After Eren

di Nuage_Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Call Your Name ***
Capitolo 2: *** Zero Eclipse ***
Capitolo 3: *** Barricades ***
Capitolo 4: *** Shock ***
Capitolo 5: *** Devil ***
Capitolo 6: *** Heart Attack ***
Capitolo 7: *** Sasageyo! ***



Capitolo 1
*** Call Your Name ***


1.Call Your Name

“I'm crying, missing my lover
I don't have the power
On my side forever
Oh, where is my lover?
And I got no power         
I'm standing alone, no way
Calling out your name”
Call your name
澤野弘之 (Hiroyuki Sawano)


Mikasa appoggia delicatamente la testa di Eren, ormai fredda, tra la soffice e verde erba sotto quell’albero. Per un attimo, le ricorda quando si addormentava proprio lì, protetto dalle fronde verdi. Adesso deve seppellirlo, lasciarlo riposare per sempre.
Non potrà più correre su per quella collina a svegliarlo. Eren non riaprirà più gli occhi. Quel futuro che, per un momento, aveva sognato e visto davanti a sé ormai non si realizzerà: lo ha perso.
Respira forzatamente, le sembra di essere stata in apnea per tutto il tempo. Le sembra di non essere più capace di respirare, di vivere senza Eren.
La vista della sua testa le è praticamente insopportabile e allo stesso tempo fatica davvero a seppellirlo, come se da essa potesse tornare Eren e tutta la vita che avrebbero potuto avere insieme.
Mikasa sa che quella era la cosa giusta da fare, che doveva farlo. Ma sa anche che lo amava, immensamente: era il suo unico scopo nella vita proteggerlo. Trova crudelmente ironico che si siano dichiarati il loro amore con quel bacio di morte e non siano riusciti mai a farlo in tutti quegli anni insieme.
Delle lacrime iniziano ad imperlare le sue ciglia, mentre finalmente si decide a scavare la terra sotto l’albero, in un punto dove le radici diano spazio ai resti del suo amore. Lo fa a mani nude, vuole farlo così, come se il piccolo dolore che le provoca o la sensazione della terra umida e piena di vita possano distoglierla dal suo dolore.
Cerca di far passare tutti i ricordi di Eren senza soffermarsi su nessuno in particolare e senza pensare a cosa sarebbe potuto essere: non ha importanza.
Si domanda se dovrebbe seppellire anche la sciarpa rossa, ma è una domanda che dura una frazione di secondo: la risposta è no, sicuro e repentino. Vuole tenere ancora il calore dell’amore di Eren, ancora per un po’ almeno. Le è rimasto solo quello.
Smette di affondare le mani pallide nella scura terra solo quando ritiene che la buca sia adatta. Appoggia i palmi sull’erba, quasi a volersi pulire. Riprende fiato. Deve farlo, il momento è arrivato.
Non aveva mai immaginato che una cosa simile potesse accadere. Aveva sempre pensato che al massimo sarebbe morta lei per prima, magari nel tentativo di proteggerlo. Eren aveva voluto diversamente, regalandole una lunga vita ed un futuro nuovo. Ma ad un prezzo spaventoso, disumano.
Gli occhi a mandorla della ragazza trovano finalmente il coraggio di spostarsi sul viso pallido del suo amato: se ne stava lì, tranquillo, dandole l’idea che forse l’anima di Eren era finalmente in pace. Alla fine il desiderio di quel bambino che aveva promesso di estinguere i Giganti si è avverato.
Mikasa accarezza il viso del suo amore, ora perso. Lo fa con un tocco delicato, quasi fosse di porcellana e si potesse rompere con poco. Ma anche con quella dolcezza che si riserva alla persona che si ama. Sistema i capelli ribelli di Eren, imprimendo nella sua memoria la sensazione di avere quei fili corvini tra le dita.
Respira ancora, sentendo il petto farsi sempre più pesante: deve farlo, ora. Non c’è più alcun motivo per aspettare. Ancora un momento, ancora uno… non riesco a dirti addio, Eren.
Prende il suo volto tra le mani, lo avvicina al suo e gli dà un ultimo bacio, per dirgli addio, e lo scalda appena stringendolo in grembo.
Mikasa si domanda come farà ad andare avanti senza il suo amato, quale sarà il nuovo scopo della sua vita e quale il futuro. Eren ha combattuto e si è tramutato in un mostro per rendere lei ed i suoi amici liberi.
Non permetterà che il suo sacrificio sia vano, per questo non può ancora raggiungerlo.
Appoggia il volto freddo del suo amore e, prima di ricoprirlo dolcemente di terra quasi fosse una coperta, sussurra con tenerezza: “A presto, Eren.”
Sorride appena, mentre una sua lacrima cade sulla terra che adesso lascerà riposare il suo amato.


"Qui per sempre
Riposa in pace
Il mio amatissimo
Mio Caro
854"

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Capitolo 2
*** Zero Eclipse ***


2. Zero Eclipse

“Make a promise that I cannot regret
As long as I can see you but in secret
I’ll never
I’ll never forget my feeling, no!
I’ll never
I’ll never
Learn how to let you go”
Zero Eclipse
Composer
Hiroyuki Sawano
 
3 anni dopo

Il colore rosso della sciarpa è ancora più brillante alla luce del sole. Ma la sua lana riscalda le ginocchia nude della ragazza, che se ne sta un’altra volta davanti a quella tomba segreta. Sembra quasi che quel calore la soffochi, la blocchi.
Historia è accanto a lei. Un mazzo di fiori bianchi di campo è appoggiato davanti alla lapide dello sterminatore dell’umanità. La regina le domanda: “Cosa ne farai di quella sciarpa? Non farti soffocare, Mikasa. Vivi la tua vita, per te stessa. Quando sarai pronta, vai e vedi il mondo.”
Chiude gli occhi, prendendo un respiro profondo: “Ti capisco. Io… la amavo e l’ho persa. Ma non dimenticherò il mio amore per lei. Non dimenticherò mai quello che mi ha insegnato, mi ha fatto diventare la donna e la regina che sono ora. La porto sempre con me, ma questo non significa che abbia deciso di smettere di vivere, anzi: lei mi ricorda sempre che la vita ha ancora tanto da offrirmi. E ho intenzione di prendermi tutto. Ogni singola cosa per cui abbiamo combattuto. Questo è il mio modo di onorare Yimir, restando sempre fedele a me stessa. Sai, avevo persino pensato di dare il suo nome alla mia bambina… ma non sarebbe giusto. Lei deve essere se stessa.”
Un sorriso dolce si dipinge sulle sue labbra al pensiero del volto paffuto della sua piccola. Era rimasta incinta per necessità, ma adesso quella famiglia che si è creata è la cosa più bella che esista per lei.
E non ha più importanza il fatto che avrebbe voluto stare per sempre con Yimir. Non ha più importanza perché non è più realizzabile.
Mikasa resta in silenzio, prende la sciarpa tra le sue mani e la guarda pensierosa: “Non ancora.”
Cerca ancora una volta di immaginare un futuro. Negli ultimi anni è rimasta al fianco della regina, aiutandola con le questioni militari ma principalmente con gli orfani: Historia crede che occuparsi del futuro sia il compito più importante. E avere Mikasa accanto la fa sentire più sicura, ha qualcuno di cui fidarsi che protegge lei e la sua famiglia per affetto e non solo per dovere. Ma non le chiederà mai di farlo per sempre, Mikasa deve partire e vivere. Deve essere libera.
“Domani torneranno. Verranno a trovarci. A trovare Eren per salutarlo. Armin ci tiene in maniera particolare e, nelle sue lettere, mi chiede sempre di te e del tuo stato di salute” racconta la regina.
Mikasa non è mai stata una ragazza di tante parole, ma dopo la morte di Eren si è chiusa ancora di più in sé stessa. Si lecca le ferite, come un animale selvatico.
Historia non l’ha mai vista piangere, ma sa che lo fa. Non in modo disperato o rabbioso come ci si aspetterebbe. Chiede spesso ad Eren di tornare da lei, ma più il tempo passa e più capisce che non accadrà. Il tempo la aiuta ad accettare la perdita del suo amore, anche se non lo farà mai completamente. Ricorderà sempre gli occhi di Eren e quella scintilla che li illuminava. Rivedrà sempre il suo amato in un bambino capriccioso che corre con i suoi amici per i prati, lo rivedrà sempre nei suoi sogni mentre cerca di salvarlo e vivere una vita serena con lui. Ma con il tempo farà sempre meno male: come le onde del mare, il suo avanzare cancella i segni nella sabbia.


“Mikasa”
La voce di Jean la riscuote dai sui pensieri. Davanti alla tomba di Eren sono rimasti solo loro due. La ragazza si volta verso di lui, i suoi capelli corvini sono chiusi in una coda.
“Historia mi ha chiesto di andare in Oriente come Ambasciatore di pace. E desidera che tu venga con me, date le tue origini. Inoltre, ma questa è una mia libera interpretazione… credo che voglia che tu vada avanti con la tua vita e non pensa che restare a Paradise possa aiutarti in questo. Forse un viaggio nella tua terra di origine potrebbbe…”
Abbassa lo sguardo, nascondendo parte del viso nella sua sciarpa. Ci pensa. Una parte di lei è curiosa: l’Oriente, così lontano da lei e che fa parte della sua storia, rivede il volto di sua madre che si illumina mentre le racconta quel poco che ricorda della sua terra natia. Ma non può lasciare Eren. Non vuole lasciarlo.
Il suo sguardo si posa sulla lapide e le manca immediatamente ogni volontà di andarsene da quell’isola e scoprire il mondo. Le sembra che, se lo facesse, abbandonerebbe il suo amato e lo tradirebbe, un’ultima volta.
Sta per aprire la bocca e rifiutare la gentile proposta, quando Jean la precede: “So che vorresti dirmi di no, per Eren. Ma lui non c’è più… mentre tu sei viva. Io… voglio vederti viva, Mikasa. Voglio vederti vivere e andare avanti. Noi tutti ci stiamo impegnando molto per dare un futuro a tutti e… tu sei una di quelle persone per cui io sto cercando di costruire un futuro. Non sprecare il suo errore. Io non lo farò.”
Si alza per andarsene da quella collina, si volta e scende la china, quando sente la voce della ragazza dire: “Verrò.”


Il mattino dopo, Mikasa viene svegliata da una eccitata Historia che è ancora più emozionata di lei per il suo viaggio. Pensa già ai bagagli, la raccomanda di badare a sé stessa e a Jean: “Oh, non vedo l’ora che voi torniate per raccontarmi ogni cosa! Magari portatemi un souvernir, l’Oriente sembra un posto così magico e lontano! Sono certa che sarà un’esperienza meravigliosa!”
Non ricorda di aver visto la regina così entusiasta da… tanto tempo. La cosa fa sorridere Mikasa, un debole sorriso che non compariva sul suo volto stanco e pallido da tanto, troppo tempo. Forse è la forza della vita che non teme né lutto né dolore: è più forte di ogni cosa. Una bambina dai grandi occhi azzurri fissa le due donne intente a preparare i bagagli, deve essersi incuriosita per via del trambusto.
“Oh, Tomyris*! Sto aiutando la zia Mikasa a preparare i bagagli, parte per un viaggio lontano… - il volto della piccola fa una smorfia di dispiacere ed i suoi occhioni stanno per versare lacrime – No no, piccola, non ti devi preoccupare: starà via per poco e, se farai la brava, zia Mikasa ti porterà un regalo! E non andrà da sola, lo zio Jean si prenderà cura di lei.”
La bambina si tranquillizza, mentre la madre la prende in braccio e la rende partecipe dei preparativi.
A Tomyris piace molto Mikasa, nonostante la ragazza non sia di molte parole. E lei trova la presenza della bambina calmante: guardarla, all’inizio, la faceva pensare ad Eren. Quella bimba dai capelli biondi era nata libera grazie a lui e al suo sacrificio. Poi la sua dolcezza e innocenza le avevano scaldato un po’ il cuore, ricordandole che sì, il mondo è ancora un bel posto per cui lottare.
Sì, la vita va avanti inesorabile e senza farsi scrupoli.
C’è ancora bellezza, c’è ancora futuro. Anche dopo Eren.
Forse c’è persino ancora amore.

