A conti fatti

di _p_ttl_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


00.
 
 
 
“Sì, in realtà penso proprio che ci andrò. E tu verrai con me.”
Cass alzò gli occhi dalla tazza fumante di thè che aveva davanti, il busto flesso in avanti per raggiungere il tavolo, le labbra leggermente schiuse nel gesto di soffiare per raffreddare la bevanda, giusto il poco necessario per renderla di una temperatura accettabile per essere bevuta senza ustionarsi bocca e trachea. Erano nel piccolo bar alla fine della traversa in cui abitava, lo stesso bar che aveva visto molti dei loro incontri fin dall’adolescenza. Sedute ai piccoli tavolini avevano parlato di tutto, condiviso esperienze, lacrime e risate. La fissò a lungo, con gli occhi spalancati, pieni di panico. Perché lei lo sapeva, oh se lo sapeva, che l’avrebbe trascinata in quella storia. E lei in quella storia proprio non voleva entrarci. Sbatté le palpebre un paio di volte, si tirò a sedere dritta sulla panca di legno che costeggiava in modo continuo due delle pareti del piccolo locale e cercò di assumere un’espressione neutrale, per non tradire l’agitazione che aveva cominciato a pervaderle il corpo. Inspirò a fondo, per lungo tempo, eppure in modo estremamente leggero, sperando che Caterina non se ne accorgesse. Sapeva che la stava osservando, studiando, un’espressione furba in viso, gli occhi accesi da una malsana eccitazione. Caterina stava cercando di cogliere in lei ogni minima esitazione, ogni minima espressione che potesse tradire la tensione che l’aveva pervasa. Ma Cassandra era decisa a non dargliela vinta, non stavolta. Doveva solo far finta che tutta quella situazione le fosse indifferente, doveva solo convincerla che di tutta quella storia non avrebbe potuto importarle di meno. In tutta quella stupida faccenda non aveva la minima voglia di entrare, perché aveva di meglio da fare piuttosto che sprecare il suo prezioso, preziosissimo tempo in quel modo. Anche se l’unico impegno che aveva per quella giornata era aiutare sua zia a travasare le piante. Anche se in altre circostanze avrebbe accettato qualsiasi cosa l’amica le avesse proposto, solo per avere una scusa per dare buca alle primule e ai cactus. Cassandra a quella cosa avrebbe preferito anche un torneo di burraco con nonno Pino e i simpaticissimi vecchietti del circolo. Per Cassandra le piantine di zia Giovanna erano oro in confronto a tutta quella storia. Che Caterina fosse uscita di senno non era un problema suo. Voleva andarci? Che lo facesse pure. Ma lei no, non ci sarebbe andata. Non le interessava. Per questo motivo non ci sarebbe andata. E non perché avesse tremendamente… Tremendamente cosa? Paura? Cassandra provava pena per sé stessa, si sentiva quasi ridicola. No, non aveva paura, assolutamente. Peccato che non ci avesse creduto nemmeno per un secondo. Cercò di concentrarsi. Caterina era un segugio capace di fiutare il minimo disagio. Doveva essere convincente.
“E come mai?”, chiese cercando di sembrare naturale e non sul punto di alzarsi e scappare prima che lei potesse sedurla con qualche inganno. Era così tra loro due. Caterina che voleva fare cose stupide, Cassandra che cercava di farla ragionare e poi, senza che fosse ben chiaro nemmeno a lei cosa ci fosse nel mezzo, loro due che facevano le suddette cose stupide tuffandocisi con tutte le scarpe. Ma non stavolta. Cassandra si preparò alla lotta di supremazia che l’attendeva e che stavolta avrebbe vinto.
