Il finale di Vittoria

di Zorba_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primule ***
Capitolo 3: *** Il piano ***
Capitolo 4: *** Sorelle ***
Capitolo 5: *** Ricordo ***
Capitolo 6: *** Dietro dietro ***
Capitolo 7: *** Imprevisto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
Succede talvolta, non sempre, che i personaggi di una storia prendano vita e inizino a parlare per se stessi. Succede che rifiutino di chiudere il libro sulle ultime parole che qualcun altro ha scelto per loro. Impresse su carta, come un destino segnato. Scritto.
Sarebbe forse stato un libro a decidere per la triste sorte della sua famiglia? Vittoria non lo credeva. Ecco, Vittoria aveva deciso che la storia non si sarebbe conclusa come una mano estranea aveva deciso anni addietro al suo posto. Al loro posto. No. Aveva scelto di diventare autrice lei stessa e prendere in mano il libro del proprio destino.
E questo è il suo personalissimo finale.

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Capitolo 2
*** Primule ***


Anche un po’ di più.
 
 
 PRIMULE
 
Ofelia lo aveva trovato subito. Era lì con lei, nella stessa stanza, ma dietro. Dietro dietro. La stava aspettando dall’altra parte dello specchio. Le sopracciglia aggrottate e il luccichio degli occhi suggerivano una lotta interiore tra la gioia di rivederla e la disapprovazione. Non importava. Non importava più nulla, soltanto trovarlo. Lei dal canto suo aveva avuto così poche speranze di riuscire a passare nel Rovescio che non riuscì a trattenere l’entusiasmo, avrebbe urlato il suo nome se ne fosse stata capace. Non ci riuscì, ma gli corse incontro e lo abbracciò così forte che i due corpi fatti di materia scomposta e rivoltata si fusero al livello delle costole per un attimo. Alzò la testa per vedere la sua espressione. L’immagine del volto di Thorn era confusa e non solo perché incorporea e in negativo. Ofelia stava piangendo. Un bacio sulla fronte e una grossa mano che le asciugò le lacrime astratte la riportarono alla realtà: ce l’aveva fatta. Si strinse a lui ancora più forte. Il suo posto, ne aveva avuto la rivelazione mesi prima, era sempre stato lì. Non su Anima, non al Polo. Tra le braccia di Thorn, ovunque esse fossero, in questa o nell’altra dimensione, per l’eternità.
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 3
*** Il piano ***


IL PIANO
 
Chiuse gli occhi, semicoperti dai lunghi capelli bianchi, e prese un respiro profondo. Erano passati dieci anni, dieci anni esatti, da quando suo zio l’aveva tirata fuori dal pozzo. Dieci anni da quando l’Altro l’aveva abbandonata lì dentro dopo averle dato l’illusione di volerla aiutare. In fondo la sua umanità non era altro che un riflesso di quella di Eulalia. Be’, non era più la stessa bambina indifesa, Vittoria sentiva che il suo potere era cresciuto insieme a lei per tutto quel tempo. Ed era pronta.

«Dovrei salutarvi adesso, non è vero?» chiese a bassa voce, aprendo appena gli occhi per guardare Eulalia.

L’anziana annuì in risposta. «Se riusciamo nel nostro intento, sarò morta non appena Ofelia avrà attraversato lo specchio. Spero solo di avere il tempo di farle un ultimo regalo.»

La voce le era uscita come un delicatissimo ronzio da in fondo alla gola. Eulalia era così vecchia che, pur accasciata sulla sedia a rotelle, sembrava ripiegarsi su se stessa a ogni parola. I capelli, una volta lunghi e fulvi, presi in prestito da Ofelia al suo primo attraversamento di specchi, erano diventati sempre più corti, secchi, bianchi e radi da quando aveva preso coscienza della sua vera identità: non era mai stata Elizabeth. Sorrideva però con occhi vispi come quelli di una bambina.

«Mi dispiace.» Vittoria lo aveva detto con un filo di voce. «Mi mancherete.» Le sembravano parole banali, ma era la verità. Aveva imparato dal suo padrino quanto fosse importante dire la verità e trovava che fosse una buona soluzione ogni volta che non le venivano le parole. Dire la verità. Nient’altro.