Una macchina porta lei e la regina fino al porto di Paradise, ma deve ancora adattarsi a queste nuove diavolerie tecnologiche d’oltremare.
Jean è già pronto nei suoi abiti da civile, la camicia bianca gli dona ed i capelli sono sistemati in maniera impeccabile, come ogni volta che sa di dover vedere Mikasa.
Arrossisce appena quando vede l’auto con lo stemma reale, ricordando la conversazione con la regina: Historia sa benissimo dei suoi sentimenti per Mikasa, sospetta sia questo il vero motivo per cui, tra tutti, ha scelto lui per questa missione diplomatica e lo ha caldamente spronato ad invitarla.
La regina scende pimpante dalla macchina, seguita a ruota da Mikasa e dalle guardie reali.
Lo sguardo di Jean e quello di Mikasa si incontrano per un istante, mentre lei prende i bagagli dal retro del veicolo. Saluta la regina con un inchino, ma lei risponde in maniera informale: “Buon giorno, Jean! Ah, sono così emozionata per il vostro viaggio, mi dicono che le terre dell’Oriente sono meravigliose, un giorno vorrei andarci anche io! Inoltre, gli ambasciatori orientali mi hanno caldamente consigliato la stagione primaverile come la migliore per visitare le loro terre, quando tornerete voglio un racconto dettagliato di tutte le meraviglie che vedrete!”
Sorride a disagio: “Senz’altro, mia regina, sarete informata di ogni evento della nostra missione diplomatica. Ci auguriamo che questo viaggio renda ancora più forte l’amicizia tra le nostre due terre.”
Historia annuisce, soddisfatta della risposta: “Ma soprattutto, prenditi cura di Mikasa.” Il volto di Jean torna ad arrossirsi appena, mentre balbetta: “C-certamente, mia regina.”


Dalla nave, la loro isola sembra così piccola e serena. Mikasa cerca con lo sguardo la collina, ma ovviamente è già troppo lontana per vederla. Dei rumori di sbuffi annunciano la loro partenza e la mora è quasi tentata di scendere di corsa dalla nave e tornare a terra, per poi concludere la sua corsa da Eren. Ma vede il sorriso rassicurante di Historia, che la saluta da terra. E vede il mare, con i suoi riflessi smeraldini, sotto di loro. Jean si affianca a lei, salutando la regina con un cenno della mano e sorridendole. La nave finalmente parte, lasciando una scia di schiuma dietro di sé.
Si agita, una emozione che non provava da tanto. Era già stata su una nave, ma non aveva avuto il tempo di godersi quella esperienza. I gabbiani starnazzano volando in cielo e Paradise si fa sempre più lontana, insieme ad Eren.
Accarezza la sciarpa, promettendogli che tornerà presto da lui. Jean le parla in maniera generica della missione e di quelle che lui ed i suoi amici hanno già compiuto in terre straniere in nome della pace. Lo ascolta distrattamente. Sente quasi una stretta al petto, come se un filo invisibile collegasse il suo cuore a quello di Eren.
“Stai bene?” le chiede, preoccupato per lei. Si limita ad annuire: “Non parto da tanto. Non sono così lontana da tanto.”
La prende per mano e la fa voltare dall’altra parte, dando così le spalle a Paradise. “Guarda avanti.”
Viene investita dall’odore di salsedine portato dal mare. Non ci aveva fatto caso prima. L’oceano non smette di sorprenderla. I suoi capelli vengono liberati dal nastro che li legava e la sua lunga gonna marrone viene spostata dal vento.
Il suo cuore sente finalmente un attimo di sollievo e, anche se per un secondo la cosa la fa sentire in colpa, è contenta di essere su quella nave.
Mikasa è contenta di essere viva.



Note autrice:
* Ho scelto questo nome per la figlia di Historia per via della regina Tomiri, vi lascio qui il link di wikipedia che parla di lei: https://it.wikipedia.org/wiki/Tomiri

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Capitolo 3
*** Barricades ***


3. Barricades 


“And if we
Get out. Get out
I'll think about the price of our soul.
We've got to learn to
Live free, live free
We'll live a life without barricades
 
How long I haven't seen the light shine through in my life
Lost everything
Family, confusion on the way
Someone tries to talk to me and signpost the righteous road,
 
My animal inside
Can now be tamed to go
Over the wall
 
We've got to learn to
Get back. Get back
But is it worth the price of our soul?”

Barricades, Composer: Hiroyuki Sawano


Jean entra nella sua cabina, ripensando al viso di Mikasa mentre guardava l’oceano, in un attimo di serenità. Nota solo allora che, nella sua stanza, c’è un altro letto. E la valigia di Mikasa è accanto a quel letto.
Proprio in quel momento, la ragazza entra ed il corpo di Jean si blocca come una statua di cera: “I-io non… ci deve essere uno sbaglio, non è possibile… dovremmo avere cabine separate.”
Lei lo guarda con tranquillità indifferente e risponde: “Nessun errore. Siamo in questa cabina, come delegati dell’isola di Paradise. Non è una cosa nuova per noi dormire nella stessa stanza, Jean.”
Replica allora, agitato, mentre si passa una mano tra i capelli chiari: “Certo, ma… la situazione era diversa, le circostanze erano diverse e non siamo mai stati soli. Non è… è sconveniente per una donna, non se ne parla!”
Mikasa lo guarda stupita ed interdetta, mentre lui esce dalla camera diretto verso il capitano o chiunque altro possa dargli una spiegazione. Ma sente la voce della ragazza dirgli: “Una donna? Io… è da tanto che non mi vedo come una donna.”
I suoi passi si bloccano di colpo e torna in fretta da Mikasa, guardandola deciso: “Tu sei una donna.”
Il suo sguardo indugia sul volto chiaro della ragazza, vorrebbe cancellare quello stupido taglio sul suo stupendo viso: lo innervosisce ancora vederlo, ai limiti della rabbia. E poi guarda i suoi capelli lunghi e corvini, li portava così anche quando si allenavano, ancora reclute. Adora quei capelli, si chiede da sempre come sia accarezzarli e se lascerebbero del profumo sulle sue dita.
Allunga una mano, ma sfiora soltanto la cicatrice e lei lo guarda ancora immobile davanti al suo lettino.
Vorrebbe baciarla, solo per dimostrarle che è una donna, una bellissima donna che potrebbe far girare la testa a qualsiasi uomo e che non deve essere solo un soldato o una macchina da guerra, non deve essere sola e senza amore.
“Si è fatto tardi ormai” commenta Mikasa, arrossendo leggermente. “Sarà meglio che andiamo a dormire. Immagino che, date le circostanze, non ci sarà nulla da ridire se dormiamo nella stessa stanza. E poi… non voglio passare la mia prima notte lontana da casa da sola, se per te non è un problema.”
La mano di Jean scatta via dal suo volto, da quel contatto che iniziava ad adorare in modo sempre più profondo: “Hai ragione. Meglio mettersi a dormire.”
Si volta di scatto, permettendo così alla ragazza di cambiarsi per la notte. Il cuore e la mente di Jean iniziano a fare confusione, dentro di lui mille pensieri ed ipotesi si accavallano. Si domanda come sia accarezzare il resto del suo viso, persino come sia baciare le sue labbra. Eppure sa che l’unico uomo che lei abbia mai baciato o amato è stato Eren. E che per lei, anche in tutti questi anni, non c’è mai stato nessun altro. Ma vorrebbe tanto farle conoscere l’amore, vorrebbe farle provare la sensazione di baciare un uomo vivo e non un cadavere. Vorrebbe mostrarle com’è essere amata da qualcuno di diverso da Eren, qualcuno che può stringerla al suo petto per farle sentire il battito del suo cuore.
Si infila sotto le coperte dopo Mikasa, continuando a non guardarla. Non sa che lei lo stava studiando mentre si toglieva la camicia, notando per la prima volta le cicatrici sulla schiena di Jean, che formavano uno strano dipinto senza senso di tagli su quella tela di carne chiara. E deve ammettere che il soldato con cui aveva combattuto per anni era cresciuto davvero tanto, era cambiato. Lei si sente diversa ed uguale a tre anni fa. Ed era da tanto tempo che qualcuno non la accarezzava.
Deve ammettere a sé stessa che è stato piacevole quel contatto, le dita di Jean sono calde e gentili. “Buona notte allora” borbotta lui, raggomitolato nelle coperte e girato ancora dalla altra parte, imbarazzato e agitato dal fatto che Mikasa si trovi in pigiama nella stessa stanza con lui.
Lei sorride appena, divertita da quelle strane accortezze del suo amico: “Buona notte, Jean.”

Quanto suona bene il mio nome detto da te, Mikasa?  

Chiude solo gli occhi. Sa che difficilmente dormirà, è ancora piuttosto nervoso per la presenza della ragazza. Vederla fa tornare nella sua mente ricordi del passato su cui cerca da anni di non soffermarsi: Eren che si trasforma in quello strano essere dal corpo sottile, innocenti che vengono schiacciati a morte della marcia dei giganti delle mura, la loro battaglia per fermarlo… ed il sogno che aveva fatto, quello di poter vivere in pace e serenità mettendo su famiglia. Ricorda bene come aveva immaginato sua moglie e quanto ancora si sente in imbarazzo nel ricordare quei capelli corvini e quella pelle di latte che, lo sa benissimo, non aveva immaginato.
Sente Mikasa raggomitolarsi tra le coperte e rigirarsi, nervosa quasi quanto lui. Jean sospira, cercando di scacciare quei ricordi dolorosi.
Una parte di lui, è contenta che Eren sia morto.
Una parte meschina e crudele, che gli suggerisce che, forse… forse adesso che lui non c’è più, nel cuore di Mikasa è rimasto uno spazio che lui potrebbe occupare.
Si odia per questo, Eren è un suo amico e gli voleva bene, talmente tanto da diventare un vero demone anche per lui, non soltanto per Mikasa e Armin.
Ma allo stesso tempo non vuole e non può fare a meno di essere attratto da lei, lo è da quando la conosce. Questo lo fa sentire in colpa, colpevole.
Apre gli occhi. Si mette su un fianco, col viso rivolto verso l’altro lettino. Gli occhi scuri di Mikasa sono socchiusi e diretti verso di lui, lo colgono di sorpresa e si sente colto in fallo, anche se non sta facendo nulla di male o di strano. La ragazza allora gli domanda: “Anche tu fai fatica a dormire?”
Lui annuisce e inventa una scusa: “Non riesco ad addormentarmi per mare, tutto questo ondeggiare mi infastidisce.”
Sa benissimo che Jean sta mentendo, dopo tanti anni riconosce quando lo fa. Ma si limita a sospirare, dicendosi che tutti hanno i loro demoni, specie chi come loro ha visto l’Inferno e non può dimenticarsene. Ma non sono i ricordi della guerra a farla restare sveglia.
“Mi sento in colpa. L’ho lasciato lì, da solo. Eren… lui mi chiede perché non sono rimasta sull’Isola con lui.”
Fissa il soffitto, cupo e senza stelle. “Non dovresti essere tu a sentirti in colpa. Quello stupido… è lui che ti ha abbandonata, che ci ha abbandonati senza che avessimo modo di fargli cambiare idea. Dopo tutto questo tempo, non gli devi più nulla. E badare alla sua tomba non aiuta nessuno, non serve a nulla. Te l’ho già detto, Mikasa: devi pensare a te stessa e vivere per te stessa. Permettiti di essere egoista e di essere felice. Non devi chiedere il permesso a nessuno.”
Lei risponde annuendo con la testa, non sa bene cosa dire a Jean. Sa che il suo amico ha ragione, ma… è più forte di lei.
Stringe tra le mani la sciarpa che ha al collo, nonostante le faccia caldo. Forse quel viaggio può aiutarla ad imparare a vivere fuori dalle mura, proprio come Eren ed Armin sognavano da bambini. Viaggiare, vedere il mondo, ci sono ancora tante cose che non conosce. Non si era mai chiesta come sarebbe potuta essere la sua vita senza di lui, era un pensiero che non le aveva mai sfiorato la mente.
Eren era attraente come il sole per lei, ma attorno a lui c’era sempre stata la morte, persino nel modo in cui lo aveva conosciuto.
Forse è ora di trovare una persona con accanto la vita, come Historia che si circonda sempre di bambini e il sorriso della piccola Tomirys sembra essere la vera ragione di vita della regina e la gioia più grande di ogni suo giorno. Eppure quella bambina era stata programmata, nata per necessità: ma ora è diventata il centro del mondo per la madre. Potrebbe mai amare anche lei qualcuno di nuovo, come ha amato Eren?

