Dalle ceneri di chi c'era stato

di anonimo_21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ceneri ***
Capitolo 2: *** "Fuoco" ***
Capitolo 3: *** "Rinascita" ***



Capitolo 1
*** Ceneri ***


“Ceneri”
Lo scoppiettante crepitio di tutto il fuoco a cui l’esplosione aveva dato inizio accompagnava l’ascesa del fumo verso il cielo nuvoloso, dal quale di contro cadeva una pioggia fitta. Vi, ferita, aveva trovato riparo e piangeva per tutto il dolore che quella notte le aveva portato. In preda alla rabbia ed alla disperazione aveva abbandonato Powder davanti al corpo morto di Vander e se n’era andata. La ragazza si guardò di nuovo le mani insanguinate con le quali aveva colpito la sorella e si sentì ancora peggio. Non riusciva a riflettere, ad essere lucida, sebbene di solito lo fosse sempre. Ma quel che era successo questa volta andava ben oltre ciò che poteva sopportare: paura, dolore, rabbia, lutto… tutti insieme l’avevano sovrastata. Mente e corpo chiedevano pietà. Aveva solo bisogno di fermarsi un attimo, pensare… Non poteva credere che tutto ciò fosse successo davvero. Non poteva essere vero…
Ma non le venne lasciato nemmeno il tempo di soffrire. Gettò uno sguardo verso la direzione da cui era arrivata e lo vide, vide l’uomo che in una notte aveva odiato più di chiunque altro in tutta la sua vita. Egli era in piedi a sua sorella, nella mano stringeva un coltello che rifletteva la luce delle fiamme circostanti. A quella vista Vi chiamò a raccolta tutta la forza che le era rimasta, determinata a proteggere la sorella anche a costo di morire combattendo. Ma non appena fece qualche passo si sentì afferrare: qualcuno la bloccò e le mise una mano sulla bocca. Vi si dimenò, cercò di liberarsi, ma sentiva la disperazione crescere mentre realizzava che non avrebbe mai raggiunto la sorella. Riuscì a sentire colui che l’aveva stretta sussurrare qualcosa, poi l’oblio la colse. 
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Vi si svegliò ansimante e stesa su di un letto sconosciuto. Si guardò attorno e capì dove si trovava: era una cella. Le pareti erano rovinate e tremendamente anonime, le sbarre d’acciaio erano arrugginite ma ben fissate; da esse proveniva una flebile luce, che illuminava un lavandino sovrastato da uno specchietto sferico. Il silenzio opprimente era rotto da un solo lamento sofferente, imperterrito, proveniente da chissà chi e chissà dove. Quel suono le faceva venire i brividi. Com’era arrivata in quel posto?
 Ancora frastornata si alzò per avvicinarsi e guardarsi allo specchio. Tutto il suo corpo era visibilmente provato: Vi si vide allo specchio e si accorse di essere colma di ferite e lividi anche sul volto, e che le sue guancie erano bagnate dal pianto. Allora la ragazza capì, ricordò, e si gustò amaramente l’ultimo momento di tregua psicologica regalatole dal sonno, consapevole del vortice emotivo che stava per coglierla. Il primo mattino dopo una tragedia è sempre terribile, poiché per un attimo si è ancora convinti che nulla sia cambiato rispetto al giorno precedente, e, invece, ci si ritrova a dover fare i conti con un nuovo tremendo stato delle cose. Vi riuscì a vedere lo stupore dato da quella presa di coscienza crescere nei suoi occhi e diventare qualcosa di peggiore, mentre  raggiungeva quella consapevolezza terribile: non era stato un sogno.
L’angoscia la assalì e le tolse il fiato. I ricordi di ciò che era successo le riempirono la testa di sensazioni ed immagini stranzianti: il momento in cui si era autodenunciata, l'attentato a Grayson, la morte di Benzo, poi la lotta, il sudore, il sangue ed infine Claggor, Mylo, Vander, Powder...
Dovette aggrapparsi al lavandino con entrambe le mani per non cadere a terra. Aveva perso tutti in una notte. Non era stata in grado di fare nulla, non era stata in grado di proteggere né salvare nessuno. Anzi, era colpa sua. Se non avesse deciso di agire forse le cose sarebbero andate diversamente. Ma ormai il passato era passato. Ora era sola al mondo e chiusa in una prigione buia, soffocante, tremenda. A tenerle compagnia c’era solo un lamento straziante, identico a quello che Vi avvertiva nella sua mente, laddove i suoi sensi di colpa non le davano pace e non le concedevano riposo. Le lacrime ricominciarono a solcare le sue guance, riaprendo le ferite che incontravano sul loro cammino. Quella vista le causò un moto di disperato furore: Vi gridò mentre colpì lo specchio, rompendone una parte. Alcuni frammenti le graffiarono le la mano destra: altro dolore. Non le rimaneva che dolore…
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Passarono i giorni, le settimane, i mesi forse: il tempo per Vi non aveva più alcun valore. Passava ogni giorno come se fosse in un limbo, compiendo azioni ripetitive sempre uguali. Aveva passivamente imparato a che ora era la sveglia, quando erano i pasti, le pause dai lavori forzati, aveva capito (da subito in realtà) che lì dentro non avrebbe potuto fidarsi di nessuno. Dentro a quell’inferno non c’era nulla che riuscisse a distrarla dai suoi sensi di colpa, dunque Vi aveva cercato di svuotare la sua mente, ed ora viveva come se non avesse un’identità, che, di fatto, non aveva più. Con la morte della sua famiglia, la sua seconda famiglia, tutto aveva perso di significato, perfino la sua identità, perfino la sua vita. Che motivo aveva di vivere, se non c’era più nessuno per cui valesse la pena andare avanti? Aveva già fallito nel difendere chi avrebbe dovuto. Era stata colpa sua, unicamente colpa sua, perciò questo era il destino che si meritava. Dunque la ragazza passava le sue ore libere nella cella a fissare il vuoto, lei stessa era come un guscio vuoto ormai. Ma comunque c’era sempre in sottofondo un lamento incessante, che non la lasciava libera, mai. Cercava di ignorarlo, di continuare a non pensare a niente, ma quello premeva sulla sua coscienza, penetrando nella barriera di indifferenza e totale apatia che Vi aveva faticosamente costruito nella sua mente, fino a quando il vortice emotivo non tornava a prendere il sopravvento su di lei. Troppe volte era già finita così. Non importava quanto cercasse di non pensarci, di andare oltre: comunque finiva a soffrire pensando al passato perduto. Già da tempo Vi aveva perso il conto di tutte le volte in cui aveva finito le lacrime…
 