L’anziana signora mosse una mano verso di lei molto lentamente, sembrò per un attimo che volesse prendere la sua, poi ci ripensò, bloccata dai dolori dell’artrite. Meglio conservare le ultime preziose energie.

«Non perdere tempo a dispiacerti, bambina mia. Concentrati. Sarà doloroso», disse invece. In risposta allo sguardo agitato di Vittoria aggiunse subito: «Scherzo. Non sarà doloroso, però non ti potrai permettere di distrarti. Oppure tutto il processo sarà interrotto e potremmo non avere altre possibilità.» Non aveva mai perso il bizzarro senso dell’umorismo che la accompagnava da quando era uscita dal Rovescio sotto le sembianze di Elizabeth. Anzi, con la sicurezza datale dalla vecchiaia era anche peggiorata. Vittoria ci cascava sempre. Come tutti del resto.

«Mia cara signora, avete lo spirito di una ragazzina. Vi fa sembrare più giovane, sapete?» Nel tempo di uno schiocco di dita si era materializzato tra di loro un uomo dall’aspetto trasandato: i capelli biondi arruffati, la barba incolta e un tatuaggio a forma di goccia tra le sopracciglia. Vittoria si sentì immediatamente sollevata. Eccolo, il suo padrino. Era anche un secondo un padre, soprattutto da quando quello vero aveva cominciato a sentirsi la stessa età di Vittoria. Non gliene voleva, non era colpa sua.

«E voi, signor ambasciatore? Siete pronto?» Eulalia lo aveva detto osservandolo con sguardo indagatore, leggermente provocatorio. Lui in risposta abbassò gli occhi, improvvisamente serio: «Sono pronto. Ho un debito da saldare.»

«Anch’io sono pronta», gli fece eco lei, dritta in piedi e determinata davanti allo specchio.

«Ripassiamo il piano.» Era un ordine. Evidentemente, nonostante le loro dichiarazioni, la vecchia preferiva andare sul sicuro.

Vittoria indicò la superficie riflettente davanti a lei. «Il vostro specchio farà da porta. Vado nella dimensione di mezzo, li trovo. Mi assicuro che l’Altro sia lontano… e in effetti che tutti gli altri siano lontani – aggiunse velocemente, come per rimediare a una grave dimenticanza durante l’interrogazione. Poi continuò come se stesse ricapitolando tra sé e sé, a voce più bassa – Poi li prenderò per mano. Dovremo mantenere il contatto fisico perché il passaggio rimanga aperto. A quel punto Archibald-»

«Lasciamo che questo lo dica lui», la interruppe lei con dolcezza, guardando l’ultimo arrivato con aria divertita. Aveva preso ormai da molto tempo l’autorità tipica degli anziani.

«Volete mettermi alla prova, signora Eulizabeth?» Rispose lui nel solito tono allegro e quasi canzonatorio che rifilava a tutte le donne. Tranne che a Vittoria. «A quel punto Archibald – ripeté la sua frase, come a voler suggerire che la sapeva a memoria (e in effetti era proprio così, Vittoria lo sapeva) – farà da ponte tra il corpo di Vittoria e il suo potere familiare. Così quando la mia bambina preferita tornerà dalla parte di noi comuni mortali se li porterà dietro tutti e due.»

«Zio, lo sai che non sono più…» Una mano le era calata sulla testa scombinandole i capelli.

«Certo che lo sei. E tu lo sai che non sono tuo zio. Presto ritroverai quello vero.»

«Be’, si possono avere più zii… – protestò lei – Voi potreste essere quello paterno, dopotutto siete l’ambasciatore di mio padre.”
Archibald emise una risata cristallina, sembrava sempre così spensierato, soprattutto da quando era guarito. Vittoria lo ammirava molto. Un mormorio basso li interruppe.

«E io… io farò da contropartita.»

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Capitolo 4
*** Sorelle ***


SORELLE
 
«Lasciatemi qualche minuto», disse Eulalia, lo sguardo grave. Nessuno obiettò. Le avrebbero lasciato tutto il tempo che voleva.
La sedia a rotelle si mosse in direzione dello specchio e Vittoria indietreggiò per lasciarle libero il passaggio. La donna allungò lentamente una mano, fino a toccare la superficie di vetro con tutto il palmo. Non guardava il proprio riflesso, sembrava persa nei suoi pensieri.
Quello che stava toccando non era lo specchio che aveva posseduto a Babel, che aveva fatto da catalizzatore dell'eco di cui si era fidata, nonché da portale tra le due dimensioni. No, era uno specchio diverso, che veniva da Anima, il luogo dove era cominciata la nuova vita di Eulalia. Nonché il legame con Ofelia. Uno specchio che conservava il ricordo della Eulalia come era diventata, non di quella che fu.

