«Quello che dovete ricordare» disse il piccolo professore Vitious con voce gracchiante, appollaiato come sempre su una pila di libri per riuscire a vedere oltre la cattedra, «è che questi esami possono influenzare il vostro futuro per molti anni a venire! Se non avete ancora pensato seriamente alla vostra carriera, ora è il momento di farlo. E nel frattempo, temo che lavoreremo più che mai per garantire che tutti voi siate all’altezza del vostro talento!»

Poi passarono più di un’ora a ripassare gli Incantesimi di Appello, che secondo il professor Vitious sarebbero senz’altro venuti fuori all’esami di G.U.F.O, e lui completò la lezione assegnando loro il più grande quantitativo di compiti mai dato per Incantesimi. A Trasfigurazione fu lo stesso, se non peggio.

«Non potete superare un G.U.F.O.» disse la professoressa Morrigan minacciosa, «senza una seria applicazione, esercizio e studio. Non vedo ragione per cui qualcuno di questa classe non dovrebbe ottenere un G.U.F.O. in Trasfigurazione, a patto che lavori sodo.»

Quando le lezioni finirono, la giornata era diventata fresca e ventosa, mentre i ragazzi erano in agonia per il carico di compiti che li aspettava.

«Se siamo messi così a Novembre… io inizio a temere per la mia salute mentale…» bofonchiò Sirius a Sonia e Christine. La campanella era appena suonata e Lucy aveva già messo in scena, per l’ennesima volta quel giorno, il suo show.

«Oh no, guardate la drama queen!» fece notare Zabini e questa volta a ben vedere.

Il copione era sempre lo stesso. Raggiungeva il professore, iniziava a piagnucolare dei suoi problemi di salute, della sua instabilità emotiva e di come uno stress così grande ne peggiorasse la situazione e supplicava per un trattamento di favore. Era pessima! Lucy era la mezzana delle Sutton, quella con la pelle più scura, come se fosse perennemente abbronzata, capelli neri che teneva sempre raccolti in due odango sulla testa e make up oltre modo esagerato con sprazzi di viola e fucsia. Era anche quella che prendeva più richiami per la divisa che personalizzava troppo, tagliandola o mettendoci lustrini ed altre strane aggiunte.

«Comunque me lo aspettavo, l’anno scorso Ollie era praticamente un fantasma…»

«Ed io che dicevo che faceva l’esagerato!» bofonchiò Sonia in risposta a Sirius, mentre Christine si massaggiava le tempie.

Il piccolo gruppo si stava dirigendo fuori dall’aula se non fosse stato che accorgendosi che Sonia era ancora ferma accanto al suo banco la raggiunsero. Stringeva tra le mani un pezzo di pergamena e lo leggeva confusa.

«Ehi tutto bene?»

«Sì è che… mi è caduto dal libro di Trasfigurazione quando l’ho preso per metterlo in borsa!» esclamò lei mostrandolo ai due amici.

Christine lo prese e con Sirius lo lesse: «Infine lei che dall'intelletto fine sottovaluta le sue capacità adamantine. Voi gli eredi delle antiche nobili casate siete e gli indizi di questo indovinello cogliete.»

«Non è che è uno degli scherzi di Zabini?» chiese il ragazzo guardando le altre due, tutti e tre sapevano come era fatto ed in effetti era plausibile.

«L’anno scorso nella Sala Comune di Serpeverde aveva perfino messo in giro la voce che la Camera dei Segreti era stata riaperta…» fece notare la Abroath con il tono di chi ormai non credeva a più nulla di ciò che veniva dalla sua bocca.

Alla fine non era un cattivo ragazzo, tutti loro più o meno ci andavano d’accordo, ma diceva sempre quella parola in più che non doveva dire e i suoi scherzi erano il più delle volte di pessimo gusto.

«Mah! Sarà!» disse Sonia e senza pensarci stropicciò il pezzetto di pergamena e se lo cacciò in tasca, uscendo poi con gli amici dalla classe.

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


DICEMBRE 2004

Il mese di dicembre portò a Hogwarts vento e nevischio, Ariane si svegliò di soprassalto la mattina prima di Natale e immediatamente si mise a cercare con lo sguardo i regali ai piedi del letto. Aveva fatto un terribile sogno in cui era ancora al suo primo anno ed era solo settembre. Scosse immediatamente il capo e cercò di darsi una calmata, poggiandosi una mano sul petto. Il suo pigiama verde e oro delle Holyhead Harpies fece bello sfoggio su di sé e le bastò ricordarsi che era davvero una Cacciatrice per calmarsi. Prendeva un po’ troppo sul serio quella cosa del Quidditch e del frequentare orgogliosamente la scuola di Hogwarts facendo parte della casa di Serperverde, ma cosa ci poteva fare se per lei era una cosa tanto importante?

Con un sorriso a trentadue denti si dette velocemente una sistemata, non vedeva l’ora di scendere nella Sala Comune, incontrare Christine e raggiungere tutti gli altri!

Dall’anno prima si era unita alla piccola tradizione del gruppo di amici che erano soliti aprire i regali di Natale tutti insieme nella Stanza delle Necessità. L’aveva scoperta Ollie durante il suo quinto anno quando, disperato, era alla ricerca di una stanza in cui imboscarsi con Sonia per pomiciare. Era divertente come storia, ma di fatto da allora il gruppo di amici la usava spesso per le loro piccole feste private come quelle legate alle festività o ai loro rispettivi compleanni. Era un modo per avere sempre la location perfetta con tutto il necessario al suo interno, senza dover portare nulla.

Era ancora molto presto quando si incontrarono di fronte all’arazzo di Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll, su al settimo piano, tanto che tutto il castello ancora dormiva. Ognuno era giunto facendo ben attenzione a non incrociare Gazza e Mrs Purr, mentre con i numerosi pacchetti di regali al seguito, grazie all’incanto Locomotor, erano in attesa che Margaret passasse tre volte davanti alla parete vuota per farvi apparire la porta che li avrebbe condotti al loro personale angolo di Natale.

«Ma che sta facendo?» sussurrò Sydney confusa, dopotutto lei e sua sorella non erano a conoscenza di niente. Erano state invitate a una “sorpresa” e nessuna delle due era stata in grado di declinare.

«Ora vedrete…» le sussurrò Ollie con un ghigno stampato sul viso.

Quando la porta apparve, Anne si portò le mani sulla bocca e poi velocemente entrarono. La porta sparì e loro si trovarono immersi in quello che pareva un enorme salone tutto in legno. Dai vetri nevicava e si vedevano perfino le montagne, era come stare in uno chalet dal tetto a volta. Un albero di Natale di almeno due metri troneggiava addobbato di tutto punto, mentre la stanza era arredata con mobilio e soprammobili stile nordico. C’era un grande divano a elle di fronte al camino acceso, calze appese con i loro nomi ricolmi di dolci e perfino un intero tavolo apparecchiato per la colazione. Sulle sedie, perfettamente del numero quale erano loro, degli ugly sweaters facevano bella mostra di sé e tutti li guardarono ridendo.

«Io quello non lo metto!» disse contrariata Sydney fissandolo di traverso. Sul suo c’era un orribile elfo con un cappello di Natale.

«Mi spiace Rachelle, questa è la tradizione, tutti indosseremo quei terribili maglioni! Apriremo i regali insieme e poi faremo colazione!» disse Oliver che già si era spaparanzato sul divano. Fu velocemente raggiunto da Sonia e Christine alla sua sinistra e Sirius, Anne e Daniel alla sua destra. Sedute per terra vicino al pouf centrale che fungeva da tavolino c’erano Ariane, Margaret e Sydney.

Ariane come al solito aveva ricevuto qualsivoglia regalo avesse a che fare con le Holyhead Harpies… che fossero miniature, abbigliamento o qualsiasi altra cosa. Idem per Oliver che fece il pieno di cose relative al Quidditch dal libro “Squadra di Quidditch della Gran Bretagna e dell’Irlanda” da parte delle sorelle Abroath a “Kit di manutenzione per manici di scopa” da parte di Sonia. Quest’ultima ricevette molte cose diverse, da un libro raro di leggende anglosassoni dalle gemelle Rachelle, a una collana personalizzata il cui ciondolo riportava al suo interno il profilo del castello di Hogwarts, con il volto di un gran leone che ruggiva da parte di Margaret, in cambio questa ricevette ogni qual tipo di libro esistesse: romanzo, saggio, etc

Sirius apprezzò moltissimo tutti i calzini assurdi che ricevette da parte di ognuno di loro, Anne era stata confusa quando le era stato suggerito quello strano dono, ma lui parve apprezzare oltremisura. Le gemelle ricevettero invece varie cose inerenti alle loro case, che fosse un monile d’argento che ritraeva l’animale di rappresentanza o un oggetto con i colori corrispondenti. Per Christine invece ci fu una carrellata di piccoli gioielli in oro bianco, abbigliamento e anche delle adorabili action figure in vinile di cui era una pazza collezionatrice. In conclusione, Daniel come sempre ricevette molte cose tra l’utile e l’affascinate come una ricordella, uno spioscopio portatile e qualche scherzo dei Tiri Vispi Weasley.

Fu però a colazione che chiacchierando tra loro i ragazzi portarono alla luce uno strano fenomeno che, in modo diverso e scomposto aveva colpito ognuno di loro: il ritrovamento di strani pezzetti di pergamena. Siccome ognuno aveva con sé il proprio, seppur nessuno ricordava effettivamente di averlo messo in tasca quella mattina, si trovarono ad essere così sopraffatti dalla curiosità che finirono ben presto tutti intorno al pouf di fronte al divano. In ginocchio li guardavano continuando a spostarli per forzare una filastrocca e con loro somma sorpresa in effetti ne uscì fuori una di senso compiuto.

Ritrovarvi voi dovevate e così insieme il viaggio intraprendevate.

Uno dalla nobiltà d'animo è caratterizzato, ma il coraggio gli viene meno perché innamorato.

L'altra nel cuore cela il segreto, è sì furba ma dall'animo inquieto.

Anche lui che dalla lealtà è mosso, deve fare i conti con la gelosia che gli sta addosso.

Infine lei che dall'intelletto fine sottovaluta le sue capacità adamantine.

Voi gli eredi delle antiche nobili casate siete e gli indizi di questo indovinello cogliete.

Nelle segrete stanze essi son celate, le antiche reliquie che si credevan cancellate.

Siete voi forse in grado, di riportar lustro ove vi è stato degrado? La sfida è lanciata e la missione vi è stata assegnata.

Anne e Sydney sentirono di provare lo stesso brivido che ebbero il giorno che avevano ricevuto la lettera per Hogwarts, mentre Ariane strofinava le mani emozionata all’idea di un’avventura, Sonia che amava gli indovinelli lo rilesse più volte e Margaret con il suo solito senso critico analizzava attentamente il tutto.

«Non so voi ma tutto è davvero molto interessante. A prescindere di ciò che ognuno di noi ha pensato all’inizio, tutti abbiamo trovato questi bigliettini per caso. Abbiamo dato per scontato che fossero di qualcun altro e messi insieme formano davvero quella che sembra una caccia al tesoro?» analizzò e domandò Christine.

«O una specie di profezia!» aggiunse Sirius.

«Come ben sapete sono sempre pronto per buttarmi in una nuova avventura!» esclamò Oliver che sembrava già pregustare l’idea.

L’unico incerto parve Daniel che dopo un primo momento di entusiasmo nel tentativo di riunire i bigliettini, si era poi alzato e seduto sul divano. Aveva incrociato le braccia al petto e si era limitato a fissare tutti con quello che sembrava un broncio ben marcato.

«A me pare solo una sciocchezza!»  esclamò poi, annoiato.

«Potrebbe…» esclamò Christine, ma la frase pareva voler proseguire e così fu: «Sono stata la prima a suggerire in un primo momento, al ritrovamento del pezzo di pergamena con Sirius e Sonia, che poteva essere uno scherzo, magari di Zabini… ma non lo so, mi sembra troppo articolato a essere sincera!»

«Non ce lo vedo poi a mettersi lì a fare un lavoro così di fino!» aggiunse Sydney che pareva avere l’orticaria al solo sentirlo nominare.

«Mah! Credete quello che vi pare!» tagliò corto Daniel. Tutti si sentirono a disagio per il suo strano comportamento e per non volerlo ulteriormente infastidire pensarono per il momento di mettere da parte la cosa. Anne si offrì di conservare i frammenti di pergamena e nessuno ebbe da ridire.

La mattina fu davvero un’apoteosi di gioia e divertimento. Certo, Natale sarebbe stato solo il giorno successivo, ma considerando che tutti sarebbero stati a casa per le feste, era un modo per viverlo tra loro e potersi guardare in faccia mentre si aprivano i pacchetti, alcuni finemente incartati e altri un po’ meno. Mancava ancora qualche ora prima della partenza e tenendo conto che il baule era già pronto, uscirono nel parco. La neve era intatta, eccetto i profondi solchi tracciati dagli studenti per salire e scendere dal castello. Daniel decise di assistere alla battaglia a palle di neve degli altri invece di prendervene parte e dopo poco meno di un’ora annunciò che tornava nella Sala Comune di Tassorosso.

«Ehi dove vai? Ci abbandoni?»

«Voi mi abbandonate comunque, no? Ciao e Buon Natale…» si limitò a dire e sventolando la mano si allontanò. Risalì i gradini di pietra e sparì nel castello.

Solo Sydney e Oliver avevano sentito la sua risposta, visto che la prima gli aveva posto la domanda e il secondo era accanto a lei.

«Dici che ce l’ha ancora con me per via del provino?»

«Secondo me non è solo questo… Lo vedo strano da un po’… anche stamattina nella Stanza delle Necessità era…»

«Freddo? Distaccato? In Sala Comune è già tanto che mi saluta quando mi incrocia…»

La distrazione momentanea dei due costò a Oliver una palla di neve in pieno volto da Sirius che, con le mani alla pancia, rideva a crepapelle nel vedere l’espressione scioccata del fratello. Presto la guerra riprese, anche se alla fine tutti ci rimasero molto male quando al momento dei saluti Daniel non si presentò. Era l’unico che sarebbe rimasto al castello e la cosa pareva averlo punto parecchio sul vivo.

 

Da quando Anne e Sydney erano andate a vivere con gli zii, dopo il loro primo anno a Hogwarts, stavano a Bristol. Una città sviluppatasi su entrambe le rive del fiume Avon e ubicata nell'Inghilterra sud-occidentale.

La casa degli zii delle ragazze era proprio vicina al porto, leggermente in posizione rialzata rispetto al mare, e faceva parte di un nuovo complesso di costruzioni composto da cubotti tutti di un colore diverso dall'altro, con ampie vetrate rivolte verso il porto e una parete di cemento nel loro caso di color giallo vivo.

Su due piani, vantava un comodo e accogliente open space al piano terra che comprendeva salotto, soggiorno e cucina, più un bagno di servizio con balcone su cui nei giorni estivi pranzavano; mentre al secondo piano vi erano due camere da letto, con il bagno in comune e la patronale con bagno in camera più un'ampia vetrata a tre finestre uguale a quella al piano di sotto che però, a differenza della prima, era priva di balcone.

