Pelle dura, cuore tenero

di RoryJackson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno strano incontro, Parte I ***
Capitolo 2: *** Uno strano incontro, Parte II ***
Capitolo 3: *** Rabbia inaspettata ***
Capitolo 4: *** Tregua ***
Capitolo 5: *** Notizie - Parte I ***
Capitolo 6: *** Notizie - Parte II ***
Capitolo 7: *** Verità nascoste, parte I ***
Capitolo 8: *** Verità nascoste, parte II ***
Capitolo 9: *** Incomprensioni, parte I ***
Capitolo 10: *** Incomprensioni, parte II ***
Capitolo 11: *** (Ri)scontri ***
Capitolo 12: *** Cambiamenti ***
Capitolo 13: *** Timori ***
Capitolo 14: *** Ritorno ***
Capitolo 15: *** Imprevedibilità ***
Capitolo 16: *** Conoscenze ***
Capitolo 17: *** Racconti ***
Capitolo 18: *** Controllo ***
Capitolo 19: *** Bugie e falsità - Parte 1 ***
Capitolo 20: *** Bugie e falsità - Parte 2 ***
Capitolo 21: *** Bugie e falsità - Parte 3 ***
Capitolo 22: *** Umani contro ricci - Prima parte ***
Capitolo 23: *** Umani contro ricci - Seconda parte ***
Capitolo 24: *** Stranezze - parte 1 ***
Capitolo 25: *** Stranezze - parte 2 ***



Capitolo 1
*** Uno strano incontro, Parte I ***









 

Rory continuava a fissare la fotografia sul comò accanto al letto sul quale era sdraiata, con aria assente e assorta. La fotografia ritraeva lei da piccola con un piccolo arco alla spalla; una vispa bambina dalla carnagione candida, dai grandi occhi verdi e lunghi capelli castani, in braccio ad un uomo giovane e affascinante, al cui fianco vi era una donna dal viso amabile e lo sguardo gentile. Papà e mamma.
Sembravano passati secoli, invece da quella foto erano trascorsi otto anni. E dopo otto anni solitamente le persone imparano a convivere con il dolore di una perdita, ma non quell'affascinante giovane della foto.
La ragazza tirò fuori un sospiro veloce, si alzò, andò in bagno per darsi una rinfrescata e cambiò maglietta, mettendone una giromanica rosa. Lei e due suoi amici avevano organizzato di fare un falò in spiaggia, per questo lei preparò tutto l'occorrente in uno zaino: cellulare, asciugamano, acqua, carte da gioco, tenda, sacco a pelo leggero e, sebbene fosse sicura che non ce ne sarebbe stato bisogno, anche il kit medico per ogni emergenza.
Un uomo dai radi capelli grigi apparve sull'atrio della cucina, con indosso una vecchia canottiera bianca troppo larga e un paio di pantaloncini opachi e slabbrati.
"Rosa, dove vai?" chiese, poco più lucido di un ghiro in letargo. Suo padre era l’unico, ormai, a chiamarla con il nome di battesimo.
"Papà, te l'avevo detto tre giorni fa di aver organizzato un falò in spiaggia insieme a Jessica e Christian".
L'uomo, che stava per compiere cinquant'anni ma che sembrava ben più anziano, dopo un breve periodo trascorso a pensare, annuì. Cercò di sorridere.
"Fai bene. Sei giovane" mormorò lui, ritornando a sedersi su una delle sedie in cucina, "non fare troppo tardi, anche se stai qui vicino. Stai atten..."
"Sì, papà, sarò attenta all'uomo nero e agli alieni!" disse lei sorridente, mentre corse da suo padre a dargli un abbraccio ed un bacio sulla guancia, "mentre dormivi ti ho preparato la cena, sta in frigo. Devi solo riscaldarla".
L'uomo annuì con gratitudine, dopodiché la giovane si avviò all'uscio di casa e, dopo aver salutato con la mano suo padre, corse fuori desiderosa di impegnarsi anche ad essere felice.
Era una vera fortuna abitare vicino al mare, soprattutto in una stagione calda come l'estate. L'aria era inebriante e il panorama senza eguali: il sole era in procinto di tramontare e il cielo era variopinto delle più belle sfumature di arancio che, mescolandosi con quel cielo cobalto, creava un connubio di toni rosa pesca e salmone.
Dopo aver raggiunto la spiaggia ed aver camminato un pochino sulla sabbia granulosa, posò la borsa a terra e prese il cellulare per chiamare i compagni di viaggio. Quando, d'un tratto, qualcosa catturò la sua attenzione: dal cielo stava cadendo qualcosa e quando Rory capì che non si trattava di una cosa ma di qualcuno, si inquietò. L'essere sprofondò di testa nell'acqua profonda, provocando un'onda d'urto intensa che fece levare le onde del mare. La giovane suppose che doveva essere svenuto di sicuro, altrimenti non sarebbe mai caduto in quella posizione o quantomeno si sarebbe preparato all'impatto, per questo decise di togliersi la maglietta e i jeans e, nonostante fosse in intimo, si tuffò in mare nuotando con tutta la forza che aveva.
Non era sicura di riuscire a salvarlo, era caduto troppo lontano dalla costa e lei, per quanto fosse un'abile nuotatrice, non possedeva alcun super potere. Tuttavia, dopo circa cinque minuti di nuoto, lo trovò sprofondato a circa sette metri. La ragazza dovette trattenere un urlo, in quanto era immersa nell'acqua: davanti a lei vi era una creatura, una strana creatura nera, dalla forma umanoide, ma il suo aspetto era tutt'altro che umano. Aveva una forma strana, molto sproporzionata: il corpo era esile e piccolo, al contrario della testa molto grande. Il capo, fino alla schiena, era tempestato da una moltitudine di spuntoni aguzzi, alcuni di essi erano striati di un rosso carico. E lo erano anche le braccia e le gambe, molto sottili, mentre il petto era coperto da un sottile strato di peluria bianca. Le mani erano coperte da guanti bianchi mentre ai piedi calzava un paio di scarpe particolari, dalla suola di metallo laccato di colore rosso. Quelli che le parvero essere gli enormi occhi di quello strano essere, erano chiusi. Inoltre, la giovane notò che nelle mani teneva stretti degli oggetti, ma non riusciva a capire bene cosa fossero.
Salì di nuovo in superficie e prese un lungo respiro prima di tuffarsi nuovamente: umano o no, si sentiva in dovere di salvarlo. Per questo, con un po' di sforzo, si inabissò raggiungendolo per poi prendergli il polso e trascinarlo fuori. Ma prima che potesse farlo si accorse che le cose che teneva nelle mani la creatura scivolarono verso il fondo: erano due grosse gemme, una trasparente e l'altra color rubino, che decise di raccogliere prima che toccassero la sabbia. Sollevò la creatura con sé, trovandola stranamente leggera da trasportare, sopra la superficie del mare, pregando Dio che respirasse ancora.
Nuotò più veloce che poté, per quanto fosse possibile dal momento che stava portando in braccio una creatura e due grosse pietre piuttosto pesanti. Rory cercò di tenergli fuori dall'acqua la bocca e il naso, per farlo respirare, dopodiché stremata, trascinò l'essere sulla spiaggia, ben al riparo dalle onde.
Dopo un minuto buono trascorso al suo fianco a riprendere fiato, la ragazza si mise in ginocchio, posandogli una mano sul petto e un'altra sulla bocca leggermente socchiusa.
"Ti prego, ti prego, respira..." sussurrò lei, non sapendo se pregare lui o il cielo.
Respirava ancora. Era vivo. Rory sospirò tranquillizzata, almeno il suo intervento era servito a qualcosa. Perse un altro minuto a studiarlo nei minimi dettagli, non aveva mai visto una creatura così strana; constatò che dovesse provenire da un altro pianeta. Un robot non poteva essere: aveva un cuore che batteva e si vedeva bene che il petto di quell'essere andava su e giù a ritmo del respiro.
"Beh, papà, ho incontrato un alieno, ma almeno non mi hanno rapita ancora..." mormorò tra sé e sé, stupefatta.
Rory si voltò, dando le spalle alla creatura e prese tra le mani una delle due gemme, quella trasparente, esaminandola. Sembrava un vero e proprio diamante, solo dalle dimensioni enormi; per assicurarsi che non cadesse, doveva tenerla con due mani. Inoltre era piuttosto pesante, quindi non poteva trattarsi di semplice plastica. Continuò a fissarla fin quando non sentì dei movimenti sulla sabbia, dietro di lei. Si voltò nuovamente e vide la creatura muovere il capo a destra e a sinistra, come se avesse un incubo e stesse cercando di svegliarsi.
Rory nascose le gemme in una tasca segreta della sua borsa che aveva lì, poco lontano, ignara delle conseguenze delle sue azioni. Avrebbe dovuto andarsene o avrebbe dovuto restare? E se quella creatura non parlasse la sua lingua? E se l'avesse aggredita? Troppi erano i dubbi e non aveva voglia di rischiare. Si alzò in piedi, si rivestì più in fretta che poté, prese la sua borsa, dimenticandosi completamente del fatto che le gemme fossero ancora lì dentro, e camminò velocemente verso la parte opposta da dov'era venuta.
"Chi sei?" Chiese una voce dietro di lei. Era una voce maschile, calda e profonda, stranamente umana. Rory si fermò impietrita. Possibile che fosse lui...? Girò il viso verso la voce, la quale proveniva effettivamente dalla creatura, completamente sveglia e all'impiedi.
Questa volta, Rory, poté ben vedere gli occhi dell'essere: dalla forma leggermente triangolare, confinavano con il muso beige. Le iridi erano rosse come il fuoco ed erano così grandi e strane da inquietarla.
"Chi sei?" Ripeté lui in un tono neutro, avvicinandosi di qualche passo. Rory questa volta si voltò completamente verso di lui, perché qualcosa dentro di lei le fece capire che scappare non le sarebbe servito a nulla.
"Mi chiamo Rory", mormorò, con molta circospezione, rispondendo alla sua domanda. Niente di più, niente di meno. La creatura volse il viso verso il mare, sembrava sovrappensiero. Poi ritornò a rivolgerle lo sguardo, puntandolo soprattutto sui capelli e sulle parti bagnate dei vestiti della ragazza.
"Sei stata tu?" chiese. Rory non sapeva cosa rispondere, sbatté sbigottita le palpebre e si morse il labbro - com'era sua abitudine fare quando era nervosa. Si guardò la maglietta, per poi ritornare a rivolgergli lo sguardo. Quella situazione le sembrava assurda: stava parlando con un alieno o era un sogno?
"Se ti riferisci al fatto di averti tirato fuori dall'acqua, sì", replicò lei, senza pensarci troppo.
L'espressione della creatura si contrasse leggermente. Era infastidita? Era arrabbiata? Incredula? Rory non lo sapeva.
"Hai visto qualcos'altro, oltre me, cadere?"
"A cosa ti riferisci?" chiese lei, titubante.
"Saranno ancora là sotto, allora..." disse lui, sottovoce, ma non abbastanza da non farsi sentire da lei. Rory inarcò un sopracciglio, pregando il cielo che non si riferisse alle gemme che lei tutt'ora aveva nello zaino. Si sentì una cretina per non averle lasciate dov'erano.
"Se non hai visto niente, tanto meglio" continuò la creatura, con una sfumatura austera nella sua voce.
"Ehm... io ti ho detto il mio nome, ma tu non mi hai detto il tuo..." borbottò la giovane con un filo di voce, per poi abbassare lo sguardo, maledicendosi per l'inopportuna curiosità. Quando lo rialzò vide che la creatura non era più davanti a lei. Si guardò attorno con estrema cautela.
"Mi chiamo Shadow. Shadow, il riccio" Disse. La voce proveniva dalle sue spalle, facendola sussultare.
"Come...?" si chiese, girandosi lentamente, per poi vedere quella creatura lontana poco meno di un metro da lei. Si sentì il cuore smettere di battere per un secondo, per poi riprendere ad un ritmo vertiginoso. Sul viso del riccio si formò un'espressione tracotante appena accennata, ben consapevole della sua superiorità.
"Tranquilla, non ho intenzione di uccidere, mio malgrado, chi mi ha salvato la vita" disse lui, mentre il viso di Rory incominciò ad arrossarsi per l'indignazione e per la paura.
"Capisco, quindi deduco che tu mi abbia mostrato un pizzico delle tue abilità senza ambigui fini..." ma Rory non poté finire la frase perché uno strano fascio di luce sferzò la sabbia, creando una grossa voragine e una forte scossa sul suolo, poco lontano dalla ragazza, la quale cadde seduta stupefatta. Non ebbe neanche il tempo di capire da dove fosse arrivato il fascio di luce che si ritrovò Shadow su di sé, il quale, in men che non si dica, la prese in braccio per spostarla lontano dallo scontro.
"Che cos'era?!"
"Qualcuno che mi sta dando la caccia".












Note dell'autrice: Ciao ragazzi, innanzitutto spero che questo assaggio del primo capitolo vi sia piaciuto. Voglio dire che, poiché sono solita descrivere con abbastanza attenzione le ambientazioni, le azioni e altro, ogni capitolo sarà piuttosto lunghetto. Per questo ho deciso di dividerli in due parti quando questi saranno eccessivamente lunghi.  
Che dire: fatemi sapere che ne pensate. 


PS: Se trovate errori, potete tranquillamente segnalarli! :D

Leggerissima revisione: vi ringrazio tutti per i consigli!

La storia ha finalmente una copertina, realizzata da Bluereddino aka Shi-zen.
Questo è il suo profilo EFP: https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=943746
Questa è la sua pagina DA: https://www.deviantart.com/shi-zen

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Capitolo 2
*** Uno strano incontro, Parte II ***


"Che cos'era?!"
"Qualcuno che mi sta dando la caccia" disse, mentre, sotto gli occhi attoniti della giovane, attraversò tutta la spiaggia con un sol balzo, facendole capire, in un secondo, contro chi si stava mettendo. Un altro flash illuminò la zona, creando un'altra voragine. Rory non riuscì a fermare un piccolo urlo per lo spavento che attutì con una mano.
"Chissà perché!" esclamò lei sbalordita, mentre Shadow sbuffò. 
"Ho solo fatto un salto". 
"Ha parlato mister modestia!" disse lei, ad alta voce, dopodiché si morse il labbro inferiore, maledicendo di nuovo se stessa e la sua boccaccia. Shadow fece una smorfia di sufficienza, ma non riuscì a trattenere un mezzo sorriso sghembo. 
"SHADOW, ARRENDITI O TI FACCIO FUORI" disse l'eco di una ruvida voce maschile anziana, proveniente da megafono. Dalla spiaggia proveniva un forte rumore di eliche che si avvicinavano verso la loro direzione. Rory, che tutt'ora era tra le braccia del riccio, gettò uno sguardo alle sue spalle e vide una grossa astronave dalla forma ovale, simile ad un dirigibile ma completamente di acciaio. Strabuzzò gli occhi, terrorizzata.
Le scarpe della creatura scivolavano sul suolo, come se fossero un paio di pattini e la giovane capì perché avessero la suola in ferro: dovevano avere uno strano motore all'interno, che gli permetteva di sfrecciare come una saetta con una sola falcata. Rory, basita per quanto fosse veloce la creatura, si tenne stretta a lui finché non raggiunsero un boschetto stracolmo di alberi.
"Nasconditi e non uscire da qui per nessun motivo, finché non sarà tutto finito" ordinò Shadow alla ragazza, che lo fissava preoccupata, mentre la posò sul prato. Ma prima che potesse avviarsi verso il campo di battaglia, sentì la giovane afferrargli la mano. Si guardarono un secondo, quando Rory abbassò lo sguardo per l'imbarazzo. Shadow inarcò quello che poteva essere definito un sopracciglio, ampliandone il contorno orlato di rosso.
"Scusami..." disse, lasciandolo andare immediatamente, "non ti farà del male, vero...?"
Shadow sbarrò gli occhi, un po' sorpreso dalla preoccupazione che aveva quell'umana per la sua sorte. Si voltò e fece qualche passo, allontanandosi da lei, per poi fermarsi nuovamente.
"Non glielo lascerò fare" replicò lui, con tono serio, per poi sparire in un istante. 
Rory, che non si era accorta di aver trattenuto il fiato fino ad allora, sospirò profondamente, ancora confusa per quell'assurda situazione. Si morse il labbro, cercando di riordinare le idee. Doveva trovare il coraggio di restituirgli quelle pietre e si promise di farlo non appena lo avesse rivisto. Per di più si era completamente dimenticata del falò e della serata con i suoi amici. 
Prese il cellulare dalla borsa e vide sul display che aveva ricevuto quattordici chiamate perse: sei di Christian, sette di Jessica e una di suo padre. Avranno sentito gli spari, pensò Rory, inoltre saranno preoccupati a morte per la mia sorte
Si chiese se fosse stato opportuno, in quel momento, richiamarli, pensando al riccio che aveva salvato e che le aveva ricambiato il favore, portandola in un luogo sicuro. Chissà se l'avrebbe rivisto... Decise di correre nella direzione in cui era sparito, sperando di uscire dal boschetto il prima possibile. Non capiva perché, ma sentiva una forte sensazione di disagio a saperlo lì, a combattere, contro un'enorme astronave spara laser. 
Fortuna voleva che lei sapesse dove il riccio l'aveva portata, dal momento che non era poi così distante da casa sua e, di conseguenza, raggiungere la spiaggia sarebbe stato piuttosto facile. Infatti, superati diversi alberi si ritrovò di fronte una strada asfaltata, mentre si faceva sempre più forte il rombo degli spari che colpivano la terra, provocando un'intensa vibrazione. Rory non aveva la minima idea di quello che stava facendo e se ne infischiava in quel momento del fatto che sarebbe stato un intralcio: non sapeva come, ma doveva aiutarlo in qualche modo. 
"Ridammeli, Shadow. Ridammi gli Smeraldi del Caos o morirai!" disse la stessa voce roca dal megafono in lontananza, questa volta ben più adirata di prima. Che razza di persona senza cuore può mai dire una cosa del genere? 
Pressoché oltraggiata da tale veemenza, la giovane era ormai arrivata sul luogo dello scontro, osservando da dietro un palazzo, lontana abbastanza da non essere vista. Smeraldi del caos? 
Finalmente la ragazza aveva capito tutto: cosa fossero quelle enormi gemme, perché Shadow le possedesse e perché stava venendo inseguito. Tutto quadrava. 
Rory vide ad un tratto che il riccio era stato catturato da un braccio meccanico proveniente dall'enorme dirigibile; sentì il suo cuore battere all'impazzata. 
"Non li ho io, come vede, ed anche se li avessi non glieli darei mai, almeno non fin quando non mi dirà la verità!" 
"Non mi lasci altra scelta, Shadow. Ti stritolerò fino a ridurti in..."
"Non lo faccia!" disse lei, correndo verso la spiaggia. Shadow strabuzzò gli occhi in un misto tra incredulità e irritazione, alla sua vista. Rory sostenne lo sguardo della creatura per un secondo, una volta arrivata sotto il dirigibile, dopo ciò aprì lo zaino, frugò al suo interno ed estrasse lo smeraldo color rubino. 
"Io ho uno smeraldo del caos, lo lasci andare!" urlò, mostrando al dirigibile la pietra luccicante.
 









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Angolo dell'autrice: Ecco a voi la fine del primo capitolo. Pensavo di aggiornare la storia a scadenza settimanale, ma visto che questo capitolo era stato diviso in due, ho pensato di postarlo un pochino prima. Spero vi piaccia. Come sempre, segnalatemi ogni tipo di errore che trovate e siete obbligati a dirmi sinceramente che ne pensate uvu. Vi do un bacio :3

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Capitolo 3
*** Rabbia inaspettata ***


Rory vide Shadow fissarla con uno sguardo indecifrabilmente serio e, tutto ad un tratto, il rimorso di non avergli detto la verità stava incominciando a dilaniarla. Sbatté le palpebre più volte e si morse il labbro inferiore, cercando di sembrare quanto più serena possibile.
Un braccio meccanico l'avvolse, sollevandola di peso da terra, fino a portarla alla stessa altezza del riccio. Rory gli lanciò un'occhiata di scuse, ma Shadow spostò il viso da un'altra parte e la giovane sentì pizzicarle gli occhi per la disperazione. Fece un respiro profondo.
I bracci meccanici li trascinarono all'interno della navetta, dove li stavano aspettando un paio di robot, uno di un lieve giallo brillante, l'altro era fatto completamente di acciaio incolore. Al posto delle mani avevano due grossi fori, dai quali sarebbe sicuramente fuoriuscito quel laser arancione, ad un solo movimento falso.
La ragazza deglutì appena quelle braccia meccaniche li lasciarono in balia di quei due, per di più non aveva il coraggio di rivolgere di nuovo lo sguardo verso Shadow. L'idea che lui potesse anche solo minimamente pensare male di lei, la faceva soffrire.
"Il dottore vuole incontrarti. Se fai una sola mossa, muori, capito?" disse, con una voce fortemente metallica, quello giallo alla ragazza, mentre l'altro teneva le braccia saldamente puntate verso Shadow, il quale si mise a braccia conserte. Rory annuì verso il robot e questi li scortarono verso l'interno del dirigibile.
Tutto era piuttosto piatto: sembrava fatto tutto di ferro, proprio come le astronavi di quei film fantascientifici, solo dai corridoi più angusti e tetri. I pannelli delle pareti erano separati da una striscia di neon e, al centro di ogni pannello, vi era disegnata la faccia di un uomo con un paio di baffi eccessivamente folti, in stile cartoon.
Chiunque egli sia, questo famigerato dottore dev'essere davvero un egocentrico, pensò lei.

Dopo aver svoltato diversi corridoi, i robot li condussero di fronte ad una porta d'acciaio, che si aprì dinnanzi a loro a scorrimento, mostrando un ampio studio pieno di computer altamente tecnologici e schermi olografici dalle dimensioni simili a quelli di un piccolo cinema. Davanti ad essi vi era un signore calvo, anziano e panciuto, con una giubba ed un paio di grossi baffi rossi. Indossava due spessi occhiali scuri, che gli coprivano completamente gli occhi, dopodiché, appena vide il riccio e la ragazza entrare, portò le mani dietro alla schiena, con aria di sufficienza ed arroganza.
"Dottore, li abbiamo portati come richiesto."
"Grazie, potete andare." Rory riconobbe la voce dell'altoparlante. Dopo una breve pausa passata a studiare i due ospiti, il dottore porse la mano, aspettando di ricevere quanto voleva e disse: "Signorina, mi dispiace che lei abbia dovuto essere trascinata qui." Il dottore si avvicinò alla ragazza, tenendosi a debita distanza. "Io sono il dottor Robotnik, avrà sicuramente sentito parlare di me..."
Rory capì che il signore stava più che recitando la parte del bravo dottore. Inoltre, non aveva per niente sentito parlare di lui, ma preferì non dirglielo. Sospirò, mentre, con rammarico, gli porse la gemma.
"Rispetti il patto: le avrei dato lo smeraldo del caos, ma lei dove lasciarci in pace."
"E che cos'altro hai... in quella magnifica borsa?" Disse lui, facendo un passo in avanti verso di loro. Rory, che non diede peso al cambiamento di cortesia, si morse il labbro inferiore, mentre incominciò a sudare freddo. Tuttavia, cercò di mantenere l'espressione più neutra che poté.
"Non ho niente di che, se vuole glielo mostro."
"Prego, signorina." La esortò lui, con un gesto della mano. Rory, dopo avergli lanciato un'occhiata di sfida e dopo aver dato uno sguardo fugace verso Shadow, il quale era rimasto ammutolito per tutto il tempo, si inginocchiò e aprì lo zaino. Incominciò ad estrarre tutte le cose che vi erano all'interno: tenda, bottiglia d'acqua, cellulare e ciò che le serviva per il campeggio. Poi prese lo zaino svuotato, lo rovesciò e lo scosse. Non vi era altro.
"Vuole controllare ancora?" Chiese lei, inarcando un sopracciglio, mostrando l'interno vuoto dello zaino, dopodiché cominciò a rimettere tutte le cose al suo interno. Il dottore, che assistette alla scena con disinteresse, passandosi il pollice e l'indice sul baffo come se intendesse assottigliarlo, fece una smorfia.
"Beh, che lo voglia o no, questo lo prendo io." Disse lui, sequestrandole il cellulare sotto i suoi occhi attoniti, dopodiché lo smontò e glielo spezzò, rendendolo inutilizzabile.
"E questo che significa?!" Esclamò lei, in tono alterato. Aveva acquistato quel telefono poco tempo fa, utilizzando i risparmi guadagnati facendo la cameriera in pizzeria. Dovette dare sfoggio di tutto il suo autocontrollo per non saltargli addosso e rifilargli un gancio destro.
"Significa che il patto era quello di lasciarvi in pace. Non di farvi lasciare il dirigibile, ed io sono un uomo di parola."
A Rory si raggelò il sangue nelle vene e trattenne il fiato per un secondo. Ancora incredula, mormorò: "Che cosa...?!"
A quel punto Shadow scattò di colpo, con un balzo, sul professore, ma venne fermato improvvisamente da un proiettile laser che lo mise al tappeto. Rory lo vide contorcersi dal dolore: sulla coriacea pelle nera del riccio erano ben visibili delle minuscole scariche elettriche, che ancora gli attraversavano le carni. Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime mentre si coprì la bocca con le mani; voleva tutto tranne questo.
"Prova a toccarmi ancora, Shadow, e una pioggia di scariche elettriche attraverseranno questa sciocca ragazzina, abbrustolendola come un pollo allo spiedo." Disse lui, usando lo stesso tono velenoso di prima per poi terminare la frase in una fragorosa risata.
"Lei è un essere spregevole..." Sussurrò lei, gonfia di disprezzo per quell'uomo. Strinse forte i pugni, indecisa se avvicinarsi a Shadow, che a stento tratteneva un'espressione traboccante di rabbia, o restare lì.
"Lo prendo come un complimento." Ribatté il dottore, prima di dare l'ordine di scortarli entrambi in una cella dell'aeromobile.

***

Rory e Shadow, quest'ultimo ancora privo di forze per l'incredibile scarica elettrica ricevuta, vennero portati di forza dai robot di prima all'interno di un'enorme cella di quel grosso dirigibile. Al suo interno non vi erano altro che le pareti, il soffitto e il pavimento, tutti fatti d'acciaio. L'ambiente era illuminato da una luce soffusa, leggermente arancione, al contrario dei corridoi del velivolo, i quali erano ben illuminati dai neon. Quando la porta della cella si richiuse alle loro spalle, Rory si voltò immediatamente verso essa con sguardo logorato dai sensi di colpa. Come aveva potuto condurre Shadow e se stessa verso questa fine? Per di più non aveva ancora trovato il coraggio di parlare al suo nuovo, straordinario, compagno.
Sbatté le palpebre, nervosa, pensando ad un modo per uscire da lì, cominciando a perlustrare le pareti della stanza.
"Non affannarti tanto." Disse lui, con un tono di voce incolore, dopo aver trascorso qualche minuto a guardarla cercare una qualche via di fuga. "Conosco l'astronave, non troverai niente. Questa stanza è a prova di bomba."
Rory, che in quel momento si ritrovava inginocchiata ai piedi di una parete, appoggiò la fronte su di essa per l'angoscia.
"Dev'esserci un modo per tirarci fuori da questo pasticcio." Disse lei, sospirando.
"Se non ti fossi intromessa nello scontro, non saremmo qui." Disse lui, sprezzante. "Voi umani siete così stupidi..."
Rory sospirò, voltandosi verso la creatura e avvicinandosi a lui di qualche passo, ma tenendosi sempre a debita distanza. Voleva rispondergli a tono, ma in fondo sentiva di meritarsele tutte quelle parole. Forse, se non si fosse intromessa...
"Mi dispiace, Shadow, mi è salito il sangue alla testa quando quel tizio ha detto che ti avrebbe stritolato con quel braccio meccanico."

"Per favore, non recitare la parte di quella che si preoccupa per gli altri." Disse lui, in un tono così acido da lasciarla basita. Per di più sembrava avesse recuperato le forze perdute, dal momento che era in piedi, tenendo sempre le braccia conserte. "Perché non me la bevo. Voi umani siete tutti uguali, in grado solo di pensare a voi stessi. E tu non sei un'eccezione."
Rory rimase interdetta per un secondo, cercando di capire a cosa alludesse con quelle parole. Tuttavia, data la situazione assurda, non riuscì più a tollerare altri insulti e non aveva voglia di pensare.
"Che cosa ho fatto?" Chiese lei, non nascondendo un filo di rabbia nella sua voce.
"Che cosa hai fatto?" Sbottò lui, disdegnandola più di quanto non avesse precedentemente fatto. La creatura si avvicinò alla giovane con uno sguardo ad ogni passo sempre più furente e, quasi urlando, disse: "Mi hai rubato uno smeraldo del caos, mi hai trascinato qui quando finalmente ero fuggito e mi chiedi anche cos'hai fatto?"
La ragazza, guardando il volto di Shadow ormai trasformato in una smorfia piena di collera e odio, si sentì ferita come non mai. Dalla creatura sentì provenire come delle onde di energia per niente rassicuranti. Si accarezzò un braccio, sentendo dei lunghi e forti brividi di terrore percorrerle la schiena, dimenticandosi persino come respirare, per qualche secondo.
Dopo un lasso di tempo in cui si fissavano, lui in cagnesco, lei turbata, Rory mormorò, cercando di fare un piccolo passo verso il riccio: "Ti prego, Shadow... lasciami spiegare..."
"Cosa dovresti spiegare? Che sei una ladra? Una bugiarda?" La bloccò lui,  i pugni, mostrando tutto il suo disprezzo e il rancore nei confronti della sua specie. Il sangue gli ribolliva nelle vene.
"Shadow, per favore..." Lo supplicò lei, cercando di fare qualche passo verso di lui, senza accorgersi di star commettendo un grosso sbaglio.
"Mi hai stancato." Disse lui, furioso. Dopodiché, sfogò la sua rabbia repressa ai danni di lei. Con un solo movimento della mano, emise una forte scarica di energia, che la spazzò via come se fosse una foglia, per poi farla sbattere contro una delle pareti della cella. La ragazza crollò sul pavimento, vicino allo zaino, con le lacrime agli occhi. Prima di svenire, poté vedere formarsi un'espressione esterrefatta sul viso di Shadow, assieme ad una sfumatura di rammarico, che sempre più stava prendendo il sopravvento, finché le forze non le vennero meno.  

Dopodiché, il buio.


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Angolo dell'autrice: Signori miei, come avete ben capito, Shadow, in questa vicenda, odia con tutto il cuore gli esseri umani. Il motivo? Potete immaginarlo. Cosa farà in seguito? Lo scopriremo insieme!  Purtroppo, però, vi annuncio che per qualche tempo, causa esami e studio, rallenterò l'uscita dei capitoli. Se avete qualcosa da dire, una critica, un consiglio o volete segnalarmi un errore, fatelo tranquillamente!

Un bacio,
Rory

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Capitolo 4
*** Tregua ***


"Dammi i soldi", urlò l'uomo alla donna vestita con un elegante tailleur nero e che teneva in mano una borsetta, puntandole contro una pistola.
"Ma io... non ne ho molti..." farfugliò lei, ma l'uomo non voleva sentire ragioni. Le avvicinò la pistola alla testa. 
"Dammi i tuoi cazzo di soldi!" continuò. 
Una ragazzina di quattordici anni, dai lunghi capelli castani, stava tenendo tremante un vecchio telefono cellulare. Nascosta dietro una macchina lì vicino, cercò di comporre il numero della polizia, anche se la vista era offuscata dalle lacrime. Vide la donna, tremante, porgere la borsetta al rapinatore. Finalmente avevano risposto al telefono e la ragazzina bisbigliò all'uomo, con cui stava parlando, il punto esatto del reato, il quale promise che sarebbero arrivati a momenti da lei.
"Brava, puttana", disse il rapinatore, in tono mellifluo. Dopodiché le sparò alla testa, uccidendola sul colpo. La ragazzina, che assistette alla scena terrorizzata, fece cadere il telefono e si precipitò sull'uomo, colpendolo alle costole con un calcio. L'uomo in tutta risposta, sparò anche lei all'altezza dell'anca sinistra e la ragazza cadde a terra, priva di sensi...

***

Rory si svegliò di soprassalto, prima che un fortissimo mal di testa la scombussolasse totalmente. Aveva il fiato corto e la fronte imperlata di sudore. Vide di essere stranamente appoggiata sul sacco a pelo semi aperto e capì di aver riposato tutto il tempo al coperto. Tirò un respiro profondo: aveva sognato di nuovo quell'orribile scena. 
Sentiva dolore dappertutto. Si passò una mano sulla fronte e scoprì di avere, oltre ai capelli ancora umidi per il bagno fatto qualche ora prima, al lato destro un grosso bernoccolo, dopodiché si guardò attentamente: aveva un grosso ematoma violaceo, che le copriva tutta la spalla, fino a metà braccio destro. Si alzò la maglietta per scoprirsi la pancia, e vide con orrore la cicatrice a forma circolare sull'anca sinistra mentre, su quella destra, un'altra enorme contusione violacea. 
Provò ad alzarsi, ma sentì un dolore allucinante alla caviglia destra. Aveva le lacrime agli occhi, ciononostante cercò di trattenerle, guardandosi attorno. 
E lo vide, verso la parte opposta della cella, appoggiato al muro di schiena, sempre a braccia conserte, con lo sguardo rivolto in un punto vuoto della prigione. Appena la ragazza vide il riccio spostare la visuale dal nulla verso di lei, volse di scatto il viso dalla parte opposta. 
"Ti sei svegliata", disse lui, in tono neutro, sempre posato di fronte alla parete d’acciaio. Rory sbatté convulsamente le palpebre: era sul punto di piangere, ma il suo orgoglio le impediva di apparire ancora più patetica di quanto non fosse e si morse il labbro inferiore. Voleva rispondergli, tuttavia le parole le morivano in gola. 
Appena Rory vide Shadow abbandonare la sua postazione, sentì il suo cuore perdere un battito e, dal momento che non riusciva a camminare né tanto meno a stare in piedi, si trascinò all'indietro, finché con le spalle non toccò le fredde mura della cella. Era in trappola. Non aveva scampo lì dentro e, anche se avesse avuto una via d'uscita, non poteva sfuggire alle grinfie di quella potente e al contempo glaciale creatura. Inoltre, il dolore al fianco e alla spalla erano appena sopportabili, mentre la testa le vorticava, rendendo le immagini cupe e sfocate. Ciò nondimeno poté ben capire che Shadow stava camminando verso di lei. 
Rory non sapeva per quanto fosse rimasta incosciente, ad ogni modo, però, il tempo aveva perso importanza dal momento che sapeva che le rimaneva una manciata di secondi. 
Non avvicinarti, non avvicinarti, non avvicinarti!
Non aveva il coraggio di guardarlo farsi, inesorabilmente, sempre più vicino, per questo chiuse gli occhi e girò il viso da un'altra parte. Tutto ciò che poteva ascoltare era il suo cuore, che sembrava scoppiare nel suo petto, e il riecheggiare del rumore metallico prodotto delle scarpe di Shadow, che si avvicinava sempre e sempre più, simile al ticchettio di un orologio. Era come una clessidra rovesciata che segnava lo scorrere dei secondi verso la fine... Fin quando il ticchettio non cessò. Rory, che tutt'ora aveva gli occhi chiusi e il viso rivolto verso la sua sinistra, non seppe giudicare a quale distanza da lei fosse, ma di sicuro le era vicinissimo. 
"Guardami", ordinò lui in un sussurro austero. Quella voce profonda, che risuonava ancora nelle orecchie della ragazza, era quasi come se l'avesse sfiorata. Il cuore di Rory batteva all'impazzata. Doveva guardarlo, guardare quelle iridi rosso fuoco. Probabilmente il suo assassino l'avrebbe trovato più divertente se la vittima gli rivolgeva lo sguardo. Tuttavia non poté non obbedire. Si voltò in avanti e solo allora aprì gli occhi. Le si bloccò il respiro quando appurò la vicinanza di quell'essere: il naso nero era a circa venti centimetri dalla testa della ragazza e Shadow la fissava con uno sguardo imperscrutabilmente serio. Non riusciva a reggere il confronto con lui e rivolse l'attenzione altrove.
Se devi uccidermi, fallo adesso. Voleva dirglielo, ma non riusciva a proferire parola. D'altronde le si era seccata la gola, mentre le guance erano in fiamme; probabilmente era diventata paonazza. Quell'attesa era snervante. Dopo un lasso di tempo fu di nuovo Shadow a parlare. 
"Mi dispiace". 
Che cosa? Rory era incredula. Shadow le stava chiedendo scusa? La giovane, nonostante fosse meravigliata, accennò un sospiro di sollievo. Al momento, era salva. 
"Che cosa vuoi?" chiese lei, a denti stretti, continuando ad avere lo sguardo rivolto verso il pavimento. Rory si sentiva non solo terrorizzata e furiosa, ma era persino imbarazzata ad averlo tanto vicino, per questo sentì una vampata di calore salire fin sopra la radice dei suoi capelli. 
"Ho sbagliato, ma vorrei spiegarti perché l'ho fatto". 
"Non c'è niente da spiegare", disse lei, in un tono di contenuto biasimo nei suoi confronti. Avrebbe tanto voluto urlargli contro, ma l'inquietudine vinceva completamente la rabbia. "Sarò un essere umano, ma non sono una cretina, Shadow. E tu sei stato..." continuò, gettando uno sguardo verso la spalla destra, "a dir poco cristallino, con me. Non hai altro da aggiungere" disse lei, sussurrando infine con un filo di voce: "... a meno che tu non voglia uccidermi".
"Non ho mai avuto l'intenzione di farlo, l'avevo anche detto", ribatté il riccio, con circospezione. Non l'aveva ancora perdonata del tutto, sebbene fossero prive di malizia le stupidaggini che, probabilmente, aveva fatto anche per timore nei suoi confronti. E ne aveva tutte le ragioni, viste le conseguenze...
"Ah, no? E cosa intendevi dire con mio malgrado?" replicò lei, in tono alterato. Shadow rimase interdetto, ma non proferì nulla e lasciò che lei si sfogasse. "E cosa volevi dimostrare facendo quel gesto? Mettere in chiaro la differenza tra te e me?" chiese lei, astiosamente, imitando il tono che il riccio bicolore aveva usato nei suoi confronti prima di colpirla, "beh, l'avevo già capito, sai? E poi come hai fatto a scaraventarmi su un muro senza neanche toccarmi, me lo spieghi?" 
Shadow inarcò un sopracciglio meravigliato sia dalla franchezza che aveva usato per esprimere il suo disprezzo sia per il repentino cambio di umore nell'ultima frase.
"Vedo che, nonostante tutto, non hai perso la tua lingua biforcuta" ribatté lui, con sottile ironia, sorprendendo addirittura di se stesso. 
Rory gli rivolse un'occhiata truce, cercando di fargli capire che non aveva proprio voglia di scherzare in quel momento. Shadow sospirò, leggermente frustrato. 
"Senti, sono nato con questi... poteri. Non so ben spiegarti come, ma so di averti provocato il bernoccolo, quei lividi e la caviglia slogata, perché l'ho sentito. Tecnicamente non ti ho toccato con le mani, ma in teoria è come se l'avessi fatto con una forza che... non lo so, ma è dentro di me". 
Rory soppesò per un momento le sue parole, poi annuì, visibilmente scioccata. Non credeva potessero accaderle cose che pensava esistessero solo nella fantasia. Se prima la situazione le sembrava assurda, in quel momento era diventata pressoché surreale e se non fosse stato per quegli ematomi e per la creatura che aveva di fronte in carne ed ossa, avrebbe creduto che fosse tutto un sogno. Dopo aver assimilato il concetto, la giovane annuì nuovamente. 
"Beh, grazie per avermi dato il referto medico, dottore" disse lei, cercando di essere quanto più leggera e ironica possibile. Da una parte si sentiva in colpa, dall'altra neanche lei l'aveva perdonato del tutto per ciò che era accaduto. 
"È la prima volta che mi succede, davvero".
"Quale onore" commentò lei, lasciando trasparire una punta di rancore nel suo tono. La creatura roteò gli occhi, abbastanza seccata per quell'atteggiamento, ma preferì lasciar correre.
"E anche... scusarmi con un essere umano" borbottò lui, ancora incredulo per il fatto che sentisse un certo tipo di rimorso per quello che aveva fatto.
"Deduco che tu ti stia sforzando ampiamente" ribatté lei, aggrottando la fronte, con una punta di scetticismo nel suo sguardo. Shadow si trattenne dal fare il suo solito sorriso sghembo: se da una parte gli umani non gli piacevano, dall'altra quella ragazza non gli stava così antipatica. Inoltre, doveva accettare il fatto che con lei aveva un debito di riconoscenza, per avergli salvato la vita. 
Rory appoggiò le mani al grembo, incrociando le dita, dopodiché puntò lo sguardo verso il sacco a pelo aperto, distante circa uno o due metri da loro. E chiese al riccio, anche se sapeva già quale fosse stata la risposta: "Sei stato tu?"
"Sì" rispose lui, distogliendo lo sguardo, imbronciato. A Rory venne di sorridere, sia per quell'atteggiamento improvvisamente un po' impacciato sia per la gentilezza di essersi preoccupato per lei. Tuttavia, si contenne a causa del suo maledetto orgoglio e, per tutta risposta, si morse il labbro. 
"Ti sei trattenuto per il mio bene, prima, vero?" chiese lei, con lo sguardo rivolto verso le mani. Poi appena vide l'espressione confusa del riccio, continuò: "Di fronte al dottor Robotnik". 
Shadow, a quell'affermazione, ritornò ad assumere la sua solita espressione austera e si mise a braccia conserte. 
"Non avevo la forza sufficiente per proteggere entrambi", si limitò a dire, e la giovane riconobbe che quel riccio bicolore, sebbene possedesse dei poteri straordinari, dovesse essere una creatura invero riservata. E per questo sorrise mestamente. 
"Shadow, mi dispiace non averti detto di aver preso quegli smeraldi del caos" sussurrò, in un tono seriamente dispiaciuto, dopodiché fece un lungo sospiro. "Avevo paura... di te". 
Era dannatamente difficile, ma dovette ammetterlo. Shadow fece per dire qualcosa, ma rimase sconcertato sia dalla rivelazione sia dalla sua sincerità. 
"Davvero?" chiese lui, perplesso, ed ancor più turbato dal fatto che sentisse un certo dispiacere a causa di questa realtà. 
Dopo circa qualche attimo, la giovane sospirò di nuovo ed annuì. 
"Credimi, Shadow, non volevo che tu venissi rinchiuso qui, non volevo niente di tutto questo. Mi ero anche ripromessa di ridarti gli smeraldi, una volta che saresti tornato da me..." mormorò lei; ad ogni parola che fuoriusciva dalla sua bocca, Rory era sempre più prossima alle lacrime, mentre per Shadow era come una pioggia di schegge di vetro che gli si conficcavano nel petto. "Però avevo paura che..." 
Era una scena troppo pietosa da guardare e, per qualche motivo indecifrabile, non sopportava di vederla in quello stato. Tuttavia, come poche volte gli era capitato in vita, non sapeva proprio cosa fare. Voleva consolarla, per questo, dopo aver riflettuto su quale fosse il modo più facile e conveniente per entrambi, si inginocchiò verso di lei, prendendole le mani e stringerle nelle sue. 
"Non so dirti come avrei reagito, ma posso assicurarti che mai più ti farò una cosa del genere. Te lo prometto, Rory". 
La giovane sbatté gli occhi, gettando uno sguardo su di lui appena lo ascoltò pronunciare il suo nome, dopodiché tirò su col naso ed annuì. Rimasero in quella posizione per circa qualche minuto: lei a piangere silenziosamente, lui sempre tenendole mani, aspettando con pazienza che gli parlasse di nuovo. Dopodiché, quando la curiosità vinse l'insicurezza e la mortificazione, lei chiese: "Hai detto che sei scappato da qui... hai usato gli smeraldi del caos per riuscirci?" 
Shadow annuì, visibilmente sollevato per quel cambio d'umore. 
"Sì, ho bisogno anche di un solo smeraldo per creare il controllo del caos, che mi permette di spostarmi istantaneamente da un luogo all'altro". 
Rory si meravigliò e si chiese se quello strano riccio avrebbe mai smesso di stupirla. 
"Che cosa...?" balbettò, sconcertata, "e puoi farlo anche in uno spazio chiuso, come questo?" chiese lei, speranzosa. 
"Sì..." mormorò il riccio, stranito dall'espressione felice che era spuntata sul viso della sua nuova amica, la quale non riuscì a trattenere un piccolo gesto di trionfo. 
"Grazie al cielo!" sospirò, contenta, dopodiché incominciò a trascinarsi verso la borsa. Shadow, vedendo lo sforzo, finì per avvicinargliela lui. Dopo averlo ringraziato, Rory frugò nello zaino, estraendo lo smeraldo del caos trasparente. 
"Ho fatto bene a nasconderlo al dottor Robotnik!" esclamò lei trionfante, mentre il riccio sbarrò gli occhi stupito. La ragazza gli porse la gemma e, vedendo l'espressione smarrita della creatura, disse: "Non potevo lasciare che quell'uomo spregevole lo prendesse".
Shadow prese lo smeraldo del caos, ancora stranito. 
"Ecco perché parlavi al plurale, prima..." disse lui, ancora un po' inebetito dalla sorpresa, dopodiché non riuscì a trattenere un mezzo sorriso soddisfatto. "Ma come hai fatto?" 
"Eh, caro, anche noi esseri umani abbiamo il nostro asso nella manica" disse lei, con un largo sorriso compiaciuto, mostrandogli la tasca segreta della borsa. "Beh, vai. Cosa aspetti?" 
Shadow, dopo aver fortemente inarcato un sopracciglio, sbuffò cercando di trattenere, senza successo, un lieve sorriso e scosse la testa, incredulo. La ragazza sorrise contenta alla vista del volto così rilassato del suo nuovo amico. La creatura con una mano afferrò quella di Rory, mentre con l'altra teneva lo smeraldo del caos. 
"Prendi il tuo zaino e non lasciarmi". 