Il sole del giorno ferisce gli occhi stanchi di Jean che, ancora intontito dal sonno e dalla notte quasi interamente in bianco, mugugna infastidito e si copre il viso col cuscino bianco. Sbuffa, cercando di decidersi a scendere dal letto. Poi si ricorda che, nella stanza, c’è anche Mikasa.
Toglie il volto dal cuscino, lentamente, per spiare verso il letto della ragazza: è vuoto, deve essersi già alzata.
Sospira seccato, chiedendosi dove sia andata a finire, ma per fortuna sono su una nave e non può certo scappare o tornare a Paradise a nuoto. Si alza con calma, ripensando alla conversazione avuta con Mikasa. Si abbottona la camicia bianca, chiedendosi se lei abbia dormito o meno.
Esce dalla cabina e d’istinto va verso il ponte: la trova che guarda l’orizzonte, ma non verso casa. Non può evitare di sorridere. Si avvicina e la saluta in modo affabile, tentando di dimenticare l’imbarazzo della notte passata. Lei allora gli domanda: “Quanto manca ancora?”
Risponde che ormai mancano poche ore al loro arrivo in Oriente, verranno accolti come ospiti dalle famiglie nobili locali. “A quanto ho capito, si terrà anche un ballo o qualcosa di simile, un cerimonia… Sembra che sia un modo sia per rendere omaggio a noi abitanti di Paradise sia per presentarti in società o qualcosa di simile, dato che sei comunque una specie di reale da quello che sappiamo.”
Fa un sorriso storto al pensiero, dicendosi che era ovvio che Mikasa fosse una sorta di principessa. La ragazza si limita ad annuire, ma sa di non conoscere nulla sui costumi locali e le informazioni di Jean sono piuttosto vaghe.
Sa ancora così poco della terra natale di sua madre, ma ricorda che lei le parlava di alcuni abiti particolari e molto pregiati che esistevano solo in Oriente. “Mia madre raccontava di questa specie di vestito fatto di seta, a strati e con decorazioni a mano stupende, mi sembra lo chiamasse kimono… le brillavano gli occhi quando ne parlava. Da piccola, ho pensato che mi sarebbe piaciuto vederne uno.”
Si accorge solo ora di aver raccontato queste cose a Jean, non parlava di sua madre da molto tempo. Anzi, era da molto tempo che non parlava più di tanto. Jean sorride, immaginandosi una piccola Mikasa che, come la maggior parte delle bambine, fantastica su un abito femminile e stupendo, da principessa, insieme alla madre.
“Sono sicuro che avrai l’occasione di vederne uno” afferma deciso, reprimendo a stento l’impulso di prenderle la mano per rassicurarla.
Mikasa nasconde parte del viso nella sciarpa rossa, ma continua a guardare il mare ed immagina come sarebbe un kimono con disegnate le onde dell’oceano sopra, con la loro schiuma candida e i colori dell’acqua cangianti alla luce del sole. 

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Capitolo 4
*** Shock ***


4. Shock

Tell the world that I was here
That I had been that I had lived

So even
When my bones have turned to ashes
And blow in the wind
I'll live

I hear them call
My friends that fall
Like they're trampled flowers
And they are why we cannot die
We must go on
We feel the weight upon our backs
But we'll remain strong”


 

Shock- from Attack on titan, English version


 

Il porto della capitale dell’Oriente ha uno strano odore. Questo è il primo pensiero di Mikasa, appena sbarcano nella capitale.
Ma è un profumo a lei familiare, sente di averlo già sentito e crede siano delle spezie particolari orientali: probabilmente qualcuna la usava sua madre per cucinare.
Fatica a ricordare, ma si sente particolarmente attratta dal trambusto del porto: ci sono bancarelle ovunque, pesci dalle forme e dai colori strani che ancora si dimenano, spezie in polvere dai mille colori e profumi, uomini e donne che si aggirano per le strade tranquillamente. Tutti con gli occhi a mandorla.
Gli edifici sono ancora più impressionanti, molto diversi da quelli che ha visto fino a quel momento: per la maggior parte sono in legno, semplici, dai tetti spioventi e con le punte arricciate.
Jean intanto parla con l’ambasciatore asiatico, cercando di farsi capire nonostante abbia studiato poco la lingua locale. Mikasa riconosce qualche parola, quei suoni non le sono del tutto estranei, ma allo stesso tempo molte cose le sono totalmente sconosciute. Ti sarebbe piaciuto tanto qui, Eren.
Salgono su una specie di auto strana insieme all’ambasciatore, diretti all’albergo che li ospiterà durante la loro permanenza diplomatica. L’uomo che li ha accolti ha circa sessant’anni, porta una lunga barba bianca con dei baffi esili e anche lui ha gli occhi a mandorla. Tutti li hanno e per Mikasa è una novità, essendo sempre stata abituata ad essere l’unica. Ora è Jean quello anomalo tra la folla, con i suoi capelli chiari e gli occhi da occidentale.
La ragazza guarda fuori dal finestrino, ancora incuriosita dalla grande città e nota quelli che crede essere segni di scrittura su vari edifici, domandandosi incuriosita se qualcuno potrebbe insegnarle a leggere e scrivere questa lingua, quella dei suoi antenati.
Jean richiama la sua attenzione: “Mikasa, la festa in nostro onore si terrà questa sera. Il signor Fushimoto mi ha appena detto che ha fatto preparare per entrambi abiti tradizionali dell’Oriente, delle cameriere ci aiuteranno ad indossarli.”
La mora sobbalza, chiedendosi già come si dovrà comportare per un tale evento.
Jean sembra così tranquillo e professionale, mentre parla di affari politici, come alleanze militari ed economiche. Si sente fuori posto durante quei discorsi, negli anni dopo la morte di Eren si è interessata poco alla politica e al resto del mondo: c’era spazio solo per quel lutto che le aveva tolto tanto, praticamente tutto.
Abbassa lo sguardo, sentendosi nuovamente in colpa per aver abbandonato Eren. Eppure… guardando le strade e la gente che le popola, tutte con i suoi stessi occhi, sente che la sua scelta è stata giusta: è giusto che lei sia lì, in Oriente.

Le porte bianche in tela sono scorrevoli e, aprendole, Mikasa si ritrova in una stanza con uno strano letto senza nulla a tenerlo sollevato, è completamente sul pavimento in legno.
Una giovane ragazza mora la raggiunge poco dopo, parlando velocemente nella sua lingua e Mikasa non ha nemmeno il tempo di spiegarle che non la capisce.
La donna avrà qualche anno in meno di lei, indossa uno strano vestito che la avvolge tutta in queste fasce bianche e marroni e porta tra le braccia un pacchetto ben chiuso e dall’aspetto morbido.
Le fa capire che deve spogliarsi, indicandole i vestiti e una sedia dove può appoggiare le sue vesti.
Esegue senza fare domande e poco dopo si ritrova avvolta in strati di seta colorati. Le si illuminano gli occhi quando capisce che sta indossando un kimono, è anche più bello di come lo aveva immaginato.
Il tessuto è scarlatto, fine e lucido, sopra ci sono cuciti a mano dei fiori in eleganti arabeschi e una specie di cintura nera e larga alla vita, legata dietro da un fiocco particolare.
Ma la giovane cameriera le fa cenno di sedersi sullo strano letto ed inizia ad acconciarle i lunghi capelli neri, legandoli in una elegante crocchia con degli strani bastoncini decorati da pendenti luccicanti a tema floreale. Poi inizia a truccarla e Mikasa vorrebbe protestare, ma si limita a restare ferma.
La cameriera dai corti capelli corvini le sorride compiaciuta del suo lavoro e le porge un piccolo specchio ovale.
L’immagine di sé stessa che Mikasa vede è sorprendente, non le sembra nemmeno di essere lei. Non si è mai vista così truccata, femminile e curata … arrossisce appena.
La giovane le rivolge un profondo inchino e Mikasa ha appena il tempo di ringraziarla prima che se ne vada, chiudendo la porta scorrevole.

Mi sento ridicolo. Non riesce a pensare ad altro Jean, sistemandosi convulsivante i corti capelli chiari mentre cammina verso la stanza di Mikasa.
Scommetto che appena mi vedrà conciato così scoppierà a ridere… Ah, dovevo immaginarlo che questa non poteva essere una buona idea, ma ormai non posso farci nulla.
Si ferma davanti alla porta di tela, chiedendosi come si dovrebbe bussare. Alla fine si limita a dire, con la voce un po’ più alta del normale: “Mikasa, sono Jean. Sei pronta?”
La porta scorre e si ritrova davanti una bellissima ragazza dal volto candido e le labbra scarlatte, i lunghi capelli legati le liberano il viso e non indossa più la sua tipica sciarpa rossa. Jean incespica, è rimasto senza fiato da quella visione.
Il kimono di Mikasa le sta d’incanto, mentre su di lui ha uno strano effetto stonato, nonostante sia molto più semplice e di un colore blu scuro. La bocca di Jean si spalanca e dimentica ciò che dovrebbe dire.
“Mi-Mikasa…” biascica, cercando di calmarsi, mentre lei lo guarda incuriosita studiando il vestito di lui. I suoi occhi scuri a mandorla sembrano ancora più belli con quel trucco e Jean non può fare a meno di arrossire come un ragazzino. “Do-dobbiamo andare a presenziare alla festa, quindi io… ecco, dovremmo…”
Si sente un completo idiota, non può continuare a essere sempre così nervoso in sua presenza. Mikasa annuisce, uscendo dalla sua stanza. Ringrazia in cuor suo di avere addosso solo delle ballerine nere e non quegli strani sandali che rendono il passo di Jean così insicuro ed impacciato. Eppure il kimono dona molto anche a lui.
Una ciocca corvina sfugge dalla sua acconciatura e con un dito la aggroviglia, cercando di calmarsi mentre va alla festa organizzata in loro onore.