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Capitolo 2
*** "Fuoco" ***


Vi credeva di aver trovato una via d’uscita dal turbine di sensi di colpa che la opprimeva costantemente da quella fatidica notte: aveva compreso che fra tutte le emozioni che a lungo l’avevano assalita la rabbia era l’unica in grado di tenerla in vita. Del resto nella prigione nulla era cambiato da quando era arrivata. Le mura della sua cella, tuttavia, ora erano testimoni silenti del suo trascorso: esse mostravano i segni di scariche e scariche di pugni, con notevoli chiazze rosse ovunque, laddove Vi si era immaginata le concretizzazioni di tutti gli errori della sua vita, su cui aveva scagliato tutta sé stessa. Anche quella sera, nonostante fosse notte inoltrata e le luci principali della prigione fossero state spente ormai da ore, era ancora sveglia ed intenta a prendere il muro a pugni. Il sudore le scorreva ovunque, ed il suo respiro era affaticato, ma comunque Vi non smetteva, era imperterrita, infermabile. Con la coda dell’occhio vedeva il suo sangue scintillare alla luce fioca della cella mentre cadeva dai suoi pugni, ma non le interessava. A causa di tutto quel picchiare con cui aveva iniziato a riempire ogni sua giornata le mani le facevano sempre male, ma la mente soffriva un po’ meno. Comunque non aveva mai smesso di sentire il lamento straziante, che era sempre identico. Ora però Vi aveva trovato la forza di rispondergli, cercando di sovrastarlo: urlava sempre più forte, tirando pugni su pugni, come quando si allenava con i suoi amici nel covo a Zaun.
Dopo chissà quanto tempo Vi si fermò e, respirando affannosamente, appoggiò il braccio destro dolorante alla parete che aveva appena finito di colpire. La ragazza si fermò e guardò le nuove crepe che aveva lasciato nel muro: lentamente stava sbriciolando tutte le piastrelle di quella parete, non che le importasse. Vi camminò con passò lento fino al lavandino, dove, dopo essersi tolta le fasce ormai vermiglie grondanti, incominciò a lavarsi via il sangue e la polvere dalle mani, facendo smorfie di dolore ogni volta che l’acqua le riapriva una ferita ormai chiusa ma non del tutto rimarginata. Quando ebbe finito si levò di dosso la maglietta e la strappò per farne delle altre fasce, che avvolse attorno alle sue mani in un processo che conosceva a memoria. Il giorno dopo le sarebbe toccato cercare qualche altro straccio o portare via con la forza un’altra divisa a qualche maledetto detenuto, ma ormai era un evento ricorrente, pensava. Mentre armeggiava con quei pezzi di tessuto ebbe modo di guardarsi in ciò che rimaneva dello specchio che aveva rotto tempo addietro: non provava interesse per l’immagine di sé che vedeva, solo i suoi occhi attiravano la sua stessa attenzione. Le sembrò di vederci dentro il fuoco, lo stesso di quella fatidica sera che era ancora al centro dei suoi pensieri: il ricordo di chi c’era stato non la abbandonava, così come neanche lei voleva lasciarlo andare del tutto. Continuava a darsi la colpa di ciò che era successo, ma ora almeno non si lasciava più annullare totalmente da quel senso di colpa. Morte le persone a lei care, il passato non aveva alcun valore, ed allo stesso modo Vi riteneva insignificante anche il suo futuro, ma almeno era ancora viva. Questa era l’unica conclusione che aveva raggiunto, questo era l’unico risultato che aveva ottenuto: era ancora viva.

