Baji x Chifuyu -Another Bloody Halloween [Tokyo Revengers]

di Stella Dark Star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Fase: [For Father and Mother] ***
Capitolo 2: *** Seconda Fase: [Only you know] ***
Capitolo 3: *** Terza Fase: [Fear in your heart] ***
Capitolo 4: *** Quarta Fase: [Stand by me] ***
Capitolo 5: *** Ultima Fase: [Not only a dream] ***



Capitolo 1
*** Prima Fase: [For Father and Mother] ***


Nota dell'autrice: in questo capitolo ci sono alcune scene collegate alla mia precedente FF "Akkun x Takuya -La grazia del ragazzo".
Vi invito a leggerla per capire meglio alcune situazioni, o anche solo se volete soddisfare la vostra curiosità su quella ship! ;)
Link: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3988605&i=1

Baji x Chifuyu
-Another Bloody Halloween-
 
Prima Fase:
[For Father and Mother]
 
Ottobre 2021.
Nella tranquillità della sera, fra le deserte strade di quartiere, la moto sfrecciava abile e indisturbata emettendo il suo rombo regolare come il suono prodotto da un diapason. Un gioiellino dalla carrozzeria ancora vergine, ossia priva di adesivi, disegni o incisioni, solamente il nero pulito e brillante come una pietra onice. Il suo proprietario ne andava molto fiero e l’aveva sempre definita ‘la sua ragazza’, non avendo effettivamente una ragazza in carne ed ossa a rivendicare tale titolo. Non che lui fosse interessato ad averne una, sia inteso. Matsuno Unmei, a quindici anni compiuti, aveva già fatto battere il cuore a decine di persone di entrambi i sessi, ma più che all’amore sembrava interessato per l’appunto alla sua moto e alla sua fama. Il vento agitava i suoi lunghi capelli neri come la notte, leggermente ondulati e con la riga di lato che dava volume alla chioma sul lato sinistro del capo, senz’altro un motivo di vanto per lui, ma nulla a confronto degli occhi sottili e lunghi, dalle iridi azzurro cangiante che sembravano appartenere ad un feroce predatore pronto ad attaccare la preda. Al lobo destro pendeva un orecchino dalla montatura in argento e una piccola pietra onice che faceva pendant con la carrozzeria della moto. Durante la corsa ad alta velocità, la lunga giacca che volava all’indietro fungeva quasi da mantello di colore grigio, il quale presentava sulla schiena un logo le cui linee nere disegnavano i contorni di una spada medioevale che infrangeva una lastra di ghiaccio. Sulla parte inferiore di questa, ad incorniciarla a semicerchio, era scritto a caratteri eleganti il nome “Excalibur Gang”.
Arrivato ad un certo punto, Unmei portò rapidamente la mano ad una tasca e premette il tasto del piccolo telecomando a distanza, così che al suo arrivo trovò il cancello già aperto e la basculante anch’essa aperta. Smontò, il tacchetto degli stivaletti da motociclista batté contro il pavimento. Un altro click del telecomando e cancello e basculante cominciarono a richiudersi. Nel mentre, incurante di ritrovarsi nel buio del garage, Unmei si tolse la giacca e ne rigirò le maniche e i risvolti verso il lato privo di logo e solo allora si diresse verso la porta.
Kaa-san, sono tornato!” Gridò, togliendosi gli stivaletti.
“Alla buonora.”
Il tono di voce già non lasciava presagire nulla di buono.
Unmei sbuffò. “Sono in tempo per la cena, no?” Mentre parlava camminò verso la cucina che faceva anche da sala da pranzo.
Ai fornelli, Chifuyu, con addosso una comoda tuta grigio fumo e un grembiule nero, stava mescolando quello che doveva essere il curry per la cena, mentre un’altra pentola fumante conteneva il riso già cotto. Nel voltarsi, la frangia dei capelli neri che teneva sempre tagliati allo stesso modo da quando era ragazzo, si agitò per il movimento repentino. Come prima la voce, anche il suo sguardo non fu rassicurante.
“Sei stato in giro coi tuoi amici fino adesso?”
“Sì. Ma non ho fatto tardi, quindi perché sei arrabbiato?”
“Capisco che studiare non rientri nei tuoi interessi, nonostante tu sia all’ultimo anno di scuola media, ma invece di perdere tempo potresti degnarti di venire al negozio ad aiutare visto che un giorno ne diventerai il proprietario.”
Di nuovo. Ultimamente sembrava un disco rotto, non faceva che ripetere la stessa cosa. E lui come sempre non fu in grado di tacere.
“Ecco, l’hai detto. Se hai già deciso che per il resto della mia vita dovrò stare rinchiuso là dentro con quelle bestiacce, non credi che abbia il diritto di divertirmi fin che posso?”
Chifuyu si fece ancora più serio, nonostante avesse abbandonato la vita da teppista da molti anni, in certi momenti aveva ancora un’aura minacciosa tutta intorno. “Quelle ‘bestiacce’, come le chiami tu, sono ciò che ci permette di guadagnare i soldi per mangiare e avere un tetto sulla testa, nel caso lo avessi dimenticato.”
Unmei fece una smorfia strafottente. “Tsk. Un tetto eh? Se non ci fossi io, sono sicuro che a te non dispiacerebbe vivere là al XJ Land!”
Chifuyu batté il pugno contro l’anta della credenza. “Quel negozio era il sogno di tuo padre, non ti permetto di parlare così!” Lo sguardo gli tremava, come anche il pugno che ora teneva rigido al fianco. Se al posto di suo figlio ci fosse stato qualcun altro, probabilmente gli sarebbe già saltato addosso per dargliele di santa ragione.
Unmei si morse la lingua, accidenti, aveva esagerato senza volerlo. Abbassò lo sguardo. “Vado a fare il bagno… Scusami, kaa-san…”
Odiava se stesso quando si comportava così, ma per quanto si sforzasse non riusciva a trattenere la lingua e finiva inevitabilmente col ferire sua madre. Già, l’uomo che gli aveva dato la vita a soli quattordici anni e che aveva dovuto nascondersi per non creare scandalo. Essere intersessuale, ossia in possesso di genitali sia maschili che femminili, era un peso che aveva dovuto portare fin dalla nascita, ma partorire un figlio quando ancora era un ragazzino….be’, quello era anche peggio per la morale comune! Unmei lo sapeva, era cresciuto in quella realtà e aveva imparato a conviverci. Dalle elementari era stato costretto a spiegare ai suoi compagni come mai sua madre era un maschio. A lungo andare era quasi diventata una cantilena senza sentimento e il fatto che fra meno di un anno avrebbe dovuto ripeterla alla scuola superiore, non era nemmeno più da considerarsi un problema.
Salì le scale e svoltò per imboccare il corridoio che conduceva sia alle camere da letto, sia alla stanza da bagno, mentre al lato opposto vi erano solo i servizi e uno sgabuzzino. Era ancora perso in pensieri quando una voce lo riportò al presente.
“Hai appena messo piede in casa e avete già litigato? Wow che record!”
Unmei allungò lo sguardo. Dalla porta aperta della stanza da bagno, avvolto dal vapore biancastro, Kazutora lo stava guardando con un sorrisino provocante sulle labbra. Indossava una comoda tuta color arancio e aveva un asciugamano attorno al collo che gli ricadeva sul petto, mentre i lunghi capelli dalle strisce nere e gialle gli ricadevano sulle spalle come un regale mantello.
A piedi scalzi, Kazutora attraversò la moquette del corridoio per raggiungerlo. Lo sguardo gli ricadde sulla giacca che lui portava sottobraccio. “Se Chifuyu sapesse che sei a capo di una gang gli prenderebbe un colpo.”
“Allora vedi di tenere la bocca chiusa.” E fece un’aggiunta un po’ tardiva. “Per il suo bene.”
Kazutora ridacchiò, i grandi occhi dalle iridi dorate si socchiusero. “Hai sempre avuto un carattere pungente, ma so che nel profondo hai un animo da bravo bambino!” Sollevò la mano con l’intenzione di fargli una carezza sulla testa, ma Unmei lo bloccò afferrandolo per il polso. Il sorriso di Kazutora si spense quando si accorse dello sguardo di ghiaccio di lui.
“Non sono più un bambino, Kazutora. Vedi di mettertelo in testa.”
“Disse il mocciosetto.” Lo provocò intenzionalmente lui. Di conseguenza, Unmei lo spinse fino alla parete, il polso arpionato contro di essa e il corpo serrato contro il suo, gli sguardi alla stessa altezza.
Unmei era perfettamente in grado di tenergli testa  e non era intenzionato a vacillare nonostante lo stretto contatto, il profumo del bagnoschiuma alla frutta esotica che proveniva dalla sua pelle e il calore dell’acqua che percepiva attraverso la stoffa. Tutti dettagli che lo stavano mettendo a dura prova. Inoltre sapeva che Kazutora non indossava mai la biancheria intima di notte, per una questione di libertà o qualsiasi altra cavolata avesse tentato di spiegargli quella volta che lo aveva scoperto per caso…e che da allora era stata una grande fonte di fantasie erotiche di cui non si sarebbe mai più liberato.
“Non hai idea di cosa sono capace, Kazutora.” Bisbigliò contro le sue labbra.
Gli occhi di Kazutora lo guardarono quasi con tristezza. “Anche se hai gli occhi di Chifuyu, per tutto il resto sei identico a tuo padre Baji…”
Una frase che si era sentito dire troppe volte, soprattutto negli ultimi anni. E che ormai gli pesava sul cuore come un macigno. Lasciò la presa e gli diede di spalle per andare a chiudersi in camera.
Richiuse la porta senza sbatterla, ma si concesse il capriccio di gettare la giacca contro l’armadio. Si lasciò scivolare a terra, la schiena contro la porta, sospirando. “Cazzo.” Imprecò fra i denti. Quella sera non ne faceva una giusta.
*
 
La cena tutto sommato era stata tranquilla, più che altro perché Chifuyu cercava di non andare in escandescenze in presenza di Kazutora. Il che era piuttosto insensato. Dopo che Kazutora si era fatto dieci anni in prigione, lui l’aveva preso con sé e gli aveva proposto di lavorare insieme al negozio di animali che nel frattempo aveva aperto. Unmei sapeva cosa aveva passato, conosceva il motivo per cui era stato dietro le sbarre e sapeva anche che per molti anni si era fatto seguire da uno psicologo per guarire dai disturbi che si era portato dietro fin dalla tenera età… Quando sua madre gli aveva detto che voleva accoglierlo in casa lui si era mostrato diffidente, in fondo era un bambino di dieci anni allora, ma poi una volta che se lo era ritrovato di fronte era rimasto abbagliato dalla sua bellezza, dal tatuaggio di tigre sul collo, dal piccolo neo sotto l’occhio e da quei buffi ma sensuali capelli bicolore. Quello stesso giorno aveva capito di essere gay, giusto per mettere la ciliegina sulla torta. Non che avesse speranze con lui, questo lo sapeva, non solo per via della grande differenza di età, anche le sue inclinazioni sessuali erano un enorme ostacolo, purtroppo. Non aveva capito perché sua madre gli avesse vietato di entrare nella stanza di Kazutora fino a quando la curiosità non aveva avuto il sopravvento, spingendolo a sbirciare in un momento in cui era solo in casa…e allora aveva scoperto che quella stanza sembrava il set di un film porno da quanto era pieno di poster di donne nude e giocattoli sessuali. Non aveva una ragazza, a sua detta, e di fatto non aveva mai portato donne a casa, però era quasi scontato che andasse a divertirsi da qualche parte. E il pensiero gli dava un gran fastidio. Comunque, tornando al discorso di origine, nonostante quell’uomo fosse diventato parte della famiglia, Chifuyu continuava a mantenere un certo riserbo nelle questioni che riguardavano madre e figlio. In conclusione, il suo malumore finì col trovare sfogo nella preparazione della cena e a pagarne le conseguenze fu lo stomaco di Unmei.
Sotto alle coperte di un nero funereo che lui stesso si era scelto, stava scambiando messaggi nella chat privata che aveva creato per i membri della sua gang, una dozzina di ragazzi in tutto. Faceva i salti mortali per tenere nascosta la sua doppia vita a sua madre, proprio per evitare di andare ad intaccare maggiormente il trauma che lo aveva segnato in gioventù. Era complicato. Lo schermo illuminato di azzurro gli stava stancando gli occhi, perciò inviò un ultimo messaggio per chiudere il discorso e posò lo smartphone sul comodino. L’idea era quella di mettersi a dormire, visto che era quasi mezzanotte, però ci pensò una fitta allo stomaco a rovinargli i piani.
“Gh… Dannazione. Quando è incazzato aggiunge sempre troppi ingredienti piccanti. Fanculo.” Scostò le coperte a malo modo e scese dal letto senza averne voglia. Trottò per le scale e raggiunse velocemente la cucina per chiedere aiuto a quello che era diventato il suo migliore amico: il digestivo. Non attese che la polvere si fosse sciolta, si portò il bicchiere alle labbra e bevve l’acqua tutta d’un fiato. “Fuaaaaah!” Il tempo di posare il bicchiere e l’arrivo di un sonoro rutto lo fece sentire subito meglio.
Stava per tornare in camera sua, aggrappato al corrimano e col piede sul primo gradino, quando un lamento proveniente dal salotto lo fermò.
“Oh no, di nuovo…”
Corse nel buio e si gettò in ginocchio accanto al divano dove Chifuyu, ancora addormentato, si agitava nel sonno. Sul chabudai vi erano quattro lattine di birra vuote.
Preoccupato per sua madre, Unmei gli prese una mano con gesto premuroso e parlò a bassa voce mentre con l’altra cercava di destarlo battendogli piano la spalla. “Kaa-sanKaa-san, svegliati…
Chifuyu riaprì gli occhi a fatica, la pelle umida di sudore e il respiro affannato.
“Va tutto bene… Hai solo avuto un incubo…” Continuò a bisbigliare Unmei.
“Un…incubo…” Le parole strascicate a causa della lingua gonfia per il troppo alcol. Chifuyu mosse il capo guardandosi attorno come spaesato, fino a quando lo sguardo non si posò sul volto di lui. La pochissima luce artificiale che filtrava attraverso le tende bianche contribuì ad aumentare la sua confusione mentale. Con mano leggermente tremante andò a sfiorare i capelli ondulati di Unmei, le dita giocose fra le nere ciocche a lui così care. Una lacrima gli attraversò il viso. “Baji-san…”
Unmei gli prese la mano per scostarla dai capelli e la strinse nella propria. “Scusa… Sono solo io, kaa-san…”
Chifuyu strabuzzò gli occhi, rendendosi conto dell’errore gli venne voglia di piangere ancor di più. “Unmei…” Si passò una mano sul viso, soffermandosi sulle palpebre chiuse per fermare le lacrime. Tirò su col naso. “Scusami. Stavo sognando tuo padre.”
“Lo so… Vieni, ti accompagno a letto.” Si rimise in piedi e aiutò sua madre ad alzarsi dal divano. Tenendolo stretto attorno al girovita e col suo braccio attorno al collo, riuscì a risalire le scale barcollando ma senza mai cadere e un po’ alla volta raggiunsero insieme la stanza di Chifuyu. Una volta messo a letto e assicuratosi che stesse bene, Unmei fece per andarsene, ma lui accese la lampada sul comodino e lo trattenne. “Unmei, aspetta.”
Si voltò lentamente. “Hai bisogno di qualcosa?”
“Vieni qui, per favore.” Gli fece segno con la mano. A lui non restò che obbedire e andare a sedersi accanto a lui sul bordo del letto.
Chifuyu gli avvolse le spalle con un braccio, per avvicinarlo a sé, e posò la fronte contro la sua nuca. “Mi dispiace… Lo sai che in questo periodo dell’anno tendo a perdere la testa…”
Unmei non rispose.
“E’ che…ottobre è il mese in cui ho perso l’amore della mia vita… Non potrò mai superarlo.”
“Mh.” Un mugolio spento fu tutto ciò che gli uscì.
Lo definiva sempre l’amore della sua vita, raccontava aneddoti di come si erano conosciuti, di come erano diventati amici, di quando combattevano fianco a fianco come Capitano e Vicecapitano della 1a divisione della mitica Tokyo Manji Gang. E di come tutto era finito nel giorno che era stato ribattezzato come ‘Bloody Halloween’.
“Se solo… Se solo avessi scoperto in tempo di essere in attesa di te e glielo avessi detto…ora Baji-san sarebbe ancora vivo.” La voce gli tremava, dovette stringere le labbra per non scoppiare a piangere.
Baji…quella figura che per Unmei era quasi mistica. Un ragazzo di cui sapeva praticamente tutto, perché gli era stato raccontato dalla madre, dai suoi amici, dalle due nonne e il cui spirito riviveva all’interno di quella stanza che era tappezzata di sue foto. Si era fatto un’idea abbastanza chiara di che tipo era suo padre. Cazzuto, testardo e arrogante…ma dotato di un cuore enorme. Una persona che bruciava auto nel cuore della notte per puro divertimento e che poi lasciava la finestra aperta della propria camera per far entrare un gattino a cui si era affezionato. Gli erano state raccontate le storie più pazzesche su di lui. Un cazzone e un eroe. Ecco chi era stato Baji Keisuke. Per quanto lo ammirasse, per quanto avesse desiderato conoscerlo, c’era una cosa che proprio non riusciva a perdonargli. Di essersi ucciso. La sua morte aveva fatto sì che Kazutora potesse imparare dai propri errori e diventare una persona migliore, ma allo stesso tempo aveva condannato Chifuyu ad una vita di rimpianti e con un figlio da crescere da solo.
Chifuyu risollevò il capo e sciolse suo figlio dall’abbraccio, lo guidò con la mano affinché si voltasse per poterlo guardare negli occhi. “Lo so che ultimamente non andiamo d’accordo e ti giuro che mi dispiace… Stai crescendo, hai bisogno dei tuoi spazi e dei tuoi amici… Questo lo capisco.  Ma ricorda sempre… Sei TU la cosa più importante della mia vita.”
Adesso era Unmei quello sul punto di piangere. Si mordicchiò un labbro e distolse lo sguardo. “Sì… Buonanotte, kaa-san…” Senza aggiungere altro lasciò il letto e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. “Quanto vorrei che fosse vero…” La voce stanca e un tono amaro. Entrò nella sua stanza, quella subito di fianco a destra, e chiuse anche la propria porta.
Dallo spiraglio della porta della terza camera da letto, a sinistra di quella di Chifuyu, un triste luccichio negli occhi di Kazutora infranse il buio.
*
 
Per la maggiore, i ragazzi che avevano abbracciato la vita da teppisti erano soliti indossare ampi pantaloni caratteristici e andare a scuola in tarda mattinata, giusto per fare presenza. Poi c’erano quelli che nonostante lo svago di menare le mani, erano anche buoni studenti che non trascuravano lo studio. E poi c’era Unmei, costretto per forza di cose ad alzarsi presto al mattino, indossare la normale divisa scolastica, fare colazione in famiglia e salutare per poi recarsi a scuola a piedi e in orario. Ma come detto in precedenza, da un annetto studiare non era nelle sue corde e, a dirla tutta, andare a scuola in orario non significava necessariamente seguire le lezioni fino alla fine. Eh eh! Come Comandante, era più propenso a radunare i membri della propria gang al quartier generale che avevano scelto, un vecchio parcheggio in disuso imbucato da qualche parte a Shibuya, e lì passare il tempo a parlare e scherzare tra loro oppure ad organizzare eventuali scontri con altre piccole gang del quartiere. Niente di speciale, la loro intenzione non era quella di espandersi, tutto ciò che volevano era vivere l’adolescenza sentendosi liberi e fighi. Un concetto semplice. Però non tutti i giorni s’incontravano, ovviamente, ognuno di loro aveva altri interessi oltre alle moto e alle risse e, visto che Unmei ultimamente odiava tornare a casa presto e dover affrontare sua madre che di giorno in giorno aveva le palle sempre più girate, aveva trovato un comodo rifugio a casa del suo Vicecomandante dove riempire bene il tempo! C’era un momento per i videogiochi, un momento per la musica a palla, un momento per i manga e…molti più momenti per del soddisfacente sesso.
Blitz, soprannome che si era dato da solo e che era diventato ufficiale sia fra gli amici che fra le altre gang, era un tipetto fuori dalle righe con cui era facile divertirsi. In tutti i sensi. In quel momento sia lui che Unmei se la stavano spassando sul letto, mentre fuori la pioggia continuava a scrosciare da un paio di ore e il cielo grigio scuro sembrava voler cadere sulla città da un momento all’altro. Ad Unmei non fregava niente del cielo o della pioggia, il suo sguardo era indubbiamente perso in ben altri dettagli. Ad esempio i fianchi che stava stringendo fra le mani, o le piccole e tonde natiche in cui entrava e usciva a ritmo sempre più incalzante. Blitz era bassino, però il suo corpo sottile era ben fatto e gli arti lunghi davano l’impressione che fosse ben più alto. Possedeva una chioma riccia color pesca, in genere ben curata e mai troppo folta, e da quando era entrato nella gang gli piaceva indossare un paio di semplici orecchini in metallo di forma sferica. Una cosa che lo caratterizzava era il volto sorridente, come anche gli occhi azzurri limpidi e buoni come quelli di un bambino. Per la cronaca, Blitz aveva quasi due anni in meno di Unmei ed erano amici fin da piccoli.
“Ah… Ah! Unmei…mi piace quando spingi in quel punto… Aaah! Sbattimi più forte!” Strinse il lenzuolo nei pugni e sollevò un po’ di più il bacino per favorire la penetrazione. Anche se era il passivo ed era messo a pecorina, era lui quello che aveva il comando del rapporto! Cosa che ad Unmei non faceva particolarmente piacere…
Aggrottò le sopracciglia e lo rimproverò. “Devi dire porcate ogni volta che lo facciamo? Cazzo, datti un contegno.” E affondò ulteriormente in lui, in una sorta di punizione o manifestazione di potere che comunque su di lui non aveva l’effetto sperato.
“Ah! Sì… Mmh! Sto per venire!” Disse beatamente, col sorriso disegnato sulle labbra e gli occhi lucidi puntati verso il soffitto. Peccato che proprio in quel momento la suoneria del telefono di Unmei spezzò l’atmosfera e i gemiti di Blitz vennero coperti dalle note pesanti di un pezzo hardrock vecchio di almeno vent’anni. Si portò le mani ai capelli e si mise a frignare: “Perché proprio adeeeessoooooo!!!”
Unmei scivolò fuori da lui e si allungò verso il comodino per recuperare lo smartphone. Vedendo chi lo stava chiamando, la sua erezione scemò alla velocità della luce. Sbuffò e poi rispose alla chiamata con ben poco entusiasmo. “Pronto…”
Pronto un cavolo, idiota! Non sei a lezione, vero? No, altrimenti non mi avresti risposto! Perché stai saltando le lezioni del pomeriggio?
Unmei, che aveva allontanato il telefono dall’orecchio, diede una sbirciata per controllare di non aver avviato l’altoparlante per sbaglio. No. Era proprio il tono di voce incazzato di sua madre.
“Felice di sentirti, kaa-chan!”
Con me quel nomignolo non attacca! Porca miseria, è così difficile per te mettere un minimo di impegno in ciò che fai?
Allora Blitz bisbigliò divertito: “Veramente si stava impegnando parecchio fino ad un attimo fa!”
“Taci, scemo.” Lo zittì Unmei.
Chi era? Dove ti trovi?
Di nuovo lui sbuffò, ma questa volta facendosi sentire. “Kaa-san, sono a casa di Blitz. Stavamo studiando matematica insieme. Lo sai che lui è molto più bravo di me, anche se è al secondo anno. Visto che a breve avrò un test si è offerto di aiutarmi.”
Blitz scoppiò a ridere, ma almeno ebbe il buongusto di affondare il viso nel materasso, prima che l’amico gli ci ficcasse la testa a forza.
Oh… Scusa… Credevo fossi chissà dove a perdere tempo…
Silenzio.
Allora… Ti lascio studiare. Io devo tornare alla cassa, ho una cliente in attesa. Ci vediamo questa sera a casa.
“Mh, ciao.” E riattaccò. Gettò il telefono con noncuranza a terra, sulla moquette vaporosa, e si lasciò ricadere sul materasso come se improvvisamente fosse sfinito.
Blitz si stese su di lui con quella sfacciataggine da puttanella che nessuno avrebbe potuto eguagliare. “Povero Chifuyu, gli hai detto un sacco di cazzate!”
“Non che avessi scelta, mi pare…” Con la mano si lisciò i capelli all’indietro, mentre l’amico prese ad accarezzargli il viso. Il suo tocco delicato era rilassante. “Non vedo l’ora che questo dannato ottobre finisca. Il 31 andremo alla tomba di mio padre e dopo le cose torneranno alla normalità, spero.”
“Anche mio padre era là quando Baji… Insomma…quando è successo.” Abbozzò Blitz, ora al posto del sorriso sul suo volto c’era tristezza.
“Tsk! Almeno tuo padre non da di matto! Anzi, è un uomo simpatico come non ne ho mai conosciuti e affronta ogni situazione col sorriso sulle labbra! Non per niente tutti lo chiamano Smiley!”
Blitz lasciò un leggero sospiro e si chinò per posare il capo sulla spalla di lui. “Quando la Toman venne sciolta, per volere del Comandante Mikey…mio padre non la prese affatto bene. Non fare più parte di qualcosa che per lui era molto importante, lo indusse a condurre una vita sregolata. Cominciò ad attaccar briga con tutti, ad ubriacarsi ogni volta che gli girava e…a cercare compagnia femminile nella speranza di riuscire a distrarsi. Per un po’ ebbe una storiella con una ragazza più grande di lui, una studentessa universitaria. Mia madre. Quando lei scoprì di aspettare un bambino, tra loro era già finita, così decise di affrontare tutto da sola.”
Unmei intervenne. “Conosco la storia della tua famiglia.”
Blitz non gli prestò attenzione e riprese il racconto. “Io ero già alla scuola materna quando decise di provare a rintracciare mio padre… Lo trovò, gli disse tutto e lui si assunse la responsabilità di ciò che aveva fatto. E da allora siamo una famiglia felice. Mio padre e mio zio hanno aperto il ristorante di ramen e io sono contento di sapere che un giorno passerà a me.”
“Mh! Quindi…adesso devo battere le mani o cosa?”
Blitz risollevò il capo e, faccia a faccia con lui, gli lanciò un’occhiataccia. “Quello che voglio dire è che devi trovare il coraggio di affrontare tua madre e trovare una soluzione insieme. Non potete continuare così. Lui soffre sempre di più e tu diventi sempre più stronzo!”
Unmei rimase a bocca aperta dalla sorpresa! “Se questa fosse una riunione della gang, adesso dovrei prenderti a calci in culo, lo sai sì?”
Blitz sbuffò. “E dai, ci conosciamo da sempre, non usare la carta della gang.”
In ogni caso, non che lui avesse voglia di litigare. Quindi lasciò correre. “Forse hai ragione tu… Questa sera proverò a parlargli.”
“Andrà bene!” Lo rassicurò Blitz, ritrovando il sorriso.
*
 
Le premesse c’erano tutte. Una volta rincasato, Unmei si era mostrato particolarmente premuroso con sua madre, l’aveva aiutato a preparare la cena, aveva apparecchiato la tavola, aveva conversato del più e del meno e al termine si era offerto di lavare le stoviglie, suggerendo a Chifuyu di approfittarne per fare un bel bagno caldo e ristoratore. Insomma, tutto ciò che avrebbe fatto un bravo figlio.
“Sono fiero di me!” Si disse, con le mani immerse nell’acqua calda fino ai polsi, in una nuvola di schiuma bianca e soffice che non si trattenne dal soffiare con fare giocoso. E improvvisamente sentì qualcosa tirarlo per la coda di cavallo che si era fatto per non avere i capelli d’intralcio. Neanche il tempo di chiedersi cosa stesse succedendo, che Kazutora gli sussurrò all’orecchio. “A questo bambino piace giocare con la schiuma eh!”
Unmei arrossì fino alla radice del capelli. “F-fatti i cazzi tuoi!!!”
Kazutora ridacchiò, ma subito lasciò la presa e tornò a comportarsi normalmente. Era vestito di tutto punto, con una maglia aderente che gli sottolineava il fisico sottile, capelli sciolti e ben pettinati e jeans neri a vita bassissima che stavano su solo grazie ad una cinghia che Unmei avrebbe tanto voluto slacciare con i denti…
“Io vado da Akkun!”
Unmei si volse di scatto, fingendo di volersi concentrare sulle stoviglie, quando in realtà il suo cervello stava continuando ad elaborare una fantasia erotica su quella dannata cinghia. “Da-da Akkun? Non andate a bere al solito locale?”
“Sì! Ma prima vuole farmi un trattamento ai capelli, fuori dall’orario di lavoro!” Con le dita sollevò una ciocca bionda e la esaminò con fare sospettoso. “Dice che non li curo abbastanza…” Fece spallucce e lasciò perdere. “Be’, ora vado! A domani!”
“A domani…” Rimase ad ascoltare i rumori, quali gli scarponcini neri che battevano all’ingresso, la zip della giacca nera in pelle che colpiva per sbaglio il mobile d’entrata e poi la porta che veniva chiusa. Poi il silenzio. “Uff…” Assieme a Kazutora se n’era andato anche il suo entusiasmo e adesso cominciava a sentire il peso di ciò che doveva fare.
Finì di lavare le varie cose e sistemare la cucina e poi si trascinò al piano di sopra. Era pronto a farlo? Per un momento valutò l’opzione di rimandare un po’ con la scusa di fare il bagno, però aveva già fatto la doccia a casa di Blitz e si era cambiato indumenti e intimo una volta tornato a casa. Quindi come scusa non reggeva. Prese respiro e attraversò il corridoio fino ad arrivare davanti alla porta di sua madre. Fece per bussare e si accorse che la porta era rimasta leggermente socchiusa. Udendo delle voci, si mise ad origliare e a sbirciare dalla fessura.
Chifuyu era ancora in accappatoio e aveva messo il telefono in modalità altoparlante, per non doverlo tenere in mano mentre si strofinava i capelli con l’asciugamano. Al telefono era la voce di Takemichi.
Chifuyu… Sei sicuro di stare bene?
Lui ridacchiò. “Che? Ti sto raccontando un buffo aneddoto su quella cliente che mi fa il filo e tu interrompi per farmi una domanda così?”
Chifuyu…
Si lasciò ricadere sul bordo del letto, la sua espressione divertita mutò rapidamente, un velo di tristezza si posò sul suo volto. “…è così evidente?”
Ti conosco… So quanto è difficile per te in questo periodo…
Chifuyu lasciò cadere l’asciugamano a terra con noncuranza, aveva gli occhi lucidi. Sorrise a stento. “Io…credo che impazzirò del tutto, Takemichi… Non ce la faccio più…” La voce stanca e incrinata dal pianto imminente.
Se hai bisogno di qualunque cosa, io…
“No!” Scosse il capo, anche se ovviamente Takemichi non poteva vederlo dall’altro capo del ricevitore, e si passò velocemente una manica sugli occhi. “Hai già fatto tutto ciò che potevi, Takemichi… Tu… Nessuno può aiutarmi… Solo che…” Strinse i denti e deglutì, gli occhi pieni di lacrime. “Ogni anno diventa sempre più difficile. Non so, forse… I primi anni è stato un gran casino, tra la nascita di Unmei, i miei studi e l’apertura del negozio… Ma adesso…” Tirò su col naso e di nuovo si passò la manica sugli occhi. “Adesso col negozio è diventata la solita routine e Unmei è cresciuto… E sento…che non ha più bisogno di me…”
Non dirlo, Chifuyu. Sai che non è vero. Lui ha bisogno di te più di chiunque altro. Ha solo quindici anni.
“Però se… Se ci fosse stato Baji-san, le cose sarebbero state mille volte meglio. Lui…” Le lacrime presero a scorrere copiose dai suoi occhi arrossati. “Lui mi manca da morire.”
Nel vederlo piangere in quel modo, Unmei ebbe una fitta al cuore. In genere di fronte a lui si tratteneva o al massimo versava qualche lacrima, però mai aveva pensato che in privato si lasciasse andare così alla disperazione.
Chifuyu, dammi dieci minuti e vengo da te.
“No, non farlo. Non…sniff, non serve, davvero.”
Non posso fare finta di niente.
Chifuyu deglutì pesantemente un nodo alla gola e riprese fiato, la bocca impastata dal pianto. “Posso farcela… Non preoccuparti. Ho…ho appena fatto il bagno, ora mi vesto e vado a dormire.”
Un profondo sospiro giunse dal telefono. “Se solo quella volta io fossi stato più attento… Avevo il compito di salvare Baji e invece… Pur sapendo cosa sarebbe successo, non sono riuscito ad impedire che lui…
“Basta, Takemichi.” Ora il tono di voce di Chifuyu era tornato fermo e serio, come anche il suo sguardo. “Tu hai provato a cambiare il passato. Se non ci sei riuscito significa che doveva andare così. Non potrei mai fartene una colpa.”
Un lungo momento di silenzio e poi la voce incerta di lui. “Eppure avrei potuto fare di più, se non mi fossi distratto…”
“Ora chiudo, Takemichi. Non preoccuparti, ci risentiamo per accordarci sull’anniversario della morte di Baji-san. Buonanotte.”
La voce di Takemichi non fece in tempo a ricambiare il saluto che lui aveva già chiuso la chiamata.
A capo basso sospirò, i pugni stretti contro il materasso. Pochi istanti e prese nella mano la foto di Baji che teneva sopra il comodino, accanto alla lampada che emanava una luce gialla soffusa e rassicurante. Col dito indice sfiorò i lineamenti della foto. Il sorriso di Baji sembrava voler sfidare il mondo, anche se in quel momento stava tenendo tra le braccia il piccolo Peke J, il gatto nero di cui si prendevano cura insieme all’epoca.
“Perché hai voluto lasciarmi? …e perché io continuo ad amarti così tanto?”
Per Unmei fu davvero troppo. Non sarebbe riuscito ad entrare in quella stanza e parlargli nemmeno se gli avessero puntato una pistola alla testa. Abbandonò l’idea di un dialogo, anche il solo pensiero di far finta di niente e stare nella stanza accanto era impensabile dopo quanto aveva visto e sentito. E allora scelse la fuga, si vestì in fretta e uscì di casa.
*
 
Pur adorando la vibrazione della moto invaderlo completamente durante la corsa, come anche il vento fra i capelli che gli dava un sapore di libertà, Unmei ancora non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione pesante. Blitz era sempre stato un tipo ottimista e vedeva la luce alla fine di ogni tunnel, ma in quel caso la situazione era irreparabile. Altro che parlare e affrontare insieme il dolore, sua madre era un caso clinico! E non era lui ciò di cui aveva bisogno… Nella mente gli tornò un flash di poco prima, quando Chifuyu, col volto ancora bagnato di lacrime e occhi gonfi, aveva sfiorato una foto di Baji. Come a voler scacciare quel pensiero, la sua mano strinse la manopola dell’acceleratore e la moto sfrecciò a gran velocità emettendo un rumore quasi assordante. Rallentò solo quando si inoltrò nella strada per arrivare alla meta, le ruote rotearono sempre più piano fino a fermarsi proprio di fronte alla vetrina di un salone da parrucchiere. Le enormi scritte color lampone dicevano ‘Akkun Hair Style’ e sovrastavano la figura del medesimo colore e molto stilizzata di una chioma di capelli lavorata col gel a formare un Pompadour. A quell’ora le luci erano spente e la saracinesca abbassata lasciava a malapena intravedere l’interno ordinato e dall’arredamento fresco e giovanile. Parcheggiò la moto lì di fronte e poi prese la rampa di scale che era di fianco e che portava all’appartamento che era al piano di sopra. Di fronte alla porta illuminata da un’elegante lampada in ferro battuto, si diede una rapida sistemata alla giacca in pelle e si ricompose i bei capelli neri come la notte. Poi suonò il campanello.
Quando la porta si aprì, rimase spiazzato nel vedere la persona che gli aveva aperto. Aveva sentito dire che Akkun era sposato con un ragazzo dalla fulgida bellezza, ma non si aspettava un livello così alto! Takuya dimostrava almeno dieci anni in meno di quelli che aveva, i suoi occhi grandi color grigio chiaro sembravano brillare, come anche la pelle chiarissima e perfetta come porcellana, i capelli di un bel biondo cenere erano qualcosa di meraviglioso con un effetto di onde che davano l’impressione di muoversi da sole, la sua intera figura era aggraziata nonostante avesse addosso un pigiama invernale color bosco che non aveva nulla di speciale.  Il respiro gli si fermò in gola per l’emozione. E così era lui la moglie di Akkun… Nessuna sorpresa che lavorasse come modello dal vivo in una scuola di arte! A guardarlo bene, forse assomigliava ad…un dipinto?
“Sì?”
La voce di Takuya e il suo sguardo interrogativo, lo riportarono alla realtà. Si abbassò in un inchino tutt’altro che naturale e parlò con voce un po’ troppo alta e frettolosa. “Buonasera, mi scusi per l’ora tarda! Mi chiamo Matsuno Unmei! Suo marito Ak-ehm…Sendo, è in casa? Kazutora ha detto che si sarebbero visti qui!”
“Mh? Matsuno?” Takuya si tamburellò la guancia con fare pensieroso, fino a quando non gli venne in mente di chi si trattava. “Oh certo, tu sei il figlio di Chifuyu, il migliore amico di Takemichi e proprietario di quel famoso negozio di animali! Atsushi mi ha parlato di te, dice che sei un suo affezionato cliente! Come Kazutora!”
Unmei rialzò il capo, si sentiva le gote in fiamme a sentir pronunciare quelle parole da una persona con una voce così dolce. “S-sì! Tutto vero!”
“Hai detto che li stai cercando… Scusami, li hai mancati per un pelo. Atsushi gli ha fatto un trattamento ai capelli e poi sono andati via per andare a bere al loro locale preferito.”
Maaaaaamaaaaaa!!!
Quel lamento interruppe la conversazione e con un gran battere di piedini arrivò un bambino che praticamente si fiondò in braccio a Takuya. Era il piccolo che i coniugi avevano adottato ancora in fasce e a cui stavano dando un mondo d’amore come se fosse davvero figlio loro.
“Natsuo, non gridare così! Tesoro, sto parlando con una persona!” Forse voleva essere un rimprovero, ma fatto con quel tono dolce e con quel sorriso gentile sembrava tutt’altro. Takuya era uno zuccherino, al contrario del piccoletto di circa quattro anni che teneva fra le braccia.
Mama!!! Dobbiamo leggere la favola della buonanotte!” Insistette il piccolo.
“Ah ah, va bene! Solo un momento!” Con un cenno del capo gli indicò l’ospite. “Lui è Unmei, è un cliente di papà!”
Il piccolo Natsuo si voltò e sgranò gli occhioni verde chiaro su di lui.
“Ciao, Natsuo!” Gli si rivolse gentile Unmei, peccato che il piccolo non sembrava in vena di fare amicizia, infatti aggrottò le sopracciglia e gettò le braccia al collo della madre in un gesto possessivo, prima di sputare un: “Cia’.”
Che caratterino!
Takuya intervenne, sempre col sorriso sulle labbra. “Devi perdonarlo, è molto geloso! Temo sia colpa mia, lo sto viziando troppo!”
Nessuna colpa, perfino Unmei in persona, se avesse avuto una madre così bella, avrebbe ammazzato con lo sguardo chiunque le si avvicinasse. Meglio non dirlo a voce alta.
“Oh, non si preoccupi! Tolgo subito il disturbo!”
“Sai dov’è il locale o hai bisogno che ti indichi la strada?” Chiese premurosamente Takuya.
“Lo conosco, a volte ci sono andato anche io assieme a loro!” Di nuovo fece un inchino rispettoso. “La ringrazio della gentilezza, signora Sendo!”
Takuya ridacchiò, un suono così cristallino che nemmeno delle campanelle di vetro lo avrebbero eguagliato. “Io e Atsushi ci siamo sposati all’estero, qui in Giappone non posso usare il suo cognome!”
“EEEH?” Urlò Unmei, rialzando il capo di scatto. Allorché Takuya gli indicò la targhetta in ottone che era sopra il campanello. In effetti diceva ‘Sendo-Yamamoto’.
“Oh, mi scusi! Che figuraccia!”
“Ah ah, va bene va bene! Era da anni che nessuno mi chiamava così! E’ stato bello!”
Unmei si lasciò travolgere dal suo sorriso angelico, ma subito ci pensò lo sguardo assassino del piccolo a rimetterlo in riga. “Ehm…ora vado! Grazie ancora! Buonanotte!” E si fiondò giù per le scale.
Takuya richiuse la porta e scosse il capo divertito. “Che ragazzo simpatico!”
“Però sono io il tuo preferito, verooo?” Chiese Natsuo, sfoggiando un’espressione supplichevole che non avrebbe lasciato via di scampo nemmeno ad un cuore di pietra.
“Certo, tesoro mio!” E gli stampò un bacio sulla fronte, in uno spazietto lasciato dalla frangia composta di riccioli biondi.
*
 
Il locale preferito di Kazutora e Akkun, non era uno di quei locali per adulti in cui entra solo gente di un certo livello e dove ogni cosa è controllata e in ordine. Anzi! Lì poteva entrare chiunque avesse voglia di stare in compagnia e divertirsi, non c’erano limiti di età, la musica dal ritmo vivace si amalgamava alle risate e alle chiacchiere dei clienti e l’ambiente era illuminato da un vortice di neon colorati che mettevano allegria. Esattamente ciò di cui necessitava Unmei quella sera… Appena entrato dalla porta a doppia vetrata, si ritrovò immerso in quel mondo di colori e di musica. S’inoltrò tra la folla mentre con lo guardo scrutava i volti, alla ricerca di Kazutora. Poi lo vide. Lui e Akkun avevano preso posto ad uno dei tavolini tondi e alti e fatalità vi era una sedia vuota che sembrava messa lì apposta per lui! Ci si fiondò. “Ehilà!”
Gli sguardi dei due si posarono su di lui sorpresi. Fu Akkun il primo a sorridergli e salutarlo.
“Guarda chi è arrivato! Era da un po’ che non ti facevi vedere qui!” Da lì a un paio di mesi avrebbe computo trent’anni, esattamente come Chifuyu, però il suo carattere cordiale e il suo volto sorridente lo rendevano più giovane. Per non parlare del suo stile che lo faceva sembrare un personaggio di Grease! Da sempre portava i capelli acconciati perfettamente in un Pompadour, cosa che gli donava particolarmente con la chioma riccia color lampone che si ritrovava, mentre riguardo l’abbigliamento indossava una camicia bianca mezza sbottonata sovrastata da una giacca in pelle marrone scuro. Una bottiglia di birra in mano completava l’opera. Nessuna sorpresa che il suo salone fosse frequentato principalmente da giovani, soprattutto signorine che avevano una cotta per lui pur sapendo che era sposato con un ragazzo e che stavano crescendo insieme un bimbo.
“Hai ragione, scusa…” Disse Unmei, per poi aggrottare le sopracciglia e contrattaccare. “Però al salone ci vengo quasi tutte le settimane, di che ti lamenti?!”
Visto che sul tavolino c’erano due bottiglie in più, oltre a quelle che i due avevano in mano, si impossessò di una di queste e bevve un lungo sorso.
“Non esagerare, ragazzino, sei ancora minorenne.” Lo riprese Kazutora.
“Puah, non rompere! Ho bisogno di tirarmi su.” Lo liquidò lui, con un gesto della mano.
“Per caso hai litigato di nuovo con tua mad-”
“Akkun, sono passato da casa tua, prima, e ho conosciuto tua moglie! Cazzo, è uno schianto! Se non lo sapessi non avrei mai detto che è un maschio!”
Akkun ammiccò sorridendo. “Vero? Il mio Takuya è divino! Non te l’ho mai raccontato, ma la prima volta che l’ho visto l’ho scambiato per una delle Grazie della Primavera di Botticelli!”
Il volto di Unmei si illuminò. “Ecco a chi assomiglia! Me lo stavo giusto chiedendo!”
Kazutora, che prima era stato brutalmente interrotto, si inserì nel discorso sfoggiando un sorriso malizioso. “E mentre voi lo adorate come una divinità, io allungherei volentieri le mani per fargli cose tutt’altro che innocenti!”
Akkun gli diede una doverosa gomitata sul braccio. “Ti ricordo che sei etero, bastardo!”
“Lo sei anche tu, amico mio, ma vedo che questo non ti ha impedito di sposare Takuya!”
Eccoli lì, due amiconi che si divertivano a dire cretinate e a stuzzicarsi come bambini! E pensare che si erano conosciuti in riformatorio, quando entrambi stavano scontando una pena per omicidio. Un’esperienza che aveva tirato fuori il meglio di loro, permettendogli di rinascere una volta riavuta la libertà.
La panoramica di Unmei si strinse, focalizzandosi su Kazutora.
Era stato lui ad infliggere una ferita mortale a Baji… Tu-tum… E poi Baji si era inferto un secondo colpo nel vano tentativo di non far ricadere la colpa su di lui… Tu-tum… Ed era morto fra le braccia di Chifuyu senza sapere che lui era in attesa di suo figlio… Tu-tum… Si rese conto di avere lo sguardo di Kazutora addosso, vide le sue labbra muoversi senza sentirne le parole. In effetti non sentiva rumore alcuno all’infuori dei battiti del proprio cuore. Chiuse gli occhi e prese respiro.
“Meglio se ti prendi un succo d’arancia.” Disse Kazutora, togliendogli la bottiglia di mano.
Unmei aprì gli occhi. “Mia madre sta da schifo anche questa sera… Ho sentito mentre parlava al telefono con Takemichi e…” Ridacchiò amaramente. “Non ce l’ho fatta a stare a casa!” Chinò il capo e si portò una mano alla fronte. “Scusate, non volevo rovinare la serata.”
Akkun e Kazutora si scambiarono un’occhiata di preoccupazione.
Unmei proseguì. “E’ che…sentirli rivangare il passato, soprattutto Takemichi che insisteva a dire che avrebbe potuto cambiare le cose… Per un momento mi ha stupidamente dato la speranza che potesse farlo davvero! Poi mi sono reso conto di quanto fosse una cazzata…il passato è passato, nessuno può cambiarlo…e allora mi sono sentito un coglione per averci sperato!”
“Io credevo che Takemichi potesse viaggiare nel tempo…” Saltò fuori Akkun.
Unmei lo guardò in tralice. “Che intendi dire?”
“Be’, in realtà è una sciocchezza!”
Kazutora lo incalzò. “Adesso sono curioso anche io. Racconta!”
“E’ successo quando sono uscito dal riformatorio… Prima devo fare una precisione. Mentre ero dietro le sbarre, mi era stato concesso di ricevere visite dal mio ragazzo e dai miei amici, con una certa frequenza, perciò in quegli anni in qualche modo abbiamo continuato a crescere insieme. Eppure, il giorno in cui venni liberato, Takemichi mi parve diverso. Sembrava molto più maturo per la sua età.” Fece una pausa e si grattò distrattamente la tempia, mentre cercava le parole. “Ricordo che si mise a dire qualcosa riguardo al fatto che se fossi rimasto un teppista sarei morto e cose così…ma lo disse con una tale serietà e convinzione che…come dire…era come se lo sapesse per certo! Come se lo avesse visto coi propri occhi! Come se l’avesse vissuto e poi fosse tornato indietro per cambiare le cose!” Ridacchiò, scuotendo il capo. “Come dicevo, sciocchezze! E’ impossibile una cosa del genere!”
Kazutora abbozzò un sorriso triste. “Sarebbe bello se Takemichi fosse in grado di farlo davvero… Se io potessi chiedergli di tornare indietro, vorrei che…” Non terminò la frase, ma a quel tavolo tutti sapevano bene cosa voleva dire.
Unmei si rimpossessò della bottiglia che gli era stata sottratta e si attaccò a collo come se invece di birra all’interno ci fosse stata una miracolosa anestesia contro il dolore dell’anima. Ottobre era un mese di merda. Per lui. Per Kazutora. Per sua madre Chifuyu.
Il mattino dopo, Unmei si svegliò di soprassalto. Era sudato, i capelli incollati alla faccia e una gran confusione nella testa. Era certo di aver bevuto solo metà bottiglia, ma a quanto pare era bastato per ridurlo uno straccio. Dannazione, era proprio un ragazzino. Si scostò i capelli bruscamente e gettò la testa all’indietro perché gli davano fastidio. Sarà stato il movimento repentino oppure gli effetti della birra che stava ancora smaltendo, fatto sta che venne colto da un tremendo giramento di testa che lo fece cadere dal letto. Per fortuna la moquette attutì in parte la caduta. Nella mente intorpidita presero a viaggiare immagini distorte, foto di suo padre, foto di sua madre, e a riecheggiare frasi sentite la sera prima… Una sensazione insopportabile che lo fece gridare. In breve il peggio passò e lui si ritrovò a fissare il soffitto tenendosi la testa tra le mani.
“Cazzo… O sto impazzendo o mi è venuta un’idea geniale…”
A fatica si mise in ginocchio e strisciò fino al comodino per artigliare il telefono. Erano le sette di mattina ed era sabato. Senza esitare aprì la rubrica e selezionò il numero di Takemichi.
*
 
