Untitled - Cosma

di postumana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Sussurrava la terra, quella notte, bisbigliava l’acqua, e ascendevano i respiri degli amanti ad intessersi col mormorare del vento. L’aria era intrisa di odori minerali e di corpi perduti; in essa, tornavano a rivivere leggende tramandate fra epoche e galassie. Si narrava di un tempo in cui la terra e i cieli si erano amati, e tanto possente era quell’amore che le stelle precipitavano a baciare l’erba in fiore, e meteoriti di fango e rocce si staccavano dal suolo per salire a incollarsi sul firmamento. Così erano nati i pianeti, si diceva, e dai residui celesti, consumati nell’agognata passione, avevano preso vita i luoghi sacri di magia e mistero profondo che, ancor oggi, neppure gli uomini osavano devastare.
Qualcosa solleticò la guancia di Alma; la ragazza scostò con l’indice le minuscole foglie agitate dalla brezza, in silenzio, affascinata dal mondo segreto che là, sotto l’albero, si arrendeva alla vita.
Non avrebbe dovuto nascondersi. Sull’erba umida d’argento si sfioravano le mani e sparivano nella carne, a due, tre e anche più alla volta, guidate da un’urgenza che era quasi una fitta. C’era molta gente, alle Cascate di Cosma; ciascuna unione onorava con rispetto quelle degli altri, perché quella era la regola che nessuno aveva mai scritto e che però ti pervadeva appena il primo piede passava sul suolo della foresta. La vera importanza non era in ciò che facevano, ma nel loro esserci, che rinforzava il proprio; uno straordinario ricircolo di accettazione e riconoscenza che rendeva il pudore del tutto superfluo. Se anche Alma si fosse appostata ad osservarli tra le pozze di acqua bianca, nessuno l’avrebbe considerata un’intrusa.
Eppure, consapevole di tutto questo, era così che lei si sentiva; e insieme le sembrava di far parte dell’incanto che ardeva nella radura. Lo capiva senza conoscerlo; guardava, nell’attesa, incapace di non pensare che stava spiando, e allora veloce tornava a indugiare sul fluire morbido delle cascate, sul loro frangersi setoso come latte sopra le pietre scure. Nella luce lunare, brillavano simili a gioielli di sale. E, prima di poter riacchiappare il filo dei pensieri, l’occhio era già tornato sui lembi di pelle, catturato dal loro fremere.
Alma sarebbe potuta restare così fino all’aurora, tra rossori e attrazione sospesa; avrebbe voluto che la notte non schiarisse mai.
Un sussurro tranquillo la raggiunse di sotto.
«Ti stavo cercando. Pensavo avessi deciso di non venire…»
Leggera come un soffio di vento, la voce produsse un effetto immediato su Alma: sentì il petto incespicare, rialzarsi goffo, cominciare a correre. Aveva il suono dolce e basso di un flauto. I profili nudi degli altri, che tanto l’avevano stregata, erano già usciti dalla sua mente. Dopo un attimo di esitazione, la ragazza saltò giù dal ramo che le aveva dato rifugio e atterrò con un tonfo morbido sul manto erboso.
Imbarazzata, spazzò via dalla gonna una polvere che non c’era.
«No… È solo che non volevo disturbare.»
D’intorno, proseguivano i gemiti e i sospiri s’inseguivano. Rendendosene conto, Alma si fece ancora più rossa. Si costrinse a guardare il viso che le stava davanti, anche se di sottecchi, dando per certo di trovarvi un’espressione ironica, una velata presa in giro.
Al contrario: Ivo era bellissimo al bagliore delle cascate, e di derisione, nei suoi occhi grigi, non c’era alcuna traccia. La osservava come se avesse aspettato tutto il giorno di vederla e di essere felice. Le labbra di Alma si schiusero in un sorriso incerto. Quelle occhiate la rendevano talmente impacciata… e, sotto il loro influsso, si sentiva così stupidamente speciale.