La sala dal pavimento in parquet è colma di ospiti dagli abiti variopinti e su un palco ballano delle donne orientali con in mano dei ventagli dipinti. La musica è soave, gli strumenti esotici ed ipnotici. Su lunghi tavoli in mogano sono posti vassoi in argento con svariati piatti, principalmente di pesce, tutti estranei ai due rappresentati di Paradise.
Mikasa si distrae osservando dei rotoli di riso avvolti in pesce arancione, quando Jean viene convocato da un uomo con baffi lunghi e neri, anche lui vestito con abiti tipici. La ragazza ne approfitta e, furtivamente, prende uno di quegli strani ma invitanti piccoli rotoli: non si aspettava che fossero così buoni, così particolari.
A Paradise la cucina di pesce è ancora una novità, mentre in Oriente è molto più diffusa di quella di carne. Non che sull’Isola Mikasa abbia mangiato più di tanto carne, specie di bovino.
Un sorriso amaro si dipinge sul volto della ragazza, pensando soprattutto alla sua amica Sasha: avrebbe finito per divorare tutto il banchetto senza battere ciglio, nessuna forza armata sarebbe stata in grado di fermarla. Ma lei non c’è più, come anche Eren. Mentre lei, Mikasa, è rimasta.
Il suo umore torna ad essere cupo, finché Jean non la chiama a sé, presentandole i nobili dell’Oriente che, a quanto pare, hanno un sacco di storie da raccontare sul clan della famiglia materna di Mikasa. La ragazza ascolta, ma distrattamente.
Il pensiero di Eren, dei suoi amici caduti ed i sensi di colpa difficilmente la abbandonano. Ci era quasi riuscita, con tutte quelle abbaglianti novità della terra d’origine di sua madre.
Improvvisamente gli strumenti dai suoni leggiadri lasciano spazio a qualcosa che è molto più famigliare ai due ragazzi di Paradise: dei violini suonano un valzer, in onore dei loro ospiti d’oltre mare. Jean resta solo con Mikasa, la guarda di sottecchi cercando di decidersi ad invitarla a ballare. Alla fine, decide di porgerle semplicemente la mano, senza dire nulla.
La candida pelle di Mikasa gli procura una piccola scossa quando si appoggia sul suo palmo, ma Jean sa che è solo una sua sensazione e cerca di mettere da parte tutte le insicurezze. Ormai ha imparato a ballare, quindi è lui a condurre Mikasa, che si muove impacciata cercando di seguire i suoi passi.
Le fa tenerezza quasi, il pensiero che lei sia una delle donne più forti e micidiali che conosca cozza con la sua incapacità di danzare, ma alla fine la ragazza impara in fretta.
I loro occhi si incontrano e Jean sobbalza quasi. Non può smettere di pensare che sia bellissima. Non può smettere di sentirsi inadatto a lei.
Ma al diavolo, prima lei era innamorata di… quel cretino suicida! Io non sono da meno, certo che no, io… io potrei renderla felice?
Con la mano appoggiata al fianco della ragazza, la avvicina a sé, in modo quasi sconveniente per la situazione in cui si trovano. Ma sentiva che, se non lo avesse fatto, sarebbe impazzito dal desiderio di sentire il suo profumo ed il calore del suo corpo: non poteva lasciarsi sfuggire una occasione così rara.
Mikasa è incantevole con quel kimono. Non avrebbe mai potuto resisterle. La ragazza non gli dice nulla, per tutto il tempo. Lo studia, cerca di capire come comportarsi al meglio. Per tanti anni, aveva solcato solo i campi di battaglia e conosciuto la sua isola. Quello è tutto un mondo nuovo. Vede tutto un mondo nuovo negli occhi chiari e gentili di Jean.
Vede il suo riflesso: una ragazza, dalle labbra rosso fuoco e gli occhi lucenti. Non più la guerriera dal sangue freddo ed il viso quasi sempre inespressivo. Si chiede se le braccia di Jean siano sempre state così rassicuranti.
La musica improvvisamente cessa e Jean vorrebbe tanto uccidere chiunque l’abbia fatta smettere. Ma si limita a sospirare e ad applaudire insieme al resto degli invitati, mentre gli Azumabito salgono sul palco di legno. Il silenzio cala sulla stanza. Un uomo anziano inizia a parlare: “Grazie a tutti voi per essere qui. Vorrei fare un ringraziamento speciale ai nostri ospiti da Paradise, Jean-sama e Mikasa-sama. Vi siamo eternamente riconoscenti, voi avete aiutato a salvare questo mondo permettendo ad Armin Arlet di eliminare Eren Jaeger. Senza di voi, il nostro mondo sarebbe stato governato dal terrore e dalla paura di un mostro, un demonio. Invece oggi possiamo festeggiare e lavorare insieme, per costruire un mondo di pace.”
Alza il suo bicchiere, contenente uno strano liquido alcolico trasparente. Tutti gli invitati fanno altrettanto, tranne Jean e Mikasa.
Il ragazzo la guarda, preoccupato: Mikasa ha gli occhi sbarrati, le mascelle serrate e sembra sul punto di scoppiare ad urlare o a piangere.
Le appoggia una mano sulla spalla, notando che trema. Mikasa non è più in quella stanza, non sente nemmeno più la musica ripartire e neanche la mano di Jean: sente solo il peso della testa di Eren tra le sue braccia ed il caldo del suo sangue che la sporca.
“Mikasa! Mikasa!” la richiama Jean, che è costretto a scuoterla prendendola per le spalle.
Gli occhi di Mikasa tornano alla realtà. Jean la guarda allarmato, non sapendo cosa fare o cosa dire. La prende per mano: “Andiamo. Per questa sera, basta così.”
Mikasa non replica, non riesce a sentire l’aria entrarle nei polmoni. La mano di Jean è l’unica cosa che la tiene ancorata alla realtà. I due oltrepassano la stanza, qualche nobile orientale li ferma e Jean si limita a dire che Mikasa non si sente molto bene: “Abbiamo fatto un viaggio impegnativo, una notte di riposo sarà d’aiuto ad entrambi. Vi ringraziamo molto per l’ospitalità.”
La accompagna fino in camera di lei e la fa sedere sul futon. Gli occhi a mandorla di Mikasa si stanno riempiendo pericolosamente di lacrime. Eppure sul suo viso non c’è tristezza, non c’è niente.
Jean sospira, domandandosi se davvero sia stata una buona idea portarla via dall’isola. Ma ormai sono lì e lui è l’unico volto amico per lei.
Sospira, cercando di calmarsi: lui ormai è abituato a quella storiella che Armin ha raccontato a tutti su come lui ed i suoi amici abbiano fermato Eren. Mikasa invece no.
Le appoggia una mano sul viso, non riuscendo a schiaffeggiarla. Le palpebre di lei si aprono e chiudono velocemente, lo mette a fuoco. Jean allora le parla: “Mi dispiace. Temo sia possibile che sentirai ancora questo… genere di cose. Ci acclamano, siamo degli eroi per averlo fermato. Se hai cambiato idea, lo capisco. Ma questo è il mondo in cui viviamo, questo è il presente. Non nasconderti, ti prego. Non sarà sempre così doloroso, farà meno male col tempo. Te lo prometto.”
Mikasa annuisce: “Lo so. Ma io non voglio che faccia meno male. Mi sentirei in colpa. Io ho amato Eren. Non posso dimenticarlo, anche se lui è morto.”
“Nessuno ti chiede di dimenticarlo. Ti sto solo chiedendo di non dimenticarti di vivere, del presente.”
Lei sospira, ribattendo: “Cosa dovrei dire a coloro che mi vedono come una eroina per… aver aiutato a fermarlo? Con che coraggio dovrei fingere di essere orgogliosa di averlo fatto, sollevata che lui non ci sia più e fiera di ciò che ho fatto? So bene che era ciò che dovevo fare. Che doveva essere fermato. Ma questo non significa che sia stato facile. O che ne vada fiera.”
Jean scrolla le spalle: “Non rispondere. Non dire nulla. Limitati ad annuire. Lascia che siamo noi, i tizi subdoli, senza coscienza e bravi con le parole come me e Armin a inventarsi balle e a tenerle in piedi. Nessuno di noi ti biasimerà.”
Annuisce, anche se poco convinta. Ma si sente sollevata. Non vuole portare anche il peso di mentire sulla morte di Eren, sarebbe troppo orribile. La sola idea le fa venire i conati di vomito.
Jean sospira e le domanda: “Vuoi restare qui per il resto della serata? Posso sempre dire che sei… indisposta o che hai il mal di testa, come dicono spesso le ragazze, giusto?”
Ridacchia, Mikasa non è come le altre ragazze. Ma è una cosa che gli piace di lei. Le strappa perfino un mezzo sorriso, anche se appena accennato.
Scuote la testa: “No, non è necessario. Dirò che avevo solo bisogno di un po' di aria. O del bagno. Ma sono venuta qui per imparare, non per avere un altro posto dove nascondermi.”
Jean annuisce, felice: sarebbe stato spiacevole restare solo con tutti quegli uomini politici asiatici senza un volto amico.
Certo, raccontati quest’altra balla per non ammettere nemmeno a te stesso che la vuoi vicino, che vorresti rimetterti a ballare con lei.

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Capitolo 5
*** Devil ***


5. Devil


<< We got to be born, so don't lament this fate.
After all, we're all free!
If I had wings, just like a bird, I could go anywhere I wanted.
But if I didn't have a place to go back, surely, I could go nowhere.
Just living is not good enough!
The world is cruel, yet I'll still love you.
It doesn't matter what I'd need to sacrifice, yet I'll still protect you.
Even if I'm wrong, I'll not hesitate.
The correct thing to do is believe in myself through the end. >>
Akuma no Ko (Devil's Child) - Ai Higuchi