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Capitolo 5
*** Notizie - Parte I ***


http://i.imgur.com/lRpAcvB.jpgRory aggrottò la fronte, perplessa ed imbarazzata per l'improvviso comportamento di Shadow. Per quel poco che aveva potuto vedere, capì che era un essere molto riservato e meditativo, poco incline agli atteggiamenti impulsivi, sebbene con lei non si fosse sempre dimostrato tale. Ma soprattutto, capì che era una creatura abituata a sorridere davvero di rado e, probabilmente, quell'occasione fu la prima vera volta in cui lo fece... almeno, da quando lo aveva visto. E sapere che fosse stata lei ad innescare questa sensazione, era appagante. 
"Shadow, ehm..." mormorò, così rossa che le parve di sentire uscire il fumo dalle orecchie, "che vuoi fare?" 
"Non fare domande e adattati a quello che ti dico", rispose lui, con un finto tono intimidatorio, facendola sorridere dubbiosamente. 
"Sissignore!" ribatté lei, assumendo la tipica posizione da soldato, dopodiché si mise lo zaino sulla spalla sinistra. 
Shadow, una volta che vide la ragazza pronta a partire, si concentrò, alzando la mano che teneva lo smeraldo del caos fin sopra la testa. La gemma si illuminò di colpo, irradiando una luce così forte da accecare la ragazza, che dovette chiudere gli occhi e voltarsi da un'altra parte. Finalmente era pronto per pronunciare la fatidica frase, come se avesse ordinato alla gemma di fare ciò che lui voleva: "Controllo del caos!" 
E in un attimo Rory avvertì come una sensazione di incredibile travolgimento, investita improvvisamente da un'ondata di luce talmente forte, calda e pizzicante, da sentire quasi come se il suo corpo venisse scomposto e ricomposto in un attimo. In men che non si dica, quella sensazione finì e, quando aprì gli occhi, le fredde pareti della cella avevano lasciato spazio ad un posto meraviglioso: Shadow l'aveva portata sulla spiaggia dove lei lo aveva tratto in salvo la prima volta che si erano visti. La ragazza si coprì la bocca con una mano - dal momento che l'altra era ancora stretta nella presa di Shadow - per lo stupore, tanto stordita da non sapere cosa dire o fare. 
Rory vide nel cielo un fascio di luce solare che spuntava sull'orizzonte: erano arrivati appena in tempo per vedere l'alba. Rimasero lì, qualche minuto in silenzio a contemplare quel magico sole emergere dall'acqua, quasi come se prima fosse rimasto inglobato all'interno del mare e fosse impaziente di uscire. 
La ragazza emise un profondo respiro prima di parlare e, ancora incredula, disse, con lo sguardo rivolto verso la scia di luce solare che si rifletteva sulle onde marine: "Non ci posso credere... sto sognando?" 
Shadow gettò uno sguardo sulla giovane, soddisfatto. Dovette ammettere che era piuttosto gradevole vedere quell'espressione di piacevole sorpresa sul volto di quella ragazza. Scrutando quei lucidi occhi verdi, rivide in lei la sua vecchia amica. Eppure Lei e Rory avevano tratti piuttosto discordanti: al di là della cascata di capelli castani e liscissimi che le arrivavano oltre la metà schiena, era una ragazza alta - probabilmente perché aveva su per giù diciassette o diciotto anni, quindi era molto più grande della bambina dei suoi ricordi - e aveva dei tratti ben più sottili e femminili, mentre Lei era un piccolo angelo biondo, dagli occhi azzurri come il cielo.
La giovane si rivolse finalmente a lui, un po' perplessa per il fatto che guardasse lei e non il panorama, dopodiché sorrise timida. 
"Grazie, Shadow..." sussurrò lei, con un sorriso impacciato, "per avermi portata con te". 

I due si fissarono in silenzio, quasi inconsapevoli del fatto che lui le stesse tenendo tuttora la mano. Di conseguenza entrambi spostarono il proprio sguardo verso quest'ultima, ancora avvolta nella presa di Shadow, e il riccio bicolore la lasciò andare, scuotendo il capo in modo tale da cancellare quei pensieri dalla testa, con fare sbrigativo, facendo finta che non fosse successo niente. Dopodiché si girò dandole quasi le spalle e incrociò le braccia, assumendo la sua solita postura. Rory emise un piccolo sbuffo, divertita da quell'insolita reazione. Ma tutt'a un tratto l'espressione della giovane s'incupì di colpo, preoccupata, e questa reazione non passò inosservata agli occhi del riccio, che si voltò nuovamente verso di lei. Non aveva proprio voglia di mettersi a fare il timido, soprattutto con un essere umano. 
"Mio padre," farfugliò lei, atterrita, "sarà preoccupatissimo per me! Non ha mie notizie da ieri sera!" 
La ragazza provò ad alzarsi e ci riuscì, ma appena tentò di appoggiare il peso del corpo sul piede destro, sentì un dolore atroce. La creatura la sostenne con una mano, per non farla cadere sulla sabbia. La giovane, dopo averlo ringraziato nuovamente, tirò un respiro avvilita e si passò una mano tra i capelli, pieni di nodi e ancora sporchi di sale marino. Non aveva avuto modo di vedersi allo specchio, ma era sicura che avesse un aspetto orribile. Il riccio la guardò deprimersi in silenzio, come sempre. Non era solito essere indiscreto, dal momento che non sopportava chi invadeva i suoi spazi, ad ogni modo, quando gli restituì lo sguardo, la giovane rispose alla sua domanda inespressa. 
"Cosa potrò mai dirgli? Di sicuro vedendomi mi chiederà chi è stato a... beh, ridurmi così," disse, quasi mormorando le ultime parole, dopodiché si morse il labbro inferiore "...e io non voglio dirgli che sei stato tu". 
Shadow aggrottò la fronte meravigliato, chiedendosi perché quella ragazza si stesse comportando così nei suoi confronti. Capì che quelle parole potevano voler dire tante cose, ma non era sicuro che fossero sincere. L'astio che provava nei confronti della razza umana era implacabile, tuttavia non se la sentiva di chiudere gli occhi e girare il viso dall'altra parte. Umana o no, quella ragazza gli aveva salvato la vita due volte. E lui doveva solo mettere da parte il suo stupido orgoglio e accettarlo. Si sentì stranamente a disagio, come mai prima di allora aveva provato, per questo strinse i denti, inizialmente contrariato, poi sospirò distogliendo lo sguardo. 
"Beh, immagino che tu non possa camminare con la caviglia in quelle condizioni," constatò lui, con prudenza, "non hai un qualcosa per lenire il dolore?"
Rory alzò un sopracciglio, avendo capito dove voleva andare a parare la questione. Sorrise e decise di rispondere usando la sua solita ironia: "Non potevi controllarti invece di ridurmi in questo stato?" 
Lui roteò gli occhi, seccato, e rispose quasi in un sussurro, giocando la sua stessa moneta: "Lingua biforcuta..." 
Dopodiché, Rory, una volta atteso che il riccio bicolore assimilasse il colpo basso, ribatté, inarcando un sopracciglio, affermando: "Sei un riccio molto perspicace". E lo disse con un sorriso privo di malizia, felice al pensiero del nomignolo che la creatura le aveva ormai affibbiato. Shadow emise uno sbuffo, alquanto contrariato dalla confidenza che, ormai, quell'essere umano sembrava pretendere nei suoi confronti - non che lui fosse completamente senza colpe, dal momento che spesso e volentieri la chiamasse con quell'appellativo. 
"Se la metti così..." incominciò lui, inarcando un sopracciglio, per poi riprenderla in braccio a principessa. La giovane emise un gridolino, siccome era stata colta alla sprovvista, e si aggrappò a lui. "Non possiamo restare qui per sempre", continuò.
Rory, ormai paonazza in volto, prese la borsa e ribatté: "Santo cielo, Shadow!" 
"Dove abiti?" le chiese, ignorando l'intrinseca protesta della ragazza, la quale timidamente gli indicò la strada. 

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Capitolo 6
*** Notizie - Parte II ***


Data la sua velocità, se la distanza tra la spiaggia e la casa di Rory era a dieci minuti a passo d'uomo, ci misero poco meno di un minuto, rallentando solo nel momento in cui la ragazza doveva dargli indicazioni. La giovane abitava in uno stabile piuttosto trascurato, dal momento che era stato costruito parecchi anni prima. Le pareti ruvide e grigie pullulavano di crepe e incrinature nell'intonaco, e sembravano volersi sbriciolare da un momento all'altro. Una volta arrivati sotto casa, la giovane titubò nel bussare. Cosa avrebbe detto a suo padre? Come glielo avrebbe presentato Shadow? Ma, soprattutto, come avrebbe reagito alla sua presenza? 
La creatura, in virtù del suo occhio critico, capì quasi immediatamente cosa la stesse intimorendo. 
Nonostante tutti questi dubbi, la ragazza decise di pigiare il pulsante del vecchio citofono del condominio e rispose, dopo pochi secondi, suo padre tutto trafelato. 
"Papà, sono io..." sussurrò lei, mortificata. Già immaginò la sua reazione: sarebbe sicuramente andato su tutte le furie, l'avrebbe sgridata per tutto il giorno e messa in punizione per il resto della sua vita. 
"Rosa?! Per Dio, sali immediatamente!" ordinò lui per poi riagganciare la cornetta del citofono istantaneamente. La giovane rivolse uno sguardo esitante alla creatura e si coprì gli occhi con una mano, piena di vergogna per quella sfuriata.
"Non ti chiamavi Rory?" chiese Shadow, stranito, inarcando un sopracciglio. La ragazza aprì una fessura tra l'indice e il medio senza scostare la mano dalla faccia, ancora a disagio, e fece spallucce.
"Rosa è il mio nome di battesimo, ma non mi piace perché è troppo da signorinelle. Solo mio padre mi chiama così, ormai". 
Il nuovo compagno annuì alquanto incuriosito dalla psicologia della giovane. Non che gli importasse perché desiderasse essere chiamata con un soprannome, ma il nome Rosa non lo trovava così brutto. 
Ad ogni modo, quella situazione lo divertì non poco - tanto che era sul punto di increspare le labbra in un sorriso beffardo. Alla fine sbuffò e aprì il portone del palazzo, spingendolo con il piede e percorse le scale con una lentezza innaturale. Nel suo piccolo voleva far abituare Rory all'idea che avrebbe assistito a tutto, qualsiasi fosse stata la scena. La giovane era terrorizzata all'idea di venire aspramente rimproverata sotto gli occhi passivi della creatura, il quale avrebbe osservato senza interesse il teatrino. Ma soprattutto non voleva che suo padre in qualche modo reagisse in modo errato alla vista di Shadow, un essere non umano parlante.
Il riccio si fermò, quando glielo disse Rory, davanti ad una porta chiusa, un po' malmessa e dal legno sbiadito e intaccato. 
"Shadow, ehm... potresti nasconderti un momento?" chiese lei, in tono peritoso. 
"Perché?" ribatté lui, neutro, lasciando la giovane allibita da tale curiosità.
"Perché se mio padre vedesse un grosso riccio nero parlante spara-energia-dalle-mani, che tiene in braccio la figlia piena di lividi, come pensi che reagirebbe?" replicò stizzita.
Il riccio inarcò un sopracciglio per poi emettere uno sbuffo, un po' contrariato. Dopodiché, poggiandola a terra, decise di assecondarla. Dovette ammetterlo: un po' quella situazione lo divertiva. 
Rory, dopo aver dato un ultimo sguardo a Shadow, che si era nascosto dietro alla ringhiera di cemento della rampa di scale che conduceva al piano superiore, fece un sospiro e bussò.
L'uomo, ancora vestito con gli abiti della sera prima, ma con la faccia ancora più stanca di quanto non fosse normalmente, aprì la porta, con uno sguardo a dir poco assassino, che metteva ancor di più in risalto le occhiaie viola e la moltitudine di rughe. Uno sguardo che d'un tratto si riempì di preoccupazione alla vista della figlia conciata in quel modo. Rory notò che aveva gli occhi rossi e gonfi: probabilmente aveva pianto per la disperazione tutto il tempo.
"Dove sei stata? Cosa ti è successo?" chiese l'uomo, scioccato e allarmato per la salute della figlia. La ragazza si teneva appoggiata al muro di destra con la mano, aiutando il piede sinistro a reggere tutto il peso del corpo. 
"Ciao, papà... mi aiuti?" chiese lei, facendogli capire che non poteva poggiare il piede sul pavimento, a meno che, per scopi puramente masochisti, non avesse voluto provare molto dolore. L'uomo la trascinò dentro, prendendola sotto braccio, e la fece sedere su una sedia di legno lì vicina, accanto al tavolo della cucina sul quale vi era poggiato un giornale aperto. Rory, che strabuzzò gli occhi agitata, vide le immagini e un paio di notizie molto particolari: in una immagine veniva ritratto da lontano un dirigibile molto familiare e un titolo che recitava "avvistato un dirigibile sospetto in molte zone del paese"
"Dio mio, Rosa, dobbiamo portarti subito all'ospedale... Chi è stato a farti questo?" esclamò lui sconvolto, dopodiché fece per chiudere la porta di casa, quando venne fermato repentinamente dalla figlia. 
"Papà, c'è un mio amico lì fuori, che mi ha gentilmente riportata qui," esordì lei, incerta, "ma... non dare in escandescenze."
Il padre le lanciò un'occhiata scettica, non capendo a cosa potesse mai alludere la ragazza. 
Dopo un breve lasso di tempo, Rory sospirò ed esclamò: "Shadow, per favore, entra".

***

Shadow comparì sulla soglia della porta di casa, freddo com'era di solito. Non amava essere oggetto di questi drammatici teatrini. Avrebbe potuto andarsene, ma qualcosa lo portava a restare, forse il volto della giovane, sul quale era scolpita un'espressione a dir poco traumatizzata mentre teneva in mano il giornale. Il padre di Rory, sconvolto, alla sua vista indietreggiò di qualche passo verso la figlia, la quale rivolse un'occhiata di scuse al suo amico. Alla creatura parve non interessare, in fondo aveva immaginato che potesse succedere una cosa del genere. 
Vedendo nessuno azzardare a dire una parola - non che se l'aspettasse da Shadow, dal momento che era un essere taciturno e orgoglioso come pochi - decise di farlo lei per loro.
"Papà, Shadow mi ha riportato qui. È stato molto gentile". 
Il padre rivolse un'occhiata a dir poco sbigottita alla figlia, la quale cercava di rassicurarlo con lo sguardo, con poco successo. 
"Ma tu sei...?" disse lui, dopo un breve lasso di tempo a studiare la creatura nera che aveva di fronte. Rory riuscì a stento a trattenere una risata, coprendosi la bocca con il dorso della mano, per la situazione assurda in cui si trovava. 
"Una reazione rassicurante", commentò lei, ironica e rilassata. Doveva ammettere che si aspettava molto di peggio da uno come suo padre. "Shadow, lui è Antonio, mio padre". 
Il riccio annuì, irritato. 
"L'avevo capito", disse lui, in modo poco cortese verso i due. La ragazza si morse il labbro inferiore per smorzare un sorriso e decise di non replicare. Dopo aver dato un'ultima occhiata ai due, fermi come due statue di cera, la giovane batté la mano sul tavolo. 
"Beh, chiudo la porta!" esclamò, saltellando sul piede sinistro verso quest'ultima, per poi chiuderla e ritornare a sedersi. La ragazza chiuse il giornale per leggerne la prima pagina e l'immagine di copertina mostrava una figura in lontananza, di spalle, molto simile all'amico riccio, solo di un colore diverso, reso però indistinto dalle pagine in bianco e nero del giornale; mentre il titolo di questo recitava "strana creatura blu avvistata nei pressi di Roma".  La giovane aggrottò la fronte stupefatta, capendo, solo in un secondo momento, a cosa si riferisse suo padre appena lo vide.
"Shadow, leggi un po' qui, per favore", lo incalzò, mostrandogli il giornale. Il riccio dal manto ebano si avvicinò a Rory, non curandosi del padre che prontamente si allontanò da lui, alquanto inquietato. La ragazza gli porse il giornale, indicandogli la notizia con l'indice, e per tutta risposta la creatura socchiuse gli occhi, pensieroso, mentre guardava l'immagine. 
"Che cosa ci fa lui qui...?" sussurrò lui, non accorgendosi di aver pensato ad alta voce. 
"Lo conosci?" chiese lei, notando l'espressione di fastidio appena accennata sul suo volto. Shadow le restituì il giornale, emettendo un lieve sospiro, dopodiché annuì. 
"Chi è?" continuò con le labbra increspate in un leggero sorriso, curiosa ma impensierita, fissando la foto e studiando, per quanto possibile data la poca nitidezza dell'immagine, il personaggio ritratto. Shadow rivolse un'occhiata a Rory, la quale parve visibilmente interessata a quel riccio. 
"Per voi è innocuo," rispose, in un tono neutro, fissando il vuoto "per me, una seccatura". 



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Angolo dell'autrice: Ciao, ragazzi, innanzitutto mi scuso per il ritardo dell'uscita del capitolo. Purtroppo tra università e lavoro... ho davvero poco poco tempo per stare dietro alla FF (che continuerò a , ovviamente), per questo, è molto probabile che i nuovi capitoli usciranno con maggiore ritardo rispetto ai precedenti. Ma adesso, parliamo della storia: Shadow, anche se i suoi pensieri sugli umani gli impediscono di essere più "affabile", sta cominciando ad accettare (più che altro, direi a tenere in considerazione lel) Rory e il suo piccolo mondo umano. Speriamo solo che duri...

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Capitolo 7
*** Verità nascoste, parte I ***


Antonio, che stava fissando la scena sconcertato dalla semplicità con cui sua figlia stava parlando con una creatura non umana, decise di fare un passo in avanti e di non rimanere più in disparte. Una volta abituatosi alla vista del riccio bicolore, si intromise nella loro conversazione senza più esitare. 
"Rosa, dove sei stata stanotte? Chi è stato a ridurti così?" chiese lui, ansioso, con un filo di rabbia nella voce. La giovane, ancora assorta nei suoi pensieri, girò di scatto il viso verso di lui, basita. Sperò tanto che lui non gliel'avesse mai chiesto: non era in grado di mentire a chi amava e, soprattutto, odiava dire menzogne a suo padre. Abbassò lo sguardo, sentendosi troppo in colpa per ciò che non avrebbe mai voluto dirgli e per tutta la preoccupazione che avesse dovuto sopportare suo padre. Decise che gli avrebbe detto la verità, ma omettendo quanto più possibile i dettagli riguardanti le ferite e di come se le fosse procurate. 
"Papà, ieri sera..." cominciò lei, incerta su cosa dirgli, "sono stata rapita da... uno strano scienziato pazzo, chiamato Robotnik", esclamò lei, prendendo il giornale ed indicando l'immagine che ritraeva il dirigibile. 
"Sono stata presa in ostaggio e portata qui dentro," disse poi, rivolgendo una fugace occhiata verso Shadow, pregandolo con lo sguardo di non dire o fare niente, dopodiché spostò il viso di nuovo verso suo padre, che la fissava con occhi spalancati e affranti, affermando: "E Shadow mi ha salvato la vita. Ha dei poteri ed una forza straordinari..." 
Antonio spostò la sua attenzione verso la creatura, la quale nel frattempo stava fissando il vecchio frigorifero grigio della cucina, a braccia incrociate, molto infastidita per le sciocchezze che stava dicendo quella ragazza a suo padre. Il riccio bicolore detestava quel genere di menzogne; non che Rory avesse detto il falso, ma odiava il fatto che avesse manipolato la loro vicenda in modo tale da farlo apparire agli occhi di quell'uomo come un eroe. Lui non era un eroe e, se doveva essere sincero, neanche voleva esserlo... 
"Ti ringrazio, Shadow", disse lui, infinitamente grato e stupito per quelli che dovevano essere state le incredibili gesta del riccio. Shadow, in tutta risposta, fece una smorfia e sbuffò sempre più spazientito. Nonostante fosse un po' stranito per la reazione del riccio, preferì non indagare sul perché l'essere si comportasse così ed attribuì quell'atteggiamento ad una forma particolare di timidezza. Si rivolse di nuovo alla figlia, con un tono più calmo, sebbene fosse ancora allarmato.
"Ed è stato... quell'infame a farti questo?" chiese suo padre, riferendosi al dottore, ormai deciso a voler conoscere fino in fondo quella storia tanto incredibile quanto spaventosa. Rory rimase interdetta, non sapendo proprio cosa dirgli. Quando fece per rispondergli, parlò Shadow, con lo sguardo austero puntato verso l'uomo.
"Sono stato io". 
La giovane strabuzzò gli occhi, impietrita, chiedendosi come aveva potuto dirgli una cosa del genere e, soprattutto, perché. Antonio rimase a bocca aperta, non sapendo più cosa pensare, dire o fare, mentre Shadow restò impassibile. 
Rory distolse lo sguardo e chiuse gli occhi, ormai stanca, e si mise con il gomito destro sul tavolo per poi coprirsi la bocca con le nocche delle mani. Ben fatto, Shadow, pensò.
"Tu?!" sussurrò il padre, dopo un breve lasso di tempo passato a scrutarlo, in un misto tra il disprezzo e il perplesso. Successivamente scosse il capo, ancora stupefatto, e chiese: "Perché?"
"Papà, è stata colpa mia", intervenne Rory, in difesa del riccio, alzandosi dalla sua postazione e zoppicando fino a mettersi tra i due, con Shadow alle sue spalle. Il riccio la guardò colpito, chiedendosi perché mai lo difendesse così. Quando tutt'a un tratto gli ritornò in mente quell'odiata scena che tanto voleva dimenticare... durante la quale venne protetto a spada tratta da una giovinetta: quell'angelo che tanto amava. Fu quasi come se all'improvviso i capelli di Rory fossero divenuti biondi e mossi e, al posto di quel top rosa e di quei jeans un po' malconci, fosse apparso un vestitino azzurro cielo. 
"Abbiamo entrambi commesso un errore, ne abbiamo parlato, lui mi ha perdonato ed io ho perdonato lui", disse lei, lanciando uno sguardo veloce verso Shadow, che la fissava ancora sbigottito e con il viso sbiancato, assorto, quasi come se non si fosse accorto che lei ora era rivolta verso di lui. La creatura per un secondo rivide quegli occhioni azzurri, l'espressione dolce e le guance rubiconde, un viso che lasciò subito spazio ad un volto ben più adulto e femminile, sul quale era dipinta una smorfia titubante. 

Antonio scosse la testa, ripugnato da tale rivelazione e disse, quasi urlando: "Come puoi difendere uno che ti riempie di botte?! Non hai visto i lividi che hai sul braccio e sulla faccia?" 
Merda, devo davvero avere un aspetto orribile... pensò lei, mordendosi il labbro e sbattendo più volte le palpebre. Alzò le mani, quasi come se stesse parlando ad un animale inferocito senza guinzaglio, dopodiché provò a fare un passo verso di lui.
"Papà, senti..." esordì la giovane, tentennante, dal momento che non sapeva proprio come spiegarglielo in due parole, dopodiché rivolse un'altra occhiata a Shadow, il quale finalmente sembrava aver ripreso conoscenza mentre scuoteva convulsamente il capo, "Shadow non mi ha sfiorata neanche con un dito", disse lei, schiarendosi la gola, con il volto paonazzo per l'espressione fraintendibile, "non tecnicamente, almeno".
"Cosa? Ma lui ha detto...?" esclamò lui, adirato, interrompendosi quando cercò di capire l'ultima affermazione della figlia, "che vuol dire non tecnicamente?"
Rory si coprì la fronte con la mano per l'imbarazzo, poi rivolse un'altra occhiata al riccio, il quale ormai era ritornato a sfoggiare la sua migliore espressione di sempre: seccata e, quasi, annoiata. La giovane ringraziò il cielo dacché il compagno era ritornato in sé.
"Beh... è difficile da spiegare e non credo che Shadow sia disposto a darci una dimostrazione pratica dei suoi poteri..." 
Shadow alzò gli occhi al cielo, innervosito, dopodiché sbuffò. Successivamente, contro i suoi valori e contro il suo stesso giudizio, decise di accontentarli. Come aveva fatto con Rory, ma con molta meno ferocia, con un solo movimento della mano emise una lieve scarica di energia del caos contro il rotolone di carta posato sulla tavola, scagliandolo contro il vetro della porta finestra della cucina. Suo padre osservò la scena con un'espressione a dir poco esterrefatta, se non terrorizzata. Rory lo fissò altrettanto meravigliata per l'insolito comportamento accomodante: Shadow non solo aveva fatto ciò che lei intrinsecamente voleva, ma soprattutto non aveva provocato danni. Con la bocca mimò la parola "grazie" verso il riccio, il quale distolse lo sguardo, mettendosi a braccia conserte. 
"Uh, Gesù..." mormorò il padre, allibito, mentre la figlia cercò di trattenere un sorriso, evidentemente senza successo. 
"No, sono solo Shadow", ribatté il riccio, inarcando un sopracciglio, con una finta espressione irritata. In realtà trovava soddisfacente vedere la reazione degli uomini al cospetto delle sue straordinarie abilità. Rory a quell'affermazione si piegò in due dal ridere e lo fece così tanto da avere i crampi alla pancia e le lacrime agli occhi, meravigliando sia Antonio, sia il riccio per l'improvvisa ilarità. Solo quando riuscì a respirare di nuovo e a stare dritta, mentre si asciugò una lacrima chiese a Shadow: "Ti va di restare qui?"
"Cosa?" esclamò la creatura, stupita e decisamente riluttante all'idea di vivere con degli esseri umani - non che il dottor Eggman non fosse un uomo, ma il dottore era... il dottore.
"Già, cosa?" ribatté suo padre, leggermente alterato. Quell'essere lì, a casa loro? Giammai.
"Dai, papà, Shadow non ha un posto dove stare..." disse lei, con un tono leggermente petulante, poi si rivolse al riccio facendo spallucce: "sei scappato da Robotnik, quindi deduco che tu non abbia una casa. Potresti stare qui finché non troverai un'altra sistemazione, che ne dici?" 
Shadow si sentì, per la prima volta nella sua vita, preso alla sprovvista. I suoi pensieri nei confronti degli esseri umani lo spingevano a rifiutare la gentile offerta della giovane, ma stranamente il suo cuore lo raccomandava di ripensarci. Vedendo l'indecisione della creatura, Rory lo incalzò dicendo: "Pensa ai benefici: avrai tre pasti gratis garantiti e un letto comodo anziché un pavimento freddo. Mangi il cibo degli esseri umani?" 
Un gesto che solitamente avrebbe portato Shadow su tutte le furie: detestava chi cercava di assillarlo, soprattutto quando era in procinto di rifiutare. Ma quella volta - sarà stato per quello stupido sorrisino supplichevole sul viso della ragazza, oppure l'offerta allettante dei tre pasti al giorno - non sapeva per quale motivo, increspò le labbra in un mezzo sorriso sghembo, così piccolo quanto fugace, ma abbastanza visibile da non passare inosservato. 
"Dovrei pensarci un attimo", si limitò a dire, vago, dopodiché rimase sbalordito per l'espressione di gioia della giovane che si tramutò in un sorriso a trentadue denti, la quale, con un gesto di trionfo - come se la creatura avesse accettato la proposta - esclamò felice: "Fantastico!"
"Cosa?!" esclamò Antonio, contrariato dall'improvvisa piega degli eventi. Già lo detestava per ciò che aveva fatto a sua figlia, per non parlare del fatto che lo terrorizzava l'idea di averlo lì, in casa, con lui. Rory per tutta risposta, disse: "Suvvia, papà... abbiamo cose più importanti a cui pensare, che a un riccio bicolore in casa", esclamò lei, cambiando discorso - ignorando deliberatamente l'occhiataccia che le aveva rivolto Shadow per come lo aveva schernito - e, vedendo l'espressione del padre scettica e allo stesso tempo preoccupata, disse: "dobbiamo andare in pronto soccorso per capire come bisogna curare questa caviglia. Ma... dopo che sarò andata a fare una doccia!"

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Capitolo 8
*** Verità nascoste, parte II ***


Dopo aver fatto mille questioni con suo padre, Rory finalmente era riuscita a convincerlo a lasciare stare Shadow in casa loro, ma solo per qualche giorno e non di più. Antonio amava troppo la figlia, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, inoltre, la conosceva bene. Era ben consapevole che lei odiasse la violenza nei confronti dei più deboli e che ben spesso lei si facesse coinvolgere in risse per difendere quest'ultimi, quindi se aveva perdonato quell'essere nonostante le avesse fatto così male, c'era dietro un motivo serio. Antonio portò Rory, lasciando Shadow riposare a casa loro, al pronto soccorso, dove le fecero una radiografia alle contusioni e alla caviglia, dalla quale, fortunatamente, non risultava nulla di grave. Le diedero due pomate, una per la caviglia da mettere due volte al giorno, per una settimana e, finché non fosse trascorsa, la giovane avrebbe dovuto evitare di poggiare il piede a terra e di sforzarlo, mentre l'altra per gli ematomi, una volta al giorno, finché non fossero scomparsi. Infine le fasciarono strettamente il piede e le consigliarono un negozio dove acquistare una stampella per facilitare la deambulazione.

Nel frattempo, Shadow, in solitudine, cominciò a perlustrare la sua dimora temporanea, senza mai soffermarsi troppo sui dettagli: arredata con mobili in stile antico, vi era qualche quadro ritraente paesaggi o disegni firmati da Rory, un divano non troppo vecchio, un piccolo televisore al plasma alla parete e altre cianfrusaglie varie. Entrò in una camera bianca, con un letto singolo a ponte e dedusse che dovesse essere quella dell'attuale compagna. Era una stanzetta sobria, con una piccola scrivania sulla quale erano appoggiati disordinatamente un computer portatile e tanti disegni, taluni colorati. Inoltre, vi erano qualche mensola stracolma di libri scolastici e pile infinite di romanzi, raccolti in ordine d’autore. Si soffermò su dei titoli in particolare: "Le avventure del Capitano Alatriste", “Orgoglio e pregiudizio” e “Il codice Da Vinci”.
Vi era un arco di legno esposto, in un angolo della stanza, mentre accanto al letto vi era un comodino bianco - come il resto del mobilio - sul quale era appoggiata una fotografia. La foto ritraeva una ragazzina - di età compresa tra i dodici ed i tredici anni - accompagnata da una donna e un uomo, alle sue spalle. Dedusse che quella giovinetta dovesse essere Rory, tuttavia, notò che in quello scatto avesse un'espressione differente da quella attuale. In quell'uomo dall'aspetto aitante e sorridente rivide Antonio, ciò nonostante, anche lui sembrava avesse subito un cambiamento radicale. In quella foto Rory aveva un'espressione così felice...

Il suo indagare terminò quando la porta si aprì ed entrò la ragazza munita di stampella, seguita da suo padre. Non vedendo il riccio nel soggiorno, la giovane si allarmò.
"Shadow?" lo chiamò, con un filo di preoccupazione nella voce. Nessuna risposta. Allarmata, Rory andò nella sua stanza e trovò l'amico seduto a bordo letto, a braccia conserte e con la sua solita espressione austera. Fece un sospiro, visibilmente sollevata.
"Che ci fai qui?" chiese lei, con un timido sorriso, ma la creatura di nuovo non rispose e, dopo qualche attimo passato a studiarla a fondo, volse lo sguardo verso il vuoto. Allora Rory vide il quadretto della sua foto spostata rispetto alla sua solita posizione e lì comprese cosa stesse facendo.
"Ah, sei in perlustrazione", commentò lei, vacua: un'espressione che non sfuggì al riccio, che le rivolse un'occhiata fugace e la vide con lo sguardo fisso sullo scatto.
"Chi è?" chiese lui, d'un tratto, facendola sobbalzare leggermente.
"Mia madre", rispose lei, stesso tono di prima. Rory si sedette a fianco alla creatura, appoggiandosi con la schiena sulla parete legnosa del letto a ponte, prendendo il quadretto per poi adagiarlo sulle gambe, tenendolo stretto tra le mani. Sospirò.  
"Dov'è?" chiese lui, avvertendo un'atmosfera tutt'altro che piacevole nell'aria, sorprendendo se stesso per il suo improvviso e inopportuno interrogatorio. Perché in cuor suo, la risposta la sapeva già. Rory sorrise debolmente e sbatté le palpebre, infine, ritenendo insensato dare spiegazioni inutili, semplicemente rispose: "Non c'è".
Shadow, fissando un punto nella stanza per evitare di assistere ad un imminente piagnisteo, inarcò un sopracciglio, un po' seccato. Era infastidito non dalla vaga risposta che non lasciava spazio all'immaginazione, ma dalla propria sete di sapere.
"Com'è successo?" domandò ancora il riccio, quasi maledicendosi. Perché chiederle una cosa del genere? Quale tipo di consolazione avrebbe mai potuto offrirle? C'era già passato una volta e non voleva affatto ripetere l'esperienza. Ma quando Rory stava per rispondere, il telefono di casa squillò. Suo padre entrò in camera sua con il cordless: era Jessica, in cerca della sua migliore amica.

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Angolino dell'autrice: sì, lo so che come continuo è piuttosto breve, ma pensavo che lasciarlo intero sarebbe stato un mattone troppo lungo da leggere uvu Come vavevo già accennato, dopo questo capitolo si entrerà nel vivo della storia. Spero che continuerete a leggere :3 Ringraziamento particolare va a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi e recensire questa storia (e grazie anche per i complimenti che fate ai miei disegnini. Devo ancora dedicare una copertina a questa ff. Appena ho tempo, lo faccio uvu). Siete davvero molto gentili. Ci tengo ai vostri giudiziosi pareri uvu <3
Se trovate degli errori, as usual, segnalatemeli! 
Un bacio, un abbraccio,
Rory!

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Capitolo 9
*** Incomprensioni, parte I ***


Era ormai passato qualche giorno e Rory, malgrado avesse ancora bisogno dell'ausilio della stampella, era in grado di appoggiare il piede a terra senza sentire troppo dolore, mentre gli ematomi al fianco e alla spalla stavano incominciando a schiarirsi. Finalmente poté ritornare a svolgere alcune delle attività che solitamente praticano le ragazze della sua età: andare a seguire i corsi universitari, grazie all'aiuto di Jessica e Christian che l'accompagnavano e la riportavano a casa. I tre passavano volentieri il tempo insieme come avevano sempre fatto, aiutandosi a vicenda con lo studio e in altre cose. Ormai erano diventati un trio davvero affiatato.
Rory non vedeva l'ora di ritornare a servire in pizzeria, dal momento che aveva chiesto un week-end di permesso, poiché era impossibilitata a lavorare. Aveva disperatamente bisogno di un cellulare nuovo e giurò a se stessa che gliel'avrebbe fatta pagare a quel maledetto baffo-battiscopa di un Robotnik. A causa sua, era comparsa su tutti i giornali la notizia dell'attentato provocato con il suo dirigibile e, come se non bastasse, quella spiaggia - il suo luogo preferito - era diventata la meta preferita per i più coraggiosi. Per questo lei non poteva neanche concedersi cinque minuti in santa pace per respirare aria di mare. Un motivo in più per odiarlo.

Shadow passava tutto il tempo fuori e a stento ritornava da Rory, per accennare un saluto, soprattutto quando lei usciva fuori al balcone giusto per guardare il sole tramontare. Non era mai stato più di cinque minuti a casa della ragazza: solo due sere si era fermato a cenare, quando fu gentilmente costretto dalla giovane a restare da lei. Passava tutto il tempo o a spasso - in quei frangenti, Rory non sapeva dove andasse o cosa facesse - o sul tetto dell’edificio a fissare la spiaggia. Ciò accadde soprattutto a causa dell'assalto di Jessica a casa dell'amica, troppo atterrita per restarsene dai suoi e non vederla. Rory ancora sentiva scorrere un brivido lungo la schiena quando pensava all'incontro con lei e l'amico riccio...

***

Rory si morse il labbro inferiore e sbatté le palpebre, prima di prendere il cordless, dopodiché se lo portò all'orecchio, esclamando un fin troppo esaltato: "Ciao, Jess!"
Un tono nettamente falso: la ragazza, dall'altro capo del telefono, aveva già capito che non quadrava qualcosa. Non aveva neanche bisogno di vederla in viso.
"Rory, dove sei stata tutta la notte? Sono morta un centinaio di volte!" esclamò lei adirata, un comportamento del tutto innaturale per la dolce e affettuosa Jessica. Rory sorrise condiscendente.
"Perdonami, Jess..." sospirò la ragazza, rammaricata, "volevo avvisarti, ma non ho il cellulare", continuò, dandosi un pizzicotto da sola per ciò che le aveva rivelato. E, infatti, con un'affermazione del genere, cosa poteva aspettarsi se non una Jessica assolutamente ansiosa e sbigottita?
"Mio Dio, te l'hanno rubato?! Come è successo? Chi è stato?" E un'altra sfilza di domande che se Rory non l'avesse interrotta, quel terzo grado non sarebbe finito prima del giorno successivo.
"Jess, è una lunga storia..." mormorò lei titubante, dando un'occhiata alla sua destra, dov'era Shadow. Il riccio si era giusto sdraiato sul letto della giovane, poggiando le mani sulla pancia e accavallando le gambe, riposandosi beatamente ad occhi chiusi, occupando circa metà dello spazio, noncurante che quel posto non fosse il suo e della discussione che Rory stava avendo con l'amica. La ragazza aggrottò la fronte, un po' sorpresa dall'improvvisa sfrontatezza della creatura.
"Rory, non me la racconti giusta. Vengo da te," sentenziò l'amica, preoccupata. Rory sobbalzò, sbattendo con la testa sotto la mensola posta sopra il letto. Imprecò a bassa voce, causando una lieve increspatura sulla bocca del riccio, il quale sorrise così lievemente da riuscire a non farsi scoprire.
"Ma no, Jess, non preoccuparti..." tuttavia Rory non poté finire la frase che l'amica l'aveva già liquidata con un saluto e staccato il telefono prima che la giovane potesse controbattere, "Jess? Jessica...?!"

Si tolse il cordless dall'orecchio con un'aria totalmente basita, guardando il display che segnalava la chiamata terminata. Fece un respiro profondo mentre alzò gli occhi al cielo e, dal momento che la conosceva bene, era a dir poco terrorizzata all'idea che la sua migliore amica potesse vedere Shadow. La ragazza girò di scatto il viso verso la creatura, la quale era ritornata a sfoggiare la migliore espressione disinteressata di sempre.  
"Shadow, non ridere, è una tragedia", sentenziò la ragazza puntandogli il dito, “è inutile che fingi di non farlo, ti ho visto”.
"Non sto ridendo", sbuffò lui, lanciandole un’occhiataccia, sottecchi. Rory alzò di nuovo gli occhi al cielo e si portò le mani alle tempie, dacché quasi le scoppiava la testa. Okay, Rory, pensa, pensa, pensa...

***

Dopo circa dieci minuti, Jessica arrivò tutta ansante, bussando circa un milione di volte il campanello provocando, così, l'irascibilità del padre di Rory, il quale per quanto adorasse quella ragazza, non sopportava di essere disturbato. Antonio aprì la porta, mentre la figlia uscì dalla sua stanza velocemente - per quanto possibile, dal momento che ancora non si era abituata all'uso della stampella. Entrò una ragazza alta circa una spanna in più rispetto a Rory, dai capelli biondi e molto corti, due grandi occhi castani e un nasino all'insù, il tutto contornato da un viso dai tratti gentili e ben proporzionati. Jessica era sempre stata considerata la più bella ragazza del liceo, in virtù delle sue forme aggraziate, e per lei questa sua dote rappresentava una vera e propria arma a doppio taglio. La giovane, dal fisico di una modella, salutò con un abbraccio l'uomo, scusandosi per il suo comportamento irrequieto e maleducato, per poi correre verso l'amica, avvolgendola così forte che quasi la stritolò, facendole male a causa della moltitudine di bracciali tintinnanti che le coprivano i polsi.
"Ciccia, che ti è successo? Per la miseria, chi ti ha ridotta così?"
A Shadow, nel frattempo che ascoltava tutto ben al sicuro sul letto di Rory, se non fosse stato l'essere perfetto gli sarebbe venuto un conato di vomito improvviso. La mora sorrise, come al solito, condiscendente, restituendo di buon grado l'abbraccio. Di solito sarebbe stata più dolce, ma solo immaginare che quel riccio bicolore potesse ascoltare e fare pensieri - quali, tra l'altro, stava effettivamente facendo - del tipo "che smancerie, potrei vomitare, bleah" la infastidiva immensamente.
"Jess, sto bene, è solo una strana e lunga storia".
"Non ti avranno fatto quello... vero?" chiese lei in un sussurro, con un filo di incertezza nella voce, terrorizzata all'idea che potesse accadere qualcosa di orribile alla sua migliore amica. Rory aggrottò la fronte stupita e al contempo addolorata, avendo compreso l'allusione.
"Ma no, Jess, due o tre cretini non riuscirebbero mai a farmi del male, lo sai".

Jessica sospirò tranquillizzata.
"Andiamo in camera tua, devi raccontarmi tutto!" disse, trascinandola con sé verso la stanza della mora. Quest'ultima strabuzzò gli occhi, terrificata, ma a niente bastarono le sue proteste. Jessica doveva sapere. E solo l'onnipotente sapeva quanto Jessica diventasse testarda in questo caso.
Il risultato fu che le due scoprirono uno Shadow all'impiedi, poggiato con la coda sul bordo letto, con il suo solito sguardo austero e le braccia conserte. Rory, titubante, volse lo sguardo verso Jessica, sorprendendosi nel vedere un'espressione di pura meraviglia in volto, ma che non traspariva alcuna inquietudine.
"Ma tu... sei quella strana creatura che c'è su tutti giornali?!" chiese lei, su di giri, "ho letto cose straordinarie sul tuo conto!"
Rory aggrottò la fronte mentre guardava Shadow. Il riccio bicolore restituì lo sguardo alla compagna, abbastanza irritato per l'ennesima comparazione all'impostore, dopodiché entrambi spostarono la propria attenzione verso la bionda.
"Non è possibile, Shadow è nero, mentre la creatura che decantano i giornali è blu", intervenne Rory, togliendo le parole di bocca alla creatura che stava sul punto di sbottare un secco ed adirato "non paragonarmi a quell'imbecille".
"Ah, ti chiami Shadow? Molto singolare. Mi piace!" esclamò lei, sorridente, avvicinandosi pericolosamente - per la propria incolumità - alla creatura. Shadow inarcò un sopracciglio, piuttosto basito per come facilmente quella ragazza aveva incominciato a familiarizzare con lui.
"Che carino!" continuò la giovane, inginocchiandosi e palpandogli le guance, quasi come se stesse studiando un innocuo cucciolo di volpe.
Carino: un aggettivo che mai nessuno gli aveva affibbiato e che non gli sarebbe poi tanto dispiaciuto se un tale complimento gliel'avesse fatto qualcuno che aveva rispetto dell'altrui fisicità. Peccato solo che Shadow fosse tutt'altro che innocuo. E, non sapeva perché, ma quella situazione incominciava a farlo imbestialire. Dunque, strinse i pugni, cercando di trattenersi con tutto se stesso pur di non spingerla violentemente lontano da sé.Rory, che non sapeva se scoppiare a ridere o a piangere, intervenne prontamente in difesa di entrambi, staccando Jessica dal riccio, esclamando: "Jess, Shadow è molto carino, ma per l'amor del cielo, rispetta i suoi spazi!"
La bionda squadrò un secondo l'amica, non capendo perché l'avesse allontanata da quella nuova fantastica conoscenza, poi però si voltò verso quest'ultimo, quasi come se fosse stata illuminata da un lampo di lucidità.
"Oh, perdonami. Non volevo disturbarti!"
La creatura nera, ormai corrucciata, non rispose, imponendosi di calmarsi. È solo una stupida ragazzina, pensò, solo una stupida ragazzina.
La bionda si rivolse di nuovo a Rory, incuriosita e alquanto offesa per la mendacità dell’amica.
“Perché Shadow è qui?” disse, senza troppi giri di parole. Jessica era il tipo di persona che si rivolgeva agli altri chiamandoli per nome, senza inutili fronzoli né cortesie particolari. Poche volte Rory aveva sentito l’amica chiamare qualcuno più anziano di lei con l’appellativo di signora o signore. Per alcuni questo suo atteggiamento era ritenuto un po’ maleducato, ma non lo faceva, di certo, con cattiveria. Era semplicemente molto amichevole ed espansiva, l’esatto opposto della creatura nera che avevano di fronte le due giovani ragazze.
La mora rimase a bocca aperta per qualche secondo, indecisa su cosa dirle, sicura che se avesse dipinto di nuovo Shadow come un eroe, questi si sarebbe infuriato nuovamente. E non poco.
Dopo un attimo passato ad elaborare un piano di fuga intergalattica da quella situazione a dir poco assurda, la stroncò con un semplice ma efficace: “È una lunga storia, ma te la spiegherò in seguito, con più calma. Prima vorrei fare colazione, dal momento che non mangio da ieri sera!”

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Capitolo 10
*** Incomprensioni, parte II ***


Era notte e Rory non riusciva a prendere sonno. Continuava a stare stesa supina, con gli occhi semichiusi, ma che stentavano a farlo completamente. Dopo chissà quanto tempo passato a studiare la base legnosa dell'armadio posto sopra il suo letto, si girò di fianco ad osservare, grazie alla fioca luce che trapelava dalle fessure delle persiane, i contorni del quadretto contenente quella fotografia. Non riusciva a vedere i soggetti della foto, ma, ad ogni modo, non ne aveva poi così bisogno: erano più di otto anni che passava le sere a fissare quelle facce felici.
Capitava a volte che avesse paura di addormentarsi, per timore di rivivere quella scena che tanto la tormentava, chiedendosi spesso come sarebbe stata la sua vita se non avesse spinto sua madre a fermarsi in quel bar, dopo il suo colloquio di lavoro...
Rory si sentiva responsabile per troppe cose, benché non gliele facesse pesare nessuno. Suo padre, o a chi altri credeva avesse fatto un torto, non le rivolse mai una parola rancorosa, ma era lei stessa a pensarci, quando se ne stava in solitudine.
Aveva bisogno di prendere una boccata d'aria fresca, quindi decise di alzarsi. Prese la stampella e s'incamminò verso la porta finestra del soggiorno. Alzò la persiana e si appoggiò alla ringhiera della balconata che collegava anche la camera di suo padre, il quale dormiva serenamente. Da lì si riusciva a vedere tutta la spiaggia, il cui fianco era attaccato ad una collinetta rocciosa e qualche scoglio.
Volse lo sguardo ad un cielo privo di nuvole e con una luna che le parve stranamente più grande e luminosa del solito. Era una visione così ammaliante, così idilliaca, che sembrava intrisa di magia.
Fin quando quella quiete visione non venne scombussolata da un atterraggio leggermente brusco: Shadow era rimbalzato sulla ringhiera, per poi toccare terra con una leggiadria e con una compostezza tali che solo lui possedeva.