Quel luogo era molto diverso da dove avevano sempre vissuto, più moderno e in un certo qual modo anche più lussuoso, ma non era quello che le faceva impazzire e nemmeno l’affaccio sul mare – seppur fosse una componente importante – ma lo era il dividere quella casa con due persone che le capivano e a cui loro volevano un bene dell’anima.

Purtroppo, i rapporti con i genitori erano ancora molta tesi, loro non le avevano completamente diseredate e ancora si sentivano ogni tanto, a Natale e in estate, in una chiamata per raccontarsi come andava e mantenere i contatti, ma… nominare gli zii con cui vivevano o ancor peggio qualsiasi altra cosa che avesse a che fare con la magia era fuori discussione. Era un argomento tabù, uno che era meglio evitare se non si voleva entrare in uno dei soliti loop da cui era impossibile uscire. Ahimè i loro genitori non avrebbero mai cambiato opinione in merito e le due, ormai, lo avevano capito.

La mattina di Natale, dopo aver aperto i regali, Sydney e sua zia erano in cucina intente a cucinare. Anne e lo zio, come sempre, erano in salotto a giocare a scacchi. Era tradizione che a cucinare fossero loro due, mentre gli altri filosofeggiavano o scherzavano, guardandole.

La giovane Anne non riusciva a smettere di pensare alla filastrocca che insieme al gruppo avevano trovato. Prima di partire, con un incanto Reparo, aveva reso i pezzetti di pergamena un foglio unico e da che era a casa la leggeva e la rileggeva senza sosta. La sera prima perfino allo zio l’aveva fatta vedere, ma questo dopo averle rivolto uno strano sorriso compiaciuto gliela aveva ridata senza proferire parola. Anne ancora ci pensava, quando si fece mangiare – in modo del tutto banale – il cavallo.

«Qualcuno ha la testa altrove?» le chiese l’uomo bonariamente togliendo il pezzo dalla scacchiera e sostituendolo con la sua torre.

«Pensavo a quello che ti ho fatto vedere ieri…»

«Oh quello…» disse lui mentre i suoi occhi azzurro cristallino si illuminavano con fare per nulla sorpreso.

«Continui a fare così!»

«Così come?»

«Così! È come se volessi dirmi qualcosa, ma alla fine non me lo dici!» rispose esasperata Anne. Adorava suo zio, ma era così enigmatico, ci teneva sempre che a qualsiasi cosa le sue adorate nipoti ci arrivassero per conto loro. Era un uomo non solo molto colto, ma che tanto aveva visto e tanto sapeva. La sua conoscenza, tuttavia, era un dono prezioso e non lo “vendeva a poco prezzo”. Anche con loro spillava sempre le cose a piccoli bocconi e sempre in modo criptico.

«Al ritorno delle vacanze pensavamo di indagare, di capirci di più… prima di partire non siamo riusciti a parlarne molto, Daniel sembrava infastidito dalla cosa…» disse lei più esprimendo un pensiero ad alta voce che altro.

«Mi fa molto piacere che tu e Sydney vi siate fatti tutti questi amici. Mi fa sentire più tranquillo…»

Anne che stava guardando le fiamme del camino, improvvisamente lo fissò con sguardo corrucciato. Era strana la sua frase, ma prima che potesse indagare oltre lui proseguì: «Conosci la serendipità?» le chiese poi prendendola alla sprovvista.

«Ehm… sì… più o meno…» aveva in effetti letto al riguardo, ma non ci aveva capito granché.

«Credo che quei messaggi che abbiate ricevuto non siano casuali, motivo per cui per comprenderne la loro vera natura dovete agire in modo contrario…»

Anne guardò lo zio in modo assai concentrato, era chiaro che le stava fornendo una lezione importante e sapeva anche che non gliela avrebbe spiegata. Toccava a lei comprenderne il significato.

«Vuoi dire dunque che dovremmo lasciare che il caso ci faccia trovare la risposta alla sfida che questo indovinello pare volerci lanciare? Semplicemente non cercando, facendo altro e sperando così di trovarla?»

«Esattamente!» rispose l’uomo sorridente. Anne ricambiò il sorriso un po’ meno sicura e più confusa che mai.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


GENNAIO 2006

Un anno poteva portare molti cambiamenti e non solo di classe. I G.U.F.O. erano stati un incubo proprio come avevano previsto, le lezioni erano divenute se possibile sempre più difficili e i compiti avevano moltiplicato il loro numero dopo le festività natalizie.

Alla fine, Christine, Sonia e Sirius erano passati con una O, Margaret ovviamente con una E, mentre Zabini e Lucy Sutton ce l’avevano fatta per il rotto di una cuffia con A. Purtroppo, Daniel aveva preso S nonostante gli sforzi e dunque si era ritrovato a ripetere l’anno: così adesso era in quinta insieme ad Anne e Sydney.

Questo, se possibile, incrinò ancor più i suoi rapporti con il resto gruppo, infatti, dopo aver condiviso il viaggio di andata con gli altri a settembre, con il passare dei mesi divenne sempre più invisibile fino a passare ancora meno tempo con i suoi amici. Continuava a essere bersagliato e preso in giro, ma ora pareva subire la cosa come mai prima. Tutti tentarono di approcciarlo, ma nessuno ottenne un risultato, nemmeno Sydney che era perfino sua compagna di casata.

Queste e tante altre cose avevano portato dunque i ragazzi a mettere da parte l’indovinello fino a dimenticarselo e, nonostante Anne lo custodisse ancora nel suo diario, si ricordava le parole di suo zio e per questo non tirava mai fuori l’argomento.

Per Christine non avere più i G.U.F.O. era una benedizione, ciò non toglieva che gli argomenti divenissero più complessi e i compiti più difficili. Per questo lei, Sonia e Sirius avevano fatto un patto da cui Margaret ovviamente si era del tutto dissociata. Considerato che l’anno successivo ci sarebbero stati i M.A.G.O. in quello avrebbero fatto il minino indispensabile per passare, così facendo si sarebbero vissuti quel periodo appieno. Avrebbero saltato delle classi, rimandato compiti e fatto tutto ciò che gli sarebbe saltato in mente; poi, l’anno successivo sarebbero stati studenti modello.

Stava ancora ridacchiando tra sé e sé ripensando alla ramanzina che Margaret aveva fatto loro a tal proposito, quando uscendo da Trasfigurazione nel corridoio del primo anno assistette all’ennesima angheria nei confronti di Soleil. Lei era una tosta, non si lasciava certo intimidire dai loro stupidi scherzi o battutacce, ciò non tolse che di fronte all’involontario danno appena causato non poteva far nulla. Lucy Sutton, tutta agghindata e truccata in modo ridicolo come sempre, le era andata volutamente contro. Lo scopo di ciò era farle cadere le pergamene dei temi che teneva in braccio nella pozza d’acqua proveniente dal bagno di Mirtilla Malcontenta. Il suo piano andò a segno se non fosse che Soleil aveva in mano anche una fialetta di Puzzalinfa, che le sarebbe servita per una pozione. Questa cadde con tutto il resto sporcando Lucy e finendole addirittura in faccia.

La Sutton iniziò a urlare isterica e a sbraitare con il suo solito carnet di parole formato da offese, parolacce e insulti. Siccome l’attenzione attirata stava divenendo troppa, Soleil si ficcò le pergamene fradice in mano e si lasciò scivolare nel bagno delle femmine, da sempre fuori uso. La verità è che non le andava minimamente di affrontare l’ennesima stupida litigata e ben sapendo che nessuno avrebbe osato entrare lì dentro vi si rifugiò.

Christine osservò la scena e mentre un piccolo gruppetto si formava intorno alla Sutton, che aveva iniziato ad avere uno dei suoi inesistenti attacchi di panico, lei entrò nel bagno e si guardò velocemente intorno. Soleil era seduta in fondo su un piccolo basello sotto la finestra che mal illuminava la stanza, per l’ennesima volta allagata. Ben felice che nonostante ciò Mirtilla pareva non essere nei paraggi, la ragazza dai corti capelli rossi si avvicinò alla compagna di casata. Questa stava valutando lo stato delle sue pergamene e constatò che erano da buttare.

«Se vuoi ti dico dove Jasmine tiene le sue, l’ho vista ieri sera farsi aiutare a fare i temi da Gilles…» disse Christine con voce gentile. Gilles era un secchione dello stesso anno di Soleil a cui tutti i Serpeverde si rivolgevano per essere aiutati nei compiti, alcuni lo pagavano pure affinché li facesse al posto loro.

Soleil sollevò lo sguardò e vedendo la compagna sorrise, non erano amiche, ma poteva dire che quanto meno né lei né sua sorella si erano mai unite agli altri per prenderla di mira.

«Considerando che è colpa di sua sorella, non mi sentirei in colpa a rubarle i compiti!» rispose spiccia. Mollò l’ammasso informe di carta e si passò una mano tra i capelli con fare stanco.

Christine prese posto al suo fianco. A differenza sua, era truccata. Un bell’ombretto verde metallico le colorava le palpebre e il mascara nero le metteva in risalto le ciglia lunghe. Al collo aveva una piccola catenina d’oro con una “C” e un piccolo serpente a fianco. Lo smalto era neutro e la manicure corta e curata. Al contrario, Soleil aveva i lunghi capelli biondi raccolti sulla testa anche grazie a un foulard, il viso era truccato in modo naturale e alle dita portava numerosi anelli di varia fattura e grandezza.

«Sai, ho sempre voluto approcciarti, più di così intendo…»

«Tranquilla, nessuno vuole essermi amico…»

«No! Non è che non l’ho mai fatto per questo, me ne frego di quello che pensano gli altri. Mi piaci, ti ho sempre considerato una tosta. Una che non ha paura di dire quello che pensa… Il problema in realtà è mio. Non lo so, non mi sono mai vista amica di una ragazza dieci centimetri più alta di me, magra e bellissima… è da scemi vero? Posso considerarmi una che ha autostima di sé e si ama, eppure, a quanto pare ho ancora qualche pregiudizio verso me stessa, che mi fa sentire inferiore in confronto a ragazze come te. Per l’aspetto… non so…» Christine aveva parlato tutto d’un fiato senza pensare, scuoteva il capo e riflettendoci in effetti le faceva rabbia. Insomma, aveva solo sprecato tempo così facendo no?

«Beh, forse la colpa è anche mia. In effetti se penso agli amici che ho sempre avuto, rientrano tutti in questo immaginario. Non so perché… sempre i più glam e popolari della scuola… e ora ne pago le conseguenze…» concluse lei amareggiata. Si torturava le mani con capo chino. Un sorriso sarcastico sul volto.

«Tutti facciamo degli errori di valutazione, il tuo è stato credere in persone che probabilmente riconoscendo in te il tuo carisma si sono messi sulla tua scia per emergere e quando hanno sentito di farcela, hanno capito che l’unico modo per riuscirci era “toglierti dai giochi”. Ma solo persone che non hanno una luce interiore lo fanno, perché è da meschini e da codardi!»

La giovane dai corti capelli rossi osservava il profilo di Soleil che a quelle parole si commosse, seppur cercò di non darlo a vedere. Poi, mordendosi le labbra, si voltò a guardarla.

«Io non so cosa sia realmente successo, ma sono sicura che quella che è uscita non era la verità…»

Sull’ultima frase Soleil si torturò l’interno della guancia ed alzò gli occhi al soffitto. Non aveva mai parlato a nessuno di quella storia.

«All’epoca avevo un ragazzo, andava all’Ilvermorny. Come sai io sono mezza americana e noi eravamo amici fin da bambini. Quell’anno, durante le vacanze di Natale, ho deciso di non tornare a casa… i miei erano in mezzo a un divorzio complicato ed io non me la sentivo di passare quei giorni di festa sentendoli litigare. Ero a Hogwarts quando ho ricevuto un gufo che mi comunicava che Brian era morto. Un incidente…»

Ora Soleil non faceva nulla per trattenere le lacrime che asciugava con la manica della divisa, mentre lanciava ogni tanto delle occhiate furtive a Christine che commossa l’ascoltava.

«Non c’era praticamente nessuno ed io avevo bisogno di sfogarmi... Credo che l’errore è stato lasciare che tra noi nascesse una grande e intima amicizia. Dopotutto, non è opportuno in effetti avere un rapporto di tale confidenza e affetto. Non c’è mai stato nulla… nulla di romantico. Solo tante chiacchierate e abbracci… Quando è stato licenziato, in verità, non mi sentivo male per lo scandalo che ne era derivato e quello che tutti avevano iniziato a pensare di me, ma per lui… Per colpa mia aveva perso il lavoro, la moglie…»

Sbuffò a quel ricordo, mentre si toccava la fronte come nel tentativo di voler cancellare da essa una macchia invisibile.

«Dopo un po’ ho iniziato a pensare che me lo meritavo… gli insulti… e tutto il resto…»

D’istinto Christine fece scattare la mano in avanti e l’appoggiò su quelle di Soleil.

«Mi spiace… per tutto. Per quello che hai passato, per non aver mai fatto nulla… avrei potuto prendere le tue parti tutte le volte che ti ho vista presa di mira dagli altri… parlarti… ascoltarti…»

«E perché avresti dovuto? Non puoi rimproverarti nulla…»

«Lo so, ma fa schifo! Mi sono sentita così per tanti anni… e quando una persona subisce e prova determinate cose dovrebbe empatizzare con chi passa lo stesso e fare qualcosa.»

«Le persone non hanno più questi principi!»

«Io sì!» rispose prontamente Christine e poi in modo del tutto naturale ci fu uno slancio che la portò ad abbracciare Soleil che, si lasciò stringere. Le mancava così tanto sentirsi compresa, amata. In effetti, ora che ci pensava, dispiaceva anche a lei di non averla approcciata prima, assieme a sua sorella, l’aveva sempre trovata carina e disponibile.

Erano ancora abbracciate, quando Christine notò qualcosa di particolare inciso su uno dei rubinetti di rame sullo scarico alle spalle di Soleil. Lo stava ancora osservando quando si staccarono e poi glielo indicò.

Un piccolo serpente faceva capolino.

Presto le due ragazze si guardarono con gli occhi strabuzzati. Ovviamente entrambe sapevano della Camera dei Segreti, ma il bagno era interdetto e chi tentava di entrarci non aveva mai trovato alcun indizio in merito.

La cosa strana fu che quando le due si alzarono per guardarlo da vicino, Soleil lo sfiorò con le dita e improvvisamente il rubinetto iniziò a brillare di una luce bianca vivida, poi prese a girare. Un attimo dopo il lavandino cominciò a muoversi. Sprofondò e scomparve alla vista lasciando scoperto un grosso tubo, un tubo largo abbastanza da lasciar passare un uomo.

«Che hai fatto?» chiese Christine alla compagna, era stupefatta, ma oggettivamente anche eccitata.

«L’ho solo toccato!» rispose quella quasi si sentisse offesa da tale osservazione.

«La logica dice che dovremmo andarcene…»

«Ed è quello che dovremmo fare!»

All’improvviso Soleil sembrava essere diventata fredda e distaccata.

«E dai diamo un’occhiata, quando ci ricapita?»