Mikasa fatica a prendere sonno, si rigira e rigira nel futon. Per lei, è stata una serata impegnativa e non fa che ripensarci, rivivendo nella sua mente il ballo con Jean e quel momento in cui era tornata al passato, alla morte del suo amato.
Sente che il cielo notturno sopra di lei è molto, molto distante da casa. Da Eren. E il silenzio di quella stanza le ronza nelle orecchie, la consapevolezza di essere sola la innervosisce, impedendole di addormentarsi.
Decide di alzarsi e, senza neanche preoccuparsi di indossare i suoi vestiti, si avvia per i corridoi, diretta alla stanza di Jean. Per fortuna le signorine in kimono le avevano lasciato nella stanza una vestaglia lilla, troppo femminile per lei ma abbastanza calda per la notte.
Bussa alla porta scorrevole di Jean e, con sua grande sorpresa, lui le apre dopo pochi secondi. Ha i capelli chiari scompigliati, gli occhi ci mettono qualche secondo a metterla a fuoco e indossa solo dei pantaloni scuri. “Mikasa, cosa ci fai qui…?”
Non si disturba nemmeno a rispondergli e si limita ad entrare nella stanza. Si guarda intorno, alla ricerca di qualcosa e poi si volta verso Jean: “Hai un altro futon o un sacco a pelo?”
Lui alza un sopracciglio: “No, perché mai dovrei…?”
Lei scrolla le spalle e si infila dentro il letto di Jean, per poi guardarlo aspettando che lui si sdrai accanto a lei. Ha l’aria di una che vorrebbe chiedergli Che cosa stai aspettando? Muoviti.
Ma Jean è ancora confuso, indeciso se quello sia un sogno o la realtà. Si stropiccia gli occhi, sperando che quella visione improbabile scompaia. Ma Mikasa è ancora lì. Lo fissa coi suoi occhi a mandorla profondi, coprendosi il corpo con la coperta del suo letto. Non ci credo, non può essere vero.
Quante volte aveva desiderato e immaginato un momento simile? Talmente tante da vergognarsene.Vorrebbe imprecare, ma si limita ad avvicinarsi a lei: “Non puoi venire qui, nella mia stanza, come se niente fosse e nel cuore della notte. E se l’ambasciatore lo scoprisse? O peggio, la famiglia di tua madre? Potrebbero… pensare male. Fraintendere.”
Mikasa inclina la testa, confusa: “Che c’è da pensare male? La mia stanza è troppo vuota. Preferisco dormire con te. Se vuoi, esco un attimo e vado a recuperare il mio futon…”
“No, potrebbero vederti mentre gironzoli! Ah, a questo punto… prenderò un’altra coperta e dormirò sul pavimento.”sentenzia, massaggiandosi nervosamente la nuca. La ragazza risponde: “Perché? Qua in due ci stiamo. E tu non indossi la parte superiore del pigiama. Avendomi nel futon con te, non avrai freddo.”
“Io…” la frase muore in gola a Jean, strozzata dal pensiero di Mikasa che lo scalda col suo corpo. Sospira, socchiudendo un attimo gli occhi e cercando di riprendere il controllo di sé stesso: “Non ho freddo, quindi dormire sul pavimento non sarà un problema. Per questa notte.” Mikasa scrolla le spalle e si accoccola nel letto. Le piace di più quel futon, forse perché ha un buon profumo ed è caldo. Jean nel mentre riesce a recuperare una coperta blu con dei fiori rosa ricamati e la stende nell’unico spazio disponibile della stanza, ossia accanto a Mikasa. Per fortuna, il pavimento è in legno e non in piastrelle.
Una vocina nella sua testa gli dice che è stupido e che avrebbe potuto approfittare della situazione, visto che la ragazza di cui è innamorato da anni è lì, nella sua stanza, sono da soli… e per il momento lo tratta come se fosse un fratello.
Gli stava quasi per cadere la mascella quando l’aveva vista davanti alla porta della sua stanza con solo quella vestaglia addosso, poteva quasi intravedere le forme del suo corpo. Sospira, cercando di allontanare quel pensiero che lo fa arrossire. E sente il respiro regolare di Mikasa, che si è già addormentata. Si china appena, per guardare meglio il suo viso, coperto da qualche ciocca di capelli corvini. Non può fare a meno di sorridere, con tenerezza: vale la pena di essere decapitato per quella visione.
Decide però che la porterà nel suo letto verso l’alba, quando non ci sarà ancora nessuno sveglio e lei sarà completamente addormentata. Ma non riesce a resistere alla tentazione e le sfiora il viso candido e delicato, con tutta la delicatezza di cui è capace.
Sarebbe bello poter dormire insieme a te ogni notte.

Un suono flebile basta a svegliarlo, di passi. Spalanca gli occhi e una immagine terrificante gli si para davanti: una figura mascherata sta strangolando Mikasa, stringendo le mani al collo candido di lei, che non smette di dimenarsi.
Istintivamente cerca il cuscino sotto il quale ha nascosto la pistola, ricordandosi solo in quel momento che ha dormito per terra. Un altro aggressore gli piomba addosso da dietro, Jean lo atterra e inizia a prenderlo a pugni, cercando di divincolarsi da lui per aiutare Mikasa. Vede i suoi occhi scuri perdere piano piano la forza, insieme ai pugni di lei.
Lo trova strano, quella è la donna più forte che conosca. Eppure i suoi occhi si stanno chiudendo e l’idea di perdere anche lei lo sta facendo impazzire, grida il suo nome. Mikasa sente il respiro venirle meno. All’inizio aveva combattuto per togliersi di dosso quelle mani estranee, poi quella sensazione l’ha sopraffatta e un pensiero sepolto è tornato a galla, con la sua promessa maliziosa.
E se lo lasciassi fare? E se… mi lasciassi morire? Potrei rivederlo. Potrei rivedere Eren. Potrei rivedere la mia famiglia. E non dovrei più combattere, mai più. Una prospettiva allettante. Una idea di libertà da quella vita che le sembra così vuota da quando lui non c’è più. Magari, nell’altra vita, avrebbero potuto finalmente stare insieme e vivere quel sogno di armonia che non si era realizzato in questa. Per quale motivo era rimasta in vita fino a quel giorno? Non riesce più a ricordarlo, la sua mente si annebbia piano piano ed il dolore le blocca i pensieri, mentre annaspa in cerca d’aria.
Sente la voce di Jean, non riesce a capire cosa le sta dicendo ma è certa che stia parlando con lei. Si sente lusingata da quell’attenzione, qualcuno c’è ancora che vorrebbe averla accanto.
Eppure l’oblio, il nulla… è un’idea così allettante, piena di promesse di pace e serenità. Chiude gli occhi, lasciando che l’oscurità la inghiotta.

Una luce chiara le accarezza il volto. Apre gli occhi, sulla punta delle labbra c’è il suo nome, perché pensa di essere all’Inferno finalmente. “Ere…” Non è lui.
C’è un’altra persona, che conosce molto bene, inginocchiato al suo capezzale. Sta piangendo. Lo ha già visto piangere. Jean la chiama per nome e singhiozza. Quella consapevolezza la colpisce al cuore. Il suo tempo non è ancora terminato, non può ancora ricongiungersi ad Eren. Lentamente il suo corpo riprende vita, le fa male e pesa. Sente un forte dolore al collo soprattutto. Gli occhi pieni di lacrime di Jean si fanno più duri, arrabbiati, mentre lui le ringhia: “Non farlo mai più. Altrimenti giuro che ti vengo a prendere, dovunque andrai da morta!”
Le prende il viso tra le mani, ora trema e Mikasa non sa dire se di rabbia o di paura. Jean la ispeziona e torna a respirare appena si rende conto che sta riprendendo pienamente conoscenza. Odia quei segni rossi che sono sul collo candido e perfetto di lei, mozzerà personalmente le mani di che le ha fatto questo. I suoi occhi si tingono di una furia omicida che si placa solo incontrando lo sguardo confuso e triste di Mikasa: come temeva, lei si stava arrendendo. Quella consapevolezza gli fa male. Non sono un motivo sufficiente per vivere, Mikasa? Non sei un motivo sufficiente per vivere?
Appoggia la sua fronte a quella di lei, respirando lentamente e cercando di regolarizzare il battito del suo cuore: da tanto tempo non provava una paura così, la paura di perdere qualcuno che ama. E le ripete, con voce quasi rotta dal pianto: “Non farlo mai più. Ti prego.”
Non lasciarmi. Non morire. Non ti chiedo altro. Resta.

Mentre Jean riporta alle autorità locali e all’ambasciatore dell’Oriente l’accaduto, Mikasa riposa nella sua camera, con le finestre barrate e guardie davanti alla porta. Quasi le viene da ridere, lei che ha una scorta. Se avesse voluto, avrebbe fatto fuori quei due sciocchi facilmente. O almeno, sarebbe stato così ai tempi in cui i titani ancora erano presenti sulla terra. Ma non voleva fermarli. Voleva solo che il suo dolore si fermasse, che la sua vita si fermasse. Nient’altro.
Ma Jean l’ha salvata. Qualcuno la vuole ancora viva. E lei non sa per certo se vuole vivere ancora o meno, le era sembrato così allettante andare da Eren, all’altro mondo. Non ci aveva mai pensato prima, al suicidio. L’aveva sempre trovata una mossa da deboli e immaginava che Eren si sarebbe arrabbiato molto: aveva fatto così tanto per dar loro modo di vivere, felici e liberi. E lei stava per mandare a monte tutto, ma anche lei ha il diritto di essere contraddittoria.
La vita, da quando Eren è morto, le è pesante. Ma sentir parlare del suo amato come di un mostro, sentirsi elevata ad eroina per aver contribuito ad ucciderlo… è troppo, soprattutto ricordando che era stata lei a mozzargli la testa, non Armin come hanno voluto raccontare. Per questo si era nascosta sull’isola, fingendo che il mondo esterno non esistesse. E stando a guardia della tomba del suo amato amico d’infanzia. Colui che le aveva dato la libertà, due volte. Ora non è più una guerriera, non è più un soldato e nemmeno l’ambasciatore di Paradise come Armin e gli altri. Resta solo Mikasa. Che scopo ha, lontana dalla tomba di Eren? Che scopo ha in questo mondo?
La porta a scorrimento si apre, mostrando il viso preoccupato di Jean. Entra senza dire una parola. I suoi occhi esprimono un misto di sentimenti tra cui lui stesso non sa scegliere. Con un sospiro, si mette a gambe incrociate sul pavimento davanti a lei: “Stai meglio adesso?” Lei annuisce e Jean prosegue:“Mi hai fatto spaventare. Sei diventata forse stupida?! Sappiamo entrambi che avresti potuto battere facilmente quei due. E invece… non voglio nemmeno sapere perché, non dirmi cosa ti è passato per la testa. Posso immaginarlo e anche solo quello mi fa infuriare. Se pensi di non avere un motivo per vivere, ti sbagli. E non so quante volte dovrò ricordartelo. Ma non smetterò mai di farlo, dovessi continuare ogni giorno della mia vita!”
Il viso di Mikasa accenna una smorfia di sorpresa: “E perché dovresti? Non sono affari tuoi cosa faccio della mia vita. Io… non volevo. Ma in quel momento mi era sembrata la cosa più facile da fare. Lasciarmi alle spalle tutto sembrava un’idea così… seducente.”
Jean avrebbe la tentazione di legarla in quel letto, come un salame, per essere certo che non farà nulla di stupido. Invece, le fa cenno di alzarsi, contenendo a stento la rabbia. Avvisa le due guardie che vanno soltanto nel giardino interno alla corte e mostra la pistola che tiene all’interno della giacca, per sicurezza. Non controlla nemmeno che Mikasa lo stia seguendo, si avvia a grandi passi verso l’area verde al centro del complesso dove alloggiano. Fortunatamente, è una giornata dalla temperatura primaverile.
Una piccola cascata artificiale troneggia al centro del giardino, circondata da alberi di ciliegio e acero rosso. Jean chiude gli occhi, concentrandosi sul rumore dell’acqua e Mikasa lo imita: è un suono rilassante, che trasmette pace. Il tepore del sole le accarezza il volto, quasi fosse una madre dolce. Apre lentamente gli occhi, domandandosi come mai l’abbia portata in quel posto.
Gli occhi chiari di Jean le procurano un leggero brivido lungo la schiena, poi lui le prende una mano e con voce ferma le dice: “So che non sono Eren. E che mai lo sarò, non ho alcuna intenzione di sostituirmi a lui. E sinceramente sono felice di non essere lui. Ma non posso più permettermi di tacere. Ieri ti ho quasi persa. Ricordo benissimo il momento esatto in cui ho provato per la prima e unica volta invidia per Eren. Quanto mi ha fatto incazzare la cosa. Quanto mi ha fatto incazzare vederlo accanto a te, mentre ti diceva di tagliare i tuoi bellissimi capelli. Che cosa stupida, togliere una cosa così bella dal mondo. Mi ha fatto incazzare perché mi piacevano i tuoi capelli scuri. Perché mi piacevi tu. E non ho mai smesso di provare questi sentimenti, persino quando ti vedevo preoccuparti a morte per Eren e rincorrerlo. Hai sempre dovuto rincorrerlo. Con me non dovrai. Io sono qui, accanto a te, se mi vorrai.”
Le labbra di Mikasa si aprono, alla ricerca di qualcosa da dire, ma nessun suono esce dalla sua gola. Jean gira la testa, volgendo lo sguardo al giardino e alla cascata. Sospira e riprende: “Non devi rispondermi. Non ne ho bisogno. Volevo solo che tu lo sapessi. Puoi stare qui, se vuoi, un po’ d’aria fresca dovrebbe farti bene. Ma dovrai restare alla portata della mia vista, così sarò sicuro di poterti aiutare in caso di bisogno.”
La verità è che vuole tenerla d’occhio personalmente per assicurarsi che non ci riprovi.
Mikasa si rende conto che è la prima volta che riceve una vera dichiarazione d’amore. Con Eren non era stato così. Si chiede se può accettare o persino ricambiare i sentimenti di Jean. Nel suo cuore dovrebbe esserci spazio solo per Eren. Dovrebbe. Ma se non fosse così? Inoltre, Eren è morto. Lo ha sepolto lei stessa, con le sue mani. Razionalmente, sa che non ha senso precludersi la possibilità di essere felice con qualcun altro. E Jean… è cambiato. Oppure è lei ad essere cambiata. Quando la guarda, la fa sentire la donna più bella del mondo. Non si era mai sentita bella, al massimo letale. Le piace il profumo di Jean. Le piace anche il calore del suo corpo quando l’abbraccia. Le piace essere importante per lui. Ma… lui è importante per lei allo stesso modo? Non lo sa. Vorrebbe saperlo. E si dice che nessuno potrà mai sostituire Eren nel suo cuore. Ma forse… forse è semplicemente tempo di fare più spazio, per qualcun altro. Magari proprio per Jean.
Il senso di colpa però la spaventa, le sembra quasi un tradimento ai danni di Eren. Però è stato lui ad abbandonarla, a lasciarla da sola. E se fosse arrivato il momento di provare ad amare qualcun altro? Un uccellino dal piumaggio marrone si appoggia ad un ramo dell’albero di ciliegio davanti a lei, cinguetta allegro. Non riesce a trattenere un piccolo sorriso a quella vista: è un animaletto così carino, non ne aveva mai visto uno.
Scommetto che Armin ha già letto tutti i libri di botanica, geografia e biologia esistenti.