«Se non dovesse funzionare...» Archibald aveva bisbigliato per non disturbare la donna.

«Funzionerà.» Vittoria non sapeva bene chi dei due stesse cercando di convincere, se il suo padrino o se stessa. Sapeva, però, che in realtà quella dell’uomo non era una domanda, ma un avvertimento. “Se non dovesse funzionare, dobbiamo essere pronti. E fare tutto il possibile.”

«Funzionerà», ripeté. Scosse la testa cercando di pensare in modo lucido, senza dubbi portati dalla paura di fallire. In fondo le loro erano soltanto teorie. Teorie che non avevano avuto la possibilità di sperimentare, visto che coinvolgevano direttamente la morte di Eulalia, il che, si dava il caso, avrebbe per forza limitato i possibili tentativi di riuscita a uno.

Eppure il loro piano aveva senso. Mai, neanche una volta, uno dei calcoli che avevano fatto aveva riportato errori. Tutto tornava. Qual era la variante che era sempre mancata all’Osservatorio? Certo, gli echi sono particolarmente forti in chi ha poteri, ma i poteri delle persone comuni non sono altro che un'ombra se paragonati a quelli di uno spirito di famiglia. E Vittoria lo era per metà. Gli echi comunicavano particolarmente bene con Ofelia a causa delle cellule di Eulalia di cui era rimasta impregnata, ma Vittoria era in grado di viaggiare. Era in grado di comunicare con il Rovescio come nessun altro umano era mai riuscito a fare prima.

Quello che speravano sarebbe accaduto di lì a poco le pareva semplice quanto irreale. Lo specchio avrebbe fatto da catalizzatore per riunire gli echi dei poteri familiari suo e di Archibald e avrebbe riunito nuovamente Ofelia ed Eulalia. Là dove un equilibrio si era spezzato, un altro andava a ripararsi. Sì, perché non si trattava di uno specchio qualsiasi proveniente da Anima. Ma di quello di Ofelia. Il legame si sarebbe spezzato esattamente dove era nato, proprio come la prima volta, quando il passaggio tra il Dritto e il Rovescio si era chiuso dopo che l’Altro era stato intrappolato.

Il dato che li aveva assolutamente convinti della veridicità di questo legame e quindi anche della tangibile possibilità di riaprire un passaggio era stato la vita di Eulalia. La donna non era morta dopo una settimana dalla sua ripresa di coscienza, come lei stessa aveva calcolato inizialmente. Aveva piuttosto continuato a invecchiare, il suo corpo a piegarsi, spezzarsi, ridursi al minimo delle facoltà motorie. Lo sapevano tutti, anche se nessuno di loro aveva il coraggio di dirlo ad alta voce: Eulalia era stanca. Ai pesi del cuore si erano aggiunti presto quelli del fisico. Intensi dolori e spesso fratture a ogni minimo spostamento. Era un fardello che portava con eleganza, come se fosse stata la sua pena da scontare per il male commesso. In ogni caso, a questo punto era chiaro che Eulalia non sarebbe morta finché Ofelia fosse stata di ritorno in questa dimensione. Era la sua contropartita.

La vecchia tolse la mano dallo specchio con uno scatto, cosa che le provocò un brusco scricchiolio al polso.
Fissando finalmente il proprio riflesso mormorò: «Una vita per una vita». Vittoria capì che non si stava riferendo soltanto allo scambio che stava per provocare con la vita di Ofelia, ma anche alla stessa vita che Ofelia aveva sacrificato per lei il giorno che si era incastrata nello specchio. In un certo senso non poteva fare a meno di pensare che ci fosse qualcosa di magico nel legame che le due donne condividevano. Le sembravano la cosa più simile a un’anima gemella che si potesse mai trovare. Non in senso romantico, ma di sorellanza. Ecco, era un po’ come se fossero state sorelle, più di tutte le altre sorelle del mondo. In questo le invidiava.