Non sapeva come comportarsi, ma questo Ivo l’aveva capito subito. Il tocco della pelle calda sulla sua mano le fece scoppiettare lo stomaco; tenendola stretta, lui la guidò tra le radici, più vicino all’acqua candida e ai suoni di fiamma che il suo scorrere ricopriva. Nessuno fece caso a loro, ma cercarono comunque di tenersi in disparte.
Alma era preoccupata: aveva paura che, stando lì in mezzo, non sarebbe proprio riuscita a distogliere lo sguardo. Ma il timore scomparve appena fu seduta al fianco di Ivo e sentì il suo braccio cingerle le spalle. Testa e addome, adesso, si concentravano solo su quello; i grovigli di persone intorno a loro erano diventati burattini invisibili di un teatro distante. Avere lo sguardo di Ivo addosso le chiudeva la gola; si girò, e Alma scoprì che quel nodo poteva stringersi ancora, soltanto per aver trovato un sorriso contento.
«Mi dispiace» le sfuggì a fiori di labbra, il fiato dolorosamente mozzo.
Lui non si scompose.
«Di cosa?»
Ma Alma non poteva rispondergli. Ora davvero non sapeva più dove guardare, perché ovunque posasse lo sguardo trovava rimproveri inespressi, ma chiari come una gelida mattina d’inverno, che la travolgevano in un’ondata di vergogna a cui non riusciva ad opporsi, e la paura più grande era che se si fosse di nuovo rivolta su Ivo avrebbe trovato una piega d’insofferenza tra le labbra rosate, il biasimo annidato sulla fronte…
…E non riuscire ad agire era la parte peggiore. Volerlo e sentirsi di pietra. Aveva avuto tutto il tempo di capire e abituarsi all’idea, nel corso della serata, e anziché entusiasmo provava solo uno sgradevole senso di piccolezza.
Stava trattenendo il respiro. Quando la punta di un dito salì a sfiorarle una lacrima, la sospensione si ruppe con un singhiozzo; un suono molto diverso da quelli che tremolavano nel buio. Eppure, non stonò.
«Non c’è alcuna fretta.» Un bisbiglio di flauto spirò solo per lei. «Pensa al momento.»
Quelle parole tormentarono Alma.
«Ma hai voluto incontrarmi qui…»
Ivo scosse con forza la testa e, insieme, la poggiò contro la fronte di lei.
«Tu vuoi essere qui?»
Alma strizzò forte gli occhi.
«Voglio essere con te» mormorò.
«Va tutto bene.» Ivo la strinse in un abbraccio rassicurante. «È l’unica cosa che volevo.»
E Alma si aggrappò a quell’abbraccio, le parve di entrare sotto la sua pelle calda e lì di essere al sicuro, l’unico posto davvero sicuro del mondo, dove il cuore trovava requie dal terrore ed era libero di volare. Cercò Ivo come temendo che sparisse; da un momento all’altro si trovò ancorata ai suoi occhi, grigi diamanti lucenti di calma, e si facevano più vicini, sempre di più, fin quando la notte li avvolse di nuovo e benedì l’incontro delle labbra.
In un pianto che si ritraeva, Alma scoprì cosa voleva dire baciare qualcuno che si amava.
E si baciarono per tutta la notte, cauti e sospesi nel tempo che passava, e poi ancora per molte altre notti a venire, ogni volta come se fosse la prima. Alle Cascate di Cosma, nella dolce melodia degli amanti, esistevano solo loro.

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Capitolo 2
*** Due ***


Il caffellatte; Alma andava matta per il caffellatte. Appena sveglia, a metà pomeriggio, la sera prima di andare a letto… Lo avrebbe bevuto ad ogni ora. Amava il tepore della tazza e il sapore dolce e vischioso che rimaneva sul palato. Meglio ancora con un po’ di miele. Se in casa, poi, c’era anche qualche biscotto, magari appena sfornato dalla nonna, ecco, non poteva proprio controllarsi: doveva per forza correre nella cucina dalle finestre piccole e mettere un pentolino a scaldare sui fornelli in penombra.