Erano seduti uno di fronte all’altro, al tavolo in cucina, avvolti da un silenzio innaturale rotto solamente dai rumori di deglutizione. Takemichi aveva l’aspetto di un lenzuolo stropicciato ed in parte Unmei sapeva che era colpa sua. Quando lo aveva chiamato per telefono, Takemichi aveva risposto dopo molti squilli e con voce giustamente assonnata. Lui gli aveva fatto prendere un colpo dicendogli che voleva vederlo immediatamente per aiutare sua madre. Sulle prime, ancora mezzo addormentato, il poveretto aveva creduto che l’amico si fosse sentito male o quant’altro ed era balzato giù dal letto svegliando anche sua moglie Hinata. Erano bastate poche frasi per chiarire il malinteso, però Unmei era stato irremovibile nel dire che dovevano vedersi subito. E così era arrivato lì e aveva trovato la colazione pronta e fumante nel piatto. Qualcosa di semplice, verdure saltate in padella con salsa di soia e una fetta di pane tostato. Aveva salutato, si era scusato e poi si erano seduti insieme per mangiare. Ma ad ogni boccone, Unmei sentiva la rabbia salirgli alla testa. Comunque, si obbligò a pazientare fino a quando Takemichi non deglutì l’ultimo boccone di pane e poi…
“Quindi come fai a tornare indietro nel tempo?”
Takemichi non si strozzò per un pelo. I suoi occhi azzurri si spalancarono su di lui. “Ehm…di cosa stai parlando?”
Unmei batté il pugno sul tavolo e si sporse un po’ in avanti. “Non trattarmi da deficiente, vecchio sfigato. Voglio sapere i dettagli.”
Tra loro due, l’adulto era Takemichi ma…di fronte ad uno con un’aura così minacciosa e che poteva ammazzarlo di botte da un momento all’altro, i ruoli si erano drasticamente invertiti.
Ignorando il tremolio alla spina dorsale, cercò di fingersi calmo. Anche se gli uscì una vocina non esattamente virile.  “…Unmei…che idea ti sei fatto di me?”
“Senti, evitiamo le cazzate e passiamo subito al punto della questione. Voglio che torni nel passato e salvi mio padre.”
Takemichi sbiancò. “Tu-tuo padre…? Ma che…?”
“Sono stanco di vedere mia madre soffrire ogni fottuto ottobre di ogni fottuto anno!” La determinazione non gli mancava, c’era da dirlo.
Vedendolo così, Takemichi non tentò nemmeno di inventare scuse. Non sapeva come lui fosse arrivato alla verità, l’unica cosa che sapeva per certa era che rischiava di non uscirne vivo. Prese respiro e mise da parte il piatto della colazione ora vuoto. “Ascolta… E’ più complesso di quanto tu possa immaginare. Ho già tentato di salvare Baji e…” Si fermò, lo sguardo triste nell’inseguire quel ricordo. “Non è andata bene.”
“Allora riprovaci! Che ti costa!”
“Non è una cosa determinata dalla mia volontà! C’è un meccanismo con delle regole.”
Unmei rimase in silenzio, ma ci pensò il suo sguardo omicida a parlare per lui. La situazione era fin troppo seria.
Takemichi si prese qualche altro istante, prima di cercare di dargli una spiegazione. “Questi…viaggi…avvengono solo in casi straordinari, quando io stringo la mano della persona coinvolta.” Si morse le labbra. “No, non è nemmeno così. La prima volta mi è successo quando stavo per essere investito da un treno… Uff…”
Vennero interrotti da Hinata, entrata in cucina per salutare l’ospite. Lei era a conoscenza dell’abilità di Takemichi, però per il momento lui non volle coinvolgerla, perciò lo invitò a proseguire la conversazione in salotto.
Fu un’impresa mettere insieme i pezzi delle sue avventure passate. Alcune regole erano state uguali per ogni viaggio, altre invece sembravano dettate dal caso, senza contare che c’erano state delle ripercussioni sul futuro per niente gradite, in certi casi. Aveva salvato Hinata dalla morte dopo numerosi tentativi, aveva salvato Akkun, aveva salvato l’Invincibile Mikey che era stato il comandante della Tokyo Manji Gang…ma non era riuscito a salvare altre persone, tra cui appunto Baji.
“Allora…per tornare indietro basta che tu stringa la mia mano. Giusto?” Tentò Unmei, deciso ad arrivare fino in fondo.
“Forse… Ma non posso sapere in quale punto del tempo finirò. E in ogni caso, non è detto che riesca a salvare Baji.”
Unmei si ritrovò a stringere i pugni e a gridare. “Fallo per mia madre! Non vorresti dargli la possibilità di avere accanto la persona che ama?”
Gli occhi gli divennero lucidi e le iridi parvero infuocarsi. Uno di quei momenti in cui era come se Baji stesse rivivendo in lui. La cosa turbò Takemichi. Dovette scuotere il capo per riprendersi. Diede un’occhiata alla foto del matrimonio suo e di Hinata, che era bene in mostra su una parete. Se quel futuro si era compiuto, era stato perché non aveva smesso di lottare.
Tornò a rivolgersi ad Unmei. “Hai ragione, posso fare un altro tentativo. Ma se è davvero questo ciò che vuoi, devo prima renderti noto un fatto molto importante.”
“Sarebbe?”
“Delle numerose linee temporali in cui sono stato, questa che stiamo vivendo adesso è l’unica in cui tu esisti. Nelle altre, Chifuyu era un normale ragazzo, non era intersessuale. Non so il perché, è stata una sorpresa anche per me scoprirlo. Ad ogni modo, voglio avvertirti… Se io torno nel passato e cerco di cambiarlo, indipendentemente dal risultato c’è la possibilità che tu non nasca. E in questo modo cesseresti di esistere anche in questo futuro.” Ora fu lui a sporgersi in avanti e a guardarlo con sguardo fermo. “Sei pronto a correre il rischio?”
Ad Unmei non era passata neanche lontanamente per il cervello questa opzione. Dunque le cose stavano così? Quella confessione l’aveva spiazzato. Sbuffò per scacciare la tensione e prese a intrecciare le dita, mentre rifletteva. “Cessare di esistere, eh…? Però mia madre potrebbe essere felice anche senza di me… Insomma, non penserebbe a qualcosa che non ha mai avuto, no?”
Takemichi sbarrò gli occhi su di lui con ammirazione. “Gli vuoi così bene da accettare una simile eventualità?”
Unmei sollevò un sopracciglio. “E’ ovvio. E’ mia madre.”
Tale franchezza lasciò a bocca aperta Takemichi. Nonostante il caratteraccio, quel ragazzo aveva un cuore enorme. Come suo padre.
Takemichi non poté che acconsentire. “Unmei, se è ciò che vuoi, io ti aiuterò. Però prima prenditi del tempo per pensarci bene.”
Unmei si mise a ridere, così di punto in bianco, e quando si calmò sfoggiò un sorriso quasi strafottente. “Facciamolo  e basta, vecchio!”



Continua nel prossimo capitolo.... Seconda Fase: [Only you know]

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Capitolo 2
*** Seconda Fase: [Only you know] ***


Seconda Fase:
[Only you know]
 
Il ‘subito’ di Unmei divenne un ‘tra qualche ora’ per volere di Takemichi. Dopo aver cercato di spiegargli più chiaramente possibile come funzionavano quei viaggi nel tempo, aveva anche sottolineato che mentre il suo spirito e la sua mente sarebbero stati altrove, il suo corpo sarebbe rimasto lì, per cui era necessario preparare una postazione con tutto l’occorrente. Inoltre aveva fermamente sostenuto che, al contrario di altri viaggi, questa volta il suo intervento non avrebbe mutato il proprio futuro con Hinata e la loro attuale vita, perciò era indispensabile chiedere anche l’aiuto di suo cognato Naoto affinché gli coprisse le spalle e gli procurasse un valido motivo per giustificare la lunga assenza dal lavoro. Naoto era un Detective, chi meglio di lui poteva farlo? Tutto sensato, sì, peccato che per Unmei si trattava solo di seccature.
“Essere adulti fa schifo…” Borbottò, mentre richiudeva il cancelletto di casa Hanagaki. Salì in moto, più infastidito che mai, e andò dritto a casa di Blitz con l’intenzione di sfogarsi per bene.
Visto che il pomeriggio precedente erano stati interrotti dalla telefonata di Chifuyu e per lui era stato impossibile riprendere… Magari adesso… Blitz se la cavava bene con la bocca e di solito ci metteva poco a farglielo diventare duro… Doveva solo concentrarsi… La sua lingua la sentiva bene… La sua bocca era calda e stretta… Di sicuro tra poco… Ma chi voleva prendere in giro?
“Porca di quella puttana.” Sibilò tra i denti, stringendo i pugni con rabbia.
Ovviamente Blitz si fermò, per un lungo e imbarazzante momento si ritrovarono entrambi con lo sguardo puntato su quel coso che non voleva saperne di collaborare.
Unmei si lasciò ricadere all’indietro sul materasso, sospirando. “Ok, diventerò impotente…”
“Ma no! E’ che sei troppo stressato!” Lo rassicurò Blitz, mentre si premurava di risistemargli tutto dentro i pantaloni. “Magari c’è un modo semplice per farti stare meglio!”
“Tipo?”
Blitz balzò in piedi agilmente e, aprendo le braccia, sfoggiò uno dei suoi sorrisi in grado di illuminare il mondo anche nella più cupa giornata di pioggia. “Fammi diventare ufficialmente il tuo ragazzo!”
Silenzio totale…
“Bene, addio.” Sentenziò Unmei, per poi alzarsi dal letto e avviarsi verso la porta.
Subito Blitz si precipitò a fermarlo, aggrappandosi al suo braccio a mo’ di scimmietta col ramo. “Eddai, scherzavo! Cioè, mi piacerebbe diventare il tuo ragazzo, ma va bene anche se restiamo amici! E… Come amico… Vorrei vederti felice, Unmei.” Ora il suo tono di voce si era fatto serio. “Credo sia arrivato il momento che tu ti dichiari a-”
Unmei gli troncò la frase. “Sei un vero rompipalle!” Quindi accennò un sorriso. “Ma sei anche un ottimo amico e Vicecomandante!”
Blitz rispose con un timido sorriso e fece un cenno col capo. E lo lasciò andare.
Uscito anche da quella casa e risalito in moto, Unmei si ritrovò di nuovo solo coi propri pensieri. Quella di dichiararsi era un’opzione che non aveva mai preso davvero in considerazione, vista la sua delicata situazione famigliare. Però adesso…
Si fermò ad un semaforo rosso, l’incrocio era piuttosto affollato essendo sabato mattina, ma almeno non c’era traccia degli sbirri che sicuramente lo avrebbero fermato perché era senza casco.
Takemichi gli aveva ripetuto più volte di pensare seriamente al fatto che, nel peggiore dei casi, cambiando il passato lui avrebbe potuto non nascere. E se fosse andata così…
Il semaforo diventò verde e lui ripartì senza meta.
Se non fosse mai nato, sua madre sarebbe stata meglio, di questo ne era sicuro. Non partorire un bambino a quattordici anni avrebbe fatto la differenza, no? Che al suo fianco ci fosse stato Baji o no, le difficoltà da superare sarebbero state comunque minori. Era una nobile causa per cui sacrificarsi… Lasciando da parte Chifuyu…cosa poteva dire se stesso? Fin dalla nascita era stato protetto e amato, soprattutto aveva numerosi ricordi con le due nonne che vivevano entrambe nella stessa palazzina. Quelle due erano amiche inseparabili, ma quando si trattava di lui ecco che si percepiva un pizzico di rivalità su quale delle due lo viziasse di più.
Sorrise di questo pensiero, mentre la moto eseguiva elegantemente una curva, la quale costeggiava un grande albero sempreverde.
Da piccolo forse era stato affettuoso e…perché no, un po’ dolce. Gli piacevano gli animali ed era stato felicissimo quando aveva messo piede nel negozio di sua madre il giorno dell’inaugurazione. Però non tanto come quando era entrato per la prima volta al D&D Motors gestito da Draken e Inupi! Era appena un mocciosetto di seconda elementare, ma quel giorno aveva scoperto la passione per i motori. Quanto tempo era passato… Per il resto non aveva nulla da dire. Non era mai stato brillante negli sport o nello studio. Gli piaceva menare le mani, questo sì, un vero talento naturale avendo entrambi i genitori con un passato da teppisti. Ma quella passione aveva dovuto tenerla sempre nascosta, ad ogni minimo graffio sul viso sua madre si allarmava e così aveva imparato a misurare l’entusiasmo e a fare a botte per lo più con persone su cui sapeva di avere la meglio. Aveva messo su una gang per puro capriccio, per assaporare il gusto del proibito. Non aveva ambizioni e col brutto carattere che si ritrovava non avrebbe mai fatto nulla nella vita. Eccetto finire dietro il bancone del negozio di famiglia, ovviamente.
Con la moto s’imbucò fra viette strette e poco frequentate, un sapore amaro in bocca.
Non nascere poteva essere una benedizione. Altro che rischio. Forse l’unica cosa per cui valeva davvero la pena vivere era…
Frenò di colpo, sgommando sull’asfalto.
C’era solo una cosa che lo teneva ancorato al mondo e alla vita…
Diede gas e ripartì di gran lena, ignorando un signore di mezza età che era uscito in giardino e che ora gli stava gridando qualcosa, sicuramente riguardo il gran casino causato dalla moto. Se davvero correva il rischio di sparire, di essere cancellato, di non esistere, allora c’era una cosa che doveva assolutamente fare.
*
 
Kazutora, nei suoi semplici abiti da lavoro, avvolto dal grembiule e coi capelli legati in una coda di cavallo ad eccezione di due delle ciocche bionde ai lati del viso, era intento a svuotare uno scatolone e riporre la merce sullo scaffale apposito. Si trattava di buste contenenti cibo per gatti, di una decina di gusti diversi. Quelle bestiole erano proprio trattate da re! Bah, aveva imparato a non fare domande e a non tentare di capire. Era lì solo per lavorare e per tentare di ripagare quel debito morale che aveva nei confronti di Chifuyu, per averlo accolto dopo la prigione, avergli dato una casa, una famiglia e un lavoro. In poche parole, gli doveva tutto. L’unica cosa di cui non avrebbe mai potuto ripagarlo era la vita di Baji… Dopo tutti quegli anni ancora non riusciva a perdonare se stesso e si chiedeva se nel profondo Chifuyu lo avesse davvero perdonato per avergli sottratto il ragazzo che amava e che sarebbe stato il suo compagno di vita, oltre che padre di suo figlio. Scosse il capo, quasi commiserandosi. Ogni anno, con l’avvicinarsi del 31 ottobre, i suoi pensieri diventavano lugubri. Forse aveva bisogno di una pausa… Abbandonò lì a terra lo scatolone ancora mezzo pieno e attraversò la corsia. Chifuyu era alla cassa e stava facendo il conto della spesa di una cliente. Una delle tante che andava lì principalmente per vedere lui, deliziarsi del suo bel viso e dei suoi modi galanti e lasciarsi corteggiare pur sapendo che era solo artefatta per vendere. Passando, intercettò il momento in cui lui gli rivolse uno sguardo, allora portandosi due dita alle labbra mimò l’atto di fumare e lui gli fece un cenno affermativo col capo. Bene. Lasciò il locale principale e dopo aver richiuso la porta attraversò anche il magazzino. In quel momento il telefono vibrò nella tasca dei pantaloni. Lo prese e diede un’occhiata rapida allo schermo, prima di rispondere.
“Pronto?”
Kazutora… Hai un momento libero?
“Stavo giusto uscendo a fumare una sigaretta. Hai bisogno?”
…io…sono qui fuori…
Chiuse la chiamata e, dopo aver messo via il telefono, aprì la porta che dava sul retro. Appena affacciato, vide Unmei nel vialetto, a cavallo della moto spenta.
“Ehilà… Non mi sembra di averti sentito arrivare…”
“Ho fatto l’ultimo tratto a piedi per non farmi sentire…”
“Meglio così. Chifuyu si è già lamentato perché neanche oggi ti sei offerto di aiutare in negozio.” Recuperò il pacchetto dall’altra tasca dei pantaloni e si accese una sigaretta. Prese una buona boccata di fumo e poi la buttò fuori creando una voluminosa nuvola bianca. “Perché mi volevi?”
Unmei era incerto sul da farsi. Era andato lì d’impulso ma… Scese dalla moto e fece scattare il cavalletto. Nell’avvicinarsi a lui, tenne lo sguardo basso di proposito e continuò anche quando iniziò a parlargli. “Avevo bisogno di vederti… Io…” Trattenne il respiro, non sapeva da che parte cominciare, accidenti. “Io… Senti, se dovesse accadermi qualcosa…”
“Aspetta un secondo, che intendi dire con ‘qualcosa’?” Quel comportamento era strano e…ora che ci faceva caso, Unmei aveva addosso la giacca della gang. “Sei nei guai?”
Unmei sollevò lo sguardo. “Che?”
“Hai bisogno di aiuto? Se è così, devi dirmelo. Posso aiutarti,  me la cavo bene quanto te a fare a botte. Anzi, forse meglio. Comunque, di qualunque cosa si tratti, non posso farti tornare a casa ricoperto di lividi dalla testa ai piedi, lo sai.”
Unmei ci mise un po’ a connettere. Giusto, si era presentato con addosso la giacca e lui aveva pensato che si trattasse di qualcosa che aveva a che fare con la gang. “Sei più preoccupato che io possa farmi male o che mia madre ne soffra?” Gli era uscita peggio di quanto volesse.
Kazutora sbuffò fuori un’altra boccata di fumo e parlò agitando la mano con cui reggeva la sigaretta. “Non è il momento per queste domande trabocchetto, dimmi in che casino ti sei messo.”
“Ahahahah! Scusa!” Una risata amara. Si scostò una ciocca di capelli che gli era ricaduta sulla fronte. “Non è niente! Davvero… La gang non c’entra. Sono qui per un altro motivo.” Si volse dandogli di spalle, in un modo o nell’atro doveva dirglielo.
Kazutora incalzò. “Unmei, parla. Ti stai comportando in un modo troppo strano. Che ti prende?” Fece un passo verso di lui e, afferrandolo per una spalla, lo obbligò a girarsi e a guardarlo. Aveva un’ombra negli occhi che non riusciva ad interpretare.
Messo alle strette, Unmei lasciò perdere le parole e passò ai fatti. Gli avvolse il girovita col braccio e lo attirò a sé per baciarlo. Così tante volte aveva immaginato quel momento… E in nessuna fantasia era accaduto in un modo tanto banale! Vero che alcune erano fin troppo incredibili e difficilmente avrebbero potuto realizzarsi…come quella di baciarlo dopo essere rimasti chiusi in cima alla Tokyo Tower…figurarsi… Ma almeno alla fine lo aveva fatto, lo aveva baciato davvero. Al diavolo il momento e il luogo. Le labbra di Kazutora erano leggermente secche e fredde e avevano il sapore della nicotina. Finalmente lo sapeva… Con questo ultimo pensiero separò le labbra dalle sue e lo guardò. Lui aveva giustamente gli occhi sbarrati e quasi si poteva intravedere un punto di domanda nelle pupille! Quasi…
Ci mise un po’ a ritrovare l’uso della parola. “Cosa significa?”
Unmei fece spallucce. “Niente. Solo che ti amo. Dal primo momento in cui ti ho visto.”
Il punto di domanda si accentuò. “Sei impazzito?”
Unmei ridacchiò. “Se preferisci! Volevo solo che lo sapessi, nel caso io…” S’interruppe. Non poteva certo dirgli cosa stava per fare e le conseguenze che questo ne avrebbe riportato.
“Nel caso cosa?” Kazutora cominciava ad alterarsi, gettò la sigaretta a terra e la calpestò. Tanto in quel vicoletto non passava mai nessuno, nemmeno la polizia. Il che significava niente rischio di multa per inquinamento dell’aria e dell’ambiente. “Cazzo, Unmei, se non ti decidi a parlare ti tiro un pugno e ti trascino da tua madre.” La suoneria del telefono di Unmei si fece sentire chiassosa. Forse era il caso che imparasse ad usare la vibrazione. Fece per rifiutare la chiamata, ma Kazutora gli sottrasse il telefono con gesto rapido. “Perché Takemichi ti sta chiamando?”
“Dobbiamo vederci. Per…una cosa.” La voce gli tremò nel dirlo, la tensione lo stava divorando. Si riprese il telefono e rispose. “Sì, Takemichi… Sì. Mh. Sono con Kazutora adesso. No, arrivo subito. Sì, a tra poco.” Poche parole che non trapelavano alcun indizio.
Kazutora si portò una mano alla fronte, sospirando. “Stupido moccioso, mi hai fatto prendere un colpo. Non potevi dire subito che devi solo vedere Takemichi?”
“Be’… Vado. Non dire a mia madre che sono venuto qui.” Girò sui tacchi e recuperò la moto, tenendola per i manubri si avviò per portarla un po’ più distante dal negozio. Era sul punto di svoltare e uscire dalla stradina, quando la voce di Kazutora lo richiamò. “Il bacio e la dichiarazione…era tutto uno scherzo, giusto?”
Unmei volse il capo e accennò un sorriso. “Ovviamente no.” Svoltò, pregando che lui non lo rincorresse per chiedere spiegazioni.
*
 
Finalmente era tutto pronto. Una volta tornato a casa dei coniugi Hanagaki, Unmei aveva intravisto Hinata con la coda dell’occhio e questo gli era bastato per percepire una certa freddezza da parte sua. Niente di cui sorprendersi, era stato lui a costringere suo marito a fare quella cosa rischiosa. E Takemichi non tardò a dargliene conferma.
“Sia lei che Naoto hanno provato a persuadermi a non farlo. Soprattutto perché, anche nel caso la stretta di mano con te funzionasse, quando sarò nel passato come farò a tornare indietro?”
“Domanda più che legittima. Quindi cosa hai intenzione di fare?”
Takemichi lo guardò storto. “Non ho intenzione di tirarmi indietro, se è questo che stai pensando.”
“Ora leggi anche nel pensiero?” Tono strafottente al massimo e nessun rimorso. Quando ci si metteva, Unmei sapeva farsi odiare alla grande!
“Comunque, tornando al discorso di prima, credo che non sarà necessario un diretto contatto con te. Voglio dire…sarai nel ventre di Chifuyu, quindi basterà stringere la sua mano. Suppongo... Oppure alla peggio aspetterò che tu nasca…”
“Sì, come ti pare. Allora, iniziamo?” Tagliò corto lui.
“Hai sempre avuto un brutto carattere… Uff, lasciamo perdere…”
Prese un lungo respiro e cercò di farlo uscire assieme alla tensione che provava. A conti fatti l’ultima volta che era tornato indietro nel tempo era stato circa tre anni fa, ma quella era una cosa a cui evidentemente non era in grado di abituarsi.
Unmei fece un passo verso di lui e gli porse la mano. “Fammi vedere di che pasta sei fatto, vecchio!”
Takemichi, suo malgrado, ridacchiò. “Non sappiamo nemmeno se funzionerà! Sarebbe pazzesco aver fatto tutti questi preparativi per poi ritrovarci qui come due idioti a stringerci la mano per niente!”
“In quel caso mi incazzerei a morte e sarai tu stesso a pregare di finire nel passato per evitare che io ti uccida.” Lo afferrò per la maglia e si sporse su di lui, così vicino da fargli sentire il proprio respiro contro il viso, e con uno sguardo tanto minaccioso da farlo rabbrividire. “Non hai idea di quello che ho appena fatto per colpa delle tue raccomandazioni del cazzo.”
Una cosa che per Takemichi non era mai cambiata, era il desiderio di filarsela a gambe levate al primo ostacolo e diventare blu dalla paura. Forse fu questo a distrarlo. Senza rendersene conto, afferrò quella mano invadente per togliersela di dosso e…il suo mondo divenne improvvisamente nero. Percepì quella specie di scossa elettrica che lo aveva travolto ad ogni viaggio e, prima ancora che potesse battere ciglio, i colori tornarono. Anzi…UN colore. L’azzurro di un cielo privo di nuvole in una tipica giornata di sole. Confuso, sbatté le palpebre un paio di volte. Dove era finito? Tanto per cominciare era sdraiato su un suolo erboso, cosa strana ma non sgradita, sicuramente meglio di quella volta che si era ritrovato nel bel mezzo di una scazzottata! Sentire la morbidezza dell’erba lo rassicurò un poco. Si portò una mano ai capelli, erano carichi di gel e tirati su esattamente come quando era un ragazzino. Buon segno. “Allora ce l’ho fatta…”
Si mise seduto. A prima vista riconobbe il luogo in cui si trovava. Era il parco di Shibuya in cui Chifuyu gli aveva confessato di essere intersessuale e di essere incinto. Ancora ricordava il suo volto pallido, la voce tremante mentre glielo confessava, una mano premuta contro il ventre, gli occhi rossi e gonfi dai tanti pianti per aver perso il ragazzo che amava…
Scosse il capo. “Devo portare a termine la missione.” Facendo pressione con la mano piantata nell’erba, si rimise in piedi con cautela, giusto per evitare un capogiro e…quando allungò lo sguardo…
“EEEH??? TU CHE CI FAI QUI’?”
*
 
Ottobre 2005.
Se gli occhi gli avessero giocato un brutto scherzo, sarebbe stato meglio. Invece no, per quanto continuasse a fissare la figura davanti a lui, non c’era modo che potesse sbagliarsi. Quei capelli neri e lunghi, quegli occhi sottili azzurro verde, quella lunga giacca grigia…
“UNMEI???”
Era lì, con lui, in quel parco. Nel passato.
“MA CHE COS-?”
E a conferma che era tutto vero, ci pensò proprio Unmei a riprenderlo con tono rabbioso. “Piantala di strillare come una zitella mestruata!” Fece un passo per avvicinarsi e, vista la differenza di altezza, torreggiò su di lui. “Dovrei essere io quello sorpreso, non tu! Che ci faccio qui nel passato? Non mi avevi detto che le cose sarebbero andate così! Rispondi, cazzo!”
Facile a dirsi! Takemichi lo guardava col naso in su ed era così sconvolto che non riusciva più a spiccicare parola. Al contrario di lui, tralasciando la sfuriata, Unmei era molto più calmo e in grado di ragionare. O forse ancora non si rendeva conto della situazione… Infatti prese lo smartphone dalla tasca della giacca e disse con noncuranza: “Chiamo mia madre. Dobbiamo incontrarlo e decidere un piano per salvare mio padre.”
Così, di punto in bianco, senza farsi problemi. Ma scherziamo???
Takemichi ebbe una fulminea ripresa che gli permise di sottrargli il telefono dalla mano, prima che commettesse un errore madornale.
“Non puoi chiamarlo! Sei pazzo? Non ti conosce, non sa nemmeno di essere incinto! Non puoi sputargli addosso la storia che sei suo figlio e che vieni dal futuro!”
“Non… Non avevo intenzione di farlo…” Si difese Unmei, seppur in modo poco convinto.
“E allora come pensavi di iniziare la conversazione? Eh?”
Colpito e affondato! E zittito per bene.
Ora che Takemichi aveva ristabilito l’ordine, cercò di prendere in mano la situazione. Gli restituì lo smartphone e poi recuperò dalla propria tasca il suo caro vecchio telefono a conchiglia a cui si affezionava nuovamente ad ogni viaggio. Si mise a cercare nella rubrica. E lì arrivò il primo problema. “Che strano… Non trovo il numero di Chifuyu…”
“Posso dartelo io, cosa cambia?”
Le sopracciglia di Takemichi si aggrottarono un po’. “Non è questo… Mi ha dato il suo numero il giorno stesso in cui ci siamo conosciut-” Il dito si fermò di colpo, tempo un paio di secondi ed ecco che cambiò tasto.
Unmei, a braccia incrociate per mascherare il senso di vergogna per l’errore che stava commettendo prima, si sporse leggermente verso il telefono e provò a sbirciare. “Che c’è?”
La mano di Takemichi tremava. “E’…è successa una cosa strana… Ma ho anche una notizia peggiore…” Sollevò lo sguardo su di lui, aveva gli occhi spalancati e tremanti e una goccia sulla fronte aveva tutta l’intenzione di colare giù. “Dimmi, Unmei…quando ci siamo stretti la mano esattamente?”
“Mmh… 2021, ottobre, 23, sabato, ore 11:30, ma non sono sicuro dei minuti…”
“Eh eh… Oggi è il 23 ottobre. Del 2005. E’ domenica. Ma sono le 16:49.”
“Tutto qua? Ma chi se ne frega! E’ pomeriggio invece che mattina!”
“Sì, non è questo il punto… Non ti ho ancora detto la cosa peggiore…”
Unmei prese respiro, costringendosi a restare calmo. “Sentiamo.”
“Come ricorderai, io e Chifuyu ci siamo conosciuti il giorno dopo che tuo padre è entrato nella Valhalla… Quel pomeriggio, dopo la scuola, in quel piccolo parco per bambini…”
“Quindi???”
“Era il 25 ottobre. Quindi tecnicamente non ci siamo ancora parlati. Per questo non ho il suo numero.”
I denti di Unmei digrignarono in modo sinistro e una vena si gonfiò visibilmente sulla sua fronte. “Razza di…” Gli gridò in piena faccia. “SFIGATO DI MERDA!”
Inutile dire che Takemichi finì col cadere sedere a terra per lo spavento!
“Basta, mi hai rotto. Adesso lo chiamo io e la facciamo finita.” Di nuovo si mise ad armeggiare col telefono, ma quando fece per avviare la chiamata… “Merda…”
“C-cosa c’è adesso?”
Unmei sospirò pesantemente, al limite della pazienza. “Siamo nel 2005. La mia scheda non è attiva, quindi il mio telefono è inutile.”
Cri cri cri cri cri….
“Pfff… Pwahahahahahahahaha!!!!!” Takemichi scoppiò a ridere a crepapelle, come un idiota. “Chi è adesso lo sfigato?”
Il pugno di Unmei era stretto al fianco e fremeva per la voglia di colpire quel deficiente che lo derideva, ma adesso non c’era tempo per le cazzate, doveva darsi una mossa. Gli voltò le spalle e s’incamminò da solo.
“E-ehi, dove stai andando?” La risata scemò immediatamente e Takemichi balzò in piedi in modo impacciato per inseguirlo.
“Vado a casa di mia nonna, lì dovrei trovarlo. Ci abbiamo vissuto fino al compimento dei miei sei anni, prima che io e lui ci trasferissimo nella casa nuova.”
“Va bene, ma… Cosa gli dirai quando lo avrai davanti? Forse non capisci la gravità della situazione.” Faticava a stargli dietro, quel ragazzo aveva una camminata troppo veloce per lui.
“Senti, non ne ho idea. Per ora voglio solo incontrarlo. Poi qualcosa farò. Hai detto che domani mio padre entrerà nella Valhalla, quindi oggi dovrebbe lasciare la Toman, giusto?”
Takemichi raggruppò i pensieri, prima di confermare. “Sì, esatto. Lo farà oggi. Mikey presenterà Kisaki come nuovo Capitano della 3a divisione, io gli tirerò un pugno sulla scia del momento e poi arriverà Baji a pestarmi e a dichiarare che se ne và.” Appena il tempo di finire la frase che… “Ugh… Rischiavo di dimenticarmene…”
“Cosa?”
“Io sono stato invitato da Mikey e Draken ai bagni pubblici, prima del raduno.” In mano aveva ancora il telefono, quindi fece presto a sbirciare lo schermo. “Devo andare o farò tardi e di sicuro s’incazzeranno!”
Unmei si fermò e gli assestò una pacca sulla spalla che quasi gli fece perdere l’equilibrio. “Allora vai. Io vedo se riesco a trovare mia madre a casa. Altrimenti… Magari più tardi andrò anche io al Santuario di Musashi e vada come vada.”
Si scambiarono uno sguardo d’intesa, soprattutto Takemichi che adesso aveva riacquistato la giusta serietà. “Mi raccomando, non fare pazzie. In gioco non c’è solo la vita di Baji…ma anche la tua.”
Unmei fece un cenno col capo. “Lo so. Farò attenzione.”
*
 
Un’altra porzione di deliziosa Peyong yakisoba finita nel cesso… Letteralmente. Con una mano davanti alla bocca, in attesa che la nausea si placasse, Chifuyu osservava quello che fino a poco fa era stato il suo spuntino pomeridiano, chiedendosi per quale motivo il suo stomaco aveva deciso di non accettarlo. Di nuovo. Quante volte era capitato? Da alcune settimane non stava bene, se poteva evitava la colazione e anche quando aveva fame si ritrovava spesso in quella stessa identica situazione. In ginocchio davanti alla tazza e con lo stomaco sfarfallante. Allungò l’altra mano per tirare lo sciacquone, lo sguardo fisso su quel vortice  d’acqua che si portava via il suo pasto. Che rabbia… Ora che la nausea era passata, al suo posto era subentrata una forte irritazione. Si alzò in piedi e andò al lavandino per lavarsi bene i denti. Lo spazzolino che sfregava energicamente contro la dentatura bianca produceva un rumore quasi fastidioso, per i suoi timpani. Sputò con rabbia e si sciacquò la bocca. Il contatto dell’acqua fredda col sapore di menta del dentifricio gli diede un senso di freschezza. Posò lo spazzolino e lasciò un sospiro, il suo sguardo incontrò il proprio riflesso allo specchio. Non stava bene per niente… Ma c’erano troppi problemi da risolvere in quel periodo, per pensare alla salute.
Quando tornò in camera sua, trovò Baji ancora seduto a terra e con la schiena poggiata alla struttura del letto.
“Ehi, tutto bene?” Lo sguardo di Baji, quello sguardo da predatore che di solito spaventava alla prima occhiata, ora traspariva una sincera preoccupazione.
Chifuyu si accomodò al chabudai, a gambe incrociate. “Sì.” Una risposta secca.
“A me non sembra… Spero non sia colpa della Peyong… Cazzo, se hanno aggiunto un ingrediente che ti fa stare male io li…” Baji si morse un labbro con disapprovazione.
“No… E’ un problema mio, credo.”
“Non è il caso di andare dal dottore?”
Chifuyu gli lanciò uno sguardo tagliente. “Mi succede da quando hai cominciato a creare casini nella gang. Che coincidenza!”
“Cosa vorresti dire?”
“Voglio capire cosa ti sta passando per la testa!” Gridò Chifuyu, sbattendo i pugni sul ripiano del tavolino. “Sembra che tu stia facendo di tutto per farti cacciare! Per quale motivo?”
“Chifuyu…”
“Dimmelo, per favore!”
Baji allora si sollevò su un ginocchio e si sporse verso di lui, quindi gli rispose stizzito. “Non è una cosa che io, Capitano della 1a divisione, debba spiegare al mio Vice.”
Chifuyu sgranò gli occhi, aveva commesso una gaffe. Cosa gli era preso per parlare in quel modo proprio  a lui che gli era superiore di rango? Ultimamente faticava a separare la vita privata dalle faccende della gang… Chinò il capo. “Scusa. Non volevo mancarti di rispetto. Starò al mio posto.” Diede una rapida scorsa alla sveglia. “Devo prepararmi. Mi presenterò in anticipo per radunare la nostra squadra prima dell’arrivo di Mikey e Draken.” Si alzò in piedi e andò all’armadio a recuperare il tokkofuku, la divisa nera come la notte e con ricamati in giallo il nome della gang e il suo ruolo all’interno di essa.
L’atmosfera era pesante e Baji sapeva di esserne responsabile. Chifuyu aveva capito che stava tramando qualcosa… Doveva dirglielo? Allungò lo sguardo su di lui, mentre si toglieva i vestiti da casa e li riponeva con cura su una sedia lì vicino. Dirglielo…e metterlo in mezzo al casino che stava per scatenare? No, quella era una cosa che doveva sistemare da solo e basta. E se per tenerlo fuori avesse dovuto ricorrere a mezzi più severi, allora… Certo che in quei giorni il suo incarnato era più pallido del solito…
Chifuyu si stava giusto accomodando i pantaloni, quando percepì il lieve solletico causato dalle ciocche di capelli contro la spalla nuda. Poi un paio di braccia forti lo avvolsero di schiena e una voce calda gli sussurrò all’orecchio: “Chi è il mio ragazzo?”
“Io…”
“E la mia ragazza?”
“Sempre io…”
Baji gli stampò un bacio sul collo, stringendolo a sé in quel tenero abbraccio, quindi poggiò il mento sulla sua spalla e riprese a parlare. “Tu sei doppiamente importante per me. Questo lo sai.”
Chifuyu sollevò una mano e cominciò a giocherellare coi lunghi capelli neri di lui. “Lo so… Ma vorrei che mi coinvolgessi di più in ciò che fai. Come tuo ragazzo, come tua ragazza e…come tuo Vicecapitano.”
Baji era sul punto di vuotare il sacco, una parte di sé lo voleva davvero, però c’era una parte ben più oscura e prepotente che gli imponeva il silenzio. Confessare tutto era troppo rischioso, una sola svista poteva mandare a monte il piano che aveva elaborato e questo non poteva permetterlo. Per questo, quando dischiuse le labbra, invece di rispondergli, si limitò a bisbigliare un semplice e fuorviante: “Ti amo, Chifuyu…”
Capendo che non sarebbe riuscito ad ottenere nulla, per il momento, Chifuyu sorrise per quel goffo tentativo di depistarlo. “Ti amo anch’io, Baji-san!”
Terminò di prepararsi e insieme uscirono dall’appartamento in cui Chifuyu viveva con la madre. Affacciati alle scale, Chifuyu gli chiese: “Ci vediamo quando torno?”
“Sì.”
In teoria Baji avrebbe dovuto prendere la rampa opposta e salire fino al quinto piano dove era il suo appartamento, invece rimase al fianco di Chifuyu e lo precedette nella discesa.
“Dove stai andando? Non puoi venire all’incontro! Mikey ti ha sospeso!” Lo fermò lui.
Baji si fermò su un gradino, le mani in tasca, si voltò con aria disinvolta. “Non vengo con te. Voglio andare alla farmacia qua vicino a prenderti qualcosa per la nausea. Spero che stasera passerai da me a prenderla.”
“Q-qualcosa per la…?” Chifuyu lo stava guardando con tanto d’occhi. Non era così raro che Baji si mostrasse premuroso, però dopo aver litigato non se lo aspettava! Scese trottando i gradini che li separavano. “Va bene!”
I loro sguardi complici si unirono e parvero brillare alla luce del tramonto.
*
 