Dopo aver riportato Mikasa alla sua stanza, Jean torna nella sua senza dire una parola e senza nemmeno avere il coraggio di incontrare lo sguardo della ragazza. Si lava il viso, più volte, domandandosi perché diavolo ha dovuto parlare: credeva che quello sarebbe stato un segreto che si sarebbe portato nella tomba, che col tempo avrebbe imparato a dimenticarla e ad innamorarsi di un’altra. Una che non fosse fissata col suo ex morto, il quale aveva deciso di uccidere ogni forma di vita sul pianeta. Era troppo da chiedere?
E invece aveva vuotato il sacco, si era talmente imbarazzato che aveva dovuto portare Mikasa in quel giardino per evitare che qualcuno lo ascoltasse. Sospira, guardando il suo riflesso nello specchio: goccioline d’acqua gli attraversano il viso e le punte dei suo capelli sono bagnate. “Sei uno stupido.” dice al suo riflesso, scrollando la testa e asciugandosi con un panno bianco panna.
Esce dal bagno, riprendendo a sospirare. Ma si blocca lì non appena vede Mikasa, seduta sul pavimento della sua stanza, con addosso un kimono blu scuro. “Che cosa diavolo ci fai qui? Non dovresti essere nella tua stanza?”
Lei alza le spalle: “Sai benissimo che non ho bisogno di una guardia del corpo. Ed è stato facile uscire dalla finestra e entrare dalla tua, dovresti stare più attento anche tu alla sicurezza.”
Jean si massaggia le tempie, gli occhi stretti e cerca di non gridarle addosso: “Cosa sei venuta a fare qui? Ti piace tanto stare nella mia stanza?” Si sorprende della domanda impertinente che le ha fatto, ma ancora di più della risposta di lei: “Sì. Mi piace stare qui. Dove sei tu.”
Gli occhi di Mikasa sono seri. E Jean non può fare a meno di arrossire, sentendo un calore al petto che lo abbraccia. Sospira, scuotendo la testa: “Ah, cosa devo fare con te, principessa? Sai che non ti allontanerò mai da me.”
Le accarezza la testa, come farebbe con un bambino cocciuto. Gli pare di notare un leggero rossore sul volto di Mikasa.
Sarà stata la mia immaginazione.

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Capitolo 6
*** Heart Attack ***


6. Heart Attack


 

<< But you make me wanna act like a girl

Paint my nails and wear high heels

Yes, you make me so nervous that I just can't hold your hand

You make me glow

But I cover up, won't let it show

So I'm putting my defenses up

'Cause I don't wanna fall in love

If I ever did that, I think I'd have a heart attack >>

Heart Attack, Demi Lovato


 

Le indagini sull’attacco ai due delegati di Paradise continuano, ma la polizia locale sembra brancolare nel buio. Jean e Mikasa però non hanno paura di un nuovo attacco: lui dorme con la pistola pronta sotto il cuscino, lei sgattaiola in camera sua quella notte e le guardie appostate davanti alla sua camera neanche se ne accorgono.
Quando Mikasa entra nella stanza , Jean le punta la pistola alla fronte, ma lei non si muove. “Non dovresti essere qui, lo sai. La tua stanza è sorvegliata.”
Lei fa spallucce: “E tu hai una pistola. Se ci pensi, sono molto più al sicuro qui con te che in quella camera, le guardie non mi sembrano particolarmente capaci. Inoltre, sono un soldato più che addestrato.”
Senza aggiungere altro, si infila sotto le coperte color crema accanto a Jean, che arrossisce e balbetta sconvolto:“M-ma che fai?”
Lei lo guarda, nascondendo parzialmente il viso con la coperta: “Te l’ho già detto. Mi piace stare qui.”
Le guance di Mikasa arrossiscono appena: quelle sensazioni sono ancora nuove per lei. Stare con Jean… è diverso. Molto diverso da quando era innamorata di Eren. Ma le fa paura, immensamente: quel sentimento è sconosciuto, si sente sotto attacco ogni volta che prende possesso di lei.
Alza le difese più che può ogni volta, ma poi cede alla tentazione: si avvicina a Jean e, neanche fosse una bambina, si accoccola al suo petto e si sente al sicuro.
Chiude gli occhi, crogiolandosi nel profumo muschiato di Jean. Quello di Eren era più legnoso. Tira un profondo respiro, contenta che Jean non le stia dicendo nulla e sobbalza quando la mano di lui si appoggia alla sua spalla.
Ha un tocco così delicato, nessuno l’aveva mai toccata con tanta dolcezza. La voce di Jean le sembra leggermente più roca del solito: “Dormiamo allora."
In realtà, non è nella lista delle cose che vorrebbe fare in quel preciso momento, con Mikasa sul suo petto. Riesce a sentire il calore dolce del suo corpo, il suo profumo come di fiori d’arancio e il suo respiro leggero.
Vorrebbe accarezzarle i capelli corvini, rassicurarla anche se sa che i demoni che teme Mikasa sono nella sua testa, nel suo passato e li può combattere solo lei. Vorrebbe prenderle il viso tra le mani e baciarla, sempre più furiosamente, stringendola a se.
Quante volte ha immaginato di farlo. Quella è una delle prime in cui deve costringersi seriamente a resistere alla tentazione. Non può farlo. Lei ama ancora Eren, è evidente e ovvio: lui è l’amore della sua vita, difficilmente lo sostituirà.
Eppure in quella camera ci sono solo loro due, abbracciati… e sembra possibile che un giorno Mikasa lasci andare il suo amore perduto e tenti di viverne uno nuovo, con lui.
La guarda: ha gli occhi chiusi, ma si muovono ancora sotto le palpebre. Le sue ciglia sono lunghe e scure, seducenti quasi quanto i capelli scuri e finalmente liberi di crescere: qualche ciocca finisce sul viso di Jean, ma non gli dispiace e non ha il coraggio di toccarla. Mikasa vorrebbe dormire, ma la sua mano sul petto di Jean sembra bruciarle, eppure non riesce in alcun modo a spostarla: le piace sentire quel calore, la fa sentire viva quel leggero dolore misto ad un piacere mai provato.
Apre gli occhi e, inaspettatamente, incontra quelli chiari di Jean, che la stava studiando convinto che dormisse. I due arrossiscono, nascosti dal buio della notte. Al diavolo. Se non lo faccio, impazzirò.
Il pollice di Jean le accarezza dolcemente il mento, alzandole il viso e togliendolo dal tiepore della coperta. Si guardano ancora, quasi fossero ipnotizzati l’uno dall’altro. Mikasa leggermente trema a quel contatto, ma non si scosta né si ribella.
Il volto di Jean si avvicina pericolosamente e così le labbra alle sue. Voglio che tu sappia com’è baciare un uomo vivo, caldo e che ti ama… se lo vuoi anche tu.
Il soffio caldo del respiro di Jean le arriva alla bocca e, senza che lei neanche se ne accorga, chiude gli occhi… questa volta non per dormire. Il bacio di Jean non si fa attendere, è leggero come una farfalla. Ma il cuore di Mikasa perde un battito.
Le labbra di lui si allontanano di poco: vuole assicurarsi che quello che ha fatto non l’abbia turbata… o almeno non in senso negativo. Ma lei non si muove e sembra quasi invitarlo a farlo ancora.
Così la bacia nuovamente, premendo con più decisione le labbra contro le sue e cercando allo stesso tempo di allontanare il suo bacino da lei.
Mikasa risponde a quel contatto, portando le sue braccia alla nuca di lui e avvicinandolo ancora di più a sé: le piace quel bacio, le piace sentire quella strana sensazione al basso ventre e al petto… le piace il bruciore che parte dalle sue labbra, le loro lingue che timidamente si incontrano e la leggera barba di Jean che le solletica il viso rende tutto solo più vero.

Il sole si alza anche in quel giorno, riempiendo la stanza di luce. Apre gli occhi, ricordando nitidamente quello che teme essere un sogno: ma Mikasa è ancora accanto a lui, dorme beatamente e le sue labbra sono leggermente gonfie e arrossate per i baci che si sono scambiati. Sei bellissima. Come faccio a svegliarti ora?
Vorrebbe restare così con lei, nell’intimità del letto che hanno condiviso per la notte, senza dover uscire da quella stanza e affrontare il resto del mondo.
Una vocina, in fondo alla testa di Jean, gli domanda cosa farà ora e cosa quei baci che si sono scambiati significano per lei. Ha dimenticato Eren? Gli sta dando una possibilità? Aveva solo bisogno di contatto fisico e di essere rincuorata, di sentirsi amata senza necessariamente ricambiare i suoi sentimenti? Scaccia questi pensieri con un gesto seccato, vuole solo godersi il momento e desidera che il profumo floreale di Mikasa gli resti addosso per sempre.
Gli occhi a mandorla di lei si schiudono e Jean non può fare a meno di sorriderle. Lei invece nasconde il viso sotto la coperta, per proteggere il rossore dovuto all’imbarazzo.
“Buongiorno.”