Perché ci pensava adesso? Non era una riflessione concreta, un’analogia formulata con parole reali. Era che avere Ivo vicino era come tornare a casa e sentire la fragranza di cannella dei biscotti, ed era che più toccava il suo corpo e più assaggiava la bocca morbida, la lingua impalpabile, più cresceva la voglia di continuare, e di spingersi ancora un po’ più in là.
La frenava ancora una certa reticenza, sempre più simile a un fastidio irrazionale che a una vera preoccupazione. Blocco dopo blocco, però, Ivo l’aiutava a smontare i suoi muri di soggezione, e Alma stava adorante ad osservarli crollare. Erano sempre le Cascate di Cosma ad accompagnare i loro passi, quando giù in paese fingevano a malapena di riconoscersi tra la folla. Nel mondo comune di passi veloci e di gente divisa, la consapevolezza del pericolo superava di gran lunga il desiderio. I Corpi Bianchi captavano la felicità con precisione militare; nessuno dei due voleva essere toccato, né avrebbe sopportato di vedere le algide membra calare sull’altro col loro dono ferale.
Sentivano, invece, che l’acqua stellare delle cascate li proteggeva, come tutti quelli che vi cercavano rifugio. Non c’era sollievo più grande di quella fragile, temporanea illusione di salvezza.
Tanto grande che, un passo dopo l’altro, in una splendida notte Alma era riuscita a spogliarsi. L’attesa di quel momento – che pure doveva arrivare – era stata ansiosa. Gli indumenti sparivano a poco a poco. Gli occhi degli amanti, se capitava che si soffermassero, lo facevano col massimo rispetto, quasi con reverenza, come se lei fosse un’antica statua in un museo. Quelli di Ivo, invece, s’illuminavano come tempeste d’estate, ed erano contenti di ogni nuova scoperta, mai impazienti, mai frenetici, progressi come spettacoli della natura.
Sotto tutti quegli occhi, la vergogna si ridimensionava, rimpiccioliva ancora, c’era e taceva sotto il bisogno incalzante di sentire le tracce bollenti che le dita di Ivo lasciavano sulla sua pelle.
Tremava, Alma. Aveva imparato tutto dell’amore, alle Cascate, guardando coloro che già lo conoscevano e ascoltando la voce di Ivo col cuore che batteva di vita e di eccitazione. C’erano cose che non capiva, che da sola non avrebbe mai potuto figurarsi, e altre che a tratti riportavano a galla insicurezza sopite che doveva sforzarsi di ricacciare indietro. Con Ivo, ognuna di quelle cose diventava un formidabile atto sacro che Alma avrebbe ripetuto per millenni, trascendendo il ricevere, facendosi dono lei stessa, celebrando la vita che s’imponeva in due emanazioni che diventavano una…
E capiva perché tutti i grandi, in paese, sembravano tristi e tenevano sempre gli occhi bassi. Se le Cascate di Cosma avessero liberato l’essenziale di vita che custodivano, nessuno avrebbe mai potuto sfuggire ai Corpi Bianchi.
Mancava solo una cosa da fare. Ivo le aveva assicurato che non era importante, che l’avrebbe aspettata per tutto il tempo necessario. Ma era importante, no? Anche se lui non lo diceva, era il fulcro di tutto quanto, dell’esistenza stessa, se da un istante all’altro si poteva consumare in un fiotto improvviso di tenebra.
Alma lo desiderava. Ormai voleva aprire quell’ultima porta; un’altra volta, l’aveva trattenuta la paura. Non di sbagliare, non del rifiuto. Temeva soltanto, con tutto quel che aveva vissuto finora, che sarebbe stato troppo; di non essere capace di reggere tanto.
La mano di Ivo si ritrasse, andò a bagnare la coscia di Alma. Un brivido di meraviglia le percorse la schiena esposta.
«Va tutto bene?» ansimò Ivo preoccupato. «Vuoi andare via?»
Gli occhi di lei si riempirono d’allarme.