Sussurr…Sussurr… Mi chiamo Unmei… Sono…sono un amico di Takemichi e…” Mentre camminava, continuava a stringere il pugno e poi a distendere la dita, come se in mano avesse avuto uno di quei pupazzetti antistress che andavano tanto di moda in quegli anni. Peccato che quel gesto non stava avendo l’effetto desiderato, anzi, più si avvicinava alla palazzina grigia dove viveva Chifuyu, più sentiva la tensione contrargli lo stomaco. L’edificio era sempre più vicino e lui continuava a sussurrare le frasi che aveva preparato per quando Chifuyu avesse aperto la porta. “Mi…mi chiamo Unmei… Sono amico di…Takemichi… Hai presente, no? Quello che è entrato nelle simpatie di Mikey e Draken…e…spesso si vedono in giro insieme…”
Giunto all’ingresso, proprio di fronte alla prima rampa di scale, si fermò di colpo. “Coraggio, non sarà così difficile! Adesso mia madre è un ragazzino di tredici anni!” Si appoggiò al corrimano e pian piano iniziò a salire le scale, il passo che gli diventava sempre più pesante gradino dopo gradino, nemmeno stesse scalando il monte Fuji! Quando giunse al secondo piano e si ritrovò di fronte alla grande porta di legno chiaro, il cuore gli mancò un battito. Con una certa agitazione prese a sistemarsi i capelli, sfiorò la piccola pietra onice che gli pendeva dal lobo e si sistemò bene la giacca. Voleva fare una bella impressione. Era una cosa stupida?
“Fuuuh…basta perdere tempo, fallo!” Disse a se stesso, quindi sollevò la mano e andò a premere il polpastrello dell’indice sul bottone del campanello.
5 secondi: nulla. 10 secondi: nulla. 30 secondi: nulla. 60 secondi: nulla. 80 secondi… Unmei crollò giù sulle sue stesse ginocchia e con la testa fra le mani come se fosse sfinito!
“Grazie agli dei non è in casa! Non sono ancora pronto ad affrontarlo!” In effetti era meglio così, almeno aveva il tempo di pensare meglio a cosa dirgli ed elaborare una storia convincente che non includesse i viaggi nel tempo! Per prima cosa, sentendosi un coglione a starsene in quella posizione, si affrettò a rimettersi in piedi. “Bene, proverò ad aspettare un po’ e, se non arriva, andrò al Santuario a cercare Takemichi.”
Nel frattempo, dabbasso giunse Baji. In mano la sportina con il logo della farmacia. Salì i gradini a testa bassa, talmente immerso in cupi pensieri da dimenticare di accendere la luce. Anche se il sole era tramontato, grossomodo riusciva a salire senza uccidersi, però se si fosse ricordato di premere l’interruttore all’ingresso, avrebbe evitato un piccolo incidente. Aveva appena messo piede sul pianerottolo del secondo piano quando con la spalla urtò contro qualcosa.
“AHI! MA CHE CAZ-?”
No. Contro qualcuno.
Invece di scusarsi, Baji attaccò. “Stai attento, cazzo. Se fossi stato un passo più indietro mi avresti buttato già dalle scale.”
“Che? Guarda che sei stato tu a venirmi addosso! Perché cazzo sali le scale al buio? Cosa sei, un vampiro?”
In effetti si distinguevano giusto le sagome…
Di nuovo Baji si fece sentire. “Anche tu eri qui al buio, stronzo! Che stavi facendo, eh? Scommetto che non vivi in questa palazzina!”
“No, infatti. Volevo incontrare la persona che abita in questo appartamento, ma adesso non c’è.”
“Eh? Qui ci abita Chifuyu… Cosa vuoi da lui?”
“Niente che ti riguardi!”
Baji ne aveva fin sopra i capelli di quel tizio e, visto che la pazienza non era affatto il suo forte, non tardò a spingerlo contro la parete. Andando a tentativi riuscì a trovare il pulsante per accendere la luce delle scale. Pochi istanti che il neon bianco illuminasse il pianerottolo e lui balzò addosso a quello che si rivelò un ragazzo alto quasi come lui e probabilmente della sua età. Lo afferrò per i risvolti della giacca ed esibì i suoi caratteristici canini appuntiti. “Ora mi dici cosa vuoi da Chifuyu, altrimenti questo vampiro ti dissangua, bastardo!”
Se Baji era scattato all’azione, non sapendo chi lui fosse, Unmei ebbe tutt’altra reazione quando si ritrovò la sua faccia davanti. Gli era bastato un istante per riconoscere quel volto che aveva sempre e solo visto in fotografia. Come aveva fatto a non pensarci? In quella palazzina, oltre a sua madre, un tempo ci aveva vissuto anche…
“Baji Keisuke?” La voce gli uscì appena sussurrata dalle labbra tremanti.
Baji proprio non se l’aspettava. Prima a parole sembrava un tipo cazzuto, ma desso…cos’erano quegli occhi lucidi? E quel volto pallido? E quella lacrima che gli attraversava la guancia?
“E-ehi…che ti prende? Era uno scherzo, non sono un vampiro!” Lasciò la presa alla giacca e fece un passo indietro per porre fine alle ostilità. “Conosci il mio nome… Posso sapere chi sei?”
Unmei accennò un sorriso, gli occhi ancora gonfi di lacrime. “Qualcuno che ha sempre desiderato conoscerti!”
“Uh uh! Cerca di farla suonare meno come una dichiarazione d’amore, io sono già impegnato!” Si chinò per riprendere la sportina della farmacia che gli era caduta di mano durante il trambusto. Quando si risollevò, si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli fece un cenno. “Vieni su, ti offro qualcosa!”
Unmei lo seguì senza dire nulla.
Quando entrarono nell’appartamento al quinto piano, notò che molte cose erano uguali a come le conosceva. Ad esempio le tele floreali color pastello appese alle pareti, che sua nonna collezionava e adorava per la loro semplicità. Oppure l’arredamento minimo e i pochi soprammobili ordinati, perfino il divano in finta pelle marrone era sempre lo stesso. La differenza più evidente era che, a quel tempo, sua nonna non teneva foto di Baji in ogni stanza. Ovviamente.
Tolte le scarpe e appese le giacche, Baji lo invitò ad entrare e gli fece strada fino alla cucina.
“Ti va di bere un tè?” Gli chiese, con una mano già all’anta della credenza.
“Sì, grazie!”
“Hai preferenze?”
“Fiori di ciliegio, se c’è!”
Baji inarcò le labbra in un sorriso compiaciuto. “E’ anche il mio preferito!”
Unmei lo sapeva, ma non poteva dirglielo. Scostò una sedia e prese posto al tavolo, mentre suo padre si occupava di mettere su il bollitore e preparare le tazze con dentro gli infusori.
“Quindi…sei una specie di mio fan?”
“Ah ah! Più o meno!”
“E conosci Chifuyu, giusto?”
“Mh. Sì. Lo conosco da molto tempo.” Si schiarì la voce e lanciò una piccola bomba per stuzzicarlo. “A proposito…quando vi deciderete a dire a tutti che siete una coppia di innamorati?”
Baji sbatté la fronte contro la cappa sopra il fornello, nel sentire quelle parole. Quando si voltò, era così rosso che sembrava un pomodoro! “I-innamor… Te-te l’ha detto lui?”
“Già!” Be’ era tutto vero ciò che gli aveva detto finora, solo che si stava anche divertendo a prendere in giro il suo vecchio e far emergere quei lati di lui che solo in pochi conoscevano.
“Ah…Oh-ehm…” Il fischio del bollitore lo salvò. Spense la fiamma e versò l’acqua fumante dentro le due tazze a fiori che ricordavano le tele pastello, quindi le posò sul tavolo e si sedette di fronte al suo ospite. “Non mi hai ancora detto come ti chiami…”
“Unmei.”
“Fiuuh, un nome impegnativo!”
“L’ha scelto mia madre… Secondo lu-ehm, secondo lei, è il destino a muovere i fili delle nostre esistenze. Così mi ha dato questo nome.” Col dito sfiorò la catenella dell’infusore, facendola tintinnare contro la ceramica. “Mio padre è morto prima che io nascessi e lu-lei  non è mai riuscita a farsene una ragione, però spesso mi ha detto che il destino le ha donato me per poter avere una parte di lui sempre accanto. Solo che io a volte mi sento come…se avessi tradito le sue aspettative.”
“Capisco… Anche io ho dato del filo da torcere a mia madre… Non lo faccio apposta eh, ma quando ne combino una delle mie e lei si mette a piangere, mi sento un verme.”
Unmei ridacchiò. Conosceva fin troppo bene quella sensazione.
Baji scosse il capo. “Non so nemmeno perché te lo sto dicendo! Dieci minuti fa stavamo per picchiarci sul pianerottolo e adesso siamo qui a confidarci come se ci conoscessimo da sempre! Bah, sarà che mi ispiri fiducia e…non so, hai come un’aria familiare.”
Anche tu hai l’impressione di guardarti allo specchio, eh? Pensò Unmei, frenando l’impulso di dirlo ad alta voce.
Nella manciata di minuti a seguire, rimasero in silenzio a bere il tè, fino a quando Baji non gettò l’occhio sullo schermo del cellulare e si accorse dell’ora.
“Merda, è tardi. Devo andare al Santuario.”
“Parli della sede della Toman? C’è qualcosa di importante stasera?”
Baji si alzò dalla sedia e rispose mentre riponeva le tazze vuote nel lavello. “No. Cioè sì. Però io non dovrei andarci perché sono stato sospeso, al momento.”
“Allora perché lo fai?” Unmei si alzò a sua volta.
Baji lasciò un sospiro. “Ho preso una decisione difficile… Il mio migliore amico è appena uscito dal riformatorio e ha bisogno di aiuto e…è lunga da spiegare…” Sollevò lo sguardo su Unmei e gli parlò seriamente. “Posso…chiederti di aver cura di Chifuyu al posto mio, per un po’ di tempo? Non gli ho detto cosa ho in mente, ma le mie azioni lo faranno soffrire. Quindi fino a che non avrò risolto…non potrò stargli accanto…”
Doveva essere davvero disperato per affidare la cosa che più amava al mondo ad un tizio che aveva appena conosciuto. Ma questo fortunatamente andava a vantaggio di Unmei.
“Lo farò. Conta su di me.”
Baji fece un cenno affermativo. “Mh. Io…vado a cambiarmi. Se dopo ti va di venire con me…”
“Certo.”
Attese che Baji andasse in camera e allora ne approfittò per fare una mossa strategica. Recuperò il numero di Takemichi dalla propria rubrica e usò il telefono di Baji per inviargli un messaggio.
[Sono Unmei. Ho incontrato mio padre. Tra poco andremo insieme al Santuario di Musashi. Per ora lascia le cose come stanno. Salta addosso a Kisaki e lasciati pestare da mio padre.]
Mezzo minuto e il telefono vibrò.
[COSA??? Guarda che i pugni fanno male! Non possiamo evitare?]
[Non rompere il cazzo, sfigato, o ti faccio rimpiangere di essere nato. E smettila di rispondere, sto usando il suo telefono di nascosto.]
Lo inviò e subito dopo cancellò ogni traccia sia dei messaggi che aveva inviato sia di quello ricevuto. Fece appena in tempo a posare il telefono sul tavolo dove era prima, che Baji ricomparve con addosso il suo tokkofuku da Capitano.
Gli fece segno con la mano. “Andiamo.” Lo precedette, ma prima di arrivare alla porta si fermò davanti ad un mobile dove aveva lasciato la sportina e ne estrasse una scatolina di piccole dimensioni. Gliela mostrò e poi gliela lanciò. “Per Chifuyu. Fagliene prendere una, se ci riesci. Ultimamente non sta bene.”
Unmei lesse le diciture. Erano pasticche contro la nausea. Chiaro… Era quasi fine ottobre, facendo i conti doveva essere già incinto, solo che ancora non lo sapeva.
*
 
La chiave girò nella toppa e la porta si aprì emettendo un leggero cigolio. Baji entrò, addosso la divisa scolastica e gli orrendi occhiali che sembravano fondi di bottiglia e girandole mescolate assieme, e non dimentichiamo i capelli legati in una triste coda e con la riga di lato! Non per niente, seguendolo a ruota, Chifuyu se la stava ridendo della grossa e, non appena ebbe richiuso la porta, ci si lasciò scivolare contro come uno sputo su un vetro.
“Baji-san! Sei come un super eroe! Nascondi la tua vera natura sotto ad un ridicolo travestimento!”
Baji, nel levarsi una delle scarpe, gliela lanciò contro col piede. “Piantala!” Ma non era affatto arrabbiato, anzi, fece appena in tempo a sfilarsi gli occhiali finti che scoppiò a ridere a sua volta.
Chifuyu si asciugò una lacrima. “Sembra quasi impossibile che nella nostra scuola ci sia ancora qualcuno che non sa chi sei davvero!”
Baji sfilò il nastro che legava la coda e poi scosse il capo per dare una ravvivata alla bella chioma nera e ondulata. “E’ per questo che continuo a travestirmi! Mi diverto troppo a prenderli per il culo!” Allungò un braccio  e gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi, quindi entrambi finirono di togliersi le scarpe e si diressero in cucina.
“Grazie a me potresti diventare davvero un secchione! Da quando ti aiuto nello studio i tuoi voti sono diventati buoni!”
“Non esagerare! A proposito, oggi la tettona di Giapponese Moderno ha detto che la mia calligrafia è migliorata.”
Chifuyu si poggiò col gomito sul ripiano della credenza e sfoggiò un sorriso da conquistatore. “Visto? Dritto sulla via del secchione!”
Di rimando, Baji gli diede una bella arruffata alla chioma bionda. “Tra noi due, basti tu come bravo ragazzo! Io mi tengo il ruolo del bastardo molto volentieri!”
Chifuyu arrossì per quel tocco, seppur fatto in modo scherzoso, ma cercò di mascherarlo con la scusa di risistemarsi i capelli. Da un po’ di tempo li portava con la frangia tutta buttata sul davanti, anziché raccolti e gonfiati nel Pompadour che ormai aveva totalmente abbandonato. Era stato proprio lui a consigliargli di cambiare stile, sostenendo che una pettinatura più semplice si addiceva al suo animo gentile. Inutile dire che aveva seguito il consiglio prendendolo come oro colato. Dal loro primo incontro, lui e Baji erano diventati inseparabili. Andavano a scuola insieme, pranzavano insieme, tornavano insieme, studiavano insieme, andavano a correre con le moto e, da quando lo aveva nominato Vicecapitano della 1a divisione, erano appiccicati anche durante i raduni della Toman. Per lui era praticamente un sogno ad occhi aperti. Anche potere osservarlo mentre metteva a scaldare l’acqua per preparare la yakisoba, era un piccolo momento magico. Baji che cucinava per lui… Era un pensiero che aveva un pizzico di erotico! Non appena fu tutto pronto, si trasferirono nella stanza di Baji per mangiare stando comodamente seduti sul suo letto.
Il letto di Baji-san!!! Chifuyu gridava questa frase nella propria mente ogni volta che ci saliva o anche quando era solo seduto ai piedi di quel letto rialzato e incastonato al centro del grande armadio che occupava tutta la parete. Qualche volta aveva anche avuto l’occasione di respirare il suo odore dal cuscino e dalle lenzuola, per poi auto rimproverarsi di quel vizietto da maniaco! Baji gli piaceva…gli piaceva in senso romantico. Se tutto era partito come curiosità verso di lui e poi nel giro di poco si era trasformato in pura ammirazione, altrettanto poco era bastato per rendersi conto che stare al suo fianco gli faceva battere il cuore. Un segreto che era convinto si sarebbe portato nella tomba, dato che era impensabile sperare che Baji provasse lo stesso per lui… E allora non gli restava che gioire di ogni singolo istante, di ogni sguardo, di ogni parola, di ogni gesto, a costo di farsi scoppiare il cuore.
Sluurp! I deliziosi fili gialli entrarono velocemente nella sua bocca, una rapida masticata e giù in gola per andare a riempirgli lo stomaco. Si passò la lingua sulle labbra, dove giacevano ancora gli aromi. “Squisito! Come sempre!”
Baji terminò di mangiare la propria parte di quel pasto che dividevano amichevolmente quasi ogni giorno, una sorta di rito che apparteneva solo a loro due. Afferrò il contenitore vuoto e vi ripose all’interno le bacchette, quindi balzò giù dal letto per andare a posare il tutto sulla scrivania.
Chifuyu si alzò a sua volta. “Vado un attimo al bagno!”
Non fece in tempo a mettere piede fuori dalla stanza che…
“Uh? Cos’è quello?”
“Cosa?” Quando si voltò era già troppo tardi.
Baji aveva preso da terra quello che ai suoi occhi era un piccolo sacchetto bianco che conteneva qualcosa di lungo e sottile. E lo stava guardando con aria parecchio strana.
Chifuyu si tastò velocemente l’interno delle tasche dei pantaloni, pregando inutilmente che quella cosa fosse ancora dove l’aveva lasciata. Un gesto inutile, appunto. “Quello è mio, ridammelo.” Lo disse a voce un po’ troppo alta e si precipitò su Baji per recuperare l’oggetto.
“Sul serio, cos’è? Assomiglia a uno di quei…come si chiamano…quei cosi che mettono le donne per fermare il sangue?”
Era un tampone. Chifuyu lo strinse fra le mani, il cuore che gli batteva nel petto all’impazzata.
Baji insistette. “Anzi, sono sicuro che si tratta di quello. Perché ne tenevi uno in tasca?”
Non sapeva cosa dire, le parole non gli arrivavano alla bocca e sentiva di cominciare  a sudare freddo.
“Chifuyu? Sto aspettando una spiegazione. Che diavolo ci fai con quella cosa?”
“Io…” Un’idea improvvisa. “Questa mattina ho litigato con un tizio e lui mi ha colpito il naso. Siccome mi usciva sangue, una compagna di classe mi ha dato qualche tampone per fermarlo.”
Baji fece una smorfia. “Ti sei ficcato uno di quei cosi su per il naso?”
“...sì. Sì è così! Uno l’avevo tenuto in tasca per sicurezza e me n’ero dimenticato!” E subito lo rimise in tasca, sforzandosi di apparire normale.
Ma Baji non era stupido. Vedeva che il suo comportamento era strano, vedeva il suo viso pallido e il sudore da sotto la frangia. Lo guardò dritto negli occhi. “Scusa.”
“Oh, non è nient-” Prima di finire la frase, si ritrovò denudato nella parte inferiore del corpo, le mani di Baji che tenevano stretti i bordi dei pantaloni e delle mutande all’altezza delle ginocchia, gli occhi fissi sulle sue parti intime. “Tu…hai l’uccello…” Disse Baji, senza battere ciglio.
Chifuyu diventò immediatamente rosso per la vergogna e gridò. “Cos’altro dovrei avere???” Cacciò via le sue mani e si ricoprì alla velocità della luce.
Finalmente Baji si rese conto di ciò che aveva appena fatto, le sue guance s’imporporarono. “Volevo…controllare…” In quel momento non gli sarebbe dispiaciuto avere addosso gli occhialoni finti per coprirsi!
“Spero tu sia soddisfatto!” Gridò di nuovo Chifuyu, per poi correre a chiudersi nel bagno a chiave. Si piegò sulle ginocchia, l’agitazione gli aveva tolto il fiato neanche avesse corso la maratona, gli occhi sbarrati sul pavimento. “C’è mancato poco…”
Si portò una mano fra le cosce, dove era celato un altro segreto che non poteva rivelargli.
*
 
Se gli avessero chiesto cosa provava in quel momento non avrebbe saputo rispondere. La moto sfrecciava fra le auto sulla strada trafficata, le luci dei lampioni e delle vetrine dei negozi e dei neon delle insegne sembravano onorare il passaggio spargendo i propri colori su di loro. Agli occhi di chiunque non erano altro che due ragazzi scapestrati che correvano ad alta velocità e senza casco, ma per Unmei… Eh eh, per lui era molto di più. Era il primo viaggio in moto con suo padre. Se una chiromante glielo avesse predetto, lui non ci avrebbe mai creduto. Invece era lì, insieme a lui, comodo sul posto del passeggero e con gli occhi fissi sulla schiena di Baji e sui suoi capelli che si agitavano pazzamente durante la corsa. Un’emozione indescrivibile, qualcosa che fino a ieri non aveva nemmeno sognato di provare. Quando raggiunsero i pressi del Santuario di Musashi e dovettero lasciare lì la moto, Unmei scese dalla sella a malincuore. Ci sarebbe stata un’altra occasione di viaggiare con lui?
“Dobbiamo essere discreti. Io non dovrei essere qui e preferirei non farmi notare fino al momento giusto.”
Il momento giusto eh? E quale sarebbe di preciso? Se non fosse stato per l’entrata in scena di Takemichi, come si sarebbe inserito? Chi avrebbe picchiato? Che scusa avrebbe trovato per abbandonare la Toman? Una parte di lui era curiosa di metterlo alla prova, ma per sicurezza era meglio lasciare che le cose procedessero naturalmente.
Ad una certa distanza, attraverso gli alberi, intravidero la grande massa di divise nere. I membri della Tokyo Manji Gang riuniti in file ordinate e attenti alle parole del loro Comandante. Da dove erano loro due, favoriti dal buio, non avevano nemmeno bisogno di nascondersi, e questo per Unmei significava poter vedere coi propri occhi, indisturbato, cosa diamine era accaduto quella sera del 23 ottobre. Più che sulle parole di Mikey, era concentrato sui volti dei ragazzi. Insomma, ascoltare non era così necessario, sapeva bene che quella sera Mikey doveva presentare ufficialmente il nuovo Capitano della 3a divisione. Un quattrocchi odioso di nome Kisaki che aveva sentito nominare spesso sia da sua madre che da Kazutora. Non gli importava gran che di lui, anche se era stato il burattinaio di tutto ed era in parte responsabile della morte di suo padre. Sarebbe stato figo ucciderlo lì, direttamente e senza rimpianti, ma questo avrebbe causato troppi cambiamenti sul futuro. C’erano cose che, per quanto fastidiose, bisognava lasciarle andare e attendere che facessero la fine che meritavano, nel momento opportuno. Lo sguardo gli cadde su alcuni volti conosciuti… Draken non era cambiato molto, la differenza più sostanziale era che da ragazzo si tingeva i capelli, per il resto, altezza, sguardo serio e presenza imponente, era ancora uguale. Il cuore gli balzò nel petto quando vide una folta chioma color pesca. Accidenti, quello era Smiley, il padre di Blitz! Gli assomigliava in modo incredibile! Per ora era meglio stargli alla larga, per evitare fraintendimenti e situazioni imbarazzanti… Anche se sarebbe stato comico piombargli davanti ed esordire con un bel “Nel futuro mi scopo tuo figlio!” Il pensiero lo fece ridacchiare. Cazzo… Tornò subito serio e si volse per guardare Baji, pronto a beccarsi un rimprovero. Ma lui non si era accorto di nulla, era totalmente preso dalla scena che stava osservando. Il suo sguardo si muoveva come a rotazione tra Mikey, Chifuyu e Kisaki. Probabilmente stava avendo una lotta interiore su cosa fare.
Unmei serrò il pugno, stava morendo dalla voglia di dirgli che non doveva sacrificarsi, che lui era disposto a spezzare l’osso del collo a quel figlio di puttana occhialuto anche subito. Ma non poteva fare niente di tutto ciò. In quel momento Baji posò lo sguardo su di lui.
“Io faccio il giro per dietro. Ti raccomando Chifuyu.”
Unmei fece un cenno affermativo, senza dire nulla, e seguì i movimenti di Baji mentre si allontanava.
Ora in teoria toccava a Takemichi fare casino. Era il momento in cui si levava dalla folla per sparare un cazzotto supersonico  a Kisaki. Il fischio di partenza ad una precisa sequenza di eventi.
Non stava accadendo nulla.
Perché non stava accadendo nulla?
Adocchiò Takemichi tra le prime file, l’unico che non indossava la divisa perché non faceva parte della Toman. Era teso, pallido e non aveva intenzione di muoversi da lì. Porca puttana.
“Muoviti, sfigato, o giuro che ti rovino.” Lo maledisse tra i denti, fissandolo come se potesse fulminarlo da lì.
In qualche modo ebbe effetto, comunque. Anche se era protetto dagli alberi e dal buio, Takemichi allungò lo sguardo proprio dove si trovava lui e divenne blu dalla strizza! Forse prendere qualche pugno ben assestato da Baji era meglio di farsi uccidere da Unmei. Fu questo pensiero a spingerlo ad agire. Per quanto terrorizzato e quasi sicuramente con le mutande bagnate, alla fine Takemichi si lanciò di corsa contro Kisaki e lo colpì con forza, facendogli volare via gli occhiali.
“Cazzò sì!” Si complimentò Unmei, colpendo il tronco di un albero. Rimase giusto un paio di minuti ad osservare il resto, ossia Draken e altri ragazzi inveirgli contro per quel gesto, la mitica entrata in scena di Baji e i suoi fantastici pugni e…il suo annuncio di passare alla Valhalla. Per lui non era ancora il momento di uscire allo scoperto, però quando vide l’espressione di sua madre si sentì stringere il cuore. Doveva solo attendere che i ragazzi cominciassero ad andarsene e poi avrebbe potuto raggiungere Chifuyu e…
“Quello sguardo…” Lo conosceva, era lo stesso che rivolgeva alle foto di Baji quando gli venivano i soliti attacchi di disperazione e lui non poteva fare nulla per consolarlo. Però adesso era presto per intervenire…era troppo presto…
“FANCULO.” Imprecò, balzando fuori dal buio nascondiglio.
Mikey era ancora scosso dalla dichiarazione di Baji, quando qualcosa gli sfrecciò accanto, così vicino da smuovergli i capelli biondi. Un ragazzo? Seguì la scia della sua giacca grigia, i capelli lunghi e neri sciolti e ribelli, lo osservò mentre balzava addosso a Kisaki per fermargli il braccio. Fermargli il braccio… Quindi Kisaki stava per colpire Takemichi? Non se n’era accorto.
“E quello chi è? Non fa parte della Toman.” Disse Draken, a poca distanza da lui.
“Non saprei…” Continuò a seguirlo curiosamente con lo sguardo, ora quel ragazzo misterioso stava scambiando qualche parola con un Takemichi incredibilmente pallido, mentre Kisaki si allontanava con aria parecchio incazzata. “Un tipo interessante, eh Ken-chin?” Aggiunse, accennando un sorriso. Poi vide il ragazzo allontanarsi e Takemichi venire verso di lui con passo incerto.
“Ehm… Mikey-kun…possiamo parlare qualche minuto?” Takemichi gli si rivolse imbarazzato, mentre con una mano si copriva un fresco livido omaggio di Baji.
Fregandosene completamente degli sguardi sorpresi e delle domande idiote, Unmei corse come il vento per raggiungere i suoi genitori.
“Baji-san, per favore aspetta! Cosa significa tutto questo?” La voce di Chifuyu era implorante, i suoi occhi lucidi risaltavano sotto la luce del lampione.
Baji gli dava di spalle. “Quello che ho detto. Ora lasciami in pace e non impicciarti.”
“Ma… Non…non puoi andartene così…”  Allungò il braccio, desiderando disperatamente di fermarlo. Fu allora che arrivò Unmei e gli afferrò la mano nella propria.
Percependo il movimento, Baji volse il capo.
“Qui ci penso io.” Lo rassicurò Unmei. Un’occhiata d’intesa e Baji si allontanò rapidamente.
“BAJI-SAN! NO! ASPETTA!” Chifuyu fece per corrergli dietro, ma Unmei glielo impedì avvolgendogli il busto con entrambe le braccia. Allora provò a dimenarsi, gli occhi colmi di lacrime. “BAJI-SAN!”
“Devi calmarti, tutta questa agitazione non fa bene alla tua salute.” Gli disse Unmei, continuando a trattenerlo.
“Lasciami andare, maledet- B…burp…” Sostenuto dalle sue braccia, si chinò in avanti e rigettò quel poco di Peyong che gli era rimasto nello stomaco dal pomeriggio. Il suo intero corpo tremò.
“Va tutto bene… Va tutto bene, non temere…” Sussurrò Unmei, per rassicurarlo. Quando Chifuyu terminò, gli fece cambiare posizione, si passò il suo braccio attorno al collo e con l’altro continuò a sorreggerlo. “Ti porto al bagno, ce la fai a camminare?”
“Uh… S-sì… Un po’…”
Attorno era il caos totale, ma loro ignorarono tutto e tutti.
*
 
L’acqua che scorreva copiosa nel lavandino, Chifuyu chino su di esso intento a risciacquarsi bene la bocca per lavare via il sapore di vomito, Unmei che vegliava su di lui standogli accanto… Uno scenario a cui era abituato fin da bambino, passato o futuro non cambiava niente…
Pur avendo le braccia incrociate al petto, le sentì tremare. No. Doveva fare in modo che tutto ciò non accadesse mai più. Quel ragazzo tormentato dai dispiaceri era sua madre, cazzo. Aiutarlo era il minimo che potesse fare.
Chifuyu sputò un’ultima volta e chiuse il rubinetto. Nella tasca aveva un fazzoletto in cotone che usò per asciugarsi le labbra, il peggio era passato però il suo viso non aveva ancora riacquistato il normale colorito. Si accorse che Unmei gli stava porgendo qualcosa, rimise via il fazzoletto e si schiarì la voce. “Cos’è?”
“Pasticche per la nausea. Prendine una.”
Chifuyu ridacchiò. “Uh uh, sei così gentile… Non ti conosco nemmeno.” Porse il palmo della mano e attese che lui vi versasse sopra una pasticca, quindi se la portò alla bocca e bevve a canna dal rubinetto.
“Baji mi ha chiesto di prendermi cura di te per un po’.”
Chifuyu si volse a guardarlo con occhi sbarrati. “Baji-san ha…?”
“E’ complicato.”
“Ma tu…sei un suo parente? Ora che ti guardo bene, gli somigli davvero molto.”
Unmei abbassò il capo, come se bastasse far ricadere una ciocca davanti al viso per far sparire la somiglianza. “Non ha importanza. Ora l’unica cosa che ti chiedo è di fidarti di me e…” S’interruppe e sbirciò alle proprie spalle come per controllare qualcosa. “Per cominciare, questa sera non tornerai a casa.”
Chifuyu strabuzzò gli occhi. “Come?”
“Vieni fuori. Spero che quello sfigato non ci faccia aspettare troppo.”
Uscì dai bagni seguito da Chifuyu.
“Per fortuna siete ancora qui! Tutto bene?” La voce di Takemichi arrivò a loro prima che lo vedessero, pochi istanti e li raggiunse di corsa.
“Tu piuttosto? Mikey ti ha chiesto…quella cosa?” Chiese Unmei.
“Ehm….sì. Tutto come…insomma…l’altra volta.”
“Perfetto. Noi questa notte dormiremo da te.”
“Ok…” Poi realizzò quanto aveva appena detto ed esplose in un rumoroso. “COSA??? PERCHE’?”
“Chifuyu non può tornare a casa. Domani è il 24.” Si sporse su di lui e gli lanciò un’occhiata significativa. “E tu sai cosa succederà domani. Giusto???”
“Ah oh, ah sì! Sì lo so! Quindi…andiamo da me! Dirò ai miei che facciamo un pigiama party!”
Unmei si portò una mano alla fronte e sospirò. “Che sfigato…”
“Scusate se vi interrompo…” Si fece sentire Chifuyu, attirando la loro attenzione. “Uno di voi vuole spiegarmi cosa sta succedendo? E comunque non posso partecipare alla vostra festa, devo andare a parlare con Baji-san.”
“Te lo puoi scordare, fine della storia.” Rispose secco Unmei, per poi cambiare tono e abbozzare un sorriso che più finto non si può. “Facciamo le presentazioni. Io sono Unmei e per una serie di motivi che non ti spiegherò mai mi trovo a corto di risorse, perciò per un po’ dovrò dipendere da questo qui.” Indicò Takemichi e proseguì. “A titolo informativo, lui è Takemichi, il nuovo amichetto di Mikey. Anche se è una mezza sega ti prego di diventargli amico, potrebbe rivelarsi utile. Forse.”
Ad ogni frase che aveva detto, dei simbolici massi erano caduti sulla testa del povero Takemichi e l’ultimo gli diede il colpo di grazia  e lo fece crollare  a terra. “Non potresti trattarmi meglio? Ti prego, Unmeiiii!” Lacrime agli occhi e totale perdita della dignità. Tutto normale.
“Seh… Ora dimmi dove abiti. Io e mia mad-Chifuyu ci andremo con la sua moto, tu vai a prendere la metro o il bus o quello che ti pare, basta che ti dai una mossa.”
Con una ripresa incredibile, Takemichi balzò in piedi e lo apostrofò. “Perché devo andare io coi mezzi pubblici???”
“Nel caso Chifuyu decidesse di fuggire, ci metterebbe un secondo a buttarti giù dalla sella. Io invece non mi faccio fregare così facilmente.”
“Pfff ahahahahah!!!” Scoppiò a ridere Chifuyu, così di gusto che il suo viso diventò di un bel rosa carico. Finalmente. “Certo che…ah ah voi due siete forti insieme!”
“PROPRIO NO!” Gridarono i due diretti interessati, d’accordo per la prima volta in vita loro.
Chifuyu cercò di calmarsi, un giramento di testa lo fece barcollare addosso ad Unmei, il quale si premurò di afferrarlo immediatamente. “Uhhh, scusate! Non sto bene… Ma sono sicuro che dopo una dormita sarò come nuovo!”
Takemichi e Unmei si scambiarono un’occhiata preoccupata. Sapevano che non era così, però non potevano ancora dirgli niente.
Alla fine fecero come detto. Takemichi diede indicazioni per raggiungere casa sua e corse a prendere la metro, mentre Unmei aiutò Chifuyu a raggiungere la moto e, ovviamente, guidò fino alla destinazione. Mentre attendevano l’arrivo di Takemichi, Chifuyu telefonò alla madre per avvisarla e poi il telefono gli venne sequestrato da Unmei perché “Non vorrei che ti venisse la brillante idea di scrivere a Baji. Nelle tue condizioni non saresti in grado di affrontarlo.”
Poi Takemichi arrivò.
Tutto sommato l’accoglienza da parte dei suoi genitori non fu male, considerando che si erano ritrovati ad ospitare due ragazzi all’improvviso e a condividere con loro la cena che la signora aveva dovuto cucinare in tutta fretta. C’era anche da dire che non sembravano particolarmente interessati a loro o a cosa combinava il figlio. I genitori dei teppisti erano tutti così?
Dopo aver consumato un pasto caldo, compreso Chifuyu a cui era tornato l’appetito grazie all’effetto della pasticca, fecero il turno per fare il bagno e Takemichi si vide costretto a fornire loro dei pigiami per la notte. Quella serata era totalmente improvvisata, ma lui se la stava cavando bene. Dopo tutto ciò che aveva passato a causa dei numerosi viaggi nel tempo, era comprensibile.
“Ora resta da decidere la disposizione per la notte. Un letto singolo ed un futon è tutto ciò che ho. Decidete voi.”
Nemmeno il tempo di pensarci che Unmei decise per tutti. “A Chifuyu spetta il letto, mentre io e te ci dividiamo il futon.”
Chifuyu, imbarazzato, scosse il capo con vigore. “No, non è giusto! Io sono un ospite! Il letto è di Takemichi!”
“A me va bene così! Nessun problema! Tu non stai bene, sul letto riposerai meglio!” Lo incitò Takemichi, invitandolo con un gesto della mano. In fondo lui era il suo migliore amico, lo avrebbe fatto in ogni caso, malessere o meno.
“Mh… Allora…scusatemi se ne approfitto.” S’infilò sotto le coperte e si coprì bene fino al collo, la coperta sfiorò il suo orecchino in metallo.
Nel mentre Takemichi spense la luce al soffitto e accese una piccola lampada che poi posizionò dalla parte opposta del letto e coprì con un fazzoletto grigio perché non facesse troppa luce. Quindi lui e Unmei si sedettero uno di fronte all’altro, sul morbido futon. Unmei poggiato di spalle alla struttura del letto.
Il silenziò calò per una buona mezzora.
Unmei si sporse con l’orecchio e rimase ad ascoltare il respiro profondo di Chifuyu. “Si è addormentato.”
“Ora puoi aggiornarmi. Cosa hai in mente di fare?”
“Domani niente scuola per voi. Mia madre non dovrà uscire da questa casa per nessun motivo.”
“Per evitare che segua Baji alla sede della Valhalla, giusto?”
“Mh. In questo modo, non solo eviterò che lui gli massacri la faccia… Se non farà la prova di fedeltà, non potrà entrare nella Valhalla e sarà costretto a riappacificarsi con Mikey.”
Takemichi abbassò il capo, con le dita si mise a giocherellare con un filo della coperta. “Potrebbe funzionare. Ma la faccenda non termina qui…”
“Lo so.” Unmei prese respiro e si voltò per guardare la figura addormentata di Chifuyu sotto le coperte. “Domani pomeriggio andrò da mio padre e gli parlerò. Credo riuscirò facilmente a convincerlo a rivedere le sue decisioni, se gli prometto di aiutarlo. E una volta che sarà tornato alla Toman, farò in modo di aiutare anche Kazutora.”
“Sei innamorato di lui, vero?”
Unmei non rispose, solo distolse lo sguardo da Chifuyu e lo abbassò sul futon.
“Quando mi hai chiesto di tornare indietro nel tempo, non era solo per i tuoi genitori… Tu volevi che io aiutassi anche Kazutora.”
“Visto che sono qui me ne occuperò io.” Risollevò lo sguardo, le iridi azzurro cangiante parvero brillare. “Farò qualunque cosa per il ragazzo che amo.”
*
 
Bla bla, bla bla, bla bla… Da quando si erano incontrati fuori dalla scuola, Chifuyu continuava a parlare senza sosta e con un certo entusiasmo, ma Baji aveva smesso di ascoltare già al primo incrocio in cui avevano svoltato e men che meno lo aveva guardato in faccia. Due giorni prima c’era stato quel…come poteva definirlo…incidente? Da quando gli era caduto dalla tasca quel dannato tampone si comportava in modo strano, era come se si sforzasse di parlare di qualunque cosa tranne di quello che era successo e lui continuava ad arrovellarsi su cosa avesse da nascondere e in che modo fosse collegato a quell’affare. La storia del sangue dal naso era una balla, questo l’aveva capito, e quindi? Aveva una ragazza? Ma in quel caso, perché lo teneva nascosto? Era l’unica opzione a cui aveva pensato, visto che aveva appurato sul momento che Chifuyu era dotato di un pene. E ALLORA COSA CAZZO GLI NASCONDEVA??? Più ci pensava  e più s’incazzava, ogni volta.
“Baji-san? Qualcosa non va?” Gli chiese lui, con un pizzico di timidezza.
“Sì.” Si volse e gli lanciò un’occhiata gelida. “TU.”
Chifuyu sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Doveva fare qualcosa…. “Ti…ti va di venire da me? Ieri sera mia madre è tornata con la spesa e ha preso anche qualche confezione di Peyong!” Aveva sorriso in modo naturale? Era stato convincente?
Baji sostenne il suo sguardo e alla fine rispose semplicemente: “Mh.”
Percorsero il resto del cammino in silenzio, cosa che contribuì a far agitare Chifuyu a tal punto che, nel momento di inserire la chiave nella toppa, questa gli scivolò di mano.
“Tsk. Ti cadono spesso le cose, eh?” Una frecciatina da parte di Baji, che di certo non aiutò ad allentare la tensione.
Chifuyu finse di ignorarlo, riuscì ad aprire la porta e lo invitò ad entrare. Stava giusto per dirigersi in cucina quando notò che Baji aveva preso un’altra direzione.
“Dove vai?”
“Vado a vedere se Peke J è sul balcone.”
La piccola palla di pelo a cui entrambi erano affezionati. A onor del vero era stato Chifuyu a trovarlo, in un giorno di pioggia, dopo averlo sentito miagolare dentro una scatola abbandonata sul ciglio della strada. Lo aveva chiamato Excalibur, come la leggendaria spada, ma il micio non era mai stato incline a rispondere a quel nome! E non gli era nemmeno stato fedele come animale domestico! Infatti, un giorno si era infilato nella stanza di Baji saltellando da un balcone all’altro e ben presto aveva fatto di lui un secondo padrone. Questo gli aveva fatto guadagnare anche un secondo nome, Peke J.
Baji scostò la tenda e aprì la finestra, lasciandosi investire dal calore asfissiante del sole. Mancavano pochi giorni alle vacanze estive, in certi orari il caldo era insopportabile. Sbirciò attorno, ma del micio non c’era traccia. Poggiò i gomiti sul telaio della finestra e rimase lì.
Dalla parte opposta della stanza, Chifuyu era rimasto fermo ad osservarlo. Ce l’aveva così tanto con lui da preferire stare alla finestra a farsi cucinare dal sole, piuttosto che voltarsi verso di lui? Non era stupido, era consapevole che andando avanti così lo avrebbe perso…
“Baji-san? Tu…mi odi?”
“No.” Baji sospirò. “Non ci conosciamo da molto, ma credevo che tra noi si fosse creato un legame forte. Dannazione. Ti ho preso con me e ti ho nominato mio Vice!”
“E io te ne sono grato! Lo sarò sempre, Baji-san! Però…” Scosse tristemente il capo. “Non posso dirti il mio segreto…”
“Per quale motivo?”
“Perché sono terrorizzato all’idea che il nostro rapporto possa cambiare!”
Allora Baji si voltò. “E’ una cosa così grave? Sei forse al servizio di una gang rivale?”
“No… Niente di tutto ciò…”
“E allora cosa? Cazzo! Chifuyu mi stai davvero facendo incazzare!” Vedendo che lui non collaborava, prese una drastica decisione. “D’accordo…l’hai voluto tu.” Gli si posizionò davanti e gli parlò con tono autoritario. “Se non vuoi parlare in amicizia, dovrò passare alle maniere forti. Come tuo Capitano, ti ORDINO di sputare il rospo.”
Chifuyu sollevò lo sguardo tremante su di lui. La situazione stava peggiorando ogni momento di più. Baji era irremovibile, se lui se ne fosse andato ora avrebbe perso tutto ciò che aveva conquistato. Non gli restava che arrendersi. E pregare.
“Te lo dirò… Anzi, te lo farò vedere.”
Baji aggrottò le sopracciglia. “Vedere?”
Chifuyu passò oltre e andò verso il letto, dove cominciò a sbottonarsi i pantaloni.
“Che stai facendo?”
A Baji mancò un battito nel momento in cui i pantaloni e la biancheria scivolarono dalle gambe di Chifuyu e ricaddero a terra.
Coi piedi scavalcò il mucchietto. “Sono pochissime le persone a conoscere la verità su di me. Mia madre che mi ha dato alla luce, mio padre quando era in vita, il Dottore che mi ha fatto nascere e che da allora si è sempre occupato della mia salute…” Si voltò interamente verso di lui. “E da oggi…tu.”
Improvvisamente, Baji sentì caldo. “Chifuyu, non ti sto seguendo. Perché ti sei spogliato?”
Al contrario di lui, ora Chifuyu era particolarmente tranquillo e sosteneva il suo sguardo. “L’altro giorno, quando mi hai abbassato i pantaloni, hai visto questo.” Con la mano indicò il proprio membro. “Io sono un maschio. O almeno, mi considero tale.”
“T-ti consideri…?”
“Se mi avessi visto in un’altra posizione, ti saresti di certo accorto che possiedo anche un’altra cosa.” Chifuyu si gettò sul materasso di schiena, sollevò le gambe e le aprì tenendole salde con le braccia. “Fisicamente io sono sia maschio che femmina. E’ questo il segreto che ti stavo nascondendo.”
Baji sentì il sangue congelare nelle vene, alla faccia del caldo estivo! Per quanto incredulo, ciò che vedeva era davvero… Non poteva essere… Raggiunse il letto, lasciando che la curiosità schiacciasse l’imbarazzo e il senso del pudore. Gli occhi non lo stavano ingannando, quella era proprio… “E’ la prima volta che ne vedo una dal vivo…” Bisbigliò tra sé.
Suo malgrado, Chifuyu ridacchiò. “E’ tutto ciò che hai da dire?”
“Tu…sei nato così…”
“Esatto.”
“Quindi quel tampone…”
Chifuyu si rimise in posizione seduta, le estremità della camicia gli coprirono le parti intime, come era giusto. “Ho il ciclo mestruale ogni mese. E’ iniziato appena l’anno scorso… Come avrai notato, non ho un apparato completo. Possiamo dire che…per questioni di spazio, non ho il clitoride, anche se il mio scroto e il mio pene hanno un’attaccatura un po’ più alta del normale.”
Baji era immobile come pietrificato e il sangue sembrava aver completamente smesso di circolargli nelle vene. Lo sguardo fisso a terra.
“Mi troverai…disgustoso…” Si auto commiserò Chifuyu. Rimase sorpreso dal scatto repertino di Baji nel mettersi in ginocchio davanti a lui. Cosa stava…?
“No, affatto. Sono rimasto di sasso, ma non puoi darmi torto! Come potevo immaginare una cosa del genere?”
“Sei sicuro che…non ti faccio schifo?”
Baji aggrottò le sopracciglia. “Smettila di dirlo. Tu sei Chifuyu, il ragazzo gentile che quel giorno mi ha aiutato a scrivere una lettera. Il ragazzo che è diventato mio amico e che è al mio fianco anche nella gang. Per me è questo che conta, non cos’hai fra le gambe. Vedi di capirla subito, altrimenti ti piazzo un pugno in piena faccia, cazzo!”
Ora era Chifuyu a sentirsi spiazzato. Tutto si era aspettato tranne una reazione così positiva! Dunque possedeva anche un lato così? Quanto ancora di lui aveva da scoprire? Un singhiozzo gli salì dalla gola e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Si portò una mano al viso. “Scusa… Credevo che non avrei mai detto a nessuno un simile segreto e…ora che l’ho fatto…con te…sono troppo felice!”
Baji abbozzò una risata. “Sì, be’… Non è una cosa da dire a chiunque…posso immaginarlo.” Col pugno gli diede un colpetto alla spalla. “Vedi di non montarti la testa! Non è che adesso ti tratterò coi guanti di velluto solo perché sei per metà femmina!”
Chifuyu rise tra le lacrime, quindi si passò il dorso della mano sugli occhi per asciugarle. “Non ti chiederei mai di farlo, comunque!”


