Parla lo zodiaco

di MaryFangirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Hanamichi Sakuragi - Ariete ***
Capitolo 2: *** 2. Kaede Rukawa - Capricorno ***
Capitolo 3: *** 3. Ariete e Capricorno - Compatibilità ***



Capitolo 1
*** 1. Hanamichi Sakuragi - Ariete ***


Fanfiction tradotta dallo spagnolo, potete trovare i dettagli dell’originale qui sotto.
 
Titolo originale: Háblame Zodiacal
Link storia originale:
https://www.amor-yaoi.com/fanfic/viewstory.php?sid=116963
Link autore: https://www.amor-yaoi.com/fanfic/viewuser.php?uid=59438
 
Le informazioni sui segni zodiacali, scritte in corsivo, sono di Linda Goodman, famosa astrologa americana (1925-1995).

 
Nel giorno del compleanno del genio Sakuragi, ho pensato di postare questa fanfiction tradotta che ho trovato davvero adorabile ^__^ sono tre capitoli/one shot, la prima su Hanamichi, del segno dell’Ariete, la seconda su Kaede, del Capricorno (sarebbe stato carino postare quest’ultima nel giorno del suo compleanno, ma non aspetterò fino al prossimo gennaio ^^’’); la terza sulla compatibilità di entrambi.
 
Buona lettura!
 
 

Hanamichi Sakuragi. Compleanno: 1° aprile.
 
Ariete.
 
^ ^ ^ ^
 
Combatterà senza esitazione contro ciò che ritiene ingiusto e non si vergognerà di esprimere le sue opinioni. L’Ariete risponderà con uguale energia a un ausiliare del traffico o a un gangster armato, se uno di loro lo infastidisce (nell’ardore del momento non ci sarà cautela sufficiente per fermarlo).
 
^ ^ ^ ^
 
“Argh, ciccione! Che ti costa darmene un po’?!” sostenne un alto e intimidatorio ragazzo dai capelli rossi sotto gli alberi del cortile del liceo Shohoku. Gli altri tre giovani che circondavano la coppia di litiganti scoppiarono a ridere per l’espressione accigliata del loro leader e della smorfia ostinata di Takamiya, che cercava di rimanere impassibile davanti ai pugni e agli strattoni dell’amico.
 
“Ma hai già mangiato il tuo pranzo, Hanamichi” rispose il ragazzo grassottello liberandosi della sua presa di ferro.
 
“Sì, Hanamichi, non essere avido” contribuì il biondo, alzando il mento e ridendo.
 
“Allora datemi voi qualcosa!” gridò Hanamichi agli altri.
 
“Fossi pazzo, sto morendo di fame” rispose Noma infilandosi le bacchette tra le labbra.
 
“A me è costato un occhio...quindi me lo mangio io” ribatté Ookusu addentando il suo panino.
 
“Io non ho portato molto” disse Yohei con un’alzata di spalle.
 
“Agh, che amici orribili! Ingrati, non vi darò mai più la mia roba”
 
“Ma se non lo fai mai” borbottò Takamiya.
 
“Cos’hai detto, grassone?!”
 
Gli studenti che passavano vicino al chiassoso gruppo si accigliavano o si affrettavano per allontanarsi dalle grida e gesti violenti. Sussurrando, il corpo studentesco dello Shohoku concluse che erano studenti del primo anno a giudicare dal colore blu delle loro uniformi e che non erano tipi decenti a comportarsi in quel modo. E dire che l’anno scolastico era appena iniziato...e già c’era un gruppo fastidioso, pensavano tutti arricciando le labbra con dispiacere.
 
Hanamichi, irritato e con lo stomaco apparentemente vuoto, non ci mise molto a gettarsi sui suoi amici come un tornado, colpendo la fronte di ciascuno con la sua classica testata mortale (che uccise più di un neurone). Con i quattro ragazzi mezzi morti (un filo di fumo a uscire dalle loro teste e la bava alla bocca), ghignò e rubò il loro cibo.
 
“Ehi, voi!”
 
Sincronizzandosi, i cinque membri dell’Armata si alzarono, sollevando lo sguardo e incontrando quello di un gruppo di sette individui che si avvicinarono con sorrisetti compiaciuti e mani in tasca.
 
I ragazzi continuarono a mangiare come se si stessero avvicinando degli amici a salutare (ma con facce poco amichevoli).
 
“Siete nel nostro posto, marmocchi”
 
“Davvero? Beh, non vedo i vostri nomi scritti” rispose Yohei con calma, guardando con la coda dell’occhio Hanamichi che cominciava a incendiarsi di fiamme assassine. Alcuni degli intrusi aggrottarono la fronte, ma l’apparente capo e i suoi seguaci proseguirono con maggiore determinazione a causa della provocazione.
 
“I ragazzini di oggi non hanno educazione, non credi?” disse uno dei soggetti sorridendo maliziosamente. I suoi compari concordarono e avanzarono ancora.
 
“Sì...diventano sempre più insolenti” contribuì un altro.
 
“Ehi, volete qualcosa? Perché stiamo pranzando” intervenne Noma con una smorfia seccata. Ookusu e Takamiya lo spalleggiarono e risero, mentre Mito si metteva in guardia per l’imminente violenza. Hanamichi, imprudente e spericolato come sempre, si alzò e gemette di disgusto.
 
“Non mi hai sentito, animale? Dovete andarvene da qui. Questo posto è nostro” disse con impazienza (ergo, paura) uno dei ragazzi quando vide il rosso alzarsi e stringere gli occhi.
 
Seguendo il leader, i quattro giovani dell’Armata si piazzarono dietro Hanamichi, le cui vene cominciavano già a pulsargli sulla fronte.
 
“Non so voi, ma io sono già stufo delle chiacchiere di questa spazzatura” ruggì Hanamichi prima di saltare su quello che aveva davanti. Noma, Takamiya e Ookusu risero osservando Hanamichi lanciarsi come un camion in corsa verso gli intrusi.
 
Solo quando due di loro tirarono fuori dei tubi di metallo dai vestiti, Mito e gli altri assunsero facce più serie e pronte alla lotta.
 
“M-me la pagherete...n-non sapete chi siamo?” pronunciò uno dei soggetti, steso a terra come un vecchio vestito, insanguinato e ferito, tremante di dolore e gemendo per i colpi che il piede di Ookusu continuava a dargli nello stomaco.
 
“No e neanche mi interessa” disse Hanamichi, spingendo con violenza uno dei tizi contro l’albero. Noma e Takamiya avevano piccoli tagli sulle sopracciglia, il loro forte leader manteneva il viso intatto e duro, cupo e irritato, soprattutto quando sentirono la campanella che li richiamava a lezione.
 
Yohei, seguendo il suo amico nella classe 7 del primo anno, sospirò, senza tristezza né esasperazione, sollevato dal fatto che quella rissa (per quanto patetica) avesse deviato la mente di Hanamichi dall’ultimo rifiuto amoroso per colpa di un giocatore di basket.
 
E sperava che rimanesse così, fino a incontrare un’altra ragazza per cui perdere la testa, come sempre.
 
“Voi due! Perché arrivate così tardi e in queste condizioni?” l’insegnante li rimproverò, indicandoli e notando lo stato dei loro visi.
 
Hanamichi, come Yohei aveva previsto, con il corpo ancora rigido di adrenalina e la rabbia a scaldargli la testa, impiegò poco a rivolgersi al professore con il volto contorto dalla furia.
 
“Che ti prende?! Non mi urlare addosso, vecchio!”
 
Prima che la situazione sfuggisse di mano, Yohei si lanciò sulla schiena del suo amico per fermare qualsiasi movimento e scandalo.
 
“Hanamichi, per favore calmati!” lo implorò finché l’insegnante si rifugiò dietro la sua cattedra, mandandoli a sedere.
 
Da quel primo giorno di liceo, Hanamichi Sakuragi si guadagnò il titolo di teppista.
 
^ ^ ^ ^
 
Quando le persone più forti e mature si impongono o gli tolgono qualcosa, reagisce nell’unico modo che conosce: urlando e provocando un caos tale che gli altri cederanno, soltanto per ritrovare la pace. L’Ariete non ha bisogno di strategie delicate. Con la forza dei suoi polmoni e la sua determinazione, ne uscirà perfettamente.
 
^ ^ ^ ^
 
Quando quel giovanotto alto e scuro con labbra carnose e la figura imponente gli si era avvicinato osando maneggiarlo come una bambola di pezza (dopo che la sua furia si era svegliata con i due giocatori di basket), tutta la rabbia, la frustrazione e il dolore che stava reprimendo a causa di quel ‘Ti odio’ di Haruko gli aveva colpito la pelle come acqua bollente.
 
E di conseguenza, quando lo stesso ragazzo si presentò come capitano della squadra di basket, Hanamichi gli balzò addosso insultando in ogni modo il suo stupido gioco con la palla.
 
Urlò e scalciò finché il gorilla non lo sfidò. Hanamichi, acceso, non esitò ad accettare, sebbene non conoscesse affatto le regole di quello sport, volendo rompere, colpire, distruggere qualcosa.
 
Hanamichi non si sarebbe mai aspettato di attirare così tante persone, ma aveva avuto torto vedendo la palestra riempirsi lentamente, dapprima sulle file superiori, fino al bordo del campo da studenti di tutte le classi.
 
Akagi lo provocò e lo derise per i primi minuti, segnando sei volte di seguito senza una goccia di sudore nonostante i goffi sforzi di Hanamichi. Questi provò a portargli via la palla con i piedi, calciando e infrangendo ogni regola di difesa, ma non funzionò con il capitano gorilla del terzo anno.
 
Ma non poteva perdere. Specialmente quando sentì il grido di Haruko alle sue spalle. Gli bastò sentire la preoccupazione, l’apprensione e la dolcezza della sua voce per saltare tra le fiamme ardenti della determinazione.
 
Da lì iniziò a bloccarlo come un super uomo, senza conoscere le basi, ma continuando a balzare come una palla di gomma davanti al ragazzo.
 
Finché, finalmente...riuscì a saltargli addosso e, in caduta, ad afferrare la palla. Il suo cuore batteva cone un matto quando vide lo stupore della folla, che invece di ridere, osservava con labbra e occhi aperti.
 
Hanamichi non aveva idea di come funzionasse il basket.
 
Per un po’ lo aveva persino disprezzato per aver perso l’affetto di una ragazza.
 
Non sapeva nulla di tiri, dribbling, finte o difesa.
 
Hanamichi non sapeva assolutamente nulla del basket. Ma sapeva qualcosa riguardo le schiacciate.
 
Gli slam dunk.
 
E così fece. Con tutte le sue forze lanciò la palla contro il tabellone dall’altra estremità del campo e sebbene tutti pensassero fosse una mossa folle e stupida, Hanamichi impiegò un secondo per correre verso la palla ed eseguire la giocata che Haruko gli aveva mostrato qualche giorno prima.
Akagi cercò di fermarlo, ma Hanamichi afferrò la palla con i palmi e non la lasciò.
 
La inchiodò con fermezza, con un calore che nasceva al centro del petto, spandendosi attraverso i muscoli, alzandosi lungo il collo e dando energia e fuoco a ogni particella del suo corpo. Quel momento sarebbe stato ricordato come il giorno in cui un principiante sconfisse il grande capitano Takenori Akagi...e in cui nacque un grande giocatore di basket.
 
^ ^ ^ ^
 
Ma che non ci si aspetti sottigliezza, tatto o umiltà. L’Ariete medio era assente mentre si distribuivano queste qualità (oltre alla scarsa pazienza).
 
^ ^ ^ ^
 
Unirsi alla squadra di basket del liceo Shohoku fu, per Hanamichi, una decisione abbastanza facile da prendere (in parte).
 
Haruko, la ragazza per la quale tutti i suoi mali erano svaniti (ma ne erano fioriti di nuovi) gli aveva inciso l’idea nel cervello come un tatuaggio, iniettandogli nelle vene la propria immagine di atleta coraggioso e potente senza troppi sforzi (con un semplice sorriso), di giocatore di basket capace e prodigioso. Lui, Hanamichi Sakuragi, che mai aveva eccelso in qualcosa (tranne nelle risse, forse).
 
Hanamichi, che non aveva mai giocato né guardato una partita di quello sport in tv, non aveva alcuna idea di come funzionasse. Non conosceva le regole, non sapeva di manovre, posizioni, giocatori eccezionali di altre scuole. Non sapeva niente.
 
Ma era sicuro di una cosa, cioè che aveva abilità...una facilità....nel suo corpo e portamento possedeva qualcosa che l’avrebbe fatto risaltare in quello sport precedentemente insultato.
 
Era un genio, dopotutto.
 
Il suo corpo, senza ordini dalla mente, agiva per puro istinto ogni volta che scendeva in campo. Ogni suo muscolo si contraeva e combatteva come nella rissa più feroce. Aveva resistenza, aveva forza, aveva energia, ma non sapeva dove focalizzarle.
Ma comunque tutto funzionò alla perfezione.
 
Nella partita contro il Takezono, ad esempio, anche se aveva giocato solo in una partita ufficiale prima di allora, aveva mostrato il suo valore come atleta e giocatore di talento...e come dimenticare la partita memorabile contro il Ryonan, in amichevole? Era chiaro che lui, Hanamichi Sakuragi, fosse un genio e futuro re dei rimbalzi.
 
Certamente Akagi, Ayako, Kogure e Miyagi lo aiutarono (bisognava dare loro un po’ di credito), erano sempre al suo fianco per insegnargli, educarlo, spingerlo e motivarlo. Lo corressero (anche se non gli piaceva), lo rimproverarono (anche se lo faceva incazzare), gli mostrarono che aveva ancora molto da imparare (cosa che lo faceva arrabbiare e frustrare), ma tutto il duro lavoro e gli allenamenti faticosi erano opera sua.
 
Era lui che segnava 200 canestri ogni giorno. La mattina, il pomeriggio, la sera, in pausa pranzo...in ogni momento libero. Si svegliava, mangiava e sognava il basket, a volte arrivando a chiedersi chi fosse prima di giocare: che stava facendo della sua vita? Dove si stava dirigendo?
 
Hanamichi non poteva dirlo con certezza. Non poteva definire una data esatta, un giorno, mese, ora. Ma di una cosa era certo, l’idea di giocare a basket per Haruko svaniva gradualmente con le calde ventate estive, facendo nascere in lui l’emozione di giocare per se stesso, perché amava lo sport, perché era un grande giocatore. Un genio. Un prodigio. Un talentuoso atleta che in meno di tre mesi, nella partita contro il Ryonan per le classificazioni al nazionale, aveva dimostrato senza dubbio chi era e di cos’era capace Hanamichi Sakuragi.
 
In quella partita realizzò un passaggio brillante, degno di ovazioni e applausi da parte dei compagni e del pubblico. La palla atterrò perfettamente nelle mani pronte di Megane-kun, che senza pensarci troppo si era piegato, posizionato e segnato una tripla. E alla fine, a pochi secondi dal fischio dell’arbitro, un rimbalzo del Gori lasciò la palla esposta alle mani di Fukuda, ma il grande genio intervenne.
 
Hanamichi Sakuragi, il prodigio, irruppe. Senza pensare, ragionare o aspettare, saltò con le sue gambe mostruose, afferrò la palla con mani sicure e la inchiodò, circondato da un’aura imponente...un’energia incandescente che fuoriusciva dai suoi pori.
 
Miyagi si congratulò con lui dopo la vittoria per la mossa eccellente, sorridendo e ricevendo senza fare smorfia la forza dello scontro tra le loro mani. Megane-kun, con parole più elaborate e maturo, si congratulò a sua volta. Akagi, troppo emozionato per dire qualcosa, gli mise il braccio sulle spalle durante la premiazione.
 
Grazie al genio tutto era salvo e al sicuro.
 
Non si era mai sentito così orgoglioso di se stesso, dei suoi successi, del suo sforzo.
 
Che avrebbe detto suo padre se avesse potuto vederlo?
 
Riformato...disciplinato...sano.
 
I suoi amici, quegli inutili che non tardavano a prendere in giro le due sventure e a festeggiare come pagliacci senza grazia ogni suo rifiuto, espressero senza esitare che aveva giocato a meraviglia.
 
“Sei incredibile” gli dissero, “sei davvero un genio, Hanamichi”
 
E se ne accorgevano ora?
 
Beh, per lui era ovvio fin dall’inizio. Ma, come gli aveva detto il Gori, mancava ancora tanto. Solo ora cominciava il vero show. Squadre come il Kainan si sarebbero moltiplicate, triplicate, al nazionale.
 
Non aveva ancora visto niente, gli disse il suo capitano sorridendo. Ma, invece, di scoraggiarlo o spaventarlo, Hanamichi sentì la fiamma del desiderio accendersi, l’eccitazione adrenalinica, la motivazione, la voglia travolgente, un fuoco eterno che lo rendeva impaziente e incapace di resistere.
 
Un genio come lui, di fronte a giocatori di livello nazionale.
 
Ci era molto vicino e il professor Anzai lo collocò in un addestramento speciale, che lo avrebbe aiutato ad evolvere e crescere con i canestri lontano dal tabellone. Sudò e lavorò come non mai. Utilizzò ogni sua oncia di pazienza. Soprattutto durante il primo giorno in cui, a prescindere da quante volte provasse, la dannata palla non voleva entrare.
 
Non irrigidirti, controllati, rilassati, gli diceva il vecchietto. E non fu facile, per niente.
 
Ma lui era Hanamichi Sakuragi, il genio, il prodigio, il giocatore di talento. E che l’inferno potesse congelarsi prima che qualcuno lo vedesse arrendersi.
 
^ ^ ^ ^
 
L’Ariete si aggrappa alla preziosa idea che nessuno possa fare qualcosa con la sua efficienza, e ciò può condurlo al disastro. L’Ariete metterà in pratica i suoi piani con audacia e fiducia, e raramente si renderà conto che sta andando oltre le sue forze, beccandosi un’ulcera o un esaurimento nervoso. Nessuno può accusare l’Ariete di pigrizia.
 
^ ^ ^ ^
 
Appena finita l’infernale sfida speciale dei 20.000 canestri, Hanamichi si sentiva rinvigorito e caloroso dalla testa ai piedi, del fuoco che lo incoraggiava e spingeva, delle fiamme che lo costringevano a saltare, parlare, giocare con le dita, con le labbra.
 
Era sempre stato irrequieto, iperattivo, chiassoso e rumoroso, ma ora ogni suo muscolo lo costringeva a muoversi, ad allenarsi. Si sentiva, senza sorprese, come se avesse vinto una campionato da solo, come se gli fosse stata iniettata una droga contenente energie eterne, un brio e un desiderio che non lo facevano dormire, fermare né pensare.
Niente che non fosse il basket, il nazionale, le squadre che avrebbe affrontato, i giocatori che avrebbe conosciuto, passava per la sua mente, ancora e ancora.
 
Ma nessuno sarà paragonabile alle capacità di questo genio!, rise ad alta voce Hanamichi pedalando a una velocità ritenuta adatta ad un cartone animato da parte di chi lo vedeva.
 
Il cielo estivo era vestito di un azzurro puro e profondo, senza nuvole, nitido alla vista. Le vacanze scolastiche erano appena iniziate ed entro un paio di giorni la squadra di basket sarebbe partita per la città che avrebbe ospitato i giocatori per il nazionale.
Il professor Anzai e Akagi, prima di salutarli all’ultimo allenamento, si erano raccomandati che riposassero, mantenendo la forma fisica ma senza sfinirsi fino all’osso (e avevano guardato direttamente Hanamichi).
 
Ma Hanamichi non avrebbe seguito alcuna indicazione. Si sentiva andare a mille. Come se il suo corpo potesse sollevare senza sforzo centinaia di automobili o camion, come se una sua sola spinta avesse potuto abbattere edifici, come se lanciandosi in avanti avesse potuto tirare giù una montagna. Niente poteva fermarlo. Nessuno poteva tenergli testa.
 
Era il genio Sakuragi e, come tal,e doveva allenarsi e praticare per portare lo Shohoku alla vittoria.
 
Altro che Sendo, Maki o quel dannato Rukawa..., lui avrebbe segnato la maggior parte – se non tutti – dei punti della squadra. Avrebbe recuperato tutti i rimbalzi. Avrebbe fatto passaggi brillanti, correndo come solo un prodigioso atleta poteva fare.
 
Pensando a questo e ad altro, Hanamichi cantava la sua famosa e sgradevole canzone ‘Ore wa no tensai’, mentre cercava un campetto da basket per allenarsi durante la mattinata, preferibilmente uno di quelli vicino alla costa. Gli sarebbe piaciuta la compagnia tranquilla di Yohei, ma quando aveva chiamato aveva risposto sfortunatamente la madre dlel’amico, con saluti non molto piacevoli per l’ora indecente; sospirando stancamente, aveva chiesto di telefonare più tardi e aveva riattaccato, senza lasciarlo parlare con Yohei.
 
Bah, il genio può perfettamente allenarsi da solo, pensò con un luminoso sorriso che aumentò e brillò quando intravide un campetto a poca distanza. Accelerando, lasciò la bicicletta vicino alla recinzione senza lucchetto né altro che la proteggesse (se qualcuno avesse intentato di rubarla, si sarebbe allenato correndo e acciuffando il bastardo).
 