«Una vita per una vita», annuì Archibald. Il suo padrino, in effetti, doveva anche lui la vita a Ofelia. In seguito alla riemersione delle terre e dei Paesi intrappolati, erano tornati alla luce grandi e importanti centri di ricerca scientifica, che avevano finito col salvarlo dalla sua malattia. In effetti questo era un altro peso sulla coscienza di Eulalia: i genitori di Archibald non erano stati altrettanto fortunati. E come loro, chi sa quanti.

L'anziana signora girò la testa verso Vittoria. «È giunta l'ora che questo specchio torni alla sua legittima proprietaria. Bambina mia...» sembrò pensarci sopra. Poi abbassò lo sguardo. «Questi ultimi dieci anni sono stati i migliori per me.» Parlava con entrambi. Si rivolse nuovamente verso lo specchio. «Ora concentrati.» Vittoria la guardò solo per un secondo, cercando di non pensare alla morsa che le azzannava le budella, le strappava l'intestino e le offuscava la vista. No, non ora. Non dopo tutta la fatica per arrivare a quel momento. Non avrebbe sprecato anni di lavoro e la loro unica possibilità. Chiuse gli occhi. Poi tutto si fece confuso e ovattato.

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Capitolo 5
*** Ricordo ***


RICORDO
 
Intorno al tavolo sono riuniti una vecchia in sedia a rotelle, un ambasciatore, uno spirito di famiglia, una mamma in preda all’ansia e una bambina di 7 anni. Potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta, se l’argomento non fosse così serio.

«È solo una bambina», mamà è pallida. Così pallida che Vittoria teme che possa svenire da un momento all’altro.

«È vostra figlia, ma è anche la figlia di Odino. Per il momento Vittoria è la nostra unica chiave per il Rovescio.» Eulalia, sua nonna probabilmente, sprigiona autorevolezza da ogni sillaba. «E comunque, non saremmo qui a parlarne se non fosse stata lei a chiedermelo.» La guarda negli occhi e lei è grata che qualcuno lo faccia, finalmente. Era stufa di sentir parlare di se stessa come se non ci fosse.

«Mamà, per favore… sento che posso farcela.» Mamà ricambia il suo sguardo stringendo le dita intorno al bordo del tavolo. Non sarà così semplice convincerla. Forse dovranno farlo a sua insaputa. Questo pensiero la riempie di tristezza.

«Hanno ragione loro. Però… non sono pronto a perdervi di nuovo.» Questa volta è stata la voce di Faruk, come un tuono, a sollevarsi sulle altre. «Madre – prosegue – vorrei che fossimo certi che non esista un altro modo prima di agire.»

Eulalia lo guarda con dolcezza. «Odino». Lui trasale. «Devo pagare per le mie scelte. Sacrifico la mia vita, o quello che ne rimane, con piacere. Mi lascio indietro voi.»

Doveva essere piuttosto giovane quando era rimasta intrappolata come contropartita. Da quel momento aveva vissuto la giovinezza di Ofelia, ma la verità era che aveva perduto ogni diritto alla sua. Aveva pagato il prezzo più grande.

«Non può essere stato davvero un errore se da quello siete nati tutti voi, i miei figli.»

Il padre adolescente di Vittoria si inarca in avanti come colpito da un forte dolore allo stomaco e una lacrima gli scende sul viso bianco.

«Comunque, non siamo ancora pronti.» È stata una voce fievole a parlare. Il suo padrino, con le guance emaciate, le occhiaie nere e la testa rasata, è quasi irriconoscibile. «Io sono ancora troppo debole e Vittoria troppo piccola. Ma non possiamo aspettare ancora per molto. Temiamo che…»

«Temiamo che presto io possa diventare inadeguata a portare a termine il piano» chiude la frase Eulalia con un sorriso quasi divertito. Poi si scurisce in volto. «Non sappiamo quanto tempo mi rimanga. Un giorno potrei essere condannata a un’eternità di coscienza in un corpo divenuto polvere.» Guarda il figlio negli occhi. «E non è quello che voglio.»

Quanta forza deve possedere quella donna per decidere, così sicura, di voler morire finché ne abbia l’opportunità! Non deve essere una scelta facile. Vittoria non la invidia.

