Sunrise

di Clodie Swan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 50 ***
Capitolo 52: *** Capitolo 51 ***
Capitolo 53: *** Capitolo 52 ***
Capitolo 54: *** Capitolo 53 ***
Capitolo 55: *** Capitolo 54 ***
Capitolo 56: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



SUNRISE

di Clodie Swan


PRIMA PARTE

 

PROLOGO


Da molto tempo non affrontavamo un giorno doloroso come questo. Sapevamo che presto sarebbe arrivato. La parentesi felice di questi pochi anni non poteva durare per sempre. Non per noi. Siamo destinati a lottare, a compiere sacrifici, a soffrire pur di proteggere i nostri cari da ogni pericolo. Perfino da noi stessi. Perchè noi non siamo persone normali.

Siamo creature oscure e letali.

Siamo dei vampiri.
"Edward è tutto pronto" annunciò Carlisle ridestando il figlio dai suoi pensieri. Tutti nel salone alzarono la testa alle sue parole preparandosi all'inevitabile. Dal piano di sopra scesero anche Jacob e Renesmee. Ad Edward faceva ogni volta uno strano effetto vedere sua figlia diventata donna accanto a suo marito. Si tenevano abbracciati teneramente ma i loro occhi erano pieni di tristezza. In ultimo scesero Emmett e Rosalie con il prezioso fagottino tra le braccia. Il loro tesoro più prezioso che dovevano proteggere e portare al sicuro. "Dorme" mormorò Rosalie incrociando lo sguardo del fratello.
Il vampiro osservò commosso il piccolo David Edward Black che dormiva, ignaro di tutti i pericoli che lo minacciavano. Il suo nipotino. Era talmente bello, così minuscolo e perfetto nei suoi sette giorni di vita... I suoi lineamenti ricordavano quelli fini e regolari di Jacob, ma aveva ereditato la carnagione chiara di Renesmee. 
Era un vero piacere guardare quell'angioletto.
Ad un un cenno di Carlisle tutti indossarono delle mantelle nere coprendosi il volto con il cappuccio. In mezzo a quel salone, con i mobili coperti di teli bianchi, i Cullen sembravamo delle creature spettrali. Spalancarono la porta lasciando inondare di luce la stanza e uscirono in silenzio, incontro all'umidità del mattino, mentre sopra la foresta il sole sorgeva in tutto il suo splendore.

******

 

Volterra era immersa nel buio e nella quiete della notte ma c'erano due occhi, due occhi rossi, che non avevano bisogno di luce dentro le mura della città. La figura di un giovane bruno e attraente, in un elegante abito scuro si mosse con sicurezza per le strade fino ad arrivare in un vicolo. Due figure alte ed ammantate di nero lo stavano aspettando accanto ad un tombino circolare posto al centro della stradina. "Bentornato Louis" lo salutò uno dei due aprendo la grata. "I Signori di Volterra ti attendono." Louis fece un sorrisetto compiaciuto e senza parlare si lasciò cadere agilmente nel passaggio sotterraneo. Le due guardie lo seguirono scortandolo nella galleria che portava all'ascensore.
Questa gabbia da uccelli funziona ancora.” osservò ironico Louis. I suoi accompagnatori non gli risposero. Quando giunsero nel corridoio, Louis notò la giovane segretaria che aveva sostituito Gianna. Tremava ogni volta che lo vedeva a cominciava a sistemarsi I capelli. “Buongiorno, signor Dupont.” balbettò emozionata la ragazza. Louis le strizzò l'occhio e passò oltre. Non sapeva nemmeno come si chiamasse e sinceramente non gliene importava nemmeno. Tutta la sua concentrazione in quel momento era rivolta alla sala dei tre troni.
I tre vampiri millenari erano al loro posto, circondati dal folto drappello di guardie e dai soliti Felix, Demetri, e naturalmente Alec e Jane. Lo sguardo di Louis scivolò velocemente su Caius, si soffermò per un attimo sugli occhi spenti di Marcus, ed infine si posò sul volto di Aro.
"Louis, finalmente!" disse Aro alzandosi tradendo un'atteggiamento impaziente. “Che cosa hai scoperto. Nel tuo ultimo messaggio ci hai detto di annullare la spedizione a Forks perchè ormai era inutile.”
"Proprio così mio signore" rispose il giovane accennando ad inchino. "Ho delle notizie importanti. Come vi avevo detto, il figlio del mutaforma e della mezzosangue è nato. Ho sentito personalmente i battiti del suo cuoricino e il suo primo vagito. Hanno fatto tutto in gran segreto, ma i preparativi per il parto non sono sfuggiti ai miei occhi vigili. Ho saputo che si tratta di un bel maschietto forte e sano e che lo hanno chiamato David."
Aro sospirò nervosamente “Questo ce lo avevi già detto. Dov'è adesso?”
Il tono della voce di Louis cambiò. Non gli piaceva fallire. "I Cullen sono stati molto abili. Hanno sospettato qualcosa e sono partiti alla luce del sole. Si sono divisi in sei coppie ed hanno lasciato Forks."
"Chi di loro ha il bambino?" insistè Aro.
Louis abbassò la testa umilmente "Purtroppo ho perso le loro tracce. Non mi ero organizzato per un inseguimento multiplo e mi sono concentrato solo sui genitori e su Edward e Bella. Ma il neonato non era con loro. Ho coinvolto i nostri migliori segugi e siamo riusciti a rintracciare tutti i componenti della famiglia. A quanto pare negli ultimi mesi si sono sbarazzati del bambino."
Aro rifletté pensoso e si scambiò un'occhiata con gli altri due vampiri "A chi potrebbero aver affidato un bambino come quello? A meno che... Si è l'unica spiegazione."
"Che vuoi dire Aro?" chiese Caius.
"Il bambino deve essere venuto al mondo senza mostrare alcun sintomo della sua straordinaria natura.” affermò Aro assorto. “I Cullen si illudono che sia un neonato normale e lo avranno affidato ad una famiglia umana." Aro concluse la sua riflessione con una risata malvagia. "Poveri illusi! Non potranno stare lontano dal piccolo troppo a lungo, senza andarlo a trovare o avere sue notizie.”

Sono tutti molto legati tra loro." intervenne Marcus. "Per proteggerlo con efficacia, dovrebbero forzarsi a stargli lontano per sempre o perlomeno per anni."
"Anni! Come se per noi contassero."rise Aro divertito. "Cosa credono che sia il tempo per noi? Tra qualche anno sarà ancora più interessante vedere i progressi compiuti dal piccolo. Louis non perdere di vista i Cullen e tieni gli occhi aperti. Prima o poi si riuniranno al piccolo. Restiamo a vedere: credo proprio che quel bambino farà parlare di sè quando crescerà."
"Aro, sei sicuro che possiamo aspettare?" chiese Caius dubbioso. "Quel neonato con quella straordinaria natura che si ritrova, è probabilmente la cosa più potente mai comparsa nel nostro mondo.”
"Proprio per questo varrà la pena aspettare, Caius.”fece notare Aro “Dobbiamo avere quel bambino. Stavolta non ci faremo fermare da nessuno. E si si tratta di aspettare dieci o vent'anni, aspetteremo. Il tempo non è niente per noi, Caius.” Nessuno osò replicare a quella dichiarazione e per alcuni istanti nella sala regnò il silenzio.

Louis, passiamo a questioni secondarie.”riprese Aro. “Se non sbaglio avevi delle novità anche sulla situazione di New Orleans."
"Si, mio signore.” rispose Louis lieto che avessero cambiato argomento. “Si tratta di quella scia di omicidi ad opera di vampiri neonati che operano nella città. Ce ne siamo occupati in fretta. Un lavoretto di routine. Abbiamo fatto sparire ogni traccia. Ma la polizia sta continuando ad indagare spinta da un investigatore che sembra troppo interessato al caso. Si chiama Samuel Freeman."
Aro non si scompose. "La polizia ha cercato altre volte di indagare su di noi ma ha sempre brancolato nel buio. Sarà così anche questa volta. Anche questo investigatore perderà interesse col tempo, come tutti gli altri. "
Louis annuì anche se dentro di sè aveva i suoi dubbi. Aro aveva migliaia di anni di esperienza alle spalle ma a volte sottovalutava ancora quello che era in grado di fare la caparbietà umana.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

 

Il locale non aveva un nome. Era un vecchio magazzino conosciuto solo dalla peggiore gente nei bassifondi dell'East End londinese. Una debole insegna al neon ne indicava l'esistenza in mezzo ai vicoli bui. Due energumeni sorvegliavano l'entrata dietro una folla di gente strana che fumava e parlava seduta sopra delle motociclette. Uomini, per la maggior parte, tutti muscolosi e pieni di tatuaggi. Si girarono tutti vedendo arrivare un signore dall'aria distina, un uomo di mezz'età, afroamericano, dai capelli brizzolati che si avvicinò alla porta incurante degli sguardi biechi che gli lanciavano. Tirò fuori un distintivo e lo mostrò ai due gorilla. "Sono il detective Freeman. Devo scambiare due parole con il proprietario. I due buttafuori si scambiarono uno sguardo incerto e poi lo fecero passare. Freeman entrò nel locale buio, illuminato da luci soffuse, gremito di gente che ballava una musica assordante e si fece strada fino al bancone del bar. Un omaccione si fece avanti dopo che Samuel ebbe mostrato il distintivo. "La polizia è già stata qui. Che vuoi?"

"Sto cercando notizie di un ragazzo. Josh Cliven. E' stato ucciso due giorni fa. Veniva da queste parti. Lo hai mai visto?" L'uomo dall'altra parte del bancone lo prese da parte. "Vengono tanti ragazzi qui. Il nome non mi dice nulla. Comunque gli agenti che sono venuti qui mi hanno mostrato una foto e l'ho fatta vedere in giro. Qualcuno lo ha riconosciuto ed ha lasciato una deposizione. Adesso hai finito?"

Freeman non si lasciò scomporre dai modi bruschi del proprietario. "Vorrei parlare con questo qualcuno."

L'omaccione imprecò "Non ti basta rileggerti il rapporto dei tuoi colleghi? O sei analfabeta?"

Freeman fissò l'uomo intensamente senza il minimo turbamento. "Come hai detto che ti chiami?"

"Chuck Norton"

"Vedi Chuck, io non voglio crearti problemi. Non sono qui per indagare sulle attività illecite che svolgi dabasso ma soltanto avere qualche informazione utile sulla morte di quel povero ragazzo. Tu mi fai parlare con quella persona ed io non ti creo problemi. Se però vuoi davvero che me ne vada potrei tornare domani con un bel mandato e farti chiudere bottega."

Chuck grugnì e chiamò un ragazzo. "Bob, accompagna questo signore di sotto e portalo da Tyler. Quanto a te, sbirro ti consiglio di dimenticare tutto quello che stai per vedere tra poco. Sono stato chiaro?"

"Cristallino." Freeman sorrise soddisfatto e si lasciò portare al piano di sotto. Le scale portavano in un seminterrato buio e polveroso. Il giovanotto proseguì fino ad una porticina di metallo anch'essa sorvegliata da un uomo alto e massiccio. Ad un cenno del ragazzo la porta si aprì liberando un frastuono di voci eccitate e di grida selvagge. Erano entrati nell'arena di un incontro clandestino. Un gruppo di persone circondava gli sfidanti in piedi o seduta su degli sgabelli. In un angolo avevano piazzato un piccolo bancone da bar per servire da bere agli spettatori. Ad un tratto non si vide più nulla perché la gente si era accalcata intorno ad una specie di ring esultando. L'incontro era finito. Samuel non si sporse a guardare chi fosse il vincitore e cosa ne fosse stato dello sconfitto, era troppo ansioso di parlare con Tyler e continuò a seguire Bob.

"E' quello." disse il ragazzo indicando un uomo con una bandana nera ed una canottiera strappata seduto su un alto sgabello vicino al bancone dove poteva bere e seguire gli incontri. "Altra sfida! Avanti i concorrenti" stava annunciando Tyler sporgendosi verso la folla poi si fermò per sorseggiare una birra e di accorse di Samuel. "E tu chi sei? Che vuoi?"

"Solo qualche domanda, mi manda Chuck." disse Samuel con calma guardando diritto negli occhi Tyler.

"Sei uno sbirro.» osservò l'uomo sospettoso. «Dannazione, è per quel ragazzo morto, vero?Ho già detto tutto quello che so.»

«Ripetilo anche a me:»

«Poi ti levi dalle scatole?» chiese seccato Tyler «Non so se lo hai notato ma sto lavorando, stasera.»

«Anche io, se è per questo.»replicò Samuel deciso.

Tyler sbuffò e disse una parolaccia. «Va bane allora... quel ragazzo Josh prendeva parte agli incontri. Era un dilettante ma si batteva piuttosto bene. L'ultima sera in cui è stato qui aveva vinto un paio di round. Poi l'hanno messo al tappeto e se ne è andato. Gli usciva del sangue dal naso ma niente di grave. Tutto qui: è uscito prima della chiusura e non l'ho più visto. Fine della storia. Non so altro."

Samuel rifettè su un particolare "Perdeva sangue dal naso... Sai se c'era qualcuno con lui? Lo accompagnava qualcuno di solito?"

Tyler era impaziente di assistere al nuovo incontro e stava dando sempre meno attenzione a Samuel. "Mmh no...era solo" rispose brusco. L'investigatore si guardò intorno e continuò le sue domande.

"Avete visto qualche tipo sospetto fuori dall'ordinario da queste parti?"

Tyler ridacchiò. "Ma dico! Ti sei visto intorno? Qui la gente stramba si spreca. Niente di insolito, comunque. Adesso se non ti dispiace avrei scommesso qualcosina su questo incontro, perciò gira al largo." Si staccò da Samuel e andò verso il ring improvvisato per dare istruzioni ai due nuovi contendenti. L'investigatore lo lasciò andare ed estrasse il suo taccuino per prendere alcune annotazioni.

«Bene gente» annunciò Tyler «Adesso abbiamo il campione imbattuto Lyon...»

Un grido eccitato accompagnò quel nome. Samuel alzò lo sguardo e vide un gigante di due metri muscoloso, con il cranio rasato ed un'espressione fiera negli occhi infossati, il tipo esatto di lottatore che si aspettava di vedere in un posto del genere. Scosse la testa e finì di scrivere preparandosi ad uscire.

«...che sfiderà...» riprese Tyler «Come hai detto che ti chiami ragazzino?»

A quelle parole Samuel si girò instintivamente. Quello che vide lo lasciò a bocca aperta: a sfidare quel mostro si era fatto avanti un ragazzo bello come un angelo. Era un giovane di vent'anni al massimo. Capelli lisci, biondo rame, gli incorniciavano un volto dai lineamenti fini e regolari. Aveva una bella muscolatura ed era piuttosto alto anche se, vicino al suo sfidante, dai pettorali e bicipiti gonfi fino a scoppiare, sembrava uno scricciolo.

Non degnò Tyler di una risposta e continuò a guardare l'avversario pieno di concentrazione. «Va bene, comunque ti chiami...» continuò Tyler seccato «Allora: Lyon contro il biondino. Le scommesse sono aperte.»

Quando il giovane si tolse la maglietta nera mostrò una pelle chiara e immacolata senza cicatrici, nè lividi di alcun genere. Poteva benissimo trattarsi del suo primo incontro. Samuel tremò al pensiero che quel ragazzo così giovane e bello stava per essere fatto a pezzi. Poteva essere suo figlio
"Quel ragazzino si farà ammazzare" commentò avvicinandosi a Tyler.

"Affari suoi.» commentò l'altro alzando le spalle. «Mi raccomando Lyon, non fargli troppo male."

Udendo quel commento sarcastico, il ragazzo alzò lo sguardo catturando l'attenzione di tutti. Nei suoi occhi ardeva un fuoco minaccioso e vi era una totale assenza di paura.

"Il piccolo vuole battersi" sogghignò Lyon "Lasciatelo combattere, a meno che non preferisci tornare a casa dalla mammina."

Con uno scatto veloce il ragazzo assestò un pugno ben calcolato nello stomaco di Lyon strappandogli un gemito di dolore. Il gigante si riprese in fretta e lanciò un'occhiata carica di odio al suo sfidante.

"Io ti uccido" sibilò lanciandosi su di lui. Con grande stupore di tutti il ragazzo evitò tutti i numerosi colpi muovendosi con un'agilità ed una velocità incredibili. Riuscì perfino ad evitare un calcio violento di Lyon con un salto mortale all'indietro per poi sferrargli un pugno sulla mascella ed un altro nelle costole. Lyon cadde a terra come un albero abbattuto, senza accennare minimamente a muoversi. Samuel non aveva mai visto niente di simile.Tutto era accaduto in pochi seconi. Nella stanza non volava una mosca. Il primo a riprendersi fu Tyler. "Quel ragazzino mi ha fatto perdere una barca di soldi."

Il vincitore in questione si allontanò senza la minima intenzione di godersi il suo trionfo. Il pubblico si spostò in fretta per farlo passare.

Tyler era infuriato da morire "Dove è andato! Portatemelo subito qui!"

A Samuel bastò un secondo per capire cosa aveva in mente si affrettò a raggiungere il ragazzo che nel frattempo aveva raccolto i suoi vestiti ed era uscito da una porticina sul retro.

"Aspetta, figliolo" chiamò Samuel quando l'ebbe raggiunto nel vicolo. Il giovane si voltò infilandosi il giubbotto di pelle nera.

"Non sono tuo figlio"rispose asciutto. Il suono della sua voce era chiaro e limpido. Samuel riconobbe l'accento americano.

"Ho idea che lì dentro ce l'abbiano con te."

L'altro continuò a camminare dirigendosi verso una moto parcheggiata. "Sai che novità."

"Dico sul serio. Dovresti guardarti le spalle."

Il ragazzo si girò e fece una risata ironica. "Guardati le tue."

Samuel gettò un'occhiata dietro di sè e vide che era comparso Tyler con cinque uomini, armati di spranghe e catene di metallo massiccio. Tyler si fece avanti verso il formidabile campione.

"Senti amico, non so come hai fatto ma hai barato. Nessuno poteva mettere a terra Lyon in quel modo. Quindi adesso mi ridai i soldi che ho perso oppure ti faccio diventare carne da macello."

L'altro ricambiò lo sguardo ostile "Primo, non sono amico tuo. Secondo, non ho barato. Forse il tuo bestione non era tanto in forma."

"Ti sei drogato. Hai preso degli steroidi. Perchè sennò te ne sei andato senza prendere i soldi in palio?"

Il volto del giovane non tradiva nessuna emozione. "Non mi batto per soldi. E non prendo droghe. Le lascio a quelli come te."

Fece per andarsene ma Tyler e i suoi scagnozzi gli si avvicinarono." Dove credi di andare. Qui nessuno può prendersi gioco di me."

Samuel a quel punto decise di intervenire e tirò fuori la pistola. "Tyler, ti consiglio di darti una calmata se non vuoi finire tu nei guai. Lascia in pace il ragazzo. Puoi rifarti con i soldi della sua vincita. Mettete giù quella ferraglia."

Tyler gli sputò addosso. "Adesso te la sei cercata sbirro. Ti avevo detto di girare al largo."

Due dei gorilla tirarono fuori una pistola e un fucile. Samuel cercò di mantenere il controllo. "Stai esagerando Tyler. Non peggiorare la tua situazione."

"Che situazione? Uno sbirro morto e nessun testimone superstite?"

Rise crudelmente guardando il ragazzo che impassibile assisteva alla scena. "Hai capito bene, amico?"

Il misterioso giovane puntò lo sguardo diritto su Tyler. "Ho detto che non sono...amico tuo" pronunciò lentamente quelle parole.

Poi successe in un attimo. Tutto.

Nessuno si accorse che il ragazzo era saltato per aria con un balzò altissimo e superando la testa di Tyler era atterrato sui due tipi con le armi da fuoco senza che se ne accorgessero e li aveva messi fuori combattimento atterrandoli con i piedi sopra le loro gole. Altri due lo attaccarono spaventati ma il giovane con una velocità spaventosa aveva evitato i loro colpi infliggendo una serie di calci micidiali. I due non resistettero e caddero a terra privi di senso. Tyler approfittando di un attimo di distrazione di Samuel, lo aveva disarmato buttandolo a terra mentre il quinto uomo si preparò ad attaccare il ragazzo con la catena facendola ruotare per aria. Disteso sull'asfalto Samuel vide, con sua grande meraviglia, che quel giovane straordinario con degli scatti e dei salti rapidissimi, evitava ogni movimento della catena con la stessa facilità con cui i bambini saltavano la corda. Ad un tratto il ragazzo riuscì ad afferrare un'estremità della catena e strappandola dalle mani di quel vandalo gliela avvolse intorno imprigionandolo e lo stordì con un calcio. Tyler terrorizzato cercò di buttarsi sulla pistola di Samuel ma questi reagì prontamente dandogli un pugno e mandandolo al tappeto.

Il detective ed il giovane combattente, completamente illesi, si guardarono negli occhi mentre ai loro piedi giacevano i cinque corpi esanimi dei loro aggressori. Il ragazzo fu il primo a parlare "Anche tu sai darei pugni, nonnetto."

Samuel lo guardò a bocca aperta. "Chi sei?" riuscì a chiedere. Dall'interno del locale si udirono delle voci concitate che stavano avanzando verso di loro. Il ragazzo prese il casco dalla sua moto e ci saltò sopra, poi guardò Samuel. "Sali."

L'uomo si accomodò sul sellino dietro di lui e dopo un secondo partirono a razzo. Dopo qualche isolato il ragazzo frenò. "Dove hai la macchina?"
Samuel ci pensò sopra un attimo. "Era dall'altra parte del locale."

"Lasciamo stare."ribatté l'altro "Dove abiti?"

Samuel gli diede il suo indirizzo e dovette stringersi forte a lui quando ripartì come un fulmine. "Gran bella moto." disse Samuel dopo un po' per rompere il silenzio. "Cos'è? Una Harley?"

"Una Ducati." rispose l'altro secco.

"Bella davvero. Io non ho mai avuto una moto da ragazzo."

Il giovane ridacchiò. "Cominci a farmi davvero pena."

Alla fine arrivarono davanti al palazzo dove abitava Samuel con la sua famiglia. Tutte le luci erano spente. Il ragazzo lo fece scendere e fece per ripartire ma il detective lo fermò.

"Aspetta, ti prego."

Il giovane si tolse il casco e lo guardò con aria interrogativa. "Cosa vuoi?" Aveva un atteggiamento orgoglioso e sulla difensiva.

"Posso solo sapere il nome di chi mi ha salvato la vita?"chiese in tono gentile.

 "Non mi ringraziare. Non sono un eroe. Sei tu che sei un pazzo incosciente che gira di notte da solo."

"Lavoro da solo solo da quando il mio compagno è morto in servizio.» spiegò Samuel «Non ho più voluto nessuno dopo."

Il ragazzo cambiò tono. "Mi dispiace. Quando è successo?"

Samuel sospirò con tristezza. "Più di vent'anni fa." Ricordare quel giorno gli causò un brivido.

"Mi chiamo Dillon Baxter." disse il giovane offrendo la sua mano. Una bella mano dalle dite lunghe e affusolate. La mano di un artista e non di un pugile. Samuel gliela strinse con gratitudine.

"Samuel Freeman. Sono un investigatore privato."

Dillon abbozzò un sorriso. "Ci ero arrivato. Chi altro si metterebbe quella giacca?"

Samuel sorrise "Sto indagando su alcuni omicidi delle ultime settimane. Una delle vittime frequentava quel locale. Si chiamava Josh Cliven.Ti dice niente questo nome?"

Dillon scosse la testa."Era la prima volta che andavo lì."

"Come sei riuscito a battere quel mostro? E a mettere al tappeto quei quattro teppisti?"

"Erano in sei veramente e uno lo hai steso tu."precisò Dillon.

"Come riesci a muoverti in quel modo?"insistè Samuel.

"Ho fatto arti marziali." si schermì Dillon tornando sulla difesiva.

Samuel gli si avvicinò sospettoso e guardò il colore dei suoi occhi. Sotto la luce del lampione vide chiaramente che erano azzurri con dei riflessi verdi. "Che c'è?" chiese Dillon.

"Niente" concluse Simon sollevato. "Controllavo una cosa. Volevo farti una proposta. Ti piacerebbe aiutarmi con le indagini?"

Dillon spalancò la bocca. "Perché io?"

"Perché ti batti in modo straordinario, hai dei riflessi incredibili e potresti essermi utile per muovermi in questa città. Mi sono trasferito da poco tempo dagli Stati Uniti e non riesco ancora ad orientarmi molto bene."
"Mi stai proponendo di farti da baby sitter? Che prospettiva eccitante!"

"Almeno prometti di pensarci."chiese infine Samuel guardandolo intensamente.
Dillon lo guardò freddamente. "Non faccio promesse." E ripartì come un fulmine.


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAP. 2

Dillon sopra la sua moto volava sulle strade con i pensieri in subbuglio. La velocità lo inebriava. Sfiorare il pericolo era la sola cosa che lo faceva sentire vivo. Non aveva paura. Non può avere paura chi non ha niente da perdere. E lui ormai non aveva più nulla tranne sogni inquietanti e ricordi dolorosi.
Alle prime luci dell'alba entrò nel monolocale che negli ultimi mesi era diventato il suo rifugio e posò il cascò sul tavolo scompigliandosi i capelli lisci. Il letto era ancora intatto da diversi giorni. Dillon gettò uno sguardo alle x che aveva segnato sul calendario appeso sopra la scrivania. Erano due settimane che non dormiva e che non ne sentiva il bisogno. Quella sera avrebbe fatto bene a provare a mettere la testa sul cuscino. Non aveva nemmeno fame. Si mise seduto sul letto e prese in mano il flacone di sonniferi sul comodino. Poteva provare a dormire senza, per una notte? Quando li prendeva di solito sprofondava in un sonno profondo senza incubi...fu molto tentato di prenderli. Ma poi rinunciò e si sfilandosi i vestiti si infilò sotto le coperte. Chissà, forse avrebbe anche potuto sognare lei... Lo sperò intensamente prima di immergersi nel sonno.
Era bellissima. Un volto di donna, che continuava a rimanergli sconosciuto, emergeva da acque cristalline con gli occhi chiusi. I capelli scuri bagnati, la testa chinata all'indietro, le labbra carnose che si aprivano per riprendere fiato. L'acqua scivolava sensuale sui suoi lineamenti dolci e sul suo collo candido. Poi aveva sollevato le lunghe ciglia nere e lo aveva guardato intensamente con dei luminosi occhi verdi. Poteva quasi toccarla ...poteva quasi sentire il suo respiro...e poi...tutto svaniva. Come sempre il sogno finiva in quel momento o veniva seguito da immagini oscure impregnate di morte e di paura.
Dillon si svegliò di scatto. Quella volta non aveva visto niente altro che lei ma soffriva, come ogni volta che doveva tornare alla realtà. La stanza era inondata dalla luce del giorno. Era ancora molto presto ma Dillon si sentì riposato come se avesse dormito dodici ore. Si alzò dal letto infilandosi i jeans e prese una bottiglia d'acqua dal frigo. In casa non c'era rimasto niente da mangiare. Bevve a lungo ripensando al colloquio della notte precedente con l'investigatore. Aveva percepito con chiarezza il dolore per la perdita del collega ma sentiva che c'era qualcos'altro dietro. Il suo istinto gli diceva che era il senso di colpa e che in qualche modo era collegato all'indagine. Si sedette alla scrivania e dopo aver acceso il suo portatile digitò il nome di quel ragazzo morto. Josh Cliven. Gli articoli di cronaca nera sul web gli diedero qualche informazione sul caso. La polizia non ne aveva fatto un caso eclatante e lo aveva giudicato la classica vittima di qualche malintenzionato. Josh aveva l'abitudine di frequentare un brutto ambiente ed era un tipo violento. Un unico particolare, però rimaneva incomprensibile. Nonostante la frattura che gli aveva spezzato il collo, la causa del decesso risultava un altra. Era morto dissanguato ma non era chiaro come e dove avesse perso così tanto sangue. I pensieri di Dillon corsero indietro nel tempo: Serena!
Era arrivato da poco tempo all'università di Princeton e come al solito se ne stava per conto suo. Non era mai stato troppo socievole neanche da bambino. Da quando aveva cominciato a manifestare una forza assurda i suoi compagni avevano avuto paura di lui. "No, Dillon. Non puoi giocare con noi! Finisci sempre per farci male." "Ragazzi se gioca Dillon io me ne vado." Quante volte se lo era sentito dire. Nemmeno gli insegnanti sapevano cosa fare con lui. "Non ho mai visto un bambino così intelligente. Impara le cose con una facilità impressionante. Sarebbe già pronto per le superiori."
I suoi genitori per fortuna lo proteggevano sempre da tutte quelle attenzioni. I continui trasferimenti di suo padre erano stati di grande aiuto da quel punto di vista. Poteva ricominciare da un'altra parte e lasciare che la gente si dimenticasse di lui. Dopotutto esistevano parecchi bambini prodigio, lui non era l'unico. Sua madre lo aveva iscritto a numerose attività sportive e lo aveva incoraggiato a studiare musica. Aveva collezionato una grande quantità di premi di ogni genere. Crescendo la sua forza non aveva fatto altro che aumentare. Ciò si ripercuoteva anche sulla sua salute. Non si era mai ammalato in vita sua. Neanche il più piccolo raffreddore. Anche i suoi sensi si erano affinati notevolmente e gli erano di enorme utilità quando faceva sport o suonava. I suoi genitori dicevano di essere erano orgogliosi di lui ma insistevano anche per fargli prendere dei farmaci contro l'iperattività. Dillon aveva accettato di prenderli ma si sentiva triste. Sapeva che anche loro in fondo erano intimoriti da lui e forse addirittura se ne vergognavano. Perchè era fatto così? Perchè era così diverso dai suoi genitori? La gente aveva un misto di attrazione e paura nei suoi confronti e si teneva alla larga. Benissimo, lui avrebbe fatto altrettanto. Dopo tutto non c'era nessuno che valesse la pena conoscere. Si limitava ad andare ai suoi corsi e ad essere educato con tutti senza parlare troppo.
Quel giorno nel parco del campus non era diverso dagli altri, finchè alcuni ragazzi dietro di lui decisero di scambiarsi alcuni lanci con una pallina da baseball e uno di loro mancò la presa.
"Attento!" gridò un ragazzo alla sue spalle. Dillon aveva sentito la palla arrivare prima ancora che quel tipo aprisse bocca. Senza alzare gli occhi dal libro che aveva sulle ginocchia, alzò la mano ed afferrò saldamente la pallina da baseball. Un ragazzo dai capelli castani corti ed una maglia sportiva si avvicinò a Dillon meravigliato.
"Wow! Come hai fatto? Ma giochi a baseball per caso?"
Dillon era abituato a commenti del genere e accennò un debole sorriso. Dopotutto quel tipo stava solo cercando di essere gentile con lui e cercò di rispondergli in modo garbato.
"Ci ho giocato. Ho praticato diversi sport."
"Dan" chiamò qualcuno in lontananza rivolto verso di loro. "Posso riavere la mia pallina?"
Dan gliela lanciò dopo averla riavuta da Dillon. "Fai più attenzione" urlò irritato per poi tornare a dedicarsi al suo nuovo amico. "Dan Badgley, piacere."
"Dillon Baxter" Si strinsero la mano.
"Anche io ho fatti parecchi sport. Facevo football al liceo. Adesso sto nella squadra di baseball del college. Stasera io e altri miei compagni diamo una festa, perché non vieni? Ti prometto che nessuno ti tirerà niente in testa."
Dillon riflettè qualche minuto. Dan non sembrava una persona particolarmente interessante ma aveva dei modi spontanei e sembrava simpatico. «Ci penserò.» promise Dillon sorridendo a Dan.
Potrebbe essere un buon amico, aveva pensato. Distolse per un attimo lo sguardo ed incontrò gli occhi estasiati di una ragazza alta ed altetica dai lunghi capelli biondi che le ricadevano a grandi onde sulle spalle. Si era avvicinata a loro guardando Dillon affascinata come se l'avesse colpita un fulmine.
Dan si accorse di lei e tutto felice la presentò: "Dillon, ti presento Serena la mia ragazza." disse orgoglioso, senza accorgersi dello sguardo adorante con cui lei guardava Dillon.
Parlando, venne fuori che Serena era di New York dove Dillon aveva vissuto di recente. "Fantastico" esclamò Dan. "Sicuramente avrete un sacco di cose di cui parlare.Io adesso ho gli allenamenti. Dillon, pero di vederti stasera. Amore, cerca di convincerlo, ti chiamo dopo."
Dillon sospirò dentro di sè; Dan non era decisamente un tipo sveglio.
"Ti va di fare due passi?" propose Serena.
Quella ragazza aveva un'espressione dolce e luminosa che metteva allegria. Era bellissima anche se nessuna poteva essere paragonata alle fanciulla delle sue visioni, ma perlomeno era reale. "Certo, perchè no." le rispose avviandosi con lei per uno dei sentieri del campus.
Non andò mai alla festa ma quando lei, quella notte, decise di andare a trovarlo nella sua stanza, la fece entrare. Gli dispiaceva per Dan. Si sentì un mostro, un vero egoista ma era stanco di sentirsi così solo.
E poi il giorno dopo Serena era morta.

***********************************************************************************************

Samuel si era alzato con un feroce mal di testa ma aveva deciso di andare comunque in ufficio.
"Jade, sai dove tiene mamma l'aspirina?" chiese a sua figlia mentre si scaldava una tazza di caffè.
"Papà è lì nella credenza." rispose Jade infilando la merenda nello zaino. "Mi accompagni tu a scuola ? Mamma ha un appuntamento dall'altra parte della città ed è uscita prestissimo."
"Certo, tesoro." rispose Samuel sciogliendo una bustina in un bicchiere d'acqua. Subito dopo si ricordò della macchina. L'aveva lasciata lì! In quel momento suonarono alla porta. Jade andò ad aprire e tornò poco dopo tutta emozionata sistemandosi le treccioline. "Papà! C'è un ragazzo che ti cerca! E' bellissimo! Lo posso far entrare?"
Samuel la fissò incuriosito. "E chi sarà mai? Robert Pattinson?" Jade rientrò in cucina con un sorriso a trentadue denti dietro il suo apparecchio accompagnando un giovane biondo col giubbotto nero. Era Dillon.
"Ehi, amico!" esclamò sorpreso il detective. "Come mai sei qui?"
Dillon alzò la tendina della finestra, indicando il marciapiedi. "Ti ho riportato la macchina."spiegò.
Samuel guardò fuori e riconobbe la sua vecchia porsche del '74. Il suo volto si illuminò tutto per la contentezza. " La mia macchina! Grazie! Non so davvero cosa fare per ringraziarti!"
Dillon abbozzò un sorriso. "Cerca di stare più attento la prossima volta."
Jade si incuriosì. "Che cos'era successo alla tua macchina, papà?"
Dillon si rivolse verso la ragazzina e guardandola con simpatia. Quell'espressione gli addolciva i lineamenti del viso. "Tuo padre ieri sera, da bravo pollo si è dimenticato la sua auto. Perciò quando un giorno vorrà sgridarti perchè ti sei persa qualcosa, ricordaglielo." Jade guardò il padre e rise.
"Tesoro vai a lavarti i denti. Tra due minuti usciamo." disse Samuel.
Jade salì le scale lanciando un ultimo sorrisone a Dillon.
"Mi piace come sminuisci la mia autorità di genitore."commentò ironico Samuel. Dillon sorrise abbassando lo sguardo "Con mio padre facevo di continuo questi giochetti. Lo facevo diventare matto."
"Scommetto che glieli fai ancora." scherzò Samuel.
"E' morto."rispose Dillon facendosi serio.
"Mi dispiace."disse Samuel il tono sincero. "Ascolta" riprese dopo una pausa "Porto Jade a scuola e sono libero. Permettimi di offrirti un caffè decente. Il mio è una vera schifezza."
"Si sente" commentò Dillon avanzando verso la porta. "Ti aspetto allo Starbucks dietro l'angolo."
Samuel prese la tazza in mano e l'annusò perplesso. Quando pochi minuti dopo si mise al volante trovò i cavetti staccati. "La chiave ce l'avevi tu." spiegò Dillon con naturalezza accostandosi al finestrino a bordo della sua moto.
Samuel scosse la testa rassegnato mentre il ragazzo ripartiva.

"C'è una cosa di cui devo parlarti." cominciò Dillon quando, mezz'ora dopo, ebbero preso posto ad un tavolo abbastanza in disparte. Samuel annuì interessato. "Ho letto su internet in merito a quel ragazzo morto nei pressi del locale. Vorrei sapere che cosa ne pensi."
Samuel sorrise. "Che cosa ti ha colpito?"
Dillon lo fissò serio. " Stando alle indagini della polizia, non è chiaro come abbia perso tanto sangue."
"Non ha perso tanto sangue." precisò Samuel. "Ha perso tutto il sangue. Ogni goccia che aveva in corpo."
Dillon sussultò. Come Serena. "E tu che cosa ne pensi?"
Samuel prese un altro sorso. "Prima spiegami perchè ti interessa tanto."
Dillon fece un sospiro e si rilassò. "Va bene. Due anni fa, a Princeton una ragazza è morta in circostanze strane e misteriose. Ha una qualche affinità con la morte di questo ragazzo."
Samuel riflettè un istante. "Me ne ricordo. Il delitto di Princeton. Serena Blake. La conoscevi?"
Il viso di Dillon era una maschera gelida. "Sì. Sono stato l'ultimo a vederela viva. Era venuta da me quella notte."
La sua mente tornò a quei pochi momenti che aveva passato con Serena nella sua stanza al campus. Era uno dei pochi ad avere una camera singola. Rivide Serena in piedi davanti al letto che gli sorrideva mentre si riallacciava quell'elegante vestito grigio con una sola spalla.
"Vai già via?" le aveva chiesto sollevandosi a sedere.
"Si. Voglio farmi trovare a letto quando la mia compagna torna dalla festa." Lo aveva salutato con un bacio ed era uscita furtivamente dalla camera. Dillon era sprofondato in un turbine di pensieri confusi e si era riaddormentato. Aveva avuto degli incubi terribili pieni di sangue e di violenza. Si era svegliato di colpo scoprendo che aveva fatto a pezzi le lenzuola con le unghie. Sentiva crescere un'inspiegabile rabbia assurda. E poi quelle grida. Oltre il portico neogotico in mezzo al prato, un gruppetto di persone si era riunito intorno al cadavere di Serena. Era pallida esangue, con gòli occhi chiusi ed i capelli dorati sparsi intorno al prato. E Dan buttato in ginocchio, piangeva e gridava come un disperato. Dillon aveva osservato la scena da lontano in stato di shock.
Era tutta colpa sua.
"E' stata colpa mia." ripetè a voce alta. "Lei non doveva trovarsi in giro per il campus a quell'ora. Doveva trovarsi alla festa al sicuro in mezzo ad altre persone. Se non fosse venuta da me..."
Samuel lo interruppè. "Non credo sia colpa tua. Abbiamo a che fare con qualcosa di assolutamente imprevedibile e pericoloso." Dillon lo guardò negli occhi in attesa che continuasse. Samuel si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li stesse ascoltando e cominciò: "Adesso, ti racconterò anch'io una storia."

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Il detective si sporse ancora di più verso il ragazzo cercando di tenere un tono di voce basso.

"Circa vent'anni fa mi trovavo a New Orleans e partecipavo alle indagini della polizia locale su una scia di misteriosi omicidi. Le vittime non avevano alcun collegamento tra di loro. Non vi erano nè armi, nè moventi, nè profili psicologici legati all'assassino o agli assassini. Brancolavamo nel buio senza aver alcun indizio. Solo una cosa accomunava gli omicidi. Stando al medico legale sembrava che fossero stati commessi nelle ore notturne o per lo meno in assenza della luce solare." Dillon annuì. Anche Serena era stata uccisa di notte. "Proposi di far seguire una traccia ai cani dopo aver fatto fiutare loro i vari luoghi del delitto. I cani riconobbero un odore ben preciso e sembrarono in grado di fiutarlo. Proposi di sguinzagliarli durante la notte dividendoli in varie squadre ma i miei superiori non lo ritenerono un piano abbastanza valido. Alla fine io ed il mio collega John Sampson ottenemmo il permesso di fare una piccola ricognizione per conto nostro con due cani ed un paio di agenti. Così dopo il tramonto ci affidammo alla fortuna e dopo qualche ora i cani fiutarono la traccia ancora fresca. La seguimmo prontamente ma all'improvviso i segugi si fermarono di colpo senza sapere più da che parte andare. La traccia sembrava dissolta nel nulla. Per fortuna eravamo arrivati in un punto alla periferia della città vicino ai laghi, dove le case cominciavano a diradarsi, e non erano molti i luoghi in cui nascondersi. Prendemmo le macchine e decidemmo di ricominciare la caccia vicino a dei cantieri industriali. Parcheggiamo in silenzio poco distante dagli edifici e proseguimmo a piedi provando a farci guidare nuovamente dai cani. La traccia era ricomparsa ancora più nitida. Io e John entrammo nel cantiere lasciando gli altri due agenti con i cani a perlustrare l'area esterna. John mi precedette e vide che quel capannone aveva due piani. "Io vado di sopra" mi disse. "Tu guarda di sotto." Obbedii e feci un giro nel pianterreno. Non vi era nulla di sospetto tranne attrezzi, macchinari e cose del genere ma avevo la sensazione o meglio la certezza di essere osservato. Avevo la pistola a portata di mano e mi mossi con estrema cautela per alcuni minuti. Il grido di John all'improvviso fece tremare le pareti del locale. Corsi di sopra il più velocemente possibile e istintivamente sparai alcuni colpi sul soffitto. Non appena misi piede sul soppalco vidi John in terra che si dimenava con collo coperto di sangue. "

Samuel fece una pausa rabbrividendo al ricordo. Dillon era sempre più interessato. "Continua" mormorò incoraggiandolo.

"Mi tolsi la giacca e improvvisai una fasciatura intorno al collo. Intorno non c'era nessuno. Dovevo cercare aiuto. Gli dissi di resistere e feci per alzarmi ma lui mi afferrò il braccio. "Lui..."balbettò nel delirio "Era un mostro...con gli occhi rossi." Mi guardai ancora in torno sempre con la pistola a portata di mano. "Mi ha detto...adesso diventerai come me." Non capivo il senso delle sue parole, stava delirando. "John devo chiamare un'ambulanza. Torno subito, chiamo i ragazzi qui fuori. Ci metto solo un secondo." Mentre scendevo le scale John si contorceva ed urlava. "Ho la testa in fiamme! Non voglio! Non voglioooo!!!"  Avevo una morsa allo stomaco nel sentirlo ma dovevo cercare aiuto. E chiunque lo aveva ridotto così l'avrebbe pagata. Uno sparò mi bloccò sulla soglia. Col cuore in gola mi feci forza e tornai di sopra."

Samuel si fermò sconvolto. Dillon si alzò e tornò subito con un bicchiere d'acqua. "Bevi." gli disse.

Samuel ne prese un sorso e con uno sforzo concluse il suo racconto: “John era morto. Con le ultime energie che gli restavano aveva estratto la sua pistola e l'aveva rivolta contro di sè.”
Dillon rimase in silenzio con un senso di nausea. Poteva immaginare chiaramente quello che Samuel si era ritrovato davanti agli occhi e il dolore che ne era seguito. Samuel bevve un altro sorso e parve rilassarsi.

"Dillon, tu mi hai detto che ti sei sentito in colpa per la morte di quella ragazza solo perchè quella notte era venuta in camera tua. Come credi che mi senta io, pensando che ero io quello che aveva insistito per condurre quell'indagine e aveva finito per portare John al luogo della sua morte. Ci penso tutti i giorni.”
Dillon sentì la sua voce tremare quando gli chiese “Samuel...chi è stato? Chi ha ucciso il tuo collega?”

Il detective gli rispose in modo risoluto. “Sono vent'anni che cerco di scoprirlo.”

E sei approdato a qualcosa?”

Samuel annuì. “Dopo quel giorno ho avviato le mie indagini in una nuova direzione. Lasciai passare qualche giorno dal funerale di John prima di tornare in quel posto. Il cantiere era stato fatto chiudere immediatamente e la scena era rimasta inalterata. Era orribile dover tornare lì ma in fondo glielo dovevo. Le considerazioni che feci furono piuttosto strane. Prima di tutto non riuscivo a capire da dove fosse fuggito l'assassino. Non vi erano altre uscite dal piano di sopra nè porte nascoste nè altro. I due agenti avrebbero sicuramente visto uscire qualcuno dal cantiere ma non era venuto fuori nessuno. L'unica alternativa era che il killer fosse scappato saltando dal tetto su quello dell'edificio accanto. Ma era impossibile.

E perchè era impossibile?”

Perchè avrebbe dovuto fare un salto di almeno dieci metri.”

Oh" sussultò Dillon.

Così realizzai la sconcertante verità."concluse Samuel "L'assassino non era un essere umano."

Dillon cercò di capire il senso delle sue parole ma si rifiutò di credere che fosse qualche animale feroce a compiere quelle stragi a New Orleans e ad uccidere il detective Sampson.

Doveva trattarsi di una creatura diabolica a mostruosa.” riprese Samuel “Qualcosa di inimmaginabile.”

Dillon era confuso. “Che cosa?”

Samuel esitò prima di pronunciare quella parola. “Un vampiro.”

 

Dillon non seppe più cosa pensare. Se Samuel era impazzito o lo stava prendendo in giro. Ma sapeva che non poteva essere cosi. Nonostante il ricordo doloroso, Samuel era perfettamente controllato e composto ed aveva lo sguardio serio di chi non scherza affatto.

Samuel. I vampiri non esistono...” provò a dire Dillon.

Come fai ad esserne sicuro?”insistè l'altro con convinzione. “Esiste un mondo nascosto di cui le persone non hanno la minima idea. Succedono cose strane di cui spesso non ci sono spiegazioni.”

Come me. Fu il pensiero di Dillon. "Ma come sei arrivato a questa conclusione dei vampiri?"

Samuel sorrise. "Vieni con me te lo mostrerò."

Dopo pochi minuti si ritrovarono nell'ufficio di Samuel ancora pieno di scatoloni pieni di fascicoli e documenti.

Scusa il disordine. Sono arrivato qui da poco. Sto collaborando con Scontland Yard e mi hanno messo a disposizione questa stanza.” disse Samuel liberando una sedia per Dillon. “Mi sono portato dietro tutto il materiale dagli Stati Uniti sulle inchieste passate."

Dillon lo guardò incuriosito “Inchieste? Hai avuto altri casi...analoghi?"

Samuel annuì. "Dopo la morte di John ho indagato su ogni morte sospetta e seguendo le tracce sono sempre arrivato ad un passo dagli autori dei delitti. Ho fatto ricerche in vari archivi ed ho chiesto informazioni a colleghi di altre città. Ho collezionato ogni prova, ogni traccia, ogni particolare.” Mentre parlava passava a Dillon alcuni plichi di documenti. Il giovane li guardò attentamente e poi fece un'osservazione. "Il sangue. I corpi erano tutti dissanguati."
Precisamente. In un modo o nell'altro sono stati tutti privati di sangue.”
“Non potrebbe essere una setta o qualcosa del genere? Perchè credi che ci sia un elemento soprannaturale?”

Prima di tutto per via di John. Lui aveva una notevole esperienza sul campo. Aveva visto ogni genere di violenza efferata e non era affatto un tipo impressionabile. In servizio aveva già visto la morte in faccia. A sconvolgerlo doveva essere stato qualcosa che usciva da ogni logica, da ogni schema a lui conosciuto. Tutto quello che aveva visto erano i due occhi rossi di un essere spaventoso che poteva farlo diventare come lui. E diventare come quel mostro doveva essere peggiore della morte. Ho messo insieme anche altri elementi legati a quegli omicidi. Dalle tracce che sparivano all'improvviso e da alcune testimonianze sconnesse intuii che quegli esseri dovevano muoversi con una velocità incredibile.”
Dillon ebbe un tuffo al cuore.

La fuga dell'assassino di John suggeriva anche un'agilità incredibile unita alla capacità di fare salti lunghissimi. Per non parlare della forza fisica. In alcune scene del delitto ci sono lamiere di acciaio sfondate, mura di cemento fatte a pezzi che portavano alla fuga dell'assassino. E ogni crimine è stato commesso secondo i medici legali in fasce orarie in cui non vi era la luce del sole. E di conseguenza ho provato a immaginare: quale creatura mostruosa si nutre di sangue, ha gli occhi rossi, agisce di notte e presenta una velocità ed una forza disumane?”
"Fammi indovinare" commentò Dillon sarcastico."Un vampiro?"
"Già."
"Posso chiederti una cosa Samuel? Ma rispondi sinceramente. Quando mi hai incontrato ieri notte, hai pensato che io potessi essere un vampiro?"
Il detective si sentì in imbarazzo. "All'inizio no. Ma quando ti ho visto muoverti in quel modo sono rimasto davvero impressionato. Dubito però che tu lo sia. Non mi hai ancora ammazzato."
Dillon sorrise e si rilassò sulla poltrona.
"Dimmi solo una cosa.” chiese Samuel “Come sei riuscito a muoverti e a combattere in quel modo? Prendi qualche sostanza?"
Il ragazzo fece un sospiro prima di parlare e si alzò verso la finestra. "Sì" ammise "Per riuscire a fare la roba che hai visto ieri ho preso mezzo flacone di tranquillanti."
"Cosa?"Samuel pensò di aver sentito male. "Prendi dei tranquillant? Ma a che scopo? Come potresti riuscire a..."
"I farmaci riescono a controllare la mia forza. Ad impedirmi di uccidere qualcuno. Non so come faccio, sono sempre stato così. Fin da piccolo."
"Avevi queste enormi capacità fin da bambino?"
"Sono aumentate gradualmente con il passare degli anni. Sia fisicamente che psicologicamente. E mi sento un mostro per questo."
Samuel si alzò andandogli vicino. "Dillon, tu non sei un mostro. Mi hai salvato la vita ieri."

Non centra. Io sono comunque pericoloso. E non so cosa sono.”
"Ma non hai dei genitori? Prima a casa mia hai nominato tuo padre."
Dillon annuì con un'espressione cupa. "I miei genitori sono morti. E non ho potuto fare niente per salvarli." Il giovane guardò fuori dalla finestra e lentamente cominciò a raccontare.


"I miei genitori avevano sempre saputo del mio conflitto interiore ma non sapevano cosa fare. Finché un giorno presero una decisione. Mi ero appena laureato ma mi rifiutavo di fare una festa. Non le ho mai sopportate. Preferivo una cena da solo con i miei. Le uniche persone a cui volevo bene.
Che ne pensi di un viaggio per festeggiare la tua laurea?”mi disse mio padre. “Si certo perchè no.” Non ero troppo entusiasta. Gli studi mi avevano permesso di tenere la mente occupata ma la storia di Serena non mi aveva più dato pace.
Intanto puoi aprire questo.” disse mia madre porgendomi un pacchettino. Era un orologio bellissimo nero e argentato dal cinturino robusto. Un modello nuovo di zecca. “Grazie mamma, grazie papà è bellissimo.”

Dillon mostrò il polso a Samuel. Lo portava ancora.
"Molto bello." osservò Samuel in attesa che il giovane continuasse il suo racconto.


“Tesoro, ascolta. Tu lo sai che faremmo qualsiasi cosa per renderti felice. Se c'è qualcosa che non va non hai che da dircelo.” Mia madre non sopportava il mio carattere chiuso e solitario. Voleva che avessi degli amici, che mi trovassi una ragazza e cose del genere. Ma io non ero come gli altri ragazzi e volevo solo essere lasciato in pace.
Dillon” intervenne mio padre. “Noi non potremmo essere più fieri di te. Hai un futuro brillante davanti a te. Ti sei laureato con un anno d'anticipo e sei sommerso da offerte straordinarie. Ma sei sempre così abbattuto...per noi è un dispiacere vederti così. Non vuoi farci sapere che cosa c'è che non va?”
A quel punto li affrontai di petto. “Che cosa c'è che non va? Come se non lo sapeste...Sono io il problema. Quello che sono.”Presi un portacenere dal tavolo e glielo sbriciolai con le dita sotto i loro occhi. I miei si allarmarono.
"Dillon, oggi hai preso le medicine?”

Si” sbuffai “Le prendo sempre anche se non servono più molto. Ne devo prendere in quantità industriale ormai. E vorrei tanto capire il perchè? Perchè sono così? Ditemi che c'è una spiegazione vi prego. Ditemi che in famiglia ci sono state persone come me prima.”
Non possiamo dirtelo, mi dispiace..." rispose mio padre abbassando la testa.
Caro" lo interuppe mia madre posandogli una mano sul braccio. “Credo sia arrivato il momento di dirglielo, tesoro." le rispose lui.
Dirmi cosa? Avevo il fiato sospeso e non riuscivo a sopportare la tesione. "Parla." dissi a mio padre alzando il tono della voce.
"Forse dovremmo parlarne a casa..."
"Dimmelo. Dimmelo adesso." protestai quasi urlando.
Mio padre cercò di riprendere fiato a cominciò. "Io e tua madre abbiamo provato per tanti anni ad avere un figlio ma i medici ci dissero che non c'era nulla da fare." Ebbi un terribile presentimento. Avevano fatto qualche trattamento strano forse? Ero frutto di un esperimento scientifico?
"Alla fine ci siamo rivolti ad un'agenzia per le adozioni."
Ero pietrificato. "Non ci credo. Non ci posso credere. E tutte quelle foto di quando ero in fasce? Tutti quei discorsi che facevate per stabilire a chi assomigliavo. Mamma mi dicevi che avevo i tuoi capelli, gli occhi di papà e il naso di non so quale zio!"
A mia madre salirono le lacrime agli occhi. "Eri così piccolo quando ci hanno detto che potevamo portarti a casa. Non avevi neanche un mese. Ed è stato il giorno più bello della mia vita. Non rimpiango niente. Tu per me sei mio figlio."
Io sospirai. Il problema non era l'adozione in sè. Era una cosa nobile. Ma venirlo a sapere così dopo vent'anni... "Dovevate dirmelo."
"Non era così semplice." mi rispose mio padre. Sicuramente non doveva esserlo stato ma in quel momento non avevo alcuna voglia di capirli.
"E non sapete chi..."
I miei scossero la testa. "Non lo abbiamo mai saputo. E' stato fatto tutto nell'anonimato. Tutto ciò che ho è una lettera." mi spiegò mia madre.
"Quale lettera?"
"L'ho trovata nel tuo corredino dopo averti messo a dormire per la prima volta nella cameretta che abbiamo fatto apposta per te. Tua madre doveva avercela nascosta prima di lasciarti."
"Cosa diceva? Voglio vederla."
Lei abbassò lo sguardo. "Ti diceva addio con molto dolore. Come se fosse stata costretta a farlo. Credo fosse una ragazza madre o qualcosa del genere. La conservo a casa in un cassetto."
Io non avevo più forze per parlare. Dovevo assorbire il colpo. Mi alzai e uscii dal ristorante cercando di fare qualcosa per calmarmi ma non mi venne in mente niente che potessi fare. Camminai per qualche minuto sul ciglio della strada finchè non venni raggiunto dalla macchina dei miei.
"Sali, figliolo." mi supplicò mio padre. "Ti prego." Aprii lo sportello e salii di malavoglia. Ero furioso. Ci avviammo in silenzio verso casa mentre io ribollivo di rabbia e lottavo per trattenere le lacrime
.
Ero in quello stato pietoso quando all'improvviso l'auto sbandò su una curva pericolosa . Vidi mio padre perdere il controllo e mia madre urlare. Un secondo dopo avevamo sfondato il guardrail ed eravamo finiti giù nel precipizio."

Samuel lo interruppe per la prima volta."Come hai fatto ad uscire illeso dalla macchina? Hai aperto lo sportello."
Dillon fece un respiro profondo prima di continuare. "No. Sono stato sbalzato verso l'alto ed ho sfondato il tetto della macchina con la testa.
Ricordo tutto in modo confuso. Credo di aver perso conoscenza. Quando sono tornato in me ero steso su un fianco della scarpata mentre l'auto dei miei genitori era scomparsa in fondo al burrone."
"Mi dispiace molto per i tuoi genitori." mormorò Samuel dopo un lungo silenzio.
Dillon tornò a sedersi pensieroso ancora scosso da quel ricordo. "Dopo il funerale ho deciso di andarmene in un posto lontano. Non ero mai stato a Londra. Ho deciso di prendermi una pausa da tutto."
"E che pensi di fare adesso della tua vita?"chiese Samuel preoccupato
Dillon cambiò espressione e sorrise "Ho deciso di aiutarti a dare la caccia ai vampiri."
Samuel lo guardò stupito. "Non era a questo che pensavo l'altra sera. Volevo solo che mi aiutassi con qualche ricerca. Mettersi sulle tracce di un vampiro può essere molto pericoloso."
"Io non ho paura e non ho niente da perdere. Tu invece si, mi sembra."
Samuel colse l'allusione alla sua famiglia. "Non voglio comunque che ti fai ammazzare. Anche se sei forte non sai come affrontare un vampiro."
"E se fossi anche io una specie di vampiro?" chiese Dillon in tono di sfida.
"Non lo sei."rispose risoluto Samuel.
"Vorrei qualche prova almeno." protestò il ragazzo.
Samuel lo fece avvicinare alla finestra e tirò le tende. Poi aprì anche i vetri. Il sole ormai si era alzato e i suoi raggi accarezzavano il volto di Dillon. Il giovane non sembrava avvertire alcun turbamento e la sua pelle rimaneva intatta. Al massimo sembrava più luminosa. Samuel prese una piccola torcia e disse a Dillon di tenere gli occhi ben aperti.

A quanto pare questo è il tuo colore naturale." disse esaminando l'azzurro intenso della pupilla screziata di verde. “Niente lenti. Bene. Hai anche un bel colorito.” Gli prese il polso e controllò le pulsazioni. “Hai un battito accelerato. Cerca di rilassarti. Comunque mi sembra tutto in regola.”
I vampiri sono pallidi quindi?”
Molto e non hanno battito cardiaco. Sono freddi come dei morti. Ed è quello che sono. Dei non-morti.”
"Per questo si nutrono di sangue.”
"Si. Serve a mantenerli in vita. Nelle loro vene non scorre neanche una goccia di sangue."
Dillon estrasse un coltellino svizzero dalla tasca e si ferì il palmo della mano. Il sangue sgorgò rosso dalla piccola ferita.
Samuel gli passò un fazzoletto. "Non era necessario” lo rimproverò “Mi avevi già convinto. Fai attenzione con le ferite. Riescono a sentire l'odore per chilometri."
Dillon sentì salire una rabbia furiosa. “Dobbiamo fermarli, Samuel.”
Samuel ci pensò su. “In ogni caso, ti servirà un addestramento, prima. Sei sicuro di quello che vuoi fare?”
Dillon rispose con un sorriso sghembo. “Assolutamente. Non vedo l'ora di cominciare!”
La sua ferita intanto si era già rimarginata.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Era una giornata nuvolosa all'aeroporto di Vancouver ma non c'era aria di pioggia. Un'elegante signora bruna in tailleur rosso uscì dall'arrivo dei voli nazionali dirigendosi a passo spedito verso l'uscita. Nonostante il suo volto dimostrasse una cinquantina d'anni ben portati, la sua straordinaria bellezza ed il suo fisico snello, facevano voltare diversi uomini, anche più giovani.
La signora Isabella Cullen però, come riportava il cartellino sulla sua vuitton, ignorando ogni sguardo, proseguì fino a trovarsi davanti ad un bellissimo ragazzo sui diciasette anni, dai capelli ramati, che l'aspettava ansioso.
"Bentornata amore, mi sei mancata. " mormorò lui cercando di baciarla sulle labbra.
Lei sorrise e gli porse la guancia. "Adesso no, Edward. Non qui."
Edward sospirò e prendendole dalla mano la valigia la scortò fino alla macchina. Non appena si sentì al sicuro nell'abitacolo dai vetri oscurati, la donna si staccò delicatamente dal viso una maschera sottilissima e trasparente che imitava alla perfezione la pelle umana e rivelò un volto candido da diciottenne. Edward la guardò compiaciuto e la attirò a sè baciandola appassionatamente. Bella ricambiò il bacio abbandonandosi tra le sue braccia finchè non fu lui a staccarsi.
"Mi hai respinto, prima." brontolò lui fingendosi arrabbiato.
Lei sorrise. "Lo sai che quando indosso il travestimento mi vergogno. Cosa penserebbe la gente? Sembro tua madre! Potevi mettere una maschera anche tu."
Edward scosse la testa e accese il motore. "Anche se continuerò a ringraziare in eterno Alice per la sua idea geniale, detesto mettermi quelle maschere. Anche se sono leggerissime ed invisibili è frustrante come cosa. Già devo fingermi un umano, fingermi pure vecchio è stressante. A proposito, tua madre come sta?"
"Oh, sta molto meglio. Il medico dice che si è ripresa ed ha un buon quadro clinico per la sua età. Ma mi ha rattristato con i suoi discorsi."
Edward uscì dal parcheggio continuando ad ascoltarla con attenzione.
"Mi diceva quanto sono belli i nipotini delle sue amiche e cose del genere. So quanto li avrebbe voluti anche lei. Non si è mai rassegnata alla mia sterilità. Anche se le abbiamo fatto passare Renesmee come la nostra figlia adottiva, so che ci sta male per me."
Bella fece scivolare via le lenti a contatto color cioccolato e guardò suo marito con un'espressione triste attraverso i suoi grandi occhi dorati. "Io capisco cosa prova, Edward. Perchè anche io soffro per mia figlia."
Edward sospirò e si fermò ad un semaforo rosso. "Sono passati più di vent'anni, Bella. Renesmee ha ormai superato la cosa."
Lei scosse la testa. "No, Edward. Non lo farà mai. E neanche noi."
Bella spalancò la porta dei suoi pensieri mostrando ad Edward i suoi ultimi ricordi del piccolo David.
I Cullen che uscivano alla luce del sole protetti dai mantelli. Rosalie che posava il piccolo nel seggiolino dell'auto. Renesmee che passava davanti allo sportello aperto per dargli un ultimo sguardo. David continuava a riposare tranquillo senza sapere che non avrebbe più rivisto la sua mamma. Renesmee aveva nascosto il volto contro la spalla di Jakob singhiozzando. Lui avvolgendole le spalle con il braccio l'aveva dolcemente allontanta gettando un'ultima occhiata a suo figlio. Lei, Bella aveva scambiato uno sguardo d'intesa con Rosalie ed aveva chiuso lo sportello guardando la macchina allontanarsi.
Edward si scosse da quella visione e guardò la moglie turbato. "E' stato difficile anche per me. Maledettamente difficile."
"Io non ti sto incolpando di nulla. Vorrei solo poter far qualcosa per nostra figlia. La ferita non si è mai rimarginata. Non potremmo cercare di scoprire che fine ha fatto il bambino? Solo per sapere che sta bene..."
Edward imboccò la strada a nord di Vancouver che portava a casa loro. Non proferì una parola per tutto il tragitto. "C'è una cosa che volevo dirti. Carlisle stava pensando di riunire la famiglia regalandoci un viaggio in Scozia. Possiamo decidere insieme se c'è la possibilità di ritrovare David." Bella lo guardò con gratitudine e lo abbracciò forte.
"Dovremo essere molto cauti.»precisò Edward «I Volturi hanno solo allentato la sorveglianza ma non sono scomparsi dalle nostre vite."
"Certo, lo so. Ma credi che anche Renesmee e Jacob verranno? Le devo telefonare assolutamente stasera."
"Si, penso proprio di sì. Comunque c'è un'altra cosa che volevo proporti...che ne dici di precedere la famiglia e farci un viaggetto solo io e te? E' da un pò che non ce ne stiamo insieme per conto nostro e poi volevo farti un regalino."
Bella lo guardò incuriosita. "Dove vuoi portarmi?"
Edward sorrise esultante. "Nella patria della tua Jane Austen. La prossima settimana io e te saremo a Londra."


L'ospite della Terrace Suite aveva qualcosa si sinistro. Simon, uno dei giovani camerieri del Dorchester, adetto alle Roof Suites, avvertiva sempre uno strano timore quando doveva entrare in quella stanza con il carrello della cena. Il tipo che la occupava aveva dei modi gentili e lasciava laute mancie eppure gettava uno strano senso di inquietudine intorno a sè.
La camera era avvolta nella penombra, illuminata solo da una luce che veniva dalla camera da letto. "Mollo il carrello e me ne vado." pensò Simon accendendo una lampada.
"Cortesemente potresti accendere il camino prima di andare?" chiese il cliente materializzandosi nel salotto.
Il giovanotto ebbe un sussulto vedendolo. Non lo aveva proprio sentito arrivare.
"Si certo signor Dupont." rispose il ragazzo perplesso.
L'altro sorrise. "Louis prego. Siamo quasi coetanei."
Simon si affrettò ad accendere il fuoco con le dita tremanti sotto lo sguardo divertito di Louis.
"Stasera ho una videoconferenza. Non voglio essere disturbato. Non passatemi chiamate." disse Louis porgendogli una banconota.
"Certo, signore." rispose il ragazzo allungando la mano per prendere la mancia.
Louis però la ritirò. "Ah-ah. Cosa avevo detto?"
Simon si corresse. "Certo, Louis."
"Bravo." rispose il distinto giovane mettendogli in mano i soldi. Che mani gelide. Mentre usciva dalla suite ed entrava nell'ascensore Simon guardò stupito le cinquanta sterline. "Ma come fa quello ad avere tutti questi soldi? E per chi lavora?"

Rimasto solo Louis si mise ad ammirare il fuoco e poi il suo sguardo si posò sulla sua immagine sopra lo specchio. I suoi occhi erano quasi neri per la sete. Sarebbe uscito a mangiare qualcosa dopo aver parlato con Aro.Quanto era stato difficile convicerlo ad usare quei mezzi moderni, pensava, accendendo il portatile sopra il tavolino del salotto. Ad un vampiro millenario come lui, che aveva a sua disposizione guardie dagli immensi poteri, le comodità della tecnologia dovevano sembrare una vera perdita di tempo.
A lui, invece, piacevano molto e poi non sopportava essere tagliato fuori dalle nuove scoperte degli umani. Era anche un altro modo utile per evitare il tocco del signore di Volterra.
All'ora convenuta Aro si collegò con lui.
"Aro, mio signore.»esordì Louis «Cosa ne pensi di questa fantastica invenzione?"
Aro dall'altra parte dello schermo lo guardò con diffidenza. "Sei certo che nessuno ci sentirà?"
"Mio signore, mi trovo in una suite all'ultimo piano di un hotel a cinque stelle che da su un parco immenso. La zona è sicura, ho preso tutte le dovute precauzioni."
Aro avvicinò il suo volto pallido allo schermo "Ti ho inviato a Londra per una missione ben precisa. Stando ai tuoi ultimi rapporti, questo cacciatore di vampiri che ha fatto la sua comparsa sta diventando pericoloso."
"Per ora non sta che uccidendo dei neonati inutili e imprudenti. Lo scorso anno avevano lasciato una scia di omicidi che cominciava a dare nell'occhio. Saremmo dovuti intervenire presto o tardi. L'umano ci ha risparmiato parecchio lavoro." commentò Louis sarcastico.
"Sa troppe cose.» obiettò Aro. «Finora ha agito in segreto ma potrebbe rivelare le prove della nostra esistenza da un momento all'altro. Non possiamo correre rischi. Devi trovarlo e ucciderlo."
Louis chinò il capo in segno di sottomissione. "Sarà fatto mio signore." "Credi di riuscire a trovarlo? Posso inviarti dei rinforzi se lo desideri.»
"Non sarà necessario. Sono in grado di trovarlo da solo."assicurò Louis.
Aro lo guardò sarcastico. "Così come sei stato in grado di trovare il nipote dei Cullen?"
Louis si aspettava quel commento. Aro non si era dimenticato di quel bambino. Nè lo avrebbe mai fatto."Non mai ho smesso di cercarlo e lo troverò, mio signore." rispose Louis ossequioso. «Sono passati ventun'anni. Molto presto sono certo che David Black uscirà allo scoperto.»
Gli occhi rossi di Aro dardeggiarono. "Sto cominciando a pensare di intervenire personalmente. A costo di mettere le mie mani su ciascuno dei Cullen e frugare in ogni istante del loro passato. Non deludermi, Louis."
La comunicazione si chiuse. Louis spense il computer e sbriciolò con le mani un portacenere di cristallo riducendolo in polvere. L'ordine di Aro sconvolgeva i suoi piani.


Bella uscì dal teatro entusiasta tenendo la mano di Edward e guardandolo con adorazione. "Oh Edward. E' stato bellissimo! Non avrei mai sognato di vedere recitato Romeo e Giulietta in un teatro come quelli dell'epoca." Edward sorrise e l'attirò a sé, continuando a camminare.

"Sapevo ti sarebbe piaciuto il Globe Theatre. Abbiamo due settimane prima dell'appuntamento con gli altri in Scozia. Possiamo goderci Londra per qualche giorno e poi visitare l'itinerario di Jane Austen."
Bella si fermò per dargli un bacio sulle labbra. "L'idea mi piace ma prima voglio pensare a godermi il resto di questa notte meravigliosa."
Edward fremette di gioia e la sollevò da terra facendole fare una breve piroetta lasciando che i lunghi capelli scuri di lei gli sfiorassero il volto. La baciò di nuovo e la posò a terra cingendole le spalle con un braccio. Bella ricambiò la stretta e gli posò la testa sulla spalla. Continuarono a caminare così in una nuvola di felicità per le strade di Londra isolati dal resto del mondo. Proseguirono a piedi verso Kensington per tornare in albergo senza affrettare il passo godendosi l'atmosfera di quella città leggendaria ricca di secoli di storia. Bella pensò che anche la storia dei Cullen, in un certo senso, aveva avuto inizio lì. Quella città aveva dato i natali a Carlisle ed aveva visto la sua trasformazione tanti secoli prima in una notte buia come quella.
"Bella...non ti voltare ma ho l'impressione che qualcuno ci stia seguendo." bisbigliò Edward in tono appena percettibile.
Bella sussultò e fiutò l'aria. Non avvertiva nessun odore ma sentiva chiaramente un battito cardiaco a diversi passi da loro. "Chi può essere?"pensò lei abbassando il suo scudo mentale.
"Chi lo sa. Forse un ladruncolo che vuole rubarci il portafogli." Edward la guardò sorridendo. «Ci sarà da divertirsi.»
Bella non era dello stesso parere. "Non voglio fare del male a nessuno. Andiamocene." fece per affrettare il passo ma Edward la trattenne. "Prudenza Bella. Non possiamo farci notare."
"Ma è buio e poi non c'è nessuno tranne lui. Preferisco seminarlo."
Edward annuì e al primo angolo le fece cenno di girare. Non appena furono certi di essere al di fuori del campo visivo dello sconosciuto accellerarono il passo alla velocità supersonica dei vampiri, guadagnarono diversi isolati attraverso le strade semideserte. Bene nessuno aveva fatto caso a loro.
"Ok riprendiamo un'andatura umana." disse Bella rilassandosi.
Fatti pochi passi Edward si fermò turbato. "Lo sento ancora."

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Il battito cardiaco del loro discreto inseguitore martellava dietro di loro. "Come ha fatto a raggiungerci?"chiese Bella preoccupata. "Non lo so." ammise Edward fiutando l'aria. Nessuno odore nè umano nè di altra natura. Che strano. Fu la curiosità più che la preoccupazione a spingerlo a girarsi per vedere quel misterioso individuo. Con uno scatto felino si girò di colpo trovandosi ad incrociare gli occhi azzurri e penetranti di un ragazzo biondo, poco più che ventenne. Il giovane colto alla sprovvista portò instintivamente le mani dietro la schiena sotto il suo giubotto di pelle. Forse era armato. Edward ringhiò portandosi davanti a Bella. Sapeva che non ce ne era bisogno ma tutti quegli anni non erano riusciti a scalfire il suo istinto di proteggerla. "Chi è?" mormorò Bella incuriosita quanto lui.

"Non lo so." rispose Edward senza distogliere lo sguardo dal giovane.

Si accorse che non solo non aveva odore, ma poteva muoversi alla loro stessa velocità. E non era tutto.

"A cosa sta pensando?" chiese mentalmente Bella.

"Non...capisco...i suoi pensieri...non riesco ad accedervi. Come con te..." bisbigliò Edward sempre più sbalordito.

Lo sconosciuto a sua volta lo squadrava con attenzione senza battere ciglio. "Che cosa vuoi?" si decise a chiedere Edward alla fine.

Il ragazzo ebbe un breve sussulto prima di rispondere. "Cosa voglio da voi?»esclamò con voce limpida a tuonante. Vediamo...impedirvi di fare stragi di innocenti per esempio. So cosa siete."

No, si disse Edward. Non era possibile. Quel ragazzino sapeva?

"Non vogliamo fare del male a nessuno." intervenne Bella allarmata mettendosi al fianco di Edward. "Siamo vegetariani."

Edward la fissò con aria di rimprovero. L'aria tesa ed ostile del ragazzo si sciolse in una risata. "Questa è buona davvero. Due vampiri vegetariani? E di cosa vi nutrite? Di cicoria?"

"Di sangue animale." rispose secco Edward. Ormai la frittata era fatta. "Guarda i nostri occhi.» aggiunse «Se conosci i vampiri noterai che abbiamo qualcosa di diverso." C'erano diversi metri di distanza tra loro ma evidentemente il giovane potè notare senza fatica la loro iridi color ambra. La cosa sembrò turbarlo un pò.

"Non posso crederci." pensò. "Ma com'è possibile?"

Stranamente quel pensiero riuscì ad arrivare nella mente di Edward. Che stano...

"Posso rispondere alle tue domande.»rispose Edward «Se tu vorrai rispondere alle mie."
"Tipo?"chiese il ragazzo diffidente.

"Il tuo nome ad esempio. Gradirei sapere con chi sto parlando."

Il ragazzo alzò le spalle esasperato «Ma perchè sono tutti fissati con le presentazioni? E va bene. Mi chiamo Dillon."

"Io sono Edward e questa è mia moglie Bella."

"Siamo lieti di conoscerti." aggiunse lei in tono affabile.

Il ragazzo però non rispose. Sembrava aver perso le parole.


 

Dillon li guardava perplesso. I vampiri si sposavano? Vampiri vegetariani, per giunta? Desiderava saperne di più. Quei due esseri non sembravano avere intenzioni ostili e avevano un aspetto bellissimo. Un arma per attrarre le loro vittime, probabilmente. O forse no...Dillon li annusò con attenzione percependo un insieme di fragranze profumate, unite all'odore di gelo e morte che ormai gli era diventato familiare. Eppure doveva ammettere che sì, c'era qualcosa di diverso in loro, specie lo sguardo umano dei loro occhi, specie in quelli della ragazza.

"Così mi assicurate di non essere pericolosi?"

Edward annuì. "Hai la nostra parola."

Dillon valutò la sincerità di quelle parole quando un soffio di vento portò un altro odore nelle sue narici. "Forse voi no. Ma lui sì." esclamò irato portando entrambe mani dietro la schiena sotto la giacca.


 

"Edward c'è un vampiro." mormorò Bella preoccupata.

"Bene bene" quel pensiero ghignante proveniva da un tetto sopra le loro teste. Un uomo giovane e bruno sui venticinque anni saltò giù dal tetto atterrando silenzioso sull'asfalto della strada tra i vampiri e l'umano.

Dillon digrignò i denti. "Un vostro amico?" chiese fissando la coppia e accennando al vampiro.

Edward notò una V argentata appesa alla catenina del nuovo arrivato. Volturi senza dubbio. "No." rispose soffocando un ringhio. Poteva giurarci che non era un loro amico.

"Salve." disse il vampiro con un sorriso falso come pochi."Spero di non aver disturbato. Permettete che mi presenti. Sono Louis Dupont. Voi siete Edward e Bella Cullen. E' un piacere conoscervi di persona."

«Tutti educati voi vampiri.» commentò Dillon sarcastico. «Vi fanno studiare in collegio, per caso?»

«No, ma si è liberato un posto per te all'asilo, ragazzino.» rispose Louis ironico.

Edward seguì lo scambio di battute avvertendo gli sforzi di Louis per dissimulare i suoi pensieri. Evidentemente conosceva il suo potere.

"Che cosa vuoi da noi?" chiese stringendo a sè Bella. Avrebbe dovuto ucciderlo prima di toccare sua moglie.

"Mio caro Cullen." replicò Louis divertito. "Chi dice che voglio te?" A quel punto l'obiettivo nella mente del vampiro trapelò nitida. Voleva Dillon.

Lo sguardo di Edward si posò sul giovane alle loro spalle che con il gelo nei suoi occhi azzurri aveva seguito in silenzio il loro dialogo. Anche Bella comprese e insieme a lui si parò davanti al ragazzo con un balzo all'indietro.


 

Dillon rimase colpito da quel gesto. Volevano proteggerlo? Tentò di estrarre le pistole ma non ci riucì. Si accorse che tutto il suo corpo era invaso da un fastidioso formicolio e che non poteva nemmeno muovere un muscolo. 
Cosa mi sta succedendo? Pensò Dillon terrorizzato.
Dillon non capiva più nulla come sei suoi sensi sempre vigili e all'erta si stessero annebbiando. Attraverso un velo vide Bella ed Edward fargli da scudo contro Louis che non gli staccava di dosso i suoi diabolici occhi rossi. All'improvviso Edward venne spinto laterlmente con violenza ad una velocità supersonica senza che ci fosse qualcosa o qualcuno a toccarlo. Non potendo muovere la testa Dillon non riuscì a vedere dove fosse andato a finire il vampiro ma in compensò riuscì a sentire un infernale suono metallico schiantarsi sulla strada. Pensò che forse Edward aveva abbattuto un lampione. Bella disperata gridava il suo nome.

Louis avanzava fissando la vampira e il suo sorisetto beffardo si spense di colpo. Dillon si sentì di nuovo libero di muoversi e velocemente estrasse le pistole puntandole su Louis e facendo fuoco. Louis fu più veloce però e si ritirò fulmineo. I proiettili si conficcarono contro un muro facendone esplodere una parte. Edward li raggiunse un instante dopo ed insieme a Dillon e a Bella si lanciò all'inseguimento.

Louis si mosse agile per le strade e gli incroci e con un balzo altissimo arrivò in cima ad una cattedrale. Era Saint Paul's. I tre furono sul sagrato in pochi secondi.

"Dillon." disse ad un tratto Edward. "Lascia andare Bella davanti a noi. Ci farà da scudo."

"Contro cosa?" "Contro il potere di Louis."

Dillon fu più confuso che mai ma decise di fidarsi di Edward.

"Attenti." gridò Edward afferrando il ragazzo e sua moglie per la vita e spingendoli da una parte. Un attimo dopo una statua di marmo si schiantò nel punto in cui stavano prima. Come aveva fatto Edward a prevederlo? "Presto sta scappando." gridò Dillon rialzandosi e lanciandosi sulla facciata per arrampicarsi. Nell'ansia della caccia si era dimenticato dell'avvertimento di Edward. La paralisi lo colse nuovamente sull'orlo del tetto. Louis gli si avvicinò con un ghignò diabolico. Dillon sentì il suo corpo alzarsi da terra e ruotare su sè stesso ritrovandosi a testa in giù. Il giubbotto nero si aprì lungo i lati scoprendo la doppia fondina. Louis incatenandogli suoi occhi addosso con un sorriso divertito gli sfilò di dosso le due pistole e le puntò contro Edward e Bella che in quel momento erano apparsi sul tetto. I due vampiri si piegarono all'indietro schivando le pallottole ma una delle due riuscì a tagliare di strisciò una spalla di Bella. La vampira ruggì per il dolore e cadde all'indietro nel vuoto.

Dillon vide Edward lanciarsi dietro di lei, ed atterrare sul piazzale un attimo prima che Bella raggiungesse il suolo. La prese al volo afferrandola saldamente tra le braccia.

Dillon fissò rabbiosamente Louis e per un istante ebbe come l'impressione di avere uno spettro di luce rossa davanti agli occhi. Bastò quell'attimo e si sentì di nuovo libero. Atterrò con le mani sul tetto e si dette la spinta per colpire Louis alla schiena facendo una capriola in avanti. Il vampiro preso alla sprovvista, lasciò scivolare le pistole e venne sbalzato in avanti. Dillon atterrò con grazia e raccolse in fretta le sue armi. Louis intanto aveva afferrato una statua per non finire di sotto e cominciò a correre verso la parte opposta del tetto. «Fermo!»gli gridò Dillon puntandogli contro le pistole.

"Sarebbe solo una perdita di tempo, amico." disse Louis riprendendo fiato. "Se tu mi spari, io blocco i proiettili."

Dillon non si mosse continuando a tenerlo sotto tiro. "Cosa vuoi da me?" chiese con un lampo di odio negli occhi.

Louis sorrise. "Lo saprai."

In quel momento Dillon sentì di nuovo il suo corpo immobilizarsi.

"Prendo solo una piccola precauzione." lo rassicurò Louis. "Concedimi un piccolo vantaggio."

Gli si avvicinò senza esitazione e gli diede un buffetto sulla guancia. "Ci rivedremo presto, ragazzino." bisbigliò il vampiro prima di scomparire nel buio.

Dillon si riscosse dopo qualche minuto e udì il grido di Edward. "Bella!»

Con un brivido lungo la schiena scese dal tetto si affrettò a raggiungere il piazzale. La vampira giaceva inerme tra le braccia del suo compagno, con gli abiti inzuppati da un liquido nero che le sgorgava dalla spalla.
"Oh mio Dio!"esclamò Dillon di fronte a quello spettacolo spaventoso. "Dillon!" gridò Edward cercando di tamponare l'emorragia con la sua giacca."Ti prego, fa qualcosa!"

Dopo un attimo di esitazione Dillon gli andò vicino. In fondo gli avevano salvato la vita.

"Stai tranquillo» disse chinandosi ad esaminare la ferita. «Il proiettile l'ha colpita solo di striscio."

"E dovrei stare tranquillo!» strillò Edward «Mia moglie sta sanguinando!!"

"Senti vampiro, ringrazia che la pallottola non sia penetrata altrimenti le sarebbe esploso un braccio." Dillon si sfilò il giubbotto e slacciò la camicia bordò che portava sopra la t-shirt nera. «Provo a farle un laccio emostatico.»disse cominciando a strapparla in tante strisce.

"Cosa diavolo c'era in quei proiettili???" chiese Edward agitato.

"Argento più o meno." rispose Dillon cercando di fasciare il braccio di Bella. "Come più o meno??"

"Un composto particolare...adesso è difficile spiegare."balbettò Dillon stringendo il nodo. L'emoraggia sembrò diminuire.

Edward si accigliò. "Magari capisco...ho tre lauree in medicina."

"Vogliamo proseguire la discussione scientifica da un'altra parte o insieme agli sbirri che probabilmente arriveranno a momenti?" ribattè Dillon spazientito.

Edward lo fulminò con lo sguardo. "Prima devo provare a chiudere la ferita di mia moglie." Con un ringhio chinò la testa all'indietro mostrando i denti affilati. Dillon portò la mano sull'arma guardandolo con sospetto.

Ma Edward non si curò affatto di lui e si chinò su Bella scoprendole la pelle nuda all'altezza della clavicola. Sotto lo sguardo sorpreso di Dillon, Edward portò le labbra sulla ferita e ci passò la lingua sopra senza mostrare alcuna ripugnanza; al contrario fece quel gesto con una strana tenerezza, quasi materna, che Dillon non avrebbe mai immaginato in creature come i vampiri. Lo squarcio sulla pelle marmorea di Bella si richiuse completamente.

"Come ci sei riuscito?" chiese Dillo meravigliato.

Edward tornato sereno prese a cullare la moglie tra le braccia. "Il nostro veleno ha anche la capacità di guarire." spiegò in tono calmo.

"Oltre a uccidere vuoi dire?" puntualizzò Dillon.

Edward si alzò in piedi sollevando Bella e guardò Dillon irritato. "Vogliamo continuare la discussione horror da un'altra parte o insieme alla polizia che probabilmente arriverà a momenti?"

Dillon abozzò un sorrisetto. Che faceva? Gli rubava le battute?

"Ok, ma aspetta." Dillon raccolse il suo lungo giubbotto di pelle e lo stese sopra il corpo della vampira a mo' di coperta. "Mettile questo, non vorrete dare nell'occhio con tutto quel sangue?"

"Grazie." gli mormorò Bella con un sorriso debole.

"Grazie." ripetè Edward guardandolo intensamente.

«Grazie a voi.» rispose Dillon ancora stravolto da quella strana situazione.

Rimasero a guardarsi per un lungo momento poi Edward ruppe il silenzio.

"Adesso devo riportarla in albergo. Ha bisogno di riposo." spiegò cominciando a camminare ad andatura umana, portando la moglie in braccio. Dillon provò un inaspettato turbamento vedendoli andare via.

"Aspetta.» gli gridò dietro.

Edward si fermò e si girò a guardarlo interrogativo.

Dillon non seppe cosa rispondere. Sapeva solo di avere ancora tante domande a cui voleva una risposta e che quelle due creature per qualche motivo, gli facevano compassione. «Dove alloggiate?"chiese

Edward alzò un sopracciglio "A Kensington, perchè?"

Dillon scosse le testa . "E' troppo lontano. E con la tua signora conciata così non ti conviene andare in giro. Venite con me."

Edward lo seguì silenziosamente lungo la strada, sempre stringendosi Bella al petto. Non appena appena ebbero girato l'angolo, il suono di una sirena della polizia attraversò l'aria in direzione della cattedrale.

Dillon fece cenno ad Edward di ritirarsi nell'ombra "Cerchiamo di non dare nell'occhio. Gli sbirri tendono a notare cose come una donna ferita coperta di sangue." osservò Dillon.

"Si c'ero arrivato anche io." risose Edward spazientito. "Cosa suggerisce quindi la nostra guida turistica?"

Dillon fece un sorrisetto. "Beh, siamo a Londra..." si infilò due dita in bocca e fece un fischio. Un taxi nero si fermò accanto a loro. Dillon aprì lo sportello ed aiuto Edward a salire insieme a Bella.

"Whitechapel Road per favore." disse al tassista.
Mentre il taxi partiva e si allontanava, Dillon notò che gli agenti di polizia si dirigevano davanti alla cattedrale. Appena in tempo!

"La vostra amica non sta bene, ragazzi?" chiese il tassista guardando Bella dallo specchietto retrovisore.

"E' solo molto stanca." improvvisò Dillon. «E poi è il fuso orario. Vengono da fuori.»

"Ah, beh dovete fare attenzione ragazzi la sera. In questa città non si può più stare tranquilli. Oltre un anno fa c'è stata una scia di omicidi nell'East End. Gente trovata dissanguata. C'era chi credeva ai vampiri...ma ci pensate?"

Edward e Dillon finsero di ridere. "Io a certe cose non ci ho mai creduto. Vampiri. Non ci crederei nemmeno se ne salisse uno sul mio taxi."

Edward e Dillon si guardarono sforzandosi di trattenere le risate. In una decina di minuti furono a destinazione. «Quant'è?» chiese Dillon.

"Lascia faccio io." disse Edward tirando fuori il portafogli per pagare la corsa. Dopo aver udito le ultime raccomandazioni dell'autista, varcarono il portone del palazzo e salirono nell'appartamento di Dillon. Edward appoggiò Bella sul divano letto e si fece dare un panno umido per pulirle le macchie di sangue. Dillon le prese una maglietta nera dall'armadio. " Se ti vuoi cambiare puoi mettere questa. Ti andrà un pò larga, ma provvisoriamente può andare."

Bella alzò piano piano la testa e gli rivolse un debole sorriso. "Grazie." Dillon ricambiò il sorriso. "Vi lasciò un pò di privacy." disse prima di entrare in bagno. Apriì il rubinetto e si sciacquò il volto cercando di rilassarsi. Ma non era facile. Aveva sempre due vampiri che lo aspettavano in salotto.

"A che punto sono arrivato!" pensò il giovane cacciatore guardandosi nello specchio. "Adesso mi porto pure il lavoro a casa."

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 

Il monolocale di Dillon era piuttosto spoglio. L'unica mobilia consiteva in un armadio a muro, un tavolo, una scrivania piena di cianfrusaglie, un minuscolo frigo sotto l'angolo cottura ed il divano letto su cui era coricata Bella. Edward gettò via nel cestino il panno con cui aveva ripulito il braccio di Bella e la aiutò a indossare la maglia che le aveva dato Dillon.
"Che strana sensazione.»mormorò lei con voce debole «Non sentivo dolore e stanchezza dai tempi della gravidanza."
Edward le sorrise. "Sai che non mi piace vederti soffrire, ma mi è mancato il tuo lato fragile. Adoro prendermi cura di te. "
Bella lo guardò intensamente. "Quello lo sai fare sempre benissimo."sussurrò lei sprofondando la testa nel cuscino. "Voglio provare a chiudere gli occhi. Anche se non posso dormire mi aiuta a rilassarmi."
"Cerca di riposarti e rimani in silenzio mentre io parlo con questo ragazzo." mormorò Edward accarezzandole i capelli.
Proprio in quel momento Dillon uscì dal bagno con i capelli umidi e pettinati all'indietro "Tutto bene?" chiese premurosamente.
"Si, grazie." rispose Edward continuando ad accarezzare i capelli di Bella.
"Bene." rispose Dillon guardandosi intorno. Sembrava imbarazzato.
Anche Edward doveva ammetterlo: era una situazione strana.
"Immagino di non poterti offrire niente." scherzò ironico Dillon . "Non potrei in ogni caso. Il frigo è sempre vuoto. Aspetta però...credo mi sia rimasta una vaschetta di gelato nel freezer. "
"Ti dispiace se...?" chiese ad Edward tirandola fuori e prendendo fuori un cucchiaino. «Mi è venuta una fame nervosa...»
Edward non battè ciglio e prese a studiare quel misterioso ragazzo.
Era straordinariamente bello, per essere un umano, e i suoi gesti avevano l'agilità tipica dei vampiri. I suoi sensi sembravano addirittura più sviluppati. Aveva fiutato Louis e udito l'auto della polizia prima ancora di lui. Eppure era diverso da Renesmee. Il suo cuore batteva regolarmente. Non sembrava un semplice ibrido. Non riusciva a capire perchè non potesse sentire il suo odore e perchè gran parte dei suoi pensieri gli fossero inaccessibili. Dillon a sua volta lo squadrava con diffidenza, probabilmente cercando probabilmente di vedere nel suo volto, dove finiva l'umano ed iniziava il demone.
"Dillon posso chiederti perché ci stai aiutando?»esordì Edward «E perchè ci stavi seguendo?"
Dillon posò il cucchiaino e guardò fisso Edward seriamente.
"Sono un cacciatore di vampiri e se le vostre budella non sono sparse sul pavimento è perchè poco fa mi avete salvato la vita. "
Edward lo fissò stupito. «Ho sentito varie leggende sui cacciatori di vampiri, ma non credevo che esistessero davvero.»
Dillon lo guardò incredulo. «Scusa , ma non è strano che lo dica tu a me?»
Edward rise. «Immagino di sì, in effetti.»
Tacquero entrambi per un istante e Dillon tornò a dedicarsi al suo spuntino notturno.
«E così i cacciatori di vampiri mangiano il gelato?» chiese Edward divertito.
«E' buono...alla stracciatella...non sono mica a dieta.»protestò Dillon gustandosene un'altra cucchiaiata.
"E come lo sei diventato?» chiese Edward stavolta in tono più serio «Chi ti ha rivelato la nostra esistenza?"
Dilllon posò la vaschetta sul lavello. "Senti, ti dispiace se facciamo una domanda alla volta? Ne avrei qualcuna anche io, tra l'altro."ùEdward ricambiò lo sguardo diffidente. Ecco perchè lo aveva portato lì: voleva scoprire tutto quello che poteva sui vampiri e averne a disposizione uno lì, per giunta innocuo, doveva essere una prospettiva troppo allettante per il giovane cacciatore.
«Cosa vuoi sapere?» chiese Edward cauto.
"Ad esempio...cosa facevate in giro di notte se siete vegetariani?"
Edward sorrise sollevato. "Eravamo andati a teatro e ci stavamo facendo una passeggiata romantica."
Dillon non ci voleva credere. «Due vampiri a teatro?E cosa davano? Maria la Sanguinaria?"chiese scettico.
Edward scosse la testa. "No, Romeo e Giulietta. Tocca a me adesso. Come fai ad avere certe...capacità?"
"Non lo so, ci sono nato.»tagliò corto Dillon «Adesso rispondimi su un'altra cosa..."
"Tocca ancora a me.»precisò Edward «Tu me ne hai appena fatte due."
Dillon aggrottò le sopracciglia. "Ma quella sul teatro non contava!"
"Non importa.»insistè Edward «Dimmi prima come sei diventato cacciatore di vampiri ed io ti racconterò quello che vuoi sapere."
«D'accordo, non c'è motivo per cui tu non debba saperlo.» Dillon prese una sedia e si accomdò di fronte a lui, sistemandosi le pistole nelle tasche del jeans.
"E' una lunga storia." cominciò.
"Non c'è problema, ho tutta l'eternità a disposizione." rispose tranquillo Edward guardandolo con un sorriso sghembo.
Dillon accennò un sorriso e iniziò a narrare. «E' cominciato tutto diciotto mesi fa in un club di incontri clandestini. Ma già da prima nella mia vita erano accadute cose strane...»
Edward ascoltò attentamente il racconto di Dillon. La sua infanzia tormentata, la morte di Serena, la scoperta di essere stato adottato, l'incidente dei genitori, il suo incontro con l'investigatore, di cui prudentemente omise il cognome e la decisione di imbarcarsi in quella folle impresa.
"Cosa ti ha spinto esattamente a dare la caccia ai vampiri?»chise Edward interessato. «Volevi vendicare Serena?"
Dillon sospirò e riflettè per un istante prima di rispondere. "No, non era la vendetta quello che volevo. Volevo scoprire cos'era realmente succese e poi mi sembrava un buon modo di impiegare le mie forze assurde in qualcosa che avesse un senso. Per sentirmi meno mostro."
Edward annuì ripensando all'epoca in cui aveva lasciato Carlisle ed Esme. Anche lui si era illuso di trovare un compromesso con la sua natura, uccidendo i criminali. Gliene avrebbe parlato, ma prima voleva sentire il resto della storia. "Il tuo amico detective ti ha insegnato a diventare cacciatore? Come ha fatto?"
"Non ci è voluto molto." continò Dillon rianimandosi «Per prima cosa lui mi fece sospendere i farmaci che mi aiutavano a controllare la mia forza fisica. Avevo paura delle conseguenze, ma lui trovò un modo per tranquillizzarmi.
"Passerai la prima notte in una camera d'ospedale." mi disse Samuel quel giorno quando più tardi gli consegnai i miei flaconi. "Sono tutti, Dillon?"
"Aspetta.»feci io «Cos'è questa storia dell'ospedale?"
"Ho delle conoscenze in una clinica. Li si occupano di dipendenza da farmaci, crisi d'astinenza. Sapranno cosa fare se stanotte..."
Io rabbrividdii. Quello che mi preoccupavano erano gli incubi. E i sogni. Gli incubi più neri che mi stringevano la gola e i sogni più dolci che si dissolvevano proprio quando mi illudevo che fossero reali. Quella notte però fu diverso. Feci un sogno diverso. Non spaventoso ma strano. Ero inseguito lungo un corridoio bianco. Una fila di porte ed io che dovevo sceglierne una. Con quell'immagine ancora in mente mi svegliai. Era tutto più... amplificato, a cominciare dalla mia pelle. Percepivo distintamente il tessuto felpato della tuta sulle mie gambe e il cotone della maglietta sul torace. Le molle del materasso sotto di me. Ogni singola vibrazione che veniva dall'esterno. Voci e rumori confusi.Mi alzai con un gesto sentendomi leggero e al tempo stesso forte come se fossi fatto di ferro. L'odore del dopobarba di Samuel, più nitido che mai, precedette il suo ingresso quando venne a trovarmi accompagnato da un medico. Erano sorpresi della mia calma. Non avevo nessun tipo di aggressività, ansia o desiderio dei farmaci. In pratica vi ero abituato, ma non ne ero dipendente. I miei valori erano perfetti e mi fecero uscire subito. Mi ci volette un pò prima di abituarmi ai miei nuovi sensi. Vedevo e udivo a distanze più elevate come non avevo mai fatto prima. Mi sentivo talmente pieno di energia che avrei potuto spaccare il mondo in due.
La mattina mi allenavo per misurare le mie potenzialità in una palestra della polizia ed al poligono di tiro. Intutile dirti che ho fatto 10 centri su 10 al mio primo tentativo. I presenti intorno a me smisero di sparare, si tolsero le cuffie di protezione e rimasero a fissarmi con la bocca spalancata. "Come cavolo hai fatto?" mi chiese qualcuno.
"La fortuna del principiante." risposi alzando le spalle.

Edward scoppiò a ridere. "Ti prego continua."

"Il resto della giornata la passavo studiando i dossier di Samuel. Dentro c'era tutto il materiale che aveva raccolto sui vampiri.»

Dillon fece una pausa «Ti dispiace se prendo un altro pò di gelato? "
Edward era sempre più incuriosito. "Che tipo di materiale? Miti e leggende scommetto."
"Bè, non solo. " disse Dillon leccandosi il cucchiaino. "C'era il Trattato di Vampirologia di Abraham Van Helsing, testimonianze raccolte nel corso dei secoli da dottori, investigatori, appassionati della materia."
"Sono quasi tutte balle." intervenne Edward. "L'aglio, le croci, le bare..."
Dillon annuì "Alcune erano veramente ridicole. Come la vergine sul cavallo bianco."
"Cosa? Questa mi mancava..."osservò il vampiro perplesso.
"In pratica se mandi una vergine su un cavallo bianco nel cimitero e nel punto in cui il cavallo si imbizzarrisce, lì sotto c'è la tomba del vampiro."
Edward scoppiò a ridere "Mamma mia! E' la cosa più ridicola che abbia mai sentito."
"Sono d'accordo." rispose Dillon divertito. "Samuel era riuscito ad identificare piuttosto bene gli omicidi ad opera di vampiri e a riconoscere le loro stragi nascoste dietro epidemie e catastrofi di vario genere. Ma era convinto che i vampiri fossero esseri mostruosi, selvaggi e puzzolenti."
"Che gentile! Tante grazie." commentò Edward fingendosi offeso.
Dillon lo ignorò e continuò. "Io non ero dello stesso parere. Esaminai i vari rapporti e venne fuori che alcune vittime erano giovani donne attraenti, giudicate responsabili ed in gamba. Non certo il tipo da andarsene in giro di notte da sole, per le strade buie. Chi le aveva avvicinate, conquistandosi la loro fiducia, non poteva quindi essere un mostro dall'aspetto repellente."
Si avvicinò cauto ad Edward fissandolo con attenzione.
«Tu ad esempio, con il tuo aspetto bellissimo, non avresti difficoltà a farti seguire da una ragazza in un vicolo."
Edward imbarazzato guardò Bella. Anche se aveva gli occhi chiusi sapeva che poteva sentire tutto.
«Non mi apparto con le ragazze nei vicoli, sono vegetariano e sposato.» si affrettò a rispondere «E comunque penso che anche tu potresti conquistare facilmente i favori di una fanciulla." rispose in tono di sfida.
L'espressione accusatoria di Dillon si sciolse come se quelle parole lo avessero turbato. Io non sono come te! Il pensierò di Dillon gli tuonò nella testa. Edward sussultò chiedendosi come avesse fatto.
«Dillon, lo so. Tu non sei un vampiro."mormorò guardandolo seriamente.
"E allora cosa sono?" chiese il ragazzo con lo sguardo cupo.
"Non lo so." ammise Edward confuso «Sinceramente non ne ho idea."
Dopo una pausa Edward riprese a parlare, cambiando argomento. "Quando hai incontrato un vampiro per la prima volta?"
Dillon rimase sulla difensiva. "Eh no, mio caro. Adesso tocca a me. Direi che hai saputo abbastanza finora."
Edward si allarmò. "Vuoi informazioni sui vampiri, se ho capito bene? Per prima cosa, Dillon, sappi che non sono contrario alla tua missione perchè so di cosa sono capaci quelli della mia specie. Io e la mia famiglia abbiamo ucciso in più di un'occasione dei nostri simili per proteggere noi stessi e degli umani innocenti. Ma cosa ti impedisce di usare quanto ti dirò anche contro di me e coloro che amo? Noi siamo diversi. Non ci nutriamo di sangue umano. Non vogliamo fare del male a nessuno. Non abbiamo chiesto noi di diventare quello che siamo. Vogliamo solo vivere in pace."
Bella aprì gli occhi e sollevandosi sui gomiti, rivolse a Dillon uno sguardò implorante. "Ti prego...non farci del male." mormorò con voce flebile.
Edward si chinò su di lei per rassicurarla. "Devi riposarti, amore. Sei ancora debole. Vedrai che andrà tutto bene." Era quello che sperava anche lui.
Dillon si sentì combattuto. Quelle creature erano pacifiche. In due probabilmente avrebbero potuto avere la meglio su di lui ma non sembravano averne alcuna intenzione. Lo avevano difeso dall'attacco di un altro vampiro e poteva vedere, dall'affetto che si dimostravano tra loro, che erano capaci di provare dei sentimenti umani. Non poteva metterli allo stesso livello dei mostri che aveva massacrato finora. Ma non poteva nemmeno ignorare che non erano affatto degli esseri umani ed erano potenzialmente letali. "Edward.» cominciò Dillon dopo un sospiro «Ho un debito di riconoscenza verso te e la tua signora e non ho intenzione di farvi del male. Ma io ho il dovere di raccogliere quanto più materiale possibile sulla tua specie, per poter fermare vampiri come Louis e proteggere le persone innocenti. E penso che proprio perchè sei diverso dai tuoi simili, dovresti aiutarmi."
Edward ci pensò su per un istante. "Quanto ti dirò, rimarrà tra di noi o farai rapporto al tuo collega?»
"Io e Samuel manterremo segreto il tutto. Come abbiamo sempre fatto. Non sei tenuto a formirmi nomi e cognomi. Mi basta che mi aiuti a conoscere meglio il mio nemico."
"Cioè, i vampiri?"
"I vampiri cattivi.» precisò Dillon accennando un sorriso «Quelli buoni per ora li lascio in pace."
Edward sorrise a sua volta e si rilassò. Bella che più pallida che mai gli rivolse uno sguardo di approvazione.
"Che cosa vuoi sapere?" disse preparandosi per «l'intervista».
Dillon lo guardò come se avesse preparato da tempo quella domanda. "Cosa siete? Da dove hanno orgine i vampiri?"
Edward sospirò. "Passo. E' una cosa che non ho mai saputo nemmeno io. La risposta si perde nella notte dei tempi. Ci siamo sempre stati per quanto ne so."
"E che mi dici della tua notte dei tempi? Te la ricordi?" insistette Dillon.
Edward si rattristò. "Come dimenticarlo? E' praticamente impossibile dimenticare quel giorno...Avevo diciasette anni ed era il 1918. Stavo per arruolarmi per il fronte, quando contrassi la febbre spagnola e fui portato in ospedale insieme alla mia famiglia. In pochi giorni fui in fin di vita."
"Fu allora che incontrasti il tuo...creatore? Si dice così?"
"Si. Lui faceva il medico in quell'ospedale."
Dillon sgranò gli occhi. "Un vampiro medico? Mi prendi in giro?"
"No. Assolutamente." rispose serio Edward.
"Vuoi dire che era la sua copertura? Per cercare...prede?"
Quella domanda provocò un ringhio da parte di Edward. "Cosa? No, affatto! Il mio creatore,  come lo chiami tu, nonchè mio padre adottivo, è la persone più buona e compassionevole del mondo. Non avresti nemmeno pensato una cosa simile se lo conoscessi."
"Scusa se ho offeso il tuo paparino...ma come facevo a sapere..?" si scusò subito Dillon.
"Appunto, quindi ascolta senza interrompere.» lo rimproverò Edward «Sappi dunque che mio padre verso la fine del XVIII secolo faceva all'incirca la tua professione, proprio qui in questa stessa città."
Dillon sgranò gli occhi:»Cosa?»
"Dava la caccia ai vampiri come te. Era il figlio di un pastore e voleva liberare Londra dai demoni che seminavano morte in città, all'epoca della peste. Ma una notte venne morso da una creatura che stava inseguendo e si trasformò. Lui però, mantenne intatto il suo animo buono e altruista e, invece di attaccare gli umani seguendo i suoi istinti, cercò di uccidersi lasciandosi morire di fame. Un giorno mentre si trovava rintanato in un bosco attaccò un cervo e scoprì che poteva nutrirsi di sangue animale. Col tempo riuscì a controllarsi sempre di più davanti all'odore del sangue e decise di diventare medico e salvare vite umane. Voleva in qualche modo espiare il male presente nella sua natura. Se la cavò brillantemente. Oltre a diventare un ottimo medico, in oltre trecento anni, non ha mai assaggiato sangue umano."
Dillon provò una forte compassione per quell'uomo sventurato, costretto a diventare proprio quello che aveva cercato di sconfiggere, mista ad un senso di ammirazione per la sua incredibile forza di volontà con cui era riuscito a proteggere gli altri da sè stesso. "Mi piacerebbe conoscerlo." disse senza neanche pensarci.
"Glielo dirò." sorrise Edward. "Dopo la morte dei miei genitori lui mi trasformò e mi prese con sè. Mi insegnò come vivere la mia nuova natura senza fare del male a nessuno. Col tempo si unirono a noi altre persone. Erano tutte persone gravemente ferite, o in fin di vita a cui mio padre aveva voluto dare una seconda possibilità."
Edward non entrò nei particolari della trasformazione, nè specificò se tutti erano riusciti fin dall'inizio a fare a meno del sangue umano. Forse era meglio non insistere su quel punto.
"E il sangue animale vi basta?"chiese Dillon passando ad un altro argomento.
"E' come nutrirsi di tofu e latte di soia. Ci tiene in forza anche se non ci appaga veramente."
"E ogni quanto dovete nutrirvi?"
"In media ogni due settimane. Facciamo in modo di abitare in prossimità di foreste ricche di selvaggina. Attacchiamo anche orsi, puma e altri animali pericolosi quando il loro numero aumenta e diventano un rischio per le persone."
"Davvero ammirevole." riconobbe Dillon "E come farete qui a Londra?"
"Oh, io e Bella ci siamo nutriti a sufficienza prima di partire. E poi nella località dove andremo tra pochi giorni, ci sono cervi in abbondanza."
Dillon fissava Edward sempre più interessato. "I vostri occhi sono di questo colore per via del sangue animale?"
"Si, infatti." confermò Edward "Riesce a passare anche per un colore umano. Quando abbiamo sete diventano neri. I vampiri tradizionali li hanno rosso cremisi."
Dillon ripensò a Louis "Come quello che ci ha attaccato stanotte? "
Edward annuì guardandolo preoccupato.
"Come riusciva a ...fare quelle cose?"domandò Dillon ansioso.
"A quanto pare il suo potere è la telecinesi."spiegò Edward  "Molti di noi hanno poteri mentali."
"Anche i poteri mentali!"pensò Dillon sconcertato. "I vostri quali sono?" chiese incuriosito anche se più meno se ne era già fatto un'idea.
"Io leggo nel pensiero."rispose il vampiro "Mia moglie ha uno scudo che annulla i poteri degli altri vampiri ed offre una protezione a chiunque desideri."
Dillon comprese che era grazie a lei, che Louis aveva perso il controllo su di lui durante lo scontro. Ripensò anche al fascio rosso che gli era apparso davanti agli occhi quando era riuscito a liberarsi da solo. Come ci era riuscito? Forse non voleva saperlo.
"Quando era umana, era la sola a cui non riuscito a leggere nel pensiero."continuò Edward.
"L'hai conosciuta quando era umana, quindi?."
Edward alzò gli occhi  verso il soffittò. "Io all'inizio ero attratto dal suo sangue in una maniera pazzesca. Mi era difficile mantenere il controllo. Quando il sangue di un umano attrae un vampiro così fortemente, lo chiamiamo cantante. Un richiamo irresistibile."
"E
cosa ti ha trattenuto? perchè non l'hai uccisa? "chiese Dillon meravigliato. "
Edward guardò Bella con un'adorazione immensa negli occhi, accarezzandole il volto con le dita. "Perchè mi sono innamorato."
Dillon provò ad immaginare come avesse potuto nascere quella storia d'amore impossibile tra un'umana e un vampiro ma con tutta la sua fantasia non era in grado di comprendere un sentimento simile. Vedeva Edward accarezzare i capelli di sua moglie e contemplarla come se fosse la cosa più bella e preziosa del mondo.Non aveva mai visto niente del genere. Lui stesso non sapeva che cosa fosse l'amore. Avrebbe mai guardato una donna in quel modo, sentendosi così felice? No, non ci credeva...
Edward, intanto, continuò il suo racconto senza distogliere lo sguardo dalla sua compagna. "All'inizio volevo solo che lei fosse felice e al sicuro da un essere come me, ma ben presto mi sono accorto che non potevo starle lontano neanche un minuto. Quanto ero egoista! E quando anche lei ha detto di amarmi, nonostante sapesse che ero un mostro, la mia vita ha avuto di nuovo un senso. A lei non importava chi fossi. Si fidava di me e tra le sue braccia mi sono sentito di nuovo vivo. Di nuovo umano. Il mondo era tornato ad  essere un luogo meraviglioso. E lei era il centro del mio universo. Non le avrei mai fatto del male. Non l'avrei mai trasformata. Ma sono stato costretto a farlo per salvarle la vita. Sono stato un pazzo incosciente." Al solo ricordo un'espressione sofferente segnò il bel viso del vampiro.
"Che cosa era successo?" chiese Dillon con la voce rotta dall'emozione.
"Bella ha corso un'infinità di rischi per stare con me." confessò Edward "Ho anche provato ad allontanarmi da lei per alcuni mesi, pur di proteggerla ma la separazione è stata troppo straziante. Era come se avessi tolto la vita ad entrambi. E così ho deciso di non lasciare mai più il suo fianco. Lei voleva lo stesso e mi ha chiesto più volte di trasformarla per poter rimanere con me per l'eternità. Mi sono opposto il più a lungo possibile, ma i Volturi avevano scoperto di noi e hanno imposto la sua trasformazione. La nostra esistenza infatti deve restare segreta agli umani. Prima di trasformare Bella però, ci siamo sposati, per esaudire un mio desiderio. Durante il viaggio di nozze contro ogni previsione, è rimasta incinta."
Dillon ebbe un sussulto. "I vampiri possono avere dei figli con gli umani?" Un senso di nausea lo assalì.
Edward lo guardò ansiso, come chiedendosi se non avesse rivelato troppo. "E' possibile ma ciò comporta dei rischi per la madre umana. Durante il parto infatti ci sono state delle complicazioni e per salvarla ho dovuto iniettare il mio veleno nel corpo di Bella per trasformarla."
"E il bambino?" chiese Dillon nervosamente.
Sul viso di Edward comparve un sorriso carico di felicità. "Era una femmina. La bambina più bella che potesse esistere."
"Era un'ibrida?" chiese ancora il giovane deglutendo a fatica.
"Si."
Dillon fece un sospiro profondo. "Sai, ho creduto per un periodo di essere qualcosa del genere...per via delle mie capacità prodigiose. L'idea mi...ripugnava...scusa il termine. Alcune leggende però mi hanno confermato il contrario."
"Cioè, quali?"chiese Edward senza capire.
"A quanto pare le donne incinte di un vampiro non sopravvivono al parto."osservò Dillon  "La mia vera madre invece ha vissuto abbastanza per scrivermi una lettera."
"Dipende dalle circostanze, se non c'è nessuno ad aiutarla..." cercò di spiegare Edward "Comunque sei diverso dagli altri ibridi come mia figlia, Dillon. Non sei uno di loro. Ma evidentemente non sei nemmeno completamente umano."
Dillon rise per non piangere. In pratica non avrebbe mai saputo chi fosse.
"Cosa c'era scritto nella lettera?" chiese Edward.
"Non lo so di preciso. Non ho ancora avuto i coraggio di leggerla. L'ho trovata in mezzo ai documenti dei miei dopo il funerale. Ma non credo sia molto rivelatrice stando a quanto mi ha detto la mia madre adottiva..."
"Se vuoi possiamo aprirla insieme. Possiamo capire un pò di più..."si offrì Edward.
Gli occhi di Dillon mandarono un lampo di rabbia. "No. Non voglio."
Edward rimase in silenzio. Sembrava percepire la sua paura e al tempo stesso il suo bisogno di sapere. 
"Continua il tuo racconto." disse Edward per cambiare argomento "Come è andata la tua prima caccia?"
Dillon riprese a parlare rilassandosi. "Prima abbiamo preparato le armi. Sai, volevamo essere pronti per ogni evenienza.
"Samuel" gli dissi quando iniziammo a dedicarci a quel progetto. "Io spero che non vorrai usare paletti e aglio. Siamo nel Ventunesimo secolo cavolo, facciamo ridere i polli se andiamo in giro con quella roba."
Samuel rise di gusto dietro la scrivania "In effetti non credo sia prudente tentare un corpo a corpo con un vampiro." 
"Possiamo farci fabbricare delle armi apposite. Delle pistole abbastanza potenti da perforare il corpo di un vampiro e farlo esplodere." S
amuel aveva uno sguardo entusiasta. "Si l'idea mi piace. Un tocco di tradizione comunque non guasterà. Le leggende per quanto possano sembrarci sciocche sono l'unica fonte che abbiamo."

"Pensavi a dei proiettili d'argento? Si potrebbe funzionare...ma io proporrei anche un'altra variante."
Visto che stando alle leggende,  per uccidervi ci volevano cose come l'argento ed il fuoco, pensai di mescolare insieme le due cose. Modellare dei proiettili in argento e riempirli di una miscela esplosiva. "
"Il fulminato d'argento." intuì Edward.
"Bravo." si complimentò Dillon "Ce li facemmo fare di nascosto da un negozio d'armi di nome Wolf Armouries."
"Wolf?" Edward rise. "L'ironia della sorte!
"Cosa c'è?"
"Niente, niente. Continua."
"Creammo delle pistole apposite e le chiamai bloody silver."
"Sono quelle che hai usato stasera?" Dillon annuì e le estrasse posandone una sul tavolo di fronte ad Edward. "Fai attenzione. E' carica." spiegò mettendovi una sicura.
"Molto bella."osservò Edward ammirandone il design. "Anche se non ho più avuto a che fare con le armi da oltre cent'anni, ne sono rimasto sempre affascinato."
  "Era strano." continuò Dillon. " Avevo una folle curiosità di vedere un vampiro ma avevo anche paura e la cosa mi eccitava. Non avevo mai avuto paura di niente. Prima di iniziare la caccia mi preoccupai di nascondere l'odore. Se io potevo percepire così distinatamente l'odore delle persone i vampiri potevano fare altrettanto e così mi misi al lavoro per nasconderlo."
"Si l'ho notato. Come ci sei riuscito?"chiese Edward come se avesse voluto fare quella domanda fin dall'inizio.
"Ho una laurea in ingegneria chimica molecolare." spiegò Dillon "Ho inventato un particolare composto per neutralizzare temporaneamente l'azione delle molecole odoranti. Si chiama anti-smell."
Edward era sempre più ammirato. "Fantastico! E quanto dura?"
"Ventiquattro ore. Va via con una doccia."
"E' incredibile. E in effetti funziona alla perfezione. Io e Bella non siamo riusciti a fiutarti. Sentivamo solo il tuo battito cardiaco."
Dillon sorrise. "Per quello ci sto ancora lavorando." 
"Non vorrai mica causarti un infarto?" chiese Edward preoccupato. "E così armato fino ai denti, privo di odore, con il tuo pacchetto di cultura sui vampiri sei andato a caccia. Ne hai già preso qualcuno?"
Dillon non riusciva a credere che Edward parlasse con tale naturalezza delle uccisioni dei suoi simili. "Non avevo molto per cui cominciare. Io e Samuel ci siamo recati sul luogo di alcuni delitti che sospettavamo essere opera dei vampiri per cercare degli indizi. Nell'ultima scena del crimine che abbiamo visitato, l'odore del vampiro era ancora vivido. Tutta la stanza ne era ancora impregnata. Un odore di gelo e di morte. Non lo avrei mai dimenticato. Quella notte stessa convinsi Samuel a rimanere a casa e mi addentrai per le strade di quel quartiere in cerca della pista. Dopo poche ore fiutai quell'odore. La traccia era chiara e nitida e la seguii senza difficoltà. Mano a mano che andava avanti lo sentivo sempre più vicino. Ad un trattò mi arrivò violento nelle narici l'odore del sangue. Mi sentii per un attimo come turbato come se quell'odore avesse il potere di eccitarmi ma trattenni il respiro ed andai avanti. . Era una una notte limpida illuminata dalla luna che proiettava lunghe ombre sulle strade e sui muri. Dopo pochi minuti vidi un'ombra saltare fuori da una finestra e correre a tutta velocità per i vicoli. La inseguii alla stessa rapidità fino a trovarmi in una strada senza uscita. La figura nera di fronte a me appoggiò le mani sulla parete e come un ragno scalò il muro del palazzo arrivando fino al tetto. Un ringhio mi saliì spotaneo dalla gola e senza riflettere ripetei lo stesso gesto. Il mio peso in qualche modo si annullò e riuscii a tenermi in equilibrio con le mani e i piedi muovendomi  con agilità  in verticale su lungo il muro. In pochi passi arrivai sul tetto e mi mossi senza difficoltà sulle tegole. Estrassi una delle bloody silver e mi preparai a colpire. Il vampiro avvertì la mia presensa e si voltò ringhiando. Il suo aspetto era terrificante: gli abiti vecchi e strappati a piedi nudi, i lineamenti contratti in un ghigno orribile e gli occhi rossi e iniettati di sangue. Era raccapricciante ma non avevo alcuna paura di lui. Sentivo al contrario un folle brivido di euforia Mi guardava con ferocia e fece per avventarsi su di me. Io fui più rapido e gli sparai contro una spalla. Un braccio gli si staccò e il mostro urlando si fermò per un istante prima di lanciarsi di nuovo verso di me. Lo finii con un colpo di grazia diretto al cuore, nonostante fosse morto e immobile. Il vampiro gridò di dolore e cadde all'indietro disintegrandosi. Un brezza di vento mi gettò addosso le sue ceneri. Esultavo per il successo della mia prima impresa eppure dentro provavo uno strano sentimento di compassione rivolto per quella creatura che avevo appena ucciso. La mia prima vittima. Samuel fu entusiasta quando gli riferii dell'uccisione del vampiro e mi incoraggiò a continuare. Sicuramente dovevano essercene degli altri. E così ho inziato a cercare di ucciderne quanti più possibile, ogni notte."
"Doveva trattarsi di un vampiro neonato." notò Edward pensando alla descrizione fornita da Dillon.
"Un che?" chiese Dillon sorpreso della scelta di quel termine.
"Appena trasformati i vampiri hanno una forza incredibile perchè sono ancora saturi del loro sangue da umani. Sono molto impulsivi e selvaggi e se il loro creatore non sa guidarli nelle prime fasi della loro vita si lasciano trasportare solo dal loro istinto e dalla sete di sangue."
Dillon ascoltò con attenzione e poi chiese. "C'è una ragione per cui vengono creati?"
"Molto spesso un vampiro cerca di creare un esercito e sfrutta proprio la forza dei neonati per farli combattere. Gli eserciti sono creati da clan in guerra che rivendicano il territorio. So tutto questo perchè uno dei miei fratelli adottivi venne creato per questo motivo e combattè per anni negli eserciti dei vampiri fino a quando decise di cambiare vita. Parecchi anni fa ci ha aiutato a sconfiggere una ventina di neonati che avevano infestato Seattle."
"Sarebbe interessante parlare anche con lui. " osservò Dillon.
Edward tornò serio. "Vedremo." 
"Quindi quelli a cui ho dato la  caccia finora sono dei vampiri di primo livello." disse Dillon ritornando al discorso di precedente "Che vivono come animali. Per questo mi è stato più facile individuarli. Una volta ho trovato la tana di tre di loro. Una soffitta abbandonata" Sorrise al ricordo. "E' stato un combattimento mozzafiato senza esclusione di colpi. Li ho fatti fuori senza pietà." Tacque imbarazzato ma Edward lo guardava abbastanza compiaciuto. Doveva detestare quanto lui i vampiri malvagi.
"Quel Louis era di un livello avanzato, vero?" chiese Dillon "Non sembra il tipo da nascondersi in una topaia."
Edward annuì. "Dopo molti anni impariamo a convivere con la nostra natura e a dominare i nostri istinti così possiamo nasconderci meglio in mezzo agli umani. Come ti ho già detto, tenere segreta la nostra esistenza è fondamentale per la nostra sopravvivenza."
"Ti ho promesso che manterrò il segreto."rispose Dillon alzandosi e guardando fuori dalla finestra. Si accorse che mancava poco all'alba e cominciò a chiudere meglio le persiane e le tende. "Per precauzione."spiegò ad Edward. "C'è una cosa che ancora non ho capito bene. Cosa vi succede alla luce del sole? Vi squagliate? Andate a fuoco? Sai non ho mai assistito ad una cosa del genere perchè di solito li uccido prima che faccia giorno."
Edward sorrise. "La nostra pelle riflette la luce. In pratica risplende come diamanti."
Dillon scoppiò a ridere. "Diamanti? Se domani vi porto da Tiffany quanto mi danno per voi due?"
Edward si unì alla sua risata. Dillon mise via la bottiglia d'acqua e il gelato ancora sorridendo e si avviò verso il bagno.
"Scusami un attimo, torno subito. Ho una faccenda umana da sbrigare." 
Edward annuì, ridacchiando ancora per le sue battute.
"Sei forte, ragazzino. Hai dei modi simpatici e rudi al tempo stesso. Mi ricordi qualcuno..."
"Spero non un vampiro." disse Dillon fermandosi sulla soglia."Senza offesa..."
Edward scosse la testa pensieroso. "No, decisamente non un vampiro."
Dillon chiuse la porta del bagno, emozionato,  pensando soddisfatto che quell'incontro si era rivelato fantastico. Stava scoprendo un sacco di cose incredibili. Non c'era alcun motivo di preoccuparsi, inoltre, era tutto sotto controllo. Pochi minuti dopo però si accorse di aver parlato troppo presto.
"Edward!" il lamento di Bella richiamò la sua attenzione.
"Bella!!" gridò Edward preoccupato.
"Mi sento...sempre più debole...non so cosa fare..."gemeva la vampira.
Dillon si precipitò fuori dal bagno e in un lampo fu accanto a loro.
"Cosa succede?" chiese accendendo una lampada accanto al divano letto. Gli occhi della vampira erano diventati neri come la pece.
Edward ricambiò lo sguardo preoccupato di Dillon. "Ha sete."

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7


Dillon fu il primo a riprendersi dallo shock, anche se Edward era pronto a scommettere che doveva avere i brividi lungo la schiena.

"Ok. Perfetto.»disse per prima vosa il ragazzo «Che cosa facciamo adesso?"

"Dobbiamo trovarle del sangue." disse serio Edward.

"E dove glielo prendiamo?» chiese Dillon tornando sulla difensiva «Non vorrete far fuori qualche poveraccio innocente?"

"Te l'ho detto.» ripetè Edward esasperato. Noi ci nutriamo di sangue animale."

"Beh qui in giro non si trovano neanche i gatti, da quando ha aperto il ristorante cinese all'angolo." ribattè Dillon acido.

"Non mi sembra il momento di fare lo spiritoso.» replicò Edward «Le condizioni di Bella stanno peggiorando sempre di più."

"Non posso permettervi di fare spropositi.» disse Dillon stavolta in tono minaccioso.

Anche Edard alzò il tono della voce. "Non voglio uccidere nessuno! Voglio solo trovare il modo di nutrire mia moglie a costo di correre fino allo zoo e rubare una tigre."

Dillon scosse la testa pensieroso "Avresti la polizia alle calcagna in pochi minuti... Aspetta, ho un'altra idea. Lascia fare a me. Qui vicino c'è un ospedale. Forse posso fare qualcosa. Ti chiedo solo di non uscire da qui e di non far entrare nessuno. E' chiaro?"

Edward annuì sorpreso dell'aiuto che gli stava offrendo.

"Quanto credi che ne servirà?"domandò Dillon guardando la vampira che giaceva sempre più pallida nel letto.

"Un paio di sacche come minimo." rispose Edward pensandoci su. Non era del tutto sicuro che fosse una buona idea mandare Dillon all'ospedale ma sapeva che il sangue umano avrebbe guarito Bella più in fretta.

"Dillon, ti rendi conto di quello che stai per fare?"gli chiese guardandolo intensamente.

"Si. Evito che la tua signora mi mangi per colazione." rispose Dillon andando verso l'armadio.

Bella nonostante apparisse molto provata non manifestava alcuna aggressività. "Lei ha un notevole autocontrollo per via del suo scudo ma non si è mai trovata in crisi di astinenza.»spiegò Edward «Non so quanto resisterà. Fai molta attenzione. Quel Louis potrebbe essere ancora in giro. Forse dovrei andare io..."

"E lasciarmi solo con lei?» replicò Dillon «No grazie, non ci tengo e poi non vorrei essere costretto a difendermi. Ed è escluso che lei resti sola. L'ospedale è qui vicino non ci metterò molto."

Edward pensò alle armi di quel ragazzo. Armi che potevano uccidere lui e sua moglie e fu d'accordo a non farlo restare nell'appartamento insieme a Bella. Dillon indossò la fondina con le due pistole e si infilò sopra il giubotto lungo nero.

"Non vi avvicinate a nessuno, per nessun motivo." ripetè prima di aprire la porta.

"Dillon." chiamò Edward un ultima volta. "Grazie. Lei è tutta la mia vita." Dillon abbozzò un sorriso. "Voi avete salvato la mia. Farò il possibile." disse ad Edward ed uscì dalla stanza.

 

Louis scalò silezioso come un'ombra la parete del Dochester e arrivò sul tetto della sua suite. "Dannazione." borbottò fissando gli strappi sulla sua giacca. "Hanno rovinato il mio Armani. Ragazzacci!"
Tirò fuori il cellulare e compose un numero già in memoria. "Sono io. Sta andando tutto alla perfezione. Per nostra fortuna i Cullen si sono messi di mezzo. Già, proprio loro. Adesso devo contattare Aro per dirgli che il giovane Dillon mi è sfuggito. Non deve sospettare nulla. Tu attieniti al piano. Io faro ritorno molto presto."Louis chiuse la conversazione con il misterioso interlocutore e per qualche minuto rimase ad osservare Hyde Park avvolto nel buio. "Quanto ci starebbe bene una sigaretta adesso!" sbuffò tra sè "Ma dicono che faccia male. Potrei chiamare il ragazzo del servizio in camera per uno spuntino." I suoi occhi rossi si accesero e sorrise maliziosamente.

 

Dillon cominciò a muoversi cautamente per le strade guardandosi le spalle con attenzione e fiutando l'aria. Nessun odore sospetto in vista. Ancora non riusciva a crederci. Fino al giorno prima avva impiegato tutte le sue energie per uccidere i vampiri. Adesso invece stava cercando di salvarne uno. Ma se lo faceva era perchè ai suoi occhi Edward e Bella in parte erano anche umani. Si volevano bene, si prendevano cura l'uno dell'altro e non volevano fare del male a nessuno. Quel vampiro oltretutto gli era simpatico. Gli aveva aperto un mondo di cui aveva appena iniziato a scalfire la superficie e poteva essergli di aiuto se voleva continuare nella sua missione. Cosa di cui non era del tutto convinto. C'era un particolare della sua storia che non aveva raccontato a Edward che aveva messo in discussione la sua caccia.