Tirò fuori la sua borsa, dove teneva un asciugamano, una bottiglia e una palla (piuttosto rovinata dagli allenamenti quotidiani) prima di dirigersi nel campetto canticchiando la sua originale colonna sonora.
 
Attraversando la soglia e sistemandosi, sentì un forte e preciso palleggio a pochi metri di distanza. Aprendo gli occhi, si tese per la rabbia vedendo che in una metà del campo c’era quel maledetto Rukawa.
 
“Ehi, tu! Che ci fai qui?!” urlò puntandogli il dito e gettando a terra tutto quello che aveva in mano. Kaede sollevò un sopracciglio, interrompendosi.
 
“Tu cosa dici? Mi alleno, stupido” rispose come se Hanamichi fosse un deficiente, senza variare il tono annoiato della voce.
 
“Ah, no! Vattene! Tsk...esci, non ti permetterò di interrompere l’allenamento di questo genio” disse gesticolando e avvicinandosi al ragazzo per spingerlo fuori. Kaede si divincolò bruscamente, allontanando con violenza Hanamichi da sé.
 
“Sono arrivato per primo, idiota. Meglio che te ne vada tu prima che mi attacchi la stupidità” rispose seccato. Hanamichi vide rosso per qualche secondo, tremò di rabbia e i suoi muscoli bruciarono per gonfiarlo, ma aveva fatto una promessa al vecchietto e alla squadra e non poteva venire meno, non ora soprattutto.
 
“Argh! Bene, rimani, dannata volpe! Ma non osare disturbare! Se rimarrai stupito dalle magnifiche giocate del genio sottoscritto, risparmia le domande, un giocatore del tuo livello non potrà mai eguagliarmi” concesse Hanamichi, con le sopracciglia aggrottate e il corpo teso.
 
Quel dannato Rukawa lo innervosiva sempre, lo alterava, lo frustrava, lo faceva arrabbiare, lo provocava...lo distraeva...
 
“Sognare è gratis” mormorò Kaede non troppo piano, allontanandosi dalla sua parte del campo. Hanamichi fu tentato di lanciarsi come un camion in corsa su quel presuntuoso e sbattergli la faccia contro l’asfalto, ma miracolosamente fece un respiro profondo e si controllò.
 
Rimasero per alcune ore a giocare, ciascuno per conto proprio. Hanamichi si allenò con i canestri dentro e fuori dall’area mentre Kaede correva e manovrava la palla (i suoi canestri erano impeccabili).
 
Quando il sudore colava lungo le tempie, le guance, il collo e le clavicole, Hanamichi iniziò a lanciare la palla verso il tabellone con tutte le sue forze, aspettando il momento esatto per saltare sul rimbalzo.
 
“Non migliorerai in nulla se ti metti a saltare come un idiota” intervenne la voce di Kaede.
 
Hanamichi, che stava correndo verso la palla che ora rimbalzava, strinse i pugni e si voltò come una bestia.
 
“Cos’hai detto, bastardo?! Chiudi la bocca e stai per i fatti tuoi! Nessuno ti ha interpellato!” affermò indicandolo e camminando verso di lui per imporre la sua stazza, sebbene la differenza fosse quasi nulla.
 
“Pensavo volessi migliorare” rispose Kaede alzando le spalle, come se stesse parlando del tempo e dell’aria fresca, prima di tornare al suo tabellone.
 
“Il genio non ha bisogno delle tue stupide parole, volpe. Un atleta di talento come me sa cavarsela da solo” esclamò Hanamichi vedendolo allontanarsi.
 
Tsk...chi crede di essere questo imbecille.
 
“Mpf, ecco perché non migliorerai mai” sussurrò Kaede, di nuovo non troppo basso, palleggiando tre volte per poi lanciare il pallone e correre, inchiodandolo mentre stava sospeso in aria.
 
Hanamichi, fremendo di rabbia per la provocazione, strinse i denti e i pugni. Inspirò ed espirò per controllare la voglia di corrergli addosso e picchiarlo a sangue.
Invece, si conficcò le unghie nei palmi, si pizzicò le guance e camminò con passo tranquillo verso di lui.
 
“E cosa starei facendo di sbagliato secondo te, idiota?” gli chiese come se non volesse saperlo, con le sopracciglia strettamente corrugate e le labbra contratte di disgusto.
 
Kaede lo fissò per qualche secondo, con i suoi occhi blu, freddi come il ghiaccio e vuoti come il cielo sopra le loro teste. Una sua mano alzò la palla e la fece girare su un dito.
Hanamichi lo osservò sospirare stancamente prima di parlare.
 
“Se ti metti a saltare per ogni palla che ti lanciano, ti stancherai e non durerai per tutta la partita...perfino un idiota come te” disse annoiato e indifferente. Hanamichi era sul punto di rifilargli una testata mortale per l’insulto, ma pensò invece a quanto aveva detto con sincera considerazione.
 
Mmh...un genio come me avrà sempre energia per giocare...ovviamente uno come Rukawa non può paragonarsi a un vero atleta come me...ma...
 
Senza finire il suo pensiero, si lanciò in avanti e gli strappò la palla dalle mani. Kaede si accigliò e si avvicinò per colpirlo, ma l’altro fu più veloce.
 
“Fammi vedere” esclamò indicando il tabellone.
 
Nessuno dei due ci pensò molto, ma senza nemmeno rendersene conto, giunse la sera mentre i due si allenavano in un mondo privato e a parte rispetto alle persone che passeggiavano nei dintorni. Il cielo, da celeste, in una perfetta combinazione tra tempera blu e bianca, ora era ornato di fiamme d’oro fuso. Una brezza tiepida li solleticava mentre continuavano a sudare e ad allenarsi.
 
“Hai sbagliato di nuovo, scemo” lo richiamò Kaede. Con le braccia incrociate al petto, era in piedi sul lato destro del campo e come un falco guardava ogni mossa del compagno.
 
“Sei tu che insegni da schifo, bastardo” rispose Hanamichi rosso di frustrazione.
 
“Riprova...ma non saltare così tanto”
 
Hanamichi annuì e ripeté le parole nella propria testa, emulando la giocata che il volpino gli aveva già mostrato.
 
Senza che nessuno dei due ci pensasse o se ne accorgesse, terminarono stanchi, a bere acqua come disperati fianco a fianco sull’unica panchina presente, e guardandosi un’ultima volta prima di recuperare le rispettive bici e tornare a casa verso cieli bui come un vano senza luce.
 
Hanamichi riusciva a malapena ad avvertire le proprie palpebre...ma era certo che con una buona cena e una dormita, si sarebbe svegliato pronto per allenarsi.
 
E chissà...magari potrei rivedere quella maledetta volpe?
 
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Non importa con quanta fiducia l’Ariete avanzi, presti poca attenzione ai sentimenti degli altri e se la sua attitudine, soprattutto da giovane, dica ‘io sono sempre il primo’, può anche essere il più caloroso e generoso di tutti i segni solari. Non è crudele ed è psicologicamente incapace di rimanere tranquillo mentre gli altri sbagliano e falliscono.
 
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“Come sarebbe che non puoi venire?!” gridò esageratamente Hanamichi Sakuragi, studente del secondo anno al liceo Shohoku.
 
Il capitano della squadra, Ryota Miyagi, gli stava spiegando attraverso il telefono pubblico che aveva già informato il professor Anzai della sua assenza, quindi il vecchietto avrebbe preso tutte le decisioni pertinenti l’amichevole che si sarebbe tenuta entro un paio d’ore.
 
La calda brezza primaverile scompigliava i suoi capelli rossi più lunghi rispetto all’anno precedente, muovendo i suoi vestiti e rinfrescando il suo corpo dalle alte temperature. Per fortuna era solo inizia aprile, le lezioni erano appena cominciate quindi le partite erano solo per esibirsi, ma...per Hanamichi ogni partita era una competizione all’ultimo sangue; e sebbene l’incontro contro lo Shoyo fosse solo un allenamento, per il genio era un disastro che uno dei migliori giocatori nonché capitano non ci sarebbe stato.
 
“Mi dispiace davvero, Hanamichi. Scusami con i ragazzi, ci ho provato davvero, ma...” si fermò per tossire e starnutire, pieno di catarro e con un suono grezzo, “quano sono entrato, sono caduto per la febbre e mia madre non mi ha lasciato uscire...in questo momento mi sta fissando perché riattacchi e mi metta a dormire” aggiunse quasi spaventato.
 
Hanamichi rise e si grattò la guancia, più calmo. Ryota era, dopotutto, l’amico migliore che aveva all’interno della squadra, quindi sentire da Anzai che non li avrebbe raggiunti gli aveva colpito lo stomaco di rabbia per la sua presunta irresponsabilità...ma anche di preoccupazione...e se gli fosse successo qualcosa? E se fosse rimasto invischiato in una rissa? E se fosse rimasto ferito al punto di non poter giocare?
Per questo l’aveva chiamato il prima possibile, allontanandosi dagli altri e cercando una cabina telefonica per strada. Ora, ascoltando la spiegazione e verificando che non era in punto di morte ma aveva solo un brutto raffreddore, Hanamichi sospirò di sollievo.
 
“Beh, sarà meglio che ti riprendi presto, Ryo-chin, o il genio ti toglierà il titolo di capitano prima della fine dell’anno, ahahah”
 
Miyagi lo rimproverò, ma alla fine rise con lui. Starnutì ancora un paio di volte prima di parlargli di alcune giocate che avrebbe potuto provare.
 
“Non devi dirmi queste cose, questo talentuoso atleta porterà lo Shohoku alla vittoria, vedrai...appena finita, verrò a casa tua per raccontarti ogni magnifica giocata genio...ti porterò anche del cioccolato! Chiedi a tua madre se posso” gli urlò con entusiasmo.
 
Il suo amico rise più forte, con voce rauca e stanca, ma felice di sentire la freschezza del tono di Hanamichi. Poco dopo Hanamichi concluse la chiamata con la promessa che lo Shohoku avrebbe vinto, grazie al prodigio Sakuragi, ai suoi rimbalzi e alle sue schiacciate.
 
“Forza, andiamo, Shohoku! Alla vittoria!” urlò Hanamichi quando raggiunse i compagni; Haruko, ora assistente di Ayako, gli sorrise dolcemente e con incoraggiamento. Il vecchietto rise e avanzò. Kaede sospirò e scrollò le spalle. Il vice-capitano, un ragazzo del terzo anno, si grattò il collo, tacendo, sentendosi totalmente oscurato dalla luce e dall’energia del re dei rimbalzi.
 
Fujima, ex capitano/allenatore e pilastro dello Shoyo, si era ritirato subito dopo il campionato invernale in quanto era al terzo anno e gli studi prendevano grande parte del suo tempo e della sua attenzione. Il nuovo allenatore era un uomo giovane, motivato e convinto di poter portare la squadra al nazionale, e per tutto l’anno si era dedicato a reclutare giovani di varie scuole affinché indossassero l’uniforme verde.
 
Lo Shoyo quindi forse non era più lo stesso, ma rimaneva comunque un concorrente degno di essere definito pericoloso, quindi lo Shohoku scendeva in campo con la mentalità di una battaglia in cui probabilmente non si sarebbe versato sangue, ma con l’opportunità di testare le abilità delle nuove reclute e apprendisti. Hanamichi era pronto a monopolizzare i riflettori con i suoi numerosi rimbalzi, segnando il doppio di Rukawa.
Dopo essere stati accolti nella palestra, tutti vennero scortati negli spogliatoi a indossare le divise (bianche e rosse).
 
“Ehi! Solo perché è un’amichevole e Ryo-chin non c’è, non pensiate che non abbia importanza. Siamo forti! Capito? E se c’è un problema, lasciate che ci pensi il genio...il re dei rimbalzi prenderà il comando” disse Hanamichi prima di ridere oltraggiosamente. I compagni sorrisero e annuirono. Kaede sospirò e scosse il capo.
 
“Che boccaccia” gli disse. Hanamichi si accigliò e gli rifilò una manata violenta sulla spalla. Kaede si tese per il dolore, ma il suo orgoglio gli impedì di strofinarsi il punto colpito.
 
“Silenzio, volpe...forse nella partita col Kainan mi hai superato nei punti...ma non credere che lo farai di nuovo...ahahah...il genio ti dimostrerà chi è il migliore!” rispose indicandolo e sorridendo compiaciuto. Kaede replicò con un’espressione di sfida.
 
Da quando avevano gareggiato insieme per il campionato invernale sotto la direzione di Ryota e i canestri impeccabili di Hisashi, l’asprezza e la tensione si erano placate. I bisticci, gli insulti e le percosse (leggere e innocue) continuavano, ma si trattava di sciocchezze, come quella di competere per chi faceva più punti.
 
“Vedremo” disse Kaede prima di sistemarsi la maglietta e uscire dallo spogliatoio. Hanamichi rise ad alta voce e lo seguì per continuare a discutere di qualsiasi scemenza; battibecco infantile che continuò finché il vecchietto non li mandò in campo come titolari insieme ad altri tre ragazzi, uno del secondo anno e due nuove reclute provenienti da una prestigiosa scuola.
 
Quando Shoyo e Shohoku furono faccia a faccia, l’arbitro (uno studente con una casacca verde) fischiò per dare inizio alla partita. Sia Hanamichi che il ragazzo più alto dello Shoyo (uno nuovo in quanto Hanagata, a sua volta al terzo anno, si era ritirato) saltarono per raggiungere la palla. Hanamichi, allungando il braccio, urlò e la lanciò verso le mani pronte di Kaede.
 
Non appena Kaede la sentì tra i palmi, iniziò a palleggiare e correre verso il tabellone. Hanamichi atterrò e partì come un fulmine verso il canestro.
 
Sarà meglio che la dannata volpe mi passi la palla...per questo gliel’ho data..., pensò, stringendo i denti e sollevando le braccia per farsi notare. Kaede oltrepassò la doppia difesa dei versi, spostando la palla tra le gambe e le mani che cambiavano a una velocità difficile da seguire. I ragazzi dello Shoyo rimasero quasi storditi dai movimenti.
 
“Rukawa! Smettila di darti arie e gioca!” fece Hanamichi con piccole vene sporgenti sulla fronte. E lì, in un secondo, Hanamichi lo vide...il familiare e memorizzato movimento di Rukawa...un piccolo arricciamento delle labbra, uno che a chiunque sarebbe parso una smorfia irritata o indifferente, ma per Hanamichi era la chiave...era il codice spontaneo che avevano creato per un alley-oop.
 
Hanamichi sorrise e si preparò a saltare. Un momento dopo, Kaede non lo deluse passando alla difesa e lanciando la palla verso il canestro, ma non direttamente...allineandosi ai palmi delle mani di Hanamichi, che la inchiodò con potenza.
 
Tutti i ragazzi dello Shoyo rimasero a bocca aperta e stupiti. Quelli dello Shohoku ridevano e gridavano, abituati alla sincronizzazione dei due. Anzai rise. Haruko si morse le labbra per l’emozione.
 
Hanamichi gridò, gongolò e corse verso Kaede per battergli il cinque; il ragazzo accolse il gesto con un’espressione immutabile.
 
“Ci hai messo tempo, volpe...il genio sarebbe stato più veloce!”
 
“Idiota” rispose prima di correre verso il canestro dello Shohoku, la partita era appena iniziata.
 
Lo Shoyo, come previsto, aveva un asso nella manica: un giocatore del primo anno, alto e abile. Un ragazzo dai capelli castani con lo stile di gioco terribilmente simile a quello di Sendo. Sia Kaede che Hanamichi avvertirono un brivido lungo la schiena ricordando il porcospino del Ryonan (ora capitano della squadra). Il giovane era un playmaker e dal centro gestiva i compagni come un burattinaio di vasta esperienza, con mente veloce e strategica.
 
Kaede, per irritazione di Hanamichi, era l’unico capace di affrontarlo in uno contro uno, ma il ragazzo sembrava un camaleonte, un’ombra che scompariva se ci si distraeva con un battito di ciglia, era un maestro nell’inganno e riuscì a indurre a tre falli il fuoriclasse dello Shohoku.
 
“Che ti succede, volpe?! Concentrati! O quel novellino è migliore di te?” lo provocò Hanamichi. Kaede lo fissò profondamente con il gelo e la furia nei suoi occhi blu. Il sudore gli colava lungo la pelle pallida e il suo petto si alzava e abbassava come se avesse corso per chilometri. Kaede ansimava, deglutiva e sospirava. Hanamichi strinse gli occhi, rifiutandosi di ammettere che era preoccupato, ma dovendo constatare che il ragazzo sembrava esausto.
 
“Non dimenticare il motto dello Shohoku, idiota”
 
“Non dire stupidaggini” sussurrò Kaede piano, quasi senza fiato e abbassando la testa per, apparentemente, rilassare il collo.
 
“Siamo forti, volpe! Tu sei forte...quindi non lasciare che venga un ragazzino a prenderti a calci...quello è compito mio” commentò con il viso voltato altrove e le guance rosse.
 
Kaede lo guardò sorpreso: le sue labbra si aprirono e i suoi occhi, da frustrati e stanchi, brillarono, sciogliendosi come il mare calmo in primavera.
 
Senza aspettare risposta, Hanamichi corse al tabellone con uno sbuffo.
 
Con sorpresa dello Shoyo, lo Shohoku straripò negli ultimi due quarti, soprattutto il ragazzo di nome Kaede Rukawa, che non lasciò in pace il giovane dello Shohoku, che alla fine fu imbrigliato dalla difesa perfetta della stella di Kanagawa.
 
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Quando si tratta di amore, il suo atteggiamento spudorato è assolutamente sconvolgente. Si tufferà in un’avventura con l’assoluta certezza che è l’unico vero amore al mondo. Per quanti errori sentimentali commetta, l’Ariete è sicuro che il suo vero amore, la sua anima gemella, lo aspetti nel sogno successivo.
 
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La prima volta che Hanamichi aveva sentito quell’accelerato e noto bumbumbumbum del suo cuore, doveva avere 9 anni. Un’età molto tenera e innocente per pensare di essere innamorati, forse. Ma aveva visto Kurumi-chan dondolare sull’altalena dove era solito giocare con Yohei ogni pomeriggio. Anche ora, a 17 anni, ricordava i suoi capelli castani che svolazzavano alla brezza autunnale, o la sua risata infantile quasi musicale...dolce e piena di vita.
 
Sfortunatamente Kurumi-chan aveva rappresentato il suo primo rifiuto, la prima ragazza che gli aveva spezzato il cuore, sostenendo che non era tipo da stare insieme a ragazzi come lui. E come se le sue parole avessero lanciato una maledizione e premonizione degna di un oracolo malvagio, da allora ogni ragazza che aveva catturato il suo cuore con ragnatele realizzate dal miglior ragno, l’aveva respinto per ragioni simili. Ma Hanamichi non si era mai arreso, mai dato per vinto nella sua ricerca dell’amore...credendo, devoto alla speranza che la ragazza giusta fosse in sua attesa. Perciò, anche se ogni rifiuto faceva male come una frustata, il suo cuore continuava a battere per cercare quella giusta.
 
Hanamichi credette di averla trovata in Haruko Akagi nei primi giorni di aprile al liceo Shohoku. Quando la ragazza l’aveva guardato senza paura, senza rancore, senza ribrezzo né apprensione, qualcosa in Hanamichi sembrava essersi aggiustato, qualcosa era gonfiato, vibrando come una batteria pienamente carica. Per lei aveva affrontato e sconfitto il capitano della squadra di basket, grazie a lei si era unito al team, grazie a lei si sforzava...grazie a lei odiava Rukawa...per lei aveva dato tutto nelle prime partite.
 
Per lei fece molte cose. Crescere, maturare, imparare furono le più importanti.
 
Tuttavia...senza di lei, iniziò ad amare il basket...senza di lei, cominciò a guardare con ammirazione gli altri giocatori, senza di lei aspettava con ansia ogni partita...senza di lei si allenava ancora e ancora per migliorare e perfezionare le sue abilità...senza di lei formava una squadra forte e solida con Akagi, Mitsui, Miyagi...e Rukawa...senza di lei, strinse un legame con la palla, il campo e il canestro.
 
Senza di lei fece molte cose...innamorarsi di uno sport e avvicinarsi al dannato volpino erano le più memorabili.
 
E ora, senza alcuna frustata, senza un cuore che sospirava di dolore, senza un crudele rifiuto, Hanamichi si incontrò, inconsapevolmente, alla ricerca di quel vero amore. Perché Haruko Akagi, contro ogni previsione, non era quella giusta.
 
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Il popolo di Marte è letteralmente incapace di accettare la sconfitta: non la riconosce nemmeno, anche se la sta guardando negli occhi.
 
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Hanamichi aveva, senza riuscire a riconoscerlo, una specie di déjà-vu...una sensazione ripetitiva, un brivido che travolgeva e faceva pensare di esserci già passati, di aver già fatto tutto, di conoscere già la sensazione.
 