La verità era che nonostante la bionda volesse starne fuori era difficile resistere alla tentazione e così dopo Christine infilò le gambe nel tubo. Fu come scivolare lungo una pista viscida e senza fondo. Vide altri tubi diramarsi in tutte le direzioni, ma nessuno era grosso come il loro, ripido, tutto curve e giravolte. Capì che stavano sprofondando sotto il livello della scuola, addirittura oltre quello dei sotterranei. Dopo un po’ il tubo torno piano e lei fu catapultata fuori atterrando sul pavimento bagnato di un buio tunnel di pietra, abbastanza spazioso da permetterle di stare in piedi.

«Dobbiamo trovarci a centinaia di metri sotto la scuola.»

«Probabilmente siamo sotto il lago.»

Entrambe le ragazze si voltarono a scrutare l’oscurità che si spalancava di fronte loro.

«Lumos!» bisbigliò Christine alla sua bacchetta che si accese.

Superarono una curva e poi un’altra ancora, dopo l’ennesima si trovarono di fronte a una parete su cui erano scolpiti due serpenti attorcigliati, che al posto degli occhi avevano smeraldi scintillanti.

Di nuovo a Soleil bastò sfiorarli con la punta delle dita e quelli si sciolsero dal loro groviglio e la parete cominciò a spalancarsi, dividendosi in due metà.

Si ritrovarono nell’ingresso di una sala molto lunga, debolmente illuminata. Pilastri di pietra torreggianti, formati da altri serpenti avvinghiati, si levavano fino al soffitto, perdendosi nel buio e gettando lunghe ombre nere nella strana oscurità verdastra che avvolgeva il luogo.

Giunte all’ultima coppia di colonne torreggianti contro la parete di fondo, si ritrovarono davanti una statua alta fino al soffitto. Dovettero piegare indietro il collo per riuscire a intravedere il miesco di un vecchio mago, con una lunga barba rada che gli arrivava quasi fino all’orlo della veste scolpita, lunga fino a terra, e due enormi piedi grigi che poggiavano sul pavimento levigato della stanza.

«Sai, mi chiedo perché l’hanno chiamata la Camera dei Segreti. Alla fine, conteneva solo il Basilisco, no? Dunque Camera del Segreto?» fece presente Christine, la bacchetta ancora levata per far luce.

Soleil ridacchiò. «Cioè con tutto ciò che sta succedendo tu pensi a questo?­»

«È un’osservazione logica!»

Soleil continuò a ridere quando si accorse che tra i piedi della figura di pietra vi era una specie di altare sopra il quale campeggiava uno scrigno. Subito le due si avvicinarono ed esaminandolo scoprirono che non aveva nessuna serratura.

Soleil iniziò ad armeggiare per capire se c’era un modo per aprirlo, ma la testa di Christine continuava a far girare all’impazzata le rotelle.

«Stavo pensando che la Camera dei Segreti, da quel che si sa, può essere aperta solo dal suo Erede. Se l’unico fu Tom Riddle, che proveniva dalla famiglia Gaunt… da lì la discendenza… l’unica altra famiglia collegata ai Gaunt e dunque a Salazar Serpeverde erano i Lenstrange…» Nel dirlo, la giovane notò Soleil immobilizzarsi.

«Lenstrange… Strange…» ripeté Christine questa volta a mezza voce. Gli occhi sbarrati e un’espressione di puro terrore sul volto di Soleil mentre si voltava a guardarla.

«T-Ti prego… N-Non dirlo a nessuno… Mio padre è un discendente alla lontana, ma si vergogna del suo nome... Per questo lo ha cambiato! Mia sorella ci ha combattuto tutta la vita…»

Soleil aveva ripreso a tremare, era strano vederla così. Christine era così abituata a vederla fronteggiar tutti con grinta e sicurezza che anche lei aveva fatto l’errore nel credere che fosse invincibile e immune a qualsiasi sentimento.

«M-Ma certo… E non ti preoccupare. Che poi chissenefrega, no?»

Soleil non si aspettò quella reazione, stava già sorridendole quando improvvisamente il piccolo scrigno si aprì da solo e rivelò il suo contenuto. Si scoprì essere un medaglione in oro massiccio con una S serpentina fatta di smeraldi sul davanti.

Entrambe sapevano bene cosa fosse, ma la storia insegnava: tutti gli horcrux erano andati distrutti e quello era uno di essi… dunque: come era possibile?

Guardandosi stupite e ammaliate, con mani tremanti Christine lo prese in mano e lo soppesò prima di scrutarne la bellezza.

«Dai vieni, te lo metto!»

«No, macché, sei pazza!»

«Perché dovrei esserlo? Sei l’Erede di Serpeverde, è tuo!»

«Devo ricordarti chi lo sono stati l’ultima volta? E poi ti ho detto chi sono!»

«E allora? La storia non deve ripetersi, la storia non si ripeterà! Tu sei Soleil Anastasia Strange! Una ragazza intelligente, scaltra, bella e che ha un segreto nel cuore è vero… ma che adesso non dovrà più portare da sola. Io credo in te Soleil…»

La ragazza giocò con una sua ciocca di capelli, poi si voltò, si piegò sulle ginocchia e permise a Christine di mettergli la collana. Quando tornò a guardarla dovette ammettere che era molto pesante.

Si sentiva in un modo che non sapeva descrivere, era forse più emozionata per tutto ciò che con Christine aveva condiviso che per l’avventura assurda in sé che stavano vivendo.

«Beh, allora dopo tutto questo…» disse dopo un momento di silenzio, indicando il posto e la situazione assurda che stavano vivendo. «Mi sa che ci tocca essere amiche!»

«Eh già!» rispose con semplicità l’altra e scoppiarono a ridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


FEBBRAIO 2006

Due settimane prima della fine del secondo trimestre, il cielo si illuminò all’improvviso di un candore opalino e abbagliante. Seppur la primavera era ancora lontana sembrava lentamente far capolino, almeno a livello di luce perché l’aria era ancora parecchio fredda.

Come era accaduto l’anno precedente, Daniel era totalmente immerso nei G.U.F.O. motivo per cui tutti diedero per scontato che parte del suo comportamento distaccato e della sua freddezza era dovuto a ciò. I suoi genitori avevano preso molto male la bocciatura e lo avevano minacciato che se non fosse passato, lo avrebbero ritirato da Hogwarts. I suoi genitori erano babbani, seppur a differenza di quelli di Anne e Sydney condividevano che loro figlio fosse un mago, erano decisi più che mai a iscriverlo a un liceo babbano se non si fosse mostrato all’altezza. Magari era un magonò e se così fosse avrebbero dovuto accettare la cosa. Questo pareva aver stressato il ragazzo ancor più del solito, rendendolo sempre schivo e di cattivo umore, dunque, non si sorpresero quando nel fine settimana che precedeva San Valentino lui decise di non seguirli nell’uscita a Hogsmeade.

Come sempre, Mielandia era affollato di studenti di Hogwarts. I numerosi scaffali erano ricchi di dolci e caramelle: blocchi di torrone cremoso, quadrotti rosa lucenti coperti di glassa al cocco, mou color miele; centinaia di tipi diversi di cioccolato disposti in pile ordinate; c’era un barile di Gelatine Tuttigusti +1, e un altro di Api Frizzole e lungo un’altra parete c’erano le caramelle Effetti Speciali; la SuperPallaGomma di Drooble (che riempiva una stanza di palloni color genziana che si rifiutavano di scoppiare per giorni interi), i curiosi frammenti di Fildimenta Interdentali, le minuscole Piperille nere («sputate fuoco davanti ai vostri amici!»), i Topoghiacci («per far squittire i vostri denti!»), i Rospi alla Menta («saltano nello stomaco come se fossero veri!»), fragili piume di zucchero filato e bonbon esplosivi.

Nell’angolo più lontano del negozio, sotto il cartello Sapori Insoliti, c’erano Christine, Ariane e Sonia intente ad esaminare un vassoio di leccalecca al gusto sangue.

«Non credo che a Daniel possano piacere…» esclamò Ariane analizzandone uno, poco convinta.

«E questi?» chiese Sonia infilando un barattolo di Scarafaggi a Grappolo sotto il naso delle amiche.

Erano così dispiaciute per come il loro amico stesse vivendo male tutta quella situazione che volevano a modo loro mostrargli affetto e dargli un regalo che gli potesse addolcire le giornate.

«Quelli vanno bene per Oliver che ama il rischio!» concluse Christine ridacchiando.

Il gruppo si era sparpagliato dopo il suo arrivo al villaggio, che era decorato tutto con cuori giganti e putti che svolazzavano lanciando qua e le frecce a ventosa o canticchiando serenate ai fidanzatini a passeggio.

Anne aveva accompagnato Margaret all’Ufficio Postale, che accolse le due ragazze nel suo classico e famoso fragore; mentre Sirius e Oliver erano all’interno del Negozio di piume di Scrivenshaft perché le loro avevano messo le gambe e si erano date alla fuga dopo aver tentato di trasfigurarle in gnomi.

Sydney si era così proposta di dirigersi ai Tre Manici di Scopa e lì prendere un tavolo per tutti in attesa di essere raggiunta. Christine aveva detto loro che sarebbero stati in compagnia anche di Soleil e che le avrebbe fatto molto piacere presentargliela. Nell’ultimo mese aveva iniziato a frequentarla, e così anche Ariane, ed entrambe le sorelle Abroath avevano concordato che sarebbe piaciuta anche agli altri e sarebbe stato bello averla nella loro compagnia.

Il vento era tagliante e Sydney aveva le mani gelate, se le stava strofinando quando entrò nella locanda che come sempre era molto affollata, rumorosa, calda e fumosa. La giovane si fece strada fino in fondo al locale dove c’era un tavolino libero tra la finestra e il camino.

Sydney si tolse il cappello, la sciarpa e i guanti con i colori della sua casata e cercò lentamente di ambientarsi. Madama Rosmerta si avvicinò al tavolo chiedendo se volesse ordinare e lei prese tempo dicendo che a momenti sarebbero arrivati i suoi amici, poi lo avrebbero fatto. Le stava ancora sorridendo mentre la guardava allontanarsi che qualcuno scivolò al suo fianco. Solo che quando si voltò non era chi si aspettava di vedere.

«Zabini…» mormorò in modo secco a mo’ di saluto.

«Rachelle… Yogh, vero? Che poi mica ho capito cosa significa…  sarebbe un nome?»
Le chiese lui abbandonandosi con la schiena contro la panca e appoggiandoci un braccio sopra, lo stesso che si avvicinò pericolosamente alla schiena di Syd.

«E tu sicuro di chiamarti Zabini o forse era zerbini?» le chiese lei facendo finta di rifletterci, posando un dito sul mento.

«No perché considerando come ti fai inzerbinare dalla Sutton piccola ho iniziato a chiedermelo…»

Da dopo il loro primo incontro, i due non facevano altro che punzecchiarsi a vicenda. Sydney sembrava l’unica ragazza immune al fascino del giovane, che continuava a vantare numerose conquiste e ultimamente si diceva che uscisse addirittura con Camille. Probabilmente decisa ad aggiungere una tacca alla sua lunghissima lista.

Fu proprio parlando di lei che una forte corrente di aria fredda scompigliò i capelli di Sydney. La porta del locale si era riaperta e gettando uno sguardo in quella direzione era possibile osservare la procace Serpeverde camminare con fare spocchioso proprio verso il loro tavolo.

«Ah, ecco dov’eri finito!» esclamò quella con fare annoiato. Syd parve nemmeno vederla.

«Mi hai mollato come una scema da Mielandia, che poi lo sai che certe cose io non le mangio!» esclamò lei disegnandosi con le mani la figura esile, come a dire che altrimenti la facevano ingrassare.

«Ma lo sai come è fatta Lucy, rimane affascinata da tutte quelle stranezze… anche se poi finisce per farle mangiare tutte al fidanzato!» bofonchiò cantilenante.

Sydney sapeva che un ragazzo di Corvonero dell’ultimo anno se l’era presa e non sapeva come avesse fatto. Aveva la pazienza di un santo e seguiva Lucy ovunque, pareva la sua ombra. Si comportava nemmeno fossero già sposati, il che sembrava una convinzione della Serperverde nonostante la poca convinzione della famiglia. Sarà stato anche un mago purosangue, ma non era del ceto sociale che si aspettavano.

«Anyway dear, vogliamo andare? Mi avevi promesso una bella Burrobirra fumante e tante coccole!» squittì quella, ma Michael si grattò il capo, lanciando uno sguardo a Sydney e poi a lei. Solo allora Camille parve accorgersene e iniziò a indispettirsi del suo non dargli corda.

«Cam, forse ti sei persa dei passaggi, ma… ehm, ti ricordi quando una settimana fa ti dissi che era stato divertente, ma non ero interessato a una storia?»

«Sì e allora?» chiese lei a braccia conserte.

«Voleva dire esattamente il contrario di ciò che stai facendo ora!»

Ma quella sgranò gli occhi e lo guardò come a volere un’ulteriore spiegazione in merito, fu allora che Sydney non ce la fece più e sbottò: «Vuol dire che non gliene frega un bel niente di passare del tempo con te! Dunque, vai a cercartene un altro!»

«Tu, piccola insolente, insulsa e patetica… cosa!»

Camille si era voltata di scatto, gli occhi ridotti a due fessure e una mano con le unghie ad artiglio puntate contro di lei. La Tassorosso non era per niente oltraggiata né tanto meno interessata alle sue offese, ma con suo grande stupore Zabini sì. Si alzò con uno scatto e fronteggiando la Serpeverde con tutta la sua statura le disse che l’insulsa e patetica era lei, che non aveva una personalità e che era una Principessa come lui era Silente. Fu allora che quella strabuzzò lo sguardo profondamente offesa e, fumante, si allontanò a grandi falcate.

Quando Michael riprese posto al fianco di Sydney lei lo stava fissando confusa.

«Che c’è?» gli chiese lui tornando lo solito sbruffone di sempre.

«E questo cos’era?»

«Cosa?»

«Questo!»

«Niente…»

«Senti, sei stato carino, ma mi so difendere da sola! Grazie!»

Lui la guardò e scoppiò a ridere, ma quello se possibile fece andare più ancora su tutte le furie Sydney.

«Ma che ti ridi!»

«Sei incredibile… Non riesci proprio a capire quando uno ti fa il filo, vero?» lo disse con tutta la tranquillità del mondo, mentre lei iniziava a deglutire il vuoto.

Non era sciocca. Si vedeva allo specchio ogni giorno e sapeva benissimo che le ragazze formose, semplici e forse sì insulse come lei non finivano con tipi come lui. Se fossero stati nel mondo dei babbani avrebbe detto che lui era lo stereotipo del quarterback alto, figo, atletico e popolare e si sa, no? Quelli così finiscono con le cheerleader, con tipi come le Sutton!

«Se devi prendere in giro puoi imboccare la stessa strada che ha preso la tua amichetta prima di te!» disse in tono sbrigativo e sarcastico.

«Non sei la ragazza che pensavo, se sei una che dà adito agli stereotipi…» la pungolò lui facendosi improvvisamente serio. Il braccio era tornato sulla panca dietro la schiena, ma lui le si era avvicinato, così che lei quando si girò a guardarlo si trovò con il viso vicinissimo al suo.

Syd non rispose. Non gli andava certo di mostrargli che anche lei aveva delle debolezze e che non era proprio così sicura di sé su tutto. Ma sostenne il suo sguardo apparentemente indifferente, anche quando lui sfoderò uno dei suoi sorrisi magnetici e avvicinandosi le posò un lieve bacio sulle labbra, che lei si trovò a ricambiare senza troppe remore.

