V per Vizio

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aria di crisi ***
Capitolo 2: *** Il mio amico Falcon ***
Capitolo 3: *** Dal lato femminile ***
Capitolo 4: *** Uno strano via vai ***
Capitolo 5: *** Fra bettole e diluvi ***
Capitolo 6: *** Ad ognuno il suo menage ***
Capitolo 7: *** Naufragi ***
Capitolo 8: *** Portami a casa ***
Capitolo 9: *** Vizio, Vizi, Viz, Vi, V ***



Capitolo 1
*** Aria di crisi ***


…. E alla fine eccomi nuovamente qui con un’altra storiella. Mi piace troppo scrivere di loro e sognare insieme a voi.
Ve la dedico *__*
Eleonora

 
 
 
Cap. 1  Aria di crisi
 
 
Kaori stava camminando a passo di carica, imbufalita, mentre Ryo sgambettando la seguiva d’appresso.
La ragazza era davvero adirata, e non ci voleva molto a capire che la causa era quell’idiota che si ritrovava come socio.
Inutilmente lui cercava di calmarla, ma, consapevole del suo difetto, aveva anche paura che lei si fermasse sul serio e che finalmente gli desse udienza.
Stavano giusto salendo le scale del loro appartamento quando lui, per l’ennesima volta, provò a chiamarla:
 
“Ka-Kaori aspetta!”
 
Tuttavia lei non lo degnò di un solo sguardo, tutta presa a contenere la rabbia, che stranamente non aveva ancora lasciato andare.
 
“Mi-mi dispiace… perdonami!” continuava a ripeterle lui, preoccupato e con la fronte madida di sudore, e, nel momento esatto in cui entrambi entrarono in casa, le disse, ancora: “Eh dai, Kaori-chan, lo sai che io scherzo!”
 
A quel punto lei si voltò di scatto, lo prese per il bavero della giacca, e lo sbatté sul muro vicino.
Lui, colto alla sprovvista, non fece in tempo nemmeno a reagire, conscio, oltretutto, che si meritava ogni punizione divina lei avesse deciso di accordargli.
Ma Kaori dapprima lo baciò con veemenza, un lungo bacio passionale e possessivo da togliere il fiato ad entrambi; poi gli rifilò uno schiaffo portentoso e, infine, una martellata fotonica con su scritto “Per non dimenticare”.
 
Ryo, sprofondato nel cratere formatosi fra le assi del pavimento, ci mise un po’ a riprendersi.
 
In fondo Kaori era l’unica che fosse in grado di metterlo veramente k.o., e tutto sommato a lui andava bene così.
 
Se nel corso del tempo si era abituato alle sue martellate, sostituite a volte con aculeati kompeiti, o con tranvate scagliatigli contro utilizzando mastodontiche travi, più difficile era riprendersi dai rari schiaffi che gli rifilava, e che facevano di gran lunga più male.
Per quanto riguardava i suoi baci, poi, non c’era storia!
 
Da che erano riusciti a far progredire la loro relazione – che per troppi anni aveva rasentato il platonico patologico, nonostante l’ardore e il desiderio ribollissero nelle loro vene in maniera sotterranea e potente – Ryo aveva sperimentato quanto la sua compagna potesse essere passionale e volitiva.
Del resto non c’era nemmeno da stupirsene, viste le feroci scenate di gelosia che era capace di fargli, l’energia che ci metteva in tutto ciò che faceva, la forza e la passione che contraddistinguevano tutta la sua vita.
Kaori era una combattente, una pasionaria nel vero senso della parola, ed era scontato che anche in amore vi trasferisse la sua verve, a beneficio del suo compagno che, del resto, non era da meno.
Tuttavia, mentre Ryo si vantava dei suoi appetiti sessuali e della sua apparente infaticabilità come amante, Kaori era stata una piacevole scoperta per lui, e non poteva di certo lamentarsi!
Che Ryo se ne fosse innamorato per la sua indole buona, sincera e pura, e l’avesse idealizzata per questo, era un fatto incontrovertibile; l’amava anche per la sua spontaneità, ingenuità, a volte, ma anche per il cipiglio con cui affrontava la vita che, a ben guardare, non era stata dolce nemmeno con lei.
L’amava per il modo in cui lei amava lui, totalmente e senza riserve, perché l’aveva accolto e capito più di chiunque altro; l’amava perché non esisteva nessuna come lei, e Ryo aveva avuto il privilegio e la fortuna di poterla incontrare.
Da subito era stato ammaliato, sconvolto, e turbato fin nel profondo dai suoi baci, così caldi, partecipati, un concentrato di emozioni, qualcosa di unico, che lo facevano vibrare e fremere come non gli era mai successo prima.
Aveva baciato tante donne, con altrettante era andato anche molto oltre, ma niente era paragonabile ad un solo bacio di Kaori Makimura; forse perché era la donna della sua vita, o forse perché solo lei sapeva baciare in quel modo.
 
Quindi niente di strano che un suo bacio, uno schiaffo e una martellata lo mettessero fuori combattimento per un tempo non indifferente, tanto più che Ryo non sapeva se bearsi per quell’atto d’amore, preoccuparsi dello schiaffo, o consolarsi con la martellata che faceva tanto routine.
 
Quando infine riuscì ad emergere dal pavimento e dal suo spaesamento, consapevole che la questione fra loro due non si era propriamente risolta, decise di andarla a cercare, per vedere se almeno le fosse passata l’arrabbiatura e lui potesse aspirare a trascorrere con lei, in pace e tranquillità, il resto della serata.
Cercava di non spingersi oltre, con l’immaginazione, sugli eventuali passatempi possibili, perché Kaori era veramente furiosa e, insomma… non si poteva mai sapere.
 
La chiamò nuovamente facendo la vocettina dolce:
 
“Kaori, tesoro? Dove sei?”
 
Ma lei non rispondeva.
 
Girò tutte le stanze dell’appartamento, ma proprio non gli riuscì di trovarla, nel frattempo, però, uno strano nodino gli si era attorcigliato in fondo allo stomaco, e lui si costrinse a non pensare al peggio.
E quando infine si decise a guardare in camera da letto – che per una strana ragione aveva lasciato per ultima – per poco non cadde all’indietro.
Sul letto, sul loro letto, c’era un biglietto.
Con passo incerto avanzò verso quel mostro di carta che lo occhieggiava sfacciato, e quasi per paura che lo azzannasse con le sue fauci di cellulosa, tremante allungò una mano e lo afferrò con due dita per un lembo.
Lo portò lentamente ad altezza occhi e lesse:
 
Sono stanca. Ho bisogno di stare da sola”.
 
“Arrrrggggg nooooooo!” scoppiò ad urlare lo sweeper “No no no, Kaori, nooooo!!!”
 
All’improvviso fu sopraffatto dalla disperazione, e vide materializzarsi davanti a sé il suo peggior incubo, ciò che in tempi passati aveva desiderato con tutto sé stesso, e che ora gli risultava intollerabile oltre ogni dire: Kaori l’aveva lasciato!
E a conferma di tutto ciò, l’uomo scorse sul letto, lì dove prima c’era il famigerato biglietto, tutti i bottoni con ricetrasmittente che Kaori era solita portare appuntati nei vestiti, per farsi trovare da lui nel caso fosse stata rapita.
Segno inequivocabile che… non voleva essere trovata!
 
“Mi ha lasciatooooo, noooo, mi ha lasciato” ripeteva piagnucolando il cinico sweeper, il seduttore, lo stallone di Shinjuku.
“Non è possibile, mi ha lasciato” reiterava girando per casa come un forsennato, fino a quando non si ritrovò in cucina.
 
“Mi ha lasciato, mi ha lasciato, mi ha lasciatoooo… be’, almeno non mi ha lasciato senza cibo!” finì per dire, perché aveva appena scorto un cartoncino appuntato sul frigorifero con un magnete, recante il messaggio “La cena è nel frigo”.
 
Si grattò la testa, perplesso.
 
Poi sospirò rumorosamente e, affranto, si buttò su una seggiola; per poco non finì lungo per terra, tanto era stata goffa la mossa, quindi sbatté la testa sul piano del tavolino e lì rimase, con le braccia ciondoloni, a ripensare agli eventi che lo avevano portato fin lì, a quella situazione drammatica per non dire tragica.
Sospirò nuovamente: era giunto il momento di fare qualcosa, ma qualcosa davvero.
 
Non che, in sé per sé, ciò che era accaduto solo poche ore prima fosse così grave da decretare una rottura o una crisi come quella che stavano vivendo, ma Kaori aveva ragione, era stanca, e lui questo lo sapeva benissimo.
Il fatto era che nel pomeriggio erano usciti, ufficialmente per fare il giro della città e controllare che tutto filasse liscio, anche se in realtà quello doveva essere una specie di appuntamento, o meglio un momento tutto loro per stare fuori casa e passare del tempo insieme.
Sennonché, poiché erano ancora un po’ restii a far sapere agli altri che ormai erano ufficialmente una coppia, e, tutto sommato, non si sentivano nemmeno loro così tanto a loro agio nell’ammettere che lo fossero, continuavano a recitare le solite scenette trite e ritrite.
A beneficio di chi, era un mistero.
E quel giorno, così come ogni altra volta, passeggiando per il parco, Ryo aveva fatto lo stupido con tutte le belle donne che avevano incontrato: le aveva molestate e si era preso la sua buona razione di borsettate e schiaffi, conditi da urli e grida.
Aveva pure sbavato, smaniando, guardandone passare altre lontano dalle sue grinfie, dimenticando che era con Kaori che era uscito, e che, appunto, era lei la sua fidanzata.
 
Kaori dal canto suo, se all’inizio, dopo aver fatto il grande passo, si era detta di aver pazienza con lui, che le vecchie abitudini sono dure a morire, che in ogni caso le era fedele e tornava sempre da lei più innamorato e appassionato che mai, a lungo andare quelle bambocciate avevano finito per irritarla e stancarla.
Anche se non avrebbero mai sbandierato ai quattro venti che ormai facevano sul serio, ostentando il loro legame, e troppo restii e pudichi per farsi vedere a sbaciucchiarsi fuori casa, non c’era motivo per cui Ryo continuasse a fare il maniaco e il pervertito in presenza di una qualsiasi altra bella donna.
Il giochetto non aveva più ragione d’essere, tanto più che lui le aveva detto più volte, e dimostrato in maniera sublime, che l’amava, quindi non aveva bisogno di andare ancora a caccia di donne.
Non era forse umiliante alla lunga?
E non valeva che Kaori continuasse a prenderlo a martellate e strepitasse come un’isterica, sollevando come sempre un polverone fra chi la vedeva come una gelosona esagerata, e chi la compativa per essersi legata ad uno stupido libertino come lui.
Era arrivata ad un punto tale che nemmeno spiaccicarlo a terra o sul muro, la faceva sentire meglio, né le scaricava più la frustrazione.
Non a caso quello stesso pomeriggio, davanti al solito bailamme scatenato da quell’invertebrato, non si era sentita di punirlo, in pubblico, seduta stante.
 
E anche Ryo aveva capito la gravità della cosa, quando, aspettandosi una punizione, questa non era giunta; si era subito preoccupato, e nel momento in cui la sua ragazza aveva alzato i tacchi, adirata, e si era diretta verso casa, l’uomo si era detto che stavolta l’aveva fatta davvero grossa.
La classica goccia che fa traboccare il vaso.
 
Certo non poteva sapere che sarebbe stata la volta buona in cui lei, esasperata, l’avrebbe lasciato veramente.
 
Ryo non poteva ancora crederci!
Quindi, si disse, forse Kaori non faceva totalmente sul serio… magari era convinta solo all’80-90%, e lui aveva ancora un piccolo margine per rimediare e farle capire che… che cosa esattamente?
Se lui non fosse cambiato, come avrebbe potuto chiederle di tornare, di far finta di niente, di dimenticare? Nemmeno con una delle solite provvidenziali amnesie della socia, poteva sperare che lei scordasse tutto quanto, e soprattutto di come lui fosse un deficiente.
 
Sospirò.
 
Da sempre restio a chiedere aiuto, si convinse che stavolta da solo non ce l’avrebbe fatta.
Se nelle faccende d’amore – e ho detto amore e non sesso – Ryo non ci capiva niente in generale, quando si trattava di Kaori sbarellava invariabilmente, e solo grazie alla dedizione e alla pazienza della ragazza stessa, nonché al suo grande incondizionato affetto, il socio riusciva a farsi capire da lei, ma solo perché era lei che lo conosceva bene e sapeva interpretarlo, interpolare i suoi discorsi abulici e a volte ermetici.
L’uomo sentiva che doveva cambiare, migliorare per lei, ma non sapeva da che parte cominciare, anche se, se si fosse impegnato, il modo l’avrebbe trovato… ma tant’è.
 
Troppo preso nella morsa dell’afflizione, sprofondato in quel senso di abbandono che cresceva di ora in ora – anche se erano passati solo pochi minuti –, era impossibilitato ad accettare la perdita della sua Kaori, la quale non solo aveva animato la sua triste e grigia vita, portandogli un raggio di sole nell’oscurità (e qui si sentì tremendamente sentimentale), ma anche colei che era diventata a tutti gli effetti l’amante perfetta.
 
I loro incontri erano sempre così roventi, appassionati, voluttuosi, che Ryo non credeva fosse possibile sperimentare con la stessa donna tutte quelle emozioni, quelle sensazioni.
Con lei provava un tale senso di appagamento e totale abbandono, a cui faceva subito seguito un rinnovato desiderio, una stuzzicante voglia di averne ancora, che gli bastava pensarla un attimo più intensamente, che immediatamente si faceva languido e voglioso.
Sentiva un pizzicorino ben noto farlo fremere e un sorrisone gli illuminava il viso, pregustando con gioiosa aspettativa l’attimo stesso in cui l’avrebbe rivista.
Che poi fosse vestita o nuda poco importava: nel primo caso sarebbe stato eccitante alleggerirla del superfluo, o ammirarla mentre lei lo faceva per lui; nel secondo caso gli occhi si sarebbero riempiti del suo magnifico corpo perfetto, morbido, liscio, invitante, sacro, come solo le dee sanno avere.
 
Non era l’uomo più fortunato del mondo, a poter stringere fra le braccia una donna fantastica come Kaori?
Effettivamente perché cercare ancora?
Che poi non era veramente cercare, perché la sua era solo facciata, una deprecabile vuota mania, un vizio ormai ingombrante… ed ora più che mai dannoso.
 
Ma a chi chiedere aiuto?
Di quali uomini poteva fidarsi a sufficienza e a cui poter confidare i suoi crucci di totale cretino?
Solo di quelli che lo conoscevano talmente bene, tanto da non stupirsi di lui e delle sue bambocciate; insomma degli unici che sapevano com’era e non lo giudicavano… forse.
Umibozu, Mick e il Doc.
 
Ritirando su di scatto la testa, pensò bene di raggiungere il gigantesco barman, con la segreta speranza di trovarci lì magari anche Kaori.
In fondo chi, meglio di Falcon e Miki, conosceva tutto della loro tormentata storia d’amore?
Umi era presente nella radura, e sulla nave di Kaibara c’era pure Miki.
A Ryo scocciava ammetterlo, ma quei due mercenari erano sempre un passo avanti a lui: erano stati i primi ad ammettere di amarsi e mettersi insieme; erano stati anche i primi a voler ufficializzare la loro unione nientemeno che con un matrimonio!
E lui… lui ancora arrancava dietro Kaori, cercando di farle capire, nel suo modo sgangherato e contorto, che l’amava e voleva vivere per sempre accanto a lei.
 
Così Ryo, forte di questa convinzione, prima di uscire direzione Cat’s eye, si precipitò di sopra e prese una manciata dei bottoni di Kaori, e se ne riempì le tasche della giacca; forse era un gesto insensato, ma aveva bisogno di portarsi dietro qualcosa di lei.
 

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Capitolo 2
*** Il mio amico Falcon ***


Ed il secondo capitolo è servito, per chi l’aspettava con ansia ^_^
Buona lettura e grazie per il gradimento che avete manifestato anche stavolta *__*
Vi lovvo
Eleonora





Cap. 2 - Il mio amico Falcon
 
Ryo parcheggiò lontano dal Cat’s Eye per potervi giungere guardingamente, perlustrandone bene i dintorni, alla ricerca dell’eventuale presenza di Kaori, anche se non c’era traccia della sua Honda.
Aveva una gran voglia di rivederla, ma allo stesso tempo la temeva, perché forse, vedendolo, sarebbe scappata di nuovo; o peggio avrebbero ripreso a litigare, e Ryo non era sicuro di riuscire stavolta a rabbonirla.
Inoltre le esigue scorte di denaro non sarebbero bastate per ripagare i soliti danni al locale, che sicuramente i due vi avrebbero arrecato come di consueto.
 
E poi Ryo faceva sul serio, ora, voleva veramente cambiare, cambiare per lei, e aveva bisogno di parlare con Umibozu, da uomo a uomo, e la presenza di Kaori l’avrebbe distratto o distolto dal suo intento.
Non sapeva cosa augurarsi.
 
Entrò nel locale deserto: apparentemente non c’era nemmeno Miki, forse era in compagnia della sua migliore amica, ad asciugarle le lacrime e a farle forza, divisa fra consigliarle di avere pazienza e spingerla a mandare al diavolo Saeba, pensò Ryo con una puntina di disagio.
 
Nemmeno stesse andando ad un appuntamento con un nemico insidioso, e temendo una trappola, lo sweeper avanzò cauto lungo le pareti, riparandosi dietro il mastodontico ficus dell’angolo e la felce ombrosa, per poi giungere nei pressi del bancone.
 
“Pericolo?” proruppe Falcon spuntato chissà da dove, facendo trasalire Ryo.
 
“Ti sembra questo il modo di comparire? Così spaventi la clientela, brutto bestione!” strepitò lo sweeper buttandosi sul primo sgabello a portata di mano.
 
“Non quando la cosiddetta clientela è uno come te, che entra di soppiatto nel mio locale, con quella faccia da idiota, poi!” rispose l’altro senza scomporsi.
 
Ecco, quello non era il preambolo giusto per iniziare una conversazione che implicava una confessione e una richiesta d’aiuto da parte dell’idiota in questione.
Ma Umi, che aveva sviluppato un sesto senso non indifferente a parziale compensazione della graduale perdita della vista, intuendo che Ryo non era lì per prendere un semplice caffè e passare il tempo a sfotterlo, gli disse:
 
“Se cerchi Kaori non c’è, e mi ha espressamente chiesto di non dirti dove sarebbe andata. Ed io mantengo sempre i segreti” e con questo metteva in chiaro che non voleva noie in tal senso.
 
Falcon aveva un debole per quella ragazza che aveva imparato a considerare una grande donna, nonché un’amica a cui si era rapidamente affezionato; il senso di protezione che provava per lei, l’avrebbe spinto a difenderla a qualunque costo, anche dallo stesso Ryo.
 
“No, non cerco Kaori” rispose sprezzante l’amico, stizzito al pensiero che il polipone potesse sapere troppo dei loro affari personali; chissà cosa gli aveva raccontato Kaori?
Scacciò quei pensieri come una mosca noiosa e proseguì: “In realtà cercavo proprio te, e sono contento che lei non ci sia” puntualizzò.
 
“Puah!” esalò Falcon per poi aggiungere: “Allora? Saeba, ora sei qui: cosa vuoi?”
 
D’improvviso Ryo perse tutta la sua baldanza e si ritrovò a corto di parole.
Perché un conto era bisticciare o duellare con il grande Umibozu, pianificare un assalto, sbaragliare un nemico per quanto numeroso con l’adrenalina che scorre a fiumi, ragionare di armi, munizioni, guardarsi le spalle a vicenda, riportare a casa la pelle, magari malconci ma felici, sprizzanti testosterone da tutti i pori… Un conto chiedere proprio a lui consigli su… il rapporto di coppia.
Si schiarì la gola, poi chiese:
 
“Ummm, senti… ma tu… come fai con Miki?”
 
“Con Miki cosa?” chiese il gigante con voce atona.
 
“Voglio dire…” riprese a fatica Ryo “hai mai pensato di tradirla?”
 
“Cosa??? Io non tradirei mai un commilitone, nemmeno per l’ingaggio più sostanzioso!” tuonò l’altro, travisando apparentemente il senso della domanda di Ryo.
 
“Sì, sì quello anch’io…” bofonchiò lo sweeper, e poi: “Nel senso… non hai mai pensato di andare con un’altra donna?” chiese infine, conoscendo già in parte la risposta.
 
Non gli risultava che Umibozu avesse avuto delle donne prima di Miki, e anzi si era stupito enormemente quando quella bella ragazza era comparsa dal nulla, decisa a farsi sposare dall’armadio a muro, come se Falcon fosse tipo da queste cose.
Ma poi alla fine l’armadio aveva ceduto, ora stavano insieme e sembravano felici, almeno Miki lo era, segno evidente che era corrisposta nel suo amore, in tutto.
Ryo ogni qualvolta ci pensava, rabbrividiva, ed evitava di immaginarsi i due se non a fare cose, almeno in teneri atteggiamenti.
Ma quelli non erano affari suoi, e se a loro andava bene così, perché no?
Quindi dubitava che Umi avrebbe mai tradito la sua donna, perché non ce lo vedeva a perdere la testa per qualcun’altra che non fosse sua moglie, né a voler provare il brivido dell’avventura.
 
Infatti, prevedibilmente Umibozu prese letteralmente fuoco, con la testa in fiamme e la pelata fumante.
 
“Che-che stai dicendo?” balbettò il gigante, sull’orlo di uno svenimento. Poi però, vedendo che Ryo era serio, e non lo stava prendendo in giro come al solito, si fece forza e ripose: “Io ho giurato davanti a Dio e davanti a Miki che l’avrei amata per sempre, e che sarei stato suo. Lei mi ha preso” sentenziò.
 
“Sì, lo so… ma… non pensi mai come sarebbe frequentare un’altra donna, andare a letto con un’altra… insomma, veramente ti basta lei?”
 
Da sempre in imbarazzo ad intavolare certi discorsi, Falcon fu sorprendentemente sicuro di sé quando affermò:
 
“Non credere che non abbia avuto le mie esperienze prima di Miki: solo perché non ne faccio un vanto come te, non vuol dire che non ci siano state. Poi però è arrivata lei, e non mi serve altro. Ci amiamo e questo è tutto. Chiediti tu perché stai cercando altro: il tuo amore per Kaori non è sufficiente? Se non sei sicuro di te, allora lasciala perdere, non merita di soffrire ancora. Troverà un altro che saprà amarla come deve” concluse asciutto.
 
Quelle parole scossero Ryo enormemente; di più, lo ferirono, perché in fondo al cuore sapeva di amare profondamente la giovane, e che qualcuno lo mettesse in dubbio, lo irritava.
Era solo per l’immenso amore che nutriva per lei che l’aveva tenuta alla larga, non aveva accettato di ricambiare i suoi sentimenti, perché sperava che un giorno avrebbe deciso di cambiare vita e tornare nel mondo.
Era solo per l’immenso amore che nutriva per lei che aveva cambiato vita, smettendo di essere un freddo assassino, cercando di coltivare la sua umanità.
Era solo per lei che aveva deciso di vivere, e non solo sopravvivere, e di proteggerla finché avesse avuto respiro.
Non era sufficiente tutto questo?
È vero, agli occhi degli altri era parso sempre un menefreghista, uno che si divertiva a farla soffrire sminuendola e respingendola, ma quella era solo una facciata.
Il suo amore per lei era terribile e terrificante, ma non era meno profondo e vero di quello che legava Umibozu e Miki.
 
E Ryo si guardò bene dal rivelargli che non c’era bisogno di lasciare Kaori, perché lei lo aveva appena fatto con lui.
 
Per darsi un tono e mascherare la scottante delusione, disse:
 
“Ma certo! Figurati se pensi di darti alle avventure amorose! Non ne avresti nemmeno se le volessi. Non capisco cosa ci trovi in te, la bella e dolce Miki” buttò lì, per dargli contro e ferirlo proprio come aveva fatto lui.
 