"Ciao, Shadow", lo salutò, con tono incolore, ormai abituatasi alle incredibili abilità del compagno. Shadow ricambiò il saluto con un cenno del capo.
"Come stai?" chiese lei, dopo qualche attimo trascorso in silenzio. Il riccio bicolore, quella sera, era più taciturno e serio del solito, tanto che Rory avvertì subito questa differenza nel suo comportamento. Lui si limitò a sbuffare e, per una sciocca convenzione, le rivolse la stessa domanda alla quale, la giovane rispose, con un laconico: "bene, grazie".
Un riscontro che gli fece capire di non essere il solo ad avere pensieri negativi per la testa. Aggrottò la fronte, spinto da una curiosità piuttosto singolare per lui, un interesse che fece sospirare Rory.
"Ti è mai capitato di sentire la mancanza di qualcuno?" chiese, rivolgendosi al riccio, dopo aver passato ancora qualche istante a guardare il cielo, assorta. La creatura sbatté le palpebre, non sapendo cosa controbattere. Non amava mostrare quella parte così vulnerabile di sé, per di più era impensabile, per lui, aprirsi anche solo un po' con un essere umano. Ma, solo perché era cosciente del fatto che stesse parlando con Rory e non con un essere umano qualunque, decise di rispondere sinceramente.
"Sì", annuì, con lo sguardo rivolto verso il cielo, dopodiché, con un piccolo balzo salì sulla ringhiera e si sedette. La giovane inarcò un sopracciglio, sorpresa.
"Posso chiederti chi è?" azzardò lei, titubante. Ormai era troppo curiosa e, data la momentanea sensibilità del riccio, non voleva farsi sfuggire l'occasione di conoscere qualcosa di lui. La risposta di Shadow tardò un po' ad arrivare: riservato com'era, Rory lo avrebbe capito nel caso lui non avesse voluto parlargliene.
"Maria", disse la creatura, con un tono quasi neutro, ma con una sfumatura che caricava la sua voce già di per sé profonda. Era triste? Malinconico? Arrabbiato? Forse era tutte queste cose, ma mescolati in una miscela così lieve e dosata che non si riusciva a capire quale sentimento prevalesse tra tutti.
"Era la mia unica amica".

Era.


Rory non aveva sentito male. Sospirò, afflitta, per poi mordersi il labbro inferiore.
"Mi dispiace, Shadow..." mormorò lei, non sapendo proprio come consolare l'amico. Se fosse stato Christian o Jessica, di sicuro l'avrebbe abbracciato, ma purtroppo Shadow sembrava detestare ogni tipo di contatto fisico, se non quelli prettamente necessari. Inoltre cosa poteva dirgli? Perdere una persona amata non è certo come perdere una banconota da cinque euro. Non ci si riesce a farsene una ragione.
"Aveva dodici anni", continuò lui. Non sapeva perché, ma una volta iniziato era come se sentisse quasi il bisogno di continuare. Necessitava di sfogarsi con qualcuno ed era pressoché un paradosso che questo bisogno venisse scaturito da una semplice ragazza umana. Rory aprì gli occhi completamente, affranta, dal momento che prima li teneva ancora socchiusi dalla spossatezza.
"Com'è successo...?" chiese, senza pensarci due volte. Una bambina di dodici anni può morire in tanti modi: una malattia, un incidente... una fatalità. Ma il solo fatto che un essere così giovane possa cessare di vivere, qualunque fosse il modo, per la giovane era impensabile. Shadow le rivolse un'occhiata alquanto contrariata, non avendo intenzione di dirle altro. Quel ricordo era insopportabile e il solo fatto di pronunciare quelle terribili parole, era atroce.
"Un soldato umano le aveva sparato," rispose, trattenendo un respiro, "solo perché volle proteggermi". Shadow strinse i pugni: le sue parole erano un sussurro di piena collera e rancore.

"È per questo che odi gli umani?" fece ad un tratto Rory, un po' tremolante, con lo sguardo rivolto verso il basso, come se stesse rivolgendosi a se stessa anziché a lui. In quel momento Shadow aveva assunto un'espressione truce, traboccante di disprezzo, ma non fu questo a sconvolgerla. Era scossa per il sentimento di rabbia che lei stava provando in quell'istante. Un'espressione di disappunto che al riccio bicolore non andò giù.
"Mi stai biasimando?" insinuò lui, alzandosi in piedi sulla ringhiera in modo tale da guardarla dall'alto, sputando quelle parole quasi come se intendesse darle uno schiaffo.
"Non fraintendermi, Shadow", sbottò lei, leggermente adirata, voltandosi verso di lui, "ciò che ti è successo è orribile, ma è sciocco ed insensato attribuire la colpa di quell'evento a sette miliardi di persone che neanche sanno della tua esistenza. E tu non sei né uno sciocco, né un cerebroleso".
Il riccio strinse i pugni, fissandola con espressione tra il basito e il furibondo, sperando di intimidirla in qualche modo, senza avere successo. Rory sostenne il suo sguardo e non cedette neanche per un secondo, osservando come gli occhi della creatura apparissero ancor più cremisi alla luce lunare.
“Gli esseri umani non valorizzano la vita, non conoscono la pietà... Perché io dovrei averne?” sbottò lui, infuriato, contro di lei, la quale rimase a bocca aperta per ciò che aveva appena udito. Aveva ben intuito i sentimenti che il suo compagno provasse nei confronti della sua specie, ma sentirselo dire così fu quasi un trauma. Inoltre, era ben consapevole del fatto che, molto probabilmente, stesse tastando il limite della sopportazione della creatura nera, ciononostante decise di dire esattamente cosa pensava, senza alcun riserbo. Le si riempirono gli occhi di lacrime e più cercava di ricacciarle dentro, più queste minacciavano di fuoriuscire. Per questo si morse il labbro e sbatté le palpebre più volte, infine abbassò lo sguardo e mormorò: “Ti pare che ti avrei salvato se per me la tua vita non avesse valore?!”

Le parole della giovane erano appena un sussurro, ma quel rabbuffo fu come una pioggia in ciel sereno per la creatura nera, che venne destata pressoché brutalmente dai suoi pensieri di vendetta e riportata finalmente all’attuale conversazione.
"
Shadow, gli esseri umani - io compresa - sono, sì, imperfetti. Sono patetici, sono una banda di cretini, un ammasso di trogloditi senza cervello, scegli pure la definizione che ti disgusta di più. Ma se pensi di essere il solo a soffrire, ti sbagli".
Il riccio bicolore aveva ormai perso tutta la flemma di cui era dotato ed il suo volto era diventata una maschera di puro astio, forse ancor di più dell'ultima volta, in quella cella all'interno del dirigibile di Robotnik. Come mai nella sua vita, sentì il bisogno di dover colpire qualcosa. Rory, scioccata, vide formarsi una sfera di luce gialla nella mano destra di Shadow e si preparò a ricevere il colpo. Che però non arrivò mai: il riccio l'aveva scagliato contro la collinetta, provocando un'intensa esplosione e un'enorme frana. Decine di massi caddero, andando a scontrarsi con il resto delle rocce in basso, provocando un gran frastuono, e la giovane suppose che se Shadow avesse inteso colpire lei, l'avrebbe carbonizzata seduta stante.
"Io sono la Forma di Vita Definitiva e non ti permetto di rivolgerti a me così", disse lui, a denti stretti, quasi in un sussurro, senza mai distogliere il suo sguardo austero da lei. La ragazza, impressionata dalla potenza di quell'essere, dopo qualche attimo passato a scrutare la collinetta ormai franata, ritornò a rivolgere lo sguardo verso il riccio. Uno sguardo così serio, risoluto, privo di qualsiasi forma di timore, ma soprattutto colmo di costernazione e mestizia - quantunque il battito cardiaco fosse in continuo fermento - che mai la creatura vide prima di allora su un volto umano.

"Tu non sei in grado di spezzare un giuramento", constatò la giovane, placando in un momento l'animo di Shadow, che la fissò pressoché meravigliato quando due calde lacrime le solcarono il volto, ormai tracimante di tristezza. Quest'ultimo scosse il capo e socchiuse gli occhi, rimanendo sulla difensiva.
"Non esserne così sicura", ribatté il riccio, con un filo di incertezza nel suo tono.
In quel momento il padre di Rory uscì dalla sua stanza, intontito dal sonno ma allarmato per i rumori che aveva sentito provenire dall'esterno. Si affacciò fuori al balcone, trovando la figlia e quell'essere fissarsi intensamente.
"Io mi fido di te", continuò lei, avvicinandosi alla creatura, senza neanche dar peso alla sua ultima risposta. Quest'ultima, invece, trattenne il respiro nell'udire quelle ultime parole e fece una smorfia quando intravide Antonio avvicinarsi alle spalle della ragazza. Non riuscendo a tollerare oltre quella situazione, decise di allontanarsi da lei e, in un secondo, sparì nel cuore della notte.

Lasciandola lì, da sola.

***

"Qui agente Freez, ho avvistato il soggetto insieme alla ragazza che lo sta trattenendo. La creatura ha appena lanciato con la mano una specie di proiettile giallo contro una collina vicina. Passo", disse un uomo dall'aria sospetta, travestito come un semplice passante. Teneva i suoi occhi grigi puntati su quella scena, osservandola da lontano, senza neanche poter ascoltare la conversazione dei due - sebbene la curiosità di sapere su quale argomento si ergeva quest'ultima lo stava logorando. Avrebbe voluto avvicinarsi, ma era convinto che la creatura, in virtù dei suoi riflessi sovrumani, l'avrebbe sicuramente visto.
"Qui è il comandante", rispose una ruvida voce dal ricevitore, "continua a sorvegliare il soggetto Shadow. È un essere pericoloso, non possiamo perderlo di vista".
"Sì, signore", affermò il subalterno, "passo e chiudo".
Ma appena il riccio se ne andò a velocità supersonica, Freez alzò la tesa del cappello affinché potesse guardare in alto senza volgere troppo il viso, rivelando un ciuffo di capelli rossi. Infine prese il wolkie tolkie dalla tasca della tuta, mormorando: “Rouge, scendi da lì. Dobbiamo andare”.
Una pipistrellina dalla pelle bianca e il musino abbronzato planò, grazie alle sue robuste ali viola, a terra, proprio a fianco all’agente. Aveva indosso una tutina dello stesso colore delle ali ed un corpetto a forma di cuore che le risaltava le forme tonde ed abbondanti, ai piedi un paio di stivali alti bianchi. Sembrava fosse leggermente annoiata. E, in effetti lo era: non amava quel tipo di missioni, soprattutto quando colui che bisognava sorvegliare era un amico.
“Seguiamolo”, esclamò lui in modo tale che sembrasse più un esortazione piuttosto che un ordine. Rouge annuì, per poi spiccare nuovamente il volo mentre il collega corse verso l’auto vicina.


____


Angolo dell'autrice: ZAN ZAN ZAAAN special guest (chissà che non riesca ad inserirne altri)! :P Innanzitutto, vi ringrazio nuovamente per avermi seguita fino a qui. Le vostre recensioni mi riscaldano il cuore (e mi spingono a fare sempre di meglio). Siete tutti davvero molto gentili. Purtroppo devo comunicarvi che dovrò staccare dalla ff per un periodo leggermente più prolungato rispetto ai "ritardi" precedenti. Sto cercando di portarmi in là con la storia, nel caso dovesse capitare di nuovo un periodo nero come questo, dove lavoro, studio e vita privata mi riempiono i giorni di impegni. Inutile dire che non l'abbandono di certo. Ho lasciato troppe cose incomplete, questa storia non andrà nel dimenticatoio insieme alle altre u.u 
Detto ciò, spero vi sia piaciuto anche questo capitolo: le cose, come vedete, iniziano leggermente a complicarsi (anche per me, perché ho talmente tante idee in mente che non so da cosa cominciare!) Vi auguro una buona serata/giornata. 
Un bacio, 
Rory!

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Capitolo 11
*** (Ri)scontri ***


Era il 9 maggio 2017 ed era già passata una settimana da quando Shadow aveva lasciato la casa di Rory. Il sole era alto in cielo e non vi era uno spiffero d’aria a dare un po’ di consolazione alla pelle del riccio, che se ne stava posato, con le mani dietro la nuca e le gambe accavallate, ai piedi di un albero, in un boschetto situato non sapeva dove. Neanche l’ombra del ricco fogliame riusciva a mitigare l’afa soffocante che lo costringeva a starsene lì, buono buono, aspettando che il tempo scorresse e che il ricordo di quella sera divenisse insignificante. Fissava sottecchi un punto vuoto della foresta, senza neanche guardare davvero. Si sentiva quanto mai smarrito, perso in un labirinto di ricordi e di pensieri, dal quale non sapeva uscire.
Era insopportabile. Come si era permessa, quella femmina umana, di rivolgergli la parola in quel modo? Inoltre come aveva potuto, lui, la Forma di Vita Definitiva, l’essere perfetto, colui che non aveva mai bisogno di nessuno, pensare di aprire il suo cuore ad un essere umano...?
Ma ciò che trovava ancor più inconcepibile, erano i sentimenti che egli stesso aveva e stava provando: riprovazione, fastidio e, straordinariamente, una profonda amarezza per tutto ciò che era successo. E quest’ultima realtà lo lasciava realmente spiazzato. Non aveva mai provato, prima di allora, neanche un briciolo di pentimento per le sue azioni, neanche per quelle davvero ignobili. Aveva i suoi buoni motivi per farlo, così giustificava se stesso.
 
Tuttavia, averla colpita con tanta violenza lo trovava davvero indegno di sé. Perché, con quel gesto, la sua promessa fatta a Maria aveva dato i primi veri segni di cedimento.
“Shadow, ti prego… dai una possibilità alle persone che vivono su quel pianeta… solo così il nostro sogno potrà realizzarsi”, quella voce gli ritornava alla mente come uno spillo conficcatogli nel cervello mentre quegli occhioni blu, sempre più prossimi a chiudersi definitivamente, lo fissavano imploranti...
Perché mai avrebbe dovuto farlo, quando questi l’avevano uccisa solo per proteggere loro stessi? Come avrebbe potuto mai proteggere delle creature che non lo avrebbero mai accettato?
Ti pare che ti avrei salvato se per me la tua vita non avesse valore?!”
"Io mi fido di te”.
 
Stupida umana.
Con il chaos spear che aveva lanciato contro quella collinetta, sperava di incuterle paura, così che fosse stata proprio lei a lasciarlo andare. Invece, il riccio nero, non fece altro che confermare la tesi che quella giovane, in virtù del suo occhio critico, si era fatta su di lui. Era dannatamente frustrante, doveva ammetterlo: essere stato compreso e, ancor più, compatito da una insulsa ragazzina. Lui, che non si era mai rivelato a nessuno.
Ma più tentava di dimenticarla, più il ricordo di lei riaffiorava nella sua mente. Era come giocare a ping pong contro un muro infrangibile: lui cercava di scagliare la pallina il più forte possibile, ma questa ritornava indietro, ancor più veloce della precedente.
 
Il suo radicato rancore ed il suo enorme ego lo spingevano ad odiare gli esseri umani, ritenendoli una razza inferiore, un branco di patetiche creature inermi. Eppure, Rory non si era mai tirata indietro, trattandolo, quando scemò l’iniziale timore nei confronti di lui, come un suo pari, anziché come una creatura della quale meglio stare alla larga. E, come se non bastasse, a turbare ancora di più il suo animo indurito fu che per un attimo, anche solo per un attimo, Shadow pensò che forse... forse, al suo fianco… No. Rory non era Maria e mai lo sarebbe stata. Ordunque, perché provare un tale rimpianto?
“Dannazione”, ringhiò adirato ad alta voce, sperando che così facendo riuscisse ad esorcizzare i demoni che lo tormentavano da più di cinquant’anni. Si alzò in piedi e diede un pugno contro l’albero, abbastanza forte da torcerlo e rimase lì, qualche attimo, a fissare l’impronta della sua mano impressa sulla corteccia, con uno sguardo di ghiaccio, sintantoché scosse la testa per poi andarsene di nuovo in un lampo. Ormai non riusciva a stare calmo neanche nei luoghi più tranquilli.
 
***
 
Shadow corse, se ciò che faceva potesse essere definito “correre”, fino ad arrivare in città, scoprendo di essere giunto, avendo letto il cartello della stazione ferroviaria, a Salerno, una delle principali province della Campania.
Qui sentì provenire da qualche palazzo vicino un forte sconquasso. Sotto gli occhi attoniti delle persone, che stavano scappando terrorizzate, sorvolò le abitazioni per arrivare sul luogo dov’era in atto un combattimento. Dall’alto di un edificio, vide la sua brutta copia blu, accompagnato dai suoi amici: un volpino giallo che si trovava all’interno di un piccolo aeromobile, un echidna rosso e una riccia rosa, impegnati in un combattimento contro il dottor Robotnik, ben al riparo all’interno di un enorme robot arancione che comandava lui stesso. In mezzo alla strada, vi era un piccolo esercito di creature meccaniche, molto più piccole rispetto a quello in cui si celava il dottore, che sparava all’impazzata contro gli edifici vicini, distruggendo negozi e autovetture. L’echidna e la riccia rosa, quest’ultima munita di un martello gigante, cercavano di colpire a più non posso i pesci piccoli, mentre il blu e la piccola volpe, attraverso una scarica di colpi ben assestati, cercavano di buttare giù quello grosso.
 
“Ehi, Eggman, perché non ti riposi una volta e per sempre?” esclamò il riccio blu, adirato per come si stava ribaltando la situazione. Trovava strano che, quella volta, quell’uovo sodo di un Robotnik fosse più agguerrito del solito. Detestava che ci andassero di mezzo degli innocenti, per questo incominciò ad attaccarlo usando le sue migliori combo, ma stranamente con scarso successo.
“Non puoi nulla contro di me, Sonic, posseggo ben tre smeraldi del caos mentre tu, senza i tuoi rings, vali meno di zero!” ribatté l’uomo, con la sua solita grassa risata. Sonic sbarrò gli occhi per la sorpresa, chiedendosi come fosse arrivato a possederne tanti. La risposta era una sola: Shadow lo aveva di sicuro aiutato nel suo sporco piano. Si guardò attorno, intento a trovare una traccia del riccio nero, che però sembrava non essere lì in quel momento. Il volpino giallo, quasi come se avesse letto nel pensiero l’amico, esclamò prepotente: “Dov’è Shadow? Ti ha finalmente abbandonato?”
“Quell’ingrato non è degno di stare al mio servizio”, sbroccò l’uomo, sputacchiando sul microfono collegato all’altoparlante. Shadow emise un ghigno divertito e fissò la scena sottecchi, indeciso se prendere parte allo scontro o meno. Dopo un attimo di esitazione, scuro in volto, decise di abbandonare il suo nascondiglio e, con un salto pirotecnico, atterrò proprio nel bel mezzo della scena.
 
“Chi sarebbe indegno di stare al tuo servizio, Eggman?” chiese il nero sprezzante, mettendosi a braccia conserte, ormai appostatosi al fianco di Sonic ed i suoi amici, che lo fissavano sbigottiti.
“Che intenzioni hai, Shadow?” sbottò l’echidna, mentre diede un calcio ad uno dei robot, deformandone irreparabilmente i circuiti principali, dopodiché scagliò un colpo ad un altro vicino, atterrandolo. Shadow sbuffò, senza neanche degnarlo di uno sguardo.
“Solo ripagare con la stessa moneta questo maledetto”, rispose lui, posando le nocche della mano destra sul fianco, per palesare, con vanitoso orgoglio, la misera preoccupazione che stava provando al cospetto di quell’uomo.
Robotnik, che nel frattempo era diventato rosso come la sua giubba dalla rabbia, sbatté un pugno in un punto vuoto della camera dei comandi, gridando contro il riccio nero: “Come hai fatto a scappare da quella cella?!”
Shadow sorrise compiaciuto, evocando lo smeraldo del caos e mostrandolo all’uomo ben al riparo nella sua mano.
“La sciocca ragazzina, come l’hai chiamata tu, te l’ha proprio fatta: si è fatta catturare apposta per aiutarmi a fuggire”.
Gli altri quattro, che ascoltavano interessati quella strana conversazione, si chiesero cosa avesse spinto il nero a cambiare fazione e, soprattutto, chi fosse questa fantomatica ragazza, in grado non solo di averlo aiutato ma anche di aver trovato il coraggio di stare al suo fianco.
 
Dal tetto di un altro degli edifici lì vicino, osservava la scena Rouge, la bella pipistrella, meravigliandosi per quella rivelazione, essendo ben consapevole dei sentimenti che provava l’amico nei confronti degli esseri umani e, soprattutto, conscia di ciò a cui aveva assistito quella sera, una settimana prima. Shadow avrebbe potuto colpirla ed ucciderla… conoscendolo, se gli fosse salito il sangue in testa, di sicuro l’avrebbe fatto. Dunque, perché non l’aveva fatto?
“Dov’è quella sciagurata?” tuonò l’uomo, col viso ormai deformato in una maschera di collera e rabbia. Il dottore si preparò a sparare un colpo laser contro il riccio nero, il quale però non andò a segno, dal momento che la creatura fu in grado, grazie alla gemma, di teletrasportarsi dietro al grosso robot. Il colpo andò a finire contro un edificio che cadde in mille macerie, mentre Eggman si guardò attorno, circospetto.
“Ben lontana da te”, disse Shadow colmo di ira mentre nel palmo della mano cominciò a formarsi un’enorme sfera di energia del caos gialla, dando modo al dottore di girarsi verso di lui “e, credimi, non avrai il modo per cercarla, perché ti farò a pezzi seduta stante. Chaos Spear!” esclamò quest’ultima frase quasi urlando, mentre scagliò il colpo, simile ad una lancia, contro il corpo metallico del robot, che venne trafitto da parte a parte con una brutalità inaudita. Rouge si riparò dietro al grosso cornicione dell’edificio, mentre guardò il vuoto, esterrefatta. Shadow stava forse... proteggendo un’umana?
 
Sonic ed i suoi amici rimasero stupiti dalla scarica di energia, sicuri che quel potente colpo avesse ridotto quel gigantesco macchinario in uno scarto di ferro vecchio. Invece, quell’enorme aggeggio era ancora in piedi, funzionante, anche se leggermente danneggiato. Il robot, in seguito all’attacco ricevuto, divenne più lento e, soprattutto, meno coordinato nei movimenti, quindi era più facile per Sonic ed i suoi compagni controbattere, i quali continuarono la battaglia, al fianco del nero.
“Non sarai tu a fermarmi, Shadow”, esclamò il dottor Eggman, ormai furioso sia a causa di quei quattro guastafeste, sia dal comportamento del suo precedente sottoposto, e incominciò a colpire con una violenta serie di proiettili laser, sparati alla rinfusa, riuscendo a mettere al tappeto la riccia rosa.
“Amy!” gridò il riccio blu, andando in suo soccorso, riuscendo a prenderla appena in tempo prima che la testa toccasse terra, dopodiché si rivolse alla volpe, “Tails, prendila e portala in un luogo sicuro”.
Sonic si voltò verso il nuovo alleato, che aveva assunto un’espressione completamente inferocita, e vide formarsi su di lui uno strano alone rosso, simile ad una seconda pelle, in grado addirittura di proteggerlo dagli attacchi di Eggman che gli venivano inferti. Tails, preoccupato, nel frattempo era sceso a terra con il suo velivolo, per poi prendere Amy, ancora svenuta, e portarla in salvo sopra il mezzo, dopodiché levitò nuovamente in aria. Il riccio blu rimase basito, avendo compreso cosa volesse fare Shadow, e urlò all’echidna, il quale gli restituì un’occhiata accigliata: “Knuckles, allontanati immediatamente!”
 
Quest’ultimo, solo dopo aver visto il riccio bicolore in procinto di scagliare il suo attacco micidiale, decise di dare un ultimo pugno ad uno dei robot che teneva saldamente stretto in un guanto, dopodiché scappò al riparo, dietro ad uno dei palazzi vicini. Appostatosi dietro l’angolo di una stradina secondaria, vide una troupe di giornalisti intenti a filmare lui e lo scontro, ma ancor prima che potesse dire loro di allontanarsi arrivò un’ondata di energia impetuosa, la quale spazzò via e fece esplodere tutto ciò che incontrava per la strada: autovetture, l’esercito meccanico di Eggman e lui stesso insieme all’enorme robot nel quale era tuttora al riparo. I vetri dei negozi e delle abitazioni si distrussero e una neve di schegge cadde sull’asfalto, assieme all’intonaco e parte del cemento che rivestiva le costruzioni. Tutta l’attrezzatura televisiva venne distrutta, interrompendo ogni comunicazione con il telegiornale che stava trasmettendo in diretta lo scontro e le stesse persone vennero scaraventate contro i muri degli edifici vicini, perdendo in un lampo i sensi.
Knuckles, Sonic, Tails e Rouge dall’alto guardarono la scena pressoché allibiti dalla potenza dell’onda d’urto causata da Shadow, il quale, stremato, dopo aver tirato qualche profondo respiro, cadde sfinito a terra, svenuto.
 
La pipistrellina, andando contro gli ordini superiori di osservare il “soggetto” da lontano, decise di uscire allo scoperto e atterrò con grazia vicino al suo corpo ormai esanime, preoccupata per la sua sorte. Si inginocchiò al suo fianco e con una mano poggiata dietro la nuca, gli alzò la testa, tirando un sospiro di sollievo quando constatò che l’amico era ancora vivo e chiamò a gran voce: “Bisogna aiutarlo, presto!”
Il blu, nonostante la confusione iniziale nel vedere Rouge sbucata dal nulla, non se lo fece ripetere due volte e con una velocità supersonica si avvicinò ai due, dopodiché, una volta che il volpino atterrò con il suo piccolo aereo, l’aiutò a caricare Shadow all’interno del velivolo.
“Tails, portali al rifugio. A questo qui ci pensiamo Knuckles e io”, disse Sonic, rivolgendosi al dottore che stava per ritornare in sé all’interno del robot ormai accasciato a terra.
 













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Angolo dell'autrice: OK, non ho fatto chissà quale ritardo. Pensavo che avrei impiegato più tempo ad andare avanti. :3 Spero che questo capitolo, per quanto la mia esperienza nel descrivere battaglie stile fantasy Sci-fi sia piuttosto limitata (per non dire "nulla"), possa piacervi e che vi induca, come sempre, a seguire la storia con la stessa passione dimostrata nei capitoli precedenti. 
Fatemi sapere sinceramente cosa ne pensate, se trovate errori ditemelo! 
Non so se si capisce, nel disegno Shadow sta lanciando il Chaos Blast (il colpo "micidiale" che lo farà svenire a fine capitolo). Mi ero ripromessa di utilizzare i nomi degli attacchi in italiano, ma "Lancia del Caos" ed "Esplosione del Caos" fanno a dir poco vomitare. 
Un bacio, 
Rory

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Capitolo 12
*** Cambiamenti ***


Rory aveva lo sguardo fisso sul libro di diritto penale e più cercava di concentrarsi sullo studio, più la sua mente sembrava andare contro il suo volere. Quel mese di maggio era stranamente più caldo rispetto agli anni precedenti, tanto che stava sudando nonostante la miriade di condizionatori azionati alla massima potenza dell’aula studio dove si trovava.
“Ciccia, non puoi pensarci per sempre, eh”, la rimproverò con dolcezza Jessica, scuotendole il braccio finalmente guarito. Ormai vi era solo una lieve macchia giallognola sulla spalla e sull’anca: gli unici ricordi di quella sera. La mora esalò un gemito frustrato, mentre mise il gomito sul banco, poggiando la guancia in una mano. Se fosse stato per lei, avrebbe affondato la fronte nel libro di diritto, fintantoché non si fosse stancata di stare lì al chiuso, per poi tornarsene a casa. La bionda sospirò, impensierita per l’amica: non l’aveva mai vista così giù. Di solito Rory era una tipa composta e tutta d’un pezzo. Ma in quelle settimane, più i giorni passavano, più la vedeva cadere in un baratro di malinconia. In fondo, anche i più forti hanno i loro giorni "no".
La mora mise il broncio, consapevole che non poteva continuare a pensarci per sempre. Ciò nondimeno, non riusciva a non rimuginare su ciò che gli aveva detto, rammaricandosi per la durezza delle sue parole. Shadow le stava confidando i suoi pensieri, si stava finalmente aprendo a lei, e lei cosa aveva fatto? Complimenti, Rory, davvero, i miei più sentiti e sinceri complimenti. 

“Ro, gli hai detto quello che tutti gli avrebbero detto, in quel caso”, disse Christian, passandosi una mano nei capelli biondo chiaro - un gesto che solitamente faceva quando era nervoso, insicuro o per sistemarsi semplicemente i capelli, “anzi, sei stata fin troppo gentile, considerato quello che ti ha fatto”.
Christian era solito accorciare i nomi di tutti, anche quelli più brevi. Sarebbe stato capace di abbreviare anche Ugo in U. Era l’unico tra i tre che non avesse ventidue anni, ma ventitré e che non studiasse giurisprudenza, ma ingegneria meccanica.
Era uno dei ragazzi più intelligenti dell’intera università: aveva già finito di dare tutti gli esami - i quali, tra l’altro, con voti non più bassi del ventotto - sicché stava già finendo di preparare la tesi per la specialistica. Nonostante questo lato di sé, non dava affatto l’impressione di essere un secchione, anzi. Christian era molto popolare: un tipo giocoso, allegro e spensierato, ma rispettoso e caparbio, quando doveva occuparsi delle cose a cui teneva di più, ovvero la famiglia e gli amici. E di questi ultimi ne aveva davvero molti, in giro per il campus universitario. Non passava giorno che non venisse salutato da qualcuno, quando camminava per i corridoi per cambiare classe o per studiare insieme alle sue due migliori amiche. Era un ragazzo molto ammirato.
Rory emise un altro gemito, mentre gli rivolse un’occhiata scettica e un po’ seccata. Poi sospirò, imponendosi di darsi una calmata.
“Forse avete ragione. Però, se non mi fossi rivolta a lui così, ora…”
“Se ne sarebbe andato comunque”, la interruppe Christian, un po’ adirato per l’importanza che l’amica stava attribuendo a quella... creatura aliena. Jessica, scioccata dalla veemenza dell’amico, gli diede una gomitata forte al fianco e gli rivolse un’occhiata truce, come a dirgli “sta' zitto, cretino”. Il ragazzo si schiarì la gola e mormorò, abbastanza incerto: “D’altronde doveva restare pochi giorni… no?”
“Forse hai ragione…” mormorò Rory, fissandolo per un secondo con sguardo vacuo, poi lo distolse, angosciata. D'altra parte che importanza può avere una sciocca
ragazzina umana per Shadow il riccio? Pensò.
“Non preoccuparti, ciccia, sono sicura che capirà”, esclamò ottimista Jessica, mentre strappò il libro di diritto penale dalla presa dell’amica e lo chiuse, “e ora facciamoci una bella cioccolata, che ne hai bisogno. Offro io!”
Sul viso di Rory si creò un lieve sorriso mesto e al contempo grato.
“Donna, tu sì che mi conosci!”
“E io?” sbottò teatralmente indignato Christian.
“Tu niente”, ribatté la bionda, con finta durezza, dopodiché rivolse alla mora il più caloroso dei suoi sorrisi, e disse: “Andiamo!”

***

Shadow aprì gli occhi, scoprendo di essere steso supino su un letto comodo. Si sentiva estremamente debole e la pelle gli formicolava insistentemente. Si guardò a fianco e notò di essere assistito da Amy - con la testa fasciata, ma ben sveglia - e, straordinariamente, anche da Rouge. Quest’ultima, appena lo vide muoversi, si avvicinò immediatamente a lui, il viso trasformato in una smorfia leggermente allarmata. Il riccio si chiese come mai anche lei fosse lì.
“Ehilà, dolcezza”, mormorò la pipistrella, con un fin troppo finto sorriso. Avrebbe voluto dirgli tutto ciò che aveva scoperto, ma non se la sentiva ancora di tradire la sua missione, soprattutto quando vi erano altre orecchie ben più indiscrete di quelle del nero. Shadow, in tutta risposta, le lanciò un’occhiata sbilenca, neutra, mentre si portò la mano destra alla tempia. Dopodiché, finalmente ricordò tutto: dello scontro con Eggman e del Chaos Blast che aveva usato contro di lui per sconfiggerlo definitivamente, e a causa del quale perse i sensi. Non aveva idea del perché avesse sentito il bisogno di sfogarsi così. Forse perché Eggman lo aveva sfidato e, quando veniva sfidato da qualcuno, si sentiva in dovere di tirare fuori il meglio di sé - se ciò che aveva fatto e le sue conseguenze potessero essere definiti “il meglio”. Sapeva solo che provò un’intensa rabbia.

Notò di non possedere più né gli anelli alle caviglie né quelli ai polsi e si guardò attorno per cercare di capire dove fossero. L’ambiente aveva un che di asettico: sembrava la stanza di un laboratorio scientifico. Le pareti erano verniciate di bianco - simile agli ospedali terrestri, vi erano un comodino alla destra del letto, in un angolo, una scrivania con sopra un vaso di fiori variopinti e dall’altro lato, un tavolo ed un paio di sedie, su una delle quali vi era posata la riccia rosa.
“Dove sono?” chiese lui, cercando di mettersi a sedere, ma proprio non ci riusciva. Era frustrante sentirsi così debole.
“Sei nella nostra base, precisamente nell’infermeria”, disse Amy, un po’ titubante. Shadow le stava piuttosto antipatico, per non dire che ancora non si fidava di lui. Il riccio nero sbuffò ed alzò gli occhi al cielo, infastidito.
“Intendevo i miei anelli. Dove sono?”
“Ce li ho io”, esclamò una voce sottile in avvicinamento. Tails entrò nella stanza con in mano tutti e quattro i cerchi d’oro e glieli porse, una volta che arrivò vicino al bordo del letto. Shadow, dopo aver inarcato fortemente un sopracciglio, irritato, con una lentezza innaturale per lui, li indossò, sentendo pressoché subito ritornargli l’energia.
“Come ci sono finito qui?” chiese il riccio, seccato.
“Ti ci abbiamo portato noi”, rispose Amy, urtando ancora di più l’animo di Shadow.
“Questo l’avevo capito”, replicò stizzito il nero “intendo dire: perché è successo?”
“E allora sii più chiaro quando parli!” sbottò la riccia, incrociando le braccia e girando il viso da un’altra parte, offesa. Shadow roteò gli occhi, scocciato, ma si trattenne dall’inveire. Si sedette a bordo letto e poggiò i piedi a terra. Ormai aveva forza a sufficienza per reggersi in piedi da solo.

“Sei svenuto perché gli anelli che avevi ai polsi non inibivano la tua energia del caos… forse Eggman te li aveva sostituiti con un paio falso. E il Chaos Blast che hai creato ha quasi distrutto tutto quello che c’era attorno, case comprese. Inutile dire che, se non avessi avuto gli anelli alle caviglie, avresti raso al suolo l’intera città e saresti ridotto molto peggio”, spiegò il volpino giallo, “te li ho sostituiti con un paio nuovo”.
Shadow si guardò i polsi mentre chiuse e riaprì le mani più volte. Ciò che non sapeva spiegarsi era come aveva fatto lo scienziato a commutare quegli anelli con dei falsi. Almeno, però, aveva chiarito una cosa: il perché le sue prestazioni, fino ad allora, fossero calate tanto e perché perdesse vitalità continuamente.
“Prima che me ne dimentichi”, disse Tails, mentre si avviò velocemente fuori la porta, per poi ritornare dopo circa trenta secondi con la gemma trasparente, “ti restituisco lo smeraldo del caos: ti era caduto quando sei svenuto”, continuò la volpe, porgendola al riccio oscuro completamente ristabilito.
Ormai aveva riacquistato tutte le forze, per cui non aveva più motivo di restare lì. Si avviò alla porta d’uscita quando fu fermato da Tails, che gli chiese preoccupato: “Te ne vai subito?”
“Non è necessario che io rimanga qui”, sentenziò il riccio nero, con il suo solito tono austero, senza neanche girarsi verso il suo interlocutore, dopodiché aprì la porta, indugiando un secondo. Infine, prima di chiudersela alle spalle, gettò un’ultima occhiata verso i presenti, a mo’ di congedo.
Tutti rimasero pressoché sconvolti.
Shadow stava, forse, per ringraziarli?

Rouge, attonita, dopo qualche attimo passato a fissare la porta ormai chiusa, decise di seguirlo e a grandi falcate la raggiunse. Una volta aperta, esclamò, allarmata: “Shadow, aspetta, devo parlarti!”
















 

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Angolo dell'autrice: ciao ragazzi, eccomi con il nuovo capitolo. Non ve l'aspettavate che in realtà Rory avesse ben 22 anni, eh? xD (ben 10 in più rispetto a Maria. Coincidenze? *Adam Kadmon mode on*). Per sembrare una ragazzina di 17/18 deve portarseli proprio bene! Tra un anno si laurea anche... 
Beh, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Se trovate errori o avete da criticarmi qualcosa, fatelo, come sempre! 
Un bacio, 
Rory!

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Capitolo 13
*** Timori ***


Rory aderì bene i piedi sul tatami e, come quell’arte marziale prevedeva, allargò le gambe tanto da formare un triangolo, pronta per lo scontro. Salutò con un inchino il suo avversario, un giovane uomo, grande qualche anno più di lei e ben più alto e robusto. Aveva bisogno di scacciare tutti i pensieri negativi di quei giorni e, per lei, l’unico modo per farlo era combattere.
Quest’ultimo ricambiò il saluto, solenne. L’uomo fece per colpirla al ventre, ma la ragazza gli afferrò il braccio con entrambe le mani. Glielo torse, proiettando il suo avversario e facendolo precipitare sul pavimento, mentre gli ruotò l’arto dietro schiena, bloccandolo. Dopo aver passato qualche attimo in quella posizione, lasciò andare il suo sfidante, acciocché costui potesse attaccarla un’altra volta. L’uomo tentò di ferirla con un pugno, puntato al viso. La ragazza con uno scatto fulmineo si mise al suo fianco, scansandolo prontamente. Dopodiché gli afferrò il polso con una mano, attorcigliandogli il braccio e tenendoglielo dritto, dietro la schiena del giovane, tanto da fargli sentire dolore, così che lui dovesse inchinarsi notevolmente affinché potesse sopportare quel supplizio. Rory fece per dargli un colpo al collo con la mano libera, ma si arrestò poco prima di affondare, infine lo lasciò andare. Lo salutò con un altro inchino solenne: la dimostrazione per gli allievi più giovani era finita, seguita da un lieve applauso da parte di questi ultimi.
“Rosa è un’allieva in procinto di prendere la cintura nera di terzo dan”, disse il maestro alle nuove giovani leve del Jiu Jutsu, mentre la ragazza storse il naso nel sentirsi chiamare col suo nome di battesimo, “invece Giovanni è cintura nera di primo dan. Come avete ben visto, nelle arti marziali, la disciplina è fondamentale. Senza quella, non potete sperare di guadagnarvi neanche l’ottavo kyu, la cintura bianca”.
“Sì, maestro!” esclamarono all’unisono.
“La ringrazio, maestro”, disse Rory, con un inchino per poi tornare a sedersi in ginocchio, verso la parte opposta della palestra, dove vi erano gli altri allievi, sia "senpai" e sia "kohai". Una semplice frase di circostanza, senza vita. Era ancora troppo preoccupata e addolorata per come fossero andate le cose con quel riccio bicolore.
Dopo un’altra ora di pratica, la lezione finì e tutti potettero avviarsi verso gli spogliatoi, per cambiarsi.
Dopo aver sciolto i capelli e proprio mentre si tolse il tradizionale kimono per gli allenamenti, 
Rory ricevette una telefonata improvvisa dal suo datore di lavoro, Giancarlo, per uno straordinario in pizzeria causato da una festa di laurea e si scusò per non averla avvisata in tempo. La giovane lo liquidò con un cenno di consenso, affermando che li avrebbe raggiunti appena le fosse stato possibile. Dopodiché preparò la borsa ed uscì per ritornare a casa.

***

Una volta arrivata, si ritrovò da sola: suo padre era finalmente ritornato a lavorare, dopo diversi mesi che non riusciva a trovare un impiego. Aveva la casa tutta per sé, così decise di concendersi una bella doccia rilassante. Si lavò i capelli, troppo sporchi per tenerli ancora in quello stato pietoso e, una volta uscita dal bagno profumata, linda e pinta, indossò un paio di jeans, leggermente stracciati alle ginocchia, e una maglietta giromaniche a fantasia floreale. Decise di mettersi un filo di trucco, per coprire le piccole imperfezioni del viso e per dare risalto agli occhi, dopodiché preparò la borsa, mettendoci dentro la divisa, cavatappi, scarpe da lavoro, spazzolino e dentifricio.
Vide l’orario: era relativamente presto, sicché decise di sedersi sul divano del soggiorno, cosa che non faceva da tempo, e guardare un po’ di tv. Appena l’accese, vide che era sintonizzata sul canale che stava trasmettendo il notiziario delle 16:30.
"Ennesimo attacco da parte dello scienziato pazzo Ivo Robotnik, in Salerno centro: 37 vittime. Nuovo personaggio in attivo"questa era il titolo della notizia, seguita da dei commenti poco convincenti da parte della conduttrice, che parlava dell’accaduto più che intimorita da questa recente apparizione.
“Un’altra città Italiana sotto attacco da parte del noto scienziato Ivo Robotnik, che da settimane sta assaltando varie zone dell’Europa. Ieri, a Salerno, si è consumata l’ennesima tragedia causata dall’attentato. Trentasette sono le vittime accertate, di cui venti morti e diciassette feriti in gravi condizioni, ricoverati d’urgenza all’ospedale. I soccorsi stanno ancora scavando tra le macerie”.

Le immagini erano scioccanti: i palazzi parzialmente distrutti, le strade erano danneggiate, i negozi completamente demoliti, le automobili totalmente fracassate e nell’aria erano ancora visibili le ceneri e il fumo provocato dagli incendi prontamente spenti dai vigili del fuoco.
“È ormai abitudine di questi piccoli ma straordinari eroi, provenienti da un altro pianeta, combattere contro le gesta pazzoidi dell’ingegnoso terrorista. Ma mai come ieri, le loro imprese, soprattutto quelle di un nuovo membro della squadra, sono state messe in discussione per la sicurezza civile”.
Rory ascoltava le dichiarazioni allibita.
“E ora vi mostriamo le immagini scioccanti del video, ripreso da uno dei nostri giornalisti nel mezzo dello scontro”, disse la donna, sistemandosi gli occhiali ed i fogli posti per fare scena.

Il filmato mostrava da lontano un esercito di robot, capitanato da uno enorme - la cui provenienza era data dal marchio posto alle spalle delle creature metalliche - intenti ad attaccare qualsiasi cosa capitasse loro sott’occhio. Tutta la città era come impazzita: le persone fuggivano e si sentivano schiamazzi in lontananza. A combattere questo esercito vi era un gruppo di creature che la giovane poté ben distinguere, in virtù dell’alta qualità delle riprese: uno di loro era rosso, un’altra - sembrava femmina, dal momento che indossava un vestitino scarlatto - era rosa, un piccolo aeromobile sorvolava i palazzi, intento a sparare colpi laser azzurri contro il robot grosso, e uno blu. Quest’ultimo doveva essere la creatura che aveva visto sul giornale circa due settimane prima e che, da qualche giorno, veniva decantato come l’eroe internazionale. I primi due erano intenti a colpire i piccoli robot, mentre il blu aiutava colui che guidava il piccolo velivolo a sconfiggere quello grande. Sintantoché, sotto gli occhi attoniti di Rory, apparve una figura di sua conoscenza.
“Shadow…!” sussurrò sconvolta. Cosa ci faceva li? Si chiese, atterrita. Il video era stato evidentemente tagliato, perché subito dopo il riccio nero era passato all’azione con un colpo che la giovane non avrebbe mai potuto dimenticare: quella lancia gialla di energia, che d’un colpo trafisse il robot gigante. E, infine, Shadow scagliò l’attacco definitivo. La ragazza vide generarsi, dall’esile corpo del riccio nero, un’ondata di energia rossa di dimensioni gigantesche, che in un attimo distrusse tutto ciò che le capitava a tiro fino a quando lo schermo non divenne nero. Rory seguì lo scontro sconcertata: il suo cuore andava a mille e si portò una mano tremante alla bocca. Come poteva, una creatura così minuta come Shadow, generare un’esplosione di tali dimensioni? Possibile che colui che aveva salvato, che aveva avuto accanto per tutto quel tempo e che aveva ospitato a casa sua, fosse così potente?
Un attimo dopo, la conduttrice apparve nuovamente.
“Chi è costui?” intervenne la donna, con un tono di contenuto timore dal momento che non poteva dimostrarsi troppo presa durante una diretta, “un alleato di Sonic, il riccio blu? O un mostro senza controllo?”
Senza controllo? Cosa?! 
Rory era senza parole. L'intento di Shadow era sconfiggere Robotnik e loro lo definivano "un mostro senza controllo"? 
La giovane si alzò di scatto in piedi e prese il telecomando. Spense la tv, allibita da quelle assurdità ed affranta per quell’orribile tragedia, dopodiché gettò il dispositivo sul divano. Nervosa, sbatté più volte le palpebre e si morse il labbro inferiore.
Shadow... oh Shadow, dove sei finito...?


***

“Shadow, aspetta!”
La pipistrellina spiccò il volo, per poi atterrare leggiadra e silenziosa come una farfalla, di fronte ad un riccio onice piuttosto scocciato. I due erano ormai arrivati a varcare l’uscita del rifugio di Sonic e dei suoi amici, il quale dall’esterno dava l’impressione di essere una dimora abbandonata anni or sono. Il nero notò che si trovava nel bel mezzo di una radura.
“Che c’è?” chiese lui, non nascondendo un filo di irritazione nel suo tono. Successivamente, volse lo sguardo verso un punto impreciso del luogo, perdendosi nella miriade di colori sgargianti di quei fiori che ornavano il posto. Rouge sorrise, come solo lei sapeva fare: Shadow non era cambiato per niente. Si sentì sollevata.  
“Scorbutico come sempre, eh, dolcezza?” lo canzonò lei, con il suo solito fare civettuolo, posando le mani ai fianchi. Il nero sbuffò, mettendosi a braccia conserte, aspettando di sentire ciò che lei avesse dovuto dirgli. Nonostante il suo solito modo di fare, Shadow considerava Rouge un’alleata e di questo, la pipistrellina, era ben consapevole. Forse perché era l’unica che si fosse interessata veramente a lui, mostrandogli una sorta di attaccamento verso diverse cose che lo riguardavano, in particolare, il suo burrascoso passato. La pipistrella sospirò.
“Hai abbandonato Eggman: hai forse deciso di seguire la strada del bene?” chiese lei, beffarda, dopo un leggero tentennamento che, però, non sfuggì al compagno. Rouge sapeva che quello non era argomento sul quale soffermarsi, soprattutto conoscendo il suo interlocutore. Avrebbe voluto davvero dirgli del suo attuale impiego e dei propositi che avevano gli umani nei suoi confronti, ma si era ripromessa che, prima di farlo, sarebbe andata in fondo alla faccenda da sola. C’erano tanti documenti segreti da controllare, tutti nascosti in varie zone del mondo. Non sarebbe stato facile centrare l’archivio giusto.

