SOGNI

di alice95cullen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
Non ho mai pensato che sognare fosse un male, ma da quando quel dannato sogno si è avverato, la mia vita non è stata più la stessa.
Sono passati esattamente tre mesi da quel maledetto giorno in cui ho perso la mia famiglia.
La notte precedente avevo sognato quelli che sembravano due uomini dagli occhi rossi morderli al collo e succhiare fino all’ultima goccia di sangue per poi lasciare a terra i corpi ormai senza vita di mia madre, mio padre e mia sorella. Una scena degna di un film horror, eppure, si era avverata.
Da quel giorno la mia vita è cambiata, ho iniziato ad avere paura ad addormentarmi, paura di sognare, perché sapevo che il risveglio avrebbe portato soltanto morte.
Un sogno però, ha fatto rinascere in me la speranza. Occhi. Due occhi color topazio. Un fiume d’oro liquido capace di farmi sentire protetta. Alla sola vista mi sento a casa. Quegli occhi hanno riacceso la mia voglia di sognare.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
“Aliceeee! Sbrigati o farai tardi!” sentii mia zia urlare dalla cucina, intenta a preparare la colazione. “Arrivo zia!” la verità era che mi trovavo ancora in pigiama imbambolata davanti alla cabina armadio in cerca di un abbigliamento adatto al primo giorno nella nuova scuola. Non volevo sembrare la classica nuova ragazza problematica a cui erano morti da poco i genitori e che tutti avrebbero compatito. Volevo essere la Alice di tre mesi prima, spiritosa, esuberante e con uno strabiliante senso della moda. Ma la verità era che neanche io mi sentivo più così; negli ultimi tempi la tuta era diventata il mio indumento preferito. Non riuscivo a guardare il mondo con gli stessi occhi. Sapevo cosa era successo ai miei genitori, io l’avevo sognato. Ebbene sì, avevo sognato la morte dei miei genitori il giorno prima. Quella sera sapevo che qualcosa non andava, eppure, non rinunciai ad andare al cinema con il ragazzo che mi piaceva piuttosto che evitarlo. Saremmo dovuti restare a casa, avremmo dovuto guardare la TV tutti insieme; invece, loro erano a passeggio sul lungomare di Biloxi. Se solo li avessi avvisati… “Non ci credo sei ancora in pigiama! Faremo tardi!” mi voltai e vi trovai mia zia sulla porta, accigliata “Mi dispiace zia, ma non ho niente da mettermi!” alzò gli occhi al cielo, mi superò ed entrò nella cabina armadio da cui estrasse un paio di jeans scuri, un maglioncino color crema e un paio di anfibi neri vista la pioggia. Me li passò con aria soddisfatta e mi intimò di sbrigarmi. Adoravo mia zia, era la sorella minore di mia madre, mi somigliava molto fisicamente, anche lei aveva lunghi capelli corvini come i miei, due grandi occhi blu e un fisico minuto ma con le curve nei posti giusti. Dopo la morte dei miei ero stata affidata a lei, così mi ritrovai in questa minuscola cittadina di circa tremila abitanti, chiamata Forks. Era situata nello stato di Washington, il più piovoso d’America. Lei viveva qui già da una decina d’anni, ci si era trasferita insieme al suo compagno dell’epoca che, purtroppo, la lasciò una settimana prima del matrimonio. Avendo una carriera già avviata come agente immobiliare, decise di rimanere a vivere in questo posto sperduto. Mia zia veniva spesso a trovarci in estate a Biloxi, era sempre stata molto legata a noi. Ora ero io l’unica famiglia che le rimaneva, così come lei era la mia.
Mi vestii in fretta, pettinai i miei lunghi e indomabili capelli che decisi di raccogliere in una treccia laterale, mi truccai leggermente per non sembrare un fantasma e in dieci minuti ero pronta. Scesi in cucina e mangiai velocemente le frittelle che aveva preparato la zia. Quando anche lei fu pronta mi raggiunse “Tesoro, oggi sono piena di appuntamenti, ci vediamo prima di cena ok?” annuii, mi scoccò un sonoro bacio prima di dirigersi verso la sua BMW nera, mentre io salii sulla mia Volkswagen golf bianca e partii. Mi fece uno strano effetto guidare l’auto di mio padre, non la faceva mai guidare a nessuno ed ora era la mia auto. Ricacciai indietro le lacrime e mi concentrai sulla giornata che mi si prospettava.
Arrivata alla Forks High School, parcheggiai vicino a quello che sembrava l’ingresso principale. Vista da fuori non sembrava una scuola ma tante case a schiera a mattoncini rossi, molto caratteristico. Entrai in segreteria, la donna dietro la scrivania mi accolse con un sorriso materno, alzai gli occhi al cielo, mia zia aveva già avvisato tutta la città “Buongiorno cara, tu devi essere Alice Brandon vero? La nipote di Grace!” sorrisi per non sembrare scortese “Esatto, mia zia dev’essere molto popolare da queste parti!” rise “Beh, con il lavoro che fa la conoscono tutti, e poi lo scorso anno mi ha aiutata a scegliere la mia attuale casa. Comunque, ecco a te la piantina e i moduli da far firmare ai professori. Ci vediamo alla fine delle lezioni. In bocca al lupo cara!” “Grazie, a dopo.”
Iniziai a camminare per i corridoi facendo attenzione a non finire addosso a qualcuno. Mentre ero concentrata a decifrare la piantina mi scontrai conto qualcosa, o meglio, contro qualcuno, facendo cadere tutti i moduli che avevo in mano compresa la cartina. “Scusami, ovviamente non guardavo dove mettevo i piedi! Ti sei fatta male? Ti aiuto con i fogli.” il soggetto dello scontro era un ragazzo di media altezza, non molto muscoloso, gli occhi azzurri e i capelli neri. Non feci in tempo a rispondere che lui era già chinato a raccogliere i miei fogli “Guarda, davvero non c'è bisogno, ero distratta dalla mappa, questo posto è un labirinto.” si rialzò porgendomi i fogli “Tu devi essere Alice la nuova, io sono Ben, Ben Newton” “Piacere Ben, io sono Alice la nuova, a quanto pare.” rise alla mia pessima battuta “Che lezione hai? Ti ci posso accompagnare se vuoi.” avrei voluto fare la spavalda e andarci da sola ma, con il mio scarso senso di orientamento, mi sarei persa di sicuro “Ho storia con il professor Avery, accetto volentieri se non è un problema.” il viso di Ben si aprì in un sorriso a trentadue denti “Perfetto! Io ho biologia ma le aule sono vicine quindi ti mostro la strada.” ci incamminammo sotto gli occhi curiosi di tutti Ma che hanno tutti da guardare? Sbuffai stizzita. Il mio accompagnatore se ne accorse “Tranquilla, tra qualche mese la smetteranno. Ora sei il giocattolino nuovo.” lo fissai incredula “Qualche mese? Non ce la posso fare. Penso che li ucciderò prima!” rise “Sei forte Mississippi!”
Arrivati di fronte l’aula di storia, lo ringraziai ed entrai. Mi avvicinai al professore a cui porsi i fogli da firmare e mi accomodai al secondo banco laterale, l’unico vuoto, per mia fortuna il professore non accennò a fare presentazioni.
“Bene ragazzi oggi inizieremo a studiare il periodo storico riguardante la Guerra Civile Americana, periodo che va dall’aprile 1861 al luglio 1863 data in cui terminò con la resa incondizionata da parte dei sudisti a Gettysburg…” stavo già per addormentarmi quando una voce celestiale interruppe quel soliloquio
“Mi scusi professore, devo informarla che non è esatto. La resa ci fu nell’aprile 1865 quando, il generale Grant, portò il generale Lee a ritirarsi vincendo la battaglia di Appomattox Court House.” mi voltai immediatamente verso quella voce che avrebbe potuto appartenere soltanto a un angelo.
A due banchi di distanza, seduto in fondo all’aula, c’era il ragazzo più bello che avessi mai visto. Alto circa un metro e ottanta, capelli biondi leonini, pelle diafana, zigomi scolpiti come se fosse di marmo, labbra carnose ben definite e occhi dorati. Notai qualcosa di familiare sul suo volto, ma ero sicura di non aver mai visto una bellezza del genere. Il mio cuore perse un battito quando voltò lo sguardo nella mia direzione. Imbarazzata, mi voltai a guardare la faccia sbigottita del professore, infastidito da quella correzione, tanto che si prese qualche minuto per cercare informazioni su Google. Attratta, mi voltai facendo finta di niente, e lo vidi parlare con fare canzonatorio alla ragazza seduta accanto a lui, anche lei bellissima. Aveva lunghi capelli rossi ondulati, la stessa pelle d’avorio, due occhi color cioccolato e un fisico da modella. Avrebbe potuto indossare di tutto ed essere sempre mozzafiato. Un moto di delusione mi avvolse. Stupida! Come hai potuto pensare che non fosse impegnato?! Il professore continuò la lezione “Bene, come spiegatoci dal signor Hale, la guerra terminò nel 1865…” mi voltai ancora una volta. Errore. Mi stava fissando insistentemente con curiosità mentre la sua ragazza era intenta a prendere appunti. Sostenni quello sguardo per qualche secondo prima di decidermi a seguire la lezione.