Una notte in cui un grido era giunto alle sue precchie prima ancora che potesse avvertire l'odore di chi lo aveva causato. Quando irruppe nel vicolo la nera figura era già china sulla sua vittima e il sangue scorreva a rivoli lungo il collo pallido della sventurata donna. L'odore del sangue bruciò nella sue narici come non aveva mai fatto prima e  la cosa lo lasciò sconcertato per qualche minuto. Il vampiro alzò il capo percependo la presenza di Dillon e digrignò i denti macchiati di rosso. Dillon veloce come il pensiero puntò la pistola che aveva già preparata nella sua mano e la scaricò contro il corpo del mostro. Il vampiro bruciò in un istante. Dillon corse al fianco della donna che gemeva in preda alle convulsioni. Stava per trasformarsi! Dillon la guardò impotente mentre l'odore del sangue si faceva sempre più invitante. Cosa poteva fare per aiutare quella donna? Ripensò all'amico di Samuel...la decisione fu presa in una frazione di secondo. Dillon caricò di nuova la pistola e mise fine al tormento della poveretta. Un senso di nausea lo pervase e si allontanò in fretta mentre da lontano dei bambini chiamavano la mamma disperati.

"Non è stata colpa tua." gli aveva detto Samuel quando il ragazzo gli ebbe confessato l'accaduto. "Hai fatto quello che dovevi."

Accovacciato per terra nel suo appartamento Dillon guardava fisso davanti a sè con lo sguardo vuoto. "Io non volevo uccidere le persone."

"Ma presto non sarebbe stata più una persona."

"Non fa differenza. E poi tutto quel sangue. Quell'odore mi ha fatto un effetto strano. Comincio ad avere paura."

"Dillon. Tu non sei un vampiro."

"Come fai a saperlo? Pensa a Serena. E se fossi stato io? Di notte, dopo essermi addormentato? E l'incidente dei miei genitori? Ammettilo Samuel! Chi mi sta vicino si fa male!"

"Tu non hai una personalità multipla. In clinica non è successo niente la notte. Ti monitoravano." aveva risposto deciso Samuel." E poi Dillon, la notte vai a caccia. Dormi talmente poco..."

"Potrebbe accadere qualcosa stanotte. Sento che il sonno mi sta raggiungendo." Samuel si chinò a guardare le occhiaie scure di Dillon e fece un sospiro. "Vorrà dire che stanotte rimarrò con te mentre dormi."

Dillon non poteva permetterglielo. "No. Non puoi."

"Starò all'erta. Promesso. Anche se credo che non servirà." Samuel sapeva essere più cocciuto di lui quando ci si metteva ed alla fine Dillon aveva dovuto cedere.

"Promettimi solo una cosa."disse il ragazzo guardando l'uomo diritto negli occhi.

"Se dovessi accorgerti anche per un solo istante che sono..."

"Dillo a voce alta." gli disse Samuel in tono di sfida.

"...un vampiro." sbuffò Dillon cominciando ad innervosirsi. "Promettimi che farai il tuo dovere." Aveva concluso il dialogo consegnando le sue pistole nelle mani del suo amico. Quella notte fu un'attesa soffocante. Gli incubi lo tormentarono come non mai. Fu il suo stesso grido a svegliarlo il mattino dopo. Dillon aveva la maglietta madida di sudore e respirava affannosamente. "Dillon? Come ti senti?" la voce di Samuel prefettamente calma e controllata sciolsero la sua tensione. Samuel era lì sulla poltroncina accanto al suo letto dove l'aveva lasciato la sera prima. "Stai... bene?" chiese invece Dillon preoccupato per il suo amico.

"A parte che ho la schiena a pezzi e un feroce mal di testa...mi sento alla grande. E tu hai dormito tutto il tempo. Non hai messo un piede fuori dal letto."

"Davvero? Ho avuto degli incubi."

"L'ho visto. Sembravi mio figlio la notte prima degli esami."

Dillon rise e si rilassò. "Ragazzo, ascolta." gli disse Samuel prendendolo per le spalle. "Devi avere fiducia in te stesso. E voglio che ti fidi di me. Io sto cercando di fare tutto il possibile per capire da dove vengono le tue strane capacità. Ma devo anche essere cauto. Non voglio farti diventare una cavia da laboratorio." Dillon annuì pensieroso. "E soprattuto: non sei un vampiro!" concluse Samuel.

Dillon provò un gran desiderio di piangere ma non ci riuscì. Perchè gli era così difficile? Samuel gli diede un abbraccio forte e lo fece alzare. "Andiamo a prenderci un caffè. Stavolta offri tu."


Quando Dillon arrivò di fronte al Royal Hospital realizzò che se voleva portare del sangue a Bella avrebbe dovuto rubarlo. L'idea non gli piaceva per niente anche se qualsiasi altra soluzione era da escludere se voleva mantenere la segretezza su quella faccenda. Prima o poi avrebbe dovuto parlarne anche con Samuel e sapeva che quella storia non gli sarebbe andata giù. Con un sospiro guardà la facciata settecentesca dell'ospedale. Era un bell'edificio in mattoni rossi e l'orologio al centro del timpano segnava le 3 in punto. La strada era avvolta dal silenzio e Dillon avvicinandosi con cautela riuscì a scalare la facciata velocemente, indisturbato. Arrivò sull'eliporto e piano piano si avviò verso la porta che dal tetto conduceva giù ai piani inferiori. Il suo passo felpato gli permise di muoversi liberamente senza destare sospetti. Doveva soltanto aggirare qualche telecamera della sicurezza e stare all'erta nel caso qualche vigilante stesse camminando per i corridoi. Ma non avrebbe avuto difficoltà ad intercettarli in anticipo. Una piantina davanti ad un ascensore gli indicò la sua posizione e dove si trovava la banca del sangue. Il suo senso dell'orientamento gli permise di percorrere i vari piani senza perdersi e in breve fu nella stanza. Non c'era nessuno ma la porta era chiusa a chiave. Dillon tirò fuori un sottile grimaldello di acciaio e fece scattare la serratura. Aveva fatto bene a procurarseli. Le sacche di plastica impedivano all'odore del sangue di fuoriuscire e di arrivare alle sue narici, eppure vedere quel liquido rosso e tenerlo nelle mani gli faceva uno strano effetto. Dillon aprì lo zaino nero che si era portato per l'occasione e tirò fuori una busta per avvolgere le sacche. Sospirò pensando che stava portando via un bene prezioso e prese la decisione di lasciare qualcosa in cambio."Questi potrebbero bastare." pensò tirando fuori cinquecento sterline. Le posò sopra uno dei frigoriferi e zaino in spalla si diresse da dove era venuto. Si chiese se aveva imballato per bene le sacche non voleva rischiare che si spargessero. Quel momento di distrazione gli fu fatale. Un rumore di passi accelerò nella sua direzione. Dillon con la coda dell'occhio intravide una telecamera alle sue spalle. Lo avevano visto! Accelerò girando l'angolo di corsa appena in tempo e continuò a guadagnare terreno sui suoi inseguitori. Non voleva scontrarsi con loro. Erano dei semplici agenti che facevano solo il loro lavoro. Per niente al mondo gli avrebbe fatto del male. Dillon continuò la fuga evitando i corridoi dove vedeva una telecamera e presto si accorse di essere finito molto lontano dal punto da cui era entrato. Uno sguardo alle finestre gli mostrò il cortile esterno dove c'era qualche albero. Le piante potevano offrirgli una copertura migliore se avesse saltato dalla finestra. Non era prudente passare dall'ingresso principale ora che le guardie avevano dato l'allarme. Quelle finestre però non si aprivano. Doveva trovare qualcuna con la maniglia. Girando nuovamente l'angolo ebbe un sussulto. Il corridoio bianco che si apriva davanti a lui con quella fila di porte era identico a quello del sogno! Lo stesso che aveva fatto al suo risveglio quando aveva sospeso i farmaci!
Una strana consapevolezza lo avvolse. Provava la sensazione di essere come ad un bivio della sua vita e che tutto avrebbe potuto cambiare a seconda della porta che avrebbe aperto.
"Sono solo sciocchezze." si disse scrollandosi le spalle. Spinse delicatamente la prima porta che si trovò vicino e la richiuse piano piano alle sue spalle. Bene, la finestra aveva la maniglia. In un attimo si sarebbe trovato fuori. Non appena fu di fronte al davanzale però, seppe di non essere solo in quella stanza. Il suono lieve di un battito cardiaco lo fece voltare verso l'unico letto occupato della stanza.
La sensazione che provò in quel momento fu senza precendeti: era come se l'intero universo si fosse fermato per assistere a quell'istante.
Su quel giaciglio, appena sollevata sul guanciale, era coricata la figura esile di una ragazza bruna che lo guardava con dei grandi occhi pieni di curiosità, ma senza alcuna paura.

"Ciao." mormorò la sconosciuta osservando Dillon perplessa.

"Ciao." rispose debolmente Dillon sconcertato.

E adesso? Dillon si riprese in fretta da quella strana sensazione e con un balzo fu a fianco del letto. Bastava un attimo perchè quella paziente suonasse il campanello per l'infermiere, che teneva poggiato sul copriletto azzurro.

"Non muovere un muscolo, se ci tieni a vivere!" le ordinò in tono fermo fissandola negli occhi.

Di fronte a quella minaccia, la ragazza non si spaventò. Gli angoli delle sue labbra screpolate si allungarono in un debole sorriso. " Puoi risparmiarti la fatica." bisbigliò accennando col capo alla flebo che aveva al polso.

Dillon notò il pallore del suo volto e le occhiaie scure intorno agli occhi. Il suo odore sapeva di medicinali e di lacrime. Provò un'infinita pena per lei e si vergognò di sè stesso per averla minacciata. "Scusami. Non voglio farti del male." la rassicurò chinandosi su di lei. "Ma devi aiutarmi. Non tradirmi, ti prego."

"Sei un ladro?" bisbigliò la ragazza aggrottando le sottili sopracciglie nere. "No. Non ho rubato. Ho lasciato i soldi alla banca del sangue. Sì, lo so cosa pensi...ma non è uno scherzo. Ho preso del sangue. E' per una... ragazza malata." Non era una bugia dopo tutto.

Dal corridoio si udirono dei passi frettolosi in avvicinamento. "Nasconditi sotto il letto."gli disse preoccupata la giovane paziente.

In un attimo Dillon volò sotto il giaciglio e sentì che il copriletto veniva calato fino a terra, dal lato vicino alla porta, per nasconderlo. Due agenti entrarono velocemente e diedero una rapida occhiata alla stanza in penombra. "Ci scusi, signorina. Ha visto passare qualcuno? C'è un intruso nell'ospedale."

"No,no." si affrettò a rispondere la ragazza fingendosi assonnata. "Me ne sarei accorta. Ho il sonno leggero."

"Stia tranquilla, lo troveremo. Non c'è nulla di cui preoccuparsi." le dissero prima di uscire per proseguire la ricerca.

La ragazza attese pochi minuti e poi con uno sforzo si piegò per guardare sotto il letto. Una ciocca di capelli scuri le ricadde sopra il viso.

"Sono qui." le disse Dillon in piedi di fronte al letto.

"Come hai fatto?» chiese evidentemente stupita dalla velocità dei suoi movimenti.

Dillon le sorrise dando un'ultima occhiata alla stanza.

«Chi sei?"domandò la ragazza affascinata sollevandosi a sedere.

"Non lo sa nessuno. Nemmeno io." rispose Dillon avvicinandosi al davanzale. "Ti ringrazio per l'aiuto..."

"Laura." completò la ragazza sorridendo.

Dillon pensò intenerito, che aveva un'espressione dolcissima.

"Ti posso chiedere un favore?" chiese guardandolo intensamente.

"Certo." rispose lui aprendo la finestra. Sentì che glielo doveva come minimo.

"Torneresti a trovarmi?"chiese Laura esitante.

Dillon si aspettava di tutto trannte quel genere di richiesta.

Laura intanto si era stesa di nuovo, sprofondando nel cuscino, senza mai togliergli gli occhi di dosso.

"Promesso." rispose Dillon con dolcezza. Le parole gli erano uscite di bocca senza riflettere. Lei gli sorrise di nuovo speranzosa.

«A presto, allora.»

"A presto Laura."disse Dillon prima di sparire nella notte.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Edward aveva fatto appoggiare la testa di Bella sulle sue ginocchia e le stringeva forte la mano accarezzandole i capelli. Sapeva quanto doveva essere insopportabile per lei quella prova.
"Vedrai che Dillon tornerà presto."mormorò Edward chino sul volto sempre più bianco di Bella. Gli faceva troppo male vederla così sofferente. "Edward."disse lei in un sussurro, attanagliata dalla sete. "Cosa pensi di Dillon?"
"Mi fido di lui.»rispose Edward sorridendole «Sono certo che ci aiuterà."
"Volevo dire..."riprese Bella guardandolo con gli occhi sempre più neri. "Chi è lui secondo te?"
"Non lo so, amore.» ammise Edward «Non ho mai incontrato qualcuno come lui. E' un essere incredibile. Come se avesse tutti i pregi di un vampiro e di un umano insieme."
"Quanti anni credi che abbia...?"
Edward fu sorpreso dalla domanda. "Non saprei... ne dimostra ventiquattro o venticinque al massimo. Potrebbe averne anche meno... Ma non ne sono sicuro. Come mai me lo chiedi?"
"Ha detto di essere stato adottato» bisbigliò Bella «Pensavo che..."
Edward si allarmò. No. Non poteva neanche prendere in considerazione quell'idea.
"Bella, non può essere lui. David era umano, ricordi?."
"Si, lo so ma...come ti spieghi...i suoi poteri?"
"Non me li spiego in effetti.»riconobbe Edward «Ha dei sensi molto sviluppati e si muove alla nostra velocità. Oltretutto non riesco a leggergli nel pensiero. Stasera ci sono riuscito solo un paio di volte...ma era come se fosse lui a volerlo. Non ne sono certo, ma credo che Dillon potrebe avere una specie di scudo, come il tuo. Potrei parlarne con Carlisle. Forse la sua esperienza può fare un pò di luce sulla storia di questo ragazzo."
Edward si ricordò della lettera. Chissà se conteneva indizi utili...poteva convincere Dillon ad aprirla...oppure poteva dargli una sbirciatina senza che se ne accorgesse. Ma gli dispiaceva fare qualcosa alle sue spalle. In quel momento i passi di Dillon sul pianerottolo, preannunciarono il suo arrivo nella stanza.
"Ho il sangue per Bella." annunciò entrando.
La vampira con le poche forze rimaste fece per gettarsi sullo zaino da cui Dillon stava estraendo le sacche ma Edward la trattenne. "Piano. Potresti rovesciarlo nella foga."
Edward ne prese uno e glielo avvicinò alle labbra. Bella lo prosciugò in un istante sotto lo sguardo sbalordito di Dillon. E fece lo stesso con il secondo. Non versò nè fece avanzare una goccia. Il suo volto riprese colore e si rilassò. Il nero dei suoi occhi si dileguò in un colore ambra, sfumato di rosso. Edward sospirò di sollievo.
"Sto molto meglio." annunciò Bella con un sorriso.
"Mi fa piacere." disse Dillon compiaciuto "Edward, ne ho portata una in più per te, in caso... non lo so. Avessi fame..cioè sete..."
I modi di Dillon strapparono un sorriso ad Edward: parlava come se fosse andato a comprare delle pizze. "Grazie, Dillon." rispose Edward riconoscente. "Ma lo lascio a lei. Io sto bene."
Bella gli passò l'ultima sacca rimasta. "Prendilo, amore, non preoccuparti. E'...buonissimo." Si accorse troppo tardi di quello che aveva detto e abbassò lo sguardo imbarazzata.
"Potete dividervela." suggerì Dillon. "Vi prendo due cannucce?" Edward e Bella scoppiarono a ridere seguiti da Dillon. Il silenzio che seguì fu sufficiente a chiarire l'ironia di quella situazione. Due vampiri vegetariani intenti a bere sangue umano a casa di un cacciatore di vampiri che lo aveva rubato per loro.
"Ok." disse Edward ricomponendosi. "Ne prendo un pò."
Non assaggiava sangue umano dal giorno in cui aveva trasformato Bella e assaporare di nuovo quel liquido fruttato era delizioso. Era come infrangere una dieta dopo tanto tempo. Passò il rimanente della razione a Bella che, ormai completamente ripresa, la bevve con meno verocità di prima. Edward sospirò, più rilassato e si rivolse a Dillon in tono serio.
"Ascolta, non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto. Ed è per questo che voglio metterti in guardia. Dillon, credo che tu sia in pericolo. Quel vampiro Louis, voleva te e sicuramente proverà di nuovo a darti la caccia. Non sei più al sicuro qui."
Dillon alzò gli occhi al cielo e sospirò nervosamente. "Grazie, ma credo di saper badare a me stesso."
"Non puoi difenderti dai poteri di Louis.»insistette «Lo hai visto coi tuoi occhi."
Dillon stavolta lo guardò con maggior interesse. "E cosa mi consigli di fare?"
"Potresti venire con noi."disse Edward dopo una pausa. Bella sussultò sorpresa. "Tra poco la mia famiglia si riunirà in Scozia e potremo offrirti la giusta protezione."
Dillon rise e scrollò le spalle "Venire in Scozia da solo in mezzo ad un clan di vampiri? No, grazie non ci tengo."
Bella si alzò in piedi per intervenire. "Nessuno di noi ti farà del male. Io ho vissuto per due anni in mezzo a loro come umana."
Edward trattenne un brivido ripensando a tutti i pericoli che la sua amata aveva corso in quel periodo e continuò il suo discorso
"Il mio padre adottivo è un medico, come ti ho detto, e potrebbe aiutarti a scoprire la tua identità."
Gli occhi azzurri di Dillon si accesero di interesse ma restò in silenzio, assorto nei pensieri. Edward immaginò il suo dilemma. Da una parte quel ragazzo desiderava delle risposte, ma per averle avrebbe dovuto avventurarsi verso l'ignoto. Edward cercò di nuovo di leggere nei suoi pensieri e provò una forte frustazione quando si scontrò contro la barriera mentale di Dillon. "Esci dalla mia testa!" tuonò il ragazzo irritato.
Edward e Bella si guardarono meravigliati.
"Mi hai sentito? In genere nessuno si accorge che provo a leggergli la mente."disse Edward sbalordito.
"A quano pare non sono così indifeso!" gongolò Dillon. "Potrei anche cavarmela da solo."
Edward capì che era inutile insistere, almeno per il momento. "Ti chiedo almeno di pensarci. Io e Bella resteremo ancora un giorno a Londra. Alloggiamo al Milestone. Se cambi idea ci trovi lì." disse porgendogli un bigliettino da visita. "Credo sia il momento di andare, adesso, prima che faccia giorno. Bella sta bene ed abbiamo approfittato anche troppo della tua ospitalità. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che hai fatto."
"Lo stesso vale per me. Anche voi mi avete salvato la vita." mormorò Dillon . Sembrava dispiaciuto che se ne andassero.
Edward tese una mano al ragazzo che gliela strinse forte. Non sembrò infastidito da quel contatto gelido.
Bella spostò una ciocca di capelli dalla fronte di Dillon e gli accarezzò il volto con una dolcezza quasi materna. "Grazie ancora di tutto. Abbi cura di te, mi raccomando e cerca di riposarti. Devi averne bisogno."
«In effetti sono parecchi giorni che non dormo.» notò Dillon con un sorriso stanco.
Edward aprì la porta e gli lanciò un ultimo sguardo. Provò un dispiacere inaspettato mentre si apprestava a separarsi da quel ragazzo.
«A presto.»disse semplicemente lasciando uscire per prima Bella.
Dillon, senza muoversi, annuì in silenzio.
«A presto» ripetè alla fine mentre Edward richiudeva la porta alle sue spalle.


Per non correre ulteriori rischi, Edward preferì prendere un taxi per tornare in albergo. Durante il tragitto strinse forte a sè Bella, respirando il dolce profumo dei suoi capelli. Lei ricambiò l'abbraccio e gli baciò il collo. Stava per ricambiare il bacio quando il taxi si fermò davanti al Milestone. Edward si affrettò a pagare la corsa lasciando una lauta mancia, pur di scendere il più in fretta possibile e dirigersi verso la loro stanza.
"A cosa pensi?" chiese Edward cingendo la moglie con le braccia quando furono entrati nell'ascensore. Bella poggiò la schiena contro il petto di Edward e alzò il capo verso di lui. "Sono solo preoccupata. Credi che i Volturi cercheranno anche noi adesso?"
"E' possibile, dopo aver interferito con i piani di Louis... ma dopotutto non cercavano noi e non sanno dove siamo. Abbiamo sicuramente almeno un giorno di vantaggio prima che possano mettersi sulle nostre tracce.
"Dovremmo portare quel ragazzo con noi."
Edward annuì. "Lo so ma non possiamo constringerlo. Deve decidere da solo cosa fare. Se vorrà il nostro aiuto noi saremo pronti ad offrirglielo. Per ora voglio solo proteggere te." Edward la fece voltare per baciarla quando l'ascensore arrivò al loro piano e altre persone entrarono. La coppia si prese per mano e velocemente sparì nel corridoio verso la suite. Prima di entrare Edward sollevò Bella tra le braccia e varcata la soglia, richiuse la porta con un calcio.
"Adoro quando sei così impaziente. A cosa devo questo gesto da sposino?" chiese Bella compiaciuta. Edward la distese sul grande letto matrimoniale e sdraiato al suo fianco si mise ad accarezzare il suo volto continuando a guardarla con adorazione.
"Al fatto che stasera ho rischiato di perderti." rispose lui guardandolo intensamente con i suoi occhi dorati. Quelli di lei brillavano dello stesso colore e riflettevano lo stesso desiderio."Non mi perderai mai, amore perchè non permetterò mai che succeda."
Edward le rispose posandole un bacio appassionato sulle labbra e stringendola forte a sè. Ogni ansia, ogni timore svanì in quel bacio come se quella notte esistessero soltanto loro due. Si tolse rapidamente la giacca e aiutò Bella a liberarsi della sua. Seduti l'uno di fronte all'altro lui le fece scivolare via la maglietta e percorse la sua pelle con le labbra partendo dal collo mentre sentiva su di sè le dita di lei che gli sfilava il maglione. In pochi istanti loro corpi nudi e marmorei si ritrovarono in una nuvola di baci e carezze sempre più intime. Senza fame, senza sonno e senza respiro, il resto di quella notte li vide avvolti nel fuoco di una passione inesauribile ed inestinguibile.


Non appena la porta si chiuse alle spalle dei due vampiri, Dillon sentì la stanchezza piobargli adddosso di colpò e si lasciò cadere sul letto. Il copriletto era gelido e odorava di fragola e lillà. Doveva essere il profumo della vampira ma a Dillon non diede fastidio. Era strano a dirsi, ma era come se ci avesse dormito una parente, un'amica o qualcosa del genere.
Dillon ebbe un sonno agitato, sognando luci e ombre dove gioia e dolore si univano e lo stringevano in una morsa. Voci sconosciute e familiari al tempo stesso, che lo chiamavano in tono rassicurante. Grida di paura che gli dicevano di fuggire. Spazi aperti, boschi e immense distese verdi lasciavano il posto a mura spesse e grigie di corridoi buoi. A strappare il giovane dal quegli strani sogni fu il suono del suo cellulare. Era Samuel.
"Dillon? Dov'eri finito?"
"A casa. A dormire." rispose Dillon sbadigliando e tirandosi a sedere. Non aveva nemmeno aperto il divano letto ed aveva ancora addosso gli abiti della sera prima. L'orologio segnava le undici del mattino.
"Ho appena ricevuto un rapporto su una strana sparatoria presso Sant Paul's.” spiegò Samuel “Ci sono strane tracce di sangue sul sagrato della chiesa e sono stati rinvenuti dei bossoli che sembrano appartenere alle nostre bloody silver. Mi sai dire cos'è successo?"
Dillon sospirò. "E' un pò complicato da spiegare Samuel..."
"Trova le parole e vieni qui nel mio ufficio.”ordinò Samuel in tono perentorio “Di corsa."
Dillon si passò una mano tra i capelli e si guardò intorno pensieroso. Sul comodino accanto a sè c'era il bigliettino da visita che gli veva lasciato il vampiro. Riportava in bella grafia il nome ed un recapito telefonico.

Edward Cullen.”lesse Dillon, pensieroso. Prese in mano il cellulare e fece per comporre il numero ma subito rinunciò. Doveva prima parlare con Samuel. Cosa gli avrebbe detto?

Samuel era più infuriato che mai, quando Dillon dopo una doccia rapida ed un cambio d'abiti, si fu precipitato da lui in sella alla sua moto.
"Dillon, sento che c'è qualcosa che mi tieni nascosta."esordì quando il ragazzo ebbe prese posto davanti alla scrivania.
Dillon se lo aspettava. Non per niente l'amico, era un detective.
"Dopo ogni caccia il tuo primo pensiero è sempre stato quello di informarmi su tutto.”continuò Samuel “E da un pò di tempo ti vedo troppo strano, troppo cupo. Credevo avessi sconfitto i tuoi demoni."
Dillon abbassò lo sguardo. Si, certo che era cupo. Lo era sempre stato. E i suoi demoni non avrebbero mai smesso di fargli compagnia.
"Diciamo che è stata una caccia diversa dalle altre." rispose Dillon sospirando.
"In che senso?"
"Nel senso che stavolta non sono stato il cacciatore ma...la preda."
Samuel ebbe un sussulto e si raddrizzò sulla poltrona. "Che cosa? Raccontami tutto, per filo e per segno."
"Ieri notte ho girovagato a lungo per le strade a piedi. Avevo bisogno di riflettere un po' per conto mio. Mentre ero seduto al Sea Horse a bere una birra, qualcuno ha aperto la porta del pub ed una zaffata di vento mi ha portato l'odore inconfondibile di due vampiri. Ho spalancato gli occhi e appena fuori dal locale ho iniziato a seguire quella traccia chiedendomi per quale motivo dei vampiri se ne andassero in giro così tranquillamente a passeggio in mezzo alla strada. Non li avevo mai uditi muoversi in quel modo. Non c'era molta gente per le strade, tranne qualche raro passante e la traccia era nitida a pochi metri da me. Ma non vedevo nessun individuo sospetto in giro. C'era solo una coppietta che mi camminava davanti lì dove l'odore si faceva più intenso. Ho iniziato a spiare i palazzi e le strade intorno tenendo i miei sensi all'erta il più possibile, temendo che i vampiri stessero puntando quei due giovani e minacciassero di attaccarli da un momento all'altro, quando un particolare mi ha colto di sorpresa. Quei due ragazzi non avevano battito cardiaco. E l'odore dei vampiri che avevo sentito, proveniva direttamente da loro. Erano due vampiri dalle sembianze perfette ed attraenti, vestiti con cura e dai modi civili."
"Mi stai dicendo che due vampiri, ieri notte se ne andavano in giro mischiandosi tranquillamente con la gente?" Samuel era sconcertato. Dillon sapeva che nella sua mente il vampiro non aveva altro volto che quello di un mostro ghignante vestito di stracci.
"Esistono vampiri diversi da quelli a cui abbiamo dato la caccia finora.” proseguì Dillon affascinato “Quelli non erano che la punta dell'iceberg. Lo stadio iniziale della trasformazione. Poi si evolvono e sviluppano autocontrollo. Sono in grado di farsi passare per esseri umani."
"Teoria interessante, ma dimmi, com'è finita con quei due ragazzi vampiri? Come li hai uccisi?"
Dillon esitò per un attimo prima di continuare "Loro hanno iniziato a seminarmi, ma ho tenuto il passo. Poi si sono girati verso di me e mi hanno parlato. E' stato strano. Hanno ammesso di essere vampiri ma di non avere intenzioni malvagie, spiegandomi che si nutrono del sangue di animali per sopravvivere."
Samuel rise ironico. "Molto astuto, devo dire. Non gli avrai certo creduto?" L'esitazione di Dillon lo colse alla sprovvista. "Nooo! Non puoi essertela bevuta!"
"I loro occhi, Samuel. Non erano rossi come quelli degli altri. Erano dorati. E anche il loro odore era diverso. Più dolce e gradevole."
"Per quanto riguarda gli occhi, avranno indossato delle lenti."
"E perchè farsele dello stesso colore? No, Samuel quei due sono diversi. Ne ho avuto la prova poco dopo quando un terzo vampiro dagli occhi rossi ci ha attaccato."
"Cosa?"Samuel per poco non fece un balzo per aria "E quello da dove usciva?"
"Non lo so, non era legato a loro. Cercava me."
Il volto di Samuel era una maschera di stupore. "Vai avanti." Il detective ascoltò interessato il resoconto della lotta con Louis cercando di cogliere quei particolari che potevano essere sfuggiti al suo giovane amico. "Non posso crederci. Se non ti conoscessi bene direi che mi stai prendendo in giro. Vampiri con poteri paranormali? Nessuno sarà più al sicuro. E' un miracolo che tu sia ancora vivo."
"E' stata quella giovane coppia di vampiri a salvarmi. La ragazza ha uno scudo che blocca i poteri mentali."
"Se lo hanno fatto devono aver avuto anche loro delle mire su di te. Come delle belve che si contendono una preda. E quella preda eri tu."
"No! Edward e Bella non uccidono gli umani. Avrebbero potuto farlo, ma invece mi hanno hanno protetto da Louis."
"Edward e Bella? Così si chiamano?" Dillon si maledisse per essersi lasciato sfuggire i loro nomi.
"Loro non sono un pericolo, Samuel te lo assicuro. Quel Louis piuttosto è a piede libero e si nutre di sangue umano."
"Bene, chiederò all'ispettore capo di emettere un mandato. Potrebbe aiutarci a rintracciarlo."
"Credo sia inutile" rispose Dillon alzandosi e voltandosi verso la finestra. Quel dannato vampiro non si sarebbe lasciato trovare tanto facilmente. "Probabilmente, ma possiamo fare un tentativo almeno. Prova a descrivermelo."
Dillon sospirò. Non avrebbe mai dimenticato quella faccia. "Era alto almeno quanto me, quindi sul metro e ottantacinque. Fisico altetico e slanciato. Aveva la pelle liscia e chiara ma di un incarnato luminoso su cui spiccavano i suoi occhi rossi e le labbra carnose. Aveva i capelli castano scuro, lisci e pettinati alla moda con una frangia lunga. Era vestito con estrema eleganza."
"Ha un aspetto avvenente quindi. Anche gli altri due erano belli?"
"Erano entrambi bellissimi. Tanto la femmina quanto il maschio. Il loro viso era addolcito dal colore degli occhi d'ambra ma comunque anche la loro era una bellezza innaturale."
"Come la tua Dillon?" Dillon si girò a guardare l'amico. Nonostante la sua pelle fosse calda e di un sano colorito, era consapevole che il suo aspetto faceva voltare le persone lungo la strada. Doveva ammettere che i tratti in comune con i vampiri, stavano aumentando. Ma non lo era.
"Dubiti di me adesso?" chiese sulla difensiva.
"No di certo, ragazzo" si affrettò a rispondere Samuel "Ma ho paura che quelle creature che hai incontrato ieri possano confonderti e portarti a fare qualche sciocchezza. Dopo lo scontro cos'è successo?"
Dillon esitò. Non voleva raccontare che aveva rubato del sangue in un ospedale nè che era stato visto da una paziente. Epoi sentiva che ra meglio tenere Laura fuori da quella storia.
"Hanno accettato di rispondere ad alcune domande ed hanno colmato parecchie lacune che avevamo sulla natura dei vampiri."
Samuel si sporse verso di lui interessato ed ascoltò quanto Dillon aveva appreso da Edward.
"E' una storia molto commovente."disse Dillon "Edward e la sua famiglia sono stati trasformati contro la loro volontà. Persone innocenti costrette a diventare dei mostri. E' incredibile come abbiano conservato una natura pacifica e la capacità di amare..."
Samuel si spazientì. "Li hai interrogati o avete preso un té?"
Dillon iniziò ad alzare la voce."Cosa dovevo fare arrestarli? Ucciderli? Samuel, se non era per Edward e Bella a a quest'ora sarei concime per fiori. "
"Ma questo basta a fidarti di loro? A credere a quello che ti hanno detto? I vampiri possono essere molto astuti. Chi ti dice che il loro racconto non sia una strategia per farti cadere in trappola? Ti hanno chiesto di andare con loro per caso?"
"In effetti sì ma solo..."
"Ecco che ti dicevo! Stai in guardia. Non fidarti di loro. Si tratta sempre di vampiri. Vegetariani o no. Ti hanno detto dove puoi ritrovarli?"
"Si..." rispose Dillon esitante.
"Dobbiamo andarci insieme e portare rinforzi. Con le armi giuste saremo al sicuro."
"No! Non posso fare questo! Ti prego Samuel. Loro si fidano di me! Non voglio far loro del male."
"Stiamo parlando di non-morti che succhiano il sangue per tenersi in vita. Dovresti preoccuparti piuttosto delle vite umane innocenti che sono minacciate da creature come loro. Hai considerato che cosa succederebbe se non trovassero animali di cui nustrirsi? Se si trovassero in una situazione estrema? Potresti diventare tu il loro pasto. O credi che per bontà d'animo si lascerebbero morire di fame? Anche quell'Edward ha ammesso di aver messo in pericolo più volte la sua ragazza quando era umana, seppur involontariamente."
Dillon capiva quando fossero fondate le perplessità di Samuel ma non voleva nè minacciare Edward e Bella, nè voltare le spalle a quella nuova dimensione che si stava aprendo davanti a lui. "Non posso tirarmi indietro da questa cosa, Samuel. E non voglio coinvolgerti. Vuoi vedere crescere Jade? Vuoi vedere tuo figlio quando si laurea? Io non ho niente da perdere e tutto ciò che voglio è scoprire la mia vera identità." Anche se è una cosa che mi terrorizza. pensò

"Mi stai chiedendo di darti il permesso di andare a rischiare la vita?"
"L'ho rischiata ogni sera da quando ho iniziato la caccia e l'ho fatto solo per un motivo. E ora devo andare fino in fondo."
Dillon si diresse verso la porta ed uscì correndo senza aggiungere altro, agitando nell'aria il lungo giubbotto nero. Samuel si alzò e gli corse dietro.
"Dillon! Fermati! Ti prego!" gli gridò sulle scale.
Dillon si fermò senza voltarsi accanto ad una finestra.
"Forse ti stai avventurando in una strada senza uscita."disse Samuel.
"E' la sola strada che ho. Voglio anche scoprire perchè Louis mi stava cercando."rispose il ragazzo fissando il suo riflesso nel vetro. Il sole illuminava i suoi capelli biondi facendolo sembrare un angelo maledetto. Lo sguardo cupo dei suoi occhi azzurri nascondeva un'infinita tristezza che lo logorava.
"Posso fare qualche altro tentativo per aiutarti a scoprire chi sei." propose Samuel disperato "Dammi un pò di tempo."
Dillon scosse la testa. "E' inutile ormai."
"Allora non c'è altro che io possa fare per te." sospirò Samuel rassegnato.
"E' un addio?" chiese Dillon aggrottando le sopracciglie castano chiaro.
"Dipende solo da te." rispose Samuel tristemente
"Te l'ho detto una volta."
rispose il ragazzo girandosi verso l'amico "Non faccio promesse."
Scese velocemente le scale mentre Samuel chinava il capo, appoggiato alla ringhiera.


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9


Il cellulare di Edward poggiato sul comodino accanto al letto prese a suonare le note di Super Massive Black Hole dei Muse. Il bel vampiro allungò in fretta il suo braccio marmoreo sperando fosse Dillon. "Pronto? Dillon! Sono felice che tu abbia chiamato. " esclamò Edward sollevandosi a sedere e tirandosi il lenzuolo fino alla vita. Bella sorrise appoggiandosi contro il petto del marito ed abbracciandogli i fianchi. Per fortuna Dillon non aveva interrotto niente. "Che cosa? Quando? Io e Bella partiamo tra poche ore. Abbiamo noleggiato una macchina...Va bene. Dove ci vediamo? Ci sarò."
Edward chiuse la chiamata e rimase in silenzio per qualche minuto. "Cosa succede?" chiese preoccupata Bella.
"Vuole che ci vediamo. Mi deve parlare."
Bella colse quel "mi" perplessa. "Vuoi dire da solo?"
Edward annuì pensoso. "Preferisco che tu non venga. Non voglio farti correre altri rischi."
"Ma se doveste imbattervi di nuovo in quel vampiro...Louis, io posso fermarlo."protestò lei
"Saremo prudenti e poi non credo vorrà tentare un agguato in pieno giorno. Staremo in un posto affollato, in mezzo alla gente. Solo io e lui."concluse Edward in tono deciso. Bella sospirò "Ed io dove dovrei andare nel frattempo?"


La locandina all'entrata del Covent Garden recava la scritta - La Royal Ballett School presenta "Il lago dei cigni di Matthew Bourne."
"Edward, cosa siamo venuti a fare qui?"chiese Bella mentre entravano nel teatro
"Danno un matinee, tesoro.” spiegò lui con un sorriso “Non vorrai lasciare Londra senza aver visto un balletto?"
"Andiamo a vedere un balletto?"chiese Bella perplessa.
"No, tu vai a vedere un balletto, mentre io parlo con Dillon. Pensavo ti piacesse. Tua madre non ti portava a lezione di danza da piccola?”continuò lui senza smettere un attimo di camminare.
"Si, è infatti ero una frana. Prendevo certe storte..."
"Potresti cimentarti adesso che hai un'agilità da gazella...comunque oggi devi solo stare a guardare. Vedrai che ti piacerà. E' una bellissima storia d'amore."
Edwar si fermò allo sportello per comprarle un biglietto.
"Ma quelli sono dei ragazzi? Dove sono le ballerine col tutù?" chiese Bella fissando attentamente la locandina.
"E' il lago dei cigni, amore. Ti ho preso una poltrona nella fila centrale. Ci saranno parecchie persone, quindi sarai al sicuro. Lascia comunque il cellulare acceso con la vibrazione. Chiamami non appena avverti qualcosa di strano?"
"Strano? Come quegli uomini con i mutandoni piumati?"
Edward rise di gusto facendo voltare alcune persone in fila. La sua voce era un tintinnio d'argento che incantava. Anche Bella rilassò la sua espressione imbronciata. "Non mi abituerò mai a questo suono meraviglioso." pensò intensamente abbassando la difesa del suo scudo. Edward le sorrise avvicinando il volto verso quello della moglie. "Tornerò presto, vedrai. Ti vengo a prendere qui appena posso." mormorò prima di baciarle le labbra.
"Fai attenzione, ti prego." rispose lei staccandosi per un istante.
Lui annuì e dopo averle dato un altro bacio, corse via. Con un'andatura umana, normale, ma sempre troppo veloce per Bella che in un attimo lo vide sparire tra la folla.


La giornata era nuvolosa ed umida in pieno stile londinese. Si intravedeva ogni tanto qualche sprazzo di cielo azzurro, ma Edward potè muoversi indisturbato fino al luogo dell'appuntamento con Dillon. Lui era già lì, sotto l'immenso cupolone verde dell'edificio. Edward gli rivolse un sorriso sghembo andandogli incontro. "Scelta interessante. Madame Tussauds,eh? Vuoi farmi fare il turista oggi?" Dillon gli sorrise. "Non vorrai lasciare Londra senza aver visto il museo delle cere?” rispose “Credo che in un posto pieno di gente correremo meno rischi, in caso Louis volesse farci un'altra visitina." Edward si sorprese ad ammirare di nuovo l'intelligenza di quel ragazzo. "Intendiamoci, non mi dispiacerebbe dargli quello che si merita. Ma non credo che da soli potremmo farcela. Soprattutto senza la tua signora. Perchè non l'hai portata?"
"Ho preferito tenerla al sicuro stavolta." disse Edward mentre entravano nel museo. "Certo, capisco."osservò Dillon ripensando al volto sconvolto di Edward mentre teneva la moglie ferita tra le braccia. Era stato orribile. Quell'immagine arrivò nella mente di Edward come un pugnò allo stomaco. Un brivido gli corse giù per la schiena illuminando i suoi occhi dorati. Non era certo un suo pensiero. Possibile che Dillon glielo avesse trasmesso? Non seppe più cosa pensare. Dillon non si accorse di nulla e proseguì a camminare verso il botteghino. "Ho parlato con Samuel." cominciò il ragazzo tirando fuori il portafogli. "Faccio io." intervenne Edward dopo essersi ripreso dalla rivelazione di poco prima.
Dillon non ne volle sapere. "Ho detto che pago io. Ce li ho i soldi."
"Ok, scusa, non ti arrabbiare." disse Edward mettendo via Il portafogli gonfio.
"Come hai fatto i soldi, Nosferatu?" bisbigliò Dillon a voce bassissima sapendo che Edward poteva udirlo.
"Più di un secolo di risparmi e investimenti."
"Ah, certo." rispose Dillon come fosse una cosa naturale. La cassiera intanto guardava abbagliata i due ragazzi non sapendo più su chi dei due posare gli occhi. "Wow! Chi sono questi? La gente dovrebbe pagare per vedere loro due, altro che le statue di Brad Pitt e Johnny Deep."Il bel vampiro ridacchiò in silenzio percependo i pensieri adoranti della ragazza.
"Dicevi che avevi parlato con il tuo capo." disse Edward riprendendo il discorso.
"Samuel non è il mio capo.” precisò Dillon “Io non sono alle dipendenze di nessuno. E' un mio amico, o perlomeno lo era fino a stamattina."
Edward lo guardò allarmato. La mente di Dillon rimaneva inacessibile per il momento. "Che cos'è successo?"
"Gli ho fatto un resoconto sui fatti di ieri..."
"Cosa? Ma sei matto?"
"Dovevo farlo! Aveva già appreso della sparatoria davanti alla cattedrale. Gli dovevo dire di Louis e metterlo in guardia. Ho cercato di dire il meno possibile su di voi e gli ho proibito di incontrarvi. Non dirà niente a nessuno, comunque stai tranquillo. Lo lascerò fuori da questa storia."
Un gruppetto di turisti passò accanto ai due interrompendo la conversazione. "Con chi ci facciamo la foto, Edward?" disse Dillon fingendo di divertirsi "Con Gandhi o Einstein? Per caso hai conosciuto qualcuno di loro?"
Edward si spazientì "Dillon, non scherzare.Tu e Samuel correte un grande rischio. Gli umani non devono venire a conoscenza di noi...E' la legge."
Dillon aggrottò le sopracciglia."Dimmi una cosa. Quanti ce ne sono al mondo?"
"Per quanto ne so ce ne sono a migliaia. Ovunque ci sono gli umani ci sono anche loro."
Dillon rabbrividì "E tu sai dove si trovano?" Edward tornò sulla difensiva. Si chiese se Dillon potesse anche leggere la mente. "Vuoi sapere dove trovare i vampiri?"Un impiegato del museo passandogli accanto li udì e rivolgendosi a loro disse. "I vampiri non ce li abbiamo mi dispiace. Se vi interessa, però c'è la statua di Robert Pattinson, laggiù."
Edward e Dillon presi in contropiede mormorarono un grazie e diedero uno sguardo nella direzione indicata. Una folla di ragazzine impediva di avvicinarsi. "La figlia di Samuel va matta per quell'attore." notò Dillon divertito.
"E che cosa centra con i vampiri?"
"Ne ha interpretato uno in un film. Sai che ti somiglia?"
Edward arricciò il naso. "Non mi sembra proprio. Senti, tornando alla nostra situazione, cosa pensi di fare? Potresti essere finito nel mirino di vampiri molto potenti ed io insieme alla mia famiglia possiamo offrirti la giusta protezione e aiutarti a trovare le risposte che cerchi."
Era evidente che Dillon temeva ed anelava la sua proposta. "Dimmi una cosa...hai detto che il tuo...padre adottivo è un medico."
"Si...uno dei migliori."
"Immagino, se ha vissuto tanto a lungo avrà qualcosa come cinquanta lauree come minimo. Ma mi chiedevo se potrebbe fare qualche ricerca più specifica...su di me."
Edward ripensò agli studi di Carlisle sul sangue di Jacob, sulla gravidanza di Bella, la crescita di Renesmee. Si sarebbe sicuramente interessato ad un essere della natura di Dillon. "Penso proprio che sarò lieto di aiutarti. Gliene parlerò, appena possibile." promise Edward.
"Perchè non ora?" propose Dillon impaziente." Credo sia meglio prepararlo se dobbiamo fargli visita insieme."
Edward annuì. Il ragazzo aveva ancora una volta ragione. Mentre componeva il numero di Carlisle guardava Dillon preoccupato. Non voleva ammetterlo ma gli si stava affezionando.            

"Qui non prende." notò Edward osservando il display.
"Prova a chiamare da lì." disse Dillon indicandogli una delle storiche cabine rosse. Edward entrò e compose ansiosamente il numero di Carlisle. "Pronto, Carlisle..."cominciò il vampiro. "Edward! Come stai figliolo?"sentire il tono paterno ed affettuoso di Carlisle gli scaldò il cuore. Gli mancava.
"Come sta Bella? Siete ancora Londra?"
"Si. E' senza dubbio una città molto interessante..."disse Edward nervosamente. Non sapeva da che parte cominciare a parlargli di Dillon quando con sua grande sorpresa fu Carlisle a tirare in ballo l'argomento.
"Stavo per chiamarvi io. Ero molto preoccupato. Pare che nell'ultimo anno un cacciatore di vampiri abbia sterminato decine di neonati proprio a Londra e sia ancora in circolazione."
Edward guardò Dillon fuori dalla cabina che in quel momento era distratto dallo scrosciare improvviso della pioggia. "Ne ho sentito parlare...ti chiamavo per questo..." disse fingendo noncuranza.
"Edward, tu e Bella dovete partire appena subito. Non dovete permettere che quest'individuo si avvicini a voi."
In quel momento Dillon entrò nella cabina."Scusa ma sta diluviando." spiegò facendosi avanti per dividersi lo stretto abitacolo con Edward.
Edward lo guardò irritato coprendo la cornetta con la mano. "Tranquillo, fa come se non ci fossi. Prenditi tutto il tempo." disse Dillon mettendosi gli auricolari dell'ipod.
"Carlisle, questo cacciatore ieri notte ha salvato la vita di Bella."bisbigliò Edward giungendo al dunque. Dall'altra parte del telefono ci fu un lungo silenzio.
"Che cosa?" chiese Carlisle stupefatto. "A dire il vero prima siamo stati noi a salvare lui e poi lui ha rubato del sangue per rimettere in forze Bella che si era ferita." continuò Edward. Dillon con la musica nelle orecchie non dava segno di seguire la conversazione.
"Aspetta, non ci capisco nulla. Mi stai dicendo che tu e Bella avete incontrato il cacciatore? E che vi siete aiutati a vicenda? Non posso crederci."
“E' un pò complicato da spiegare...diciamo che abbiamo fatto una lunga chiacchierata rivelatrice."
"Edward sai che è contro la legge esporci agli umani. Potresti averci messo tutti in pericolo!"
"Ma non vuole farci del male...ahia, Dillon non spingere!" Quel ragazzo era abbastanza forte da dargli una gomitata.
"Scusa, ma sta entrando acqua dalla porta. Tra un pò ci allaghiamo." borbottò Dillon stringendosi addosso il giubbotto.
"Vedi Carlisle" continuò Edward cercando di fare l'indifferente davanti al giovane. "Non credo sia del tutto umano. E' un giovane fuori dal comune. Ha poteri paragonabili ai nostri, perfino superiori."
"Edward non gli avrai parlato dei nostri poteri?"chiese allarmato Carlisle?
"Ho dovuto farlo...dovevo fargli capire..."
"Come hai dovuto? Era una chiacchierata o un interrogatorio."
"Carlisle, sai che non metterei mai in pericolo la nostra famiglia. Sento di potermi fidare di lui. Tutto quello che vuole è scoprire la sua vera identità. Le sue origini gli sono sconosciute e mi domandavo se potevi aiutarlo in questo."
Carlisle rispose dopo un lungo silenzio. "Mi stai chiedendo di correre un grande rischio, Edward, incontrando questo giovane. Se questa persona non ha intenzioni ostili ed è disposto a mantenere la segretezza, ben venga. Ma incontrarlo è pericoloso. Potrebbe essere una trappola per arrivare a noi. I cacciatori di vampiri possono essere molto scaltri. Se poi mi dici che non è del tutto umano ed ha dei poteri è una ragione in più per stare in guardia."
"Pensaci Carlisle almeno, io e Bella partiamo oggi pomeriggio e ci vedremo dove stabilito alla data indicata. Ti saprò spiegare meglio le cose di persona."
"Sicuramente, Edward. Allora aspettaci. Cerchermo di anticipare l'appuntamento."
"Va bene allora ti ricontatterò molto presto. Abbraccia Esme per me."
Detto questo concluse la chiamata. Dillon si tolse gli auricolari e lo guardò preoccupato. "Tutto bene?"
Edward sospirò prima di rispondere:"Mi ha chiesto di pensarci su prima...sai è una situazione nuova. Anche noi vampiri abbiamo dei rischi, delle persone da proteggere per questo lui..."
"Non si fida." concluse Dillon. "Me lo aspettavo. Bè è normale...penso." si mise a ridere nervosamente.
"Dammi il tempo di parlargli di persona. Vedrai che cambierà idea. Carlisle ha un grande cuore. E' solo molto prudente e vuole proteggere me e Bella. Bella!” esclamò all'improvviso “Ma che ore sono? Devo andare a prenderla tra mezz'ora!"
Dillon lo trattenne "Aspetta, non vorrai andare in giro sotto quest'acquazzone."
"L'acqua non mi fa niente, mio caro. Mi scivola addosso."
"Certo ma questo la gente non lo sa. Non vorrai dare nell'occhio?"
Edward riconobbe che aveva ragione. La pioggia era talmente intensa da appannare i vetri della cabina. La strada era un torrente in piena.
"Aspetta qualche minuto, di solito non durano mai a lungo questi acquazzoni." suggerì Dillon.
"Ci sono abituato. Noi vampiri scegliamo spesso climi piovosi." Rimasero in silenzio ad aspettare che spiovesse per qualche minuto poi Edward decise di rompere il silenzio. "Che farai adesso? Tornerai da Samuel?"
Dillon si spostò dalla fronte le ciocche bagnate e sospirò. "Non credo. Penso che non lo rivedrò per molto tempo."
"Lui forse può proteggerti meglio di noi, per ora."
"Ancora con questa protezione? Edward, so badare a me stesso. Sono ventun'anni che me la sbroglio in qualche modo."
Ventuno? La stessa età...Edward scacciò quel pensiero prima che prendesse forma e si concentrò sulla conversazione. "Louis forse ti sta ancora cercando."
"Si ma ci sono 12 milioni di persone in questa città. Ed io non ho odore. Da ieri metto l'antismell anche di giorno. Non credo gli sarà poi così facile."
Edward si accorse che era inutile insistere. Ma quanto era cocciuto quel ragazzo? "Che cosa stavi ascoltando prima?" chiese per cambiare argomento. Si domandava quali fossero i suoi gusti musicali. Chissà se anche lui amava la musica classica.
"I Metallica." rispose Dillon mostrando l'ipod. "Vuoi sentire?" Edward arricciò il naso. "Ti piace il metal?"
"Mi piace un pò di tutto:rock, jazz, pop, metal." rispose Dillon animandosi. "Quelli che ascoltavo sono degli arrangiamenti dei Metallica rifatti al pianoforte. Mi affascina molto il suono del piano. L'ho suonato per moltissimi anni, sai mia madre ci teneva molto. Mi ha iscritto ad un'infinità di concorsi finchè mi sono rotto di partecipare."
Edward cercò di non farsi suggestionare da quel particolare ma era troppo tardi. Il tarlo ormai gli era entrato in testa e non lo lasciava in pace. "Senti, anche se ci vorrà del tempo prima di portarti da Carlisle, penso che dovresti lasciare la città con me e Bella. Partiamo questo pomeriggio. Vieni con noi senza neanche passare per casa. Ti compreremo tutto in viaggio." colto da un'improvvisa ansia paterna. O quasi.
"Mi hai preso per un bambino?” protestò Dillon. “Ti ho detto che so badare a me stesso. Pensa solo ad informarmi quando quel luminare di tuo padre potrà ricevermi."
"Tu pensa a farmi sapere che stai bene, nel frattempo."
Dillon sembrò colpito dalla quella sincera preoccupazione ma non aggiunse altro. "Ha smesso di piovere, possiamo uscire." notò il ragazzo facendo cenno ad Edward di seguirlo. C'era ancora una leggera pioggerellina per la verità ma era talmente fina che molta gente aveva ripreso a camminare per le strade. "Non arriverò mai in tempo." osservò Edward guardando l'orologio. "C'è troppo traffico. Quanto ci vuole a piedi fino al Covent Garden?"
"Quaranta minuti." rispose Dillon "Non faresti in tempo, considerando che la velocità vampira è da escludere. Vieni con me."
Dietro l'angolo ad attenderli c'era la moto di Dillon. "Che gioiellino!" commentò Edward.
"Ti piacciono i motori?"chiese Dillon accomodandosi in sella.
"Si, ma preferisco le auto di solito."
"Magari ti faccio cambiare idea." Non appena Edward prese posto dietro di lui, Dillon partì a razzo aggirando il traffico. Edward era compiaciuto dell'agilità della sua guida. Sembrava riuscisse a muoversi tra una goccia e l'altra. Mentre erano fermi ad un semaforo Dillon gli offrì un auricolare dell'ipod per fargli ascoltare un brano dei Greenday. Edward sorrise e lo accettò. Mentre le note di Basket Case in sottofondo accompagnavano la partenza della moto, per la prima volta il vampiro si accorse di sperare intensamente che il giovane cacciatore potesse essere suo nipote.

Una brezza di vento portò l'inconfodibile odore di Edward alle narici di Bella che aspettava fuori dal teatro. Lo vide arrivare già da parecchi isolati di distanza a bordo della moto di Dillon e si preparò ad accoglierlo con l'aria imbronciata che gli riservava quando era arrabbiata con lui.
La ducati volò leggera fino a fermarsi ad un passò dalla bella vampira. "Amore! Mi dispiace!” gridò Edward saltando giù dalla moto Scusa se ho fatto tardi...E'... colpa sua. Va piano come una lumaca!"
Dillon lo guardò perplesso con un'espressione accigliata, come a dire "Che centro io?" mentre Bella continuò a fissare Edward irritata.
"Com'era lo spettacolo, amore? Ho fatto una buona scelta?" chiese Edward sperando di addolcirla.
"Oh molto bello, solo che la parte della principessa la faceva un uomo."
Dillon incuriositò fissò la locandina e fece una risata. "Edward! Se avessi saputo di questi tuoi gusti non mi sarei riparato con te in una cabina telefonica."
Edward ringhiò offeso e poi si rivolse a Bella. "Mi dispiace amore, avevo letto "Il lago dei cigni" sulla brochure e non mi ero accorto della differenza."
"Oh ma mi sono divertita!" disse Bella fingendo un tono malizioso. "C'erano una sacco di bei ragazzi muscolosi ed atletici. Sono andata nel camerino a fargli i miei complimenti." Edward ringhiò geloso mentre Dillon poggiato al manubrio della ducati se la rideva. "Dai Edward, sta scherzando e poi non so quanto i ballerini abbiano apprezzato la visita di una bella ragazza. Forse se ci andassi tu..." Edward gli diede un'occhiataccia e rivolse alla moglie uno sguardo pentito. "Mi farò perdonare. Promesso."le disse con voce suadente avvicinando il volto al suo. Bella cambiò espressione ma rimase in silenzio mordendosi il labbro inferiore. "Non mi piace quando prendi, mi metti da qualche parte al sicuro e poi mi lasci da sola. Lo so che lo fai per proteggermi ma..."
"Insomma." fece Dillon. "Sei un vero rompiscatole. Hai la fissa della protezione!"
Edward lo ignorò. "Bella, te l'ho detto: non volevo farti correre dei rischi. Comunque adesso dobbiamo partire. La macchina che abbiamo noleggiato ci sta aspettando all'albergo. Carlisle cercherà di raggiungerci prima possibile."
"E lui non viene con noi?" chiese Bella indicando Dillon con un cenno del capo. Il ragazzo divenuto serio abbassò lo sguardo. "Per ora no. Carlisle ha bisogno di pensarci. Ha paura."
Bella aggrottò le sopracciglia. "Perchè dovrebbe avere paura di lui?"
"Forse perchè uccide i vampiri? Non si fida per ora..."
Bella sospirò e si rivolse a Dillon. "Parlerò anche io con lui. Vedra che capirà e accetterà di aiutarti. Lui potrà fare un pò di luce sul tuo mistero."
"Lo spero."rispose il ragazzo asciutto.
"Lasciami il tuo numero.” disse Edward “Ci terremo in contatto." Dillon annuì e gli dettò il suo numero. Quando giunse il momento di salutarsi un raggio di sole squarciò le nubi. I due vampiri arretrarono verso l'ombra preoccupati. "Possibile che non ci sia un taxi quando serve?" si chiese Edward guardandosi intorno. "Mettetevi questi." disse Dillon porgendogli il suo casco integrale. Poi sollevo la sella e ne tirò fuori un altro che passò a Bella. I loro volti risultavano perfettamente nascosti e gli abiti li coprivano completamente fino ai polsi.
"Ascolta, Edward, non so che cosa mi passi per la testa ma tieni.” disse Dillon con sospiro sofferto “Te la presto."
Il vampiro con sua grande meraviglia si ritrovò in mano la chiave della moto di Dillon.
"Passerò a riprenderla al vostro hotel più tardi. Se la trovo anche con un solo graffio, ti assicuro che non ci sarà un posto abbastanza lontano dove potrai nasconderti."
Edward scoppiò a ridere sotto la visiera del casco. "Non so come ringraziarti. Ti prometto che ti faremo avere presto nostre notizie.” Edward avrebbe voluto trovare le parole giuste per consolarlo ma non ci riuscì. "Mi sono divertito con te oggi." disse semplicemente. Gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla spalla. Bella invece si alzò la visiera e lo baciò sulla guancia. Non appena salirono sulla moto, Edward alla guida e Bella dietro, il vampiro si voltò di nuovo verso Dillon con uno sguardo divertito. "Per la cronaca...ho incontrato Einstein una volta. Teneva un corso a Princeton negli Anni Cinquanta." Quella frase riuscì a strappare un sorriso a Dillon mentre li guardava allontanarsi.


Non appena furono spariti dalla sua vista cominciò a camminare lentamente senza fretta e senza alcuna meta per le strade e gli edifici lasciando che la debole luce del sole gli asciugasse i capelli ancora bagnati. Un familiare senso di solitudine tornò ad avvolgerlo ma stavolta stranamente gli pesava, ora che Edward e Bella se ne erano andati. Non riusciva a credere di aver stretto amicizia con due vampiri e che, insieme a loro, in quelle poche ore, si fosse sentito così a suo agio. La cosa lo affascinava e lo angosciava. Ricordava una frase che era saltata ai suoi occhi poco prima che diventasse un cacciatore di vampiri. "Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro.E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te."
“Io non sono un vampiro. Non sono un mostro!” si disse deciso. “Ma, con tutta probabilità, non sono neanche umano...” Il rinvio dell'incontro con Carlisle lo aveva deluso ma al tempo stesso sollevato. Si sentiva come un fantasma, diviso tra due mondi, quello reale, umano e quello soprannaturale dei vampiri. Ma non apparteneva a nessuno dei due. Si chiese se potesse esisterne un terzo da qualche parte disposto ad accoglierlo. Forse era là da qualche parte...
Quel pensiero gli restituì una microscopica speranza. Gli sarebbe bastata, almeno per quel giorno.


FINE PRIMA PARTE

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


SECONDA PARTE


CAPITOLO 10

Quella giornata sembrava non finire mai. Dillon camminava verso Kensington per riprendersi la sua moto, ma senza alcuna fretta, avvolto in una specie di limbo che lo isolava dai rumori del traffico e dalle persone che gli camminavano accanto. Aveva bisogno di pensare a mente fredda agli ultimi eventi. Erano successe troppe cose e ancora non era riuscito a metabolizzarle. Il suono del cellulare lo riportò alla realtà. Era Samuel. "Che cosa c'è?" chiese Dillon con un sospiro.
"Dillon dove sei?"
Il ragazzo fece un debole sorriso "Da qualche parte nello spazio tempo."
"Che ne è stato di quei due vampiri?"
"Li ho lasciati andare ma non sono partito con loro." Samuel chiuse gli occhi sollevato.
"Non ancora." aggiunse Dillon. Il detective cominciò ad agitarsi. "Dillon, ti prego non fare sciocchezze. Non è con loro il tuo posto. Finchè ti ostini a voler proteggere quei vampiri non potrai tornare qui." implorò Samuel angosciato.
"Non so più quale sia il mio posto, Samuel e finchè non l'avrò trovato non potrò tornare da nessuna parte."
"Ti ho chiamato anche perchè ho delle notizie per te."continuò rassegnato Samuel. "Il tuo "amico" Louis ha alloggiato al Dorchester ed ha lasciato Londra questo pomeriggio con un volo privato diretto in Italia. Da lì ho perso le sue tracce."
L'Italia. Dillon si ricordò di quello che gli aveva detto Edward. Potresti essere finito nel mirino di vampiri molto potenti.
"Samuel credo sia il caso di fare dei controlli sulla situazione italiana. Ho motivo di credere che li ci sia un grosso clan o qualcosa del genere."
Samuel si rianimò. "Ora lo riconosco il mio cacciatore. Magari ci possiamo lavorare insieme se..."
"No."rispose secco Dillon. "Non posso. Grazie dell'informazione."
"Cosa pensi di fare adesso?" insistette Samuel preoccupato.
"Non lo so." sospirò Dillon guardando verso il cielo. "Aspetterò."
"Che cosa?"chiese Samuel dopo una pausa.
"Qualsiasi cosa" bisbigliò il ragazzo.
Samuel respirò ansioso nella cornetta per qualche minuto senza parare. "Fammi sapere ogni tanto se sei ancora vivo. Ho passato abbastanza notti insonni a causa tua." concluse Samuel terminandoo la chiamata. Dillon chiuse il cellulare e riprese a camminare fino alla sua destinazione. "Grazie per tutto. A presto, te lo prometto. Edward." Il biglietto scritto con un'elegante calligrafia gli venne consegnato insieme alle chiavi della moto. Dillon lo guardò e sorrise speranzoso prima di rimontare in sella e andarsene per la sua strada in cerca di un posto tranquillo dove raccogliere i suoi pensieri.
Da molto tempo non andava ad Hyde Park. In effetti era molto tempo che non andava da nessuna parte, specie in pieno giorno. Parcheggiò lungo la riva del Serpentine Lake e si mise a passeggiare sul prato guardando diritto davanti a sè. Oltre il parco i suoi occhi riuscirono a vedere in lontananza l'insegna del Dorchester. E così Louis se ne era andato. Fu sollevato al pensiero di non avercelo alle calcagna ma sentiva che la questione tra lui e quel vampiro non era finita. Si stese sull'erba incrociando le braccia sotto la testa. "Che cosa vuoi da me, Louis?" pensò con rabbia al ricordo dello scontro sul tetto della cattedrale. Sentiva ancora sul suo corpo la sensazione della paralisi che gli aveva provocato. "Perchè non mi hai ucciso?" si chiese rivedendo la malvagità di quegli occhi rossi. Rivide il modo in cui gli aveva sottratto le armi. La ferita a Bella. La disperazione di Edward. E in quell'ospedale lo avevano quasi beccato. Se non fosse stato per quella ragazza...
Rivide il volto di Laura che lo guardava curiosa senza paura. Quegli occhi tristi pieni di dolcezza... Il ricordo di lei gli strappò un sorriso e gli riportò alla mente il ricordo di una promessa. "Stanotte" decise. Sentì il suo morale risollevarsi e desiderò con impazienza che quel giorno finisse presto per poterselo lasciare alle spalle. Rimase ad Hyde Park tutto il pomeriggio finchè non vide le acque del lago tingersi lentamente d'arancio. "Non potresti tramontare un pò più in fretta stasera?" pensò rivolto al sole."Tornerò, Laura, manterrò la parola."

Laura si rigirò lentamente nel letto cercando una posizione in cui addormentarsi ma come ogni notte non ci riuscì. Il dolore non la lasciava in pace. Avrebbe potuto chiamare l'infermiera ma sapeva che un altro antidolorifico era da escludere. Ne stava prendendo troppi e presto rischiava l'assuefazione totale. "Pazienza, resisterò. Che sarà mai un'altra notte insonne?Tanto domani non devo mica andare al lavorare." pensò con un sorriso tirato. Quello che le dispiaceva era il fatto che venissero a farle i prelievi la mattina presto, proprio quando finalmente il suo corpo cedeva al sonno. "Sto iniziando a scambiare il giorno con la notte." ridacchiò sospirando. Si girò su un fianco e si rannicchiò. In quella posizione sentiva meno il dolore e poteva anche vedere la finestra. Mentre se ne stava raggomitolata nelle coperte rivide nella sua mente quell'agile figura vestita di nero, dai capelli biondi. E quegli irrequieti occhi azzurri. Aveva passato tutto il giorno a chiedersi se non fosse stato solo un sogno. Avrebbe potuto esserlo, dopo tutto: la straordinaria bellezza di quel giovane e la velocità impressionante con cui si muoveva avevano qualcosa troppo surreale per essere vero ma sperava tanto di sbagliarsi...
Presto sarebbe stato buio. L'ombra aveva già cominciato ad invadere la stanza. Laura avrebbe potuto accendere la lampada sul comodino ma sapeva che non le sarebbe servito a molto. Non aveva nulla da fare, riusciva a malapena a leggere e ogni volta che ci provava le si annebbiava la vista. Le mancavano tanto i suoi libri nonostante li avesse lì a portata di mano e le mancava la sua piccola bibbia, appoggiata in verticale contro la parete. Dalle pagine fuoriusciva ancora il segnalibro col nastrino di raso che le avevano regalato.
All'ora di cena non toccò quasi cibo. Non riusciva a mandarne giù più di qualche boccone e i sapori erano diventati qualcosa di disgustoso. Attese con pazienza che finisse anche quella giornata lasciando che fossero i suoi ricordi a tenerle compagnia e a rallegrarla. Il tempo sembrava non passare mai, ma finalmente fu notte e la luna inondò di luce la stanza. Laura si stese sistemandosi la coda di cavallo in cui teneva legati i capelli e tornò a guardare la finestra. Aveva chiesto all'infermiera di lasciarla socchiusa. "Potresti sentire freddo, piccola." le aveva risposto.
"Non importa. Ho bisogno di un pò d'aria durante la notte." aveva insistito Laura e la donna non aveva saputo dirle di no.
"Sono proprio una sciocca." pensò qualche ora dopo nel silenzio e nell'immobilità della stanza. "Probabilmente non lo rivedrò mai più." mormorò abbassando lo sguardo in terra. Fu allora che un fruscio fece ondeggiare le tende della finestra rivelando un sagoma scura in piedi sul davanzale. Dall'ombra uscì fuori un volto d'angelo i cui capelli biondi e lisci rilucevano sotto la luce lunare.
"Sei tornato." sussurrò Laura riconoscendolo.
Lui scese dal davanzale e si mosse lentamente verso il letto su cui era coricata quella ragazza bruna. Era ancora più bello di quanto lei ricordasse ed aveva un'espressione esitante, quasi timida.
"Te lo avevo promesso." mormorò il ragazzo con dolcezza.
"Si" rispose Laura incantata.

Dillon la guardò studiandola con più attenzione della prima volta. Poteva avere sui diciotto o i vent'anni anche se era così magra e minuta da sembrare un'adolescente; ma l'espressione matura che le leggeva negli occhi faceva capire che non era una ragazzina. Il suo odore era delicato, sempre intriso a quello dei medicinali ma stavolta non a quello delle sue lacrime. Dillon provò sollievo al pensiero che quel giorno forse non aveva pianto. "Ieri non ti ho nemmeno ringraziato per il tuo aiuto." cominciò imbarazzato appoggiandosi alla spalliera di ferro del letto. Laura gli rivolse un sorriso che le illuminò gli occhi. Erano più chiari di quanto ricordasse, verdi o marroni, non sapeva dirlo. Erano stanchi e dolci e lo guardavano senza paura.
"Mi ha fatto piacere aiutarti. Come sta quella ragazza?" chiese Laura premurosa.
"Bene..." farfugliò Dillon ripensando a Bella che si scolava la sacca di sangue. "Diciamo che si è ripresa molto in fretta."
"Si trattava della tua fidanzata?" chiese Laura con prudenza.
Dillon rise divertito all'idea. "No, è... un'amica, diciamo. E' con il marito, adesso." 
"Oh, bene."commentò lei senza aggiungere altro. Fu il ragazzo a rompere il silenzio. "Laura, ascolta, io spero che tu non abbia parlato con nessuno di...quanto è successo"
"No! Stai tranquillo!" esclamò lei cercando di mettersi a sedere. Quel gesto le costò una certa fatica.
"Attenta, non fare sforzi..." disse Dillon facendole cenno di fermarsi.
In una frazione di secondo Dillon le fu accanto per sistemarle i cuscini. Il suo gesto fu più veloce del pensiero che gli balenò nella mente un attimo dopo. A Laura non era sfuggita la rapidità dei suoi movimenti. "Come ci riesci?" chiese sopraffatta dalla curiosità.
Dillon preso in contropiede non seppe cosa rispondere. "E' meglio che tu non sappia niente di me." le disse con un tono improvvisamente duro.
Quegli occhioni dolcissimi lo fissarono dispiaciuti. "Va bene." mormorò Laura. "Scusa..."
Dillon si raddolcì: povera piccolina! Non era certo lei che doveva scusarsi. "Laura, sono io che devo chiederti scusa. Sono io che sono piombato nella tua stanza nel cuore della notte e ti ho costretto a coprirmi." Laura sorrise "Non scusarti, non hai fatto niente di male. Ha pure lasciato i soldi, giusto?"
Dillon ricambiò il sorriso. "Giusto." Un altro momento di silenzio permise loro di continuare a studiarsi con curiosità circospetta. Se Laura era sempre più incuriosita da quel misterioso ragazzo, Dillon era colpito da quella totale assenza di paura e da quei modi gentilii e pacati.
"Vedi" cominciò Dillon lentamente voltandosi contro la finestra. "Se non ti dico niente su di me è solo per la tua sicurezza. Non voglio che ti succeda qualcosa."
Laura lo guardò ironica. "Peggio di così vuoi dire?" Sollevò leggermente il braccio esile e subito la manica del pigiama scivolò giù rivelando dei grossi lividi sulla pelle pallida all'altezza del gomito. Dillon osservò quelle macchie violacee con apprensione. Ma quante punture le facevano al giorno?
"Di cosa sei malata?" le chiese aggrottando le sopracciglia.
Il sorriso di Laura si spense debolmente. "Ho avuto una brutta bronchite. Nulla di grave ma devo curarmi seriamente." improvvisò con assoluta calma.
Dillon la guardò dubbioso. Non credeva ad una sola parola. "Non sei molto brava a mentire. Fattelo dire da un'esperto."
Laura abbassò lo sguardo per poi tornare a guardarlo. "Diciamo che sono anch'io una persona riservata."
Dillon la guardò divertito. "Guarda che io lo faccio per il tuo bene."
"Anche io." rispose lei convinta.
"D'accordo. Allora niente più domande." propose Dillon.
"D'accordo. Te ne faccio solo una e poi basta." Dillon annuì diffidente. Chissà cosa voleva chiedergli.
"Come ti chiami?"gli domandò Laura. Dillon scoppiò a ridere imbarazzato. Non si era nemmeno presentato. Quello almeno poteva dirglielo.
"Mi chiamo Dillon." si sedette sul bordo del letto e le porse una mano. "Piacere di conoscerti."
Laura sollevò la mano, piccola e delicata, per posarla nella sua. Dillon gliela strinse piano, stando attento a non farle male. Il contatto fu qualcosa di intimo e familiare che li colpì entrambi per un breve istante come una leggera scossa elettrica. I loro occhi si incontrarono percependo uno strano turbamento. "Che cosa mi sta succedendo? Perchè sono tornato qui? " si chiese Dillon.

"Dillon.." ripetè Laura "il piacere è mio. E' un bel nome. Originale."
Dillon sorrise debolmente. Chissà se è il mio vero nome.
"Se non sbaglio è di origine irlandese.."
Il giovane sospirò. " Lo ha scelto mia madre. Significa leale e coraggioso. Non so quanto mi si addica..."
"Bè ieri notte... entrare qui per aiutare la tua amica...io lo definirei piuttosto coraggioso."
"O piuttosto incosciente."
Laura non sembrava d'accordo ma apprezzò la modestia di quel ragazzo. "E di dove sei? Sei di Londra?"
Dillon agrottò le sopracciglia divertito. "Non avevamo deciso di non farci più domande?"
Laura sorrise e abbassò lo sguardo. "Potremmo farci delle domande... innocue. Se la domanda diventa troppo invadente diciamo: passo."
Dillon sorrise. Sembrava divertente. "Allora... sono originario degli Stati Uniti. Sono nato a San Francisco." Chissà se anche questo é vero. "Ma ho girato parecchie città. Boston, Philadelphia, New York... Mio padre era nell'esercito. Ci trasferivamo spesso."
Laura si sistemò per stare più comoda e riprese a parlare. " E dov'è la tua famiglia adesso? Scusa se sono troppo indiscreta..."
"Tranquilla, non è un problema parlarne. Ho perso i miei genitori due anni fa. Quello stesso giorno mi avevano detto di avermi adottato."
Laura lo guardò a bocca aperta. "Mi dispiace davvero tanto. Deve essere stato davvero terribile per te."
Dillon apprezzò quella sincera compassione che gli stava esprimendo. "Non sai quanto." mormorò.
"E chi si prende cura di te adesso?"
Dillon rise. "Me la sbroglio da solo.Non mi serve nessuno."
“Non hai altri parenti o amici che ti stanno vicino?”
Dillon scosse la testa. “I miei non avevano molti parenti stretti. Dopo il funerale ho perso i contatti con tutti loro. Quanto agli amici ...lasciamo perdere.” Samuel ormai me lo sono giocato...Edward e Bella...non so se posso considerarli già amici... “E tu?”le chiese all'improvviso. “Anche tu sei sola?”
Laura sorrise debolmente. “No...ho i miei genitori...e degli amici che vengono sempre a trovarmi.”
“Ma non ti basta?” le chiese lui cercando di interpretare quella tristezza che le era comparsa negli occhi.
“ Non è questo... sai loro...sono preoccupati per me...”
Dillon si sedette sul letto accanto a lei. “E che c'è di sbagliato?”
Laura sospirò. “Niente...è che non mi piace molto sentirmi un peso. Forse vorrei anche io potermela sbrogliare da sola.”
Dillon la guardò con aria indagatrice. “Stiamo sempre parlando di una bronchite?”
Laura deglutì forzando un sorriso. “Passo.”
"Va bene, non insisito." rispose Dillon divertito da quella testardaggine. "Però mi incuriosisci."
Laurà sbattè le palpebre sorpresa. "Io?"
"La cosa ti sorprende?" chiese lui con un sorriso affascinato.
Laurà cercò di mettere insieme una frase coerente. "Beh, non credo di avere niente di misterioso...sto perfino diventando trasparente. Letterlamente dico."
Dillon continuò a sorriderle ma posò lo sguardo attento sulla pelle diafana del braccio sotto cui si intravedevano nitidamente le linee delle vene. "Sei coraggiosa e sei così serena. Non capisco come fai." mormorò.
"Quando mi hai vista coraggiosa?"
"Ieri sera quando mi hai aiutato così, spontaneamente. E poi stasera quando sono rientrato dalla finestra. Non hai avuto paura di me."
Laura sorrise e restò in silenzio.
"Ho conosciuto paure peggiori." Dillon fece un sussulto. Quel pensiero strano non suo gli aveva attraversato la mente. Cos'era?
"Oggi potevi passare dalla porta però." disse Laura ignara del suo turbamento
"Si, e come mi sarei presentato?"obiettò Dillon  ironico"Salve sono l'intruso che si è introdotto qui ieri notte. Sono venuto a farmi arrestare."
Laura cominciò a preoccuparsi. "Ma rischieresti davvero di essere arrestato? Anche se hai lasciato i soldi?"
Dillon si girò verso di lei sospirando."Come minimo mi porterebbero alla centrale per interrogarmi. E non lo posso permettere." Di colpo si ricordò di un particolare. "Le telecamere!"esclamò.
Laura capì a cosa si riferiva. "Credi ti abbiano visto?"
Dillon annuì serio senza guardarla. "E' probabile."
Lei abbassò lo sguardo pensierosa. "E cosa possiamo fare?"
Vederla così preoccupata per lui lo intenerì. "Credo ci sia solo una persona al mondo che possa fare qualcosa. Devo chiamarlo subito." Mise la mano in tasca per prendere il cellulare ma senza trovarlo "Maledizione." esclamò quando si rese conto di averlo lasciato a casa. Ma dove aveva la testa quel giorno! "Devo andarmene se voglio fare questa telefonata..."spiegò rivolgendosi a Laura.
Lei gli porse un telefonino sorridendo. "Puoi chiamare dal mio. Mia madre mi ha fatto la ricarica oggi."
"Grazie." le rispose lui sorpreso prendendoglielo dalle mani. Fece un bel respiro e compose il numero di Samuel.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11

"Mi chiedo chi può essere." pensò Samuel svegliandosi di soprassalto al suono del cellulare. "Anzi, so chi può essere."Sua moglie distesa al suo fianco si rigirò brontolando.
"Scusa amore."disse Samuel prendendo il cellulare dal comodino.
"Ci sono abituata." sospirò lei rassegnata.
Samuel entrò nel bagno e una volta chiusa la porta rispose alla chiamata. "Dillon, che cosa hai combinato stavolta?"chiese con voce assonnata.
"Scusa per l'ora, Samuel, ma è un'emergenza.” rispose il ragazzo “Mi devi aiutare."
"Devo proprio?"
Dillon ignorò il suo tono irritato. "E' possibile che delle telecamere di sicurezza nel London Royal Hospital mi abbiano ripreso ieri notte mentre mi aggiravo per i corridoi. La nostra segretezza rischia di saltare per aria."
La notizia fece svegliare del tutto Samuel. "La nostra copertura riguarda la caccia ai vampiri non escursioni notturne negli ospedali.”disse cercando di non alzare troppo la voce “Che ci facevi lì, a proposito?"
"Adesso non posso spiegarti, dimmi solo cosa devo fare per far sparire quel video." tagliò corto Dillon.
Samuel fece un sospiro profondo. "In genere la sicurezza visiona quei filmati, poi ne manda una copia alla polizia e una copia la tiene nei suoi archivi. Io posso farmi dare il primo alla centrale domattina ma per il secondo non so come aiutarti. Dovrai cavartela da solo."
"E' già qualcosa, grazie. Scusa ancora se ti ho svegliato.”
Samuel era ancora arrabbiato ma capì che non era il momento per fargli la predica. "Mi devi una montagna di spiegazioni, ragazzino. Vediamoci domattina al solito posto."
"Ci sarò.”disse Dillon chiudendo la telefonata.
Samuel si mise il cellulare nella tasca del pigiama e si guardò per un attimo nello specchio. “Quel ragazzo mi manderà al manicomio.”

Dillon si girò a guardare Laura che aveva ascoltato in silenzio parte della conversazione. "Era un mio amico della polizia che forse può aiutarmi." le spiegò restituendole il cellulare.
"Ma non del tutto, vero?" osservò lei.
Dillon annuì "Dovrei rubare il video incriminato e farlo sparire."
Laura lo guardò pensosa. "Ma alla fine che cosa hai fatto di così illegale? C'è qualcosa dietro?"
C'era molto più di quanto potesse anche solo accennarle. Ammettere la sua presenza nell'ospedale ed il furto di sangue avrebbero portato a rivelare la presenza dei due vampiri a casa sua. Non poteva mandare perduto il lavoro di tutti quei mesi e doveva proteggere Edward e Bella ovunque fossero.
"Passo." rispose Dillon prontamente. "Posso solo dirti che c'è qualcosa che deve rimanere segreta per ora. Per la sicurezza di tutti."
Laura sorrise."Sei un agente segreto per caso?" insistette curiosa.
Dillon abbozzò un sorriso. "Una specie."
“La cosa si fa interessante.” Laura si sollevò a sedere e indicò a Dillon l'armadio accanto al letto. "Gentilmente potresti prendermi la vestaglia”
Dillon la guardò interrogativo. Aveva freddo forse? Possibile. Da quel bravo idiota che era aveva lasciato la finestra aperta. Si affrettò ad aprire l'armadio per cercare l'indumento indicato. Non aveva mai visto l'armadio di una ragazza. Era ordinatissimo in confronto al suo ed era composto da pochi capi di abbigliamento comodi, tute e maglioni. Trovò subito una vestaglia azzurra. Profumava di camomilla. Intenerito la mise intorno alle spalle di Laura, aiutandola ad indossarla.
"Grazie." disse lei colpita dal suo gesto.
"E' il minimo. Adesso chiudo la finestra, così non sentirai più freddo."
Laura sorrise con una strana espressione negli occhi "Non ti ho chiesto la vestaglia perchè ho freddo. Ma perchè adesso mi alzo."
La ragazza tirò le gambe fuori dalle coperte e le mise a terra in cerca delle pantofole. Nonostante portasse i calzini, Dillon la vide rabbrividire quando i suoi piedi toccarono le piastrelle del pavimento.
"Dove devi andare?"chiese lui sorpreso.
"Andiamo a cercare quel video." rispose lei tranquillamente. Laura si alzò in piedi con fatica appoggiandosi al bordo del letto. “Sembra un secolo che non mi alzo.” Cercò di mantenere l'equilibrio cercando di nascondere il giramento di testa che l'aveva colta all'improvviso. Fu piuttosto abile a dissimulare il tutto ma a Dillon non potè sfuggire il pallore intenso che aveva reso il suo volto ancora più bianco di prima. Le fu accanto in un secondo.
"Non se ne parla."le disse in tono serio. "Non voglio che ti fai male."
"Sciocchezze" protestò lei. "Anzi, una passeggiatina mi farà bene."
Dillon la guardò sconcertato. "Non hai la minima idea di quello che dici. Si tratta di fare una cosa contro la legge."
Laura annuì. "E da quanto ho visto nei film ti potrebbe far comodo un palo. Potrei creare un diversivo mentre rubi il filmato della sicurezza."
Dillon non ci voleva credere. "E come pensi di fare? Farai saltare un'ala dell'ospedale con la dinamite?"
Laura avanzò lentamente appoggiandosi alla spalliera del letto."Ehm, sfortunatamente ho lasciato il tritolo a casa, ma forse ho un piano."
Mosse un passo in direzione della porta e perse l'equilibrio cadendo all'indietro. Dillo si chinò per sorreggerla prontamente portando un braccio intorno alle sue spalle esili ed una mano intorno alla sua vita sottile, con una presa allo stesso tempo forte e delicata. "Dimmi la verità." le disse chinandosi su di lei e guardandola intensamente con uno sguardo serio ma che tradiva un'espressione divertita. "Non è che sono finito nel reparto psichiatrico?"
Laura nervosamente cercò il pavimento con le punte dei piedi. "Purtroppo no."rispose con un sorriso. Dillon la tirò su con delicatezza e spostando un braccio sotto le sue ginocchia, la sollevò completamente da terra. Era un peso piuma e poteva sentirne l'ossatura minuta. Non le costava il minimo sforzo trasportarla,al contrario gli dava un senso di tenerezza come se si trattasse di un bambino piccolo. Non che ne avesse mai preso in braccio uno.
"Se devi essere il mio palo almeno lascia che ti porti io. Non voglio che ti fai male.”
Laura lo fissò con gli occhi pieni di stupore e annuì.
Dillon sorrise. "Allora mia complice, illustrami il tuo brillante piano."

 


L’agente Murphy addetto alla sicurezza dell'ospedale stava svolgendo il suo turno di guardia con un occhio al monitor ed un occhio al giornale. Un trafiletto riportava lo strano episodio della notte precedente.“Un estraneo si è introdotto furtivamente nel London Royal Hospital portando via alcune sacche di sangue. Al loro posto sono state ritrovate 500 sterline, con tutta probabilità lasciate appositamente dal misterioso sconosciuto come risarcimento per il furto effettuato.” Murphy scosse il capo scettico. “E' assurdo! Chi farebbe mai una cosa del genere. Quando mai si è visto un ladro che lascia dei soldi? Avranno sbagliato a conteggiare le sacche di sangue, può succedere. E quei soldi saranno una donazione anonima...certo ha scelto un modo un po' strano per farla...ma vabbé. Di sicuro non era un malintenzionato. Magari tornasse! 500 sterline mi farebbero molto comodo in questo momento! L'ultima rata del mutuo è stata una bastonata...”
A scuotere l'agente Murphy dai suoi pensieri fu la comparsa improvvisa di una giovane donna al pianterreno che a passi lentissimi si dirigeva verso il distributore di bibite. Era chiaramente una paziente perché indossava vestaglia e pigiama. L’agente Murphy notando la sua andatura vacillante decise di offrirle il suo aiuto ed uscì dall’ufficio per andarle incontro.
"Le serve aiuto, signorina?” La ragazza lo guardò trattenendo il fiato per un istante, poi gli sorrise. Murphy la guardò apprensivo. “E' davvero pallida e sciupata, povera creatura.” pensò dispiaciuto. “Doveva essere una gran bella ragazza prima. Avrà l'età di mia figlia.”
La giovane paziente si schiarì la voce per rispondere alla sua domanda.“Ho avuto sete e sono scesa a prendere una bottiglietta d’acqua al distributore.” Murphy ci pensò un attimo su. “Ma al suo piano non ci sono distributori? Poteva chiamare l’infermiera.”
"Era guasto e poi volevo camminare un po’. Sa, la notte le ore sono così lunghe…”
Lui la guardò comprensivo. “Eh già…venga che l’aiuto io. Ha i contanti?”
La ragazza gli porse gli spiccioli che aveva preparato ma li fece cadere a terra. “Oh scusi!” mormorò dispiaciuta appoggiandosi alla macchinetta delle bibite. “Non c'è problema.” le rispose l’agente chinandosi in ginocchio per raccogliere le monetine che si erano sparse sul pavimento. Murphy finì di rastrellare tutti i soldi e li inserì nel distributore facendole scegliere la bottiglietta che preferiva.“Ecco a lei signorina. Pensa di farcela a risalire in camera?”
Lei annuì. “La ringrazio, è stato gentilissimo.” “Sciocchezze, come ha detto lei, qui le ore passano lente. Mi permetta di accompagnarla fino all’ascensore.” La ragazza seguì l'agente camminando con estrema lentezza verso gli ascensori.
"Buonanotte signorina, dorma bene.” le disse l'agente Murphy dopo averla fatta entrare in uno di essi.
Lei fece un cenno di saluto con il capo e pigiò il bottone.

 

Quando le porte scorrevoli si furono richiuse Laura sospirò nervosamente appoggiandosi alla parete. La testa cominciava a farle davvero male. Dov'era Dillon? Un rumore metallico sopra la sua testa sembrò rispondere alla sua domanda. Un portello sul tetto dell'ascensore si stava aprendo piano piano. “E' lui sicuramente.” si disse Laura sollevata. Infatti un attimo dopo il bel volto di Dillon fece capolino a testa in giù agitando i capelli biondi a pochi centimetri dal suo viso. Laura sorrise affascinata. Era bellissimo. “Credo sia meglio che ti sposti.” la avvisò Dillon. Laura si fece il più indietro possibile mentre lui stringendo le mani sul bordo della botola fece una capriola in avanti e saltò giù atterrandole accanto senza il minimo rumore.
“Ci sei riuscito?”chiese lei sbalordita.
Dillon le strizzò l'occhio e batté il palmo della mano sul petto indicando un oggetto nascosto nella tasca interna.
“Mi spieghi quando sei uscito da quell'ufficio?”chiese perplessa.
Dillon le rivolse un sorriso furbo. “All'incirca quando l'agente ti ha chiesto se le preferivi liscia o gasata.”
“Ma saranno stati pochi secondi!”esclamò lei meravigliata.
“Sono bastati.” Rispose lui calmo. “Ho recuperato il video incriminato. Nessuno potrà più visionarlo. Il mio amico Samuel farà sparire il secondo.” L’ascensore aprì le porte arrivando al piano di Laura. Lei fece un passo vero la porta ma si fermò barcollando. Era esausta. Strinse i denti e continuò a parlare. “Cosa farai adesso?” chiese senza guardare Dillon.
Il ragazzo la sollevò tra le sue braccia prima che potesse opporsi. “Non lo so.” le sussurrò guardandola negli occhi.
Laura sentì la stanchezza calarle addosso e istintivamente posò il capo contro la spalla di Dillon traendo sollievo dal calore del corpo di lui.

"Sono così stanco di prendere decisioni.” continuò Dillon pensieroso. Raggiunsero in silenzio la camera di Laura dove lui l’adagiò sul letto.
"Ti capisco.” Rispose Laura con voce flebile. “Ma a volte non dobbiamo fare niente. Solo aspettare e avere pazienza.”
Dillon le rimboccò la coperta e si sedette sul bordo del letto. “Credimi, in questo momento non ho alcuna fretta.”
Laura sbadigliò e chiuse gli occhi. “Sai, non ti ho ancora ringraziato.” mormorò.
“Per cosa?” domandò Dillon sorpreso.

Di essere tornato a trovarmi. Avrei continuato a credere che fosse stato solo un sogno.”
Dillon si raddolcì. “Non lo era. E posso tornare anche domani per provartelo.”
Laura fece uno sforzo per aprire gli occhi un ultima volta. “Non devi sentirti costretto.”
"Quanto sei cocciuta.” ribattè Dillon “Sono io che lo voglio. Mi piace parlare con te. Ma adesso dormi, sei stanca. Ci vediamo domani.”
Laura sorrise e scivolò in sonno profondo.

 

Dillon rimase ad osservare a lungo quella ragazza commosso dalla serenità che traspariva da quel volto d’angelo. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì avvolgere da un forte senso di pace.
Prese posto su una sedia accanto al letto continuando a guardarla e sentì che finalmente quell'interminabile giornata era finita. Non aveva alcuna fretta che ne cominciasse un'altra.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


CAP 12

Quando Laura riaprì gli occhi era già mattina e la stanza cominciava ad inondarsi di luce. La prima cosa che vide fu la figura di Dillon seduto davanti a lei, con le spalle rivolte alla finestra. Il sole faceva risplendere i suoi capelli biondi di mille riflessi dorati, come se attingesse da lì il suo splendore.
"Buongiorno.” mormorò lui con dolcezza. La sua voce calda, aveva un suono meraviglioso.
"Che ore sono?” chiese Laura sollevandosi leggermente. Si sentiva più riposata del solito.
"E' ancora presto.”rispose lui serenamente.
"Tu sei rimasto qui? Non hai dormito per niente?”
Dillon sorrise “Riesco a passare parecchie notti senza bisogno di dormire. Cerco di farlo il meno possibile.”
“Perché?”chiese lei turbata.
Gli occhi azzurri di Dillon assunsero un’espressione cupa. “Perché i miei sonni di solito sono tutt’altro che tranquilli.”
Laura gli rivolse uno sguardo comprensivo. “Allora abbiamo trovato qualcosa in comune.”
Dillon ricambiò il sorriso. “Probabilmente è l’unica.”
"Tra poco arriverà l’infermiera.”notò Laura apprensiva. “Non deve trovarti qui.”
Dillon non battè ciglio. “Non preoccuparti. Riesco a sentire con molto anticipo il suono dei passi. Ed anche gli odori.”
La cosa non la sorprese più di tanto dopo aver visto quello di cui era stato capace “Ma come ci riesci?” chiese non riuscendo a trattenersi.
Dillon sospirò e fece un sorriso rassegnato. “Credimi non lo so. Sono sempre stato così per qualche ragione inspiegabile. Ho fatto un'infinità di ricerche ma non sono approdato a nulla...per ora.”
Un suono di passi nel corridoio li riportò alla realtà. In un lampo Dillon sparì sotto il letto di Laura mentre un'infermiera apriva la porta. Era una donna di mezz'età con i capelli corti e ricci.
"Buongiorno tesoro. Come ti senti oggi?”esclamò vedendo Laura con gli occhi aperti.
"Meglio, grazie Gladys.” rispose la ragazza, contenta di vederla.
"Si vede. Devi aver passato una notte piacevole.”
Laura sorrise divertita. “Molto.”
L'infermiera la guardò con dolcezza. “Vado a dire al dottore che sei sveglia e torno per i prelievi.”
Non appena la porta si richiuse alle spalle della donna, Laura si ritrovò con Dillon al suo fianco. “Credo sia ora che vada.” mormorò lui chinandosi leggermente. “Come vedi è giorno e sei sveglia. Non hai sognato.”
"Non avrei avuto dubbi stavolta.” osservò Laura ridacchiando “Aver commesso insieme una piccola infrazione ha reso tutto molto realistico.”
Dillon rise anche lui. “Se vuoi maggiori conferme andiamo a scassinare una cassaforte la prossima volta.”
Laura alzò gli occhi al soffitto e scosse la testa ridendo.
"Posso fare qualcosa per te?” chiese Dillon indugiando ancora per un minuto.
Laura girò il volto per guardarlo. “Andrai a fare colazione adesso?”
"Non so.” rispose Dillon sorpreso. “Non ho molta fame adesso…Perché?” “Promettimi che ti andrai a prendere un cappuccino con una bella schiumetta vaporosa e un cornetto e che te li gusterai per me. Io non posso mangiarli, ma vorrei tanto.” disse lei con un sospiro. Era una strana richiesta, lo sapeva. Ma voleva davvero che lui andasse a mangiare mentre lei si faceva infilare degli aghi nel braccio.
"Ok, promesso.” disse Dillon solennemente “E quando sarai guarita andremo insieme in una bella caffetteria e ti offrirò il miglior cappuccino del mondo, che ne dici?”
Lo sguardo di Laura si fece più intenso e cercò di ricacciare indietro una lacrima. “Certo.” rispose finalmente lei facendo un piccolo sforzo per deglutire.
"Cerco di tornare più tardi, se vuoi.” propose Dillon esitante.
Laura lo guardò sorpresa. Non riusciva a credere che lui volesse rivederla. “Mi piacerebbe però…”
Dillon aggrottò le sopracciglia. “Però cosa?”
Laura si sollevò leggermente dal guanciale. “Stavolta prova a passare dalla porta, magari...”
Dillon rise e le strizzò l’occhio. “Si, credo sia meglio. Allora…è il momento.”disse indicando con il capo la finestra. All’improvviso sembrava che non volesse più andare via.Laura si chiese come dovessero salutarsi. Gli stringeva la mano o gli dava un bacetto sulla guancia? I passi di Gladys nel corridoio li avvertirono che Dillon doveva andarsene alla svelta.
"Devo andare.”disse Dillon.
Torna presto, p
ensò Laura mentre lo guardava in silenzio. Dillon si girò un'ultima volta “Te lo prometto.” mormorò. Ma com’era possibile?
Laura udì la porta che si apriva e si girò di scatto. L’infermiera era tornata con tutto l’occorrente per i prelievi. Si voltò di nuovo verso Dillon preoccupata, ma non c’era più. Se ne era già andato lasciando ondeggiare la finestra socchiusa. “Possibile che senta già la sua mancanza?”

Dillon alzò lo sguardo dal suo cappuccino e sorrise a Samuel che seduto di fronte a lui lo scrutava dubbioso. “Hai mai fatto caso a quanto è buona la schiuma del cappuccino?” disse Dillon assorto.
Erano stati in quella caffetteria un sacco di volte ma non aveva mai ordinato un cappuccino schiumato come quello che stava sorseggiando in quel momento. Samuel lo fissava imperturbabile con un'espressione a dir poco furente.
"Tu mi preoccupi seriamente.”cominciò l'investigatore ripensando alla storia che Dillon gli aveva appena raccontato. “Dopo un anno e mezzo di addestramento e di cacce notturne, prima ti metti a salvare la vita ai vampiri, come se non bastasse ti infili negli ospedali facendoti riprendere dalle telecamere e poi tutto allegro, il mattino dopo, ti gusti la schiumetta del cappuccino come se niente fosse.”
Dillon sorrise di nuovo con un certo imbarazzo. “Mi dispiace, Samuel, sul serio. Ma alla fine è andata bene. Abbiamo recuperato tutti e due i video.” Samuel posò la sua videocassetta sul tavolo. “Mi è stato più difficile del previsto ottenerla. Spera solo che nessuno se ne sia fatta una copia di nascosto e che tu non finisca su youtube.”
Dillon rise divertito.
"Hai una luce diversa negli occhi” notò Samuel guardandolo compiaciuto. “Sai, credevo che non ti avrei più rivisto. Sei sempre dell'avviso di raggiungere quei due vampiri?”
Dillon abbassò lo sguardo. “Non ho ancora deciso...credo ci vorrà del tempo. Non c'è fretta dopotutto...cioè ci sono altre cose di cui voglio occuparmi...” Samuel s'insospettì. “Quali cose?”
Dillon si portò alle labbra il cucchiaino. “Niente di particolare...”
L'investigatore non si arrese “Sei strano, oggi. Hai qualcosa di diverso...”
Dillon guardò sorpreso l'amico. “Cosa?”
Samuel continuò a scrutarlo pensieroso. “Sei più sereno oserei dire. Tutta questa passione per il cappuccino... Tutti questi sorrisi...”
Dillon si girò verso il bancone. “Me ne fa uno da portare via?” Ordinò al cameriere. “Beh, Samuel non so che dirti ma sai com'è...la notte porta consiglio...” si alzò e posò una banconota sul tavolo. “Oggi offro io, ricordi. Devo andare adesso.”
Samuel diede uno sguardo al suo abbigliamento. “Hai anche un look diverso.” disse infine notando i jeans chiari e la camicia blu scuro che indossava il ragazzo. Dillon alzò le spalle e si infilò la giacca di pelle marrone che teneva appoggiata alla sedia. Quando era tornato a casa per cambiarsi aveva evitato appositamente degli abiti neri. “Così per cambiare.”
"Tu non me la racconti giusta.” borbottò Samuel.
"Ci sentiamo presto, promesso.” concluse Dillon nervosamente. Diede una pacca sulla spalla al suo amico e preso il cappuccino uscì alla svelta dal locale.

Prima di varcare il portone dell'ospedale Dillon si mise un cappellino con la visiera come ulteriore precauzione. Anche se le immagini del video erano risultate sfocate preferiva non correre rischi. Rifece il percorso che aveva fatto la notte prima insieme a Laura prendendo l'ascensore fino al quarto piano. Mentre saliva si accorse che non sapeva ancora il nome del reparto in cui era ricoverata. Di sicuro non si era bevuto quella storia della bronchite. Sperava solo che qualsiasi malattia avesse Laura non fosse nulla di grave. Quando le porte dell’ascensore si aprirono la targa sulla parete gli fece balzare il cuore nel petto.

Laura giaceva supina nel letto con gli occhi chiusi cercando di non muoversi per non urtare la flebo che aveva ancorata al suo braccio. A destarla fu un odore inconfondibile e dolce. “Un cappuccino?” mormorò guardando il bicchiere di plastica che le porgeva Dillon.
"So che non lo puoi bere ma ho pensato che almeno un assaggino alla schiumetta…ci ho fatto mettere il cacao sopra.”
Dillon prese un po’ di schiuma con il cucchiaino e gliela fece assaggiare. Laura cercò di trattenere il più a lungo possibile nel palato quel sapore delizioso e poi rivolse un sorriso riconoscente a Dillon. “Grazie. Non sento più tanto bene i sapori ma era buonissimo. Vado pazza per la cioccolata.”
Dillon le sorrise e spostò lo sguardo sulla flebo. “Sono vitamine…” cercò di spiegargli lei imbarazzata.
"Per quanto vuoi ancora prendermi in giro? Ho visto in che reparto ti trovi.”
Gli occhi di Laura si velarono di malinconia. “Ti prometto che te ne parlerò ma non adesso.”
Dillon annuì e la guardò addolorato “Stai per morire?”
Laura gli rivolse un sorriso sereno. “Non oggi.”
Dillon provò un misto di tristezza e di ammirazione e ricambiò il sorriso.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13

Edward se ne stava sdraiato con gli occhi chiusi mentre Bella ricopriva di baci la pelle del suo torace marmoreo facendolo gemere di piacere. In preda alla passione si sollevò a sedere attirandola a sè per baciarle le labbra. Bella gli circondò il bacino con le sue gambe ricambiò il bacio cercando la sua lingua mentre le dita di lui le accarezzavano la schiena candida. Edward interruppe il bacio per passarle la bocca lungo il collo, quel collo che una volta aveva pericolosamente tentato la sua sete più feroce e che ora attraeva solo i suoi baci più ardenti. Edward si sdraiò di nuovo lasciando che i capelli profumati di lei lo coprissero come una cascata e poi rotolò di fianco portandosi sopra di lei. "Ti amo." le mormorò.
"Ti amo." gli rispose lei.
Baci sempre più appassionati e carezze sempre più intime li trascinarono verso il culmine del desiderio e si abbandonarono al piacere per tutta la notte fino a rimanere esausti, per quanto potevano esserlo dei vampiri, e completamente felici.
Bella poggiò la testa sul petto di Edward con un sospiro beato mentre lui le lisciava la chioma setosa. "E' stato bellissimo." disse sollevandosi per accarezzare il volto di suo marito.
"Potrei anche fare di meglio...se vuoi mettermi alla prova..." le disse sorridendo malizioso. Bella si morse il labbro guardandolo piena di desiderio e gli passo le dita tra i capelli. "Non sarebbe male, ma tra poco non saremo più soli. Carlisle ed Esme stanno per arrivare."
Edward sospirò e guardò l'orologio. "Già, è vero." Bella si mise seduta coprendosi col lenzuolo. "Come mai non siamo andati a prenderlo all'areoporto?" Edward incrociò le braccia dietro la nuca. "Lui non ha voluto. Ha detto che doveva passare prima in un posto."


Il taxi nero si fermò di fronte alla Chiesa di Lordship Lane facendo scendere un distinto signore dai capelli biondi accompagnato da una bellissima donna vestita con estrema eleganza.
I due rimasero per un lungo momento sul marciapiede osservando la facciata dell'antico edificio. "E così..." sussurrò Esme commossa "E' questa?" Carlisle annuì perdenosi tra i suoi ricordi da umano. La chiesa di suo padre. Erano passati secoli, migliaia e migliaia di generazioni si erano alternate, il mondo intorno era cambiato seguendo il corso della storia. Solo lui e quella chiesa erano rimasti gli stessi di allora. "Padre." mormorò a sè stesso Carlisle. "Perdonami per averti abbandonato così. Non è stata una mia scelta. Ho cercato di vivere seguendo i tuoi insegnamenti per quanto possibile." Esme si avvicinò a lui prendendolo sottobraccio. "Sarebbe fiero di te. Sei la persona più buona ed altruista che abbia mai conosciuto. Hai fatto la differenza nella vita di tutti noi." Carlisle si girò a guardarla pieno d'amore e le strinse forte la mano. "Non basta, purtroppo."
Un gruppo di giovani stava camminando lungo la strada distribuendo opuscoli cristiani ai passanti ed uno di loro si avvicinò alla coppia con un sorriso sincero e aperto offrendogliene uno. "Prego, signore." Carlisle lo ringraziò con un cenno del capo e lo accettò con gratitudine. "Dio la benedica." disse il ragazzo gioiosamente prima di proseguire. Carlisle sorpreso guardò il volantino che si era ritrovato tra le mani.
Sopra c'era scritto "Gesù ti ama." . Esme sorrise trionfante come ad aver ricevuto una conferma. Carlisle sospirò profondamente scosso e tornò a guardare la chiesa. A quel punto tirò fuori dal cappotto una rosa che aveva portato per l'occasione e la posò sugli scalini. "Addio papà."

 

La dimora che i Cullen avevano affittato in Scozia era un bellissimo castello, isolato e circondato dai boschi ricchi di selvaggina. Il posto ideale dove i membri della famiglia avrebbero potuto riunirsi ed essere se stessi. Edward andò in un lampo verso la porta non appena sentì il rumore dell'auto avvicinarsi. Un secondo dopo sua madre lo stringeva tra le braccia. “Quanto mi sei mancato!”esclamò Esme felice. “Anche tu, mamma.”rispose lui sorridendo e lasciando il suo posto a Bella che l'aveva raggiunto.
“Vieni qui, tesoro.” disse Esme attirando a sé sua nuora. Edward le guardò sorridendo. Se lui era a tutti gli effetti il primo figlio per Esme, (il primo a farla sentire una madre), Bella era quello che lo aveva reso completo, e sua madre l'avrebbe sempre amata per questo. Edward  e Carlisle si guardarono per un istante e poi si scambiarono un forte abbraccio.
“Grazie di essere venuto, papà.” mormorò Edward confortato da quella presenza. “Ho tante cose da raccontarti. Mi serve il tuo aiuto.” Carlisle annuì e si diresse con lui verso l'interno del castello.

Com'è stato tornare nella tua patria dopo così tanto tempo?” chiese Edward allegramente mentre si avviavano.
Carlisle rise. “Molto interessante. E' sorprendente come sia cambiata Londra. Ci sono degli edifici assurdi. Ne ho perfino visto uno che sembra una torta con le candeline.” 

I quattro presero posto nel salone arredato con uno stile elegante e sobrio che Esme apprezzò molto. “E' una splendida casa. Dopo farò un giro per vedere se manca qualcosa...così quando ci raggiungeranno gli altri troveranno tutto a posto.” disse togliendosi il capotto.
Avete avuto notizie sul loro arrivo?” chiese Edward pensando ai suoi fratelli.
Alice mi ha detto che arriverà dopodomani. Ha previsto che si libereranno due posti in prima classe così lei e Jasper potranno partire. Quanto a Emmett e Rosalie...hanno avuto qualche difficoltà a cambiare i biglietti quindi non potranno essere qui tanto presto.” spiegò Carlisle.
Anche Renesmee e Jacob non potranno raggiungerci subito. Billy sta di nuovo male.”disse Bella dispiaciuta.
Carlisle sospirò preoccupato. “L'ho saputo. Lo sto facendo seguire dai miei migliori colleghi. Stanno facendo tutto il possibile.”
Edward rifletté a lungo prima di parlare. “Papà, ascolta. Hai avuto modo di pensare a quanto ci siamo detti?”

Riguardo a quel cacciatore di vampiri? Si e la cosa mi preoccupa molto. Ma prima vorrei che mi raccontaste tutto nei minimi dettagli.”
Edward si scambiò uno sguardo con Bella e poi il vampiro cominciò a parlare mentre il dottor Cullen e sua moglie ascoltavano senza fiatare. La descrizione di Dillon e dei suoi poteri era davvero sorprendente ma lo era ancora di più il fatto che si fosse prodigato per aiutarli. “Non capisco. Un cacciatore di vampiri non si comporta così di solito.”
Edward lo fissò stupito. “Ma ce ne sono molti? Non sapevo nemmeno che esistessero”
Carlisle sorrise. “Io lo sono stato una volta. Un tempo la gente era molto più portata a credere al sovrannaturale. Faceva parte della vita quotidiana. Ma col tempo gli esseri umani hanno avuto il bisogno di dare spiegazioni razionali a tutto ed hanno rilegato tra i miti e le leggende anche la figura del vampiro. Ma sono sempre esistite persone convinte della nostra esistenza che si sono appassionate alla caccia. Alcuni sono dei semplici fanatici che non approdano a nulla. Altri sono persone in qualche modo coinvolte con gli omicidi commessi dai vampiri  che vogliono vendicarsi e scoprire la verità.” Edward annuì. “Come l'amico di Dillon.”

Gli umani di solito non approdano a nulla e se si avvicinano troppo alla verità intervengono i Volturi.”
Bella strinse forte il braccio di Edward. “Per questo Louis lo cercava.”
Carlisle annuì. “Probabile, ma siete sicuri che fosse uno della guardia?”
“Non portava il mantello ma aveva un ciondolo con una V al collo. E sapeva i nostri nomi.” spiegò Edward.
Carlisle rifletté per un attimo. “Siete certi che fosse lì per Dillon e non per voi due?”

Ho letto i pensieri di Louis.” spiegò Edward “Voleva Dillon. Ma non sono stato in grado di capire le sue intenzioni. Aveva dei modi strani. Sembrava divertito. E se ne è andato all’improvviso nonostante  avesse preso il sopravvento durante il combattimento.” Si era chiesto più volte quale potesse essere il significato di quel gesto.
Quindi i Volturi vogliono ucciderlo?”chiese Bella sapendo già la risposta.
“Dato che Dillon ha scoperto l’esistenza dei vampiri rappresenta una minaccia. Forse prima lo prenderanno vivo per interrogarlo..” ipotizzò Carlisle.
Bella ebbe un sussulto e strinse forte la mano di Edward.
“Dovevamo portarlo con noi...ho provato a convincerlo ma non sai quanto sia cocciuto quel ragazzo.”mormorò Edward indispettito.

Carlisle lo guardò sorpreso. “Ti ci sei affezionato?” 
Edward ripensò a Dillon che cercava di tamponare la ferita a Bella. Dillon che tornava a casa con le sacche di sangue. Dillon che faceva lo spiritoso al museo della cere e nella cabina. Dillon che lo faceva salire sulla moto e che gli passava un auricolare per sentire la musica. Al pensiero che i Volturi potessero stroncare quella giovane vita sentì salire dallo stomaco un senso di angoscia. Sì, gli si era affezionato. Più di quanto avrebbe dovuto permettersi.

Edward, aver stretto amicizia col ragazzo non potrebbe aver influenzato la tua capacità di giudizio?” chiese Carlisle preoccupato. “Sei certo che non costituirà un pericolo per noi?”
Esme decise di intervenire. “Ma tesoro, non hai sentito tutto quello che ha fatto per loro? Io credo sia un bravo ragazzo. Se da la caccia ai vampiri lo fa per proteggere le persone e noi in un certo senso facciamo la stessa cosa, nutrendoci di animali. Questo giovane merita almeno una possibilità. Glielo dobbiamo, ha salvato la vita di Bella.”
Bella si unì alla suocera. “Carlisle, sono certa che Dillon non ci tradirebbe. Nemmeno lui è completamente umano. E poi c’è un’altra cosa.”
Edward la guardò allarmato. “Bella non…”
Sua moglie lo guardò con aria supplice. “Devono saperlo, Edward.”
Esme e Carlisle li guardarono con aria interrogativa. “Che altro c’è?”
Edward sospirò e si decise. “Abbiamo motivo di credere che Dillon…ci sono particolari della sua vita che…insomma…Carlisle c’è la possibilità che Dillon sia in realtà il piccolo David.”  Fu come se avesse lanciato una bomba. Carlisle fu incapace di rispondere per diversi minuti.

Ci sono troppe coincidenze.” continuò Edward. Dillon ha la stessa età, è stato adottato, ha dei sensi e un’agilità sovrumani. Ha perfino inclinazione musicale.” Rise pronunciando l’ultima frase. 
“David.” sussurrò Esme. Edward vide nella sua mente l’immagine felice di sua madre quando aveva tenuto in braccio per la prima volta il nipotino.

E’ anche per questo che volevamo il tuo aiuto.” disse Bella. “Io ho bisogno di dire a mia figlia dov’è il suo bambino e che sta bene. Che tutto il dolore che ha provato non è stato inutile. E voglio aiutate questo ragazzo che mi ha salvato la vita a trovare le sue origini. Glielo devo. E forse entrambe le cose sono legate alla stessa persona.”
Edward sapeva che era impossibile, ma avrebbe giurato che suo padre aveva gli occhi lucidi. Forse ciò era dovuto a quell’improvvisa tristezza che era comparsa nel suo sguardo. Carlisle guardò sua moglie, suo figlio e Bella che aspettavano fiduciosi una sua risposta e capì che non poteva deluderli. “Va bene. Accetto di incontrare questo ragazzo. E cercherò un modo per ritrovare qualche traccia del piccolo David. Ma vi avverto. Dobbiamo essere molto cauti.”

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


CAPITOLO 14

Dillon vide il nome Edward Cullen lampeggiare sul display del suo cellulare. Si guardò intorno nel corridoio dell’ospedale e visto che non c’era nessuno prese la chiamata. “Era ora. Mi dici che fine avevi fatto Edward?”Dall'altra parte udì un sospiro. “Mi dispiace non averti dato notizie in questi ultimi giorni ma sono riuscito a parlare con mio padre. E' arrivato qui in Scozia ed ha accettato di incontrarti.” Dillon rimase in silenzio per diversi minuti. “Ehi, ci sei ancora?” chiese Edward. Dillon riprese fiato. “Si.”
“Se hai da scrivere ti passo l'indirizzo. Credo sia meglio se tu parta prima possibile. Dillon, ma cos'hai? Stai bene?”
“Non posso venire, Edward.”
Il vampiro si allarmò. “E' successo qualcosa?”
Dillon respirò forte dentro il telefono. “No. Ma non posso venire in Scozia da voi. Scusa se ti ho creato problemi con tuo padre.”
“I problemi potresti averli tu se ti ostini a restare lì. Chi ti dice che Louis non tornerà a cercarti?”
Dillon sbuffò impaziente. “Ti ho detto che so cavarmela.  Devo restare qui per ora. Ti faccio sapere in caso.” Il ragazzo riagganciò impaziente. Come poteva spiegare ad Edward cosa lo tratteneva, se non aveva capito nemmeno lui?

Laura si era appena svegliata e fu felice di vedere Gladys. L’altra infermiera non le stava molto simpatica. “Come ti senti tesoro?” chiese Gladys premurosamente. “Benino.”Laura si mosse a fatica  provando un’incredibile debolezza. “Ci risiamo.” si disse. Almeno non aveva dolore. “Tesoro, ma stai tremando." le disse Gladys "Mettiti questo.” La aiutò ad infilarsi un maglione e poi la guardò con tenerezza. “C’è lui qua fuori.” 
Laura la guardò sorpresa. “Lui chi?”
“Quel bellissimo ragazzo biondo che negli ultimi giorni ti viene sempre a trovare, tranne che durante l'orario delle visite.” Gladys le rivolse uno sguardo indagatore aprì le tende con un sorriso. “Ma chi è? Non l’ho mai visto prima. E’ un tuo amico? E’ il tuo ragazzo?”
Laura sorrise. “Non saprei esattamente come definirlo. E' finito per caso nella mia stanza e abbiamo fatto conoscenza.”
Gladys fece un sospirone. “Tesoro, se avessi vent’anni di meno ed uno così capitasse per caso nella mia stanza saprei sicuramente che definizione dargli.”
Laura scosse la testa ridendo. “Non credo di essere più nella condizione di pensare a certe cose.”
Gladys sorrise. “Lo faccio entrare o ti vuoi dare una sistemata prima?”
Laura alzò le spalle e si legò i capelli. “Mi ha visto in condizioni peggiori.”
Gladys scosse la testa e tirò fuori dalla tasca un rossetto. “Ecco, ti ci vuole un po’ di colore.”
Laura imbarazzata cercò un fazzoletto sul comodino per levarselo. “Non è un appuntamento. Sembrerò ridicola.”
Gladys la guardò con dolcezza “Sei bellissima. Lo vado a chiamare.”

Dillon si mise in tasca il cellulare e staccò la schiena dal muro andando incontro all’infermiera. “Come sta oggi?”chiese alludendo a Laura. Gladys sospirò. “Insomma... Senti, ma come mai vieni sempre fuori orario?”
Dillon abbassò lo sguardo. “Non voglio toglierle del tempo da passare con i suoi.”
Gladys annuì comprensiva. “Ti do dieci minuti oggi. Torno tra poco per farle i prelievi.”
Dillon la trattene con un gesto. “Aspetti, mi dica una cosa. Che cos’ha di preciso? So che è una cosa seria ma…”
L’infermiera si rattristò. “Una cosa seria? Tesoro, hai visto in che reparto siamo?”
Dillon guardò la targa sulla parete a poca distanza da loro. La parola “oncologia” gli diede i brividi come la prima volta che l’aveva letta. “Che tipo di tumore ha?” chiese con un groppo in gola.
Gladys lo guardò con gli occhi lucidi. “I medici non riescono ad identificarlo. E’ una forma rara che aggredisce il suo organismo e la indebolisce piano piano.”
Dillon crollò la testa sconvolto. “Perché lei? Non è giusto.”
Gladys annuì. “E’ così giovane… avrebbe tutta una vita davanti. Ma è così coraggiosa, così tranquilla. Mai un lamento o una parola sbagliata.” Le labbra le tremarono e la donna si tirò su il naso per non mettersi a piangere. “Va bene, ora vado. Trattamela bene.”

Rimasto solo Dillon si diresse lentamente verso la porta e l’aprì. Laura si girò verso di lui e lo guardò diritto negli occhi. Aveva capito tutto. “Lo sai, vero?”
Dillon fece segno di sì con la testa e prese posto accanto a lei. “Mi dispiace. So che volevi dirmelo di persona.”
Laura non disse nulla e guardò verso la finestra. “Come ti senti oggi?”
Lei bisbigliò piano la risposta. “Bene.”
Dillon non riusciva a trovare le parole giuste. “Scusami, ti prego…è che vorrei solo poter fare qualcosa…”
Laura girò di nuovo il viso verso di lui. Non era né triste, né arrabbiata. Gli sorrideva. Non poteva credere che quella ragazza fosse destinata a morire.
Se potessi vorrei infonderle tutta la forza che mi sento scorrere nel corpo solo per poterla far stare meglio un giorno solo. Perchè quegli occhioni dolcissimi sono destinati a spegnarsi? Perchè non i miei che hanno visto solo morte e dolore? Laura lo guardò per un attimo e intuendo i suoi pensieri gli disse: "Non preoccuparti per me." La sua voce era dolce come una carezza e suscitò in lui un sentimento che non riusciva a comprendere. Non capiva da dove provenisse tutta quella serenità incrollabile che sembrava avvolgerla. Poi notò la piccola bibbia poggiata sul comodino e cominciò a capire cos’era che la sosteneva. Qualcosa che lui non aveva mai avuto. Laura seguì il suo sguardo e gli fece un sorriso.  “Non ti ho detto tante cose di me.” gli disse.
“Neanche io.” le rispose sospirando.
“Puoi farlo adesso se vuoi” propose la ragazza girandosi pian piano su un fianco. “Adesso non c’è tempo, tra poco torna Gladys per i prelievi. Tornerò più tardi.”
Si alzò  e si avvicinò ancora di più a lei, muovendosi con esitazione. Lentamente posò il dorso della mano su una delle sue guancie per accarezzarle la pelle fredda del viso. Laura chiuse gli occhi per un istante. “A dopo allora.”
Dillon ricambiò il saluto. “A dopo.”

Rimasta sola, Laura si preparò emotivamente all'intensa sessione di analisi che la aspettava quella mattina. Pregò per trovare la forza e cercò di isolarsi e di far vagare la sua mente lontano dove nessuno poteva farle del male. Ma quel giorno era diverso. Aveva una strana paura che non provava più da molto tempo. Negli ultimi due anni era riuscita ad accettare quello che le era successo e farsene una ragione in qualche modo per potersi preparare ad andarsene. E adesso sentiva che non era ancora pronta e che non voleva esserlo. Con le lacrime che lottavano per uscire capì che tutto era iniziato quando aveva posato le braccia intorno a lui e si era sentita sollevare da terra leggera come una piuma. Non era possibile. Non poteva osare sperare in qualcosa che non avrebbe mai avuto. Lo aveva capito due anni prima quando il dottore con voce tremante l'aveva convocata nel suo studio perchè doveva comunicarle i risultati delle analisi. Laura era uscita dall'ospedale in stato di shock ed aveva guidato senza meta finché aveva trovato un posto in cui fermarsi per piangere tutte le lacrime che aveva. Alla fine, aveva raccolto quelle poche forze che aveva ed era riuscita ad innalzare una preghiera. Dio le aveva risposto. Aveva provato una pace quasi schiacciante ed aveva sentito che sarebbe andato tutto bene. Lui non l'avrebbe abbandonata qualunque cosa fosse accaduta. No, non aveva paura di morire. Ciò che non sopportava era veder soffrire gli altri a causa sua e doverli lasciare. E adesso stava per lasciare una persona in più. Ma stavolta sarebbe stata lei a soffrire di più. Lui poteva farsene una ragione sicuramente. O almeno così sperava.
Improvvisamente sentì tanto freddo, i suoi occhi si chiusero ed i rumori divennero sempre più lontani e confusi. Sentiva la voce di Gladys, del dottore, di sua madre e poi niente. Un grande silenzio e una puntura sul braccio. E poi più niente.

Quando riaprì gli occhi era già sera. Laura si accorse di non avere più freddo e sollevando leggermente la testa vide che qualcuno le aveva steso sopra una coperta. Una coperta diversa da quelle dell'ospedale. Era felpata, blu con sopra disegnato un lupo. E Dillon se ne stava seduto su una sedia ai piedi del letto. "Non mi piace l'infermiera che fa il turno dopo di Gladys. Continuavo a dirle di portarti un'altra coperta o di alzare il riscaldamento ma non mi dava retta. Ho dovuto portarla da casa."
Laura sorrise. "E' tua?"
Dillon annuì. "Si, mi son sempre piaciuti i lupi."
Laura gli rivolse uno sguardo intenso. "Perchè fai questo Dillon?"
Lui non capì. "Non ho freddo, la puoi usare tu."
Lei insistette. "Perchè vieni qui a perdere tempo con me? Non sono il massimo della compagnia."
Dillon la guardò contrariato. "Sei la miglior compagnia che potessi desiderare."
Laura evitò il suo sguardo. "Non mi prendere in giro. Odio le smancerie. La verità è che mi hai visto ridotta in questo stato e la tua vita all'improvviso non ti è sembrata più così male."
Dillon parve dispiaciuto. “No, non è affatto così. Sappi che vorrei essere al tuo posto.”
Laura lo fissò a bocca aperta. “Ma come puoi dirlo? Dillon…guardami. E guarda te stesso. Sei forte e sano. Hai una vita meravigliosa davanti a te. Cosa c’è di invidiabile nella mia condizione?”
La voce di Dillon tremava dalla commozione“Tu sei una bella persona. Hai dei valori. Hai una famiglia che ti ama. E sai chi sei da dove vieni e credo anche che tu sappia dove stai andando.” Concluse la frase accennando alla bibbia sul comodino. Laura annuì e si commosse. “Si, lo so. Ma è così difficile a volte...Ma non credere che io sia speciale. Se ti sembro una brava persona è perché c’è Qualcuno che mi aiuta e si pende cura di me. E può farlo anche con te. “Dillon sospirò.
"I tuoi genitori adottivi devono averti amato molto.” continuò Laura “Sicuramente ti hanno voluto." Dillon annuì tristemente.
"Sai qualcosa dei tuoi genitori naturali invece?"
Dillon fissò lo sguardo altrove con un'espressione triste. "Ho rovistato tra i documenti dei miei genitori dopo il funerale ma non c'era alcuna traccia riconducibile al mio passato. Nessun'agenzia delle adozioni. Nessun nome. Sembra che sia comparso dal nulla."
Laura lo guardò addolorata. "E non c'è nessuno modo per risalire alla tua vera identità?"
Dillon ci pensò su. "Qualcuno mi ha offerto una mano. Ma sono stato un pò scontroso l'ultima volta che l'ho sentito. Diciamo che praticamente gli ho sbattuto il telefono in faccia.
"Sai essere così scontroso?" chiese Laura incredula.
Dillon si voltò a guardarla. "Ci sono cose anche peggiori in me. Cose che potrebbero spaventarti."
Laura aggrottò le sopracciglia. "Credo di non aver più paura di nulla. Avanti, racconta."
Dillon esitò. "E' una lunga storia."
Laura non si arrese. "Ho dormito tutto il giorno, quindi abbiamo tutta la notte."
Dillon sembrava combattuto. "E' rischioso rivelarti certe cose. Non voglio che ti succeda qualcosa..."
Laura mise un broncio irritato. "Dillon, dai! Peggio di così che vuoi che mi succeda. Morirò di curiosità se non mi dici niente."
Dillon cedette. "Va bene, ma devi promettermi di non dirlo a nessuno." Laura gli strizzò l'occhio.
"E non devi prendermi per pazzo. Sappi che non intendo assolutamente prenderti in giro. E' l'ultima cosa al mondo che farei. Ma potresti non credere a quello che ti dirò." Laura lo guardò intensamente. "Dillon...dopo averti visto posso credere a qualsiasi cosa." Dillon sorrise. "Bene. Da dove comincio?

Quando Dillon ebbe terminato il suo racconto, Laura riflettè per qualche secondo. "Vampiri?" Dillon annuì serio.
"Non dirmi che sei uno di loro perchè a questo proprio non potrei credere."
Dillon si alzò e in un battito di ciglia si spostò accanto a lei. "Perchè no?"
Laura avvertì sul viso lo spostamento dall'aria provocato dal movimento di lui. "Perchè non sei cattivo. E ti ho visto bere in cappuccino. Non c'era sangue dentro."
Dillon rise. "Si è vero, non lo sono. Quello che faccio è dare loro la caccia. Sono un cacciatore di vampiri." Dillon proseguì la storia soffermandosi sui particolari guardando per tutto il tempo Laura che lo ascoltava senza perdere una parola. I suoi occhi sembravano diventare più grandi e scuri per lo stupore. Stranamente gli credeva e non sembrava aver paura di lui. "Ma quindi le persone là fuori sono tutte in pericolo? I miei genitori potrebbero..." Dillon la rassicurò immediatamente. "I tuoi genitori non hanno l'abitudine di uscire di notte da soli immagino?" Laura sorrise divertita. "No, non direi. Non sono più tanto giovani...mi hanno avuto tardi, sai." Dillon pensò alla coppia che aveva intravisto in quei giorni di sfuggita senza farsi notare. Sembravano vicini alla sessantina.
"Non credo siano la vittima ideale dei vampiri. Preferiscono persone giovani e sane." Si pentì subito di quello che aveva detto. "Allora anche io sono al sicuro."osservò Laura. Dillon sospirò amaramente sentendosi impotente. Poteva salvarla dai vampiri ma non da quello che aveva.
Laura cercò di ignorare lo sguardo triste di Dillon e gli fece altre domande. "Ma chi si trasforma diventa cattivo contro la sua volontà? Anche se prima era una persona buona?" Dillon fu lieto di aver saputo che per alcuni di quegli sciagurati c'era stata  un minimo di speranza. "Alcuni di loro se hanno la giusta guida scelgono di nutrirsi di sangue animale e cercano di vivere una vita normale accanto agli umani." Laura si incuriosì ancora di più. "Ne hai mai incontrato qualcuno?" Dillon sorrise. "Si una coppia. Erano molto simili a degli umani. Non solo per l'aspetto ma anche per i sentimenti che avevano l'uno per l'altro. Si amavano. Mi hanno anche salvato la vita." Laura si accese d'interesse e volle sapere i particolari. "Era per la vampira il sangue che sei venuto a prendere!" Il ragazzo fece di sì con la testa. "Se non fosse stato per lei adesso non sarei qui a parlare con te." Laura sorrise "Ma come sono riusciti a salvarti da quell'altro vampiro? Com'è riuscito a sopraffarvi se eravate in tre contro di lui?" Dillon non si era soffermato su quell'aspetto. Temeva di spaventarla ancora di più ma poi si convinse a dirle tutto. "Alcuni vampiri hanno poteri paranormali. Come la telecinesi e la lettura del pensiero. Bella, la vampira che mi ha salvato possiede la capacità di bloccare i poteri degli altri ed è riuscita a fermare Louis ma è rimasta ferita." "Poverina."disse Laura. "Ma sta bene ora?" "Si è ripresa in fretta. Ora è al sicuro con suo marito. Hanno lasciato la città il giorno dopo." Laura cominciò a preoccuparsi. "Ma se quel vampiro torna a cercarti..." Dillon le spiegò che anche Louis era partito per l'Italia e che al momento non correva pericoli. "In Italia! Lì c'è la mia famiglia. Io e i miei genitori ci siamo trasferiti qui qualche anno fa ma tutti gli altri vivono lì." "Stai tranquilla! Vedrai che non succederà niente. Il mio amico Samuel sta indagando su di lui. Ed anche io intendo catturarlo"
Laura senza guardarlo mormorò tra sè. "Domani chiamo tutti e gli dico di non uscire mai da soli di notte. Ci sono anche altri pericoli dopo tutto. E di mangiarsi un chilo di aglio. E' un antibiotico naturale l'aglio, gli fa bene in ogni caso, giusto?" "Giusto. Solo che quella dell'aglio e i vampiri è una leggenda."