Ora, in piedi vicino al canestro, Hanamichi pensava di essere tornato all’amichevole contro il Ryonan al primo anno; quella in cui, correndo dietro Sendo dopo che questi aveva sorpreso tutti inaspettatamente, il fischio dell’arbitro era echeggiato segnando la fine dell’incontro.
 
Ora, al secondo anno, le sue braccia erano nella stessa posizione statica, le mani tese e rigide, la postura curva.
 
No, non può essere...non è ancora finita...non può finire così..., pensava come un disco rotto.
 
Come poteva essere...erano arrivati così lontano...così lontano...
 
Le semifinali. Le fottute semifinali del nazionali. Eccoli, lo Shohoku, davanti a una nota squadra di Tokyo, ancora bloccati per la delusione, per la sconfitta. Ma nessuno come Hanamichi, che ancora stringeva la palla con tanta forza che la gomma si piegò e l’arbitro lì vicino sbarrò gli occhi temendo un’esplosione.
 
Ryota, al centro del campo, sospirò e lasciò che grosse lacrime rigassero le sue guance. Il suo cuore era stretto e il petto sembrava fischiare ad ogni respiro, ma riuscì a sorridere quando Ayako gli si avvicinò e lo abbracciò stringendolo.
 
“Sei sempre il playmaker numero uno” gli sussurrò. Ryota arrossì e rise felicemente, con delusione e dolore mischiati all’orgoglio. La ragazza lo strinse ancora un po’ prima di fare un cenno verso Hanamichi ancora vicino al tabellone. Il ragazzo sospirò e si avvicinò all’amico con passi esitanti.
 
“Ehi, Hanamichi...andiamo” mormorò, passandogli un braccio intorno all’ampia schiena. Ryota sgranò gli occhi per lo stupore sentendolo tremare. Lo guardò, ma un’ombra oscura copriva ogni espressione del genio. “Ascolta, dobbiamo metterci in fila...forza, andiamo” gli disse come avrebbe fatto una madre con un bambino. Ma Hanamichi non si mosse di un centimetro. La preoccupazione corse lungo la spina dorsale di Ryota, che gli tirò un po’ il braccio, insistendo, muovendolo, cercando di farlo uscire dall’intorpidimento. Con la coda dell’occhio, vide che Rukawa li guardava fissamente.
 
Qualcosa brillava negli occhi dell’asso, qualcosa che appariva solo quando Hanamichi era nei paraggi. Qualcosa che Ryota non capiva, ma sapeva che era unico e dedicato al turbolento ragazzo immerso nei suoi dubbi.
Con un sospiro, Ryota fece cenno al giovane di avvicinarsi. Come se stesse aspettando quel gesto da anni, Kaede obbedì con una fluidità che non lasciava trasparire la sanguinosa lotta vissuta nella partita appena persa. Non appena li raggiunse, Ryota si allontanò per chiamare gli altri ragazzi.
 
Hanamichi guardò la palla con occhi arrossati e profondi. Il suo corpo tremava come se fosse pieno inverno. Il suo cuore batteva e si stringeva come se i peggiori incuvi stessero tormentando la sua mente. Si sentiva la gola intasata e gli occhi brucianti.
 
“Ehi...idiota” sentì. Il suo corpo teso, rigido, esausto, non si girò né avvampò per la rabbia. Hanamichi sentiva troppo e allo stesso tempo non sentiva nulla. Era stordito, insensibile...e così deluso da se stesso...dalle proprie capacità...dalla propria resistenza.
 
Non si voltò verso Kaede, non voleva guardarlo...non voleva vedere i suoi occhi blu arrabbiati, irritati, frustrati...delusi...non l’avrebbe sopportato. Non poteva sopportare di sapere che lo aveva deluso. Che non era stato abbastanza...non come lui, che aveva dato tutto, che aveva fatto più punti, che non si era mai arreso, che aveva sopportato ogni colpo e fallo subito, che aveva avuto il temperamento e la freddezza per non cedere alla pressione. Invece lui, Hanamichi...
 
“Bella partita”
 
Cosa...?
 
Hanamichi si voltò verso di lui, che sudando da testa a piedi e ancora respirando pesantemente, lo guardava con serenità e calma, fingendo indifferenza e disinvoltura, nonostante Hanamichi notasse la tensione delle sue spalle e della mascella.
 
“Non sei stato espulso...e hai fatto quasi tanti punti quanto me...quanti te ne mancavano? 30?” continuò con occhi luminosi di scherzo e provocazione. Hanamichi, sempre fumantino, non ebbe bisogno di altro per avvertire il flusso caldo che scorreva dallo stomaco alla bocca.
 
“Che stai dicendo, cretino?! Se non fosse stato per quel vecchiaccio dell’altra squadra, il genio avrebbe triplicato i punti! E secondo te chi ha fatto tutto il lavoro di difesa?! Il genio ha preso tutti i rimbalzi...hahaha...non paragonarti a me, volpe...ne uscirai sconfitto”
 
“Sogna” rispose Kaede scuotendo il capo, ma senza smettere di guardarlo direttamente negli occhi.
 
“Con chi credi di parlare, dannato? Vedrai! Nella prossima partita questo genio mostrerà quanto è superiore-”
 
“Ehi, voi due! Venite qui!” li chiamò Ryota dal centro del campo accigliato, anche se era enormemente sollevato di rivedere il suo amico così chiassoso, cioè a posto.
 
“Ah dai, Ryo-chin! Quanta fretta...” Hanamichi, sorridendo e con i lineamenti rilassati, osservò Kaede con sguardo luminoso. “Andiamo, volpe”
 
“Mpf” fu la risposta mentre Hanamichi correva verso la squadra. Non notato da Hanamichi, né da nessun altro, Kaede lo seguì con un piccolo ma dolce sorriso ad adornare il suo volto stanco.
 
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La sua facciata fiduciosa e aggressiva spesso nasconde un complesso di inferiorità...ma l’Ariete preferirebbe morire prima di ammetterlo.
 
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Il cielo limpido, fresco e scuro di settembre, affacciato all’autunno, copriva Kanagawa con un’armonia che molti desideravano e richiedevano per la propria vita. Le strade, poco affollate, mostravano poche macchine e alcuni passanti che rientravano a casa.
 
Hanamichi Sakuragi, studente del secondo anno del liceo Shohoku, era chiuso nella palestra della scuola. Ma non si stava allenando fino a crollare.
 
Non si stava esercitando con i tiri a distanza o i rimbalzi che gli valevano la sua fama. Era seduto con le ginocchia al petto, in mezzo al campo. La sua faccia, insolitamente seria, guardava il tabellone di fronte con un’intensità che avrebbe potuto trapassare anime e corpi.
 
Sospirò prima di abbassare una gamba, sostenendosi con entrambi i palmi all’indietro in una posa più rilassata, contrariamente alla tensione e confusione della sua mente.
 
Tutto era così strano, così brutto...no...non brutto, si disse Hanamichi arricciando le labbra.
 
Perché non era brutto...essere capitano non era brutto, no?
 
Ma allora perché si sentiva cosi? In apprensione, disorientato, spaventato...
 
Quando Ryota l’aveva chiamato il giorno prima per dirgli che non avrebbe più fatto parte della squadra per necessità a causa della mole di studio (essendo studente del terzo anno), gli aveva anche detto che insieme al professor Anzai avevano discusso la possibilità di nominarlo come successivo capitano. La prima reazione di Hanamichi era stata una gioia esuberante, un orgoglio palpitante e un’arroganza diretta esclusivamente alla volpe.
 
Durante tutta la mattinata nessuno aveva potuto cancellare il suo sorriso terrificante, né spegnere o ribattere ai suoi commenti presuntuosi durante l’alleamento...tuttavia, durante quello stesso allenamento, Hanamichi era stato più attento a Ryota e ai suoi doveri e compiti di capitano. Come dirigere, distribuire, motivare, ordinare...e tante altre cose che Hanamichi non aveva mai fatto in vita sua. Naturalmente Ryota aveva l’aiuto incondizionato di Ayako, Haruko e del professor Anzai, ma alla fine...il capitano era solo lui.
 
E sfortunatamente, un piccolo barlume di dubbio, un vermicello di incertezza a malapena vivo, una nuvola trasparente, si installarono sulla sua mente come il mantello di un supereroe. Avvolgendolo e confondendolo. Poteva farcela? Era all’altezza del compito? Cosa sarebbe successo se...se non ci fosse riuscito? Cosa ne sarebbe stato della squadra? Cosa sarebbe accaduto allo Shohoku? Ai ragazzi? Ai suoi compagni?
 
Grugnendo e abbassando la testa, si chiese vagamente perché non avessero nominato Rukawa...beh, pur essendo un bastardo indifferente, aveva esperienza, era già stato capitano alla Tomigaoka.
 
Forse anche la volpe potrebbe farlo meglio..., pensò Hanamichi sospirando e stendendosi completamente. Respirando con finta calma, inspirò ed espirò più volte per liberarsi. Posò entrambe le mani sullo stomaco e intrecciò le dita. Solo la calma lo circondò mentre la sua mente pensava e pensava...facendo mille giri, tra dubbi e domande senza risposte.
 
Solo il silenzio albergava nella palestra, finché la porta non si aprì di colpo. Hanamichi, come svegliandosi da un pisolino, aprì gli occhi e si mise a sedere per affrontare l’intruso, rimanendo totalmente stupito quando trovò Kaede appoggiato alla porta, guardandolo.
 
“Volpe! Che ci fai qui?” chiese con sorpresa e curiosità.
 
L’altro non rispose, entrando e chiudendo la porta. I suoi passi tranquilli risuonarono come un tamburo avanzando fino a trovarsi accanto al ragazzo. Kaede lo guardò con entrambe le mani infilate nelle tasche.
 
“Che ci fai tu qui, scemo?” fece senza cambiare l’espressione né accennare emozione. Hanamichi si accigliò.
 
“L’ho chiesto prima io” ribatté come un bambino, arricciando le labbra e gettando indietro la testa in segno di sfida. Kaede alzò gli occhi al cielo e sospirò.
 
“Ryota-san mi ha detto che sarai capitano” disse Kaede guardando uno dei tabelloni, rilassando le spalle e sbattendo le palpebre come se avesse sonno. Hanamichi lo guardò per diversi secondi senza sapere cosa dire. Abbassò il viso e grugnì per affermare.
 
Rimasero in silenzio per diversi minuti, ciascuno immerso nel proprio mondo, senza guardarsi. Hanamichi continuò a pensare, a farsi domande, a dubitare...il suo corpo era teso ed esausto. Sospirò e mosse il collo per rilassarsi. Sbatté le palpebre più volte quando lo vide sedersi a gambe incrociate accanto a sé. Lo guardò confuso e un po’ seccato di non capire che diamine ci faceva lì.
 
“Andrai bene” sussurrò Kaede piano, senza osservarlo né avvicinarsi. Hanamichi sbarrò gli occhi. Il suo cuore batteva come un matto, i palmi sudarono e le braccia sembravano tremare per un vento inesistente. Giocò e si tirò le dita senza sapere cosa dire, muovendo le labbra e reclinando la testa, poi rispose:
 
“Certo che andrò bene, idiota...non ci sono dubbi! Ma...questo genio è indispensabile sotto canestro...un talento come me deve allenarsi giorno e notte, quindi...non so se...non sono sicuro di poter...non so se ho il tempo per altre cose...perché c’è tanto da fare e...” balbettò cercando di sorridere sornione. Kaede lo guardò e Hanamichi rimase sbalordito dalla sua espressione così morbida...comprensiva...il suo petto, da essere compresso con dubbi e oscurità, sembrò schiarirsi come l’alba, come la spiaggia che veniva liberata dalla foschia mattutina.
 
Deglutì a fatica, abbassando gli occhi. Lentamente e con cautela lasciò una mano vicino alla coscia e alla mano di Kaede, che si tese.
 
“Pensi davvero...che me la caverò?” sussurrò Hanamichi. Stava mostrando un lato che pochissimi conoscevano. Una vulnerabilità che appariva solo di rado. Era esposto, aperto. Lì, in una serata tranquilla di settembre, nella palestra dello Shohoku, davanti a Kaede Rukawa, suo compagno di squadra, rivale...suo amico...suo...
 
“Non che io abbia bisogno della tua opinione o altro, scemo...questo genio sa che-”
 
“Lo so. So che te la caverai bene...stupido” mormorò guardandolo profondamente e intensamente. Hanamichi sorrise e ridacchiò dolcemente, mordendosi il labbro mentre sentiva la mano di Kaede sulla sua. La pelle fredda del ragazzo si premette contro la sua calda. Le dita si intrecciarono...e rimasero lì, condividendo il silenzio. Muovendo ogni tanto le dita con imbarazzo e disagio. La penombra non permetteva a nessuno dei due di vederlo, nemmeno a loro due che erano così vicini, ma entrambi erano rossi come pomodori dall’attaccatura dei capelli al collo.
 
La mattina dopo, Hanamichi si avvicinò a Ryota con un sorriso raggiante, accettando allegramente il ruolo di capitano.
 
“È ovvio che andrò bene” disse al ragazzo, che sorrise e gli diede una pacca sulla spalla ridendo.
 
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L’Ariete è molto più felice quando parla di se stesso e dei suoi piani che di qualsiasi altra cosa o persona. Tuttavia, una volta che qualcuno ha guadagnato il suo interesse, l’Ariete lo ascolterà con totale attenzione. Sarà deliziato da quella persona e gli darà la sua disposizione, il suo tempo, denaro, simpatia e lealtà.
 
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Il sole di novembre, debole e ormai mero ornamento durante quei giorni, illuminava la mattina del fine settimana e i campetti da basket vicino alla costa con un bagliore insolito; tre di essi erano uniti ed erano occupati da diversi gruppi. Il primo, da ragazzini di non più di 12 anni, che urlavano e ridevano per falli stupidi e inventati. Un altro da un gruppo di studenti universitari, giovani che correvano e flirtavano più che altro. L’ultimo, vicino al recinto e con il suolo più curato, da sei ragazzi liceali; due di loro di affrontavano in uno contro uno, gli altri quattro esultavano e ridevano da borso campo.
 
“Vai Rukawa che ce la fai!” urlò un ragazzo biondo e magro con un sorriso furbo. I giovani accanto risero e alzarono le braccia per un tentativo di ola.
 
“Sì! Passa, passa!” contribuì il ragazzo più cicciottello, ridendo rumorosamente e tirando fuori degli snack dalle tasche.
 
“Ehi, traditori! Che state facendo?! Sono io il vostro amico! Tifate per me!” si lamentò Hanamichi corrugando la fronte, col viso arrossato di furia, il corpo teso e pronto all’attacco. Poiché si era fermato per parlare con i suoi amici, Kaede, che ancora palleggiava, procedette impeccabilmente e lo sorpassò con eleganza, eseguendo un layup che lasciò tutti immobili.
 
“Bastardo! Non conta, ero impegnato!” Hanamichi, con la bocca aperta e il corpo tremante, si avvicinò e gli urlò addosso per aver approfittato della sua distrazione.
 
“Sì!” festeggiò l’Armata con pom pom apparsi dal nulla.
 
“Perché dovremmo tifare per il perdente?” sussurrò non troppo piano Takamiya a Noma e Ookusu, che risero fino a piegarsi.
 
“Che hai detto, ciccione?!” esplose Hanamichi, non aspettando una replica e partendo verso gli amici per stenderli con testate mortali (incluso Yohei che aveva tentato di intervenire a favore dei ragazzi).
 
Kaede, tenendo la palla tra l’anca e il braccio, li guardò con volto inespressivo, ma per chiunque lo conoscesse bene era facile vedere la risata e il divertimento nello scintillio dei suoi occhi blu; Hanamichi lo riconobbe tornando al suo fianco, e invece di arrabbiarsi di più, si rilassò.
 
“Argh, quegli inutili se lo meritavano...continuiamo?” chiese toccandogli dolcemente la spalla e sorridendogli con una forza e una luce che oscuravano il sole stesso. Kaede annuì e gli passò la palla senza dire nulla.
 
L’allenamento mattutino improvvisato continuò per un’altra ora, seguendo la stessa sequenza: l’Armata che urlava e festeggiava per qualsiasi mossa di Kaede, Hanamichi che si scaldava e uccideva i loro neuroni con vari colpi violenti. Tuttavia, quando presero un po’ di fiducia, Takamiya, Noma e Ookusu non tardarono a fare battute sciocche su Kaede, distraendolo e portando loro tre stolti a ridere per ogni errore. Dal momento che Kaede non gestiva le testate bene come Hanamichi, si limitò a lanciare loro la palla con mira precisa e inquietante.
 
Poco dopo, tutto scoppiò in una spontanea partita di palla avvelenata, molto più aggressiva con il pallone da basket, che li lasciava fuori combattimento per diversi minuti se si colpivano zone delicate.
 
“Ah...domani mi sveglierò pieno di lividi” si lamentò Noma guardandosi il petto dal collo della sottile camicia. Gli altri ragazzi erano come lui, seduti a visualizzare le ferite.
 
“Ancora una volta mia madre mi toglierà la paghetta pensando che sono rimasto coinvolto in una rissa” aggiunse Ookusu accigliandosi.
 
Mentre l’Armata continuava a lamentarsi, Hanamichi recuperò dalla sua borsa una crema specifica per quei casi, aprendo il tubetto e afferrando il braccio di Kaede senza fare domande.
 
“Che?” fece Kaede sorpreso di vedere il suo...amico...mettergli la crema su ogni potenziale livido. Le dita normalmente brusche e ruvide di Hanamichi erano morbide e delicate sulla sua pelle, quasi accarezzando timidamente. Quando Kaede alzò lo sguardo, lo vide arrossato e imbarazzato, sciogliendolo del tutto, vibrando e imbarazzandosi per il gesto e la vicinanza tra loro.
 
Hanamichi continuò senza parlare per qualche minuto; quando finì, Kaede gli prese la crema dalle mani per fare la stessa cosa su ogni suo livido. Con la stessa timidezza, dolcezza e silenzio, il ragazzo si avvicinò ancora di più al suo...amico...e con tocchi leggeri passò sulla schiena e la clavicola. Hanamichi deglutì e fatica e chiuse gli occhi al contatto delicato ed esitante, tenero e nuovo.
 
Una volta finito, misero via la crema e si guardarono negli occhi per qualche secondo, senza notare che gli altri erano stranamente silenziosi.
 
“Ehi, volpe, mangiamo qualcosa, sto morendo di fame” disse Hanamichi toccandosi lo stomaco.
 
“Non ho soldi” rispose Kaede.
 
“Offro io” disse subito Hanamichi, annuendo. Kaede accettò piano, allora si sentì un sussulto collettivo e Hanamichi temette il peggio.
 
“Cosaaa?!” gridarono i quattro dell’Armata, unendo i volti e scrutando il loro leader. Hanamichi arrossì più dei suoi capelli. Kaede sollevò un sopracciglio interrogativo.
 
“Hanamichi Sakuragi ha portato del denaro?” chiese Yohei con sorpresa derisoria. Una sottile vena spuntò sul collo di Hanamichi.
 
“Uuuuh...che romantico, Hana!” rise Noma allacciando le mani e scimmiottandolo. Hanamichi sentì spuntare un’altra vena, sulla fronte.
 
“Auguri ai fidanzatini!” gridò Takamiya spudoratamente, attirando l’attenzione di altre persone e facendo immobilizzare e arrossire Hanamichi e Kaede.
 
“Hana e Rukawa...si vanno a sposar...” canticchiò Ookusu sgraziatamente, risvegliando Hanamichi e la sua furia.
 
“Zitti, stupidi! Vi uccido!”
 
Mentre Kaede osservava il suo...amico...inseguire come un diavolo i ragazzi, ne approfittò per sospirare e calmare il battito del suo cuore, che ancora rimbombava e pulsava quasi dolorosamente. Le sue guance erano calde e le dita giocavano senza sapere cosa fare. Sapendo che probabilmente sembrava un idiota seduto da solo per terra, si alzò spolverandosi i vestiti e cambiandosi (non voleva andare tutto sudato e puzzolente all’appuntamento con il suo...amico).
 
Quando l’Armata giaceva inerme sul campo, Hanamichi lo imitò, dandosi una pulita. Kaede si rifiutò di vederlo spogliarsi senza vergogna, girandosi e dandogli privacy.
 
“Andiamo” sussurrò Hanamichi. Insieme si diressero verso il centro della città, dove la maggior parte dei ristoranti erano aperti e mostravano offerte e menu del giorno. Kaede lasciò che Hanamichi scegliesse il posto, dato che avrebbe pagato lui. Si accomodarono in un locale di ramen pulito, modesto, accogliente e...romantico. Hanamichi e Kaede guardarono fuori dalla finestra, rigidi e sudati (ma non per l’esercizio fisico).
 
Schiarendosi la gola, Hanamichi lesse il menu più volte anche se sapeva già cos’avrebbe ordinato.
 
Kaede sospirò e chiuse gli occhi fingendo di dormire, ma...chi voleva ingannare...era troppo nervoso ed euforico da riuscire a fermare il movimento frenetico della gamba sotto il tavolo. Pochi minuti dopo una signora si avvicinò a prendere i loro ordini, che entrambi chiesero sussurrando (la donna sorrise, consapevole, facendoli arrossire ancora di più).
 