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Capitolo 3
*** "Rinascita" ***


​Ancora una volta Vi era stata capace di aprirsi la strada nella vita con i pugni, almeno in quello era sempre stata brava: a nessuno era passato inosservato il suono delle nocche sulla pietra che persisteva anche di notte, dunque ora molti detenuti la temevano. Vi non era mai stata coinvolta in una rissa da quando era in prigione, ma nessuno ci teneva a vederla in azione visto la fama che si era fatta. D’altro canto nella vita della ragazza, ancora una volta, nulla era cambiato. La sua routine era sempre la medesima. Nulla di ciò che accadeva in quel luogo le importava, e lo stesso valeva per gli altri prigionieri, dai quali voleva tenersi alla larga quanto più possibile, forse per disprezzo, forse per paura, forse per indifferenza: la verità era che non lo sapeva e non le interessava minimamente.
Poi, finalmente, un giorno accadde qualcosa che valesse la pena di essere ricordato. Durante un pasto, tutti i detenuti si erano recati nella mensa della prigione ed avevano preso posto ai tavoli. Vi era seduta ad un tavolo come gli altri quando vide entrare nella mensa quello che doveva essere un nuovo detenuto. Egli era di grande stazza, per gran parte coperto da degli strani tatuaggi ed aveva un pesante piercing al naso. Portava sul petto il numero riconoscitivo “2135”. Non c’era nulla di strano in tutto ciò: non era certo la prima volta che arrivava un nuovo prigioniero, inoltre a guardar l’aspetto in quella prigione ce n’erano di ben più minacciosi di lui, perciò chiaramente nessuno diede il minimo peso alla cosa. Ma a Vi invece si era gelato il sangue. Guardò incredula il nuovo arrivato andare a prendere qualcosa da mangiare per poi sedersi ad un tavolo. Non ci poteva credere. Era uno degli scagnozzi di Silco, ne era sicura. Lo riconobbe perché li ricordava tutti perfettamente, uno ad uno: lui era quello che lei aveva abbattuto per primo nel combattimento di quella fatidica notte. Vi sentì un odio viscerale crescerle in corpo. Si alzò e si diresse verso di lui, afferrando nel mentre un solido vassoio d’acciaio. Lui la vide arrivare, ma solo all’ultimo momento i suoi occhi ebbero un moto di stupore. Dentro di sé Vi gioì, cosciente e crudelmente contenta di essere stata riconosciuta da lui, ma comunque il tutto durò solo qualche momento. La rabbia era al culmine. Bastò un solo potentissimo colpo di Vi per abbattere il colosso ed un istante dopo la ragazza era sopra di lui e lo stava massacrando. La rabbia cieca di Vi uscì da lei e travolse tutto. Nel silenzio ovattato che percepiva nonostante il rumore confuso che si era generato attorno a lei, l’unico suono era quello delle ossa che si frantumavano sotto i suoi colpi. Qualcuno la afferrò per fermarla, probabilmente una guardia della prigione, che finì sbattuta malamente a terra. In un baleno le furono addosso in molti, e Vi, che aveva perso ogni controllo, continuò ad urlare e lottare con tutte le forze che aveva in corpo, finché non fu sopraffatta.