Shadow in tutta risposta sbuffò nuovamente, fissandola alquanto scontroso.
“Pensa agli affari tuoi”, sbottò e fu la sola ed unica risposta che le diede a quella precisa domanda. Rouge aggrottò la fronte, a causa di quello strano comportamento. Conoscendolo, non avrebbe risposto, trattandola o con sufficienza oppure ignorandola del tutto. La pipistrella decise, nonostante la reticenza del compagno, di continuare l’interrogatorio. Aveva bisogno di sapere quali fossero i suoi propositi, per sé e per lui.
“Che hai intenzione di fare?”
Shadow, a quella domanda, inarcò un sopracciglio, quasi stupito da tutta quella sete di conoscenza. Non era solita metterlo sotto torchio in quel modo, piuttosto andava a cercare da sola le risposte alle sue domande.
“Tu che hai intenzione di fare?” rigirò la frittata il nero, sorprendendola, avvicinandosi al mittente di qualche passo e fulminandola con uno sguardo severo. Rouge, sebbene sapeva che quel quesito non riguardava la sua curiosità, ma ben altro ancora, non si scompose e in tutta risposta gli rivolse un sorrisetto ironico ed altezzoso, dicendo: “Sono solo preoccupata per te!”
Ciononostante quella risposta non lo convinse per niente, anzi, lo fece insospettire ancora di più. Rouge era un’abile spia, capace di ingannare chiunque con una semplice frase melliflua, sicché questo la rendeva una creatura della quale meglio non fidarsi. Almeno per quanto riguardava il suo lavoro. Per sua natura, Shadow era solito dubitare di chicchessia e, ad ogni modo, riteneva di non necessitare di confidare in qualcuno né di qualsivoglia compagnia. Dunque, senza troppi crucci, decise di dar credito alle sue parole, quantunque gli fosse chiaro come il sole che la pipistrella stesse nascondendo qualcosa.
Il riccio bicolore le passò a fianco per sorpassarla, pronto a ripartire. Ma prima di andarsene, le disse: “Ho delle faccende da sbrigare”.
“Stai andando da quella ragazza?” chiese lei, infine, alle spalle del nero, incrociando le braccia. Shadow esitò ancora qualche istante, esterrefatto. Poi, senza neanche voltarsi, strinse i denti e se ne andò a grandi falcate da lì, con una velocità tale da creare una forte folata di vento, in grado di agitare il verde fogliame di quella radura.
Rouge lo seguì con lo sguardo, finché non scomparve, poi lo distolse, abbassandolo verso il prato, afflitta.

Colpito e affondato.











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Angolo dell'autrice: 11 giorni, sto peggiorando. Ma purtroppo, peggiorerò ancora di più, perché il 13 parto e non credo di riuscire a postare il seguito entro quella data. Torno il 17 agosto, quindi per allora, dovrei postare il prossimo capitolo. 
Spero che anche questa volta il capitolo vi sia piaciuto e, come sempre, segnalatemi tutti gli errori che trovate! :3 
Un bacio,
Rory

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Capitolo 14
*** Ritorno ***


Angolo dell'autrice: Questa volta lo metto in alto, perché il capitolo sarà un po' più lungo e corposo del solito. Innanzitutto voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito: siete tutti molto gentili.
So di aver promesso che avrei diviso i capitoli, nel caso questi fossero stati particolarmente lunghi, ma spero che non mi odierete se posterò tutte e sette le pagine di word che lo compongono. Mi sembrava alquanto brutto dividere il capitolo, dato che purtroppo starò via per un mese, perché a settembre dovrò dare due esami. E poiché sono una cretina e mi sono ridotta all'ultimo, devo abbandonare la fic per un po'. Posso però dirvi che tra il 15 ed il 25 settembre dovrei riuscire postare il capitolo successivo. Mi dispiace che i tempi di attesa vanno a dilungarsi sempre di più ma dopo settembre cercherò di postare ad intervalli regolari. 
Non mi resta che augurarvi buona lettura, nella speranza che la troviate anche questa volta piacevole. 
Verso la fine ho postato il finale alternativo scritto da quello scemotto del mio ragazzo, che non fa altro che prendermi in giro per la fissa che ho su Shadow.
Un bacio,
Rory

PS: ho aggiunto in fondo un altro disegno, creato da me e pubblicato su DA.





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Il lavoro: il posto dove non ci si può permettere di avere pensieri negativi. Ed era così che Rory cercava di essere. Doveva essere sempre gentile, affabile e veloce nello svolgere mansioni. Non che le mancasse quest’ultima caratteristica: era scattante e professionale come al solito, forse anche troppo dato il servizio semplicistico della pizzeria - che per quanto fosse ubicato in una delle zone più raffinate della città, era pur sempre una pizzeria - in cui stava lavorando, ma era evidente che si sforzasse di sorridere. Cercava di non darlo a vedere, ma era impensierita per il fatto che Shadow non si facesse vivo da più di una settimana, ormai, e temeva che mai più l’avrebbe rivisto. Inoltre era scossa dal mormorio delle persone, le quali parlavano di lui come se fosse un abominio uscito da chissà quale film dell’orrore. Erano tutti impauriti da lui e dai poteri che possedeva e a fomentare questo sentimento si mise anche il telegiornale, sicché Rory moriva dalla voglia di rivederlo, anche solo per sapere che stava bene.

“Scusa, Rory”, la signora Mezzogiorno, un’elegante donna, avente circa sessant’anni, era da tempo diventata una cliente abituale del locale. Giacché era più di un anno che la giovane lavorava lì come cameriera, la signora Mezzogiorno era solita darle il tu e chiamarla per soprannome - poiché Rory gliel’aveva chiesto espressamente.
“Signora, mi dica”. La ragazza, la quale aveva appena terminato di servire le pizze ai signori accanto, si fermò un attimo al tavolo della donna con un mezzo sorriso.
“Ti vedo un po’ pallida, qualcosa non va?” chiese, poggiandole una mano sul braccio e accarezzandolo lievemente. I napoletani: forse, il popolo più estroverso e impiccione del mondo.  
“Oh, non si preoccupi, signora, è solo un lieve mal di testa, nulla di più”, mentì lei prontamente, adoperandosi per sfoggiare uno dei suoi migliori sorrisi, il quale venne ricambiato dalla Mezzogiorno, luminoso come un raggio di sole.
“Va bene, allora mi porteresti delle salviettine imbevute, per favore?”
“Arrivano subito!”
Detto questo, la giovane si allontanò a grandi falcate e raggiunse il mobile di servizio sul quale erano riposti i tovaglioli di carta, posate e altro ancora per i clienti. Prese tante salviettine quante erano le persone sedute a quel tavolo e le ripose su un piattino da dessert. Quando poi si avviò per portarglieli, dall’ampia vetrina della pizzeria, sul marciapiede di fronte al locale ma ben nascosto nell’ombra, lo vide, strabuzzando gli occhi alla sua vista. Shadow era lì a fissarla, con la sua solita aria austera, poggiato di schiena al muro del palazzo vicino, e le braccia conserte. La sua pelle nera sembrava confondersi nella notte, ma gli occhi… quei fulgidi occhi di fuoco, non potevano passare inosservati.
Che ci fa qui? 
Si chiese, con la bocca semichiusa per lo stupore. Jessica si avvicinò a lei, preoccupata dall’espressione sconvolta dell’amica, per poi chiederle cosa avesse. Rory dovette distogliere lo sguardo da quello magnetico del riccio oscuro, per poi rivolgerlo alla bionda, dicendo: “Non preoccuparti, tutto bene. Porteresti queste salviettine al tavolo cinque, alla signora Mezzogiorno?”
Jessica non se lo fece ripetere due volte, ma non prima di averle lanciato un’ultima fugace occhiata allarmata. Quando Rory puntò di nuovo il viso fuori, la creatura non c’era più. Sospirò, alzando gli occhi al cielo, affranta, prima di essere chiamata tramite il campanello del passe delle pizze pronte da servire.
Ecco, ora ho pure le allucinazioni...

 

***

Erano quasi le due di notte ed il locale stava chiudendo. Le due amiche, una volta cambiate e pagate dalla cassiera per quella serata, si avviarono fuori, pronte a tornare a casa. Rory si guardò attorno e in alto, per cercare anche una misera traccia di lui, senza successo. Convinta di stare impazzendo, si sciolse i capelli massaggiandosi la cute energicamente, sicura che, così facendo, avrebbe tirato fuori tutte le preoccupazioni ed i pensieri che la torturavano in quei giorni.
“Ah, non sopporto di avere i capelli legati per così tanto tempo!” esclamò lei in risposta dell’occhiata scettica che le rivolse Jessica. Le due cominciarono ad incamminarsi verso la fermata del pullman, distante circa qualche isolato da lì. Avrebbero dovuto camminare per una decina di minuti per arrivare a destinazione e Rory non poté fare a meno di pensare che, se ci fosse stato Shadow, avrebbe impiegato meno di dieci secondi. Si impose di smetterla: non poteva continuare a pensare a lui, altrimenti avrebbe perso il senno sul serio.
“Allora, mi dici cos’hai visto qui fuori?” chiese d’un tratto la bionda, guardandola sottecchi, “sei sbiancata all’improvviso”.
Rory inarcò un sopracciglio, incerta. Poi abbassò lo sguardo, imbarazzata, e mormorò: “Pensavo di aver visto…”
“Shadow?” la bloccò Jessica, aggrottando la fronte. La bionda amava quel tipo di storie, soprattutto sapendo quanto stava soffrendo l’amica a causa della rocambolesca relazione tra lei e quella creatura. Ciò che non capiva affatto era perché tenesse così tanto a lui, considerati la sua natura non umana e il suo focoso temperamento, che più volte lo avevano spinto a compiere azioni - a detta sua - parecchio deplorevoli. In più, dal momento che era passato così tanto tempo da quando si erano conosciute, la meravigliava il fatto che finalmente fosse Rory ad avere bisogno di sostegno, anziché lei. Le cinse le spalle con un braccio, per darle conforto, e le accarezzò la spalla con la mano, dopodiché disse: “non abbatterti, coriaceo com’è, starà benone”.
La mora abbozzò un mezzo sorriso tirato. Detestava dare preoccupazioni alle persone che amava, per questo non poté fare a meno che tenere lo sguardo basso. Non aveva più voglia di guardarsi attorno. Shadow aveva deciso di starle alla larga, questo era innegabile, altrimenti non si poteva spiegare il suo comportamento schivo. Un essere, dai poteri straordinari come i suoi, spinto dall’odio, avrebbe ucciso chiunque fosse capitato sul suo cammino. Ma Shadow… Shadow era diverso.
Rory lo aveva ferito quando invece avrebbe dovuto consolarlo ed era ben cosciente che il riccio nero avrebbe potuto tranquillamente ucciderla per quell’offesa, dato tutto l’odio ed il rancore che teneva dentro. Ma, anziché spezzare la sua promessa e commettere l’omicidio, aveva preferito lasciarla indietro. Ed era per questo che - insieme ad altri suoi comportamenti precedenti - la giovane non poté fare a meno di pensare che il suo temperamento fosse tutt’altro che da creatura malevola. Piuttosto, agli occhi della ragazza, ciò rendeva la sua indole ben più contorta di quanto apparisse in realtà; un carattere spinto da delle ragioni e delle sensazioni tanto complesse che solo quel riccio dal manto ebano poteva provare. Si chiese cosa potesse nascondersi dentro quella maschera di puro astio.
E se Shadow la odiasse proprio perché anche lei era un’umana? Questa riflessione cominciava a tormentarla sempre di più e, per quanto il pensiero continuasse a punzecchiarla, rifiutava di crederci. Sopito in lui si celava uno spirito nobile e buono. Lei lo aveva visto.
Le sue elucubrazioni si spensero all’istante, appena udì il suono di una voce che voleva a tutti i costi dimenticare.
“Ehilà, guarda chi si vede!” esclamò arrogante un ragazzo dall’aspetto curato, abbigliato con abiti casual ed accompagnato da altri due, dall’aria meno fine. Jessica strabuzzò gli occhi impietrita, invece Rory lo fissò con sguardo indecifrabile.
“Biagio, qual buon vento ti porta fuori di prigione?” chiese quest’ultima, fingendo di essere benevola, mentre strinse i pugni per evitare che tremassero. Dalla rabbia.
“Mammina e papino hanno pagato profumatamente, immagino”, continuò lei, con un filo di insolenza nel tono.
Il giovane, adirato, inarcò il sopracciglio destro, solcato da una profonda cicatrice. Uno sgraziato difetto che gli era stato impresso, durante uno scontro precedente, dalla mora che aveva di fronte.
“Che c’è? Mi invidi perché me lo posso permettere?”
“Non saprei che farmene di due persone che si vantano di essere miei genitori solo quando si tratta di dare via del danaro, che potrebbe essere utilizzato per scopi ben più utili, Biagino caro”.
Il ragazzo rise. Una risata gutturale, disumana, prima di sfoggiare l’espressione più crudele che potesse mai esibire un giovane della sua risma. Al che Jessica fece un passo indietro, terrorizzata da quella vista, sicché Rory le strinse forte la mano, tentando di tranquillizzarla in qualche modo. Non avrebbe permesso che quell’essere spregevole la toccasse di nuovo con le sue sporche mani.
La mora stava cercando di farlo arrabbiare e l’allocco stava cadendo nella sua trappola come una pera cotta. Lei lo conosceva bene. Biagio era un arrogante cretino violento e non si sarebbe fatto scappare l’occasione di farle del male.
Quest’ultimo tirò fuori dalla tasca un coltello, mostrando, infine, le sue carte alle due giovani ragazze.
“Jessica, mi dispiace che tu debba assistere, ma mi terresti la borsa, per favore?” sussurrò Rory, porgendogliela. La bionda annuì, atterrita, e la prese, per poi ascoltare le incoraggianti parole dell’amica, la quale continuò affermando: “tu sta’ qui, non permetterò che ti accada niente”.
Detto questo, libera da ogni fardello, la giovane si avvicinò ai tre ragazzi di qualche passo, pronta a farsi colpire, mentre dall’alto, due enormi occhi cremisi, osservavano la scena... pronto ad agire.

***

Shadow seguiva la scena dall’alto del cornicione del palazzo dirimpetto e, come rare volte gli era capitato in vita, era indeciso sul da farsi. Una parte di lui voleva andare in suo soccorso, l’altra parte ancora rimuginava su quanta importanza avesse assunto quella creatura umana nella sua vita, e, in special modo, perché.
“Quale delle due è lei?” chiese una voce suadente alle sue spalle, che lo fece voltare di scatto. Il riccio bicolore si ritrovò di fronte la pipistrella bianca,
“la bionda?” continuò Rouge, mentendo, dal momento che sapeva bene chi fosse la famosa lei
. Shadow inarcò un sopracciglio, alterato.
“Mi stai seguendo?” contestò lui, evitando opportunamente di risponderle. Rouge sorrise provocatoria, com’era suo solito fare. Il rossetto rosa sembrava luccicare ogni volta che ammiccava. Sapeva che il nero non avrebbe mai risposto alla sua domanda: non avrebbe mai ammesso che fosse inquieto per qualcuno.
“Inoltre, penso che tu lo sappia già”, continuò lui, con una sfumatura di sfida che traspariva da quel consueto tono neutro. La pipistrella allargò impercettibilmente gli occhi dalle iridi verde mare, assottigliando lo strato di ombretto azzurro che copriva le sue palpebre. Decise di non rispondere, fingendosi interessata allo scontro.
“Meschino come sempre, eh, piccolo Biagino?” lo schernì la ragazza, cantilenando quelle ultime parole quasi come se stesse parlando con un bambino pestifero. Contemporaneamente, allargò le gambe in modo da creare un triangolo isoscele con il corpo, come le era stato insegnato durante le sue prime lezioni. Si concentrò, aderendo bene i piedi all’asfalto, “non è pericoloso per un bambino maneggiare certi giocattoli?”
Dovette ammetterlo: trovava un certo gusto nel prendere in giro quell'abominevole ammasso di carnecome lo definiva lei. Il ragazzo, in tutta risposta ringhiò un mero e adirato: “Non credere di passarla liscia, te la farò pagare cara per quello che mi hai fatto, stronza!”
Rory non rispose all’offesa. Si limitò a sorridere maliziosamente, mentre il ragazzo scattò veloce, con il coltello ben in vista, pronto ad attaccarla.
Shadow spalancò gli occhi, agitato come non era mai stato. Sporgendosi verso la fine del cornicione, fu in procinto di saltare… ma, prima di farlo, aggrottò la fronte alquanto incuriosito, notando con quanta spavalderia l’umana stesse affrontando una tale spinosa situazione, tutta da sola.
Biagio azzardò una stoccata che venne, tuttavia, bloccata da Rory, la quale gli afferrò il braccio armato, facendolo ruotare su se stesso, finché non si ritrovò alle spalle del ragazzo. Gli volse così tanto il polso che lui, per il troppo dolore, lasciò la presa della lama, la quale, repentinamente, venne sequestrata dalla ragazza e se la mise in tasca.
“Che dicevi?” chiese lei all’orecchio del ragazzo, sul quale viso era dipinta una smorfia sofferente. Lui cercò di liberarsi, ma Rory non si fece sopraffare e lo colpì nel punto pressione del collo con la mano scagliata a mo’ di fendente. Biagio strabuzzò gli occhi, prima cadere a terra, frastornato.
Rouge, dietro le spalle del compagno dal manto ebano, emise un fischio, piacevolmente stupita. Shadow inarcò un sopracciglio, ma non proferì parola alcuna, dacché qualcosa di ben più pericoloso catturò la sua attenzione: un particolare velivolo, inseguito da un altro che già aveva avuto modo di vedere antecedentemente, si stava inesorabilmente avvicinando a gran velocità verso la loro direzione, il che lo spinse ad assumere un’espressione mista a incredulità e irritazione. Non che fosse allarmato per la sua di sorte…
La ragazza, dopo aver rivolto un’ultima un’occhiata schifata al giovane ancora bocconi, continuò: “E ricorda: se proverai a mettere un’altra volta le tue luride zampe su Jessica, ti regalerò un lussuoso soggiorno di un mese all’ospedale”.
Successivamente posò il suo inusuale sguardo minaccioso verso i compagni del ragazzo, i quali, terrorizzati, scapparono a gambe levate. Sospirò per poi allontanarsi da lì e ritornare dall’amica che le restituì la borsa, ciò nondimeno non ebbero neanche il tempo di fare qualche passo che un sinistro rumore di urla, eliche, motori e, soprattutto, spari, le sgomentarono seduta stante. Jessica essendo già rivolta verso quel rumore, aveva gli occhi spalancati. Rory si girò con circospezione, per paura di scoprire a chi appartenesse quell’aeromobile. Purtroppo, però, tutti i suoi timori sembravano essere di colpo realizzati: al bordo di un piccolo dirigibile dal marchio inconfondibile, lontano circa uno o due isolati, vi era Robotnik, che faceva fuoco all’impazzata, colpendo palazzi e strade. Ad ampliare la sensazione di panico fu l’inarrestabile avvicinamento del velivolo, che si stava dirigendo di gran carriera verso la loro direzione, mentre un boato di urla si innalzò.
“Jessica, corri! Ora!” ordinò Rory all’amica, stringendole la mano, per poi cominciare a correre verso la direzione opposta con quanto fiato avesse. Quando tutt’a un tratto, una stria di colore blu attraversò proprio la via che stavano percorrendo, creando un’intensa folata di vento che sollevò gran parte dell’immondizia delle strade. Dovettero arrestarsi un secondo e chiudere gli occhi, affinché quel polverone non intaccasse la loro vista. Senza accorgersi, però, di aver commesso un gravissimo errore, perché, all’improvviso, una grossa ombra proveniente dall’alto coprì le due giovani, le quali trasalirono al vivo suono di uno sparo.

***

Sonic correva, come solo lui sapeva fare, poco più veloce di Eggman, in modo tale da stargli lontano abbastanza da poter schivare i suoi colpi e cercare di elaborare una strategia di attacco. Dall’alto dei palazzi, all’inseguimento, vi era il suo amico Tails a bordo del suo equipaggiato e tecnologico velivolo, che cercava di colpire il dottore attraverso una scarica di proiettili laser mirati. La scia blu che lasciava il riccio dietro di sé non passò inosservata al nero, che lo scrutava in lontananza correre audacemente proprio nella strada che aveva imboccato Rory insieme all’amica.
Maledetto impostore... 

“Shadow, se non intervieni adesso, morirà”, esclamò Rouge, in tono circospetto, mettendosi a braccia conserte. La creatura nera strinse i pugni, emettendo un lievissimo sospiro frustrato. Lo sapeva che, se non fosse intervenuto, sarebbe morta. Riusciva ad arrivarci da solo, non aveva bisogno di un oracolo per capire che, per quanto fuggisse, quella ragazza non aveva scampo. Dannazione.
Quando, all’improvviso, la sua
 voce, risuonò nella sua mente, impetuosa e cristallina come un torrente in piena. La voce di Maria, la quale era ormai accasciata a terra, in una pozza di sangue che si stava lentamente e spietatamente espandendo sotto di lei, macchiando di un rosso scarlatto il suo vestitino azzurro. La bambina bionda lo fissava con uno sguardo malinconico e implorante, mentre con una mano tremante cercava di sfiorare la capsula di contenimento, nella quale aveva imprigionato Shadow, al fine di salvargli la vita. Il riccio nero si dimenava, tirava calci, pugni, ma quel vetro non voleva saperne di frantumarsi, frattanto che la sua migliore e unica amica stava morendo davanti ai suoi occhi. E lui, forte com’era, colui che veniva decantato come la Forma di vita Definitiva… non aveva potuto fare niente per impedirlo.
“Shadow, ti prego... dai una possibilità... dai una possibilità a...”
In quello stesso momento, il dirigibile di Robotnik aveva raggiunto le due ragazze, ormai impietrite a quella vista spaventosa, sospeso in aria proprio sopra di esse. Il riccio nero, appena udì il suono del laser, spinto da un tipo di istinto che non riuscì a catalogare, sparì sotto gli occhi attoniti della pipistrella.
Fu come un lampo, ma Rory poté ben vederlo e percepire la stessa sensazione che avvertì l’ultima volta, quando sentì una grossa mano avvolgersi intorno al suo polso, per portarla via con sé ed un’esplosione di luce calda si sprigionò, aggomitolandola in una coperta di nebbia abbagliante. Ed ora era lì, sul tetto di un edificio. E di fronte a lei, mentre ancora le teneva la mano, c’era Shadow, che la squadrava con uno sguardo così intenso che non riuscì a decifrare. Senza neanche darle modo di rivolgergli la parola, il nero ordinò severo, verso la creatura poco distante da loro: “Rouge, prendi l’altra ragazza. Portala dove sai”.
La mora posò lo sguardo verso la pipistrellina bianca, la quale, con un cenno affermativo e con un sorriso malandrino e provocante, spiccò il volo. Rouge prese Jessica, avvolgendola da dietro la schiena, poi esclamò, altrettanto smaliziata: “Andiamo a farci un giretto, tesoro”.
Rory aggrottò la fronte, guardando l’amica allontanarsi in volo, in un misto tra lo scetticismo e la meraviglia, dopodiché rivolse un’occhiata timida al riccio bicolore, il quale parve stentare a lasciare la sua mano. La ragazza gli rivolse uno sguardo pieno di imbarazzo e desolazione. Avrebbe tanto voluto dirgli quanto fosse dispiaciuta per ciò che era accaduto tra loro. La creatura, d’altro canto, continuava a scrutarla con sguardo austero, uno sguardo che portò la giovane a mordersi il labbro inferiore.
“Shadow , io…” esordì, titubante, non essendo in grado di trovare le parole giuste per esprimere il suo rammarico. Il riccio sbuffò, avendo già compreso dove volesse andare a parare la questione. Dunque, senza troppi fronzoli né buone maniere, la prese in braccio, pronto ad allontanarsi da lì con lei. Rory emise un gridolino per la sorpresa, finendo per stringersi la borsa a sé per poi poggiare le braccia attorno alle spalle del compagno.
“... Io non capisco come mai ogni volta che c’è di mezzo Robotnik, mi ritrovo tra le tue braccia!” esclamò lei, rossa in viso, accorgendosi solo in un secondo momento di aver espresso una tale sconveniente considerazione ad alta voce. La giovane avrebbe potuto dirgli tante di quelle cose che, logicamente, proferì quella più ambigua e meno appropriata possibile. E se non fosse stato per quell’imminente flash arancione, il quale si dirigeva a grande velocità verso di loro, il suo volto sarebbe diventato paonazzo per l’imbarazzo. E se Shadow non fosse stato impegnato a schivare il colpo, agile come solo lui sapeva essere, probabilmente avrebbe sbuffato, per poi alzare gli occhi al cielo, contrariato per la sensazione di disagio che avrebbe provato.
Lingua biforcuta...

Ma in quella particolare circostanza, non ebbe voglia di dar peso né di rispondere a quell’affermazione. In quel momento, l’unico pensiero del riccio era salvarla e portarla in un luogo sicuro, lontana dall’odio e dalla sete di vendetta di Eggman.


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Finale alternativo scritto dal mio ragazzo: [...] la prese in braccio pronto ad allontanarsi da lì con lei. In quello stesso istante Rory si sentì al sicuro tra due braccia possenti e vigorose che a confronto quelle di The Rock sembravano di marzapane. Il contatto con il nero non poteva non scaturire in lei una certa emozione che fu causa di un repentino arrossamento. D'altronde era da parecchio che l'umana non aveva più notizie di Shadow nonostante desiderasse ardentemente rivederlo.
"Ohw Shadow, mio eroe!" esclamò l'umana con un certo velo di ironia nella voce. Il riccio, sentendo quelle parole, inarcò un sopracciglio, sorpreso. "Ti aspettavi davvero che ti avrei accolto in questo modo?!" disse Rory. "Si può sapere dove sei stato tutto questo tempo? Ma è mai possibile che non trovino un altro per fare la controfigura di Obama?". La creatura assunse la sua tipica posizione a braccia conserte, posizione che fu apprezzata moltissimo negli Inferi ed in particolare dai componenti della squadra Ginew. Quest'ultimi erano riusciti a seguire le sue vicende in televisione ed avevano addirittura provato un nuovo balletto in suo onore.  
"Donne" pensò tra sé quando ad un tratto gli venne in mente il motivetto della canzone di Zucchero - donne tututu in cerca di guai -. "In cerca di guai, sì...".





 

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Capitolo 15
*** Imprevedibilità ***


Eggman, appena avvistò Shadow insieme a quell’odiata ragazzina che aveva tanto osato ferire il suo ego smisurato, fece forsennatamente fuoco verso di loro. Ma la creatura dal manto ebano non si fece cogliere impreparata e, dopo essersi assicurata di avere ben salda la ragazza tra le mani, balzò in aria, finendo con l’atterrare sul tetto del velivolo dello scienziato. Shadow aveva fatto un salto in alto lungo circa una trentina di metri, se non oltre, costringendo Rory a stringersi forte a lui, dopodiché chiuse gli occhi e poggiò la fronte sulla tempia della creatura. Il cuore le batteva in petto come un tamburo, sentendo a pelle l’adrenalina fluire libera nel sangue. Aveva già avuto modo di vedere il suo amico in azione - in primo luogo, quando era tra le braccia di lui, in una situazione analoga all’attuale - ma non aveva idea che Shadow possedesse tale agilità benché tenesse in braccio una persona.

Dal microfono proveniente dalla sala comandi del dirigibile, si levò alta una voce rauca e tonante: “Te la farò pagare, stupida ragazzina, per la tua insolenza”.
La giovane strabuzzò gli occhi, basita da una tale impetuosa veemenza.
“Ma che cavolo vuole?” chiese Rory ad alta voce, senza rivolgersi a nessuno in particolare, “non solo mi spezza in due il cellulare…”
Shadow, d’altro canto, rimase zitto, intento a schivare la raffica di colpi mentre si allontanava dalla bocca di quel mitragliatore laser, per poi arrivare, dopo tre grandi falcate, alla coda del velivolo. Ma prima di saltare nuovamente, un altro grido potente si udì per l’intera Napoli e provincia. Questa volta, però, proveniente dalla bocca di Rory, la quale, sempre in braccio al suo salvatore, si era girata quel tanto che le bastava per urlare una sottile intimidazione accompagnata dal suo pugno stretto e protratto verso la finestra della sala comandi, dove si trovava il dottore.
“Idiota, esci da lì, se hai coraggio! Te li raso a zero quei baffi!”
Che razza di minaccia è?
 Non poté fare a meno di chiedersi, a questo punto, il riccio nero, che nel frattempo era balzato - provocando un ultimo gridolino di sorpresa da parte della ragazza, che tornò a stringersi nuovamente a lui - ed atterrato sul velivolo di Tails, che lo fissava stupito.
“Falla salire!” ordinò Shadow, il suo tono profondo e austero fece trasalire leggermente la piccola volpe. Senza farselo ripetere, Tails, spingendo un pulsante, fece issare lo sportello ovale fatto di un materiale simile alla resina termoindurente ed invitò la ragazza a sedersi sulla poltroncina posteriore. Il riccio bicolore aiutò la giovane a raggiungere la sua postazione dopodiché si voltò. Ma prima che potesse saltare di nuovo, due mani minute afferrarono la sua, che lo spinsero a voltarsi nuovamente verso di lei. Rory lo fissava con uno sguardo sinceramente preoccupato e alquanto mesto.
“Shadow, io devo ancora chiederti scusa come si deve per ciò che ti ho detto, per cui…” mormorò lei, mentre con i pollici accarezzava la ruvida stoffa del guanto, “... sta’ attento, per favore”. Tails rimase a bocca pressoché spalancata nel vedere una tale affezione verso una creatura tanto sicumera quanto arrogante come Shadow. Persino il riccio ebano non poté fare a meno di meravigliarsi di tanta gentilezza. Ma quest’ultimo, sentendosi a disagio nel notare quello scintillio di gratitudine mista a costernazione nei suoi occhi, ritrasse la mano, costringendola a lasciarlo andare. La creatura dal manto onice spiccò un ulteriore salto, mentre lo sportello di plexiglass si abbassava su di lei, ingabbiandola. Rory premette le mani sul vetro, scrutando dall’alto quel minuscolo riccio nero, ormai atterrato sulla strada asfaltata.
“Il mio nome è Miles Prower, ma tutti mi chiamano Tails”, disse il volpino con una voce dolce e genuina, mentre teneva le mani sul volante. La giovane abbozzò un sorriso nel frattempo che allacciava le cinture di sicurezza, sebbene fosse consapevole che lui non potesse vedere le sue espressioni.
“Io sono Rosa, ma tutti mi chiamano Rory”.

***

Shadow, nel frattempo che schivava i fulminei proiettili, saettò fino ad arrivare al fianco di Sonic, il quale sfrecciava a gran velocità mentre lo fissava sbilenco. Il riccio nero non poté fare a meno di lanciargli un’occhiata pressoché furibonda, ma si trattenne dallo scagliarcisi contro. D’altronde, per lui, Sonic era un cretino e niente al mondo avrebbe potuto fargli cambiare idea sul suo conto.
“Ehilà, Shadow, com’è andato il sonnellino?”, lo salutò lui, con un sorriso strafottente, come se non si fosse accorto di aver messo in pericolo la vita di due giovani - anche se, poiché colto da un istinto ancor più intimo e sopito di quello primitivo, stranamente, per la Forma di Vita Definitiva solo una delle due era veramente importante. Shadow rispose con la smorfia più austera che riuscì a mostrare, come se stesse avendo a che fare con un marmocchio malandrino.
“Te lo sei fatto scappare?!” sbottò il nero, riferendosi all’ultimo scontro avuto con Eggman, durante il quale fu anche lui protagonista della vicenda. Finalmente, la sua controparte blu sembrava aver perso ogni briciolo di irriverenza cui era solito possedere. Sonic tornò a puntare il viso sulla strada, singolarmente serio. Il riccio dal manto ebano sbuffò, affinché il blu ritornasse a rivolgergli lo sguardo, con risoluta curiosità. Dunque, Shadow balzò in aria, lanciando una breve sfilza di Chaos Spear direttamente contro il dottore, il quale, prontamente, si riparò utilizzando come vittime sacrificali tanti robot volanti quante ne erano le lance di energia. In quel momento lo scienziato arrestò la sua corsa, rimanendo fermo in quel punto della città, ormai deserto. Le persone avevano lasciato le abitazioni per mettersi al riparo da qualche altra parte, lontano da quello scontro senza eguali, tanto che neppure restare in casa era sicuro.
“Cosa speri di fare?” esclamò la voce baritonale e rimbombante dello scienziato proveniente dal megafono. Shadow sorrise. Un sorriso derisorio, tracotante e glaciale, privo di qualsiasi tipo di pietà per l’avversario. Rory, dall’alto della sua postazione, poté distinguere l’oscuro scintillio di crudeltà in quegli occhi cremisi, una luce che non vide mai prima di allora e che la lasciò profondamente sconvolta. Shadow sembrava pregustare il momento di…
“Quello che non sono riuscito a fare la volta scorsa, dottore” esclamò lui, il viso quasi sfigurato in una severa espressione irata, lanciando un’altra serie di colpi pregni di energia del caos, che vennero nuovamente fermati da una truppa di creature metalliche. L’aria era ormai impregnata dell’odore di fuoco e di circuiti esplosi, i quali cadevano come pioggerellina grigia sulle strade della città.

***

“Come fa a disporre di tutto quell’arsenale, quel deficiente?” chiese d’un tratto, inveendo contro Robotnik, la giovane alla piccola volpe, quest’ultima impegnata come sempre a pilotare il velivolo e sparare a raffica contro la corazza del dirigibile, riuscendo appena a scalfirla.
“Eggman possiede tre smeraldi del caos e con la loro energia riesce a potenziare le sue armi” spiegò Tails, l’ingegnere cervellotico del gruppo. Rory si mise a braccia conserte, mentre si portò una mano al mento con fare pensante. In quel momento comprese perché gli smeraldi fossero così importanti per il dottore. Possibile che delle gemme contenessero tutto questo straordinario potere?
Sospirò frustrata, strinse i pugni e chiese: “Non possiamo sottrarglieli in qualche modo?”
Tails parve rifletterci su, ma poi scosse il capo, in segno di diniego.
“Potremmo, ma è rischioso. Gli smeraldi potrebbero essere nascosti in un qualsiasi punto del dirigibile, inoltre io non posso abbandonare il Tornado X senza pilota”.
Rory si morse il labbro inferiore, fissando mesta i due ricci che combattevano contro il piccolo esercito di creature meccaniche volanti e schivavano i colpi laser contemporaneamente, creando una danza di colori blu e nero. Tutto ciò che stava accadendo era contro natura: chissà quante persone erano morte durante gli scontri con Eggman, perché non riuscivano ad evacuare le zone sotto assedio in tempo... chissà quanti bambini, anziani o altri innocenti avevano dovuto soffrire per queste faide insensate.
No.
Non poteva accettarlo.
Inoltre, non sopportava di essere inutile, soprattutto quando un amico stava combattendo per lei e non poteva dare la possibilità a quello scienziato di farla franca, dopo tutto quello che era accaduto. Uno di quegli smeraldi era di Shadow, accidenti!
“Ci vado io”, esclamò lei, decisa, mentre slacciò la cintura di sicurezza.
“Tu?” chiese Tails, scioccato “no, non puoi, sei solo una ragazza. È troppo pericoloso!” protestò il volpino, atterrito. Non poteva permetterle di andare, soprattutto perché era sicuro che Shadow gliel’avrebbe fatta pagare amaramente se le fosse successo qualcosa. E lui non ci teneva affatto a rimetterci la pelle.
“Tails, non c’è altro modo. Tu non puoi lasciare il posto di pilota e Shadow e Sonic - sì, credo che sia lui - stanno combattendo contro i robot” ribatté la giovane, posando la borsa ai suoi piedi, per poi posare una mano sul bordo del sedile anteriore di stoffa imbottita, sul quale era seduto il nuovo compagno “tra tutti sono l’unica che se ne sta con le mani in mano. E poi pensaci bene: credi che il dottore se lo aspetti che una sciocca ragazzina vada lì a fargliela pagare? Avremo anche l’effetto sorpresa dalla nostra” continuò lei, con ferma determinazione. Era intenzionata ad andare e, anche se sapeva che rischiava la vita, non poteva lasciare che quell’uomo meschino continuasse ad agire indisturbato. Tails corrucciò la fronte, leggermente irritato per il fatto che non potesse aiutarla e preoccupato per la sua sorte. Il volpino non poté che convenire: il ragionamento non faceva una piega. “Farò attenzione, te lo prometto” disse lei, quasi come a mettere fine a quella conversazione.

***

Sotto gli occhi attoniti e curiosi dei ricci, Tails tirò un lieve sospiro, poi spinse avanti una leva, affinché, con la spinta da parte dei motori, potesse superare il dirigibile all’istante, quel tanto che bastava per arrivare alla bocca che affacciava alla sala comandi del dottore. Sonic e, straordinariamente, anche Shadow si chiesero all’unisono quale fosse il piano della giovane volpe. Superato l’imbocco della strada giunti alla piazza centrale del posto, Rory riuscì a vedere un’orda di persone che urlavano a squarciagola impaurite e che cercavano di trovare, chi a destra e chi a manca, una via di fuga sicura. Era una scena davvero orribile, intollerabile. Per quanto l’inquietudine minacciasse di sopraffarla, non poteva permettersi di provare timore in quel preciso momento e tirarsi indietro.
Robotnik tentò di contrastare quell’offensiva attraverso l’utilizzo dei fucili mitragliatori laser, posti sopra il tetto dell’aeromobile, e cominciò a sparare ad un ritmo folle contro il volpino e l’umana. Ma Sonic e Shadow, il blu per proteggere un amico, il nero per altri scopi, furono più lesti di lui. Dopo aver saltato contro gli edifici ed atterrati sulla corazza rossa del dirigibile ad una velocità esorbitante, i due rivali si arricciarono fortemente, creando una sfera di aculei con il loro corpo, e con una spinta aggressiva colpirono violentemente i due enormi fucili, distruggendoli alla base.
Rory rimase sbalordita a quella vista, ma non c’era tempo da perdere nell’ammirare con quanta prodezza il suo compagno aveva sfoggiato le sue straordinarie abilità.
“Tails, è il nostro momento!” esclamò lei, incitando la volpe ad agire, “ho bisogno che tu rompa il vetro della sala comandi”.
Il piccolo amico annuì, impugnando un’altra leva alla cui estremità vi era un pulsante, che fece scattare i proiettili azzurri appena lo pigiò. Un intenso fumo si levò in aria, coprendo la visuale di tutti, tranne che di Tails e di Rory, i quali erano ancora protetti dal vetro del Tornado X.
La piccola volpe si avvicinò di buon grado al velivolo del nemico, per permettere alla ragazza di saltare ad una distanza più che agevole per lei, dopodiché alzò lo sportello, pregando affinché la fortuna l’avesse assistita. La giovane balzò ed atterrò tutta intera sul metallo. Appena sentì i piedi aderiti al nuovo pavimento, corse, fino a sorpassare l’atrio dell’entrata improvvisata che portava agli smeraldi del caos. E, ad aspettarla, c’era Eggman, caduto a terra, che sbatteva gli occhietti azzurri e tossiva forsennatamente.
“Dottor Robotnik”, esclamò lei, per attirare la sua attenzione, dopodiché prese la strana arma arancione, simile ad una pistola, che l’uomo aveva ai suoi piedi, per disarmarlo. Dopo aver controllato che lui la guardasse, lei gliela puntò alla fronte e disse: “ha qualcosa che non le appartiene!”
La sua mano, per il timore che stava provando, minacciava di tremare in quel momento, ma si impose di calmarsi. Aveva una missione da svolgere ed un solo errore avrebbe fatto scattare il conto alla rovescia della sua morte.
Rory diede una fugace occhiata in giro, avvistando in un secondo tre gemme - una color rubino, una zaffiro e una smeraldo - incastonate ad una piastra di metallo contenente, oltre gli smeraldi, altri quattro fori e posta accanto alla miriade di tasti, leve e pulsanti della sala comandi del dirigibile. La fortuna era dalla sua.
“Come osi sfidarmi?” urlò lo scienziato, le guance così rubiconde da assomigliare a due pomodori ciliegini. Senza neanche badare alle parole del dottore, la giovane corse verso gli smeraldi del caos, ma appena arrivò a toccarli, Robotnik si alzò in piedi e pigiò uno dei bottoni dell’immensa tastiera della sala. In men che non si dica, una dozzina di robot di vari colori riempì l’ambiente, circondandola. La giovane strabuzzò gli occhi impietrita.
“Speravi di passarla liscia? Sei solo una sciocca ragazzina!”
“Lo credi tu, Eggman!” una voce squillante riempì la stanza, terminando la frase con un risolino beffardo e cristallino. Al suo fianco, Rory udì uno sbuffo familiare. Shadow era lì, a braccia conserte, che fissava con sguardo severo la moltitudine di creature meccaniche in avvicinamento e pronti a fare fuoco, mentre poco distante vi era Sonic, da cui proveniva quella voce.
Neanche il tempo di urlare l’ordine di sparare verso gli ospiti, che in un batter d’occhio i due ricci distrussero i robot: il nero utilizzò una raffica di Chaos Spear mentre il blu li colpì impiegando la stessa tecnica adoperata per abbattere i fucili del velivolo, dando il tempo alla giovane di sottrarre gli smeraldi del caos al dottore, custodendoli gelosamente tra le braccia. Rory scavalcò la tastiera della sala comandi, stando ben attenta a non schiacciare nessuno dei pulsanti ed infine uscì raggiante come un sole fuori dal dirigibile, con il bottino in mano.
Non ebbe il tempo di salire sul Tornado X che il riccio dal manto ebano la riprese in braccio: la ragazza non poté non notare che sul viso del compagno aleggiava una smorfia alquanto contrariata.
Rory, sentendo su di sé tutto il peso di quello sguardo infuocato, si morse il labbro inferiore.

Shadow era davvero infuriato.











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Angolo autrice: Oh, ragà, rieccomi XD Ok, ammetto di aver postato prima del previsto, ma sono finalmente riuscita, tra un impegno e l'altro, a portarmi un pochino avanti con la storia. Sto pensando, dal momento che tra poco inizia per voi la scuola e per me i corsi, di postare ad una scadenza di tre o quattro settimane circa. Quindi, il prossimo capitolo penso di postarlo tra il 25 settembre e il 5 ottobre. 
Che dire: spero che anche questo capitolo vi piaccia e... beh. Se trovate errori, ditemelo! 
Un bacio,
Rory!

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Capitolo 16
*** Conoscenze ***


Il telefono da polso, nascosto dal lungo guanto della pipistrella, vibrava incessantemente da più di mezz’ora, infastidendola immensamente. Impossibilitata a rispondere, dovette ignorare la chiamata fino all’atterraggio che tanto agognava. Avvistato finalmente il rifugio di Sonic e dei suoi compagni, non vide l’ora di posare la biondina che stava trascinando in volo da troppo tempo, a causa del quale, per quanto fosse fisicamente dotata, cominciava a non reggerne più il suo peso.
“Siamo arrivati”, esclamò lei, per dare principalmente sollievo a se stessa e, più precisamente, alle sue braccia, piuttosto che offrirne alla giovane che teneva stretta. Jessica guardò in basso, verso la lugubre e cadente casetta di legno e mattoni poco sotto di loro, inarcando un sopracciglio. Non proferì nulla, ma aveva seri dubbi sulla destinazione che, a quanto pareva, avevano raggiunto. Rouge posò la giovane con delicatezza sul prato e finalmente poté poggiare i piedi al suolo e percepire il terreno sotto i tacchi. Sembrava impossibile che tutto ciò potesse darle una simile benessere, eppure anche le spie - nonché ladre di gioielli - riuscivano a trovare una forma di consolazione in situazioni elementari come quelle.
Dopo aver stiracchiato le braccia, la pipistrellina si avviò con andatura sensuale verso la porta decadente della piccola casetta e picchiò le nocche sulle assi di legno che la componevano.
Dalla porta uscì una graziosa e minuta coniglietta dal manto giallino, dalle grandi e lunghe orecchie che cadevano penzoloni dietro la schiena, con indosso un vestitino arancione e il colletto ornato da un fiocchetto celeste. Portava in braccio una specie di animaletto azzurro che l’umana non riuscì a catalogare. Di sicuro non assomigliava a nessuno degli animali terrestri esistenti, ma la bionda lo trovò comunque adorabile: era grande circa due mele e lo si poteva tenere tra i palmi delle mani. La testolina, a forma di goccia e alla cui punta era posta una piccola sfera dorata, era grande quasi quanto il resto del corpo paffuto. Aveva due piccole ali lilla, poste dietro la schiena, e indossava un papillon rosso pastello. I due erano accompagnati un ragazzo umano, dall’espressione basita in volto, che Jessica conosceva fin troppo bene.
“Christian?! Ma che ci fai tu qui?” domandò lei, bloccando il ragazzo che stava per porle lo stesso quesito. “Questo non è il rifugio di Sonic?” chiese poi alla pipistrella, dal momento che quest’ultima le aveva rivelato la meta quando erano ancora in volo.
“Sì, signorina, è la nostra casa”, rispose la coniglietta gialla con la sua solita vocina gentile. Jessica si intenerì alla vista di quella minuscola e affabile creaturina, dimenticando in un lampo la questione in sospeso con Christian.
“Ciao, piccola! Io sono Jessica!” esclamò la bionda, piegandosi leggermente e poggiando i palmi sulle ginocchia, “come ti chiami?” rivolgendole questa domanda quasi come se stesse avendo a che fare con una semplice bambina umana, anziché un coniglio.
“Io sono Cream!” rispose squillante la piccolina, “e questo è il mio amico Cheese, è un Chao!”
Il minuscolo esserino azzurro squittì un acuto Chao Chao, sotto gli occhi increduli ed allo stesso tempo addolciti dell’umana. Quell’animaletto sembrava essere uscito direttamente da un cartone per ragazzini.
“Bene, ora che sono state fatte le presentazioni, io devo andare…” fece la pipistrella, con fare sbrigativo. Infine si alzò nuovamente in volo, ma prima che potesse allontanarsi definitivamente, Jessica la ringraziò per averla portata in un luogo sicuro. Rouge la liquidò con un sorriso malandrino e con un gesto della mano a mo’ di saluto.
Dopo essersi assicurata di essere abbastanza in alto per non poter essere ascoltata né vista, una volta preparatasi all’incombente sfuriata dal suo superiore, rispose alla chiamata cosicché terminasse quel perpetuo disturbo al polso, esclamando: “Qui agente Rouge, parlo con la G.U.N.?”
Al ricevitore rispose una voce maschile cupa, affilata e che dimostrava essere abbastanza in là con gli anni. Ma stranamente tranquilla, nonostante il tono autorevole, tipico di un generale.
“Agente Rouge, qui è il comandante”. Sul volto della pipistrella si dipinse una leggera smorfia stupita. “Raggiunga la base centrale, adesso. Passo e chiudo”.