Laura rimase un pò sorpresa poi tornò ad interessarsi alla coppia vampira. "Ma pensi di rivedere Edward e Bella?" Dillon si rabbuiò. "Mi avevano proposto di seguirli e di aiutarmi a scoprire la mia vera identità. I loro amici però all'inizio avevano paura di me e mi hanno chiesto di aspettare. Quando poi mi hanno detto che si erano convinti e mi hanno invitato a raggiungerli non me la sono più sentita." Laura lo guardò interrogativa. "Perchè no?" Dillon esitò. "Ho un pò paura di cosa potrei scoprire e poi... adesso...ci sei tu." Il cuore di Laura diede un'accellerata. "Cosa vuoi dire?" Dillon la guardò intensamente e si avvicinò un altro pò.  Laura sollevò il capo verso di lui. Poteva specchiarsi nei suoi occhi azzurri. Il suono di una voce sgradevole ruppe quel momento così importante. "Devo chiederle di uscire. Questo non è orario di visite!" Dillon si girò furioso a fissare quella giovane infermiera acida che si era rifiutata di portare una coperta a Laura. "Se non esce subito dovrò chiamare la direzione e non potrà più tornare." Dillon mandò dei lampi d'ira dagli occhi e sembrò voler incenerire quella ragazza con lo sguardo. Era una rossa lentigginosa con un viso da bambola e due occhi piccoli e freddi. La targhetta sul suo taschino riportava il nome Kathleen. "Vai pure, Dillon. Ci vediamo domani." bisbigliò Laura. "Stanotte." rispose lui senza farsi sentire. Varcò la soglia guardando male Kathleen e gettando un ultimo sguardo a Laura si allontanò in fretta. Non badò se stesse camminando troppo veloce. Pensava soltanto che che prima arrivava a casa prima sarebbe potuto tornare da lei.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


L'espressione sul volto di Carlisle era estremamente preoccupata quando fece riunire i familiari in salottto. "Ho passato la giornata a fare ricerche. Ma non sono approdato a nulla. Sono riuscito a  rintracciare la persona che avevo incaricato di seguire l'adozione di David. E' un vampiro specializzato in documenti falsi che aveva dei contatti con quella agenzia delle adozioni. Ha provato ad informarsi segretamente sulla famiglia che aveva adottato il bambino. Ma con sua grande sorpresa è sparita ogni traccia, ogni documento, ogni file che lo riguardava. La persona che hanno incontrato Rosalie ed Emmett e che ha personalmente consegnato il piccolo ai genitori adottivi è scomparsa. In pratica il piccolo David è sparito nel nulla." Esme e i ragazzi lo guardarono sbalorditi. "Cosa?" mormorò Edward impietrito. "Senza un nome, un indizio le possibilità di ritrovarlo sono alquanto scarse. Perfino Alice non è mai riuscita a vedere il bambino nelle sue visioni." Esme e Bella si abbracciarono piangendo in cuore per il nipotino perduto mentre Carlisle si alzò in piedi e posò le mani sulle spalle del suo amato figlio adottivo che aveva abbassato la testa per nascondere il suo dolore. "Edward la nostra unica speranza di trovare David è Dillon Baxter. Devi convincerlo a venire qui."

Dillon fu felice di raggiungere Samuel alla caffetteria. Le ore che lo separavano dal suo ritorno in ospedale sarebbero passate più in fretta. Sapeva che Samuel avrebbe voluto convincerlo a collaborare ancora con lui ma aveva deciso di rispettare la pausa di riflessione di Dillon ed insieme avevano convenuto di incontrarsi in un luogo informale. "Ho avute delle informazioni interessanti dall'Italia e ho pensato di comunicartele." cominciò Samuel posando la tazzina sul piattino.

Dillon lo ascoltò attentamente concentrandosi su quanto gli diceva. "Per la precisione le informazioni non vengono proprio dall'Italia ma da diverse nazionalità in cui ci sono state centinaia di segnalazioni di persone scomparse. Ad accomunarle tutte è il fatto che l'Italia è l'ultimo posto dove sono state viste. Erano in viaggio di piacere, con mete diverse, poi puff. Di colpo sono svaniti nel nulla. Non è chiaro in quale punto per la precisione. Ci stiamo ancora lavorando..."
"E hai detto che erano tutti turisti?"

Samuel annuì. "Pare di sì." Dillon pensò che almeno i parenti di Laura non avevano nulla da temere. Quella notte le avrebbe dato la buona notizia. "Credi che ci sia la mano di vampiri dietro queste sparizioni?"

Samuel ci pensò su per un istante. "E' molto probabile. Devono avere un'organizzazione molto potente se riescono a organizare questi sequestri di massa. Si tratta di vampiri superiori a quelli a cui hai dato la caccia finora. Il tuo amico Edward forse ne sa qualcosa. Lo hai più contattato?"

Dillon riprese a sorseggiare il suo caffè. "Si ma non ho ancora deciso se andare a parlarci...sono stato molto occupato in questi giorni."

Samuel lo guardò sospettoso. "L'ho notato...mattina , pomeriggio, sera. E' impossibile rintracciarti. Dì la verità?"

"Cosa?"

"Non sarà che hai conosciuto una donna?" Samuel rise malizioso.

Dillon cercò di mascherare il suo stupore. "No. Che dici?"

"Non mi freghi ragazzino, faccio il detective da più tempo di te."

Dillon abbassò il capo nascondendosi sotto la frangia bionda tradendo un sorriso.
"Non è come pensi. E' solo un'amica."

Samuel lo guardò compiaciuto. "E la tua amica sa che sei in procinto di lasciare la città?"

Dillon alzo la testa e guardò l'amico seriamente. "Gliene stavo parlando stasera. Più tardi devo rivederla e le dirò cosa ho deciso." Samuel si rattristò e rimase in silenzio per qualche secondo poi riprese a parlare.

"Senti se decidi di andare da Edward promettimi un dossier accurato sui vampiri vegetariani. Voglio sapere tutto di loro." 

Dillon sgranò gli occhi. "Samuel? Cosa hai fumato?" 

Samuel prese la giacca e tirò fuori i soldi dal portafogli per pagare il conto. "Diciamo che resto sempre dell'idea che sia pericoloso e che starò in pena per te, ma almeno adesso ho la certezza che farai di tutto per tornare." Dillon era sbigottito. "Ma che vuoi dire?"

Samuel si infilò l'impermeabile e fece per avviarsi verso la porta. "Sai, anche io molti anni fa frequentavo una ragazza che era solo un'amica...vuoi sapere come è andata a finire? Me la sono sposata!"

Il detective uscì con un sorriso divertito mentre Dillon rimasto solo finì di bere il suo caffè.

No, non era certo il suo caso. Pensò con tristezza che era impossibile che Laura potesse sposarsi. Non con lui almeno. Non riusciva a immaginarsi come innamorato tantomeno come marito. Si accorse che i suoi sentimenti per quella ragazza erano alquanto confusi.

Dillon uscì dal locale e prese a passaggiare lungo la strada chiedendosi cosa fosse l'amore. Non lo aveva mai provato in vita sua e non aveva idea di come fare per riconoscerlo. Le storie dei libri e dei film non avevano niente di reale per lui. E nelle esperienze che aveva avuto con le donne aveva accuratamente evitato ogni possibile coinvolgimento. Evitava un sacco di cose a dire la verità. Ogni cosa che avesse a che fare con i legami. Ma Laura era riuscita ad entrargli dentro. Forse perchè non poteva farle del male. Almeno fisicamente...Forse doveva andarsene prima di causarle ulteriore sofferenza. Prima che lei potesse affezionarsi troppo a lui. Con quei pensieri in testa scalò la parete dell'ospedale per raggiungere la finestra di Laura. Dovette forzarla dall'esterno perchè qualcuno da dentro l'aveva chiusa. L'infermiera Kathleen probabilmente. Quanto la odiava. Non appena mise piede dentro la camera cercò quel leggero battito cardiaco che gli era divenuto familiare ma non udì nulla. C'era qualcosa che non andava. Con un balzo felino fu accanto al letto e quello che vide lo gettò nel panico. "Laura!"


Uno dei medici uscì nel corridoio per parlare con Dillon. "E' fuori pericolo, adesso. Se non fosse stato per te ragazzo..." il medico non gli chiese cosa ci facesse a quell'ora di notte nella camera di una paziente. Gli era troppo grato per protestare. "Cosa le è successo?" chiese Dillon divorato dall'ansia. "Ha avuto un improvviso calo di pressione che ha portato uno scompenso cardiaco.Il tumore sta avanzando rapidamente e la stiamo sottoponendo ad una terapia intensiva che purtroppo ha degli effetti collaterali. Indebolisce il tumore ma al tempo stesso la debilita." Dillon si sentì vacillare, mentre il medico continuava a parlare. "I suoi valori stanno tornando alla normalità. Presto potrà tornare a casa per qualche giorno." Dillon ascoltò tremante. "Ma la terapia può guarirla o è un semplice palliativo?" Il medico abbassò lo sguardo. "Diciamo che le permette di guadagnare tempo..." Nella mente di Dillon si fece strada un terribile dubbio. "Ma se dovesse nel tempo sottoporsi ad un'altra cura, potrebbe sopportarla?" L'uomo scosse la testa. "E' difficile dirlo. E' molto debole. Per adesso sta bene e dovrebbe rimanere stabile a lungo." Dillon si appoggiò contro la parete senza dire una parola. A riportarlo alla realtà fu la comparsa dell'odiosa infermiera sulla soglia. Dillon le lanciò uno sguardo feroce e andò verso di lei con aria furente. "Dov'era lei? Laura stava per morire! Non respirava più!" Kathleen lo guardò indignata. "Mi ero assentata solo un istante, se vuole saperlo.Non si permetta di trattarmi così. Lei non ha nemmeno il diritto di stare qui." Dillon sentì l'ira crescere a dismisura. "Io ho a cuore quella ragazza, a differenza sua. Le stia lontano." Kathleen strinse i suoi occhietti da vipera e gli diede uno sguardo di sfida. "Altrimenti?" Gli occhi azzurri di Dillon lampeggiarono. "Non mi provochi." le ringhiò passandole oltre. Si diresse verso la camera di Laura ma si bloccò vedendo una coppia di mezza età seduta intorno al letto di lei. Il papà e la mamma. Lui era decisamente di troppo. Si ritrasse in un angolo in disparte e si accorse che gli vibrava il cellulare. Era un messaggio di Edward. "Abbiamo bisogno di te. Contattami appena puoi." Chiuse gli occhi e si rimise in tasca il telefonino. Adesso non aveva tempo per quella storia. Voleva pensare a lei. Il giovane medico con cui aveva parlato prima andò a cercarlo poco dopo. "I signori Polidori vorrebbero conoscerti. Sono genitori di Laura." Dillon rimase sorpreso e seguì il dottore nel corridoio. Un uomo sulla sessantina ed i capelli radi e brizzolati gli andò incontro seguito dalla moglie, una donna di poco più giovane, con i capelli scuri. Come quelli di Laura. Dillon studio per qualche istante i loro lineamenti individuando le somiglianze con la figlia e sorrise, scoprendo un istintivo affetto per quelle persone.

"Grazie, ragazzo." gli disse l'uomo poggiandogli le mani sulle spalle e guardandolo con riconoscenza. “Un attimo dopo e avrebbe potuto essere tardi. Non sai quanto ti sia grato. Io mi chiamo Andy e lei é mia moglie Sara.” La donna gli prese una mano e gliela strinse con calore. Aveva gli occhi rossi, pieni di lacrime. "Dio ti benedica, caro." disse molto semplicemente. Dillon guardò i genitori di Laura, pieno di compassione. Erano esausti ma nel loro sguardo c'era ancora una luce di a gli speranza. "Vi porto un caffè?" disse non riuscendo a trovare le parole adatte. Andy sorrise. “Grazie, ci vorrebbe proprio.” Dillon ricambiò il sorriso e si diresse al distributore senza aggiungere altro.


I signori Polidori si alternarono al letto di Laura per tutto il giorno mentre Dillon senza accennare a muoversi, rimase seduto sul pavimento del corridoio, in attesa di poterle fare visita. Verso l'ora di pranzo Andy gli propose di mangiare qualcosa ma il ragazzo rifiutò. Non aveva affatto fame ma in compenso sentiva la stanchezza farsi sempre più pesante. Da quant'è che non dormiva?pensò appoggiato contro la parete. "Dillon." si sentì chiamare da Sara. Aveva una voce dolce e dei modi affettuosi. «Laura si è svegliata e vuole che andiamo a casa a riposarci. Non sente ragioni. Ho pensato che volessi salutarla anche tu prima di andare.» Dillon si alzò da terra. «Volentieri, ma non vado a casa per ora. Vorrei restare un altro pò se per lei va bene, signora.» Sara gli sorrise. «Certo, e chiamaci per qualsiasi evenienza. Questo è il nostro numero.» Dillon glielo promise e prese il foglio che la signora gli porgeva. «Dimmi una cosa ragazzo. Come hai conosciuto mia figlia? Non sei uno dei giovani della chiesa?» Dillon scosse la testa sorridendo. Decisamente non lo era. «No, signora. Sono entrato per caso nella sua stanza e abbiamo fatto amicizia. Questo una decina di giorni fa, circa.»  spiegò Dillon sorprendendosi di quante cose fossero accadute in così poco tempo«Non esiste il caso, figliolo.» rispose Sara prima di andarsene. Dillon riflettè su quelle parole per qualche minuto prima di entrare da Laura. La stanza era nell'ombra con le persiane leggermente socchiuse e regnava il silenzio. Quando Dillon si sedette sul bordo del letto, Laura si girò a guardarlo con aria triste e pensierosa. Non l'aveva mai vista così pallida. Gli occhi però sembravano aver riacquistato vivacità. «Mi dispiace tanto.» gli disse quando si avvicinò al letto. «Non cominciare a scusarti che ti prendo a calci.» minacciò Dillon. «E soprattutto non provare mai più a spaventarmi così.»

Laura gli sorrise. «Farò del mio meglio.» Dopo un secondo il suo voltò tornò serio e lo guardò intensamente. « Devo parlarti, Dillon. Voglio che tu parta.» Fu Dillon ad impallidire questa volta. "Ma cosa..." riuscì a balbettare. "Fammi finire." disse lei in tono autorevole. "Non devi sentirti in debito con me per averti aiutato. Sono stata felice di averlo fatto. Voglio che vai avanti per la tua strada e vivi la tua vita."

"Non mi sento obbligato con te." replicò lui quasi offeso. "Casomai mi sento in colpa. Io ti ho fatto stancare in questi giorni.  Potrebbe aver influito sulla tua crisi di ieri notte..."

Laura non era dello stesso parole. "Dillon, in questi giorni tu mi hai fatto sentire di nuovo viva. Mi hai distolto dai miei problemi ed era quello di cui avevo bisogno. Ti sarò sempre grata per questo." Il tono della sua voce era basso e debole, ma i suoi occhi lo guardavano intensamente e sembravano più profondi e scuri. Dillon fece uno sforzo per deglutire. "La stessa cosa vale per me." rispose convinto.

"Allora fai una cosa per me. Vivi la vita che io non posso vivere. Realizza i tuoi sogni. Vai a cercare la tua famiglia. Io so cosa ti manca ed è giusto che li ritrovi e sciogli il mistero della tua identità. Solo così potrai sentirti completo."

Accipicchia, ma lo conosceva così bene? Dillon non sapeva cosa rispondere. I giorni passati con lei in realtà lo avevano fatto sentire in pace con sè stesso dopo tanto tempo. Lei sapeva chi era. Sapeva i suoi segreti e lo aveva accettato. Con lei non si sentiva nè il figlio adottivo dei signori Baxter, né il campione di incontri clandestini, nè il misterioso cacciatore di vampiri. Era solo Dillon. E la cosa incominciava a piacergli.

"C'è una felicità che forse ti aspetta da qualche parte.” continuò Laura. “Ma non qui non in questa stanza e devi andare a cercarla."

"Bè, si da il caso che io sia allergico alla felicità e non faccio che scappare da essa." protestò il ragazzo distogliendo lo sguardo per un attimo.

Laura lo guardò severamente. "Sei un vigliacco allora."

Dillon restò di sasso. Vigliacco non glielo aveva mai detto nessuno.

"So che hai paura di soffrire ma non puoi sfuggire dai tuoi problemi. E' la vita. Dobbiamo accettare la gioia e il dolore insieme e per quanto sia difficile ne vale la pena. Io non rimpiango niente della mia vita."

Dillon si alzò voltandole le spalle pensieroso. "Tu hai fede almeno. Io no." Laura lo guardò comprensiva.  "Puoi averla anche tu."

Dillon scosse la testa. "Non lo so."

Laura sospirò. "Perchè non ci pensi? Dormici sopra magari..."

Dillon sorrise. Dormire? "In effetti non dormo da parecchi giorni...sto iniziando a risentirne."

Laura cominciò a preoccuparsi. "Cosa? Ma come fai a resistere. Vai subito a casa e fatti una dormita."

Dillon non accennò a muoversi. "Non dormo bene  in ogni caso. Ultimamente sto con un occhio aperto e uno chiuso per stare in guardia." "Allora resta qui. Lì c'è un letto libero. Farò io la guardia per te. Tanto non ho sonno, ho dormito tutto il giorno." 

"Tu sei matta." esclamò Dillon scoppiando a ridere.

"E tu stai morendo di sonno."

Dillon era davvero a pezzi ma esitava. "Si,  così se stanotte devono ricoverare qualcuno in quel letto e ci trovano me mi buttano fuori a calci." Laura non si arrese e si spostò di lato lasciando libero un pò di spazio dalla parte di Dillon. "Stai scherzando, vero?" chiese lui sorpreso.

"No, affatto. Basta che ti comporti da gentiluomo."

Dillon rise e si avvicinò al letto. "Magari mi stendo solo un attimo..."  Lasciò il giubbotto su una sedia e si  stese sopra il copriletto con tutte le scarpe facendo attenzione a non sfiorare lei. Appena posò la testa sul cuscino perse ogni capacità di rialzarsi. Non intendenva nemmeno provarci.

Laura rimase a guardare quel volto d'angelo rilassarsi, sentendo il suo respiro caldo a pochi centimetri dal suo viso. Non riusciva a sentire il suo odore però. Era quello strano intruglio che usava per proteggersi o era il suo olfatto che si era guastato.  "Stai comodo?" bisbigliò ad un tratto per rompere il silenzio. "Comodissimo." rispose lui in un sussurro. "Sta piovendo." Laura si voltò verso la finestra e vide le prime goccioline scendere lungo il vetro. Non se ne era accorta. Di certo Dillon aveva un udito sovrumano. "Ti piace la pioggia?"chiese Laura sottovoce. "Non molto.Mi rende nervoso." rispose lui guardandola negli occhi. "Hai paura dei temporali?" volle sapere lei. "Di tante cose ma non dei temporali." rispose Dillon . "Dormi sereno. Stanotte veglio io su di te." Dillon chiuse gli occhi e sorrise. "E se dovessero irrompere dei vampiri malvagi o dei malintenzionati li caccerai a colpi di karate?" "No, ti sveglio." rispose semplicemente Laura. Dillon richiuse gli occhi senza smettere di sorridere. "Potresti convincerli a darmi una tregua? Ne ho proprio bisogno." Laura gli spostò con delicatezza una ciocca dalla fronte. "Tutto il tempo che vuoi."

Fuori dalla finestra, oltre la cortina d'acqua c'era una figura scura nascosta sopra i rami di un albero che poteva distinguere senza fatica i due ragazzi distesi sul letto. I suoi occhi rossi lampeggiarono di soddisfazione e un sorriso crudele si schiuse sul volto bagnato dalle gocce d'acqua. Portò il telefono all'orecchio lentamente pronunciando con cura ogni parola. "Sono Louis. Presto Dillon Baxter cadrà nelle nostre mani. Ho appena scoperto che ha un punto debole. Un punto molto debole."

Dillon riaprì gli occhi dopo poche ore completamente riposato. Laura non aveva resistito e si era addormentata con la testa sulla sua spalla. "Come palo fai schifo." pensò scherzosamente spostandosi lentamente per non svegliarla e facendole posare con delicatezza la testa sul cuscino. La osservò dormire per un po', e si accorse sollevato che le sue condizioni sembravano migliorate. Fuori era ancora notte ma aveva smesso di piovere. Uscì furtivamente dalla stanza ed ando sul tetto dell'ospedale. Si appoggiò al muretto ed osservò la città addormantata. Rimase lì fino al sorgere del sole e chiuse gli occhi mentre lasciava che i primi raggi del sole gli scaldassero il viso. Quando riaprì gli occhi si accorse che non aveva più paura.


Edward era in bagno a torso nudo e si stava togliendo le macchie di sangue che la caccia gli aveva lasciato sui capelli. Mentre stava con la testa sotto l'acqua udì il suono del cellulare. Fu in un attimo accanto al letto con l'asciugamano intorno al collo. Gli era arrivato un messaggio. "Chi è?" gli chiese Bella mentre si spazzolava i capelli. Edward la guardò estasiato. "Era Dillon. Mi ha chiesto l'indirizzo. Sta arrivando."

A Dillon piaceva vedere l'alba. Spesso si fermava su un ponte e guardare il fiume tingersi d'oro ma quel giorno non poteva più fermarsi. Corse a casa per preparare i bagagli. Tutto quello che aveva poteva entrare in una sola valigia compreso il suo portatile. Si era organizzato da tempo a vivere con il minimo indispensabile. Diede un ultima occhiata al monolocale e vide che c'era un'ultima cosa da prendere. Qualcosa che aveva avuto sempre sotto gli occhi ma che aveva cercato di ignorare. Capì che non poteva più farlo.


Laura si svegliò trovando il posto accanto a sè vuoto. "Sono qui." le disse Dillon in piedi davanti a lei. Si era cambiato gli abiti ed aveva uno zainetto sulle spalle. "Avevi ragione." annunciò lui in tono serio. "Devo partire. Sono venuto a salutarti."

"Oh" mormorò lei incapace di dire altro. "Sono contenta che tu abbia preso la giusta decisione."

Dillon tirò fuori una busta dallo zaino. "Volevo chiederti un favore. Potresti aiutarmi a leggere questa lettera? Me l'ha scritta la mia vera madre prima di lasciarmi. Ce l'ho da due anni e non ho mai avuto il coraggio di aprirla." Laura si sollevò a sedere ascoltandolo attentamente. Dillonle si sedette accanto e le porse la lettera.

"Te la senti di leggermela? Io non ce la faccio." Laura annuì e accese la lampada sul comodino. Prese dalle mani di Dillon la busta ingiallita e l'aprì con cura. "Che bella calligrafia." mormorò. Le sembrava quella di una signora distinta di altri tempi. Trasse un grande sospiro e lentamente cominciò a leggerla dando risalto con molta dolcezza ad ogni parola. "Mio adorato bambino, è molto difficile per me scrivere questa lettera ed è ancora più difficile doverti lasciare. Ti scrivo perchè un giorno forse vorrai sapere chi siano i tuoi genitori e perchè hanno dovuto abbandonarti. Purtroppo non posso darti le risposte che meriti  anche se vorrei tanto farlo ma ti basti sapere che tu sei stato molto amato e che sei il frutto di un grande amore. Non considerarti mai un errore perchè in realtà tu sei un miracolo. Un miracolo di vita che ha illuminato un'esistenza cosparsa di morte. Passare questo poco tempo con te mi ha reso orgogliosa come non sono mai stata e ricorderò questi momenti come tra i più belli della mia vita. La mia felicità adesso sarà sapere che ti troverai in un luogo sicuro dove sarei accudito e protetto. Cerca di perdonare la tua famiglia per non averlo potuto fare e vivi una vita felice. Ti lascio tutto l'amore di cui sono capace. Portalo sempre con te. "  

La lettera si concludeva così e non era firmata in nessun modo. Nè con un nome, né con “Mamma”.

Laura commossa guardò Dillon che era rimasto in silezio incapace di parlare. "E' bellissima."

Lui annuì tremando. "Devo trovarla."

"Si"rispose lei in un sussurro.

"Mi mancherai." le disse con un sorriso. "Ti prometto che tornerò." aggiunse guardandola intensamente.

"Non credo che ci riuscirai. Avrai tante cose a cui pensare."pensò di nuovo lei. Dillon si sfilò l'orologio e glielo mise tra le mani. "Questo è stato l'ultimo regalo che ho ricevuto dai miei genitori adottivi. Tornerò a riprendermelo." Laura rimase colpita e allungando un braccio sul comodino gli porse a sua volta un oggetto. "Allora portala con te. Ti regalo la mia bibbia. Se vuoi ti prometto che pregherò per te."

Dillon prese il libricino in mano e lo guardò pensoso. "Sai non credo a queste cose ma sicuramente sarò più sereno sapendo che preghi per me." Rimasero in silenzio per qualche istante poi Dillon si alzò dal bordo del letto. "Devo andare, adesso. Grazie di avermi onorato della tua amicizia." Laura aveva gli occhi lucidi. "Non devi ringraziarmi, ma aspetta. Voglio salutarti come si deve." Con un piccolo sforzo spostò le coperte e mise le gambe fuori dal letto. "No, non ti devi stancare."le disse Dillon allarmato. "Per favore lasciami fare."protestò lei.  Si alzò dal letto con fatica e lentamente si mise in piedi. Dillon fece per sorregerla ma lei lo fermò. "Posso farcela." Si mise davanti a lui e lo guardò intensamente. "E' stato bello conoscerti."

Dillon era troppo scosso per parlare e la circondò tra le braccia attirandola a sè. Laura posò il capo contro il suo petto e chiuse gli occhi. Dillon le sfiorò i capelli con le labbra e si abbandonò a quella sensazione dolcissima. Era così minuta e fragile che scompariva dentro il suo abbraccio. "Non vorrei più dovermene andare. "pensò lui tristemente. La sollevò tra le braccia e la posò con delicatezza sul letto. La guardò un ultima volta e le bacio la fronte. "A presto." le sussurrò prima di scomparire dalla finestra.
La sua fidata ducati targata New York lo aspettava parcheggiata di sotto con la valigia legata dietro. Risoluto saltò in sella cercando di scuotersi di dosso la tristezza che l'addio a Laura gli aveva lasciato. No, non era un addio. Sapeva che l'avrebbe rivista. Ne era certo. "Coraggio bella" disse scherzosamente alla moto. "Portami in Scozia."

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


PARTE TERZA
 

CAPITOLO 15

Louis amava il clima piovoso di Londra. Gli permetteva di andarsene in giro in pieno giorno e fare acquisti nei bei negozi. Proprio quello di cui aveva bisogno lui dopo aver attraversato La Manica a nuoto. Doveva ringraziare Dillon per quello scherzetto. Per colpa sua il detective Freeman stava facendo girare il suo identikit dappertutto. In Italia non correva rischi grazie alla protezione dei Volturi, ma in Inghilterra doveva muoversi segretamente come un ladro. E così aveva dovuto prendere un treno con un passaporto falso fino al Nord Italia e proseguire a piedi fino alle coste francesi. Aveva colto l'occasione per rivedere la sua vecchia patria e fermarsi a guardare per qualche giorno quella che un tempo era stata la tenuta della sua famiglia. Chateau Dupont.

Louis si  era sporto fino al cancello senza osare spingersi oltre ispirando nelle narici il più possibile quell'odore che non aveva mai dimenticato: odore di casa. Riusciva ancora a sentire le grida della sua famiglia quando erano stati portati via con la forza ed avevano dovuto lasciare tutto ciò che avevano al mondo. Quei maledetti poi l'avevano pagata cara ma non aveva più rivisto i suoi genitori e i suoi fratelli. Tutto ciò che gli rimaneva era quell'antica casa."Sarà di nuovo mia molto presto." aveva detto a sé stesso con un lampo d'ira che gli attraversava gli occhi neri per la sete. Arrivare a Londra era stato più semplice del previsto. Durante la notte era riemerso dalle acque del porto con i vestiti zuppi approfittando di un improvviso acquazzone che si era accanito sulla città. In quel modo poteva passare inosservato fingendosi un qualsiasi passante rimasto senza ombrello con la differenza che lui non si sarebbe preso neanche un raffreddore nonostante camminasse per ore con gli abiti fradici appiccicati addosso. Il suo primo pensiero era stato fare una  visitina a Dillon. Sapeva dove trovarlo anceh se non aveva idea di cosa ci facesse in un ospedale. Quando lo aveva visto steso su quel letto, accanto a quella piccola e fragile umana, aveva letteralmente esultato. Non riusciva a credere che Dillon gli avesse reso le cose così facili. Adesso sapeva cosa doveva fare.
Dopo aver comunicato ai Volturi la svolta nella sua missione, era andato a cercare una camera in un modesto albergo e a comprare dei vestiti asciutti a Bond Street. Sotto il cielo grigio londinese ed un cappellino con la visiera comprò tutto ciò che poteva servirgli in quei pochi giorni. Non contava di rimanere a lungo. Avrebbe agito direttamente quella sera. Dopo tutto, il suo albergo si trovava a pochi isolati dall'ospedale.
..
Prima di uscire si diede un ultima occhiata nello specchio. I suoi occhi erano talmente scuri da poter essere scambiati per umani. Cominciava a sentire la sete. Era dall'ultimo "banchetto" di Volterra che non si nutriva. Poteva resistere ancora per qualche giorno il suo pensiero adesso era scalare la parete dell'ospedale e fare la conoscenza dell'amichetta di Dillon. L'edifico era immerso nell'oscurità e nessuno, nemmeno le telecamere potevano notare quell'ombra scura che si muoveva agile e veloce lungo la parete esterna. Aprire la finestra dall'esterno fu piuttosto semplice. A Louis bastò passare un'unghia dentro la cornice della finestra per scollare il vetro e rimuoverlo. In assoluto silenzio aprì la maniglia e rimise il vetro al suo posto. Non doveva lasciare traccia. In un attimo fu dentro la camera leggero come una piuma e si avvicinò al letto. Louis alzò lo sguardo e sbuffò spettinandosi la frangia con il suo respiro. Era andato tutto come progettato tranne che per un particolare: la ragazza non c'era più! Che disdetta! Dal corridoio si udì un rumore di passi, dei tacchi alti per la precisione e il vampiro si appiattì contro la parete sbirciando con la coda dell'occhio attraverso il vetro della finestra. Fu allora che vide passare una giovane infermiera dai capelli rossi. Attraverso la porta poteva sentirne il profumo. "Non male."pensò compiaciuto. Forse aveva trovato un modo per rintracciare la ragazza
.
                                                                                               * * *

La moto correva leggera come se non toccasse terra mentre la città tutt'intorno lasciava posto alle verdi campagne. Gli occhi azzurri di Dillon oltre la visiera del casco guardavano fisso la strada impassibili con la musica nelle orecchie per non pensare a niente. Ma perfino il testo della canzone che stava ascoltando nel suo i-pod faceva eco alle emozioni che tentava di nascondere.


 And I'd give up forever to touch you
'Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now
And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life

'Cause sooner or later it's over
I just don't want to miss you tonight

Laura.
Perché quelle parole gli facevano tornare alla mente tutti i momenti passati con lei?Non voleva pensarci. Voleva solo continuare a correre, senza fermarsi.

And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am


La moto continuava a volare sull'asfalto, verso la sua meta, per ore ed ore. Verso una possibile risposta. A circa metà del suo tragitto Dillon rimase colpito dal nome di una località: Carlisle. Se la memoria non lo ingannava era lo stesso nome del padre di Edward. Si chiese come lo avrebbero accolto. Dillon pensò che forse era il caso di prendere qualche precauzione e si fermò ad un lato della strada. Poco distante in lontananza sopra una collina  si vedeva una vecchia fortezza medioevale. Il ragazzo tolse il casco e scrollandosi i capelli prese il cellulare e compose il numero di Edward. "Dillon!" sentì esclamare all'altro capo di telefono. Sembrava proprio contento di sentirlo. "Dove sei?"
Dillon si guardò intorno. "Praticamente a metà strada. Non senti il belare delle pecore?" Edward rise. "Ma arrivi con il treno?"
"No, con la moto. Senti Nosferatu, ti chiamo per chiederti una piccola cortesia."
"Ti ascolto, Van Helsing." Dillon fece un mezzo sorriso e pose la domanda in tono serio. "Potreste gentilmente farvi trovare... già mangiati? Non voglio correre inutili rischi."
Edward sembrò comprensivo. "Abbiamo appena cacciato, Dillon.” assicurò il vampiro “Ma sappi che in ogni caso, nessuno di noi intende farti del male. Spero la cosa sia reciproca." 
"Ho portato con me le armi."spiegò Dillon "Ma non intendo usarle finché non mi viene dato un motivo per farlo." 
Edward sospirò."Ti prometto che non avrai nulla da temere. Vogliamo solo aiutarti.”

"Ok." concluse Dillon. "Allora ci vediamo tra quattr'ore circa."

Dillon continuò a guidare riempiendosi gli occhi di quel meraviglioso paesaggio che aveva intorno. La bellezza di quelle montagne azzurrine, circondate di colline dove le chiome arancio degli alberi sembravano incendiarsi sotto gli ultimi raggi del sole lo conquistò letteralmente. Ad un certo punto dovette fermarsi per ammirare una bellissima veduta di un lago in mezzo alle colline. Quello spettacolo ebbe l'effetto di un balsamo su di lui. Si tolse il casco e chiuse gli occhi mentre una brezza di vento gli scompigliava i capelli. Per quanto avesse sempre vissuto nelle grandi città, aveva sempre amato appassionatamente la natura come se fosse una parte di sé. Rimase così per qualche minuto e poi di decise a proseguire il viaggio. Ormai era quasi arrivato.

Il castello di Inverlochy era un bellissimo edificio in pietra grigia che si ergeva maestoso sopra una collina oltre le acque calme di un lago che assorbiva il verde tutt'intorno.
Dillon fermò la sua ducati davanti all'ingresso e si tolse il casco.Due figure in attesa sul portico lo stavano osservando mentre si avvicinava. Uno dei due era chiaramente Edward e l'altro invece era un uomo sui trent'anni, alto e biondo, con un bel portamento. Doveva trattarsi del suo creatore. Chiunque avrebbe potuto scambiarlo per un uomo qualsiasi, con la carnagione molto chiara e gli occhi color ambra, ma a Dillon non potevano sfuggire particolari come l'assenza del battito cardiaco e l'odore inconfondibile di gelo e morte sotto l'aroma profumata del dopobarba maschile e dell'acqua di colonia. A sorprenderlo più di tutto fu l'espressione mite e gentile di quel volto. Sembrava così umano...
In un lampo Edward gli andò incontro non appena il ragazzo scese dalla moto. "Dillon, finalmente!" disse il giovane vampiro stringendogli una mano e appoggiandogli l'altra sulla spalla affettuosamente. Dillon, nonostante il senso di disagio iniziale, sorrise e ricambiò la stretta. "Ti presento mio padre, Carlisle." Dillon guardò negli occhi il vampiro, che con profonda educazione, gli porse la mano accennando un inchino. "Sono davvero lieto di fare la tua conoscenza, Dillon." disse porgendogli la mano. Dillon la prese lentamente e la strinse facendo un cenno di saluto con il capo. Aveva la mano gelida quanto quella di Edward. "Voglio presentarti mia moglie Esme." disse Carlisle introducendolo ad una giovane donna, dai capelli castano chiaro, comparsa al suo fianco all'improvviso. Aveva un volto d'angelo con dei lineamenti dolcissimi e lo stava guardando con affetto sincero. "Dillon, ti sono talmente grata per aver salvato la vita dei miei figli. “ gli disse dandogli un rapido abbraccio. “Sentiti il benvenuto tra noi. Faremo tutto il possibile per aiutarti."
"Grazie..." rispose Dillon rimanendo rigido, profondamente colpito da quell'accoglienza. "...anche se a dire il vero ci siamo aiutati a vicenda quella notte."
"Bella, mia nuora già la conosci." continuò Carlisle accennando alla vampira bruna che si era materializzata accanto ad Esme.
Dillon annuì accennando un sorriso. "Si, certo. Ciao, Bella."
Lei andò ad abbracciarlo. Nei suoi occhi c'era una strana luce. Era la gratitudine o qualcos'altro? Sembrava guardarlo piena di speranza. In un attimo Edward aveva preso il bagaglio di Dillon e lo aveva portato all'ingresso. "Prego accomodati." disse Carlisle invitandolo ad entrare. Dillon esitò sulla soglia. "E adesso che succede?”pensò “Mi offriranno un tè con i pasticcini o mi sgozzeranno sul tavolo?" Alla fine si convinse ed entrò sorridendo. "Bé, tanto il tè non mi piace."

Dillon prese nervosamente posto sul divano dell'elegante salotto, circondato da quei quattro affabili vampiri tutti ben vestiti e sorridenti. Il ragazzo si guardò il giubbotto da motociclista ed i jeans scoloriti, e pensò che stonava un tantino nell'ambiente. Non che gliene fosse mai importato molto di certi dettagli. E di certo in quel momento aveva ben altro per la testa. Forse era il caso di saltare ulteriori convenevoli e di passare subito al sodo. "Dottor Cullen, prima di tutto la ringrazio di avermi voluto ricevere. Se sono venuto qui, é perché spero che con la sua esperienza possa rispondere ad una domanda che mi perseguita da anni. Chi sono? Ho sempre saputo che in me c'è qualcosa di strano, qualcosa di misterioso ma non ho idea di cosa sia. Ho scoperto di avere delle affinità con la natura dei vampiri ma è evidente che non sono uno di loro. Di voi, cioè. E non sono nemmeno un ibrido, come mi ha detto Edward, perché non ne ho le caratteristiche. Voglio solo sapere da dove provengo e perché. E' inutile che le dica che la mia gratitudine sarà infinita per lei e la sua famiglia se potrete qualcosa per aiutarmi." Finì il suo discorso e deglutì guardando ansiosamente Carlisle in attesa della sua risposta.

I Cullen provarono un'indicibile commozione nel sentirlo parlare in questo modo. Edward sentì che il pensiero di David si era affacciato nella mente di tutti. Ancora una volta nella sua vita provò il desiderio di piangere. Carlisle provò un groppo in gola mentre rispondeva alla richiesta del ragazzo. "Farò tutto il possibile. Te lo prometto." Dillon annuì e sorrise riconoscente. "Vuoi riposarti un po'?" chiese Esme premurosamente"Devi essere stanco per il viaggio. Ti abbiamo preparato una stanza di sopra."
Il giovane scosse la testa. "Non ho voglia di riposarmi, vorrei cominciare quanto prima." Detto questo cominciò a frugare nel suo zaino da cui estrasse una cartella piena di documenti. "Sono analisi che ho fatto nel corso degli anni. Potrebbero esserle utili."
Carlisle cominciò a sfogliare le varie cartelle cliniche con interesse. "Sono accuratissime. Tutte in ordine cronologico. Da quando hai cominciato a registrarle?"
"A undici anni. Mi ero reso conto da tempo di essere diverso e anche i miei genitori. Mi hanno fatto fare varie analisi facendomi prescrivere farmaci di ogni genere per calmare la mia cosiddetta iperattività. Mi hanno fatto incontrare anche degli psicologi per spiegare altre mie stranezze."
Edward sussultò. "Che genere di stranezze?"
Dillon si rabbuiò. "Facevo dei sogni strani. Incubi."
Edward cercò di non far trapelare la sua tristezza. Ma cosa aveva passato quel povero ragazzo?Carlisle continuava a sfogliare la analisi con interesse. "Sembrano di persone diverse. Non c'è solo il cambiamento dell'età. Si tratta di cambiamenti ben più complessi...guarda Edward." disse mostrandogliele Edward non aveva la stessa esperienza di suo padre ma le sue lauree gli permisero di capire qualcosa in quelle colonne numeriche che corrispondevano ai valori di Dillon. "I valori diventano sempre più perfetti col passare del tempo. Sembra un qualche cambiamento genetico...un' evoluzione..."
Carlisle fece un sospiro e guardò il ragazzo. "Dovrei avere delle altre analisi più recenti per avere un quadro più completo della situazione...Ti dovrei fare un prelievo."
Dillon annuì soddisfatto "Le mie vene sono a sua disposizione, dottore.” rispose tranquillamente “Ma solo per motivi medici!"
A quella battuta tutti scoppiarono a ridere e la tensione si sciolse. "Da questa parte, prego."disse Carlisle scortando Dillon nel suo studio. Il ragazzo si girò un attimo per dare una rapida occhiata ad Edward e sparì nel corridoio. Edward decise di approfittarne per portare le valigie di Dillon nella camera che gli avevano assegnato. Aveva chiesto a Esme di sistemarlo in una stanza vicino al pianterreno in modo da non farlo sentire troppo isolato in quel luogo del tutto sconosciuto per lui. Mentre posava il bagaglio su un divanetto si diede un'occhiata intorno per controllare che non mancasse niente. "Rilassati" gli disse Bella comparsa in un lampo accanto a lui. "Vedrai che starà benissimo qui. Non ricordi in che squallido posto abita?"
Edward alzo le spalle "Voglio solo provare a metterlo a suo agio, fare sì che si trovi bene con noi, sai nel caso dovessimo scoprire..."
Bella gli posò le dita sulle labbra per farlo tacere. "Lo so amore, anch'io non vedo l'ora di sapere se Dillon è nostro nipote, ma dobbiamo avere pazienza. Lasciamo fare a Carlisle per ora."


Carlisle fece sedere Dillon e preparò una siringa. “Prego” disse il giovane tendendogli una mano. “Posso fare da solo.” Carlisle lo guardò sorpreso ma poi comprese la diffidenza del ragazzo e gli diede la siringa. Dillon senza esitazione si scoprì un braccio e si piantò l'ago in una vena, senza mai perdere di vista il dottore. Carlisle guardò ammirato lo sguardo penetrante di quegli occhi azzurri, trovandoli incredibilmente familiari. “Incredibile.” pensò mentre la sua mente gli presentava ricordi e paragoni.
“Davvero non le fa effetto?” chiese Dillon restituendogli la siringa piena. “L'odore del sangue, voglio dire.”
“Ci ho messo secoli, ma ormai riesco a resistere senza fatica.” spiegò sorridendo mentre etichettava la provetta.
Dillon tacque pensieroso mentre la minuscola puntura sul braccio gli si rimarginava da sola. Carlisle gli rivolse un sorriso cordiale. "Perché non vai a rinfrescarti un po' Dillon? Io comincerò a lavorare al microscopio e dopo ti comunicherò le mie conclusioni."  Dillon accettò il consiglio e lo lasciò da solo nello studio. Carlisle rimase con l'orecchio teso aspettando che i passi del giovane si allontanassero e con un movimento fulmineo andò ad aprire l'anta di un armadio dove aveva nascosto una piccola borsa termica.
Mentre l'apriva udì Edward che lo raggiungeva nella stanza. "Papà, ho incrociato Dillon per le scale e gli ho mostrato la sua camera. Sta andando a farsi una doccia. E' andato tutto bene? Cos'è quello?"  Carlisle tirò fuori dalla borsa termica una piccola fiala contenente del sangue e la tenne con entrambe le mani fissandola. "Qualcosa che ho conservato per ventun'anni. E' il sangue del piccolo David."

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

Edward sussultò e la sua mente tornò a quel momento triste in cui Carlisle aveva dovuto infilare un ago nel braccio piccolo e morbido di David che era subito scoppiato a piangere per il dolore. Il ricordo del nipotino che si disperava per la piccola puntura, lo intenerì.
"Intendo fare un test del DNA." spiegò Carlisle. "Ma ci vorranno almeno 24 ore per il risultato. Forse di più, visto che dovrò farlo qui. Non voglio affidare ad estranei il sangue di David e non mi sembra prudente far esaminare il sangue di Dillon da qualcuno altro."
Edward annuì e guardò nel microscopio. "Sembra una struttura genetica perfetta!"
Carlisle si avvicinò di nuovo al microscopio e tornò ad esaminarlo con attenzione non appena Edward ebbe finito. "E' anche una struttura molto complessa. Mi ci vorrà del tempo per studiarlo." In quel momento si udì il rumore di una macchina avvicinarsi al castello, seguito dal suono di una portiera che sbatteva. Edward riuscì a percepire dei pensieri familiari. "Eleazar?"chiese riconoscendoli.
Carlisle sorrise. "L'ho invitato io per chiedere una sua consulenza.Potrebbe esserci utile per capire meglio la natura di Dillon ma soprattutto per avere delle informazioni su Louis e sui Volturi."
Edward approvò la scelta del padre e insieme a lui andò ad accogliere l'amico. Esme e Bella erano già sulla porta per salutare l'ospite quando padre e figlio arrivarono nel salone.
Il bel vampiro spagnolo diede un abbraccio caloroso agli uomini e diede un baciamano alle signore. "Carmen sta bene? E i ragazzi?" chiese Esme sorpresa di vederlo solo.
"Stanno tutti benissimo e vi mandano i loro saluti. Carmen in questo periodo è immersa nei preparativi del matrimonio e l'ho convinta a restare a casa." Edward sorrise. Era felice che finalmente anche Tanya si sposasse.
"A proposito" aggiunse Eleazar. "Siete tutti invitati. Se potrete..."
Pronunciò le ultime parole con una certa preoccupazione che tutti avvertirono. Dillon. I Volturi. Sembrava che un altro pericolo fosse alle porte. "Carlisle mi ha accennato al telefono che avete un ospite molto speciale e che è stato coinvolto in uno scontro con un emissario dei Volturi."
Edward annuì "Sì è così. Abbiamo bisogno di saperne di più. Sia sul ragazzo sia sul vampiro che gli dà la caccia."

"Bé di certo sappiamo perché i Volturi lo cercano." intervenne Bella. "Dillon è..." s'interruppe domandandosi se Carlisle avesse messo al corrente Eleazar di quel particolare.
"Un cacciatore di vampiri." qualcuno completò la frase per lei mettendo fine ad ogni dubbio.
Tutti si girarono a guardare Dillon comparso improvvisamente sulla soglia del salone. Aveva indosso una camicia pulita, azzurra ed aveva i capelli biondi ancora umidi e pettinati all'indietro.
"Stia tranquillo."spiegò vedendo l'espressione stupita di Eleazar. "Al momento sono fuori servizio."
"Se i miei amici si fidano di te, allora mi fido anche io. Soprattutto sapendo che hai salvato la vita di uno di loro." rispose tranquillamente Eleazar guardando Dillon incuriosito.
"Dillon, ti presento Eleazar, uno dei nostri migliori amici. Eleazar, ti presento il ragazzo che ha salvato la vita di mia moglie."
E forse è anche mio nipote. Il vampiro accennò un inchino con il capo ma non gli porse la mano. Stava studiando Dillon con interesse. Edward lesse nella sua mente che stava già cercando di "leggere" Dillon e comprenderne la natura.
"Perchè non vi accomodate, parleremo meglio." propose Esme, ospitale come al solito. Sia lei che gli altri vampiri avrebbero potuto restare in piedi anche per mesi, ma Dillon probabilmente avrebbe preferito stare più comodo. Quando tutti ebbero preso posto sui divani imbottiti del lussuoso salone, Carlisle cominciò a spiegare al giovane il perché della visita di Eleazar.
"Dillon, devi sapere che Eleazar molto tempo fa apparteneva alla guardia dei Volturi e conosce ancora molte cose su di loro."
Dillon cominciò a fare dei collegamenti. "I Volturi sono quei vampiri potenti di cui mi accennavi a Londra, giusto Edward?"
Edward annuì soddisfatto. "Louis portava un ciondolo a forma di V e sapeva già di me e Bella. Per questo ho motivo di credere che lo avessero mandato loro."
Dillon riflettè per un istante e poi pose un'altra domanda. "Per caso hanno qualcosa a che fare con l'Italia?" Sui volti dei cinque vampiri si dipinse un'espressione stupita. "Come lo sai?" chiese Edward meravigliato.
"Perché ho saputo che Louis era diretto lì. E che in Italia si verificano sparizioni di massa di turisti."
Edward lo guardò ammirato. La mente di quel ragazzo era affilata come una lama. Quanto rimpiangeva di non poterla leggere!
Eleazar guardò Dillon compiaciuto. "E' così. In Toscana per la precisione, in un'antica città di nome Volterra. I turisti scomparsi vengono attirati da una vampira bellissima di nome Heidi che ha il potere di affascinare le persone e le attira nel palazzo dei Volturi. Poi provvedono a cancellare le loro tracce."
"Infatti la polizia non ha mai trovato niente."osservò Dillon. Eleazar continuò il suo racconto. "Ultimamente questi sequestri di gruppo stanno calando. Non è più semplice come una volta far sparire la gente e sembra che i Volturi stiano cercando nuovi metodi per procurarsi delle prede." I Cullen guardarono scioccati Eleazar. "Ho mantenuto dei contatti con alcuni vampiri in congedo.”continuò questi. “Molti dopo un po' di tempo decidono di lasciare la guardia e si ritirano a vita privata, pur rimanendo disponibili in caso di una convocazione. Ho un vecchio amico in particolare, a cui ho salvato la vita una volta, che mi può passare informazioni recenti, se serve."
Dillon chiese maggiori informazioni sulle origini di quel potente clan e i suoi membri. I Cullen gli parlarono dei suoi temibili membri, letali non solo per la loro crudeltà ma soprattutto per i loro poteri. Edward cercò di riferire a Dillon ogni cosa potesse risultargli utile nel malaugurato caso che un giorno si fosse trovato faccia a faccia con quei demoni. Un giorno il più lontano possibile, si augurava.
"Ma quanti vampiri hanno poteri paranormali? E li hanno prima o dopo la trasformazione?" chiese Dillon sempre più incuriosito.
"Alcuni hanno poteri del genere dalla nascita come Jane ed Alec, altri invece sviluppano capacità umane in doti sovrumane come la telepatia di Edward, che da umano era particolarmente intuitivo. Dico bene, vecchio mio?"
Edward sorrise tristemente pensando ai suoi giorni da umano, avvolti nella nebbia. "Quel Louis era telecinetico.” aggiunse“Sicuramente ne avrai sentito parlare."
Eleazar scosse la testa. "No, purtroppo il nome non mi dice nulla. E non ho mai sentito parlare di un vampiro dotato di telecinesi. Forse è entrato da poco nella guardia. Aro non si sarà lasciato sfuggire un simile talento. Potrebbe averlo mandato perché voialtri non lo conoscete."
Sì, in effetti era la spiegazione più probabile, riconobbe Edward.
"E credete che i Volturi mi vogliano perché so troppe cose?" chiese Dillon pensieroso.
Eleazar annuì.“Per loro la segretezza sull'esistenza della nostra specie è basilare e ti considerano una minaccia.”
"
Forse c'è un altro motivo." pensò Edward sospirando.
A quel punto prese la parola Carlisle. "Dillon ascolta. Eleazar è qui anche per un altro scopo. Il suo potere è quello di individuare i poteri degli altri vampiri. Questa sua dote, unita alla sua esperienza potrebbe aiutarci a capire meglio...la tua natura."
Dillon ebbe un sussulto. “ State dicendo che volete studiarmi come un cricetino, quindi?”
"No...” si affrettò a rispondere Edward temendo di aver turbato il ragazzo.
Dillon però continuà a parlare in tono rilassato “Bè alla fine era per questo che sono venuto qui. Per cercare delle risposte." Si rivolse ad Eleazar e gli sorrise. "Benissimo, vediamo come funziona questa cosa."


 

 


"Grazie amore." mormorò Alice guardando felice il marito. Jasper tolse una mano dal volante della porche e glielo mise intorno alle spalle baciandola sui capelli. "Di cosa, amore?" chiese ispirando il suo profumo.
"Ho appena visto cosa mi regalerai per Natale! E' un ciondolo stupendo. Non vedo l'ora di indossarlo."
Jasper sbuffò e poi sorrise. "Ormai ho rinunciato a farti le sorprese! Ho cercato di rimandare la decisione il più a lungo possibile per eludere le tue visioni ma alla fine il pendente a forma di fiore era quello più adatto a te." 
Alice gli posò la testa su una spalla. "Mi ci voleva in questo momento. Comincio ad essere preoccupata."
Jasper la guardò per un attimo ansioso. "Hai avuto qualche visione?"
Alice scosse la testa. "Al contrario. E' da un paio di giorni che non riesco a vedere nessun evento che concerne la nostra famiglia. Come se ci fosse qualcosa o qualcuno che oscura le mie visioni."
Jasper continuò a guidare in mezzo al verde, fissando la strada davanti a sé, ma concentrato sulle parole di Alice. Un sospetto lo stava sfiorando. "Qualsiasi cosa sia lo scopriremo presto. Siamo praticamente arrivati."
Fuori dal castello c'erano tre auto parcheggiate ed una moto con la targa di New York. "Chi è arrivato con la moto?" si chiese Jasper incuriosito. "Ci sono Bella, Edward, Carlisle ed Esme e sento anche l'odore di Eleazar. Cosa ci fa lui qui?"
La coppia scese dalla porche gialla e si avviò verso l'ingresso il più velocemente possibile. Avevano entrambi uno strano presentimento. Jasper respirò a fondo e si rilassò ed usò il proprio potere per tranquillizzare Alice. Sapeva quanto non sopportasse di sentirsi all'oscuro degli eventi. "Andrà tutto bene." le disse prendendole per mano.
Ormai sentiva le voci provenienti dall'interno. Carlisle stava dicendo qualcosa. "Questa sua dote, unita alla sua esperienza potrebbe aiutarci a capire meglio...la tua natura." Con chi stava parlando? Pochi secondi dopo qualcuno, qualcuno di cui non non riusciva ad avvertire l'odore, rispose. "Benissimo, vediamo come funziona questa cosa." Nella stanza tutti tacquero percependo l'arrivo suo e di Alice. Jasper strinse più forte la mano della sua compagna e aprì la porta. Si trovarono in un ampio soggiorno i cui vide riuniti i suoi genitori adottivi, Edward, Bella, Eleazar ed un ragazzo biondo che non aveva mai visto primo. Alice accanto a lui sussultò vedendolo. Chiaramente dovevano aver interrotto qualcosa ma tutti gli accolsero con gioia, sinceramente felici di vederli. Non si vedevano da quasi un anno. Jasper dimenticò per un attimo il misterioso ragazzo mentre abbracciava suo padre e suo fratello. Alice intanto si stringeva al petto Esme e Bella. La sua migliore amica le era mancata troppo. In ultimo salutarono Eleazar e attesero di essere presentati al nuovo arrivato. Era di una bellezza inconsueta per un umano e nei suoi occhi azzurri aveva un che di indomito. Anche se non poteva sentirne l'odore Jasper era sicuro che quello che aveva davanti non era un semplice essere umano. Alice lo guardò attentamente come ad aver trovato una conferma. Forse era lui che le impediva di vedere il futuro. "Alice, Jasper." cominciò Edward. "Vi presento Dillon Baxter. E' un amico mio e di Bella." 

Mentre Edward ripeteva il racconto di quella notte, Jasper soppesava ogni parola del fratello con cautela, senza abbassare la guardia mentre l'espressione sul volto di Alice era di puro stupore.
"Cercate di capire." concluse Edward. "Dillon sapeva già dell'esistenza dei vampiri e se gli ho raccontato di noi è per mostrargli che non siamo pericolosi. Possiamo fidarci di lui. E possiamo aiutarlo a proteggere le persone dandogli ulteriori informazioni su quelli della nostra razza."Jasper rifletté per un istante. Aveva sentito parlare dei cacciatori di vampiri e sapeva quanto odiassero profondamente quelli della sua razza. Il fatto che Dillon avesse combattuto insieme ad Edward e Bella ed avesse salvato la vita di lei, portandole una sacca di sangue lo aveva lasciato basito. Se Dillon intendeva risparmiare i vampiri vegetariani allora c'era da temere per i suoi amici Peter e Charlotte. Forse, se avesse collaborato con lui, poteva guadagnarsi la loro protezione. "Io ho lavorato a lungo con i vampiri neonati. Sarò lieto di aiutarti a completare le tue ricerche."
Dillon annuì riconoscente. "Grazie, Jasper. Lo apprezzo. Vi prometto che non userò le informazioni contro voi ed i vostri amici.”
Jasper rimase colpito da quelle parole e cominciò a rilassarsi. Alice non aveva smesso di fissare Dillon per un istante, senza dire una parola, con una strana luce negli occhi. Finalmente parlò . "E' molto strano, Dillon.”disse la piccola vampira “Non ho percepito in alcun modo la tua presenza, né gli eventi di Londra. Sei stato una rivelazione improvvisa. Non mi capita spesso di sorprendermi in questo modo."
Jasper notò lo sguardo perplesso di Dillon e si affrettò a dargli una spiegazione. "Mia moglie ha la capacità di vedere il futuro dei vampiri e degli esseri umani. Io posso percepire e controllare l'umore degli altri."
Un oh di meraviglia uscì dalle labbra di Dillon. "Adesso capisco perché mi sento così rilassato ora." mormorò intuendo che la tranquillità di Jasper aveva sciolto la sua tensione. "E' piacevole come sensazione. Ti porto a vivere a casa mia, Jasper."
Tutti risero poi Dillon si rivolse ad Alice. "Hai detto che puoi vedere il futuro di umani e vampiri, giusto?"
"Si, perché ho vissuto entrambe le nature." spiegò lei con un sorriso.
"Ma non vedi il mio. Quindi non sono un vampiro ma neanche un umano."
Tutti tacquero facendosi seri in viso.
"Dillon ha delle capacità straordinarie che lo rendono simile a noi ma non sa nulla delle proprie origini. E' stato adottato." spiegò Edward.
Nella mente di Jasper si affacciò un sospetto. "Quanti anni hai?" chiese Alice con la voce rotta dall'emozione.
"Ventuno." rispose Dillon disorientato "Sono sicuro dei miei anni, tranquilli. Non sono un immortale, centenario come voi." Nessuno gli rispose. Avevano tutti uno sguardo tremendamente serio..

"C'è una ragione per cui non emani alcun odore?" chiese Jasper interessato.
"Uso una lozione che annulla gli odori corporei. La usavo durante...insomma per proteggermi."
Jasper apprezzò la delicatezza con cui aveva omesso la parola caccia. In circostanze diverse lui sarebbe stato il cacciatore e loro le vittime. Ed invece se ne stavano tranquillamente riuniti in salotto a chiacchierare amichevolmente.
"Non credi che ora potresti toglierti l'antismell?"chiese Edward.
"La forza dell'abitudine" si schernì Dillon "Lo farò domani" promise alla fine.
Suo fratello lo guardò incerto "Perché? Domani ti fiderai di più?"
Dillon rise. "No, semplicemente non ho voglia di fare un'altra doccia, stasera."  Esme e le ragazze risero divertite.
"Credo sia il momento di metterci al lavoro."intervenne Carlisle.

Si spostarono all'aperto dove il sole ormai era tramontato. Ciò non costituiva alcun problema per i sette vampiri e a quanto sembrava, nemmeno per Dillon. Jasper propose al ragazzo di simulare un combattimento con Edward per poter studiare meglio le sue abilità.
"Non fargli male!" gli raccomandò Bella preoccupata. Edward le rivolse un sorriso sghembo e le strizzò l'occhio. "Tranquilla, ci divertiremo un po'."  Dillon annuì e sorrise anche lui sollevando un angolo della bocca. Bella ebbe un sussulto e Jasper poté percepirne l'ansia materna. "Va bene, ragazzino." esclamò Edward pregustandosi la scena. "Proverò ad atterrarti. Tu cerca di difenderti."
Dillon lo guardò con sostenuta aria di sfida. "Prova tu a prendermi, vampirozzo."
Edward si lanciò all'inseguimento mentre Dillon muovendosi a zig zag lo teneva a distanza. Non aveva la stessa velocità ma riusciva a sfuggirgli con un'agilità sorprendente per un umano. Dillon saltò su di un albero dondolandosi sui rami  con entrambe le braccia per lanciarsi in alto ma Edward senza bisogno di alcun aiuto fece una capriola in aria e lo atterrò nel momento in cui toccava terra.
"Preso!" gridò bloccandogli i polsi e e spingendolo a terra con le ginocchia ma senza forzare troppo. Dillon si arrese, stizzito. Il resto del gruppetto fece un applauso. Dillon si tirò in piedi dolorante ma si riprese subito. "Mai visto nessuno riuscire a seminare un vampiro, anche se per poco!" esclamò Jasper. Quel ragazzo era molto più che umano, qualunque cose fosse. Esme e Bella vollero accertarsi che Dillon stesse bene e dopo proibirono altri combattimenti con un tono che non ammetteva repliche. "Credimi, è meglio fare come dicono." disse Edward. Dillon si lisciò i capelli spettinati e seguì i vampiri dentro casa.

Tutti in silenzio guardavano ansiosi Eleazar. Dillon prese posto sul bracciolo di una poltrona e cominciò a mordicchiarsi un pollice nervosamente. "Eleazar tocca a te." disse Edward. Il vampiro spagnolo annuì e si concentrò guardando il giovane. Edward seguendone mentalmente i pensieri, vide che riusciva chiaramente a percepire le doti delle persone presenti in quella stanza: la sua telepatia, lo scudo mentale di Bella, la preveggenza di Alice e il dono di controllare gli umori di Jasper. Riusciva anche a sentire la compassione ed il forte autocontrollo di Carlisle e la grande capacità di amare di Esme, sebbene non fossero dei poteri veri e propri. Ma Dillon invece era come un libro chiuso senza alcuna iscrizione sulla copertina. Eleazar lo fissò a lungo e poi scosse la testa. Edward non si arrese. Avevano già scoperto che Dillon era immune al potere di Alice ma non a quello di Jasper. "Riprova Eleazar." insistè Edward. "Rilassati Dillon, devi permettere ad Eleazar di leggerti."
"Non glielo sto mica impedendo!" sbuffò Dillon seccato.
"Forse è meglio lasciarlo riposare per oggi" suggerì Esme. "Dillon deve essere stanco e non ha preso niente da mangiare."
Gli altri annuirono e si alzarono in piedi facendo cenno a Dillon di seguirli nell'altra stanza. Dillon non aveva fame ma sicuramente non aveva più voglia di fare il criceto.
"Aspettate, forse ho capito. Come ho fatto a non pensarci subito!" proruppe Eleazar illuminandosi. Tutti si voltarono verso di lui. Anche Dillon si girò sorpreso. "Se non sbaglio, Edward, nemmeno tu riesci a leggere nel pensiero di Dillon." cominciò Eleazar.
L'altro annuì. "Si, tranne in qualche raro momento in cui ho intravisto quello a cui pensava, la sua mente è inaccessibile per me. Non mi capitava una cosa del genere da..." In quel momento capì anche lui.
Eleazar sorrise. "Proprio così. Dillon ha una sorta di scudo mentale."
Il ragazzo balbettò confuso. "Una sorta di cosa?"  Eleazar sorrise trionfante. "Uno scudo mentale come quello di Bella. Per quello è immune ai nostri poteri. Lo scudo forse nasconde altre capacità."
A quelle parole Edward notò che tutti si guardavano l'un l'altro pieni di speranza. Avevano già avuto la prova in passato che certi poteri potevano essere ereditari e forse....
"Dillon, ti è mai capitato di leggere i pensieri di qualcuno?" chiese all'improvviso Eleazar fissando intensamente il ragazzo.
Dillon si pose sulla difensiva. "No." rispose dopo qualche secondo.
Eleazar non pareva convinto "Ne sei sicuro?" Dillon si morse il labbro nervosamente.
"Anche se fosse?" ribattè acido.
"Non vogliamo turbarti, caro, ma solo capire qualcosa in più." spiegò Esme con dolcezza.
Dillon cedette."Mi è capitato solo una volta. Con una persona. Ho sentito nitide delle parole. Solo che non le aveva pronunciate."
Edward si incuriosì. "Chi era?"
Dillon gli rivolse uno sguardo gelido. "Non ha importanza!"
Per favore, non insistete!
Edward smise di respirare. Quelle parole avevano il timbro di Dillon e balenavano nella sua testa. "L'ho sentito!" mormorò emozionato. "Si è aperto uno spiraglio nel suo scudo."
Dillon lo guardò sbalordito. Gli altri avevano un'espressione a dir poco scioccata, quasi spaventati ed Edward se ne chiese il perché. Sapevano già che era possibile sollevare uno scudo mentale ed era una buona notizia se Dillon era riuscito a sollevarlo. Avrebbero potuto sciogliere qualche altro dubbio.
"Edward." spiegò Eleazar cauto. "Ho sentito distintamente anche io quel pensiero. Anzi, credo che lo abbiamo sentito tutti." Bella annuì trattenendo il respiro. Alice aveva gli occhi che scintillavano e stringeva forte la mano di Esme, anch'ella profondamente commossa.
"David" quel nome risuonava speranzoso nelle loro menti. Jasper e Carlisle erano troppo stupiti per parlare. Nella loro mente si ingarbugliavano mille ipotesi diverse anche se una si poneva al di sopra di tutte le altre. "Potrebbe essere lui."gli diceva suo fratello mentalmente.
Edward cercò di dominare i sentimenti che lo stavano travolgendo e si rivolse di nuovo ad Eleazar cercando maggiori conferme. "Ma questo cosa significa?"
Eleazar si concentrò maggiormente guardando Dillon. "Ne ho avuto solo una breve percezione, ma da quanto ho intravisto Dillon non ha sollevato in alcun modo il suo scudo mentale. Ha un altro potere. Può far sentire agli altri i suoi pensieri."

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

Edward osservava il miscuglio di emozioni contrastanti sul volto di Dillon: curiosità, stupore ma anche paura. Per quanto lui fosse il primo a voler scoprire altre prove, capì che forse, per il momento era il caso di fermarsi. “Dillon, non c'è nulla da temere.” disse cercando di tranquillizzarlo. “Molti di noi hanno dei poteri. Fanno parte della nostra natura.”
Il ragazzo spalancò i suoi occhi chiari. “Ma da dove vengono? E come ho fatto ad averli?”

"Sono ereditari.” spiegò Edward. “Probabilmente li hai presi dai tuoi genitori.”
O dai tuoi nonni.
"Ti ci vorrà un po' di tempo per abituarti all'idea di averli, ma vedrai che presto inizierai a conviverci e diventeranno parte di te. ”intervenne Bella “Ti potranno essere addirittura utili in caso di pericolo.”
"Mmh, interessante” fece Dillon pensieroso.

Edward sorrise dentro di sé.Probabilmente con quella sua mente agile stava pensando a come sfruttare le potenzialità della telepatia durante i suoi combattimenti.
"Dillon, devi avere fame a quest'ora.” propose Esme con dolcezza “Sarei felice di prepararti qualcosa.” Dillon sembrò parecchio sorpreso della proposta. Sicuramente non si sarebbe mai aspettato una vampira che cucinava.
"Grazie, in effetti non mangio da parecchio.” rispose compiaciuto.
Tutti lo fissarono stupiti. Eppure era arzillo e pimpante. Da dove le prendeva le forze?

"Da questa parte, caro.” disse Esme facendo cenno al ragazzo di seguirla.
Edward, guardò la madre, intenerito dalla sua costante premura, e intravide l'emozione che stava provando mentre si allontanava con Dillon nel corridoio. “Forse sto preparando la cena al mio pronipote! Spero tanto che lo sia.”
"Lo spero anch'io, mamma.”
pensò Edward, commosso.
Alice, senza dire una parola, indicò la portafinestra che dava sul giardino ed in un lampo condusse tutti fuori lontano dall’udito di Dillon. Quando fu certa che fossero sufficientemente lontani, si rivolse ad Edward sfogando tutte le emozioni che aveva represso fino a quel momento.
"Ma ti rendi conto? Quel ragazzo potrebbe essere tuo nipote!”
Edward sospirò abbassando il capo. “Certo che me ne rendo conto! E dal nostro incontro a Londra che ci penso!”
Eleazar si mise a riflettere per un istante “Ci sono troppe coincidenze. La stessa età, l’adozione, e i suoi poteri! Quale altro vampiro ha una simile telepatia? Ed è molto più umano di qualunque ibrido!”
"Si, ma non dobbiamo affrettare nessuna conclusione” precisò Carlisle.”Il piccolo David non aveva alcun potere telepatico.”
"Era così piccolo, però.” mormorò Bella. “Non potrebbe averli sviluppati in un secondo tempo?”
Edward cercò di focalizzare ogni istante di quella brevissima settimana facendo ogni possibile confronto. Ricordava perfettamente il visino bellissimo del nipotino ma all'epoca era troppo piccino per trovarvi una qualsiasi rassomiglianza con il bel ragazzo ventenne a cui sua madre stava preparando la cena.
"Edward, se non ricordo male tu potevi leggere i pensieri di David.”osservò Carlisle.
Edward rivide nella sua memoria l'immagine vivida degli occhietti teneri del nipotino che lo guardavano con curiosità. Aveva visto con chiarezza i suoi dolci pensieri rivolti alla mamma, al papà, al latte, alla ninna, ai numerosi volti che lo circondano e che cominciava a conoscere. Scosse la testa provando una fitta nel suo cuore congelato. “Sì. sono sicuro di aver letto nella sua mente.”
Bella si illuminò. “Ma forse era lui che te li faceva sentire.”
Jasper non era dello stesso parere. “Avremmo dovuto sentirli tutti allora.”ribatté dubbioso.
Bella non si diede per vinta. “Forse non era ancora in grado di farlo. Aveva pochi giorni di vita. Dillon stesso non riesce ancora a padroneggiare il suo potere. Secondo me, David aveva uno scudo mentale, Edward, ma quando tu provavi a leggergli i pensieri intercettavi solo quelli che lui voleva farti sentire.” Edward rimase a bocca aperta per quell'ipotesi. In effetti era abbastanza plausibile.
"Quindi il piccolino comunicava con Edward con il pensiero, ma lui non se ne è mai accorto. Credeva di essere lui a leggerglieli, come con Renesmee neonata.”disse Jasper assorto in quella nuova ipotesi. “Ed era anche immune al tuo potere, non è vero?”chiese girandosi verso la moglie.
Alice annuì pensierosa. “Non sono mai riuscita a vedere direttamente nel suo futuro. Credevo fosse dovuto alla presenza di Jacob e Renesmee, ma poi dopo la sua partenza ho continuato a non percepirlo. Ho sempre creduto che fosse per via della lontananza o perché non sapessi dove fosse. Fatto sta che ogni volta che provavo a cercarlo mi venivano dei mal di testa feroci.” Jasper le mise un braccio intorno alle spalle. “Non sei riuscita nemmeno a vedere Dillon mentre arrivavamo qui. Prova adesso a cercare il suo futuro.” Alice guardò gli altri che annuirono e poi chiuse gli occhi. Edward strinse forte la mano di Bella mentre aspettavano il responso. Il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore. “Nulla. Non vedo niente.” Subito dopo sorrise. “E' una buona notizia...è un'altra cosa che Dillon ha in comune con David.”
Bella esultò di gioia. “E' lui! Ne sono sicura! E' nostro nipote!” Sentirlo dire a voce alta da Bella con tale sicurezza, scosse Edward nel profondo.

"Ascoltate, non voglio deludere le vostre speranze. Penso anch'io che le circostanze siano tutte a favore della nostra ipotesi. ”concluse Carlisle serio. “Ma ci vogliono delle prove concrete da dare al ragazzo, se decidiamo di dirgli tutto.”
Bella assunse un'espressione risoluta. “Allora non diremo niente a nessuno finché non avremo i risultati delle analisi e non avrò parlato con mia figlia. Ci serve del tempo per prepararla ad una simile notizia.” Edward non poté fare altro che approvare la decisione della moglie pur sapendo perfettamente cosa avrebbe comportato per la sua piccola Renesmeè. Avrebbero dovuto riaprire una ferita dolorosa che non si era mai rimarginata.

"C'è qualcosa di speciale che ti piace mangiare?” chiese Esme facendo accomodare Dillon nella lussuosa sala da pranzo. “La carne, direi.”rispose il giovane guardandosi intorno imbarazzato. Quella tavola poteva ospitare come minimo venti persone. C'era da sentirsi sperduti lì dentro. Non gli era mai piaciuto quel genere di cose. Quando i suoi genitori lo costringevano ad andare a cene eleganti e cose del genere, non si sentiva mai a suo agio. “Aspetti le do una mano.” decise seguendo Esme in cucina. Era un ambiente altrettanto grande ed aveva un altro tavolo con sei sedie. “Preferirei mangiare qui, se non le dispiace.” chiese con un sorriso. Esme lo guardò con dolcezza.
"Ma certo, caro.” disse tirando fuori una tovaglietta e le posate. “Accomodati pure qui.” La vampira si muoveva con un'andatura umana mentre apriva il congelatore del frigorifero e e tirava fuori un paio di bistecche congelate. Dillon notò che ce ne erano parecchie e si chiese a chi fossero destinate.
"Sicuro che non posso fare niente, signora?” chiese leggermente imbarazzato, senza accennare a sedersi. “Me la cavo in cucina.”
La vampira gli rivolse un sorrise pieno d'affetto. “Esme, ti prego e non preoccuparti. Mi piace cucinare. Ho imparato quando Bella era ancora umana.” Quella frase causò a Dillon un lieve brivido, ma preferì non dire nulla. Per fortuna Esme cambiò argomento.
"Ti vanno delle verdure come contorno?
chiese riaprendo il frigorifero. Dillon annuì e prese zucchine. “Grazie, ci penso io.”
Esme mise la carne a scongelare nel microonde e porse a Dillon una padella. “Immagino che tutto questo debba essere difficile da digerie.”
Dillon intuì che non stava parlando della cena. “Ho affrontato parecchie situazioni strane in quest'ultimo anno” cominciò mentre mettenva le verdure sotto l'acqua. “E a dire il vero, credevo di aver visto tutto. Ma ora invece ...credo che sia solo l'inizio.”
Esme lo guardò ansiosa. “Com'è è stata la tua vita prima di diventare cacciatore? Sei stato felice? I tuoi genitori adottivi ti hanno voluto bene?”
Dillon sospirò. Nessuno gli aveva mai fatto quella domanda e sembrava che la vampira tenesse molto a saperlo.
"Erano due brave persone” rispose a fatica con una fitta di dolore. “Non mi hanno mai fatto mancare niente.. sì, potrei dire di essere stato felice... per quanto abbia sempre saputo di essere diverso da tutti gli altri. E lo sapevano anche i miei. Che ero strano.”
"Non sei strano.” mormorò Esme con un tono amorevole che gli ricordava quello di Laura “Sei speciale.”
Dillon sorrise abbassando lo sguardo. “Speciale...” ripetè. “Bè se non altro so fare questo. Cominciò a muovere il coltello ad una velocità fulminea, riducendo le verdure in tante rondelline. Esme rise e mise a cuocere la carne.
Cucinarono insieme senza aggiungere altro, Dillon si sentì più rilassato. Malgrado tutta la tensione accumulata, aveva parecchia fame.
Esme gli servì il piatto e gli posò una mano fredda sulla spalla. “Andrà tutto bene. Scopriremo chi sei e ritroverai la tua vera famiglia. Mangia adesso, prima che si raffreddi.”
"Speriamo.” fu l'unico commento che Dillon riuscì a tirare fuori. La vampira lo guardava come se fosse un bambino piccolo che si era smarrito. E in un certo senso era così che si sentiva.
I
l dottor Cullen Carlisle ed Edward si affacciarono sulla porta della cucina poco più tardi. “Mangiato bene?” chiesero sorridenti.
"Benissimo, grazie.”rispose il ragazzo posando la forchetta.
"Stavamo pensando di fare una cosa, se sei d'accordo.” cominciò Edward.”Potremmo provare a testare i tuoi poteri per aiutarti a padroneggiarli. Lo abbiamo fatto una volta con mia moglie per farle estendere il suo scudo mentale .”
Dillon sgranò gli occhi. “Cioè, quella cosa che avrei anche io nella testa?” “Precisamente.” rispose Edward.
Dillon deglutì e fece una risatina per nascondere il suo nervosismo. “Perché, no? Non c'è niente di meglio di un po' di telepatia dopo cena.”

Gli altri quattro vampiri, Bella, Eleazar, Alice e Jasper, lo aspettavano nel soggiorno dove avevano spostato alcuni mobili per avere una maggior libertà di movimento.
"Spiegatemi una cosa.” esordì Dillon “Quando eravamo sul tetto della cattedrale e combattevamo contro Louis, per un attimo mi è passato davanti agli occhi un fascio di luce rossa, e in quel momento sono sfuggito al suo potere. Era il mio scudo mentale?”
Gli altri annuirono guardandolo intensamente e Dillon proseguì con interesse acceso. “Bella invece è riuscita a contrastarlo. Ma non capisco una cosa: la telecinesi non agisce a livello fisico?”
A rispondere a quella domanda fu Eleazar. “Da quanto ho capito, con la sua telecinesi Louis muove la materia degli oggetti ma quando si tratta di...” esitò per trovare il termine adatto “persone...deve manipolarne anche la mente per farli spostare. Bella ha uno scudo molto più allenato del tuo ed è riuscita a contrastare il suo attacco mentre tu...”
Dillon completò la frase al suo posto“Mentre io ci sono rimasto fregato.” si girò verso Bella risoluto. “Avanti, ragazza, insegnami il tuo trucchetto.”
Bella sorrise e gli spiegò come fare. “Adesso Edward proverà a leggere i pensieri di Jasper e di Alice. Tu cerca di coprire le loro menti.” Dillon guardò la coppietta che si era disposta da un lato della stanza mentre Edward si era messo sul lato opposto. Alice gli strizzò l'occhio mentre Jasper gli rivolse un sorriso amichevole per incoraggiarlo.
"Ok, ma come faccio.” Bella gli si avvicinò. “Chiudi gli occhi e concentrati su di loro come se li pensassi intensamente. Avrai la sensazione che la tua mente possa estendersi. Come se fosse un elastico.”
Dillon fece un respiro profondo e provò a focalizzare nella sua mente i volti di Alice e Jasper. Non provò nulla però. Né avvertì alcuna elasticità mentale.
"Prova a fare appello alle tue emozioni.” gli disse Bella vedendolo in difficoltà “Alla rabbia ad esempio.”
Dillon abbozzò un sorriso. “Dovrei farcela allora. Di rabbia ne ho una quantità industriale.” Dillon chiuse gli occhi e ripensò a Louis, al suo ghignò sprezzante quando gli aveva dato il buffetto sulla guancia e si sentì invadere dalla collera. Di nuovo quel fascio rosso gli si parò di fronte agli occhi.
"Come è andata Edward?” chiese Bella ansiosa.
"Non ne sono sicuro...ho visto i loro pensieri ma erano come...annebbiati. Non nitidi come al solito.”
Jasper ebbe un’idea. “Edward, chiedi a Dillon di comunicarti qualcosa mentalmente mentre ti tocca con la mano.”
Dillon lo guardò confuso. “Cosa dovrei fare?”
Edward annuì gli tese la mano. “E’ solo una prova. Al tatto la connessione potrebbe diventare più forte.” Dillon deglutì. “Proviamo.”mormorò mentre afferrava la mano del vampiro. Edward avvertì una specie di scossa elettrica che lo pervase fino ai piedi. Paura, ansia, rabbia, dolore e infine un nome che Dillon credeva di aver riposto al sicuro nella sua mente.
"Chi è Laura?
” pensò Edward continuando a tenere per mano il ragazzo.
"Non lo dovevi sapere...non dirlo!”
implorò Dillon mentalmente senza lasciare la presa.
"Fidati di me.”
rispose Edward guardandolo intensamente.
Dillon annuì e lentamente gli lasciò la mano. Edward doveva rimettersi dallo shock. Aveva appena avuto una conversazione telepatica con il suo presunto nipote!
"Cos'è successo?" chiese Bella. “Cosa vi siete detti?”
"Niente" risposero in coro Edward e Dillon.
Lei aggrottò le sopracciglia poi prese l'iniziativa. Tese la mano a Dillon e lo guardò seriamente. "Adesso proverai a leggere i miei pensieri. Te lo renderò più facile. Penserò al mio secondo nome, che sicuramente non puoi conoscere. " Dillon esitò ma lo sguardò di Bella non ametteva repliche. Ma perchè era così importante per loro? Prese la mano della vampira nella sua e si concentrò chiudendo gli occhi. Dopo aver connesso la sua mente con quella di Edward sentiva che qualcosa in lui era cambiato come se fosse diventato più sensibile. Per un attimo avvertì una specie di barriera mentale e riuscì a sentirne i contorni. Sembrava un vero e proprio scudo. Cercò di immaginarlo come una porta chiusa o come una saracinesca da sollevare e finalmente avvertì l'elasticità di cui parlava Bella. Ad un tratto capì che poteva aprirlo con la stessa facilità con cui avrebbe aperto il bauletto della sua moto. Nella sua mente apparve una superficie azzurra, su cui ondeggiavano delle lettere luminose. "Marie."pronunciò Dillon a voce alta.
I Cullen ed Eleazar sussultarono mentre Bella ed Edward erano più bianchi che mai.
"Ma Bella..."balbettò Edward tremando."Il tuo scudo era alzato. Io stesso non ho visto nulla."
La moglie annuì senza smettere di guardare Dillon.

"Ho volutamente chiuso ogni barriera mentale. " confermò lei. “Scusa se non te l'ho detto ma volevo sperimentare un'altra cosa.”
A Dillon cominciò a girare la testa. "Ma come ho fatto a leggerti nel pensiero se anche tu hai uno scudo?"
"Credo sia un altro dei tuoi poteri." spiegò Eleazar. "L'ho sentito molto chiaramente. Hai la capacità di oltrepassare gli scudi mentali."
"Lo stesso dono di Renesmee" mormorò Alice a bocca aperta.
"Chi è Renesmee?" chiese Dillon sempre più confuso.
Edward si girò a fissarlo posando un braccio intorno a Bella. "Nostra figlia." rispose con un filo di tristezza nella voce.
Dillon ricordò che Edward gli aveva detto di aver avuto una figlia da Bella quando era umana. La cosa lo distolse per un attimo da ciò che stava diventando un esperimento paranormale dentro la sua testa. “Scusate ma come fanno i vampiri ad avere figli? Credevo fossero sterili o qualcosa del genere…”
Edward sembrò lieto di cambiare argomento.
"Le femmine non possono procreare perché il loro corpo è immune da ogni cambiamento, come una gravidanza. I maschi invece possono. Non hai mai letto nulla in proposito nei miti e nelle leggende?”
Dillon andò con la mente al numeroso materiale che Samuel gli aveva fatto leggere e a quello che aveva cercato personalmente. “Si, so che alcune donne venivano…fecondate dai vampiri e morivano durante il parto. Quello che mi chiedo è come possa un… non morto… “deglutì nervosamente guardando i Cullen. “Senza offesa, eh? Dicevo come è possibile che…”
"Che funzioni ancora?” disse Edward divertito. “Si in effetti un non morto non dovrebbe provare… certe cose…ma da quel punto di vista…siamo molto…vitali.” Concluse la frase coinvolgendo tutti in una risata imbarazzata.”
Dillon sorrise anche lui e abbassò lo sguardo mordendosi un labbro. “Ok, ho capito che…funzionate... ma quello che mi chiedo è: come fa il patrimonio genetico a sopravvivere dopo la trasformazione?”
"Il veleno.” intervenne Carlisle. “Credo che la risposta sia nel veleno che circola nel nostro corpo. Il veleno permette l'attività sessuale e mantiene intatto il DNA, pur contaminandolo. Per questo il nascituro è per metà vampiro.”
Dillon s'incuriosì. “E gli ibridi a loro volta possono avere figli?”
La sua domanda sembrava aver messo in difficoltà i Cullen. Si guardavano gli uni gli altri incerti. Fu Edwarda rompere il silenzio.
"Nè parleremo domani. Dillon, credo che per te si sia fatto tardi. E’ stata una giornata incredibilmente faticosa per te. Per quanto tu possa essere indistruttibile ogni tanto devi pur dormire, no?”
Il ragazzo non volle insistere e si accorse che effettivamente aveva un gran bisogno di recuperare le forze. La testa cominciava a fargli male.
"Ti mostro la tua stanza.” disse Esme precedendolo.
"Domani riesamineremo con calma le scoperte fatte oggi.” gli disse Carlisle. “E potrai farci altre domande.”
"Bene, grazie.” disse Dillon avviandosi verso le scale. Era strano pensare che sarebbe stato l’unico ad andare a dormire in quella casa. “Allora, buonanotte…cioè buon proseguimento.” I vampiri lo seguirono con lo sguardo mentre lasciava la stanza, sorridendogli con affetto. “Dormi bene.”disse Jasper. “Buonanotte Dillon, ci vediamo domani.” fu il saluto di Bella.
Arrivato davanti alla porta della sua camera Dillon salutò anche Esme e si chiuse a chiave. Sapeva che i suoi ospiti non gli avrebbero fatto del male ma provava una strana inquietudine. Posò la bibbia di Laura sul comodino accarezzandone la copertina e appese la fondina della pistola carica alla spalliera del letto. Era una abitudine di cui non riusciva a fare a meno negli ultimi tempi, le rare volte, in cui andava a dormire.
Mentre si spogliava ripensò all’atteggiamento dei Cullen nei suoi confronti. Perché erano così’ affabili e affettuosi nei suoi confronti? C’era qualcosa di strano nel modo in cui Edward aveva insistito per mandarlo a letto. Era solo preoccupazione oppure stava cercando di nascondergli qualcosa? Forse era soltanto frutto della sua mente, decisamente troppo provata per quella sera.
Gli ci vollero pochi secondi prima di scivolare in un sonno profondo. Con gli ultimi istanti di lucidità Dillon si chiede se gli incubi sarebbero tornati quella notte. Forse non sarebbero stati più spaventosi della giornata appena conclusa.


 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***



CAPITOLO 19


Dillon si rigirava nel letto senza posa col respiro che diventava sempre più affannoso. Di fronte a sé vedeva lo spazio angusto di una cella di pietra appena illuminata dalla debole luce di una fiaccola. Provava a muoversi, ma le sue braccia e le sue gambe erano come bloccate. Ad un tratto il volto pallido di Laura, incorniciato dai capelli, scuri sciolti e scomposti, comparve davanti al suo. I suoi occhi chiari lo guardavano con una dolcezza inesprimibile. “Dillon…devi farlo.” Lui non capiva. La sua espressione era talmente seria e sicura come non l’aveva mai vista. Si avvicinò ancora di più a lui porgendogli il collo candido. “Devi bere il mio sangue.”
L’urlo disperato del ragazzo risuonò altissimo per tutta la casa e mise fine al suo incubo. In una frazione di secondo Edward aveva buttato giù la porta e si era precipitato al suo fianco. “Dillon!” gridò allarmato.“Che succede?” Il giovane istintivamente afferrò la pistola e gliela puntò contro. “Dillon, sono io, Edward!” disse il vampiro preso alla sprovvista. Dillon abbassò l’arma ricadendo sul materasso. Il resto della famiglia si trattenne sulla soglia fissandolo altrettanto preoccupato.
Tranquilli, tutto bene.” Disse Edward ai famigliari avvertendone i pensieri agitati. ”Dillon non mi farà del male.” Tornò a fissare il ragazzo che pallido e madido di sudore riprendeva lentamente il controllo.
Scusa, ho avuto un incubo.” disse respirando affannosamente. Edward si sedette sul letto accanto a lui. “Ti succede spesso?”
Troppo spesso.” Rispose il ragazzo abbassando la testa pensieroso.
Edward fece cenno a Jasper di avvicinarsi e Dillon si sentì invadere da una profonda pace. Quella sensazione riuscì a strappargli un sorriso.
Come ho già detto, ti porto a vivere con me, Mr. Relax.” disse guardando Jasper. Il vampiro biondo rise per quel nuovo soprannome.
Tutti respirarono più tranquilli. Edward scambiò uno sguardo con Carlisle e poi si rivolse di nuovo a Dillon. “Avevi promesso di venire disarmato.”
Il giovane sbuffò. “Si, lo so.”
Ti dispiace?” chiese Edward allungando la mano verso l’arma.
Se ti consegnassi i proiettili?” propose Dillon. Edward ci pensò su poi accettò. Dillon scese dal letto con addosso solo i pantaloni del pigiama e andò verso il mobile su cui aveva appoggiato la valigetta con le bloody silver. Prese la custodia dei proiettili e la consegnò al vampiro.
Grazie. Adesso anche gli altri.” disse Edward accennando alla pistola che Dillon teneva ancora in mano. Dillon con movimenti agili e veloci delle mani svuotò il tamburo e fece cadere i proiettili nella scatolina che aveva dato ad Edward. Fu talmente veloce che nemmeno il vampiro si accorse che Dillon ne aveva fatto scivolare uno nella tasca del pantalone. “
Dillon, qui nessuno di noi vuole farti del male.” cominciò Edward.”E ti proteggeremo da chiunque ti stia dando la caccia.”
Dillon lo guardò confuso tornando a sedersi sul letto. Con quell’aria smarrita e agitata, ed i capelli biondi spettinati, sembrava un ragazzino indifeso.
Non ho paura di voi.” rispose distogliendo lo sguardo. “E nemmeno di chiunque mi venga a cercare.” Mentre parlava gli fu chiaro ciò che provava. Quello che il suo incubo gli aveva rivelato. “ E’ di me stesso che ho paura.”
Edward gli posò una mano sulla spalla. “Andrà tutto bene. Te lo prometto.”
Jasper continuò ad usare il suo potere per far rilassare il ragazzo che alla fine si stese di nuovo posando la testa sul cuscino.
Dovresti provare a riaddormentarti.” disse Carlisle. “Sembri esausto.”
Dillon annuì e socchiuse gli occhi.
Credo sia meglio lasciarlo solo.” aggiunse Esme. Dillon a quelle parole riaprì gli occhi.
Vuoi che qualcuno di noi resti con te?” gli chiese ad un tratto Bella ansiosa.
Dillon scosse la testa. “No, andate pure…ma prima vorrei chiedere una cosa ad Edward in privato.”
Bella fece cenno a tutti di uscire. Se ne andò per ultima, speranzosa.
Dimmi pure.” chiese Edward con uno dei suoi sorrisi migliori.
Dillon sospirò e tirò fuori le parole: “Da quanto tempo sei telepatico?”
Da quando sono diventato vampiro. Prima avevo il dono di intuire i pensieri delle persone e questa cosa si è concretizzata dopo la trasformazione.”
Come hai reagito quando ti sei accorto per la prima volta di poter sentire i pensieri della gente?”
E’ stato uno shock. Non sempre ascolti cose che vuoi sentire. Ma col tempo ho imparato a conviverci. Mi è stato utile per proteggere la mia famiglia.”
Ti sei mai sentito un mostro?”
Edward fece una risata amara. “Si, certo. Ma non perché ero un telepate.”
Dillon abbassò gli occhi imbarazzato. “Oh, certo. Capisco. Deve essere stato... difficile all’inizio.”
Edward annuì. “Molto. Per fortuna Carlisle ha saputo guidarmi sulla strada giusta. Non so dove sarei adesso senza di lui.”
Dillon ebbe l'impressione di sentirlo rabbrividire.
E chi guiderà me sulla giusta strada?” chiese sollevandosi a sedere. “Edward, sono più simile a voi di quanto immaginavo! Ho perfino i vostri poteri! Cos’altro scoprirò?”
Il vampiro non rispose subito.
Dillon, sei più umano di tutti noi messi insieme.” disse alla fine Edward. “Se siamo riusciti noi ad avere un’esistenza quasi normale, non vedo perché tu…”
Dillon rise. “La parola normale l’ho accantonata da un sacco di tempo. Non voglio fare del male a nessuno. E tutto quello che chiedo.” Si irrigidì rivedendo l’immagine nitida del suo incubo.
Edward lo afferrò per le spalle guardandolo diritto negli occhi.
Ti prometto che non succederà. Farò tutto il possibile perché tu stia al sicuro. Compreso da te stesso.”
Dillon si sentì per un momento a disagio ma poi annuì. “Grazie.”
Edward sorrise. “Adesso dormi. Resterò qui finché non ti addormenti.” Dillon avvertì di nuovo la sensazione di essere trattato come un bambino ma la vicinanza di Edward gli poteva essere utile. “Se ti accorgi che ho un altro incubo, prometti di svegliarmi?” chiese mentre si coricava.
Edward gli strizzò l'occhio. “Va bene. Buonanotte.”
Dillon gli rivolse un sorriso debole e finalmente richiuse gli occhi. Il sonno lo raggiunse poco dopo senza portargli altri incubi.
 
Mentre il respiro del ragazzo si faceva sempre più regolare, Edward lo fissò a lungo, cercando in quei lineamenti, finalmente distesi dal sonno, ogni possibile somiglianza con i volti da lui amati. Si ricordò di quando cantava le note della ninna per Bella e poi per Renesmee e le cullava tra le braccia fino a farle addormentare. O di quando aveva composto quel brano al pianoforte per il piccolo David e glielo faceva ascoltare mentre Nessie e Jacob lo tenevano in braccio. Ma Dillon non era più un bambino. E nemmeno David dovunque fosse.
Avvicinò con estrema delicatezza la sua mano gelida alla fronte del giovane, per tergerne il sudore e la ritirò di scatto pieno di stupore. Dillon non aveva la febbre eppure la sua pelle era diventata caldissima!
Il brusio confuso dei pensieri degli altri travolse Edward mentre scendeva le scale. Tutti confabulavano mille ipotesi, proponendole a voce alta o tenendosele per sé. E purtroppo Edward era costretto a sorbirsi tutto quel frastuono mentale come se la stanza fosse piena di gente. Ovviamente quello su cui tutti concordavano era che avevano ritrovato il piccolo David.
Non appena sentirono arrivare Edward tutti si zittirono e interruppero il loro flusso di pensieri. “Così va meglio.” sospirò Edward.
Si è calmato?” chiese Bella preoccupata.
Sì, ora dorme. Sta meglio, ma mi sono accorto che la sua temperatura è salita.”disse con cautela.
Vuoi che lo visiti?” chiese Carlisle prontamente.
No, adesso dorme. Comunque potrebbe anche essere qualcos’altro.”disse Edward. Mentre tutti lo guardavano interrogativi, lui si rivolse alla moglie.
Bella, tu ricordi quando Jacob stava per diventare un licantropo?”
Bella sussultò e sollveò lo scudo per mostrargli nei suoi ricordi da umana il periodo in cui il suo migliore amico aveva cominciato a dare di matto. “Perché me lo chiedi? Dillon, sta manifestando qualche... sintomo?”
Non ne sono sicuro ma ha la fronte bollente e non è influenza.”
Edward, ma mi spieghi di quale altra prova hai bisogno?” sbottò Alice spazientita. “I suoi poteri sono esattamente la copia dei tuoi, di quelli di Bella e di Renesmee. E adesso comincia a scottare come il tuo genero lupesco. Cos’altro aspetti per gettargli le braccia al collo?”
Edward fece un sospiro. “Una prova più concreta. Come i risultati delle analisi ad esempio.”
Manca poco.” Disse Carlisle annuendo. “Sapete comincio ad essere preoccupato. Dillon ha una struttura genetica complessa ma perfetta al tempo stesso. Se sviluppasse ancora la sua forza e imparasse ad usare i suoi poteri mentali potrebbe diventare letale persino per noi. Riuscirebbe ad ucciderci tutti con facilità.” Quella dichiarazione lasciò tutti di stucco.
La prima a riprendersi fu Bella.“Dillon non lo farebbe mai. E’ un bravo ragazzo.” protestò decisa.
E se perdesse il controllo? Ai licantropi può succedere. Lo hai visto anche tu.” continuò Edward. “Per questo dobbiamo rivelare la verità a Dillon solo quando saremo sicuri e solo quando lo avremo preparato ad affrontarla.”
Io ho deciso di partire.” annunciò Eleazar. “Voglio parlare con quell’ex membro della Guardia Reale per confrontare le nostre informazioni. Se scopro qualcosa vi avviserò subito.” I Cullen lo guardarono con gratitudine e lo salutarono calorosamente. Eleazar non aspettò che fosse giorno e presa la macchina si allontanò in fretta verso Londra. La notte passò velocemente mentre le tre coppie rimaste non facevano che parlare del ragazzo addormentato al piano di sopra. Jasper chiese di nuovo i particolari del loro incontro e del duello con Louis e Edward, mentre Alice e Bella ripensavano a quando Renesmee aveva scoperto di essere incinta. Da tempo non riparlavano insieme di quei momenti così brevi e al tempo stesso così felici.
 
Edward ad un tratto fu scosso da una scia di pensieri familiari che si avvicinavano. “Fratellino! Indovina chi c’è?” Erano i pensieri di Emmett. Che piacere provava nel sentire quella voce familiare. “Sono certa che Edward rovinerà la sorpresa…” commentò la voce di Rosalie poco dopo. Edward sorrise. “Stanno arrivando Emmett e Rosalie. Sono qui vicino.” Alice arricciò il naso. “E’ strano che non gli abbia visti! E’ vero che sono stata distratta da questa storia di Dillon…ma nel momento in cui hanno trovato il volo e sono partiti avrei dovuto avere una visione! Che strano!” Jasper sembrò avere un’intuizione e guardò la moglie sospettoso. “Prova a vederli adesso.” Alice obbedì ma dopo un istante riaprì gli occhi sorpresa. “Li vedo percorrere il vialetto. Saranno qui tra circa venti secondi. Eppure ci sono delle lacune nella visione … come quando.” Tutti sapevano che cosa o meglio chi poteva interferire con le visioni di Alice.
Papà! Papà!” risuonò una voce nella testa di Edward.”Sono io. Ce l’ho fatta. Non dire niente a mamma. Voglio farle una sorpresa.” Per Edward era una gioia incredibile sentire di nuovo i pensieri di sua figlia. Era riuscita a raggiungerli.
Hai visto succhiasangue? Ci siamo anche noi!” il pensiero di Jacob si aggiunse a quello di Renesmee. Sembravano tutti pazzi di gioia. Il campanello suonò poco dopo. Fu Esme a correre alla porta per stringere tra le braccia i suoi figli.
Eccoci! Finalmente!”esclamò Emmett aprendo le braccia. Dopo aver preso in braccio Esme e Carlisle insieme, il massiccio vampiro tese le braccia ad Edward e Jasper. “Venite qui, ragazzacci! Fatevi dare una bella stritolata.” Edward si rilassò per un istante e lasciò che Emmett lo soffocasse tra le sue enormi braccia per qualche minuto. Le ragazze e i genitori intanto stavano salutando Rosalie. La bella vampira bionda era cambiata tanto in quegli ultimi anni. Le gioie rappresentate dalla nascita di Renesmee e poi del piccolo David avevano addolcito la sua espressione rendendola ancora più bella, così come le sofferenze le avevano tolto quell’aria di superiorità che portava come una maschera. Abbracciò con entusiasmo Esmer. Carlisle, Alice ed infine Bella. “Mi siete mancati così tanto.” mormorò commossa. “Anche tu, Rose.” le rispose Bella felice.
Sei impeccabile come sempre.” Le disse allegramente Alice. “Quella camicetta è deliziosa.” Rosalie rise. “Grazie.”
Emmett dopo aver strapazzato tutta la famiglia prese la parola rivolgendosi a Edward e Bella.
Vi abbiamo portato un bel regalino!” annunciò gongolando.
E’ per tutta la famiglia a dire il vero.” Lo interruppe Rosalie. “Si, ma è una loro…produzione.” rise Emmett. “Anche se il pacchettino comprende un altro accessorio...maleodorante.” L’intera famiglia comprese e guardò oltre la porta ancora aperta. Due odori inconfondibili precedettero le voci delle due persone che si trovavano ancora al di fuori della soglia.
La tua solita simpatia da orso…”fu il commento acido ma divertito del giovanotto robusto che mise piede nella stanza al fianco di una fanciulla bellissima. “Renesmee!” gridò Bella e in un istante corse a stringere la figlia tra le sue braccia. Erano passati mesi dall’ultima volta che l’aveva vista. La baciò, e l’abbracciò finché non sentì che il vuoto della separazione non lasciava posto alla gioia del ritrovarsi. Quando riuscì a lasciarla andare permise a Edward di abbracciarla anche lui e andò ad accogliere Jacob. “Che magnifica sorpresa.” esclamò Edward esultante.
Rachel e Paul sono venuti a darmi il cambio con papà.” spiegò Jacob “Lui stava meglio e ho colto l’occasione per portare Nessie e trovarvi. Moriva dalal voglia di vedervi e anche io.”
Edward accarezzò i riccioli di Renesmee e la guardò adorante. “Non potevi farci un regalo più bello.” Nonostante la sua preoccupazione per l’improvvisa comparsa di Renesmee e Jacob, si sentiva pieno di gioia, nel riavere accanto a sé sua figlia ed anche il suo strano genero a cui ormai voleva bene come a un fratello. Diede un rapido abbraccio anche a lui
Allora, ragazzi?”continuò Emmett. “Avete già fatto danni in giro da queste parti? Quando andiamo a caccia?”
Edward rise. “Ci andremo presto ma ti avverto che da queste parti ci sono solo cervi.” Emmett sbuffò borbottando:
Certo che dopo il grizzly californiano accontentarsi di qualche cerbiattino non mi ispira molto…ma per la famiglia questo e altro!” Tutti risero quando ad un tratto un alito di vento da una finestra del piano di sopra portò giù una fragranza delicata e pungente al tempo stesso.
I Cullen inspirarono quell’odore incuriositi mentre Jacob alzò la testa di scatto in direzione delle scale. ”Cos’è questo profumo?” chiese sospettoso. “O meglio di chi è?”
Edward tremò mentre annusava di nuovo quello strano profumo. Era l’odore di Dillon.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


CAPITOLO 20

Dillon riaprì gli occhi fissando la luce che filtrava dalla finestra. Si sentiva un pò meglio ma era ancora turbato dal suo incubo nonostante la promessa di Edward. Non poté fare a meno di ricordare l'espressione serena sul volto di Laura che dormiva come una bambina nonostante il suo male. Si sorprese nuovamente nel constatare quando gli mancasse. Istintivamente prese la piccola bibbia sul comodino e si mise a sfogliarla. Laura aveva l'abitudine di sottolineare i suoi passi preferiti con colori diversi ed usava diversi segnalibri fatti a mano su cui erano scritti dei versetti. Dillon ne lesse qualcuno con un sorriso intenerito sulle labbra. Era come se lei gli avesse regalato una parte della sua vita. Alcuni rumori dall'esterno lo distrassero. Un'altra macchina stava avvicinandosi al castello. Bene, altri vampiri in visita! Cosa volevano fare i Cullen? Mostrarlo agli amici come fenomeno da baraccone? Sbuffò nervosamente con un sospiro che somigliava di più ad un ringhio. Forse non era un gran male. Forse tra tutti quei vampiri avrebbe potuto incontrarne uno che potesse dirgli chi era. Richiuse la bibbia di scatto e si alzò dal letto per farsi una doccia. Quel giorno l'antismell non gli sarebbe servito.
Mentre posava il libro aperto sopra il copriletto non si accorse di un foglio che scivolava a terra. Qualcosa che Laura gli aveva restituito mettendola dentro le prime pagine: la lettera di sua madre.

"Fammi capire bene Edward."disse Jacob dopo aver ascoltato il racconto di Edward. "Dopo che questo ragazzo ha aiutato te e Bella, tu gli hai raccontato tutti i nostri segreti e lo hai portato qui in questa casa?" Edward vide che i pensieri di Jacob erano tutti rivolti alla sicurezza di Renesmee e dei suoi cari e non potè fare a meno di comprenderlo. "Stai tranquillo Jacob, non c'è niente da temere." gli spiegò con calma e tranquillità. "Dillon sapeva già dell'esistenza dei vampiri e ha sempre tenuto la cosa segreta. Se gli ho parlato dei vampiri vegetariani l'ho fatto solo per rassicurarlo sul nostro conto. Non dovete temere nulla da lui ve lo assicuro. Non è qui con intenzioni ostili." Rosalie guardò Edward sospettosa. "Sei sicuro che possiamo fidarci? Edward, ci sono troppi rischi ad ospitarlo. Prima di tutto è un cacciatore di vampiri. Chi ti dice che non sia qui per le nostre teste ? E poi come se non bastasse è finito nel mirino dei Volturi, coloro che cerchiamo di tenere a distanza da vent'anni."

"Ventuno." precisò Renesmee con una punta di tristezza. Gli sguardi di tutta la famiglia si posarono su di lei. "Zia Rose." cominciò con quel tono di voce dolcissima che tutti amavano. "Questo giovane ha salvato mia madre e mia padre. Non era tenuto a farlo ma ha dimostrato di essere una persona leale ed altruista. Io mi sento debitrice nei suoi confronti e voglio aiutarlo. A costo di affrontare di nuovo i Volturi."

Jacob le si avvicinò circondandole le spalle con un braccio. "Nessie, amore. Se dovessimo allearci con un loro nemico potrebbero attaccarci senza pietà. E stavolta non so come potremo cavarcela. Il branco è rimasto a Forks, i vostri alleati sono sparsi in giro. Potremmo non avere il tempo di organizzare un piano difensivo..."

Emmett lo interruppe tutto emozionato. "Beh la miglior difesa è l'attacco. Possiamo sempre organizzare una spedizione punitiva a Volterra! Se poi questo cacciatore di vampiri vuole allenarsi un pò...mi offro volontario per aiutarlo! Sarei curioso di vedere come se la cava."
Rosalie gli tirò un pugno nella pancia mentre Edward scuoteva la testa con un mezzo sorriso. "Emmett" spiegò Carlisle. "Non andremo da nessuna parte. Non ci sono scontri in vista. Per quanto riguarda i Volturi, dovremo avere presto notizie da Eleazar. Gli abbiamo chiesto di fare qualche indagine in proposito."
"Ma come mai Dillon ha quest'odore così particolare?"continuò Renesmee che sembrava più interessata al ragazzo che al pericolo rappresentato dai Volturi. "Qual'è la sua natura? Sono tutti così i cacciatori di vampiri?" Edward esitò prima di rispondere. "Non lo sappiamo di preciso...è quello che stiamo cercando di scoprire..." si interruppe di fronte all'espressione stupita di sua figlia.

"Papà, scusa ma quanti anni hai detto che ha?" I pensieri turbati di Bella, dei suoi genitori e di Alice e Jasper s'infilarono nella sua mente. "Sta cominciando a capire, Edward!"
"Devi dirle la verità."

Edward fece uno sforzo per dominarsi e con un sorriso forzato rispose alla domande di Renesmee. "Non lo so di preciso. Dimostra circa venticinque anni..." Quando lesse la delusione negli occhi di Renesmee vide che nella sua mente aveva soffocato un pensiero prima che prendesse forma. Un pensiero legato al suo bambino perduto. "E' un ragazzo molto simpatico." intervenne Esme. "Sono sicura che vi piacerà molto."

Emmett ridacchiò. "Vuoi dire che gli possiamo dare un assaggino?" Stavolta fu Bella a tirargli un pugno nella pancia. "Stavo scherzando sorellina! Che vuoi? Un'altra sfida a braccio di ferro?"
Jacob si alzò dal bracciolo della poltrona dove stava appoggiato e si rivolse ad Edward. Il suo tono di voce era calmo e cordiale ma molto serio. "Mio caro suocero, potresti farmi vedere dov'è la cucina? Ho un pò di appetito." Emmett rise. "Hai lo stomaco senza fondo, lupastro! Pensate che sull'aereo si è ripulito tutti e quattro i vassoi." Jacob lo ignorò e si chinò su Renesmee accarezzandole i riccioli ramati. "Tu vuoi qualcosa, amore?" Renesmee scosse la testa immersa nei suoi pensieri. "No, grazie." Jacob si allontanò con Edward sotto lo sguardo preoccupato di Bella. Non appena furono nella stanza Jacob afferrò Edward per le spalle e lo sbattè contro il frigorifero. "Mi dici che stai combinando? Chi è quel tipo?" Edward lo lasciò fare percependo che i suoi gesti erano dettati da una sincera preoccupazione.

"Ti prego succhiasangue dimmi che non è come penso."insistè il genero. "Jacob, non posso dirvi niente perchè i miei finora non sono che sospetti." Jacob non mollò la presa. "Ha quell'odore strano. Non è umano, non è un vampiro e non è un licantropo. Combatte contro le sanguisuga malvagie e i Volturi lo cercano. A chi pensi che lo abbia associato Nessie? Sicuramente glielo avrai letto nel pensiero. A me basta uno sguardo per capirla, senza che lei usi il suo tocco." Edward annuì. "Si, lo so." Jacob continuò preoccupato."Chi è quel Dillon? Mi devi dire cosa c'è sotto succhiasangue. Non è da te fidarsi del primo venuto e portarlo a casa." Edward si decise e fissò seriamente il genero. "Ascolta Jacob, quel ragazzo presenta molte affinità con i vampiri e temo anche con i licantropi. Ma non è tutto. Ha dimostrato di avere gli stessi poteri mentali che abbiamo io, Bella e Renesmee." Jacob mollò lentamente la presa su Edward.
"Ma se ha venticinque anni non può..."
"Era una balla, cane! Non ne ha più di ventuno."
Jacob lasciò ricadere le braccia sui fianchi.
"Si, Jacob. Ho ragione di credere che Dillon possa essere David: tuo figlio."
Il robusto mutaforma era impallidito nonostante il suo colorito rossastro.
"Com'è possibile? Lui era...umano. Lo aveva adottato una famiglia normale. Carlisle aveva detto così."
"I suoi genitori adottivi sono morti due anni fa. E potrebbe aver sviluppato i poteri in un secondo momento. Almeno questa per ora è una teoria."
"Teoria!" Jacob tornò ad alterarsi mantenendo sempre un tono di voce basso per non farsi udire. " No, tu non mi fai a pezzi dicendo che forse hai trovato mio figlio e poi mi dici che è una teoria. Voglio una prova, dannazione! Un analisi del sangue! Un test del DNA! Inventatevi qualcosa! Siete voi i medici..."
"Carlisle sta confrontando dei campioni di sangue ed attende i risultati tra 24 otr. Si tratta solo di aspettare."
"E cosa diciamo a Nessie nel frattempo? Lo dobbiamo illudere per nulla? Darle la speranza di poter riabbracciare il figlio e poi dirle "No, ci siamo sbagliati"? Io non so se potrebbe sopportarlo."
"Hai ragione. Neanche io voglio farla soffrire. Ma ha la testa di piena di domande e vedendo Dillon forse potrebbbe arrivare a qualche conclusione da sola."
"Aspetta. Lascia che lo veda io per primo. Poi deciderò come comportarmi con lei." Edward la giudicò una buona idea. Sentiva il bisogno di lasciare la stanza. Non poteva più sopportare i ricordi dolorosi di Jacob legati al piccolo David.
Jacob riviveva l'attimo in cui aveva stretto il piccino tra le braccia e questi gli aveva regalato un sorriso. Quando lo aveva visto per l'ultima volta nel seggiolino della macchina poco prima che partisse. E poi un altro ricordo, ignoto ad Edward, della sera in cui era stato decisa l'adozione del bambino. Jacob aveva aspettato che sua moglie si addormentasse spossata dai singhiozzi. Aveva rimboccato la copertina a David che dormiva nella culla con un'espressione beata ed ignara di tutto.
Poi lentamente era uscito fuori, cominciando a correre sempre più veloce, finché la trasformazione non lo aveva travolto e diventato lupo aveva raggiunto la scogliera sfogando tutto il suo dolore in un grido disperato.
Si era allontanato il più possibile perché lei non lo sentisse e non lo vedesse soffrire. Tutto quel dolore ora tornava a riempire la mente di Jacob invadendo anche quella di Edward. Al vampiro sembrava di sentire anche del dolore fisico. Era terribile.
"Me lo lasci vedere o no?" chiese Jacob riprendendosi dopo qualche minuto.
Edward annuì e fece per avviarsi verso la porta ma si bloccò di colpo.
"E' troppo tardi! Dillon sta scendendo le scale."

 

 

Dillon scese lentamente gli ultimi scalini osservando con curiosità i nuovi arrivati. C'era una coppia di vampiri che lo scrutava con un misto di curiosità e diffidenza. Lui era alto e possente con uno sguardo vivace e lei era di una singolare bellezza con degli splendidi capelli biondi e lunghissimi.
Aveva la strana impressione di averli già visti da qualche parte.
"Dillon." disse Esme sorridendo affettuosamente "Questi sono Emmett e Rosalie, gli altri miei due figli adottivi."
Dillon si avvicinò accennando un sorriso ma senza porgere la mano. "Piacere." disse mostrandosi cordiale. Rosalie rimase inespressiva annusando lo strano odore del ragazzo mentre Emmett si alzò andandogli incontro con un sorriso divertito. "E così tu dai la caccia ai vampiri cattivi?" Dillon si chiese cosa ci trovasse di così divertente. "Si, infatti." Emmett sorrise ancora di più. "Mi porti con te un giorno?" Sembrava un ragazzino che voleva andare alle giostre. "Non farci caso, Dillon. A mio fratello piace un pò troppo combattere." intervenne Edward sopraggiungendo dal corridoio insieme ad un altro ospite. Rimase colpito nel vedere un umano in quella casa. Era un ragazzo altissimo e muscoloso, sui venticinque anni al massimo, un nativo americano dai capelli corti e neri. A differenza degli altri non indossava abiti ricercati ma dei comodi jeans ed una t-shirt. Il suo cuore batteva forte e la sua pelle emanava un calore intenso. Il suo odore sapeva di terra umida e di bosco. A Dillon piaceva quel sapore selvaggio in mezzo alle fragranze profumate e dolci dei vampiri ma non gli sembrava per niente quello di un umano. Eppure doveva esserlo. Cos'altro poteva essere? E perché lo stava squadrando con quell'aria strana? Il giovane gli passò di fronte senza togliergli gli occhi di dosso e prese posto accanto ad una ragazza che Bella teneva abbracciata per la vita. Dillon guardò attentamente la fanciulla e capì che doveva trattarsi della figlia di Edward e Bella. La famosa mezzosangue di cui aveva sentito parlare. Era di una bellezza incredibile, perfino superiore al fascino glaciale e perfetto emanato dai vampiri. Non dimostrava più di diciotto o vent'anni. I lineamenti fini e regolari erano gli stessi del padre mentre gli occhi avevano lo stesso taglio di quelli di sua madre ma a differenza dell'ambra che contraddistingueva le iridi dei genitori erano di un marrone scuro color cioccolata, con lunghe ciglia nere. I capelli castano ramati, di una tonalità più chiara di quella di Edward, avevano dei riflessi dorati ed erano raccolti in un morbido chignon da cui sfuggivano alcuni riccioli. Un frangia liscia le incorniciava il volto candido dalle guance rosee. Una bellezza eterea e perfetta come quella dei vampiri ma calda e viva come un'umana. Il suo cuore batteva veloce. Dillon sentì una strana emozione di fronte a quella creatura straordinaria. Forse perché era la prima volta che vedeva un'ibrida. "Lei è mia figlia Renesmee" disse Bella orgogliosa. Renesmee lo guardava intensamente con una curiosità mista a stupore. "Sono felice di conoscerti..." mormorò emozionata. Il suono della sua voce ebbe un effetto strano su Dillon. Si sentì come commosso. Come se in quella voce ci fosse qualcosa di familiare in grado di tranquillizzarlo. Poi vide che in fondo agli occhi di quella fanciulla si intravedeva una profonda tristezza che in qualche modo era diventata parte di lei. "E così adesso conosci tutta la famiglia al completo." disse Esme dopo qualche minuto. "Non tutta" ci tenne a precisare Renesmee. Dillon si chiese se gli eventuali membri della famiglia assenti avessero qualcosa a che fare con la tristezza che opprimeva Renesmee. Chi poteva mancare? I Cullen formavano tutti delle coppie. Qualche altro fratello o sorella adottivi? Forse un figlio? Ma i vampiri non potevano procreare tra di loro. Si chiese se gli ibridi invece ne fossero capaci. Ad un trattò Renesmee si alzò e si diresse verso di lui tremante, come colpita da un'illuminazione. Jacob provò a trattenerla posandole una mano sulla spalla ma lei lo ignorò dirigendosi verso Dillon come se fosse la sola persona presente nella stanza.

Edward vide che il ricordo del suo bambino aveva preso il sopravvento e a dispetto dell'età lo stava cercando nel volto di quel ragazzo sconosciuto. Tutti gli altri presenti assistevano senza fiatare alla scena. Renesmee guardò Dillon con attenzione e gli si avvicinò quasi fino a sfiorargli il viso con il suo annusando l' odore della sua pelle come se potesse ritrovarvi la dolce fragranza del piccolo che aveva tenuto tra le braccia 21 anni prima. Jacob fissò Edward allarmato che sospirò ansioso guardando la figlia. Bella seguiva ogni gesto di Renesmee piena di speranza. Dillon era il più confuso di tutti non capiva cosa stesse succedendo ma ebbe come l'impressione che quella ragazza mezzavampira cercasse di riconoscerlo. Il suo cuore ebbe un sussulto e provò ad usare il suo potere telepatico per comprenderne i pensieri. Tutto quello che riusciva a vedere era l'immagine sfocata di un bambino piccolo e un nome che Renesmee ripeteva nella mente come una preghiera. DAVID.
"Chi è David?" chiese Dillon con un fil di voce.
"Mio figlio." ripeté lei. Gli posò la mano sulla guancia e gli mostrò nitidamente il volto di un neonato. Dillon era stato informato di quel potere ma trasalì lo stesso di fronte al ricordo che Renesmee gli aveva trasmesso: era talmente vivido come se avesse di fronte quel bambino. Dillon deglutì a fatica."Cosa gli è successo?"
"Ho dovuto darlo in adozione, ventuno anni fa." rispose lei addolorata chinando il capo. Dillon iniziò a tremare allontanandosi da lei e dal resto del gruppo.
"Edward si sta agitando troppo." pensò Jasper girandosi verso il fratello intuendo lo stato d'animo del ragazzo.
"Che significa questo?Cosa state cercando di dirmi?!" esclamò Dillon alzando il tono della voce.
"Niente, cerca di stare tranquillo." rispose Edward andando verso di lui cercando di usare un tono tranquillizzante. Jasper lo affiancò cercando di usare il suo potere ma la tensione di Dillon era talmente forte da contagiare anche lui.
"Che legame c'è tra me e quel bambino?"insistè Dillon.
"E' una storia molto lunga, Dillon..."fece Edward sconvolto
Dillon aggrottò le sopracciglia. "Fammi il riassunto."
"Non ne siamo ancora sicuri" spiegò Carlisle "Sono solo ipotesi. Preferiamo aspettare i risultati delle tue analisi prima di emettere sentenze."
"Papà? Perché non me lo hai detto?" gridò Renesmee sbalordita. Nei suoi occhi comparve la delusione ed un forte senso di tradimento.
"Bene! Sei contento adesso, succhiasangue." Sbraitò Jacob soffrendo per il dispiacere che avevano provocato a Nessie.
"Tesoro, mi dispiace..." provò a dire Edward.
"Non poteva farlo prima di esserne sicuro." sussurrò Bella accarezzandole i capelli.
"Sicuro di cosaaaaaaaaaa?" urlò Dillon sempre più alterato. Rosalie spalancò gli occhi e fece un passo verso Dillon guardandolo più attentamente. "David?"mormorò incerta. Anche Emmett realizzò quello che stava accadendo e fissò il ragazzo a bocca aperta. "Noooo. E' impossibile..."
"Cosa è impossibile?" strillò Dillon frustrato.
"Non volevo darti false speranze." spiegò Edward abbattuto. "Per questo non te ne ho parlato prima, ti chiedo di perdonarmi."
"Bene, sei perdonato" ribatté Dillon acido. "Ma adesso, Edward, non vorrei sembrarti troppo curioso ma ti dispiacerebbe dirmi chi sono?"
Edward posò lo sguardo su Bella che annuì invitandolo a parlare. Esme e Carlisle fecero lo stesso. "
Coraggio." pensavano di comune accordo. Alice e Jasper erano dello stesso parere. Emmett e Rosalie pendevano dalle sue labbra. Jacob riuscì a dominare la sua rabbia e attese paziente posando le sue grandi mani sulle spalle delicate di Renesmee che con gli occhi lucidi guardava il padre implorante.
"Si." ammise Edward. " Non ne siamo sicuri, Dillon, ma credo che tu possa essere il figlio della mia Renesmee e di suo marito Jacob Black. "
Dillon trattenne il respiro guardando Renesmee e Jacob. Non riusciva a crederci. "Cosa?...Ma come posso essere figlio loro? Sono così.."
"Giovani?" chiese Edward intuendo la sua perplessità. "Non è del tutto esatto. Mia figlia ha raggiunto la maturità a sette anni. Da allora ha quell'aspetto. "
"Ma lui è un umano! O no?" chiese Dillon sospettoso indicando Jacob.
"Sono qui, ragazzino. Chiedimele di persona le cose." ribatté brusco Jacob.
"Hai ragione, scusa." rispose Dillon con lo stesso tono. "Se non sei un umano, né un ibrido, nè un vampiro, allora cosa sei?"
"Dillon, nei tuoi studi sul soprannaturale non hai mai sentito parlare di esseri in grado di trasformarsi in animali?" chiese Edward cauto. Dillon non rispose. Aveva paura di farlo.
"Jacob è un licantropo." spiegò Bella.
Dillon impallidì e ripeté mentalmente quella parola nella sua mente. Licantropo. Il calore che emanava il giovane indiano, l'odore selvatico assunsero un significato. La sua mente si perse per un attimo e si lasciò andare ad una lunga risata isterica. "Non ci credo. Non ci voglio credere."
"Dillon, ti prego." lo supplicò Bella cercando di calmarlo. "Cerca di riflettere: hai la stessa età che avrebbe mio nipote. Hai i nostri poteri mentali. Ed anche tu sei stato adottato quando eri ancora in fasce."
"Potrebbero essere delle coincidenze." intervenne Jacob con prudenza. "Non perdiamo di vista questo dettaglio. "
"Le coincidenze cominciano ad essere troppe, cane." ribatté Edward. "Non perdiamo di vista questo dettaglio."
"Può esserci un'altra spiegazione per le sue capacità." continuò Jacob "E poi non ci vedo nessuna somiglianza fisica. Guardatelo bene. E'... biondo."
"Biondo ramato." precisò Carlisle. "Sembrano schiariti dal sole soprattutto. Alla radice se ci fai caso sono castano chiaro, come i riflessi sui capelli di Renesmee. Ed hanno una fibra liscia e setosa come i tuoi." A quelle parole Jacob rimase in silenzio e prese ad esaminare con maggior attenzione il viso di Dillon. Scorrendo lo sguardo sulla linea diritta e fine del naso e sulle labbra piene e regolari gli sembrò di vedere una bellezza armoniosa e virile che gli ricordava i lineamenti dei Quileute. Gli occhi avevano un taglio bellissimo, quasi a mandorla, intensi e limpidi di un colore chiaro e luminoso. Anche David li aveva chiari ma di quel colore indefinito che hanno i neonati. "Ha gli occhi azzurri." notò infine con un tono più calmo e con un interesse crescente.
"Sono verde acqua a dire la verità." osservò Carlisle. "Un colore abbastanza raro. Mi ricordano quelli di un altro ragazzo." Tutti si girarono a guardarlo incuriositi. Edward sussultò. "Oh..."
"Proprio così, Edward. Quando eri umano i tuoi occhi erano dello stesso colore. Non te lo ricordi?"
Edward ritrovò nei suoi fumosi ricordi umani un rapido flash della sua immagine nello specchio della sua vecchia casa a Chicago mentre si preparava ad uscire. "Li avevo presi da mia madre..." mormorò in attimo di commozione per quella ritrovata parte di sé.
Bella lo prese per mano dando uno sguardo affascinato agli occhi di Dillon pensando che si intonavano alla perfezione sul volto incorniciato dai capelli bronzei di suo marito.
"Scusate se vi rovino il quadretto." sbottò Dillon ansioso. "Ma come fate a dire una cosa del genere? Da quando avete quest'idea?"
"Da Londra." ammise Edward. "Ma era ancora una supposizione. Adesso comincio a crederci sul serio."
"Quindi..."riprese Dillon ridendo nervosamente "se la vostra supposizione è esatta non sono semplicemente il figlio di un mostro. Ma di due! Dove sono finito in un circo degli orrori?"
Sul volto di Renesmee comparve una smorfia di dolore mentre Jacob sentì crescere la rabbia. "Per tua informazione lei non è un mostro. E' per metà umana. Come me."
"Ed io cosa sarei: una sottospecie di incrocio tra due mostri? No! Non posso! Non voglio crederci."gridò Dillon col volto in fiamme. La sua voce risuonò altissima per tutta la casa e prima che gli altri se ne potessero rendere conto era già sparito di corsa su per le scale. L'intera famiglia lo seguì in un battito di ciglia. Edward, Bella e Renesmee entrarono per primi e videro Dillon girato di spalle che armeggiava con qualcosa di metallico.
Prima che potessero proferire anche una sola parola Dillon si voltò puntando la pistola contro di loro. "Credevo mi avessi dato tutti i proiettili!" esclamò Edward sconvolto. "Tutti tranne uno" rispose Dillon con uno sguardo gelido. Jasper percepì la sofferenza e la disperazione provata dal ragazzo e rabbrividì. Aveva paura che potesse fare qualche sciocchezza. Alice si concentrò per qualche minuto. Non riusciva a vedere nulla. La visione era offuscata piena di lacune. Riuscì ad intravedere i Cullen al completo riuniti nel soggiorno e sembravano abbastanza tranquilli.
"La visione dovrebbe avverarsi tra pochi minuti." pensò mentalmente in modo da rassicurare Edward. Il fratello si rilassò e con un sospiro provò a muovere un passo verso Dillon.
"Non ti muovere." gridò il ragazzo con gli occhi rigati di lacrime.
"Non puoi ucciderci tutti con un proiettile."disse cercando di farlo ragionare.
"Me ne basta solo uno e non è per voi."spiegò Dillon portandosi la pistola alla tempia. "Noooooooooo!" gridò Renesmee tendendo una mano verso di lui. Jacob la trattenne stringendola a sè in un gesto protettivo. Nessuno sapeva cosa fare mentre Dillon continuava a parlare. "La mia vita è un incubo senza fine! Non so neanche più cosa sono! Che altro mi resta?"
Edward si morse le labbra frustrato perché non poteva leggere nei suoi pensieri.
Fu Renesmee a prendere la parola. "Ti prego non farti del male. Non voglio perderti di nuovo!" Dillon ricambiò lo sguardo sorpreso per quella sicurezza.
"Lo so che è difficile da accettare. Ma se sei così sconvolto forse è perchè ci credi anche tu." Dillon trasalì per un istante a quelle parole. Era tutta una suggestione o aveva già sentito prima di allora quella voce dolcissima? Sentiva il bisogno di sentirla parlare ancora. "Ci sono cose che non si possono capire con la mente. Sono invisibili agli occhi. Smetti per un attimo di pensare, Dillon e cerca di vedere con il cuore. Cosa vedi?" Si avvicinò ancora di più. Dillon sentì nascere uno strano conforto in quei grandi occhi vellutati pieni d'affetto per lui e allentò la presa sull'arma lasciandola cadere a terra.
"Non lo so" mormorò. "Vorrei soltanto capire..."
"Forse dovrebbe sapere tutta la storia." disse Jacob. Dillon si ricompose assumendo un'espressione concentrata. "Potete raccontarmi come sono andate le cose?"
Renesmee gli si avvicinò posandogli le mani sul volto. "Posso fare di più. Posso mostrartelo." Dillon chiuse gli occhi abbandonandosi alle immagini che il potere di lei proiettava nella sua mente. Presto perse coscienza di sè stesso e s'immerse nella storia che gli veniva mostrata. Una storia che forse era anche la sua. La storia di Renesmee e di Jacob.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


PARTE TERZA

Jacob e Renesmee
 

CAPITOLO 21

All’inizio non c’era altro che buio. Tutto ciò che Dillon poteva percepire erano due battiti cardiac: uno dal ritmo veloce ed uno sempre più debole. Delle voci oltre quella cortina di oscurità riuscivano ad arrivare fino a lui. “Presto! Il bambino sta soffocando!” era la voce di Edward. “Presto! Fatelo uscire subito!” gridò una voce di donna strozzata che all’inizio non riucì a riconoscere. “Jacob! La respirazione artificiale.” Dillon ebbe un senso di vertigine come se stesse vivendo in prima persona quel drammatico travaglio. “Le ha rotto la spina dorsale!”gemette Edward disperato. “Tiralo fuori! Ormai non sente niente!” ringhiò Jacob."Avanti Bella, continua a far battere il tuo cuore!" All’improvviso Dillon udì un sono terrificante come metallo ridotto a brandelli e finalmente vide uno squarcio di luce. Davanti a sè il volto di Edward, stravolto, con gli occhi neri pieni di commozione, sembrava guardare la cosa più bella del mondo. “Renesmee.”sussurrò.