La giornata trascorse abbastanza rapidamente. Mi stavo avviando alla mensa, quando vidi Ben che si sbracciava seduto a un tavolo con altre quattro persone. “Ehi Alice, vieni qui, siediti con noi!” sorrisi e annuii, indicandogli il buffet avvicinandomi a quest’ultimo.
Iniziai a riempire il piatto con tutto ciò che più mi piaceva, ero così affamata che non feci caso al piatto finché non mi accorsi che non ci sarebbe entrato più nulla “Vorrei tanto riuscire a sapere dove metti tutto quel cibo!” sobbalzai a quelle parole provenienti dalle mie spalle, “Beh, credo proprio che non siano affari tuoi!” esclamai irritata, mi voltai e, alle mie spalle, in tutto il suo splendore, c’era il ragazzo dell’ultimo banco, Hale, che ora mi fissava dispiaciuto “Chiedo scusa, non volevo essere scortese, soprattutto non era mia intenzione spaventarti.” in quel momento, a quella visione mi sentii una completa idiota. Avevo trattato male quel ragazzo magnifico, dovevo rimediare. Sembrava così gentile… “Scusami tu! È da quando sono arrivata che mi fissano tutti, non ne posso più! Ma tu non c’entri. Sono stata maleducata. Ricominciamo, io sono Alice, Alice Brandon.” gli porsi la mano. Lui la guardò, poi alzò lo sguardo e, con gli occhi nei miei, strinse la mia mano e chinò leggermente il capo, come se stesse facendo un inchino “Il piacere è tutto mio Alice. Mi chiamo Jasper Hale.” rabbrividii, la sua mano era più fredda del ghiaccio, ma non era quello il motivo dei miei brividi. Sentivo che se avessi lasciato quel contatto avrei avuto freddo, un freddo che avrebbe attanagliato il mio cuore, come se quel contatto mi fosse vitale per poter sopravvivere. “Non preoccuparti per gli sguardi, si stancheranno prima o poi…” mi sorrise e lasciò la mia mano. “So che vieni dal Mississippi. Ti piace Forks?” Oh, ora che ti conosco, mi piace da morire! “Non amo particolarmente la pioggia, ma immagino che mi ci abituerò.” Se il dover lasciare la sua mano era stato difficile, non riuscivo più a immaginare a come avrei vissuto senza poter ammirare quel sorriso. Era talmente frustrante il fatto che questo ragazzo fosse così perfetto… stava per parlare quando la ragazza dai capelli rossi ci si avvicinò sorridente insieme a un altro ragazzo alto, smilzo, con i medesimi capelli Grandioso! Arriva la ragazza! Il rosso trattenne una risata. Chissà quanto sembravo ridicola. “Ciao! Tu devi essere Alice! Io sono Reneesme e lui è Edward!” Disse con un sorriso dolce. Perfetto! Mi stava persino simpatica! Ero fregata. “Ciao! Se non sbaglio siamo nel corso di storia insieme.” Edward si avvicinò ai due prendendoli per le spalle e prese parola “Mio fratello e mia sorella sono i migliori della classe in storia!” Fratello e sorella? Quindi se entrambi erano fratelli di Edward, erano tutti fratelli! “Voi tre siete fratelli?” stavo quasi per svenire “Si! Fratelli adottivi! Ma vieni a sederti al nostro tavolo! Ti faremo conoscere il resto della famiglia!” Reneesme sembrava impaziente di presentarmi agli altri, mi voltai nella direzione di Ben e vidi che mi stava tenendo il posto “Mi dispiace ragazzi, ho promesso a Ben che mi sarei seduta con loro, ma se l’invito è ancora valido mi piacerebbe tanto farlo domani.” al mio nominare Ben, vidi Jasper serrare la mascella, ma solo per un attimo. Mentre Edward sorrise, “Tranquilla. Ci rifaremo domani allora. Ciao folletto!” Folletto? Avvampai. Stavo per urlargli qualche insulto ma erano già spariti dalla mia vista.
Sedute al tavolo c’erano tre ragazze e un ragazzo a parte Ben. “Ciao a tutti.” Ben prese parola “Allora Alice, loro sono Ellen, Maggie, Vicky e Nathan.” “È un piacere conoscervi.” strinsi loro la mano cordialmente e mi accomodai al posto lasciatomi libero accanto a Vicky “Così hai conosciuto i Cullen!” esclamò Ben “Cullen?” ero un po’ confusa “Sì! Edward, Reneesme…” “Oh! Pensavo si chiamassero Hale!” Vicky sembrava impaziente di spiegarmi i vari legami parentali Cullen-Hale “Sono stati adottati dal dottor Cullen, sono in questa città da circa un paio d’anni, vengono dall’Alaska. Vedi” mi indicò il loro tavolo dove erano sedute tre coppie di ragazzi: Edward vicino a una ragazza dai capelli castani, Reneesme vicino a Jasper e, infine una ragazza dai lunghi capelli dorati e il fisico da modella insieme a un ragazzo dai capelli neri con le spalle molto ampie e il viso da ragazzino. Le cose che li rendevano simili l’uno con l’altro erano i loro bellissimi occhi dorati, la loro pelle chiarissima come la porcellana e la loro assoluta bellezza sovrannaturale. “Il ragazzo dai capelli neri, Emmett, sta con Rosalie, la bionda; mentre Edward, sta con Bella, la ragazza con i capelli castani; ecco, è vero che non sono veri fratelli ma la cosa mi sembra poco ortodossa.” mi voltai di nuovo a fissarli. Le due coppie erano intente a parlare tra loro, tranne Reneesme che mangiava e Jasper che mi fissava. Arrossii e distolsi immediatamente lo sguardo, sperando che non ci abbia fatto caso “Invece Reneesme e Jasper? Non stanno insieme?” Vicky mi guardò di sottecchi “Beh, no. Reneesme sta con un ragazzo che vive nella riserva dei Quileute, mentre Jasper, ha troppo l’aria di un serial killer perché qualcuna possa avvicinarsi a lui.” Disse sarcasticamente, io lo trovavo semplicemente bellissimo “E perché lui si chiama Hale e gli altri Cullen?” “Non solo lui. Anche Bella e Rosalie si chiamano Hale. A quanto pare, loro sono biologicamente fratelli e hanno voluto tenere il loro cognome mentre gli altri hanno preso quello del dottor Cullen.” Dopo tutte quelle informazioni su quella strana famiglia suonò la campanella, ricordandomi che mi trovavo a mensa e che dovevo dirigermi verso la prossima lezione, biologia.
Finita anche l’ultima interminabile lezione, mi diressi in segreteria per consegnare i moduli firmati, dove mi accolse la segretaria “Com’è andato il primo giorno?” sorrisi gentile “Molto bene, grazie.” Le porsi i fogli, dopo averli esaminati disse “Perfetto. A domani cara.” “A domani.” Salutai e mi diressi al parcheggio. Mi avvicinai all’auto, guardandomi intorno notai, dall’altro lato del parcheggio, i Cullen, in particolare Jasper, che mi stava fissando con uno sguardo indecifrabile e Reneesme che mi salutava sorridente. Ricambiai il saluto e mi voltai per entrare in auto.
Il primo giorno era andato. In fondo, non era stato così male. Forks mi aveva portata a conoscere i Cullen che, per quanto fossero gentili, dentro di me sentivo che qualcosa non andava in loro. Ma forse era solo una sensazione.
Nel tragitto verso casa ripensai a Jasper, al suo modo strano di guardarmi, ai suoi stupendi occhi d’ambra, al suo magnifico sorriso e ai suoi strani modi di fare da fine Ottocento. Di sicuro la sua famiglia biologica era del Sud, a giudicare dai suoi lineamenti, la cosa strana era che le sue sorelle non gli somigliavano per niente. Soltanto Rosalie aveva i suoi stessi capelli. Decisi di smettere di pensare a loro e concentrarmi sulla strada.
A casa, decisi di mettermi seriamente a studiare. Avrei dovuto rimettermi in pari, visto che avevo perso tre mesi di lezioni. Ero talmente concentrata nello studio che non mi accorsi nemmeno che la zia era rientrata, finché non fece capolino in camera “Tesoro com’è andato questo primo giorno?” mi voltai nella sua direzione, sorridendo “Molto bene zia, grazie.” “Bene! Finisci di studiare io vado a preparare la cena.” richiusi il libro, sentivo che se avessi continuato, tutto quel sapere mi sarebbe uscito dalle orecchie “Basta per oggi! Vengo a darti una mano.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
Sembrava così reale, eppure sapevo di trovarmi nel mezzo di un sogno. Non avrei saputo dire se si fosse avverato o no, ma sperai con tutto il cuore che quelle sensazioni così vive diventassero realtà. Una dolce realtà.