Continua nel prossimo capitolo: Terza Fase: [Fear in your heart]
Finalmente entra in scena il Kazutora del passato! ;) 

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Capitolo 3
*** Terza Fase: [Fear in your heart] ***


Terza Fase:
[Fear in your heart]
 
Quel piccolo bastardo di un tiranno era stato irremovibile.
“Non provateci neanche ad uscire da questa casa o giuro che prendo uno di voi e lo uso per picchiare l’altro. Avete capito, mocciosi?”
Dando una sbirciata all’ingresso della stanza, a Takemichi parve di vedere la sagoma maligna di Unmei, come se fosse ancora lì a tenerli d’occhio con un pugno alzato e pronto ad intervenire. Quel ragazzo aveva fin troppo potere su di lui. Si era sentito rabbrividire solo per aver varcato la soglia per andare in bagno, accidenti!
“Ma guarda te se devo farmi terrorizzare da quel viziatello…” Bisbigliò fra sé.
“A me piace! Ha un carattere forte!” Disse Chifuyu, sfoggiando un sorriso angelico. Era così da quando si era svegliato. Non solo aveva sviluppato una sorta di adorazione per un tizio che aveva letteralmente conosciuto la sera prima, addirittura non aveva battuto ciglio nel vedersi sequestrare nuovamente il telefono e imprigionare in quella casa. Ormai non c’erano dubbi che avesse la sindrome di Stoccolma!
“Chifuyu… Sinceramente… Tra Unmei e Baji non so chi sia peggio…”
“E’ vero!” Confermò, come se si fosse trattato di un complimento.
Wow…era messo peggio di quanto credesse…
Takemichi lo seguì con lo sguardo, mentre lui prendeva con entrambe le mani la tazza colma di tè verde e se la portava alle labbra per sorseggiarla. Era già la terza che beveva quel mattino, avendo dovuto rinunciare al cibo solido per via della nausea. Chissà come avrebbe reagito se gli avesse detto che dentro di lui stava crescendo una piccola vita…
“Ehi, smettila di fissarmi! Cos’hai, una cotta per me?” Il suo voleva essere uno scherzo, invece ricevette una risposta del tutto seria.
“Sei la persona più fantastica che io abbia mai conosciuto, Chifuyu.”
Suonò abbastanza strano considerando che, per quanto riguardava Chifuyu, si erano parlati appena la sera prima. Sbirciò lo schermo della TV, siccome aveva ancora la tazza fra le mani indicò col mignolo. “Credo che i due detective stiano per risolvere il caso!” Ed incollò lo sguardo allo schermo.
Dopo che Unmei era uscito, non avendo altro da fare, si erano accomodati lì a terra con la schiena contro il letto e avevano acceso la TV alla ricerca di qualcosa da guardare per passare il tempo. Dopo un po’ di zapping, Chifuyu aveva scovato un canale dove era appena iniziato un film poliziesco ambientato nel secondo dopoguerra occidentale. Non era minimamente preoccupato per aver saltato la scuola e mentito a sua madre, l’unica cosa che gli importava era Baji e si era volontariamente sottomesso ad Unmei che gli aveva promesso di aiutarlo.
“In un modo o nell’altro si risolverà tutto, Chifuyu.”
Lui si volse e accennò un sorriso. “Qualcosa mi dice che sarà così! Sarà un piacere risolvere questo caso con te, partner!”
Il cuore di Takemichi balzò nel petto. “Come mi hai…?”
“E’ una battuta del film! Non l’hai sentita, prima?”
Giusto. Anche l’altra volta che era tornato indietro nel tempo Chifuyu gli aveva dato quel soprannome, prendendo spunto da un film poliziesco. Con quel nuovo viaggio alcune cose stavano andando diversamente, ma forse il loro rapporto sarebbe rimasto lo stesso.
*
 
Quella mattina Unmei era dovuto uscire per necessità personale. Essendosi ritrovato nel passato fuori da ogni previsione e calcolando che sarebbe rimasto per circa una settimana, ossia il tempo per assicurarsi che suo padre non morisse nel Bloody Halloween, aveva dovuto prendere atto di una cosa: doveva procurarsi alcune paia di mutande e calzini e delle maglie di ricambio. E così si era avventurato per diverse ore in giro per Shibuya alla ricerca di negozi economici e di abiti usati. Per fortuna sua madre gli aveva dato la paghetta settimanale prima di quel dannato incidente temporale!
Non avendo la chiave della casa, al ritorno dovette suonare il campanello. Trovò Takemichi all’ingresso, il suo sguardo si posò sulle buste che teneva in mano.
“Ti risarcirò…”
Unmei si sporse su di lui e gli parlò faccia a faccia. “Ci puoi scommettere che lo farai, vecchio!”
Takemichi fece un passo indietro, deglutendo pesantemente. Per quanto ci provasse, non riusciva proprio a tenere testa a quel ragazzo complicato!
Unmei lasciò ricadere le buste a terra, accanto al mobile d’entrata, e recuperò dalla tasca della giacca il telefono di Chifuyu. “Mio padre ha mandato messaggi a raffica per tutta la mattina. Ho dovuto togliere la vibrazione perché cominciavo a godere a sentirlo contro la gamba e non volevo fare la figura del pervertito. Comunque poi deve aver rinunciato… Qui come vanno le cose?”
“Ehm…a dire la verità…”
Già da quella frase spezzata capì che non erano buone notizie ed infatti, a conferma, sentì dei passi alle proprie spalle. Sospirò. Nel voltarsi, si ritrovò davanti un Baji alquanto scazzato con addosso la divisa scolastica, affiancato da un Chifuyu con un’aria colpevole che neanche un criminale!
“E meno male che mi ero raccomandato eh, sfigato?” Si rivolse a Takemichi, senza distogliere lo sguardo da quello di Baji.
“Non è colpa mia! Chifuyu ha approfittato di un momento in cui ero andato al bagno e ha usato il telefono di casa per chiamarlo!”
Baji porse la mano col palmo rivolto verso l’alto. “Il telefono del mio ragazzo, grazie.” E mentre lui obbediva, riprese a parlare. “Quando ti ho chiesto di prenderti cura di lui, non intendevo di sequestrarlo e rinchiuderlo.”
“Tsk! Hai ragione, ma ho pensato che fosse la cosa migliore per salvarlo da te.” Unmei gli lanciò uno sguardo tagliente, un sorriso forzato disegnato sulle labbra. “O forse portarlo alla Valhalla e pestarlo a sangue lo consideri un gesto d’amore?”
Lo sguardo di Baji tremò. “E tu come lo…?”
“Non lo neghi neanche?” Ora Unmei strinse il pugno e si fece serio. “Perché mi hai chiesto un favore se eri pronto a fargli del male con le tue mani? Entrare come spia nella Valhalla è così importante da sacrificare l’orgoglio e la faccia del ragazzo che ami?”
“Senti…io non so come tu faccia a sapere della prova di fedeltà ma…”
“Almeno abbi il buon gusto di tacere razza di bastard-”
“Per me va bene.”
Gli sguardi dei tre si posarono in contemporanea su Chifuyu.
“Io mi fido di Baji-san. Se ha un piano, sono pronto a sostenerlo. Della mia faccia non me ne importa niente.”
Unmei era incredulo. “Lo ami così tanto da lasciarti pestare senza battere ciglio???”
Chifuyu allora scambiò uno sguardo con Baji. “Sì. Perciò, se devi farlo, fallo.” Nessun atto di eroismo, il suo era semplice e puro amore.
“D’accordo, fermatevi e chiudete la bocca. Nessuno qui pesterà nessuno.” S’intromise Takemichi. “Siamo in quattro, possiamo parlarne e trovare una soluzione senza farci male.”
Unmei confermò. “Esatto. Per lo meno voi due dovete starne fuori. Chifuyu deve prendersi cura della propria salute e Baji è importante che si riappacifichi con Mikey e torni alla Toman.”
“E chi saresti tu per decidere tutto questo?” Lo sfidò Baji a denti stretti.
“Sono quello che ti sta salvando il culo, cazzone.”
Baji era sul punto di mollargli un pugno, ma Chifuyu gli trattenne il braccio. “Forse dovremmo ascoltarlo…”
Seppur riluttante, Baji tenne a freno la lingua e fece un cenno col capo, così Unmei riprese la parola. “Non hai bisogno di infiltrarti per scoprire cosa trama la Valhalla. Io e Takemichi possiamo dirti con certezza che Hanma e Kisaki sono in combutta ai danni della Toman.” Vedendo che Baji stava per rivolgergli una domanda, lo fermò prontamente. “Non possiamo dirti come facciamo a saperlo, ma ti assicuro che la nostra fonte è certa.”
“Come ti pare, ma quello non era il mio unico obiettivo.”
“Me ne hai parlato, lo so. Vuoi aiutare Kazutora.”
Baji abbozzò un sorriso affettato. “Io però non ti ho detto il suo nome!”
“Lascia perdere i trabocchetti. L’unica cosa che posso dirti è che anche io tengo molto a Kazutora ed è mia intenzione tirarlo fuori da quella gang. Fine.” Quindi li piantò tutti lì ed entrò in cucina.
“Ma…ma che…?” Tra Baji e Chifuyu non si sa chi fosse più confuso e a ben dire!
“Bene, ora che ne dite di preparare qualcosa per pranzo?” Saltò fuori Takemichi.
Dalla cucina fece capolino Unmei. “Io e te ci metteremo ai fornelli, loro hanno bisogno di chiarirsi in camera tua.”
“Mh! Ehi un momento…perché in camera mia?”
“Preferisci farli scopare sul letto dei tuoi genitori?”
I due piccioncini diventarono paonazzi, ma fu Baji a farsi sentire. “Che cazzo!!!”
“Sparite dalla mia vista prima che vi mandi di sopra a calci, mocciosi. E vedete di fare poco casino, non voglio ritrovarmi con un trauma infantile!” E di fronte a tanta serietà nessuno poté ribattere, anche se Takemichi fu l’unico a capire a cosa si stesse riferendo. Se possibile divenne più rosso di loro due, chiedendosi come faceva quel ragazzo a parlare in quel modo ai suoi stessi genitori!
Ad ogni modo, Baji prese Chifuyu per mano e si avviò lungo la scala. “Andiamo…”
Non appena arrivarono in cima e svoltarono, Takemichi gridò. “Almeno fatelo sul futon, vi prego!”
L’unica risposta che ricevette fu il rumore della porta della sua stanza che veniva sbattuta.
*
 
I suoi gemiti controllati e quasi rochi contro l’orecchio, le sue braccia che lo stringevano amorevolmente, la sua pelle umida percorsa da piccoli brividi di piacere, il suo interno così caldo e così avvolgente che gli donava una sensazione di casa… Chifuyu era tutto questo, per lui, e non vi era posto al mondo in cui avrebbe voluto essere se non quello dove si trovava ora. Non avevano detto a nessuno della loro relazione, in parte per timore di non essere accettati e derisi, ma soprattutto per non creare problemi alle loro madri ed evitarsi così la ramanzina che erano troppo giovani per il sesso, e le protezioni e questo e quello…tutte cose che per Baji erano un’enorme seccatura. Se lui e Chifuyu nutrivano profondi sentimenti l’uno per l’altro e avevano una buona intesa sessuale, che male c’era? Anche usare i preservativi non gli piaceva, era un accorgimento che avevano usato giusto i primi tempi, per poi abbandonarlo gradualmente. Come si ripeteva sempre, Chifuyu era la sua casa, quindi perché avrebbe dovuto usare precauzioni in casa propria? I limiti non gli erano mai piaciuti e questo valeva anche per il corpo del suo ragazzo, punto e basta. Ragazzo…o ragazza…era più propenso ad usare il primo termine, dato che Chifuyu non aveva nulla di femminile a parte i genitali. Il suo comportamento, il suo stile, il suo modo di parlare, tutto incarnava virilità, compreso quando facevano l’amore. In quei momenti Baji non abusava del proprio potere di ‘attivo’, cercava sempre di tenere un profilo paritario, salvo concedersi il capriccio di farlo venire per primo e deliziarsi del suo doppio orgasmo interno ed esterno, qualcosa che per certi aspetti doveva essere devastante per chi era dotato di entrambi i sessi! Tutto cominciava quando si sentiva stringere con forza dall’organo femminile e di lì a un paio di secondi arrivava l’eiaculazione da quello maschile. Fra tutte le combinazioni che avevano provato da quando stavano insieme, quella era la sua preferita, una sequenza che faceva raggiungere ad entrambi le più alte vette del piacere e che poi li lasciava sfiniti e infinitamente appagati sul letto. In quel caso, il letto di Takemichi (!).
Soddisfatto, Baji si accasciò su di lui, il viso e la massa nera di capelli madidi a riversarsi sul suo petto liscio.
Le dita di Chifuyu non attesero un istante a giocherellare con quei capelli lunghi che adorava. “Takemichi non sarà contento di sapere che l’abbiamo fatto sul suo letto…”
“Chi se ne sbatte.” La voce giunse molto ovattata, visto che Baji aveva il viso premuto contro la sua pelle.
“E’ un ragazzo così gentile… E anche l’altro, Unmei, mi sta riservando molte premure anche se non mi conosce. Qualunque cosa tu gli abbia detto deve averlo impressionato, per spingerlo a farlo! Hai davvero un buon amico, Baji-san!”
Tempo tre secondi e da sotto la massa nera e intricata emerse il viso perennemente accigliato di Baji. “Veramente io l’ho incontrato ieri sul pianerottolo di casa tua. Pensavo fosse amico tuo.”
Chifuyu sbatté le palpebre con sorpresa. “Io l’ho visto la prima volta ieri al raduno!”
“Ma allora chi cazzo è quel tizio?” Gridò Baji, scattando giù dal letto con l’intensità di un petardo.
Al contrario di lui, Chifuyu mantenne una calma assoluta e si limitò a mettersi seduto sul bordo del letto. “Avrà un bel po’ di cose da spiegarci, quando sarà pronto!”
“Quando sarà pronto? Adesso scendo e gli faccio sputare i denti se non mi dice tutto subito!”
Dirgli di calmarsi sarebbe stato inutile, perciò Chifuyu preferì rivestirsi e seguirlo fino alla cucina da dove arrivava un buon profumo di pietanze fritte. Di fatto, Baji entrò coi pugni serrati e la mascella contratta, gridando: “EHI TU, BASTARDO!” Ma trovò soltanto un imbarazzato Takemichi che armeggiava con delle ciotole dentro il lavello. Si guardò attorno e chiese minaccioso: “Dov’è andato?”
Chifuyu, dietro a lui con in mano la cravatta della divisa scolastica che altrimenti Baji avrebbe lasciato abbondata a terra, ascoltava senza fare una piega. Praticamente una statua.
“E’…è uscito poco fa. Io e lui abbiamo già mangiato.” Abbozzò Takemichi, lasciando perdere le stoviglie e facendosi scudo dietro al tavolo che lo separava da quella furia a piede libero.
“Ti ho chiesto dove è andato, pezzo di sfigato. Sei sordo?”
“I-io non lo so! Ha scambiato un po’ di messaggi con Kazutora per dargli appuntamento, poi si è cambiato, mi ha ordinato di dargli dei soldi ed è corso via.”
Baji alzò un pugno per batterlo sul tavolo, ma si fermò nel notare che in mezzo a varie ciotole pronte all’uso e un vassoio pieno di deliziosa tempura, c’era il proprio cellulare. “Ehi ma…non ce l’avevo in tasca?” E subito si tastò le tasche della divisa per cercare conferma.
Takemichi si abbassò leggermente dietro una sedia, prima di fare una specificazione. “Te lo ha preso prima quando eravate all’ingresso… In prestito, ha detto.”
“Quanto credito pensa che abbia, quell’idiota?” Con pochi riguardi scostò la sedia e vi si sedette pesantemente, facendola scricchiolare, il pollice cominciò a muoversi frenetico sui tasti del telefono. Man mano che leggeva i messaggi, il suo sguardo si faceva sempre più truce e il suo umore sempre più nero. Perfino Chifuyu, chino sulle sue spalle per leggere, ad un certo punto impallidì. “Takemichi…una domanda… Per caso questo ragazzo è…” Si morse un labbro, non sapendo bene che termini usare. “…dell’altra sponda?”
“Eeeeeeeeh…in effetti…”
E prontamente, il pugno di Baji si abbatté sul tavolo come un tuono. “Che cazzo gli ha scritto? Oltre ad essere finocchio è anche deficiente???”
Takemichi, che al colpo si era spaventato tanto da ritrovarsi chiappe a terra, si fece forza per risollevarsi aggrappandosi al bordo del tavolo. “Pe-perché? Cosa ha…?”
In un attimo lo schermo del telefono gli fu messo davanti alla faccia e…
“Oh merda… Ma cosa gli passa per la testa?” Non sapeva se essere più disperato o preoccupato.
Baji si rimise il telefono in tasca. “Sai cosa? Anche se Kazutora dovesse presentarsi armato e sbudellarlo davanti a tutti, non sono cazzi miei.” Sentenziò, per poi appropriarsi del vassoio e prendersi metà del contenuto.
Chifuyu prese posto accanto a lui, la cravatta ora avvolta attorno alla mano. “Io non conosco Kazutora, però potrebbe aver abboccato. In fondo Unmei vuole solo parlargli. Per convincerlo ha finto di essere te e ha combinato l’incontro. Tutto qua.”
“Non so di cosa vada in cerca, spero solo che non ci volti le spalle dopo averci convinti a fidarci di lui. Non sappiamo nemmeno chi sia.”
Takemichi comprendeva quelle preoccupazioni, ma purtroppo oltre a rassicurarli sulla sua buona fede non poteva fare altro.
*
 
La metro più vicina distava circa sette minuti a piedi, ma ugualmente Unmei preferì bruciare la distanza correndo, gli occhi ben puntati sulla Tokyo Tower, la quale si faceva sempre più imponente man mano che lui si avvicinava. Dopo aver schivato decine di pedoni e attraversato alcune strade sfidando i semafori rossi, finalmente adocchiò il piccolo parcheggio per le moto, proprio accanto ad una delle quattro basi della torre. Fra tutte quelle parcheggiate, di cui conosceva marca e modello grazie agli insegnamenti di Draken, gli balzò subito all’occhio quella che cercava. Non che ci fosse margine di errore, visto che in sella c’era il proprietario! L’aria vagamente annoiata, le braccia appoggiate sui manubri, le gambe distese in avanti, i bei capelli folti dalle ciocche miste fra corvino e giallo che quasi sembravano uno strano casco di banane!
“Kazutora…” Sussurrò il suo nome, ormai a pochi passi da lui.
Il diretto interessato si voltò di scatto. “Ti conosco?”
Unmei scosse il capo. “No.”
“Allora levati di torno, sto aspettando una persona.”
“Sono io!” Gli si avvicinò, cercando di sorridere e di non lasciar trasparire quanto fosse agitato. “Sono stato io a scriverti col telefono di Baji!”
Kazutora lo perforò con lo sguardo. “Quei messaggi mi sembravano un po’ troppo strani... E troppo ben scritti, per uno mezzo analfabeta come lui.”
“Ehm…sì, è vero! Mi è stato detto che non era una cima! Ah ah!” Ok stava facendo la figura dell’idiota, ne era consapevole, ma porca miseria quello era il Kazutora adolescente che aveva visto solo in foto! Dal vivo era ancora più carino e, doveva prenderne nota, con addosso quella camicia larga di uno sgargiante giallo e con stampate tante piccole palme era assolutamente adorabile. Ai suoi occhi.
“Invece di farmi perdere tempo, sai dirmi perché mi ha dato buca? Doveva presentarsi alla sede della Valhalla per fare la prova di fedeltà e invece un cazzo.” La vena che gli si stava gonfiando sulla tempia non era per niente un bel segnale, anche se il suo tono di voce era perfettamente calmo.
Unmei prese respiro, doveva prendere il controllo della situazione. “Ti spiegherò tutto, ora però dovresti venire con me.”
“Venire dove?”
Lui fece un cenno di lato con la testa e gli porse una mano. “A toccare il cielo con un dito. Ovviamente offro io!”
Una frase del genere detta da uno che si vedeva lontano un miglio essere un teppista, poteva essere interpretata in molti modi e nessuno di questi poteva dirsi positivo. Eppure, spinto dalla curiosità nei confronti di quel ragazzo che già a prima vista somigliava tanto al suo migliore amico Baji, alla fine Kazutora decise di seguirlo. Per lo meno, una volta giunti alla biglietteria della torre, ebbe la certezza che non voleva fargli nulla di male. Insomma, che fossero in ascensore o ai piani superiori, c’erano turisti a frotte.
Con in mano i due biglietti e un sorriso cordiale stampato sulle labbra, Unmei disse: “Oggi accontentiamoci dell’Osservatorio Principale! L’Osservatorio Speciale teniamolo per il prossimo appuntamento!”
“Prossimo? Appuntamento?” Pronunciò quelle due parole con disgusto come se in bocca avesse avuto della senape rancida.
Invece di rispondergli, Unmei lo afferrò per un polso e lo trascinò fino ad uno degli ascensori.
Stretti in quella cabina con una accompagnatrice e una coppia di coniugi con tre bimbi piccoli e strillanti al seguito, Kazutora dovette ammettere che tutto ciò aveva un che di assurdo. Poco fa si era preso una strigliata per telefono da Hanma e ora si stava lasciando manovrare come un burattino da un ragazzo che non aveva mai visto prima. Cosa stava facendo? L’ascensore si fermò al piano, le porte si aprirono e la famigliola chiassosa uscì salutando l’accompagnatrice. Lo stesso fecero loro due e Unmei sgattaiolò via per raggiungere una vetrata ancora libera dove poter ammirare un primo scorcio di paesaggio.
“Wow è proprio come lo ricordavo! Era da quella gita in terza elementare che non venivo qui!”
Kazutora lo raggiunse. “Chi sei tu?” Quando lui si volse, con quei capelli lucidi e un po’ spettinati che quasi gli ricadevano su un occhio, la piccola pietra onice che gli ciondolava dal lobo e gli occhi che alla luce avevano magicamente cambiato colore passando da azzurri e verde chiaro, il cuore di Kazutora fece una piccola capriola nel petto.
“Mi chiamo Unmei!” Rispose lui, con voce calda.
Kazutora dovette distogliere lo sguardo.
Passando da una vetrata all’altra e parlando per lo più a voce bassa affinché le altre persone non sentissero, passò un’ora. Parola dopo parola, Unmei aveva fatto del proprio meglio per spiegare la situazione, per giustificare la scelta di Baji, arrivando perfino a confessare la relazione tra lui e Chifuyu senza prima aver chiesto il permesso di farlo. Era sicuro che Kazutora avrebbe capito, aveva un profondo legame di amicizia con Baji, erano migliori amici, avevano attraversato l’inferno e ancora portavano sulle spalle il peso della morte di Sano Shinichiro, il fratello maggiore di Mikey che Kazutora aveva colpito a morte per errore e che gli era costato due anni di riformatorio. In genere Unmei era uno che risolveva i problemi con i pugni, però adesso in gioco c’era la vita di suo padre e il dialogo era l’arma migliore da usare con un ragazzo dalla mente disturbata quale era Kazutora.
“Ora che sai tutto, ti chiedo solo di lasciare Baji fuori da questa storia e di prendere in considerazione l’idea di parlare con Mikey e chiudere la questione.” Concluse, il viso così vicino alla vetrata che il respiro appannò un poco la lastra.
“Ti ha…chiesto lui di dirmelo?”
“No… Anzi, scommetto che a quest’ora mi starà maledicendo per aver usato il suo telefono di nascosto e aver preso l’iniziativa di incontrarti!”
“Quindi secondo te dovrei abbandonare i miei piani e strisciare ai piedi di Mikey chiedendo perdono? Dopo quello che mi ha fatto?” Lo sguardo perso nel panorama, fino a quando non si sentì prendere la mano in quella calda di lui, allora lo sollevò ed incontrò i suoi occhi.
“Kazutora, la ferita che hai dentro non guarirà mai se non farai un passo verso di lui. Mikey non ti odia, non ti incolpa. Quello che è successo è stato un tragico incidente e tu hai scontato la pena che ti è stata data. Ora è il momento di guardare avanti. Lascia la Valhalla. Sei uno dei fondatori della Toman, è quello il tuo posto.” Un discorso impegnativo con la funzione di fare breccia nella sua coscienza, se non fosse stato per quel tono fin troppo seducente e quel modo di tenergli la mano che faceva subito pensare ad un corteggiamento…
“Unmei, c’è una cosa che voglio dirti da quando eravamo nel parcheggio.”
“Cosa?”
“……….SONO ETERO.”
*
 
“Acc-” Chifuyu strizzò un poco gli occhi, facendo una smorfia come di dolore.
“Infatti! E me l’ha detto con occhi privi di espressione, fermi e catatonici come quelli dei pesci sul banco del mercato!!!” Unmei aveva le lacrime agli occhi mentre lo diceva. Disteso sul letto, con stretto al petto un simpatico cuscino raffigurante un gatto nero sorridente e con una luna disegnata sulla fronte (#SailorMoonvibes!), era totalmente entrato in modalità bambino. Seduto accanto a lui sul bordo, Chifuyu gli lisciò una ciocca di capelli ondulati a lato del viso. “Mi dispiace… Forse avresti dovuto essere meno diretto. La prossima volta andrà meglio.”
“Vorrei che fosse vero… Dopo che se n’è andato lasciandomi lì come un idiota, ho scritto un messaggio su una tavoletta. Sai, a quel piano c’è un piccolo santuario shintoista e…uff, cosa lo dico a fare, tanto nemmeno gli dei possono aiutarmi.”
Chifuyu gli parlò con voce rassicurante e pacifica. “L’amore è complicato. Senza contare che Kazutora si trova in una situazione delicata. Dovrai impegnarti con tutto te stesso affinché i tuoi sentimenti lo raggiungano.”
“Lo amo così tanto… Mi ero illuso che sarei riuscito a conquistarlo, maledizione!” Capricciosamente, diede un calcio all’armadio dentro cui il letto era incastonato.
“Cazzo, non distruggermi la camera!” Ringhiò Baji, dalla sedia davanti alla scrivania. “E poi spiegami, come diavolo siamo finiti a riunirci tutti in camera mia???”
“Be’ tu e Chifuyu eravate qui. E io avevo bisogno del suo conforto.”
“E perché proprio da lui? Non mi piace il modo in cui stai appiccicato al mio ragazzo!” Dichiarò, alzandosi in piedi e stringendo i pugni per la rabbia.
“Baji-san…! Non sta facendo niente di male!” Puntualizzò Chifuyu.
“E tu gli stai dando troppa corda! Ti ricordo che quello si è spacciato per amico tuo per attirare la mia attenzione e poi ha fatto la stessa cosa con te! Non abbiamo la minima idea di chi sia!”
Allora Unmei mise da parte il cuscino coccoloso e balzò giù dal letto per farsi sentire. “Ti ho già detto che non posso spiegartelo! Ma non sarei qui se non fosse importante! Cosa ti costa fidarti un po’ di me? Andavamo d’accordo, quando ci siamo incontrati mi hai fatto entrare in casa e mi hai anche offerto il tè!”
“Questo era prima di scoprire che hai raccontato un sacco di cazzate!”
“Io ti ho sempre detto la verità, sei tu che non ti decidi a capire!”
Era come vedere il riflesso in uno specchio, entrambi con espressione rabbiosa e i capelli neri ondulati che ricadevano sul viso, i pugni serrati ai fianchi, fronte contro fronte… Se non fosse assurdo, si potrebbe dire che emanavano scintille di rabbia!
E mentre loro si guardavano in cagnesco e Chifuyu stava a guardare seduto, Takemichi, che era rimasto in un angolo a gambe incrociate e dimenticato da tutti, lasciò un profondo sospiro. “Perché sono rimasto coinvolto in questa riunione di famiglia…?” In effetti si sentiva di troppo. Unmei era tornato dall’appuntamento più depresso che mai e gli aveva detto di aver bisogno di confidarsi con sua madre Chifuyu, solo che in quel momento Chifuyu si trovava nell’appartamento di Baji e così era nato tutto il casino. Da quando era entrato lì nessuno se l’era filato. Certo che, a ben vedere, Unmei e Baji erano identici anche nel carattere. Tale padre tale figlio, come si suol dire. Comunque, ora come ora era lui l’adulto in mezzo a quei ragazzini ed era costretto ad intervenire, seppur di malavoglia.
“Invece di litigare dovreste fare squadra.”
I due litiganti si voltarono contemporaneamente verso di lui, con aria ancora più incazzata!
“Fare squadra con questo qui? Invece di aiutarmi ha in mente solo di rimorchiare il mio migliore amico, che cazzo!” Si lamentò Baji.
“Però hai seguito il suo consiglio e oggi hai incontrato Mikey per scusarti e farti riammettere nella Toman, come ti aveva detto lui.” Ammiccò Takemichi, soddisfatto.
Unmei, visibilmente sorpreso dalla notizia, lo guardò con tanto d’occhi. “Lo hai fatto davvero?”
E Baji, pescato con le mani nella marmellata, non poté evitare di sentirsi in imbarazzo. “E’ solo una coincidenza, vedi di non gasarti troppo! Ho solo pensato che...insomma, ora che il mio piano è andato a monte cos’altro potevo fare? Ho raccontato a Mikey delle mie intenzioni, mi sono scusato per il bluff dell’altra sera e punto. E non guardarmi così, mi stai ancora sulle palle.” Terminò in grande stile, accorgendosi che lo sguardo di lui era diventato fin troppo luminoso. Non gli voleva dare la soddisfazione di ammettere che era merito suo se le cose avevano preso una direzione diversa.
“Quindi…” Unmei raggruppò i pensieri mentre faceva dei passi in cerchio al centro della stanza. “Baji non è entrato nella Valhalla e Chifuyu ha la faccia tutta intera! Questo significa che dobbiamo concentrarci su Kazutora per riportarlo sulla retta via e poi sarà tutto risolto! Giusto?” Chiese conferma, rivolgendosi a Takemichi.
Lui fece un cenno affermativo col capo. Si poteva dire fiero di quel ragazzo che era riuscito in un solo giorno ad avvicinarsi così tanto all’obiettivo. Se fossero tornati nel loro tempo anche in quel momento, avrebbero trovato Baji vivo e vegeto! Era davvero un ottimo risultato!
Una voce femminile piuttosto squillante giunse a distanza. “Ragazzi, la cena è pronta!”
Baji rispose con lo stesso tono. “Arriviamo subito, kaa-san!”
Finalmente Takemichi si alzò e lasciò il suo angolino del castigo. “Tua madre è stata davvero gentile a invitarci a cena, dopo che siamo piombati qui senza preavviso!”
“Nah, la mia vecchia non si fa problemi! Le piace avere ospiti!” Scherzò Baji, dandogli un simpatico colpetto con la spalla. Fu allora che il suo telefono vibrò da sopra la scrivania. “Un messaggio?” Andò a recuperare il telefono e quando lesse le poche righe che conteneva, gli uscì un profondo: “Oh merda…”
Subito i tre gli si strinsero intorno, ma fu Chifuyu a chiedere. “Cosa succede?”
“E’ Draken. Ha inviato un messaggio a tutti e cinque i Capitani per avvisare che la Valhalla ha dichiarato guerra alla Toman.”
“Ma come? Così all’improvviso?”
“E hanno già deciso quando avverrà lo scontro.”
“Quando?”
Baji lo guardò con aria grave. “Tra una settimana, il 31 ottobre.”
*
 
Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, la faccia pallida e sciupata di Unmei con tanto di borse nere e gonfie sotto agli occhi la diceva lunga!
“Sono un fallito e non ho risolto un cazzo.”
Takemichi, che di fatto torreggiava su di lui da sopra il futon, tentò con una frase scontata. “E’ quello che mi sono ripetuto per quasi tutta la vita. Ma io ne avevo tutte le ragioni, al contrario di te.”
“Mhh.”
“Ora io mi vesto e vado a scuola, tu vedi di startene qui buono fino al mio ritorno. Approfittane per riposare e, se ti viene fame, puoi prenderti quello che vuoi dalla cucina.”
“Mhh.”
Takemichi aggiunse con più decisione. “E vedi di cambiare le lenzuola al mio letto! Ho respirato l’odore dei tuoi genitori per tutta la notte!” Quindi gli diede di spalle e uscì dalla stanza.
Non si poteva dargli torto per essere così infastidito, tanto più che aveva chiesto loro di non usare il letto per fare porcate…ma ad Unmei non poteva fregargliene di meno. Era troppo stanco perfino per deprimersi, non aveva praticamente chiuso occhio ripensando alla delusione amorosa e ai casini che erano venuti fuori dopo. Quel dannato 31 ottobre si stava prendendo gioco di lui.
“Puah, fanculo. Voglio dormire.” Imprecò con voce roca, prima di accomodarsi sul fianco e tirare su le coperte fino alla fronte. Gli sembrò di avere appena chiuso gli occhi, quando venne svegliato da un sonoro brontolio di pancia. Emise un lamento e si premette una mano sullo stomaco.
“Sto morendo di fame… Ma che ora è?”
Con l’altra mano tastò a terra fino a trovare il proprio smartphone.
“E’ già mezzogiorno passato?” Questo spiegava la fame. Senza indugi balzò fuori dal futon e volò al piano di sotto alla ricerca di cibo.
Il frigorifero non lo sfiorò nemmeno, tanto non aveva nessuna voglia di cucinare, invece andò a colpo sicuro alla credenza dove sapeva di trovare qualcosa di gustoso. Infatti, artigliò un pacchetto di patatine chips al gusto pomodoro e una lattina di Coca. Nessuna sorpresa che il suo stomaco non avesse necessitato di nutrimento anche al mattino, dopo la super cena della sera prima. Sua nonna paterna aveva sempre avuto il vizio di strafare in cucina, quando aveva ospiti! Inseguendo quel pensiero, un sorriso gli dipinse le labbra. Era stato bello vederla così giovane e si era divertito a sentirla battibeccare e scherzare col figlio. Quei due avevano un rapporto davvero buffo, come gli era stato raccontato. Ingollò l’ultimo sorso di bibita, quindi accartocciò il sacchetto anch’esso vuoto e buttò tutto nella spazzatura.
“Fiuh! Ora che la pancia è a posto, anche il cervello dovrebbe funzionare meglio!”
Si appoggiò di schiena alla credenza, a braccia conserte, e si mise a riflettere a voce alta.
“Mio padre è tornato ad essere il Capitano della 1a divisione… Ha fatto incazzare Kazutora non entrando nella Valhalla… Ha raccontato a Mikey dei suoi sospetti su Kisaki ma, non avendo prove, non può farlo cacciare, senza contare che ora Mikey ha bisogno di lui e della sua corposa squadra in vista dello scontro… E poi, anche se il vecchio non ne ha ancora fatto parola, resta il problema che se non diventerà lui il nuovo Capitano della 1a divisione questo avrà ripercussioni sul suo futuro e quello di sua moglie…” Sollevò una mano e andò a sfiorare l’orecchino nello stesso modo in cui la sua mente accarezzò un’idea. “Forse so come sbrogliare la matassa! E per farlo…devo parlare con Mikey!”
*
 
Da un po’ di tempo aveva sviluppato una sorta di allergia nei confronti della scuola. Oltre a non essere più interessato allo studio, gli capitava sempre più spesso di sentire una morsa allo stomaco solo al pensiero di avvicinarsi a quel luogo ed era la stessa cosa che gli stava capitando adesso, mentre attraversava il cortile di quella frequentata da Mikey. Sia mai che il disturbo gastrico fosse causato dalle schifezze che aveva mangiato a pranzo, eh! (LOL) D’altronde aveva pensato che parlargli subito e da solo fosse la cosa migliore, invece di aspettare il pomeriggio e ritrovarlo circondato da decine di membri della gang o con Draken a fargli da guardia. Per chiarire, lui adorava Draken, ma ora si trovava nel passato e sapeva del suo attaccamento smisurato oltre ogni limite nei confronti di Mikey, perciò preferiva evitarlo piuttosto che rischiare di litigarci. Giunto all’entrata aprì la grande porta in vetro e andò dritto fino alla scala principale, quindi salì fino a raggiungere il piano dove erano le classi del terzo anno. La seccatura più grande era non farsi beccare dai professori, ma anche trovare Mikey non era uno scherzo con tutte le sezioni che c’erano. Da dove doveva iniziare? Essendo il corridoio silenzioso come un cimitero, si accorse subito di una presenza che stava giungendo alle sue spalle. Si voltò rapidamente e…un ragazzo dall’aspetto semplice e anonimo sobbalzò per lo spavento! Poteva fargli comodo.  Lo raggiunse e lo afferrò per il colletto della giacca con quel fare tipico che avevano tutti i teppisti con la cattiveria che gli scorreva nelle vene al posto del sangue.
“Ascoltami bene, pidocchio, dimmi in quale aula si trova Sano Manjiro o ti faccio fare un volo dalla finestra.” La voce tagliente e sussurrata come il sibilo di un serpente.
Il povero malcapitato, ritrovandosi in trappola da quello che per lui era un tizio fuori di testa con gli occhi di ghiaccio, tremò come una foglia dalle punte dei capelli alle dita dei piedi.
“E-è q-q-quella l-là….” In un qualche modo riuscì ad indicarla.
Unmei diede un’occhiata ed emise un mugolio soddisfatto, salvo poi tornare a terrorizzare il ragazzo. “E come cazzo faccio a fargli sapere che sono qui fuori? Non posso certo entrare e portarmelo via!”
Il viso del poveretto stava diventando blu per la strizza! “C-ci vado io. Posso…usare una scusa…”
“E allora fallo! Muoviti!” Ringhiò Unmei, lasciando andare la presa e spingendolo verso la porta. Non che andasse fiero di questo comportamento ma…non prendiamoci in giro, lui era COMPLETAMENTE fiero di ciò che faceva e, trattandosi di una cosa importante, si sentiva anche giustificato ad usare la prepotenza! Infatti, di lì ad un minuto cronometrato, ecco che il ragazzo riuscì dall’aula e schizzò via a gran velocità. Un paio di secondi ancora e dalla porta ne uscì anche un Mikey con la faccia stropicciata dal sonno e un’espressione inebetita che aveva un che di buffo.
“Ahhh che diavolo vuole quel vecchio ubriacone da me?”
“Sta a vedere che alla fine l’Invincibile Mikey è uno studente modello!”
Mikey si infiammò all’istante come la benzina a contatto con una sigaretta e scattò su chi aveva osato sfotterlo. “Come cazzo ti permetti?” Si fermò un millisecondo prima di sfoderare uno dei suoi calci micidiali. “Sei tu…”
Unmei abbozzò un sorriso cordiale. “Ehilà!”
“Tsk! Avrei potuto ucciderti. Stai più attento la prossima volta.” Lo avvertì, ricomponendosi e ficcando le mani nelle tasche dei larghi pantaloni da teppista. “Spostiamoci da qui, prima che arrivi qualche vecchio a rompere.” E fece strada fino ad un’aula vuota che, a giudicare dalle tende chiuse e le sedie ammucchiate contro le pareti, non doveva venire usata da un bel pezzo.
Mikey prese posto su un banco e fece cenno a lui di fare altrettanto.
“Allora? Che vuoi?”
Unmei si schiarì la voce. “Ehm…sì… Per iniziare voglio scusarmi per l’altra sera, quando sono saltato fuori dagli alberi all’improvviso e-”
“Lascia perdere.” Tagliò corto Mikey. “Ieri Baji mi ha raccontato di te. Non che ne sapesse molto, ma se dice che lo stai aiutando allora mi fido.”
Wow, quanta comprensione! Non per niente lui e Baji erano amici d’infanzia.
“Va bene… Oggi sono qui per-”
“Chiedermi di cacciare Kisaki? Sei la terza persona che me lo chiede. Ma non se ne fa niente, almeno fino a quando non avrete dimostrato che è un nemico.”
Unmei batté il pugno contro il ripiano del banco. “Cazzo, mi vuoi ascoltare?”
Per mancargli di rispetto così, doveva essere davvero importante. Gli fece un cenno col mento e lui riprese a parlare.
“In verità, sono venuto a chiederti di non far partecipare Baji al prossimo scontro con la Valhalla.”
“Baji è forte, con una richiesta così lo stai offendendo. Se lo facessi mi odierebbe a morte.” Si sporse leggermente in avanti, appoggiando i gomiti sulle gambe. “E comunque, perché dovrei farlo?”
“E’ per la sua sicurezza, non posso dirti di più. Inoltre, vorrei che sospendessi anche Chifuyu. Ultimamente ha problemi di salute… E se durante lo scontro ricevesse un pugno al ventre, finirebbe con l’avere un-” Questa volta si bloccò da solo. Non poteva dire a Mikey che Chifuyu era incinto  e rischiava un aborto, visto che lo stesso Chifuyu non sospettava nulla.
“Uh uh! E poi? Qualcos’altro?” Ridacchiò Mikey.
“Sì. Stavo pensando che…magari…potresti mettere Takemichi al posto di Baji. Un sostituto, diciamo.”
“Sei caduto dal seggiolino da piccolo o cosa?” Stava cercando di trattenere le risate, ma sentendo tante cazzate gli riusciva difficile! Erano prossimi ad uno scontro con una gang enorme e quello gli chiedeva di tenere da parte uno dei suoi migliori uomini per rimpiazzarlo con un dilettante?
“Senti, facciamo così. Ti affido una missione. Vai alla sede della Valhalla, convinci i capi a ritirare la sfida e io in cambio aiuterò Takemichi a farsi strada all’interno della gang. L’ho appena piazzato nella 2a divisione, al comando di Mitsuya, ma se riuscirà a dimostrarmi cosa sa fare, potrei farlo salire di grado. Che ne dici?”
Il sopracciglio di Unmei si sollevò in automatico. “E tu credi che un signor nessuno come me possa far cambiare idea a quei pazzi là?”
Mikey sfoderò un sorriso malizioso. “Almeno hai una scusa per rivedere il tuo amato Kazutora!”
Inutile dire che lui avvampò per l’imbarazzo solo a sentire il nome!
“Baji ti ha detto anche questo…”
“Ero incerto se credergli o no ma…direi che la cosa è confermata. Guarda che roba!”
“S-senti, la mia faccia non-”
“Della tua faccia non mi frega niente, io parlavo del tuo uccello.”
Non ci aveva fatto caso, ma abbassando gli occhi si rese conto che dai pantaloni sporgeva chiaramente una bella erezione. Che vergogna!!! Non fece in tempo a coprirsi con la giacca che si sentì afferrare per i capelli e trascinare giù, finendo col sbattere pesantemente le ginocchia sul pavimento. La faccia di Mikey vicinissima alla sua. “Hai davvero un bel coraggio a presentarti qui e pretendere che io ti dia retta. Eh? Come faccio a sapere che in realtà non sei una spia della Valhalla? Sembra che tu voglia spezzare la Toman a loro favore. Potrebbe averti mandato Kazutora in persona a mettermi i bastoni fra le ruote! Cosa sei, il suo amico di letto?”
Nonostante la stretta ferrea, Unmei non distolse lo sguardo dal suo e mantenne un’assoluta serietà. “Io sono innamorato di Kazutora, ma lui mi ha respinto. E comunque non sto dalla parte della Valhalla. Anzi, non so cosa darei per tirarlo fuori da lì.”
“Allora rispondi a questo. Che legame hai con Baji, Chifuyu e Takemichi? E soprattutto, chi sei?”
“Tutte domande interessanti!” Provò a scherzare, ma un’ulteriore stretta ai capelli e lo sguardo omicida di Mikey gli spensero subito il sorriso. “Non posso dirti niente. Non mi crederesti. Ma posso giurare che voglio bene a Baji e Chifuyu, sto rischiando la mia vita per loro.”
“E Takemichi?”
“Sta dando il suo aiuto. Ma se non fosse per questo, non gli parlerei neanche. Quello sfigato mi sta sul cazzo.”
Mikey lo tenne inchiodato ancora un po’, come se stesse soppesando quanto aveva detto, e poi lo lasciò. Più che altro, ne aveva approfittato per osservarlo, aveva notato il particolare effetto di colore nei suoi occhi e aveva studiato le linee del suo viso. Gli concesse giusto qualche istante per riprendersi dal dolore e poi, così per dispetto, gli premette una scarpa contro l’inguine, facendogli emettere un sensuale gemito.
“Ma c- Per- Gh!” (un traduttore please!)
“Se stai cercando di chiedere perché lo sto facendo… Be’…” Fece spallucce. “Così per divertimento.”
Unmei cercò di togliere quel piede invadente, senza però riuscirci, dato che quel trattamento lo stava prosciugando delle forze. E comunque non era poi tanto sicuro di volere che smettesse… Era da giorni che, tra un problema e l’altro, non concludeva e il suo pene aveva un bisogno disperato di attenzioni.
“Porca troia.” Disse tra i denti, il sudore che cominciava a colargli dalla fronte madida.
“Sai… Il fatto che tu sia innamorato della persona che ha ammazzato mio fratello mi fa veramente incazzare.” E nel dire l’ultima parola, diede un colpo più forte col piede, strappando un mezzo grido di dolore ad Unmei. Nel mentre suonò la campanella della fine delle lezioni. Ma non si fermò. Nemmeno il rumore dei passi nel corridoio e le voci degli studenti che lasciavano le aule lo indussero a fermarsi. Si stava divertendo ad infliggere quella tortura, ad osservare quel viso contratto e arrossato, quelle gocce di sudore che scendevano, quegli occhi disperati…
“Com’è possibile che tu abbia gli occhi di Chifuyu e allo stesso tempo essere la copia sputata di Baji?” Bisbigliò, come parlando tra sé.
Ecco. Era finito. Mikey se n’era accorto e adesso sarebbe stato impossibile trovare una scusa convincente. Quel ragazzo non era stupido e chiunque credesse che fosse rispettato solo per i suoi calci micidiali era un idiota. Lui lo sapeva. Aveva sempre ascoltato con grande interesse i racconti sull’Invincibile Mikey, eppure aveva abbassato la guardia e aveva deciso di incontrarlo senza prima pensare alle conseguenze. E adesso, con la testa vuota e stordita dal piacere e il sangue che pulsava dolorosamente nel pene sotto tortura, non c’era nessuno che potesse salvarlo.
Vrrrrr.
“CHE CAZZO STA SUCCEDENDO QUI DENTRO?”
Un miracolo.
Mikey volse il capo e regalò un sorriso raggiante al nuovo arrivato. “Ken-chin!”
Esatto, era proprio Draken quello che stava camminando verso di loro, battendo i piedi sul pavimento come se volesse sfondarlo e i pugni stretti dalla rabbia. Gli bastò un’occhiata per riconoscere Unmei. “Sei il tizio di quella sera…” Le sue sopracciglia di aggrottarono tremendamente. “Che cazzo stai facendo, pezzo di merda! Perché hai messo il tuo uccello sotto al piede di Mikey?”
Sul serio? Sul serio. Ormai Unmei era sul punto di piangere dall’esasperazione.
“Ma che… Ma che cazzo! Non lo vedi che è il SUO piede ad essere SOPRA il mio uccello?”
“E’ vero!” Confermò allegramente Mikey, continuando il movimento ritmico come niente fosse.
Altro che miracolo, se prima aveva solo un aguzzino adesso era arrivato il carnefice, e dall’espressione che aveva era chiaro che non vedeva l’ora di ammazzarlo! Fu questo l’ultimo pensiero che gli ronzò nella mente, prima di perdere i sensi.
*
 