“Stiamo andando bene per il torneo invernale, eh? Il genio si occuperà di preparare i ragazzi! Anche se ovviamente nessuno potrà raggiungere le capacità di questo talento” disse Hanamichi, sorridendo compiaciuto e piazzando gli avambracci sul tavolo.
 
“Tomo-kun salta alto quanto te” ribatté Kaede con un ghigno burlesco. Hanamichi si accigliò e lo colpì sotto il tavolo.
 
“Cosa?! Sei pazzo, volpino? A quel Peter Pan manca ancora parecchio, anche se ammetto che se la cava bene sotto canestro...ma non quanto il re dei rimbalzi” gongolò, ridendo e gettando indietro la testa. Kaede scosse il capo e sospirò con apparente fatica.
 
“Sei un credulone...e fai ancora errori nelle triple”
 
“Ah! È colpa tua! Avevi detto che mi avresti insegnato, ma l’altro giorno siamo finiti a casa mia a fare niente” mormorò mentre gli zigomi diventavano rossi, ricordando vividamente cos’avevano fatto per tutto il pomeriggio.
 
“Non era niente...” affermò Kaede in un mormorio, con le labbra che formavano un piccolo broncio.
 
“N-non intendo questo, idiota...solo che...non ci siamo allenati”
 
Non essersi allenati significava essere andati a casa di Hanamichi, approfittando che non ci fosse nessuno, e rinchiudersi nella sua stanza. Entrambi, per la prima volta da soli e con un letto a disposizione, si erano seduti sulle coperte non sapendo cosa fare o dire, perché fino ad allora si erano baciati solo una volta e per caso quando, uscendo da un campetto di basket, si erano salutati finendo per scontrarsi, finché Hanamichi non aveva unito le loro labbra in un movimento impulsivo.
 
Nessuno dei due aveva approfondito, troppo timidi e alle prime armi per guardarsi o avviare un altro contatto. In quel momento invece, da soli, non c’era nessuno che potesse vederli o giudicarli.
 
Kaede si era guardato intorno nella stanza con finta curiosità, fin troppo consapevole del calore sprigionato da chi gli era accanto.
 
Hanamichi, mordendosi le labbra e muovendo freneticamente le gambe, lo aveva guardato, volendo avvicinarsi, ma non osando (per paura del rifiuto e per timidezza).
 
Quando Kaede aveva fatto un movimento involontario per cercare di rilassarsi, Hanamichi ne aveva approfittato per sporgersi e unire delicatamente le loro bocche. Le sue labbra secche e calde si erano meravigliate a contatto con le altre, ferme ma altrettanto calde. Hanamichi non si era lasciato scoraggiare dalla rigidità del compagno, alzando una mano per avvicinare il suo viso.
 
Kaede aveva ansimato, strigendosi di più. Con i volti di entrambi rossi per l’imbarazzo, erano stati tremanti e desiderosi di fermarsi e arrancare, ma allo stesso tempo avrebbero voluto rimanere lì così...per sempre.
 
Dopo quel timido bacio, ce ne’era stato un altro, un altro e un altro...finendo con lo sperimentare e testare labbra e lingue, sul letto per il resto della serata (fino all’arrivo della mamma di Hanamichi).
 
“Ti va di fare...niente...dopo?” chiese Kaede, guardando con apparente fascino il tovagliolo tra le dita. Hanamichi si tese e avvampò come un fiammifero acceso.
 
“M-mia...mia mamma è a casa...” rispose dopo essersi schiarito la gola due o tre volte. Hanamichi lo vide abbassare le spalle, deluso, accigliandosi e voltando il viso verso la finestra. Hanamichi non voleva vederlo così...deluso...triste...a causa sua, “...ma è abituata ad accogliere i miei amici a casa, quindi...” continuò con tono più allegro, che svanì quando Kaede lo fissò con i suoi acuti occhi blu.
 
“Amici...” mormorò, quasi sillabando la parola e pronunciandola come fosse una caramella acida.
 
“Amici...” ripeté Hanamichi confuso, perso e disorientato dallo sguardo profondo dell’altro.
 
“Solo...amici?” chiese Kaede con cautela. Hanamichi si soffocò capendo cosa intendeva. I suoi occhi castani non sopportarono la pressione e si voltò verso il bancone del negozio dove, per sua sfortuna, c’era una coppia che rideva e condivideva il piatto.
 
In realtà cos’erano loro due? Compagni di squadra, senza dubbio. Rivali, e Hanamichi grugnì mentalmente. Amici, ammise con esitazione...ma...
 
E quella parola che Takamiya aveva detto al campetto? Quella parola breve ma pericolosa, urlata con incuria? Erano quello? Erano...fidanzati?
 
Hanamichi non aveva mai avuto una relazione. Certo, si era dichiarato ed era stato respinto da 50 ragazze, ma...non aveva mai condiviso tutto ciò con qualcuno...non si era mai sentito così per nessuno, nemmeno per Haruko. Prendergli la mano. Abbracciarlo. Ascoltarlo. Prestargli attenzione. Ammirarlo. Baciarlo. Volere stare con lui tutto il tempo. Pensare a lui ogni minuto. E ancora di più...voleva che anche Kaede desiderasse stare con lui tutto il tempo...significava che savano insieme...no?
 
Quindi...erano più che amici...
 
“...No?” fece con apprensione, senza essere del tutto sicuro, ma allo stesso tempo certo di quello che provava, di ciò che lui e Kaede condividevano.
 
“No...qualcos’altro” sussurrò Kaede guardandolo negli occhi e allungando lentamente la mano. Hanamichi, senza esitazione né dubbi, stese la sua e fece intrecciare le loro dita. Si godette il calore e non tremò di disgusto per il sudore del palmo (entrambi erano nervosissimi).
 
La signora apparve poco dopo con i loro ordini e lasciò le scodelle di ramen sul tavolo. Ma le loro mani non si separarono anche se era davvero scomodo mangiare così, anche discutendo e bisticciando come bambini, tirandosi da una parte all’altra...
 
Era quello che facevano i fidanzati, no?
 
^ ^ ^ ^
 
Non c’è altro segno solare capace di essere così scrupolosamente fedele come l’Ariete quando è veramente innamorato. La sua onestà gli impedisce ogni falsità e il suo idealismo lo tiene al sicuro dal desiderio di ingannare.
 
^ ^ ^ ^
 
Hanamichi non ricordava molto bene chi avesse avuto l’idea di andare in discoteca di giovedì sera. Forse Takamiya con una battuta o Noma con le sue proposte volanti, oppure Ookusu con le sue follie...dubitava che fosse stato Yohei, perché il giovane aveva posto mille veti mentre i sei stavano giocando alla Play a casa di Hanamichi.
 
Erano in vacanza dopo il campionato invernale e presto sarebbe arrivato Natale, quindi gli animi erano allegri. A casa di Hanamichi avevano riso, giocato e litigato (non troppo violentemente) ma da un momento all’altro si ritrovarono all’esterno di un noto locale del centro, con documenti falsi, entrando in un corridoio stretto con pareti luminose e specchi sopra le teste. Non trovarono l’oscurità assoluta ma una luminosa sala piena di colori. I sei, guidati da Noma, trovarono un tavolo abbastanza grande per tutti. L’entrata includeva un drink, che Ookusu e Takamiya andarono a recuperare.
 
Noma e Yohei risero, alzandosi per ballare poco dopo, lasciando Hanamichi e Kaede soli e annoiati, non sapendo che diamine fare. Hanamichi non aveva mai ballato circondato da così tante persone e dubitava che il suo ragazzo l’avesse fatto, quindi proporgli di alzarsi non gli sembrò una buona idea. Sulla pista sia ragazzi che ragazze si muovevano a ritmo di musica, che di tanto in tanto variava nello stile; alcune canzoni fecero muovere Hanamichi con la testa e le spalle, finendo involontariamente per incollarsi al corpo del compagno. Kaede non parve irritato, approfittandone per tendere un braccio dietro il ragazzo e accarezzargli dolcemente il collo. Hanamichi tremò e arrossì sotto il tocco innocente, girando il viso verso il ragazzo e osservandolo intensamente e profondamente.
 
Da quanto stavano insieme? Due, tre mesi? Da quanto non riuscivano a tenere le mani lontane l’uno dall’altro? Tre, quattro settimane? Quando era stata l’ultima volta in cui si erano alimentati del reciproco respiro, mangiandosi le labbra? Un paio d’ore prima? Sì, probabile, pensò Hanamichi leccandosi la bocca e sentendola riempirsi di saliva. Deglutì e abbassò gli occhi sulle rosse e appetitose labbra del suo ragazzo, ignorando le risate, le chiacchiere e la musica rimbombante.
 
Contava solo Kaede...solo Kaede...
 
Il momento fu interrotto dall’arrivo di Takamiya e Ookusu, che lasciarono le bottiglie e le lattine sul tavolo, provocando rumore. Al punto che Hanamichi e Kaede sobbalzarono visibilmente, accigliandosi e guardandoli malissimo.
 
“Ehi, non è colpa nostra se avete deciso di venire!” si difese il biondo alzando le mani. Hanamichi sbuffò e si appoggiò al sedile, allungando una mano sotto il tavolo sulla coscia del suo ragazzo.
 
“Sì! Se volevate stare da soli, potevate rimanere a casa” aggiunse Takamiya con un sorriso malizioso. I ragazzi dell’Armata ignorarono presto i due piccioncini, ridendo e bevendo.
 
Hanamichi, frustrato e ansioso, afferrò la mano di Kaede e lo tirò dal sedile. Kaede non lo fermò né lo rimproverò, in sintonia con i suoi sentimenti e desideri. Nessuno dei due era adatto alle scene osé o imbarazzanti, ma...qualcosa nell’atmosfera, quella sera, in quel locale li rendeva più sconsiderati, ribelli, smaliziati...giocosi...
 
Sulla pista da ballo, circondati da molte altre persone, i loro torsi si attaccarono e ne approfittarono per baciarsi come desideravano fare da quando erano usciti di casa. Hanamichi mise una mano sui suoi capelli, sistemandoli e avvicinando maggiormente il suo viso. Kaede gli cinse la vita, muovendosi lentamente al ritmo della musica che in quel momento sembrava lontana, troppo concentrato sul calore umido di Hanamichi.
 
Hanamichi gemette, leccandogli le labbra. Kaede sussultò e si dimenò contro il fianco del ragazzo, sentendosi bruciare e irrigidire; il suo sesso era già sveglio e pronto all’azione e pulsava nei pantaloni, per cui iniziò a sfregarsi delicatamente ma con fermezza contro la coscia del compagno. Hanamichi rispose posando i palmi sul suo sedere, massaggiando e stringendolo.
 
Rimasero diversi minuti in quella nuvola esclusiva e calda, ignorando i sussurri e i commenti delle persone intorno, godendosi baci bagnati, leccate discrete sul collo, lievi succhiotti sulla mascella e le clavicole esposte. Kaede, con occhi chiusi e labbra aperte, portò le mani sotto la maglietta del ragazzo, ingoiando un gemito mentre accarezzava la sua pelle calda e solida. Per non essere accusato di oscenità in pubblico, si astenne dal palparlo troppo, accarezzando i fianchi con apparente innocenza, la schiena, sfiorando gli addominali marcati. Con le mani che vagavano per tutta la sua figura, sentì un’altra mano invadente posarsi sulla schiena di Hanamichi, molto vicina al sedere.
 
Kaede si accigliò immediatamente e concentrò i suoi freddi occhi blu sul tipo giovane con i capelli rasati e il sorriso sornione che si stava strofinando contro Hanamichi.
 
Prima che Kaede potesse fare qualcosa (come ucciderlo), Hanamichi si voltò e afferrò il tipo per il bavero, sollevandolo da terra e annientandolo con uno sguardo penetrante e furioso.
 
“Non toccarmi più. Hai sentito?” sembrò sussurrare, sibilante e pericoloso. Un brivido corse lungo la schiena di Kaede, di paura, di desiderio. Hanamichi sembrava predisposto ad annichilire, distruggere con i denti, “...se ti azzardi anche solo a guardare di nuovo nella nostra direzione, ti strappo le palle, hai capito, coglione?”
 
Lo sconosciuto, tremando da testa a piedi, annuì e balbettò incoerentemente. Hanamichi lo lanciò via e il tizio se ne andò senza dire una parola, probabilmente spaventato a morte.
 
Kaede, con le labbra secche e il corpo sudato e febbrile, posò una mano sul braccio del compagno e lo trascinò fuori dal locale. L’aria fredda e pungente della notte sembrava volerli congelare, ma l’adrenalina, il desiderio la passione che scorreva nelle vene annebbiava le loro teste e bruciava nei luoghi meno appropriati, portandoli a stringersi come se l’uno non potesse respirare senza l’altro...si baciarono ancora. Leccarono e morsero ogni lembo di pelle. Lasciarono segni rossi e viola ovunque.
 
“Andiamo a casa mia” mormorò Hanamichi dopo un po’. Kaede annuì e gli afferrò la mano.
 
Sono tuo. Sono tuo. Appartengo a te. A nessun altro. Fai di me quello che vuoi, sembrò urlare il corpo di Hanamichi per tutta la notte.
 
^ ^ ^ ^
 
Anche se l’amante Ariete insiste ad avere la priorità nella relazione, sarà anche il primo a dirsi dispiaciuto dopo un litigio; sarà il primo a essere presente quando ci sarà bisogno di lui. Se il partner è malato o triste, non si separerà da lui. Sarà la cosa più importante della sua vita.
 
^ ^ ^ ^
 
Ogni volta sembrava che la stessa scena si ripetesse con maggior frequenza. Prima ogni paio di mesi, poi ogni paio di settimane, e ora...praticamente tutti i giorni. Hanamichi, impaziente, oltraggioso, sconsiderato e impetuoso, si accomodò sulla spiaggia dov’era arrivato dopo un’altra discussione con Kaede.
 
Perché avevano litigato questa volta? Per le stesse cose di sempre, in realtà...
 
Il futuro...il fottuto, incerto futuro.
 
Hanamichi non capiva; non capiva davvero perché a Kaede importasse tanto a quel punto. Sì, certo, era l’agosto dell’ultimo anno di liceo, presto avrebbero dovuto lasciare la squadra per concentrarsi sugli studi. Ma...era quello che voleva davvero? Non bisognava vivere a ogni respiro? Sfruttando ogni momento?
 
Se era così, allora perché Kaede era così assorto a concentrarsi sul domani...quando ciò che importava era il presente?
 
Quel pomeriggio si erano ritrovati a casa di Kaede, come sempre mangiando qualcosa e guardando video di basket professionale. Per Hanamichi la giornata era meravigliosa. Aveva dormito bene, si era svegliato alla grande, aveva fatto visita al suo ragazzo, pranzato con la famiglia della volpe, giocato alla Xbox fino ad annoiarsi, si erano baciati un po’ e poi si erano sdraiati sul letto, Kaede con il laptop sulle gambe. Tutto era stato idilliaco finché Kaede non aveva chiesto, di nuovo, come ogni giorno:
 
“Che pensi di fare dopo il liceo?”
 
Hanamichi aveva reagito e risposto allo stesso modo.
 
“Tsk, non lo so...che importa, volpe?” aveva risposto alzandosi dal letto con rabbia alla bocca dello stomaco. Kaede aveva sospirato, scuotendo il capo.
 
“Dici sempre la stessa cosa...non ti importa?” aveva continuato, accigliandosi e con tono stanco e di sfida.
 
“Ah! Ancora con questa storia? Quante volte me l’hai chiesto questa settimana?! Te l’ho già detto...non ne ho idea! Ci penserò più avanti” aveva replicato con violenza, voltando le spalle per evitare il contatto visivo.
 
Hanamichi si era sentito irritato, frustrato, furioso...perché aveva dovuto rovinare la giornata? Gli piaceva farlo arrabbiare? Si divertiva quando litigavano? Beh, lui no...lo odiava...odiava sentirsi impotente, messo alle strette e sotto pressione...odiava odiare Kaede...
 
“È il tuo futuro, stupido, non puoi prenderlo così alla leggera” aveva continuato con più forza, quasi implorando. Hanamichi l’aveva ignorando, scuotendo la testa e grugnendo.
 
“E a te che importa?!” aveva urlato guardandolo con occhi aperti e intensi, supplicandolo di smetterla.
 
Kaede l’aveva guardato per diversi secondi, con i suoi occhi blu così luminosi e nitidi. Hanamichi aveva creduto di scorgervi paura per qualche istante; poi desiderio...una supplica, una richiesta.
 
Ma Kaede aveva subito abbassato il viso.
 
“Idiota” aveva sussurrato e Hanamichi aveva visto rosso.
 
“Sei tu l’idiota! Se sei così preoccuparo per il futuro, pensa al tuo, vediamo se sai cosa vuoi!”
 
“Io so già cosa voglio” aveva replicato con occhi fermi e decisi. Determinati.
 
E cosa vuoi?, avrebbe voluto chiedergli disperatamente, ma il suo orgoglio non gli aveva permesso di dirlo ad alta voce...e onestamente...che sarebbe successo se Kaede avesse voluto andarsene? Se avesse voluto aprire le ali e atterrare in nuovi orizzonti? Dove non ci sarebbe stato lui ad accoglierlo? Dove non avrebbe potuto seguirlo? Che sarebbe successo se avesse voluto...lasciarlo?
 
“Ah...bene” aveva mormorato sarcasticamente, alzando gli occhi al cielo e mettendosi le mani in tasca. Gli era passata la voglia di stare lì, di vederlo o ascoltarlo. Senza aspettare una risposta né salutare, Hanamichi aveva preso le sue cose e se n’era andato.
 
Aveva corso fino a fermarsi alla spiaggia più vicina. Si era seduto sulla sabbia, incollando gli occhi sul mare, sul cielo, sull’infinito che si estendeva davanti al suo sguardo.
 
C’era tanto, tanto di più da sapere...da sperimentare...ma ad Hanamichi non importava. Non aveva senso per lui pensare a quelle cose. Sempre avventato, spontaneo, scandaloso e impetuoso, Hanamichi sapeva solo guardare nell’immediato avvenire, andando passo dopo passo con forza e sicurezza, senza pensare troppo, senza calcolare le conseguenze.
 
Ma lui non è così, si disse con un sospiro. Kaede era di quelli che pianificavano. Soppesando le opzioni. Ponderando le conseguenze. Pensando al futuro...e inseguirlo con determinazione, qualunque fosse...con gli occhi fissi sulla meta e il premio pronto per arrivare tra le sue mani.
 
E Hanamichi lo amava per questo...amava la sua grinta, i suoi artigli, il suo spirito combattivo, la sua perenne perseveranza, la sua volontà di ferro. Amava il fatto che quando si metteva in testa qualcosa, lo realizzava, con lentezza ma inesorabilmente. Kaede non si gettava in un’attività: ci pensava e proseguiva con cautela. Ciò aveva permesso ad Hanamichi, durante l’ultimo anno, di stare più calmo, tranquillo, sereno e con i piedi ben per terra.
 
Kaede era la sua ancora alla realtà.
 
E proprio per questo, non si stava comportando in modo un po’ egoista e ingiusto con lui? Hanamichi sapeva come era il suo Kaede. Naturalmente c’erano ancora molte sfaccettature da scoprire, ma gli piaceva vantarsi di essere uno dei pochi fortunati ad avere abbattuto le sue alte mura, arrivando al suo cuore e prendendolo tra le sue calde e sicure mani.
 
Kaede era la persona che pianificava, pensava, rifletteva, ponderava...era logico che fosse già pronto e preparato per quello che sarebbe arrivato. Già dal primo anno aveva un obiettivo. Già a 15 anni aveva deciso di lottare per qualcosa.
 
E Hanamichi lo ammirava per questo...lo adorava per questo...
 
“Ah...” mormorò, scompigliandosi i capelli e alzandosi lentamente. Non aveva motivo di essere arrabbiato. Non aveva ragione di infastidirsi. Kaede era Kaede. E non si sarebbe mai potuto arrabbiare perché il suo compagno era se stesso.
 
Inspirando ed espirando la brezza marina, Hanamichi strinse i pugni e si avviò verso la strada. I suoi passi calmi, sicuri e fiduciosi, lo portarono in breve tempo alla stessa casa da cui se n’era andato. Bussò forte, sapendo che i genitori di Kaede non sarebbero arrivati per un bel po’.
 
Il ragazzo gli aprì poco dopo, con i capelli disordinati (probabilmente era sdraiato sul letto), gli occhi assenti e semichiusi e i vestiti tutti sgualciti.
 
“Cosa vuoi?” chiese guardandolo con irritazione. Hanamichi fu sul punto di insultarlo e rispondergli aggressivamente, ma non era tornato per quello.
 
Controllati, si dsse serrando i pugni.
 
“Io non...non so cosa voglio studiare...anzi, nemmeno so se voglio andare all’università...non c’è niente che mi piaccia in particolare e...non so se riuscirò ad entrare nel basket professionale” disse Hanamichi con occhi calmi ma fissi su quelli del compagno.
 