Quindi si alzò in piedi e con nonchalance si diresse alla porta: mani in tasca, con l’inconfondibile aria da scioperato che da sempre lo contraddistingueva, gli diede le spalle, e non si voltò nemmeno quando Falcon gli disse:
 
“Probabilmente hai ragione tu. Ma io sono felice così, e… non sono io ad avere problemi, o sbaglio?” insinuò malignamente.
 
Ryo non ribatté e accusò il colpo senza scomporsi, ma Umi era sicuro di aver fatto centro, e sogghignò sotto i baffi, borbottando un:
 
“Pivello!”
 
 
o.O.o
 
 
“Hai sentito?” trillò Miki, portandosi le mani alle guance in fiamme, gli occhi a cuoricino.
 
“Sì, ho sentito” mormorò Kaori quasi infastidita dalla reazione dell’amica.
 
Erano rintanate nella cucina di casa Ijiuin, dove si erano rifugiate non appena Kaori era arrivata lì come una furia.
Miki, vedendola così sconvolta, non ci aveva messo tanto a capire che, ancora una volta, la causa dello stato di totale furore della ragazza fosse Saeba.
Aveva sperato che, una volta saltato il fosso, ed aver più o meno consolidato la relazione, portandola ad un livello superiore, i suoi due amici, soprattutto Kaori, avrebbero trovato un po’ di pace e serenità.
Ma non era stato propriamente così.
Quando Kaori le aveva confidato che si erano messi insieme, era scoppiata di gioia per lei e, oltre ad essersi fatta raccontare tutto ed aver ridacchiato felice, fra rossori reciproci e sospiri, si era detta che, finalmente, anche la giovane avrebbe avuto la sua fetta di meritata felicità.
Eppure, dopo quei primi tempi di confidenze zuccherose, la sweeper si era dimostrata a volte triste e scorata, ed era finita per raccontarle anche tutte quelle piccole cose che la facevano soffrire, che poi tanto piccole non erano, perché ora più che mai erano assurde ed umilianti.
Ryo non aveva perso le sue vecchie abitudini da maniaco e porcello, e questo alla ragazza non andava proprio giù.
Miki, a quel punto, si era trovata a corto di consigli, e non le era rimasto che essere solidale con l’amica e offrire il suo appoggio incondizionato.
Così, quando quella stessa sera se l’era vista piombare in casa in quello stato, non aveva avuto dubbi sulla natura della tempesta in corso, ma prudentemente non aveva detto niente; in fin dei conti quella poteva essere una crisi passeggera come ce ne sono tante fra innamorati, e di lì a poco Kaori sarebbe ritornata sui suoi passi, o Ryo avrebbe trovato il modo di riportarla a casa.
Quindi, guai a dire: “Hai fatto bene a lasciare quel bastardo, non ti merita!” anche se doveva continuamente mordersi la lingua per non lasciarselo sfuggire.
Oppure avrebbe potuto dire: “Dai, non buttarti giù, lui ti ama e presto verrà a chiederti scusa in ginocchio, vedrai!” ma conoscendo l’orgoglio e la testardaggine del Saeba, chissà quando e se sarebbe successo, e magari così rischiava di dare false speranze alla sua migliore amica.
Perciò si era limitata al minimo indispensabile.
Però si era stupita enormemente dello spirito battagliero di Kaori, che non pareva né affranta né disperata, anzi sembrava avere un piano, e le brillavano gli occhi come fosse sul punto di commettere qualcosa… magari un’imprudenza, o… chissà cos’altro?
Le ricordava la Kaori che si era presa a cuore la sua situazione, quando, irrompendo nella vita di Umi decisa a sposarlo, lui le aveva risposto che avrebbe accettato solo se lei fosse stata capace di uccidere Ryo Saeba. Certo, Kaori non l’avrebbe aiutata ad uccidere il suo socio, ma a farsi sposare da Falcon, quello sì.
E anche adesso aveva lo stesso cipiglio, la stessa forza d’animo di quella volta; all’epoca le era subito stata simpatica, si erano intese all’istante, erano diventate subito amiche.
Inoltre fin dall’inizio l’ex-mercenaria aveva capito che c’era del tenero fra i due soci, e anzi le aveva chiesto il motivo per cui, inscenando quel finto rapimento da parte di Miki, Kaori volesse approfittarsi dei sentimenti di Ryo nei suoi confronti.
Era così lampante che quei due si amassero, che davvero aveva dell’incredibile che solo loro non lo vedessero!
 
In ogni caso Kaori, quella sera, si era presentata da lei con un enorme zaino sulle spalle, e dalla mole del bagaglio Miki pensò che intendesse stare fuori casa diversi giorni, se si era portata tutta quella roba.
E rimase invece stupita, quando la sweeper tirò fuori uno strano aggeggio, che assomigliava ad un computer portatile.
Con un ghigno sinistro l’aveva appoggiato sul tavolo della cucina e, aprendolo, aveva detto con aria di sfida:
 
“Ryo, a noi due!”
 
In seguito la sweeper le aveva spiegato che aveva lasciato il suo fidanzato – e a quel punto Miki era trasalita – ma lo stupore per la notizia improvvisa, aveva ben presto lasciato il posto alla curiosità che le parole udite poco dopo le aveva stuzzicato.
L’amica le stava giusto spiegando che sì, se ne era andata da casa, ma aveva lasciato lì in bella vista i suoi bottoni con le ricetrasmittenti, quelli che indossava sempre per farsi rintracciare da Ryo in caso di rapimento, con l’intento manifesto di non voler essere cercata.
Tuttavia, prima di abbandonarli sul letto, vi aveva fatto una leggera modifica, e li aveva trasformati in microspie con tanto di microfono, per cui, con un ricevente apposito, avrebbe potuto sentire tutto ciò che Ryo avrebbe detto in sua assenza.
In sostanza l’avrebbe spiato, sempre che lui avesse deciso di prendere almeno uno di quei suoi bottoni.
Voleva anche metterlo alla prova e vedere come si comportava, se gli dispiaceva almeno un po’, se sarebbe andato a donne e via discorrendo.
 
Kaori era certa che, in qualche modo, Ryo sarebbe capitato presto o tardi al Cat’s eye, e aveva avvertito Falcon di reggerle il gioco e di non dirgli niente: non voleva essere trovata, almeno non per l’immediato futuro.
Non era sicura, al contrario, che Ryo avrebbe spostato mari e monti per rintracciarla: tutto dipendeva dalla sua testardaggine, ma anche quella sarebbe stata una prova.
Diversamente, in base a ciò che avrebbe scoperto sul suo conto, magari sarebbe stata lei a ritornare sui suoi passi.
 
Lei e Miki erano lì in cucina, con un paio di cuffie in testa, e non si erano perse una sola parola dello scambio di battute fra i due uomini; e Miki, sentendo suo marito parlare in quel modo, era andata in brodo di giuggiole.
Così, se Kaori non aveva scoperto niente di interessante da parte di Ryo, almeno Miki stava nuotando in un mare di miele.
Sarcasticamente, la sweeper pensò che presto le sarebbe venuta una crisi iperglicemica, ma poi si disse che al suo posto probabilmente avrebbe fatto lo stesso, e s’incupì.
In realtà Ryo le aveva detto che l’amava, in maniera chiara ed inequivocabile, e soprattutto glielo aveva dimostrato in mille modi diversi, però quel vizio di correre dietro alle donne proprio sembrava non volerselo togliere, e questo la disturbava sopra ogni cosa.
 
Quando Miki si accorse che Kaori aveva indossato nuovamente il suo cappellino con visiera, le chiese, stupita:
 
“Ma… dove stai andando?”
 
La ragazza, armeggiando con il computerino portatile e infilandolo nel capiente zaino, senza nemmeno voltarsi per non perdere tempo, le rispose:
 
“Devo seguirlo” riferendosi inequivocabilmente a Ryo.
 
“Credevo che ti saresti fermata qui per la notte!” protestò la barista “Si è già fatto tardi!”
 
“Hai ragione, ma voglio andare fino in fondo alla questione. Voglio sapere come si comporta quando io non ci sono, se mi è veramente fedele, e se fa il cretino con le altre donne proprio come fa in mia presenza”.
 
Chiusa la lampo del giaccone sportivo e sistematisi gli auricolari collegati alla ricetrasmittente, si volse finalmente a guardarla e a sorriderle:
 
“Non preoccuparti per me, Miki, so quello che faccio. Ryo mi ha detto che mi ama, ma… non mi basta più!” e fece spallucce.
 
Prima di uscire si affacciò discretamente alla finestra, per controllare che Ryo se ne fosse andato veramente: non vedeva più la Mini rossa parcheggiata davanti al locale, e a quel punto pensò di infilare le scale.
 
Si era vestita da fattorino del pony express, con la finta divisa di un noto marchio di ristorazione giapponese, e così camuffata sembrava un ragazzo alto e snello.
Ma se prima, quando era ancora giorno, poteva ulteriormente nascondersi dietro pacchiani occhiali a specchio, ora, di notte, avrebbe dovuto fare a meno di quell’accessorio.
Si appuntò però una finta barbetta e dei baffetti neri, e sperò che Ryo, o chi per lui, non la riconoscesse.
Aveva lasciato la bicicletta dall’altro lato della strada, dopo che aveva parcheggiato la Honda in un parcheggio sotterraneo a metà strada fra casa sua e il Cat’s Eye.
Ovviamente con la sua macchina sarebbe stata riconoscibilissima, ecco perché era ricorsa a quell’espediente: aveva bisogno di un mezzo di trasporto per districarsi nelle trafficate strade di Shinjuku, se voleva pedinare Ryo.
Purtroppo i suoi bottoni emettevano un segnale non troppo potente, e per rintracciarlo aveva bisogno di stare a poche centinaia di metri dalla fonte di trasmissione.
La bicicletta non era il massimo, dovette ammettere Kaori, ma era l’unica cosa che aveva trovato, così al volo, quella sera.
Quindi salutò in fretta Miki e si precipitò giù per le scale; si augurò che Ryo facesse più o meno gli stessi giri, così da poterlo raggiungere anche in un secondo momento.
 

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Capitolo 3
*** Dal lato femminile ***


Altro giro, altra corsa!
Arriva anche il n. 3!
Grazie a tutti quelli che leggono.
Vi lovvo.
Eleonora

 
 
Cap. 3 - Dal lato femminile
 
Lo sweeper era uscito scornato dal Cat’s Eye; dapprima era salito in macchina convinto di allontanarsi velocemente dal locale, ma poi ci aveva ripensato, in preda ad uno strano ripensamento, e aveva fatto il giro dell’isolato: sperava che Kaori fosse nei paraggi, e dubitava che non fosse andata dalla sua migliore amica a sfogarsi, a parlare male di lui.
 
Così era tornato indietro e aveva parcheggiato poco distante; era restato dentro la macchina, al posto di guida, con il finestrino abbassato, e si era messo a fumare una sigaretta con aria meditabonda.
Cercava di assimilare il fatto che Kaori l’aveva lasciato, e si augurava che il tutto si risolvesse per il meglio e in tempi brevi; non voleva nemmeno pensarci, che potesse essere una cosa definitiva e irrimediabile.
Stava giusto espirando una nuvoletta di fumo dalla bocca, quando gli passò accanto un rider a tutta velocità, che lo strappò dai suoi pensieri facendolo trasalire.
E, bizzarramente, constatò che per fortuna non aveva scelto quel momento per aprire la portiera e scendere nuovamente, perché così facendo l’avrebbe travolto.
Si ritrovò però, suo malgrado, ad annusarne la scia, istintivamente, sperando di captare il tipo di cibo che stava trasportando, e fu alquanto stupito quando, alle sue narici, gli arrivò invece un profumo diverso, quasi fruttato: un profumo che conosceva bene, ma che non seppe individuare lì per lì.
Istantaneamente pensò a Kaori, e si disse che evidentemente gli mancava proprio tanto, se la sentiva anche in un frangente come quello: doveva essere innamorato cotto, per ritrovare il suo odore nella scia di un fattorino intento a consegnare del cibo!
 
Sospirò pesantemente e si decise a mettere in moto: subito il potente motore della piccola utilitaria rombò deciso, facendo vibrare di aspettativa tutta la macchina; quella era un’auto abituata a correre per le vie di Shinjuku, a mirabolanti inseguimenti, ad avventure senza uguali, ed era come se si aspettasse ogni volta di scendere in campo, di entrare in azione, nemmeno avesse un’anima.
L’evocativa targa 19-19 poi, la contraddistingueva come l’auto di un playboy o di un seduttore, di un amante piuttosto, ed era tutto un programma.
Ma per quella volta Ryo, ingranando la prima, uscì dal parcheggio lentamente, e s’immise nel traffico, senza una vera e propria meta; la Mini, paziente, ubbidì ai suoi comandi, aspettando la sgassata decisiva che però non venne.
 
 
 
>.<         >.<         >.<
 
 
 
Quando Kaori era sfrecciata accanto alla macchina di Ryo, che peraltro aveva visto all’ultimo, per poco non era caduta di sella, assordata dal cicaleccio furioso dei sensori collegati ai suoi auricolari; era stata così vicino ai suoi bottoni, che il segnale captato era alla massima potenza.
Ma non solo!
Aveva temuto di essere scoperta in qualche modo e, alzandosi sui pedali, aveva impresso più forza nelle gambe e aumentato la velocità della bici: doveva scomparire di lì al più presto.
 
Zigzagando fra le macchine, si perse nel traffico della sera, e non si guardò mai indietro, finché non fu sicura di aver messo parecchia distanza fra lei e Ryo.
Solo a quel punto si accorse di essere nei pressi dell’appartamento di Saeko, giusto un secondo prima che scoppiasse a piovere: un temporale improvviso e violento, che in pochi secondi la inzuppò tutta.
 
L’ispettrice era rientrata a casa da poco e si era tolta le eleganti scarpe col tacco, scalciandole con i piedi e mandandole chissà dove nel piccolo ingresso del suo appartamento.
Adorava quelle scarpe, certe scarpe, e si sottoponeva ben volentieri alla tortura di portarle per tante ore al giorno, soprattutto al lavoro, ma quando rincasava era più che felice di potersene liberare e mettersi comoda.
Per casa amava girare scalza.
Si era anche sfilata la corta giacca lilla, che insieme alla gonna in tinta componeva il tailleur che aveva scelto d’indossare quella mattina; quante ore fa? Troppe, si disse.
In nome dell’ambizione e della carriera si era fatta una vera stacanovista, e il lavoro occupava tutto il suo tempo: stava forse esagerando?
 
Non appena si era buttata esausta sul divano, troppo stanca, per il momento, anche solo di pensare a cosa mettere sotto i denti, aveva sentito suonare al campanello.
Sbuffando, era andata al video citofono e aveva guardato nella telecamerina:  vedendo un fattorino del suo ristorante preferito, per una frazione di secondo si era rianimata tutta e il suo stomaco digiuno aveva esultato.
Ma poi, subito dopo, si era ricordata di non aver ordinato nulla, e premendo l’interfono disse:
 
“Mi dispiace, ma credo che abbia sbagliato indirizzo”
 
“No, no, non ho sbagliato. Saeko Nogami sei tu, c’è scritto così bene sul pulsante!” rispose Kaori con voce sicura.
 
“Ma… ma…” balbettò l’ispettrice, che non riusciva a credere che quel ragazzotto alto e magro potesse avere tutta quella confidenza con lei, come se si conoscessero veramente.
In ultima analisi, quasi si risentì di tanta sfacciataggine, pertanto, recuperato il suo solito piglio sicuro, di donna abituata a comandare e a trattare con gli uomini di tutte le estrazioni sociali, dichiarò:
 
“Ragazzo, ti ripeto che non ho ordinato nulla e non ho bisogno di niente. Buona sera” concluse, con l’intenzione di chiudere quello spiacevole intermezzo, nella lunga e meritata serata tranquilla che sperava di trascorrere.
 
Ma il fattorino non era della sua stessa idea, perché incalzò:
 
“Avanti Saeko, fammi entrare, sono bagnata fradicia!”
 
La Nogami spalancò gli occhi stupita: aveva capito bene?
IL fattorino aveva detto sono bagnata fradicia.
Era forse una donna quello?
Ma certo, perché non ci aveva pensato prima?
Conosceva solo una persona che sarebbe stata capace di camuffarsi in quel modo e trarla in inganno.
 
“Kaori? Sei proprio tu?” chiese la donna.
 
“Certo che sì” esclamò la sweeper, dimentica di indossare quel paludamento assurdo e che Saeko non poteva riconoscerla di primo acchito.
 
“Allora, mi fai salire oppure no?” insistette quasi spazientita, mentre ai suoi piedi si allargava la pozza d’acqua che scolava dai vestiti.
 
Lo scatto della serratura del portone centrale le fece capire che era stata esaudita.
Appena si ritrovò nello stretto atrio si diresse all’ascensore, richiamò la cabina al piano e, una volta all’interno, premette il numero che l’avrebbe portata fino all’appartamento della bella poliziotta.
 
Saeko l’aspettava sulla porta, curiosa di sapere cosa avesse portato la sorella del compianto Hideyuki fin da lei, a quell’ora insolita della sera, per giunta, quando avrebbe dovuto essere in compagnia del suo amato socio che, da qualche tempo, era diventato anche, e finalmente, il suo sospiratissimo fidanzato.
 
Probabilmente l’accolse con un’espressione scettica, o comunque interrogativa, perché subito Kaori si decise a spiegare:
 
“Scusami se sono piombata a casa tua a quest’ora e in queste condizioni, ma stavo facendo un pedinamento, in bicicletta, e mi sono presa un bell’acquazzone. Mi asciugo un attimo e poi tolgo il disturbo” e assunse una faccia contrita.
 
“Ah, ora si spiega questo tuo travestimento” le rispose sorridendo la poliziotta; ma non perse occasione per stuzzicarla aggiungendo “E devo ammettere che così, in versione maschile, sei proprio il mio tipo” e le fece l’occhiolino.
 
“Non ricominciare…” borbottò Kaori infastidita.
 
Già che, da quando aveva conosciuto Ryo, la sua autostima era andata diminuendo drasticamente a forza di vedersi dileggiare e sentirsi dire che non era abbastanza donna e femminile, quando poi era apparsa Saeko, affascinante e fatale come poche, con tutte le curve al punto giusto, sguardo magnetico e sensualità alla massima potenza, di fronte a lei si era sentita una nullità.
Ovvio che Ryo sbavasse – anche – per lei; non a caso la poliziotta, forte di questo potere sugli uomini, lo rigirava come un calzino, facendogli fare tutto ciò che voleva.
Peggio ancora!
La prima volta che si erano incontrate, l’ispettrice, scambiandola volutamente per un ragazzo, aveva tentato un approccio a dir poco pesante con lei, e non era servito mettersi a strepitare che invece era una donna!
Lo aveva fatto apposta e ancora adesso, quando poteva, Saeko ritirava fuori sempre la stessa scusa per metterla nuovamente a disagio.
Che fosse una scusa stantia e datata non faceva alcuna differenza; forse era un modo per prevalere anche su di lei, per sfoggiare il suo potere, o forse un modo per sfogare la sua gelosia, visto che aveva capito subito che Ryo teneva moltissimo a Kaori e che in fondo ne era già innamorato, fin dall’inizio.
O forse la Nogami aveva un debole per i ragazzi efebici, per la bellezza androgina, e Kaori le piaceva sul serio.
Sta di fatto che a quest’ultima il comportamento a volte ambiguo della donna non piaceva affatto, e per un attimo si chiese se avesse fatto bene a riparare da lei.
Ma Saeko scoppiò a ridere divertita: in fondo era ciò che voleva, e cioè prendere in giro Kaori per divertirsi, poi la pantomima finiva lì, e la sweeper in qualche modo si rasserenò.
In quel momento non le stava facendo propriamente delle avances, e se quello era il prezzo da pagare per asciugarsi un attimo, beh, poteva accettarlo, tanto non sarebbe rimasta a lungo: aveva altre cose più urgenti e importanti di cui occuparsi e cioè pedinare Ryo e scoprire come si comportava in giro, senza di lei.
 
La poliziotta la fece entrare e, smessi i panni della maliarda, le chiese, ospitale:“Come posso esserti utile?” facendola accomodare in salotto.
 
Kaori si tolse il berretto zuppo e si fece scivolare lo zaino a terra dicendo:
 
“Avresti da prestarmi un fon per i capelli e per gli abiti? Magari posso mettere la giacca sul calorifero, così si asciuga un po’”.
 
La giacca a vento era impermeabile e le sarebbe bastato solo togliere l’acqua in eccesso.
Anche lo zaino era in materiale tecnico idrorepellente: meglio così, altrimenti il dispositivo elettronico si sarebbe danneggiato.
 
E mentre l’aiutava come le era stato chiesto, la padrona di casa si azzardò a chiedere:
 
“Posso sapere chi stavi pedinando?” ben sapendo che, effettuando quella sosta,Kaori avrebbe potuto perdere la sua preda; ma la risposta della ragazza la spiazzò totalmente.
 
“Ryo. Sto seguendo Ryo!” rispose Kaori in maniera disarmante.
 
Saeko si stupì parecchio, ma non fece ulteriori domande: era abituata alle stranezze dei due e, in un certo senso, non ci faceva più nemmeno troppo caso.
Sapeva però che i suoi amici avevano ufficializzato la loro relazione e che, a modo loro, erano felici.
Allora perché Kaori si travestiva da fattorino, maschio, e se ne andava in giro a pedinarlo e a seguirlo addirittura con una bici?
Certo che quei due scemi non si annoiavano mai, si disse la donna.
Una relazione così movimentata l’avrebbe messa a dura prova, e l’avrebbe stancata già la prima settimana; non faceva certamente per lei, un ménage di quel tipo.
Ma se andava bene a loro, era la prova inconfutabile che erano fatti l’uno per l’altra sotto ogni punto di vista, considerando che la storia, e non solo quella ufficiale e recente, andava avanti da anni, ormai.
Un motivo in più per non rimpiangere il suo scampato amore con Ryo.
 
“Naturalmente…” commentò la padrona di casa in risposta; e quando si allontanò in direzione della cucina, pensando che tutto sommato la risposta che le aveva dato Kaori era più che sufficiente, ciò che disse dopo la fece trasalire.
 
“In realtà l’ho lasciato…” ammise gravemente la sweeper.
 
Saeko si fermò di colpo, e si voltò.
 
“Ma-ma… cos…?” allibita, Saeko Nogami sgranò tanto d’occhi: non era sicura di aver sentito bene.
 
“Sì, mi sono decisa e l’ho lasciato…” confermò Kaori “Perché sono stufa di come si comporta quando vede una donna, per di più bella. Continua a correre dietro a tutte, a fare lo stupido e il maiale, ed io non lo sopporto più. Ora sono io la sua fidanzata, e se prima ero solo gelosa, ora il suo comportamento mi umilia, mi offende. Se è vero che mi ama, come dice, deve dimostrarlo fino in fondo. Eppure non riesce a togliersi quel brutto vizio” e guardò l’altra con sguardo indecifrabile.
 
Saeko sospirò forte e si portò una mano alla fronte; quel cretino non sarebbe cambiato proprio mai?
Aveva ragione Kaori a sentirsi umiliata, ora stavano insieme: che senso aveva correre dietro a tutte?
Sapeva che lui era felice dei passi avanti fatti con la sua socia, e sospettava che andassero d’amore e d’accordo anche sotto le lenzuola, quindi perché cercare altrove quello che poteva offrirgli, e con tanto trasporto, la sua compagna?
Se era vero che Ryo non aveva intenzione di concretizzare con nessuna – perché Saeko sapeva anche che lui era pur sempre fedele alla donna della sua vita – perché indulgere in quelle bambocciate?
Sì, stare con Ryo Saeba era troppo impegnativo, per chiunque; evidentemente anche per Kaori, se era arrivata a tanto.
E quella si preannunciava come una vera e propria tragedia!
Non esisteva che Ryo e Kaori si lasciassero, non stessero più insieme, e che proprio lei mettesse fine alla relazione dopo che…
La donna si augurò che la separazione fosse solo temporanea.
Si azzardò a chiedere:
 
“E allora… perché lo stai seguendo?”
 