Fu a quel punto che la voce dolce di Renesmee adulta che continuava a tenere il palmo posato contro il viso di Dillon, come una carezza, cominciò a raccontare.

“Mia madre rischiò la vita per mettermi al mondo. All’inizio non capivo che le mie forze erano superiori al suo fragile grembo e che le assorbivo ogni energia vitale. Sapevo solo che lottavo per sopravvivere e che amavo il suono della sua voce. Non faceva altro che ripetermi quanto mi amasse e quanto fossi speciale per lei. L’amavo tanto e non vedevo l’ora di vederla. Vedere mio padre, vedere la zia Rosalie che sembrava altrettanto impaziente, vedere tutti quelli che orbitavano intorno a lei preoccupati e pieni di premure. E volevo vedere lui. Non capivo chi fosse ma sentivo spesso la sua voce roca e ne ero molto incuriosita. Lo chiamavano Jacob.
Col tempo cominciai a capire come dovevo muovermi per non fare del male alla mamma e gli altri capirono come dovevano nutrirla. Il mio papà riusciva a sentire i miei pensieri e mi parlava. Anche lui cominciava a volermi bene. Ero felice nonostante lo spazio che mi circondava diventasse sempre più stretto e cominciassi a respirare a fatica. Poi successe tutto così in fretta. Iniziai a soffocare e ad agitarmi freneticamente. Fu solo quando vidi la luce e le braccia di mio padre mi sollevarono verso l’alto che potei riprendere a respirare. “Papà!” pensai riconoscendolo. Com’era bello! Aveva la pelle candida e i capelli ramati. “Voglio vederla.”sussurò la voce di mia madre. Era debolissima e pallida quando papà mi posò sopra il suo petto. “Renesmee...sei bellissima”mi disse tra le lacrime. “Mamma, ti voglio bene.” pensai piena di felicità. Accanto a lei c’era quel giovane altro e bruno dalla pelle rossiccia e bollente. Gli feci una carezza sul braccio perchè stava aiutando la mia mamma ma lui non si girò. Era troppo preoccupato per lei. Annusai l’aria e sentii un odore dolce e invitante proprio sotto la pelle di mia madre su cui mi avevano appoggiato. Il mio istinto mi guidò ad affondarvi i miei piccoli denti affilati. “Renesmee, no!” gridò mio padre staccandomi da lei. La mamma singhiozzò dal dolore. “Non volevo farle male.” pensai avvilita. “Mi dispiace.” Lei era svenuta. Il suo cuore era sempre più debole. “Presto, prendi la bambina.” gridò mio padre. “Salvala, papà! Ti prego.” pensai mentre altre due braccia fredde mi prendevano per portarmi via. Avevo tanta paura per la mamma, avevo bisogno di lei, ma la bella signora che mi teneva in braccio era riuscita a rassicurarmi. “Andrà tutto bene piccola, vedrai. Come sei bella!”era la zia Rosalie. Mi portò in una stanza dove mi ripulì dal sangue che avevo addosso toccandomi con la massima delicatezza e mi avvolse in una copertina bianca. Le toccai il volto chiedendole notizie della mamma e lei rimase sorpresa e affascinata. Capì e stringendomi a sè mi sussurrò. “Papà si sta prendendo cura di lei. Tornerà presto da te. Ma devi aver fame! Andiamo a preparare la pappa.” La pappa consisteva in quel liquido rosso e dolce che mi piaceva tanto e che iniziai a bere avidamente dal biberon che la zia Rosalie aveva riempito per me. Lei mi guardava con una tenerezza infinita come se non avesse desiderato altro che occuparsi di un bambino piccolo. Non eravamo sole però. Qualcuno si stava avvicinando. Zia Rose aveva posato il biberon sul tavolino e mi aveva sollevato verso il suo viso per coccolarmi senza accorgersi di nulla. Io sbirciai oltre la sua spalla e lo vidi. Era lui.
Il suo volto era una maschera di sofferenza e di rabbia ma non appena l’ebbi guardato diritto negli occhi vidi quella tensione sciogliersi e lasciar posto alla meraviglia e allo stupore. Si fermò a pochi passi da me completamente incantato mentre i suoi occhi scuri s’immergevano dentro i miei. La sua espressione mi ricordava quello che avevo provato io poco prima quando avevo visto la luce per la prima volta e tutto aveva acquistato un senso. Istintivamente tesi una mano verso di lui che subito sollevo la sua. Nel momento in cui la mia piccola mano paffuta si strinse contro il suo indice, una lacrima gli rigò una guancia e sul suo volto comparve un sorriso raggiante che splendeva come il sole. Anch’io gli sorrisi mostrando i miei dentini candidi e capii che adesso il mio Jacob era felice. Sì, perchè nel momento in cui lo avevo guardato negli occhi ero stata certa di una cosa. Lui era mio.


“Noi licantropi lo chiamiamo imprintig” intervenne Jacob con voce seria.Dillon riprese il contatto con la realtà. Vide che Renesmee aveva la mano posata sulla spalla del marito e che quindi lui aveva condiviso la visione che gli era stata appena mostrata.
“Che cosa?”chiese Dillon senza capire a cosa si stesse riferendo.
Il licantropo sospirò, guardando intensamente la bellissima mezzosangue che era diventata sua moglie. “E’ quello che ho provato quando ho visto Renesmee per la prima volta. Si può paragonare ad uno spostamento di gravità che ti attrae irresistibilmente verso una persona e da allora la tua vita non sarà più lo stessa. Niente sarà mai più importante di lei.»
Dillon notò che la guardava ancora con quello stesso senso di stupore «Si tratta di un colpo di fulmine quindi?"
“Una specie, anche se non ha lo stesso significato romantico. Almeno non all’inizio se lei è ancora bambina. Semplicemente lei è la tua metà perfetta, che ti completa, quella di cui non potrai mai più fare a a meno.”
Dillon ebbe un flash che lo riportò indietro al momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli di Laura. Una fitta di nostalgia lo attraversò per un istante. Cercò di non pensarci e si concentrò su quella conversazione. “E’ così allora che è iniziata tra di voi? Siete stati legati fin dalla sua nascita?” Renesmee sorrise ne vederlo interessato. “Beh sì lui è subito diventato indispensabile per me fin da quando ero in fasce. Dopo i miei genitori veniva lui. Ma le cose non sono state così semplici.”
“Quando hai saputo dell’imprinting?”
Renesmee sospirò. “Molto tempo dopo e l’ho saputo nel modo peggiore. Ma prima di allora sono successe molte altre cose che dovresti vedere per riuscire a capire tutto.” Detto questo tese nuovamente una mano verso di lui. Dillon guardò gli altri membri della famiglia che in piedi ad un lato della stanza avevano assistito alla scena senza parlare. Edward gli sorrise incoraggiandolo a continuare. Probabilmente poteva seguire tutto leggendo nei pensieri di sua figlia. Dillon si rilassò e posò il palmo della mano su quello di Renesmee. Voleva sapere che cosa era successo.


Renesmee posò l’altra mano su una spalla di Jacob per coinvolgerlo in quel viaggio dentro i loro ricordi e mostrò a Dillon altre immagini. Dillon chiuse gli occhi concentrandosi su quello che vedeva e si accorse che molte scene appartenevano ad un punto di vista diverso. Vide quella che sembrava Renesmee neonata. La stessa pelle candida dalle guance rosate, gli stessi occhi marroni con le ciglia folte e gli stessi ricciolini ramati. Era senza dubbio lei. La bambina più bella che avesse mai visto. Era ancora tra le braccia di Rosalie che le dava il suo speciale biberon. Renesmee poppava con il volto girato verso qualcuno guardandolo intensamente. La piccola senza staccare la bocca dal biberon fece un grande sorriso mostrando i dentini candidi e strizzando gli occhioni scuri. Subito dopo tese il suo corpicino verso quella persona perché la prendesse in braccio. Si trattava di Jacob. Prese la piccolina tra le braccia guardandola adorante e si sedette su di una poltrona cullandola con tenerezza. La bambina gli prese un dito con le manine e gli diede un piccolo morso. Jacob aveva la pelle dura e resistente ma i dentini della piccola mezzosangue riuscivano a tagliuzzarla. “Ehi!” esclamò Jacob divertito. “Sei forte piccola! Hai proprio dei bei dentini.” Renesmee fece uno strilletto di gioia. “Che amore che sei!”mormorò Jacob accarezzandole i riccioli. “Pensò che ti chiamerò Nessie. Ti piace? Il tuo nome per intero è un po' difficile.” La bambina lo tocco sulla guancia mostrandogli lui stesso mentre pronunciava quel nome. Anche a lei piaceva il suo nuovo soprannome.


“L’hai chiamata come il mostro di Loch Ness?” chiese Dillon a voce alta riaprì gli occhi guardando Jacob perplesso. Il licantropo sbuffò.
“Non c’entra il mostro. Re-nes-mee. Nes-sie. E’ solo un vezzeggiativo. Ma perchè non piace a nessuno?”
Dillon fece un sorriso sghembo. “Beh, il lago di Loch Ness non è molto distante da qui. Forse il mostro si farà vedere dalla sua omonima.” I Cullen risero sottovoce, tranne Emmett che cominciò a sghignazzare. “Grande idea! Andiamo a fargli una visitina!”
Renesmee gli accarezzò un braccio e gli sussurrò. “Non te la prendere tesoro. L’importante è che piaccia a me.” Jacob era ancora accigliato e distolse lo sguardo.
Renesmee si girò verso Dillon aggrottando le sopracciglia. “Ascolta se vuoi sentire questa storia, ti chiedo di avere pazienza e di non interrompermi. Poi potrai fare tutte le domande e i commenti che vuoi.” Dillon vedendola così risoluta non osò replicare ed annuì mormorando le sue scuse. “Beh, parla proprio come una madre.”fu l’ultimo commento di Emmett prima che Edward gli desse una gomitata nello stomaco per farlo stare zitto. “Ahi! Ma ce l’avete tutti con me oggi?”
“Emmett!” gridarono tutti. Quando anche il vampiro grande e grosso si fu zittito, Dillon chiuse di nuovo gli occhi e lasciò che Renesmee posasse le sue mani sul suo volto per continuare il suo incredibile racconto.

Un turbinio di immagini gioiose prese posto nella sua mente immergendolo nel clima di felicità e spensieratezza dei primi mesi della piccola Renesmee. La gioia sui volti dei suoi genitori quando la tenevano tra le braccia per bearsi del suo sorriso. I giovanissimi zii e gli ancor più giovanissimi nonni che le stavano continuamente intorno, coccolandola e vezzeggiandola. Renesmee passava da un ricordo felice all’altro. Era seduta al pianoforte con Edward che suonava per lei, e cercava di imitarlo premendo i tasti con le piccole dita. Era sdraiata sul letto tra le braccia di Bella e insieme sfogliavano le pagine di un libro. Era con Alice che le confezionava dei bellissimi vestitini e la piccola contenta si ammirava davanti allo specchio. Era con Rosalie che le spazzolava i riccioli ramati che diventavano sempre più lunghi. Era con Carlisle che la visitava e misurava la sua crescita. E poi era con Jacob.

“Vieni Nessie, vediamo se riesci a catturare uno di quei cervi!” mi diceva lui spronandomi con entusiasmo. Annusai l’aria e arricciai il naso. Non andavo matta per il sangue animale ma la sfida che mi aveva proposto Jacob mi emozionava. Si avrei catturato un cervo tutta da sola e avrei fatto vedere alla mamma quanto ero diventata brava. “Jake, fai il lupo prima.” lo pregai. Mi piaceva quando si trasformava e mi faceva salire sulla sua groppa. Quel giorno però dovevamo fare una gara. All’epoca non dimostravo più di due anni ma mi muovevo con agilità e saltando riuscivo perfino a saltare sui rami degli alberi. Il mio amico faticava a starmi dietro a volte, anche se sospettavo mi facesse vincere apposta. Jacob, obbedì prontamente alla mia richiesta e scomparve tra i cespugli. Tornò poco dopo sotto le spoglie del gigantesco lupo dal pelo rossiccio che avevo imparato ad amare. Anche quello era il mio amico. Quando tesi le braccia verso di lui alzandomi sulle punte dei piedi lui abbassò la testa per leccarmi la faccia. Io risi e gli grattai la testa. “Niente favoritismi, però.”ci tenni a precisare. “Promesso?” Lui chinò l’enorme testa come per annuire. Io non ero del tutto convinta. Ormai lo conoscevo bene. “Devi promettere altrimenti ti faccio il solletico.” Jacob soffriva il solletico sulla pancia in particolare quando diventava un cane gigante. Jake si finse impaurito e indietreggiò. In quel momento dimenticai la sfida e saltai sul suo dorso facendolo abbassare. Jacob si mise a pancia in su lasciandomici camminare sopra. Io cominciai ad accarezzargli il ventre peloso come piaceva a lui. La sua reazione come al solito fu quella di spalncare la bocca mostrando i denti affilati in una specie di sorriso lupesco. Subito dopo cominciò a guaire e a scuotersi tutto. Non ce la faceva più. Smisi di fargli il solletico e mi lasciai cadere a terra scivolando su di un suo fianco. Un’altra persona avrebbe avuto paura di stare a pochi millimetri da quelle fauci e da quegli artigli spaventosi ma non io. Lui non mi avrebbe mai fatto del male. “Su Jake, andiamo a prendere qualche alce. La più grossa vedrai che la prendo io.” Jacob si alzò di scatto e mi lasciò, come al solito, qualche secondo di vantaggio.
Che lupo cocciuto!
“Renesmee! Renesmee!” udii la voce di mia madre poco distante ed un attimo dopo lei era lì, nella piccola radura dove Jacob ed io avevamo concluso la nostra piccola gara. “Il mio è il più grosso.” esclamai trionfante lasciando cadere il mio cervo. Alla fine le alci non le avevamo trovate. La mamma aveva l’aria spaventata e le saltai subito tra le braccia. “Va tutto bene, tranquilli, forse ho avuto una reazione esagerata.” Non capii cosa avesse visto ma mi accorsi che stava chiamando papà e il nonno. Gli diceva di aver visto Irina nel bosco. E chi era Irina. Poco dopo arrivarono Seth e Leah, i compagni del branco di Jacob. Seth mi era simpatico e spesso io e Jacob giocavamo con lui. A Leah invece nonostante fosse sempre abbastanza gentile con me, non sembravo piacere molto. In quattro e quattr’otto la mamma mi prese in braccio e ci incamminammo tutti verso casa. Non avevo bevuto molto. Pensai con soddisfazione che la mamma mi avrebbe dato del sangue che il nonno teneva di riserva. Meglio così.

Stava accadendo qualcosa di brutto ma nessuno volevo dirmi niente. Era straziante vedere tutti così preoccupati, guardarmi in quel modo ansioso e non saperne il motivo. C’era solo una persona che non mi avrebbe nascosto nulla e subito gli confidai i miei timori posandogli la mie mani sulle guance bollenti. “Vedi, Nessie.” cominciò Jacob “Ci sono altri vampiri, diversi dalla tua famiglia, che sono molto cattivi e pericolosi. Stanno arrivando qui e dovremo difenderci da loro.” Tremai all’idea che qualcuno venisse a farci del male. Jacob mi spiegò che il nonno aveva invitato degli amici per aiutarci e che era importante che mi vedessero. Spaventata gli toccai ancora una guancia “Non mi porteranno via vero? Mamma, papà e tu resterete con me?” Lui mi guardò intensamente e mi rassicurò. “Nessuno mi separerà da te, piccola. Rimarremo insieme.”
Jacob si guardò a guardare mio padre. “Jacob, non so se sarebbe prudente per te. Oltre alla famiglia di Tanya, gli altri vampiri non hanno rispetto per la vita umana. E non sopportano i licantropi.” Io ascoltavo dispiaciuta che a qualcuno non piacesse il mio Jacob e gli appoggiai la testa contro una spalla facendo il broncio. “Non vado da nessuna parte.” rispose risoluto Jacob accarezzandomi i riccioli. “So badare a me stesso.”
Presto avemmo visite. Mio padre mi spiegò attentamente che molti vampiri sarebbero venuti per conoscermi e che avrei dovuto mostrare loro con il mio potere la mia storia dal momento della mia nascita. Non era difficile perchè mi ricordavo tutto perfettamente. Dovevo convincerli che ero la figlia di un vampiro e di un’umana e non una bambina trasformata in vampiro. Trasformare i bambini era severamente vietato perché diventavano creature pericolose e ingovernabili, una minaccia per le persone e per la segretezza dei vampiri. Io non centravo nulla con loro. Amavo gli umani come il nonno, Sue e i miei amici Licantropi. Il sangue umano mi piaceva ma avevo imparato da papà che non si doveva fare del male a nessuno. Ricordavo ancora il dolore che avevo causato alla mamma da umana quando l’avevo morsa. Mi salirono le lacrime agli occhi. Per colpa mia la mia famiglia era in pericolo. Quella vampira Irina mi aveva scambiato per una bambina immortale e aveva dato l’allarme ai Volturi, l’antichissima e temibile famiglia di vampiri che faceva rispettare le leggi nel nostro mondo. Dovevamo convincerli della nostra innocenza prima che ci giustiziassero per un crimine che non avevamo commesso. Per quanto fossi piccola capivo che la causa di tutto ero io e la mia strana natura. Nè umana, nè vampira, nè licantropa. Non ero nulla di conosciuto. Quella nuova consapevolezza mi riempiva di sconforto. “Vedrai che piacerai a tutti.” mi disse Jacob notando il mio broncio preoccupato. “Stai tranquilla.”


“Bonita! Como eres linda, mi amor.”Alla vampira bruna che si chiamava Carmen sembravo piacere molto e mi guardava entusiasta invitando gli altri ad avvicinarsi. Il suo compagno e le due vampire che li accompagnavano piano piano capirono di potersi fidare e accettarono il mio racconto. Rimasero affascinati dalla storia della mia nascita e guardarono i miei genitori con occhi pieni di meraviglia e di gioia. Si schierarono subito al nostro fianco come aveva previsto mio padre nonostante le scarse speranze di riuscita. Lo stesso accadde per gli altri visitatori che pian piano sopraggiunsero in visita, attirati dal grido di aiuto di Carlisle e della sua famiglia.
Avevano quasi tutti gli occhi rossi come quelli della mamma quando si era appena trasformata e non sembravano apprezzare molto la presenza di Jacob. Io lo vedevo arricciare il naso per il disgusto e trattenere un ringhio quando chiedevano un’auto per andare a caccia. Dover tollerare la presenza di tutti quei vampiri carnivori era davvero frustrante per lui ma non si lamentò neanche una volta e non smise mai di sorridermi. Io ero incuriosita e affascinata da quella bizzarra comitiva che aveva affollato casa Cullen. Venivano da paesi lontani e avevano poteri affascinanti. La mia preferita era Zafrina, una delle vampire definite amazzoni per via del loro aspetto selvaggio e delle lunghe membra. Zafrina poteva evocare qualsiasi immagine desiderasse e farla passare per vera. Come dimostrazione fece comparire intorno a me e a mio padre una fitta foresta pluviale che sembrava reale. “Ancora!” pregai io emozionata. Zafrina mi accontentò e continuò a mostrarmi le sue bellissime foto animate. Nonostante la natura ferina quando era insieme a me riusciva quasi ad addolcirsi. Era la prima volta che faceva giocare una bambina. Passai quasi tutto il mio tempo con lei sotto lo sguardo vigile di Jacob mentre i miei si allenavano per combattere. Fu durante uno di quegli allenamenti che mamma scoprì che poteva estendere il suo potere e proteggere anche gli altri dagli attacchi dei vampiri più temibili. Questo ci avrebbe permesso di guadagnare tempo.


Dillon rifletté con interesse sulle potenzialità rappresentate dallo scudo. Voleva imparare a padroneggiarlo alla perfezione. Avrebbe potuto essergli molto utile. Voleva saperne di più sui terribili Volturi prima di trovarsi con il loro fiato gelido sul collo.

Prima che quel temuto giorno arrivasse potemmo passare qualche lieto momento insieme a Charlie. Era Natale, il mio primo Natale e mi avevano spiegato che si trattava di un giorno speciale in cui la famiglia si riuniva e si scambiava dei regali. Ricevetti degli oggetti meravigliosi. Mio padre mi regalò un Mp3 con dei bellissimi brani musicali e mia madre mi donò un medaglione d’oro.

Renesmee scostò la mano da Dillon e interruppe il flusso delle immagini per mostrargli il medaglione. Dentro c’era una foto minuscola di Edward, Bella e Renesmee da piccola. Dillon sorrise intenerito e pensò all’orologio di suo padre che adesso si trovava nelle mani di Laura. Sapeva cosa voleva dire avere un oggetto che ricordasse una persona cara. Dall’altra parte c’era un’incisione in francese. Dillon conosceva diverse lingue così tradusse facilmente:
più della mia stessa vita. Quelle parole per qualche motivo lo commossero poi notò il bracciale di pelle intrecciata che Renesmee portava al polso. Sembrava avere una fattura indiana. Probabilmente glielo aveva regalato Jacob. “E questo?” chiese sfiorando il bracciale con le dita.

“Nessie, vieni qui piccola.” mi disse Jacob mentre eravamo riuniti nel salotto a casa del nonno.
C’erano anche i licantropi al completo con le loro compagne. Aveva qualcosa nella mano nascosta dietro la schiena. “Ho qualcosa per te. Chiudi gli occhietti.” Tutta contenta obbedii mentre lui annodava qualcosa intorno al mio polso sottile. Feci uno strilletto di gioia quando lo vidi. “Che bello! Quanto mi piace! E' come quello di Emily!" Jacob annuì. “Questo bracciale per noi Quileutes ha un significato. Sam lo ha regalato a Emily perchè è la persona che ama di più al mondo. E per me quella persona sei tu." Feci un sorriso raggiante e buttai le mie piccole braccia al collo di Jacob mentre papà assisteva alla scena con un ringhio di disapprovazione. Mia madre invece sembrava contenta, come se quel piccolo regalo la rassicurasse. Ancora non lo sapeva ma mia madre aveva intenzione di affidarmi a Jacob e di farci fuggire nel caso lo scontro si fosse rivelato fatale per noi ed avesse segnato per sempre la fine dei Cullen.

La neve aveva cominciato a cadere stendendo il suo manto su tutta la foresta ed io la guardavo affascinata giocando in mezzo ai fiocchi di neve. Era la prima volta che la vedevo ed avevo l’impressione di trovarmi dentro una fiaba o dentro una delle immagini che Zafrina creava per me. Tutto era diventato di un bianco immacolato e luminoso. Correvo spensierata sotto lo sguardo vigile della mamma dimenticando per un attimo il pericolo che si stava avvicinando sempre di più. Jacob era con me in forma di lupo e insieme ci tuffavamo nei mucchi di neve, rotolandoci e ridendo insieme. “Renesmee, vieni.” mi chiamò la mamma. “Dobbiamo andare.”
La saltai in braccio posandole la testina sulla spalla e le toccai il collo per mostrarle i miei giochi meravigliosi. Lei mi baciò i capelli e cominciò a correre affiancata da Jacob che ci seguiva a grandi zampate. Papà ci stava aspettando insieme al nonno in una radura dove avevano montato una tenda. Era abbastanza spaziosa da ospitare quattro persone. Entrai insieme ai miei genitori mentre il nonno andava a radunare gli altri. Jacob si ritrasformò in umano e con addosso i suoi soliti calzoncini jeans si sedette con noi tutto allegro. “Di nuovo in tenda, eh.” disse divertito guardando i miei genitori. Mio padre abbassò lo sguardo con un sorriso sghembo mentre mia madre rimase assorta e pensierosa. Chissà quando erano stati in tenda insieme? Pochi minuti dopo i loro volti preoccupati mi ricordarono che i nostri nemici stavano arrivando.
Passai la notte abbracciata a Jacob cercando conforto e lui mi cullò a lungo per farmi addormentare. Papà mi canticchiava la sua ninna nanna. Di solito mi addormentavo in braccio alla mamma ma quella notte volevo stare al calduccio insieme al mio amico. Presi tra le dita il lobo morbido dell’orecchio di Jacob e ci giocai cercando di prendere sonno. Lui non protestava, si lasciava fare tutto poverino. Il giorno dopo la mamma mi fece indossare degli abiti resistenti e mi diede uno zainetto da portare sulle spalle. Non mi disse cosa ci fosse dentro. “Quando verrà il momento, dovrai lasciarmi.” No! Non potevo separarmi da lei, da papà, da Jacob, da tutti. Lei era triste quanto me. Se avesse potuto credo che l’avrei vista piangere. “Non dire niente a Jacob finché non ti dico di fuggire.” Annuii con gli occhi lucidi e salii sulle sue spalle lasciando che mi portasse fino alla radura in cui aspettavamo l’arrivo dei Volturi. Non si fecero molto attendere. Poco dopo li vedemmo comparire all’orizzonte.

Non potrò mai dimenticare quando venne il momento in cui mostrai la mia storia ad Aro. I suoi rossi occhi opachi mi facevano paura ma non volevo tirarmi indietro. Avevo la possibilità di provare l’innocenza della mia famiglia e di salvare tutti. Aro rimase affascinato e spiegò agli altri la verità ma questo non fu sufficiente a fermare i propositi minacciosi dei Volturi. “Non sappiamo cosa diventerà questa bambina. Solo ciò che si conosce è sicuro. Rappresenta quindi una minaccia.” Le nostre speranze vacillarono e la mamma si preparò a lasciarmi. Jacob mi rivolse uno sguardo angosciato e mi guardai riflessa nella sua grande pupilla nocciola per qualche minuto. “Fuggite appena potete.” gli disse mia madre posandomi sulla sua groppa. Era davvero finita? Stavo per separarmi dalla mia mamma e dal mio papà per sempre? Ancora una volta ero io la causa che spingeva i Volturi ad attaccarli. Io li avevo attirati qui con il mio insolito aspetto e adesso davo loro motivo di distruggerci tutti per il mio futuro incerto. Dove avremmo potuto nasconderci io e Jacob. Lui mi avrebbe protetto a costo della sua vita, lo sapevo e sarei stata costretta a veder morire anche lui.
Quando tutto sembrava perduto, mio padre alzò la voce rivolto verso Aro con un tono speranzoso. “Se potessimo avere le prove che in futuro mia figlia non costituirà alcuna minaccia, ci lasceresti andare?” Quali prove? A cosa aveva pensato papà? Drizzai le orecchie elettrizzata mentre Aro dava solennemente la sua parola impegnandosi a desistere se avesse avuto quella prova. A quel punto mio padre la chiamò. “Vieni avanti, Alice!” Esultai dalla gioia per il suo ritorno! Quanto mi era mancata!
La zia Alice e lo zio Jasper arrivarono correndo in mezzo a noi accompagnati da una vampira alta e flessuosa come Zafrina e altri due nuovi arrivati. Una era una piccola vampira bruna e l’altro era un ragazzo dalla pelle scura e gli occhi chiari. Lo guardai incuriosita. Non era un vampiro perchè il suo cuore batteva ma la sua bellezza era superiore quasi soprannaturale. Annusai l’aria in cerca del suo odore. Il suo sangue non aveva niente di umano ne ero sicura. sembrava molto simile...a me! Il giovane incontrò il mio sguardo e poi i suoi occhi si posarono su mia madre. Sembrava triste. Capii il perchè quando la piccola vampira che dichiarò di essere sua zia ci raccontò la sua storia. Sua madre aveva amato un vampiro e aveva avuto una gravidanza come quella della mia mamma. Purtroppo nessuno aveva potuto salvarla quando aveva partorito perchè il padre di Nahuel l’aveva abbandonata e la povera Huilen non sapeva cosa fare. Mi venne da piangere al pensiero che anch’io avevo rischiato di uccidere mia madre.
Nahuel aggiunse che suo padre, il vampiro Joahm era tornato a cercarlo ma lui si era rifiutato di seguirlo. Non aveva visto amore nel suo cuore ma solo lo spietato progetto di creare una razza perfetta dall’unione di umani e vampiri. Riflettei a lungo in seguito su quanto fossi fortunata: io ero il frutto di un grande amore e non il risultato di un crudele esperimento. Compiansi sinceramente Nahuel che non aveva più la sua mamma e che si ritrovava un sadico pazzo come padre. La sua storia comunque convinse i Volturi che i mezzi vampiri non costituivano un pericolo. Nahuel disse di avere oltrepassato i centocinquant’anni e che aveva raggiunto la maturità a sette anni. Poteva nutrirsi sia di cibo umano che di sangue ma a differenza di me, i suoi morsi erano velenosi. Aveva lui stesso trasformato la zia quando era ancora neonato e da quel giorno vivevano insieme come una famiglia.
Aro vide che ormai non aveva più pretesti per attaccarci e dopo aver dato la sua parola davanti ad un numero così grande di testimoni non volle rischiare di mettere a repentaglio il prestigio e l’autorità dei Volturi. Trattenemmo tutti il respiro finchè non li vedemmo scomparire nella foresta. Un’esplosione di gioia ci travolse tutti e presto mi trovai circondata da baci e abbracci. Papà strinse forte me e la mamma contro il suo petto e Jacob insieme agli altri lupi, ululò di felicità. “Posso restare con voi allora?” chiesi rassicurata. “Per sempre.” mi promise la mamma.
E mentre lei e papà si davano un bacio.tesi la mano verso Jacob che ci strusciò sopra la sua enorme testa affettuosamente. “Resteremo qui, Jake. Staremo sempre insieme.” Lui annuì e nei suoi grandi occhi vidi brillare una lacrima di felicità.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


CAPITOLO 22
 
Dopo quel giorno nulla turbò la serenità mia e della mia famiglia. Tutto continuò a scorrere immutabile ed armonioso come il corso del fiume che scorreva intorno alla nostra casa. L’unica a subire dei cambiamenti ero io. La mia crescita rapida non allarmava più i miei genitori, tuttavia vedevo un certo dispiacere nei loro occhi quando sfogliavano gli album con le mie foto che si riempivano in fretta, e confrontavano la mia immagine attuale con quella ritratta negli scatti di poche settimane prima. Avevo una famiglia numerosa piena di attenzioni per me. Avrei potuto diventare una principessina viziata con molta facilità visto che avevo tutto quello che poteva desiderare una mezza vampirella. Ma il mio carattere diventò tutt’altro che capriccioso e per due motivi. Prima di tutto il ricordo di mia madre che mi posava sulla groppa di Jacob per dirmi addio, era rimasto per sempre impresso nella mia mente e dopo aver rischiato di perdere tutti i miei cari non avevo mai più dato per scontato ogni coccola, ogni regalo ed ogni gesto d’amore che avevo ricevuto in seguito. Poi aveva cominciato a diffondersi in me una strana curiosità verso il mondo esterno. I confini del mio mondo formato dalla nostra casetta di pietra, dalla grande villa sul fiume e dalla foresta cominciavano a starmi stretti. Quando la mamma mi portava a trovare il nonno mi sporgevo curiosa dai finestrini cercando di sbirciare qualcosa oltre i vetri oscurati. “Non ti perdi nulla amore. Forks è una città molto piccola. Non c'è niente di interessante." mi diceva la mamma. Mi chiedevo come potesse essere una grande città piena di persone e correvo a documentarmi sui libri illustrati e sui film. Mi sarebbe piaciuto conoscere altri bambini. Per quanto diversi da me, dovevano essere interessanti.
“Perché non posso andare a scuola papà?"sbuffai un giorno dopo l’ennesima discussione. Dimostravo circa cinque anni all’epoca. Mio padre smise di suonare il piano e si girò chinandosi verso di me. “Renesmee, te l’ho già detto.” cominciò alzando gli occhi al cielo. “Tu cresci molto più in fretta di qualunque altra bambina. Se ne accorgerebbero. E poi qui a casa puoi ricevere l’istruzione migliore che tu possa desiderare. Esme ti fa da maestra, io ti insegno musica, la zia Alice ti insegna a dipingere, la mamma ti legge le migliori opere della letteratura...” Aveva ragione. Sicuramente la mia famiglia ne sapeva di più di tutti gli insegnanti del mondo ma non mi bastava. “Ma tu mi devi mandare a scuola! Lo devi fare per legge, sai? L’ho letto su di un libro.” Mio padre fece un sorriso sghembo. “Credimi, Nessie. Non penso proprio che qualcuno si presenterà ad arrestarmi perché non ti ho iscritto a scuola.” La mamma si avvicinò posando un vaso di fiori sul pianoforte e accarezzò i capelli arruffati di papà. “Senza contare che sei il genero dello sceriffo. Non hai niente da temere.” Lui la attirò a sé circondandole la vita con un braccio. “Il fatto che sono un vampiro è solo un dettaglio, vero?” Lei rise e si sedette sulle sue ginocchia. “C’è solo una persona di cui devi avere paura, e sono io.”
“Sto tremando dalla paura!” rispose lui divertito. Quando cominciarono a baciarsi io lasciai la stanza indispettita scrollando i miei riccioletti. Eravamo alle solite. Mai che mi prendessero sul serio. Giunta sulla porta fui attratta da un odore familiare di terra umida e bosco. “Jacob!” gridai saltandogli in braccio. “Mi sei mancato dov’eri?” Lui mi strinse affettuosamente accarezzandomi i capelli.
“Bambolina tenera!” mi disse con un sorriso raggiante.“Sei cresciuta ancora! Anche tu mi sei mancata! Sono andato a trovare il mio papà che doveva farmi una bella ramanzina.”
Doveva essere giornata. “Ti va di andare a fare un giro nel bosco?” gli chiesi tutta felice. “Certo con..” Non fece in tempo a finire la frase che lo afferrai per la mano e lo trascinai via dopo aver gridato verso casa che stavo andando a giocare con Jacob. I miei genitori si affacciarono allarmati ad una finestra. “Mi raccomando non vi allontanate troppo.”gridò di rimando mia madre. “Riportala prima che faccia buio.”aggiunse mio padre. “Promesso!” strillò Jacob correndo con me verso gli alberi. “Jacob, trasformati!” lo pregai emozionata. “E’ più bello gareggiare con un lupo.” Jacob sorrise e si sfilò la T-shirt. “Girati Nessie.”mi pregò imbarazzato. “Ed allontanati, non voglio rischiare di farti male.” Obbedii pur sapendo che il mio Jacob non mi avrebbe mai potuto fare del male. Un attimo dopo sentii del fiato caldo farmi il solletico sul collo. Risi guardando negli occhi il grande lupo rossiccio e facendolo chinare gli accarezzai la testa. “A chi arriva primo alla radura?”gli proposi. Ed ecco che ci trovavamo a correre in mezzo alla foresta, felici e spensierati come solo due amici del cuore possono esserlo, quando dalla radura percepii delle voci e degli odori che non conoscevo. Rallentai e mi fermai al limitare del bosco sbirciando dietro gli alberi e vidi un gruppo di persone sedute sul prato intente a fare un picnic. Jacob mi raggiunse a passi felpati e e si accucciò dietro di me. Anche lui aveva fiutato gli umani. “Guarda Jacob.” gli sussurrai emozionata. “Ci sono dei bambini.” Feci un passo in avanti ma Jacob con delicatezza mi trattenne l’orlo della gonna con le sue fauci. “Non preoccuparti Jake! Starò attentissima. Sembrerò un’umana perfetta. Non si accorgeranno di niente. Su vieni anche tu. Ritrasformati.” Lui emise un brontolio contrariato ma mi lasciò andare. Senza attendere che lui si rivestisse corsi fuori oltre gli alberi. “Nessie! Aspettami!” mi gridò lui allarmato. Prima che potesse raggiungermi mi ero già avvicinata alla comitiva e quelli si girarono a guardarmi. In un primo momento rimasero piuttosto perplessi poi si ripresero a mi salutarono. “E tu chi sei?”fece un uomo incuriosito. “Mamma mia com’è bella!”mi disse una signora sorridendomi. “Non ho mai visto una bambina così bella!” Io sorrisi e accennai una piccola riverenza. Di sicuro con quel vestitino da bambola, a piedi scalzi e con i capelli lunghi fino alla vita, dovevo sembrare uscita da un libro di favole. “Piacere di conoscervi signori, mi chiamo Renesmee Cullen.” Mentre gli adulti mi guardavano affascinati, i bambini che erano con loro si erano avvicinati e mi scrutavano sospettosi. Per qualche motivo a loro non sembravo piacere molto. “Ma sei sola tesoro? Con chi sei?” In quel momento Jacob ci raggiunse . Era riuscito a portarsi dietro la t shirt Nera ed i jeans lunghi e nonostante si fossero sgualciti gli davano un aspetto piuttosto normale. Non aveva le scarpe ma nell’erba alta non si notava. “Sono con lui.” spiegai indicandolo con il ditino. “Salve, giovanotto.”gli disse un uomo presentandosi. “E’ tua questa bella bambina?” Jacob riuscì a controllare il suo nervosismo e fece un cenno di saluto. “No, lei è la figlia di una coppia di miei amici. Ogni tanto gliela guardo.” rispose cautamente. Le due signore lo guardavano molto interessate. “Oh e quanto prendi come baby sitter?”Non mi piaceva l’idea che Jacob andasse a giocare con altri bambini senza di me. “No, lui è solo mio.”
Gli altri risero poi uno degli uomini prese da parte Jacob per chiedergli informazioni sui percorsi della zona su cui fare trekking. Io mi avvicinai ai bambini cercando di fare amicizia con loro. “Bambini, salutate Renesmee. Deve avere circa la vostra età. Quanti anni hai piccola?” disse una della mamme. Mi ero già preparata quella risposta e con sicurezza dissi “Ho quasi cinque anni. Mio nonno che è un dottore mi misura la crescita ogni giorno.” Le due madri risero e mi offrirono un dolcetto o qualunque altra cosa fosse. “Non grazie. Non mi piacciono molto.”risposi gentilmente arricciando il naso davanti all’odore di quel cibo umano. “Un bambina che non mangia dolci?”fu il commento stupito per il mio rifiuto. Io decisi di ignorarle e mi misi a guardare il gioco che stavano facendo i tre bambini. “Che cosa fate?” chiesi incuriosita. “Costruiamo una casetta con dei pezzetti di legno.” mi rispose il più grande del gruppetto. “Vi posso aiutare? Ve ne prendo altri.” senza aspettare che mi rispondessero mi misi a cercare qualche altro bastoncino e subito nei vidi uno a pochi passi che sporgeva dal terreno.” Jacob che non mi aveva perso di vista un attimo mentre parlava cercò di fermarmi. “Nessie! No!” Troppo tardi. Fu quando porsi il rametto ai miei nuovi amici e vidi i volti sconvolti di tutti che compresi di aver esagerato. Avevo sradicato un alberello. Jacob me lo tolse di mano e lo ripiantò nel terreno. I bambini impauriti si rifugiarono tra le braccia dei genitori. “Come ha fatto?” esclamò qualcuno. “Radici marce.” improvvisò Jacob. “Signori, è stato un piacere conoscervi. Ma adesso dobbiamo andare.” Mi prese in braccio e fece per portarmi via. “Sei un mostro!” mi gridò una bambina poco più piccola di me. Ci rimasi malissimo e sentii salirmi le lacrime agli occhi. Non appena Jacob mi prese in braccio gli nascosi il volto dentro il collo e mi rifugiai lì mentre i suoi passi sempre più veloci ci portavano di nuovo nel bosco lontano dalla radura e da quelle persone.
Piansi a lungo contro la spalla calda di Jacob mentre lui mi accarezzava con dolcezza i capelli.
“Sono un mostro.”gemetti sconsolata.
Lui mi fece sedere sul tronco di un albero e mi sollevò il visino con delicatezza. “Tu non sei un mostro. Sei la creatura più bella che esista al mondo. Sono stato chiaro?”
Io cercai di trattenere i singhiozzi. “Allora perché mi hanno chiamato così?”
“Prima di tutto solo una di quei bambini lo ha detto. I grandi non dicevano che eri bellissima? Io credo che i loro figli siano stati un po' invidiosi di te perché hai attirato tutta l’attenzione. Devono essere proprio dei ragazzini viziati ed antipatici.”
Io abbozzai un sorriso. “Jacob, non mi hai convinta.”
Lui sbuffò. “Va bene, allora diciamo che non avevano mai visto una bambina così forte e si sono un po' impressionati. Ma questo non fa di te un mostro. Che dovrei dire io allora? Se mi avessero visto trasformato in lupo se la sarebbero fatta sotto dalla paura!”
Scoppiai a ridere. “Sarebbero morti dalla paura! E neanche tu sei un mostro.” gli posai le mani sulle guance mostrandogli tutti i ricordi dei nostri giochi quando si trasformava in un cucciolone. Jacob sorrise felice e mi sollevò tra le braccia. “Lo so che volevi fare amicizia, tesoro ma hai sempre me. Non sono meglio di dieci bambini, io?” Jacob assunse un’espressione troppo tenera con un leggero broncio.
“Certo che sì. Vali cento bambini, Jake!” risposi buttandogli le braccia al collo. Jacob mi portò di nuovo a correre nei boschi e passammo il resto del pomeriggio ad esplorare le foresta. Ormai stavo imparando a conoscerla come il palmo della mia mano. Alla fine di un’altra corsa sfrenata ci rotolammo sul prato e mi misi a fare il solletico a Jacob. Lo soffriva sia da umano che da lupo.
Restammo così ridendo e scherzando finché, ormai completamente rasserenata, mi misi a sedere e ripresi a chiacchierare con lui.
“Raccontami Jake, come mai il tuo papà ti ha sgridato.” Jacob si oscurò in volto. “Dice che è tempo che ritorni a scuola. Ma io non ci voglio andare.” Lo guardai a bocca aperta.
“Perché no?” Lui arrossì leggermente ma poi rispose con molta sincerità.
“Perché non avrei più molto tempo per giocare con te.” Ecco il motivo era molto semplice.
Jacob aveva saltato letteralmente l’ultimo anno scolastico. Da quando ero nata, il 10 settembre, non aveva avuto altro scopo che quello di proteggermi e si era preso un anno sabbatico come aveva riferito a mia madre. Presto però l’estate sarebbe finita e avrebbe dovuto tornare sui banchi. Beato lui.
“Pensa Jake: tuo padre si arrabbia perché non vuoi andare a scuola e il mio si arrabbia perché ci voglio andare.”
Lui rise “Facciamo una bella accoppiata di figli ribelli io e te.” Mi misi a riflettere giocherellando con uno dei miei riccioli. “Ehi, forse mi è venuta un’idea per accontentare tutti. Vieni torniamo a casa a dirlo a papà.” Jacob si alzò incuriosito e si avviò insieme a me per la strada di casa. “Quanto è tardi, Nessie! Tuo padre si arrabbierà di brutto!”Il solito esagerato.
“Papà non è così duro, Jake.”

“Brutto cagnaccio infame! Ti ha dato di volta il cervello? E’ così che pensi di poter badare a mia figlia?” Si può dire che quando papà seppe dell’accaduto non ne fu molto contento. Non saltò al collo di Jacob per dilaniarlo soltanto perché io ero in braccio a lui.
“Edward non è successo nulla. Ha solo cercato di fare amicizia con dei bambini...” farfugliò Jacob.
“Sradicando alberi?”chiese lui aggrottando le sopracciglia. “Potevano scoprire la sua vera natura e poi gli ha detto il suo vero nome!”
“Erano dei turisti di passaggio. Domani neanche se ne ricorderanno più!” continuò Jacob tremante. Capii che ciò che temeva era che per punizione mio padre gli proibisse di vedermi.
“Papà, è stata tutta colpa mia. Lui ha cercato di fermarmi!”dissi in tono supplice saltando nelle sue braccia. “Volevo solo trovare dei nuovi amici, visto che non mi fai andare a scuola.”
Lui alzò gli occhi al cielo e con una mano mi accarezzo i riccioli. “Renesmee, ma non capisci cos’è che mi preoccupa? Qualcuno potrebbe fare domande cercare di saperne più su dite...”
“Papà!” lo interruppi. “Ho capito. Hai paura che mi portino via da te.”
Lui annuì e i suoi occhi si fecero tristi. “Non sai cosa provo solo all’idea di poterti perdere.”
Io gli posai le manine sulla guance. “Sì papà, lo so.” Gli mostrai il ricordo che avevo del momento dell’addio prima della battaglia con i Volturi. A volte quell’immagine disturbava ancora i miei sogni. Mio padre rimase sconvolto e stringendomi forte a sé scoppiò in singhiozzi.
“Papà, scusa non volevo farti piangere! Non succederà niente. Non ti chiederò più di mandarmi a scuola. Farò la brava promesso.” Mio padre mi baciò i capelli e si rilassò.
“Mi dispiace non poterti dare quello che vorresti.” Sembrava davvero avvilito. Jacob che assisteva alla scena aveva gli occhi lucidi.
“Non ti preoccupare. Ho pensato ad una soluzione che potrebbe accontentare tutti.”
Papà fece un sorriso sghembo. “Sembri tua madre quando fai così.”
Ricambiai il sorriso. “Dov’è la mamma a proposito?”
“Alice la ha chiamata nella villa. Aveva bisogno del suo aiuto per spostare dei mobili.” La mamma aveva ancora la sua forza da neonata anche se stava cominciando a scemare con grande soddisfazione dello zio Emmett. “A quanto pare...”continuò mio padre. “...bisogna liberare una delle stanze al pian terreno. Alice dice che ne avremo bisogno molto presto.”
La zia doveva aver intravisto qualcosa del mio piccolo progetto

Fu Jacob naturalmente a informare i licantropi. “Ma tu sei matto Jake!” fu la risposta scorbutica di Leah.“Vuoi farti dare lezioni private dai vampiri? E vuoi che veniamo con te?”
Jacob aveva un sorriso a trentadue denti. “Esme sarà un’ottima insegnante. Hanno tutti un curriculum di studi che nessun prof potrebbe vantare. Io così mi prendo il diploma da privatista. Seth recupera le materie in cui ha le insufficienze. E tu ti prepari per il college.”
Leah non era affatto convinta. “Non lo so...quanto a Seth non credo accetterà. Ha ripreso a frequentare la scuola della riserva e si trova benissimo...”
Non aveva finito di parlare che Seth li raggiunse con lo zainetto in spalla. “Quando si comincia?”

Uno dei salottini del pianterreno era stato liberato da divanetti e tavolini e vi erano stati portati tre banchi robusti e uno più piccolino in prima fila. Di fronte ai banchi c’era un’ampia scrivania dotata di portapenne ed un piccolo vaso di fiori. “Wow. Dove l’hanno comprata la lavagna?” esclamò raggiante Seth. Leah si guardò intorno. “Lo sai che hanno un sacco di soldi. Hanno pure comprato le carte geografiche.” Io li raggiunsi tutta felice con un piccolo zainetto sulle spalle ed un vestitino nuovo che la zia Alice mi aveva fatto per l’occasione. Non appena nonna Esme entrò dandoci un caloroso buongiorno tirai fuori una mela rossa dallo zaino e gliela offrii. “Questa è per lei, signora maestra. Non so a cosa serva ma nei libri i bambini la portano sempre all’insegnante. La puoi usare come fermacarte se vuoi.” La nonna parve felicissima. “Grazie tesoro, che pensiero carino. La conserverò con piacere.”
“Se vuole la mangio io.” propose Seth con un sorriso.
“Sta zitto! Ti devi far sempre riconoscere.”lo rimproverò Jacob.
Esme riuscì ad adeguare le lezioni in base alle esigenze di ciascuno di noi. Si era fatta mandare il programma scolastico dalla scuola della riserva e aveva elaborato un piano di studi per i ragazzi. Portò a Leah i test di ammissione delle migliori università nonostante le proteste di quest’ultima sul fatto che non potesse permettersi rette costose. Suo padre Harry le aveva lasciato dei soldi ma lei non voleva usufruirne più del necessario, preoccupata per la madre e il fratello ancora minorenne. Esme però le spiegò che avrebbe potuto fare domanda per una borsa di studio e in ogni caso se si allenava a passare i test per i college più prestigiosi sarebbe stato facilissimo entrare anche in altri istituti meno prestigiosi. Leah piano piano si ammorbidì e cominciò ad accettare i consigli. Si era sistemata in fondo alla classe con i suoi libri ed i suoi questionari partecipando di tanto in tanto alla lezione che Esme teneva per me, Jacob e Seth. Io fui un caso singolare come del resto lo era ogni cosa nella mia vita. Passai subito al programma del liceo senza difficoltà. I miei due amici molto spesso facevano fatica a starmi dietro e a volte mi vergognavo di essere così brava. A Jacob non importava anzi era orgoglioso. Leah ridacchiava in fondo alla classe. Seth invece si deprimeva all’inizio, ma poi la cosa lo spronò a gettarsi a capofitto nello studio per raggiungere risultati migliori. Sue e Billy erano molto contenti nonostante rimpiangessero nel profondo che i loro figli non potessero avere un’adolescenza normale. “Nessuna lo è mai.” commentava Seth ridendo quando toccavamo l’argomento.
Gli altri familiari partecipavano con curiosità alle attività della scuola dando talvolta il loro contributo. Jasper si assicurava che studiassimo con cura la Guerra di Secessione. Zia Alice aveva rinunciato a rifare il guardaroba ai licantropi dopo il loro cortese rifiuto - “Prova a toccare i nostri vestiti e noi ti rifacciamo i connotati, succhia sangue sensitiva.” - e aveva provato con scarso successo di dare lezioni di storia dell’arte. In pratica piaceva solo a me. Papà veniva a controllare che Esme non facesse favoritismi di nessun tipo e quando ci dava qualche verifica si metteva a controllare che non imbrogliassimo usando il suo potere. “Renesmee, togli la mano dal braccio di Jacob. Non puoi suggerire. Fate i bravi ragazzi e sappiate che se barate io lo saprò.” La mamma aveva scelto di assumere un ruolo più tradizionale in tutto questo e mi veniva a prendere dopo le lezioni come se fosse una scuola vera, ascoltando i miei racconti su quello che avevo imparato. Nonno Carlisle veniva coinvolto soprattutto durante le lezioni di storia. Non si può descrivere quanto fosse affascinante sentirsela raccontare da chi l’aveva vissuta davvero. Si era offerto anche di aiutare Leah ad entrare a medicina visto che lei sembrava ormai aver scelto quella strada. Un giorno mi spiegò che voleva rendersi utile al suo branco e studiando medicina avrebbe potuto curare le eventuali ferite riportate in battaglia. “Speriamo che non ce ne sia mai bisogno ma in ogni caso...noi non possiamo andare in ospedale neanche per un raffreddore. Penserebbero che abbiamo la febbre da cavallo e ci metterebbero in quarantena. Un medico licantropo potrebbe servire oltre ad uno vampiro.” Fui d’accordo con lei e pensai a quanto la mia vita fosse simile a quella dei miei amici mutaforma. Eravamo per metà umani e per metà qualcos’altro che doveva rimanere nascosto. Leah mi piaceva nonostante i suoi modi scorbutici e piano piano si stava aprendo con me. Per quanto fossi innocente ed inesperta la mia mente non era quella di una bambina piccola e riuscivo a conversare come se fossi una sua coetanea.
L’anno trascorse serenamente grazie all’amicizia sempre più salda che ci legava al piccolo branco di Jacob. La mattina studiavamo tutti insieme nella grande casa. A volte i tre ragazzi restavano a pranzo oppure tornavano a casa loro. Le lezioni potevano continuare anche il pomeriggio oppure ce ne andavamo a caccia o a giocare. La notte Jake, quando non tornava da Billy, si trasformava e faceva la ronda intorno alla casetta. Io allora mi alzavo dal letto, senza farmi sentire dai miei genitori e aprivo la finestra per dargli un’ultima carezza. Poter condividere i miei studi con Jacob ed i suoi amici era stato un grande beneficio per me. Mi aveva distolto dal mio senso di prigionia facendomi apprezzare quello che avevo. Mi divertivo troppo con i licantropi per desiderare altro. “Renesmee, oggi è l’ultimo giorno di scuola.” annunciò Seth quando finimmo le lezioni per la pausa estiva. “E vi è una tradizione da rispettare in quest’ultimo giorno.” Detto questo mostrò una busta di plastica che teneva nascosta dietro la schiena. Jacob fece la stessa cosa. Sbirciai curiosa dentro i sacchetti e vidi dei palloncini pieni d’acqua. “Non ci credo! Volete farlo davvero? Tra un po' piove.” chiese Leah perplessa.
“Certo che sì!” fu la pronta risposta di Jacob. Tirò fuori un palloncino e lo soppesò prendendo accuratamente la mira su di Leah.
“Ma che gusto c’è? Dai! Siamo quattro gatti!”protestò Leah indietreggiando. “Jake non oserai. Mi sono lavata i capelli ieri.”
“Tanto tra un po' piove, hai detto.” rispose lui sornione. Jacob in un battito di ciglia lanciò il palloncino e la prese sulla pancia.
Ha osato.” commentai a bocca aperta
“Scappa piccola, qui ci bagnano.”mi gridò Leah correndo via. Io feci un salto e strappai la busta di Seth. “Ho le munizioni.” dissi porgendola a Leah. “Quindi è così.” fece Seth in tono di sfida. “Maschi contro femmine.”
Leah prese uno dei palloncini e centrò Jacob in piena faccia. Io feci lo stesso a Seth e cominciò una divertente lotta senza esclusione di colpi. L’aria si riempì di grida eccitate, risa, e palloncini che esplodevano in uno scroscio d’acqua. Mentre correvo come una pazza nel grande giardino della villa pensavo che non ero mai stata così felice. Non mi accorsi quasi della pioggerella leggera che ci cadeva addosso ma tanto eravamo già tutti zuppi ed eravamo immuni al freddo. “Cos’è quello, Jake?” chiesi quando finiti tutti i palloncini ci eravamo seduti sull’erba. Indicai un punto dove il cielo si era aperto.
“E’ un arcobaleno tesoro.” mi disse lui prendendomi in braccio. Io guardai affascinata quell’arco colorato. Ne avevo sentito parlare e avevo visto delle illustrazioni naturalmente. Ma vederlo dal vivo era un’altra cosa.
 

Esme corse alla raduna dove la mia famiglia aveva deciso di insegnare ai licantropi a giocare a baseball. Seth e Jacob non avevano mai usato le loro forze da licantropi in attività sportive e si stavano divertendo un mondo. Anche a Leah piaceva quel gioco dove poteva sfruttare la sua straordinaria velocità. Mio padre ebbe serie difficoltà a tenerle testa. Anche io provai a colpire la palla e riuscii a fare strike diverse volte. “Bravissima amore!” mi disse la mamma prendendomi in braccio. Fu allora che notammo Esme che sventolava tre buste grandi. “E’ arrivata la posta! Sono i risultati dei vostri esami!” Subito Carlisle fermò il gioco e tutti ci radunammo intorno ai nostri amici. “Mi hanno promosso!” gridò Seth. “Sono stata ammessa!” esclamò Leah. Jacob invece aprì lentamente la busta e la fissò senza dire nulla. “Allora?” chiese mio padre. “Jacob non tenerci sulle spine!”lo pregò mia madre. Esme e Carlisle lo guardavano emozionati in trepida attesa. Jacob assunse un’espressione seria seria e fu bravo a nascondere i suoi pensieri perché neanche mio padre capì cosa stava tramando. “Avanti cane! Non tenerci sulle spine!”gli disse Rosalie.
Che è successo? Ti hanno steccato?” chiese Emmett cominciando a preoccuparsi.
“Non può essere." notò Esme sorpresa. “Jacob è stato bravissimo." Lo sguardo di Jacob incrociò il mio ansioso e a quel punto il suo viso si rilassò in uno sorriso raggiante. “Ce l’ho fatta! Ho preso il massimo dei voti!!!” Tutti gridammo ed esultammo di gioia facendo un tale fracasso da far scappare tutti gli uccelli dai rami degli alberi. Io buttai le braccia al collo di Jake mentre Jasper ed Emmett lo caricavano sulle spalle portandolo in trionfo. Subito dopo ci congratulammo anche con Seth e Leah. “Dobbiamo fare una cena per festeggiare!” propose Esme. “Inviteremo anche Billy e Sue. Ed anche Charlie, Bella. Pensi che gli farebbe piacere?”
Era da tempo che non vedevo il nonno. Mi avrebbe trovato troppo cresciuta? Sapeva che c’era qualcosa di strano in me ma ormai non ci badava più. Mi voleva troppo bene.
La cena fu un successo e si aggiunsero anche i ragazzi del branco. Esme organizzò un buffet senza posti a sedere per non far notare a Charlie che i vampiri non mangiavano. Era semplice, bastava passare il piatto pieno di cibo ad un licantropo che aveva appena finito di mangiare e prendere il suo fingendo di averlo consumato personalmente. I nostri amici lupi tanto prendevano come minimo tre porzioni a testa. Alla fine gli adulti proposero un brindisi a Esme.
“Alla migliore insegnante privata di Forks!” disse Charlie alzando il bicchiere verso la consuocera. “Quale Forks! Del mondo direi!” commentò Seth. “Come ci torno adesso a scuola l’anno prossimo con quei banalissimi insegnanti? Mi mancherai Esme!” fece un broncio così irresistibile che Esme scoppiò a ridere e gli diede un abbraccio materno.
“Beh, almeno non avrai problemi a suggerire o a passare bigliettini. A scuola non c’è un prof telepate.” bisbigliò Leah. Seth rise guardando Edward che gli strizzò l’occhio.
“Sono fiera dei miei ragazzi.” disse Sue piena di gioia. “Soprattutto di Leah che finalmente andrà al college!” Leah non era abituata a stare al centro dell’attenzione e abbassò lo sguardo davanti a tutti i complimenti e le congratulazioni che le vennero fatte dopo l'annuncio.
“Mi piacerebbe che anche tu ti iscrivessi all’università.” disse Billy guardando Jacob. Lui ridendo mi prese in braccio e sollevandomi in alto tra le braccia cominciò a giocare con me.
“Papà, per piacere. Ho appena preso il diploma! Non mi va di pensarci adesso.”
“E tu Bella? Cosa pensate di fare voi due con Dartmouth? So che con l’arrivo della piccola avete cambiato programma ma adesso è passato quasi un anno. Dovreste decidere cosa volete fare della vostra vita.”
In quel momento l’attenzione di tutti si spostò sui miei genitori. Mia madre si sentiva piuttosto a disagio ma mio padre aveva già la risposta pronta. “Abbiamo posticipato l’iscrizione di un anno.” rispose tranquillo. “Partiremo all’inizio della prossima sessione.” Cosa? Io non ne sapevo nulla:
“E Renesmee?”chiese Charlie indicandomi.
“La porteremo con noi.” disse Edward come se fosse ovvio. “Abbiamo una casetta laggiù. Ci organizzeremo per frequentare le lezioni e prenderci cura di lei.”
Mentre tutti commentavano la notizia, dando suggerimenti e consigli, ad un tratto si levò un grido disperato. “No!” Jacob era impallidito e mi teneva stretta al petto tremando. “Non potete portarmela via!” Corse via disperato portandomi con sè. Grazie ai miei sensi amplificati riuscii a sentire quello che dicevano gli altri.
“Ma che cosa succede!”esclamò Charlie confuso. “Di cosa sta parlando?” Seth ebbe un’ispirazione. “La macchina! La macchina di Bella! Lei la fa usare molto spesso a Jacob che è entrato in fissa per quell’auto. La sua non la tocca neanche più. E adesso loro partiranno e si portano via la macchina.” Secondo me Charlie non si sarebbe lasciato convincere da quella spiegazione ma ormai era abituato a non fare troppe domande e poi Billy e Sue reggevano il gioco ogni volta che potevano.
I miei genitori ci raggiunsero poco dopo in mezzo al bosco. “Mi dici che ti è preso cagnaccio immaturo?” cominciò mio padre visibilmente irritato. “Fare una scenata simile davanti a tutti? Con la bambina in braccio, poi! Se ti fossi trasformato avresti rischiato di farle male! Non ci hai pensato?” Jacob rispose a tono senza allentare la presa intorno a me. “Certo che ci ho pensato, stupido succhia sangue! Ma è lei che riesce a calmarmi altrimenti mi sarei trasformato. E te lo dico ancora una volta: non potrei MAI farle del male.” Mio padre ringhiò. “Adesso posala a terra per favore. Bella prendi la bambina. Sarà meglio che io e te facciamo due chiacchiere, Jacob.” Non avevo intenzione di scendere. Mi aggrappai al collo di Jacob. “Su Nessie, vai dalla mamma.” mi disse Jacob con un tono serio cercando di farmi staccare da sé. Io avevo troppa paura di lasciarli soli. Posai una mano sulla guancia di Jacob e ne tesi una verso mio padre attirandolo verso di me. Quando anche lui sentì il tocco della mia manina sul suo volto freddo, fece un sospiro e sorrise. “Amore mio, non voglio fare del male a Jacob. Voglio solo parlargli? Ti fidi di noi?” Io scossi la testolina preoccupata.
Andrà tutto bene piccola.” mi disse Jacob “Non voglio fare del male al tuo papà. Adesso sono calmo.” Io volsi lo sguardo su mio padre con aria supplice. “Ne parleremo più tardi, promesso. Vedrai che troveremo una soluzione.” mi rispose leggendo i miei pensieri. “Non vuole partire:” spiegò rivolgendosi a Jacob e alla mamma.“Oppure vorrebbe portare Jacob con noi.” La mamma intervenne per la prima volta. “Andiamo tesoro lascia che i grandi ne parlino tra di loro. Torniamo dal nonno. Prima di andare via sai che ci tiene a salutarti.” Mi madre si avvicinò e mi prese tra le braccia allontanandosi. Io mi lasciai portare via nascondendole il volto contro il collo.
Fu solo dopo qualche anno che mio padre mi raccontò il contenuto della loro conversazione. La sua memoria da vampiro ne avevano conservato ogni sillaba.
“Jacob, credimi mi dispiace moltissimo. Non ho nulla contro di te e non voglio separarti da mia figlia per cattiveria. Ma siamo costretti a partire. Non ci siamo mai trattenuti così a lungo in un posto. Carlisle non potrà rimanere ancora all’ospedale per molto, presto noteranno che non invecchia.” Jacob aggrottò le sopracciglia. “Perché non parte lui allora?” Edward alzò gli occhi al cielo. “Siamo una famiglia, Jacob. Vogliamo restare uniti e poi voglio che Bella vada all’università. Ha già dovuto rinunciare a troppe cose.” Jacob cominciò ad agitarsi. “Fatemi venire con voi allora.”
“Non so se sarà possibile, Jacob. Come pensi di venire? Come un altro figlio adottivo? Come tata personale?”
“Perché no? Potrei iscrivermi anche io all’università. Oppure mi trovo un lavoro lì e vengo a vivere vicino a voi.”
“Ma come farai con il branco? Loro hanno bisogno di te. E poi c’è tuo padre. Rimarrebbe da solo.”
“Il branco potrà rientrare in quello di Sam come hanno fatto lo scorso inverno. Mio padre è preparato a vedermi andare per la mia strada. Sono partito già una volta per diverso tempo, in forma di lupo. Se mi vedesse andare al college ne sarebbe più che felice.”
“Non lo so...te la senti di vivere con dei vampiri lontano da casa tua?”
“Praticamente già lo faccio. E per Nessie sono pronto a tutto. Ti chiedo solo una cosa.”
“Dimmi, Jacob.”
“L’università voglio pagarmela da solo.”
Mio padre gli tese la mano. “D’accordo. Affare fatto.”

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


CAPITOLO 23

Amavo sfrecciare per le strade di Hanover sulla mia bici rossa. O meglio nelle strade intorno a casa nostra, un villino isolato che si trovava a Low Road una strada ai margini della cittadina che dava sulla vasta riserva naturale delle White Mountains. Laggiù non c’erano vicini indiscreti, e si potevano raggiungere facilmente le zone dove cacciare indisturbati. Con i capelli stretti in due treccine ramate, entrai nel vialetto del giardino, posai la bici contro lo steccato e corsi nel salone dove mi aspettava nonno Carlisle. Anche i miei genitori erano lì seduti ad un tavolo davanti ai libri. Tutta la famiglia si era iscritta al college, chi per prendere una specializzazione, chi per studiare nuove materie, mentre mio padre aveva deciso di prendere la sua terza laurea in medicina. In quel momento stava aiutando mia madre a ripassare per l’esame finale. Non appena mi vide la mamma mi attirò a sé e mi baciò sulle guance. “Che belle treccine.”mi disse papà accarezzandole con tenerezza. Gli sorrisi e presi posto contro la parete. Il nonno posò un libro sopra la mia tesa e tracciò una linea con la matita per misurarmi l’altezza come faceva di solito. “Interessante.” osservò pensieroso osservando le varie tacche lungo la parete. “Che cosa?” chiesero i miei incuriositi. Io mi ero girata e guardavo ansiosa i miei progressi. Non sembrava ci fosse troppo spazio tra una riga e l’altra. “La crescita di Renesmee si è regolarizzata.”spiegò il nonno. “Continua costante ma diventa meno percettibile.” I miei si avvicinarono in un lampo confrontando quelle piccole tacche con il mio aspetto delle ultime settimane. “Non si intravedono grandi cambiamenti infatti.” notò mio padre. “Non differisce molto dalla crescita di qualunque altro adolescente della sua età.” La notizia mi esaltò. “Quanti anni dimostro nonno?” Lui mi sorrise pieno d’affetto. “Credo potresti dimostrare undici anni, dodici al massimo.”mi disse. “Dodici!” esclamò mia madre. Per lei e mio padre stavo crescendo troppo in fretta ma io ero impaziente. Gli ultimi anni trascorsi nei pressi del College di Darthmouth erano stati letteralmente fantastici ma ancora non era abbastanza. Anche se non mi era permesso andare a scuola, la nonna Esme mi portava in giro per musei, teatri e seguiva i miei studi. Ormai avevo finito il programma del liceo e chiedevo sempre di imparare nuove materie. Ogni tanto parlavo con qualche ragazzo della mia età ma non allacciavo rapporti con nessuno per evitare di far notare la mia crescita supersonica. La scoperta del nonno di quel mattino però forse avrebbe potuto cambiare le cose.
Nonna Esme entrò poco dopo con un mazzo di fiori in mano ed una pesante busta della spesa che portava senza alcuno sforzo appesa al braccio. In mano aveva alcune lettere. Nonno Carlisle si illuminò a vederla e le andò incontro per darle un bacio . “Amore, a che ora inizi il turno in ospedale?” Carlisle le sorrise. “Sto uscendo adesso e in serata ho lezione alla facoltà di medicina. Stanotte andremo a caccia, ragazzi. I vostri occhi sono quasi neri.” I miei annuirono e lo salutarono mentre usciva dalla porta.
“E voi ragazzi a che ora avete l’esame?”chiese Esme. I miei cominciarono a mettere i libri nello zaino.
“Tra un paio d’ore.” rispose mio padre. “Anzi sarà meglio fare presto. Bella è tra i primi della lista.”
La mamma sorrise. “Già da quando mi chiamo Cullen sono balzata in cima all’ordine alfabetico.” Mio padre le diede un bacio. “Non ti starai mica lamentando del tuo nuovo cognome,
signora Cullen?” Lei lo abbracciò. “Niente affatto.”
A volte sapevano essere disgustosi.

Jacob non torna per pranzo”disse mio padre notando la sporta di Esme. “Non importa.” rispose la nonna serenamente. “Tanto nulla andrà sprecato. Ma ha portato qualcosa da mangiare al lavoro? Ieri si è spazzolato la dispensa.”
Io ebbi un’idea. “Posso portargli io il pranzo? Prendo la bici.” Mio padre mi guardò sorpreso. “Va bene, ma vieni con noi. Ti lasciamo all’officina mentre andiamo al campus.” Mia madre si oppose.”E poi come torna Edward? Lasciale prendere la bici.” Papà cedette e si avviò verso la porta con lo zaino sulle spalle. “D’accordo, dopotutto abbiamo deciso che hai dodici anni e sei abbastanza grande. Ma non ti allontanare. Non andare oltre l’officina.” Esultai. “Promesso.” Non appena furono usciti corsi in cucina per preparare un panino per Jacob pieno di quelle porcherie per cui andava matto. Esme si affacciò a guardarmi e sorrise. “Brava piccola. Io intanto andrò a sistemare la stanza di quel ragazzo. Non so come fa, ma ogni giorno riesce a ridurla come una giungla incolta.” Ad Esme piaceva far trovare a Jacob il letto fatto ed i vestiti ben piegati nell’armadio. All’inizio a lui dava fastidio perché non ci era abituato ma poi aveva cominciato ad apprezzare l'idea di avere una seconda mamma nella sua vita e di convivere con una famiglia numerosa. Anche se questo comportava vivere con otto vampiri.

Sai quando tornano gli zii?” chiesi ad un tratto pensando che Emmett, Rosalie, Jasper ed Alice non erano ancora tornati. “Non lo so di preciso.” mi disse Esme pensierosa. “Alice dice che stanno ancora raccogliendo materiale per un suo progetto. Chissà cosa ha in mente.” In effetti non c’era mai modo di prevedere cosa girasse nella testolina matta della mia zietta. “Porta questa a Jacob” mi disse la nonna prima che uscissi “E’ una lettera per lui." Sicuramente doveva essere di suo padre. Billy non aveva molta dimestichezza con la mail. Ciò mi ricordò che quella sera avrei dovuto scrivere a nonno Charlie. Appena fu pronto il sandwich saltai in sella e corsi da Jacob.


Jacob non era riuscito ad ottenere la borsa di studio alla Darthmouth e si era iscritto ad un’università statale dei dintorni. La cosa però non lo aveva toccato più di tanto e non aveva mostrato alcuna fretta di laurearsi. Non aveva voluto accettare alcun aiuto da parte dei miei e si era trovato anche un lavoro presso un’officina. La sua passione per i motori non lo aveva abbandonato ed era diventato bravissimo. Quando arrestai la bici davanti al garage lo trovai intento a smanettare dentro il cofano di un macchinone. Di colpo alzò la testa e si girò. In mezzo a tutta quella puzza di benzina e di olio per motore era riuscito a sentire il mio odore. “Nessie, tesoro.” mi disse tutto felice. Si pulì le mani con uno strofinaccio e mi sollevò tra le braccia per baciarmi la fronte. “Ma ti hanno fatto uscire da sola?” Io annuii facendo dondolare le trecce. “Il nonno dice che adesso dimostro dodici anni.”
Jacob sorrise. “Come cresci in fretta! Che mi hai portato di bello?”chiese notando il sacchetto che avevo nel cestino della bicicletta. “Ti ho portato un panino ed una lettera.” Quanto mi piaceva farlo contento! Addentò il panino con gusto e aprì la lettera. “Chi ti scrive?”chiesi curiosa. “E’ del tuo papà?” Lui lesse con interesse il contenuto della busta. “No, non me l’ha mandata lui. Indovina un po' Nessie? Torneremo a Forks molto presto.”
Detto questo mi porse la lettera permettendomi di leggerla.

 

Caro Jacob,
ci manchi molto. La Push non è la stessa senza di te ma capisco benissimo la scelta che ti ha spinto a partire. I tuoi cari Leah e Seth stanno bene. Come sai Leah è partita per il college ed ha lasciato il branco per un po'. Seth cresce a vista d’occhio e scorrazza felice con la tua auto che gli hai lasciato così generosamente. Buon per te che adesso fai il meccanico. Tuo padre sta bene e passa gran parte del suo tempo con Billy e Sue che ormai fanno coppia fissa da qualche anno.
A proposito di coppie, io ed Emily abbiamo finalmente fissato la data del nostro matrimonio. Sarei felice di riaverti qui e con l’occasione riunire il gruppo. Spero proprio che tu possa partecipare ed estendere l’invito anche alla famiglia Cullen. Saranno i benvenuti.
Ti allego la partecipazione e spero di vederti presto.
Con affetto
Sam

 


“Sai, Nessie. Abbiamo cambiato città un’infinità di volte, ma Forks è il posto che sento più simile alla mia vera casa. Forse perché lì è cambiata la mia vita per sempre il giorno che ho conosciuto tua madre.” Mio padre me lo ripeteva spesso. In parte mi consolava sapere che anche lui era stato costretto a girare di città in città evitando il più possibile ogni contatto con gli umani. “Per te non sarà così per sempre, tesoro.”mi disse mentre prendevamo posto nel giardino di Emily dove avevano allestito la cerimonia. Charlie arrivò tenendo Sue sotto braccio e cominciò a salutarci tutti, soffermandosi a lungo con mia madre per abbracciarla e farle le congratulazioni per la sua laurea. Quando mi vide per poco non si prese un colpo. “Renesmee?” chiese dubbioso. “Si, sono io, nonnino!” gli dissi abbracciandolo. Charlie dovette impiegare qualche minuto per riprendersi poi annuì con un sorriso forzato. “Sei una signorina Nessie, ormai.” intervenne Sue accarezzandomi i riccioli. “Complimenti ragazzi, vostra figlia è sempre più bella.” I miei sorrisero orgogliosi e la ringraziarono. Poi la musica cominciò e Sue si trascinò il nonno al loro posto. Jacob era uno dei due testimoni di Sam e stava in piedi accanto a lui sotto quel grazioso archetto fatto di foglie e fiori. Alice era riuscita a convincerlo ad indossare uno smoking di Dolce e Gabbana e gli stava talmente bene che sembrava un principe.
Quando suonò la marcia nuziale la piccola Claire entrò, adorabile nel suo vestitino da damigella, spargendo petali lungo la navata. Era cresciuta, adesso aveva circa sei anni. Jacob una volta si era messo d’accordo con Quil e mi aveva portato a giocare con lei. “Vestiamo le principesse?” mi aveva proposto mostrandomi le sue bambole. Io non andavo matta per quei giochi infantili ma mi era piaciuto molto stare con lei. La trovavo adorabile mentre camminava faceva un pasticcio con quei petali. Mi passò accanto e ricambiò il mio sorriso ma senza mostrare di riconoscermi.
Leah, la damigella d'onore, si fece avanti con un elegante abito corto senza spalline che metteva in risalto le sua figura atletica e le gambe snelle. Era cambiata molto, sembrava più donna. Avanzava a testa alta con un velo di tristezza negli occhi mentre incrociava lo sguardo di Sam. Lui le sorrise con gentilezza e poi guardò emozionato la sposa che entrava al braccio del padre. Emily era bellissima. La osservai affascinata. Avevo visto le foto del matrimonio dei miei e quelle degli zii. Erano tutte così belle vestite da spose. Sembravano delle vere principesse. Jacob posò lo sguardo su di me e mi strizzò l’occhio. Provai uno strano tuffo al cuore. Non era la prima volta che lo faceva. Era da quando ero nata che mi sorrideva, mi strizzava l’occhio, mi faceva le linguacce e non ci avevo mai trovato nulla di strano. Che cosa era cambiato? Accanto a me mio padre fece un sospiro.

Durante il rinfresco gli invitati si dispersero nel giardino chiacchierando con amici e parenti ed io andai a cercare Jacob. Non mi fu difficile trovare la sua scia in mezzo alla folla e la seguii verso il bosco dove si era diretto. Non era solo. Incuriosita salii su un albero e lo spiai da lontano muovendomi piano senza fare rumore come quando cacciavo. Mi trovavo controvento e quindi non poteva sentire il mio odore. Dopo qualche minuto riconobbi il profumo di Leah. Era cambiato in quegli ultimi anni. Forse perché non si trasformava da molto tempo. Mi chiesi cosa ci facessero lì appartati e tesi le orecchie per sentire quello che si dicevano. “Io pensavo che avessi superato questa storia.” le diceva Jacob preoccupato.

E’ così Jake” rispose Leah. “Non provo più gli stessi sentimenti ma oggi per me è stato difficile. Lui è stato il mio primo amore e il pensiero che abbia sposato mia cugina e non me, mi fa comunque un effetto strano.” Restai a bocca aperta. Non sapevo che Sam e Leah fossero stati fidanzati. Provai un forte dispiacere per lei. Doveva aver sofferto molto. Questo spiegava il carattere chiuso e scontroso con cui Leah spesso trattava le persone anche se negli ultimi anni si era aperta parecchio. “Sono uscita con altri ragazzi all’università, ma non mi sono più innamorata di nessuno.” continuò Leah in tono triste. “Devi solo incontrare la persona giusta.” osservò Jacob.
Non riesco a lasciarmi andare, a fidarmi di qualcuno. Forse il problema sono io. Devo avere qualcosa che non va.”
Jacob le mise un braccio intorno alle spalle. “Non c’è niente che non va in te, Leah. Sei fantastica, qualunque ragazzo sarebbe fortunato ad averti.” Leah scosse la testa. “Sam non la pensava così.”
Jacob cominciava a spazientirsi. “Ne abbiamo parlato un sacco di volte. Sam ti amava ma è stato costretto a lasciarti. Non lo avrebbe mai fatto di sua iniziativa. Ed è stato molto penoso anche per lui. La nostra natura, ciò che siamo, ci ha imposto delle scelte.”
Leah si alzò dandogli le spalle. “Ma lui ha trovato l’amore almeno. Non sta soffrendo. E non è solo.”
Jacob le andò vicino. “Neanche tu sei sola. Hai noi. Il branco ci sarà sempre per te.” Leah si voltò. “Ti prego non dire agli altri del mio sfogo. Preferisco che non lo sappia nessuno.” Jacob sorrise. “Promesso.” A quel punto Leah lo abbracciò e scoppiò a piangere. Io mi voltai dietro il tronco dell’albero in preda a dei sentimenti contrastanti. Io volevo bene a Leah e mi dispiaceva che avesse sofferto così tanto ma al tempo stesso la odiavo. La odiai nel momento in cui aveva abbracciato Jacob e gli aveva posato la testa sulla spalla. La mia spalla. Jake era mio e nessuna lo poteva abbracciare. Infuriata mi allontanai e spaccai tutti i rami che incontrai lungo il cammino. Rimasi appollaiata su un albero finché non venne a cercarmi mio padre. “Vieni tesoro, vuoi assaggiare una fetta di torta?”
Scesi svogliatamente e mi incamminai con lui. “Preferirei andare a caccia di un orso feroce in questo momento.” Per come mi sentivo in quel momento l’orso sarebbe scappato terrorizzato. Non mi piaceva sentirmi in quel modo. Emozionata, arrabbiata, triste. Ma cosa mi stava succedendo?

E’ l’adolescenza, piccola.” mi spiegò mio padre leggendo nei miei pensieri. Gli cinsi i fianchi con un braccio cercando il suo conforto. Ormai gli arrivavo quasi alla spalla.
“L’adolescenza fa schifo.” commentai.
Papà mi accarezzò il viso con tenerezza. “Lo so, ma per te non durerà a lungo.” Sospirai imbronciata. “Lo spero proprio.”

Una volta tornati a casa zia Alice ci fece accomodare tutti in salotto e disse di tenerci pronti per una sorpresa. Mancava solo il nonno che si era ritirato nel suo studio. “Vi stavate tutti chiedendo cosa progettavo in quest’ultimo periodo, no? Bene è arrivato il momento di svelarvi che il mio progetto ha avuto successo. Grazie alla collaborazione di Emmett, Rosalie e del mio Jazz, posso mostrarvi qualcosa che risolverà una gran parte dei nostri problemi. In altre parole potremo restare qui quanto vorremo senza più bisogno di trasferirci.”
Ci fu un sussulto generale che lasciò tutti senza parole. “Restare qui.” mormorò mia madre. “Sarebbe un sogno. Ma come pensi di fare? Non puoi impedire al mondo intorno a noi di cambiare.”
Alice sorrise. “Verissimo. E quindi saremo noi ad adattarci. Ora farò uscire Carlisle dallo studio dove è stato sottoposto al mio speciale trattamento speciale.” L’ultima frase fu accolta da una serie di sguardi scettici ma la zia li ignorò. “Vieni avanti Carlisle, e voi provate ad indovinare quanti anni dimostra.” Il nonno uscì dallo studio con il suo solito sorriso raggiante che segnava due fossette più profonde agli angoli della bocca e delle rughe intorno agli occhi. I capelli biondi erano leggermente diradati sulle tempie e dei fili bianchi avevano fatto la loro comparsa. Avrebbe potuto dimostrare una cinquantina d’anni. Ma com’era stato possibile? Carlisle rise compiaciuto e si tolse dal volto una maschera sottilissima che celava i suoi perfetti lineamenti giovanili e marmorei. “Non fate quelle facce!” disse Alice esultante. “Io mi chiedo solo perché non ci abbiamo pensato prima! Gli attori del cinema non vengono truccati e fatti invecchiare a seconda della parte? Chi dice che non possiamo fare di meglio? Mi sono documentata e ho trovato tutto il materiale adatto perfezionandolo. Emmett ha lavorato al software che mostra come intervenire sui vari punti del volto per creare la maschera, Rosali si è interessata del trucco, delle extensions, e delle parrucche, Jazz invece ha fatto un piccolo studio psicologico sul volto umano per vedere dove disegnare le rughe. Io ho anche pensato al guardaroba, perché nel corso degli anni naturalmente l’abbigliamento non può rimanere lo stesso, e... insomma che ne dite?” Non appena Alice mise fine a quel torrente impetuoso di parole tutti ci avvicinammo per esaminare la maschera e per tempestare di domande Alice e i suoi complici. “Non eri affatto male con qualche anno in più.” disse nonna Esme avvicinandosi a suo marito con aria compiaciuta. “Mi piacciono gli uomini maturi.”Carlisle le cinse la vita con le braccia e la baciò. In casa nostra gli sbaciucchiamenti erano l’ordine del giorno. Di solito mi giravo schifata dall’altra parte ma adesso non mi dava più fastidio vedere i miei familiari che si scambiavano effusioni. Pensai però che tutti avevano un compagno tranne me. Ad un tratto sentii la nostalgia di Jake. Era strano non averlo lì intorno ma aveva promesso a suo padre di passare un po' di tempo con lui. “Nessie, capisci cosa comporta l’idea di Alice? E il fatto che la tua crescita si sia rallentata.” mi disse mio padre riportandomi alla realtà. “Non dovremo più andarcene da qui e tu andrai a scuola. La nostra vita comincerà a diventare normale.” Normale? Sembrava un sogno. Mi chiesi come potesse essere andare a scuola.

“Andrai in una città qui vicino, a solo mezz’ora da qui.” mi disse papà quando la sera tornammo alla nostra casetta nel bosco. “Lì nessuno ci conosce.” A Forks eravamo ancora troppo conosciuti perché mi iscrivessi con il mio vero nome. Annuii entusiasta. Non vedevo l’ora di entrare nel mondo della normalità. Non avevo nemmeno potuto incontrare nonna Reneè tranne una volta in cui dimostravo quattro anni. Eravamo riusciti a convincerla che fossi più grande di quanto le aveva riferito Charlie. “Il mio ex marito non capisce proprio niente di bambini.” Aveva commentato al nostro primo incontro. “Ma quanto è carina! Ha perfino gli occhi come quelli della mia piccola Bella. Potresti farla passare come figlia tua, tesoro.” Mia madre le aveva fatto visita da sola in seguito portandosi numerosi album di fotografia che ritraevano la mia crescita fingendo che fossero state scattate a distanza di mesi e anni. Nei giorni che precedettero la mia iscrizione cercai di informarmi il più possibile sul mondo degli adolescenti. Non fu semplice perché mio padre mi censurava parecchi film e libri e si rifiutava di installarmi internet sul mio computer. “E’ pieno di immondizia. Ci sono certe cose che non devi vedere.” mi spiegò severamente.
“Quali cose?” chiesi indispettita. Lui alzò gli occhi al cielo.
Mia madre si unì alla conversazione con un sorriso. “Edward, amore, credo sia il momento di parlare con Renesmee di certi argomenti.”
Papà aggrottò le sopracciglia. “Vuoi che le parliamo dei fatti della vita, adesso?”
“Quali fatti?” chiesi curiosa.
“Lasciamo perdere.” ribatté lui.
“Edward, preferisci che lo scopra dai compagni di scuola?” protestò mia madre.
“Santo cielo! No!” rimase in piedi al centro della stanza sconvolto. “Bene, cominciamo allora. Nessie, devi sapere che...i bambini nascono...”
“So come nascono papà. Ho letto i libri. E ricordo ancora della mia nascita.” rabbrividii al pensiero. “Ricordo anche quando stavo nella pancia di mamma.”
“Ma non ricordi come ci sei arrivata?” mi chiese mia madre con un sorriso. Guardai mio padre invitandolo a continuare.
“Beh, dicevo che sì...ci sono i ragazzi e le ragazze. E quando diventano grandi s’innamorano, come me e la mamma, gli zii e i nonni. E vogliono fare...certe cose. Come abbracciarsi, tenersi per mano, baciarsi.” Mio padre parlava a fatica. Se avesse potuto sarebbe arrossito.
“Papà centra con quello che tu e la mamma fate di notte?”
Mio padre rimase di sasso. Se non fosse il suo colorito abituale direi che è impallidito.
“Ma come...Cosa ne sai...o meglio cosa credi di saperne a riguardo?”
“Mmm, credo che giochiate alla lotta. Ma non capisco mai chi vince.”
I miei si guardarono imbarazzati. Mio padre alzò gli occhi al cielo. “Bene, Nessie, comunque devi sapere che solo le coppie sposate possono fare questo gioco. E’ una cosa che riguarda i grandi.”
“Non mi dici mai nulla!” protestai imbronciata.
Mia madre mi venne incontro e mi tese una mano. “Tesoro mio, che ne dici se io e te ce ne andiamo a caccia da sole?” Accettai con entusiasmo. Adoravo passare del tempo con mia madre.
“Divertitevi, ragazze.” ci disse mio padre approvando l’iniziativa della mamma. Aveva capito che quello di cui avevo bisogno erano chiacchiere tra donne. Perché piano piano anche io lo stavo diventando. Forse troppo in fretta per lui.


“L'amore è così strano.” commentai quando la mamma mi ebbe spiegato tutto. Eravamo sedute sul ramo di un albero guardando il sole che tramontava oltre gli abeti. Ero un po' imbarazzata ma anche incuriosita. “Stai tranquilla, un giorno capirai. Adesso devi solo preoccuparti della giornata importante che ti aspetta domani.” mi assicurò lei con un sorriso. Io l'abbracciai felice. Cosa avrei fatto senza la mia mamma?
“Mamma, ho un po' di paura. Sono contenta di andare a scuola ma mi chiedo se sarò in grado di capire il mondo degli umani e se riuscirò a farmi passare per una di loro. Se dovessi fare qualcosa di sbagliato?” Le confidai i miei timori mentre gli ultimi raggi di sole le facevano brillare il volto facendo risplendere la sua pelle marmorea di tanti piccoli prismi. Non mi stancavo mai di guardarla. La mia pelle candida e luminosa non era che un pallido riflesso di quel fulgore. “Tu sei più bella.” non si stancava di ripetermelo. “E non devi avere paura di nulla. Tu sei speciale Nessie, e non solo perché sei metà umana e metà vampira. Sei così intelligente, coraggiosa, saggia, piena di gioia di vivere, piena d’affetto da dare agli altri. Chiunque sarebbe fortunato ad averti come amica. E se qualcosa dovesse turbarti, non avere paura ma vieni da me. La mamma c’è sempre.”
Lo sapevo. Lo avevo sempre saputo. Aveva quasi dato la sua vita per me. E sarebbe stata pronta a rifarlo. “Potrai avere dei momenti bui nella vita, in cui non saprai cosa fare. Ma allora dovrai stare serena, ricordare tutto quello che ti abbiamo insegnato e una voce nel tuo cuore ti dirà cosa fare. Segui il tuo cuore, Nessie.”Mi stupii non mi aveva mai chiamata così. Il mio soprannome non le era mai piaciuto. “E’ la scelta che ho sempre fatto e mi ha portato fin qui.”aggiunse.
Mi commossi e la abbracciai. Restammo così a lungo finché il sole non fu scomparso. Non c’era più altro da aggiungere.

Non vedevo l’ora che suonasse la campanella. Il primo giorno non era andata male come temevo. Era stato ancora peggio. L'unica cosa bella della giornata fu vedere la moto di Jacob che si avvicinava verso la mia scuola. Non appena fermato il suo bolide davanti al cancello tra gli studenti calò il silenzio. “E quello chi è?”esclamarono le ragazze affascinate. “Che figa quella moto!” notò uno studente. “Quanto è figo lui piuttosto!” commentò un'altra ragazza mangiandosi Jacob con gli occhi. Io le lanciai un'occhiataccia e tutta orgogliosa mi diressi verso di lui. Il figo era venuto a prendere me. Mi divertì l'idea che lo potessero scambiare per il mio ragazzo. Jacob mi sorrideva con una dolcezza che mi fece tornare tutto il buonumore. “Cosa ci fai qui?” strillai piena di gioia.

I tuoi mi hanno dato il permesso di venirti a prendere. Non mi sarei permesso il tuo primo giorno per niente al mondo. Allora come è andata?” Quando mi vide abbassare lo sguardo capì tutto. “Ok, mettiti questo e andiamo.” Mi passò il secondo casco e mi fece montare in sella. Era la prima volta che salivo sulla sua moto. Adesso ero anche abbastanza grande per poggiare i piedi nelle apposite pedane. Jacob partì a razzo e mi strinsi a lui con il cuore che mi batteva forte.
“Jake, possiamo non andare subito a casa? Mi piacerebbe fare un giro.” Lui si girò e mi strizzò l'occhio sotto il suo casco. Lungo la via del ritorno fece una deviazione e mi portò nella foresta in una delle radure dove andavamo sempre a giocare e a fare battute di caccia. Jacob scese e mi aiutò a togliermi il casco. “Insomma è andata così male?” mi chiese spettinandosi i capelli lisci liberati dal casco. Io preferii non parlare e tesi una mano verso di lui per mostrargli quella giornata. Tutti mi guardavano come se fossi un extraterrestre e mi mettevano a disagio. Ero preparata a qualcosa del genere ma il modo in cui mi guardavano i ragazzi, perfino quelli più grandi, mi turbava. Le ragazze invece mi lanciavano delle frecciatine ostili. In classe nessuno mi rivolse la parola per più del necessario e a mensa mi ritrovai seduta da sola circondata da sguardi curiosi. Grazie al mio udito sentivo le loro battute idiote, i loro discorsi noiosi, e mi lasciavo prendere dalla delusione. Era questo ciò che avevo tanto sognato?

Jake, io sono così confusa. A casa mi sento soffocare. A scuola mi annoio. Ovunque vado mi sento persa.” Un attimo dopo mi ritrovai a piangere tra le sue braccia. “Tesoro, andrà tutto bene” mi ripeté lui accarezzandomi I capelli. “Troverai il tuo posto nel mondo.” Mi lasciai confortare dalle sue parole dolci e dal calore del suo corpo e le sue carezze spazzarono via ogni ansia. Non sapevo quale fosse il mio posto ma in quel momento era lì con lui.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

L'immagine di Renesmee e Jacob abbracciati si fece sfocata nella mente di Dillon, poi si ingigantì e tornò a farsi nitida. La scena era la stessa ma sembrava vista da un'altra prospettiva. Dopo qualche minuto Dillon si accorse che quelli erano i pensieri di Jacob. Stava ricordando quell'episodio...

 

Jacob si staccò dalla sua piccola amica e la guardò intensamente. “Adesso fammi un sorriso! Un bel sorriso alla Nessie. O ti faccio il solletico.” Renesmee finse di scappare via e lasciò che Jacob la afferrasse tra le braccia facendola girare in tondo. “Basta! Basta!” strillò ridendo la bambina. La suoneria di What I've done dei Linkin Park distrasse Jacob per un istante. “ Salvata dal cellulare, piccola. La prossima volta non mi scappi.” disse Jacob allegramente prima di rispondere. “Pronto? Ciao Sue. Cosa? Si va bene, vengo subito.” Riattaccò guardando Nessie preoccupato. “Andiamo, ti porto a casa.” Renesmee lo guardò con gli occhioni spalancati.”Cos'è successo Jake?” Lui le accarezzo un ricciolo. “Mio padre non si è sentito bene e devo andare a casa. Non preoccuparti non è nulla di grave.” Jacob aiutò Renesmee a risalire in moto e partì il più velocemente possibile. Poco dopo sentì il tocco delicato di una manina candida sul viso e vide proiettati diversi ricordi che univano lui, Renesmee e Billy. Jacob girò il volto per baciarle il palmo della mano. “Guarirà presto, piccola.” La moto di Jacob procedette spedita attraverso stradine sterrate e sentieri nascosti e in breve raggiunse la casetta nella foresta.
Edward uscì di corsa e si materializzò davanti a loro accigliato. “In moto? Ma ti ha dato di volta il cervello?” Jacob sospirò senza levarsi il casco. “Volevo farla divertire un pò. E' stato un giorno speciale...il primo giorno di scuola.” Il vampiro di colpo cambiò espressione. “Che cos'è successo a tuo padre?” Jacob si affrettò a rassicurarlo mentre Renesmee scendeva e gli restituiva il casco. “Lascialo andare, papà. Deve andare da Billy.” Edward annuì e abbracciò la figlioletta. “Posso chiedere a Carlisle di passare da voi dopo. Chiamaci per qualsiasi cosa.”
Jacob riaccese il motore. “Lo farò grazie! A presto Nessie.” Ripartì in fretta e si lasciò alle spalle padre e figlia che ancora lo stavano guardando ansiosi. Ben presto avvistò le casette rosse di legno di La Push. Sul portico di casa sua vide i ragazzi del branco che parlavano tra di loro piuttosto preoccupati. Jacob frenò di botto e lasciando cadere in terra la moto corse verso l'ingresso trafelato. “Come sta?” Sam si fece avanti mettendogli una mano sulla spalla. “Il dottore ha appena finito di visitarlo. Puoi andare da lui.”
Jacob gli strinse la mano e passò oltre dirigendosi verso la camera di suo padre. La sedia a rotelle appoggiata contro la parete era vuota. Billy era nel letto, seduto e nonostante apparisse molto debole si sforzava di sorridere. Sue e Charlie erano con lui insieme al medico di famiglia. “Papà! Papà! Come stai?” chiese Jacob sedendosi sul lettino e abbracciando con delicatezza suo padre. “Va tutto bene, tranquillo.” rispose Billy con un sorriso stringendo debolmente a sè la mole muscolosa del figlio. Jacob si rivolse al dottore che in tono serio lo informò della situazione. “C'è una brutta infezione al piede sinistro. Succede, purtroppo con il diabete. Faremo altre analisi domani.” Jacob crollò con la testa sulle sue ginocchia. “Oh papà, mi dispiace.” Il dottore e i due amici capirono che era giunto il momento di lasciarli soli. “Ragazzo mio, non devi fare quella faccia. E' la vita.”
Jacob sorrise. “Ti darei tutta la mia salute e le mie energie se potessi farti stare meglio anche solo un giorno. Se penso che io non mi ammalerò mai...” Billy gli accarezzò i capelli corti. “Non darti pena per me. Quanto a te, potrai anche essere immune dalle malattie, mai quando con il branco vai a combattere i vampiri mi fai comunque rischiare l'infarto. Credimi in questa casa sono io quello che deve stare in pensiero.”
Jacob si lasciò sfuggire un sorriso. “Avresti dovuto trasformarti tu, alla mia età. Saresti stato un lupo fantastico.”
Billy rise. “Certo avrei avuto molti meno acciacchi e forse avrei ancora le mie gambe, ma non rimpiango niente. Ho sempre vissuto dove sono nato ma sono cresciuto insieme a dei veri amici che ancora oggi mi stanno vicini. Ho sposato l'amore della mia vita ed ho avuto tre figli meravigliosi. Jake, la mia vita non avrebbe potuto essere più bella. Un giorno morirò e mi riunirò con i miei padri. Ed è così che deve essere. Non devi essere triste per questo.” Jacob rimase in silenzio per diversi minuti. “Immagino sia strano per te questo discorso, vivendo vicino a degli immortali.”osservò Billy.
Il figlio annuì. “Si, in effetti non pensavo a queste cose da tanto tempo. Da quando se nè andata la mamma. Papa, non credo di essere pronto per perdere anche te.”
Billy lo guardò seriamente. “Nessuno è mai pronto a dire addio ad una persona che ama. Ma un giorno tutti ce ne dobbiamo andare. Di solito...” Jacob si accorse che lo guardava in modo ansioso. “Che vuoi dire papà?” Billy sospirò. “Tu puoi scegliere. Se continuerai a trasformarti per il resto della vita potresti non dovere mai assaggiare la morte. Ma è quello che vuoi?”
Jacob trasalì. “Non ci avevo mai pensato in termini di eternità...mi sembra una cosa talmente immensa da concepire. Per quanto possa frequentare dei vampiri centenari...”
“Figliolo, i licantropi esistono per proteggere la nostra terra dai vampiri. E si trasmettono il loro potere di padre in figlio per generazioni. Quando un giorno sarai stanco di tutto questo, altri giovani quileutes prenderanno il tuo posto. Sei libero di scegliere.”
Jacob parve confuso. “Non è così semplice.”
“Lo so, tu stai pensando alla piccola Renesmee. Il centro del tuo universo. Lei è immortale come i suoi genitori, vero?”
“Pare di sì.”
“Mi sono sempre chiesto che significato potesse avere un imprinting con una creatura per metà umana e per metà vampira. Tutto quello che so è che ti ha reso di nuovo felice, e di questo le sono grato.”
Il volto di Jacob si illuminò. “Ero un uomo distrutto prima di vedere quel visino di porcellana. Non so cosa farei senza di lei. Le voglio così bene!”
“Lo capisco e so che le starai accanto per il resto della tua vita. Questo farà di te un immortale a tua volta. Rimarrai un mutaforma per sempre.”
Jacob rimase spiazzato. “Essere un lupo ormai fa parte di me. Non è più un peso. Soprattutto sapendo che posso proteggere le persone che amo. Mi dispiace soltanto che dovrò vedere invecchiare e morire le persone intorno a me.”
“Jake, lo so ma te lo ripeto. E' una scelta che spetta solo a te. L'imprinting ti porterà a stare con la piccola Nessie per il resto della tua vita. Ma puoi essere tu a deciderne la durata.”
“Papà, questi discorsi mi sembrano un pò troppo impegnativi. Credo che dovresti riposare adesso. Io vado a dare notizie ai ragazzi qua fuori.” Jacob spostò i cuscini dietro la schiena del padre e lo aiutò a coricarsi. Billy chiuse gli occhi e si rilassò. Jacob gli baciò la fronte ed uscì fuori. Ad aspettarlo era rimasto solo Sam.
“Gli altri ti salutano. Visto che si era fatto tardi gli ho detto di andare a casa.”
“Grazie di essere rimasto, Sam.”
“Ho pensato che potessi avere bisogno di parlare con qualcuno. Vogliamo tutti bene a Billy e se c'è qualcosa che possiamo fare...” Jacob gli diede una pacca sulla spalla.
“Grazie, lo apprezzo. Papà sta soffrendo ma non vuole darlo a vedere. Il solito cocciuto.”
“Beh, chissà da chi avrai preso.” scherzò Sam affettuosamente.
“E mi ha fatto dei discorsi strani. Credo sia preoccupato per il mio destino. Se resterò un licantropo per sempre o no.”
Sam lo guardò pensieroso. “Il tuo destino è ormai legato a quello di Renesmee. E l'unico modo di stare insieme a lei è condividerne l'immortalità. Ti sembra una cosa difficile da accettare?”
Jacob ci pensò su un istante. “No. Affatto. Niente di quello che ho fatto per lei è stato mai troppo difficile per me.”
“E' l'imprinting che fa di lei la tua forza di gravità. Anche io ho messo da parte tutta la mia vita per Emily.” Jacob ricordò il dolore di Leah e provò un pò di tristezza pensando a lei.
“Dimmi una cosa Sam. Cosa si prova ad innamorarsi dell'oggetto del tuo imprinting?”
Sam sorrise ed i suoi occhi scuri si illuminarono di felicità.
“E' qualcosa di meraviglioso. Tu già sai cosa si prova quando la vedi e tutto l'universo trova un nuovo ordine che ha lei come fulcro. Beh, quando ho posato per la prima volta lo sguardo su Emily il resto del mondo si è dissolto ed ho compreso lo scopo della mia esistenza. Non desideravo altro che lei. Lei soltanto. Lei nella mia vita, nel mio cuore, nella mia anima. Lei tra le mie braccia. E nel momento in cui ho visto nei suoi occhi lo stesso desiderio e l'ho sentita dirmi che anche lei mi amava, oh Jacob, come posso descrivertelo! E' stata la cosa più bella, più intensa che abbia mai provato! Non mi ero mai sentito così vivo! Non avevo mai amato qualcuno in maniera così completa ed incondizionata e non faccio che amarla sempre di più. Ogni volta che la vedo, anche al mattino quando apre gli occhi e mi guarda, mi batte forte il cuore come la prima volta.”
Jacob fissò l'orizzonte e sorrise. “Qualcosa l'avevo percepita...sai per via della telepatia...ma sentito raccontare così è...wow! Non ti facevo così romantico. Mi fa uno strano effetto...”
“Quanti anni dimostra Renesmee? Dodici?”
“Tredici. Circa.”
“E ogni anno cresce di un paio d'anni?”
“Due e mezzo – tre ho calcolato, dipende. Carlisle dice che la sua crescita si va stabilizzando mai ci sono momenti in cui accelera.”
“Quindi l'anno prossimo potrebbe dimostrare sedici anni?”
“Credo di sì.”
“A sedici anni una ragazza fisicamente è già una donna.”
Jacob arrossì. “Sì ma è sempre piccola. Cavoli Sam, io ne dimostro venticinque! Non voglio mica andare in galera!”
Sam ridacchiò. “Io non mi preoccuperei tanto della polizia, visto che lo sceriffo Swan da sempre stravede per te, quanto del vampi-papi. Edward ti staccherebbe la testa a morsi e non è una metafora.”
“Non ho mai avuto un pensiero sbagliato su di lei! E non intendo approfittare di una sedicenne.”
“Jake, non mi hai capito. I cambiamenti ci saranno anche per lei. A sedici anni una ragazza comincia ad avere certi desideri. Leah aveva sedici anni quando ci siamo messi insieme.”
Jacob a quel punto rimase senza parole e arrossì.
Sam annuì. “Proprio quello che intendevo.” Sospirò e mise un braccio intorno alle spalle dell'amico. “Penso che sarà un anno piuttosto interessante.”

"Dillon. Dillon." la voce di Renesmee riportò il giovane alla realtà. Era ancora nel salotto in quel castello scozzese, circondato da quella strana famiglia di vampiri che stava imparando a conoscere. "Non capisco."mormorò confuso. "E' come se le mia mente sia stata risucchiata da un'altra parte. Era come se vedessi la storia attraverso i ricordi di...Jacob."
"Credo di capire cosa sia successo."intervenne Edward. "Mentre Renesmee "narrava", Jacob che seguiva il racconto ripensava a quello che ha provato all'epoca e i suoi pensieri hanno preso il sopravvento."
"Non l'ho fatto apposta, amore." disse Jacob come per scusarsi guardando la moglie.
"Io nemmeno. E' stato come se qualcuno avesse cambiato canale. O come se la frequenza di una stazione radio ne avesse disturbata un'altra."spiegò Dillon
"Dillon deve percepire i pensieri di Jacob in modo molto chiaro"osservò Carlisle. "Interessante."
"Sì, molto." commentò secco Jacob. "Ti dispiace comunque avvisarmi, la prossima volta che decidi di farti un giro nella mia testa?"
Dillon rimase male. "Scusa, ho scoperto da un giorno di essere telepatico. Devo ancora farci la mano. Sai com'è..."
Renesmee guardò il marito contrariata. "Jake, ti prego. E' tutto molto difficile per lui."
Il bel licantropo posò lo sguardo dispiaciuto nei bellissimi occhi scuri di Renesmee. "Anche per me. Scusa, amore."
"E' a lui che devi chiedere scusa." ribatté lei accennando col capo a Dillon.
"Scusa, biondo." disse finalmente Jacob guardando il ragazzo.
"Ho un nome, per la cronaca." protestò Dillon.
"Ok, scusa Dillon." ripetè Jacob sbuffando.
"Che caratterino, il giovanotto. Chissà da chi ha preso..." ridacchiò Emmett prima di essere rimproverato dallo sguardo severo di Edward.
Renesmee tese le mani verso Dillon. "Posso continuare il mio racconto. Sta per arrivare un momento molto importante della mia vita e di quella di Jacob."
Dille le sorrise e le prese con delicatezza le mani portandosele sulle guance. Chiuse gli occhi lasciando che le immagini dei ricordi di lei fluissero di nuovo nella sua mente.

Una Renesmee più alta, più matura sui sedici anni circa si stava specchiando nel vetro della finestra della sua camera, torturando un ricciolo per poi tornare a fissare il cellulare. "Avevo convinto mio padre a comprarmelo dopo un'eternità. "A chi dovresti telefonare?"aveva protestato. In effetti aveva ragione. Tutta la mia famiglia era a portata di udito e per comunicare con Charlie o con altri amici c'erano i cellulari dei miei genitori o il telefono della villa. Non c'erano più nemmeno compagni di classe da chiamare dopo che la mia crescita aveva ripreso ad accelerare ed ero stata tolta da scuola. Non che mi importasse. Non avevo legato praticamente con nessuno. L'unica ragione per cui avevo voluto un cellulare era per poter comunicare con Jacob. Era stato via a lungo per via della malattia di Billy ma per fortuna suo padre si era ripreso e quel giorno sarebbero tornati a La Push. Aspettavo un suo messaggio da un momento all'altro. Era un vero peccato che la zia alice non potesse vedere il futuro di Jacob. Mi mancava così tanto. In quel periodo ci eravamo visti di rado e sempre con i nostri familiari presenti ma non era la stessa cosa. Mi mancavano le nostre battute di caccia nel bosco. Mi mancava potermi sfogare e confidare con lui. Era il mio unico amico. "Nessie." mi disse mio padre leggendomi i pensieri. "Vedrai che Jacob tornerà presto e comunque appena la tua crescita si sarà fermata potrai iscriverti al liceo. Anzi, mi iscriverò insieme a te e mi farò passare per tuo fratello." La sua idea era carina ma non ero dell'umore giusto per apprezzarlo. "Bene, così potrai controllarmi anche lì. Fantastico." mio padre rimase male peer il mio tono acido ma non me ne importava niente.
La mamma ci raggiunse poco dopo portando dei vestiti nuovi. "Tesoro, guarda cosa ha portato la zia Alice. Dei nuovi abiti per la tua nuova taglia. Non vuoi provarli?" Io continuai a giocherellare con il cellulare guardando fuori dalla finestra. "Non adesso." I miei genitori si guardarono preoccupati quando il trillo della suoneria dei messaggi ruppe quell'atmosfera pesante che si era creata. Il mio cuore ebbe un balzo per la gioia. "Sono appena tornato a casa. Papà sta bene e adesso dorme. Vediamoci nella nostra radura." Emozionata come non mai, corsi a spazzolarmi i capelli guardandomi nello specchio. Ero cambiata parecchio. Il mio corpo stava cambiando. La mamma mi diceva che stavo diventando sempre più bella e papà aveva cominciato a lamentarsi sui vestiti che erano troppo corti o troppo attillati. Le mie vecchie camicette non mi si abbottonavano più e i jeans mi andavano stretti sui fianchi. Mi precipitai a vedere se c'era qualcosa di adatto tra i vestiti nuovi ma non trovai niente che potessi indossare per una caccia nei boschi. Perché la zia si ostinava a riempirmi di roba elegante che non avrei mai avuto occasione di indossare? Alla fine scelsi un top di pizzo con sopra ricamati dei fiori preziosi e mi lasciai addosso la gonna jeans a ruota che mi arrivava a metà coscia. Non mi misi le scarpe, non ne avevo bisogno. Scavalcai con un salto la finestra e cominciai a correre mentre dietro di me la voce di mio padre mi gridò dietro. "Torna prima che faccia buio." Io non mi voltai nemmeno. "Promesso." gridai di rimando prendendo il sentiero in mezzo alla foresta che portava direttamente verso il mio Jake. Poco dopo intercettai la sua scia. Il suo odore così familiare mi arrivò alle narici più gradevole che mai. E poi lo vidi. Ci fermammo ad un metro di distanza e ci guardammo emozionati. Non capivo, Jacob indossava la sua solita maglietta nera ed i jeans sbiaditi ma era come se fosse diventato più giovane. In qualche modo più vicino alla mia età.
"Jake" mormorai avvicinandomi a lui. Mi abbracciò con delicatezza la vita e mi posò un bacio sui capelli. Di solito mi sollevava da terra e mi dava una bella strizzata. Io gli appoggiai la testa su una spalla respirando nuovamente il suo odore. Era più buono del solito.
"Nessie." mormorò lui meravigliato. "Sei..." non trovava le parole.
"Cresciuta? Si guardami." dissi staccandomi da lui e girando su me stessa. "Sono alta quasi come la mamma. E corro molto più veloce di prima. Facciamo una gara?"
Lui mi sorrise. "Ho anche visto un bel cervo succoso che sembra ci stia aspettando da qualche parte."
"Lo prenderò io. E guai a te se mi fai vincere." Cominciai a correre a grandi balzi col cuore che mi galoppava. Non capivo bene il perché ma non mi ero mai sentita così felice in vita mia.
Jacob mi raggiunse in poche falcate e mi superò. Aveva fatto in fretta a togliersi i vestiti e a trasformarsi. Io saltai sopra un albero e lanciandomi sopra i rami mi diedi una spinta vigorosa mi lanciai in alto per poi atterrare davanti a lui morbida sul terreno. Jacob frenò sulla sue zampe ed io ricominciai a correre. Finalmente intercettai la scia del cervo e mi appostai in alto sopra un ramo. Ad un tratto un ringhio nella direzione opposta fece scappare il cervo verso la mia direzione e il poveretto finì diritto sotto le mie fauci. Quando ebbi finito di dissanguarlo alzai gli occhi e vidi Jake ritrasformato in umano con addosso solo i jeans lunghi che mi guardava appoggiato con un braccio ad un albero. Per la prima volta vidi mi accorsi della tonalità stupenda che la sua pelle liscia e levigata color ruggine aveva sotto i raggi del sole, facendo risaltare i muscoli lunghi e affusolati. Mi accorsi del bellissimo taglio dei suoi occhi scuri che sembravano leggermi dentro con una dolcezza incredibile. Per la prima volta guardai con ammirazione la squisitezza dei suoi lineamenti fini e dolci e la sensualità delle sue labbra carnose. Con una strana fitta al cuore mi accorsi che il mio amico, che conoscevo così bene, il mio Jacob era un uomo bellissimo.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


CAPITOLO 25

Jacob si accorse nel mio sguardo perso ed arrossì. Sentii il suo cuore accelerare i battiti poi guardandomi con tenerezza si avvicinò a me. "Ti sei macchiata, Nessie. Andiamo al ruscello." Mi portai le mani sul volto e sentii delle tracce di sangue intorno alle labbra. Imbarazzata seguii Jacob fino al corso d'acqua che si trovava poco distante e mi inginocchiai sulla riva cercando di non guardare il mio amico. Ogni occhiata che gli lanciavo mi provocava un tuffo al cuore. "Così va bene?" gli chiesi dopo essermi lavata il viso. Jacob trasalì quando mi girai e si affrettò a rispondermi balbettando. "Benissimo...Nessie ora ti porto a casa." Lo guardai sorpresa. "Papà ha detto che potevo stare fuori finché non calava il buio."
"Bene, dovrebbe far buio tra tre ore. Tornerai perfino in anticipo. Sarà contento." Non riuscivo a capire perchè volesse rientrare a casa così presto. "Tuo padre come sta?" gli chiesi preoccupata. "I medici hanno debellato l'infezione ed ora deve rimettersi in forze. A quest'ora mia sorella gli sta dando gli antibiotici."
Rachel si era laureata qualche anno prima all'Università di Washington a pieni voti ed aveva deciso di tornare a vivere a La Push per amore di Paul. "Quando si sposeranno lei e Paul?" Jacob continuò a camminare accanto a me con un andatura normale guardando per terra. "Alla fine dell'estate. Ha accettato un posto da insegnante alla scuola della riserva." Dalle ultime notizie che avevo avuto da Seth presto ci sarebbero stati diversi matrimoni tra i Quileutes: Paul e Rachel, Kim e Jared e forse anche Charlie e Sue. La mamma era certa che mancasse pochissimo al grande passo. Dovevano decidere solo dove andare a vivere. Sapeva che per Sue sarebbe stato difficile lasciare La Push dove aveva vissuto tutta una vita così come sarebbe stato per Charlie andarsene dalla cittadina di cui era lo sceriffo. Mia madre però era certa che avrebbero trovato una soluzione.
Jacob non parlò molto durante il tragitto si limitò a chiedermi distrattamente notizie della mia famiglia e dei miei studi. Il suo comportamento mi preoccupava. Era così distaccato e pensieroso. Forse era solo stanco per la lunga convalescenza del padre ed era ancora preoccupato per lui. Arrivammo davanti a casa mia senza che me ne accorgessi e mio padre ci venne incontro. "Ehi Jacob, ho saputo che Billy è in via di guarigione. Sono contento." Jacob accennò un sorriso. "Si, grazie. Ringrazia ancora Carlisle per il suo interessamento presso i medici di Seattle. Sono stati davvero gentili ed efficienti." Mio padre ricambiò il sorriso poi si fece serio e cominciò a guardarlo attentamente. Jacob sostenne il suo sguardo con un'espressione piena di disagio. Ebbi la certezza che si stessero scambiando qualche messaggio telepatico. "Nessie, entra in casa. La mamma ti ha preparato qualcosa da mangiare." Capii che dovevo lasciarli da soli. Dopo la battuta di caccia non avevo molta fame ma mi faceva sempre piacere quando mia madre o Esme si mettevano ai fornelli per me.
"Ci vediamo domani Jacob?" gli chiesi poggiandogli una mano sulla sua spalla calda. Amavo quel contatto. "Certo" mi rispose sorridendomi e accarezzandomi i riccioli. Ebbi l'impulso di abbracciarlo ma non volevo farlo davanti a mio padre. Era tutto così strano: da piccola stavo sempre in braccio a Jake anche in presenza dei miei genitori.
Perché adesso era tutto così diverso? Cosa mi stava succedendo?
Provai a confidarmi con mia madre mentre mi tagliava una fetta di torta. "Jacob ha avuto un periodo molto stressante. Dagli un po' di tempo."mi disse mentre io gettavo uno sguardo fuori dalla finestra e vedevo Jacob allontanarsi.
Si doveva essere così. Jacob probabilmente aveva bisogno di stare un pò da solo per riprendersi ma il giorno dopo ci saremmo rivisti. Avremmo ricominciato a ridere, scherzare e stare insieme come una volta. Ma il giorno dopo Jacob non tornò. E nemmeno quello dopo.

Attesi tutto il giorno il suo arrivo, una sua chiamata, un messaggino, ma niente. Decisi di rispettare la sua privacy fino al pomeriggio quando mi riattaccai al cellulare e telefonai a casa sua. "Pronto" rispose la voce di Billy.
"Billy, bentornato! Sono felice di sapere che stai bene! Mi sei mancato!"
"Grazie, tesoro. Appena posso vi verrò a trovare." Non ero d'accordo.
"No, Billy tu devi riposarti. Verremo noi. Sempre se il patto concede una deroga...Jacob potrebbe chiederlo a Sam quando lo vede."
Billy approvò. "Adesso è con lui. Il branco aveva una riunione."
Ah, allora Jake non era in casa. "Capisco. Beh potresti dire a Jacob che ho chiamato? Non voglio disturbarti oltre Billy. Ci vediamo presto."
Billy mi salutò con affetto. "Nessun disturbo, tesoro. A presto." Forse era successo qualcosa al branco e per questo Jacob non mi aveva potuto chiamare. Era comprensibile. Mi buttai sul letto e mi misi a leggere un libro ma facevo molta fatica a seguire la lettura. Rimasi lì tutto il giorno finché non fu ora di andare a letto. Mi infilai il pigiama e buttai gli abiti in un angolo. Ripresi il mio romanzo ma non riuscii ad andare molto avanti. Ero ancora alla pagina quattro. I miei rientrarono poco dopo tutti allegri da una battuta di caccia. "Ehi, piccola." disse mio padre entrando nella stanza. "E' stato fantastico stasera! Abbiamo preso un puma."
Si passò la lingua sulle labbra soddisfatto. "Interessante." commentai senza alzare gli occhi dal libro.
"Tutto bene?" mi chiese mentre si guardava nel mio specchio e si ripuliva con la mano una macchia di terra che aveva sulla guancia.
"Benissimo. " risposi in tono indifferente.
"Sei preoccupata per Jacob." Non era una domanda naturalmente. Il suo potere cominciava ad irritarmi. Dov'era la mamma quando mi serviva il suo scudo?
"Mi manca, tutto qui. A te non mancano mai i tuoi amici?"gli chiesi acida." Mio padre sospirò e si sedette sul mio letto. "Tornerà presto, vedrai."
Inspiegabilmente mi infuriai da morire con lui. "Papà mi dici cosa vi siete detti?" Lui si limitò a tacere. Io insistei. "Niente. Abbiamo solo parlato di suo padre e della sua guarigione. Niente di che." Non gli credetti. "Balle, papà! Siete stati tre ore a parlare là fuori. Gli hai detto di non venire più a trovarmi?" Fissai i suoi occhi dorati luminosi mentre lui con uno sguardo limpido e sincero mi diceva di no. Gli credetti e rilassai il viso. Perché ero così nervosa e stavo trattando mio padre così male? "Nessie." mi disse mio padre facendomi una tenera carezza. "Sei cambiata così tanto ed in così poco tempo. So che non è facile per te ma credimi: non lo è per nessuno di noi." Cominciai a capire qualcosa.
"Oh papà, scusa!" gli dissi dispiaciuta e gettandogli le braccia al collo. Lui mi strinse felice baciandomi la fronte. "Non è nulla tesoro. Basta che mi abbracci così ogni volta e ti perdono tutto."
Mi stesi nel letto mentre lui mi rimboccava le coperte. "Papà, secondo te la mia crescita potrebbe aver turbato in qualche modo Jacob?" Mio padre esitò a rispondere. "Beh, vedi...quando un ragazzo ed una ragazza diventano grandi...possono restare amici certo...ma non possono più essere...intimi come prima."
Mi misi a ridere. "Papà, come sei buffo. Mi ricordo quando mi hai fatto quel discorso sul sesso." Mio padre si alzò nervosamente. "Buonanotte tesoro, dormi bene." Scomparve in un attimo dalla mia camera chiudendo la porta. Io distrattamente sfogliai qualche altra pagina del mio romanzo. C'era una scena d'amore che per la prima volta mi emozionò tantissimo. Era uno dei libri che aveva da poco passato la rigida censura di mio padre e conteneva molte frasi romantiche e...scene di baci. Lessi con entusiasmo e poco dopo scivolai nel sonno più dolce.

Un fruscio ai piedi del letto mi fece aprire gli occhi. "Jake? Cosa ci fai qui?" Lui era di fronte a me e torso nudo, illuminato dalla luna, e mi si avvicinò con gli occhi che gli brillavano. "Non potevo starti lontano, Nessie." mi disse chinandosi salendo sopra il mio letto e chinandosi su di me. "Io ti amo." Col cuore che mi batteva all'impazzata gli appoggiai le mani sul petto caldo e muscoloso e avvicinai le mie labbra alle sue. "Ti amo, anch'io." gli sussurrai prima di baciarlo.
Mi svegliai di colpo con il respiro mozzato. "Oh cielo." mormorai a me stessa sconvolta. "Sono innamorata di Jacob Black."

 

Nei giorni successivi non cercai più di contattare Jacob. Non gli telefonai, nè andai a trovarlo. Nonostante mi mancasse terribilmente, ero troppo nervosa al pensiero di rivederlo. Fantasticavo su di lui in tutti i modi possibili. Alimentavo le mie fantasie attraverso tutti i libri ed i film su cui riuscivo a mettere le mani. Quel sogno era stato fantastico e non potevo smettere di pensarci. Volevo stare con lui, provare a baciarlo sul serio. Lasciai perfino la finestra aperta durante la notte nella speranza Jake che potesse arrivare sul serio. Essere innamorata era una sensazione incredibile. Mi sentivo felice ma avevo anche tanta paura. Per prima cosa dovevo nascondere i miei pensieri a mio padre. Trovai un rifugio nella musica. Presi l'abitudine di tenere il mio stereo acceso a tutto volume e di munirmi di ipod quando andavo in giro. Sembrava funzionare. Papà non amava troppo la musica rock e si teneva lontano dai miei pensieri quando mi vedeva ballare come una pazza nella mia camera saltando sul letto.
Adesso i testi delle canzoni avevano un significato per me! Ripresi con entusiasmo anche a suonare il pianoforte. Avevo composto un piccolo motivo pensando a Jacob e lo suonavo di continuo. Non era bello come quelli che mio padre suonava per mia madre. E adesso anche io amavo qualcuno! Ma presto l'euforia lasciava posto all'ansia.
E se lui non mi avesse corrisposto? Dopotutto mi aveva visto nascere e mi aveva cresciuto insieme ai miei genitori. Forse mi avrebbe sempre visto come la bambina in fasce che beveva biberon di sangue.
"Nonno." chiesi un giorno a Carlisle entrando di corsa nel suo studio. "Mi misuri la crescita?" Il nonno posò il giornale e mi guardò meravigliato. "Sei in anticipo, tesoro." Io mi piazzai con la schiena contro la parete dove spiccavano le numerose tacche che documentavano la mia crescita.
Il nonno prese il righello segnando di consueto una riga sopra la mia altezza. "C'è un discreto aumento."notò.
"Davvero?" esultai. Subito dopo salii sulla bilancia. C'era anche un notevole aumento di peso. Quando fu il momento di srotolare il metro per misurarmi il nonno fece venire Esme. "E' più appropriato se certe misurazioni d'ora in poi le faccia prendere ad altre donne." mi spiegò Carlisle mentre la mia dolce nonna avvolgeva premurosamente il metro intorno al mio torace, alla mia vita e poi ai miei fianchi. "Come sei cresciuta, bambina mia. Sei una giovane donna."
Quelle parole mi riempirono di speranza. Stavo davvero diventando donna? Forse se fossi cresciuta abbastanza Jacob non mi avrebbe più visto come la dodicenne con le trecce che volteggiava in bicicletta. "Ma, sto aumentando di età, almeno?" chiesi impaziente.
"Renesmee, da quello che sappiamo raggiungerai la piena maturità quando compirai sette anni. Ma non è detto che tu non cresca prima. Forse non cambierai tanto nel fisico quanto nel volto, nell'espressività e soprattutto nel carattere."
Ancora un anno e mezzo. Sospirai nervosamente. "Bene e come faccio a sviluppare tutti questi cambiamenti il prima possibile?"
I miei nonni si guardarono con un sorriso. "Nessie, prima ti lamentavi perché crescevi troppo in fretta e adesso sei impaziente di diventare adulta?"
Come facevo a spiegargli i miei tormenti interiori e quello che avevo iniziato a provare per Jacob.
"E' la vita con le sue esperienze che ci fa maturare e questo avviene in maniera diversa per ciascuno di noi."aggiunse il nonno. "La tua vita è stata piuttosto insolita, è vero. Ma presto raggiungerai un tuo equilibrio e vivrai più serenamente."
Mi alzai dalla poltrona in cui ero sprofondata e baciai i miei nonni. "Grazie di tutto. Adesso vado a salutare le ziette."
Le trovai di sopra nella camera di Alice intente a sistemarsi il guardaroba. "Nessie!" strillò Alice venendomi incontro. "Vieni tesoro. Stiamo scartando i vestiti dell'anno scorso per mandarli in beneficenza e stiamo riempiendo gli armadi con le ultime novità." Entrare in quella stanza piena di pile di vestiti, scarpe col tacco alto, trucchi e cosmetici sparsi sulla toilette. "Vi va di farmi bella?"proposi alle ragazze sedendomi davanti allo specchio. Rosalie e Alice scoppiarono a ridere. "Ehi, la nostra bambina è cresciuta!"esclamò Alice gioiosamente.
Cominciavano ad accorgersene tutti. "Mi piacerebbe truccarmi un po.'"dissi loro giocherellando con un rossetto. Non lo mettevo di solito perché le mie labbra non ne avevano bisogno e poi la cosa faceva infuriare papà. "Togliti quella roba dalla faccia!" mi urlava quando mi aveva sorpresa a truccarmi la prima volta. Guardai le zie che mi osservavano sorprese "Sono curiosa di vedere come sarei con qualche anno di più."
Rosalie aggrottò le sopracciglia sospettosa. "Chi è come si chiama?"cominciò in pieno allarme.
Io la guardai senza capire. "Ma chi?"
Lei si chinò su di me scrutandomi negli occhi. "Hai capito benissimo, piccola. Quando una ragazza all'improvviso decide di farsi bella vuol dire che c'è un ragazzo di mezzo."
Arrossii. Ma davvero speravo di ingannare due splendide vampire con decenni di esperienza in amore? Quanto ero scema
"Rose, chi vuoi che sia?"intervenne Alice. "Non può essere che il cucciolotto." Jacob! Come avevano capito tutto? Ero convinta di non poter comparire nelle sue visioni. Rimasi in silenzio imbarazzata mentre le due vampire si sedevano di fronte a me sul letto di Alice e si scambiavano un'occhiata d'intesa.
"E' lui vero?" chiese Rosali guardandomi direttamente negli occhi. Non potei fare altro che annuire.
"Allora raccontaci tutto. E' successo qualcosa tra di voi?" mi chiese la piccola veggente con il suo sguardo spiritato.
"Ehm...no."balbettai arrossendo.
"Tu non vorresti che succedesse, vero?" insistette Rosalie contrariata "Se scopro che quel cane ci ha provato..."
"Rose, credevo che il tuo odio per Jacob fosse acqua passata." esclamò Alice stupita.
"Ovvio che non lo odio. Ormai è uno di famiglia." spiegò Rosalie stizzita. " Me se solo alza le sue zampacce su mia nipote lo faccio a pezzi."
"Zia Rose, Jacob non mi farebbe mai del male." le spiegai irritata.
"Lo so. Ma farebbe qualcos'altro. E tu stai diventando troppo bella, piccola mia."mi disse accarezzandomi il volto con la sua affusolata mano gelida "E stai crescendo troppo in fretta. Tuo padre non potrà tenerti segregata ancora a lungo."
"A me Jacob non dispiace." osservo Alice "A parte l'odore da cane bagnato è un gran bel ragazzo con quel fisico muscoloso."
"Zia, non pensavo ti piacessero i tipi muscolosi. Se lo sapesse lo zio Jasper." mi divertii a stuzzicarla.
"Anche Jasper ha i muscoli sotto il suo fisico snello e longilineo. Li sento sotto la sua pelle quando lo accarezzo..." s'interruppe con uno sguardo assorto pieno di desiderio. Cominciavo a capirla. Anche io volevo accarezzare i muscoli di Jacob e sentire il calore della sua pelle. Mi mancava troppo.
"Nessie, tesoro." riprese Rosalie "Lo sai che la zia sarà disposta ad accettare chiunque tu sceglierai un giorno. Ma sei sicura che Jacob sia la persona giusta per te?"
La guardai dispiaciuta. "E' perchè è un licantropo? Ma è per metà umano. Come me! Siamo più simili di quanto possa sembrare."
"Si, è vero."osservò Alice. "Questo spiegherebbe tutto." A cosa si riferiva? Vidi Rosalie lanciarle un'occhiataccia.
"Tutto cosa zia?" le chiesi incuriosita.
"Nulla tesoro." mi rispose scrollando le spalle. Era stupefacente a volte come assumessero gesti e movimenti umani con tale naturalezza. "Allora Renesmee" proseguì. "Che ne dici di cominciare con un pò di matita nera?"
Dopo diversi minuti ammirai la mia immagine nello specchio. Il contorno nero intorno ai miei occhi li risaltava ancora di più e la tonalità di rossetto scelta da Rosalie disegnava le mie labbra in modo più preciso e carnoso. Le zie mi avevano pettinato la mia folta chioma in dei boccoli che ricadevano morbidi sulle mie spalle, con alcune ciocche trattenute dietro la nuca con dei fermagli dorati. Mi avevano fatto indossare anche un top bellissimo con le pailletes d'oro che si allacciava intorno al collo lasciandomi le spalle nude. Sotto indossai dei jeans lunghi attillati e delle scarpe col tacco coordinate. "Wow! Sei fantastica!"esclamò Alice compiaciuta. Rosalie rise. "Adesso non ti libererai più della zietta modaiola. Farà di te la tua Barbie."
"Basta che mi faccia sembrare più grande." dissi guardandomi nello specchio.
"Non devi avere fretta, tesoro. Il lupacchiotto mica scappa." scherzò Alice mentre Rosalie la fulminava.
Non risposi alla frecciatina avvertendo da una vibrazione nella mia tasca che mi era arrivato un messaggio.
Erano due per l'esattezza. Il primo era di Jacob. "Perdonami piccola se non mi sono fatto sentire. Nel branco ci sono dei problemi. Verrò appena posso. Mi manchi." Lessi elettrizzata quelle parole. Gli mancavo! Volevo mettermi a saltellare. Il secondo messaggio era di mio padre. "Ma dove sei? Torna subito perché c'è qualcuno che è venuto a trovarti." Jacob! Era riuscito a liberarsi ed era venuto da me. Strano però che si fosse trattenuto a casa mia, poteva benissimo venire alla villa. Non me ne preoccupai e mi rivolsi alle zie. "Vado a casa. Posso tenere il vestito?" volevo che Jacob mi vedesse vestita così.
Chissà che effetto gli avrei fatto. "Certo cara, ma non credi che tu padre s'insospettirà vedendoti così bella?"chiese Alice strizzandomi l'occhio. "Nooo, diremo che era solo un gioco tra di noi. Vi prego. Non dite niente ai miei di Jacob. Soprattutto a mio padre. Non traditemi mi raccomando. Nemmeno con i pensieri."
Rosalie Rosalie e Alice fecero una risatina complice. "E come facciamo?"
Risposi distrattamente avviandomi verso la porta "Se si avvicina mio padre provate a pensare a Jasper ed Emmett...nudi."
Mentre scendevo di corsa le scale udii le zie scandalizzate commentare. "Comincia pure a diventare maliziosa la piccola!"
Volai letteralmente verso casa nonostante i tacchi alti mi creassero difficoltà. Alla fine sfilai le scarpe e tenendole in mano arrivai in un lampo di fronte casa. Fui molto sorpresa quando annusai l'aria in cerca dell'odore di Jacob e non lo trovai. Al suo posto vi era un altro profumo, molto diverso, dall'aroma esotico e selvaggio, in qualche modo vagamente familiare. Ero sicura di averlo già sentito. Nel salotto di casa mia in compagnia dei miei genitori c'era un giovane dalla pelle bruna, dal fisico flessuoso, vestito con dei semplici abiti un pò rudimentali. Si voltò facendo ondeggiare la treccia nera che gli sfiorava le spalle. I suoi profondi occhi marrone chiaro mi guardarono intensamente. Rimasi colpita dalla rara bellezza di quel volto e in quell'istante lo riconobbi.
"Ciao Renesmee, ti ricordi di me?"