«Se scopro che è una presa per il c… giuro che ti trasformo in uno scarafaggio…»

«Oh, su questo non ho dubbi…» rispose lui ridacchiando, prima che i due si scambiassero un altro profondo e sentito bacio.

 

La finale di Quidditch era arrivata. Grifondoro era in testa di duecento punti esatti. Il che voleva dire, come Ariane ricordava costantemente alla squadra nemmeno fosse il capitano, che dovevano vincere la partita con un vantaggio maggior per conquistare la Coppa.

Negli spogliatoi di Serpeverde la più giovane della squadra era caricata a molla, solo l’anno prima – nel suo primo da membro della squadra – la sua casa non aveva vinto la Coppa del Quidditch, dunque, era molto contrariata. Inutile che Christine le ricordasse che aveva ancora quattro anni davanti e tante altre vittorie, lei doveva vincere quella di quell’anno. Poi avrebbe pensato al successivo.

«Tua sorella mi fa paura…» le sussurrò nell’orecchio Soleil, la terza Cacciatrice della squadra, mentre si allacciava le scarpe. Zabini arrivò dall’ufficio del capitano pronto a fare il discorso alla squadra prima di scendere in campo.

I prati erano calmi e tranquilli. Nemmeno un alito di vento sfiorava le cime degli alberi delle Foresta Proibita, pareva che le condizioni per la partita sarebbero state perfette.

Il fischio d’inizio andò perso nell’urlo della folla mentre quattordici scope si libravano a mezz’aria.

«Serpeverde in possesso di palla. Christine Abroath di Serpeverde ha la Pluffa e si dirige verso la porta di Grifondoro. Pluffa intercettata da Sonia Thornton, Thorton di Grifondoro attraverso il campo e… Bel colpo di Bolide per Micheal Zabini, Thorton perde la Pluffa, la prende Soleil Strange, Serpeverde è di nuovo in possesso… bel dribbling su Abercrombie e… segna! Dieci a zero per Serpeverde!»

Soleil alzò il pugno mentre filava a bordo campo.

«Grifondoro in possesso, no, è Serpeverde in possesso… no! Grifondoro torna in possesso ed è Sirius Abercrombie e… colpito dal Bolide, perde la Pluffa! Viene recuperata da Thorton e… segna! Venti a dieci per Grifondoro!»

Zabini e Nott, i Battitori di Serpeverde, direzionarono due Bolidi verso il Cercatore di Grifondoro che, con capacità e velocità riuscì a liberarsene per continuare nella sua ricerca.

«Serperverde è di nuovo in possesso, ecco la piccola Abroath che prende la Pluffa, Thorton la segue… Ne entra in possesso, ma Christine Abroath la recupera… va verso la rete di Grifondoro e… il Capitano Oliver Baston Jr. la para!»

La partita proseguì in modo equilibrato. La compagnia osservava tutti insieme, nonostante le casate diverse, e tifavano per tutti in egual misura senza tenere una squadra di preciso. Il boccino pareva uccel di bosco, mentre Christine segnava. Cinquanta a venti per Serperverde. Zabini e Nott le sfrecciarono intorno, le mazze levate. I Battitori di Grifondoro approfittarono dell’assenza dei due per sparare i Bolidi verso il Cercatore della squadra avversaria. Un attimo dopo Thorton segnò. Cinquanta a trenta per Serpeverde.

La casa aveva bisogno di un’altra rete per aver il vantaggio necessario, se il Cercatore avesse preso il Boccino d’Oro, per vincere la Coppa delle Case. Il gol decisivo arrivò dopo circa un quarto d’ora a opera di Ariane Abroath.

Il Cercatore di Serpeverde accelerò bruscamente; il vento gli fischiava nelle orecchie; tese la mano e…

«SERPEVERDE HA VINTO!»

Il boato che esplose fu immenso e la festa proseguì tutto il giorno fino a notte tarda nella Sala Comune di Serpeverde. Nonostante questo, nel pomeriggio la compagnia aveva fatto una piccola festicciola nella Stanza delle Necessità ove perfino Oliver, Sirius e Sonia brindarono alla vittoria degli amici. Come sempre tutti erano presenti, tranne Daniel… la sua assenza diventava ogni giorno che passava sempre più pesante e i primi veri dubbi e preoccupazioni popolarono la mente dei suoi amici.

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


MARZO 2006

La vita di Daniel era stata costantemente costellata di sconfitte. Si sentiva un perdente dal primo giorno che, uscito dal nido familiare, si era affacciato al mondo.

All’asilo non si era mai distinto per fantasia o qualche dote particolare che fosse disegnare o colorare, all’elementari era praticamente l’unico della sua classe tra i maschietti a non potersi iscrivere a calcio perché i suoi genitori non potevano permetterselo e prima di ricevere la lettera per Hogwarts era bersagliato da tutti i suoi compagni per le merendine stantie e scadenti che tirava fuori all’intervallo. Quando aveva ricevuto la lettera per Hogwarts gli era parsa una benedizione. Veniva da una famiglia babbana e vedere l’orgoglio sul volto dei suoi genitori e sapere che per una volta si era distinto per una cosa che era capitata solo a lui tra tutte le persone che conosceva lo aveva mandato in brodo di giuggiole. L’entusiasmo durò poco perché i costi per frequentare la scuola erano elevati e seppur con il cambio sterlina-moneta magica ci guadagnava un po’ ciò non toglieva che per la sua famiglia, già di ceto basso, era davvero un sacrificio di non poco conto, ma lo fecero lo stesso e lui sì sentì il bambino più felice del mondo!

Tuttavia, le difficoltà con cui si era scontrato nel mondo babbano lo perseguitarono anche in quello magico. A scuola faticava oltre misura per prendere una semplice A. Non è che non si impegnasse, perché stava attento alle lezioni e dava il massimo nei compiti, ma era come se le cose non volessero entrargli in mente.

Per gli amici poi, nemmeno a parlarne, per tutti era uno sfigato oltre misura. Mingherlino, basso, poco attraente, ci vedeva peggio di una talpa e le sue battute non facevano ridere mai nessuno. I libri e la divisa era di seconda mano e la scopa e il gufo che usava erano quelli in dotazione alla scuola. A Quidditch era bravo, un ottimo portiere, ma nessuno gli dava adito.

Fu una specie di miracolo per lui quando aveva conosciuto Christine. Ricordava che era a Erbologia e nessuno voleva fare coppia con lui e così lei si era proposta. Ben presto lo aveva presentato alle sue amiche Sonia e Margaret e in poco tempo aveva iniziato a far parte del gruppo. Si trovava bene con loro al punto che riusciva a dimenticare la delusione che era per tutti o la vergogna che provava per la sua povertà. Ma poi c’erano sempre quei momenti in cui tutto tornava a galla. A Natale, quando riceveva solo oggetti fatti a mano dai suoi genitori e lui se la cavava regalando pacchi di caramelle, mentre tutti venivano presi nelle squadre di Quidditch delle loro case e lui no, quando si innamoravano e venivano ricambiati (lui aveva avuto una cotta per Christine per due anni, quando si era decisa a dirglielo e invitarla al Ballo del Ceppo lei ci era andata con un altro compagno della sua casata) e infine agli esami venivano promossi. La bocciatura era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, seppur già il provino di Sydney lo avesse portato al limite.

Sapere poi che rischiava seriamente di non tornare mai più a Hogwarts lo destabilizzava. Forse per quello da un po’ di tempo frequentava la Stanza delle Necessità. Anche la Sala Comune gli andava stretta e qualsiasi altro luogo era sempre a rischio, in nessuno poteva mai stare davvero solo. Lì sì.

Era appena uscito dalla stessa, quando incrociò niente meno che la strada di Oliver e Sydney. I due erano di ritorno dalla Sala Comune di Corvonero, non che ci fossero entrati, ma entrambi erano fuori. Una per aspettare la sorella e darle gli appunti delle lezioni che aveva saltato, aveva preso l’influenza, e l’altro per ricevere da Margaret la correzione del tema che gli aveva chiesto di controllare.

Trovandosi e andando molto d’accordo, erano diventati molto amici, avevano deciso di approfittare della bella giornata per scendere ad allenarsi un po’, ma quando incrociarono la strada con quella di Daniel furono davvero felici.

«Ehi chi non muore si rivede!» esclamò gioioso il ragazzo dai capelli rossi andando incontro all’amico e scompigliandogli la chioma inesistente, Daniel era rasato.

«Io e Ollie andavamo a fare due tiri giù al campo, vieni con noi?» gli chiese allegramente Sydney.

C’era d’ammetterlo, da quando stava con Zabini sembrava più radiosa del solito, tutti erano increduli ancora della cosa, ma erano certi che se uno avrebbe potuto tenerlo per… quelle… ecco, era sicuramente lei!

«Ehm no! Ho molti compiti e devo…»

Daniel si era già divincolato dall’abbraccio amichevole di Baston, che gli aveva passato un braccio intorno alle spalle, e con passo veloce aveva già oltrepassato la compagna di casata, quando proprio questa lo afferrò per un polso e lo costrinse a voltarsi.

«E no adesso mi sono rotta! Adesso tu ci dici che ti prende!»

Sydney non era famosa per la sua pazienza, ancor meno quando vedeva una persona a cui teneva costringersi a tutti i costi a mostrare di stare bene quando non era così. Lei era una maestra in quello, dunque poteva ingannare tutti se voleva, ma non lei.

«È dal giorno del mio provino che non sei più lo stesso. Certo, dopo sono venute un sacco di cose, la bocciatura, la minaccia dei tuoi di ritirarti e tanto altro, ma… Daniel per l’amor del cielo siamo i tuoi amici!»

Oliver aveva incrociato le braccia al petto e, nonostante fosse ben più alto dei due, li guardava assentendo al fianco di Sydney come a voler sottolineare che lui concordava con ogni singola cosa detta dall’amica.

«E che volete che vi dica eh!? Lo vedete anche voi ogni giorno! La mia vita fa schifo e non migliorerà! Ora l’ho capito, caput. Ci ho solo messo una pietra sopra e mi spiace se non riesco più a fingere di essere felice per voi. Perché lo sono in realtà, ma mi fa male. È snervante vedere che tutti fate passi avanti tranne me!»

Sydney e Oliver si guardarono, avevano intuito che il problema dovesse essere quello, ma non avevano mai voluto realmente affrontare il problema. In realtà, ne avevano parlato anche con gli altri e nessuno se la sentiva di fronteggiarlo, avevano tutti concordato che al momento opportuno lui sarebbe venuto da loro e glielo avrebbe detto.

«Beh, benvenuto nel club!» disse improvvisamente Sydney per spezzare quella tensione.

«Din Dlon informazione di servizio: la vita fa schifo. È così che va, ma cosa possiamo farci? Sai benissimo la mia situazione con i miei genitori, i problemi che ha Sirius a casa per la malattia della madre o la delusione di Christine per aver rotto con James, ma… succede! Ognuno di noi ha un motivo per essere arrabbiato o frustrato…»

Messa in quella prospettiva, Daniel si sentiva, se possibile ancora peggio. Iniziò a mordersi il labbro inferiore senza sapere cosa dire. Fece un passo verso di loro, poi ci ripensò e tornò sui suoi passi per andarsene. Ripeté quel gesto per tre volte con fare nervoso e quasi a sorpresa di tutti, che si erano dimenticati dove fossero, la porta della Stanza delle Necessità apparve sul muro.

La guardarono e senza pensarci entrarono. Se dovevano continuare a discutere meglio farlo lì che in mezzo al corridoio.

Tuttavia, nessuno dei tre si aspettò ciò che vide, era come se le quattro Sale Comuni di Hogwarts fossero state miscelate tra loro e avessero dato origine a quella ove si trovavano in quel momento. Alle pareti vi erano gli stendardi con i quattro animali simbolo, il fuoco scoppiettava nel camino, qui e là vi erano foto e oggetti come se la sala fosse stata vissuta, quasi come capitava in quelle reali dove i ragazzi lasciavano in giro quaderni, oggetti ed etc

Troppo curiosa per resistere, Sydney si avvicinò al camino e iniziò a scorgere alcune foto che le sorridevano da sopra di esso. C’erano Ron ed Hermione con in mezzo Harry che teneva sul braccio Edvige, c’era Diggory circondato da alcuni ragazzi di Tassorosso e foto più vecchie riguardanti altri gruppi di amici in epoche diverse.

«No! Non ci posso credere! Guardate!» esclamò Oliver super emozionato. Su una poltrona aveva trovato una pergamena completamente bianca, sedendosi l’aveva aperta e picchiettandoci su con la bacchetta aveva pronunciato: «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!» e quella si rivelò come la fantomatica Mappa del Malandrino che si pensava essere andata persa.

Sydney si era seduta su un bracciolo e la fissava in estasi insieme all’amico, mentre Daniel pareva essere stato attratto da uno strano luccichio sotto una pila di abiti accanto a un massiccio tavolo di legno.

«Ma questa stanza è fantastica, a cosa stavi pensando Dan?» gli chiese improvvisamente Oliver, ma fu quando alzò lo sguardo per cercarlo che lo vide piegato nell’intento di raccogliere qualcosa.

Ora lo fissava anche Sydney, mentre quello dandogli le spalle un oggetto stringere qualcosa in mano.

«Ehi cosa hai trovato?» ma il ragazzo non si mosse né pronunciò alcuna parola. Confusi, i due si guardarono, per poi alzarsi e andargli incontro. Sbarrarono gli occhi quando scoprirono cosa stava sorreggendo.

«M-Ma quella è…»

«Sì Oliver… è lei! È la Coppa di Tassorosso

«Ma non era andata distrutta?»

«Così ci hanno insegnato a Storia della Magia!»

Ora tutti e tre fissavano la reliquia a bocca aperta. Era d’oro massiccio e brillava quasi come se qualcuno l’avesse lucidata.

«Non è possibile…»

«No che non lo è!»

«Eppure la stringe tra le sue mani!»

«Grazie Oliver, lo vedo!»

Fino a quel momento Daniel non aveva ancora parlato, fissava solo la reliquia come inebetito e pareva incapace di parlare.

«Daniel a cosa stavi pensando quando sei passato davanti alla stanza prima?»

La domanda era venuta da Sydney, perché era anche probabile che non fosse la vera coppa, come quella trovata da Baston non fosse la vera Mappa del Malandrino… Erano pur sempre nella Stanza delle Necessità no?

«I-Io… io non lo so… stavamo discutendo e volevo solo andarmene, ma al contempo non potevo… non dopo quello che mi avevi detto… mi hai fatto riflettere, mi hai fatto pensare a quanto sono stato cieco, egoista…»

La ragazza aveva appoggiato una mano sulla spalla dell’amico e lo stesso fece Oliver, mentre Daniel sentiva la testa pesante. Si guardò intorno e parve vedere per la prima volta gli oggetti e le foto della stanza. Ora che ci faceva caso tutti i gruppi rappresentati nelle stesse erano studenti di Hogwarts, in varie epoche era vero, ma uniti da un argomento comune: l’amicizia che li legava gli uni agli altri.

Non gli parve vero di ricordare un aneddoto storico relativo alla coppa della sua casa, ma come se fosse stata un’epifania gli era appena venuto in mente che si diceva che essa aveva la capacità di rispondere ad ogni dubbio o domanda. Bisognava solo riempirla di un liquido e bervi con intenzione.