“Per vedere come si comporta in mia assenza. Mi sono strappata tutti i bottoni che lui ha messo nei miei vestiti per rintracciarmi nel caso mi rapiscano o sia in pericolo, ma io li ho modificati ed ora sono delle microspie con cui riesco ad ascoltare, a distanza, quello che registrano. Li ho lasciati sul letto, sotto il biglietto d’addio, e lui li ha presi, per fortuna. Però il raggio d’azione è limitato ed io devo essere sempre nei paraggi per poter captare il segnale. Vedi?” e diede una pacca al voluminoso zaino per le finte consegne “qui dentro c’è la ricetrasmittente con cui monitoro i suoi spostamenti e tutto il resto, e questi” e si toccò gli auricolari “mi servono per sentire ciò che dice. Così non solo vedo dove va e con chi s’incontra, ma sento anche ciò che dice. Semplice no?” concluse con un sorriso furbo.
 
Di semplice il tutto aveva ben poco, constatò invece la poliziotta, nondimeno nella vita di quei due cosa era veramente semplice?
Nulla.
Ma tant’è.
 
“Ingegnoso, direi” replicò invece la donna, e poi aggiunse “Però sinceramente non so cosa dirti… spero che tu riesca nella tua impresa. Ryo è… Ryo, lo sai, e certi vizi sono duri a morire” e fece spallucce.
 
Ma Kaori non la stava nemmeno più ad ascoltare, tutta presa a controllare sul monitor gli spostamenti del suo fidanzato.
 
Saeko sospirò nuovamente e poi propose:
 
“Posso offrirti un tè? Non sono abituata a ricevere visite e non ho molto in casa da offrirti” disse a mo’ di scusa.
 
“Oh, un tè caldo andrà benissimo” le rispose con un sorriso luminoso che la conquistò, “Scusami Saeko, se ti sono piombata in casa in questo modo. Sei stata molto gentile a farmi entrare, grazie”.
Nonostante i suoi problemi personali, Kaori riusciva sempre a trovare un po’ di gentilezza per tutti.
 
D’improvviso a Saeko venne da ridere, perché Kaori continuava a tener su quei baffetti e quella barbetta, ed era surreale ragionare o parlare amabilmente con lei conciata in quella maniera, perciò le scappò detto:
 
“Però se non ti togli quei cosi lì” e le puntò il dito contro “finirò veramente per farci un pensierino su di te…” e le strizzò l’occhio.
 
Stavolta però, Kaori non se la prese e scoppiò a ridere anche lei, e stava giusto per strapparseli dal viso quando l’attrezzatura prese a pigolare con insistenza.
Allarmata, corse al monitor e vide chiaramente che il segnale era vicinissimo.
 
“Questa non ci voleva! Ryo è qui sotto casa tua!” esclamò.
 

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Capitolo 4
*** Uno strano via vai ***


Spero di non avervi fatto aspettare troppo con il capitolo 4. Ma ora c’è e dateci sotto con la lettura :D
Grazie infinite per la vostra pazienza e per l’interesse che mi dimostrate.
Vi lovvo
Eleonora

 
 
 
Cap 4 - Uno strano via vai
 
Saeko corse alla finestra e vide la Mini parcheggiare accanto al marciapiede.
Si voltò a guardare Kaori con aria colpevole: non voleva che pensasse che lei e Ryo si incontrassero di nascosto, che avessero una tresca o faccende poco chiare… non più di quelle solite, quando cioè gli chiedeva di lavorare per lei promettendogli in pagamento notti d’amore o bottarelle.
Non si era mai sognata, nonostante tutto, di mettersi fra i due, nemmeno quando la loro storia era agli inizi ed erano già innamorati senza saperlo ancora; e adesso non li avrebbe danneggiati per nulla al mondo, anzi, lei e gli altri della banda avrebbero protetto il loro amore da tutte le aggressioni esterne.
 
Ma non ci fu tempo per altri commenti perché, un secondo dopo, si udì il gracchiare del citofono.
Kaori, nel frattempo, aveva radunato le sue cose alla bell’e meglio e indossato giacca e cappellino; le fece un cenno d’assenso, dandole tacitamente il permesso di rispondere al citofono:
 
“Sì? Chi è?” chiese Saeko, pur sapendo benissimo chi fosse, tanto più che aveva la telecamera a mostrarle il viso del visitatore, il quale rispose laconicamente:
 
“Sono io”.
 
“Oh, Ryo, sei tu?” e la portò un po’ per le lunghe, temporeggiando, in modo che Kaori fosse pronta per scappare.
Quando vide che la ragazza era ridiventata il fattorino anonimo di prima, aggiunse: “Ti apro subito. Tanto dove sta l’ascensore lo sai, vero?” Era un modo per indurlo a farne uso, così che Kaori potesse svignarsela giù per la tromba delle scale.
 
“Certo, non è mica la prima volta che salgo da te!” rispose lui, e nuovamente Saeko guardò Kaori con aria colpevole: nonostante tutto desiderava avere un buon rapporto con la sweeper e, diversamente, quella sarebbe stata la serata ideale per approfondire l’amicizia.
Inoltre, si rese improvvisamente conto la padrona di casa, effettivamente nessuno veniva mai a farle visita, ed ora che aveva un ospite se ne stava già andando.
Vero che stava per salire Ryo da lei, ma non le piaceva far scappare via Kaori così, come una ladra; e già pensava che non aveva nessunissima intenzione di essere tirata dentro alle loro litigate, alle loro crisi.
Si ripromise però che, una volta rappacificatisi, perché era sicura che sarebbe successo, li avrebbe invitati entrambi per una cena o una seratina in tranquillità.
 
Poco prima di premere il bottone dell’apertura del portone di sotto, fece sgattaiolare l’amica fuori di casa sussurrandole: “Hai preso tutto?” e poi aspettò che scomparisse giù per le scale, prima di permettere a Ryo di salire.
Sperò che andasse tutto bene anche se, si disse poi, cosa mai sarebbe potuto succedere di male, se i due si fossero incontrati ugualmente?
Allo stesso tempo non voleva che saltasse la copertura di Kaori, in più era curiosa di sapere perché Ryo fosse andato da lei.
 
Attese anche lui sulla porta.
 
Ryo, che fino a poco prima aveva girato a vuoto per le strade del quartiere, senza un vero e proprio motivo si era diretto da Saeko; del resto lei era la sua unica amica di vecchia data, colei che, dopo Kaori, lo conosceva meglio.
Non si era quasi accorto della pioggia che aveva cominciato a venir giù scrosciando, troppo preso a rimuginare sul fatto che Kaori lo aveva lasciato.
Sperava potesse in qualche modo rimediare all’ennesima sciocchezza combinata.
Era attanagliato dalla sua mancanza, che già sentiva prepotentemente, e impossibilitato a tornare a casa sapendo che non l’avrebbe ritrovata lì.
Non poteva pensare di vivere senza di lei.
 
Quando era sceso dall’auto, aveva sostato per un attimo, pensieroso, davanti al palazzo di Saeko, con le mani sprofondate nelle tasche della giacca a giocherellare con i bottoni di Kaori, in cerca di una scusa per salire dalla bella ispettrice.
Aveva visto la luce accesa nel suo appartamento, quindi era sicuro che ci fosse.
Era ormai sera avanzata e, a meno che non fosse impegnata in qualche caso difficile, anche per lei era giunta l’ora di staccare dal lavoro.
 
In qualche modo si era fatto avanti e, scorrendo sulla pulsantiera tutti i nomi, trovato quella della donna, aveva premuto il bottone corrispondente.
Quando era entrato nell’ascensore, aveva ritrovato una traccia di profumo a lui noto: per una frazione di secondo aveva ripensato a quel rider che per poco non aveva investito aprendo la portiera, ma soprattutto a Kaori, la sua dolce Kaori.
Aveva inspirato profondamente e si era dato del malato, nuovamente, perché se bastava una labile scia di profumo per farlo pensare a lei, sospirando, voleva dire che era proprio messo male… o bene?
 
L’ascensore giunse ben presto al piano con un lieve sussulto, e le fredde porte metalliche scomparvero lateralmente, aprendosi e mostrandogli Saeko Nogami che, sulla porta di casa, lo stava guardando con aria divertita.
 
Quando Ryo uscì dalla cabina, le sfuggì detto a mezza bocca:
 
“Che scemi, sempre a rincorrersi”.
 
“Eh?” chiese Ryo, che non aveva capito cosa avesse detto la donna.
 
“Niente, niente” rispose sempre ridacchiando sotto i baffi,“Entra” e lo fece accomodare.
 
Ryo avanzò all’interno dell’appartamento con le mani in tasca, sempre a giocherellare con i bottoni di Kaori; aveva una faccia da funerale e Saeko, sapendo tutti i retroscena, sotto sotto se la godeva.
Non che fosse così sadica da gioire delle sventure altrui, ma vedere il grande Ryo Saeba annientato dopo essere stato lasciato dalla sua mitica socia Kaori Makimura, era davvero uno spasso.
Tra l’altro l’ispettrice era inspiegabilmente fiduciosa, e non credeva che la crisi potesse essere irrevocabile e definitiva.
Sicuramente avrebbero trovato il modo di chiarirsi e superare anche quella: i due si amavano profondamente, da anni, e ne avevano passate di cotte e di crude insieme, quindi non era possibile che i due si separassero per sempre.
Certo, gran parte dello sforzo avrebbe dovuto farlo quel cretino che ora stava ciondolando per casa sua, ma d'altronde anche questa era una costante: Ryo aveva sempre qualcosa da farsi perdonare, era il suo vizio.
 
In ogni caso, all’uomo non sfuggì il fatto che sul tavolo del soggiorno ci fossero due tazze per il tè vuote, e incuriosito chiese all’amica:
 
“Aspettavi qualcuno?”
 
“Sì, te” gli rispose subito con un sorrisetto malizioso.
 
L’ispettrice Saeko Nogami era famosa per essere fondamentalmente una donna sola; bella da togliere il fiato, usava anche il suo fascino per farsi avanti nella vita, ma forse perché estremamente esigente nella scelta, di fatto non aveva un uomo accanto, o almeno così sembrava; era talmente riservata, che della sua vita privata non se ne sapeva nulla o quasi.
Qualcuno dei suoi colleghi e sottoposti mormorava che dopo la morte del suo ex partner Hideyuki Makimura, con cui sembrava avesse una relazione, non si era legata a nessun’altro.
A dirla tutta, nemmeno Ryo sapeva se la donna avesse un qualche tipo di legame con qualcuno, né di che tipo fosse; lei non gliene parlava e lui non chiedeva.
La prassi voleva che lui ci provasse spudoratamente e pesantemente, che lei rifiutasse sistematicamente, ma che, al contrario promettendogli le famose bottarelle, ricorresse a lui per gli incarichi più assurdi e pericolosi; bottarelle che, per inciso, si guardava bene dal concedergli, e lui dall’esigere seriamente.
Ryo aveva pensato che, in un certo qual modo, loro due fossero molto simili, condannati a stare da soli, o almeno di ciò era convinto all’inizio, e questo molto prima che lui conoscesse, e s’innamorasse, della sua Sugar Boy.
In realtà aveva combattuto a lungo perché questa condizione di uomo solo e dannato rimanesse tale, non disdegnando di alleggerire la solitudine con estemporanei amori ed effimere avventure, ma poi alla fine aveva ceduto al sentimento potente e sconvolgente che provava per la sua partner, e si era deciso.
 
Che Saeko avesse visite, e per giunta a quell’ora, era comunque una stranezza, perché a Ryo non risultava che lei avesse altre amiche al di fuori delle ragazze che frequentava suo malgrado, e cioè sua sorella Reika, Kaori o Miki.
Quindi, chi mai poteva essere il o la misteriosa ospite?
In condizioni normali avrebbe tanto voluto saperlo, anche se non glielo avrebbe chiesto direttamente, ma in quel momento aveva altri pensieri più importanti per la testa: Kaori lo aveva lasciato, e lui temeva che stavolta facesse dannatamente sul serio.
 
Il fischio del bollitore lo distolse dai suoi pensieri.
 
“Zucchero?” chiese amabilmente la padrona di casa la quale, dovette ammettere, non le capitava molto spesso di passare una serata così movimentata come quella che stava vivendo, con quei due cretini che giocavano a nascondino, fuori e dentro casa sua.
 
“Eh?” rispose con la faccia da ebete il suo ospite.
 
“Dicevo, vuoi dello zucchero, sucre, sugar?” e calcò sull’ultima parola, sapendo che a volte lui chiamava così la sua fidanzata; Saeko era davvero tremenda quando ci si metteva.
 
Ryo finalmente capì che cosa le stava offrendo la donna, ma in bocca a lei, quella parola, zucchero in inglese, stonava tantissimo, e sentì come una piccola puntura di fastidio.
 
Si sedettero entrambi al tavolo, e vedendo che il suo amico sweeper non emetteva parola alcuna e il silenzio rischiava di gravare su loro due, la Nogami cercò di alleggerire la tensione esordendo con:
 
“Se sei venuto per riscuotere i tuoi crediti, lo sai, caschi male. Ho concordato con Kaori che tutti i debiti che ho con voi vengano monetizzati e che io debba pagarveli, a rate, un po’ alla volta…” sperava di strappargli almeno una battuta, e sapendo che in quel momento – e chissà dove – Kaori riusciva a sentire la loro conversazione, si augurò che Ryo non dicesse delle fesserie in merito, o che facesse cose di cui poi si sarebbe potuto pentire.
 
“Lo so, lo so” rispose invece, con un’intonazione strana, che non era tanto rimpianto, ma disinteresse; non era venuto lì per parlare delle sue mancate notti d’amore con Saeko.
 
“Allora posso sapere, di grazia, perché sei qui stasera?” domandò infine l’ispettrice, andando dritto al punto.
 
“Non lo so” ammise Ryo sinceramente, portandosi alle labbra la tazza fumante.
 
“Un gran chiacchierone non lo sei mai stato” lo stuzzicò quindi la donna “ma direi che mi merito molto di più di un lo so, non lo so, non credi?” concluse leggermente esasperata.
 
“Hai ragione…” e già stava per alzarsi, con l’evidente intenzione di andarsene.
 
Saeko si allarmò.
Così distrutto, Ryo non lo aveva visto mai: era perfino messo peggio di come si era immaginata.
Cercò un modo di trattenerlo ed eventualmente dimostrare sbalordimento quando lui le avrebbe detto la verità… che già conosceva, pertanto si affrettò a dirgli:
 
“Aspetta… se non ne vuoi parlare va bene, ma non te ne andare…” fu tutto ciò che riuscì a dire, ma in qualche modo funzionò perché lui si rimise a sedere.
 
Ryo, con un sospiro, tirò fuori un bottone di Kaori e, guardandolo intensamente, dopo una breve pausa disse:
 
“Kaori mi ha lasciato”.
 
Saeko, da attrice consumata qual era, nonché bluffatrice nata, manifestò un accettabile stupore, condito da rammarico e tristezza; l’altro, troppo affranto, non notò la falsità della sua espressione, e in qualche modo proseguì:
 
“Il fatto è che… nonostante mi sia deciso a ricambiare i suoi sentimenti, e credimi, sono l’uomo più felice sulla faccia della terra, ancora non riesco a smettere di fare lo stupido quando vedo una bella donna…”
 
Saeko taceva e pensava a Kaori, che in quel momento aveva la possibilità di ascoltare tutto e da una posizione privilegiata, perché il bottone era vicinissimo a Ryo.
 
“Cioè, voglio dire… è più forte di me” riprese lo sweeper “L’ho fatto per così tanto tempo, il gusto del corteggiamento…” e fu interrotto dalla poliziotta che tossicchiò, per attirare la sua attenzione sul fatto che quello poteva dirsi tutto tranne corteggiamento “…dicevo” riprese allora Ryo, “il piacere della caccia, della seduzione…” e qui Saeko alzò impercettibilmente gli occhi al cielo.
Come faceva quell’idiota ad essere così serio nel dire che quelli erano corteggiamento e seduzione, quando erano, al contrario, pesanti avances che sfioravano la molestia?
Ma lui non parve accorgersene e proseguì imperterrito:
 
“Ho sempre pensato che avrei voluto farmi più donne possibili, che non avrei mai lasciato nulla d’intentato, che ogni bella donna incontrata avrebbe potuto essere la mia compagna di giochi – e niente più – che mi sarei divertito un sacco con loro, che la vita va vissuta fino in fondo, che non sai mai cosa può succederti e allora è meglio prendere a piene mani tutto quello che ti capita di buono… E il sesso e le donne sono le uniche cose per cui vale la pena vivere e nient’altro”.
 
Saeko sapeva che per Ryo non era solo questo, almeno non negli ultimi anni della sua vita, ma non riusciva a dargli tutti i torti; veniva da un passato pesante, di morte e sofferenza, precario come solo può esserlo quello di un guerrigliero, un mercenario, un assassino prezzolato che ogni giorno sfida la sorte.
Meglio non avere legami e godere fino all’ultimo dei piaceri che può offrirti la vita, senza chiederti cosa ne sarà domani.
Nonostante ciò, però, le sue parole la intristirono: sperava che la vicinanza di Kaori avrebbe potuto migliorarlo, e in parte così era stato, ma ora le stava facendo quel discorso strano e non sapeva cosa pensare.
Si mosse a disagio.
 
“Ma poi…” e lo sweeper si fermò incerto, dopo la tirata appena fatta; alzò gli occhi dal bottone, che aveva fissato tutto il tempo mentre se lo rigirava fra le dita, a quelli imperscrutabili della sua ospite “…ma poi è arrivata Kaori” e si strinse nelle spalle “All’inizio era solo la sorellina di Hide, una ragazza casinista che mi era quasi piovuta dal cielo, capace di sconvolgermi casa e vita, ma era divertente. Confesso che avrei voluto provarci anche con lei, era già molto bella e mi stuzzicava l’idea di portarmela a letto. Poi però si è intestardita a voler essere la mia partner di lavoro, e allora a quel punto mi sono messo un freno: sesso con Kaori no, e ho fatto di tutto per dissuaderla nel qual caso si fosse innamorata di me. E poi la sua gelosia… ragazzi! Quante martellate avrò preso a causa dei suoi epici scoppi di gelosia? A volte mi ha impedito di rovinare tutto con le clienti che ospitavamo a casa o per cui lavoravamo, ma la sua ferrea moralità mi ha anche impedito di concludere con donne che nulla avevano a che fare con noi come City Hunter… Il più delle volte era divertente farsi beccare da lei, e anzi, più menava forte e più sapevo che teneva a me, mi amava. Ti stupiresti se ti dicessi che facevo apposta?”
 
Saeko scosse la testa.
Il suo amico aveva dato la stura alle confidenze e non lo avrebbe interrotto per nulla al mondo.
 
“Voglio dire…” riprese “ho avuto lo stesso le mie avventure, ma di quelle lei non ne ha mai saputo niente”.
 
La Nogami immaginò come si stesse sentendo ora la sua amica, udendo la confessione del suo fidanzato… o ex… o quello che era.
 
“Niente di serio, come sempre, ma ecco, le più eclatanti erano quelle che mi mandava in fumo lei” e ridacchiò; per un attimo si perse nei suoi ricordi, con un sorrisino divertito stampato sul volto, poi ricominciò: “Voglio dire… provarci con le donne, sempre e comunque, fa parte di me, anche se con quelle non volevo e non voglio concludere perché… c’è lei!” e di nuovo fissò la sua interlocutrice che, in silenzio, sorseggiava ciò che restava del suo tè.
 
Ryo aspettò che l’altra commentasse, ma lei non gli diede la benché minima soddisfazione, anche perché fondamentalmente non sapeva cosa dirgli.
Non gli avrebbe di certo detto “Hai ragione” o “Hai fatto bene”, dal suo punto di vista tutto in Ryo era esagerato e come gestiva i suoi affari sentimentali era a dir poco disastroso.
Era fortunato che quella santa di Kaori era rimasta con lui nonostante tutto, e che si fosse stancata proprio ora era inevitabile; Ryo era un bamboccio, e come sempre doveva arrivarci da solo al nocciolo di certe questioni.
Il suo mutismo mise a disagio il suo amico, ma Saeko non si scompose.
 
Lo sweeper riprese a parlare, un po’ meno sicuro di prima:
 
“Dai, lo sai anche tu come sono fatto, no? Mi piace fare casino, e poi se una donna è bella, io non posso non provarci… ne va della mia fama di stallone” e assunse una posa da saccente seduttore.
 
“Allora qual è il problema?” lo interruppe Saeko, senza guardarlo, intenta a scrutare i fondi di tè nella sua tazza.
E visto che Ryo era rimasto di stucco, lei alzò gli occhi a guardarlo, invitandolo a rispondere.
 
“Il problema dici?” ripeté come un ebete.
 
Saeko non perse il suo solito aplomb, e sospirando spazientita disse:
 
“Senti Ryo, cosa stai cercando di dirmi? Sei piombato in casa mia senza un perché, mi dici che Kaori ti ha lasciato, e dio solo sa come ha fatto a sopportarti tutto questo tempo, e poi mi fai un discorso strampalato come a convincermi che tu sei fatto in un certo modo e che non c’è niente di male in questo. Quindi… cosa pensi che dovrei dirti? Cosa ti aspetti da me?”
 
Ryo, colpito, raddrizzò la schiena e si abbandonò sullo schienale della seggiola.
La guardò incredulo e poi le disse:
 
“Kaori mi ha lasciato perché non sopporta più che io faccia il play boy, o che ci provi a farlo, che è meglio…” concluse a mezza voce.
 
“E ha fatto bene!” esclamò allora spazientita Saeko “Direi che ha ragione da vendere e non venirmi a dire che tu sei così, prendere o lasciare, perché qui, bello mio, caschi male. Se ti piace tanto farla soffrire, se vai ancora in giro a cercare, vuol dire che non la ami abbastanza, che non ne sei innamorato, e quindi è giusto che vi separiate. Lei merita di meglio, merita un amore tutto suo, e non da dividere con chicchessia!” e nel dirlo batté il palmo sul tavolino facendo tintinnare tazze e teiera.
Ryo balzò all’indietro.
 
Ecco ci risiamo” si disse l’uomo “anche lei pensa che non la ami abbastanza, ma non è vero!!!!” si piccò.
 
Rimise il bottone nella tasca e si alzò dalla seggiola, e senza guardare in faccia la sua interlocutrice, le disse:
 
“Tu non capisci”.
 
“Ah, perché tu sì?” s’impuntò la donna.
 
“Io so come vanno le cose” rispose lui, ermetico; si era chiuso nuovamente in sé stesso.
 
Forse Saeko aveva capito molte più cose di quelle che lui sarebbe stato disposto ad ammettere, ma non poteva sapere quanto grande fosse il piacere che si provava nel correre dietro alle pollastrelle, a veder premiati i propri sforzi, alla soddisfazione che si ha quando la seduzione va a buon fine.
E soprattutto non poteva sapere che tipo di relazione complicata ci fosse con la sua socia, frutto di anni e anni di rimandi, cortine di fumo, parole non dette e mezze verità, in cui le cose andavano intuite, piuttosto, e quasi mai dette chiaramente.
Una vita viziata da tanti, troppi sottintesi, una vita su cui entrambi si erano adagiati, fino ad un certo punto, e il passo successivo, quello che con tanto sforzo avevano compiuto, ancora non aveva avuto il potere di spazzare via certe abitudini, così, da un giorno all’altro.
E mentre s’incamminava verso la porta, Ryo si disse che non sapeva spiegarsi perché fosse ricorso a Saeko Nogami, ma ora era sicuro di aver fatto uno sbaglio, ad andare a casa sua.
 
Saeko, dal canto suo, non voleva che si lasciassero in quel modo, con Ryo che era vistosamente tormentato dalla crisi che stava vivendo con la sua fidanzata – che nonostante tutto amava più di sé stesso – e che lei aveva cercato di scuotere e punzecchiare per farlo reagire.
Era anche consapevole che Kaori aveva ascoltato tutto e, in quella surreale chiacchierata a tre, voleva che ne venisse fuori qualcosa di buono.
Pertanto, addolcendo il tono della voce, ma allo stesso tempo ammonendolo, gli disse:
 
“Se la ami veramente, vai a cercarla e riportala a casa con te”.
 