Dillon riaprì gli occhi interrompendo la narrazione di Renesmee. "Nahuel?" chiese meravigliato. "Era lui?"
Renesmee annuì "Purtroppo sì."

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


CAPITOLO 26

Nahuel" mormorò Dillon pensieroso. "Era un mezzo vampiro trovato da Alice. Fu grazie a lui che vi salvaste." Gli altri annuirono.
"Eppure non sembra che la sua seconda visita vi abbia fatto piacere." Renesmee gli rivolse un sorriso amaro.
Jacob sbuffò alzando gli occhi al cielo. "Decisamente no."
"Ma che cosa era successo? E tu perchè te ne eri andato?" chiese Dillon rivolto verso Jacob. "Cosa vi eravate detti tu ed Edward?"
Jacob guardò Renesmee che, con un cenno del capo ed un sorriso, lo incoraggiò a continuare la narrazione.
"Ti accontenti di un racconto a voce?"chiese bruscamente il licantropo "Preferirei che non entrassi nella mia testa, se puoi, per favore. Usa l'immaginazione."
"Non so neanche come ho fatto prima!" ribattè Dillon irritato. "Comunque farò attenzione, promesso."
Jacob sospirò e cominciò a raccontare."

Durante quell'ultimo anno ero stato assorbito dalla malattia di mio padre. Anche se le mie sorelle erano venute a darmi il cambio erano state poche le occasioni in cui ero riuscito a far visita ai Cullen. Dovevo anche recuperare i miei turni di ronda.Quando riuscii a rivedere Nessie...fu una dolcisima sorpresa."Quant'era cresciuta! Era diventata una vera signorinella. Aveva ancora quello sguardo candido e il visino rotondo ma il suo corpo stava sbocciando in una maniera semplicemente perfetta. Quant'era carina! Ci guardammo stupiti entrambi per qualche minuto e poi mi venne incontro con il suo solito fare gioioso. Probabilmente aveva notato anche lei che la differenza di età tra di noi si era accorciata. Quando mi si avvicinò non ebbi quasi il coraggio di sfiorarla e le diedi un casto bacio. Lei voleva fare una gara di corsa e cacciare ed io ero pronto ad accontentarla. Ero il suo schiavo e non volevo altro che renderla felice. Mi trasformai in lupo per rendere più avventurosa la sua gara e corremmo in perfetta sintonia come una cosa sola finché la condussi verso il cervo che avevo già adocchiato prima per lei. Io mi ripresi le sembianze umane e mi infilai in fretta i jeans stropicciati che ero riuscito a portarmi dietro. La guardai bere assorto. Era diventata bravissima. Non aveva versato una sola goccia sul vestito. Fu quando si voltò a guardarmi che capii. Del sangue le era rimasto sulle labbra colorandole come un rossetto infuocato. I suoi grandi occhi color cioccolata si persero dentro i miei facendomi perdere un battito del cuore. Non mi aveva mai guardato così prima d'ora. In quel momento mi resi conto che ogni giorno che passava diventava sempre più simile alla donna dei miei sogni, l'unica con cui avrei voluto passare il resto della mia vita. Ma era troppo presto. Lei era così bella, ma era ancora piccola. Come potevo ricambiare quel suo sguardo in quel momento? Lei non sapeva ancora cosa fosse l'amore. Sarebbe stato facile chinarmi verso di lei, accarezzarle il volto e perdermi nei suoi occhi fino a farglieli chiudere prima di baciarla. Ma mi sarebbe sembrato di approfittarmi di lei. La riportai a casa più in fretta che potevi, evitando di guardarla. Quando Edward ci venne incontro rabbrividii pensando a cosa avrebbe potuto leggere nella mia mente o in quella di Renesmee. Mi decisi ad affrontare io l'argomento per primo. Dopo uno scambio di battute informali, pensai intensamente "Dobbiamo parlare, Edward." Lui colse il mio pensiero immediatamente e spedì Renesmee in casa con una scusa. Le accarezzai i riccioli con tenerezza promettendole di vederci il giorno dopo.
"Edward è successo qualcosa oggi dopo la caccia." cominciaio nervosamente. Lui annuì. Aveva già capito tutto. Mi guardò gelido e mormorò a bassa voce. "E cosa pensi di fare, adesso?"
Sospirai. "Non farò nulla." pensai. "E' ancora bambina."
Edward mi rivolse uno sguardo preoccupato. "E se lei volesse di più? L'imprinting ti imporrebbe di assecondarla?"
"Oh cielo no. L'imprinting mi ha sempre spinto a darle quello di cui lei ha veramente bisogno. Non i suoi capricci." Nella mia mente balenarono una serie di ricordi in cui dicevo "No, Nessie, non si fa" e sorridevo paziente davanti a quel suo adorabile broncio. "Edward" ripresi "Non voglio che lei bruci le tappe troppo in fretta. Ha già una crescita spaventosa. Non voglio che si perda nulla della sua vita."
"Grazie"mi sussurrò Edward pieno di gratitudine.
Avrei potuto giurare che in quel momento aveva gli occhi lucidi."Ti chiedo solo una cosa."mi disse. Annuii. Ero pronto a tutto. "Posso chiederti di prendere le distanze da lei per un pò? Almeno per darle il tempo di capire cosa prova per te ed assimilare la cosa." Esitai. Nessie già mi mancava, ma non volevo certo alimentare una cotta adolescenziale prima che lei fosse pronta a trasformarla in qualcosa di più profondo. Sì, la cosa migliore era che lei si abituasse a quel nuovo sentimento, continuasse a farlo crescere dentro di sè, insieme a lei. Io sarei stato pronto ad aspettarla. Per sempre.
I giorni successivi sentii il peso della distanza farsi sempre più forte fino a diventare insopportabile sulle mie spalle. Avevo spento il cellulare per non farmi rintracciare da Renesmee. Sapevo che se me lo avesse chiesto non avrei potuto resistere sarei corso da lei e addio buoni propositi.
Sam convocò una riunione del branco verso il pomeriggio inoltrato. Era una giornata tranquilla e potevamo andarcene indisturbati nella foresta, nella radura buia e nascosta, dietro un enorme masso che avevamo eletto come nostra sede ufficiale. I due branchi che si erano formati dopo il mio abbandono di qualche anno prima erano tornati ad unirsi dopo la mia partenza per Darthmouth ed erano rimasti così dopo il mio ritorno. Durante la battaglia con i Volturi, la massiccia presenza di vampiri aveva destato il gene mutaforma in parecchi giovani della riserva portando il branco ad una ventina di membri. Questo ci avvantaggiava di fronte ad attacchi di vampiri ma dall'altro lato rendeva difficile tenere ancora la segretezza. Dieci licantropi potevano ancora tenersi nascosti. Ma per venti era più difficile. Ci dovemmo adattare a fare i nostri incontri durante la notte. E c'erano anche i giri di ronda da fare. In pratica tra il branco e mio padre da accudire dormivo pochissimo durante la notte e durante il giorno crollavo. Ero ancora mezzo morto di sonno quando presi le sembianze da lupo e mi accucciai sull'erba accanto a Sam per udire l'ordine del giorno. Mi limitai ad assentire per tutto il tempo con le palpebre pesanti finché non mi assopii. Fu Sam a svegliarmi con un colpetto della testa contro il mio fianco.
"Jake, la riunione è finita."mi informò. Gli altri se ne erano già andati. Abbassai la testa e guaii per la vergogna. "Vieni cucciolotto, andiamocene al fiume." Un bel bagno era quello che ci voleva e mi tuffai dietro Sam. Quando tornammo in superficie eravamo tornati umani. Ci infilammo i nostri calzoncini jeans ed uscimmo dall'acqua. Il freddo era ormai una sensazione sconosciuta e continuammo a camminare con l'acqua che ci gocciolava sulla pelle.
"Ti devo parlare seriamente, Jacob." cominciò in tono serio il mio amico.
"Si, scusa, hai ragione. Non dovevo addormentarmi durante la riunione davanti a tutti. Non lo farò più"
"Jake, non si tratta di questo. Il branco sa a quanta pressione sei sottoposto. Basta sentire i tuoi pensieri per avere l'esaurimento. Ti volevo parlare di un'altra cosa. Vedi Emily, aspetta un bambino." Wow, che bello! Non ne ero troppo sorpreso. Dopotutto erano sposati da due anni.
"Congratulazioni, Sam! Il primo figlio! Un futuro lupacchiotto." Sam sorrise raggiante di gioia. "Vedi, ho deciso di stare vicino ad Emily durante la gravidanza. Voglio che affronti tutto con il minor stress possibile." Sam aveva tutte le ragioni per volersi dedicare ad Emily. Si sentiva ancora in colpa per le sofferenze che involontariamente le aveva causato. La rottura con Leah, le cicatrici, lo scontro con i vampiri neonati e l'arrivo dei Volturi. Emily aveva sopportato tutto senza mai lamentarsi ma meritava di avere il marito vicino ora che stava per diventare mamma. Quel pensiero mi portò altri pensieri: Bella con quel pancione enorme che lo accarezzava orgogliosa nonostante i lividi. Nessie neonata che stringeva il mio indice con le sue manine. La voce di Sam mi scosse dai miei ricordi.
"Jacob, volevo chiederti di prendere il mio posto per i prossimi mesi. Intendo lasciare il branco per un pò." Lo guardai sorpreso e preoccupato.
"Jake, i ragazzi hanno legato tra loro e sono più tranquilli." riprese Sam. Tranquilli? Quelli? "E' da molto tempo che non passano vampiri nomadi che possono costituire una minaccia e quando accade sono sempre soli. Noi invece siamo circa in venti."
Non potevo certo rifiutarmi dopo che lui aveva fatto la stessa cosa per me per quattro anni!
"Non sarà una cosa impegnativa, quindi." continuò Sam "Tuo padre poi è fuori pericolo." Io annuii con un sorriso pensando al mio vecchio che già smaniava di poter tornare a pesca mentre avrebbe dovuto stare a riposo. "Jacob, io sarei comunque a disposizione in caso di emergenza. In fondo non vado da nessuna parte. Starò a casa mia. A pochi passi dalla tua e ci vedremo come sempre. Anche se solo un forma umana."
"Già, anche se sarà strano non sentire più i pensieri l'uno dell'altro."commentai.
"E' anche per questo che mi voglio allontanare un pò. Vedi, Leah sta per tornare." Rimasi di stucco. Leah non stava finendo la specializzazione in medicina?
"E' passato tanto tempo e lei ed Emily sono di nuovo in buoni rapporti. Ma non voglio che legga nella mia testa quello che provo adesso per mia moglie, per il bambino in arrivo, insomma tutto quello che non ho potuto dare a lei. Non vorrei riaprire vecchie ferite." Sapevo quanto era stata dura per Leah condividere i pensieri dell'uomo che l'aveva lasciata per sua cugina e speravo sinceramente che si fosse lasciata tutto alle spalle. Anche perchè, in caso contrario, me la sarei dovuta sorbire io. Insieme naturalmente alle menti dei miei amici e di altri dieci ragazzini scatenati. Ovviamente avrei pensato a tutto questo quando non stavo controllando che mio padre non si affaticasse o non ero sui libri di studio che avevo intenzione di riprendere. Ma questo solo quando non stavo lavorando nell'officina che avevo deciso di mettere su nel mio garage. Quell'anno si prospettava come il più stressante della mia vita ma non mi importava. Dissi a Sam che accettavo e gli diedi un abbraccio forte.
Quello che volevo era che tornasse presto il momento in cui avrei rivisto Nessie. Quando rientrai in casa, mio padre mi disse che lei mi aveva cercato al telefono. Sospirai e mi lasciai cadere sul mio letto gettando uno sguardo fuori dalla finestra. Oltre le cime degli alberi a diverse miglia, lei era lì che mi stava aspettando. Mi trascinai per qualche altro giorno fino a quando la nostalgia di lei fu insostenibile. Mancavano pochi giorni al ritiro ufficiale di Sam e decisi di fare un'ultima visita a Nessie. Seth insistette per venire con me. Guidai la macchina impaziente. Ormai la mia vecchia golf era piuttosto malconcia e camminava lentamente. Aprii lo sportello prima ancora di frenare e non appena tirai il freno a mano balzai fuori mettendomi a correre come un matto. Passai oltre ad Edward che era uscito fuori meravigliato sentendomi arrivare e mi recai sul retro della casa dove potevo udire la scia del profumo di Renesmee. Come mi batteva forte il cuore! Ancora pochi secondi e l'avrei stretta tra le mie braccia. Girato l'angolo mi fermai di colpo. Nessie non era sola. Era seduta sul tronco di un albero accanto ad un ragazzo con la treccia nera, girato di spalle. "Chi diavolo era quello?" fu il mio primo pensiero irritato. Poi percepii il suo odore e potei riconoscerlo. Nahuel?
Nessie si alzò non appena mi vide, con la bocca spalancata per la sorpresa e con gli occhi che le brillavano. Ma quanto era diventata bella in pochi giorni! Era splendida! Sembrava anche più alta, più matura. "Jake!" esclamò vedendomi."Ti ricordi Nahuel?"
La rabbia inziale si attenuò. All’inizio fui quasi contento di rivedere Nahuel. “Ma certo! Tu sei il ragazzo che ci ha salvato la vita! Bentornato, amico!” Nahuel mi guardò diffidente e mi annusò dubbioso. “Tu sei il lupo, presumo?”mi chiese. Il suono della sua voce era limpido e cristallino come quella di Renesmee e come Renesmee era di una bellezza assurda. Cercai di non pensarci, in fondo gli dovevo troppo. Non so quanto tempo rimasi seduto su quel tronco insieme a Renesmee e a Nahuel ascoltando la voce gioiosa della mia piccola amica che seduta in mezzo a noi due rievocava la nostra schiacciante vittoria sui Volturi, mostrandoci i suoi ricordi con il suo speciale potere. Sembrava passato solo un giorno invece erano trascorsi sei anni. “Jacob guarda! Prova a toccarlo! La sua pelle è di trentotto gradi proprio come la mia.” esclamò Nessie togliendo la mano dalla guancia di Nahuel. Non avevo molta voglia di toccarlo ma per compiacerla gli sfiorai velocemente il volto con le dita. Non so quando l’indigeno lo gradisse. Sotto le mie dita alla temperatura perenne di quarantadue gradi, la sua pelle mi risultava fresca come quella di Nessie. Vidi Nessie asciugarsi gli occhi. “Scusate adesso mi passa.” mormorò con voce rotta dall’emozione. “Tutto bene?” chiese Nahuel premuroso posandole una mano sulla spalla. “E’ la prima volta che...voglio dire che i miei sono gelidi al tatto e Jacob scotta. Perfino gli umani come mio nonno o Sue mi sembrano freddi al mio confronto. Invece tu mi fai sentire...”
“Normale?” concluse lui. “Ti capisco. Ho provato lo stesso quando ho conosciuto le mie sorelle.”
I due presero a parlare tagliandomi fuori dalla conversazione. Con un sospiro compresi che Nahuel, avrebbe potuto rispondere a tutte le sue domande sulla loro strana natura e non potevo che esserne felice per lei. “Credo sia meglio lasciarvi soli. Avrete un mucchio di cose da dirvi.” annunciai alzandomi. Nessie mi guardò dispiaciuta. “Devi proprio, Jake?” La sua delusione mi rinfrancò e le sorrisi. “Avrò un miliardo di cose arretrate da fare. Tornerà appena posso. E’ stato un piacere rivederti, Nahuel.Ti fermerai a lungo?” Lui mi guardò serio. “Si” rispose con decisione. Mi rabbuiai in volto ma gli rivolsi lo stesso un sorriso forzato e me ne andai. Lasciai la macchina a Seth e andai a piedi tagliando per la foresta. In fondo non dovevo essere dispiaciuto, mi ripetevo mentre correvo a tutta velocità in mezzo agli alberi. Nessie aveva bisogno dei consigli di un suo simile proprio ora che stava raggiungendo la maturità. E tutto ciò che la rendeva felice era sempre stato nelle mie grazie. Ma c’era un altro sentimento che fin dal primo istante era strisciato insinuandosi nel mio cuore e non mi lasciava più in pace. Rividi nella mia mente la mano di quel damerino dell’Amazzonia sulla spalluccia nuda e candida di Renesmee per consolarla. Proprio quel giorno lei doveva mettersi quell’adorabile top? Mi fermai e colpii con il pugno il tronco di un abete. La corteccia si sgretolò sotto la mia mano. Avevo creato una casetta per gli scoiattoli. Mi ci volle qualche minuto prima di ammettere con me stesso che cos'era quello mi stava tormentando. Da anni non provavo nulla del genere: gelosia.
Quello fu decisamente il periodo più brutto della mia vita. Pressioni e responsabilità da ogni parte e mai un attimo di respiro. Ovunque mi girassi c’era qualcuno con dei problemi e dovevo risolverglieli io. I ragazzi del branco, i loro genitori, i clienti della nuova officina che avevo improvvisato nel mio garage, la gente di La Push che sosteneva di aver udito dei lupi vicino al villaggio ( noooo ma quando mai) e aveva proposto una battuta di caccia per stanare quelle bestie pericolose. I lupi più giovani invece, proponevano di andare a caccia di vampiri invece di aspettare che transitassero nella nostra area. Per distrarli da quei folli propositi decisi di organizzare degli allenamenti intensivi e delle strategie di battaglia. In quel modo li avrei tenuti pronti in caso di pericolo e li avrei fatti stancare un pò. Purtroppo però quello che arrivava alla fine della giornata terribilmente spompato ero io. Ma non potevo certo perdere tempo a riposare. La notte quando avevo finito di lavorare, ultimato le faccende di casa, rimboccato le coperte e mio padre e coordinato i turni di ronda, sgattaiolavo in forma di lupo fino a casa di Nessie. Durante il giorno non avevo mai molto tempo per farle visita e quando ci riuscivo con lei c’era sempre quell’impiastro sudamericano. Il signorino ormai alloggiava in pianta stabile a casa Cullen, servito e riverito con tutti gli onori. Gli avevano dato la vecchia camera di Edward dove si ritirava però solo la notte ed io approfittavo di quei momenti per godere indisturbato della visione celestiale della mia dolcissima Nessie addormentata.
Quella notte aveva lasciato la finestra socchiusa ed io col muso spostai le persiane in modo da infilarci in mezzo la mia enorme testa e potermi affacciare sulla stanza beandomi di ogni particolare. Il suo profumo tenero. Le sue guance candide schiacciata sul cuscino. I suoi lunghi boccoli ramati sparsi sul cuscino. Le sue lunghe ciglia setose. Il suo respiro lieve che le faceva alzare ed abbassare il petto. Le sue labbra rosate socchiuse che parevano nascondere dei baci.
Non potevo più negarlo. Non era il mio solito atteggiamento protettivo che mi teneva inchiodato davanti a quella finestra. Quella notte ero lì unicamente per me stesso. Ero innamorato di lei.
“Finalmente lo hai ammesso” disse una voce con sospiro. Mi voltai sbalordito. Edward mi stava guardando con il suo solito sorriso sghembo.

Edward?” pensai sconvolto. Cosa ci faceva lì? E perchè non era arrabbiato?
“Cosa ci faccio qui? Sai...è casa mia.” mi spiegò alzando un sopracciglio. “E se mi stai chiedendo perchè non ti caccio via a calci sappi che vorrei farlo. Ma non riesco proprio ad avercela con te. Mi ricordi troppo me stesso.” Il suo sguardo si posò su Renesmee addormentata al di là della finestra. “Ho fatto tante notti la stessa cosa. Amavo guardare Bella addormentata, vegliare sui suoi sogni. Ed è stato proprio la prima volta in cui sono entrato nella sua camera per guardarla dormire che ho capito di essere innamorato di lei. “
Edward che mi capiva era una cosa dell’altro mondo per me. “Non è più una bambina.” mormorò contemplando di nuovo Renesmee.
Non potei fare a meno di annuire. “Già.” pensai assorto. “Che cosa sta facendo in questi giorni? Come passa le giornate?” La vedevo talmente poco che non sapevo quasi più nulla di lei. “Bè, ha concluso i suoi programmi di studio del liceo ed è passata a quelli universitari, fa scuola guida con Rosalie, e poi ha deciso di fare da insegnante a Nahuel. Il ragazzo ha imparato a leggere e scrivere in pochi giorni e fa grandi progressi in tutte le materie.”
Un ringhio mi sfuggì involontariamente. “A che scopo? Cosa se ne fa quello di un diploma se vive in mezzo alla giungla?”
L’espresione di Edward si fece severa. “Ci sono cose che non sai Jacob. Nahuel non tornerà in Sud America. Non tanto presto almeno.”
Io ringhiai rabbiosamente ma piano per non svegliare Nessie. “Immagino che prima voglia corteggiare tua figlia. Ecco perchè fa lo studente modello.”
Edward scosse la testa con tristezza. “Ti sbagli, Jacob. Nahuel è rimasto da solo al mondo. Joahm ha ucciso sua zia.”Ripensai alla piccola vampira dalla pelle olivastra che aveva cresciuto Nahuel come fosse suo figlio e provai un grande dispiacere per lui.
“Joham era determinato a riprendersi il suo primogenito.”continuò Edward “Costringerlo a vivere con lui e le altre femmine, ma Nahuel era felice con la zia e non voleva saperne. Così il padre, se possiamo chiamarlo tale, ha deciso di spezzare il loro legame. Ma non c’è riuscito. Nahuel non è un mostro come lui, vuole solo una vita tranquilla. Così è fuggito. Dove altro poteva andare?”
Mi sentii in colpa per le mie insinuazioni su Nahuel e Nessie e ricordai quanto il ragazzo, sei anni prima,  fosse rimasto colpito dalla famiglia Cullen, in particolare da Bella, sopravvissuta al parto, al contrario della sua vera madre. Era naturale che fosse venuto a Forks a chiedere rifugio. Promisi a me stesso che sarei stato più gentile con il cioccolatino, nonostate si fosse incollato a Nessie.
“Renesmee tiene molto a lui. Ha sempre desiderato un amico.” mi fece notare Edward.
“Ma ha sempre avuto me.” ribattei mentalmente.
“Non ti vede più come un amico o un fratello maggiore da un sacco di tempo. E presto si cercherà qualcuno con cui stare.” disse queste ultime parole guardandomi pensieroso. “So che è questione di tempo prima che voi due...insomma per via dell’imprinting e tutto il resto. Ma vorrei chiederti una cosa?” Il mio cuore aveva dato un balzo alle ultime parole di Edward e mi misi in attesa della domanda. “Sei sicuro che è quello che vuoi? Stare con lei significa una vita immortale, che ti separerà dalla tua famiglia ad un certo punto. E devi considerare la possibilità di non poter avere dei figli.” Provai una stretta al cuore a quella prospettiva, ma non per me.
“Ne siete certi? Lei è...”
“Nahuel ci ha portato altre informazioni sugli ibridi. Pare che le sue sorelle siano sterili. Joahm ha fatto degli esperimenti in proposito.” mi spiegò Edward rabbrividendo. Che schifo! Come se le figlie fossero degli animali! Per lui evidentemente era così.
“Non c’è il rischio che Joahm tenti di fare del male a Nessie?” chiesi allarmato.
Edward si addolcì. “Non ne avrebbe motivo. Nahuel non gli ha mai parlato di lei e comunque Nessie, fisicamente è un’ibrida proprio come le sue figlie. Non aggiungerebbe nulla di nuovo alle sue scoperte. In ogni caso non potrebbe toccarla. Ha una famiglia numerosa a proteggerla. Ed un branco ben nutrito.” mi strizzò l’occhio.
“Ben detto!” approvai io tranquillizato.
“Ma, Jacob, stavo parlando di te. Voglio essere sicuro, che a prescindere dall’imprinting, tu possa accettare ed amare la persona straordinaria che
è Renesmee.” Mi guardò diritto negli occhi ansioso ed io non potei fare altro che pensare a Nessie, a tutti i miei momenti con lei, ad ogni sfumatura del suo volto, del suo sorriso, dei suoi gesti. A tutto ciò che lei era. La mia vita stessa.
Essere immortale e non avere figli, non era niente al confronto.
“Beh, direi che mi basta.” disse con un sorriso Edward. Sembrava essersi tolto un peso. “Promettimi solo che mi informerai quando deciderai di dichiararti. O quando deciderai di fare qualsiasi cosa.”
“Fantastico.”pensai “Paparino, approva ma mi vuole contenere sotto controllo." Che dovevo dire? Per Nessie quello ed altro. Mi affacciai di nuovo verso la finestra per guardarla un’ultima volta.
Edward intanto mostrandomi l’orologio mi fece segno che era ora di togliere il disturbo. Mi dispiaceva lasciarla ma quella sera avevo avuto più di quanto sperassi.
“Cosa sta sognando?”chiesi ad Edward prima di andarmene.
“Te.” mi disse con molta sincerità accenando un sorriso intenerito. Capii che non mi avrebbe rivelato altri particolari e chinando il capo in cenno di saluto per Edward mi misi a correre verso casa. Pazzo di felicità.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


CAPITOLO 27

Mi ci volle del tempo prima di riuscire a trovare il modo di parlare con Renesmee. Non appena avevo un attimo libero correvo alla villa sul fiume ma non riuscivo mai a trovarla da sola. Nahuel era sempre tra i piedi. Come mi ero ripromesso cercai di essere gentile con lui e mostrarmi solidale. Lui non si fidava del tutto ma mantenne quel freddo rispetto che aveva contraddistinto finora i nostri rapporti. Renesmee era contenta e s’illudeva che potessimo essere amici, ma io e Nahuel con un solo sguardo avevamo già capito di essere rivali. Per quanto Edward mi avesse fatto commuovere con la sua triste storia sapevo che Nahuel era attratto da Renesmee e niente avrebbe potuto convincermi del contrario. Per il momento io ed il mezzosangue avevamo stabilito un tacito accordo che ci imponeva di non superare la linea di confine che avevamo tracciato. Ma io ero impaziente di attraversarla, prendere tra le braccia Renesmee e guardarla negli occhi per dirle quanto l’amassi ed avessi bisogno di lei. Ma una paura, un dubbio, un tarlo si era insinuato nella mia mente e mi dipingeva la scena un cui Nessie respingeva la mia dichiarazione dicendomi che la cotta adolescenziale le era passata e che per lei ero solo un amico. Il migliore, il più caro, ma sempre e solo un amico.
“Jake, la devi smettere con queste paranoie” mi diceva Seth. “Va da lei e scoprilo una volta per tutte. Mandi Tarzan a farsi un giro e le dici che la ami. Che è da tutta la vita che aspetti questo momento. Che ci vuole?”
Il mio amico aveva ragione ma non era così facile per me. L’imprinting mi imponeva di essere tutto ciò che lei desiderasse e in quel momento l’amicizia era tutto quello che lei richiedeva. In quei mesi era maturata molto. Parlando con Nahuel, Nessie aveva saputo rivalutare la sua vita e la fortuna di vivere in un posto sicuro, amata e protetta con la sua famiglia. Ero contenta che stesse trovando una sua stabilità ma avere un altro motivo per cui essere grato a Nahuel mi irritava parecchio.
Il ritorno di Leah mi fu di grande aiuto. I suoi racconti del college e della sua nuova vita mi aiutarono a distrarmi dai miei pensieri ed inoltre, riprendendo il suo ruolo di beta nel branco, alleggeriva di molto i miei compiti. Un bel giorno mi decisi a confidarmi anche con lei per avere un parere femminile. La mia migliore amica, Bella, era fuori causa dal momento che era la madre di Renesmee. In effetti, era una situazione piuttosto bizzarra...
“Che onore, signor capobranco!” disse Leha quando la raggiunsi sulla veranda di casa sua dove aveva montato un telaio. Anche mia madre ci lavorava spesso quando ero piccolo.
“Avanti Jacob, sputa il rospo.” Leah sapeva già cosa stavo attraversando. Non solo poteva condividere i miei pensieri quando eravamo in forma animale ma ormai mi conosceva come le sue tasche. Vuotai il sacco in pochi minuti.
“Tu sei fuori di testa, Jake.” disse mentre tesseva. “Hai dimenticato l’imprinting? Lei non può non ricambiare. Sarà più forte di lei. Non capisco cosa ti abbia trattenuto fino a questo momento. Nessie dimostrerà diciassette anni ormai, o no?”
Facendo un rapido calcolo mi resi conto che Nessie avrebbe compiuto sei anni di lì a poco e che poteva passare per una diciassettenne o una diciottenne al massimo. Era talmente bella che mi faceva male guardarla. Ma ero trattenuto. Mi tratteneva il rispetto per lei e per i suoi tempi, ma sopratutto l’intensità di quell’amore che sentivo crescere dentro di me ogni giorno. Il mio cuore non era in grado di contenerlo. Solo il pensiero di essere respinto era insopportabile.
“Dal momento che Nessie ha avuto l’imprinting con te non potrà fare a meno di amarti.” insistè lei convinta. “E’ sempre così.” aggiunse alla fine con una puinta di amarezza. Guardai Leah preoccupato, sperando che toccare quell'argomento non l'avesse ferita. Leah era diventata una ragazza tranquilla e soddisfatta della propria vita, ma temevo che il brusco abbandono da parte di Sam per sua cugina l’avrebbe segnata per sempre. “Non so se esistono eccezioni, anche se...”mormorò Leah pensierosa.
“Anche se cosa?”le chiesi.
“Lei non è del tutto umana. Chissà se questo potrebbe cambiare le cose...”
Non mi piaceva quella teoria. “Mi spieghi che vuoi dire?”
“Abbiamo sempre pensato che lo scopo dell’imprinting fosse far trovare ai lupi le compagne giuste con cui avere dei figli forti con cui perpetuare la specie. Ma mi hai raccontato che secondo Nahuel, Renesmee dovrebbe essere sterile.”
“Sì.” mormorai.
“Non so cosa dirti Jacob. Forse l’imprinting sarà diverso tra voi due.”
“Diverso come?”
“Non ne ho idea, ma sai che ti dico? Come mi suggerì qualcuno anni fa, ci si può anche frequentare, uscire insieme, innamorarsi alla vecchia maniera. “
Ridacchiai sollevato. “C’è solo un modo per scoprirlo Leah. Dirle cosa provo per lei.”
“Oh finalmente! Così non dovrò più sorbirmi tutti i film che ti fai nella tua testa! Comincia ad essere frustrante.”
“Io pure mi sono sorbito i tuoi, mia cara.”ribattei ma subito me ne pentii. Vidi Leah sospirare.
“Si lo so, sono stata odiosa. Ma adesso è passata. Sono andata avanti. Non puoi rimanere bloccato in una situazione per tutta la vita.” Restammo in silenzio per qualche secondo a riflettere poi Leah sollevò dal telaio la copertina che stava realizzando. “Ti piace? E’ per il mio nipotino.”
Sorrisi pensando che presto sarebbe nato il bambino di Sam ed Emily. I mesi erano passati velocemente. E Leah aveva ragione. Dovevo andare avanti.

 

Renesmee avrebbe compiuto sei anni. Di solito festeggiava il suo compleanno insieme a quello della mamma che ricorreva tre giorni dopo. Edward si divertiva a viziare le “sue ragazze” e ogni anno organizzava qualcosa di speciale per loro. Ma quel sesto compleanno era diverso. Trascorso quell’ultimo anno sarebbe rimasta immutabile, per sempre. Chissà cosa avrebbe organizzato il vampi-papi questa volta?
“Jacob ma chi altro viene alla festa?” mi chiese Leah ansiosa dal sedile posteriore.
La guardai dallo specchietto retrovisore mentre guidavo verso Forks.
“Amici di famiglia.” risposi io facendo il vago.
“Altri vampiri, quindi?”
“Che ti aspettavi scusa?”protestai io.
“A me non dispiace.” disse Seth seduto al mio fianco. “Ci stanno certi fenomeni da circo tra i loro amici! Spero che torni quello che poteva controllare gli elementi.”
“E così verranno anche vampiri non vegetariani?” mi fece notare Leah in tono di rimprovero “E noi dovremo stare a guardare quando vanno a nutrirsi fuori dal confine?”
“Non credo verranno quelli. La volta scorsa era un caso di emergenza. Stavolta si tratta di una festa di compleanno. Edward non è così stupido da invitare cani e porci.”
“I cani li ha invitati” ridacchiò Seth. Allungai una mano per dargli un ceffone in testa.
Quando arrivammo trovai il vialetto illuminato a festa con tante lanterne da giardino, pieno di decorazioni e fiori colorati ovunque. Ricordavo di averlo visto così solo un paio di volte: alla festa del diploma e al matrimonio di Edward e Bella. Le cose erano cambiate in un modo incredibile da allora. In lontananza riconobbi Carmen, Eleazar, le sorelle Denali e Garrett. Non vidi altre facce nuove intorno. Mi tranquillizzai al pensiero che erano tutti vegetariani quando vidi anche Zafrina ma non la ritenni pericolosa, sapendo quanto adorasse Renesmee.
“Eccoli!” strillò la vocetta inconfondibile di Alice. Apparve di fronte a noi non appena parcheggiai la macchina.
“Ciao mostriciattolo! Dov’è la festeggiata?” chiesi guardandomi intorno.
“E’ su in camera mia e sta finendo di prepararsi. Non sai che fatica trovare un vestito adatto all’occasione che passasse la censura del paparino.”
Risi all’idea di Edward che scuoteva la testa su ogni vestito troppo scollato o troppo corto. Nemmeno io sarei stato entusiasta di vedere Renesmee troppo scoperta in presenza di Nahuel. Sarei stato capace di sbranarlo se avesse osato guardarla anche solo con un briciolo di desiderio.
Istintivamente lo cercai e lo vidi davanti al bouffet con Esme che stava provando a convincerlo a mangiare qualcosa. Esme aveva una quantità infinita d’amore verso tutti. Non mi sorprendeva che avesse accolto anche lui come un figlio. Non appena ci vide, la nostra ex insegnante ci corse incontro e ci abbracciò tutti e tre, piena di felicità. Il suo profumo dolciastro da vampira ormai non ci dava più fastidio, anzi riuscì a metterci di buon umore. Quando salutai Naheul notai che aveva accorciato i suoi capelli ed aveva addosso un bellissimo completo. Un regalo di Alice senz’altro. Sembrava un fotomodello, in confronto a me.

Mi sentii a disagio nel mio vecchio abito sgualcito. Mentre mi toglievo la giacca, Seth, che aveva già cominciato a mangiare, inavvertitamente mi schizzò la camicia con dell’olio. Perfetto!
“Credo di avere qualcosa in casa per mandare via la macchia. Vieni con me.” mi disse Esme premurosamente. La seguii nell’ingresso e aspettai ai piedi delle scale mentre andava a prendere del borotalco. Fu quando mi appoggiai alla ringhiera che sentii quel profumo inconfondibile ed alzai lo sguardo. Lei era in cima alle scale che mi guardava. Niente avrebbe potuto prepararmi alla vista della dea che si presentò ai miei occhi.
Nessie indossava un abito corto rosa, senza spalline e la gonna a ruota che metteva in risalto la sua splendida figura.

Aveva i boccoli ramati tirati su, la frangia liscia pettinata da un lato, e una ciocca di riccioli le ricadeva sulla spalle nude. Era truccata in modo naturale in un modo che faceva risaltare i suoi occhi scuri sulla pelle chiara e valorizzava la sua labbra carnose.
Mi lasciai inebriare da quella visione e sentii che il potente laccio che mi univa a lei farsi sempre più stretto. Ma ero un felice prigioniero.
Nessie scese le scale guardando fisso dentro di me con il rossore che le scaldava le guance. Restammo immobili a guardarci per diversi minuti. Sarei rimasto così anche per l’eternità...
“Ecco il borotalco Jacob, per la tua macchia.” intervenne Esme mentre io arrossivo coprendomi la manica macchiata.
“Ci penso io” intervenne Nessie cominciando a tamponarmi il tessuto delal camicia. Il solo tocco delle sue mani sul mio braccio mi fece accelerare i battiti del cuore.
“Non viene via.” notai con un sorriso imbarazzato.
“Allora puoi fare così” rispose lei cominciando ad arrotolarmi la manica fino al gomito. Fece la stessa cosa con l’altro braccio. Avrei voluto stringermela al petto ma davanti ad Esme non ne avevo il coraggio. “Ehi, eccoti!” esclamò Edward raggiungendoci insieme alla sua signora. “Come va lupastro?”
“Ciao Jake. “mi salutò Bella. “Che ne pensi della piccola?” mi chiese strizzandomi l’occhio.
“E’...splendida.” balbettai adorante.
“Metti il copri spalle, tesoro.” disse Edward in tono serio porgendole un maglioncino bianco.
“Si mettilo” insistei anch’io. Lei mi lanciò uno sguardo scocciato. “Fa freddo...” balbettai guardando altrove. Nessie rise e mi diede una gomitata. I suoi la guidarono in giardino per condividerla con gli altri ospiti. La seguii con lo sguardo tenendomi in disparte ma con un sorriso pieno di gioia. Per tutto il tempo non riuscimmo a toglierci gli occhi di dosso.
Il rinfresco non durò a lungo. Seth spazzolò via tutto quello che potè, Leah fu più contenuta ma dimostrò un buon appetito, ma io toccai appena il cibo. Ero troppo emozionato per mangiare. Edward si sedette al pianoforte e dedicò un brano speciale per Nessie proprio nel momento in cui entrò la torta. Un’enorme dolce ricoperto di cioccolato bianco ripieno di cioccolato fondente su cui troneggiava una candelina verde a forma di sei.

Esprimi un desiderio Nessie!” le gridò qualcuno. Nessi alzò i suoi occhi scuri oltre la fiamma della candela e mi guardò intensamente. Poi con un solo soffio la spense. Tutti applaudirono contenti e a turno cominciarono ad abbracciarla con affetto. Emmett la sollevò da terra e la fece girare. “Il tuo ultimo anno prima dell’immortalità. Dall’anno prossimo allo specchio vedrai sempre la stessa faccia!”
Emmett si prese un sacco di fischi e botte in testa per la sua battuta. Quando Renesmee venne vicino a me, partì la musica di un lento e lei prendendomi per mano mi guidò sotto la pista da ballo che avevano attrezzato sotto il gazebo. “Apri le danze con me?” mi chiese.
Non ero un gran che come ballerino ma volevo tenerla tra le braccia per un po'. Annuì felice, incurante delle occhiatacce di Nahuel e le misi una mano intorno alla vita mentre con l‘altra stretta nella sua comincia a guidarla in un lento impacciato. Ridemmo entrambi per mia goffaggine.
“Jake, non ti è servito a nulla vedere tutti quei film di Walt Disney con me?” mi disse lei con un sorriso.
“Non sono esattamente il principe azzurro” commentai divertito “Ma questo lo posso fare.” Così dicendo la sollevai da terra e la feci girare in tondo come avevo visto fare ne La Bella e la Bestia o ne La Sirenetta. Mi godetti il suono della risata argentina di Nessie e quando la rimisi giù i nostri occhi s’incontrarono di nuovo. Avevo pensato a lungo a quali parole usare per dirle quanto l’amavo e quali avrebbe usato lei per dirmi cosa provava ma in quel momento mi accorsi che non erano necessarie.
Ad un tratto lo sapevamo tutti e due: io amavo lei e lei amava me.
“Posso avere un ballo?” chiese Nahuel interrompendoci. Un ringhio soffocato mi partì dalla gola ma fu solo il tocco delicato di Nessie che poté calmarmi. “Vediamoci dopo. Da soli.” la sua voce risuonò leggera dentro la mia mente mentre mi mostrava l’immagine della nostra radura.

Attesi con pazienza il momento migliore per svignarmela. Improvvisamente mi era tornata la fame e divorai diverse fette di torta con entusiasmo. “Esme, l’avevo detto di prenderne una più grande...” commentò Alice scuotendo la testa. Guardai tranquillamente Nessie ballare con tutti i famigliari e gli amici. La gelosia mi era passata. Non pensavo altro al momento in cui ci saremmo ritrovati da soli. Mi misi a chiacchierare con tutti amabilmente e invitai a ballare anche Leah e Bella. Quest’ultima mi spiegò che lei ed Edward erano in partenza per la Florida.
“Mi madre ha insistito perché andassimo a trovarla. Vuole festeggiare un compleanno con me dopo tanto tempo. Non me la sono sentita di deluderla e poi non voglio rischiare che lei venga qui.”
Non potevo che approvare la sua scelta e pur dispiacendomi perché Nessie non aveva più potuto vedere la nonna, mi rallegrai all’idea che i suoi genitori se ne andassero.
Non avevo dimenticato la mia promessa ad Edward, ma prima di tutto volevo parlare di nuovo con Nessie. Appena ne ebbi l’occasione sgattaiolai via nel bosco e corsi veloce fino a quando non raggiungetti la radura. Mi sedetti su un tronco giocherellando nervosamente con la cravatta.
Fu soltanto dopo un’attesa che mi sembrò interminabile che udii il fruscio del suo vestito in mezzo alle foglie. Le corsi incontro e mi fermai a poca distanza da lei rivolgendole il sorriso più grande e raggiante che potessi fare.
“Nessie.” feci un altro passo fino ad accarezzarle il volto. “Non sai da quanto tempo aspetto questo momento.”
Gli occhi di Nessie però non riflettevano la mia stessa gioia. Sembravano tristi, angosciati.
“E’ successo qualcosa? Qualcuno ti ha vista venire qui?” le chiesi allarmato.
“No, stanno tutti riordinando, qualcuno è andato a caccia. I miei genitori sono partiti. Mi hanno già salutata e mi credono a letto.” Nessie era visibilmente ansiosa e si teneva lontana da me con una mano poggiata ad un tronco.
“Che cosa succede allora?” le chiesi impaziente ma con un tono dolce.
“Jacob, ascolta, non so come dirtelo. Prima mentre ballavamo, ho avuto la sensazione che stesse per succedere qualcosa...come se tu avessi iniziato a provare qualcosa di diverso per me...”
“Non ho iniziato a provare niente. Io provo qualcosa per te. Da sempre. Nessie...” esitai prima di continuare. Le presi la mano e le dissi. “Io ti amo.”
Ebbi l’impressione che i suoi grandi occhi di cioccolata si gonfiassero di lacrime. Erano di felicità?
“Jake, io...”
“Lo so cosa provi, amore. Te l’ho letto negli occhi. Sembra incredibile ma è vero, noi ci amiamo..” Cercai di attirarla a me ma lei rimase rigida e si scostò.
“Jacob, mi dispiace ferirti ma ti sbagli. Io...”fece un grande sforzo a parlare. “Io non ricambio i tuoi sentimenti. Io non ti amo.” Quelle parole furono come una coltellata. Non riuscii a crederci. Lei non mi amava?
“Ti ho sempre voluto bene” continuò “Ho sempre avuto un affetto speciale per te. Ma non è amore. Ne sono sicura.”
“Piccola, non avere fretta. Datti un pò di tempo. Io posso aspettare che tu faccia chiarezza dentro di te. Ho già aspettato tanto.”
“No!” disse lei risoluta. “Non mi serve tempo. Il fatto è che sono innamorata di un altro.”
Il sangue smise di affluirmi al cervello e il mio cuore perse un battito.
“Non è possibile.”
“Si, Jake, Io amo Nahuel.”
Una risata sarcastica e sprezzante mi uscì involontariamente dalla gola.
“No, non è vero. Io vi ho visti insieme e so che lui è interessato a te, ma tu non lo ami. Tu ami me. Nessie io ti conosco, ho sempre saputo cosa provassi ed ho visto crescere il sentimento che hai per me. So di cosa parlo.”
“Si chiama amicizia. “protestò lei. “Jake, io credo che tu abbia visto quello che hai voluto vedere. Io amo sul serio Nahuel.”
“Balle!” gridai “Non ci credo.”
Nessie alzò gli occhi al cielo. “Posso provartelo” mi disse porgendomi la sua mano. Non volevo vedere nulla ma lasciai che mi toccasse. In quel momento non vidi altro che l’immagine di Nessie teneramente abbracciata a Nahuel mentre si baciavano con passione. Fu un colpo nello stomaco ma una parte di me si ribellò solo all’idea che un altro potesse averla. Era inconcepibile.
“Non ci credo lo stesso!”urlai.”Tu sei mia. Nessie, io e te siamo destinati a stare insieme.”
Lei mi rivolse un sorriso amaro. “Ti riferisci all’imprinting?”
Rimasi a bocca aperta. “Chi te lo ha detto?” chiesi addolorato. Volevo essere io a spiegarglielo.
“Davvero credevi che non lo avrei scoperto? Quello che conta è che le cose per voi non andranno come avevi progettato. Mi dispiace che tu mi abbia dato per scontata per tutto questo tempo. A quanto pare voi licantropi non sapete tutto sull’imprinting.”
Parlava con veemenza ed io non potei fare altro che restare in silenzio e immobile completamente spiazzato.
“Potrebbero esserci un milioni di spiegazioni” riprese lei poco dopo. “Io non sono Emily o Claire. Pensaci bene. L’imprinting nel nostro caso ha fatto sì che tu mi risparmiassi la vita e che il branco tornasse in pace con la mia famiglia. Potrebbe essere avvenuto per quello scopo e tu hai semplicemente lasciato che ciò influenzasse i tuoi sentimenti.”
“Niente mi ha influenzato! Ho sempre saputo chiaramente quello che provavo e lo so anche adesso. Io ti amo! L’imprinting centra solo in parte.”
“Io non amo te comunque. Fattene una ragione.” mi disse abbassando lo sguardo.
“Mai...”mormorai sconvolto.
“Se davvero mi ami, devi lasciarmi andare. Credimi, mi dispiace farti del male, ma non voglio stare con te. Non in quel modo. Io voglio Nahuel.”mentre parlava cercava di ricacciare indietro le lacrime.“Voglio che tu sia libero da questo strano legame.
Non potei rispondere. Ero come pietrificato.
“Saremo sempre amici se lo vorrai, un giorno. Ma adesso voglio che tu vada per la tua strada e ti faccia una vita tua. Fallo per me.”
Abbassai lo sguardo nella consapevolezza che avrei fatto sempre e comunque qualsiasi cosa per lei.
“Cerca di essere felice” mi disse Nessie sfiorandomi il volto per un ultima volta. Stavolta però non mi doveva mostrare nulla. Era un addio.
Quando alzai gli occhi era già scomparsa.

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


CAPITOLO 28

 

Morto. Ero morto. Non provavo più nulla. Immobile, rigido, con la mente vuota per impedire che quel terribile pensiero mi avvolgesse e mi distruggesse. Lei non mi amava. Lei amava un altro.
Basto un respiro, un soffio di vento che mi portò alle narici la debole scia del suo profumo accanto all’albero dove si era appoggiata. Lei era stata lì fino a pochi secondi prima. Trovai la forza di muovermi e di fare un passo nella direzione che aveva preso ma qualcosa mi bloccò dentro. Non c’era più nessuna attrazione a guidarmi verso di lei. Quella rivelazione mi scosse come un pugno nello stomaco e mi fece indietreggiare barcollando come se fossi ubriaco. Un vuoto terribile a cui non sapevo ribellarmi mi stava scavando dentro e ottenebrava ogni mia immagine. Ero un morto che andava alla deriva. Cominciai a vagare senza meta e mi imposi di ricordare ogni momento passato con lei, mentre una gelida calma s’impossessava di me e desideravo solo scomparire.

Nessie neonata. I suoi grandi occhi marroni. La mia giacca finì a terra. Nessie che mi porgeva la sua manina candida. Cominciai ad allentarmi la cravatta. Nessie bambina, che volteggiava in aria per poi ricadere tra le mie braccia e rideva. La mia cravatta scivolò via. Nessie era una signorinella e correva verso di me in bicicletta, con le treccine al vento. Le mie dita cominciarono impacciate a trovare i bottoni della camicia. Nessie correva nel bosco con me, diventando sempre più agile e forte e voleva giocare alla lotta. Un bottone uscì dall’asola. Nessie mi cercava con lo sguardo ed io ero sempre pronto a farmi trovare. Qualche altro bottone. Nessie suonava il pianoforte ed io restava incantato ad osservarla. Un bottone ancora. Nessie che mi abbraccia e nasconde il volto contro la mia spalla. La mia camicia cominciò ad aprirsi. Nessie addormentata. La mia camicia scende dalle mie spalle e si sfila dalle mie braccia. Nessie che mi guardava affascinata come non aveva mai fatto. Ebbi una specie di mancamento e dovetti appoggiarmi contro una roccia.

Nessie!” sussurrai con dolcezza. I ricordi più dolci mi invasero la mente mentre i pantaloni lasciavano i miei fianchi insieme ai boxer. “Nessie!” ripetei disperato. Tornai in me mentre con rabbia mi toglievo le scarpe. “Nessie!” gridai. In risposta il vuoto. Intorno a me. Dentro di me.
Perchè lei non mi amava! Mi buttai in ginocchio e presto il mio grido si trasformò in un ululato.


“Jakeee!” La voce di Seth risuonò nella mia testa. Subito dopo si aggiunse anche quella di Leah.
“Jake? Che ci fai laggiù? Sono ore che ti cerchiamo.” Non riposi ed attesi che mi raggiungessero.
La mia mente da lupo rivisse la scena che era avvenuta pochi istanti prima con Nessie e così i miei due amici ne furono subito messi al corrente.
“No, Jake! Non ci posso credere!” disse Seth. “Pur avendolo visto nei tuoi pensieri non ci voglio credere.”
“Nemmeno io” aggiunse Leah. “Non ha alcun senso.”
“Lei ti ama Jake.” ribatté Seth. “Ce ne siamo accorti tutti. Abbiamo visto tutti come ti guardava durante la festa. Perché doveva guardarti così se aveva in mente di darti questa mazzata?”
Era quello che mi chiedevo anche io senza trovarvi una risposta. La mia mente però era offuscata e si rifiutava di collaborare. Non riuscivo a capire. Volevo solo andarmene.
“Basta, così. Andiamo a casa.” ribattei gelido.
Seth mi guidò fino al luogo in cui aveva appoggiato i suoi vestiti ed i miei che aveva recuperato mentre Leah si dirigeva verso la macchina. Tornai in forma umana controvoglia e mi rivestii in silenzio mentre Seth cercava di incoraggiarmi.
“Devi tornare da lei e chiarire.” mi disse con risolutezza. “Non c’è nulla da chiarire.” risposi asciutto. “Ho visto quello che ho voluto vedere. Dovete esserne rimasti influenzati anche voi.” Ignorai le sue proteste e uscii dal bosco..
La mia auto guidata da Leah comparve in cima al pendio sulla strada e corsi ad aprire lo sportello del passeggero. “Fammi guidare.” le dissi facendola scendere. “Vi porto a casa.”
“Lasciami da Emily.” mi disse Leah mentre si sedeva dietro. Mi ha mandato un messaggio. Forse ci siamo...”
“Sta per nascere il bambino?” chiesi freddamente mentre mettevo in moto e partivo. “Finalmente una bella notizia.” Per quanto potessi essere contento per Sam in quel momento la cosa mi era indifferente. Il pensiero di un neonato me ne ricordava un altro. Ma una parte di me cercava di staccarsi da quel pensiero. Di nuovo il vuoto.
“Non c’è più.” mormorai sconvolto.
“Cosa?” I ragazzi mi guardarono preoccupati.
“Non sento più quell’attrazione verso di lei. E’ scomparsa!”spiegai.
“Vuoi dire che Nessie ha spezzato l’imprinting?” chiese Seth dubbioso. “Ma è impossibile! Come ha fatto?”
“Perché lui non può che accettare tutto quello che lei voglia.” osservò Leah “Tutto quello di cui lei ha bisogno.”disse Seth.
“E adesso vuole che esca dalla sua vita. “conclusi con la voce piena di amarezza. Lottai con me stesso perché una parte di me non voleva lasciarla andare. Anche a costo di soffrire come un pazzo.
Guidai cercando di non pensare ad altro che alla strada. Permisi a Seth di accendere lo stereo ma non riuscii nemmeno a seguire il testo della canzone che veniva trasmessa.

Continuo a non capire.” disse Seth quando appena lasciata Leah proseguimmo verso la casa dei Clearwater. “Ma se Nessie lo avesse fatto per un altro motivo?”
“Che stai dicendo?” sbuffai.
“Non è che suo padre ha minacciato di farti la pelle se ti avvicinavi o roba simile e lei ti voleva proteggere?”
“Edward mi aveva già dato la sua approvazione. E niente comunque mi avrebbe fermato.” ribattei.
“Allora anche a lui dispiacerà molto.” osservò Seth dispiaciuto.
“Non credo gli verrà la depressione. Cosa vuoi che gliene importi di me? Finché ha la famigliola unita e se la spassano tutti insieme non gliene importa niente di nessuno.”
“Edward non è mica un insensibile.”protestò Seth. “Anche lui ha sofferto per amore, non te lo ricordi quando lui e Bella si sono separati?”
“L’ha lasciata lui” gli ricordai.
“Si, ma solo perché voleva darle una vita normale da umana. C’ero anche io fuori dalla tenda quella notte, ho sentito tutto.”continuò il mio giovane amico. “E poi anche tu hai continuato a pensare a quella conversazione parecchio tempo dopo. Ci hai fatto una testa così a tutti.”
“Si, lo so è anche per quello che me ne andai.” dissi seccato. Non mi piaceva ripensare a quel periodo. Ormai non aveva più importanza.
Risi amaramente pensando che venivo rifiutato per la seconda volta. La differenza era che stavolta la ragazza in questione aveva fatto la scelta più appropriata. Nessie aveva scelto qualcuno della sua specie, con cui poter condividere con naturalezza la propria immortalità e che probabilmente era sterile come lei. Qualcuno che non avrebbe mai rimpianto una vita umana...

Voglio che tu vada per la tua strada e ti faccia una vita tua. Le sue parole risuonarono nella mia testa e mi illuminarono. L’oppressione ed il vuoto dentro di me scomparvero.

Proprio mentre partiva il ritornello della canzone, inchiodai di colpo facendo una brusca inversione ad U che alzò tutta la polvere intorno e spronai la mia vecchia golf sulla strada del ritorno spingendo l'acceleratore al massimo. “Wow! Che è successo?” chiese Seth colto alla sprovvista aggrappandosi al sedile. “Forse ho capito, Seth! Lei mi ama!”
Mentre Seth esultava e lanciava grida di gioia lasciammo alla spalle La Push dirigendoci sulla statale verso Forks. Proprio la macchina cominciò a perdere colpi. “Dai bella, non mi abbandonare proprio ora.” dissi disperato quando si spense di botto lasciandoci in mezzo alla strada. “E’ morta la batteria!” gridai esasperato.
“Ha resistito pure troppo.” commentò Seth tristemente.
“Non mi importa. Vado a piedi.” dissi risoluto levandomi la giacca per potermi muovere più liberamente.
“Ma è quasi giorno. Non puoi trasformarti.”
“Ci vado da umano allora. Seth pensa tu alla macchina!”
“In bocca al lupo...o meglio in bocca a te stesso. Vai Jake! Corri!!!” mi gridò dietro mentre io avevo già iniziato a correre il più velocemente possibile.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


CAPITOLO 30

Mentre mi cambiavo d’abito, Zafrina mi portò un tè caldo. Non avevo idea di come avesse imparato a prepararlo dal momento che viveva nella giungla e si nutriva solo di sangue, ma ci riuscì. Io lo sorseggiai per farle piacere anche se mi sembrava aspro. Forse era solo il sapore che avrebbe avuto la mia vita a partire da quel momento. Anche gli odori familiari della casa e dei fiori che circondavano il giardino mi erano indifferenti. Nemmeno lo spettacolo lussureggiante delle foreste tropicali con i loro aromi esotici, evocati da Zafrina, riusciva a distrarmi dal mio stato d’animo. “Per favore, Zafrina. Non serve a nulla.” Il paesaggio intorno a me scomparve e mi ritrovai di nuovo tra le pareti della mia camera. “Scusami, ma non credo che ci sia qualcosa in grado di distrarmi. Nemmeno se fai comparire l’odore di Jacob.” Potevo percepire chiaramente il familiare aroma selvaggio raggiungere le mie narici. Zafrina alzò un sopracciglio perplessa poi fece un sorriso. “Veramente ora io non sto facendo niente. “ mi spiegò guardando fuori dalla finestra. Il mio cuore diede un balzo e mi precipitai fuori. Jacob era là fuori, sotto il cielo che albeggiava, con la sua camicia bianca ancora arrotolata fino ai gomiti, la cravatta nera allentata ed il respiro ancora ansante per la corsa. I suoi occhi brillavano di speranza mentre mi guardava senza parlare. Quant’era bello!
“Cosa ci fai qui?” gli chiesi sbalordita. “Credevo...”
“Che me ne fossi andato?” concluse lui con un sorriso. “Stavo per farlo, poi ho pensato a qualcosa.”
Il mio cuore battè più forte mentre gli chiedevo “Cosa?”
Jacob mosse quei pochi passi che ci separavano guardandomi diritto negli occhi.
“Orami ti conosco piccola, ti conosco troppo bene. Per quanto tu possa essere cresciuta e cambiata, il tuo cuore non ha mai avuto segreti per me. So che sei testarda, che quando ti metti in testa qualcosa non demordi. So che non faresti mai del male a nessuno. Soprattutto alle persone che ami. Saresti disposta a sacrificarti per loro. Così mi sono detto: forse lei mi sta mandando via per proteggermi, forse pensa di non potermi rendere felice.”
Mi aveva smascherato. Tentai di replicare ma le lacrime che avevano preso a sgorgarmi dagli occhi avrebbero smentito ogni mia parola.
“Come puoi pensare che io possa essere felice senza di te?”mi chiese facendo un altro passo.
Abbassai lo sguardo. “Vai via ti prego” bisbigliai sconvolta. Anche se volevo che mi stringesse tra le sue braccia e non mi lasciasse più andare.
“Non mi importa di quello che mi hai detto questa notte. Non mi importa se hai baciato un altro. Io non voglio e non posso smettere di amarti. L’imprinting non centra niente.”
“Si, invece.” protestai. Ero certa che il legame tra di noi si fosse spezzato. Ne ero sicura perché sentivo una voragine dentro da quando l’avevo mandato via. Ma non riuscivo a smettere di amarlo. Forse perché non volevo.
“Mi sono sentito andare alla deriva quando mi hai lasciato.” Sono andato via perché era quello che volevi. Eppure adesso sono qui e il cuore mi batte forte. Ma non è l’imprinting che mi ha riportato qui.” Le lacrime mi scorrevano sulle guance quando Jake mi si avvicinò.
“Non piangere, ti prego” mormorò raccogliendomi delicatamente una lacrima con un polpastrello. “Non devi, piccola. Ascolta, io ti amo. Amo ogni cosa di te. Il modo in cui mi guardi con i tuoi occhioni di cioccolato. I tuoi riccioli ramati che ti ricadono davanti al viso quando corri ma non te li vuoi legare lo stesso. Il tuo sguardo incantato quando scopri qualcosa di nuovo. Il modo in cui il tuo volto si illumina quando sorridi. Quando ti impunti e fai il broncio. Quando le tue dita scorrono sulla tastiera del pianoforte. O quando arricci il naso se annusi del cibo umano. Amo perfino quando atterri una bestia nel bosco e gli affondi i denti nella giugolare.”
Risi all’improvviso a quest’ultima frase e alzai gli occhi al cielo. Jacob mi prese una mano con tenerezza e cominciò ad accarezzarne il dorso con le sue dita. “Credi che non ti amerei lo stesso, anche senza l’imprinting?”
Non seppi cosa rispondere. Lo guardai negli occhi restando senza fiato. Lo amavo da morire.
“Mi dispiace non avertene mai parlato prima. Voleva aspettare il momento giusto. Essere sicuro che capissi. Alcuni hanno vissuto in modo doloroso quest’esperienza per via delle conseguenza che ha portato nella loro vita.”
“Come Sam.” osservai.
“Ma per me, è stata la cosa migliore che potessi capitarmi. Come se in quel momento ogni pezzo della mia vita andasse al suo posto ed ogni dispiacere venisse curato. Il fatto di trasformarmi in un lupo, di vedere la mia migliore amica rischiare la sua vita, di avere per tanto tempo il cuore spezzato. Tutto ha avuto un senso.”
“Cosa provavi per mia madre?” gli chiesi ad un tratto sospettosa. Istintivamente ritirai la mia mano.
Jacob sospirò. “ Non ti nasconderò più niente. Sì, c’è stato un periodo in cui sono stato innamorato di tua madre. Ma ero molto giovane, avevo solo sedici anni, non sapevo niente dell’amore. Lei mi piaceva fin da quando ero piccolo, andavamo d’accordo e nel periodo in cui Edward l’ha lasciata, ci siamo avvicinati molto. Ma lei, per quanto mi abbia voluto bene, non ricambiava i miei sentimenti. Amava troppo tuo padre e l’avrebbe amato fino alla morte. Io mi ero intestardito a volerla proteggere, a volerla far restare umana, perché potesse scegliere me. Ma non è successo ed io me ne sono andato per un po'. Ma sono tornato perché qualcosa continuava a tenermi legato a tua madre. Soprattutto quando è rimasta incinta. Quel qualcosa eri tu! Lei doveva condurmi a te.”
Ascoltai a bocca aperta quella vecchia storia raccontata da lui per la prima volta. Avevo sempre immaginato che Jacob potesse essere stato una specie di fidanzatino di mia madre visto che si conoscevano fin da piccoli ed erano molto legati. Ma non avevo mai fatto domande perché...si perché ero gelosa. Adesso, pensando al giorno della mia nascita, alla rabbia feroce che avevo visto negli occhi di un Jacob distrutto dal dolore, capii che i suoi sentimenti dovevano essere stati ben più profondi di una semplice cotta adolescenziale. “E cosa provi adesso per lei?”chiesi sospettosa.
Jacob mi rivolse un sorriso rilassato. “Le voglio bene come ad una carissima amica. Ma quel vecchio sentimento non c’è più. E’ svanito.” concluse la frase con un’espressione serena nei suoi occhi. Capii che era sincero.
“Jacob, ma tutto questo è opera dell’imprinting. E’ l’ennesima prova che i sentimenti che provi per me non sono autentici, non sono una tua scelta.”
“E’ vero io non ho scelto di amare quelle piccola bambina mezza vampira più di ogni altra cosa al mondo. Ma è successo. Non ho scelto che il branco rinnovasse il patto con la tua famiglia e ponesse le basi di una nuova alleanza. Ma è successo. Non ho scelto di essere la persona felice del mondo ogni volta che ti vedevo ridere. Ma è quello che mi succede ogni giorno da sei anni a questa parte e non lo cambierei per nessuna ragione al mondo. A volte ci accadono cose inaspettate a cui noi non avremmo mai pensato, che si rivelano le cose migliori per la nostra vita, cose che non meriteresti nemmeno, ma non puoi fare altro che accettarle con gratitudine. Come se ti trovassi di fronte ad un miracolo. Tu sei il mio miracolo, Nessie.”
Cominciai a tremare, di fronte allo sguardo vellutato dei suoi occhi scuri. Cominciai a cedere.
“Non potrò mai darti una vita umana e normale, Jake.”
Lui rise scuotendo la testa. “ La mia vita non è più normale né umana da tanto tempo. Ormai mi piace essere un lupo. Soprattutto se questo vuol dire stare per sempre con te.”
Feci un altro tentativo, ormai allo stremo delle mie forze. “Come puoi sapere che non rimpiangerai di non poter avere dei figli? Io non li posso avere.”
“Lo so, ma non mi importa. E poi ho già avuto una bambina.”

Sorrisi con lui pensando a tutte le volte che Jacob mi aveva accudito e mi aveva fatto giocare. “Sei sempre stata tutto quello di cui avevo bisogno. Non mi serve altro.”

Esitavo ancora. Possibile che io bastassi a compensare tutto?
“Sappi una cosa. Se vorrai respingermi di nuovo, stare con un altro, io rispetterò la tua scelta. Ma non tornerò alla mia vita da umano, per nessuna ragione al mondo. Userò la mia immortalità per restare qui ad aspettarti, per il resto dell’eternità, o anche solo per guardarti da lontano. Anche qui sulla soglia di casa tua sarebbe l’unico luogo al mondo dove potrei essere felice.”
Mi tremavano le gambe incapace di dire una sola parola. Le lacrime mi scorrevano libere per la gioia mentre Jacob mi prendeva di nuovo per mano e cominciava ad accarezzarmi i riccioli scomposti che mi ricadevano intorno al viso.
“Se non mi ami, dimmelo di nuovo.” mi sussurrò.
Sollevai la mano che lui stava coccolando e gliela posai sul volto tenendo la sua posato sopra.
Feci apparire nella sua mente ogni istante, ogni ricordo, ogni sogno che provava il mio amore per lui. Jacob sospirò e chiuse gli occhi. Appoggiò la fronte contro la mia ed iniziò ad accarezzarmi il viso lentamente, fino ad arrivare al contorno delle mie labbra con la punta delle sue dita.
“Kuk laule” mormorò sulle mie labbra senza aprire gli occhi. Sapevo cosa significasse.
“Ti amo anch’io Jake.” risposi felice.
Jacob sorrise e portando una mano intorno alla mia vita mi attirò più vicino a sé.
Le nostra labbra si toccarono per la prima volta, con assoluta naturalezza ma lentamente come per cominciare a conoscersi. Il suo sapore era intenso e familiare come l’avevo immaginato.
Il bacio si fece sempre più appassionato e il nostro abbraccio sempre più stretto. Avvolsi le braccia intorno alle sue spalle forti e affondai le dita tra i suoi capelli corti e neri per attirarlo ancora più vicino. Le nostre lingue si trovarono come se non avessero fatto altro nella vita. I nostri cuori battevano all’impazzata e i nostri respiri si facevano sempre più affannosi. Un calore intenso infiammò i nostri corpi e ci fece desiderare che quel bacio non finisse mai.
Dopo qualche secondo ci staccammo per respirare e le labbra di Jacob scesero per baciarmi il collo. Inarcai la schiena e mi strinsi ancora di più a lui cercando la sua pelle sotto il tessuto della sua camicia. Ne volevo ancora di lui. Ancora. Stavamo per perdere letteralmente il controllo.
“Andiamo via di qui” mi bisbigliò all’orecchio. Annuii e gettai un’ultima occhiata alla casa. Zafrina comparve sulla soglia con un sorriso rassicurante. “Andate, vi copro io.” Mi lasciai prendere per mano da Jacob e cominciai a correre con lui dentro il bosco. Verso la nostra felicità.

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Capitolo 31
*** Capitolo 29 ***


CAPITOLO 29

Quando Jacob concluse il suo racconto, Dillon si accorse di essere rimasto a fissarlo a bocca aperta per tutto il tempo. Quella storia lo coinvolgeva sempre di più per quanto non fosse un grande romantico. Al contrario. Non aveva mai saputo cosa fosse l’amore. Lo aveva visto per la prima volta tra Edward e Bella e ora tra Jacob e Renesmee anche la loro storia lo aveva lasciato piuttosto confuso. “Ma cos’era successo? Perchè lei ti aveva lasciato così?”
Renesmee si alzò dalla poltrona e tese la mano a Dillon. “Credo dovremo fare un passo indietro per spiegarti tutto.”
Dillon annuì e prese la mano di Renesmee. “Si, sarebbe il caso.” le rispose con un sorriso.
Chiuse gli occhi e lasciò che il flusso delle immagini lo travolgesse di nuovo.


Nessie stava correndo nel bosco con le lacrime agli occhi, incurante dei rami che si impigliavano nel suo vestito elegante. Era davvero bella, anche se la descrizione di Jacob non bastava a renderle giustizia. Ma il suo volto era contratto dal dolore. Quando fu abbastanza lontana dalla piccola radura dove aveva lasciato Jacob, Renesmee crollò sulle ginocchia e scoppiò in un pianto sommesso.
“Ero disperata” narrò la voce di lei che accompagnava la sua visione. “Non avevo mai pensato di poter soffrire in quel modo.Negli ultimi mesi i miei sentimenti per Jacob erano cambiati. Dalla prima notte in cui avevo sognato di baciarlo non sono più riuscita a guardarlo con occhi diversi. Fu molto difficile tenerlo nascosto a mio padre e cercare di schermare i miei pensieri. Lui non mi disse nulla ma doveva aver intuito qualcosa. Sentendomi così controllata, per me era diventato piuttosto imbarazzante pensare di farmi avanti con Jacob. Ero a disagio anche per il fatto che lui mi aveva visto nascere ed era stato come un terzo genitore per quasi tutta la mia vita. Mi avrebbe mai visto come una adulta? Le mie speranze si affievolirono ulteriormente quando Jake cominciò ad evitarmi. Era sempre affettuoso con me ma col tempo aveva diradato le sue visite.
La lontananza era terribile ma non riusciva a spegnere l’amore ardente che provavo per lui.

Decisi di aspettare e di mettere da parte i miei sentimenti. Forse quando avrei dimostrato diciasette, diciotto anni avrei potuto trovare il coraggio di parlargli direttamente e fare sì che mi vedesse come una donna. Una donna innamorata di lui. Cercai di tenere la mente occupata e l’arrivo di Nahuel mi facilitò la cosa. Mi diede molto su cui riflettere. Fin dai primi giorni avvertii un forte legame con lui e la sua storia riuscì a farmi evadere dai miei problemi. Lui aveva perso sua zia, la sola famiglia che avesse mai avuto, mentre suo padre era un sadico pazzo che non si era fatto scrupoli di approfittare dei sentimenti di Pire. Prima di Nahuel, non mi ero mai resa conto di quanto fossi fortunata. Mi lamentavo di vivere rinchiusa in un’esistenza monotona invece mi accorsi che avevo la possibilità di chiamare casa un luogo bellissimo, circondata da persone che mi amavano, soprattutto da due persone meravigliose come i miei genitori. Ero stata cieca per tanto tempo. Ero grata a Nahuel per avermi aperto gli occhi e per il modo in cui mi trattava. Lui non mi aveva visto crescere, non si sentiva in dovere di proteggermi tutto il tempo e mi faceva sentire una persona adulta. Proprio quello di cui avevo bisogno. Ma non c’era niente di romantico tra noi. Almeno, non da parte mia.
Un giorno mentre eravamo a caccia, ad un tratto lui mi prese per mano e si inginocchiò di fronte a me cogliendomi letteralmente di sorpresa.
“Perdonami, Renesmee. Non sono bravo in queste cose, ma devo dirtelo. Non ho mai provato nulla di simile ai sentimenti che sento per te. Sto cercando di dirti che ti amo e vorrei stare con te per sempre.”
Non seppi cosa rispondere e mi allontanai. Lui continuò a parlare. “Ho sempre avuto nel cuore te e la tua famiglia per quello che avete fatto per me ma non immaginavo che sarei arrivato a volerti così bene.”
“Cosa abbiamo fatto per te?” gli chiesi meravigliata.
“ Mi avete liberato dai fantasmi che mi hanno oppresso fin dalla mia nascita. Mi ero sempre visto come un assassino responsabile della morte di mia madre. Ma grazie ai tuoi genitori ho capito che non era stata colpa mia. Mia madre avrebbe potuto salvarsi ed essere qui con me adesso. L’unico colpevole in questa storia è Joahm” Annuii tristemente vedendo la sofferenza che ancora segnava il suo volto. Incoraggiato lui continuò. “Ora che posso finalmente vivere in pace con me stesso e che sono rimasto solo, credo che il mio posto sia qui con voi. Con te. Gli unici che possono capirmi ed accettarmi per quello che sono.”
“Nahuel, ti vogliamo tutti bene e potrai restare quanto vorrai, ma credo che tu stia confondendo i sentimenti che provi per me con la gratitudine.” balbettai confusa.
“No, credimi. Sono sicuro di quello che provo. Tu sei la creatura più straordinaria che abbia mai incontrato. In centocinquant’anni non ho mai provato un sentimento simile a questo.” Rabbrividii leggermente pensando che Nahuel era più vecchio di mio padre e di almeno un paio di miei zii. “Anche se non ci fosse la tua famiglia, vorrei stare con te per l’eternità. Qui, ovunque, in qualunque parte del mondo.” Io ero impietrita e non sapevo come rispondergli di no senza ferire i suoi sentimenti.
“Non rispondere adesso.” mi disse Nahuel serenamente “Prenditi un pò di tempo e poi dimmi solo se posso sperare che un giorno, non importa quanto lontano, tu possa ricambiarmi.”
Non volevo causargli altra sofferenza ma dovevo essere sincera con lui. “Nahuel, non so come dirtelo...saresti la prima persona a cui lo dico, e ti chiedo di mantenere il segreto...”
“Assolutamente.” mi rispose con uno sguardo pieno di adorazione.
“C’è un motivo per cui so di non poterti ricambiare. Non sai quanto mi addolori ferirti, ma...”
“Ma c’è un altro.” concluse lui per me. Annuii imbarazzata. “E’ il lupo, vero?” chiese aggrottando le sopracciglia.
“Ti prego”lo supplicai con le guance in fiamme. “ Non dirlo a nessuno e cerca di non pensarci neanche. Non voglio che gli altri sopratutto mio padre, lo scoprano adesso.”
“Renesmee, io manterrò il segreto ma credo che tu debba prima rifletterci con attenzione. Jacob Black è un licantropo. Siete due esseri troppo diversi. Pur essendo alleati, le nostre nature sono fatte per combattere tra loro. Una vostra unione sarebbe impossibile!”
“Siamo per metà umani, entrambi” protestai addolorata.
“Si ma la loro metà è più umana di quanto la nostra lo sarà mai. Renesmee, lui non è destinato all’immortalità come noi. Può smettere di trasformarsi e riprendere una vita umana quando vuole.” La parole di Nahuel mi raggelarono. Era vero. Non ci avevo mai riflettuto ma adesso ricordavo tanti particolari. Jacob aveva ereditato il suo gene di mutaforma dal suo bisnonno, Ephraim Black. I licantropi di La Push potevano sposarsi, avere figli, invecchiare e morire, lasciando alla generazione successiva la capacità di trasformarsi.
“A noi non sarà mai possibile.”aggiunse Nahuel pronunciando le ultime parole, quasi con tristezza.
“Che vuoi dire?” chiesi sospettosa.
Nahuel sospirò con uno sguardo colpevole. “Avevo promesso ai tuoi di non dirti nulla, ma credo tu abbia diritto di saperlo. Renesmee, ho ragione di credere che i mezzi vampiri come noi non possano avere figli. Le femmine di sicuro. Joham ha compiuto degli esperimenti con le mie sorelle.”
Fui pervasa dal disgusto e dall’indignazione. Perché tutti avevano l’ossessione di proteggermi e mi tenevano sempre nascoste le cose? La prospettiva di essere sterile non mi aveva colto del tutto di sorpresa. Sapendo che gli ibridi delle varie specie animali e vegetali erano sterili mi sembrava logico che lo fossi anche io. Ma nessuno aveva mai voluto affrontare l’argomento con me o prepararmi alla notizia. Che cosa aspettavano?
“Ti ringrazio di avermelo detto” dissi a Nahuel cercando di calmare la mia furia. “Ma adesso devo tornare a casa. Ho bisogno di altre risposte.” Lo lasciai lì in mezzo al bosco e volai fino alla villa senza nemmeno voltarmi.
Il primo che decisi di affrontare fu mio nonno Carlisle. Non perché lo ritenessi più responsabile degli altri ma perchè volevo qualche chiarimento medico.
“Non avresti dovuto saperlo così” sospirò quando lo raggiunsi nel suo studio e lo misi al corrente di tutto. Io gli sorrisi e gli accarezzai una mano. “Non ce l’ho con te, nonno. Ma ho bisogno di sapere tutto quello che sai sulla mia specie.”
“I mezzi-vampiri sono molto simili ai mutaforma. La loro temperatura corporea è molto più alta di quella umana ed hanno 24 coppie di cromosomi. Sono analogie interessanti. Ma non abbiamo prove sulla capacità della tua specie di procreare ad eccezione di quanto ci ha riferito Nahuel a proposito delle sue sorelle. Le ultime analisi che ti ho fatto, purtroppo, non hanno dato conferme nè smentite in merito.”
Sapevo a cosa si riferiva Carlisle: io avevo l’aspetto di un’adolescente già da qualche anno ma non era ancora comparso alcun segno della mia fertilità.
“Dove sono gli altri?” chiesi destandomi dai miei pensieri. Mi aspettava una bella chiacchierata con i miei genitori. Li trovai in soggiorno dove mio padre stava componendo al piano sotto lo sguardo ammirato di mia madre. Appena mi vide smise di colpo. Come appresi dopo, mi stava preparando una melodia che avrebbe suonato al mio sesto compleanno. “Come è andata la caccia?” mi chiese mia madre sorridendomi. Mio padre lesse nei miei pensieri e si rabbuiò. Alice mi venne incontro col suo fare gioioso e interruppe quel confronto mentale. “Nessie che ne pensi di organizzare una bella festa per il tuo compleanno! Potrei pensare a tutto io. Sarebbe comunque una cosa semplice in famiglia, non preoccuparti.”
Feci una risatina sarcastica “Certo, sarà bellissimo festeggiare con una famiglia che mi tiene nascoste le cose.”
Nel soggiorno regnò il silenzio. Emmett e Rosalie spensero la televisione e si voltarono. Esme alzò lo sguardo dal suo tavolo di lavoro. Jasper prese posto accanto ad Alice preoccupato. “Cosa vuoi dire?” chiese mia madre guardandomi sbigottita. Mio padre affranto seguiva il filo dei miei pensieri e prese la parola. “Ha saputo delle sorelle di Nahuel. Nessie, non pensi che sia difficile dare una notizia del genere alla persona che ami più al mondo?”
Per un attimo mi sentii in colpa ma tenni duro. “Lo capisco, ma sto diventando adulta. Ho il diritto di sapere a cosa vado incontro.”
“Te lo avremmo detto.” mi disse Rosalie guardandomi piena di comprensione. “Li avrei costretti io, in caso.”
Mia madre superò lo spazio che ci divideva in un battito di ciglia e posò le sue mani sulle mie spalle. Avevamo lo stesso fisico ma io ero più alta di lei ormai.
“Continueremo a fare ricerche.” mi disse piena di dolore. “Troveremo delle risposte.”
“Non è questo che mi spaventa” la rassicurai raddolcita. “ Ad avere dei figli non ho mai pensato concretamente. Voglio solo che mi promettiate di dirmi sempre la verità Qualsiasi cosa accada. Per quanto triste o dolorosa.” La mia rabbia era sfumata. Mi chiesi se c’era lo zampino di zio Jasper. Mi voltai abbracciando tutti con lo sguardo. “Quindi se c’è qualcos’altro che sapete su di me da quando sono nata fino ad oggi, vi prego ditemi tutto” le mie parole furono seguite dal silenzio. Una sottile tensione pervase tutta la stanza mentre i miei familiari si guardavano negli occhi tradendo un profondo imbarazzo. “Allora c’è dell’altro!” conclusi preoccupata.
L’arrivo di Nahuel ci distrasse per un attimo dalla discussione. Fu accolto da una decina di sguardi ostili.
“Potevi farti gli affari tuoi!” gli ringhiò contro mio padre non appena mise piede nella stanza.
“Non è colpa sua” spiegai per difendere il mio amico. “Siamo entrati per caso in argomento” aggiunsi per evitare ogni riferimento a Jacob.
“Scusatemi, ma voi forse non capite cosa sta passando.” disse Nahuel indicandomi con un cenno del capo.
“Non ti azzardare a ripeterlo!” ruggì Rosalie. “Tu non sai niente di noi e di cosa abbiamo passato per proteggere questa bambina.”
“Sono cresciuta adesso e pretendo la verità! Che altro mi tenete nascosto?”insistei alzando la voce. Ancora silenzio.
“E’ così terribile?” osservai meravigliata. “Cosa mi succederà? Diventerò velenosa? Diventerò un’omicida assetata di sangue?”
“No, niente del genere” mi assicurò mio padre. “E’ una cosa delicata.”
“E non credo sia il caso di parlarne davanti a degli estranei.” aggiunse Rosalie indicando Nahuel.
“Lui resta!” mi opposi. “Mi fido solo di lui adesso.” E di Jacob.
“Già Jacob...” mormorò mio padre leggendo i miei pensieri. Mi morsi un labbro nervosa, rimproverando me stessa e miei pensieri espliciti. Ad un tratto mi chiesi se la cosa riguardasse lui. Lo sguardo di mio padre fu una conferma.
“Cosa centra Jacob?” chiesi avvicinandomi a lui ancora di più.
“Dovrebbe dirglielo lui, Edward” protestò mia madre accigliandosi. “E’ una cosa che riguarda loro due.” Di cosa stavano parlando? Esplosi letteralmente e mi misi a gridare. “Voglio saperlo adesso!”
“Nessie, tesoro, calmati” mi disse mio padre cercando di prendermi il volto tra le mani.” Non è nulla di grave, ma è una cosa molto seria e importante che da sempre coinvolge la tua vita. Tu e Jacob avete un legame speciale che vi unisce fin dal giorno della tua nascita.”
Lo sapevo. Lo avevo sempre saputo. Jacob era stato sempre una presenza insostituibile nella mia vita. Ma che altro c’era sotto? Di colpo mi si aprì un interrogativo che non mi ero mai posta. Perchè Jacob aveva dedicato tutto se stesso a me fin da quando ero nata? A me era sempre parso naturale ma visto da fuori il suo attaccamento poteva sembrare eccessivo per un semplice amico di famiglia.
“Tu e Jacob...”cominciò mio padre a fatica. “Siete destinati l’uno all’altra. Per stare insieme per sempre.”


Un strano presentimento, soffocò la gioia che le parole di mio padre mi avevano provocato. Io e Jacob insieme! Per sempre! Era tutto quello che desideravo. Ma un’altra parola mi aveva messo in allarme: destinati. Implicava una qualche forma di costrizione.
“Chi lo ha stabilito?” chiesi con un filo di voce.
“Il vostro legame è stato stabilito il giorno in cui i vostri occhi si sono incontrati per la prima volta. E’ una cosa che succede ai licantropi di La Push. Cadono vittime di una sorta di incantesimo per una donna particolare. Qualunque sia la sua età. Una specie di amore a prima vista chiamato imprinting.”
Una cosa che succedeva ai licantropi? Incantesimo? “E’ successo a qualcun altro?” chiesi incuriosita. Volevo capire meglio.
Mio padre ci rifletté per un attimo poi si decise a dirmelo. “Paul l’ha avuto con Rachel. Jared con una sua compagna di scuola Kim. Sam con Emily.” Erano tutti sposati.
“Ed Embry con Claire.” aggiunse mio padre con un leggero imbarazzo.
“Ma Claire ha nove anni!” protestai. Ripensai alla tenerezza e alle premure che Quil rivolgeva alla piccola e mi commossi. Avrebbe dovuto aspettare almeno altri dieci anni prima di poterla sposare.
“Per ora il loro legame non ha nulla di romantico. Quil non ha fretta. E’ felice così. Vuole solo il bene della piccola.”mi rassicurò mio padre raddolcito.
I miei ricordi corsero a tutti i momenti in cui Jacob era stato al mio fianco e si era dedicato completamente a me. Ricordai il modo in cui si era disperato quando i miei avevano annunciato il trasferimento a Darthmouth. Non avrei mai pensato che i suoi gesti d’amore non fossero naturali. Jacob era vincolato a me da un’incantesimo? Il suo amore non era reale? Non potevo, non volevo crederci.
Ripensai al modo in cui Alice e Rose si erano guardate preoccupate chiedendomi cosa provassi per Jacob.
"Nessie, tesoro." mi aveva detto Rosalie "Lo sai che la zia sarà disposta ad accettare chiunque tu sceglierai un giorno. Ma sei sicura che Jacob sia la persona giusta per te?"
L’avevo guardata dispiaciuta. "Perché è un licantropo? Ma è per metà umano. Come me! Siamo più simili di quanto possa sembrare."
"Si, è vero."aveva osservato Alice. "Questo spiegherebbe tutto." Si riferiva forse all’imprinting?
Avevo notato Rosalie lanciarle un'occhiataccia. "Tutto cosa zia?" le chiesi incuriosita.
"Nulla tesoro." mi aveva risposto scrollando le spalle

“L’imprinting è stato un bene per Jacob. Ed anche per tutti noi.”mi spiegò mio padre. “La situazione con i licantropi, all’epoca, stava precipitando. Tu sai che il patto ci impone di non uccidere gli umani nè di trasformarli in vampiri e il branco aspettava preoccupato la trasformazione annunciata di Bella. Quando poi tua madre rimase incinta di te, hanno creduto che tu potessi essere una minaccia, e hanno deciso di dichiarare il patto infranto e di combattere contro di noi.” Rabbrividii. Pensai a tutti quei simpatici ragazzi che mi avevano visto crescere, fatto giocare tante volte e non riuscii a vederli in vesti di lupi rabbiosi intenti ad attaccare la mia famiglia.
“Jacob con il suo branco riuscì a fermarli e come discendente di Ephraim ottenne una deroga riguardo a Bella.”seguitò mio padre “Dimostrò che tu non eri pericolosa e inoltre nessuno avrebbe potuto farti del male. Non si può toccare l’oggetto dell’imprinting di un altro lupo. Lo distruggerebbe.”
Era tutto vero. I ricordi mi riportarono al giorno della mia nascita, quando vidi Jacob con il volto paonazzo in preda all’ira che veniva verso di me e di colpo la sua espressione veniva mitigata in una calma schiacciante e i suoi occhi si riempivano di adorazione e di felicità. Cosa poteva aver provocato un cambiamento così repentino? Di certo non un sentimento umano.
“Jacob mi odiava prima dell’imprinting?” domandai con un groppo in gola.
“No, tesoro.”intervenne mia madre. “E’ che lui mi credeva morta dopo la tua nascita.Era solo addolorato per me. Il mio cuore aveva smesso di battere.” Quel ricordo mi fece male. Il volto pallido umano di mia madre che mi guardava sofferente mentre la vita l’abbandonava. Anche sul volto di mio padre comparve una smorfia di dolore mentre leggeva i miei pensieri.
“Lui voleva...uccidermi.”conclusi ricordando l’espressione ostile di Jacob.
“Non sapeva cosa faceva. Era solo sconvolto perché non era riuscito a proteggere me, la sua migliore amica.”si affrettò a dirmi mia madre angosciata.
Jacob era caduto sotto l’effetto dell’imprinting. Per questo non mi aveva uccisa.
“Ma l’imprinting può cambiare completamente una persona? Fargli dimenticare i suoi veri sentimenti?”insistetti.
Mio padre annuì. “ Si, ma solo per farti trovare la persona giusta.”
“E se uno è già impegnato con una persona ed ha l’imprinting con un’altra? Che fa? La lascia?” non sapevo nemmeno io dove volevo arrivare ma dovevo sapere tutto.
“Si.”rispose asciutto mio padre. “Ma te non succederà mai, tesoro. Jacob non ti lascerà mai. Non devi temere questo.”
“Ha lasciato una ragazza per me?” chiesi rattristandomi a quell’idea.
“No, lui no.”mio padre esitò prima di dirmi il resto. “E’ successo a Sam, quando ebbe l’imprinting con Emily. Lui lasciò la sua fidanzata di allora”
Leah! Sam era stato fidanzato con Leah. Ricordavo la scena a cui avevo assisitito nel bosco, dopo le nozze di Sam ed Emily e le parole che aveva usato Jacob per consolarla.”Sam ti amava ma è stato costretto a lasciarti. Non lo avrebbe mai fatto di sua iniziativa. Ed è stato molto penoso anche per lui. La nostra natura, ciò che siamo, ci ha imposto delle scelte “
E’ stato costretto a lasciarti. Quelle parole furono come frecce al cuore.
“Nessie” intervenne Carlisle per la prima volta da quando era iniziata la discussione. “Capisco che tu sia sconvolta, ma Jacob è felice con te. L’imprinting non è stata una cosa negativa. Dovresti parlargliene.”
“E cosa mi dirà? Giusto quello che voglio sentirmi dire?”risposi con le lacrime agli occhi.”Come posso accettare una cosa del genere?”
“Renesmee”riprese il nonno. “Non correre a giudizi affrettati. Dovete vedervi e chiarire insieme la cosa. Sono certo che Jacob ti darà delle risposte che ti rassicureranno.”
“Non voglio vederlo adesso.”ribadì. “Ho bisogno di stare da sola, prima. ”
“E’ molto confusa. Diamole il tempo di rifletterci sopra.” disse mio padre rivolto al resto della famiglia. Il suo sguardo si posò di nuovo su di me, pieno di apprensione.
Uscii dalla finestra con un balzo e corsi oltre il fiume. Mi arrampicai sopra un albero e mi misi seduta su un ramo da cui potevo dominare una gran parte del paesaggio. Lì ero finalmente sola con i miei pensieri. Io volevo Jacob, ma non potevo accettare che il suo attaccamento provenisse da qualcosa di estraneo alla sua volontà. Dovevo liberarlo. Pensai a Jacob che raggiungeva l’età adulta, finiva gli studi e trovava un buon lavoro, si sposava. Diventava padre. Vedeva crescere i suoi nipotini. Una vita umana e felice che io non avrei mai saputo dargli. Ed era quello che avrebbe avuto, decisi. Jacob Black sarebbe stato libero di scegliere il proprio destino.
Più ci pensavo più mi convincevo di quella decisione. Mentre mi chiedevo come avrei fatto a lasciarlo andare, decisi che almeno avrei passato un ultimo momento con lui, per dirgli addio. L’idea della festa ad un tratto mi parve una buona idea.


Dissi alla zia Alice di farmi bella come non mai, ma al tempo stesso semplice, e l’abito che scelse per me calzava alla perfezione. Mio padre invece mi fece indossare sopra un coprispalle bianco dicendomi che era di mia madre e che lo aveva indossato al loro primo ballo.
Mi guardai allo specchio chiedendomi chi fosse quella giovane, bellissima donna donna dall’aria triste e determinata, e con un sorriso mi preparai a scendere a testa alta. Quella festa non simboleggiava solo l’addio alla mia vita semiumana. Era anche il mio addio a Jacob.
La vista di Jacob in fondo alle scale mi mozzò il respiro. Era anche più bello di quanto ricordassi. I suoi grandi e dolci occhi a mandorla. I suoi corti capelli neri che contrastavano con la camicia bianca. L’espressione estatica sui suoi linementi fini. I suoi denti bianchi e perfetti che si aprivano in un sorriso radioso per me. Non avevo più alcun dubbio. Forse non ne avevo mai avuto nessuno. Ero completamente pazza di lui.
Mentre parlavo con lui e lo aiutavo a togliersi la macchia provai un uno strano fremito sulla punta delle dita quando gli sfiorai il braccio. Volevo toccarlo ancora. Gli arrotolai la manica fino all’avambraccio ed ebbi una scossa elettrica a contatto con la sua pelle calda. Mi incantai per un attimo perdendomi nei suoi occhi poi venni trascinata fuori per andare a ricevere gli ospiti. Non pensai che a lui quando spensi le candeline. Non riuscii più a stargli lontano e decisi di invitarlo a ballare. Non appena fui tra le sue braccia la mia ansia si calmò. Ero dove dovevo essere anche se quel minuscolo spazio tra di noi mentre ballavamo mi sembrava ancora troppo. Quell’intima vicinanza a Jacob non era ancora abbastanza. Cominciai a scherzare con lui per nascondere le mie emozioni e lasciai che mi sollevasse da terra facendomi girare come una bambina. Quante volte lo aveva fatto quando ero piccola, ma quella sera era tutto diverso. Quando mi attirò di nuovo contro di sè per farmi scendere avvertii il calore del suo petto e sentii il suo respiro sul mio volto. I miei piedi non avevano ancora raggiunto il suolo quando lo vidi. Riflesso nei suoi tocchi. Il mio stesso amore. Il resto del mondo era scomparso. Sembrava così reale...
Fui quasi sollevata quando Nahuel ci interruppe per avere un ballo. A momenti avrei rischiato di baciare Jacob davanti a tutti. Avevo dimenticato quello che mi ero proposta. Dopo la festa avrei visto Jacob da sola nella radura. Gli trasmisi il messaggio con il mio potere e mi allontanai con Nahuel. Mi guardai intorno per accertarmi che mio padre non si accorgesse del mio piano. Per fortuna era impegnato insieme a mia madre in una conversazione con Alice che li consigliava sul modo in cui si sarebbero dovuti presentare a Reneè, il tipo di trucco da usare per aggiungersi qualche anno e dimostrare qualche segno di cambiamento. Papà mi lanciò alcune occhiate preoccupate ogni tanto ma senza mostrare alcun sospetto. Jacob da lontano mi sorrideva con uno sguardo carico di promesse. Pensai a lui con il cuore colmo di sentimenti contrastanti.
“Stai bene?” mi chiese Nahuel preoccupato. “Vuoi qualcosa da bere? Quelle bevande umane non sono male.”
Gli sorrisi debolmente. “Grazie, prenderò un succo di frutta.”
Mentre Nahuel si allontanava, Zafrina venne a parlare con me. “C’è qualcosa che ti turba, bambina?” Non parlava molto ma al suo sguardo vigile da pantera non sfuggiva nulla.
Di colpo ebbi un’illuminazione. “Zafrina, ho bisogno del tuo aiuto.”

Fu facile eludere i sospetti di mio padre. Già da qualche giorno aveva accettato la mia richiesta di lasciarmi il mio spazio per riflettere ed aveva chiesto a mia madre di schermarmi per la maggior parte del tempo. Non aveva idea di quello che stavo per fare.
“Renesmee se vuoi io e tua madre possiamo rimandare la partenza.”mi disse il giorno della festa. “Andremo dalla nonna un’altra volta.”
“No, papà. La mamma ci tiene tanto a stare un pò con Reneè e mi dispiacerebbe farle perdere quest’occasione. Non credo che il biglietto sia rimborsabile.”
“Amore mio”mi rispose lui alzando gli occhi al cielo “Cosa credi che me ne importi del biglietto!”
“Ho comunque bisogno di stare un pò da sola per riflettere. C’è il resto della famiglia a prendersi cura di me, non vi preoccupate. Stasera chiederò a Zafrina di restare per la notte. Abbiamo tante cose da raccontarci.”
Dopo la festa, lasciai gli altri ad una battuta di caccia, abbracciai i miei genitori e non appena la macchina si fu allontanata feci un cenno a Zafrina. “E’ il momento.”

Andare incontro a Jacob decisa a lasciarlo, fu la cosa più dolorosa che dovetti affrontare. Quando mi venne incontro pieno di gioia e mi accarezzò il volto, mi sentii male. Male per il male che stavo per causare a lui. Era orribile ma era necessario. Trovai la forza di scambiare qualche parola con lui ma poi si accorse della mia agitazione. Il suo sguardo dolce e fiducioso rendevano tutto più difficile ma alla fine presi coraggio e gli feci capire chiaramente che non ricambiavo il sentimento che avevo visto in lui mentre ballavamo. Jacob rimase turbato ma non mi credette. Avevo previsto una simile reazione e feci affidamento sull’aiuto di Zafrina. Se ne stava nascosta in cima ad un albero, nascosta dalle foglie e si era appostata controvento. Jacob non alzò mai lo sguardo e comunque lei avrebbe potuto usare il suo potere per fingersi invisibile. Non appena posai la mano sulla guancia di Jacob, Zafrina fece come le avevo chiesto. Creò una visione perfetta che poteva essere scambiata con una delle immagini che ero in grado di mostrare.
Jacob si ribellò con tutte le sue forze a quell’idea e protestò dicendo che io ero sua. A quel punto mi irritai sul serio. Ce l’avevo davvero con lui. Perchè aveva dovuto aspettare di vedermi con un altro per dirmi dell’imprinting? Non mi piacque per nulla il modo in cui tentò di rivendicare i suoi diritti su di me e reagii con rabbia. Ciò mi rese più facile mentirgli.
“Se davvero mi ami, devi lasciarmi andare. Credimi, mi dispiace farti del male, ma non voglio stare con te. Non in quel modo. Io voglio Nahuel.”mentre parlavo le lacrime mi annebbiavano la vista.“Voglio che tu sia libero da questo strano legame."
Jacob non mi rispose. Era rimasto come pietrificato.
“Saremo sempre amici se lo vorrai, un giorno. Ma adesso voglio che tu vada per la tua strada e ti faccia una vita tua. Fallo per me.” Ero sincera. Volevo davvero che lo facesse.
Lui si limitò ad abbassare lo sguardo.“Cerca di essere felice” gli dissi accarezzandogli il viso un’ultima volta. Feci un ultimo sforzo e mi allontanai da lui di corsa senza guardarlo. Non appena fui abbastanza lontana, mi lasciai cadere a terra in preda ai singhiozzi.
Zafrina mi raggiunse poco dopo. “Bambina mia cara, sei sicura di aver fatto la cosa giusta? Non avrei mai creduto di poter provare compassione per un licantropo, ma vedere quel poveretto in quello stato mi ha davvero toccato. Ti rendi conto del male che gli hai fatto?”
Non le risposi e Zafrina mi mostrò un’illusione che ritraeva tutta la disperazione di Jacob. “Smettila!” le urlai. “Ho dovuto farlo! Volevo che lui fosse libero e adesso lo è.”
“E tu invece? Non credi che questa cosa distruggerà anche te? Tu lo ami.”
“Per questo l’ho liberato. Non me ne importa niente di me. So che adesso soffrirà molto ma un giorno, quando si sposerà e terrà tra le braccia i suoi bambini, capirà che è stata la cosa migliore. La sua felicità sarà anche la mia.” Perchè se avevo preso la giusta decisione, ero così a pezzi?
Dopo aver pronunciato quelle parole non parlai più finchè non tornammo a casa mia. Mi buttai sul mio letto esausta mentre Zafrina per aiutarmi a rilassarmi faceva apparire intorno me dolci paesaggi dalle acque cristalline. Riuscii a riposare a malapena mentre il sole sorgeva. Non facevo che pensare a Jacob, alla gioia di stare tra le sue braccia, soltanto poche ore, prima mentre ballavamo, allo splendore del suo sorriso, in grado di illuminare a giorno la mia vita. Ma ora era cambiato tutto. Sopra il mio cuore era calata un’eclissi.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Ecco il nuovo capitolo. Ho deciso di omettere la parte sexy e di inviarla per pm a chi ne farà richiesta. Non ha un rating rossissimo, ma sono un pò timida...Poi mi faccio problemi perché magari ci sono minorenni, anche se figuriamoci, chissà che roba leggeranno oramai...visto che circola di tutto.
Comunque è la prima volta che posto una scena del genere qui, quindi vado più cauta. Mi consiglierete voi in caso. Un saluto a tutti e buona lettura.
Clodie

CAPITOLO 31

Renesmee terminò il suo racconto e lasciò la mano di Dillon.
“Credo sia meglio, interrompere qui” osservò Edward. “Nessie ti prego cerca di non pensare più a quel momento. Abbi pietà del tuo povero padre!”
“Tranquillo amore” disse Bella scherzosa. “Ti copro io. Come al solito.”
Renesmee divertita fissò il padre, con finto sdegno. “Pensa a quello che ho passato io, dormendo nella stanza accanto alla vostra.”
Edward alzò gli occhi al cielo. “No, pensa tu cosa ho passato io per decenni, essendo l’unico single, per giunta telepate, in una casa piena di coppie innamorate. Senza alcuno scudo mentale a difendermi. ” Tutti ridacchiarono imbarazzati, sotto lo sguardo perplesso di Dillon.
“Una famiglia interessante” notò. Poi si volse a Jacob. “Ma quindi tu, prima sei stato innamorato della madre e poi della figlia. Che schifo!” concluse sconcertato.
“Finalmente qualcuno l’ha detto!” esclamò Emmett divertito.
Jacob lanciò a Dillon uno sguardo furente. “Forse mia moglie non è stata chiara. Ma non c’è più nulla tra me e Bella. Nessie è l’unico vero amore della mia vita. Non esiste nessun’altra al mondo. “
“Amore, non te la prendere con lui.” intervenne Renesmee in tono dolce. “Vista dal di fuori, in effetti, la nostra è una famiglia un pò strana.”
“Io non la cambierei con nessuna!” disse Emmett orgoglioso. “Siamo giovani, forti, immortali, facciamo l’amore in continuazione. Ma chi sta meglio di noi?”
Rosali gli diede una gomitata ma lei stessa stava già ridendo.
Dillon abbassò lo sguardo, mordendosi un labbro per trattenere le risate. Gli altri scuotevano la testa rassegnati.
“Immagino che Dillon voglia sapere il resto della storia.” disse Edward catturando nuovamente l’attenzione di tutti. “ Non ti dispiace, tesoro, se continuo io?” chiese rivolto alla figlia.
Renesmee sorrise. “No, affatto papà.” Si voltò a guardare Jacob con occhi adoranti mentre lui le sorrideva, con quel sorriso fatto solo per lei. Le loro menti si isolarono per qualche istante assorte in dolci ricordi...
Edward evitò di guardare sua figlia e cominciò a raccontare la sua versione della storia.
“Io e Bella eravamo partiti presto. Il volo sarebbe partito da lì a poche ore ed avremmo appena avuto il tempo per fare l’imbarco. Mi dispiaceva lasciare Renesmee ancora così sconvolta e dubbiosa su come comportarsi con Jacob, ma come mi aveva consigliato mia moglie, stare da sola l’avrebbe aiutata a prendere la giusta decisione. “Ormai è adulta, Edward” mi diceva Bella mentre guidavo verso Seattle. “Dobbiamo abituarci all’idea.” Aveva ragione, ma per me non era facile vedere la mia bambina alle prese con i suoi primi problemi sentimentali. Non eravamo ancora a metà strada quando suonò il mio telefono. Era Alice. “Vi consiglio di tornare indietro. Ci sarà un guasto al motore dell’aereo tra un’ora e non potrete partire.” Le sue visioni sapevano facilitarci notevolmente la vita. “Grazie, Alice”dissi alla mia sorellina. “Faccio subito inversione.”
Bella mi sorrise scuotendo la testa. “Scommetto che sei sollevato.” mi disse.
“Solo un pochino. “ ammisi. Guidai più in fretta che potei verso il cottage.

Il sole ormai era già alto nel cielo, Nessie doveva essersi svegliata. Bella era impaziente quanto me di vedere come aveva passato la notte e ci precipitammo verso casa. Alice, Esme e Rosalie stavano uscendo dalla porta e ci vennero incontro. “Come sta?” chiesi prima ancora di salutarle.
“Sta ancora dormendo.” mi disse Esme preoccupata. “Deve aver passato una brutta notte, povera piccola.”
“Che vuoi dire?” chiesi allarmato.
“Renesmee ieri deve aver parlato con Jacob.”mi spiegò Alice. “Non sembra sia andata molto bene.”
“Zafrina non vuole aggiungere altro.” disse Rosalie contrariata “Se ne sta lì accanto al letto a farle compagnia e non dice niente. E Nessie non si sveglia.”
“Non dorme mai così tanto.”osservò Bella agitata. “Voglio vederla.” Mi unii a lei mentre si precipitava nella stanza di nostra figlia. Vidi Renesmee coricata di fianco con i riccioli ramati sparsi sul cuscino. Quando dormiva ai miei occhi tornava ad essere quel tenero batuffolo innocente che era da piccola. Zafrina ci guardò allarmata. “Siete già tornati?”
“Dov’è mia figlia?” esclamò Bella meravigliata. Io guardai il letto dove giaceva raggomitolata Renesmee e per un attimo credetti di aver capito male. Quando vidi l’espressione colpevole di Zafrina compresi tutto. L’immagine della mia Nessie addormentata scomparve lasciando un letto vuoto e sfatto.
“Sta bene.” ci rassicurò Zafrina. “Voleva solo un po' di tempo.”
Io digrignai i denti. “Dimmi dov’è!” le ordinai perentorio.
L’amazzone sospirò. “E’ con Jacob.”

Non fu difficile trovare la scia del lupastro. Mano a mano che io e Bella ci avvicinavamo potemmo percepire anche il profumo di Renesmee. Esitai prima di proseguire, temendo quali pensieri potevo incontrare prima che i due si
accorgessero della nostra presenza, così chiesi a Bella di schermarmi con il suo scudo. In pochi istanti ci trovammo davanti ad una piccola capanna di legno, poco distante dal fiume e potemmo udire qualche parola sussurrata.
“Dovremmo tornare, amore. Ci staranno cercando.”
“C’è Zafrina che pensa a tutto. Restiamo qui un altro po', ti prego.”
“Dobbiamo dirglielo. Prima che lo scoprano da soli. Tuo padre mi trasformerebbe in stelle filanti.”
A quel punto non potei trattenermi. “Non ne hai la minima idea, brutto cane rognoso! Ti do due secondi per togliere le mani di dosso a mia figlia e per uscire fuori, se non vuoi che sfondi la porta.”
Le mie parole furono seguite da un breve trambusto dentro la capanna finché Jacob fece la sua comparsa sulla soglia. Aveva addosso soltanto dei vecchi pantaloni logori da pesca che gli andavano corti, su cui era impresso l’odore di Billy. Renesmee apparve accanto a lui con i capelli in disordine ed il vestito abbottonato male. Non ci vidi più dalla collera.
“E’ così che intendevi rispettare mia figlia, maledetto cane bastardo!” urlai precipitandomi verso di lui. Jacob rimanendo in forma umana riuscì a schivarmi a corse via lanciandomi un grido disperato a sua difesa.

La amooooooooooooooo!”
“Edward, tesoro, ti prego calmati.”disse Bella cercando di trattenermi per un braccio.
Io la ignorai e afferrai Jacob buttandolo a terra e puntando i miei denti affilati contro la sua gola.
Jacob non aveva alcuna intenzione di attaccarmi e di difendersi. Tremava cercando con gli occhi Renesmee. “Anche lei mi ama Edward! Sei davvero disposto a farle questo?” Diedi uno sguardo a mia figlia che tra le braccia della madre osservava la scena terrorizzata.
“Papà, ti prego non fargli del male!” mi disse con i lacrimoni agli occhi. “E’ stata colpa mia. Ho preso io l’iniziativa...perché lo amo. Lo amo come tu ami la mamma.”
La mia rabbia scemò poco a poco e allontanai le mie fauci da Jacob. Ma continuai a fissarlo in tono accusatorio con le mani intorno alla sua gola e tenendogli il petto bloccato con le mie ginocchia.
“Hai una vaga idea di cosa significhi per un padre vedere sua figlia tra le braccia di un uomo?”
“Credo di sì.”biascicò sconvolto. “Scusa, Edward. So che ti avevo promesso di fare le cose per bene e che ti ho deluso, ma posso rimediare.”
“Come?” gli chiesi diffidente.
“ Sarebbe più accettabile vedere tua figlia con suo...marito?” Jacob riuscì a voltare la testa verso Renesmee e la guardò come se la sua stessa vita dipendesse da lei. E non da me che lo stavo quasi strozzando.
“Nessie, amore, vuoi sposarmi?”balbettò Jacob con un filo di voce. “Ti amo e voglio stare con te per sempre! Avrei voluto chiedertelo in una circostanza più romantica...ma è quello che voglio! Non posso vivere senza di te e non lo dico solo perché tuo padre sta per staccarmi la testa dal collo.”
“Lascialo, Edward.” mi implorò Bella. Mi alzai permettendo a Jacob di respirare di nuovo.
Renesmee corse ad abbracciarlo e si volse verso di me cercando la mia benedizione. Bella aveva tolto lo scudo mentale per permettermi di leggere nelle menti dei due giovani quanto profondo fosse il loro sentimento. Capii che aveva preso le loro parti perché rivedeva in essi l’amore tenace che l’aveva portata a stare con me nonostante tutto. E la forza del suo amore aveva fatto la differenza nella mia vita. Dopo sei anni ero ancora disperatamente innamorato di lei anche in quel momento mentre silenziosamente mi pregava di dare il mio consenso.
“Jacob” cominciai. “So che nessuno potrà mai amare Renesmee più di te. Quindi accetto, anzi pretendo, che voi vi sposiate.” Li guardai abbracciarsi pazzi di gioia. “Ma guai a te se mi chiami papà. E voglio che il matrimonio avvenga presto. Sapete come la penso su certe cose.”
Jacob mi sorrise emozionato. “Domani è troppo presto?”

Mi ci volle un bel po' per convincere Jacob a fare la cose per bene e a far diventare quel domani due mesi. Due mesi per organizzare la cerimonia, due mesi per trovare una casa per i piccioncini, e due mesi per prepararmi a lasciare andare la mia bambina. Non mi sarebbero bastati due anni, per quello. Nessie rideva e cercava di rassicurarmi. “Io e Jacob, resteremo a vivere qui vicino papà. Ci vedremo praticamente tutti i giorni!” Sapevo che lo avrebbero fatto. Era una delle condizioni che avevo imposto al lupastro se voleva la mia approvazione. Esme si era messa al lavoro per costruire una graziosa casetta di legno, nello stile della riserva ma più grande ed curata nei dettagli, in stile Cullen. La loro casa sarebbe dovuta sorgere lungo il confine tra il territorio dei quileutes ed il nostro, così come il luogo dove i due sposi avevano deciso di celebrare il matrimonio: nella loro piccola radura, al centro esatto dei nostri due mondi.
A casa erano tutti in fermento per quelle nozze imminenti, più o meno come quando mi sposai io con Bella e ovviamente a prendere le redini di tutta l’organizzazione ci aveva pensato mia sorella Alice. Renesmee si era lasciata trascinare nei preparativi con entusiasmo e aveva cercato di coinvolgere anche Jacob. “Amore, sei sicuro che non vuoi darmi un tuo parere sui centrotavola?” gli aveva chiesto un giorno affacciandosi alla finestra. Jacob era in giardino con me ed Esme che ci mostrava il progetto della casa. Il mio futuro genero alzò la testa verso Renesmee arricciando il naso. “Cos’è un centrotavola?” Nessie scoppiò a ridere e si ritirò dalla finestra.
Nonostante tutto, Jacob si piegò docilmente ad ogni richiesta, per amore di Nessie, accettando di provarsi tremila completi che Alice aveva ordinato per lui. Quanto alla sposa, aveva chiesto un abito da principessa. Voleva essere più bella che mai, come per ripagare Jacob di tutto il tempo per cui l’aveva aspettata e per la recente sofferenza che gli aveva inflitto. Bella le era accanto emozionata quanto lei, rivivendo le stesse sensazioni che più di sei anni prima ci avevano portato all’altare. E proprio lì, io molto presto avrei accompagnato mia figlia.


“Sei nervoso?” mi chiese Bella comparendo alle mie spalle. Io stavo litigando con il cravattino davanti allo specchio. Ne avevo già distrutti tre.
“No, affatto” risposi girandomi verso di lei. Rimasi a bocca aperta. Bella indossava un vestito semplice senza spalline che le arrivava sopra il ginocchio in una nuvola di chiffon vaporoso. Ed era blu scuro un colore che avevo sempre adorato vederle addosso.
“Amore, sei un sogno. Nessuno guarderà più la sposa.” le dissi innamorato come un ragazzino.
“Aspetta di vedere tua figlia. Non la riconoscerai.” mi rispose sorridendomi e facendo per me il nodo alla cravatta.
“Come potrei non riconoscere la mia bambina?” chiesi divertito. In quel momento alzai lo sguardo e vidi riflessa nello specchio una giovane donna, di rara bellezza, elegantissima in uno splendido abito bianco, tempestato di strass.

Papà...” mormorò quella principessa guardandomi.
“Nessie!”esclamai commosso. “Sei...” Era meravigliosa. Aveva scelto un abito corto fino al ginocchio con un corpetto di seta che le lasciava scoperte le spalle e le braccia. I suoi ricci ramati, schiariti dal sole, erano sciolti ed acconciati ordinatamente sulle spalle in tanti boccoli. Non aveva altri gioielli che gli orecchini di diamante che le aveva prestato Esme ed il bracciale intrecciato di Jacob. Non se lo sarebbe mai tolto.
“Scommetto che lo trovi troppo scollato.” disse mia figlia per rompere il silenzio. “Ho una stola da mettere sulla spalle in caso...”
“No.” ribattei io. “Sei perfetta così.” Misi un braccio intorno alle spalle di Bella e la attirai a me. Insieme guardammo a lungo Renesmee. “La nostra bambina ci lascia.”commentai con un sorriso malinconico. Nessie si buttò tra le nostre braccia e ci strinse forte. “Mai”
Sapevo che avrebbe vissuto vicino e che l’avrei vista quando volevo. Ma non sarebbe stata la stessa cosa.

Il pastore della chiesa di La Push aveva accettato di celebrare il matrimonio senza fare troppe domande sui documenti ed altre questioni legali. Jasper si era incaricato di curare tutte le pratiche presso J.Jenks per ottenere la licenza di matrimonio e dei documenti falsi per Renesmee, compreso un passaporto nuovo per il suo viaggio di nozze. Billy insisté per pagare lui i biglietti aerei per i ragazzi. “Vi sono grato per tutto quello che avete fatto per Jacob e per l’affetto che gli avete dimostrato in questi anni. Ma è mio figlio e voglio contribuire alla sua felicità.” Billy aveva tirato fuori i suoi risparmi e aveva prenotato un volo per le Hawaii. Sarebbero andati a far visita a Rebecca, l’altra sorella di Jacob che non avrebbe potuto partecipare al matrimonio perché aspettava un altro bambino.
La casetta sarebbe stata pronta per il loro ritorno. Era molto accogliente e spaziosa. Esme aveva insistito per aggiungere una camera in più. Avrebbe potuto essere lo studio, la camera degli ospiti. Cercai non pensare al fatto che non avrebbe potuto avere un altro utilizzo.
L'idea che Renesmee non potesse avere bambini mi addolorava. Non che ci tenessi a diventare nonno ma avrei voluto tanto che anche mia figlia provasse quella felicità. Pensai a quando avevo sentito i primi pensieri della mia bambina con l'orecchio posato sulla pancia di Bella. A quando avevo stretto tra le braccia il corpicino caldo e pulsante di Renesmee e lei guardandomi per la prima volta aveva pensato "Papà." Mi chiesi se ora che era una donna e avrebbe formato la sua vita con suo marito non avrebbe sentito la mancanza di una cosa come la maternità. Mi tranquillizzai paragonandola a Bella diciasettenne e alla sua determinazione a voler stare con me anche senza figli. Forse l'amore di Jacob le sarebbe bastato per vivere felice la propria immortalità. E lui per via dell'imprinting sarebbe andato incontro alle necessità di lei. Mi costava un certo sforzo ammetterlo ma Jacob era davvero la scelta migliore per lei.
Jacob Black. Il mio antico rivale in amore.

Con quei pensieri nella mente avanzai con Renesmee sottobraccio sulle note della marcia nuziale. Mi chiesi se Charlie mio suocero si fosse sentito come me quando aveva dato in sposa Bella. Sicuramente io dovevo essere stato nervoso quando Jacob che in fondo al viale alberato aspettava trepidante sotto l’archetto di foglie e fiori. Alice aveva decorato gli alberi con dei nastri candidi e foderato con del tulle bianco le sedie degli invitati. Jacob aveva Seth e Sam come testimoni mentre ad aspettare Renesmee vi erano Leah e Zafrina. Ero ancora sorpreso del fatto che fossero riuscite a diventare amiche, ma l'affetto per Nessie doveva averle avvicinate, a prescindere dalle loro nature.
Billy, nei suoi abiti più eleganti, sedeva dalla parte dello sposo nella sua carrozzina, e osservava il nostro ingresso commosso.
Accanto a lui c'erano Paul, Rachel ed Emily con il piccolo Josh in braccio. Il resto del branco era seduto nelle file dietro.
Charlie era seduto insieme a Sue tra i parenti della sposae strabuzzava ancora gli occhi per la crescita fulminea della nipote, ma ormai era disposto ad accettare tutto per amore della sua strana famiglia.
Bella, i miei genitori ed i miei fratelli non facevano che sorridere mentre la sposa avanzava, risplendendo di luce propria.
Alla fine arrivammo ad un passo da Jacob. Per tutto il tempo i suoi occhi non avevano lasciato un attimo quelli di Nessie. Ebbi l'impressione di vedere delle lacrime bagnargli le ciglia scure mentre i suoi pensieri gridavano una felicità sconfinata.
Quando affidai la manina candida di Renesmee a quella calda e forte di Jacob provai il desiderio di piangere anch'io.
Guardai Jacob con un'espressione che voleva dire "abbi cura di lei" e lui annuì sorridendomi. Chi era il telepatico adesso?
Dopo aver preso posto, strinsi la mano di Bella e non la lasciai per tutta la durata della cerimonia.
I due giovani sposi l'uno di fronte all'altro si tennero stretti per le mani, mentre si scambiavano le promesse, come se il resto del mondo non esistesse. Si risvegliarono solo quando il pastore disse: "Può baciare la sposa" e si abbandonarono ad un bacio appassionato. Io sorrisi.
Mi accorsi che non ero più geloso.

"Telefonami appena arrivi"furono le prime parole che rivolsi alla Signora Black. Dopo il matrimonio non c'era stato bisogno di dirci niente.
L'avevo solo stretta forte a me per diversi minuti. Avevo anche abbracciato Jacob. Il rinfresco era durato poco, come tutti quelli dove gli invitati sono dei mutaforma, e ci preparavamo a salutare i piccioncini in partenza. Li avrei lasciati andare fino all'areoporto con la mia auto e sarei andato a riprenderla il giorno dopo. Alcuni degli ospiti ci avevano accompagnato fino alla Villa dove gli sposi si erano cambiati d'abito ed avevano preso le valigie. "Abbraccia Rebecca per me" disse Billy stringendo le braccia intorno alla mole muscolosa del figlio.
Mia moglie e le mie sorelle non riuscivano più a staccarsi da Renesmee. Bella si lasciò andare ai singhiozzi che era riuscita a trattenere fino ad allora. "Tornerò presto, mamma. Ti chiamerò tutti i giorni."promise Renesmee.

"Io dico che avrà di meglio da fare che stare al telefono" rise Alice, di ottimo umore ma altrettanto commossa. Gli zii e i nonni la salutarono più velocemente ma con la stessa intensità.
"Credo sia ora di lasciare andare i ragazzi o altrimenti perderanno l'aereo." disse Esme con dolcezza.
Jacob e Nessie terminarono il giro di saluti e si avviarono verso la macchina. Renesmee prima venne ad abbracciarmi un'ultima volta.
"Ti voglio tanto bene. Sei un papà fantastico." Mi rese così felice. La lasciai andare seguendola con lo sguardo. Jacob mi salutò con la mano.
Non appena si fu avvicinata all'auto Renesmee si fermò e barcollando si appoggiò alla portiera."Amore, cos'hai?" le chiese Jacob preoccupato andandole vicino. Volevo correre da mia figlia ma mi trattenni ricordando che ora spettava a Jacob prendersi cura di lei. I pensieri di Renesmee erano incoerenti con immagini sbiadite, sembrava un capogiro. Forse era solo frastornata dalle troppe emozioni. Un attimo dopo sui suoi pensieri calò un velo nero e Renesmee cadde esanime tra le braccia di Jacob completamente priva di sensi.

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


 

CAPITOLO 32

Cercai non lasciarmi prendere dal panico mentre in un battito di ciglia mi precipitai al fianco di Jacob per esaminare mia figlia. Il suo battito era regolare ma debole.
“Non capisco”esclamai. “Non è mai svenuta prima d’ora. Non è mai stata male in vita sua!”
“Cosa può esserle successo?” chiese Jacob preoccupato. “Carlisle!”
Mio padre accorse subito e controllò anche lui il polso di Renesmee.
“Sembra un comune capogiro” osservò. “Se volete portarla in casa, le farò delle analisi più approfondite.”
Jacob si alzò da terra trasportando la sua sposa senza alcuna fatica e seguì Carlisle dentro casa. Tutti noi li seguimmo a ruota mentre Renesmee veniva adagiata sul divano del salone al pianterreno. Carlisle andò a prendere la sua borsa. Aveva fatto fare degli aghi speciali in grado di bucare la nostra dura pelle di granito e fece un prelievo a Renesmee. Belle fece posare la testa di Renesmee sulle sue gambe e con le mani gelide cercò di darle sollievo alla fronte.
“Forse è lo stress di questi giorni...” provò a ipotizzare mia moglie in tono ansioso.
“Da quanto tempo non va a caccia?” chiesi guardando il resto della famiglia.
“Sinceramente, non me lo ricordo...”rispose Bella confusa. “L’ultima volta che siamo andate a caccia insieme, è stato più di due mesi fa.”
“Due mesi?Mi stai dicendo che non si nutre da due mesi?”
“Mi ha detto che non ne aveva voglia. Ha preferito mangiare del cibo umano, comunque, non si è denutrita.”
“Sì, ha mangiato diverse volte anche qui.” aggiunse Esme. “E con un appetito vorace.”
“Mi state dicendo che da due mesi preferisce il cibo umano al sangue?”ero davvero sorpreso.
Renesmee mangiava a malapena la carne al sangue e spizzicava al massimo qualche dolce.
Com’era possibile che avesse cambiato di colpo abitudini alimentari?
“Non so quanto lo preferisca” intervenne Alice. “Ieri ha dato di stomaco.”
Fame, nausea, svenimenti...scacciai quel pensiero dalla mia mente prima che prendesse forma.
Non era possibile. Jacob teneva la mano di sua moglie e la copriva di baci in attesa di avere una risposta da Carlisle. Mio padre comparve sulla soglia poco dopo. Da quando era nata Renesmee aveva attrezzato il suo studio con ogni sorta di strumentazione necessaria per misurare e analizzare la sua crescita senza doverla portare in ospedale. “Ad una prima occhiata il gruppo sanguigno di Renesmee sembra avere delle alterazioni. E’ difficile stabilire da cosa siano provocate, dal momento che non posso applicare gli stessi parametri umani ma ho una teoria, a giudicare dai sintomi. Ho sentito i vostri discorsi e tutto mi porta a supporre che Renesmee sia...”
“No.” dissi a voce alta leggendo quella parola nella mente di mio padre.
“Si. Credo sia incinta” concluse lui guardando tutti in modo apprensivo.
Potei percepire la meraviglia e l’incredulità di tutti a quella notizia. Già una volta mi ero ritrovato in una situazione del genere. Cercai di non pensarci ed evitare di fare paragoni.
“Ma Carlisle” disse Bella rompendo il silenzio per prima. “Finora abbiamo sempre creduto che Renesmee fosse sterile.”
“Tutto lo lasciava supporre, infatti. Perfino adesso non ho la certezza di quanto ho ipotizzato. Cercherò di farle un’ecografia appena si sveglia. Ho una sonda qui in studio. Vado a preparare tutto l’occorrente”
Un ringhio involontario uscì dalle mie fauci mentre mi voltavo verso mio genero. Jacob era immobile a bocca aperta. Non era in grado di formulare nemmeno un pensiero concreto alla notizia. Emmett e Jasper si avvicinarono minacciosi verso di lui mentre Rosalie gli ruggì in faccia. “Come hai osato, cane!”gridarono.
Jacob sostenne fiero i nostri sguardi accusatori.
“Noi ci amiamo!” protestò semplicemente.
Renesmee si mosse nel sonno e socchiuse le labbra emettendo un lieve sospiro. Ciò riuscì a calmare il mio furore iniziale.
“Pensiamo a Renesmee, adesso “ mormorai guardando mia figlia ansioso. “Forse dovremmo aspettare di esserne sicuri prima di dirle una cosa del genere. “
La guardai sentendomi invadere dalla tenerezza: quando dormiva sembrava ancora una bimba indifesa.
“Edward, non credo sia la cosa giusta da fare” protestò Jacob in tono gentile. “Le abbiamo nascosto già molte cose in passato. “
“Forse è solo un falso allarme.” obiettai. “Non voglio turbarla per nulla o fare in modo che ne resti delusa.”
“Edward, si può restare delusi, turbati, si può soffrire senza motivo. E’ la vita. E lei è adulta ora.”
Jacob aveva ragione, voleva solo il suo bene.
Quindi non appena la piccola aprì i suoi occhioni color cioccolato mi chinai su di lei per darle la notizia. Jacob era ancora troppo sconvolto ed incredulo.
“Cosa mi è successo?” mormorò confusa la mia bambina.
“Solo un capogiro, tesoro.”cominciai cercando di controllare le mie emozioni. “Nulla di grave.”
Renesmee disorientata pensò che non ne aveva mai avuti e si chiesa cosa potesse significare.
“Ce lo chiediamo anche noi, tesoro e il nonno ha una teoria.”spiegai
“Sono curiosa di sentirla” disse lei con un sorriso.
Istintivamente tutti si fecero più vicino come a volerla proteggere. Jacob le copriva la mano di baci e Bella le accarezzava i capelli. “Vedi, tesoro, crediamo ci sia un nesso dietro ai sintomi di nausea, vomito e capogiri di cui hai sofferto ultimamente.” soppesai le parole attentamente per prepararla.
Renesmee era sbalordita e cominciò a sospettare anche lei qualcosa. Le sue letture ed i suoi studi l’avevano informata su molti aspetti della vita umana.
“Non può essere...”mormorò a bocca aperta. “Tra gli umani, chi ha questi sintomi sono le donne che...”
“Sì” dissi completando la frase per lei. “Potresti essere incinta.”
Non capii se l’emozione che si spandeva sul volto di mia figlia fosse stupore, gioia o paura. Forse provava tutte e tre le cose. “Amore, tuo nonno adesso ti farà un’ecografia e lo sapremo subito. Non preoccuparti di nulla. Ci siamo noi con te.”intervenne Jacob.
“Ma io...credevo di non poter...”bisbigliò Renesmee fissando verso un punto impreciso della stanza.
“Potremmo esserci sbagliati.” le risposi. A dire la verità speravo ardentemente il contrario.
“Oh...” fu tutto quello che Renesmee riuscì a mormorare. Poi voltò la testa verso Jacob e lo guardò intensamente. “Oh, Jake. E se fosse vero?” Istintivamente si posò la mano sul grembo.
“Non preoccuparti” le disse Jacob. “Andrà tutto bene. Affronteremo qualsiasi cosa.”
Renesmee strinse più forte la sua mano ed annuì. Carlisle fece ritorno annunciandoci che aveva attrezzato una delle camere da letto per la visita. Jacob riprese Nessie tra le sue braccia, nonostante le proteste di quest’ultima e la portò in quella che un tempo era stata la mia stanza. C’era ancora il letto dalle lenzuola dorate che avevo comprato per Bella. Nessie vi venne adagiata sopra mentre Carlisle accendeva il monitor.
“Non credo che la sonda riuscirà a vedere oltre la pelle di Nessie. E’ dura e resistente come la nostra.” osservai perplesso.
Ma mio padre aveva previsto una cosa del genere. “E’ vero, ma solo esternamente. Nessie dentro ha organi attivi e pulsanti come quelli umani, per questo pensavo di farle un ecografia interna.”
Si trattava di una cosa molto delicata e temevo che mia figlia si sentisse in imbarazzo.
“Forse è meglio che usciamo dalla stanza” dissi rivolto agli altri uomini presenti. Jacob esitò e guardò Carlisle.
“Non preoccuparti, Rosalie mi farà da assistente e si prenderà cura di lei. Le causeremo il minor disagio possibile.” Jacob si convinse e ci seguì insieme a Carlisle nel corridoio. Da lì potei sentire Rosalie ed Esme che aiutavano Renesmee a togliersi gli abiti e le parole rassicuranti di Bella mentre le annodava i nastri del camice dietro la schiena nuda. “Sarà come una normale visita ginecologica, solo che potremo vedere i tuoi organi interni e capire cosa c’è che non va.”
Il materasso si piegò sotto il tenero peso di Nessie e la visita ebbe inizio. Bella aprì la porta poco dopo “Potete entrare solo tu, Jacob e Carlisle” mi disse mia moglie facendoci rientrare nella camera. Esme aveva disposto un paravento che nascondeva Renesmee dalla vita in giù, dietro il quale Rosalie manovrava la sonda. Carlisle si sedette di fronte al monitor e lo accese. “Bene, Rosalie, adesso muovila verso l’alto.” Jacob si sedette accanto al letto e prese la mano di sua moglie tra le sue. Nella stanza non volava una mosca. Non si sentiva altro suono oltre i nostri respiri.
Poi all’improvviso nel silenzio, attraverso il macchinario, udimmo il battito di un minuscolo cuoricino.