“Così… Sai, credo che potrebbe essere divertente.”
“Divertente dici. Sei impazzita, forse? Non sarà divertente. Sarà solo estremamente… Noioso!”
“Noioso? O volevi dire spaventoso?”
No, non spaventoso. Imbarazzante, sfiancante, umiliante. “Noioso, Cate, volevo dire noioso.”
“Non ci credi nemmeno tu.”
Gli occhi di Caterina erano puntati nei suoi, famelici. Era assurdo come quella ragazza riuscisse a trasformare ogni cosa in una sfida. Doveva averla sempre vinta. Esserle amica, a volte, era una vera faticaccia e Cassandra era fermamente convinta che se non ci fosse stato quel profondo affetto, forgiato da anni di amicizia e dal fatto di essere praticamente cresciute assieme, l’avrebbe mandata al diavolo già da qualche tempo. Aveva sempre sperato che crescendo sarebbe maturata, che avrebbe smussato quel lato del suo carattere. Povera illusa. Caterina era energia allo stato puro. Era un uragano e gli uragani, al loro passaggio, lasciano confusione. E distruzione. L’altra faccia della medaglia. Sospirò piano, decidendo di dirle la verità. Tanto mentire, si disse, non sarebbe servito a nulla se non a prolungare un inutile battibecco. Caterina la conosceva.
“Senti, non voglio. Davvero. E ti prego di non insistere. Ci abbiamo sempre riso. Abbiamo sempre detto che se fosse successo col cavolo che avremmo accettato. Al diavolo tutti. Abbiamo sempre detto così, no? Ora che ti prende? Nemmeno a te loro piacciono.” Aveva sputato fuori tutto d’un fiato, senza prendere aria,  agitando le mani in aria in modo buffo e confuso.
“Ho cambiato idea. Magari alcuni di loro sono migliorati. E poi non è vero che non mi piacciono. Marco, Francesco, Elena, Sofia, loro sono sempre stati niente male e piacevano anche a te. Sono anche tanto curiosa di sapere se Gigio è riuscito ad aprire quel ristorante… Ho cercato di indagare su Facebook ma ho fatto un buco nell’acqua.”
“Ma chi se ne frega del ristorante di Gigio!”
“Io!”
“No, Cate. A te non frega un accidente. Tu vuoi solo portare confusione, come sempre. Fare domande scomode e mettere un paio di persone a disagio. Perché tu sei fatta così. Ma puoi per un attimo pensare che quella a disagio sarò io? Sono o no tua amica? È possibile che non ti importi nulla di come mi senta io?”
Il tono le si alzò di un’ottava mentre sputava fuori quella implicita preghiera. Era una cosa che si era sempre chiesta, se a Caterina importasse di qualcosa all’infuori di sé. Era sicura che l’amica le volesse bene. Eppure, non poteva fare a meno di chiedersi se lei vedesse le conseguenze di ciò che faceva. Caterina aveva questo modo di fare tutto suo, faceva tutto ciò che le andava senza pensarci. Le andava di comprare un biglietto per i Caraibi di punto in bianco a sedici anni senza avvisare nemmeno sua madre? Lo avrebbe fatto. Anzi, lo aveva fatto. E alla fine ci era pure andata, da sola, fregandosene dei cinque mesi in cui sua madre l’aveva tenuta chiusa in casa sequestrandole qualsiasi mezzo per comunicare col mondo esterno e del fatto che se ne sarebbero aggiunti altri cinque, al suo ritorno, se solo si fosse permessa di andare. Ci era andata lo stesso, perché voleva, non curandosi dell’isolamento a cui sua madre l’aveva costretta. Non che nei successivi cinque mesi qualcosa le avesse impedito di uscire di nascosto dalla finestra come nelle peggiori serie TV per adolescenti. Lei era semplicemente così. La vita è una - diceva sempre - e io faccio come mi pare. E spesso quel “come mi pare” comprendeva calpestare chiunque le si ponesse di fronte.