Si guardò dunque intorno con fare frenetico, tanto che i suoi amici lo guardarono strano. Notò  una bottiglia di Burrobirra abbandonata sul primo gradino di una scala a chiocciola che portava a dormitori inesistenti, la prese e senza pensarci si sedette sul divano di fronte al fuoco. L’aprì e verso il contenuto nella coppa. I suoi due amici presero posto al suo lato.

«Che stai facendo?»

«Un piccolo test! Se questa coppa è solo frutto della Stanza delle Necessità non potrà mai avere i poteri dell’originale giusto?»

Entrambi i ragazzi assentirono colpiti dal lampo di genio dell’amico, non che lo considerassero stupido, ma non era una bugia dire che non fosse brillante.

Soffermandosi sui volti sorridenti di quei numerosi ragazzi che lo guardavano dalle finestre poste nelle cornici della stanza, Daniel pensò intensamente a cosa avrebbe voluto sapere e poi chiudendo gli occhi si portò la coppa alla bocca bevendo un sorso ambrato di Burrobirra. In un primo momento non successe nulla, ma poi dentro di sé iniziò a sentire un calore che gli partiva dal centro del petto.

Delle lacrime iniziarono a solcargli le guance mentre rivedeva, tante immagini di piccoli momenti che dava per scontati e che solo adesso comprendeva quanto gli mancassero.

I pomeriggi nel parco a ripassare per gli esami distratti dal sole e dal caldo per riuscire a farlo per più di un’ora, i mille progetti messi in piedi e mai finiti come quando con le altre si era messo in testa di fare un documentario su Hogwarts, i gavettoni estivi poco prima della ripartenza per casa, le confidenze a notte tarda in un pigiama party improvvisato nella Stanza delle Necessità e tutte le volte in cui si era sentito amato, accettato, compreso e felice quando era in compagnia di quegli amici da cui si era allontanato e che il solo pensiero di non rivedere mai più lo faceva star male…

Quando riaprì gli occhi ormai stava piangendo, stringendo la coppa con mani tremanti. Era possibile sentirsi tanto felice e triste nello stesso momento?

Le due emozioni lo dilaniavano, come se due forze invisibili lo tirassero in senso opposto.

«Ehi Dan, tutto bene?» chiese preoccupata Sydney passandogli un braccio lungo le spalle. Lui assentì appena senza guardarla e allora lei gli chiese «E-Ehm… C-Che cosa hai chiesto?»

Facendo vagare lo sguardo intorno a lui un largo sorriso si disegnò sul suo viso magro, prima che i suoi occhi piccoli e scuri si soffermassero prima su Oliver, poi su Sydney e infine sulla coppa.

«Credo la stessa cosa che ho pensato quando sono passato di fronte alla Stanza delle Necessità. Dovevo capire di cosa avessi bisogno, ero così cieco e disperato di cercare qualcosa che mi facesse bene. Qualcosa in cui non avessi fallito per non accorgermi che era l’unica cosa da cui mi ero allontanato: voi»

Disse ridendo sentendosi improvvisamente un’idiota. Anche Sydney si era commossa, ma non voleva darlo a vedere, mentre Oliver di nascosto si asciugò con la manica della divisa gli occhi. Rimasero lì in silenzio, tutti stretti contro Daniel che ancora stringeva la Coppa di Tassorosso a sé.

Un giorno anche loro sarebbero stati fotografie su quei ripiani. Lontani, magari senza più contatti e ognuno con la propria vita, ma nel cuore il ricordo indelebile di ciò che insieme avevano vissuto e tutto quello che uno all’altro si erano dati.

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


APRILE 2007

Quella mattina Margaret fu la prima del suo dormitorio a svegliarsi. Rimase sdraiata a guardare la polvere vorticare nel raggio di sole che passava dalle tende del baldacchino, e assaporò il pensiero che era sabato. Per quanto amasse studiare doveva ammettere che l’anno dei M.A.G.O. era, se possibile, ancora più duro di quello dei G.U.F.O.

L’anno precedente Oliver li aveva salutati congedandosi con un Oltre Ogni Previsione, anche grazie al suo aiuto, e attualmente si allenava come riserva della squadra di Quidditch dei Puddlemare United, come suo padre prima di lui. Sonia, che era ancora la sua ragazza, era diventata Capitano di Grifondoro. Anche Daniel aveva superato brillantemente i G.U.F.O. e adesso condivideva le classi con Sydney, essendo allo stesso anno. Nel loro gruppo poi, l’anno precedente si era unita la Serpeverde Soleil Anastasia Strange, che attualmente stava ripetendo l’anno. Il precedente era stato pesante per lei, ma grazie all’amicizia con Christine, con la quale sembrava ogni giorno che passava sempre più unita, le cose erano migliorate; ormai era troppo indietro per riuscire a recuperare.

A giudicare dal silenzio sonnacchioso della stanza e dalla luce acerba del raggio di sole, era appena passata l’alba. Scostò le tende attorno al letto, si alzò e cominciò a vestirsi. Il solo rumore, a parte il cinguettio remoto degli uccelli, era il lento, profondo respiro delle sue compagne di Corvonero. Aprì la borsa dei libri con cautela, prese piuma e pergamena e uscì dal dormitorio, diretta alla Sala Comune.

Era il compleanno di sua mamma e ci teneva che oltre il regalo che le aveva preso a Hogsmeade ricevesse anche un piccolo augurio scritto di suo pugno. Sigillò con cura la pergamena e uscì dalla Sala Comune, mentre la porta alle sue spalle si richiudeva. La stessa non aveva una maniglia, ma un batacchio incantato in bronzo a forma di aquila. La caratteristica era che, quando si bussava, quello poneva una domanda e solo se si forniva una risposta corretta l’accesso alla Sala Comune era consentito.

Il sole era ormai alto nel cielo e quando Margaret entrò nella Guferia le finestre prive di vetri l’abbagliarono; spessi raggi dorati s’incrociavano nella stanza circolare in cui centinaia di gufi erano appollaiati sulle travi, un po’ irrequieti nella luce del mattino; alcuni erano appena tornati dalla caccia. Il pavimento coperto di paglia scricchiolò un po’ mentre Margaret calpestava ossicini di animali, tendendo il collo per cercare Shadow. L’anima con cui era arrivata a Hogwarts era stato un gatto persiano bianco di nome Sybil, motivo per cui quando doveva spedire messaggi usava i gufi della scuola e ogni tanto quelli dei suoi amici. Una volta aveva perfino usato Morgause, il corvo di Ariane, l’unica in tutto il castello ad avere tale rapace al posto di un gufo. Era una scelta insolita, ma svolgeva comunque egregiamente il suo lavoro. In realtà anche Shadow, che Anne le aveva detto la sera prima di usare senza problemi quando glielo aveva chiesto, era un falco smeriglio. Bellissimo con il suo piumaggio azzurrino che parve di un colore ancor più intenso nella luce del mattino.

«Eccoti qui» dissi, individuandolo in un punto molto vicino al soffitto a volta. «Anne mi ha dato il permesso di usarti. Ho una lettera e un piccolo pacchetto per te.»

Con un fischio sommesso, Shadow aprì le ampie ali e planò sulla spalla della ragazza.

«Grazie ancora per il tuo aiuto! Buon volo, allora!» disse dopo avergli legato alla zampa il piccolo dono e la pergamena, per poi portarlo a una finestra; con una breve pressione sul suo braccio Shadow decollò nel cielo accecante. Lei lo guardò finché non divenne un puntino nero e sparì.

La porta della Guferia si aprì dietro di lei. Sobbalzò spaventata, si voltò di colpo e vide Sirius che reggeva una lettera tra le mani.

«Ciao…» disse Margaret un po’ freddamente.

«Oh… ciao…» rispose lui, senza fiato. «Non pensavo che ci fosse qualcuno quassù così presto. Mi sono ricordato solo cinque minuti fa che la prima partita di Ollie è oggi e non domani, sono qui per spedirgli la lettera che tutti insieme gli abbiano scritto e firmato…»

«Ho capito» mormorò Margaret con fare distratto. Avrebbe voluto sgridarlo per la sua mancanza, ma poi evitò.

Sirius chiamò il proprio gufo, gli legò la pergamena e poi lo liberò nel cielo.

Un silenzio tombale era sceso tra di loro. Nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare, ma nemmeno ad andarsene. Quella tensione si protraeva tra loro dall'inizio dell'anno, quando Sirius aveva deciso di non pensare più a lei tentando di aprirsi con altre ragazze. Caduto nella rete di Camille Sutton, quando Margaret aveva saputo di loro aveva avuto una reazione inaspettata. Si era arrabbiata da morire e aveva riempito Sirius d'insulti, non rivolgendogli più la parola.

Tutti i loro amici, per quanto non apprezzassero Camille, le avevano fatto notare che Sirius non aveva fatto nulla di male. Lei non stava con lui e dunque non aveva avuto ragioni per trattarlo in quel modo, ma Margaret non aveva voluto sentir ragioni e così i due erano finiti a evitarsi.

«Non capisco» sbottò improvvisamente Margaret. L’aria era più calda e dunque quella mattina indossava un semplice paio di jeans blu con sopra un cardigan grigio. Sotto una semplice camicia bianca dal bordo ricamato con le sue iniziali, i capelli legati in una coda alta e degli orecchini argento con un piccolo corvo con l’occhio di sodalite che gli pendevano dalle orecchie.

«Sei stato in grado di affrontarmi per via di quello che è successo con la Sutton, ma non per dirmi che ti piacevo…»

La ragazza, che ormai era molto più una giovane donna, esclamò quelle parole con molta calma, ma in egual misura un pizzico di delusione.

«Guardaci come ci siamo ridotti, è ridicolo non trovi?» chiese osservando le spalle che Sirius ancora le dava.

«Non riesco a credere che tu lo stia dicendo per davvero…» sbottò lui, ma non era arrabbiato quanto più deluso.

Voltandosi aveva puntato i suoi occhi scuri in quelli castani di lei. I suoi capelli dello stesso colore erano più spettinati che mai, mentre indosso aveva un semplice pantalone della tuta nero e una t-shirt della squadra di Quidditch di Grifondoro.

«Sei tu quella che mi ha trattato come il peggiore degli individui solo perché ho avuto una mezza storia con qualcuna che non eri tu. Tu che hai sempre bene messo in chiaro quanto non volessi lasciarti coinvolgere in nessuna relazione amorosa!»

«Ehm sì… è vero, ma… La Sutton!? Davvero!?» si rianimò lei avanzando con fare minaccioso verso di lei, non gli importava di arrivargli a malapena alle spalle.

«Ricominci? Lo vuoi rifare, ancora? Giuro Porter se non fossi una ragazza staresti parlando con il mio pugno in bocca… se solo ripenso a come mi hai trattato, mi va il sangue al cervello!» disse lui stringendo i denti così forte che la mascella già quadrata pareva di marmo.

«Se fossi io un ragazzo incapace di gestire la sua rabbia, come te, ora mi staresti guardando con un occhio nero!» grugnì lei fuori di sé prendendolo per il collo della t-shirt.

«Davvero? Beh allora fallo, chissà che così non rilasci un po' della tua frustrazione e diventi meno acida!»

Lei si morse la lingua, si preparò a controbattere e invece quello che fece fu attirarlo a sé e baciarlo. Fu inaspettato, ma Sirius le cinse immediatamente la vita e quando fece per baciarla di nuovo lei si era già allontanata con le mani sul viso e lo sguardo incredulo.

«Devo sapere se hai mollato solo perché... perché non eri più innamorato di me...»

Disse improvvisamente lei facendosi piccola piccola.

«No» mugugnò improvvisamente lui cercando di ritrovare la lucidità. Scosse il capo e riprese. «No, io... io ero solo stanco. Della mia codardia, della mia incapacità di esprimermi e al contempo di sentirmi male, perché tu mi vedevi solo come un amico!»

Lei iniziò a guardare in modo insistente la punta delle polacchine marroni che indossava, mentre Sirius faceva un passo verso di lei.

«Che cos'è questo Marge? Mi sto illudendo o... tu... Perché non voglio nessuna dichiarazione che poi dovrai rimangiarti più tardi davanti agli altri!»

Lei finalmente alzò lo sguardo e nel farlo adesso lui era di nuovo vicinissimo, i loro sguardi uno nell’altro e le mani di lui che avanzavano verso il suo viso che prese dolcemente tra esse.

A quel punto anche Margaret fece un passo verso di lui, adesso le distanze erano annullate. Le loro fronti una contro l’altra.

«Non lo farò! Non voglio più mentire! A te, agli altri… a me… I-Io…»

«Io sono innamorato di te!» disse lui tutto d’un fiato, era da così tanto tempo che lo voleva dire che non poteva lasciarsi sfuggire quel momento. Ora entrambi stavano sorridendo ed erano già prossimi a darsi un nuovo bacio, quando tutti i gufi parvero improvvisamente impazzire. Alcuni volarono, altri gracchiarono e guardandosi intorno confusi i due ragazzi scoprirono un’apertura nel muro, si guardarono e incuriositi non poterono fare a meno di entrarvi…

 

L’apertura si era scoperto che conduceva a una piccola stanza ricolma di quelli che in un primo momento parevano tesori, ma successivamente a uno sguardo più attento capirono essere armi. Tra le molte seppellite in quello spazio angusto una attirò immediatamente l’attenzione dei due, ma quando Margaret tentò di raccoglierla questa le scivolò tra le mani, quasi fosse impalpabile, a differenza di Sirius che invece riuscì a impugnarla: era la spada di Godric Girfondoro.

Inutile dire che immediatamente Margaret convocò un incontro segreto con gli altri nella Stanza delle Necessità, che prese l’aspetto di un salone molto simile a quello ove passavano il Natale, ma senza tutte le decorazioni del caso. Il gruppo, ben nutrito, era adesso radunato intorno al pouf vicino al divano e osservava con occhi increduli la spada elegantemente forgiata con il suo bel rubino in bella mostra, che brillava alla luce del sole.

«Abbiamo pensato, naturalmente fosse un falso. Tutti conosciamo la storia degli Horcrux di Voldemort, ma quando sono stata impossibilitata a raccoglierla ho avuto i miei dubbi…» espresse Margaret ad alta voce. Era seduta sul divano accanto a Sirius e le loro ginocchia si toccavano. Nessuno aveva detto nulla, ma tutti si erano accorti della loro improvvisa complicità e intimità.

«E non sei l’unica, abbiamo provato tutti a prenderla in mano, io che sono una Grifondoro anche e… nulla!» osservò Sonia, che era seduta dal lato più corto del divano a elle con accanto Daniel.

Christine e Soleil erano invece accanto a Margaret e Sirius, entrambe si guardarono con fare complice e lo stesso accadde tra Sydney e Daniel che erano in ginocchio sul tappeto con Anne e Ariane.

«Non c’è dubbio che dovremo portarla dalla McGranitt, ma io e Margaret volevamo farvela vedere prima… anche il fatto della stanza segreta che si è aperta all’improvviso in guferia ci ha lasciato interdetti…»

«E voi che ci facevate di preciso in guferia all’alba, di sabato mattina e da soli?» la domanda impertinente di Ariane fece venire un sorrisino sul volto a tutti i presenti, mentre Sirius si grattava il capo in imbarazzo e Margaret arrossiva.