Me ne stavo lì, sdraiata su quel prato pieno di fiori colorati. Era una bellissima giornata di primavera, sentivo il sole caldo baciarmi la pelle e la leggera brezza portata da un fresco venticello che mi sfiorava il viso. Ero in pace con il mondo. Sentii uno spostamento d’aria alle mie spalle, così veloce che mi sembrò di averlo immaginato. Mi voltai. Jasper era lì. Era seduto su quel prato alle mie spalle. Mi porgeva dei piccoli fiori colorati che mi posizionò dietro l’orecchio, come a voler fermare le ciocche ribelli. Quel suo movimento fece sì che il sole lo colpisse e, d’un tratto, la sua pelle brillò. Fu come una visione. Come un diamante che esposto alla luce rilascia il suo scintillio. Era stupendo. Mi guardava con lo sguardo perso mentre mi accarezzava il viso “Ti amo Alice.”

Aprii gli occhi di scatto. Mi guardai intorno, mi trovavo nella mia camera, eppure mi sentivo ancora scossa, con il cuore che batteva all’impazzata. Era solo un sogno, ma io sapevo che raramente i miei sogni non si avveravano. Mi riscossi per quanto possibile da quel mio stato di trance. Dannazione. Le sensazioni che avevo provato in quella radura sembravano così reali. Mi aveva detto che mi amava. Com’era possibile? Lo conoscevo appena. Forse il mio inconscio stava lavorando troppo velocemente facendomi fare questi sogni, facendomi vedere Jasper come quello che il mio cervello avrebbe voluto che diventasse.
Cercai di concentrarmi sulla giornata che era appena iniziata e mi diressi in bagno a farmi la doccia. Come al solito pioveva quindi indossai dei pantaloni neri e una camicetta bianca con sopra un cardigan verde, decisi di mettere i tronchetti, almeno sarei stata un po' più alta del solito. Raccolsi i capelli in uno chignon disordinato e mi diressi in cucina dove trovai la zia intenta a sorseggiare il caffè mentre leggeva il giornale. “Buongiorno zietta.” Le schioccai un bacio. “Buongiorno! Siamo di buon umore oggi.” Mi guardò di sottecchi, alzai gli occhi al cielo. Mangiai velocemente i cereali e mi avviai a scuola. Ero così eccitata di andare a scuola che arrivai in anticipo. Parcheggiai e rimasi in macchina ad ascoltare la musica mentre pian piano cominciavano ad arrivare gli altri studenti. Decisi di scendere dall’auto e dirigermi verso la mia aula. Avevo letteratura alla prima ora. Mi fermai qualche minuto al mio armadietto per prendere i libri, quando una voce fin troppo familiare mi arrivò alle spalle “Ehi Mississippi come va? Ti accompagno a lezione? Non vorrei che ti perdessi.” Ben. A quanto pareva anche oggi mi avrebbe fatto da cagnolino. Alzai gli occhi al cielo, facendo attenzione che non mi vedesse, mi voltai e sorrisi fintamente “Ciao Ben. Ti ringrazio ma credo di riuscire a cavarmela.” Mi fissò indeciso. Stava per replicare quando, Vicky ci raggiunse raggiante “Ciao ragazzi! Ben, dobbiamo consegnare quel compito di biologia, che fai ancora qui?” Già! Cosa fai ancora qui? Mi guardò sconsolato per poi seguire l’amica a lezione.
Ero in ritardo, quell’idiota mi aveva fatto perdere tempo, così arrivai a letteratura quasi correndo. Fortunatamente il professore non era ancora arrivato e presi posto nell’unico banco libero, l’ultimo.
Presi l’occorrente per prendere appunti quando, quella magnifica voce roca fece capolino alla mia destra. Mi voltai, Jasper era davanti a me, in piedi “Ciao.” Chiusi la bocca prima che mi sorprendesse a bocca aperta. “Sai, è l’unico posto libero, perciò…” Che stupida! “Ciao! Si certo, siediti pure!” Cercai di non guardarlo troppo mentre si sedeva, era bellissimo nel suo dolcevita nero che esaltava così bene quel corpo perfetto. Non era muscoloso come il fratello Emmett, ma aveva tutto ciò che sarebbe bastato a rendere felice una donna al solo guardarlo. Non mi ero accorta di stare a fissarlo così sfacciatamente, finché non si voltò nella mia direzione, schiarendosi la voce. Avvampai e distolsi immediatamente lo sguardo. Il professore arrivò trafelato dicendoci di aprire il libro. Cercai di concentrarmi esclusivamente sul professore che parlava dei drammi shakespeariani, ma purtroppo il mio cervello non ne voleva sapere di collaborare. A questa vicinanza sentivo quel suo profumo magnifico di fiori freschi, tenevo la testa bassa sul libro per non destare sospetti ma sentivo che sarei impazzita da un momento all’altro.
Decisi di controllare con la coda dell’occhio cosa stesse facendo, così mi voltai di poco. Era lì, chino sul banco con una mano al naso come se ci fosse una fortissima puzza, lo vedevo rigido e sembrava che non respirasse. Sembrava stare male così gli sfiorai il braccio. Lui si voltò di scatto come scottato, gli occhi ridotti a due fessure, e mi guardò “V-va tutto bene?” Il suo sguardo si fissò nel mio per dei secondi interminabili. C’era qualcosa di strano nei suoi occhi. Non erano più dorati come il giorno prima. Erano completamente neri, solcati da profonde occhiaie.
Spostò la mano da davanti al naso e rispose molto lentamente scandendo ogni parola, come se parlare gli costasse uno sforzo immane. “Devo soltanto resistere!” Mi guardai intorno facendo attenzione che il professore non mi notasse, annusai l’aria ma non mi sembrava ci fosse nulla di strano, erano tutti molto presi dall’ascolto di Romeo e Giulietta, così mi avvicinai in modo che non mi sentisse nessuno “Resistere a cosa? Ho notato che non respiravi. Cosa c’è che non va?” Mi guardò assottigliando lo sguardo, come se volesse fulminarmi “Tu!” Mi allontanai all’istante colpita in pieno da quelle parole, per quanto il banco me lo permettesse. Non avevo minimamente considerato che il motivo del suo disagio potessi essere io. Ero così arrabbiata che mi veniva da piangere.
Qualche secondo prima che suonasse la campanella lo vidi sgusciare via dalla classe, corsi fuori non appena questa suonò e mi rifugiai in bagno. Mi rannicchiai all’angolo, la testa tra le ginocchia. Piansi. Mai nessuno mi aveva trattata così. Non potevo dargliela vinta così. Mi rialzai, asciugai le lacrime e mi diressi velocemente verso l’aula di matematica augurandomi che quella giornata finisse presto.
A mensa, Reneesme mi venne incontro “Hai promesso che oggi avresti pranzato con noi!” Mi stava conducendo verso il loro tavolo dove erano tutti intenti a fissarmi, compreso Jasper, che sembrava più rilassato ora. Bella ed Emmett mi sorridevano, Edward aveva un’espressione indecifrabile, sembrava perso nei suoi pensieri, mentre Rosalie aveva uno sguardo indifferente. Man mano che ci avvicinavamo mi fermai, costringendo Reneesme a fare lo stesso “Non mi sembra una buona idea!” Lei mi sorrise rassicurante “Tranquilla! Non vedono l’ora di conoscerti!”
Raggiungemmo il loro tavolo troppo velocemente per i miei gusti. Reneesme iniziò con le presentazioni “Ragazzi lei è Alice! Edward, Jasper già la conoscete. Alice, lei è Bella, poi c’è Emmett e Rosalie!” Accennai un timido sorriso, facendo molta attenzione a non incontrare gli occhi di Jasper “E’ un piacere conoscervi!” Bella fu la prima a parlare, rivolgendomi un tenero sorriso “Non vedevamo l’ora di conoscerti! Nessie parla continuamente di te!” La guardai confusa “Nessie?” Edward rise e indicò Reneesme “E’ un dolce soprannome affibbiatogli dal suo fidanzato.” La ragazza alzò gli occhi al cielo e mi fece cenno di sedermi. Ironia della sorte, di fronte a Jasper. Ero alquanto infastidita dalla sua presenza, ma cercai di nascondere al meglio quell’emozione. Sentivo il suo sguardo su di me, pur non guardandolo. Rosalie abbozzò un sorriso guardando il mio piatto stracolmo di cibo. Improvvisamente però non avevo più molta fame…
“Sei davvero molto magra! Non si direbbe che mangi così tanto!” Mi soffermai per qualche secondo sui lineamenti del suo volto. Era davvero perfetta. Pelle diafana, due grandi occhi dorati contornati da lunghe e folte ciglia, naso dritto e labbra carnose e scarlatte. Aveva un fisico che avrebbe fatto invidia alle modelle più famose e, aveva un modo di muoversi aggraziato e sensuale.
Sorrisi abbassando lo sguardo sul piatto “Beh, non ne ho idea! Ho sempre mangiato ciò che mi andava.” Al mio fianco, Reneesme si era letteralmente fiondata sul cibo, mentre i suoi fratelli, nonostante avessero i piatti colmi non accennavano ad assaggiare nulla. Vidi Edward sbuffare e alzare gli occhi al cielo “Non li sopporto più!” Lo guardai interrogativa e lui mi fece cenno di voltarmi.
Tutta la mensa era completamente girata nella nostra direzione. Erano alquanto fastidiosi.
Inarcai un sopracciglio. “A quanto pare, sedendomi con voi, gli sto dando vari argomenti su cui spettegolare!” Bella sbuffò stizzita “Non hanno mai smesso di parlare di noi!” Arrossii abbassando lo sguardo. Ripensai al fatto che soltanto il giorno prima, a pochi tavoli di distanza, avevo preso parte alla loro presentazione indiretta. Edward mi sorrise.
“Beh! Almeno ora hanno qualcosa di nuovo su cui ricamare.” Era stato Jasper a parlare, con un tono ironico. Alzai gli occhi su di lui e notai, con mia grande sorpresa, che non mi aveva tolto gli occhi di dosso. Abbassai immediatamente lo sguardo, ero ancora in collera con lui. Non sopportavo l’idea che potesse cambiare umore così facilmente da un momento all’altro.
Suonò la campanella, ridestandomi. “Bene! Sbrighiamoci Rose, abbiamo trigonometria e lo sai quanto è pignola la prof! Folletto spero di pranzare di nuovo con te” Emmett si alzò trascinando Rosalie con lui. Eccone un altro che mi chiamava in quel modo! Anche gli altri mi salutarono allegramente e sgattaiolarono verso le loro prossime lezioni. Jasper rimase lì. Ancora a scrutarmi. Feci finta di niente e mi avviai verso la palestra, pronta ad affrontare l’ora di ginnastica.
Feci soltanto qualche metro prima che la sua mano non mi bloccò per il braccio. Fui costretta a voltarmi, mio malgrado, guardandolo negli occhi. “Sei arrabbiata!” Affermò sicuro. Non ci vidi più “No Jasper! Io sono furiosa! Furiosa con me stessa per averti permesso di trattarmi in quel modo! Non so chi tu ti creda di essere ma se pensi che mi farò mettere i piedi in testa, sbagli di grosso! I tuoi fratelli sono simpatici ma non voglio avere nulla a che fare con te!” Lacrime traditrici scesero sulle mie guance. Le asciugai in fretta. Non dovevo mostrarmi debole. Lui sembrava dispiaciuto, aveva la testa bassa ma non mollava la presa sul mio braccio. “Mi dispiace! Non ero in me. Ho dei problemi di autocontrollo, non voglio farti del male! Ti prego, perdonami!” Guardava in basso, aveva profonde occhiaie violacee che rendevano quel viso perfetto molto sexy e tremendamente abbattuto. Mi morsi il labbro. “Io…” Non feci in tempo a finire la frase che la voce di Ben arrivò alle mie spalle “Alice! Ti stiamo aspettando!” Urlò dalla porta della palestra.
Tenevo gli occhi fissi su Jasper che trattenne a stento un ringhio alla vista del mio amico. Non riuscivo ad interpretare quello sguardo ma sembrava stesse soffrendo per qualcosa. Mi sentivo tremendamente in colpa. Fece per andarsene quando, stavolta fui io a bloccarlo “Ti perdono! Non so per quale motivo, ma mi fa stare male non farlo.” Sorrise amaramente. “Ma non azzardarti a farlo mai più!” Sibilai.
E con un sorriso soddisfatto se ne andò.
 
Finalmente, anche quella giornata era finita. Decisi di fare una sorpresa alla zia, preparandole la cena.
“Oh, Alice non dovevi!” Sembrava commossa da quel gesto “L’ho fatto con piacere e poi, è giusto che collabori.”
Cenammo tranquille parlando del più e del meno. “Parlami dei tuoi compagni di scuola. Ci sono ragazzi carini?” Sorrisi “Beh, sai sono soltanto al secondo giorno; perciò, non saprei dire…” Arrossii abbassando lo sguardo “Ah, ah! Sei arrossita! Questo significa che c’è qualcuno che ti piace!” Al diavolo la perspicacia di mia zia. “Sì! Ma non sono sicura di piacergli. Si comporta in modo strano… Mi evita… Poi mi fissa…” Alzò gli occhi al cielo “Oh, sciocchezze! Chi è?” Sospirai “Jasper Hale.” Sembrò pensarci su “Il figlio dei Cullen?” Annuii “Ho visto i ragazzi di sfuggita un paio d’anni fa. Ho venduto casa a Carlisle quando si sono trasferiti. Davvero una bella casa quella. Peccato così fuori mano…” “Zia!” “Oh, sì, scusami mi sono fatta prendere dai ricordi. Comunque, ricordo che erano proprio una bella famiglia. Nonostante siano stati tutti adottati sono tutti e cinque dei ragazzi bellissimi. È davvero stupefacente come Carlisle e sua moglie, a soli trenta anni, possano aver avuto il coraggio di adottare cinque adolescenti! Non che li stia giudicando. Io ho te, quindi…” Le parole di mia zia mi stupirono “Davvero sono così giovani?” Annuì “Sì. La moglie di Carlisle, Esme, anni fa si ammalò di cancro alle ovaie. Così hanno dovuto asportarle l’utero. Povera cara. Desiderava una famiglia a tal punto da adottare degli adolescenti!” Ero senza parole. Al pensiero di quella donna così giovane, che vedeva sfumare il suo sogno di diventare madre, mi intristii. Pensai a quanto fossero stati fortunati quei cinque adolescenti ad essere stati così voluti da quella giovane coppia. La zia mi riscosse da quei pensieri “Tesoro, è tardi, perché non vai a riposare? Ci penso io a riordinare qui.” Annuii. Le baciai una guancia e andai al piano di sopra.
Quella sera mi addormentai, con la certezza di sognare Jasper. Un’altra volta. Sperando con tutto il cuore che il mio sogno si avverasse.
 