Cassandra puntò gli occhi nei suoi, che le parvero più azzurri del solito, più grandi, più luminosi, di una luce strana che non riusciva a decifrare. Le parve di leggervi affetto e poi tanta rabbia. Restò interdetta, passandosi una mano tra i capelli scuri per portarli indietro, come se farlo potesse spostare anche il ribelle ciuffo biondo che era caduto a coprire un occhio di Caterina.
“Allora è questo che pensi di me…”, un’ombra di dispiacere, solo un’ombra, che lasciò presto spazio al solito tono battagliero.
“No, non volevo dire così...”
“Sì, volevi proprio dire così.”
Voleva proprio dire così. Solo con un tono meno aggressivo, meno cattivo. Forse sperava che prima o poi Caterina si accorgesse da sola dei danni che lasciava al suo passaggio.
“Perché sei mia amica?”, incalzò lei.
Cassandra sospirò spostando lo sguardo e iniziò a fissare il barista che faceva caffè alla velocità della luce, giusto per poter concentrare lo sguardo su qualcosa che non fosse lei.
“Perché sei mia amica se pensi queste cose?”
Prima che potesse rispondere la voce dell’amica tornò a farsi sentire con tono urgente, come se volesse rivelarle un segreto al più presto, un segreto che nessuno avrebbe dovuto sentire.
“Non pensi mai che io voglia il tuo bene? Che io cerchi di trascinarti in tutte le mie follie, perché cara mia, io lo so, lo so che molte sono follie, solo per darti una scossa? Per svegliarti? A volte sembra che tu non viva, Cassandra. Sembra che tu la vita la guardi scorrere come se non fosse la tua. Tu hai paura di loro, perché pensi che ognuno abbia raggiunto qualcosa, mentre tu sei ferma e non sai dove andare. Tu pensi che loro possano giudicarti, ridere di te. Continui a dire che non ti piacciono, che noi siamo meglio, ma io penso che in realtà tu creda di valere meno di loro ed è un’assurdità!”
Caterina sembrava aver già dimenticato di essersi arrabbiata e di essersi sentita offesa. Aveva parlato così velocemente che alcune parole parevano essersi accavallate sulla sua lingua, quasi avesse paura di non riuscire a dire tutto. Le braccia a mezz’aria che gesticolavano furiose. Cassandra proprio non ce la faceva a guardarla.
“Non è così…”, sussurrò senza riuscire ad aggiungere altro. Infatti, era molto peggio di così. Le sembrava quasi una questione di vita o di morte, come se andare lì avesse significato consegnarsi al boia di propria sponte, urlando con entusiasmo ‘ehi, eccomi! Vediamo di provare quella nuova ascia proprio qui, sul mio collo!’. Non voleva rincontrare lo sguardo di nessuno di loro nemmeno per sbaglio e non ne capiva il motivo. I suoi anni di liceo non erano stati così terribili, anzi. Nessun bullo a perseguitarla, nessuna presa in giro, sempre buoni voti, nessuna ostilità. Erano stati anni tranquilli, apparentemente, eppure lei sentiva che era stata solo una facciata. Se non altro per tutto ciò che era successo dopo. Per non parlare di come si sentiva in quel momento. Persa, confusa, senza nulla in mano. Proprio non le andava di mostrare a tutti quel suo sentire, quelle sue fragilità, incontrando magari sguardi realizzati, felici di dove la vita li avesse portati.
“Allora dimostralo!”
La voce di Caterina la colse di sorpresa, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Il tono perentorio non ammetteva repliche. E in quel momento Cassandra seppe che non avrebbe avuto senso combattere. Caterina aveva già vinto, di nuovo, prima ancora che la discussione cominciasse.