L’uomo sostò un attimo sulla soglia della porta; avrebbe voluto gridarle che sì, per dio, l’amava da impazzire, ma una sorta di pudore e orgoglio glielo impedirono.
Gli bruciava che lei avesse messo in dubbio i suoi sentimenti, e non aveva voglia di giustificarsi ancora, di spiegarle quanto profondo fosse il suo attaccamento per Kaori.
Fece quindi un gesto con il braccio alzato, a mo’ di saluto, e scomparve dietro la porta.
 
Saeko sospirò e si abbandonò sulla seggiola.
Fissò la tazza del suo ospite… e improvvisamente si sentì enormemente sola.
Solitamente scacciava dalla testa quei pensieri insidiosi che le ricordavano quanto fosse vuota la sua vita, e cercava di colmare le assenze con il lavoro e con le amicizie: poche ma buone.
Si era anche convinta che le sarebbe bastato essere felice per i suoi amici in coppia, per le relazioni riuscite, anziché soffermarsi su quelle problematiche o sofferte; che Ryo e Kaori si fossero messi definitivamente insieme per lei era una gioia autentica.
E si riteneva fortunata a non dover dibattersi in tutte le rogne derivanti da una vita di coppia traballante, o sbilanciata, con uno dei due che ama più dell’altro, i tradimenti, la noia, la routine che inaridisce il rapporto.
Però poi c’erano volte in cui si diceva che se è vero, che stando da sola ti perdi il peggio, in sostanza ti perdi anche il meglio…
Il calore di una presenza, qualcuno che ti aspetta alla sera, che ti chiede come è andata la giornata, che ti abbraccia e ti consola, ti dice semplicemente “ci sono”… qualcuno che pensa a te, che ti colma di tenerezza e coccole, e molto di più.
Qualcuno che non vedi l’ora di rivedere, di raggiungere ovunque egli sia, per condividere una gioia, una pizza, una serata o una passeggiata in compagnia, senza pensieri.
Qualcuno che ti ama per ciò che sei.
 
Si versò dell’altro tè nella tazza, ma era ormai freddo.
 

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Capitolo 5
*** Fra bettole e diluvi ***


Allora, che dite? Avete voglia di leggere il cap 5??? Bene, accomodatevi.
Grazie per tutto, vi lovvo *_*
Eleonora

 
Cap. 5 - Fra bettole e diluvi
 
Qualche via più in là, Kaori si era rintanata in una specie di bettola fuori mano, a quell’ora semi deserta; gli unici avventori erano un paio di vecchietti di età indefinibile che borbottavano fra loro e ogni tanto alzavano la voce per bisticciare, ragionando intorno al niente, mentre il proprietario, dietro il bancone, con un sudicio grembiule a coprire un vistoso pancione, li guardava e ogni tanto scuoteva la testa.
Poco più in là, invece, c’era un altro uomo, che dormiva con la testa appoggiata sulle braccia ripiegate sul tavolo, immerso nei fumi dell’alcool: era un ammasso quasi informe e Kaori non riusciva a capire quanti anni avesse, ma a giudicare dalla clientela, valutò avesse più o meno l’età degli altri.
In ogni caso, a lei poco importava.
Le occorreva un posto riparato e abbastanza silenzioso per potersi piazzare con la sua attrezzatura e spiare i discorsi di Ryo, e ancora una volta si congratulò con sé stessa per la scelta del travestimento.
Seppure fosse troppo giovane per quella dimessa osteria, almeno sembrava un ragazzo e non avrebbe suscitato la curiosità dei presenti; se si fosse presentata come la giovane donna che era, avrebbe di sicuro attirato l’attenzione dei quei beoni e ne sarebbe venuto fuori sicuramente qualcosa di spiacevole.
 
Tutta presa ad ascoltare le chiacchiere di Saeko e Ryo, non si accorse nemmeno quando il proprietario le portò al tavolo la ciotola di ramen fumanti, ordinati precedentemente, e che trangugiò quasi freddi non appena se li ritrovò lì, quasi ad impicciare, molto dopo.
 
L’omone all’inizio si era chiesto che razza di apparecchio avesse tirato fuori il ragazzetto, con le cuffiette alle orecchie, ma poi aveva perso velocemente interesse per quel cliente strambo ed era tornato alle sue scarse occupazioni; ragionando che i giovani d’oggi proprio non li capiva, rinunciò a capire pure quello.
Non s’interessò nemmeno quando questi prese a starnutire e a tirare su col naso; pensò invece che non vedeva l’ora di chiudere il locale, e che al solito ci sarebbe voluto del bello e del buono prima di riuscir a convincere i due amici bizzosi a sloggiare, e che sarebbe stata veramente un’impresa svegliare il fagotto umano.
 
La ragazza, rincantucciata nell’angolo più nascosto del locale e lontano dalla vetrina poco illuminata, invece, non si perdeva nemmeno una parola dell’incontro fra Ryo e Saeko, e si ripeteva che aveva avuto una bella fortuna a poter sgattaiolare come aveva fatto, così all’ultimo minuto, senza essere beccata da Ryo.
Si rese anche conto che effettivamente lui e la bella ispettrice non si frequentavano così tanto spesso come credeva, perché evidentemente non andava mai a casa sua; non volle prendere in considerazione che i due potessero incontrarsi fuori da lì e in posti meno acconci.
Anche se ora lei e Ryo stavano, stavano? insieme, ed era più o meno certa che lui non la tradisse, era comunque gelosa del rapporto che aveva con Saeko perché, pur non considerando il fatto che fosse bellissima e affascinante, era anche una sua cara amica, la presenza femminile nella vita dello sweeper di più vecchia data, e Kaori non aveva mai capito che razza di legame avessero.
E se lei era sicura che Saeko non si sarebbe mai concessa al bel Ryo, pur sfruttando questa sorta di ricatto sessuale, le dava comunque fastidio che lui, proprio in virtù di questa speranza, si lasciasse convincere dall’ispettrice a fare di tutto e di più.
Insomma era un giochetto vecchio e stantio, ed ora più che mai non poteva più tollerarlo.
Per fortuna però, la Nogami vi aveva messo fine nel momento in cui aveva capito che i due City Hunter facevano finalmente sul serio, e si era prestata, di buon grado, a saldare i suoi debiti in moneta sonante.
Inoltre, la sweeper aveva potuto appurare quanto la donna fosse in qualche modo corretta nei suoi confronti, e sospettava che quella sera non si fosse comportata diversamente con Ryo rispetto alle altre volte, e non perché era certa di essere spiata da lei.
Nemmeno Ryo aveva fatto lo stupido, e saperlo così in crisi la riempiva di soddisfazione.
 
Per il momento si era recato solo da Umibozu e da Saeko a chiedere, apparentemente, consiglio, e il gigante gli aveva detto che se non la amava abbastanza, avrebbe dovuto lasciarla andare.
Eppure lui non aveva ribattuto su questo punto, non aveva detto nulla, pur di non rispondergli; l’aveva preso in giro e aveva alzato i tacchi, come il suo solito: quando se la vedeva brutta, prendeva il largo ed evitava di affrontare il problema.
 
Le passò un brivido e si mosse a disagio dentro i suoi vestiti bagnati, che le si erano appiccicati addosso e le facevano sentire molto più freddo.
Che peccato non essersi potuta cambiare da Saeko, anche se dubitava che la donna avrebbe avuto qualcosa da prestarle e che facesse al caso suo.
Ridacchiò pensandoci: s’immaginò con un tailleur elegante con tanto di spacco laterale sulla gonna, a pedalare come una forsennata per le strade di Shinjuku, o sedere ad un tavolino come in quel momento, in una bettola di quart’ordine.
Kaori sospettava che Saeko non avesse nemmeno una tuta o un paio di jeans nel suo armadio, non ce l’aveva mai vista e non se la sapeva nemmeno immaginare.
 
Tirò su col naso e continuò ad ascoltare.
Pur avendo deciso di lasciare Ryo, poter continuare a sentire la sua voce, la sua calda voce, parlare e anche di lei, le riempiva il cuore e si sentiva vibrare.
Avrebbe tanto voluto non dover rinunciare definitivamente a lui, e sperava con tutta sé stessa che quella fosse una crisi passeggera, e che il fatto che lei lo avesse lasciato, lo facesse rinsavire, cambiare, convincendolo che non poteva più comportarsi da idiota come sempre, che doveva crescere.
 
Un potente starnuto le fece volare baffi e barbetta, ma per fortuna, nel locale immerso in quella atmosfera sonnacchiosa, nessuno se ne accorse.
Un altro brivido la percorse, e desiderò qualcosa di caldo che spazzasse via il gelo penetratole fin dentro le ossa.
Con un gesto richiamò l’attenzione del bettoliere e si fece portare un’altra ciotola di ramen, che stavolta si strafogò, bollenti, ustionandosi il palato.
Ecco, così andava meglio, si disse.
Quel temporaneo benessere, però, fu un misero palliativo per il colpo che ricevette di lì a poco, quando sentì Ryo ammettere che aveva comunque avuto le sue belle avventure amorose, quelle che era riuscito a vivere senza che lei potesse impedirglielo in nessun modo.
Certo, all’epoca non stavano insieme e lei non poteva vantare nessuna pretesa su di lui, e nemmeno prodursi, come invece spesso faceva, in epiche scenate di gelosia, perché non ne aveva diritto.
Tuttavia, scoprire che il socio si era comunque dato da fare, mentre lei sospirava a casa per lui, e non si degnava nemmeno di farle una carezza, era pur sempre una sofferenza.
Ma questo era prima
E lui, parlando con Saeko, si riferiva al passato, non le aveva chiaramente detto o lasciato intendere che ancora adesso uscisse dai binari e si dedicasse al suo vecchio passatempo…
Però, forse, Ryo non era arrivato a confidarglielo perché l’ispettrice lo aveva bloccato a metà discorso!
Basta, Kaori, non puoi anche farti il sangue amaro per qualcosa successo prima! E poi lo sapevi già come era Ryo! Concentrati solo sul presente!” si disse, scuotendo la testa.
 
Ma poi quasi sobbalzò, quando sentì dalle cuffie Saeko alzare la voce con Ryo.
 
Era il tono vibrante di chi ha perso la pazienza, e già se la vedeva, in tutta la sua spietata bellezza, accusarlo e redarguirlo come una dea vendicativa.
Fondamentalmente la stava difendendo prendendo le sue parti, e anche Saeko lo stava accusando di non amare abbastanza la sua ragazza.
Ciononostante, anche stavolta Ryo non disse niente per farle cambiare idea.
Eppure lui l’amava, glielo aveva detto, Kaori lo sapeva, ora lo sapeva!
E allora perché non aveva difeso il suo amore dagli attacchi di Umi prima, e di Saeko poi?
Cosa ancora lo frenava?
Quale sorta di pudore lo faceva tacere?
Era forse legato al fatto che ancora gli piaceva correre dietro alle altre donne, nonostante stesse con lei?
 
Non poté soffermarsi ancora in sterili supposizioni perché, d’improvviso, non sentì più parlare nessuno dei due, segno che la visita amichevole era terminata.
A conferma di ciò, sul monitor apparve la lucina rossa lampeggiante, che indicava Ryo, che si spostava.
 
Kaori si alzò in fretta, quasi strappandosi via gli auricolari della ricetrasmittente, e corse alla sudicia vetrina: Ryo aveva recuperato la Mini e stava partendo.
Lei avrebbe dovuto affrettarsi, altrimenti lo avrebbe perso; e per la prima volta si disse che forse non era stata una buona idea scambiare la sua Honda con una bicicletta, soprattutto perché fuori aveva ripreso a piovere.
 
Tornò al tavolo, freneticamente raccolse le sue cose e ficcò tutto nello zaino; si frugò nelle tasche e ne estrasse un paio di banconote stropicciate per pagare il conto, che lasciò accanto alle ciotole vuote.
Fulminea guadagnò l’uscita, non prima di aver urtato l’ammasso dormiente passandogli accanto.
Questo protestò svegliandosi e, mentre Kaori gli gridava le sue scuse, il proprietario gliene fu grato perché almeno così poteva invitarlo ad uscire.
Gli altri beoni, interrotti nei loro borbottii litigiosi, esclamarono rispettivamente:
“Ma che modi!” e “I giovani d’oggi!!” ma furono segretamente contenti di aver avuto un diversivo in quella noiosa e grigia serata come tante.
 
Quando il bettoliere andò per sparecchiare e per incassare il conto, si accorse che il ragazzetto aveva lasciato molto più del dovuto.
Districandosi a fatica fra i tavoli vuoti e le sedie sparpagliate, impicciato dal ventre prominente, cercò di corrergli dietro il più velocemente possibile, per avvertirlo che il denaro era troppo.
Ma, vuoi per l’inevitabile ritardo nell’inseguimento, vuoi perché Kaori era stata velocissima, non riuscì a raggiungerla.
L’omone, sospirando, si ritrovò sull’uscio con le banconote in mano, a guardare quel mezzo diluvio che si stava abbattendo sulla città, e mormorò:
 
“È proprio un tempo da lupi…”
 
Subito dopo, con voce sostenuta, voltando la testa all’interno del locale gridò:
 
“Forza gente, il locale sta chiudendo!” e infilati gli yen nella tasca mezza scucita del grembiule, si allungò ad afferrare la serranda.
Con uno strattone l’abbassò fino a metà, segnale inequivocabile e riconoscibilissimo a tutte le latitudini della terra, che l’esercizio era in chiusura: avvertiva la clientela ancora presente che si era fatta l’ora di andare via, e dissuadeva eventuali altri avventori ad entrare.
 
Kaori pedalava come una forsennata, stando attenta a non scivolare sull’asfalto ricoperto di abbondante acqua, mentre quella che pioveva dal cielo la rallentava e, soprattutto, la costringeva a strizzare gli occhi; per non parlare del vento che, a tradimento, arrivava a folate, assestandole delle vigorose bordate che la facevano sbandare pericolosamente.
Le macchine che la superavano non si facevano scrupolo di riversarle addosso l’acqua raccoltasi nelle pozzanghere ai bordi della strada, schizzandola di fango e sporcizia.
Sembravano tutte di fretta, nemmeno la pioggia gli cadesse in testa, come invece succedeva a lei.
Lo sforzo di sostenere quell’andatura la faceva sudare copiosamente, ma il sudore si ghiacciava sulla pelle a contatto con i vestiti fradici.
 
Disperava di ritrovare Ryo, ed era fuori discussione fermarsi sotto quel diluvio, senza un riparo qualsiasi, ed estrarre il portatile per controllare dove stesse andando.
Se anche lo avesse ritrovato, a pochi metri da lei, non avrebbe distinto la sua macchina dalle altre, perché la cortina di acqua che le ruscellava davanti agli occhi le rendeva i contorni delle cose incerte, e le luci dei fari delle automobili, sfocati e abbaglianti al tempo stesso.
Il rosso degli stop e il bianco accecante dei fanali anteriori erano tutti uguali, e se non fossero stati appaiati e simmetrici, avrebbe avuto la sensazione che fluttuassero disordinatamente nell’aria, o meglio, sott’acqua.
 
Imboccò la direzione del distretto di Kabukichō, che pur essendo un sottoquartiere a luci rosse di Shinjuku, era comunque un posto familiare per lei; molto di più per il suo socio vizioso, e sperava di ritrovarlo lì o nei pressi.
La ragazza inoltre, anch’essa molto conosciuta, avrebbe potuto contare sull’aiuto discreto dei personaggi che animavano quei locali, o certe attività.
E infatti cercò di dirigersi al negozio di Gen.
 
Trovò il vecchietto sulla soglia del proprio locale, intento a fumare l’ennesima sigaretta; pensieroso guardava il disordinato via vai delle macchine, e ragionò che quell’improvviso mal tempo non ci voleva: avrebbe dissuaso i clienti ad entrare per noleggiare il solito porno.
Così, quando vide correre verso di sé un ragazzo, sorrise soddisfatto e si fece da parte per farlo entrare.
Anche se i video hardcore erano vietati ai minorenni, lì non si andava tanto per il sottile, e di certo lui non chiedeva i documenti ai suoi avventori: gli affari erano affari, e di fatto non vendeva alcolici o droghe, ma solo filmetti educativi e di svago.
 
“Per fortuna ci sei tu, Gen!” esclamò Kaori, precipitandosi all’interno e scuotendosi alla bell’e meglio l’acqua che le impregnava i vestiti.
 
L’ometto si stupì della familiarità con cui era stato salutato dal ragazzotto, perché non si ricordava di averlo mai visto prima, e solitamente, a quell’età, entravano nel suo negozio pieni d’imbarazzo e vergogna, anche se animati da curiosità pruriginosa che stentavano a nascondere.
 
“Buona sera… ci-ci conosciamo?” domandò l’uomo.
 
Davanti a sé aveva un giovane completamente bagnato dalla testa ai piedi, con il cappellino fradicio incollato ai capelli, e dalla cui visiera gocciolava tutta la pioggia che la stoffa ormai satura non era più in grado di assorbire.
Il cliente faticò a togliersi il voluminoso zaino, impedito dalla giacca a vento ormai zuppa, mentre ai piedi si raccoglieva una pozza d’acqua non indifferente, che fuoriusciva dalle scarpe da ginnastica ad ogni passo, e colava giù dai jeans attaccati alle gambe lunghe e magre.
 
“Scusa, sto bagnando tutto” disse il ragazzotto, con una voce che Gen conosceva molto bene e che non aveva nulla di virile, nemmeno la solita intonazione da galastrone degli adolescenti; sembrava piuttosto… femminile… Sembrava piuttosto quella di…:
 
“Ka-Kaori, ma sei tu?” esclamò allora l’uomo, sgranando gli occhietti dietro le spesse lenti degli occhiali.
 
La sweeper aveva dimenticato di essere ancora paludata nel suo travestimento, e quando alzò lo sguardo sull’amico, si stupì che lui non la riconoscesse.
 
“Oh sì, sono io” poi istintivamente si portò la mano ai baffetti e alla barbetta che penzolavano sghembi e se li tirò via con un gesto deciso, ridacchiando.
 
“Che ci fai qui, e poi tutta bagnata in quel modo? Prenderai un malanno così! E Ryo? Lo sa che sei qui?” la tempestò di domande, in rapida successione.
 
Kaori cercò di rispondere come meglio poté:
 
“Diciamo che sto facendo un pedinamento… E no, Ryo non sa che sono qui, anzi ti pregherei di non dirglielo…” e facendosi improvvisamente triste proseguì dicendo: “... non posso spiegarti il perché, ma…” esitò, e fissandolo intensamente negli occhi, gli chiese: “Mi aiuterai?”
 
L’ometto annuì lentamente e finì per sorriderle.
Era molto affezionato alla ragazza, e sapeva che lei era la pupilla, nonché adesso la donna, del grande Ryo Saeba.
In realtà tutti lì, nella zona, sapevano che i due si amavano da tempo, prima ancora che lo sapessero i diretti interessati, ma nessuno era così tanto intimo da intromettersi nei loro affari.
Ryo era il protettore e il giustiziere di Shinjuku, e nonostante le sue manie e i suoi passatempi al limite della decenza, peraltro ampiamente incoraggiati lì nel quartiere, nessuno si sarebbe mai permesso di mettere il becco nei suoi affari privati, che comprendevano ovviamente la sua relazione, amorosa e non, con la bellissima socia.
La ragazza, del resto, non aveva nulla a che spartire con l’universo femminile che popolava l’affollato distretto; nonostante ciò era sempre gentile ed educata con loro, generosa ed altruista, e tutti avevano un debole per lei.
Il fatto che non li giudicasse e non provasse a cambiarli, era garanzia di simpatia e affetto, e Gen le avrebbe voluto bene a prescindere dall’aura protettiva che lo sweeper aveva steso su di lei.
Ognuno di loro sarebbe corso in suo aiuto perché era lei, e non solo la partner di City Hunter, e non le avrebbero rifiutato un favore in ogni caso.
 
“Ma certo, cara ragazza!” rispose l’omino “Puoi contare su di me” le disse mettendosi idealmente e completamente al suo servizio.
 
“Benissimo allora!” esclamò felice la sweeper scoccandogli un sorriso che gli scaldò il cuore “Ho bisogno di un posto in cui nascondermi, magari un magazzino, sul retro del negozio, che abbia almeno una presa di corrente perché questo” e si batté sullo zaino “si sta scaricando” e nel dirlo tirò fuori appena il portatile per farglielo vedere.
 
“Potresti accomodarti lì” ed indicò la saletta in cui teneva i video più hard del momento, ridacchiando a disagio “ma poi saresti costretta a dividere lo spazio con i clienti”
 
“No, no per carità! Ci manca solo quello!” si affrettò a dire lei.
 
“Allora non mi resta che farti scendere di sotto nello scantinato” le disse con un certo rammarico “Mi dispiace, ma non ho altro” e fece spallucce.
 
“Non ti preoccupare, andrà benissimo” e si dispose a seguirlo al di là della famosa saletta, dove uno schermo trasmetteva spezzoni e trailer degli ultimi film usciti.
Kaori abbassò lo sguardo arrossendo pudicamente.
Non si sarebbe mai abituata a quel tipo di sesso, perché ciò che finalmente faceva con Ryo non aveva nulla a che vedere con quelle acrobazie assurde e oscene: loro facevano l’amore e basta.
 
Lo scantinato era freddo ed umido, nonostante la stufetta elettrica che Gen, premuroso, le aveva messo a disposizione.
Kaori tirò su con il naso, e ringraziò grata.
Al riparo da occhi indiscreti, e soprattutto lontana dalla merce in esposizione, la ragazza sperava di rintracciare il segnale radio di Ryo.
Era quasi sicura che il suo fidanzato si sarebbe diretto da quelle parti, ormai libero di spassarsela come meglio credeva.
 
E nemmeno a farlo apposta, poco dopo il portatile emise dei bip inequivocabili, quando nello schermo comparve, come dal nulla, la lucina rossa e pulsante che indicava lo sweeper in avvicinamento.
La socia si fregò le mani soddisfatta e, infilandosi gli auricolari, aprì l’audio per sentire cosa avesse da dire quel depravato che evidentemente non poteva stare lontano dalla fonte dei suoi vizi.
La sua soddisfazione, però, ben presto prese una nota triste, poiché la presenza di Ryo nel quartiere a luci rosse confermava soltanto la sua recidiva, la sua pessima abitudine a frequentare certi luoghi e certe persone; non sarebbe cambiato mai, e forse, si disse, aveva fatto bene a lasciarlo.
 
In quello stesso istante, sopra la testa di Kaori, al piano di sopra, nel negozio di Gen, entrava correndo Ryo Saeba, riparandosi dalla pioggia con la giacca tirata sulla testa.
 
“Che razza di tempo stasera!” esclamò a mo’ di saluto lo sweeper rivolgendosi al gestore che, appollaiato su di uno sgabello dietro il bancone, lo osservava impassibile dietro una cortina di fumo; scrollò la cenere nel posacenere e gli rispose un laconico:
 
“Già”.
 
Temeva di tradirsi, di rivelare in qualche modo che gli stava nascondendo qualcosa, o meglio qualcuno: a Ryo non sfuggiva mai niente e Gen non voleva essere messo in mezzo alle dinamiche di coppia, di strana coppia, dei City Hunter.
 
Per fortuna fu salvato dall’empasse dal sopraggiungere trafelato di un altro cliente, e quando vide che era lo sweeper americano, mentalmente tirò un sospiro di sollievo: almeno così Ryo si sarebbe intrattenuto con il suo compagno di bisbocce e non avrebbe pensato a lui.
 
“Ehi, Ryo, anche tu qui?” lo interpellò Mick allegramente, scrollandosi dai capelli tutta l’acqua che aveva preso uscendo di corsa dalla macchina per infilarsi nel negozio.
 
Gli bastò guardarlo bene in viso per capire che qualcosa non andava.
Immediatamente s’incupì, e si augurò che in tutto questo non c’entrasse Kaori.
Sarebbe stato comunque inutile cercarla lì nella bottega, perché di sicuro non lo avrebbe seguito fin lì.
Si chiese inoltre perché l’amico fosse da Gen, con una serata del genere, e non a casa, al caldo, fra le braccia della sua compagna.
Angel si disse che apparentemente era una faccenda seria, e presto o tardi sarebbe riuscito a scucire al grande stallone di Shinjuku il motivo del suo cruccio: doveva sapere.