 
Jasper’s Pov
Mi trovavo nella solitudine della mia camera, perso nei miei pensieri. Da quando l’avevo vista, non riuscivo più a smettere di pensare a lei. Durante letteratura poi, sentivo quell’odore così dolce del suo sangue, a quella vicinanza. La mia gola bruciava come se all’interno ci fosse stato un ferro incandescente. Nonostante fossero passati più di settant’anni dal mio nuovo stile di vita da vegetariano, il sangue umano non mi era ancora indifferente. La maggior parte delle volte riuscivo a controllarmi, sentivo giusto un leggero fastidio. Ma il suo sangue era un richiamo troppo forte per me. Non l’avevo mai sentito così forte prima. Ne ero attratto sì, ma non avevo mai avuto così tanta voglia di togliere la vita a un essere umano come l’avevo con lei. Edward doveva aver ascoltato i miei pensieri, perché mi raggiunse “Ehi Jazz! Vieni a caccia con me?” Gli rivolsi un sorriso amaro e annuii. Aveva paura di quello che avrei potuto fare l’indomani a scuola.
Iniziammo a correre nel bosco, abbandonandoci all’istinto della caccia. Ero concentrato sui vari odori intorno a me, quando lo sentii. Era dolce, forte. Un orso, senza dubbio. Mi leccai le labbra, pregustando quel dolce pasto. Mi avventai veloce su di lui e lo azzannai al collo prosciugandolo di quella sua essenza vitale finché non ne rimase nulla. L’orso bastò a placare la mia sete. Per il momento almeno. Giusto fino a quando non l’avrei rivista. Perché sapevo che vicino a lei, non avevo scampo.
“Fratello. Tutto ok?” Edward sembrava capirmi più degli altri. Non perché riuscisse a leggermi la mente, semplicemente perché c’era passato, con Bella. “No! Sai bene che questa mattina stavo per non rispondere di me!” Ringhiai frustrato. Mi posò una mano sulla spalla “Sentivo che la deludevo, sentivo la sua rabbia come se fosse stata la mia. Eppure, non potevo fare altro, se non allontanarla. E più si allontanava da me, più ne soffrivo! Sto impazzendo!”
“E’ la tua Cantante, Jazz! È colei che aspettavi da oltre duecento anni. Sento il tuo bisogno di protezione verso di lei, come sento quanto ti costi starle accanto. Ma non riesci a fare a meno di lei.” Se avessi potuto piangere, l’avrei fatto. “Non posso! Io sono l’essere più rivoltante della terra! Lei non può stare con me!”
“Smettila di vederti come il mostro che non sei! Sai bene che solo tu riusciresti a proteggerla completamente. Datti una possibilità, Jazz! Meriti di essere felice.”
Sparì nella foresta. Forse Edward aveva ragione. Forse avrei dovuto darmi una possibilità. Avrei dovuto mettere da parte la mia voglia di ucciderla per starle vicino. In fondo, lui c’era riuscito con Bella.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Buonasera a tutte,
questa storia è il risultato del mio immenso amore per questa coppia, è la prima volta che mi cimento in un’impresa del genere e vi ringrazio molto anche solo per la lettura del primo capitolo.
Non mi aspettavo tutti questi risultati positivi, questo mi spinge a continuare e fare sempre meglio. Se vi va fatemi sapere cosa vi piace e, soprattutto, cosa devo migliorare.
Vi lascio al terzo capitolo e vi auguro una buona lettura.

 
 
 

Capitolo 3
Jasper’s POV
Erano passati tre giorni da quando avevo visto Alice per l’ultima volta.
Da tre giorni il sole splendeva alto sulla città di Forks, confinandoci in casa fino al tramonto. Avevo cacciato più di quanto ne avessi realmente bisogno, almeno quando sarei tornato a scuola, non avrei avuto molti problemi con la sete.
Ero intento a leggere, mentre Ed suonava il piano per Bella, Rose ed Emmett erano rinchiusi da qualche parte ed Esme e Carlisle progettavano la costruzione di uno chalet in Alaska. Reneesme era con Jacob da qualche parte nella riserva.
Non era necessario il mio potere per percepire la serenità che emanava la nostra casa al momento. Erano tutti felici e soddisfatti delle loro esistenze. L’unica nota stonata in quella bolla d’amore e tenerezza ero io. Edward si voltò a guardarmi storto, pur non smettendo di suonare. Alzai gli occhi al cielo e mi alzai.
Ormai il tramonto era vicino, così, decisi di andare a fare un giro con la mia moto. Iniziai a vagare senza metà, senza accorgermi del tempo che passava. Semplicemente, correvo.
Un odore familiare arrestò la mia corsa. Un odore dolce, succulento, in grado di farmi bruciare la gola all’istante. Lo avrei riconosciuto tra mille. Quel sangue cantava per me, il richiamo era potente. Mi accorsi di essere arrivato a Seattle. Parcheggiai e proseguii a piedi.
Cominciai a concentrarmi sulle emozioni intorno a me. Felicità, ansia, preoccupazione, paura, eccitazione e ancora paura…
Mi diressi verso quell’odore che più mi attraeva, man mano che mi avvicinavo, la paura che avevo avvertito si faceva sempre più forte e, con lui, l’eccitazione.
Senza pensarci due volte svoltai l’angolo e la scena che mi si presentò davanti fece sì che la mia bocca si riempisse di veleno. E un ringhio uscì dalle mie labbra.
Alice era lì che cercava di respingere il suo aggressore che le teneva i polsi e aveva iniziato a toccarla lì dove il suo corpo era più sensibile, più intimo, sul volto un ghigno di eccitazione che si rifletteva sul cavallo dei pantaloni. Lei urlava, ma quel vicolo era troppo isolato perché qualcuno la sentisse. Avevo riconosciuto l’odore nauseabondo dell’aggressore e questo mi fece scattare immediatamente nella sua direzione. Lo presi per il collo sollevandolo da terra, gli occhi spaventati di Newton riflettevano le sue emozioni. “Dammi una buona ragione per non staccarti la testa, Newton!” Faceva fatica a respirare, mentre le mie dita si chiusero e sentì uno scricchiolio. Sgranò gli occhi a quel rumore. Ero furioso! Non l’avrei lasciato. Meritava di morire. Stava per ferire Alice, nulla contava di più.
“J-Jasper.” La sua voce era un sussurro. Mi voltai a guardarla, non lasciando la presa sul collo di Ben, le lacrime scendevano copiose sulle sue guance, “Lascialo. Così lo uccidi. Non ne vale la pena.” I suoi meravigliosi occhi blu ora erano illuminati dalla luce fioca del lampione che rifletteva dalla strada principale, le si leggeva chiara la speranza. Mi stava chiedendo di lasciarlo andare. Abbassai lo sguardo e, rivolgendomi alla feccia che avevo tra le mani sibilai “Sappi che non ti renderò la vita facile, prova soltanto a pensare di sfiorarla ancora e ti verrò a cercare, e ti farò soffrire così tanto che rimpiangerai di non essere morto oggi!” Lo posai a terra, cadde ma si rialzò in fretta iniziando a respirare regolarmente “Vattene! Prima che cambi idea!” Spaventato iniziò a correre, fino a sparire.
Restai immobile per qualche secondo, a fissare l’asfalto. “Jasper?” Sentivo il suo cuore riprendere il suo battito regolare, mi posò una mano sul braccio. La guardai. “Dimmi che stai bene, ti prego.” Avrei voluto piangere. Volevo essere umano per rannicchiarmi insieme a lei e piangere fino ad addormentarmi.
Abbozzò un sorriso, solo in quel momento mi accorsi del suo cambiamento. Aveva tagliato la sua lunga chioma di capelli corvini, ora erano molto corti, in un caschetto spettinato che le davano un’aria sbarazzina, da folletto. Era bellissima. “Sto bene. Grazie a te.” Lo sentivo. Emanava sollievo, gioia, sicurezza. Era al sicuro. Di slancio mi abbracciò. In quel momento ero completamente sopraffatto da quelle emozioni, come fossi io a provarle. Il richiamo del suo sangue passava in secondo piano. Sentivo che sarei potuto rimanere così per il resto dell’eternità.
Sciolsi l’abbraccio quando sentii un brontolio provenire dal suo stomaco. Arrossì “Scusami.” Le alzai il mento con due dita e sorrisi dolcemente “Non devi scusarti con me, piccola.” Le accarezzai una guancia, asciugandole le lacrime “Vieni! Andiamo a mangiare qualcosa.” Una felicità improvvisa le fece aumentare i battiti cardiaci. Sorrise, coinvolgendo i suoi meravigliosi occhi “In effetti, dovrei proprio mangiare qualcosa.”
La presi per mano e insieme raggiungemmo la moto.
Alla vista del mio mezzo di trasporto, sbiancò e avvertii un moto di ansia in lei. Sorrisi divertito “Non mi sembri molto contenta del mio mezzo di trasporto. Hai paura?” Deglutì rumorosamente e arrossì “P-paura? N-no, è che non mi fido molto dei mezzi a due ruote.” Ecco! Ora volevo disperatamente baciarla. “Non permetterò che ti accada niente. Fidati di me.” Le sussurrai roco. Le passai il casco, poi notai che aveva un misero giubbotto di jeans, non molto caldo.
Mi tolsi il cappotto e glielo porsi. “Metti questo! Avrai freddo.” Lo prese e, mentre lo indossava, mi guardò scettica. “Ma tu prenderai freddo! E se ti ammalassi?” Scoppiai in una sonora risata, “Tranquilla. Non mi ammalerò.”
Una volta seduta, mi avvolse le braccia attorno ai fianchi, in una presa stretta. Trattenni una risata, avvertendo il suo disagio, e sfrecciai per le strade di Seattle a velocità sostenuta. Non volevo spaventarla. Volevo che si fidasse di me.
Parcheggiai davanti a un ristorante italiano. Rimase per qualche secondo immobile, senza sciogliere l’abbraccio. Aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo.
Le accarezzai il ginocchio, ridestandola. Aprì gli occhi di scatto “Siamo arrivati?” Risi. “Si. Siamo arrivati. La tortura è finita. Per il momento.” Sbuffò, alzando gli occhi al cielo “Non potevi venire in macchina a salvarmi?”
“Mi dispiace! Avevo deciso di fare un giro. Non era previsto il salvataggio di una donzella.” Scese dalla moto, sfilandosi il casco, mi regalò un sorriso dolce, mentre si sistemava i capelli guardandosi allo specchietto. “Sei bellissima.” Sussurrai alle sue spalle. La vidi arrossire per l’imbarazzo. “Grazie. Anche tu sei molto bello.” Avrei tanto voluto dirle che la mia bellezza è una finzione. Un’attrazione per le mie prede. La sua invece era una bellezza vera, pura, senza filtri. Trasalii.
Entrammo al ristorante e la ragazza ci fece accomodare ad un tavolo laterale, la ringraziai mentalmente per la scelta, almeno avremmo potuto parlare tranquilli. Sentivo la sua indecisione. Voleva chiedermi qualcosa. Come biasimarla.
Arrivò un’altra cameriera “Vi lascio i menu, quando siete pronti fatemi un cenno.” Ringraziai e se ne andò. Alice non era interessata molto alla lettura del menu, perché mi stava guardando mordendosi il labbro inferiore.
“Chiedimi ciò che vuoi.” Esordii. Sentivo la sua agitazione, così decisi di calmarla con il mio potere.
“Oh, beh, volevo chiederti come facevi a sapere che ero lì?” Aggrottai la fronte. “In realtà non lo sapevo. Camminavo, poi ti sentita urlare e mi sono preoccupato.” Mezza verità. La scelta migliore. Peccato non averla convinta. “Impossibile! La tua moto era parcheggiata a due isolati di distanza! Non fraintendermi, sono felice che tu mi abbia trovata ma, cosa sei una specie di supereroe?” Scoppiai a ridere alla sua bizzarra deduzione. Chiamai la cameriera, in modo da distrarla. Mi guardò torva. “Cosa vi porto?” Guardai Alice interrogativo. Sbuffò “Per me un piatto di spaghetti. Decida lei come, tanto è uguale! Da bere solo acqua, grazie.” Era infastidita per qualcosa. La cameriera si rivolse a me con fare civettuolo “Per te invece? Posso consigliarti la specialità della casa?”
“No, grazie. Per me niente.” Provò a replicare “Sicuro? Abbiamo un’ampia scelta e se vuoi posso…” la interruppi “No! Grazie.” Imbarazzata, abbassò la testa e se ne andò.
Alice aveva cambiato stato d’animo, non provava più fastidio ma soddisfazione. Non riuscivo a capire a cosa fosse dovuto il suo cambiamento d’umore ma, quando vidi la cameriera portarci l’acqua in silenzio, con lo sguardo basso, capii.
Purtroppo per me, il folletto era tenace, non avrebbe mollato senza delle risposte. Giocai d’anticipo “Posso chiederti, invece, cosa ci facevi tu a Seattle insieme a Ben Newton?” Era sorpresa, non si aspettava la mia domanda. “Mi aveva chiesto di uscire più di una volta in questi due giorni, così ho deciso di accettare. Era troppo snervante, se non avessi accettato mi avrebbe perseguitata. Ora non si avvicinerà più!” “Felice di esserti stato di aiuto allora.” Mormorai sarcastico. Non riuscivo a credere che avesse accettato di uscire con quel tizio. Non sopportavo l’idea che quel tizio avesse fantasticato su di lei.
Mi prese una mano tra le sue, costringendomi a guardarla “Trovo estremamente bello il fatto che tu stavi lì. Non prendermi per pazza ma, sinceramente, avevo sognato che ci fossi stato. Ho accettato l’invito di Ben anche per questo motivo.” Non riuscivo a credere a ciò che avevo appena sentito “Che significa che l’hai sognato?” Abbassò lo sguardo, imbarazzata “Beh…io…faccio dei sogni premonitori. Da qualche anno ormai. La scena nel vicolo, in realtà, l’avevo già vissuta. Ho accettato di uscire con Ben perché sapevo che ti avrei rivisto.” La ascoltai in silenzio, non sapevo se sentirmi compiaciuto per quello che mi aveva appena confessato, oppure arrabbiato per il fatto che aveva rischiato uno stupro soltanto per seguire un sogno. “Ti prego non guardarmi come se fossi pazza!” Scoppiai “Ti rendi conto di cosa hai rischiato? Non m’importa di quanto siano attendibili i tuoi sogni, non puoi metterti nei guai di proposito soltanto perché hai sognato che ne saresti uscita in tempo!” Mi passai una mano tra i capelli, disperato. Notai con la coda dell’occhio che aveva lo sguardo basso. Rimanemmo in silenzio.
La cameriera le portò il suo piatto di spaghetti. Prima che iniziasse a mangiare, posò una mano sul mio braccio “Mi perdoni?” Fissai gli occhi nei suoi. Mi sciolsi. La rabbia provata fino a pochi secondi prima, scemò. “Certo che ti perdono! Ma ora mangia!” La vidi sorridere soddisfatta e iniziò a mangiare.
La verità era che le avrei perdonato qualsiasi cosa, perfino le cose non ancora compiute. Non avevo altra scelta.
“Sono davvero ottimi! Sei sicuro di non avere fame? Se vuoi li possiamo dividere.” Risi e scossi la testa “No, davvero. Ho mangiato prima di venire qui.”
Una volta assicuratomi che avesse cenato, pagai e l’accompagnai a casa.
Il tragitto verso casa sua fu tranquillo. Sembrò aver preso confidenza con la moto, o almeno, tenne gli occhi aperti. Adoravo sentire il suo corpicino premuto al mio mentre mi teneva stretto.
Nonostante andassi piano per non spaventarla, arrivammo davanti casa sua fin troppo presto.
Scese dalla moto porgendomi il casco. “Grazie per la splendida serata.” Stava per togliersi il mio cappotto, la fermai “Tienilo.” Mi guardò imbarazzata “Ma io sono arrivata, mentre tu dovrai ancora fare molta strada per tornare a casa…” la interruppi posandole un dito sulle labbra “Non mi serve.” Il rossore sembrava non accennare a sparire dalle sue guance, ma ora sentivo la sua indecisione forte “Qualsiasi cosa tu voglia dire o fare, falla.” Ora era stupita dalla mia affermazione. Si avvicinò piano e, mettendosi in punta di piedi mi baciò una guancia. “Buonanotte mio salvatore.” Le sue labbra lasciarono una scia di fuoco sulla mia pelle di ghiaccio. Sorrisi dolcemente “Sogni d’oro mia dolce bambolina.”
La vidi allontanarsi, aveva una camminata così aggraziata che sembrava stesse danzando. Misi in moto e iniziai a guidare verso casa con un sorriso da ebete stampato sul viso.
 