Angolino per dirvi due parole.
Ciao a tutti! Avevo pubblicato questo capitolo già qualche giorno fa, ma ho voluto apportare delle correzioni. A dire il vero sono stata a lungo indecisa circa il pubblicare o no questa storia per una serie di motivi e, ancora adesso, non sono del tutto convinta di aver fatto la cosa giusta. Il tempo me lo dirà. Spero vivamente di riuscire ad intrattenere almeno una persona, sarebbe già bello per me. Ho ripreso a scrivere dopo tanto tempo e con non poche difficoltà, di natura pratica e non. Forse è prematuro parlarne, ma per correttezza verso chi volesse leggere la storia ci tengo a precisare che, nonostante proverò ad aggiornare in modo regolare, non è detto che io riesca a farlo dati i molti impegni che ho. Ne approfitto anche per dire che sto cercando un beta che possa essere quanto più onesto (e spietato?) possibile. Un saluto a tutti voi.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


01.
 
 
 
L’invito era arrivato quattro giorni prima. Cassandra era stesa sul suo letto, le gambe incrociate l’una sull’altra mentre leggeva distrattamente un articolo riguardo l’etimologia di alcune parole sorseggiando caffè. Non le era mai piaciuta la domenica, o meglio, la domenica pomeriggio. Non aveva da nulla da ridire sulla mattina, di cui spesso stentava anche a rendersi conto dell’esistenza, soprattutto quando rientrava a notte fonda dopo che Caterina era riuscita a trascinarla in giro per la città per troppe ore così da farla svegliare, il giorno seguente, praticamente per ora di pranzo. Non era raro che una semplice cena con annessa passeggiata in centro per passare il sabato sera diventasse una notte brava. Anche quando tutti gli altri decidevano di battere in ritirata, Caterina era sempre ancora troppo euforica, ancora troppo sveglia, ancora troppo in vena di girare ogni piazza di Roma. Spesso il tutto finiva con quella squinternata, addetta alla guida e sua personale autista - questo glielo doveva - troppo stanca per tornare a casa e che passava la notte sulla poltrona apribile accanto al letto di Cassandra.
Quando invece il sabato passava in modo più tranquillo e Cassandra riusciva a svegliarsi presto, era troppo impegnata ad aiutare sua madre con le pulizie, a studiare per un esame imminente, a chiacchierare con suo fratello, per farsi assalire dalla nostalgia. Anzi, di solito la domenica mattina scorreva tranquilla e  con una certa sensazione di serenità. Non si poteva dire lo stesso per il pomeriggio. Non c’era cosa che Cassandra odiasse più della domenica pomeriggio e del senso di malinconia e tristezza immotivata che non mancava mai di pervaderla, anche quando era in compagnia. Suo fratello Mauro l’aveva battezzata la maledizione della domenica pomeriggio ed ogni volta che Cassandra non era in grado di trovare una distrazione o qualcuno con cui uscire la aiutava ad escogitare qualcosa per cercare di renderle meno pesante il fardello che era costretta a portare quando essa si abbatteva su di lei, puntuale e precisa ogni settimana. Ma quella volta non c’era stato nulla da fare. Aveva declinato tutti gli inviti per caffè ed aperitivi vari che le erano arrivati, troppo provata dalla sera precedente, mentre Mauro, dopo un’accesa discussione avuta con loro padre, se l’era data a gambe. Così Cassandra aveva optato per un buon libro.
Aveva trascorso quasi due ore tra le pagine di Cime tempestose, cullata dalla penna di Emily Brontё e si era distratta solo in quel momento, per rispondere ad alcuni messaggi. Aveva aperto l’articolo che le aveva mandato Francesca e ora si ritrovava a scoprire con entusiasmo e curiosità che “a iosa” deriva dalla pronuncia toscana della parola “chiosa”, indicante monete finte impiegate in alcuni giochi per bambini. E proprio mentre il pensiero che se l’era cavata proprio bene quella volta, anche senza Mauro a ronzarle intorno, le attraversava la mente - perché erano già le 19:00 ed era sopravvissuta a quella giornata più che dignitosamente - proprio in quell’esatto momento, una notifica insolita aveva fatto la sua minacciosa comparsa.
Fabio Fattori ti ha aggiunto al gruppo “Chi non muore si rivede”. Vuoto. Per un attimo nel cervello di Cassandra c’era stato il vuoto. Chi non muore si rivede? Ma che razza di nome era per un gruppo? Ma soprattutto, Fabio Fattori?

C’erano tre cose di cui Cassandra si rese conto molto velocemente. Primo: era sicura di non scambiare mezza parola con Fabio dal giorno dell’esame di maturità, anzi, da prima. Secondo: Fabio non era tipo da creare gruppi, era sempre stato tranquillo e riservato e non aveva mai interagito nei gruppi ai tempi del liceo. Terzo: che un suo ex compagno di classe la aggiungesse a un gruppo con quel nome poteva significare solo una cosa.
Ed infatti una seconda notifica fece la sua comparsa sullo schermo in un modo che a Cassandra parve beffardo, come se volesse prendersi gioco di lei. Era la notifica di un messaggio di Fabio nel gruppo.
Ehilà ragazzi? Vi ricordate di me? Certo che sì. Io e Martina abbiamo pensato che potesse essere una bella idea fare una bella rimpatriata. Niente cene noiose. Abbiamo pensato di fare una piccola festa tra due settimane, di domenica, al Pietra Nera. Fateci sapere!
Uno scherzo. Doveva trattarsi di uno scherzo. Se non altro perché proprio la settimana prima lei e Caterina avevano riso all’idea di una cosa del genere, ripromettendosi che se mai fosse successo avrebbero dato forfait alla velocità della luce. Eppure, in quel momento, nonostante inventare una scusa fosse la cosa più logica da fare, Cassandra non era più molto convinta che Caterina, messa di fronte alla cosa, volesse davvero rinunciare.