Kaede lo guardò con le labbra aperte e la sorpresa sui lineamenti. Hanamichi non era sicuro di quello che stava dicendo; la sua dannata abitudine di parlare e pensare dopo era in piena modalità...la sua bocca espelleva, ma era il suo cuore a parlare.
 
“Ma...se c’è qualcosa che voglio, volpe...qualcosa che voglio più di tutto...io...voglio stare con te, Kaede...non importa dove, o come...voglio solo...stare con te” sussurrò arrossendo e tremando leggermente, senza sapere che le sue parole erano troppo, senza capire che forse stava chiedendo troppo. Senza pensare, soffermarsi o riflettere sulle conseguenze...beh, quello era compito di Kaede...
 
Kaede, tenendo stretto lo stipite della porta, fece un passo in avanti e cinse la vita del ragazzo con le braccia.
 
“Anche io...anch’io voglio stare con te...non importa dove o come...voglio solo stare con te” gli sussurrò all’orecchio, chiudendo gli occhi e respirando il suo profumo.
 
Dopotutto, non c’era niente di più importante che l’uno per l’altro.

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Capitolo 2
*** 2. Kaede Rukawa - Capricorno ***


Kaede Rukawa. Compleanno: 1° gennaio.
 
Capricorno.
 
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Il Capricorno può sembrare innocuo come un cuscino di piume, ma è resistente come un’armatura. Lavora con costanza, senza sosta e riesce a digerire insulti e pressioni.
 
^ ^ ^ ^
 
Il cielo primaverile, azzurro e profondo, coprì tutta la sua visuale per alcuni secondi dopo aver aperto gli occhi in seguito al lungo pisolino. Non aveva sognato niente e per fortuna (degli altri) nessuno lo aveva disturbato. Era un’abitudine sviluppata fin dall’infanzia, secondo sua madre, quindi ora, a 13 anni, era impossibile cercare di sradicare una consuetudine tatuata nel suo sangue e dna. Dormire era una seconda natura per lui. Come il basket, gli diceva sempre suo padre con un sorriso assonnato.
 
Solo pensando a quello sport, Kaede lentamente si alzò. Arricciando le labbra e tenendo gli occhi aperti, si pulì l’uniforme coperta di polvere.
 
Dovrebbero pulire meglio il tetto, pensò senza rivoglergli una seconda occhiata e dirigendosi in palestra.
 
Avanzando lungo i corridoi, pieni di studenti che si recavano alle rispettive attività extrascolastiche, Kaede notò che alcuni lo guardavano con la coda dell’occhio; l’attribuì alla propria statura, stranamente alto per un ragazzino della sua età.
 
Tutto per il basket, pensò sbadigliando, ignorando ogni suono e persona sul suo cammino.
 
Entrò negli spogliatoi per cambiarsi, e sentì di nuovo gli occhi dei compagni sulle spalle. Kaede non si soffermava mai su pensieri inutili...troppo fatica...ma immaginava che molti degli altri ragazzi non si fidassero di lui, dato che praticamente non parlava mai e che, quando era apparso in squadra qualche giorno prima, le sue uniche parole erano state che ‘giocava in qualsiasi posizione’ (il che era assolutamente vero).
 
Decidendo di ignorare tutto ciò che non era il basket, si mise la maglietta, i pantaloncini e la fascetta sull’avambraccio. Andò al campetto e vide diversi ragazzi che si allenavano mentre il capitano parlava con il coach al bordo.
 
Non sapendo cosa fare, rimase in disparte in attesa di istruzioni, ascoltando risatine non molto basse da un gruppo di ragazzi a pochi metri da lui; questi lo guardavano con espressioni di scherno. Kaede alzò le spalle e si voltò verso il capitnao, che accorgendosi dell’arrivo di tutti, ordinò loro di mettersi in fila per cominciare con la pratica.
 
La prima ora fu dedicata al lavoro di base e all’esercizio fisico. Per Kaede era una perdita di tempo. Se qualcuno non sapeva giocare a basket, non doveva nemmeno essere ammesso; inoltre, secondo la sua opinione, il lavoro fisico non doveva durare tanto. Sospirando e scuotendo il capo, Kaede ignorò l’irritazione e continuò in modo impeccabile e perfettamente ordinato, richiamando l’attenzione dei più grandi.
 
Nell’ultima ora fortunatamente il capitano li separò in due gruppi per una partitella. Tanto per provare, disse con un sorrisetto. Kaede non capì e nemmeno gli importò, voleva solo giocare.
E lo fece non appena ne ebbe occasione. Quando un suo compagno gli passò la palla, concentrò gli occhi sul tabellone e avanzò per raggiungerlo.
 
Dribblando e palleggiando con forza, corse oltre la difesa inesperta come una bufera. Lasciò tutti a bocca aperta quando, vicino al canestro, saltò dritto in alto, con le braccia tese, quasi accarezzando la palla, lanciandola e segnando due punti.
 
Sentì sussurri e sommessi applausi, ma li ignorò...voleva solo giocare.
Continuò a farlo in quella partita e nelle seguenti, sentendo ogni giorno gli sguardi dei compagni di squadra o di classe sulla schiena.
 
A volte il capitano lo richiamava per il suo gioco individuale e presunto egoismo, o per quanto fosse geloso della palla dopo averla ricevuta. Kaede, per rispetto, cercava di ascoltarlo e cambiare (un po’), tuttavia il basket era la sua priorità.
 
Con il passare dei mesi Kaede diventò sempre più indispensabile per la squadra di Tomigaoka. E sì, forse molti lo invidiavano ed erano gelosi di lui...molti lo volevano fuori dalla squadra...altri lo ammiravano come una star del cinema.
 
Ma a Kaede Rukawa importava solo di essere il migliore nel suo basket.
 
^ ^ ^ ^
 
Il Capricorno prova una grande ammirazione per chi prima di lui ha raggiunto la vetta del monte, stabilendo le regole del viaggio. Corteggia il successo, rispetta l’autorità e onora la tradizione. Molte persone energiche e impulsive lo bollano come snob e presuntuoso. A sua volta, il Capricorno può considerare assurdi e sciocchi coloro che lo criticano, ma in generale è troppo prudente per farsi nemici inutilmente.
 
^ ^ ^ ^
 
Come giocatore di basket, entrare nel liceo Shohoku probabilmente non era stata la decisione più intelligente che avesse preso in vita sua. La squadra del Ryonan, per esempio, in ascesa e con uno dei giocatori migliori del paese, sarebbe stata una scommessa facile e geniale. O il Kainan, la squadra più forte del distretto e riconosciuta su larga scala nazionale, sarebbe stata un’altra scommessa quasi sicura per la sua crescita. Nonostante ciò, Kaede non era fissato per nessuna squadra in particolare, non aveva discusso con i suoi genitori le opzioni su allenatori e piani di attività...aveva solo cercato la comodità.
 
Il sonno era vitale nella sua routine, era essenziale per la sua quotidianità. Era necessario per la sua esistenza. Per quello aveva scelto la scuola più vicina a casa sua. Inoltre, perché mentire, anche nello Shohoku conobbe grandi giocatori. Del capitano Akagi sinceramente non aveva pensato che fosse granché, credendo che la sua autorità giungesse più dal suo status di alunno del terzo anno che dalla sua abilità, ma si era sbagliato completamente.
 
Takenori Akagi era per Kaede senza troppi dubbi uno dei migliori centri del paese. Facendo sentire la squadra al sicuro e con il tabellone protetto. Cosa che era stata ben provata nella partita amichevole con il Ryonan, in cui non solo lo Shohoku era stato testato per la prima volta, ma in cui ci fu l’opportunità di giocare contro Akira Sendo, noto fuoriclasse che, si diceva, avrebbe superato anche Maki del Kainan.
 
Mettersi alla prova contro giocatori come lui era la cosa più emozionante ed intrigante. Per Kaede non c’era niente di più rinvigorente che affrontare quei giocatori. Non avrebbe mentito, il tipo non gli piaceva, in primo luogo perché era arrivato tardi alla partita; secondo, aveva trascorso il tempo con quello stupido sorriso disegnato in faccia; e terzo, in campo era incredibile. Sì, lo ammirava (molto, molto segretamente) ma invidiava e detestava il suo talento e la sua naturalezza; pur essendo un giocatore eccezionale, sembrava essere in sintonia e armonia costante con i compagi, qualcosa che per Kaede era totalmente estraneo, dato che alla Tomigaoka era sempre stato il leader che guidava la squadra, senza aiuti e senza domande.
 
Nello Shohoku conobbe Ryota Miyagi, un tizio scemo come quell’idiota di Sakuragi, ma che giocava da playmaker con autorità. Senza dimenticare l’MVP, Hisashi Mitsui, ex teppista che quasi aveva distrutto la squadra con le sue scemenze e che pur non giocando da molto tempo aveva dimostrato un talento unico: in difesa e in attacco, era un giocatore prodigioso.
 
Di sicuro nello Shohoku non era affatto piacevole quell’idiota di Hanamichi Sakuragi.
 
All’inizio Kaede lo ignorò. Non aveva idea del perché quel tizio violento ce l’avesse con lui e onestamente non gliene fregava niente. Per lui c’era solo il basket. Così le stupidaggini di quell’inutile gli scivolavano addosso come acqua.
 
Ma quell’idiota aveva l’abitudine di incapricciarsi sempre con lui. Per quanto lo ignorasse o gli dimostrasse che non lo considerava parte della squadra, lui rimaneva a infastidirlo e a mettere in mostra abilità che ovviamente non aveva. Kaede ne era irritato come non mai.
 
Mai, mai in tutta la sua vita si era sentito così seccato come con quel deficiente, arrivando ad abbassarsi al suo livello e ricambiando gli insulti e i colpi. Ma non riusciva a controllarsi...non con Hanamichi che rideva con quella boccaccia e parlava, parlava e parlava di cose che non conosceva.
 
Sì, sì, forse aveva un po’ di talento (e imparava molto velocemente), ma non aveva il diritto di andare in giro a urlare per qualsiasi giocata che gli riusciva per miracolo.
 
In breve, Kaede Rukawa era soddisfatto di essersi unito allo Shohoku, ma vedendo quel rosso durante l’allenamento gli faceva riconsiderare la sua decisione ogni sera.
 
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Il suo sguardo è rivolto in avanti e i suoi piedi sono ben piantati a terra. Gelosia, passioni, impulsi, rabbia, frivolezze, stravaganze, pigrizia e incuria sono ostacoli; che siano gli altri ad inciamparci e a cadere. Il Capricorno no. Può dare una rapida occhiata indietro, compatire i caduti o ringraziandoli per i consigli e l’aiuto dato in precedenza, ma non ci metterà molto per continuare senza fretta e senza sosta fino alla meta.
 
^ ^ ^ ^
 
“Stai zitto e guarda, idiota” disse Kaede ad Hanamichi (che il professor Anzai aveva tolto dal campo(, voltando le spalle ed entrando in gioco per continuare la lotta contro il Kainan che al momento, grazie alle giocate del grande Maki, era in vantaggio.
 
Erano indietro...molto indietro...e a peggiorare le cose, quello stupido rosso aveva abbassato il suo rendimento affrontando quel ragazzino, fallendo come il principiante che era e rendendosi ridicolo (come sempre), e ancora più importante, diminuendo l’efficacia con i rimbalzi.
 
È un inetto, pensò Kaede, sospirando e piantando i piedi in campo con determinazione e il fuoco sulla pelle.
 
E non era tutto...quell’altra scimmia assurda, Kiyota, non smetteva di prenderlo in giro e di provare a provocarlo (come se le sue sciocche sfide o parole potessero smuovere un suo capello)...a Kaede non importava affatto chi fosse la matricola dell’anno, o il miglior principiante, o la stella emergente per gli anni successivi.
 
Voleva solo vincere...accorciare le distanze, fare più punti, molti di più, fare canestro...canestro...canestro!
 
Come se il karma avesse deciso di spegnersi su di lui, il capitano Akagi sentì dolore per l’infortunio alla caviglia; una ferita vitale per un centro come lui che, difendendo sotto il canestro, doveva saltare per recuperare i rimbalzi e salvaguardare il tabellone da qualsiasi attacco avversario. Akagi si ritirò per curare la ferita.
 
Tutto stava cadendo a pezzi, tutto crollava...lo Shohoku andava male. Stava perdendo. I presenti in palestra gridavano, celebravano le giocate, urlavano per i loro preferiti, ma Kaede zittì ogni cosa. Lo rinchiuse in un luogo nascosto delle sue orecchie, lo cancellò dalla sua coscienza. In quel momento c’erano solo lui e la palla. La palla e lui...e il canestro in attesa di essere perforato.
 
Nient’altro, nessun altro. Non c’era pressione, non c’era umore, non c’era rabbia, frustrazione, irritazione o stanchezza. Solo determinazione. Fiera, appassionante, energica, consumatrice e travolgente.
Con ciò in mente giocò come non mai. Palleggiò e dribblò in un modo che molti ritennero da film. Passò e superò la scimmia del Kainan. Non perché volesse umiliarlo, non perché volesse insegnargli o mostrargli qualcosa...doveva fare più punti. Lo fece anche con Maki e con la sua difesa alta. Kaede portò tutti in avanti.
 
Con il sudore che gli scorreva lungo le tempie, con il respiro agitato e spezzato, alzò lo sguardo e fissò gli occhi blu sul tabellone dei punti. 15...solo altri 15...con quelle parole in mente si scatenò una saetta di fuoco dentro le sue braccia e gambe, mentre i palmi si attaccavano alla palla. Era quella la sensazione di cui parlavano atleti e professionisti? Era quella la trance agonistica? Kaede non lo sapeva né gli importava, non quando doveva continuare a fare punti. Non quando doveva schiacciare, fare un canestro e ancora un altro. Niente e nessuno importava.
 
Il canestro. Il canestro. Il canestro. Ancora un punto. Solo un altro punto.
 
Vincerò...vincerò a tutti i costi...
 
Quando Sakuragi finalmente affrontò le sue debolezze, le cose sembrarono tornare in carreggiata per la squadra con le divise rosse. Il capitano Akagi, chiaramente dolorante, tornò in campo e continuò a lottare con un coraggio che proveniva solo dal suo cuore. Kaede lo ammirò per questo. Ma non c’era tempo per pensarci...non quando mancava così poco e la dannata distanza non scompariva.
 
Il Kainan continuava a segnare. Maki era incredibile, quasi invincibile, spettacolare e di ferro.
 
Con quasi 1.30 minuti rimanendo della partita e sei punti di differenza (svantaggio ancora dello Shohoku), la palla uscì verso la panchina del Kainan. Sakuragi, quell’idiota, quel principiante, quel mostro, corse verso la palla e la lanciò verso di lui.
 
“Rukawa! Non importa se segni per fortuna, fallo!” gli urlò rialzandosi e Kaede, palleggiando di fronte al blocco di Kiyota, avanzò con autorità e potenza. Kiyota rimase sorpreso dalla sua aura, dall’energia che sprigionava il suo gioco.
 
“Io non sono te” replicò Kaede impassibile, sudato, esausto, respirando pesantemente, ma determinato, “non ho bisogno della fortuna, stupido!” urlò saltando e schiacciando con la mano destra, resistendo e superando la difesa del Kainan.
 
È abilità..., pensò, sdraiato a pancia in giù sul suolo, con la fronte madida e le braccia rilassate, quasi perdendo i sensi...esausto, frustrato della sua poca resistenza, irritato con il proprio corpo, infastidito dalla propria mente.
 
“Hai giocato bene. Ottimo lavoro...ora lascia il resto ai tuoi compagni” gli disse il professor Anzai quando lo sostituì con Kogure.
 
Kaede, seduto sulla panchina e i pugni serrati furiosamente sulle ginocchia, la testa nascosta dall’asciugamano e la respirazione ancora affannata, pensò: Lasciare il resto ai miei compagni...?
 
No...non poteva farlo...
 
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A volte il Capricorno dimentica di nascondere le sue ambizioni e si rifiuterà di lavorare se non in una posizione chiave. Diventerà quindi testardo insistendo di partire dal gradino più alto, luogo che ritiene di sua appartenenza. Naturalmente, tale atteggiamento porta a una persona cupa, egoista e fredda, impossibile da soddisfare. Ma di solito un paio di colpi ben assestati basteranno per rimetterlo sulla retta via.
 
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A volte, per quanto sia difficile da credere, le persone possono cambiare completamente le prospettive di vita se lo propongono (cosa che per Kaede Rukawa sembrava impossibile).
 
Tuttavia, in altre circostanze, si preferisce rifugiarsi nel proprio guscio e guardare da una piccola crepa come cambia il mondo intorno, senza muovere un dito, senza un respiro più profondo, senza spostare un muscolo.
 
E altre volte...molte altre...ci si ritrova immersi in correnti imprevedibili e impetuose senza volontà. In quei casi è quasi opprimente prendere fiato ed espirare...e pensare ‘questo ora sono io, questo è ciò che sono diventato’ a volte è inteso negativamente, altre in meglio.
 
Per Kaede Rukawa, la sua esperienza di vita lo portò verso la seconda opzione (o almeno così gli piaceva pensare). Una che non si sarebbe mai aspettato, che non aveva mai voluto, ma eccolo lì, a lottare per qualcos’altro.
 
Molte persone all’inizio del liceo l’avevano soprannominato re dei ghiaccio, o marcato come giocatore egoista, individualista...e onestamente non gli era mai importato, perché anche alle medie era conosciuto per quelle caratteristiche. Non si vergognava del suo stile. Non si pentiva di giocare un basket più personale...non perché i suoi compagni fossero dei buoni a nulla, tuttavia gli era molto difficile interagire con le persone. Non era timido, vulnerabile, non si imbarazzava facilmente né era un idiota...ma non gli interessava.
 
Parlare e farsi degli amici non serviva ai suoi scopi, al suo obiettivo.
Cos’avrebbe guadagnato con l’amicizia di un coetaneo? Avrebbe dribblato più precisamente? Più velocemente? Più basso o più alto? Avrebbe saltato di più? Avrebbe fatto più punti? Più schiacciate? L’avrebbe reso un giocatore migliore? No...per questo non vedeva la necessità di creare legami con i suoi compagni di squadra.
Erano tutti pezzi di un grande gioco, dopotutto. E quel pensiero lo dominò a lungo, forse troppo.
 
Ma nello Shohoku...qualcosa nello Shohoku cambiò, qualcosa andò fuori dai binari e cadde lungo un profondo precipizio, uno di cui non vedeva ancora la fine e forse nemmeno voleva farlo.
A pensarci bene, forse era stato il professor Anzai che aveva motivato il suo cambiamento dicendogli di dicentare il giocatore delle scuole superiori numero uno in Giappone. Dopo aver sconfitto il Ryonan e in attesa dei nazionali. Forse furono i suoi insegnamenti e le sue lezioni di vita che lo portarono a mutare.
 
Forse fu anche per Takenori Akagi, il capitano. Il pilastro. Il cuore. Il centro e difensore del canestro. Forse la sua sicurezza, la sua grinta, la sua fiducia, i suoi sogni lo motivarono a unirsi alla squadra. Ispirandolo ad arrivare ai nazionali con lo Shohoku. Non poteva escludere Miyagi, Mitsui, persino Kogure e Ayako. Ognuno di loro, con le proprie capacità, con i loro caratteri, con il loro contributo personale, riuscirono a farlo sentire parte di qualcosa. Gli fecero credere in veri compagni di squadra; con loro si sentiva non con persone con cui condivideva uno spogliatoio, giocando con la stessa uniforme, ma parte di qualcosa più grande, più profondo...più significativo.
 
E probabilmente...
 
Quello che più influenzò la sua vita e le sue decisioni fu Hanamichi Sakuragi. Il ragazzo un tempo principiante e testa vuota, che a malapena sapeva palleggiare. Il presuntuoso che passava il tempo a urlare durante l’allenamento (e ancora lo faceva).
 
Kaede non provò mai a essere suo amico, non provò mai a parlargli, conversare con lui o accostarsi a lui. Il tipo lo odiava e lui ricambiava pienamente il sentimento, per cui faceva orecchie da mercante ai piani deliranti del professor Anzai di fare di loro un duo vincente.
 
In realtà Kaede non sapeva dire quando le cose cominciarono a cambiare. Quanto tutto iniziò a sfuggire al suo controllo. Quando la sua ambizione tremava e la sua testa cominciò a riempirsi di altri pensieri (inutili, secondo lui).
 
Osava dire che accadde quella mattina di agosto, poco prima che iniziassero i nazionali al primo anno di liceo. Quel giorno Kaede si stava esercitando e allenando senza disturbare nessuno quando, dal nulla, apparve l’idiota scandaloso.
 
“Ehi, tu! Che ci fai qui?!” gli urlò contro Hanamichi, puntandogli il dito e avvicinandosi con presunta aggressività. Kaede si sentì esasperato e irritato per l’interruzione, specialmente da parte di quello scemo che non faceva altro che infastidirlo.
 