«Non mi pare questo l’argomento di discussione!» tagliò corto lei, ma a venirle in soccorso fu Daniel che senza dir nulla tirò fuori dalla borsa dei libri, una coppa d’oro massiccio e la posò accanto alla spada sul pouf imbottito.

«Quando ho ricevuto il tuo messaggio ho pensato di portarla…» tutti la guardarono con occhi sbarrati, solo Sydney pareva non sorpresa e la sorella se ne accorse.

«Tu lo sapevi?»

«Ehm… sì…»

«Da quanto?»

«L’anno scorso…?!» mormorò a voce così bassa che fu quasi difficile ascoltarla per bene.

Tutti guardarono i due con sguardo accusatorio e subito quelli si prodigarono a spiegarne le ragioni o per lo meno quello che era accaduto. L’impressione generale fu improvvisamente di grande commozione, con un pizzico di colpa nei confronti di Daniel.

«Scusaci, siamo stati amici terribili…» disse tra i denti Christine, la frangetta rossa a nasconderle lo sguardo affranto. Soleil le cercò immediatamente la mano stringendogliela. Tuttavia fu proprio di fronte a quella confessione, che l’avvenente Serpeverde sentì di dover far lo stesso. Si erano dimostrati tutti estremamente gentili con lei, aveva trovato amici inaspettati e doveva loro la stessa sincerità.

Si portò una mano sotto la leggera felpa primaverile bianca che indossava e ne tirò fuori il medaglione di Serpeverde. Se lo slacciò e lo posò accanto alle due reliquie.

Ora gli sguardi di incredulità e curiosità erano su di lei e Christine, Ariane parve davvero contrariata quando seppe che la sorella ne era a conoscenza, ma l’arrabbiatura le passò appena Soleil condivise con loro la sua storia.

Il silenzio regnò sovrano, ogni singolo ragazzo e ragazza osservava le reliquie e lo facevano con un misto di emozione e timore. Il tutto unito ai piccoli segreti che si erano tenuti gli uni con gli altri e che ora erano stati svelati avevano portato una strana elettricità nell’aria che parve essere la miccia dell’intuizione. Gli occhi di Margaret si erano infatti illuminanti.

«Anne hai ancora la filastrocca/indovinello che avevamo trovato?» era passato così tanto tempo che tutti se ne erano dimenticati, ma non la Corvonero che non solo l’aveva dietro, ma la rileggeva spesso.

La tirò fuori e fu rileggendola che molte cose divennero chiare.

«Non può essere vero…»

«Abbiamo capito bene?»

«Direi che qui lo spiega abbastanza bene!»

Il piccolo gruppo si era tutto stretto intorno al pouf, ora tutti erano in ginocchio sul tappeto e si guardavano senza che nessuno avesse il coraggio di dire chiaramente quale era la rivelazione a cui erano giunti.

«Oh basta girarci intorno! Tra di noi ci sono gli Eredi di Tassorosso, Grifondoro e Serpeverde. Daniel, Sirius e Soleil!» disse senza mezzi termini Sonia, i capelli mossi che si muoveva convulsi ad ogni gesto del suo capo.

«Se così fosse allora manca quello di Corvonero, non sono così presuntuosa che sia tra me o Anne, ma magari qualcun altro che frequenta Hogwarts in contemporanea con noi!»

«Bè allora dobbiamo trovarlo! Potrebbe trovare così il Diadema di Corvonero e… insomma sarebbe stupendo, una rivelazione e una bellissima notizia per tutto il mondo magico!»

Anne che era rimasta in silenzio tutto quel tempo ascoltando prima Margaret e poi sua sorella, scosse il capo con fare deciso. Tutti la notarono e la guardarono confusi.

«No! Non possiamo e non dobbiamo!»

«Perché?» chiese a dir poco contrariata Soleil.

«Sentite, ognuno di voi ha trovato la stanza contenente la reliquia, sulla strada per cercare altro. Soleil voleva fuggire all’ennesimo scontro per trovare un po’ di pace, Daniel non voleva confrontarsi con Sydney e Oliver sui propri che (cosa volevi dire?) lo affliggevano e tu, Sirius, volevi solo far chiarezza con Margaret su cosa c’era realmente tra voi! Oh non mi guardare così, lo abbiamo capito tutti appena vi abbiamo visto entrare sorridenti e affiatati!» tagliò corto a fronte dello sguardo smaliziato dei due.

«Gli eredi si sono rivelati nel momento in cui hanno affrontato l’ostacolo del loro cuore, ma non lo avete fatto perché lo sapevate, ma perché lo sentivate…» proseguì la giovane con fervore. Ora le parole di suo zio le erano chiare.

«Uno dalla nobiltà d’animo è caratterizzato, ma il coraggio gli viene meno perché innamorato. Sappiamo che la caratteristica di un Grifondoro è il valore e tu lo hai sempre avuto Sirius. Da che ti conosco posso dire che sei sempre stato leale ai tuoi principi e le giuste cause, non ti è mai mancato il valore di fare o dire ciò che pensi… ma i tuoi sentimenti per Margaret ti limitavano, ti frenavano… fino a oggi…»

Il ragazzo si sentì in imbarazzo, ma poi strinse la mano di Marge, intrecciando le dita con le sue quando gliela porse.

«L'altra nel cuore cela il segreto, è sì furba ma dall'animo inquieto.  La tua eredità Soleil ti spaventava. Questo ti ha portato a essere sempre sul chi va là e sulla difensiva con tutti, non hai mai permesso a nessuno di conoscerti per davvero e lo facevi perché temevi che se qualcuno avesse saputo il tuo segreto, non ti avrebbe mai accettata per quello che sei. Temevi che il tuo cognome fosse un ostacolo, per poi scoprire che la verità non era una maledizione, non quando hai trovato chi ha deciso di non farci caso e volerti bene per chi sei tu e non per il nome che porti!»

Soleil assentì guardando negli occhi tutti quei ragazzi che forse, sì, se non avesse subìto lo scandalo e quello che ne era derivato, non li avrebbe mai approcciati. Non li avrebbe mai visti come possibili amici. Si sentì un attimo in colpa e poi appoggiando il viso sulla spalla di Christine fu lieta di sentirla darle il suo supporto come sempre.

«Anche lui che dalla lealtà è mosso, deve fare i conti con la gelosia che gli sta addosso.  Sei tu Daniel! Uno dei ragazzi più buoni e puri che ognuno di noi abbia mai incontrato. Non ti sei mai tirato indietro, ci sei sempre stato e hai sempre dato a ognuno di noi tutto quello che potevi. La gelosia e l’invidia per un attimo ti hanno accecato, ti hanno impedito di ricordare la bellezza di cui eri circondato. Hai cercato sempre qualcosa che valesse di più, ma eri già in possesso del dono più prezioso, dovevi solo ricordartelo!»

Daniel arrossì, la pelle chiarissima non gli permetteva di nascondersi, ma fu abbastanza forte da non versare alcuna lacrima. Assentiva fiero, prima che Sonia intervenisse e leggesse l’ultima definizione.

«Infine lei che dall'intelletto fine sottovaluta le sue capacità adamantine. Sappiamo che è una ragazza, chiunque sia è davvero strana come descrizione. Nessun Corvonero sottovaluterebbe mai il suo intelletto…»

Tutti si trovarono ad assentire, prima di provare l’adrenalina della consapevolezza di essere testimoni di un piccolo grande miracolo frutto della speranza, una promessa per il domani.

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


MAGGIO 2007

La primavera avanzava portando con sé bellissimi cieli azzurri e temperature sempre più alte. Anche per questo motivo i ragazzi passavano sempre più tempo fuori, quando non erano a lezione, preferendo studiare nel grande parco del castello piuttosto che al suo interno.

La circolare, ampia e ariosa, Sala Comune era inondata di luce anche grazie alle maestose finestra arco, ma la stessa era smorzata – per la gioia degli occhi di Anne – dai pesanti drappi di seta blu e bronzo appesi alle pareti.

Arredata con moltissime librerie e scaffalature, traboccanti di libri e tomi, oltre che da lunghi tavoli di legno scuro e come bèrgere, era ciò che più di ogni altra cosa aveva colpito Anne la prima volta che vi aveva messo piede. Da quando era a Hogwarts grazie alla Sala Comune della sua casa aveva potuto fare letture altrimenti impossibili e apprendere moltissime cose, eppure adesso tutto ciò pareva non aver più alcun significato.

Osservava come in trance, semi sdraiata sul divanetto della Sala Comune deserta, il soffitto a cupola. Lo stesso era decorato da un affresco raffigurante il cielo notturno, punteggiato di stelle di bronzo, le stesse che si ripetevano anche sulla moquette blu notte posta sul pavimento.

Era come era essere immersi nel cosmo, lo stesso di cui suo zio le aveva rivelato così tante verità e tanto altro ancora le stava insegnando. Erano passati trenta giorni esatti dalla sua dipartita e dopo il ritorno a casa, suo e di sua sorella per il funerale, riprendere la vita al castello era sembrata un’utopia.

Loro zia aveva incassato il colpo con grande difficoltà e nonostante avesse insistito che le ragazze non lasciassero Hogwarts pur di starle accanto, con fatica le aveva lasciate andare. Aveva una sorella a Ilvermorny, insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure e capo casa di Thunderbird, che aveva raggiunto e questo faceva sentir un poco meglio le gemelle perché almeno sapevano che non sarebbe rimasta sola.

Dal canto suo, Sydney era una furia, si era buttata nello studio come mai prima, seguiva il Club dei Duellanti e aveva deciso di iniziare anche il corso di Alchimia e nonostante il Campionato del Quidditch fosse concluso si allenava spesso con Daniel e Sirius. Anne invece stava affrontando il lutto in tutt’altro modo. Era divenuta letteralmente un bradipo.

Andava a lezione volteggiando per i corridoi come un fantasma, poi si chiudeva in Sala Comune e rimaneva lì a non fare assolutamente nulla se non fissare con sguardo vacuo il vuoto.

I loro amici erano stati tutti molto presenti e gentili, ognuno a loro modo. Christine si era dimostrata tra le più disponibili e accondiscendenti, era una brava ascoltatrice. Margaret non mancava di controllare ogni volta come stesse, come Daniel faceva con Sydney, e Ariane e Sonia con i loro modi di fare un po’ particolari cercavano sempre di strappargli un sorriso. Michael si era rivelato una spalla fondamentale per Syd, mentre Sirius un amico inaspettatamente importante per Anne.

La giovane sospirò per l’ennesima volta e poi mettendosi a sedere si passò una mano tra i capelli a caschetto color mogano. Si tolse gli occhiali solo per massaggiarsi il naso e poi sconsolata si sedette composta stringendo il bordo del divanetto con le dita.

Da lontano sentiva le risa dei ragazzi fuori e il loro vociare e lei si chiedeva se sarebbe stata mai più così felice. Sapeva che era egoistico pensarlo, non sarebbe mai stata né la prima né l’ultima persona al mondo a dover soffrire una perdita, ma in quel momento anche se ci avesse voluto provare non ce la faceva proprio a essere empatica.

Inforcò di nuovo gli occhiali e stiracchiandosi lanciò uno sguardo al tema di pozioni abbandonato sul tavolo, aveva trenta centimetri di pergamena che l’aspettavano. Doveva scrivere le proprietà della pietra di luna, ma nonostante ci avesse provato almeno tre volte a iniziarlo, la pergamena bianca era ancora lì che la guardava.

Gli esami erano vicini e lei non era certa che sarebbe riuscita superarli, non che ripetere un anno, a questo punto, fosse poi una tragedia, era chiaro che le tragedie fossero ben altre.

Come se non bastasse nella tasca dei pantaloni di tuta sentiva ancora il rigonfiamento della lettera ricevuta dai suoi genitori, gli stessi che invitavano calorosamente lei e Sydney a tornare a casa per l’estate. Erano stati gentili a presentarsi al funerale e mettere da parte i loro dissapori e remore, ma ciò non toglieva che ad Anne suonava tanto come una scusa per riuscire a convincerle a restare. Come se la Scuola di Magia fosse stato un capriccio e una volta finita sarebbero tornate alla “vita vera”.

Anne prese la lettera, aprì la pallottola che della stessa aveva fatto e poi con uno scatto d’ira e frustrazione la strappò in mille pezzi.

«Ma che ne sanno loro?»

Si chiese tra sé e sé. Gli occhi erano tornati a pizzicare e quel macigno sul petto che impediva di respirare si stava riproponendo più pensante che mai.

«Perché? Perché lui? Aveva ancora così tanto da insegnarci, così tanto da dirci… avevamo così tanto da fare insieme…» pensò ancora.

Le mani si strinsero come una morsa contro il divanetto, le nocche bianche e le lacrime che silenziose le solcavano le gote arrossate.

Scosse violentemente il capo.

No. Abbandonare la magia, voleva dire abbandonare ciò per cui suo zio aveva combattuto, per lei e per Sydney. Nelle ultime feste di Natale, proprio con lui aveva parlato dei loro progetti futuri ed entusiasta le aveva indirizzate incoraggiando i loro sogni.

A Hogsmeade Anne si era accorta che mancava una bella libreria e i locali di Zonko erano ancora vuoti. Finita Hogwarts lei e Sydney volevano aprire un caffè letterario. Sua sorella era un’ottima pasticcera e dunque si sarebbe occupata della cucina, mentre lei di rifornire la grande libreria. I tomi all’interno potevano essere comprati, presi in prestito o letti sul posto. Voleva che l’offerta fosse variegata, ma si concentrasse principalmente sulla letteratura magica e perfino babbana. Loro zio era impazzito all’idea e gli aveva confidato che con la moglie aveva aperto un conto alla Gringott, a loro nome, e che vi avevano accumulato una piccola somma affinché una volta diplomate vi avrebbero potuto accedere per dar vita ai loro progetti.

A quel ricordo Anne si morse un labbro sorridendo e poi riprese a piangere più sommessamente che mai. Si era trattenuta così tanto per non farlo con sua zia, sua sorella e i suoi amici, che una volta sola si sfogava crollando totalmente.

Cercò di respirare per non sentirsi affogare, ma i singhiozzi erano così violenti da scuoterla. Velocemente si strinse le braccia al petto per darsi calore e forza, mentre nella sua mente continuavano a formarsi domande e periodi circa tutti i motivi per cui la morte di suo zio fosse ingiusta. Voleva solo che qualcuno gli spiegasse il contrario, che cercasse di farle capire il perché… Era la sua costante necessità di aver risposte che non le dava tregua…

Era così chiusa e persa nel suo dolore, che nemmeno si accorse del CLACK che si produsse quando il camino prese a spostarsi e, lentamente, anche le mattonelle alle sue spalle rivelando quello che parve un lungo e buio corridoio. Anne ci mise un po’ ad accorgersene, gli occhi erano annebbiati dalle lacrime, ma quando lo fece dovette sbatterli più e più volte per essere certa di non star avendo un’allucinazione.

La sua mente brillante le fece capire subito cosa tutto ciò significasse e rimanendo completamente immobile si chiese se davvero ne fosse degna.