Tornato a casa, trovai Bella che leggeva Cime Tempestose a Nessie. Dal silenzio che governava la casa, dedussi che, a parte loro, non c’era nessuno.
Reneesme, quando mi vide, mi corse incontro abbracciandomi “Zio Jazz!”
“Ciao tesoro! Com’è andata con Jake? Hai passato una bella giornata?” Le sue emozioni erano un uragano di positività e gioia immensa. Quando stavo vicino a Reneesme ne ero completamente assorbito, contagiato da quella gioia, come se la provassi in prima persona. Adoravo mia nipote.
“Sì. Guarda! Mi ha regalato questo!” Alzò il braccio sotto i miei occhi, al polso aveva un bracciale in oro bianco con un ciondolo che ritraeva un lupo che ululava. Sorrisi dolcemente. “E’ davvero bello!” Si girò compiaciuta verso sua madre che scuoteva la testa e alzava gli occhi al cielo “Non dico che non è bello… è troppo presto per questi regali importanti!” Nessie sbuffò, così decisi di intervenire “Bella, sono cinque anni che stanno insieme! Tu ti sei sposata con Ed dopo due.”
“Ma che c’entra! È diverso!”
“Oh, andiamo mamma! In cosa dovrebbe essere diverso spiegami!” Replicò Nessie stizzita
“Tanto per cominciare io ero maggiorenne!”
“Beh, tra una settimana lo sarò anch’io!”
Decisi di salire in camera mia prima che mi mettessero in mezzo.
Mi sdraiai supino sul letto. Avrei voluto tanto addormentarmi per poter sognare quel folletto dagli occhi blu, ma purtroppo nella mia natura di mostro non era possibile, così, ripercorsi mentalmente la serata passata con lei, fino al bacio innocente che mi aveva dato davanti casa sua.
Nella mia lunga esistenza non avevo mai provato nulla del genere.
Non vedevo l’ora di rivederla.
 
Alice’s POV
Quella mattina mi svegliai con una nuova consapevolezza: non vedevo l’ora di vedere quel magnifico ragazzo dagli occhi d’ambra.
Non avevo avuto sogni quella notte. Avevo dormito come un sasso, svegliandomi prima che suonasse la sveglia.
Mi diressi alla cabina armadio e scelsi con cura i vestiti che avrei indossato, volevo che mi vedesse al meglio.
Ne uscii con una gonna a pieghe in tartan rosso e blu che arrivava poco sopra il ginocchio, una t-shirt blu e degli stivaletti del medesimo colore. Saltellai sul posto felice di quello che vedevo.
Raggiunsi la zia in cucina “Buongiorno zia!” Salutai con un bacio mentre lei mi squadrava dalla testa ai piedi “Wow! Quanta eleganza! Dimmi: c’entra qualcosa il biondino che aspetta qui davanti?” Raggelai. Raggiunsi la finestra e sbirciai fuori.
Jasper era lì, appoggiato al cofano di una Mercedes nera, con le mani affondate nelle tasche, una posizione che mi fece mordere il labbro inferiore. Sorrisi compiaciuta prima di rispondere “Forse…” la zia mi guardò di sottecchi “Bene! Me lo farai conoscere?” Sbarrai gli occhi “Zia!!!” e lei rise alzando le mani in segno di resa “Ok, ok, afferrato! Solo, fai attenzione.”
“Grazie zia.” Le scoccai un bacio e, dopo un’ultima occhiata allo specchio, mi precipitai fuori.
Uscii di casa e lo vidi. Era bello come un dio. I capelli leonini spettinati ricadevano sul viso, indossava un maglioncino grigio che lasciava intravedere i muscoli delle braccia e gli addominali e dei pantaloni blu aderenti sulle cosce tornite e perfette. Mi avvicinai, prese la mia mano portandosela alle labbra in un lieve inchino. Il mio cuore sembrava voler uscire dal petto a quel gesto così all’antica ma, allo stesso tempo, così romantico.
“Mi hai fatto aspettare parecchio!” La sua voce era una dolce musica per le mie orecchie, non avrei voluto far altro che ascoltarla all’infinito. Sorrisi.
“Mi dispiace tanto! A mia discolpa posso dire che non sapevo mi stessi aspettando.” Le sue labbra si aprirono in un sorriso sghembo che toglieva il fiato.
“Ho soltanto pensato ti facesse piacere un passaggio, ma se vuoi vado via…” “No! Mi piacerebbe venire a scuola con te.”
“Il piacere è mio. Prego, Sali.” Mi aprì lo sportello come solo un gentiluomo sapeva fare, e mi accomodai. Prese posto anche lui e partimmo. Mi incantai a guardarlo mentre guidava. Evidentemente se ne accorse perché gli scappò un risolino soddisfatto e si fissò gli occhi nei miei. Distolsi subito lo sguardo, imbarazzata. “Scusami, i-io non volevo… metterti a disagio…” Mi prese una mano, costringendomi a guardarlo “Non mi sento a disagio. Non scusarti.”
Mi sembrarono passati solo pochi secondi, invece, eravamo già nel parcheggio della scuola, dove tutti ci guardavano curiosi. La mia irritazione era palese ma, non so spiegare come, a un certo punto mi sentii invadere da una calma quasi anestetizzante. Si avvicinò di poco per sussurrarmi all’orecchio “Pronta?” Annuii, incapace di dire altro, così, scese dalla macchina e venne ad aprirmi la portiera.
Avevamo tutti gli occhi addosso, così, Jasper mi prese per mano e camminammo verso l’entrata della scuola, creandoci un varco tra i vari studenti curiosi.
Alla prima avevo trigonometria, il che significava che ci saremmo dovuti separare. Jasper mi accompagnò a lezione “A dopo bambolina.” Mi baciò la guancia e s’incamminò verso la sua aula.
Rimasi qualche secondo a guardarlo mentre andava via, finché non sparì dalla mia visuale, allora, decisi di prendere posto e cercare di concentrarmi sulla lezione.
Purtroppo, però, il mio cervello non ne voleva sapere di concentrarsi, preferiva di gran lunga fantasticare su Jasper.
La campanella suonò, ed io me ne accorsi soltanto perché vidi la classe svuotarsi.
Stavo sistemando le mie cose quando un ragazzo biondo, dall’aria familiare, richiamò la mia attenzione “Ciao Alice! Sono Nathan, ti ricordi? Abbiamo pranzato insieme il tuo primo giorno.”
“Ciao Nathan! Sì, ora ricordo. Cosa posso fare per te?” Gli sorrisi gentilmente, avvertendo il suo imbarazzo, cercando di metterlo a proprio agio. “Sai, tra un mese ci sarà il ballo di primavera così, io… ecco… volevo chiederti se ti facesse piacere venirci con me…” Il ballo! Non vedevo l’ora di parteciparvi, adoravo questo genere di eventi, ma Nathan non era la persona con la quale avrei voluto fare quell’esperienza.
“Mi dispiace Nathan, ma, ecco, io ho già un accompagnatore per il ballo…” Sembrò stupito della mia risposta “Oh… allora scusami non sapevo fossi impegnata. Sarà per la prossima volta… Ciao!”
Salutai con un cenno. Una volta uscito dalla classe, sospirai di sollievo e mi diressi anch’io all’uscita.
Fuori dall’aula, in tutto il suo splendore, trovai Jasper ad aspettarmi, con la fronte aggrottata e un’espressione indecifrabile sul viso. Sorrisi a trentadue denti alla sua vista, e lui parve rilassarsi. “Ciao! Non pensavo mi stessi aspettando.” Si voltò a guardarmi “Non vuoi?” Quel ragazzo era decisamente paranoico. Sorrisi e gli strinsi la mano. “Assolutamente sì. Speravo di trovarti qui fuori.” Sorrise amaramente.
La prossima lezione era letteratura, quindi saremo stati insieme per ben due ore. Raggiungemmo la classe e prendemmo posto in quello che ormai era diventato il nostro banco. Non avevo un bel ricordo di quel posto, visto come mi aveva trattata l’ultima volta proprio durante la lezione di letteratura, ma ora, sembrava che fosse passato un secolo da quel giorno, talmente erano diverse le cose tra noi.
“Hai davvero un accompagnatore per il ballo o era una scusa per non andarci con lui?” Mi voltai di scatto verso di lui, notando la sua espressione stizzita. Trattenni una risata “E tu come fai a saperlo?” Abbassò lo sguardo facendo finta di concentrarsi sulla pagina davanti a lui “Potrei aver ascoltato la conversazione per caso…” Decisi di provocarlo “Se ti fa stare meglio, era una scusa…” voltò di scatto la testa, incollando i suoi occhi nei miei. Il mio cuore perse un battito. Rimase in silenzio, mi voltai ad ascoltare il professore, cercando di distrarmi da quello sguardo.
“Se te lo chiedessi, con me verresti?” Sorrisi. Non avrei voluto andare che con lui a quel ballo, ma decisi di tenerlo un po' sulle spine…
“Diciamo che se tu me lo chiedessi… potrei pensarci su…” abbozzò un sorriso e, scuotendo la testa, si concentrò sulla lezione.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Alice’s POV