«Ti prego» sussurrò, aggrappandosi senza fiato alle sue dita. «No
 Le cascate scrosciavano luce. Le orecchie di Alma erano piene del loro frastuono, cento volte più sensibili ai rumori per il portentoso effetto di un cuore vicino all’esplosione. Aveva molto caldo, ma il pensiero di allontanarsi da Ivo per cercare un po’ di sollievo non la sfiorò mai.
Guardandola, il turbamento del ragazzo a poco a poco si disfece, le palpebre si rilassarono in una comprensione estatica e solenne. Sembrava voler dire qualcosa che non sapeva come esprimere. Allora, scelse un modo diverso di suggellare quell’inizio. Le sue dita scure s’insinuarono tra i capelli di Alma, si adagiarono sulla nuca, e con una foga ancora incredula che accostava le labbra dei due sbocciò il primo fiore di passione; le ciocche furono strette in una presa decisa.
Per Alma, il mondo non aveva mai girato più veloce; sentì che le sue creature non erano mai state così vivaci, dinamiche, presenti; e, insieme, le parve che tutto, alle Cascate di Cosma, si fermasse, la stessa acqua nivea e fulgida calmata nel picco dell’attenzione. Percepiva i respiri di tutti, placidi o ritmati, soffi marini e venti in tempesta, perché erano parte di lei come lei lo era stato di loro, e adesso era l’unica cosa esistente, lei con Ivo, l’unità scissa che riabbracciava il creato intero. Era puro momento, era una linea di luce che attraversava la storia e milioni di storie preesistenti e future; Alma era la vita stessa.
Ed era vita Ivo. Lasciò impronte indelebili su ogni centimetro di Alma, e poi la adagiò sul prato. Piccola, universale. Ogni cellula in fermento aspettava la sua guida.
Furono insieme, veramente insieme, finalmente insieme, con una facilità meravigliosa, una ferita atroce dissipata dall’avanzare del momento. Un contrasto che, all’inizio, lasciò Alma da sola, serrata nel buio rossastro della mente in disperata ricerca di comprensione, uccellino frenetico in una gabbia. Un suono le raschiò la gola; tornò la luce. Non era sola: c’era Ivo con lei, c’era Ivo in lei, fisico, mentale, anima e cuore, che spingeva piano per tornare armonia.
L’aria si sospese nel petto; le sensazioni sconosciute che avevano sopraffatto Alma con forza di maremoto vennero scomposte in unità più piccole, tutte parte interconnessa dell’unica esperienza per cui in quell’epoca, in quel frammento di mondo, valesse la pena vivere. Le conobbe, diede loro un nome…
…E qualcosa di ancora più immenso e inesprimibile discese come un fulmine, elettrizzando il corpo, amplificando i sensi, portando Alma sull’orlo di lacrime profonde che sgorgavano dalle inconoscibili verità dell’universo. Non vedeva il volto di Ivo – lei era il volto di Ivo e i gesti del suo corpo –, ma sentiva la stessa sublime commozione attraversarlo a ondate di energia che non poteva, non si sarebbe mai esaurita.
Presto, l’unione si completò. Alma sentiva nuove mani sfiorarle i seni, nuove carezze che esploravano la pelle, e nuove singolarità che chiedevano psiche e saliva. Donne e uomini, pelli scure e chiare, dono e richiesta; Alma e Ivo non tralasciarono nulla, restando sempre insieme, perché la loro fusione poteva accogliere tutti gli elementi del totale, creando uno spazio infinito e completo nella perfezione di un attimo illimitato.
Quella notte, quell’eternità incendiata in un secondo, Alma scoprì il fare l’amore come atto universale di abbandono e fiducia, e scoprì il puro piacere che era l’essenza e la connessione prima dell’umanità intera.
Le sfolgoranti Cascate di Cosma piovvero a consacrare gli amanti.