Dopo aver passato una buona decina di minuti a leggere risposte entusiaste da parte di tutti i suoi ex compagni di classe, Cassandra capì che non poteva far finta di nulla ed evitare persino di rispondere. Notò che nemmeno Caterina si era espressa, così le inviò un messaggio.
Cate…
La risposta arrivò dopo pochi secondi.
Ho visto.

Come diciamo di no?

Un tentativo - si disse - doveva almeno farlo. Magari mostrandosi così decisa, Caterina la avrebbe assecondata senza fare storie. Ma purtroppo si sbagliava.
Non diciamo di no. Diciamo che ci pensiamo. Potrebbe essere una buona occasione, Cass, lo sai. Almeno parliamone.
Un sospiro abbandonò le sue labbra mentre lasciava ricadere la testa sul cuscino, la chat di Caterina ancora aperta davanti alla faccia. Rilesse l’ultimo messaggio della sua amica più e più volte. In un certo senso aveva ragione, poteva essere una buona occasione per mettere una pietra sopra a tutto. Tutto cosa, poi, era una faccenda su cui anche lei aveva qualche dubbio. Di sicuro l’idea di tirarsi indietro lasciando pensare a tre o quattro persone che fossero la causa di quel no non le piaceva per niente. Mentre era assorta nei suoi pensieri Caterina le inviò un altro messaggio.
Ovviamente lo dici tu che ci pensiamo, tanto lo sanno tutti che siamo pappa e ciccia. Non pensare che risponda io per te. Muoviti.
Ecco come Caterina aveva risposto alla domanda che Cassandra non aveva ancora formulato. Certo era che lo stesse facendo per il suo bene, in un certo senso. Doveva aver intuito la sua volontà di non esporsi e stava cercando di farla uscire dalla comfort zone, mentre lei avrebbe voluto rintanarcisi ancor di più, fino a sparirci dentro. Non che parlare con i suoi ex compagni le creasse disagio, non con tutti almeno. Ma se c’era una cosa che la facesse sentire un pesce fuor d’acqua più di accettare quella proposta folle, era dover dire che ci avrebbe pensato. Un altro pesante sospiro. Sbloccò il cellulare che intanto si era oscurato e senza pensarci troppo digitò il messaggio da inviare in quello stupido gruppo.
Buonasera, ragazzi. Io e Caterina vi facciamo sapere tra qualche giorno se ci saremo.
Aspettò che lo schermo del cellulare si spegnesse prima di riporlo sul comodino accanto al letto con un sospiro. Non aveva voglia di leggere le risposte sul gruppo, né di stare a sentire Caterina che blaterava. Si stese su un fianco, raggomitolandosi contro il muro. In quel momento cominciò a contare ansiosamente i secondi in attesa del ritorno di Mauro, l’unica persona che volesse vedere.

Mauro aveva due anni più di lei e fin da bambini erano stati inseparabili. Avevano vissuto l’infanzia come se fosse tutto un gioco. Mauro si divertiva a lanciarle sfide di ogni tipo e lei si faceva trascinare in qualsiasi cosa le desse l’impressione di essere divertente o anche solo vagamente interessante. Era cresciuta con un affetto smisurato nei confronti del fratello e, per un considerevole numero di anni, aveva seriamente pensato che il ruolo di Mauro nel mondo fosse proteggerla. Dal canto suo, lui non faceva nulla per farle credere il contrario. Era stato sempre molto attento e premuroso e, data la sua testardaggine, Cassandra era l’unica persona in grado di farlo ragionare o che potesse rompere le mura della fortezza in cui si chiudeva quando qualcosa lo turbava. Gli anni dell’adolescenza erano stati il periodo in cui il loro rapporto si era affievolito. Ognuno preso dalla propria vita e dalle proprie amicizie, dai primi amori e le prime furibonde liti coi genitori. Avevano cominciato a passare insieme sempre meno tempo e a dirsi sempre meno cose, nonostante il profondo affetto che li legava non avesse mai vacillato. Quando qualcosa non andava erano sempre il sostegno l’uno dell’altra e, reciprocamente, l’unica persona che potesse farli ridere quando era l’ultima cosa che avevano voglia di fare. Con l’inizio dell’università si erano riavvicinati, arrivando anche, di tanto in tanto, a uscire insieme coi rispettivi gruppi di amici.