Tutto attorno era buio, non c’erano lampioni ai lati della strada, non c’erano persone, non passavano auto, quello su cui correva non sapeva se fosse asfalto o terreno. Non sentiva alcun rumore oltre a quello del suo respiro affannato, nemmeno un fruscio di vento o qualunque altra cosa che gli indicasse che c’era vita attorno a lui. I suoi occhi puntavano fissi nel vuoto, le gambe correvano, i muscoli bruciavano per l’enorme sforzo, i capelli madidi di sudore gli frustavano il viso senza che a lui importasse.
“Se…anf anf...se sto scomparendo, c’è una cosa che voglio fare prima… Anf anf…vi prego…vi prego miei dei, lasciatemelo vedere un’ultima volta!”
Ed ecco che comparve una figura sfocata, quasi fosse disegnata nell’aria.
Kaa-san!
La figura si voltò, i bellissimi e magnetici occhi azzurro verde si posarono su di lui con un cenno di sorpresa.
Kaa-saaan!!!” Gridò, sforzandosi di correre ancora più veloce.
Ora la figura dischiuse le labbra, pronunciò piano il suo nome.
“Mi dispiace…kaa-san…” Le lacrime gli offuscarono la vista e gli rigarono il viso, fondendosi col sudore. Un ultimo disperato sforzo e poi si lanciò su quella figura, desiderando con tutto il cuore di poterla abbracciare e allo stesso tempo temendo di passarci attraverso e scoprire che non era reale. E invece gli dei, nella loro benevolenza, lo accontentarono, gli concessero di poter stringere sua madre un’ultima volta prima di svanire nel nulla.
Kaa-san… Perdonami…io ci ho provato… Volevo che tu fossi felice… Ci ho…ci ho provato…”
“Unmei…” La voce flebile e dolce, come il tocco della sua mano sul suo capo.
“Ti voglio bene, kaa-san… Perdonami se ho fallito…”
“Potrai dire di aver fallito solo quando smetterai di provare, no?”
Ora la voce era molto più nitida, più vicina, e il calore del suo corpo era più intenso, più…reale? Gli bastò un istante per riprendere lucidità e rendersi conto di quanto stava accadendo. Aveva il viso affondato nel grembo di Chifuyu  e gli aveva avvolto i fianchi in un abbraccio un po’ troppo intimo! Scattò via come una molla, sparando un rapido: “SCUSA!”
A Chifuyu sfuggì una risatina divertita. “Meno male che Baji-san non era qui, altrimenti ti avrebbe piantato un pugno dritto in testa!”
Non stentava a crederlo. Si guardò attorno, la stanza gli era familiare… Sì, ricordava quei mobili colmi di manga, l’armadio a muro, le pareti grigio perla, perfino le coperte a quadri blu del letto. Quella era la stanza dove lui e sua madre avevano dormito insieme, prima di trasferirsi in una casa tutta per loro. Era la stanza…di Chifuyu.
Pensando che si sentisse spaesato, Chifuyu chiese cordialmente: “Ti stai chiedendo come sei arrivato qui dalla scuola di Mikey?”
Giusto. Aveva dimenticato di essere svenuto proprio là, per colpa del trattamento sconcio e insensato di Mikey. Ora che gli stava tornando alla mente, sentiva la vergogna divorarlo. Si portò le mani al viso, come per nasconderlo. “Che figura di merda!”
“Ah ah! Mikey si è divertito a prenderti per il culo per bene! Però ha capito di aver esagerato. E’ stato lui a chiamarmi e chiedere se potevo occuparmi di te, sai?”
Unmei riabbassò le mani, ora la sua espressione era incuriosita. “Lui ha…?”
“Mh! Ha detto che Baji non avrebbe saputo occuparsi neanche di un cadavere e che era meglio affidarti a me! E poi Draken ti ha caricato sulle proprie spalle e ti ha portato qui.”
“Draken è fatto così! Anche se adesso non gli vado a genio, non mi avrebbe lasciato là a terra!” Disse lui, accennando un sorriso.
“Già! Lo conosci bene!” Il sorriso di Chifuyu si spense, la sua espressione divenne un po’ seria e un po’ preoccupata. “Mentre dormivi ho avvisato Takemichi…prima è venuto qui e ha portato una busta con le tue cose.” Abbassò un momento lo sguardo e poi riprese. “Mi ha detto di te…”
Ad Unmei mancò un battito. Gliel’aveva detto. Gli aveva detto che era suo figlio, che veniva dal futuro e che si trovava lì per salvare suo padre Baji da morte certa?
Strinse i pugni con tale forza da far scricchiolare le dita. “IO  LO AMMAZZO QUEL VECCHIO DI MERDA!!! E pensare che si era raccomandato tanto di stare attento a come parlavo e a cosa facevo! E poi ti ha spiattellato tutto così? Ma che gli dice il cervello? A furia di farsi seghe da adolescente deve aver fatto schizzare fuori anche gli unici due neuroni che aveva in testa!!!” E subito dopo sciolse i pugni e posò le mani su quelle di Chifuyu. “Oddio, per te deve essere un trauma! Ti senti male? E nonostante tutto mi hai accarezzato la testa e mi hai consolato! Davvero, non hai sbagliato niente, il problema sono io! Non te l’ho mai detto, ma sei una persona fantastica, ti ammiro molto e vorrei essere come te! Vorrei avere la tua forza per affrontare la vita!”
Chifuyu gli strinse le mani e abbozzò un sorriso. “Non preoccuparti, non è stato un trauma. Anzi, dopo averlo saputo ho capito perché sentivo di avere un legame con te, anche se ti ho appena conosciuto!”
“Wow…l’hai presa meglio di quanto credessi! E io che temevo mi avresti considerato pazzo!”
“No, no!” Disse, scuotendo la testa. “Capisco che per te sia difficile, per questo voglio aiutarti. Mio padre è mancato quando ero piccolo e per mia madre è stata dura. Posso solo immaginare come si senta la tua, che ancora soffre a distanza di così tanti anni.”
Fermi tutti.
“Mia…madre?”
“Sì. Takemichi mi ha detto che state attraversando un periodo difficile e che hai deciso di allontanarti un po’ da casa per riflettere.”
Unmei rimase a bocca aperta! Allora era questo che gli aveva detto! Cavoli che strizza… In effetti quella di Chifuyu era stata una reazione fin troppo tranquilla, per uno che scopre di avere un figlio venuto dal futuro! Ah ah! Bene. Ora si sentiva ufficialmente un coglione. Per prima cosa ritirò le mani, nel caso Baji fosse entrato proprio in quel momento e li avesse visti così…
“Ne ho parlato con la mia e lei è d’accordo a farti restare qui per un po’, visto che a casa di Takemichi non ti trovavi bene. Che ne dici? Se vuoi ti lascio il mio letto!”
“Assolutamente no! Cioè, no per il letto, starò benissimo sul futon per gli ospiti! E sì per l’invito a restare!”
Chifuyu lasciò un sospiro di sollievo. “Fiuuh credevo volessi andartene! Sono contento che vivremo sotto lo stesso tetto, così potrò conoscerti meglio!”
Era lui ad essere quello più sollevato, vivere lì con sua madre e sua nonna non sarebbe stato affatto un problema. Insomma, era anche casa sua in un certo senso!
“Grazie davvero, Chifuyu!”
“Ah di niente! E poi, chi lo sa, magari tua madre e quell’amico che vive con voi potrebbero finire con l’innamorarsi mentre non ci sei!” Scherzò, senza sapere di cosa stava parlando.
“COL CAZZO! NON ACCADRA’ MAI FIN CHE AVRO’ VITA!!!” Gridò Unmei, diventando paonazzo.
Chifuyu rimase ad osservarlo ad occhi sbarrati, indubbiamente quel ragazzo aveva seri problemi di sbalzi d’umore! Ma lo stesso, di lì a poco, si lasciò travolgere da una fragorosa risata davanti ai suoi occhi. Averlo come ospite si prospettava una bella avventura!
*
 
Il mattino seguente si svegliò di ottimo umore, dopo una notte di sonno senza incubi e senza sogni strani, complice la presenza rassicurante di sua madre Chifuyu nella stanza e dei passi felpati di sua nonna nel corridoio al mattino presto, quando si era alzata di buonora per preparare la colazione e vestirsi per andare al lavoro. Quando aprì gli occhi e incontrò il soffitto grigio perla, gli parve quasi di essere tornato bambino. Si stiracchiò i muscoli intorpiditi dalla lunga dormita e si sollevò poggiandosi su di un gomito. Chifuyu stava ancora dormendo, il suo volto era sereno e aveva il respiro pesante. Era tutto come allora. Per quanto fosse nostalgico, però, non poteva dimenticare il motivo per cui si trovava lì in quel tempo. Vivere in quell’appartamento con la mamma era stato bello per la sua infanzia, ma era certo che sarebbe stato migliore se con loro ci fosse stato anche il papà. Ora che l’aveva conosciuto riusciva ad immaginare una vita con lui… Be’, da ragazzo, ad un passo dal compiere quindici anni, era un cazzone assurdo, però diventando padre si sarebbe dato una calmata e sarebbe diventato un buon genitore accanto a Chifuyu. O almeno era quello che sperava!
Il respiro di Chifuyu si spezzò per un istante e poi divenne più leggero. I suoi occhi si aprirono pigramente di uno spiraglio, forse non avevano ancora messo a fuoco la figura che avevano davanti, comunque le sue labbra s’inarcarono in un lieve sorriso.
“Buongiorno!” Sussurrò Unmei, ricambiando il sorriso.
Tempo un secondo e Chifuyu strabuzzò gli occhi, per poi scattare e mettersi seduto. “Cavolo, sei tu! Credevo fosse Baji-san!”
Crack. Il rumore del suo cuoricino che si spezzava. Per quante volte avesse sentito quella frase, non riusciva ad abituarsi. Non che potesse dargli torto, soprattutto adesso che era nel passato e lui era di fatto un estraneo! Però che tristezza, sentire quelle parole!
Fecero a turno per il bagno e si prepararono, rispettivamente uno per andare a scuola e l’altro per andare a correre e fare esercizio in attesa della missione che lo attendeva nel pomeriggio. Fare movimento gli serviva per sfogare la tensione e liberare la mente, anche se in genere preferiva le corse con la moto. La colazione non andò molto bene, la nonna aveva preparato delle abbondanti porzioni di riso da aromatizzare con spezie a scelta, ma Chifuyu dovette rinunciare dopo aver mangiato appena mezza ciotola. Quella nausea stava diventando un incubo, per lui. Prese subito una pasticca per placarla. Quando Baji arrivò per andare a scuola insieme, ancora non si era ripreso, perciò rimasero entrambi lì con lui in attesa che si sentisse meglio. Baji era visibilmente preoccupato e non si fece problemi a mostrarsi premuroso nei confronti del proprio ragazzo, mentre Unmei, sapendo che quel malessere non era dovuto ad una malattia ma semplicemente alla gravidanza, per lo più rimase zitto in disparte, salvo poi uscirsene con una battuta idiota.
“Ecco cosa succede a non usare i preservativi!”
Baji, ovviamente, andò su tutte le furie per mascherare l’imbarazzo. “Chiudi quella fogna, idiota!”
E aveva ragione. Se avessero usato i preservativi lui non sarebbe nato. Però quella battuta gli era venuta naturale, non poteva farci niente! Per lo meno aveva fatto suonare un primo campanello nella testa di Chifuyu, anche se di lì a qualche settimana lo avrebbe scoperto comunque. La mano posata sul ventre, lo sguardo sospettoso…era probabile che stesse facendo i primi calcoli nella mente per colpa di quella battuta detta alla leggera. Quanto ci avrebbe messo a capirlo?
*
 
Quella strada di seconda mano era difficile da trovare, situata com’era in un labirinto in cui anche un navigatore avrebbe faticato ad orientarsi! I pochi negozi che c’erano erano stati chiusi o abbandonati, di gente ne passava poca, giusto le persone che abitavano nei dintorni e la usavano come scorciatoia per raggiungere altri luoghi. E in mezzo a quel grigiume, all’improvviso lo sguardo veniva catturato dalla figura pittoresca e allo stesso tempo inquietante di un angelo senza testa, che col suo corpo rosa, le ali bianco candido e l’aureola dorata sovrastava il muro e parte di una vetrata lurida che sicuramente aveva visto tempi migliori. In alto, solo una vecchia insegna che indicava una sala giochi. Una catena con un cartello di divieto era stata messa all’ingresso, ma dalle ombre e dalle luci che si vedevano all’interno, un bel po’ di gente l’aveva scavalcata fregandosene bellamente. Le luci eh? Tra i membri della Valhalla doveva esserci chi se ne intendeva, se erano riusciti a riattivare l’elettricità per poter accendere i neon al soffitto e i macchinari dei vecchi videogiochi. Quella gang contava 300 membri, chissà se quel luogo riusciva a contenerli tutti?
“Spero proprio di no.” Bisbigliò tra sé Unmei, prima di lasciare un lungo sospiro. “Sto per entrare nella fossa dei serpenti.”
Il cielo si era rannuvolato rapidamente, le nuvole color piombo e cariche di pioggia sembravano voler crollare sul mondo da un momento all’altro. Unmei afferrò la maniglia di una delle porte vetrate e l’aprì.
Già il primo passo all’interno lo proiettò in un mondo sinistro, composto da nuvole di fumo di sigarette di svariate marche e facce di brutti ceffi che a occhio e croce avevano già assaggiato il bastone del riformatorio. Passo dopo passo, Unmei si fece strada fra di loro, senza mostrare timori e tenendo alta la testa, proprio come era solito fare quando vestiva i panni di Comandante della gang. Che lo guardassero pure storto, che lo minacciassero pure tra i denti, non aveva intenzione di fermarsi fino a quando non fosse giunto a destinazione. Per l’occasione si era preparato a dovere. Si era fatto prestare un paio di pantaloni neri da Baji, l’unico a poterlo fare per via della stessa altezza, aveva indossato una maglia nuova con stampato un enorme teschio sorridente e gli scarponi neri che aveva addosso dal viaggio dal futuro, poi aveva spalmato un po’ di gel sui capelli per fissare le onde che ricadevano armoniose a lato del viso, ed infine il punto forte era l’orecchino al lobo che faceva da punto luce e anche da portafortuna. Sarebbe stato bello se quegli zoticoni si fossero inchinati al suo passaggio, ma tant’è…
Dalla piattaforma di un videogioco dai sedili ormai logori, Hanma lo stava aspettando come un sovrano sul trono. Anzi, un buffone che si era appropriato di un trono non suo, viste quelle gambe spalancate in modo indecente, le braccia abbandonate ai fianchi e quel sorriso folle dipinto in faccia. Perfino i capelli dritti e sparati in aria, con quella ciocca bionda, fungevano da corona!
“Hi hi, ecco uno a cui la vita fa schifo e ha deciso di farsi ammazzare!”
Ignorando la minaccia, Unmei chinò leggermente il capo in segno di rispetto. “Sono qui per conto del Comandante della Tokyo Manji Gang.”
“Uh uh! Che cosa vorrà mai il piccolo Mikey!” Stesso tono strafottente, lo sguardo puntato su di lui nonostante le imprecazioni che si levarono dal gruppo.
Unmei risollevò il capo e parlò con voce chiara e ferma. “Vuole che ritiriate la sfida, così da evitare l’imminente scontro.”
Ora le voci contrariate aumentarono di volume, andando a coprire la risata di Hanma, mentre questo si portava una mano al viso mettendo in mostra il caratteristico tatuaggio con la scritta ‘Crime’  abbinata a quella dell’altra mano che diceva ‘Punishment’. C’era da chiedersi se davvero avesse letto l’opera di Dostoevskij, visto che dalla faccia non si sarebbe mai detto un appassionato di letteratura. Quando riabbassò la mano, si sporse in avanti per parlargli. “Ritirare la sfida? La Valhalla conta 300 membri, mentre la Toman solo 150! Perché dovremmo rinunciare a schiacciare quei ragazzini?”
“Solo perché nello scontro dello scorso 3 agosto hai dato del filo da torcere all’Invincibile Mikey, non significa che ti andrà sempre bene!” Lo provocò Unmei, con tanto di sorrisino tagliente.
In effetti Hanma rimase in silenzio per alcuni istanti, forse preso in contropiede, ma ecco che poi volse il capo e fece un cenno. “Avevi ragione, questo tizio è come un distributore automatico di cazzate!”
“E ha anche un gran coraggio, devo ammettere.”
Nel sentire quella voce, Unmei si voltò e lo vide. Una gomitata ad un ragazzo che gli ostruiva il passaggio ed ecco che in breve fu accanto a lui.
“Unmei.”
“Kazutora!”
Di nuovo Hanma si mise a ridere. “Hi hi! E’ proprio cotto di te, Kazutora! Guarda che espressione ha messo su!”
“Prima di due giorni fa non sapevo nemmeno che esistessi, ma se Mikey ti ha mandato personalmente devi essere qualcuno di importante.” Kazutora si rivolse ad Unmei, trafiggendolo con lo sguardo.
“Ti sbagli. Io non sono nessuno.” Fece appena in tempo a dire l’ultima parola che lui gli afferrò i risvolti della giacca e gli parlò quasi ringhiando. “Non ti avevo detto di non intrometterti?”
“Lo farò solo quando tutte le persone a cui tengo saranno in salvo. E fra queste ci sei anche tu, che ti piaccia o no.”
“Pfh! Idiota.” Lasciò la presa e gli voltò le spalle, ma Unmei non aveva intenzione di arrendersi.
“Non hai imparato niente dal riformatorio?”
Kazutora strinse i pugni e sibilò. “Due anni della mia vita… Per colpa di Mikey…”
Unmei incalzò. “A quanto pare no, se continui a seguire questo buffone!” E nel dirlo fece un cenno con la mano verso Hanma. “Se non lasci subito questa gang, finirai dritto dietro le sbarre e questa volta per dieci anni, lo capisci? Hai bisogno di veri amici e di farti vedere da uno psicologo.”
Kazutora si voltò di scatto e lo afferrò alla gola, uno sguardo folle negli occhi. “Mi stai dicendo che sono pazzo? Chi sei tu per parlarmi così? Frocio presuntuoso, non mettere la bocca su cose che non ti riguardano. Tu non sai niente di me.”
Malgrado la stretta alla gola, Unmei non pose resistenza e parlò con voce vagamente roca. “So che la tua camicia preferita è viola con delle stampe a foglie gialle, anche se tutti pensano che siano bucce di banana! Ti piace così tanto che quella volta l’hai presa di due taglie più grande per indossarla anche quando sarai adulto.”
Hanma si fece sentire. “Buuuh! Chiunque sa del suo pessimo gusto in fatto di moda!”
“Allora… So che di notte dormi senza mutande, perché ti piace sentire la morbidezza del pigiama sulla pelle.”
“AHAHAHAHA! Questa è forte!” Starnazzò di nuovo Hanma, battendosi una mano sulla gamba.
Peccato che Kazutora non la prese altrettanto bene. “Mi stai mettendo in ridicolo, bastardo.”
“E poi so…che la tua canzone preferita è ‘Stand by me’. L’ascoltavi tutti i giorni, mentre eri rinchiuso in riformatorio.” Quel nuovo approccio parve funzionare, o per lo meno la stretta alla gola diminuì, permettendogli di parlare normalmente. “L’hai scoperta guardando un vecchio film americano, ma la versione che ti piace di più è quella cantata da John Lennon.”
Lo sguardo di Kazutora tremò. “E tu come lo sai?”
Unmei ne approfittò per prendergli la mano e allontanarsela dal collo, senza però lasciarla andare. “L’ascoltavi pensando a Baji, l’unico ad esserti rimasto sempre accanto in ogni difficoltà, proprio come dice il testo della canzone. Perché lui era più di un amico, per te. Era un fratello, vero?”
“Sm- Smettila…” Sussurrò Kazutora, abbassando la testa.
“Però poi, dopo averla ascoltata centinaia di volte, hai cominciato a pensare che in quella canzone ci fosse di più. Che al tuo fianco avresti voluto qualcuno di ancora più importante, non solo un amico, non solo un fratello… Volevi qualcuno che ti amasse completamente.”
“Ti ho detto di smetterla, cazzo…” Provò a ritirare la mano, ma lui la tenne nella propria.
“Quel qualcuno sono io, Kazutora. Solo che tu ancora non lo sai. Io ti amo davvero e sto facendo l’impossibile per aiutarti ad essere felice.”
“Ma io non…” Risollevò il viso, quello di lui ora era vicinissimo. “Io non ti conosco…”
Unmei accennò un sorriso. “Mi conoscerai!” Socchiuse gli occhi e fece per posare le labbra sulle sue ma…un forte dolore al braccio interruppe il momento romantico. Hanma lo aveva afferrato con forza e glielo aveva torto dietro la schiena. “E’ il momento di salutare Giulietta, caro il mio Romeo.”
Allora forse era veramente interessato ai classici occidentali!
Mentre si sentiva trascinare via, col braccio dolorante e zoppicando all’indietro, Unmei si rivolse con sentimento a Kazutora. “Devi ascoltarmi! Non è questo il modo di risolvere le cose! Sarai tu il primo a rimetterci! Perderai tutto! TUTTO, Kazutora! Devi credermi!” Non staccò gli occhi da quelli di lui fino a quando non si ritrovò all’esterno, gettato sulla strada.
Hanma sorrise divertito. “Non fraintendere, mi stai simpatico! Però quello che stai facendo va contro i piani di Kisaki e io non posso proprio lasciartelo fare!”
“Ah ah! Per tanta devozione, spero che almeno ti abbia dato il culo!” Lo sfotté Unmei, mentre si rialzava. Giusto il tempo di rimettersi dritto che dovette parare un destro di Hanma, che altrimenti gli avrebbe colpito in pieno il viso.
“Complimenti! E’ raro che qualcuno riesca a parare questo pugno!”
“Tsk! Non vantarti! Ci riescono sia Mikey che Draken!”
“Eeeeeh!” Ritrasse il braccio e subito fece partire un nuovo colpo, questa volta col pugno sinistro. E Unmei parò anche quello.
“Insistente, eh?”
“Ah ah! Sai, resterei qui per ore a giocare con te…” Con agilità, gli sferrò una ginocchiata allo stomaco. “Ma tra poco mi vedo con Kisaki e non vorrei fare tardi!”
E lo lasciò così, a terra a boccheggiare dal dolore, le mani premute sullo stomaco, la fronte contro l’asfalto della strada. Gli parve di udire una voce, dei passi affrettati… Con le orecchie tappate era difficile  a dirsi.
“Lo sapevo che non dovevo lasciarti andare da solo.”
Sentì una mano gentile su di sé, girando piano la testa riuscì a vedere chi lo stava soccorrendo.
“Ho capito che vuoi fare l’eroe per Kazutora ma… Accidenti a te!” Nonostante la preoccupazione evidente, sulle labbra di Chifuyu aleggiava un sorriso di comprensione.


Continua nel prossimo capitolo. Quarta Fase: [Stand by me]
E' davvero impossibile impedire che avvenga il Bloody Halloween? E soprattutto, Unmei riuscirà a salvare Kazutora e portarlo sulla retta via?

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Capitolo 4
*** Quarta Fase: [Stand by me] ***


Quarta Fase:
[Stand by me]
 
L’incrocio di Shibuya era famoso in tutto il mondo e ben meritava la sua fama. Forse poteva considerarsi una forma di arte vedere quelle frotte di persone attraversare le strisce perdonali in tutte le direzioni, un flusso impazzito che quasi ricordava le onde del mare in una giornata ventosa, salvo poi liberare completamente la strada e lasciare il passaggio libero alle auto che riprendevano la propria corsa quasi monotona, coi fari accesi che si rivelavano inutili data la quantità di luci artificiali che illuminavano la strada in una moltitudine di neon colorati da far invidia anche al più bell’arcobaleno. Uno spettacolo da ammirare in totale tranquillità appoggiato alla moto, mentre Mikey, accanto a lui, si gustava l’amato dorayaki.
Mikey era come un bambino quando mangiava, la sua espressione era felice e con la bocca faceva dei buffi rumori ad ogni morso di quel dolcetto che tanto gli piaceva. Tutti elementi che un poco cozzavano col la divisa della Toman e col suo ruolo di Comandante.
Terminato di mangiare, si leccò le punte delle dita, come a volerne a tutti i costi rubare la dolcezza che il dolcetto vi aveva lasciato impressa, per poi sfoggiare un sorriso soddisfatto. “Grazie del dorayaki, Takemicchi!”
Lui ridacchiò di getto. “Di niente, Mikey-kun!” Peccato dover frantumare quella piacevole atmosfera con un argomento pesante… “Ehm… Ti ho chiesto di vederci qui per un motivo…”
Il sorriso di Mikey si spense all’istante e nei suoi occhi tornò quel nero senza fondo dal quale si aveva l’impressione di non poter uscire vivi. “Lo so.”
“Allora…caccerai Kisaki?”
“No.”
Takemichi, preso alla sprovvista, alzò la voce ancora prima di accorgersene. “La sera del raduno mi hai fatto una promessa e ora devi mantenerla!”
Con aria apparentemente tranquilla, se non addirittura disinteressata, Mikey volse lo sguardo verso di lui. “L’accordo era che tu riportassi Baji alla Toman.”
“E’ quello che ho fatto!”
“Baji è tornato da solo. Tu non hai dimostrato di poter essere utile alla gang. Non ti devo niente.”
Takemichi strinse un pugno, cominciava davvero a spazientirsi. “Ma io…”
“Se devo dirlo, una parte del merito va ad Unmei. E’ stato grazie alle sue parole e alle sue azioni se Baji è tornato. Quel ragazzo mi interessa parecchio.”
Ecco. Unmei. Con una visione adulta, lo capiva che Unmei aveva agito solo per il bene dei propri genitori, però modificando certi avvenimenti stava mettendo i bastoni tra le ruote a lui e lo stava sminuendo agli occhi di Mikey. Non andava bene. Cosa poteva fare per rimettersi in carreggiata?
Come se Mikey gli avesse letto nel pensiero, sfoggiò nuovamente un sorriso amichevole e gli parlò senza mezzi termini. “Tu mi piaci Takemicchi! Ma adesso lui mi piace di più e voglio premiarlo! Mi aveva chiesto di tenere Baji lontano dallo scontro con la Valhalla…allora credo che per quel giorno metterò proprio Unmei a capo della 1a divisione!”
Nonostante il sorriso da bambino innocente, con le parole era stato spietato.
Partner! Ehi, ci sei?”
Quella voce lo riportò subito al presente, strabuzzò gli occhi e notò che Chifuyu lo stava guardando con un pizzico di curiosità.
“Sembri preoccupato… E’ perché Osanai ha detto che non vuole mettersi contro Kisaki? Vedrai che troveremo altre testimonianze, oltre alla sua, e alla fine riusciremo a convincere Mikey!”
Tipico di Chifuyu essere incredibilmente ottimista, doveva riconoscerlo. Ma purtroppo sapeva che non era ancora arrivata l’ora di Kisaki, anche se avrebbe tanto voluto ammazzare quel bastardo occhialuto più di ogni altra cosa al mondo.
Lui e Chifuyu quel pomeriggio erano andati nel quartiere di Shinjuku per incontrare Osanai, l’ex capo della sconfitta gang Moebius, per sentire dalle sue labbra quale mente perfida e calcolatrice fosse Kisaki ed ora stavano tornando a piedi per riflettere e fare uno scambio di opinioni. Esattamente come era avvenuto in altre linee temporali in cui lui era stato precedentemente.
Takemichi si schiarì la voce e gli porse una domanda. “Il viziatello come sta? Si è ripreso dalla batosta di ieri?” Una domanda doverosa, dopo aver saputo della brutta esperienza di Unmei alla sede della Valhalla.
Chifuyu accennò un sorriso. “Fisicamente sì! Credo gli abbia fatto più male essere stato di nuovo rifiutato da Kazutora!” Scosse il capo e riprese a parlare con un pizzico di malinconia nella voce. “Ora scherzo, ma ieri quando l’ho visto là a terra con aria sofferente mi sono preoccupato davvero…”
“Già… Quel ragazzino è abile a creare problemi a tutti…” Non nascose di avere l’amaro in bocca. La presenza di Unmei lì nel passato stava cambiando fin troppe cose e lui temeva seriamente per le ripercussioni che ci sarebbero state nel futuro. Ne aveva passate troppe per fidarsi e di certo non gli andava di tornare a casa e scoprire che per qualche motivo sua moglie Hinata lo aveva lasciato per andare con un altro. Sul momento non gli veniva in mente un motivo per cui sarebbe dovuto succedere questo, ma giocando col passato non si poteva mai sapere! Nell’accorgersi che Chifuyu si era fermato improvvisamente, si fermò a sua volta. Lo vide premersi una mano contro le labbra, il suo sguardo diventare annacquato.
“Ti senti male?”
Chifuyu scosse piano il capo, ma rimase fermo così per un buon minuto. Una volta lasciata ricadere la mano, si guardò attorno e, non appena vide un distributore di bevande, lo raggiunse, seguito da Takemichi. Acquistò una bottiglietta di acqua naturale. Takemichi non si sorprese nel vedergli estrarre dalla tasca della giacca il piccolo flacone di pasticche e prenderne una assieme ad un lungo sorso di acqua.
“La nausea…continua a darti problemi?” Chiese banalmente, non sapendo che altro dire.
Chifuyu bevve un altro sorso di acqua e poi mise la bottiglietta nell’altra tasca della giacca. “Mi sembra che stia peggiorando…”
Takemichi rimase a corto di parole, conoscendo perfettamente la situazione. Stava giusto pensando questo quando si sentì afferrare un braccio. Ora Chifuyu lo stava guardando con totale serietà.
“Non ci girerò intorno e non ti chiederò spiegazioni, però tu rispondimi sinceramente.”
“Che… Che c’è?”
“Tu sai chi sono io, vero?”
Non c’era ombra di dubbio su cosa intendesse e nemmeno un’ombra di inganno nei suoi occhi, per questo Takemichi evitò di negare  e rispose con un mugolio affermativo.
“Allora… Posso chiederti di andare a prendere una cosa per me? Io non ne ho il coraggio…”
“Di cosa si tratta?”
Chifuyu gli si avvicinò ancor più, il viso che quasi sfiorava il suo, lo sguardo tremante, e gli parlò con un filo di voce. “Un test di gravidanza.”
*
 
Quando sentì delle voci all’ingresso, Unmei decise di abbandonare il futon su cui aveva vegetato tutta la giornata. E pensare che sua madre e sua nonna erano state così premurose con lui, dopo quello che gli era capitato… Ma nessuna gentilezza e nessuna coccola potevano ridargli il buonumore. Cosa diavolo doveva fare per conquistare Kazutora? Era stato un idiota a sperare di fargli battere il cuore con quella sceneggiata che aveva messo su alla sede della Valhalla.
Baka, baka, baka!” Si rimproverò da solo, prima di rimettersi in piedi. Giusto per decenza si passò una mano fra i capelli spettinati per ridar loro un po’ di tono, per quanto servisse visto che era ancora in pigiama! Aprì la porta della stanza e si affacciò al corridoio, dove vide Takemichi e Chifuyu. Fece per salutarli, ma notando le loro espressioni gravi, non disse nulla.
Takemichi diede una leggera pacca d’incoraggiamento a Chifuyu. “Leggi le istruzioni e prenditi il tempo che ti serve.”
Chifuyu, con stretta nella mano una busta di carta con il logo di una farmacia, fece solo un cenno col capo e attraversò il corridoio senza degnare Unmei di uno sguardo, quindi andò a chiudersi in bagno.
Takemichi entrò nella stanza a testa bassa e si sedette sulla sedia della scrivania.
“Che succede?” Chiese allora Unmei.
“Ha deciso di fare il test di gravidanza.”
Ci fu un lungo silenzio, poi Unmei lasciò un sospiro. “E’ arrivato il momento eh?” Non ottenendo risposta, recuperò un laccio per legarsi i capelli e si mise a ripiegare il futon per bene, per poi riporlo dentro l’armadio a muro. Più che senso del dovere, quel gesto era dettato dal bisogno di fare qualcosa per ingannare l’attesa. Insomma, quale sarebbe stato il risultato del test era ovvio, lui ne era la prova vivente, però continuava a chiedersi come avrebbe reagito Chifuyu nel scoprirlo e questo gli provocava una certa agitazione. Il rumore di passi affrettati nel corridoio gli fece venire la tachicardia.
Chifuyu comparve sulla soglia, il volto pallido come un lenzuolo e il bastoncino del test chiuso nella mano dalla parte del risultato. Diede una rapida scorsa ai loro volti. “Non ce la faccio… Guardereste il risultato con me?”
Unmei, appoggiato all’armadio e con le braccia conserte dolcemente come per abbracciarsi da solo, abbozzò un impacciato: “Ecco, io…”
“Ti aiuto io, Chifuyu.” Si propose Takemichi, invitando l’amico ad avvicinarsi con un gesto. Quando lui gli fu di fronte, gli porse la mano tremante in cui stringeva il bastoncino. Takemichi sperava di potergli essere davvero d’aiuto standogli vicino in un momento così delicato e importante. Nell’altro passato, Chifuyu aveva fatto il test da solo, poco dopo la morte di Baji, e solo in un secondo momento si era confidato con lui. Ma adesso le cose erano molto diverse, no? Con questa eccessiva carica di ottimismo, gli fece scivolare il bastoncino dalle dita, scoprendo così le linee dell’esito positivo. Accennò un sorriso. “Chifuyu, aspetti un bambino!”
Giusto il tempo di finire la frase, che Chifuyu barcollò sulle proprie gambe e si ritrovò a terra come privo di forze. Il suo corpo era tutto un tremore.
Subito Takemichi si chinò su di lui e gli avvolse le spalle in un abbraccio. “Immagino quanto tu sia sorpreso, ma vedrai che-”
“Sorpreso?” Se possibile, era diventato ancora più pallido e il respiro si era fatto un po’ affannoso. “Tu non capisci… Per colpa di questo bambino la mia vita è rovinata.”
Unmei fu percorso da un violento brivido che gli tolse perfino il respiro.
Takemichi cercò di salvare la situazione. “Adesso sei sconvolto, ma quando ti sarai calmato sono sicuro che ne sarai felice! Tu e Baji diventerete genitori!”
Ora Chifuyu aveva le lacrime agli occhi, la sua voce divenne quasi rabbiosa. “Sono tutte cazzate! Ti rendi conto che non ho ancora quattordici anni? Non posso avere un bambino! Devo studiare! Devo mettercela tutta per realizzare i miei sogni! E non posso caricare Baji-san di questo peso!”
Takemichi sollevò un momento lo sguardo, attirato dal movimento repentino di Unmei che correva via. “Unmei, aspetta!” Niente da fare, udì i suoi passi e poi il rumore della porta d’ingresso che sbatteva. E con Chifuyu che era sul punto di svenirgli tra le braccia, non poteva inseguirlo.
Unmei era dovuto fuggire per forza. Non avrebbe potuto ascoltare una parola di più. Aveva infilato le scarpe e la giacca al volo ed era corso via come il vento, lontano, voleva andare il più possibile lontano da lì, voleva scrollarsi di dosso quel dolore che gli stringeva il cuore in una morsa.
“Per colpa di questo bambino la mia vita è rovinata.”
Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo dentro di sé, sapeva di essere stato un disastro di figlio e di aver dato a sua madre innumerevoli problemi, ma sentirlo dire dalle sue labbra era stato devastante. Eppure, in un angolino in fondo al suo cuore ferito, c’era un’altra debole voce che tentava di emergere.
“Sei TU la cosa più importante della mia vita.”
Ancora gli sembrava di sentire il calore del suo abbraccio mentre glielo diceva, il sentimento che vibrava in quelle parole che gli aveva detto poco prima che lui finisse nel passato. Ma pur sempre parole dette in preda all’effetto dell’alcol…
“BUGIARDOOO!!!”
Dalla gola gli uscì un grido che si levò al cielo con potenza, come desideroso di raggiungere gli dei e chiedere il loro aiuto, mentre continuava a correre come una furia e senza meta, lasciandosi alle spalle il tramonto.
*
 
Kazutora allungò una mano verso il comodino lì accanto e afferrò il fedele lettore mp3 grigio metallico su cui aveva incollato il simpatico adesivo di una banana sbucciata e sorridente. Lo appoggiò sopra la coperta ed inforcò uno degli auricolari, quindi premette il tasto per avviare il cd che era all’interno. Andando a memoria, selezionò rapidamente la traccia che gli interessava e in breve partirono le note della sua canzone preferita. John Lennon iniziò a cantare con voce acuta e leggermente gracchiata, ma sempre piacevole.
When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we’ll see…
Kazutora adorava quella canzone ancora di più da quando aveva scoperto la versione di Lennon e non mancava mai di ascoltarla ogni singolo giorno, mattino, pomeriggio o sera che fosse. Si sistemò meglio sotto le lenzuola mettendosi su un fianco, il corpo dalla pelle umida pian piano si stava raffreddando e già percepiva i primi piccoli brividi salirgli dalla schiena, ma ugualmente continuò a tenere un braccio scoperto, la mano che sfiorava il tessuto morbido e vaporoso della coperta leopardata. Ormai c’erano ben poche cose in grado di donargli un’emozione, così poche che si potevano contare sulle dita. E ‘Stand by me’ era una di quelle. Un richiamo al passato, ad un’amicizia forte, ad un legame che credeva indissolubile e…ad una tragedia che lo aveva svuotato. Ma adesso a farlo soffrire di più non era il pensiero dei due anni in riformatorio, era il tradimento di Baji. Gli aveva promesso che si sarebbe unito alla Valhalla, che l’avrebbe aiutato a vendicarsi, che gli sarebbe stato accanto…e invece lo aveva abbandonato. Erano passati alcuni giorni e ancora gli bruciava. Perché Baji gli aveva fatto questo? Se le cose stavano così, significava che si sarebbero scontrati e avrebbero lottato perché erano diventati nemici? Venne distratto da una presenza umana, percepì il peso contro il materasso, un odore muschiato misto a profumo maschile di bassa qualità, e una fonte di calore avvicinarsi all’incavo tra la spalla ed il collo, dove aveva il tatuaggio della tigre. Era il calore di un bacio. Si sentì sfilare l’auricolare, la musica si allontanò, e al suo posto giunse un sussurro. “Arigatou, Tora-chan!”
Quel tono strafottente che odiava tanto quanto quello stupido nomignolo che gli aveva affibbiato. Lo stava ringraziando di cosa? Dell’ennesima scopata? Non sapeva nemmeno come era iniziata, era capitato che un tardo pomeriggio fossero rimasti da soli alla sede e da un momento all’altro si era ritrovato le sue mani grandi e fredde addosso, la sua lingua in bocca…e non aveva reagito. Da lì era diventata un’abitudine, del sesso senza importanza. Attese che si rialzasse dal letto, sentì il fruscio della giacca mentre la infilava. Quando volse il capo, non vide altro che l’alta e magra figura lasciare la stanza. Contò i passi che si allontanavano e solo quando sentì la porta d’ingresso richiudersi lasciò un sospiro di sollievo. Si mise supino, dagli auricolari abbandonati arrivavano pianissimo le note della canzone, Kazutora volse lo sguardo al soffitto. “Sono diventato la puttanella di Hanma.”
Il campanello di casa lo fece sobbalzare.
“Avrà dimenticato qualcosa?”
Nel mentre che si alzava dal letto e recuperava da terra i pantaloni e una maglietta, il campanello suonò mezza dozzina di volte con insistenza. Anche controllando in giro per la stanza, però, non aveva visto nulla che appartenesse ad Hanma, tralasciando il preservativo usato che era dentro il cestino all’angolo.
“Sì, arrivooo!” Fece una corsetta per attraversare il salotto e si precipitò ad aprire la porta.
“Non c’è bisogno di suonare cos-” La frase gli si spezzò tra i denti nel vedere che la persona che aveva di fronte non era affatto Hanma. Dal fiatone era chiaro che avesse corso parecchio, e a conferma erano i capelli totalmente madidi come se avessero preso la pioggia, il volto dalle gote rosse come pomodori e il modo in cui si sorreggeva sfinito allo stipite della porta.
“Unmei…”
“Sì…pant pant pant…” Si portò una mano al petto e prese un bel respiro, le ginocchia erano sul punto di cedergli.
“Cosa ci fai qui?” Parlò con tono secco e indifferente, la maniglia della porta stretta in mano.
Temendo che gliela avrebbe sbattuta in faccia, Unmei si affrettò a parlare, la voce incrinata. “Scusami, so che non sopporti la mia vista, ma ti prego di non mandarmi via.” Prese un altro lungo respiro e cercò di rimettersi in posizione dritta. Ora che Kazutora lo guardava meglio, aveva gli occhi arrossati per aver pianto.
“Scusami ma…non sapevo dove andare…” E dalle nuove lacrime che fecero capolino, doveva avere ancora voglia di piangere.
Senza dire nulla, Kazutora lo fece entrare, gli tolse a forza la giacca che altrimenti rischiava di fondersi con la sua pelle, e lo condusse alla cucina per farlo accomodare e dargli da bere. Lo osservò di spalle mentre lui beveva l’acqua quasi tutta d’un fiato e continuava a riempirsi il bicchiere. Quanta strada aveva fatto? Pensò bene di andare a prendere un asciugamano e avvolgerglielo attorno al collo per asciugare un po’ il sudore. Unmei ancora non parlava.
Alla fine Kazutora si sedette di fronte a lui. Piantò un gomito sul ripiano, lasciando la mano penzoloni dal bordo, quindi inclinò la testa e gli lanciò quello sguardo inquietante da bambola d’epoca. “Ti decidi a dire perché sei venuto qui a disturbarmi?”
Unmei, apparentemente interessato al bicchiere che si faceva roteare nella mano, rispose a mezza voce. “Scusa…”
“L’hai già detto! Hai problemi di memoria?” Una piccola provocazione che non ottenne risposta. Allora provò a rincarare la dose. “Se non parli, almeno usa la bocca per succhiarmelo.”
Se Unmei avesse avuto le antenne gli si sarebbero drizzate all’istante! I suoi occhi si illuminarono di speranza, mentre la voce stentava ad uscire per l’emozione. “V-v-vuoi…”
“Sto scherzando, idiota! Non provarci neanche a toccarmi.” Lo rimproverò lui, giusto per mettere in chiaro le cose. Anche se, ripensandoci, quando stava per baciarlo alla sede della Valhalla, non si era tirato indietro. Dettagli… “Sul serio, che ti è successo? Perché sei ridotto così?”
Lo sguardo di Unmei tornò cupo, il morale finì totalmente sotto alle scarpe. “Io…ho deciso di svanire…”
“CHE???”
“Io non…non ho più un motivo per vivere… Anzi, se non fossi mai nato sarebbero tutti più felici. Quindi…” Con una mano si scostò una ciocca di capelli che gli era caduta sul viso. “Farò in modo di svanire, così non creerò problemi a nessuno.”
“Sei un codardo.”
“Già…”
Kazutora si alzò di scatto dalla sedia e batté i pugni sul tavolo con forza, costringendolo così a guardarlo. “Cosa cazzo stai dicendo? Non so cosa ti sia successo, ma se ti arrendi così giuro che ti ammazzo. Dov’è finito il ragazzo che ha fregato il telefono a Baji per estorcermi un appuntamento? Quello che mi ha corteggiato liberamente alla Tokyo Tower? Quello che si è presentato alla Valhalla con una gran faccia tosta e mi ha fatto un’imbarazzante dichiarazione davanti a tutti?” Si sporse verso di lui e lo guardò dritto negli occhi. “Quel ragazzo non si sarebbe arreso per nulla al mondo.”
Erano così vicini che ad Unmei sarebbe bastato un nonnulla per baciarlo. E invece…la suoneria del telefono di Kazutora da un’altra stanza infranse il momento magico.
“Vado a rispondere.” E lo lasciò lì.
Il numero sullo schermo gli era sconosciuto, comunque rispose ugualmente.
“Pronto?”
Kazutora-kun?”
“Sì. Tu chi sei?”
Sono… Matsuno Chifuyu… Ho chiesto a Baji-san il tuo numero.”
*
 
Dei passi affrettati sul pianerottolo preannunciarono l’arrivo dei due. Il tempo di inserire la chiave nella serratura e Baji e Chifuyu si precipitarono all’interno, ancora con la neve sui capelli e sui cappotti, infreddoliti e tremanti come dei gattini abbandonati! In velocità si tolsero le scarpe bagnate e i cappotti e corsero insieme a regolare il riscaldamento.
“Mia madre mi aveva avvertito che sarebbe arrivata la neve. Come cazzo ho fatto a dimenticarmi l’ombrello?” Ringhiò Baji, coi denti che tentennavano tra loro per il freddo.
“Io non lo sapevo, invece, altrimenti lo avrei portato.” Gli fece eco Chifuyu. Attese che lui terminasse di regolare la temperatura e poi propose: “Andiamo a scaldare l’acqua per la Peyong?”
Senza fare complimenti corse dritto in cucina e, essendo ormai abituato a frequentare quel luogo, aprì l’anta della credenza dove sapeva esserci il bollitore. Lo mise sotto al rubinetto e fece scorrere l’acqua calda, giusto per velocizzare un po’ i tempi, quindi lo mise sul fuoco e si concesse un lungo sospiro di sollievo. “Ahhh bene! Ora dobbiamo solo aspettare che bolla e poi potremo scaldarci con un buon pasto!”
Fece per andare a sedersi su una delle sedie, ma Baji lo afferrò per la mano e lo trascinò fino al divano che era dalla parte opposta della stanza. Ce lo fece scivolare sopra e si adagiò su di lui, intrappolandolo, un sorriso malizioso dipinto sulle labbra. “Fin che aspettiamo, conosco un altro modo per scaldarci!”
Le sue labbra fredde parvero scaldarsi subito entrando a contatto con la pelle del suo collo, la sua lingua lo solleticò un po’.  “Oggi voglio provare una cosa nuova…” Sussurrò, mentre spostava le attenzioni della bocca sull’incavo della spalla, un punto che sapeva essere più sensibile.
Praticamente un nonnulla, che però bastò a far andare il cuore di Chifuyu a mille, come sempre. Era così piacevole… Peccato che subito dopo la mano di Baji andò a slacciargli la cintura e ad insinuarsi gelida dentro i pantaloni. No. Non fu quella la ragione che lo spinse a ribellarsi.
“Baji-san…aspetta…”
“La mia mano si scalderà subito, non fare il fifone!”
No. Non era assolutamente quello il motivo per cui non voleva.
“Ti-ti ho detto di fermarti…” Cercò di divincolarsi, ma in quella posizione era impossibile. E poi la mano di Baji s’inoltrò nella biancheria intima.
“Ti ho detto di smetterla!” Gridò, cacciando quella mano invadente.
Baji si fermò immediatamente, vide il suo viso dalle gote arrossate e i denti digrignati. Si spostò da lui, sul cuscino accanto. “Credevo che fossi d’accordo.” Sentenziò, con tono amaro.
“Io…lo sono…”
“Tsk! Non mi sembra… E’ la prima volta che mi rifiuti.”
Chifuyu si volse, dandogli di spalle, come a voler mettere una barriera tra loro. “E’ questo il problema, Baji-san… E’ da settimane che facciamo queste cose…”
“Avevi detto che non ti dava fastidio.”
“Tu stai solo giocando con me!” Di nuovo alzò la voce, ma subito si zittì e riprese fiato per parlare in tono più calmo. “Io ti rispetto più di chiunque altro al mondo… Ti ammiro… E ti sono grato per quello che hai fatto per me… Ma…” Deglutì, doveva dirglielo una volta per tutte, anche se era difficile. “Credevo che questo mi bastasse. Dico davvero. Ho accettato di soddisfare la tua curiosità sul mio corpo, ero pronto a darti tutto, anche la mia verginità…”
A quell’ultima parola, Baji si sentì il respiro bloccare in gola. Volse lo sguardo verso di lui, anche se non poteva vederlo in viso. “Chifuyu?”
Lui scosse il capo. “Scusami… Sono un ingrato. Ma non riesco ad andare avanti così, perché…io provo qualcosa per te, Baji-san.” Ecco, l’aveva detto.
Colpito da quella dichiarazione, Baji ci impiegò un po’ a trovare le parole. Si passò la mano fra i lunghi capelli neri. “Ecco…come dire…non è che farei queste cose con chiunque… Lo faccio perché sei tu, Chifuyu.”
Lui volse leggermente il capo e lo guardò con la coda dell’occhio. “Che vuoi dire?”
“Insomma, ci conosciamo da quasi un anno, abbiamo molti interessi in comune, non stiamo mai più di un giorno senza vederci.” Si schiarì la voce. “Mi capisci, no?”
Chifuyu si spostò sul divano e si fece più vicino a lui. “Veramente no.”
Baji divenne color porpora! Distolse lo sguardo e abbassò la testa, lasciando che i capelli gli coprissero parte del viso. “E’ iniziata come curiosità, è vero, però poi…insomma, è diventato di più. Mi segui?”
Gli occhi di Chifuyu ormai erano umidi e illuminati da una luce di speranza. “Quindi tu…?”
Baji si batté un pugno sulla gamba. “Che cazzo, vuoi proprio che te lo dica? Mi piaci, idiota!”
“Ti piaccio…in quel senso?”
Lo stava facendo apposta o era davvero così scemo? Be’, dalla  faccia che aveva, era più probabile che fosse la seconda!
“Uff, cosa mi tocca fare… Mi sembra di essere un personaggio di quei stupidi tv drama che guarda mia madre.” Disse tra i denti, cominciando ad accarezzare l’idea di dargli una testata e fargli dimenticare tutto. Invece no, vista la serietà della situazione, tentò con ogni sforzo di fare le cose per bene. Posò una mano sulla sua, facendolo arrossire ancora di più. Anche se dal calore che sentiva in viso doveva essere bello paonazzo anche lui!
“Mi piaci in tutti i sensi. Sei un buon amico e un buon Vice. Se ti va…possiamo diventare una coppia anche in senso romantico. E se adesso mi dici di no ti ammazzo, cazzo!” Una minaccia per completare l’opera ci stava a pennello.
Chifuyu abbassò di scatto la testa. “Adesso muoio… Cazzo, muoio davvero.”
“La tua risposta?” Incalzò Baji.
“Sì!” Quasi si strozzò nel dirlo, ma tutto bene… Fu Baji a risollevargli il viso, prendendolo a coppa nelle proprie mani. “Quindi adesso sei il mio ragazzo eh?” Aggrotto le sopracciglia, preso da un dubbio. “O la mia ragazza?”
Chifuyu ridacchiò, una lacrima gli attraversò la guancia e finì sulla mano di lui. “Entrambi, credo! Hai vinto un doppio premio, Baji-san!”
Baji sorrise, mettendo in mostra i suoi canini appuntiti. “Buon per me!” Tornò subito serio, avvicinò il viso a quello di lui, le palpebre si socchiusero. “Posso?”
Chifuyu rispose con un filo di voce. “Siamo una coppia, puoi fare quello che vuoi…”
Lentamente, le loro labbra si unirono per la prima volta. Un bacio gentile, quasi timido, il primo per entrambi. Il bollitore cominciò a fischiare piano piano, come temendo di disturbarli, mentre fuori la neve continuava a cadere a fiocchi.
*
 