Era passata una settimana da quando Jasper mi aveva salvata dalle mani di Ben. Una settimana che veniva a prendermi tutte le mattine per accompagnarmi a scuola, per poi riaccompagnarmi a casa.
Incontravamo Ben raramente a scuola, aveva cambiato gli orari delle lezioni che coincidevano con i miei. A mensa, ormai, sedevo sempre con i Cullen, avevo legato molto con le ragazze, in particolare con Bella. Si vestiva alquanto male ma avevo imparato a volerle bene. Emmett non faceva altro che prendermi in giro per la mia molto bassa statura, beccandosi tutte le volte una gomitata da parte di Edward o Jasper.
Jasper, dal canto suo, continuava ad essermi “amico”. Si era mostrato interessato ma non riuscivo a capire fino a che punto. Non si esponeva, e io avevo troppa paura di un suo possibile rifiuto per poter fare qualche passo. Almeno saremmo rimasti amici. A volte mi sembrava di scorgere della gelosia nei suoi occhi quando qualcuno mi si avvicinava, ma era molto bravo a dissimulare e ricomporsi. Forse non gli piacevo quanto lui piaceva a me. Forse era il caso di interrompere quel circolo vizioso in cui mi ero addentrata.
Se solo smettesse di essere così tenero e dolce con me, avrei di certo potuto tenerlo alla larga più facilmente…
In quel periodo, le mie notti scorrevano tranquille, senza sogni. Da una parte mi sentivo sollevata, anche perché la maggior parte delle volte preannunciavano tragedie, ma dall’altra mi sentivo così terribilmente smarrita.
Grazie ai miei sogni riuscivo a farmi un’idea, anticipando gli eventi.
Lo avevo sognato mentre mi dichiarava il suo amore, ma, ahimè, quel sogno non si era avverato. Forse la mia mente fantasticava troppo su quel ragazzo.
Forse avrei dovuto rilassarmi e aspettare che le cose accadessero senza forzarle, come ero solita fare la maggior parte delle volte.
Eppure, sentivo che c’era qualcosa che non mi diceva. E, forse, quel qualcosa aveva a che fare con il fatto che non si esponesse più di tanto.
Forse era rimasto deluso da una sua storia precedente, quindi voleva andarci cauto. Mi sarebbe stato bene. In fondo, io non avevo mai avuto una vera e propria relazione con un ragazzo, non sapevo nemmeno come comportarmi per certi versi. Avevo dato il mio primo bacio a John, la sera in cui erano morti i miei genitori, davanti a un film romantico. Ma, dopo quell’evento isolato, non sapevo cosa comportasse legarsi a un’altra persona sentimentalmente, sicuramente lui aveva avuto più esperienze, quindi, inevitabilmente, aveva un bel termine di paragone.
Mi passai una mano tra i capelli, sbuffando. Quanto dovevo sembrargli stupida e inesperta!
Persa nei miei pensieri non mi resi conto di essere rimasta immersa nella vasca per più di un’ora, tanto da avere le dita raggrinzite.
Uscii dalla vasca e mi preparai per mettermi a letto.
 
Jasper’s POV

“Oh, andiamo! Emmett smettila di giocare con quel grizzly! Lo stai spaventando!” Emmett sapeva essere davvero infantile quando voleva. Cercai di calmare quell’orso per dargli una morte il più serena possibile.
Finalmente si decise ad addentarlo, mettendo fine alle sue sofferenze.
Deglutì soddisfatto mentre io mi accingevo a cacciare un puma. Succhiai avidamente il sangue della bestia fino a che non ricadde inerme ai miei piedi.
Da quando avevo deciso di stare a stretta vicinanza di Alice, andavo a caccia tutte le notti. Un po' mi aiutava ma la voglia di assaggiare il suo sangue era sempre presente. Fortunatamente lei riusciva a distrarmi, mi bastava guardarla negli occhi, ascoltare la sua risata che aveva il suono di mille campanellini e la mia voglia di mangiarla si assopiva improvvisamente, sostituta dalla voglia di averla solo per me.
“Sai, sono sicuro che lei non aspetta altro…” Edward! Smettila di intrometterti nei miei pensieri! Lo fissai torvo. “Scusa fratellino. Cercavo di darti una mano.” Sghignazzò mentre dava una gomitata ad Emmett. “Non è così semplice Ed. Sento anch’io cosa prova e mi uccide il fatto di non poter fare niente.”
“Ma smettila! Tu devi fare qualcosa. L’ho sentita farsi mille domande sul tuo comportamento! Crede di avere un problema perché il ragazzo che le piace non fa alcun passo avanti. Tu sai quanto è felice quando ti sta accanto, non rovinare tutto…” Era vero. Sentivo la sua felicità quando le sfioravo la mano o quando le mostravo attenzioni. Sapevo quanto le parole di Edward fossero giuste, ma non potevo rischiare di metterla in pericolo soltanto per egoismo. Lei l’avrebbe superata. Forse saremmo rimasti amici. “Al diavolo Jasper! Quando la smetterai di colpevolizzarti per quello che sei?”
“Ho ucciso Edward! Ho ucciso tante persone nel corso della mia lunga esistenza! Come faccio a non colpevolizzarmi? Sono un dannato mostro che non è capace a controllarsi e che potrebbe uccidere l’unica cosa bella che gli è capitata.” Emmett, che fino ad allora aveva ascoltato in silenzio, sbottò “Tutti abbiamo ucciso, Jasper! Viviamo in questo modo per evitare di fare del male alle persone. Non sentirti in colpa per il tuo passato. Non hai deciso tu di vivere quello che hai vissuto, non precluderti la possibilità di essere felice soltanto perché senti di non meritarlo!” Lo fissai intensamente negli occhi, frustrato. Mi passai una mano tra i capelli “Cosa dovrei fare secondo voi?” Edward si illuminò “Potresti cominciare col chiederle di uscire, fare le cose che fanno gli umani. So che le piace fare shopping, magari puoi accompagnarla.” Shopping! Io odiavo lo shopping! Avevo dei ricordi terrificanti di quelle volte che Rosalie e Nessie mi avevano coinvolto a fare shopping con loro…
Edward rise “Credimi, da quello che raccontano i suoi pensieri, quello che hai vissuto con Rose e Nessie è stato il paradiso.” Perfetto! Avevo giusto bisogno di un incentivo Ed! “Scommetto 100$ che la lascia lì e scappa.” Diedi un pugno a Emmett.
“Andata!” Asserì Ed con una stretta di mano al fratello orso. Sorrisi scuotendo la testa, mentre ci avvicinavamo a casa.
 