«Troverai ciò che cerchi sulla strada per cercare qualcos’altro…» sussurrò tra sé e sé, guardandosi intorno, quasi aspettandosi che il fantasma di suo zio uscisse all’improvviso da uno dei muri.

«No! Non lo credo… non credo proprio!» perché in quel momento il suo pensiero era solo su di lui e nient’altro. Forse per questo non si alzò e guardò quasi con il broncio il passaggio. Poi si sentì così ingrata, che mandò al diavolo il nulla e si alzò, cercando di darsi un contegno… alla fine cercò di capire dove l’avrebbe condotta.

Il passaggio era così stretto che ci passava a malapena, le mura erano umide e il piccolo tunnel puzzava d’umido. Non ci vedeva molto, tanto che doveva tenere gli occhi ridotti a due fessure, ma poi eccola… “l’immensa biblioteca a cui solo i veri assetati di sapere potevano accedere” si aprì di fronte ai suoi occhi.

Era circolare e le grandi librerie alte fino al soffitto, che sarà stato cinque metri, erano intervallate da colonne doriche. Al centro, un immenso leggio e sopra lo stesso un pesante tomo alto almeno settanta centimetri.

Nonostante il suo stato d’animo aprì la bocca per lo stupore, seppure era certa che in un altro momento e in un altro contesto sarebbe stata decisamente più febbricitante. Stanca e affranta mosse pochi passi verso il centro e improvvisamente il grande tomo si aprì. Sulle pagine ingiallite comparve una scritta: «Qualsiasi sia la tua domanda o problema, qui troverai la soluzione. Non devi fare altro che chiudere gli occhi e pensarci intensamente…»

Con le labbra che le tremavano e il pianto che minacciava di tornare strinse i pugni come a volersi trattenere dal fare qualcosa che sapeva sarebbe stato sbagliato, ma poi mandando al diavolo la prudenza e la saggezza, chiuse gli occhi e pensò a un’unica cosa: «Voglio riaverti al mio fianco zio! Ho bisogno di te! Abbiamo bisogno di te… cosa devo fare? Ti prego dimmelo, cosa devo fare?»

Si concentrò così tanto che le venne il mal di testa, non voleva riaprire gli occhi perché aveva paura di ciò che avrebbe visto. E se non fosse successo nulla? O ancor peggio se avesse creato un danno irreparabile?

Ingoiò la propria saliva, così tanto che le venne il buco allo stomaco, ma quando riaprì gli occhi notò immediatamente che sul libro la domanda antecedente era scomparsa e qualcos’altro si stava auto-scrivendo.

«Il dono più grande che un essere umano può ricevere è quello della conoscenza…»

Ad Anne mancò un battito. Si poggiò la mano sul cuore e sorrise tra le lacrime, ben sapendo che quella era una frase che suo zio ripeteva sempre.

«La conoscenza rende liberi!» aggiunse lei, ricordandosi l’insegnamento dietro a quella frase.

Fu a fronte di quello scritto che un libro uscì da solo dalla grande libreria alla sua sinistra e librandosi in aria verso di lei si aprì, solo per rivelare che non era affatto un libro, ma più che altro un contenitore. Al suo interno, il Diadema di Corvonero brillava argentato con il suo grosso zaffiro blu, lo stesso uscì dal suo nascondiglio e con la leggerezza di una piuma si posò sul capo della giovane.

«Infine lei che dall'intelletto fine sottovaluta le sue capacità adamantine.»

Chiudendo gli occhi, la voce che sentì pronunciare la frase del fantomatico indovinello, fu proprio quella di suo zio. Solo che ora non si sentiva come si era sentita fino a quel momento. La sua voce non la fece sentire più triste, più arrabbiata o più persa, al contrario. Era come se adesso tutto le fosse chiaro, come se anche quell’evento nefasto facesse solo parte di uno schema più grande. Come la serendipità insegnava era l’insieme di un determinato numero di eventi, del tutto casuali, a dar forma invece al disegno complesso e preciso del destino. In esso ogni azione e momento era necessario per essere portarti a un altro. Per Anne fu come aver osservato finora un imponente quadro troppo da vicino e solo facendo qualche passo indietro ne poté ammirare la bellezza in tutta la sua totalità, apprezzandolo e capendolo.

Iniziò improvvisamente a ridere tra sé e sé, una risata sempre più forte e pura e vera.

«O-Ora capisco… O-Ora capisco tutto…» disse lei in piena epifania.

Quando riaprì gli occhi non solo si trovò seduta sul divanetto della sua Sala Comune, il diadema tra le mani e il passaggio sigillato come se mai fosse esistito; ma sì sentì diversa. Si sentì completa. Si sentì finalmente consapevole e completa.

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


GIUGNO 2007

L’anno precedente Daniel e Sydney, con loro somma sorpresa, erano divenuti Prefetti di Tassorosso. Ovviamente ne erano stati onorati e felici, se non fosse che ben presto avevano compreso la mole di lavoro che comportava. Margaret ogni volta che li sentiva lamentarsi alzava un dito e con fare perentorio ripeteva: «­E non avete idea di cosa voglia dire essere Caposcuola, ringrazio sia al mio ultimo anno!»

Con le vacanze prossime, e l’addio di molti di loro, pareva impossibile trovare un po’ di tempo da passare assieme. Ariane non faceva altro che lamentarsi: «E meno male che sono solo in quarta, manca un solo anno ai G.U.F.O., ma i professori sembrano esserselo dimenticati!» sbuffava ogni volta immersa nelle pergamene e nei libri dei compiti. Ma nessuno era al livello di Margaret, era quella che seguiva più materie di chiunque altro e con i M.A.G.O. imminenti era di solito l’ultima a lasciare la Sala Comune di Corvonero la sera e la prima a scendere in biblioteca la mattina dopo. Anche Christine e Soleil erano oberate, soprattutto quest’ultima non poteva permettersi in alcuna maniera di perdere di nuovo l’anno. Christine quel giorno stava scrivendo una lunga pergamena, riempiendone già mezzo rotolo e Soleil era distesa sul tappetto della Sala Comune nel tentativo di finire la simulazione di Pozioni. Il tutto mentre gli altri ridevano e scherzavano fuori dalle finestre nella bellissima giornata mite di sole che annunciava l’estate ormai imminente. Michael era a far loro compagnia, mentre anche nella Sala Comune di Grifondoro la scena era la stessa, ma con Sonia e Sirius.

Intanto, i doveri di prefetto di Sydney e Daniel non erano diminuiti nonostante la fine della scuola ormai alle porte. Furono infatti incaricati di sovraintendere all’allestimento delle classi per gli esami («Che poi non ho capito perché le classi per gli esami dobbiamo prepararle noi Prefetti, non esiste un incantesimo con il quale possono spostare banchi e sedie?» chiedeva in continuazione Daniel sudato fradicio. Ovviamente sapeva che la domanda era retorica, ma aveva bisogno di lamentarsi!), di sorvegliare gli allievi del primo e del secondo anno che con la scuola delle belle giornate cercavano di farei i furbi oltrepassando i limiti della Foresta Proibita («E fanno anche gli arroganti, quei mocciosi, noi non eravamo così maleducati al primo anno» osservò Sydney) e di pattugliare i corridoi a turno con Gazza, che sospettava che lo spirito vacanziero potesse esprimersi in improvvisi duelli di magia.

 

Nel frattempo, come gli insegnati e Margaret continuavano a ripetere, i M.A.G.O. erano sempre più vicini. Chi più chi di meno, tutti gli studenti dell’ultimo anno erano tesi, ma Lucy Sutton fu la prima ad andare in crisi. Era scoppiata in singhiozzi durante Trasfigurazioni, gemendo che non era in grado di sopportare il peso psicologico degli esami e per la sua salute mentale avrebbe dovuto essere esonerata. Intanto Christine viveva con la Pozione Rilassante nella borsa, per cercare di non crollare sotto il peso dell’ansia, mentre Sonia e Soleil cercavano di comprendere le lezioni di Divinazioni. Fiorenzo era indubbiamente un grande insegnante, molto preparato e particolare. Non era interessato a insegnare quelle che lui definiva assurdità umane come il malocchio o la predizione del futuro, preferendo di gran lunga passare ai propri studenti il concetto per cui nulla era infallibile, nemmeno la conoscenza dei centauri. Il problema era che così facendo non avevano dei veri argomenti su cui studiare e cercare di comprendere quale potesse essere l’argomento d’esame era impossibile.

«Io ci rinuncio! Come va… va! Insomma è impossibile studiare per il M.A.G.O di Divinazione!» sbottò Soleil abbandonando gli appunti che stava leggendo.

Il sole era alto nel cielo e il caldo era così insopportabile che tutti avevano la divisa scompigliata. Chi aveva arrotolato le maniche della camicia, chi aveva rinunciato ai calzettoni sotto la gonna o chi aveva proprio abbandonato l’idea di indossare la cravatta. Seduti in riva al lago, sotto un maestoso faggio, c’era tutta la compagnia comprensiva perfino di Zabini.

Michael e Sirius erano in piedi e invece di ripassare si passavano la pluffa, con la complicità di Ariane, mentre Daniel proteggeva una porta invisibile cercando di parare i loro tiri.

«Non eravate tu e Sonia che decantavate le lodi di Divinazione!?» la prese in giro Margaret guardandoli dall’alto del suo librone di Artimanzia, classe che seguivano anche Christine, la sorella di quest’ultima e Anne.

«No vabbè le ragazze hanno ragione, è figa come materia e perfino il prof. Fiorenzo è un mito, ma è alquanto nebuloso nelle sue spiegazioni…» disse Sydney per dar manforte alle amiche, in quanto seguiva anche lei Divinazione.

A pancia in giù stava leggendo un romanzo, non invidiando per nulla gli amici, solo l’anno prima con i G.U.F.O. avrebbe voluto morire e non voleva soffermarsi a pensare che quella tortura l’anno successivo sarebbe toccata a lei.

Christine, che era stesa con il capo appoggiato sulle gambe di Soleil, guardò l’orologio e strabuzzò gli occhi quando notò l’ora.

«Ragazzi manca solo mezz’ora al M.A.G.O. di Difesa Contro le Altri Oscure!» esclamò alzandosi di scattò e guardando tutti. Sonia si fece improvvisamente nervosa.

«E voi siete ancora a giocare con la pluffa!? Ma che vi dice il cervello, a ripassare ora!» La ragazza dai capelli castani e mossi, arruffati per l’umidità, fulminò il piccolo gruppo. Ariane e Daniel fecero orecchie da mercante e continuarono a giocare, mentre Sirius e Micheal si sedevano con la coda tra le gambe.

«Non mi guardare così l’esame è tuo, sono fatti tuoi, ma scordati che io ti aiuti a ripassare!» rispose laconica Sydney, sogghignando a Zabini che già le si era avvicinato per chiederle aiuto.

«Anzi sai che ti dico? Vado a rinfrescarmi con le gambe nel lago!»

«Tua sorella è un mostro!» esplose il Serpeverde mettendo il broncio, mentre Anne alzava gli occhi esasperata.

«Se ti accontenti ti aiuto io?»

«Vedi!? TU SÌ CHE SEI GENTILE, UNA PERSONA DAVVERO MOLTO RISPETTOSA E ATTENTA, NON COME QUALCUN’ALTRA!» esclamò Michael volutamente a voce alta. Sydney non parve per nulla colpita e Anne si toccò la fronte scuotendo il capo sconsolata.

«Ragazzi… ehm…» Christine aveva preso la parola e dal suo tono tutti capirono che aveva qualcosa d’importante da dire.

«Quando andiamo dalla Preside?»

La domanda rese tutti improvvisamente seri. Avevano deciso che quando sarebbe arrivato l’ultimo mese di scuola avrebbero portato alla professoressa McGranitt le reliquie che avevano trovato. Avevano concordato, dopo una riunione nella Stanza delle Necessità, che non potevano tenerle. Esse appartenevano alla scuola ed era giusto riconsegnarle alla stessa.

«I M.A.G.O. sono iniziati l’altro ieri, e oggi è mercoledì. Venerdì dovremmo finire… ci sarà il weekend e poi l’ultima settimana che sarà quella dei responsi. Facciamo sabato mattina dopo colazione?» chiese Margaret che aveva già recuperato dalla sua agenda gli orari degli esami.

«Sì ma è inutile che andiamo tutti, direi che devono andarci solo gli Eredi!» esclamò Christine con sicurezza. Ora anche Daniel e Ariane avevano raggiunto il gruppo e Sydney era tornata quando li aveva visti tutti seduti sull’erba, molto vicini a confabulare.

«Concordo! Altrimenti saremmo una delegazione fin troppo vistosa!» disse proprio la Tassorosso sedendosi, le gambe nude ancora bagnate.

«Solo che come andiamo nel suo ufficio? Non c’è dove bussare!» fece notare Daniel, forse era sciocca come osservazione, ma logica. Anche perché ora che ci pensava, e lo fece poggiandosi un dito sul mento, lui nemmeno sapeva dove fosse l’ufficio del preside.

«È al secondo piano, in un corridoio ci sono due imponenti e massicci gargoyles, basta dire la parola d’ordine e una scala a chiocciola conduce fino alla porta dell’ufficio…» intervenne Ariane.

«E tu come fai a saperlo?» chiese la sorella colpita, ma questa si scambiò un’occhiata furba con Sonia e alla fine lo rivelò a tutti.

«Sapete quando Oliver, Sydney e Daniel hanno trovato quella strana stanza? Quella apparsa nella Stanza delle Necessità con la Coppa di Tassorosso!? Dentro c’era anche la Mappa del Malandrino e Oliver l’ha regalata a me!»

«Bel fidanzato mi trovo! No dai, scherzo, sono felicissima che ce l’abbia tu, fanne buon uso!» ironizzò Sonia dandole una spinta giocosa.

«Hai capito! Brava sorellina, poi però devi farmela vedere, non mi hai detto nulla! Questa non te la perdono!»

«Ehi ma ho scoperto solo da poco come aprirla, Oliver non ci è mai riuscito. C’è bisogno di una formula apposta…»

«E quale sarebbe?» chiese Sirius sporgendosi verso Ariane, sempre estremamente maschiaccia, ma anche ironica e divertente. Era la più piccola, ma nel gruppo nessuno ci faceva caso. Anzi spesso era più adulta di tutti loro messi insieme, c’era sempre stata a suo modo. Era così leale che era difficile capire perché non fosse un Tassorosso.

«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.»

«E direi che questo dice già tutto!» ironizzò Margaret ridacchiando insieme agli altri.

«Comunque tornando al tema della discussione, sappiamo dove è l’ufficio, ma la parola d’ordine?»

«Zenzerotto! Scomettete?» e conoscendo Zabini lo avrebbe fatto, ma ora tutti lo guardavano assai incuriositi.

«E tu come lo sai?» fu Sydney a chiederglielo curiosa, mentre si sporgeva verso di lui con sguardo indagatore. Lui le baciò la punta del naso, si passò una mano tra i capelli neri e poi li guardò con il suo solito fare fascinoso.

«Non posso rivelare le mie fonti!» e come tutta risposta si prese un pizzicotto dalla propria ragazza, mentre tutti ridevano. Tuttavia, si ripromisero che tanto valeva provarci, in caso contrario un modo per parlare con la preside lo avrebbero trovato.