Non potevo crederci. Nessuno di noi poteva crederci. Renesmee custodiva una creatura nel suo grembo! Un bambino suo e di Jacob. La tenerezza lasciò il posto alla paura e corsi fuori a cercare Nahuel. Era insieme ai pochi invitati rimasti ad attendere fuori. Stava parlando animatamente con Tania. Dopo il fidanzamento di Jacob e Renesmee, Nahuel era stato ospite del clan di Denali e aveva legato molto con la bella vampira dai capelli rossi. “State tranquilli. Renesmee ha avuto solo un capogiro, ma si riprenderà presto.” mentii con naturalezza prima di chiamare Nahuel “ Scusa, avrei bisogno di parlarti.”
Il mezzo vampiro lasciò la sua amica e mi seguì con uno sguardo ansioso. Non appena Nahuel fu in casa, lo misi al corrente dell’accaduto e come immaginai rimase di sasso. Lo feci entrare nella stanza dove la visita si era ormai conclusa e Renesmee si era già rivestita pur restando semi sdraiata sul letto con la testa posata sulla spalla di Jacob.
“Renesmee, stai bene?” chiese ansioso Nahuel.
Lei sorrise. “Si, benissimo anche se ancora non riesco a crederci.”
Carlisle guardò Nahuel con attenzione. “Volevo farti qualche domanda, se posso, Nahuel. Credo sia meglio andare fuori e lasciar riposare Renesmee.” Uscimmo tutti lasciando mia figlia con Bella ed Esme. Anche Jacob ci seguì per conoscere i dettagli. Era più preoccupato di me anche se nascondeva molto bene la sua agitazione.
“Le tue sorelle non hanno mai concepito, vero?”chiese Carlisle a Nahuel quando ci riunimmo in salotto.
“No, mai. Nonostante i vari esperimenti di Joahm.” rispose disgustato.
“E quanti anni avevano quando Joahm ha iniziato queste sperimentazioni?”
Nahuel ci pensò un istante. “ Non ne sono certo, ma alcune di loro avevano superato la maturità. Avevano più di sette anni.”
Carlisle annuì, come ad aver trovato una conferma alle sue teorie. “Loro quindi avevano completato la loro crescita. Renesmee invece ancora no.” concluse.
“Cosa vuoi dire, papà?” chiesi stupito.
“Che una volta cresciuto un ibrido vampiro, ha un corpo immutabile che quindi non può affrontare una gravidanza, come il nostro.” Evitai di guardare Rosalie ma i suoi pensieri tristi mi raggiunsero. Nonostante aver cresciuto con noi la sua amata nipotina, l’avesse consolata in parte della sua condizione sterile, il suo desiderio di maternità era sempre molto vivo in lei. “Nessie è ancora in una fase in cui il suo fisico si sviluppa per raggiungere la maturità” continuò mio padre “e quindi può aumentare di peso, i tessuti possono dilatarsi..naturalmente questa è solo una teoria. Ne ho anche un’altra ma è un pò azzardata”
“Sentiamola” disse Jacob che non aveva perso una parola.
“Bè, sappiamo che un’umana può rimanere incinta di un vampiro. Ma da quanto abbiamo appreso da Nahuel, un’ibrida non può rimanere incinta nè da un umano nè da un vampiro.
Credo sia perché in entrambi i casi il feto avrebbe una natura incompatibile con quella della madre. O attaccherebbe il suo organismo come...” tacque per un istante e gliene fui grato.“Beh, lo sapete già. Oppure soccomberebbe, trovandosi in un organismo ostile il cui principale nutrimento è il sangue.”
“E se invece un’ibrida vampira resta incinta di un licantropo?” chiese Jacob
“Nonostante tu e Nessie abbiate due nature in parte contrapposte, avete qualcosa che vi accomuna. Metà di voi è umana. Credo sia questo che vi ha permesso di concepire un figlio”
Ascoltai la teoria di mio padre, senza trovare sollievo. “E quale natura credi che avrà il bambino?” chiesi pieno d’ansia.
Carlisle alzò le spalle sospirando. “E’ ancora presto per dirlo. Non ci resta che aspettare. Ma almeno stavolta potremo fare delle analisi”
“Carlisle, il bambino potrebbe fare del male a Nessie?” chiese ancora Jacob.
“Non credo. I licantropi non fanno del male agli umani.”
“Ma fanno del male ai vampiri” notai io guardando mio genero, accigliato
“Che vorresti dire?” mi chiese Jacob alzando il tono della voce.
“Niente. Solo un dato di fatto.”dissi avanzando di un passo verso di lui. “I licantropi uccidono i vampiri. E mia figlia è per metà vampira. Quindi se tuo figlio è un licantropo...”
“Ragazzi! Volete smetterla?” intervenne Alice mettendosi tra noi due. Vicino a Jacob sembrava minuscola, ma non si lasciò intimorire. “Quando Bella rimase incinta, avevamo paura, ricordate? Ed è andato tutto bene. La situazione adesso è anche meno grave. Sappiamo che Nessie non sembra dare segni di debolezza e poi possiamo monitorare la gravidanza, fare ecografie, prelievi di sangue”
“Alice, ha ragione.” aggiunse Rosalie. “ E non credo che questa tensione faccia bene a Nessie. Ha bisogno di serenità. Per se stessa e per il bambino.”
Un senso di pace calò su di noi facendoci rilassare profondamente. Guardai Jasper che mi strizzò l’occhio.
“Se le succedesse qualcosa io...” mormorò Jacob abbassando lo sguardo e stringendo i pugni.
Rosalie gli posò una mano sulla spalla. “Non succederà. Faremo tutto il possibile perché non accada niente di male. Adesso perché non vai un pò da lei e la coccoli. Ha bisogno di averti vicino in questo momento.”
Jacob annuì e le accarezzò i capelli biondi. Prima di raggiungere sua moglie nella camera mi guardò e pensò. “Scusa la mia reazione, Edward. Penso che tu immagini come mi sento adesso.”
Altroché se lo sapevo. “Sei stata molto dolce amore.”disse Emmett prendendole una mano e posandovi un bacio sopra. “Si, credo vadano lasciati un po' soletti. E’ la loro luna di miele dopotutto. Anche se i danni ormai li hanno già fatti...”
“Emmett, ti prego...” protestai irritato.
“Guarda che adesso un buon motivo per prenderti in giro, nonnetto.”
Quella parola mi fece sobbalzare. “Già. Molto divertente. Jacob, prima mi porta via la figlia all’età di sei anni, poi mi fa nonno. Comunque a parte gli scherzi i ragazzi non vanno da nessuna parte, con Nessie in queste condizioni. Luna di miele o meno.”
Renesmee accettò di annullare il viaggio e di stabilirsi con Jacob nella villa. Lui era d’accordo con me sul fatto di tenere la gravidanza sotto controllo e di avere Carlisle a portata di mano.
Non so chi di noi due fosse il più nervoso mentre i giorni passavano e stavamo all’erta in attesa di qualche strano segnale, di qualcosa di anomalo, di qualche sintomo pericoloso, di tutto ciò che faceva parte dei nostri incubi peggiori. Ma non accadde nulla. Il bambino cresceva lentamente e regolarmente senza creare alcun disagio alla madre. Renesmee aumentava di peso e mangiava con appetito. Era tutto meravigliosamente...normale!


Le settimane erano diventate mesi e la pancia di Renesmee cresceva regolarmente. Ogni ansia, ogni tensione ed ogni sentimento ostile verso il nascituro affievoliva ad ogni visita in cui le ecografie riportavano immagini sempre più nitide il battito di quel cuoricino annunciava l’imminente arrivo del bambino. “Ha il tuo profilo” mormorò Nessie emozionata posando la mano su quella di Jacob. Lui gliela strinse commosso. Si stava abituando all’idea che suo figlio non avrebbe fatto del male a Renesmee e senza volerlo, gli si stava affezionando. Le donne della famiglia erano tutte pazze di gioia all’idea di stringere un nuovo nipotino tra le braccia e non facevano che coccolare Renesmee. Anche Bella aveva smesso di preoccuparsi e si godeva insieme a sua figlia quella maternità dolce e serena che lei non aveva potuto avere.
Quanto al resto della famiglia, solo Billy e Rachel erano stati messi al corrente della gravidanza. Non volevamo dire nulla a Charlie, nè a Reneè fino a quando non saremmo stati certi della natura del bambino. Billy era commosso all’idea di avere un nipote dal suo unico figlio maschio ma era disposto a tenere il segreto. Il branco era entusiasta per l’arrivo di un nuovo cucciolo e i ragazzi venivano a trovare i novelli sposi tutti i giorni. Non si risparmiavano le battutine sul fatto che Renesmee fosse rimasta incinta al primo colpo. “Tale suocero, tale genero!” commentava Seth prima di ricevere in pugno nello stomaco.
Nahuel era tornato in Sud America per compiere delle ricerche accompagnato da Tanya, Kate e Garrett. Avevo apprezzato molto il coraggio con cui si era esposto al rischio di incontrare di nuovo Joahm ma aveva deciso di prendere altre informazioni che potessero essere di aiuto nella gravidanza di Nessie. Ma dalle ultime telefonate di Tanya sembrava che non ci fossero novità. Le sorelle di Nahuel non avevano mai concepito e nulla poteva far capire come sarebbe stato il parto. Non rimasi sorpreso più di tanto dell’intesa tra il mezzo vampiro e la mia vecchia amica.
Entrambi avevano vissuto una profonda solitudine, avevano perso la figura materna della loro vita, e sapevano cosa fosse un amore non corrisposto. Avevano molto di cui parlare per i prossimi cento anni. Mi chiesi se la loro amicizia sarebbe diventata qualcosa di più.
Anche il rapporto tra Jacob e Nessie stava cambiando. La gravidanza improvvisa aveva trasformato loro amore così passionale, in un sentimento sempre più tenero e straordinariamente maturo per la loro giovane età. Jacob adesso era sempre tranquillo e rilassato, perché voleva far sentire al sicuro Renesmee, e lei grazie a lui non aveva più paura.
Dovevo riconoscere ancora una volta che Jacob era la scelta giusta di mia figlia. Lo è ancora.
“Solo tu potevi rendermi madre.” gli disse un giorno Renesmee guardandolo con gli occhi lucidi.Amava già quel bambino, inaspettato che stava per entrare prematuramente nella sua giovane vita.
Tutto sembrava procedere tranquillo. Solo una nuvola all’orizzonte mi impediva di essere completamente felice: I Volturi.
Prima o poi avrebbero voluto una rivincita sullo smacco che gli avevamo inflitto davanti ad un così vasto pubblico. Sperai solo che qualunque cosa stessero tramando, Nessie non ne venisse travolta. Al primo segnale di pericolo avrei affidato a Jacob Nessie ed il piccino e gli avrei detto di portarli lontano al sicuro. La nostra casa non avrebbe potuto più esserlo, in caso di un ritorno dei Volturi.
Da qualche settimana avevo come la strana sensazione di essere osservato. Ma non avevo fiutato nessuna traccia sospetta. Nessun rumore strano. Nessuno pensiero estraneo nei paraggi. Eppure quella sensazione che qualcuno ci stesse spiando non mi abbandonava.
Quando Rosalie bussò alla porta della casetta nel cuore della notte pensai che i miei presentimenti si fossero avverati. Scesi dal letto e mi vestii di corsa seguito da Bella. Rose rimase sulla soglia senza accenno di voler entrare. Nei suoi pensieri vidi Renesmee piegata in due con il volto contratto in una smorfia di dolore. “Sono cominciate le contrazioni” annunciò Rose sconvolta. Volammo letteralmente verso la villa precipitandoci nella camera da letto dove Carlisle stava già visitando Nessie, sotto lo sguardo angosciato di Jacob.
“Come sta?“chiese Bella precipitandosi al fianco di Renesmee.
“Credo che ci siamo” mi rispose mio padre tranquillamente.
“Ma mancano quasi due mesi!”esclamò Bella.
“Sei settimane, ma non credo sia un problema.”precisò Carlisle “Il bambino è forte e ben sviluppato. Ti senti pronta, Nessie”
Nessie annuì con la fronte madida di sudore. Carlisle le accarezzò il volto. “Purtroppo, i soliti farmaci non agiscono su di te. Vorrei trovare un modo per non farti sentire il dolore.”
“Non mi importa. Basta che il bambino stia bene.” ripose lei decisa.
Avrei voluto tanto fare qualcosa per aiutarla e la guardai intensamente pieno d’ansia, sentendomi impotente. Lei mi sorrise e mi guardò implorante. “Papà, suoneresti per me? Come quando suonavi per quando pioveva ed avevo paura dei lampi. Penso che mi aiuterebbe.” Niente avrebbe potuto intenerirmi maggiormente. Le baciai la fronte e corsi di sotto per esaudire la sua richiesta. Nel salotto si era riunito il resto della famiglia. Emmett era agitato come un ragazzino, sembrava che stesse per nascere a lui il figlio. Alice era nervosa perché non riusciva a vedere l’immediato futuro del piccolo. Esme andava e veniva dal piano di sopra portando acqua calda e asciugamani puliti e sterilizzati. Jasper cercava di calmare tutti con il suo potere ma era piuttosto agitato anche lui. Dopotutto stava per arrivare un bambino quasi umano.
Iniziai a premere i tasti delicatamente facendo nascere la melodia che Nessie amava, una melodia lenta carica di aspettativa che diventava più veloce e carica di note alte ma sempre mantenendo un tutto armonioso. Il brano ad un tratto cambiò diventando una nuova melodia impetuosa. Quando il brano raggiunse il suo culmine udii un suono dal piano di sopra esplodere come a voler concludere la sinfonia: il pianto di un neonato.
Ci guardammo l’un l’altro commossi e ci abbracciammo. Emmett mi sollevò da terra. “Sono di nuovo zio! E tu sei un nonnino!”
Alice saltellò di gioia e si strinse a Jasper.“Edward! Corri! Vieni a vederlo” mi gridò Bella dal piano di sopra. In un secondo fui su per le scale e timidamente avanzai verso la soglia. Carlisle mi venne incontro con un sorriso raggiante porgendomi una mascherina per nascondere l’odore del sangue che aveva impregnato la stanza. Vacillai per un istante temendo che potesse avere lo stesso profumo che aveva avuto Bella una volta ma poi mi tranquillizzai. Un odore di sapone e disinfettante lo coprì immediatamente mentre calavo la mascherina sul mio viso. “C’è qualcuno che vuole conoscerti Edward.”mi disse mio padre pieno di gioia.
Entrai nella camera dove Rosalie, Bella, ed Esme indossavano tutti una mascherina. Renesmee era sdraiata sul letto, pallida ed esausta ma con lo sguardo pieno di gioia. Jacob, che mi dava le spalle, si girò piano piano verso di me, con gli occhi scuri pieni di lacrime. “Mio figlio!”pensava orgoglioso. Il bambino era tra le sue braccia ed aveva già gli occhietti aperti. Lo avevano appena lavato ed avvolto in una copertina bianca. Jacob si avvicinò a me e sorridendo mi fece segno di volermelo posare tra le braccia. Tremando presi il piccolo e lo guardai estasiato, percependo tutto il calore di quel corpicino caldo e pulsante ed il suo profumo tenero di latte.
“Lo abbiamo chiamato David Edward Black”mi disse Jacob felice. Ero commosso e felice come non lo ero mai stato. Il bimbo alzò i suoi occhioni grigi da neonato verso di me e strinse la sua manina minuscola intorno al mio pollice di marmo. Mi conquistò immediatamente. Seppi subito che avrei potuto dare la vita per quell’esserino minuscolo. Il mio nipotino! Nella sua mente subito dopo vidi l’immagine del volto di Renesmee.
“Credo voglia andare dalla mamma” dissi affidando il piccolo alle braccia di mia figlia. La mia bambina era una mamma. Nessie si strinse al petto David con le labbra che le tremavano dall’emozione. “Papà, anche tu e la mamma mi volevate così bene, quando sono nata?”mi chiese guardando il figlioletto con adorazione.
“Più di quanto immagini, piccola.”le risposi
con un sorriso.
“Non avrei mai immaginato di poter amare così tanto questo piccolino! Dici che ci si abitua?”
“No, mai tesoro. Io ancora non ci sono riuscito.”
Jacob si sedette sul bordo del letto e circondò Nessie e David con le sue braccia forti.
“Guai a chi me li tocca.” pensava pazzo di felicità. Poco dopo Carlisle fece entrare gli altri miei fratelli che erano impazienti di vederlo. Il branco sarebbe giunto più tardi. Tutti si profusero in baci, abbracci e strilli di gioia. Io strinsi Bella a me. Non avrei mai pensato di avere una discendenza ed invece eccoci qui tutti riuniti con mia figlia e mio nipote.
“E’ tutto merito tuo” dissi a mia moglie. “Tutto questo è stato possibile perché tu hai creduto nel nostro amore.”
Bella mi sorrise e avvicinò il suo viso per baciarmi quando il grido di Alice attraversò l’aria. “No!”
La visione orribile che era apparsa nella sua mente mi fece barcollare.
Tutti i miei presentimenti non erano mai stati così spaventosi come quella minaccia incombente che si preparava a distruggerci.
La nostra felicità aveva i minuti contati.


 

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 ***


CAPITOLO 33

Alice aveva visto quello che tutti noi temevamo da tempo. Il ritorno dei Volturi. Stavolta non solo erano decisi a distruggerci, ma volevano anche il piccolo David. Come avevano fatto a sapere di lui? Evidentemente ci sorvegliavano già da tempo, in qualche modo, senza che ce ne accorgessimo. Avevano già considerato una minaccia Renesmee, quando era piccola, per via della sua singolare nascita e del suo futuro incerto. Cosa avrebbero fatto ora, in presenza di un bambino nelle cui vene scorreva sangue umano, vampiro e licantropo? E noi cosa avremmo dovuto fare? Nulla, purtroppo. Non c’era nulla che potessimo fare.
“Potremmo scappare.” mi disse Bella in un sussurro disperato.
“Dai Volturi? Non è possibile” le risposi. “Sono troppo potenti. Non ci lasceranno mai in pace. Ci troverebbero ovunque decidessimo di andare.”
“Restiamo, allora e combattiamo” disse Jacob rabbioso. Non aveva nessuna intenzione di farsi portare via la sua giovanissima moglie ed il bambino appena nato.
“Non avremmo nessuna speranza di farcela.” intervenne Carlisle. “Sono troppo numerosi. Anche se radunassimo tutti i nostri amici e il branco triplicasse. La volta scorsa solo l’intervento di Alice e la testimonianza di Nahuel ci hanno salvato dal disastro. I Volturi si sono ritirati per non essere costretti a rimangiarsi la parola di fronte ad un così gran numero di testimoni. Stavolta si guarderanno bene dal ripetere una cosa del genere."
“State dicendo che non c’è speranza?”chiese Renesmee sconvolta. Si alzò dal letto e prese David dalla culla in cui riposava per stringerselo al petto. Il piccolino aprì gli occhietti e poi sentendo il contatto con il corpo caldo della mamma li richiuse, strofinandole il viso contro il petto. Renesmee prese a cullarlo e lo fece addormentare di nuovo.
Alice scrutava incessantemente il futuro ma non vedeva alcuna via di uscita. “Non c’è niente da fare. Qualunque cosa facciamo, ovunque decidiamo di andare, loro ci trovano ed è la fine.”
“Anche per David?” chiese Renesmee angosciata. “Che futuro vedi per lui solo? Se riuscissimo a mettere in salvo almeno lui...”
Cominciai a pensare ad un modo per salvare il piccolo e nella mia mente si fece strada un’idea.
“Se portassimo via David, ci seguirebbero. Saprebbero dove si trova. Conoscono le nostre scie. Siamo troppo numerosi, inoltre. Dovremmo dividerci e allontanare il piccolo.” proposi ad un tratto.
“Si potrebbe essere un’idea.” ammise Carlisle.
Alice cominciò a tremare e potei vedere la nuova visione che era apparsa nella sua mente. La casa coperta di teli bianchi. Noi vampiri coperti da pesanti mantelli scuri. Sei macchine nere identiche pronte e partire.
“Ce ne andremo di qui.” annunciò Alice. “Ma non vedo chiaramente ancora dove e come.”
“Una cosa è certa” dissi. “Finché il piccolo resterà con noi è in pericolo. I Volturi conoscono tutti noi ed i nostri amici. Sanno dell’esistenza dei licantropi di La Push. Inoltre terranno d’occhio anche i genitori di Bella.” Mia moglie accanto a me sussultò.
“Ma a chi potremmo affidarlo Edward?” mi chiese mia madre. “Di chi potremmo fidarci?”
“E’ inutile” mormorò Jasper. “Possiamo anche trovare le persone migliori del mondo. I Volturi troverebbero il modo di scoprirlo. Aro leggerebbe nelle nostre menti e costringerebbe Bella ad abbassare lo scudo.”
Un’idea cominciò a farsi strada nella mia mente. “E se non sapessimo neanche noi dove si trova? I Volturi non potrebbero fare nulla. Potrebbero frugare nelle nostre menti, torturarci, ucciderci tutti, ma non scoprirebbero mai dove si trova David.”
Tutti mi guardarono interrogativi mentre la visione di Alice diventava più nitida.
Renesmee mi guardò sconcertata. “Papà, stai dicendo che dovremmo mandarlo via? Senza sapere dove andrebbe a stare? E noi come faremmo a sapere dove si trova e se sta bene?”
Non le risposi e rimasi a guardare l’espressione sgomenta di mia figlia e i tutti i presenti quando realizzarono il senso delle mie parole.
“Non ho intenzione di abbandonare mio figlio!?” gridò Jacob disperato. “Come puoi solo pensare ad una cosa del genere?! Sei anche tu un padre! Tu non hai abbandonato Nessie quando sono venuti a cercarla. Ti eri preparato a combattere!”
“Perché c’era speranza! Adesso non ne abbiamo nessuna.”replicai affranto.
“Bella non abbandonò sua figlia” continuò Jake indicando mia moglie. “Aveva preparato la nostra fuga, i soldi, i documenti falsi, l’aveva affidata a me! ”
“Vi sto dicendo di fare la stessa cosa!”ribattei “Affidarlo a qualcuno che lo tenga al sicuro. Ad una coppia di umani qualsiasi che lo confonda tra la massa.”
Un mormorio di sorpresa si diffuse tra la mia famiglia. “David è umano. Non lo hanno confermato tutte le analisi?” guardai mio padre per avere il suo appoggio.
“Sì”ammise Carlisle “ finora la sua crescita non ha dato alcun segno di accelerazione, ed i suoi cromosomi sono identici a quelli umani. Credo abbia ereditato la metà umana di ciascuno dei genitori.”
“Quindi potrebbe passare per un bambino umano?” chiesi speranzoso.
Carlisle annuì tristemente ed io ripresi a parlare. “Renesmee, tesoro” le dissi prendendole le mani. “La decisione spetta a te e a Jacob. Ti sto solo suggerendo un modo per salvare il bambino, per quanto possa essere doloroso.”
“Ma se lo affidassi ad una famiglia umana”rispose lei riflettendo a voce alta “dopo quanto tempo potrei vederlo?”
Non le risposi. Nessuno poteva rispondere a quella domanda. “I Volturi non smetteranno mai di cercarci, vero?” chiese Bella, amareggiata.
“Allora, noi mettiamo in salvo David e lasciamo che ci massacrino?”chiese Jacob ancora poco convinto. “ Non dico che non lo farei per mio figlio, ma chi ci dice che il nostro sacrificio basterà a proteggerlo?”
“Jacob ha ragione, papà” disse Renesmee. “Non voglio rinunciare alla possibilità di riprenderlo con me un giorno. Non possiamo combattere.” Aveva gli occhi pieni di lacrime “Non voglio perdere nessuno di voi.”Bella la strinse forte a sé. Jacob si lasciò cadere sul divano con la testa fra le mani.
“Tra quanto saranno qui, zia Alice?” chiese infine Nessie guardando mia sorella.
“Due settimane.” rispose lei sospirando.
“Dovremo andarcene prima” osservai guardando mio padre. Carlisle annuì.
Restammo tutti in silenzio per parecchi minuti. Si udiva solo il respiro leggero del piccolo che dormiva. Meritava una possibilità di avere una vita normale e felice e avremmo fatto di tutto perchè la avesse.

In pochi giorni il piano fu pronto. Carlisle trovò un suo vecchio contatto, di cui fu attento a non rivelarci il nome che si sarebbe incaricato di trovare una famiglia adottiva per David. Noi ci saremmo divisi per coppie ed avremmo lasciato Forks a bordo di diverse auto, ciascuno guidata da un licantropo per confondere le nostre tracce e l’odore del bambino. Avremmo tenuto alto il volume dell’autoradio alto in modo da non far percepire il suono del tenero battito di David. Non era difficile, sembrava il battito d’ali di un passerotto. Restava soltanto da decidere chi avrebbe portato il bambino all’agenzia delle adozioni dove il contatto di Carlisle ci aveva dato un appuntamento con un’altra persona, a noi sconosciuta, che avrebbe preso in custodia il piccolo fino all’incontro con i genitori adottivi. Avremmo messo ogni più distanza possibile tra noi ed il piccolo ed avremmo evitato di avere meno informazioni possibili nel caso, un malaugurato giorno, fossimo finiti nelle mani di Aro. “Rosalie, Emmett, sarete voi a portare il bambino” dissi loro una sera. “Ne ho già parlato con Renesmee e Jacob e sono d’accordo.” Loro mi guardarono sbalorditi. “Ma...perché noi? Sei sicuro che? Forse dovreste andare tu e Bella. Aro non può leggere nel suo scudo.”protestò Rosalie.
“Rose, credi, ci ho pensato, ma sono convinto che non appena ci separeremo, io e Bella saremo i primi ad essere inseguiti. Aro era interessato ai nostri poteri, oltre a quelli di Alice e di Renesmee. Su te ed Emmett non ha mai avuto mire.”
“E se lo portassero Carlisle ed Esme? Forse sarebbero le persone più indicate.”osservò Emmett.
“Carlisle è ben conosciuto dai Volturi. Dimitri conosce la sua scia mentale e potrebbe trovarlo facilmente. Ma non conosce voi due e durante la battaglia, le vostre menti erano protette dallo scudo di Bella. Gli sarà impossibile trovarvi.”
Il mio fratellone tremò. “Io non so se sono in grado di assumermi una tale responsabilità. Con la forza immane che ho...lui è così piccino. Farò qualche disastro, ne sono sicuro”
Era la prima volta che vedevo Emmett vergognarsi della sua possente forza. Era la cosa di cui andava più fiero di solito.
“Ce la farai Emmett. E Rosalie ha fatto tanto pratica con Nessie da piccola. Sarà un’ottima mamma per qualche giorno.”
Mia sorella alzò lo sguardo verso di me. “ Oh Edward...” l’emozione le impediva di parlare.“Difenderò il mio nipotino a costo della vita e lo porterò al sicuro. Dovesse essere l’ultima cosa che faccio in vita mia.” Mi abbracciò forte e si mise a singhiozzare. A quel punto non riuscii a resistere nemmeno io e mi unii ai suoi singhiozzi lasciando che anche Emmett mi stringesse insieme a sua moglie con le sue grandi braccia. Mi accorsi che in ogni angolo della casa c’era qualcuno che piangeva. Alice abbracciata a Jasper sul loro letto. Esme e Carlisle nella loro stanza. Bella che era di sopra a confortare Nessie e Jacob, gli unici a poter versare delle lacrime.
David si agitò nella culla. Lo faceva da qualche giorno. Aveva scoperto di avere i piedini e si divertiva a scalciare. Ogni volta perdeva un calzino. Lo vidi attraverso i pensieri di Renesmee che si era avvicinata alla culla. Quanto era bello! Mi chiesi che colore avrebbero assunto i rari capelli che gli crescevano e gli occhioni grigi da neonato. Sarebbe diventato un bambino bellissimo e intelligente, ne ero sicuro. In quel momento era un fagottino con le coscette nude che tentava di liberarsi del calzino. Quando vide la mamma, smise di agitarsi e le rivolse il suo sorriso più bello e felice mostrando le gengive ancora prive di dentini. Renesmee pianse e lo sollevò tra le braccia. Confortato dal calore dei suoi 38 gradi, David le posò la testolina sulla spalla e si lasciò cullare.
“Papà” mi chiamò mentalmente mia figlia. “Suoneresti la sua ninna nanna? Quella che hai scritto per lui?”
Le mani mi tremavano quando mi sedetti al pianoforte. Suonai per David un’ultima volta. Le note della ninna nanna riempirono la casa e in qualche modo lenirono il nostro dolore.
Una parte di me, una parte infantile, sperava che David un giorno, ascoltandola, potesse in qualche modo ricordare quella parte della sua vita che stava per essergli tolta.
“Ti amiamo, piccolo.” pensai quando vidi che si era addormentato serenamente “Non dimenticarlo mai.”

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Capitolo 35
*** Capitolo 34 ***



QUARTA PARTE

 

Capitolo 34



Dillon alzò lo sguardò per udire le ultime parole del racconto di Edward.
“Questo è tutto, più o meno” disse il vampiro. “All’alba ci dividemmo e partimmo, ciascuno per varie destinazioni, provvisti di documenti falsi per confondere le nostre tracce. Rose ed Emmett tennero per qualche settimana il bambino, fino a quando poterono consegnarlo alla persona incaricata delle adozioni. Dopo quel giorno non riuscimmo più a sapere nulla di lui. Nulla. Era scomparso perfino dalle visioni di Alice. Lei era convinta che fosse per via della distanza o perchè ignorava dove fosse. In compenso riuscì a prevedere ogni mossa dei Volturi Ci stettero addosso per qualche tempo, ma riuscimmo sempre a sfuggirgli. Aro non smise mai di cercare il bambino ma non riuscì a trovare neanche la minima traccia. E noi nemmeno. Il nostro piano aveva funzionato ma a caro prezzo.” Edward tacque con un sospiro carico di dolore. Renesmee accarezzò il dorso della mano di Dillon mostrando l’immagine di tutti i Cullen nella casa di Forks che col volto marmoreo segnato dal dolore guardavano verso il nipotino.
La visione finì. Dillon notò che la scena non era cambiata molto, le stesse persone, lo stesso sguardo triste nei loro occhi. Ma adesso li tenevano rivolti verso di lui.

Fu davvero...logorante.”riprese Edward parlando a fatica. “Ma almeno sapevamo che tu eri sano e salvo.”

Dillon sussultò. Aveva detto tu? Non si era mai rivolto a lui come se fosse David.
“Vuoi dire, David era sano e salvo. Edward...io.” Dillon si alzò nervosamente, voltandosi contro la parete.

So che per te è difficile da accettare.”insistè Edward “Ma ne sono sempre più convinto. Tutto torna Dillon. Credo sia il momento che tu prenda in considerazione l’idea.”

Dillon non rispose.

Forse” intervenne Carlisle guardando i suoi famigliari. “Dovremmo lasciarlo solo per un po'. Dargli il tempo di fare ordine nei suoi pensieri.”
I Cullen si mossero con calma e prima di uscire ciascuno di loro soffermò lo sguardo su Dillon, come una carezza di bentornato.

In ultimo, Renesmee si avvicinò a lui e posò di nuovo le sue piccole mani candide sulle guance di lui. Ma non voleva mostrargli alcuna immagine, notò Dillon, voleva consolarlo in qualche modo. Il ragazzo quasi non riuscì a sostenere l’intensità di quei grandi occhi scuri che parevano leggergli dentro. “Non avere paura di quello che sei” gli disse con un tono dolce e deciso.
“Vieni Nessie.”le mormorò Jacob mettendole una mano sulle spalle per condurla fuori. Si girò solo per un attimo per guardare Dillon con un’espressione indecifrabile sul viso. Al giovane parve di scorgervi del rancore misto ad ansia mentre Jacob richiudeva la porta dietro di sé.
Dillon, rimasto solo, si lasciò cadere sul letto, finalmente libero di abbandonarsi ai suoi pensieri e di sentirsi disperato.

 

Kathleen finì di cambiarsi e richiuse l’armadietto con un tonfo. Un’altra giornata di lavoro era finalmente finita. Non vedeva di essere fuori dall’edificio per potersi accendere una sigaretta. Da quando si era allontanata dalla stanza di Laura Polidori erano diventati eccessivamente severi con lei e voleva evitare altri richiami. Bene, un altro segno che aveva scelto il lavoro sbagliato. Per fortuna quella ragazza se ne era andata. Le dava sui nervi con quell’aria da santarellina e quei modi da gattamorta. Non capiva come mai stravedessero tutti per lei, specie quel ragazzo biondo che viveva praticamente incollato alla sua porta. Il biondino era bello in maniera spettacolare ma Kathleen lo aveva odiato a morte per il modo l’aveva trattata di fronte ai suoi superiori quando Laura aveva avuto quel malore. Mica era colpa sua se quella disgraziata aveva deciso di sentirsi male mentre lei si era rifugiata in bagno per fumarsi una sigaretta! Si scosse da quei pensieri pensando a cosa fare durante quella serata. Aveva voglia di divertirsi. Una visione celestiale la fece fermare in mezzo al corridoio e le tolse il respiro per qualche secondo. Di fronte a lei c’era il ragazzo più bello che avesse mai visto in vita sua. Era alto, bruno, con la carnagione molto chiara e dei lineamenti così fini e sensuali che lo rendevano più bello di qualsiasi attore o fotomodello al mondo. Kathleen non poteva credere che potesse esistere un uomo di una bellezza simile. Ed aveva l’aria di aspettare proprio lei. “Buonasera signorina” esordì con una voce suadente e melodiosa “se non sbaglio lei lavora qui.” Kathleen per un attimo fu incapace di articolare un suono ma poi tirò fuori la sua naturale disinvoltura e sorrise. “Certo, posso aiutarla?” Il ragazzo ricambiò il sorriso guardandola intensamente. “Dammi del tu, ti prego. Mi chiamo Louis. Sto cercando una mia amica che era ricoverata qui ma non è più nella sua camera.” Con un cenno del braccio indico la camera di Laura. Kathleen soffocò una fitta di rabbia. Possibile che tutti i più bei ragazzi del mondo orbitassero intorno alla camera di quella piccola larva? Forse prima di ammalarsi era stata più carina. “Laura Polidori? E’ stata trasferita in un altro reparto ieri e questa mattina è stata dimessa. Le fanno continuare la terapia a casa.” Louis mostrò un’espressione dispiaciuta. “Che disdetta! E’ da tanto tempo che non la vedo…e non ho più il suo indirizzo. Per caso potresti aiutarmi a rintracciarla?” Kathleen lo guardò incuriosita. Era vestito con estrema eleganza. Di sicuro era un ragazzo di classe e non aveva l’aria del malintenzionato. “Mi piacerebbe tanto aiutarti, ma sai è contro le regole…”rispose esitante.

L’espressione adorabile di Louis si fece più dolce. “Oh, non vorrei mai metterti nei guai. Ma potresti darle un messaggio da parte mia nel caso dovessi rivederla.” Kathleen si rilassò e annuì comprensiva. “Si, certo. Quello lo potrei fare senz’altro.” Louis sorrise di nuovo socchiudendo leggermente le labbra carnose. Aveva dei denti perfetti. “Sei davvero gentile. Ti posso offrire un caffè per ringraziarti?” Kathleen lo guardò maliziosa. “Con piacere.” Disse avviandosi insieme a lui verso l’uscita. Louis ricambiò lo sguardo con uno strano scintillio nei suoi occhi neri.


Dillon rimase immobile seduto sul bordo del letto con la testa tra le mani.

Il racconto di Edward, la storia di Jacob e Nessie lo avevano trasportato in un altro mondo incredibile ma al tempo stesso reale: i licantropi, l’imprinting, i poteri dei vampiri. La cosa che più lo colpiva era che troppi particolari di quella storia coincidevano con quella della sua vita. Loro avevano perso ogni traccia di David e lui non aveva trovato alcun documento sulla propria adozione. Poi vi erano altri particolari come la sua strana crescita. L’assenza di malattie. La forza sproporzionata e i suoi sensi così sviluppati. Aveva ragione Edward: tutto tornava.

Se era davvero il figlio di un licantropo e di una mezza vampira, quello poteva significare molte cose, tutte poco piacevoli. L’immagine di Serena morta, stesa sul prato del campus, gli si parò davanti agli occhi come un pugno nello stomaco. Se in lui scorreva sangue vampiro allora...
“Basta.” pensò Dillon sentendosi soffocare. Si alzò e aprì la finestra di scatto respirando a pieni polmoni. Il sole stava tramontando e l’aria era carica di umidità. Dillon osservò per qualche minuto il paesaggio oscurarsi sotto gli ultimi raggi di sole. Afferrò rapidamente il giubbotto di pelle nera corto e con un balzò si lanciò oltre il davanzale. Atterrò leggero sulla ghiaia del vialetto e si precipitò verso la sua moto, senza curarsi del fatto che potessero udirlo mentre la accendeva e partì in quarta a tutta velocità, là dove la luce stava morendo.

Per quanto la ducati volasse sopra l’asfalto, per Dillon non era abbastanza veloce. Voleva fuggire, fuggire il più lontano possibile. Ma ben presto si rese conto che nessun luogo sarebbe stato abbastanza lontano quando era da sè stesso che voleva fuggire.

Guidò senza meta per oltre mezz’ora, fino a quando la strada lo condusse verso la costa. Dillon rallentò guardando il mare e frenò nei pressi di una scogliera. Smontò, sistemandosi i capelli scompigliati dalla corsa e si incamminò sul pendio roccioso. Le parole di Renesmee gli risuonarono nella testa. Non avere paura di quello che sei.

Come possono non averne paura di ciò che sono, se sono diventato tutto quello contro cui ho combattuto finora. Se ho appena saputo che non sono... umano!

Dillon cadde in ginocchio e colpì forte una roccia che s’infranse sotto il suo pugno. Sotto di lui il mare in tempesta s’infrangeva contro gli scogli ma non riuscì a coprire il suo grido.

Gridò per sfogare tutta la rabbia che aveva represso in quegli ultimi due anni. Gridò per esprimere l’odio che sentiva per sé stesso. E gridò perché non aveva abbastanza coraggio per lanciarsi oltre quella scogliera. Alla fine quando ebbe la gola rauca e si lasciò cadere per terra con la schiena posata contro uno scoglio mentre il sole scompariva dietro il mare.
Dillon si strinse nella giacca, infilandosi distrattamente le mani nelle tasche. Trovò il suo cellulare e istintivamente lo tirò fuori, temendo di averlo rotto. Invece con sua sorpresa trovò un messaggio, di cui non si era accorto. In effetti, aveva avuto ben altro per la testa che mettersi a guardare gli sms. Era di Laura! “
Che Dio ti accompagni e ti protegga nel tuo viaggio. Sto pregando per te. Con affetto. L.” Dillon guardò quel messaggio coem se qualcuno gli avesse lanciato un’ancora di salvezza. Decise che l’avrebbe accettata e cominciò a digitare il numero dell’amica sulla tastiera. Laura rispose dopo due squilli.

Dillon?”chiese a voce bassa ma con un tono allegro.

Sì sono io!” Dillon si scoprì emozionato. “Come stai?” Sperava che la malattia non fosse peggiorata.

Meglio. Sono a casa. Faccio la terapia qui per un po'” Laura sembrava contenta di essere uscita. Dillon era felice di saperla a casa sua ma era lo stesso preoccupato.

Un po' quanto?”chiese lui allarmato.

Un po'...non lo so.” disse lei esitando. Sembrava non volesse parlarne. “Dimmi di te. Tu come stai?”

Dillon fece una risata amara guardando verso il mare. “Meglio se non te lo dico. Non vorresti saperlo.”

E’ un modo per dire che stai una schifezza?”

Magari stessi una schifezza, mia cara. Non credo ci siano aggettivi abbastanza brutti per spiegare come mi sento.”
Laura sospirò e gli chiese in tono comprensivo. “Hai trovato qualche ...risposta?”
Dillon chiuse gli occhi. “Non ne sono ancora sicuro. Dovrei averne la conferma domani mattina. E non so cosa pensare a riguardo.”
“Non era come ti aspettavi?” insisté Laura.

Non entro nei dettagli ma è una specie di incubo.” disse Dillon serio “Mi hanno raccontato una storia pazzesca e soprannaturale. Anche bella per certi aspetti. Credo che ne apprezzeresti il lato romantico, come ragazza.”
“E qual’è il lato spaventoso invece? C’entrano i vampiri?” chiese Laura ansiosa.
“Non solo i vampiri. Laura, se queste...persone sono davvero la mia famiglia, allora anche io sono una specie di mostro. Capisci? Un mostro! Ho paura di quello che posso scoprire...”

Dillon, non dire così!” rispose lei decisa. “Non sei un mostro. Io lo so.”
“Come fai ad esserne sicura?” le chiese pieno di amarezza.”Laura, anni fa una ragazza è morta dissanguata ed io sono stato l’ultimo a vederla. E se fossi stato io, in preda a qualche doppia personalità dall’istinto omicida?” Ebbe un brivido ricordando il sogno inquietante in cui lei si offriva di fargli bere il proprio sangue.

No, non è vero.” disse Laura con prontezza. “Lo so perchè ti conosco. I tuoi occhi non sono quelli di un assassino. Avresti potuto uccidermi la prima volta che mi hai visto, ricordi? Invece non lo hai fatto. Sei tornato a trovarmi e mi sei stato vicino, come un vero amico. Hai passato le ore nel corridoio. Mi hai portato un cappuccino.”Dillon la sentì sorridere mentre lo diceva “Io forse non so niente di vampiri, mostri o assassini, ma questa cosa la so.”

Dillon sorrise a sua volta ed ebbe voglia di piangere. “Grazie.” Rimasero in silenzio per un lungo minuto. Laura poteva sentire il respiro di Dillon farsi affannoso.
“Dillon? Parlami...Stai bene?’” disse Laura.

Sì, scusa. Immagino sia una conversazione allucinante per te” mormorò lui affranto.
“No...non direi.” gli rispose con un sospiro.”Ne ho avute di peggiori.”

Dillon sospirò “Mi sento così egoista a sfogarmi su di te, dimenticando che hai problemi ben più seri...” cominciò Dillon.

Ma sei matto? Guai a te se smetti!”

Dillon rimase spiazzato per un attimo ma sorrise. “Ok” mormorò nella cornetta.
“Ti hanno detto qualcosa sulla tua adozione?”chiese ancora Laura.
“Dicono che lo hanno fatto per proteggermi” spiegò Dillon guardando il cielo. “Per proteggere il loro bambino, cioè. Era una situazione molto...rischiosa.”
“Deve essere stato molto difficile allora” osservò Laura. “Soprattutto se ti volevano bene.”

Credo amassero molto quel bambino” rispose Dillon pensando all’immagine di David tra le braccia di Renesmee. Si chiese se assomigliava a lui da piccolo. Da qualche parte in fondo allo zaino doveva avere un vecchio album di foto anche se non ricordava di averne mai viste di quando era neonato. Adesso sapeva il motivo.

So che per te è difficile, che forse non sono i genitori che vorresti” disse la sua amica “Ma probabilmente anche loro stanno soffrendo molto. Credo che separarsi da un figlio debba essere la cosa peggiore del mondo. Forse dovresti dare loro una possibilità. Le cose potrebbero non essere così terribili come sembrano.”

Dillon soffocò una risatina nervosa. “Come no.” pensò guardando l’ironia della situazione. “Non solo mio padre è un licantropo, e mia madre una mezza vampira, ma hanno tutti e due l’aspetto di due vent’anni della mia età. Ed il resto della famiglia, tra nonni e zii acquisiti, è composto da vampiri dotati tutti di poteri paranormali. Poteri che comincio ad avere anche io. E da qualche parte in Italia, ci sono dei vampiri crudeli che mi cercano da quando sono nato per farmi la festa.”

Su una cosa però Laura aveva ragione. Doveva tornare indietro e affrontare la situazione.

Devo andare adesso” disse Dillon a malincuore.

Sì” disse Laura comprensiva. Quanto gli dispiaceva doverla salutare.
“Mi farai avere tue notizie appena puoi?” chiese la ragazza.
“Promesso” rispose Dillon prima di riattaccare.Con uno scatto balzò in piedi e rimontò in sella alla sua Ducati. La moto partì con un rombo improvviso e schizzò via verso il castello mentre nel cielo comparivano le prime stelle.

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Capitolo 36
*** Capitolo 35 ***


CAPITOLO 35

Kathleen riaprì gli occhi e sentì l’eccitazione diffondersi nuovamente dentro di lei. Quando allungò la mano per cercare Louis però, sentì il suo posto vuoto. Le lenzuola erano fredde nel punto in cui aveva giaciuto. Kathleen accese la lampada rosa sul comodino che gettò una luce soffusa nella camera da letto e vide il giovane in piedi, che guardava fuori dalla finestra. Completamente nudo. Le luci che venivano dalla strada, facevano risplendere la sua pelle candida come una statua scolpita nel marmo. Kathleen lo guardò piena di desiderio.
“Louis, tesoro” chiamò con voce roca. “Torna qui.”
Louis guardò i proprio occhi, neri come la pece, riflessi nel vetro della finestra, mentre un lampo crudele li attraversava di colpo. Un attimo dopo, mitigò la sua espressione in un sorriso affascinante e si girò verso la ragazza. Il viso da pupattola di Kathleen non gli piaceva molto, occhi troppo grandi e bocca troppo piccola, ma aveva un bel fisico, grosso modo. Non era esattamente il suo tipo, ma si era divertito abbastanza con lei. Anche se la sete lo aveva decisamente tormentato per tutto il tempo, non era stato male. Le donne umane erano calde e sapevano essere piacevoli...Non appena si fu inginocchiato sul letto, subito lei gli buttò le braccia al collo, accarezzandogli la schiena “Hai ancora la pelle gelida, tesoro.”
Louis sorrise malizioso. “Sono freddoloso.”spiegò facendo il broncio.
“Vieni qui” insistè lei sdraiandosi di nuovo e tendendogli le braccia. “Ti riscaldo io.”
Louis non si mosse ed osservò compiaciuto il desiderio impaziente della ragazza.
“Ti prego” mormorò lei.”Ne voglio ancora.”
“Aspetta.” le disse guardandola intensamente. “Ho una cosa da chiederti.”
“Tutto quello che vuoi” disse Kathleen sollevandosi per baciargli il petto. “Mi puoi chiedere tutto.”
Louis le bloccò delicatamente il viso con le mani per impedirle di notare l’assenza del proprio battito cardiaco. La fece sdraiare piano piano accarezzandole il viso e facendo scendere le sue mani affusolate lungo il corpo di lei. “Temo che dovrò andarmene subito. Ho un problema.”
Kathleen sgranò gli occhi. “Come subito?”
“Devo rintracciare con urgenza quel mio amico. Motivi di lavoro. Te ne avevo accennato, ricordi?”mentre parlava con voce dolce fece scendere la mano verso il collo.
Kathleen sospirò “Ti riferisci a quel ragazzo che veniva a trovare Laura Polidori?”
“Già, devo tornare in sede e dire che non l’ho trovato. Passerò un sacco di guai, ma prima vado e meglio è.”
Kathleen lo guardò delusa. “Non puoi aspettare domattina?”
“No” rispose Louis deciso. “Se sapessi dov’è potrei risolvere tutto con un paio di telefonate. Ma visto che la sua amica non è raggiungibile...”La mano di Louis proseguì sulle gambe della ragazza.
“E se facessi uno strappo alla regola e ti dessi il numero di Laura?”propose d’impulso Kathleen.
“In quel caso continuerei a fare quello che sto facendo” le mormorò lui nell’orecchio in tono sensuale. “Ed anche meglio.”
“Considera di averlo già, allora...”ridacchiò lei maliziosa.


Dillon rallentò mentre entrava nel vialetto che portava al castello. Ormai era buio e c’erano alcune luci accese alle finestre dei piani superiori. Dillon si chiese a cosa potesse servire la luce elettrica a degli esseri dotati di una vista speciale ma poi si ricordò che i Cullen tenevano a mantenere le apparenze della normalità. Ci riuscivano bene, osservò. Il castello aveva un’aria accogliente mentre parcheggiava la moto e scendeva. Dillon si sistemò i capelli, arruffati per la corsa in moto, ed entrò lentamente. Si aspettava quasi che le luci si accendessero all’improvviso e la famigliola gli corresse incontro esultando per il suo ritorno, chiedendogli dove fosse stato. . Invece nella casa c’era un silenzio tranquillo, si sentiva soltanto una musica che proveniva da una stanza in fondo al corridoio del pianterreno. Dillon seguì la morbida scia di note fino ad arrivare sulla soglia di una vasta sala, avvolta nel buio. Da lì, Dillon riconobbe il profilo di Edward che stava suonando il pianoforte davanti ad una finestra. La luce della luna lo illuminava come un riflettore, proiettando la lunga ombra dello strumento e del pianista. Le mani bianche del vampiro spiccavano nell’oscurità e scivolavano abilmente sulla tastiera dando vita ad un brano che Dillon riconobbe come Moonlight di Yiruma. Una volta lo suonava anche lui. Edward doveva aver percepito sicuramente la sua presenza ma non alzò lo sguardo fino a quando non ebbe finito di suonare. Fu allora che si girò verso Dillon e gli sorrise.
“Bentornato” disse molto semplicemente. Il ragazzo si avvicinò al piano.
“Mi dispiace essere scappato via così. Vi ho fatto preoccupare per caso?”
“Bè, non ci ha sorpreso una reazione del genere, date le circostanze. Solo Renesmee si è preoccupata un pò, ma Alice ha visto che saresti tornato nel giro di un paio d’ore.”
Dillo si stupì. “Credevo che non potesse vedere il mio futuro.”
“Infatti, ma ha controllato a lungo la porta d’ingresso e indovina un pò? Non vedeva nulla nel futuro delle due ore successive.”
Dillon ridacchiò. “Suoni davvero bene. Complimenti.”
“Grazie.” rispose Edward. “Vuoi suonare qualcosa anche tu? Se non sbaglio hai vinto dei premi.”
Il ragazzo abbozzò un sorriso timido. “E’ passato tanto tempo...”

Jacob era seduto di fronte al suo portatile nella camera che avevano assegnato a lui e Renesmee.
Era sorpreso che in quel vecchio castello la connessione ad Internet funzionasse.
Mentre tentava di scrivere una mail a Rachel per avere notizie di Billy, i suoi occhi si spostavano continuamente verso sua moglie che era sdraiata di fianco sul letto e guardava verso la finestra. “Stai tranquilla.” le disse percependo la sua tensione. “Secondo Alice dovrebbe tornare a momenti.” Prima che Renesmee potesse rispondergli, udirono il suono della moto che si avvicinava. “Eccolo qui” osservò Jacob con un sospiro. “Puntuale come un orologio.”
Renesmee si sollevò a sedere e in un unico movimento fu alla finestra. Jacob le andò vicino ed osservò il ragazzo che scendeva dalla moto e si sistemava i capelli. C’era qualcosa in quel ragazzo che lo irritava per quanto non avesse fatto nulla di particolare. “Vorrei andare da lui.”disse Renesmee facendo per muoversi. Jacob la trattenne con dolcezza per un braccio.
“Ricordi cosa ha detto tuo padre? Dobbiamo dargli un pò di spazio. Immagino sia ancora turbato per quello che ha saputo.” negli occhi scuri di Renesmee balenò un lampo di speranza.
“Sei preoccupato per lui? Credevo non ti piacesse.”
“Non mi piace infatti. Solo non mi va che ti precipiti subito da lui, non appena mette piede dentro casa. Non sai ancora chi sia realmente.”
Il volto di Renesmee si fece serio. “Io lo so invece. Jacob, non sarai mica..geloso? E’ un ragazzo così giovane. Non potrei mai guardarlo in quel modo...”
Jacob fu colto alla sprovvista. “Non sono geloso! E’ solo che lui...” Faticò a trovare le parole. “Non voglio che lui ti faccia illudere inutilmente, per quanto tu possa essere certa della sua identità.”
“Non è colpa sua. Anche lui sta cercando i suoi genitori. Jacob, ascoltami.”
Lo fece girare verso di sè. “Non avercela con Dillon: nulla mi potrà far stare peggio di come sono stata negli ultimi ventun’anni.”
Jacob sospirò tremando. “So cosa hai passato. Me lo ricordo benissimo.”
Renesmee gli prese il volto tra le mani. “Ma non sempre è stata così dura. Ci sono stati momenti in cui sono stata felice e piena di speranza. Perchè c’eri tu come me.”
Jacob le sorrise accarezzandole i capelli. I suoi occhi erano tristi.
“Sai cosa credo?” continuò lei. “Che tu non ce l’abbia con Dillon perchè mi fa ricordare David ed il mio dolore. Ma perchè li fa ricordare anche te. Jake, in tutti questi anni sei sempre stato forte e fiducioso. Mi hai sostenuto nel modo migliore. Ma credo che tu non abbia mai dato veramente sfogo a quello che provavi.” Jacob trasalì e si allontanò di qualche passo.
“Cosa avrei dovuto fare?” la sua voce gli tremava “Dirti che ero distrutto vedendo partire il nostro bambino, sapendo che non lo avrei più rivisto? Che ce l’avevo con tuo padre anche se ci aveva indicato la decisione giusta? Che per mesi ho passato ogni notte dopo che tu ti addormentavi, piangendo fino a non avere più lacrime? Non potevo dirtelo, Nessie!”
“Invece avresti dovuto farlo”sussurrò Renesmee abbracciandolo. “Non devi essere sempre forte per tutti e due. Ho bisogno di prendermi cura di te a volte.”
Jacob tremò tra le sue braccia ma non la respinse e lasciandosi cadere sul letto la attirò a sè. Sua moglie gli accarezzava i capelli e gli copriva il volto di baci. Jacob le prese il viso tra le mani e la baciò a lungo. Poi allontanò il viso e la guardò intensamente. “Grazie:” le mormorò sollevato. “ E scusa se ho trattato male quel ragazzo. Sono stato troppo rude con lui.”
“Non è troppo tardi per fare amicizia con lui. Perchè non vai a parlargli? Forse vi capirete meglio tra ragazzi. In un certo senso ci sei passato anche tu...quando ti sei trasformato. Sai cosa si prova a scoprire qualcosa di sconvolgente su sè stessi.”
Jacob sospirò. “Non è stata proprio la stessa cosa. Io avevo mio padre ed il branco a sostenermi.”
Renesmee annuì. “Si, ma Dillon invece è solo. Dobbiamo aiutarlo.”
Jacob si alzò dal letto e le diede un lieve bacio sulle labbra. “Gli porterò i tuoi saluti.”disse dirigendosi verso la porta. Non appena fu in cima alle scale, individuò facilmente l’odore del ragazzo e quello di Edward, prima ancora della cascata di note che veniva sprigionata dal pianoforte. Mentre si avvicinava alla stanza sorrise, pensando che era da molto tempo che non sentiva suonare Edward, ma quando riconobbe la melodia, rimase perplesso. Da quando Edward conosceva i Metallica?

In piedi dietro il panchetto del pianoforte, Edward osservava ammirato la padronanza con cui Dillon premeva i tasti ed il modo in cui lasciava correre spensieratamente le lunghe dita affusolate, così simili alle sue. Quel pensiero lo commosse. La melodia dirompente di Fade to the black piano piano assunse un ritmo più dolce con rare note, come ultime gocce di pioggia dopo un temporale, fino a spegnersi del tutto. Edward rivolse a Dillon un piccolo appluso guardandolo con affetto. “Fantastico! Sei stato grande!”
Il giovane accennò un sorriso e chinò il capo fissando i tasti. “Avevo dimenticato com’era.”
Edward annuì. “Già! La musica! Riesce a trasportarti lontano e a farti dimenticare tutti i tuoi problemi. E’ qualcosa di magico”
Dillon sorrise imbarazzato. “Concordo sulla magia della musica, ma non credo basti a fami dimenticare i miei problemi.” Rimase in silenzio fissando i tasti del pianoforte.
Edward lo guardò intensamente e gli si sedette accanto. Gli faceva ancora un effetto strano stare vicino a Dillon senza poterne sentire i pensieri. Gli succedeva solo con Bella. Quel pomeriggio era riuscito a stabilire un contatto telepatico perchè il ragazzo glielo aveva permesso ma in quel momento la sua mente era uno scrigno chiuso.
“Immagino che non siamo la famiglia ideale che vorresti. Vampiri, licantropi...”osservò ad un tratto Edward cercando
di catturare l’attenzione del ragazzo. Dillon si girò a guardarlo.
“Non ho nulla contro di voi. Dico davvero. Non ho paura di voi, ma di cosa potrei essere io...Edward, ho visto cose orribili. Cose rimaste senza spiegazioni.” Dillon fece una pausa. “Ricordi la morte di quella ragazza, Serena?”
Edward annuì tristemente. “Non sei stato tu.” gli disse in tono deciso.
“Ma è stato un vampiro, no?” disse Dillon con uno sguardo eloquente.
“Ce ne sono altri.”insistè Edward ”E per la cronaca, non esistono casi di vampirismo dalla doppia personalità. I mezzi vampiri ed i licantropi, poi non sono creature malvagie. Se sei mio nipote...” Dillon trasalì mentre Edward si emozionò nel dirlo a voce alta. “...non hai in te niente di pericoloso.”
Dillon si sentì un pò meglio. “Credevo non potessi leggermi nel pensiero.”
“Infatti” sorrise Edward. “Ma sto iniziando a conoscerti.Vedo in te...molte delle mie ansie ed insicurezze.” Dillon accennò un sorriso a sua volta. “Chissà...Forse hai preso da me.”continuò Edward.
Sul volto del ragazzo comparve un’ombra di imbarazzo. “Forse è meglio andarci piano per il momento. Almeno finchè non abbiamo le analisi...”
“Non mi vuoi come nonno?” scherzò Edward.
Dillon guardò il viso liscio e perfetto del vampiro e non seppe trattenere le risate.
“Nonno? Ma ti sei visto? Sei un nonno pseudodiciassettenne a cui posso firmare le giustificazioni!”
Edward scoppiò a ridere insieme al ragazzo finché non fiutò l’odore di Jacob a pochi passi di distanza. Si girò verso suo genero e lesse uno strano fastidio nei suoi pensieri.
“Jake, vieni unisciti a noi.” disse amichevolmente.
“Non so suonare.” rispose il licantropo e lasciò bruscamente la stanza.
“E’ sempre così simpatico?” chiese Dillon aggrottando le sopracciglia chiare.
Edward non rispose ma si alzò guardando il punto verso cui se ne era andato Jacob. “Resta qui” fece a Dillon con un sospiro. In un battito di ciglia aveva raggiunto il genero sul portico.
“Mi dici qual’è il problema, Jake?” gli chiese in tono severo. “Che cos’hai contro Dillon?”
“Niente” rispose Jacob in tono asciutto senza voltarsi. “Anzi ero sceso per scusarmi con lui per i miei modi sgarbati. Nessie mi ha suggerito di provare a parlarci un pò e di farci amicizia.”
“E quindi hai pensato bene di fare il musone e alzare i tacchi? Un ottimo modo per socializzare!”
Jacob si accigliò voltando leggermente la testa. “Ho visto che Dillon aveva già il suo amichetto del cuore. Non volevo fare il terzo incomodo. Di nuovo! Ci ho fatto l’abbonamento, in pratica, nel corso della mia vita!”
“Piantala di fare il ragazzino geloso!” sbuffò Edward “Dillon si fida un pò di più di me perchè mi ha conosciuto prima. Abbiamo combattuto insieme contro l’emissario dei Volturi e ci siamo aiutati a vicenda. E’ un ragazzo così coraggioso! Intelligente. E’ anche cocciuto...” Rise “ Ma è profondamente sensibile. E diamine! Hai sentito come suona?”
Jacob accennò un sorrisetto ironico “Dovresti sentirti, succhia sangue! Sembri proprio un nonno che parla del nipotino.”
“E’ quello che spero” ammise Edward. Jacob tornò di nuovo serio mentre il vampiro scrutava nei suoi pensieri confusi. “Hai paura di affezionarti a lui e scoprire poi che non è tuo figlio.”osservò Edward. “Ecco perchè respingi ogni contatto con Dillon.”
Jacob ebbe un guizzò negli occhi mentre si voltava. Non disse nulla mentre Edward continuava a parlare. “ Tutto quello che ti chiedo è di provare a conoscerlo. Ne vale la pena. Che ne dici?”
Prima che Jacob potesse rispondergli Edward si girò muovendosi verso la porta.
Dillon era già lì, in piedi davanti a loro con le braccia conserte. Edward guardò Jacob che era altrettanto sorpreso. Nessuno dei due lo aveva sentito arrivare.
“Non so se ne vale la pena, ma io dico di provarci”.disse il ragazzo senza sorridere ma con un tono amichevole. Poi aggiunse guardando Edward: “Perchè non ci lasci soli nonnetto? Credo che io e Jacob abbiamo iniziato con il piede sbagliato.”
Edward sorrise e pensò che per la prima volta Dillon pronunciava il nome di suo padre.
Jacob non si aspettava di vedere Dillon così disponibile nei suoi confronti. La situazione non doveva essere facile nemmeno per lui, glielo leggeva negli occhi, ma almeno stava facendo uno sforzo per essere cordiale. Disse a sè stesso che poteva fare uno sforzo anche lui, che cavolo! Sì, doveva farlo per Nessie. Cercò di rilassare il volto e si rivolse ad Edward
“Buona idea. Mio caro suocero, perché non torni su da Bells e ti levi dai piedi per un pò?”
Edward ridacchiò “Fantastico: entrambi volete sbarazzarvi di me? Avete già qualcosa in comune. Cominciate a lavorarci su ragazzi. Chiudete bene la porta prima di salire” Strizzò l’occhio a Dillon e sparì verso il piano di sopra.
Chiudere la porta? Di cosa aveva paura Edward? Un porta chiusa non avrebbe fermato i Volturi, ammesso che li trovassero, e non invidiava di certo un qualsiasi ladro o malintenzionato che avesse tentato di intrufolarsi. Anzi gli avrebbe fatto piacere dare una scarica di botte a qualcuno.
Jacob alzò gli occhi al cielo e rimase in silenzio per qualche secondo cercando di trovare qualcosa da dire al ragazzo. Ma fu Dillon a prendere la parola per primo. “Ascolta, volevo dirti che non devi vedermi come una minaccia. E non sei nemmeno costretto ad accettarmi. Non sono venuto qui per portare altro dolore alla tua famiglia e non sono un tuo nemico. Ci tenevo a dirtelo perché ho l'impressione che tu ce l’abbia con me.”
“Non ce l’ho con te” rispose Jacob con un tono triste. All’improvviso non sentiva più alcuna ostilità vero il ragazzo. “E’ che in tutti questi anni ho passato ogni giorno ad immaginare dove fosse mio figlio e quale sarebbe stato il suo aspetto. E poi vedo te, un perfetto estraneo, che non ho mai visto prima e ...la cosa mi sconvolge. Capisci.”
“Non so cosa significhi perdere un figlio ma se ti può consolare, siamo in due ad essere sconvolti.”mormorò Dillon concludendo la frase con un sorriso amaro.
Jacob si sforzò di ricambiarlo “Perdona il mio atteggiamento ma non riesco a pensare a te come mio figlio. Almeno fino a quando non avrò uno straccio di prova.”riprese Jacob parlando a fatica.
“Sono d’accordo. Meglio aspettare i risultati della analisi. Anche io faccio fatica chiamarti paparino” commentò Dillon pronunciando l’ultima frase in modo scherzoso.
Jacob non rispose alla battute e tornò a guardare fuori verso il paesaggio buio.
“E così ti piace dare la caccia ai vampiri?” chiese dopo qualche minuto. Forse era una domanda stupida ma Dillon si rianimò.
“Mi da uno scopo nella vita, per adesso. E mi diverto parecchio.”
Jacob si girò a guardarlo incuriosito. “E quanti ne hai uccisi?”
“A dozzine, negli ultimi mesi. Ho perso il conto”rispose con un scintillio fiero negli occhi.
“Niente male.”si complimentò Jacob. “E’ tua quella Ducati?” chiese un attimo dopo.
La moto si notava a malapena al buio ma con la sua vista da licantropo Jacob poteva apprezzarne lo stesso il telaio e la carrozzeria. “Sì, tu avevi una Harley a La Push, giusto?” chiese Dillon interessato. “Sembrava un bel modello da quanto ho visto nelle visioni di Renesmee.” Jacob alzò le sopracciglia. Dopo tutto quello che aveva visto si ricordava della sua moto? “Era un bolide. E ce l’ho ancora. Non so se hai notato ma sono un mago con i motori.”
“Non me la cavo troppo male anche io.” ribattè Dillon “Ho fatto personalmente delle modifiche alla mia ducati. Vuoi darci un’occhiata?” La cosa sembrava interessante.
“Perchè no.” Stavolta il sorriso gli venne naturale sulle labbra.

Quando Edward non trovò Bella in camera capì subito dove poteva essere andata. Ovviamente era con la loro “piccola” Renesmee. Le trovò abbracciate sul lettone che chiacchieravano. “So che è lui mamma. Lo sento. Vorrei solo poterlo abbracciare e che lui mi senta come sua madre. E’ stato così triste oggi. Gli ero accanto, potevo toccarlo ma era come se fosse lontano chilometri e chilometri da me.” Bella la ascoltava e le accarezzava i capelli come quando era bambina. Edward abbassò lo sguardo pieno di tristezza. Sapeva che nessuno poteva capire sua figlia meglio di Bella che si era lasciata guidare ciecamente dal suo istinto materno quando era rimasta incinta. E così come Bella aveva saputo da subito che la creatura che portava in grembo non era un mostro, così Renesmee sapeva che quel ragazzo biondo e misterioso, era suo figlio. Edward entrò nella stanza e si sdraiò accanto a loro avvolgendole tra le braccia.
“Andrà tutto bene, piccola mia.” disse sfiorando i riccioli ramati di Renesmee. “Dov’è adesso?”chiese lei alzando la testa. “L’ho lasciato che chiacchierava con Jacob.”
Bella sbattè le palpebre. “Con Jacob? Credevo che Dillon non gli piacesse molto.”
“Diamogli un pò di tempo. Sono fatti per legare quei due. Hanno molto in comune secondo me.”
Renesmee sorrise orgogliosa. “Dillon ha molto in comune anche con te. Ho sentito come suona.”
Edward stava per rispondere quando il rombo della moto squarciò nuovamente l’aria. Il vampiro sfrecciò verso la finestra e vide la ducati sparire oltre il vialetto.
“Non dirmi che Dillon è andato via di nuovo’” chiese Renesmee preoccupata avvicinandosi.
“Ascolta.” le disse Bella. Il suono della moto non scomparve ma continuò a farsi udire nei dintorni della casa. Sembrava che girasse in tondo e corresse su e giù.
“Sembra che una lezione di guida.” osservò Bella. Guardò Edward e gli mostrò i suoi ricordi di quando lei e Jacob avevano provato le loro moto appena riparate.
“E chi sta insegnando a chi?” chiese Edward perplesso. Dopo parecchio tempo la moto ricomparve all’ingresso del cancello, con due figure a bordo. Edward si voltò verso sua moglie e sua figlia che, piene di sorpresa, sorridevano contente.

Renesmee attese impaziente il ritorno di suo marito in camera. Voleva sapere ogni particolare della sua conversazione con Dillon. Ed i suoi genitori non erano da meno. Edward lo accolse con un finto sguardo severo. “Senti lupastro, capisco che in questa casa non dorme nessuno, ma non potete fare tutto quel chiasso con la moto a notte fonda. Non è educato.”
“Dillon mi ha fatto vedere come ha modificato la sua ducati.” spiegò Jacob compiaciuto. “Roba da non credere. Ha aumentato la velocità! Al ragazzo piace correre.”
Renesmee ascoltò la dovizia di particolari con cui Jacob descriveva il talento meccanico di Dillon senza riuscire a capirne una sillaba. Solo suo padre sembrava seguire il discorso per quanto preferisse le automobili. “E dov’è Dillon adesso?”chiese Bella sorridendo.
“Si è fatto un panino e se ne è andato a letto. Domani si deve alzare presto.” spiegò Jacob.
Edward aggrottò le sopracciglia “E dove deve andare? A scuola?”
“No” disse Jacob “Si deve allenare. A quanto pare dare la caccia ai vampiri è impegnativo. Sono curioso di vedere le sue tecniche per massacrarli. Senza offesa, miei cari suoceri.”
“ E con questa bella battuta, io direi di ritirarci in camera nostra.” annunciò Edward divertito. “Vieni Bella, lasciamo i ragazzi per conto loro.”
“Buonanotte tesoro” disse sua madre baciandola sulla guancia.”’Notte Jacob”. Edward la seguì dopo aver abbracciato Renesmee e dato un buffetto sul braccio muscoloso del genero.
Jacob si rilassò e cominciò a togliersi le scarpe da ginnastica. “Credo che farò una doccia.”
“Amore, sono felice che tu abbia parlato con Dillon.”gli disse Nessie. “Molto felice”
Jacob le rispose con un sorriso e si levò la maglietta. Nessie, guardò adorante la sua pelle bronzea e liscia e le linee perfette dei suoi muscoli: era sempre bellissimo. Non si sarebbe mai stancata di guardarlo. Scese da letto e gli posò le mani intorno al collo.
“Penso che tu sia stato molto dolce con lui.” continuò Renesmee, ritrovò la concentrazione “Sono fiera di te.”
Jacob si perse nei suoi occhi e le accarezzò i fianchi. “Se per dolcezza intendi parlare di moto truccate e di vampiri morti ammazzati...”le sussurrò nell’orecchio.
“State legando comunque e lo trovo fantastico” rispose lei accarezzandogli i capelli.
“Mi sembra un bravo ragazzo...abbiamo deciso di fare un passo alla volta. “ spiegò prendendole il volto tra le mani e guardandola intensamente.
“Va bene” gli disse Nessie stringendolo forte. Jacob le sorrise con dolcezza “Posso andare a farmi la doccia ora, o vuoi tenermi prigioniero ancora un pò?”
“Se venissi con te?” propose lei maliziosa. A quelle parole, Jacob la sollevò da terra e la strinse contro il petto lasciando che lei gli circondasse i fianchi con le gambe. Mentre si baciavano appassionati, Jacob camminava all’indietro cercando a tentoni la porta del bagno.
“Chiudi a chiave” disse Renesmee col respiro affannoso. “Nel caso tornino i miei genitori o i miei zii”
“E’ vero” notò Jacob parlando tra un bacio e l’altro “Dobbiamo far piano stanotte perchè abbiamo la famigliola sotto lo stesso tetto.”
La famiglia al completo, pensò Nessie felice e piena di speranza.

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Capitolo 37
*** Capitolo 36 ***



Capitolo 36

La giovane infermiera tornò prima ancora di quanto Louis si aspettasse stringendo tra le mani una cartellina piena di documenti. Lui se ne stava sdraiato su un fianco con addosso i pantaloni e la camicia sbottonata.

Era nell’ufficio della caposala.” spiegò la ragazza sorridendo. “Dentro ci sono tutti i dati di Laura Polidori. Anche la sua cartella clinica.” Si sedette sul letto accanto a Louis vantandosi di come era stata abile a far scivolare i documenti dentro la borsa, senza farsi vedere.
Louis sorrise compiaciuto guardando la cartellina. “Ancora meglio.” tese la mano per prenderla ma Kathleen la spostò velocemente. Louis trattenne un ringhio, irritato.

Prima voglio quello che mi ha promesso.” lo stuzzicò la ragazza guardandolo maliziosa.
Louis si concesse un sorriso divertito e la attirò a sé.
“Sappi che ho delle cattive intenzioni” gli mormorò lei avidamente accarezzandogli la pelle setosa del torace.
Louis ricambiò lo sguardo. “Credimi. Le mie sono ancora peggiori.”le rispose facendola sdraiare. Kathleen lo guardò sempre più eccitata, facendogli scorrere le dita sulla pelle gelida, fino alla cerniera dei jeans. Se Louis aveva ancora freddo, ci avrebbe pensato lei a scaldarlo per benino.
“Posso darti un morso sul collo?” chiese Louis in tono innocente.
Kathleen ridacchiò come una ragazzina. “Puoi farmi tutto quello che vuoi.” Gli occhi di Louis scintillarono e si fecero più neri.
“Ricordati che lo hai detto tu.”

Senza sapere come, Dillon si era ritrovato a nuotare nelle acque fredde e trasparenti di un lago. Nuotava faticosamente con la testa fuori dall’acqua, cercando di mantenere la schiena il più possibile in superficie come se dovesse proteggere qualcosa che trasportava sul dorso. Qualcosa di piccolo, dal peso di una piuma. Torse il collo nervosamente come se temesse di essere inseguito ma dietro di sé vedeva soltanto il profilo di un massiccio castello sopra una collina. Il cielo sopra di lui era bianco, in attesa dell’alba, ed una spessa foschia nascondeva la riva opposta. Ma Dillon nuotava seguendo un misterioso istinto, più velocemente che poteva e si sentiva forte ed immenso come non era mai stato. Le sensazioni era nitide ma il loro insieme era qualcosa di complesso e confuso che non riusciva a capire e che lo turbava. Era strano perfino il modo in cui si muoveva dentro l’acqua, spingendo in avanti le braccia e le gambe, come se pedalasse. “Dillon!” una voce nella sua testa lo chiamava per guidarlo nella giusta direzione. Il sole cominciò ad illuminare il lago con i suoi primi raggi e proiettò un ombra davanti a Dillon: la testa di un lupo.
“Dillon?” domando un’altra voce, più vicina e reale. “Dillon, svegliati” era la voce di Edward.
Dillon si sollevò a sedere di scatto con la fronte madida di sudore. Era stato solo un sogno, eppure gli sembrava di sentire ancora l’acqua fredda sulla sua pelle.
“Tutto bene?” chiese Edward chinandosi su di lui. Dillon si girò a guardarlo. Il vampiro aveva il solito aspetto impeccabile, senza un capello fuori posto e indossava una maglietta blu sopra un paio di jeans. Gli stava porgendo una tazza di caffè.
Dillon la prese con la mano tremante e la posò in grembo. “Si, grazie. Ho solo avuto uno strano sogno.”
“Ancora incubi?”
“Non faceva proprio paura” precisò Dillon guardando fissò davanti a sè “Ero nelle acque di un lago ma era inquietante perché mi sembrava di trovarmi in un altro corpo... è difficile da spiegare.”
“Credo succeda nei sogni, per quanto mi ricordi. Sai non sogno da parecchio tempo...”
Dillon sorseggiò il caffè. “E’ buono. A cosa devo questo servizio in camera?”
Edward rise “Jacob ha detto che ti saresti alzato presto per allenarti e così sono venuto a vedere cosa combinavi.”
“E così ti sei alzato anche tu di buon’ora.” osservò Dillon sorridendo.
“Non sono mai andato a letto.” precisò il vampiro. Dillon pensò maliziosamente che forse ci era andato ma non per dormire. “Ti va di fare colazione o preferisci fare prima il tuo training? Mi piacerebbe darti una mano.”disse ancora Edward.
La cosa poteva essere interessante.
“Allora penso che mangerò dopo.” decise il ragazzo.

Emmett, Jasper e Jacob erano nel giardino che osservavano la scena. In realtà, non c’era molto da osservare dopo che Edward era passando sfrecciando ed era andato a nascondersi in cima ad un albero.
“Mi chiedo come farà Dillon a trovarlo? E’ praticamente invisibile ad occhio umano.” osservò il licantropo.
“Fiuterà la sua scia. O seguirà le sue tracce.” spiegò Jasper.
“Forte!” esclamò Emmett “Dopo voglio giocare anche io a nascondino con il cacciatore.”
“Eccolo!”gridò Jacob vedendo Dillon camminare sul tetto. “Ma come ci riesce?”
Senza volerlo provò un istintivo senso di preoccupazione quando vide il ragazzo dirigersi sul cornicione e lanciarsi in un salto lunghissimo verso i rami dell’albero più vicino. I rami non fecero in tempo a piegarsi che il giovane era già saltato via su un altro albero.
“Ha fiutato Edward!” notò Jasper seguendolo con lo sguardo. Dillon era quasi giunto all’ albero dove era appostato quest’ultimo, quando il vampiro saltò a terra e corse via. Dillon atterrò sul prato con la stessa agilità e cominciò a corrergli dietro.
“Non riuscirà mai a raggiungerlo! esclamò Emmett.
Dillon però ad un tratto voltò in mezzo agli alberi e scomparve. Edward fece il giro del parco e tornò di fronte al punto i cui i tre ragazzi lo guardavano. Fu allora che si accorse che Dillon fatto il giro dalla parte opposta per intercettarlo e gli era saltato sopra. “Preso!” gridò afferrandolo per le spalle. Edward alzò le mani.
“Non vale Edward! “ protestò Dillon vedendo la sua resa. “Mi devi attaccare! Come farebbe un vampiro aggressivo.”
“Sì, e poi chi le sente le donne? Se ti torco anche solo un capello mi staccano la testa dal collo.”
Il resto del gruppetto li raggiunse. “Il ragazzo è in gamba. Voglio vedere come se la cava in un corpo a corpo.”disse Emmett in tono di sfida.
“No, Emmett” intervenne Jasper “Gli stritoleresti le ossa! Sei anche più forte di un comune vampiro!”
“Io ci sto!” disse Dillon colpendosi il palmo della mano con il pugno chiuso. “Vediamo se Emmett riesce a prendermi.”
” Prima che gli altri potessero intervenire Dillon era corso via con il corpulento vampiro alle calcagna.
Dillon con i capelli biondi che sferzavano l’aria procedeva a zig zag, girando su sè stesso e cambiando di colpo direzione per disorientare Emmett. E con grande sorpresa degli altri, la sua tattica funzionava e il ragazzo riusciva sempre per un pelo a sfuggire ad Emmett.
“Prova ad usare i tuoi poteri telepatici, Dillon” disse Edward quando rivide passare il ragazzo. “Non vale!” protestò Emmett. Dillon chiuse gli occhi mentre correva e, ad un tratto si fermò, un attimo prima che il vampiro lo raggiungesse, e con un salto mortale all’indietro gli passò sopra e dopo essersi girato cominciò a correre dall’altra parte. “Funziona, caspita!” esclamò Dillon guardando Edward. Questi gli si avvicinò e gli diede il cinque sorridendo.
“Sarà meglio smettere.” disse Emmett comparendo al loro fianco. “Mi sta venendo una sete terribile e sentire il tuo cuore che pompa mentre corri non è di grande aiuto.”
Dillon aggrottò le sopracciglia guardando gli occhi neri di Emmett, ma subito sentì la tensione sciogliersi. Si accorse che Jasper si era avvicinato. “Allora, scimmione? Come ci si sente a farsi battere da un ragazzino?” ghignò il vampiro biondo fissando il fratello.
“Ha barato.” puntualizzò Emmett. “Come il nonnetto.” Edward notò lo sguardo imbarazzato di Dillon e Jacob e non colse la provocazione.
“Devi assolutamente andare a caccia Emmett, oggi. Prima possibile” disse in tono perentorio.
“Ci vado tra poco con Rosalie, promesso.” si girò verso Dillon puntandogli il dito contro con fare scherzoso “Mi devi la rivincita, biondino”
Dillon ridacchiò “D’accordo.” Poi guardò gli altri e disse. “Dovrei passare alle armi da fuoco adesso, per esercitarmi con la mira.”
Il ragazzo si diresse verso una valigetta argentata appoggiata in un angolo del giardino, su cui aveva posato la giacca e ne mostrò il contenuto ai suoi nuovi amici. “Quindi è con queste che uccidi i vampiri?” chiese Jacob incuriosito osservando le bloody silver.
“Teoricamente sì, ma adesso userò dei normali proiettili, dato che Edward mi ha confiscato quelli contro i vampiri.”
Edward sorrise “Te li ridarò dopo.”
Dillon scosse la testa. “Non mi servono per ora. Non voglio sprecare le munizioni. E’ faticoso fonderne degli altri e qui non ho neanche la strumentazione adatta.”
“Dillon ha creato da solo quei proiettili. E’ un ingegnere chimico.”spiegò Edward a Jacob con una punta di orgoglio. “Si è laureato in pochissimo tempo con il massimo dei voti.”
“Non ricordo di averti mai detto il mio punteggio, veramente.” osservò Dillon con un leggero imbarazzo.
“Me lo sono immaginato” disse Edward “Perchè? Quanto hai preso?”
“Il massimo dei voti” ammise Dillon con un sorriso.
“Sei pure un secchione, eh?” commentò Jacob ironico. “Sai uccidere i vampiri a sangue freddo, hai una moto da sballo...comincio a sentirmi intimidito.”
“ La fate finita? Mi sto diventando antipatico da solo”protestò Dillon caricando una pistola. “Adesso mi serve un bersaglio.”concluse guardandosi intorno.
“Vado io.” disse Jasper scomparendo verso il castello. Ricomparve pochi istanti dopo con in mano un vecchio scudo di legno. “ Questo può andare bene?”
Lo scudo venne appeso ad un ramo a diverse centinai di metri di distanza. Dillon prese la mira e senza alcuna esitazione colpì il centro esatto dello scudo per sei volte di seguito.
“Questo è un fenomeno!” esclamò Jasper.
“Bah! Troppo semplice.” commentò Dillon “Quando devi colpire un soggetto immobile non ci vuole niente.”
“Già, i succhiasangue invece corrono come il vento. Neanche li vedi quasi.”concordò Jacob.
Edward fece un sorriso sghembo “Ho un’idea.” sparì per poi comparire sul ramo dove avevano appeso il bersaglio e lo sganciò.
“Dillon prova a colpirlo” gridò prima di lanciarlo. Lo scudo tagliò l’aria disegnando un arco alla velocità di un siluro prima di finire infranto sotto i colpi dei proiettili di Dillon. I pezzetti di legno volarono intorno ai cinque ragazzi.
“Altro che fenomeno!” fece Emmett a bocca aperta “Questo è un supereroe!”
“Spero non valesse troppo quell’affare” ridacchiò Dillon dando un calcio ad una scheggia.
“Naaaah! Quello al limite se lo mangiavano i tarli nell’armeria” rispose Jasper “A proposito, campione. Ti ho portato anche queste.” Dillon si girò verso il vampiro biondo che gli porse una coppia di pugnali antichi. “Hanno una lama di una particolare lega metallica, molto forte. Le leggende dicono che prima di inventare le armi da fuoco, gli umani li usassero per ucciderci. Potrebbero essere molto utili in uno scontro corpo a corpo.”
Dillon li prese mormorando un grazie stupito, pensando a quanto fosse inverosimile che dei vampiri gli stessero dando armi e consigli per uccidere i loro simili.

Perché fate tutto questo?” chiese accarezzando l’elsa lavorata di uno dei pugnali. Possibile che fosse solo perchè lo ritenevano il nipotino perduto?
“Non lo hai ancora capito, Dillon?” disse Edward guardandolo intensamente “Siamo dalla stessa parte. Per questo andiamo contro la nostra natura nutrendoci di sangue animale ed alleandoci con i nostri nemici naturali come i licantropi. Per proteggere gli umani da quelli come noi.”
Dillon ricambiò lo sguardo. “ Si lo so. Nei ricordi di Nessie ho visto la differenza tra voi e...gli altri.”

I tre fratelli sorrisero e dopo qualche minuto Jacob si schiarì la voce.
“Che ne dici di entrare in casa e mangiare qualcosa? Non so te ma io ho una fame.”

Quando Laura si svegliò ci mise come sempre diversi minuti prima di riuscire a sollevarsi a sedere. Le ultime cure le avevano calmato il dolore ma la facevano sentire spossata anche dopo una lunga dormita. Era bello però essere a casa, nella sua stanza, in mezzo alle sue cose: il vecchio armadio di legno, con lo specchio sull’anta, la scrivania strapiena di oggetti, la bacheca di sughero su cui aveva appeso con le puntine da disegno diverse foto, ritagli di film e vecchie cartoline. Non si era ancora riabituata a dormire sul suo materasso così morbido rispetto a quello dell’ospedale, sotto le coltri soffici del suo piumino morbido. Sopra ci aveva steso la coperta blu con il lupo che le aveva prestato Dillon. Gliela aveva lasciata insieme all’orologio che portava ancora al polso. Si chiedeva quando sarebbe tornato e cosa le avrebbe raccontato in merito all’esito del suo viaggio. La sua chiamata l’aveva preoccupata, ma sperava tanto che il suo amico risolvesse i suoi problemi e trovasse la sua famiglia.

Quel pensiero la fece tornare con la mente ai suoi genitori. Si alzò lentamente lasciandosi addosso la tuta con cui dormiva per stare più calda e aprì la porta della sua camera. Mentre percorreva il corridoio si accorse che la casa era immersa nel silenzio. Eppure i suoi genitori erano sempre a casa a quell’ora. Gli unici rumori erano il suono della televisione nel salotto e l’acqua che scorreva in cucina. Continuava a scorrere come se qualcuno avesse lasciato il rubinetto aperto. Forse sua madre era uscita e se ne era dimenticata. Strano. Quando entrò nella cucina quasi si prese un colpo vedendo sua madre di fronte al lavandino che le dava le spalle. “Mamma!” esclamò sorridendole ed avvicinandosi a lei. Quando si fu avvicinata guardò nel lavandino e vide una bacinella piena di verdure che si stavano disfacendo sotto il continuo getto d’acqua. Sorpresa guardò sua madre e vide che era immobile con un’espressione serena con uno sguardo perso nel vuoto. Laura non l’aveva mai vista così. “Mamma, cosa c’è? Va tutto bene?”
“Certo tesoro” rispose lei con voce dolce ma assente. Non girò nemmeno il viso verso di lei.
Laura allarmata provò a scuotere la madre per le braccia ma non ottenne nulla. Cosa diamine era successo a sua madre ed al suo solito chiacchiericcio allegro mentre sbrigava le faccende?
C’era qualcosa di assurdo ed innaturale in quell’espressione, qualcosa a cui Laura non riusciva a dare un nome. Era lo stress, a cui si era sottoposta a causa sua e della sua malattia, sotto cui stava cedendo dopo tutti quei mesi? O era lei, si disse Laura, ad avere le allucinazioni? Tremando e sorreggendosi ai mobili Laura si diresse verso il salotto chiamando suo padre. E anche lì c’era qualcosa di strano. A quell’ora in genere suo padre guardava il telegiornale o qualche programma sportivo, invece la televisione era accesa sul canale di un telefilm, cosa che lui detestava. Diceva sempre che erano un mucchio di stupidaggini, soprattutto quelli di genere fantasy. “Papà..” chiamò Laura sorpresa arrivando sulla soglia del salotto “Sai cosa sia successo a mamma? E’ ferma immobile come se fosse...” Le parole le morirono in gola quando vide suo padre seduto sul divano con gli occhi fissi sullo schermo e un sorriso pacifico. Il suo sguardo era completamente vuoto. “Papà..” mormorò Laura sopresa. Un brivido le corse lungo la schiena mentre entrava dalla porta e vide uno sconosciuto seduto nella poltrona che fino ad un attimo prima era nascosta dalla sua visuale. Era un ragazzo bruno sui venticinque anni, dalla carnagione molto chiara, con indosso un abito scuro e una camicia bianca. Era seduto con le gambe accavallate in una posa rigida e disinvolta al tempo stesso. Probabilmente Laura lo avrebbe trovato di una bellissimo, se un particolare inquietante non le avesse fatto comprendere che era lui il responsabile di quanto stava accadendo ai suoi genitori. Un piccolo particolare che in un istante le rivelò la vera identità del misterioso giovane ed il motivo per cui era lì: aveva gli occhi rossi come il sangue.

Il ragazzo si volse verso di lei e la salutò con un sorriso.
“Scusami tanto” cominciò in tono educato accennando alla televisione “Ma questa puntata me l’ero persa. Ti dispiace?” Laura lo fissò sbalordita notando che stavano trasmettendo un telefilm sui vampiri. La scena in questione mostrava il momento in cui una giovane donna veniva morsa ed il suo sangue colava lungo il collo ed il vestito, fino a terra.
“Sono tutte balle” commentò il giovane. “ Non ci si allungano i canini e per quanto mi riguarda non lascio cadere neanche una goccia. Ho uno stile impeccabile.” La scena cambiò poco dopo mostrando una coppia di amanti che si lasciavano andare alla passione sopra un letto. “Sono impeccabile anche in quello, tra le altre cose. Decisamente. Quello lì non ha proprio fantasia.” commentò Louis arricciando il naso.

Laura deglutì a fatica “Chi sei?’” chiese pur immaginando la risposta.
Lui le sorrise amabilmente “Mi chiamo Louis Dupont. Lieto di conoscerti.”
Era come aveva immaginato. Aveva di fronte a sè il vampiro che aveva tentato di uccidere Dillon. E adesso era comodamente seduto nel salotto di casa sua vicino a suo padre.


“Perchè non ti siedi, cara?Penso che il muro possa reggersi da solo.” le disse premurosamente.
Laura però non si mosse di un millimetro. Era troppo terrorizzata.
“Cosa hai fatto ai miei...”balbettò sentendo un sudore freddo che le si formava nei palmi delle mani.

Io niente. E’ merito della mia...collega.” rispose Louis.

Collega?” protestò una voce melodiosa poco lontana. Laura sentì una ventata gelida accanto a sé e si ritrovò davanti una giovane donna dalla bellezza meravigliosa e glaciale, in abiti da infermiera. Quell’abbigliamento le suggerì in che modo dovevano essersi introdotti in casa sua. Laura non riusciva a credere che anche quella creatura così bella, dai capelli biondi come l’oro, la pelle immacolata ed il viso angelico, potesse essere una vampira. Eppure sotto quegli occhi violetti che lanciavano sguardi adoranti a Louis poteva percepirne la natura crudele. La sua presenza le metteva i brividi.
“Ho il piacere di presentarti Crystal. E’ in grado di soggiogare le menti altrui.”spiegò Louis compiaciuto. “Il mio potere è un altro.”
Laura udì il getto d’acqua in cucina interrompersi e poco dopo vide un oggetto fluttuare in aria accanto al suo viso. Era un bicchiere d’acqua.
“Et voilà! Bevi, cara.” le disse Louis. “Sei pallidina.” Laura prese il bicchiere con la mano tremante e si schizzò la felpa con l’acqua.
“Ipnosi” mormorò Laura fissando il volto di suo padre. Era quella la parola che il suo inconscio le aveva suggerito quando aveva visto sua madre ma che non era riuscita ad afferrare.

Esattamente.”disse Louis “Crystal potrebbe ordinare loro di fare qualsiasi cosa. Anche ordinare a tua madre di piantarsi in gola un coltello da cucina, giusto per fare un esempio. Non preoccuparti, però. Stanno bene, per ora. Non è vero, signore?” chiese rivolto al padre di Laura.
“Si, benissimo grazie” rispose suo padre con voce dolce sorridendo come un bambino.
Laura lo guardò disperata ed ebbe voglia di mettersi a piangere per la rabbia. “Che cosa vuoi?”chiese fissando Louis con odio.
Di certo non era venuto lì per guardare la televisione e vantarsi delle sue prodezze.
“Credo che tu lo sappia” rispose seccamente Louis in tono serio. “Abbiamo un amico in comune”

Era quello che Laura temeva. Dopotutto cos’altro poteva volere un vampiro da lei, e da quel suo fisico gracile e malato?

Non so dov’è” disse alzando lo sguardo e mostrandosi sulla difensiva.
“Io sì. Ma non è questo che mi interessa.” ribatté Louis alzandosi in piedi “Devo solo invitarlo in un posto e se ci sarai anche tu, credo che verrà più volentieri.”
“Non lo farà.”protestò Laura, cercando di essere convincente
“Io credo di sì. ”disse Louis con un sorriso furbo. “Ho visto quanto siete legati. E se tieni ai tuoi genitori, ti consiglio di collaborare senza sprecare le tue forze in inutili piagnistei. Te ne sono rimaste davvero poche.”
Laura rimase immobile contro la parte, incapace di proferire una sola parola o di muovere un muscolo.

Bevi il tuo bicchiere d’acqua, tesoro.”le disse Louis chinandosi su di lei. Aveva un odore molto gradevole, un profumo fresco e pungente, ma ciò le diede la nausea.

Falla cambiare per il viaggio e impacchetta le sue cose.” ordinò Louis a Crystal in tono autoritario. Laura ebbe l’impressione di vedere un lampo di sdegno negli occhi della vampira. I modi bruschi di Louis sembravano averla ferita. In un lampo la ragazza si sentì stringere in una morsa d’acciaio per le braccia e trascinare fino alla sua camera come se stesse volando. Ebbe quasi un giramento di testa quando Crystal la posò a terra. Laura barcollò e andò a sedersi sul letto.

Cosa ne sarà dei miei genitori?” chiese col capo chino stringendo il copriletto debolmente tra le dita.

Crystal nel frattempo aveva aperto il suo armadio e stava frugando tra i suoi vestiti. “Non ricorderanno niente. Riprenderanno la loro vita di tutti i giorni normalmente.”spiegò con freddezza senza guardarla.

Ma vedranno che sono sparita!”

Ufficialmente per loro, tu tornerai in ospedale per delle ulteriori analisi. Ho previsto tutto. ”le disse Crystal tirando fuori un cappotto ed un abito rosso di maglina.

Non mi sta più.” riuscì a mormorare Laura sofferente. Aveva perso tanti di quei chili che ormai cadeva dentro i vestiti. Crystal la ignorò e prese la valigia di Laura da sopra l’armadio. La ragazza l’aveva appena posata lì dopo il suo ritorno a casa.

Non farete loro del male?” chiese ancora col pensiero rivolto ai suoi genitori. Crystal posò sul letto il vestito rosso ed un paio di leggins neri.
“Vestiti” le ordinò. Muovendosi ad una velocità impressionante cominciò a riempire la valigia di vestiti e biancheria varia.

Non possiamo far loro del male. Attireremmo troppo l’attenzione ed è basilare per noi non farci scoprire. Non te lo ha spiegato il tuo amichetto?” Laura ebbe un sussultò mentre la vampira faceva scivolare tutti i flaconi di medicine che aveva sulla scrivania dentro la valigia e la richiudeva.

Cosa vogliono fare a Dillon? Vogliono ucciderlo?” la domanda le uscì fuori senza che nemmeno lo volesse. Crystal la fissò senza tradire alcuna emozione sul suo viso d’angelo.
“Per ora no” le rispose gelidamente “Ed ora vestiti. Non ho tutto il giorno.”
Non appena Laura fu pronta, la vampira la riportò nel soggiorno tenendola stretta per un braccio.
“Molto bene” esclamò Louis “Ho preso anche il tuo passaporto. Saluta mamma e papà, Laura. Signori, grazie dell’ospitalità. Porto la vostra bambina a fare un bel viaggetto”
La ragazza cercò sua madre con lo sguardo e la vide seduta tranquillamente al tavolo della cucina che asciugava un piatto con uno strofinaccio. Suo padre era ancora sul divano ma Louis gli aveva cambiato canale sulla partita. “Arrivederci tesoro” le disse la mamma con voce tranquilla come se stesse uscendo per andare all’università.
“Fai la brava!” le raccomandò suo padre prendendo in mano il giornale. Laura aveva voglia di mettersi a gridare invece si limitò ad annuire con un cenno del capo. La porta di casa si aprì da sola davanti a Louis che fece passare avanti la due donne per poi richiudersi alle loro spalle.
Laura vide una macchina nera dai vetri oscurati parcheggiata sul marciapiede davanti a loro. Si guardò intorno disperatamente cercando di attirare l’attenzione di qualcuno. Louis aprì lo sportello del sedile posteriore per farla salire insieme a Crystal e si infilò un paio di occhiali da sole. “Detesto le lenti” spiegò con un sorriso prima di andare a sedersi al volante.
Crystal tirò fuori dalla sua borsa un flacone spray e glielo spruzzò in faccia. “Fatti un riposino, tesoro. Il viaggio è lungo.” le disse Louis ammiccando dietro i suoi rayban.
Laura si sentì scivolare in un sonno profondo mentre la macchina partiva verso una meta ignota.

Dillon trovò tutte le donne della casa riunite nella cucina intente a preparare la colazione. Quasi tutte. Esme e Bella erano ai fornelli, mentre Renesmee e Rosalie apparecchiavano. Alice invece era seduta sul bordo del tavolo ammirando i servizi di porcellana di cui era fornito il castello.
“Devo assolutamente ordinarne uno così. Mi ricorda quello che avevamo a Forks.” stava dicendo. “Oh, ecco i ragazzi.”
“Buongiorno Dillon, spero che tu abbia fame.”lo salutò Esme posando una caraffa di caffè fumante sul tavolo ed una brocca di succo di arancia.
Le altre vampire gli sorrisero sinceramente liete di vederlo. Soprattutto Renesmee.
“Signore”disse lui salutandole con un cenno del capo “Il dottore non c’è?” chiese notando l’assenza di Carlisle.
“Mio marito è nello studio. Ci raggiungerà più tardi.”
Dillon pensò che i risultati delle analisi dovevano essere quasi pronti, cercò di non pensarci e si distrasse guardando la tavola imbandita con un cestino di pane tostato, diversi vassoi di affettati e uova strapazzate e bacon. Vi era anche un ciambellone profumato alla cannella ed una ciotola di macedonia
“Tutta quella roba è per me?” chiese Dillon piacevolmente sorpreso.
“Non essere assurdo, ragazzino.” fece Jacob mettendosi seduto. “Ci sono anche io. E non so se basteranno quei quattro stuzzichini a calmare il mio appetito. Tu, non prendi niente amore?” chiese infine guardando sua moglie.
“Ho già spizzicato qualcosa. E’ tutto vostro” disse Renesmee guardandoli con dolcezza.
Emmett si avvicinò a Dillon e gli mollò una vigorosa pacca sulla spalla. “Credo sia ora di colazione anche per me. Non muoverti di qui biondino! Torno presto. Vieni Rosalie, andiamo a caccia.” La vampira bionda si lasciò prendere per mano ed insieme a lui uscì fuori in direzione del bosco.
Dillon sorrise e si mise a tavola di fronte al licantropo dedicandosi al lauto banchetto che aveva di fronte. Mentre imburrava una fetta di pane si accorse di avere addosso gli sguardi di tutti.
Jacob davanti a lui prese un toast e cominciò a spalmarci sopra del burro ripetendo i suoi stessi gesti. Dillon sperò vivamente che non se ne uscissero con qualche altra battuta strappalacrime su una remota somiglianza padre-figlio, ma sicuramente a giudicare da come li guardavano stavano pensando proprio a quello. Dopo qualche minuto si scoprì ad osservare anche lui Jacob ed i suoi movimenti, cercando qualche tratto simile ad i suoi. Gli sembrò di vedere qualcosa nel modo in cui appoggiava il braccio sul tavolo o si scostava i capelli dalla fronte. Ma potevano essere benissimo delle coincidenze.
Si scosse da quell’idea quando vide che nel vassoio degli affettati era rimasta solo una fetta di salame. “Ehi” protestò allungando una mano per prenderla. La sua mano si scontrò con quella di Jake e cominciò una piccola lotta. “Te ne sei fatte fuori sei?”lo accusò Dillon
“Tu eri preso a guardare il soffitto” ribattè l’altro cercando di guadagnare la fetta.
“Adesso invece la voglio quindi lasciamela” disse Dillon bloccando le mani di Jacob.
“Neanche morto” disse Jacob spingendo via Dillon con le braccia ed afferrando la fetta. Dillon si sporse sul tavolo e lo colpì col la testa sullo stomaco facendo volare il salame per aria.
“Ragazzi, buoni...” cominciò Edward.
Era come aver parlato al muro. I due spinsero da parte i piatti e montarono sul tavolo con le ginocchia cercando di agguantare l’ambito pezzettino di affettato ma a furia di lanciarlo verso l’alto per non farlo prendere all’altro, riuscirono solo a farlo infilzare da un gancio del lampadario di ferro battuto.
“Hai visto cosa hai fatto!” esclamarono i ragazzi accusandosi a vicenda e saltandosi addosso e
finendo di sparecchiare la tavola.
“No! I bicchieri di cristallo no!” esclamò Esme precipitandosi a toglierli di mezzo.
I ragazzi intanto avevano trasformato la lite per la fetta di salame in un allegro incontro di wrestling e finirono a rotolarsi per terra ridendo come matti. Alla fine mentre la fetta cominciò a staccarsi Dillon riuscì a spingere Jacob a terra con le ginocchia dandosi lo slancio per saltare in alto ed afferrare con la bocca la fettina di salame che cadeva giù.
“Ma bravi! Guardate come avete ridotto la cucina!” esclamò Edward.
Dillon seduto a terra con aria trionfante guardò Jacob che rideva mentre si rialzava.
“Jasper sarà meglio che calmi gli animi prima che si dedichino al secondo round.”disse Alice preoccupata guardando il suo compagno che rideva sotto i baffi.
“Coraggio, diamo una ripulita” propose Bella aiutando Esme a raccogliere le posate ed i cocci dei piatti da terra.
“Pensavo che l’allenamento fosse fuori” commentò Alice scuotendo la testa.
“Lo ripeto: questo ragazzo è un fenomeno!” disse Jasper euforico. “Prima ha seminato un vampiro e adesso ha messo al tappeto un licantropo.”
Jacob fissò Dillon con una finta aria di minaccia “Questa me la segno, ragazzino!” gli disse.
“Vuoi che ci litighiamo anche il bacon?”propose Dillon con un sorriso di sfida.
“Dillon, lascia tuo padre!” strillò Renesmee irritata e divertita al tempo stesso.
Quelle due parole fecero calare un silenzio imbarazzante su tutti i presenti. Dillon tornò a sedersi sulla sedia senza parlare evitando di guardare gli altri.
Edward lanciò uno sguardo ammonitore a sua figlia e dopo aver sistemato la tovaglia si sedette di fronte a Dillon, sfoderando un sorriso cordiale. “Allora Dillon, perchè non ci racconti del tuo sogno? Sembrava una cosa interessante.”
Dillon apprezzò il tentativo di cambiare argomento e ripeté quello che aveva sognato, facendo attenzione ad omettere la parte in cui aveva visto l’ombra del lupo. Di motivi per mandare la famigliola fuori di testa ce ne erano già a sufficienza.
“Un lago, hai detto?” chiese Jasper interessato.”Ce ne sono molti qui. Ed anche dei castelli. Probabilmente sei rimasto suggestionato dal paesaggio.”
“Può darsi.” rispose Dillon “Ma a volte faccio degli strani sogni.”
“Io, una volta facevo dei sogni che particolari.” disse Bella pensierosa “Era come se il mio inconscio volesse dirmi qualcosa. Forse hanno a che fare con la situazione che stai vivendo.”
“Forse...” sospirò Dillon. Nonostante la diffidenza, il desiderio di trovare una spiegazione lo vinse. “Ci sono sogni ricorrenti, sogni particolari, e sogni che si avverano. Una volta mi sono trovato in una situazione che poi si è avverata. La notte in cui sono andato all’ospedale a prendere il sangue per Bella mi sono trovato in un corridoio che avevo già visto in un mio sogno.”
“L’inconscio è qualcosa di affascinante. Purtroppo a noi non è permesso di esplorarlo. Noi vampiri non dormiamo.”
“Io in compenso ho delle visioni, anche se è da qualche giorno che non riesco a vedere nulla.” disse Alice. Gli altri si girarono a guardarla incuriositi.” A quanto pare il futuro è in un momento di impasse. Nessuno può ancora dire che direzione prenderà.”
Mentre ciascuno rifletteva sulle parole di Alice, Carlisle fece la sua comparsa sulla soglia della cucina. Il suo volto marmoreo e perfetto aveva un’espressione tesa.
“Ho il risultato del test del DNA”annunciò.

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Capitolo 38
*** Capitolo 37 ***


 

Dillon fece un respiro profondo e si alzò in piedi tenendo lo sguardo fisso su Carlisle. L’espressione preoccupata del dottore non lasciava presagire niente di buono. Vide Edward chiudere gli occhi come se avesse letto nella mente del padre che erano cattive notizie. Renesmee stringeva forte la mano di Jacob col fiato sospeso.
“Coraggio” pensò Dillon “Togliamoci questo peso.”

Con un cenno del capo invitò il dottore a procedere e rimase in attesa con lo stomaco chiuso in una morsa di acciaio.
Carlisle cominciò a parlare lentamente scandendo ogni parola con il suo timbro armonioso.
“Mi dispiace avervi fatto aspettare tanto, ma ho ripetuto il test più di una volta per esserne sicuro. Ho elaborato la sequenza del DNA del piccolo David e quella di Dillon e le ho confrontate. Purtroppo non coincidono.”
Un silenzio pesante quanto un macigno scese sulla stanza e Dillon poté leggere la delusione ed il dispiacere negli occhi di tutti i presenti. Renesmee era rimasta impietrita appoggiandosi a Jacob.

Dillon non seppe cosa pensare per qualche minuto. Immaginava che non avere sangue di mostro nelle vene lo avrebbe fatto sentire sollevato, invece si sentì spaesato.

Allora è sicuro?” mormorò “Possiamo scartare la possibilità che io sia...chi credevate.”
“Non è così semplice.” spiegò Carlisle. “La tua struttura genetica, Dillon, è piuttosto instabile come se stesse cercando ancora di assestarsi. Potrebbe anche essere cambiata nel corso degli anni.”

Assestarsi? Mi sta dicendo che il mio DNA è impazzito?”chiese Dillon sgomento.
“Hai una sequenza che non ho mai visto. Molto irregolare.”
“Ma se il suo DNA è in fase di mutazione anche il suo gruppo sanguigno potrebbe essere cambiato negli anni? ”chiese Edward ansioso.

Questo vuol dire che lui potrebbe essere David, come potrebbe non esserlo?” osservò Jacob.

Precisamente” rispose Carlisle.

Insomma” notò Dillon scoraggiato. “Siamo al punto di partenza?”
“Tesoro” disse Esme “Ma deve esserci un altro sistema per stabilire l’identità del ragazzo.”

Sto aspettando una chiamata di Eleazar per avere altre informazioni. Credo che qualsiasi cosa a questo punto possa esserci di aiuto. Provo a richiamarlo io.” Il vampiro scomparve diretto nel suo studio mentre Renesmee si avvicinò a Dillon cercando di trattenere le lacrime. “Non mi importa cosa dicono i test. Io so chi sei. Lo sento.”


Dillon incapace di sostenerne lo sguardo si girò appoggiandosi sulla spalliera della sedia.

Sentì Bella intervenire nella discussione “Forse ci sfugge qualcosa. Qualche dettaglio. Potrebbero esserci dei documenti o delle foto che colleghino Dillon a David.”

Non esistono.” spiegò Edward. “Abbiamo fatto noi in modo da non lasciare tracce.”
“Nemmeno io ho trovato niente” disse Dillon pensieroso. “E le uniche foto che ho, risalgono a quando avevo più di sei mesi. Non credo servano a molto.” In quel momento un pensiero gli balenò in mente. La lettera! “Aspettate qui. Forse ho un idea!” Corse velocemente verso la sua camera e cominciò a frugare in mezzo ai suoi bagagli. Rovesciò il contenuto dello zaino sul letto, aprì i bauli delle armi, sfogliò tutte le pagine della bibbia di Laura. Ma non trovò quello che cercava. Doveva averla lasciata in ospedale quando era andato a trovare Laura l’ultima volta e l’avevano letta insieme. Ma la cosa non lo scoraggiò e tornò di sotto dove i Cullen si erano spostati nel soggiorno. “Ascoltate, c’è una cosa di cui mia ha parlato la mia madre adottiva. Mi disse di aver trovato una lettera nascosta nel mio corredino. Che doveva avercela messa la mia vera madre prima di lasciarmi. Purtroppo non l’ho qui con me, ma ricordo cosa aveva scritto. Sembrava distrutta per avermi dovuto lasciare. Non è entrata nei dettagli ma alcune cose coincidono con la vostra storia.”

Tutti lo guardarono stupefatti ma Dillon si avvicinò a Renesmee speranzoso. “Ti dice niente? Hai scritto una lettera a tuo figlio?”

Gli occhi di tutti i membri della famiglia erano rivolti su Renesmee ora che sembrava pallida, come se le avessero prosciugato ogni singola goccia di sangue. “No. Non ho scritto nessuna lettera in quei giorni” riuscì a dire dopo qualche secondo. “Ero troppo sconvolta.”

Dillon provò una fitta al cuore che non riuscì a spiegarsi. “Ne sei sicura?” le chiese quasi bisbigliando.

Ho preparato io il corredino quando Rose è salita in camera a prendere il bambino. Non ho messo nulla tra le cose di David. Non potrei mai dimenticare una cosa del genere.” Finì la frase cominciando a singhiozzare in preda allo sconforto. Jacob la circondò prontamente con le sue braccia attirandola a sé. La notizia sembrava aver scosso anche lui.
“Bene.” disse Dillon evitando di guardare tutti quei volti tristi, “Immagino di dovermi scusare con voi per avervi fatto perdere tutto questo tempo.”
“Dillon che dici!” protestò Edward. “Non è stato tempo perso.”
“Non mi sembra che abbiamo concluso niente.”osservò Dillon allontanandosi di qualche passo.

Voi non avete trovato vostro figlio ed io non ho trovato risposte. Io lo chiamo perdere tempo.”

Qualcosa l’abbiamo trovata.” intervenne Jacob “ Io la chiamo amicizia.”
Dillon rimase colpito dalla frase e provò il desiderio di piangere, mentre Edward guardava il genero con riconoscenza.

Dillon, è vero.” disse infine Bella. “Abbiamo promesso di aiutarti e lo faremo, che tu sia mio nipote o meno.”

Potremmo aiutarci a vicenda” notò Esme con un sorriso pieno di tenerezza.
Dillon annuì con un groppo in gola. “Va bene.” Si trovò di nuovo a sorridere. Carlisle tornò poco dopo nel salone. “Ho parlato con Eleazar.” Dillon pensò che aveva di nuovo il tono delle cattive notizie. “E quello che ha scoperto non è affatto piacevole.”

Stavolta penso che mi siederò” disse il ragazzo prendendo posto su una poltrona. In un batter d’occhio vide i Cullen sedersi sugli altri divani ai lati del soggiorno. Carlisle non accennò a sedersi ma restò in piedi accanto al divano dove si trovava Esme e cominciò a raccontare.
“Ricorderete tutti quando i Volturi vennero qui per via di Renesmee e che solo l’arrivo di Nahuel riuscì a salvarci rivelando la natura dei mezzi vampiri.” Fece una pausa mentre la famiglia annuiva, ricordando con un brivido il tremendo pericolo che avevano corso. Dillon ripensò alla scena che aveva visto nei pensieri di Renesmee e si chiese dove avrebbe portato il discorso di Carlisle. “ I Volturi se ne andarono sconfitti ma meditando vendetta. E dal momento che la loro concezione del tempo è piuttosto ampia si sono limitati ad osservarci aspettando il momento giusto per attuarla.”
“Questo già lo sappiamo.” osservò Edward. Sembrava piuttosto impaziente. Evidentemente quello che leggeva nei pensieri di suo padre non gli piaceva.
“Stando all’informatore di Eleazar, i Volturi sono andati in Sud America a cercare Joham. Volevano saperne di più sui suoi esperimenti. In pratica gli hanno offerto protezione in cambio dei suoi segreti. Joahm gli ha detto tutto ciò che sapeva sulla creazione dei mezzi vampiri ed Aro ne è rimasto affascinato. Pare che negli ultimi vent’anni abbiano fatto nascere decine di mezzi vampiri, non solo a Volterra ma anche in altre parti del mondo dove avevano le loro sedi segrete.” Dillon rabbrividì: pensò a tutti quei bambini simili a Renesmee da piccola, e non osò immaginarli nelle mani di vampiri malvagi e assetati di sangue.

Cosa ne è stato delle madri?” chiese Esme preoccupata.
“Eleazar non è entrato nei dettagli ma credo non sia stato difficile per dei vampiri ricchi, dalle sembianze bellissime trovare delle donne sole e deboli, attraendole con la promessa di una vita migliore. Una volta nelle mani dei Volturi la loro fine è stata segnata.”

Carlisle chiuse gli occhi e Dillon capì che stava ripensando alla gravidanza di Bella.

Ma a che scopo tutto questo?” chiese Jacob scioccato.

Aro voleva studiare le potenzialità degli ibridi e vedere se era possibile duplicare i poteri di alcuni vampiri nei figli di questi ultimi e delle umane. Voleva anche utilizzarli in alcuni progetti servendosi del loro aspetto così simile a quello umano. Poteva avere emissari in grado di uscire alla luce del sole, di mangiare cibo umano e di confondersi tra la gente come nessuno di essi aveva mai fatto prima.”

E’ orribile” disse Bella “Ma questo vuol dire che i Volturi adesso hanno dei mezzi vampiri nei loro eserciti?”

No” spiegò Carlisle con un’espressione cupa.

Dillon sentì che il peggio doveva ancora venire.

Col passare del tempo Aro ha perso interesse nelle capacità degli ibridi. Non tutti avevano poteri abbastanza utili e la loro indipendenza dalle abitudine tipiche dei vampiri e il loro autocontrollo li rendeva in qualche modo pericolosi, così ha ordinato il loro sterminio.”
Un brusio di orrore pervase i membri della famiglia.

Uccidere così degli esseri innocenti” esclamò Esme “Non posso crederci!”
“Non ne sono affatto sorpreso, conoscendo la natura dei Volturi.” notò Jasper.
“Ecco perchè non riuscivo a vedere chiaramente le azioni dei Volturi per tutti quegli anni.” esclamò Alice “Erano insieme a dei mezzi vampiri. E per questo hanno smesso di spiare noi.”

Eleazar ha saputo che David è ancora l’obiettivo principale di Aro. Le potenzialità di quel bambino secondo lui potrebbero essere eccezionali. Non smetterà mai di cercarlo.”

Istintivamente gli sguardi di tutti si posarono su Dillon che finse di non accorgersene e rimase seduto, chino in avanti con lo sguardo basso.
“Gli hai chiesto di Dillon?” chiese Edward alla fine.

Eleazar è stato molto discreto ma ha cercato di sapere il più possibile senza rivelare dell’esistenza di Dillon. Ma pare che abbia una possibile spiegazione.” A quel punto Dillon alzò la testa con le orecchi diritte.
“Il membro della guardia che gli ha riferito tutto ha aggiunto un particolare alla fine del suo racconto. Pare che allo sterminio dei mezzi vampiri ne sia sopravvissuto uno, per volere di Aro, uno molto speciale, diverso da tutti gli altri, ma nessuno sa che fine abbia fatto. Era un maschio.”

 

Rosalie ed Emmett tornarono poco dopo dalla caccia e in breve furono messi al corrente delle ultime scoperte. Dillon vide un sincero dispiacere sul volto della bella vampira bionda e pensò che doveva aver amato molto il nipotino. Anche lei doveva aver sperato come tutti gli altri che fosse lui. La delusione di Emmett fu ancora più evidente: con un pugno mandò in pezzi un tavolino di marmo.

Dopo aver rimuginato a lungo sulle ultime rivelazioni ricevute, alla fine Dillon si alzò risoluto.

Io ne ho abbastanza. Prima le analisi inconcludenti, poi questa storia assurda degli esperimenti dei Volturi. Ma non ci ritroviamo in mano niente! Non c’è nient’altro che possiamo fare? Nessuno dei vostri poteri paranormali può servire alla situazione?” Guardò implorante ogni volto che gli restituiva lo stesso sguardo ansioso finché non incrociò lo sguardo di Edward. “Edward, tu non sei in grado di leggere nei miei pensieri e risalire fino al mio passato? Potremmo scoprire qualcosa.”

Il vampiro scosse la testa. “Io non ho questo potere. Posso solo vedere i tuoi pensieri attuali. Conosco solo un vampiro al mondo in grado di leggere ogni particolare della vita di una persona: Aro Volturi.”

Dillon mosse alcuni passi pensieroso. “Dite che se glielo chiedo con gentilezza, accetterebbe di frugare nella mia testa?”

Tutti si guardarono scandalizzati. “Dillon stai scherzando, vero? Non vorrai mica incontrare davvero Aro? “chiese Edward sgomento “Dimentichi che i Volturi ti stanno cercando?”

Dillon scrollò le spalle “Che venissero a prendermi quelle vecchie mummie! Gli spezzo quelle ossicine decrepite che si ritrovano!”

Emmett esultò “Adoro questo ragazzo!” Si girò verso Jacob e pieno di ammirazione. “Ti prego: se non è tuo figlio adottalo.”

Jacob gli diede un’occhiata severa e si girò di nuovo verso Dillon. “Dillon, non puoi affrontare i Volturi da solo. La volta scorsa abbiamo rischiato per un pelo di venire trucidati.”

Dico solo che non posso starmene inerme ad aspettare. Voglio smuovere la situazione in qualche modo.”protestò il ragazzo. “Non intendo scappare come avete fatto voi.”

Gli occhi di Edward si accesero di collera “Credi che siamo scappati per paura? Credi che non avremmo combattuto fino alla morte se solo fosse servito? Ce ne siamo andati per proteggere il piccolo David.”
“Se volete proteggerlo, dovrete affrontare i vostri nemici prima o poi. Non potete nascondervi per sempre!”gridò Dillon.

I Cullen cominciarono a mormorare tra di loro mentre Renesmee si alzò mettendosi di fronte a Dillon “Se andrai a Volterra ti uccideranno e non posso permetterlo. Tu sei mio figlio, io ne sono sicura. Non mi interessa cosa dicono le analisi.”

Dillon rimase spiazzato per un attimo di fronte alla sicurezza di quei grandi occhi scuri. “Forse è quello che hai voluto credere.” le rispose posandole una mano sulla spalla in un gesto solidale. “Vado a fare le valigie.” annunciò dirigendosi verso le scale.

In un attimo Edward e Jacob gli si affiancarono.
“Dove pensi di andare?” chiese Edward allarmato. “Non vorrai davvero andare a Volterra”

Ancora non lo so ma credo sia arrivato il momento di togliere le tende. Grazie a tutti per l’ospitalità” disse Dillon voltandosi verso il resto della famiglia.
Andò direttamente nella sua stanza e cominciò a riempire la valigia. Non c’era molto dai prendere. Notò che Esme gli aveva lavato e stirato i suoi vestiti del giorno prima. Mentre li posava sul letto, si accorse dopo un attimo che il vampiro ed il licantropo lo avevano raggiunto.
“Edward, posso riavere i miei proiettili?” chiese senza girarsi mentre piegava una camicia sopra il letto.


“Scordatelo.”fu la risposta secca del vampiro.

Non intendo buttarmi in missioni suicide.”assicurò Dillon “Penserò ad una strategia meno rischiosa. Ma i proiettili mi farebbero comodo.”

Senti, nemmeno io sono il tipo che se ne sta con le mani in mano” disse Jacob “Hai tutta la mia comprensione. Ma deve esserci un altro modo per scoprire la tua vera identità senza ricorrere ai Volturi.”
“Appena lo trovate, fatemi uno squillo. Il mio numero ce lo avete.” ribattè Dillon richiudendo la cerniera del suo trolley.

Fermo! “ gridò Edward. “Ti prego, non prendere decisioni affrettate. Se vuoi andartene vai a Londra, da Samuel. Vai casa tua.”
Dillon lo guardò con un lampo di dolore negli occhi azzurri. “Non ce l’ho più una casa.”

Edward gli sorrise comprensivo “Allora è un motivo in più per restare.”
Dillon rimase senza parole e restò in piedi fissando il letto.
“Fammici parlare due secondi.” disse Jacob invitando Edward ad uscire.

Il vampiro aggrottò le sopracciglia e lasciò la stanza. Jake andò a sedersi sul bordo del letto e fece cenno al ragazzo di prendere posto accanto a lui.
“Senti, Dillon. Tu non hai la più vaga idea di quanto ho desiderato in tutti questi anni andare a Volterra e massacrare tutti quei miserabili succhiasangue italiani. Non dovrebbero esistere. Mi hanno privato loro di mio figlio e anche se un giorno potessi ritrovarlo, gli anni della sua vita che ho perso non me li potrà restituire nessuno.”

Dillon lo guardò pieno di compassione. “Mi dispiace, Jacob.”
“Io non posso prendere e partire per vendicarmi.” proseguì il licantropo “Il mio posto è vicino a mia moglie. Cosa ne sarebbe di lei se mi succedesse qualcosa? Ma come hai detto tu, prima o poi dovremo affrontare i Volturi. Sappi che se deciderai di combattere contro Aro, io sarò dalla tua parte. Ma non sarà facile raggiungerlo, è protetto da una folta schiera di altri succhiasangue. Dobbiamo avere una strategia. E devi prendere tutte le informazioni possibili su di lui e sulla sua guardia. Che ne pensi, fin qui?”
“Sono d’accordo” osservò Dillon compiaciuto. Il discorso di Jacob aveva senso.
“Allora sei nel posto giusto. I Cullen sanno tutto. Anche Carlisle ha vissuto a Volterra per un po'”.

Non lo sapevo.”osservò il ragazzo.

Bè, fammi sapere cosa hai deciso.” concluse Jacob alzandosi “Se posso darti un consiglio però io partirei dopo pranzo. Esme ha preparato un ottimo roast beef.”

A Dillon sfuggì un sorriso. “Se c’è il roast beef...”



Jacob scese le scale con un sorriso trionfante sul volto. “Credo che rimarrà ancora un po'.” disse guardando sua moglie. Renesmee corse ad abbracciarlo felice.


“Ben fatto, Jake” disse Ewdard sollevato.

Serve il mio aiuto per calmarlo?”si offrì Jasper premurosamente
“Non credo, era abbastanza tranquillo. Mi ha detto soltanto di lasciarlo solo. Voleva riposarsi prima di pranzo.”

Jacob pensò che Dillon doveva essere piuttosto spossato in quei giorni per dormire così tanto, considerato che, stando a quanto diceva, di solito riposava pochissimo.

Dobbiamo fare qualcosa per aiutarlo.” propose Renesmee. “Nonno, non hai qualche altra teoria che possa spiegare perché il test del DNA non ha funzionato?”
A parte il fatto che non è lui?” pensò Jacob amaramente.

L’unica cosa a cui riesco a pensare, nel caso che Dillon sia veramente David, che abbia subito una mutazione genetica. Potrebbe essere legata ai suoi geni di licantropo.”

Ma non capisco” osservò Jacob “Non si è ancora trasformato. Ed è adulto.”
“Ho formulato un’ipotesi su questo fatto, ma è pura suggestione.” spiegò Carlisle “Non ho elementi scientifici in mano per dimostrarla.”
“Dai sentiamo” mormorarono tutti impazienti.

David porta con sé il patrimonio genetico umano, licantropo e vampiro. Noi abbiamo sempre creduto che avesse ereditato soltanto la natura umana perché non manifestava alcun segno esteriore delle altre due. Dopo aver conosciuto Dillon sto cominciando a pensare che forse in lui vi sono tutte e tre le nature e che sia quella umana a tenere in equilibrio le altre. Come se dentro di lui il vampiro e il licantropo si controllassero a vicenda. Dillon potrebbe dare la caccia ai vampiri per via del lupo che è in lui, ma al tempo stesso non si è mai trasformato perché il vampiro lo controlla. E non ha mai attaccato esseri umani sempre per la presenza del lupo. Questo forse spiegherebbe perché il Dna del ragazzo è così instabile.”

L’ipotesi di Carlisle lasciò tutti col fiato sospeso.

E’ una teoria perfetta.” osservò Edward. “Ma credi che Dillon soffra per queste pulsioni interne?”

Se questa teoria fosse vera, allora potremmo considerare Dillon come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Resta solo vedere che cosa potrebbe farlo scattare.”

Le ipotesi di Carlisle avevano lasciato Jacob piuttosto pensieroso. Sprofondato nel divano, con un braccio intorno ad un'inconsolabile Renesmee, il licantropo tornò con la mente alla discussione genetica che aveva avuto con il dottore molti anni prima. “Scusami Carlisle"chiese ad un tratto"Stando alle tue analisi i vampiri hanno venticinque cromosomi e i licantropi ventiquattro, così come Renesmee. David invece ne aveva ventitré perché aveva ereditato solo la metà umana mia e di mia moglie. Dillon invece quanti cromosomi ha?”