Erano ormai quasi le undici quando rientrò. Lo sentì posare lo zaino in camera sua e poi uscire in corridoio, percorrerlo velocemente prima di chiudersi in bagno. Il rumore della doccia non tardò ad arrivare e Cassandra si tirò a sedere sul letto sbuffando. Aveva aspettato quasi quattro ore e adesso Mauro si chiudeva in bagno per chissà quanto tempo. Man mano che i minuti passavano, Cassandra diventava sempre più impaziente e nervosa. Prese ad arricciarsi tra le dita ciocche di capelli sfuggite alla coda e a camminare avanti e indietro per la stanza, sbattendo i piedi più del necessario.

“Hai deciso di farci precipitare tutti in casa della signora di sotto o semplicemente vuoi farla impazzire?”
Cassandra si girò di scatto e trovò Mauro a fissarla con aria divertita. Aveva gli occhi lucidi, probabilmente a causa della schiuma che ogni volta proprio non riusciva a non farsi finire negli occhi, le labbra erano distese in un sorriso canzonatorio e ciocche di capelli scuri, ancora bagnati, erano appiccicate alla fronte. Cassandra non poté fare a meno di ridere, lasciando ricadere lungo i fianchi le braccia che fino a quel momento aveva tenuto incrociate sul petto.
“Ma che fine avevi fatto?”
“A venticinque anni non posso ritirarmi alle undici di sera?”
Il suo tono era divertito. Doveva aver notato il suo nervosismo e non aveva resistito all’idea di stuzzicarla.
“Dai, non fare lo scemo. Dov’eri? Sei uscito di corsa dopo aver litigato con papà e non hai nemmeno detto dove andavi. Sono quattro ore che ti aspetto…”
“Carlo mi ha trascinato ad una partita di calcetto con i suoi compagni di corso, mancava l’ultimo. Poi abbiamo mangiato qualcosa. In che senso sono quattro ore che mi aspetti?”
Restarono a fissarsi per qualche secondo, la testa di Mauro che spuntava dalla porta socchiusa.
“Entra…”
Lui non se lo fece ripetere due volte, notando l’espressione sconfitta che aveva assunto il volto di Cassandra. Aveva sospirato lasciando ricadere le spalle, come se si fosse liberata di un grosso peso che aveva portato per chissà quanto tempo. Ogni traccia di nervosismo era sparita, lasciando spazio a qualcosa che Mauro avrebbe interpretato come preoccupazione.
Cassandra lo guardò entrare nella stanza e richiudersi in modo leggero la porta alle spalle senza fare rumore. Girò la sedia della scrivania verso il letto, dove Cassandra andò a sedersi a gambe incrociate abbracciando il cuscino, e vi si sedette sporgendosi in avanti fino ad appoggiarsi con i gomiti alle ginocchia.
“Quale sciagura?”, chiese con tono solenne, per prenderla in giro, “Non credo proprio che questo sia frutto della sola maledizione della domenica.”
Cassandra sorrise a quelle parole facendo di no con la testa, poi lo guardò scettica.
“Ma non vuoi almeno asciugare i capelli?”
“Ma no, sono corti, si asciugano da soli. Credo che abbiamo cose più importanti a cui pensare adesso…”
Cassandra sospirò per l’ennesima volta e parlò fissando suo fratello negli occhi con aria seria, come se gli stesse rivelando la profezia di un disastro epocale.
“Mauro, sono tutti impazziti. Te lo ricordi Fabio Fattori?”
“Fabio? Fabio il tuo compagno di classe al liceo? Quello che ti piaceva al terzo anno e che ti diede un diplomaticissimo palo?”
Cassandra fece una smorfia e fu tentata dal lanciargli un cuscino in faccia con tutta la forza che aveva.
“Guarda che è stato molto gentile nel farlo.”
“Ah sì certo, com’era che aveva detto? Mi dispiace Cass, ma sai che casino sarebbe se stessimo assieme, mi sono lasciato con Barbara da troppo poco, finirebbe in una faida.”