 

L’ultimo giorno di esami fu se possibile il giorno più afoso dell’anno. C’era così tanta umidità che era impossibile tenere in mano la piuma per scrivere, Sonia doveva appoggiarla sul banco ogni tre per due per asciugarsi le mani. Christine si era fatta un ventaglio di pergamena con cui si sventolava e Margaret non sapeva più come raccogliere i capelli per non soccombere al calore.

Nella Sala Grande non vi erano le solite quattro lunghe tavole delle Case, ma circa un centinaio di tavoli più piccoli, tutti rivolti nella stessa direzione e ciascuno occupato da uno studente chino a scrivere un rotolo di pergamena. L’unico suono era il raspare delle piume e il raro fruscio di una pergamena smossa.

I raggi del sole si riversavano dalle alte finestre sulle teste ricurve. Tra queste vi era anche quella di Sirius che aveva praticamente il naso appiccicato alla pergamena. Aveva riletto almeno tre volte la stessa domanda e siccome la risposta non gli veniva la rileggeva sempre più da vicino quasi sperando che improvvisamente avrebbe saputo cosa scrivere.

Soleil stava rileggendo nervosa quello che aveva scritto, si torturava un’unghia ove ormai tutto lo smalto era sbeccato. Quattro tavoli dietro di lei c’era Zabini che fingendo di stiracchiarsi cercava invano di leggere la pergamena del compagno vicino.

«Giù le piume!» la voce squillante del loro professore di Pozioni riempì l’aria. Era andata. Era l’ultimo M.A.G.O. L’ultimo esame.

«Sutton ho detto giù le piume!»

Lucy lo guardò quasi fosse stata ferita a morte da quelle parole, la pergamena era praticamente in bianco, mentre Christine alzandosi le gettava un’occhiata. Subito Soleil la raggiunse prendendola per mano e le due ridacchiarono del compito svolto dalla loro compagna.

Michael, Sirius, Sonia e Margaret le raggiunsero e insieme uscirono dalla Sala Grande.

«Comunque ci sono rimasta male, mi aspettavo qualcosa di più complesso!» la Corvonero aveva esclamato con fare quasi annoiato.

«Ma stai scherzando? Più complesso? E quello come lo chiami!?»

«Sai Zabini, bastava studiare!»

Micheal scosse il capo contrariato, mentre Soleil camminava con le braccia sulle spalle di Christine e Sonia.

«Io mi sento che è andata bene!»

«Vabbé Chris è un mito in pozioni, i tuoi appunti sono stati provvidenziali senza credo che avrei dimenticato tutte le formule!»

«Beh come i tuoi di Trasfigurazione! Posso dire con certezza che Sonia ci ha salvato tutti con i suoi riassunti! Sei riuscita a semplificare concetti complessi e studiare è stata una passeggiata!»

«Ma io e te abbiamo fatto un esame diverso?» chiese improvvisamente Sirius al Serpeverde, perché i ragazzi non concordavano con la leggerezza delle ragazze. Loro tutta questa semplicità non l’avevano vista.

«Comunque alla fine avete deciso che fare dopo?»

Dopo l’orientamento professionale non avevano ancora parlato dell’argomento, ma fu inevitabile che uscisse. Era strano come nonostante l’inevitabile, cioè il fatto che si sarebbero divisi, tutti fossero estremamente tranquilli nel credere che avrebbero continuato a frequentarsi. Riponevano grande fiducia nel loro legame.

«Io ho ricevuto conferma da Oliver qualche giorno fa via gufo e stavo aspettando il momento giusto per dirvelo! Lo raggiungo al Puddlemere United!» la voce di Sirius era raggiante, mentre tutti si congratulavano con lui.

«Anche io ho ricevuto la risposta che aspettavo dalle Vepse di Winbourne e dovrei essere dentro, come riserva!» Sonia lo disse stringendo i pugni vittoriosa. Era abbastanza scontato che i loro amici avrebbero seguito la strada sportiva.

«Io inizierò uno stage al San Mugo, reparto Lesioni da Incantesimo!» disse fieramente Margaret, mentre stringeva più forte la tracolla a sé.

«Io e Sole abbiamo inviato alcuni nostri articoli, della rubrica che teniamo per il giornale della scuola, al Il Salotto di Shimpling e che dire… a loro sono piaciuti davvero molto! Sarà divertente perché seguiremo gli eventi più importanti all’interno delle Scuole Magiche del Mondo!»

«Pensavamo fosse un’idea innovativa una rubrica che porti a conoscere usi e costumi del mondo magico attraverso le scuole sparse nel mondo. Le materie che insegnano, le attività e per non parlare delle iniziative…»

«Wow concordo è davvero un’idea originale, già vi leggo con piacere non mancherò di continuare a farlo!» esclamò Margaret con gli occhi che le brillavano. Ora tutti guardavano Zabini, l’unico che non aveva ancora parlato e lui si passò nuovamente la mano tra i capelli, ma questa volta con fare nervoso.

«Oh io niente di così entusiasmante rispetto a voi…»

«Sì vergogna perché lavorerà con suo padre alla Gringott come spezza incantesimi!» esclamò improvvisamente Sydney stringendo il braccio del fidanzato che subito si irrigidì. Con lei erano arrivati anche gli altri.

«E che c’è di male in questo?»

«È quello che gli dico io Sonia, ma questo capoccione si è messo in testa che non è abbastanza figo come lavoro!»

«Perché è così! Mio padre ha solo messo una buona parola, ma non sono sicuro che è quello che voglio fare. Sapete la Preside mi ha detto che l’anno prossimo l’insegnante di Volo va in pensione e… che se ero interessato…»

«Oh no! No no no no, come mio insegnante no!» adesso era Sydney quella a disagio, aveva parlato così ad alta voce che tutti la guardavano, mentre ferma in mezzo al corridoio fissava in cagnesco il proprio ragazzo. Adesso era lui a ridersela.

«E che c’è di male in questo?» chiese lui facendole il verso e presto i due ripresero a battibeccare, mentre tutti scuotevano il viso con un sorrisino sulle labbra, ormai abituati al loro singolare modo di stare insieme.

 

Una promessa era debito e così sabato mattina Soleil, Sirius, Daniel e Anne uscirono dalla Sala Grande e salirono la scalinata di marmo diretti al secondo piano. La Serpeverde e il Grifondoro erano i più alti della piccola delegazione, sembravano quasi due Torri che muovendosi su una scacchiera scortavano i due alfieri, la Corvonero e il Tassorosso, che tra loro camminavano. Soleil indossava la collana, Sirius aveva infilato la spada nella tracolla sulla quale Margaret aveva lanciato un incantesimo di estensione, mentre Anne e Daniel avevano fatto stare senza problemi i loro monili nella propria. Arrivati a metà corridoio, vuoto a quell’ora, si fermarono di fronte ai due gargoyle pronti a provare la parola d’ordine suggerita loro da Zabini e incredibilmente la stessa funzionò.

Il mascherone improvvisamente prese vita e fece un balzo di lato, mentre la parete si apriva. Dietro di essa c’era una scala a chiocciola che si muoveva dolcemente verso l’alto, come una scala mobile. Guardandosi i quattro ragazzi vi salirono e a quel punto udirono il tonfo della parete che si richiudeva alle loro spalle. Salirono a spirale, su su, sempre più in alto, fin a che non videro di fronte a loro una porta di quercia lucente con un batacchio di rame a forma di grifone.

Nervosi lasciarono che Anne bussasse, avevano aspettato di vedere la preside lasciare la Sala Grande per poi, dopo averle dato un po’ di vantaggio, incamminarsi per incontrarla.

La porta si aprì senza fare rumore e una volta entrati si guardarono intorno colpiti dallo studio della McGranitt. Era una stanza circolare, grande e bella, piena di soprammobili inerenti al quidditch. Su alcuni tavoli dalle gambe lunghe e sottili, vi erano posati eleganti strumenti magici che i ragazzi non avevano mai visto, ma che Anne riconobbe come appartenenti alla cultura celtica e druida. Le pareti erano ricoperte di ritratti di vecchi e vecchie presidi, che li osservavano curiosi. C’era anche un’enorme scrivania con le zampe ad artiglio, e dietro, su uno scaffale, era poggiato un cappello da mago, frusto e stracciato… il Cappello Parlante.

Improvvisamente un rumore fece sobbalzare i quattro, scorgendo nella penombra dietro la scrivania una figura avanzare: era la preside. Con il suo solito cipiglio austero li guardò tra la sorpresa e il rimprovero.

«Il più strano assortimento di ragazzi che avrei mai immaginato di trovare nel mio ufficio. La prima domanda che dovrei porvi e come avete fatto a entrare, ma considerando la singolarità dell’evento credo che chiederò qualcos’altro: cosa ci fate qui?» e chiedendolo avanzò dolcemente fino alla scrivania per poi lasciarsi cadere sulla propria poltrona.  Indicò ai ragazzi di sedersi di fronte a lei, mentre delle sedie comparivano dopo che lei mosse piano la bacchetta.

I quattro ragazzi si guardarono nervosi e poi Anne, dopo aver deglutito il vuoto, cercò nella sua borsa e ne trasse fuori la pergamena con la filastrocca che porse alla professoressa.

«Ehm quasi tre anni fa… abbiamo trovato questa, o meglio ognuno di noi ne ha trovato un pezzo. Non abbiamo idea di come possa essere giunta in nostro possesso, ma… diciamo che è stato l’inizio di eventi… singolari…»

Anne aveva parlato con lentezza, mentre la professoressa McGranitt leggeva la pergamena davvero incuriosita, erano parole che avevano un non so che di familiare nel modo in cui erano porte e nel messaggio celato che volevano inviare. Per un attimo si voltò a fissare il Cappello Parlante e poi tornando a guardare i ragazzi li invitò a continuare.

«Nessuno di noi ha dato peso a ciò. Non abbiamo intrapreso cacce al tesoro né ci siamo soffermati davvero sul valore di queste parole…»

Alla McGranitt sfuggì un sorriso malinconico, improvvisamente gli erano venuti in mente Potter e i suoi amici: Weasley e Granger. Tutt’altra pasta, avrebbero fatto esattamente il contrario eppure qualcosa le diceva che quei ragazzi non erano lì solo per raccontarle una storia.

«Vede Preside, in questi anni ognuno di noi ha dovuto superare momenti difficili…» Soleil aveva preso la parola e con lo sguardo fiero parlava, non mancando di rivolgere un sincero sorriso agli amici al suo fianco. «Ma per quanto per ognuno ha significato qualcosa di diverso, siamo riusciti ad andare avanti grazie all’amicizia che tra noi, e gli altri, ragazzi di casate diverse, è intercorsa…»

La McGranitt era infatti colpita, in tanti anni di insegnamento ed ora da direttrice non aveva mai visto un gruppo formato da così tanti ragazzi diversi tra loro. Che erano andati perfino oltre alle loro differenze relative alle case di appartenenza.

«Solo che mentre affrontavamo le nostre paure e ostacoli… ecco, come dire… scatenavamo una serie di eventi che ci ha portato a scoperte incredibili!» dicendo questo Sirius allungò una mano nella propria tracolla e ne sfilò una lunga custodia di velluto nero, che si scoprì essere il panno che avvolgeva la Spada di Grinfondoro. La McGranitt la osservò stupita, non era stata tra le reliquie andate distrutte perché un Hocrux, ma dopo tali eventi era scomparsa e più nessuno l’aveva vista.

La stava ancora osservando, mentre anche gli altri avevano poggiato i propri tesori sul tavolo.

«Questi oggetti sono venuti a noi senza cercarli. Li abbiamo trovati nel momento in cui ci rivelavamo essere i protagonisti dell’indovinello che stringe tra le mani. Ognuna è “venuta” a noi quando ci trovavamo ad affrontare la sfida per noi più difficile. In stanze che credevamo mitiche e invece sono reali…»

La McGranitt ora osservava gli oggetti con gli occhi fuori dalle orbite, teneva le mani intrecciate davanti al viso con i gomiti sulla scrivania. Quando tornò a guardarli tuttavia nel suo sguardo non c’era severità, ma solo profonda commozione.

«Signor Abercrombie, Signorina Rachelle, Signor Pawdeen e Signorina Strange…» li chiamò ad uno ad uno fissando prima la reliquia e poi la persona di cui pronunciava il nome. «A noi di Hogwarts e tutti i suoi illustri Presidi voglio ringraziarvi. Queste sono una scoperta incredibile, ma più di tanto sono un segno di speranza. La guerra è finita, è vero, ma in questo periodo di pace c’è ancora tanto da ricostruire. Dopo un lungo periodo di conflitto, in cui famiglie e amici si sono messi l’uno contro l’altro, per pura e semplice paura… la vostra unione e quello che ha generato è un segno che non può essere ignorato!»

Con quelle parole, un cospicuo numero di punti a ognuno di loro per quell’importante gesto e la promessa di una grande festa per celebrare l’evento oltre che la fine dell’anno, li congedò. Non prima di aver regalato ad ognuno una scatola di latta di zenzerotti. La porta si era appena chiusa, quando voltandosi verso uno dei quadri notò due grandi occhi azzurri, nascosti dietro due lenti a mezzaluna, guardarla sorridente.

«Te lo avevo detto Minerva!»

«Non riesco ancora a crederci Albus, ma come è possibile! Quegli oggetti non dovrebbero più esistere…»

«Oh mia cara amica, credi davvero che il coraggio, la sapienza, la lealtà e l’astuzia siano qualcosa che si possano distruggere?»

A quella domanda retorica la donna scosse il capo e guardando il Cappello Parlante prima e il ritratto di Albus Silente poi, comprese cosa doveva essere successo.

«Siete stati voi vero?»

«Oh su su, è stato solo un piccolo aiutino… che… devo dire, hanno saputo leggere meglio di quanto sperassi!»

«In altri tempi altri studenti avrebbero dato vita a un’avventura!»

«E questa forse non lo è stata? Semplicemente quali sono i canoni per cui definiamo un’avventura tale? Ogni viaggio è unico a suo modo!»

Silente era seduto sulla sua elegante poltrona di velluto rosso e mangiava allegramente una cioccorana.

«Quindi, sono davvero gli Eredi?» chiese la preside tornando a fissare le reliquie e poi di nuovo il suo caro amico.

«Certo! Sono gli Eredi dell’insegnamento più importante che questa scuola, con i suoi Fondatori, hanno voluto lasciarci. Uno che per vari motivi, abbiamo perso di vista da molti anni. Harry lo ha capito alla fine, ma durante i suoi anni scolastici lo ha osteggiato come suo padre prima di lui…»

«Da che ricordo non avevo mai visto un Grifondoro e un Serpeverde andare così d’accordo…» esclamò la McGranitt pensando ai molti di entrambe le casate che in quel gruppo si erano uniti, ma non si trattava solo di loro.

«Ragazzi di quattro casate diverse che senza indugi, pregiudizi o remore sono diventati amici. Il tutto instaurando un forte legame di fiducia reciproca. È l’avvertimento che il Cappello Parlante da anni lancia: state vicini, restate uniti. Questa unità tra le case va oltre Hogwarts Minerva, è una promessa per il domani…»

«E una nuova speranza che nasce!» concluse lei che, ormai vicino alla finestra, sorrideva osservando nel parco il gruppo di amici ridere e scherzare, seduti all’ombra del grande faggio.

 

 

 

 

 

 

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