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Capitolo 6
*** Ad ognuno il suo menage ***


… E niente, stasera mi andava di farvi leggere anche il capitolo 6, che dite, gradite?
Grazie ancora *_*
Eleonora

 
 
 
Cap. 6 Ad ognuno il suo menage
 
“Ehi, Ryo, anche tu qui?” lo interpellò Mick allegramente, scrollandosi dai capelli l’acqua che aveva preso uscendo di corsa dalla macchina per infilarsi nel negozio.
Ma gli bastò guardarlo bene in viso per capire che qualcosa non andava.
Immediatamente s’incupì e si augurò che in tutto questo non c’entrasse Kaori; sarebbe stato comunque inutile cercarla lì nella bottega, perché di sicuro non lo avrebbe seguito fin lì.
Si chiese inoltre perché l’amico fosse da Gen, con una serata del genere, e non a casa, al caldo fra le braccia della sua compagna.
Angel si disse che apparentemente era una faccenda seria, e presto o tardi sarebbe riuscito a scucire, al grande stallone di Shinjuku, il motivo del suo cruccio: doveva sapere.
 
In ogni caso Ryo annuì in risposta.
Sembrava a disagio, e in procinto di rivelargli qualcosa che gli stava particolarmente a cuore, e Mick si preoccupò ancora di più.
 
“Già che sei qui, volevo farti una domanda” disse infine lo sweeper nipponico.
 
“Spara, sono tutt’orecchi” replicò l’americano, mettendosi idealmente a sua disposizione.
 
Gen si defilò discretamente, e li lasciò soli.
 
Ryo gliene fu intimamente grato, perché già era difficile aprirsi con il suo ex-collega, inoltre far sapere i suoi più segreti pensieri ad un rivenditore di film porno, nonché suo maggior informatore, non era il massimo; se poi i discorsi riguardavano anche Kaori, era fuori discussione metterlo a parte di certe cose.
 
Rimasti soli, per una volta Ryo scelse la via della schiettezza e, quasi a bruciapelo, chiese a Mick:
 
“Ma tu… come fai a restare fedele a Kazue?”
 
Mick, e Kaori in ascolto, trasalirono.
 
Superato il momentaneo smarrimento, l’americano rispose con altrettanta schiettezza:
 
“Ma io non lo sono!”
 
Ryo, e Kaori in ascolto, sussultarono.
 
La ragazza sgranò tanto di occhi nella semioscurità dello scantinato: questa rivelazione non se l’aspettava, e d’improvviso si sentì in imbarazzo a spiare anche Mick.
Tutta quella situazione assurda riguardava solo lei e Ryo e ciò che avrebbe detto lui a sua insaputa, non le faccende intime dei suoi amici.
 
“Eh?” si limitò ad esclamare Ryo.
 
“Sì” e Mick gli sorrise in maniera sorniona; poi, soddisfatto dello stupore che leggeva sul viso all’amico, si dispose a spiegare: “All’inizio della nostra storia, finché ero ancora, come dire, convalescente, filavamo d’amore e d’accordo, ero ancora troppo debole per pensare di spassarmela con altre donne, andare in giro per locali, e provavo un attaccamento quasi morboso per Kazue, che vedevo come la mia salvatrice. Eravamo felici così e non ci mancava niente. Ma con il passare del tempo, mano a mano che mi rimettevo in forze, gli antichi vizi sono tornati fuori e ho iniziato a mordere il freno. Riprendere ad uscire per locali, con te o da solo… tutte quelle belle donne disponibili, quelle avventure facili a portata di mano… Anche se non dovevo conquistare le donne delle mie vittime come un tempo, mi piaceva il gioco della seduzione, il corteggiamento, l’epilogo scontato e desiderato” e nel dirlo i suoi occhi brillavano di malizia e lussuria, ricordando le donne che aveva avuto. “Era un gioco, e il fatto che ora fossi legato ad una donna in particolare e non dovessi farmi scoprire da lei, rendeva tutto più piccante e stimolante” e gli rivolse un sorriso smagliante.
 
Nonostante tutto Ryo provò come un senso di disagio, di tristezza, a saper Kazue tradita sistematicamente, lei che aveva così tanto sofferto perdendo il suo fidanzato; non si meritava un trattamento del genere dal suo amante, Mick era sleale con lei… come lo era lui con Kaori? si chiese.
 
Ma l’americano proseguì:
 
“Pensavo di poter andare avanti così per sempre; amavo Kazue, ma amavo anche la mia vita da libertino, e il fatto che lei dovesse stare così tanto tempo fuori casa e facesse anche i turni di notte, come stasera ad esempio, mi rendeva tutto molto più facile. Quando tornavo da lei, lo facevo con rinnovato slancio, e insomma ero l’uomo più felice del mondo…”
 
“Mi sembra d’intuire che c’è sotto un però, o sbaglio?” l’interruppe Ryo.
 
“Esatto, amico” e il sorriso californiano di Mick si spense.
Dopo una breve pausa riprese il racconto: “Stava andando tutto bene quando, un giorno, ho voluto fare una sorpresa a Kazue e la sono andata a prendere all’aeroporto, di ritorno da una convention di medici e dottori a Fukushima, e lì l’ho vista che passeggiava a braccetto di un uomo bellissimo, un occidentale, alto e distinto, davvero affascinante. Si parlavano fitto fitto, e si vedeva che erano intimi. Si guardavano negli occhi intensamente e quando lui ha fatto per baciarla sulla bocca, lei non si è ritratta, anzi, ha ricambiato con trasporto. Per poco non sono svenuto davanti a quella scena, e il mio mondo è andato in frantumi. Il cuore pareva volermi schizzare dal petto e, non so come, sono riuscito a nascondermi dietro una colonna, prima che i due mi passassero accanto senza vedermi. In quel momento sono riuscito anche a carpire un brandello di conversazione… si stavano dicendo che erano stati bene insieme, e che magari avrebbero potuto rivedersi in qualche altra occasione, e lei sorridendogli maliziosamente, con quei suoi occhi da gatta, gli ha risposto perché no! Si sono salutati con un lungo bacio appassionato, poi quel bellimbusto, che ho scoperto essere addirittura un italiano, ti rendi conto? I-ta-li-a-no” scandì “se n’è andato, ridacchiando soddisfatto e compiaciuto”.
 
Kaori nello scantinato tratteneva il respiro, nonostante il naso avesse preso a colarle a più non posso e l’umidità delle pareti, e del pavimento di cemento, le stesse penetrando nelle ossa, appiccicandosi ai già zuppi vestiti.
 
Ryo dal canto suo ascoltava con aria impassibile.
Gli aveva fatto una semplice domanda, per sapere come si regolasse il suo amico alle prese con una relazione fissa e seria e come riuscisse a destreggiarsi con i suoi medesimi vizi, e non immaginava che ne venisse fuori una storia del genere.
 
Mick riprese:
 
“Lì per lì mi trattenni dal farle una scenata di gelosia davanti a tutti, ma quando è tornata a casa e mi ha trovato che l’aspettavo, ho dato fiato al mio orgoglio di maschio tradito e ne è venuta fuori una violenta litigata, perché, quando le ho detto di averla vista all’aeroporto con quell’italiano, ha finito per confessarmi che quella non era la prima volta fra loro due, anche se non avevano una relazione stabile. Succedeva solo quando capitava d’incontrarsi per lavoro o altro. A quel punto ho scoperto che pure Kazue aveva delle avventure galanti. Non che se le cercasse, quello no, però, ecco, se capitavano non si tirava indietro; d'altronde, mi disse, sapeva che anche io non le ero fedele e allora, se andava bene per me, perché non sarebbe dovuta andare bene anche per lei? Effettivamente all’inizio, quando mi vedeva fare lo scemo con le altre donne, s’infuriava, mi minacciava, strepitava che non l’amassi abbastanza, che odiava essere tradita, umiliata e via discorrendo. Io la rabbonivo come meglio potevo, l’assicuravo che quello era solo un gioco, cose da poco, solo per divertirsi e nulla più. Riuscivo sempre a spuntarla, lei mi credeva e mi facevo perdonare. In realtà, come ti ho detto, io le mie avventure le ho avute lo stesso, e a quanto pare le ha avute anche lei”.
 
Fece una pausa e parve raccogliere le idee:
 
“Non potevo pretendere da lei ciò che non ero in grado di garantirle io, non sono un tipo all’antica e al contrario sono di vedute aperte, così giungemmo alla conclusione che se sentivamo l’esigenza di avere altre esperienze al di fuori della nostra relazione, avremmo potuto farle, a patto di confessarcele a vicenda. Così ho dovuto mettere da parte il mio orgoglio, se volevo continuare a fare il playboy in giro per la città. Certo, sapere che la mia Kazue se la spassa con altri uomini non mi fa impazzire, ma del resto anche io lo faccio con le altre donne e quindi lo stesso deve valere per lei”. Fece spallucce, poi aggiunse: “Però debbo dire che da quando abbiamo fatto questo patto, mi è passata un po’ la voglia di tentare la sorte con le altre, e anche lei pare essersi calmata… sembra quasi che andiamo di pari passo: se non tradisco io, non tradisce nemmeno lei…”
 
Detto questo, Mick divenne improvvisamente pensieroso e rivolse lo sguardo in un punto lontano.
 
Kaori, attaccata ai suoi auricolari, non riusciva a credere alle sue orecchie, ma per quanto sconvolgente potesse sembrarle quella storia, dovette ammettere che era anche verosimile.
Mick non era un cavernicolo, e in fatto di flirt e avventure era molto aperto e disinvolto, mentre Kazue, pur essendo figlia del Sol Levante, era anche emancipata e volitiva: se non poteva tenersi il bell’americano tutto per sé, perché restarsene chiusa in casa a torturarsi il cuore, stretto nella morsa della gelosia, come invece faceva lei per colpa di Ryo?
Le venne quasi da dire che l’infermiera faceva bene, anche se lei, Kaori, non ci si vedeva a svolazzare da un uomo all’altro così, unicamente per rendere pan per focaccia al compagno, o solamente per avere altre esperienze: era troppo innamorata di lui per poter anche solo pensare di guardare un altro.
Fra i due lo smanioso era Ryo, colui che si vantava di essere lo stallone di Shinjuku; lei voleva solo una storia d’amore semplice, autentica ma esclusiva.
Sospirò.
 
Ma poi fu richiamata dai suoi pensieri quando sentì chiara la voce di Mick interrompere quel breve silenzio e dire:
 
“Perché me lo hai chiesto, Ryo?”
 
E qui, si disse Kaori, la cosa si faceva interessante.
 
“Così…” si limitò a rispondere l’amico recisamente, forse troppo sconvolto per spiegargli che pure lui sentiva il richiamo delle altre donne, che non poteva impedirsi di corrergli dietro; però non gli interessava concludere, come faceva l’americano, perché amava Kaori e voleva stare solo con lei.
Per via di questo suo brutto vizio, lei lo aveva lasciato, ma ancora non riusciva a confessarglielo.
 
Mick non era uno stupido, però: loro due erano molto simili e vedeva come Ryo continuava a comportarsi ancora adesso con Kaori, quindi non ci mise molto a capire che lui gli stava chiedendo un consiglio su come fare.
Pertanto gli disse, con fare sornione:
 
“Se vuoi seguitare a rincorrere le puledrine, caro il mio bello stallone, fai pure, basta che lasci anche a Kaori la libertà di avere le sue esperienze, le sue avventure. Fate come me e Kazue e vedrete che sarete felici!”
 
“Questo mai!” esclamò Ryo con fervore “Kaori è mia e di nessun altro, ed io non la tradisco né ho intenzione di farlo! Io la amo e lei lo sa, e se dovesse avere un’avventura con chicchessia, io ne morirei!”
 
Sapeva che con questa affermazione avrebbe sconcertato l’amico, e sperava di averlo spaventato a sufficienza, tanto da indurlo a lasciar perdere, almeno lui, quella deprecabile condotta; perché Kaori non si meritava di essere tradita, non lei…
A pensarci bene nemmeno Kazue, ma era successo una sola volta e lui si era inventato tutta quella storia solo per impressionare il suo amico.
Parzialmente soddisfatto dalla reazione di Ryo, continuò con aria scettica e sardonica insieme:
 
“Comunque è difficile da credere, che non la vuoi tradire, quando invece ti trasformi in un maiale voglioso non appena ti capita a tiro una bella donna, e dai ad intendere che non aspetti altro che saltarle addosso”.
 
“Quello non vuol dire niente” rispose stizzito lo sweeper.
 
“E invece sì. Inoltre, nella tua smania di possesso, anche quando non volevi ricambiare i suoi sentimenti hai fatto comunque in modo di tener alla larga chiunque da quella povera donna, tutti i suoi spasimanti, perché li hai terrorizzati o dissuasi con la tua sola presenza. Non le hai permesso di avere esperienze di sorta e, in pratica, ha avuto solo te”.
 
Kaori arrossì fino alla punta dei capelli, e si sentì avvampare nonostante il freddo che le faceva quasi battere i denti.
 
A quel punto Mick guardò Ryo con occhi furbi e maliziosi, e abbassando il tono della voce aggiunse:
 
“Io credo che non debba accontentarsi solo di te, ma che dovrebbe avere altre occasioni… Non so, aprire i suoi orizzonti… se capisci cosa intendo…” e ridacchiò untuosamente.
 
Ma lo sweeper, che stava per avere un travaso di bile e si era fatto verde di rabbia, sibilò tra i denti:
 
“Kaori è più che soddisfatta di ciò che ho da offrirle, e non ha bisogno di altro, meno che meno delle tue attenzioni, con buona pace di Kazue, e l’avvertimento è sempre valido: non provare ad avvicinarti a lei, altrimenti proverai cosa vuol dire amoreggiare con la mia Python” e si batté la mano nella fondina sotto la giacca.
 
“Lasciamo decidere a lei…” lo stuzzicò l’americano, socchiudendo gli occhi con l’aria di saperla lunga.
 
Ma Ryo lo prese per il bavero e lo attirò a sé:
 
“Ho detto che lei è felice così” gli alitò sul viso.
 
L’altro, per nulla impressionato, con uno sguardo irridente gli disse:
 
“Allora perché adesso sei qui?” alludendo al locale, al quartiere, e ai discorsi appena fatti.
 
Immaginava che ci fosse aria di maretta fra i due, anche se non sapeva fino a che punto fossero arrivati, e poi si divertiva un sacco a prenderlo in giro, a rigirare il coltello nella piaga; quando c’era di mezzo Kaori, Ryo perdeva la testa.
Si aspettava che avrebbero concluso la serata con una sana scazzottata fra uomini, e già sentiva l’adrenalina pompargli nelle vene, ravvivandolo; ultimamente erano così rare le volte in cui finivano per darsele di santa ragione, che, pensò, sarebbe stato divertente.
Ma Ryo, a quella domanda, lo lasciò andare di colpo, e allontanando le mani bofonchiò:
 
“Non sono cose che ti riguardano”.
 
E da lì, l’americano seppe che era una faccenda dannatamente seria e si preoccupò veramente: cosa stava succedendo ai suoi amici?
Cosa mancava ancora alla loro felicità?
 
Di sotto nello scantinato, Kaori stentava a riprendersi dopo aver sentito quello scambio di battute.
Conoscendo bene i due uomini aveva potuto immaginarsi la scena di loro due fronteggiarsi, come se li avesse lì davanti, e dal tono delle voci, inequivocabile, aveva percepito tutta la tensione e il nervosismo, soprattutto in Ryo, che aveva animato la conversazione.
Si era stupita della sincerità con cui Mick aveva messo in piazza le sue faccende private, sue e di Kazue, ma, si disse, lui e Ryo si conoscevano da tempo e forse fra uomini era così che andava, così che ci si esprimeva; non era la prima volta che origliava i loro discorsi e anche le altre volte aveva scoperto cose molto interessanti.
Più di tutto era però sconvolta dalla veemenza con cui Ryo aveva difeso il loro amore, la sicurezza che aveva messo nelle sue parole: aveva detto che non la tradiva né che era sua intenzione farlo, nonostante quel suo comportamento da maniaco; aveva detto che lei era sua e non avrebbe retto ad un suo tradimento.
Kaori sentì il cuore riempirsi d’amore e orgoglio, tanto che, credette, le sarebbe scoppiato in petto.
Un velo di sudore le imperlò la fronte, e brividi freddi si alternarono a quelli bollenti percorrendole la schiena e le braccia.
 
Aveva sentito tutto quello che c’era da sentire?
Aveva ancora bisogno di sapere altro sul conto di Ryo?
Certo né lei né lui avevano capito il motivo che spingeva ancora Ryo a comportarsi da cretino, umiliandola in quel modo.
Non era forse per quello che era andato da Umi a chiedere consiglio, e da Saeko?
Trovando Mick per caso, non gli aveva posto il medesimo quesito?
Evidentemente il suo compagno ce la stava mettendo tutta per cercare di capire dove stesse sbagliando e come fare per migliorare.
Poteva essere sufficiente per lei?
In fondo era ancora relativamente poco che stavano insieme, e soprattutto per il suo fidanzato era stato un bel cambiamento: passare, da un giorno all’altro, dalla libertà di folleggiare in giro per locali alla monogamia, il passo doveva essere stato molto impegnativo per lui.
Nel giro di poco tempo, aveva rinunciato ad una parte importante della sua vita per lei, solo per lei.
Certi vizi sono duri a morire.
 
A forza di ragionarci su, Kaori si accorse di avere la testa pesante, peggio, sentiva avvicinarsi una di quelle emicranie che solitamente la spedivano a letto con un analgesico; peccato che dietro non ne avesse nemmeno uno, e si disse che avrebbe dovuto passare in farmacia e prendere qualcosa.
E poi tutti quei brividi… ma era inevitabile: era zuppa come un pulcino, fra tutto aveva passato un’ora in quello scantinato buio e trasudante umidità che, nonostante la stufetta, non era il posto ideale in cui trascorrere una serata come quella.
 
Attese di vedere la lucina, indicante Ryo allontanarsi, sullo schermo del piccolo computer che le illuminava il viso con la sua luce azzurrina.
Sentiva il bisogno di uscire di lì, di tornare all’aria aperta, ma se poteva essere sicura di non trovare Ryo di sopra nel negozio, diversamente non sapeva nulla sulla presenza o meno di Mick.
Quella sera non voleva incontrarlo: non era sicura di riuscire a guardarlo di nuovo negli occhi senza arrossire ripensando al ménage che aveva con la bella infermiera e, soprattutto, non le andava di dovergli spiegare perché era lì e per come.
Voleva stare da sola, in pace, e rimuginare sulle informazioni che aveva raccolto.
 
Per fortuna di lì a poco si sentì chiamare da Gen che, immaginando la ritrosia della ragazza ad uscire dal suo nascondiglio, sporgendosi da in cima alle scale le disse:
 
“Puoi uscire. Se ne sono andati!”
 
Riconoscente, raccolse tutte le sue cose e lasciò ben volentieri il suo riparo.
Si stupì però della fatica che ci mise a risalire le scale, e alla leggera vertigine che provava muovendo la testa.
 
Quando si ritrovò fra gli scaffali dei video si guardò fugacemente in giro, piena d’imbarazzo: erano arrivati alcuni clienti, nel frattempo, e non li voleva incrociare.
Non vedeva l’ora di andarsene, ma non voleva essere scortese con Gen, pertanto gli fece un profondo inchino e gli disse:
 
“Grazie di avermi tenuta nascosta e non aver detto niente né a Ryo né a Mick. Sei stato gentilissimo” e scoccandogli un fugace bacio sulla guancia, uscì in fretta.
 
L’ometto, che dalla sorpresa era rimasto lì imbambolato con un sorriso ebete sul viso, quando si riprese sospirò: nonostante fosse il re incontrastato di un negozio di video porno, al centro di un quartiere a luci rosse dove il sesso si respirava a pieni polmoni e trasudava anche dai muri, un semplice bacio innocente, dato per riconoscenza e affetto, lo aveva sconvolto più di una tempesta devastante.
Si portò la mano rugosa alla guancia, e si disse che Kaori era la persona più bella e buona che avesse mai conosciuto, un fiore sbocciato nel deserto, e mentalmente, le augurò ogni benedizione.
 

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Capitolo 7
*** Naufragi ***


Un filino in ritardo rispetto alla tabella di marcia, eccomi qua a proporvi il cap 7 delle serie :D
La scorsa volta io e Mick vi abbiamo sconvolto, ma si sa che entrambi amiamo raccontare storie eheheheh :-P
Buona lettura!
Eleonora





Cap. 7 Naufragi
 
Inforcata nuovamente la bicicletta, la sweeper riprese a pedalare svogliatamente.
Anche se aveva smesso di piovere, il vento si era andato via via rinforzando, sferzando i passanti con raffiche fredde e gelide.
Ma i gaudenti che avevano preso ad animare le vie della città non ci badavano più di tanto, ridevano sguaiatamente, già alticci, e comunque presto si sarebbero ritrovati nel caldo soffocante dei vari locali o in uno dei love hotel a scaldarsi in altri modi.
Solo Kaori sembrava sentir freddo e, soprattutto, non sapeva dove andare.
 
Di tornare a casa era fuori discussione: sarebbe stato come cedere, darla vinta a Ryo…
E poi non avevano chiarito, anche se, a ben guardare, avevano propriamente litigato?
E poi lui non l’aveva rincorsa, né aveva provato a cercarla per riportarla indietro.
Certo,lei sapeva che era andato a chiedere aiuto ai loro amici, e onestamente non poteva dire che lui si fosse disinteressato della crisi che stavano attraversando; indirettamente aveva pensato anche a lei, ma tornare a casa… quello no!
Anche se…
Quanto avrebbe voluto infilarsi sotto una doccia bollente, o restarsene a mollo nella vasca da bagno per ore… magari con Ryo.
Scacciò dalla mente quei pensieri tentatori e molesti.
Non era il momento!
Prima dovevano risolvere i loro problemi, anche se adesso non sapeva come.
 
Ogni pedalata era sempre più pesante, faticava quasi a stare in equilibrio, e si disse che per prima cosa avrebbe dovuto raggiungere la sua macchina nel parcheggio sotterraneo, poi avrebbe pensato al resto.
Era troppo tardi per tornare da Miki e chiedere ospitalità, come pure bussare di nuovo alla porta di Saeko.
Andare da Mick e Kazue non se ne parlava nemmeno, sia perché non sapeva se vi avrebbe potuto trovare la donna – se cioè non fosse di turno in clinica – sia perché non aveva il coraggio di confrontarsi con loro due, o anche presi singolarmente.
Doveva digerire la cosa.
Nemmeno andare dal Doc era auspicabile, perché si sarebbe preoccupato vedendola lì in quello stato e in piena notte.
In più temeva che ci avrebbe trovato Ryo, anche lui bisognoso di essere accolto e consigliato.
Più logico trovarsi una qualsiasi stanza in albergo.
 
Raggiunse la sua Honda come una naufraga che, dopo tanto nuotare nell’oceano, finalmente approdava in un’isola rigogliosa; e comunque, anche se non aveva nuotato, di acqua ne aveva presa davvero tanta.
 
Con mano tremante inserì la chiave nella serratura e, una volta dentro, si lasciò andare sul sedile con un sospiro di sollievo, dicendosi:
 
“Adesso mi rilasso un attimo, poi vediamo”.
 
E fece giusto in tempo a sfilarsi la giacca fradicia, che sprofondò in un torpore febbricitante e malato.
 
 
 
o.O.o
 
 
 
 
Ryo, profondamente scosso e scornato dall’incontro con Mick, si era allontanato a piedi nel freddo vento della sera; non lo sentiva nemmeno, nonostante si accanisse a fumare una sigaretta che si spegneva in continuazione.
Poco dopo vi rinunciò e la spinse all’angolo della bocca.
 