Faruk scuote la testa e i lunghi capelli bianchi gli cadono sugli occhi. Gli stessi suoi capelli.
«Non è giusto.»

«Questo non puoi saperlo, Odino. Se è la legge dell’universo a scriverlo, allora forse è giusto. A ogni azione corrisponde una reazione. Abbiamo un equilibrio da salvare e sarà quello che faremo.» La sua fermezza li ha zittiti tutti.

Vittoria sente un dolore acuto in mezzo alla fronte e si rende conto che suo padre la sta guardando.
Non è mai riuscita a inquadrarlo troppo bene. È un adolescente, ma sta crescendo più in fretta di lei e la sua vera natura le sfugge. Crede che si senta diviso tra i sentimenti di padre e quelli di figlio.

«Tu.» Il dolore alla fronte si propaga in tutta la testa e aumenta d’intensità insieme al sentimento di lui. «Hai ereditato il potere di viaggiare. Riesci a entrare nella dimensione di mezzo e comunicare con il Rovescio.» La voce, da tuono, si fa dolce come scroscio di pioggia. «Io credo in te.»

La sua sicurezza ha incrinato l’ansia di mamà. Se la concentrazione di Vittoria non fosse tutta impegnata sul dolore provocato dallo sguardo acutissimo che le rivolge, si commuoverebbe.

«Mio nipote… Non posso voltargli le spalle, non voglio… e non lo farò.» È un tremolio, ora, la voce di mamà. Ma è un tremolio acuto, sicuro, che non ammette repliche. «Ditemi cosa posso fare per aiutare mia figlia a tornare da me.»

***
 
Con dentro al cuore il ricordo dei suoi genitori che la appoggiano e credono in lei, Vittoria si buttò nella dimensione di mezzo.

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Capitolo 6
*** Dietro dietro ***


*Vi devo chiedere scusa perché non sono stata troppo bene in questi giorni e anche la mia mente ne ha sofferto un po’. Così ero in assoluto ritardo, ma il capitolo di ieri mi ha fatto venire voglia di scriverne subito un altro. Quindi spero di essermi fatta perdonare... E qui comincia l’azione vera, spero che sarà di vostro gradimento anche se ovviamente non sarà epico come l’originale! Un abbraccio e buona lettura.*

DIETRO DIETRO
 
Da quel momento di dieci anni prima, in cui la vasca da bagno dal cui fondo le sembrava di vedere il mondo era diventata talmente profonda e invalicabile da trasformarsi in pozzo, Vittoria non aveva più viaggiato. Non ci aveva provato neanche una volta, mai più. Per diverse ragioni: per paura di rincontrare l'Altro, quell’orribile mostro dalle mille ombre che ancora tornava a trovarla qualche volta nei suoi incubi. Per paura di rimanere in qualche modo bloccata di nuovo o di creare scompensi che avrebbero potuto impedire la riuscita del loro piano. Eppure sapeva esattamente come muoversi.
Era stata molte volte sul punto di abbandonare il proprio corpo come tanti anni prima. Chiudendo gli occhi aveva sentito il richiamo di quell'altra dimensione, aveva cominciato a percepirne i suoni ovattati – più vibrazioni che suoni – come una specie di invito, come una sirena che senta il canto del mare. Per questo era sempre stata certa di esserne in grado, pur avendolo evitato con attenzione. E ora ne aveva le prove.

Mosse un passo senza peso nella stanza, guardò un'ultima volta Eulalia. La sua nonna era già lontana e sbiadita, ma vicino a lei c'era un'altra persona, che prima non avrebbe potuto notare.

A quel punto sentì un pensiero che non era il suo raggiungerla e riportarla a sé.
“Non sei sola questa volta, ricordalo, Vittoria.” Il suo padrino era entrato in azione. Tirò un sospiro di sollievo nonostante quelle conversazioni fossero destinate a rimanere a senso unico. Non aveva lo stesso dono di Archibald di infiltrare la propria voce nell'altrui mente, ma almeno avrebbe avuto una guida.
Si voltò per cercarlo e vide che la teneva seduta salda a sé, le mani posate sulla sua testa. Lui non poteva vedere la sua proiezione, ma sentiva la sua presenza diramarsi dal potere della sua mente e vi rimaneva ancorato con il proprio.