Ventitré, come ogni altro umano ma, come vi dicevo, la sequenza del suo codice genetico è molto particolare. Per farvi capire cosa intendo vi mostro una cosa.” Carlisle invitò tutti a seguirlo e condusse la famiglia nello studio dove il suo computer portatile era aperto sulla scrivania con monitor acceso. Sullo schermo vi era un grafico raffigurante una sequenza di DNA con la tipica struttura ad elica, ma i cui filamenti erano di diversi colori che cambiavano di continuo dando l’idea che la struttura stesse pulsando.

Sto continuando ad analizzare il Dna di Dillon. Come vedete ci sono dei colori che restano fissi mentre altri continuano a cambiare.” spiegò Carlisle.


Edward, interessato, cominciò ad osservare dentro un microscopio. “Alcuni filamenti di Dna sembrano quasi sul punto di staccarsi. Sembra quasi in corso una mutazione.”

Carlisle annuì. “ Mi chiedo se ciò non abbia qualche analogia con la trasformazione dei licantropi. Sarebbe interessante confrontare il DNA di un licantropo da bambino con quello in età adulta. Forse potrebbe darci qualche risposta.”

La mente di Jacob cominciò a galoppare. Prima pensò al tempo che gli ci sarebbe voluto per farsi mandare del materiale genetico da La Push: un campione di sangue, una ciocca di capelli...poi ebbe un’illuminazione.


“Carlisle, se ti portassi del Dna di quando ero piccolo potresti provare la tua teoria?”chiese con voce rotta dall’eccitazione.

Sarebbe l’ideale” rispose Carlisle perplesso. “Ma come...”

Jacob non lo lasciò finire la frase e corse al piano di sopra verso la sua camera più in fretta che poteva. “Dove l’ho messo? Dovrebbe essere qui.” mormorò frugando nella sua valigia. Quando ebbe trovato quello che cercava si precipitò per le scale, dopo aver gettato una rapida occhiata piena di speranza, verso la porta chiusa di Dillon.

Cos’è quello, Jake?” chiese Edward incuriosito quando il genero ebbe fatto ritorno.

Jacob mostrò l’oggetto che aveva in mano: un medaglione indiano formato da due dischi di cuoio sovrapposti e traforati sul bordo, tenuti insieme da alcuni nastrini di pelle.

E’ una specie di amuleto.” spiegò Jacob.

Tutti lo guardarono scettici, facendolo arrossire. “Non fate quella faccia. Io lo uso come portachiavi. Me lo ha regalato mia madre quando ero piccolo. Dentro c’è una ciocca dei miei capelli da bambino.” Detto questo Jacob cominciò a slacciare il medaglione e ne estrasse una piccola ciocca nera che porse a Carlisle.

Grazie Jacob! E’ proprio quello che mi serviva.” disse il dottore prendendo il ciuffetto di capelli e portandolo sulla scrivania.

Renesmee guardò il marito con gratitudine sorridendo per la prima volta da quando Carlisle era comparso sulla porta della cucina con i risultati delle analisi di Dillon.

Per curiosità...” intervenne Alice “Ma a cosa dovrebbe servire quell’amuleto?”

Oh, a tenere lontane le creature malvagie, quelle che popolano le nostre leggende” rispose Jacob in tono vago.

Ossia i vampiri.” concluse Edward con un mezzo sorriso.

Beh, funziona che è una vera schifezza.” osservò Emmett divertito. “Te ne sei sposata una!”

Tutti risero, ma Carlisle li interruppe. “Ascoltate, forse è presto per dirlo ma credo che l’identità di Dillon possa essere rimessa in discussione.

Edward affiancò il padre e osservò nel microscopio. “Nel DNA di Jacob bambino non c’è la ventiquattresima coppia di cromosomi! Deve averlo sviluppato in seguito.”

Potrebbe essere accaduto lo stesso per David?” chiese ansiosa Renesmee.

Carlisle annuì “Mi sono sempre chiesto, infatti, come mai David non avesse lo stesso numero di cromosomi dei genitori. Tu e Jacob ne avete ventiquattro coppie ciascuno. David ne aveva ventitré. Il ventiquattresimo cromosoma a quanto pare si potrebbe sviluppare in un secondo momento con la trasformazione.”

Carlisle, c’è un’altra analisi che possiamo fare per escludere altri dubbi!” intervenne Edward. “Abbiamo il DNA del ragazzo. Abbiamo qui i presunti genitori. Non ci abbiamo pensato prima ma possiamo fare un test di paternità.”

Un mormorio di approvazione accolse la proposta di Edward.

Non sarà semplice” avvisò Carlisle. “Per quel tipo di analisi mi servono altri mezzi che non ho qui. Tenete presente che ci vogliono almeno cinque giorni, di solito.”

Cinque giorni! “ esclamò Renesmee. “Non posso aspettare tanto! E poi lui se ne andrà prima”

Proverò a farmelo fare in due.”propose Carlisle. “Prenderò subito contatto con un laboratorio affinché mi mandi la strumentazione, ma prima di tutto Renesmee e Jacob, mi serve un campione del vostro sangue.”

I due giovani gli porsero le braccia, entusiasti. “Prendine quanto ne vuoi!”


Non appena Jacob ebbe richiuso la porta, Dillon si lasciò cadere disteso sul letto esausto, ancora scosso dalle ultime rivelazioni ricevute. Non riusciva a smettere di pensare all’orribile storia degli esperimenti di Aro. Non era ancora riuscito a digerire la questione della telepatia. Se chiudeva gli occhi e si concentrava sentiva i pensieri degli altri entrargli nella testa come voci sussurranti. Quando riapriva gli occhi spariva tutto di colpo. Si chiese perché avesse percepito i pensieri di Laura con tale naturalezza. Se aveva uno scudo nella sua mente, solo una persona con i poteri di Renesmee in quel caso avrebbe potuto oltrepassarlo. Anche quel particolare metteva in discussione la sua identità come David. Cominciò a domandarsi se anche Laura non avesse qualcosa di speciale ma subito si tolse l’idea dalla testa: Laura era una ragazza normalissima e non aveva poteri speciali; era speciale e basta. Pensando a lei, si tolse il cellulare dalla tasca e provò a chiamarla.

Il cellulare di lei però non era raggiungibile. Dillon sospirò e rotolò su un fianco per prendere la bibbia e cominciò a sfogliarla, senza però soffermarsi su nessuna pagina in particolare. In quel momento sentì vibrare il suo telefonino nella tasca. Quando vide il nome di Laura sul display s'illuminò.

Ehi! Sono contento che tu mi abbia richiamato! Come...” s'interruppe udendo una risatina sarcastica dall'altro capo del telefono.

Anche per me è un piacere sentirti, Dillon.”disse una voce maschile che riconobbe immediatamente.

Louis?” mormorò sconvolto.

Che bello vedere che ti ricordi di me!”

Dillon sentì il sangue raggelarsi nelle vene: il fatto che Louis avesse in mano il cellulare di Laura poteva significare solo una cosa.

Dov'è lei?” fu la prima cosa che riuscì a dire.

Sta bene, ma sta riposando, non te la posso passare. Perché non vieni di persona a farle visita? Le farebbe molto piacere.”

Non provare a toccarla! Cosa vuoi da lei?” chiese Dillon soffocando la furia.

Uno scambio.” rispose Louis. “Non mi sembra difficile da capire. Tu vieni qui e lei se ne va.”

Va bene. Dove e come?”

Adesso mi piaci.” sogghignò Louis “Ti consiglio di seguire le mie istruzioni alla lettera. Voglio che torni di corsa a Londra e prendi il primo volo per Roma.”

L'hai portata in Italia?” esclamò Dillon furioso.

Da lì riceverai istruzioni.” proseguì Louis senza scomporsi “Tutto questo ovviamente senza farne parola con l'allegra famigliola né con il tuo amico sbirro. Altrimenti non vedrai più la tua dolcissima amica. Mi seccherebbe molto doverle fare del male. E' già piuttosto malridotta.”

E' malata, bastardo! Ha bisogno di cure e medicine.”sbraitò Dillon nel telefono.

Allora ti consiglio di fare presto.”ribatté Louis con un tono da saputello prima di riattaccare.”

Dillon fremette a lungo e fece una fatica folle per non mettersi a gridare e spaccare tutti i mobili della stanza. Soffocò un urlo e diede un pugno contro il muro facendo sgretolare tutto l'intonaco. Un calore insopportabile pulsava sotto la sua pelle mentre i battiti cardiaci aumentavano ad un ritmo vertiginoso. Non aveva mai provato tanta rabbia in vita sua. Si sentiva sul punto di esplodere. Poi lo sguardo gli cadde sulla bibbia di Laura poggiata sul letto... Lentamente riuscì a ritrovare la calma, facendo sopire tutto il suo furore. Non poteva permettersi lasciarsi andare e attirare l’attenzione dei Cullen. Non poteva perdere il controllo ma doveva agire con lucidità e rapidità. Doveva farlo per lei...

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Capitolo 39
*** Capitolo 38 ***


Scusate per il ritardo ma faccio davvero fatica ad aggiornare. E' un periodo un pò particolare della mia vita, felice ma anche impegnativo. Grazie per l'entusiasmo con cui seguite la storia.

CAPITOLO 38

Quando Crystal entrò nella stanza trovò Lous in piedi davanti alla finestra. Indossava ancora l’elegante completo scuro del viaggio che metteva in risalto il suo fisco alto e slanciato.
Un brivido di desiderio la scosse mentre si avvicinava a lui.
“La ragazza?” chiese Louis senza voltarsi.
“Sta dormendo” rispose lei facendo ancora un altro passo. “E’ ancora sotto l’effetto del sonnifero.”
“Meglio così” commentò il vampiro voltandosi e facendo un sorriso compiaciuto. “Non deve affaticarsi. Finora sta andando tutto secondo i piani.”
“Sei sicuro che il cacciatore si consegnerà a noi solo per salvare quella ragazzetta malaticcia?”
Louis aggrottò le sopracciglia. “Crystal, avresti dovuto vederlo mentre dormiva accanto a lei, come un bimbo innocente con la sua testolina sulla spalla, all’ospedale. Una scenetta mielosa. Può benissimo non essere attratto da lei, ma di certo quella ragazza deve contare molto per lui. Verrà. Si è già messo in viaggio, a quest’ora.”
Crystal si avvicinò fino a posargli una mano sulla morbida stoffa della camicia di seta. Sotto poteva sentire il suo petto solido. “A proposito di attrazione..” sussurrò facendo risalire la mano verso il collo e cominciando a giocherellare con il primo bottone della camicia. “Ricordi cosa mi avevi promesso se ti avessi aiutato? Ho fatto bene la mia parte, o no?”
Louis le rivolse un sorriso malizioso. “Sei stata bravissima, mia cara. Ma non ne hai ancora abbastanza di me?”
Crystal avvicinò le labbra rosse a quelle di Louis “Mai, tesoro!”
Louis si tirò leggermente indietro prima che lo baciasse “Bene, allora.” disse divertito “Prenditi il tuo premio. Basta che non mi strappi il vestito come l’altra volta.”
Crystal si avventò avidamente su Louis baciandolo con foga e mordendogli le labbra carnose mentre gli apriva rapidamente la camicia. Louis ricambiò il bacio con passione e lasciò che la vampira gli passasse le mani sulla pelle liscia del torace. In quel momento il cellulare di Louis suonò nella sua tasca. Il vampiro si staccò da Crystal buttandola sul letto a baldacchino dietro di loro e rispose ansiosamente alla chiamata. “Aro? Sono lieto che tu abbia avuto il mio messaggio! La trappola è scattata. Dillon Baxter sarà qui molto presto. Vedrai che non rimarrai deluso. Credo proprio che quel giovane ci riserverà molte sorprese.”
“Lo spero, Louis.”rispose la voce di Aro dall’altra parte del telefono. “Saremo lì tra poco. Prepara ogni cosa per il nostro arrivo.”
“Sarà fatto.” ribattè con un sorriso Louis concludendo la chiamata.
Crystal ancora stesa sul letto, rotolò su un fianco facendogli cenno di raggiungerla.

Non abbiamo tempo da perdere in sciocchezze. I Signori di Volterra stanno arrivando. Devo andare. Chiamami quando si sveglia la ragazza.”
“Louis...”sussurrò Crystal guardandolo allibita.
Il vampiro si riabbottonò in fretta la camicia e ignorandola completamente andò verso la porta.
Prima di uscire si girò a guardarla. Crystal gli sorrise speranzosa.
“Crystal” mormorò severamente Louis “Mi hai staccato un bottone!” E se ne andò sbattendo forte la porta. La vampira furente lanciò un grido e spaccò un vaso contro un muro.

Non era insolito a Bracciano veder sfilare verso il castello una serie di limousine nere dai vetri oscurati. L’antica dimora degli Odescalchi era spesso sede di eventi importanti a cui partecipavano personaggi famosi. Particolari come il tappeto rosso, le bandiere smainate, le torce accese, sulle torri dimostravano che senza dubbio doveva svolgersi una festa o una conferenza. Nessuno avrebbe potuto intuire chi fossero in realtà i misteriosi ospiti che in quel momento attraversavano il cortile diretti all’ala che Louis aveva fatto riservare per loro.
Il vampiro aveva dato disposizioni di non fare entrare nessun visitatore per nessun motivo in quell’area. Inoltre i suoi ospiti avrebbero portato i loro personali addetti alla sicurezza. Una cifra cospicua gli assicurò ogni promessa di riservatezza e rispetto della privacy.
Louis raggiunse i signori di Volterra poco dopo il loro arrivo nella Sala dei Cesari e li trovò intenti ad esaminare la stanza con interesse. Aro aveva un’espressione piuttosto compiaciuta come sperava mentre Caius non nascondeva il suo disappunto. Marcus invece era la solita maschera di indifferenza.
“Benvenuti, miei signori” disse Louis con un inchino.”Avete fatto un buon viaggio?”
“Ottimo, grazie” rispose Aro “Non venivo da prima che i Borgia confiscarono il castello agli Orsini. Hanno abbassato il soffitto dall’ultima volta. Ricordo bene quando Gentil Virginio Orsini commissionò quell’affresco.”aggiunse indicando la parete di fronte. “Anche noi chiamammo molti artisti per abbellire il Palazzo dei Priori. Vi era un grande fervore nelle arti in quell’epoca.Ricordi Caius?”
“Certo, prima che il Montefeltro mettesse a ferro e fuoco la città.” ribattè aspro il vampiro biondo.
“Mi dispiace interrompere questa interessante lezione di storia, ma veniamo a noi.” disse Louis.
I tre Volturi muovendosi come una sola persona presero posto sulle tre grandi sedie di legno che Louis aveva fatto mettere per loro.
“Sono curioso di sapere come mai ci hai fatto venire qui. Di rado e solo per questioni di vitale importanza lasciamo Volterra.”esordì Aro. “Ma tu mi hai assicurato che ne valeva la pena e che c’era di mezzo Dillon Baxter.”
“E’ possibile che per uccidere un umano qualunque ti serva il nostro aiuto e quello dell’intera guardia?”
“Non è un umano qualunque e vi sconsiglio di ucciderlo troppo presto.”
Aro si sporse in avanti “Perchè? Dici che non è umano? Che cosa hai scoperto?”
“Non ne sono ancora certo, ma ho combattuto con lui e ho visto chiaramente che i suoi riflessi e le sue capacità non sono assolutamente quelle di un umano. Non dobbiamo sottovalutarlo. Ed inoltre...” fece una pausa per controllare la reazione di Aro e Caius. Sembravano entrambi interessati anche se l’ultimo era piuttosto diffidente.
“...ho scoperto che ha preso contatto con i Cullen.”continuò Louis.
“Che cosa?”esclamò Aro.
“I Cullen. Ancora loro. Non gli è bastata la lezione che gli abbiamo dato.” borbottò Caius. “E adesso si alleano con gli umani che danno la caccia alla loro stessa stirpe.”
“Cosa intendete per lezione?” chiese Louis aggrottando un sopracciglio.
“Quando abbiamo progettato di attaccarli e catturare il piccolo Black, sapevamo che il potere di Alice li avrebbe messi in guardia.” raccontò Aro. “Ma per nascondersi con efficacia avrebbero dovuto separarsi e questo avrebbe indebolito il loro clan. Così è stato. Nonostante qualche sporadica visita, i Cullen vivono separati e non hanno rapporti con i nostri nemici. Le nostre fila invece aumentano ogni giorno con guardie scelte e addestrate.”
“Interessante.” commentò Louis “Comunque è stata colpa loro se mi è sfuggito a Londra. I Cullen hanno preso Dillon sotto la loro protezione. Probabilmente lo avranno messo in guardia contro di voi e lo avranno istruito sui vostri poteri e su Volterra. Per questo ho suggerito di cambiare campo di gioco.”
“Una mossa abile”riconobbe Aro pensieroso.
“Ma che ci farà perdere altro tempo”protestò Caius “E tutto per colpa tua e della tua incompetenza”
“Credevo che il tempo non fosse nulla per voi”obiettò Louis senza farsi intimidire
Caius si accigliò “Non mi piace il tuo tono saccente Louis. E non mi piaci tu.”
“Piacerti non è il mio scopo nella vita Caius”rispose l’altro.
“Smettetela voi due” disse Aro seccato “Marcus tu cosa ne pensi?”
“Penso che dobbiamo fidarci di Louis e dopo aver attirato qui Dillon Baxter, scoprire tutto quello che sa, prima di ucciderlo.”
Aro si volse a guardare Louis intensamente. “Siamo certi che il cacciatore verrà qui?”
“Ne sono certo.” confermò il giovane vampiro “Verrà per lei.”
Aro studiò quelle parole interessato. “ Molto bene” rispose “Voglio vedere la ragazza.”


Quando Laura finalmente riuscì ad aprire gli occhi ci mise qualche secondo per mettere a fuoco la vista e capire dove si trovava. La prima cosa che vide fu un soffitto a cassettone. Sollevandosi leggermente si accorse di essere in una stanza lussuosa dai mobili antichi di legno scuro e un letto a baldacchino dalle tende di velluto rosso. Accanto al letto c’era un camino di marmo che però era spento. La consapevolezza di essere stata rapita tornò a serrarle lo stomaco e pensò con angoscia a cosa sarebbe accaduto ai suoi genitori. Erano rimasti in stato di ipnosi. E se non si fossero più ripresi? Non sapeva se credere o meno a Crystal però ricordò che, stando alle parole della vampira, far loro del male avrebbe attirato l’attenzione ed era una cosa che i vampiri non potevano permettersi. Cosa ne avrebbero fatto invece di Dillon? L’idea che si sarebbero serviti di lei per catturarlo era insopportabile. Laura spostò la trapunta ricamata che le avevano posato addosso e scivolando sul fianco del letto si mise in ginocchio con il capo chino. “Ti prego” mormorò in preghiera “Fa che non accada niente a mia madre e mio padre. E fa che Dillon possa salvarsi.”
La porta alle sue spalle si aprì di scatto a Laura alzò la testa spaventata. Crystal era sulla soglia che la guardava divertita. “Preghi il tuo dio perchè ti salvi? Sei proprio una patetica umana indifesa.”
“Non pregavo per me stessa” rispose Laura sfidando lo sguardo di ghiaccio della vampira. “Ho smesso di farlo molto tempo fa.”
“Molto saggio.” convenne Crystal sarcastica “Dubito che ti servirebbe. Adesso alzati. Aro vuole vederti.”
“Chi è Aro?” chiese Laura sollevandosi con fatica.
Crystal sbuffò spazientita. “Il capo del clan dei vampiri più potente al mondo. Il clan di Volterra.”
Laura ricordò quando Dillon le aveva detto che Louis era tornato in Italia. L’avevano portata a Volterra quindi? Diede un’occhiata fuori dalla finestra ma riuscì ad intravedere solo il muro di un cortile interno. “E cosa vuole da me? Non ho niente da dirgli.”rispose Laura sulla difensiva
La vampira sorrise cinica “Aro ha un modo tutto suo di interrogare le persone. Non dovrai spiccicare neanche una parola.” Detto questo afferrò la ragazza per la vita e la trascinò via con sè. Laura ebbe quasi un mancamento sentendosi trasportata a quella velocità e se Crystal non l’avesse trattenuta stretta, probabilmente sarebbe scivolata a terra. Quando riuscì a sollevare la testa vide che si trovavano in un corridoio ampio illuminato da una serie di lampadari e con le pareti ricoperte da quadri, armature ed ogni sorta di oggetti antichi. Crystal la spinse quasi portandola di peso fino ad una massiccia porta di legno che dava su una grande sala.
“Bene, Crystal” disse un’imperiosa voce maschile dall’interno “Fa entrare la ragazza.”
Laura si fece forza e cercò di camminare con le proprie gambe per staccarsi dalla morsa con cui le mani gelide della vampira le tenevano i polsi ma non ottenne alcun effetto. Crystal la fulminò con un’occhiataccia e la guidò verso l’interno della sala. Lì Laura potè vedere un gruppo di persone ammantate ed incappucciate di nero schierate a semicerchio intorno a tre figure sedute. Crystal la portò fino al centro della stanza e si fermò.

Da quella distanza Laura incontrò lo sguardo indagatore dei tre misteriosi personaggi, dalla pelle bianchissima e gli occhi rossi proprio come quelli di Louis. Due di essi portavano i capelli lunghi e scuri mentre il terzo aveva i capelli di un biondo molto chiaro, quasi bianchi. Indossavano tutti abiti moderni ed eleganti dai colori scuri, ma portavano un mantello nero gettato sulle spalle. Louis era appoggiato contro una parete, leggermente in disparte e sembrava osservare divertito tutta la scena.
“Ben alzata, mia cara. Perchè non ti metti comoda?” esclamò allegramente quest’ultimo vedendola avanzare. Laura sentì qualcosa sfiorarle la schiena e quando si girò vide una sedia fluttuare nell’aria per poi posarsi in terra proprio dietro di lei.
“Ben fatto Louis” commentò l’uomo bruno seduto al centro. “La nostra ospite non deve affaticarsi” Ospite? Laura guardò confusa quel vampiro dall’espressione cordiale senza accennare a muoversi. Il vampiro bruno la incoraggiò con un sorriso “Prego, cara, siediti.”
“Obbedisci ad Aro” le ringhiò Crystal sottovoce. Laura annuì leggermente e prese posto sulla sedia di legno. Crystal a quel punto la lasciò andare e la ragazza si massaggiò il polso dolorante. La vampira le aveva causato diversi lividi.
“Ti senti bene mia cara?”le chiese Aro fissandola intensamente “Ti sento tremare fino a qui.”
“Ho freddo” bisbigliò Laura stupita di quelle strane premure.
Aro si alzò e in un secondo comparve di fronte a lei. Laura ebbe un sussulto. Il vampiro le sorrise mentre si slacciava il mantello e lo posava intorno alle spalle della ragazza. La stoffa di velluto era praticamente ghiacciata ma Laura se lo strinse nelle spalle ed iniziò a scaldarsi pian piano.
“Grazie” mormorò spaventata.
“Non c’è di che. Adesso va meglio, vero? Bene, Laura...noto con piacere che sei una nostra connazionale ”cominciò Aro parlando in lingua italiana. “E’ un piacere fare la tua conoscenza. E’ sempre interessante incontrare umani che entrano in contatto con il nostro mondo.” Alcune risatine sarcastiche accompagnarono la frase di Aro. Laura preferì non pensare quale sorte riservassero a quegli umani cosiddetti interessanti.
“Come potrai immaginare, siamo costretti a proteggere la nostra esistenza e le attività del tuo amico cominciano a crearci seri problemi ultimamente, per questo ho bisogno di saperne di più.”
Io non so niente”cominciò Laura
Aro ridacchiò “Non credo sia vero, e c’è un sistema semplicissimo per scoprirlo. Tutto quello che ti chiedo di fare è di porgermi la tua mano. Non ti farò del male, te lo prometto.”
Laura sentiva di non potersi fidare di Aro ma era sollevata dal fatto che almeno usasse dei modi gentili. La situazione era già abbastanza spaventosa. Lentamente estrasse una mano dal mantello e lasciò che il vampiro la stringesse tra le sue. Non potè fare a meno di notare che avevano tutti e due le mani pallide e fredde. Aro chiuse gli occhi concentrato. Laura si ricordò delle parole di Dillon.
Alcuni vampiri hanno poteri paranormali. Come la telecinesi e la lettura del pensiero. Cosa stava leggendo Aro nei suoi pensieri?
“Molto interessante.” commentò Aro. “Dillon Baxter ti ha detto molte cose di noi. Cose che ha appreso dal suo amico detective, dalle sue esperienze sul campo e dai Cullen.”
“E’ una minaccia. Dobbiamo fermarlo.”intervenne Caius.
“No” si lasciò sfuggire Laura. Se ne pentì subito. Come se il suo urlo potesse avere una qualche minima influenza. Cosa le era saltato in mente di mettersi a strillare davanti a dei vampiri spietati e assetati di sangue?
Aro si chinò a fissarla divertito. “Tieni molto a lui, vero? Siete molto legati da quello che ho visto.” Laura non voleva rispondere ma Aro sembrava esigere una risposta.
“Siamo amici” disse semplicemente abbassando lo sguardo.
“Non credo. Da come l’ho visto attraverso i tuoi occhi è molto di più per te. Un giovane notevole. C’è qualcosa in lui che lo rende molto più che umano. E tu lo ami.”
“No” negò Laura stupita “Noi siamo solo...” Cercò mentalmente di convincere anche sè stessa ma non ci riuscì.

Quando ripensò a Dillon si accorse di qualcosa che in fondo aveva sempre saputo. Dillon comparso dal nulla sul davanzale della sua finestra, come un angelo nella notte. Dillon, seduto accanto al suo letto a raccontarsi, con quel velo di tristezza in fondo ai suoi occhi azzurri.Dillon che riusciva anche a sorridere e quando lo faceva il suo viso si illuminava di luce propria. Dillon, le sue bellissime mani forti e affusolate, ed i suoi gesti così leggeri. Dillon che la aiutava ad infilarsi la vestaglia. Dillon che le portava il cappuccino. Dillon che si affacciava a testa in giù dal tetto dell’ascensore. Dillon che le chiedeva di leggere la lettera di sua madre. Laura rivide il momento del loro primo incontro e quello del loro addio. Poteva sentire ancora la stretta del suo abbraccio intorno al corpo. “Dillon” pensò con una fitta al cuore.
Una lacrima le rigò la guancia.
“I pensieri non mentono, mia cara” sorrise Aro compiaciuto.
“Lui non deve saperlo” mormorò trattenendo un singhiozzo.
“Perchè?” domando Aro divertito.
“Perchè è impossibile” rispose Laura. Questa volta la ragazza alzò gli occhi sfidando lo sguardo del vampiro.

Aro la guardò pensieroso. “Già capisco, le tue condizioni...Deve essere dura avere così poco tempo. Una giovane vita che si spegne lentamente..Posso quasi sentire l’odore della tua morte. Ed è un vero peccato. Tu sembri una ragazza coraggiosa. Hai una notevole forza di volontà ed uno spirito di sacrificio molto forte. Daresti la vita per le persone che ami. Ammirevole. Mia cara Laura, so che sei stata coinvolta in questa storia tuo malgrado ma devi sapere che nessun essere umano può venire al corrente di noi senza essere...punito. E’ per la nostra sicurezza, niente di personale. Ma c’è anche un’altra possibilità e voglio offrirtela. E’ qualcosa che metterebbe fine alle tue sofferenze e ti darebbe una vita nuova. Prova a pensarci un attimo. Niente più ospedali, nè medicine, nè notti insonni immobilizzata nel letto. Potresti diventare forte e non assaggiare mai la morte. Vorresti unirti a noi?

Un senso di orrore pervase Laura facendola rabbrividire. Guardò le figure spettrali che circondavano le tre sedie e gli altri due vampiri alle spalle di Aro seduti immobili come statue, infine posò lo sguardo sugli occhi rossi e opachi di Aro.

Mi sta offrendo di diventare una vampira?”chiese esitante.

Aro le diede un'occhiata piena di finta comprensione. “So che per te deve sembrare terribile nutrirsi di sangue e uccidere le persone, ma consideralo un piccolo prezzo per ingannare la morte.”

Ma voi siete morti.” sussurrò la ragazza tremando.

Aro emise una risata stridula seguito dal resto dei presenti. “Che spirito di osservazione!”commentò “In un certo senso è vero, eppure siamo potenti, in grado di sfidare i secoli, in grado di godere tutto il meglio che il mondo ha da offrire come nessun essere umano potrà mai fare.”

Non sono d’accordo.”ribatté Laura. Stavolta nella sua voce c’era un tono più risoluto. “E non ho paura di morire.”

Immagino che sia per via della tua patetica fede” osservò Aro “Tipico delle persone deboli.”

Quando sono debole allora sono forte, perché posso confidare pienamente in Dio e so che dopo la morte continuerò a vivere alla Sua presenza. Cosa che a voi è negata. Nella vostra immortalità non vedo altro che una condanna ad un'eterna, arida, sconfinata solitudine. E scommetto che lo sapete anche voi.”

Laura poté percepire un mormorio indignato nell'assemblea dei vampiri incappucciati, come se fossero stupiti di sentire affermare quelle parole con tanta veemenza da una ragazza così fragile. Aro la fissava pieno di disprezzo, con un sorriso sarcastico sulle labbra.

In caso non fosse chiaro, la mia risposta è no.” disse Laura rompendo il silenzio.

Aro si allontanò da lei per tornare al suo posto.

Un vero peccato.”sibilò con freddezza “Portatela via. Toglietela dalla mia vista.” ordinò facendo un cenno con la mano.

Come intendi risolvere la questione, con quest'umana, visto che ha rifiutato di essere trasformata?” chiese il vampiro dai capelli chiari. “La nostra legge parla chiaro.”

Ehm, scusami tanto, Caius” intervenne Louis “Ma non possiamo ucciderla. Il nostro accordo con Dillon Baxter prevede che liberiamo la ragazza in cambio della sua resa.”

Glielo hai promesso tu, non noi.”precisò Caius.

Giusta osservazione” osservò Aro. “Marcus tu cosa consigli di fare?”

Il terzo vampiro che non aveva proferito una sillaba fino ad allora sollevò leggermente il capo e parlò con voce distaccata. “Credo sia meglio tenerla in vita fino all’arrivo del cacciatore. Potrebbe esserci utile. E dopo decideremo.”

Laura trasalì. Lei e Dillon sarebbero stati uccisi tutti e due? Era così che sarebbe finita? L'idea che Dillon fosse destinato a morire a causa sua le era inconcepibile. Quasi non si accorse che Crystal l’aveva sollevata tra le braccia e la stava portando via finché alzando gli occhi non vide di essere arrivata all’estremità opposta della sala. “Dio mio, ti prego, proteggilo.”pensò angosciata. I vampiri la fissavano con un sorriso sprezzante mentre la massiccia porta di legno si richiudeva dietro di lei.

 

Edward provò a bussare alla porta di Dillon ma non ebbe risposta. In cambio trovò un foglietto attaccato sulla soglia che sembrava scritto in fretta e furia. “Non scendo per pranzo. Ho un forte mal di testa e credo che dormirò tutto il giorno. Vi prego di scusarmi. Scenderò più tardi. D.”

Edward sorrise vedendo la lettera D. Poteva stare sia per Dillon che per David. Dalla camera poteva udire un leggero battito cardiaco regolare, segno che il ragazzo stava dormendo. Si allarmò quando non riuscì a percepire l'odore delicato ed intenso che ormai gli era diventato familiare, ma poi ricordò che Dillon aveva usato l'antismell durante l'allenamento.

Quando scese giù, si trovò davanti Renesmee che lo guardava preoccupata. Sul braccio teneva ancora premuto il tampone con l'ovatta dopo che Carlisle le aveva prelevato il sangue. L'odore di alcool e sangue fece bruciare le narici ad Edward ma non ci fece troppo caso.

Sta riposando.” le spiegò con un sorriso “Dovresti metterti un cerotto, tesoro.”

Credo che dovremmo dirglielo” rispose Renesmee “Del test, intendo.”Ha il diritto di sapere. Forse dovrei andare a svegliarlo. Non credo che stia dormendo. E' solo una scusa per restare da solo. Anche io facevo così da adolescente.

Edward sorrise udendo i sui pensieri ansiosi e le accarezzò i riccioli ramati, come quando era piccola.

So cosa provi, piccola, ma Dillon non è un adolescente. E' solo stravolto ed ha bisogno di un po' di tempo per assorbire tutto.”

Così non gli diciamo niente?” chiese Bella entrando nella stanza e portando un cerotto per sua figlia. “Credo abbia il diritto di sapere cosa sta succedendo.”

Sono d'accordo con voi.” concordò Edward “Ma prima l'ho visto molto turbato e credo che non potrebbe sopportare un'altra delusione.”

Nemmeno io, pensò Renesmee mentre sua madre le metteva il cerotto.

Forse dovremmo aspettare il risultato del test ed informarlo in seguito. Così potremmo dargli una risposta certa, senza sottoporlo ad ulteriore tensione.”propose Edward.

Forse” osservò Bella “Ma io al suo posto preferirei saperlo prima. Dillon deve dare il suo consenso per le analisi.”

Edward ricordò che a sua moglie non era mai piaciuto che la lasciassero all'oscuro dei fatti per la propria sicurezza. Preferiva sempre affrontare gli eventi, per quanto tremendi fossero.

Avete ragione.” ammise il vampiro “Non appena si sveglia, gli diremo tutto. Lasciamolo riposare un po'. Credo che scenderà tra un'oretta o due.”

Le due donne annuirono e si diressero insieme a lui nel soggiorno ad aspettare. Ma Dillon non si fece vedere, né dopo un'ora né dopo quella successiva.

 

Mentre percorreva all'impazzata la strada del ritorno a Londra, Dillon benedisse il momento in cui aveva apportato le modifiche alla sua Ducati in modo da poterla lanciare al doppio della velocità con cui era stata progettata. (Gli ci erano volute circa nove ore in moto per arrivare al castello. Adesso invece, per arrivare all'areoporto di Heathrow gliene sarebbero bastate quattro o cinque.) Guidava incurante dei limiti di velocità e senza casco, con gli occhi fissi sulla strada mentre nella sua testa cercava di formulare un piano. Passò in rassegna mentalmente le armi che aveva a disposizione e sorrise. Edward gli aveva confiscato I proiettili nella valigetta, ma non aveva pensato di guardare sotto il sellino della moto. Lì ne aveva più che abbastanza per uno scontro frontale con I Volturi. Si era portato via anche I pugnali che gli aveva dato Jasper e li teneva dietro la schiena. Aveva anche un'altra piccola risorsa che non aveva avuto ancora modo di sperimentare.Forse quella sarebbe stata l'occasione giusta...

Mentre rallentava nei pressi di una curva ripensò a quanto aveva visto dei ricordi di Nessie. I Volturi erano numerosi, forse troppi per lui, ma contavano soprattutto sui poteri di Jane ed Alec, poteri a cui Bella era immune per via del suo scudo mentale. Dillon pensò che, se erano andati con una folta schiera di guardie e testimoni per attaccare I Cullen, forse ne avrebbero riuniti una quantità inferiore per catturare un umano. Probabilmente non si aspettavano che anche lui potesse bloccare I poteri mentali dei due gemelli e Dillon avrebbe potuto contare su un elemento sorpresa. Non era molto ma era un inizio. Mentre accelerava di nuovo, Dillon ripeté a sé stesso che aveva fatto bene a non coinvolgere I Cullen. Lo avrebbero sicuramente aiutato, ma con ogni probabilità gli avrebbero impedito di andare a Volterra per proteggerlo e questo avrebbe messo Laura in pericolo. Non era affatto convinto che Louis mantenesse la promessa di liberarla una volta che lui si fosse consegnato, ma non poteva correre rischi. L'unica opzione al momento, era seguire le istruzioni di quel miserabile fino a quando non avesse ideato un piano di azione per liberarla e portarla via al sicuro.

Laura.

Ripensò a quegli occhi dolci e tristi che non lo avevano mai giudicato né temuto e si maledisse per averla coinvolta nella sua vita, una vita che ormai non aveva più alcun significato. Non sapeva chi era e forse non lo avrebbe mai saputo. La vita di Laura invece era preziosa. Giurò a sé stesso che si sarebbe fatto uccidere prima che le venisse tolto un capello. La ducati continuava a divorare chilometri d'asfalto, lasciandosi indietro le bellissime colline che aveva ammirato la prima volta. Ma per Dillon era come avere il vuoto intorno, mentre il vento gli portava via le lacrime di rabbia che cominciavano ad offuscargli la vista.


 

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Capitolo 40
*** Capitolo 39 ***


CAPITOLO 39

 

Dillon è scomparso.” esclamò Edward sconvolto affacciandosi dalla rampa delle scale. In una frazione di secondo tutta la famiglia si era riunita sul pianerottolo di fronte alla porta della camera del ragazzo. Apparentemente sembrava che lì dentro ci fosse qualcuno rannicchiato sotto le coperte a dormire. Lo testimoniava anche il regolare susseguirsi di battiti cardiaci.

Come scomparso?” chiese Renesmee indicando il letto con la sagoma raggomitolata. “Sento il suo cuore.”

Per tutta risposta Edward buttò all'aria la trapunta scoprendo due cuscini disposti in modo da creare l'illusione che ci fosse una persona dentro il letto.

Sotto il piumone Dillon aveva lasciato il suo computer portatile acceso che mandava in circolo la registrazione di un battito cardiaco. Aveva perfino regolato il volume delle casse per farlo sembrare più naturale possibile.

Non posso crederci!” disse Renesmee angosciata.

Jacob si mise al suo fianco guardando la camera incredulo. Edward percepì i pensieri stupiti di tutti. Nessuno aveva previsto quell'improvvisa fuga da parte di Dillon.

Perchè l'ha fatto?

Non era nostro prigioniero, poteva andarsene quando voleva.

Dove può essere andato?

Deve essere uscito da lì” notò Jasper esaminando la finestra. Le imposte non erano chiuse dell'interno ma erano accostate.

Furbo, il ragazzino”commentò Emmett divertito rivolgendosi a Jacob e a Renesmee. “Scappa dalla finestra, mette il pupazzo nel letto. Ha deciso di farvi recuperare le ansie da genitori in un pomeriggio?”

Edward gli lanciò un'occhiataccia e tirò fuori di tasca il cellulare.

Emmett, piantala” lo rimproverò Rosalie. “Proviamo a chiamarlo piuttosto.”

Edward stava già componendo il numero sotto lo sguardo preoccupato di tutti. “Avanti rispondi” ripeté fra sé. “Niente da fare. Squilla a vuoto. O non può o non vuole rispondere.”

Renesmee si lasciò cadere seduta sul letto con la testa tra le mani.

Aveva già deciso di andarsene dopo il test del Dna, ricordate?” fece notare Bella tristemente “Credevo avesse cambiato idea.”

Infatti” intervenne Jacob “Avevo parlato con lui ed ero riuscito a convincerlo a restare.”

Hai fatto un ottimo lavoro di persuasione, complimenti lupo.”commentò Emmett indicando il letto vuoto.”Dovresti provare a vendere enciclopedie.”

Secondo voi dove voleva andare?” chiese ad un tratto Renesmee.

Edward guardò Jacob allarmato facendogli segno di non dire niente.

Ma Renesmee non ci mise molto a capire. “No...non può essere andato lì!”

Non ne siamo sicuri” si affrettò a risponderle Edward “Era solo un'idea.”

Esatto, un'idea campata per aria.”confermò Jacob. “Gli ho spiegato che se voleva affrontare i Volturi, avrebbe dovuto informarsi, parlarne con noi, pensare una strategia.”

Ti ha proprio dato retta.”osservò sarcastico Emmett.”Tipico dei figli.”

Hai incoraggiato nostro figlio ad andare incontro a morte certa?” gridò Renesmee contro suo marito. Jacob sussultò. Non gli aveva mai parlato in quel modo.

Edward cominciò a spazientirsi. “Cerchiamo di calmarci tutti quanti! Alice, potresti provare a vedere se Dillon sta andando in Italia?”

La vampira si concentrò per qualche minuto e poi scosse la testa. “Niente da fare. Il futuro di Dillon è una fitta nebbia. Non vedo nulla. Proverò a concentrarmi su Aro o su quel Louis che gli dava la caccia.”

Edward annuì giudicandola un'ottima idea e rimase ad osservare le visioni che apparivano nella mente di sua sorella. “Aro ha chiesto di vedere la ragazza.” esclamò. Edward vide la figura esile di una ragazza pallida dai capelli scuri, con un abitino rosso, che veniva trascinata da una vampira in una vasta sala dove le Guardie erano disposte in un semicerchio nero intorno a tre sedie dove i Volturi sedevano nella loro posa consueta.

Quale ragazza?” chiese Bella sorpresa.

Sembrerebbe una loro prigioniera...aveva un aspetto molto fragile.”disse Edward “Concentrati su di lei, Alice.”

Alice richiuse gli occhi. “Si chiama Laura. Le hanno offerto di trasformarla, ma lei ha rifiutato. Ha detto il fatto suo ad Aro!”

Edward vide la scena nella visione di Alice e rimase stupito di fronte alla determinazione con cui una ragazza indifesa affrontava faccia a faccia il temibile Aro.

Ma cosa centra questa ragazza con Dillon?”chiese Renesmee spaventata. “Si conoscono?”

Edward ricordò di quando nei pensieri di Dillon era comparso un nome di donna: Laura.

Potrebbe darsi.” rispose calmo “Dillon aveva in mente quel nome quando provava a testare con me i suoi poteri telepatici. Era piuttosto riservato sull'argomento, come se gli fosse cara. Se è stata rapita, forse Dillon è accorso in suo aiuto.” A quelle parole udì un sussulto di terrore pervadere i suoi familiari. “Tutto torna, se ci pensate: cosa avrebbe potuto attirarlo fuori di qui all'improvviso e indurlo a non farne parola con altri?”

E' vero!” esclamò Bella “Come quando James mi fece credere di aver rapito mia madre! Anche io sono scappata di nascosto.”

Edward rabbrividì: il paragone con quella vicenda non era affatto rassicurante.

Dobbiamo andare a cercarlo, Edward” intervenne Jacob “Se i Volturi lo hanno davvero attirato in una trappola usando una sua amica, avrà bisogno del nostro aiuto. Non può farcela da solo.”

Credi che stia andando in Italia?” chiese Bella.

Edward guardò Alice in cerca di una conferma. “Non ne ho idea, sinceramente” ammise la vampira. “Il luogo della visione non sembrava il Palazzo dei Priori. C'erano alcune statue, un quadro...ma non mi ricorda nulla.”

Forse era un'altra sala del loro Palazzo.”ipotizzò Edward “Se Alice te la descrivesse nei dettagli, Carlisle, sapresti riconoscerla?”

Carlisle annuì e cominciò ad ascoltare attentamente la descrizione di Alice confrontandola con i suoi ricordi del periodo trascorso a Volterra. Le immagini delle stanze in cui aveva vissuto in quegli anni erano impresse nitide nella sua memoria di vampiro come delle fotografie ma nessuna corrispondeva alla sala con i busti di marmo ed il soffitto di legno.

No, sono certo di non averla mai vista. Non di persona, perlomeno. La visione probabilmente non si svolgeva a Volterra, ma da qualche altra parte in Italia.”

Non penso che i Volturi porterebbero Dillon in un luogo che anche noi conosciamo.”osservò Jasper “Vorranno evitare ogni possibile sorpresa.”

Credo dovremmo concentrarci altrove.” propose Carlisle “Se Dillon è in qualche modo legato a questa ragazza, allora dovremmo iniziare a cercare lei.”

E come facciamo?” chiese Emmett perplesso “Chiamiamo la polizia'”

Edward ebbe un'illuminazione “Questa sì che una buona idea.”

Tutti lo guardarono meravigliati “Guarda che scherzavo...” disse Emmett.

So dove dobbiamo andare.” decise Edward “Dobbiamo trovare il detective Samuel Freeman.”

 




Il volo in partenza per Roma era puntuale. Dillon trovò un posto in prima classe e riuscì a passare i controlli della sicurezza con lo zaino pieno di armi.

Mesi prima aveva considerato il problema di un viaggio all'estero ed aveva ideato un congegno che nascondesse ai raggi x la presenza di pistole e proiettili nel suo bagaglio. Addosso si era lasciato soltanto un paio di armi che sarebbero passate inosservate...forse era giunto il momento di usarle.

L'attesa del decollo fu straziante. Dillon tenne il fiato sospeso per tutto il tempo, quasi aspettandosi che i Cullen lo raggiungessero per impedirgli di partire. Ma non sarebbe stato possibile, logisticamente. Secondo i suoi calcoli, avrebbero scoperto la sua fuga, nel momento in cui lui lasciava la ducati nel parcheggio dell'aeroporto. Ciò nonostante Dillon riuscì a rilassarsi solo quando le ruote dell'aereo si staccarono da terra. Trascorse il viaggio cercando di raccogliere nuovamente tutte le informazioni in suo possesso e di mettere a punto un piano. Quello che più gli dispiaceva era non sapere il luogo prescelto dai Volturi e di non poter trovare un modo per anticipare le loro mosse. Ripassò le varie tattiche di combattimento, le strategie di inseguimento e fuga che aveva imparato negli ultimi diciotto mesi chiedendosi se gli sarebbero serviti in quella circostanza. Dillon strinse nervosamente i braccioli della poltrona rifiutando ogni cibo o bevanda che le hostess andavano ad offrirgli premurosamente. Alla fine infilò una mano nella tasca del giubbotto e ne estrasse la bibbia di Laura. Per la prima volta da tanto tempo, forse per la prima volta in vita sua, innalzò una preghiera.

Ti prego...permettimi di salvarla. Fa che non le accada niente. Lei non merita di morire...non così. Non me ne importa niente di me, voglio solo torni a casa sana e salva.” Dopo aver pregato si sentì meglio. Se si fosse trattato di sé stesso non avrebbe sperato in nulla, ma era certo che Dio non avrebbe permesso che facessero del male alla sua amica. “Sto arrivando, Laura” mormorò.

Ad attenderlo all'aeroporto di Fiumicino, c'erano due brutti ceffi, vestiti con eleganti completi scuri. Forse brutti, non era l'aggettivo giusto, visto che le donne si giravano ammirate a guardarli, attratte dai loro lineamenti perfetti e dai loro fisici prestanti, ma Dillon poteva percepire la loro reale natura, anche se i loro occhi erano nascosti da occhiali scuri. Erano due vampiri.

E il più basso teneva in mano un cartello con sopra scritto il suo nome: DILLON BAXTER. Ciò nonostante il ragazzo era pronto a scommettere che lo avrebbero riconosciuto comunque, in qualche modo...

Benvenuto in Italia, signor Baxter.” esordì quello che portava il cartello.

Che accoglienza!” commentò sarcastico Dillon “Vi manca solo una cesta di frutta.”

I due vampiri ignorarono la battuta e porsero a un telefono cellulare che Dillon prese con riluttanza. Subito dopo cominciò a suonare. Dillon rispose immaginando già chi potesse essere.

Benvenuto, Dillon. Hai fatto buon viaggio?” disse l'odiosa voce di Louis dall'altro capo del telefono.

Dov'è Laura?”chiese furente Dillon cercando di non stritolare tra le dita quel dannato cellulare.

Rilassati. E' qui con me e sta bene.” assicurò Louis con voce suadente “Vuoi una prova? Eccoti servito.” Dillon udì la suoneria di un messaggio e lo aprì. Dentro vi era allegata una breve clip che mostrava Laura, più pallida di quanto l'avesse mai vista, addormentata in un letto con una testiera di legno massiccio. Era ancora viva.

Come vedi non le abbiamo torto un capello.” disse Louis quando Dillon si portò di nuovo il telefono all'orecchio. “Adesso voglio che tu prenda il tuo cellulare, lo spenga e lo lasci qui in un armadietto insieme al tuo portafogli. Uno dei ragazzi qui, ti darà la chiave. Poi ti farai condurre a destinazione senza alcuna resistenza, intesi?”

Dillon non gli rispose e preferì passare il telefonino ad uno dei due emissari.

E' tutto apposto. Partiremo subito.”disse il vampiro con i capelli neri per rassicurare Louis.

Il secondo vampiro porse a Dillon una piccola chiave. “Gli armadietti sono da questa parte.” gli disse accennando ad un corridoio.

In pochi minuti Dillon eseguì le istruzioni di Louis e a malincuore consegnò la sacca ai suoi tirapiedi. Sperava sinceramente di poterla recuperare presto.

I due vampiri però, con sua grande sorpresa non accennarono ad uscire dall'aeroporto ma si diressero ad un hangar poco distante.

Dove stiamo andando?” chiese Dillon senza ottenere alcuna risposta.

In compenso si accorse che in quell'area si trovavano degli elicotteri.

Di solito non li fanno atterrare qui.” disse il vampiro con i capelli castano chiaro. “Ma noi abbiamo delle conoscenze influenti.”

Che onore.”commentò Dillon asciutto.

I vampiri mostrarono dei documenti al personale e poterono procedere verso uno degli elicotteri. Era completamente nero ed aveva una V gialla dipinta sui fianchi. La cosa non sorprese affatto Dillon che si preparò a salire a bordo. I vampiri presero posto alla guida del velivolo e dopo aver ottenuto l'autorizzazione decollarono. Dillon in silenzio pensò che non era mai salito a bordo di un elicottero prima d'ora, nonostante l'aviazione gli fosse sempre piaciuta. Suo padre da ragazzino lo aveva portato a vedere un museo dell'aeronautica e gli aveva detto che da grande avrebbe potuto prendere il brevetto da pilota se avesse voluto. Niente invece era andato come programmato nella sua vita.

Guardò il paesaggio sotto di sé e si chiese se avessero scelto l'elicottero per arrivare prima in Toscana, ammesso che fossero diretti lì. “Si può sapere dove stiamo andando?” chiese alla fine spazientito.

Il vampiro bruno lo guardò con la cosa dell'occhio senza voltarsi “Non siamo autorizzati darti informazioni.” disse bruscamente. “Possiamo solo dirti che questo mezzo di trasporto è stato scelto per evitare imprevisti da parte tua. Possono accadere molte cose durante un viaggio in macchina, essere costretti a soste improvvise e sappiamo che tu sei molto forte e veloce, cacciatore. Ma scommetto che non sai volare.”

Dillon continuò a guardare fuori dal finestrino, senza scomporsi. “Non ancora.”

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Capitolo 41
*** Capitolo 40 ***


CAPITOLO 40

Jacob non immaginava che ci fosse un parco così grande a nord di Londra. Era un paesaggio molto diverso da quello che conosceva, ma nel buio forniva un'ottima protezione da occhi indiscreti. Per qualche istante pensò con nostalgia alle foreste di La Push, alla spiaggia con il tronco bianco sdraiato sulla riva e a suo padre seduto sulla veranda della loro casetta rossa.
“Coraggio, lupo” disse Edward sfilandosi lo zaino dalle spalle e tirandone fuori degli abiti. “Ritrasformati. Abbiamo ancora molta strada da fare e non credo che i lupi giganti siano ammessi in città.”
Jacob grugnì scocciato e riprese la sua forma umana. “E tu allora?”chiese mentre si infilava i vestiti che gli aveva preparato Renesmee. “Non avrai problemi in pieno giorno?”
“Alice ha detto che il cielo sarà coperto tutto il giorno e più tardi pioverà.”
“Come a Forks in pratica.”osservò divertito Jacob.
“Edward, ripetimi come hai fatto a trovare questo detective Freeman.”chiese Jacob. “Dillon non ti avrà mica detto anche il cognome e l'indirizzo?”
“No, lui mi ha riferito solo il nome e le circostanze del loro incontro. Ma secondo te, quanti detective possono esserci a Londra di nome Samuel, provenienti dagli Stati Uniti, di mezza età, sposato, con due figli...e che ha seguito casi di omicidi commessi da vampiri?”
“Questo restringe il campo.” ammise Jacob abbottonandosi i jeans.
“Quando io e Bella siamo partiti da Londra, in attesa che Dillon ci contattasse, mi sono messo a fare qualche ricerca. Negli articoli legati ai vampiri veniva citato spesso. Ovviamente la polizia non conosceva la vera natura degli omicidi, né Samuel e Dillon hanno reso pubbliche le loro scoperte.”
“In quel caso saremmo tutti nei guai?” chiese Jacob mentre si abbottonava la camicia.
“Probabilmente sì.”sospirò Edward “Ma adesso la segretezza è l'ultimo dei nostri problemi. Dobbiamo trovare Dillon.”
“Auguriamoci che Samuel accetti di collaborare con un vampiro ed un licantropo.”osservò Jacob scettico
“Senti Jake, mi ricordi perché ho accettato di portarti con me?” chiese Edward cominciando a seccarsi.
“Forse perché io e tua figlia potremmo essere i genitori del ragazzo, ad esempio. Uno di noi doveva andare. Nessie poi, crede che possa aver influenzato Dillon a combattere i Volturi e non me lo ha ancora perdonato. Mentre mi preparava lo zaino non mi ha quasi rivolto la parola. Mi ha detto solo: “Riportamelo”. Non mi aveva mai trattato così.”
Edward sapeva che Nessie era soltanto profondamente amareggiata e aveva scaricato la sua ansia per Dillon su Jacob. Loro due non avevano mai litigato. Nemmeno una volta. Comprese quanto dovesse essere difficile per Jacob e cercò di essere più comprensivo.
“Vedrai che Samuel ci aiuterà” disse con tono più affettuoso “Tiene anche lui a Dillon.”
Jacob annuì “Qual'è la prossima mossa?”
“Entriamo in città e prendiamo la metropolitana.”
Il licantropo arricciò il naso. “Abbiamo attraversato a velocità supersonica il paese in poche ore per poi andarci ad imbottigliare sottoterra?”
“Cosa vuoi che ti dica?”disse Edward alzando gli occhi al cielo. “Certe cose non cambiano mai.”
“Come troviamo Samuel? E' sull'elenco?”
Edward scosse la testa. “Alice lo ha cercato nelle sue visioni ed ha visto dove abita. E' così che lei e Jasper hanno trovato noi.”
Jacob non finiva di stupirsi quando sentiva le storie della famiglia Cullen. “Caspita, meglio del navigatore!”
Edward sorrise “Già, ma non è riuscita a vedere nelle prossime ore di Samuel. Qualcosa evidentemente offusca le sue visioni.”
“Vuoi dire io?”chiese Jacob riflettendoci sopra.
Edward annuì. “Esatto. Questo vuol dire che lo troveremo.”

Samuel non era abituato a ricevere visite di prima mattina. L'unico che aveva bussato alla sua porta alle sette del mattino era stato Dillon quando quasi un anno prima gli aveva riportato la macchina. Per un attimo sperò che fosse lui e che fosse tornato in città senza avvisarlo. Provò una strana fitta di tensione mentre andava ad aprire, come un presentimento sinistro.
Non era Dillon, ma due giovani ragazzi che non aveva mai visto prima.
“Buongiorno, è questa la casa del Detective Freeman?” chiese educatamente uno dei due.
“Sì” rispose Samuel guardingo.
“Possiamo entrare, signor Freeman? Avremmo bisogno di parlare con lei, per favore.” disse il ragazzo con lo stesso tono garbato. “E' molto importante.”
Samuel aggrottò le sopracciglia, studiandoli con attenzione.
Erano molto diversi fisicamente ma entrambi di singolare bellezza. Uno era alto e muscoloso, con una bella carnagione rossastra ed I capelli lisci e neri. Osservandone i lineamenti, Samuel capì che il giovane doveva essere un nativo americano. Il secondo ragazzo invece, aveva un aspetto particolare che Samuel non aveva mai visto prima. I suoi capelli ramati erano lucidi e morbidi, la carnagione chiarissima era liscia e priva di imperfezioni. Ma quello che colpì di più Samuel furono gli occhi. Occhi luminosi color ambra.
Ciò gli riportò alla mente le parole di Dillon: "I loro occhi, Samuel. Non erano rossi come quelli degli altri. Erano dorati.”
No...non poteva essere un...Il suo sguardo sembrava limpido e sincero.
“Chi siete?” chiese sospettoso.
“Mi chiamo Edward Cullen e lui è mio...il mio amico Jacob Black.” rispose il ragazzo con una leggera esitazione.
Edward? Edward e Bella... Samuel ci mise qualche secondo prima di rendersi veramente conto di avere un vampiro in carne ed ossa sulla soglia di casa sua. Gettò una rapida occhiata dietro di sé per controllare che sua figlia non fosse nei paraggi.
“Non siamo qui per fare del male a lei o alla sua famiglia.” lo rassicurò Edward. “Si tratta di Dillon.”
Samuel sgranò gli occhi. “Cosa gli è successo?”
“Non lo sappiamo ancora ma potrebbe essersi cacciato nei guai.” rispose Edward “Ed abbiamo bisogno del suo aiuto per ritrovarlo.”
Samuel riflettè per qualche secondo. Poteva fidarsi di quei due sconosciuti?
Uno di loro era un vampiro ma aveva anche salvato la vita di Dillon.  Samuel decise che se Dillon si era fidato di lui, poteva concedere ad Edward Cullen una possibilità.
“Datemi un minuto. E' meglio se andiamo da un'altra parte a parlare.”disse ai due ragazzi. “Aspettatemi nella caffetteria all'angolo.”
“Sì, va benissimo” concordò Edward. “Faccia pure con calma. Ci vediamo lì.”
Samuel richiuse la porta e andò a prepararsi “Non posso crederci” mormorò asciugandosi il sudore dalla fronte. Prese la sua valigetta con il portatile e vi nascose sul fondo una delle pistole che lui e Dillon avevano progettato insieme. Sperava sinceramente di non doverla usare.


Edward e Jacob rimasti soli si scambiarono un'occhiata sollevata. “E' andata bene mi sembra.”osservò Edward.
“Sì, speriamo solo che non torni con un paletto appuntito o un pugnale d'argento.”commentò sarcastico Jacob.
Edward sospirò infastidito “Un po' di ottimismo, cane!”
La porta si riaprì ma non era Samuel. Una bambina andò loro incontro sorridendo e con un block notes in mano. Edward e Jacob la guardarono sorpresi. Jacob immaginò che fosse la figlioletta di Samuel. Sorrise pensando a Nessie quando era piccola. La bambina, dalla pelle nocciola e  e le treccine nere, non le somigliava, ma aveva lo stesso sguardo vivace negli occhi scuri.
“No, tesoro. Non sono io.” le disse Edward quando la bambina gli porse il taccuino e la penna. “Mi ha scambiato per un attore famoso.”spiegò rivolto a Jacob. “Dillon dice che gli somiglio.”
“Conosci Dillon?” chiese la bambina illuminandosi.
“Si, siamo...amici” le rispose Edward con una punta di nostalgia nella voce.
“Mi piace tanto!” esclamò la piccola “E' così simpatico. E poi è anche carino. Digli che Jade lo saluta tantissimo quando lo vedi.”
Jacob ed Edward risero entrambi inteneriti. “Riferirò.” le promise Edward.
“Edward, io direi comunque di farglielo l'autografo.”propose Jacob “Un giorno potresti diventare famoso anche tu.”
Il vampiro aggrottò le sopracciglia ma Jade parve entusiasta. “Sì, ti prego. Io me lo conservo intanto.”disse porgendogli di nuova da scrivere
Edward scosse la testa e prese la penna. “Se glielo faccio io, allora devi farglielo anche tu, lupastro. Chissà perché ma ti ci vedo sui poster della ragazzine.” Jacob arrossì ma stette zitto e fece un autografo a Jade.
La ragazzina rise pazza di felicità. “Somigliate davvero a quei due attori.”disse fissandoli intensamente. “Ma siete più belli voi.”
Detto questo rientrò in casa guardando soddisfatta il suo block notes che riportava scritto “Ad una ragazza speciale. Con affetto. Edward Cullen.” e più in basso. “Un bacio. Jacob Black.”

Durante il volo Dillon osservò il cielo oscurarsi e capì , dalla posizione del sole, che si stavano dirigendo a nord. Forse stavano andando veramente a Volterra, il quartier generale dei Volturi. In quel caso avrebbe trovato un'intera armata di vampiri ad attenderlo. Che bello! La prospettiva non lo aiutò certo a rilassarsi mentre cercava di restare fermo su quel dannato sedile.
Ad un tratto l'elicottero abbassò la quota e Dillon potè vedere sottò di sé che stavano costeggiando un lago, circondato colline, su cui si affacciavano alcuni paesini. Uno di questi, in lontananza, era dominato da un castello dalle torri massicce.
Un castello che Dillon all'improvviso si accorse di conoscere molto bene.
La sua memoria gli riportò all'improvviso le immagini che avevano popolato i suo sogni negli ultimi mesi. Dillon pensò a quando aveva sognato il corridoio dell'ospedale dove poi si era ritrovato successivamente ed aveva incontrato Laura. Possibile che i suoi sogni fossero destinati ad avverarsi? Cercando di scacciare dalla mente l'incubo in cui Laura gli offriva il proprio sangue, pensò a come sfruttare a proprio vantaggio la sua scoperta. Rivide gli interni del castello, i corridoio di pietra illuminati dalle torce e le alte torri che davano sul lago. Se fosse riuscito a guadagnare del tempo e a liberarsi dei suo accompagnatori, forse poteva addentrarsi nel castello e trovare Laura. Dillon valutò ogni possibilità mentre l'elicottero si preparava ad atterrare in un piccolo aeroporto.
Uccidere i due vampiri e scappare subito era troppo azzardato: Louis li stava aspettando e teneva d'occhio ogni aggiornamento. Dillon si guardò gli anelli argentati che gli ornavano le mani ed in pochi minuti elaborò un piano.

Samuel posò la tazzina con le mani che gli tremavano. Edward e Jacob avevano terminato il loro racconto e lo fissavano ansiosi dietro le loro tazze di caffè. Quella di Edward ovviamente era intatta. A parlare era stato il vampiro per la maggior parte. L'altro ragazzo si era limitato ad annuire  e a fare qualche breve intervento. Samuel pensò che, data la sua possente muscolatura, fosse più un tipo d'azione. Si chiese quale legame potesse avere con i vampiri.
“Mi state dicendo che i vampiri in Italia hanno rapito una ragazza e che Dillon adesso sta andando lì, da solo, per salvarla?”riuscì a chiedere finalmente. Rifletté per qualche secondo e poi fece una risatina nervosa. “E' pazzesco! Eppure non dovrei esserne sorpreso: è tipico di quel ragazzo prendere e agire impulsivamente in questo modo.”
“Per questo siamo venuti a cercarla, signor Freeeman. Ci serve il suo aiuto.” spiegò Edward “Dobbiamo riuscire a trovarlo prima che arrivi dai Volturi. Ha solo quattro o cinque ore di vantaggio. Potremmo farcela.”
“Posso farmi dare il tabulato delle sue ultime chiamate.” rispose Samuel cominciando a cercare tra i numeri della sua rubrica nel cellulare. “Forse riusciremo ad individuare la sua posizione. Che sapete invece della ragazza?”
Edward e Jacob alzarono le spalle. “Non molto. Sappiamo solo quello che è apparso nelle visioni di mia sorella. Come ti ho spiegato, è una sensitiva. E poi ho visto quel nome nei pensieri di Dillon.”
“Giusto,” disse Samuel continuando a premere i tasti nervosamente. “Tu sei telepatico e tua sorella è una sensitiva. Oltre ad essere due vampiri.”
“So che è difficile da accettare.” sorrise Edward “Ma alla fine è solo questione di abitudine.”
Samuel si alzò e si diresse fuori per effettuare la chiamata.
“Spero proprio di no.” disse voltandosi un'ultima volta verso i ragazzi.
Al suo ritorno vide che i due giovani si erano fatti portare una porzione di pancakes con lo sciroppo d'acero, due sandwiches con il tonno e il pomodoro, un muffin ai mirtilli e una tazza di cappuccino fumante e schiumoso. “Ora basta, Jacob.”disse Edward severamente. “Come puoi mangiare in un momento come questo?”
“E' fame nervosa.” si giustificò Jacob portandosi la tazza alle labbra “e poi questa schiuma è eccezionale.”
Mentre si sedeva, Samuel guardò il ragazzo che si gustava il suo cappuccino e per un attimo ebbe l'impressione di rivedere l'espressione sorridente di Dillon, seduto a quello stesso tavolo soltanto pochi giorni prima.  “Hai mai fatto caso a quanto è buona la schiuma del cappuccino?” In effetti c'era anche una discreta somiglianza tra i due ragazzi...nei lineamenti in particolare. Gli sembrava di vedere qualcosa di Dillon anche in Edward per la verità.
“Allora mi hanno fatto avere qualche notizia.”disse Samuel attirando su di sé l'attenzione dei suoi ospiti. “Pare che Dillon sia atterrato ieri sera all'areoporto di Roma Fiumicino alle 19:35. Da lì il suo cellulare non ha compiuto altri spostamenti. Sono riusciti a farmi avere il nominativo dell'ultimo numero chiamato da Dillon. E' di una certa Laura Polidori, mi ha anche mandato il suo indirizzo. Io dico che potremmo cominciare da lì visto che il nostro amico non ha lasciato altre tracce.”
I due ragazzi si alzarono prontamente. “Che ci facciamo ancora qui?” disse Jacob risoluto. Samuel sorrise. Quello strano ragazzo cominciava a piacergli. “Senti, Jacob” gli chiese mentre uscivano dalla caffetteria “Ma esattamente che rapporto hai con i vampiri e con Dillon?”
“Ecco...”cominciò il ragazzo dopo essersi scambiato un rapido sguardo con Edward “Non c'è motivo perché tu non lo sappia. Dillon potrebbe essere mio figlio. Ed io sono un licantropo.” Edward alzò gli occhi al cielo, sospirando.
Samuel rimase immobile per alcuni secondi poi finalmente reagì. “Ok, scusate ma mi serve un altro caffè.”

Dillon venne accompagnato verso una mercedes nera dai vetri oscurati, parcheggiata poco distante dalla pista di atterraggio. Lo fecero accomodare sul sedile posteriore mentre i due vampiri si sedevano davanti. Dillon fece in tempo a notare che avevano messo il suo borsone con le armi nel bagagliaio. Non appena furono partiti il bruno seduto accanto al posto di guida chiamò di nuovo Louis. “Stiamo arrivando. Se non troviamo il semaforo rosso saremo lì in meno di dieci minuti.”
Dieci minuti. Era tutto il tempo che aveva a disposizione? Doveva farselo bastare. Dillon guardò l'orologio della macchina e fece i suoi calcoli.
L'auto lasciò il piccolo aeroporto e si diresse verso una stradina secondaria circondata da alberi. Ormai era buio e non si vedeva nessuno nelle vicinanze. Era il momento giusto.
Non appena l'auto rallentò in prossimità di una curva Dillon aprì di scatto lo sportello e si lanciò fuori, rotolando sull'erba per poi rialzarsi con grazia e mettersi a correre. Come previsto i due vampiri fermarono l'auto e lo inseguirono. Perfetto. Dillon si lasciò raggiungere e poi si voltò prima che potessero afferrarlo. In un lampo li colpì entrambi allo stomaco, uno con un pugno ed uno con un calcio lasciandoli storditi per qualche secondo. A quel punto premette un minuscolo pulsante sull'anello che portava alla mano destra e ne fece uscire un manciata di polvere argentata che sparse sui due vampiri.  In una frazione di secondo si tolse l'anello che portava all'anulare sinistro e lo lanciò mentre prendeva fuoco. La polvere argentata esplose in una vampata che travolse i due vampiri in un attimo. Sparirono lasciando solo un mucchietto di cenere che si sparse nell'erba, come se non fossero mai esistiti. “Colpa vostra.” pensò Dillon trionfante guardando le ceneri che erano state i suoi rapitori. “Dovevate perquisirmi meglio.”
Torno di corsa alla macchina e si sedette al posto di guida. Per strada non era passato nessuno e non erano rimaste tracce dello scontro. Il cellulare da cui il vampiro aveva chiamato Louis era rimasto lì nello scomparto sotto lo stereo. Ancora nove minuti, pensò Dillon, mettendo in moto la macchina e dirigendosi verso il castello a tutta velocità.




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Capitolo 42
*** Capitolo 41 ***


L'insolito trio appena formatosi, il detective, il vampiro ed il licantropo, non ci misero molto a trovare la casa di Laura. Samuel bussò più volte e finalmente una signora bruna sulla sessantina aprì la porta. La prima cosa che notò fu lo sguardo vuoto della donna, in contrasto con il suo sorriso affabile. "Sono il detective Freeman, signora.”disse mostrando il distintivo. “Potrei farle qualche domanda?
"Prego si accomodi.”disse la signora con una voce gentile ma meccanica. Si avviò verso il salotto dando loro le spalle.”Caro, abbiamo visite.”annunciò introducendo i suoi ospiti.
Samuel entrò perplesso, seguito dai due ragazzi. Edward sembrava sbalordito mentre Jacob fiutava l'aria. Nel soggiorno c'era un uomo con i capelli brizzolati seduto di fronte alla televisione. Non si mosse di un millimetro quando loro tre si avvicinarono.
"Qui c'è qualcosa di strano.” notò Samuel preoccupato.
"Le loro menti sono come ottenebrate.” disse Edward.
"Sento puzza di vampiro. C'è ancora la traccia.” intervenne Jacob.
Edward annuì. “E l'odore di Louis. Lo riconosco.” spiegò rivolto verso Samuel.

"Quanto tempo fa è stato qui?” chiese Samuel colpito.
"Due giorni fa al massimo.” rispose Edward chiedendo conferma a Jacob con uno sguardo. L'altro annuì.
La donna nel frattempo aveva preso posto accanto al marito sul divano, sempre con quel sorriso innaturale e si mise a fissare le immagini del notiziario. Samuel si avvicinò a loro con apprensione.
"Signori, vi chiedo scusa per il disturbo, ma sto cercando Laura Polidori. E' vostra figlia?”
"Laura!”disse la signora felice. “Sì, è la nostra bambina. Il mio angelo.”
Lo sguardo della donna si spostò su una fotografia sopra il caminetto che ritraeva una bella ragazza bruna, sui vent'anni con gli occhi chiari ed un viso dolce. Edward si avvicinò poi mormorò all'investigatore. “E' la ragazza della visione di Alice, per quanto il suo aspetto ora sia...molto deperito.”
Samuel guardò i genitori della ragazza e sentì nascere un'infinita pietà per loro. “Sapete dirmi dove si trova adesso Laura?”
"E' andata in un ospedale a fare delle altre analisi.” rispose il padre. “Sta tanto male, povera piccola.”
"Ah, mi dispiace molto. Per caso sapete dirmi se Laura conosce un ragazzo di nome Dillon?”continuò Samuel.
"Dillon! Che bravo giovane!”esclamò la signora Polidori illuminandosi. “E' un amico di Laura. E' venuto a trovarla ogni giorno in ospedale durante queste ultime due settimane.”
"Ah, ecco perchè ha aspettato tanto prima di partire.”osservò Edward intenerito.
"Lo dicevo io, che aveva conosciuto una donna.””disse Samuel accennando un sorriso. “Lo vedevo diverso.”
"Le ha anche regalato una coperta con disegnato sopra un lupo” aggiunse il padre di Laura. “Per farla stare calda.
"Un lupo...” ripetè Jacob assorto.
"Perchè non vai a dare un'occhiata di sopra per cercare qualche indizio.” gli propose Edward “Io e Samuel pensiamo al piano di sotto.”
Jacob in un attimo sparì per le scale.
"Qual'è il nome dell'ospedale in cui era ricoverata vostra figlia?”chiese Samuel rivolto ai padroni di casa mentre Edward perlustrava il salotto.
Fu Edward a rispondere al posto loro “Il London Royal Hospital. Qui c'è una cartella clinica.” Samuel vide che stava studiando con attenzione le analisi di Laura con un'ansia crescente sul volto
“A quanto pare questa ragazza è gravemente malata. Ad uno stadio terminale.”disse Edward quando abbe finito di sfogliare i documenti.
"Nei sei sicuro?” chiese Samuel sorpreso. Pensò al dolore dei genitori e a quello di Dillon, che doveva esserle sicuramente affezionato.
"Ho tre lauree in medicina.” gli spiegò Edward con un sorriso sghembo.
"Però..." osservò Samuel perplesso. Per quanto l'idea di un vampiro medico fosse inquietante, decise di concentrarsi sulla ragazza. “Credi che questi...Volturi sarebbero capaci di rapire una ragazza malata?” chiese Samuel a voce bassa.
"Farebbero anche di peggio.”rispose Edward furente. “Non si fermano di fronte a niente pur di ottenere i loro scopi. E adesso vogliono Dillon.”
"Secondo te cosa hanno fatto a questi due poveretti? Li hanno ipnotizzati o qualcosa del genere?”
"Probabile.” osservò Edward “Per nascondere il rapimento di Laura ed impedire loro di dare l'allarme. Forse uccidendoli avrebbero attirato troppo l'attenzione.”
Samuel fece per rispondere quando la sua attenzione si spostò sullo schermo televisivo. “
Una giovane donna è stata uccisa brutalmente” riportava l'annunciatore “Il corpo di Kathleen Stevens, infermiera al London Royal Hospital, è stato trovato questa mattina nel suo appartamento, con la gola recisa. Non sono ancora chiare le dinamiche dell'omicidio.”
"E' l'ospedale di Laura.” notò Edward.
"La conoscevate?” chiese Samuel ai signori Polidori.
"Era una delle infermiere al piano di mia figlia. La riconosco.” rispose la madre con voce spenta. “Poverina.”
"La morte dell'infermiera forse è collegata al rapimento.”disse Samuel prendendo da parte Edward. “Dobbiamo andare lì, mi sembra che qui non troveremo altro.”
In quel momento Jacob scese le scale con una coperta blu ripiegata, tra le mani.
"Trovato nulla?” chiese Edward fissando l'oggetto incuriosito.
"Niente. Solo disordine, cassetti aperti, vestiti sparsi, come se fosse dovuta andarsene all'improvviso. E poi ho trovato questa.” Spiegò la coperta rivelando l'immagine di un lupo che ululava alla luna.
"Sembri tu” scherzò Edward tornando subito serio. “Deve essere la coperta che Dillon ha regalato a Laura. Sento il suo odore sopra.”
"Ti dispiace se la porto via?” chiese Jacob mentre la piegava di nuovo.
"Perché? Cosa vuoi farci?”chiese Edward stupito.
"Non lo so perché.” rispose il giovane con tono malinconico. “Vorrei solo portarla con me.”
"Va bene, andiamo.”gli disse Edward alzando le spalle.
"Cosa ne sarà di queste due persone? Li lasciamo sotto ipnosi?”chiese Samuel.
"Potrei farli visitare da mio padre” propose Edward “Ma se li risvegliassimo ora in qualche modo, capirebbero che Laura è scomparsa. Prima riportiamogli la figlia.”
"Samuel annuì. “E se non ci riusciamo?”
"Ci dobbiamo riuscire.” ripose deciso il vampiro. “Dobbiamo trovare Dillon e Laura.”

 

L'ispezione nell'appartamento di Kathleen non portò nuove prove. Edward potè solo constatare che Louis era stato lì e che probabilmente si era servito dell'infermiera per arrivare a Laura.

Credo che dovremmo andare a Roma e proseguire le ricerche da lì.”concluse Samuel rassegnato quando tornarono in strada.

Chiamo un attimo i miei per avere notizie.”disse Edward allontanandosi dai suoi compagni e componendo il numero di Carlisle. Suo padre rispose al primo squillo.

Pronto, sono io. Avete qualche novità? No, nemmeno noi. La ragazza è un amica di Dillon ed è stata rapita da Louis. Quello che dobbiamo scoprire e dove l'abbiano portata. Lì troveremo anche Dillon.”

Alice ha provato a visualizzare ancora Aro, ma non riesce a vedere dove si trovi.”rispose Carlisle dall'altra parte. “Sappiamo solo che non è Volterra.”

Continuate a cercare.”insisté Edward “Provate a vedere se Dillon ha lasciato qualcosa nella sua stanza che possa condurci a lui.”

Tra poco avremo il test del DNA.”aggiunse Carlisle “Dì a Jacob che lo chiamerò appena sarà pronto.”

Edward trasalì. Non si era reso conto di come fosse passato in fretta il tempo. “Preparatevi a partire, nel frattempo.”disse a suo padre “Dobbiamo andare in Italia.” Chiuse la chiamata pensieroso, sospirando nervosamente. “Dillon dove sei?”

 

Trovare la strada per il castello non fu difficile, data la sua posizione, e Dillon riuscì ad entrare nel paese in cinque minuti. Trovò perfino il semaforo verde e risparmiò altro tempo. Finalmente scoprì il nome del paese e capì dove si trovava. Non era atterrato in Toscana, ma a nord del Lazio, in una cittadina di nome Bracciano, famosa appunto per il suo castello che era spesso sede di feste ed eventi del jet set. Mentre guidava, il ragazzo calcolò che Louis avrebbe aspettato l'auto dieci minuti a partire dall'ultima chiamata. Forse qualcosa di più...con l'incognita del semaforo. Quindici minuti? Dopo quanto tempo si sarebbe insospettito e dato l'allarme? Venti minuti al massimo. Dillon si rilassò pensando che il tempo a sua disposizione era più del previsto e decise che la prima cosa da fare era avvicinarsi il più possibile con la macchina e poi proseguire a piedi per entrare senza essere visto. Non sapeva ancora come avrebbe fatto.
Le strade di Bracciano erano semi deserte, neanche ci fosse il coprifuoco, i rari passanti erano dei giovani che uscivano dai pochi locali aperti. Nessuno fece troppo caso alla mercedes nera che imboccò la strada principale fermandosi a pochi metri dal castello. Dillon parcheggiò in una stradina secondaria e recuperò lo zaino dal bagagliaio. Si cosparse accuratamente di antismell e passò in rassegna le armi da utilizzare. In pochi secondi, dopo essersi infilato due bloody silver cariche nella doppia fondina ed i due pugnali antichi nella cintura si sentì nuovamente padrone e sicuro di sé.
Si mise in una tasca due caricatori di riserva e nell'altra portò il cellulare, nel caso Louis richiamasse. Non era il caso di farlo insospettire troppo presto, in qualche modo avrebbe intercettato la chiamata. In ultimo Dillon prese un flaconcino di pillole e se lo infilò nel taschino della camicia. “Credo sia arrivato il momento di collaudarle.”
Chiuse la macchina e si avviò lentamente verso la via principale, pettinandosi i capelli con le dita, cercando di assumere un atteggiamento il più normale possibile. Non che il suo aspetto fosse nella norma: vestito di nero, con i capelli biondi, il fisico prestante, era comunque in grado di attirare l'attenzione, armato o meno.Le poche persone che andavano in giro a quell'ora gli rivolsero diverse occhiate incuriosite ma senza mostrare particolare sospetto o sorpresa. Dillon camminò spedito senza incrociare lo sguardo di nessuno, con tutti i sensi all'erta e seguendo il suo istinto. L'orologio della torre batté le nove.
Il cellulare dei due vampiri, che ormai erano diventati polvere di fata, era dotato di una buona connessione ad internet che permise a Dillon di collegarsi con il sito del castello. Interessante...c'erano un sacco di foto che gli illustrarono in breve come era strutturato l'imponente edificio che aveva di fronte. Per prima cosa doveva individuare la posizione di Laura.Respirò a fondo e pregò che la sua telepatia funzionasse anche a grandi distanze. Dopotutto, i pensieri di Laura erano i primi che aveva percepito dentro la sua mente, prima ancora di allenarsi con Edward. Dillon se ne chiese la ragione mentre chiudeva gli occhi e cercava di concentrarsi su di lei. “
Laura? Laura, riesci a sentirmi?” Dopo un istante che li sembrò eterno, sentì nella sua testa il timbro inconfondibile della voce di Laura che gli rispondeva. “Dillon?”chiese con un tono oltremodo sorpreso.

Riesci a sentirmi!”esultò Dillon trattenendo un grido di gioia. “Come stai? Cosa ti hanno fatto? E' tutta colpa mia...Ti prego, perdonami!”

Sto bene...” rispose lei. “Ma come riesci a... e dove sei adesso?”

Fuori dalle mura. A pochi metri da te.” le disse con dolcezza.

E' pericoloso.” disse Laura angosciata. “Vogliono catturati usando me come ostaggio. Devi scappare, Dillon.”

Ascolta. Ti porterò via da questo posto, Laura. Te lo prometto. Cerca solo di farmi capire dove ti trovi. Pensa mentalmente al tragitto che hai fatto quando ti hanno portato lì.” Laura sospirò e cominciò a ricordare.

Dillon si concentrò più a fondo e riuscì a visualizzare la stanza dove si trovava la ragazza. Buia, con dei mobili antichi ed una massiccia porta di legno. I ricordi di Laura per quanto confusi lo trasportarono nel lungo corridoio che aveva attraversato ad una velocità fulminea, trasportata probabilmente da un vampiro. Solo pensarci, gli fece montare la collera. Nella mente della ragazza comparve infine l'immagine di una grande sala dove, con grande meraviglia di Dillon, aveva incontrato i Volturi al completo. Cosa le avevano fatto? Quell'immagine sfumò dai pensieri di Laura lasciando il posto ad una forte preoccupazione, rivolta a lui.

Dillon, vattene.”pensava lei disperata. “E' troppo rischioso.”

Neanche morto.” si ostinò lui. “Vengo a prenderti e ti riporto a casa sana e salva. E' una promessa.”

Ci uccideranno tutti e due”pensò molto sinceramente Laura. Dillon ebbe la sensazione che stesse piangendo.

Speriamo di no! Andrà tutto bene, vedrai.” le disse cercando di usare un tono rassicurante. “Laura, ascolta...dei fare una cosa.”

Sì.”mormorò lei tra i singhiozzi.

Prega per me.


 

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Capitolo 43
*** Capitolo 42 ***


  Capitolo 42

Dillon alzò lo sguardo verso la facciata massiccia del castello, illuminato a festa, con le torri merlettate di fiaccole. Visto da lontano al buio, brillava come l'oro. Secondo la cartina, avrebbe dovuto superare la cinta muraria esterna, attraversare il giardino e da lì trovare il modo di entrare nell'edificio. Il castello aveva una pianta irregolare, con un cortile interno dalla forma triangolare, troncato ad un'estremità da due delle cinque torri. Dillon riconobbe la sala dove era stata portata Laura, identificandola grazie ai busti di marmo che la decoravano e intuì, da quello che aveva visto nei pensieri di lei, che la camera dove la tenevano prigioniera doveva trovarsi al piano superiore. Doveva arrivare sul lato opposto dell'edificio per raggiungerla e passare dal tetto gli sembrava la risoluzione migliore.

Dillon si avvicinò alla parete di pietra ed annusò l'aria. Non sembravano esserci vampiri nei paraggi, probabilmente erano tutti a qualche festino imbastito per mantenere le apparenze. Molto bene, avrebbero avuto un imbucato d'eccezione. Dillon tenendo gli occhi ben aperti, controllando bene che nessuno lo notasse, scalò velocemente le mura massiccie che lo dividevano dal giardino e dopo aver scavalcato la sommità, saltò per poi atterrare con grazie sull'erba soffice. Non c'era nessuno, nonostante le luci del giardino fossero tutte accese. Incoraggiato il ragazzo iniziò ad arrampicarsi sulla parete della torre centrale torre coperta di edera, mentre le finestre illuminate sembravano guardarlo come occhi cattivi. Dillon continuò a salire fino ad arrivare ad un lungo passaggio che cirondava il tetto che anticamente doveva essere usato dai soldati per fare il giro di ronda. Sembrava collegare tutte le torri del castello. Gli ci volle un secondo per scoprire che qualcuno che faceva la guardia, c'era ancora. Dal lato opposto del passaggio, oltre il cortile, c'era un vampiro. Poteva sentirne l'odore. Dillon trovò una nicchia nella parete e vi si nascose cercando di leggere i pensieri di quel vampiro. Con sollievo si accorse che non lo aveva ancora visto e grazie all'antismell non poteva fiutarlo, però avrebbe potuto sempre sentire i battiti del suo cuore...

Dillon decise che era arrivato il momento e dopo aver estratto il flacone di pillole ne prese una velocemente in mano. “Speriamo che funzioni.”pensò tra sé mentre con l'altra mano estraeva uno dei pugnali.

Aveva lavorato a lungo su quel progetto in laboratorio, fin da quando si era posto il problema di essere silenzioso al cento per cento e per il momento aveva trovato solo quella soluzione drastica. C'era un farmaco che usavano i chirurghi quando svolgevano interventi di bypass a cuore aperto ed avevano bisogno di causare un temporaneo arresto cardiaco. Dillon lo aveva perfezionato in modo da impedire ogni possibile effetto collaterale ed aveva ottenuto quelle pillole. “Ci sto lavorando.”aveva detto ad Edward quando avevano parlato la prima volta di quel problema.

Gli mancavano solo la sperimentazione, ma Dillon era certo dei suoi calcoli. Quasi certo. C'era sempre quella percentuale di incertezza, ma non era molto elevata. E il vampiro si stava avvicinando sempre di più...

“O la va o la spacca!” si disse alla fine Dillon risoluto mettendosi la pillola in bocca e ingoiandola di colpo.

Un dolore terribile gli attraversò il petto e lo fece accasciare a terra. Per poco il pugnale non gli cadde per terra. Lottò per non cadere fuori dalla nicchia e si strinse contro la parete, premendosi la mano libera contro il cuore che aveva smesso di battere. Nonostante tutto, Dillon riuscì ancora a sentire i pensieri del vampiro, lontano ancora diversi metri, che era in ascolto di rumori sospetti. Un istante dopo, comparve di fronte alla nicchia, con le spalle rivolte verso Dillon e si mise a guardare oltre le mura.

“Qui tutto tranquillo, signore.” disse il vampiro parlando dentro un auricolare “Stiamo aspettando l'auto. Dovrebbe arrivare tra una decina di minuti.” Dillon cianotico ed immobile, lo osservava con gli occhi sgranati, mentre sentiva che il dolore cominciava a scomparire. L'effetto della pillola finì ed il cuore di Dillon poté riprendere a battere. Il vampiro si voltò ma era troppo tardi. La lama scagliata da Dillon gli tranciò la testa prima che potesse anche solo gridare. Il corpo del vampiro cadde con il pugnale ancora conficcato nel collo e la testa mezza recisa. Dillon riprese faticosamente a respirare e trascinandosi sulle ginocchia, si avvicinò al cadavere. Per fortuna il vampiro aveva già chiuso la comunicazione, osservò Dillon raccogliendo l'auricolare da terra insieme al pugnale. Appoggiandosi alla parete, si sollevò faticosamente in piedi e dopo aver preso una delle torce appese alla parete, diede fuoco ai resti del vampiro prima che potessero riunirsi. Dillon guardò il corpo incenerirsi in pochi secondi, mentre pian piano le forze gli tornavano.

Sospirò rilassato e si guardò intorno per vedere se c'era qualche altra sentinella nei paraggi. Pochi minuti dopo percepì l'odore di un altro vampiro che si stava avvicinando. Dillon ritornò nella nicchia tenendo ben stretto il pugnale in una mano mentre con l'altra tirò fuori il flacone e lo aprì con i denti, pronto ad ingoiare una seconda pillola. “Avanti il prossimo!” pensò risoluto.

Tutto taceva immobile nella Sala dei Cesari, tra la corte dei tre Volturi, ancora seduti ai loro posti e le guardie che mantenevano le loro schiere compatte, disposte a ventaglio intorno a loro. L'unico suono proveniva dal cellulare di Louis che pigiava distrattamente i tasti con l'aria tranquilla di chi aspettava gli invitati ad una festa.

“Louis” disse ad un tratto Caius tradendo tutto il suo nervosismo. “Si può sapere quanto dovremo ancora attendere? Sono passati venti minuti.”

“Pazienza, miei signori.”rispose Louis con un sorriso continuando a fissare il display del telefonino “Tutto arriva a chi sa aspettare.”

“Hai intenzione di continuare a giocare con il cellulare, elargendoci queste perle di saggezza, o hai intenzione di mandare le guardie a vedere perchè l'auto con il cacciatore non è ancora arrivata?”tuonò Caius irritato.

La comparsa improvvisa sulla soglia di una delle sentinelle impedì a Louis di rispondere. “Signore!” esclamò con voce allarmata. “Due dei vampiri addetti alla sicurezza sono spariti nel nulla. E l'auto non si vede ancora.”

Aro si alzò in piedi. “Cosa vuol dire? Niente sparisce nel nulla.”

Louis sollevò gli occhi con un sorriso compiaciuto. “Vuol dire che Dillon Baxter è qui. E' già dentro il castello.”

Caius e Aro si fissarono sbalorditi mentre Marcus manteneva la solita espressione impassibile. “Come può essere riuscito a...” iniziò Caius.

“Non ha importanza, adesso.”tagliò corto Aro. “Dobbiamo setacciare tutto l'edificio e catturarlo. Guardie!”

“Non sarà necessario.” intervenne Louis bloccandolo con un gesto. “So esattamente dove si trova adesso.”

Laura. Laura. Svegliati.” La voce di Dillon nella sua mente fece sollevare di scatto la testa a Laura sollevandosi dal cuscino in cui aveva nascosto il viso fino a quel momento.

Sono qui.” ripetè la voce. “Alla finestra.” Laura alzò gli occhi e con un tuffo al cuore, vide la sagoma scura di Dillon in piedi contro il vetro, che si appoggiava con le mani alla cornice della finestra.

“Dillon...”mormorò Laura ancora incredula. Lui dall'altra parte del vetro le rivolse un sorriso felice.

Credi di riuscire ad arrivare fin qui e girare la maniglia?”

chiese lui mentalmente, dopo qualche secondo. “Dobbiamo fare meno rumore possibile. Cerca di parlare piano. Qui anche i muri hanno le orecchie.”

Ok.” ripose Laura alzandosi con fatica. Per fortuna la finestra era vicinissima al letto e pur barcollando la ragazza arrivò alla maniglia e la girò lentamente. Sembrava arrugginita. Dillon si teneva in equilibrio su un davanzale strettissimo e parve piuttosto sollevato quando lei aprì le ante della finestra per farlo entrare. Con un saltello Dillon atterrò leggero accanto a lei e la cinse con le braccia sorreggendola e abbracciandola al tempo stesso senza però stringerla a sé. “Oh Laura, perdonami.”si lasciò sfuggire Dillon in un bisbiglio, aiutandola a sedersi nuovamente sul bordo del letto. Le sfiorò delicatamente il volto con le dita, con lo sguardo pieno di amarezza. “E' tutta colpa mia.”

Laura chiuse gli occhi, confortata da quelle carezze e dalla semplice presenza di lui. Era troppo felice di vederlo! Ma era anche terrorizzata.

Adesso ti porto via da qui. aggiunse Dillon sottovoce, in tono rassicurante.

Laura lo guardò con gli occhi sgranati, con la mente piene di domande. Come era riuscito ad entrare? E come avrebbero fatto a sfuggire a tutti quei vampiri? “Dopo ti spiego tutto, promesso. Non abbiamo molto tempo.”le ripose di rimando usando la telepatia.

Dillon intanto aveva estratto una boccetta con un liquido trasparente e glielo stava spruzzando addosso. Sembrava una specie di profumo ma non odorava di niente.

E' l'antismell”spiegò Dillon notando la sua espressione. “In questo modo non potranno fiutarti.”

Laura annuì mentre Dillon con uno sguardo ansioso le posò il dorso della mano sulla fronte. “Sei così fredda. Metti questo.” gemette preoccupato avvolgendole intorno alle spalle il mantello nero di Aro che si trovava sul copriletto. Coraggio andiamo.”le disse sostenendola per un braccio e guidandola verso la finestra. Laura guardò fuori e si chiese come avrebbe fatto Dillon a scendere per quella parete ripida tenendo lei in braccio. Per quanto fosse un peso piuma, capiva comunque che la sua presenza sarebbe stata d'intralcio. Lui doveva avere le mani libere per muoversi e maneggiare le armi in caso di pericolo. Guardò angosciata Dillon e immaginò che anche lui doveva essersi posto il problema. “Se solo avessimo una corda...”pensò Laura. Dillon si girò a guardarla a si illuminò. “Buona idea!” pensò strizzandole l'occhio. La fece appoggiare ad una sedia e buttò all'aria le coperte del letto. Laura lo guardò perplessa poi capì cosa aveva intenzione di fare. “Una corda con le lenzuola?”si chiese incerta.

“Nei film funziona.” rispose Dillon strappando ed annodando le lenzuola che aveva rimosso dal materasso.

“Appunto.” notò Laura dubbiosa. “Nei film.”

“Adesso vedremo se funziona anche qui.” rispose Dillon sorridendo continuando imperterrito nel suo lavoro. Aveva un'aria concentrata e attenta che lo rendeva particolarmente attraente...Perchè era così bello?

Laura tornò in sé ricordando che lui poteva leggere i pensieri.

“Dillon...” chiese esitante. “Ma tu stai leggendo tutti i miei pensieri adesso?”

“No, non proprio. Non so ancora bene come funziona.” rispose lui senza capire stringendo forte un nodo. “Perché me lo chiedi?”

“Niente.” mormorò Laura sollevata che Dillon in quel momento fosse più interessato alla consistenza delle lenzuola. Doveva essere impazzita per fantasticare su certe cose in una situazione come quella.

“Ecco fatto, dovrebbe reggere.”disse Dillon assicurando la fune ad un mobile massiccio e gettandone l'estremità fuori dalla finestra. La corda era venuta fuori piuttosto lunga e pur non arrivando esattamente fino a terra avrebbe permesso loro di superare un gran tratto della discesa. Dillon afferrò con una mano la fune, preparandosi a scavalcare il davanzale. “Cerca di aggrapparti forte sulle mie spalle, mentre io mi calò giù.” spiegò a Laura. “Dovrebbe reggerci entrambi.”

Laura annuì e si alzò faticosamente dalla sedia. Le faceva male la testa e si sentiva debole. Per poco non ebbe un giramento mentre si avvicinava a Dillon. “Ti sentì bene?” chiese lui allarmato. Laura non fece in tempo a rispondere. La porta della camera si aprì di scatto e Louis fece la sua comparsa accompagnato da una ventina di vampiri ammantati di nero.

I suoi occhi rossi lampeggiarono mentre sorrideva crudelmente.

“Benvenuto Dillon!” 

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Capitolo 44
*** Capitolo 43 ***


CAPITOLO 43

Laura osservò lo sguardo spiritato di Louis e la piega crudele della sua bocca mentre sorrideva tronfio e sentì un brivido correrle lungo la schiena. Dillon estrasse velocemente una delle sue pistole e la puntò contro Louis mentre con l'altra mano, afferrò lei per la vita, spingendola dietro di sé per farle scudo con il proprio corpo.

Ma come?”continuò Louis “ Vai già via prima di godere della nostra ospitalità. Non sei molto educato.” Laura vide la corda di lenzuola riavvolgersi da sola ai piedi di Dillon e udì lo scatto meccanico della finestra che si richiudeva dietro di loro.

Non fare un altro passo.” esclamò Dillon minaccioso. “Hai già visto cosa può fare quest'arma, Louis, ed ora è puntata diritta alla tua testa. Non costringermi a fartela esplodere.” Laura appoggiata contro le spalle di Dillon

osservava la scena con il cuore in gola, stringendo debolmente tra le dita il cappotto di pelle dell'amico. Sotto poteva sentirgli contrarre i muscoli per la tensione. Ma il tono della sua voce era fermo e controllato mentre fronteggiava Louis.

Come siamo sgarbati.” disse Louis arricciando le labbra. “Per spararmi dovresti riuscire come minimo a premere il grilletto.”

Laura guardò le dita di Dillon strette intorno all'impugnatura della pistola che cominciavano ad allentare la presa. Louis ridacchiò, facendo segno agli altri vampiri di non intervenire. Sembrava divertirsi un mondo.

Dillon fissava Louis furente, stringendo i denti, lottando per non farsi togliere l'arma. Laura vide delle gocce di sudore cominciare a rigargli la fronte e gemette impaurita. “Laura.” mormorò Dillon nella sua mente. “ Infila la mano sotto la mia giacca e prendi l'altra pistola dalla fondina.”

Cosa?” pensò Laura sussultando per la sorpresa.

Devi prenderla e sparare contro la finestra.” continuò lui, con un tono sofferente. “Fai presto! Non so per quanto potrò resistere ancora.”

Laura girò lo sguardo su Louis e vide che non le prestava la minima attenzione, troppo preso a mantenere il contatto visivo con Dillon. Non stava nemmeno cercando di bloccare lei, probabilmente considerandola troppo debole perché i suoi movimenti potessero allarmarlo. Laura si strinse più forte contro la schiena di Dillon, come a volerlo abbracciare, e fece scivolare la mano sinistra sotto il cappotto di pelle nera, coprendo il suo gesto con il mantello di Aro. Trovò facilmente la pistola, accanto alla scapola di Dillon, e cercando di fare più presto possibile si girò contro la finestra e sparò un colpo, chiudendo forte gli occhi mentre premeva il grilletto. Si sentì afferrare e gettare in terra mentre un'esplosione violenta scaraventava i frammenti infuocati della cornice della finestra contro i vampiri. Sul pavimento vide Dillon, con la pistola ancora in pugno, afferrare la cima della corda con l'altra mano. “Afferrati a me!” le gridò velocemente Dillon rotolando su di un fianco. Laura gli cinse con le braccia la vita e una spalla più forte che poteva. Dillon, senza alcuna fatica, scattò in piedi portandola sulle spalle e in un lampo saltò oltre il davanzale.

 

Caddero nel vuoto per alcuni istanti, mentre la corda si tendeva completamente e oscillando li fece andare quasi a sbattere contro il muro.

Dillon però fu più veloce e lasciò la corda all'ultimo momento, issandosi Laura sopra la schiena ed atterrando sull'erba del giardino delicatamente come un gatto. La ragazza sentì la testa che le girava a mille, mentre Dillon si rialzava in piedi e tenendola a cavalluccio cominciava a correre all'impazzata. “Sei stata grande” le gridò mentre correva “Era un ottimo colpo. Avevi già sparato prima?” Laura seppur stravolta, abbozzò un sorriso. “Solo al luna park...”

Appena starai meglio ti ci porto, promesso.” aggiunse Dillon, con il respiro affannato per l'ansia, voltando leggermente il volto per ricambiare il sorriso.

Dillon si fermò di colpo e lei istintivamente alzò gli occhi. Decine di figure nere erano comparse sopra il perimetro delle mura intorno a loro. Dillon ripiegò verso un lato del giardino dove si trovava un edificio basso di pietra.

Sembrava un vecchio magazzino restaurato o qualcosa del genere.

La stanza era stretta e lunga, si distingueva appena un sipario di velluto davanti alla parete di fondo, mentre ai due lati erano accatastate delle sedie di legno con il cuscino di velluto rosso. Doveva essere una sala conferenze o qualcosa del genere. Quando Dillon chiuse la porta, la stanza piombò nel buio, ma lui continuò a muoversi tranquillamente con lei in braccio come se ci vedesse benissimo. Probabilmente era così. Laura si sentì appoggiare su una sedia e sfiorò un pesante tessuto di velluto intorno a lei. Doveva trovarsi dietro il sipario “Resta qui. Qualunque cosa accada.”le raccomandò Dillon nell'oscurità “Cerca di non agitarti e di respirare piano.”

Laura annuì senza avere la più vaga idea di come avrebbe fatto a mantenere la calma. Aveva già le pulsazioni a mille. I suoi occhi piano piano si abituarono al buio e afferrò con le mani tremanti un'estremità della tenda per poter sbirciare cosa stava succedendo. Intravide Dillon al centro della stanza che dopo aver buttato il suo cappotto in un angolo, caricava entrambe le pistole e le teneva pronte in mano, assicurandosi che i due pugnali che portava alla cintura fossero ancora al loro posto.

Un attimo dopo le finestre del locale si spalancarono di colpo tutte insieme inondando la stanza con la luce della luna come una serie di riflettori. Dillon, al centro, aspettava calmo, senza muoversi e senza tradire alcuna ansia. Laura riusciva a distinguergli chiaramente solo i riflessi bianchi dei suoi capelli biondi. In un attimo comparvero una decina di figure nere che iniziarono a circondare il ragazzo in un cerchio sempre più stretto. Dillon non sembrava affatto spaventato, al contrario ruotava lentamente su sé stesso osservando la scena con interesse quasi pregustandosi lo scontro imminente.

E adesso balliamo!” gli sentì mormorare con il sorriso sulle labbra.
 

Per un attimo Laura non vide più niente, come se la stanza fosse vuota. Tutto quello che riusciva a percepire erano i continui e violenti spostamenti d'aria che facevano ondeggiare la tenda. Ad un tratto un grido orribile ruppe il silenzio e la ragazza vide una sagoma umana bruciare, consumandosi immediatamente. Dillon doveva aver colpito un vampiro. La scena si ripeté diverse volte finché Laura riuscì per una frazione di secondo a intravedere Dillon, con una manica della camicia stracciata, fermo in una posizione di attacco, che squadrava le figure nere intorno a lui con uno sguardo feroce. I vampiri si mossero di nuovo e Dillon con loro e tutto fu di nuovo un caos di linee sfreccianti che facevano fischiare l'aria. La ragazza tremò e si strinse nel mantello rifugiandosi dietro la tenda. Non faceva che ripetersi che tutto sarebbe andato bene e che Dillon sapeva quello che stava facendo, che era un cacciatore di vampiri ed era in grado di difendersi da quelle creature. Eppure perfino lei poteva immaginare che il suo amico non ne aveva mai affrontati così tanti in una volta sola e non poteva fare a meno di essere terrorizzata. Pregò mentalmente per Dillon e per sé stessa, per i suoi genitori a casa, perché quell'incubo che stava vivendo potesse avere fine.

Quando all'improvviso due mani invisibile le afferrarono la vita e la trascinarono via, non fece nemmeno in tempo a gridare.

 

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Capitolo 45
*** Capitolo 44 ***


CAPITOLO 44



Laura!” gridò Dillon cercando di farsi un varco in mezzo alle file dei vampiri che continuavano ad accerchiarlo. Decise che era arrivato il momento di cambiare arma e dopo aver abbattuto altri due vampiri infilò le pistole velocemente nelle fondine sostituendole con i pugnali. Jasper aveva avuto ragione. Le lame erano fatte di un raro metallo particolarmente duro ed affilato che in mani forti come quelle di Dillon, riuscivano ad affondare nei corpi dei vampiri come burro. Con un movimento ad x Dillon superò corpo a corpo ogni figura che gli si parava davanti, aggirando le dita adunche e i denti affilati che cercavano disperatamente di ghermirlo. Aveva ricevuto parecchie ferite superficiali sulle braccia a sul torace che gli bruciavano ma non gli importava di niente. La sua unica meta in quel momento era la sagoma rossa del vestito di Laura, che un vampiro si era caricato sulle spalle con un sacco facendole capovolgere il mantello lungo la testa e stava portando via. Dillon riuscì ad uscire dal granaio lasciandosi una scia di cadaveri dietro di sé e si voltò soltanto appiccare fuoco contro le carcasse con un colpo di pistola. Continuò a correre come il vento in mezzo al prato inseguendo il rapitore fino alle mura. Non poteva sparargli per timore di colpire Laura e cercò di superarlo per tagliargli la strada a strappargli la ragazza dalle mani. Così fece ma il vampiro sembrava aspettarsi quella mossa perché scartò di lato facendo un balzo altissimo. Dillon ringhiò vedendoselo sfuggire e prendendo lo slancio contro il muro, saltò, raggiungendolo alla stessa altezza. Si sorprese di riuscire ad arrivare così in altro. Doveva essere ad una decina di metri da terra. Dieci metri. La sua mente tornò al racconto di Samuel la prima volta che gli aveva parlato dei vampiri.

L'unica alternativa era che l'assassino fosse scappato saltando dal tetto su quello dell'edificio accanto. Ma era impossibile.”

E perchè era impossibile?”

Perchè avrebbe dovuto fare un salto di almeno dieci metri.”

Oh" sussultò Dillon.

Così realizzai la sconcertante verità."concluse Samuel "L'assassino non era un essere umano."

Dillon rielaborò tutto nella frazione di pochi secondi mentre tendeva le mani per afferrare il vampiro. Quella nuova scoperta delle sue capacità e delle sue analogie con i vampiri stavolta non lo spaventò, ma servì solo a fomentarlo di più mentre agguantò il vampiro per trascinarlo giù a terra insieme a Laura. Il vampiro ghermito fece un gesto estremo che gelò il sangue nelle vene di Dillon: il mostro lanciò Laura verso l'altro sopra di loro, facendola roteare nell'aria come fosse una bambola di pezza contro le mura del castello. Un altro vampiro la prese al volo e la portò via. Un “no!” disperato uscì dalla gola di Dillon mentre cadeva ancora attaccato al corpo del vampiro. Questi ne approfittò per colpirlo con un pugno all'addome non appena toccarono terra, facendolo volare sull'erba per diversi metri. Dillon riuscì ad alzarsi, piegato su sé stesso per il dolore e sputò un fiotto di sangue. Il vampiro attratto dall'odore stava per abbattersi su di lui ma Dillon, rimanendo in ginocchio, estrasse una pistola e lo colpì facendolo andare a fuoco. Si rialzò barcollando, con una mano premuta sul un fianco e riprese a correre disperatamente cercando un modo per superare le mura prima che gli altri vampiri sopravvissuti al granaio incendiato potessero raggiungerlo. Percorsi alcuni metri si ritrovò proprio sotto la fune di stoffa che penzolava ancora dalla finestra della camera di Laura. Nessuno aveva pensato di toglierla, fortunatamente, ed era a pochi metri da lui. Dillon si premette nuovamente la mano sull'addome, poi stringendo i denti prese la rincorsa e spiccò un salto afferrando al fune con entrambe le mani. Aiutandosi con i piedi risalì la parete, soffocando il dolore e raggiunse il davanzale della finestra. Dei vampiri non c'era più traccia.

Dillon attraversò la stanza che fino a poco prima aveva ospitato la sua amica, guardandosi attorno con un'ansia crescente e dopo aver estratto una pistola aprì la porta del corridoio chiedendosi cosa vi avrebbe trovato.

Deserto. Non si sentiva volare una mosca. Dillon s'insospettì e provò ad usare la telepatia. Aveva un mal di testa atroce e le tempie gli pulsavano dolorosamente, ma tentò lo stesso. Dei pensieri giunsero nella sua mente e cominciarono a farsi sempre più nitidi mano a mano che si avvicinava nella direzione da cui provenivano. Dillon aprì altre porte e percorse altri corridoi e si trovò al secondo piano di un portico che si affacciava su un cortile dalla forma di un triangolo irregolare. Nel cortile era riunita una fitta schiera di figure incappucciate, i cui mantelli scuri variavano dal grigio al nero. Tutti i vampiri alzarono contemporaneamente lo sguardo verso di lui facendo scintillare i loro occhi rossi nella penombra. Dillon percorse velocemente con lo sguardo il cortile e i suoi occhi incontrarono quelli di Laura, in fondo al lato opposto del cortile, tenuta ferma per le braccia da una vampira donna. Accanto a loro c'era Louis, insieme ad altri cinque vampiri che Dillon aveva già visto nei ricordi di Renesmee. Nessuno di loro era invecchiato di un secondo da allora, specie i due eterni adolescenti Jane ed Alec. Dillon li riconobbe subito, sostenendone lo sguardo di sfida e immagino che gli altri tre vampiri, dall'aspetto adulto, fossero i tre signori di Volterra. Quello, più alto, al centro, senza mantello con i capelli lunghi neri, era l'unico che non lo guardava con aria ostile, ma affascinata. Aro.

Dillon impiegò per un secondo per associare il mantello nero che pendolava sulle spalle esili di Laura con fatto che Aro fosse l'unico a non portarlo, e sentì un brivido di terrore lungo la schiena. Quanto le si era avvicinato?

Louis ruppe il silenzio “Allora Dillon, ci arrendiamo?”chiese col suo tono sardonico. Quelle parole gli fecero salire una rabbia cieca. Dimenticando il dolore, dimenticando ogni altra cosa tranne Laura, Dillon estrasse i pugnali e fece un balzo oltre il davanzale del loggiato “Mai” gridò nell'aria, mentre calava giù come un angelo vendicatore.
 

Aro osservava affascinato, quasi compiaciuto, il modo con cui il giovane cacciatore combatteva furiosamente contro i vampiri della sua guardia.

Nonostante gliene stesse uccidendo parecchi, il suo interesse non faceva che crescere. Velocemente si era spostato su una balconata, seguito dai suoi, per vedere meglio la situazione “Straordinario!” esclamò estatico. “Non ho mai visto nessun umano lottare da pari a pari contro un'armata di vampiri!”

Incassa bene i colpi.” ammise Caius. “Cosa aspettiamo per farlo a pezzi?”

Non prima di aver carpito i suoi segreti.” protestò Aro sollevando una mano. “Devo sapere come può un umano arrivare a tanto.”

Te l'ho detto, mio signore.” intervenne Louis compiaciuto. “E' molto più che umano. Nessun umano si muove alla velocità del vento.”

Voglio che sia catturato vivo ed imprigionato.” ordinò Aro rivolto ad Alec e Jane. “ Occupatevene voi due. Immediatamente.” Jane sorrise, lieta che fosse arrivato il suo momento e si concentrò sul cacciatore. Subito dopo però, il sorriso le si congelò sul volto.

Mio signore...” balbettò confusa. “Non può essere.”

Cosa succede?” chiese Aro perplesso.

Non riesco a colpirlo. La sua mente sembra... impenetrabile.”

Provo io.” disse Alec. Ma ben presto capì che ogni sforzo inutile. “Deve avere uno scudo mentale! Come...”

Bella Swan!” concluse la sorella ringhiando piena d'odio.

Incredibile!” esclamò Aro sempre più interessato. “Devo avere quel ragazzo! Qualcuno trovi un modo di fermarlo prima che stermini tutta la guardia.”

Col tuo permesso, mio signore.” intervenne Louis facendosi avanti, con lo sguardo fisso sul cortile. Proprio in quel momento, Dillon stava finendo due vampiri a colpi di pugnale e guardò per un attimo verso di loro con una furia omicida negli occhi. “Adoro quel ragazzo.” commentò Louis sarcastico mentre gli occhi cremisi gli scintillavano.

Ad un tratto le guardie che stavano combattendo furono sollevate per diversi metri e rimasero sospese nell'aria. Dillon per un attimo rimase sbalordito ma si riprese in fretta ed estratte le pistole cominciò a colpirli a distanza. I corpi dei vampiri in fiamme caddero nel cortile come meteore.

Dillon si spostò agilmente per evitare che gli piombassero addosso e continuò a sparare. “ Il ragazzo, non demorde.” osservò Aro, divertito.

Louis allontanò ancora di più le guardie da terra finché a Dillon non restò nessuno contro cui battersi. “Arrenditi!” gli intimò Louis. “ Getta le armi.”

Voi siete i prossimi!”gridò furioso con tutta la forza che aveva in corpo.

Louis rise. “Non credo proprio.” si volse verso Crystal che ad un suo cenno lasciò Laura permettendo a Louis di sollevarla verso l'alto.

Lasciala andare!”gridò Dillon sconvolto.

Si farebbe male da questa altezza se la lasciassi. E questo che vuoi?”ribattè Louis ridacchiando.

Bastardo!” gli urlò contro Dillon infuriato. Con uno scatto Dillon si portò esattamente sotto la posizione di Laura, guardandola impotente mentre fluttuava nell'aria agitando le gambe. Cercò di saltare più in alto che poté per poterla afferrare ma non ci riuscì. Il dolore al fianco lo tormentava dolorosamente ma strinse i denti e saltò di nuovo. Era tutto inutile. Non riusciva nemmeno a sfiorarla.

Getta le armi” gli ordinò di nuovo Louis.

Dillon stavolta non protestò e lasciò cadere in terra i pugnali e le pistole con un gesto spazientito, mentre Laura veniva posata di nuova terra e riconsegnata alla custodia di Crystal.

A quel punto Louis concentrò il suo sguardo su Dillon e prima che questi avesse il tempo di reagire, lo scagliò contro la parete del cortile con un impatto violento. Il ragazzo scivolò lungo la parete e cadde al suolo privo di sensi. “Dillon!” cercò di gridare Laura con voce fioca.

Louis compiaciuto le accarezzò il volto con una mano e si rivolse ad Aro. “Vedi, mio signore, è facile abbattere un avversario quando sai dove colpirlo.”

Aro guardò il volto esangue della ragazza terrorizzata con un sorriso crudele e si girò verso le guardie rimaste. “Prendete il ragazzo e imprigionatelo. Lo voglio vivo. Mi serve ancora, per il momento.”


 

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Capitolo 46
*** Capitolo 45 ***


Al telefono, Edward fu molto chiaro quando diede le disposizioni per la partenza. Soltanto Alice, Bella e Jasper avrebbero dovuto raggiungerli a Londra. Gli altri sarebbero rimasti al castello. Emmett e Renesmee tentarono di protestare ma Edward fu irremovibile. “Qualcuno deve restare a proteggere le donne, Emm, in caso di pericolo. Carlisle non potrebbe farcela da solo.” ribadì Edward. Questo ameno in parte riuscì a calmare Emmett. “ E ci servirà un supporto esterno, in caso noi non potessimo fare ricerche o telefonate. Dobbiamo individuare il luogo dove i Volturi hanno condotto Dillon e tengono prigioniera la ragazza. Ogni aiuto possibile sarà prezioso.”

Se Emmett si convinse dopo quella spiegazione, Renesmee fu a dir poco furiosa: pretendeva di dover partire anche lei. “E' mio figlio! Ne sono sicura.” ribadiva per l'ennesima volta. «Non ci saresti di alcuna utilità in caso di uno scontro, Renesmee.» le aveva risposto Edward pur sapendo di ferirla. «C'è il rischio che per proteggere te, Dillon non riceva abbastanza protezione.» A quelle parole Renesmee aveva ceduto.Senza aggiungere altro aveva concluso la chiamata ed era corsa a rinchiudersi in camera sua.


 

Edward e Jacob non dovettero aspettare troppo a lungo l'arrivo degli altri.

Jasper lasciò la porsche al castello per ripiegare sulla velocità naturale dei vampiri e in poche ore fu a Londra con le ragazze.

All'areoporto c'era una fila lunghissima di persone in attesa di fare il biglietto. «Accidenti!» sbraitò Edward. «Possibile che abbiano deciso di partire tutti oggi?»

«Si libereranno sei posti tra un paio d'ore. Non ci resta che aspettare.» disse Alice dopo aver scrutato il futuro.

«E il sesto per chi sarebbe?» chiese Jasper sorpreso.

Edward come risposta si girò ed incrociò lo sguardo di Samuel che era appena arrivato con un trolley in mano. «Vi presento il detective Samuel Freeman, l'amico di Dillon. Samuel, questi sono due dei miei fratelli adottivi Alice e Jasper e lei è Bella mia moglie.»

Samuel annuì e fece un sorriso forzato. «Lieto di conoscervi. Bene, adesso immagino che la prima tappa del viaggio sia Roma.»

«E' sicuro di voler venire? Potrebbe essere troppo pericoloso.» gli fece notare Edward preoccupato.

«Non ho intenzione di abbandonare quel ragazzo.» ribattè Samuel. «Mi sento in parte responsabile per averlo messo su questa strada.»

«Se Dillon è davvero uno di noi, era destinato comunque ad affrontare i Volturi presto o tardi.» spiegò il vampiro «Non è colpa sua, Samuel.»

«Dillon non vorrebbe che lei rischiasse la vita.» intervenne Bella. «Lei ha moglie e figli, vero?»

«So di non potermela cavare di fronte ad un'armata di vampiri e non intendo buttarmi corpo a corpo in una mischia. Ma il mio apporto nelle indagini vi sarà utile, credetemi. Ho anche qualche contatto in Italia che potrebbe esserci di aiuto. Vi seguirò fin dove posso e non tornerò indietro finché non avrò riportato a casa sano e salvo quel ragazzo.»

Il gruppetto lo guardò con gratitudine ed Edward annuì con un sorriso.

«Va bene.»disse porgendogli la mano. «Siamo d'accordo.»

Samuel esitò per un attimo«Ehm...»balbettò imbarazzato.

«Non importa. Stia tranquillo.» rispose il giovane comprensivo ritirando la mano. Ad interrompere quel breve attimo di tensione fu lo squillo del cellulare di Edward. «E' Esme.» annunciò sorpreso.

«Mamma, dimmi. Va bene, ti metto in viva voce.»

«Ascoltate.» esclamò la voce di Esme all'altro capo del telefono. «So dove si trova Dillon.»

 

La prima sensazione che Dillon ebbe al suo risveglio fu quella della pietra fredda contro cui premevano la sua guancia e il palmo della sua mano. La seconda fu la tremenda fitta di dolore al fianco quando provò ad alzarsi. Si sentiva tutto il corpo indolenzito e pieno di lividi. Le mani erano piene di escoriazioni. Non si era mai sentito così spossato prima d'ora, pensò dolorante.

"Era ora che ti svegliassi. Saranno passate ventiquattr'ore almeno. Temevo di averti colpito troppo forte." disse l'odiosa voce di Louis poco distante. Dillon si voltò e mise a fuoco la stanza. Era in una cella priva di finestre, dalle pareti di pietra spessa e massiccia. L'unica fonte di luce veniva dalle torce nel corridoio. Louis si trovava sulla soglia con le braccia conserte e lo guardava compiaciuto. Dillon trattenendo il fiato si sollevò sui gomiti e lanciò a Louis un'occhiata carica di odio.

"Dov'è Laura?" sibilò furente.

"Sta bene." rispose Louis asciutto. "Si trova di sopra adesso e se vuoi che continui a star bene ti consiglio di seguire le mie istruzioni alla lettera. Direi che hai fatto abbastanza l'eroe."

Come hai fatto a trovarmi?” chiese Dillon mettendosi faticosamente in ginocchio.

Sapevi dov'ero e con chi ero.” aggiunse ricordando i particolari della telefonata.

Verissimo.” confermò Louis. “Ho sempre saputo dove ti trovassi. E' molto tempo che ti tengo d'occhio, mio caro.” Poi vedendo lo sguardo interrogativo di Dillon, ridacchiò. “Il tuo cellulare! Con la giusta tecnologia a disposizione è molto semplice rintracciare una persona. Se speravi avessi usato qualche fantomatico potere vampiresco mi dispiace deluderti. Personalmente oltre all'uso della telecinesi sono un grande sostenitore dei moderni mezzi di comunicazione.”

Dillon non replicò ma dopo essersi alzato faticosamente in piedi seguitò a fissare l'avversario pieno di ostilità. Louis sogghignando fece entrare nella cella per mezzo della telecinesi alcuni oggetti che dispose lungo la parete: uno specchio a figura intera, un catino pieno d'acqua, ed una gruccia con sopra appesa la custodia di un vestito che andò ad appendersi ad un gancio. In ultimo fece sfilare un paio di asciugamani bianchi piegati in due e una boccetta di bagnoschiuma. "Bene, torniamo a noi. Aro vuole vederti. Datti una ripulita e cambiati. Senza offesa, ma puzzi un pochino." Fece una pausa e fece posare le ultime cose accanto alla bacinella d'acqua. Dovrebbe essere esattamente della taglia. " continuò accennando al vestito. "Penso che ti starà una favola. Non metterci troppo, torno a prenderti tra dieci minuti."Il vampiro fece un passò indietro e la porta massiccia si richiuse con uno scatto pesante. facendo scattare la serratura a doppia mandata. Dillon avrebbe voluto prendere tutta quella roba e spaccargliela in testa ma si sforzò di trattenersi.

Non aveva alcuna voglia di eseguire gli ordini di Louis, ma sapeva di non avere scelta se voleva ancora una possibilità di salvare Laura. Mentre cominciava a slacciarsi la camicia madida di sudore, si chiese quale potesse essere il significato di quel trattamento: vestiti puliti, acqua calda, sapone... Era un ospite o un prigioniero? Sicuramente Aro voleva qualcosa da lui, altrimenti lo avrebbe già ucciso. Poteva essere un inizio, pensò Dillon avvicinandosi alla bacinella a torso nudo, forse poteva trattare per ottenere la liberazione di Laura. Fece un respiro profondo e decise di assumere un atteggiamento il più calmo possibile ed agire con lucidità. Forse poteva usare la sua telepatia e cercare di scoprire le intenzioni di Aro, durante il colloquio.

Bene” si disse ironico immergendo le mani nell’acqua. “facciamoci carini allora, non sia mai che i vampiri si lamentino.” Si lavò il viso e si pettinò i capelli all’indietro con le dita bagnate, poi esaminò le ferite e le tamponò con un asciugamano bagnato, gemendo per il dolore. Nonostante la situazione, trovò gradevole il contatto dell’acqua calda sulla sua pelle.

Una volta ripulito e asciugato aprì la cerniera della fodera e scoprì un raffinato completo scuro provvisto di una camicia bianca di ottimo taglio che indossò malvolentieri. Non gli era mai piaciuto indossare roba costosa ed elegante, ed in quel momento ancora meno. Una volta rivestito osservò distrattamente il suo riflesso nello specchio. Era orribile a dirsi ma in effetti con il volto divenuto pallido, i capelli umidi e l'impeccabile vestito scuro, somigliava... ad un vampiro.

La porta si riaprì rivelando un Louis gongolante che lo aspettava. “Sei uno schianto, mio caro. Dovresti vestirti così più spesso. Non ti offendere ma quel tuo look alla Matrix ormai è obsoleto. Ma guardati! In altre circostanze dovremmo uscire insieme e far strage di cuori. Ma già, tu sei mezzo impegnato con quella ragazza. Bè ancora per poco...” Dillon fece appello a tutte le sue forze per non dargli un pugno in faccia. “Come hai saputo di lei?” chiese fremendo di rabbia.

Come ho detto ti tenevo d'occhio e ho visto che ultimamente ti sei dato al volontariato. Molto dolce da parte tua. La ragazza non è malaccio, un po' troppo gracilina. Credevo avessi dei gusti migliori...”

Smettila! Non nominarla più se non per dirmi che la lascerei andare. Sono qui no? Erano questi gli accordi.”

Gli accordi non prevedevano che arrivassi furtivamente al castello e attaccassi la guardia reale.” replicò Louis severamente.

Dillon non battè ciglio. “Dovevo tentare.” rispose semplicemente.

Sarà meglio affrettarci” disse Louis “Aro ti sta aspettando. Se vuoi salvare la tua amica ti consiglio di non irritarlo e non fare colpi di testa.” Dillon notò con sorpresa che il cambiamento nel tono di Louis: sembrava sinceramente ansioso, come preoccupato. Per un attimo quasi non lo riconobbe. Ma quella sensazione durò un istante.

«Ma tu chi sei esattamente?» gli chiese mentre si avviavano lungo il corridoio. «Un membro della guardia?»

«Una specie.» rispose Louis evasivo con un sorrisetto compiaciuto.

Dillon non ne era convinto. «Perché non porti il mantello come le altre guardie allora?»

Louis arricciò il naso, seccato. «Perché non mi dona affatto.»

Dillon tentò a leggere i pensieri del suo rivale ma il dolore pulsante che avvertiva alle tempie glielo impedì. Eppure il suo istinto gli diceva che Louis gli nascondeva qualcosa. Non riusciva a capire perché ma il suo atteggiamento aveva un che di indipendente che lo rendeva diverso da un semplice emissario dei Volturi. E anche più pericoloso. Quando arrivarono di fronte alle porte massicce di un salone, Louis si voltò verso di lui tradendo un certo nervosismo. «Mi raccomando ricorda cosa ti ho detto.» Dillon sospirò a fondo e fissò le porte che si aprivano davanti a sé.

Sullo sfondo di una grande sala, circondata da busti di marmo, i tre Volturi sedevano su tre sedie di legno massiccio circondati dalla loro corte ammantata di nero. Gli occhi di Aro sembrarono quasi ingrandirsi quando si puntarono su Dillon.

Il ragazzo fissò a suo volta il temibile vampiro millenario: Aro, il più potente del trio, colui che poteva leggere nel passato delle persone con un semplice tocco. Forse avrebbe potuto vedere anche nei suoi ricordi e dargli le risposte che cercava. Dillon tremò leggermente pensando che in fondo aveva desiderato quell'incontro quanto lo aveva temuto.

«Molto bene.» cominciò Aro con un tono imperioso rivolgendosi a Dillon e Louis. « Venite avanti.»

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Capitolo 47
*** Capitolo 46 ***


 
 

Brefve capitolo per farmi perdonare la mia assenza. Ho avuto una bambina tre mesi fa che assorbe tutto il mio tempo ma cercherò di riprendere la storia appena possibile. Un bacione.