***

“Shadow…” azzardò lei, dispiaciuta, gettando una fugace occhiata su di lui. Il riccio nero, che tuttora aveva dipinta sul volto un’espressione austera, non rispose e continuava percorrere la strada a grandi falcate, scivolando sul terreno grazie alle sue scarpe speciali. Era trascorsa circa un’ora da quando avevano lasciato quel luogo e, per l’ennesima volta, avevano sventato i vili propositi del dottore. Ormai avevano gli smeraldi del caos: Sonic e Tails si sarebbero occupati di rimandare a casa lo scienziato.
Non ricevendo alcun responso dal suo amico, Rory abbassò lo sguardo. Dopodiché, con coraggio, si costrinse a guardarlo in viso, mormorando: “Mi dispiace…”  
Ma se il suo era un tentativo volto a calmare i bollenti spiriti, poteva tranquillamente darlo per fallito: quell’espressione non fece altro che alterare di nuovo i nervi del riccio, che da poco stavano incominciando a distendersi, facendola sentire ancora di più in colpa. Shadow strinse i denti e non le rivolse neanche una parola finché non giunsero in una piccola radura fiorita, dopodiché la fece scendere cosicché potesse avviarsi dentro da sola.
“Dove siamo?”
“Al rifugio di Sonic e dei suoi amichetti”, fu la semplice e netta risposta del nero. Niente di più, niente di meno. Il riccio bicolore si avviò veloce verso il portone d’ingresso di quella che aveva l’aspetto di una casa abbandonata da decenni, intimandole di seguirlo. Bussò più volte al portone, con insistenza e con così tanta forza da far tremare le mura dell’abitazione.
Ad aprire fu la coniglietta Cream, la quale, dopo aver dato una veloce occhiata verso i due, esclamò, gentile e sorridente: “Ciao, io sono Cream, e lui è Cheese!” disse, presentando la creaturina, la quale, con un piccolo balzo, agitò la zampetta a mo’ di saluto e squittì un sonoro quanto acuto: “Chao Chao!”
“Cream, chi è alla porta?” chiese un’altra giovane - benché fosse leggermente più matura - voce. Alle spalle della bambina, comparve una riccia di colore rosa confetto, la stessa che vide nelle immagini trasmesse durante quel servizio che Rory trovò ingiurioso nei confronti del compagno.
“Amy, sono il signor Shadow e...”
“Oh, sono Rory”, rispose la giovane, amabilmente.
“Rory!” finì la coniglietta di rimando all’amica.
“Molto piacere, io sono Amy!” disse la riccia con un sorriso e accennandole un saluto.
Shadow, che nel frattempo era rimasto lì solennemente in silenzio, ascoltò disinteressato, a braccia conserte, quel giro di presentazioni. Sul volto aveva dipinta un’espressione a dir poco corrucciata. Quando quel teatrino finì, entrò nella casa senza neanche chiedere il permesso. Amy spalancò gli occhi per l’indignazione, dovendo spostarsi affinché non venisse spinta altrove dal riccio.
Dopo circa qualche secondo, la giovane chiese il permesso alle due creaturine di entrare, le quali la scortarono all’interno, seguendo il riccio che aveva ormai varcato l’androne che portava ad una scalinata di legno scricchiolante e poco illuminata. L’interno di quell’abitazione era piuttosto lugubre e malmesso. Era di certo inabitabile per qualsiasi essere umano vivente, innanzitutto perché non conteneva alcun mobilio atto a riporre oggetti e se ce ne fosse stato, sicuramente sarebbe parso consunto dal tempo come tutto il resto, e poi non vi era traccia di manutenzione se non una leggera spolveratina ai pavimenti. Quando, invece, arrivarono in fondo alla scalinata, circa un piano sotto terra, Rory fu investita da un’ondata di luce che, essendo i suoi occhi abituati al buio, l’accecò per qualche istante.
Erano arrivati ad un corridoio ben illuminato, grazie ai faretti posti al soffitto. Il pavimento in piastrelle simile al parquet chiaro rendeva l’ambiente ancora più luminoso e ampio, mentre l’intonaco alle pareti era di un rilassante color avorio.
Dopo aver attraversato il lungo andito e dopo aver superato diverse porte di legno poste parallele tra loro, Amy varcò una delle tante che era, diversamente dalle altre, aperta. Ad aspettarla c’erano Jessica, seduta su una delle sedie di quella stanza molto simile ad un salottino terrestre, e straordinariamente anche Christian che fissava con fare particolarmente astioso Shadow. Un temperamento che non sfuggì né al riccio, il quale gli rivolse a sua volta uno sguardo torvo né alla ragazza, alquanto spaesata. Vi era un divano di stoffa ad angolo, un tavolino con qualche sedia dall’altra parte della sala e diversi mobili in legno.
La bionda si avventò sull’amica, avvolgendola in un abbraccio soffocante, esclamando in un tono che esprimeva tutta l’angoscia che aveva provato e l’attuale sollievo nel constatare che la sua migliore amica si fosse salvata: “Ciccia! Ero così preoccupata!”
Ma Rory era già consapevole di ciò che stava per avvenire e si preparò per l’imminente terzo grado targato Jessica.
“Come stai? Dove sei stata? Perché ci hai messo tanto…?” E un’altra sfilza di domande che se la mora non l’avesse interrotta, sarebbe durata ben oltre le otto ore di agonia.
“Jess, sto bene, sono stata con Shadow, è tutto a posto”, rispose lei, sospirando rumorosamente per quell’apprensione del tutto fuori luogo, tuttavia non riuscì a non sorridere. Jessica aveva i suoi pregi ed i suoi difetti, come tutti gli esseri umani. Ma sapeva sempre come dimostrare affetto, verso chiunque. “A proposito: che ci fate voi qui?”
“Mi ha accompagnato Rouge, l’amica di Shadow”, rispose la bionda dopo aver finalmente mollato la presa, infine si rivolse al riccio per ringraziarlo per aver protetto Rory. Quest’ultimo sbuffò distogliendo lo sguardo, dopodiché si mise a braccia conserte.
“E tu?” continuò la mora verso l’amico.
“È una storia lunga”, si limitò a dire il ragazzo, vago.
“Come mai hai degli smeraldi del caos?” chiese una voce maschile giovane, lievemente rauca, alle sue spalle. Dietro di lei vi era un echidna rosso, appoggiato sullo stipite della porta. Rory fissò le gemme che teneva tuttora strette tra le braccia. Ma prima che lei potesse rispondere, Tails - che teneva stretta in braccio la borsa di Rory, che aveva lasciato sul Tornado X - e Sonic varcarono l’atrio, entrando nel salottino, il primo con un sorriso gentile in volto, l’altro con un’espressione puramente impertinente.
“Knuckles, tranquillo. La ragazza di Shadow ci ha aiutati a sistemare Eggman come si deve!” a parlare fu il blu, provocando all’istante l’ira del già di per sé adirato riccio nero. Rory non poteva credere alle sue orecchie. La… ragazza di Shadow? Si era forse persa qualcosa? Christian non riuscì a non storcere il naso a tal pensiero, ma cercò di non dar a vedere eccessivamente il suo fastidio.
“È stata una trovata geniale, davvero”, fece a questo punto Tails, entusiasta, forse per smorzare l’opinione completamente sfacciata del compagno. “Rischiosa, ma geniale”.
A quel punto, la collera di Shadow arrivò al culmine della sua sopportazione e, colto da un sentimento di furia improvviso, sotto gli occhi esterrefatti dei presenti, si avventò contro la piccola volpe, la quale fu costretta a lasciare la presa della borsa, portandogli una mano alla gola e trascinandolo all’istante contro il muro adiacente. Tails, che era ben più debole del suo aggressore, tentò invano di togliersi quel guanto di dosso, causando tuttavia l’effetto opposto. Il riccio nero, preso da una rabbia cieca, strinse la presa, impedendogli di respirare.

***

“Shadow!” esclamarono all’unisono Sonic e Rory, quest’ultima mosse qualche passo verso il compagno ancor prima che il blu potesse intervenire per salvare l’amico e scatenare quella che sarebbe stata l’ennesima violenta diatriba tra il lui e il nero. “Lascialo andare, che cosa ti ha fatto?!”
Ma il riccio non rispose e continuò a stringere forte il collo della volpe indifesa, strozzandola.
“Shadow, ti prego, lascialo!” ripeté la giovane, terrorizzata all’idea che il suo compagno potesse spingersi tanto da arrivare al punto di non ritorno. D’un tratto, il suo sguardo incontrò quello cremisi furibondo del compagno, non trovando, tuttavia, traccia alcuna di quello scintillio di pazzia che, durante lo scontro con lo scienziato, aveva osato sfumare i suoi occhi. La ragazza si passò una mano tra i capelli, disperata, ed esclamò: “Non è colpa sua, prenditela con me, piuttosto!”
Ma il riccio nero non volle sentirne di allentare la stretta. Mentre tutti assistevano alla scena scioccati e proprio mentre Sonic decise di frapporsi tra i due, Rory, volitiva, si lanciò su di lui velocemente, posandogli una mano sull’arto teso su Tails, per strattonarlo. Con un solo movimento del braccio, Shadow lasciò la presa dalla volpe, per poi spingere via la ragazza con abbastanza violenza da farla scivolare lungo il pavimento, facendo cadere gli smeraldi del caos che ancora teneva tra le braccia. Sonic si lanciò dietro di lei, affinché la giovane non andasse a sbattere la testa contro la parete.
“Rory!” esclamarono all’unisono Jessica e Christian, basiti, mentre quest’ultimo corse verso di lei, per aiutarla a stare seduta. La mora lo spostò gentilmente con una mano, rifiutando il suo aiuto con orgoglio mentre con un cenno del capo gli fece intendere che non doveva intromettersi, infine ringraziò il riccio blu per aver arrestato il capitombolo.
Nel frattempo che il nero si allontanò da lui per fare qualche passo verso Rory, Tails cadde a terra, stremato, portandosi una mano alla gola sofferente, emettendo qualche suono roco.
“Credi di essere nella posizione di dirmi cosa devo fare?” sbottò infuriato il nero contro la giovane, che nel frattempo si era rimessa in piedi, massaggiandosi la schiena dolente. Shadow aveva di nuovo sottolineato la differenza che c’era tra lui e lei, e questo la faceva imbestialire. Al diavolo tutto: decise di rispondere.
“Ehi, impost…”
“Non ti intromettere, Sonic” lo bloccò l’umana, che a stento riusciva a trattenere un’espressione furiosa, dopodiché si rivolse di nuovo al compagno, esclamando alterata e arrabbiata come non mai contro quel riccio: “E tu credi che prendersela con Tails sia una cosa normale?”
Sul viso aveva dipinta una smorfia furibonda così accentuata da trasformarle il volto: sembrava una tigre imbizzarrita.
“Oppure, ci sono: ti si è fuso il cervello, te lo sei bevuto, l’hai digerito e l’hai espulso con l’urina, forse?” continuò lei, furente, gesticolando animatamente e tentando con tutte le sue forze di non cadere nel dialettale. L’influenza del suo popolo d’origine prendeva il sopravvento solo quando era veramente infuriata.
Tutti i presenti rimasero pressoché sconvolti: quella ragazza stava davvero rivolgendo quelle parole a Shadow? Persino quest’ultimo strabuzzò gli occhi, meravigliato e al contempo innervosito per quell’impertinenza. Nel frattempo, Rory, solo qualche attimo dopo aver detto quella frase, capì di aver probabilmente un tantino esagerato. Ma quel che era fatto, ormai, era fatto e Shadow se le meritava tutte quelle parole. Quest’ultimo digrignò i denti e strinse i pugni, avvicinandosi pericolosamente alla giovane, la quale giurò di aver visto delle scosse elettriche solcare i guanti del nero. Pur tuttavia, non gli diede la soddisfazione di arretrare e mostrare neanche il più sottile timore nei suoi confronti. Nel frattempo, Amy si avvicinò all’amico, che fissava terrorizzato le spalle del suo aggressore e l’umana che aveva di fronte, per aiutarlo ad alzarsi e ad allontanarsi da lì.
“Continui ancora a giudicarmi? Non hai capito un bel niente!” scattò feroce il riccio bicolore, le mani tremanti.
“Ma da che pulpito viene la predica!” ribatté lei, esacerbata, puntandogli il dito. “Tu non fai altro che guardarmi dall’alto in basso, continuando a tenermi il muso, nonostante io ti abbia chiesto scusa!”
Shadow la fissò stravolto, ammutolito, così come il resto del gruppo. Nessuno si era mai azzardato a dirgli certe cose e sentirle dire da lei fu come un fulmine in ciel sereno.
Per la prima volta nella sua vita, un sentimento ben lontano dalla rabbia avvertì penetrare sotto pelle. Un sentimento che proprio non poteva accettare di provare, non nei confronti di quella stupida. Ed era la profonda sofferenza che si percepisce quando si viene feriti da qualcuno. Era quasi come se una miriade di dardi incandescenti si fossero incastrati nelle sue carni, logorandogli il manto pece, poi i muscoli ed, infine, le ossa, come un essere condannato alla forca. Ma il suo senso di dignità gli impediva di mostrare alcuna traccia di quel dolore, così come il suo ego non voleva accettare di averle permesso di scavare così a fondo nella sua corazza, indistruttibile per tutti. Sperava tanto che questa sua, come la definiva lui, debolezza non fosse stata intravista, ma lo sguardo colpevole della giovane fu la netta conferma del contrario.
Un profondo silenzio calò in quella sala. Un vuoto che fece dilatare così tanto il tempo da farlo sembrare un’eternità. E senza neanche emettere un suono, il riccio nero lasciò la stanza, sbattendo la porta dietro di sé, così forte da far cadere un bel po’ di intonaco sul pavimento.

***

Rory, dopo un breve lasso di tempo passato a guardare l’uscio, ormai chiuso, che conduceva al corridoio, abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore, ricacciando indietro le lacrime prossime ad uscire. Una parte di lei voleva mettere da parte l’orgoglio e seguirlo, per chiedergli di nuovo scusa. L’altra, invece, la costringeva a stare lì, immobile, impossibilitata a fare anche un solo passo. Si sentì le gambe molli, come se i piedi fossero così pesanti da renderla incapace di muoverli di un millimetro. Dopodiché, con gli occhi vitrei puntati verso il nulla, riprese gli smeraldi del caos e si costrinse a parlare, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
“A chi posso darli questi?”
“Li prendo io”, fu la pronta risposta di Knuckles, il quale, una volta presi, scomparve, allontanandosi da quella baraonda che era ormai diventato il salotto.
Rory si avvicinò verso Tails, piegandosi sulle ginocchia di fronte a lui, per osservare rammaricata i segni profondi lasciati dalle dita del riccio nero.
“Mi dispiace, Tails…” mormorò la ragazza. La volpe, leggermente a disagio per quel contatto ravvicinato, scosse il capo energicamente e disse: “Non hai di che scusarti”.
“Posso chiederti come fai a stargli vicino?” chiese Amy, incredula per quanta confidenza avesse con Shadow e quanto coraggio Rory aveva dimostrato nell’affrontarlo, e incollerita, per l’ingiustizia subita dal giovane inventore.
Rory sbatté le palpebre, incerta, e disse: “Beh… con me non si è mai comportato così. È successo una sola volta che perdesse le staffe, ma dopo mi chiese scusa”.
“Shadow ti ha chiesto scusa? È davvero in grado di farlo?!” esclamò la riccia, scioccata. La giovane aggrottò la fronte, stranita sia per il tono usato nel porre la questione sia per quell’insolita curiosità, sicché non poté fare a meno di raccontare a tutti le loro vicende, esponendo con minuziosità ogni particolare riguardo il loro primo incontro, il rapimento di Eggman, il litigio con Shadow a causa del quale fu ferita duramente da lui, le sue scuse e il ritorno a casa. Tutti quanti ascoltarono il racconto con estrema sollecitudine.
“Quindi tu gli hai salvato la vita”, disse Sonic, finora rimasto in disparte poggiato con le spalle alla parete, prestando attenzione alla loro storia. Dopodiché si avvicinò al gruppo con un leggero sorriso biricchino. Rory gli rivolse un’occhiata imbarazzata e fece spallucce. Proprio come il compagno dal manto ebano, non amava essere dipinta come un’eroina.
“Beh, in compenso lui mi ha protetto e aiutato veramente tante volte, tipo questa sera...”
“Quella di combattere Eggman da sola è stata una mossa davvero coraggiosa”, ribatté lui, alzando il pollice in segno di apprezzamento. La giovane scosse il capo in segno di diniego.
“Sono stata una sprovveduta... non ho fatto altro che farlo arrabbiare”.
“Non ti abbattere! È grazie a te se abbiamo gli smeraldi”, insistette il riccio con convinzione.
Fu Jessica ad intromettersi nella conversazione questa volta, chiedendo: “Sonic, in che senso Rory lo ha combattuto?”
L’amica si portò una mano al viso, facendola ben aderire alla fronte, preparandosi all’imminente ramanzina targata Jessica. Tails spiegò a tutti cosa fosse accaduto durante la battaglia, meravigliando coloro che non avevano assistito allo scontro. Il risultato fu che la bionda, dopo aver strabuzzato gli occhi e aggrottato la fronte in un’espressione a dir poco esterrefatta, esclamò atterrita verso l’amica: “E tu mi hai detto che andava tutto bene e che non dovevo preoccuparmi?”
Christian alzò gli occhi al cielo e passandosi per il nervosismo una mano tra i capelli, sistemandoli allo stesso tempo, sbottò dicendo: “Sei forse impazzita, Ro? Come ti è saltato in mente?!”
Rory tentò di nascondere un piccolo sorriso incerto, invano. La bionda si mise le mani ai fianchi, tentando di calmarsi, dopodiché continuò affermando: “Sei incorreggibile... comunque avrai capito perché Shadow se la sia presa con Tails, no?”
Quel piccolo sorriso sul viso della mora apparve tanto rapidamente e altrettanto prontamente scomparve. Ovvio che l’aveva capito.
Sospirò, alzandosi per poi avviarsi alla porta d’uscita.
“Vado... a prendere una boccata d’aria”, mormorò, sperando tanto che lui non se ne fosse andato.











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Angolo dell'autriciah! 
Gentili donzelle e baldi giovini, come ve la passate? Sono di nuovo io! Pensavate di esservi liberati di me? E invece NOH. 
Bene, dopo questo ritorno in scena, volevo dedicare questo angolino a tutti coloro che stanno seguendo con in loro insostituibile amore questa sciocchezza di <3 Siete stupendi. In particolare a chi ultimamente ha messo la storia tra le preferite e chi mi ha aggiunto tra gli autori preferiti :) Lo apprezzo davvero tanto! E spero che continuiate a farlo. Io mi impegnerò aggiornare a ritmo costante (questa volta aggiornerò tra il 28 ottobre ed il 3 novembre. Quella settimana lì, insomma).
Come dico sempre: se trovare errori, non esitate a segnalarli! 
Un bacione caloroso,
Rory

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Capitolo 17
*** Racconti ***


Rory uscì dal rifugio, guardandosi attorno, alla ricerca di Shadow. Ma di lui non c’era traccia. Se n’era andato e il solo pensare che avrebbe dovuto fermarlo e parlargli, la addolorava.
Alzò gli occhi verso il cielo. In quella radura era possibile vedere molte più stelle rispetto alla città: non vi era neanche un faro acceso nei dintorni. Fece un profondo respiro. L’aria pungente e fresca della vegetazione che ricopriva quella esigua radura, la rilassava. Decise di fare due passi, studiando quei minuti cespugli fioriti sparsi tutti intorno, che ornavano e profumavano l’ambiente di aromi genuini.
Dopo circa un minuto di cammino, sentì un fruscio provenire dal fogliame di un albero. Si voltò di scatto, fiduciosa, per poi scoprire che a provocare quel rumore era stato un piccolo scoiattolo, che la fissava dall’alto di un ramo. Sospirò e continuò a camminare, attraversando tutta la radura ed addentrandosi nel folto dei boschi che la contornavano.
Dopo aver oltrepassato quella densa coltre floreale, arrivò in un piccolo spiazzo alquanto angusto e desolato, ma abbastanza lontano dal rifugio del nuovo amico blu e dei suoi compagni acciocché potesse abbandonarsi ai pensieri. In mezzo allo spiazzo c’era un maestoso salice piangente e, dopo aver scostati gli abbondanti e fini pioventi rami che gli facevano da tenda, decise di sedersi proprio ai piedi dell’albero, per poi perdersi in un abisso di ricordi.
In quella notte silenziosa, in cui solo il frinire delle cicale spezzava la quiete, tra tutti i pensieri che aveva per la testa, le venne la musica che ascoltava sua madre, in particolare il suo cantante preferito. Non poté fare a meno di sorridere, malinconica.
Chiuse gli occhi, appoggiandosi con la schiena contro il tronco del salice, canticchiando a bassa voce l’unica canzone che le piaceva tra quelle preferite dal genitore. Cercami, di Renato Zero. E non poté fare a meno di pensare a quanto quelle parole la rappresentassero.
“Questa vita ci ha puniti già, troppe quelle verità che ci son rimaste dentro... Oggi che fatica che si fa… com’è finta l’allegria, quanto amaro disincanto. Io sono qui, insultami, feriscimi…!”
Si maledisse: tra tutte le canzoni che esistevano, doveva proprio cantarne una così significativa?
Dopo aver pianto in silenzio, si alzò e si stiracchiò, decidendo controvoglia di ritornare. Era inutile restare da sola, lì, in quel bosco, ad autocommiserarsi.
Quando, però, sorpassò la fitta cortina di foglie, un’ombra catturò la sua attenzione. Appoggiato di spalle contro una quercia, c’era Shadow, che la squadrava severo sottecchi. Rory spalancò gli occhi, sgomenta, e si asciugò velocemente gli occhi ancora gonfi. Non tentò né di nascondere il viso, dal momento che le chiazze rosse sulle guance e sul naso erano ancora eccessivamente visibili per non essere notate, né di sorridere: in quel momento sarebbe stato del tutto fuori luogo, data l’austerità dello sguardo del riccio dal manto oscuro.
Silenzio.
Nonostante sentisse su di sé tutto il peso di quegli occhi cremisi, che tanto sembravano voler intimorire, la ragazza si avvicinò a lui, determinata. Ed ora che lo aveva di fronte, nella sua solita postura, constatò di essere stata per tutto quel tempo udita da lui. Perché anche lui era lì. Perché lui aveva deciso di farsi trovare.
Rory si accostò di fronte al riccio, lo sguardo fisso su quello della creatura, la quale pareva fosse in attesa di qualcosa.
“Perdonami”, disse lei, ferma e risoluta. Shadow allargò gli occhi impercettibilmente, mentre si lasciava cadere le braccia morbide sui fianchi.
“Non le pensavo davvero quelle cose, prima… e non avrei dovuto dirti quelle cose, quella sera… Non so che cosa mi sia preso”.
“Te lo spiego io”, disse lui, severo, “hai pensato bene di potermi giudicare, pur non sapendo nulla di me”.
Rory sobbalzò per quell’accusa, resa ancor più minacciosa dalla profondità della sua voce. Non replicò, abbassando lo sguardo a terra e chiudendo le mani a pugno. Il riccio non sapeva perché era in procinto di enunciare certe parole. Mai aveva pensato di esplicare ad anima viva cosa avesse davvero provato durante quei momenti, tuttavia sentenziò: “Tu non sai cosa significa vedere la persona a cui tieni di più, morire davanti ai tuoi occhi”. Il suo tono era talmente basso e cavernoso da calcare il leggero tocco rauco nella sua voce.
Rory spostò di scatto lo sguardo verso il riccio, sentendosi pressata dalla sua presenza e sospirò. Shadow teneva i suoi occhi, resi color del sangue a causa dell’oscurità, immobili su di lei.
“Hai ragione, non avendo vissuto la tua esperienza non ho il diritto di giudicare”, convenne, annuendo col capo, infine sussurrò: “Ma so cosa significa perdere la persona che più si ama, davanti ai propri occhi”.
Il riccio bicolore aggrottò la fronte, spiazzato, osservando la ragazza alzarsi leggermente la maglietta per scoprire il fianco sinistro. Una profonda cicatrice circolare marchiava la sua pelle.
“Mia madre è morta otto anni fa, un rapinatore le sparò alla testa” rivelò ciò che avrebbe dovuto dirgli quella volta a casa, prima che venissero interrotti da Jessica. “E questa cicatrice dimostra quanto io sia cretina”.
Shadow distolse lo sguardo da quello sfregio indelebile e chiuse gli occhi. Persino per la Forma di Vita Definitiva, quel segno sul suo corpo era insopportabile da vedere. Dentro di lui cominciò a prendere sopravvento la sensazione di disgusto e di odio che, dopo la morte di Maria, sempre aveva provato nei confronti dell’umanità, ciononostante era mista ad un sentimento ben più viscerale che lui riuscì finalmente a decifrare. Era dispiaciuto. Per lei.  
Rory interpretò il suo silenzio come un incitamento a continuare il suo racconto.
“Era un 20 settembre qualunque. Era pomeriggio inoltrato e, dal momento che mio padre era fuori per lavoro, mi offrii per accompagnare mia madre ad un colloquio di lavoro, presso un ufficio in periferia a dir poco abbandonata a se stessa. Avevo voglia di bere qualcosa, quindi mia madre mi diede i soldi per comprare una bottiglia d’acqua ad un bar vicino. Fu lì che il rapinatore la vide: poiché indossava un tailleur classico, probabilmente costui pensò che fosse una di quelle donne ricche ed eleganti in giro a fare una passeggiata nei sobborghi. Io mi nascosi dietro una macchina poco lontano, incapace di fare qualsiasi cosa, mentre mia madre venne minacciata con una pistola da quell’uomo, solo perché non volle cedergli la borsa. Avevo quattordici anni e colta dal tremore, presi il cellulare per chiamare il 113. Avevo appena finito di parlare con uno della polizia quando accadde. La vidi cadere a terra, il sangue, che usciva a fiotti dalla fronte, imbrattava l’asfalto, il suo viso rivolto verso di me e i suoi occhi, vacui, fissi nel vuoto”, Rory si ritrovò a parlare con un tono che non l’apparteneva. Distante; assente; persa nel ricordo di quell’orrendo giorno che, in quel momento, stava rivivendone ogni millisecondo. Come una costante che non potrà mai essere razionalizzata. Troppo debole anche per essere raggiunta da un pianto da tempo già consumato.
“Non so… scattò qualcosa dentro di me… E mi fiondai sul suo assassino. Persi il controllo e…mi trovarono in una pozza di sangue, credendomi morta”.
La ragazza si fermò qualche attimo, la tensione del riccio era pressoché palpabile, dopodiché continuò con tono incolore, abbassando lo sguardo: “Ma fortuna volle che respirassi ancora e mi trasportarono di corsa all’ospedale. Lì, durante l’operazione per togliere la pallottola, per circa un minuto il mio cuore smise di battere”.
La giovane si morse il labbro e si meravigliò nel notare le mani del riccio, strette in pugno, tremolare. Era come se tutta quella vicenda scorresse davanti agli occhi della creatura, la quale poteva solo osservare passivamente la scena, bloccata. Ancora una volta, si scoprì incapace di poter cambiare il corso degli avvenimenti. Ed era dannatamente frustrante.
“Fu un miracolo, anche solo il fatto che il mio cuore tornò a pulsare. Stetti in coma dodici giorni. Poi, quando le speranze erano ormai perdute, mi svegliai. Era notte fonda e mio padre non c’era… sotto consiglio dei medici, era ritornato a casa a riposarsi. Ero sola…”
Alla fine del racconto sopraggiunse un minuto di silenzio, durante il quale l’umana poté contemplare l’espressione indurita del riccio, che per tutto il tempo aveva ascoltato ad occhi chiusi, senza proferire parola alcuna.
“Ma tutto ciò non è una giustificazione al mio comportamento”, disse, dolcemente destando Shadow dai suoi pensieri, “per questo ti chiedo scusa”.
L’espressione del riccio, dopo un istante passato a fissarla meravigliato, si raddolcì di colpo e le sue mani smisero di tremare. A quella vista, ella non poté fare a meno di abbozzare un sorriso. Shadow l’aveva perdonata.
“A cosa pensavi?” mormorò lui, nel suo solito tono rigido ma con una sfumatura di sensibilità e gentilezza davvero inusuali per lui, incrociando le braccia. Finalmente concepì perché quella ragazza gli fosse tanto affine.
Rory, avendo compreso che la domanda fosse riferita al fatto che aveva pianto, sospirò e scosse il capo.
“Beh, io…” esordì lei, esitante, indecisa se riferirgli o meno ciò che l’aveva tenuta sulle spine tutti quei giorni. Gettando uno sguardo su quello particolarmente interessato del riccio, optò per dirgli la verità, mormorando: “In questi giorni ti ho pensato molto”. Senza aggiungere dettagli inutili. Shadow s’intirizzì bruscamente, sbarrando gli occhi, sconcertato sentendosi all’improvviso preda di una tempesta interiore. Si spostò di qualche passo volgendo la visuale verso un punto vuoto, irritato: odiava mostrarsi così insicuro agli occhi di qualcuno. Ma quella rivelazione quasi lo sconvolse, travolgendolo in un tumulto di emozioni contrastanti. Tirò un breve respiro, imponendosi di darsi una calmata.
La giovane, accorgendosi della sua confusione, decise di sedersi lì, accanto al riccio che se ne stava in piedi, con lo sguardo rivolto verso il cielo stellato. E intuì che, per quanto fosse fiero del suo essere “Forma di vita Definitiva”, non erano in molti a mostrare interesse per lui.
“Ah, volevo anche ringraziarti”, continuò lei seria, portandosi una gamba al petto, “per avermi salvato la vita… due volte”.
“Dovevo...”, ribatté lui risoluto, ostinandosi a tenere il viso ben rivolto verso un qualsiasi punto, purché non si trattasse del viso della giovane, ed emise un sospiro molto più simile al suo solito sbuffo immusonito, per sciogliere l’impaccio. La ragazza scosse il capo, allietata da quell’improvviso imbarazzo. Il riccio nero dovette fare appello a tutto il suo ardimento per poter pronunciare ad alta voce queste precise parole: “...e, poi, ti devo anche io delle scuse, per averti spintonato”.
Rory sbatté gli occhi più volte, sorpresa per quell’insolito atteggiamento, e mentre sul suo volto spuntò un lieve sorriso incominciò a giocherellare solleticando i fili d’erba con le dita. “Beh, ci sono andata anche io pesante, se fossi stata al posto tuo avrei reagito allo stesso modo. D’altra parte, sapevo che, ostacolandoti, avrei scatenato la tua ira. Ormai so per certo che chi tenta di contrastarti farebbe prima a scavarsi la fossa da solo!”, disse, rivolgendogli poi un’occhiata penetrante. A questa sua opinione, la creatura dal manto onice non poté che piegare le labbra in uno sghembo sorrisetto sarcastico. Reazione che fece alzare gli occhi al cielo ed emettere un gemito seccato alla giovane. “Shadow, non è stata colpa di Tails, se sono entrata in quel dannato dirigibile. Sono stata io ad insistere”.
Il riccio bicolore volse di scatto lo sguardo verso di lei e strabuzzò gli occhi, colpito: “Ma, allora, tu…?”
“Sì”, rispose, rispondendo alla sua sottintesa domanda, “non è poi così difficile, sai?”
Il riccio nero inarcò un sopracciglio, imbronciato. Possibile che sia così facile analizzarmi?
“Perché l’hai fatto?” sbottò lui burberamente, con il tono nuovamente indurito. Rory sospirò e si portò una mano alla nuca, incerta.
“Volevo restituirti l’altro smeraldo del caos”, continuò lei, sommessa, “è stata tutta colpa mia, volevo rimediare…”
Shadow, nell’udire quelle parole, non poté fare a meno di fare una smorfia di disappunto. A lui piaceva il coraggio, ma non seppe giudicare se le azioni di quell’essere umano fossero ispirate da un impulso del momento dettato dall’audacia o dall’idiozia.
“E poi... ero sicura che saresti venuto a salvarmi”, mormorò con un lieve sorriso imbarazzato, “lo fai sempre”.
La creatura dal manto ebano, a quella confessione, distolse nuovamente lo sguardo per il troppo disagio, ma riuscì a mantenere intatta la sua solita aria austera, mettendosi a braccia incrociate.
“Quello che hai fatto non è paragonabile alla stupida lite che hai avuto con quell’insulso teppista, lo sai?”
Al che, la giovane sentì affluire il sangue alle guance e chiese, titubante, nonostante già sapesse quale sarebbe stata la risposta: “Tu… mi hai visto?”
Il riccio nero annuì, noncurante, provocando un ulteriore arrossamento delle gote della ragazza, la quale si coprì il viso con una mano.
“Penserai che io sia un maschiaccio...” sospirò lei, alzando gli occhi al cielo “...come tutti, del resto”.
“Ciò che io penso non importa”, ribatté lui, in tono neutro ma ben più morbido di quello precedente, lanciandole un’occhiata curiosa, “però, se ci tieni tanto, penso che hai la brutta abitudine di cacciarti nei guai”.
Rory sorrise ampiamente, divertita da quell’affermazione nella quale, per quanto Shadow l’abbia fatta passare come semplice constatazione, lei poté ben percepire una più che velata preoccupazione.
“Questo è sicuro!” disse con una leggera e limpida risata, dopodiché continuò: “però tu hai la bellissima abitudine di tirarmene fuori!”







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Angolo dell'autrice: Ciao, ragazzi, finalmente sono riuscita a quest'ultimo capitolo! In particolare volevo ringraziare una persona molto gentile, che per sua richiesta non citerò, la quale mi ha aiutato a correggere alcuni piccoli errori presenti nella precedente versione. Spero che non vi annoi, perché fra qualche capitolo scopriremo qualcosa di più sulla relazione che c'è tra Shadow e Rouge, e tra loro e la GUN. E si entrerà poi nel torbido della vicenda. E tutte le schifezze che ci sono dietro.
Spero vi sia piaciuto questo piccolo episodio (Suze, più tranquillo di così...!! ahaha)! E colgo l'occasione, come sempre, per ringraziarvi tutti per il vostro entusiasmo. Se avete altri errori da segnalarmi, fate pure! 
Ci si vede alla prossima (che verrà pubblicata con un po' di ritardo, sicuramente a metà dicembre, perché sto preparando diversi esami che darò tra gennaio e febbraio). 
Un bacio,
Rory

 

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Capitolo 18
*** Controllo ***


Un battito di ali e la donna pipistrello si issò oltre le nubi, ammirando quell’affascinante cielo notturno, simile ad un mantello costellato da una moltitudine di brillanti abbaglianti e quella luna opalescente, così romantica da sembrarle la più elegante delle perle in circolazione. Un panorama al quale troppo sporadicamente volgeva attenzione, oltremodo indaffarata nello scavare tra le infinite bellezze di quelle terre nelle quali sorgevano i palazzi antichi più ambiti, gremiti delle ricchezze che tanto le facevano gola. In fondo, l’Italia era piena di tesori storici, alcuni di essi particolarmente pregiati, il cui valore non andava al di sotto dei sei zeri. Insomma: l’ideale per qualsiasi ladro singolarmente abile. Ma in quel momento, quella vasta distesa di edifici, comparata a quella notte, non aveva che la lucentezza di un grigio cristallo opaco.
E sempre di rado, ma con inusuale affetto, pensava al pianeta dal quale proveniva: Mobius. Non che la Terra non le piacesse, tuttavia il passato trasmetteva un senso di malinconia a chiunque. E lei non faceva eccezione. Si era arruolata nella Guardian Units of the Nations per due ragioni: aveva bisogno di un impiego, possibilmente ben remunerato - perché non aveva considerato neanche lontanamente l’idea di fare la cameriera per due soldi - e poi nessuno come lei era bravo ad infiltrarsi e passare inosservato, nonostante le grosse differenze che c’erano tra lei e la razza umana. Per cui non aveva avuto alcun problema a passare le selezioni per l’inserimento di nuove leve. Le sue conoscenze e la sua scaltrezza la rendevano un’arma a doppio taglio: una più che valida alleata ma, contemporaneamente, anche qualcuno sulla quale non ci si poteva affidare. E la sua scappatella con Shadow non fu ben vista dal comandante Abraham Tower il quale, sempre più spesso, la faceva scortare da quell’impiastro di Freez durante le sue missioni. Era abbastanza intelligente da averlo capito da sola.
Per di più la preoccupavano le voci che circolavano sul conto di Shadow, le quali se dapprincipio si limitavano a mormorii di corridoio, allo stato attuale delle cose il riccio nero veniva sempre più visto come una creatura da abbattere ad ogni costo. Il comandante, il quale per chissà quale motivo pareva provare un odio viscerale nei suoi confronti, stava solo attendendo con ostentata impazienza di coglierlo in flagrante. D’altro canto, era impensabile in quel momento, chiedere al sorvegliato di non incappare in azioni che avrebbero potuto ammazzare ancora di più la sua già di per sé malfamata reputazione.
Lei ricordava benissimo il primo incontro con il riccio nero e quanto lo avesse trovato dannatamente attraente, alla vecchia base segreta di Eggman e tutte le volte in cui lui le aveva salvato la vita durante le loro escursioni per conto dello scienziato…

***

Un susseguirsi di grosse piastre d’acciaio opaco - sulle quali vi era disegnata la faccia in stile cartoon di quell’egocentrico testa d’uovo di Eggman - unite tra loro da strisce di neon che emanavano una luce giallo canarino. Ecco come potevano essere definiti quegli immensi corridoi. Di tanto in tanto, qualche porta scorrevole fatta dello stesso materiale sostituiva qualche lastra. La pipistrella li percorse noncurante, cosciente del fatto che venisse monitorata costantemente dalle telecamere nascoste di quella piccola fortezza volante. Dopodiché arrivò alla fine del corridoio, che terminava con un’altra entrata a scorrimento, alla cui destra vi era un sistema tecnologico formato da un piccolo display di colore blu elettrico. Rouge posizionò la mano su di esso. Il sensore non aveva bisogno del contatto con la pelle, costringendola a togliere il lungo guanto che le copriva il braccio, fin sopra il gomito. Il calore dell’arto era abbastanza affinché il macchinario ne riconoscesse il proprietario.
La porta si issò fino a scomparire nella parete. Ad attenderla vi era un grosso e grasso uomo dal viso interessato, che sfoggiava il suo - se così lo si poteva definire - migliore sorriso a trentadue denti, le sopracciglia così chiare e rade da essere quasi trasparenti corrucciate in un’espressione puramente maligna. Questa volta indossava una giacca simile ad un frac, dello stesso colore della sua solita giubba, ed un paio di pantaloni neri non troppo attillati. Tuttavia, per quanto cercasse di nasconderlo, la propria pinguedine non riusciva a mascherarla. Semplicemente lui: Ivo Robotnik.
Rouge diede una fugace occhiata nei dintorni: non era mai stata in quella sala. L’ambiente aveva il medesimo carattere metallico dei corridoi, solo di dimensioni nettamente accentuate, illuminata a stento da una luce bianca soffusa che lasciava nella penombra gran parte del locale, ma si poteva ben distinguere al centro di esso una capsula di contenimento, completamente di vetro, collegata al soffitto e al pavimento da una placca metallizzata, ai cui bordi erano collegati cavi e tubi. Era vuota. Adiacente vi era computer altamente tecnologico in stand-by, probabilmente collegato al contenitore, ornato da scie azzurre fosforescenti che orlavano i pulsanti della tastiera, il monitor e le giunture dell’apparecchio.
“Rouge, mia cara”, esordì l’uomo con un sorriso mellifluo, lisciandosi un lungo baffo “hai portato ciò che ti ho chiesto?”
La pipistrella, per quanto quel viscidume la infastidisse, evitò di storcere la bocca in un’espressione di disgusto e sfoggiò uno dei suoi bellissimi sorrisi arguti. Una sensazione di gelo sentì pervadere fin dentro il manto bianco: Eggman non era solo.
“Ma certamente, dottore”, disse lei, avvicinandosi con la sua andatura oscillante e seducente allo scienziato. Una volta arrivata, gli porse l’oggetto: era uno smeraldo del caos, di colore rosso rubino. Il secondo della lista. “Non è stato difficile scovarlo”.
“Me ne compiaccio”, rispose lui, mentre lo afferrò bramoso, dopodiché lo adagiò insieme agli altri tre posti su di una piastra forata, collegata al generatore fornente energia al computer e la capsula.
Tutt’a un tratto, gli occhi di Rouge si soffermarono su una sagoma poco distante, resa indistinta a causa dell’oscurità di quella sala. Doveva avere la pelle scura per confondersi così nell’ombra, suppose la pipistrella. Ci fu un movimento e su quella sagoma apparvero due grandi occhi rosso fuoco, resi piuttosto sinistri ma incredibilmente affascinanti dal blu del computer poco lontano, che donavano al suo aspetto una singolare nota onirica.
“Vedo che ha ospiti, dottore”, commentò lei, posando sensuale una mano su di un fianco, mostrando tutta la sua sicurezza. Il riccio nero, ormai sentitosi chiamato in causa, fece qualche passo avanti, esibendo con austerità la sua noncuranza e, quasi, il suo fastidio nell’essere il centro delle attenzioni di una sconosciuta.
“Rouge, ti presento Shadow”, disse con un gesto plateale lo scienziato, indicando con una mano la creatura dal manto ebano, il quale rispose a questa buffonata con un silenziosa quanto severa occhiata verso il suo fautore.
La pipistrella, d’altro canto, pressoché con zelo si perse a delineare le forme e i dettagli dell’interessante riccio nero, senza proferire parola. Quegli occhi cremisi trasudanti durezza esprimevano tutta la gran voglia di non voler essere disturbato.
L’uomo mise le mani dietro la schiena, esponendo il suo pancione con aria di sufficienza ed arrogante indifferenza all’atteggiamento ostile del suo protetto.
“Ora puoi andare, Rouge” la congedò Robotnik con un cenno del capo, ma prima che la pipistrella potesse fare dietrofront ed uscire da quel dirigibile che emanava puzza di trappola, il dottore continuò: “Quasi dimenticavo: da adesso in poi, Shadow ti accompagnerà durante le tue scampagnate alla ricerca dei gioielli”.

***

Ripensando a quell’incontro e a ciò che avevano affrontato i due improvvisati partner, il dottore aveva imparato ad essere furbo, premunendosi nell’assegnarle un compagno affidabile come quel riccio tenebroso.
Inoltre, conoscendolo, Rouge era convinta che se gli avesse rivelato qualcosa sarebbe andato su tutte le furie e, conseguentemente, avrebbe commesso di sicuro qualche sciocchezza. Come potrebbe mai, il frutto di un esperimento - alla cui guida vi era uno scienziato, che successivamente fu imprigionato per motivi psichici dalla stessa organizzazione per la quale lavorava - provare anche solo un briciolo di un qualche umano sentimento?
Sciocchezze.  
D’altronde, cosa successe veramente cinquant’anni addietro, all’Arca della Colonia Spaziale, neanche lei lo sapeva. Le informazioni di cui disponeva le erano state riferite dal dottor Robotnik, per cui, per quanto fosse affine al riccio bicolore, i suoi ragguagli potevano dirsi tranquillamente aria fritta.
Scosse il capo. Non aveva voglia di pensarci.
“Agente Rouge, qui è il comandante. Raggiunga la base centrale, adesso. Passo e chiudo”.
Una conversazione semplice e veloce, ma abbastanza insolita da confonderla. Possibile che l’argomento sul quale si ergeva la discussione fosse così importante da non poter essere riferita al telefono? Sbuffò sonoramente, cercando di sorvolare quanto più veloce possibile quella vasta distesa simile ad uno dei suoi stivali e di arrivare verso la sede centrale della G.U.N.

E, questa volta, niente più mosse false.





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Angolo dell'autrice: Ciao ragazzuoli, come va? Finalmente sono riuscita a questo capitolo, ma purtroppo dovrò stare luntana da qui ancora a lungo a causa della sessione invernale. Ci vedremo con un altro capitolo sicuramente verso la fine di Febbraio 2018. Scusatemi. 
Per il resto, fatemi sapere cosa ne pensate come sempre (e, ovviamente, se trovate errori, segnalatemeli!!)
PS: questo è un disegno che ho fatto su Photoshop e che ho pubblicato su Deviantart (tratto da un capitolo che personalmente a me è piaciuto tanto , e spero che voi capiate a quale si riferisce). Spero possa piacervi: https://roryjackson.deviantart.com/art/Shadow-the-hedgehog-Rory-and-Jess-719265594
Un bacio,
Ro

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Capitolo 19
*** Bugie e falsità - Parte 1 ***


Era stato un viaggio lungo dalla Campania fino alla sede succursale europea della G.U.N., situata in una zona periferica di Norimberga, in Germania. Finalmente la giovane e seducente pipistrella toccò suolo proprio di fronte all’imponente caserma dell’organizzazione per la quale lavorava, cosicché potesse rilassare le sue robuste ma provate ali, che le avevano consentito di viaggiare tutta la notte in volo. Era una giornata lugubre e tetra, con un cielo nascosto da una coltre di nubi tale da dare l’impressione che, anziché essere mattina, fosse in realtà già sera. Suppose che, da lì a poco, ci sarebbe stata una lunga e forte tempesta. Gli edifici al suo interno erano tutti circondati da un muro di cinta - in cemento armato e ferro - alto oltre quattro metri e spesso ben uno. Una forma di difesa fin troppo primordiale: quella parete non avrebbe esitato a cedere in caso di improbabili - ma non impossibili - sommosse.
La Guardian Units of the Nations poteva contare su un plotone di soldati, sì, ben addestrato. Ma il saper tirare qualche calcio o sparare qualche pallottola ben assestata contro le armi robotiche più avanzate, congegnate dal malefico dottore, serviva pressoché a niente. Grossi fari erano posti al di sopra della caserma principale, intenti a proiettare fasci di luce a movimento, in grado di solcare i nugoli e permettere di avvistare il nemico. Ovviamente, oltre a questo, avevano un dispositivo di rintraccio simile ai radar, in grado di localizzare persino il movimento più fioco nel giro di qualche miglio.
Rouge presentò ai due soldati posti di guardia fuori il massiccio cancello, che conduceva all’interno delle caserme, il proprio tesserino di appartenenza all’organizzazione.
“Rouge il pipistrello”, recitava, insieme ad una serie di connotati da lei inseriti e che ben la collocavano al di fuori della portata degli altri colleghi di razza umana.
Per mera convenzione, uno dei due diede una lesta occhiata al suo ID, dopodiché la lasciarono passare indisturbata. Nessun accenno di saluto, solo sguardi torvi e diffidenti attorno a lei. D’altronde, cosa poteva aspettarsi da parte di chi diffidava persino delle persone del proprio vicinato, se non di dubitare delle nuove creature ormai ambientatesi nel loro pianeta? L’umanità era una specie davvero bizzarra. Non ci fece troppo caso e superò l’androne della caserma principale, per raggiungere l’ufficio di colui che l’aveva contattata con cotanta impellenza nottetempo: il comandante dell’organizzazione, Abraham Tower.