Vittoria annuì e tornò a osservare la piccola donna che stava china su Eulalia. Ma certo. Ofelia e Thorn erano sempre stati lì con loro. Avevano osservato tutta la scena precedente. Lo sospettava. Si ricordava di come lo zio fosse riuscito solo con un passo a riportarla a casa. Era come se dal Rovescio ci si potesse trasportare automaticamente nel posto in cui si desiderava andare. O forse in cui si era desiderati.

La sua madrina, dalla pelle di uno strano colore grigio verdastro, stava cercando invano di stringere nella sua mano incorporea quella di Eulalia, ma non riusciva mai a toccarla. I suoi occhi azzurrissimi e luminescenti sembravano addolorati sotto un turbante che le fasciava la testa. Le avevano detto che Ofelia avesse perso le dita, doveva averle ritrovato nel Rovescio, perché erano tutte lì al loro posto che cercavano di stringersi intorno a quelle di Eulalia.

C’era anche un uomo altissimo e magro, dai lineamenti affilati e solchi neri sul viso. Era in piedi, appoggiato contro il muro della stanza, esattamente di fronte a Vittoria, ma a distanza, come a volerla osservare senza disturbarla. Intorno al suo corpo erano ben visibili migliaia di rami, che lo avvolgevano annodandosi, attorcigliandosi e creando ulteriori piccole ramificazioni. Vittoria si illuminò. Era proprio come lo ricordava.
La persona che l'aveva tirata fuori dal pozzo. In tutti questi anni non era cambiato minimamente, a parte il fatto che sembrava più sereno, e Vittoria per un attimo sentì le percezioni della bambina di tre anni che era stata.
Sono gli stessi artigli di madre e padre. E quei rami? Gli artigli fanno paura, i rami sono belli.
Credo che tu sia rotto. Credo che ci sia qualcosa di rotto in te, sì. Non ti preoccupare, tutto si aggiusta. Vedrai.
Grazie. Di te, mi ricorderò.

Lui la guardava come incredulo, sembrava che volesse dirle quanto fosse cresciuta, quanto fosse cambiata. Quanto fosse fiero di chi stava diventando. Non c'era tempo però. E poi per quello che le avevano detto suo zio non era mai stato abile con le parole.

Sentì la voce del suo padrino provenire come da lontano, da fuori dall’acqua: «Li ha trovati.»
Thorn rivolse uno sguardo veloce ad Archibald, come se non fosse stato troppo felice di vederlo. Sicuramente era stata un'interpretazione sbagliata di Vittoria, era impossibile che qualcuno potesse mal sopportare l’uomo più simpatico di tutto il Polo.

Percepì un tocco leggero sulla spalla, si girò e vide gli occhi di Ofelia sorriderle. Vittoria provò a parlare, avrebbe voluto chiederle conferma che fossero già a conoscenza del piano, ma non le uscirono le parole. Già, quel vecchio problema del suo passato. Se lo era dimenticato.

Ofelia comunque annuì. Evidentemente aveva capito da sola.

“Allora, prima che possiamo essere disturbati da qualcuno, è meglio che prendiate le mie mani. Adesso." Lo aveva pensato sfoderando la sua espressione più persuasiva e tendendo le braccia verso di loro. Ofelia però fece un passo indietro. Guardò di nuovo Eulalia, indecisa sul da farsi. Thorn si mosse verso di lei, una delle sue gambe prendeva strane e impossibili angolazioni a ogni passo. La abbracciò senza spiegazioni cingendole la vita da dietro e iniziò a trascinarla con lui verso Vittoria.

Fu allora che qualcosa cambiò. Che qualcuno entrò dal nulla nella stanza senza preavviso. Senza invito.