Immergersi nell’acqua calda aveva un potere terapeutico immediato su di lui. Era bastato che il livello dell’acqua gli arrivasse a metà petto per sentirsi rinato e in pace col mondo. La testa appoggiata leggermente all’indietro e i capelli ben lavati e lasciati a gocciolare oltre il bordo della vasca, il vapore che s’innalzava dall’acqua.
“Che pace…”
Poterlo dire era quasi un miracolo, con tutto quello che era accaduto quel pomeriggio, eppure adesso che le cose si erano risolte il suo cuore era diventato più leggero e anche la sua mente era in grado di rivedere tutto sotto un’altra prospettiva. Appena un’ora prima si trovava a casa di Kazutora ed era disperato… Era stata una fortuna ricordare dove abitasse prima di scontare i successivi dieci anni di prigione! E anche se i loro incontri lì nel passato erano stati disastrosi, lui era stato così gentile da accoglierlo e assisterlo.
“Come ho potuto anche solo pensare di smettere di esistere, dannazione!” Bisbigliò nella quiete del bagno.
Quando Kazutora era tornato in cucina sollevando il telefono nella mano e dicendo che Chifuyu voleva parlare con lui, si era letteralmente chiuso a riccio, impaurito e capriccioso come un bambino. Poi lui aveva messo il vivavoce e posato il telefono sul tavolo e se n’era andato. E lui si era ritrovato lì solo con quel telefono, terrorizzato all’idea di sentire ancora la voce di Chifuyu. E invece si era messo ad ascoltare, fermo e in silenzio…
Ti capisco se non vuoi parlarmi… Tutto ciò che ti chiedo è di ascoltare… Mi dispiace per oggi… Non avrei mai voluto che sentissi quelle cose… Io…mi sono lasciato prendere dal panico e…mi è uscito un vomito di parole orribili. Non ero in me… Takemichi ha dovuto darmi uno schiaffo per farmi smettere. E allora mi sono calmato… E ho capito. Io…Unmei…ora che ho preso consapevolezza della vita che sta crescendo dentro di me…sono pronto a fare qualunque cosa. Io amo il mio bambino e…anche se ho ancora paura del futuro…farò del mio meglio per farlo nascere e crescerlo. Non potrei mai sbarazzarmene o…desiderare che non stia succedendo a me. Lui c’è, ora è parte di me e della mia vita… Non prendermi per ipocrita se te lo dico ma…ora che sono entrato nel ruolo di madre…penso che dovresti correre a casa dalla tua e dirle quanto le vuoi bene. Perché lei di sicuro te ne vuole infinitamente. Però…ecco…se invece credi di avere bisogno di un altro po’ di tempo…potresti tornare qui e stare con me ancora qualche giorno…magari… Mi sento a mio agio con te e…parlare con te della mia condizione mi aiuterebbe molto…
Alla fine di quel monologo, Unmei aveva il viso rigato di lacrime e, ovviamente, era corso da lui! Anzi, per la precisione, prima aveva salutato Kazutora e si era fatto dare qualche spicciolo per la metro! Comunque, era tornato in quell’appartamento con tutta l’intenzione di stringere Chifuyu in un abbraccio colmo d’affetto ma…il progetto era andato in fumo quando Chifuyu, sentendo quanto puzzava di sudore, lo aveva spedito dritto a farsi un bagno! E va bene. In ogni caso non era tardi per portare a termine il progetto!
Ora che era pulito e rilassato, Unmei uscì dalla vasca e indossò le cose che gli aveva preparato. Mutande e calzini erano di quelli che si era comprato lui stesso pochi giorni prima, mentre la maglietta bianca e ampia e i pantaloni marroni lunghi erano stati recuperati da uno scatolone di vestiti del padre di Chifuyu. La maglia in effetti era abbondante, soprattutto di spalle, mentre i pantaloni bastava stringerli con il cordoncino e il gioco era fatto. Con l’asciugamano si sfregò vigorosamente i capelli, li spazzolò per ridargli la giusta piega e finalmente fu pronto.
Quando entrò con passo leggero nella stanza, sorprese Chifuyu a sorridere con la mano poggiata al ventre. Decisamente lo preferiva così.
“Oh! Scusa, non ti ho sentito arrivare!” Ora il sorriso era rivolto a lui.
Unmei lo raggiunse sul letto, si mise in ginocchio a terra e si allungò su di lui per avvolgergli il girovita con le braccia. Non vedeva l’ora di farlo…
“Non avrei dovuto scappare a quel modo… Scusa…”
Chifuyu ridacchiò. “Non sei tu a doverti scusare!”
Unmei appoggiò meglio la testa contro la sua coscia e sollevò lo sguardo su di lui. “Quindi adesso cosa farai? Lo dirai prima a Baji? O a baa-chan?”
Chifuyu si coprì il viso con la mano per non scoppiare a ridere. “Non mi sono ancora abituato a sentirti chiamare mia madre ‘nonnina’!”
Cavoli… Quella parola gli scappava sempre. Non lo faceva apposta, sua nonna era sua nonna, era difficile chiamarla con un altro nome, anche perché non era molto diversa da come la conosceva. E gli era andata bene che lei non se l’era presa a sentirsi chiamare a quel modo già dalla prima sera in cui lo avevano ospitato.
Chifuyu prese respiro per placare le risa e si schiarì la voce. “Per rispondere alla tua domanda… Ho deciso di dirlo a Baji-san. Credo abbia il diritto di saperlo per primo. Però…” Si morse un labbro. “Dovrò trovare il momento giusto. Non posso presentarmi alla sua porta di punto in bianco e dirgli che sono incinto.”
“In effetti… Non lo conosco bene, ma credo che una notizia così gli farebbe prendere un colpo!”
“E poi adesso è molto preso dall’imminente scontro con la Valhalla. Incontra Mikey e gli altri Capitani tutti i giorni per parlare di questo. Prima mi ha detto che il 30 ci sarà un raduno con l’intera gang per il grande discorso del Comandante.”
Sia dall’espressione che dal tono di voce era chiaramente preoccupato.
“Da parte mia, quella sera dirò che mi ritiro. Non posso partecipare allo scontro e mettere in pericolo la vita del bambino.”
Ad Unmei stava tornando la voglia di piangere per quella premura materna. Era proprio vero che si era già calato nel ruolo. Avesse potuto dirgli lì sul momento quanto gli voleva bene…però era impossibile dirlo senza fargli fraintendere. E poi viveva nell’ansia costante che suo padre Baji entrasse all’improvviso e gli spaccasse la faccia!
Chifuyu notò la sua espressione. “Ehi, non dirmi che sei ancora abbattuto!”
“Non è come credi… Se devo dirti la verità…sono un grandissimo coglione.”
“Perché?”
“Prima ero a casa di Kazutora… Eravamo soli… Lui, mosso a pietà, è stato gentile con me…” Lo sciolse dall’abbraccio e lo guardò con aria tetra. “Ma io ero così depresso che non ho nemmeno pensato di saltargli addossooo!!!”
Niente da fare, Chifuyu questa volta non riuscì a trattenersi dal ridere di gusto!
“Seh… Beato te che lo trovi divertente…” Gli rispose stizzito.
Dei rumori fuori dalla finestra chiusero il siparietto e Chifuyu scattò in piedi per andare ad aprire. Si sentì lo scorrere del pannello e poi un miagolio.
“Alla buonora! Avevi intenzione di startene in giro ancora per tanto?”
Un rimprovero che Unmei aveva sentito tante di quelle volte da avere ancora l’eco nella testa! Solo che questa volta non era rivolto a lui.
Nya?”
“Sì, dico proprio a te! Te ne vai chissà dove e poi invece di tornare a casa vai a farti viziare da Baji-san! Il tuo padrone sono io! Ti ho preso da quello scatolone e ti ho portato qui per curarti e ripulirti! Non te lo ricordi?”
Nya!” Il gattino zampettò dentro e si strusciò contro il suo braccio.
“Sì sì, avrei un nome per quelli come te che se ne approfittano così!”
Chifuyu richiuse la finestra e poi prese la bestiola in braccio, quindi si voltò e andò verso Unmei.
“Vivi qui da giorni e ancora non sono riuscito a presentarti l’ultimo membro della mia famiglia! Comunque, questo qui è Excalibur!”
Lo sapeva bene, solo che era da tanto tempo che non lo vedeva perché il micio era volato nel paradiso dei gatti quando lui era solo un bambino. Adesso che ce l’aveva davanti, si rendeva conto di quanto gli era mancato.
“Excalibur! Vieni qui, fatti accarezzare!”
Chifuyu si chinò e gli consegnò la bestiola fra le braccia.
“Quanto sei morbido! Il mio pelosone!”
Non che il gatto fosse molto contento di farsi strapazzare così, ma quando lui se lo portò all’altezza del viso… “Preferisci essere chiamato Peke J, vero?” Allora divenne più collaborativo.
Chifuyu rimase ad osservarli, sapeva che al micio non piaceva il nome che lui gli aveva dato e che rispondeva ben volentieri a quello scelto da Baji quando ancora non si conoscevano e non sapevano di abitare nella stessa palazzina. Aveva visto quella scena molte volte, il piccolo bastardo era incredibilmente giocherellone e affettuoso con Baji e adesso con Unmei stava facendo altrettanto. Che tipo! Scosse il capo, ridacchiando. “Vado a vedere se la lavatrice ha finito, così metto ad asciugare le tue cose.”
“Va bene, grazie!” Gli rispose di fretta, troppo impegnato a divertirsi col suo complice!
Effettivamente il lavaggio era terminato, quindi Chifuyu si accumulò il contenuto fra le braccia e andò fino alla parete dove erano i fili per il bucato. Nei giorni di sole lui e la madre erano soliti stendere tutto nel terrazzo, però come scappatoia c’erano i fili della piccola lavanderia e una comoda stufetta. Uno alla volta, senza far cadere niente, stese in ordine la maglia, i calzini e i pantaloni e quando fu il turno della giacca pensò bene di darle una bella scrollata per togliere le pieghe e farla asciugare al meglio. Fu allora che notò qualcosa all’interno.
“Uh? Cos’è?”
Non si era accorto che la giacca fosse double face. L’aprì verso la luce per avere una buona visuale e con lo sguardo scorse i contorni neri di quel logo che era raffigurato.
“Excalibur Gang?” Non l’aveva mai sentita e Unmei non gli aveva minimamente accennato di far parte di una gang. Un misto di risate e miagolii gli giunse all’orecchio, distogliendo la sua attenzione. “Excalibur… Che curiosa coincidenza…”
*
 
Il 30 ottobre arrivò in un battito di ciglia, senza incidenti. Unmei se n’era rimasto buono nella casa materna a fare principalmente le pulizie per ricambiare dell’ospitalità, Chifuyu aveva trascorso quasi tutto il tempo a riposare approfittando del fine settimana, Takemichi non si era fatto vedere per amoreggiare con la sua Hinata. E Kazutora…aveva stroncato l’ennesimo tentativo di Unmei di rimorchiarlo quando lui gli aveva telefonato con la scusa di ringraziarlo per l’accoglienza in un momento critico!
Quella domenica sera, tutti i 150 membri della Tokyo Manji Gang si riunirono ai piedi del Santuario di Musashi, la loro sede ufficiale fin dai tempi della fondazione della gang. L’atmosfera era pesante, c’era grande tensione fra i ragazzi e ovviamente l’argomento principale era lo scontro che sarebbe avvenuto il giorno successivo contro una gang che contava il doppio dei membri e che avevano tutti almeno un anno in più. Tutti si chiedevano, giustamente, come avrebbero fatto a vincere. Senza contare che l’indomani ci sarebbero state altre gang importanti, curiose di assistere all’ascesa o alla caduta della Toman e della Valhalla. Ad Unmei di tutto ciò non fregava assolutamente nulla.
Il giorno prima, Mikey lo aveva contattato (tramite il telefono di Chifuyu) per invitarlo come ospite speciale al raduno, sostenendo di avere importanti novità che lo riguardavano. Per questo si era tirato a lucido dalla testa ai piedi e aveva fatto un trionfante ingresso a bordo della moto che Chifuyu gli aveva prestato. Per la cronaca, lui invece era salito con Baji.
Ignorando gli sguardi curiosi e sfuggendo alcuni tentativi d’approccio, Baji, Chifuyu e Unmei rimasero tra loro, ognuno con dei pensieri ad occupare la mente.
Baji sfiorò il braccio di Chifuyu, parlò a voce bassa. “Hai preso la pasticca?”
“Mh. Ne ho prese due. Non voglio correre il rischio di sentirmi male durante il discorso di Mikey.”
“Anche se fosse, non preoccuparti. Per questo ho preferito dirgli in anticipo della tua decisione.”
Chifuyu abbassò lo sguardo. Non poter dire la verità era dura, come anche lasciare Baji da solo durante un’importante scontro, però…non aveva scelta.
Unmei spaziò lo sguardo attorno fino a quando non notò Takemichi. Non si era più fatto vedere e sentire, non avevano più parlato del piano d’azione e di niente. Lo stava evitando di proposito? Non era sua intenzione fissarlo, però l’aveva fatto e alla fine Takemichi si era accorto del suo sguardo. Non sembrava contento di vederlo. Che diamine aveva quel vecchio… Per pensare al cosa e al come, non si accorse che qualcuno si stava avvicinando.
“Spero che non serva un Pass speciale per conoscere l’ospite della serata!”
Capelli cortissimi color lilla, sopracciglia tagliate al centro, occhi dal taglio particolare che un po’ ricordavano quelli di un gatto e un sorriso buono e sincero disegnato sulle labbra.
Unmei stette allo scherzo. “Dovresti chiederlo alle mie guardie del corpo!”
“Ah ah! Allora sei simpatico oltre che misterioso!” Quindi fece un piccolo inchino col capo. “Mitsuya Takashi, Capitano della 2a divisione! Piacere!”
“Io sono Unmei! Piacere mio!”
“Unmei? E di cognome?”
Momento di panico… Fino a quel momento non ci aveva fatto caso, ma in effetti da quando era arrivato nel passato nessuno gli aveva chiesto il cognome. Gli era andata fin troppo bene! E adesso?
“Ehm…preferisco essere chiamato per nome.” Rispose impacciato.
“Il mistero s’infittisce!” Scherzò ancora Mitsuya. “Se non vuoi far sapere di essere parente di Baji, manterrò il segreto!”
“Di chi sarebbe parente questo qui???” Sbottò Baji.
“Non negarlo, siete due gocce d’acqua!”
“Stronzate!” Rimarcò, serrando i pugni come se fosse sul punto d’incazzarsi sul serio! Niente di strano se Unmei provò il desiderio di diventare invisibile… A quanto pare suo padre era l’unico a negare l’evidenza che tutti vedevano chiaramente.  Forse partecipare al raduno non era stata una buona idea, in fondo.
“Per fortuna non ha il tuo sguardo truce! Avrà preso da un altro ramo della famiglia!”
“Che cazzo, Mitsuya! Chiudi quella bocca prima che ti tiro un pugno!”
“Per favore…” Tentò d’intromettersi Unmei a mezza voce, anche se una parte di lui avrebbe voluto fermarsi a chiacchierare con quello che da bambino chiamava ‘zio Taka’. Era passato tanto tempo, ma rivedendolo gli tornavano in mente dei ricordi, per esempio di quando sua madre lo portava da lui perché doveva studiare per un esame e…giusto, giocava con delle bambine carine, le sue sorelline! Poi non aveva più visto nessuno di loro e non ne sapeva nemmeno il perché, tranne che Mitsuya aveva avuto dei problemi personali… Un momento, non c’era un po’ troppo silenzio all’improvviso?
Sbirciando, notò che ora gli sguardi di tutti erano rivolti verso un unico punto. Presto detto, il Comandante Mikey era arrivato, affiancato dal suo Vice non che migliore amico Draken.
“Diamo inizio alla riunione per prepararci alla battaglia contro la Valhalla!”
Gridò Draken, con la sua voce potente. Dopo di che, Mikey iniziò il discorso.
Nessun fiato, nessun battito di ciglia, ogni singola persona presente ascoltava e ammirava quel ragazzo che parlava dalla cima della scalinata con totale sicurezza. Non erano tanto le sue parole, sentirlo dire che la Valhalla aveva dichiarato guerra con una scusa stupida era risaputo, al di là di questo era la sua stessa presenza ad attirare lo sguardo come una calamita.  Sano Manjiro era l’incarnazione di una divinità guerriera, un leader naturale che ispirava fiducia. Era bellissimo. Quasi incredibile pensare che fosse lo stesso nanerottolo capriccioso che alcuni giorni prima lo aveva maltrattato e masturbato col piede fino a fargli perdere i sensi!!!
“Questa sera, sono qui anche per parlarvi di alcune mie importanti decisioni riguardanti la formazione della 1a divisione.”
Era il momento. Che avesse ascoltato le sue richieste?
“Matsuno Chifuyu non potrà partecipare allo scontro a causa di problemi di salute.”
Posò lo sguardo su di lui e Chifuyu fece un cenno col capo in segno di conferma.
“In via temporanea, a sostituirlo sarà Hanagaki Takemichi.”
“EH?” Strillò il diretto interessato, preso alla sprovvista. Dopo quanto gli aveva detto, ossia che non era utile alla gang, adesso lo premiava? Non che potesse lamentarsi, invece di essere un comune membro della 2a divisione aveva la possibilità di ricoprire un ruolo ben più importante, anche se solo temporaneamente. In ogni caso, sapere che Chifuyu era al sicuro rincuorò sia lui che Unmei. Ora il problema era Baji. Partecipare significava per lui essere in pericolo di vita e questo lo sapevano solo loro due. Si scambiarono un’occhiata, come percependo i pensieri l’uno dell’altro. Mikey riprese a parlare.
“Ed ora l’annuncio più importante. Come avrete notato, questa sera tra noi c’è un ospite speciale. Un ragazzo che ha attirato subito la mia attenzione comparendo dal nulla. Un ragazzo che ad un precedente raduno ha aiutato alcuni dei nostri, evitando ad uno di prendersi un pugno in faccia e sostenendo un altro in un momento di debolezza. Un ragazzo che ha saputo consigliare chi stava per abbandonare la nostra famiglia, seppur per un nobile scopo. Un ragazzo che è entrato nella tana del nemico su mio ordine, senza battere ciglio. Un ragazzo che ci sostiene anche se prova dei sentimenti per qualcuno che ci è diventato nemico.” Stese un braccio in avanti e lo indicò con la mano. “E questa sera, per ringraziarlo di tutto, ho deciso di premiare il nostro nuovo amico Unmei.”
Nel gruppo ci furono dei bisbigli.
“Domani, sarà lui il Capitano della 1a divisione al posto di Baji Keisuke.”
Unmei smise di respirare.
*
 
“CHE CAZZO STAI DICENDO, MIKEY?” Gridò Baji, così forte che la sua voce riecheggiò nell’area.
Senza scomporsi minimamente, Mikey disse solo: “Prendila come una punizione per ciò che hai fatto quella sera. Hai disobbedito a un mio ordine e poi mi hai sfidato apertamente.”
“Ti ho spiegato qual era la mia motivazione! Non puoi buttarmi fuori proprio adesso! Hai bisogno di me per sconfiggere quei bastardi!”
Mikey si sedette sul gradino, gli avambracci poggiati alle gambe e il busto rivolto leggermente in avanti. “Ho già deciso.”
Ormai i bisbigli erano diventati vere e proprie esclamazioni, un brusio che si faceva sempre più forte.
“Ma c-” Baji fremeva di rabbia, sembrava alla ricerca di un argomento valido per fargli cambiare idea. E poi puntò il dito contro Unmei. “Cosa ti fa pensare che questo qui sia meglio di me?”
“Niente. Però mi ha mostrato quanto vale e lo voglio sul campo di battaglia.”
“Ma perché proprio al mio posto?” Insistette Baji.
Mikey fece spallucce, mostrandosi un po’ troppo menefreghista. “Io volevo premiarlo e lui mi aveva chiesto di tenerti fuori dallo scontro. In questo modo siamo entrambi soddisfatti.”
Oh cazzo. Questo era decisamente inaspettato. Era vero che glielo aveva chiesto ma…non credeva che lo avrebbe spifferato così di brutto di fronte a tutti. Fu come una doccia fredda in pieno inverno. Fece appena in tempo a voltare il capo, vide il pugno di Baji pronto a colpirlo e lo schivò.
“FIGLIO DI PUTTANA! ERA QUESTO A CUI MIRAVI!” Di nuovo riprese a gridare a squarciagola, prima di caricare un altro pugno.
Unmei schivò anche quello. “TI SBAGLI! NON E’ COME CREDI!”
“E io che ti ho anche fatto entrare in casa mia, trattandoti con ogni riguardo!” Il terzo pugno gli fu bloccato da Mitsuya che, fortunatamente, era rimasto lì accanto. “Baji, vedi di calmarti. Lascialo spiegare.”
Unmei mise le mani in avanti in segno di tregua, per quanto potesse servire. “Ascolta… So che è difficile da credere, ma io l’ho fatto solo perché tengo alla tua sicurezza. Se partecipassi allo scontro potrebbe succederti qualc-”
“CHIUDI QUELLA BOCCA, BASTARDO! SONO TUTTE STRONZATE!”
E di nuovo Mitsuya dovette trattenergli il braccio, altrimenti si sarebbe fiondato su Unmei per massacrarlo. Chifuyu era immobile, come pietrificato, tranne il suo sguardo che continuava a passare da Unmei a Baji in una sorta di stato confusionale. E anche Takemichi, da dove si trovava, non sembrava avere intenzione di muoversi o dire una parola per aiutare.
Unmei prese un respiro profondo e tentò un approccio più tranquillo. “Se sono venuto qui è stato solo per aiutare te e Chifuyu. Ho fatto tutto ciò che potevo perché c’è davvero troppo in ballo. Ti prego di ascoltarmi.” Il tono supplichevole gli uscì naturale, data la situazione. Peccato che il suo sforzo fu reso vano, invece di comprensione tutto ciò che ottenne fu uno sputo in faccia.
“Baji-san…” Chifuyu fece per sfiorarlo, ma la mano gli si fermò a mezz’aria. Non voleva difendere apertamente Unmei e non voleva nemmeno mettersi contro Baji…alla fine la lasciò ricadere.
Usando la manica della giacca grigia, Unmei si ripulì della saliva che gli era schizzata sulla guancia destra e sul naso. Non ne poteva più, si sentiva come una pentola a pressione sul punto di esplodere. Strinse i pugni saldamente, il viso gli si arrossò. “Perché devi essere così egoista? Ho passato la mia intera esistenza a desiderare di conoscerti, cazzoooo!”
Baji vacillò un poco. “Tu…cosa?”
“Mi hanno raccontato tante cose su di te, sapevo che eri un coglione, ma non credevo fino a questo punto!” Il viso stava diventando color ciliegia, si concesse giusto un momento per riprendere fiato e poi ricominciò. “Devi deciderti a crescere, maledizione! Non puoi arrabbiarti così solo perché il tuo amichetto non vuole farti giocare! Devi smetterla con tutte queste cazzate! Ci sono cose più importanti!”
Baji ringhiò. “Come cazzo ti permetti di parlarmi così? Pezzo di finocchio, ti ammazzo!” Con un’abile mossa si liberò della stretta di Mitsuya e si mise in posizione di attacco, uno sguardo folle negli occhi infiammati dalla collera.
“STAI PER DIVENTARE PADRE!”
Il movimento di Baji si ammosciò all’istante, facendolo quasi sembrare una di quelle scimmiette pupazzo dagli arti lunghi e ballonzolanti. Almeno le gambe riuscirono a sostenerlo!
Inutile dire che tutti gli sguardi si puntarono proprio su Baji e le prime domande sussurrate infransero il momento di silenzio.
Unmei si abbassò sulle ginocchia, come se fosse sfinito, la voce gli uscì in un bisbiglio. “Non dovevo essere io a dirtelo…”
Il vortice di emozioni che investì Baji sarebbe impossibile da descrivere, ma dal punto di vista esterno era ben visibile il suo viso pallido tipo effetto lenzuolo nella candeggina, come anche gli occhi sbarrati. Per voltarsi dovette muoversi a rallentatore, ossia la velocità a cui funzionava il suo cervello in quel momento! Non disse nulla, bastò che il suo sguardo incontrasse quello di Chifuyu per far emergere un enorme interrogativo.
Un lieve rossore dipinse le guance di Chifuyu, lo sguardo divenne lucido e tremante, costringendolo a distoglierlo da quello di lui. Si portò le mani al ventre, avvolgendolo in un gesto di protezione.
“E’ iniziato tutto con quella strana nausea…e il mio ciclo era in ritardo… Ho fatto due più due e…ho preso un test di gravidanza. Stavo…stavo aspettando il momento giusto per dirtelo.” I suoi occhi ora erano pieni di lacrime, la voce gli uscì incrinata. “Ti prego, non odiarmi Baji-san!” Due lacrime uscirono repentine e gli solcarono il viso.
Baji allungò piano una mano, col pollice scostò una lacrima che stava per traboccare dalle ciglia, poi posò il palmo contro la guancia tonda. “Odiarti? Me la sto facendo sotto, questo sì! Ma non potrei mai odiarti! Ti amo troppo!” Nonostante fosse ancora pallido, riuscì a scherzare e ad abbozzare un sorriso.
A quelle parole, Chifuyu si lasciò andare liberamente al pianto, mentre dalle labbra umide gli usciva un impacciato: “Ti amo anch’io, Baji-san!” Ricercò rifugio sul suo petto e Baji lo strinse a sé, una mano sul suo capo. “Ce la faremo… Sono sicuro che le nostre vecchie ci aiuteranno…” E fece una doverosa aggiunta. “Se non ci restano secche appena glielo diciamo!”
Per lo meno riuscì a strappargli una risata tra le lacrime. Tutto attorno a loro lo scenario era esilarante, con oltre un centinaio di facce sbalordite e bocche aperte! Tranne Mikey, lui era rimasto impassibile come la statua di un Buddha.
Il primo a reagire fu Smiley, il quale si guardò attorno diverse volte, prima di provare a spiccicare parola. “Ecco…chi ha il coraggio di chiederglielo?”
Suo fratello Angry, sensibile e facilmente impressionabile, indicò col dito. “Chifuyu è una ragazza?”
Provò a rispondergli Unmei, visto che si era calmato osservando la scenetta romantica dei suoi genitori. “Sì! Cioè no… Lui è…” Veramente? Era dalla scuola materna che dava quella spiegazione praticamente a chiunque e adesso gli mancavano le parole? Doveva essere più emozionato di quanto pensasse.
“Chifuyu è un ragazzo e vuole essere trattato come tale.” La voce di Takemichi giunse forte e chiara, mentre lui si creava un varco tra la folla per avvicinarsi a loro. Scambiò uno sguardo d’intesa con Unmei e procedette a spiegare. “Lui è nato con parti intime sia maschili che femminili, per questo ha potuto concepire un bambino.”
“Allora Chifuyu è come un cavalluccio marino!” Tirò le somme Angry, con quella sua innocenza da bambino.
Dalla folla si levarono alcune risatine.
“Qualcosa mi dice che sarò molto richiesto come babysitter!” Saltò fuori Mitsuya, sfoggiando il suo sorriso gentile.
Finalmente i due piccioncini si sciolsero dall’abbraccio e Chifuyu, col viso arrossato e bagnato dalle lacrime, gli rispose. “Sei quello con più esperienza, il tuo aiuto ci sarà indispensabile!”
“Ora ti vanti tanto ma… Ehi, dì la verità, sei rimasto sorpreso che io e Chifuyu avessimo una relazione!”
“Nah! Quello lo sapevano tutti! Da quando l’hai conosciuto non vi siete staccati un attimo!” Liquidò la faccenda alla svelta, sostenuto dalle voci di conferma di molti altri ragazzi. Se quei due speravano di essere passati inosservati, si sbagliavano di grosso!
Una mezza risata attirò la loro attenzione. Draken esplose in un entusiasta: “Porca miseria, non posso credere che una testa di cazzo come Baji diventerà padre!”
Lui ammiccò. “Che dire? Invece delle auto, questa volta ho bruciato le tappe!”
E poi anche Mikey si decise a parlare. “Un figlio eh? Già mi sembra di vederlo… Sarà uguale a Baji sia di viso che di corporatura e lo stesso colore di capelli. E avrà gli occhi di Chifuyu.” Il suo sguardo si direzionò immediatamente su Unmei, facendogli raggelare il sangue nelle vene.
Lo aveva capito? Ma no, impossibile! Non poteva! Non sapeva nulla dei viaggi nel tempo, Takemichi glielo avrebbe rivelato solo tra diversi mesi. La sua era solo una paura infondata. Insomma, chi mai penserebbe che un figlio torni indietro nel tempo per aiutare i propri genitori? Cioè…non gli risultava che Mikey fosse appassionato di ‘Ritorno al futuro’, quindi…
Baji tornò serio e avvolse le spalle di Chifuyu con un braccio. “Visto come sono andate le cose… Accetto la mia espulsione dallo scontro di domani. E…” Diede una sbirciata al viso di Chifuyu e riprese. “Forse dovrei lasciare anche la Toman.”
“No.” Rispose secco Mikey. “Tu e Chifuyu siete parte della gang e lo resterete sempre. Nessuno prenderà il vostro posto.  Anche se non potrete partecipare agli scontri, sarete comunque a capo della vostra squadra e di volta in volta potrete scegliere i vostri sostituti. Siamo d’accordo?”
Chifuyu e Baji si scambiarono alcune occhiate e poi risposero all’unisono. “Sì, Comandante!”
“Con questo, si conclude la riunione.” Mikey si rialzò in piedi e finalmente si decise a riporre la maschera della serietà, per lasciare al suo posto quella dolce e sorridente che in pochi avevano l’onore di conoscere. “Messaggio per i Capitani e i Vice: ora andiamo a festeggiare!”
*
 
Com’era prevedibile, i festeggiamenti si rivelarono una scusa per accontentare Mikey, portarlo nel suo ristorante per famiglie preferito a mangiare il menu per bambini che tanto gli piaceva e…aggiungere un nuovo pezzo alla sua collezione di bandierine! E mentre lui mangiucchiava contento e indisturbato, tutti gli altri si persero in una raffica di domande imbarazzanti e battute sconce rivolte ovviamente a Chifuyu e Baji. Non che ci si potesse aspettare altro da un gruppo di sciroccati, comunque! Ma loro stettero al gioco, risposero al meglio alle domande e ricambiarono le battute e gli scherzi senza dare segno di esserne infastiditi, anche se di tanto in tanto cercavano di far abbassare i toni per non rischiare di essere cacciati tutti e magari anche denunciati per disturbo della quiete pubblica e discorsi osceni!
L’uscita più degna di nota, se non addirittura memorabile, fu quella di Hakkai.
“Se fossi nato anche io intersessuale, avrei potuto fare un bambino con Taka-chan!!!”
L’unico momento in cui tutti tennero la bocca chiusa e Mitsuya quasi collassò sul pavimento per la vergogna. Ma come ribattere a quel bimbo troppo cresciuto in altezza, con le guance rosee e gli occhi brillanti, che aveva parlato sinceramente dal profondo del suo cuoricino? Nessuno osò fiatare, fino a quando…
“Buuurp!” Un rutto al momento giusto salvò la situazione e un Mikey sorridente attirò l’attenzione su di sé. “Ops, scusate!”
Il suo intervento fece allentare la tensione e da lì le chiacchiere ripresero fino al momento di andare. Anche se era ancora presto, non bisogna dimenticare che il giorno dopo li attendeva uno scontro impegnativo. Baji e Chifuyu non poterono fare altro che augurar loro tanta fortuna.
Nella stanza confortevole e silenziosa, appena illuminata dalla luce artificiale all’esterno, i due stavano vivendo un intenso momento di passione. Al centro del letto, avvinghiati come due polpi in calore, la pelle perlata di sudore caldo, Chifuyu dominava su di lui, il movimento regolare e profondo, le mani sulle sue spalle per avere un appoggio, mentre Baji lo assecondava muovendo a sua volta il bacino in avanti e guidandolo tenendolo saldamente per i fianchi. I gemiti che si levavano dalla gola di Chifuyu avevano un che di musicale, mentre si espandevano sempre più all’interno della stanza, senza alcun freno. Unmei era stato abile a lasciar loro l’appartamento libero per permettergli di dar sfogo alla passione. Era riuscito a organizzare in una manciata di minuti una serata in allegria assieme alle due ‘nonne’, nell’appartamento di Baji, così mentre le signore bevevano e se la raccontavano e lui faceva in modo che i bicchieri fossero sempre pieni e un po’ ne approfittava per farsi coccolare facendo dei ben studiati complimenti, loro avevano tutto il tempo per amalgamarsi e sciogliersi nel loro amore.
“Baji-san… Baji-san…” La voce calda e supplichevole.
“Keisuke… Chiamami Keisuke. Gh…” Strinse i denti, era sul punto di venire.
“Keisuke… Keisuke! AH!” Chifuyu rivolse il capo all’indietro e si lasciò andare completamente al piacere, il membro del suo ragazzo interamente affondato dentro di lui. Giusto alcuni istanti, poi si lasciò scivolare su di lui, fronte contro fronte, gli sguardi socchiusi, i respiri affannati.
“E’ la prima volta che dico il tuo nome…”
Baji accennò un sorriso. “Dovrai abituarti! Quando ci sposeremo non potrai più chiamarmi per cognome, perché lo porterai anche tu!”
Chifuyu arrossì con tale intensità che si notò nonostante la scarsa illuminazione della stanza. “N-non farmi eccitare di nuovo!”
Baji gli rubò un lungo bacio e poi si distesero per riposare, Chifuyu col capo poggiato al suo petto e lui a cingergli le spalle col braccio. Che serenità… Per un po’, l’unico rumore che udirono fu solo quello di Excalibur/Peke J che ronfava su un cuscino in un angolo della stanza.
“Baj-ehm, Keisuke… Hai ancora paura?”
“Sì. Sto imparando adesso a scrivere in kanji e già mi ritrovo a dover pensare a come prendermi cura di un bambino! Io…non ho idea di come si faccia il padre…”
“Io posso prendere esempio da mia madre, ma questo non lo rende più facile… Sai, credo che ci sia un motivo per ciò che ci accade… Questa gravidanza deve significare qualcosa.”
Baji ridacchiò amaro. “Che non abbiamo usato i preservativi perché siamo due idioti!”
Suo malgrado, Chifuyu rise a sua volta, ma subito tornò serio e continuò ad inseguire un pensiero. “Il fatto che ci siamo incontrati a scuola, che viviamo nella stessa palazzina, che siamo diventati subito amici e poi ci siamo innamorati… E proprio alla vigilia di un pericoloso scontro io scopro di essere incinto e ci ritiriamo entrambi… E’ come se fosse opera del destino.” Destino? Quella parola gli fece affiorare alla mente il volto di Unmei. Oltre al suo nome, anche la sua presenza e le cose che aveva fatto da quando era comparso erano tutte collegate?
Baji si stiracchiò sotto di lui e si portò l’altra mano sotto alla testa. “Chiamalo come vuoi, io so solo che dovremo trovare un modo per dirlo alle vecchie e decidere cosa fare d’ora in poi.”
Chifuyu si accoccolò meglio contro di lui, strofinò affettuosamente il viso sul suo petto. “La cosa migliore sarebbe di studiare con impegno per poter aprire il negozio di animali che sogniamo! Qualunque cosa accadrà, so che non mi arrenderò fino a che sarai al mio fianco.”
In risposta, Baji lo strinse di più a sé e lasciò che la tranquillità e il silenzio calassero nuovamente su di loro per il poco che gli restava, prima di doversi rivestire e fingere di essere stati lì a studiare per tutto il tempo.
*
 
“Lo sapevo che ti sarebbe stato bene questo tokkofuku! Tu e Baji-san avete la stessa corporatura e all’incirca la stessa altezza!”
Era passata poco più di mezzora da quando Chifuyu gli aveva rivolto quelle parole e ancora gli sembrava di avere davanti agli occhi la sua espressione entusiasta, gli occhi luminosi che tendevano più al verde che all’azzurro e il suo tipico sorriso gentile e materno. Tutt’altra storia era Baji, che invece se n’era rimasto in disparte a braccia conserte e col broncio, dannatamente infastidito di dovergli prestare il proprio tokkofuku con i ricami da Capitano della 1a  divisione. Eppure, al momento della partenza, lo aveva richiamato e gli aveva detto di stare attento. Che avesse un caratteraccio era innegabile, ma nonostante le apparenze quel ragazzo aveva anche un gran cuore.
Unmei si accorse di aver posato la mano proprio all’altezza del cuore, mentre ripensava a quel momento. La lasciò ricadere.
“Sei teso?” Gli chiese Takemichi, accanto a lui, con addosso la divisa che Chifuyu gli aveva prestato, coi ricami da Vicecapitano della 1a divisione.
“Non per lo scontro. Sono abituato a fare a pugni.”
Takemichi lasciò un lungo sospiro. “Io sono un fascio di nervi. Per quante volte ci sia passato, non mi abituerò mai.”
Si trovavano in testa al gruppo assieme agli altri, pronti ad entrare in scena non appena fosse arrivato il momento. Ed infatti, di lì a qualche minuto, l’enorme cancello fu aperto e la Tokyo Manji Gang fece il proprio ingresso all’interno di quella discarica di automobili dove si sarebbe tenuto lo scontro. Molti teppisti si trovavano già sul luogo, brutte facce o espressioni omicide che li soppesarono uno ad uno con lo guardo, anche se i loro commenti furono interamente rivolti a Sano Manjiro, l’Invincibile Mikey. La sua fama era pari alla sua abilità nel combattimento, come la sua determinazione a vincere e porre fine alle ostilità una volta per tutte. Mentre avanzava deciso, con lo sguardo fermo e la giacca a coprirgli le spalle nude, era come vedere un predatore pronto all’attacco. Un vista meravigliosa.
Dopo di loro, fu la volta della Valhalla ad entrare dal cancello opposto.
Al centro del campo di battaglia attendeva Hansen, un pezzo grosso del mondo dei delinquenti, a capo della gang Ikebukuro Criminal Black Members. Mikey gli si avvicinò e lo ringraziò per aver accettato di fare da supervisore allo scontro.
“Se il combattimento farà schifo, vi pesto tutti quanti.”
Una risposta così scortese e fatta con un sorrisino strafottente sulle labbra, non fece che urtare i nervi ad Unmei. Quel tizio si dava fin troppe arie per i suoi gusti.
Strinse un pugno e disse tra i denti. “Non vedo l’ora di vedere coi miei occhi il momento in cui Kazutora lo pesterà, facendolo sgonfiare come un palloncino bucato!”
Takemichi si sporse su di lui e gli parlò all’orecchio. “Vedi di non farti sentire, moccioso.”
E poi vennero chiamati avanti i rappresentanti delle due gang.
Unmei afferrò prontamente il braccio di Draken, col preciso intento di trattenerlo. Ignorando la sua occhiataccia, si rivolse direttamente a Mikey. “Fai andare me.”
“Questo è compito di Ken-chin.” Tagliò corto lui, senza scomporsi.
“Lo so, non voglio scavalcare nessuno. Ma ho bisogno di andare là e fare un altro tentativo con Kazutora.” Insistette Unmei.
Di nuovo Mikey non fece una piega, era come vedere la reincarnazione della Sfinge.
“Ti prego, Mikey! Fammi parlare con lui!”
Questa volta Mikey alzò lo sguardo su Draken, anche se lui fece segno di no scuotendo leggermente la testa, la risposta che lui diede fu l’esatto contrario. “Vai.”
Draken fece per chiedere: “Mikey ma che-” Ma il movimento repentino di Unmei gli stroncò la frase e non gli restò che seguirlo con lo sguardo.
Ora Hansen si era spostato poco più in là.
Kazutora, in rappresentanza della Valhalla, ritrovandosi di fronte Unmei non provò nemmeno a nascondere di essere contrariato. “Ancora tu?”
Unmei non disse nulla, solo tenne lo sguardo fermo sul suo che, come sempre, era troppo simile a quello dei pesci sul banco del mercato.
Hansen prese la parola. “Cinque contro cinque coi vostri membri migliori o uno scontro totale tra tutti. Cosa volete fare?”
E allora Unmei parlò. “Kazutora, mettiamo fine a tutto. Siamo ancora in tempo.”
“Cosa-cazzo-stai-dicendo.”
“Tu sei convinto di odiare Mikey, ma in realtà odi te stesso per ciò che hai fatto quella volta. E ci sono dei bastardi che si stanno approfittando di te per ottenere ciò che vogliono.”
Ci fu un lungo momento di silenzio, prima che Kazutora parlasse.
“Mi stai facendo venire voglia di ammazzare anche te.”
“Dannazione, perché ti ostini a rifiutare il mio aiuto?” Allungò una mano per afferrare la sua, vide nei suoi occhi un tremolio. “Il mio amore per te non significa proprio niente?”
Pessima mossa. Quel gesto impulsivo diede a Hansen la scusa per riaprire quella boccaccia e sfottere per bene.
“Hey Mikey! Mi hai chiesto di supervisionare lo scontro o di celebrare un matrimonio gay?”
Fece appena in tempo a finire la frase, Kazutora si liberò la mano con uno strattone e caricò un destro per colpire quell’idiota in piena faccia. Alla fine era inevitabile che accadesse, in un modo o in un altro. Però Unmei non stette a guardare, mentre Hansen barcollava per l’improvviso colpo ricevuto, lui afferrò entrambe le braccia di Kazutora e le trattenne per evitare che lo colpisse ancora (anche se se lo sarebbe meritato!).
“Lasciami, maledetto!” Kazutora gli gridò in faccia, mentre cercava di liberarsi. Le quattro braccia che formavano una ‘x’ fra loro.
“Col cazzo! Non ti permetterò di fare qualcosa di stupido che ti manderà un’altra volta dietro le sbarre!” Gli disse sorridendo, neanche fossero a passeggio in un prato fiorito invece che su un campo di battaglia.
Vista la situazione, Hansen fu costretto a ritirarsi e tornare dai propri uomini a testa bassa per la figuraccia che aveva appena fatto. Quasi in contemporanea, dalla Toman e dalla Valhalla si levarono delle grida ed ecco che oltre quattro centinaia di ragazzi adrenalinici e assetati di sangue presero a correre gli uni verso gli altri, come due onde in procinto di infrangersi.
Kazutora continuava a dimenarsi come un pazzo per liberarsi dalla stretta del suo persecutore, ma ogni sforzo sembrava inutile. S’immobilizzò solo nel momento in cui gli sentì pronunciare delle parole che gli giunsero chiare e cristalline nonostante l’enorme fracasso attorno a loro.
“Kazutora… Stand by me.”


La storia continua e si conclude nel prossimo capitolo... Ultima Fase: [Not only a dream]
Unmei dovrà fare i conti con una dura realtà...