Appena Mikasa torna nella sua stanza, Jean si cambia per la riunione di quel giorno con la polizia locale e il detective Azuma, pare vogliano parlare con lui per chiarire quanto accaduto.
Non è sorpreso dal fatto che non abbiano trovato i due assalitori, è cosciente del fatto che anche tra il popolo dell’oriente c’è chi odia gli Eldiani. Come lui e Mikasa.
Chi li vorrebbe sterminare, per quello che i loro antenati hanno fatto in passato… e per quello che ha fatto Eren. Alcuni non li ritengono degli eroi, ma solo persone che hanno creato un’arma di distruzione talmente potente da non riuscire più a controllarla e per questo hanno deciso di eliminarla. Non è del tutto sbagliato.
Ma… Eren era molto più di un’arma. Era suo amico. E… lui ha baciato la ragazza dell’amico che ha sacrificato e distrutto ogni cosa, anche per lui. Ne aveva il diritto? Era giusto farlo? Jean scaccia i sensi di colpa massaggiandosi la fronte.
Ricorda la sensazione delle labbra di Mikasa sulle sue, le sue dita affusolate che gli accarezzavano il petto e il suo profumo. Riesce ancora a sentirlo addosso. Una cosa così bella… non può essere sbagliata.
Con questo pensiero, si alza dal letto ed esce dalla stanza. Ma prima di dirigersi all’incontro col detective, va verso la stanza di Mikasa per assicurarsi che le guardie non abbiano scoperto la sua assenza di quella notte.
I due soldati sono tranquillamente appostati davanti alla stanza della ragazza e lo salutano con un gesto militare, che Jean ricambia. In quel momento la porta si apre appena e Mikasa esce, con addosso i vestiti che aveva durante il loro viaggio in nave.
Appena i loro sguardi si incontrano, lei sobbalza e repentinamente si rintana dentro la stanza, facendo ridacchiare Jean: quella reazione… è così femminile che, se non l’avesse appena visto coi suoi occhi, non avrebbe mai detto che quella fosse veramente lei. Scuote la testa, divertito.
Intanto, Mikasa è appoggiata con la schiena al legno della porta e si domanda cosa diavolo le stia accadendo. Sfiora con l’indice le sue labbra… può sentire ancora il pizzicore della barba di Jean e persino il suo profumo tra i capelli. Arrossisce.
La sciarpa rossa è piegata dentro un cassetto dell’armadio.

Quel pomeriggio Mikasa scopre un altro uccellino, dal petto verde e dal piumaggio scuro. La squadra con i suoi occhi neri, muovendo il piccolo capo dal becco adunco. Poi spiega le ali e sfreccia verso il cielo. Il tempo è perfetto per stare all’aria aperta e quelle sciocche guardie che le sono state assegnate la osservano dal porticato, rilassati anche loro dal calore del sole.
Eppure non le basta quel giardino dalle piante esotiche a distogliere l’attenzione da Jean, appena arrivato.
Lo vede parlare con i due soldati, che dopo aver annuito si allontanano. Poi si volta verso di lei, la guarda. E Mikasa si sente vista, come una donna. La cosa la mette quasi in imbarazzo, abbassa lo sguardo di scatto e non sa come comportarsi. Cerca di concentrarsi sul verde dell’erba, finché non vede le scarpe di vernice nere di Jean e alza lo sguardo fino ad incontrare quello di lui. Le sorride appena. Quanto vorrei poterti prendere tra le mie braccia e baciarti fino a farti dimenticare il resto del mondo, finché non saremo solo noi due.
“Sono contento di vedere che il giardino ti piace. La prima volta che siamo stati qui, Armin non la smetteva di annotare tutte le piante e gli animali che gli capitavano a tiro.”
Un sorriso flebile spunta sul volto della ragazza, che commenta: “Lo avevo immaginato.”
Si guardano e Jean allunga la mano quel tanto che basta da sfiorare quella di lei con le dita: quel contatto gli mozza il fiato per un secondo, ma è indescrivibile. “Ho parlato col detective che si sta occupando del caso. Mi hanno chiesto se è possibile parlare con te, dato quello che è successo si domandavano se tu fossi ancora scossa… che ne pensi?”
“Non credo che avrei da aggiungere altro alla tua versione. Io… mi rendo conto che ci sono ancora persone che ci odiano. Certe volte mi odio anche io per quello che ho dovuto fare. Però… se ti stai domandando se voglio ancora morire, è... complicato. Ma… sto vedendo tanta bellezza in questo mondo. Negli ultimi giorni, mi sto ricordando della bellezza che c’è intorno a noi e che ci sono ancora tante cose che voglio vedere, provare e sentire.”
Si avvicina di mezzo centimetro a Jean e lascia che lui appoggi la fronte sulla sua. “Sono incluso nelle cose che vuoi provare?”le domanda lui, con una nota amara e la voce leggermente roca.
“No. - scuote appena la testa e lo fissa decisa- Sei tra le cose che voglio sentire.”
Voglio sentire ancora quel calore avvolgermi e portarmi lontano dal buio, voglio sentire ancora i tuoi baci coprirmi le labbra per farmi respirare e… voglio sentire questo sentimento.

Jean è ancora sveglio, sdraiato sul suo futon a fissare il soffitto e ad aspettare. Ad aspettarla. Si domanda come farà a resisterle e anche se davvero lei tornerà nella sua stanza. Anche se sarebbe imprudente da parte sua e dovrebbe sgridarla, deve ammettere che è da quella mattina che attende il calare del sole. Solo per poterla stringere tra le braccia e per poterla baciare di nuovo.
Mikasa entra dalla finestra con un agile balzo, incurante del pezzo di coscia che scopre con quel gesto atletico, ma che a Jean non sfugge. Arrossisce e si copre il viso, indeciso su cosa dire. Non sa se chiederle di tornare nella sua stanza e di non fargli più visita… o di restare con lui, stendersi sul letto e non limitarsi a qualche bacio. Alla fine resta in silenzio, non riuscendo a decidersi.
Mikasa allora si infila nel letto, accanto a lui. Appoggia lentamente e timidamente una mano sul petto del ragazzo, fremendo al contatto.
Jean la chiama per nome e i due si studiano a vicenda, cercando nell’espressione dell’altro le risposte alle loro domande. Ma alla fine è lui a parlare per primo, deglutendo e facendosi coraggio: “Anche io voglio… sentirti, Mikasa. Se… se per te va bene.”
Lei annuisce, senza smettere di guardarlo e Jean riprende a respirare, non si era accorto di aver trattenuto il fiato. La mano libera della ragazza gli accarezza il viso, cercando di memorizzare ogni piega della pelle. Arriva alle labbra di lui, che le ferma la mano e la porta alla bocca, baciandole il palmo.
Quel contatto quasi la fa gemere e sente tutto il suo corpo chiedere a Jean di baciarla, baciarla fino a stordirla, baciarla finché il resto del mondo non diventerà altro che un sottofondo. E quella richiesta Jean non può rifiutarla, la aspetta da troppi anni: la bacia, dolcemente e con passione, stringendola delicatamente fra le braccia.
Le guance di lei si scaldano insieme ai baci che si scambiano, mentre le loro mani si accarezzano e si intrecciano. Nel momento in cui prendono fiato, Mikasa gli domanda: “Da quanto… da quanto tempo mi vedevi come una donna?”
Lui le sfiora una ciocca di capelli, la arrotola tra le dita e la bacia: “Dalla prima volta. Dal primo momento. Avrei… avrei fatto di tutto per poter accarezzare i tuoi capelli… sono contento che li hai lasciati crescere.”
Lei sobbalza: “In realtà, ho semplicemente dimenticato di tagliarli. Non… non era importante.”
Jean alza le spalle: “Va bene lo stesso.”
Mikasa sorride appena, lusingata. Non sa cosa sta facendo né cosa sta succedendo… né tanto meno cosa aspettarsi.
Ma appoggia la testa al petto di Jean, che inizia ad accarezzarle dolcemente i capelli, come si fa con un bambino. Le lascia persino un delicato bacio sul capo, mentre gli occhi della ragazza si chiudono lentamente e placidamente. La stringe dolcemente e si addormenta anche lui.

La luce del mattino illumina il viso di Jean, svegliandolo. Si ritrova nuovamente solo nel letto e questa volta è frustrato. Sente che non dovrebbe essere così, che non dovrebbe sentirsi sempre sul filo del rasoio né essere trattato da migliore amico patetico che si è preso una cotta. Adesso basta.
Si alza dal letto come una furia, vestendosi velocemente e, incurante dell’orario, va a bussare alla porta di Mikasa, sotto lo sguardo incredulo delle due guardie del corpo, che non hanno il coraggio di parlare o intervenire.
La furia di Jean gli si legge nei suoi occhi. Mikasa apre la porta, coperta da una vestaglia lilla che fa quasi perdere a Jean la concentrazione. “Se non hai altri impegni… vorrei cenare con te questa sera. Solo io e te. Vestiti carina, perché voglio sia un appuntamento e non una cena tra colleghi.”
Gli occhi a mandorla di lei mostrano il suo stupore, ma poi lei chiede: “Per che ora?”
E Jean riprende a respirare.


 

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Capitolo 7
*** Sasageyo! ***


7. Sasageyo!


 

Devote! Devote! Devote your hearts!

All our sacrifices were for this very moment

Devote! Devote! Devote your hearts!

Clear a path with your own hands, to the future we need tread…”


 

Shinzou Sasageyo, Linked Horizon


 

Mikasa non sa esattamente cosa sia un appuntamento. O meglio, non capisce cosa ci sia di speciale in quella cena che Jean le ha proposto in modo così deciso e veemente, le era sembrato ci tenesse particolarmente. Se Historia fosse qui con me, potrei chiederlo a lei. Sicuramente sa cosa voleva dire Jean.
Ma non ci sono altre ragazze a cui potrebbe chiedere, visto che le sue cameriere sono tutte orientali e non parlano la sua lingua. Le viene in mente che allora la soluzione più semplice sia chiedere a Jean direttamente. Così esce dalla sua stanza, ma le guardie che le hanno assegnato la rincorrono, cercando di farle capire qualcosa a gesti. Mikasa alza un sopracciglio, intuendo che non vogliono vada in giro da sola. Non sono io che dovreste tenere d’occhio, ma Jean. I sicari erano nella sua stanza, volevano lui. Forse nemmeno sapevano che anche io sono venuta qui. Se non fosse stato per me, forse Jean sarebbe morto. Oppure… oppure sarebbe riuscito ad ammazzare quei due. Scuote la testa, cercando di scacciare quel pensiero. Si rivolge allora ai due soldati: “So che voi state solo facendo il vostro dovere, ma voglio parlare con Jean.”
A quel nome, i due si illuminano, capendo la situazione. Annuiscono e si mettono uno davanti e uno dietro di lei, scortandola fino alla stanza dell’ambasciatore di Paradise. Mikasa si sente a disagio e seccata, non riesce ad abituarsi a quella situazione: lei era il soldato più forte di Paradise, seconda solo al Capitano Levi. E ora due sciocchi soldati dell’Oriente le facevano da scorta per proteggerla. Ironico… era sempre stata lei a proteggere gli altri. A proteggere Eren. Fino alla fine, finché ha potuto. Quel pensiero la blocca, una strana sensazione le attraversa le viscere e sale lungo la sua gola, sente quasi l’impulso di vomitare.
Vede la testa di Eren tra le sue braccia, dorme: è finalmente sereno. Forse sarei serena anche io, da morta. Ho avuto la forza di liberare Eren dal suo destino, di farlo tornare a casa con me… potrei fare lo stesso. Tornare a casa. Per sempre.