“Tu cosa dici? Mi alleno, stupido” rispose impassibile per farlo arrabbiare. Dopo qualche insulto e grido, Hanamichi si arrese e si rinchiuse nella sua parte del campo, esercitandosi con i tiri. Kaede si chiese se l’allenamento segreto con il professor Anzai avesse riguardato quello, nel periodo del ritiro; ma rapidamente alzò le spalle proseguendo per i fatti suoi. Quello che faceva l’idiota non era affare suo.
 
Ma nonostante le sue stesse parole e i suoi pensieri, quella mattina si ritrovò a prestare poca attenzione al proprio tabellone e pallone, guardando con scarsa dissimulazione mentre Hanamichi cercava di lanciare la palla da ogni angolo, ancora e ancora. Segnava e segnava. Quando sbagliava, grugniva e stringeva i pugni, ma continuava a provare.
 
È un mio compagno di squadra..., pensò Kaede quella mattina. Sakuragi forse era un presuntuoso. Un illuso. Un boccalone. Un idiota. Ma era uno stupido con talento, uno che Kaede non poteva più negare.
 
“Non migliorerai in nulla se ti metti a saltare come un idiota” lo interruppe quando lo vide lanciare la palla con potenza ma scarsa coordinazione e precisione, saltando fuori tempo e sfiancando le gambe e il corpo.
 
Kaede non sapeva dire ciò che l’aveva motivato ad aiutarlo, cosa lo spinse a provocarlo e a impicciarsi. Quella mattina si disse che lo avrebbe aiutato per il bene della squadra.
 
Da allora Hanamichi era migliorato e di conseguenza tutto lo Shohoku. Certo, c’era ambizione ed egoismo ancora in ogni sua mossa, in ogni sua parola. Anche con il Sannoh il suo gioco fu ancora individuale, ma...quella mattina d’agosto...Hanamichi Sakuragi entrò nella sua vita come un vortice, come una tempesta che lo colpì da testa a piedi.
 
Kaede immaginava che avrebbe dovuto aspettarselo: per tutta la sua vita i suoi sentimenti e stati emotivi erano rimasti stabili, equilibrati e controllati, ma con quel tipo tutto si era alterato e mutato in qualcosa che si rifiutava di riconoscere. Non importava quante volte lo cercasse durante gli allenamenti. Non importava quante volte si sentisse...sollevato...ad allenarsi con lui in un campo pubblico...solo loro due...non importava cosa lo irritasse del fatto che Sakuragi guardasse tanto la nuova assistente.
 
Non importava. E se lo disse migliaia, milioni di volte nelle mattine in cui lo vedeva con quel sorriso idiota. Se lo ripeté nei pomeriggi in cui lo incontrava mezzo nudo negli spogliatoi. E se lo gridava di notte quando le immagini di Hanamichi, sudato e ridente, gli assalivano la testa.
 
Ma non tutto poteva rimanere perfetto, o almeno così sembrò nella partita di aprile del secondo anno; quella in cui Miyagi, nuovo capitano, fu assente perché si era ammalato e non poté assistere al match contro lo Shoyo. Hanamichi, da chiacchierone e presuntuoso qual era, non impiegò molto a prendere le redini e gridare discorsi retorici nello spogliatoio. Kaede lo ignorò, abituato alle sue buffonate, sapendo che a prescindere da quanto fosse vanitoso, i suoi rimbalzi, la sua ottima condizione fisica e le sue schiacciate erano fondamentali. Quello che non si aspettò, però, fu altro:
 
“Che ti succede, volpe?! Concentrati! O quel novellino è migliore di te?” gli disse, dopo aver affrontato la recluta dello Shoyo, un ragazzo del primo anno che giocava come un professionista. Inizialmente Kaede provò una furia ardente intorno a ogni muscolo.
 
Non devi ricordarmelo, stupido, pensò, frustrato e irritato perché un dannato ragazzino del primo anno gli stava facendo mangiare la polvere...
 
No, grazie. Non aveva bisogno delle stupide parole di un idiota.
 
“Non dimenticare il motto dello Shohoku, idiota” continuò Hanamichi, sussurrando, più serio. Kaede, ancora respirando pesantemente, sudato e infastidito da se stesso, si ritrovò in fiamme, ma per una ragione completamente differente. Hanamichi non gli aveva mai parlato in quel modo: così intimo. Così privato. Così maturo.
 
“Siamo forti, volpe! Tu sei forte...quindi non lasciare che venga un ragazzino a prenderti a calci...quello è compito mio” commentò voltando il viso, con le guance rosse.
 
Kaede non poteva credere che Hanamichi, quel presuntuoso e autoproclamato suo rivale, avesse detto quelle cose a voce alta.
 
Con gli occhi luminosi, le labbra secche, la bocca che salivava, la pelle in fiamme e il cuore che palpitava come un pazzo, Kaede si sentì cadere alla mercé del compagno. Non c’erano più dubbi. Non c’erano altre domande. Non poteva negarlo.
E ancora meno quando quelle semplici parole sembrarono iniettare energia e potenza nel suo sangue e nella sua mente. In seguito giocò perfettamente, in modo brillante e ispirato...e tutto grazie all’idiota.
 
Il resto giunse semplicemente come l’autunno dopo l’estate. Kaede faceva ancora fatica a digerire tutto. Impiegò mesi per accettarlo e guardarlo come una cosa non esattamente brutta, ma non necessariamente buona.
 
Quello stupido gli piaceva...e non solo come compagno di squadra. Non solo come potenziale amico.
 
E se gli fossero mancate ragioni per crederci, bastava ricordare il campionato nazionale del mese precedente, in cui avevano perso in semifinale contro una squadra di Tokyo e Hanamichi era rimasto bloccato sotto il tabellone, con gli occhi sbarrati e i muscoli paralizzati. Quel giorno Kaede aveva curvato le spalle, sconfitto. Si era irrigidito, disgustato da se stesso, per non aver aiutato di più, per non aver dato di più, per non aver fatto più punti o aiutato a farli...una nuvola nera gli aveva coperto la faccia e lo spirito, finché non aveva visto Hanamichi praticamente sotto shock in quell’angolo. Non aveva provato pietà, divertimeno, rabbia o compassione...ma empatia...perché Kaede sapeva che entrambi condividevano le stesse sensazioni quando si trattava di basket. Erano sempre in sintonia sul campo, sempre in armonia.
 
Così, quando aveva visto Miyagi avvicinarsi al ragazzo, mettendogli un braccio intorno alla vita e provando a confortarlo, qualcosa gli era parso sbagliato...spiacevole...all’altezza del ventre e sulla pelle. Perché Miyagi non capiva. Nessuno poteva capire Hanamichi come lui in quel momento. Nemmeno quella ragazzina che continuava a fare arrossire l’idiota. Senza volerlo, li aveva fissati come uno stalker, attirando l’attenzione del più basso, che l’aveva chiamato subito. Quando si era avvicinato, Ryota-san se n’era andato lasciandoli soli. E Kaede l’aveva tirato fuori da quello stato di stordimento nell’unico modo che conosceva: provocandolo, facendolo infuriare...e ci era riuscito. L’aveva fatto sorridere per il resto della giornata, nonostante la sconfitta.
 
Quindi ora, in una fresca notte di settembre, in prossimità dell’autunno, Kaede camminava tranquillamente e sicuro verso la palestra, dove sapeva che Hanamichi si stava contorcendo nel dubbio...perché quando si trattava di basket erano sempre in sintonia.
 
Quel pomeriggio lo aveva visto assente e sconnesso durante l’allenamento...e ad aumentare i suoi sospetti, non aveva parlato, gridato né si era vantato per tutto il tempo. Non appena gli altri se n’erano andati, Kaede si era avvicinato a Miyagi e con estrema discrezione aveva chiesto notizie dell’idiota numero uno di Kanagawa. Ryota-san gli aveva detto che lui avrebbe presto lasciato la squadra e sicuramente Sakuragi sarebbe diventato capitano. Onestamente Kaede si era aspettato un’esplosione di arroganza dal suo rivale, non quel Sakuragi silenzioso e quasi depresso. Ma aveva capito, unendo i puntini e comprendendo gli sguardi persistenti di Hanamichi verso il capitano, Ayako e il coach...e tutto era stato chiaro.
 
Ecco perché ora, in silenzio e con espressione immutabile, aprì la porta scorrevole e vi si appoggiò osservando il suo compagno di squadra. Hanamichi era sdraiato sul suolo, con le mani sullo stomaco e gli occhi fissi al soffitto. Appena lo sentì, si mise a sedere e voltò il viso.
 
“Volpe! Che ci fai qui?” chiese Hanamichi con gli occhi castani aperti e i lineamenti rilassati. Kaede lo vedeva calmo come non mai. Quella fiamma che lo avvolgeva sempre pareva docile e debole, e sebbene durante il primo anno Kaede avrebbe fatto qualsiasi cosa perché l’idiota fosse così tranquillo, in quel momento voleva solo l’Hanamichi turbolento e presuntuoso che tutti conoscevano e apprezzavano.
 
Sapendo di non poter rispondere alla domanda senza far capire quanto fosse assorbito dalle sue faccende, mise le mani nelle tasche e avanzò con calma, senza sedersi e guardandolo direttamente.
 
“Che ci fai tu qui, scemo?” quasi rise quando un lampo passò attraverso gli occhi del ragazzo. Funzionava sempre. Infastidire Hanamichi era più facile che accendere un fiammifero.
 
“L’ho chiesto prima io” ribatté come un moccioso, arricciando le labbra e muovendo la testa in segno di sfida. Kaede alzò gli occhi al cielo e sospirò senza spostarsi, chiedendosi se dire la verità o altro.
 
Ma come spiegargli perché era lì...
 
Perché ero preoccupato...perché ti conosco...perché so che, nonostante quello che mostri agli altri, dentro di te sei insicuro...perché volevo vederti...
 
“Ryota-san mi ha detto che sarai capitano” si limitò a rispondere, girando il viso per evitare di arrossire in maniera umiliante.
 
Hanamichi non rispose e Kaede lo guardò, chiedendosi cosa e come dirlo. Scuotendo il capo, si accovacciò e si sedette con le gambe incrociate, abbassando le spalle e osservandolo.
 
“Andrai bene” sussurrò piano, girando il volto e giocando con le dita. Probabilmente Hanamichi avrebbe urlato, lo avrebbe insultato, picchiato o altro...ma Kaede pensava di doverglielo. Hanamichi inconsapevolmente l’aveva aiutato molto nell’ultimo anno. Grazie a lui era uscito dal suo mondo oscuro ed egoista. Grazie a lui gli piaceva pensare, stava diventando una persona migliore.
 
“Certo che andrò bene, idiota...non ci sono dubbi! Ma...questo genio è indispensabile sotto canestro...un talento come me deve allenarsi giorno e notte, quindi...non so se...non sono sicuro di poter...non so se ho il tempo per altre cose...perché c’è tanto da fare e...”
 
Kaede desiderò di nuovo ridere per il suo strano nervosismo e vulnerabilità. Era sul punto di rispondergli quando improvvisamente sentì la mano di Hanamichi vicino alla coscia. Inconsciamente si tese, smise di respirare e fissò a terra.
 
Potrebbe essere...? Ma..Sakuragi è infatuato di quella ragazza...dell’assistente...?, o almeno così sembrava.
 
“Pensi davvero...che me la caverò?” sussurrò Hanamichi.  “Non che io abbia bisogno della tua opinione o altro, scemo...questo genio sa che-”
 
“Lo so. So che te la caverai bene...stupido” mormorò fissandolo profondamente e intensamente, inconsapevole dei propri lineamenti rilassati che trasmettevano dolcezza e comprensione.
 
Sapendo che forse stava commettendo il peggiore e più stupido errore della sua vita, spostò una mano su quella di Hanamichi. Il suo palmo, freddo, coprì la calda pelle dell’altro...Kaede sgranò gli occhi per lo stupore quando il ragazzo ricambiò il gesto, guardandolo con un sorriso timido e con un labbro tra i denti.
 
Merda...merda. Merda. Merda...
 
Lui...prova lo stesso?
 
Qualsiasi domanda, dubbio, attacco di cuore che minacciava Kaede scomparve quando Hanamichi prese la sua mano fra le sue, portandosela in grembo e poi contro il cuore, che batteva con la stessa travolgente intensità del suo. Tutti e due, arrossendo come gamberi, si voltarono verso il canestro...e rimasero lì finché la gelida notte li costrinse a cercare riparo.
 
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Dove trovarlo? Quasi ovunque gli sia possibile fare progressi o migliorare. Ovunque possa avanzare e realizzare le sue ambizioni segrete.
 
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Kaede Rukawa, studente dello Shohoku al terzo anno, aveva la mente pronta e desiderosa su un unico obiettivo: essere il miglior giocatore di basket del Giappone. A qualunque costo. A prescindere dai sacrifici e le ore che vi avrebbe dedicato. Era determinato a farcela.
 
Da quando il professor Anzai lo aveva sfidato due anni prima, Kaede aveva lavorato, si era allenato ed esercitato quotidianamente. Senza riposo e senza sosta. Solo su richiesta di sua madre lasciava le domeniche per dormire fino a tardi e non fare altro se non alcuni compiti per la scuola. Per molto tempo, per mesi e mesi, la sua routine era ridotta ad alzarsi presto per andare a correre. Lavorare sul suo corpo con macchinari per le braccia, le spalle, le gambe...e nel pomeriggio si allenava fino a non sentire altro che dolore e soddisfazione.
 
Tuttavia, dal settembre dell’anno prima, le cose erano leggermente cambiate...perché un’altra persona si era inserita nella sua vita in modo impetuoso. Una persona forte, vibrante, energica, vanitosa e...adorabile...Hanamichi Sakuragi, come un turbine, come una tempesta, una visione, aveva fatto irruzione nella sua vita e si rifiutava di andarsene. E onestamente Kaede sperava che rimanesse per sempre.
 
Tuttavia, non importava quanto gli piacessero i pigri pomeriggi nella stanza di uno dei due, a baciarsi lentamente, ad assaporarsi profondamente; non importava quanto apprezzasse pranzare o cenare in famiglia con Hanamichi e sua madre quando erano liberi; quanto gli piacessero i pomeriggi in cui vagavano per la città con l’Armata a punzecchiarli, quanto lo amasse e lo desiderasse...il futuro si avvicinava. Il futuro e l’incertezza del domani bussavano con insistenza alla porta.
 
Kaede sapeva cosa voleva fare, cosa doveva fare. Unrisi agli All Japan. Grazie al professor Anzai si stava candidando e parlando con le persone responsabili (allenatore, direttori, medici) per accedere ai try-out.
 
Ma...cosa sarebbe accaduto con Hanamichi?
 
La squadra giapponese era a Tokyo e dalla prefettura di Kanagawa distava, in treno, poco più di un’ora. Tempistica che per chiunque sarebbe parsa una sciocchezza, ma...una volta entrato in squadra, Kaede si sarebbe allenato tutti i giorni, senza riposo né tempo per viaggiare a visitare il suo ragazzo ogni volta che ne avrebbe avuto voglia. Anche il professor Anzai gli aveva detto che sarebbe stato un compito impegnativo e sacrificale, soprattutto se pensava di andare anche all’università. Ma Kaede si rifiutava di rinunciare ad Hanamichi...così, da quando erano ricominciate le lezioni, aveva insistito e chiesto sottilmente al suo compagno cosa voleva fare alla fine del liceo.
 
Anche se sembrava una ragazzina idiota e innamorata, Kaede sognava che anche lui si unisse agli All Japan...fantasticava di lui e Hanamichi che si trasferivano a Tokyo, vivendo insieme nuove avventure, nuove sfide, ma sempre insieme, mano nella mano e appoggiandosi l’uno all’altro...
 
Ma...la realtà, come sempre, si dimostrava leggermente diversa e sorprendentemente più crudele...
 
“Rimarrai qui...? A Kanagawa?” chiese Kaede con la testa sul petto del compagno. Quella domenica di ottobre, approfittando del fatto che la mamma di Hanamichi era uscita con alcune amiche, i due amanti avevano colto l’occasione per darsi alla pazza gioia in ogni angolo della casa, battezzando il bagno e la cucina e concludendo, come sempre, nella stanza di Hanamichi, con le lenzuola stropicciate tra le gambe, i vestiti gettati atterra e i respiri ancora agitati.
 
Kaede, sentendo ancora il bruciore nelle parti posteriori, le guance rosse e calde, i fianchi un po’ dolenti, cercò di respirare e calmare i suoi battiti irregolari. Perché Hanamichi aveva deciso.
 
E non aveva scelto lui...
 
Beh, era un po’ egoistico vederla da quella prospettiva, ma Hanamichi gli aveva appena detto che aveva deciso di entrare in un’università locale, più vicina a casa e conveniente per ciò che la sua famiglia poteva permettersi; aveva detto che ancora non sapeva cosa studiare, ma probabilmente qualcosa legato allo sport.
 
“Mmh...anche Yohei sta facendo domanda...gli altri non sanno se ci riusciranno, ma sai come sono...lui rimarrà vicino a casa mia quindi non dovrò spendere per il trasporto, ahahah...almeno mia madre sarà contenta” Hanamichi continuò a ignorare la lotta interna di Kaede che, per distrarsi, allungò la mano e giocò con alcune ciocche rosse del compagno.
 
Era quello il momento? Doveva dirgli...pregarlo...chiedergli di andare con lui? Per quanto Kaede fosse determinato, non aveva ancora detto al suo ragazzo che dopo il marzo dell’anno seguente si sarebbe trasferito a Tokyo.
 
Forse...forse questo è il momento...
 
“Io...mi unirò agli All Japan...a Tokyo” sussurrò con le labbra incollate alla sua pelle. Kaede sentì immediatamente la rigidità dei suoi muscoli. La mano che gli stava accarezzando la schiena si interruppe. Sentì il fiato sospeso del ragazzo.
 
“...a Tokyo?” mormorò con voce roca, priva della solita leggerezza ed umorismo. Kaede, consapevole di non poter più ignorare la situazione, si mise a sedere. Hanamichi lo seguì, osservandolo con le sopracciglia aggrottate e un luccichio negli occhi. Non riuscendo a sostenere il suo sguardo, annuì.
 
“...e quando pensavi di dirmelo? Direttamente alla stazione?!”
 
Kaede sapeva che quella reazione violenta era prevedibile, ma si stupì comunque di vederlo alzare dal letto bruscamente, iniziando a cercare i vestiti.
 
“Non urlare, scemo” implorò con il cuore che palpitava forte, sempre di più, rischiando di sopraffarlo.
 
“Urlo quanto mi pare...dio! Sei un dannato bastardo! Quanto tempo fa l’hai deciso?!” chiese infilandosi le mutande e la maglietta. Kaede sapeva che la risposta gli sarebbe valso un pugno, ma preferì essere onesto che mentire e aumentare la tensione.
 
“Lo so dall’anno scorso”
 
Hanamichi lo fissò con occhi infuocato, il corpo immobile e i pugni chiusi.
 
“...non puoi rimproverarmi nulla, Hanamichi. Fin dall’inizio sapevi che voglio giocare a basket” continuò fingendo calma e alzandosi per vestirsi, “ma in ogni caso mi dispiace...per non avertelo detto prima...non sapevo in che modo” si scusò avanzando verso il ragazzo per guardarlo negli occhi e cercare di trasmettergli che era deciso, ma che comunque si rammaricava di non essere stato più onesto.
 
“E quando te ne vai?” chiese Hanamichi con più calma, ma ancora rigido.
 
“Dopo il diploma”
 
Hanamichi si passò le mani fra i capelli. Si mise a camminare intorno alla stanza. Grugnì e si schiaffeggiò le guance alcune volte. Poi si sedette sul letto e lo guardò negli occhi. Castani come cioccolato amaro. Profondi come il mare. Dolci come i gelati che condividevano in estate. Kaede in quel momento lo amò come non mai. Lo desiderò come non mai.
 
“Vieni con me” si sentì dire. Hanamichi aprì gli occhi per lo stupore. Kaede non si fermò. Forse non stava pensando in maniera logica, razionale o sana. Non era da lui...ma non voleva rinunciare a lui...non voleva rinunciare alla persona che più di chiunque al mondo lo rendeva felice.
 
“Vieni con me a Tokyo, negli All Japan...hai talento, Hana...possiamo farcela...possiamo essere ammessi e vivere insieme e-”
 
“E come dovrei pagare, volpe? Come pagherò l’alloggio, la spesa, il trasporto e tutte le altre cose?”
 
“...possiamo trovare un lavoro part-time. Possiamo dividere le spese”
 
“Kaede” lo interruppe con una strada dolcezza da parte sua. Kaede temette il peggio, “questo è il tuo sogno. Non posso approfittarmene...né tu puoi costringermi a inseguirlo” disse calmo, con lentezza e serenità. Kaede si ritrovò con le labbra e gli occhi aperti, stupito da tanta maturità, saggezza...ma anche dalla realtà delle sue parole.
 
Era indiscutibile che ci fosse amore tra loro. Era innegabile che ci fosse desiderio, fuoco, affetto. Ma il futuro e l’incertezza del domani bussavano con insistenza. Erano ancora troppi giovani per pensare in maniera fatalista. Forse alcuni passaggi delle loro vite avrebbero preso percorsi diversi, ma ciò non significava che non si sarebbero più visti.
 