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Capitolo 5
*** Ultima Fase: [Not only a dream] ***


 
Questo ultimo capitolo è anche il più lungo! Scusate! XD Però ci tenevo davvero a chiudere tutte le faccende in sospeso, visto che nel corso della storia ho aggiusto ship e situazioni amorose che non erano previste! XD Spero che il finale vi lasci a bocca aperta! ;)

Ultima Fase:
[Not only a dream]
 
Lo scontro era appena iniziato, centinaia di ragazzi si stavano malmenando sotto allo sguardo attento delle gang che quel giorno erano lì solo per assistere senza muovere un dito. Tra pugni ben assestati, calci volanti e testate, le due fazioni si amalgamavano sempre più, un miscuglio di tokkofuku neri e giubbotti bianchi che quasi facevano il verso al famoso simbolo dello yin e  dello yang. Hanma, nonostante il primo slancio di entusiasmo con cui si era gettato nella mischia, dovette trattenere la foga e retrocedere subito, non appena  sentì la vibrazione del telefono all’interno della tasca. Kisaki era stato chiaro, gli aveva ordinato di essere raggiungibile in qualunque momento per potergli dare indicazioni e lui, da bravo soldatino, doveva obbedire. Diede giusto un ultimo pugno atomico ad un ragazzino a caso della Toman, quindi fece dietrofront sghignazzando tra sé. Prese il telefono dalla tasca e lo avvicinò all’orecchio da cui pendeva la deliziosa catenella sottile e dorata che gli donava particolarmente.
“Già ti manco, tesoro? Lo scontro è iniziato da sì e no dieci minuti!”
Dall’altro capo ci fu un momento di silenzio, che poi venne infranto dal tono stizzito e asciutto. “Risparmiami le tue buffonate.”
“Hi hi hi! Dimmi tutto! La mia cara matita ha già bisogno di una temperata?”
Urge una spiegazione…. Kisaki, nel spiegargli il piano che aveva in mente, era dovuto ricorrere a delle metafore semplici, visto il Q.I. di Hanma. Nello specifico, gli aveva detto che il disegno nella sua mente si stava ancora creando e lui era la matita che ne disegnava le linee minuto dopo minuto, mentre Hanma era il temperino da usare in caso di necessità. Il fatto che poi Hanma avesse approfittato di questo esempio per fare una battuta sconcia, non faceva parte dei piani. Comunque…
Ricordami di darti un pugno quando tutto questo sarà finito, cretino. Ad ogni modo, ho bisogno che tu faccia una cosa. Lo vedi quel ragazzo che sta trattenendo Kazutora?”
Hanma vagò lo sguardo fino a quando notò la strana scenetta che era esattamente al centro del campo di battaglia, ossia Unmei e Kazutora con le braccia intrecciate come se stessero facendo una sorta di gioco. “Sì.”
Bene. Liberati di lui, così che Kazutora possa occuparsi di Mikey come stabilito.”
“Mh. Procedo.” Chiuse il telefono a conchiglia e lo mise via, ora sul suo viso un’espressione mortalmente seria aveva preso il posto del sorriso da ebete. Senza badare a ciò che gli accadeva intorno, camminò dritto fino ai due.
“Dannazione, non avrei dovuto accoglierti in casa mia. Sei una cazzo di spina nel fianco.” Ringhiò Kazutora, le braccia che gli dolevano dagli innumerevoli tentativi di liberarsi dalla stretta ferrea.
Da parte sua, non che Unmei fosse messo meglio, si stava sforzando enormemente per trattenerlo, vista la posta che c’era in gioco, e oltre al dolore cominciava ad avere anche il viso arrossato. “Mi dispiace… Ma vedrai che mi ringrazierai!” Dove trovasse le forze per sorridere non lo sapeva nemmeno lui. Vedere lo sguardo carico di odio di Kazutora gli faceva male, dopo i tentativi falliti di conquistarlo dover sopportare anche questo era dura. Non stentava a credere che lo avrebbe ucciso volentieri, quando invece lui voleva solo ricoprirlo di baci e farlo piangere dal piacere… Ma che andava a pensare in un momento del genere? Si era distratto, forse per questo negli occhi di Kazutora qualcosa cambiò. O forse… L’istinto di sopravvivenza gli suggerì di voltarsi e allora lo vide. Hanma era praticamente a due passi da lui, il braccio già alzato per colpire. Ci mancava solo lui, cazzo! Per quanto odioso, era costretto a lasciare la presa e parare il suo colp- Oh no. L’idea era buona, peccato che quando tentò di ritrarre le braccia Kazutora gliele trattenne, invertendo così i ruoli. Unmei non poté fare nulla, bastò un momento perché il pugno di Hanma gli si abbattesse in faccia con un tonfo sordo. Solo allora Kazutora mollò la presa, lasciandolo cadere rovinosamente a terra. Lo stordimento lo bloccò lì nella polvere, il colpo subìto era stato devastante. Era già la seconda volta che quello lo metteva al tappeto.
“Ehi… Stai bene?”
Scosse forte la testa, come se servisse a rimettere a posto il cervello, i capelli sciolti gli frustarono il viso.
“Ce la fai ad alzarti?”
Anche senza rispondere, due mani lo aiutarono a sollevarsi e pian piano fu di nuovo in piedi. Quando gli occhi furono in grado di mettere a fuoco la figura, si ritrovò davanti la faccia già gonfia di botte di Takemichi.
“Cos’è successo?” Gli chiese lui.
“Quel cazzo di spilungone mi ha steso. Porca puttana. Cosa mi sono perso?”
Takemichi indicò un punto facendo un cenno col capo. Seguendo la direzione, lo sguardo di Unmei si posò su una scena che non avrebbe voluto vedere. Sulla cima di una montagna di auto, Mikey stava combattendo contro due tizi ben piazzati, mentre Kazutora si godeva il momento prima del colpo di scena. Be’, per Unmei di certo non lo era, sapeva benissimo cosa stava per accadere. Ora che Mikey era caduto in trappola, non appena i due tizi fossero riusciti a bloccarlo, Kazutora lo avrebbe colpito con una sbarra di ferro trovata a fortuna fra i rottami.
Takemichi, come leggendo i suoi pensieri, diede voce ad un importante quesito. “Ora c’è da chiedersi come finirà. Questa volta Kazutora riuscirà ad uccidere Mikey o sarà Mikey ad uccidere Kazutora?”
Unmei strinse i pugni. “Nessuna delle due cose. Sono riuscito a tenere mio padre Baji lontano da qui, riuscirò ad impedire anche il resto.” Fece per darsi la spinta per saltare sul cofano di un’auto e iniziare così la scalata verso di loro, ma ecco che un calcio alla schiena lo spinse via. Almeno questa volta non cadde a terra, con agilità atterrò in piedi, piegandosi sulle proprie ginocchia, quindi con un balzo fu addosso al ragazzo che lo aveva colpito. Lo stese in fretta e subito un altro gli si lanciò contro per prenderlo a pugni. Non erano avversari difficili, gli bastavano pochissimi colpi per metterli fuori combattimento, l’unico problema era che ad ogni istante che passava le cose dall’alto peggioravano. Quanto tempo aveva prima che Kazutora tramortisse Mikey colpendolo senza pietà con quella sbarra?
*
 
Essendo i membri della Valhalla esattamente il doppio di quelli della Toman, di lavoro da sbrigare ce n’era per tutti. Era una lotta senza esclusione di colpi, in cui ognuno doveva dare il massimo per non venire sopraffatto e divenire un peso per i propri compagni. Un’ottima occasione per Unmei di mostrare il proprio potenziale, dopo la figuraccia iniziale che lo aveva costretto a terra per un po’. E allora via coi pugni d’acciaio e i calci rotanti! Nelle sue vene scorreva il sangue di Baji Keisuke e Matsuno Chifuyu, una coppia di teppisti che aveva lasciato il segno! Cazzo!
Nella foga della battaglia, per caso gli capitò di ritrovarsi schiena a schiena con Mitsuya. Si diedero un’occhiata veloce, scambiandosi un sorriso d’intesa.
“Te la stai cavando bene, Capitano della 1a divisione!”
“Anche tu, Capitano della 2a divisione!”
Entrambi piazzarono un cazzotto all’avversario di turno.
“Ammetto che quando ti ho visto a terra ho pensato che fossi una schiappa! Sono contento di essermi sbagliato!”
“Mi sono fatto fregare! Devo chiedere scusa?”
In quel momento Smiley fu spinto nella loro direzione, facendo pressione con una mano sul terreno riuscì a sferrare un potente calcio all’avversario. Si rimise in piedi e anche lui finì di spalle contro i due.
“Sul serio, Unmei, da dove hai tirato fuori tutta quella forza?”
“Eh eh! Vuoi saperlo davvero?”
“Sono curioso anche io!” Confermò Mitsuya.
“Be’, la risposta è semplice!” Adocchiò un ragazzo in difficoltà con un tizio più grosso che lo stava per schiacciare come un moscerino, allora caricò un pugno. “E’ da più di una settimana che non mi faccio una scopata!” Lo colpì così forte che questo volò e finì addosso ad altri due della Valhalla. Unmei si volse con aria vittoriosa e terminò. “Per questo ho  energie da vendere!”
Sia Mitsuya che Smiley rimasero a bocca aperta per alcuni istanti, prima di scoppiare a ridere. Non lo avrebbero mai detto a voce alta ma…tutto ad un tratto la mancanza di Baji in quello scontro smise di farsi sentire! E una botta di spirito era proprio ciò che serviva per andare avanti. O almeno per quel poco che servì…
“MIKEYYYYYYYYYYY!!!”
Il grido assordante di Draken interruppe lo scontro, ogni singola persona presente sollevò lo sguardo sulla montagna di auto, dove Mikey giaceva dopo essere stato colpito con forza alla testa. Un rivolo di sangue gli attraversava il viso, gli occhi vuoti e le labbra dischiuse in modo innaturale, come se fosse morto. Grazie al cielo non lo era.
“Cazzo, devo darmi una mossa.” Si disse Unmei, per poi farsi strada tra la folla con una buona dose di gomitate. Il tempo era scaduto, tutto era ridotto ad un ‘adesso o mai più’. Passo dopo passo, avversario dopo avversario, la sua meta si faceva sempre più vicina ma…all’improvviso due fustacchioni della Valhalla gli sbarrarono la strada e lo immobilizzarono.
“Dove pensi di andare, bastardo?” Disse uno dei due, assicurandosi che lui non potesse muoversi o giocare brutti scherzi. Una dannata seccatura, lui doveva a tutti i costi fermare quella situazione prima che degenerasse. Ma se non poteva muoversi, allora non gli restava che…
“KAZUTORA!!!”
A quel grido, lui ebbe un fremito che per poco non gli fece cadere di mano la sbarra insanguinata.
“Non è uccidendolo che ti pulirai la coscienza! Devi fermarti!”
Kazutora si sentì il respiro mancare per un istante, il braccio gli tremò visibilmente. “Tu…cosa vuoi ancora da me?” La voce rotta che arrivò debolmente fino a lui.
“Io ti conosco… So che non sei così. Dentro di te c’è molto di più.” Insistette Unmei, cercando invano di liberarsi dalla stretta dei due gorilla. “Il ragazzo di cui mi sono innamorato non è un assassino!”
“Puahahahahahaahahh! Adesso ricomincia con le smancerie!” Saltò fuori Hanma, così divertito da doversi portare perfino le mani all’addome e piegarsi in due. Draken, il suo avversario fino a pochi istanti prima, non fu l’unico a fulminarlo con lo sguardo per quell’uscita inopportuna. Comunque, quella breve pausa permise a Mikey di riprendere conoscenza, nonostante il sangue che gli usciva dalla ferita riuscì a sollevarsi e mettersi seduto sul tettuccio dell’auto su cui si trovava. Dallo sguardo che aveva era chiaramente incazzato a morte, eppure la sua voce non vacillò nel parlare.
“Dovresti ascoltare le parole di Unmei.”
Kazutora abbozzò un sorriso perverso. “Non la smetterai fino a quando non ti avrò ucciso eh?” Strinse la sbarra nel pugno e saltò giù dall’auto su cui era per ritrovarsi di fronte a lui. E Mikey non si mosse.
Vista la situazione, Takemichi iniziò seriamente a temere che finisse male. Ci era passato altre volte, gli scenari che aveva visto erano terribili e non poteva sopportare che qualcuno ci lasciasse le penne per l’ennesima volta, in quel dannato scontro. “Unmei!” Lo chiamò con urgenza, ma nessuna delle preghiere che aveva in bocca riuscì a trovare voce, al contrario, fu il suo sguardo lucido a dire tutto. E Unmei recepì il messaggio. Ormai non aveva che un’ultima carta da giocare.
Prese fiato e sollevò bene il mento perché la voce gli uscisse forte e chiara. “Tu volevi solo renderlo felice.”
Di nuovo Kazutora lo guardò con occhi sbarrati. “Cosa?”
“Il compleanno di Mikey si avvicinava e tu sapevi che quella moto era tutto ciò che desiderava. Ma l’unico modo per averla era quello di rubarla. Eri solo un ragazzino, non avevi alternative.”
“Tu…che cazzo ne sai?” Ringhiò Kazutora.
“Per questo quella notte tu e Baji siete entrati in quel negozio. Sembrava facile ed eravate ad un passo dall’ottenere ciò che volevate, un regalo degno del vostro Comandante. Se solo…” Unmei fece una pausa, aveva quasi voglia di piangere nel narrare quella storia che gli era stata raccontata tante volte. Deglutì e riprese. “Se solo non vi avessero scoperti… Tu hai visto Baji in difficoltà e sei intervenuto per aiutarlo.”
“Chiu…chiudi quella bocca.”
“Ti sei spaventato e hai usato quelle cesoie per colpire, senza renderti conto della forza che ci stavi mettendo.”
“Ti ho detto di chiudere quella boccaaa!” Gridò Kazutora, lanciando la sbarra di ferro che aveva in mano. Questa volò rapida sferzando l’aria e avrebbe centrato il bersaglio se Unmei non avesse schivato gettando il capo di lato. Uno scatto che lo salvò, anche se poté chiaramente sentire il ferro scontrarsi coi suoi capelli lunghi.
Mikey, che ancora era seduto a gambe incrociate, sollevò il viso su Kazutora. “Tu non sapevi che quel ragazzo fosse mio fratello, altrimenti non lo avresti mai colpito. Vero?”
“Io… Io…” Kazutora si sentì invadere da quella sensazione di terrore che aveva provato due anni prima, una sorta di freddo glaciale che gli penetrava fin nelle ossa facendolo rabbrividire dalla testa ai piedi. Crollò sulle proprie gambe e si ritrovò in ginocchio, lo sguardo di Mikey ora alla stessa altezza del suo. “Io… Io… Non lo sapevo… Non lo sapevo… Non lo sapevo…” Mormorii appena percettibili che gli uscivano dalle labbra.
“Merda.” Sibilò Hanma, contrariato da quello svolgimento. Non sarà stato una cima, ma capiva che tutto ciò non era neanche lontanamente quello che aveva previsto Kisaki.
“Ehi, Hanma! Che c’è, hai perso il sorriso?” Lo sfotté Draken, godendo nel vederlo così.
Quello dell’omicidio di Shinichiro, il fratello maggiore di Mikey, era stato solo uno dei traumi che avevano segnato l’infanzia di Kazutora, ma era stato così forte da indurre la sua mente a scaricare la colpa su qualcun altro per non doverne portare il peso. In un’altra occasione, quando Unmei gli aveva detto che necessitava di farmaci e di un aiuto psicologico, era la pura verità, in quanto solo così la sua mente sarebbe guarita. Nella realtà da cui Unmei proveniva, per Kazutora era stato un lungo percorso, per di più affrontato dietro le sbarre per dieci anni. Adesso, invece, vedendo la sua reazione e l’inaspettata collaborazione di Mikey, cominciò a sperare davvero in un futuro diverso. Il senso di colpa, ovviamente, non avrebbe mai abbandonato Kazutora, ma di certo la sua vita sarebbe stata migliore vivendola alla luce del sole e attorniato dagli amici che gli volevano bene. Primo fra tutti Baji Keisuke, il suo migliore amico. Unmei sentiva il cuore battergli più forte in petto mentre immaginava un nuovo futuro per i suoi genitori e il ragazzo che amava. Dal momento in cui si era ritrovato lì nel passato si era battuto con tutte le proprie forze per questo, aveva superato i momenti di depressione, aveva sfidato avversari più forti di lui, si era perfino coperto di ridicolo in alcuni casi, eppure, ora era ad un passo dal portare a termine la missione grazie a tutti gli sforzi che aveva fatto. Fu con questo pensiero nella testa che venne investito da una nuova ondata di energie. Un incredibile colpo di testa lo liberò di uno dei due gorilla e subito dopo un pugno d’acciaio stese anche il secondo, facendoli così crollare entrambi a terra nell’arco di due secondi. Ora non c’era niente a impedirgli di correre dal suo amor- “Aspetta.”
Ma che cazzo!!! Per la cronaca, era stato Takemichi a fermarlo. L’aveva semplicemente trattenuto per un braccio, niente di che, ma era stato il suo tono di voce a bloccargli il movimento.
“Lascia che sia Mikey ad occuparsene.”
Seguendo il suo sguardo, Unmei rimase in attesa, mentre dalla cima di auto e rottami proseguiva il dialogo tra i due.
“Puoi solo immaginare quanto io abbia sofferto per la morte di mio fratello.” Disse Mikey, con voce ferma e tono basso. “Lui era la mia famiglia, il mio eroe, il mio punto di riferimento. Non negherò di averti odiato per avermelo portato via.” Strinse un pugno, posato sul ginocchio. “E tutto per una moto.”
Kazutora sentì una fitta al cuore. “Io volevo solo…”
Tu volevi solo renderlo felice.” Sì, era proprio come aveva detto Unmei.
Mikey accennò un sorriso  e proseguì. “Anche se non posso riavere mio fratello, è come se una parte di lui vivesse nella mia stupenda Babu! La moto che desideravo tanto e che tu volevi regalarmi!”
Il labbro di Kazutora tremò e gli occhi gli si gonfiarono di lacrime. “…mi dispiace tanto, Mikey…”
“Lo so. Non ti volterò le spalle. Siamo amici.”
Alcune lacrime gli rigarono il viso e dovette passarsi una manica della giacca per asciugarle. Aveva sbagliato tutto, aveva riposto il proprio odio nella persona sbagliata. Baji glielo aveva detto fin dall’inizio, ma lui era così intrappolato dai propri demoni da non avergli dato retta. Aveva sprecato due anni di vita dietro le sbarre…solo per la sua stessa colpa.
Mikey parlò di nuovo. “Da amico,  vorrei darti un consiglio…” Fece un cenno col capo alle proprie spalle. “Dovresti dare una possibilità a quel ragazzo! E’ innamorato perso di te!”
Kazutora abbozzò una risata. “Lo so! Quel rompipalle!” Tirò su col naso e ancora una volta si asciugò le lacrime facendo uso della manica. “Però, nonostante i trascorsi imbarazzanti, io lo-”
Mikey lo fermò prontamente. “No. Non a me. Dillo a lui.”
Kazutora fece un cenno affermativo con la testa e si rialzò in piedi. Adocchiò subito la figura là in basso, il volto contratto per la tensione, i lunghi capelli scomposti per il combattimento e…gli occhi verde azzurro che fin dal primo incontro avevano saputo guardargli nell’anima.
“Avrei dovuto dirtelo l’altra volta.” Le sue labbra s’inarcarono in un lieve sorriso. “Anch’io ti amo, Unmei!”
Prima ancora che lui riuscisse a connettere il cervello per capire ciò che gli era appena stato detto, Kazutora prese a scendere balzando agilmente da un tettuccio all’altro e in pochi istanti venne accolto dalle braccia aperte di Unmei, in cui si precipitò senza timore e donandogli un lungo ed intenso bacio. Decisamente troppe informazioni da assimilare in così poco tempo! Ma se la testa gli girava per la confusione, al contrario il suo corpo reagì nel modo giusto, le braccia strinsero delicatamente quello di Kazutora e le labbra si mossero sulle sue gustando appieno il sapore di quel bacio che per anni aveva solo immaginato.
Quando Kazutora si separò dalle sue labbra, i loro sguardi s’incontrarono, socchiusi. Ora Unmei era ben consapevole del suo respiro contro il viso, del calore che aveva ancora sulle labbra umide, del dolce peso che stava sostenendo…era tutto vero.
“Portami via di qui.” Sussurrò Kazutora.
Unmei lo fece scivolare dalle braccia per fargli rimettere piede a terra, ma gli lasciò un braccio attorno alle spalle in segno di protezione. Guardò verso l’alto, dove era Mikey, e chinò la testa in segno di rispetto e di ringraziamento. Lui rispose con un appena percettibile cenno.
Fregandosene bellamente di essere al centro dell’attenzione, la coppia di avviò verso l’uscita, accompagnata dal silenzio totale. Lo scontro era finito.
*
 
L’aria fresca che agitava i loro capelli e che faceva apparire Unmei come il testimonial di uno shampoo, per il modo in cui s’insinuava nella sua folta chioma con fare aggraziato. Gli orecchini con pendente che si muovevano frenetici, soprattutto la campanella di Kazutora che suonava con tale insistenza da richiamare un Natale anticipato. Il bianco candido del giubbotto della Valhalla e il nero del tokkofuku della Tokyo Manji Gang che si fondevano grazie all’abbraccio con cui Unmei avvolgeva Kazutora durante quella corsa in moto. Mancava solo una bandiera arcobaleno a sventolare sopra la targa! Be’, scherzi a parte, Unmei non poteva chiedere di più di ciò che la vita gli stava dando in quel momento, considerando che appena poco prima il suo grande amore gli si era dichiarato sotto agli occhi di chissà quante centinaia di teppisti che componevano le cinque gang più forti della Capitale. Neanche nelle sue numerose fantasie era riuscito ad elaborare una cosa simile! E ora che il suo sogno d’amore si era realizzato, non restava che dargli forma attraverso l’unione dei corpi. Destinazione: appartamento di Kazutora. Non erano ancora arrivati che Unmei aveva già un’erezione, al pensiero! Avrebbe dovuto ringraziare Takemichi per averlo lasciato andare via con Kazutora, promettendogli di avere buona cura della moto che Baji gli aveva prestato. Sempre che non si schiantasse al primo incrocio, sapendo quanto era imbranato quel vecchio…
Si accorse che la moto stava pian piano rallentando, un’occhiata e vide la palazzina bianca dove Kazutora viveva assieme alla madre (la quale non sarebbe rientrata fino a sera). Riposero la moto e salirono la scalinata esterna fino a giungere all’appartamento. Una volta entrati, Kazutora fece appena in tempo a richiudere la porta quando Unmei gli saltò addosso. Il corpo premuto contro il suo, i polsi bloccati verso l’alto, la bocca famelica che sembrava volerlo divorare… Anche se lui stesso era desideroso di farlo, venne colto da una fastidiosa sensazione di paura e soffocamento, come un animale caduto in trappola. Per questo di sforzò di interrompere quel bacio, di muovere la testa per liberare le labbra alla ricerca di aria. Unmei non si accorse di nulla, solo deviò i baci dalle labbra al collo, dove risucchiò la pelle per imprimere il proprio marchio. Un succhiotto.
Kazutora fece una piccola smorfia contrariata. “Aspetta un attimo, per favore…”
Unmei emise un mugolio interrogativo, senza fermarsi, allora Kazutora dovette usare la forza per liberarsi i polsi dalla sua stretta e costringerlo a prestargli attenzione.
Finalmente Unmei lo guardò negli occhi. “Cosa?”
“Prima facciamo una doccia! Abbiamo combattuto, siamo tutti sudati!”
Unmei sfoggiò un sorriso malizioso. “Sesso sotto la doccia? Buona idea!” Sbirciò attorno. “Da che parte?”
Kazutora indicò col dito e un attimo dopo la mano gli fu artigliata e lui venne trascinato via.
Nell’anticamera, Unmei si spogliò alla velocità della luce, gettando gli indumenti alla rinfusa tipo effetto ciclone, mentre quando tentò di agevolare i movimenti di Kazutora nello svestirsi, questo fu costretto a schiaffeggiargli la mano per calmarlo. Quel ragazzo era una bestia in calore, accidenti! Comunque non riuscì a tenerlo a bada a lungo, di lì a poco Unmei lo spinse dentro la cabina doccia nonostante l’acqua fosse solo tiepida. Di nuovo s’incollò alle sue labbra, in un bacio molto intenso a cui Kazutora stavolta rispose con altrettanto ardore. Le loro lingue coinvolte in un gioco frenetico divennero bollenti più dell’acqua che ormai si stava scaldando ed emanava vapore. Quando si separarono, Kazutora sentì la propria lingua pulsare, un brivido di piacere gli attraversò tutto il corpo al pensiero di cosa avrebbe provato una volta infilati nel letto. Unmei ci sapeva fare e il sentimento d’amore che li legava rendeva il rapporto magico, al contrario delle scopate con Hanma, in cui si sentiva solo usato come una bambola gonfiabile. Cazzo…
Abbassò lo sguardo, ora Unmei era in ginocchio e gli stava stampando una serie di baci nella zona tra il basso ventre e il fianco, mentre con la mano gli massaggiava con tocco leggero il membro già eretto. Che bella sensazione…
“Non preoccuparti… Sarò delicato… Voglio che la tua prima volta sia memorabile.” Disse Unmei, tra un bacio e l’altro, la sua voce semi coperta dal rumore dell’acqua, il viso che sfiorava appena il suo membro. Però…
“Devo dirti una cosa…” Le parole gli uscirono un po’ biascicate.
“Mh? Dimmi, amore…”
“Io…” Strinse i pugni, doveva dirglielo, era troppo importante. “Io l’ho già fatto.”                
Unmei si fermò all’istante,  lentamente sollevò gli occhi sbarrati verso di lui. “Ah… Vuoi dire che sei già stato con una ragazza? Sei da poco uscito dal riformatorio, hai fatto presto…”
Kazutora scosse il capo. “No. Sono stato con un ragazzo…alcune volte. Ma non ha significato niente, te lo giuro.” Precisò, sperando di limitare i danni.
Unmei lasciò scivolare la mano e si rimise in piedi. Inutile dire che le loro erezioni erano completamente scemate.
“Fammi capire… Tu non hai fatto altro che rifiutarmi, arrivando perfino a sbattermi in faccia di essere etero…” Il suo sguardo tremò. “E invece sei già stato a letto con un altro?”
L’acqua che scorreva veloce, investendo i loro corpi, era diventata caldissima…allora perché Kazutora si sentì raggelare?
“Mi dispiace… Non so come giustificarmi…”
“Lui chi è?” Chiese secco Unmei.
“Non ha importanza. E’ stato un gioco senza sentimento. Non accadrà più.” Fece per sfiorargli il viso con una carezza, ma Unmei schivò il suo tocco. Era visibilmente ferito.
“Ho bisogno di stendermi. Tu fai con calma, ti aspetto in camera tua.” Senza aggiungere altro e senza guardarlo negli occhi, gli diede le spalle e lo lasciò nella cabina doccia da solo.
*
 
La sala d’attesa del reparto aveva ampie vetrate da cui filtrava la luce del sole, la quale, scontrandosi con le pareti bianche, illuminava l’ambiente di una luce calda in netto contrasto con quella fredda e artificiale dei neon. I posti a sedere erano piuttosto ampi e stranamente comodi, inoltre quel pomeriggio c’erano poche persone, poco più di una manciata di donne in avanzato stato di gravidanza e tutte accompagnate da qualcuno con cui chiacchierare a bassa voce.
“La prossima volta chiederò al tuo papà di venire con noi!”
Bisbigliò Chifuyu, sorridente, mentre con una mano si avvolgeva il ventre. Da sopra i vestiti ancora non si vedeva nulla, ma da quando aveva scoperto e accettato la vita che stava crescendo in lui, aveva preso l’abitudine di accarezzare la leggerissima curva che mese dopo si sarebbe gonfiata. Chiuse gli occhi e con la mente andò agli avvenimenti di quella giornata. Lui e Baji avevano deciso di comune accordo di parlare alle loro madri insieme, quella sera stessa, usando come scusa una cena di ‘buon vicinato’. Chissà come avrebbero reagito quelle due… La sera prima erano stati bravi a fare finta di nulla e al mattino, dopo che Unmei era uscito per lo scontro, lui era riuscito a guardare sua madre senza tradirsi. Certo lei aveva sottolineato di trovarlo stranamente allegro, ma da qui a pensare a cosa stava accadendo realmente, ce n’era di strada da fare! E nonostante i progetti iniziali per la giornata, lui non aveva saputo resistere ed era andato all’ospedale più vicino per fare una visita ginecologica. Era stata dura convincere il personale che non si trattava di uno scherzo, per ovvie ragioni, ma una volta accertata la sua identità era stato accompagnato in sala d’attesa, dove ancora si trovava. Era emozionato al pensiero, non vedeva l’ora di sapere i dettagli di quella gravidanza, così da poter rispondere a tutte le domande che le due donne sicuramente avrebbero fatto quella sera. Ormai non aveva più paura. Amava il suo bambino, amava Baji e sentiva che sarebbe andato tutto bene.
La vibrazione del telefono attirò la sua attenzione, riaprì gli occhi e lo estrasse subito dalla tasca dei pantaloni. Vedendo il nome sullo schermo, si alzò dalla poltroncina e andò verso le vetrate per rispondere senza disturbare le altre persone.
“Kazutora-kun?”
No… Sono Unmei…
Lo sguardo di Chifuyu si illuminò. “Congratulazioni, rubacuori!”
…come?
“Non fare il finto tonto! Poco fa Takemichi mi ha mandato dei messaggi per dirmi cos’è accaduto durante lo scontro!”
Ah… Quindi credo che la moto di Baji sia arrivata a destinazione sana e salva…
“Sì sì, tutto a posto! Non preoccuparti! Allora, cosa vuoi raccontarmi per iniziare? Io personalmente, avrei voluto assistere alla memorabile dichiarazione di Kazutora! Per com’erano andate le cose in precedenza, non me lo sarei mai aspettato!” Era entusiasta per come si erano evolute le cose, il suo sorriso rifletteva sulla vetrata pulita e lucida.
Sì, è stato…davvero inaspettato…
Ok, c’era qualcosa che non andava.
“Unmei, sei riuscito a conquistare il tuo grande amore! Dovresti essere al settimo cielo! Perché NON sei al settimo cielo?”
Ecco…
Gli raccontò quanto accaduto nella doccia, poche parole per descrivere la scena, eppure mentre le diceva si sentiva sempre più stupido. Si era arrabbiato per una cosa totalmente insulsa, rischiando di mandare a monte tutto quanto. Per cosa poi? Per orgoglio maschile? Perché nel suo cervellino di adolescente aveva sperato di essere il primo? Cos’è, era tornato all’epoca Edo? Tutte domande che si pose da solo, prima ancora che fosse Chifuyu a fargliele. Anche se una bella lavata di capo se la prese comunque! Più che il rimprovero di un amico, Chifuyu gli fece una vera e propria ramanzina che lui dovette ascoltare senza interrompere, dall’inizio alla fine. Che dire, era proprio destino! Ma nonostante le parole dure, poi Chifuyu terminò con un caloroso: “Ora voglio che tu metta giù il telefono e vada subito da Kazutora a chiedergli scusa in ginocchio!”
Dall’altra parte sentì un lungo sospiro, seguito da quella che sembrò una risatina.
E va bene, kaa-san, farò come dici tu!
Chifuyu fu deliziato da quell’appellativo. Se solo avesse saputo che gli apparteneva davvero… Ad ogni modo, si volse e poggiò le spalle contro la vetrata riscaldata dal sole. Un piacevole tepore attraversò gli indumenti.
“Bene! Vedi di fare pace e goditi la luna di miele da lui! A proposito, sai già quando tornerai a casa mia? Avremo un sacco di cose da raccontarci!”
Be’ io…
“Matsuno Chifuyu.”
La voce dell’infermiera risuonò forte e chiara nella sala d’attesa, obbligandolo così a terminare la chiamata. “Scusami, ora devo andare. Ci sentiamo.” Un saluto un po’ sbrigativo, ma d’altra parte questa faccenda ora era più importante.
“Chifuyu, dove ti trovi?” Non ottenendo alcuna risposta, Unmei sbirciò lo schermo del telefono e vide che in effetti la chiamata era terminata.
“Va tutto bene?”
Sollevando lo sguardo, vide Kazutora sulla soglia della porta con addosso solo un asciugamano avvolto attorno ai fianchi.
“Sì… Credo…” Posò il telefono sul comodino e col dito indicò i boxer aderenti neri che aveva addosso. “Scusa, li ho presi dalla cassettiera senza chiederti il permesso.”
“Tranquillo. I tuoi vestiti sono da Chifuyu, giusto? Posso prestarti qualcosa io, se vuoi… Se vuoi restare qui…”
Unmei non rispose, se ne restò lì fermo sul bordo del letto, allora Kazutora gli si avvicinò piano. “Unmei, io…”
Anche se avesse saputo come terminare la frase, non poté farlo poiché Unmei lo avvolse in un abbraccio e lo trascinò lungo disteso sul letto, sopra la bella coperta leopardata che faceva pendant con le tende della stessa fantasia. Il viso di Unmei contro il suo petto, la pelle che profumava di bagnoschiuma alla pesca.
“Perdonami, Kazutora… Sono una testa di cazzo…”
Sul momento Kazutora non disse nulla, ma poi una sensazione di sollievo lo aiutò a trovare le parole. La sua mano prese a giocare fra i lunghi capelli neri e ondulati di lui. “Sono stato io il primo a ferirti dicendoti cattiverie ogni volta che ti vedevo. Tu invece sei sempre stato gentile con me.”
Sbagliato. Nel futuro, per mascherare la cotta che aveva per lui, era stato quasi sempre scontroso nei suoi confronti e si era comportato da bastardo innumerevoli volte. Proprio come aveva fatto poco prima nella doccia. E questo lo fece sentire ancora più in colpa.
“Cazzo, che casino… Non so come comportarmi.”
“Che ne dici di ricominciare daccapo?”
Finalmente Unmei sollevò il viso sul suo, vide le sue iridi dorate e brillanti. “Che intendi dire?”
“Usiamo questo tempo insieme per conoscerci meglio! Tu sai molte cose di me, ma io di te non so praticamente niente!”
Giusto. A conti fatti, quel Kazutora aveva interagito con lui solo quattro volte. Era già un miracolo che fosse riuscito a ricambiare i suoi sentimenti in così poco tempo! E a tal proposito…
“Ma tu come hai fatto ad innamorarti di me se non mi conosci?”
Ecco, gli era uscita come un’accusa, accidenti a lui. Non ne faceva una giusta. Fortunatamente Kazutora parve non prendersela e anzi accennò un sorriso imbarazzato. “Ecco… Di questo potremo parlare domani durante il nostro appuntamento…”
Unmei sgranò gli occhi: “Prego?”
“Non te lo ricordi? Mi hai promesso un appuntamento alla Tokyo Tower!”
Oddio se lo ricordava ancora… E lui che aveva passato delle giornate a demoralizzarsi come un idiota! Si sentì avvampare e disse fra i denti: “Mi hai fatto rinnamorare!!!”
Lo sguardo di Kazutora si fece come vuoto per un istante, poi guardò altrove e le sue guance s’imporporarono. “Sì, lo sento bene…” L’erezione di Unmei gli stava letteralmente premendo contro una coscia. Se possiamo definirlo amore…
“Che cazzo! Scusa, sono un disastro!”
“Va bene se…me ne occupo io?” Propose Kazutora, diventando ancora più rosso e arrivando perfino a tremare. Però ad una proposta così, era impossibile resistere!
*
 
To-do list:
-Presentarsi alla signora Hanemiya
-Fare una bella impressione
-Andare d’accordo con lei e preparare il terreno per dirle della relazione con Kazutora
Se invece di appuntarsela nella mente avesse messo per iscritto questa lista, Unmei avrebbe potuto orgogliosamente mettere tre segni di spunta. Di norma, presentarsi alla famiglia dell’amato era una faccenda delicata se non addirittura spinosa, del tipo che basta commettere piccolo errore per creare una catastrofe. Niente di tutto ciò capitò a lui.
Dopo aver fatto pace con Kazutora ed essersi strusciati un po’ sul letto, si misero a rovistare nell’armadio alla ricerca di un pantalone comodo e di una maglia che si adattassero al fisico di Unmei, considerando che era un po’ più alto di Kazutora e aveva le spalle più robuste. Un’operazione che richiese tempo, al punto che sobbalzarono quando sentirono la voce della signora chiamare il figlio dall’ingresso dell’appartamento! Cavoli era già così tardi! Kazutora corse da lei e nemmeno due minuti dopo tornò indietro, portando con sé due capienti borse di carta che contenevano i vestiti e la biancheria di Unmei. Dentro una delle due era un biglietto scritto da Chifuyu, il quale gli faceva un augurio per la fresca relazione, con tanto di disegnino di una faccina che strizza l’occhio, e lo avvisava che Takemichi si era offerto di portare il tutto. In effetti avevano sentito il campanello suonare un paio di volte nel tardo pomeriggio, però era successo proprio mentre erano nel bel mezzo di un giochino di mani e col cavolo che avevano voglia di fermarsi per andare ad aprire! Comunque, un problema era risolto. Unmei indossò un paio di jeans neri e una maglia grigio fumo con stampata l’immagine di un teschio punk con la cresta arancio e dei piercing. A seguire, un’accurata spazzolata ai capelli per dare vitalità alle onde naturali, un colpetto alla pietra onice dell’orecchino come segno di buona fortuna ed ecco che fu pronto. Venne presentato alla signora come nuovo amico di Kazutora, come concordato tra loro, e si prodigò in un inchino che cozzava totalmente col suo abbigliamento. Andò bene, visto che poco dopo si ritrovò ad aiutare a preparare la cena. A casa sua accadeva di rado, era una di quelle cose per cui sua madre lo rimproverava spesso, ma quella sera aveva acconsentito di buon grado sentendo la necessità di rendersi utile e unirsi al duo. Madre e figlio erano più uniti di quanto pensasse, una cosa carina a vedersi. Era innegabile che quella povera donna fosse distrutta dalle dure prove a cui la vita l’aveva sottoposta, tra gli anni in cui aveva subito violenza domestica, poi il difficile divorzio ed infine i due anni in cui il figlio era stato chiuso in riformatorio con un omicidio sulle spalle. Era magra, piuttosto sciupata, e sul viso aveva delle rughe che la invecchiavano, un regalo lasciato dalle preoccupazioni. Ma nonostante tutto, non mancava di sorridere al figlio, di essere gentile con lui e di guardarlo con affetto. E pensare che dalla realtà da cui lui proveniva, la signora era morta di crepacuore alla notizia che il figlio era stato condannato a dieci anni per coinvolgimento in un nuovo omicidio… Ora se ne rendeva conto, impedendo a Kazutora di fare delle scelte sbagliate, aveva salvato la vita anche di quella donna.
Dopo cena, lui e Kazutora rimisero a posto la cucina e poi andarono ad infilarsi sotto le coperte a chiacchierare. Almeno fino a quando la stanchezza della giornata non si fece sentire e li accompagnò nel mondo dei sogni. Una cosa più che normale con tutto quello che avevano passato, fra lo sforzo fisico richiesto durante lo scontro e l’enorme pressione psicologica a cui loro due in particolare erano stati sottoposti. Unmei fu il primo a chiudere gli occhi e ad addormentarsi, mentre Kazutora riuscì a resistere ancora un po’ per osservarlo mentre dormiva, disegnare con lo sguardo la linea dolce dei suoi occhi dal taglio felino, il naso sottile e leggermente appuntito, le labbra chiare…vederlo così sereno lo tranquillizzò. C’erano ancora tantissime cose che non sapeva di lui, anche se durante la cena aveva scoperto la zona dove si trovava la sua casa, che scuola frequentava e di come si era appassionato alle moto. Su certe cose invece non si era sbottonato per niente, come ad esempio su quale fosse il negozio di animali di proprietà della sua famiglia. Gli sarebbe piaciuto andarci e conoscere sua madre… Fu l’ultima cosa che pensò prima di addormentarsi.
Si svegliò lentamente, ancora abbracciato ad Unmei e con una sensazione di protezione mai provata prima. Il corpo di Unmei era così caldo, così confortevole e…un momento… Aprì gli occhi alla luce del giorno che filtrava appena dagli spiragli lasciati dalle tende. Non poteva ingannarsi, sentiva nitidamente qualcosa di caldo contro il sedere. Era…la mano di Unmei! Durante la notte doveva avergli infilato una mano dentro il pigiama e poi l’aveva lasciata lì!
“Ma guarda questo!” Bisbigliò divertito.
Un po’ gli dispiacque lasciarlo per alzarsi, ma prima di dormire Unmei gli aveva fatto promettere che sarebbe andato a scuola e ora doveva mantenere fede alla parola data. Il primo passo per diventare migliore era cominciare a fare presenza ogni giorno. Un po’ alla volta avrebbe pensato anche allo studio, ma senza fretta. Scivolò piano fuori dal letto e si preparò cercando di non fare rumore. Indossata la divisa, fu quasi tentato di chinarsi e stampargli un bacio sulla fronte. Quasi eh! Non lo fece solo per timore di svegliarlo. Già che c’era, scrisse un biglietto e glielo lasciò sul cuscino accanto a quello dove lui stava dormendo. Fu proprio quel piccolo foglio di carta che si ritrovò appiccicato alla faccia quando si svegliò.
[Buongiorno! La colazione è sul tavolo in cucina, serviti pure! Ci vediamo a pranzo per il nostro appuntamento! K]
Il cuore gli fece una capriola nel petto nel leggere quelle poche parole. Cavoli, che risveglio! Aveva già voglia di rivederlo e stringerlo a sé, ma era anche contento che lui avesse seguito il suo consiglio di andare a scuola. Baciò il biglietto, come avrebbe fatto una ragazzina con la foto del proprio idolo, quindi balzò giù dal letto e andò dritto in cucina. Era piuttosto tardi, il suo stomaco esigeva nutrimento. Ad attenderlo trovò un piatto dalla forma lunga e rettangolare in cui erano degli onigiri. Chissà chi li aveva preparati… Tra un boccone e l’altro gli venne naturale fantasticare su Kazutora col grembiule, intento a dare forma alle polpette di riso con le proprie mani. Ahh, quel ragazzo aveva la stoffa per diventare la mogliettina perfetta! Stava giusto gustando il terzo onigiri quando suonò il campanello. Doveva aprire? Ma quella non era casa sua… E se fosse stato importante? Magari un corriere? Be’ poteva dare una sbirciata, almeno. Si alzò da tavola e andò alla porta, il campanello nel frattempo suonò altre tre volte. Che insistenza.
“Dove si è cacciato quel ragazzino?”
La voce dall’altra parte della porta era quella di Takemichi ed era chiaramente alterata.
“Eppure Kazutora ha detto che l’avrei trovato a casa. Cazzo.”
Giusto, Takemichi e Kazutora frequentavano la stessa scuola, quindi dovevano essersi incontrati e aver parlato là.
Il campanello suonò ancora. “Quel piccolo bastardo lo sta facendo apposta.”
Si udì un colpo sul fondo della porta, probabilmente un piccolo calcio. Unmei pregò che non insistesse oltre. Si posò di spalle contro la porta, i sensi allerta come per un pericolo, seguendo ogni rumore al di fuori di quella barriera di legno che celava la sua presenza. Il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, il corpo rigido e immobile, fino a quando non sentì Takemichi masticare un’imprecazione e allontanarsi con passo pesante. Finalmente se n’era andato. Unmei lo sapeva perché lo stava cercando. Le cose ora si erano sistemate, avevano cambiato il passato e questo significava che…
Si portò le mani alla testa, le dita fra i capelli spettinati dalla lunga dormita, gli occhi sbarrati verso il pavimento. “Non posso tornare al mio presente.” Lo disse così piano che nemmeno lui si udì.
*
 