“Mikasa?!” La voce di Jean la risveglia dai suoi pensieri.
Non si era accorta di stare tremando e che i due soldati che la accompagnano la stanno guardando preoccupati, chini verso di lei. Jean è vestito elegante, con un lungo cappotto primaverile nero addosso e attraversa il corridoio a grandi passi, verso di lei.
Mikasa si sente svenire, porta la mano alla gola cercando istintivamente la sua sciarpa rossa: non la trova, è ancora accuratamente piegata nel cassetto e si sente soffocare senza. Dopo il primo bacio tra lei e Jean, non aveva avuto il coraggio di tirarla fuori. Si sentiva in colpa, come se avesse tradito Eren, il loro amore e il suo ricordo. Sa che lui le aveva chiesto di dimenticarlo e di andare avanti… ma lei non può farlo, non può dimenticarlo. Ma non può nemmeno smettere di vivere e aspettare solo di morire per tornare da lui. Non sa cosa fare, si sente confusa.
Fino a quel momento, fino a quel bacio, aveva vissuto in una bolla: il tempo era passato, ma per lei era rimasto tutto uguale, congelato, isolata dal resto del mondo. Jean grida di nuovo il suo nome, prendendole il viso tra le mani: “Guardami. Sono qui. Va tutto bene.”
Il colore degli occhi di Jean le sembra bellissimo, così particolare, chiaro e diverso dal suo. Lentamente torna a respirare in maniera normale e lui le lascia delicatamente il volto, senza spezzare il contatto visivo. Il petto di Mikasa finalmente si alza e si abbassa più lentamente. “Io… forse non dovremmo. Cosa direbbe…?”
Non ha bisogno di dire il nome di Eren, Jean lo sa che si riferisce a lui. Grugnisce quasi, anche se capisce i sentimenti di Mikasa: “Se preferisci, faremo finta che non sia mai successo nulla.”
Lei non risponde e Jean nemmeno aspetta che lo faccia, decide di affidarla alle due guardie, che la portano in infermeria, e di tornare alla sua stanza prima di dire qualcosa di cui potrebbe pentirsi. L’unica cosa che vuole evitare a tutti i costi è ferirla.
Sbatte la porta dietro di sé, frustrato, e vi si appoggia, strisciando la schiena contro il legno freddo. Un sorriso amaro si dipinge sul suo volto, insieme ad un piccolo risolino di scherno. Verso sé stesso. Credevo davvero che avrebbe scelto me? Cavolo… persino da morto riesce a battermi. Che egoista, stupido… se fosse vivo, lei sarebbe felice con lui. Non potrei mai averla, non avrei mai potuto nemmeno baciarla… ma lei sarebbe felice.
Abbassa la testa, fissando il pavimento lucido in legno. Cosa devo fare ora? Devo… rinunciare a lei?

Le ferite di Mikasa sono ormai completamente guarite e, grazie alle cure dei medici, non hanno lasciato alcun segno sul suo corpo. Dopo una visita di routine, il dottor Asui le domanda, con un forte accento orientale: “Non riscontro niente di anomalo, forse ha avuto un mancamento o qualcosa del genere. Ha avuto qualche tipo di problema dopo l’aggressione…?”
Le vengono in mente i flash, gli attacchi di panico, la sensazione di soffocare: paradossalmente, non si era mai sentita così vicina alla morte come quella notte. Si sente una vera debole per quel pensiero, non un soldato dell’esercito di Paradise. Così si limita a scuotere la testa e a recuperare i suoi vestiti. Ripensa a Jean, sono tre giorni che non lo vede.
Presto lei tornerà a Paradise e lui continuerà il suo viaggio come ambasciatore di pace, ricongiungendosi con Armin e gli altri. Quel pensiero dovrebbe farla felice, ma non è così. Si dice che finalmente tornerà da Eren, gli racconterà tutte le cose meravigliose che ha visto in Oriente e… non rivedrà più Jean per chissà quanti altri anni.
Non avrà più la tentazione di baciarlo o di rintanarsi tra le sue braccia come una ragazzina. Non si perderà più nei suoi occhi chiari o nelle sue carezze dolci. Non sentirà più il calore del suo corpo. Non sentirà più la sua voce chiamarla per nome. Non tradirà più Eren. È giusto così.

Le indagini sulla aggressione avvenuta ai danni dei due delegati di Paradise non hanno portato alcun risultato e la cosa indigna e insospettisce Jean. Ma non è la prima volta che si ritrova in una situazione simile, lui e gli altri ambasciatori di pace sono sempre stati minacciati, aggrediti e insultati nei loro viaggi, persino dai loro stessi connazionali.
Sono figure controverse, le loro parole confondono e la loro storia scuote le persone fin nelle viscere: sentono ancora tutti la terra tremare sotto i loro piedi ed i passi lenti e rimbombanti dei Giganti, che si avvicinano per schiacciarli tutti. Ma è la prima volta che mette in pericolo Mikasa… se non fosse stato per lui, non si sarebbe trovata in quella situazione.
Lui l’ha portata in Oriente. Lui l’ha lasciata dormire nella sua stanza. Lui non ha avuto la prontezza di sparare ed ammazzare quei vigliacchi che hanno osato farle del male. Ma il tempo della loro permanenza sta per scadere. E lui non ha avuto più il coraggio di parlare con lei dall’ultima volta, in cui le aveva promesso di far finta che non fosse successo nulla tra loro. Che vigliacco. Altro che eroe… non sei nemmeno capace di proteggere la ragazza che ami. E che preferisce un morto a te. La verità è che lui non può fingere che non sia successo nulla tra di loro, non dopo che l’ha baciata.
Ormai conosce il sapore delle labbra di Mikasa… e sa che farà un’immensa fatica a dimenticarlo. Forse non ci riuscirà mai… e neanche lo desidera, vuole conservare gelosamente quel ricordo. Il buio è ormai calato, la riunione coi dignitari dell’Oriente è durata più di quanto aveva previsto e non è nemmeno riuscito a cenare.
Sbuffa e decide di andare in camera sua per farsi una doccia. Non nota la presenza di una candela su un tavolino al centro della stanza, ci fa caso solo quando appende il suo cappotto.
Si avvicina e trova Mikasa seduta davanti al basso tavolino orientale, seduta sulle ginocchia e con addosso un kimono rosa pallido, decorato con immagini di fiori di ciliegio. I capelli corvini sono legati in una semplice coda e le labbra sono di un rosa leggermente più acceso del solito. Lo guarda, gli occhi a mandorla scuri e seri. Con un cenno della mano, lo invita a sedersi dall’altra parte del tavolo.
Jean obbedisce, guardandola quasi stordito dalla situazione, ma non fa nessuna domanda nemmeno quando lei gli porge un paio di bacchette ed un piatto di sushi, che ormai hanno imparato ad apprezzare: “So che hai saltato la cena oggi. Ho pensato ti avrebbe fatto piacere mangiare qualcosa. E avevo bisogno di una scusa per parlarti.”
Jean ha la tentazione di risponderle male, ma è solo la sua frustrazione, così si limita a prendere un boccone di salmone e riso. Mikasa allora continua: “Ho pensato a quello che mi hai detto. E non posso. Non posso far finta che non ci sia nulla tra di noi. Come non posso dimenticare Eren. Ma forse… non devo farlo. Le vedove non dimenticano i mariti defunti… ma non sono costrette a restare sole. A rinunciare a vivere la loro vita. Io… passavo le mie giornate con Historia, la sua famiglia e su quella collina con Eren. Mi bastavano. Ma ora non penso che potrei tornare a farlo. Perché ora… ora so che potrei avere anch’io una persona accanto e forse un giorno una famiglia. E… ho perso già Eren. Non posso perdere anche te. Non so ancora quali siano i miei sentimenti per te, ma non posso ignorarli.”
Jean spalanca gli occhi, sente il cuore esplodergli nel petto e non sa nemmeno cosa sia quella emozione che lo sta paralizzando. Non sa cosa rispondere. Nella sua mente si affollano tante domande, insieme a dubbi, sensi di colpa e paure.
Inghiotte il boccone di sushi e la guarda negli occhi: “Tu non mi perderai mai. Nemmeno se non dovessimo vederci per altri cent’anni. Quando eravamo nel corpo di ricerca, ho offerto il mio cuore per la causa, per liberarci dai giganti una volta per tutte. Sarei morto per questo. Ora… dovrei offrirlo per il ricordo dei miei compagni e amici, per la pace che stiamo costruendo sui loro corpi e per onorare il loro sacrificio. Ma… lo dedicherei a te.” Devo sembrarle così smielato, cazzo! Però… è quello che penso, è ciò che sento.
Abbassa lo sguardo, imbarazzato e rosso in viso, domandandosi se verrà nuovamente respinto. Mikasa sorride appena, arrossendo anche lei: “Allora, quando avrai portato la pace nel mondo… devi tornare da me.”
Lui annuisce, incredulo ancora. Vorrebbe darsi un pizzicotto per assicurarsi che non sia un sogno. Ma non ha bisogno di farlo: Mikasa si è alzata, sedendosi vicino a lui. Emette un sospiro quando appoggia il viso sulla spalla di Jean, come se si fosse tolta un peso dal cuore. Allora la prende tra le sue braccia, desiderando di baciarla: non glielo dirà mai, ma in quei tre giorni lontano da lei ha sognato i suoi baci in continuazione. Sente le mani forti e decise di lei tirargli la camicia bianca all’altezza del petto, attirando la sua attenzione.
I loro occhi si incontrano di nuovo, illuminati solo dalla luce fioca di una candela. “Devi tornare da me.”
La voce di Mikasa è ferma, ma leggermente più dolce del solito. La vede chiudere gli occhi e in un istante lo bacia, dolcemente e con le labbra appena premute contro le sue. Allora anche Jean chiude gli occhi, stringendola ancora di più a sé. Tornerò sempre da te. Ma… tu a chi dedicherai il tuo cuore? A Paradise, a Eren, a me o… a te stessa?


 

Nonostante Mikasa stia dormendo pacificamente nel suo letto, Jean non riesce ad essere sereno. Ripensa a quello che si sono detti durante la cena della sera prima e si rende conto di esserle sembrato uno zerbino probabilmente. E che lei non ha mai detto di ricambiare i suoi sentimenti. Lui non può vivere a Paradise, ha una missione da compiere.
Forse lasciarla nuovamente sull’isola non è una buona idea, potrebbe dimenticarsi di lui con il tempo e tornare ad essere completamente devota alla memoria di Eren. Ma lei lo ha baciato. Quel gesto non può non significare nulla per una ragazza come lei. Sospira, confuso dai propri pensieri e sentimenti. Forse farò meglio a smettere di pensare così tanto… è probabile che anche lei sia confusa. Dopotutto, per lei c’è sempre stato solo e soltanto Eren. Dev’essere strano abituarsi all’idea che potrebbe imparare ad amare qualcun altro… me. Jean ha paura di confrontarsi con Mikasa, potrebbe scoprire cose che non vuole sapere e gli piace crogiolarsi in quella piccola vittoria, almeno per un po’. Nella sua vita è stato così raro potersi immergere in un attimo di felicità, gioia e serenità.
Dopo essersi abbottonato l’ultimo bottone della camicia bianca, si avvicina al volto addormentato di Mikasa, scostandole una ciocca di capelli corvini dal viso. Ti sei fatta crescere i capelli. E non ti vedo con la tua sciarpa rossa da giorni ormai… stai cambiando tanto. Vorrebbe darle un bacio sulla fronte prima di lasciarla nella stanza, ma desiste e decide di lasciarla dormire in pace, non vuole svegliarla.
Prende il suo cappotto marrone e, cercando di non fare rumore, esce dalla stanza. Ma un altro suono risveglia Mikasa dal suo dolce sonno, facendola scendere immediatamente dal letto: in quel momento un masso spacca la finestra di vetro, mandandola in frantumi.
Attaccato al sasso c’è un foglio, riconosce la scrittura del popolo dell’oriente. Non ha certo bisogno di un traduttore per sapere che non è nulla di buono. Senza nemmeno vestirsi, con ancora la camicia da notte candida, prende la pistola che Jean aveva nascosto sotto il cuscino e la punta verso l’esterno, cercando chi ha lanciato il sasso. Ma non c’è traccia d’anima viva. Se non fosse che non saprei da dove iniziare, andrei a cercare quello stupido che ha osato mettersi contro Jean. Contro di noi.
Con rabbia, raccoglie da terra il sasso ed il foglio che vi era legato. Inspira con rabbia ed esce dalla stanza, ma appena apre la porta si trova Jean davanti, con gli occhi stretti in due fessure: “Ho sentito un forte rumore, cosa è successo?!”
Mikasa si accorge solo in quel momento di non aver messo al suo posto la pistola: la sta ancora tenendo tra le mani, come se fosse diventata una sua naturale estensione.

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