Kaede Rukawa aveva un sogno. Un obiettivo. Una meta. Avrebbe fatto tutto il necessario per ottenerlo. Si sarebbe allenato fino ad esaurire i muscoli, esercitato fino ad addormentarsi...ma non avrebbe mai rinunciado ad Hanamichi Sakuragi.
 
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In un gruppo numeroso potrebbe anche passare inosservato, perché lui è impegnato a guardare, calmo e silenzioso, le altre personalità splendenti, affascinanti, aggressive e luminose che lo circondano. Qualsiasi membro del gruppo darà l’impressione di essere meglio equipaggiato di lui per la carriera, qualunque essa sia. Molti si vantano, altri hanno paura, ma tutti sembrano così preparati, così lucidi, da avere l’impressione che il Capricorno non potrà fare nulla contro di loro. Ma il Capricorno li batterà.
 
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Toshiyuki Ishida, Tadashi Itoi e Masahiko Terazawa erano i suoi migliori concorrenti. Se c’erano persone negli allenamenti preliminari degli All Japan per le quali avrebbe potuto perdere il suo posto o essere messo in ombra, sarebbero stati loro. O almeno così Kaede la pensava.
 
Ishida-kun era un ragazzo rumoroso, estroverso e imponente. I suoi salti raggiungevano i 70 centimetri senza troppe difficoltà e passava il tempo a fare battute e a parlare fino a quando non distruggeva le orecchie degli sfortunati ascoltatori (Kaede ovviamente non era mai tra quelli). Da quello che aveva sentito, contro la sua volontà proveniva da una piccola scuola rurale di Kyoto, doveva aveva giocato come centro, ed era approdato lì solo per il supporto di sua madre e del coach. Il suo entusiasmo inesauribile era probabilmente dovuto al trovarsi nella grande capitale e in una squadra rinomata.
 
Itoi-san, un giovane di due anni più grande di Kaede, aveva quasi la sua stessa altezza e un corpo enorme e muscoloso. Come aveva detto lui stesso durante un pranzo (in cui Kaede si era concentrato maggiormente sul suo cibo), aveva giocato nella squadra di football americano del liceo, data la sua stazza. Era un mostro in difesa, preferibilmente come ala grande.
 
Terazawa-san, anche lui un po’ più grande, aveva una personalità riservata, introversa e matura, ma sembrava attirare le persone con magnetismo; sicuramente perché la sua aura ispirava sicurezza, come quella di un padre, di un fratello maggiore, di qualcuno che si sarebbe avuto accanto in qualsiasi pericolo. Anche lui ala piccola, correva con un’eleganza e naturalezza che Kaede lo paragonava a Sendo, ma era ancora più fantastico.
 
A quel punto, Kaede sentiva maggiore competitività e atmosfera di sfida, essendo a Tokyo da tre mesi, con allenamenti durissimi e infiniti e una fatica doppia, anche tripla rispetto a quelli dello Shohoku.
 
Solo uno degli allenatori, Taisuke Kenzo, aveva fiducia e speranza in lui, incoraggiandolo nella sua formazione e correggendo i suoi errori. Gli altri dirigenti, direttori, assistenti ed equipe medica lo guardavano con disprezzo o indifferenza, a seconda dell’occasione. Kaede sapeva che il suo corportamento freddo e silenzioso non aiutava molto a migliorare la propria immagine, ma non sarebbe cambiato per nessuno.
 
Con il basket, con una palla tra le mani e il canestro negli occhi, avrebbe dimostrato chi era e quanto sarebbe andato lontano.
 
E lo fece.
 
Lasciando tutti a bocca e occhi aperti nella prima partita in cui invitarono la squadra ufficiale in una delle più prestigiose università sportive.
 
Assomiglia a Michael Jordan, mormoravano ora per i corridoi ogni volta che appariva.
 
^ ^ ^ ^
 
È circondato da un muro che lui stesso ha costruito. È timido, ma forte e duro; piacevole, ma orgogliosamente ambizioso. Come i leggendari e silenziosi cowboy del West, l’uomo Capricorno dà l’idea di voler stare da solo, ma non è proprio così.
 
^ ^ ^ ^
 
Attraverso la piccola finestra dello spogliatoio, una leggera e gelida brezza entrava con forza nella notte oscura di quel finale di dicembre. Kaede, sotto la doccia, riceveva la calmante carezza dell’acqua calda, e si accorse appena del cambiamento di temperatura, chiudendo gli occhi e lavando i capelli più corti rispetto agli anni precedenti.
 
“Ehi! Per favore, qualcuno chiuda quella dannata finestra!” sostenne uno dei suoi compagni.
 
“Sì! Mi si stanno gelando le palle!” disse un altro.
 
“Le hai ancora? Pensavo che la tua ragazza te le avesse rubate” lo prese in giro Ishida-kun facendo la linguaccia e con un’espressione da gatto dispettoso.
 
“Ah ah, che divertente” rispose l’altro insieme a una manata. I minuti passavano e i ragazzi terminavano di lavarsi e pulirsi, rintanandosi nelle loro camere. Kaede, normalmente tra gli ultimi, vide Ishida e Terazawa che lo aspettavano. Sollevò le spalle, non capendo perché quei due avessero preso l’abitudine di parlare con lui o sedersi insieme a lui a pranzo (era bello, non poteva negarlo, ma non lo capiva).
 
“Perché tardi sempre tanto, Kaede-chan?” chiese Ishida inclinando il capo e sorridendo. Kaede lo guardò torvo e si mostrò più alto, con l’occhiata assassina che aveva perfezionato con Hanamichi.
 
“Non chiamarmi così, stupido” rispose con sguardo freddo.
 
“Che farete per Natale?” intervenne Terazawa con la calma e la serenità che lo seguivano sempre. Sia Kaede che Ishida si placarono subito, prendendo le borse e avanzando verso le loro stanze.
 
“Mmh...mi sarebbe piaciuto tornare a casa, ma il biglietto è troppo costoso...però Shimizu-sama mi ha invitato a cena con la sua famiglia”
 
Shimizu era uno degli allenatori, il più giovane e con cui i ragazzi andavano d’accordo, e aveva invitato tutti quelli che sarebbero rimasti lì da soli. Kaede non disse nulla e Terazawa aggiunse lentamente:
 
“I miei fratelli minori verranno in città, andremo in un ristorante del centro. E tu, Rukawa-kun?”
 
Kaede guardò in avanti, pensando ai suoi progetti con irritazione. Nemmeno lui aveva i soldi per comprare il biglietto per tornare a casa, e quando aveva accennato a sua madre l’idea di trascorrere del tempo insieme, i suoi genitori avevano proposto di spostarsi loro a Tokyo. Tuttavia Kaede voleva, bramava, aveva bisogno di tornare a Kanagawa, e non esattamente per vedere la sua famiglia.
 
“Verranno i miei genitori” rispose pigramente alzando le spalle.
 
“Ah? Non vai a trovare il tuo ragazzo?”
 
Kaede sussultò alla domanda, maledicendo il giorno in cui, mentre parlava con Hanamichi in videochiamata, Ishida era entrato nella sua stanza senza bussare o avvertire, presentandosi e chiedendo sfacciatamente ad Hanamichi chi fosse. Hanamichi, che da tempo aveva superato l’imbarazzo della domanda, aveva riso rispondendo che era il ‘ragazzo di questo stronzo egoista’.
 
“No” rispose senza guardare nessuno, sentendosi di colpo irritato e frustrato, affrettò il passo per raggiungere la sua stanza, ascoltando le grida da dietro. Quando entrò notò il suo coinquilino inghiottito da un gioco al computer. Si guardarono e si fecero un cenno col capo, tornando a ignorarsi. Kaede sistemò le sue cose, si mise dei vestiti più comodi e uscì. Si appoggiò al muro e scivolò sedendosi sul pavimento del corridoio, tirando fuori il cellulare. Lo sbloccò ed entrò nella sezione delle foto.
 
Molte di esse, se non tutte, raffiguravano lui e Hanamichi. Litigando. Discutendo. Abbracciandosi con imbarazzo. Posando con facce stupide. Baciandosi.
 
Hanamichi che rideva. Hanamichi arrabbiato. Hanamichi che sorrideva con la lingua fuori. Hanamichi a torso nudo sul suo letto. Hanamichi che si allenava. Hanamichi con i suoi compari. Hanamichi con i genitori di Kaede. Hanamichi sdraiato sulla spiaggia. Hanamichi. Hanamichi. Hanamichi...
 
Come gli mancava. Quanto gli mancava. Quanto desiderava essere al suo fianco...a gridarsi sciocchezze. A parlare del nulla. A dargli un colpetto durante una discussione. Stringendolo al suo petto. Appoggiando le labbra sulla sua guancia, sulla fronte, sul collo, le mani.
 
Sopraffatto, frustrato e furioso, Kaede chiuse gli occhi e respirò profondamente per lenire quello strattone soffocante che avvertiva al cuore.
 
Presto sarebbero arrivati i supervisori per verificare che tutti fossero nelle loro stanze, quindi non aveva molto tempo. Si appoggiò contro il muro e, osservando il soffitto, chiamò il suo ragazzo.
 
“Volpe?” la voce di hanamichi si udì sopra un rumore fastidioso. Guardando l’ora, immaginò che fosse con la sua Armata, e lo confermò sentendo risate e battute, probabilmente di Takamiya e Ookusu.
 
“Ciao” sussurrò con un sospiro. Hanamichi l’avrebbe capito subito, come sempre.
 
“L’allenamento è stato duro, eh? Ti manca la resistenza, volpe! Non come il genio” scherzò con risate fresche e leggere, calorose come le giornate estive più intense. Kaede si ritrovò a sorridere dolcemente, percependo dalla chiamata il calore che tanto gli mancava e desiderava ardentemente.
 
“Come vanno le tue lezioni?” chiese.
 
“Ovviamente bene! Non sono solo un genio in campo, sciocco...non come altri” lo provocò prendendolo in giro. Kaede notò che il rumore era scomparso, probabilmente il ragazzo aveva cercato un posto riparato.
 
“Sei tu l’idiota che è stato bocciato in 9 materie” gli ricordò sbuffando.
 
“Sette, bastardo. Sette. E a te non andava meglio”
 
“Perché mi addormentavo”
 
“Non parlare al passato, scemo. Ishida mi ha detto che arrivi sempre tardi e che ti addormenti sotto la doccia”
 
Kaede si accigliò. “Parli con Ishida? Perché?” chiese infastidito e incuriosito. Come aveva fatto quello ad avere il numero di Hanamichi? E, cosa più importante, perché lo chiamava?
 
“Eh, non lo so, un giorno mi ha chiamato...credevo gli avessi dato tu il mio numero”
 
“Quell’idiota” ringhiò Kaede, pensando che il giorno dopo gliene avrebbe dette quattro. Pensando a cos’avrebbe fatto, si distrasse prima di sentire la forte e volgare risata del ragazzo. “Cosa ridi?”
 
“Perché ora non chiami più me così”
 
“Non illuderti, sei ancora il più grande idiota del pianeta”
 
“E tu sei un vanitoso egoista”
 
“Credulone”
 
“Presuntuoso”
 
“Inutile”
 
“Bastardo”
 
“Scemo”
 
“Volpe”
 
“Questo non è un insulto” disse con le labbra increspate.
 
“Lo so...” rispose piano Hanamichi. Kaede sentì il proprio cuore allargarsi di tre volte rispetto alla sua dimensione standard. Probabilmente non c’era più spazio nelle sue costole. Probabilmente il giorno dopo si sarebbe svegliato con un buco al petto dovuto all’esplosione. Probabilmente si sarebbe sciolto per il calore prodotto dal suo ragazzo. O sarebbe diventato imbecille per tutti i neuroni che uccideva a parlargli in quel modo così dolce.
 
“...mi manchi...” mormorò senza trattenersi.
 
“Anche tu” disse subito Hanamichi.
 
“Voglio vederti per il mio compleanno” decise, raddrizzandosi contro il muro.
 
“Kaede, non posso viaggiare ora-”
 
“Verrò io. Chiederò i soldi ai miei genitori...non mi importa se è solo per un giorno...Hanamichi...voglio vederti” disse con tono implorante. Hanamichi sospirò e ridacchiò.
 
“Mi stai costringendo a comprarti un regalo” scherzò, accettando l’offerta. Kaede rise piano.
 
“Non ne hai ancora preso uno? Sei un pessimo fidanzato”
 
“Ma mi ami comunque”
 
“Sì...” sospirò chiudendo gli occhi, “per questo devo essere io l’idiota più grande del pianeta”
 
“Finalmente lo ammetti!”
 
“Zitto, scemo”
 
Sì...la verità era che lo amava...molto...forse troppo.
 
^ ^ ^ ^
 
Nei suoi sogni più intimi, il Capricorno è un inguaribile romantico, ma la sua natura è incatenata da Saturno. Il severo pianeta della disciplina richiede un comportamento tranquillo, azioni pratiche e serietà di intenzioni.
 
^ ^ ^ ^
 
Biglietto, pronto. Borsa con tutto il necessario, pronto. Denaro, pronto. Regalo, pronto. Cellulare, pronto.
Con tutto già controllato e preparato, non restava che salire sul treno e arrivare a Kanagawa a mezzogiorno. Proprio come aveva programmato qualche settimana prima, pensò Kaede entrando nel treno e sedendosi vicino al finestrino. Indossò le cuffie e mise un po’ di musica, mandando qualche messaggio al suo ragazzo e ad altri amici (se quel ficcanaso di Ishida poteva essere definito così).
 
Hanamichi pensava che Kaede non ci sarebbe stato per il suo compleanno, che era oggi, il 1° aprile, per un allenamento urgente con gli All Japan senior, ma faceva tutto parte di un piano per sorprenderlo. Aveva chiamato Yohei qualche settimana precedente e insieme avevano deciso di preparare una festicciola per il chiacchierone più grande della storia, invitando i ragazzi dello Shohoku e del passato, oltre al numero imprecisato di amici che Hanamichi aveva da quando era all’università.
 
Kaede avrebbe avuto Hanamichi tutto per sé fino alle 20, ora in cui avrebbe dovuto riportarlo a casa per una presunta cena con sua madre, quando in realtà sarebbero stati tutti lì ad aspettarlo.
 
Non vedeva l’ora di vedere la sua faccia...di abbracciarlo, stringerlo a sé, sentire la sua pelle, accarezzare i suoi muscoli con mani disperate, baciare ogni angolo...
 
Kaede, anche se si rifiutava di ammetterlo apertamente, si sentiva eccitato e impaziente di arrivare e baciarlo con tutte le sue forze; l’ultima volta che si erano visti dal vivo era stato per il suo compleanno a gennaio, e da allora si erano limitati a telefonate, videochiamate e messaggi. Cosa per nulla sufficiente.
 
Il viaggio di più di un’ora sembrò eterno. Il paesaggio era noioso e ripetitiv. La sua gamba destra si muoveva a ripetizione, portando alcuni passeggeri a osservarlo infastiditi; lui li ignorò freddamente, pensando di essere il solo a sentirsi così disperato, ansioso e irritato. Quando la voce femminile dall’altoparlante indicò la sua fermata, Kaede fu il primo ad alzarsi e ad avvicinarsi alla porta scorrevole. Scese e si diresse frettolosamente alla fermata dell’autobus che l’avrebbe portato a casa del suo ragazzo (dove Yohei l’aveva assicurato che l’avrebbe trovato ancora addormentato perché era rimasto fuori fino a tardi la sera prima). Una volta arrivato, bussò con calma.
 
“Kaede-kun! Che bello vederti. Hana non mi ha detto che saresti arrivato” lo salutò la madre del suo compagno con un sorriso disinvolto e dolce, uguale a quello del figlio. Kaede abbassò il capo per rispetto.
 
“Buongiorno, Sakuragi-san. Non sa che sono qui, è una sorpresa” sorrise indicando la borsa.
 
“Oh, che dolce da parte tua...ma che maleducata, entra, entra” gli indicò, facendosi da parte per lasciarlo passare verso il piccolo soggiorno collegato alla cucina. Come sempre, era tutto impeccabile e lucido (non come la stanza di Hanamichi). “Posso offrirti qualcosa? Succo, the? Qualcosa da mangiare?”
 
“No, grazie mille, ho mangiato prima di partire”
 
“Ma dimmi, come stai? Te la passi bene? Come va la squadra? Hana non mi dice mai niente”
 
Kaede rise dentro di sé, da tempo aveva dedotto che la parlantina di Hanamichi provenisse da sua madre. Anche se parlava molto, la donna, a differenza del figlio, era gentile e pacata, forse più calma per gli anni di esperienza e per il figlio irrequieto che aveva.
 
Sedendosi lentamente sull’unica poltrona presente, commentò a proposito della squadra e dell’università, descrisse un po’ le sessioni di allenamenti, com’erano i coach e alcuni compagni di squadra. La donna, dai capelli castani e corti, rideva e faceva domande con entusiasmo, sempre stupita che un ragazzo così serio ed educato fosse tanto intimo con suo figlio.
 
“Bene, non ti trattengo oltre, sicuramente sarai impaziente di vedere Hana”, Sakuragi-san rise mentre Kaede arrossiva e guardava in basso, “è ancora in camera sua, di sicuro dorme. Ti do il permesso di picchiarlo, perché è rientrato molto tardi” scherzò strizzandogli l’occhio prima di dirigersi verso il cortile sul retro. Senza attendere, Kaede salì nella stanza del ragazzo, aprendo la porta e trovandolo, come previsto, solo con le mutande addosso, sdraiato a pancia in giù sulle coperte disfatte. Il viso voltato rivelò la bocca aperta, con la bava che correva lungo le labbra, mentre ronfava piano.
 
Kaede scosse il capo e si sedette al suo fianco. Senza potersi controllare né desiderando farlo, fece scorrere una mano lungo la schiena solida e calda, muscolosa e segnata dal basket che continuava a praticare con i suoi amici sportivi. Hanamichi sospirò e si mosse, un piccolo sorriso sfuggì dalle sue labbra. Kaede abbassò il viso e baciò lentamente il collo, accarezzandolo col naso e inalando profondamente il suo aroma. Alla disperata ricerca di più, si sdraiò accanto a lui e portò le braccia intorno alla sua vita, premendosi e appoggiando la fronte sulla sua.
 
“E-eh?” balbettò Hanamichi, gli occhi velati dal sonno. Kaede gli sorrise e si chinò per dargli un bacio, fregandosene dell’alito mattutino. “Volpe?”
 
“Sorpresa” sussurrò con espressione impassibile, ma sapeva che i suoi occhi erano luminosi, attenti e fissi su quelli del compagno, impaziente di una reazione e ansioso di sentire il suo calore.
 
“C-che ci fai qui?! Credevo che non potessi venire” disse aprendo gli occhi e mettendosi a sedere. Kaede lo seguì baciandogli la spalle e appoggiandovi il mento.
 
“Ho mentito” rispose avvicinando il naso e strofinandolo sulla sua guancia. Hanamichi, ancora un po’ assonnato, grugnì e si voltò per baciarlo profondamente, aprendo le labbra e infilando la lingua rudemente, come per punirlo.
 
“Dannato, potevi avvisarmi” mormorò dopo essersi allontanato.
 
“Non sarebbe stata una sorpresa, scemo” ironizzò prima di baciarlo ancora sulle labbra, sul collo, sulla clavicola, sul petto. Incapace di trattenersi, montò sul suo grembo e gli avvolse le braccia intorno al collo. Hanamichi sorrise e continuò a baciarlo, accarezzandogli i fianchi, stringendo la schiena, le natiche e sfregandosi contro il suo inguine.
 
“Più tardi” sussurrò Hanamichi mordendogli il labbro inferiore.
 
Kaede volle protestare, dicendogli che più tardi ci sarebbe stata la festa con tutti i suoi amici, ma...anche quella era una sorpresa...e poi non doveva essere così egoista, ad ogni modo avrebbe avuto il suo ragazzo per tutto il giorno seguente.
 
Sì...per il bene e la felicità di Hanamichi, poteva resistere...(forse).
 
^ ^ ^ ^
 
Forse sembra freddo e poco sentimentale. Non sarà un amante focoso che corteggia con occhi pieni di stelle, né con parole fiorite e appassionate, ma proteggerà la sua metà da ogni paura. È un uomo rigido, ma dal cuore tenero. E anche con i capelli grigi, i chili di troppo o le rughe che si aggiungeranno con il passare del tempo, per lui la sua metà sarà sempre la persona che è riuscita a fargli dire ‘Ti amo’. E se ci si ferma a pensare, che bisogno c’è che lo ripeta ancora e ancora? Una volta è sufficiente.
 
^ ^ ^ ^
 
Kaede non sapeva perché fosse così nervoso. Non gli devo mica chiedere di sposarmi o altro, pensò sospirando e muovendo la palla tra le mani con impazienza. Ma non è nemmeno una cosa da poco, si ricordò, palleggiando con forza nel campetto.
 
Hanamichi poteva benissimo dirgli di no. Poteva guardarlo negli occhi, dirgli che gli dispiaceva ma che non poteva...che non voleva...c’erano mille possibilità, ma Kaede voleva soffermarsi solo su una, sul ‘Sì, volpe, voglio venire con te’.
 