Per Kazutora, la moto era l’affermazione della sua virilità. Non aveva problemi ad accogliere un passeggero, ma soltanto lui poteva guidarla ed esserne il padrone assoluto. Nel giro di poche settimane aveva visto crollare alcuni dei suoi punti fermi, a partire dalla sua eterosessualità, si era lasciato sfruttare sessualmente, poi si era abbandonato ad un sentimento sdolcinato che credeva non avrebbe mai provato, tantomeno nei confronti di un ragazzo, ma se si parla della sua moto….be’, quella era e doveva restare un pilastro nella sua vita. Per questo fu lui a guidare in quel pomeriggio che per lui e Unmei era di fatto il primo appuntamento in piena regola come coppia di innamorati. Destinazione Tokyo Tower. Non appena la moto si fermò, Unmei balzò giù dalla sella e si diede una bella scrollata ai capelli arruffati dal vento durante la corsa. Mettersi il casco proprio no eh?
“Se avessi saputo che avevi intenzione di correre a quella velocità li avrei legati!” Scherzò, passandosi le dita fra le onde della folta chioma nera e lucente.
Kazutora restò fermo in sella, con lo sguardo basso. “Te lo ricordi?”
“Mh? Di cosa?”
Allora lui si volse a guardarlo, accennando in timido sorriso. “E’ qui che ci siamo conosciuti, il 24 ottobre. Io avevo parcheggiato la moto in questo esatto posto e tu mi hai raggiunto. In appena otto giorni sono cambiate tante cose. Non avrei mai immaginato che io e te…” Non finì la frase, solo si ritrovò con la mano di Unmei sotto il mento, il viso vicinissimo al suo, gli occhi socchiusi. Fu una questione di un istante ed ecco che le loro labbra si sfiorarono in un bacio. Subito dopo, Unmei lo prese per mano e lo obbligò a scendere dalla moto. “Andiamo a riempirci la pancia con qualche prelibatezza! E già che ci siamo, potremo vedere se c’è un regalo per Baji! Dopodomani è il suo compleanno!”
Già, per la prima volta in una linea temporale, Baji Keisuke era vivo per festeggiare i quindici anni di età. Al solo pensiero sentiva il cuore gonfio di gioia. Suo padre era vivo!!!
Si accomodarono in uno dei punti ristoro al piano terra, dove pranzarono con due abbondanti porzioni di takoyaki e due lattine di aranciata, per poi tuffarsi nei piccoli negozi ricolmi di souvenir e cosette carine di ogni genere, dove in effetti trovarono un regalo adatto ad uno come Baji. Tra una cosa e l’altra era passata più di un’ora, ma ne era valsa la pena. Un ottimo pranzo, una camminata fra gli scaffali per digerire e poi salirono sull’ascensore che li portò dritti all’ultimo piano dove era l’Osservatorio Speciale.
Non era mai salito fin lì, durane la gita scolastica alle elementari la sua classe era rimasta al piano inferiore, però tramite i social aveva avuto modo di vedere che poi quel piano era stato chiuso per ristrutturazione e riaperto a febbraio 2021 con uno stile completamente nuovo e dal sapore futuristico. Appunto mentale: tornare a visitarlo in futuro. Non che fosse di fondamentale importanza, il solo fatto di essere lì col ragazzo che amava lo rendeva fantastico. Camminare fianco e fianco, ammirare vetrata dopo vetrata il paesaggio che si estendeva fino a fondersi col cielo e le nuvole. Quanto avrebbe voluto tenere Kazutora per mano… Meglio evitare, era una cosa poco fattibile nel 2021, figurarsi nel 2005! Almeno riuscirono a scattarsi delle foto insieme, anche col suo, che aveva ancora un po’ di batteria avendolo tenuto spento fino a quel momento.
“Il tuo telefono è strano! E’ un nuovo modello?” Chiese Kazutora, piantandoci praticamente il naso sopra, tanto era curioso.
“Ecco… Diciamo che è un prototipo… Però dovrò cambiarlo perché non funziona gran che bene!” Ormai mentire su certe cose gli riusciva abbastanza bene. Comunque era innegabile che doveva procurarsene uno di quegli anni, se decideva di restare. …decidere?
Dopo aver girovagato tre volte per tutto il piano, aver scherzato e fatto foto, sostarono davanti ad una vetrata che a quell’ora del pomeriggio era inondata di luce. Spalla contro spalla, il capo di Kazutora leggermente inclinato verso il suo, solo allora Unmei osò prendergli la mano e tenerla stretta nella sua. In quella posizione, tenendole davanti, nessuno poteva vedere e criticare e loro erano liberi di godersi il momento romantico, mentre il manto bianco del sole copriva e illuminava ogni cosa fino a dove occhio arrivava.
“Questa sera voglio discutere con mia madre riguardo il mio nuovo percorso di sedute dallo psicologo…” Disse piano Kazutora.
“Bene… Io me ne starò buono in stanza per non disturbarvi.”
“Vorrei che ci fossi anche tu, in verità. E’ una cosa che un po’ mi spaventa ma…” La sua mano tremò leggermente in quella di lui, allora gliela strinse più forte. “Se sarai al mio fianco, ce la farò.”
Ed ecco il gran finale. Il martello del giudice che viene battuto dopo la sentenza. Senza saperlo, Kazutora lo aveva alleggerito dell’enorme fardello di decidere se restare o tornare nel futuro.
Con un movimento appena percettibile, Unmei strofinò il capo contro la sua chioma e sussurrò: “Starò con te per sempre, te lo prometto.” Patto suggellato, fine della storia.
Poco dopo lasciarono la torre e tornarono all’appartamento. Fortunatamente era ancora presto, la signora non sarebbe tornata prima di un paio di ore e loro non avevano alcun impegno. Quale miglior momento per fare l’amore? Il giorno prima c’era stata quella sciocca incomprensione, poi la stanchezza aveva fatto il resto, ma ora non c’era niente ad impedire alla passione di travolgerli. Riuscirono a stento a raggiungere la camera da letto prima di far volare gli indumenti ovunque come se ci fosse stata un’esplosione, le loro labbra assetate e desiderose di succhiarsi e assaporarsi a vicenda, le mani vogliose di esplorare… Scivolarono sul letto, i loro corpi si avvinghiarono come dei polpi in calore. Unmei era determinato a rendere la loro prima volta indimenticabile, desiderava modellare quel corpo sottile nelle proprie mani, marcare quella pelle chiara e delicata coi propri baci bollenti, donargli emozioni che nessun altro avrebbe mai. Gli ci volle un bel po’ per riuscire a staccarsi dalle sue labbra e scendere verso il basso per prepararlo adeguatamente. Usando come unico lubrificante la sua stessa saliva, riuscì pian piano ad inserire due dita nella cavità anale, quindi prese il suo membro in bocca e cominciò ad assaporarlo come fosse uno squisito gelato. Kazutora aveva già le lacrime agli occhi e dei piccoli brividi lo percorrevano piacevolmente.
“Ci sai fare!” La voce spezzata dal piacere, un sorriso stentato sulle labbra umide. “Hai avuto…molti ragazzi?” Un gemito chiuse la frase.
Unmei si passò la lingua sulle labbra, negli occhi una luce strafottente. “Ho avuto qualche avventura, sì, ma nessuna relazione seria. Ho sempre amato solo te!”
Kazutora si passò il braccio per asciugare le lacrime. “Eh eh! Spero che un giorno mi racconterai dove e quando mi hai visto! Io non mi ricordo di te…”
Le dita si sfilarono lentamente e Unmei risalì per prendere posto fra le sue gambe, ritrovandosi così faccia a faccia. Con la punta del naso sfiorò la sua. “Avevo dieci anni. Ricordo che mi sentii come se avessi visto un angelo caduto negli inferi e poi risalito in superficie arrampicandosi con le unghie e con i denti.”
“Dieci anni? Abbiamo la stessa età, quindi li avevo anche io… Dove ci trovavamo?”
“In giro.”
Kazutora aggrottò le sopracciglia. “Non puoi essere un po’ più specific-ah!” Per un istante smise di respirare, sentendo il pene di Unmei entrare in lui, grande e caldo che si faceva strada fino in fondo.
“Ti fa male?” Gli chiese Unmei, sussurrando contro il suo viso.
Lui scosse piano il capo. “No… Mi piace…”
Qualunque altra cosa al mondo poteva aspettare.
*
 
Qualche volta gli era capitato di andare a casa di Draken, in quel palazzo in pieno centro a Shibuya dove si prendeva l’ascensore fino al quarto piano e…si veniva accolti da qualche bella sventola in pausa dal lavoro! Quando era più piccolo, sua madre si mostrava parecchio diffidente riguardo quel luogo e in più di un’occasione aveva fatto il terzo grado a Draken sul perché ce lo avesse portato o perché l’avesse lasciato parlare con quelle donne ecc ecc. Le persone che lavoravano lì avevano tutte una storia difficile alle spalle e a modo loro sapevano mostrare più umanità di molte altre. Lui aveva dei bei ricordi, ad esempio delle coccole materne che riceveva da alcune o le caramelle gommose da altre, ma soprattutto i sorrisi sinceri che queste gli donavano. Ufficialmente erano massaggiatrici, realmente erano prostitute. Ma davvero era giusto giudicarle aspramente per questa scelta di vita? Con questi pensieri per la mente, Unmei giunse al piano e una volta uscito dall’ascensore salutò il guardiano, riferì di essere un amico di Draken e si fece indicare la stanza. Non fu tanto un’accortezza per non destare sospetti, nel corso degli anni Draken aveva cambiato stanza almeno due volte e voleva essere sicuro di non sbagliare e ritrovarsi ad aprire un’altra porta. Per inteso, guardare del sesso etero non gli faceva schifo, però voleva evitare di creare problemi alle ragazze facendo una gaffe. Infine giunse a destinazione. Il giorno prima, dopo aver trascorso un pomeriggio piccante con Kazutora, aveva atteso il momento in cui lui si asciugava i capelli dopo aver fatto il bagno per prendergli il cellulare e chiamare Mikey. Gli aveva chiesto un incontro in privato e lui, senza volere spiegazioni, gli aveva detto che avrebbe dormito da Draken e che quindi il mattino lo avrebbe trovato lì. Ora non gli restava che prendere respiro e aprire la porta. Ciò che vide fu…qualcosa di incredibilmente bello. La buona notizia era che la stanza era quella giusta, però mai si sarebbe aspettato di trovare quei due infilati nello stesso letto! Entrambi indossavano ancora il pigiama e avevano i capelli sciolti sulle spalle, Mikey era letteralmente accoccolato su di lui e Draken aveva un’espressione tutt’altro che infastidita. Almeno fino a quando non si accorse della sua presenza sulla soglia della stanza, allora mutò all’istante e le sue sopracciglia si aggrottarono. “Ehi tu, non si usa bussare?”
“C-c-chiedo scusa!!!” Unmei fece un inchino ad angolo retto, preso dall’imbarazzo.
“Puah, lascia perdere. Entra e muoviti a chiudere la porta.”
Lui obbedì prontamente e poi s’immobilizzò non sapendo bene come comportarsi.
A guardarlo così, Mikey sembrava un bambino piccolo e coccoloso, il suo viso innocente era come quello di un angioletto e quei capelli arruffati che gli coprivano la fronte avevano un che di buffo.
“Senti un po’, hai una bella faccia tosta a presentarti qui senza nemmeno interessarti a come sia finito lo scontro!” Lo riprese Draken, severamente. “Dopo che te ne sei andato tenendo sottobraccio il tuo fidanzatino, non ti sei più fatto sentire, cazzo!”
In effetti… “Ehm… Sì… E’ che ho avuto molte cose a cui pensare… Comunque…com’è finita? Immagino bene…”
Di punto in bianco l’espressione omicida di Draken svanì e sul suo viso si accese un sorriso a trentadue denti. “Ovviamente! Abbiamo vinto noi! Dopo che ve ne siete andati, nessuno ha osato muovere un dito e quando Hanma ha provato a protestare Mikey lo ha steso con un calcio!”
Dunque era successo ancora. Certe cose erano dettate dal destino. Tipo la figuraccia di Hanma che si era ritrovato faccia a terra, culo per aria e un’espressione da ebete dopo essere stato colpito da Mikey! Un po’ gli dispiaceva per lui, ma in parte se l’era meritato!
Draken continuò. “Questo scontro è stato ribattezzato ‘Bloody Halloween’!”
Bastò quel nome per far rabbrividire Unmei, la voce gli uscì più spaventata di quanto avesse voluto. “Perchè mai???”
“Non fartela sotto! E’ più una presa per il culo! Siccome il terreno era pieno di schizzi di sangue, qualcuno ci ha scherzato su e alla fine è diventato un nome ufficiale!”
Porca troia aveva quasi fatto un infarto… Schizzi di sangue eh? Per quanto ridicolo, era meglio così, sapendo che in troppe linee temporali il sangue versato era stato quello di suo padre Baji…
Mikey saltò fuori con voce assonnata. “Ken-chin, lasciaci soli per un po’.”
Draken fece per protestare, ma bastò un’occhiata da parte sua per capire che si trattava di un ordine del Comandante e non di un’amichevole richiesta, così si districò dal suo abbraccio e lasciò il letto. Recuperò la divisa scolastica da una gruccia e si avviò verso la porta, prima di andare si rivolse ad Unmei. “Vedi di non fare il furbo.” Lo sguardo minaccioso cozzava coi bei capelli biondi e lunghi che così al naturale gli donavano particolarmente, anche se di solito li teneva legati in una treccia per mettere in mostra il drago che aveva tatuato sulla tempia. Quando si richiuse la porta alle spalle, nella stanza calò un fastidioso silenzio.
Visto che Mikey se ne stava a sonnecchiare nel letto, abbracciato al cuscino con cui aveva già sostituito Draken, Unmei dovette prendere l’iniziativa. “So che hai già fatto molto per me, ma ho bisogno di un ultimo grande favore.”
“Ti ascolto.” Ok. Per lo meno era sveglio.
Unmei si mise in ginocchio accanto al letto e abbassò il capo con rispetto. “Voglio stare vicino a Kazutora e supportarlo, perciò ho deciso di cercare un lavoro e diventare indipendente. Il problema è che…prima ho bisogno di nuovi documenti. Anzi, di una nuova identità.”
Mikey allora aprì gli occhi e con uno strattone ai capelli lo costrinse a rialzare la testa. Il viso così vicino al suo che i loro respiri si fusero. “Una nuova identità… Per quale motivo?”
Unmei si era preparato ad eventuali domande come questa, perciò rispose senza esitazioni. “Ho avuto problemi con la giustizia e non posso farmi trovare.”
“Sai cosa credo io? Che se cercassi il nome Baji Unmei non troverei niente! Almeno per i prossimi otto mesi. Giusto?”
Una goccia di sudore attraversò la schiena di Unmei e, anche se lui provò a bluffare, la voce lo tradì uscendo incrinata. “Che…che stai dicendo?”
“Non so come cazzo sia possibile, ma sono certo che tu sia figlio di Baji e Chifuyu. E’ dalla prima volta che ti ho visto che mi scervello su questa cosa e dopo aver saputo della gravidanza non ho trovato una soluzione più convincente.”
Con una mossa astuta Unmei riuscì a liberarsi della sua presa, ma fu solo un istante, con uno scatto rapido Mikey lo afferrò per il collo.
“S-senti… Puoi farmi quello che ti pare, tanto io non dirò niente. Nemmeno se mi stupri, cazzo!”
Mikey accennò un mezzo sorriso compiaciuto. “La tentazione è forte!” E subito dopo s’incollò alle sue labbra, rubandogli un bacio prepotente, aggressivo, la lingua che obbligava quella di lui a seguirne il ritmo, mentre la saliva un po’ amarognola dovuta alla notte di sonno amalgamava il tutto. Ora…che quel bacio fosse totalmente inaspettato era indiscutibile, però…nel cervello di Unmei una voce stava gridando quanto era fortunato! L’Invincibile Mikey, il ragazzo che era destinato a diventare il terrore del Kanto, stava baciando proprio lui!!! Era come un sogno divenuto realt-cazzo no! Con uno scatto repentino si sottrasse a quel bacio. “Aspetta aspetta aspetta! Non posso! Io amo Kazutora!”
In tutta risposta, Mikey lo trascinò di peso sul letto e lo intrappolò salendogli sopra. “Fanculo l’amore!”
Non andava bene per niente. Che cavolo stava accadendo? Da quando Mikey provava attrazione sessuale nei suoi confronti? Be’, era anche vero che il ricordo di quanto accaduto a scuola era vivido nella sua mente, ma accidenti, da quello stupido scherzo ad arrivare a scopare nel letto del suo migliore amico ce ne voleva!!! A meno che…
“Tu sei innamorato di Draken.”
Mikey, che stava per posare di nuovo le labbra sulle sue, si fermò all’istante, gli occhi sbarrati.
“E’ così, vero? Il problema è che ti sei ritrovato in un triangolo amoroso quando hai scoperto che lui provava dei sentimenti per tua sorella Emma e lei lo ricambiava.”
Vide lo sguardo di Mikey tremare. Centro!
“Hai capito di non avere speranze con lui e così hai abbandonato il tuo sogno d’amore per fare il tifo per loro, illudendoti che fosse la cosa giusta da fare. Deve essere stata una sofferenza atroce.”
Mikey non riusciva ancora a spiccicare parola, era come diventato di pietra. E lui cosa doveva fare? Non poteva dirgli che presto Emma sarebbe morta. Né che nella linea temporale dal quale proveniva, Draken avrebbe avuto Inupi come compagno di vita… Magari poteva spronarlo a dichiararsi e cambiare il futuro? O era troppo rischioso? Oppure…
“Io ti consiglierei di puntare su Takemichi.”
Finalmente Mikey ebbe una reazione, strinse i denti con fare contrariato. “Lui ha già Hina-chan.”
“E allora? So che si sta affezionando molto a te e arriverà a fare cose incredibili affinché tu sia felice.”
“Lo dici perché lo hai visto? E’ ciò che accadrà in futuro?”
Casino. Confermare equivaleva a dargli prova che veniva davvero dal futuro, d’altra parte non farlo gli avrebbe fatto perdere la sua fiducia ed il suo aiuto. E questo era peggio.
“Se prometti di aiutarmi facendo ciò che ti ho chiesto, io in cambio allontanerò lo sfigato da quella stronzetta antipatica e lo getterò fra le tue braccia. Abbiamo un accordo?”
Poteva vedere negli occhi di Mikey un conflitto interiore senza precedenti, eppure intuì che era questione di poco prima che l’egoismo avesse la meglio.
*
 
Il locale era piuttosto piccolo e per nulla appariscente, forse per questo motivo era poco frequentato nonostante fosse situato in prossimità del famosissimo incrocio di Shibuya. Il lato positivo era che si poteva trovare facilmente un tavolo libero e gustare uno dei parfait che, a dirla tutta, erano il pezzo forte di quel locale. Appena entrati dalla porta vetrata, Unmei e Kazutora furono accolti dal simpatico suono di una campanella e da un richiamo proveniente dal tavolo più in fondo. Andarono incontro a due sorridenti Baji e Chifuyu che li stavano aspettando in compagnia di due parfait appena fatti, uno al cioccolato e panna e un altro con l’aggiunta di cioccolato fondente. Presero posto di fronte  a loro, giusto il tempo di salutarsi ed ecco che un giovane cameriere venne a prendere le nuove ordinazioni. Un parfait cioccolato più cioccolato fondente per Unmei e uno cioccolato e banana per Kazutora. La casualità…!
“E’ una mia impressione o sei uno splendore, Chifuyu?”
A quel complimento, lui non arrossì e anzi il suo sorriso divenne ancora più luminoso, come anche gli occhi azzurroverde che sembravano brillare come gemme preziose. Addosso aveva un comodo maglione bianco candido di lana, con cappuccio e una scollatura piuttosto ampia che metteva in risalto il collo sottile da far invidia a un cigno. “Sarà la gravidanza!” Rispose sinceramente, ma con quel velo di innocenza che solo lui era in grado.
“Ehi tu! Non cominciare con commenti invadenti! Chifuyu è il mio ragazzo!” Lo rimbeccò subito Baji, che per contrasto indossava una rudimentale maglia a righe nere e grigie con vari strappi tutt’altro che fashion, per non parlare delle collane pacchiane tra cui una con croce cristiana che faceva pensare ad un insulto alla religione! Insomma, se uno sembrava sceso in volo dal Paradiso, l’altro sembrava essere stato SPUTATO dall’Inferno!!!
“Oi oi, Baji! Non prendertela subito! Oggi siamo qui per festeggiare!” Chiarì Kazutora, facendogli l’occhiolino. Scambiò un’occhiata veloce con Unmei e poi estrasse da sotto il tavolo una borsetta di carta blu che aveva tenuto nascosta fino a quel momento. Tenendola con entrambe le mani la porse a Baji, lui la prese un po’ impacciato e con un leggero rossore sulle guance.
“Che cazzo, te ne sei ricordato…” Nonostante il linguaggio rude per nascondere la timidezza, aprì la borsa senza esitare e ne estrasse due pacchetti rossi di dimensioni diverse. Chifuyu gli si appiccicò alla spalla per la curiosità. Il primo che aprì, quello più piccolo, conteneva un simpatico portachiavi in metallo raffigurante la Tokyo Tower.
“Aaah allora ci siete tornati!”
Unmei ammiccò. “Due giorni fa! Il nostro primo appuntamento romantico!”
“Risparmiami i dettagli.” Tagliò corto Baji, per poi dedicarsi all’apertura del secondo pacchetto. Quando vide di cosa si trattava, il suo incarnato divenne pallido, mentre Chifuyu dovette sforzarsi di reprimere una risata. Era un libro per imparare i kanji.
A Kazutora la spiegazione: “Abbiamo pensato che ti potrà servire! Sei nato il 3 novembre, il giorno della festa della cultura, eppure a quindici anni sai a malapena scrivere il tuo nome! Pff!”
E ovviamente scoppiò una risata globale attorno al tavolo, ai danni del povero Baji!
“Veramente sto migliorando nella scrittura, stronzi!” Tentò di difendersi, incavolato e rosso per la vergogna allo stesso tempo.
Quando il cameriere portò le ultime ordinazioni al tavolo, poterono armarsi tutti e quattro di cucchiaino a manico lungo e affondarlo nelle coppe ricolme di delizie.
“Scherzi a parte, buon compleanno, tou-san!” Azzardò Unmei, desideroso di dire quella parola per la prima volta in vita sua. E soprattutto dirla per la prima volta a suo padre. Una parola che scoprì avere un gusto deciso, dolce ma con una punta di amarognolo, come il parfait che stava mangiando.
Baji schivò il suo sguardo, di nuovo colto dall’imbarazzo. “Non prendermi per il culo!”
Chifuyu saltò fuori in quel momento, con la bocca ancora piena. “A proposito, non ti ho ancora detto che l’altro giorno mi sono fatto visitare!”
“Ah ecco dov’eri quando ti ho telefonato!”
“Mh mh!” Ingoiò il boccone e, tutto sorridente, riprese a parlare. “Mi hanno fatto dei prelievi e cose così, ma la prossima settimana farò la mia prima ecografia! E sarà presente anche Baji-san!”
“Non è che bisogna dire proprio tutto…” Bofonchiò Baji.
“Dimenticavo! Non vi ho ancora fatto le mie congratulazioni! Se avete bisogno potete contare su di me!” Si propose Kazutora. Di fatto aveva conosciuto Chifuyu solo per telefono e quel giorno era la prima volta che interagiva con lui personalmente, ma nonostante questo si sentiva a suo agio, inoltre gli era enormemente grato per essere stato accanto a Baji mentre lui era rinchiuso in riformatorio. Chifuyu era diventato il ragazzo di Baji e ora stava per dargli un figlio, ma in questo modo lui aveva mantenuto il ruolo di migliore amico e la cosa gli stava più che bene.
“Grazie, Kazutora-kun! In effetti avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile, anche se le nostre madri ci hanno rassicurati di non cacciarci di casa e di insegnarci a fare i genitori!” Precisò Chifuyu.
“Seh… La mia vecchia è scoppiata a piangere e subito dopo mi ha preso per i capelli e mi ha detto di trovarmi un lavoro part-time in attesa di finire le medie… Una cazzata, visto che sono stato bocciato l’anno scorso e adesso sono al secondo anno come Chifuyu…”
Per Unmei non era difficile immaginare la scena di sua nonna che prende per i capelli il figlio e gliele canta senza peli sulla lingua!
Tra scherzi e chiacchiere, nessuno di loro fece caso alla campanella dell’ingresso che ogni tanto suonava, almeno fino a quando un tonfo di mani sul piano del tavolo non spezzò drasticamente il buonumore. Takemichi era lì e dalla faccia che aveva non prometteva niente di buono.
“Unmei, vieni fuori, devo parlarti.” Il tono di voce fece capire che in caso di un rifiuto lo avrebbe pestato lì dove si trovava.
Partner…è successo qualcosa?” S’interessò Chifuyu, con premura.
“E’ successo che questo qui mi evita. Non si fa trovare quando lo cerco e finge di non esserci quando chiedo di lui per telefono.” Gli rispose Takemichi, per poi terminare posando uno sguardo carico di risentimento su Unmei. “E’ ora di finirla.”
“Unmei…?”
Sentendo la voce preoccupata di Kazutora al suo fianco, Unmei si volse verso di lui. “Io esco un momento. Tranquillo, è tutto a posto.” Cercò di rassicurarlo, sfiorandogli la spalla. Dopo di che si alzò dal posto e seguì Takemichi all’esterno del locale.
*
 
Di gente che passava per strada ce n’era in continuazione, data la zona in cui si trovavano. Che fossero turisti delle più disparate nazionalità, ragazzi che girovagavano godendosi il giorno di festa o lavoratori incalliti che correvano per degli appuntamenti, nessuno di loro si accorse di quel vicoletto proprio affiancato al locale semi sconosciuto e tantomeno delle due figure che vi si erano rifugiate per discutere.
“Che stronzate sei andato a raccontare a Mikey???” Esordì Takemichi, pugni serrati ai fianchi e sguardo infuocato.
“…Mikey?”
“Mi ha detto tutto. Le offese nei confronti di Hina, i tuoi progetti e quello stupido accordo per farmi mettere con lui. Ascoltami bene, ragazzino, che tu lo voglia o no adesso torniamo a casa. Mi sono rotto il cazzo dei tuoi capricci.”
Unmei fece una smorfia disgustata. “Te lo puoi anche scordare, vecchio. Io da qui non mi muovo.”
Dagli sguardi taglienti che si lanciavano, era chiaro che entrambi erano determinati ad andare fino in fondo, a costo anche di usare la violenza se le parole non fossero bastate.
Nel mentre, all’interno del locale, il tavolo a cui dovevano essere i festeggiamenti si era fatto così silenzioso che il tintinnare dei cucchiaini quasi rimbombava.
“Takemichi era parecchio incazzato… Chissà cos’è successo…” Disse Chifuyu, mogio mogio, tenendo la testa appoggiata contro la mano. Accanto a lui, Baji stava rigirando la cioccolata sul fondo della coppa con fare pensieroso.
L’unico ad essere un fascio di nervi era Kazutora. Non solo il suo interesse per il parfait era totalmente svanito, continuava a lanciare occhiate furtive sia alla vetrata che alla porta, girando il capo da una parte all’altra in continuazione, fino a che non sopportò più la tensione e si alzò di scatto, facendo sobbalzare gli altri due. “Io vado a controllare…”
Una volta fuori, si diresse di volata nella direzione che li aveva visti prendere e si fermò giusto un pizzico prima di arrivare al vicoletto.
“TU NON APPARTIENI A QUESTO TEMPO, UNMEI!”
Il grido di Takemichi gli fece salire il cuore in gola. Ma soprattutto…cos’aveva appena detto? Si poggiò di spalle al muro e rimase in ascolto.
“Non me ne frega un cazzo!” Rispose per le rime Unmei, altrettanto adirato. “Non è un tuo problema visto che puoi andartene quando vuoi! Io non ti servo!”
“Non dire cazzate, se rimani qui nel passato non sai quali conseguenze ci saranno nel tempo da cui veniamo. E poi non hai pensato a cosa succederà quando nascerai? Adesso sei nel ventre di Chifuyu, ma a giugno verrai al mondo e ci saranno due di te stesso contemporaneamente. Hai mai visto un film di fantascienza, cretino? La coesistenza potrebbe costarti la vita.”
Kazutora bisbigliò tra sé. “Ma di che stanno parlando?”
Takemichi buttò fuori un lungo sospiro, la sua voce s’incrinò quando riprese a parlare. “Non erano questi i patti, Unmei… Hai dimenticato il motivo per cui siamo qui? Tu desideravi dare un futuro felice a tua madre Chifuyu. Sei riuscito a salvare tuo padre Baji dal Bloody Halloween, hai fatto in modo che Kazutora non finisse in prigione per averlo ucciso…”
Tu-tum. Tu-tum.
“Appunto, ho agito per il bene dei miei genitori e del ragazzo che amo!” Unmei scosse il capo. “Davvero non lo capisci, vecchio? Non posso lasciare Kazutora. Gli ho promesso di stargli accanto e aiutarlo. E’ troppo fragile… Se io sparissi adesso, lui ne subirebbe il trauma. Potrebbe andare fuori di testa, uccidere qualcuno o fare del male a se stesso… E non credo mi crederebbe se gli dicessi che io vengo dal futuro…”
Tu-tum. Kazutora si portò una mano alla bocca, gli occhi sbarrati nel vuoto.
“Sei tu a non capire… Non è questo il tuo posto. Non vuoi vedere coi tuoi occhi il nuovo futuro che hai creato? Vedere tua madre sorridere, sapere cosa si prova ad avere un padre, anche se si tratta di un caso perso come Baji!” Nella voce un accenno di divertimento che si spense subito. “Avere una famiglia, come hai sempre desiderato.”
Unmei tremava come una foglia, era una lotta emotiva fin troppo dura per lui. “Lo vorrei tanto… Ma amo troppo Kazutora per abbandonarlo così.” Si morse un labbro. “Non ce la faccio. Chiamami pure egoista… Non sopporterei di tornare nel futuro e scoprire che lui nel frattempo si è sposato.”
“Non accadrà.”
La voce fu la prima ad arrivare a loro, ad attirare i loro sguardi all’ingresso del vicolo, dove in pochi istanti comparve la figura di Kazutora. Si avvicinò a passo tranquillo, lo sguardo fermo su quello di Unmei che invece tremava. Quando giunse a lui, sollevò le braccia e gliele cinse attorno alle spalle.
“Ora è tutto chiaro… Anche se il mio cervello stenta a crederci…”
“G-guarda che è tutto uno scherzo! Io e il vecchio sapevamo che ci stavi ascoltando e ci siamo inventati una stupida storiella!”
Kazutora scosse il capo, accennando un sorriso triste. “Vorrei tanto che fosse uno scherzo! Se potessi ti chiederei di restare, ma non voglio che tu sia in pericolo per colpa mia.”
“Ma Kazu-”
“Non avrò nessun altro.” Lo interruppe lui. “Te lo prometto. Mi impegnerò per diventare una persona migliore e ti aspetterò.”
“Cazzo, come farai senza di me per sedici anni? Ti rendi conto di quello che dici?”
“Ma tu ci sarai, no? Ho sentito… Nascerai a giugno… Ti vedrò crescere…”
Gli occhi gli si gonfiarono di lacrime. “Kazutora… Ti amo da impazzire…”
“Lo so… Quando tornerai nel tuo tempo, io sarò là ad aspettarti. E staremo insieme!”
Unmei inghiottì le lacrime e unì le labbra a quelle di Kazutora in un bacio profondo e disperato, nel tentativo di colmare la lunga separazione che lui avrebbe dovuto affrontare. Si separarono lentamente, il calore dei loro respiri che si fondeva.
“Ascolta bene quanto sto per dirti. E’ molto importante.” Bisbigliò Unmei contro le sue labbra. “Rimani con Baji e Chifuyu. Un giorno apriranno un negozio di animali e tu lavorerai con loro.”
“Va bene.”
“Al riformatorio c’è un ragazzo di nome Sendo Atsushi, detto Akkun. E’ un ragazzo eccezionale, appassionato di capelli. Da dove provengo io vi siete conosciuti proprio al riformatorio e siete diventati ottimi amici. Con l’aiuto di Takemichi fai in modo di incontrarlo.”
“Lo farò.”
A quel punto Unmei si fece un po’ indietro per sciogliersi dal suo abbraccio e si tolse l’orecchino di argento e onice.  Prese una mano di Kazutora e glielo posò sul palmo. “Tienilo tu, così ogni volta che lo vedrai ti ricorderai quanto ti amo.”
Lo sguardo di Kazutora tremò, ma subito lui abbassò il capo e si portò la mano al cuore. Quell’orecchino sarebbe stato il suo tesoro.
Poi Unmei si rivolse a Takemichi. “Posso salutare i miei genitori, per favore?”
A onor del vero, Takemichi lo squadrò con aria dubbiosa, ma alla fine acconsentì. “Fai presto. E guai a te se ti azzardi a scappare approfittandoti della mia buona fede.”
“Non lo farà, hai la mia parola.” S’intromise Kazutora, quindi gli prese la mano e insieme rientrarono al locale.
“Finalmente! E’ tutto a posto? Ci avete messo una vita!” Gridò Chifuyu, visibilmente preoccupato.
Kazutora prese posto, mentre Unmei rimase in piedi, le mani poggiate al bordo del tavolo. “Ecco… io torno a casa.”
L’espressione di Chifuyu si illuminò all’istante. “Ma è fantastico! Allora hai deciso di fare pace con tua madre!”
“Ehm…sì, diciamo così…”
“Quindi potremo venire a trovarti uno di questi giorni?”
“Non è così facile… Temo che non potremo vederci per un po’…” Si sentiva come se avesse una lama infilata nel petto, ma lo stesso cercò di accennare un sorriso. “Perciò… Voglio salutarvi come si deve e ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me!”
Baji allungò una mano verso di lui, regalandogli un sorriso cordiale. “Alla fine mi stai più simpatico di quanto abbia detto! Anche se se mi hai soffiato il posto nello scontro con la Valhalla…ma forse è stato meglio così!”
Unmei strinse quella mano con affetto e ricambiò il sorriso, era come essere tornato alla sera in cui si erano incontrati e dopo un inizio burrascoso avevano trovato un’intesa. “Grazie! Anche tu non sei malaccio! Vedi di rendere felice Chifuyu e di essere un buon padre!” Dopo di che volse lo sguardo proprio a Chifuyu, il suo volto sorridente era meraviglioso e sperò davvero di poterlo vedere anche a casa, una volta tornato. Però separarsi così, dopo tutto quello che avevano passato insieme in quel tempo, era più dura di quanto credesse. Seguendo un forte impulso gli si gettò addosso per stringerlo in un caloroso abbraccio. Le lacrime gli riempirono gli occhi mentre gli sussurrava all’orecchio. “Ti voglio bene!”
Ovviamente Baji saltò come una cavalletta nel vedere quella scena e si mise a starnazzare. “Che cazzo! Ritiro tutto! Spero di non vederti mai più, bastardo!”
Loro lo ignorarono completamente, e anzi, nonostante la sorpresa, Chifuyu ricambiò il suo abbraccio con affetto e rispose: “Ricordati di dirlo a tua madre, appena la incontri!”
Unmei emise un mugolio di consenso. Dovette fare un grande sforzo per lasciarlo, altrimenti lo avrebbe tenuto stretto così per sempre. Deglutì il nodo alla gola e si passò la manica sugli occhi, per ridarsi un po’ di contegno.
“Mi accompagni fuori?” Chiese a Kazutora. Lui però rimase dov’era, un leggero tremolio lo percorse. “No… Se lo faccio, temo di non riuscire a lasciarti andare…”
Lo capiva benissimo. “D’accordo… Ricordati le cose che ti ho detto e andrà tutto bene.” Non attese una sua risposta, semplicemente se ne andò senza voltarsi indietro, nonostante il cuore gli facesse male ad ogni singolo passo.
Quando lo vide tornare, Takemichi fece qualche passo per andargli incontro e poi gli porse la mano. “Non te ne pentirai.” Gli disse con convinzione.
Unmei pregò che fosse così. Sollevò lentamente la mano, neanche gli fosse diventata di piombo, e non appena sentì il contatto di un dito contro uno di quelli di Takemichi, lui con uno scatto gli afferrò la mano e la strinse con forza. Una luce simile ad un fulmine entrò nelle loro menti e poi tutto divenne nero.
*
 
Uno dei rumori più fastidiosi al mondo, di sicuro è la vibrazione delle sveglia del telefono di primo mattino, quando stai sognando e all’improvviso i sensi vengono risvegliati dall’odioso tremolio in grado di farti venire la tachicardia. O di farti salire l’istinto omicida! Quel mattino, per Unmei fu un mix di queste sensazioni. Ritrovandosi riportato bruscamente alla realtà, digrignò i denti e afferrò lo smartphone. “Fanculo!” Invece di pigiare sull’icona per spegnare la sveglia, diede uno schiaffo allo schermo ed ecco che al suo posto comparve uno sfondo con la foto di lui e Blitz in posa da duri strafighi, uno con il tokkofuku grigio e l’altro con la giacca da Comandante della Excalibur Gang. Sbuffando ripose il telefono sul ripiano del comodino, la sua mano urtò qualcosa di metallico. Volse lo sguardo e vide che si trattava del suo orecchino in argento con pendente in pietra onice. Momento… Scattò per mettersi seduto sul bordo del letto e sollevò l’orecchino davanti agli occhi. “Mi sento come se avessi dimenticato qualcosa…” Si sentiva confuso e in aggiunta arrivò un dolore alla testa che lo costrinse a piegarsi in due, i lunghi capelli gli ricaddero sul viso. Pochi istanti e il dolore venne sostituito da una calda sensazione che gli riempì il petto e un bisogno urgente lo fece balzare via dal letto. Volò fuori dalla camera e trottò giù dalle scale, dove percepì un delizioso odore di frittura. Quando entrò in cucina, vide la cara figura ai fornelli, il solito grembiule nero, le bacchette lunghe e metalliche con cui stava estraendo un pezzo alla volta la tempura dall’olio, i capelli rasati sulla nuca e la folta chioma bionda invece di quella naturale nera.
Kaa-san…” Un bisbiglio che gli uscì come una preghiera, ma che Chifuyu riuscì a sentire.
Si voltò, bastò un’occhiata perché i suoi occhi azzurro verde mettessero un’espressione severa. “Ma sei ancora in pigiama? E devi anche fare colazione! A che ora hai intenzione di andare a scuola questa mattina?”
Unmei ignorò il rimprovero, era così felice che gli corse incontro col sorriso sulle labbra e poi lo strinse in un forte abbraccio. “Kaa-san, ti voglio bene!”
Preso alla sprovvista, Chifuyu non reagì subito, ma poi si sciolse e ricambiò l’abbraccio sorridendo a sua volta sopra la spalla di lui. “Anche io ti voglio bene, sciocco di un figlio!”
“Wooooh, un attacco mammoso di prima mattina? Cos’è, un nuovo modo per farti aumentare la paghetta?”
Nel sentire quella voce dal tono strafottente, il cuore di Unmei fece una capriola. Lentamente si sciolse dall’abbraccio con la madre e si volse verso il nuovo arrivato. “Tou-san…” Era proprio Baji, bello, alto, con gli occhi nocciola e sottili da predatore, il sorriso su cui spiccavano i denti da vampiro e i capelli neri dal taglio corto sul retro e con la frangia più lunga tenuta ai lati della fronte, simile a quella che portava quando aveva dodici anni. Come poco fa, gli corse incontro e si sollevò sulle punte dei piedi per poterlo abbracciare, dato che adesso Baji era più alto di lui.
“Qui c’è sotto qualcosa… Era da un bel po’ che non mi abbracciavi… O significa che è finito il periodo ribelle?”
Unmei ridacchiò. “Sì! Proprio così! Ti voglio bene, tou-san! Ti voglio tanto bene!”
“Sospetto... Troppo sospetto…” Ripetè Baji, ma comunque avvolgendogli il girovita con un braccio per rispondere al suo.
“Sono felice di averti come padre!” Disse Unmei con voce incrinata, mentre due lacrime gli rigavano il viso.
Baji scambiò uno sguardo interrogativo con Chifuyu, il quale però rispose scuotendo il capo e facendo spallucce. Non erano abituati a quel comportamento affettuoso!
Avendo la vista offuscata dalle lacrime, Unmei notò appena la piccola figura che entrò pian piano in cucina… I dettagli arrivarono poco alla volta… I lunghissimi capelli neri ondulati, gli occhi grandi color nocciola, il naso sbarazzino, la divisa scolastica con la gonnellina blu ed il randoseru rosso per la scuola elementare. E una vocina che sembrava il miagolio di un gattino.
Papa? Mama? Perché Unmei sta piangendo?”
Chifuyu rispose gentilmente e col sorriso sulle labbra. “Perché ha voglia di coccole! Non preoccuparti, tesoro!” Quindi fece un cenno con la mano. “Vieni qui che mettiamo il tuo bento nello zainetto!”
La piccola obbedì e lo raggiunse, per poi dargli lo zainetto rosso dove Chifuyu infilò un simpatico cestino del pranzo a forma di gattino rosa. “Ecco fatto, Haruhi!”
Unmei, che aveva seguito la scena con lo sguardo velato d’incanto, ripeté il nome che aveva appena sentito. “Haruhi…”
Gli c’erano voluti pochi minuti per ricordare del viaggio nel tempo e delle lotte per cambiare il futuro, ma solo in quel momento nella sua mente affiorò un nuovo ricordo appartenente a quella nuova vita. Si scostò da suo padre e andò incontro alla bimba che lo guardava con occhi sgranati. “Haruhi… La mia sorellina!!!” La sollevò in braccio e affondò il viso nei suoi capelli morbidi e profumati di fragola, mentre la piccola se la rideva tutta contenta nell’abbraccio del fratellone. “Nii-chan! Nii-chan!”
Un dono dal cielo che non si sarebbe mai aspettato! Abbracciandola e giocando a farle il solletico sulla testa, i nuovi ricordi si fecero strada sempre più numerosi e sempre più nitidi. E c’era una cosa che voleva verificare. S’interruppe e ripose la bimba a terra. “Devo fare una cosa, scusate!” E corse via sotto gli sguardi interrogativi dei suoi famigliari. Ok…
Chifuyu diede una veloce sistemata alla chioma della figlioletta, lisciando le ciocche tra le dita, e poi le diede lo zainetto. “Tesoro, vai a mettere le scarpe e il cappottino, papà ti accompagna a scuola tra poco!”
“Sì, mama!” E se ne andò saltellando.
Una volta ripiombato nella propria stanza, Unmei si gettò sulla divisa blu e recuperò dalla tasca della giacca il suo libretto scolastico. Sotto alla foto c’era scritto BAJI UNMEI.
“Sì! E’ tutto vero! Ce l’ho fatta! Ho cambiato il futuro!” Rimise a posto il libretto e s’infilò in fretta una camicia pulita e i pantaloni larghi da teppista. Poi fu la volta di una bella spazzolata ai capelli (che teneva sempre rivolti sul lato sinistro della testa in modo che le onde naturali creassero un effetto voluminoso) e si mise la giacca che lasciò rigorosamente aperta. Ora non doveva nascondere di essere un teppista, i suoi genitori sapevano di lui e della gang che aveva messo su e non avevano mai fatto nulla per impedirglielo. “Fantastico! Ah, quasi dimenticavo…” Andò verso il comodino e prese l’orecchino a cui era tanto affezionato, poi tornò a darsi un’ultima occhiata allo specchio a figura intera che teneva tra la scrivania e l’armadio. Era uno schianto di ragazzo. Però… “Mentre ero nel passato questo orecchino l’avevo dato a…” Altra corsa.
Trovò i suoi genitori ancora in cucina a conversare tra loro e dovette interromperli.
“Non so se oggi andrò a scuola, devo fare una cosa importante!”
Baji lo squadrò in cagnesco. “Che significa? Con le insufficienze che hai preso credi di poterti permettere di saltare le lezioni?” Detto da lui proprio….
Cazzo! Anche in questo futuro aveva qualche problemino a studiare!
“Ehm… Ti prometto che mi impegnerò di più, ma adesso devo proprio andare! L’amore della mia vita mi sta aspettando!” E corse via come il vento.
“Ma che cazzo! Quel moccioso ultimamente mi sta davvero sulle palle! Somiglia sempre di più a quel tizio…” Fece un cenno col capo. “Te lo ricordi quel rompipalle che abbiamo conosciuto da ragazzi e che poi è sparito nel nulla? Hai anche avuto la pessima idea di dargli lo stesso nome! E anche nostro figlio è gay! Se non sapessi che è impossibile direi che ce lo abbiamo in casa!”
Era da anni che Chifuyu non ci pensava, era come se avesse riposto i ricordi di quella settimana di sedici anni fa dentro un cassetto poi dimenticato, ma ora che Baji lo aveva nominato… Che strano… Alcune cose di suo figlio gli ricordavano davvero quel ragazzo di nome Unmei. Chissà che fine aveva fatto. “Sono solo coincidenze.” Tagliò corto, allorché, ad una certa insistenza di Baji, si vide costretto a zittirlo con un bacio improvviso. “Ora, nel caso non te lo ricordassi, devi portare nostra figlia a scuola! E dopo andiamo insieme ad aprire il negozio!”
L’aveva detto sorridendo, però il tono autoritario la diceva lunga su chi comandasse all’interno della coppia!
Tornando ad Unmei, gli era bastato uscire di casa perché un’altra ondata di nuovi ricordi lo investisse. Ora sapeva che i suoi genitori avevano aperto il negozio di animali XJ Land e che si erano messi in società con Kazutora per dividere le spese e lavorare tutti insieme. E anche che Kazutora viveva nell’appartamento sopra il negozio, da dove era possibile accedere da una scala interna nel magazzino. Essendo il negozio vicinissimo, giusto una decina di minuti a piedi da casa sua, ci andò di corsa senza dover prendere la moto. S’infilò nel vicolo sul retro e trovò la porta del magazzino aperta, probabilmente per far circolare aria. Una volta entrato, sentì una voce in lontananza e alcuni miagolii. Andò in quella direzione. Dopo il magazzino c’era una porta che dava direttamente al negozio, l’aprì, l’area era identica a come la ricordava prima del viaggio nel tempo e il sole che filtrava dalle serrande a rete ancora abbassate creava un effetto quasi magico. Unmei camminò fino alla zona delle vetrine, da dove provenivano la voce e i miagolii. Lo vide chinato lì, con addosso abiti comodi e un grembiule e i lunghi capelli bicolore raccolti in una coda di cavallo.
“Kazutora…”
Lui si rimise in piedi e si voltò. “Unmei? Che ci fai qui? Per caso i tuoi genitori tarderanno?”
Non ci furono storie, Unmei gli saltò addosso facendo finire entrambi sopra una montagnola di cuscini dove di solito i gatti si mettevano a dormire, e impresse le labbra sulle sue in un lungo bacio. Con tanto di lingua. Kazutora rimase immobile sotto di lui, lo sguardo esterrefatto per quel gesto, almeno fino a quando Unmei non si staccò per riprendere fiato e gli disse sorridente. “Sono tornato!” Allora lui capì.
La voce gli si spezzò in gola nel dire: “Sei tu?”
Unmei fece un cenno affermativo. “Dopo aver stretto la mano col vecchio mi sono risvegliato nel mio letto. I ricordi di questo tempo stanno arrivando un po’ alla volta, però…” Mosse la testa per far muovere l’orecchino. “Questo sono sicuro di averlo dato a te prima di partire.”
Alcuni istanti di silenzio e poi Kazutora ridacchiò.
“Che c’è?”
“Forse quel ricordo non è ancora arrivato!” Smise di ridere e riprese respiro. “L’orecchino che indossi ora lo hai acquistato circa tre anni fa dopo averlo visto in un negozio! Lo hai fatto proprio perché è uguale a quello che indosso sempre io!”
Unmei divenne paonazzo dalla vergogna. “Ho fatto una cosa così stupida?”
“Sei innamorato di me da quando portavi il pannolino! Però non hai mai avuto il coraggio di dichiararti!”
“Che figura di me-” Non finì la frase ma pensò bene di rialzarsi subito e permettere a lui di fare lo stesso. I gatti vicino a loro avevo continuato a miagolare minacciosi per tutto il tempo, non gradendo quell’invasione di territorio.
Kazutora posò le mani sulle spalle di Unmei e lo guardò negli occhi. “E’ andato tutto come avevi detto tu! Baji, Chifuyu ed io siamo rimasti insieme e abbiamo aperto questo negozio! E io grazie a Takemichi ho potuto conoscere Akkun e diventare un suo grande amico! E…ho mantenuto la promessa. Ti ho aspettato.”
Unmei aveva il cuore che batteva all’impazzata ad ogni parola che sentiva. Ora che tutto era sistemato, finalmente poteva vivere la sua storia d’amore con Kazutora. Una gioia indescrivibile.
“Pff! Scusa, credo di essere fuso! Sta succedendo tutto così in fretta!” Si stropicciò il viso con le mani, come se si fosse appena svegliato. “Ahhh, mi sa che sarò costretto a ringraziare in ginocchio quel vecchio sfigato di Hanagaki Takemichi!”
“Mh? Hanagaki? Non si chiama più così!”
“Ha cambiato cognome???”
Kazutora scosse il capo con fare divertito. “Non ricordi nemmeno questo? Quando si è sposato ha preso il cognome del marito!”
“CHE??? MARITO??? E CHI SAREBBE???” Gridò Unmei, spaventando alcuni pappagallini che si misero a svolazzare nelle voliere al centro del negozio.
Kazutora sfoggiò un’espressione maliziosa e incrociò le braccia al petto. “Davvero non ti viene in mente nessuno?”
“E io che ne-” Un’idea gli venne all’improvviso, lasciandolo a bocca aperta.
Anche senza aver detto il nome, Kazutora confermò. “Proprio lui! Ed è tutto merito tuo, da quanto ho capito!”

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