Era arrabbiato: con Mick, con Kaori, ma più di tutto con sé stesso.
Mick era stato di una brutalità devastante e non poteva confutare ciò che gli aveva appena detto, perché era la pura e limpida verità.
E pur stupendosi della condotta della bella Kazue, dovette ammettere che i due avevano trovato un accordo vantaggioso ed equo per entrambi.
Impossibile però da replicare fra lui e Kaori, poiché immaginarla fra le braccia di un altro gli faceva andare il sangue alla testa, e non era sicuro che non ci sarebbe scappato il morto; e di certo quello non sarebbe stato lui.
Rabbiosamente si strappò la sigaretta e la gettò nella pozzanghera al lato del marciapiede, dove andò a far compagnia alle solite cartacce e a qualche foglia morta.
No, il loro era e doveva restare un rapporto esclusivo.
Aveva protetto la sua Kaori da tutti gli altri uomini fino a quel momento, e adesso non l’avrebbe ceduta o condivisa con nessun altro al mondo.
Che Mick e Kazue facessero i loro comodi; lui era all’antica e voleva rimanere tale.
 
Kaori…
 
Chissà dov’era adesso?
Non l’aveva trovata da Miki, dove presumeva che si sarebbe rifugiata, ma a dirla tutta lì al Cat’s Eye non c’era nemmeno la padrona, quindi sicuramente erano insieme; se era così, poteva stare tranquillo.
E se invece fosse andata da un’altra parte?
Magari a cercarsi compagnia maschile e a rendergli pan per focaccia, come faceva Kazue con Mick?
Ma perché continuava a prenderli ad esempio?
No, no lui e Kaori erano diversi, diversi da tutti, anche se… lui era molto simile a Mick.
Gli piacevano le stesse cose, ed era da egoisti pretendere che le loro donne li aspettassero pazientemente a casa, come geishe devote, mentre loro, i grandi uomini, se la spassavano, per poi gridare al disonore se una di esse avesse cercato conforto altrove.
Eppure erano mesi e mesi che Ryo si comportava bene, da molto prima che si decidesse a fare il grande passo con Kaori, e quando e se andava per locali non era più il lascivo mandrillo di una volta; tutto aveva perso interesse per lui, e ogni volta che usciva non vedeva l’ora di tornare da lei.
Manteneva una certa facciata, un pallido riflesso del porcello di un tempo, però dentro era profondamente cambiato, e chi lo conosceva bene lo sapeva.
Ciononostante, se quando non c’era la sua Sugar Boy lui non si trastullava più con le donnine come un tempo, in sua presenza ancora faceva da matti, suscitando in Kaori feroci attacchi di rabbia.
E anche se ogni tanto ci pensava seriamente, non capiva perché avesse conservato questo rimasuglio di vizio.
 
Di nuovo si chiese dove fosse la sua compagna; sarebbe stata la prima volta che passavano la notte divisi, da che si erano messi insieme, e il motivo di questa separazione gli lacerava l’anima.
Non sarebbe riuscito a chiudere occhio, disteso in quel loro grande letto, ormai troppo grande senza di lei.
Avrebbe costantemente cercato la sua impronta sul cuscino, il suo profumo fra le lenzuola e, girando lo sguardo, ogni più piccolo oggetto che le apparteneva gli avrebbe rinfacciato il suo errore.
E non avrebbe comunque potuto dormire, senza sapere dove fosse e con chi, senza essere sicuro che non fosse in pericolo, o se stesse bene pur avendocela con lui…
Si era strappata i bottoni per non farsi trovare: doveva intenderla come una rottura definitiva fra loro?
Per così poco?
Solo perché continuava a fare l’idiota appena vedeva una bella donna?
E se sotto ci fosse stato altro?
E se quella fosse stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso?
A parte questo suo deprecabile vizietto, gli sembrava di essere stato un innamorato tenero e appassionato, aveva cercato di farle dimenticare tutte le sofferenze patite a causa sua, ce l’aveva messa tutta.
Non era abbastanza?
Avrebbe fatto di più, se lei gliene avesse dato la possibilità.
La rivoleva indietro, la voleva con tutto sé stesso, e non poteva credere che avrebbero passato la notte uno lontano dall’altra.
 
Senza nemmeno pensarci si era ritrovato davanti alla Mini, ricoperta da un leggero strato di pioggia che si era trasformata in rugiada notturna.
Che ore erano?
Da quanto tempo non si vedevano?
Salì in macchina e subito il motore, con il suo inconfondibile rombo basso e potente, gli comunicò un senso di famigliarità e pace; era pronta a scattare per le vie di Shinjuku e sembrava chiedergli: “Dove andiamo, amico?
Sicuramente lontano da lì, dal chiasso e dal rumore di una vita notturna che stasera non gli apparteneva; voleva stare solo, o comunque in compagnia di qualcuno che avrebbe potuto capirlo, senza giudicarlo.
Si diresse alla clinica dal Professore.
 
Arrivando davanti all’ala nord, dove si trovava l’ufficio del vecchietto, Ryo non si stupì più di tanto di trovare ancora la luce accesa.
La ghiaia del vialetto scricchiolava sotto le sue scarpe di gomma, e l’orologio ad acqua, posto nel giardino, batté il tempo con uno schiocco sonoro: bambù contro pietra.
 
“Ah, Baby Face, sei tu?” lo salutò l’ometto, con occhi ridenti “Dimmi che hai con te un bel video mokkori!” e il viso rugoso si contrasse in un’espressione da satiro.
 
“No, stasera no, e non mi chiami in quel modo!” rispose asciutto lo sweeper.
 
“D’accordo, Baby Face” gli rispose il Professore, per stuzzicarlo.
 
Ma Ryo, cupo in viso, non si premurò nemmeno di fargli una smorfia di disappunto: si sedette sul divano di pelle e si accese una sigaretta.
 
“Dovresti smettere con questo tuo vizio” gli disse il dottore.
 
“Lo so, e non solo con questo” ammise con rassegnazione Ryo.
 
Il Professore lo guardò attentamente: il suo protetto aveva una faccia da far spavento, sembrava essere invecchiato di colpo; nei suoi occhi non vedeva traccia di malizia, entusiasmo, e nemmeno cinismo e freddezza, meno che meno amore.
Ma quel particolare riflesso poteva vederlo solo quando c’era Kaori nei paraggi o quando parlava di lei.
L’ometto non ci mise tanto a capire che la causa del suo stato disastroso fosse appunto colei che era riuscita ad illuminare, fin nel profondo, il pozzo dell’anima dello sweeper.
E vista la calma con cui apparentemente costui sedeva nel suo ufficio, immaginò che la ragazza non dovesse essere in pericolo di vita, altrimenti il grande Ryo Saeba avrebbe dato da matti e avrebbe messo a soqquadro il mondo intero pur di salvarla.
No, il problema, se c’era, era più sottile, più infido.
Forse, pensò, era un litigio fra innamorati, una crisi temporanea; il Doc sperò che non fosse qualcosa di più.
 
“Secondo lei sono malato?” gli chiese Ryo all’improvviso.
 
“Se vuoi ti faccio un check-up completo, ma così ad occhio, a parte vederti un muso lungo che potrebbe toccare terra, mi sembri in ottime condizioni” rispose il Professore con la sua solita ironia.
 
“Voglio dire” riprese l’altro, come se non lo avesse sentito affatto, e ben deciso ad andare avanti con un discorso tutto suo “Io sto bene con Kaori, le ho confessato i miei sentimenti, la amo, lei mi ama, mi rende felice in tutto…” e in quel momento Ryo si augurò che quel vecchio babbuino non indugiasse in speculazioni morbose, e per impedirgli di farlo gli piantò addosso due occhi di acciaio che avrebbero fatto rabbrividire chiunque.
Il Doc si limitò a sorridere come un angioletto del presepe.
 
Ryo riprese:
 
“Da quando sto con lei, non ho più sfiorato una donna, non l’ho mai tradita e non ne ho la minima intenzione, però… non so… non riesco a spiegarmi perché io debba continuare ad insidiare le altre e a fare il cretino, e sempre e solo quando c’è lei. Una volta lo facevo soprattutto per divertirmi alle sue spalle, per farla infuriare e vedere fino a che punto la sua gelosia sarebbe arrivata, ma ora… Professore cosa c’è che non va in me?” chiese infine Ryo, in tono disarmante.
 
L’uomo, colpito dalla sincerità dello sweeper, non rispose subito.
Non era sicuro di essere stato lui ad iniziarlo ai vizi della carne, ad aver contribuito a quell’insana passione per le belle donne, al sesso come unico e supremo piacere della vita; forse si erano semplicemente trovati.
Le donne e il sesso erano il loro comune denominatore, ma il Professore era certo che se avesse avuto accanto una moglie o una compagna adorabile e amabile come la dolce Kaori, non avrebbe esitato un solo istante a lasciar da parte tutti i suoi vizi da scapolo incallito.
 
Dopo una breve pausa, l’ometto si decise a parlare così:
 
“Io credo che tu abbia vissuto troppo da solo, e che anche quando Kaori è venuta a stare da te, con la scusa che non ti volevi legare a lei, hai continuato imperterrito a godere della vita di giovane scapolo. Senza legami e senza regole è più facile gettarsi a capofitto in avventure e amori effimeri, ci si sollazza, si prende a piene mani tutto il bello che ci offre la vita, e non ci si preoccupa di pagare il conto. Si ha anche l’illusione di restare per sempre giovani…”
 
“Cosa sta cercando di dirmi?” interloquì Ryo.
 
“Che per esorcizzare il tuo passato, e la morte sempre presente nella tua vita al limite, ti sei votato anima e corpo ai piaceri più immediati, agli amori carnali, quelli che ti danno una soddisfazione subitanea e che non chiedono nulla in cambio. Oggi hai una donna, domani un’altra e poi chissà. Così facendo ti sentivi libero in tutto e per tutto, anche di morire, un giorno, senza lasciare rimpianti dietro di te, nessuno che piangesse la tua scomparsa… non è così?” domandò infine.
 
Ryo, stupito dalla sua analisi, restò un attimo in silenzio a riflettere su quella spiegazione, a cui non aveva mai pensato.
 
“Il sesso fine a sé stesso è un palliativo come un altro per sfuggire alla solitudine, ma a lungo andare lascia inariditi e vuoti peggio di prima. Tu mi conosci, e ti sembrerà strana questa specie di paternale fatta da me, proprio da me, eppure ti dico anche questo: se io avessi avuto la fortuna di trovare la donna della mia vita, come hai fatto tu, di certo non avrei pensato di trascorrere il mio tempo libero rincorrendo ogni gonnella o sbavando davanti a qualsiasi donna, di carta o reale”.
 
Le ultime parole le aveva pronunciate con un profondo senso di rammarico, e Ryo ne rimase colpito.
Non si era mai soffermato sul motivo per cui il Professore non si fosse mai sposato, e se quando si erano conosciuti era fuori discussione legarsi ad una donna, almeno nei primi anni in cui erano ritornati a Tokyo, o anche dopo, l’uomo avrebbe potuto pensare di mettere su famiglia.
All’epoca non era poi così vecchio.
Ryo si accorse solo in quel momento di ignorare l’età del suo ospite: quanti anni aveva?
Quell’uomo era un vizioso peggio di lui, e non perdeva occasione per insidiare ogni donna gli capitasse a tiro: anche alla sua Kaori aveva dato noia, e non sapeva spiegarsi come facesse Kazue a sopportarlo.
Però aveva parlato con rimpianto della sua vita…
Forse anche lui era stato innamorato, ma la sua storia non era andata a buon fine; forse aveva cercato la donna giusta per lui, e non l’aveva trovata; o forse l’aveva avuta e infine perduta.
Erano tante le cose che Ryo ignorava del vecchio professore.
 
“Sta cercando di dirmi che, nonostante io sia felice con Kaori, ancora non riesco a rinunciare alla mia libertà per lei? Cioè… come se continuare a correre dietro alle belle donne sia per me l’ultimo barlume di libertinaggio, a cui non voglio rinunciare per paura dei cambiamenti?”
 
“Sei tu che lo dici”rispose l’interpellato “d'altronde se non hai intenzione di tradirla o di consumare le tue conquiste, perché lo fai? Inoltre, se è vero che l’ami come dici, perché vuoi farla soffrire con queste inutili bambocciate?”
 
Ed ecco che anche il Doc era finito per mettere in dubbio il suo amore per Kaori.
Però, dovette ammettere, era la conclusione più logica a cui giungere, di fronte al suo comportamento da idiota: non era questione di giudicare, ma di apparente ovvietà.
Non si offese per le sue parole, piuttosto capì finalmente la vacuità del suo atteggiamento.
Il Professore aveva ragione: era solo questione di paura quella che lo spingeva a reiterare il suo brutto vizio da maniaco, nulla più.
Paura del cambiamento, paura di non essere all’altezza di Kaori e della purezza del suo sentimento, paura di essere felice veramente.
 
Stava ancora rimuginando sulle lampanti conclusioni di questa inaspettata illuminazione, quando il vecchietto lo riscosse domandando:
 
“Cosa è successo fra te e Kaori?  Perché sei qui con un vecchio vizioso come me, in piena notte, e non con lei?”
 
“Abbiamo litigato” rispose subito Ryo “Abbiamo litigato e lei se n’è andata. Mi ha lasciato questi” e ficcando la mano nella tasca della giacca, ne estrasse una manciata di bottoni “Sono le microspie che le facevo indossare in modo che, se l’avessero rapita, avrei saputo sempre come ritrovarla”.
 
L’altro ascoltava annuendo.
 
Ryo continuò:
 
“Ridandomele mi ha fatto capire chiaramente che non vuole essere trovata” e, dicendolo, abbassò lo sguardo sui bottoni variamente assortiti.
 
“E tu, brutto deficiente, le hai dato retta, non è vero?” sbottò il Doc facendolo sussultare: Ryo non si aspettava questa sua reazione improvvisa.
Il Professore riprese: “Le donne vogliono sempre essere trovate, soprattutto dai chi amano! Lei se ne sarà anche andata, ma tu dovevi correrle dietro, farle cambiare idea!” quasi gli urlò contro, con le vene del collo pericolosamente gonfie.
 
“Ma-ma…” balbettò Ryo “il motivo per cui mi ha lasciato è proprio perché faccio il cretino con le altre e si è stancata!”
 
“E allora? Adesso sai perché fai il cretino: perché fondamentalmente sei un idiota, e lo stai dimostrando anche ora. Quella povera ragazza deve avere una pazienza fuori dal comune per continuare ad amarti nonostante tutto, e tu hai passato la serata a ciondolare in giro per la città, mentre lei attendeva di essere trovata!”e gli piantò contro un dito ossuto “Tu le devi una spiegazione, le devi spiegare perché continui a fare il teatrino del macaco! Ora lo sai il motivo, non hai più scuse!”
 
Poi rabbonendosi, dopo una breve pausa aggiunse:
 
“Quella ragazza ha tanto coraggio, più di te e me messi insieme; ha continuamente messo in discussione la sua vita, ma è sempre stata fedele a sé stessa, pur cambiando e adattandosi alle situazioni. Prendi esempio da lei. Ed ora va’, va’ da lei!”
 
“Non so da che parte cominciare a cercarla” mormorò sconsolato lo sweeper, aspettandosi un’altra sfuriata e temendo di fare nuovamente la cosa sbagliata ostinandosi nel volerla trovare.
Ma non poteva sopportare di stare senza di lei, non prima di averle detto la verità su tutto.
 
“Hai detto che ti ha lasciato i suoi bottoni, ma dovresti saperlo che invertendo il flusso, questi si trasformano da trasmittenti in riceventi. Con una piccola modifica ed un apparecchietto ad hoc, questi” e li indicò “ti porteranno lo stesso da lei, perché vedi…?” e prendendone uno lo esaminò con una lente d’ingrandimento “qui c’è una lucina microscopica che sta ad indicare che il dispositivo è in funzione. Può darsi che Kaori te li abbia lasciati apposta, per seguire i tuoi spostamenti, e magari ascoltare anche quello che dicevi. L’ho capito subito”.
E socchiudendo gli occhi, congiunse i palmi delle mani soddisfatto.
 
Ryo rimase sbalordito dall’acume del vecchietto e dalla pochezza del suo stesso intuito.
Accecato dal dolore e dalla delusione per essere stato abbandonato da Kaori, non aveva agito dal professionista che era, e non aveva controllato se nei bottoni ci fosse un qualche attività.
 
E in men che non si dica, il Professore aveva già inforcato degli occhiali appositi con tanto di lente d’ingrandimento incorporata a scendere sul davanti della montatura, e aveva smontato i bottoni con la cura e la precisione di un orefice.
Fischiettando aveva tagliato microscopici fili, saldato microchip, rimosso particelle infinitesimali, con la stessa maestria e sicurezza di un intagliatore di diamanti.
Poi aveva recuperato un palmare dallo scaffale e lo aveva acceso e riconfigurato fino a quando, esultante, aveva esclamato:
 
“Fatto! Ora con questo” e glielo mise in mano “Potrai trovare la tua innamorata, sperando che non abbia ascoltato tutta la nostra conversazione e deciso di spegnere il suo computer, disattivando il segnale per nascondersi da te”.
Poi, abbassando il tono della voce, gli sussurrò: “Però non credo che lo abbia fatto. Ti aspetta da tutta la vita, e penso che lo stia facendo anche adesso”.
 
 
 
 
 
Ma Kaori si era persa tutta la chiacchierata dei due uomini, sia perché troppo lontana per agganciare il segnale, sia perché era profondamente addormentata sul sedile della sua macchina, in un anonimo garage sotterraneo, nel centro città.
 

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Capitolo 8
*** Portami a casa ***


… E stasera mi andava di farvi leggere anche il penultimo capitolo della mia storiella. Che ne dite, vi piace l’idea? Se sì, buona lettura e GRAZIE di tutto *___*
 
 
Cap. 8 Portami a casa
 
Ryo si era messo a battere l’intero quartiere, diviso fra controllare il traffico e la strada, e il piccolo palmare fissato sullo spartano cruscotto, che però si ostinava a non dar segni di vita, con il cursore che continuava a lampeggiare in alto a sinistra, ma che non segnalava affatto la presenza di Kaori.
Era ripassato davanti al Cat’s Eye ormai chiuso e aveva fuggevolmente guardato sulle finestre del piano di sopra, dove vivevano i suoi amici, ma anche lì le luci erano spente.
Li immaginava dormire nel caldo intimo della loro casa, mentre lui vagava per la città come un’anima in pena e la sua ragazza era chissà dove.
Pigiò sull’acceleratore e la piccola utilitaria schizzò via con stizza.
 
Passò anche sotto il loro appartamento, più per non lasciare nulla d’intentato che per altro, perché era strasicuro che Kaori non fosse tornata indietro; e infatti, il nulla.
 
Zigzagò per le strade del Kabukichō, davanti al negozio di Gen, di nuovo sotto al palazzo di Saeko, ma ancora niente; si ripeteva che se lei lo aveva pedinato, o tenuto sotto sorveglianza, era dovuta passare negli stessi posti in cui era stato lui, pertanto controllò tutti i luoghi in cui si era fermato abbastanza a lungo per permetterle di agganciare il segnale dei suoi bottoni.
Le ricerche, però, non stavano dando i risultati sperati.
Stava quasi per perdere la speranza, immaginando che Kaori, forse, aveva disattivato la ricetrasmittente nel caso avesse sentito anche l’ultimo dialogo avuto con il Professore e, veramente, non volesse essere trovata, quando un bip assordante riportò la sua attenzione sullo schermino del palmare.
 
Aveva appena svoltato ad un incrocio ed eseguì un’inversione precipitosa per quanto pericolosa, e tornò indietro, stavolta a passo d’uomo; di nuovo quel bip salvifico a colmargli il cuore di speranza.
Quello in cui si trovava era un quartiere di uffici, e l’aveva lasciato per ultimo perché era trafficato solo di giorno, mentre di notte era quasi spettrale e abbandonato.
Girò intorno agli isolati, finché non trovò l’indicazione di accesso ad un parcheggio sotterraneo.
Ebbe un tuffo al cuore: il segnale non smetteva più di pigolare, con urgenza, riempiendo ritmicamente l’abitacolo e le sue orecchie d’impulsi sonori, sollecitandogli l’ansia e l’impazienza.
Ryo era un fascio di nervi.
 
Imboccò la rampa discendente e, girone dopo girone, giunse infine al livello più basso di tutto il parcheggio.
Non ci mise tanto a ritrovare la macchina di Kaori nell’immenso vano deserto; a quel punto, però, provò un forte senso di insicurezza e le pensò tutte.
E se non fosse stata da sola?
Magari con qualcuno, appartata a fare cose?
“Calmati, Ryo, sei tu il porcello dei due” si disse.
E se fosse fuggita riconoscendolo?
Avrebbe dovuto bloccarla?
Parcheggiare più lontano ed avvicinarsi a piedi?
 
E mentre era preda di questi mille interrogativi, non si accorse di essersi avvicinato così tanto da poter vedere che… mancava il sedile del guidatore!
Scese a scatti dalla sua macchina e si diresse all’utilitaria della socia: era apparentemente vuota e, sfiorando il cofano con una mano, appurò pure che il motore era freddo, segno evidente che l’auto era spenta da un bel pezzo.
Si sporse attraverso il vetro leggermente appannato e per poco non gli prese un colpo.
Kaori giaceva raggomitolata in posizione fetale, sul sedile reclinato all’indietro: sembrava priva di sensi, il viso esangue, le labbra violacee.
Istintivamente tentò di aprire lo sportello, ma ovviamente la ragazza si era chiusa dentro.
E se in condizioni normali lo sweeper avrebbe apprezzato la sua premura, dovendo dormire da sola in macchina in un parcheggio sotterraneo abbandonato, lì per lì provò un forte senso di frustrazione, perché gl’impediva di entrare.
Tentò più volte di alzare la leva della maniglia, ma lo sportello non si apriva, fino a quando non si ricordò quasi all’ultimo che aveva anche lui le chiavi della Honda, attaccate a quelle della Mini.
Armeggiò nervosamente con il portachiavi a forma di martello che gli aveva regalato proprio lei, e finalmente trovò la chiave giusta.
Fu con enorme sollievo che, infilandola, la sentì girare nella serratura.
E nonostante la foga con cui aveva trafficato intorno all’apertura, quando aprì finalmente lo sportello lo fece con delicatezza, quasi non volesse farla trasalire.
La chiamò dolcemente:
 
“Kaori…?”
 
Ma lei non diede segno di risvegliarsi.
Ryo allungò una mano sul ginocchio e la prima cosa che notò fu che il tessuto era bagnato, umido al tatto; una rapida occhiata al resto del vestiario gli confermò che la ragazza era completamente fradicia e che, anzi, in alcuni punti la stoffa aveva iniziato ad asciugarsi, formando ampie chiazze più chiare.
La scosse leggermente, sempre chiamandola:
 
“Kaori…? Tesoro, svegliati…” e nel dirlo s’introdusse con il busto nell’abitacolo, allungandosi verso di lei: la luce di cortesia era quanto mai cruda, e accentuava il pallore del viso e le guance rosse scarlatte.
Immaginando che quello non fosse semplice sonno, e che mai e poi mai la sua socia si sarebbe lasciata andare in quel modo, a dormire senza essere sufficientemente vigile da prevenire intrusioni indesiderate, infilò le braccia sotto la sua schiena e provò a rimetterla a sedere.
A quel punto Kaori dischiuse gli occhi:
 
“Ryo? Ryo, sei tu?” e gli regalò un sorriso stanco.
 
“Sì, sì, sono io… ma che è successo?”
 
E preso da un empito di amore, le baciò teneramente la fronte e subito si ritrasse sentendo quanto scottava:
 
“Kaori, ma tu stai bruciando, hai la febbre!” esclamò allarmato.
 
“No, no, ho solo fatto un pisolino… ora mi tiro su e passa tutto” gli rispose strascicando le parole.
 
“… tu stai male, Kaori!” insistette il compagno, con un filo di disperazione nella voce.
 
“Mmm… forse…” ammise infine la ragazza, chiudendo nuovamente gli occhi, e afflosciandosi fra le braccia del compagno, che la riprese prontamente.
 
“Vieni, ti porto a casa” le disse Ryo con fermezza, afferrandola più saldamente e facendola uscire dallo stretto abitacolo con non poca fatica.
 
Quando furono fuori, lei gli si abbandonò sul petto possente sussurrandogli, fra le pieghe della giacca:
 
“Sì, portami a casa…” evidentemente dimentica della litigata, della sua fuga, del fatto che era stata lei a lasciarlo.
 
Ma in quel momento non era importante, per nessuno dei due.
 