Alice’s POV

Era una giornata uggiosa. Una di quelle giornate in cui il cielo è talmente triste e barboso da metterti di cattivo umore. Eppure, io non ero mai stata più felice.
Ero in quella che sembrava una strada trafficata, piena di negozi, Jasper mi teneva la mano nella sua mentre passeggiavamo, mentre nell’altra portava alcune buste piene, segno che ci eravamo fermati a comprare qualcosa lungo la strada. Non smettevo di sorridere. Lui mi guardava trasognato “Sei felice.” Non era una domanda. Era come sopraffatto, incantato dal mio sorriso…


Driiiiin… No! Non ora! Volevo disperatamente sapere cosa accadeva dopo.
Ero elettrizzata dal sogno che stava pian piano svanendo dalla mia mente, lasciandomi quel piacevole torpore e reminiscenza di quello che avevo vissuto.
Non sapevo ancora come collocarlo nel tempo ma sapevo per certo che quel sogno sarebbe diventato realtà.
Mi alzai e iniziai a prepararmi per la scuola. Tra poco sarebbe passato a prendermi. Da circa una settimana la zia usciva molto presto per andare al lavoro, il che significava non dover dare spiegazioni sul fatto che passasse a prendermi tutti i giorni, ormai.
Una volta pronta, saltai giù a fare colazione. Mangiai la mia tazza di latte e cereali, sciacquai la tazza e la riposi sullo scolapiatti.
Sentii il rumore delle gomme che frenavano sull’asfalto, sbirciai alla finestra e lo vidi.
Il mio cuore prese a battere all’impazzata. Non smetteva mai di farmi quell’effetto. Mi sentivo mancare tutte le volte che lo vedevo, eppure, ormai dovrei esserci abituata…
Infilai il cappotto di panno, presi la borsa e uscii richiudendo la porta. Lo guardai.
Mi aspettava nella sua posa preferita, appoggiato al cofano con le mani affondate nelle tasche. Sorrideva sghembo. Mi avvicinai. Ci scambiammo un bacio sulla guancia “Buongiorno piccola.” Sorrisi. Adoravo il tono che usava quando pronunciava “piccola”, era così dolce. “Buongiorno a te.” Mi aprì lo sportello e, dopo essere salita, prese posto accanto a me.
Percepivo un leggero nervosismo in lui. Potevo capirlo dal fatto che continuava ad affondare la mano in mezzo a quei boccoli biondi troppo spesso. Di solito lo faceva quando si trovava a disagio. Sperai che il motivo del suo disagio non fossi io. Si voltò di scatto a guardarmi “Sei in imbarazzo. Perché?” Trovai sconcertante il fatto che riusciva a capire che fossi imbarazzata in quel momento, credevo di averlo nascosto bene ma, evidentemente mi sbagliavo… A quanto pare ero un libro aperto per lui. “Scusa! Ho notato che sei teso, quindi… ecco… mi chiedevo se non c’entrassi qualcosa io…” Dannazione! Non riuscivo neanche a formulare una frase di senso compiuto ora. Sospirò “In realtà sì. Devo chiederti una cosa e…” S’interruppe, ma lo incoraggiai con un sorriso a continuare. Intanto il mio cuore fibrillava. “Ok, lo chiederò e basta! Tu però non sentirti in dovere di accettare se non vuoi. Non sei costretta… capirò se non vorrai…” Stavo impazzendo, avrei voluto che smettesse di blaterare “Per l’amor del cielo Jasper! Continua! Sto impazzendo!” Sorrise amaramente, parcheggiò al parcheggio della scuola e continuò voltandosi completamente verso di me “Vorrei chiederti se ti andrebbe di andare a Seattle dopo la scuola. Potremmo passeggiare e, se vorrai, potrai fare un giro per negozi e…” Non riuscivo a crederci! Il mio sogno si sarebbe avverato oggi! Non riuscivo più a contenere il mio cuore, sembrava volesse esplodermi nel petto. Non lo feci finire “Certo che mi va! Non vedo l’ora!” Con uno scatto mi lanciai al suo collo, abbracciandolo forte. Il suo profumo era irresistibile. Una droga. Lo sentii ricambiare l’abbraccio e poi irrigidirsi. Mi staccai, sentendo quel cambiamento, per guardarlo in faccia. Aveva un’espressione sofferente, stava trattenendo il respiro e i suoi bellissimi occhi dorati avevano fatto spazio a due pozze nere con delle occhiaie molto pronunciate che fino a quel momento non avevo notato. Rabbrividii. L’istinto mi suggeriva di scappare, ma non ne avevo il coraggio. Abbassò lo sguardo, sembrava che stesse combattendo con qualche demone interiore. “Scusami Alice! Mi dispiace tanto.” Restai interdetta per qualche secondo, poi allungai la mano a sfiorargli il ginocchio “Che cos’hai Jasper? Stai male! Stai trattenendo il respiro e i tuoi occhi…” Non riuscii a terminare la frase.
Alzò di nuovo lo sguardo verso di me “Hai paura…” Stavo per negare con il capo alla sua domanda, ma mi accorsi subito dopo che non era una domanda. Lui sapeva. “Non ti farò del male… fidati di me.” Lo disse in un sussurro.
Sapevo che potevo fidarmi di lui. Forse lo sapevo ancora prima di conoscerlo. Ma quello che avevo appena visto… Era in lotta con sé stesso per qualcosa. Avrei tanto voluto sapere cosa.
“Mi fido, Jasper! Ma devi dirmi la verità!” Il mio tono non ammetteva repliche, lui annuì “Un giorno saprai la verità. Te lo prometto. Ma fino a quel giorno, ti prego, fidati di me…” Annuii pensierosa. Non avrei potuto non fidarmi di lui, anche volendo.
Scendemmo dall’auto, raggiungendo i suoi fratelli che ci aspettavano all’entrata. Avevano delle espressioni indecifrabili, ma cercarono di non darlo a vedere e si mostrarono cortesi come sempre. “Ehi, Alice! Stai benissimo!” Reneesme mi abbracciò, spostandosi per ammirare il mio abbigliamento. Sorrisi. Notai che Edward e Jasper si scambiarono un’occhiata eloquente, come se riuscissero a parlarsi senza parlare. Edward si accorse del mio sguardo inquisitore, così mi rivolse un sorriso rassicurante ma era tangibile la sua preoccupazione “Come va folletto?”
“Oh, molto bene visto che ho appena saputo che mi aspetta un bel pomeriggio in giro per negozi!” Tornai ad essere la solita esuberante Alice. Eliminai la scena dell’auto dalla mia memoria e l’ansia lasciò il posto alla felicità.
Bella alzò gli occhi al cielo “Un’altra fissata con lo shopping.” Rosalie rise “Andiamo Bella! Sei l’unica ragazza a cui non piaccia lo shopping!” abbassò lo sguardo sull’orologio al polso ed esclamò “Emmett siamo in ritardo con algebra! Oggi c’è il test! Ci vediamo a mensa ragazzi!” Così sparirono in direzione dell’aula.
Era tardi anche per noi, quindi ci avviammo per le nostre aule. Non avevo nessuna lezione insieme a Jasper, quindi avrei dovuto aspettare di rivederlo a mensa. “A dopo.” Mi salutò e sparì insieme ad Edward, mentre io, Bella e Reneesme avevamo fisica.
Arrivati in classe, ci posizionammo all’ultima fila unendo due banchi in modo da poter stare vicine. Il professore era in ritardo così Reneesme poté farmi il terzo grado “Allora? Jasper odia lo shopping! Come l’hai convinto?” Bella le diede una gomitata. Aggrottai la fronte “Non ho dovuto convincerlo. Me l’ha chiesto lui.” Nessie spalancò gli occhi e Bella sorrise soddisfatta.
“Finalmente z…Jazz si è deciso a chiederti di uscire! Si vede che gli piaci!” Arrossii. “Anche se non è giusto! A me dice sempre di no quando gli chiedo di accompagnarmi!” S’imbronciò. Cercai di trattenere una risata, immaginando la scena.
“Evidentemente voleva accompagnarci qualcuno di speciale…” Esordì Bella, facendomi l’occhiolino. Sorrisi. Forse ero davvero speciale. Per questo mi chiedeva di fidarmi.
Il professore fece il suo ingresso scusandosi per il ritardo e iniziando la lezione. Spostai l’attenzione alla lezione, ma la mia mente vagava e cercava indizi riguardo cosa nascondesse Jasper.
 