Mauro scoppiò a ridere scimmiottando il discorso di Fabio. Un cuscino gli arrivò in piena faccia senza che nemmeno si accorgesse che era partito. Stavolta aveva osato troppo.
“Ehi…”, si lamentò raccogliendolo dal pavimento e rispendendolo al mittente, ma Cassandra lo scansò prontamente. Il cuscino finì contro il muro prima di ricadere rovinosamente sul pavimento, dove Cassandra decise di lasciarlo.
“La prossima volta impari!”
“Non aveva le palle per dirti che non gli piacevi.”
“Ha solo cercato di indorare la pillola, niente di eccezionale. E poi comunque siamo diventati buoni amici. Prima ci salutavamo a stento, poi quando mi è passata abbiamo cominciato a parlare un sacco e a sentirci con regolarità anche dopo la scuola.”
“E poi avete litigato e non vi siete mai più parlati.”
“Dettagli…”
“Almeno fino ad ora… O sbaglio?”
Mauro riportò il discorso sui giusti binari e Cassandra si rabbuiò di nuovo.
“Ha creato un gruppo con tutti gli ex compagni di classe. L’ha chiamato Chi non muore si rivede. Ma ti rendi conto? Che razza di nome è?”
Mauro trattene una risata e poi sorrise sornione.
“Rimpatriata in vista?”
Cassandra annuì lentamente, senza staccare gli occhi dai suoi, cercando di rendere l’atmosfera abbastanza tragica.
“E che vuoi che sia? Che è ‘sta faccia da funerale? Sarà divertente!”
“No, non sarà divertente!”
Cassandra quasi urlò mettendosi in ginocchio sul letto e agitandosi tutta.
“Non sarà divertente, Mauro. Io non ci voglio andare, ma Caterina ha già iniziato la sua opera di convincimento. Non posso dargliela vinta! Io non…”
“Ehi, ehi, ehi!”
Mauro interruppe, agitando le mani davanti alla faccia, il flusso di frasi sconclusionate che Cassandra aveva cominciato a sputare in modo isterico.
“Calmati. Ma che vuoi che sia? Ne parli come se fosse la peggiore delle disgrazie! Sei stata bene al liceo. Non ti fa piacere rivedere un po’ di gente? So che hai litigato con un paio di persone ma che vuoi che sia, sono passati tre anni!”
“Tu non capisci… Non c’entra con chi ho litigato!”
“E allora cosa? Spiegamelo!”
Cassandra lo guardò con gli occhi improvvisamente stanchi. Diede uno sguardo al cellulare, dove ben dodici messaggi di Caterina giacevano ignorati da ore. Si rese conto che suo fratello continuava a fissarla in attesa ma lei proprio non sapeva trovare le parole. D’altronde, Mauro aveva ragione. Gli anni di liceo erano stati belli. Allora come spiegargli quell’ansia? Il senso di inadeguatezza, la paura del giudizio… Per non parlare del fatto che non aveva solo litigato con un paio di persone, la situazione era ben più complicata di così.
Mauro dovette rendersi conto della stanchezza e della confusione che albergavano nel cervello di sua sorella perché si alzò lentamente dalla sedia e si avvicinò a darle un bacio sulla guancia.
“Mettiti a dormire, me lo spieghi domani pomeriggio di ritorno dalle lezioni. Ci facciamo una cioccolata e parliamo, va bene?”
Cassandra si girò a guardarlo cercando di comunicargli con gli occhi tutta la gratitudine che provava in quel momento e, senza farselo ripetere due volte, si infilò sotto le coperte. Guardò Mauro recuperare lo sfortunato cuscino caduto in battaglia e passarglielo, prima di aprire la porta per uscire e spegnere la luce augurandole la buonanotte.
“Mauro…”
La testa di lui rispuntò da dietro la porta.
“Dimmi.”
“Ma ti rendi conto che hanno organizzato per una domenica?”

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