Ryo la pose all’interno della Mini e le mise addosso la sua giacca a mo’ di coperta e, assicuratosi che non scivolasse dal sedile, schizzò verso casa, sollevato per averla ritrovata e preoccupato per il suo stato di salute.
 
 
 
 
 
 
 
Quando Ryo parcheggiò di sotto in garage prese nuovamente la socia fra le braccia, e con lei così stretta a sé, salì le scale dell’appartamento e si diresse di filato in camera; lì la depositò dolcemente sul letto e, per prima cosa, si disse che avrebbe dovuto toglierle di dosso quegli abiti bagnati e metterle biancheria asciutta e pulita, prima di infilarla sotto le coperte.
Solo a quel punto si accorse di che razza di vestiti stesse indossando la compagna, che non erano di certo quelli che aveva quando era andata via di casa, e nemmeno altri che appartenessero al suo guardaroba: indossava una specie di divisa, un coordinato giaccone e pantaloni, di chiara foggia maschile, e più ci pensava più gli faceva venire in mente qualcosa che aveva già visto, di cui non riusciva a ricordare altro.
Insistentemente gli tornava alla mente l’immagine di un fattorino che per poco non aveva fatto cadere aprendo lo sportello della Mini, quando ancora sconvolto dalla rottura con Kaori, aveva incrociato dalle parti del Cat’s Eye.
Ma non gli diede peso più di tanto: avrebbero avuto modo di parlare quando sarebbe guarita.
Già… parlare nuovamente…
Cercò di scacciare il disagio che tale prospettiva gli metteva.
 
Prima di dirigersi al cassettone della sua biancheria, si chinò sulla ragazza e le sussurrò:
 
“Hai freddo?” e senza che lei rispondesse, la coprì con una calda coperta.
 
“No, adesso no” rispose Kaori, sforzandosi di sorridergli.
 
Di certo quella non sarebbe stata la prima volta che spogliava la sua fidanzata, e poteva ricordarsi tutte le altre volte in cui lo aveva fatto, con sommo piacere di entrambi.
Però ora, inspiegabilmente, si sentiva in imbarazzo a denudarla, e sì che nel farlo non c’era assolutamente nessuna malizia; ma vederla lì, semi-incosciente, gli sembrava di stare ad approfittarsene.
Poi però si disse che lui era il suo compagno, il suo uomo.
Se fossero stati sposati sarebbe stato suo marito, e doveva prendersi cura di lei: cura che in quel momento richiedeva anche di cambiarla, togliendole di dosso i vestiti bagnati e sostituendoli con altri puliti e freschi di bucato.
 
Fatto un bel respiro, si accinse a cambiarla, non prima di aver recuperato anche il suo pigiama più caldo e un paio di calzettoni per i piedini gelati.
In un certo senso era una fortuna che Kaori fosse in quello stato, perché era quasi sicuro che anche lei si sarebbe imbarazzata a farsi spogliare e rivestire da lui, nonostante adesso fossero amanti e, appunto, ora facesse parte della loro relazione.
Eppure qui era diverso… ma allo stesso tempo era anche necessario, quindi amen.
 
Ryo usò tutta la dolcezza di cui era capace, e faticò un po’ a far scorrere i pantaloni umidi lungo le gambe, perché si erano appiccicati alla pelle e facevano resistenza.
Aveva come la spiacevole sensazione di starla scuoiando, e quando finalmente riuscì nel suo intento, gli sfuggì un “Ecco!” soddisfatto, a cui fece eco il “Grazie” della compagna, così profondo ed impastato di torpore che lo gratificò enormemente.
Lui non aveva molta dimestichezza con queste cose, non si era mai preso cura di una persona in quel modo, e le donne le aveva sempre spogliate con altre intenzioni e in tutt’altra maniera.
Si sentiva impacciato nei movimenti, e temeva di essere goffo e maldestro, quindi i ringraziamenti di Kaori non potevano che dargli fiducia, facendolo sentire meno imbranato.
 
Tutto sommato fu più facile del previsto e, quando terminò, la ragazza si raggomitolò su sé stessa sospirando con gratitudine.
Ryo le accarezzò i capelli e la fronte e, sentendo che ancora scottava, nell’armadietto dei medicinali prese del paracetamolo in compresse, da sciogliere in un bel bicchier d’acqua.
Fece rialzare Kaori un pochino, giusto per permetterle di bere, poi con lo stesso sforzo con cui si era tirata su, sprofondò sul cuscino.
 
Ancora ad occhi chiusi gli disse:
 
“Ryo… stai qui con me”.
 
Quella richiesta gli fece un effetto strano, provocandogli un’enorme emozione che lo fece arrossire.
Era curioso che una semplice domanda, fatta dalla sua compagna febbricitante, lo mettesse in un tale subbuglio!
Forse perché Kaori non si era mai dimostrata debole davanti a lui, non gli aveva mai chiesto aiuto, e anche quando avevano dato una svolta alla loro relazione, una richiesta del genere avrebbe presupposto altro.
In quel momento la sua fidanzata gli mostrava tutta la sua fragilità, e la tenerezza che gli stava suscitando era qualcosa di nuovo, di inedito: lo faceva sentire l’uomo più forte del mondo.
Lui, lo sweeper numero uno del Giappone, era come se avesse solo bisogno di essere utile e forte per lei, per essere veramente qualcuno.
 
“Certo, amore mio, non vado da nessuna parte” le sussurrò con dolcezza.
 
Ma non si stese accanto a lei: afferrata una seggiola l’accostò al letto, dalla sua parte, e procuratosi un catino di acqua fredda, prese a farle degli impacchi freddi, per abbassarle la temperatura.
Sarebbe rimasto così tutta la notte, proprio come aveva fatto lei con lui tanto tempo prima, quando una brutta influenza l’aveva costretto a letto e lo aveva curato, vegliandolo per tutta la nottata.
 
 
 
 
 
Le ore passarono lente, la febbre continuava a mantenersi alta, nonostante l’antipiretico e gli impacchi di acqua fredda che le applicava Ryo sulla fronte e sui polsi: instancabile lui l’assisteva, mentre lei mormorava, nel sonno febbricitante, al limite del delirio, frasi smozzicate senza senso.
Si allontanava da lei solo per il tempo di cambiare l’acqua nel catino e metterne altra più fredda.
Kaori respirava male a causa di un brutto raffreddore, e ogni tanto inframmezzava qualche colpo di tosse che la squassava tutta.
Per fortuna, alle prime luci dell’alba, la febbre si decise a calare, e il respiro della ragazza si fece più regolare, seppure ancora un po’ sibilante a causa del naso chiuso.
Ma il viso appariva più disteso e meno arrossato, e finalmente sprofondò in un sonno ristoratore e non più tormentato come quello delle ore precedenti.
Allentata la tensione, suo malgrado Ryo si appisolò sulla sedia, con le braccia appoggiate sul materasso, la testa abbandonata sopra; era sfinito.
 
 
Qualche ora dopo, quando Kaori si svegliò con la bocca riarsa e la testa pesante, trovò Ryo profondamente addormentato, ripiegato su sé stesso: i vestiti gualciti, i capelli spettinati, sembrava reduce da un’impresa faticosa e stancante.
Istintivamente allungò una mano, lo accarezzò dolcemente sulla folta criniera e sorrise con tenerezza.
 
Le tornarono allora alla mente tutti i discorsi ascoltati la notte precedente, il freddo, la pioggia, quell’assurdo pedinamento, e soprattutto il motivo per cui si era decisa a lasciarlo… e si rabbuiò.
Non era così che pensava di tornare a casa…
 
Quando anche Ryo più tardi si ridestò, con la schiena a pezzi e le braccia indolenzite, la prima cosa che pensò fu: “Kaori!”
Tirandosi su di scatto si voltò a guardarla.
Il letto era vuoto, sfatto, e subito lo sweeper si allarmò.
Dov’era Kaori?
Era andata via di nuovo?
Lo aveva lasciato nuovamente?
Ma stava male, in quelle condizioni non era il caso di uscire!
 
Provò a chiamarla con un vago senso d’inquietudine:
 
“Kaori? Kaori dove sei?”
 
Girò lo sguardo spasmodicamente ad abbracciare tutta la camera e, constatando la sua assenza, si alzò in piedi e si accinse ad uscire, per cercarla anche nelle altre stanze.
Era già arrivato sulla porta quando se la ritrovò davanti.
 
“Ry-Ryo buon giorno!” farfugliò, sorpresa di incontrarlo e vederlo in quello stato.
 
L’uomo si rilassò vistosamente, e il particolare non passò inosservato alla donna: era stato veramente in pena per lei tutta la notte, e sicuramente, quando non l’aveva trovata, aveva temuto di essere stato lasciato di nuovo.
Anche se non avevano chiarito nulla rispetto alla sera precedente, Kaori gli sorrise incoraggiante: sapeva che lo avrebbe amato comunque e per sempre, e non riusciva a portargli rancore.
 
“Dove… dove sei stata? Mi hai fatto preoccupare!” le disse, anche se guardandola vedeva benissimo che stava indossando un accappatoio e che i capelli, che spuntavano da sotto il cappuccio, erano ancora bagnati.
 
“Scusami… Sono andata a farmi una doccia. Dopo tutta l’acqua presa ieri sera e il sudare di questa notte, ero in condizioni pietose. Avevo assoluto bisogno di lavarmi” e gli rivolse un sorriso stiracchiato.
 
“Potevi dirmi qualcosa, ti avrei aiutata… e se fossi svenuta nel box doccia?” la rimproverò Ryo; ma la sua voce tradiva profonda apprensione, e Kaori si sentì invadere da una potente ondata d’amore.
 
Era così adorabile quel cretino, se non avesse rovinato sempre tutto come al suo solito…
Però non aveva tutti i torti: c’erano state un paio di volte in cui si era chinata per lavarsi e insaponarsi le gambe o raccogliere la spugna, in cui rialzandosi aveva visto tutto nero e le era girata la testa.
Era stata imprudente e testarda, avrebbe dovuto chiedergli una mano.
Lei, che chiedeva aiuto a Ryo per qualcosa?
E mostrarsi debole e inetta?
E, soprattutto, svegliarlo mentre dormiva così saporitamente?
Va bene, si disse, avrebbe dovuto imparare a contare di più su di lui, a chiedergli aiuto e non solo per quando andava a fare la spesa: ora erano una coppia, stavano insieme, e si dovevano reciproca assistenza, più di quella che c’era prima.
Al bando l’individualismo, la pretesa di poter bastare a sé stessi.
 
Scelse di dargli ragione, piuttosto che impuntarsi o sminuire i suoi timori:
 
“Hai ragione Ryo… avrei dovuto quanto meno avvertirti” e passandogli accanto gli toccò brevemente un braccio.
 
L’altro apprezzò la sua resa, e il tocco, che sapeva di familiarità e speranza di riconciliazione.
 
“Mmm… va bene…” mugugnò a corto di parole.
 
Si era preparato a sostenere almeno mezz’ora di bisticci, e invece Kaori aveva disattivato prima del tempo il loro litigio.
“Però asciugati subito i capelli, che sei ancora raffreddata” aggiunse poco dopo.
 
“Va bene, mamma!” gli rispose lei, facendogli la linguaccia.
 
Ryo si emozionò: era buon segno se lei aveva ancora voglia di scherzare e prenderlo in giro, e ridacchiò soddisfatto mormorando uno: “Stupidina” a mezza voce, con la paura che lei ne avesse a male.
 
“Piuttosto” disse poi seriamente l’uomo, dopo un po’ “Da quant’è che non mangi? Qui ci vuole una bella colazione per ritornare in forze!”
 
“Umm … direi che non mangio da… da quando non mangi tu! Anzi no! Qualcosa ho mangiato dopo! Avevo scordato di essermi sbafata un paio di porzioni di ramen… Ero così impegnata che le ho trangugiate senza pensarci ed ora… nemmeno me ne ricordavo” e finì per ridacchiare leggermente a disagio: si era dimenticata della sosta nella bettola.
 
Ryo fece un rapido conto di quando era stata l’ultima volta che aveva messo sotto i denti qualcosa, e cioè il pranzo del giorno prima, perché quando erano tornati a casa per l’ora di cena, lei lo aveva piantato in asso e, pur avendogli lasciato quel bigliettino in cui gli comunicava che se avesse avuto fame la cena era in frigorifero, lui non aveva toccato nulla; poi si era messo a girare per la città e si era completamente dimenticato di nutrirsi.
Spalancò gli occhi.
Era da tantissimo che non mangiava… che non mangiavano!
E come se solo in quel momento si ricordasse di avere uno stomaco, questo protestò gorgogliando.
 
“Ah, ecco!” esclamò schioccando la lingua “Allora… allora mentre tu finisci di asciugarti, io vedrò di preparare qualcosa per colazione. Ah, e un’altra cosa: non muoverti di qui, che ti porto su tutto io, intesi?”
 
E prima che lei potesse protestare, lui sgattaiolò al piano di sotto.
 
Kaori sospirò, divertita e soddisfatta: era bello che Ryo si preoccupasse per lei e se ne prendesse cura.
Probabilmente non si sarebbe abituata mai.
 

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Capitolo 9
*** Vizio, Vizi, Viz, Vi, V ***


Finalmente eccoci al gran finale, con un po’ di ritardo e per questo mi scuso, ma ultimamente la RL è stata, come dire, un po’ troppo pressante. Però vi avverto che il capitolo è leggermente più lunghetto dei precedenti, e magari vi ripaga dell’attesa.
Spero vi piaccia anche questo ^_^

 
Cap. 9 Vizio, Vizi, Viz, Vi, V
 
Mentre Ryo s’impegnava tantissimo nel preparare la colazione – composta principalmente da due uova strapazzate per ciascuno e pane tostato, accompagnati da un robusto caffè zuccherato, perché sapeva che la sua Sugar Boy lo beveva dolcissimo – pensava anche a come fare, a cosa dire, quando, inevitabilmente, sarebbero tornati sull’argomento, e cioè sul motivo per cui la sua fidanzata avesse deciso di lasciarlo la sera precedente.
 
Fidanzata che, stanca e ancora raffreddata, ma sollevata di essere di nuovo casa e soprattutto nelle premurose mani di Ryo, era scivolata lentamente nel sonno.
 
Quando, baldanzoso, lo sweeper l’aveva infine raggiunta, reggendo saldamente un vassoio con le cibarie che con tanta cura aveva cucinato, quasi rimase deluso nel trovarla addormentata.
Sperava di farle una buona impressione, che Kaori si congratulasse con lui per il risultato di quella che riteneva una vera e propria dimostrazione di alta cucina ma, immediatamente dopo, si ricordò che la sua compagna, per tutta la notte, aveva lottato con un febbrone da cavallo, ed era normale che la sonnolenza prendesse il sopravvento.
 
Ryo, allora, cautamente salì sul letto, dalla sua parte, e posò il vassoio sopra la coperta; allungò una mano a sfiorarle la fronte per controllarne la temperatura, e la ritrasse sollevato, constatando che non aveva più la febbre.
Si prese del tempo per osservarla: sembrava più giovane di quello che fosse in realtà, il viso appena rosato, il respiro regolare ma un po’ rumoroso a causa del raffreddore.
A guardarla bene, pareva che sorridesse nel sonno.
L’uomo si chiese cosa stesse sognando.
Sospirò.
Lentamente, quindi, prese a sbocconcellare la sua parte di colazione, sempre senza smettere di osservarla: era così bella, e vederla dormire di nuovo nel loro letto gli infondeva una profonda pace, un senso di benessere che non riusciva a spiegarsi.
 
Ripensò ai discorsi fatti con i suoi amici la sera precendente.
Come potevano insinuare che lui non l’amasse abbastanza, quando per Kaori si dimenticava di mangiare, bere, perfino fumare, o dormire???
Avrebbe dato la vita per lei in mille modi diversi, e avrebbe combattuto la morte fino all’ultimo respiro, pur di salvarla o vederla felice.
 
Spostò il vassoio sul comodino, accanto alla cornice che custodiva una loro istantanea, sorridenti e felici, scattata nel giorno in cui le aveva regalato la sciarpa gialla ed erano finiti per abbracciarsi disordinatamente, e lui, conquistato dal suo entusiasmo, per una volta si era lasciato andare.
Era così che vedeva loro due insieme, disordinatamente felici, e pensava che quella foto li rappresentasse.
 
Sospirò nuovamente.
Per un attimo desiderò di accendersi una sigaretta, ma si trattenne perché si rammentò di averle promesso di non fumare nella loro camera da letto, e adesso che aveva l’influenza sarebbe stato quanto meno sbagliato e indelicato da parte sua.
 
Si protese verso di lei, a sistemarle meglio la coperta affinché non avesse freddo, poi si distese anche lui più comodamente: avrebbe aspettato che si svegliasse nuovamente per farle prendere la colazione.
 
Un secondo dopo, sfinito, anche lui si addormentò.
 
 
 
 
oOo
 
 
 
Era ormai pomeriggio inoltrato quando Kaori, risvegliandosi, si ritrovò abbracciata a Ryo, e la prima cosa che pensò, tirando su con il naso, fu che sperava di non avergli attaccato il raffreddore; la seconda, che lui era stato davvero un amore con lei, da che l’aveva ritrovata nel garage sotterraneo, febbricitante e sull’orlo di un collasso, in poi; la terza, che avrebbero dovuto chiarire.
E nonostante lei fosse per l’onestà e la sincerità, principi su cui aveva basato tutta la sua vita e che strenuamente aveva voluto anche come punto di partenza per la loro relazione, si ritrovò nell’incresciosa situazione di dover comunque interrompere quell’idillio.
Non avrebbero potuto, infatti, far finta di niente, come se non fosse successo nulla il giorno prima.
Se n’era andata in preda alla rabbia e alla frustrazione, stanca ed esasperata per il comportamento assurdo di Ryo, per quel suo deprecabile vizio di correre dietro ad ogni bella donna incontrata, come un macaco in calore, e questo non poteva più sopportarlo.
 
Anche in quelle poche ore passate insieme, dopo che l’aveva riportata a casa, si era dimostrato un compagno premuroso e affettuoso, e non lo era stato solo perché ora era malata, lo sapeva, perché, veramente, da dopo che erano diventati una coppia anche nella vita, lui aveva finalmente fatto uscire il meglio di sé.
Era stato sempre un innamorato attento e gentile, un amante delicato e appassionato.
L’aveva fatta sentire la donna più bella e desiderabile della Terra, l’aveva ricoperta di attenzioni e trattata come una dea, una principessa…
Aveva ragione Ryo a risentirsi quando Falcon, Saeko e tutti gli altri, gli dicevano che non l’amava abbastanza, perché non era vero.
Che Ryo l’amasse, lei ne era certa: lo conosceva bene, aveva avuto modo di vivere accanto a lui per tutti quegli anni, sapeva come si comportava con le donne che gli piacevano, quelle per cui perdeva la testa, apparentemente, perché il fine era portarsele a letto e quindi il sentimento era totalmente assente, e se c’era era molto labile; anche quando gli diceva che le amava, era tutta scena.
Invece si vedeva che con lei faceva sul serio, non fosse altro che le aveva confessato di amarla e desiderarla da sempre, e che aveva combattuto a lungo contro questo sentimento, per poi ammettere che non poteva più fare a meno di lei.
In sostanza, se non la trattava più come un tempo, non la trattava nemmeno come un’anonima pollastrella da sedurre; Ryo con lei era autentico, era in un certo senso cresciuto, era serio.
 
E per questo motivo Kaori non riusciva a spiegarsi il perché di quel rimasuglio della sua vecchia condotta, il più eclatante, il più antipatico e umiliante.
 
Se anchequesta volta lei avesse lasciato perdere, passata la malattia, passata quella specie di tregua, non appena fossero usciti di casa e avessero messo piede in strada nuovamente, o peggio si fossero trovati a dover lavorare per l’ennesima bellona, lui sarebbe ricaduto nel vizio, e tutto si sarebbe ripetuto in maniera esasperante e tragica.
Possibile che lui non capisse che così la faceva solo soffrire, lui che l’amava tanto?
Non era più uno scherzo, una provocazione per suscitare la sua gelosia, non aveva più motivo di esistere un tale atteggiamento.
 
Si mosse a disagio, e Ryo si svegliò.
 
“Scu-scusa” le disse subito l’uomo, manco avesse seguito il filo dei suoi pensieri.
 
Stupita sgranò gli occhi.
 
“Scusa, mi ero addormentato…” specificò il compagno.
 
A quel punto la ragazza si rilassò: le era parsa una cosa stranissima, quasi preoccupante, che lui avesse potuto sentire ciò che lei stava pensando in quel momento.
Che a volte la loro connessione mentale fosse stata così efficace da sfiorare il soprannaturale, era un conto, ma che addirittura uno dei due potesse comunicare con l’altro anche mentre dormiva, era un evento che aveva del miracoloso!
 
“Non devi mica scusarti” gli rispose lei, sorridendogli e mettendosi a sedere sul letto, con la schiena appoggiata al basso mobile che fungeva da testiera.
Si stirò come una gatta e cercò di risistemarsi addosso la casacca del pigiama.
 
Poi sui due scese un silenzio imbarazzato, entrambi consapevoli che c’era ancora una questione rimasta in sospeso.
E stranamente fu Ryo a dare l’avvio, alla conversazione.
 
“Kaori… ieri sera, quanto hai sentito dei miei discorsi?” sottintendendo che lei lo avesse pedinato e spiato attraverso i bottoni.
 
La ragazza non parve stupita; del resto erano due sweeper professionisti, e come lei era ricorsa a quello stratagemma per controllare i suoi spostamenti e le sue frequentazioni, era scontato che prima o poi lui se ne sarebbe accorto.
Le mancava, però, il momento esatto in cui Ryo aveva fatto la scoperta finale, e cioè quando era stato a casa del Professore.
Però voleva che fosse lui a parlarne per primo, e stringendosi nelle spalle rispose, insolitamente laconica:
 
“Abbastanza”.
 
Ryo trasse un profondo respiro, come se dovesse immergersi in acqua e dovesse far scorta di ossigeno; si preparava ad affrontare un discorso impegnativo e doveva raccogliere forze e pensieri.
Parlare non gli riusciva benissimo, se ne rendeva conto, ma erano finiti i tempi dei giochini di parole, dei detti-non-detti, delle frasi sibilline o ermetiche: doveva essere chiaro, una volta per tutte.
 
Riattaccò:
 
“Innanzi tutto volevo chiarire che… se non ti sono corso dietro è perché il trovare i tuoi bottoni mi ha completamente spiazzato. Ho pensato che strappandoteli via dai vestiti non volessi più farti vedere da me, e ci sono rimasto male… La disperazione per averti perso mi ha paralizzato”.
 
Kaori sussultò a quelle ammissioni.
Aveva un vago sentore di come avrebbe reagito il suo compagno a quella sua fuga repentina, ma sentirglielo dire era tutta un’altra cosa, e che fosse poi così sincero ed onesto, aveva dell’incredibile: sì, Ryo era cambiato tanto, tantissimo, per lei.
 
“E poi…” riprese l’uomo “mi avevi scritto che eri stanca e volevi stare da sola, e insomma io… ti ho dato retta” disse profondamente a disagio “Cioè, ti avevo già fatto infuriare così tanto che, ho pensato, se ti fossi venuto pure dietro insistendo per starti vicino, poi ti saresti arrabbiata ancora di più” e grattandosi la testa, ammise in maniera disarmante: “Scusami, non ne faccio mai una giusta, eh eh eh eh eh” e finì per ridacchiare.
 
D’un tratto Kaori si rese conto che se era difficile per ogni uomo sano di mente capire l’universo femminile, con tutta la sua meravigliosa complessità, per Ryo lo era ancora di più, perché non aveva la benché minima idea di cosa volesse dire stare con una donna… non in posizione orizzontale, almeno!
E cioè come portare avanti una relazione sentimentale, un legame, che presupponesse aprirsi l’uno all’altro, capirne le esigenze, i bisogni e rapportarsi con i propri, costruire un qualcosa che potesse andar bene per entrambi, in nome dell’amore, della stima e della fiducia reciproca.
Con le donne, Ryo aveva avuto solo rapporti effimeri e superficiali, e non si era mai preoccupato di altro; le uniche che erano rimaste con lui, anche senza consumare un rapporto fisico – almeno una delle due sicuramente, e fino ad un certo punto poi – erano state solo Saeko e la stessa Kaori… un po’ pochino per capire il modo di ragionare delle donne.
 