***

La caserma della G.U.N. era un labirinto di corridoi, uffici occupati dai tenenti per funzioni di servizio, dormitori e stanze adibite ad archivio. Rouge infatti si sorprese di quanto quella burocrazia militare si ostinasse a mantenere i vecchi documenti ancora in forma cartacea anziché trasferire tutto al computer.
Arrivata dinanzi alla porta, alla cui sommità vi era posta una targhetta d’oro con caratteri incisi in corsivo che recitavano “Commander”, bussò e, senza neanche aspettare il permesso, entrò al suo interno.
Il comandante Abraham Tower era un uomo la cui austerità andava oltre l’ordinaria vita militare. Era un uomo tutto d’un pezzo tanto da non provare insicurezza di sorta, nei confronti di niente e di nessuno, sicché veniva egli stesso temuto e rispettato da tutti i suoi colleghi e subalterni. Nessuno aveva l’ardire di andare contro i suoi voleri o di contraddire la sua buona fede. Tower, all’interno della Guardian Units of the Nations, rappresentava la legge. E, soprattutto, non era un uomo che amava attendere.
Lo sguardo autorevole di colui che stava al vertice dell’organizzazione incontrò quello altrettanto posato della sua sottoposta, che con andatura sensuale si sedette su una delle poltrone di pelle scura di fronte alla scrivania ove l’uomo poggiava i gomiti, mentre le mani congiunte gli coprivano la bocca. Ora che lo aveva osservato meglio, Rouge si accorse di quanto Tower paresse stanco: le occhiaie erano pronunciate, le spalle leggermente meno rigide del solito.
“Comandante, la missione di sorveglianza procede. Ho seguito i movimenti di Shadow il riccio e posso comunicarle che questa sera ha sventato, assieme al riccio di nome Sonic, un altro degli attacchi del dottor Ivo Robotnik”, disse lei, evitando opportunamente di fare commenti sulla vicenda, consapevole che i fatti lo facevano da soli.
Il militare si limitò ad abbassare lo sguardo, corrucciando grevemente le sopracciglia bianche, gli occhi eterocromi puntati sullo schermo del monitor da ventisette pollici antistante. Quando d’un tratto la porta si aprì di nuovo ed un giovane arrivò di gran carriera di fianco alla mobiana.
La donna pipistrello incrociò le braccia, avendo riconosciuto il ragazzo dai capelli rossi, suo attuale partner.
“Signore”, disse lui, mostrando un perfetto saluto militare, dopodiché lanciò un’occhiata verso la collega, la quale non lo degnava neanche di uno sguardo, troppo concentrata a sfoggiare la sua migliore espressione interessata verso ciò che il loro capo avesse da dire.
Il Comandante Abraham Tower, con un semplice movimento delle dita, fece roteare lo schermo cosicché i due agenti potessero comprendere perché il viso del loro superiore fosse segnato da tanta preoccupazione e ira. Rouge e Freez rimasero esterrefatti.
Sul monitor fu caricato un video ritraente uno scenario a dir poco raccapricciante.
Era stato ripreso dall’alto - il rumore dell’elicottero era assordante e rendeva pressoché inudibile tutto ciò che accadeva in basso - probabilmente da una telecamera non troppo all’avanguardia, data la scarsa qualità delle immagini. Al centro di una grande metropoli, nei pressi di una stazione ridotta in macerie, vi erano presenti una miriade di cadaveri stesi supini, dalle membra così sfigurate da sembrare ammassi di poltiglia. Brandelli di carne, arti mozzati e che cos’altro erano sparsi per le strade, adiacente a qualche sopravvissuto - lo si poteva capire dai leggeri spasmi di agonia - in attesa dell’inesorabile fine, mentre il sangue, ormai rappreso, macchiava interamente l’asfalto di un rosso scarlatto. Volti - ammesso che la testa fosse attaccata al collo - resi irriconoscibili. Gli immobili, privati e pubblici, erano completamente distrutti e in fiamme, veicoli esplosi e ancora fumanti. Il fuoco inceneriva tutto ciò che riusciva anche solo a lambire. Un ampio drappello di soldati umani della G.U.N. all’unisono sparavano all’impazzata verso un singolo soggetto che la telecamera non riusciva ad inquadrare, data la nube di fuliggine, che come un miasma impregnava l’aria, rendendola irrespirabile. Partì un colpo, che come un fulmine giallo colpì una mezza dozzina di agenti, incenerendoli all’istante e scaraventandoli chi contro lampioni, chi contro le vetture. Rouge e Freez deglutirono a fatica.
Simile. Era troppo simile agli attacchi di…
Come a risposta alle loro domande inespresse, la telecamera riuscì finalmente ad inquadrare il soggetto in grado di commettere un simile fragore: ricurvo come un demonio ingobbito e gli occhi cremisi, vuoti come un fosso. La figura di un riccio nero avanzava verso i soldati, i quali, orripilati ma impavidi continuarono a sparare all’impazzata verso l’individuo oscuro, senza successo. Sul suo manto ebano andò a formarsi un alone di elettricità, ricoprendolo completamente fino a depositarsi nei palmi delle mani, mentre sul suo viso comparve un’espressione iraconda così inquietante da lasciare terrificati gli uomini circostanti. I proiettili rimbalzavano sulla sua pelle andando a conficcarsi negli angoli più disparati dell’area circostante, come se, anziché di carne, il suo corpo fosse composto da un materiale più resistente del diamante.
Il riccio nero alzò le braccia al cielo, per poi scagliare i fendenti energetici contro i soldati, dando sfogo ai Chaos Lance più devastanti mai visti…

***

Il Comandante si alzò dalla sua postazione avvicinandosi alla finestra e dando le spalle ai suoi subalterni, per poi portare le mani dietro la schiena. Rouge era incapace di dire o fare nulla, singolarmente turbata dal video che aveva appena finito di vedere e Freez non era da meno.
“Agenti, il video che avete appena visto è stato girato a Manhattan, dalla dalla sede centrale americana della G.U.N., proprio ieri sera” esordì lui, austeramente, “noi sappiamo quello che è in grado di fare il soggetto che vi ho ordinato di tenere d’occhio”, continuò l’uomo, gettando uno sguardo verso i due, lasciando intravedere l’occhio sinistro verde acqua, “Shadow si è rivelato per quello che è: una macchina sanguinaria creata appositamente per distruggere. Non possiamo lasciare che continui a vivere, bisogna fermarlo ad ogni costo”.
Rouge si alzò di scatto dalla sedia, allibita, ma cercando di mantenere un profilo basso, chiese: “Come fa a dire questo?”
“Le immagini parlano da sole, come vedi”, sentenziò l’uomo, lanciandole un’occhiata truce, “d’altronde noi sappiamo che Shadow prova un odio viscerale per gli esseri umani, i documenti riportanti l’attentato all’Arca della Colonia Spaziale di cinquant’anni fa parlano chiaro”.
Rouge strabuzzò gli occhi, sorpresa. Di quali documenti andava blaterando?
“Comandante, posso assicurarle che ho sorvegliato Shadow senza perderlo di vista neanche un minuto. È impossibile che possa essere stato in due posti contemporaneamente!”
“Ma noi sappiamo che Shadow è capace di spostarsi istantaneamente grazie all’utilizzo di questi famosi smeraldi del caos”, continuò lui, più deciso che mai ad abbattere ogni questione sollevata dal pipistrello, “e non mi sorprenderebbe se, in un momento di disattenzione o cos’altro, te lo fossi fatto scappare”.
La mobiana rimase interdetta, ma prima che potesse difendersi da quelle velate accuse, fu Freez, che fino a quel momento se n’era stato in silenzio ad osservarli discutere, a prendere parola: “se quello che Rouge dice è vero, allora costui nel video non può che trattarsi di un impostore”.
Rouge volse di volata il viso verso il collega, incerta. Freez stava davvero prendendo le sue difese?
“Sono arrivato in leggero ritardo perché ho avuto modo di leggere una notizia postata su di un sito giornalistico italiano, la quale recita che Sonic e Shadow hanno sconfitto lo scienziato proprio questa notte. La fonte, dal quale proviene la notizia, afferma di aver visto il riccio nero sorreggere una ragazza e sospetto che sia la stessa che avevamo adocchiato quasi due settimane fa”, disse lui, per poi cacciare da una delle tasche del pantalone uno smartphone di ultima generazione, e gli pose la testata giornalistica proprio sotto il naso “guardi lei stesso”.
Il comandante Abraham Tower, scettico, prese il cellulare ed avvicinò lo schermo al viso, leggendone il contenuto. Infine, alzò lo sguardo verso Rouge, che lo osservava guardinga e alquanto indignata, portandosi le mani ai fianchi. La pipistrella ancora non poteva credere alle insinuazioni che aveva osato rivolgerle con tanta supponenza. L’uomo non ebbe l’ardire di profferire nulla in quel preciso istante: difficilmente le sue opinioni venivano smentite tanto facilmente.  
“Signore, ho bisogno di chiederle una cosa” disse l’agente dai capelli tiziani, per smorzare il silenzio gelido formatosi in quella stanza.
“Che cosa, agente?”
“Sono riusciti a rianimare il robot?” domandò Freez, concitato. Il comandante trasse un lungo sospiro, scuotendo il capo.
“No, i nostri ingegneri non sono ancora riusciti a capire di quale tipo di batteria necessiti. La tecnologia dello scienziato è troppo avanzata”.
Già, E-123 Omega, lo scarto di bulloni abbandonato da Eggman ma che per poco non faceva fuori Rouge, se non fosse stato per l’aiuto di Shadow...







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Angolo dell'autrice: Beh, dopo tanto tempo, eccomi di nuovo qui. In fondo, ve l'avevo promesso (e cascasse il mondo, riuscirò a portare a termine questa storia! Dovessi metterci tutta un'eternità!). In questo mezzo capitolo (come nei prossimi due seguenti) vedranno Rouge e la GUN protagonisti. La faccenda va a complicarsi sempre di più. Spero che questi sviluppi vi piacciano! 
Se notate errori o volete farmi degli appunti sul testo, non esitate a dirmelo! 
PS: il prossimo capitolo lo posterò tra il 10 e il 20 aprile (dipende da un certo tipo di esame non troppo simpatico). 
PSS: La faccia dell'agente Freez non è uscita troppo bene perché la scan ha "chiarificato" tutta l'immagine XD Perdona, Freez. 
Un bacio,
Ro

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Capitolo 20
*** Bugie e falsità - Parte 2 ***


“Dov’è quel dannato quarto smeraldo del caos?!” imprecò lui, sottovoce, rivolgendosi più a se stesso che non alla partner di lavoro. Stufo come poche volte gli era capitato, si guardò attorno. Non che di piaceri ne avesse molti: durante gli attimi di tregua, era solito rifugiarsi nel suo antro di pensieri, ad elucubrare sul suo passato, cercando di trovare delle risposte alle innumerevoli domande che gli sorgevano spontanee e alle quali, da quanto aveva capito, non sarebbe riuscito a darvi una risposta. I due erano circondati da una selvaggia e rigogliosa selva. Ma purtroppo, per lui, venivano sempre prima i doveri e poi i piaceri. Rouge controllò la relativa posizione del gioiello dall’orologio radar fornitogli dal dottore.
“Ci siamo quasi” rispose lei, con moderata noia, “a sinistra”.
La donna pipistrello s’incamminò a passo svelto, sorpassandolo per indicargli la strada. Decisamente quel tipo di missioni - soprattutto quando, anziché darle modo di agire da sola, le venivano affibbiati dei cani da guardia per sorvegliare ogni sua mossa - non le piacevano affatto. E quel riccio era tanto attraente quanto schivo e scontroso. Non che si aspettava una compagnia allegra, no di certo, ma almeno un pizzico di complicità… Questo stava a significare due cose, secondo la sua modesta esperienza: primo, Shadow il riccio, per quanto si trovasse a lavorare con un idiota come Eggman, era una creatura che seguiva il suo istinto ed era poco incline alla sottomissione, e secondo, gli era stato ordinato di tenerla d’occhio affinché scoprisse quali fossero le sue carte da gioco e lui lo avrebbe fatto, soprattutto perché aveva voglia di ritornare ai suoi tanto adorati pensieri.
Il radar segnalava la presenza dello smeraldo del caos nelle vicinanze e l’orologio trillava come una sveglia. Ed infatti, nascosto in un cespuglio vi era una gemma trasparente. Il quarto della lista.
“Ce l’abbiamo fatta” disse la pipistrellina, sfoggiando uno dei suoi sorrisi malandrini mentre lo raccolse “due paia di occhi sono meglio di uno, no?”
Shadow sbuffò, mettendosi a braccia conserte.
“Bene, ritorniamo!” sbottò lui, irritato, avvicinandosi a lei per poi allungare la mano: un gentile invito a consegnargli immediatamente lo smeraldo del caos.
“Aspetta un momento…” disse lei. Guardando a ore due notò un edificio, composto per lo più di metallo opaco, dandole l’impressione di essere una sottospecie fortezza… forse contenente ciò che stava cercando “che cos’è questo posto?”
“Il mio compito era di trovare lo smeraldo del caos, niente più”.
“Bene! Per te si tratta sempre e solo di affari!” ribatté lei, con una punta di esasperazione nella sua voce “vorrà dire che a farmi compagnia sarà questo bellissimo smeraldino!”, disse, ammiccando audacemente verso il riccio, il quale inarcò un sopracciglio infastidito.
“Non scherzare e dammelo, ti ho detto”, disse lui, con un tono che lasciava trasparire tutta la sua severità. Rouge senza lasciarsi intimorire da quell’improvvisa aura collerica, inarcò un fianco posandoci su una mano, esibendo una delle sue migliori pose sensuali.
“Lo vuoi così tanto?” continuò lei, con fare alquanto derisorio, mentre giocherellava con la gemma, facendola sobbalzare leggermente, “beh, un modo per riaverlo ci sarebbe…”
La donna pipistrello gli diede le spalle senza togliergli gli occhi di dosso e non evitando di inarcare la schiena, mettendo in mostra le forme opulente. Shadow non si fece impressionare nonostante l’ambiguità delle parole della partner, e sbuffò stizzito intanto che caricò un Chaos Spear in direzione della pipistrellina, la quale, con agile manovra, si levò in volo scansandolo. Il colpo andò a finire contro un gruppo di alberi, che andarono a disintegrarsi seduta stante.
“Non era proprio questo quello a cui mi stavo riferendo”, disse lei, riuscendo a nascondere quel filo di incertezza che nacque a seguito di quel fendente energetico, “ah, voi maschietti dovete sempre essere così violenti!” continuò, non prestando attenzione alla fulminea mossa del suo opponente, che utilizzando uno degli smeraldi raccolti in precedenza, si teletrasportò alle spalle di lei, portandola sull’erba. Shadow ora le era sopra, con una mano le bloccò le braccia sopra la testa - non evitando di stringere con forza all’altezza dei polsi - e le gambe affinché non potesse muoversi, mentre l’altra ben aperta a mo’ di lama indugiò per un secondo su di lei.
Rouge in quel momento sentì su di sé tutto il peso di quegli occhi, cupi come il sangue e ardenti di ira come un incendio, lontani da lei quanto bastava per distinguerne tutte le sfumature. Si sentiva messa alle strette, come mai prima d’allora. E non riuscì a non nascondere un certo timore per ciò che il suo improbabile partner avrebbe potuto fare. Semplicemente, il riccio ebano con una mano le sequestrò il gioiello, e la pipistrella, approfittando della momentanea disattenzione del riccio, gli sferrò un calcio allo stomaco tanto potente da farlo sobbalzare, per allontanarlo da sé.
Shadow le lanciò un’ultima occhiataccia e dopo aver sbuffato incominciò ad allontanarsi a passo spedito verso la parte opposta.
Rouge, una volta in piedi, sbatté le palpebre più volte. Gli occhi erano pungenti e solo allora si accorse di non averli chiusi neanche per un attimo per tutto quel lasso di tempo. Volse lo sguardo verso le spalle puntute del riccio, che si allontanavano sempre di più, irritata per la sensazione di impotenza che aveva provato pochi secondi prima. Quando la voce della pipistrella lo convinse di nuovo ad indugiare.
“Che peccato, avrei potuto venderlo e guadagnarci un bel gruzzoletto!” disse lei, con la sua sempre presente ironia subdola, destando nuovamente l’esarcebazione del riccio, e continuò “va benissimo, tienilo! Io ci vado lo stesso! Potrebbe esserci qualcosa di interessante…”
Il nero osservò la pipistrella allontanarsi con la sua solita andatura sinuosa ed elegante, accorgendosi solo in un secondo momento di sentire il dovere di accompagnarla anche in quella sciocca avventura. Scosse il capo, infastidito, decidendo infine di seguirla.In effetti, a che scopo costruire una fortezza nel bel mezzo di una foresta?  

La porta d’acciaio era sigillata, ma bastarono due calci di Rouge ben assestati per mandarla giù. L’interno era piuttosto buio e angusto, ciononostante le piastre di metallo alle pareti davano l’impressione di essere proprio all’interno di una base segreta. I due colleghi improvvisati inoltrarono l’ingresso, stando ben attenti a dove mettevano i piedi e cercando di fare meno rumore possibile: le scarpe di Shadow, in particolare, emettevano un suono assordante, essendo sia la suola sia il pavimento fatti di metallo. Non parevano esserci telecamere in giro, né guardie, solo polvere e macchie. A tutti gli effetti era un posto desolato e solitario.
“Non c’è niente qui dentro”, disse lui, con fare sbrigativo “andiamo”.
“Lì in fondo c’è un’altra porta!” ribatté lei, indicando ciò che c’era alla fine del corridoio, immerso in un buio innaturale.
Il riccio non rispose, limitandosi ad inarcare un sopracciglio. In effetti era così: per quanto il nero si sforzasse - cosa che non avrebbe mai ammesso - non riusciva a scorgere niente, se non l’oscurità più totale. Rouge, in quanto chirottero, era in grado di percepire la presenza di un ostacolo e la sua relativa distanza.
La donna pipistrello balzò e planò fino a toccare l’ulteriore entrata, che l’avrebbe portata chissà dove al centro della fortezza. Difatti, dopo averla studiata con precisione, tastando la porta per capire quale fosse il punto debole, trovò un pulsante al lato destro e lo pigiò senza pensarci due volte. La porta si aprì a scorrimento verticale, rivelando un ulteriore corridoio -  questa volta leggermente illuminato, il che permise a Shadow di avanzare comodamente - che procedeva verso il basso. La tesi che quella strana costruzione fosse un altro dei bastioni appartenenti al dottor Robotnik stava venendo confermata.
Riccio e pipistrello si scambiarono un’eloquente occhiata: per attraversare il largo andito dovevano semplicemente saltare.
I due balzarono all'unisono, meravigliandosi al contempo di come in quel loro semplice sguardo vi avessero trovato un'intesa simile. Specialmente considerando il fatto che, per loro natura e mancanza di fiducia negli altri, difficilmente si erano ritrovati a collaborare con qualcuno.
Dirimpetto a loro un altro portone, questa volta però, posta sopra di esso, vi era incastonata una piccola placca, sulla cui superficie sporgeva una tastiera numerata, una lampadina rossa spenta ed un piccolo display in stand-by. Nonché, a rendere certi i loro timori, sulla facciata vi era disegnato il famoso timbro che ritraeva, in stile cartoon, la faccia del famigerato scienziato.
“Una password, eh?” suppose lei, dando uno sguardo in giro ed avvicinandosi al congegno a braccia conserte. Senza neanche studiarlo a fondo, incominciò a pigiare una sequenza di numeri. D’altronde, per un’esperta spia come lei, sarebbe stato un gioco da ragazzi scoprire quale fosse la sequenza giusta. E invero non impiegò più di due minuti a capire quale fosse, consentendo ad entrambi di varcare quella misteriosa rocca.
“Il dottore dovrebbe smettere di usare delle combinazioni stupide tipo uno, due e tre!” esclamò la pipistrella con un sorrisetto provocante e sardonico, mentre gli sportelli sparirono a scorrimento orizzontale dentro le pareti.
E ciò che i loro occhi poterono vedere in quel frangente, non lo avrebbero mai potuto dimenticare. Davanti a loro, al centro della stanza, vi era una capsula d’acciaio alla cui facciata era posto uno sportello in vetro, che non lasciava troppo spazio all’immaginazione su ciò che vi era al suo interno. Rouge fece qualche passo in avanti, per poi coprirsi la bocca con una mano, cercando di trattenere quello che sarebbe stato un urlo.
Il riccio dal manto onice spalancò gli occhi, inconsuetamente allibito. Ma prima che il nero poté esprimersi, una scarica di proiettili sorpresero i presenti. Rouge vide pararsi innanzi Shadow, il quale balzò su di lei per trascinarla verso un angolo della tecnologica sala, al riparo dai colpi. E un istante dopo, entrambi videro un foro nel pavimento proprio dove vi era situata la pipistrella una manciata di millisecondi in antecedenza.  
“Stai qui” ordinò lui nel suo comune tono severo, fissando imperscrutabile lo sguardo basito della partner. Poi le diede le spalle, tentando di capire da dove provenisse quella furia fatta di fucilate a mitraglietta.
Ed infine lo vide: dall’angolo opposto di quella sala segreta, vi era uno dei robot dello scienziato.
Shadow…!!! Voleva pronunciare il suo nome, chiamarlo, ma quella parola proprio le moriva in gola, troppo sconcertata dal gesto commesso involontariamente dal partner. Era incapace di credere che la sua vita era stata appena salvata dall’essere più scorbutico e antipatico - benché affascinante - che mai aveva visto sulla faccia del pianeta Terra. Infine, dopo aver squadrato a fondo i movimenti fulminei del compagno intento a schivare i proiettili, la donna pipistrello spostò il suo sguardo verso la creatura metallica occupata a sparare verso il riccio striato. Poteva finalmente studiarne l’aspetto: alto più o meno centocinquanta centimetri, la corazza dipinta di nero e di rosso, con due fanalini scarlatti rotondi che ne simulavano gli occhi, la massa toracica enorme e le gambette sottili. Dietro la schiena aveva due fori, probabilmente in grado di permettergli di spostarsi più velocemente grazie ai motori a reazione al suo interno. Dalle sue braccia, al posto delle mani, vi erano due mitragliatrici a canne rotanti.
Pareva essersi completamente dimenticata di lei, dacché l’automa, con una voce monotonamente ed inquietantemente metallica, esclamò: Distruggere tutti i robot di Eggman!
Rouge non poté non inarcare un sopracciglio.
Shadow nel frattempo, saltava da una parete all’altra, come il più agile dei felini, permettendo a se stesso di analizzarne i movimenti e capire quale fosse il punto debole dell’avversario. Gli sarebbe bastato stargli addosso per poi infilzarlo con una mano, perforando la corazza d’acciaio che aveva come petto. Non aveva intenzione di utilizzare i suoi attacchi migliori e sprecare energia inutilmente. Non ancora almeno.
Tempo di vendetta! continuò imperterrito l’automa mentre ai suoi fucili si sostituì alla destra una mano dalle falangi a forma di artigli, mentre al posto della sinistra apparve una specie di grosso orifizio circolare, dal quale partì una scarica di fuoco impetuosa, simile ad una cannonata, che per poco non investì il riccio ebano. Shadow, infatti, si spostò istantaneamente dietro al suo opponente, utilizzando lo smeraldo del caos in suo possesso, per poi dargli un calcio rotante, riuscendo a scaraventare il robot verso la parte antistante della sala. Partì una nuova scarica di proiettili dai fucili a canne rotanti, proiettili che vennero scansati prontamente dal riccio. Quest’ultimo, meravigliato per la velocità col quale la macchina riusciva a modificare l’arma, caricò un chaos spear verso l’avversario metallico, il quale non andò a segno, data la destrezza del robot. Infatti, dal braccio sinistro partì un altro colpo infuocato, cambiando traiettoria del fendente energetico del riccio e travolgere il proprio sfidante contemporaneamente. Il riccio nero si ritrovò sbattuto verso la parete metallica opposta. La pelle bruciata ed un rivolo di sangue fuoriuscì da un angolo della bocca. Era stupefatto: non avrebbe mai creduto che un simile scarto di bulloni avrebbe potuto dargli del filo da torcere. La bile incominciò a fluire libera nelle vene, irato come mai prima d’ora, mentre il suo manto veniva percorso da una scarica di scintille elettriche, che andarono ad accumularsi nel palmo destro formando un’enorme sfera giallo carico.
“Tempo di vendetta…” esclamò ancora l’automa, finché qualcosa non limitò i suoi movimenti, nonché la sua meccanica intelligenza “Vend...etta!”
“Aspetta, Shadow!” intervenne la pipistrella, la voce salita di qualche tono: il riccio nero era pronto per lanciare uno dei suoi più potenti Chaos Spear, “non è necessario!”
Cosa non è necessario?! Non poté che chiedersi il riccio onice, mentre volse il suo sguardo sanguigno verso la collega. Aveva pure il diritto di sfogarsi dopo la cannonata che aveva ricevuto in pieno petto, o no?
Shadow posò l’attenzione verso il robot, il quale si accasciò a terra da solo mentre echeggiò nell’aria uno strano bip, lasciando più che straniti i presenti.
“Si è… scaricato…?” mormorò lei, facendo qualche passo incerto verso i due. Il nero sbuffò, mentre la nascente lancia di energia scomparve, lasciando la mano del proprietario intatta. Infine si passò una mano sulle labbra, per ripulirsi dal sangue versato, sporcando di rosso scuro il guanto. Lo sguardo si posò appunto su quest’ultimo, Shadow cadde come in una specie di trance contemplativa, incapace di credere ancora su quanto fosse appena accaduto. Davvero la Forma di vita Definitiva aveva permesso ad un inutile robot di colpirlo con tanta ferocia? Inoltre, cosa voleva dire con Tempo di vendetta? Il riccio non poteva saperlo, così come la sua collega, che lo scrutava quasi senza fiatare, in attesa.
Un silenzio assordante cadde in quella stanza, silenzio che venne riempito dai passi felpati della donna pipistrello che si allontanavano verso il centro della stanza.
“Che… che diavoleria è mai questa?” chiese lei, arrestando i pensieri del riccio striato. Incapace di decidersi se abusare del corpo robotico ormai morto oppure no, volse di nuovo la sua attenzione verso Rouge.
L’interno della capsula conteneva un suo sosia, dormiente.

***

Il volto di Shadow sbiancò all’istante. Dopodiché divenne livido di rabbia. Dentro di sé sentì pervadere una sensazione di smarrimento, mista ad ira, e ben presto le domande che gli erano sorte spontanee nel vedere quel corpo estraneo, ma così somigliante a lui, si trasformarono di certezze. Il dottor Ivo Robotnik si era servito di lui, come se fosse la più infima delle bestie, e questo solo per arrivare ai suoi scopi. E lui gliel’aveva lasciato fare, accecato com’era dal suo senso di rancore e disprezzo verso una razza indegna come quella umana, che meritava solo una fine altrettanto indegna. Come aveva potuto la Forma di Vita Definitiva, farsi raggirare così?
Rouge che era lì, ancora incapace di agire, restava ferma ad osservare le reazioni del compagno, che dall’evidente smarrimento iniziale mutarono in un funesto furore. Sul manto onice vide apparire un sottile strato di aura rossa ed avvertì su di sé come aloni di energia, le quali la lambivano come una forte afa, rendendo l’aria quasi irrespirabile.
I suoi occhi cremisi erano come una vampa incendiaria e la squadravano con sguardo che rasentava la pazzia. Non sapeva quello che stava per accadere, ma era sicura di ciò che quegli occhi le stavano suggerendo a gran voce.
“Vattene via”.
Senza indugio, l’albina pipistrella si innalzò in volo, allontanandosi immantinente da quel posto senza neanche dare un ultimo sguardo alle sue spalle. E una volta ritrovatasi fuori, da dentro poté udire vivamente uno scoppio che si propagò fino a fuoriuscire dall’androne della fortezza e a causa del quale Rouge fu costretta ad allontanarsi ancora per qualche metro.
Infine vi fu la quiete.
La mobiana rimase sospesa nel vuoto per lungo tempo, guardando fisso verso l’entrata dell’edificio, convinta che la struttura avrebbe ceduto da un momento all’altro a causa della tremenda esplosione. Dopodiché, quando si riaccese il suo animo impavido, decise di rientrare dentro e constatare gli effettivi danni che il suo partner aveva causato.

Shadow era sparito.
Al suo posto vi era solo un grande vuoto circostante. Nell’aria aleggiava un forte odore di bruciato e marcio, a causa del quale quasi non riuscì a trattenere un conato di vomito. Le pareti metalliche erano state fortemente torte, presentando delle concavità di diversa grandezza da muro a muro. Tutti i cavi, i tubi e le apparecchiature elettroniche erano danneggiate o distrutte. Perfino il portone era stato buttato giù. Al centro della stanza vi era presente il rimasuglio del clone del riccio nero: il cadavere era praticamente rivoltato a terra, mutilato e bruciato fino a renderlo irriconoscibile. La capsula di contenimento era per metà sciolta.
Non poteva credere allo scenario che le veniva presentato. Shadow possedeva davvero questi poteri così spaventosi...?
Si guardò attorno e piuttosto turbata notò il corpo dello sfidante robot del riccio nero, con qualche semplice e lieve ammaccatura alla corazza delle braccia e del torace.
E dopo aver passato un periodo indefinito ad elucubrare su cosa fare, avvicinò il polso alla bocca, pigiando su un tasto nascosto dal lungo guanto bianco, attendendo che il collega rispondesse alla chiamata.
“Agente Freez” esclamò il giovane agente dall’altro capo del ricevitore “mi ricevi, Rouge?”
“Forte e chiaro” affermò lei, alzando gli occhi al soffitto. In quel momento qualsiasi smanceria le sembrava fuori luogo.
“Che succede?” chiese lui, la cui voce neutra pressoché la fece sobbalzare. La mobiana era insicura su cosa dire al collega. Non avrebbe voluto dire loro di cosa fosse capace La Forma di Vita Definitiva, ma d’altro canto non avrebbe potuto nasconderlo: prima o poi, Shadow avrebbe dato nuovamente mostra delle sue abilità. Ad ogni modo, di una cosa era certa.
“Rouge?” insisté l’agente, stranito dalla titubanza della collega.  
“Freez, devi assolutamente raggiungermi” esclamò lei, gli occhi puntati sul corpo informe della copia del riccio nero, “abbiamo dei problemi. Dei problemi molto grossi”.
“Arrivo subito, dimmi solo dove ti trovi precisamente”.

***

La mobiana incrociò le braccia al petto, prestando attenzione alla discussione che sarebbe nata dalla precisa domanda del collega verso il comandante. In effetti, benché le avessero provate tutte, il robot proprio non riuscivano a rianimarlo. La tecnologia utilizzata dal dottor Eggman era superiore anni luce da quella primordiale terrestre.
Ancora ricordava quanto fosse stato difficile trasportare Omega fino all’uscita della fortezza - sotto gli occhi attoniti di Freez, che la squadrava allibito - che quasi quasi ne ricordava addirittura il dolore postumo ai muscoli: quel robot pesava circa una tonnellata!
Per un momento si chiese se fosse necessario l’intervento di qualcun’altro… qualcuno che ne sapesse almeno quanto lo scienziato sui dispositivi elettronici e meccanici. Qualcuno che fosse dalla sua parte.
“A questo punto, ho ragione di pensare che il clone che Rouge ha scoperto tempo fa durante l’ultima missione, insieme al robot E-123 Omega, non sia l’unico al quale il dottore stava lavorando” continuò il giovane seriamente, i suoi occhi grigi ben impiantati su quelli verde mare della collega. Il Comandante parve esaminare a fondo la questione, dopo aver restituito il dispositivo al suo subalterno, dopodiché chiuse gli occhi.
La pista che portava alla completa eliminazione della minaccia della fantomatica Forma di Vita Definitiva sembrava essere arrivata ad un punto cieco. Lui era consapevole del fatto che, prima del riccio, erano stati creati vari prototipi relativi al Progetto Shadow, esseri mostruosi con poteri forse pari all’essere finale, ma privi di ogni autocontrollo tanto che le carte parlavano di un assalto da parte di queste, le quali distrussero tutto il duro lavoro nonché tutti coloro che lavoravano al suo interno. Per di più, i documenti a sua disposizione riportavano che a capitanare quei mostri fu proprio il riccio nero. Ed, in effetti, chi altri avrebbe potuto indirizzare dei prototipi senza coscienza ad aggredire le persone che vi erano all’interno della colonia?
Quella tragica notte, pochi furono i sopravvissuti - tra i quali, Gerald Robotnik, il nonno della povera nonché sua carissima amica d'infanzia Maria Robotnik, la cui sorte, al contrario del suo parente, non fu così benevola.
Non poteva dimenticare ciò che vide quella notte di cinquant’anni fa, all’Arca della Colonia Spaziale… Quell’alieno orripilante, vestito da una tunica lunga bordeaux, dal viso informe e rugoso, sulla fronte tre bulbi rossi a formare un triangolo equilatero e due lunghe corna spuntavano dal capo. Era privo di naso o bocca, ma in fondo non gli serviva averne. Lui parlava con la mente.
Era posto al fianco dell’anziano dottore, i quali discutevano circa la creatura dormiente all’interno della capsula sulla quale stavano vegliando. Quell’essere che proprio non riusciva a scacciare dai suoi ricordi. Quella creatura che vantava di chiamarsi “Shadow il riccio”.
Avrebbe tanto voluto farlo fuori, quell’abominio. La sua sola esistenza rappresentava una minaccia per l’intero pianeta, Tower ne era certo.
Ma ora che avevano per mano le prove concrete dell’esistenza di eventuali cloni del riccio nero, chi avrebbe potuto mai confutare che a mettere in atto quel massacro non fu un impostore?
In ogni caso, non aveva modo di sapere cosa fossero quelle copie né la loro provenienza, non potendo più fidarsi delle parole dell’agente mobiana. E anche se ci avesse creduto, non aveva la più pallida idea di come avesse fatto Ivo Robotnik a creare dei fantocci, in grado di emulare in un modo così similare le mosse del vero Shadow. Non poteva più lasciare niente al caso.
Abraham Tower volse lo sguardo verso di loro, dopodiché parlò nuovamente, più austero di prima a causa dell’imminente questione.
“Andate, bisogna distruggere questo clone e trovare tutte le sue repliche prima che qualche altra catastrofe colpisca altre zone del pianeta”.
“Sissignore!” esclamò il ragazzo nella sua solita formalità, mentre Rouge, ancora a braccia conserte, annuì con un cenno del capo. Se ne andò per prima, socchiudendo la porta alle sue spalle, in attesa che anche il collega uscisse dall’ufficio del Comandante.
“Aspetta, Freez, prima che tu te ne vada, ho una cosa da chiederti”, disse lui, a bassa voce.
“Signore?”
Tower diede un ultimo sguardo severo verso l’uscio semichiuso, convinto che la pipistrella stesse ascoltando. Pur tuttavia gli chiese: “Dove si trova ora, questa ragazza?”













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Angolo dell'autrice: buonasera a tutti voi, miei diletti. Scusate i miei ritardi abominevoli, ma purtroppo ho tante, troppe cose da fare. L'università uccide. 
Ho iniziato col pubblicare una volta a settimana, adesso riesco a farlo una volta ogni due mesi (se tutto va bene). xD Non ho parole per descrivere il mio rammarico. Tra l'altro ho problemi al pc, quindi non so se riuscirò a dare una scadenza precisa. E se riuscirò a postare, probabilmente sarà senza disegno. Penso che posterò verso fine giugno, ed utilizzerò un computer dell'università xD Spero che quest'ultima parte vi sia piaciuta!
Cooomunque, se trovate errori, non abbiate timore di segnalarli! 
Un bacione forte, ci si vede al più presto. 

Rory

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Capitolo 21
*** Bugie e falsità - Parte 3 ***


Un riccio dalla pelliccia pece scrutava il mondo con occhi fissi, ma vacui, come chi sogna ma non capisce cosa in realtà desideri. Puntati su quella sfera azzurra, macchiata da spruzzi verzicanti e bianchi, la creatura pensava, com’era solito fare in vari momenti della sua giornata. Quando non si allenava, perché in combattimento non c’è tempo per pensare, quando poteva allontanarsi da quegli occhi indiscreti e ignari dei suoi sentimenti, si prendeva il suo tempo a ponderare.
Sentendosi estraneo verso tutto ciò che gli circondava, lontano anni luce dalla vita che sembrava prospettatagli, cercava di dare un senso a troppe cose. Guardava il suo riflesso sul vetro che lo separava dallo spazio aperto, chiedendosi il perché fosse così diverso rispetto agli scienziati umani, perché questa difformità fosse, da che aveva memoria, una costante nella sua vita. Ed il perché quegli occhi - talvolta inquieti, talvolta scostanti - lo consideravano tale.

Non poteva non ammettere a se stesso di provare un senso di irrequietezza, in quello stato di attesa perenne.
“Ti piace davvero tanto guardare la Terra, eh, Shadow?” una voce cristallina e dolce lo sollevò dal suo meditare. Ne aveva udito il ticchettio dei passi felpati, avvicinarsi. Non aveva bisogno di voltarsi per capire a chi appartenesse, ma lo fece giusto per il sollievo che gli procurava il dolce sorriso di Maria. Il riccio nero sapeva che era la solita domanda retorica, di quelle che comunemente era diventata usanza porgli per stare in sua compagnia.
Nell’Arca della Colonia Spaziale aveva imparato ad essere educato e riservato. A non fare troppe domande e ad accettare senza porsene troppe. Ma con lei poteva aprirsi tranquillamente. In lei aveva, ed avrebbe sempre avuto un appoggio, una spalla su cui contare. Consapevole che non avrebbe mai potuto giudicarlo, se non in bene.
“Il professore dice che le sue ricerche sono per il bene delle persone di quel pianeta, e che il suo scopo nella vita è quello di usare il potere della scienza per renderle felici…” esordì lui, assorto, catturando l’attenzione della ragazzina.
Maria, benché non necessitasse di troppe informazioni per capire gli stati d’animo del suo amico, era sempre curiosa di ascoltare le confidenze che solo a lei faceva. L’espressione del riccio era vigile, come sempre, ma la mente era distante.
“Shadow…” mormorò, non sapendo cosa replicare. Soprattutto perché persino lei, che era la nipote di Gerald Robotnik, lo scienziato primario dell’ARK nonché fautore del progetto Shadow, non era a conoscenza dei propositi del nonno. Avrebbe tanto voluto dargli il sollievo che meritava, tuttavia dové limitarsi a stargli vicino.
“Maria, non capisco perché sono nato e cosa dovrei fare... Forse, riuscirò a trovare delle risposte se un giorno andassi su quel pianeta?”
La piccola sorrise gentilmente, volgendo a sua volta l’attenzione verso il globo.
“Quando quel giorno verrà, io sarò con te”, esclamò lei, con calore, dopodiché gli prese le mani stringendole nelle sue, “e ci faremo tanti amici!”
Shadow ricambiò il sorriso, sereno. Di certo, non desiderava altro che questo. Maria gli lasciò le mani, restandogli accanto come era sua abitudine fare in questi frangenti. Ma una voglia che doveva soddisfare assolutamente le balenò in testa.
“E adesso… cosa ne dici di una bella tazza di cioccolata calda?” propose lei, facendogli un occhiolino complice.
Buon sangue Robotnik non mente... pensò la creatura sbuffando, poi sorrise, facendo dietrofront seguito dall’amica.

“E sia”.

***

In quel momento, trovandosi carponi per lo sforzo, il riccio striato teneva lo sguardo fisso a terra, privo di qualsivoglia scintilla di vita. Con l’oblio al posto degli occhi, spostò la sua attenzione verso l’ammasso di carne ancora fumante che aveva poco distante. Infine, dopo aver tirato fuori un respiro profondo, si alzò in piedi, senza distogliere la concentrazione dal defunto sosia e senza farsi più domande sul perché fosse accaduta una cosa simile.
No. Shadow il riccio aveva smesso di trovare anche una sola singola ragione alle atrocità che puntualmente sembravano venirgli incontro con tanta noncuranza del suo animo.
Non voleva ammetterlo, ma davvero gli mancava la figura pseudo paterna del dottor Gerald, suo inventore, nonché la sua dolce Maria, la quale era sempre al suo fianco a fornirgli spiegazioni. Ma ben presto comprese che i responsi che la piccola amica gli riferiva in virtù della sua immancabile gentilezza, non erano altro che le opinioni di una bambina, troppo piccola e troppo fragile affinché potesse formulare pensieri malvagi. E lui ci aveva creduto, per questo la vita fu così crudele da fargli desiderare di condividere con lei un sogno: poter visitare un giorno il pianeta Terra. Ma ora che vi aveva messo piede e stava esplorando quella vasta zona fatta di piante ed alberi, si rese conto che il suo sogno non era altro che una mera futilità. Perché ciò che alimentava quel sogno era lei. E visitare la Terra senza di lei era come visitare un museo privo di opere d’arte. Vuoto.
Maria era una creatura dal cuore d’oro, al contrario del suo, ormai troppo sporco e troppo a pezzi per poter essere riparato. Ed in quel momento, provava solo un’infinita ed incontrollabile rabbia verso tutto ciò che lo circondava.
Non vi era nessuno a salvarlo dal baratro dell’oscurità nel quale la sua anima stava cadendo.
No, lui era la creatura perfetta. Non avrebbe avuto più bisogno di nessuno. Ed annaspando in questo sentimento di acrimonia e furia, Shadow alzò il braccio, con il palmo della mano puntato verso l’alto, facendo apparire lo smeraldo trasparente che aveva preso poc’anzi dalla pipistrella e pronunciò in un tono alterato: “Controllo del Caos”.
In un attimo, la creatura dalla pelliccia oscura si ritrovò sul tetto della fortezza volante del dottor Eggman, intento a varcare dei densi nugoli uggiosi.
Non attese oltre e con un Chaos Spear distrusse la superficie ai suoi piedi, creandosi un varco all’interno di quelle mura d’acciaio. Quando vi atterrò dentro, notò che si trovava proprio all’interno della sala dei comandi dell’aeromobile, con lo scienziato al posto di pilota.
“Non sarebbe stato più facile passare dalla porta?” disse lui con sprezzante noncuranza, “devi sempre essere così… te stesso?” esclamò infine inarcando un sopracciglio, facendo girare la sedia verso di lui per guardarlo in volto, trovandosi di fronte uno Shadow totalmente sconvolto dall’ira.
“Che cosa vuoi?” chiese l’uomo, dopo un momento di esitazione, in un cipiglio di sufficienza. Non sembrava affatto sorpreso di quella visita così turbolenta, e questo al riccio nero non piacque affatto, dopodiché il dottore continuò con leggerezza “mi hai riportato gli smeraldi?”
“Tu… maledetto” sussurrò quest’ultimo fuori di sé “tu, per tutto questo tempo, non hai fatto altro che manipolarmi?!” proferì lui grave, alzando la sua voce di un tono ad ogni parola che pronunciava.
Ivo Robotnik fece una smorfia e sbuffò.
“Shadow…” esordì lui, teatralmente “sono stato io a liberarti dalla capsula nella quale eri stato ibernato per ben cinquanta anni, te lo ricordi?”
La creatura lo fissò sottecchi, furioso e contemporaneamente avvilito.
“E questo cosa significa?!” disse il riccio, in tono a metà tra la contrizione e l’ira “che dovrei persino ringraziarti per ciò che hai fatto?!”
“Non ho fatto niente che tu non credevi io fossi capace di fare” esclamò l’uomo, con finta benevolenza, per poi sfoggiare uno dei suoi lascivi e loschi sorrisi “in fondo l’hai sempre saputo che il mio scopo è quello di conquistare questo pianeta”.
Shadow indurì la mascella, non riuscendo a non pensare a ciò che era cinquant’anni prima e a ciò che era diventato. Una pedina. Per di più nei piani di uno scienziato che bramava il potere più di ogni altra cosa al mondo e che non avrebbe avuto mezze misure per raggiungere il suo scopo.
Le parole di Maria e la promessa che le aveva fatto continuavano a tormentarlo, pur chiedendosi se davvero ne valesse la pena prendersi cura di quelle persone. Tuttavia, in quel momento c’era una cosa che lo premeva più di ogni altra al mondo. E non avendo paura di sprofondare ancor di più, esclamò infuriato: “E per farlo hai rubato il mio DNA per creare delle copie di me stesso? È per questo che ti servivano gli smeraldi?”
Il professore lo fissò sbilenco, pettinandosi i baffi con la punta del pollice e l’indice. Dopodiché si alzò dalla sedia, muovendo qualche passo verso il riccio striato.
“Sei troppo attaccato alla mia cara cuginetta per anche solo pensare di portare avanti un piano simile, e gli smeraldi sono indispensabili alla sua riuscita” disse lui, con una indifferenza stomachevole, prendendo una pausa prima di esclamare: “Per conquistare la Terra devo prima polverizzare Sonic ed i suoi patetici amichetti” continuò lui, per poi avvicinarsi alla tastiera dei comandi del dirigibile e pigiando uno dei pulsanti, finì: “e se la cosa non ti sta bene, farò fuori anche te!”.
In men che non si dica, una bolla di vetro di materiale infrangibile imprigionò Eggman e contemporaneamente una pedana nascosta incominciò a portarlo giù abbastanza lentamente da permettergli di vedere Shadow sorridere sardonicamente, finché non scomparve.
Senza neanche avere modo di seguirlo, la forma di vita perfetta si ritrovò accerchiato da un drappello di Egg-robot, con diverse armi da fuoco già puntate sul bersaglio.
Il riccio striato diede stancamente un’occhiata attorno, prima che un proiettile laser cercò di colpirlo. Shadow balzò in aria quanto bastava per arricciarsi e scagliarsi contro quanti più automi possibili, ammaccandoli fino a distruggerli, e allo stesso tempo schivando vari fendenti energetici che con insistenza provenivano da ogni dove, nel tentativo di metterlo al tappeto.
Dannato bastardo… Non poté che inveire contro lo scienziato, sentendo una strana spossatezza prendere sopravvento sul suo corpo. In effetti doveva immaginarselo: poco prima aveva combattuto contro un robot micidiale ed aveva sferrato il Chaos Blast per incenerire quel maledetto clone. Era stato avventato, ma ormai non poteva più rimuginare su latte versato. Inoltre si accorse che più robot annientava, più ne arrivavano.
Caricò quel poco di energia che gli rimaneva in corpo in due Chaos Spear, cercando in questo modo di abbattere quanta più ferraglia possibile, ma fu tutto inutile.
Non vi era altro da dedurre: il dottore si era preparato bene a quell’inconveniente. Non c’erano altre spiegazioni. E questo lo faceva imbestialire ancora di più, distraendolo quanto bastava per permettere ad un automa del dottore di ferirlo con un proiettile energetico.
Shadow cadde a terra bocconi, stremato.
Si rimise presto ginocchioni, e giurando a se stesso che gliel’avrebbe fatta pagare cara, fece apparire uno dei due smeraldi del caos e lo utilizzò nuovamente per teletrasportarsi fuori dall’aeromobile.