Erano passati poco più di due anni da quando era arrivato a Tokyo per unirsi agli All Japan, ma solo da qualche mese lo avevano nominato titolare in una partita per la prima volta. Hanamichi sfortunatamente non era potuto essere presente a quella partita né a quelle successive, ma gli aveva detto che lo aveva visto sempre in televisione. Kaede aveva dimostrato il suo valore e le sue capacità ad allenatori e dirigenti che lo avevano nominato titolare per gli incontri che si sarebbero svolti in Spagna la settimana successiva. Kaede aveva chiesto se poteva portare qualcuno. Il coach gli aveva ricordato che sarebbero stati isolati e con obbligo di totale astinenza durante la competizione, ma se si fosse attenuto a quegli standard, allora avrebbe potuto portare una persona.
 
Per quel motivo oggi era lì, a Kanagawa in un giorno in mezzo alla settimana, era partito da Tokyo alla prima occasione inviando un messaggio al suo ragazzo, facendogli sapere che lo aspettava dove erano soliti allenarsi ai tempi del liceo.
 
“Ehi, volpe!” non appena sentì l’esclamazione, sentì anche un abbraccio poderoso e soffocante intorno alla vita. Kaede lasciò la palla e ricambiò il gesto serrando gli occhi, notando solo ora quanto si sentisse nervoso e timoroso.
 
“...il genio ti mancava così tanto?” lo prese in giro Hanamichi con un sorrisetto.
 
 “Nei tuoi sogni, scemo” rispose accigliandosi. Hanamichi rise e lo baciò dolcemente sulla fronte e le guance. Kaede girò il viso e le bocche si unirono con poca cordinazione, godendosi il calore del contatto. Gemette piano quando il suo ragazzo gli aprì le labbra per esplorarlo con perizia.
Rimasero incollati per diversi minuti, scherzando, ridendo e ringhiando per insulti e sfottò. Un mondo privato e colorato cadde su di loro, allontanandoli dal resto del pianeta. Nessuno dei due fu cosciente del tempo, della temperatura né delle persone che passavano e li osservavano con curiosità.
 
“Dai, sul serio” interruppe Hanamichi, rilassando i lineamenti e prendendolo per mano, “perché sei venuto?”
 
In altre circostante Kaede si sarebbe offeso per l’insistenza, ma in realtà non era affatto da lui presentarsi di punto in bianco, specialmente considerato il suo programma incredibilmente serrato ed estenuante.
 
“Voglio chiederti una cosa” disse Kaede guardandolo direttamente negli occhi. Le sue labbra, precedentemente umide per i baci condivisi, si percepirono asciutte e ruvide contro la brezza che passava tra loro. Le sue mani sudavano e le ginocchia tremarono per alcuni secondi.
 
“Non dirmi che mi chiederai di sposarti! Kaede, ti amo, ma...non pensi che siamo troppo giovani?” gridò Hanamichi scandalizzato, guardandolo divertito e con una mano all’altezza del cuore. Kaede si rilassò, mostrandosi offeso e colpendolo sul petto.
 
“Zitto, idiota. Non è questo”
 
“E allora?”
 
“Ricordi che ti ho parlato del torneo in Spagna?”
 
Hanamichi annuì, con un’espressione confusa. Kaede fece un profondo respiro per darti coraggio. “Beh, sono stato nominato titolare quindi ovviamente andrò...”
 
Il ragazzo aprì occhi e bocca, ma prima che potesse dire qualcosa, Kaede continuò: “...ho chiesto all’allenatore e...mi ha detto che...posso portare qualuno...quindi...tu...insomma, vuoi venire con me?”
 
“Sul serio?”
 
“No, stupido, per finta. Ovvio che sono serio, scemo. Ti va o no?” chiese, irritato e impaziente.
 
“Ehi! Un altro insulto e dirò di no!” esclamò Hanamichi accigliandosi e irrigidendosi. Kaede, sentendo il proprio cuore fermarsi, deglutì e si morse il labbro.
 
“Quindi sì?” sussurrò.
 
“Cosa credi? Come se volessi sprecare l’occasione di andare in Spagna per assistere a uno dei campionato di basket migliori!” sorrise Hanamichi allegramente. Kaede lo guardò subito infastidito.
 
“Solo per questo?”
 
“Per cos’altro?” fece Hanamichi inclinando il viso, confuso e innocente.
 
“Sai cosa? Ho cambiato idea, non voglio che tu venga” sbuffò Kaede voltandosi e dirigendosi all’uscita.
 
Hanamichi rise sonoramente prima di corrergli dietro.
 
“Ehi, ehi, volpe! Era uno scherzo, scemo. Certo che voglio venire per vederti...è l’unica cosa che conta per me” sussurrò abbracciandolo forte da dietro. “Ti amo, stupido” disse con le labbra attaccate al suo collo, inviando una serie di scosse elettriche in tutto il corpo dell’altro.
 
“Va bene, puoi venire”
 
Hanamichi rise e lo prese in giro per il resto del tragitto fino a casa, dove fecero l’amore fino all’alba.

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Capitolo 3
*** 3. Ariete e Capricorno - Compatibilità ***


In numerose occasioni discuteranno su questioni di apparente scarsa importanza. Entrambi vorranno avere ragioni e si arriverà a situazioni di tensione. Con un po’ di calma e il carattere tollerante del Capricorno, le acque torneranno nel loro canale. L’Ariete ha sempre un ultimo pensiero in serbo per spezzare la tensione.
 
^ ^ ^ ^
 
“Sei idiota o ti droghi? Questo colore non sta bene con i mobili” sbuffò Kaede al colore che il suo partner aveva scelto per le pareti del soggiorno dell’appartamento che volevano arredare nel centro di Tokyo, ora che Hanamichi si era laureato.
 
“Come mi hai chiamato, bastardo?! Sta benissimo! Sei tu quello cieco, idiota!” gridò Hanamichi in mezzo al centro commerciale, nella sezione ‘home’.
 
“Stai creando scandalo, deficiente”, in realtà a Kaede non importava se la gente li guardava con fastidio o meno, ma far incazzare Hanamichi era uno dei suoi hobby preferiti (subito dopo dormire) e inoltre così avrebbe potuto distrarlo dall’orribile scelta che stava facendo con il colore per le pareti.
 
“E che me ne frega! Urlo quanto mi pare! E non pensare che me ne dimenticherò, stupido. Questo è il colore che voglio. Tu stesso hai detto che avrei scelto il colore per il soggiorno” gli ricordò Hanamichi con un dito alzato in avvertimento. Kaede sbuffò, roteando gli occhi.
 
“Ma non pensavo avresti scelto così male”
 
“Pensi che a me piaccia quello che hai scelto tu per la camera da letto?” replicò Hanamichi rosso di rabbia.
 
“Non hai detto niente. Dovrei leggerti nel pensiero?” chiese Kaede sarcasticamente, alzando un sopracciglio e mettendo le mani in tasca.
 
“Sono stato educato e ho rispettato l’accordo, maledetto cretino!”
 
“C’è una prima volta per tutto” sussurrò beffarda.
 
“Argh! Un’altra parola e ti faccio saltare in aria, stronzo!” minacciò Hanamichi con mille vene gonfie sulla fronte. Kaede, abituato ai suoi scoppi d’ira, alzò le spalle e sospirò.
 
“Se lo farai, tua madre si arrabbierà con te”
 
“Non coinvolgere mia madre! E poi scommetto che lei sarebbe d’accordo con la mia scelta”
 
“Mpf, sì, certo. Se è daltonica”
 
“Sai cosa?! Glielo chiedo subito!”
 
Kaede, con le labbra socchiuse per lo stupore, osservò il suo partner tirare fuori il cellulare per fotografare i colori che sia lui che Kaede avevano scelto per le pareti; poi scrisse il messaggio spiegando la situazione.
 
“Non essere infantile” lo rimproverò debolmente Kaede, appoggiando il mento sulla spalla di Hanamichi per leggere cosa stava scrivendo. Pochi minuti dopo, l’assurda suoneria del cellulare di Hanamichi echeggiò per i corridoi del grande magazzino.
 
“Mammina! Ciao! Hai visto i colori? È vero che io ho ragione e che quella volpe è inutile e non sa niente?” fece Hanamichi mettendo la chiamata in vivavoce.
 
“Primo, non comportatevi come bambini alla vostra età...e ancora meno in un luogo pubblico! Secondo, Hana, le sfumature che hai scelto accecherebbero chiunque”
 
Kaede sorrise compiaciuto e Hanamichi lo colpì violentemente in testa.
 
“Terzo, Kaede, tesoro, la camera da letto dev’essere una stanza di relax, tranquillità, deve trasmettere comfort e familiarità...la tua scelta mi deprime...infine, uscite subito dal centro commerciale e aspettatemi a casa. Ovviamente siete entrambi inutili in materia di design” finì e riattaccò senza salutare, lasciando i due giovani senza parole e immobili nella zona dei colori.
 
“Ahahah, l’hai fatta deprimere, volpe” derise Hanamichi, riprendendo la parola.
 
“E tu l’hai accecata, idiota” rispose Kaede per inerzia. Senza voler disobbedire, si diressero verso l’uscita. Hanamichi, irrequieto e rumoroso, si colpì lo stomaco.
 
“Ho fame” si lamentò imbronciato.
 
“Ti prendo un gelato mentre rientriamo!”
 
“Visto? Per questo ti amo”
 
Kaede sorrise e si allungò per baciarlo con impeto.
 
“Idiota” sussurrò con le guance arrossate.
 
^ ^ ^ ^
 
Il denaro sarà uno dei punti più complessi nella relazione, perché se il Capricorno ha bisogno di stabilità ad ogni livello, l’Ariete non ci fa caso e ha le mani bucate, spendendo di continuo. Entrambi dovrebbero giungere a un compromesso e alla comprensione reciproca. Inoltre, affinché la relazione non cada nell’indifferenza, Capricorno dovrebbe aprirsi e imparare a dire ‘Ti amo’ più spesso.
 
^ ^ ^ ^
 
“Francia? Vuoi andare a Parigi?”
 
Kaede, guardando le centinaia di opuscoli che il suo compagno aveva recuperato, diede un’occhiata veloci ai prezzi, tendendosi e tremando pensando a cos’avrebbero speso per i biglietti, l’alloggio, i trasporti, il cibo e varie ed eventuali.
 
Troppo, pensò, mettendo da parte le carte. Hanamichi, seduto accanto a lui mentre guardava la tv, sollevò il telecomando per abbassare il volume.
 
“Mmh, sì...Ishida ci è andato l’estate scorsa. Ha detto che è stato fantastico. Potremmo approfittarne dato che abbiamo le vacanze nello stesso periodo” commentò Hanamichi con leggerezza, sorridendo e mettendogli un braccio intorno alle spalle.
 
“È molto costoso” commentò Kaede con cipiglio, “perché non la Cina, la Turchia o l’Egitto?” propose senza dire che aveva appena letto che viaggiare in quei paesi era abbastanza conveniente, il che significava che non sarebbe stato troppo dannoso per il portafogli.
 
“Cosa?! Ah, dai, volpe! Non viaggiamo fuori dal paese ogni anno. Sarebbe la prima volta che spendiamo così tanto” disse Hanamichi allontanandosi.
 
“La prima volta? Che mi dici di quel ridicolo dipinto che hai comprato alla mostra a cui Terazawa ci ha invitato...ti è costato un occhio, scemo” rispose alzando il sopracciglio.
 
“Era per aiutare sua sorella, bastardo!”
 
“E la macchina? Non ce ne serviva una sportiva, ma tu sei andato a scegliere l’ultimo modello”
 
“Mi hanno fatto uno sconto!”
 
“Non spenderemo tanto per un viaggio, Hanamichi” disse con fermezza e serietà, “è assurdo. Con quella somma di denaro possiamo fare due volte il giro del Giappone”
 
Kaede si sorprese quando il suo compagno si alzò violentemente. Lo vide ringhiare e sbuffare.
 
“Scommetto che non sai nemmeno perché l’ho proposto” lo sfidò Hanamichi con occhi che lanciavano saette e il corpo rigido. Kaede si ritrovò alle strette, sapendo che gli stava sfuggendo qualcosa, ma non capendo cosa. Senza sapere cosa dire, alzò le spalle e calmò i lineamenti, provando a renderli meno scortesi e sgradevoli. Hanamichi abbassò il viso, scosse la testa e mormorò piano:
 
“Per il nostro anniversario. È da 6 anni che stiamo insieme. Che bel risultato, eh?” concluse con un sorriso amaro e sarcastico, prima di uscire di casa frettolosamente.
 
Con la tv che sussurrava in sottofondo, Kaede sospirò e appoggiò la testa allo schienale del divano. Che idiota. Come aveva fatto a non ricordarsene? Era sempre stata una grande occasione per Hanamichi, che insisteva sempre per andare a cena o fare qualcosa di diverso. Per Kaede non era così rilevante, davvero; non perché non amasse Hanamichi o non apprezzasse la sua presenza, ma perché non pensava che un giorno avrebbe fatto la differenza. Per lui tutti i giorni con il suo compagno erano una benedizione. Tutte le mattine si alzava e rimaneva a fissarlo come uno scemo, incapace di credere di essere il fortunato che poteva baciarlo, abbracciarlo e fare l’amore con lui ogni volta che voleva. Ogni pomeriggio si allenava aspettando con ansia l’ora di tornare a casa e vedere il suo sorriso. Ogni notte accanto a lui era disperato di toccarlo e stringerlo.
 
Ma per Hanamichi era importante...e tutto quello che lo faceva felice, rendeva lui felice il doppio. Come prevedibile, Hanamichi non apparve fino a tarda serata, quando Kaede era a letto a controllare alcuni messaggi sul cellulare. Hanamichi entrò in bagno senza rivolgergli uno sguardo, con i lineamenti arrabbiati. Kaede sentì il suono della doccia e si preparò ad aspettarlo.
 
Hanamichi uscì poco dopo, con un asciugamano legato in vita e i capelli che gocciolavano su tutto il pavimento. Kaede si morse la bocca per non rimproverarlo per il disastro che stava lasciando.
 
Molto probabilmente lo sta facendo apposta...vuole solo provocarti...farti arrabbiare..., si disse sospirando. Hanamichi indossò una vecchia maglietta, senza mettere i pantaloni sopra le mutande, e praticamente si gettò sul materasso.
 
“Hana” lo chiamò in un sussurro.
 
“Cosa?” ringhiò Hanamichi senza voltarsi.
 
“Potresti girarti, per favore?” chiese trattenendo il respiro. Hanamichi sembrò rifletterci per alcuni secondi, quasi provocando una crisi di nervi al povero Kaede, finché si msie a sedere e lo guardò con occhi stanchi. Kaede non tardò ad allungare la mano verso di lui, porgendogli due biglietti aerei. Hanamichi, come fosse una bomba, tese il braccio e li prese con cura. I suoi occhi castani si aprirono sorpresi leggendo la destinazione.
 
“...scusa. Mi sono comportato da idiota”
 
“Sì, l’hai fatto” mormorò Hanamichi con cautela, senza poter credere che il suo compagno avesse comprato quei biglietti.
 
“Se vuoi andare a Parigi, ci andremo. Se vuoi andare in Zimbabwe, ci andremo. O al Cairo. O in Perù. O a Singapore. Londra. Dove vuoi. Ti porterò ai confini del mondo se lo vorrai...farei qualsiasi cosa per te, lo sai, vero?” chiese Kaede seriamente, con gli occhi fissi su quelli del compagno. Hanamichi, arrossendo, annuì due volte prima di sorridere con il calore del sole.
 
“Sei uno sdolcinato, volpe”
 
“Non sono stato io a cantare una serenata svegliando tutti i vicini” sogghignò Kaede increspando le labbra e arrossendo per l’imbarazzo.
 
“Avevi detto che ti era piaciuto!” ribatté Hanamichi ridendo nella voce e negli occhi.
 
Forse Kaede non diceva ‘Ti amo’ tutti i giorni...ma le sue azioni e i suoi gesti cantavano ‘Ti amo’ ogni ora.
 
^ ^ ^ ^
 
L’impulsività dell’Ariete affascina il Capricorno, per cui è difficile esprimere i propri sentimenti; il Capricorno va nel panico se sbaglia, ecco perché diventa un ossessivo perfezionista. All’Ariete piace che il Capricorno segua liberamente il suo istinto, trovando soluzioni adeguate ai problemi che si presentano quotidianamente. Questi segni danno vita a unioni stabili, appassionate ed equilibrate.
 
^ ^ ^ ^
 
“Ehi, Hana, sei pronto?” chiese Yohei dalla soglia della porta. Hanamichi, vedendo la sua immagine allo specchio, sorrise e ancora una volta si sistemò i capelli ricoperti di gel e pettinati impeccabilmente.
 
“Tsk, sono nato pronto!” rispose con un sorriso sornione, ma Yohei notò il tremore delle sue dita. Per alleggerire l’atmosfera, rise e gli diede una pacca gentile sulla spalla.
 
“Allora cosa stai aspettando, genio? Kaede è già uscito”
 
Sentendo il nome del suo compagno, Hanamichi parve sciogliersi e diventare uno spaghetto stracotto. Il suo volto, nervoso e sudato, sorrise e arrossì come una scolaretta. Yohei, se fosse stato un altro, in quel momento si sarebbe sentito immensamente geloso della felicità cui stava testimoniando, ma in realtà non poteva essere più orgoglioso dei suoi due amici.
 
Hanamichi Sakuragi, ex teppista di Kanagawa, il ragazzo aggressivo e brutale che si era dichiarato a 50 ragazze ed era stato rifiutato da ciascuna di loro, il principiante che si era unito alla squadra di basket solo per impressionare una ragazza, il talentuoso giocatore che in meno di tre mesi aveva imparato la pallacanestro, il membro dello Shohoku che aveva guidato la squadra ai nazionali, il presuntuoso chiacchierone che aveva un ego grande quanto la Russia, in quel momento si apprestava a presentarsi a una cerimonia che avrebbe emulato un matrimonio. Con nessun altro se non Kaede Rukawa, il noto re dei ghiaccio che non parlava di niente con nessuno, l’individualista che guardava dall’alto al basso il lavoro di squadra, l’egoista che credeva di essere l’unico a dare l’anima in campo, il ragazzo che si era impegnato come un dannato per arrivare negli All Japan.
 
Erano una coppia strana, a dire poco.
 
Ma incredibilmente, funzionavano alla perfezione. Ed era così da quando si erano messi insieme da quel settembre del secondo anno di liceo.
 
Hanamichi era impetuoso, estroverso, impulsivo, rumoroso e scandaloso. Non pensava prima di agire. Si lanciava su tutto. Era scortese e chiacchierone, un vanaglorioso con caratteristiche inimmaginabili.
 
Kaede era riservato, freddo, serio e silenzioso. Gli piaceva riflettere e meditare sulle cose prima di agire o parlare. Era costante, deciso, fermo e laborioso.
 
Non erano uguali, ma non erano nemmeno opposti. Erano complementari. Se uno spingeva in avanti con forza, l’altro preferiva avanzare con un ritmo più lento ma sicuro. Se uno alzava la voce e urlava a destra e a manca, l’altro pensava prima di giudicare.
 
Per Yohei, grazie a Kaede, Hanamichi aveva ottenuto molto di quello che aveva oggi. Grazie a Kaede, Hanamichi aveva lavorato duramente nei suoi studi. Aveva trovato un lavoro part-time. Aveva smesso di dedicarsi alle risse. Aveva continuato a praticare il basket. Grazie a lui aveva una vita stabile ed equilibrata, aveva una casa in cui tornare la sera, e una persona incondizionata che lo sosteneva. D’altra parte, grazie ad Hanamichi, la vita di Kaede non era monotona, di routine né lenta. Grazie ad Hanamichi, Kaede aveva sfidato la fortuna molte volte. Grazie a lui aveva imparato a verbalizzare i suoi desideri e pensieri. Grazie a lui si imbarcava in diverse avventure. Grazie a lui tornava in una casa piena di risate.
 
Sì, erano decisamente complementari.
 
Questo si disse e pensò quando Kaede e Hanamichi erano in piedi in mezzo alla sala, presso quello che doveva rappresentare un altare, circondati dagli amici e i familiari, sorridendosi come ebeti innamorati, rossi dal collo alle guance, scambiandosi gli anelli e descrivendo i loro sentimenti con parole grezze e insulti innocui.
 
“Ora puoi baciare la...no...ora gli sposi possono baciarsi!” dichiarò Akagi con tono solenne e profondo, ma sorridendo come un padre, un fratello maggiore.
 
Kaede, senza farsi pregare, allungò una mano e tirò Hanamichi a sé.
 
Si baciarono e baciarono fino a intorpidirsi le labbra...fino a respirare tutta l’aria dell’altro...finché tutti i presenti cominciarono a ridere e a prenderli in giro.
 
Hanamichi grugnì e chiese intimità, mentre Kaede li guardò accigliato, prendendo la mano del suo sposo per trascinarlo fuori da lì.
 
Sì...sono proprio complementari, pensò Yohei sorridendo.

 
 

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