Jasper’s POV

Il professore parlava, ma la mia mente era altrove. Ripensavo a cosa era successo nella mia auto poco prima. Ero così sopraffatto da quello che stava provando che quasi non mi ero reso conto.
Sentire il contatto della sua pelle calda contro di me era la sensazione più bella che avessi mai provato, ma è bastato un attimo. Sentire la giugulare che pulsava così vicino alle mie labbra, e quell’odore così dolce e irresistibile… avevo quasi perso il controllo. La sete era tornata. La gola ardeva.
La cosa peggiore era che lei sapeva che qualcosa non andava in me. Ma come avrei potuto continuare a fingere di essere un normale essere umano, se quando mi abbracciava avevo voglia di ucciderla?
“Ehi fratello! Va tutto bene…” Edward mi mise una mano sul braccio con fare comprensivo. Ero arrabbiato, anzi, furioso con me stesso! Un attimo prima lei aveva accettato di uscire con me e l’attimo dopo ero lì a trattenere il fiato per sopprimere l’istinto della caccia. Era frustrante. E come se non bastasse avrei dovuto darle delle spiegazioni plausibili per il mio comportamento. Sapevo che non si sarebbe accontentata di nulla se non della verità. Era testarda.
“Un giorno le dirai la verità… ci sono passato con Bella… vedrai che capirà…” Lo fissai torvo. E se non capisse? Se non vedesse altro che il mostro che sono e decidesse di non vedermi più?
“Lei prova qualcosa per te, Jazz! E tu sai meglio di chiunque che è così! Ci sono i presupposti affinché non vada così male…” Fissai le nuvole fuori dalla finestra, assorto.
Non mi sento ancora pronto a dirglielo! Edward annuì. “Glielo dirai quando sarai pronto… Hai tutto il nostro appoggio, fratello.” Sorrisi debolmente. Sapevo quanto i Cullen tenessero a me. Nonostante fossi con loro soltanto da sessant’anni, sentivo che eravamo una famiglia.
Le lezioni si susseguirono lente, sapevo di non avere nessuna lezione in sua compagnia, e questo fece sì che le ore scorressero ancora più lente.
L’ora di trigonometria era quasi finita, poi ci sarebbe stata la pausa pranzo.
Scattai dalla sedia tre secondi prima del suono della campanella, dirigendomi verso la sua classe per andare a mensa insieme.
Le occhiate che mi lanciavano le ragazze erano alquanto insopportabili. Mi infastidivano perciò mi mostravo spesso cupo e serio.
In due minuti ero davanti alla porta della sua aula, sentivo che parlava con il professore di alcuni argomenti affrontati durante la lezione, chiedendogli approfondimenti. Sul mio volto spuntò un sorriso spontaneo. Era così bella…
Uscì dall’aula e s’illuminò quando mi vide. Sperava di trovarmi lì e io non avevo deluso le sue aspettative. Mi si avvicinò e mi prese per mano. “Stai meglio!” Non era una domanda ma annuii.
Era strano. Era come se riuscisse a capire cosa mi passasse per la testa.
In silenzio raggiungemmo la mensa, la sua mano ancora nella mia. Avvertivo l’invidia, la gelosia e lo stupore della gente che ci guardava, istintivamente aumentai la stretta sulla sua mano.
Mi condusse insieme a lei al bancone, prese un piatto e lo riempì fino all’orlo. Trattenni una risata. Riempii il mio e, insieme prendemmo posto al nostro tavolo.
Nessie sembrava più elettrizzata del solito, la fissai interrogativo. Edward sbuffò, rispondendo alla mia domanda mentale “Ha appena scoperto che il ballo quest’anno è aperto anche a ragazzi o ragazze che non frequentano questa scuola, purché facciano da accompagnatori o accompagnatrici…” Sorrisi. Ora aveva senso. “Capisci? Potrà venire anche Jake!” La sua gioia mi travolse. Al contrario, Bella alzò gli occhi al cielo “Fantastico!” disse con sarcasmo. Emmett rise forte “Forza Bellina! Ci sarà da divertirsi!” Edward lo fulminò “Non è divertente Emm!”
“Non riuscite a smettere di parlare come se io non fossi presente? Jake è il mio ragazzo, prima o poi dovrete accettarlo!” Nessie si alzò stizzita e corse fuori. Edward e Bella la seguirono.
Accanto a me, sentii Alice confusa così decisi di dare qualche spiegazione “Jacob è il fidanzato di Nessie, vive nella riserva dei Quileute e frequenta la scuola lì. Come hai potuto intuire non piace molto ad Edward e Bella…”
“Beh, non credo siano affari loro!” Sbottò indignata. Emmett rise e Rosalie mi lanciò uno sguardo d’intesa. Di certo non avrei potuto dirle che Nessie era la dolce bambina diciassettenne di due eterni diciottenni, così abbozzai un sorriso “Hai ragione… sono decisamente troppo protettivi con lei. Reneesme è l’ultima arrivata nella nostra famiglia, si preoccupano…”
La campanella suonò così, l’accompagnai all’ultima lezione e mi diressi verso la mia.
Trovai Nessie seduta al nostro solito banco. Era ancora arrabbiata. Presi posto accanto a lei calmandola. Il suo sguardo assente si posò su di me e abbozzò un sorriso “E’ ingiusto quello che fai!” mi rimproverò bonariamente.
“Solo se serve a farti stare meglio, altrimenti è tutto inutile…” Spostò lo sguardo alla finestra “Non capisco quale sia il loro problema! Mamma lo conosce dall’infanzia, è praticamente parte della famiglia!” Ascoltai il suo sfogo mentre guardavo il professore. Sapevo che nessuno avrebbe potuto sentirci, i nostri erano sussurri impercettibili all’orecchio umano, ma la prudenza non era mai troppa.
“Tesoro, io credo che loro pensino a te come alla loro bambina, cresciuta troppo in fretta e catapultata in un mondo dove essere l’imprinting di un lupo sia l’unica maniera di esistere. Vorrebbero che la loro figlia vivesse una vita che più si avvicini al concetto di normalità…” Un risolino amaro uscì dalle sue labbra “Noi non abbiamo niente di normale, zio! Non dovremmo neanche mescolarci agli umani ed andare a scuola!” Sospirai. Aveva ragione. “Lo so. Ma tu hai qualcosa che noi non abbiamo… Una parte di te è umana, Ness! Tu non hai costantemente voglia di saltare al collo a qualcuno, potresti farlo, vivere come una normale ragazza di diciassette anni, avere degli amici, viaggiare, vivere da umana…” Mi fissò seria “Ma l’altra parte di me non lo è! E non m’importa di fare tutte queste cose se non ho chi amo al mio fianco.”
Come darle torto. Sorrisi, accarezzandole la guancia rosea “Non ascoltarli.” Lo stupore si fece largo sul suo viso, “Fa ciò che ti dice il cuore. In fondo hai l’eternità davanti, se Jacob ti rende felice non sprecare nemmeno un attimo dell’eternità…” Mi prese la mano, commossa “Non lo farò zio Jazz! Grazie!” Le sue emozioni tornarono a sopraffarmi positivamente.
Tornai a concentrarmi sulla lezione, non avevo ascoltato neanche una parola di quello che diceva il professore, in fondo erano cinquant’anni che i programmi dei licei erano sempre gli stessi. Sapevo già tutto ciò che dovevo sapere.
“Zio Jazz?” Mi voltai verso mia nipote
“Dimmi…” Mi guardò sorridente, ma sentivo l’indecisione farsi strada dentro di lei “Ness, non aver paura, puoi dirmi tutto, lo sai.” Si fece coraggio e parlò “Pensavo di organizzare la mia festa di compleanno sabato, posso chiedere ad Alice di venire?” Rabbrividii al pensiero di Alice in una casa addobbata a festa piena di vampiri, ma Nessie ci teneva quindi annuii, incerto.
Cercò di trattenersi ma era al settimo cielo, e non poteva certo nasconderlo a me. “Tranquillo zio, andrà tutto bene. Non c’è pericolo!” Mi lasciai trasportare dalla sua gioia finché non suonò la campanella e mi diressi verso l’uscita ad aspettare Alice.
Dopo un po' vidi i suoi capelli corvini fare capolino dietro due ragazze. Sul suo volto si aprì un grande sorriso imitato subito dal mio. Riuscivo a percepire chiara la sua eccitazione che, come sempre, divenne parte di me.
Si avvicinò prendendomi la mano e camminammo fino all’auto.
Si accomodò al posto del passeggero, presi posto anch’io e partimmo. Era agitata, quasi in ansia… “Tutto bene?” Arrossì annuendo “Sì è solo che non ho avuto molti appuntamenti, sono un po' nervosa…” Sorrisi rassicurante infondendole un po' di calma “Sta’ tranquilla… Sentiti libera di essere te stessa!” Fissò i suoi enormi occhi blu nei miei, con fare colpevole, facendo una smorfia “Non so se vuoi scoprire la vera me in una strada piena di negozi…” Scoppiai a ridere, passandomi una mano tra i capelli “Ad essere sincero, penso che mi piacerà!” Sorrise compiaciuta guardando fuori dal finestrino.
Mi ricordai della conversazione con Nessie “Alice…” Si voltò a guardarmi “Mh?”
“Reneesme vorrebbe invitarti alla sua festa di compleanno, sabato…” Alle parole “invitarti” e “festa” sentii la sua eccitazione crescere “Davvero? Mi piacerebbe molto! Allora dovrò trovare un vestito adatto!”
Ero completamente estasiato da quell’esemplare di donna che si trovava vicino a me. Non riuscivo a credere che un corpicino così piccolo riuscisse a contenere tutte quelle emozioni.
“Jasper?” La guardai incitandola a procedere “Voglio dirti che, qualsiasi cosa sia successa questa mattina… Sono qui quando ne vorrai parlare… Mi fido di te!” La decisione con cui pronunciò “mi fido di te!” fece sì che il mio cuore, ormai fermo, ebbe un sussulto. Avvertivo l’illusione di sentirlo battere di nuovo. Annuii, incapace di articolare una frase vera e propria.
Arrivammo a Seattle in un paio d’ore, parcheggiai e proseguimmo a piedi per la strada dei negozi.
Alice, a quella vista, sembrava una bambina che aveva appena ricevuto la sua bambola preferita il giorno di Natale. Non riusciva a contenere la sua gioia, che venne inevitabilmente proiettata su di me. Dal canto mio, non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Era così appagante vederla felice.
Passava da un negozio all’altro, provava dei capi, comprava quelli che le piacevano di più, il tutto con me che la seguivo e facevo da porta pacchi tra un negozio e l’altro. Era diverso dallo shopping con Rose e Nessie, mi rendevo conto che mi piaceva guardarla mentre sceglieva vestiti e mi piaceva guardarla mentre provava tutto ciò che attirava la sua attenzione. Era una dea. Le stava bene tutto. Ed io non potevo far altro che starmene lì, senza respirare, a guardarla.
Camminammo per le strade di Seattle ancora un po', mano nella mano, non riuscivo a distogliere lo sguardo da lei, adoravo quella nuova sensazione che provavo.
“Sei felice.” Le sussurrai roco. Sorrise a trentadue denti e annuì, “E’ senz’altro lo shopping migliore che abbia mai fatto!”
“Potrei dire lo stesso…” La sua risata mi scaldò il cuore. Si fermò, mi si avvicinò pericolosamente, smisi di respirare. Si alzò sulle punte, i nostri nasi erano vicini, sentivo il calore della sua pelle, il suo respiro soffiarmi sulla pelle, la gola bruciava, deglutii a vuoto. Non volevo rovinare quel momento. Jasper resisti! Eravamo quasi sul punto di baciarci quando, un suono alquanto fastidioso ci ridestò. Era il suo cellulare. “Scusa! È mia zia, non l’ho avvisata.” Rispose.
-Mary Alice Brandon dove diavolo sei? – La vidi allontanare il telefono dall’orecchio con fare teatrale “Scusa zia! Sono a Seattle a fare shopping.”
-Per quale motivo non mi hai avvisata? Con chi sei? – Trasalì
“Emh… Con Jasper… Scusami, siamo venuti qui dopo la scuola, non ho avuto il tempo di chiamarti…”
-Non mi interessa dovevi trovare il tempo per avvisarmi! Sappi che esigo che torni prima di cena e, ovviamente, sei in punizione! – La vidi sbuffare “Va bene zia…” e attaccò. “Mmh… direi che è ora di rientrare…” Le sorrisi rassicurante.
“Già…” Aggrottò la fronte. Gettai uno sguardo all’orologio, era quasi ora di cena ma, sarei riuscito a rispettare l’orario. “Andiamo!” Le presi la mano, conducendola verso l’auto.
Il viaggio trascorse in silenzio, sembrava assorta chissà in quali pensieri, così, decisi di interrompere il suo monologo interiore “Sai, credo che tu non abbia ancora risposto alla mia domanda di qualche giorno fa…” Sussultò e si voltò a guardarmi interrogativa “Quale?” Sorrisi divertito “Non mi hai ancora detto se ti andrebbe di venire al ballo con me…” Sostenne il mio sguardo, fissandomi maliziosamente. Ci pensò su “Mmh… non mi sembra che tu mi abbia chiesto di accompagnarti al ballo…” Alzai un sopracciglio. Rise sonoramente. “Se non ricordo male, tu mi hai chiesto: se te lo chiedessi, verresti con me? Non è una vera e propria domanda. È un’ipotesi…” Touché… Alzai gli occhi al cielo “Bene!” Sospirai, passandomi una mano tra i capelli. “Allora signorina Brandon, le piacerebbe venire al ballo della scuola insieme a me?” Sentii i suoi battiti accelerare, fece finta di pensarci su, “Mmh… Una proposta ufficiale, eh? È furbo signor Hale! Sa che non potrei mai rifiutare una proposta ufficiale…” Sorrisi divertito, accostando al vialetto di casa sua. Il tempo era letteralmente volato e lei già mi mancava. Spensi il motore, scesi ad aprire la sua portiera “Non ce n’era bisogno…” Replicò, ma non potevo farci niente, avevo vissuto altre epoche, non riuscivo a non farlo.
Era imbarazzata e l’indecisione si fece largo in lei. Sapevo cosa voleva. Lo volevo anch’io, così, trattenni il respiro, avvicinandomi al suo volto molto lentamente. Il suo cuore non accennava a rallentare, mentre le mie labbra accorciavano le distanze, arrivando alla sua bocca, così morbida e calda.
All’inizio fu uno sfiorarsi innocente, saggiando il sapore l’una dell’altra, poi le lingue iniziarono a rincorrersi in una danza perfetta. La gola ardeva forte, ma in quel momento la perfezione di ciò che stava avvenendo assopì la mia sete. Affondò le dita nei miei capelli, accarezzandoli dolcemente e avvicinandomi a lei. Era un uragano di dolcezza, felicità, passione, ne fui completamente assorbito.
Lentamente, mi staccai da lei, sentendo il vuoto farsi strada dentro di me, man mano che mi allontanavo. La guardai.
Aveva uno sguardo languido, trasognato e uno scintillio negli occhi che la rendeva ancor più irresistibile. Le sorrisi e le sussurrai “Buonanotte piccola.” Lei, per tutta risposta mi si avvicinò, posando la mano sul mio petto, e guardandomi negli occhi, disse “Buonanotte Jazz…”  

 

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