Prima di svenire dallo sforzo, diede un occhiata verso il basso.
Shadow stava per cadere in mare. E cosciente che era ormai finita per lui, in quanto era incapace di respirare sott’acqua, chiuse gli occhi accettando passivamente la sua fine.
L’ultima cosa che poté avvertire furono due mani che gli tastavano il corpo per poi trascinarlo verso l’alto.









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Angolo dell'autrice: YO, gente! Pensavate di esservi liberati di me? E invece no, ritornerò sempre. E questa volta (almeno per i prossimi due capitoli) prometto che rispetterò le scadenze. Come ve la passate? Io posso dire che FINALMENTE sono libera. Con gli esami ci vediamo a settembre. uvu 
In effetti dovete perdonarmi: questa piccola, ma intensa, parte non è stata per niente facile da scrivere. Cercare di mettersi completamente nei panni di Shadow e di un dottore pazzoide... non è impresa da poco. Per cui spero che il capitolo non risulti forzato e che a grandi linee io sia riuscita a mentenere intatto l'IC dei personaggi. Io ci ho provato. 
Come sempre, se trovate errori o volete farmi qualche critica sulla scrittura o che... non esitate a segnalarmeli. Mi fareste solo un favore. 
Ci si vede a inizio settembre, con un nuovo capitolo! 
Un bacio,
Ro!

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Capitolo 22
*** Umani contro ricci - Prima parte ***


Dopo aver trascorso quei brevi momenti insieme, parlando e chiarendosi a vicenda, Shadow e Rory passarono ancora qualche minuto in silenzio a contemplare le stelle. La giovane gli rivolse di nascosto un’occhiata sottecchi: sul viso del riccio, sebbene persisteva quell’aria rigida e grave che da sempre lo accompagnava, era scomparsa completamente quella sfumatura di rancore e di diffidenza che aveva nei suoi confronti, e di questo ne fu felice. Immersi in quella quiete, la ragazza si chiese che tipo di creatura fosse stata Shadow prima che quel tragico evento lo segnasse tanto da non avere voglia di instaurare nemmeno una benché minima relazione, se non quella forzata - come effettivamente avvenne tra loro due. Maria doveva essere stata una bambina davvero speciale, per farlo affezionare a lei in quel modo.
Improvvisamente le venne in mente l’espressione totalmente scioccata della riccia rosa, quando la giovane rivelò loro che Shadow le chiese scusa per ciò che le aveva fatto, e non poté fare a meno di rimanere stupita e alquanto dispiaciuta. Non poteva negare che il suo compagno fosse tutt’altro che un angioletto e di certo le azioni nei confronti suoi e di Tails ne erano una prova più che evidente, però… Le sue fantasticherie terminarono quando il riccio nero le rivolse un eloquente quanto imperscrutabile sguardo. Rory fece per parlare ma l’imminente questione fu interrotta da dei passi sconosciuti.
Questi, avendone avvertito già da tempo il rumore, si mise inconsapevolmente davanti alla ragazza, esibendo lo sguardo più minaccioso che poté verso quel suono di erba calpestata. Una voce femminile si levò dal folto della foresta, non molto lontano da loro.
“Rory? Shadow? Dove siete?”
La ragazza chiamata in causa si mise in piedi, sorridendo, mentre la forma di vita perfetta alzò gli occhi al cielo. Non riusciva a fare a meno di essere seccato avendo compreso chi stava per raggiungerli, ed il solo ricordo di quelle manacce sulle sue guance lo innervosiva non poco. Si allontanò di qualche passo, assumendo la solita posizione a braccia conserte, scrutando fintamente assente il vuoto.  
“Jess, siamo qui!”  
Dopo una decina di secondi, apparve la bionda che, con fare esuberante, sbandierava la sua mano per farsi vedere. Non che ce ne fosse stato bisogno: era da sola, in un bosco, di notte. Non era mica travolta da una mandria inferocita di adolescenti nel bel mezzo di una manifestazione violenta! Ad ogni modo, la mora sorrise condiscendente, addolcita da quella recidiva manifestazione di affetto.
“Oh, meno male che ci siete entrambi!” esclamò lei una volta arrivata vicino ai due, dopodiché le porse il suo cellulare “ciccia, tuo padre sta chiamando sul mio cellulare da anni!” continuò, sottolineando esageratamente l’ultima parola. Quanto erano stati il riccio e l’umana fuori? Mezz’ora al massimo, se non di meno.
Rory aggrottò la fronte ed emise un gemito frustrato nel constatare che sul display dello smartphone dell’amica c’erano segnate venti chiamate perse provenienti da un certo “Ciccia padre”.
“Shadow, dammi una mano”, disse lei, melodrammatica, voltandosi verso un riccio nero incurante “prestami la tua forza!”
“Non dire idiozie e chiamalo”.
La mora, diversamente da come avrebbero reagito tutti coloro che avevano avuto la fortuna di conoscere quella fiera creatura, emise un leggero risolino divertito e poggiò il dito sullo schermo luminoso del telefono. Dopo neanche uno squillo, rispose suo padre.
“Dove diavolo sei?!” esclamò gridando, talmente furioso che Rory dovette allontanare il cellulare dall’orecchio per non diventare sorda “comprati un cellulare nuovo, cretina!”
“Scusami, pa’”, rispose lei, alzando gli occhi al cielo, dopodiché vide l’orario: erano quasi le quattro del mattino, “sono successe varie cose, ehm… ho perso la cognizione del tempo”.
“Dove sei?” sbottò lui, ancora troppo scosso per curarsi delle scuse della figlia. Quest’ultima rivolse uno sguardo al riccio, che se ne stava qualche metro lontano ad ascoltare passivamente la chiamata, a braccia conserte. Si morse il labbro, sentendosi come una ragazzina ai primi anni di liceo colta in flagrante ad uscire con il ragazzo ripetente e di qualche anno più grande.
“... Sono con Shadow”.
“Cosa?! Quel grosso riccio nero parlante spara-energia-dalle-mani? Perché sei con lui?! Cosa diamine è successo questa...”
Shadow, ascoltata quell’ultima affermazione, non poté non storcere il naso per l’irritazione, avendo poi finalmente capito da chi avesse preso la figlia. Rory, avendo supposto che il compagno avesse sentito tutto, si coprì il viso con una mano per nascondere, per quanto possibile, il rossore pressoché scarlatto che le riempiva le gote.
“Papa, dai, torno appena posso, va bene?”
“Non voglio che lo frequenti!” esclamò lui, fuori di sé “hai visto cosa ha fatto l’ultima volta? Ha fatto saltare un’intera collina senza neanche toccarla! Te lo sei forse dimenticato?!”
Rory tacque per un secondo, la bocca stretta in una sottile linea dura, indecisa se allontanarsi dal riccio dall’udito così fine da riuscire ad ascoltare ciò che il padre stesse sbraitando dall’altro capo del telefono o restare lì. Infine, sospirò e disse: “Pa’, ascolta, Shadow mi ha salvato la vita”.
“L’ultima volta che ti ha salvato la vita ti ho dovuto portare all’ospedale per una caviglia rotta”, fu la pronta risposta dell’uomo. Era slogata, non rotta, pensò nervosa Rory. Ma decise di non protestare, dal momento che sapeva bene che parlare quando il suo vecchio era adirato era come discutere con un muro. Dopo qualche attimo in silenzio passato ad assorbire il colpo basso, la giovane mormorò: “Ne riparliamo con calma, quando torno. Ciao”. In un tono di puro biasimo e sottolineando quell’ultima parola come a mettere fine - letteralmente, dal momento che staccò la chiamata - quella conversazione.
“Cosa ti ha detto?” chiese Jessica, anche se a sprazzi riuscì a cogliere l’argomento di quel concitato dialogo. La mora le rivolse un’occhiata mentre le restituì lo smartphone, in un misto tra la stanchezza e la rabbia. Non che fosse infuriata con l’amica, ma con se stessa. Se avesse chiamato suo padre per avvisarlo di un suo ritardo, di sicuro non si sarebbe preoccupato così tanto e soprattutto non si sarebbe azzardato a dire certe cose di Shadow, sapendo che lui avrebbe potuto ascoltare. Si sentì una stupida. La bionda corrucciò le sopracciglia, dispiaciuta. L’espressione dell’amica trasmetteva pienamente la frase “non ne voglio parlare”.
Rory fece qualche passo verso il riccio nero, il quale, con un’espressione totalmente austera, la guardò accigliato.
“Non osare scusarti” scattò lui, alquanto alterato. Ormai stava cominciando a capire sempre di più il carattere della giovane. Volse il viso da un’altra parte, non sopportava di vederla perennemente in colpa.
La mora alzò gli occhi al cielo e sospirò lievemente, dopodiché annuì.
“Okay, ma devo ritornare”.
“Non ti riporterò a casa”, sbottò lui, lasciando la compagna per un istante scioccata, la quale, più accomodante, rispose: “Bene. Mi farò accompagnare da Christian, lui di sicuro saprà come ritornare. Non volevo disturbarti, tranquillo”.
La giovane, avendo fatto spallucce dopo l’ultima affermazione, abbozzò un mezzo sorriso e si avviò verso il rifugio, seguita dall’amica. Shadow indurì la mascella infuriato, incapace di capire perché sentisse un desiderio così ardente di trattenerla. Corse, in virtù della sua proverbiale velocità, di fronte a Rory, impedendole di andare oltre, cosicché l’umana dovette fermarsi per non andare a sbattergli contro.
“Non andare”, continuò lui, il tono singolarmente perentorio, ma abbastanza trattenuto da sembrare più una richiesta estremamente sentita che un ordine. Di fatti, la compagna riuscì bene a percepire nel suo sguardo le parole “per favore”. Non poté far altro che sbarrare gli occhi, del tutto stranita dall’inusuale reazione del riccio. E suppose che qualcosa non quadrava. Dopo qualche attimo passato ad osservarsi a vicenda, Rory si inginocchiò di fronte alla creatura, gli posò una mano sulla fronte e l’altra sulla sua, studiandone la temperatura.
“Uhm… no, non mi sembra che tu abbia la febbre”.
Il nero inarcò un sopracciglio, assolutamente infastidito e le afferrò il polso, spostandolo. Dava forse l’impressione di essere qualcuno che stava delirando? Accidenti!
“Shadow, cosa c’è che non va?” chiese lei, adesso turbata. Il riccio lasciò finalmente andare l’articolazione, accorgendosi dopo di averlo stretto con troppa foga. Si sentì improvvisamente un idiota, dunque si voltò, dandole le spalle, si mise a braccia conserte e si allontanò di qualche passo fingendosi incurante.
Decisamente strano, a questo punto non poté che pensare la giovane Rory, essendo stata partecipe di un tale comportamento da parte della creatura. Possibile che…? per un secondo comparve sul suo volto un sorriso divertito, ma lieto.
“Okay, va bene”, esordì lei accondiscendente, cercando di calmare le acque, e Shadow emise uno sbuffo scocciato. Ancora non si era abituato all’incredibile capacità di arrivare sempre alla giusta conclusione della giovane, anche quando questa non era così ben accetta. Si voltò verso di lei accigliato.
“Ma devo comunque ritornare a casa”, continuò lei seria, “devo spiegare a mio padre perché è così importante che io rimanga qui. E, non so Christian, ma anche Jessica deve parlare con i suoi”.
Jessica, contrariamente alle aspettative, preferì non dire nulla in quel momento, troppo concentrata su quell’insolito interloquire. In antecedenza, non aveva mai visto il riccio e l’amica interagire. E doveva ammettere che li trovava a dir poco sbalorditivi: un essere considerato una minaccia per conto della società e una semplice, ma a dir poco cocciuta, umana intenti a conversare come se fosse la cosa più naturale del mondo. Cosa ci trovasse Rory in quel riccio, Jessica ancora non l’aveva capito. Era quasi sempre scortese, taciturno, solitario e orgoglioso oltre ogni dire. L’esatto contrario della sua controparte blu, il quale era egocentrico come pochi e sembrava trovare in ogni cosa una sorta di divertimento.
Shadow emise un sospiro, mentre scrutava sottecchi gli occhi di Rory fissi sui suoi, in attesa di una risposta.
“Ripeto, non voglio disturbarti: posso andare con Chris…”
“Ti ci porto io”, la bloccò lui rassegnato, prima che potesse finire la frase, in un tono che rasentava la stizza. Perché avesse deciso di accompagnarla era un mistero anche per lui. E se da una parte la testardaggine e l’orgoglio di quella ragazza erano cose che silenziosamente apprezzava, dall’altra erano per lui fonte di profonda esasperazione. Inoltre aveva delle questioni da chiarire con il padre.
“Con il Controllo del Caos faremo prima”, dichiarò lui, nel frattempo che comparve lo smeraldo trasparente nella sua mano. Il riccio avrebbe potuto chiedere alla volpe di scortarle a casa loro con il suo Trabiccolo X
, ma considerate la piega degli eventi e la poca fiducia che ormai riponeva in lui, quest’idea non gli aveva sfiorato minimamente la mente. Sul volto di Rory comparve un luminoso quanto gioioso sorriso ed afferrò il polso di Jessica, mentre il compagno agguantò la mano della mora.

















__________________________________




Angolo dell'autrice: Eheheh, dite la verità! Vi mancava Rory, non è vero? Ebbene, eccola qui in questa piccola particina della storia! Da questa parte il rapporto Shadow/Rory prende una svolta che cambierà le loro vite: Rory sicuramente l'ha già capito. Quanto al nostro caro riccio, beh, per lui ci vuole un po' più tempo. Ad ogni modo, spero vi piaccia. La prossima pubblicazione sarà, penso, verso fine novembre. Mi prendo il tempo per scrivere la fine di questo capitolo, che tratterà temi abbastanza particolari. 
Ps: il disegno è alquanto ambiguo. Lo so, lol 

Un bacio,
Ro

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Capitolo 23
*** Umani contro ricci - Seconda parte ***


Rory era ormai abituata al suo calore pungente, ma quella volta fu particolarmente intenso, le sensazioni provate quasi la stavano stritolando in una nebbia di luce asfissiante. E la stessa cosa fu anche per Jessica, se non peggio visto che non era per niente abituata a quel genere di spostamento. La mano di Shadow si strinse su quella della ragazza. Non voleva ammetterlo, ma, essendo male avvezzo a portare due persone presso una destinazione così distante dalla loro precedente ubicazione, quel Controllo del Caos richiese più concentrazione - e, di conseguenza, energia - del solito. Se avesse potuto, avrebbe preferito trasportarle a piedi, forse sarebbe stato meno faticoso. In realtà, quel teletrasporto non sarebbe poi stato tanto traumatico se precedentemente non avesse esaurito le energie nel colpire, con una moltitudine di Chaos Spear, quelle maledette trappole robotiche - per non parlare del conseguente stress emotivo causato dall’idiozia di Rory e dalla sua insana voglia di farsi ammazzare. Non che Shadow nel suo piccolo non avesse apprezzato il pensiero, anzi, nessuno al di fuori di Maria era stato così gentile nei suoi confronti. Ma quella ragazza aveva davvero bisogno di capire che non poteva fare sempre di testa sua… E per l’ennesima volta a questa parte, il riccio dal manto ebano non poté non notare una certa similitudine tra di loro e, per certi versi, quante cose in comune avessero Rory e la piccola Maria. Ma non capiva perché perdesse tempo ad angustiarsi così per lui. Shadow non aveva mai avuto bisogno che qualcuno si preoccupasse così tanto per la sua sorte, né avrebbe mai necessitato del loro aiuto, così come quello di nessun’altro. Lui era l’essere perfetto, creato per sopportare pesi che nessuno avrebbe potuto reggere.
Tuttavia una voce, cupa e roca, dentro di sé diceva dell’altro. Un fievole quanto evanescente suono, inudibile a chiunque se non dalla sua coscienza, che recitava: “forse la verità è che non lo meriti, ci hai mai pensato?”
Sì, ci aveva pensato e per quanto fosse doloroso ricordare, non poteva farne a meno. E la conclusione alla quale arrivò era che, viste le conseguenze, forse quella vocina aveva ragione.
Antonio, appena vide la figlia, accompagnata dall’amica e dal minaccioso riccio, apparire in salotto come fantasmi nella notte, saltò dalla sedia terrorizzato come non era mai stato, cacciando un urlo che di severità non aveva nulla. Di sicuro avrebbe preferito che bussassero alla porta, così da dargli modo di ripetere nuovamente la sfuriata che aveva in mente di fare a Rory. Ma in quel preciso istante, dal momento che era pressoché ibernato in una condizione di stupore mista a orrore, fu come se le parole che aveva ben impresse fossero svanite nel buio più totale. Jessica dové trattenere un conato di vomito, mentre si appoggiò di peso contro la parete, premendo una mano sulla bocca: di certo, non avrebbe gradito viaggiare di nuovo usando Shadow come mezzo di trasporto.
“Ciao, papà”, azzardò la mora verso l’uomo, accennando un piccolo sorriso imbarazzato, ritenendo fosse il modo migliore per rompere il ghiaccio. Niente, suo padre non si decideva di smettere di squadrarli inebetito, la bocca così aperta da riuscire quasi con la mandibola a toccare terra. Era alquanto ridicolo e Shadow non aveva intenzione di restare a guardare ancora quella faccia scioccata. Alzò gli occhi al cielo e, dopo essersi allontanato quanto bastava dal gruppo, incrociò le braccia.
“Ehm, papà…?” continuò Rory, schioccando le dita proprio di fronte agli occhi dell’uomo.
“C-come avete…?” balbettò lui, ancora incapace di formulare una frase di senso compiuto.
“Papà, calmati” disse lei, non riuscendo a trattenere una leggera risata, e continuò spiegando: “Shadow sa anche teletrasportarsi da un posto all’altro e ci ha fatto il piacere di accompagnarci”.
Antonio aggrottò la fronte, basito. Non solo quel riccio era in grado di distruggere qualsiasi cosa nel giro di miglia in virtù di quella sottospecie di colpi energetici, ma era in grado anche di fare questo?! Non poté fare a meno di rendersi conto che, ormai, la sua vita era più simile ad un videogioco piuttosto che alla realtà. Incapace di capire se dovesse ringraziare o meno la creatura, annuì, dando segno alle due giovani, che non smettevano di osservarlo in tensione, di essere vivo e vegeto.
Silenzio.
Rory tirò un respiro profondo, permettendo al suo cervello di fare appello a tutte le riserve di coraggio che aveva in corpo, affinché potesse esclamare le seguenti parole: “Papà, devo chiederti il permesso di restare fuori per un po’”.
L’uomo sbatté gli occhi, cercando di razionalizzare ciò che aveva appena udito. Infine, avendo finalmente recuperato lucidità, assunse un’espressione tutt’altro che conciliante.
“Ma sei impazzita?” esclamò lui, con un tale impeto da lasciare stupiti i presenti, “non so quello che è successo stanotte, non so dove sei stata per tutto questo tempo, tra l’altro in compagnia di ques… sua”, disse lui, facendo ben intendere l’opinione che s’era fatta sul riccio. Disgusto e un pregiudizievole presentimento che difficilmente sarebbe cambiato, avendo osato fare del male all’adorata figlia, “e vorresti che ti dessi il permesso di restare fuori? Te lo ripeto: sei impazzita?”
“Senti un po’”, grugnì Shadow, cercando di dare sfoggio di tutto il suo autocontrollo - ciononostante il suo tono non fece che guadagnarsi, da parte di Antonio, ulteriore timore verso di lui. Ad ogni modo, quell’atteggiamento puramente ostile non piacque affatto al riccio nero, per cui non si sprecò più di tanto nel modulare la voce, “tua figlia rischia la morte ogni giorno da quando ha messo piede nel dirigibile di Eggman e se resta qui sarete tutti in pericolo”.
All’unisono si voltarono verso di lui, attoniti. Fu Rory a parlare.
“Cosa vuoi dire…?” chiese, cercando di dissimulare l’inquietudine che stava pian piano prendendo sopravvento. Shadow sbuffò sonoramente: odiava dover dare spiegazioni.
“Vuol dire che, avendolo ingannato nascondendogli lo smeraldo del caos, hai acceso il suo odio nei tuoi confronti, e ora vuole vederti morta”.
“E come lo sai?” intervenne Jessica. Una domanda che poteva essere facilmente mal interpretata, ma la sua era semplice curiosità. Il nero, tuttavia, le rivolse un’eloquente occhiataccia, manifestando tutto il desiderio che aveva nel parlare con lei. Ma decise di risponderle, per quanto la cortesia non fosse il suo forte.
“Lo so e basta”, si limitò a dire il riccio, per poi ritornare a rivolgersi all’uomo, “se Rosa restasse qui, morirebbe di sicuro. E se Eggman scoprisse che abita in questa casa, saresti in pericolo anche tu”.
Le reazioni delle persone dalle quali era ora accerchiato erano abbastanza differenti. Rory era stranamente delusa nel sentir pronunciare da lui il suo vero nome, ma cercò di non darlo a vedere. In effetti lo scienziato aveva più volte manifestato una sorta di accanimento nei suoi confronti, non poteva certo dare torto al compagno. Jessica e Antonio non sapevano se rivolgere le proprie attenzioni al riccio o alla povera Rory, troppo increduli per poter pronunciare parola alcuna.
La mora si morse il labbro inferiore e convenne, mormorando: “È vero. Dopo il lavoro c’è stato un altro attacco da parte di Robotnik, e se Shadow non fosse venuto in mio soccorso, ora…”
“Che cosa?” scattò il padre, non sapendo se essere arrabbiato con la giovane o in pena per la triste sorte dalla quale fortunatamente era scampata, “e perché non mi hai chiamato subito?”
Questa volta intervenne Jessica in difesa dell’amica: “Con tutto il rispetto, Antonio, non è stata colpa sua. Io ero con lei e posso assicurarti che in momenti come questi pensi solo a salvarti la pelle. Sai, purtroppo noi non sappiamo né teletrasportarci né buttare giù un muro con una mano”, esclamò l’ultima frase con ironia, causando straordinariamente una lieve quanto fugace increspatura sulle labbra del riccio nero.
“Durante il salvataggio, Rory ed io siamo state divise. Lei è rimasta con Shadow, io sono stata portata al rifugio di Sonic grazie ad una sua amica, quindi non ho proprio avuto modo di prestarle il cellulare”.
“Il rifugio di Sonic?” chiese l’uomo, strabiliato, “Sonic ha un posto dove abitare qui?”
Jessica annuì e affermò: “Sì, anzi, a combattere Eggman sono stati proprio Shadow e Sonic, per difenderla”.
Evitò opportunamente di parlare del gesto avventato della amica, consapevole che se il padre avesse saputo di sicuro l’avrebbe rinchiusa in casa a vita.
Riccio ed umano si scambiarono una lunga e faconda occhiata, prima di parlare. Antonio, benché si ostinasse a ritenere Shadow una creatura pericolosa, viste le numerose volte nelle quali aveva mostrato un atteggiamento aperto al conflitto, si sentì in dovere di rivalutarlo. Ciononostante, non era neanche lontanamente sufficiente acciocché potesse riuscire a fidarsi di lui e dargli in affido Rory.
“E se invece… sarai tu stesso ad uccidere mia figlia?” disse lui, titubante ma più gelido che mai verso il nero.
“Papà…” protestò la ragazza, ma tacque non appena il padre la zittì con un cenno della mano, poi rivolse la sua attenzione di nuovo verso Shadow, il quale parve più meditabondo del solito.
“Se dovessi perdere di nuovo le staffe, ed invece di far saltare un’intera collina decidessi di... disintegrare lei?”
Il riccio nero ammutolì per qualche istante, incapace di dire niente come rare volte gli era capitato in vita. Una parte di lui si infuriò a causa del temperamento così maldisposto dell’uomo, quantunque non avrebbe potuto dargli completamente torto. Ed era ciò che gli faceva più rabbia. Davanti ai suoi occhi apparvero le immagini più spaventose, tutte ritraenti gli innumerevoli modi in cui avrebbe potuto farle del male. Data la sua forza, anche un movimento leggermente più accennato avrebbe potuto seriamente danneggiarla, e si scoprì tanto sensibile al pensiero da rimanerne a dir poco inquietato e nauseato.
Non si era mai curato dell’opinione che la gente potesse avere di lui, malgrado ciò non poteva accettare le accuse di Antonio che ledevano il suo animo più di quanto potesse presumere. La sua bocca si strinse ancor di più, se possibile, in una sottile linea dura, mentre, decidendo di mettere da parte il suo orgoglio, cercava le parole giuste per tirarsi fuori da quell’odiato impiccio.
“Farle del male è stato un errore”, esordì lui, cupo, “ma, per quel che serve, ti assicuro che mai più si ripeterà”.
Rory socchiuse la bocca, stupita dall’improvvisa espressione di mestizia che la creatura dal manto onice aveva dipinta in viso e suppose che, probabilmente, il riccio non si era ancora perdonato per ciò che accadde due settimane addietro. Avrebbe voluto dirgli qualcosa… qualsiasi cosa pur di cancellare quella sottile - ma quanto bastava per farle comprendere che stava davvero soffrendo - smorfia afflitta, ciò nondimeno le parole in occasioni tali si sprecavano. Sospirò.
“Papà, mi dispiace di averti fatto preoccupare”, sussurrò Rory, con sincero rammarico, dopodiché andò verso di lui per abbracciarlo affettuosamente, “ma posso garantirti che Shadow sa mantenere le promesse”.
Antonio subito si sciolse a quel contatto, consapevole che la figlia fosse così riservata da non abbracciare qualcuno di sua spontanea volontà, perfino il suo vecchio, se non in occasioni importanti.
“Fidati di lui”, disse lei, come ad esortarlo con gentilezza a fare ciò che lei stessa faceva: credere in lui.
L’uomo, dopo un certo lasso di tempo atto a contenere i suoi timori, decise di mettere fine all’astio che provava verso il riccio e, una volta sciolto l’abbraccio con Rory, provò a chiedergli: “Per quanto tempo dovrebbe stare via?”
“Finché sarà necessario”, rispose la creatura, seriamente.
“Questa non è una risposta”, disse l’uomo, con un tono leggermente alterato. Quel riccio sembrava non avere la benché minima idea di cosa significasse separarsi da un figlio! “Rosa ha gli esami universitari tra meno di un mese, e deve studiare”.
La mora strabuzzò gli occhi per poi schiacciare la mano sulla fronte, emanando un suono sordo piuttosto pronunciato. Cavolo!
“Tecnicamente avrei anche un lavoro e dovrei seguire il corso di Ju jutsu…” sussurrò lei tra sé e sé, imbarazzata, consapevole dell’opinione che suo padre avesse in merito: lo studio innanzi tutto!
“Alle tasse posso pensarci io, per adesso”, rispose Antonio, alquanto contrariato, avendo potuto udirla con chiarezza “basta che tra giugno e luglio dai gli esami che devi dare”.
“Tuo padre ha ragione, ciccia. Ti mancano quattro esami e sarai dottore in Giurisprudenza!” convenne Jessica.
“Al rifugio di Sonic può studiare tranquillamente”, ribatté Shadow, seccato, sebbene rimase piuttosto sorpreso da quella rivelazione. Non che la ritenesse una stupida o che gli interessasse chissà quanto il suo livello di istruzione, ma dai lineamenti del viso e dal modo di fare non sembrava affatto una giovane donna, per di più studiosa, in procinto di laurearsi.
“Per quanto riguarda il giugiàzu…” continuò l’uomo verso la figlia.
“Ju jutsu…”
“Sì, beh, per quella roba lì, vedremo in futuro cosa fare. In fondo il corso sarebbe finito tra un mesetto”.
Rory sospirò e si voltò verso Shadow, rivolgendogli un mezzo sorriso. Era un’espressione a tratti sollevata e a tratti titubante, che il riccio nero riuscì a decifrare alla perfezione.

Recitava le parole “ti prego, perdonaci”.










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Angolo dell'autrice: ciao, ragazzi. Here we are. Un altro capitolo è finito, e una nuova avventura aspetterà queste due povere e giovani ragazze, in balia di codesto burbero riccio nero. No vabbe, mi rendo conto di postare con grande lentezza, ma, capitemi. Ormai non ho più tempo neanche per guardarmi allo specchio. :c 
Questa volta niente previsioni sul prossimo capitolo: vorrei prendermi del tempo (un bel po') per riordinarmi le idee e portare avanti la storia quanto basta per arrivare a postare almeno un capitolo al mese. Quindi ci si vede. 
Fatemi sapere che ne pensate <3
Un bacio,
Ro

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Capitolo 24
*** Stranezze - parte 1 ***


Dopo un’infinita trafila di tentativi per convincere Antonio, il padre di Rory, finalmente riuscirono nell’intento grazie a quest’ultima, la quale rimarcò con fervore la possibilità di essere vittime dello scienziato e la paura di perdere l’ultimo genitore che aveva. 
Dapprincipio sembrava fosse un’impresa impossibile, ma a quanto pareva la ragazza possedeva sul serio l’incredibile abilità di portare tutto a suo favore, osservò il riccio nero. Quando l’uomo si convinse dell’affidabilità di quelle promesse, dopo una miriade di raccomandazioni sul non distogliere l'attenzione dal suo principale obiettivo — cioè l’università —, fu la volta dei genitori di Jessica.
Shadow era abbastanza contrariato e non la smetteva, con chiaro segno di fermezza nelle sue intenzioni, di avere la faccia corrucciata al pensiero che anche la bionda si trasferisse insieme a loro. Non solo avevano dovuto sorbirsi le lamentele e gli infiniti tormenti di Antonio, ma dovevano anche sopportare gli assillanti crucci dei genitori di Jessica.
Rory era stata categorica: se non fosse venuta anche lei, non sarebbe andata da nessuna parte. In fondo era pure logico, dato che il dottore le aveva viste insieme, per cui sarebbe potuta diventare un ostaggio nel caso l’uomo l’avesse trovata. 
Il riccio, per quanto gli costasse, dovette cedere. Quella ragazza era di una testardaggine allucinante!
Dopo aver preparato due zaini — uno dei quali quello giallo, incredibilmente capiente — mettendovi al loro interno le cose essenziali, si incamminarono verso la casa della giovane.
Fu una dura battaglia, perché se parlare con Antonio significava scontrarsi con la sua paranoia indefessa, con i genitori della bionda era diverso, in quanto erano noti per il loro rapporto conflittuale. Quando difatti si ritrovarono di fronte alla porta d’ingresso chiusa dell’appartamento, Rory pregò Shadow — destando per l'ennesima volta la sua esacerbazione — di aspettare fuori un momento, giusto il tempo di convincerli. La forma di Vita Definitiva la guardò di sbieco, gli occhi socchiusi quasi come se fossero due spilli ardenti, incapace di credere che gliel’avesse davvero chiesto. Di nuovo
“Te lo puoi scordare” sentenziò. 
“E dai, Shadow…” ribatté lei petulante, facendogli gli occhi dolci per cercare di intenerirlo. Ma niente, il riccio nero era irremovibile. La mora sospirò rumorosamente: “E va bene, ma cerca di non sembrare più imbronciato di quanto tu non sia già al naturale, per favore”. 
“Attenta a come parli” esclamò lui, lanciandole un’occhiataccia che venne abilmente sorretta da Rory, la quale, dopo aver scosso il capo, finì per sorridere. 
Fu la madre di Jessica ad aprire, trovandosi di fronte le due ragazze, alle quali spalle si trovava una figura oscura e alla cui vista sussultò vistosamente, mettendosi una mano sul petto come se avesse quasi avuto un infarto. 
Jessica si spiaccicò una mano sul viso per l’imbarazzante reazione che ebbe la donna alla vista di Shadow e intuì vagamente come si fosse sentita l’amica quando lo portò per la prima volta a casa sua. 
La discussione durò per circa due ore, dovendo spiegare ai suoi genitori il perché di… tutto. La bionda non aveva mai avuto un buon rapporto con loro, questo Rory lo sapeva bene, quindi dovette intervenire lei per cercare di spiegare la situazione in modo aperto e coinciso. 
La conseguenza fu che, dopo un momento di smarrimento misto ad ansia e panico per questo scienziato malvagio che aveva deciso di prendere di mira quelle ragazze, i due posarono la loro attenzione sul riccio striato, indecisi se rivolgergli la parola o meno. 
Lo sguardo cremisi della creatura, che se ne stava in piedi al fianco della mora, non poteva che incutere loro un certo timore reverenziale. Infatti, erano coscienti anche di ciò che era capace di fare, avendo visto il telegiornale riportante l’attentato a Salerno. 
Comunque sia, dopo aver assicurato loro che Shadow era tutt’altro che una creatura malevola e che, avendo ricevuto il permesso da Antonio ci sarebbe andata anche Rory, chiesero ai due se Jessica poteva stare con loro. 
Dopo un terzo grado interminabile su chi, cosa, quando, dove e perché, e non senza riserve, accettarono. 
Una volta terminata quella che Shadow avrebbe definito una stupida pantomima, poterono ritornare al rifugio di Sonic utilizzando nuovamente il Controllo del Caos. In effetti il riccio nero mal sopportava quel genere di situazioni, del tutto inusuali per il suo stile di vita. Tuttavia stava riuscendo con la dovuta flemma a comprendere il perché di tanta agitazione. 
Non poté che scoprirsi lui stesso affetto da un vago sentimento di attaccamento nei riguardi di Rory. Un senso che non credeva di poter più provare dopo la morte della sua migliore amica. 
Shadow le aveva trasportate proprio all’interno della piccola e logora tenuta, quindi non ebbero modo di ammirare l’alba che stava già inondando quel piccolo spiazzo di verde dei tenui raggi del sole. Quest’ultima volta non fu così traumatica come quella precedente. Jessica tirò un lungo respiro: per lo meno, non avrebbe vomitato. 
Ripercorsero le stesse scale che portavano nel seminterrato, ritornando in quello che era il salotto dove si erano riuniti tutti in antecedenza. Dentro la stanza vi trovarono solo Cream assieme al piccolo Cheese, accoccolati a un angolo del divano addormentati l’una abbracciata all’altro, Amy che aspettava sveglia — benché si vedesse lontano un miglio che gli occhi le si chiudevano dal sonno — seduta poco distante dalla coniglietta. A completare il quadretto di Morfeo, c’era Christian poggiato su una delle sedie del legnaceo tavolo, con un paio di occhiaie talmente scure da dare l’impressione che le avesse prese da qualcuno, ma che imperterrito continuava a starsene impallato ad aspettare. 
“Che fine avete fatto?” chiese il ragazzo, la bocca impastata dalla spossatezza, restando stranito nel vedere le ragazze sorreggere delle borse da viaggio. Rory lo fissò un po’ intontita. 
“Shadow ci ha portato a casa, per parlare con i nostri”, rispose lei, indifferente, dopodiché si accorse solo allora che non avevano chiesto il permesso di restare ai diretti interessati “non è un problema se rimaniamo, no?” continuò, in un sussurro incerto. 
Christian fissò il riccio nero con fare indecifrabile per qualche secondo, dopodiché si rivolse alle amiche dicendo: “Non c’è nessun problema” disse, cercando di trattenere uno sbadiglio con tutto se stesso, “ci sono solo due letti però, e non sono neanche a due piazze”. 
Ci fu un momento di sgomento generale. Sul volto delle due giovani era dipinta una smorfia a dir poco scioccata, persino Shadow mostrò il suo disappunto, contraendo la propria espressione a causa dell’inconvenienza di quella rivelazione. 
“Fantastico” esclamò Rory per trattenere un’imprecazione, sentendo finalmente prendere possesso di sé una fiacchezza che, forse a causa di quegli avvenimenti rocamboleschi, non aveva avvertito prima “come facciamo?” 
“Abbassate la voce!” li ammonì Amy, in un sussurro, “Cream dorme!” 
“Giusto, scusaci, Amy” annuì la giovane verso la mobiana, allorché chiese: “ma voi dormite qui?”
“No” rispose la riccia scuotendo il capo, dopodiché posò una mano sulla guancia della piccola coniglietta, accarezzandola lievemente: “Cream ha voluto aspettarvi e io ho deciso di farle compagnia. Ma non ce l’ha fatta”. 
Rory e Jessica la guardarono intenerite e allo stesso tempo mortificate per non aver fatto in tempo. Il dove dormire divenne una questione di primaria importanza, non volendo più dare fastidio a nessuno. La mora si rivolse all’amica e a Shadow con la sua solita diplomazia, affermando: “Jessica non può dormire con un’altra persona, a meno che questa persona non voglia svegliarsi il mattino seguente con torcicollo e mal di schiena”. 
“Dai, ti stai ancora lamentando di quando quella volta ti buttai giù dal letto nel sonno, durante il pigiama party?” ribatté la bionda, vagamente offesa. 
Rory emise un risolino sommesso e rispose: “Ovviamente, e non voglio di nuovo ritrovarmi con la spina dorsale a pezzi”. 
“Quindi che soluzione proponi?” chiese a quel punto l’amica, roteando gli occhi per nascondere un sorriso. Lo sguardo della mora indugiò con faconda insistenza su Shadow, il quale, chiamato in causa e oltrepassata l’iniziale confusione, dopo aver afferrato l’allusione della compagna affermò con decisione: “Non se ne parla!” 
“Suvvia, andiamo…” disse Rory, con un sorriso sornione, “devo forse dedurre che la Forma di Vita Definitiva non abbia il fegato di dormire con una ragazza?”
Le parole della giovane, la quale non mancò di enfatizzare soprattutto il concetto sull’avere o non avere il fegato, pungolarono l’orgoglio del riccio ebano. Non lo avrebbe mai ammesso, ma anche solo pensare di dividere il letto con qualcuno, lo metteva a disagio. Pur tuttavia, non poteva certo fargliela passare liscia, non dopo una tale sfacciata insinuazione. 
Dopo una breve pausa passata a guardarla con uno sguardo imperscrutabilmente austero, sotto gli occhi basiti dei presenti ancora coscienti, raccolse il guanto di sfida. 
“E va bene” disse, in un tono grave dal quale traspariva tutta la sua contrarietà. La ragazza batté piano le mani vittoriosa, rivolgendosi agli altri. 
“Tutto risolto allora!” 
“Aspetta un momento” obiettò Christian, alquanto indignato e — per quanto volesse nasconderlo — stomacato all’idea che Rory dormisse al fianco di Shadow, “potresti stare con me!”
La mora gli rivolse un’occhiata e assunse un atteggiamento che il riccio ebano poté giurare di non averla mai visto assumere: era torva e cupa, quasi come se fosse stata offesa. 
Jessica storse la bocca e alzò gli occhi al cielo, reprimendo il desiderio di premersi una mano sulla fronte per la situazione imbarazzante. Persino Amy, completamente estranea alla faccenda, avvertì nell’aria tutta la tensione creatasi in un baleno. 
“Per favore, Christian” sbottò Rory, cercando di tenere il tono di voce basso, sebbene le sue intenzioni denotavano l’intenso desiderio di rifilargli un calcio “ora non è il caso, non credi? Sei proprio fuori luogo!” 
Il ragazzo rimase interdetto e non obiettò, non riuscendo a trovare una motivazione per cui la ragazza potesse decidere di cambiare idea. Dei tre non era certo lui ad avere la capacità di portarsi tutto a proprio favore, ma mai come allora desiderò esserlo. 
“Se non è un problema, puoi dormire al mio posto questa notte”, si intromise la riccia. Il suo sesto senso le suggeriva che fosse giusto così, data l’atmosfera accaldata. “Il divano è abbastanza grande per me, Cream e Cheese”. 
“Sicura? Non vorrei disturbare” rispose lei, questa volta più gentile. 
Amy scosse il capo, affermando: “Nessun fastidio, anzi!” 
La giovane e il riccio nero si guardarono entrambi all’unisono. Quest’ultimo in particolare, Rory poté cogliere dalle pieghe del suo volto, fu abbastanza soddisfatto di questa soluzione. La giovane fece spallucce e, trattenendo uno sbadiglio, confermò: “Okay, allora se non ti dispiace ne approfitto più che volentieri, perché sono a pezzi”. 
Christian sospirò tedio, dopo che Rory si fece dire dove avrebbe trovato la stanza e si congedò da tutti i presenti con un secco “buonanotte”, seguita da uno Shadow incurante.
Anche Jessica andò a coricarsi, ma non dopo aver lanciato al ragazzo uno sguardo indignato, rifilandogli un asciutto: “Sei un idiota”. 

 

***

 

La camera di Amy era un conglomerato di tonalità pastello sgargianti, arredata con un piccolo armadietto di legno compensato chiaro e lucido, un piccolo tavolino quadrato dal ripiano laccato di giallino ed un paio di seggiole ad esso abbinate. Il pavimento e le mura erano gli stessi del corridoio e del soggiorno; sulle pareti erano affisse delle mensole, sulle quali erano riposti qualche quadretto e degli angioletti di ceramica come soprammobili ornamentali. Questi ultimi Rory era sicura di averli già visti da qualche parte, ma in quel momento non aveva voglia di pensare. Era ancora troppo scombussolata dall'inspiegabile piega che la sua vita aveva preso.
Una volta posati gli zaini a bordo letto e, dopo essersi spogliata e aver indossato un pigiama leggero, si gettò a capofitto sul materasso ad una piazza, spense le luci e mai come allora si abbandonò al dolce richiamo delle lenzuola.
Il giorno seguente si svegliò di soprassalto a causa di incessanti e molesti rumori che provenivano dall'esterno e che facevano tremare tutta l'abitazione. Alzò il busto e accese la luce, guardandosi intorno. Forti percosse rimbombavano lungo le mura e la ragazza temette che fosse uno degli attacchi dello scienziato pazzo, il quale, grazie a chissà quale colpo di fortuna, sarebbe riuscito a scovare il loro nascondiglio.
Si alzò in tutta fretta, correndo per il corridoio, entrando con irruenza nel salottino e trovandovi Tails che, seduto sul divano, teneva un computer portatile sulle gambe e stava scrollando la pagina di un notiziario web. La piccola volpe beveva latte tiepido da una tazza di porcellana in compagnia di Christian, che leggeva l’articolo con un’espressione alienata. Il giovane inventore trasalì alla vista dell’umana. Infatti, Rory non aveva fatto caso che il suo aspetto fosse alquanto spaventoso, considerate le occhiaie che risaltavano il pallore del suo incarnato, i capelli talmente spettinati da sembrare che avesse passato una notte di fuoco e l’aria da spaventapasseri. Poco dopo i tre vennero raggiunti da una Jessica stralunata e barcollante.

La mora si guardò attorno, piuttosto basita dal fatto che in giro non vi fosse nessuno, a parte loro. 
“Che diavolo sta succedendo?!” urlò quasi verso Tails, l’unico in quel momento che pareva avesse il cervello connesso e operativo. 
“Oh, beh, è... Shadow” spiegò lui, genuinamente — benché indugiò qualche secondo prima di pronunciare il suo nome — come se fosse la cosa più ovvia al mondo, “si sta allenando”. 
Rory era sconvolta. Possibile che quel baccano era causato da Shadow semplicemente perché voleva allenarsi? Comunque, trascorso qualche istante intontita, alzò gli occhi al cielo e sospirò rumorosamente per sfogare lo stress e l’ansia accumulati. Quanto poteva sembrare stupida agli occhi di chi quelle avventure le viveva ogni giorno? Ma d’altronde non poteva neanche biasimarsi: prima d’allora non era mai stata presa di mira da una persona come Robotnik, che di raccomandabile aveva ben poco. Le rivelazioni fatte dal riccio, la notte precedente, erano a dir poco scioccanti e non smettevano di vagare nella sua testa, impedendole di pensare ad altro, scoprendosi preda di sentimenti contrastanti. Da una parte, era elettrizzata all’idea di vivere insieme a delle creature così diverse da lei, fantasticando su quante cose avrebbe potuto apprendere. Dall’altra parte, però, vi era Eggman che seminava orrore e distruzione ovunque posasse il suo ovale deretano. 
“Credevo che… io credevo...” balbettò la giovane, incapace di mettere insieme due parole che formassero una frase di senso compiuto, poi, quando ebbe tirato un lungo respiro, si coprì il viso con una mano e arrendendosi disse: “Niente, scusa Tails”. 
“Non preoccuparti” rispose il volpino, avendo compreso cosa avesse potuto scuotere l’animo della ragazza “nessuno a parte noi conosce la nostra posizione, puoi stare tranquilla!” 
Le guance di Rory si tinsero di un vago colorito roseo. Si sentì come non mai una babbea, dunque per sviare il discorso, chiese: “Che ore sono?”
“È giusto orario di pranzo e credo che Amy e Cream siano in cucina a prepararci… qualcosa”. 
“E spero che sia qualcosa di commestibile, questa volta” aggiunse Christian, il quale, nonostante la sua fosse una semplice constatazione senza ironia, dal momento che era completamente concentrato a leggere un articolo, riuscì a strappare qualche incerto sorriso. 
“Posso dare una mano, se volete” propose la giovane, nel tentativo di risultare utile. Il volto del ragazzo si illuminò in un batter d’occhio.
“Che donna!” esclamò lui, teatralmente e con un luccichio di estrema gratitudine negli occhi, “ti prego, fallo, salvaci tu dalle pene di Lucifero”. 
Rory alzò gli occhi al cielo e scosse il capo, benché sul suo viso aleggiasse un sorriso divertito, invitando Jessica che se ne stava in piedi ancora in fase di trance mattutina a seguirla. 
“Ah, senti, Ro…” la richiamò il ragazzo, prima che avesse oltrepassato la porta. La giovane, notando l’insolita serietà nella voce dell’amico, si voltò con espressione interrogativa in volto. “Mi dispiace per ieri sera, sono stato inopportuno”.
“Non preoccuparti” disse lei con un leggero sorriso, mentre si rivolgevano con eloquenza uno sguardo dal significato impercettibile agli altri. 