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Capitolo 7
*** Imprevisto ***


IMPREVISTO
 
Quello che aveva davanti agli occhi non sembrava lo stesso mostro dalle mille ombre che aveva conosciuto, né quello che la perseguitava negli incubi. Era più che altro uno spettacolo pietoso.
Di fronte a lei si dimenava un esserino dallo sguardo vitreo e gli occhi disperati, imploranti come quelli di un bambino mezzo morto di fame. Sembrava perso. Rimpicciolito e perso. Guardava Eulalia, poi Vittoria e si agitava sempre di più. Come se non bastasse, era in balìa delle ombre che si scuotevano ai suoi piedi in direzioni contrastanti, tirandolo ora da una parte, ora dall’altra insieme a loro. Era molto piccolo, anche nella sua massima estensione non le sarebbe arrivato al ginocchio.Vittoria ne provò pietà, ma anche ribrezzo.
L’eco di Eulalia, l’Altro. Com’era possibile che quella creatura malvagia fosse stata in origine parte di sua nonna? Non si sarebbe fatta ingannare dalle sue dimensioni ridotte. 

Ad un tratto sentì uno strattone alla gamba sinistra e perse l’equilibrio. Cadde seduta sul pavimento chiedendosi perché la sua gamba si stesse muovendo da sola a scatti così violenti ed ebbe la risposta con uno sguardo. Il mostriciattolo, che continuava a essere importunato dalle ombre, le si era aggrappato. Cercò di strapparlo, ma quello non demordeva, sembrava attaccato con ventose da polpo.

"Apri il passaggio."

Archibald? Aveva capito cosa stava succedendo? Vittoria pensava che potesse percepire le entità mentali con cui lei entrava in contatto, ma forse per un eco non valeva lo stesso discorso. Ma allora perché dirle di aprire il passaggio proprio ora, se si era reso conto di non poter sapere quando e se sarebbe spuntato l’Altro? Forse non se ne era reso conto. Forse non sapeva. E lei non poteva dirglielo.
No, avrebbe dovuto aspettare. Ma come avrebbero fatto ad annientarlo? E quanto tempo avrebbero resistito?
 
"Aprilo ora, Vittoria."

Cercò di alzarsi, cadde di nuovo. L’ansia cominciava a impadronirsi di lei.

Thorn e Ofelia si avvicinarono, approfittando che fosse di nuovo seduta per afferrare l’esserino e tirare con tutte le loro forze. Ci riuscirono e, mentre cercavano di trattenerlo, Vittoria fu libera, ma avrebbe voluto urlare. E lo fece. Si rialzò di colpo, si voltò verso Archibald e piegandosi in avanti urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
«Non posso!»

Fu un boato come di tuono. Echeggiò in tutto il Rovescio. Quel mondo nebuloso e al contrario, in cui ogni spazio sembrava ovattato e privo di rumore, aveva appena scoperto la potenza del tuono che Vittoria si portava nel sangue e ne venne come riempito. Archibald spalancò gli occhi per un attimo, ma non si scompose.

"Lascia che passi."

“No…” Avrebbero dovuto fare il suo gioco? Vittoria non capiva.

Ofelia lasciò di colpo la presa tutta per Thorn, il quale cominciò a dimenarsi a tempo con le strattonate che le ombre davano all’Altro, e invece le prese una mano con un gesto maldestro. La guardò dritta negli occhi annuendo con la testa. Vittoria non capiva, ma forse c’era qualcosa che invece la sua madrina aveva intuito. Lo stesso valeva per lo zio, che sembrava d’accordo, pur molto scocciato da quella presenza importuna, o forse molto scocciato di essere d’accordo con Archibald.
Ma questa volta non avrebbero avuto nessuno a tirarlo dentro da questa parte.

Vittoria si sbagliava. Altre due presenze si palesarono in quel momento.
Un vecchio biancastro e pallido, dai lunghi capelli scuri e un giovane, altrettanto pallido e lucente, dalle ciglia lunghe e bianchissime. Per quanto fossero diversi, erano entrambi così sorridenti e allegri da sembrare fratelli. Forse più padre e figlio.
Il ragazzo guardò Ofelia e tirò su i pugni sollevando i pollici.
Ma chi erano? E avrebbero potuto fidarsi di loro? Forse anche loro volevano approfittare dell’apertura per tornare nel dritto. Non ci voleva.

Sentì la voce del suo padrino da lontano dire qualcosa, non percepì tutto, ma soltanto: «… visite.»
Fu con orrore che capì che non si riferiva ai due nuovi arrivati.
 
A qualche passo dalla porta, più bianca e rigida che mai, c’era sua madre.
 

Credo di avere un problema con i cliffhanger <3 Pardonnez-moi!
 

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