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Capitolo 3
*** Tre ***


Di nuovo, le foglioline di sofora carezzavano il viso di Alma. Stavolta l’attesa era intenzionale e il nascondiglio era un inno; il sole doveva ancora tramontare. Notte dopo notte, in Alma si era fatta strada l’idea che al mondo ci fosse più felicità di quella che l’uomo era disposto a riconoscere, allontanando la paura; che ci fossero maestri, proprio come Ivo lo era per lei, più che disposti a svelarla ed insegnarla, in attesa soltanto dell’arrivo dei novizi. Era poco meno di un’irresistibile follia. Cercarla; goderla; diffonderla; e, forse, così il male si sarebbe dileguato.
In cima all’albero più florido delle Cascate di Cosma, col sole ormai porpora che screziava di lampi la luce dell’acqua, un vento sottile tra le ciglia, Alma pensò di aver trovato qualcosa; di aver appena scalfito la superficie del reale.
Non c’era nessuno: era ancora presto. Se si concentrava, lasciando andare i profumati colori della natura, poteva quasi vedere le ombre di tutti coloro che là sotto, resistendo, avevano fermato il tempo.
Ciò che vedeva adesso, però, infiltrato tra le brume dipinte che le velavano gli occhi, non era uno spirito: era Ivo, più bello che mai e in abbigliamento inconsueto. Gli occhi di tormenta erano l’unica cosa che brillava sopra il nero cappotto, i calzoni stretti e neri, neri pure gli stivali. Si guardavano intorno, cercando. Ma quel che vedeva Alma trapassava i tessuti. Era un riflesso di sé che stava accanto all’acqua di stelle, una componente divenuta e sempre stata inscindibile.
Quando la individuò, un luccichio. Spalancò le braccia.
Alma fu giù in un fruscio.
Il cappotto odorava di fumo nero e di freddo.
«Non mi sei mai mancato» sussurrò Alma, attutita dall’abbraccio. Era così: ogni giorno separati, ogni istante, lui era lei e lei era lui, e alle Cascate rinforzavano solo quel legame d’identità.
La voce di Ivo era un rombo lontano che squarciava l’orizzonte.
«Nemmeno tu.» Sciolse le braccia, liberò i respiri; sul volto s’inseguivano le nubi. «Non potrai mai mancarmi, Alma.»
Lei si discostò ancora per osservarlo; cercava la fonte di quelle note fuori sincrono. Le foglie sui rami e quelle cadute cantarono con l’acqua, ma stavolta non si trattava del vento. In un lungo attimo, i muscoli di Alma si tesero, e gli occhi sferzarono Ivo.
Entrambi si lacerarono.
Perché lei era lui e lui era lei, e Alma aveva capito cosa stava per accadere mentre Ivo soffriva il dolore di entrambi.
Sparì insieme al sole, portato via da un mulinello bianco. Alma poteva ancora vederlo dietro la cortina che vorticava, attorniandola, e in trasparenza di là del velo di lacrime. Non provò a scappare. Sentiva il mondo crollare dentro, innumerevoli macerie che si staccavano e schiacciavano amore, certezze, galassie; la frana rendeva inerte la vita.
Il tornado si fermò, facendosi muro e interrompendo il vento. Le Cascate di Cosma continuavano a scorrere con minaccioso fragore mentre la foresta tratteneva il respiro. Gli altri avevano iniziato ad arrivare, ma non osavano avvicinarsi: alcuni erano già fuggiti col terrore che artigliava loro la schiena, ma qualcun altro, impietrito, restava a guardare compiersi il più vile degli incubi.
Straziata, Alma alzò gli occhi dalla pozza di lacrime. Un vuoto nauseante era sceso dalla gola lungo tutto il torace.
Loro erano lì: la fissavano anche se non avevano occhi, la accusavano senza bocche per parlare.
I Corpi Bianchi avevano invaso le Cascate di Cosma. La malvagità che incombeva sull’uomo, nel posto dove ritrovava sé stesso, insieme a tutti gli altri. Bianco latte, bianco di stelle, e bianco oscuro.
Ed era stato Ivo a portarceli.