Dillon procedette senza alcuna fretta mentre Louis prendeva posto accanto ai membri della guardia. Lanciò un ultimo sguardo preoccupato a ragazzo e Dillon poté percepire chiaramente a cosa stava pensando. “Cerca di non farti ammazzare.”
Perché Louis ci teneva tanto a tenerlo in vita? E cosa volevano da lui i Volturi?
Si concentrò sui tre vampiri seduti in posa regale, e cercò di coglierne i pensieri.
Caius non si preoccupava affatto di nascondere la sua ostilità ed era piuttosto contrariato dell'udienza che Aro stava concedendo al cacciatore. Marcus non tradiva emozioni particolari ma sembrava abbastanza interessato a lui. Dillon si accorse che era piuttosto abile nel tenere la mentre sgombra da ogni pensiero rivelatore. Si chiese se si stesse schermando da lui o fosse abituato a farlo per via di Aro. Quest'ultimo sembrava entusiasta di vederlo come se gli avessero portato un regalo di compleanno. Tratteneva a stento la sua curiosità e la sua mente spaziava sui poteri e le potenzialità di Dillon. Quando il ragazzo si fu avvicinato abbastanza, il vampiro si alzò in piedi e gli mosse incontro. “Dillon Baxter” esclamò Aro. “ Non posso negare che immenso piacere sia per me incontrarti nonostante il tuo arrivo impetuoso ci abbia un tantino infastidito. Non si può dire che ti sia presentato in modo educato.”
“Chiedo scusa” rispose Dillon ironico. “Mi dispiace davvero avervi dato un'impressione così sgradevole. Di solito sono un modello di educazione, tranne in certi casi, come ad esempio quando la mia migliore amica viene sequestrata nonostante le sue precarie condizioni di salute.” Finì la frase accigliandosi e alzando il tono della voce. Louis gli gettò uno sguardo allarmato, ma Aro non sembrò irritarsi per quella risposta.
“Certo, non si può dire che tu non abbia avuto una buona causa, eppure ti erano state date delle indicazioni chiare su quello che dovevi fare per salvare la tua amica.”
“Non sono il tipo da sottomettersi alle richieste degli altri.” ribatte il ragazzo.
“Ti capisco.” fu la risposta calma di Aro. “Nemmeno io di solito amo farmi imporre le cose, ma a volte nella vita, mio giovane amico, siamo costretti ad accettare dei compromessi.” Dillon percepì che stava ripensando alla sconfitta che aveva subito dai Cullen e a come era stato costretto a ritirarsi per mantenere la parola data davanti a tanti testimoni.
“Spero mi perdonerai se interrompo i tuoi consigli paterni, Aro” intervenne Caius “Ma ora che ti abbiamo portato il ragazzo cosa aspetti a esaminarlo così dopo potremo fare ciò che dobbiamo?”
“Cioè uccidermi.” concluse Dillon senza alcuna paura. “ Forse non hai sentito bene i suoi consigli paterni, ma Aro non gradisce che gli si dica quello che deve fare.”
La guardia trasalì udendo la sfrontatezza con cui un umano parlava ad uno dei loro signori, Caius stesso ne rimase scioccato oltre che adirato, mentre Aro invece sembrava divertirsi un mondo. “Il ragazzo ha carattere, fratello! Devi ammetterlo.”
Caius si alzò in piedi e in un battito di ciglia fu di fronte a Dillon che non s'impressionò minimamente. “Quello che ammetto” sbraitò il vampiro” E' che vorrei ucciderlo subito qui su due piedi.”
“Stavo pensando la stessa cosa di te. Nemmeno a me piacere perdere tempo.” gli rispose ostile Dillon.
“Sarebbe un peccato uccidervi proprio ora che avete scoperto di avere tante cose in comune.” esclamò Louis. Caius si spostò di fronte a lui continuando a digrignare i denti. “Attento, Dupont. Neanche tu mi piaci, quindi non provocarmi.”
“Non ci penso nemmeno. In quel caso però posso schierarmi con Dillon?
A quel punto Aro si alzò e sollevò la mani per sedare la discussione.
“Basta così, adesso!” sentenziò severamente. “Tornate ai vostri posti e tu Dillon avvicinati. Ho bisogno di interrogarti e confido di avere la tua collaborazione visto che la tua amica è ancora nelle nostre mani. Stavolta temo che tu non abbia margine di scelta.”
Dillon non si scompose, si aspettava quel momento e facendo un passo avanti, tese la sua mano verso quella di Aro. “Molto bene.” commentò l'altro soddisfatto.
Dillon provò un senso di repulsione quando il vampiro gli strinse i palmi gelidi intorno alla mano ma subito si rianimò quando si accorse dell'espressione perplessa di Aro. “Hai uno scudo mentale!” esclamò il vampiro interessato. “Avevate ragione.” aggiunse gettando uno sguardo verso Alec e Jane. “La sua mente è ancora più impenetrabile di quanto pensassi. Erano anno che non vedevo una cosa del genere.
“Possiamo sempre interrogarlo alla vecchia maniera” osservò Caius “Esistono interessanti tecniche di tortura che non sperimentiamo da un po' di tempo.”
“Posso sollevare il mio scudo ed aprirti la mia mente.” disse Dillon rivolgendosi ad Aro, ignorando completamente Caius. “Mi hanno insegnato come fare. In cambio vorrei una piccola cortesia. Voglio vedere se Laura sta bene.”
“Non sei nella posizione di dettare condizioni.” urlò Caius quasi ringhiando.”
“Non credo.” ribattè Dillon. “Potete uccidermi, uccidere la mia amica, torturami e estrarmi una buona parte delle informazioni che cercate, ma ce ne sono altre ignote perfino a me, a cui Aro può accedere e su cui scommetto sia ansioso di mettere le mani. Sarò lieto di mostrargli ogni cosa se mi fa vedere solo per un momento la mia amica. Oppure può tenersi la curiosità per i prossimi secoli a venire.”
Caius fece per protestare ma Aro lo trattenne con un gesto. “Non mi sembra poi questa gran richiesta.”osservò. “Molto bene. Louis, fai portare qui la ragazza.”
Louis lasciò immediatamente la sala. “Sai, Dillon” riprese Aro. “Abbiamo offerto alla tua amica la possibilità di diventare una di noi.” Dillon impallidì e fece uno sforzo immane per controllarsi. “Ma lei ha rifiutato quasi con disprezzo direi. E' stata piuttosto decisa ed audace.” Dillon rivide nella mente di Aro i particolari di quella conversazione e si sentì orgoglioso di lei. “Non mi aspettavo nulla di meno.” disse in tono fiero. “Se pensi di fare la stessa proposta anche a me ti consiglio di risparmiare il fiato.”
Aro aggrottò le sopracciglia ma qualcosa attirò la sua attenzione. Dillon si voltò e vide che Louis era tornato insieme alla vampira che teneva in ostaggio Laura. La ragazza si appoggiava a malapena in piedi, aveva un viso esausto ma sembrava ancora abbastanza in forze per affrontare la situazione. Dillon sentì una stretta allo stomaco ma quando si mosse per andare verso di lei ecco che fu trattenuto dai vampiri della guardia che gli si pararono davanti alla stessa velocità con cui si era mosso lui. Il ragazzo si trattenne malvolentieri da un nuovo scontro e si limitò a lanciare delle occhiate piene di ansia a Laura. “Stai bene?” le disse incurante degli sguardi degli altri. Laura annuì con un cenno del capo. Sembrava molto più preoccupata per lui che per sé stessa. La voce di Aro lo richiamò alla situazione attuale. “Dillon.”disse in tono imperioso. “Ora l'hai vista. Tocca a me ora vedere ciò che mi interessa.”
Dillon si mosse lentamente verso di lui e sostenendo lo sguardo penetrante di Aro gli porse la mano.

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Capitolo 48
*** Capitolo 47 ***


Ecco il nuovo capitolo con qualche cambiamento che ho apportato al precedente

Dillon si concentrò cercando di visualizzare il suo scudo mentale. Stavolta gli fu facile attingere alla rabbia ed ad altre emozioni forti e potè percepire quel fascio rossastro che gli era apparso durante gli esperimenti con i Cullen. Cercò di rilassare la mentre e sollevare la scudo come se stesse alzando la visiera del suo casco. Immediatamente una vertigine lo colse e tutto intorno a lui cominciò a sbiadire come se il mondo fosse diventato bianco e nero. Unica note di colore il vestito rosso di Laura, che guardava verso di lui con gli occhi sgranati. Subito un flusso di immagini scaturì nella sua mente e si accorse che Aro le stava assumendo, facendo suoi i ricordi che gli appartenevano. Vide con lui ogni cosa, muovendosi a ritroso nel suo passato ed i suoi occhi chiari si dilatarono e parvero farsi più luminosi mentre rivedeva la sua vita.

Il combattimento, l'arrivo al castello, la fuga dopo l'atterraggio in elicottero suscitarono l'ammirazione di Aro, mentre il suo viaggio in Scozia e il soggiorno dai Cullen lo lasciarono perplesso. Il viaggio nella sua mente continuò fino a Londra, in ospedale con Laura, durante l'incontro con Edward e Bella e il duello con Louis. Aro passò in rassegna velocemente i mesi in cui Dillon aveva dato la caccia ai vampiri e si era addestrato sotto la guida di Simon, e alla fine interruppe il contatto. “I Cullen ti credevano loro nipote!” esclamò Aro stupefatto. “Sapevo che in te c'era qualcosa di straordinario.” Tra i vampiri si levò un mormorio di stupore.

Il test è risultato negativo.” si schernì Dillon tirandosi indietro.

E ti fai bastare una banale analisi come risposta?” insistè Aro. “Non si può negare quello che sei in grado di fare. Non venire a dirmi che sei un semplice umano?”

Non so chi sono.”ammise Dillon “E probabilmente l'unico che può scoprire qualcosa sei tu.” Gli occhi di Aro scintillarono mentre annuiva col capo. Aveva pensato anche lui a quella possibilità. “Puoi andare indietro fino ai miei ricordi d'infanzia e vedere chi erano i miei genitori?”

La memoria di un neonato è molto labile di solito, ma sarà interessante fare un tentativo.” disse il vampiro emozionato.

Aro, non capisco perché ora vuoi aiutarlo con il tuo potere.” intervenne Caius. “ Quello che dovevamo sapere è quanto hanno appreso sul nostro mondo lui ed i suoi complici.”

Da quel che ho visto sa praticamente tutto, ma al tempo stesso ha agito con la massima segretezza finora insieme al suo amico detective. Nessun altro ha avuto parte con il loro lavoro.”

Samuel non ha nessuna prova concreta in mano.” disse prontamente Dillon. “Non è mai stato testimone oculare delle mie missioni. Sa solo quello che gli ho riferito io. Ed ha sempre tenuto nascosto ogni cosa. Non rappresenta una minaccia per voi. Posso garantirvelo. E nemmeno Laura.”

Questo è da vedersi” rispose Aro. “adesso vorrei riprendere l'interrogatorio se non hai altre obiezioni.”

Dillon fece per porgergli nuovamente la mano ma esitò. “Qualcosa da obiettare ce l'ho. Voglio la tua parola che Laura verrà rilasciata. E che non farete del male a Samuel.”

Non penserai che ti daremo ascolto per il tuo bel faccino?” disse Caius divertito. “Forse non lo hai notato ma siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico.”

Non credo.” ribattè Dillon. “Potete uccidermi, uccidere la mia amica, torturami e estrarmi una buona parte delle informazioni che cercate, ma ce ne sono altre ignote perfino a me, a cui Aro può accedere solo con il mio consenso e su cui scommetto sia ansioso di mettere le mani. Sarò lieto di mostrargli ogni cosa se libererà Laura. Oppure può tenersi la curiosità per i prossimi secoli a venire.”

Caius fece per protestare ma Aro lo trattenne con un gesto.

Sei coraggioso mio giovane Dillon.” disse ammirato. “Leale fino in fondo verso i tuoi amici. In effetti ammetto che mi seccherebbe dovervi uccidere tutti senza sapere con chi ho effettivamente avuto a che fare. Non sarebbe interessante Louis scoprire di aver preso due piccioni con una fava?”

Louis sorrise: “ In effetti ho avuto qualche sospetto che il cacciatore ed il piccolo Black fossero la stessa persona?”

E' per questo che lo hai lasciato andare sulla cattedrale?”chiese Aro inquisitivo.”Senza rendermi partecipe dei tuoi sospetti.”

Louis parve vacillare per un attimo ma poi si ricompose. “Sono certo di poterti dare una giusta spiegazione non appena avrai finito con il ragazzo.”

Per un attimo Dillon pensò che Aro volesse farsi un giro anche nella testa di Louis ma il vampiro millenario sembrava troppo preso da lui per il momento. Chissà perchè Louis lo aveva lasciato andare.

Dillon” esclamò Aro. “La ragazza verrà rilasciata. Louis la riporterà a casa con il primo aereo.” Dillon respirò di sollievo e incontrò lo sguardo sorpreso di Laura.

In cambio però non credo siano sufficienti i tuoi ricordi. Per convincermi a lasciare in vita due scomodi testimoni credo ci voglia qualcosa di più allettante.”

Dillon deglutì intuendo cosa stava per chiedergli. La cosa lo ripugnava ma gli bastò dare uno sguardo a Laura per convincersi che non aveva altra scelta.

Voglio che tu entri a far parte della mia guardia.”concluse Aro cerimonioso ignorando lo sguardo disgustato di Caius e il mormorio di stupore che si era sparso tra le fila dei vampiri. “Dillon! No” protestò Laura sconvolta.

Accetto!” rispose risoluto il giovane. Aro sorrise vittorioso e fece cenno a Cristal di potare via la ragazza. Dillon le si avvicinò in fretta e ignorando gli sguardi ostili della vampira accarezzò i capelli della sua amica.

E' il solo piano che ho.” le mormorò con un sorriso triste.

Ma io morirò comunque prima o poi, lo sai” protestò lei con le lacrime.

Non così. Torna a casa.”rispose lui. “E non preoccuparti per me.”

Prima ce Laura potesse aggiungere altro Cristal la portò via.

Dillon si girò di nuovo verso Aro e gli andò incontro offrendogli la mano.

Puoi procedere.”disse

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Capitolo 49
*** Capitolo 48 ***


Dopo tanto tempo ho finalmente deciso di riprendere a scrivere e dopo aver riletto i numerosi commenti di quanti hanno seguito Sunrise ho deciso di concluderla.

Mi dispiaceva aver smesso ma alla mia prima figlia se ne è aggiunto un secondo e così il tempo per scrivere si è praticamente esaurito per molto tempo.

Avevo perso l’ispirazione e non avevo più un reale interesse nella saga di Twilight. Ma mi dispiaceva lasciare incompiuta una storia a cui avevo dedicato tanto tempo e in cui c’erano anche personaggi da me inventati. Nel vecchio forum di twilight non so se qualcuno se lo ricorda, avevo anche inserito foto, immagini, brani musicali. Sunrise aveva una lunga playlist. Forse ne farò una nuova edizione più elaborata e con le dovute correzioni visto che come mi avete spesso fatto notare , ci sono molti errori. Perdonatemi ma all’epoca scrivevo ad orari improbabili con una fretta fastidiosa e la scrittura ne ha risentito. Torno con il capitolo 48 e finalmente ci sarà la rivelazione sull’identità di Dillon. E’ un capitolo un po' particolare ci sono diversi punti di vista ma spero riuscirete a seguire la trama.

Grazie ancora per il vostri 176 commenti, grazie per i 41 che l’hanno segutia e per i 23 che l’hanno messa tra le loro preferite. Non so se tornerete a seguirla ma spero di rivedervi e anche rivedere qualche nuovo lettore.

A presto

Clodie Swan

Capitolo 48

Edward controllò di nuovo l'ora. Grazie alle previsioni di Alice erano riusciti a prendere voli e coincidenze al momento giusto ed erano giunti a Roma in pochissimo tempo. Dillon doveva essere nelle mani dei Volturi ormai da almeno ventiquattr'ore e il solo pensiero lo faceva rabbrividire. “Da questo momento non riesco a vedere nulla” annunciò Alice mentre si recavano alla macchina che avevano noleggiato. “Vedo solo noi cinque che ci dirigiamo a Bracciano.”

“Ma vostra madre è proprio sicura che si trovi lì?” chiese Simon dubbioso. “Mi ripetete come ha fatto a scoprirlo?”

“Esme è architetto e arredatrice di interni, ha occhio per queste cose.” spiegò Edward “Dal momento che si trattava della sala di un castello, ha pensato che forse poteva essere una location conosciuta per feste ed eventi. Ha fatto una serie di ricerche su Internet confrontando le immagini con lo schizzo tratto dalla visione di Alice. Alla fine è riuscita a identificare la stanza come La Sala dei Cesari nel castello di Bracciano.”

“Senti Edward” intervenne Jacob “Ma ora che sappiamo dov'è, ce l'abbiamo una specie di piano?”

“Lo avremo.” disse Edward entrando in macchina. Si mise alla guida pensando a Dillon che si sottoponeva al tocco di Aro, a sua figlia chiusa in camera a piangere, a Carlisle che stava per concludere il test del dna. Non immaginava a quante cose stavano per accadere tutte nello stesso istante.

 

Renesmee era tornata di nuovo nella stanza che aveva ospitato Dillon e si era sdraiata sul letto in preda allo sconforto. Respirò l'odore del ragazzo che impregnava ancora il copriletto e sospirò, contando i minuti che restavano prima di avere il risultato del test. Non aveva bisogno di prove per sapere che Dillon era suo figlio ma voleva che potesse crederci anche lui. Aveva tanto da dirgli, da raccontargli... Invece se ne era andato prima che potesse abbracciarlo e stava rischiando la sua vita. Rotolò su un fianco verso il bordo del letto e mentre si asciugava le lacrime, cominciò a esplorare la stanza con lo sguardo. La sua attenzione fu colpita dall'odore della ceralacca. Strano. Nella stanza non c'era alcun oggetto che potesse recarne traccia, poi seguendo la scia, per quando tenue, di quell’odore la mezza vampira scivolò a terra e sbirciò sotto il letto. C’era una lettera.

Nello stesso istante Carlisle si avvicinò allo schermo del computer emozionato. “Abbiamo i risultati” annunciò rivolto verso la moglie ed i due figli che subito si avvicinarono trepidanti. Lo schermo mostrò in maniera chiara ed inequivocabile la risposta che da tanto tempo aspettavano.

 

Aro riprese il controllo della mente di Dillon e ripercorse con lui il periodo in cui si era stabilito a Londra dopo la morte dei suoi genitori, il lutto, l’incidente d’auto da cui era uscito miracolosamente illeso e poi gli anni dell’università, ogni esame, ogni amicizia, e così le superiori, l’adolescenza tormentata e l’infanzia ancora serena fino al giorno o cui i signori Baxter lo avevano accolto, ancora neonato, nella loro vita. E poi ancora poche settimane prima, il bambino era tra le braccia di una giovane donna incantevole dai capelli biondi che gli posava un bacio sulla fronte con gli occhi pieni di tristezza ma incapaci di piangere.

Rosalie?” pensò Dillon riconoscendola.

 

Renesmee aprì la lettera e la lesse velocemente. “Rosalie?” mormorò stupita prima di precipitarsi al piano di sotto dove i suoi famigliari stavano fissando ancora attoniti il responso delle analisi che provavano l’identità di Dillon.


 

La mente di Dillon svelò un’ultima scena che lui non poteva ricordare ma che il suo inconscio aveva conservato nitida e che gli causò una fitta al petto. Renesmee piangeva stringendolo al petto e baciandogli la manina paffuta da bebè stretta intorno al proprio pollice. “David...” singhiozzò posando la testa sulla spalla di un giovane bruno che le si era avvicinato cingendola tra le braccia, anche lui col volto rigato di lacrime. Jacob. La stanza era inondata di luce che si rifletteva sui volti tristi di un gruppetto di persone sullo sfondo, frammentandosi in una miriade di riflessi, come la superficie di un diamante. I Cullen. “La mia famiglia!” sussultò Dillon sconvolto. Subito si staccò da Aro incapace di sopportare altro. Il vampiro lo fissò compiaciuto come se avesse previsto da sempre quella rivelazione.

“E´ lui!” annunciò trionfante rivolgendosi al suo uditorio. “David Cullen Black.”


 

“E' lui!” disse Carlisle voltandosi verso Renesmee che li aveva appena raggiunti. “Lo so.” rispose la nipote mostrando a tutti la lettera. “Ho trovato questa in camera di Dillon.” Rosalie si portò le mani al viso soffocando un’esclamazione. “Quella l’avevo scritta io.” spiegò prendendo il foglio in mano. “ Pensavo che un giorno il bambino avrebbe potuto scoprire di essere stato adottato e che avrebbe fatto delle domande. E se non poteva sapere tutta la verità poteva almeno avere la certezza di essere stato amato e che la sua famiglia era stata costretta a separarsi da lui. Gli ho voluto bene come se fosse mio in quei pochi giorni, e ho sofferto troppo quando sono entrati nella stanza e lo hanno portato via. So di essere stata imprudente a lasciare un indizio, ma...”

“Sono contenta che tu l’abbia fatto.” la interruppe Renesmee abbracciandola. “E' una lettera bellissima. Non avrei saputo usare parole migliori.”

Ci furono altri abbracci, mormorii commossi, da parte di tutti ma non c’era più tempo da perdere. Gli altri dovevano essere subito informati.


 

Edward aveva appena impostato il navigatore ed aveva imboccato la strada più breve per raggiungere Bracciano quando ricevette un’altra chiamata da casa. “Deve essere successo qualcosa.” annunciò agli altri passeggeri. “Forse è il test del DNA.” Tutti nell’auto, compreso Samuel, si sporsero verso di lui trepidanti. Edward accese il viva voce.
“Ragazzi.” disse Carlisle dall’altra parte. “E´ lui. Il test lo ha confermato senza alcun dubbio. Dillon è il nostro David.” Edward rallentò e parcheggiò la macchina nel primo punto che trovò disponibile. Strinse forte il volante tra le dita e chiuse gli occhi. Quanto avrebbe voluto poter piangere. Sentì sulla spalla la mano di Bella e la strinse forte. Si scambiarono uno sguardo eloquente attraverso lo specchietto. Jacob cominciò a singhiozzare forte all’improvviso.
“Carlisle? Mia moglie è lì?” Dall’altro capo del telefono rispose Renesmee. “Sono qui.” Jacob tirò su con il naso. “Lo avevi sempre saputo. Avevi ragione. Lo avevi riconosciuto dal primo momento...solo io non volevo...Lo riporterò a casa, amore. Lo riporterò sano e salvo da te lo prometto!”
Un gruppo alla gola gli impedì di continuare. Bella e Alice gli diedero un abbraccio. Jasper tentò di usare il suo potere per calmarlo, ma si sentiva in preda alla commozione anche lui. Samuel appariva scosso, pensava a Dillon, al suo mistero risolto, alla sua famiglia ritrovata, al pericolo incombente. “Dobbiamo andare.” disse Edward rimettendo in moto la macchina. “Renesmee, Carlisle, credo che al momento opportuno ci servirà il vostro aiuto. Tenetevi pronti. Vi darò istruzioni.” Quando la chiamata fu conclusa Jacob si riprese e asciugandosi gli occhi fissò la strada davanti a loro. “Corri vampiro, andiamo a salvare mio figlio.”

 

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Capitolo 50
*** Capitolo 49 ***


Capitolo 49


Il silenzio che calò sulla Sala dei Cesari fu talmente irreale che Dillon ebbe la sensazione che il tempo si fosse fermato. Dopo qualche secondo capì che nessuno degli esseri presenti respirava, non ne avevano bisogno. I loro volti di marmo erano imperscrutabili, soltanto Aro tradiva la propria sadica soddisfazione mentre Caius furente, guardava Dillon con odio.

“Dopo tanto tempo.” esordì Aro tornando al suo posto. “La nostra attesa è stata ripagata. Abbiamo finalmente trovato ciò che cercavamo.”

Nessuno si sentì obbligato a rispondergli. Ad un tratto si udì un finto colpetto di tosse da parte di Louis.

“Mio signore, ho portato a termine il lavoro. Posso considerare concluso il nostro accordo.” Quale accordo?

Aro lo guardò come se si fosse appena ricordato della sua esistenza e fece un cenno con la mano verso uno dei suoi sottoposti che avanzò verso Louis consegnandogli una cartellina di pelle.

“Ci sono tutti i documenti. Non abbiamo tralasciato nulla. Chateau Dupont è di nuovo tuo legalmente.”

Chateau che cosa? Dillon ricordò che Dupont era il cognome di Louis e lo vide aprire la cartellina ed ispezionare quei documenti con un sorriso devoto e uno sguardo diffidente. Dillon si concentrò e nella mente del vampiro vide una grande casa di pietra grigia immersa nel verde a cui si poteva accedere tramite un piccolo ponte.

“E così hai fatto tutto questo per un maledetto castello?” gli gridò Dillon incapace di trattenersi. “Hai perseguitato me, la mia famiglia, hai rapito Laura per un vecchio rudere?”

Louis ripose con cura i documenti e lo guardò tranquillamente. “Non credo tu possa comprendere quello che questa proprietà significhi per me. E casa mia.”

Dillon lo afferrò per il bavero della giacca “No che non lo posso comprendere! Io non ce l’ho più una casa per colpa tua!”

Louis lo fissò con un sorrisetto scaltro “Mi stai sgualcendo il vestito, Dillon. O dovrei dire David? Ricorda che devo riaccompagnare a casa Laura.”

Dillon lo lasciò riluttante lanciandogli sguardi di fuoco.

“Contegno, vi prego.” intervenne Aro. “David è uno di noi adesso. Louis puoi ritenerti congedato. Spero che potremo contare ancora sulla tua collaborazione in futuro.” A Dillon sembrò di vedere un lampo di rabbia attraversare gli occhi di Louis ma fu u istante. Il vampiro sorrise amabilmente verso i Signori di Volterra. “Ma certo! Sarà sempre un piacere rivedere Dillon.”esclamò compiaciuto. “Temo di dovervi lasciare adesso, o perderò il volo. A presto, spero.”

Con un inchino Louis uscì elegantemente fuori dalla stanza lasciando Dillon ancora carico di odio e di dubbi nei suoi confronti.

“Procediamo” disse improvvisamente Aro “Adesso David CullenBlack dovrai prestare giuramento.” Si girò verso la guardia e fece un cenno ad una vampira in piedi nella seconda fila che si fece avanti scoprendosi il cappuccio. Aveva un aspetto pressoché identico a quello di tutti gli altri vampiri, come se qualsiasi sentimento che avesse un tempo animato i suoi lineamenti fosse stato ricoperto da una maschera marmorea su cui spiccavano i suoi occhi rossi.

“Chelsea ha il potere di legarti a noi ed assicurarci la tua lealtà. Ma tu devi collaborare. O la tua giovane amica ne pagherà le conseguenze.”

Dillon li maledisse tutti mentalmente e si avvicinò alla vampira che gli stava già offrendo la mano. Il giovane le porse la sua, e disgustato da quel tocco gelido, chiuse gli occhi augurandosi che qualsiasi cosa fosse, finisse il prima possibile. Attese ma non accadde nulla.

“E´ protetto mio signore.”spiegò Chelsea. “Ha uno scudo mentale molto forte.”

“Ti consiglio di disattivarlo, mio caro ragazzo.” lo invitò Aro tradendo una certa ansia.

“Non ho ancora bene capito come fare...” spiegò Dillon trattenendo la sua furia. “Abbiate pazienza ma non so ancora gestire bene i miei... poteri mentali.”

“Ti consiglio di...” la nuova replica di Aro fu interrotta da qualcuno che bussò forte alla porta. Una volta ottenuto il permesso di entrare nella stanza si presentò un vampiro vestito come un addetto alla sicurezza che andò ad inginocchiarsi davanti ai suoi padroni.

“Non so come sia accaduto ma ci hanno appena informati che il castello deve essere evacuato per motivi di sicurezza. La polizia dovrebbe arrivare a momenti e ci ha chiesto la massima collaborazione.”

Un mormorio di sorpresa attraversò le file della Guardia finché Aro non invitò tutti al silenzio. “Non ha alcuna importanza. Abbiamo ottenuto quello che volevamo e possiamo anche tornare a Volterra. Preparatevi a partire e fingete come sempre davanti agli umani. Mantenete le apparenze.”

In breve i vampiri vennero divisi in gruppetti e inviati giù nelle auto di lusso pronte ad attenderli. Soltanto Aro e la sua cerchia più ristretta decisero di trattenersi insieme al ragazzo. Loro se ne sarebbero andati per ultimi.

“Una volta a casa avremmo tutto il tempo.” cominciò Aro “Ma mi sentirei più tranquillo se potessimo portarti via da qui già assoggettato.”

Dillon stava sbirciando dalla finestra per vedere le numerose auto nere che se ne andavano e cercò di calcolare quanti vampiri potessero essere ancora rimasti nel castello. Si chiese se Laura fosse già partita e la cercò concentrando la sua telepatia per individuare i pensieri di lei. C’era ancora e percepì che era preoccupata per lui. Angosciata, piuttosto, e piangeva. Provò una stretta al cuore intuendo che non l’avrebbero liberata finché lui non si fosse sottomesso completamente.

“Vieni qui David Cullen Black.” disse Aro imperioso consapevole di averlo in pugno. Dillon avanzò lentamente verso di loro mentre la rabbia gli scorreva nelle vene come un fuoco e gli costò una certa fatica non esplodere. Doveva esserci un altra via d’uscita! Chelsea gli posò le mani sulle spalle e lo fissò intensamente negli occhi. Dillon capì come doveva fare per sollevare il suo scudo mentale, lo aveva capito anche prima forse, ma aveva sperato ancora in qualcosa...Chiuse gli occhi e si preparò alla resa finale…

Dillon resisti, siamo qui!

La voce di Edward risuonò di colpo nella sua testa facendogli aprire gli occhi e si girò per vedere i vetri della finestra infrangersi. Davanti a lui atterrarono agilmente Edward, Bella, Alice e Jasper, i quattro membri più forti della famiglia Cullen. La sua famiglia. Dillon li guardò con un misto di gioia e stupore e andò a prendere posto in formazione accanto al loro, mettendosi al centro.

“Era ora che arrivaste.” disse con voce commossa “La festa qui sta diventando un mortorio.”

“Provvediamo subito a rianimarla.”rispose Edward accennando un sorriso.

“Che scena commovente, miei cari Cullen.” esordì Aro con una calma gelida. “Siete qui per salvare il vostro amato nipotino. Ma temo siate arrivati in ritardo. Di ventuno anni per l’esattezza! Il ragazzo ormai è nostro.”

“Non direi” ribatté Dillon “Non ho giurato niente.”

“Hai promesso!”gridò Caius.

“Sai come si dice dalle mie parti? Ci ho ripensato.” replicò Dillon con un’alzata di spalle.

Aro ruggì “Siete stati furbi a dividerci dalle altre guardie, ma siamo ancora in netta maggioranza rispetto a voi.”

“Bene” fece Edward “Perché abbiamo portato i rinforzi.”

Scartò di lato per far posto a qualcosa di enorme che si stava avvicinando. Con un grande balzo un lupo gigantesco dal pelo rossiccio fece il suo ingresso nella sala digrignando le zanne davanti ai Volturi e ponendosi di fronte a Dillon come per proteggerlo. Jacob! Era ancora più grande da come lo aveva immaginato nella visioni di Renesmee. Il lupo si girò per un attimo a guardarlo e Dillon poté specchiarsi nell’enorme pupilla per un istante. Gli sembrò di vederci brillare una lacrima. Suo padre… Ma non era il momento: i Volturi dopo lo smarrimento iniziale alla vista del licantropo si erano ricomposti e si stavano preparando a contrattaccare. Dillon considerò che erano in minoranza di cinque a uno ma i suoi alleati non sembravano intimoriti.

“Dillon, prendi queste.” gli disse Jasper lanciandogli delle armi. Dillon riconobbe due pugnali come quelli che gli aveva dato in Scozia e una delle sue bloody silver. “Dove l’hai presa?” chiese stupito.

“Samuel.” pensò il vampiro ammiccandogli. Dillon sorrise grato che non avesse nominato il suo collega in presenza dei suoi nemici. Ora era chiaro chi avesse chiamato la polizia per organizzare l’evacuazione. Sorrise togliendosi la giacca e buttandola via in un angolo senza tanti complimenti. Infilò i pugnali nella cintura, caricò la pistola e la puntò alla testa di Aro tenendosi pronto a colpire. A quel punto la Guardia attaccò e i Cullen corsero in avanti. Aro e i suoi due compagni erano scomparsi e i loro sottoposti si stavano battendo con ferocia. Jane e Alec erano frustrati di dover combattere ad armi pari perché Bella aveva neutralizzato i loro poteri e al tempo stesso combatteva come una leonessa.
Jacob falciava senza fatica ogni vampiro che osava attaccarlo e allo stesso tempo copriva le spalle alla sua amica. Alice e Edward sfruttavano le loro capacità per anticipare ogni mossa dei loro nemici, mentre Jasper dava prova di conoscere molto bene ogni possibile tecnica di combattimento e teneva a bada anche due o tre nemici alla volta servendosi contemporaneamente del suo potere per scoraggiarli e renderli più vulnerabili. Dillon aveva già colpito a morte diversi vampiri ma si accorse che dei tre Volturi non c’era traccia. Poco dopo Aro e Caius tornarono alla guida di un nuovo manipolo di guardie che prese il posto di quelle che avevano appena finito di abbattere. Aro si preparò a fronteggiarlo mentre Caius lasciò di nuovo la stanza con alcune guardie e Dillon udì chiaramente il pensiero che stava prendendo forma nella mente di quell’essere malvagio. La ragazza.

“Vai a salvare la tua amica Dillon, qui ci pensiamo noi.”gli disse Edward prendendo il suo posto. Dillon guardò la porta dietro la schiera di vampiri e annuì. Prese la rincorsa e si librò in aria con una capriola disegnando un arco nei quindici metri del soffitto, scavalcando così i membri della guardia che tentarono di ghermirlo e di impedirgli la fuga, trafiggendoli con diversi colpi di pugnale. Appena ebbe posato i piedi a terra, guadagnò la porta e si lanciò all'inseguimento il più velocemente possibile.

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Capitolo 51
*** Capitolo 50 ***


Capitolo 50


Laura era seduta sul letto con la testa tra le mani mentre Crystal stava impacchettando le sue cose, come quando l’aveva portata via da casa sua. La ragazza non riusciva a credere che l’avrebbero liberata davvero e al tempo stesso temeva per Dillon. Che cosa gli avrebbero fatto? La porta si spalancò di colpo e Caius fece il suo ingresso seguito da un gruppo di vampiri.
“Cambio di programma.” annunciò gelido il vampiro biondo rivolgendosi a Crystal. “Ucciderete la ragazza.”

Laura tremò ma non ne fu sorpresa. Trovò la forza di alzarsi in piedi e di fronteggiare Caius. “Cosa ne è stato di Dillon?”
“Ha mancato di parola e noi faremo lo stesso.”rispose lui facendo un cenno alle guardie. Laura sentì salire la disperazione e la rabbia.
“Perchè non lo fai tu stesso invece di dare ordini! Credi che abbia paura di morire? Sono anni che sto morendo!” Forse era la prima volta che lo ammetteva a voce alta. Pensò che almeno senza di lei non avrebbero più potuto ricattare il suo amico.
In un istante Caius le fu di fronte e le afferrò il viso sollevandola da terra. “Sento l’odore della morte su di te. Se penso che avremmo potuto offrirti la vita eterna. Ma tu non la meriti.”

“Non è vita!” mormorò lei a fatica.

“Lasciala stare!”gridò una voce che non sperava più di sentire di nuovo. Dillon era comparso nella stanza brandendo una pistola e un pugnale. I vampiri lo attaccarono ma il giovane si difese abbattendone alcuni e costringendo altri a ritirarsi. Caius la afferrò per i capelli e le strinse un braccio intorno alla gola.

“Deponi le armi, ragazzo, o le spezzo il collo!”

Dillon si irrigidì. “A te la scelta: le tolgo la vita o la rendo una vampira come me. A quel punto cosa faresti? Saresti tu a ucciderla?”

Dillon rimase in silenzio con gli occhi che fiammeggiavano per la rabbia.

“Getta le armi!”intimò di nuovo il vampiro. Dillon la guardò impotente e lasciò cadere a terra sia la pistola che il pugnale.

“Prendetelo!” ordinò Caius senza allentare la presa su di lei. I vampiri afferrarono Dillon per braccia e gambe, tenendolo saldo e cominciarono a portarlo fuori dalla stanza. “Non giocarci brutti scherzi, cacciatore, e non chiamare la tua bella famigliola, altrimenti le staccò la testa.”

Il ragazzo rispose con un ringhio mentre il vampiro la trascinava per terra come un sacco, causandole una fitta di dolore fino alla radice dei capelli. Poi tutti si mossero ad una velocità impossibile e Laura dovette aggrapparsi al polso di Caius, gemendo disperata ogni volta che il suo corpo sbatteva contro i gradini o uno spigolo. Finalmente Caius la lasciò cadere con un sonoro tonfo sopra un pavimento gelido e lei non riuscì più a trattenere le lacrime. Sentì la voce di Dillon che la chiamava e il catenaccio della porta che veniva chiuso. Quando alzò gli occhi si accorse che li avevano portati dentro una cella. Dillon era stato legato a delle catene spesse, fissate alla parete e si dibatteva. “La polizia sta per ispezionare il castello. Qui nessuno ci disturberà. Tu sei soltanto un abominio che non merita di vivere. Adesso morirai insieme a questa ragazzina insignificante!”

“Avevate promesso di liberarla!”gridò Dillon.

“Sai come si dice...ci ho ripensato!”sogghignò il vampiro.

“Lasciala andare o questo abominio sarà l’ultima cosa che vedrai prima di morire!”gli intimò di nuovo il cacciatore.

“Soltanto uno di noi morirà adesso. Lentamente e dolorosamente.” rispose Caius con calma. Si fece passare un pugnale da Crystal, lo stesso che Dillon aveva lasciato cadere a terra e lo affondò con un taglio orizzontale nell’addome del ragazzo. Il sangue uscì copioso e gli bagnò la camicia bianca. Il giovane cadde in ginocchio, trattenuto soltanto dalla lunghezza delle catene. “No!” urlò Laura con tutto il fiato che aveva. Caius la prese per il collo e alzò di nuovo la lama. “Morirai guardando morire la tua amica.”
Laura sentì il terrore che la paralizzava. Era davvero così che sarebbero morti lei e Dillon? Il pugnale però non la raggiunse. Caius lasciò la presa su di lei e fu sbalzato violentemente da una forza invisibile contro il muro. Il vampiro rimase privo di sensi mentre l’arma finì a terra. Laura pensò che aveva già visto una scena del genere soltanto il giorno prima e non fu meravigliata quando la porta massiccia si spalancò di colpo rivelando l’identità del suo salvatore. Era Louis.

I vampiri rimasti nella cella furono troppo sorpresi per reagire sopratutto Crystal che fissò il complice impietrita senza sapere cosa fare. Louis entrò tranquillamente e con un sorrisetto affabile fece lievitare il pugnale, girandolo ad una tale velocità da tranciare il collo a tutte le guardie per poi piantarsi in quello della vampira che cadde a terra decapitata senza mai smettere di guardare Louis.

“I tuoi servigi non mi sono più necessari mia cara.” le disse Louis freddamente.

Il suo gesto successivo fu quello di staccare dalla parte la catene che imprigionavano Dillon. Mentre il ragazzo si accasciava sul pavimento, Laura si sollevò faticosamente a carponi e si diresse verso di lui. “Dillon...”mormorò chinandosi su di lui e facendogli appoggiare la testa sul suo grembo. Louis si avvicinò e si lasciò sfuggire un'imprecazione alla vista del ragazzo mortalmente pallido che si stava dissanguando.

“Non essere così sorpresa.” disse rivolto a lei “Non ho mai avuto intenzione di ucciderlo. La mia missione era consegnarlo.”

“Aiutalo allora, ti prego!” implorò Laura. “Fai qualcosa!” Louis concentrò lo sguardo sulla ferita di Dillon e il sangue cominciò ad arrestarsi. “Posso fermare l'emorragia per un po’, col mio potere ma non posso rimarginarla o fargli riprendere le forze.”

“Dobbiamo portarlo in ospedale.”propose Laura

“Non c’è tempo.” ribatté Louis serio. “Presto ne arriveranno altri e non potrò fermarli. Potrebbe esserci un altro modo. Dillon è in parte vampiro. Abbiamo avuto la rivelazione poco fa.”

Laura cominciò a collegare quel poco che sapeva: i vampiri che Dillon era andato a trovare Scozia... l’allegra famigliola che aveva nominato Caius mentre lo minacciava? Aveva trovato davvero la sua famiglia? E si trovava lì?

“Se è come noi” riprese Louis “ l’unico modo per salvargli la vita e fargli bere del sangue umano.”

Laura trasalì. “Ne sei sicuro?”Quando il vampiro annuì, lei si rese conto che sembrava sinceramente preoccupato per Dillon. Com’era possibile?

“Ma da che parte stai?”chiese confusa.

“Quella da cui sto sempre: dalla mia. E non ti resta molto tempo se vuoi salvare Dillon.”

“Ma credi che il mio sangue funzionerebbe? Sono malata Louis, lo sai...”

“Basterà, fidati. E’ la nostra unica possibilità.” Nostra? Laura rinunciò a comprendere le motivazioni di Louis e si concentrò su Dillon. Gli mise una mano sotto la testa e lo sollevò, cercando di avvicinargli la bocca contro il suo collo.

“Dillon.” cominciò a chiamarlo scuotendolo. “Dillon, apri gli occhi ti prego.”

Il ragazzo socchiuse le palpebre debolmente e la guardò. “Laura...” mormorò con un filo di voce. Laura spostò i capelli e avvicinò di più l’incavo del suo collo contro le labbra dell’amico. Dillon non reagì.

“Dillon, devi farlo.” insisté “Devi bere il mio sangue.” Dillon stavolta aprì gli occhi e soffocò un grido, fissandola terrorizzato. “No...” disse con voce flebile.

“Ti prego, fallo per me...io morirò in ogni caso ma se posso salvarti la vita...”

Dillon era sempre più debole e richiuse gli occhi tremando. La sua pelle era diventata gelida e la ferita le stava macchiando il vestito.

“Qui serve un aiutino.” intervenne Louis chinandosi accanto a lei. Le posò sulla pelle un’unghia affilata come un rasoio praticandole un piccolo taglio sulla vena giugulare. Una minuscola goccia di sangue fuoriuscì lentamente come un piccolo rubino e scivolò sulle labbra socchiuse del giovane semi svenuto. Laura trattenne il fiato. Per un attimo non accadde nulla. Poi sentì la mano di Dillon che di colpo le afferrava la spalla con forza e l’attirava a sé violentemente. Laura gridò ma lo lasciò fare. Il ragazzo passò con estrema delicatezza la lingua sulla piccola ferita e dopo avervi appoggiato le labbra, cominciò a succhiare con disperazione. Laura chiuse gli occhi e lo circondò con le braccia abbandonandosi, senza alcuna resistenza. Sentì le forze che la abbandonavano piano piano, ma non sentiva dolore, mentre scivolava in terra di fianco, abbracciata a lui. Perse lentamente la presa intorno alle spalle di Dillon e le mani scivolarono lungo le sue braccia ma poteva sentirlo stringere con forza sempre maggiore una mano dietro la sua nuca e un’altra intorno alla sua vita. Quando Dillon la tenne premuta contro il suo petto continuando a bere, poté sentire che il cuore del ragazzo aveva ripreso a battere con forza. Ce l’aveva fatta! Sorrise trionfante mentre le si annebbiava la vista e non poté più tenere gli occhi aperti. Nemmeno quando la bocca di Dillon si staccò da lei e urlò il suo nome inorridito, implorandola di rispondergli. Avrebbe voluto ma non ci riusciva. Ma non aveva importanza. Lui era ancora vivo, anche se si disperava e piangeva. Avrebbe voluto dirgli di non piangere, che per lei andava bene così, ma le urla di Dillon all’improvviso squarciarono l’aria, rimbombando sulle pareti di pietra come un ruggito, facendo tremare la stanza. Laura rabbrividì sconcertata e si sforzò per aprire gli occhi. Dillon non c’era più.

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Capitolo 52
*** Capitolo 51 ***


Tutto ciò che rimaneva del suo amico erano gli abiti inzuppati di sangue e ridotti brandelli in mezzo alle catene massicce che si erano spezzate a metà. Come era stato possibile? Di Louis non c’era traccia. Eppure Laura aveva la sensazione di essere osservata... In quel momento, un folto gruppo di vampiri della guardia irruppero nella cella prestando soccorso a Caius che si rialzò furente.
“Cosa è successo!” gridò guardandosi intorno. “Abbiamo sentito un ruggito e siamo corsi a vedere.” spiegò una guardia. I vampiri parvero accorgersi di lei stesa in terra e tre di loro la guardarono minacciosi. Non fecero nemmeno in tempo ad avvicinarsi che una folata di vento li circondò, facendoli cadere in terra tranciati in quattro parti. Caius e i vampiri rimasti si strinsero spalla contro spalla per fronteggiare l’ignoto aggressore. Le fiamme delle torce ondeggiarono. Qualcosa fluttuò di nuovo intorno a loro, facendoli rabbrividire. Qualsiasi cosa fosse, era troppo veloce per poter essere vista. Caius fremendo si avvicinò a Laura e la rigirò con la punta dello stivale.

“Dov’è David Cullen Black?”le chiese posando la pianta del piede sullo sterno della ragazza.

“Chi?” chiese lei senza capire. Caius premette il piede con più forza facendola gemere per il dolore. Sentì incrinarsi le costole.

“Dov’è il tuo amico?” chiese di nuovo in preda all’ira. Come in risposta alla domanda, un ruggito basso e vibrante rimbombò sopra di loro. Il viso di Caius divenne una maschera di terrore mentre sollevava la testa verso l’alto con estrema lentezza. Laura alzò gli occhi e non poté credere ai suoi occhi.

Appeso al soffitto, a testa in giù, si ergeva maestosa la figura di un gigantesco lupo dal pelo bianco come la neve e dai magnetici occhi azzurri.

Avanzò adagio ringhiando, camminando normalmente come se la gravità non esistesse guardando i vampiri e Laura con uno sguardo intenso, quasi senziente. Non che questo lo rendesse meno feroce al contrario: con un balzò rapido come una saetta, il lupo si materializzò sul pavimento davanti a lei, facendo indietreggiare i vampiri e facendole scudo. Laura dal basso poteva vedere soltanto le zampe possenti e affusolate e il pelo corto, morbido ed immacolato.Sembrava uscito da una fiaba fantasy.
I vampiri della guardia, tremanti, tentarono di fuggire ma il lupo tagliò loro la strada in un battito di ciglia. Altri resti caddero a terra mentre il lupo vorticava intorno a Caius in una morsa sempre più stretta.
Il Volturo incapace di reagire, girava su se stesso e cercando inutilmente una via di fuga, finì per appiattirsi contro la parete. Laura vide con chiarezza l’attimo in cui il lupo aprì le fauci, rivelando zanne affilate e scintillanti e riservò al vampiro una morte lenta e atroce mentre questi urlava le sue ultime parole: “Abominio.”
Laura distolse lo sguardo mentre il lupo massacrava Caius, il rumore degli squarci era orribile. Un attimo dopo il lupo emise un ruggito acuto e cavernoso verso la porta da cui erano comparsi dei nuovi vampiri. Erano in troppi. E lo spazio della cella troppo angusto perché potesse sfuggire loro. Lo avrebbero circondato? Ma il lupo corse lungo la parete fino al soffitto e piombò sugli avversari sfoderando zanne e artigli affilati, ruotando su sé stesso e tranciandoli tutti come se fossero fatti di carta argentata. Quando ebbe concluso il suo salto distrusse la parete opposta sollevando un’enorme nube di polvere. Il lupo continuò a distruggere ogni cosa gli si parasse di fronte finché alla fine non rimase più niente e nessuno da affrontare. A quel punto il lupo parve accorgersi di lei, ancora stesa sul pavimento e lentamente le si avvicinò. Ora che era calmo, con le fauci chiuse, ed uno sguardo incredibilmente umano, non sembrava più spaventoso, al contrario: era una creatura meravigliosa, una combinazione di bellezza e forza. Laura si accorse di non avere paura di lui, al contrario ne fu affascinata, soprattutto quando chinò la testa verso di lei e cominciò a guaire.
I suoi occhi azzurri erano lucidi e cosa incredibile, pieni di lacrime: il lupo stava piangendo.

Laura non poté fare altro che guardarlo incantata, mentre abbassava il muso enorme contro il suo collo, leccandole la ferita con estrema dolcezza, come se lei fosse un cucciolo. Un gesto tenero, compiuto dallo stesso autore della carneficina appena conclusa. Il lupo tornò a fissarla con occhi carichi di dolore e guaì, rannicchiandosi vicino a lei, e posandole la testa sulla spalla. Tremava, e piangeva, sembrava disperato. Laura si commosse e con fatica alzò una mano per accarezzargli il pelo setoso. “Chi sei?” mormorò studiandolo curiosa.
Ma dentro di sé conosceva già la risposta. Fu il suo cuore a suggerirglielo. Fu quel familiare senso di sicurezza a chiarire tutto, fu la sensazione che aveva provato solo accanto ad una persona, a farglielo riconoscere. Abbandonò ogni spiegazione razionale e lasciò che fosse il suo istinto a parlare: “Dillon...” mormorò guardandolo. Il lupo ricambiò lo sguardo con i suoi occhi azzurri e luminosi.
Ad un tratto il lupo si alzò sulle zampe fissando qualcosa in direzione della porta. Laura non lo sentì ringhiare e immaginò che non ci fosse un nuovo pericolo in vista ma girando lentamente il viso cercò di capire cosa avesse visto. Attraverso il velo di polvere che ancora aleggiava nella cella, Laura vide avvicinarsi l’imponente figura di un secondo lupo, dal pelo rossiccio, più folto e ispido e perfino più alto di statura, ma ciò nonostante non lo percepì come una presenza ostile. Il nuovo arrivato si rivolse al lupo bianco, dedicandogli uno sguardo intenso, colmo di affetto. Il bianco si avvicinò tremando e chinò il capo mentre l’altro gli strofinava il muso contro la testa, facendolo appoggiare contro il proprio collo. Entrambi chiusero gli occhi e guairono. Laura, guardandoli affascinata, non riuscì a trattenere un singhiozzo.
Il lupo bianco si staccò dopo un lungo momento e si girò per indicare Laura al compagno. Il rosso la guardò con attenzione e le girò intorno posizionandosi dall’altro lato. Quando Laura si girò di nuovo per osservarlo vide che al posto del lupo, accovacciato a terra, vi era un ragazzo sui venticinque anni, moro, con la carnagione rossastra. Qualcosa in lui, lo sguardo concentrato, la linea delle labbra, il naso dritto, le ricordava molto Dillon. Aveva la braccia e le spalle nude e probabilmente anche il resto del corpo, nascosto dietro le ginocchia. La parte irrazionale della sua mente le suggerì che si trattava del lupo rosso. Un licantropo? Il nuovo arrivato la osservò preoccupato e trasalì quando vide la ferita sul collo.
“Laura?” chiese con voce bassa e gentile. Lei annuì debolmente.
“Mi chiamo Jacob.” disse lui con dolcezza. “Sono qui per aiutarvi. Adesso ce ne andremo, ok?” Il tono della sua voce era rassicurante. “Ce la fai ad alzarti?”
Laura provò a sollevarsi, ma un capogiro la costrinse a ricadere giù. Jacob le posò una mano sulla fronte e con l’altra le tasto il polso.
“Sei gelida.” mormorò sorpreso. Si voltò e diede un’occhiata disgustata ai resti dei vampiri sul pavimento, senza mostrare particolare sorpresa. Forse era abituato a vederli tutti i giorni, come fossero dei rifiuti sparsi sul marciapiede.
Jacob raccolse uno dei mantelli neri e glielo avvolse premurosamente intorno alle spalle, sorreggendola mentre la faceva mettere seduta.
“Te la senti di portarla in groppa?” chiese rivolto al lupo bianco. Come risposta il lupo si avvicinò a loro offrendo la schiena. Jacob sollevò con delicatezza Laura tra le braccia e la aiutò a issarsi in groppa all’animale. Come ulteriore precauzione Jacob fece a strisce un altro mantello e ottenne una specie di corda con cui avvolse il corpo di Laura intorno ai fianchi del lupo bianco. La corda la stringeva ma non le faceva male. Il mantello setoso e caldo della pelliccia bianca era un contatto gradevole che in breve la riscaldò e la fece sentire al sicuro. Jacob intanto aveva staccato una torcia dalla parete e aveva dato fuoco ai resti dei vampiri. Ben presto la cella fu invasa dalle fiamme.
“C’è una piccola spiaggia, poco prima dell’aeroporto.” spiegò Jacob preparandosi a lasciare la stanza. “Ci vedremo lì. Corri senza mai voltarti. Io coprirò la vostra fuga. Adesso vai. Corri!”
Il lupo bianco non se lo fece ripetere e partì di corsa avventurandosi per le scale e i corridoi del castello. Laura intrecciò le mani introno al collo forte del compagno e sospirò chiedendosi cosa li avrebbe aspettati al piano di sopra. Ad un tratto sentì il lupo aumentare al massimo la sua velocità e dovette chiudere gli occhi mentre le saliva il cuore in gola. Intorno a sé sentiva grida acute e inquietanti, si decise a guardare e vide delle ombre sfuggire al passaggio del lupo. Questi corse disperatamente fino ad una finestra contro la quale vi si lanciò come un fulmine infrangendola. Fu talmente veloce che non vennero nemmeno sfiorati dai vetri. Laura sentì il senso di vuoto sotto di sé, nonostante la presa sicura sul corpo massiccio del lupo e dovette trattenere l’istinto di vomitare. Non appena il lupo ebbe posato le zampe sul terreno si trovarono circondati da un altro drappello di guardie ammantate di nero. Ancora? Stava per chiedersi come il suo amico avrebbe potuto combattere con lei legata in groppa, quando sopraggiunse il lupo rossiccio che si frappose tra i vampiri e i suoi protetti. I due lupi si guardarono per un istante, poi il bianco proseguì mentre Jacob veniva circondato.
Laura lo guardò angosciata e pregò che non gli accadesse nulla mentre si stringeva al pelo del lupo bianco che con un balzo superò il muro di cinta del castello e cominciò a scendere un pendio che portava al lago. Si voltò verso il castello per vedere se qualcuno li stesse inseguendo, ma vide soltanto le fiamme che si levavano dalla torri.

Il lupo continuò a correre fino ad un piccolo stabilimento deserto, e s’immerse piano piano attento a non bagnarla, cominciando a nuotare furiosamente verso la spiaggia che gli aveva indicato Jacob. Laura tenne le gambe rannicchiate sopra il dorso del maestoso animale, rannicchiandosi nel mantello nero e tirandosi il cappuccio sopra la testa. La notte stava per finire ed il cielo stava già imbiancando,ma sull’acqua l’aria era gelida e la faceva rabbrividire. Il lupo nuotò con tutte le sue forze, approfittando degli ultimi momenti di oscurità per raggiungere la riva deserta in prossimità di un piccolo aeroporto. Laura capì che era esausto dalla lentezza con cui mosse le zampe sulla rena e dall’affanno del suo respiro enorme, e cominciò ad accarezzargli la testa per confortarlo. Il lupo si accucciò sulla sabbia asciutta e rotolò leggermente di lato per permetterle di scendere. Laura tentò di sciogliere la corda di stoffa che Jacob le aveva annodato intorno, resa ancora più stretta dall’acqua, quando ad un tratto questa si allentò di colpo e lei si ritrovò in terra prona, più delicatamente di quanto avesse immaginato. Quando si voltò il lupo bianco non c’era più: al suo fianco, ritrovò Dillon, con i capelli bagnati e gli occhi chiusi, il corpo nudo steso a pancia in sotto sulla sabbia, mentre i primi raggi del sole gli accarezzavano la pelle.
Laura sussultò ancora restia a credere a quanto aveva vissuto finora e gli vide socchiudere gli occhi. Erano arrossati e stanchi, ma il ragazzo riuscì a rivolgerle un ultimo sorriso trionfante prima di richiuderli. Laura si slacciò il mantello e glielo gettò sulle spalle per coprirlo e glielo sistemò meglio che poté. Si sentiva stremata, non aveva più forze di fare altro, e cominciò a sprofondare. Non aveva paura, aveva sentito tante volte il gelo avvicinarsi a lei per ghermirla ma stavolta era diverso, c’era un calore dolce che l’avvolgeva e la cullava verso un dolce sonno. Possibile che la morte fosse così piacevole? Gettò un ultimo sguardo a Dillon. Era bellissimo, pensò sorridendo. Chiuse gli occhi e si lasciò andare. Sono pronta.


 

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Capitolo 53
*** Capitolo 52 ***



 

Edward si sporse con prudenza fuori dai cespugli in cui si erano nascosti e vide che l’incendio ormai era stato domato. Di Jacob e Dillon ancora nessuna traccia.

“Dobbiamo tornare dentro a cercarli.” propose Bella angosciata.

“Non possiamo, il castello adesso sarà pieno di polizia e di vigili del fuoco. E non devono certo vederci così conciati.” disse Edward accennando i loro abiti pieni di strappi e alle ferite che i loro nemici gli avevano inflitto sul volto e sulle braccia. Non erano nulla di grave ma non si erano ancora rimarginate. “Samuel poi mi ha avvertito che sta per venire a prenderci.”

Il detective Frreman sopraggiunse poco dopo al volante della loro auto e accostò lungo il ciglio della strada. “Presto ragazzi, tutti a bordo. Sta albeggiando.” sollecitò l’uomo attraverso il finestrino. I quattro vampiri salirono in un lampo mentre la macchina ripartiva. “C’è il caos totale al castello. Hanno chiamato pure gli artificieri. “Ci pensiamo noi Signor Freeman, abbiamo tutto sotto controllo!” Per una volta sono stato contento di farmi mettere da parte. Dove sono tutti gli altri? Avete liberato Dillon e la ragazza?”

“Se ne sta occupando Jacob.” spiegò Edward seduto accanto a lui. “Ha detto di fidarci di lui.”

Samuel lo fissò perplesso. “Che significa?”

“Quando metà della guardia è stata evacuata secondo i piani, abbiamo sferrato l’attacco e siamo arrivati in tempo per salvare Dillon. Lui ha combattuto con noi inizialmente, ma alcuni vampiri sono scappati minacciando la ragazza. Dillon a quel punto è andato a salvarla mentre noi abbiamo continuato a lottare contro Aro e alcune guardie. Eravamo in vantaggio quando dai piani inferiori abbiamo sentito un ruggito spaventoso che ha fatto tremare le pareti. Perfino i Volturi hanno avuto paura e si sono allontanati da noi. Perfino Aro sembrava sconvolto. Sembrava un licantropo, ma più potente. A quel punto Jacob ci ha intimato di ritirarci e di allontanarci il più in fretta possibile e che sarebbe andato lui a prendere Dillon e la sua amica. Mi ha implorato di fidarmi e di portare via tutti e quattro per la nostra incolumità e che ci avrebbe raggiunto appena possibile nel punto convenuto, con i ragazzi.”

Samuel gettò uno sguardo stupito ad Edward tenendo stretto il volante. “E secondo te cosa era successo nei sotterranei? C’era davvero un altro licantropo?”

Edward esitò e fissò gli altri che annuirono in silenzio. “Credo che fosse Dillon.”

Samuel frenò in secco e le due coppie non andarono a sbattere soltanto grazie ai loro riflessi soprannaturali. “Cosa?!” gridò Samuel “Mi stai dicendo che Dillon è un licantropo anche lui?”

“In parte lo è. Per via di suo padre. E in parte è anche vampiro.” spiegò Edward.

“Ma Carlisle diceva che non si è mai trasformato per via di un equilibrio tra la natura di lupo e quella di vampiro.” intervenne Jasper. “Come se si controllassero a vicenda. Un equilibrio instabile ma pronto a esplodere.”

“Quindi detto in termini scientifici.” osservò Samuel sconvolto. “Il vampiro ha fatto incazzare il lupo di brutto...”

“Forse hanno fatto del male alla sua amica.”mormorò Bella pensierosa.

“In quel caso dobbiamo affrettarci.” disse Samuel ripartendo di corsa. “Speriamo che Jacob li abbia portati alla spiaggia.”

“Comincio ad essere preoccupato anche per lui...” ammise Edward domandandosi se avesse fatto bene a lasciare il genero da solo.

“Guardate laggiù!” gridò Alice “Devono essere loro.” Edward girò lo sguardo nella direzione indicata dalla sorella e vide due forme umane distese sulla spiaggia. Quelle che ad un occhio umano dovevano sembrare due puntini scuri indistinti si rivelarono alla sua vista vampira come la figura di un ragazzo biondo avvolto in un mantello nero e quella di una giovane donna dai capelli scuri vestita di rosso.

Samuel pigiò il piede sull’acceleratore e portò l’auto al massimo della velocità fino a raggiungere la striscia di terra dove si trovavano i due ragazzi. I quattro vampiri si precipitarono fuori dalla macchina incuranti dei raggi del sole che cominciarono a far risplendere la loro pelle. Samuel li seguì a ruota chinandosi su Dillon con ansia paterna. Edward lo stava già visitando, tastandogli il polso, le pulsazioni della gola come aveva imparato da Carlisle, mentre le ragazze si dedicavano a Laura. Dillon respirava regolarmente e non sembrava aver riportato ferite gravi. “Se la caverà, ma ha bisogno di cure. E´ stremato, poverino.”

“Edward” chiamò Bella. “C’è qualcosa che dovresti vedere.” Il vampiro si precipitò al fianco della moglie che gli stava mostrando l’inconfondibile segno di un morso sul collo di Laura. I segni vitali della ragazza erano molto tenui.

“Spero non sia troppo tardi.” mormorò Edward addolorato.
 

Al funerale non c’era molta gente. Dillon non ricordava come fosse arrivato lì, nel cimitero coperto di neve, con indosso un abito scuro e un cappotto nero, mentre stringeva tra le mani una rosa rossa. Stordito, con la vista sfocata, circondato da suoni ovattati, avanzò lentamente per poter posare il fiore sulla lapide grigia. Laura.

Dillon scoppiò a piangere, incapace di sopportare tutto quel dolore. Le voci dei Cullen, accorsi per consolarlo, risuonarono distanti.

Non c’era nulla che tu potessi fare.” disse Renesmee.

Non avrebbe vissuto a lungo, adesso non soffrirà più.”bisbigliò Carlisle.

Voleva salvarti la vita.” spiegò con dolcezza Bella. “Ti voleva bene.”

Dillon non trovò nessun conforto in quelle parole. Al contrario si sentì ancora peggio, pieno di sensi di colpa e cominciò a tremare singhiozzando.

Dillon!”stavolta distinse più chiaramente la voce di Edward. “Dillon!” Sentì perfino la sua mano sulla spalla che lo scuoteva. “Dillon, svegliati!”


 

Dillon aprì gli occhi e si ritrovò sdraiato nella camera che aveva occupato in Scozia. Era stato rivestito con una T-shirt grigia e un pantalone di tuta, la ferita all’addome era stata medicata e seduto accanto al suo letto c’era Edward che gli sorrideva sereno con gli occhi di un’ambra acceso. La luce del sole che filtrava dalle persiane socchiuse, gli disegnava dei frammenti di diamante sulla pelle.

Dillon rilassò il respiro: aveva avuto un incubo. Eppure non era ancora tranquillo.

“Come ti senti?” chiese il vampiro premurosamente. “Hai dormito per tre giorni...”

“Laura...” mormorò Dillon “Lei è...”

Edward capì “Lei è viva, Dillon. E´sopravvissuta.”

Dillon stava per piangere dal sollievo. Poi si rabbuiò. “L’ho morsa, Edward. Ho bevuto il suo sangue...”

“Sei stato tu, allora?” rispose l’altro. “Lo avevamo ipotizzato quando abbiamo visto la cicatrice sul suo collo. Sembrava diversa da quelle che lasciano i vampiri ma non preoccuparti: non l’hai uccisa e nemmeno...”

“Trasformata?” azzardò Dillon col fiato sospeso. Il vampiro sorrise e gli poso la mano su un braccio.

“No, Dillon. E´ ancora umana. A quanto pare, non sei velenoso.”

“Sta...bene?”domando incredulo sollevandosi sui gomiti.

“Sta riposando nella stanza qui vicino. Carlisle ed Esme si stanno prendendo cura di lei. Posso assicurarti che è in ottime mani.”

“Posso vederla?”chiese Dillon mettendosi a sedere. Quel movimento gli causò delle fitte di dolore alla testa.

“Tra poco, dovrebbe svegliarsi presto.”Edward guardò verso la porta. “Nel frattempo c’è qualcuno che vorrebbe vederti. Una persona che in questi tre giorni non ha fatto altro che vegliare su di te. Che ne dici di farla entrare?”

Dillon annuì poi lo trattenne. “Edward, Aro mi ha mostrato i miei ricordi...ho scoperto chi sono...”

“Lo abbiamo saputo anche noi. Carlisle in segreto ti aveva fatto un altro test. Abbiamo avuto il risultato poco prima di arrivare al castello.”

“E così sono...” cominciò Dillon ancora stupito. Edward si sedette accanto a lui.

“Mio nipote? Già, pare proprio di sì.” La voce calda e gentile del vampiro parve incrinarsi “Sei sempre disponibile a firmarmi le giustificazioni?”

Dillon sorrise ricordando la sua stessa battuta. “Beh, solo se farai sega a scuola per spassartela con me...” Risero entrambi e finirono per abbracciarsi. L’abbraccio di Edward era freddo ma in quell’abbraccio il ragazzo poteva sentire tutta l’emozione che il vampiro aveva faticato a trattenere. Dillon capì che da prima si era già affezionato ad Edward. Suo nonno?

Questi si staccò da lui sorridendo e indicò a Dillon la porta.

“Entra pure” disse Dillon alla persona in attesa. Aveva già capito di chi potesse trattarsi.

Renesmee entrò silenziosa, bella come un angelo nel suo maglioncino bianco, con i boccoli color rame sciolti sulle spalle ed i dolcissimi occhi scuri, pieni di lacrime. Lo guardò intensamente e sorrise asciugandosi gli occhi.

“Lo sapevo.” mormorò andando verso di lui. “Sentivo che eri tu.”

Dillon non riusciva ancora a credere che quella ragazza ventenne potesse essere sua madre, ma non poteva non provare pietà per lei: la avevano costretta a separarsi dal suo bambino, era una vittima quanto lui della malvagità dei Volturi.

“Mi dispiace.” le disse quando si fu seduta accanto a lui. “Mi dispiace tanto...” non sapeva cosa altro dire ma lo sguardo felice di lei lo mise a tacere.

“David...”pronunciò Renesmee prima di abbracciarlo e scoppiare a piangere nuovamente contro la sua spalla. Dillon ricambiò l’abbraccio, cercando di consolarla accarezzandole i capelli.

“Va tutto bene...” le mormorò commosso. “Va tutto bene...”

Quindi era quello il suo vero nome. David Black. Non suonava male. Nemmeno David Cullen Black. Si chiese se lo avrebbe mai usato. Forse era ancor troppo presto.

“Jacob!” si ricordò ad un tratto. “Cosa ne è stato di lui?” chiese sciogliendo delicatamente l’abbraccio di Renesmee. “Era sceso a cercarmi nelle segrete e ci ha guidato fuori, lo avevano accerchiato dei vampiri...”

“Erano tutti delle mezze cartucce.” rispose una voce entrando nella stanza. “Niente di cui preoccuparsi.” Il licantropo sembrava in perfetta forma ad eccezione di un braccio fasciato. Dillon per la gioia si alzò in piedi, con qualche fatica, e gli si buttò tra le braccia. A dispetto del braccio ferito, Jacob lo avvolse in una stretta poderosa.

Dillon ripensò al momento in cui erano entrambi sotto forma di lupi e si erano ricongiunti tra le mura della cella.

Era bastato un sguardo per riconoscersi.

Dillon gli si era avvicinato e tremando aveva cercato rifugio verso quel lupo più anziano, l’unica luce nell’oscurità.

Jacob...Ho paura”

Non avere paura, so cosa provi, anche io l’ho vissuto...non avere paura di quello che sei. David, sai chi sono?”

Si sei mio padre…”

Ho tanto atteso questo momento...ti riporterò a casa figlio mio.”

Il lupo lo aveva attirato a sé restituendogli nel suo abbraccio una parte di sé stesso...pronto a fargli da guida in quel momento folle in cui aveva perso se stesso.

 

“Jacob vi ha raggiunto sulla spiaggia subito dopo il nostro arrivo.” spiegò Edward “Era ferito ma non voleva sentire ragioni: dovevamo prima occuparci di te e della tua amica. Vi abbiamo caricato tutti in macchina e all’aeroporto abbiamo trovato un piccolo aereo privato che ci aspettava. Sono stati Samuel e Carlisle a organizzare tutto. Adesso vi lascio soli per qualche minuto. Andrò a tenere a bada uno stuolo di parenti ansiosi che muoiono dalla voglia di vederti, ragazzo.”

Dillon abbassò lo sguardo e sorrise. “Scenderò tra poco.”

Edward annuì e lasciò la stanza dopo aver rivolto loro uno sguardo commosso e felice, mentre Dillon si ritrovò seduto sul letto, accanto a quelli che a tutti gli effetti erano i suoi genitori. Potevano sembrare due suoi coetanei, ma nell’espressione dei loro occhi erano evidenti i segni che il tempo e il dolore avevano lasciato. Adesso sembravano così emozionati e felici a causa sua, che Dillon non poté non esserne toccato, per quanto quella situazione fosse.. strana.

“Ho portato una cosa per te.”cominciò Renesmee. Tirò fuori dalla tasca una foto e gliela mostrò. Raffigurava Jacob e Renesmee, con lei che stringeva tra le braccia un neonato avvolto in un copertina bianca.

Loro due erano rimasti identici, mentre il bambino… faceva un certo effetto pensarci. Eppure Renesmee lo stava guardando con la stessa tenerezza con cui nella foto guardava il suo piccolo, come se quei ventun anni non fossero passati. Dillon ricambiò lo sguardo con un sorriso malinconico, ma dai suoi occhi gli sfuggì una lacrima che in silenzio gli rigò la guancia. Renesmee e Jacob si strinsero intorno a lui, abbracciandolo stretto.

“Siamo di nuovo tutti e tre insieme.” mormorò Jacob come se non gli sembrasse vero. “Adesso andrà tutto bene...faremo un passo alla volta.”

Il ragazzo annuì riconoscente: gli ci sarebbe voluto tempo per assimilare tutto ciò.

“Che ne dite di raggiungere gli altri?”propose dopo diversi minuti.

 

Dillon preferì cambiarsi prima di scendere, e dopo essersi infilato un jeans nero e una comoda camicia di flanella a quadri beige e neri, raggiunse la famiglia che lo aspettava nell’ampio soggiorno. Ancora non riusciva a pensarla come la “sua” .

Non aveva ancora messo piede nel soggiorno che si ritrovò tra le braccia Bella, pazza di felicità. La vampira prestò attenzione a non fargli male e si scostò per poterlo guardare bene in viso e accarezzargli il viso commossa. “David!”

Dillon si limitò a sorriderle. Era sua nonna...Poi fu la volta di Rosalie.

“Mi dispiace tanto...”cominciò tremando per l’emozione. “Spero di non averti turbato con quella lettera...”

“L’avevi scritta tu.”comprese Dillon ricollegando i dettagli. “Non scusarti. Mi è stata di vero conforto. E ho visto il ricordo di te quando mi hai portato all’agenzia delle adozioni. Ti sei presa cura di me, e ti ringrazio.”

Quelle parole non fecero che commuovere ancora di più la vampira bionda che si mise a singhiozzare contro la sua spalla. Dillon sospirò e sorrise restituendole l’abbraccio. “Quando tocca a me? Spostatevi.” brontolò Emmett spingendo da parte Alice e Jasper. “Dov’è il mio nipotino!” Il vampiro erculeo prese Dillon tra le braccia e lo sollevò da terra. “Lo dicevo che era lui! Io lo tenevo sui palmi delle mie mani per quanto era piccino...e guardatelo adesso! Ti ho cambiato un migliaio di pannolini quand’eri piccolo, ne avrò distrutti un milione prima di imparare. Ma sono diventato bravissimo!”

Dillon ridacchiò nonostante la presa stringente di Emmett. “Mi dispiace ma non li porto più!”

Anche Emmett rise e lo rimise a terra. “Non ti azzardare più ad andare a combattere i vampiri malvagi senza di me! Mi avete tolto tutto il divertimento...”

Dillon si lasciò andare a una risata e gli diede una pacca sulle spalle. “Non si discute.” I Cullen guardarono Emmett rassegnati e divertiti, mentre Dillon andò verso Alice e Jasper e li attirò a sé insieme. “Grazie anche voi!” disse semplicemente.

Alice arricciò le labbra. “A dire il vero non sono stata di grande aiuto. La tua presenza mi ha impedito di avere delle visioni più chiare, ma in compenso...ho avuto la più bella delle sorprese. Non mi capita spesso di sorprendermi.” La piccola vampira pronunciò commossa quelle parole, guadagnandosi un altro abbraccio da Dillon e Jasper. Quest’ultimo preferì mantenere il silenzio, lasciando che la stanza fosse invasa dai suoi sentimenti di contentezza. Dillon se ne lasciò travolgere guardandosi intorno. I Cullen gli sorridevano, ognuno abbracciato al proprio partner e lui pensò che non si trattava soltanto del potere di Jasper. Si sentiva davvero contento. Stare con loro non gli sembrava più innaturale come i primi giorni. Ma avrebbe imparato ad essere uno di loro?

 

Carlisle fece il suo ingresso ad un andatura umana dirigendosi verso di Dillon. Il suo atteggiamento era calmo e pacato ma il suo viso era raggiante e lo guardava con occhi pieni di commozione. “David” mormorò tendendogli le braccia. “Bentornato.” Dillon si lasciò abbracciare realizzando che era dovevanon essere state proprio le sue mani ad aiutarlo a venire al mondo. Aveva vissuto in prima persona il mistero della sua nascita, esaminato ogni analisi e ogni dettaglio per provare la sua vera identità. Doveva molto a quel vampiro, non se ne sarebbe dimenticato facilmente.

“Come ti senti?” chiese premurosamente il dottor Cullen tastandogli il polso. “Sono passati tre giorni. Eri allo stremo delle forze quando sei arrivato e avevi la febbre alta. Credo per via della trasformazione.”

“Sto bene, grazie.” mormorò nervosamente Dillon. Ripensare a quello che era successo gli dava i brividi. “Ho ancora un po’ di debolezza e mal di testa ma sto bene.”

“Forse dovresti mangiare qualcosa.” propose Renesmee avvicinandosi.

“Prima vorrei sapere cosa è successo.” obiettò Dillon. Prendendo posto su un divano. “Come avete fatto a trovarmi?” Renesmee sorrise e gli posò la mano sul braccio facendogli condividere i ricordi degli ultimi giorni. Dillon vide la scoperta da parte dei Cullen della sua fuga, la visione di Alice in cui compariva Laura e il coinvolgimento di Samuel. L’aiuto del detective era stato prezioso e le sue ricerche unite all’immagine della Sala dei Cesari che Esme era riuscita ad identificare, avevano condotto i Cullen e Jacob a Bracciano.

“Ho cercato di liberare Laura da solo.” ammise Dillon. “Ma siamo stati catturati. Aro mi voleva nella guardia e ho proposto uno scambio: me al posto di lei. Ma non credo che avrebbero rispettato l’accordo. Quando siete arrivati voi, Caius ha tentato di ucciderla e ci ha portato nelle segrete. Non ho potuto fare niente per salvarla. Quel vampiro mi ha trafitto con uno dei miei pugnali per farmi morire dissanguato, e stava per uccidere Laura.”

“Ma è stato allora che ti sei trasformato?”chiese Jacob

“No” disse Dillon a fatica. “Prima è arrivato Louis e ha messo al tappetto tutti i vampiri. Poi mi ha fatto bere il sangue di Laura.” Dillon abbassò lo sguardo inorridito, tra il mormorio sorpreso dei presenti.

“Poi ho perso il controllo e sono come scomparso...Mi sono sentito esplodere in preda alla rabbia. Mi sono ritrovato in un altro corpo. Il corpo del lupo.”

“E hai fatto tutti a fettine.” concluse Jacob. “Compreso Caius.”

“Questa ultima parte ce l’ha raccontata Jacob.” disse Carlisle. “ Sembra che la mutazione si sia conclusa. E le mie ultime analisi lo confermano, David: adesso è comparso il 24 cromosoma. Si direbbe che tu abbia trovato la tua natura: un vampiro mutaforma” Dillon fu scosso da un brivido.

“E cosa sarebbe?”

“Qualcosa di unico e di potente.”lo rassicurò Carlisle. “Hai ereditato i poteri e le abilità di entrambe le nature, in contrasto tra loro ma sono tenute in equilibrio dalla tua natura umana. Penso che potrai imparare a controllarle senza difficoltà. Non hai motivo di preoccuparti.”

“Ho quasi ucciso la mia migliore amica!” protestò Dillon. “E sono diventato quell’essere feroce. Non so neanche come ho fatto, ma ho avuto un impulso omicida e ho fatto a pezzi tutto quello che incontravo.”

“Solo i vampiri che volevano ucciderti.” gli ricordò Jacob.”E non hai fatto del male né a me né a Laura. Anzi quando ti ho trovato la stavi proteggendo, eri preoccupato per lei.”

“Lo sono ancora.” ammise Dillon. E se Laura avesse avuto paura di lui da quel momento e non avesse mai più voluto rivederlo? Quel pensiero gli provocò una fitta di dolore, per quanto una simile reazione fosse comprensibile. Adesso aveva quasi paura di andare a trovarla in camera sua.
A distoglierlo da quei pensieri fu l’improvviso arrivo di Esme che gli andò incontro con le braccia aperte ed un sorriso raggiante. “David, che gioia!” esclamò con calore. Dillon fu sinceramente felice di rivedere anche lei e accettò volentieri anche il suo abbraccio. Gli abbracci erano diventati una rarità nella sua vita da quando aveva perso i genitori adottivi, invece quel giorno aveva perso il conto di quante volte era stato abbracciato in meno di un’ora. Il pensiero lo fece sorridere.

“E´così bello riaverti con noi, mio caro! Non ho mai perso le speranze, in tutti questi anni.” disse la vampira. “ Sei sano e salvo, e anche la tua amica sta bene. Si è appena svegliata e immagino che vorrai vederla.”

Dillon esitò e non aggiunse altro. Esme si rivolse al marito. “Credo che potresti toglierle la flebo, tesoro. Vuoi visitarla?”

Carlisle annuì e si avviò verso le scale. “Sì, devo fare un confronto con i risultati delle analisi. Se è sveglia potrò farla una visita completa.”

Dillon sussultò preoccupato. “Laura è molto malata. Deve prendere delle medicine speciali...dovrebbe tornare in ospedale.”

Carlisle lo guardò sorpreso e poi si scambiò uno sguardo con Edward. “Sì, mio figlio mi ha accennato qualcosa, ma stai tranquillo non hai nulla di cui preoccuparti, anzi credo che dovresti salire a trovarla. Te ne renderai conto da solo.”

Rendermi conto di cosa? Dillon cominciò a temere il peggio eppure lo sguardo di Carlisle era sereno, quasi gioioso e non presagiva nessuna cattiva notizia. Qualcosa doveva essere accaduto. Lo percepiva. Il dolore alla testa e l’ansia gli fecero rinunciare ad usare la telepatia, così con una strana tensione si decise a seguire Carlisle ed Esme al piano di sopra, verso la camera di Laura senza sapere cosa aspettarsi di preciso. Di qualunque cosa si trattasse l’avrebbe affrontata.


 

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Capitolo 54
*** Capitolo 53 ***


La camera che avevano assegnato a Laura si trovava nello stesso piano della sua solo dall’altra parte del corridoio. Carlisle lo pregò gentilmente di aspettare qualche minuto prima di entrare, ed andò a controllare la paziente. Esme era già entrata e stava conversando amabilmente con la ragazza. Sembrava le si fosse già affezionata.

“Sembri molto riposata, questo è un bene mia cara.”le disse premurosamente.

“Mi sento bene infatti” rispose Laura. Dalla voce sembrava contenta. E la sua voce aveva una tonalità più alta e un timbro più caldo del solito. Sembrava aver ripreso le forze! Dillon percepì l’odore della stanza, l’odore della flebo, i profumi dei due vampiri e l’odore di Laura...ma c’era qualcosa di diverso! Non era più intriso di medicinali e non era più così tenue come lo ricordava. Al contrario quella scia che aveva imparato a conoscere bene, si era arricchita di una fragranza delicata ma avvolgente. Dillon incapace di trattenersi, avanzò di qualche passò oltre la porta aperta e sbirciò nella specchiera alla sua sinistra per dare un’occhiata a ciò che stava accadendo nella stanza. Laura era seminascosta da Esme e Carlisle che erano chini su di lei per elargirle le loro premure, ma il ragazzo poté notare che la figura sdraiata nel letto occupava molto più spazio di quanto ricordasse. C’era qualcosa di strano...

Carlisle aveva portato i risultati delle ultime analisi di Laura e le stava togliendo la flebo.

“Non ho mai avuto un dottore con un tocco così delicato.” osservò Laura compiaciuta “Di solito non riescono mai a trovarmi le vene, mi lasciano sempre i lividi quando armeggiano con gli aghi.”

Carlisle le rispose con dolcezza. “A volte può succedere è vero, ma di solito non ho mai avuto problemi.”

“Immagino siano i vantaggi di essere un medico vampiro.” scherzò Laura. Esme e Carlisle risero di cuore ed anche Dillon soffocò una risata, sorpreso.

Con tutto quello che aveva passato quella ragazza se ne stava lì tranquilla a fare battute con due vampiri? Divenne improvvisamente impaziente di entrare ma per fortuna Carlisle non lo fece attendere oltre. “Laura, te la senti di ricevere visite? C’è Dillon che è venuto a vedere come stai?”

Dillon si passò le dita tra i capelli e deglutì nervosamente.

“Certo...”rispose Laura tradendo una strana emozione nella voce. Non voleva vederlo forse? Ce l’aveva con lui?

Dillon non resistette più e si fece avanti. Carlisle ed Esme si spostarono mentre Laura sollevandosi a sedere, senza alcuna fatica lo guardò dritto in faccia, mormorando il suo nome. Gli sorrise.

Dillon la guardò e rimase a bocca aperta: Laura sembrava un’altra. Era sempre la stessa persona ma i segni della malattia erano scomparsi: la pelle pallida era diventata liscia e rosea, le labbra esangui erano tornate piene e carnose, i capelli castano scuro avevano ritrovato la lucentezza, e soprattutto gli occhi, che prima erano sempre arrossati dalla stanchezza, infossati e circondati da occhiaie, di cui non aveva mai compreso bene il colore, nella penombra dell’ospedale, erano diventanti di un verde luminoso messi in risalto dalle lunghe ciglia e dalle sopracciglia nere.

Dillon trattenne il respiro: era semplicemente stupenda e per la prima volta riuscì a riconoscere il suo viso, quel viso che era comparso misteriosamente nei suoi sogni da tanto tempo. Era lei.

“Vedi Dillon, quando un vampiro morde un umano può trasformarlo in un proprio simile, anche se questi è in fin di vita o gravemente malato, come ho fatto io con i membri della mia famiglia, per salvarli. Anche gli ibridi vampiri possono farlo, eccetto le femmine. Nel tuo caso però, sembra che tu abbia ereditato solo la capacità di rigenerare e curare l’organismo, senza far diventare la persona un vampiro. Quando hai morso Laura, non l’hai trasformata: l’hai guarita.”

Dillon si girò a fissarlo incredulo e tornò a guardare la sua amica. Non poteva crederci. Laura stava bene!

“La malattia che avevi è scomparsa. Non dovrai più fare terapie né prendere farmaci.” concluse Carlisle commosso rivolto alla ragazza. “Mai più.”

Dillon a quel punto non seppe più trattenersi: cadde in ginocchio e scoppiò a piangere versando tutte le lacrime che si era tenuto dentro da troppo tempo.

Laura scese dal letto agilmente per raggiungerlo e si chinò su di lui abbracciandolo. “Dillon” gli sussurrò cingendogli le spalle, con la voce rotta dall’emozione. “Va tutto bene, non piangere.”

Dillon, con il viso nascosto contro la spalla di lei, le posò una mano sui capelli e un’altra sulla schiena e respirò il suo profumo, fruttato e agrumato al tempo stesso, lasciando che s’imprimesse sulla sua pelle. Era meraviglioso...Quasi non si accorse che Esme e Carlisle nel frattempo se ne erano andati.

Dillon si scostò dopo qualche minuto per guardarla in viso e rimase estasiato con le lacrime che ancora gli scorrevano sulle guance.

“Temevo di averti...” balbettò ancora sconvolto.

“No.” disse lei scuotendo la testa e sorridendo trionfante. “Mi hai salvato la vita, invece. E adesso… sto bene! Guardami!”

“Sei bellissima!” esclamò Dillon di rimando. Laura arrossì e distolse lo sguardo.

“Sul serio?” chiese incredula. Dillon girò lo sguardo verso la specchiera dell’armadio bianco, invitandola a guardare la propria immagine. Laura si sollevò in piedi a si avvicinò lentamente verso lo specchio. Dillon notò i preziosi ricami della sua camicia da notte di seta bianca, dalle maniche lunghe, che le scendeva fino ai piedi come un abito elegante modellando la sua figura alta e snella, ancora magra ma che aveva ritrovato le sue forme femminili.

Ecco forse quelle non avrebbe dovuto notarle, ma non poté farne a meno. Non riusciva proprio a toglierle gli occhi di dosso.

Laura vide stupita il proprio viso riflesso, si passò le mani lungo il corpo, e con la curiosità di una bambina spostò la scollatura della camicia da notte per sbirciare dentro. Dillon arrossì violentemente, nonostante lei lo avesse fatto in modo del tutto innocente, come se lui non ci fosse, anche se da dove si trovava, non poteva vedere nulla - anzi non doveva vedere nulla - di quello che lei stava guardando. Mentre si rimproverava mentalmente, il ragazzo si accorse che Laura stava cominciando a piangere: doveva aver finalmente realizzato cosa le era successo. Le si avvicinò e le pose con delicatezza le mani sulle spalle.

“Quando mi sono ammalata, ero ancora una ragazzina” spiegò Laura tremando. “Non mi ero mai vista così… E non pensavo...”

Dillon annuì, intuendo a cosa stesse pensando. Non c’era bisogno della telepatia per capirlo. Si addolorò pensando che c’era stato un tempo in cui lei non si sarebbe mai potuta guardare allo specchio come una donna adulta, forte e sana. E vederla finalmente così lo riempì di una gioia immensa.

Laura si voltò e cominciò a singhiozzare tra le sue braccia. Dillon la strinse a sé, e il cuore cominciò a battergli forte, mentre sentiva il tepore della sua pelle attraverso lo strato leggero della camicia da notte.

“Ehi” disse in tono dolce cercando di calmarla. “Adesso facciamo a turno a piangere?”

Laura rise tra le lacrime. “Dammi solo un minuto.”

Dillon se la tenne stretta contro il petto, abbandonandosi alla felicità. “Tutto il tempo che vuoi...”

                                                                                                             ***

Perfino dopo aver letto e riletto le analisi di Laura, Edward non riusciva a crederci. Non era possibile che si trattasse di quelle che aveva visto a casa della ragazza.La parola miracolo ormai si stava diffondendo nelle conversazioni di tutta la famiglia non appena Carlisle aveva condiviso la notizia. “Dillon non finirà mai di stupirmi” disse Edward rivolto a suo padre. “Mi chiedo quali altre doti abbia in serbo.”

“Pe r ora, credo abbia avuto abbastanza sorprese. Ha bisogno di riposo, non solo fisico ma anche mentale. Gli ci vorrà del tempo per assorbire tutto quello che gli è successo e accettare la sua nuova identità. La guarigione della sua amica sicuramente lo aiuterà vederne il lato positivo.”

Edward annuì, pienamente d’accordo, poi avvertì i pensieri preoccupati di Esme per la sorte della ragazza.

“Dovresti sentire Samuel e chiedergli se ha avuto notizie dei genitori di Laura.” gli disse sua madre con dolcezza. “Lei è preoccupata per loro. E´ stata la seconda cosa che mi ha chiesto quando si è svegliata.”

Edward rivide nella mente della madre il momento in cui aveva rassicurato Laura, appena sveglia in una camera che le era sconosciuta. Alla ragazza erano bastati i modi dolci di Esme e sapere di trovarsi con la famiglia di Dillon per tranquillizzarsi

“E la prima?” chiese Edward pur immaginando la risposta.

Esme invece di rispondere fece un sorriso alludendo a Dillon che era appena entrato nella stanza. Edward esultò dentro di sé: il nipote aveva cambiato completamente espressione! Se prima gli era sembrato contento, emozionato, adesso era circondato da un’aura di felicità radiosa, che per quanto si sforzasse di nascondere, gli illuminava gli occhi.

Il motivo non poteva che essere legato alla bellissima ragazza bruna che comparve al suo fianco un istante dopo. Trasalì per lo stupore quando constatò che era effettivamente guarita, come se non fosse mai stata male. Il suo fisico rinvigorito e l’odore del suo sangue esprimevano vitalità e calore. Edward aveva avuto modo di farle una visita superficiale sulla spiaggia e poi sull’aereo, e ora stentava a credere che fosse la stessa persona.Cominciò a studiarla più attentamente, curioso di capire meglio chi fosse la ragazza per cui suo nipote era stato disposto a rischiare la vita

Poteva avere tra i diciotto o i venti anni, piuttosto alta ed aveva una figura snella e aggraziata. Alice le aveva procurato dei blue jeans aderenti e una blusa dal taglio morbido di colore fucsia, che risaltava il colore delle sue labbra e il rossore sulle guance. Ma ciò che rendeva più interessante il volto della ragazza, oltre ai lineamenti dolci e regolari, erano gli occhi dalle pupille di un verde chiaro e luminoso dal contorno nero, come nere erano le ciglia folte e le sopracciglia. A completare la sua approvazione fu lo sguardo limpido e l’espressione dolce, ancora innocente, del viso.

Edward non era ancora sicuro se stessero ufficialmente insieme, ma non potè sfuggirgli la tenera attrazione che legava i due ragazzi. Vide Dillon sorridere alla sua amica e incoraggiandola con un leggero tocco sulla spalla la fece avanzare nel salone indicando con l’altra mano tutto il gruppo riunito. “Laura, ti presento la famiglia Cullen Black. La mia famiglia.” aggiunse subito dopo con una punta di commozione.

Quanto era bello sentirglielo dire!

Laura si fece avanti e guardò tutti i presenti con uno sguardo timido ma anche affascinato e sorrise. “Sono davvero felice di conoscervi.”

Edward ricambiò il sorriso soffermandosi sui pensieri della ragazza: non aveva alcuna paura di loro.

Laura si fece avanti e strinse la mano di ciascuno. Mostrò la sua contentezza nel rivedere Jacob sano e salvo, si commosse apprendendo chi fosse la madre di Dillon e la storia della lettera, non mancò di ringraziare nuovamente Esme e Carlisle per la loro assistenza e rise perfino alle battutine di Emmett. In pochi minuti si conquistò l’affetto di tutta la famiglia. Quel giorno il cielo era sgombro da nuvole e attraverso la vetrata del soggiorno i raggi del sole accarezzarono i volti degli otto vampiri facendo riflettere la luce sulla loro pelle di diamanti. Laura li fissò incantata per qualche minuto, poi sussurrò a Dillon “La tua famiglia brilla.” Dillon la guardò e si lasciò andare ad una risata rovesciando leggermente la testa all’indietro. Edward guardò il nipote piacevolmente sorpreso: era decisamente il più bel sorriso che gli avesse mai visto fare.


Esme annunciò che aveva preparato qualcosa da mangiare per i ragazzi e che era tutto pronto nella sala da pranzo. “In effetti ho una certa fame.” ammise Dillon compiaciuto. “E tu?”
Laura gli rispose ridendo. “Sì, decisamente ho fame!” Il pensiero di poter mangiare di nuovo del cibo vero la rendeva felice. I due ragazzi si avviarono in un’ampia sala luminosa con una lunga tavolata riccamente imbandita e Jacob stava tentando di seguirli, quando venne fermato da Renesmee. Si girò a guardare stupito la moglie che gli posò la mano sul braccio per dargli un messaggio telepatico: “Lasciamo che i ragazzi mangino da soli.

“Ma anch’io ho fame.” bisbigliò Jacob. Renesmee rise e lo condusse in cucina.

Edward sbirciò il banchetto che sua madre era riuscita a mettere su e notò Laura chinare in capo e recitare una breve preghiera in silenzio. Forse cominciava a capire qualcosa di più sul coraggio della ragazza.

Ad un tratto i pensieri di Laura sparirono ed Edward si accorse dello sguardo contrariato che gli rivolse Dillon. L’aveva schermata! Stava diventando bravo ad usare il suo scudo mentale.

Ti dispiace uscire dalla sua testa, nonnino?” Edward trattenne a fatica una risata e si allontanò strizzando l’occhio al nipote.

Edward si spostò captando brandelli di conversazione nei diversi punti della casa dove si erano sparsi i vari membri della famiglia.

Gli chiederò se vuole venire a stare da noi...”stava dicendo Renesmee in cucina mentre faceva compagnia a Jacob che mangiava. “Sarebbe così bello.”

Quanto sono felice che siano arrivati qui sani e salvi.” stava dicendo Esme a Bella “Adesso potranno riprendere una vita felice...”

Mi chiedo se potrà mai perdonarci per averlo dovuto abbandonare quando era così piccino, se avessimo potuto salvarlo combattendo lo avremmo fatto, ma non c’era via di uscita...”stava meditando Rosalie.

Ci sono ancora così tante cose su Dillon da scoprire...il fatto che possa annullare una malattia e rigenerare un organismo è qualcosa senza precedenti.”considerava Carlisle affascinato.

Dobbiamo pensare alla nostra prossima mossa...” pensava Emmett “ I Volturi non resteranno con le mani in mano. Stavolta mi faranno partecipare e che ca...che cavolo volevo dire. Edward che hai da guardare?”

 

“Come stanno i ragazzi?” chiese Bella andandogli incontro. “Stanno mangiando?” Edward annuì e la abbracciò.

“Credo sia bene lasciarli un po' per conto loro...”rispose con un sorriso.

Jasper si avvicinò e col capo accennò alla sala da pranzo. “Il primo amore?”La sua era più un’affermazione che una domanda.

Edward gli sorrise. Come telepate della famiglia era abituato a rispondere a domande di quel genere.

“Non ne sono del tutto sicuro.” spiegò “Dillon ha imparato a schermare anche i pensieri degli altri.”

“Come se potesse nascondere i suoi sentimenti! Li percepisco da qui. Si sente quel senso di euforia e di paura al tempo stesso...ci siamo passati anche noi, del resto. Come dimenticarlo?”

“Già.” commentò Edward abbandonandosi per un istante ai ricordi di un lontano pomeriggio in una radura inondata dal sole…

“Eppure sento che Dillon si trattiene...” proseguì Jasper “In lui non c’è solo quest’emozione nuova, avverto anche una triste consapevolezza.”

Edward s’incupì “Di cosa?”

“Che non finirà bene.”mormorò il fratello meditabondo.


 

Quando Dillon si riaffacciò da solo nel salone, Edward e Jasper gli andarono incontro sorridendogli.

“Mangiato bene?” chiese Edward amichevolmente. Dillon annuì, accennando un sorriso.

“La tua...amica?” chiese Jasper indeciso sul termine con cui definire Laura.

“Ha insistito per aiutare Esme a sparecchiare. Vi posso parlare un attimo?” Dillon sembrava animato da un senso di urgenza.

Nel soggiorno era rimasto solo Emmett che si stava guardando una partita di baseball alla televisione.

“Piccolo D!” esclamò entusiasta voltandosi verso il ragazzo. “Un giorno dobbiamo fare una partita in piena regola...devi vedere come giochiamo noi vampiri a baseball!”

L’entusiasmo di Emmett riuscì a strappargli un sorriso.

“Wow, non vedo l’ora.” disse Dillon “Dove sono gli altri?”

“A fare i preparativi per il viaggio.” spiegò Edward “Non possiamo trattenerci oltre in questo posto. Stiamo pensando di riunirci tutti insieme, come un tempo. Ora che i Volturi hanno saputo della tua esistenza, vivere sparpagliati per confonderli non servirebbe a nulla. Invece, uniti potremmo essere più forti.”

“E dove pensate di tornare a vivere? A Forks?”chiese Dillon.

“Sì è il posto più sicuro al momento. Vicino c’è il branco che ci garantirà una maggior protezione nel caso di un attacco. Ma non credo che oseranno agire troppo presto. Non è nel loro stile.”

“Staranno sicuramente pianificando qualcosa. Non si arrenderanno facilmente.”osservò il ragazzo pensieroso

“Sicuramente no, ma hanno appena perso Caius ed un buon numero di guardie. Hanno visto di cosa sei capace ed agiranno con prudenza prima di vendicarsi.”

“Vorranno la mia testa, insomma.”

“Beh gli hai fatti incazzare di brutto, ragazzino. Hai ucciso un Volturo. Non è mica una cosa di tutti i giorni.” intervenne Emmett, distogliendo per un attimo l’attenzione dallo schermo.

Carlisle li raggiunse unendosi alla conversazione. “Devi considerare la portata del tuo gesto, Dillon. Nessuno in migliaia di anni ha mai potuto vantarsi di aver eliminato uno dei Signori di Volterra. I loro nemici staranno esultando. Sicuramente la notizia si spargerà in fretta. Anche se i Volturi vorranno tenere nascosta questa sconfitta, non potranno esimersi dall’onorare Caius con delle esequie appropriate.”

“Dubito ci sia rimasto qualcosa da seppellire in quella cella.” borbottò Dillon “Ma possono fare tutti i funerali che vogliono a quel mostro, per quanto mi riguarda.”

“Dillon, te la sentiresti di venire con noi?” propose Edward ad un tratto “Penso che per il momento Forks sarebbe il posto più sicuro per te.”

Dillon non disse nula ma sembrò pensarci seriamente mentre e il suo sguardo si posò per un attimo in direzione della sala da pranzo. Si udivano le voci di Laura ed Esme che chiacchieravano amabilmente. Laura rideva.

“Scusate devo andare a fare una telefonata.” rispose con una leggera tensione nella voce “ Ho bisogno di parlare con Samuel.”

Dillon, non avere paura, si aggiusterà tutto, ci siamo noi con te.” pensò Edward sperando che il nipote potesse sentirlo.


 

Laura arrivò nel salotto di ottimo umore, con la camicia rosa rimboccata fino al gomito. Sorrise cordiale, anche se ancora intimidita dai suoi ospiti.

“Il pranzo era squisito, vi ringrazio.”disse rivolgendosi ai presenti.

“Oh, ha fatto tutto Esme” le rispose Edward compiaciuto “Sono contento che abbiate gradito.”

“Andava benissimo” lo assicurò Laura “Volevo chiedervi se avete avuto notizie dei miei genitori. Credete che potrei chiamarli per sapere come stanno?”

Edward vide che la mente di Laura tornava con angoscia all’immagine inquietante dei genitori indotti in stato di ipnosi, che lui stesso aveva avuto modo di vedere durante la sua breve visita con Samuel e Jacob.

“Dillon doveva chiamare Samuel, forse ha saputo qualcosa.”le disse il vampiro incerto se accompagnare Laura nello studio o se aspettare il ritorno di Dillon.

Il ragazzo entrò poco dopo e i suoi occhi si soffermarono affascinati per un breve istante su Laura. Sembrava non si fosse ancora abituato al suo nuovo aspetto rifiorito.

“Tutto bene?”le chiese Dillon con un tono di voce neutrale.

Il sorrise che gli rivolse lei fu sincero e pieno di calore. “Sì, e tu?”

“Benissimo.” rispose Dillon distogliendo lo sguardo. “Ascoltate, Samuel mi ha dato alcuni aggiornamenti. In Italia tutto è stato fatto passare per un tentato attacco terroristico. I media hanno riferito che i responsabili non sono stati catturati ma sono stati messi in fuga prima di aver compiuto danni irreparabili. L’incendio è stato domato abbastanza in fretta e la polizia e i vigili del fuoco di sono presi elogi ed encomi a rotta di collo. Nessuno ha sospettato nulla su quanto sia successo veramente. I Volturi ovviamente sono rientrati a Volterra, e di Louis si sono perse le tracce.”

“Non riesco ancora a credere che quel manipolatore sadico ti abbia salvato la vita.” esclamò Edward. Quando Dillon gli aveva raccontato l’accaduto era rimasto sconcertato. “Che cosa voleva veramente?”

“A quanto pare i Volturi gli hanno ridato un suo vecchio castello in cambio dei suoi servigi. In pratica mi ha barattato con una catapecchia francese. Chateau Dupont.”

“Indagheremo.” disse Jasper “Se potessimo rintracciare il luogo forse potremmo capire da dove proviene Louis e perché ha agito così.”

A quel punto con grande sorpresa di Edward, fu Laura ad intervenire nella conversazione. “Louis ha detto che il suo scopo era sempre stato consegnare Dillon, non ucciderlo e che l’unica parte da cui sta è la sua. Secondo me c’è un motivo per cui ha voluto che Dillon restasse in vita.”

Edward fu colpito da quella rivelazione e cominciò a mettere insieme tutti gli elementi.

“Quando Louis ci ha attaccato a Londra per la prima volta, avrebbe potuto sconfiggerci facilmente ma non lo ha fatto. Si ritirò dal combattimento ed andò via.Mi sono chiesto spesso il perché del suo strano comportamento.”

“Fu durante quel combattimento che tu e Bella avete conosciuto Dillon ed avete instaurato un primo legame.” gli fece notare Jasper per poi rivolgersi a Dillon. “Poi tu sei venuto qui in Scozia ed hai cominciato a testare i tuoi poteri mentali. Tutti noi ti abbiamo conosciuto e abbiamo iniziato a capire che tu potevi essere David.”

Dillon cominciò a riflettere seriamente su quelle parole. “E se Louis avesse pianificato di attaccarci in modo da farci alleare contro di lui? Poi il resto sarebbe venuto quasi da solo. Forse ha ferito Bella di proposito, senza ucciderla. Sì, ha senso...” I particolari di quella notte gli tornarono alla mente

Dillon era atterrato con grazia e aveva raccolto in fretta le sue armi. Louis intanto aveva afferrato una statua per non finire di sotto e cominciò a correre verso la parte opposta del tetto. «Fermo!»gli aveva gridato Dillon puntandogli contro le pistole.

"Sarebbe solo una perdita di tempo, amico." aveva detto Louis ironico "Se tu mi spari, io blocco i proiettili."

Dillon non si era mosso, continuando a tenerlo sotto tiro. "Cosa vuoi da me?" gli aveva chiesto con un lampo di odio negli occhi.

Louis aveva sorriso. "Lo saprai."


 

“Mi chiedo a questo punto se Louis non abbia sempre saputo della mia vera identità.”disse il ragazzo pensieroso guardando i suoi compagni.

“Se voleva che ci alleassimo contro i Volturi allora e li combattessimo allora deve essere un loro nemico che fa il doppio gioco.”ipotizzò Jasper “E non è detto che abbia agito da solo. Mi chiedo chi ci sia dietro tutto questo e quale sia il suo vero scopo.”

Edward sospirò preoccupato. “Immagino che lo scopriremo presto.”

                                                                                                          ***

Le pareti del castello in rovina rilucevano bianche sotto le stelle, ed attraverso l’arco in stile gotico di quella che un tempo era stata una vetrata splendeva una luna enorme come una moneta d’argento. Una leggera brezza faceva agitare le foglie dei rampicanti che avevano invaso il giardino e parte delle mura, intorno alla fontana vuota che dominava il centro del cortile. Ma anche in quell’oscurità Louis poteva ricordare il prato verde e bene tagliato, il gorgoglio dell’acqua e ogni particolare di quando il castello era stato nel suo splendore.

Una figura ammantata di nero uscì dall’ombra e raggiunse il vampiro accanto alla vecchia fontana. “Avete corso un grande rischio a venire fin qui, mio signore.” disse Louis.

“Ho preso le dovute precauzioni, non temere. Dovevamo parlare.”disse l’uomo misterioso, contraffacendo il timbro della sua voce.

“Credo che il nostro obiettivo sia stato raggiunto. La trasformazione del ragazzo è stata più spettacolare di quanto immaginassi. Ed è appena agli inizi.”

“Esattamente. Non credere che la nostra missione sia finita. Al contrario, è appena iniziata. Lui è ancora vivo e non potrò darmi pace finché non l’avrò sconfitto.”


                                                                                                        ***

Quando Laura gli aveva chiesto di poter parlare con i suoi genitori, Dillon l’aveva accompagnata subito nello studio e l’aveva lasciata da sola, per darle la giusta privacy. Si erano a mala pena guardati negli occhi, e per lui andava bene così. Doveva prendere una decisione importante ma prima doveva consultarsi con i Cullen. Adesso c’erano tutti, notò quando fece ritorno nel salotto dai divani bianchi. Il fuoco scoppiettava nel camino dando alla stanza un’atmosfera accogliente, grazie anche al suono del chiacchiericcio eccitato dei presenti.

“Siamo pronti, Carlisle.” annunciò Alice festosa. “I bagagli sono pronti e il castello è stato ripulito e riordinato, pronto per essere restituito al tuo amico. Dillon tu hai fatto la valigia? Pensavamo di partire domani.”

Gli altri rivolsero l’attenzione verso di lui che si schiarì la voce e li avvolse tutti con lo sguardo. “Ascoltate ho qualcosa da dirvi e vorrei farlo mentre Laura è impegnata. Ho bisogno di sapere cosa ne sarà di lei adesso.”

“Cosa vuol dire?” chiese Edward aggrottando le sopracciglia “Tornerà a casa sua.”

Dillon non era ancora convinto “Sarà sicuro per lei? Se non sbaglio i Volturi hanno delle regole. Ogni umano che scopre dell’esistenza dei vampiri deve essere ucciso, se non sbaglio.”

“O trasformato” precisò Emmett.

Dillon lo sapeva ma quella possibilità non era nemmeno da contemplare. “Dovreste passare prima sul mio cadavere, ma non credo che fareste mai una cosa del genere.”

“In un certo senso una specie di trasformazione l’ha già avuta, dopo il tuo... intervento.” disse Carlisle “Non possiamo essere certi di cosa le accadrebbe se venisse morsa da un vampiro.”

“Sarebbe interessante da vedere.” mormorò Emmett colpito.

Dillon non aveva nessuna voglia di scherzarci sopra. “Non ci pensate nemmeno.” replicò puntando l’indice in segno di minaccia.

Emmett sorrise rilassato “Tranquillo Di. Nessuno te la tocca. Potremmo portarla con noi.”

Dillon spalancò gli occhi. “Portarla dove?”

“Torniamo a Forks e pensiamo tutti che tu dovresti venire con noi.” intervenne Renesmee. “Sarebbe il posto più sicuro per te.”

“E puoi portare la tua ragazza con te.” aggiunse Jacob “La proteggeremo.”

Dillon sospirò e abbassò lo sguar do “Non è la mia ragazza.” disse con voce atona.

“A chi vuoi darla a bere?”protestò Emmett “Ho visto come vi guardavate. Dichiarati, Romeo.”

Dillon arrossì suo malgrado. Come potevano pensare alla sua vita sentimentale in un momento come quello? “Non è questo il punto.” ribattè Dillon pazientemente “Lei ha una famiglia a cui tornare. Una vita da vivere. Io l’ho già messa in pericolo, non permetterò che succede di nuovo.”

Carlisle annuì comprensivo “Cosa suggerisci di fare?”

Dillon espose il piano che aveva già preso forma nella sua mente. “Mi farò aiutare da Samuel per farla trasferire in un luogo sicuro con i genitori. Di sicuro bisognerà falsificare anche dei documenti medici per spiegare in qualche modo l’avvenuta guarigione.”

“Posso occuparmene io. Ci avevo già pensato, comunque.” rispose l’altro con il suo tono pacato e rassicurante.”

Dillon sorrise, in fondo non era sorpreso.“Speravo me lo dicessi, Carlisle. Grazie.”

“Tu cosa farai?” gli chiese Edward “ Andrai con lei?”

Avrebbe voluto, altroché se avrebbe voluto... “Non posso. Finché i Volturi mi cercano, lei è a rischio. Dovrà andare il più lontano possibile da me, anche per sempre se è necessario.”

Tutti lo guardarono sbalorditi e anche addolorati. Forse perché capivano.

“Dillon, sei sicuro?”chiese Renesmee tradendo apprensione nella sua voce. Dillon ne fu leggermente infastidito anche se sapeva che le sue intenzioni erano buone.

Doveva far capire loro che non aveva scelta. “Qualcuno prima si stava chiedendo se vi perdono per avermi dovuto dare in adozione...” fu interrotto da diversi mormorii di rammarico ma poi sospirò a fondo e proseguì: “...e la risposta è sì, sicuramente, capisco perché lo avete fatto, perché adesso devo fare la stessa cosa. Se voi lo avete fatto per un figlio, un nipote, allora io posso fare lo stesso per aiutare una...un’amica.”

Dillon vide i vampiri annuire, visibilmente toccati mentre nella stanza calava il silenzio. Edward sembrava leggere il dolore in fondo ai suoi occhi.

“E´ la cosa giusta da fare.”disse Dillon con semplicità.

Jacob, gli posò la mano sulla spalla. “Allora devi andare a parlarle.”

 

Dillon rimase in silenzio per qualche minuto quando Laura rientrò nel soggiorno con l’aria affranta e gli occhi rossi di chi aveva pianto da poco.

“Scusate, posso parlarvi un momento?” chiese rivolgendosi a tutto il gruppo. Il tono della sua voce era tranquillo ma si avvertiva una punta di tristezza. Dillon non seppe trattenersi e lesse i suoi pensieri avvertendo tutta la preoccupazione per i suoi genitori. Si allontanò subito dalla sua mente, ripromettendosi di non farlo più.

“Devo tornare a casa. I miei genitori...”Laura si interruppe coprendosi la bocca con la mano per soffocare un singhiozzo.

“E´ successo qualcosa?” chiese Dillon ansiosamente.

“Apparentemente no, dicono di stare bene...ma io sento che non sono più loro. Sono ancora sotto l’effetto di quella strana ipnosi...come se non si rendessero conto di quello che li circonda… è stato orribile...”

Dillon provò il desiderio di abbracciarla ma qualcosa lo trattenne, per fortuna Esme andò a confortarla e Laura si lasciò cingere dalla braccia fredde della vampira anche se non c’era calore in quell’abbraccio.

“Andrà tutto bene, mia cara. “ le disse con dolcezza. “Troveremo un modo per aiutarli.”

“Ci sono diversi modi per liberarli dall’ipnosi.” spiegò Carlisle “Vedrai che li riporteremo alla normalità.”

“Potrebbe essere peggio...”rifletté Laura. “Se realizzassero quello che è successo e poi mi vedessero guarita così all’improvviso...impazzirebbero come minimo! Farebbero delle domande...potrebbero farvi scoprire.”

Dillon non poteva crederci: davvero si preoccupava per loro mentre la sua famiglia stava in quelle condizioni?

“Ma chi se ne importa di noi! Non lasceremo che i tuoi restino come degli automi.”le disse risoluto.

“Dovremmo farlo invece, almeno per un po’ di tempo.” insistette “Tu non gli hai visti, Dillon: adesso crederebbero a qualsiasi cosa gli dicessi, forse perderebbero anche la nozione del tempo e penserebbero che io sia guarita con una terapia o qualcosa del genere.”

“Posso aiutarti io in questo.” intervenne Carlisle “Fingerò di inserirti in una terapia sperimentale, mi occuperò di tutte le pratiche mediche e parlerò con i tuoi dottori.”

“La ringrazio.” disse Laura riconoscente. “Sapete dirmi come posso fare per tornare a Londra?”

Come poteva fare? Credeva davvero che non le avrebbero dato un passaggio?

“Ti accompagneremo io ed Esme. “ rispose Carlisle “Partiremo domani mattina all’alba.”

Dillon fece per aggiungere qualcosa ma rimase in silenzio. Un po’ lo infastidiva vedere Esme e Carlisle prendersi cura di Laura al suo posto, abbracciarla, accompagnarla a casa, ma dopotutto, affidarla a loro era la cosa migliore visto che potesse fare. Stava p erdirle addio per sempre.

Laura lo guardò per un attimo, prima di voltarsi verso Esme e Carlisle. “Va bene. Grazie infinite.” disse sollevata “Vado a fare la valigia.” Dillon annuì ma non le disse nulla limitandosi a guardarla mentre lasciava la stanza.


 

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Capitolo 55
*** Capitolo 54 ***


Dillon quella notte non poté dormire. Non era soltanto il lungo riposo degli ultimi tre giorni a togliergli il sonno, ma una serie di pensieri, dubbi e domande che si susseguivano nella sua testa. Che cosa doveva fare? La decisione che aveva preso era di certo la migliore per Laura. Ma era quello che voleva? E dove sarebbe andato il giorno dopo? Doveva restare con i Cullen o andare via con lei? No quello non era possibile, non sarebbe riuscito a proteggerla a lungo da solo e non poteva portarla con sé. Laura doveva tornare a casa, ad una vita normale, serena come avrebbe dovuto essere. Si sarebbe dimenticata col tempo di quella brutta storia ed avrebbe avuto la felicità che meritava. Forse un giorno avrebbe trovato qualcuno con cui stare…il solo pensiero di Laura con un altro, per quanto fosse fugace, gli causò una reale fitta di dolore che gli bloccò il respiro. Fare la cosa giusta doveva essere così difficile?

Non poteva restare a letto a fare quei pensieri, si disse alzandosi di scatto e indossando i vestiti del giorno prima. O di qualche ora prima? Mentre si riabbottonava la camicia di flanella diede un’occhiata fuori dalla finestra. Era ancora notte ma le stelle stavano cominciando a spegnersi una ad una e la linea dell’orizzonte stava sbiadendo dal blu al turchino.

Avvolta in un piumino argentato, intenta a passeggiare nel giardino del castello, c’era Laura. Si era fermata a guardare in direzione del laghetto che sorgeva poco distante dal castello, reso visibile dai primi chiarori. Dillon non credeva di trovarla sveglia a quell’ora e provò un intenso desiderio di sapere a cosa stesse pensando. Non aveva intenzione di usare la telepatia con lei: sarebbe stato come spiarla e non lo avrebbe fatto. Poteva parlarle, chiederle come stava, e altre domande idiote, ma almeno avrebbe passato con lei un altro po’ di tempo prima che se ne andasse. Il resto della famiglia sicuramente non dormiva, e non aveva voglia di incrociare nessuno nei corridoi. Senza pensarci oltre Dillon aprì la finestra e saltò giù con grazia, atterrando morbido a pochi passi da lei. Per quanto fosse stato silenzioso, lei sembrò percepire il suo arrivo e si voltò guardandolo meravigliata ma senza alcuna paura. Dillon le sorrise.

“Non sei ancora stanca di laghi e di castelli? Castelli pieni di vampiri?”

Laura sorrise di rimando. “Almeno qui nessuno vuole ucciderci. Scusa se è poco...”

Dillon rise. “Già.” Percorsero alcuni passi insieme ed andarono a sedersi in cima alla scalinata che collegava il castello con l’ingresso.

“Non riuscivo a dormire.” riprese Laura. “Mi piace qui. Era tanto tempo che non stavo in mezzo alla natura. Non avrei mai pensato di vedere la Scozia.”

“Vedrai dei paesaggi incantevoli domani, in macchina. Farai un viaggio bellissimo.”

A quelle parole Laura sembrò rattristarsi.

“I tuoi staranno bene.” disse subito Dillon cercando di rassicurarla. “E anche tu, vedrai.”

“E tu, Dillon?” chiese lei guardandolo intensamente. “Tu starai bene?”

Dillon si strinse nelle spalle. “Certo.”

“Che cosa farai adesso? Tornerai a Londra? O andrai a stare con la tua famiglia?”

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Ancora non lo so.” Era tutto ancora molto difficile da metabolizzare. I Cullen gli erano simpatici e si fidava di loro, ma anche se in quei giorni aveva cominciato ad affezionarsi, restavano comunque degli estranei, per giunta vampiri. E lui cos’era invece?

“Pensi che ci rivedremo?” domandò Laura diretta. Dillon rimase spiazzato, non si aspettava che lei glielo chiedesse con tale naturalezza. E non aveva nemmeno pensato a come dirglielo.

“Credo che la cosa migliore per te sia starmi il più lontana possibile, dopo tutto quello che è successo.”

“Dimentichi di avermi salvato la vita.”

“Dimentichi che ti hanno rapito a causa mia e che io stesso potevo ucciderti.”

“Ma non è successo! Al contrario: mi hai restituito la vita. Guardami! Sono viva grazie a te.” Dillon fissò quel viso bellissimo, radioso, e quegli occhi verdi in cui avrebbe potuto perdersi.

“Io non ho nessun merito. Non potevo sapere di avere il potere di guarire quando ti ho morso. Saresti potuta morire.”

“Dillo, io stavo già morendo.”

“Ma in un modo umano e normale, non in un modo mostruoso e crudele...”

Laura lo guardò severamente, forse per la prima volta da quando la conosceva. “Normale? Credimi Dillon, non sai di cosa parli.” Fece una pausa e riprese fiato. “Tu non volevi nemmeno mordermi, ti ha obbligato Louis e poi quando ti sei trasformato, mi hai protetto. Non avevi nessuna ferocia verso di me, anzi avevi uno sguardo così umano, carico di...sentimento. Non eri un mostro. Te lo ricordi?”

Dillon rabbrividì ripensando a quel momento terribile in quella cella, alla furia cieca con cui aveva polverizzato i vampiri e la sua esultanza nel farlo. Ma ricordò anche quando Laura guardandolo senza paura, aveva capito chi fosse il lupo bianco e gli aveva donato una carezza piena di fiducia.

Si era sempre fidata di lui. O non capiva la situazione o la capiva meglio di quanto avrebbe mai fatto lui stesso.

“Essere quella creatura è stato...non so come spiegartelo. Mi sono sentito potente, senza controllo...e ripensarci mi fa paura. Ancora non sono abituato a questi poteri e non so più cosa sono. Non so nemmeno se sono ancora umano.”

“Lo sei, invece. L’importante è che non ti dimentichi delle persone che ti hanno amato e che ti amano.” Laura concluse la frase posando la sua mano sopra quella di lui. Quel contatto gli procurò una piacevole scossa elettrica lungo il braccio. Il suo cuore prese a battere più forte e quando incrociò lo sguardo con quello di lei la sentì trattenere il respiro. Laura distolse lo sguardo mordendosi un labbro come a trattenere un sorriso.

“A proposito...credo sia il momento di ridarti questo.” la ragazza si slacciò il cinturino dell’orologio che portava al polso e lo porse a Dillon.

“E´ incredibile che abbia resistito a...tutto.” osservò lei facendogli notare che funzionava ancora perfettamente.

Dillon sorrise rigirandosi tra le dita quell’oggetto così familiare. “Puoi tenerlo tu, se vuoi, come ricordo...” le propose timidamente.

“Ma te lo hanno regalato i tuoi genitori...è giusto che lo abbia tu.” protestò Laura in tono gentile. “Puoi darmi qualsiasi altra cosa come ricordo, anche se...non credo che potrei mai dimenticare...”

Dillon capì anche se la frase rimase in sospeso e sorridendole si sfilò uno degli anelli argentati che indossava e glielo mostrò sul palmo della propria mano. “Non è un granché...l’ho fatto io.”

Laura guardò l’anello affascinata e lasciò che lui glielo infilasse all’anulare destro.

“Forse è un po’ largo...” mormorò Dillon imbarazzato. “Puoi anche usarlo come ciondolo.” Laura sembrò sinceramente contenta del dono.

“E´ bellissimo.”

“Ecco..in realtà è un’arma.” spiegò Dillon nervosamente avvertendo il tocco delle loro mani che si sfioravano mentre le mostrava i dettagli dell’anello. “Se lo spingi dove c’è quest’incisione e lo lanci addosso ad un vampiro, prenderà fuoco.”

Si diede mentalmente dell’idiota per averle dato una cosa del genere, ma Laura non smise di sorridere.

“Potrebbe essermi utile la prossima volta che mi rapiscono.”

Dillon si rabbuiò di colpo e la guardò seriamente. “Laura, ascoltami bene. Non ci sarà una prossima volta. No lo permetterò per nessuna ragione al mondo. Ecco perché noi due non dovremo rivederci mai più.”

Il ragazzo fece una pausa cogliendo l’espressione stupita sul volto di lei.

“Finché siamo amici, sarai sempre in pericolo. I Volturi non smetteranno mai di cercarmi e non voglio che tu sia più coinvolta. Adesso è il momento migliore per far perdere le tue tracce, non possono sapere che tu sei guarita, probabilmente ti credono ancora malata, se non morta per via delle gravi condizioni con cui hai dovuto affrontare il rapimento e la fuga. Se te ne vai adesso il più lontano possibile e tagli i contatti con me, sarai al sicuro per sempre. Nessun vampiro ti verrà più a cercare. Me compreso.”

Laura rimase in silenzio tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.

“Sapere che sei in salvo, che puoi vivere la vita che volevi, non sai cosa significhi per me. Tutto quello che ho passato nella mia vita, nel mio ultimo anno da cacciatore, e nello scontro al castello...” Il ricordo del rapimento di Laura, i combattimenti, la pugnalata di Caius, il morso, lo fecero trasalire e interrompere per un attimo il suo discorso. “Vale la pena aver affrontato tutto questo solo per vederti qui, guarita completamente, con una vita davanti. Rifarei tutto.”

Laura si voltò con gli occhi verdi spalancati rivolti verso di lui. Dillon ebbe l’impressione di vederli lucidi. O forse era un riflesso della luce.

“Capisco.” disse finalmente la ragazza con un tono calmo e controllato.

Dillon si sorprese che lei capisse davvero.

“Già, anche se non è la scelta più facile...” ammise incurante se quelle parole potessero rivelare i suoi sentimenti.

Laura si abbracciò le ginocchia assorta nei suoi pensieri.

“Non la definirei difficile, piuttosto dolorosa. Le scelte giuste spesso lo sono.”

Dillon non poté che concordare.

“Abbiamo ricevuto anche tanto, però.” continuò lei. “Tu hai ritrovato la tua famiglia, io sono guarita dalla mia malattia. Non lo dobbiamo dimenticare.”

“Sì è vero, penso soltanto che forse avremmo potuto avere di più.” quando Dillon pronunciò queste parole le rivolse uno sguardo carico di significato.

Le sue parole portarono un’espressione di stupore e gioia sul viso di Laura. “Forse potremmo averlo, un giorno.” sussurrò lei speranzosa.

Dillon sentì che gli si stava spezzando il cuore. “Non te lo posso promettere.”

Laura sorrise, nonostante la delusione e gli prese la mano.

“Possiamo sempre sperare.” disse con dolcezza. Dillon si godette il tocco di quella mano delicata che sembrava così piccola dentro la sua dalle dita lunghe.

Laura ad un tratto alzò la testa affascinata in direzione del lago, mentre i primi raggi del sole tingevano d’oro il verde delle sue pupille.

“E´l’alba.” mormorò rivolta a lui. Ma Dillon non si girò per veder sorgere il sole: preferì vederlo riflesso nei suoi occhi.


 

La macchina arrivò troppo presto. Dillon assistette in disparte al giro di saluti che i suoi famigliari rivolsero a Laura prima della partenza. La ragazza non ebbe paura di stringere mani e abbracciare i vampiri. Renesmee e Jacob la trattennero qualche secondo in più, mormorandole parole di riconoscenza. Quando fu il suo turno scoprì di non essere affatto pronto, tanto meno rassegnato a vederla partire.

Il breve abbraccio che si scambiarono fu più sofferto di quanto avesse immaginato.

Non riuscì a godersi quell’ultimo contatto né la parole affettuose con cui gli disse di prendersi cura di sé. Era già tutto così formale e distante? E mentre la vide che si avviava verso la macchina sentì che presto sarebbe finito in pezzi. Forse lo era già da tempo e non sapeva cosa li avesse tenuti insieme.

Ma all’ultimo momento Laura si girò e dopo avergli dato un’occhiata disperata, corse freneticamente verso di lui e gli si gettò tra le braccia. Stavolta Dillon lo sentì. Quando la strinse forte contro di sé incurante degli sguardi degli altri, sentì un calore invadergli il petto e si sentì di nuovo completo, al sicuro, come se non avesse bisogno di nient’altro al mondo. Stavolta il corpo di lei si adattò perfettamente nel suo abbraccio come se fosse parte di lui e le affondò le dita tra i capelli nascondendole il viso contro il collo come se non dovesse lasciarla andare mai più.

Cosa che naturalmente non era possibile. “Resta.” pensò Dillon concedendosi un attimo di egoismo. “Resta con me.

Laura fu la prima sciogliere l’abbraccio. I loro nasi quasi si sfiorarono mentre gli prendeva il viso tra le mani e lo guardava diritto negli occhi. Dillon sentì girargli la testa per l’emozione.

“Ascolta”, sussurrò lei con voce commossa, “Mi devi promettere che non penserai a te stesso come un mostro. Per me non lo sarai mai! Mai.”

“Perchè è così importante?” chiese Dillon sorpreso.

“Perchè voglio che tu sia felice. Promettimelo, ti prego”.

Dillon si addolcì e le sorrise. “Va bene, te lo prometto. E anch’io voglio che tu sia felice. Me lo prometti?”

Laura ricambiò il sorriso con gli occhi lucidi. “Promesso” disse solenne.

Lo abbracciò di nuovo e quando si staccò da lui, gli tenne la mani sulle spalle per qualche secondo, guardandolo intensamente. Poi sollevò la testa verso di lui per lasciargli un tenero bacio sulla guancia, facendolo trasalire con il tocco delle sua labbra morbide. Alla fine Laura lo lasciò, dirigendosi verso la macchina che la stava ancora aspettando ma senza smettere di guardarlo. Dillon la seguì con lo sguardo con una strana emozione nel petto che sapeva di felicità e somigliava già alla nostalgia. Laura gli regalò un ultimo sorriso prima di chiudere lo sportello.

Dillon d'istinto chiuse gli occhi. Quando li riaprì, lei se ne era andata.


 

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Capitolo 56
*** Epilogo ***


Epilogo


 

La porta della villa si spalancò inondando con la luce del tramonto il grande salone, pieno di mobili ricoperti di teli bianchi impolverati. Sul pavimento risuonarono i passi leggeri di diverse figure avvolte nei loro cappotti eleganti dai colori chiari, in tono con la loro pelle candida ed i oro occhi color ambra. Si muovevano con sicurezza guardandosi intorno e mentre si guardavano l'un l'altro sorridendosi, tolsero pian piano tutti i teli e aprirono le tende. Qualcuno accese un vecchio stereo e mise su della musica. Le note di Golden Slumbers cominciarono a riempire la stanza dandole un'atmosfera surreale e fuori dal tempo. Un'ultima figura fece il suo ingresso nella villa. Il passo dei suoi anfibi neri era più pesante e incerto mentre varcava la soglia stringendosi nel suo giubbotto di pelle nera. Il nuovo arrivato ricevette gli sguardi affettuosi di tutti i presenti a cui rispose con un sorriso timido. Esitando il giovane si diresse verso l'ultimo mobile ancora ricoperto dal lenzuolo bianco. Gli altri continuarono a guardarlo come per incoraggiarlo e il giovane lentamente prese tra le dita un lembo di stoffa tirandolo via fino a rivelare quello che c'era sotto: una culla. Il ragazzo la fissò intensamente per alcuni minuti mentre tutti si riunivano intorno a lui.

“Bentornato a casa, David!”

Il biondo sussultò udendo il suono del suo vero nome ma accennò un sorriso, lasciandosi abbracciare e spettinare i capelli dai suoi familiari. Erano evidentemente felici e commossi di riaverlo lì in quella casa e continuavano a chiacchierare allegri, immersi nei ricordi. Il giovane in silenzio si diresse verso la portafinestra e sgusciò nel giardino, ammirando il paesaggio circostante. Il mormorio del fiume e il bosco folto, pieno di segreti, gli diedero un senso di familiarità più forte di quello che gli aveva dato la casa. Si appoggiò pensieroso ad una delle colonne del portico e fissò le rare nuvole tingersi di rosa.

“Stai pensando a lei, Dillon?” gli chiese Edward

“Non voglio parlarne” lo interruppe subito il ragazzo “Tanto non la rivedrò mai più.”

“Non perdere la speranza. Anche il mio era un amore impossibile eppure abbiamo lottato per stare insieme. Tu non staresti qui a parlare con me, altrimenti.” Dillon non protestò ma rimase a riflettere. Edward ne approfittò per continuare il suo discorso. “So che vuoi proteggerla ma quando questa storia sarà finita potrai andare a cercarla e riprendere da dove avete lasciato.”

“E quando credi che finirà? Quei vampiri mi daranno la caccia per tutta la vita.”

“Un passo alla volta. Non sarai da solo ad affrontarli. Penseremo tutti insieme alla nostra prossima mossa. Non ci lasceremo cogliere impreparati.”

Dillon annuì deciso. “Sono pronto.”

Edward gli sorrise e si soffermò ad ammirare il paesaggio dai colori autunnali, i rami che sfioravano l'acqua, le rocce levigate dalla corrente che si tingevano d'oro.

“Edward...” mormorò Dillon timidamente richiamando di nuovo l'attenzione del vampiro. “Io ho fatto dei sogni che si sono avverati...ma ce n'era uno in cui vedevo Laura bella e in salute che usciva dall'acqua e mi guardava. Sembrava simile agli altri ma non è successo niente del genere...”

Edward ascoltò interessato. “Allora forse deve ancora accadere.”gli suggerì prima di rientrare in casa e lasciarlo solo con i suoi pensieri.

Dillon restò a bocca aperta per un attimo e ci rimuginò su mentre un sorriso gli si disegnava sul volto. Rimase lì fuori ancora un po' mentre il giorno finiva e lasciava posto all'oscurità. Dillon chiuse gli occhi e vi si lasciò avvolgere come in un mantello.

 


 

Ringraziamenti

 

Dopo più di dieci anni finalmente metto fine a questa fan fiction, imperfetta, iniziata quasi per gioco a cui mi sono affezionata nel tempo. Ringrazio tutti quelli che l'hanno apprezzata e l'hanno letta e commentata.Sunrise ha ottenuto finora 264 recensioni. E' seguita da 48 persone e 31 l'hanno messa tra i preferiti. Il primo capitolo ha ottenuto 4864 visite.

Ne sono commossa e sto pensando anche ad un seguito.

Vi chiederete cosa succederà in seguito?

Dillon rivedrà Laura o avrà un nuovo amore?

Il suo rapporto con la famiglia Cullen ed I suoi genitori sarà semplice o meno?

Cosa trameranno adesso iVolturi?

E infine qual'è il piano di Louis e dell'uomo misterioso?

 

Se vi interessa avere una risposta a queste domande, allora potrà esserci un seguito.

Nella mia mente ho immaginato più o meno quello che succederà ma deve ancora vedere la luce.

A presto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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