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Una sensazione di freddo pungente alla schiena estrasse Vi dal suo sonno. La ragazza, ancora inebetita, prese coscienza del suo corpo. Era seduta con la schiena contro una parete e ed era pesantemente ammanettata: ogni tentativo di liberare le mani era inutile. Vi cercava di capire dove si trovasse guardandosi attorno ma c’era solo il buio con lei. Dedusse che probabilmente si trovava in una di quelle famose celle per l’isolamento di cui aveva solo sentito parlare. Era ancora peggiore della sua. Più piccola, più opprimente, più chiusa, e totalmente buia. Ma ben presto si rese conto con immensa gioia che una differenza c’era. Una differenza fondamentale c’era: non si udiva alcun lamento. Finalmente, per la prima volta dopo un tempo indefinito finalmente Vi provò un’idilliaca sensazione di libertà e leggerezza, non avvertendo più il peso che l’aveva schiacciata chissà quanto a lungo. Dopo aver sfogato mesi e mesi di emozioni negative, represse, devastanti su un individuo simbolo della sua sofferenza si sentiva come rinata una seconda volta. Vi si godette questa sensazione felice come mai avrebbe pensato di poter tornare ad essere.
Passata una notte, una guardia dalla stazza enorme con un grosso mazzo di chiavi venne ad aprire la porta di cemento armato per ricondurre Vi alla sua solita cella. Il periodo di isolamento era finito a quanto pare. Vi ritrovò nella sua cella tutto come l’aveva lasciato, ma anche lì i lamenti non la tangevano più ora. Finalmente aveva ritrovato una sorta di equilibrio interiore: sfogarsi era stato fondamentale. Tutto ora le appariva in maniera diversa, come se avesse cambiato radicalmente punto di vista. Si mise davanti allo specchio rotto, dentro il quale le sembrò di vedere un’altra persona, una persona… migliore, in qualche modo. Per la prima volta guardò con interesse tutto ciò che era cambiato in lei da quando era finita in prigione. I suoi capelli era ciò che meno le sembrava di riconoscere: erano più lunghi e disordinati, trasandati addirittura. Cercò di dar loro un poco di ordine dando un colpo secco ma lento con la mano sinistra. Le piacque la forma che presero e decise che d’ora innanzi li avrebbe tenuti così. Poi si soffermò per guardarsi negli occhi come aveva fatto in passato grazie a quello stesso specchio, ed in quel momento la scritta “VI” sul suo volto le sembrò brillare di luce rossastra.


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…quello stesso giorno qualcuno venne da lei. Vi aveva già ripreso il suo allenamento: mentre colpiva e colpiva il muro sentì un passo diverso dal solito avvicinarsi alla cella.
“Chi diavolo sei?”



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Vi ringrazio molto per essere arrivati fin qui. Questa fanfiction è stata impegnativa da scrivere, quantomeno più di altre. Ne scrissi una prima versione ormai quasi un mesetto fa, ma non mi convinceva appieno, neanch'io riuscivo a capire perché, dunque mi sono anche fatto dare qualche consiglio da un amico fidato grazie al quale mi sono reso conto di avere uno stile di scrittura eccessivamente essenziale. Ho riscritto tutto quanto cercando di dare il giusto spazio ad ogni sezione del testo al fine di rendere il tutto un poco più concreto: forse ci sono riuscito, ma questo dovrete dirmelo voi. Come al solito, ogni vostro commento, parere, pensiero è bene accetto. Spero che questa fanfiction vi abbia fatto provare qualche emozione, che alla fine è il mio scopo principale quando scrivo. Vi ringrazio nuovamente e vi saluto. Ci vediamo al prossimo testo!

-Anonimo_21

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