L’urlo dilaniante che eruppe da Alma arrivò un secondo prima dell’attacco simultaneo. Non erano in tanti; sfioravano appena la decina. Ma era noto che un solo Corpo Bianco era più che sufficiente a distruggere per sempre un individuo dotato di volto e colori. Gli spettatori sul limitare della radura rimasero immobili, con l’orrore che storceva loro le bocche, raccapricciati dalle membra bianche che si riversavano fameliche su Alma. Piangevano la sorte della giovane; si domandavano perché così tanti, e perché loro stessi non venivano assaltati… tra quanto sarebbe giunto il loro turno. Pochi secondi: tanto bastava ad essere toccati, a cancellare una regolare esistenza umana. Si chiedevano perché, nonostante sapessero questo, non riuscissero a correre via.
Ma non si trattò solo di un tocco. L’anomalia era tanto evidente da torreggiare nel delirio. I Corpi Bianchi erano singolarità maledette, e agirono come tali.  Il loro moto di bufera coprì solo in parte la tremenda protesta di Ivo, che comprese troppo tardi ciò che aveva veramente fatto.
Alma era una bambola di pezza nelle loro mani. Tiravano, stringevano, colpivano e violavano, ognuno ansioso di prendere la propria fetta e di non lasciarne ai compagni. Non c’era posa nell’umiliazione, e nemmeno c’era piacere, divertimento, o rivalsa; era ignobile caos fine a sé stesso, perpetrazione dell’empietà pura che quegli esseri, col loro tocco orribile, regalavano agli uomini senza ragione e senza un viso capace di sorridere crudele.
Sembrava non dover finire mai. Sembrava che ad Alma non fosse concesso neppure di morire, che gli amanti delle Cascate fossero condannati ad assistere per sempre a quello spettacolo di arcana e diabolica potenza, Ivo a ingoiare una valle eterna di lacrime pentite.
Ma, dopo quelle che dovevano essere state ore di flagello, parve che i Corpi Bianchi non potessero più contenere la loro bestiale sete di violenza. Sempre divisi, poiché quello era l’unico modo di esistenza che conoscevano, si sollevarono da terra per calare ancora su Alma, come per inglobare quello che ormai non era che il guscio vuoto di un’anima annientata. Il suo corpo sparì sotto la bianca coltre di ferocia, da cui si levavano stridori sempre più acuti, impossibili da identificare, impossibili da concepire…
 L’ultimo singhiozzo di Ivo fu spezzato. Spalancò gli occhi, grigi e rossi come braci di un falò; forse adesso sarebbe davvero finita, sarebbe potuto finire anche lui…
E allora un grido che pareva gettato dalle profondità della terra salì a scuotere l’indicibile sgomento della Foresta di Cosma. Vibrarono le radici e ribollirono le cascate; persino le stelle del cielo tremarono a quel suono letale, aprendo crepe nel tessuto della galassia. Era un urlo ossimorico di morte e di vita, di amore e di odio dell’intero universo, dolore di miliardi di esistenze, piacere esplosivo che riecheggiava da ere attraverso i singoli individui che venivano al mondo e lo lasciavano nel silenzio.
Non fermò i Corpi Bianchi, ciechi e sordi a tutto ciò che non erano. Continuarono a imperversare sulla preda senza accorgersi di cosa succedeva. Il grido divenne così acuto che le mani salirono a tappare le orecchie. Quando sembrò sul punto di spezzarsi, si fece più forte ancora. Poi lo inghiottì una folata di vento che non veniva dall’aria. Investì e piegò le fronde verdi, gelò il sudore sulla pelle degli amanti, un’ondata di ultrasuoni e luce improvvisa che spinse via come mosche i Corpi Bianchi, invasori delle cascate.
Rialzandosi, i presenti si schermarono gli occhi, sbalorditi. La luce che brillava nella radura era la stessa delle bianche cascate, remota e splendente. Un maestoso sbattere di ali scandiva l’andamento dei cuori: ali piumate, d’argento e di pallido viola, lucenti come metalli celesti.
La magnifica creatura aleggiava sull’erba affrontando i nemici, occhi di quarzo e artigli massicci di alabastro. Il petto latteo ansimava lentamente; rombava il suo grido di battaglia.