 

***

 

La cucina di quel rifugio era un sogno per le casalinghe solo a vederla. Con un’isola al centro dello spazio, alla cui sommità era posto un punto cottura con cinque fornelli e una grossa cappa di acciaio pulita e brillante. Sembrava di essere in una cucina professionale, se non fosse stato per i pensili in legno compensato bianco, lunghi fino al soffitto, alcuni dei quali con la portiera in vetro che lasciava intravedere tazze, bicchieri e quant'altro. I piani del lavello a due vasche erano di quarzo scuro con venature che andavano su diverse tonalità di grigio, materiale non costoso come il marmo ma di buon gusto. Rory si era data un gran bel da fare, cucinando i migliori manicaretti data la quantità abbondante di dispensa a sua disposizione. Amy e Cream rimasero stupite dall’abilità che aveva mostrato nell’incidere delle fette di controfiletto, dopodiché le lasciò riposare nella cipolla tritata finemente per mezz’ora circa, la quale conferì alla carne una buona morbidezza. Nel frattempo che questa marinava, Jessica preparava la pasta all’ortolana con peperoni e melanzane e, nel mentre che cuoceva nell’acqua bollente, sorseggiava una tazza di tè preparata dalla riccia rosa. Rory prese una padella e dopo aver fatto sciogliere del burro, aggiunse una spruzzata di vino rosso che fece poi ritirare. Aggiunse il controfiletto, cuocendolo versandoci con un cucchiaio il liquido di cottura, conferendogli croccantezza all’esterno e tenerezza all’interno, dopodiché fece soffriggere la cipolla tritata nel liquido di cottura. Infine profumò con un pizzico di peperoncino, perché Amy dichiarò che a Sonic piaceva il piccante.
Le due mobiane, soprattutto quella più adulta delle due dopo aver assaggiato le pietanze per testarne la sapidità, chiesero come fossero riuscite a creare dei piatti del genere con così poco preavviso.
Fu Jessica a rispondere: “Beh, Rory vive da sola con suo padre, per cui deve cucinare tutti i giorni”.
Rory nel frattempo che le altre fette di carne cuocevano, si asciugò le mani e rispose con un sorrisetto complice: "Neanche tu scherzi, però!"
"Ho solo avuto una buona insegnante!" insisté la bionda mentre si sistemava i polsini color carne che di solito metteva al mattino o al lavoro, quando non poteva indossare bracciali. 

“Voglio imparare le vostre ricette!” esclamò la piccola Cream, con un sorriso allettato e gioioso, “così le faccio provare alla mia mamma!”
Rory annuì verso la coniglietta: “Anzi, te ne insegnerò di ancora più buone!” 
"Dovete insegnare anche me!" disse Amy, risoluta, per poi aggiungere: "altrimenti come faccio a sposare Sonic se non so cucinare neanche un uovo strapazzato!"
Ma si pentì subito di aver detto una cosa del genere, troppo imbarazzata dagli sguardi di interesse che le due ragazze le stavano rivolgendo. 
"Ah, quindi tu e Sonic siete fidanzati?" chiese Jessica, ormai troppo curiosa per tirarsi indietro. Quando si trattava di faccende sentimentali nessuno poteva fermarla dal saperne tutti i dettagli! 
Rory d'altro canto non poteva dire di non essere a sua volta interessata dalla scottante svolta che aveva preso la questione. Amy abbassò lo sguardo e piegò di lato la testa non sapendo cosa rispondere. Avrebbe voluto annuire, ma purtroppo non era in grado di mentire. 
"Sonic, come dice lui, è impegnato a salvare il mondo al momento..." sospirò lei, un po' mesta, dopodiché con fare combattivo e con gli occhi scintillanti di determinazione disse: "ma appena questa storia sarà finita, noi due ci metteremo insieme!"
Rory inarcò un sopracciglio e le rivolse un mezzo sorriso incerto, avendo da subito capito la triste situazione che vedeva il riccio rosa come protagonista: il suo era un amore a senso unico, non corrisposto. Ad ogni modo, chissà per quale motivo, aveva vagamente intuito che il blu non fosse chissà quale romanticone. Si azzardò a dire: “Beh, se Sonic non ti presta attenzione, potresti puntare la tua su qualcun’altro”. 
Amy la guardò meravigliata: mai aveva pensato di provare anche un vago sentimento amoroso per chiunque non fosse il riccio sonico, per cui ribatté: “Non potrei mai! Sonic è così eroico, così forte! Nessuno è come lui” poi rimase a riflettere un attimo, prima di aggiungere: “Tails è più piccolo di me, quindi è escluso a prescindere… Knuckles…? No, lui è troppo scorbutico e testardo e, poi…”
“Shadow?” chiese Rory, mentre girò in padella le ultime fette di carne restanti, prendendo di sorpresa i presenti. Amy in particolare era allibita.
“Assolutamente no! È troppo pieno di sé! E, poi, non posso affatto dimenticare quello che ci ha fatto quando era alleato di Eggman” sentenziò quest’ultima, lasciando le umane di stucco. Rory trasalì a quella rivelazione, ritenendola assurda, sebbene preferì non dare voce ai suoi pensieri. 
“Il signor Shadow aveva combattuto contro Amy e il signor Sonic, per la ricerca degli smeraldi del caos” mormorò la coniglietta, un po’ dispiaciuta nel dare tali notizie alla sua nuova amica.
“Ma com’è possibile?” chiese la mora, ancora scioccata, “è da quando lo conosco che cerca di combatterlo!” 
“Forse... perché sei stata tu la causa del suo cambiamento” mormorò Jessica, sovrappensiero, aumentando la perplessità dei presenti. Rory scosse il capo.
“No, non credo” rispose, per poi prendere una breve pausa, mettendosi a braccia conserte e portandosi una mano al mento ragionando profondamente, dopodiché disse: “dev’essere successo qualcosa che lo ha portato a ribellarsi, perché io lo recuperai appena poco prima che affogasse in mare. Stava fuggendo”. 
Shadow, rifletté lei, non era un tipo in grado di voltare le spalle a qualcuno, benché si trattasse di un essere malvagio e ripugnante come Eggman, e se lo aveva fatto doveva essere accaduto qualcosa di veramente grave. Cosa poteva essere mai capitato di così sconvolgente alla creatura più impassibilmente ferma e indomita che lei avesse mai conosciuto? 
Rory scosse il capo per allontanare quei pensieri sgradevoli per qualche attimo, ancora incapace di credere che colui che considerava come uno dei suoi più cari amici fosse stato alleato di una persona tanto rivoltante. Spense il fuoco, poi ripose le fette di carne su un grosso piatto piano, infine fece scorrere su di essi tutto il liquido di cottura, bagnandole per bene. 
“Lasciando perdere un attimo il discorso Shadow”, affermò la mora, “direi che sia ora di mangiare”.
“Vai a chiamarlo tu?” le consigliò Amy, “sicuramente saprai convincerlo ad abbandonare per almeno dieci minuti i suoi allenamenti”.
La giovane sorridendo rispose, facendo esplodere tutte in una fragorosa risata: “Deduco che abbiano rotto giusto un tantino le scatole!” 

 

***
 

Era un primo pomeriggio radioso e il sole, ormai da tempo alto in cielo, riempiva con i suoi raggi tutti i dintorni dello spiazzo che circondava la logora casetta che costituiva l’attuale rifugio del suo sosia blu. Rispetto a qualche giorno prima, dove l’afa e l’umidità non lasciavano respirare neanche l’essere perfetto, in quel momento vi era una brezza leggera e piacevole che muoveva debolmente i suoi aculei. 
Shadow finì per posizionare sul suolo un grosso tronco ad un centinaio di metri di distanza dall’abitazione, non preoccupandosi del fracasso che stava facendo nello spostare massi di qua e di là e nel colpire bersagli con le sue lance energetiche, e lo sistemò affinché non rotolasse.
Ripose sul legno disteso delle pietre in fila di diversa grandezza, mettendo a dura prova la sua vista a lunga distanza e la sua concentrazione con lievi scariche elettriche mirate, che colpivano dal più grande al più piccolo dei sassi. Quando era attento a ciò che faceva sapeva modulare bene il potere del caos che gli scorreva nelle vene e per uno come lui era una bazzecola rimanere perennemente con i riflessi all’erta.
Quando si stufò di quel giochetto, cominciò a colpire con una serie di calci e pugni un altro tronco a colpi di arti marziali, stando attento a non usare troppa forza, per evitare che si spezzasse. 
“Se fletti leggermente di più la gamba posteriore, ne guadagni in elasticità”, consigliò con una nota di dolcezza una voce femminile alle sue spalle. Shadow si voltò, vedendo arrivare Rory che gli si avvicinava con andatura apparentemente noncurante, sebbene in cuor suo era curiosa di seguire i movimenti che faceva il riccio nero. Quando uscì dall’edificio, l’intento della ragazza era quello di chiedergli spiegazioni riguardo alla sua precedente alleanza con Robotnik. Ma appena lo vide impegnarsi tanto, concentrato com’era suo solito, decise che non era giusto infastidirlo con domande inopportune. In fondo non le importava più di tanto ciò che era stato in passato: le aveva salvato la vita troppe volte per anche solo pensare che fosse malvagio. 
“Beh, almeno dal punto di vista umano è così…” aggiunse poco dopo. Shadow sbuffò sonoramente. 
“La bella addormentata si è svegliata in vena di consigli oggi?” la rimbeccò, non evitando di risultare sprezzante. Evidentemente non gli piaceva riceverne, suppose la giovane aggrottando le sopracciglia. Tuttavia, con stupore, vide il compagno provare a seguire il suo suggerimento. Decise di cambiare tattica, portando le mani dietro la schiena con aria innocente. 
“Oh, che gentile” esclamò Rory, noncurante ma con un tocco di ironia pungente, “bella, hai detto? Guarda che potrei arrossire!”
Maledetta lingua biforcuta!
Con un ulteriore calcio, Shadow piegò leggermente la forma dell’albero, creando un profondo solco sulla corteccia. Il riccio striato si arrestò per un momento e per quanto detestasse ammetterlo, il suo consiglio aveva dato i suoi frutti. Invero, aveva utilizzato quasi la stessa potenza degli attacchi precedenti. Non temette di impressionare la compagna, infatti, quando si voltò verso di lei, vide che lo osservava affascinata. Con quella donna non funzionavano più neppure le minacce, ormai.
“Che sei venuta a fare?” sbottò lui, burbero. Sul volto di Rory si formò un sorriso condiscendente. 
“Volevo stare un po’ in tua compagnia!” esclamò lei, come fosse un’ovvietà rimanere al fianco di una creatura tanto scorbutica e cupa. Shadow inarcò un sopracciglio, ma non rispose. 
“La verità è che è pronto a tavola e volevo avere la tua opinione sul piatto che ho preparato”, ammise. 
La forma di vita definitiva piegò leggermente la testa, lanciandole un’occhiata stranita. Perché quella ragazza tenesse così in alta considerazione la sua approvazione non lo avrebbe mai capito, ma al momento non gli interessava più di tanto. Per lui qualsiasi piatto, purché commestibile, era cibo, punto e basta. Si sarebbe accontentato di pane e acqua, non aveva bisogno di un banchetto reale per sfamarsi. 
Vide formarsi sul viso di Rory uno stupido sorrisetto implorante, di quelli che — Shadow aveva imparato — usava per raggiungere i suoi scopi e non per chiedere davvero favori. Comunque sia accontentarla non gli costava nulla, visto che i suoi suddetti scopi, nei suoi confronti, si limitavano a rifilargli un piatto di pasta o a stargli vicino. 
La forma di vita perfetta si allontanò da lei, per imboccare la via del rifugio a grandi falcate, seguito a ruota dalla ragazza. Rory camminava piano, ma prima di rientrare si fermò sulla soglia di casa e rimirò lo sconquasso causato da Shadow, mentre il suo viso si rabbuiava lievemente. Dacché lo aveva conosciuto, non poteva negare che aveva notato quasi fin da subito qualcosa di oscuro, celato nel suo animo. E, man mano che le loro conversazioni diventavano più prolisse, aveva intuito che il suo carattere fosse stato plasmato da eventi che andavano ben oltre la morte, benché tragica, di una cara amica. Rory sapeva, perché lo aveva vissuto a pelle, che una persona poteva nascere riservata e introversa, ma solo col tempo poteva diventare schiva e diffidente nei confronti altrui. 
Che tutto ciò c’entrasse con il dottore? L’idea che Shadow avesse avuto una chissà quale relazione con quell’uomo era abominevole e per un attimo si chiese se e quanto ancora provasse rancore verso gli esseri umani. Tuttavia, assieme a questi pensieri, si aggiungevano quelli che riempivano la loro amicizia, le avventure che per sua fortuna e — perché no? — sfortuna aveva vissuto con lui e che ancora doveva vivere insieme a tutti gli altri.  
E comprese che niente avrebbe potuto farle cambiare idea sull’opinione che si era fatta sul suo nuovo amico.












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Angolo della pazzautrice: YEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE CE L'HO FATTA, FINALMENTE. Dopo quasi un anno, dico, quasi un anno, sono riuscita a scrivere qualcosa di sensato! Oddio, mi chiedo chi ancora perderà tempo a leggere questa fic, dopo tutti questi mesi di assenza, ma pazienza. Non demordo e vado avanti. Ad ogni modo non posso far altri che ringraziarvi tutti, dal primo all'ultimo, anche a chi spende del tempo solo a leggere la storia. Per me siete tutti preziosi ed è essenzialmente per voi (oltre che per me, ovvio) se io continuo a scrivere!

Cooomunque, se avete qualcosa da segnalarmi, qualche errore, qualche critica da muovere, sono sempre a vostra completa disposizione. Fatemi sapere che ne pensate :3


Per quanto riguarda la ricetta cucinata da Rory devo dare i crediti all'anime Food Wars (Shokugeki no Souma).

Un bacio,
Ro

 

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Capitolo 25
*** Stranezze - parte 2 ***


Quando Rory e Shadow tornarono in sala da pranzo, trovarono la tavola tutta imbandita, con gli altri che aspettavano seduti che i due arrivassero per cominciare a mangiare. La pasta era stata posta in una pirofila in ceramica dallo stile classico, bianco e senza decorazioni, mentre la carne era stata poggiata in un vassoio con tanto di cloche per mantenerla umida e calda.  

La ragazza si scusò per il ritardo, dopodiché prese posto al penultimo posto in fondo alla tavola, con il riccio che si accomodò alla sua sinistra — in quanto era l’unico posto disponibile. 

A questo punto, Jessica cominciò a fare le porzioni di pasta per tutti e quando Rory si ritrovò il piatto davanti, un dilemma che già la sera precedente si era insinuato nella sua mente ritornò a galla. 

“Christian, adesso è arrivato il momento di dirmi come hai conosciuto tutti loro”, evitò di rigirare il coltello nella piaga, per questo non sottolineò che era ancora contrariata per il fatto che non gliel’avesse detto prima. 

Il ragazzo annuì: “È giusto, hai ragione”, disse, mentre prese una forchettata di pasta. “È successo quasi tre mesi fa, a inizio febbraio stavo uscendo di casa perché dovevo discutere della tesi con il mio relatore, quando mi sono imbattuto in Tails. Anzi, per la verità me lo sono ritrovato addosso”. 

A quella affermazione, Rory era tutta orecchi, incuriosita più che mai. Fu la volpe, essendo stato chiamato in causa, a prendere la parola. 

“Sì, beh, noi proveniamo da un pianeta che si chiama Mobius, che si trova probabilmente in una dimensione dell’universo alternativa alla vostra. Ci siamo ritrovati in questo mondo dopo un Chaos Control. Gli smeraldi del caos hanno un grande potere, soprattutto quando sono riuniti tutti e set-” non ebbe modo di finire di parlare che Knuckles gli diede una leggera gomitata al fianco. “In parole povere”, si corresse Tails, “questo evento ha fatto sì che ci ritrovassimo tutti sparpagliati su questo pianeta. Abbiamo faticato un po’ per ritrovarci. Comunque sia, io sono apparso proprio sopra Christian: lo scontro è stato inevitabile”. 

“Diciamo che dopo un primo momento di smarrimento”, riprese Christian, “abbiamo iniziato la ricerca dei mobiani sulla terra, partendo proprio dagli amici di Tails. Noi crediamo che ce ne siano altri in giro, anche se non sappiamo dove: forse si nascondono per timore, o nella peggiore delle ipotesi…” 

“Dici che potrebbero essere rinchiusi da qualche parte?” chiese Rory, capendo al volo la situazione. In effetti, se le cose stavano come avevano detto, non si poteva di certo escludere quell’eventualità, anche se sperava davvero non fosse così. 

L’affermazione prese alla sprovvista i presenti. Il volpino e gli altri si guardarono all’unisono, incerti su cosa pensare, ma sicuri su cosa desiderare. Fu Sonic a prendere parola.

“Beh, potrebbe essere. Ed è quello che vogliamo scoprire!”

“Vero,” annuì l’inventore, “in fondo non sappiamo neanche quanto si fosse espanso e quanti di noi siano stati coinvolti”. 

Le ragazze ascoltavano tutto con grande interesse, essendo le uniche davvero all’oscuro di tutto. Rory doveva ammettere che nel sentir parlare di mondi paralleli e viaggi dimensionali trovava un che di assurdo. Anche se, considerati gli eventi delle ultime settimane, non c’era da meravigliarsi troppo. Creature dalla forza sovrumana, uno scienziato megalomane pronto alla distruzione, gemme che conferivano poteri inimmaginabili… Tutto ciò sembrava uscito da un film fantasy in piena regola. Ad ogni modo c’era un’altra questione che la premeva maggiormente. 

“E tu per tutto questo tempo me l’hai tenuto nascosto?” disse, più stupita che risentita, anche se non poteva evitare di sentirsi alquanto offesa. 

“Ro, ti chiedo scusa, ma avevo giurato di mantenere il segreto”, cercò di scagionarsi. “E comunque possiamo dirgli che gli smeraldi sono sette. Tanto prima o poi lo avrebbero scoperto” disse il ragazzo verso Knuckles, che non s’era lasciato sfuggire il gesto volto a silenziare la volpe. “Possiamo fidarci di loro”. 

“Sarà perché le conosci tu, ma noi no”. 

“Andiamo, Knuckles. Sono amiche di Chris, non vedo quale sia il problema!” 

“Per te mai niente è un problema, Sonic”.  

“Ah, tutto questo parlare mi ha messo un grande appetito. C’è altra carne da mangiare? Sto morendo di fame!” continuò il riccio blu, ignorando la stoccata dell’echidna. 

Rory emise un leggero risolino. Ovviamente non era per niente urtata, anzi comprendeva appieno la diffidenza del mobiano. Decise però di non rispondere alle sue insinuazioni: sarebbero state le sue azioni a parlare. 

“Puoi mangiare la mia parte”, intervenne Jessica, mentre prendeva il piatto del riccio blu per riporre sopra il controfiletto. 

“Ma come, non la mangi tu?” chiese Amy, preoccupata verso la ragazza. 

“Dai, ha detto che non la vuole!” protestò il blu.

“Sonic, non dovresti essere così ostinato!” lo rimproverò Tails, sebbene i richiami di colui che poteva essere considerato un fratellino minore non potevano sortire effetto sul maggiore, “Rory e Jess ne hanno cucinato una per tutti, non essere egoista!”

“Non preoccupatevi, non ho tutto questo appetito”, li rassicurò la ragazza sorridendo alquanto imbarazzata. 

Il riccio la ringraziò, dopodiché si rivolse all’inventore: “E poi, Tails, non vorrei fartelo notare, ma è tutta la mattinata che sono stato alla ricerca degli smeraldi del caos, proprio nella zona che mi hai indicato. Ho girato in lungo e in largo senza trovare nulla e ora ho una fame da lupi!” esclamò il blu, quasi indignato. “E poi il gusto è troppo simile a quello dei chili dogs!” 

“Mi fa piacere che tu abbia apprezzato” disse Rory, compiaciuta, “vorrà dire che mi farò aiutare di nuovo da Amy quando dovrò preparare dei chili dogs. I suoi consigli sono stati inestimabili alla riuscita di questo piatto!” 

La mobiana, appena udì il suo nome, sussultò e gettò uno sguardo sulla ragazza, arrossendo. Non avrebbe mai creduto che Rory avesse potuto metterla in luce così, soprattutto perché lei non aveva fatto niente di speciale se non suggerirle di aggiungere un pizzico di forte e assaggiare il manicaretto.

“Questo sì che è parlare!” esclamò lui, pressoché entusiasta, ignorando completamente l’affermazione che la ragazza aveva fatto sulla riccia rosa. No, decisamente non era un tipo romantico...

Primo e secondo vennero a dir poco divorati dalla compagnia al completo. Knuckles, che di solito era scontroso e scostante, in quel momento teneva piegate le labbra all’insù, in un mezzo sorriso di soddisfazione. Christian quasi era commosso nell’aver finalmente ingerito qualcosa che avesse un sapore decente mentre Tails, Amy, Cream e Cheese erano gli unici ad aver gradito in un modo che si poteva definire normale

Shadow non proferì nulla. Se ne stava zitto, ad un angolo della tavola, a mangiare in silenzio senza lasciar trasparire emozione alcuna. 

“Ehi, volpe” esordì quest’ultimo, appena ebbe finito. Il piccolo inventore trasalì non appena venne chiamato in causa dal riccio nero. “Come fai a sapere dove si trovano precisamente?”

Ancora non era riuscito a superare il trauma della notte precedente, tanto che ancora sentiva su di sé quella tremenda stretta attorno al collo, come una tenaglia. Non a caso, vicino alla forma di vita perfetta nessuno vi era seduto, se non Rory alla sua sinistra. 

“Io... ho inventato un radar cerca smeraldi”, balbettò, suscitando meraviglia da parte delle due ragazze, le quali esultarono complimenti ed espressioni di consenso nei confronti del volpino.

“La loro tecnologia è ben più progredita, rispetto alla nostra” spiegò Christian verso le due, ancora senza parole. 

“Beh, per la verità è in fase di sperimentazione...” disse lui, al culmine dell’imbarazzo. 

“Quindi tu e l’impostore avete fatto un buco nell’acqua” sentenziò il riccio striato, con beffarda arroganza. 

“Shadow, non essere cattivo!” lo redarguì Rory, stringendosi nelle spalle con diplomazia, per poi allungare la mano, prendere la brocca d’acqua e versarne un po’ nel proprio bicchiere, “in fondo è normale che un’invenzione necessiti di essere testata per capire se ci sono difetti, no?” 

Quest’ultimo sbuffò scontroso come al solito, ma non trovando nulla da obiettare rimase zitto. Nel frattempo Jessica si alzò di tavola per prendere tutti i piatti sporchi e portarli nel lavello per lavarli e ad aiutarla si proposero le due mobiane. Amy e Cream dovettero utilizzare delle sedie per poter essere all’altezza giusta, la prima a sciacquare e la seconda ad asciugare.

Quando Jessica si alzò leggermente i polsini, mostrando le profonde cicatrici sottostanti, la più piccola delle due notò quel particolare che prima non poté cogliere e per ingenuità chiese: “Jessica, ti sei fatta male?” 

La bionda sussultò — ed anche l’amica che riuscì a sentire nitidamente il quesito — mentre girava i polsi per nascondere quelle ferite del passato e fece un mezzo sorriso tirato, mormorando: “Un incidente, nulla di importante”. 

Rory si alzò dal tavolo in men che non si dica, avvicinandosi alle tre e proponendosi di dare il cambio a Jessica. Shadow assottigliò gli occhi impercettibilmente, notando chiaramente il modo in cui la ragazza nascondeva con un sorriso il velo di preoccupazione che le copriva il viso e il tremolio delle mani della compagna mentre si sistemava i polsini e si asciugava le mani. 

“Tranquilla, ci penso io qui”, le disse, rassicurante, dandole una pacca gentile dietro la schiena. Infine Jessica si congedò da tutti con un veloce e impacciato “Scusatemi”. 

Dopo qualche minuto passato a osservare ammutoliti e straniti quella scena, Cream chiese a Rory con aria dispiaciuta: “Ho detto qualcosa di sbagliato?” 

La giovane scosse il capo, asserendo: “No, piccola, va tutto bene. Non è colpa tua”. 

Si vedeva lontano un miglio che mentiva, osservò il riccio nero. 

Amy, benché leggermente indispettita, non poté non ammettere di essere curiosa di sapere cosa le fosse successo, ma supponendo che fosse qualcosa di serio — data l’eccessiva reazione — e per rispetto nei suoi confronti non disse nulla. 

“E di chi è?” chiese una voce bruscamente. Era Knuckles, che prese parola per tutti coloro che non avevano avuto il coraggio di porle la domanda. La ragazza si voltò verso di lui, sorpresa: non si aspettava una tale reazione da parte dell’echidna, ma non seppe come rispondere.

Lei e Christian la verità la conoscevano bene. Sapevano cosa subì Jessica qualche anno prima e a causa del quale trascorse qualche tempo in cura.

“Le sono successe varie cose, tempo fa”, sospirò Rory e con una meccanica incuranza continuò: “insomma, non c’entrate voi”.

“Poco fa ho letto una notizia al computer, nella quale eri presente anche tu, Ro” esclamò Christian, per cercare di cambiare argomento e di sciogliere il ghiaccio creatosi. La ragazza, dopo aver finito di strofinare con la spugna l’ultimo piatto e dopo averlo passato ad Amy, rispose sconcertata: “Che cosa stai dicendo?” 

Il biondo annuì, mentre andò a recuperare il computer lasciato nel salotto.

“Sì, qualcuno ti ha immortalato proprio mentre Shadow... ti teneva in braccio” affermò, cercando di essere indifferente — non volendo far intuire i suoi sentimenti ogni qualvolta li vedeva insieme — e, mentre lo accese, continuò: “tranquilla, fortunatamente non si vede il tuo viso”.

“Non mi interessa che si veda o non si veda il mio viso, Chris. Non dirmi che mi hanno ripreso mentre sono entrata nel dirigibile di Robotnik, perché mio padre non sa nulla!” ribatté Rory, con voce alterata: “e se lo venisse a sapere, avrò smesso di vivere. Tu lo sai, vero?” 

A Christian quasi non scappò una risata, ma si trattenne. Rory era praticamente incapace di tirarsi indietro in ogni occasione, sfidando la più terribile sorte che potesse mai accedere ad un essere umano, ma quando si trattava di suo padre tutta la sua fierezza crollava in un’istante.

“Tranquilla, te l’avrei detto subito… chissà se ne parleranno al notiziario delle tre, che tra l’altro inizia tra pochissimo!” esclamò, guardando l’orario dal dispositivo.

La giovane, senza neanche aspettare di ricevere il permesso, colse l’attimo e si precipitò nel salotto per accendere la tv posta su un mobiletto in legno e si sedette a terra poco distante, perché il divano per lei risultava troppo lontano nello stato psicologico in cui era. Poco dopo venne seguita a ruota dagli altri.

Infatti, come aveva dichiarato l’amico, era appena iniziato il telegiornale nazionale che stava presentando una serie di notizie, una tra le quali proprio quella riguardante l’attentato del giorno prima a Napoli, da parte del dottore. 

“Sono passate, ormai, alcune settimane dall’inizio degli attacchi di questo nuovo inarrestabile scienziato terrorista. Per quanto la controffensiva da parte del riccio blu e dei suoi compagni possa aiutare, il numero delle vittime non cessa. Cinque sono le persone, purtroppo, morte durante l’attacco e diciannove sono i feriti, di cui sei in gravi condizioni”, la giornalista spiegava con aria grave, per quanto durante le dirette bisognasse tenere un comportamento inflessibile e distaccato, dopodiché continuò: “Questa sera, il riccio nero ha salvato una ragazza che stava per essere uccisa da un laser appositamente lanciato da Ivo Robotnik”. Nel vedere quelle poche immagini che ritraevano lei e Shadow in lontananza, il quale, con una manovra scattante la issò e balzò via. Rory ringraziò il cielo, dacché i suoi capelli andarono a coprirle il viso, rendendolo irriconoscibile. Anche se, ripensando a tutta quell’assurda situazione, alle parole che aveva proferito in quel momento e alle persone — compresi Sonic e compagnia — che li stavano osservando interessati, non poté non provare un che di vergogna. Ad un tratto il volto della conduttrice si fece incerto e, sebbene provasse con tutta se stessa di darsi un tono pacato, un tremolio nella sua voce la tradì, mentre affermava: “Proprio quando a Napoli accadeva questo, un altro attentato ha sconquassato Manhattan. Questa volta è stato causato da un riccio nero, molto simile a colui che questa notte ha salvato la vita della ragazza durante l’assalto avvenuto nel napoletano, e sta continuando a causare vittime all’interno della città, tra soldati che cercano di fermarlo e civili che fuggono disperati. Guardiamo alcune immagini riprese”. Si fermò un secondo per riprendere fiato, quando sullo schermo apparve uno scenario a dir poco agghiacciante e lasciò sgomenti tutti i presenti. Sullo schermo vi era figurato una creatura così simile a Shadow, che Sonic, Tails e gli altri non poterono fare a meno di spostare la propria attenzione dalla televisione al riccio nero — che se ne stava acquattato ad un angolo del salotto, poggiato di spalle al muro a braccia conserte — e da quest’ultimo verso la televisione, per confutare la veridicità di quello che stavano vedendo. Mentre si avvicinava alla tv, i pugni della forma di vita perfetta vibrarono per la rabbia. La sua espressione passò da turbata a indurita, poi divenne tetra e infine indecifrabile.

Rory non aveva il coraggio di aprire bocca, nel constatare come il compagno stesse vivendo la cosa. Pur tuttavia, si costrinse a farlo. Deglutì a vuoto e si prese qualche secondo prima di chiedere con voce lieve: “Cosa sta succedendo?”

Shadow spostò il suo sguardo all’istante su di lei e notò che sul viso della compagna aleggiava una smorfia pressappoco atterrita e preoccupata. E si rese conto, persino quella volta, che la sua afflizione era rivolta a lui piuttosto che alla situazione di per sé ambigua. Nonostante il risentimento nei riguardi di Eggman non lo avesse abbandonato, trascinando il suo animo in una lugubre imperturbabilità, non poté non rabbonirsi almeno un po’. Quando Shadow stava per risponderle, la televisione richiamò la sua attenzione. La conduttrice con un flebile sorriso presentò: “Abbiamo qui come ospite il signor Abraham Tower, generale nonché comandante della forza militare Guardian Units of the Nations che ci spiegherà alcune dinamiche riguardanti ciò che sta accadendo e le manovre che verranno prese nell’immediato futuro”. 

Il signore che venne mostrato nello studio era un uomo caucasico sulla sessantina, vestito con una divisa verde scura e con i capelli bianchi pettinati all’indietro. Era seduto composto su una poltrona di pelle scura, spalle larghe e rigide mentre sulle spalline e sul colletto della giacca aveva degli stemmi d’oro con sopra intarsiate diverse stelle, segno della sua posizione all’interno dell’organigramma della forza militare. Sul viso era stampata un’espressione austera: aveva le sopracciglia perennemente contratte, rendendola ancora più greve di quanto non fosse. Inoltre, un particolare che lo differenziava, era l’eterocromia: l’occhio sinistro di un verde acqua intenso, il destro castano nocciola.

A Rory sembrò essere un uomo severo ma affidabile. L’unico dilemma in quel preciso istante era l’improvvisa alienazione di Shadow, che sembrava essere stato investito, a causa di quell’uomo, da qualche ricordo. Quando poi le vennero in mente le parole da lui pronunciate. E non poté non provare per il riccio nero un’intensa pena. 

“Era stata uccisa da un soldato umano… solo perché volle proteggermi”.

Il comandante aveva seduto affianco a sé un uomo molto più giovane, su per giù sulla trentina, dai capelli rossi e gli occhi grigi. E sebbene diversa, anch’egli era in divisa. Casacca e pantaloni blu scuro, con un gilet imbottito grigio piombo, sulla cui parte frontale erano cucite diverse tasche. Guanti e scarpe di pelle nera. 

Abraham Tower incominciò a parlare con un forte accento americano, balbettando qualche parola in italiano. Probabilmente, per orgoglio non aveva voluto ricevere l’ausilio di un qualche interprete. 

“Buonasera a tutti. È tutto vero, purtroppo. Shadow the Hedgehog è una fortissima creatura e non sappiamo se costui è davvero dalla nostra parte” esordì il militare, con voce fredda e decisa. Rory si rimangiò tutto quello che pensava poco prima di lui. 

“Certo, siamo a conoscenza di cosa è successo a Napoli, ieri. Shadow ha salvato una ragazza” disse, prendendo un’apposita pausa, per poi continuare “e a causa di questo la situazione attuale fa pensare che Ivo Robotnik ha progettato diverse copie del riccio. E per l’umanità rappresentano tutti una minaccia”. 

La presentatrice, dopo un attimo di esitazione, annuì e chiese: “Quindi cosa si dovrebbe fare nel caso qualcuno li incontrasse?” 

“Contattare immediatamente le autorità competenti o la Guardian Units of the Nations, così da debellare il pericolo”, rispose lui prontamente, mettendo le dita intrecciate poggiate sulle cosce. 

La compagnia al completo, a parte Shadow che sul quale viso continuava a persistere un’espressione estraniata, sobbalzò a quella dichiarazione. Le parole dell’uomo erano chiare: chiunque avesse avvistato Shadow, anche se si trattasse del riccio che aveva salvato la vita di Rory e Jessica, doveva contattare le forze militari affinché lo uccidessero.

La mora non poteva credere alle proprie orecchie, mentre nella sua mente scorrevano circa una dozzina di norme che proibivano la prevaricazione da parte di pubblici ufficiali sulle persone. Com’era possibile che venisse accettata una cosa del genere?! 

Non poteva negare che le copie di Shadow rappresentassero una vera minaccia, ma non poteva andarci di mezzo un innocente. 

“Ma… non è giusto!” protestò Cream con voce squillante verso lo schermo. Il suo tono fu talmente alto da riuscire a richiamare addirittura l’attenzione del riccio ebano, il quale si voltò guardandola con aria interrogativa. 

“Non è il massimo della simpatia, ma perfino per uno come Shadow questo mi sembra un po’ troppo!” fece eco Sonic, incrociando le braccia. Il suo tono era piuttosto serio, pur tuttavia destò l’irritazione della forma di vita perfetta. Ad ogni modo, prima che quest’ultimo potesse ribattere rifilandogli un pugno, il blu si rivolse a Rory e a Christian, gli unici esseri umani presenti in quel momento, dicendo: “È così che vengono risolte le questioni qui, sul pianeta Terra?” 

I ragazzi si scambiarono un’occhiata titubante, tuttavia, mentre Rory stava per rispondere, fu Knuckles a prendere parola.

“Tutto ciò non è importante!” esclamò con risolutezza, lasciando per qualche attimo ammutoliti tutti i presenti, “quell’idiota sta sterminando gente innocente. Non possiamo starcene qui come se niente fosse!” 

“Hai ragione, ma dobbiamo capire l’origine di quest’essere!” convenne infervorata la ragazza, incrociando le gambe e portandosi una mano al mento. “Questo tizio della Guardian Units of the Nations non esclude la possibilità che ve ne siano altri in giro, ma… possibile che possano esistere altri cloni oltre a questo?” si chiese Rory ad alta voce. Per qualche attimo rimuginò su quanto forti potevano veramente essere i poteri del compagno dalla pelliccia nera, in quanto copia in tutto e per tutto dell’essere che stava scatenando quel caos in America. 

Senza neanche quasi volerlo il suo sguardo incontrò quello di colui che era ormai preso di mira dall’esercito. Shadow era impassibile, come era sovente essere. Tuttavia, la ragazza percepì, dietro quell’alone di astio e rabbia, uno scorcio di costernazione e vergogna che gli opprimeva l’animo. Le sue mani erano strette in pugno, mascella irrigidita, le spalle contratte. Dopodiché, decise di uscire da quella stanza e dal rifugio, sotto gli occhi sbigottiti dei presenti.

“E se ne va, in un momento del genere!” imprecò Knuckles, inarcando un sopracciglio. E, benché non fosse suo costume parlare alle spalle degli altri, dati i disastrosi eventi finì per esclamare: “Possibile che non gliene importa di niente e di nessuno?” 

 

***

 

L’intervista in diretta televisiva era finalmente finita. 

Dopo aver salutato la conduttrice con una stretta di mano vigorosa, il comandante Abraham Tower, accompagnato dall’agente Freez, si avviò all’uscita dell’edificio alquanto soddisfatto. Il giovane agente non era sicuro della funzionalità di quelle rivelazioni, da lui ritenute pressoché azzardate da fare in un contesto mediatico come quello. La diretta era nazionale, per cui quelle dichiarazioni sarebbero state presto finite in mondo visione. 

Pur tuttavia, riteneva anche che non avesse avuto torto nel dare prova, in modo crudo e nudo, della pericolosità di quella creatura. Sarà stato per pregiudizio o per timore, ma ancora non riusciva a capacitarsi di come quella ragazza potesse stargli vicino dopo quello che era accaduto quella notte, fuori quel balcone. Quella scia di luce, che con un fulmineo gesto il riccio nero aveva lanciato e che in niente aveva distrutto un quarto di montagna... come si può non avere paura di un simile essere? Non sapeva quali parole si fossero scambiati, ma lei rimase lì, senza smettere di fissarlo. E questo era quanto bastava per far tentennare tutte le sue sicurezze. La notizia che riportava l’attentato a Napoli, durante il quale quella giovane per poco non fu uccisa dallo scienziato e venne tratta in salvo proprio da Shadow, era il punto focale di tutte le sue perplessità. Secondo il suo occhio critico, era convinto che la creatura, nonostante tutto, si fosse affezionata a questa straordinaria ragazza, tanto da tenerla d’occhio costantemente e intervenire nel caso in cui non avesse potuto mettersi al sicuro da sola. 

Non potevano esserci altrimenti.  Ma com'era possibile che riuscisse a provare una simile simpatia, quando su di lui giacevano accuse tanto infamanti, riguardanti il disastro alla Colonia Spaziale di cinquant'anni prima? E, soprattutto, perché provarla quando — dal momento che, a suo avviso, solo di questo si poteva trattare — il suo evidente desiderio era quello di spaventarla a morte? Che quella ragazza fosse a conoscenza di cose di cui la G.U.N. non poteva neanche immaginare?

Intanto che rifletteva su questi avvenimenti, mettendo insieme i pochi tasselli di cui disponeva, erano arrivati vicino all’auto parcheggiata proprio di fronte gli studi televisivi della Rai a Roma, in attesa che i due militari salissero al suo interno. Una volta dentro, il giovane Freez posò l’attenzione su Tower, studiandone l’espressione soddisfatta.

In quel momento avevano solo un’altra tappa da raggiungere. 

 

*** 

 

“Ehi… tutto bene?” 

Domanda banale, ma non sapeva in che altro modo catturare la sua attenzione. Rory uscì dal fatiscente stabile poco dopo la fine del servizio, in cerca del riccio nero. Fortunatamente non fu difficile trovarlo, dato che se ne stava appoggiato con le spalle su un tronco d’albero poco lontano. 

Shadow volse lo sguardo su di lei, con un inconsueto fare indagatore, di quelli che solitamente usava per carpire le informazioni tacite che le persone mostrano attraverso la propria postura e atteggiamenti. Anche se non era necessario: Rory era un libro aperto. E palesava la sua innocente preoccupazione proprio come nessun’altro all’infuori di Maria, forse aveva fatto nei suoi confronti. Decise di non rispondere. Non perché la ragazza non meritasse una risposta, benché fosse una domanda abbastanza scontata e di circostanza, piuttosto non riusciva ad esternare i suoi sentimenti a parole. Specie quando doveva affermare che, no, non stava affatto bene. Ad ogni modo non ce n’era stato bisogno. Rory aveva già capito tutto da come aveva sospirato. 

La giovane si sedette alla sua sinistra sull’erba, a due passi da lui: ormai conosceva anche le distanze da prendere quando voleva entrare in contatto con il riccio nero.  

“Mi dispiace tanto…” 

“Ti dispiaci per troppe cose” fu la secca risposta. Quella frase fece sorridere la ragazza. Era sempre il solito burbero. Si voltò verso di lui per osservarlo bene. 

“E che c’entra?” chiese lei, con una noncuranza che non riusciva mascherare la sua costernazione, “io mi preoccupo per te”. 

Con il filo dell’occhio, Shadow riuscì a distinguere la compassione ed anche una certa nota di imbarazzo per ciò che stava accadendo tra la forma di vita perfetta e la popolazione umana. Scosse lievemente il capo e spostò il viso a destra. 

“Non devi” sbottò lui, mettendosi a braccia conserte, “so badare a me stesso”. 

Rory aggrottò la fronte. Non perché non si aspettasse una reazione del genere, quanto la durezza della sua espressione. Decise di cambiare posizione e sedersi in modo da avere il viso puntato completamente sulla figura del riccio nero. 

“Il fatto che non devo non implica che non voglia farlo” ribatté con una certa nota di stizza soffusa nella voce, dopodiché continuò con più dolcezza, “tu sei mio amico!” 

A quelle parole, Shadow puntò di scatto l’attenzione verso di lei, fissandola in un misto tra lo scetticismo e la meraviglia. Quello sguardo scarlatto, attento e scrutatore, le fece provare una confusione tale da paralizzarla. Si schiarì la gola mentre si sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 

“Sì, beh, voglio dire…” esordì lei, gesticolando in modo talmente impacciato che si sentì una cretina e, per questo, le gote si colorarono di una forte tonalità rosea, “non so se tu, insomma, mi consideri un’amica… ma io sì, ecco… quindi, mi piacerebbe se…” 

Rimasto immobile ad osservare, se fosse stato possibile, ancor più stupito e stranito di prima, Shadow dovette sbattere le palpebre più di una volta. Non poteva credere affatto allo spettacolo al quale stava assistendo. Tuttavia, dovette ammettere a se stesso di provare una certa sensazione di calore a quella richiesta. 

“Vuoi che ti consideri mia amica?” chiese, accigliato. 

Rory abbassò lo sguardo, messa a dir poco a disagio dall’espressione rivoltale dal riccio nero e, nascondendosi il viso con entrambe le mani, annuì col capo.

“Allora smettila di essere così formale” le intimò brusco, “non è da te. Non dopo avermi quasi mandato al diavolo”. 

Rory non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito mentre teneva ancora le mani pressate sul viso, dopodiché spostò l’indice dal medio creando uno spiraglio per l’occhio destro, affinché potesse vederlo. Shadow la guardava sottecchi. Era serio, ovviamente, ma rilassato e la giovane avrebbe potuto giurarlo con una sospetta lieve piega delle labbra rivolta verso l’alto. Decise di abbassare finalmente le mani, portandosene una dietro la nuca. 

“E dai! Ti ho chiesto scusa!” esclamò, con un sorriso incerto che lasciava trasparire tutta la sua contentezza, “è che... è strano! Insomma, non ho mai chiesto a nessuno di diventare mio amico”. 

“Non stento a crederlo” ribatté lui, a bassa voce, spostando nuovamente lo sguardo.
Quale idiota non vorrebbe esserlo?

“Che vuoi dire?” chiese lei, curiosa. Ma Shadow non rispose, troppo concentrato a guardare al cielo. Rory, dopo aver aspettato una risposta per qualche secondo, rivolse la sua attenzione presso il punto nel quale il riccio aveva posto la sua e comprese il perché del suo silenzio: in lontananza si poteva chiaramente distinguere una figura minuta volante in avvicinamento. La forma di vita perfetta la conosceva fin troppo bene mentre l’umana aveva avuto modo di incontrarla solo la sera prima. Era Rouge. 

Alla sua vista Rory si alzò in piedi, sistemandosi i jeans, e non poté che chiedersi per quale motivo lei si trovasse lì. La pipistrellina bianca atterrò leggera sul prato, lontana pochi metri dalla coppia. Infine, con un’espressione che si poteva definire crucciata e, dopo aver tirato su un sospiro, si avvicinò rivolgendosi ai due: “Rosa e io dobbiamo parlare”.

Rory, stranita dall’essere stata chiamata in causa e ancor più dal fatto che quella creatura conoscesse quale fosse il suo nome di battesimo, annuì. 

“Cosa è successo? E come fai a sapere come mi chiamo?” disse, rivolgendo fugacemente un’occhiata a Shadow, pensando solo in un secondo momento che, magari, avrebbe potuto essere stato lui a rivelarglielo. Tuttavia lo sguardo del riccio era stupito e totalmente focalizzato sulla donna pipistrello, con le braccia nuovamente strette al petto. No, di certo non era stato lui a dirglielo, dedusse, non dopo il suo repentino cambio d’espressione: da sconcertato a freddo e guardingo. Rouge non mancò di restituirgli l’occhiataccia, con un pizzico di indugio. 

“Te lo spiegherò poi”, disse, rivolgendosi alla ragazza. “La G.U.N. sta andando ad interrogare tuo padre”.







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Nota dell'autrice: Cioè, sono passati praticamente anni da quando ho aggiornato l'ultima volta questa storia. Mi vergogno un sacco. Non voglio stare qui a dilungarmi, sappiate solo che è più di un anno che sono diventata mamma. 
Leggendo i primi capitoli, mi stupisco di come la storia abbia cambiato registro: doveva essere una storia leggera, con qualche tocco di drammaticità dato dalla morte della madre della protagonista, e invece si sta trasformando un una cosa tipo associazioni segrete, stermini vari, robe sanguinolente, passati burrascosi... credo davvero che un giorno, semmai avrò la forza di farlo, modificherò i primi capitoli della fic per adattarla meglio a questi ultimi. 
Ad ogni modo, ora vi lascio: spero che chi leggerà questa cosa, la trovi di suo gradimento. Ovviamente le critiche sono più che accette (se avete errori da segnalare, fatelo, please!) 

Un bacio,
Ro

 

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