Inoltre, dovette ammettere con sé stessa, lei era sempre così esagerata nelle sue esternazioni, negli scoppi di rabbia, nelle scenate di gelosia, che effettivamente non perdeva occasione di rimproverarlo alla minima mancanza.
I suoi martelli non avevano trovato requie da che si erano conosciuti, e veramente c’erano state delle volte in cui lo aveva punito anche quando era innocente.
Doveva dirglielo.
 
“Hai… hai ragione,Ryo. Era difficile capire cosa volessi in realtà. E comunque ero così adirata con te che realmente avevo bisogno di stare da sola… ma poi… è stato un bene che tu mi sia venuto a cercare. Grazie” mormorò alla fine.
 
Se Kaori voleva che lui cambiasse comportamento, era ora che lo facesse anche lei, altrimenti non sarebbero andati da nessuna parte.
 
Ryo, a quel punto, si stupì enormemente dell’atteggiamento remissivo della socia, ma gliene fu grato: strano da dirsi, spesso si sentiva in soggezione davanti a lei, ed estremamente insicuro, lui, l’uomo di mondo, il cinico sweeper…
E così a volte improvvisava, non sapendo bene cosa fare, con risultati tutt’altro che ottimi.
Gratificato, proseguì:
 
“Sono andato da Falcon, e sapessi che sforzo ho fatto, per chiedergli consiglio…”
 
“Lo so, ero di sopra e ho sentito tutto!” si lasciò sfuggire Kaori, interrompendolo, impaziente di fargli sapere che lo aveva spiato e, soprattutto, che da lì in poi gliel’aveva fatta sotto il naso.
 
“Dav-davvero? Ero sicuro che fossi nei paraggi, che quei due ti avessero nascosto. È per questo che non volevo andarmene, e che sono tornato al locale dopo esserne uscito la prima volta” precisò lui con una vena di trionfo nel tono della voce.
Poi si fece più serio e proseguì: “Dicevo… avevo bisogno di sapere cosa si prova a rimanere fedele alla propria donna, e cos’è che spinge a questa fedeltà ad oltranza… Anche se non ce lo vedo Umi a fare il farfallone!!” e non riuscì ad impedirsi di sogghignare nel dirlo “Ma non mi è stato di grande aiuto, anzi, ha messo in dubbio la sincerità del mio sentimento per te, e a quel punto non gli ho detto più nulla” e finì per immusonirsi al ricordo di quelle scappate da Falcon.
 
Dopo una brevissima pausa, lo sweeper continuò dicendo:
 
“Anche quando sono andato da Saeko… e non dirmi che eri anche lì da lei, magari nascosta in un’altra stanza?” le chiese quasi divertito.
 
“Sì, c’ero… o meglio, sono scappata giù per le scale quando hai suonato alla porta” rispose la ragazza.
 
“Ecco con chi stava prendendo il tè, quella volpona!” esclamò allora l’uomo, ridacchiando divertito.
Poi,con tono grave, aggiunse: “Non è stata molto comprensiva con me, quella strega della Nogami… Prende sempre le tue difese, quella!”
 
“Già” mormorò Kaori “ti ha un po’ strapazzato, però… non aveva tutti i torti” e lo guardò timidamente da sotto in su, temendo che si arrabbiasse.
 
“Ma infatti! Non aveva tutti i torti!” disse invece Ryo, spiazzandola “Dal di fuori può sembrare che io non tenga abbastanza a te, ma non è così! Vero che non è così, Sugar Boy?” le chiese cercando approvazione, quasi implorando e guardandola con occhi da cucciolo smarrito.
 
Kaori ne rimase colpita e si addolcì: quando si comportava come il bambino che non era mai stato, non riusciva a resistergli.
Gli rispose dicendo:
 
“No, Ryo, non è così” e lo rassicurò toccandogli un braccio; ma si riprese in tempo e precisò: “Però hai detto bene: dal di fuori può sembrare che non t’importi di me. E sinceramente, quando fai il cretino con le altre donne, il dubbio mi si pianta qui” e si premette il centro del petto con le dita“e non riesco a mandarlo più via. Non posso impedirmi di chiedermi il perché ti comporti in quel modo, e faccio fatica a ricordarmi che mi ami… come dici”.
 
Ecco, erano arrivati direttamente al punto, nonostante Ryo l’avesse presa così tanto alla lunga, ripercorrendo quella sorta di pellegrinaggio notturno, in cerca dell’illuminazione.
 
Ryo tacque per qualche secondo, pensieroso, poi onestamente ammise:
 
“Anche io mi sono chiesto perché non riesca a togliermi il vizio di… fare lo scemo non appena vedo un’altra donna. Ed è per questo che ieri sera sono ricorso ai nostri amici, ed è stato solo quando sono andato dal doc, che ho capito… ma tanto hai sentito tutto anche tu, no?” chiese speranzoso, perché non gli andava di sciorinare di nuovo tutte le teorie del vecchietto e dover ammettere che aveva ragione su tutto.
Se Kaori aveva origliato il loro incontro, allora Ryo poteva evitare di umiliarsi nuovamente, confermando quanto fosse un cretino fatto e finito.
Purtroppo per lui, però, Kaori gli rispose così:
 
“Ah, sei poi andato anche dal Professore? Credo di essermi persa l’incontro perché a quell’ora ero già mezza collassata giù nel garage, oppure pedalavo come una matta sotto il diluvio, accidenti!” e Ryo non seppe dire se quell’imprecazione fosse riferita al discorso che non aveva ascoltato, o all’essersi bagnata come un pulcino sotto un temporale di dimensioni bibliche.
 
Ryo inghiottì a fatica: questa non ci voleva.
Stava facendo una gran fatica ad affrontare quel discorso con la sua fidanzata, pur essendo consapevole che chiarire era indispensabile; ma anche dover confermare la sua inettitudine davanti a lei, la sua pochezza di adulto, non era esaltante.
A onor del vero, però, dovette riconoscere che Kaori stava cercando tantissimo di metterlo a suo agio, di non infierire su di lui, né lo accusava apertamente e malignamente: era solo una donna innamorata che voleva capire fino in fondo il suo uomo, il suo modo di vivere e ragionare; voleva trovare la maniera di salvarsi dalla sofferenza che quello stesso uomo era capace di infliggerle, costruirsi delle barriere difensive.
Poteva fargliene una colpa?
No.
Se qualcuno aveva una colpa, quello era lui.
Si passò una mano fra i capelli, un gesto che tradiva profonda frustrazione, ma anche la voglia di non mandare tutto all’aria, e Kaori apprezzò lo sforzo che stava facendo l’altro.
La ragazza, a quel punto, si disse che se anche non fossero giunti alla risoluzione del problema quella sera stessa, era però incoraggiante il fatto che almeno ci avessero provato con tutti loro stessi, in maniera adulta e responsabile.
Del resto erano relativamente freschi come coppia, e non potevano pretendere di appianare subito tutte le asperità, le cattive abitudini, i vizi, le impuntature di entrambi…
Magari ci sarebbe voluto del tempo.
 
Gli venne incontro:
 
“Ryo, se non ti va di parlarne, non importa” e distolse gli occhi, posandoli sulle mani abbandonate sulla reversina del lenzuolo.
 
Erano ancora seduti nel loro grande letto, ed era quasi buffo cercare di risolvere quel problema proprio lì, almeno a parole, visto che tante altre volte avevano trovato altri modi più piacevoli per farlo.
In ogni caso Kaori non voleva forzarlo, non voleva essere troppo dura con lui e pretendere risposte e cambiamenti da un giorno all’altro.
E comunque, la sua innata remissività e il suo affetto radicato, finivano sempre per perdonargli tutto.
Ryo, invece, consapevole che Kaori stavaper cedere e rinunciare ad imporsi, per lui, perché lo amava, forse timorosa di perderlo, si ribellò: no, Kaori faceva bene a voler sapere!
E lui doveva aprirsi, dirle la verità, o almeno provarci; lei non poteva accettarlo così com’era, e magari perdonarlo, come faceva ogni volta.
 
“No, Kaori, è giusto che tu sappia” saltò su Ryo “… anche se non so quanto, come, e se riuscirò a spiegarmi, perché il motivo di certi miei comportamenti non lo conosco nemmeno io, però… hai accettato di vivere con me, di stare accanto a me, ed è giusto che tu sappia tutto di me”.
 
Questa inedita sicurezza di Ryo, tutta la sua onestà, commossero intimamente la ragazza, che mai si sarebbe sognata un atteggiamento del genere da parte sua; si sentì sciogliere un nodo dentro.
Nessuno è perfetto, si disse, nemmeno lei lo era, ma Ryo stava dando prova di maturità, e tutto perché l’amava, ne era certa.
Quasi le sfuggì un singhiozzo.
 
“Kaori, non finirò mai di ringraziarti per il solo fatto che mi ami” disse Ryo deciso “la tua caparbietà, la tua fedeltà nel volermi stare accanto nonostante ti abbia fatto passare le pene dell’inferno, sia a causa mia, in quanto pessimo elemento, sia quando ti ho costretto a vivere certe situazioni… ti prego, fammi finire” le disse, vedendo che si preparava a ribattere “Lo so, è stata una tua libera scelta, ma il senso di colpa ogni tanto rispunta fuori e non posso farci niente” affermò con un’alzatina di spalle. “Sugar, tu mi hai cambiato tantissimo, lentamente, giorno dopo giorno, mi hai reso un uomo migliore e questo è il dono d’amore più grande che potessi ricevere, io, un uomo che vale un nulla, senza un passato e senza un futuro. Ma quando mi sono accorto di essere completamente e inesorabilmente innamorato di te, di essere così tanto preso che non avrei mai potuto immaginare la mia vita senza di te, ho avuto pa… pa… ahem… ho avuto pa…” aveva iniziato così bene, ma poi arrivato alla parola paura si era impappinato, perché un conto era dirselo fra sé e sé, un conto ammetterlo chiaramente davanti a lei.
Il grande Ryo Saeba che dice di aver paura per qualcosa?
Quando mai si era sentito?
La sua fronte si imperlò di piccolissime goccioline di sudore.
Si mosse come se fosse seduto sulle spine, anziché su morbide lenzuola di flanella.
Kaori lo guardava, leggermente perplessa.
Ryo si fece forza e riprese:
 
“… ho avuto, anzi ho, ho… ho pau… pa… pa…” ma non c’era verso di proseguire, quella parola sembrava uno scoglio insormontabile.
 
“Hai avuto, anzi hai…? Cosa?” provò ad andargli incontro la sua fidanzata.
 
“Dai, hai capito no?” le domandò lui con un sorriso da scemo.
 
“Veramente no” rispose lei, prendendosi il mento con le dita, in atteggiamento meditabondo. E poi: “Spiegati meglio”.
 
“Ho pa…pa… pau…” le goccioline di sudore si erano moltiplicate, e uno strano calore lo avvolse fastidiosamente; riprese imperterrito: “Dicevamo… quando ho scoperto di essere innamorato di te, e vedi come lo dico bene? Sono diventato bravo? Non mi crea più nessun disagio dirlo” e la guardò con aria soddisfatta.
 
“Sì, tesoro mio” disse piano la socia “Sei diventato bravissimo, e ogni volta mi riempi il cuore di gioia” e gli sorrise “ma cosa non riesci a dire ora?”
 
“Ora? Cosa non riesco a dire?” le fece eco lui. Ma poi si accorse che lei aveva preso a guardarlo male, e portandosi una mano alla nuca scoppiò a ridere come uno scemo: “Eh eh eh eh, Kaori, eh eh eh eh”.
 
“Allora?” lo incalzò lei, con una vena di durezza nella voce che lo fece trasalire.
 
“Kaori, cara, quando mi guardi così, mi fai quasi paura… Toh, l’ho detto!” si stupì lo sweeper, e il suo viso si allargò in un’espressione da ebete trionfante.
 
“Cioè? Non riuscivi a dire che ti faccio paura?” si spazientì la ragazza, travisando le sue parole e mettendosi le mani sui fianchi, anche se era seduta.
 
“Co-cosa? Ma-ma che stai dicendo?” balbettò lui, nuovamente zampillante sudore “Sciocchina, ma cosa vai a pensare! Tu-tu eh eh eh… tu che mi fai paura… Toh, l’ho detto di nuovo!”
 
“Ryoooooo!” gli urlò infine la fidanzata, facendolo sussultare “Si può sapere di cosa stai cianciando? Possibile che non riesci ad essere serio per più di tre minuti???”
 
L’uomo incassò la testa fra le spalle e la guardò di sottecchi, aspettandosi una punizione corporale… che non giunse.
 
Kaori, vedendolo in quello stato, attonita si fermò a guardarlo come se lo vedesse per la prima volta: allora era vero che lui aveva paura di lei?
Tanto che tutta la sua insicurezza, per quanto riguardava i sentimenti veri, e la difficoltà di aprirsi, dipendevano dal suo comportamento terrorizzante?
Evidentemente temeva sempre di farla arrabbiare, di contrariarla, di non dire e fare la cosa giusta.
Non l’aveva più volte chiamata virago?
Non aveva detto che era una pazza isterica?
Forse pensava che fosse, in ultima analisi, una psicopatica!
La donna si rabbuiò e fu assalita dalla tristezza.
Le venne da piangere.
Si portò le mani al viso a nascondere i singhiozzi.
 
Ryo allora scattò su, e si protese verso di lei allarmato e perplesso: possibile che lei si fosse offesa così tanto per il suo comportamento?
 
“Sugar, Kaori… dai non fare così, scusami, ti prego!” iniziò scusandosi, non sapendo bene cosa dire.
 
Era così volubile quella benedetta ragazza!
Le sfiorò le mani davanti al viso e lei tirò su col naso; certo piangere con il raffreddore non era il massimo.
Ryo, recuperato un Kleenex, glielo porse e lei lo prese senza guardarlo negli occhi; si soffiò rumorosamente il naso, e poi ancora fra le lacrime gli mormorò:
 
“Scu-scusami” con aria afflitta.
 
Ma Ryo, che non sopportava di vederla piangere, a maggior ragione se era sicuro che fosse lui la causa, le si fece più vicino e l’abbracciò, prima lentamente, temendo che lei lo scansasse; poi, vedendo che docilmente lo lasciava fare, la strinse più forte.
 
“Amore mio” le sussurrò fra i capelli odorosi “Ti prego… non piangere” sentiva che quella era l’unica cosa in grado di dire.
 
“So-sono una fidanzata orribile, vero?” gli disse lei con un filo di voce.
 
“Io non direi! Io penso che tu sia deliziosa, la più dolce che io conosca”.
 
“E invece no!” insistette lei, fra un singhiozzo e l’altro, ma ormai più calma “Tu hai paura di me, ti terrorizzo. Hai ragione a chiamarmi virago, a temere le mie ire, le mie scenate di gelosia, le mie punizioni. Sono una donna manesca e irascibile… perdonami”.
 
“Ma non dire così, lo sai che io scherzo!” e nel dirlo cercava di consolarla, accarezzandole la schiena e i capelli “Io non ho paura di te, ho solo paura dell’enorme cambiamento che ho fatto per stare con te…. Ho paura di non essere alla tua altezza, Kaori… Ho paura… di essere felice” concluse infine; e poi: “Toh, l’ho detto sul serio!” e gli venne da sorridere.
 
Kaori, al contrario, si staccò all’improvviso da lui e lo guardò con gli occhi inondati di lacrime, incredula.
 
“Paura del cambiamento? Paura di non essere alla mia altezza? Paura di essere felice?” ripeté la ragazza “Ryo, ma-ma… come… Come puoi pensare di non essere alla mia altezza? Io ti amo così come sei, non voglio nessun altro per me, lo sai!” Fece una piccola pausa, poi riprese: “Però… paura di essere felice… Posso capirti, perché è la stessa paura che provo io”.
 
“Davvero?” sgranò tanto di occhi l’uomo “Anche tu?”
 
“Be’, la mia vita non è stata tutta rosa e fiori, e quando le cose vanno bene, temo sempre che ci sia la fregatura dietro l’angolo, e allora mi freno un po’ anche quando non dovrei… Lo so che è da stupidi, però è più forte di me!” disse facendo spallucce.
 
“Hai ragione” mormorò Ryo “Quando la vita va sempre in un certo modo, e finisci per accontentarti, adattarti – anche se è una vita da schifo, e pensi che durerà così per sempre – nel momento in cui invece arriva la svolta, e tutto diventa più bello, e basta solo cambiare un po’ per essere finalmente felice…ti prende una gran strizza di… di non farcela, come se non fosse per te, come se non facesse per te. Ecco perché ho continuato a fare il cretino dietro le altre donne, quando le incontravo, quando ero con te: perché mi faceva sentire il Ryo di prima, il Ryo di una volta. Quello che doveva lottare per portare la pellaccia a casa ogni giorno, quello che viveva alla giornata e che, per ingannare la solitudine, si dava alla pazza vita, alle donne, al sesso facile. Era rimasto l’unico legame col passato e… mi dava sicurezza…”
 
“Ryo, ma che stai dicendo…” le scappò detto, più che altro perché ancora una parte di lei non riusciva ad afferrare il senso delle sue parole: tutto le pareva assurdo.
 
“Lo so, può sembrare sciocco, se non peggio, e il Doc ha ragione; ma certe abitudini, certi vizi, sono difficili da mandar via, soprattutto se così radicati e tanto da perdere pure di significato. A me non interessano le altre donne, di andarci a letto, le avventure…Però ecco, se faccio finta di perderci la testa, di molestarle e tutto il resto, mi sembra di essere ancora io… non so se mi spiego”.
 
“Ryo… anche a me spaventa il cambiamento, e nella mia vita ne ho avuti di repentini e drammatici, da che ho memoria”.
 
“Già…” mormorò l’uomo.
 
“Spesso mi sono sentita come se mi mancasse la terra sotto i piedi, che non avessi più punti di riferimento… Mi sono sentita sola e abbandonata, presa in un vortice in cui non potevo far altro che lasciarmi sballottare a destra e a manca. Ma a volte il cambiamento è stato così piacevole e gioioso che ho ringraziato il cielo per avermelo mandato. Quando finalmente ti sei deciso a confessarmi i tuoi sentimenti, ho creduto d’impazzire dalla felicità; e quando abbiamo iniziato a vivere come una coppia, per me è stato tutto nuovo, sublime e terrificante al tempo stesso. Io non ero stata con nessuno a parte te, e dovevo continuamente confrontarmi con la tua immensa esperienza… di più: con tutte le bellissime donne che hai avuto! Puoi immaginare come mi sentivo, come mi sono sentita?”
 
“Kaori, io…” provò a dire l’uomo, pur non sapendo cosa dirle in realtà.
 
“Il cambiamento è stato enorme anche per me” continuò la donna con voce dolce ma decisa “e ho avuto paura; ma poi ogni volta mi ripetevo che era ciò che volevo, che eri tu quello che volevo al mio fianco…Ed ogni cambiamento, ogni novità, l’avrei accettata con gioia e coraggio, perché faceva parte della nuova vita che avrei vissuto con te. Non più come la timida e sprovveduta Kaori Makimura, ma come la giovane donna sicura di sé che volevo essere”.
 
E, d’improvviso, Ryo si ricordò delle parole del Professore a proposito del coraggio della sua socia; e in proposito le disse:
 
“Aveva ragione il Professore: tu hai più coraggio di me e lui messi insieme” ma lei non ne afferrò subito il senso.
 
Dopo una breve pausa, Kaori riprese:
 
“È normale avere paura: io ne ho, e tu non devi vergognarti di averla. Io però sono fiduciosa, e se sto accanto a te, tutto il resto non conta” e lo guardò con profondo affetto.
 
E così, Ryo capì l’inutilità di quel suo comportamento infantile e sciocco, del suo volersi lasciare un’uscita di sicurezza per il loro rapporto, rappresentata dalla posa di porcello maniaco.
E seppe che, da lì in poi, non vi sarebbe più ricorso, che non faceva più parte di lui, del nuovo Ryo.
 
Forte di questo sentimento strinse a sé la sua donna, e sussurrandole: “Mai più”, la baciò con sentimento.
 
Ma il bacio durò poco, perché a Kaori mancò subito il respiro, ancora col naso chiuso, e anzi scansandosi un poco da lui gli disse:
 
“Tesoro, così rischio di attaccarti il raffreddore!”
 
Nella buona e nella cattiva sorte…” recitò allora lui, con un sorriso.
 
“Non prendermi in giro, mica siamo sposati!” gli rispose.
 
“Be’, allora a questo potremmo rimediare, non credi?” e la guardò con un misto di trepidazione e malizia.
 
“Co-cosa mi stai dicendo, esattamente?” aveva paura di chiederlo.
 
“Che… visto che non posso più avere il vizio di correre dietro alle altre donne, devo trovarmene un altro…” le disse lui, sorridendo in maniera strana “Magari, che ne so, il vizio di essere fedele a mia moglie?”
 
“Ryo… ma allora…?” mormorò lei, incapace di dire altro e timorosa di aver frainteso.
 
“Ma sì, voglio dire… ormai ci siamo, ho messo definitivamente la testa aposto, e allora perché non sposarci sul serio? Così faremmo contento anche tuo fratello Hideyuki, prendendomi le mie responsabilità” e socchiuse gli occhi con fare birichino.
 
“Oh, Ryo!” esclamò la ragazza, prima di saltargli addosso ed atterrarlo.
 
“Piano, piano piccolina” riuscì a dirle quasi soffocato dai suoi baci che gli tempestavano tutto il viso, piacevolmente frastornato dalla gioia che stava sperimentando in quel momento, e contagiato dalla commozione della compagna.
 
Quelle parole, la sua intenzione, avevano provocato una felicità così grande in Kaori, che ora si riversava anche su di lui, ed era contento di averla fatta così felice con la sua proposta.
La strinse forte a sé e superato il primo momento di pura gioia commossa, presero a rotolarsi nel letto, felici e contenti come bambini, ridendo.
Ben presto il desiderio rinacque nei due, ma l’influenza di Kaori avrebbe reso tutto più complicato e in qualche modo cercarono di raffreddare gli ardori, decisi a rimandare il piacevole incontro non appena la ragazza fosse guarita.
 
“Grazie,Ryo” gli sussurrò infine la compagna, con la testa appoggiata all’ampio petto dell’altro, e poi, dopo tante parole, non riuscì a dire altro, sicura che lui avesse compreso a fondo tutto ciò che era celato dietro a quel semplice ringraziamento.
 
“Grazie a te…” le sussurrò lui, con la mano ad accarezzarle i capelli; il silenzio che ne seguì fu carico per entrambi di significato e amore.
 
Cullata dalle carezze di Ryo, Kaori, ancora febbricitante, finì per assopirsi, e tutto sommato benedì l’acquazzone della notte precedente, poiché aveva permesso a Ryo di dimostrarsi ancora più innamorato e premuroso: non le dispiacque di essersi ammalata.
Le scocciava solo che, per l’immediato, non avrebbero potuto fare molto altro.
Ma le andava bene così: in fondo, non avevano tutta la vita davanti?
Con un sorriso estatico, Kaori finì per pensare che a volte la realtà supera la fantasia, e che non tutti i vizi vengono per nuocere, ma che certi è decisamente meglio… perderli!
 
 
 
oOo
 
 
 
 
 
“Etciù!”
 
“Nooo, Ryo! Anche tu!”
 
“Bi sa che ho bisogno di una cabobilla!”
 
 
 
Finita! Almeno questa storiella, perché non metto mai, o quasi, la parola FINE al termine delle mie ff, perché, non solo spero sempre di scriverne altre, ma spero sempre anche di non smettere mai di sognare con i miei amati Ryo e Kaori *___*
Però non posso non R*I*N*G*R*A*Z*I*A*R*V*I*, per tutta la simpatia, la stima, l’affetto, la curiosità e molto altro ancora, insomma per tutto quello che mettete nel seguire i miei deliri. Anche se scrivo per me, per divertimento, è bello e gratificante scoprire che le mie storielle piacciono anche ad altri.
Quindi ancora GRAZIE e a presto su questi schermi.
Eleonora

 

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