Incredula, rifiorì la speranza.
I Corpi Bianchi avevano recuperato l’equilibrio. Attaccarono con balzi ferini. Si aggrapparono con le dita bianche e lunghe all’animale, insensibili alla sua aura inviolabile, determinati a concludere il sacrilegio. Lo sovrastarono, lo ricoprirono, ma il loro tocco non poteva più nuocere. E gli artigli presero a strappare mentre il becco affondava nel perfetto pallore dei Corpi Bianchi, cavandone il nero viscoso che alimentava il loro miserabile esistere.
Vedendo combattere l’essere alato, Ivo si gettò nella ressa col solo desiderio di far scomparire quei putridi cadaveri che l’avevano raggirato. La furia lo faceva sentire forte come una valanga, e lo rendeva stupido. Saltò in groppa a uno dei Corpi Bianchi… la testa esplose dal dolore, il petto sprofondò nell’assurdo, ma durò un solo istante. Un nuovo grido lacerato, e gli artigli della creatura si scagliarono contro Ivo, sbranando la carne e ributtandolo a terra coperto di sangue.
Finì il lavoro per conto suo. Fece a pezzi ogni singolo Corpo Bianco, ciascuno incapace di allontanarsi nonostante la disfatta, fin quando di essi rimasero soltanto brandelli che il suo becco non poteva più afferrare. Volavano via nelle correnti delle ali, e la testa affondava ancora, gli artigli in cerca di bersagli ormai debellati. La creatura non trovava pace.
Da terra, si alzarono due occhi che non erano più d’uomo, ma che grigi come i suoi rimanevano, e dolenti come di chi non potesse più piangere. Un suono serpeggiava attutito tra le cascate; parole, forse, o un indistinto mugolio d’angoscia. La creatura lo notò. Con ancora un altro grido, solo meno acuto, mille volte più atroce, tornò ad abbattersi sul corpo che mutava col tormento delle sue grinfie.
Lo lasciò vivere. Smise d’un tratto di massacrarlo per lanciare il più struggente dei lamenti. Con esso, si librò sopra la Foresta di Cosma, smuovendo le foglie che parevano chiederle scusa con voci querule. Mentre l’essere con gli occhi grigi e con scaglie nere luccicanti di rosso che gli crescevano addosso, in agonia, strisciava lontano dalla vista, la creatura di argento viola ascese tra le nuvole buie. La seguiva una scia brillante di luminescente acqua delle cascate.
In seguito, nei mercati e agli angoli delle strade che i lampioni non colpivano, molta gente tentava gli acquirenti con cestini di uova color lavanda.
«Uccelli dell’Anima» asserivano in tono confidenziale, «direttamente dalle Cascate di Cosma.»
Ad alcuni bastava l’alone perlaceo che sembrava loro di scorgere intorno al guscio per convincersi a sganciare. A beneficio dei più diffidenti, però, si aggiungeva:
«Proteggono dalla malasorte e amplificano la chiarezza della mente profonda. Inoltre, qualora lei fosse tanto accorto da farle schiudere…» Strizzavano l’occhio in una promessa luminosa.
Di solito, questi truffaldini spacciatori di buona fortuna finivano per essere i primi a cadere nelle malefiche mani dei Corpi Bianchi. Giravano ancora e mietevano vittime incaute, silenziosi, subdoli e inarrestabili più che mai, seminando nel mondo dolore e disperazione; solo, i loro sensi privi di organi si affilavano guardinghi quando udivano strilli di rapace fulminare attraverso il cielo.
Quella notte, la notte in cui Alma fu tradita, nessuno tornò a casa, nessuno si stese all’influenza protettiva delle Cascate di Cosma; ma tutti furono comunque insieme.
Quella notte, l’Uccello dell’Anima capì il significato dell’amore dato e dell’amore preso quando veniva perso; capì che c’erano forze imbattibili anche quando venivano annientate, e che questo le rendeva ancora più vere e lancinanti; capì, infine, il senso di morire rimanendo vivi.

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